The return...

di Meme06
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il continuo di Blood Story? ***
Capitolo 2: *** Memories ***
Capitolo 3: *** Secrets ***
Capitolo 4: *** Hopes ***
Capitolo 5: *** Spell of resurrection ***
Capitolo 6: *** Blood ***
Capitolo 7: *** Ground ***
Capitolo 8: *** Bones and skin ***
Capitolo 9: *** There's something wrong ***
Capitolo 10: *** The spell was wrong ***
Capitolo 11: *** Sad memories ***
Capitolo 12: *** The nature... ***
Capitolo 13: *** No dignity, no respect, we are always alone when our lives decide to become ugly ***
Capitolo 14: *** Still not enough ***
Capitolo 15: *** Fight in the middle of the hood ***
Capitolo 16: *** Your hell for my kiss ***
Capitolo 17: *** Purity is an art ***
Capitolo 18: *** The return... ***
Capitolo 19: *** An old acquaintance ***
Capitolo 20: *** Doubts ***
Capitolo 21: *** My or our house ***
Capitolo 22: *** Memories... ***
Capitolo 23: *** Necklace ***
Capitolo 24: *** My death in the past... ***
Capitolo 25: *** I hate you ***
Capitolo 26: *** I'm here ***
Capitolo 27: *** Sayonara, Ikuto... ***
Capitolo 28: *** Forever Damn ***



Capitolo 1
*** Il continuo di Blood Story? ***


I paesani erano riuniti lì intorno da più di due ore a seguire quella lagna che Padre Henry stava facendo. Erano tutti riuniti intorno ad una tomba. La tomba dell'uomo che lei stessa aveva ucciso, il signor Hotori. Dopo che avevano ritrovato i corpi li avevano portati nella chiesa della cittadina, dove il prete li aveva benedetti e purificati e poi li aveva preparati al funerale mettendoli nelle rispettive casse da morto. Essendo solo un domestico che nessuno conosceva al villaggio, visto che i suoi genitori erano venuti a mancare, ad Eiji non avevano fatto il funerale. Però il signor Hotori era sempre stato un uomo ricco e di grande fama al villaggio, tutti lo conoscevano e chi no ne aveva almeno sentito parlare in giro.

- Cari fratelli, siamo qui riuniti oggi per celebrare il funerale del nostro amato defunto Hotori Akio. - iniziò a dire il prete. - Tutti noi sappiamo bene quanto quest'uomo era buono e gentile, come sappiamo che cosa abbia dovuto patire. La morte di sua moglie, seguita anni dopo da quella di suo figlio. Nonostante tutto… - prese fiato. - Se questa è stata la volontà di Nostro Signore allora sia fatta la sua volontà, poiché noi umili cittadini non possiamo far altro che pregare perché quest'anima sia accettata nel regno dei cieli. Amen.

- Amen. - dissero in coro i presenti al funerale. Chi piangeva, chi invece se ne stava con il viso chino, chi addirittura singhiozzava e crollava in ginocchio. Tutte scenette che si susseguivano, quasi volessero far vedere davvero che tenevano a quel mortale patetico che l'unica cosa buona che aveva fatto era stata morire per mano sua.

La ragazza dai capelli rosa aveva assistito a tutta la messa standosene appollaiata su un albero, nascosta dai rami degli alberi. Non aveva avuto niente da fare quella mattina e dopo che aveva sentito un vociferare di persone che si dirigevano al cimitero aveva deciso di seguirle. Certo, non che le importava l'entrata nel regno dei cieli di quel bastardo che aveva causato la morte di Ikuto. Ikuto… il sangue le scendeva dagli occhi se solo ci pensava. Se solo diceva il suo nome nella mente.

Ogni giorno che passava era sempre più dura vivere. A volte pensava che avrebbe voluto anche lei morire. Ma era una creatura della notte ormai, la sua anima era dannata e quindi morire non avrebbe significato raggiungerlo. L'anima di un vampiro che viene ucciso a causa di qualcuno o che si sacrifica per salvare qualcuno, come aveva fatto lui con lei, viene in un certo senso purificata, ma se lei si fosse uccisa non avrebbe ottenuto lo stesso risultato, la sua anima si sarebbe disintegrata. Quante volte aveva desiderato di morire, di essere uccisa. Ogni volta che incontrava qualcuno quando andava in giro per cacciare. Ogni volta che andava a caccia per sfamarsi desiderava ardentemente che qualcuno si difendesse dal suo attacco e che la uccidesse. Ma avevano tutti troppa paura per potersi difendere e contrattaccare. Si paralizzavano e i loro occhi esprimevano solo due cose, terrore all'inizio e rassegnazione alla fine. La rassegnazione di chi sa che sta per morire, di chi sa che ora la sua vita non ha più alcun fine. Che i suoi sogni ormai si sono infranti e le loro speranze non avranno più motivo di esistere. E poi alla fine c'è solo un corpo morto.

La cassa fu sotterrata e i paesani con il prete se ne andarono lasciando la tomba ricoperta di terra fresca e uscendo dal piccolo cimitero.

Amu scese dall'albero e dopo aver dato un ultimo sguardo alla tomba di Hotori uscì anche lei dal cimitero ed entrò nel bosco attraversandolo tutto fino ad arrivare in un posto fin troppo conosciuto per lei. Ogni volta che lo vedeva le faceva male e allo stesso tempo le dava gioia. Almeno qualcosa che poteva tenere per se e che racchiudeva bei ricordi era rimasto. Forse era per questo che continuava ad uccidere in quel villaggio, perché le riportava alla mente le immagini delle sue azioni sadiche che ai suoi occhi, anche quando era umana, erano splendide. E quell'idiota era andato a morire e l'aveva lasciata sola.

Entrò nella dimora nera, quella che solo un'umana aveva attraversato. Solo a lei aveva dato questo privilegio, a nessun altro e se doveva essere sincera questa cosa le piaceva. Non solo perché la faceva sentire unica, ma perché almeno poteva restare da sola, nessuno doveva intromettersi in quel momento nella sua vita. Se così si poteva chiamare. Nessuno, a meno che non avesse il modo per riportare nel suo cuore quell'ombra che tanto le mancava.

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Capitolo 2
*** Memories ***


Certo, era strano per una creatura della notte svegliassi la mattina presto come faceva quando era in vita. Alle sei della mattina, quando viveva ancora in casa Hotori ed era una domestica che sorrideva e si fingeva allegra con tutti. Non le mancava quella vita, era stata tutta una recita. La persona che aveva nei ricordi, la ragazza dai capelli rosa che tutti consideravano dolce e disponibile era il sosia che si era creata solo per poter nascondere agli altri la verità. Quella non era lei. La sua vita non aveva mai avuto un vero inizio. Ma solo dei piccoli flash che avevano un principio e una fine. Erano momenti della giornata, della settimana e a volte anche dei mesi che rappresentavano la vera lei e che quando ricordava le facevano pensare che quella era davvero la ragazza di nome Amu Hinamori. La prima parte della vita che era stata davvero sua aveva avuto inizio quando aveva ucciso i suoi genitori e quel bastardo di suo fratello. Poi si era fermato tutto. La sua vita con quella donna che aveva considerato come sua madre, il suo lavoro in casa Hotori, si era bloccato tutto e la vera Amu si era assopita e sembrava non venire più fuori. I suoi pensieri, le sue idee venivano tenute a bada da lei stessa, solo per apparire chi non era realmente. Perché se fosse stata lei stessa avrebbe avuto tutti contro e quella era la cosa di cui aveva meno bisogno. Poi era subentrato lui, era arrivato Ikuto. Quel ragazzo aveva risvegliato la vera Amu e finalmente si era potuta sentire lei stessa. Ricordava perfettamente che quando era ancora umana provava quello che i mortali chiamavano amore, che poi si tramutò in semplice attrazione quando diventò vampiro. Quando vieni vampirizzato il tuo sire stabilisce un forte legame con te. Ma con lei era ancora più forte, per via di quello che le aveva fatto passare quando era umana e quando le emozioni prendevano il sopravvento in lei. Le gote diventavano rosse e la voce a volte tremava. L'imbarazzo è una cosa umana, che a lei però non era mai piaciuto perché la faceva sentire prigioniera, non libera di dire quello che voleva perché aveva paura di arrossire e di far capire quello che stava pensando alla persona davanti a se. Tutto questo lo aveva appurato solo quando quel vampiro era entrato nella sua vita, perché per la prima volta si era sentita imbarazzata di fronte a qualcuno, non più sicura di quello che diceva. E allora si era sentita prima una stupida, poi una sciocca ragazzina che si stava perdendo in assurde fantasie, per questo non ci credeva quando Ikuto le aveva chiesto di unirsi a lui nelle tenebre e di diventare un vampiro. Perché era stata insicura e non avrebbe mai potuto immaginare che uno che pensava ventitré ore al giorno al sangue potesse pensare anche ad un'umana. Beh infine l'ultima cosa che aveva pensato era che anche se era strano era la cosa migliore che le fosse mai capitata. Strano dire che la cosa più bella della sua vita era stata proprio quando era stata ammazzata.

Fuori era notte. La fame si stava facendo sentire. Fra poco sarebbe uscita e avrebbe compiuto un altro omicidio, come sempre del resto. Infatti fu quello che fece non appena tolta la fascia e uscita di casa.

L'aria fuori si stava facendo calda, tra non molto sarebbe entrata la primavera. Lei aveva sempre amato l'inverno e l'autunno. I mesi caldi non li sopportava, non solo perché adesso era un vampiro, anche da umana il sole non era mai stato fonte di gioia per lei.

Camminò lungo tutto il bosco, fino a sbucare davanti a quell'abitazione che un tempo ospitava persone vive che lei ed Ikuto avevano ucciso.

Iniziò a muoversi alla ricerca di un pasto. Quel luogo sembrava deserto, ma lei sapeva che non era così, c'era sempre qualcuno che usciva la sera, aveva vissuto troppo a lungo in quel paesino e ormai conosceva i suoi abitanti molto bene. Anche perché lei stessa prima usciva sempre la sera. Per altri motivi certo, lei più che altro perché cercava solitudine.

Iniziò ad avanzare per un vicolo, aveva sentito dei rumori provenirvi e per questo si era incuriosita ed era andata a vedere.

- Ma guarda guarda, è da tanto che non assistevo ad una scena di questo tipo… - disse osservando meglio quello che stava accadendo.

C'erano un uomo e una donna l'uno sopra l'altra. Aveva sentito dei rumori perché la donna stava provando a ribellarsi e invece la persona sopra di lei non glielo permetteva, tenendole i polsi e tappandole la bocca.

- Che cosa vuoi bimbetta? - domandò il maschio dispregiativo.

- Beh veramente avrei un po' di fame, quindi se non ti dispiace… - rispose calma Amu. Lo sguardo ora diventato bianco era puntato negli occhi dell'uomo che cambiò subito espressione del volto. Anche la donna che prima aveva considerato quella ragazza come sua 'salvatrice' ora si stava ricredendo. - Che hai da guardarmi così? - domandò riferita all'uomo. - Non mi sembra che per te sia il primo incontro con una ragazza.

Lo beffeggiò la vampira. I due si alzarono da terra spaventati. La sua mano si mosse veloce andando a graffiare il volto della donna.

Si portò le dita un po' sporche di sangue alle labbra.

- Mmm… ti dirò che mi aspettavo di meglio, ma può andare come antipasto. - vedere l'espressione delle vittime che cambiano e diventavano spaventate era la cosa più bella per un vampiro. Prese la ragazza per il braccio e la portò accanto a se, presa per i capelli le scoprì il collo e le strattonò un po' la testa di lato per metterlo bene in mostra. Nel frattempo l'uomo stava tentando di scappare. Amu ci mise un secondo a gettare la donna contro il muro e a dare un calcio al fuggitivo. Gli mise un piede sopra la sua gamba sinistra e con una forza inaudita gliela spezzò facendolo urlare.

- Almeno non scappi più… - si giustificò la rosa per poi tornare dalla donna che stava perdendo sangue dalla testa. La prese per il collo e dopo averla sollevata portò le labbra alla nuca e vi infilò i denti. Il dolore era atroce per la vittima che ormai non provava nemmeno più a ribellarsi. Finita la donna la gettò via come una bottiglia d'acqua vuota e si diresse verso la sua altra preda. - Ti dirò la verità, non ho voglia di mangiarti, per me sei troppo grande mi faresti fare indigestione…

Disse sogghignando. L'uomo stava tremando. Buffo il cambiamento da spaccone a vittima che aveva fatto. Posò il piede sul suo collo e schiacciò. Le ossa si frantumarono e il sangue sgorgò in piccoli schizzi. Il suo collo ora sembrava un sacco di pelle umana vuota. Farlo dissanguare sarebbe stato uno spreco, almeno così si era divertita.

Si passò la lingua fra le labbra per pulirsele dal sangue che le era rimasto ai lati della bocca, poi si dileguò tornando nella sua dimora.

Una volta entrata nella casa raggiunse subito il primo piano dove si diresse in bagno. Un bel bagno freddo era quello che le ci voleva per togliere l'odore forte che le avevano lasciato le sue vittime. Ora capiva perché Ikuto si faceva il bagno sempre dopo gli omicidi, perché l'odore che ha la pelle umana fa ribrezzo ad un olfatto sviluppato come quello che hanno i vampiri. Si sciacquò bene tutto il corpo e i capelli rosa che le erano cresciuti molto, se non li avrebbe tagliati era sicura che le avrebbero toccato le ginocchia. I capelli lunghi sono belli certo, ma sono scomodi per combattere. Prese un asciugamano celeste che aveva lì vicino, a portata di mano e se lo avvolse intorno al corpo. Ne prese uno dello stesso colore e grandezza per raccogliere i capelli. Per le sue liane rosa infatti quello era perfetto, per il corpo era un po' stretto e corto. Ma pazienza.

Uscì dal bagno entrando nella stanza piena di libri, la prima in cui vi era stata la ricordava benissimo, come ricordava quello che era successo…


Il vampiro socchiuse gli occhi in due fessure e si avvicinò ancora di più alla ragazza che preoccupata per quell'atteggiamento iniziò a indietreggiare fino a toccare il muro.

- Dì un po' piccola umana… - iniziò Ikuto con uno strano tono della voce. - Credi di poter dettare le regole del gioco? Se è così ti stai sbagliando…

- Ma di che…

- Zitta! - esclamò il ragazzo afferrandola per il collo. I suoi occhi cambiarono colore diventando due bigie di ghiaccio che la guardavano minacciosi. - Quello che gli ho chiesto non ti deve riguardare…


Ora che ci pensava non era poi così difficile capire il perché lo aveva ucciso senza succhiargli il sangue. Il fatto che fosse stato 'geloso' di lei la fece sorridere. Quello che era successo era stato fantastico. I suoi ultimi giorni da umana erano stati fantastici ed entusiasmanti. Come aveva fatto non capire subito l'attrazione che aveva quel ragazzo verso di lei? Davvero, a pensarci la faceva sentire stupida…


Estrasse la scopa da dietro il letto e provò a darla in testa alla ragazza… ma il colpo non andò a segno. Un ragazzo dai capelli blu e gli occhi come due ametiste aveva fermato la scopa con la mano. Riconoscendolo Kobayashi iniziò di nuovo a tremare.

- T-tu… - provò a dire. - Tu che cosa diavolo ci fai qui?

- Che accoglienza… - fece. Si girò verso Amu avvicinando il volto a quello della ragazza, che per la prima volta arrossì, anche se lievemente. - Non credi anche tu Amu?

- Che accoglienza ti aspettavi? - ribatté la ragazza incrociando le braccia al petto e guardandolo dritto negli occhi.

- Se vuoi te lo dico io che cosa è successo ieri… - le disse.

La rosa sgranò gli occhi andando a fissare incredula il ragazzo.

- M-ma… - provò a ribattere Kobayashi ma le fu impossibile.

Ikuto l'afferrò per il collo facendole il gesto di tacere sorridendole malvagio.

- Perché non racconti ad Amu che cosa vi siete dette ieri tu e la biondina? - le chiese. - E che cosa volevate fare?

Amu era ancora completamente confusa. La donna non si decideva ad aprire bocca. Il vampiro allora estrasse dalla manica un pugnale. Aveva il manico nero e ornato con strane decorazioni. Lo puntò al cuore della donna.

- Così va meglio? - le chiese maligno. - Avanti ora parla, almeno che tu non voglia morire subito.

[…] - Volevate liberarla? - chiese il ragazzo prendendosi gioco di lei. - Ma che donna di buon cuore… - continuò per poi poggiarle il pugnale sul petto. - Chissà se è vero…

- Cos… - tentò di dire la donna, ma la sua domanda fu interrotta dal tremendo dolore che la costrinse ad urlare.

Il ragazzo con il pugnale si fece largo tra la sua carne ed i suoi organi fino a creare un buco abbastanza grande e profondo da mostrare il cuore che le estrasse poco dopo con un gesto fulmineo del braccio, aiutandosi con la lama del coltello. La donna non aveva mai smesso di urlare fino a quel momento. Poi… un ultimo grido, un ultimo respiro e giunse la morte. Ikuto la lasciò cadere a terra. Il buco che aveva sul petto perdeva tantissimo sangue.

Il cuore, infilzato sul coltello era ancora caldo e così glassato di sangue gli faceva venire l'acquolina in bocca.

Lo avvicinò alle labbra e leccò quella gustosa bevanda da sopra l'organo. Amu lo guardava stupita, impaurita e inorridita da quello che aveva visto e quello che stava vedendo.

- Mmm… - fece il ragazzo mentre iniziava ad assaggiare un pezzetto del suo cuore. - Devo dire che non è affatto male… era davvero una donna di buon cuore…

Disse per poi scoppiare a ridere. Mentre continuava a mangiare e succhiare il cuore ricoperto di sangue guardava la ragazza di sottecchi. Amu lo osservava con un senso di disgusto dipinto sul volto. Rabbrividì quasi quando iniziò a spellare l'organo per gustarselo meglio.


Se avesse in questo momento la possibilità di parlargli di nuovo sicuramente rinuncerebbe anche all'immortalità e alla sua anima ormai nascosta nel posto più oscuro del suo essere.

Si mise seduta nella poltrona continuando a vagare con la mente a quei dolci momenti, anche se quando era viva le erano sembrati tutt'altro che dolci.


La ragazza deglutì ma non distolse lo sguardo. Ikuto le spostò i capelli da un'unica parte del collo, lasciando in bella vista il lato sinistro. Ci passò un dito sopra. La ragazza rabbrividì a quel contatto, cosa che fece sorridere il vampiro.

- Prova a mordermi e te ne pentirai… - disse cercando di sembrare minacciosa, ma con lui non ci riusciva molto bene.

Infatti il ragazzo avvertì subito la paura che provava in quel momento.

- Oh… - fece avvicinandosi un poco al suo collo. Per bloccarlo la ragazza provò ad alzare le mani, ma lui le prese subito i polsi bloccandoglieli al muro. - Hey piano, non sono uno che va di fretta…

Le si avvicinò ancora di più. La ragazza strinse gli occhi e trattenne il respiro. Ma l'unica cosa che ricevette fu una sensazione di umido. Il ragazzo le aveva appena passato la lingua sulla sua pelle candida.

- Che cavolo fai? - gli chiese con disprezzo e anche un poco alterata.

Lui puntò i suoi occhi ghiaccio negli occhi ambrati della ragazza. Si passò la lingua fra le labbra sensualmente.

- Era solo un assaggio, per ora… - le disse per poi allontanarsi da lei.


Oh insomma! Adesso basta ricordare e ricordare. Vivere nel passato non serve a niente, a lei di certo non sarebbe stato utile.

Si alzò e si avvicinò ad uno dei tanti scaffali. Prese un libro a caso con la copertina marrone e rossa. Si andò nuovamente a sedere iniziando a leggerlo. I pensieri però invadevano troppo la sua mente per seguire il filo del discorso del narratore. Infatti alla fine si trovò semplicemente a sfogliare quel libro senza una logica precisa, così giusto per fare. Lo stava continuando a sfogliare quando dalle pagine cadde un foglietto o qualcosa di simile per lo meno. Am lo notò subito. Posò il libro e s'inchinò a raccoglierlo. Il foglietto rappresentava un pentacolo.


- Pratichi anche la magia? - chiese curiosa.

Lui le rivolse una strana espressione.

- Perché me lo chiedi? - chiese il vampiro.

- Perché ho visto un Athame insieme alle altre spade… - rispose.

- Ah, no mi piaceva la forma del pugnale e ne ho fatto uno. - disse Ikuto.


Ma se ricordava bene era così che le aveva risposto. Allora perché c'era un foglietto con un pentacolo proprio lì davanti a lei? Girò il foglio dove c'era scritto qualcosa di incomprensibile. O meglio, di indecifrabile. Sicuramente era una scrittura in codice. L.1.S.5.

- L.1.S.5.? - domandò Amu a se stessa. - Che diavolo vuol dire?

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Capitolo 3
*** Secrets ***


Sicuramente era una scrittura in codice. L.1.S.5.

- L.1.S.5.? - domandò Amu a se stessa. - Che diavolo vuol dire?

Rimase almeno mezz'ora a tentare di decifrare quel cavolo di bigliettino. Ma era più difficile di quanto pensasse. Non aveva alcun senso quello che vi era scritto.

- Dunque… - disse pensando ad alta voce. - Sicuramente le lettere sono parole abbreviate, anche se non capisco quali. Vediamo… Amu fai funzionare quel cervello che hai fin da quando ero in vita… L…l…l… ci sono mille parole con la l!

Era davvero difficile, non riusciva proprio a capire. Se il bigliettino era a casa sua perché aveva scritto una cosa in codice? Quel ragazzo la faceva impazzire anche dopo che era diventato polvere.

Strinse forte il ciondolo con le ceneri che portava al collo, da cui non si era mai separata, neanche per dormire. Se fosse bastato questo a riportare in vita Ikuto lo avrebbe stretto a se tutte le volte che voleva, anche mille al giorno se era necessario.

- E va bene basiamoci sull'altra lettera… - si disse, tanto non riusciva a concludere niente con la l, forse se riusciva a capire la s avrebbe capito tutta la frase in un colpo solo. - Certo che senza un punto di riferimento su cui basarsi è difficile.

Si guardò intorno alla ricerca di una parola con la s. Ma ce n'erano milioni di parole con quella lettera.

- Accidenti a te vampiro delle mie tombe! - esclamò posando il foglietto e facendo un respiro profondo per cercare di calmarsi. Si stava davvero incazzando. Che cavolo, possibile che tutto quello che per lei era importante o era irraggiungibile o era in codice? Che profonda tristezza… Ma non si sarebbe arresa così facilmente.

Prese un foglio ed iniziò a scrivervi sopra tutte le parole che trovava con la lettera l da una parte e tutte quelle che trovava con la lettera s dall'altra, creando due colone davvero molto lunghe. Certo, ora aveva fatto almeno un passo avanti, ma che senso aveva se abbinare le parole che aveva trovato non portava a niente?

Lago 1 Sasso 5? che assurdità…

Lingua 1 Serpente 5? banale…

Luna 1 Selvaggio 5? che cosa vado a pensare?

Anche avesse trovato le parole giuste poi non riusciva a capire il significato dei numeri, era quello il vero problema. Cosa rappresentavano coordinate? Quantità? Posizioni? Boh… Vallo a capire a quel pazzo che le aveva scritte.

Si alzò un attimo per fare una pausa. Aveva ancora i biscotti ammuffiti di Ikuto da qualche parte negli scaffali. Dopo aver frugato per un po' tra un libro e un altro alla fine li trovò, normalmente stavano in una credenza per il cibo, ma l'altra volta nella fretta di mettere a posto li aveva spostati. Ricordò benissimo quando quel ragazzo glieli aveva offerti per la prima volta, che a lei avevano fatto schifo e non li aveva nemmeno sfiorati.


- Non ti piacciono i mirtilli? - chiese mentre si passava un panno sulla testa.

- Non è per quello che non li ho mangiati, ma perché sono ammuffiti.

- Certo che lo sono, è proprio la muffa a dar quel buon sapore al sangue. - rispose il ragazzo.

- Bleah… - fu l'unica cosa che disse la ragazza prima di voltarsi.


Ora invece che dire 'bleah' avrebbe detto 'hai proprio ragione'. Anche lei aveva provato biscotti ammuffiti sbriciolati dentro un bicchiere di sangue appena versato dal collo di un umano, cado e gustoso. Eh si, le veniva l'acquolina in bocca solo a pensarci.

Si voltò verso un altro scaffale dove c'era ancora un bicchiere di sangue che aveva preso qualche giorno fa, se lo era dimenticato. Si avvicinò e allungato il braccio lo prese e lo mise sopra la scrivania. Prese i biscotti e ne sbriciolò qualcuno dentro. Mescolò il contenuto muovendo leggermente il bicchiere in senso circolare, poi ne assaporò il contenuto con aria critica.

- Mmm… - si disse. - Che bontà…

Finì di bere la sua, per così dire, merenda per poi riprendere quel lavoro del cavolo che si era messa a fare. Non sapeva di preciso perché voleva a tutti i costi decifrarlo. Forse per sfida. Forse per il fatto che sapeva poco di Ikuto e non avrebbe mai avuto occasione di chiedergli altro. Non aveva mai saputo dov'era nato, da chi, com'era fatta la sua famiglia, com'era diventato vampiro. Aveva tante domande che le premevano e che non aveva avuto tempo di chiedergli. Forse quel codice poteva portarla a scoprire di più su di lui. Non capiva ancora come potesse essere possibile che quattro simboli le avrebbero fatto scoprire qualcosa di importante magari, ma tentar non nuoce e poi lei era già morta, quindi era perfetto.

Le altre ore del giorno infatti le passò tutte a tentare di nuovo di decifrare quelle lettere. Aveva persino pensato che poteva essere la sua data di nascita, ma sarebbe stato improbabile.

Luglio 1 oppure Settembre 5. Oppure 1 Luglio Sabato, ma dopo sarebbe avanzato il 5.

Scosse a testa come per dire 'basta, non ne posso più!' Tre ore a decifrare un messaggio più le altre otto, forse, prima che facesse lo spuntino biscotti e sangue. E ora aveva di nuovo fame, accidenti…

Decise che avrebbe lasciato un po' in sospeso questa questione e nel frattempo sarebbe andata a farsi uno spuntino fuori casa. Come avrebbe detto Ikuto: a cena fuori.


- Oh Dea Madre della terra, io ti invoco per purificare il mio spirito e per renderlo degno della tua presenza… - una litania che andava ripetuta tutte le sere, a mo' di preghiera serale. - Ti prego mia Dea, mio spirito guida, mia eterna ragione di vita, mia fonte di salvezza e mia via per la saggezza, io ti prego per salvaguardare il mio spirito. Io prego perché la mia morte possa presentarsi di fronte a te come su di un piatto d'argento. Io prego perché anche questo giorno che mi hai donato io l'abbia speso bene secondo la tua volontà. E prego perché anche domani, mia Dea, mia luna e mio sole, possa il mio corpo vivere un altro giorno in questa terra dove i mortali camminano. E con queste parole chiudo la mia preghiera.

La ragazza si alzò, permettendo ai suoi ginocchi e alle sue gambe di stiracchiare bene i muscoli e di sgranchirle bene le gambe. Si diresse verso il banco dove vi si presentava il banchetto adatto a quel tipo di rituale. Ogni rituale ha un banchetto preciso e quel giorno esso prevedeva dei biscotti di mandorla con succo di arancia. Ne mangiò circa tre, mangiava e beveva ad intervalli di tempo calcolati.

- Grazie Dea per questo cibo, che tu possa condividerlo con me e che tu possa apprezzar il pasto che ho preparato con le mie mani per quest'occasione. - disse la ragazza una volta finita la prima parte del banchetto per poi mangiare altri biscotti. Prima della chiusura del rituale suonò tre rintocchi di campana e poi chiuse il cerchio magico e si diresse nella sua stanza.

Indossava ancora la veste bianca della purezza, si doveva cambiare se voleva fare almeno una passeggiata alla luce della luna che la madre le offriva.

Indossò un normale vestito rosso e nero con la scollatura tipica ottocentesca bordata di pizzo nero. Le maniche fino a metà braccio abbastanza strette per poi sfociare in stoffa alternata tra la rossa e il pizzo nero bordato sempre con nastro rosso. La gonna interamente rossa con la bordatura finale nera portava sopra un panno di pizzo nero che si abbinava col resto del vestito perfettamente. Sata, così si chiamava, non era una ragazza ricca, ma sua madre era una brava sarta e quando la veniva a trovare le portava sempre dei bei vestiti fatti da lei. Quello che indossava in quel momento era l'ultimo che le aveva portato. Ultimamente iniziava ad azzeccarci di più con i suoi gusti. I primi vestiti erano rosa con le rifiniture oro e le maniche a sbuffo, non adatti a lei. Alcuni erano anche carini, ma non si vedeva ad andare in giro vestita a quel modo.

Continuò a camminare, dirigendosi quasi fino all'inizio del bosco. Ancora tutti avevano paura di quel posto, dicevano che vi abitava una strana creatura lì dentro e che usciva fuori per cibarsi di persone. Parlavano di un vampiro. Per lei erano tutte sciocchezze. Giravano molte credenze popolari in quel villaggio che di certo a lei non toccavano minimamente.

Continuò a camminare per poi sedersi dietro un albero ai margini del bosco. Chiuse gli occhi e si concentrò sui suoni del bosco, sulla musicalità che la natura le trasmetteva. Amava la natura e gli elementi che la rappresentavano.

Quando aveva quattordici anni ed era alle prime armi con la magia, con la sua religione, aveva fatto un corso per entrare a contatto con tutti gli elementi. E per non avere mai paura di essi. Aveva iniziato dagli elementi del suo segno e del suo ascendente. Lei era nata il quattro di aprile, Ariete, ascendente acquario. Fuoco e aria. Il primo era stato dunque il fuoco. Aveva passato un'intera giornata sotto un vulcano, uno attivo, cercando di entrare in sintonia con il percorso che faceva la lava, cercando di sentire quello che il liquido che sottoterra prendeva il nome di magma le voleva far provare.

Dopo aveva passato all'aria. Aveva scalato una montagna nelle vicinanze del paese dove prima viveva. Si era appostata lì per quai due giorni, a sentire il richiamo del vento, a giocare ad essere una brezza giocosa che incontrava tanti correnti che le diventavano amici. Anche quella era stata un'esperienza magnifica, che l'aveva aiutata ad avere la capacità di capire quello che il vento diceva. Perché tutto sulla terra ha una forma di linguaggio, anche se a volte ci può risultare incomprensibile.

Poi era passata all'acqua. Beh, senza dirlo, aveva passato i suoi gironi in una barca, sul mare. D'estate, durane il giorno e durante la notte. A nuotare in qualunque ora del giorno. Quella fu stata per lei una grande prova visto che quando era piccola aveva sempre avuto paura dell'acqua, una paura che poi mano a mano si era tolta e che ora era sparita del tutto.

Proseguendo, l'ultimo elemento con cui doveva entrare in sintonia era la terra. Tre giorni in un bosco, vivendo sugli alberi, a contatto con la terra, cibandosi con la natura e pregando. Quella fu l'esperienza più bella di tutte. Questione di vita o di morte? No, era un bosco tranquillo, ma anche uno come quello di notte faceva paura e metteva inquietudine alle persone. Soprattutto chi come lei, sempre quando era più giovane, era molto paurosa.

Si era appena abituata al fantastico silenzio che regnava in quel posto, quando un grido ruppe quell'atmosfera perfetta. La ragazza si alzò all'istante, curiosa di sapere che cosa stava accadendo. Non molto distante da lì una bambina sui dieci anni era a terra e perdeva sangue. Una ragazza dai capelli rosa, vestita interamente di nero, le si stava avvicinando. Non era diventata la ragazza che era per stare solo a guardare a queste cose. Uscì allo scoperto muovendo passi lenti verso la ragazza.

- Hey! Che cosa vuoi fare? - le gridò facendo ricadere lo sguardo bianco e terrificante della ragazza nei suoi occhi color arancio. - Che cosa sei?

Mormorò piano più a se stessa che alla rosa.

- Sono una creatura della notte. - rispose la ragazza con un sorrisetto derisore.

Come aveva fatto a sentirla? Era poco più di un sussurro in modo in cui aveva pronunciato le parole.

- Non bluffarti di me! - gridò arrabbiata la ragazza mettendo le mani giunte davanti al petto e chiudendo gli occhi. - Oh mio Dio, Signore del tempo, Sovrano del…

La ragazza continuava a ripetere parole magiche e senza senso per Amu. La vampira la guardava stranita, non riusciva a comprendere che senso aveva quello che quella ragazza stava facendo. Di solito gli umani erano tutti egotisti anche con il loro prossimo, perché avrebbe dovuto aiutare la bambina che era la sua cena?

- Che cosa vuoi, uccidermi? - glielo chiese quasi come una supplica, come qualcosa che desiderava ardentemente, che da tanto tempo aspettava.

La ragazza dai lunghi capelli bianchi le rivolse tutta la sua attenzione, incatenando i suoi occhi arancioni negli occhi ormai tornati gialli della vampira.

- Non dovrebbe essere così difficile quando uno si è già arreso… - le rispose la ragazza.


Ciao! Spero prima di tutto che il capitolo vi sia piaciuto e che vi faccia stare abbastanza in suspense XD Comunque che ne dite di provare voi ad indovinare che cosa significa quella scritta in codice: L.1.S.5.? Una specie di gioco per vedere se qualcuno ci arriva! ^ ^

Alla prossima! Baci

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Capitolo 4
*** Hopes ***


La ragazza dai lunghi capelli bianchi le rivolse tutta la sua attenzione, incatenando i suoi occhi arancioni negli occhi ormai tornati gialli della vampira.

- Non dovrebbe essere così difficile quando uno si è già arreso… - le rispose la ragazza.

Bene. Era arrivata la sua ora finalmente. Lo aveva aspettato da tanto tempo questo momento, finalmente era arrivato. Sarebbe morta per mano di qualcuno e avrebbe purificato la sua anime, raggiungendo quella di Ikuto. Sono pronta a morire… di nuovo… si disse mentre aspettava il colpo di grazia da parte della ragazza che la stava davanti. La quale però non faceva altro se non fissarla.

- Beh, non volevi uccidermi? - le domandò Amu notando che non muoveva un muscolo.

- Ti manca così tanto quel ragazzo? - le chiese inaspettatamente.

Pausa! Se Amu avesse avuto ancora il respiro probabilmente in questo momento le si sarebbe bloccato. Se il suo cuore fosse stato ancora in funzione avrebbe subito un battito talmente forte da esploderle nel petto. Come faceva a sapere quella ragazza? Come poteva aver intuito il suo dolore, l'unico che avesse mai avuto nella sua esistenza?

Il rituale di preghiere si era fermato e ora la ragazza la guardava con uno sguardo tranquillo. La bambina che la rosa aveva sotto tiro era ormai morta e il suo sangue aveva creato un'aureola scarlatta intorno l suo capo.

- Cosa ne sai tu? - domandò Amu abbassando lo sguardo. Sentiva l'odore del suo sangue che stava per uscire, ma si trattenne.

- Infatti non lo so. - rispose tranquilla. - Ho solo avvertito questo pensiero, la grande Madre mi ha dato questo dono.

- Quello di non farti i cazzi tuoi? - chiese acida.

- Può essere… - rispose avvicinandosi di qualche passo. - Se non altro… ho indovinato, non è così?

- E questo cosa c'entra? - domandò ancora Amu.

- Perché ti ostini a tenerti tutto dentro? - domandò ancora. - Fai male solo a te stessa.

Amu si voltò un attimo andando a guardare la bambina, quello che ne era rimasto ormai.

- Uff, per colpa tua non ho potuto cenare… - disse sbuffando come una bambina. - Adesso guarda che spreco di sangue.

Allora non mi ero sbagliata e le voci erano vere…esistono i vampiri… pensò la ragazza.

- Beh dovrò stare a digiuno per questa sera… - disse di nuovo la vampira per poi voltarsi completamente e dirigersi verso il bosco.

- Aspetta, tu sei un vampiro vero? - chiese con ingenuità la ragazza.

- Forse, tu cosa sei?

- Ah? Io sono umana. - disse la ragazza un po' stupita da tale domanda.

- Come puoi leggere nel pensiero se sei umana?

- Te l'ho detto, è un potere che la Dea mi ha donato. - rispose.

Amu alzò un sopracciglio confusa.

- Se lo dici tu… sei fortunata, di me nessun dio si è mai curato… - le disse voltando le spalle, mentre ricordi le attraversavano la mente e un ombra oscurava i suoi occhi gialli.

- Probabilmente perché tu non lo hai mai ricercato. - rispose. - Vedi, non puoi aspettarti che sia lui a fare la prima mossa, devi dimostrargli che ha davvero bisogno della fede.

- Baggianate. - disse Amu a denti stretti. - Non l'ho mai pensata così. Probabilmente tu hai vissuto una vita tranquilla e spensierata. Io no, la mia ha sempre avuto tonalità scure, perfino con lui…

La ragazza stavolta non seppe come ribattere. Chino il capo e annuì. In fin dei conti lei non poteva sapere. Nel frattempo Amu si dileguò. Che rottura che erano le persone del villaggio, anche se, non lo sapeva con precisione, però quella ragazza aveva qualcosa di particolare, di insolito avrebbe detto. Non nell'aspetto, nel modo di agire. L'avrebbe definita altruista, dopo tutto erano davvero poche le persone che si battevano per le altre. Era molto raro vederle in giro e soprattutto incontrarle. E poi la sua fede, forte e salda come il ferro. Doveva essere davvero credente. Però non era cattolica, né cristiana, di questo ne era sicura. Un po' la conosceva la religione che girava per il paesino e non era quella che le aveva mostrato lei. Non che le importasse poi che religione praticasse, era stato un incontro davvero seccante. Eppure dentro di se si sentiva come liberata di un peso. Qualcuno che l'aveva capita, qualcuno che la capisce allora è possibile. Solo uno fino ad ora l'aveva capita. Nessun altro, eppure quella ragazza si. Non era umana sicuramente. Non poteva averla capita in modo così semplice.


Per quasi mezz'ora era rimasta lì, immobile verso il bosco, senza guardare nessun punto in particolare, solo a pensare, a riflettere su che cosa era accaduto. Lei era la sacerdotessa di un culto per lei molto prezioso, quello era vero ma era anche una persone e, per quanto non volesse farsi condizionare troppo dalle emozioni e dalla curiosità, la voglia di scoprire chi era quella ragazza si faceva sempre più pungente. Come un ago le lentamente le entrava nella carne e non le lasciava il tempo di pensare, solo la voglia inaudita di toglierselo dalla carne per stare finalmente bene.

Aveva avvertito il fatto che aveva sconvolto quella ragazza, quella creatura insomma. E poi, non sapeva perché, ma sentiva che doveva fare qualcosa per aiutarla. I frammenti di pensieri che aveva avvertito erano stati pochi, ma erano bastati a farle capire la situazione. Per quanto uno non può essere umano non deve essere triste. Dopo tutto come noi diciamo che il leone fa la cosa giusta quando uccide la gazzella per fame allora anche il vampiro fa una cosa giusta quando uccide la persona per fame. Dopo tutto, gazzella o essere umano, si chiama sempre vita, non mi sembra che abbia un altro nome.

Si voltò dirigendosi verso casa, forse sapeva come avrebbe potuto aiutarla.


La ragazza si mise una mano tra i capelli, stressata.

- Basta, non è possibile! - esclamò con la testa che le scoppiava. - Se mi si deve squagliare il cervello allora sia, in questo momento non potrei svolgere nemmeno un'addizione come quattro più quattro.

L.1.S.5. … L.1.S.5. … L.1.S.5. … L.1.S.5. … L.1.S.5. …

Che rabbia! Quella scritta le stava riempendo la mente svuotandola di tutto il resto. Finché non l'avrebbe tradotta non sarebbe mai riuscita a darsi pace.

- Okay Amu, va bene… - sospirò. - mantieni la calma, mantieni la calma…

Strinse forte la matita con cui stava scrivendo, sbriciolandola in piccoli pezzi di legno. Sarebbe stata dura mantenere la calma. Si diresse verso lo scaffale e ne prese un'altra. Si rimise seduta e cominciò nuovamente a ragionare e scarabocchiare sul foglio.

- Vediamo… - iniziò. - La lettera l…

La scrisse.

- Ci sono mille parole con questa lettera, ma sicuramente si capisce qual'è quella adatta, almeno spero di arrivarvi questa volta.

Iniziò a scrivere un sacco di parole.

Lampada

Luna

Leone

Lanterna

Lume

Limone

Leopardo

Lucciola…

- Uffa! Nessuna di queste parole può essere adatta per un codice! - fece Amu in preda ad una crisi di nervi, facendo a pezzi la seconda matita. - Maledizione! Che abbia troppa fame? Dopotutto sono stata a digiuno per più di un giorno intero…

Ma non aveva tempo per mangiare, era troppo impegnata a risolvere questa situazione. Prese il foglietto e si mise a fissarlo, come se quel coso si potesse intimorire e dirle la soluzione dell'enigma. Strinse quell'irritante pezzo di carta e uscì dalla stanza, avrebbe mangiato prima e poi… d'un tratto però, qualcosa attirò la sua attenzione. Probabilmente non l'avrebbe neanche notata se non fosse stata preda di quel biglietto. Alla sua sinistra, in fondo alla casa e molto lontano dall'ingresso, c'era una porta in legno chiaro che contrastava moltissimo con la casa. Probabilmente essendo sempre stata al piano di sopra e avendo sempre e solo fatto avanti e indietro, dentro e fuori, non ci aveva nemmeno pensato.

Lentamente si avvicinò alla porta, quasi con timore, non sapeva cosa c'era lì dentro, la casa dopo tutto era di Ikuto e lei ci era andata a vivere solo per ricordare lui.

Lentamente posò la mano sulla maniglia, girò facendo scattare la porta e aprendola sempre lentamente. Non appena essa fu spalancata le candele presenti nel luogo si accesero tutte e comparve una stanza con pareti rosse, pavimento sempre nero, nessuna finestra, un tavolo rotondo al centro della stanza senza sedie intorno e due librerie non tanto grandi. Fece qualche passo indietro stupita e quello che lesse al lato del muro, accanto alla porta, la fece quasi saltare dalla gioia. Sala 5.

- Sala 5? - chiese Amu ripescando il foglietto e fissandolo. - Che sia…

Decise di entrare, poteva davvero contenere la risposta. Dopo tutto chi è che scrive un numero accanto ad una porta? Doveva essere per forza questa. Si guardò intorno tentando di decifrare tutto il biglietto.

- L. 1. … - pensò ad alta voce. - Cosa potrebbe significare se qui non c'è nella che inizia per l?

Si guardò nuovamente intorno.

- Libreria forse? - si chiese. No era impossibile, lì c'era una montagna di libri che cosa avrebbe potuto… aspetta un momento… - Ma certo è libro! Libro 1!

Però che voleva dire libro 1? Da dove doveva iniziare, quale scaffale. Un lampo le squarciò la mente, e se la scritta S.5 avesse due significati?

- Sc… Scaffale 5? - si chiese. - beh.. tentar non nuoce.

E detto questo si avvicinò alla libreria facendo scorrere lo sguardo sui tomi presenti e sugli scaffali fino a raggiungere il quinto. Sperò almeno che intendesse dal basso verso l'alto. Per una volta nella sua vita la fortuna era dalla sua parte.

Il primo libro doveva essere quello giusto. Lo tirò fuori. La copertina era nera con delle decorazioni di un verde brillante. Al centro un pentacolo dentro un cerchio e come titolo una parola in una lingua a lei sconosciuta.

- Ma che libro è? - si chiese. Lo fissò un momento per cercare di indovinare che cosa c'era scritto, ma prima di questo forse era meglio andare al piano di sopra. Detto fatto uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e salì al piano superiore. Si sedette sulla poltrona e iniziò a sfogliarlo. Nella prima pagina c'era la traduzione fatta sicuramente da Ikuto. C'era come uno schema con la parola al centro e vicino una scritta da parentesi la quale diceva che scrittura era: alfabeto Isiaco.

- Alfabeto Isiaco? - si domandò Amu prima di leggere la spiegazione. - L'alfabeto Isiaco faceva parte di un culto in onore della Dea Egizia Iside. Venne formato questo culto poiché la Dea Iside era l'unica Dea che non esprimeva timore, ma era considerata come Dea protettrice degli amore, della vita, delle madri e dei bambini…

La spiegazione era molto più lunga, ma Amu non aveva tempo di leggerla tutta. Guardò direttamente la traduzione: Magia. Allora quelli erano tutti rituali di un antico culto. Vicino alla traduzione c'era impressa anche la data del libro: 1500. Quasi il volume non le cadde di mano.

- Ma… ma… quanti anni è vissuto Ikuto? - si domandò. - Facendo un breve calcolo dovrebbe avere circa 3000 anni se è vissuto a quel tempo…

Anche questa sarebbe stata una domanda che gli avrebbe voluto fare. Avrebbe voluto chiedergli quanti anni avesse, il problema era che aveva paura che la prendesse per stupida e le facesse delle battute tipo: Sono un po' più grande…

Questo però quando era umana, adesso glielo avrebbe chiesto, se avesse potuto certo.

Continuò a sfogliare. Le pagine erano tutte in quella lingua, ma sopra c'era la traduzione fatta dal ragazzo, quindi poteva leggerlo lo stesso. Ma dove aveva imparato a leggere l'Isiaco? Ma non c'era tempo per porsi domande che avrebbero avuto risposta.

C'erano tantissimi rituali, incantesimi. Cose legate alla natura, all'uomo, agli animali, alcune atroci, come i sacrifici degli animali ritenuti sacri per il dio: magia rossa. Altri invece erano molto interessanti, come curarsi con le piante o anche entrare a stretto contatto con la natura: magia verde.

- Incantesimo del lago… magia della natura… - la ragazza faceva scorrere lo sguardo su tutte le pagine leggendo i titoli e dando appena un'occhiata al contenuto. Continuò a leggere e sfogliare quando finalmente qualcosa attirò la sua attenzione.


Mi congratulo con Silent_Warrior perché era quasi arrivata alla soluzione dell'enigma ^ ^ Brava!

Per il resto spero che il capitolo vi sia piaciuto e grazie per averlo letto ^ ^

Kiss kiss

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Capitolo 5
*** Spell of resurrection ***


Continuò a leggere e sfogliare quando finalmente qualcosa attirò la sua attenzione. Proprio nella pagina accanto ad un incantesimo d'amore, c'era un testo molto interessante.

- Non è possibile… - mormorò incredula sgranando gli occhi. - Questo è… è…

Lesse il titolo più volte, per essere sicura di non aver capito male, che fosse davvero così.

- Incantesimo per la resurrezione… - disse iniziando a leggere. Era già tradotto dopo tutto. Gli ingredienti erano tutti lì, aspettando solo di essere raccolti e il testo dell'incantesimo attendeva ansioso di essere praticato. Guardò bene la lista che presentava gli 'oggetti' da usare.


Sangue di animale puro

Oggetto personale della persona in questione

Terra

Ossa

● Carne umana


Li lesse con attenzione per poi fare un ampio sorriso di soddisfazione e versare qualche goccia di sangue nella pagina del libro.

Passò a leggere la procedura del rituale, anche essa poco complicata. Certo, ora che ci rifletteva, lei non era pratica di magia, forse praticare un rituale, così su due piedi, sarebbe stato un passo troppo grande per lei. Fare il passo più lungo della gamba non era mai un buon segno, specialmente quando il passo da fare è una decisione appesa ad un filo. Come se uno riuscisse a poggiare sopra un filo un libro, esso sarebbe molto difficile da tenere lì sopra, poiché richiede equilibrio. Questo era quello di cui lei aveva paura, il fatto che il suo equilibrio si potesse spezzare e potesse cadere a terra non riuscendo più a salire sopra il filo poiché ormai troppo lontana.

Cercò di liberare la mente da tutti quei dubbi e continuare nella lettura della procedura che comportava compiere un rituale di resurrezione.

Non parlava solo di quello, ma anche della storia di come erano nati quei rituali.

Si dice che anni fa, in un periodo che non si riesce a collocare sulla linea del tempo tanto è misterioso, le Majo di quell'epoca abbiano creato quel rituale per poter riportare in vita l'unico erede del loro sovrano. Il ragazzo era morto e sarebbe toccato al figlio illegittimo passare al trono, così il sovrano fece convocare trenta donne che sapeva praticavano le arti oscure. Promise loro la ricompensa di essere libere di praticare il loro culto in tutto il regno (visto che a quell'epoca venivano perseguitate) se fossero riuscite a trovare il modo di riportare in vita suo figlio.

Le donne ci rifletterono a lungo, avevano tempo tre mesi per poter trovare la soluzione.

Infine una donna di nome Chieko, il ventottesimo giorno, si presentò a palazzo dicendo di aver trovato la soluzione. Il sovrano decise così di farla provare. La donna estrasse gli ingredienti e dopo averli disposti in un ordine ben preciso pronunziò la formula magica riportando alla luce colui che era calato nelle tenebre.

Il sovrano ringraziò tanto la donna e anche le altre Majo, visto che da quel tempo in poi la loro religione venne permessa.

Amu aveva letto attentamente ogni singola riga, quelle cose la interessavano sempre di più. E poi, ormai aveva capito che c'era davvero un modo per far tornare Ikuto. Capì che per la prima volta nella sua vita una cosa che sembrava solo un sogno aveva deciso di concretizzarsi tramutandosi in realtà, una realtà troppo bella per essere tale forse. Eppure era lì, la formula con degli ingredienti neanche introvabili. Lei con quelle cose ci conviveva giorno dopo giorno, non avrebbe di certo avuto problemi.

Continuò a leggere e a sfogliare le pagine, fino a che non arrivò ad una parte del libro dove una delle pagine era stata strappata.

- E questa? - si domandò passando le dita sulla carta strappata. - Come mai è stata strappata?

Si domandò ancora con sguardo stranito.

- Beh l'incantesimo è tutto in queste pagine, sicuramente quella non era importante… - si disse Amu e chiuso il libro si diresse verso lo scaffale dove un bicchiere di sangue caldo l'attendeva. Quando non aveva voglia di uscire lo teneva da parte, per lei era come il tè. Invece che tè e biscotti, sangue e biscotti ammuffiti.


Una ragazza era appena uscita da una vasca che ospitava un gran quantità di acqua calda. D'inverno era sempre bello fare un bagno caldo e potersi rilassare cullati dall'acqua.

Prese un telo bianco e lo avvolse intorno al suo corpo. L'aria era sempre fredda dopo che uscivi fuori dalla vasca che solo fino a qualche minuto prima ti aveva ospitato riscaldandoti tutto il corpo. Questa cosa non le piaceva molto quando era piccola, la riteneva fastidiosa. Si ricordava bene come non voleva mai uscire dall'acqua perché aveva freddo.


- No! No! Non voglio! - gridava una bambina dai capelli candidi, mentre restava aggrappata al bordo della vasca senza che nessuno riuscire a farla uscire.

- Signorina la prego, tra poco arriveranno gli ospiti deve rendersi presentabile, non può di certo farsi asp… oh! - fece Allie, la domestica di casa. La bambina le aveva appena spruzzato dell'acqua in viso. - Per favore signorina, non mi faccia penare così…

Come risposta la piccola le fece una bella linguaccia. Allie per un attimo fece una faccia arrabbiata, poi scosse il capo sorridendo leggermente. Era comunque una bambina di sei anni, era normale che dei vestiti e dell'aspetto ancora non le importasse nulla.

- Allie… - la chiamò la voce della bambina che ora le stava davanti e la guardava quasi triste. - Devo proprio uscire?

La ragazza annuì.

- Ma fuori è freddo… - disse la ragazzina.

Allie per un attimo sgranò gli occhi azzurri, poi lo sguardo si addolcì di nuovo. Prese un panno e lo mise davanti alla bambina.

- Salta dentro il panno e io appena ti prendo ti riscaldo subito. - le disse.

- Ma appena esco ho freddo… - disse ancora la bambina.

- Allora dovrai essere veloce. - spiegò la ragazza sempre sorridendo.

Anche la piccola sorrise e con uno sguardo concentrato uscì dalla vasca e saltò verso il panno. Allie la accolse subito avvolgendo il panno intorno al corpo minuto della bambina. - Visto? Tutto a posto…

La bambina annuì mentre chiudeva gli occhi e si rilassava tra il calore che il panno insieme alle braccia di Allie le regalavano.

- Tutto a posto? - un bambino di circa otto anni apparve sulla soglia della porta del bagno. I capelli erano di un nero pece, che quasi quando ci batteva la luce non creavano ombre. Gli occhi freddi che si riscaldavano solo quando fissavano la sorella erano di un arancione profondo.

- Si signorino Akira, tutto a posto. - disse Allie.

- Akira! - gridò la bambina saltando fuori dal lenzuolo e correndo verso il bambino che a quella vista arrossì imbarazzato distogliendo lo guardo.

- Sata, ti pare questo il modo di presentarti? - domandò rosso in viso il fratello, mentre la sorella veniva 'ripescata' dalla domestica.

- Signorina prima deve vestirsi, non deve mai permettere a nessun uomo di vederla nuda. - disse la ragazza.

- Ma lui è Akira… - disse con fare ingenuo Sata mentre Allie la portava verso la sua camera a vestirsi.


Ricordava perfettamente suo fratello Akira. Quel ragazzino che lei non vedeva da… quanto ormai? Otto anni almeno. Lei e suo fratello avevano un rapporto molto speciale, litigavano molto certo, ma era anche normale. Avevano solo due anni di differenza, lui era il maggiore e anche quando era piccolo si comportava come tale, sentendosi responsabile della sorella. Se ci rifletteva bene sentiva davvero molto la mancanza di quel ragazzo così composto e serio che mostrava i sorrisi e gli sguardi dolci solo a lei.

Ora che era cresciuta era cambiata e anche il distacco caldo-freddo non le dispiaceva, merito del suo stretto contatto con gli elementi.

Si diresse nell'altra stanza, dove un vestiti arancione e nero l'attendeva. Era simile a quello rosso, solamente con più arancione e di nero c'erano solo i bordi delle maniche, della scollatura e della gonna, in forma minima però.

Si tolse il panno di dosso e messa la biancheria con il sottoveste mise sopra l'abito che le stava un tantino largo. Era da tanto che non lo indossava, forse era meglio così, ci stava più comoda.

Finì di asciugarsi i capelli con un altro panno per poi legarseli in una treccia e andare in cucina a fare colazione. Biscotti alla mela e latte freddo erano gli ingredienti della sua colazione preferita. Era la stessa che sua madre, quando aveva tempo, le preparava sempre. Quando lei e suo fratello erano molto piccoli Asami, la loro madre, ogni lunedì preparava i biscotti alla mela. Secondo la tradizione quei biscotti erano cucinati apposta per la dea che il lunedì appariva nel cielo sotto forma di luna. Così, quando li mangiavi la mattina e poi la sera li lasciavi sul davanzale per la divinità erano un modo per benedire la famiglia e la casa.

Sata era cresciuta con molte di queste tradizioni e la maggior parte le aveva mantenute, tranne quelle che le ricordavano troppo il fratello.

E ce n'erano tante di quelle.

Beh, ora basta fare i malinconici, era il momento di iniziare una nuova giornata.






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Capitolo 6
*** Blood ***


- Bene è ora di uscire… - si disse la rosa iniziando a sgranchirsi le gambe restate troppo a lungo ferme mentre tentava di capito come andava eseguito l'incantesimo. Ma ora basta, era ora di mettersi all'opera.

Prese il foglietto lilla dove aveva scritto gli ingredienti.


Sangue di animale puro

Oggetto personale della persona in questione

Terra

Ossa

● Carne umana


Non sarebbe stato affatto facile trovarli tutti in una volta sola, il rituale richiedeva pazienza, come la raccolta degli ingredienti.

- Prima cosa sangue di un animale puro… - si disse iniziando a pensare.

Un animale puro… che cacchio voleva, un unicorno? Oh andiamo, non era il momento per del sarcasmo. Doveva pensare bene a che cosa intendesse dire il libro, altrimenti l'incantesimo poteva non funzionare. Forse sul libro c'era qualcosa che faceva riferimento a questo.

Si diresse verso il libro ed iniziò a sfogliarlo sino a raggiungere l'indice. I capitoli erano tanti, più di cento, per cui dovette leggere molto prima di arrivare ad uno che le interessava e che sembrava proprio rispondere alle sue domande.

- Dunque, pagina 117… - fece prima di raggiungere il capitolo di cui aveva letto il titolo: Le creature pure e quelle impure. Sulle pagine seguenti erano presenti almeno un centinaio di appunti, segno che ad Ikuto doveva esser piaciuto quello che diceva. - Le creature impure sono tutte quelle creature che in un periodo indefinito della storia dell'uomo, quando sono nate, avevano delle caratteristiche che vengono definite sataniche: L'unghia spartita, il piede forcuto, la ruminazione e in ultimo la strana capacità di affezionarsi subito all'uomo . Tra gli animali conosciuti dagli abitanti della superficie… ehm… superficie?

Si chiese Amu mentre leggeva. Vicino a quella parola c'era un asterisco fatto a matita. Doveva averlo fatto lui. Lesse subito la sua spiegazione: Abitanti della terra.

- Oh… per essere antico come libro sembra che sappia più di noi… - fece la ragazza con un mezzo sorriso. Ma forse era meglio se continuava a leggere. - Ecco… dagli abitanti della superficie ci sono: il maiale, il cavallo, il coniglio e il cane. Bene… dunque questi sono quelli impuri… vediamo quelli puri…

Stava per girare pagina quando qualcosa attirò la sua attenzione. C'era un passo che parlava di un altro animale considerato impuro per il nostro mondo: L'uomo. Ora capiva perché ad Ikuto era piaciuto quel capitolo.

- Dell'uomo vi è una vasta dimostrazione dell'essere impuro… - ricominciò a leggere la ragazza. - Sulla Bibbia è presente il fatto di aver tradito il loro Signore e altre prove concrete, tra cui… - preferì saltare la lista di cose che aveva commesso nel Sacro libro dei Cristiani. - Nella nostra religione invece l'uomo è considerato impuro perché sottopone la donna ad uno sforzo enorme per metterlo alla luce. Di conseguenza egli deve subire la vita come prezzo da pagare per questo sacrificio di nascita… questa cosa è interessante… - si disse d'un tratto Amu, poi però scosse la testa. - Ma non mi devo lasciare distrarre, ho bisogno di sapere subito quali son gli animali puri…

Detto questo sfogliò ancora il libro fino ad arrivare al passo adatto.

- Secondo varie religioni, compresa la nostra, gli animali puri sono i seguenti: gli animali acquatici con pinne e squame, il bue, la pecora, la capra, il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l'antilope, il capriolo e il camoscio. - lesse la ragazza. Questo le sarebbe bastato, ma la curiosità prese il sopravvento facendole continuare quella lettura. - Altre classifiche sono per gl'inferi e per gli animali sacri, tra cui il gatto e la tigre. Gli animali degli inferi nessuno li ha mai visti direttamente, ma si dice che siano quelli che torturano le anime in pena e che vengano fuori solo una volta all'anno. I vivi che s'imbattono in loro vengono spellati da vivi e poi le loro anime vengono trasportate agl'inferi e saranno governate da Satana… Le creature oscure si suddividono come le nostre in puri e impuri. Le creature pure, ovvero degne di essere accolte dal Demonio senza che accada loro niente sono i demoni e i vampiri, i quali nella terra automaticamente risultano impuri. Gli esseri impuri per il regno del demonio sono gli spiriti maligni e i licantropi, i quali sono esseri umani dove risiede il demone che ha la forma di un lupo e che si risveglia solo nelle notti di luna piena… quindi io sono un essere puro nel regno di Satana e impuro qui sulla terra. Forse ad Ikuto allora non è accaduto nulla di male…

Beh, leggere quel passaggio l'aveva come rasserenata e poi quelle cose le avevano messo sempre curiosità, una curiosità che non aveva mai avuto possibilità di soddisfare, fino ad ora almeno.

- Ottimo! - fece battendo le mani e stiracchiandosi. - Ed ora andiamo a divertirci un po'…

Si disse per poi uscire fuori alla luce fredda della luna. La notte era sempre stata una cosa che da viva non aveva mai disprezzato, l'aveva sempre preferita al giorno. Forse è vero che dopo tutto ognuno di noi segue un proprio destino e che fin dall'inizio esso da dei segnali.

Iniziò a camminare. Era da tanto che non mangiava una persona e che non assaporava il sangue umano fresco direttamente dalla fonte. Come quando bevi l'acqua direttamente dalla sorgente. Perciò il programma era prima cena e poi iniziare a prendere gli ingredienti.

Attraversò tutto il bosco fino a giungere al paesino e iniziare la sua caccia. Si sentiva proprio bene oggi, aveva voglia di compiere un omicidio. La speranza di rivedere Ikuto si era accesa in lei come il fuoco in un camino. Ora era pronta.

Fece in tempo a pensare questo che sentì dei passi non molto lontano da lei. Tese le orecchie per capire da che parte venivano.

Destra… fece dirigendosi verso la parte dove si sarebbe trovata la sua prossima vittima.

Era un ragazzo. Andava avanti e indietro con le mani tra i capelli castani e gli occhi nocciola che trasmettevano solo disperazione. Poverino, doveva soffrire tanto, meglio mettere subito fine alle sue sofferenze.

Si avvicinò lentamente a lui che se ne stava con lo sguardo basso e ancora non si era accorto della ragazza.

- Hey… - fece Amu.

Il ragazzo si girò e la guardò un attimo terrorizzato, poi si rilassò. La vampira era sempre stata molto brava a recitare e quando si voleva divertire faceva sempre così.

- Oh, buonasera signorina… - salutò cortesemente il ragazzo.

Amu fece un mezzo sorriso e si avvicinò di qualche passo a lui.

- Lo sai, è da tanto che non mangio… - iniziò a dire. - Forse tu mi potresti aiutare.

Gli occhi miele assunsero un'espressione dolce che fece compassione al ragazzo che le stava di fronte.

- Oh… beh… ho un po' di pane nello zaino… - disse credendo che fosse una senzatetto. Si girò di spalle e frugò nello zainetto che aveva di spalle. Aveva il volto scavato e i vestiti erano strappati, sembrava appena uscito da una lite. - Scusami se prima ti ho guardato così, sai ho fatto a botte con un gruppo di ragazzi…

Prevedibile… si disse Amu.

- Mi hanno portato via Kristine. - disse con rabbia riuscendo a trovare il tozzo di pane che aveva.

- Kristine? - chiese Amu mentre si avvicinava di più a quel ragazzo che l'unica cosa che voleva è sfogarsi.

- Si, lei… - disse e fece in tempo a girarsi che si trovò la ragazza sopra di lui.

- Scusami, ma sai com'è, ho una fame da lupi… - disse iniziando a colpirlo prima con i pugni, poi a graffiarlo in tutti i posti. Portava via la carne a brandelli facendolo urlare per il dolore. Il sangue fuori usciva dal viso del giovane decorando le mani e le unghie della ragazza che continuava a sbranarlo e a giocarci fino a che nel suo viso non si misero in mostra i muscoli.

Quando il ragazzo poi finalmente fu morto, la vampira si leccò le dita di gusto. Poi gli leccò il viso, raccogliendo dalla carne ancora intatta e da quella lacerata il sangue presente. Gli morse il viso dove era presente il muscolo e la carne risultava più morbida e anche più gustosa. Poi con la mano afferrò i ciuffi castani e strattonandogli il capo gli morse il collo bevendo avidamente tutto il sangue di cui era capace.

Quando finalmente fu sazia si alzò da sopra quello che ormai era un cadavere, fece dietro-front e tornò nel bosco dove doveva assolutamente trovare un animale puro.


L'aria intorno sapeva d'incenso, come sempre in quel luogo pieno di mistero che a Sata metteva una certa inquietudine.

- Akira, io ho paura… - si lamentò la bambina tirando un poco la casacca del fratello.

Lui si girò verso di lei e le sorrise dolcemente. Le mise una mano sulla spalla e le alzò il mento con un dito. I loro occhi che si eguagliavano solo nel colore si incrociarono.

- Andiamo, lo sai che il buio non ti fa niente. - tentò di rassicurarla.

- Ma fa lo stesso paura… - si lamentò mettendo il broncio e abbracciando il fratello. - Per favore Akira, mamma e babbo torneranno presto, ne sono sicura, non c'è bisogno di andarli a cercare… torniamo a casa.

Il moro sospirò.

- Sata, se vuoi tornare a casa fai pure, io vado avanti. - disse il fratello leggermente irritato, ma non più di tanto visto che era sempre stato un tipo calmo e pacato.

- No, torna a casa con me, è tardi e fa buio presto… - disse ancora la bambina.

Akira stava per rispondere quando si udì un rumore. Una porta che si apriva. Un uomo era appena uscito da lì e stava venendo verso i bambini.

- Papà… - mormorò Sata, ma non lasciò andare il fratello, lui era il membro della famiglia a cui voleva più bene e che riusciva sempre a tranquillizzarla.

L'uomo si abbassò all'altezza dei bambini e scompigliò un po' i capelli di Akira.

- Hey, come mai siete qui? - domandò facendo un ampio sorriso.

- Non tornavate più e siamo venuti a prendervi. - rispose Akira serio e composto, come sempre.

- Ah capisco, beh allora vorrà dire che torneremo a casa insieme… - fece il padre alzandosi. - Vado a chiamare la mamma…

Quando si fu allontanato Sata alzò il capo verso il fratello. Quell'uomo che loro chiamavano papà solo perché la loro madre gliel'aveva obbligato, era in realtà il secondo marito della donna. Si vedeva che non teneva affatto a loro. I suoi gesti d'affetto erano freddi e meccanici, come se fosse stato obbligato anche lui a dimostrarsi gentile nei confronti di loro due. Niente di più facile, quella donna quando ci si metteva sapeva essere molto autoritaria e voleva che lui facesse sentire Sata e Akira ancora parte di una bella famiglia. Cosa impossibile. Dopo che il loro padre si fu suicidato, motivi sconosciuti, loro due non consideravano più la loro una 'vera' famiglia. La loro madre era sempre triste e restò a letto per più di una settimana. L'unica cosa che riusciva a portare a termine era riempire il fazzoletto di lacrime per il marito. Poi, un giorno, quella donna portò a casa un uomo e lo presentò ai figli come il loro futuro padre. Akira e Sata si erano scambiati uno sguardo sospettoso e fu proprio quello sguardo che segnò il loro astio verso quell'uomo.

La porta si riaprì e ne uscì la madre mentre si baciava con quell'uomo e tra un bacio e l'altro rideva. Poco dopo raggiunse i bambini.

- Ciao piccoli, ma cosa siete venuti a fare qui? - chiese abbassandosi anche lei alla loro altezza.

- Siamo venuti a cercavi. - rispose Akira.

- Ma che bravo ometto… - commentò la donna per poi carezzare i capelli lunghi e lisci di Sata. - E tu piccola, sei venuta con tuo fratello?

Sata guardò la made spostando il volto di lato, con la guancia appoggiata al petto del fratello. Annuì piano.

- Ora possiamo tornare a casa? - domandò la bambina stringendosi di più al fratello.

La donna sorrise e le carezzò il visino tondo.

- Ma certo, coraggio vieni in braccio alla mamma! - disse allargando le braccia per accoglierla e stringerla.

Sata però rimase attaccata al fratello.

- Voglio restare con Akira. - rispose piano mentre il fratello la stringeva a se.

La donna, seppur triste, annuì.

- Oh, va bene… mormorò alzandosi e facendo sparire il sorriso dalle labbra…


La ragazza si svegliò di soprassalto. Si mise una mano sulla fronte mentre faceva grossi respiri per riprendere la calma. Era da tanto che non sognava il suo passato e credeva davvero di essere riuscita a passarci sopra. Ma a quanto pare quello che le era accaduto era stato troppo scioccante e terribile per passarci sopra.

Delle goccioline di sudore le imperlavano la fronte. Il respiro si stava regolarizzando, tra poco si sarebbe calmata.

- Cavolo… - sussurrò quasi arrabbiata per quel sogno. Si tolse la coperta da sopra le ginocchia e scese dal letto dirigendosi in cucina. Stava ancora tremando per quello che aveva visto, come se tutto si stesse ripetendo. Di nuovo, tutto da capo. Scosse la testa, permettendo ai suoi lunghi capelli bianchi di muoversi delicatamente nell'aria.

Aveva bisogno di una tisana, una tisana calda che l'avrebbe rilassata e le avrebbe conciliato il sonno, visto che, era sicura, non sarebbe pi riuscita a dormire.

Frugò nella credenza trovando tra i tanti barattoli di vetro quello con dentro la tisana giusta per dormire. Le foglie le aveva raccolte da poco, ma si erano seccate abbastanza per essere macinate e per farci l'infuso.

Prese il barattolo, ma le mani le tremavano troppo e le fecero scivolare il contenitore facendolo frantumare a terra.

- Dannazione! - esclamò accasciandosi a terra ed iniziando a raccogliere i vetri. - Ahi!

Esclamò portandosi il dito in bocca. Si era tagliata, dopo tutto era pur sempre vetro. Si alzò in piedi e prese un pezzetto di stoffa che teneva sempre proprio per medicarsi. Lei non era molto pratica della cucina, la usava solo per fare i piatti agli dei, per questo rischiava sempre di tagliarsi le mani.

Appena ebbe finito di medicarsi decise che era meglio prendere una boccata d'aria piuttosto che restare in casa. Aveva bisogno di liberare la sua mente da quel brutto sogno che aveva fatto.

Prese un vestito verde e di vestì velocemente. Uscì fuori all'aria fresca e pulita della notte. Giusto quattro passi e poi sarebbe tornata indietro.

- Sata era solo un sogno, non tornerai mai indietro… - si disse per consolarsi. Fece qualche giro fino a che non sentì dei rumori provenire dal bosco. Si voltò trovandosi davanti un orribile spettacolo.

Era la ragazza dell'altra volta, ma questa volta non stava attaccando un umano, ma un capriolo. L'animale stava soffrendo tantissimo, era disteso a terra e perdeva sangue da una ferita sul ventre.

Vide la ragazza abbassarsi e tirargli su la testa. Con il coltello gli forò il collo mettendo sotto al buco un barattolo.

Ma cosa sta facendo… si chiese la ragazza. Avrebbe voluto intervenire, ma non era né dell'umore né si sentiva troppo bene per compiere un atto di bontà. Inoltre assistere ad una scena del genere le metteva solo il voltastomaco. Si voltò e tornò verso casa.

Amu fece un mezzo sorriso mentre chiudeva il barattolo di sangue e otteneva così il primo ingrediente. Si voltò un attimo, giusto per scorgere un fascio bianco sparire tra le case. Quella ragazza… pensò. Possibile che c'era sempre? Fece spallucce e voltatasi di nuovo si diresse anche lei verso casa.

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Capitolo 7
*** Ground ***


Una ragazza stava correndo veloce tra gli alberi della foresta. I capelli biondi sventolavano a ritmo del vento e il cestino che teneva nella mano sinistra ondeggiava pericolosamente, lasciando di tanto in tanto qualche mora raccolta poco prima. Doveva correre più veloce che poteva, doveva fuggire lontano, lontano da quella che la stava inseguendo. La paura le faceva battere il cuore forte, a mille. Poteva distinguere i battiti anche mentre correva. Non ricordava di aver fatto niente di male, ma dalla faccia di quella ragazza aveva capito che se sarebbe restata qualche minuto in più lì non sarebbe successo nulla di buono.

Ed era per questo che aveva iniziato a correre tra gli alberi di quel bosco che conosceva fin da quando era piccola. Fu proprio grazie a questa cosa che ne uscì fuori, senza perdersi. Una volta fuori si fermò un attimo per riprendere fiato, ma non appena intravide qualcosa muoversi fra gli alberi riprese a correre. Arrivò nella piazzetta di Mitsuyo e si guardò intorno. Le luci delle abitazioni sembravano essere tutte spente. Nessuno sarebbe stato disposto ad aiutarla allora… fu il suo ultimo pensiero prima di vedere una flebile luce, probabilmente dettata da una sola candela, trasparire tra le tendine celesti di una casa non molto lontano da lì. Fece un ultimo sforzo, nonostante il suo fisico di correre ne aveva avuto abbastanza, corse verso quella porta e bussò con forza.

- Apritemi! Vi prego! Apritemi! - gridava la ragazza. La paura stava salendo, si guardava intorno terrorizzata. Sapeva che la stava seguendo e non vedere chi era o che cosa era le metteva ancora più angoscia.

Come un miracolo agli occhi grigi della ragazza, la porta si aprì. Ne uscì fuori un'altra ragazza, probabilmente più grande di lei, capelli di un bianco purissimo e gli occhi arancioni e profondi.

- Che cosa è successo? - domandò questa con il viso preoccupato.

- Mi stanno inseguendo! - disse agitata la biondina. - Posso entrare per favore?

La ragazza annuì aprendo poco di più la porta.

- Graz… - stava per entrare quando qualcosa l'afferrò la dietro, strattonandola e strappandole un poco il vestito.

- Di nuovo tu? - fece annoiata la ragazza, guardando verso la figura dai capelli bianchi.

- Lasciala subito andare! - gridò Sata facendosi avanti per difendere quella ragazzina.

- Devo proprio? - chiese Amu avvicinandosi al collo della sua preda. - Nemmeno un assaggino prima?

- A-aiutami… per favore… - mormorò la futura vittima in lacrime.

Sata volle subito esaudire il desiderio della ragazza e uscì di casa pronta a fronteggiare la vampira.

- Che vuoi, guarda che non mangio mai due persone in una notte. - le disse Amu con scherno.

- Non ne mangerai neanche una. - disse sicura la ragazza pronta ad andarle incontro e a salvare la biondina che non faceva altro che tremare. Così fece, corse verso Amu pronta a combattere contro di lei. Era convinta che dalla sera precedente aveva recuperato abbastanza per poter usare la magia, ma si sbagliava, era ancora debole e aveva ancora in mente quelle terribile immagini. Quel terrore che aveva provato, l'orrore che aveva vissuto, si era sentita come se il suo corpo fosse anch'esso un luogo troppo stretto per continuare a vivere. Se in quel momento avesse avuto un coltello si sarebbe tagliata le vene, ma ciò non avvenne solo grazie a lui, Akira. Suo fratello sapeva sempre come tranquillizzarla. Se fosse stato per lui a quest'ora sarebbe morta e di certo non sarebbe la ragazza calma e posata che è ora.

Sata correva verso Amu, la quale l'attendeva con un sorriso di scherno mentre gettava a terra la biondina e si preparava a far fuori anche quella ragazza.

- Ti avverto, non ti lascerò far del male ad altre persone! - gridò mentre continuava a correre e raggiunta provò a sfoderarle un pugno sul viso, ma Amu schivò facilmente dandole una gomitata alla schiena che la fece cadere a terra. La ragazza si alzò subito pronta al nuovo attacco. Tirò fuori due pugnali e si lanciò su Amu tentando di ferirla ad un braccio con la mano sinistra. La vampira chiuse gli occhi e le afferrò il polso. Quando li riaprì li aveva bianchi e guardava Sata seria e decisa, cosa che non si poteva dire dell'altra in quel momento. La ragazza era ancora provata per il sogno e si sentiva debole, non aveva riposato per notti intere e ora si sentiva più debole che mai.

Amu le storse il polso facendole cadere il pugnale a terra e facendole emettere un gridolino. L'afferrò per il collo e la gettò lontano facendole sbattere la testa e perdere i sensi.

La biondina era rannicchiata sulla parete della casa e aveva guardato la scena sperando che quella ragazza dai lunghi capelli bianchi avesse ucciso quell'essere e l'avesse salvata.

- E adesso? - si chiese piano terrorizzata, vedendo la rosa arrivare verso di lei.

- Che fai, tremi? - le chiese mentre la prendeva per il collo e la sollevava da terra. - Hai freddo?

La ragazza non riusciva a rispondere, non solo perché era terrorizzata, ma anche perché la presa ferrea della ragazza le impediva di parlare.

- Vediamo come riscaldarti… - fece per poi lasciarla accasciare a terra e abbassarsi alla sua altezza. Le sorrise sadica mentre la vittima non faceva altro che tremare e chiedersi che cosa le sarebbe capitato. Amu si alò di nuovo e con un calcio allo stomaco la fece mettere supina a terra, poi con il piede la capovolse e restando con la scarpa premuta sul petto della giovane prese una scatola da una tasca che possedeva il suo vestito. - Lo sai? Forse l'ho trovato un modo…

Aprì la scatolina tirando fuori un fiammifero. Lo accese sfregandolo sul muro della casa accanto. Fece un sorrisetto terrificante prima di gettarlo nel collo della biondina, la quale urlò dal dolore mentre sentiva il fiammifero che si consumava sulla sua carne e le causava una terribile scottatura che non solo le anneriva e le mangiava la carne, ma le faceva uscire il sangue. Sangue che Amu non perse occasione di leccare.

- Buono… - disse leccandosi le labbra.

Accese un altro fiammifero e lo gettò vicino al petto, il dolore era atroce e la ragazza non poteva far niente per evitarlo, visto che come provava a muovere le braccia la vampira gliele bloccava.

- Per favore… - si lamentò di nuovo mentre lacrime le rigavano il volto senza sosta. Amu in risposta le gettò un atro fiammifero e lei tentò ancora una volta di toglierselo.

- Mi hai stancato, devi stare ferma… - le disse la ragazza per poi prenderle le braccia e spezzarle le ossa facendola così gridare sia per il dolore della carne che lentamente bruciava sia per le braccia ormai inutilizzabili.

Dopo aver giocato un po' con il corpo della ragazza decise di farla finita e presa per i capelli alzò un poco il capo della vittima e la morse gustando fino in fondo il dolce sapore del sangue. Si pulì le labbra prima con la lingua e poi con le dita, in modo da non tralasciare neanche una goccia di quella gustosa bevanda.

Stava per andarsene quando si accorse della ragazza dai capelli bianchi che ancora giaceva a terra svenuta. La guardò a lungo prima di avvicinarlesi di metterla supina. Aveva il volto rilassato e le labbra semichiuse. Respirava lentamente, probabilmente era solo stanca. Che soggetto interessante che era quella ragazza, una persona molto particolare. Amu non capiva perché si dava tanta pena solo per salvare una ragazzina, dopotutto un giorno anche la sua vita sarebbe finita, come quella di tutti gli esseri mortali. Ripensò a quella volta, quando si erano incontrate per la prima volta.

Ti manca così tanto quel ragazzo? le aveva chiesto questo. E lei era rimasta sconvolta e si era quasi arrabbiata del fatto che qualcun altro potesse saperlo. Come creatura della notte non poteva mostrare il suo dolore, specialmente ad una ragazza. La osservò attentamente, sicuramente aveva almeno due anni in più di lei, lo si poteva dedurre dai lineamenti del viso. Sospirò, tanto nessuno l'avrebbe vista. Prese il corpo della ragazza e tentò di portarlo dentro la casa, ma fu come se qualcosa le impedisse di passare. C'era come una barriera, una campo di forza che la tratteneva all'esterno e fu solo in quel momento che si ricordò che i vampiri non possono entrare nelle case altrui dalla porta principale se non sono invitati. E ora come faceva? Beh pazienza… si disse. Dopo tutto non era in programma. Adagiò il corpo della ragazza a terra e si dileguò nella notte.


Colpi di spada. Sempre più numerosi e sempre più veloci. Due ragazzini si stavano fronteggiando. Uno molto alto con i capelli di un bel biondo cenere e gli occhi di un verde acqua intenso. L'altro leggermente più basso con i capelli pece e gli occhi del color arancione, il quale nonostante fosse un colore caldo sullo sguardo di lui appariva freddo e quasi glaciale con tutti ad eccezione di una persona.

Altri colpi di spada. Il moro era più veloce dell'altro, ma non altrettanto forte. Pertanto la sua capacità in battaglia non era massima, ma aveva sempre salva la vita proprio grazie alla sua dote di essere molto veloce a schivare gli attacchi quanto a pararli.

Il duello finì in parità. I due avevano entrambi il fiato corto e si guardavano tra un sospiro e l'altro con un leggero sorriso di soddisfazione e ammirazione per l'altro.

Una ragazzina era intenta a guardarli sorridente, mentre faceva le treccine alla sua bambola dai lunghi capelli viola e un vestitino lilla fatto proprio da lei. Alla fine dell'incontro lasciò stare la bambolina con metà treccia fatta e corse verso il moro battendo le mani gioiosa.

- Bravo Akira! - fece porgendogli un panno. Il ragazzino lo accettò volentieri e si asciugò la fronte imperlata di sudore. Lo passò al ragazzo di fronte che fece la stessa cosa ringraziando sia lui che Sata.

- Sei andato bene Akira. - commentò il biondo.

- Anche tu cugino. - rispose l'altro.

- Beh si hai ragione! - esclamò allora il ragazzo mettendosi una mano dietro la testa e ridendo.

- Sei sempre il solito Fumio. - fece allora la ragazzina dai capelli bianchi.

- Neanche tu sei cambiata molto Sata. - disse il ragazzo facendole una carezzina scompigliandole un po' i capelli. Avevano tre anni di differenza ma nonostante ciò il cugino si sentiva sempre molto più grande della ragazzina. Fumio era molto affezionato a Sata, ogni volta che si vedevano tutti e tre lui faceva il possibile per starle vicino perché con lei si divertiva, inoltre aveva la strana capacità di farlo sempre sorridere dati i suoi modi buffi e a volte un po' scalmanati. Per scherzo le diceva sempre che suo padre era stato fortunato perché si era ritrovato con due maschi in famiglia.Lei prima si offendeva, poi scoppiava a ridere e annuiva.

- Io mi vado a fare una doccia, dopo fattela anche tu. - disse Akira dirigendosi verso il bagno.

- Aspetta Akira, vuoi che ti chiami Allie? - domandò la sorella.

- Non ce n'è bisogno grazie. - rispose prima di entrare in bagno.

- Hey Sata? - la richiamò Fumio. La ragazzina si girò sorridendo. - Adesso che abbiamo occasione di parlare dimmi un po'… come vanno le cose?

- Intendi in famiglia? - chiese la bambina diminuendo un po' l'ampiezza del sorriso.

- Beh… ecco… in generale, con tuo fratello ad esempio… - fece Fumio cercando di sistemare un po' le cose. Aveva notato subito il cambiamento d'umore da parte della ragazzina e non voleva certo metterle tristezza.

Gli occhi di Sata si illuminarono.

- Oh con Akira va benissimo come sempre! - esclamò. - Non siamo mai stati in disaccordo per molto tempo e di questo periodo lo siamo meno che mai!

- Ne sono felice. - commentò il ragazzo. - In più ho notato un miglioramento nella tecnica di combattimento di Akira. Certo non è ancora bravo quanto me… - ironizzò il ragazzo facendo ridere la cugina. - Ma lo vedo molto più sicuro.

Sata annuì convinta dopo di che corse verso la sedia dov'era seduta prima.

- Guarda Fumio! - esclamò tutta allegra prendendo in mano la bambola. Il cugino sorrise e le si avvicinò.

- Cosa?

- L'ho fatto io, ti piace il vestito? - gli domandò dandogliela in mano.

- Wow brava! - esclamò il biondo. - Come si chiama?

- Mmm… - fece Sata assumendo un'aria pensierosa. - Pinku*

Dedusse in fine. Fumio rimase prima in silenzio, poi fece una risatina.

- Che c'è? - chiese Sata notando che rideva.

- Mi fa ridere il nome che le hai dato, una bambola viola che si chiama Pinku! - esclamò sorridente.

- Lo so, ma chiamarla Violet sarebbe stato ancora più scontato. - disse. - E poi… se ci basiamo sul colore dei capelli e sull'abbigliamento io allora dovevo chiamarmi Bianca o Nera.

Fumio scoppiò definitivamente a ridere. In effetti Sata si vestiva sempre di bianco e nero, una tradizione di famiglia. Sino alla maggiore età o sino alla celebrazione del Rih, le femmine si dovevano vestire sempre di bianco e nero, cosa che le stava particolarmente bene e che la rendeva ancora più particolare. La carnagione lattea e i capelli candidi, vestita in con quei due colori, la rendevano un disegno in bianco e nero con solo un colore a dimostrare che faceva parte della vita terrena, gli occhi dolci arancioni. I maschi invece venivano vestiti tutti in nero e rosso, infatti Akira si vestiva sempre con grandi casacche nere e pantaloni larghi rosso scuro. Fumio aveva già celebrato il Rih, diventando 'Custode della spada' e per questo poteva andare vestito come più gli piaceva, anche se nonostante ciò il colore prevalente nel suo abbigliamento, nonché suo colore preferito, rimaneva il verde.

- Oh andiamo non ridere! - esclamò Sata mettendo le mani sui fianchi.

- Scusami, ma sei davvero buffa. - disse il cugino smettendo di ridere e scompigliandole ancora un po' i capelli.

La ragazzina sorrise divertita. All'improvviso la porta del bagno si aprì e ne uscì fuori Akira con un asciugamano nero in vita. I capelli neri erano ancora bagnati e gli gocciolavano sul petto, creando stradine fredde e piccole sul suo corpo dalla carnagione chiara.

Si avvicinò ai due mentre si asciugava i capelli e arrivato davanti loro disse:

- Puoi andare Fumio.

Il ragazzo annuì e ridata la bambola alla cugina si diresse in bagno.

- L'hai fatta tu? - domandò Akira prendendola con la mano destra.

- No, solo il vestito. - rispose la sorella.

- Brava. - le disse con un lieve sorriso mentre il ghiaccio dei suoi occhi si scioglieva lentamente lasciando il posto ad uno sguardo caldo e di affetto.


Gocce di pioggia le bagnavano i capelli, la fronte e le spalle. Sata aprì lentamente gli occhi e guardandosi piano intorno. Riconosceva quel luogo, ma non capiva perché si trovava lì. Piano piano riuscì anche a mettersi in piedi. Alzò lo sguardo al cielo dove gocce solitarie scendevano dal cielo malinconiche. Voltò lo sguardo a sinistra e scoprì la porta di casa aperta. Lentamente quello che era successo nelle ultime ore riaffiorò nella sua mente.

- Bastarda… - mormorò guardo scoprì anche il cadavere della ragazzina a terra. E non aveva avuto nemmeno l'accortezza di portarla in casa. L'avrebbe anche potuta gettare dentro come un sacco di patate, ma almeno non avrebbe lasciato casa sua con la porta aperta e per di più lei non avrebbe preso freddo. Starnutì. Ecco, ora aveva preso anche il raffreddore. Si toccò la fronte. Sicuramente aveva anche qualche linea di febbre. - Dannazione…

Disse per poi rientrare in casa e chiudere la porta alle sue spalle.

Nel frattempo una ragazza dai lunghi capelli rosa stava camminando verso un posto tanto affascinante quanto lugubre. Il cimitero. Dopo aver cenato era giunto il momento di prendere almeno un altro ingrediente prima del sorgere del sole.

Scavalcò il cancello e si diresse verso la tomba più vicina. Si inginocchiò e tirò fuori un barattolo di vetro. Prese un pugno di terra e ve lo ripose dentro. Ne prese altri fino a riempire il barattolo e a chiuderlo con dentro il secondo ingrediente. Si rialzò e soddisfatta fece ritorno alla sua dimora.






*Pinku - rosa in giapponese.

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Capitolo 8
*** Bones and skin ***


Si inginocchiò e tirò fuori un barattolo di vetro. Prese un pugno di terra e ve lo ripose dentro. Ne prese altri fino a riempire il barattolo e a chiuderlo con dentro il secondo ingrediente. Si rialzò e soddisfatta fece ritorno alla sua dimora.

Ottimo, aveva già due ingredienti, gliene mancavano tre. Riprese il foglietto dove erano segnati gli ingredienti.

- Dunque… - disse la ragazza con fare pensoso. - mi manca un oggetto personale di Ikuto, delle ossa e della carne umana…

Fece un sorriso sadico e si passò la lingua fra le labbra. Non mancavano molti ingredienti, ma voleva riposarsi prima. La notte dopo avrebbe concluso la lista degli ingredienti, ne era sicura. Rivoleva il suo Ikuto al più presto.

Si sedette sulla poltrona e chiuse gli occhi. I vampiri non dormono, ma questo non vuol dire che non possano riposare. Era quello che lei aveva intenzione di fare, restando sempre all'erta, fino alla notte dopo.


- Che ne dici? - domandò la ragazzina mostrando il coltello al fratello.

- Di cosa? - fece Akira mezzo assonnato, aveva dormito poco per via degli allenamenti con la spada. Si era allenato con Fumio senza tregua, voleva migliorare davvero. Non lo faceva per il padre, né per la madre, lo faceva perché voleva essere in grado di difendere la sorella in qualunque occasione. Anche se a volte aveva l'impressione che fosse più brava sua sorella a combattere di lui.

- Del coltello… è abbastanza affilato? - chiese Sata.

Akira lo prese dalle mani della ragazzina e lo guardò rigirandoselo tra le mani.

- Direi di si… ottimo lavoro. - le riconsegnò il coltello mentre lo sguardo arancione ritornava ghiaccio e quello della sorella si illuminava di gioia.

- Grazie. - sorrise e corse ad esercitarsi a lanciare i coltelli su un bersaglio fatto di paglia.

Akira la osservava silenzioso. Era davvero brava e molto carina quando si concentrava. Era incredibile quanto si somigliassero, più che fratello e sorella sembravano gemelli. Molti li confondevano. Spesso lui aveva pensato che sarebbe stato meglio di essere fratelli. Mancava solo un anno. Aveva tredici anni, tra un anno sarebbe successo e lui non poteva farci nulla. Sicuramente Sata ne avrebbe sofferto, la conosceva troppo bene. Ma sarebbe stato inevitabile e purtroppo lei ancora non lo sapeva. Beh, poteva sempre divertirsi con Fumio. Ma cosa andava a pensare? Lui sapeva che il loro legame era speciale per Sata, come per lui del resto. Il loro cugino non avrebbe di certo potuto sostituirlo.

- Hey Akira! - eccolo, era arrivato per allenarsi finalmente.

- Finalmente, come mai hai tardato? - chiese il moro alzandosi e prendendo la spada.

- Scusami, ho avuto da fare con Mira. - rispose il ragazzo riavviandosi i capelli. - La trovo insopportabile, non fa altro che starmi dietro, è la mia ombra e più le dico che non me ne servono due più lei si attacca a me.

Sospirò. Akira fece una risatina. Quel ragazzo era sempre stato così. Tutte le ragazze riusciva a liquidarle con qualche battuta cattiva, magari sul loro aspetto, fino a che non era arrivata Mira. L'unica che era riuscita a passare sopra alle sue offese. L'unica ragazza con cui aveva visto andare d'accordo Fumio era lei.

- Ciao! - esclamò Sata abbracciando il cugino. Non che andasse d'accordo solo con lei per chissà quale motivo, ma perché non si comportava come una normale ragazza della sua età. Quello che veramente le importava erano le armi e la magia. Come loro ragazzi, per questo si stava bene con lei. Non si faceva problemi ed era una persona solare e simpatica.

- Ciao Sata, come stai? - domandò il cugino ricambiando l'abbraccio.

- Benissimo! - rispose sorridente.

- Ti eserciti ancora? - chiese Fumio prendendo il coltello dalle mani della ragazza.

- Si, lo sai quanto mi piace… - fece. - Dopo aiuti anche a me con la spada?

- Come? - chiese stupito.

- Andiamo, perché dovrebbe essere solo Akira a prendere le lesioni da te? - si lamentò la ragazza incrociando le braccia.

Suo fratello sorriso arrivandole da dietro e circondandole le spalle ed il collo con le braccia.

- Dai Sata, ora si vedrà, Fumio ha già un bel da fare con me testardo come sono. - scherzò Akira.

Il cugino fece un mezzo sorriso e sfilò la spada dal manico smeraldo.

- Eh già… - commentò prima di mettersi in posizione e attendere. Akira lasciò Sata e lo imitò. - Iniziamo.


La notte le mandava alla mente sempre tanti ricordi. Non sapeva perché le facesse questo effetto. Forse perché quando il buio ti avvolge puoi permetterti di pensare liberamente, perché tanto nessuno può vedere il tuo viso e allora credi che anche i tuoi pensieri sono al sicuro. Che cosa sciocca da pensare, no? Forse, chi lo sa. Dopo tutto chiunque ha bisogno di una sicurezza per continuare a vivere tranquillo e seppur banale, questa era una delle sue.

Se ne stava seduta sul tronco di un albero vicino casa già da un po'. Non aveva smesso un attimo di pensare al suo passato. I ricordi si infiltravano nella sua mente con la forza, uscivano da quel cassetto che la ragazza era sicura di aver chiuso a chiave. Erano come pellicole che venivano proiettate in modo disordinato, ma che azzeccavano sempre il suo stato d'animo.

Rivolse di nuovo lo sguardo alla notte. Anche quella le riportava in mente una cosa che forse avrebbe dovuto dimenticare già da un po'…


I tuoni squarciavano il cielo e i lampi illuminavano ogni tanto la stanza dove stava sdraiata, sotto le coperte, una bambina che non aveva fatto altro che tremare e piangere. Non era più una bambina, certo, però quella paura ancora non le era passata. Quando aveva cinque anni, un fulmine le aveva attraversato la finestra della camera e aveva ucciso la sua gattina Minù. Da allora aveva sempre avuto paura e ogni volta si stringeva sotto le coperte, si tappava forte le orecchie e pregava che finisse presto.

Quella sera però era accaduto qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.

La porta della sua camera si aprì mentre lei era intenta a fingere che il temporale non ci fosse. Vi fu un lieve movimento del letto e uno spostamento delle coperte di lato a lei. Una mano si insinuò dentro andandole a toccare la testa e a farle una carezza. Voltò la testa riconoscendo subito a chi apparteneva quell'angolo di camicia rossa che riusciva ad intravedere da sotto le coperte.

- Akira… - mormorò togliendosi le coperte di dosso e aggrappandosi al fratello che la strinse a se. Fu l'unica cosa che fece. Non disse nulla, non fece altro, si limitò ad abbracciarla per tutta la notte, fino a che lei non prese sonno e anche lui poté finalmente dormire.


Ora non aveva più paura dei tuoni, dei fulmini e dei lampi. Quel ricordo le sembrava così lontano, come se la ragazzina di quel tempo era un'altra se stessa, che ormai non esisteva più, che aveva perso significato. A pensarci sarebbe stata una cosa davvero molto triste. Prima di quel fatto era tutt'altra storia. Se avesse potuto, no ma che stava pensando… lei avrebbe potuto e come, la verità era che aveva avuto paura. Si, paura di raccontarglielo, paura che lui lo scoprisse. Perché suo fratello avrebbe capito subito, dai suoi occhi, che c'era qualcosa che non andava, e lei sarebbe stata costretta a dirglielo perch mentirgli era una cosa impossibile, che proprio non riusciva a fare. Ma anche dirglielo non sarebbe stata un'impresa molto semplice. E questo lei non lo voleva, no. Ma ora basta pensare accidenti.

- Oh mia Dea… - si lamentò. - Ti prego, qualunque cosa ti chiedo, ma non farmi continuare a crogiolarmi…

Non finì in tempo la frase che sentì un grido provenire da non poco lontano. Alzò gli occhi al cielo.

- Grazie. - disse prima di scendere dal tronco e precipitarsi nel luogo da dove veniva il grido.

Oh signore, questo si che era un bel modo per distrarsi. Di nuovo lei… pensò avvicinandosi cautamente, ma la scena alla quale assistette la fece retrocedere da tutti i suoi buoni propositi.

Amu era in piedi, di fronte ad un ragazzo sdraiato a terra che aveva un piede della ragazza premuto sul torace in modo che non potesse muoversi.

Ancora il suo corpo era intatto, Sata lo notò subito quella era la prima cosa da constatare.

Sul volto della ragazza era dipinto un leggero sorriso sadico mentre guardava quel corpo umano contorcersi e provare a liberarsi.

- Oh andiamo smettila di agitarti, tanto è tutto inutile… - gli disse per poi abbassarsi verso di lui. Tirò fuori un coltello e si passò la lingua fra le labbra. - Credimi, non so come farò a resistere dopo questo, ma sono dell'opinione 'prima il dovere e poi il piacere' quindi cenerò dopo…

E così si mise all'opera. Bloccò con l'altra gamba il braccio sinistro e tirò su il braccio destro. Poggiò la lama su di esso iniziando a sbucciare quell'involucro di carne come si fa con le mele. Il ragazzo non faceva altro che gridare, gridare e gridare e implorarla di fermarsi.

- Oh andiamo, siamo solo all'inizio… - disse mentre il coltello passava tra la carne e il muscolo creando strisce rosa e rosse che Amu posava dentro un contenitore. Quando ne raccolse abbastanza lasciò andare il braccio del ragazzo che, seppur ancora dolorante, respirò di sollievo credendo che fosse finita. Ma non fece in tempo a rilassarsi che il coltello gli penetrò la carne fino all'osso per poi tirare e aprirsi un varco nel muscolo. Il sangue sgorgava come mai da un solo arto. E le urla del ragazzo perforavano i timpani anche di Sata che restava dietro un albero, impotente a guardare quella terribile scena. - Shh… o ti sentiranno…

Una volta aperta bene la carne Amu infilò la mano e afferrato l'osso con una forza che neanche lei credeva di avere lo strappò dal braccio del giovane, facendole svenire dal dolore tremendamente forte. Mise anche l'osso nel contenitore soddisfatta del suo lavoro. Guardò il ragazzo privo di sensi e decise che poteva anche mangiare adesso. Gli spostò la testa di lato e gli infilò i denti nel collo bevendo il sangue che ne restava dopo la ferita fattagli.

- Beh questo non mi è piaciuto molto… - fece alzandosi con il contenitore in mano. Guardò il sangue che usciva dal braccio. - Almeno non posso considerarlo uno spreco.

Si disse per poi voltarsi e tornare a casa. Il silenzio che regnava sovrano in quella dimora era una cosa meravigliosa, soprattutto per chi come lei adorava pensare e riflettere sui fatti. In quel momento poi aveva davvero bisogno di riflettere. Mancava solo un oggetto, uno solo che le avrebbe fatto completare la lista degli oggetti e permettere la pratica dell'incantesimo.

- Un oggetto personale… - si disse poggiando la mano sotto il mento. Di lui non era rimasto niente, un oggetto personale vuol dire qualcosa di molto stretto, non sarebbe bastato un semplice libro. - Che diavolo prendo?

Si guardò intorno nella stanza. Pensò e ripensò, doveva assolutamente trovarlo. Lo rivoleva, rivoleva lui, voleva che ritornasse con lei. Anche se ormai erano dannati, anche se solo i demoni quali erano potevano capirli. Ma lei lo voleva lì, con lei.

D'un tratto come si accende una candela un'idea le si accese nella mente. E un ricordo le diede la risposta.


- A che ti serve quella? - gli chiese indicandola con un cenno del capo.

Il ragazzo si voltò.

- La fascia? - le chiese. Lei annuì. - Serve per non morire.

- Come? - domandò confusa la rosa.

- Beh, quando una persona diventa vampiro tecnicamente non può stare alla luce del sole, a meno che non si copre questi… - e spiegò indicandosi i buchi cicatrizzati sul collo. - I poteri di un vampiro sono già limitati di giorno, infatti per non perdere le forze si caccia la notte. Ma se il sole ti colpisce sul collo brucerai vivo.

- Oh… - commentò Amu. - Per questo la porti solo di giorno…

Lui annuì.


Ma certo, che stupida, la sua fascia. Quello era l'oggetto personale di cui aveva bisogno. Era questione di vita o di morte per lui, non poteva farne a meno. Schioccò le dita soddisfatta per poi dirigersi verso la scrivania e prenderla dal cassetto. Toccarla di nuovo le sembrava quasi surreale. Dopo che lui aveva fatto quello per lei l'aveva riposta in un cassetto, con la promessa di non guardarla più. Perché mai sarebbe riuscita a gettarla via, come mai sarebbe riuscita a guardarla senza che il sangue le uscisse dagli occhi. Infatti ecco che lacrime di sangue facevano capolino sui suoi occhi scendendo fino alle labbra dove la lingua della ragazza arrestò la loro corsa.

Non era il momento di fare i sentimentali, doveva assolutamente darsi da fare. Era giunto il momento ora che aveva tutti gli oggetti necessari non poteva non tentare. Prese tutti gli oggetti e li mise in una borsa. Poi uscì di casa e si avviò in un punto ben preciso del bosco. Non sapeva perché, ma qualcosa le diceva che era meglio fare cose di questo genere fuori, se avesse sbagliato qualcosa uno spirito sarebbe potuto entrare nel loro mondo e allora si che sarebbero stati guai. Senza volerlo si ritrovò nel luogo dove quella volta si era ferita alla mano e lui gliel'aveva fasciata, solo per non farsi tentare certo.

Sorrise, un sorriso amaro che poi si trasformò in uno di speranza, mentre tirava fuori gli ingredienti e si preparava ad eseguire l'incantesimo di resurrezione.

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Capitolo 9
*** There's something wrong ***


Sorrise, un sorriso amaro che poi si trasformò in uno di speranza, mentre tirava fuori gli ingredienti e si preparava ad eseguire l'incantesimo di resurrezione.

Prese per primo il sangue e seguendo quello che diceva il libro ci formò un cerchio intorno a lei lasciandone qualche goccia da parte. Poi prese la terra e la sbriciolò al suo interno, poco importava se si sarebbe sporcata. Gettò le ossa davanti a lei e anche la fascia, posandola con cura sopra di esse. Posò sopra e un poco di lato le strisce di carne, per poi inginocchiarsi e prendere quel poco di sangue rimasto. Prese anche il libro per leggere la formula.

- Dea della natura Diana, invoco il tuo potere e quello delle tue sorelle per adempiere ad un semplice incantesimo. Quello che è stato di nuovo sarà, quello che è morto vita diverrà, Quello che ora è solo un corpo freddo ora ritornerà caldo, ritornerà vita, ritornerà quello che era e che d'ora in poi resterà… - prese il sangue e ne gettò tre gocce precise. - Perché la carne posa tornare calda… - e ne gettò una sulle strisce. - Perché le ossa sorreggere potranno questa vita… - e ne gettò una sulle ossa. - Perché la persona a cui apparteneva questo tesoro possa camminare di nuovo nel mondo dei mortali… - e ne gettò una sulla fascia. Un potere immenso, una luce argentea l'avvolse completamente facendole sentire dentro una tale forza, una fiducia in se stessa che non aveva mai avuto. Sapeva di potercela fare, sapeva che ormai era giunto il momento, che finalmente poteva rivederlo. Trattenne le lacrime di sangue per non rischiare di annullare l'incantesimo.

Mentre quel fascio argenteo l'avvolgeva ed illuminava la notte attraverso lei, mille ricordi le vennero in mente, che la riportavano indietro.


- Che cos'è? - gli domandò la ragazza.

- Mah… una scottatura probabilmente. - le rispose con noncuranza.

- Come te la sei fatta? - chiese ancora la ragazza.

- Acqua santa. - le disse.

- Prego? - sbatté più volte gli occhi incredula.

- Quella volta che il gruppo dei 'ti salviamo noi' è venuto a prenderti mi hanno tirato addosso l'acqua santa e in quel punto preciso ne è finita troppa, infatti ancora non mi è andato via…

Lei passò tutte le dita sulla scottatura, delicatamente. Poi si avvicinò al collo del ragazzo, il quale stava per ritrarsi.

- Stai fermo, non ti mordo… - gli disse.

- Non è che mi fido molto. - le rispose, ma lei non lo ascoltò. Avvicinò la bocca alla scottatura e la leccò. In poco tempo la ferita si rimarginò, non lasciando traccia, come se non ci fosse mai stata.

Ikuto si toccò il collo, notando con stupore quello che aveva fatto Amu,

- Come diavolo hai fatto? - le chiese sorpreso.

- Non lo so, mi è venuto d'istinto farlo. - rispose facendo spallucce.

- Probabilmente si stanno sviluppando i tuoi poteri… - le disse. - ma è la prima volta che mi capita di incontrare un vampiro che guarisce.

Lei allargò le braccia.

- C'è una prima volta per tutto.


Già, quello era uno dei suoi poteri che aveva avuto effetto solo su di lui. Forse era stato davvero l'istinto a farle fare quel gesto. Ma ora non era solo il fatto di guarire una semplice ferita. Ne doveva guarire due. Una era il corpo di Ikuto e l'altra era quella impressa nel suo cuore marcio e ormai privo di alcun calore umano. Eppure il sangue sgorgava fresco lacerandone la carne e facendola sentire ancora più male di quanto già non stesse. E mentre i ricordi belli e brutti riaffioravano nella sua mente quell'incantesimo non faceva altro che succhiarle le energie e facendole ogni tanto chiudere gli occhi esausta.

- Ma… che cosa succede? - si chiese d'un tratto quando sentì improvvisamente il suo corpo meno martoriato, che si stava lentamente rigenerando. Fece in tempo a voltarsi per vedere lei, la ragazza dai capelli bianchi, intenta a cancellare il cerchio di sangue che aveva fatto poco prima. - Che stai facendo?!

Gridò tentando di fermarla, ma ora era lei ad essere troppo debole. Quella ragazza nemmeno la guardò, continuando a cancellare il cerchio intorno a lei, fino a toglierlo del tutto.

Le fiamme argentee scomparvero e Amu crollò definitivamente a terra, distrutta. Il suo corpo pesava molto di più di quanto si sarebbe aspettata. Nonostante non respirasse si sentiva come se avesse il fiato corto. Si mise una mano all'altezza del cuore, fortuna che non batteva, altrimenti le sarebbe esploso in petto, era sicura di questo. Il sudore le imperlava la fronte ed era come se intorno a lei ci fosse un alone di calore che riscaldava quel suo corpo freddo.

Alzò lo sguardo ghiaccio verso la ragazza che le stava davanti.

- Lo sai che cosa hai fatto? - le chiese con la voce colma d'odio e di disperazione. - No che non lo sai, non puoi saperlo… non puoi aver provato quello che ho provato io.

Si alzò in piedi battendo piano le mani.

- Beh… complimenti, hai raggiunto il tuo scopo. - le disse e stava per andarsene quando venne trattenuta. - Che vuoi?

Chiese strattonando il braccio e facendole mollare la presa.

- Non l'ho fatto per il tuo male. - disse soltanto.

- Prego? - domandò sconcertata la rosa guardandola strano. Non aveva ancora capito se si stesse burlando di lei oppure se era scema di natura. - E tu mi vorresti far credere che impedirmi di riportare in vita Ikuto era per il mio bene?

La ragazza scosse il capo.

- Non hai capito… - sospirò.

- Allora prova a spiegarmelo. - la sfidò la vampira chiudendo gli occhi a due fessure e mettendo le mani sui fianchi.

- Tu non hai la conoscenza della magia che ho io. - iniziò a dire. - Non hai mai praticato incantesimi e puoi dire quello che ti pare, ma gli incantesimi di resurrezione sono i più complicati, considerando che ne esistono migliaia e che su cento novantotto sono sbagliati oppure futili giochetti di maghi che si sono burlati dei popolani. Inoltre quando si fa un incantesimo di questo livello si deve avere almeno un quarto della consapevolezza che solo noi abbiamo. I movimenti che facciamo non sono meccanici e le nostre parole non sono filastrocche da imparare a memoria. Bisogna crederci in quello che si fa. Altrimenti finirà come stava finire a te poco prima.

- E sarebbe?

- Che l'incantesimo ti avrebbe divorata, consumandosi sul tuo corpo e facendoti morire.

- Io non posso morire.

- Magari non con un coltello, oppure con una pistola, ma credo che prosciugarti le forze sarebbe un modo per ucciderti. - rispose la ragazza incrociando le braccia al petto. L'abito verde che indossava risplendeva in quella notte oscura. La ragazza voltò lo sguardo verso il cielo. Chiuse gli occhi e fece un mezzo sorriso. - Inoltre, non si eseguono mai gli incantesimi quando la Dea non è presente.

- Ehm… la dea? - domandò scettica Amu.

- Esatto. - annuì la ragazza. - La dea ci osserva dalla faccia della luna. Gli incantesimi traggono forza principalmente dal mago e questo indebolisce di lo pratica. Ma la luna ci aiuta, i suoi raggi regalano alla magia tre quarti della forza di cui essa necessita, impedendoci di raggiungere la morte. Se fossi stata umana l'incantesimo che stavi praticando poco fa ti avrebbe uccisa dopo che avresti gettato la seconda goccia di sangue.

Amu non seppe come ribattere, gli occhi arancioni e il sorriso di quella ragazza erano sinceri, non sembrava mentirle.

- Ma allora… - domandò la ragazza. - tu mi stai dicendo che mi hai fermata per non farmi morire? Credevo che sarebbe stato un sollievo per te.

- Eppure credevo che avessi compreso i miei ideali. - fece quasi stupita la ragazza. - Per me nessuno merita di morire quando sta facendo qualcosa per un'altra persona. Nonostante tu sia un vampiro il tuo intento era puro e io l'ho avvertito, neanche l'essere più meschino su questa terra ti avrebbe lasciata soffocare nella magia.

Amu fece un sorrisetto, forse non era poi così male quella ragazza.


Coraggio, coraggio… penso la ragazzina mentre tentava di far accendere il fuoco con le mani. Ma nonostante si sforzasse tanto il camino rimaneva sempre freddo e scuro.

- Ci stai ancora provando? - la fece sobbalzare una voce alle spalle.

Sata si girò sorprendendo il fratello che la guardava sorridente.

Annuì timidamente.

- Si. - confessò.

- Mi fa piacere, ma lo sai che ore sono? - le disse indicandole il grande orologio a pendolo sopra il tavolino posto all'ingresso della sala. Segnava quasi le undici, sarebbe dovuta essere a letto già da due ore. - Oh Dea madre! - esclamò la ragazzina scattando in piedi. Stava per lasciare la stanza quando rivolse uno sguardo triste al camino.

- Cosa c'è? - domandò il fratello. Sapeva alla perfezione quanto fosse testarda sua sorella e che cosa stava pensando in quel momento, ma voleva sentirlo da lei.

Sata lo guardò intensamente, immergendosi nei suoi occhi arancioni. Si stava torturando le mani già da un po'.

- Ecco… - iniziò a dire. - Io vorrei tanto riuscire ad accendere il caminetto.

Akira sorrise alzandosi dal divano dove era seduto e avvicinandosi alla sorella. Si rimisero seduti davanti al fuoco. Il moro chiuse gli occhi concentrandosi e imponendo le mani sopra i ciocchi di legna. Poco dopo essa prese fuoco, iniziando con piccole fiamme per poi iniziare ad illuminare tutto il camino. A Sata si illuminarono gli occhi.

- Grande fratellino! - esclamò entusiasta saltando al collo del fratello gettandolo a terra.

- Figurati, non è niente come incantesimo… - fece Akira leggermente rosso.

- Modesto come sempre! Ma tanto si sa che per la magia sei sempre stato il più bravo tu. - gli disse.

- Si si, ma non lo sarò più se mi uccidi. - disse il fratello togliendosi la sorella da sopra. - Comunque puoi riuscirci anche tu, ne sono sicuro.

Sata fece una smorfia.

- Io non ne sarei così sicura. - fece sconsolata. - Se come hai detto tu questo è un incantesimo facile e io non ci riesco figuriamoci se potrò mai diventare brava quanto te con la magia?

- Oh andiamo, non mettere quel broncio. - la sgridò Akira. - La magia non è una cosa che si comanda. Dipende in primo luogo tutto da te. Se tu non hai fiducia in te stessa, tanto vale che molli tutto e non ci provi per niente. Ma se invece sei convinta e vuoi davvero provarci allora io ti consiglio di chiedere a te stessa di sforzarsi un po' di più e di impiegare quel quarto di forza che ti manca per completare il cerchio e permettere alla magia di avvenire.

Sata aveva ascoltato attentamente il discorso che il fratello le aveva fatto serio e deciso a non farla deprimere. Lui odiava vedere sua sorella triste, anche perché quando lo era diventava come un fantasma che solo lui vedeva aggirarsi per casa. visto che la mamma era troppo impegnata con il loro 'padre' e anche Allie non sapeva che cosa fare con lei quando era così. Solo lui era in grado di farle tornare il sorriso, proprio come stava avvenendo adesso.

- Ho capito. - disse sicura e determinata Sata.

- Ottimo, allora fammi vedere. - le rispose il fratello prendendo un secchio d'acqua lì vicino, che mettevano sempre in caso di pericolo, se magari una scintilla cadesse sul pavimento in legno della casa, e gettandolo sulle fiamme speggnendole

-Ehm… ecco… proprio adesso? Anche se il legno è bagnato?

- Certo. - le rispose. Vedendola però cos' impacciata e con l'aria di una che non sa proprio dove mettere le mani gli stava per venire da ridere. Ma decise di reprimere le risate aiutandola. Le si mise alle spalle e le prese le mani portandogliele in avanti, sopra i ciocchi di legno. - Chiudi gli occhi…

Le sussurrò. Sata obbedì.

- Concentrati solo sul ciocco di legno… - le disse abbandonando piano piano i suoi polsi. - Non importa se non li puoi vedere, non è la vista che ti serve…

La ragazza iniziò a sentire sempre di meno la voce del fratello e ad entrare in stretto contatto con quel ciocco di legno che tanto l'aveva fatta dannare. E va bene… si disse… Akira crede in me, tocca solo alla sottoscritta credere in se stessa e accendere questo maledetto fuoco…

Detto fatto più si concentrava più sentiva nei polpastrelli sempre più calore che si accumulava e poi svaniva trasmettendolo alla legna. Facendo così, fino a che non si accese il fuoco.

Sata aprì gli occhi che si illuminarono gareggiando con il colore delle fiamme.

- Ce l'ho fatta! - esultò la ragazzina abbracciando di nuovo il fratello che sta volta riuscì a ricambiare l'abbraccio mantenendo l'equilibrio. Grazie Akira, è solo merito tuo se ce l'ho fatta!

- Non direi proprio… - ribatté il fratello. - Il merito è per la maggior parte tuo, non sono stato di certo io ad accendere il fuoco.

Sata sorrise.

- Forse hai ragione. - rispose guardandolo.

- Signorini, cosa ci fate in piedi a quest'ora? - una voce interruppe il loro momento di gioia. - E per di più con il fuoco acceso.

- Scusaci Allie. - disse Akira alzandosi da terra insieme alla sorella. - Non accadrà più.

- Lo spero bene, anzi ritenetevi fortunati di essere stati scoperti da me. - rispose la ragazza avvicinandosi a loro e spento il fuoco li riaccompagnò nelle rispettive camere.


Le fu impossibile non ripensare a quella volta. Aveva ripetuto quasi lo stesso discorso del fratello e forse stata per compiere la stessa azione.

- Hey, ti sei forse incantata? - le chiese Amu notando il suo sguardo assente.

- Ah no, scusami, stavo solo pensando che se ti va io potrei aiutarti. - le propose.

- Aiutarmi? - domandò sospettosa Amu.

- Certo, dopo tutto chi meglio di me saprebbe aiutarti con la magia? - le domandò.

- Non saprei, non è che si tratta solo di una burla? - chiese sempre sospettosa, ma leggermente più convinta.

- Che motivo avrei, se il mio scopo era losco avrei anche potuto lasciarti morire. - le disse la ragazza mettendo a tacere tutti i suoi dubbi.

Amu ci rifletté ancora un poco. Ma si, in fondo aveva fatto trenta perché non fare trentuno e poi on aveva più nulla da perdere ormai, quindi perché non provare a fidarsi, anche se si trattava di un umana.

- Va bene, ci sto. - le disse infine accettando la sua proposta.

- Ottimo. - sorrise la ragazza per poi porgerle la mano. - Mi chiamo Sata.

- Io Amu. - rispose stringendola.

- Bene, allora Amu vieni con me. - le disse.

- Dove andiamo? - domandò più curiosa che sospetta questa volta.

- A casa mia, solo lì potrò iniziare ad aiutarti. - rispose per poi iniziare a camminare con un'Amu dietro sempre più contenta.

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Capitolo 10
*** The spell was wrong ***


La casa di Sata non era molto grande, e avesse dovuto paragonarla alla sua. Però era arredata con uno stile particolare che Amu no avrebbe saputo definire con un nome specifico.

Appena entrata aveva sentito un suono flebile e delicato provenire dalla sua sinistra. Si voltò e notò una specie di scacciapensieri fatto in legno e foglie secche, con delle piccole canne di bambù e delle catenine, probabilmente le responsabili del suono delicato che aveva sentito poco prima.

- Ti piace? - le domandò Sata notando l'interesse con cui fissava quello strano oggetto.

- Si, è molto bello, lo hai fatto tu? - rispose la ragazza.

- No, me lo aveva regalato mio fratello quando avevo compiuto tredici anni. - le rispose.

Amu annuì per poi spostare lo sguardo sul resto della casa. Sempre alla sua sinistra si trovava una cucina letteralmente in legno, molto semplice e spoglia rispetto al resto dell'abitazione. L'unica cosa che la colorava erano i sacchettini posati sopra una credenza insieme a dei vasetti. Andando per esclusione, Amu dedusse che dovevano contenere rispettivamente tè e spezie.

Voltò lo sguardo verso destra dove si presentava un bel salone con un ampio divano ad 'L' che dava sull'arancione scuro, tempestato di coperte gialle e verdi e di cuscini dei rispettivi colori. Davanti, un tavolino in legno di acero ospitava solo un centrino verde pastello con sopra un porta incensi, dove ancora erano presenti tracce di ceneri.

Subito davanti, nel corridoio abbastanza lungo e ampio, dove in fondo vi era una libreria a muro, si presentavano le porte delle rispettive stanze. Tre a sinistra e due a destra.

- Vieni che ti faccio vedere la casa. - fece la ragazza andandole alle spalle per chiudere la porta e guidandola per farle conoscere meglio quella alquanto bizzarra abitazione. - Avrai già visto la cucina e il salotto suppongo…

Iniziò a dire. Amu annuì mentre lei le faceva strada. Si fermarono nella prima porta a sinistra. La ragazza l'aprì rivelandone un secchio con altri strumenti per pulire la casa. Le pareti erano in mattoncini colorati che creavano quattro mura molto strette e scomode.

- Dunque… - disse la ragazza. - Questo è un semplice sgabuzzino dove tengo le cose per la casa, quando vivi da sola come me è facile trovare il tempo per occuparti della dimora dove vivi.

Proseguirono per la seconda porta.

- Questa è la mia stanza… - annunciò prima di aprire la porta. La camera che le si presentò era sicuramente molto graziosa. Le pareti erano in legno chiaro. In fondo si presentava un letto matrimoniale con coperte bianche e cuscini sia bianchi che di un rosa molto pallido. Da tutti e due i lati vi era un comodino in legno, ma solo da un lato vi era appoggiata sopra una candela con dei fiammiferi accanto. Nel lato destro poi c'erano due armadi. - Non fraintendermi… - le aveva detto la ragazza. - Non è stata una mia idea prendere due armadi, ma mia nonna mi aveva regalato troppi abiti che non sapevo dove mettere.

Nel lato sinistro c'era un'altra libreria a muro con accanto una scrivania su cui erano posati almeno quattro libri con copertine diverse, pennino e fogli scarabocchiati qua e là.

Sata richiuse la porta e proseguì il suo giro turistico.

- La prossima porta sarà la camera dove alloggerai tu… - le disse.

- Prego? - chiese Amu stupita.

La ragazza, che si era aspettata una simile reazione, rispose con un sorriso e una semplice spiegazione:

- Credevi davvero che un incantesimo del genere sarebbe stato una toccata e fuga?

Amu si trovò un po' disorientata a quell'affermazione e al fatto che avrebbe dovuto dormire con una ragazza di cui aveva conosciuto il nome solo venti minuti prima.

- Quanto ci vorrà? - domandò allora la vampira.

- Beh, questo dovrai stabilirlo tu. La volontà non è mica la mia. - rispose la ragazza, per poi aprire la porta.

Com'era logico la camera dove avrebbe dormito Amu era molto più semplice. Un letto con coperte porpora e cuscini del medesimo colore. Un armadio un po' antiquato e una scrivania.

- Mi dispiace se non ti posso offrire nulla di meglio. - disse la ragazza con un sorriso gentile. Amu lo dovette ammettere, era la prima umana che incontrava che iniziava a risultarle simpatica.

- Non ti preoccupare. - rispose solo. Se doveva ammetterlo era più di quanto si sarebbe aspettata e, se doveva fare il paragone tra la stanza che aveva da umana in casa Hotori e questa, beh la differenza sarebbe stata enorme. Poi almeno la finestra che c'era si poteva chiudere.

Si spostarono nel lato destro, dalla stanza in parallelo con la momentanea camera di Amu. Sata aprì la porta di un legno incredibilmente chiaro, probabilmente legno di betulla, constatò dopo aver guardato attentamente.

- Questo è il bagno. - le disse, anche se lo avrebbe potuto capire benissimo da sola. Era una stanza molto luminosa. Le pareti erano anch'esse di legno di betulla, probabilmente anche la camera da letto di Sata aveva le pareti dello stesso materiale. Dentro vi erano una tinozza per fare il bagno e tutto quello che si trovava in una stanza come quella a quel tempo.

- Bene. - fece la ragazza richiudendo la porta e passando all'ultima che le avrebbe mostrato. - Questa non si può definire proprio una stanza o una camera, diciamo che è un luogo che solo chi è della mia religione e pratica i miei rituali avrebbe.

Detto questo l'aprì. In effetti la descrizione più appropriata era: quattro mura tinte di nero. Nessun altro particolare, era completamente vuota.

- A che cosa ti serve una camera del genere? - le chiese Amu.

- Per i rituali magici. - rispose la ragazza.

Certo, era vero che la vampira aveva sempre avuto una passione per la magia e che sapeva di sicuro di più di chiunque altro che non la praticasse, ma questa non l'aveva mai sentita.

- Prego? - domandò alzando un sopracciglio in segno che le servivano ulteriori spiegazioni.

- Quando si fa un rituale magico per evitare di evocare qualcosa di malvagio e far si che poi infesti l'abitazione o anche solo un oggetto, bisogna praticarlo in una stanza nera. - le spiegò la ragazza. - Poiché nel nero, almeno nella magia, non attacca nulla.

Amu era affascinata da quello che le rivelava passo dopo passo quella ragazza e era sempre più curiosa di sapere come avrebbe potuto aiutarla con l'incantesimo di resurrezione.

- Sata… - la chiamò.

La ragazza si voltò nella sua direzione con il viso di una che stava aspettando che lei continuasse a parlare.

- Come pensi di potermi aiutare con la magia? - le domandò senza pensarci troppo.

Sata si voltò completamente nella sua direzione e sfoggiò l'espressione più pensierosa che aveva. Amu la guardava in attesa, ansiosa di sapere la sua risposta. La vide muovere le labbra, sicuramente stava ragionando su qualcosa, poi con la mano iniziò a contare qualcosa che solo lei poteva sapere. Finalmente poi la guardò e le rispose:

- Quello che cerchi è proprio qui.

Le disse voltandosi e dirigendosi verso la biblioteca del corridoio. La rosa la seguì e solo in quel momento notò che gli scaffali erano numerati e divisi in ordine alfabetico.

Sata fece scorrere il suo sguardo fino alla lettera R. Tirò fuori un libro con la copertina bianca e una scritta in argento che diceva: Resurrezione_Incantesimi.

A quanto pare esistevano libri anche per questo.

- Senti una cosa… - disse d'un tratto Amu facendo voltare di nuovo Sata nella sua direzione. - Come fai a conoscere la magia e ad avere tutti questi libri?

La ragazza sorrise.

- Semplice, sono una Majo. - disse con la stessa semplicità di chi ha appena detto il proprio nome.

- Sei… che cosa? - chiese confusa la vampira. Iniziava a capirci sempre meno.

- Tranquilla che ti spiego. - la informò con sollievo di Amu, Sata. - Una Majo sarebbe, come traduzione letterale, quella che in occidente chiamano Strega, ma a differenza di essa noi possiamo praticare i nostri riti da sole. La mia religione si chiama 'culto di Rasish', colui che vide il Dio e la Dea. Pratichiamo un rituale al mese, in diverse date e alterniamo i rituali tra Dea e Dio. Il nostro anno inizia il ventuno marzo, il giorno che entra la primavera ed è l'unica festa che si svolge in onore di entrambe le divinità. In effetti se ci pensi bene, la primavera è la stagione più bella dell'anno. Tutto nasce e prende vita in un ciclo infinito. Quando si diventa Majo, a dodici anni, si fa il Rih, una cerimonia sacra dove si entra nelle grazie del Dio e della Dea.


Il momento era ormai arrivato. Molto presto la cerimonia avrebbe avuto inizio. Guardò l'orologio, un paio di ore e tutta la sua vita si sarebbe tinta di un nuovo colore che avrebbe segnato il suo cambiamento.

- Signorina, si sente pronta? - domandò Allie con la solita gentilezza.

Sata annuì convinta, dopotutto anche se erano i genitori a scegliere per i propri figli, lei era davvero sicura di questo passo importante che stava per fare. - C'è il signorino Akira che la vuole vedere.

La informò poi la domestica.

- Fallo entrare allora! - disse gioiosa la ragazzina.

Dalla porta fece il suo ingresso suo fratello che reggeva delle vesti in mano. La tentazione di abbracciarlo era forte, ma doveva trattenersi, per una volta nella vita doveva essere completamente seria e composta. Alla cerimonia non avrebbe dovuto né ridere né parlare, ragion per cui non poteva subito aggredire il fratello e abbracciarlo come faceva tutti giorni.

- Ciao Akira! - esclamò con un ampio sorriso sulle labbra.

- Ciao Sata… - rispose lui avvicinandosi e porgendole dei vestiti. - Dovresti mettere questi.

La ragazzina voltò lo sguardo verso gli abiti e li prese poggiandoli sopra il comò vicino a lei. Mise le mani dietro la schiena tentando di fare qualcosa che il ragazzo non capì fino a che sua sorella non si girò di spalle e gli indicò i lacci del corsetto.

- Non ci arrivo, puoi aiutarmi? - gli domandò.

Akira annuì e avvicinatosi le slacciò il corsetto e glielo tolse. Sata continuò a togliersi il resto dei vestiti da sola fino a restare in biancheria. Afferrò gli abiti che le aveva portato il fratello e dopo averli spiegati e studiati li indossò. Portava una maglia che possedeva solo una manica lunga nel braccio sinistro e che le lasciava la pancia scoperta. Era bianca con delle decorazioni particolari solo nel lato sinistro, in verde. Come sotto aveva una gonna lunga fino alle caviglie, con il bordo impreciso e con le stesse decorazioni verdi della maglia, solo nel lato destro. Insieme vi erano alcuni accessori. Si mise infatti un collarino bianco con un pentacolo verde. Lo stesso oggetto fungeva da braccialetto per il polso e la caviglia destri. Si voltò un attimo verso lo specchio alla sua sinistra e osservò la sua figura conciata in quel modo.

- Come ti sembro? - chiese al fratello.

- Ti sta benissimo. - le sorrise lui.

Come tocco finale Sata prese dei lunghi nastri verdi e legò i suoi lunghi capelli bianchi in due morbide trecce che le arrivavano quasi fino ai fianchi. Ora era pronta. Poteva andare alla cerimonia. Si voltò verso il fratello e gli sorrise gioiosa, quel momento lo aveva aspettato tanto e ora che era arrivato non poteva non sorridere.

Akira ricambiò il sorriso. Almeno sono riuscito a vederti fare la cerimonia.. pensò il ragazzo con malinconia… ormai non manca molto...

- Signorina, non è meglio che vada a prepararsi per fare il suo ingresso? - chiese Allie che se n'era stata sulla soglia della porta fino a quel momento.

Sata guardò la domestica che stava solo aspettando un suo cenno del capo. Dopo fatto quel gesto si avviò insieme alla ragazza fino alla porta del soggiorno, ovviamente ancora chiusa. Era tradizione fare queste cerimonie in casa, nella stanza più grande che si possedeva. Tutti i parenti venivano invitati ad assistere al grande passo, sicuramente ci sarebbe stato Fumio, aveva pensato Sata prima che le porte si aprissero.

A sinistra del salone tutti i parenti la guardavano sorridenti, loro potevano sorridere, era per lei la pena di rimanere seria. Alla sua destra invece un'orchestra di violini e viole l'accompagnavano nella camminata che avrebbe dovuto fare.

Sata tirò un respiro profondo sussurrandosi un 'coraggio non essere nervosa', per poi mettere le mani giunte tenendo la mano destra aperta, mentre la mano sinistra con il pollice, l'indice e il mignolo chiusi.

Iniziò a camminare fino ad arrivare ad un tavolo posto in fondo alla sala. Dietro vi erano seduti, partendo da destra, Akira, sua madre, il Kirah ovvero il parroco, suo 'padre' e Fumio. Suo fratello e suo cugino le avrebbero dovuto incidere il marchio di Rasish, mentre uno dei suoi genitori scelto da lei, con l'olio essenziale di rosa le avrebbe segnato un pentacolo in fronte. Il Kirah poi l'avrebbe benedetta con l'incenso di giglio purificandola e poi le avrebbe assegnato una maestra che avrebbe dovuto seguire per due anni, poiché per quel tempo sarebbe dovuta essere in grado di conoscere almeno le basi della loro religione.

La cerimonia iniziò.

- Posa il capo sulla tavola. - le disse il Kirah.

Sata obbedì piegandosi in avanti. Akira e Fumio si alzarono e le andarono dietro. Il cugino prese un ago e un contenitore con dell'inchiostro dentro e lo porse al moro. Il fratello immerse la punta dell'ago nel liquido nero e poi avvicinando la mano alla spalla destra della sorella iniziò a disegnarle il marchio del loro culto. Tre punti che formavano un triangolo, perché l'uomo nella vita ha bisogno solo di tre cose essenziali. Un corpo, una mente e lo spirito.

Dopo questo passaggio Sata rizzò il busto e i due ragazzi tornarono a sedersi.

- Ora che il Dio e la Dea faccia in modo che questi tre punti possano essere sempre più grandi nel tuo cammino. - disse il Kirah. - Ora chi vuoi che ti incida il pentacolo.

- Mamma. - disse senza pensarci due volte la ragazzina.

La donna si bagnò l'indice con l'olio e dopo essersi alzata, si avvicinò alla figlia e le disegnò il pentacolo sulla fronte.

- Che questo segno faccia si che la tua vita sia sempre salvaguardata e nel giusto. - disse di nuovo il Kirah.

Infine lui stesso prese l'incenso di giglio e lo passò sul corpo della ragazza mormorando:

- Che tu possa essere sempre pura e che il tuo corpo sempre inviolato e sacro.

Fatto questo la ragazza fece un profondo inchino in onore sia del Dio e della Dea che del Kirah, uomo che viene scelto da entrambe le divinità, per mezzo del precedente Kirah, a ogni luna nuova.

- Sono pronta a ricevere questo incarico. - comunicò la ragazza.

Il coro iniziò così a cantare la canzone finale. La cerimonia era molto breve, ma anche molto profonda. E Sata questo lo aveva avvertito.

Una volta che il coro finì il Kirah diede l'annuncio che sarebbe stato il più importante per la ragazza.

- Che faccia il suo ingresso Athia, sorella della primavera. - disse l'uomo.

Dalla stessa porta dove era entrata Sata fece la sua comparsa una ragazza. I capelli castani, con riflessi biondi, erano trattenuti in due codini bassi da nastrini arancioni con due perline in fondo verdi. L'abito sbracciato, e con un'ampia scollatura munita di lacci legati al collo, a trattenerle il seno morbido e prosperoso, che indossava era lungo e completamente nero con con in fondo due strisce colorate, una verde e una arancio. Infine indossava dei guanti senza dita lunghe fino al gomito, anch'essi con due strisce finali arancioni e verdi.

La cosa che notavi subito e che era la più particolare, era il fatto che i suoi occhi erano di due colori diversi. Il destro era di un verde molto chiaro e il sinistro di un blu intenso. In più sulla fronte portava un segno stranissimo e sinuoso, anch'esso dei soliti due colori. Essendo la 'sorella della primavera' Sata non si sorprese. I colori della primavera erano arancione e verde ed essere nominata 'sorella della primavera' significava non solo essere bravissime nella magia, ma anche essere nate il ventuno marzo.

La ragazza si avvicinò a Sata che voltatasi completamente verso la giovane fece un profondo inchino. Ne fece uno, in segno di saluto più che di rispetto, anche la ragazza.

- Mi chiamo Athia e da questo momento diventerai la mia protetta. - la informò con voce ferma e delicata la ragazza.

- Lieta di diventarlo. - rispose Sata. Era una formula fissa, come la frase detta dalla sua futura maestra del resto. Un modo per salutarsi e presentarsi cortesemente. Anche se nonostante questo lei era davvero felice di avere una maestra. Soprattutto perché Athia le sembrava molto simpatica. - Io sono Sata.

E dopo queste parole la musica che iniziò fu una danza popolare molto allegra che si ballava sempre nelle occasioni speciali. Sata e Athia fecero un ultimo inchino, dopo di che anche loro presero parte ai festeggiamenti.

- Andiamo Sata! - esclamò Akira prendendola per il polso e trascinandola in mezzo alle persone a ballare. La ragazza si lasciò guidare sfoggiando finalmente un sorriso. - Oh finalmente!

- Che cosa? - domandò la sorella confusa.

- Lo sai che non mi piace vederti seria. - spiegò semplicemente il fratello per poi continuare in silenzio a ballare e a sorridere anche lui. Almeno fino a che Sata non fu presa da dietro e voltata, trovandosi a ballare con un altro ragazzo.

- Ma cosa… - provò a dire.

- Shh, Mira mi sta alle costole, balla con me per un po' ti prego, appena ti vedrà se ne andrà via offesa. - le spiegò il biondo.

Sata si mise a ridere per po'.

- Sei sempre il solito Fumio! - esclamò poi lei.


Mentre le raccontava di come si svolgeva una normale cerimonia, le immagini della suo Rih le attraversarono la mente in un lampo, portandola indietro nel tempo, come se lo stesse rivivendo da capo.

- Ora ho capito. - annunciò Amu a spiegazione finita.

- Bene e ora passiamo alla tua magia. - le disse Sata per poi aprire il libro che era da tanto che teneva in mano. Guardò la prima pagina, dove vi era l'indice, poi sfogliandone alcune giunse all'incantesimo di cui le aveva parlato. - Eccolo qua.

Le disse indicando il titolo. Amu diede una letta, ma per lei era peggio dell'arabo.

- Potresti spiegarmelo? - le chiese impaziente.

La Majo annuì.

- Dunque questo è l'incantesimo giusto per il fatto che viene svolto nella maniera tradizionale della magia. - le disse. - Sicuramente è un processo molto più lungo di quello che stavi facendo tu, ma questo è sicuro che funzioni.

- Come fai a saperlo? - chiese la ragazza.

- Perché è proprio per un caso di morte come il tuo. - basandosi sull'espressione stranita che aveva in quel momento, la rosa non aveva capito lo stesso. - Dammi la lista dei tuoi ingredienti, l'hai con te?

Amu annuì e le tirò fuori un bigliettino dove li aveva scritti. Sata li lesse e senza neanche pensarci tanto le spiegò il motivo dell'errore.

- Questo incantesimo non è sbagliato. - le disse. - Però è praticabile solo per chi possiede il corpo del defunto. Tu il corpo non lo avevi, sai che fine ha fatto almeno?

Amu annuì e tirò fuori una boccetta che conteneva le sue ceneri. Sata le sorrise.

- Allora il mio incantesimo è perfetto. Comunque è strano che tu abbia praticato un incantesimo dove non vi fossero riportate le avvertenze. - disse pensierosa.

- Beh in effetti una pagina del libro da cui l'ho preso era strappata. - disse Amu realizzando finalmente cosa conteneva quel foglio.

- Ah capisco… - rispose la Majo per poi restituirle il foglio con gli ingredienti e tornare a leggere sul libro. - Beh qui la cosa è abbastanza semplice per uno che ha l'ampia conoscenza della magia, quello che non credo che abbia tu.

- Allora come posso fare? - le domandò la ragazza.

- Beh semplice, dovrò insegnarti qualcosa io...



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Capitolo 11
*** Sad memories ***


Le tazze di tè vennero posate sulla tavola. Una davanti ad Amu ed una per se stessa. Sata si sedette sulla tavola vicino alla ragazza che non faceva altro che leggere e rileggere gli ingredienti.

- Sei preoccupata? - le domandò la Majo portandosi la tazza alle labbra.

Amu si voltò nella sua direzione e annuì tristemente.

- Non so se sarò capace di fare una cosa del genere. - confidò. - Non ho mai praticato la magia, so qualcosa solo perché ne avevo letto nella casa dove lavoravo, quando ero umana. Vi era una grande biblioteca e quando toccava a me pulirla ne approfittavo sempre per leggere qualcosa.

- Comunque non ti preoccupare… - le fece Sata posando la tazza e prendendole il libro. - Gli ingredienti e le istruzioni dopo tutto non sono complicati…


Formare il cerchio magico

Ceneri del defunto

● Sangue della persona che pratica l'incantesimo

● Athame

● Oggetto personale


- Sono proprio loro che mi preoccupano… - disse la vampira bevendo un sorso di tè anche lei.

- Come mai?

Amu posò la tazza, si passò la lingua fra le labbra e parlò:

- Per primo non so che cosa sia un cerchio magico e come si faccia, secondo non so se le ceneri che ho raccolto siano tutte quelle che c'erano all'inizio oppure se sono di meno, terzo non capisco perché serva il mio sangue, quarto l'Athame non faceva parte del cerchio magico? E per ultimo… a no aspetta… l'oggetto personale è apposto.

Gli occhi di Sata erano totalmente sbarrati per lo stupore.

- Posso dedurre che di dieci hai capito uno. - disse calma finendo di bere il tè. - Dunque, ora ti spiego bene io. Il cerchio magico è il territorio dove si esegue l'incantesimo e va formato con un ordine preciso, ma per il momento questo lo lasceremo per dopo. La quantità delle ceneri non ha importanza, basterebbe un granello per far si che l'incantesimo funzioni. Il tuo sangue è indispensabile, non solo perché sei tu a praticare l'incantesimo, ma anche perché dimostra la tua volontà. Il sangue è la cosa più personale che possiedi e regalandola ad una persona dimostri quanto tu tenga a lei…

Non sai quante volte ho donato il mio sangue a quella persona… pensò la ragazza con scherno.

- In questo incantesimo l'Athame non funge solo da divisore tra il cerchio e il territorio intorno, ma anche da divisore fra mondo dei vivi e mondo dei morti, ecco perché è indispensabile metterlo fra le cose da usare, anche perché non tutte lo usano. Una volta che hai imparato ad aprire e chiudere il cerchio magico non ti serve più. - continuò a spiegare la ragazza. - Beh il fatto che almeno l'oggetto personale ti sia chiaro è un buon passo.

Amu aveva ascoltato attentamente il discorso di Sata, comprendendo così la lista che vi era sul libro.

- E per la pratica dell'incantesimo? - chiese poi. - Solo io posso praticarlo hai detto, no?

- Esatto, ma purtroppo non puoi. - le rispose la Majo.

- Come?! - esclamò Amu con gli occhi spalancati. - Significa che…

- No, se seguirai quello che ti dico il tuo ragazzo ritornerà, ma come ti ho già detto serve saper praticare la magia. - la interruppe Sata. - Quindi credo che dovrai aspettare un po' prima di provare a farlo tornare in vita.

L'espressione di Amu si fece triste, quasi umana. Questo avrebbe voluto dire che per vedere Ikuto avrebbe dovuto aspettare davvero tanto tempo. Non aveva forse aspettato abbastanza? Accidenti a lui! Se non l'avesse mai perseguitata con una macabra ossessione, ovvero quella per il suo sangue, non sarebbe mai stata una morta vagante, sola e depressa. E in più non avrebbe sofferto così. Riconosceva benissimo di essere stata una ragazzina umana sciocca e ingenua. I vampiri non provano sentimenti, non provano quello che aveva provato lei da umana e che stranamente le era rimasto anche da vampira. Quindi perché riportarlo in vita se l'unico 'amore' che lui provava per lei era quello per il suo dolce liquido rosso?

- Ehm… Amu? - la richiamò Sata tirandola fuori dai suoi pensieri. - Tutto bene?

- No. - rispose. - Ma non importa, sono abituata a queste sensazioni…

Si alzò da tavola lanciando un ultimo sguardo al libro aperto sopra il tavolo. Avrebbe fatto di tutto per riportarlo in vita? Ce l'avrebbe davvero messa tutta? Ultimamente aveva lei stessa l'impressione che fosse tutto inutile, che non ce la poteva fare, che sarebbe stato solo uno sforzo difficile che non avrebbe portato a nulla. Che Ikuto non sarebbe tornato mai più e che il suo ultimo gesto da compiere sarebbe stato quello di lasciarsi uccidere dai raggi del sole.

Scosse un poco la testa cacciando quei pensieri futili e che trasmettevano solo malinconia.

Non le sarebbe servito a niente pensare negativo, solo a corroderle ancora di più l'anima oscura che aveva in corpo.

- Vado nella stanza che mi hai indicato prima. - annunciò con freddezza senza nemmeno chiedere alla ragazza se le andava bene. - Ho bisogno di pensare un po'…

Sata annuì comprendendo perfettamente quello che provava Amu. Dopo tutto anche lei aveva provato la stessa cosa. La perdita e lo smarrimento. La sensazione di non appartenere al mondo, di essere solo una goccia di pioggia caduta nel mare, dispersa fra mille altre, smarrita e introvabile per chiunque.

Lo sapeva benissimo come ci si sentiva quando si perdeva qualcuno, quando si veniva abbandonati da una persona con cui eri convinta di restare per sempre. Dopo quell'atroce episodio. Dopo quello che lei aveva subito. Nel momento più brutto della sua vita, nel periodo in cui avrebbe avuto più bisogno di comprensione, più bisogno di sentirsi protetta. Era andato via. Non per colpa sua certo, ma lui lo sapeva e non le aveva detto nulla. Sotto certi punti di vista era stato meglio che lui se n'era andato via senza sapere niente, senza comprendere fino in fondo che cosa era successo. Aveva evitato di causare un dolore anche a lui. Ma in quel momento aveva pensato talmente in modo egoista che non le sarebbe importato se il fratello sarebbe andato via con un peso sul cuore più grande di lui. Voleva che sapeva e ancora a volte vorrebbe che avesse saputo quello che le era successo.


Corse nell'angolo e scossa dai singhiozzi crollò a terra a piangendo. Le lacrime erano fiumi di acqua salata, che però avevano un sapore insolitamente amaro.

Il suo corpo era scosso da tutti fremiti. Aveva freddo. Aveva paura. Si guardava intorno smarrita, con gli occhi arancio sgranati e lucidi. Si strinse ancora di più nell'angolo. Ritirò le gambe al petto e le circondò con le braccia affondando il capo tra le ginocchia. Le spalle fremevano e gli occhi non volevano smettere di gettare lacrime.

Una mano le sfiorò il capo. Si ritrasse con terrore continuando a tremare e senza nemmeno alzare la testa.

- Sata… - una voce e una mano che le si posava sul ginocchio. La ragazzina emise un gemito di paura alzando piano il viso e posandolo sulla persona davanti a sé. - Sata?

Ripeté la voce un poco più alta.

- Akira… - disse buttandogli le braccia al collo.

Il ragazzo dapprima la strinse a sé, poi prendendola per le spalle la scostò guardandola dritto negli occhi e tentando di capire che cosa fosse successo.

- Sata, che cosa… - si bloccò quando avvertì un senso di umido alla mano destra. La ritrasse e vide un liquido rosso che somigliava tanto a… - Sangue… dannazione Sata perché perdi sangue?

La guardò attentamente. Ne era sporca su tutte le gambe e qualche traccia sulle mani e i polsi.

- Akira… - mormorò solo lei.

Il fratello la scosse violentemente dopo averle afferrato le braccia.

- Sata! Dimmi che cosa è successo! Chi è stato e che cosa ti ha fatto! Subito! - le disse agitato, arrabbiato e preoccupato al tempo stesso. - Hey! Ma mi ascolti? Maledizione! Parla Sata!

Niente. La ragazzina non apriva bocca, era come sigillata. L'unica cosa che trasmetteva vita nel suo viso erano le lacrime.

- Sata… - provò a dire un'ultima volta suo fratello. Ora più calmo. - Per favore, permettimi di sapere che cosa…

- Signorino Akira. - la voce di Allie interruppe la loro conversazione. Subito la domestica si rese conto di quello che le si presentava davanti. La signorina Sata in lacrime e il fratello che la guardava agitato, non l'aveva mai visto così inquieto. Il signorino Akira era sempre stato calmo e rilassato, riflessivo, non aveva mai perso la calma, qualunque fosse stata la situazione. - Signorino Akira, signorina Sata, cos'è accaduto?

Domandò con rispetto la ragazza.

- Vorrei capirlo anch'io. - rispose Akira.

- Ad ogni modo… - proseguì la ragazza. - Lei è arrivata.

- Lei? - domandò Sata confusa. - Lei chi? Akira…

- La sua maestra è arrivata. - proseguì Allie spiegandosi meglio.

- La maestra? - chiese nuovamente la ragazzina. - La maestra di chi?

Sapeva che era impossibile che si stesse parlando di Athia, non pochi mesi fa l'aveva conosciuta e di certo non sarebbe stata annunciata da Allie come 'la maestra', visto che non le veniva attribuito un titolo di questo genere.

- La maestra per il signorino Akira. - disse Allie. - Si chiama Nemna, la pellegrina degli Dei. Il suo compito consisterà nell'istruirti di più sull'arte della magia e delle armi. Solo così potrai diventare un 'Knight'.

Per la loro famiglia i Knight erano considerati ragazzi che si dedicavano solo alla protezione del loro paese, della loro famiglia e del loro villaggio. Erano pezzi di carne sfruttati fino a che non sarebbero morti.

- Proprio adesso? - domandò Akira nervoso per quella notizia. Guardò sua sorella. Il suo sguardo lo supplicava di restare con lei, di non andarsene. Aveva bisogno solo di lui in quel momento, di nessun altro.

Ma lui non poteva accontentarla.

- Scusami… - mormorò prima di alzarsi, lasciarla lì e dirigersi verso una ragazza che proprio in quel momento stava entrando.

Aveva i lineamenti molto infantili, seppur fosse chiaro che aveva più di vent'anni. I capelli erano lunghi fino ai fianchi e di un rosa pallido. Gli occhi magenta erano luminosi e grandi. Indossava un cappellino nero con due strisce rosa e al centro una perla a goccia verde. Nonostante il freddo che faceva indossata un reggipetto bianco con strisce rosa sul bordo, con nastri neri a sorreggerlo. I nastri erano anche in basso e formavano una 'X' sul suo ventre piatto riconducendosi alla gonna e a trattenerla, anch'essa bianca con bordature sottili rosa. La gonna, il collo, le braccia e i polpacci erano ricoperti di tantissime catenine nere come decorazione. Infine sui polsi e sulle caviglie aveva due braccialetti neri. Si muoveva sinuosamente e con gesti eleganti e delicati.

- Piacere, Akira. - fece con una voce molto sottile.

Il moro fece un profondo inchino. Non le rivolse che un ultimo sguardo, prima di sparire dietro quella porta dove non lo rivide più rientrare.


Quel ricordo era un tormento per lei. Una delle cose che non riusciva a dimenticare e che non avrebbe mai dimenticato.

Si alzò da tavola e prese le tazze posandole sopra il tavolo della cucina. Notò che le mani le stavano di nuovo tremando leggermente. Si era lasciata invadere dai ricordi di nuovo e aveva di nuovo sbagliato.

Guardò l'orologio. Erano le due di mattina. I vampiri dormono? si chiese la ragazza. Se così fosse stato allora Amu doveva essere già nel mondo dei sogni. Anche lei sarebbe dovuta già essere a letto, il giorno dopo avrebbe avuto da fare. Dopotutto pensare le aveva fatto venire una bella idea per aiutare quella ragazza.

Si diresse nella sua stanza. Si infilò sotto le coperte stringendosi forte e immergendo la testa tra i cuscini. bastasse questo per impedire alla mente di vagare e di ricordare.

Si addormentò quasi subito, nonostante fosse convinta che ci avrebbe messo molto. Domani sarà una giornata impegnativa… si era detta prima di cadere in un sonno profondo.

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Capitolo 12
*** The nature... ***


- La sola cosa che può aiutarti ad entrare nella mente della magia abbastanza velocemente da farti praticare l'incantesimo di resurrezione, visto che ci tieni tanto. - le disse Sata mentre posava degli oggetti in uno zaino di pelle.

- Davvero? - domandò incredula la ragazza.

- Esatto. Tre giorni in natura. - le spiegò. - Passeremo tre giorni nella natura in assoluto silenzio, per dirci qualcosa useremo lo sguardo. In questo tempo ti farò entrare a contatto con tutti e quattro gli elementi. Se ci riuscirai bene l'incantesimo potrà essere realizzato. Comunque sia, per il momento non pensare al rituale, concentrati solo su quello che devi fare per realizzare te stessa.

Amu annuì convinta. Che stupida era stata a pensare quelle cose su Ikuto. Ma nei momenti di debolezza è normale vedere tutto nero e pensare anche le cose più assurde.

- Staremo nel bosco? - chiese.

Sata annuì.

- Esatto, conviveremo a stretto contatto con la natura tre giorni. - la ragazza finì di preparare lo zaino per poi chiuderlo e metterselo sulle spalle. - Andiamo.

Le due ragazze uscirono di casa. La Majo chiuse la porta a chiave per poi prendere a camminare verso il bosco, vicino a casa sua.

- Che cosa hai messo nello zaino? - chiese d'un tratto la vampira, curiosa. La curiosità era rimasta perfettamente intatta e viva in lei fin da quando era una piccola umana.

- Quattro bicchieri, sale, una bottiglia d'acqua e due ciotole. - rispose mentre erano vivine all'ingresso del bosco.

- Ehm… a cosa ci serviranno? - domandò la ragazza.

- Non servono spiegazioni adesso, capirai tutto dopo. - le rispose. - Appena entreremo nel bosco dovremo subito restare nel silenzio più assoluto. Se non capirai qualcosa non fa nulla, ti spiegherò tutto io quando ritorneremo a casa.

Amu annuì anche se non molto convinta. A lei non piaceva non capire le cose e quando qualcuno che gliele poteva spiegare non lo faceva la infastidiva non poco. Ma decise di lasciar stare. Era stata molto gentile Sata, nonostante inizialmente sembrasse terribilmente fastidiosa. Un'umana che cercava di cambiare le cose e che come al solito non riusciva a cambiare nulla.

Ora la pensava molto diversamente, l'opinione che aveva della Majo era molto più positiva. Se riuscisse davvero a riportare in vita Ikuto non sarà di certo solo grazie alla sua forza di volontà. Ma anche grazie a quella ragazza che aveva deciso di aiutarla.

Entrarono nel bosco e come promesso rimasero in assoluto silenzio, fino a giungere in una radura di cui Amu ignorava l'esistenza. Si guardò intorno, non ci era mai stata lì.

Sata avanzò al centro della pianura e si voltò verso Amu, fece un cenno del capo come a richiamarla. La ragazza avanzò verso di lei e si mise seduta. La Majo si inginocchiò a terra e aprì il suo zaino tirando fuori i quattro bicchieri, l'acqua e il sale. Posò gli utensili a terra e versò l'acqua nei contenitori, mettendoci su ciascuno quattro granelli di sale grosso.

Prese i bicchieri e li posizioni ai lati di un rettangolo immaginario posizionato intorno ad Amu.

La rosa guardava i movimenti della ragazza con curiosità e confusione. Non riusciva proprio a comprendere che cosa stava facendo e a che cosa serviva dell'acqua salata intorno a lei. Stava per aprire la bocca e domandarglielo, ma doveva resistere, trattenere la lingua e attendere tre giorni o chissà, forse lo avrebbe capito da sola.

Sata poi le si mise davanti, seduta a gambe incrociate. La guardò intensamente e Amu capì che doveva imitarla. Si mise nella sua stessa posizione e poco dopo che lo ebbe fatto la ragazza, chiuse gli occhi. Avrebbe voluto chiedere per quanto sarebbe dovuta restare in quella posizione e che cosa avrebbe dovuto fare. Ma poco dopo lo capì da sola. Doveva cercare di concentrarsi con i suoni della natura e con il vento, che le stavano intorno. Doveva dimenticare di possedere un corpo per muoversi, per parlare. Il suo respiro non era più solo suo, ma anche del vento, anche degli alberi, della terra. Questo doveva riuscire a fare per riuscire a riportare qui lui.


Erano passati giorni da quella volta. Non sapeva nemmeno quanti. Forse uno, forse due. Forse una settimana, forse due. Forse addirittura un mese, ma lei di certo non se n'era accorta. Le ferite che le aveva provocato si erano rimarginate. Ma non quelle che suo fratello le aveva fatto. Se n'era andato, senza sapere nulla, senza neanche lontanamente immaginare che cosa era successo, che cosa le aveva fatto. Aveva solo dodici anni e già era come se avesse vissuto una vita che meritava solo di essere spenta.

Era rannicchiata sul letto della sua stanza, seduta con le gambe al petto, sotto le coperte e lenzuola bianche. Il pigiama che indossava era tutto stropicciato e la sua carnagione era diventata molto più lattea. Chissà da quanto non toccava cibo. Non era più uscita dalla sua stanza dopo tutto e il cibo che le portavano nemmeno lo guardava. Allie tentava ogni volta di farla uscire dalla sua camera, ma era troppo testarda per darle ascolto. In più non voleva dirle perché piangeva l'altra volta insieme ad Akira. Quando il ragazzo se n'era andato, la domestica l'aveva accompagnata al bagno. Sata non aveva richiesto il suo aiuto, si era lavata da sola e uscita con l'asciugamano di era chiusa subito nella sua stanza. Lì si era asciugata per bene e si era infilata la biancheria e la camicia da notte verde chiaro. Poi si era pettinata i capelli e se li era raccolti in una coda alta, con un nastro verde pastello. Infine si era infilata sotto il letto e lì era rimasta. Non voleva vedere nessuno. Neanche sua madre e tanto meno suo 'padre'.

Solo ad Allie aveva dato il consenso di entrare a portarle i pasti, anche se poi venivano lasciati sul comodino. Cibo per mosche, che si freddava senza neanche essere assaggiato dalla bocca rosea della ragazzina.

Sata si distese, portando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi arancio. Il brontolio di pancia l'aveva tormentata per due giorni interi e solo adesso sembrava lasciarla in pace. Non voleva più vivere, aveva perso tutto. Tutto quello che aveva sempre desiderato. In primo luogo aveva perso la sua dignità, poi aveva perso suo fratello. E ora era lei che voleva perdere qualcosa, la sua vita. Esatto, quello era il suo piano. Si sarebbe lasciata morire, incurante di tutto, l'unica cosa che voleva ora era il vuoto. Non credeva che la Dea Madre l'avrebbe rimproverata per questo. Anzi, sperava davvero che sarebbe riuscita a capirla quando l'avrebbe dovuta accogliere nello 'Hikari no ōkoku', ovvero 'Il regno di luce'. La morte. Non ci aveva mai pensato bene. Un po' le faceva paura, morire, abbandonare il suo corpo sarebbe stato doloroso? Il modo che aveva scelto di morire era estenuante, resistere a mangiare era insopportabile. I crampi della fame le torcevano le budella fino a farle mettere le mani davanti allo stomaco e pregare che finissero. Purtroppo lei non aveva il coraggio di prendere uno dei suoi pugnali e di infilarselo nel petto o di tagliarsi le vene, osservando il sangue che le usciva dal polso fino a che non avrebbe imbrattato la stanza e il suo corpo. No, altro sangue sul suo corpo non lo voleva. Preferiva soffrire e morire, piuttosto che morire subito ma con una sofferenza maggiore rispetto a quella che stava provando.

Mentre la sua mente si riempiva di questi pensieri bussarono alla porta. Sicuramente era Allie con la cena, questo aveva pensato la ragazzina.

- Avanti… - mormorò.

- Signorina Sata. - indovinato. Era proprio Allie. - C'è suo cugino che vuole vedervi.

Il cuore di Sata perse un battito. Fumio, suo cugino Fumio era venuto a farle visita. Allora c'era qualcuno a cui lei interessava. Che forse, salvo Akira, teneva a lei.

- Fumio?! Fallo entrare subito! Anzi no, aspetta, aspetta! fammi fare un bagno e vestirmi prima. - esclamò balzando in piedi sul letto. Si tolse le coperte e corse nel bagno adiacente alla sua camera.

Si spogliò gettando i panni tra gli indumenti da lavare. Riempì la tinozza e non appena l'acqua fu abbastanza si tuffò nella vasca sorridente. Iniziò a lavarsi, pulendosi tutto il corpo con un sapone alla lavanda. Dopo essersi sciacquata anche i capelli uscì dalla vasca avvolgendo il suo corpo in un asciugamano rosa antico e i suoi capelli in uno verde pastello.

Entrò nella sua stanza. Si asciugò in fretta il corpo e quanto più poté i capelli. Poi aprì l'armadio e si vestì. Non si preoccupò di pettinarsi, non doveva mica vedere chissà chi. L'importante era essersi vestita.

- Ora può entrare. - disse Sata sorridente, rivolta ad Allie. La domestica era tanto che non la vedeva sorridere e per questo fu felice quando a sua bocca si piegò in un gesto di positività e dolcezza.

- Come vuole signorina. - disse la ragazza ricambiando il sorriso e permettendo al ragazzo di entrare nella stanza.

- Ciao Fumio! - esclamò contenta correndo ad abbracciarlo.

- Ciao Sata, come stai? Mi hanno detto che non volevi uscire dalla tua stanza, che non volevi vedere nessuno e che ti sei rifiutata per una settimana di mangiare. - le disse il ragazzo preoccupato e stupito.

La cugina si staccò da lui e insieme si misero seduti sul letto.

- Sto bene, adesso. Sono contenta che sei venuto a trovarmi. - gli rispose con lo sguardo basso posato sulle mani intrecciate.

- Sata. - la richiamò lui facendola voltare nella sua direzione. - Che cos'è successo?

Le chiese seriamente preoccupato per lei.

- Nulla di che. - rispose la ragazza con lo sguardo che vagava da tutte le parti, pur di evitare gli occhi del cugino.

- Non ci credo… - le disse lui. Poi sospirò. - Ho parlato con Akira ieri.

Gli occhi di Sata si illuminarono e il suo cuore perse un battito. Guardò il cugino con gli occhi lucidi e un'espressione sorpresa dipinta sul volto.

- Lui mi ha raccontato dell'ultima volta che ti ha visto prima di andarsene con Nemna. - le disse. - Non ha capito che cosa ti è successo e vorrebbe saperlo. Io gli ho promesso che te lo avrei chiesto e che non appena me l'avresti detto glielo avrei riportato.

- Non vorrei che lo sapesse… - mormorò Sata abbassando lo sguardo.

- Neanche io. - disse Fumio. Non era stupido, aveva capito che qualunque cosa fosse successa avrebbe recato un immenso dolore ad Akira, probabilmente quanto lo aveva recato alla sorella. - Dimmelo, sfogati, puoi anche piangere se vuoi. Ti prometto che dirò a tuo fratello di non essere riuscito a farmi raccontare nulla da te.

Gli occhi di Sata si riempirono di lacrime. Si aggrappò alla maglia del cugino e riprese a piangere. Piangere a dirotto, piangere come neanche quella volta aveva fatto. Perché ora c'era qualcuno ad ascoltarla e a consolarla.

Le mani di Fumio si posarono sulle spalle di Sata, tremavano. Tutto il suo corpo era scosso dai gemiti. Poi gli raccontò tutto.

Quando ebbe finito il racconto il cugino aveva lo sguardo di uno che avrebbe voluto compiere un omicidio.

- Come ha osato quel bastardo a…

- Fumio, lascia stare. - lo interruppe la ragazza asciugandosi le lacrime. - Solo due anni e poi me ne potrò andare.

- No… - disse il ragazzo. - C'è un'altra cosa che mi ha detto Akira e per la quale sono venuto.

- Cosa? - domandò debolmente Sata.

- Stasera vieni via con me. - le rispose. - Fuggirai da qui.

- Ma la mia maestra…

- Sa già tutto e lei se n'è già andata via. Ti porterò a Tawaris, è un paesino molto piccolo e lontano da qui. Nessuno andrebbe mai a cercarti là. - la interruppe spiegandole tutto.

Inizialmente la ragazzina era incerta.

- Mi ci accompagnerai tu e questo l'ho capito, ma come potrò vivere da sola? - gli domandò.

- Credi davvero che ti lascerei da sola? Non sai da quanto ho desiderato andarmene da qui. - le rispose. - Resterò con te fino ai suoi sedici anni, poi potrai andare dove vuoi e fare quello che vuoi.

Sata sorrise. Fumio con il suo arrivo le aveva donato una cosa che lei credeva di aver perduto ormai. La speranza.


Ogni tanto Amu apriva gli occhi e la guardava per vedere se poteva smettere con quell'esercizio che ormai durava da ore. Con suo grande sollievo Sata aprì gli occhi e le concesse di sdraiarsi per rilassare i muscoli. Che fatica… si disse. Restare cinque ore a gambe incrociate, schiena dritta e occhi chiusi non era affatto uno scherzo. Amu ormai aveva capito che era tutta questione di forza interiore e anche fisica. E quello sarebbe durato tre giorni. Dannazione, non sapeva se sarebbe riuscita a resistere. Certo, avrebbe dovuto, ma non sapeva se avrebbe potuto davvero. Decise di non pensarci per il momento, lei ce l'avrebbe fatta. Si, ci sarebbe riuscita. Per lui.

La Majo le passò delle bacche raccolte da un cespuglio lì vicino. Si fidava di lei, di sicuro la conosceva la natura, cose commestibili e non. Per questo le prese senza ripensamenti augurandosi internamente un buon appetito. Itadakimasu… si disse prima di mettersi una bacca in bocca.

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Capitolo 13
*** No dignity, no respect, we are always alone when our lives decide to become ugly ***


Una brezza leggera, giocosa, attraversò i capelli della vampira che si alzò di scatto guardandosi intorno. Aveva avvertito uno spostamento dell'erba e i suoi sensi si erano attivati.

Sata dormiva davanti a lei. Le ceneri del fuoco si erano spente già da un po'. Amu si stava riposando. Stando sdraiata e tenendo gli occhi chiusi. Pensava. Aveva pensato per tutto il tempo. Non potendo usare la voce le domande nella sua mente erano aumentate e ora il suo cervello non ne poteva più. Il problema era che non riusciva a dargli tregua. Ogni gesto che faceva la ragazza la incuriosiva eppure doveva reprimere l'istinto di chiederle il perché.

Quello era l'ultimo giorno. Esatto, l'ultimo giorno nel bosco. Dopotutto stare tre giorni a stretto contatto con la natura non le era dispiaciuto affatto. Anzi, credeva davvero che le era servito a qualcosa. Il vento non le era mai dispiaciuto, questo era ovvio. Anche da umana aveva avuto uno strano contatto con esso e una particolare sintonia. L'erba ora, le sembrava più morbida e non la infastidiva dormirci sopra. Come la terra non le dava fastidio se la sporcava un po'.

Quel pomeriggio poi la ragazza aveva acceso il fuoco e aveva provato ad impararlo anche a lei. Nonostante non ci fosse riuscita, Sata le aveva fatto capire che questo sarebbe bastato. Certo, lei non sapeva che il fuoco è una cosa pari all'aglio per i vampiri. Il loro corpo bruciava molto più in fretta di quello di qualunque altro umano. Amu non aveva mai capito il perché, da cosa dipendesse questo fatto. Solo che doveva stare molto attenta.

Per finire c'era stata l'acqua. Avevano passeggiato in un fiume non molto lontano da lì, che attraversava lateralmente Mitsuyo e il pesino vicino, Tawaris, dove era stata anche con Ikuto.


- Davvero non sai dove possiamo andare? - gli chiese d'un tratto.

Ikuto la guardò.

- Beh… ora che ci penso un'idea ce l'avrei. - le rispose con aria pensierosa.

- Quale?

- Un altro paesino poco lontano da questo, ci ho passato pochi giorni, non ho fatto in tempo a seminare il panico come qui… - disse sghignazzando.


Le fu inevitabile portare alla mente quel ricordo così vivido ancora in lei. Avevano passeggiato per qualche ora e poi erano tornate indietro.

A quanto pare, secondo la ragazza bastava un semplice contatto con i quattro elementi ed essi si abbandonavano a te e per un incantesimo ti prestavano il loro aiuto.

Si stava facendo l'alba. Tra poco Sata si sarebbe svegliata e se ne sarebbero andate da lì. Almeno una volta fuori avrebbe potuto parlare.

- Mmm… - proprio come aveva pensato. La ragazza dai lunghi capelli bianchi aveva aperto gli occhi, ancora leggermente assonnata. Si guardò intorno soffermandosi un poco su Amu. Poi si alzò e dopo un cenno del capo come buongiorno, iniziò a raccogliere le sue cose e a riporle nello zaino. Tolse infatti i quattro bicchieri d'acqua. Aveva cambiato ogni sera il liquido e fra poco Amu avrebbe saputo il perché.

Si alzarono entrambe da terra e dopo qualche minuto di cammino uscirono dal bosco tornando a casa.

- Ecco… - iniziò subito a dire Amu. - Avrei qualche domanda.

Sata posò lo zaino sul tavolo, poi si voltò verso di lei e le sorrise.

- Dimmi. - disse.

- Perché hai usato quattro bicchieri con acqua e sale e li hai cambiati ogni sera posizionandoli per di più a quattro lati dalla mia posizione? Perché il mio contatto con gli elementi è stato così breve? E poi…

- Ti prego dammi un po' di respiro. - la interruppe la Majo. - Capisco che tre giorni senza parlare sono difficili da digerire, ma ti prego fammi almeno rispondere un po' alla volta.

- Oh, okay… - fece calmandosi.

- I bicchieri sono una specie di protezione alla mente. Li ho messi nei quattro lati perché devono creare una barriera protettiva. Il sale purifica e l'acqua lo aiuta a creare la barriera. - le disse rispondendo alla sua domanda. - Li ho cambiati ogni sera perché la protezione vale un giorno e per tre giorni quindi dev'essere cambiata. Il tuo contatto con gli elementi non doveva essere profondo, visto che ti serve per un solo incantesimo. Altrimenti questa sarebbe stata solo una minima parte del tuo percorso. L'ho fatta anche io.

- Oh, ora ho capito… - fece. Si sedette su una sedia intorno al tavolo per poi prendere il libro che era stato appoggiato lì sopra. Lo aprì e lo sfogliò fino a trovare la lista degli ingredienti. Li lesse un paio di volte prima di formulare una domanda. - Tu ce l'hai un Athame?

Sata annuì, per poi dirle subito:

- Ma non puoi utilizzare il mio.

- Perché? - chiese stupita.

- Perché ogni Majo ne ha uno personale e non può essere prestato, altrimenti perde l'effetto. Sia per la persona a cui viene dato sia alla Majo che lo ha prestato non potrà più usarlo. Dovresti trovarne uno tutto per te… magari potresti farlo forgiare, non c'è un fabbro in questo paesino? - le disse Sata.

Amu ci pensò su. Non sapeva perché, ma aveva come la sensazione di averlo già un Athame. Lo aveva visto da qualche parte…


- Pratichi anche la magia? - chiese curiosa.

Lui le rivolse una strana espressione.

- Perché me lo chiedi? - chiese il vampiro.

- Perché ho visto un Athame insieme alle altre spade… - rispose.

- Ah, no mi piaceva la forma del pugnale e ne ho fatto uno. - disse Ikuto. - Te ne intendi, non è vero?

- Un po'… - fece Amu abbassando di nuovo lo sguardo. - Ma non ci puoi uccidere con quello, lo sai no?

Chiese ancora. lei le alzò il viso prendendole il mento tra le dita. Le prese nuovamente il pugnale e glielo posò leggermente sulla guancia.

- Si lo so… - le disse guardandola negli occhi.


- Ma certo che ce l'ho un Athame! - esclamò contenta, ricevendo da parte di Sata uno sguardo di incomprensione.

- Come fai ad averlo? - le chiese stupita.

- Ce l'ho a casa. Ikuto ne aveva forgiato uno. Lo teneva insieme ad altre spade, dev'essere ancora lì. - le rispose.

- Beh allora che stiamo aspettando? - domandò sorridente la Majo. - Andiamo a casa tua a prenderlo.

Detto questo si avvicinò alla porta e l'aprì. Uscirono entrambe dirigendosi verso la dimora di Amu.

- Dove si trova casa tua? - le chiese curiosa la ragazza.

- Ora lo vedrai… - le rispose la vampira. - Non si trova a Mitsuyo, ma al di là del bosco.

- Wow, come vorrei vivere anche io così isolata! - era la prima volta che si lasciava scappare un'esclamazione di stupore come quella. Inoltre quel giorno Amu la vedeva strana. Era come se volesse sembrare a tutti i costi allegra, nonostante non lo fosse affatto. Di sicuro lei non si sarebbe impicciata e non le avrebbe domandato nulla. Tuttavia era curiosa di sapere il perché nascondeva così tanta tristezza.

Scosse piano la testa, non doveva pensare a certe cose, proprio ora che erano ad un passo dal resuscitare Ikuto.

Attraversarono tutto il bosco, fino a giungere alla dimora di Amu. L'espressione di Sata fu di puro stupore.

- Caspita… ma è una reggia! - commentò la ragazza mentre entrava dentro e si guardava intorno sempre più affascinata. - Voi vivevate davvero qui?

- Io ci vivo ancora. - fu l'unica risposta di Amu.

- Comunque… dov'è l'Athame? - le domandò Sata cercando di andare subito al sodo.

Amu le indicò le scale e insieme salirono al piano di sopra, fino alla stanza piena di libri e con la scrivania. La vampira appena entrata si diresse verso il porta ombrelli e prese l'oggetto in questione. Lo porse alla Majo che nel toccarlo ebbe una strana sensazione.

- Quando lo ha forgiato? - chiese.

- Non ne ho idea.

- Ma… lo ha fatto da vampiro o da umano? - chiese specificando.

- Credo da vampiro.

- Come sospettavo. - le disse.

- Che cosa c'è che non va? - domandò confusa Amu.

- Essendo stato forgiato da un vampiro è un oggetto impuro, non può essere utilizzato per un incantesimo. Come ti ho già detto la magia dev'essere pura. - le spiegò.

- E adesso come faccio? - chiese Amu. La sua speranza improvvisamente era andata in vacanza, facendosi beffe di lei.

- Non preoccuparti, abbiamo la soluzione proprio sotto il naso…


Stavano camminando da un bel po' ormai. Dopotutto era normale. Tawaris non era un paesino particolarmente vicino a dove abitavano loro. Fumio l'aveva avvertita che sarebbe stato faticoso, ma che sarebbe valso la pena. Se fosse rimasta prima o poi sarebbe morta. Era sicuro. E il motivo era ben preciso.

Sata alzò gli occhi al cielo e si fermò.

- Fumio…

Il cugino si voltò verso di lei.

- Sei stanca? - le domandò. La ragazzina annuì sedendosi a terra. - E va bene, per oggi può bastare, ci siamo allontanati abbastanza. Possiamo riposarci.

Lei guardò il ragazzo e sorrise, mentre tirava fuori una coperta e si avvolgeva in essa.

Il cugino le si sedette accanto, tirando fuori la spada e infilzandola a terra.

- Non dormi tu? - chiese Sata al ragazzo.

Lui si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso.

- No, io resterò per un po' alzato, a fare la guardia. Tu riposati pure. Tra poco mi metto a letto anch'io. - le rispose facendole una piccola carezza sui capelli bianchi.

La ragazzina annuì, stringendosi ancora di più nella coperta e addormentandosi. Quella notte, il suo sogno divenne un incubo e le fece rivivere tutto quello che era successo…


Erano ormai ore che Akira era via. Sapeva che si stava allenando con Fumio e che probabilmente non sarebbe stato di ritorno prima delle otto, per cenare. Però si sentiva lo stesso sola e non vedeva l'ora che tornasse. Aveva tante cose da dirgli. Il suo percorso come Majo stava prendendo una piega molto positiva e voleva assolutamente informarlo del suo cambiamento e di quello che la maestra le aveva detto oggi, visto che le aveva fatto un bel complimento che lei non si sarebbe mai aspettata. Dopotutto, il più bravo nella magia era sempre stato suo fratello.

Cercò di aspettare ancora un po', ma ad un certo punto non ce la fece più. Scese dal letto dove era seduta e uscì prima dalla sua camera e poi di casa. La palestra era adiacente a quella chiesa che profumava sempre di quell'incenso forte. Lo stesso luogo che a lei aveva sempre spaventato. Per i suoi genitori non ci sarebbe mai e poi mai entrata. Ma suo fratello era speciale per lei. Con lui ci aveva passato davvero tutta la sua vita, fino a quel momento. Lui l'aveva sempre capita, ascoltata e non l'aveva mai lasciata sola.

Entrò nella chiesetta. La cosa particolare era che l'unico ingresso per la palestra era all'interno della chiesa, poiché i Knight e gli aspiranti Knight quando si allenavano salutavano sempre prima il Dio e la Dea, chiedendo loro di proteggerli e di farli andare avanti nel loro sevizio.

Mentre entrava, per cercare di scacciare la paura, pensò a molte cose. Suo fratello fu la prima di tutte, almeno fino a che i suoi pensieri non sfociarono su sua madre. Erano giorni che se ne stava a letto malata. Il medico che era venuta a visitarla li aveva rassicurati dicendo che non era nulla, ma lei era preoccupata lo stesso. In quei giorni poi suo 'padre' era sempre più nervoso per questo fatto.

Sata avanzò lentamente nel territorio immerso nel buio. Stava per bussare alla porta della palestra, quando si sentì chiamare.

- Sata… - mormorò una voce fin troppo conosciuta. La ragazzina si voltò riconoscendo immediatamente la figura di suo 'padre'. - Cosa ci fai qui?

- Cercavo Akira. - rispose. Avrebbe voluto tanto averlo lì con lui. Aveva desiderato ardentemente che da un momento all'altro il fratello avesse finito di allenarsi e fosse uscito dalla porta proprio dietro di lei. Che l'avrebbe salutata e che sarebbe tornato a casa con lei.

- Oh, ma non è ad allenarsi. - le disse. In effetti i rumori delle spade non si sentivano. Ma la palestra era fatta apposta con un materiale speciale, per essere isolata da tutto il resto, perciò sarebbe stato normale se sembrava che non ci fosse nessuno.

- E allora dov'è? - domandò sospettosa.

- Si sta facendo la doccia, è proprio qui… - le disse indicando la porta da dove era uscito lui. - Vieni, sicuramente ha fatto.

Avrebbe dovuto pensare. Solo dopo se ne ricordò. Avrebbe dovuto pensare e quello non sarebbe accaduto. Ma il pensiero di trovare Akira in quel momento, aveva sovrastato anche la ragione.

- Davvero? - domandò speranzosa avvicinandosi all'uomo.

- Ma certo. - le sorrise e prendendola per mano la condusse dentro la stanza. - Vieni.

Appena entrati, Sata non fece in tempo nemmeno a parlare che si ritrovò gettata a terra. L'uomo aveva già chiuso la porta a chiave e ora la guardava con uno strano sguardo. Sorrise beffardo mentre le si avvicinava, già intento a slacciarsi i pantaloni.

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Capitolo 14
*** Still not enough ***


- E adesso come faccio? - chiese Amu. La sua speranza improvvisamente era andata in vacanza, facendosi beffe di lei.

- Non preoccuparti, abbiamo la soluzione proprio sotto il naso. - le rispose la Majo sorridente. - L'unica cosa è che dovremmo fare un po' di strada per purificare quest'oggetto.

- Beh ormai ci sono abituata ormai ai tuoi percorsi. - disse la vampira.

- Questa volta parlavo in modo concreto. - disse Sata, stavolta seria. - Dovremo partire.

- Partire? Per dove? E poi perché? - chiese Amu.

- Esatto. Per Rion, un paesino sperduto tra le montagne. Lì vive Athia, la mia maestra. Io non conosco l'incantesimo per purificare l'Athame.

- E come fai a purificare i tuoi oggetti prima degli incantesimi? Se non sbaglio tutte le Majo prima dei rituali devono purificare i propri oggetti. - fece allora la ragazza.

- Si, ma è diverso. Gli oggetti che uso io li hanno forgiati dei maghi. E comunque anche forgiati dagli umani andrebbero bene lo stesso…

- Ma anche gli umani sono esseri impuri. - la interruppe Amu.

- Si, ma gli umani sono legati a questo mondo. I vampiri sono come luci riflesse in un vetro. Per questo gli oggetti forgiati da essi sono impuri nel nostro mondo. - le spiegò Sata.

- Quanti giorni di viaggio da qui? - domandò.

- Cinque giorni. - rispose guardandola dritto negli occhi.

- Cavolo! - imprecò la ragazza.

- In più… - iniziò a dire la Majo.

- In più?

- In più il percorso è pieno di pericoli. - confessò Sata. - Molte persone non sono riuscite a tornare indietro non appena entrate nel territorio fuori Tawaris.

Amu assunse un'espressione pensierosa. Le aveva detto così perché aveva paura o perché voleva mettere alla prova la sua forza di volontà?

- Con questo cosa mi vuoi dire? - le chiese.

- Voglio dire che non sarà facile. Cioè, se c'imbattessimo nei Kreger sarebbe davvero dura. - le rispose.

- Kreger? - la vampira alzò un sopracciglio come per chiedere spiegazioni.

- Si, sono una di quelle classiche bande che rapinano la gente. Solo che sono troppo bravi nel loro mestiere.

Amu fece spallucce.

- Figurati se ci capiterà qualcosa. - disse con noncuranza. - Sono brava a difendermi e poi un po' di carne umana, dopo giorni passati a nutrirmi di scoiattoli non sarebbe affatto male.

Detto questo l'occhio le cadde sul collo scoperto della ragazza, la quale se ne accorse subito.

- Beh se hai resistito fino adesso puoi resistere un altro po', giusto? - le domandò.

- Forse. - le disse con un mezzo sorrisetto. - Ma dai, stai tranquilla. Non posso uccidere chi mi deve aiutare.

- Tutto per convenienza eh? - domandò la ragazza sorridendo anche lei.

- Può anche darsi. - rispose la vampira. Poi si diresse verso il suo scaffale e raccolse gli ultimi biscotti alla muffa rimasti. - Cavolo, il sangue si è rovinato.

- Bleah!

- Non dire così, ricorda che sono un vampiro, mi pare anche ovvio che ho bisogno del sangue. - le disse per poi dirigersi verso la porta. - Allora andiamo?

- Ah?

- Non devi fare i tuoi soliti bagagli? - le domandò.

Sata annuì per poi avvicinarsi ad Amu e scendere le scale con lei, uscendo dalla dimora della vampira.

Ritornarono a casa di Sata, dove la ragazza, proprio come aveva detto Amu, preparò il suo zaino di pelle, per il viaggio.

- Aspetta un attimo qui. - le disse poi la Majo.

- Dove vai?

- Un attimo in camera. Vado a cambiarmi. - le rispose entrando nella sua stanza. Si avvicinò all'armadio e una volta aperto passò lo sguardo su tutti gli abiti che aveva. Fino a trovare quello adatto per un viaggio. All'apparenza sembrava un classico abito di quell'epoca. Gonna lunga, spalle scoperte come con la maggior parte dei suoi vestiti e la solita scollatura che tutti i vestiti avevano a quel tempo. Era di colore nero con i bordi verdi.

La ragazza lo prese e lo indossò soddisfatta del fatto che le stesse ancora bene. Aprì il primo strato della gonna, che fungeva da porta oggetti. I suoi coltelli e pugnali erano tutti ancora lì. E il tessuto, essendo fatto con fili di Kraj, una semplice stoffa che prendeva questo nome dal momento in cui le Majo la rendevano magica. Infatti le armi non facevano alcun rilievo sul vestito e non pesavano neanche. Quell'abito glielo aveva regalato la sua maestra, l'ultima volta che l'aveva vista a Tawaris. La donna era venuta ad informarle che se ne sarebbe andata a Rion, per non rischiare nulla. E per aiutarla a proteggersi da sola le aveva fatto quel bel regalo.

Uscì dalla camera e tornò da Amu, la quale se ne stava seduta sulla sedia del tavolo e non faceva altro che sfogliare il libro degl'incantesimi.

Mancava davvero molto poco. Certo, quest'inconveniente era capitato proprio nel momento sbagliato. Ma non potevano fare altrimenti. Era lei a dover fare l'incantesimo, quindi era lei a dover avere il pieno possesso degli oggetti. Dopotutto a Sata non importava di intraprendere un viaggio pericoloso. Era anche una buona occasione per rivedere la sua maestra.

D'un tratto Amu alzò lo sguardo andandolo a posare sulla Majo.


- Hey! Ma dove stai andando? - gridò la ragazzina prima di inseguire il fratello e prenderlo per un braccio.

- Sto andando a prepararmi, cosa che dovresti fare anche tu. - le rinfacciò il ragazzino liberandosi dalla sua presa e chiudendosi in camera sua.

La sorella sospirò. Faceva sempre così. Non capiva perché voleva essere a tutti i costi lasciato in pace. Cavolo, era sua sorella aveva il diritto di sapere.

Fece dietro front ed entrò nella stanza accanto, la sua camera. Era stata fatta tutta sulle tonalità del lilla. Le pareti erano di quel colore chiaro e rilassante. Il letto invece era il classico letto a baldacchino in legno di ciliegio, lo stesso legno dei comodini e del comò al lato destro della stanza, poco più su del letto. Le coperte viola e bianche. Il telo che copriva il letto era leggero e di color lilla.

La bambina si diresse verso la toletta alla sinistra della sua stanza. I tre specchi sopra che la riflettevano le permettevano di guardarsi bene in tutti i punti del viso. Essendo ancora bassa per a sua età, doveva salire su un piccolo sgabello per potersi vedere bene. Ormai aveva dodici anni, quella sera sarebbe stata la sera decisiva. Suo padre e sua madre le avevano parlato chiaro e tondo. La loro famiglia non poteva permettersi di avere una ragazza che a diciotto anni non era ancora sposata. La loro era una famiglia molto più che benestante e anche molto conosciuta. Dovevano mandare avanti la loro dinastia. Anche suo fratello, che aveva quindici anni, avrebbe dovuto scegliere una sposa la stessa sera.

Non è giusto però… si lamentò la ragazza nella sua mente. Lei non aveva alcuna intenzione di scegliere a quell'età un ragazzo che poi avrebbe dovuto sposare solo quattro anni dopo.

Sospirò di nuovo. Quanto avrebbe voluto trovare un modo per andarsene da lì. Per abbandonare tutto e fuggire, fuggire via. Avrebbe voluto che suo fratello fosse d'accordo con lei. Sarebbero potuti andare via insieme. Scappare da quella vita di prigionia continua. Persino la sua camera poteva essere considerata una prigione. Durante la notte c'erano delle guardie che vegliavano il suo sonno. Il balcone era troppo alto poi per gettarsi da lì e anche lì sotto c'erano altri uomini che controllavano il territorio.

Era proprio come un uccello in gabbia.

Scese dallo sgabello e si diresse verso il comò, dove teneva tutti i suoi vestiti accuratamente piegati. Aprì il secondo cassetto, dove erano presenti gli abiti da sera. Ne tirò fuori uno di color celeste. Se lo posò davanti per vedere se era abbastanza lungo e copriva bene le caviglie. Soddisfatta lo indossò velocemente per poi correre a guardarsi allo specchio. Si osservò attentamente, con cinica accuratezza, prima annuire soddisfatta.

A questo punto afferrò la spazzola e iniziò a pettinarsi i capelli lunghi. Per quella sera li avrebbe lasciati sciolti. Alcune ciocche le ricadevano davanti al viso. Avrebbe tanto voluto lasciarle fare, ma non voleva sentire le sgridate di sua madre, Jane. Quindi decise per un cerchietto in tinta con il suo abito e se lo mise in testa sistemandolo bene.

Bene, ora poteva anche…

- Signorina, signorina è pronta? - domandò la domestica dall'altro lato della porta, mentre bussava ad intervalli regolari.

- Quasi. - fu la risposta che fece aprire la porta e dirigere la domestica verso di lei. - Oh andiamo Sophie non mi scocciare!

- Non posso signorina, si deve preparare per bene. - rispose la ragazza, prima di afferrare i trucchi ed iniziare a pitturare il viso della ragazza, neanche fosse una tela umana a sua disposizione.

- Non truccarmi troppo per favore. - disse prima ancora che iniziasse a metterle il fondo tinta.

- Non si preoccupi e mi lasci fare. - disse iniziando quella estenuante tortura a cui si doveva sottoporre ogni qualvolta c'era una serata importante.

Una volta pronta la ragazza uscì di corsa dalla sua camera e aprì subito quella accanto, dove si stava preparando il fratello.

- Sei pronto? - chiese sorridente.

Il fratello annuì serio, cosa di cui la ragazzina rimase alquanto delusa. La trattava sempre con freddezza. A volte si chiedeva se erano davvero fratelli o se lei era stata adottata e lui per questo la detestava. Quando la guardava la maggior parte delle volte sembrava volerla uccidere con lo sguardo. A volte suo fratello le metteva davvero paura, eppure lei non poteva fare a meno di volergli bene. Forse un bene troppo grande per impedirle di fare del male.

- Allora andiamo? - la frase della dal ragazzino la distolse dai suoi pensieri. La sorella annuì triste mentre lo seguiva standogli dietro, con lo sguardo basso, a fissare il movimento della gonna provocato dai suoi piedi.

Dopo qualche minuto arrivarono nella grande sala. Era molto più luminosa del solito. Le pesanti tende di color vinaccio erano state portate ai lati della grande finestra che dava sul balcone. Il lampadario formato da almeno cinquanta candele, creava un'atmosfera magica in quel salone che era sempre stato buio e triste.

La tavola messa al lato era già apparecchiata con il servizio dei piatti migliore che sua nonna aveva lasciato loro. Era tutta sulle tonalità del bianco perla e dell'avorio. Con al centro un vaso con delle rose gialle.

La ragazzina si guardò intorno meravigliata, sorridendo. Poi guardò il fratello. Vestito con un completo nero. La camicia sotto era slacciata e non era dentro i pantaloni. Le regole dell'abbigliamento non le seguiva come suo solito. Sospirò. Chissà quante volte lo aveva fatto durante il giorno. Credette che sarebbe diventata ricca se qualcuno l'avesse pagata per ogni sospiro.

- Ragazzi, coraggio venite a conoscere Jeanie e Mark. - disse la loro madre una volta averli presi per mano e aver iniziato a camminare.


D'un tratto Amu alzò lo sguardo andandolo a posare sulla Majo.

- Sei pronta? - le domandò.

La ragazza annuì. Un sorriso soddisfatto ad incresparle le labbra e lo sguardo determinato che faceva risplendere i suoi occhi arancio.

- Possiamo andare. - rispose decisa.

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Capitolo 15
*** Fight in the middle of the hood ***


Allora, per chi non l'avesse capito e a quanto ho visto, tutti. I protagonisti della storia scritta in corsivo non sono Akira e Sata. Ovviamente ancora non vi dirò chi sono, ma sappiate che non sono loro, ecco ^ ^ Buona lettura!



Ormai erano ore che camminavano sotto il sole cocente. Nonostante avesse la fascia al collo, Amu aveva l'impressione che non sarebbe bastata a difenderla dai raggi infuocati di quella palla arancione che stava in cielo solo per rompere le scatole.

Sata sembrava abbastanza tranquilla, non sembrava soffrire minimamente il caldo. Ma come cavolo fa… si era detta Amu mentre si passava il palmo in fronte e toglieva delle goccioline di sudore che le scivolavano sulla pelle candida e liscia.

- Manca ancora molto? - domandò la vampira avvicinandosi alla ragazza.

- Tra poco saremo a un'ora di viaggio. - la informò la Majo, un informazione buona. - Ma è proprio lì che rischieremo di essere attaccate.

Informazione meno buona. Con il sole cocente avrebbe anche dovuto combattere. No, certo che no. Si sarebbe disidratata in questo modo. Sospirò. Che strazio. Ikuto le aveva portato più problemi ora che era morto, invece che quando era vivo. Fece in tempo a dire quelle parole nella sua mente per pentirsene subito dopo. on era certo colpa del ragazzo. Era lei che lo voleva riportare in vita.

- Amu. - la richiamò d'un tratto Sata.

La ragazza la guardò con un'espressione di stanchezza, dovuta all'afa che aveva quel dannato posto.

- Cosa c'è? - chiese.

- Ci siamo. Mi raccomando, tieni gli occhi aperti. - rispose la ragazza già pronta a difendersi, in caso di combattimento.

- Ci proverò. - si lamentò la ragazza avanzando. D'un tratto però le cose in un certo senso migliorarono. Il percorso che avevano intrapreso era alberato e quindi impediva ai raggi del sole di darle troppo fastidio. - Cavolo, che bello!

Disse quasi in estasi per la mancanza di un poco di quel caldo che tanto odiava.

Avanzarono lentamente, ora tutte e due pronte e in allerta in caso di pericolo. Sata si guardava intorno con sguardo attento, le orecchie tese, pronte a raccogliere anche il più piccolo fruscio. Amu non aveva bisogno di concentrarsi più di tanto. Vista la sua natura era normale per lei possedere certe doti.

Il luogo in cui stavano camminando era proprio un sentiero, che sicuramente Sata conosceva bene, altrimenti non poteva andare così veloce e svoltare sicura in tutte le vie.

- Ci sei già stata in questo posto? - le chiese Amu.

- No. - fu la sua risposta.

- Eh? - chiese stupita la ragazza.

- In fondo a questo posto, alla fine di questo percorso intendo, ci deve essere una barriera magica. Solo le Majo la possono avvertire e la possono aprire. - le spiegò Sata. - È lei che mi guida.

Amu fece la sua migliore faccia stupita, prima di comprendere per bene la situazione e annuire convinta.

In quel preciso momento la rosa avvertì qualcosa.

- Ferma! - gridò a Sata.

La Majo si fermò, giusto in tempo per vedere un pugnale sfrecciarle davanti e andarsi a conficcare nella corteccia di un albero.

- Ma come… come lo sapevi? - domandò mentre riprendeva a respirare e a guardarsi intorno.

- Sono un vampiro, spero che tu non l'abbia dimenticato. - rispose la ragazza. - Non è che in quello zainetto hai anche un bel pugnale, vero?

- No. - rispose. - Non nello zaino almeno.

Prima che Amu potesse dire qualcosa, si aprì la gonna e sguainato un pugnale, lo lanciò alla ragazza, la quale lo prese al volo. Sata fece lo stesso, prendendone uno che le riportò alla mente un sacco di ricordi, che però preferì cacciare indietro.

Entrambe erano pronte per difendersi.


Gli alberi intorno a lei sembravano tutti uguali. Non aveva molta esperienza nei boschi. Probabilmente lui l'aveva, ma a quanto pare questa cosa non l'aveva affatto ereditata. Si era chiesta spesso se quello che aveva fatto l'avesse fatto a posta, oppure se fosse stata una distrazione o magari, perché no, frutto del caso. Una cosa era certa però. Dopo questo aveva deciso di andarlo a cercare, per poter stare con lui. Questo avrebbe fatto. Sarebbe stata con lui per sempre.

D'un tratto si fermò, guardandosi intorno attentamente. Tutto ciò che le stava intorno le sembrava dannatamente familiare, come se lo avesse già visto prima. Non poteva esserci una parte del bosco perfettamente identica ad un'altra.

- Maledizione, ho girato di nuovo in tondo! - sbottò la ragazza sbattendo il pugno su un albero vicino.

Se doveva essere sincera sarebbe stato inutile continuare a camminare, avrebbe sicuramente girato a vuoto e poi sarebbe ritornata nello stesso identico punto. Ma era troppo ostinata per voltare le spalle o fermarsi adesso. Per questo proseguì.

Mentre camminava, i ricordi erano un tormento per lei. Di quando era bambina e di quando era adolescente. Chissà perché però, si soffermò su un ricordo preciso.


- Ragazzi, coraggio venite a conoscere Jeanie e Mark. - disse la loro madre una volta averli presi per mano e aver iniziato a camminare. Prima di raggiungere gli altri ragazzi però, la donna si girò un'ultima volta verso il ragazzino. - Ma come ti sei vestito?

Lui fece spallucce. Jane si abbassò alla sua altezza e provò a sistemargli la camicia.

- E lasciami stare! - sbottò il figlio.

- Non fare così, lo sai bene che non puoi presentarti conciato così! - lo sgridò la donna.

Il ragazzino scrollò le spalle, lasciandosi però mettere a posto il completo. Tanto non l'avrebbe lasciato in pace fino a che non glielo avrebbe lasciato fare.

- Contenta? - sbottò il ragazzino scontroso e scocciato.

La donna non seppe rispondere. Conosceva su figlio e sapeva quanto non gli piaceva quando le ragazzine gli ronzavano intorno. Era benvisto dalle ragazze. Riusciva sempre a farle arrossire e abbassare lo sguardo. Oppure se non erano timide, a ridere e parlare come delle oche, sia di comportamento, che di parola, che di cervello.

Jane si alzò e presi di nuovo per mano li trascinò letteralmente verso i due ragazzini. Il ragazzo di due anni più grande della figlia. E la ragazzina di due più piccola del figlio.

- Eccoli qua! - annunciò gioiosa la loro madre, presentandoli ai due ragazzi.

- Piacere, io sono Mark. - disse un ragazzino dai capelli castani e occhi di un celeste ineguagliabile.

- Piacere mio. - rispose la ragazzina con un sorrisetto forzato, giusto per far contenti i genitori, visto che ora c'era anche il padre.

- Piacere, io sono Jeanie. - si presentò la ragazzina sorridendo al ragazzo.

- Si, ciao. - rispose lui distaccato. La guardò un attimo, il tempo giusto per farla arrossire. Aveva dei capelli molto lunghi e trattenuti in una treccia dal fiocco rosa che stava in comunione con l'abito rosa antico dai bordi dorati. Gli occhi erano celesti come quelli del fratello. Chiarissimi e quasi spettrali, anche se non sembrava visto lo sguardo dolce che Jeanie possedeva.

La ragazzina non sembrava però del tutto soddisfatta di quella risposta così scontrosa e menefreghista. Come per dire: okay ho capito, c'è dell'altro?

- Ehm… - cercò di dire la biondina. - Vuoi fare una passeggiata?

Al ragazzo uscì un ghigno che per un attimo spaventò la ragazzina.

- E dove vorresti andare a passeggiare? - le chiese con una voce strana. Le si avvicinò aumentando il colorito delle sue guance. - Sappi che non c'è bisogno di domande sottintese.

Jeanie scosse la testa in segno di negazione.

- Ma no… - disse. - Io volevo solo conoscerti meglio.

- Ancora? Che ragazzina fastidiosa che sei… - disse di nuovo lui assumendo uno sguardo annoiato.

Ecco, era sul punto di piangere finalmente, ancora una volta se la sarebbe cavata facendo scappare la ragazzina.

- Ma… m-ma… ma io… - balbettò la ragazzina.

- M-ma m-m-ma tu che cosa? - le chiese prendendola in giro. Dopo di che si portò una mano davanti alla bocca, sbadigliando. - Beh… se non sai nemmeno mettere insieme le parole per un discorso, figurati se avessi voglia di passeggiare con te… E poi cara non mi piacciono le ragazze dai capelli biondi.

Tutti trucchi per poter ottenere il suo scopo. Gli occhi di Jeanie si riempirono di lacrime, lacrime amare, di tristezza e di umiliazione. Le sue guance erano portatori di fiumi di lacrime, che scendevano come da due cascate. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi ci rinunciò. Abbassò lo sguardo, permettendo a qualche lacrima di toccare il pavimento. Poi fuggì via. Il ragazzo sorrise mentre vedeva correre quella ragazza tenendosi la gonna e sfregandosi gli occhi per vedere dove andava.

Ecco, ora finalmente era libero. Prese a camminare verso il corridoio, sarebbe tornato in camera abbandonando la festa come sempre.

Da lontano, mentre parlava con Mark, sua sorella lo guardava triste. Quando voleva quel ragazzo sapeva essere proprio un bastardo e purtroppo era la maggior parte delle volte. Con lei anche si comportava così e anche a lei molte volte aveva fatto piangere. Però lo conosceva troppo bene per dargli la soddisfazione di vederla con le lacrime agli occhi. Per questo si tratteneva tutte le volte e aspettava di essere cacciata da lui per correre nella sua stanza a piangere. Ormai, il fratello aveva capito che non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione, per questo ormai la cacciava semplicemente. Poche volte con lei era stato gentile e si era comportato da fratello e poi per la maggior parte delle volte era a scopo egoistico.

- Mi stai ascoltando? - chiese Mark notando lo sguardo assente della ragazzina.

- Eh? Ah si si, certo. - rispose cercando di far ricadere l'attenzione sul ragazzo, nonostante la sua mente fosse altrove.


Non poteva farci nulla. Suo fratello le tornava sempre in mente. Sospirò mettendosi seduta sul tronco di un albero a terra, probabilmente era stato colpito da un fulmine.

- Uff… - sbuffò la ragazza poggiando il gomito sopra il ginocchio destro e il mento nel palmo della mano. - Sarà meglio che mi riposi un po'. Il sole è ancora alto dopotutto. Mi sta dando alla testa.

E così decise. Si distese sul tronco mettendo le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Avrebbe riposato un po' prima di riprendere il cammino.


Entrambe erano pronte per difendersi. I passi si avvicinavano.

- A giudicare dal rumore, sembrano in pochi… - commentò la vampira.

- Dici? - chiese Sata mentre si concentrava meglio su quello che stava per accadere. Se non fossero riuscite a passare le possibilità di riportare in vita Ikuto sarebbero state molto scarse. Lo sapeva Amu e lo sapeva Sata. Poi visto che si era offerta di aiutare la rosa, spingendosi fin lì, tanto valeva andare fino infondo.

I passi si avvicinavano e quando arrivarono abbastanza vicino, senza dire nulla si lanciarono all'attacco delle due ragazze. Erano quattro uomini, proprio i furfanti di cui aveva parlato Sata. Non ci volle molto alla vampira per capire che erano tutte dicerie quello che le aveva detto la Majo, riguardo a quei quattro babbei. Non appena uno di loro si avvicinò sferrò subito un calcio al suo mento facendolo indietreggiare di qualche passo. Senza perdere tempo poi gli corse alle spalle e lo prese per un braccio torcendoglielo dietro la schiena, poi lo spinse contro un albero mandandolo a sbattere, con il viso, su un tronco con un ramo appuntito e piccolo. Infilandogli l'occhio su quel pezzo di legno e facendolo urlare mentre sentiva la retina staccarsi dall'orbita e il suo occhio diventare poltiglia.

- Non è piacevole? - fece Amu in tono sadico. Senza perdere tempo poi gli infilò il pugnale nel collo facendogli colare del sangue che lei recuperò all'istante con la lingua. - Ah, finalmente sangue umano!

Disse soddisfatta, prima di sentirsi presa alle spalle e gettata a terra. Una spada puntata alla gola. Rise.

- E tu che cosa credi di fare? - domandò tranquilla.

- Mi pare ovvio. - rispose quello sicuro di sé.

Amu non si scompose. Si alzò subito in piedi e con un gesto fulmineo gli infilò il pugnale in petto e tagliando fino all'inguine. Quello non fece in tempo nemmeno a sputare tutto il sangue che cadde a terra inerte. La ragazza lo girò iniziandogli a leccare il sangue dalla ferita. Aveva una fame tremenda. Si voltò un attimo verso Sata, per vedere se fosse nei guai. Ma con suo grande stupore se la stava cavando fin troppo bene.

La ragazza combatteva contro quei due bisonti con due pugnali alle mani. Lo sguardo era determinato, il ricordo dei suoi allenamenti con Fumio era vivido in lei, ricordava ogni precisa mossa, ogni lezione fatta con suo cugino. Uno dei due provò ad attaccarla alle spalle, ma lei lo aveva già avvertito, si voltò e con un pugno gli ruppe il naso facendolo sanguinare e distraendolo giusto il tempo per tagliare un dito all'altro che si stava avvicinando. Poi gli calciò le reni, facendolo per un attimo vacillare. Infine lo trafisse per poi tirare il pugnale verso destra, facendolo soffrire di più prima di morire. L'altro si era appena ripreso ed ora stava per attaccarla, ma lei fu veloce e voltarsi e a prenderlo per il naso contorcendoglielo. L'uomo urlò di puro dolore. Le ossa del naso che si muovevano sotto le dita della ragazza e il sangue che usciva copioso. Bastò un colpo secca della lama del pugnale, per tagliargli la gola e farlo smettere di urlare.

- Ben fatto, mi ero stancata delle sue grida. - fu il commento di Amu prima di abbandonare il corpo dell'uomo e alzarsi. Si leccò le labbra con gusto per poi dirigersi verso la Majo. - Tutto a posto?

- Si, hai mangiato bene?

La ragazza annuì felice, come una bambina alla quale era appena stato fatto un regalo. Poi chiuse gli occhi e tirò un respiro profondo. Posò lo sguardo sul petto di Sata.

- Ehm… - fece la ragazza alquanto imbarazzata. - Che stai facendo?

- Ti hanno ferita. - constatò semplicemente prima di guardarla negli occhi.

Sata si toccò sopra il petto, trovando effettivamente un taglio.

- Ah ma non è niente. - disse mentre un rivolo di sangue le scendeva lungo le dita.

- Beh io ti consiglio di fermarlo, a meno che tu non voglia tentarmi. - le consigliò Amu passandosi di nuovo la lingua fra le labbra, e guardandola con uno sguardo d'intesa.

Sata la guardò un attimo, poi annuì. Aprì la gonna e tirò fuori ago, filo e un panno. Si tamponò la ferita per poter togliere il sangue residuo fuori dal graffio ed evitare che vi si essiccasse intorno. Poi infilò il filo nell'ago, stringendo un poco la ferita tra il dito indice e medio e prendendo un respiro profondo, infilò l'ago nella carne, facendo passare il filo. Ripeté la stessa azione più volte, trattenendo il respiro e cercando di non pensare al dolore. Amu la guardava impassibile, ma in realtà la riteneva davvero forte. Non aveva mai visto nessuna combattere con così tanta destrezza e di certo nessuno che si ricuciva le ferite da sola.

- Dove hai imparato? - chiese Amu.

- A fare cosa? - domandò in risposta Sata.

- Beh, tutto. A combattere, a medicarti, a praticare la magia. - si spiegò meglio la ragazza.

- Oh… - Sata sorrise. - Combattere l'ho imparato da ragazzina. Mi cugino mi ha allenata. Medicarmi… beh direi che quello l'ho imparato arrangiandomi. La magia sin da piccola, anche se mio fratello era molto più bravo di me in questo. Come io ero molto più brava di lui nel duello.

- Hai avuto una bella infanzia suppongo. - disse Amu, toccando involontariamente il tasto dolente.

A Sata si mozzò il respiro e le parole non le uscirono di bocca per minuti interi e terribilmente lunghi.

- Suppongo di si. - disse infine in un sussurro, con la voce rotta.

- Tutto bene? - domandò Amu notando il cambiamento sul viso della ragazza.

La Majo fece un sorriso forzato e annuì.

- Coraggio, proseguiamo… - disse sorridente prima di continuare a camminare.

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Capitolo 16
*** Your hell for my kiss ***


Le gambe iniziavano a farle male e la schiena le doleva in diversi punti. Credeva che dopo questo non avrebbe più avvertito alcun dolore, eppure si sbagliava. I dolori c'erano, eccome se c'erano. Li avvertiva tutti con atroce precisione, mentre testarda proseguiva nel suo cammino nel bosco. Non era poi cambiata da allora. A volte si rivedeva come la solita bambina un po' impacciata, che pur di non darla vinta a nessuno faceva del male anche a se stessa. A volte contraddiceva solo per non apparire come tutti loro. Perché lei non era così, lei era diversa. Certo, neanche lei avrebbe mai pensato di diventarlo a tal punto. Nel suo viso si dipinse un mezzo sorrisetto divertito. Ripensare al passato era divertente. A volte trovi impossibile che quelle cose le hai fatte davvero tu. Non ti riconosci in certe azioni, in certi comportamenti, perché crescendo sei cambiata dentro e quella parte infantile di te ti sembra un ricordo talmente lontano che quando lo ripeschi nella tua memoria, sta già lentamente scomparendo da sembrare l'ombra di un'altra persona.

Si guardò intorno. La consapevolezza di stare prendendo il sentiero giusto era esaltante. Si sarebbe messa a fare i salti di gioia se non avesse troppa fretta. Aveva già perso troppo tempo. Ora doveva recuperare.

- Sto arrivando… - sussurrò rivolgendosi alla figura che si faceva largo tra la sua mente. Era sicura che quando l'avrebbe rivisto non avrebbe esitato a riconoscerlo al primo sguardo. Chissà se anche lui l'avrebbe riconosciuta? Beh, a questo di sicuro la risposta ancora non 'cera. Ma per quello che la riguardava, se non l'avrebbe ricordata, forse avrebbe soffermo di meno e avrebbero potuto ricominciare tutto da capo. - …aspettami.

Erano parole sciocche. Lo sapeva perfino lei che le aveva pronunciate. Ma non lo aveva potuto evitare. Aveva aspettato troppo per vederlo, troppo tempo. Tempo doloroso senza di lui. Ma era ovvio che non era colpa del ragazzo, lui non poteva saperlo che lei lo stava cercando. Come avrebbe potuto anche lontanamente immaginarlo, dopo quello che era successo? Sarebbe stato stupido anche solo pensarlo.

Rallentò il passo. Si era ripromessa di non fare soste quel giorno. Di camminare un giorno intero. L'avrebbe mantenuta. Proseguì tentando di pensare, pensare a qualcosa che poteva distrarla dal dolore ai piedi, ai talloni. Il sole era basso. Era pomeriggio. A quest'ora, a casa sua, era l'ora del tè. E spesso questo momento della giornata era anche un modo per far parlare un ragazzo e una ragazza, con la scusa di bere un buon tè appena importato. E mangiare gustosi biscotti appena sfornati, fatti dalla loro cuoca. A lei però, quei momenti non erano mai piaciuti.


Le quattro meno un quarto. Tra poco sarebbe arrivato. L'abitudine inglese di prendere il tè delle cinque, era una cosa che la madre aveva trasmesso alla loro famiglia. Jane, era di origine inglese e si era fatta promettere dal marito che questa tradizione l'avrebbero mantenuta.

- Tesoro, Mark sarà quasi qui. - l'avvertì la donna.

La ragazzina si voltò verso la madre e annuì con lo sguardo serio. Questa cosa non la entusiasmava per nulla. Mark era un bel ragazzo, questo non era da mettere in dubbio. Aveva dei bei capelli, non troppo lunghi o troppo corti, ben curati e lucenti. I suoi occhi poi erano penetranti. A volte sapeva anche farti sorridere. Ma più di questo, nulla. Era vuoto dentro e quando parlava usava le parole del padre. Lo capivi dal fatto che se gli chiedevi qualcosa sull'argomento che stava trattando, lui preferiva evitare la domanda. Lei lo ascoltava, ma fondamentalmente non lo sentiva. Lo guardava, ma non lo vedeva. E come poteva se i suoi pensieri erano da un'altra parte?

- Lo so. - rispose guardando la madre che le sorrise soddisfatta.

- Mi raccomando, sorridi. - le disse la donna prima di andarsene.

Non passò molto tempo prima che il campanello suonò. La domestica andò ad aprire, facendo entrare il ragazzo e conducendolo nella stanza da tè. Lei era già lì ad aspettarlo. Seduta sopra uno dei due cuscinetti. Messi ai lati del tavolino. Le tazze erano già posizionate.

- Buon pomeriggio. - salutò cortesemente e con un lieve sorriso, la ragazzina.

- Salve! - rispose sorridendo fiero il ragazzo e sedendosi composto dall'altra parte del tavolino. - Come stai?

- Bene. - rispose semplicemente la ragazza.

- Lieto di sentirlo. - era molto formale nelle parole. Si vedeva quanto ci teneva a fare bella figura. Una cosa sciocca per lei, non ne aveva alcuna ragione. Per lei contava quanto contava prima. Nulla.

- Il tè arriverà fra pochi minuti. - disse la domestica.

I due annuirono. Durante l'attesa ci fu un pesante silenzio che nessuno dei due riuscì a rompere. Lui non sapeva che cosa dire. E lei non voleva nemmeno sentire la sua voce. Era perfetto. Almeno in questo erano d'accordo. Il silenzio era l'unica cosa che nelle altre persone lei tollerava. Ovviamente sempre con l'eccezione di una. Nella quale c'era troppo silenzio.

Finalmente arrivò il tè. La domestica di prima entrò con un vassoio. Versò il tè nelle rispettive tazze dei ragazzi, che ringraziarono. Poi posò al centro un vassoio di biscotti fumanti, alle gocce di cioccolato. Le parole di sua madre passarono veloci nella mente della ragazzina. Mai mangiare più di due biscotti, o sembrerai golosa. Tutte queste sciocche regole, che però lei doveva rispettare, erano estenuanti e lo diventavano sempre di più giorno dopo giorno.

- Buonissimo questo tè. - commentò il ragazzo. Trovando finalmente qualcosa da dire.

- Già, hai ragione. - rispose lei portandosi la tazzina alle labbra. Aspettare che sia lui a prendere da mangiare, altrimenti non devi prenderne neanche tu. Altra regola di sua madre, da rispettare. Non aspettò poi tanto, prima che Mark prendesse uno dei biscotti e lo assaggiasse. Facendo dei commenti buoni anche su quello. Lei fece lo stesso. Più passava il tempo più si annoiava e quando finalmente quella tortura finì e Mark se ne andò, tirò un respiro di sollievo.

- Carino quello lì, no sorellina? - le domandò una voce proveniente dalle sue spalle.

La ragazzina si voltò, per trovarsi di fronte il fratello, che la osservava con uno sguardo tra il derisorio e il malizioso.

- Abbastanza. - rispose lei. Una semplice parola che però avrebbe voluto trasmettere molto di più. Che però, lui non capì.

- Oh, non sembrava da come ti sei comportata nella stanza da tè… - le disse avvicinandolesi. - E pensare che hai solo dodici anni, alquanto frivola per la tua età…

- Non ho mai pensato di fare niente del genere, visto che quel ragazzo non mi piace. - disse leggermente alterata. Ma perché la voleva far soffrire così? Perché coglieva sempre l'occasione per prenderla in giro? Per metterla in ridicolo. Per lui non era importante se ci fossero persone, il suo divertimento era quello che contava.

- Oh… ma tanto succederà se i nostri genitori…

- Smettila… - sussurrò la ragazza cercando di mantenere la calma.

- Come dicevo se i nostri genitori…

- Smettila! - esclamò poi, con le lacrime che le premevano sugli occhi. - Non è lui che mi interessa…

Lo sguardo del ragazzo si fece improvvisamente più attento e si avvicinò di più alla sorella.

- Oh… che cos'è una dichiarazione? - le domandò intuendo la situazione.

La ragazzina lo guardò negli occhi, lo sguardo assente che esprimeva stupore e sofferenza, la bocca leggermente aperta, con le labbra che le tremavano leggermente, incapaci di emettere il più piccolo suono.

- I-io… - disse lei cercando di mettere insieme una frase. Ma non le fu necessario. Le dita del fratello giunsero al suo viso, posandosi delicatamente sulle sue guance e alzandole il volto di pochi centimetri, la giusta posizione per posare le sue labbra su quelle della sorella e assaggiare la sua bocca penetrandovi con la lingua. La ragazzina prima rimase stupita, poi un'ondata di felicità la invase e la indusse a rispondere al bacio. Quei pochi istanti per lei, furono il momento della sua vita in cui ha pensato pienamente positivo. Allora non era vero che lui non provava nulla per lei, era scontroso perché voleva nasconderlo.

Quando si staccarono lui la guardò leccandosi le labbra.

- Niente male, ma sapresti fare di meglio. Bacia così il ragazzino e ti rifiuta prima di arrivare in camera. - le poche parole, le poche frasi, che solo poco prima aveva pensato si infransero in mille pezzi davanti ai suoi occhi increduli.

- C-cosa? Ma allora perché… - provò a dire.

- Mi andava, ma non sai fare sorellina, mi dovrò limitare a questo. - commentò prima di voltarle le spalle e andarsene.

Lacrime amare scesero lungo le guance rosee della ragazzina che scoppiò poi in un pianto che non riusciva a far finire. Corse nella sua camera e si gettò nel letto, bagnando le coperte. Pianse tutta se stessa, in quel momento era convinta che non ci sarebbe stata umiliazione più grande. Non perché lui l'aveva trattata in quel modo. Ma perché anche dopo questo, i suoi sentimenti, non erano cambiati.


Più ripensava a quello più si diceva che faceva la cosa giusta a raggiungerlo. Quella era stata una prova abbastanza convincente del fatto che nessuno poteva sostituirlo. Che lui era tutto per lei. Era il suo ossigeno. Era lui che la teneva in vita. Senza di lui, lei era un corpo che poteva camminare, parlare, guardare, sentire, toccare, ma lo faceva con sentimento solo quando lui era lì. Per questo più andava avanti, più continuava a passeggiare in quel bosco che sembrava senza fine, più sapeva di stare facendo l'unica cosa giusta che avrebbe mai potuto fare in questa sua vita.


Stavano continuando a camminare da ore ormai. Dopo aver combattuto si erano riposate un poco, ma dovevano arrivare dalla maestra di Sata il prima possibile. Per questo dopo qualche minuto si erano rialzate e avevano ripreso. Programmavano di giungere a Rion verso sera.

- Dici che ce la faremo? - domandò Sata, il primo segno d'insicurezza che mostrò durante tutto il tempo che era stata con Amu.

- Ma certo che ce la faremo, non ci siamo fatte problemi per un combattimento, figuriamoci per un po' di cammino. - rispose determinata Amu, mentre continuavano ad avanzare.

- Aspetta… ci siamo quasi… - disse improvvisamente Sata, fermandosi e tendendo l'orecchio.

- Cosa c'è? - domandò Amu voltandosi verso la ragazza.

La Majo tese la mano verso il nulla, mentre la vampira alzava un sopracciglio e tentava di capire che cosa stesse facendo, poi chiuse gli occhi e si concentrò. Avanzò lentamente fino a posare la mano su qualcosa di invisibile agli occhi di Amu che la stava reputando una semplice pazza.

- Ehm… Sata?

- Shh… - rispose la ragazza mentre passava la mano su qualcosa di invisibile. - Muryō*

Amu avvertì come una sensazione di freddo che sparì poco dopo.

- Cos'era…

- La barriera. - la precedette la ragazza mentre si voltava verso di lei. - Solo le Majo conoscono la parola d'ordine, rammenti?

La vampira annuì.

- Possiamo proseguire? - domandò poi.

- Si. - rispose mentre riprendevano il cammino. - A Rion vivono solo le Majo, è per questo che c'è una barriera.

- Non te l'ho chiesto.

- Prima o poi l'avresti fatto. - disse sorridente la ragazza. - Comunque non ti preoccupare, non manca molto.

Era vero, c'erano quasi. All'orizzonte si intravedevano piccole abitazioni. Rion non è mai stato molto grande, le case non sono mai state più di nove. Quattro ad ogni lato, divise da dei vicoli stretti. Una casa, in fondo al paesino, circondata da un ampio giardino, maggiore degli altri, ma allo stesso modo curato. Era la nona casa che possedeva Rion. Quella che Sata e Amu stavano cercando.

- La tua maestra non si è fatta problemi di soldi, vero? - domandò la vampira notando la casa ben curata e con il giardino perfettamente in ordine. Con alberi da frutto, erbe e fiori coltivati.

- A quanto pare no… - rispose la Majo, allo stesso modo sorpresa. - Beh intanto bussiamo.

Propose. Entrambe si diressero verso la porta dell'abitazione. In quel momento Amu poté ben notare quanto fossero solitarie le Majo. Intorno all'orto non c'era una recinzione o uno steccato. Questa era segno che nessuna di loro si interessava dell'altra, neanche in caso di bisogno. Altrimenti le precauzioni sul cibo e sulla casa si sarebbero prese.

Quando entravi però in quel villaggio, che ovviamente era riservato solo alle Majo più brave, che avevano dedicato completamente la loro vita alla scoperta di loro stesse e della magia, il tuo destino era segnato. La tua casa era già stata preparata, tu dovevi limitarti a viverci. Nessuno, neanche Sata, sapeva chi o cosa decidesse l'arrivo di una nuova Majo in quel posto e chi le preparasse la casa. L'unica cosa di cui era certa, era che in quel villaggio e nella casa davanti a loro, viveva Athia, la sua maestra.

Bussò. Per un attimo nessuno rispose e nell'abitazione non si avvertì un solo rumore. Stava infatti per bussare di nuovo, quando la porta venne aperta e la sa maestra comparve sulla soglia. In viso un'espressione di stupore. Passò più volte lo sguardo da Amu a Sata, prima di realizzare che quella ragazza dai lunghi capelli bianchi e dai profondi e misteriosi occhi arancioni, era stata la sua alunna non meno di sei anni fa. Per solo un anno.

- S-Sata… - mormorò incredula. - Che ci fai qui?

Gli occhi della ragazza brillarono per un attimo, contenta che la sua maestra l'avesse riconosciuta. Quella donna le aveva insegnato più di chiunque altro, era stata una grande maestra per lei. Le aveva voluto davvero molto bene, nonostante fosse stato poco il tempo passato insieme. Corse ad abbracciarla sorridente, felice come poche volte negli ultimi sei anni lo era stata.

- Maestra, come state? - domandò.

- Bene, ma cosa ci fai qui Sata? - rispose la donna domandandole a sua volta il motivo della visita inaspettata della ragazza. - Quanti anni hai adesso?

- Diciassette. - rispose la ragazza. - Comunque, il motivo della mia visita purtroppo non è a scopo di cortesia.

- Cosa intendi? - domandò confusa Athia. Non era cambiata per niente, non sembrava passato un giorno dall'ultima volta che si erano viste.

- Ecco, questa ragazza… - disse indicando Amu. Anche se sicuramente la sua maestra lo avrebbe capito, era meglio sorvolare il fatto che fosse un vampiro. Raccontò tutto quello che la ragazza voleva fare per riportare in vita il suo ragazzo.

- Venite dentro. - disse a racconto finito.

All'interno le invitò a sedersi in salotto e lì, Sata riprese a parlare.

- Quello di cui abbiamo bisogno è di una purificazione di questo… - disse tirando fuori dallo zaino l'athame forgiato da Ikuto. - Quest'Athame è stato forgiato da un vampiro.

Athia annuì prendendo dalle mani della ragazza l'oggetto.

- Beh lo immaginavo… - disse. - Dopo tutto anche lei è un vampiro.

Amu non se ne sorprese, se era una Majo potente, era ovvio che si fosse accorta dell'energia che emanava. Che la sua anima era solo un'ombra sulla terra.

- Purtroppo però io non posso fare nulla. - disse infine.

- Come? - chiese adesso Amu. - Perché?

- Va al di là delle mie competenze. - spiegò semplicemente. Il viso della vampira esprimeva tutta la tristezza che non aveva mai dimostrato agli occhi altrui. Allora era così, era finita. Niente e nessuno avrebbe mai fatto tornare Ikuto. - Però… conosco una persona che vi potrà aiutare.

Improvvisamente le due ragazze si fecero più attente.

- E chi? - chiese Sata.

- Una volta al mese tutte le Majo si riuniscono al centro del villaggio, per conoscersi meglio. Tra di loro, ho conosciuto La sovrana dell'autunno. Si chiama Lunha. Vive nella seconda casa della parte sinistra, ovviamente vista dall'entrata del villaggio.

- Quindi dovremo andare da Lunha… - constatò la Majo, mentre la maestra annuì.


*Libero in giapponese

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Capitolo 17
*** Purity is an art ***


L'abitazione che si ergeva dinanzi a loro era poco più grande di una cantina. Nel confronto tra le altre abitazioni sarebbe risultata la più piccola. Il legno poi era molto chiaro e intorno, nel giardino, vi erano fiori multicolore. In maggioranza margherite.

Sata si avvicinò all'ingresso e bussò delicatamente, quasi avesse paura di fare troppo rumore in quel luogo silenzioso. La porta si schiuse pochi minuti dopo, davanti alle due ragazze impazienti e stanche di fare tutte queste procedure. Amu già fremeva dalla voglia di abbandonare quel luogo, si tornare a Mitsuyo, di praticare l'incantesimo e di gettarsi tra le braccia di Ikuto, piangendo sangue e riprendendo ad uccidere insieme a lui, per sempre stavolta.

- Si? - domandò la ragazza che era venuta ad aprire loro la porta. Amu la fissò incuriosita. I suoi capelli erano biondi con delle ciocche arancioni. Gli occhi verde bosco sembravano poterti scrutare l'anima. Era vestita con tutte le tonalità del verde, sembrava un vestito fatto prendendo prendendo pezzi di stoffa che richiamavano tutti lo stesso colore. Eppure se non lo guardavi attentamente non te ne accorgevi, tanto erano disposti bene, creando bellissime sfumature. La cosa che però più sorprese la vampira, fu il viso della ragazza. Metà di esso era infatti ricoperto di segni ondulanti, di un giallo molto chiaro, che contrastavano molto con la carnagione pallida della Majo, mettendosi ancora di più in evidenza.

Sata non sembrava affatto stupita di questa cosa. Per un attimo Amu si domandò se anche lei come Majo avesse qualche segno da qualche parte e contro la sua volontà iniziò ad immaginare dove potesse averlo.

- Ci scusi… - iniziò a dire Sata. - lei è Lunha?

La ragazza annuì. Non sembrava sospettare di nulla. Come se tutti i giorni le capitavano visite di questo genere.

- Necessitate di qualcosa? - il suo modo di parlare era colto e le parole ben pensate prima di essere espresse. Segno che non era abituata a sostenere lunghi monologhi, pensò scherzosamente la vampira.

- Si. - rispose prontamente Sata tirando fuori l'Athame dallo zaino e porgendoglielo.

- Che sensazione strana… - commentò la Majo non appena lo toccò. - Sembra quasi che…

- Si, abbiamo bisogno che venga purificato. - dritta al sodo. Probabilmente anche lei si era stancata di fare troppi convenevoli e di girare intorno al loro obbiettivo. Forse anche lei voleva tornare a Mitsuyo al più presto. Senza contare poi, che al ritorno rischiavano di dover combattere di nuovo.

- Lei può farlo, non è vero? - domandò poi.

Lunha la fissò a lungo prima di annuire e darci il permesso di entrare.

L'abitazione era, come si aspettavano sia Amu che Sata, semplice e lineare. Si sedettero davanti ad un tavolino ricoperto con un centrino fatto di foglie secche intrecciate tra di loro con un filo nocciola. Molto originale, osservò Amu.

- Chi vi ha mandate qui? - domandò la Majo più per dire qualcosa che per curiosità.

- Athia, era stata mia maestra. Credevo che lei mi avrebbe potuto aiutare, ma a quanto pare mi sbagliavo. - rispose Sata.

Amu trovò alquanto strano il fatto che non avesse chiesto i loro nomi e il motivo per il quale a loro serviva purificare un Athame. Probabilmente perché lei lo avrebbe fatto. Fatto sta che più stavano in quel posto più le sembrava di trovarsi in un mondo parallelo, non sulla terra. Come in un posto sospeso nel nulla.

Lunha ogni tanto annuiva a quello che Sata le diceva, non sembrava seguire particolarmente il discorso, impegnata com'era a creare uno strano bastoncino con fiori secchi avvolti in foglie, ugualmente secche.

- Che cos'è? - le venne d'istinto domandare. Le due si voltarono verso di lei.

La ragazza sorrise e le rispose:

- Sto facendo dell'incenso. Qui queste cose si fanno a mano, hanno più potere. Incenso di Giglio, per purificare è il fiore più adatto.

Amu annuì. Lei l'incenso lo aveva sempre e solo usato per purificare gli ambienti in casa Hotori. A volte aveva rubato qualche bastoncino per poter profumare anche la sua stanza, che ovviamente essendo quella di una domestica non meritava un trattamento così lussuoso, almeno, questo secondo i nobili.

Pochi minuti dopo la Majo iniziò il rituale. Mise l'Athame sopra il tavolino e lo cosparse di incenso, recitando parole che Amu non comprese. Volse lo sguardo verso Sata, lei sembrava capire la lingua che parlava quella Majo. Cosa abbastanza ovvia.

Dopo aver finito di parlare restituì loro l'oggetto, con un sorrisetto soddisfatto. Amu strabuzzò gli occhi per lo stupore. Tutto qui? E lei che si era aspettata qualcosa di gran lunga più complicato.

- Grazie. - disse Sata prendendolo dalle mani della sovrana dell'autunno.

- Chi di voi due praticherà l'incantesimo? - domandò, anche se sembrava più per cortesia, visto che il suo sguardo era rivolto ad Amu.

- Lei. - rispose Sata indicando la vampira.

- Allora mi raccomando con te. - disse Lunha. - Questo oggetto è estremamente delicato. Non può essere usato se non per aprire e chiudere il cerchio magico. Se ci farai cadere anche solo una piccola goccia di sangue, diventerà inutilizzabile e sarà anche impossibile purificarlo. Perciò fai attenzione.

Amu annuì. Già lo sapeva, ma non voleva fare la saccente, per cui si limitò al silenzio.

Uscirono fuori dall'abitazione. Si scambiarono un'occhiata. Poi Sata diede voce a quello che tutte e due stavano pensando.

- Torniamo a casa?


- Avete bisogno di aiuto? - le domandò una ragazza dall'aria simpatica. I capelli erano rossi e raccolti in una coda alta. Gli occhi nocciola chiaro erano piuttosto piccoli, ma ridenti. Le guance ospitavano efelidi simpatiche che le arrivavano fino a nasino all'insù.

- Una stanza singola. - annunciò la ragazza. Era vicina, molto vicina a dove voleva arrivare. Il paesino dov'era in quel momento era adiacente alla sua meta. Si era informata bene. Due giorni di viaggio e sarebbe arrivata a destinazione.

- Bene. - rispose la ragazza consegnandole le chiavi della stanza.

La ragazza le prese con un sorriso tirato, poi si diresse subito nella stanza. Era la numero dodici, al piano superiore. Non appena la aprì, benché non potesse competere con quella che aveva da bambina, dopo aver passato una settimana a dormire su tronchi d'alberi, poter sdraiarsi su un letto le sembrava ormai un lontano ricordo.

Le lenzuola erano celeste chiaro, probabilmente scolorite da tempo. Il materasso era duro, ma in confronto alla corteccia di un albero era morbidissimo. Il cuscino poi… che sogno poterci affondare il viso. Eh si, era davvero una cosa bellissima poter dormire nuovamente bene, senza aver paura di cadere o di farsi male. Era presto, probabilmente fra poco sarebbe stata ora di cena. Ma poco importava. Si sarebbe comunque riposata un po' prima.


L'unica amica che avesse mai avuto era stata solo lei. Midori. Era la sua domestica, una delle tante in quella casa. Ma la più giovane e di sicuro la più disponibile. Le altre erano troppo impegnate, ma lei no.

Aveva qualche anno più di lei, ma non era rilevante. La carnagione era leggermente scura, abbronzata, ma non troppo. I capelli pece erano sempre legati in uno chignon basso e poco curato. Gli occhi erano rosa, di un rosa pallido, i quali mettevano in rilievo il velo di tristezza che essi possedevano. Era molto lontana dalla sua famiglia e non poteva certo tornare a casa o scrivere una lettera. Non ce n'era il tempo e poi lei non sapeva scrivere. Per questo ogni volta che passava lei le richiedeva qualcosa, solo per parlarci e per vedere un sorriso comparire in quel volto tanto dolce e grazioso.

- Come sta oggi signorina? - le aveva domandato una volta.

- Benissimo, ma perché mi dai ancora del lei, quante volte devo ripetertelo che devi chiamarmi…

- Ma non posso! - la interruppe Midori, mentre continuava a pettinarle i capelli. Quando la pettinava i suoi occhi erano attenti e le sue mani delicate. Una volta le aveva confidato che amava i suoi capelli e che anche lei avrebbe voluto averli così lunghi, di quel bel colore acceso e così morbidi e setosi.

- Ma certo che puoi, andiamo, almeno quando siamo sole! - si lamentò la ragazzina mettendo il broncio.

- No, mi dispiace, se iniziassi a chiamarvi per nome potrei sbagliarmi in pubblico e dopo mi punirebbero. Non posso. - le rispose.

Lei ci rimase non poco delusa. La sua unica amica non poteva neanche utilizzare il suo nome. Ma dopotutto, cosa poteva aspettarsi?

- I rapporti con suo fratello come vanno? - domandò d'un tratto mentre iniziò ad intrecciarle i capelli in una lunga treccia.

La ragazzina si fece triste. Non andavano affatto bene. Quel bacio che le aveva dato era stato solo per farla soffrire, lui sapeva dei sentimenti che lei provava nei suoi confronti, per questo lo faceva. E dire che per un attimo aveva sperato che la ricambiasse. Ma era impossibile. Lui si divertiva con tutte. Perché con lei sarebbe stato diverso? I legami di sangue? Che baggianata. Quelli non c'entrano. Sono solo fandonie. A lui piaceva vedere le ragazzine che lo guardavano con adulazione, con gli occhi sognanti, come se aspettassero quel gesto da anni. Era bello e lo sapeva e lo sfruttava a suo piacimento. Faceva arrossire le ragazzine, fino ad ora non ce n'era stata una che si era ritirata dal farsi prendere in giro da lui. Tanto che neanche sua sorella riusciva a considerarlo come un parente, anche per il fatto che lui non si comportava con lei come un fratello, ma come un semplice ragazzo. Era bravo a recitare e anche questo era un grosso vantaggio. Nessuna capiva quando la stava ingannando e tutte ci speravano che lui facesse sul serio. Speranze futili.

- Si, stanno migliorando. - mentì. Non aveva la forza di rivelarle questo genere di segreti. Poiché frasi del tipo: mi sono presa una cotta per… erano un conto, ma: mio fratello mi ha presa per il culo facendomi credere che… insomma tutto il resto della storiella. Non andavano affatto rivelate, neanche ad un'amica.

- Ah, sono contenta, come sta? - domandò poi. Midori aveva la stessa età di suo fratello. Queste domande portavano benissimo a pensare ad una semplice conclusione: vorrei sapere di più su quel ragazzo ma non oso farmi avanti.

Quella volta si era sentita inutile come un foglio di carta bruciato. Si era sentita solo una tramite, come può sentirsi una buca per le lettere.

Per questo le chiese di andarsene.

- Ma devo finire di farle la treccia.

- Non è necessario, voglio riposare.

- Ma signorina, sua madre…

- Vai via! - urlò tutto d'un fiato.

- Come vuole. - rispose. Sguardo basso. Camminata lenta verso la porta. Abbassa la maniglia ed esce.

La ragazzina si butta nel letto e dopo vani tentativi riesce ad addormentarsi. Si sente inutile. Sempre di più. Per tutti. Per i suoi genitori, che secondo lei la considerano come una bambola da vendere al miglior offerente, solo per dare un discendente alla loro famiglia. Inutile per suo fratello, che prima la considerava un divertimento come tutte le altre e adesso non la vede più perché non riceve la soddisfazione di farla arrabbiare. Inutile per se stessa, perché odia guardarsi allo specchio e vedere riflessi gli stessi occhi di suo fratello, di suo padre e di altri membri della sua famiglia. I capelli che sono quelli di sua madre. Lei odia sua madre. Si è sempre convinta di amare suo fratello, ma ora che ci pensa nemmeno lei sa più se è vero. Suo padre le è indifferente. L'unica cosa che sa di lui è il suo nome e il suo cognome, ma a volte fa fatica a credere che davvero lui e Jane siano suo padre e sua madre.

Ora dorme profondamente. Sogna, incubi, cose strane e contorte, che sicuramente il giorno dopo avrebbe dimenticato.


La strada è la stessa dell'andata, solo più tranquilla. Probabilmente quei quattro imbecilli erano gli unici banditi in quel luogo. Questo pensava Amu mentre tornavano indietro, verso Mitsuyo. Si sentiva stanca. Anche Sata aveva il viso provato, eppure tutte e due insistevano e volevano mettere fine a quella storia il prima possibile. Lei rivoleva il suo Ikuto. Sata voleva solo riposare. In quei momenti ti chiedi il perché di tante cose. E il primo che venne in mente alla Majo fu perché aveva deciso di fare tutto questo per una vampira. Una creatura di Satana. Una figlia dell'oscurità. Poi si riprese, dicendosi che il suo dovere è aiutare, indipendentemente dall'individuo che le sta di fronte. Osserva la vampira di sottecchi. Si lecca le labbra di continuo, secche. Ha fame, Sata ne è sicura. Ma se può resistere meglio per lei. Non vuole vedere altri morti innocenti. Prima l'aveva lasciata fare perché le avevano aggredite, ma anche perché infondo la sua natura era quella.

- Vuoi riposarti un po'? - le chiese la Majo.

- Tu sei stanca?

- Una piccola sosta non ci farebbe male. - rispose la ragazza.

- Io posso andare avanti per altre tre ore, tu ce la fai?

Sata ci rifletté un po'.

- Direi proprio di no. - risponde infine.

Amu allora si ferma e si siede a terra, per poi sdraiarsi.

- Fiuuu… fortuna, allora buonanotte. - rispose prima di chiudere gli occhi.

- Ma tu dormi?

- Certo che no, ma questo non significa che non mi piaccia riposare con gli occhi chiusi. - rispose.

- Va bene… buonanotte. - fece altrettanto la ragazza, sdraiandosi anche lei e addormentandosi.


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Capitolo 18
*** The return... ***


Il tragitto si faceva sempre più corto e il profumo di casa raggiungeva le narici delle due ragazze che non vedevano l'ora di tornare. Si erano riposate, avevano ripreso da tempo ormai, eppure si sentivano di nuovo stanche morte. Forse dipendeva dal fatto che avevano dormito per terra. Eppure lei non avrebbe dovuto sentire nulla, essendo morta, la comodità non era essenziale. Probabilmente era distrutta psicologicamente. In pochi mesi le erano successe cose che in sedici anni di vita non le erano mai capitate. Per lo meno, non erano mai state situazioni che l'avevano sconvolta a tal punto. Era vero che aveva sempre cercato di reprimere i suoi sentimenti e le sue emozioni per non farsi condizionare e forse con questa situazione potevano essere esplose. Ma questa teoria non le convinceva molto. Decise di non pensarci.

- Dovremmo essere vicine a Tawaris. - disse d'un tratto Sata. - Magari potremmo fermarci lì per una notte, ho un gran bisogno di farmi un bel bagno caldo e di cambiarmi il vestito. E forse anche di medicarmi qualche ferita che si sta infettando.

Amu annuì distratta. Qualunque cosa le sarebbe andata bene. Nonostante tutto aveva paura di praticare quell'incantesimo. Aveva paura di sbagliare e anche se non vedeva l'ora di gettarsi tra le braccia demoniache del suo adorato vampiro, non poteva negare che il pensiero di avere una sola possibilità sia per fare bene, sia per sbagliare, la spaventava terribilmente. Ikuto sarebbe potuto tornare come no. Per questo forse preferiva non pensarci.

- A te sta bene? - domandò Sata, stavolta trascinandola fuori dai suoi pensieri.

- Eh? - domandò confusa. - Che cosa?

- Passare a Tawaris al ritorno. - le disse sorpresa, capendo che quello che le aveva detto lei non lo aveva neanche sentito.

- Oh, si certo. A quanto siamo da lì?

La Majo si guardò intorno.

- Dunque, dieci minuti circa e ci siamo.

- Così poco? - chiese stupita la vampira, avrebbe giurato di aver compiuto al massimo venti passi, a quanto pare quando pensi troppo non ti accorgi nemmeno dove vai.

- Certo, riconosco questa quercia. - le rispose Sata.

- Ah. - disse semplicemente Amu continuando a camminare.

Era proprio come aveva detto la ragazza. In circa dieci minuti, forse anche meno, arrivarono a Tawaris. Lo aveva riconosciuto subito, in quanto ci aveva passato qualche giorno con Ikuto. - Ci siamo.

Disse. Sata si voltò verso di lei.

- Ci sei già stata? - le domandò curiosa.

- Si, con lui. - rispose facendole intuire il resto.

- Capisco. - rispose dirigendosi verso un'abitazione dalle mura chiare. Sopra, scritta a mano in nero, c'era una scritta che diceva: Locanda Nokomura. Non era la stessa con cui era stata con Ikuto. Se così fosse, e la sarebbe ricordata.

Entrarono e si diressero subito verso il bancone, dove un ragazzo dia capelli castano scuro e degli occhi celeste chiaro le fissava.

- Dite ragazze. - fece con tono disinvolto e fastidiosamente amichevole.

- Una camera per due. - disse Sata.

Il ragazzo annuì prendendo le chiavi e porgendocele.

- Camera sedici. - disse loro.

Sata sorrise e prese le chiavi si avviò verso il secondo piano, dove appena salite le scale, c'era subito la loro camera.

Una volta aperta la porta entrarono e di guardarono intorno. Qualcosa non quadrava. C'era solo un letto in quella stanza, matrimoniale, ma solo uno. Non che la imbarazzasse dormire con una ragazza, ma ad Amu l'idea di stare vicino a qualcuno in questo modo, la infastidiva.

- Cazzo… - mormorò a denti stretti.

- Ma ci ha forse prese per una coppia? - disse Sata fra il sorpreso e il comico. Come una che non riesce a capire se la situazione è divertente o seria.

Per Amu era decisamente seria.

- Andiamo a chiedere una stanza con due letti separati? - domandò alla Majo.

- Potremmo provarci, anche se credo che ci ha rifilato questa camera perché non c'erano alternative. - rispose la ragazza dirigendosi però in corridoio. - Vado a sentire.

Annunciò prima di scendere le scale. Tornò poco dopo.

- Come avevo detto. - disse, facendo intuire alla ragazza che la scelta era minima. Della serie, o si accontentava o si accontentava.

- Uff… - sbuffò.

- Senti, io ho bisogno di farmi un bagno…

- Già anche io. - mormorò la ragazza stiracchiandosi.

- Ti dispiace se mi lavo prima io? - le domandò.

Amu si sedette sul letto e guardò verso la Majo.

- Fai pure. - disse prima di stendersi.

La ragazza entrò nel bagno. Riempì la vasca con i secchi d'acqua calda che aveva richiesto poco prima. Poi vi s'immerse. Ah, che bella sensazione. Le sembrava una vita che non si lavava. La sporcizia accumulata durante quel viaggio piano piano se ne stava andando, lasciando posto ad una piacevole sensazione di pulito, scaturita senza dubbio dal dolce profumo di lavanda che le trasmettevano i fiori secchi che ci aveva immerso.

Lentamente scivolò sott'acqua. I suoi capelli si muovevano lenti e leggeri come alghe bianche e sottili. Il tepore che quel bagno le emanava era una cosa incredibilmente piacevole. Quando iniziò ad avvertire la mancanza d'ossigeno riemerse tirando un profondo respiro. Uscì dalla vasca osservandosi le mani, curate per il lungo tempo passato in acqua. Prese l'asciugamano precedentemente appoggiato lì accanto e si avvolse il corpo. Non aveva dietro un'asciugamano anche per i capelli. Per questo decise di trattenerli in uno chignon, dopo averli strizzati per bene.

Uscì dal bagno, dove trovò Amu nella stessa identica posizione di come l'aveva lasciata.

- Ho fatto, se vuoi andare…

- Si. - rispose alzandosi subito e precipitandosi dentro il bagno.

Sata si frizionò bene il corpo per poi liberarsi dell'asciugamano e afferrare il suo zaino. La provvidenza non è mai troppa come si suol dire. Infatti nello zaino aveva ben pensato di mettere anche due vestiti che metteva poche volte. Indossò solo la biancheria, per dormire comodamente. I vestiti di colore bianco su di lei sono molto insoliti, quasi non ti accorgi che li indossa. La carnagione lattea e i capelli li rendono del tutto invisibili all'occhio delle persone. Si stese sul lato destro del letto e aspettò che Amu uscisse dal bagno.

Nel frattempo, la ragazza era già dentro la vasca e si stava godendo l'acqua fresca che aveva messo dopo aver cambiato l'acqua usata dalla Majo. Rispetto alla ragazza lei uscì prima, le bastava una ripulita, non aveva bisogno di godersi il bagno. Sata aveva portato un asciugamano anche per lei, solo grazie a quello riuscì ad asciugarsi prima di uscire, con il telo a coprirle il corpo.

- Hai già fatto? - domandò stupita la ragazza fissandola con il suo sguardo arancio.

- Già. - rispose noncurante la vampira, sedendosi sul lato sinistro del letto. - Sai che sembri uno spettro vestita così?

- Trovi?

Amu annuì. La ragazza fece spallucce, nonostante questa cosa non le andasse molto a genio. Ci furono lunghi minuti di silenzio, prima che una delle due aprisse bocca.

- Se vuoi ho qualcosa da darti. - era stata Sata parlare.

- Che intendi?

- Da vestire, non avrai mica intenzione di dormire in asciugamano! - esclamò.

- Era un'idea. - rispose. - Non credevo ti fossi portata un cambio anche per me.

- Ecco, veramente non te l'ho detto perché non sapevo quanto avrebbe potuto farti piacere. - le disse alzandosi e tirando fuori della biancheria simile alla sua, solo rosa.

Lo sguardo di Amu esprimeva tutto fuorché allegria.

- Hai solo quello suppongo. - disse, non si capiva bene se voleva essere una domanda o un'affermazione, ma si alzò lo stesso e prese i vestiti. Sata si voltò permettendole di indossarsi. Anche se Amu non si sarebbe di certo fatta problemi a cambiarsi davanti a lei, il senso del pudore di fronte a una ragazza non lo aveva mai avuto.

- S'intona con i tuoi capelli. - le disse la majo una volta voltatasi.

- Sarà… - disse poco convinta.

Dopodiché si sedettero entrambe sul letto.

- Dimmi una cosa… - iniziò a dire Amu. - Tu sei vissuta a Tawaris?

- Cosa te lo fa pensare? - chiese stupita.

- Prima hai detto di aver riconosciuto una quercia. Per quanto il mio senso dell'orientamento sia sviluppato avrei faticato a riconoscerla fra mille. Per questo ho pensato che ci avevi già vissuto.

Sata la guardò sorpresa, poi sorrise.

- Si ci ho vissuto nell'età tra i mie dodici e i miei sedici anni. - le rispose.

- Eri venuta con i tuoi?

- No, con mio cugino.

- Come mai? - chiese curiosa.

- Problemi familiari. - si vedeva che non aveva voglia di parlarne, no problem, Amu non era un tipo invadente. - Comunque non è per questo che ho riconosciuto la quercia.

- Ah?

- Voglio dire che l'ho riconosciuta per un altro motivo. Io e Fumio ci andavamo ad allenare lì vicino. - le spiegò.

- Fumio, tuo cugino?

Lei annuì.

- Potrei dedurre che è grazie a lui se sai combattere così bene allora. - le disse.

- In parte si. - rispose.

- Siete ancora in contatto?

- No, è da tanto che non lo vedo.

- Come mai?

- Avevo deciso di cambiare vita e mi sono trasferita a Mitsuyo, circa due anni fa. Ma più che altro era un modo per non legarmi troppo a lui, almeno credo. Anche perché per la maggior parte degli anni precedenti ho viaggiato sempre, sono andata dappertutto. Sono tornata pochi giorni fa dal mio viaggio.

Giusto in tempo per sapere di cosa stava succedendo in quel paesino. Ma, se lei era arrivata due anni fa, allora Ikuto non c'era ancora. Trovava impossibile il fatto che avesse iniziato i suoi omicidi solo due anni dopo. Sarebbe stato troppo assurdo. Certo, lei non sapeva proprio niente di lui a parte qualche dettaglio. Lui invece di lei aveva saputo fin troppo. Per il momento però tutto questo se l'era portato con sé nella tomba.

- Domani ripartiamo, giusto? - domandò la vampira.

- Già, sei pronta?

- Credo di si.

- Devi sentirti sicura dite, altrimenti l'incantesimo potrebbe non funzionare. - l'avvertì la ragazza.

Amu annuì. Lo sapeva, ma aveva paura, non poteva sbagliare e questo la spaventava ancora di più.


C'era quasi. La sera prima si era riposata bene e le forze erano tornate in poco tempo. Aveva pagato e se n'era andata per riprendere a camminare. Doveva essere strano che qualcuno andasse via prima di tre notti, poiché la ragazza con i capelli rossi, del giorno prima, l'aveva guardata sbalordita. Poco importava, dopotutto l'unica cosa davvero importante in questo momento era solo trovarlo. La sera prima aveva avuto un ripensamento. Dicendosi di aver impiegato fin troppo la sua vita per questa cosa e che a rifarsi una vita si fa sempre in tempo. Ma la sua ragione di vita era sempre stato solo questo. Fin da quando era piccola aveva avuto una sorta di adulazione verso suo fratello. E ora era diventata qualcosa di più profondo ed ignoto. Eppure era strano, lei non avrebbe dovuto provare amore. Probabilmente dipendeva dal fatto che lo aveva sempre provato.

Si guardò intorno. Secondo le indicazioni ricevute il giorno prima le mancava un tratto di strada, poi un po' di boscaglia, infine sarebbe arrivata. Dopotutto l'abitazione di suo fratello era piuttosto appariscente, l'avrebbe vista subito, ne era sicura. Conosceva i suoi gusti e anche dopo tutto quel tempo, non poteva aver fatto grossi cambiamenti. Non vedeva l'ora di vederlo, il suo cuore palpitava al solo pensiero. Chi c'era come lei? Nessuna ragazza poteva eguagliarla. Chi avrebbe potuto conoscere in un paesino che gli avrebbe potuto cambiare la vita? Nessuno e di questo lei ne era sicura. Nessuno avrebbe mai potuto fargli provare le stesse sensazioni che lei gli avrebbe trasmesso. Si era per così dire 'esercitata' e questa volta gli avrebbe dimostrato di saperci fare, di poter essere alla sua altezza. Visto che non si poteva dire che in passato ci fosse riuscita.


- Ma perché ti comporti così?! - sbottò d'un tratto, arrabbiatissima. Il viso in fiamme e gli occhi che, se non fosse stata umana, avrebbero sicuramente scintillato di rosso.

- Cosa c'è sorellina, mi stai forse dicendo che non posso divertirmi un po'? - le chiese allusivo, sfoggiando uno dei suoi meravigliosi sorrisi maliziosi.

- Io… sei un bastardo. - disse.

Lui sorrise, ironico, beffardo e derisorio.

- Wow, non sapevo che sapessi usare certe parole con tanta disinvoltura, sicura che tutta questa volgarità si addica ad una ragazza fine come te? - le chiese trattenendo le risate che, si capiva, sarebbero potute uscire da un momento a un altro. Perché si chiese. Perché solo lui era capace di farla sentire così inutile, così vuota dentro e così terribilmente fragile? Si sentiva come un bicchiere di cristallo sul punto di cadere.

- Sto solo dicendo che comportarti così non ti gioverà e non gioverà alla nostra famiglia. Nostro padre non vuole che…

- Nostro padre se ne fotte. Non mi pare che stia facendo qualcosa per impedirmelo, sbaglio? Sorellina… - disse l'ultima parola in un tono strano, quasi offensivo, come a prenderla in giro.

- Ma… perché non capisci che io…

- Guarda che l'ho capito da un pezzo. Sei malata. - concluse voltandole le spalle. Lei sgranò gli occhi. Malata? Perché gli voleva bene?

- Ma… a-aspetta! - riuscì a dire, anche se non sapeva affatto il perché di quel gesto impulsivo.

Lui si voltò. Quel sorriso sadico e derisorio stampato a timbro sulla sua faccia, il bellissimo viso che lei tanto amava.

- Si? - le chiese alzando le sopracciglia, con voce gentile che però non gli riuscì molto bene.

- Adesso che intendi fare con Miriam? - gli chiese tutto d'un fiato. Lo aveva capito. La notte scorsa non era rincasato presto. Il messaggio era chiaro. Aveva bisogno di divertirsi un po' e aveva deciso di andare da quella ragazzina che la madre gli aveva presentato l'altro giorno.

- Ho già fatto tutto quello che dovevo fare. - rispose sorridendo e facendole intuire come erano andate le cose. Lui che va a letto con lei. Lei che gli chiede se di è innamorato. Lui che alza le spalle, ghigna soddisfatto dopo la soddisfacente esperienza e sgattaiola via con nonchalance dicendole che era appena finito tutto tra di loro. Sicuramente lei ci è rimasta malissimo e, o è scoppiata in lacrime o lo ha mandato al diavolo.

Molte volte aveva sperato che per trovare soddisfazione lui fosse venuto da lei. Anche se dopo l'avrebbe lasciata lì e avrebbe continuato a trattarla con indifferenza, come faceva sempre. Ne sarebbe valsa comunque la pena. Di questo ne era sicura.

Lui si voltò di nuovo e dopo qualche passo sparì all'interno della sua stanza. Lasciando sua sorella lì, in piedi come una stupida, a fissare il vuoto che aveva lasciato.


- Buongiorno! - annunciò quasi con allegria Sata. Si era svegliata da poco e seppur assonnata, vedendo Amu in piedi ad aspettare che lei aprisse gli occhi, si era decisa a svegliarsi e a fare i bagagli. Così fece. Infatti, una volta preparato lo zaino, poterono finalmente andarsene da lì.

Poche ore di cammino, nessuna parola e in poco tempo erano giunte a Mitsuyo. Nonostante tutto quello che le era capitato in quel posto, casa tua è sempre casa tua.

Andarono dritte a casa di Sata.

- Allora… - iniziò a dire la Majo una volta entrate in casa. - dimmi, quando preferisci fare l'incantesimo?

Amu guardò fuori dalla finestra, come se ci fosse qualcosa di estremamente interessante che non poteva assolutamente perdersi. Poi sospirò nonostante non avesse il respiro.

- Stanotte. - disse infine guardando dritto negli occhi Sata.

La Majo annuì, un sorriso soddisfatto ad incresparle le labbra.

Lo zaino era pronto, tutti gli ingredienti erano al suo interno, anche Amu si sentiva pronta. Era decisa, preparata a dovere. Nn avrebbe fallito, si sarebbe comportata bene. Forte, determinata. Finalmente sarebbe riuscita a combinare qualcosa di buono, nella sua vita.

Uscirono che era quasi mezzanotte. La luna piena alta in cielo, era una cosa estremamente importante per i rituali. Soprattutto per questo.

Arrivarono vicino al cimitero. In un luogo abbastanza isolato e silenzioso.

- Bene, puoi iniziare… - le disse Sata.

Amu la guardò, fece un respiro profondo e annuì.

Si dispose qualche metro distante dalla Majo. Tirò fuori dallo zaino l'occorrente, per poi rilanciare la borsa alla ragazza.

La vampira prese il sale e fece un cerchio intorno a lei. Prese una ciotola e la riempì con la sabbia, posizionandola a nord. Terra. Prese una conchiglia e la riempì d'acqua, posizionandola a ovest del cerchio magico sempre. Acqua. Poi prese l'incenso e lo posizionò ad est. Aria. Infine prese una candela rossa e la posizionò a sud. Fuoco. Invocò i tre elementi, prima di iniziare l'incantesimo del rituale.

Posizionò la fascia del vampiro di fronte a se.

- Ceneri del defunto, ascoltate la mia preghiera. Che da questa polvere ritorni la carne. Che… - sparse le ceneri sulla fascia. - da questo mio sacrificio rinasca una vita… - si morse il pollice e ne fece cadere qualche goccia di sangue. - Che da questo mio gesto l'incantesimo si compia… - passò l'Athame sopra tutto, senza toccare nulla. Passò qualche minuto e non accadde neanche un lieve spostamento s'aria. Iniziò a chiedersi de aveva sbagliato qualcosa. Se non avesse omesso un ingrediente, una parola della formula dell'incantesimo. Si guardò attorno smarrita, fino ad incrociare lo sguardo di Sata. Neanche lei sembrava spiegarsene il motivo.

Improvvisamente però, un soffio di vento attirò l'attenzione di entrambe. La boccetta che conteneva le ceneri, poggiata a terra si frantumò, alcuni pezzi di vetro si conficcarono nella carne di Amu. Le ceneri iniziarono lentamente ad alzarsi e ad unirsi fra di loro, a danzare e ad intrecciarsi in questa strana danza. Fino a che non presero forma umana.

Gli occhi di Amu si illuminarono e il sangue iniziò a sgorgare lento dagli occhi dorati della ragazza.

- T-tu… sei davvero tu? - mormorò incredula. Di fronte a lei vi era un ragazzo con i capelli blu, ciuffi ribelli gli coprivano un po' il viso. Occhi ametista che ti guardavano ti perforavano l'anima. Era completamente nudo, d'altronde dove li avrebbe presi i vestiti?

Aveva uno sguardo perso. Si guardò intorno smarrito, poi rivolse il suo sguardo verso Amu. Inclinò leggermente la testa di lato.

- E tu chi sei?

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Capitolo 19
*** An old acquaintance ***


- T-tu… sei davvero tu? - mormorò incredula. Di fronte a lei vi era un ragazzo con i capelli blu, ciuffi ribelli gli coprivano un po' il viso. Occhi ametista che ti guardavano ti perforavano l'anima. Era completamente nudo, d'altronde dove li avrebbe presi i vestiti?

Aveva uno sguardo perso. Si guardò intorno smarrito, poi rivolse il suo sguardo verso Amu. Inclinò leggermente la testa di lato.

- E tu chi sei?

Fu come se le crollasse il mondo addosso. In quel momento sperò con tutta lei stessa di aver sentito male, oppure che il ragazzo stese scherzando. Stava per domandarglielo, ma la luce che aveva negli occhi di mostrava che non mentiva. Che davvero non sapeva chi era. Il suo sguardo la scrutava da cima a fondo, disorientato. Gli occhi le si riempirono di sangue più di prima. Le sue guance diventarono rosse, mentre gocce vermiglie cadevano a terra.

- M-mi stai… stai… - non riuscì a dire nulla. Abbassò lo sguardo. Dopo tutto quel tempo che lo aveva desiderato… in quel momento voleva che sparisse. Questo era peggio di sapere che era morto, era peggio di perderlo. Almeno lì poteva sapere che non c'erano speranze di stargli accanto. Ma, in questo modo… perché non si ricordava di lei?

Sata osservava la scena silenziosamente. Il suo sguardo preoccupato era rivolto ad Amu. Soffriva davvero, peggio di prima. Non l'aveva mai vista così. Il suo sguardo poi si posò su Ikuto e in un istante le sue guance s'infiammarono d'imbarazzo. La Majo si avvicinò ad Amu e le si avvicinò per tentare di consolarla. Ma c'era poco che potesse fare. Per questo preferì afferrare lo zaino e tirare fuori pantaloni neri e camicia bianca.

- Almeno tu vestiti! - esclamò cercando di non guardarlo, mentre gli lanciava i vestiti.

- Eh? Ah si! - disse lui afferrandoli ed iniziando ad indossarli. Guardava le ragazza sempre più confuso. Non sapeva chi erano, che cosa volevano. Poi non sapeva perché erano lì e perché lui era lì. Non ricordava nulla di sé. Neanche il suo nome. La confusione più totale aveva avvolto tutta la sua mente.

- Perché… - non faceva altro che ripeterlo la ragazza dai capelli rosa. Rannicchiata a terra. Singhiozzava e lui ignorava il motivo. - Perché? Come hai potuto!

Gli urlò poi guardandolo.

- Cosa? - le domandò. Il suo volto era dipinto di stupore e incomprensione. Che cosa voleva quella ragazza da lei. Passò lo sguardo dall'alto in basso. Doveva ammettere che era carina, ma proprio non capiva chi fosse.

Stava per alzarsi e avvicinarsi a lui, ma l'altra dai capelli bianchi la trattenne e, voltatasi verso il ragazzo lanciò un incantesimo che lo fece addormentare all'istante.

- Cos'hai fatto Sata? - domandò preoccupata Amu.

- L'ho addormentato e gli ho fatto perdere la memoria. Non avrà alcun ricordo di questo momento, è meglio così. - rispose mentre le porgeva un fazzoletto per asciugarsi il sangue che ancora sgorgava dai suoi occhi.

- Grazie… - le disse afferrando il panno e colorandolo di rosso bordeaux. - Ma adesso che cosa…

- Ci penso io. - rispose sicura di sé la ragazza.

- A fare cosa?

- Beh, intanto a dargli un posto dove vivere…

Il volto di Amu si velò d'incomprensione.

- Eh?

Sata si avvicinò al ragazzo e gli mise una mano sul petto, che con grande sorpresa della vampira si alzava e si abbassava.

- Amu, è tornato umano. - le disse con dolcezza e allo stesso tempo tristezza.

- N-non è possibile… - mormorò incredula.

- Invece lo è. - rispose la Majo. - L'incantesimo che hai praticato era un incantesimo puro, che risvegliava la bontà e l'innocenza della magia bianca. Non avrebbe mai riportato una creatura dannata in vita.

La spiegazione della ragazza non faceva una piega. Ma Amu non voleva crederci. Non poteva essere.

- Ma posso sempre trasformarlo io… - disse e fece per avvicinarsi, ma Sata la fermò.

- Ragiona, vorresti davvero farlo in questo modo? - le chiese. - E poi, credi davvero che se lo trasformeresti lui si ricorderebbe di te solo perché sarebbe un vampiro? Amu, prima tenta di fargli riaffiorare la memoria e poi trasformalo con il suo consenso, è un consiglio che ti auguro di seguire.

Amu abbassò lo sguardo. Aveva dannatamente ragione. Eppure lei si sentiva lo stesso triste. E se Ikuto non si sarebbe più ricordato di lei? Sarebbe stata la fine e si sarebbe maledetta per averlo riportato in vita.

Sorrise triste, facendo una risata nervosa, guardando il corpo del ragazzo che dormiva beato.

- Dove lo porterai? - le domandò.

- Non so, probabilmente davanti a qualche casa che potrebbe accoglierlo, ci sarà pure qualcuno disposto ad ospitarlo.

- Potresti farlo tu.

- No che non posso farlo io. - rispose.

- Perché?

- Perché le Majo devono vivere da sole, non possono avere distrazioni durante il giorno, perderebbero troppo spesso il contatto con il divino.

- Neanche per poco?

- Mi spiace. La mia scelta di diventare una Majo è stata seria e non posso gettare all'aria tutto proprio adesso. Nemmeno per un'amica. - si tappò la bocca di scatto. Le era uscito spontaneo dirlo.

Amu le rivolse uno sguardo sorpreso sbattendo più volte le palpebre.

- Cos'hai detto?

- Che la mia scelta di Majo è stata seria.

- No dopo.

- Che non posso gettare tutto all'aria…

- Mi consideri davvero così?

Sata si fece seria. Non ci aveva mai pensato bene. Quella ragazza era pur sempre un vampiro. Un vampiro particolare però. Non che provasse sentimenti o qualcos'altro di particolare. Solo che in quel periodo che l'aveva aiutata aveva capito che non esiste una creatura pienamente malvagia, come non ne esiste una pienamente buona. Lei ci teneva davvero tanto a quel ragazzo.

- Credevo che i vampiri non provassero sentimenti, come puoi amarlo? - le domandò.

- Lui infatti non provava lo stesso che provavo io… - le disse. - Credo dipenda da cosa provi quando sei viva. Io provavo questo sentimento per lui in vita e anche se sono morta ho continuato a provarlo. Lui non mi conosceva fin da quando era vivo. Probabilmente per me provava solo attrazione. Non lo avrei mai definito amore.

- Questo non ti rendeva un po' triste?

- No, perché anche se non provava l'amore, il suo sentimento nei miei confronti era comunque profondo. - rispose, lo sguardo era assente, come alla ricerca di ricordi lontani. Come guardava il ragazzo lì a terra poi, sembravano ancora più lontani. Si voltò, era insopportabile la visione di quel ragazzo, sapendo che come si sarebbe svegliato le avrebbe chiesto di nuovo chi fosse. - Io torno a casa. Lo lascio a te…

Sata annuì. Una volta che Amu se ne fu andata rivolse completamente la sua attenzione ad Ikuto. Il ragazzo stava ancora dormendo. Beh, doveva sbrigarsi. Con tutta la forza che possedeva, lo prese per le ascelle iniziando a trascinarlo. Stando attenta a non fargli male. Passò davanti casa sua. Non poteva lasciarlo lì vicino. Anche se il paesino non era così grande, era meglio se lo avesse portato più lontano. Passò davanti alla chiesetta. Avanzò ancora un po' fino a che le braccia non resistettero più e lasciarono cadere, anche se non bruscamente, il corpo del ragazzo. Si guardò intorno, da quella angolazione casa sua nemmeno si vedeva. Era perfetto. Gli abitanti della casa dove lo aveva lasciato non li conosceva, ma cercò di pensare positivo. Dopotutto perché sarebbe dovuta capitare proprio la sfortuna che non lo avrebbero accolto?

Si guardò intorno un'ultima volta, prima di rientrare a casa sua per farsi una lunga dormita.


Il soffitto era chiaro. Come tutta la stanza del resto. Doveva ancora trovare un particolare che si avvicini almeno all'arancione. I colori prevalenti erano il verde pastello e il giallo chiaro. Le coperte che riscaldavano il suo corpo erano verdi e le lenzuola bianche, come il cuscino. Era un letto classico, molto semplice. Non sapeva perché, ma si trovava a disagio in quella stanza. Sicuramente non l'aveva mai vista prima. Ma non faceva poi molta differenza. Era come se la sua mente fosse vuota. Non capiva nulla, non ricordava nulla. Non sapeva chi era o che aspetto avesse. Si guardò intorno, infondo alla stanza c'era uno specchio. Lentamente scivolò via dalle coperte. E sempre piano si andò a specchiare. Vide un ragazzo. Di appena diciotto anni. Capelli di un blu notte lucente, lunghi fino alle spalle con alcuni ciuffi che gli ricadevano sul viso. Gli occhi erano di un viola profondo, misterioso. Si accorse che in quella stanza faceva piuttosto caldo. Preferì quindi slacciarsi la camicia ed abbandonarla a terra. Aveva la carnagione chiara ed era molto magro, come se non mangiasse da mesi.

Proprio in quel momento la porta si aprì e fece capolino una ragazzina sui tredici anni. Bionda e riccia, i capelli raccolti ai lati della testa con due fiocchi azzurri. Gli occhi verde scuro, protetti da due lenti su una montatura rossa, saettavano da tutte le parti, mentre il colore rosso si faceva sempre più vivo sulle sue guance.

- Ehm… - fece imbarazzata. - S-scusami…

Il ragazzo non ci fece caso e le fece un gesto della mano come a dire 'lascia stare, non importa'.

- Piuttosto chi sei? - le domandò invece.

La ragazzina, sempre imbarazzata, abbassò lo sguardo e balbettò:

- I-io sono Mimi.

- Tu mi conosci?

- Veramente no… - rispose leggermente confusa. - Io e mia madre ti abbiamo trovato addormentato davanti alla nostra porta e ti abbiamo accolto. Dovresti essere tu a dirmi il tuo nome.

- Lo direi se lo sapessi… - disse più a sé stesso che alla ragazzina.

- Se vuoi te lo do' io un nome! - esclamò sorridente.

Lui la guardò un attimo, indeciso sul da farsi. Poi acconsentì.

- Sentiamo.

- Mmm… - iniziò a fare pensierosa. - Beh… visto che siamo in primavera, consiglierei di chiamarti Haru!

- E perché mi chiameresti come una stagione?

- Beh, ti si addice parecchio. - fece timidamente.

- Beh, credo che potrebbe andare provvisoriamente. - propose.

Mimi sorrise annuendo. Il rossore dalle sue guance non era ancora sparito, quando la madre fece capolino nella stanza.

- Oh ti sei svegliato! - esclamò allegra. Il ragazzo squadrò anche lei. Doveva avere sui trentacinque anni. Gli occhi erano identici a quelli della figlia, solo i capelli erano invece che biondi, arancio. - Piacere, io mi chiamo Amhelia. Tu?

- Non si ricorda niente, così gliel'ho dato io un nome. - disse Mimi sempre sorridente.

- Oh, ma davvero?! E adesso come ti chiami allora? - chiese sempre rivolta a lui.

- Haru. - rispose il ragazzo. Sentiva che lui non poteva chiamarsi così, ma meglio di niente per il momento. Doveva pur avere un'identità.

- Haru eh? Che nome grazioso! - se lo trovava grazioso lei buono a sapersi.

- Già. - rispose indifferente. - Dove siamo?

Chiese poi guardandosi intorno. Notando però gli sguardi confusi delle due, precisò.

- Intendo dire il nome del paese.

- Oh, siamo a Mitsuyo. - rispose Amhelia. - Vuoi fare colazione?

Chiese poi cambiando argomento.

- Oppure vuoi prima farti un bagno?

Il ragazzo, o meglio, Haru, acconsentì a questa alternativa. Aveva anche fame, ma prima voleva lavarsi. Si sentiva come se fosse restato fermo per mesi.

Venne guidato da Amhelia verso il bagno, dove una vasca piena di acqua tiepida lo attendeva.

- Grazie. - disse prima di chiudere la porta ed iniziare a spogliarsi. Si immerse e una piacevole sensazione lo avvolse. Gli sembrava che fosse passata una vita dall'ultima volta che aveva toccato l'acqua e fatto il bagno. Restò più di mezz'ora lì dentro, lavandosi per bene il corpo e i capelli. Quando uscì si avvolse in un asciugamano giallo ocra. Quella casa era troppo colorata e, nonostante non gli fosse ancora chiara la sua identità, era sicuro che odiasse i colori vivaci. Si guardò intorno fino a trovare i vestiti che la donna gli aveva lasciato. Si trattava di un pantalone e una semplice casacca. Pantaloni bianchi e casacca nera. C'era insieme anche una cinta in cuoio, ma preferì non metterla. Si frizionò per bene i capelli, se li lisciò con le mani per non lasciarli spettinati ed evitare che da asciutti sarebbero risultati un groviglio di fili.

Dopo aver gettato via l'acqua uscì dal bagno e seguendo un buonissimo profumo, raggiunse la cucina.

- Oh, hai finito con il bagno? - domandò dolcemente Amhelia.

Il ragazzo annuì.

- Allora vado. - annunciò Mimi dirigendosi verso la stanza, per fare anche lei un bel bagno caldo.

- Hai fame? - domandò la donna. - Vuoi un po' di latte con qualche biscotto?

- Si, grazie. - rispose sedendosi.

Gli venne offerta una tazza di latte fumante con accanto qualche biscotto all'uvetta. Trangugiò tutto con avidità, aveva una fame da lupi. Chissà da quanto non mangiava.

- Da dove vieni? - gli chiese la donna.

Lui alzò lo sguardo, mentre finiva di bere l'ultimo goccio di latte.

- Non lo so. - rispose posando la tazza e incrociando le dita per poggiarci il mento. - Non ricordo nulla del mio passato e neanche di quello che è successo ieri. Figuriamoci poi perché questa mattina mi trovavo davanti la vostra porta.

- Quello che so è che sicuramente sei un bravo ragazzo. - disse convinta Amhelia, sorridendo e sedendosi davanti a lui.

Haru ricambiò il sorriso, sospirando. La sensazione di avere la mente vuota era una cosa terribile. L'unica cosa che poteva fare era sperare di ricordare al più presto.

Poco dopo disse che sarebbe andato a fare un giro fuori, giusto per sgranchirsi un po' le gambe, respirare e visitare il luogo dove si trovava. Amhelia annuì, dicendogli di tornare per il pranzo. Avevano deciso che avrebbe vissuto da loro, almeno fino a che i ricordi non sarebbero riaffiorati.

Iniziò a camminare per le vie del mercato, c'erano tante persone. Si chiese se ci fosse qualche manifestazione o se proprio fosse così tutti i giorni. Avrebbe potuto chiederlo a qualcuno, ma poi realizzò che non gli interessava granché, quindi passò oltre. Arrivò vicino all'ingresso di un bosco che sembrava essere molto fitto. Era indeciso se entrare oppure sedersi semplicemente a rilassarsi sotto i raggi del sole.

- Vada per la seconda. - si disse sedendosi. Notò che dietro di lui c'era una villa. Probabilmente la casa più grande del paese. In pessime condizioni però. Una famiglia ricca che aveva fatto una pessima fine probabilmente. Non sapeva perché, ma qualcosa glielo suggeriva.

Si distese sull'erba fresca. Eh si erano proprio in primavera. Altrimenti non ci sarebbe stato quel sole tiepido ad accarezzargli il volto.

Stava per addormentarsi sotto quel tepore, quando si alzò. Fu un attimo. Intravide qualcosa tra gli alberi che aveva davanti. Una figura che si era ritratta bruscamente e che adesso stava tornando indietro. Probabilmente una persona normale non l'avrebbe seguita. Ma non si sentiva così normale dal resistere a farlo. Per questo non perse tempo e si avviò all'interno del bosco. Probabilmente quella persona non si aspettava di essere seguita, perché in pochi minuti la trovò che camminava tranquilla per un sentiero. Non poteva essere che lei, non c'era nessun altro in quel luogo.

Era una ragazza. Si era subito accorta di lui, non appena aveva provato ad avvicinarsele.

Si girò di scatto, i capelli rosa si mossero dolcemente mentre girava il capo. E non appena voltatasi lo investì con due occhi caramello, profondi, che esprimevano sorpresa. A quello sguardo avvertì un fremito. Se non fosse stato per il viso e le forme sinuose, dal modo in cui si vestiva, l'avrebbe scambiata per un ragazzo. Portava dei pantaloni stretti neri, una camicia molto larga bianca e per finire dei stivali in pelle nera. Era molto più bassa di lui e lo fissava stupita e, quasi spaventata.

- Scusami io… - non sapeva che cosa dire. Di certo non poteva rifilarle una semplice scusa come 'stavo facendo un giro'.

- Mi avevi vista, non è così? - gli chiese con uno sguardo d'intesa. La paura e lo stupore che aveva intravisti prima erano scomparsi. - Chi sei?

Se solo quel ragazzo avesse saputo quanto le costava recitare quella scenetta, facendo finta che non lo conoscesse. Se avesse potuto gli sarebbe saltata addosso non appena lo aveva visto. La casacca per portava aveva una scollatura a 'v' che gli lasciava intravedere il magnifico fisico che aveva visto tante volte e che non si era mai stancata di ammirare.

- Mi chiamo Haru. - rispose, poi si affrettò ad aggiungere… - temporaneamente.

Haru? Temporaneamente? pensò. Le sarebbe scappato da ridere se non avesse saputo che era normale quello che stava accadendo.

- Io sono Amu. - si presentò a sua volta.

Il ragazzo non sapeva perché, ma era come se un sentimento lontano stava sbocciando in lui come i fiori a primavera. D'un tratto si chiese se quella ragazza non l'avesse già vista da qualche parte, magari lo conosceva e non lo aveva riconosciuto.

Amu lo guardava. Aspettava paziente una sua frase, qualcosa che uscisse dalle sue labbra. Fosse stato anche solo un piccolo suono, voleva sentirlo dalle sue labbra.

- Tu… - le avrebbe voluto chiedere se lo conosceva, ma poi ci ripensò, quanto poteva essere cambiato per farle domandare chi sei, se mai l'avesse conosciuto. - sei di queste parti?

Amu annuì, leggermente delusa.

- Anche tu suppongo.

- Solo da oggi. - rispose. Stava dando risposte assurde. Ma alla ragazza sembrava non importare. Era davvero un tipetto interessante. Lo aveva capito subito che c'era qualcosa di strano in lei e di speciale. - Tu?

- Circa sei anni.

- Più o meno?

- Più.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, il sole era alto in cielo e si avvertiva il calore dei raggi più di prima.

- Direi che è ora che rientri. - disse Haru guardando la ragazza davanti a sé.

Lei sorrise annuendo.

- Possiamo rivederci? - domandò il ragazzo d'istinto.

- Accadrà sicuramente. - rispose sempre con il sorrise ad incresparle le labbra.

- Ti va di venire a pranzo con me?

- Ho un appuntamento. - rispose voltandosi e continuando a camminare. Poi, prima di continuare, si fermò e ruotò la testa di lato, guardandolo con la coda dell'occhio. - Ci vediamo.

La guardò allontanarsi. Le emozioni che gli scaturivano dentro non sapeva spiegarle e tanto meno sapeva spiegare il motivo di esse. Conosceva quella ragazza da mezzo minuto, eppure già non vedeva l'ora di rivederla.

Si voltò anche lui e rientrò da Amhelia e Mimi.

- Scusate il ritardo. - disse sedendosi.

- Oh, ma non lo sei! - esclamò la donna posando un piatto d'insalata sulla tavola, prima di sedersi anche lei.

Mentre pranzavano, notava che Mimi gli lanciava ogni tanto qualche occhiatina. Ma come lui si voltava a guardarla, lei girava la testa imbarazzata. Arrossendo come un peperone. Non seppe perché, ma gli uscì un sorriso beffardo. Era qualcosa che si poteva sfruttare nei momenti più 'critici'.

Il resto della giornata passò velocemente. Lui aiutò un po' con i lavori Amhelia, anche se poteva solo portarle fuori la spazzatura o per lo più montare credenze. La donna sembrava comunque apprezzare il suo lavoro. Mimi gli stava sempre intorno. Sistemandosi di tanto intanto gli occhiali e pulendoli più volte. Mossa strategia per mostrargli il suo viso privo di qualunque oggetto superfluo. Ogni volta, prima che lui si voltasse a guardarla, si sistemava i codini e si rifaceva per bene i fiocchi. A lui questa cosa faceva ridere. Si vedeva lontano un miglio che era attratta da lui. Cosa a cui ovviamente Haru non dava peso.

- Esco un po'. - annunciò non appena ebbero finito di cenare.

- Posso venire? - chiese la biondina.

- Mi dispiace, ma vorrei stare un po' da solo. - rispose. Ma la verità era che sperava con tutto il cuore di rivedere quella ragazza dai lunghi capelli rosa e da quegli occhi caramello. Si passò la lingua fra le labbra senza rendersene conto. - Scusatemi.

Mimi fece una faccia delusa ma annuì, anche se il ragazzo era già uscito.

- Coraggio Mimi, cerca di capirlo, non ricorda neanche chi è. - le disse sua madre.

La ragazzina fece un mezzo sorriso. Anche se il dispiacere era difficile da nascondere, soprattutto a sua madre.

Haru camminava lentamente, scrutando ogni angolo che gli si presentava sotto gli occhi, voleva trovarla, rivederla. Eppure era passato poco dal loro incontro. Perché quella ragazza lo faceva sentire così? Bella domanda, figurati se lui sapeva risponderti.

Decise che era meglio non pensarci, ma continuare a camminare, godendosi il vento primaverile. Sentiva un po' freddo, forse avrebbe dovuto mettersi qualcosa di più pesante. Ma ormai…

Stava ancora camminando, quando vide una figura in lontananza. Era una ragazza. Per un attimo pensò che potesse essere lei, Amu. Poi capì che non poteva essere lei. Non aveva voglia di incontrare gente nuova, ma a quanto pare la ragazza non la pensava così. Infatti si staccò dal muro, dove prima ci aveva appoggiato la schiena. Camminò verso di lui, fino ad arrivargli a pochi centimetri dal viso. Ora la vedeva benissimo. Aveva dei lunghi capelli biondi, un biondo molto chiaro. Raccolti ai lati in due codini, anche se i capelli rimanevano comunque molto lunghi e le arrivavano alle ginocchia. Gli occhi erano due perle di un viola chiaro, sfiorava il lilla. Aveva un sorriso beffardo dipinto sul volto e uno sguardo penetrante e familiare.

- Chi sei? - chiese sospettoso.

Lei inclinò la testa di lato e per un momento l'espressione satirica si trasformò in un'espressione di stupore.

- Ma come? - domandò raddrizzando la testa. - Non dirmi che non ti ricordi di tua sorella Utau.

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Capitolo 20
*** Doubts ***


Due bambini che correvano veloci, la femmina che inseguiva il maschio. Due anni di differenza, ma due mondi completamente diversi. Il bambino aveva i capelli di un blu notte intenso. La bambina aveva i capelli biondi, un biondo molto chiaro. L'unica cosa che li accomunava erano gli occhi. Ametista entrambi. Giocavano a rincorrersi, già, da lontano sembrava proprio così. In realtà il bambino stava fuggendo dalla sorella che lo rincorreva per convincerlo a giocare con lei.

- Dai Ikuto! Gioca con me! - esclamò una volta che riuscì a raggiungerlo. Erano arrivati sotto l'albero dove suo fratello si rifugiava spesso. Lei non sapeva arrampicarsi sugli alberi. Cosa a vantaggio di Ikuto. - Hey scendi!

Protestò la bambina, ma era tutto inutile. Suo fratello non sarebbe mai sceso.

- Non giocherò mai con te. - disse calmo. - Mi annoi.

- Dai! - si lamentò lei. - Se vuoi giochiamo a quello che vuoi tu, ma per favore! Fra poco nostro padre ci chiamerà per partecipare al consueto banchetto ogni venerdì sera, fammi stare un po' in tua compagnia.

- Come se non fosse già troppo il tempo che passo con te. - disse quasi con disprezzo.

Utau si rattristò non poco, mentre il fratello mostrava solo indifferenza nei suoi confronti.

- Mi odi così tanto? - gli domandò con le lacrime agli occhi.

Ikuto sbuffò.

- La risposta la conosci già. - rispose enigmatico, mentre saliva ancora più in alto. Segno che non voleva essere disturbato. Forse era proprio il suo modo di trattarla male, di evitarla, che la rendeva così pazza dalla voglia di stargli accanto. Dalla voglia di toccarlo…

Utau se ne andò. Il capo chino, le lacrime a rigarle le guance che segnavano la strada che stava percorrendo. Davanti a lei si vedeva bene la loro villa. La famiglia Tsukiyomi era la più rinomata in quel piccolo paesino senza nome. Per questo sia lei che suo fratello avevano molti pretendenti.

A quel tempo lui non sapeva ancora 'gestire' la situazione, come poi aveva imparato, con le ragazze o in quel caso con le bambine.

Lei invece non aveva mai imparato. Ogni volta che stava davanti ad un ragazzo non riusciva a non seguire le lezioni impartitele da sua madre e da suo padre. Cioè essere carina, gentile, timida e parlare poco, perché la cosa che vogliono i ragazzi è sentirsi ascoltare e vedere le ragazze interessate, anche se poi lei non lo è mai stata con nessuno di loro.

Non sapeva perché le era rivenuto in mente quel momento insieme al fratello quando erano bambini. Probabilmente perché anche adesso stava versando lacrime a causa sua.


- Chi sei? - chiese sospettoso.

Lei inclinò la testa di lato e per un momento l'espressione satirica si trasformò in un'espressione di stupore.

- Ma come? - domandò raddrizzando la testa. - Non dirmi che non ti ricordi di tua sorella Utau.

Il ragazzo non mosse un muscolo. No, non si ricordava.

- Tu… saresti…

- Sua sorella? - non fece in tempo a finire la frase che un'altra persona la finì per lui.

Entrambi si girarono verso due ragazze. Tutte e due con i capelli lunghi, rispettivamente bianchi e rosa. La ragazza dai capelli candidi e due occhi grandi e arancioni aveva la mano sopra la bocca dell'altra. I quali occhi gialli esprimevano solo stupore.

Il ragazzo guardò verso di lei e la penetrò con il suo sguardo ametista.

- Mi stavate spiando? - chiese con un po' di malizia nella voce. Anche se la domanda era al plurale, a chi era rivolta era fin troppo chiaro.

- Ehm… - tentò di dire Sata, ma una scusa valida non le uscì di bocca. - Noi stavamo passeggiando.

Ikuto, conosciuto ancora come Haru, alzò le sopracciglia, con uno sguardo tra lo stupito per la banalità della frase e il divertito per via di quella strana situazione. Lui che aveva perso la memoria si trovava di fronte una ragazza che gli diceva di essere sua sorella e improvvisamente spuntano fuori l ragazza che lui aveva visto quella mattina e un'altra che non sa nemmeno chi sia.

- Ti prego… - disse Utau derisoria. - Chi siete voi? Talmente tanto interessate a mio fratello da avere il consenso di spiarci?

Amu si tolse la mano della Majo dalla bocca.

- Hey stronzetta, bada a come parli, come facciamo ad essere certi che tu sia sua sorella? - domandò in tono di sfida e con qualche traccia di gelosia nella voce, aveva intuito che anche fosse stata la sorella, non era certo amore fraterno quello che provava per il suo Ikuto.

Ikuto se ne accorse e non seppe perché, ma sorrise, senza pensare a perché lo avesse chiesto visto che secondo le sue informazioni lei non lo conosceva. Quella ragazzina aveva la strana capacità di fargli andare il sangue al cervello e di stravolgergli tutte le emozioni.

Utau fece una faccia stupita, strabuzzò gli occhi e poi fece una risatina sardonica.

- Vuoi sapere come? Credi che lui non te lo saprebbe dire?

Lo sguardo di Amu si rattristò un poco.

- Ne dubito… - mormorò stringendo forte i pugni.

Utau mise le mani sui fianchi e guardò la ragazza accigliata.

- Che intendi? - domandò.

- Non hai ancora capito che ha perso la memoria? - le chiese con un misto fra tristezza e rabbia. - E poi dovresti averla avvertita la sua situazione…

Lasciò la frase sospesa, facendole capire che Ikuto era tornato umano e che sapeva che anche lei era un vampiro. E come non poteva esserlo? Ikuto aveva di sicuro più di duecento anni, sua sorella non poteva essere umana.

Utau fece una smorfia e annusò l'aria. Ikuto nemmeno se ne accorse, tanto era occupato a fissare quella strana ragazza.

- Ha ragione… - mormorò a denti stretti la vampira una volta constatato che suo fratello non era più un vampiro. La tentazione di trasformarlo lei era difficile da reprimere. Ma se lo avesse fatto non ci sarebbe stato nulla per cui divertirsi. Suo fratello guardava troppo spesso quella ragazzina dagli occhi ambrati. Questo non andava affatto bene. Quindi ecco il suo piano. Gli avrebbe fatto ricordare chi era lei e lo avrebbe vampirizzato con il suo consenso, sotto lo sguardo triste e incredulo della rosellina. - Vuoi dirmi come ti chiami?

- E fortuna che sei mia sorella, mi hanno chiamato Haru. - rispose Ikuto.

Utau spalancò gli occhi dallo stupore.

- Stai scherzando vero? - domandò. - E comunque mi riferivo a…

- Mi chiamo Amu. - rispose la ragazza, intuitiva.

- Amu? Credo che il mio nome non c'è bisogno di ripeterlo. - disse riferendosi al fatto che avevano origliato. - Comunque il tuo nome non è Haru.

- Tu conosci il mio vero nome? - domandò speranzoso il ragazzo.

- Anche Amu lo conosce. - rispose Sata, che era rimasta in disparte fino a quel momento.

Ikuto volse lo sguardo verso la rosa. Il piano di Amu di fargli ricordare piano piano ricominciando tutto da capo stava iniziando ad estinguersi.

- Perché hai finto di non conoscermi?

- Non volevo confonderti ulteriormente. Ma a quanto pare tua sorella qui la pensa diversamente. - disse quella parola con disgusto.

- Beh, visto che ormai sono abbastanza confuso dimmi almeno come mi chiamo. - disse il ragazzo avanzando verso Amu.

- Ti chiami Ikuto. - disse lei guardandolo dritto negli occhi.

- Ikuto? Sicuramente è meglio di Haru. - commentò sorridendo. - Credo che per stasera io abbia fatto enormi progressi.

Era rimasto il solito sarcastico, anche con qualche ricordo in meno. Il ragazzo fece dietro front e dopo un breve cenno del capo se ne andò.

Amu fece un mezzo sorriso, mentre Utau le si avvicinava con uno sguardo più confuso che minaccioso.

- Ora tu mi dovresti una spiegazione. Perché lui è umano?

Amu annuì. Se era davvero sua sorella glielo doveva. In ogni caso ora non sospettava più tanto. Gli occhi erano proprio quelli di Ikuto e anche lo sguardo.

- Ikuto era morto. - disse tutto d'un fiato Amu. Se ci avesse pensato prima di dirlo non sarebbe riuscita a pronunciare quelle tre parole. - Con l'aiuto di Sata, questa ragazza qua, sono riuscita a riportarlo in vita.

- Ikuto era morto? - stupore e rabbia erano dipinti sul viso di Utau. - Come è possibile, è vissuto più a lungo di qualsiasi altro vampiro, che sbaglio ha fatto per morire?

- Mi ha salvata. - rispose cercando di rimanere impassibile. - La colpa della sua morte è stata solo mia. Per questo ho cercato di rimediare.

Utau era a dir poco furiosa. L'avrebbe uccisa se avesse potuto. Le si avvicinò e la prese per il collo, sollevandola da terra.

- Rimediare che cosa brutta… - non finì la frase che un vento potentissimo la scaraventò a terra, lontano da Amu.

- Prova di nuovo a farle del male e invocherò il fuoco. - la minacciò Sata. Era stata lei ad invocare il vento. Dopotutto la sua conoscenza magica era ampia e poteva evocare gli spiriti elementi senza l'aiuto del sale.

Utau ringhiò per la rabbia. Poi si ricompose. Sorrise, un sorriso malvagio. Si alzò tentando di pulirsi alla bell'e meglio il vestito. Guardò Amu con uno sguardo di sfida.

- Credi davvero che lui possa ricordarsi prima di te che di sua sorella? - le domandò. - Se la memoria cominciasse a fiorire nella sua mente, sicuramente non si ricorderebbe dell'ultimo anello della catena. Ma del primo.

Amu dovette reprimere l'istinto di fare a botte con lei, in quel momento non sarebbe servito.

- Non mi sembra che tu sia così importante per lui… - disse poi Amu. Non era affatto sicura di quello che stava dicendo, ma perché non divertirsi un po'. - Visto come mi guardava.

La vampira stava per attaccarla, ma preferì giocare le sue stesse carte.

- Probabilmente guardava più a te perché di me già ha un vago ricordo. - le disse sogghignando. - Comunque, è meglio continuare le lamentele domani, perché se non ti dispiace io ho fame.

Finì la frase per poi sparire tra gli alberi del bosco. Quella ragazzina l'aveva fatta imbestialire più di quanto avesse mai fatto nessun altro. Sapeva benissimo che Ikuto non si ricordava di lei e che probabilmente con il tempo che aveva perso per raggiungerlo lui aveva avuto il tempo di provare qualcosa per quella ragazzina, poi di morire addirittura per lei. Quello che aveva sognato tante volte su se stessa. Lei nei guai e lui che si sacrifica per salvarla. Non era mai successo e lui si era sacrificato per la persona sbagliata.

Questo era un dolore che non poteva essere attenuato con un semplice pasto certo, ma sicuramente l'avrebbe distratta un po'. Infatti, giusto il tempo di pensarlo, che una preda le si presentò davanti agli occhi.

Una ragazzina. Quanto poteva avere? Dodici, forse tredici anni.

Bene, la carne era morbida. Avanzò verso di lei. Si guardava intorno smarrita. Probabilmente si era persa. Certo, lei non poteva affatto darle torto, si perdeva sempre nei boschi.

- Ciao. - disse arrivandole alle spalle e facendola sobbalzare. - Ti sei persa?

Le domandò con un sorriso 'rassicurante'. La ragazzina le lanciò per un attimo uno sguardo diffidente, poi annuì.

- Si, tu puoi aiutarmi? - domandò. Speranza. C'era speranza nei suoi occhi.

Nella mente Utau sogghignò, era fin troppo facile con le ragazzine e ancora di più lo era con i ragazzini. I maschietti si fanno sempre abbindolare più facilmente. Non aveva mai capito il perché. Anche se una mezza teoria l'aveva…

- Certo, coraggio vieni. - rispose porgendole la mano.

Anche se un po' incerta l'afferrò sorridendo. Il sorriso rassicurante della bionda si trasformò in un ghigno sadico e privo di qualunque umanità.

Strinse forte la mano della ragazzina e la sbatté contro un albero, mozzandole il respiro per un attimo. Balbettò qualcosa che la vampira non capì. Ma non sarebbe di sicuro stato rilevante.

Si avvicinò alla ragazzina. La prese per il collo e la sollevò, portandola alla sua altezza. Poi la sbatté contro l'albero con più violenza, spaccandole la nuca. Sorrise. Le morse il collo in un secondo, bevendo avidamente il suo sangue.

Una volta cenato si pulì la bocca e tornò indietro. Quella stessa sera, prima di raggiungere Ikuto, una casa si era stranamente liberata.


Scusate se il capitolo è corto. Ma purtroppo ho una brutta notizia. Ho dei problemi con la connessione internet e ho paura che non riuscirò a pubblicare molto presto il prossimo capitolo. Poiché c'è il rischio che fino al trentuno non potrò usufruire di internet. :( Mi dispiace tantissimo! In compenso però vi ho lasciati con questo capitolo che spero apprezzerete ^ ^

Fatemi sapere ^ ^

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Capitolo 21
*** My or our house ***


- Haru, mi aiuti con questo? - domandò Mimi alle prese con un nastro rosso per legarsi i capelli. Domenica. La domenica, come di consueto, si va alla messa. La ragazzina si stava preparando proprio per questo e, come di consueto, aveva chiesto aiuto al ragazzo.

- Si, arrivo. - rispose. Non aveva ancora detto né a Mimi né ad Amhelia che il suo vero nome non era Haru. Nonostante una settimana fa avesse scoperto molte cose di se stesso e della sua vita precedente, era comunque rimasto confuso e sotto certi punti di vista scioccato. Lui aveva una sorella e non lo sapeva, in effetti l'aveva intuito qualcosa quando l'aveva vista, ma non ricordando nulla non poteva immaginarlo. Inoltre quella ragazza dai capelli rosa lo conosceva, questa era una cosa che davvero non avrebbe sperato. Non aveva avvertito nulla di familiare con lei, ma qualcos'altro, di più profondo. Come se ci avesse condiviso qualcosa che non ricordava. Questo fatto era un tormento per lui. Inoltre non capiva perché aveva dimenticato tutto, che cosa gli era successo di così grave da fargli perdere la memoria? Questo non se lo spiegava. Avrebbero dovuto sbatterlo contro una roccia per fargli dimenticare anche il suo nome.

Si avvicinò alla ragazzina che stava davanti allo specchio e con la mano destra teneva i capelli trattenuti in una sorta di chignon.

- Che devo fare? - le chiese.

Mimi gli porse il nastro rosso e sorrise.

- Devi solo legarmi i capelli, stando attento a non farne uscire neanche una ciocca.

- Perché non ti fai aiutare da Amhelia? - le domandò sbuffando.

- Perché anche lei si deve preparare per la messa. - rispose mentre il ragazzo afferrava il nastro e iniziava a passarglielo intorno allo chignon, per poi legarglielo in un grosso fiocco rosso.

- Che ne dici? - le domandò mettendo le mani in tasca e osservandola con aria di sufficienza.

Mimi ampliò il suo sorriso.

- Questo devi dirmelo tu. - rispose voltandosi verso. - Come sto?

Ikuto cercò di sorridere meglio che poté.

- Bene. - rispose. A dire il vero non lo pensava affatto. Non perché fosse brutta, ma perché con quel fiocco rosso e quel vestitino abbinato, tutto fiocchi e merletti, gli sembrava un uovo di Pasqua.

- Dici davvero? - chiese ancora tutta emozionata per il suo complimento forzato.

- Si si, dico davvero. - rispose per poi voltarsi e uscire dalla sua stanza.

Darle false speranze non sarebbe servito a nulla, almeno non ancora.

- Haru, tu vieni con noi? - domandò Amhelia una volta uscita dalla camera. Ecco, il secondo uovo di Pasqua. Questa però era vestita in verde. Aveva anche lei uno chignon, con una rosa color muschio a decorare. L'abito non lasciava scoperto nemmeno il collo ed era di un verde molto chiaro.

- No, grazie, preferisco fare una passeggiata. - rispose.

- Non sei mai andato alla messa con la tua famiglia? - domandò Amhelia quasi preoccupata.

- Non che io ricordi.

- Capisco. - disse pensierosa.

- Io esco, ci vediamo dopo la vostra messa. - fece poi e con un sorrisetto di scherno uscì di casa, ispirando a pieni polmoni l'aria primaverile. Amhelia, quella donna era davvero sciocca a volte. Per non parlare di sua figlia che si vedeva lontano un miglio quanto fosse cotta di lui. L'unica cosa che lo teneva con quelle persone era il fatto che gli offrivano vitto e alloggio. Prima o poi le avrebbe mandate al diavolo. Non aveva alcun interesse per quelle due, altrimenti non si sarebbe lasciato chiamare ancora Haru.

La domenica mattina, ora di messa e di pentimento religioso. Non c'era anima che vagasse per le vie di quel paesino. Una cosa alquanto emozionante per un gatto solitario come lui. Aveva riflettuto molto negli ultimi giorni su chi poteva essere stato prima, sentiva come di non appartenere a quel mondo, a quella realtà. Come se fosse stato una macchia nera in uno spazio bianco e la cosa strana era che sentiva di non essere l'unica macchia nera su quella tela. Finì col pensare di nuovo a lei. Erano passati alcuni giorni dall'ultima volta che l'aveva vista. Di giorno poi sempre più raramente. Per questa usciva più spesso la notte. Ultimamente però aveva avuto la strana impressione che lei lo stesse evitando. Che aspettasse che lui rientrasse in casa per uscire allo scoperto. Che diavolo combinava a quell'ora di notte lui lo ignorava. Inoltre si era spesso domandato dove vivesse e con chi. Il paesino era piccolo e in cinque giorni aveva già memorizzato i volti degli abitanti, constatando che in nessuna delle abitazioni lì vicino viveva la ragazza dai capelli rosa. In compenso aveva scoperto dove viveva quella dai lunghi e lisci capelli bianchi, constatando anche che non era molto distante dalla casa dove stava lui. Aveva reputato utile questa cosa, magari quella ragazza sapeva qualcosa su di lei. Però non aveva mai preso in considerazione l'idea di chiederle qualcosa. In un certo senso non era pronto e poi non poteva essere sicuro che quella ragazza gli avrebbe riferito le cose che voleva sapere. Anche perché lui non era solo interessato a chi era lei… Mah, aveva come la strana sensazione che fosse qualcosa di più di una semplice persona.

Fatto sta che non era solo Amu a tormentare la sua mente con i dubbi. Ma anche l'altra ragazza. Utau. Lei gli aveva detto di essere sua sorella e lui ci credeva. Quello era il problema. Perché voleva dire che aveva una famiglia da qualche parte o magari l'aveva avuta. Inoltre doveva capire perché dolo lei era venuta a cercarlo. A volte l'aveva sorpresa spiarlo durante la notte. Ma non gli si era mai avvicinata, altra cosa di cui non capiva il motivo. La prima volta sembrava non volerglisi allontanare di un centimetro e ora non gli si accostava neanche per sbaglio.

Si passò una mano fra i capelli. Forse se sarebbe andato in chiesa non si sarebbe fuso il cervello con questi pensieri. Ma era più forte di lui. Non l'aveva nemmeno presa in considerazione quella opzione. Era come se una parte di lui gli dicesse che non aveva nulla a che fare con quel posto, perché con le persone come lui era inutile. Lui era votato a qualcos'altro. Non avrebbe saputo dire a che cosa, ma lo avvertiva. La sua mente era orientata verso qualcos'altro. Cos'avrebbe dato per sapere il suo passato lo sapevano lui e Satana. Sorrise. Forse era quello che sentiva.

Scosse la testa. Che robe andava a pensare? Cercò di proseguire la sua camminata mattutina e godersi il silenzio che abitava quelle vie. Ma era come se c'era un fastidioso vociare che aveva luogo nella sua mente e che gli impediva di rilassarsi. Proseguì lo stesso, cercando di liberare la mente quando, alla vista di lunghi capelli rosa al vento, essa si liberò da sola. Era di spalle, stava in un vicolo dove non batteva il sole. A quanto pare non le piacevano molto i caldi raggi mattutini. Le si avvicinò silenzioso come un gatto.

- Chi si rivede… - le disse. Non doveva averlo sentito, perché fece un piccolo salto nell'udire la sua voce.

Si voltò incastonando le sue pietre dorate nelle due ametiste del ragazzo. Non c'era nulla da fare, ogni volta che lo guardava mille cose dentro e fuori di lui prendevano fuoco. Come se si surriscaldassero. La osservò attentamente. Aveva i capelli raccolti in una cosa, con un nastro nero. Era vestita in modo strano come al solito. Pantaloni in pelle, casacca panna sopra, stretta in vita con una cinta di cuoio.

- Ciao. - disse la ragazza con un mezzo sorriso.

- Hey… - fece lui avvicinandolesi. Ogni volta che la guardava quello che gli passava per la testa era tutto fuorché pensieri puri. Altro che la cotta che si era presa Mimi per lui. Avesse potuto fare quello che voleva subito…

- Che ci fai qui? - gli domandò.

- Facevo un giro. - rispose facendo spallucce.

- Da solo e a quest'ora? - gli domandò tentando di non ridere.

- Mi piace stare da solo. - rispose.

Amu alzò le mani.

- Allora non ti disturbo… - gli stava passando accanto, ma lui la recuperò subito prendendola per un braccio. Lei si voltò incuriosita. - Ma come, avevi appena detto che ti piace stare da solo.

- Beh, anche stare da solo con te non mi dispiace. - rispose con un mezzo sorriso.

Amu ricambiò posizionandosi di nuovo davanti a lui.

- Da quanto mi conosci? - le domandò. Non ne poteva più dalla curiosità di domandarglielo.

- Si può dire da due mesi. - rispose.

- Sai perché non ricordo nulla?

La ragazza per un attimo rimase zitta, indecisa sul da farsi.

- No. - rispose in fine.

Ikuto si rattristò non poco. Sperava che almeno lei gli avrebbe dato le risposte che cercava. Ma forse qualcos'altro lo sapeva di lui.

- Per caso puoi dirmi qualcosa sul mio passato? - le chiese speranzoso.

Lei scosse piano la testa, gli occhi velati di un sottile strato di tristezza.

- No, non sei mai stato un tipo molto estroverso. - rispose. Non so nulla su di te… pensò scoraggiata. Dicendosi quanto era stata sfortunata con l'incantesimo che aveva praticato.

- Sai almeno dove vivevo? - domandò.

Amu esitò un attimo. Se gli avesse risposto di no lui avrebbe capito subito che sarebbe stata una balla. Conoscere una persona da due mesi e non sapere nulla su di lui era già abbastanza strano.

- Si. - disse.

- Come siamo monosillabici. - commentò sarcastico. - Mi ci puoi portare?

Era impercettibile, ma lui se ne accorse comunque. Il corpo della ragazza era stato scosso da un fremito. Teneva gli occhi bassi per non incontrare il suo sguardo. Stava per rispondergli quando lui le si avvicinò e le alzò il mento. I suoi occhi penetrarono il caramello della ragazza.

- Allora? - le domandò con un mezzo sorriso.

Lei balbettò per un po' senza riuscire a dire nulla, solo muovendo le labbra. Poi annuì.

- D'accordo, ma non so quanto potrà essere piacevole… - gli disse.

- Sai se ci abita qualcuno? - le chiese.

- Si, ci abito io.

Lui sgranò gli occhi incredulo.

- Potrei considerarlo come un modo per occuparti di casa mia? - le domandò.

O come un modo per percepire la tua presenza…

- Si. - rispose.

- Beh andiamo… - disse, ma si accorse che il silenzio di prima non c'era più. Le persone erano uscite dalla chiesa. Probabilmente anche da qualche minuto, ma lui era troppo occupato per accorgersene. Si voltò, trovandosi davanti Mimi. La tredicenne lo fissava ad occhi spalancati, incredula e triste. Anche uno stupido avrebbe intuito la situazione. - Che ci fai qui?

Domandò in un modo troppo freddo di quello che avrebbe voluto usare. Mimi per un attimo si spaventò, poi la tristezza mista a rabbia presero il sopravvento. Passò lo sguardo smeraldo sulla ragazza che ora si trovava alle spalle di Haru.

- Ecco, è ora di pranzo. - lo informò abbassando lo sguardo. - Dovresti venire.

- Dovrei? - domandò usando uno strano tono, quasi canzonatorio.

- Vai. - disse la ragazza dai capelli rosa, alle sue spalle. - Sono sicura che hai fame.

Si, aveva fame. Ma poco importava visto che poteva stare in sua compagnia.

- Tu non hai fame? - le chiese a sorpresa voltandosi verso di lei.. - Se vuoi puoi pranzare con me. Sicuramente ad Amhelia non dispiacerà.

Mimi sussultò. Adesso nemmeno a casa sua poteva restare sola con Haru?

- Prima dovresti chiederlo a lei. - disse Amu indicando la ragazzina. Dentro di sé rise per come le risultava patetica. Una piccola cotta destinata a spegnersi.

Ikuto si girò controvoglia a guardare Mimi, per poi posare di nuovo lo sguardo su Amu.

- Non puoi? - le domandò deluso.

Avrebbe anche potuto seguirlo, ma per il cibo come faceva? Le cose che della cucina umana apprezzava erano poche.

- Non credo. - rispose sistemandosi meglio la fascia nera al collo. Il sole iniziava ad alzarsi troppo per i suoi gusti.

Dannazione, lui non aveva alcuna intenzione di seguire quella ragazzina e lasciare Amu lì. Le occasioni vanno colte bene o si rischia di farle appassire. Strinse i denti e decise che avrebbe insistito.

- Mimi, vai a dire ad Amhelia che mangerò fuori. - disse.

La biondina alzò la testa di scatto, guardandolo con gli occhi colmi di stupore.

- Cosa? - domandò.

- Non farmi ripetere. - disse seccato.

- Ma, Haru, per favore… - tentò di insistere.

Fu in quel momento che Ikuto capì che nulla l'avrebbe fatta andare via, ma di portarsela dietro o di accontentarla non se ne parlava affatto. Forse la sua natura era proprio malvagia, perché quello che fece dopo nemmeno avrebbe saputo dire come gli era venuto in mente.

Le si avvicinò e le prese il viso tra le mani. Il sangue che le inondò il viso era forte e intenso quanto l'acqua di un fiume che straripa.

- Coraggio, fai la brava… - le disse per poi posare le labbra su quelle di lei.

Fu come se venisse colpita da una freccia al cuore. Il cuore di Amu anche se morto era come se stesse esplodendo, palpitando ad una velocità inverosimile e pompando sangue più di quanto ne avesse mai fatto. Sapeva benissimo che il motivo del suo gesto era stato solo di mandare via la ragazzina, ma le fece male lo stesso.

Il piano riuscì. Mimi se ne andò via senza fiatare, correndo verso casa. Gioiosa probabilmente e anche confusa e triste per poter stare con lui più tempo. Ma almeno se ne furono sbarazzati.

Ikuto si girò trionfante.

- Scusa, ma non c'era verso di levarcela di torno.

- E per te da adesso in poi sarà anche peggio.

- Dici? - le chiese con il suo solito mezzo sorriso.

Che cosa aveva in mente Amu non avrebbe saputo dirlo. Ma una cosa positiva in questa faccenda era che almeno poteva vedere com'era da umano. Se lo fosse diventato prima probabilmente avrebbe vissuto una vita normale e sarebbe potuta stare con lui fino alla morte. Ma ormai, era troppo tardi per cambiare le cose.

- Allora possiamo andare? - domandò il ragazzo.

Amu annuì mettendoglisi davanti.

- Seguimi. - gli disse iniziando a camminare verso il bosco.

- Dove vai?

Lei si voltò un attimo verso di lui, con un sorriso strano.

- Credevi davvero che la tua casa era da queste parti? - gli domandò.

Ikuto rimase interdetto, non sapendo che cosa rispondere. Quindi si limitò ad un'espressione confusa per poi continuare a seguire la ragazza.

Attraversarono tutto il bosco. Ikuto la seguiva guardandola stupito. Era ammirato dalla facilità con cui si addentrava nel bosco seguendo un percorso preciso tra quegli alberi che sembravano tutti uguali. Si poggiò per un attimo ad una quercia, non notando che c'era un ramo che sporgeva appuntito.

- Ahio! - esclamò allontanando la mano dalla corteggia con una smorfia di dolore che gli segnava il viso.

Preoccupata e attirata dall'odore del sangue, la ragazza si voltò di scatto e gli si avvicinò.

- Cos'è successo?

- Mi sono tagliato con quel ramo. - le rispose indicandoglielo.

Amu annuì. Gli prese la mano, ma non resistette all'impulso di assaggiare il suo sangue. Avvicinò la lingua e gli pulì la ferita. La cosa più strana fu che lui la lasciò fare, incredulo certo, ma anche felice delle sue cure. Alla fine la ragazza estrasse qualche benda dalla tasca e gliel'avvolse sulla ferita.

- So che non è molto, ma almeno non s'infetterà. - disse per poi proseguire sino a giungere dinanzi a una dimora nera. Si voltò verso il ragazzo. - Questa è casa tua.

L'espressione di stupore che si dipingeva sul suo viso era indescrivibile. Improvvisamente un ricordo o almeno sembrava quello, gli avvolse la testa.


Era estate. Un'estate particolarmente calda. Suo padre aveva affittato quell'abitazione solo per quella stagione. Per starsene in pace, lontano da tutto e da tutti. Lontano di pretendenti e persino dai domestici. Se n'era portato solo uno. Una ragazzina di nome Midori. Anche perché almeno sua figlia avrebbe avuto di che parlare.

Utau infatti, passava le sue giornate assieme a lei. Suo fratello era un lupo solitario, non sapeva far altro che starsene da solo e lei chi era per non accontentarlo? Certo, doveva combattere contro sé stessa per convincersi a lasciarlo andare, ma alla fine la sé stessa ragionevole vinceva sempre.

Inoltre con quella ragazza stava davvero bene. Ogni tanto entravano nel bosco. Ma non si allontanavano mai troppo per paura di perdersi. Utau non aveva mai avuto il senso dell'orientamento e in questo anche Midori non andava proprio alla grande. Entrambe si stupivano di vedere suo fratello sparire tra gli alberi e ricomparire dopo un'ora tranquillo. Segno che non aveva avuto difficoltà a ritornare indietro. Qualche volta aveva provato a chiedergli di portarla con lui. Ma erano stati tentativi vani e alla fine era stata costretta a rinchiudersi con Midori in casa oppure a giocare nei dintorni dell'abitazione. Nonostante suo padre l'avesse scelta con molta cura quell'ambiente ad Utau non piaceva affatto. La casa nera e rossa le metteva paura e questa cosa non le piaceva. Inoltre come vacanza estiva lei avrebbe preferito una casa semplice, piccola, con una camera da condividere con il fratello. Invece, tutto inutile…


- Ikuto? Ikuto ti senti bene? - Da parecchi minuti ormai se ne stava con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi. La fronte corrugata, come se stesse soffrendo. Amu gli stava di fronte e lo teneva per le spalle, cercando di farlo riprendere. - Insomma Ikuto non farmi preoccupare!

Esclamò. Il ragazzo riaprì piano gli occhi, scrutandola tutta.

- Amu… - mormorò come se la rivedesse per la prima volta. - Scusa, ma è stato… è stato come… come se stessi ricordando… si, stavo ricordando… quello, o almeno credo, doveva essere un frammento del mio passato.

Nonostante il discorso fu abbastanza confuso e intervallato da pause di qualche minuto, la ragazza capì lo stesso.

- Questa dimora ti ha riportato alla mente qualcosa allora. - disse soddisfatta di quello che aveva fatto. - Posso sapere che cos'hai visto?

Ikuto annuì. Le raccontò quello che aveva rivissuto. Dicendole anche di essersi sentito male per se stesso. Trattava la sorella malissimo, ne era sicuro.

- M chiedo perché mi sia venuta a cercare. - disse. - Devo essere stato un vero stronzo con lei.

- Mmm… - fece Amu pensierosa. - Beh, fino a che non ricorderai qualcos'altro non lo potremmo sapere…

Disse sorridendo per poi entrare assieme al ragazzo.


Le coperte rosa erano ben piegate e i cuscini rosa quarzo non mostravano una piegatura, perfetti. La sua camera era stata dipinta e decorata tutta in rosa. Sua madre glielo aveva promesso. Quando aveva cinque anni le aveva detto che quando sarebbe diventata maggiorenne avrebbe voluto per regalo la camera che aveva sempre sognato. Ed ora eccola. Anche le tende, rosa pallido, erano state messe alla perfezione e come piacevano a lei, lasciando intravedere sotto le altre bianche, che creavano un po' di contrasto. Solo le pareti tradivano quel mosaico rosa, per il loro candore. Il resto tutto del suo colore preferito.

- Tutto perfetto signorina Kimiko? - domandò Phuong.

- Tutto perfetto. - rispose più che soddisfatta del lavoro che aveva compiuto la ragazza. Gli occhi viola perlustrarono ogni millimetro della stanza, di nuovo, da cima a fondo. Perfetto, perfetto, perfetto. Era ossessionata da questa parola. La sua era una mania, che i suoi genitori a volte definivano malattia. Ma che ne potevano sapere loro della gioia che lei provava quando vedeva quanta cura c'era nel più piccolo dettaglio, anche quello più insignificante. Perfino i pomelli rosa corallo dovevano essere intagliati con la massima accuratezza e senza il minimo errore. Oppure la cornice che portava il suo ritratto. Rosa perlato, quindi tenue e delicato. Era perfetto.

- Avete fatto un ottimo lavoro. - si congratulò Kimiko con un sincero sorriso.

Phuong fece un breve inchino di ringraziamento.

- Vi lascio sola, verrò a chiamarvi quando la cena sarà pronta. - disse la ragazza per poi andarsene.

Kimiko entrò lentamente e con passo quasi solenne nella stanza. Stando perfino attenta a non sgualcire il pavimento color fragola. Con estrema cura e lentezza si accomodò sul letto. Passò le dita sopra la coperta di lana che le avrebbe riscaldato accuratamente il corpo durante la notte. Era soddisfatta? Era più che soddisfatta. Era come se quella camera fosse stata lei stessa. La precisione che esprimeva era ineguagliabile. Fantastica. Davvero. Dopotutto Kimiko era fatta così. Ogni cosa che le veniva fatta o che faceva lei aveva da seguire sempre la stessa regola.

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Capitolo 22
*** Memories... ***


La storia della fascia al collo per poter vivere anche durante il giorno l'aveva scoperta Ikuto e l'aveva riferita solo ad Amu. Utau non ne sapeva nulla ed era costretta ad aspettare dopo il tramonto per uscire. Durante quei giorni era vero che lo aveva evitato, ma perché non aveva un piano per farlo ricordare. Ora invece le cose stavano prendendo una piega interessante. Li aveva sentiti parlare lui e la rosellina. Sapeva dove si trovava quella casa, ci aveva passato l'infanzia d'estate. Con la sua famiglia ci andava spesso e anche con Midori. Si divertivano sempre insieme, visto che Ikuto non c'era mai. Suo fratello era stato cattivo con lei anche lì, ma c'era stato anche quell'episodio. Si, quell'episodio che aveva fatto nascere in lei quelle emozioni che ancora non se n'erano andate. Quella volta, aveva capito che c'era qualcosa di buono nel fratello e che in realtà lui le voleva bene. Solo che era molto scontroso e per questo dava l'impressione che non tenesse a lei.


- Il signorino è di nuovo uscito. - disse Midori non appena Utau si svegliò dal sonnellino pomeridiano.

- Cosa? - domandò triste la ragazzina. - Dove è andato?

- Non lo ha detto, ma secondo me è di nuovo nel bosco. - rispose la ragazza. - Non avrà intenzione di seguirlo?

Domandò preoccupata. Utau non rispose, semplicemente corse in camera sua. Si vestì con il suo abito estivo più comodo. Uno rosso con le maniche a sbuffo. Dopodiché aprì la finestra della sua stanza e si lanciò sul ramo dell'albero lì vicino. Midori non l'avrebbe fatta uscire e i suoi genitori tanto meno. Se voleva trovare Ikuto doveva seguirlo. Nonostante si comportasse sempre freddamente, lei gli voleva bene, probabilmente molto di più di quanto lui ne volesse a lei. Utau era triste quando non sapeva dov'era andato sue fratello. Gli altri giorni aveva aspettato il suo ritorno, adesso non poteva più. Lo voleva vicino, voleva stare un po' con lui. Come qualunque sorella sarebbe stata con suo fratello. Sentiva che quello che provava per Ikuto non era semplice affetto, nonostante fossero parenti non lo considerava come suo fratello. Ancora però non sapeva definire ciò che provava.

Continuava semplicemente a saltare di ramo in ramo, procurandosi graffi sulle braccia e sulle gambe e strappandosi il vestito in vari punti. Qualcosa da lui aveva imparato, saltare, anche se non bene, da un albero a un altro. Continuò così fino a scorgere una figura seduta su un ramo piuttosto in alto. La postura, i capelli, gli abiti. Erano inconfondibili, doveva per forza essere lui.

- Ikuto! - esclamò felice, sorridendo.

Il ragazzo si voltò appena in tempo per vederla saltare verso di lui. Il ramo da dove aveva saltato però era troppo in basso rispetto a quello dove lui era seduto. Sua sorella rischiava di precipitare. Si sporse verso di lei, con un salto raggiunse un ramo più in basso, giusto in tempo per afferrarle la mano e tirarla verso di lui.

- Sei una cretina, ti sembra questo il modo di fare le cose? Potevi anche morire se cadevi male! - la sgridò.

La ragazzina non si era ancora resa conto della situazione, tanto era successo velocemente. Guardò il fratello stupita, il fatto che l'avesse salvata era una cosa che non si sarebbe mai aspettata da lui.

Gli occhi si velarono di lacrime che lentamente le scesero lungo le guance. L'espressione arrabbiata del fratello mutò e divenne semplicemente seria, mentre con il pollice le asciugava le guance.

- Dai non piangere… - le disse. La sua voce non aveva nulla di dolce, eppure la rese felice. Sembrava davvero preoccupato per lei. - Ti sei fatta male?

Utau si tastò il corpo fino a che non si accorse della sbucciatura che aveva al ginocchio.

- Si, ma non è nulla. - rispose.

Il ragazzo tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e le tamponò per bene la ferita, per poi avvolgerglielo intorno al ginocchio. Si alzò i piedi e le porse a mano. Utau l'afferrò, felice come non si era mai sentita in sua compagnia. Si alzò in piedi aggrappandosi al fratello e cingendogli il petto con le braccia. Lui con un braccio le cinse la vita.

- Tieniti forte, non so se funzionerà. - le disse.

Lei annuì, si fidava troppo di lui per dubitare. Ikuto si lanciò nel vuoto, mentre la sorella lo stringeva forte e chiudeva gli occhi. Aveva fatto bene in calcoli a quanto pare perché invece che schiantarsi al suolo riuscì ad afferrare un ramo che rallentò un po' la loro caduta, per poi spezzarsi e gettarli a terra un poco più docilmente. Atterrarono uno sopra l'altro. Utau sopra Ikuto.

- Fatta male? - domandò il ragazzo alzandosi e aiutando anche la sorella.

Lei scosse il capo sorridendo.

- No.

- Ottimo, allora andiamo. - disse lui prendendola per mano e camminando verso l'uscita del bosco. - Perché sei venuta a cercarmi?

- Si stava facendo buio, che potevo fare?

- Potevi aspettare, sarei tornato prima di cena. - non ci aveva affatto pensato, era partita alla sua ricerca senza neanche guardare l'ora.

- Che vieni a fare qui?

- Penso.

- Pensi?

- Tu non pensi mai?

- Scemo, non intendevo quello. - disse avanzando un poco per stargli più vicino. - Cosa pensi?

- Pensieri.

Utau roteò gli occhi. Come c'era da aspettarsi dopotutto. Quando suo fratello non voleva dire qualcosa era inutile insistere, finiva sempre per trovare qualcosa da dirti senza averti effettivamente detto nulla*.

- Sicuramente nostro padre mi sgriderà. - disse allora la ragazzina.

Ikuto la guardò di sottecchi.

- No, non lo farà. - rispose sicuro mentre entravano in casa. Erano arrivati, lei non se n'era nemmeno accorta. - Corri.

Bisbigliò prima di correre su per le scale ed entrare insieme ad Utau nella camera della sorella.

- Come facevi a sapere che non c'era nessuno? - domandò stupita Utau.

- Non lo sapevo infatti. - rispose il fratello. Si guardò intorno, prima di avvertire qualcosa di umido sui pantaloni. - Cavolo, meglio se mi vado a cambiare.

A quanto pare la sua cara sorellina gli aveva sporcato i pantaloni di sangue. Se i loro genitori se ne sarebbero accorti sarebbe stato un guaio. Il ragazzo si tolse l'indumento e lo lanciò alla sorella.

- Dallo a Midori e digli di lavarlo senza dire ai nostri genitori che era sporco di sangue.

- Va bene, ma non so se riuscirà a pulirlo.

- Deve riuscirci. - disse freddo. Poi aprì piano la porta e guardò fuori. Tutto libero. - Ci vediamo a cena.

Uscì velocemente correndo verso la sua camera. Non appena dentro chiuse a chiave la porta e andò in bagno, aveva bisogno di lavarsi. Ripensò un attimo a quello che aveva fatto per la sorella. Almeno la prossima volta non romperà le scatole se non la vorrò intorno… pensò mentre iniziava a spogliarsi.


Sapeva benissimo che questa storia era una scusante per giustificare il suo amore verso il fratello. Ma poco importava visto che nessuno se n'era mai accorto.

Era pomeriggio. Non mancava ancora molto prima che la sera prendesse il sopravvento e lei sarebbe finalmente potuta uscire. Quei due ormai saranno entrati in casa e lei non doveva far altro che raggiungerli.


- Cavolo, non la ricordavo così grande… - fece Ikuto estasiato. - Forse perché non la ricordavo affatto…

Amu fece una breve risatina. Ritrovarsi vicino il ragazzo che l'aveva generata - il vampiro tenebroso che non faceva altro che leccarle il sangue - divenuto umano, era una cosa molto strana. Più lo guardava però, più pensava che non era poi tanto diverso dal vampiro che aveva conosciuto. Era burlone allo stesso modo. Era bello e affascinante allo stesso modo e aveva anche una strana aura scura che lo circondava. Improvvisamente ritrovò a fare un paragone con la sé stessa umana. Anche lei da umana era oscura e sadica proprio come un vampiro. Anche per quello aveva attirato Ikuto e lui non l'aveva uccisa, ma trasformata.

- Vuoi vedere di sopra? - gli domandò. Forse ti tornerà in mente qualcos'altro…

Ikuto annuì. Amu allora gli fece strada, portandolo nella epica stanza dove solo due mesi e mezzo fa l'aveva condotta lui. Stanza epica, anche per il fatto che c'era morto Tadase.

- C'è uno strano odore… - disse Ikuto, distinguendo perfettamente l'odore metallico del sangue. - Sembra sangue…

- Probabile. - commentò lei tappandosi subito la bocca.

- Come? Non ho capito scusa.

- Nulla, nulla. - si affrettò a dire, mentre dentro di se tirava un respiro di sollievo.

Al ragazzo sembrò non importare.

- Ma io dove dormivo? - le domandò.

Dormire. Bella domanda, visto che i vampiri non dormono.

- Di qua. - rispose Amu conducendolo nella stanza dove lei si era addormentata e si era risvegliata da vampiro.


Ikuto prese in braccio il corpo di Amu e lo mise bene sopra il letto. Le si stendete vicino e attese.

Aspettò fino a che la ragazza non aprì gli occhi e smarrita si guardò intorno.

- D-dove sono? - si chiese per poi posare lo sguardo su Ikuto, i cui occhi erano tornati ametista. Anche i suoi erano di nuovo color miele e fissavano il ragazzo interrogativi.

- Sei nella mia stanza, se adesso non ti ricordi è normale… - le rispose.

- No… mi ricordo, solo che… mi sento strana. - confessò la ragazza.

Guardò di nuovo Ikuto andandogli a fissare il collo, in cerca di qualcosa che potesse farla stare meglio.

Il ragazzo se ne accorse subito.

- Calma piccola, faremo colazione più tardi. - le disse sorridendo sadico.

La ragazza ricambiò il sorriso.


Il letto era ben fatto, quella stanza odorava di vecchio, segno che nessuno c'era mai stato negli ultimi tempi.

- Davvero stavo qui io? - le domandò sospettoso.

Amu annuì, anche se un po' titubante, come poteva dirgli la verità? Lo avrebbe sconvolto di sicuro.

- Tu ed io quindi… - disse il ragazzo guardandola e facendo un sorriso malizioso. - Non eravamo solo conoscenti.

Quel sorriso. La ragazza ebbe un sussulto. Rivedere quel sorriso, un'altra volta. Identico a quello impresso nei suoi ricordi. Se pensava a quanto aveva desiderato rivederlo. Anche solo una volta, giusto un secondo per goderselo di nuovo. Ora era qui, davanti a lei. Lui era qui, le sorrideva con la prima espressione che l'aveva attratta.

- No… - mormorò riassaporando tutti i momenti del passato che avevano vissuto e immaginando quante cose avrebbero potuto fare ora. Non le venne in mente neanche che ora c'era Utau, che era disposta a tutto pur di vederla morta per prendersi suo fratello e generarlo lei. Ma non glielo avrebbe permesso.

Ikuto le si avvicinò fino ad arrivarle ad un centimetro dal suo volto. Le sembrava di tornare umana, di tornare la ragazzina sedicenne che si emozionava troppo. Sentì il sangue pulsare nelle tempie e avvertì calore alle guance. Ma doveva essere solo una sensazione, i vampiri non arrossiscono.

- Mi sembra assurdo non ricordarmi di te… - le disse.

Che sensazione strana. Solo lui poteva causarle queste emozioni. Nonostante fosse umano, lei non si sentiva più una creatura della notte. Si sentiva una semplice ragazza che provava una cosa dannatamente profonda per un ragazzo.

- Io non lo trovo affatto strano.

Lui inclinò la testa di lato, un'espressione confusa gli si dipinse sul volto.

- Perché?

- Probabilmente lo capirai quando recupererai la memoria. - rispose la ragazza con fare intuitivo.

Lui le si avvicinò ancora di più fino a metterla spalle al muro. Posò entrambe le mani alla parete dietro.

- Non hai fame? - le domandò.

Lei sgranò gli occhi. Le sembrava di tornare indietro nel tempo. O cielo…

- T-tu si? - gli chiese.

- Perché sei così sorpresa, è umano avere fame… - le disse con tono sarcastico.

- Appunto già.

- Eh?

- No, niente. - rispose. Dannazione, forse non era stata affatto una buona idea quella di portarlo qui.

- Quella a cosa serve? - le domandò il ragazzo indicando la fascia che portava al collo. Buffo se si pensava che era la sua.

- A niente, è un regalo. - gli rispose.

- Da parte di chi? - le domandò.

- Non è importante. - disse abbassando lo sguardo.

Il ragazzo le alzò il mento con un dito.

- Io credo che lo sia. - le disse fissandola negli occhi. - Avanti, dimmelo…

Amu aprì piano la bocca come per dire qualcosa.

- Ma che scena toccante! - commentò una voce alle spalle di Ikuto.

Il ragazzo si voltò mentre Amu gli si affiancava.

Utau era davanti a loro, un sorriso sadico ad incresparle le labbra.

- Che diavolo vuoi? - domandò Ikuto, cosa di cui si stupirono sia Amu che Utau. Mi ha interrotto… pensò il ragazzo già pregustando che cosa sarebbe successo se non fosse arrivato quella ragazza. Forse iniziava a capire perché la odiava.

- Voglio salvarti, da lei. - disse indicando con un cenno del capo Amu.

Ikuto non poté far altro che ridere.

- Ti prego, proteggermi da lei… - disse afferrando Amu per un fianco e attirandola a sé. Utau, anche se solo un poco, s'irrigidì vedendo quella scena. - Non ho ricordato molto di te, ma sicuramente ho capito perch ti odiavo.

Sebbene il cuore della vampira non batteva più da tempo, fu come se saltò un battito. No, non era vero.

Utau fece un sorrisetto sardonico.

- Come no… - commentò. In un attimo fu davanti ad Ikuto, con un gesto del braccio scaraventò Amu contro la parete. Per prese il volto del fratello fra le mani e lo baciò di getto. La lingua della ragazza si muoveva esperta dentro la sua bocca e nonostante lui facesse di tutto per togliersela di torno non ci riusciva. Quando poi si staccò da sola, il ragazzo la guardava in cagnesco, mentre lei sorrise soddisfatta.

- Allora fratellino, sono diventata brava adesso?


- Signorina Kimiko, è arrivata una lettera da sua cugina. - la informò Phuong.

- Mia cugina? - domandò stupita la ragazza mentre prendeva la busta che odorava di lavanda.

- Esatto signorina. - confermò la domestica per poi uscire dalla stanza della ragazza.

Kimiko aprì la busta e tirò fuori la lettera. La lesse lentamente, mentre sorrideva. Sua cugina aveva imparato a scrivere molto meglio, rispetto alle su precedenti lettere.

- Phuong! Phuong! - chiamò la ragazza una volta terminata la lettura.

La domestica arrivò all'istante e schiuse lentamente la porta.

- Mi dica signorina. - disse.

- Portami della carta rosa e anche del profumo di rosa e per finire dell'inchiostro. - rispose.

Phuong avrebbe giurato che prima o poi avrebbe richiesto anche l'inchiostro rosa. Annuì e le prese le cose che aveva richiesto.

Kimiko ringraziò e iniziò a rispondere in modo ordinato alla lettera. Che una volta pronta consegnò alla domestica.

- Fatto signorina? - domandò Phuong.

- Si, è perfetta come sempre. - rispose soddisfatta di sé.





*Come i politici XD

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Capitolo 23
*** Necklace ***


Quando poi si staccò da sola, il ragazzo la guardava in cagnesco, mentre lei sorrideva soddisfatta.

- Allora fratellino, sono diventata brava adesso?

Amu si alzò furiosa. Gli occhi bianchi non trasmettevano nulla di buono. e guardavano Utau con una rabbia che non aveva mai provato.

La vampira non poté fare a meno di ridere.

- Wow, ho fatto arrabbiare la rosellina… non appassire cara mi raccomando. - la prese in giro la bionda guardandola con uno sguardo di sfida, mentre si accostava sempre di più a suo fratello.

- La vuoi finire? - disse Ikuto scocciato spingendola indietro. - Ho avuto solo un vago ricordo di chi sei, ma se sei davvero mia sorella sei solo una pazza maniaca!

Lo sguardo di Utau s'indurì. Mise le braccia incrociate al petto. In mezzo al seno, il ragazzo intravide un luccichio, ma in quel momento era troppo incavolato per badarci.

- Mi stai forse dicendo che preferiresti stare con questa? - disse con disprezzo indicando Amu.

Ikuto si voltò verso la ragazza. Gli occhi erano tornati normali, non poteva farsi vedere così da lui. Non lo sapeva cosa voleva, non sapeva neanche chi era. Ma avvertiva comunque qualcosa di strano in sua sorella, qualcosa di completamente negativo. Avvertiva un'aura oscura anche in Amu, ma era diverso. Non lo avrebbe saputo descrivere, era una sensazione che partiva da dentro e lentamente si espandeva a tutto il corpo, senza dargli il tempo di ragionare e capire cosa fosse.

- Oh beh, ti farò decidere io… - disse Utau per poi spingere Ikuto contro la parete e avvicinarsi ad Amu. Stava per sferrarle un pugno, ma la ragazza lo fermò. Non si sarebbe certo lasciata picchiare. La spinse all'indietro gettandola contro il muro e sferrandole un calcio alle costole. In compenso la bionda le diede un pugno sotto il mento che Amu non riuscì ad evitare. Veloce Utau le arrivò alle spalle e le strinse la gola con un braccio, per poi tirare fuori un pugnale e infilarglielo nel fianco. Amu trattenne a stento un grido di dolore.

-Hai forse dimenticato che il ferro non uccide i vampiri.. - mormorò cercando di resistere al dolore, per non darle soddisfazione.

Utau sogghignò.

- Lo so, ma li fa soffrire molto… - disse per poi girare il coltello all'interno della ferita.

Questa volta le uscì un gemito e Utau sorrise, godendo del dolore che le provocava. Il sangue usciva lento dalla ferita, andando a tingere di rosso tutto quello che incontrava. La ragazza strinse forte gli occhi per resistere al dolore che le provocava. Poi, con uno sforzo enorme riuscì a sferrarle una gomitata all'addome allontanandola giusto il tempo per estrarsi il pugnale, girarsi e infilarlo nel collo di Utau. Gli schizzi le macchiarono il volto, ma non se ne curò. La bionda gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Gli occhi diventarono bianchi e avevano sfumature rosso sangue. La ragazza portò una mano al pugnale e lo estrasse, ma il sangue era troppo, doveva fermare la ferita.

- Ti assicuro che la prossima volta… Bah, lasciamo perdere! - esclamò per poi andarsene.

Ikuto si avvicinò ad Amu, la quale era una decorazione di sangue, il corpo e il viso ne erano intrisi. Lui non se ne curò e le girò il viso nella sua direzione.

- Credevo che i vampiri non avessero bisogno di fermare l'emorragia. - le disse.

Amu ebbe un sussulto. Aveva detto quella frase con una naturalezza che di norma gli umani non usavano.

- Mi hai sentito prima?

- Ah?

- Hai sentito quello che ho detto ad Utau?

Lui fece una faccia stranita.

- Di che parli?

- Come fai a sapere che tua sorella è…

- Beh quella ferita al collo avrebbe ucciso di sicuro un essere umano, come questa al fianco… - le disse toccandole la ferita con le dita. Amu avvertì un brivido. - Mi credevi tanto sciocco solo perché sono umano e ho perso la memoria? Quello che mi chiedo è come abbia passato la mia vita con una vampira.

E va bene. A quanto pare era arrivata l'ora. Chissà, forse questo lo avrebbe portato a ricordare.

- Perché tu…

- Che puzza… - commentò una voce proveniente dal piano di sotto.

Amu si voltò e uscì dalla camera, affacciandosi dalle scale. Una chioma di capelli bianchi sciolti al vento le saltò subito all'occhio.

- Sata? - le chiese stupita. - Che si fai qui?

- Beh… è notte e ho pensato che potevamo stare insieme come due amiche.

- Eh? - domandò Amu. Gli occhi fuori dalle orbite.

- Scherzo. - si affrettò a dire la Majo. - Mentre stavo meditando mi è giunta alla mente una minaccia di morte e la voce sembrava quella della sorella del tuo ragazzo. Per questo sono qui.

Il suo sguardo era serio e determinato. Chissà, forse si era preoccupata.

- Senza contare che ho appena visto Utau uscire da qui piena di sangue. Certo, sicuramente non era successo nulla a suo favore, considerando lo sguardo che aveva, ma ho voluto controllare lo stesso. - disse infine salendo le scale e raggiungendo Amu. - Comunque scusa se te lo dico, ma se ti vai a fare una doccia non fai torto a nessuno.

Amu si toccò la guancia, scoprendosi piena di sangue, non ci aveva badato prima.

- Oh, già… - disse imbarazzata.

- Ciao. - fece d'un tratto Sata, rivolta alle spalle di Amu.

- Ehm… ciao. - salutò Ikuto un po' confuso.

La ragazza gli si avvicinò porgendogli la mano, che lui strinse poco dopo.

- Tu sei? - domandò Ikuto.

- Sata. - rispose sorridendo.

Il ragazzo la squadrò. Doveva avere più o meno la sua stessa età, era più alta di Amu, ma avvertiva qualcosa di particolare anche in lei.

Indossava uno strano abito sulle tonalità del viola. Era completamente sbracciato, il corsetto lilla - ricamato con un filo orchidea - le arrivava poco più su della metà del seno, dandole così una scollatura generosa. La schiena era scoperta fino a metà. La gonna era color mora, con strati più chiari sotto. Sulle spalle, aveva una specie di mantellina lavanda trasparente, trattenuto sul petto del corsetto da una piccola spilla prugna che non si notava quasi per niente.

- Io… - stava per presentarsi il ragazzo.

- So già chi sei. - disse Sata precedendolo.

- Oh… tu sei… insomma, sei un'amica di Amu?

Questa domanda colse di sorpresa sia la Majo che la vampira, le quali si scambiarono una rapida occhiata confusa.

- Io vado a fare un bagno. - annunciò Amu per poi sparire dietro la porta.

- Buona idea Amu, posso venire?

- Certo che no! - esclamò la ragazza oltre la porta.

Sata sorrise, nonostante Amu fosse morta esprimeva vitalità molto più di tanti vivi.

- Mi chiedo solo perché Utau è fuggita, i vampiri stanno male se non fermano un'emorragia? - domandò d'un tratto il ragazzo confuso.

- Le ferite al collo tolgono tanto sangue e ti fanno venire fame. In più se uno non ferma il sangue rischia di disidratarsi e la sua pelle si avvizzisce. - gli rispose la ragazza, glielo aveva spiegato Amu qualche tempo prima.

Sata guardò istintivamente dentro la camera. Il letto era pieno di sangue e anche gli altri mobili.

- Ci avete scannato un maiale lì dentro? - gli chiese sbalordita.

- No abbiamo tentato di scannarci Utau. - rispose Ikuto.

La Majo entrò, l'odore metallico e pungente del sangue la prese alla gola.

- Una stanza del genere va purificata… - mormorò tirando via le coperte e tutto quello che era intriso di sangue.

- Ehm, che stai facendo? - domandò Ikuto confuso.

- Pulisco… - rispose Sata. Non lo avrebbe mai ammesso, specialmente con un estraneo, ma lei non sopportava l'odore del sangue. Le ricordava troppo il suo passato. Quello che le era successo, per questo avvertiva l'odore metallico di quel liquido rosso a distanza.

- Credi che Amu ti avrebbe dato il consenso? - le domandò.

- A te sta bene?

- Beh a me sì, ma…

- Allora non mi serve l'opinione di Amu. - concluse sorridente.

Il ragazzo la guardò un attimo sbalordito, poi fece spallucce e uscì dalla stanza. Non appena fuori, stava per raggiungere il bagno, quando inciampò su qualcosa e per poco non ruzzolò giù dalle scale.

- Che diavolo… - disse. Si alzò da terra e raccolse l'oggetto che l'aveva fatto cadere. Era un ciondolo di smeraldo. La testa iniziò a pulsare, dovette lasciare andare l'oggetto, mentre un ricordo lontano si faceva largo nella sua mente.


Inverno. Tre tazze di tè fumante sono davanti a tre persone che se ne stanno sedute in silenzio. Una donna bionda dagli occhi viola scruta i suoi figli, mentre beve composta dalla sua tazza. Una ragazzina guardava in modo insistente il fratello, che non degnava di uno sguardo nessuna delle due. Si limitava a bere il tè e a mangiare qualche biscotto che aveva sul piattino davanti a se.

Sua madre si chinò in avanti per prenderne uno anche lei e il luccichio della sua collana attirò ancora una volta gli occhi del ragazzino. Era affascinato da quel ciondolo smeraldo di forma rombale che pendeva dal collo della madre e le spariva tra i seni. S'intonava perfettamente ad ogni suo abito. Jane indossava sempre abiti viola, verdi o bianchi e solo a Natale si metteva un abito rosso. Il sorriso era un compagno fedele delle sue labbra, ma gli occhi, per un bravo osservatore, sapevano tradire molto bene quell'apparente felicità che mostrava a tutti. Il loro padre, Aruto, non c'era mai. Aveva sempre da fare e trascurava moglie e figli con la stessa facilità di come si trascura un pasto. Quella collana gliel'aveva regalata lui, un modo per farla tacere quando provava a dirgli che doveva passare più tempo a casa. Ad Ikuto non importava nulla della motivazione, quel ciondolo gli piaceva e basta.

- Mamma, quando sarò grande me la regali? - domandò sua sorella indicando la collana della madre.

Jane sorrise.

- Certo Utau.

- Hey fratellino, credi che mi starà bene il ciondolo di mamma? - domandò la ragazzina saltandogli letteralmente al collo.

- Utau, quante volte ti ho detto di non toccarmi? - le domandò con rabbia. Inutile dire che sua sorella non ci sentiva.

- Ikuto, sii buono con tua sorella, ti vuole bene.

- Allora non credo che proviamo la stessa cosa l'uno per l'altra…


Il ricordo s'interrompeva lì. Ma bastò a fargli ricordare completamente chi era Utau e che davvero era sua sorella. Ricordò sua madre e ricordò le brutte e tristi sensazioni che provava quando la sua famiglia era riunita. Ancora però non ricordava che cosa aveva passato con lei, quella ragazza dai buffi capelli rosa.

- Ikuto? - era la voce di Amu.

Il ragazzo si alzò subito in piedi. Voltandosi verso la ragazza che lo fissava preoccupata e in asciugamano.

Fece un sorriso malizioso e le si avvicinò.

- Hai bisogno di qualcosa? - le chiese.

Tutte le domande che aveva intenzione di fargli svanirono alla vista del suo sorriso. Deglutì. L'effetto che le faceva stargli vicino era bellissimo e allo stesso tempo pericoloso. Senza rendersene conto il ragazzo l'aveva spinta all'interno della stanza e lei era poggiata con la schiena al muro. L'asciugamano che minacciava di scendere, cosa che se glielo avesse permesso, ci avrebbe pensato Ikuto a velocizzare.

- Ehm… devi qualcosa? - gli domandò tentando di distoglierlo dal suo intento.

- Si, ma ho bisogno del tuo aiuto.

- Io non credo.

- Vuoi vedere? - le chiese per poi posare le sue labbra su quelle della ragazza.

All'inizio ne rimase sorpresa, poi ricambiò con passione. Era talmente presa che non sentì le mani del ragazzo posarsi nei suoi fianchi e neanche sfilarle l'asciugamano. Le sue dita erano morbide e delicate e vagavano per il suo corpo leggere come seta, posandosi anche nei punti più intimi e divertendosi a farla eccitare.

Non si accorse nemmeno di essere sdraiata sul letto e di averlo sopra di lei, mentre continuava a torturarla con le mani e con la lingua che le stendeva un velo caldo sul corpo ovunque si posasse. Fece la sua parte anche lei, nonostante al ragazzo piacesse prendere il comando sul suo corpo.

Mentre continuavano a baciarsi sentì l'eccitazione del ragazzo premere contro la sua femminilità e per un attimo si chiese che cosa stavano davvero facendo. Questa sarebbe stata la prima volta per lei. Dopotutto da umana non ne avrebbe avuto occasione, specialmente visto il lombrico Tadase che le veniva dietro, prima di strisciare la sua carcassa verso la tomba. Dentro di sé sorrise e senza più ripensamenti lo lasciò fare. Probabilmente questa sarebbe stata la sua unica tappa al paradiso, prima di raggiungere l'inferno.


- Signorina, la carrozza è pronta. - la informò Phuong.

- Grazie, arrivo subito. - rispose la ragazza. Si diede un ultimo sguardo allo specchio. Come al solito era vestita con il suo colore preferito. Il rosa. L'abito era in maggior parte con una stoffa pregiata e color rosa pallido. I bordi erano in fucsia e avevano dei leggeri - ma precisi - ricami. La mantellina rosa era di lana e le copriva le spalle. I capelli corvini erano elegantemente acconciati in uno chignon alto, con qualche ricciolo fuori posto. Davanti all'acconciatura si ergeva maestoso un fermaglio a forma di conchiglia, rosa perlato. - Perfetto.

Diede un'ultimo sguardo anche alla stanza. Non doveva essere in disordine anche se lei sarebbe partita. Sua cugina l'attendeva. O meglio, la sua famiglia. Non credeva che i suoi cugini sarebbero stati felici di rivederla. Non erano mai andati molto d'accordo.

Uscì con passo delicato e composto, entrando altrettanto elegantemente nella carrozza bianca. I suoi genitori le avevano consigliato di partire di giorno. Ma se avesse seguito il loro consiglio sarebbe arrivata tardi alla festa e lei odiava arrivare tardi. Tanto quanto odiava arrivare in anticipo. Doveva essere sempre puntuale e precisa.

La carrozza partì e per una buona mezz'ora il viaggio fu piacevole e privo d'inconvenienti. Era partita con Phuong, che se ne stava zitta con la testa china. Era un privilegio viaggiare in carrozza con una nobile.

D'un tratto però la carrozza subì un brusco movimento e il cocchiere si fermò per vedere se ci fosse qualche guasto.

- Problemi? - domandò Kimiko affacciandosi alla finestra della carrozza.

- Non lo so signorina, ora controllo. - rispose il cocchiere.

Kimiko attese. Ma la carrozza non voleva saperne di ripartire.

- Io vado a controllare. - annunciò d'un tratto.

Phuong però la trattenne.

- No signorina non si scomodi, vado io. - così dicendo uscì. Fuori era buio e riusciva a vedere poco, erano in una zona piuttosto alberata e la luna si intravedeva tra i rami. Aggirò la carrozza alla ricerca del cocchiere, ma invece di lui, trovò qualcun altro.

Kimiko attendeva impaziente all'interno del cocchio. Sarebbero arrivati in ritardo se continuavano a perdere tempo lì fuori.

La ragazza scese, era proprio buio, faticava persino a capire se quelli che vedeva erano alberi o meno.

- Phuong! Signor Katami? - domandò. Nessuno e rispose. Iniziò ad avere paura. L'aria era gelida e aveva come l'impressione di essere osservata. - Phuong! Signor Katami, dove siete? Venite subito fuori o io…

- Cosa? - un ragazzo le tappò la bocca da dietro, afferrandole le braccia. Era forte. Un'aggressione… pensò impaurita la ragazza. - Ma che bella principessina…

Disse in tono malizioso sfiorandole con una mano il petto, per poi recuperarle subito le braccia. Kimiko tentò di ribellarsi, ma non ci riuscì.

- Calma, se fai la brava finirà presto… - le disse.

Finira presto cosa?

Sentì il vestito lacerarsi e il petto che subiva un ondata di gelo. Segno che era scoperto. Per un attimo il terrore di quello che pensò stava per accaderle le arrivò potente come uno schiaffo, almeno fino a che non sentì qualcosa che le mordeva il collo. Che fosse stato proprio quel ragazzo a morderla?

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Capitolo 24
*** My death in the past... ***


Kimiko giaceva a terra. Gli occhi erano chiusi e il respiro era cessato. Intorno, solo silenzio.

Aprì gli occhi d'un tratto e senza neanche pensare a dove potesse essere, si alzò. Annusò l'aria, distinguendo perfettamente l'odore di sangue che ospitava il corpo di Phuong e del cocchiere. Qualcosa era cambiato in lei. Si sentiva come rinata. Forte, potente e invincibile. Si sentiva diversa. Come se d'un tratto la ragazza appena diventata donna che amava tanto il rosa e la sua stanza fosse svanita. Si guardò il vestito e provò disgusto per quell'odioso colore acceso che stava indossando. Si tastò la testa, l'acconciatura le tirava i capelli da morire. Tolse la conchiglia, gli elastici e i fermagli, per poi sciogliersi i lunghi capelli neri. Solo in quel momento si accorse di avere i vestiti strappati e il petto scoperto. Non provò vergogna e nonostante fosse una serata invernale non sentiva freddo. Fece mente locale e si ricordò che stava andando da sua cugina. Era in viaggio, quando c'è stato quell'imprevisto. Che l'aveva in un certo senso trasformata. Non avrebbe saputo dire com'era successo, né perché. L'unica certezza era che aveva fame e che quell'odore di sangue che non voleva abbandonarle le narici non l'aiutava di certo. Ma quelli ormai erano morti e lei aveva bisogno di persone vive. Ma dove trovarle lì? Era in un luogo sperduto. La strada lei non la conosceva. Questo era un bel guaio, se avesse saputo almeno da che parte andare, forse a questo punto sarebbe già arrivata dai suoi cugini e avrebbe avuto una bella cena.

Iniziò a camminare, non sapeva bene la strada era vero, ma la direzione la sapeva, prima o poi sarebbe arrivata a casa di sua cugina, o chissà, prima avrebbe anche potuto fare una piccola sosta.

La seconda opzione fu approvata. Dopo che ebbe camminato un po' scorse un'abitazione molto piccola e isolata. Probabilmente ci viveva una sola persona. Non sarebbe stato affatto un problema.

Non dovevano capitare molte persone in quella zona, la porta non era nemmeno chiusa con un chiavistello. Probabilmente chi abitava all'interno o sapeva come difendersi o non credeva che qualcuno sarebbe mai potuto entrare in casa sua. Kimiko entrò. Cose di valore in effetti non ne aveva, non per gli umani. Ma per quelli come lei, una persona ha sempre qualcosa da donare. L'abitazione era composta da una sola stanza. Il letto era in fondo e ospitava una ragazza che dormiva serena. Non doveva essere tanto giovane, sicuramente aveva più anni di lei. Inoltre non doveva neanche vivere da sola. Il letto era abbastanza grande per ospitare un'altra persona, inoltre aveva due cuscini. Forse era per questo che la porta era aperta, magari stava aspettando qualcuno in particolare. Che sarebbe tornato fra poco e che per non svegliarla aveva lasciato la porta aperta. Che brutta scelta che aveva fatto.

Kimiko le si avvicinò e senza pensarci troppo l'afferrò per il collo e la tirò fuori dal letto, per poi sbatterla contro il muro. La ragazza si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno smarrita, per poi posare lo sguardo su Kimiko. Era ancora assonnata. Balbettò qualcosa d'incomprensibile, ma lei era troppo affamata per volerlo comprendere. L'afferrò per i capelli mettendola in piedi. La spinse al muro e affondò i denti nel suo collo. Sentì solo dei leggeri gemiti, prima di morire completamente. Quando su sazia lasciò scivolare il corpo freddo della sua prima vittima.

Prima di andarsene si guardò intorno. Doveva cambiarsi. Non poteva vagare ancora per molto in quelle condizioni. Notò un baule in fondo al letto, tipico di chi ha poche cose da custodire. Lo aprì trovandoci alcuni vestiti. Sia da femmina che da maschio. Tirò fuori solo quelli da donna e fra i cinque ne scelse uno che le sembrava il più adatto a lei. Era viola, con delle rifiniture gialle. Era un po' stretto in vita, ma le sarebbe andato bene. Ora, l'unica cosa che doveva fare era arrivare a casa di sua cugina. Alle feste si sa, bisogna arrivare puntuali.


- Allora te lo ripeto, visto che non hai capito… - disse incrociando le braccia scocciata. - Dove sei stato?

Ikuto sospirò. Non ci poteva credere. Quella ragazzina gli stava facendo una scenata di gelosia. L'aveva baciata e allora? mica le aveva detto 'ti amo' oppure le aveva chiesto di mettersi insieme. Che cosa voleva da lui?

- Ho capito, spiegami solo perché dovrebbe interessarti. - rispose lui sospirando e mettendo le mani sui fianchi. Santo cielo, questo non se lo sarebbe davvero immaginato.

Mimi lo guardava tristemente. Gli occhi avevano tutta l'aria di versare lacrime da un momento all'altro. Teneva una mano chiusa a pugno sul petto e l'altra sopra. Per lei quel bacio aveva significato tantissimo. Haru per lei aveva significato un cambiamento radicale nella sua vita. Quando l'aveva visto con quella ragazza l'altro giorno aveva avvertito una stretta al cuore, poi però con le sue labbra tutto era passato. Ora invece si sentiva presa in giro, da lui. Aveva capito che quel gesto era stato solo per mandarla via, eppure rifiutava di crederci. Il suo primo bacio altrimenti sarebbe stato solo una presa in giro.

- P-perché… beh… - non sapeva che cosa dire. In effetti lui poteva fare quello che voleva, la sua vita privata non doveva essere affar suo, eppure lei voleva voleva farne parte.

Ieri sera era tornato tardi, dopo la notte che aveva passato con quella ragazza, Amu gli aveva consigliato di tornare dalla famiglia che lo stava ospitando, per non farle preoccupare aveva detto. Lui avrebbe preferito di gran lunga restare con lei, ma in un certo senso aveva ragione. Non poteva rimanere lì, Mimi e Amhelia sarebbero andate a cercarlo e dopo chi glielo spiegava dove aveva passato la notte. Già era abbastanza difficile convincere Mimi di lasciar perdere, vista la scenata che le stava facendo a colazione.

- Possiamo chiuderla qui? - domandò d'un tratto il ragazzo. - Quello che faccio non ti deve interessare. Tu non sei nessuno per me.

Mimi sgranò gli occhi un istante, per poi abbassarli. Annuì e prima che due lacrime bagnassero la tavola, si alzò correndo in camera sua a piangere.

In quel momento entrò Amhelia che con lo sguardo chiese spiegazioni ad Ikuto, il quale fece spallucce. Poi si alzò e salutato la donna uscì all'aria aperta.

Sperava di rivederla a dire il vero. Quello che era successo non era avvenuto solo perché gli andava, era successo perché avvertiva che loro dovevano essere molto più di semplici conoscenti. Sentiva che avevano condiviso molto di più di qualunque altra persona. Eppure non ricordava il perché sentiva tutto questo ed era estenuante.

Continuò a camminare e senza accorgersene arrivò davanti al bosco. La voglia di attraversarlo si impadronì di lui per un attimo. Ma scosse il capo e decise di aspettare. Lei gli aveva promesso che si sarebbero rivisti, ma di sera. Il sole si stava facendo troppo alto in quel periodo e la fascia era comunque troppo debole per reggerlo, avrebbe rischiato di bruciare viva. Cosa alquanto inquietante e dolorosa.

Chiuse gli occhi e si sedette sull'erba. Aveva bisogno di riflettere, forse pensandoci intensamente il passato sarebbe tornato a fargli visita.

- Hai sentito?

- Si, è orribile!

Come concentrarsi con delle comari che parlano di chissà quale scemenza?

- Sembrava fatta a pezzi!

Okay, ora si stava facendo interessante. Ikuto si alzò e guardò verso il gruppo di persone che si era riunito davanti a qualcosa che non riusciva a vedere. Si avvicinò a quel gruppo incuriosito da tutto quel brusio. Nonostante fosse dietro tutti, era abbastanza alto per intravedere il corpo di una ragazzina di circa tredici anni. I capelli castani erano disposti intorno al viso e su di loro c'erano tracce di sangue e di terra. Gli occhi grandi, vitrei, avevano lo sguardo perso nel vuoto, un tempo dovevano essere di un bel nocciola. Il corpo emanava una puzza dolciastra di putrefazione. Il viso era sfigurato e il corpo portava piaghe e graffi.

- L'ho trovata stamattina presto nel bosco. - disse un uomo. Probabilmente un falegname, considerando dalla legna che teneva in una sacca grande e sbiadita.

Ikuto si fece largo tra la folla. Un dubbio aveva attraversato la sua mente.

- Dev'essere morta da molti giorni. - disse un uomo che aveva tutta l'aria di essere uno dei medici del paese. - Era da tanto che non capitavano più omicidi di questo calibro…

Commentò. Ikuto lo guardò distrattamente. Poi si avvicinò al cadavere. Lo scrutò da cima a fondo. Nonostante il tanfo che emanava e il ribrezzo che gli faceva, allungò una mano e gli scostò alcuni riccioli dal collo. Non ci sono fori… si disse. Ma potevano essere nell'altro lato. Trattenne il fiato e girò la testa dall'altra parte. La gente lo guardava allibita e commentavano con una nota di disgusto nella voce. Ikuto non vi badò. Scostò i capelli nel lato sinistro. Due fori. Lì la carne era in putrefazione peggio del resto del corpo, probabilmente perché era una ferita. Il sangue era rappreso e la carne sembrava mangiucchiata.

Non ebbe il coraggio di fare altre mosse. Questo bastava per constatare la sua teoria.

- Dobbiamo dirlo ai parenti. - disse poi un uomo. - Che sua figlia è morta…

Ikuto si alzò e facendosi di nuovo largo tra la folla uscì. Stava per ritornare nel prato, quando un'emicrania improvvisa lo colpì alle tempie. Si mise le mani fra i capelli, dolorante. Iniziò a barcollare, fino a che non cadde a terra. Sentì le persone di prima spostarsi vicino a lui e dire frasi inutili quanto loro. Una donna provò a toccarlo, ma lui le schiaffeggiò la mano. Aveva bisogno di stare solo e tutto quel vociare fastidioso non faceva che peggiorare il suo mal di testa. Poi, d'un tratto fu come se qualcosa si proiettasse nella sua mente. Un ricordo…


- Ikuto, nostra cugina arriverà fra poco. - lo informò la sorella. - Ti conviene preparati.

Lui continuò a guardare fuori dalla finestra, ignorando la ragazza che gli parlava.

- Hey, ma mi stai ascoltando? - domandò Utau scocciata del suo atteggiamento sempre da menefreghista. - Nostra madre e nostro padre ci vogliono pronti e ben vestiti per le otto. Nella sala grande. Sii puntuale o lo sai che sarò io quella che viene sgridata.

Ikuto annuì impercettibilmente. La ragazza sbuffò e se ne andò via. Il ragazzo restò ancora qualche minuto a guardare fuori dalla finestra. Non c'era niente da ammirare. Ma il fatto anche solo di sognare di scappare da quella prigione era abbastanza. La sua mente vagava tra quei boschi. Lui, da solo, nessun legame. Se ne andava, semplicemente. Avrebbe potuto cambiare nome e non essere più riconducibile alla famiglia Tsukiyomi. Lui odiava la sua famiglia. Non aveva mai sperimentato l'amore materno, né tanto meno quello paterno. Erano come due burattini che si muovevano meccanicamente. Perfino le carezze di sua madre sembravano comandate da fili invisibili. Sospirò. Meglio non pensarci. Doveva prepararsi. Farsi sgridare non era nella lista delle cose da fare, dove la prima era il suicidio.

Andò nella sua stanza e si vesti alla bell'e meglio. Non perse tempo a mettere la camicia nei pantaloni, il colletto della giacca ordinata e la cravatta dentro essa. Non facevano per lui. I capelli non erano pettinati all'indietro come tutti quei dannati damerini. Preferiva tenerli liberi.

Scese di sotto e la prima persona che vide fu sua sorella che lo guardava, di sottecchi, mentre parlava con un ragazzo. Che sicuramente le aveva presentato la loro madre. Però, l'avevano fatta vestire 'bene'. L'abito lilla era pieno di merletti rosa antico ovunque lo guardavi. La gonna era enorme, probabilmente pesava anche più di lui. Il corsetto era stato stretto ad una circonferenza di venti centimetri. Tanto che Ikuto si domandò com'era possibile che sua sorella fosse ancora viva. La scollatura era tipica di quegli abiti all'ultima moda, ma lui la riteneva lo stesso esagerata. Le scopriva metà seno. Tanto che quel ragazzo ogni tanto ci faceva cadere, involontariamente, l'occhio.

Ikuto nemmeno badò di accostarsi alla sorella, nonostante lei gli avesse inviato un'infinità di messaggi d'aiuto tramite sguardi. Non aveva tempo per simili sciocchezze. Non vedeva l'ora che quella 'festa' finisse. Ancora non aveva capito che senso avessero le riunioni di famiglie nobili e parenti. Erano una pura assurdità. Fece spallucce e si guardò intorno. Suo padre aveva pregato il figlio quanto la figlia di scegliere al più presto una sposa e uno sposo. Se Utau avesse ricevuto una proposta di matrimonio e il padre avesse accettato, lei non si sarebbe potuta opporre. Ma lui si, lui poteva. La decisione del matrimonio spettava sempre al maschio, nonostante il padre doveva essere d'accordo.

Inutili. Probabilmente quella era una delle tante parole più giuste a descrivere tutte quelle oche in quella stanza. Ce n'erano per tutti i tipi. Timide. Estroverse che si trattenevano. Il loro abbigliamento poi era conforme. L'unica cosa che variava era il colore. Perfino l'acconciatura era la stessa. Doveva ammetterlo. Se non fosse stato per l'abito che era stata costretta a mettere, sua sorella sarebbe apparsa la migliore tra di loro. Almeno per l'originalità. Dopotutto erano fratelli e si somigliavano in molte cose. Nonostante Utau fosse una femmina, anche lei odiava vestirsi e agghindarsi in quel modo. Ma era costretta. Lui era molto più libero di lei. Libero. Se guardiamo le differenze tra maschi e femmine. Lui era prigioniero quanto lei.

Spostò lo sguardo su una ragazza vestita con un abito viola, dalle rifiniture gialle. Era di spalle. I capelli neri sciolti. Non può essere lei… si disse avvicinandolesi e mettendole una mano su una spalla. La ragazza si voltò lentamente e lo guardo bene, prima di esultare.

- Ikuto! Caro cugino, sei proprio tu? - domandò sorpresa.

Ikuto non avrebbe saputo dire perché. Ma nonostante il suo sorriso e i suoi soliti modi di fare allegri e gioiosi - talvolta anche un po' confusionari - avvertiva qualcosa di strano in lei. Fece spallucce metaforicamente.

- Ciao Kimiko. - rispose con un lieve sorriso.

- Non sei cambiato per nulla.

- Tu invece si. - disse lui scrutandola da cima a fondo. Dov'era finita la ragazza completamente vestita di rosa che elogiava qualunque derivato di quel colore?

- Non sai quanto hai ragione. - disse la ragazza accennando uno strano sorriso, per poi tornare quella di prima.

- Che fine ha fatto il rosa? - domandò Ikuto.

- Beh, è andato in pensione direi. - disse la ragazza. - Dopotutto sono grande ormai, il rosa non mi piace più.

- I tuoi genitori non sono venuti con te?

- No. Avevano da fare, mandano le più sentite scuse. - si, c'era decisamente qualcosa di strano. Il suo modo di parlare era diverso dal solito. Poi, la cosa più strana era che stava lì, a parlare con lui. Suo cugino. Di solito accennava appena a lui un saluto, per poi tentare di andare a parlare con un damerino. Perché ora stava lì con lui.

- Oh, le farò avere ai miei genitori. - rispose il ragazzo.

- Ti va di uscire in terrazza? Qui è troppo caldo. - disse Kimiko.

Ikuto annuì. Anche lui non sopportava quei luoghi, altra cosa strana. Era lui quello che non sopportava quei luoghi, non lei. Vallo a capire cosa le era capitato.

Uscirono a l'aria fresca e pulita della sera.

- Non hai freddo? - le domandò. Era comunque inverso e lei era scoperta sulle spalle oltre che per buona parte del petto.

- No, non preoccuparti. - rispose lei sorridendo.

Non si preoccupata infatti, era solo per curiosità. Visto che lui invece stava iniziando a tremare.

- Ikuto…

- Si?

- Tu… hai mai desiderato ardentemente qualcosa? - gli domandò guardandolo.

Lui fece un sorriso amaro.

- Lo sto ancora desiderando. - rispose.

- Davvero? Posso sapere allora il tuo desiderio? - gli domandò mentre si appoggiava, a braccia incrociate sotto il seno, sul davanzale.

- Beh, non credo che il mio desiderio da quello di qualcun altro. Vorrei andare via da qui, avere il coraggio di fuggire e rifarmi una vita. - rispose guardando all'orizzonte.

Kimiko lo guardava con il sorriso sulle labbra. Poi gli si avvicinò.

- E se io potessi realizzare questo tuo desiderio? - gli disse.

Ikuto scoppiò a ridere.

- Non vorrai mica prendermi in giro in questo modo?

- Sto dicendo la verità. - rispose la ragazza. Ma il cugino non riusciva a smettere di ridere.

- Ti prego… inventati una scusa almeno credibile.

- Vuoi una dimostrazione? - questa semplice frase riuscì a fermare le risate del ragazzo.

Guardò intensamente Kimiko.

- Non stai mentendo… - mormorò osservando gli occhi. Sicuri e determinati.

- Perché dovrei? Non avrebbe senso. - rispose lei.

Il ragazzo non sapeva se fidarsi o no. Fidarsi. Diamine era quella rompipalle di sua cugina, fidarsi era una parola grossa. Non ce n'era bisogno. O era così o non appena gli avrebbe risposto in modo affermativo lei si sarebbe presa gioco di lui.

- Allora coraggio. - rispose il ragazzo. Incrociando le braccia e guardandola, serio.

- Chiudi gli occhi.

- Giochiamo a mosca cieca adesso?

- Non fare l'idiota e chiudi gli occhi. - quel tono non era decisamente di sua cugina. Ma non poteva essere che lei quella che gli stava davanti.

Ikuto obbedì. Sentì le mani della ragazza avvolgergli il collo. Poi un dolore acuto al collo, come qualcosa che affondava nella sua carne. In seguito realizzò che era Kimiko a provocargli quel dolore. Che lo stava dormendo. Ikuto provò a staccarla, ma non ci riuscì. Come non riusciva ad urlare, troppo stupito anche solo per formulare un pensiero. Sentiva il suo sangue che veniva come risucchiato dalle labbra affamate della giovane.

Quando poi sua cugina si staccò da lui, il ragazzo era quasi moribondo. Aveva perso molto sangue. Forse aveva esagerato un po'. Poco importava. Con i denti di morse il polso, dove si vedeva una vena bluastra mostrarsi, quasi aspettasse quel momento. Portò il capo del ragazzo al suo sangue.

- Bevi. - gli disse la ragazza.

Anche se un po' titubante, Ikuto lo fece. Il sangue aveva un sapore strano, metallico, ma allo stesso tempo dolce e gustoso.

Kimiko sfilò via il braccio e Ikuto cadde a terra morto.

Passò qualche minuto prima che il ragazzo aprì di nuovo gli occhi.

- Ci vuole così poco per trasformarsi? Allora non era passato molto tempo quando mi sono risvegliata. - commentò la corvina, mentre suo cugino si alzava e la guardava un po' confuso.

- Ma cosa… - mormorò mentre si guardava intorno. Poi uno sconosciuto bisogno gli riempì la mente. - Kimiko?

- Ottimo. Beh ora si può dire che sei libero. - disse la ragazza. - Ho mantenuto fede alla mia promessa.

- Eh? - domandò il ragazzo prima di realizzare il tutto. Si guardò le mani, posò i polpastrelli sotto le narici. Non respirava. - Sono…

- Morto, proprio come sono io.

Si guardo intorno. Non era impaurito, sono stupito. Guardò attraverso le vetrate della finestra. Dove la gente ballava, rideva e scherzava.

- E… siamo all'inferno, giusto? - domandò, pur sapendo che era una sciocchezza quello che stava dicendo.

- Beh, noi no, ma sei vuoi… loro puoi mandarceli. - disse la ragazza indicando gl'invitati. Leccandosi le labbra.

Il ragazzo capì all'istante e le si avvicinò. Le prese il volto fra le mani e in gesto secco le spezzò il collo, talmente forte che la testa si girò dall'altra parte e del sangue uscì a sporcargli il volto. Lo leccò tutto, di gusto.

- Scusa cuginetta, ma il divertimento lo voglio tutto per me… - le disse, prima di entrare.

Era una cosa normale. Ogni vampiro uccide il suo sire, a meno che non abbia avuto un legame particolare quando era in vita.

Ikuto con Kimiko aveva solo un legame di sangue, ma a quella ragazza non aveva mai voluto bene.


Ikuto aprì piano gli occhi. Vagò un po' con lo sguardo, fino a scorgere una figura dannatamente familiare.

- Ti sei svegliato finalmente! - esclamò Amhelia rincuorata. - Cosa ti è capitato?

Ikuto posò lo sguardo prima su di lei, poi sulla figlia Mimi accanto. La quale non osava neanche posare lo sguardo sul ragazzo.

- S-sto… bene. Almeno credo. - disse posando una mano sulla fronte. Quel ricordo… ma allora, lui era morto. No, non poteva essere. Respirava. Poi, non poteva essere un vampiro. Magari era stato solo un sogno. Ma cosa andava a pensare, era ovvio che fosse un ricordo.

Eppure, lui era vivo. Si posò una mano sul petto. Il cuore batteva e, a meno che Bram Stoker non avesse commesso un errore di battitura, ai vampiri non batteva il cuore. I vampiri non respiravano. Anche perché i vampiri erano morti che tornavano in vita sotto forma di demone. D'accordo, lui non era un angelo, ma definirlo demone era un tantino esagerato. Che ci fosse un modo per diventare di nuovo umani? E che poi questo causi la perdita della memoria? Questo avrebbe spiegato il motivo del suo vuoto mentale. Ma era un'assurdità. A che pro ritornare umano? Che sciocchezza andava pensando?

- Vuoi qualcosa? Un bicchiere di latte? Una medicina… ho delle erbe che…

- Scusate, ma devo andare. - l'interruppe Ikuto. Doveva trovare lei. Forse poteva aiutarlo a capire. A capire se quello era un ricordo oppure se era un sogno.

Uscì di casa, nonostante Amhelia tentò di fermarlo. Lui doveva sapere. Era una necessità quella che aveva.

Corse nel bosco. Lo attraversò in poco tempo, per poi trovarsi dinanzi a quella dimora. Bussò. La porta si aprì senza che nessuno gli desse il permesso. Ma per quello non aveva tempo. Entrò e corse al piano di sopra. Spalancò la porta della stanza piena di libri. Lì non era. Scorse una porta dentro quella stanza. Forse era lì dentro. Senza pensare aprì la porta. In quel momento, se fosse stato un tipo che arrossiva, la temperatura del suo viso sarebbe salita alle stelle.

Beh, aveva trovato Amu in fin dei conti. Anche se quello non era certo il modo in cui avrebbe voluto incontrarla. La ragazza era completamente nuda e lo guardava sorpresa. Probabilmente non si aspettava di trovarlo lì. Il suo corpo aveva qualche gocciolina d'acqua. Doveva aver fatto il bagno.

- Ciao Ikuto. - lo salutò sorridendo lei mentre continuava a pettinarsi i capelli lunghi e rosa.

Il ragazzo deglutì un paio di volte prima di riuscire a voltarsi.

- Ti è successo qualcosa? - domandò la ragazza. - Non mi dirai che sei imbarazzato. Ieri sera hai non ti sei fatto scrupoli a vedermi senza vestiti.

Il ragazzo si voltò verso di lei.

- Tu non sei normale. - le disse.

- Sai che scoperta. - rispose lei facendo spallucce. - Piuttosto, è successo qualcosa?

- Si. Ho ricordato una cosa del mio passato.

Amu si fece improvvisamente attenta.

- E? - domandò poi.

- Io… non posso essere un vampiro, giusto?

La ragazza sgranò gli occhi dallo stupore. Sarebbe stata costretta a dirgli tutto adesso. A ricordare… Qualche goccia di sangue scese dai suoi occhi.

- No, adesso no. - rispose abbassando lo sguardo, regalandolo al pavimento.

- Adesso?

- Ecco, vedi… - gli raccontò tutto. Gli disse che lui era un vampiro e che era stato lui a generarla. Infine, gli disse com'era morto e poi com'era tornato in vita.

Ad ogni parla della ragazza Ikuto sgranava sempre di più gli occhi. Tanto che si chiese se sarebbero rotolati via per il troppo spazio.

- Quindi tu e quella ragazza mi avete riportato qui perché…

- Mi sentivo in colpa. - confessò Amu. - In un certo senso… ma che dico, è proprio così. Sono stata io ad ucciderti.

- A me è parso un suicidio. - commentò il ragazzo.

- Fatto sta che…

- Fatto sta che è ovvio che tu eri un vampiro. - una voce fin troppo conosciuta interruppe la loro conversazione.

Utau. Ikuto e Amu la guardarono entrambi con disprezzo.

- Ovvio? - domandò il ragazzo.

- Certo, visto che sei stato tu a trasformarmi...

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Capitolo 25
*** I hate you ***


- Fatto sta che è ovvio che tu eri un vampiro. - una voce fin troppo conosciuta interruppe la loro conversazione.

Utau. Ikuto e Amu la guardarono entrambi con disprezzo.

- Ovvio? - domandò il ragazzo.

- Certo, visto che sei stato tu a trasformarmi...

- Che cosa avrei fatto io? - domandò Ikuto che non era solo sorpreso, ma sconvolto.

- Hai fatto quello che dovevi fare.

- Come avrei fatto a trasformarti? Non me ne ricordo per nien…

Una fitta forte e tremenda lo colpì alla testa, mentre Sentiva Amu che gli si avvicinava e che lo sorreggeva mentre cadeva a terra.

- Ikuto! Ikuto! Cosa succede…?


Si appostò a un angolo del salone, aspettando la fine della festa. Agire in silenzio e senza attirare l'attenzione era sempre stato il suo stile. Anche adesso quella regola non era cambiata.

Osservò la fiumana di gente che si muoveva davanti a lui a ritmo della musica, in coppia. C'era anche sua sorella, con il ragazzo con cui l'aveva vista prima. Che scena patetica. Il viso di Utau sembrava non esprimere nulla, ma Ikuto già sapeva che non vedeva l'ora che finisse.

Diede uno sguardo all'orologio. Mezz'ora e tutto sarebbe finito. Cavolo, avrebbe resistito così tanto a stomaco vuoto?

- Sapete, mi sto divertendo molto a ballare con voi. - commentò il ragazzo guardando dritto negli occhi Utau.

In quel momento la ragazza pregò con tutta se stessa che non sarebbe stato quel ragazzo a chiederla in sposa ai genitori.

Mentre Ikuto guardava la scena rideva. Rideva non tanto per la faccia di sua sorella, che in quel momento esprimeva solo paura - una paura di cui lui sapeva l'origine - ma anche perché non avrebbe avuto di che preoccuparsi. Per una volta suo fratello gli avrebbe fatto un grande favore. Anche lei voleva essere libera no? E quale libertà era meglio della morte. Soprattutto perché in questo modo non l'avrebbe più avuta intorno. Gli aveva rotto le scatole per sedici anni, ora finalmente se ne sarebbe sbarazzato. Una volta per tutte.

- Oh, anche io. - rispose educatamente la ragazza. Abbassò lo sguardo facendo una smorfia di disgusto. Le sembrava di stare ballando con una lumaca.

- Sono contento. - disse ancora lui. La musica lenta e l'ora stavano già facendo abbastanza per aumentarle la voglia di andare a letto, adesso ci si aggiungevano le parole di quello sdolcinato e stancante Mark. Le aveva già rovinato l'infanzia, cosa voleva ancora! - Sapete, a me siete sempre piaciuta.

Oh no, che incubo.

- Parlerò anche con vostro padre. Ma prima vorrei una risposta da voi.

Santo cielo, avrebbe dato qualunque cosa pur di farsi dire da qualcuno che non era reale ciò che stava vivendo.

- Io…

- Signori! - la voce di suo padre tuonò in tutto il salone. La musica si fermò e tutte le coppie fermarono la loro danza, per rivolgere l'attenzione al padrone di casa che aveva parlato. - Vi ringrazio tutti per essere venuti qui, non saprei davvero come ripagarvi. Mi duole essere terribilmente indiscreto, ma l'ora di andare a letto per i miei figli è passata e anche per noi. Vi devo pregare di lasciarci.

Ci fu un mormorio generale. Nonostante le feste venivano sempre chiuse in questo modo, nessuno si aspettava che l'ora di tornare a casa sarebbe avvenuta così presto. Nonostante questo ci fu solo sollievo da parte di due persone in particolare. Con grande fortuna di Utau Mark se ne andò via. Mentre con grande sollievo di Ikuto era finalmente giunto il momento.

Una volta che tutti se ne furono andati il ragazzo si avvicinò alla famiglia. Ancora qualche minuto e il vero spettacolo avrebbe avuto inizio.

- Oh Ikuto, sei qui. - disse suo padre non appena lo vide arrivare.

- Si, padre.

- Hai conosciuto la signorina Sophie? - chiese l'uomo.

Ikuto sorrise.

- Certo che no, credete davvero che avrei voluto qualche gallina intorno?

Il padre gli si avvicinò con sguardo minaccioso.

- Non dimenticare mai che io sono tuo padre e tu non puoi decidere per te. La nostra famiglia deve mantenere un buon nome e tu ti dovrai comunque sposare per portare avanti l'onore della famiglia Tsukiyomi.

- Vi piacerebbe suppongo, che io porti avanti questo 'buon nome' sposando qualche gallina per far nascere un bel po' di pulcini. - disse provocatorio.

- Non insultare il tuo nome! - urlò il padre muovendo il braccio per schiaffeggiarlo, ma con sua grande sorpresa, Ikuto gli fermò la mano a due centimetri dalla guancia.

- Questo nome è un insulto per me. - disse il ragazzo, per poi afferrare il collo del padre con una mano e spezzarlo senza pensarci due volte. L'uomo cadde a terra sotto lo sguardo stupito di Jane ed Utau, che guardavano Ikuto con paura e incredulità.

- I-Ikuto… - mormorò la madre. - Figliolo, cosa…

- Oh madre, persino adesso siete così ottusa da non capire. - la interruppe il ragazzo avvicinandolesi, mentre la donna indietreggiava spaventata. - Ma è ovvio. Non mi conoscevate prima… come posso anche solo sperare che mi conosciate adesso?

La madre non capiva. Le parole le arrivavano distanti. Era la paura a prendere il sopravvento in lei. Ikuto la mise spalle a muro. Alla sua destra il camino del salotto. Il ragazzo prese un pezzo di ferro, quelli che servono per spostare il legname. Senza lasciar dire niente a sua madre glielo conficcò nel petto, facendo uscire un gustoso liquido che senza esitazione lui assaggiò. Durante l'atto il ferro, in un punto affilato, lo tagliò al palmo della mano.

- Mm… - fece. - Non siete mai stata molto buona madre, ora capisco il perché.

Guardò dritto negli occhi a donna, fino a che non le si velarono , lasciando come ricordo solo una scia di sangue.

Infine si voltò verso la sorella. Lei non parlò, non disse nulla, nemmeno si mosse quando suo fratello le si avvicinò. Nonostante tutto quella sarebbe stata la morte più bella a suo parere, per mano della persona amata. Non sarebbe servito a nulla indietreggiare o tanto meno scappare. La sua vita tanto era già segnata e, piuttosto che diventare la moglie di quel ragazzo, era meglio la morte.

Quando lui le si avvicinò e le alzò il volto, scoprendole il collo dai capelli, lei sorrise.

- Beh, almeno mi hai notata per un ultima volta. - gli disse.

- Solo per il tuo sangue, sorellina. - rispose sorridendo sadico, prima di affondare i denti nel suo collo. Bevve avidamente e di gusto. Aveva proprio sete. Si staccò e la prese per il collo, senza badare che la sua mano era insanguinata dal taglio fattosi precedentemente. Guardò lo sguardo perso di sua sorella, poi la gettò a terra. Si leccò le labbra e se ne andò via.


-Ora ricordo… - mormorò incredulo. Lo sguardo ancora perso. Le mani tra i capelli. Accanto a lui c'era Amu, avvolta nell'asciugamano, che lo guardava preoccupata.

- Stai meglio adesso? - gli chiese.

Lui annuì, per poi spostare lo sguardo su sua sorella. La quale sorrideva.

- Toccandomi con la mano tagliata il tuo sangue si è mischiato al mio e mi ha trasformata. Non so da cosa dipenda, ma io mi sono svegliata un'ora dopo, probabilmente perché il sangue ha faticato ad entrare in circolazione, dato che non l'ho bevuto. Mi sono trovata in un luogo che puzzava di morte e che non aveva neanche lontanamente l'aspetto della casa in cui ero cresciuta. Trovai il cadavere dei nostri genitori e di nostra cugina, intuii solo cos'era successo. Ricordai che cos'era successo e per la prima volta mi sentii ferma e determinata. Ero decisa a ritrovarti. Beh, ci ho impiegato qualche secolo, ma alla fine eccoti qui. - spiegò la ragazza.

- S-secoli? - balbettò Amu incredula. - Ma cos'hai fatto in tutto questo tempo?

- L'ho cercato, mi pare ovvio. - rispose.

Amu era incredula. Come ci si può mettere dei secoli a cercare una persone. E poi, secoli? Quanti anni aveva Ikuto?

- Ehm, ma tu quanti anni hai? - domandò la ragazza.

- Duecentotrenta. - rispose Utau incrociando le braccia.

- E quanti anni vi togliete tu ed Ikuto?

- Due.

- Duecentotrentadue anni. - disse Amu incredula. - Ikuto ha… Duecentotrentadue anni?

- Esatto. - disse con noncuranza la bionda. - Che mocciosa… un vampiro come lui credevi che sarebbe stato un piccoletto sprovveduto come te?

Amu si alzò di scatto e puntò i suoi occhi caramello nello sguardo freddo e lilla della ragazza.

- Se non altro, Ikuto ha deciso di generarmi e non è accaduto per caso. - disse Amu, senza rendersi conto che il ragazzo questo non poteva saperlo.

Di fatto Ikuto sgranò gli occhi, seguito da Utau che la fissò incredula. Era sempre stata convinta che Amu avesse incontrato suo fratello già da vampiro.

- Ma, allora… - guardò Ikuto che si stava piano piano riprendendo dal mal di testa che ogni volta gli causavano le visioni. - Ikuto… tu…

Non ci poteva credere. Aveva provato qualcosa per un umana fino a tramutarla in un vampiro. Mentre con lei, sua sorella. Quella che lo aveva amato più di tutti. Che gli era stata sempre accanto, che lo conosceva sicuramente meglio di quella rosellina da quatto soldi. Lui, aveva preferito lei.

- Ma perché? Perché lo hai fatto? È così migliore di me?!! - gridò in preda alla furia, il sangue che le rigava le guance.

Ma lui come poteva saperlo? Non ricordava neanche chi fosse. L'unica cosa che poteva dire è che per quella ragazza provava qualcosa di molto forte che andava al di là perfino dell'amore che Utau diceva di provare nei suoi confronti.

- Io non mi ricordo. - disse serio il ragazzo. - Mi sono ricordato di te. Ma di Amu ancora, non ricordo nulla.

- Non ti credo!!! - gridò rabbiosa la sorella. - Com'è possibile che non ti ricordi di lei? Come fate ad avere altrimenti un legame così speciale? Ti devo ricordare io che siamo fratello e sorella?

- Forse sei tu che dovresti tenerlo a mente, visto che provi amore per me. - rispose Ikuto alzandosi in piedi. - Esatto, mi sono ricordato di te. Altrimenti come avrei potuto rafforzare il legame con Amu? Quello che mi è tornato in mente è solo la prova di quanto poco sentimento provo io verso di te. Ti odio. Credevo di avertelo fatto capire abbastanza bene, ma no, tu ancora non ci sentivi. Nonostante ti dicessi che non sopportavo quanto tu mi stessi appiccicata. Le tue scenette di gelosia, fino a che non le mandavo da solo via le ragazze. Sei sempre stata insopportabile. Un'inutile palla al piede. Avrei preferito anche un cane in confronto a te. Dio, se quel giorno avessi prestato un po' più di attenzione probabilmente ora non ti ritroverei qui a rovinarmi di nuovo la vita.

Gocce di sangue attrici di lacrime le scesero lentamente lungo il volto.

Sicuramente in passato aveva provato a farglielo capire. Ma come poteva crederci, se pensava a quello che lei provava per lui?

- Mi hai sempre considerato così? - mormorò incredula abbassando lo sguardo. - Wow… ma non penserai mica che io sia una di quelle sciocche che per questo si arrendono?

Ikuto per un attimo fece un'espressione incomprensibile. Utau tirò fuori un paletto.

- Ora ti faccio vedere come si dimenticano del tutto le persone… - mormorò Utau a denti stretti.

- Cos… - Ikuto agì d'istinto attirò Amu a sé come per proteggerla.

Utau sbagliò mira. Il paletto si diresse dritto verso il volto di Ikuto. Il ragazzo strizzò gli occhi, preparandosi all'impatto, ma l'unica cosa che gli arrivò furono schizzi di sangue. Ikuto aprì piano gli occhi. Davanti a sé, la mano sinistra di Amu, aveva il paletto conficcato nella carne e sgocciolava sangue.

La ragazza si voltò verso di lui. Un sorriso a disegnarle le labbra.

- Che buffo… - disse. - Questa è la seconda volta che mi taglio in questa mano con un paletto, davanti a te!

Ikuto sgranò gli occhi. Ricordi confusi gli stavano strizzando il cervello. Spremendoglielo con tutte le sue forze. Di nuovo quel dolore tremendo al cranio.

Amu estrasse in un attimo il paletto, trattenendo i gemiti di dolore che le uscivano. Accidenti, di questo passo la cicatrice non si sarebbe più fatta pregare.

Guardò Utau che in quel momento stava solo piangendo sangue, neanche guardava suo fratello che stava di nuovo soffrendo. Amu impugnò il paletto con la mano destra.

- Utau! - la ragazza alzò lentamente il capo in direzione della vampira. - Se non vuoi morire subito ti consiglio di andartene.

La ragazza non se lo fece ripetere due volte e se ne andò. Non se n'era andata per la minaccia, bensì perché aveva bisogno di sfogare tutto il suo dolore.

Amu si voltò verso Ikuto. Sapeva che non poteva fare nulla, l'unica cosa che voleva è che il ragazzo ricordasse quello che ormai da troppo tempo aveva sperato.

Ikuto non riusciva a definire bene i ricordi. Le immagini alcune erano confuse e quelle chiare non le capiva.


Ikuto uscì dal bagno proprio nel momento in cui la ragazza riponeva i biscotti.

- Non ti piacciono i mirtilli? - chiese mentre si passavo un panno sulla testa.

La ragazza si voltò a guardarlo e stava per rispondere quando ci ripensò e decise di arrossire. Il ragazzo era uscito solo con due asciugamani, uno in vita e l'altro il mano, per i capelli.

Dopo quella visione era anche logico che avesse perso l'uso della parola. Soprattutto quando lui le si avvicinò andandola a scrutare.

- Hey, ti chiesto solo una cosa, perché sei diventata un pomodoro? - le domandò.

Solo in quel momento lei si riprese andando ad arrossire ancora di più però.

- N-non lo so… - rispose nervosa. - Comunque non è per quello che non li ho mangiati, ma perché sono ammuffiti.

- Certo che lo sono, è proprio la muffa a dar quel buon sapore al sangue. - rispose il ragazzo.

- Bleah… - fu l'unica cosa che disse la ragazza prima di voltarsi. - Vai a vestirti manico tombale.

Come lo aveva chiamato?

- Maniaco tombale… - ripeté il ragazzo perplesso per poi scoppiare a ridere.


Che diavolo era? Quella ragazza la riconosceva. Era Amu. Che cosa… No aspetta una altro ricordo.


Spazientita aprì la porta.

- Ikuto, lo so che sei qui dentro! Si può sapere perché non mi rispondi? - chiese con un tono di voce innervosito. La stanza era immersa nel buio. Non poteva essere andai a dormire, era notte fonda e aveva anche cenato. Dove diavolo si era cacciato? Decise di entrare lo stesso, magari voleva solo spaventarla, sadico com'era.

Entrò piano cercando di abituare i suoi occhi al buio. Iniziò a camminare quando…

- Ahio! - esclamò cadendo su qualcosa di morbido. Tastò il territorio. - Ma… è un letto…

E adesso? Che avrebbe fatto lì? Fece spallucce e decise di aspettare, prima o poi doveva tornare.

Iniziava seriamente ad annoiarsi. Tirò fuori il pugnale e iniziò a lanciarlo per poi riprenderlo.

- Certo che sono proprio in una situazione strana… - iniziò a dire in un sussurro a se stessa. - Sto in un castello vicinissimo al paesino in cui vivo, però siccome nessuno attraversa mai il bosco, nessuno lo conosce. Sono qui insieme ad un affascinante vampiro che non fa altro che imbarazzarmi ed attrarmi. E poi… - aggiunse guardando il letto. - Ma i vampiri non dormono nelle bare?

- Alcuni si… - rispose una voce. Una figura da lei fin troppo conosciuta varcò la soglia della camera.

La ragazza avvampò all'istante, aveva sentito tutto quello che aveva detto? Ops.

Il ragazzo le si avvicinò mettendosi seduto vicino a lei. I suoi occhi erano bianchi e poteva così vedere al buio. Rise nel vederla rossa sulle gote. Le si avvicinò a un centimetro dal volto chiedendole:

- E così sono un vampiro affascinante che ti imbarazza e ti attrae, non è vero?


Era davvero lei quella che aveva detto quelle cose? E lui allora… era davvero un vampiro prima. Ma cosa… Accidenti! E questo adesso che cos'è?


- Sai non morto che fuori è giorno? - domandò Hotori.

Ikuto portava la fascia e sorrise. Si voltò verso Amu e fissò il collo della ragazza. Su di lei non c'era.

- Amu… - mormorò. La ragazza sorrise.

- Non importa Ikuto… - rispose lei. La porta si stava per aprire.

Non c'era più tempo da perdere. Sarà una stupidaggine, ma credo sarebbe la cosa migliore che farei in vita mia… si disse il vampiro. La guardò intensamente negli occhi e le sorrise, un vero sorriso. Si tolse la fascia e la legò al collo di Amu.

- Ikuto, cos… - non fece in tempo a finire la frase. Bastò fissare i suoi occhi e vedere il sorriso fare capolino sul suo volto, per poi trovarselo ridotto in cenere ai piedi.

Il corpo del ragazzo si era tramutato in polvere, dell'inutile polvere da spazzare. La ragazza rimase ancora per qualche istante a fissare il vuoto, quel vuoto che prima era riempito dalla sua presenza.

Poi si inginocchiò a terra e immerse le mani nelle ceneri, tirandone su un poco.

- Ikuto no baka… - mormorò la ragazza prima di lasciare scendere dal suo volto una lacrima rossa che andò a decorare per prima il pavimento. Poiché in seguito venne seguita da tutte le altre. Lacrime rosso scuro, perché anche il dolore che una persona prova all'interno è una ferita e sgorga sangue.


Era morto? Lui era davvero morto per difenderla, ora lo ricordava chiaramente! I ricordi continuarono a manifestarsi nella sua testa e a tessere una tela sempre più chiara. Finché il mosaico non raggiunse il pezzo fondamentale, quello mancante. Quello che gli fece capire…


- Oh santo cielo, scusate! - esclamò la ragazza guardando la persona sotto di se. Era un ragazzo. Capelli blu e occhi di un viola profondo che la fissavano divertiti.

Amu restò per qualche secondo immobile sopra quel ragazzo, poi si riscosse alzandosi ed iniziando a raccogliere la spesa che le era caduta. Il ragazzo si alzò a sua volta aiutandola a recuperare gli alimenti. Nell'attimo in cui lui si alzò avvertì l'odore di sangue, un sangue molto dolce che gli faceva venire l'acquolina - Vi sono venuta addosso, scusate…

Disse la ragazza una volta messo tutto a posto.

- Non preoccuparti. - le rispose il ragazzo guardandola bene. Si era ferita a un braccio. - Ti sei ferita…

Le disse fissando il graffio e leccandosi le labbra. La ragazza non ci fece caso, rivolse subito la sua attenzione al braccio. Era un graffietto.

- Avete ragione… - disse per poi avvicinare le labbra e iniziando a leccare il liquido che ne fuoriusciva. Il ragazzo distolse lo sguardo, gli faceva venire fame. Quella ragazza era proprio strana. Avvertiva che c'era qualcosa di diverso in lei.

- Chi sei tu? - le chiese.

Certo, questa non era la classica domanda di cortesia posta da una persona. Ma Amu non ci fece caso.

- Hinamori Amu. - gli rispose guardandolo dritto negli occhi. - E voi?

- Beh… chiamami Ikuto. - le disse aggiustandosi una fascia nera che portava intorno al collo.

- Ikuto? - domandò la ragazza. Era un nome poco comune da quelle parti. - Beh, piacere di avervi conosciuto, ora scusatemi ma devo andare…

Fece sbrigativa, le aveva dato una strana impressione quell'individuo.

Il ragazzo annuì appena mentre la osservava dirigersi verso il negozio di abiti.

Si passò di nuovo una mano sul collo per poi andarsene da quella fiumana di gente e sparire nel bosco.


Alzò lo sguardo verso Amu. La mano le gocciolava ancora sangue. Quella mano. Quel viso. La guardò dritta negli occhi e sorrise.

- Ora mi ricordo. - disse.


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Capitolo 26
*** I'm here ***


Alzò lo sguardo verso Amu. La mano le gocciolava ancora sangue. Quella mano. Quel viso. La guardò dritta negli occhi e sorrise.

- Ora mi ricordo. - disse.

Lo stupore negli occhi della ragazza era impossibile da descrivere. Gli si avvicinò lentamente mentre il ragazzo sorrideva e si alzava in piedi.

- T-ti ricordi chi sono? Intendo dire tutto quello che… - le braccia di Ikuto le diedero la conferma dei dubbi che presero rapidamente piede nella sua mente e che altrettanto rapidamente di dissolsero.

Le sembrò che quell'abbraccio durato pochi istanti fosse durato ore. Ora lui ricordava davvero, era diverso da prima. Nonostante ricordasse i sentimenti verso di lei, non si ricordava chi fosse e come l'avesse conosciuta. Non ricordava neanche che era stato lui a generarla. Queste cose, al di là della felicità nel vederlo di nuovo, facevano male. Il timore che ogni giorno che passava, invece che affiorargli la memoria, fosse un segno che non si sarebbe mai più ricordato di lei era terrificante.

Ma adesso quei pensieri potevano benissimo dileguarsi e lasciare spazio alla dolce realtà di cui ora era partecipe.

- Ikuto… - disse Amu mentre piano metteva fine a quell'abbraccio. - Ricordi anche come… come… come te ne sei andato?

Il ragazzo sorrise vedendo tristezza e senso di colpa nello sguardo di quella ragazzina che aveva trasformato in vampiro.

- Si che me lo ricordo e non me ne pento affatto. - disse. - E comunque sei tu la Baka.

- Come? E perché mai signore?

- Semplicemente perché ti sei data la colpa per quanto è successo quel giorno, piuttosto che preoccuparti di ricordarti di mettere la fascia d'ora in poi. - le disse.

- L'ho sempre ricordato grazie. - rispose. - Piuttosto perché non mi hai mai detto quanto anni hai?

- Eh?

- Che avevi una sorella?

- Ah?

- E per dirla tutta che sai tradurre i manoscritti antichi?

- Credevo fosse ovvio visto che sono vissuto per duecentotrentadue anni. - rispose alquanto stranito da tutte quelle domande.

- Vuoi dire che in duecento anni hai preferito studiare?

- No. Studiare e mangiare. - rispose leccandosi le labbra. - Comunque fa uno strano effetto tornare umani. Sentire il cuore che batte… sentire il brontolio di stomaco.

Amu sorrise. Considerando il fisico del ragazzo doveva sentirlo parecchio il brontolio di stomaco.

- Se hai fame saprai meglio di me che non ho niente da darti. - disse.

Ikuto fece spallucce.

- Possiamo andare a cena fuori. - propose. - Ti offro il cameriere.

La ragazza rise. Era bello riavere il solito Ikuto.

- Ma come fai a sapere dei manoscritti? - domandò d'un tratto il ragazzo.

- Beh, per farti resuscitare avevo bisogno di un incantesimo, quindi di un libro. Ho trovato una stanza in questa casa dove tieni tutti i libri di magia e ne ho trovato uno adatto. Tradotto da te con varie note e appunti. - spiegò Amu. - Sfortunatamente però l'incantesimo era sbagliato. Se non fosse intervenuta Sata sarei morta anch'io.

- Sata? La ragazza dai lunghi capelli bianchi, giusto?

La ragazza annuì.

- Quant'è passato da quando sono morto?

- Oggi fanno tre mesi.

- Cavolo… comunque faresti meglio a fasciarti quella mano. - le disse.

Giusto. La mano. Era talmente presa da quel fatto miracoloso che si era dimenticata di avere un buco alla mano. Prese delle bende e si fasciò la mano con cura, legandole strette.

- Ci rimarrà comunque la cicatrice. - commentò la ragazza, mettendo la mano davanti al volto e studiando la bendatura appena fatta. - Ma non credo mi dispiacerà.

Ikuto sorrise guardandola. Non glielo avrebbe mai detto - non solo perché sicuramente lei già lo sapeva, ma anche perché non poteva permettersi di essere neanche lontanamente romantico - ma gli era mancata. Tantissimo.

- Beh… allora, usciamo? - domandò Ikuto.

- Va bene, va bene. - disse Amu sorridente.

Si addentrarono nel bosco e passeggiarono a lungo, parlando. Infine si arrampicarono su un albero a loro molto noto.

- Non credevo te lo saresti ricordato. - disse Amu.

- Dopo la cascata di ricordi di prima, credevi forse che lo avrei dimenticato? E poi è stato qui che ho assaggiato per la prima volta il tuo dolcissimo sangue. - disse il ragazzo leccandosi le labbra al dolce ricordo di quel sapore.

Per un attimo la ragazza rimase interdetta. Ma dopotutto era ovvio che ricordasse meglio quel particolare.

- Io invece il tuo sangue non l'ho mai assaggiato. - disse Amu.

Lui la guardò malizioso.

- Vorresti?

La ragazza voltò il viso dall'altra parte.

- Non c'è bisogno di guardarmi così! - sbottò.

- Non sei cambiata affatto da com'eri da umana! - esclamò il ragazzo scoppiando a ridere.

- Hey! Nemmeno tu sei poi così diverso… Sadico eri e sadico sei rimasto. - gli disse tornando a guardarlo.

- Si, ma sono migliorato. - disse sprizzante d'orgoglio.

- Credo che solo il fatto di sedurre le ragazze per il sangue invece che solo per mandarle via sia diverso. - disse Amu.

Ikuto le si avvicinò, un soffio al suo volto.

- Non sarai mica gelosa? - le domandò con un mezzo sorriso.

- Affatto!

- Neanche quando ho baciato Mimi?

- Ah? - girò la testa dall'altra parte. - O-ovvio che no!

Con una mano riportò il viso nella sua direzione, per poi posare dolcemente le labbra su quelle della ragazza.

Quando si staccarono Amu rimase per un po' con gli occhi chiusi, prima di specchiarsi di nuovo in quelle splendide ametiste.

- Sono ancora gelosa. - affermò Amu, ma questa volta fu lei a prendere l'iniziativa.


L'incenso si espandeva per la camera dalle pareti nere. Era un semplice incantesimo di protezione. Nonostante la casa di una Majo sarebbe stata difficilmente attaccata da una creatura del male, specie se non invitata, era sempre meglio stare attenti. Utau era ancora viva, lo sapeva bene, nonostante non aveva più visto Amu lei le avvertiva certe cose. Era il suo dono che glielo diceva.

Si mise nella posizione del loto e provò a svuotare la mente. In quel momento non le era mai risultato così difficile. Non sapeva perché, ma avvertiva qualcosa. Come se fosse stato un cambiamento.

L'incenso che le giungeva alle narici le stava dando alla testa. Non riusciva a concentrarsi e quel profumo forte la faceva star male.

Si alzò di scatto e uscì dalla stanza respirando a pieni polmoni l'aria pulita che erano ore che non assaporava.

- Vado a farmi un tè… - mormorò dirigendosi in cucina. Mise l'acqua a bollire e prese alcune foglie essiccate le posò nella tazza. Fece lunghi respiri profondi. Quando avvertiva le cose la sua mente non riusciva più a concentrarsi su nient'altro. Non sapeva bene che cos'era, ma in qualche modo se lo sentiva che Amu c'entrava e anche Ikuto.

- Speriamo non sia nulla di grave… - disse sospirando.

Ricordò che quel dono lo aveva anche da bambina. Anche se prima nessuno lo considerava tale, neanche lei. Veniva definito sesto senso. Nessuno, o meglio… solo una persona era convinta che quello che aveva non era casuale. Akira… pensò. Lui solo lo sapeva, nemmeno lei se n'era accorta. Ma il potere magico di suo fratello era sempre stato superiore al suo. Ora che ci pensava lui era l'unica persona che credeva in lei. Sempre. L'unica persona che l'abbia sempre sostenuta.

Ogni volta che la sua mentre intercettava il pensiero che costantemente vagava nel suo passati e a suo fratello, lei non poteva fare a meno di provare il bruciante desiderio di incontrarlo di nuovo. Di poterlo cercare. Poterlo vedere ancora. Anche rivivere quei buffi momenti che della loro infanzia. I quali ormai sembravano lontani quasi quanto il sole lo è dalla terra.


Una mano di bambina carezzava dolcemente la testa del piccolo coniglietto bianco che le stava seduto accanto. Sembrava sorriderle per come se ne stava con il visino rilassato a godersi le sue carezze, mentre lei teneva nell'altra mano un libro di fiabe e di sogni che ogni volta riusciva a trasportarla da un'altra parte. La sua storia preferita era quella di Hansel e Gretel. Rivedeva ogni volta in quei due bambini lei e suo fratello. Una storia che le sarebbe piaciuta poter vivere. Se non altro per assaporare la dolce sensazione della libertà. Ma non della solitudine. Molte volte aveva pensato di fare lo stesso con Akira.

Fuggire. Fuggire da quella casa, da quella famiglia.

Semplicemente fuggire. Sentirsi libera da tutto il resto, lasciarsi alle spalle tutto, tutti.

Forse… l'unico che le sarebbe mancato sarebbe stato lui. Bignè. Quel batuffolo a cui proprio adesso stava carezzando il pelo liso e candido.

- A che pensi? - la voce di suo fratello la fece sobbalzare.

Si voltò con uno sguardo arrabbiato.

- Hey! Mi hai spaventata! - esclamò.

Akira sorrise.

- Davvero? Allora uno a zero per me! - esclamò sedendolesi accanto, sbirciando con lo sguardo nel libro di fiabe aperto sulle ginocchia della sorella.

- Leggi di nuovo questa fiaba? - domandò sorpreso e anche leggermente scioccato. Certo che quando la sorella si fissava con qualcosa non la mollava finché non ne faceva l'analisi completa e non ci faceva tutti i collegamenti possibili.

- Lo sai quanto mi piace. - ribatté Sata pizzicata.

- Scusate signorina. - disse lui facendo un derisorio inchino del capo.

La sorella rise. Chiuse il libro e si mise Bignè sulle ginocchia al suo posto. Continuando ad accarezzarlo. Akira la imitò accarezzando anche lui quel piccolo batuffolo.

Continuarono così fino a che la porta della loro stanza non si aprì e Allie entrò nella stanza.

- Signorina Sata, signorino Akira, sono venuta ad informarvi che è pronta la cena. - disse la ragazza.

Sata posò Bignè sul letto e scese, seguita da Akira.

- Evviva! Cosa c'è da mangiare? - domandò la bambina.

- Sata, lo sai che le femmine non devono mai parlare di cibo. - le ricordò il fratello.

La bambina mise il broncio.

- Uffa, ma adesso non siamo mica ad un ricevimento! - esclamò. - E poi con te posso, no?

Lo sguardo era talmente dolce e da cucciolo che il fratello non poteva far altro che scuotere la testa sorridendo.

- Oh cielo, mi farai impazzire… - mormorò il ragazzino.

- Ancora? - fece lei con sguardo e tono di sfida.

Il moro fece un mezzo sorriso e puntò gli occhi arancioni in due occhi del medesimo colore.

- Che cattiva che sei… - le disse.

Sata gli fece la linguaccia, poi gli volse le spalle e corse fuori dalla stanza.

- Signorina Sata! Non si corre in casa! - le ricordò Allie.

Come se avesse parlato al vento anche il fratello iniziò a correre dietro la bambina. Sorrise. Con sua sorella c'era sempre da divertirvi. Allie intanto era rimasta sbalordita. Akira di solito era sempre più obbediente, eppure questa volta stava seguendo il 'cattivo' esempio di Sata.

Il ragazzino correva felice, fino a raggiungerla, prendendola per una spalla. La fece sbilanciare e caddero entrambi a terra mettendosi a ridere.

- Ti ho preso! - disse fiero di se Akira.

- Non credo proprio! - ribatté Sata iniziando a gattonare velocissima. - Prendimi adesso!

- Dovrei mettermi a fare il gatto?

- Miao! Si! - ribatté più convinta la bambina.

Il fratello fece un mezzo sorriso e annuì.

- Ci sto!

Iniziarono così a gattonare per il lungo corridoio. Ridendo e lanciandosi frecciatine per stuzzicarsi un po' a vicenda.

Ridevano.

I pochi momenti in cui avevano riso così. Di solito si limitavano a ridere in silenzio. Quasi non volessero mostrare agli altri la loro gioia di vivere e di divertirsi.

- Questa volta non mi prendi! Ahio! - esclamò. Davanti a se un paio di gambe erano piantate al suolo. Solo esse già le incutevano paura.

Guardò in alto, prima di voltarsi verso Akira e mostrare uno sguardo di paura e tristezza. Poi avvertì una mano afferrarla per i capelli e trascinarla via.


Aprì gli occhi di scatto. Si era addormentata? Come aveva fatto a perdersi nei ricordi a tal punto? Bah, vallo a capire.

Si alzò- L'acqua stava bollendo all'impazzata. Corse subito a toglierla da fuoco e a versarla nella tazza. Avrebbe dovuto aspettare almeno mezz'ora prima di berlo. Dal fumo che vi usciva aveva l'aria di essere molto calda.

- Ma tu guarda, solo io potevo fare una cosa del genere… - sospirò.

Strabuzzò gli occhi. Sarebbe successo qualcosa tra breve. Che si tratti di quella vampira? Oppure è una cosa diversa? Forse doveva controllare. Si, sarebbe andata a vedere.


La luna era piena. Il cielo notturno fungeva da manto per i due ragazzi che se ne stavano seduti sul ramo a recuperare quel tempo perso. Neanche troppo se ci si rifletteva bene, ma tanto vuoto da sembrare interminabile. Due mesi passano veloci quando hai qualcosa per vivere. Per Amu i due mesi dopo la scomparsa del ragazzo erano stati più duri da sopportare che se fosse stata chiusa dentro una bara.

Poi, quest'ultimo mese, tutto d'un tratto, aveva ritrovato uno scopo. Uno scopo per continuare la sua vita immortale. Uno scopo per dare un senso alla sua morte.

Quello scopo era come un'illusione che si era concretizzata davanti ai suoi occhi. Una cosa astratta che era diventata corporea.

Quando lo guardava negli occhi… a volte non le sembrava vero che lui fosse lì. Davanti a lei. Con quello sguardo, con quel viso, con quel corpo, con quelle sue braccia. A stringerla e a farla sentire più viva di quanto non lo fosse mai stata.

- Amu… - mormorò.

- Si, Ikuto?

- Prima avevi detto che volevi assaggiare il mio sangue, no? - domandò d'un tratto.

Lei lo guardò stranita. Che c'entrava adesso quello? La sua era stata una battuta.

- Beh se vuoi metterla così… perché? - chiese lei.

Lo sguardo di Ikuto era serio. Fermo. Sicuro. Cosa voleva? C'era qualcosa che non andava?

- Ikuto, cosa c'è?

Per tutta risposta il ragazzo si abbassò il colletto della camicia. Mettendo in mostra il collo.

- Che diavolo… - sussurrò senza riuscire a finire la frase. Che gli era preso adesso? Non avrà mica intenzione di chiederle di ucciderlo?

- Credevi davvero che avrei voluto restare umano per sempre? - le domandò stupendola.

- Non vorrai mica che…

- Scusa, ma mi hai riportato in vita per vedermi morire di nuovo e per vivere con me per il resto dell'eternità? - le chiese con un mezzo sorriso.

Gli occhi di Amu si illuminarono. L'oro risplendé per un attimo nel suo sguardo, fino a sfumarsi e lasciare posto al bianco candido. Unico posto dove si poteva ritrovare la purezza di un vampiro.

Non ci fu bisogno di dire altro. Amu avvicinò i denti al collo del ragazzo e affondò nella sua carne morbida. L'odore e il sapore del suo sangue la resero felice. Era come raggiungere l'intimità profonda di una persona. Il dolce sapore di quel liquido era come un regalo per lei.

Bevve, regolandosi certo. Poi, dopo essersi a malincuore staccata, si tagliò una pena del polso destro. Succhiò un po' del suo sangue, poi posò le sue labbra sul ragazza versandogli gentilmente quel liquido all'interno.

Come era successo a lei, anche lui si addormentò. Fra le sue braccia.

Le labbra erano sporche di rosso ai lati. Non seppe come perché lo pensò ma… stava veramente bene con il sangue sul viso.

Quando si risvegliò aveva uno sguardo un po' disorientato. Almeno all'inizio. Poi si specchiò negli occhi chiari della ragazza, i quali erano tornati di quel dolce seppur freddo caramello che gli erano sempre piaciuti.

Un solo sorriso bastò a confermare la lieta consapevolezza. Le cose stavano piano piano tornando come prima.



Mi scuso per il tremendo ritardo! u.u Ma per problemi non sono riuscita ad aggiornare prima, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Al più presto possibile! XD

Baci

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Capitolo 27
*** Sayonara, Ikuto... ***


Il sangue bagnò l'asfalto che sembrava finalmente tornare quello di una volta. Accoglieva generoso quelle poche gocce rosse che scendevano di tanto in tanto dal mento del ragazzo e dal collo della sua vittima.

Quando si staccò, le vene ormai vuote, il corpo venne gettato a terra e un sorriso sadico e soddisfatto si dipinse sul volto del ragazzo.

- Finalmente a casa. - disse guardando la ragazza davanti a se. Le labbra rosee leggermente sporche di rosso.

Le si avvicinò pulendole con il pollice e portandosi alle labbra quel gustoso liquido.

- Sei sazio? - gli domandò lei.

- Mi mancavano questi momenti. - le confessò.

La luce bianca della luna illuminava la notte, rendendo tutto più bello, oscuro e argenteo. Argenteo. Prezioso. Nella notte tutto sembrava prezioso per lui. Perché poteva essere nascosto e non più trovato fino all'alba.

- Torniamo? - disse d'un tratto la ragazza per poi voltarsi. Per poco non inciampava nel cadavere del ragazzino che aveva mangiato lei.

- Non hai mangiato poco stasera? Avrà avuto si e no dodici anni. - commentò Ikuto preoccupato.

- Tranquillo. - lo rassicurò lei. Era vero che aveva mangiato poco e infatti aveva ancora fame. La verità era che non voleva togliersi del tutto il sapore del suo sangue. Era stato un momento bellissimo e finché poteva aveva intenzione di conservarne il ricordo.

- Come vuoi… - Ikuto aprì il portone ed entrarono, raggiungendo la solita stanza. - Sai, fa un po' strano…

- Cosa?

- Diventare vampiro una seconda volta. Solo che stavolta è stato diverso. Questa volta lo desideravo davvero. - le spiegò. Lo sguardo vuoto, segno che stava pensando profondamente mentre riportava i suoi pensieri verbalmente.

- Beh, almeno una cosa l'ho saputa fare. - disse Amu soddisfatta.

Ikuto chiuse gli occhi e sorrise. Era inutile dire a quella ragazza che aveva fatto molto di più di chiunque altro sia riuscito a fare. Tanto non se ne sarebbe convinta.

- Quanto aspetterà? - chiese d'un tratto Amu, distrattamente.

Nonostante non avesse specificato Ikuto capì.

- Utau?

La ragazza annuì.

- La conosco. Non passerò molto. Ti odia davvero. - disse Ikuto, una punta di sarcasmo nella voce.

- C'è qualcosa di divertente? - domandò Amu. Non sapeva come affrontarla quella ragazza. Nonostante la odiasse la capiva. Anche lei aveva sofferto tanto e per la stessa persona. Motivi diversi. Non importava. I sentimenti erano uguali.

La voleva morta. Si. Come Utau voleva ucciderla nemmeno lei si sarebbe fatta scrupoli, questo era vero. Ma sentiva lo stesso un peso al petto, qualcosa che la faceva pensare.

- Il fatto che ti preoccupi tanto per una vampira che ha sprecato la sua immortalità. - commentò Ikuto sempre sarcastico. Sprecato?

- Sprecato? - domandò Amu.

- Cercare una persona per interi secoli, mentre essa viaggiava senza nemmeno pensare alla sorella che credeva uccisa per mano sua… non ti sembra sciocco e insensato? Io non l'avrei fatto. - i suoi occhi si puntarono su quelli della ragazza. - E tu?

Amu sussultò leggermente. Lo sguardo del vampiro era diventato bianco. Non capì perché si era arrabbiato al solo nominare la sorella. Ma la paura che le trasmetteva non la infastidiva affatto. Poiché era stata proprio grazie a lei che si era potuta avvicinare a lui.

Cosa insolita… suonava anche un po' masochista.

- Che hai da fare quella faccia così all'improvviso? - le domandò il ragazzo.

- Ah? Perché che faccia ho fatto? - domandò allora lei riprendendosi.

- A cosa stavi pensando? Sembravi assorta in pensieri alquanto stimolanti. - disse Ikuto con tono malizioso.

- Cosa? No no hai frainteso!

Ikuto fece una piccola risatina.

- Però, nonostante tu sia dannata rimani comunque una ragazzina come carattere.

- Uff… tanto non riuscirò a farti cambiare idea, giusto?

- Non sbagli. - fece lui mentre si sedeva nella poltrona.

- Sei incredibile… - commentò lei, prima di tornare seria. - Dici davvero quando parli di tua sorella? La odi così tanto?

- Si. - disse sicuro. - Mi sorprende che proprio tu che hai dato fuoco alla tua famiglia mi chiedi qualcosa di simile.

- Io avevo un ottimo motivo per farlo. Il tuo qual era? Non mi è mai sembrato che Utau ti trattasse male.

Ikuto parve sorpreso dalle sue parole. Quello che aveva sempre provato era odio. Solo quello? No… la vera ragione era un'altra.

- Vedi, io…

Non fece in tempo a dire nulla altro che la porta della stanza venne sfondata e fece capolino una ragazza dai lunghi e luminosi capelli biondi.

- Ci rivediamo… Amu. - fece la ragazza. Minacciosa.

Ikuto la guardò senza vederla veramente.

- Che noia… - mormorò il ragazzo. - Neanche le frasi che dici sono movimentate. Sei scontata. Talmente tanto che si capisce benissimo che morirai tu.

La sorella lo guardò sorpresa. Ma non voleva mostrarsi debole. Neanche di fronte a lui.

- Chi garantisce che sarò io a morire?

- Io. Se solo proverai a fare qualcosa ad Amu sappi che non ci sarà nulla che poi mi fermerà dal staccarti il collo con una mano. - le disse serio.

Per un attimo Utau provò davvero paura. Poi decise di non lasciarsi sopraffare. Era venuta per uno scopo. Le era venuta un'idea. Una cosa che sarebbe stata sicuramente la migliore da fare.

- Amu… ho una proposta da farti. - iniziò la ragazza.

La vampira tese le orecchie e Ikuto fece la stessa cosa.

- Sarebbe? - domandò la ragazza.

- Una battaglia. Una contro l'altra. Chi vince potrà restare al suo fianco per sempre. - le spiegò la vampira indicando infine con il mento lui. Ikuto.

- Perché mi metti in mezzo? Non sono mica un trofeo da vincere. - fece il ragazzo freddo.

- Le condizioni sono queste! - esclamò Utau. Arrabbiata. Ma una rabbia che era dipesa dall'esasperazione. Troppo a lungo aveva aspettato. Nonostante sapesse che era sciocco combattere per una 'cosa' che non si poteva ottenere in quel modo… non vi badò. Accecata dalla disperata voglia di vivere un sogno almeno per pochi minuti. Se avesse vinto, nonostante sarebbe definitamente morta per mano del ragazzo, avrebbe almeno dimostrato che era pronta a tutto per lui. Tutto. Come era sempre stato. E come lui non aveva mai capito.

- Che sciocchezza, non combatterò con te scommettendo Ikuto! - ribatté la ragazza incrociando le braccia.

Utau digrignò i denti.

- Sei solo una vigliacca! Cos'è? Hai paura di perdere?

- Affatto. Piuttosto tu mi sembri fin troppo sicura di vincere. Ma è una sciocchezza. Le persone non sono premi d'oro o d'argento.

- No, hai ragione. Lui vale molto di più.

- Anche se vincessi non resterai a lungo viva. - disse d'un tratto Ikuto. - Ti ho già avvertita prima.

Utau fece un sorriso triste e annuì.

- Lo so, proprio per questo voglio combattere.

Amu guardò Ikuto. Il ragazzo era del tutto contrario, ma il suo volto non esprimeva nulla. La sua era una silenziosa preghiera non espressa. Spettava a lei la decisione.

- Per me va bene. - disse Amu.

- Ottimo! - esclamò Utau. Sorrise sadica. Pronta e entusiasta. Non vedeva l'ora.

Fu lei a partire all'attacco per prima. Con estrema velocità estrasse un pugnale che teneva legato alla cintura e riuscì a ferirla su una guancia. Leggermente. Un leggero schizzo le sporcò il volto del sangue della sua nemica.

- Usciamo. - disse Amu fermando la mano della vampira prima che la colpisse di nuovo.

- Come? - domandò l'altra confusa.

- Non ho affatto intenzione di lasciarmi distruggere casa. - la informò Amu.

Era diventata improvvisamente fredda. In quel momento aveva capito davvero che cosa doveva succedere. Che cosa lei avrebbe fatto succedere.

- Come vuoi, per me non fa differenza. - disse la bionda.

Uscirono. L'aria fresca della sera faceva loro compagnia, accompagnandole nella prima parte di quella lunga e triste danza.

Cominciarono di nuovo a scontrarsi. Utau partì alla carica contro la ragazza tentando di colpirla con un pugno al volto, ma lei lo schivò e afferrato il braccio glielo torse dietro la schiena facendole cadere il pugnale. Fu facile per la bionda liberarsi, gettando l'altra a terra, causandole un dolore lancinante alla schiena. Per un attimo avvertì solo quello, almeno prima di tirarsi su di scatto e di colpirla con un calcio al volto, mandandola a sbatter contro un albero dietro. Utau si pulì il sangue che le usciva dalla guancia e riprese a combattere.

Sempre più agguerrita.

La battaglia continuava senza sosta.

Un gancio destro mirò dritto alla bocca della bionda che sputò sangue sporcando il terreno. Amu non fece in tempo a schivare il colpo fulmineo della ragazza che le arrivò al naso. Non lo ruppe, ma il sangue uscì lo stesso. Il primo colpo ne seguì un altro, alla bocca. Che però non fu abbastanza forte per fargli uscire il sangue. Non se ne fece un problema. Raccolse il pugnale precedentemente caduto, pronta a ferirla. Cosa che le riuscì bene. Mirò alla spalla e le causò un taglio profondo. Tanto che la ragazza gridò. L'osso. Si poteva intravedere l'osso sotto la pelle intrisa di sangue.

- Dannata… - mormorò mettendosi una mano sulla ferita. L'odio. Era quello che la spingeva ad agire in un modo così violento e terribile.

Utau sorrise sadica.

- Che c'è? Ti sei già arresa? - le domandò derisoria. - In questo caso…

Partì all'attacco. Il pugnale pronto ad affondare. L'avversaria non si muoveva.


Doveva essere da queste parti. Lo aveva avvertito prima. Ora non poteva far altro che seguire quella scia visibile solo a lei e a chi possedeva il suo dono.

Ci sono quasi… si disse. Se fosse stata brava nella magia come Akira avrebbe invocato l'aria, l'elemento che guida le persone e che avrebbe potuto portarla dove voleva. Ma lei non aveva abbastanza potere per fare questo. Lo rimpiangeva ogni giorno di non aver potuto continuare gli studi sulla pratica magica. Ma dopo quello che era successo… che avrebbe potuto fare?

Ah, pazienza… Meglio lasciar perdere con questi pensieri.

Si fermò di botto e tentò di concentrarsi al meglio.

Non poteva continuare a correre e a pensare.

I pensieri non l'aiutavano. Più pensava meno sentiva la scia. Meno possibilità c'erano di arrivare in tempo.

Ora era sicura che il cambiamento era avvenuto con loro. Sicura al cento per cento. Di farsi scappare quest'occasione. L'occasione di rendersi utile e di aiutare. Era impensabile.

Chiuse gli occhi.

Ecco.

Il barlume di luce che aveva avvertito aveva ripreso a brillare. Non era lontana, ce l'avrebbe fatta. O almeno lo sperava.

In questi momenti d'incertezza se lui sarebbe stato al suo fianco probabilmente lei avrebbe avuto maggiore sicurezza. Ma non poteva certo fantasticare per questa cosa.

Ci sono quasi, speriamo bene… pensò Sata.


Il pugnale non giunse a destinazione. Il corpo di quella che doveva essere la sua futura vittima era stato spostato appena in tempo per non essere colpita.

- Lo scontro era fra noi due. - lo informò la ragazza.

- Te l'ho già detto… Idiota, basta farmi ripetere! Usalo un po' quel poco di cervello che hai!

Le parole del ragazzo la ferirono profondamente. Ma cercò di non darlo a vedere.

Nonostante Ikuto la guardasse senza trasparire nessuna emozione, ciò che provava dentro di sé era scherno. Si sarebbe tranquillamente messo a ridere. Ma forse sarebbe stato meglio aspettare. Dai tempo al tempo. Piano piano si fanno le cose.

- Ora il tuo avversario sono io. - disse lui.

Utau sgranò gli occhi. Non sarebbe mai stata capace di combattere contro suo fratello. Provava un sentimento troppo forte nei suoi confronti.

- No… - mormorò. La voce rotta. - Non posso combattere contro di te. Quello che mi stai chiedendo è una cosa impensabile!

- Che stupida… proprio non cambierai mai. A quanto pare è inutile. Neanche con le parole più semplici lo capisci. Tu per me non provi amore. Credi di provare amore, ma non è affatto così. Io ero l'unico ragazzo che conoscevi e con cui stavi veramente a contatto. Per questo ti sei 'innamorata' di me. - disse Ikuto. Lo sguardo annoiato, come se quello che stava dicendo non interessasse neanche a lui.

- Come puoi pensarla una cosa del genere!

- Se ci pensi ci arriveresti anche tu. Ma a te bastava sapere che avevi qualcuno da amare per essere appagata. Scema.

- Sei un idiota! Il fatto che ti abbia cercato per questi anni è proprio perché ti…

- Non ci provare. Ne ho abbastanza delle tue menzogne.

Perché? Perché credeva che erano bugie? Rosso. Piccole gocce rosse le inumidirono le guance, per poi cadere a terra. Piangeva. Piangeva. Non riusciva a smettere. Poi d'un tratto un pensiero le attraversò la mente.

- Tu dici che quello che provo per te non si può chiamare amore… cosa credi che sia allora?

- Ossessione. Si finisce sempre con odiare le persone.

- Odiare? Si, probabilmente in questo momento ti odio. Ma solo adesso, perché non mi comprendi. - disse fra i singhiozzi.

- Può darsi. Intanto combatti.

Non c'era proprio altra scelta? La ragazza si alzò in piedi. Decisa a combattere ma non ad uccidere. Ikuto si lanciò contro di lei, la quale parò subito il colpo e lo spinse indietro con un calcio allo stomaco.

Lui stava combattendo seriamente. La voleva uccidere. Mentre lei ancora sperava di sbagliarsi, di aver capito male.

Dopo che stavano combattendo da molto ormai, lei si decise. Guardò Amu di sfuggita, mentre si sfuggiva ad un pugno del fratello, allora capì.

Lui non avrebbe mai capito. Non perché non voleva. Perché non poteva. Lui aveva lei. Ma se lei non avrebbe più avuto lui… allora sarebbe stata una vendetta assai più dolce dell'omicidio alla persona che si odia. Dopotutto uccidere… lo si può fare meglio con il dolore che si causa a una persona, piuttosto che uccidendola. La morte in fin dei conti è una forma di pace.

- Prima avevi detto che questa mia ossessione mi avrebbe portato ad odiarti… - iniziò a dire la ragazza. Fermandosi un attimo. - Ma io ancora non ti odio.

- Cosa vuoi che me ne importi?

Utau sorrise tristemente.

- Volevo dirtelo. Per farti capire che il mio gesto non è dipeso da ciò che provo per te.

La faccia di Ikuto era confusa, poi diventò impaurita, quanto Utau tirò fuori dalla tasca una scatola di fiammiferi.

- Addio Ikuto… - fece. ne accese uno e glielo gettò contro.

Con sua grande sorpresa però - non solo sua, ma anche del ragazzo - il fuoco non invase il corpo di Ikuto. Bensì quello di una ragazza che si era frapposta tra i due.

- Amu! - gridò Ikuto mentre la ragazza veniva avvolta dalle fiamme che le donavano carezze mortali e dolorose.

Lei si voltò verso di lui. Sarebbe toccato a lei proteggerlo stavolta. Lui le aveva salvato la vita. Era arrivato il momento di contraccambiare. A pensarci bene che cosa sciocca. Ogni volta non riuscivano mai a passare abbastanza tempo insieme che uno dei due moriva.

Addio Ikuto…

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Capitolo 28
*** Forever Damn ***


- Amu! - gridò Ikuto mentre la ragazza veniva avvolta dalle fiamme che le donavano carezze mortali e dolorose.

Lei si voltò verso di lui. Sarebbe toccato a lei proteggerlo stavolta. Lui le aveva salvato la vita. Era arrivato il momento di contraccambiare. A pensarci bene che cosa sciocca. Ogni volta non riuscivano mai a passare abbastanza tempo insieme che uno dei due moriva.

Addio Ikuto…

Le fiamme le dilaniavano il corpo e nonostante lui fosse proprio lì non poteva far nulla per aiutarla. Si sentì inutile. Terribilmente inutile.

Alzò di nuovo lo sguardo. Perché quella stupida stava sorridendo? Eppure lo sapeva come sarebbe andata a finire. Non credeva affatto che non sentiva il dolore.

Sorrideva. Contenta.

Lui no. Lui non ce la faceva a sorridere. Come avrebbe potuto?

La stava vedendo morire. Senza poter fare niente.

Eppure i suoi occhi non volevano staccarsi dal vedere quell'orrendo spettacolo. La carne stava iniziando lentamente a consumarsi. Tra poco sarebbe tutto finito.

Notò il viso soddisfatto di Utau, il suo sorriso di gioia e di trionfo stampato in faccia. Negli occhi lilla venivano riflesse le fiamme che si ergevano maestose dinanzi a lei che le guardava come opere d'arte.

Fu un attimo. Un attimo che ad Ikuto sembrò un'eternità e che dopo realizzò semplicemente come salvezza.

Un getto d'acqua arrivò addosso ad Amu. Spegnendo le fiamme e scaraventando la ragazza a terra.

Ikuto si voltò verso sinistra, da dove veniva il getto dell'acqua. Una ragazza dai lunghi capelli bianchi era lì. Aveva il fiatone, probabilmente aveva corso. La mano era aperta e puntata verso il punto dove cinque secondi prima Amu era ricoperta dalle fiamme.

- Sata… - fece Ikuto incredulo, riconoscendo la ragazza. - Che ci fai qui?

- Beh, in qualità di Majo che avverte le cose prima che accadano e che aveva avvertito qualcosa di spiacevole, nonché un grande cambiamento, sono corsa qui. Beh, il cambiamento vedo che è avvenuto… - disse squadrando Ikuto. - E a quanto pare stava per avvenire qualcosa di veramente brutto… Anzi, credo addirittura che se non sarei intervenuta, beh… non credo sarebbe finita bene.

Guardò Utau che ora aveva l'aria di una che la voleva uccidere per aver interrotto il suo divertimento. Sata non vi badò. Sarebbe stata in grado di tenere testa anche a lei d'ora in poi.

Mentre correva verso di loro aveva sentito come una grande forza nascerle dal petto ed improvvisamente quello che non era mai riuscita a fare ora era diventato realizzabile. Gli elementi. Li sapeva invocare, ma solo nel cerchio e come 'accompagnatori'. Mentre ora sapeva anche fondersi con loro. L'acqua le era sembrato l'elemento più giusto vedendo la situazione.

Si avvicinò ad Amu mentre Ikuto si avvicinava ad Utau. A breve una battaglia sarebbe iniziata. Ma a lei non importava. Doveva curare quella ragazza che a vederla non sembrava affatto una vampira. La portò distante e iniziò a fasciarla con delle bende di cui si era munita, calcolando un'eventualità come questa.

Non era ridotta malissimo, la carne era loro arrossata e lacerata in alcuni punti. Ma si sarebbe ripresa. Contando anche sul fatto che i vampiri guariscono in fretta.

Senza frasi d'effetto e quasi senza pensare Ikuto si gettò addosso ad Utau, iniziando la lotta.

Il ragazzo la colpì con una gamba allo stomaco. Lei rimase un attimo interdetta, poi attaccò tirandogli un pugno sotto il mento che prontamente il ragazzo schivò, allungandosi verso la sua schiena e colpendola con una gomitata. Questa volta Utau rispose prontamente e con un calcio lo colpì alla tempia intontendolo un poco e procurandogli un graffio abbastanza profondo, giusto il tempo di colpirlo allo stomaco e mandarlo a terra.

- Tu non sai quanto mi costa farti questo… - disse d'un tratto Utau avvicinandoglisi e mettendogli un piede sopra il petto.

- Ahh… ancora con questa storia? Se non te la senti di batterti puoi anche morire. Perché la differenza è poca. - le disse.

Avrebbe giurato di aver visto qualche goccia rossa scenderle lungo il viso, ma pregò che non si mettesse a piangere.

Lei lo guardava. Sembrava soffrire davvero per quello che stavano facendo. Glielo si leggeva negli occhi. Meglio, almeno sarebbe crepata più in fretta.

Questo pensava Ikuto e questo mise in pratica.

Le afferrò la caviglia gettandola a terra. Dopotutto lui aveva uno scopo per combattere. La vendetta.

Si avvicinò a suo corpo che si stava rialzando. Lui 'l'aiuto' a fare più in fretta. La prese per i capelli e le sbatté la faccia in un tronco lì vicino. Continuò a sbattergliela fino a che non vide il naso rotto e il sangue che sporcava il suo viso e la corteccia.

Ma non aveva ancora finito. Utau provò a reagire tentando di colpirlo con un pugno, ma lui le afferrò il braccio e le stritolò il polso. Talmente forte che le ossa assieme a qualche goccia di sangue schizzarono fuori. Utau si morse la lingua. No, non voleva urlare. Non doveva dargli questa soddisfazione. La ragazza si allontanò di poco da lui, ma non fece in tempo a fare altro che il vampiro l'afferrò di nuovo e le si avvicinò con il volto a pochi centimetri. La bionda per un momento credette che tutto si sarebbe messo a posto e che l'avrebbe lasciata andare perché era sua sorella. Ma fu troppo sciocca e abbassò la guardia. Proprio quell'attimo che il fratello le sfiorò la guancia con le dita, fino a raggiungere il suo occhio destro, per poi infilarle l'occhio all'interno, spingendolo e lasciando dell'occhio solo una molliccia massa di cui una parte era finita sulle dita del ragazzo. Utau non ce la fece a resistere e gridò. Gridò forte. Facendo godere ancora di più il fratello.

- Sai… - fece guardandola negli occhi che esprimevano dolore. Dolore. Smise di urlare, per non dargli la soddisfazione di averle fatto ancora del male, per darsi un po' di contegno. Poco importava. La bellezza di stare con la sorella era che non gli fregava nulla qualunque cosa facesse. A lui bastava vedere la sua sofferenza negli occhi lilla per gioire. Quindi, nonostante ora stesse resistendo con tutte le sue forze per non far sentire la sua voce dolorante al fratello, a lui non lo toccava per niente. - Ti berrei tranquillamente il sangue… ma l'ultima volta che l'ho fatto ho danneggiato la mia esistenza, quindi meglio non rischiare… non trovi, sorellina?

Gocce cremisi le rigarono le guance, lasciando scie rosa pallido, come conferma del loro triste passaggio.

- Già… - disse la ragazza. - Allora fini…

- Oh no, non ti farò apparire come un'eroina lasciandoti dire le tue ultime tristi e profonde parole… - la derise mentre con la mano le afferrava il collo candido ed esile. - Ciao ciao.

E detto questo le frantumò gli ossi, assaporando lo scricchiolio che sentiva sotto le mani e la pelle quasi svuotata di tutti quegli ossicini. Che cosa fantastica… è bastato così poco per ucciderla. Sorrise sadico e le lasciò andare il corpo. L'occhio sinistro si fece opaco e il destro volle donare come ultimo atto di pietà una lacrima rossa distillata dal sangue della poltiglia oculare.

Si volto tranquillo e si diresse verso Amu come se non fosse successo nulla.

La ragazza si stava riprendendo. Gli occhi erano leggermente aperti e piano piano riusciva a mettere a fuoco ciò che la circondava. Quando aprì totalmente gli occhi non poté non notare una ragazza di sua conoscenza accanto a lei e Ikuto di fronte.

- Ben svegliata Amu! - esclamò allegra Sata.

- Ah? - mormorò stordita la ragazza. - Che ci fai qui?

- Hey! Dopo che ti ho salvato la vita neanche mi ringrazi? - domandò la Majo fingendosi offesa.

Amu sorrise.

- Non lo sapevo… - ecco. Questo era il suo modo per ringraziarla. Sata annuì, il sorriso ancora sulle labbra.

Amu vagò ancora con lo sguardo, fino a notare poco lontano da loro le ceneri del corpo di Utau.

Guardò Ikuto e sorrise. Chi poteva essere stato se non lui? Avrebbe tanto voluto assistere a quella lotta, ma ahimè terribile disgrazia l'aveva colta! Si sorprese di lei stessa. fare dell'umorismo da parte sua era molto raro. Doveva essere proprio intontita.

- Beh, torniamo a casa. - disse Ikuto sollevando Amu e portandola all'interno dell'oscura dimora e poi dentro la camera. L'unica stanza che possedesse un letto.

Sata lì seguì solo per restare un po' affianco della ragazza. I vampiri non possono dormire. Ma questo non vuol dire che non possano riposare.

Poco prima che se ne andasse, Amu afferrò la mano di Ikuto e gli toccò con l'altra la tempia, la cui ferita - anche se adesso non gettava più tanto sangue - era ancora aperta. Com'era successo mesi fa. La ferita gli fu rimarginata. A quanto pare la sua magia funzionava solo con le altre persone e con quelle a cui teneva.

Ikuto sorrise e la lasciò sola, uscendo assieme a Sata.

- Come lo sapevi?

- Ah? - fece la ragazza fissandolo stranita.

- Come sapevi dov'eravamo?

- Te l'ho detto. Ho una cosa che comunemente si potrebbe definire 'sesto senso'. Solo che per me è come un messaggio in codice che m'investe all'improvviso e non so esattamente cosa mi succede o perché. Ma sapevo che dovevo intervenire.

- Quindi puoi avvertire le cose prima che accadono?

- Si, si potrebbe definire anche così. Ma non accade sempre. Dovrei imparare a controllarlo. - rispose pensierosa. - E ho deciso che lo farò.

- Ah?

- Guardando Amu e passando tutto quel tempo con lei ho capito una cosa alla quale non avevo mai pensato, nonostante fosse scontata. Credo sia perché mi sembrava talmente lontana che il solo pensarlo non bastava e allora lasciavo perdere.

- Che cos'è?

- Il coraggio di ritrovarlo.

Ikuto fece una faccia stranita fissandola e chiedendole indirettamente una spiegazione. Nonostante si stesse chiedendo anche perché ne stava parlando con lui.

- Avevo un fratello al quale ero molto legata e che mi strapparono via proprio nel giorno in cui avevo più bisogno di lui. - spiegò la ragazza. Lo sguardo a terra. - Da quel giorno ho sempre pensato e sperato di rivederlo. Ma non ho mai preso seriamente in considerazione l'idea di andare a cercarlo. Nonostante tu odiassi tua sorella lei è stata migliore di me e ha avuto più coraggio e più tenacia. Io ho sempre pensato a quanto avessi voluto vederlo di nuovo. Vederlo tornare. Non vederlo e basta. Volevo che fosse lui a venire da me. Quindi me ne sono sempre stata buona buona ad aspettare quel giorno. Credendo che la speranza da sola bastasse a far avverare il mio desiderio. Improvvisamente però ho capito che mi sbagliavo. Che non devo aspettarlo, ma devo andare a prenderlo io.

- Quindi te ne andrai. - constatò Ikuto. Per nulla toccato dalla cosa. - Ora quello che mi sorge spontaneo chiederti è… perché mi stai dicendo tutto questo?

- Beh, a parte il fatto che avevo bisogno di sfogarmi…

- Potevi farlo con Amu tempo prima.

- No, non potevo. Non ero pronta. Ma… dicevo… a parte questo… Io ho intenzione di partire subito.

- Ora è chiaro. Devo dirglielo io ad Amu che tu te ne sei andata, giusto?

Sata annuì.

- Non è un atto di pietà nei suoi confronti o di vigliaccheria da parte mia. Semplicemente voglio partire subito. Non voglio aspettare ancora. - gli disse convinta. - Solo questo.

Ikuto annuì abbozzando un sorriso. Segno che glielo avrebbe detto lui senza problemi. Sata ricambiò il gesto del ragazzo, per poi voltarsi e uscire dal palazzo. Decisa e sicura di sé.


Quando riaprii gli occhi la prima cosa che vidi furono due occhi ametista che conoscevo molto bene.

- Buongiorno! - esclamò Ikuto mentre mi tiravo su a sedere.

- Buongiorno… - mormorai io. Ero ancora un po' indolenzita, dolci ricordi della notte passata. Sorrisi. Mi guardai un po intorno. Giusto per constatare dov'ero. - Sata?

Chiesi poi. Ricordavo perfettamente che mi aveva detto di avermi salvata. Nonostante non sia mai stata una persona sentimentalista un grazie glielo avrei anche potuto dire. Avrei voluto rimediare.

Guardai Ikuto chiedendogli una spiegazione con lo sguardo. Lui, senza farsi troppi problemi mi disse chiaro e tondo come stavano le cose.

In un primo momento sgranai gli occhi, per velarli con uno strato appena visibile di tristezza. Si, mi dispiacque non poco di quella partenza improvvisa. Visto che fu la prima persona umana che avrei potuto considerare di più di una semplice conoscente.

- Beh.. vedo che ti sei ristabilita abbastanza bene. - disse d'un tratto Ikuto, scrutandomi e controllando le ferite. Poi fece un sorriso che riconobbi fin troppo bene. - Questa cosa mi fa pensare in senso positivo!

- Idiota! - esclamai sorridendo. Ora si, anche io avrei potuto pensare in maniera positiva. Per un attimo ripensai al discorso che avevamo fatto quel giorno. Io gli avevo chiesto il motivo del suo odio verso la sorella. Per un attimo l'idea di domandarglielo di nuovo mi balenò nella mente. Poi ci ripensai e la faccenda rimase chiusa lì, sepolta.

Ikuto infatti non mi disse mai il perché di tanto odio e io non volli più toccare l'argomento. Non m'interessava più ormai.

Lo so. La nostra vita era sicuramente delle peggiori, nonostante a prima vista potesse sembrare eccitante e libera non l'augurerei a nessun altro.

Noi saremo per sempre creature della notte.

Saremo sempre incompresi dagli altri che non sono nostri simili.

Saremo sempre insieme è vero, ma non l'ho mai considerato amore, né ossessione. L'ho sempre visto come un bisogno reciproco l'uno dell'altro. Una cosa molto lontana dal concetto di amore, nonostante quello che provo sembra appartenere a quella categoria. Fatto che per molte volte mi ha fatto invidiare gli umani.

Saremo sempre 'vivi', resteremo sempre così e nonostante questo potrebbe sembrare bello perché immutabile non bisogna trascurare un fatto importante della questione.

Sempre vivi…

Sempre dannati.





FINE!!!!! Wow! Nonostante abbia scritto una storia più lunga di questa mi sembra di aver compiuto una grande impresa nel finirla! XD Beh, che ne dite? Fatemelo sapere mi raccomando! ;) Perché ci conto!

Comunque ringrazio tutti quelli che mi hanno seguita e che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite o anche solo tra le ricordate! Mi ha fatto davvero tanto piacere.

Un bacio e un abbraccio a tutti!!!!! :D

Alla prossima!

Meme

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