He's what makes world beautiful.

di yeahbuddie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** chapter one; ***
Capitolo 2: *** chapter two; ***
Capitolo 3: *** chapter three; ***
Capitolo 4: *** chapter four; ***
Capitolo 5: *** chapter five; ***
Capitolo 6: *** chapter six; ***
Capitolo 7: *** chapter seven; ***
Capitolo 8: *** chapter eight; ***
Capitolo 9: *** chapter nine; ***
Capitolo 10: *** chapter ten; ***
Capitolo 11: *** 11. ***



Capitolo 1
*** chapter one; ***


«Sveglia!» Continuava ad urlare mio fratello.
Non volevo saperne di alzarmi però. Avevo fatto tardi la notte precedente, ma anche se non lo avessi fatto, non avevo di certo voglia di affrontare la giornata che mi aspettava.
«Non rompere» biascicai assonnata, nascondendo la testa sotto i cuscini.
Lui però non mollava, al contrario, iniziò a tirare la coperta che tentavo invano di tenermi addosso.
«Cazzo, trovati un hobby e sparisci da qui!» Gli urlai contro, tirandogli un cuscino. Purtroppo neanche quello lo fermò, e per mia grandissima sfiga, a lui si aggiunse anche mia madre.
«Stai ancora dormendo?! Ti ho chiamata un’ora fa, per la miseria! Se non ti alzi perderemo l’aereo!»
«Dio, che palle.» Dissi alla fine, arrendendomi.
Mi alzai in fretta e di malavoglia, e dopo aver raccolto i vestiti del giorno prima dal pavimento corsi in bagno, mentre mia madre e mio fratello prendevano le ultime cose.
Quando mi guardai allo specchio, avevo più trucco io sotto gli occhi che un centro estetico.
«Sembro un panda» dissi alla me stessa nello specchio, iniziando a lavare via il trucco e dandomi una ravvivata ai capelli. Avevano un aspetto orrendo, ma poco importava dato che avrei passato le ore successive a dormire scomodamente su un sedile d’aereo. “Li sistemerò appena arrivati”, decisi alla fine.
Infilati felpa e jeans, uscii dal bagno in fretta e furia, senza neanche pensare al trucco, e mi precipitai al piano di sotto, dove trovai mia madre ad aspettarmi sulla soglia della porta. Tamburellava nervosamente sullo stipite con le chiavi di casa, impaziente di uscire. Al contrario, io dovetti costringere i miei piedi a sbrigarsi nello scendere le scale; proprio non volevo andarmene.
«Che c’è?» Chiesi sbuffando una volta salita in macchina, con lo sguardo di mio fratello puntato addosso.
«C’è che sei una…» ricominciò lui, quando mia madre interruppe la nostra ancora-non-iniziata litigata.
«Non cominciate. Tu» ordinò indicando me, seduta al posto del passeggero «Giù i piedi da lì. E tu» stavolta indicando Tyler «chiudi la bocca. Non voglio sentir ronzare una mosca fino all’arrivo all’aeroporto.» Detto questo, infilò le chiavi e accese il motore; il tragitto verso la mia schifosa nuova vita stava per cominciare.
«Non ci sono mosche in questo periodo dell’anno» dissi, tentando una battuta –piuttosto triste, devo aggiungere – che non ebbe risposta.
Il tragitto dalla mia ormai vecchia casa all’aeroporto non fu lungo, ma le sette ore di volo che susseguirono lo erano. Appena arrivati in aeroporto, lasciammo la macchina al parcheggio ( ce l’avrebbero fatta arrivare non so come) e poi ci affrettammo a fare il check-in; non c’era molta fila, così ci imbarcammo all’incirca quindici minuti dopo: appena in tempo per il decollo. Per fortuna a mio fratello era capitato un posto due file dietro me e mia madre, così avrei potuto godermi – se si può godere a lasciare la propria città alle spalle – il volo.
Infilai le cuffie dell’iPod, così che mia madre non iniziasse con la solita solfa del “fai la brava ragazza per una volta e impara ad essere adulta e responsabile”, ma non feci partire subito la musica. Avevo bisogno di un bel po’ di minuti di silenzio per dire addio alla mia città.
Avevo sempre amato New York, sin da quando ero bambina, anche se ci eravamo trasferiti lì solo quando mio padre se ne andò, più o meno quando io avevo sette anni. Lui lavorava per una compagnia d’affari importante, per questo era sempre fuori città, il che significava che non lo vedevamo mai. Certo, avremmo potuto sentirlo per telefono, ma chissà come trovava sempre una scusa, del tipo “sono ad una riunione importante”, oppure “devo preparare un discorso di benvenuto” o ancora “sono ad una cena per concludere un affare importante”; così però ci aveva alleggerito la sofferenza della sua perdita. Non poteva mancarti qualcuno che non c’era mai stato, no? Che fosse un genitore poco importava, specialmente se non lo si conosceva per niente. Io e lui infatti non eravamo mai andati molto d’accordo, almeno non lo eravamo stati le poche volte che si faceva vivo. Diciamo che aveva un bel rapporto solo con Tyler, dato che quando lui aveva la mia età lo portava spesso al lavoro con sé. Quindi tra noi due, lui era stato sicuramente quello ad aver sofferto di più dopo la sua “partenza”. Mia madre ovviamente c’era stata male, e per quel che ricordo, era quasi arrivata alla depressione per lui. Si erano sposati quando erano giovani – così mi raccontava quando le chiedevo della sua “favola”, prima di andare a dormire – e prima del matrimonio erano stati insieme per anni, ma dopo pochi anni da sposati, lui era cambiato. Non gli importava più di lei, né di noi, così un giorno, mia madre trovò un lurido e squallido biglietto d’addio appeso sul frigorifero, che segnava la fine della loro promessa d’amore, se così si vuol chiamarla. Ricordavo ancora quel giorno come se fosse ieri, ed ogni volta che riaffiorava il ricordo, era una fitta al cuore: volevo bene a mia madre, era la mia migliore amica, e anche solo ripensare al suo viso in lacrime mi frantumava il cuore.
Avevo una migliore amica come tutte le normali adolescenti, ma lei era la mia vera migliore amica. Lo era sempre stata, perché sapeva capirmi. Ogni volta che combinavo qualche guaio a scuola, recitava la parte della brava mamma incazzata davanti ai professori, ma appena messo piede fuori dalla scuola, andavamo a prenderci un gelato o a fare shopping come se niente fosse. Io ero sempre stata un po’ ribelle – “e maleducata, nonché sconsiderata”, a quanto dicevano i miei vecchi professori – ma avevo preso quella parte del mio carattere da lei, perciò capiva i motivi di certe mie azioni, anche se non sempre. E come lei capiva i miei, io capivo i suoi, perciò quando qualcosa non andava tra di noi, ci sedevamo sul davanzale della mia finestra a chiacchierare, finchè non ci assaliva il sonno. Ricordo che a volte dormimmo anche appallottolate là sopra, col riflesso della luna sul pavimento e l’aria fresca che entrava dalla finestra sempre aperta. Sorrisi al pensiero di quel ricordo, mentre guardavo con la coda dell’occhio mia madre sistemarsi il cuscino sotto la testa.
Mentre la osservavo, così bella e giovane, notai una nota di malinconia nei suoi occhi. Sicuramente sarebbe mancata anche a lei la nostra vecchia casa, le sue vecchie amiche e soprattutto la nostra vecchia città. Ma i cambiamenti non sempre portano il male, almeno così diceva lei.
Due anni fa, durante una vacanza in California, incontrò il suo nuovo amore, Mike. Era stato amore a prima vista, a quanto mi aveva raccontato, e da quel giorno non avevano mai smesso di parlarsi. Eravamo andati due settimane in vacanza a San Louis, ma alla fine lei aveva deciso di restare ancora una settimana, spedendo però me e Tyler dai nonni, a New York. Non si fidava mai a lasciarci soli, credeva che “per caso” io avrei potuto dar fuoco a mio fratello mentre lui avrebbe potuto buttarmi giù da un ponte. Litigavamo come normali fratelli, anche se a volte lo avrei strozzato davvero.
Dopo quelle sue tre settimane di vacanza, ricominciò a pensare all’aspetto fisico: aveva iniziato ad andare in palestra tre volte a settimana, a truccarsi tutti i giorni e soprattutto, aveva ricominciato a sorridere. Per questo ero felice che lei e Mike si fossero trovati, ma allo stesso tempo ero triste per il fatto di dover abbandonare tutto per lui, o meglio, per la loro felicità. Sapevo che era da egoisti, ma non volevo lasciare i miei amici, la mia Grande Mela, né tantomeno casa mia. Era in quella città che ero cresciuta, ed era lì che volevo diventare adulta. Ma quando lei ci diede la notizia del trasferimento, avevo dovuto lasciare tutto per forza, e questo aveva significato abbandonare anche la mia migliore amica. O meglio, l’altra mia migliore amica. Quella con cui parlavo di ragazzi, con cui uscivo e con cui ridevo fino a soffocare. Nora, cara e dolce Nora. Non ricordo un giorno in cui non ci eravamo sentite, perché da quando ci eravamo conosciute in seconda media (lei si era trasferita dal Texas), non ci eravamo mai separate. Certo, il fatto che abitasse a due case dopo la mia contribuiva, ma non era per questo che eravamo migliori amiche. Lo eravamo perché ognuna completava l’altra; eravamo diverse come il giorno e la notte, ma nessuno andava più d’accordo di noi.
Ogni volta che ricordavo il giorno in cui ci eravamo conosciute, sentivo spuntarmi un sorriso poco a poco. La maggior parte della classe la derideva per il suo strano accento texano, perciò pochi giorni dopo il suo arrivo, avevo deciso di intervenire e interrompere la cosa. Avevo preso a calci – letteralmente – i bulli della classe, e attaccato al muro le ragazze che si credevano superiori. Da quel giorno, loro avevano paura anche solo di guardarla, mentre io mi ero beccata una punizione di due settimane, che però, per quel che mi aveva portato, ne era valsa la pena.
In quel preciso istante però, pensare al motivo della nascita della nostra amicizia, del sorriso non c’era traccia; al contrario, sentivo gli occhi inumidirsi.
Tenevo tanto a Nora, come lei teneva a me, e sapere un giorno che due giorni dopo nessuna delle due avrebbe più rivisto l’altra, aveva spezzato il cuore ad entrambe. Il tutto perché, ovviamente, eravamo noi a doverci trasferire, dato che Mike era il “capo” di un importante ospedale. Era anche un dottore, e a quanto diceva mia madre, invece che starsene rintanato nel suo ufficio come avrebbe dovuto fare, andava spesso ad aiutare gli altri dottori, a condurre e partecipare ad operazioni, e cose così. Perciò ad entrambi era sembrata una buona decisione far trasferire noi da lui, o meglio, da loro. Mike aveva due figli: il maschio, di cui non conoscevo il nome, che aveva la mia stessa età, e la femmina, Nicole, che era di un anno più piccola di me. Non sapevo altro però, perché non li avevo mai visti. O meglio, mi ero rifiutata, in un certo senso, di vederli. Loro abitavano praticamente su Marte rispetto a noi, perciò non era facile incontrarsi. Il natale scorso, mia madre e Mike avevano organizzato il natale in famiglia, se così si può chiamare, ma io mi ero rifiutata di andarci. Avevo tirato in ballo un concerto del mio gruppo preferito che aspettavo da mesi, che, anche se non era del tutto una bugia, aveva funzionato. Mia madre mi aveva lasciata dai nonni mentre lei e Tyler erano andati una settimana laggiù. A Londra.
Amavo quella città, era piena di vita e di meraviglie, ma non era la mia città. Sarà un ragionamento contorto, ma penso che ognuno abbia una sua città: quella in cui si sente a casa ovunque e con chiunque sia, anche in brutte circostanze magari. E beh, New York per me era così, era mia. Era la mia città. E avevo dovuto lasciarla per la verde e umida Inghilterra, in cui molto probabilmente avrei perso il bel color roseo della mia pelle. Per quanto potessi saperne, lì il sole c’era di rado, perciò era raro girare per la città e incontrare qualche tipo abbronzato o anche solo con un po’ di colore. Non sapevo che aspettarmi da quel posto, perché lo avevo visto solo in tv, in qualche film, perciò mi meravigliai quando all’atterraggio trovammo uno dei panorami più belli che avessi mai visto.
Mentre sorvolavamo sulla città, mi ero avvicinata al finestrino a forma di oblò, spegnendo l’iPod che avevo acceso qualche ora prima, e ciò che vidi fu stupefacente: tante luci dorate, il Tower Bridge sotto cui l’acqua rifletteva le luci del Parlamento, il Big Ben e affianco il London Eye. Certo, da quella distanza non si vedevano granché, ma lo spettacolo che mostravano toglieva il fiato.
Quando atterrammo e l’altoparlante annunciò che il volo era concluso, si alzarono tutti in fretta e furia, chi per dovere e chi semplicemente per evitare la coda. Io mi alzai lentamente, e con mia madre raggiunsi Tyler, per poi avviarci verso l’uscita. Mi sarebbe piaciuto visitare l’aeroporto: avevo letto sulla guida che c’erano un bel po’ di bei negozi da vedere, ma purtroppo non avevamo il tempo. Mentalmente però, segnai di dover fare un giro lì dentro almeno per una volta.
La gente si accalcava, chi per prendere i taxi e chi per abbracciare i propri familiari. Io invece, me ne stavo con le cuffie fisse nelle orecchie, di nuovo, a leggere la guida turistica che avevo comprato prima di partire. Con la penna segnai un po’ di posti in cui sarei andata nei giorni successivi: se dovevo vivere lì per il resto della mia vita, tanto valeva ambientarmi subito, almeno con la città. Quando iniziai a leggere di uno Starbucks a pochi passi dall’aeroporto, non mi accorsi di mia madre che mi chiamava, per poi togliermi le cuffie con la forza.
 «Hey!» Esclamai, riprendendomi le cuffie.
«“Hey” cosa? Devi prenderti le valigie, non siamo i tuoi fattorini.» Mi ordinò mia madre indicando le mie cinque valigie. Guardandole, mi pentii momentaneamente di non aver buttato niente prima di partire, così, mentalmente, presi nota anche di quello.
Sbuffai, avvicinandomi al carrello con sopra le valigie. «Che palle» dissi tra me e me.
«Cosa?»
«Mi fanno male le spalle.» Mentii. Prima di partire, avevo stretto una specie di patto con mia madre: io avrei detto meno parolacce a patto che lei convincesse Mike a non farmi dividere la stanza con la figlia. Odiavo condividere le cose, soprattutto se dovevo farlo con qualcuno che non conoscevo.
Trascinandomi lentamente il carrello colmo di valigie alle spalle, finalmente intravidi l’uscita dall’aeroporto.
Anche mia madre doveva averla notata, perché quando allungò il collo per controllare, sorrise e affrettò il passo.
«La mia morte si avvicina» sbuffai, guadagnandomi una risata in risposta da Tyler, affianco a me. Lo fulminai con un’occhiataccia, o forse con due, senza accorgermi che eravamo arrivati all’esterno dell’aeroporto.
Faceva piuttosto freddo per essere l’inizio di ottobre, ma forse contribuiva il fatto che era sera. Mentre mia madre allungava ancora il collo alla ricerca di un taxi, tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e lessi l’orario sul display. “Sono già le nove.”  Guardai il cielo e mi sorprese abbastanza vedere che quella sera non c’era neanche una stella. Non che con i grattacieli di New York ne avessi mai viste chissà quante, ma comunque ce n’erano abbastanza.
Quando mia madre trovò quel che cercava, si voltò verso di noi sorridendo.
«Il taxi è arrivato, possiamo andare.»
Quel che si presentò davanti ai nostri occhi quando arrivammo davanti alla fermata dei taxi, di certo non era un taxi. Al contrario, era una jeep, di quelle costose, a vedere la cromatura delle ruote. Non ne capivo molto di macchine, ma anni fa guardavo spesso quel programma di Mtv in cui ti aggiustano la macchina gratuitamente, perciò sapevo almeno il minimo indispensabile. La jeep era enorme e nera, con i finestrini oscurati, e sembrava ci fosse dentro un vip.
Appena la macchina si fermò però, dallo sportello del guidatore ne uscì un uomo alto e robusto – si intende muscoli, ovvio. Riconobbi l’uomo solo quando alzai lo sguardo dai suoi vestiti: una giacca lunga nera, dei pantaloni grigi e dei mocassini. Indossava anche una sciarpa bianca, che si intonava al grigio dei jeans. Quando alzai lo sguardo, i suoi capelli castani, con qualche sfumatura di grigio qua e là, mi fecero notare che sembrava molto più giovane dell’età che portava. Mike aveva quarant’anni, ma nonostante le sfumature di grigio tra i folti capelli corti, sembrava ne avesse trenta. Era perfetto quindi per mia madre: lei aveva trentasette anni e ne dimostrava venticinque.
Quando Mike scese dall’auto costosa, posò per un attimo lo sguardo su Tyler, che sorrideva come un ebete, come del resto faceva mia madre. Mi faceva ridere vederla così, come un’adolescente con la sua prima cotta, però a volte esagerava.
Guardando qui due che si mangiavano con gli occhi a vicenda, roteai gli occhi e feci per girarmi dall’altra parte, quando Mike parlò. «Tu devi essere la famosa Alex» mi sorrise, allungando una mano che voleva stringessi.
«E tu il famoso Mike» risposi io con aria superiore, se così si può dire, ignorando la mano ancora china verso di me.
Lui però non se la prese, al contrario, continuava a sorridere. «E’ un piacere conoscerti, finalmente.»
“Finalmente” un corno. Ma chi ci teneva a conoscerlo, io volevo solo restare a casa mia, nella mia città e dalla mia migliore amica. Durante il volo avevo cercato di non pensarci, volgendo i miei pensieri a ciò che sorvolavamo oppure a qualche attore figo di cui avrei appeso i poster nella mia nuova camera. Ma anche pensando a quegli stupidi poster, mi veniva in mente la casa, la nuova casa. E la mia nuova camera. Così poi mi addormentai, per risvegliarmi due ore dopo – assonnata e dolorante – all’aeroporto.
Guardando quel sorriso, mi venivano in mente solo tutte le cose che avevo lasciato, o meglio, che avevo dovuto lasciare; non ci pensavo minimamente di sorridergli.
«Come vuoi» risposi alla fine, girando i tacchi e salendo all’interno dell’auto. Avrei giurato di veder mia madre diventare blu dalla rabbia, ma non ci feci molto caso.
Da lì all’arrivo a casa, restammo in silenzio. O meglio, io me ne stavo in silenzio, mentre i piccioncini davanti parlottavano tra loro e Tyler s’intrometteva di tanto in tanto nel discorso.
Dopo all’incirca un’ora di macchina e di rottura di palle, arrivammo a casa. O forse dovrei dire alla reggia. Quando scesi dall’auto, nonostante odiavo stare lì dal momento in cui avevo messo piede sull’aereo, rimasi sbalordita da quel che avevo davanti agli occhi. 


''Myspace": so che questo capitolo è stra-lento, ma ci tengo a questa storia, e vorrei farla come si deve uu mi è capitato negli ultimi giorni di leggere fan fiction stupide, spesso iniziate con la protagonista ed uno dei One Direction che fanno sesso ahahah ok, capisco che vogliate farveli tutti (è lo stesso anche per me ahahah) però dai cazzo, se dovete scriverlo almeno fatelo con decenza no? cwc Che poi, la maggior parte di quelle ff, non ha neanche una frase scritta in un italiano corretto, ma vabbé, qui non parliamo di loro ma di me, o meglio del capitolo e.e so che è lento, ripeto, però ho in mente tutto il continuo della storia, quindi l'inizio ho dovuto farlo per forza così. Poi, sinceramente preferivo specificare e descrivere per bene alcune cose che per me erano importanti. Se avete letto fino alla fine, allora vi aspetto al prossimo capitolo (sembra tipo la fine di un qualche telefilm ahahah), in cui parlerò siiiiicuramente di quei cinque figli di belle donne (?)
Oh e ps: in caso non aveste un account qui ma vorreste comunque recensire o farmi sapere anche solo che vi piace, potete anche trovarmi su twitter ovviamente uu sono @69withpayne (non fate caso al nick ahahahah) 

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Capitolo 2
*** chapter two; ***


La casa non era come quelle di New York, o quelle americane in generale. 
“Beh per forza non lo è, sono in Inghilterra ora, che razza di cretina.”
 A quel pensiero aggrottai le sopracciglia per essermi data della cretina, ma infondo era vero. Non eravamo in America; lì tutto era diverso. A partire dalle case, come quelle che ci eravamo lasciati alle spalle dall’aeroporto a lì. Erano grandi e in mattoni; raramente ce n’era qualcuna di cemento. 
“Dev’essere questo lo stile inglese allora.”
La casa era enorme. Era costruita pienamente in mattoni, di un colore tra il bianco e il marroncino, che faceva risaltare il verde dell’erba del giardino. Le finestre erano grandi e quadrate, quelle al piano di sopra, mentre quelle al piano inferiore avevano una forma rettangolare, che ricordava le grandi finestre della mia vecchia camera.
La casa aveva due piani soltanto, ma doveva essere grande abbastanza da aprirci la metà di un parco divertimenti.
Attorno alla casa c’era qualche albero qua e là, che spuntava dal giardino, insieme ai pochi fiori, che però, andando dall’altro lato della casa, si estendevano e si facevano più belli e colorati. Sicuramente presto si sarebbero rinsecchiti però.
Appena finiva il bordo del marciapiede, iniziava il vialetto in pietra, che portava fino alla veranda, la cui era preceduta da una piccola piscina. Sicuramente veniva usata spesso in estate, ma sicuramente, non veniva usata per feste e festicciole, data la grandezza. Sulla veranda, e nel giardino, c’era qualche sdraio qua e là, probabilmente che veniva usata solo durante l’estate, come la piscina.
Guardando la mia espressione stupita, Mike sorrise a trentadue denti, mentre mia madre mi poggiò una mano sulla spalla per farmi avvicinare alla casa. Mio fratello invece, era già corso dentro, ansioso per chissà cosa.
Quando Mike aprì la porta, però, la casa non era come me l’aspettavo. Durante il viaggio avevo immaginato la casa in mille modi diversi, ma nessuno di quelli si avvicinava a com’era realmente.
Alla destra dell’entrata, c’era un salottino, seguito poi dalla cucina, da cui proveniva uno strano odore di bruciato. O forse lo immaginavo io.
Nel salottino c’era una tv al plasma, con di fronte un divano non molto lungo, affiancato da due poltrone dello stesso tessuto del divanetto, decorato a fiori.
Sulla sinistra dell’entrata invece, c’erano delle ampie e lunghe scale, che dovevano portare alle camere da letto, e che decisi di esplorare dopo, insieme al resto della casa. In quel momento il mio stomaco faceva troppo rumore per essere semplicemente ignorato, e il mio nuovo “compagno di casa” se ne accorse, perché mi sorrise – ancora – e posò i bagagli di mia madre accanto al divano.
«A quanto pare qualcuno ha un amico piuttosto affamato.» Disse Mike, ridendo della sua stessa battuta, a cui si unì mia madre.
«Spiritoso.» Risposi con voce bassa, sperando che nessuno dei due mi avesse sentita. Avevo troppa fame, e non volevo che qualche mia battuta facesse sì che nessuno dei due mi preparasse qualcosa. Specialmente perché io non ne sapevo niente di cucina, quindi sarei stata più che impedita nel prepararmi la cena da me.
Mentre Mike entrava in cucina, mia madre si avvicinò a me sussurrando. «Allora, ti piace?» Chiese semplicemente, sorridendo.
«Ti risponderò quando avrò avuto il tempo per vederla tutta.» Le risposi un po’ brusca. «Ma comunque nessun’altra casa può compensare la mia. Nemmeno questa stupida reggia.»
Finendo la frase, notai un lampo attraversare gli occhi di mia madre - forse stava perdendo la pazienza, o forse era stata solo una mia impressione? – Che però fu compensato da un sorriso che nacque sentendo la parola “reggia”.
«Beh, se l’hai chiamata reggia, una speranza che possa piacerti c’è. Non eri tu che avresti sempre voluto vivere una casa grande?»
Era vero, ma volevo vivere in una casa grande con la mia famiglia, non con quella degli altri. Appunto perché era la mia casa non l’avrei divisa con nessuno, mentre questa, per quanto bella potesse essere, avrei dovuto condividerla con persone sconosciute. Certo, magari erano brave persone ed io non dovevo essere affrettata nel giudicare, ma non volevo affezionarmi a quel posto e a quelle persone, perché presto sarei tornata a New York. L’avevo promesso a Nora e soprattutto l’avevo promesso a me stessa.
Quando feci per rispondere a mia madre, sentii Mike borbottare, e distolsi l’attenzione dalla casa e da mia madre per volgerla a lui, e a ciò che teneva tra le mani: un vassoio fumante di carne (se era davvero ciò che conteneva) abbrustolita, o forse dovrei dire completamente bruciata.
Mia madre, ovviamente, si avvicinò di corsa a Mike, muovendo le mani a destra e a manca per scacciare il fumo.
«Nicole!» Urlò Mike, mentre io mi sedetti sullo sgabello accanto al tavolo della cucina.
«Dai, tesoro, non prendertela. Tutti bruciamo qualcosa, e se ricordo bene, è successo anche a quel gran cuoco che sei.» Lo calmò mia madre, per poi baciarlo.
Bleah. «Dio, non fatelo quando avete spettatori almeno!» Esclamai infastidita. Eravamo lì da neanche tre minuti e già si saltavano addosso, ma che cavolo.
Alla mia non-battuta, qualcuno rise, e quando volsi la testa a sinistra, c’era una ragazza castana e un po’ robusta. Quando la guardai, mi squadrò dalla testa ai piedi, cosa che doveva essere una risposta alla mia stessa azione.
«Nicole!» Disse Mike, che sembrava essersi affaticato per riuscire a staccarsi da mia madre «Hai bruciato la cena. Diamine, ti avevo detto di stare attenta! Adesso ci toccherà ordinarla da Jimmy’s.»
La ragazza fece una strana smorfia, ma non sembrava affatto dispiaciuta per la cena.
«Scusami babbo, ma ero al telefono con Jess, e ho scordato di aver messo la carne in forno.»
Come ho già detto, non sembrava affatto dispiaciuta per la cena andata a male, così anche le sue scuse sembravano false, e non ero l’unica ad essermene accorta, anche se mia madre sorrideva gentilmente alla ragazza non-dispiaciuta.
«Nicole, è un piacere rivederti, finalmente» le disse avvicinandosi a lei, per poi stringerla in un abbraccio.
«E’ lo stesso per me, Sarah. Si sentiva la tua mancanza sai?» Rispose la ragazza sorridendo, mentre io strinsi i pugni sotto il tavolo. Non era gelosia la mia, non proprio almeno. Semplicemente non volevo essere rimpiazzata da un’altra figlia, una acquisita per giunta.
Per fortuna, fu Mike a parlare – e a farle staccare – prima di me. «Sono contento che vi siate trovate, ma la cena resta bruciata.» Disse scuotendo la testa in segno di disapprovazione. «Vado a prendere le pizze, ma sappi che questa cena ti varrà dei punti in meno per il viaggio a New York.» Continuò rivolgendosi alla figlia, che però sorrise in risposta.
New York? Sì, certo, come no. Non ce la vedevo proprio quella, lì. La conoscevo – o meglio, l’avevo vista – da non meno di dieci minuti e già mi stava sulle palle. Ed era giusto così, perché da quando aveva fatto la sua “apparizione” non mi aveva degnata di uno sguardo. Non che m’importasse, ma se fosse stata una persona brava e gentile come avrebbe dovuto essere, si sarebbe almeno presentata. Sì, neanch’io l’avevo fatto, ma chi ha detto che ero brava e gentile?
«Se non è un problema, voglio andare io» dissi d’un tratto, intromettendomi nella conversazione. «Voglio dire.. a prendere le pizze. Voglio andare io, ho voglia di fare due passi.»
«Ma non conosci la strada, è meglio che Nicole ti accompagni allora.» Rispose Mike un po’ preoccupato.
Al sentir ciò, la figlia strabuzzò gli occhi, chiaramente scocciata. La mia espressione non doveva essere da meno, e per fortuna di entrambe, mia madre se ne accorse.
«Ma no, caro, la pizzeria è dietro l’angolo. La troverà facilmente e non si perderà.» Disse dolcemente, circondandolo con un braccio. Stavano per venirmi i conati di vomito.
«Allora è deciso, vado e torno!» Mi alzai di soprassalto dallo sgabello, facendolo quasi cadere, e poi mi ricordai distrattamente che le pizze non le avrei di certo rubate. «Oh, ehm, dovreste darmi i soldi.»
«Certo.» Sorrise Mike prendendo il portafogli, allungandomi poi trenta sterline. «E ricordati che se non ti danno le pizze entro mezz’ora, la metà di quelle che compri sono gratis.» Concluse sorridendo a mia madre che teneva ancora il braccio attorno al suo collo.
«Me ne ricorderò.» Mi affrettai verso la porta, per poi fermarmi di colpo. “Forse dovrei cambiarmi.. ma no, non mi guarderebbe nessuno.”
Quando uscii di casa però, mi pentii di non aver preso almeno il giacchetto. Così mi affrettai verso la pizzeria, stringendomi nei vestiti non molto caldi. Indossavo una maglietta nera con le maniche lunghe, e sopra di essa una di stupida felpa di Pippo, che avevo comprato al Disney Store di Times Square, l’anno prima. Era calda certo, ma non era così carina da poterla portare girando per la città; mentre altrettanto caldi non erano i pantaloncini in jeans che portavo, anche se sotto indossavo delle calze scure, con tanto di stivali.
Okay, agli occhi di alcuni potevo sembrare una bambina un po’ troppo cresciuta, mentre ad altri, una di quelle giovani modelle che posavano per qualche marca di jeans.
Quei pensieri mi distolsero dalla strada, così non mi resi conto di essere arrivata davanti alla pizzeria finché quasi non ci sbattei contro. Era molto carina: al di fuori, c’erano vari tavolini sparsi qui e là sotto dei grandi ombrelloni da giardino, mentre l’insegna luminosa sopra le porte illuminava la strada di fronte. Quando, di tanto in tanto, le porte si aprivano, si sentiva il ronzio delle chiacchiere dei clienti, ma soprattutto si sentiva un buonissimo profumo – di pizza, ovviamente – che mi fece affrettare ad entrare.
L’interno della pizzeria era carino quanto l’esterno, c’era sempre qualche tavolo sparso qua e là, e poi un’ampia entrata che portava in una sala più grande, con altri tavoli. Alla destra dell’entrata, c’era un lungo bancone, in cui c’era della pizza a taglio, e in fondo al bancone si trovava una cassa, su cui puntai.
Non c’era nessuno però, così iniziai a battere il piede, sbuffando, in attesa di un cameriere, o chiunque potesse prendere la mia ordinazione. Poi, dei gridolini di alcune ragazze, attirarono la mia attenzione, e mi girai verso il loro tavolo.
Le ragazze erano tre, ed erano sedute con due ragazzi, piuttosto carini – o piuttosto fighi – aggiungerei. Uno aveva dei capelli ricci e castani, e stava sorridendo a due delle ragazze al tavolo. “Dio, che sorriso”, pensai. Era vero, aveva un sorriso bello, ma forse “bello” è un eufemismo. E di “bello” non aveva solo il sorriso, perché quando alzai gli occhi da quello, passai agli occhi, che erano di un verde giada bellissimo. Almeno sembrava così; non che vedessi così bene da quella distanza.
L’altro ragazzo, dio. Sarei rimasta a guardarlo per ore. Soprattutto, sarei rimasta a guardarlo per ore sorridere. Aveva sicuramente il sorriso più bello che avessi mai visto, e quegli occhi, poi. Erano di un castano semplice, ma somigliavano a quelli di Bambi. Sarei rimasta a guardare per ore anche quelli.
O forse sarei rimasta a guardare tutto di lui, per ore.
Mi sorpresi a pensare a quelle cose: non ero il tipo da amore a prima a vista, né il tipo da amore e basta. I miei ragazzi precedenti erano sempre stati carini, certo, ma non era mai stato niente di serio.
Mi distolsi finalmente dai miei pensieri, e quando tornai a guardare i due ragazzi rimasi stupita nel vedere il tipo dei miei strani pensieri di poco prima, che mi fissava. O meglio, che fissava il mio corpo. O forse i miei vestiti, o sicuramente, la maglia da ragazzina. 
“Dio che vergogna, avrei dovuto cambiarmi.”
Il ragazzo a guardarmi, e in quel momento ringraziai il cielo per il fatto che continuasse a guardare il mio corpo invece che il mio viso. Dovevo essere piuttosto imbarazzata e rossa di vergogna dato che sentivo le guance esplodermi.
L’altro ragazzo, il riccio, continuava a ridere con le due ragazze, mentre la terza cercava di attirare l’attenzione del moro. Lui però non la degnò di uno sguardo, e quando il riccio se ne accorse, guardò nella stessa direzione del moro: la mia.
D’istinto volsi lo sguardo altrove, imbarazzata, per poi sentirmi chiamare.
«Hei, tu, rossa!»
Mi girai lentamente, cercando il più possibile di non dare a vedere il mio imbarazzo, sfoderando perciò la mia arma segreta: il mio caratteraccio.
«Che vuoi?» Risposi al riccio, guardandolo falsamente seccata. Lui sorrise, e poi continuò.
«Vuoi unirti a noi?»
Sì. Cazzo, sì. «No, grazie.» Per una volta ringraziai la mia bocca e la mia voce di non avermi tradita, così, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al tavolo, mentre il riccio continuava a sorridere e l’altro squadrava tutto ciò che andasse al di sotto della mia testa, mi voltai verso la cassa pregando che fosse arrivato qualcuno da cui ordinare.
E così fu. Ora, dietro il bancone, c’era un ragazzo biondo, un po’ più alto di me (non che ci volesse molto) che però se ne stava girato, per i fatti suoi. Persi la pazienza, e sbuffai rumorosamente sperando che si accorgesse di me.
Il biondo per fortuna aveva un buon udito, così si voltò. «Oh, hei, scusami.» Disse cadendo dalle nuvole, per poi rendersi conto di qualcosa. «Voglio dire, chiedo scusa.» Continuò, per poi farmi un cenno che non appresi subito, dato che me ne stavo imbambolata a fissarlo negli occhi. Che diamine, ma che avevano i ragazzi di quella città? E che diamine avevo io? Dovevo darmi una regolata, anche a costo di uscire di casa bendata per evitare gli occhi di tutti.
Quelli del ragazzo di fronte a me erano forse gli occhi più belli che avessi mai visto: erano di un azzurro così profondo da poterci – e volerci – annegare. Un azzurro limpido, di un colore di una via di mezzo tra il celeste del cielo e il blu del mare. Erano ipnotici, e bellissimi.
Per fortuna, quando suonò l’acchiappasogni sopra la porta per l’arrivo di un cliente, tornai in me, e volsi lo sguardo sul cartellino sulla divisa del ragazzo, che segnava in lettere chiare e perfette “Niall”.
Non avevo mai sentito quel nome, ma forse neanche lui era di Londra. Ad ogni modo, riusciva a trattenermi dal guardarlo negli occhi, finché ripresi il mio contegno e potei tornare a guardarlo senza avere nessun effetto.
«Non fa niente.» Risposi sorridendo alle sue scuse. Lui sorrise di rimando, e nonostante avesse un sorriso un po’ sghembo, era davvero bello. Forse uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto, come i suoi occhi, e aveva un non so che di dolce. Doveva avere più o meno la mia età.
«Allora, cosa ti porto?» Chiese, prendendo in mano un taccuino e armandosi di penna.
«Mmh.. vorrei ordinare delle pizze» dissi un po’ esitante. «Quattro pizze. No scusa, voglio dire cinque, cinque pizze.»
Merda, ero uscita così in fretta che avevo anche scordato di chiedere che pizze volessero.
Alle fine optai per cinque Margherite, e guardai il ragazzo sparire dietro il bancone con l’ordinazione. Quando poi tornò, venti minuti dopo, quindi appena in tempo per non farmi avere la cena per metà gratis, mi consegnò le cinque pizze e dopo aver pagato mi girai in fretta. Troppo in fretta.
Non mi ero accorta che qualcuno mi stesse passando accanto in quel momento, né quel qualcuno si era accorto di me. Per fortuna riuscii a salvare le pizze, almeno le restanti quattro. Non avevo sbattuto contro il tipo così forte, ma abbastanza forte da farmi quasi rovesciare tutte le pizze.
«Cazzo, guarda dove vai, razza di idiota!» Sbottai urlando, raccogliendo le pizze salve, ancora nei loro cartoni.
La quinta era uscita fuori dalla scatola, perciò non potevo semplicemente riprenderla e portarmela dietro. Non avevo voglia di aspettare ancora, sia perché metà della gente della sala si era voltata al mio imprecare, che per la stanchezza. E per il mio essere incredibilmente affamata.
«Scusa, non l’ho fatto apposta.» Rispose il tipo. O meglio, il ragazzo.
Quando alzai lo sguardo verso il suo viso, dovetti ammettere che era piuttosto carino. Magari non come gli altri due del tavolo, ma era un bel tipo anche lui: occhi castani, capelli corti e spettinati, di un castano scuro.
«Non l’avrai fatto apposta, ma ho perso la mia pizza, grazie mille.» Dissi scocciata, roteando gli occhi e voltandomi verso la cassa, da cui era comparso di nuovo il ragazzo biondo, Niall.
Quando vide la pizza per terra, si avvicinò con un «Ci penso io a pulire» per poi chiedermi se volevo ordinarne un’altra. Io risposi di no, inventando che era tardi, e lo ringraziai per aver pulito. Dopo essermi voltata di nuovo verso il ragazzo che mi aveva fatto perdere la pizza, lo fulminai con lo sguardo, per poi sorpassarlo e uscire dalla pizzeria.
Forse era stata una mia impressione, ma mi era sembrato che sorridesse quando gli passai accanto.
Uscendo, avrei preferito rientrare e starmene lì dentro al caldo, ma dopo la figuraccia con i ragazzi al tavolo, l’imbarazzo con il cassiere e la scena con l’ultimo arrivato, là dentro non ci avrei mai più rimesso piede.
Dopo pochi metri dalla pizzeria, sentii dei passi dietro di me, e quando mi voltai a guardare, trovai il ragazzo che mi aveva fatto cadere la pizza, e mi fermai di colpo.
«Che fai, mi segui adesso?»
Lui sorrise, affrettando il passo fino ad arrivare di fronte a me. «No.. no. Volevo solo scusarmi per la pizza, e ridarti i soldi.» Sembrava sincero, ma non m’interessava la sua “carità”, così finsi di non crederci.
«Sì, certo, come no.» Risposi secca, roteando gli occhi mentre riprendevo a camminare.
Cercai di sbrigarmi, sia per le pizze calde che per il freddo, e magari anche per seminare il ragazzo, che però teneva il mio passo, senza schiodarsi.
«Vuoi andartene?» Sbottai seccata, guardandolo negli occhi.
Nello stesso istante in cui lo feci, me ne pentii. Certo, avevano un colore normale – cioè, non del verde del tipo al tavolo, né dell’azzurro del cassiere – ma erano comunque.. profondi. Aveva uno sguardo sincero, o dolce. Non so spiegarmi, ma comunque avevano anch’essi un effetto ipnotico.
«Sai, non dovresti girare da sola a quest’ora della notte.» Mi rispose sorridendo, guardandosi attorno di tanto in tanto.
Feci una risata isterica, per poi alzare un sopracciglio, incredula del fatto che ci stesse provando in quel modo strano. «Stai scherzando?»
«Sì, ma comunque mi va di accompagnarti, quindi se non vuoi che quelle pizze si gelino come stai facendo tu, dovremmo affrettarci.» Rispose aggrottando le sopracciglia, squadrandomi velocemente dalla testa ai piedi.
Sul fatto che stavo gelando aveva pienamente ragione, ma non lo diedi a vedere.
Riprendemmo a camminare, e pochi secondi dopo, con la coda dell’occhio vidi che si stava togliendo la giacca di pelle. Sotto indossava una semplice maglietta bianca, e mi chiedevo come faceva a non aver freddo indossando solo quelle due cose.
Solo quando mi porse la giacca capii che se l’era tolta per me. “Che galantuomo”. Quel che risposi non era altrettanto galante però.
«Non c’è bisogno che ti spogli per me» gli dissi brusca «Sia perché poi saresti tu ad avere freddo, sia perché non mi conosci.» Conclusi, per poi aggiungere «Sia perché sono arrivata», appena ci fermammo davanti casa.
Lo guardai un attimo, e la sua espressione era tra la stupita e divertita.
«Così.. abiti qui? Voglio dire, sei nuova in città, vero?»
Come lo sapeva? Certo che ero nuova, lo avrebbe capito chiunque mi avesse parlato per almeno tre secondi dato l’accento americano era ben diverso da quello inglese.
«Direi di sì.» Risposi, spostando le pizze da un braccio all’altro, per suonare al campanello non appena arrivammo nella veranda.
«Farei meglio ad andare allora» disse il ragazzo in fretta, «Tanto sei arrivata a casa sana e salva».
Ma va? Non ci vuole mica un addestramento militare per arrivare a casa da una pizzeria dietro l’angolo.
«Comunque sono Liam!» Urlò sorridendomi mentre spariva nel buio della via, quando Nicole aprì la porta.
Mi squadrò da cima a fondo, per poi passare alle pizze, e notare che erano solo quattro.
«Dov’è l’altra pizza? Siamo in cinque, sveglia!» Si lamentò nello stesso istante in cui io dissi: «Se ti levi dalle palle magari evito di congelare qua fuori.»
Oh, che bello, prevedevo in arrivo una grande amicizia. 



My space”: posso dire di essere fiera di me perché ho scritto anche questo capitolo tutto in una notte, cioè ieri sera, ovvero stanotte e.e però, dato che appunto l’ho scritto tutto d’un botto, non ho ricontrollato né ho voluto farlo, perché conoscendomi avrei sicuramente cambiato qualcosa, magari rovinandolo (di più ahahahah) come anche col primo, spero vi piaccia, e che non sia di nuovo troppo lungo (è un po’ più lungo del precedente) anche se, per quel che ho visto, vi è piaciuto così il primo capitolo *-* 
anche qui ho descritto un po’ tante cose (mi pare ahahah) e voilà, i one direction hanno fatto la loro apparizione uù anche se manca ancora il più cretino dei cinque ahahah. vi informo poi che sto per iniziare a scrivere il terzo, e dato che sono strastrastrafelice perché mi è arrivato stamattina l’yearbook e il calendario (ci ho pianto per un’ora e sto ancora tremando çç) e che quindi forse lo pubblico entro/o stasera se riesco a finirlo, altrimenti domani uu grazie inifinitamente a chi ha letto e recensito l'altro capitolo, grazie davvero çç spero vi piacciano e che recensiate anche i prossimi capitoli soahgvaugfsdf
ps. di nuovo: per chi non avesse un account qui e vuole recensire o dirmi qualunque cosa sulla storia, su twitter sono @69withpayne :3

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Capitolo 3
*** chapter three; ***


Un’ora dopo, mi ritrovai nella mia nuova stanza, sdraiata sul letto, a fissare il soffitto e i muri spogli. Avevo deciso che il giorno dopo avrei iniziato a sistemare la mia roba, anche se avrei preferito prima fare un giro in città. Dopotutto, era Londra, non qualche paesino sperduto in campagna.
La serata si era conclusa bene, più o meno. Io avevo diviso la pizza con Tyler, anche se poi lui fregava qualche fetta a mia madre e qualcuna a Nicole. Ci eravamo riuniti tutti nel salottino, perché per Mike, eravamo troppo stanchi per il volo per sederci sulle sedie di legno della cucina, così ci accomodammo chi sui divani e chi sulle poltrone. Io per terra. Non mi andava di sedermi accanto a Mike, mia madre e Nicole sul divano, né tantomeno volevo sporcare una di quelle poltrone apparentemente costose; cosa che avrei fatto sicuramente se mi ci fossi seduta con la pizza.
La serata era proseguita tranquilla, parlando del più e del meno, del viaggio da New York fin lì, delle prossime tappe in città, eccetera eccetera. Più che altro, loro parlavano mentre io mi limitavo ad annuire ogni tanto. Avevo i pensieri rivolti altrove, e sinceramente non avevo neanche voglia di fare gite in città con padre e figlia. Così, mentre loro continuavano con i loro discorsi, io tornai con la mente a quanto era successo poco prima, nel ristorante. Il ragazzo biondo e un po’ sbadato, il riccio al tavolo, il “gentiluomo” Liam, e infine il ragazzo dallo sguardo ipnotico. Ripensando a quegli occhi, mi ci persi dentro, e lo feci ancora in quel momento, mentre me ne stavo in camera mia sul mio nuovo letto.
"Chissà come si chiama.."  Avrei tanto voluto sapere almeno il nome del tipo, anche se non sembrava esattamente un tipo romantico, dato che per la maggior parte del tempo – se non per tutto il tempo – aveva guardato solo il mio corpo, senza mai arrivare al mio viso. Certo, era una fortuna che non l’avesse fatto, dato il mio nervosismo in quel momento, e soprattutto data la mia momentanea timidezza. Era stato bello, ma anche strano, molto strano.
Non ero il tipo di ragazza che si vergognava davanti a qualcuno che le piaceva, ma ero il tipo che se qualcuno le piaceva, gli saltava addosso. Non sempre nel vero senso della parola, ma a volte anche quello. Non mi ero mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno, non mi ero mai lasciata intimidire neanche da persone più grandi di me, ma quella sera, quel ragazzo misterioso era riuscito a fare tutto quello in una volta sola.
Avvolta nei miei pensieri, continuai a guardare il soffitto, in cui notai che c’erano delle stelle fluorescenti attaccate, chissà da quanto tempo. Erano carine, ma troppo da bambini: il giorno dopo sarebbero state la prima cosa che avrei buttato via da quella stanza, decisi.
Quando guardai fuori dalla finestra, alla sinistra del letto, notai che era buio pesto, e quando guardai l’ora sul display dell’iPod, vidi che era piuttosto tardi. Avrei voluto farmi una doccia calda, per togliermi di dosso l’odore dell’aereo, ma ero troppo stanca per la giornata che avevo passato, e per la sera prima, per potermi alzare in quel momento e starmene chissà quanto tempo sotto la doccia.
La notte prima, io e Nora avevamo fatto piuttosto tardi, ma ne era valsa la pena. Sorrisi ripensando a ciò, ma subito dopo me ne pentii.
Nora era la mia migliore amica, e l’avevo abbandonata così, per qualcuno che avrei odiato e che non conoscevo. Lei, alla fine, era riuscita ad accettare la mia partenza, perché sapeva che era importante per mia madre, ma ancor prima di accettarla si era messa in testa che ci saremmo viste almeno una volta ogni tre mesi. A volte io sarei andata da lei, e a volte sarebbe venuta lei da me; d’altronde, aveva sempre amato l’Inghilterra. E da lì a due mesi, cioè a Natale, ci saremmo riviste. Per vedere l’Inghilterra però, avrebbe aspettato ancora altri tre mesi, perché per le vacanze natalizie, avevo deciso di tornare io a New York. Lì il Natale era qualcosa di.. magico. E non solo per i concerti Natalizi in Times Square, ma per la città in generale. Certo, la Grande Mela era illuminata ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette e vabbè, avete capito. Però, com’era illuminata nel periodo Natalizio, nessuno poteva immaginarlo, o almeno, nessuno che l’avesse vista davvero in quel periodo dell’anno. Era spettacolare, piena di luce e di felicità, piena di gente che si affrettava a comprare l’ultimo regalo per la propria famiglia, mentre altra preferiva lasciare i regali all’ultimo, nella lista di cose da fare per quel Natale. Insomma, nessun Natale sarebbe mai stato come quello di New York, e per fortuna, io e Nora avremmo continuato la nostra tradizione natalizia anche quell’anno: colazione da Starbucks la mattina del ventiquattro, per poi correre a comprare gli ultimi regali, e poi tornare a casa in fretta e furia per preparare qualche dolciume da mangiare con le nostre famiglie, che per la cronaca, festeggiavano sempre insieme quel periodo dell’anno. La sera del ventiquattro, poi, avremmo fatto tardi giocando a Cluedo e guardando per la miliardesima volta "Mamma ho perso l'aereo", per poi vederne il seguito la mattina successiva, dopo aver aperto i regali.
Il solo pensare a tutto ciò, mi fece sorridere ancora di più, immaginando che quel Natale sarebbe stato ancora più speciale degli altri, data la mia assenza nei due mesi precedenti.
Per andare da Nora però, mi servivano soldi, e di certo non li avrei chiesti a mia madre o al suo sfigato-quasi-marito. Così, aggiunsi mentalmente di cercarmi un lavoro, sulla mia lista delle cose da fare il giorno dopo.
Un silenzioso baccano interruppe i miei pensieri felici, così mi alzai di botto, sedendomi sul letto, in attesa.
Pochi istanti dopo, il baccano si rivelò per ciò che era realmente: tre (o forse quattro) ragazzi ovviamente ubriachi, che tornavano da chissà dove.
"Dev'essere quel tipo, il figlio di Mike", pensai. "Sì, con altri due tipi però." 
Sperai che quei due tipi fossero almeno carini, anche se non andai a controllare, ovviamente. Al contrario, mi ristesi sul letto, scalciando via le scarpe e infilandomi sotto le coperte calde, per poi infilare le cuffie dell’iPod.
Iniziò una canzone a caso, "Paradise" dei Coldplay.
"Buffo", pensai, "che sia capitata una canzone del genere proprio quando sono finita all’Inferno. Altro che Paradiso."
Qualche secondo dopo alcuni assoli di piano e chitarra, mi addormentai. E per fortuna, ero troppo stanca anche per sognare, quella notte.
 
La mattina dopo, quando mi svegliai, l’iPod continuava a suonare, stavolta una canzone dei Phantom Planet. La lasciai suonare per un po’, mentre ancora assonnata, strizzavo gli occhi per la troppa luce che entrava dalla finestra. Il giorno prima, era piuttosto freddo, e non ricordai di aver visto un sole splendere così. O meglio, non avevo visto proprio nessun sole. Mentre quella mattina, era limpido e luminoso, e se fossi rimasta ancora un altro po’ a guardarlo, ci avrei rimesso la vista. Così mi girai verso il soffitto, stiracchiandomi, per poi sbadigliare rumorosamente.
Finita la canzone, premetti lo stop sull’iPod, e notai che era scarichissimo. Ringraziai il cielo che non mi sarebbe servito quel giorno, perché altrimenti non sarei uscita di casa senza quello. Mi piaceva la musica, era in me fin da quando ero bambina, e non ricordavo un momento della giornata in cui non ne sentivo traccia. Infatti, se passava abbastanza tempo senza che sentissi almeno una canzone, o un qualche accordo, iniziavo a canticchiare da sola qualcuna delle mie canzoni preferite. E quando Nora era con me, lo facevamo insieme, dato che ci piaceva anche la stessa musica.
Con la schiena dolorante, e qualche postumo di un mal di testa in arrivo, mi alzai controvoglia dal letto, poggiando l’iPod sul comodino accanto al letto, per poi cercarne il caricabatterie in una delle mie valigie. Per fortuna ricordavo dove l’avevo messo, così in neanche due minuti, il mio carissimo iPod se ne stava tranquillo sul comodino a ricaricarsi.
Mi avvicinai di nuovo alle valigie, e ne tirai fuori due asciugamani: uno piccolo per asciugare i capelli, ed uno più grande per il corpo. Non presi le ciabatte però, sia perché non ricordavo dove fossero, sia perché a quanto avevo visto, il bagno era a una porta di distanza dalla mia camera, perciò non era un problema camminare scalza.
Mi strofinai per un momento gli occhi con le mani, per svegliarmi meglio, e poi raggiunsi la porta, diretta verso il bagno.
Quando mi richiusi alle spalle la porta della camera, notai Tyler andare nella propria stanza, finché non si accorse della mia presenza.
«’Giorno, sorella.» Disse un po’ assonnato, facendo un cenno con la testa verso di me.
«’Giorno, fratello,» Risposi senza neanche guardarlo, diretta verso il bagno.
«Aspetta, forse dovresti..»
Nell’istante in cui aprii la porta, una sensazione si faceva strada dentro di me: sconcerto.
«Oh mio Dio! C’è un maniaco in bagno!» Urlai richiudendo di botto la porta, sconcertata per ciò che avevo visto. Poi mi allontanai in fretta dalla porta, indietreggiando, fin quando non sentii Tyler alle mie spalle. «Io ti stavo avvertendo, se solo ascoltassi prima di agire.»
Ma che..? Merda, c’era un tizio nudo nel bagno, e lui se ne stava così calmo? Aveva sicuramente bevuto qualcosa la sera prima, e doveva averne ancora i postumi.
«Ma che diavolo dici?» Sbottai, lasciando cadere gli asciugamani per guardarlo negli occhi, infuriata. «C’è un qualche imbecille. Nudo. Nel nostro bagno. Cos’è che non ti è chiaro di tutto ciò?» Urlavo, fumante di rabbia.
Nello stesso istante in cui Nicole uscì dalla sua stanza per il baccano nel corridoio, la porta del bagno si aprì, e ne uscì il tizio nudo. Che però non era più nudo, o meglio, indossava delle mutande, ma non era nudo.
Ok, forse non era nudo neanche quando l’avevo visto poco prima, ma le mutande erano di un colore chiaro, quindi sarebbe potuto parere nudo a chiunque.
Mi sorpresi dei me in quel momento, non sapevo però se fosse perché stavo facendo quei pensieri assurdi, o se perché stavo guardando le mutande del tipo, o meglio, del ragazzo. E quando alzai gli occhi sul suo viso, quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.
Era il tipo del ristorante, quello che mi aveva invitata a sedermi con lui e il ragazzo moro. Era il ragazzo riccio e con gli occhi di quel bel verde giada. Ma che diavolo ci faceva lì?
No, non poteva.. non poteva essere lui, no.
Mille pensieri mi balenarono in mente tutti insieme, mentre il ragazzo mi guardava con aria divertita, o meglio, mi guardava proprio ridendo, cosa che fece ridere anche mio fratello, dietro di me.
Tentai di tornare in me, e per fortuna – di nuovo – la mia voce non mi tradì. «Ma che diavolo...?» Cominciai incerta, un po' balbettando. «Perché eri nudo? Voglio dire, perché sei nudo? E che ci facevi nel bagno nudo? E chi diavolo sei, tra l’altro?» Troppe domande tutte in una volta forse, ma dovevo capire. Non poteva essere, proprio no.
Lui confermò i miei pensieri, per mia grandissima fortuna. «Sono Harry, Harry Styles.» Mi rispose ancora ridendo, probabilmente della mia espressione, al momento confusa.
Aspetta.. ha detto Styles. Il cognome di Mike, e di Nicole, però.. no, non era Styles. Era…
La porta di fronte alla mia camera si aprì, e quando ci voltammo tutti e quattro – io, Tyler, il tipo Styles e Nicole – verso di essa, quel – o meglio, chi – ne uscì, mi stupì e mi sconcertò ancora di più dell’Harry-Styles-nudo-in-bagno.
Era.. oddio. Stavo sognando, sicuramente.
Il ragazzo che uscì dalla porta, parve sorpreso di vedere tutta quella gente nel corridoio, e per fortuna, era troppo assonnato per accorgersi di me. Si guardava intorno con aria circospetta, per poi soffermarsi su Harry Styles, in mutande davanti alla porta aperta del bagno. «Ma che diavolo fai? Contieniti almeno per una volta, Harry.» Sgridò il ragazzo, con la voce ancora impastata dal sonno.
Io me ne stavo nascosta dietro mio fratello, che anche se alto, non bastò a coprire me – e la mia felpa di Topolino che non avevo tolto per dormire – così quando il ragazzo guardò me, dal basso all’alto, si soffermò sulla felpa sorridendo, per poi allargare il sorriso mano a mano che il suo sguardo raggiungeva il mio.
Diamine, era troppo. Troppo tutto in un giorno, troppo in pochi giorni, troppo e basta.
«E’ un piacere rivederti.» Disse finalmente, continuando a guardarmi aprendosi poi in un sorriso.
Io ero momentaneamente paralizzata, non sapevo che fare, né che cosa dire.
Rimasi per un attimo imbambolata a fissarlo, per poi riprendere lucidità e seguire il mio istinto. Così non risposi, e mi limitai a raccogliere in fretta gli asciugamani da terra, per poi superare – e spingere accidentalmente – il tipo nudo e chiudermi in bagno.
Anche se i quattro là fuori erano a pochi passi da me, non sentii una parola di quello che dicevano. Forse perché non volevo sentire una parola, o forse perché ero troppo scombussolata dall’accaduto.
Appena entrata in bagno, avevo lasciato cadere gli asciugamani sul tappeto bianco e peloso – sembrava avessero squagliato tre orsi per farlo – e mi ero appoggiata con la schiena sulla porta.
"Non è possibile, cazzo. Ed è così infatti, non è vero, è tutto un brutto sogno, o forse è solo uno scherzo. Magari c’è qualche telecamera nascosta o magari siamo su Disaster Date, anche se non ci sono né tavoli né finte coppiette felici, né soprattutto il finto appuntamento."
Il mio cervello iniziò ad andare per conto suo, mentre il mio corpo iniziava a tremare. O forse era solo una mia sensazione.
Non poteva essere lui, Liam, il mio fratello acquisito. Il mio futuro fratellastro, il mio nuovo compagno di casa, il mio… interruppi subito quei pensieri frettolosi. Io odiavo quella famiglia, odiavo quel posto e odiavo tutto il resto. Non poteva essere lui il figlio di Mike, lui che era stato tanto gentile la sera prima, anche se io, al contrario, ero stata scontrosa.
"No, non può." Pensai decisa, per poi spogliarmi in fretta e infilarmi sotto la doccia ancor prima di aver fatto scorrere l’acqua. "Pessima cosa..." pensai nello stesso istante in cui aprii l’acqua. La manovella era girata verso l’acqua calda, ma il primo getto che uscì, era di acqua gelata. Tentai di ritrarmi al getto, ma la doccia non mi permetteva chissà quale movimento, così aspettai un istante, che sembrava un’eternità, che l’acqua calda prendesse il sopravvento.
Sotto il getto caldo, iniziai a rilassarmi a poco a poco, ma i pensieri di poco prima mi si riversarono nella mente nello stesso istante in cui pensai di averli scacciati. Così decisi di fare quel che mi piaceva fare quando non volevo ascoltare qualcuno di noioso, ovvero mia madre incazzata, o i miei professori. Iniziai a pensare ad una delle mie canzoni preferite, iniziando a canticchiarla in tono basso, mentre immaginavo il video della canzone. Chissà come e chissà perché, quel metodo funzionava sempre, infatti quando uscii dalla doccia dopo due shampoo e cinque minuti di massaggi, la mia mente era libera dall’accaduto di poco prima.
Mi avvolsi nell’asciugamano, prendendo anche quello più piccolo e iniziando a strofinarlo sui capelli bagnati. Li asciugai un poco con quello, poi però passai al phon. Guardando il mio riflesso in quello specchio, mentre asciugavo i miei capelli lunghi, notai delle linee chiare rigarmi le guance. Lacrime, dedussi. Strano che non fossero sparite con la doccia, ma forse dovevano essere su quelle guance dalla notte precedente. Anche se non ricordavo minimamente di aver pianto.
Asciugati i capelli, raccolsi i vestiti che indossavo poco prima, girai la chiave della porta e mi diressi in camera mia.
Appena entrata, chiusi a chiave anche quella porta, in caso il tizio nudo, Harry Styles, avesse deciso di fare irruzione nudo in camera mia.
Posai i vestiti sporchi su una delle valigie, per poi aprirne un’altra e tirar fuori dei vestiti puliti. Avevo optato per una maglietta di quelle larghe, che lasciavano nuda una spalla, e al “piano di sotto” per un paio di jeans stretti, ovviamente neri, che s’intonavano con la decorazione al centro della maglietta. Scelsi anche della biancheria nera: mi piaceva essere in tinta, come si suol dire. Ai piedi, ero tentata dal paio di stivali con poco tacco che spuntavano ai lati della valigia, ma alla fine optai per le converse nere, e indossai anche il giacchetto di pelle nera, infilando le cuffiette del telefono nella tasca interna.
Guardai per un momento fuori dalla finestra, avvicinandomi, e pensai di andare a fare un giro fuori, dato che era quello il mio programma per la giornata. Il mio stomaco però non era d’accordo, e si rifiutava di farmi uscire senza aver bevuto almeno un bicchiere di qualcosa che non fosse composta da sola acqua. 
«Stupido stomaco.» borbottai, prendendo il telefono dal comodino, accanto all’iPod, per poi dirigermi alla porta.
Quando mi richiusi quest’ultima alle spalle, sentii la suoneria del cellulare che indicava l’arrivo di un messaggio. Così, scendendo lentamente le scale (di certo non volevo rompermi qualche osso inciampando dopo neanche un giorno in quella casa) aprii la cartella dei messaggi ricevuti, e sorrisi leggendo il nome del mittente: Nora.
«Ehilà, fanciulla! Come va il tuo primo giorno all’ “inferno”? So che starai sicuramente dormendo, ma volevo scriverti appena fossi stata sveglia, e direi che lo sono, quindi, eccomi qua.» Sentii pian piano il sorriso allargarsi sulla mia faccia, mentre proseguivo con la lettura. «Sai, quella cretina di mia sorella mi ha svegliata alle otto questa mattina, ALLE OTTO! Ho un sonno che sembrano due, e vorrei tantissimo che tu fossi qui, perché sì, mi manchi già! E spero di ricevere presto una tua risposta, anche perché non vedo l’ora di sapere come trovi la tua nuova casa e tutto il resto. E per “resto” intendo il tuo nuovo e sicuramente affascinante fratello!» Bingo. «Fatti sentire, ti voglio bene, Nora.» Il fatto che si firmasse ad ogni suo messaggio sapendo che avevo comunque il suo numero salvato in rubrica, mi faceva sempre ridere, ma in quel momento il sorriso apparso poco prima, era sparito. E così, distratta, andai addosso a un muro.
«Ma che cazzo…» Borbottai massaggiandomi la fronte.
Quando guardai davanti a me, tutto trovai meno che un muro. Al posto suo c’era Liam. Che mi fissava. E sorrideva. C’era Liam di fronte a me, che mi fissava e sorrideva. 
"Smettila!" Disse una voce dentro di me. La mia coscienza?
Per fortuna, o per sfortuna, Liam interruppe di nuovo i miei stupidi pensieri, anche se continuava a fissarmi sorridendo. «Dovresti imparare a guardare dove vai.» 
Aveva un bel sorriso, un sorriso dolce, che avrebbe fatto sciogliere chiunque, tra cui me, se non fosse che la fonte dei miei pensieri “malati” era proprio lì davanti.
«E tu potevi dirmelo allora.» La mia bocca parlò da sola, come i miei occhi, dedussi dal cambiamento del suo viso. Era passato dal divertito al preoccupato, per poi tornare al divertito.
«Dirti cosa? Che ero contento di aver conosciuto una ragazza carina per poi restare come si suol dire "di merda" scoprendo poco dopo che quella ragazza carina abitava qui?» 
«No, razza di imbecille.» E non stavo esagerando «Potevi dirmi che abitavi qui anche tu, non credi? Invece di fare il gentiluomo e accompagnarmi fin dalla pizzeria e poi..»
«Ehi, aspetta. Ferma, aspetta. Di che diavolo stai parlando? Abitare qui?» Chiese sogghignando, anche se il suo sguardo era serio.
A quel punto sbottai. «Come di che sto parlando?! Di che sto parlando? Ma mi prendi per il culo o cosa?» E prima che lui aprisse bocca per rispondere quel che pensai stesse per rispondere in quel momento, aggiunsi: «E non rispondere “cosa”.»
Lui parve confuso per un momento, ma poi scoppiò a ridere.
Davvero non sapeva di che stessi parlando? Ma come non poteva? Lui era il fratello, cioè il figlio di.. no, aspetta. Non aveva mai detto di esserlo, né lo aveva detto qualcuno degli altri.
«Ehi, stai bene?» Chiese ad un certo punto, notando che non lo seguivo più. Aveva uno sguardo.. preoccupato?
Io però non risposi. Avevo mille pensieri in testa che lottavano per uscir fuori e mettere insieme i pezzi, che avrebbero trovato la risposta che cercavo. Immagini veloci, tipo flash back, mi balenarono nella mente: l’arrivo in pizzeria e l’incontro con i due ragazzi al tavolo, il quasi-scontro con Liam, che era appena arrivato al locale, ma che non sapevo se avrebbe cenato da solo o in compagnia. Poi c’era Liam fuori la porta di casa, che sorrideva, e i tre ragazzi nel corridoio quella notte. I ragazzi al tavolo della pizzeria erano due, di cui uno era Harry, mentre Liam era.. i ragazzi nel corridoio la notte precedente invece erano tre, e potevano benissimo essere… no, non era possibile. Stavo facendo un ragionamento contorto, e stavo creando dei problemi che in realtà non esistevano. Forse avevo paura, paura di accettare che la risposta che temevo era quella giusta. Perché se Harry non era il figlio di Mike, e Liam non faceva parte della famiglia allora…
Prima di pensare alla risposta ovvia, scansai Liam e corsi fuori. Non sapevo se qualcuno avesse assistito alla mia momentanea perdita di pazienza davanti a lui, o se qualcuno mi avesse vista correre fuori, a parte Liam ovviamente. Non m’importava però, in quel momento volevo solo andarmene da quella casa, senza pensare né dove né come, solo andarmene. Non potevo credere a quel che era ormai ovvio, o meglio, non volevo crederci. Non avevo mai pensato all’amore a prima vista perché non mi era mai capitato, ma quella sera… no, non era amore a prima vista. Stronzate.
Il ragazzo moro aveva quegli occhi… bellissimi, sì, ma non era amore a prima vista. Non avevo mai creduto a stronzate del genere, e non potevo iniziare a farlo adesso. Anche perché, se quel che pensavo era vero, allora mi sarei ritrovata a condividere la casa con quel tipo.
Dio, non dovevo pensarci. Con tutti i pensieri che mi correvano in testa, non mi accorsi di essermi fermata davanti ad una fermata dell’autobus, in cui quest’ultimo stava fermo attendendo i passeggeri scendere. Mi guardai intorno per un attimo, e non sapevo dov’ero finita. Mi ero persa, letteralmente.
Accanto a me, seduto sulla panca della fermata, c’era un ragazzo che doveva avere più o meno la mia età, così decisi di chiedere a lui le informazioni per ritrovare la via di casa. Ma quando tentai di avvicinarmi, una donna piccola e fragile, più o meno sull’ottantina, si avvicinò a me. «Mi scusi signorina,» disse con una voce un po’ roca «Sa che fermata è questa?» Chiese guardandosi intorno, cosa che feci anch’io, per poi guardarla negli occhi verde giada. Ricordavano un po’ quelli del nudista Harry Styles, solo che questi erano un po’.. spenti. "Sarà sicuramente la vecchiaia."
«No, mi dispiace.. Mi sono persa anch’io, non so come aiutarla.» Risposi gentilmente, guardando alla mia destra in cerca di qualche passeggero del bus precedente che potesse indicarci la via. Ma non c’era nessuno, così mi voltai verso il ragazzo, ma la vecchia signora mi aveva già preceduta.
«Deve camminare fino alla fine del marciapiede», spiegava il ragazzo alla donna «E poi deve attraversare, svoltare a destra e sarà arrivata a destinazione.» Concluse con un sorriso, che venne ripagato altrettanto, seguito da un «grazie» da parte della signora.
Mentre guardavo la signora intraprendere la sua strada, sentivo lo sguardo del ragazzo addosso, così, Dio solo sa perché, mi voltai infilando gli auricolari nelle orecchie, senza mai accendere la musica. Avrei dovuto chiedergli aiuto, ma il suo sguardo addosso mi faceva sentire.. strana. Decisi però di ignorare quella sensazione e di sedermi sulla panca dove stava il ragazzo, cercando di sedermi però il più lontano possibile da lui.
Quel mio movimento, lo spinse a passare dal guardarmi al fissarmi, e quasi sentii il suo sguardo trapassarmi la testa. Cazzo che nervi, avevo già le palle girate per i tre della notte prima, ci mancava solo lui. Così mi tolsi una cuffia e mi girai verso di lui per affrontarlo.
«Vuoi una foto?»
«Sono più bravo con i dipinti veramente» rispose lui scherzando, anche se sul viso, dello scherzo non c’era traccia.
Guardandolo bene - mentre lui continuava a guardare me – notai che aveva gli occhi azzurri. Erano davvero belli, e guardandoli meglio si poteva notare che cambiavano colore a seconda della luce, di fatti aveva delle screziature verdi intorno alle iridi.
I capelli invece erano castani e scompigliati, ma nonostante ciò, se ne stavano fermi in posa: erano spettinati ad arte.
Passando in rassegna i vestiti, notai che aveva un abbigliamento casual, ma particolare anche quello, come il colore degli occhi. Indossava dei pantaloni scuri, con sopra una maglia a righe bianche e azzurre, che facevano risaltare gli occhi. Sopra il tutto, portava un giacchetto di quelli che, pensai, andassero di moda in Inghilterra, dato che li avevo visti addosso a parecchia gente. Era un giacchetto lungo, che arrivava sopra le ginocchia, dello stesso bianco della maglia.
«Adesso la foto serve a te.» Non era una domanda, ma una semplice affermazione, che mi riportò alla realtà.
«No, grazie, non rientri nei miei standard.» Forse ero un po’ troppo acida, ma ero a Londra da un solo giorno e già avevo in testa quattro ragazzi.
«Non sapevo avessi uno standard.» Insistette lui.
«Per forza, non mi conosci.» Ma che pretendeva?
«Allora lo faccio. Piacere, sono Louis.» Disse sorridendo, mentre allungava una mano per stringere la mia.
Guardai prima la sua mano e poi lui, ma senza stringerla mi alzai dalla panchina, infilando di nuovo l’auricolare.
Non m’importava di non conoscere la strada, volevo andar via e basta. 




"Myspace": non so come iniziare questo myspace, quindi lo faccio ringraziando delle persone speciali (♥) che, oltre a rompere le scatole per avere in anteprima il capitolo (ahahahah) mi hanno aiutata diciamo, perché senza il loro appoggio non mi sarei sbrigata a scrivere anche questo capitolo (che tra l'altro, è lungo una pagina e mezzo di Word in più degli altri due eh uù), quiiindi, grazie per l'appoggio. Il capitolo vorrei dedicarlo (neanche fosse un premio Oscar) a Bunny (ciao Giada! ahahah), a Lotti e Jasmine che mi fanno morire su twitter ogni giorno, a Sonia che mi ha fatto decidere di scrivere questa FF, e poi a Carlona (AHAHAHAH) e Bri, che leggono sempre tutto e mi recensiscono su msn (e Bri anche qui u.u). come per gli altri due capitoli, anche questo l'ho scritto tutto in un botto, e se non avete notato che la fine fa cagare, ve lo faccio notare io, dato che ho dovuto sbrigarmi a scriverla perché erano le quattro di notte quando l'ho concluso, e mio padre girava per casa alla mia ricerca (?) quindi ho dovuto concludere e spegnere çç ma spero vi piaccia lo stesso, perché ci ho messo tutta me stessa e finalmente, ci ho messo quei cinque imbecilli che amo tanto ahahahah. ps: se non l'avete notato, mi sono divertita a chiamare Harry "il tipo nudo" o "il nudista" o quelle robe lì HAHAHAHAHAHAHAHA e pps: sono tre capitoli che cerco di capire come mettere una maledetta foto alla fine del capitolo, senza riuscirci ahahah çwç vabbè, come al solito se non avete un account qui e volete dirmi cosa ne pensate, sono @69withpayne su twitter. :)

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Capitolo 4
*** chapter four; ***


Dopo aver girato in lungo e in largo per chissà quale zona della città, arrivai a casa, e il mio stomaco cominciò a farsi sentire. Avevo saltato la colazione per la stupida reazione di qualche ora prima, ed erano le tre del pomeriggio, quindi anche il pranzo ormai era andato. Per fortuna però, avevo il portafogli nella tasca, così prima di tornare a casa, feci una sosta alla pizzeria della sera prima.
A quanto diceva Mike, lì facevano alcune delle pizze più buone della città, perciò la pizzeria era sempre aperta e piena di gente. E dovetti dargli ragione, perché anche a quell’ora del pomeriggio, di domenica, era piuttosto colmo all’interno. Fuori c’erano giusto due o tre persone sedute a bere drink; probabilmente la gente preferiva star dentro per il freddo, dopotutto era il dieci di ottobre, e Londra non era di certo famosa per la temperatura calda.
Dopo aver fatto una breve coda alla cassa, arrivò il mio turno e ordinai una focaccia col prosciutto, con una lattina di Coca. Notai subito che il ragazzo alla cassa non era lo stesso della sera prima: questo aveva i capelli castani scompigliati e gli occhi scuri, con tanto di lentiggini. Era piuttosto bruttino, e mi ricordava tanto uno di quei fattorini sfigati che portano le pizze alle belle ragazze sui film adolescenziali.
Pagato il tutto mi diressi fuori di corsa, perché il mio stomaco continuava a borbottare, e sicuramente non volevo che qualcuno lo sentisse.
Cinque minuti dopo, entrai in casa e feci per dirigermi in camera mia, al piano di sopra, quando qualcuno mi chiamò dalla cucina.
«Alex?»Dio, che rottura.
«Sì, mamma?» Scesi le due scale che ero appena riuscita a percorrere.
«Dove sei stata?» Chiese avvicinandosi alla scala.
Scrollai le spalle, e risposi senza guardarla negli occhi. «In giro.»
«In giro dove? Vorrei che avvisassi la prossima volta che decidi di andare “in giro”, sai com’è, questa è una nuova città per te, per noi, e non sai ancora ambientarti ci abbastanza da girare da sola.»
Che palle. Sbuffai, per poi risponderle col suo stesso tono. «E allora? Mica mi sono persa» mentii, guardandola negli occhi. Odiavo mentirle, anche se era per una stronzata come quella. «Sono andata a fare un giro perché volevo conoscere il quartiere.» Conclusi con una scrollata di spalle.
«Certo. Siccome abitiamo nella grande e popolosa Beverly Hills, ci hai messo cinque ore per fare il giro del quartiere.» Incrociò le braccia sul petto. Il che voleva dire che il cazziatone era appena cominciato.
«Senti, okay, non sono andata in giro per il quartiere ma sono andata in centro perché avevo bisogno di uno Starbucks» sapeva quanto adoravo quel caffè, così mi giocai quella carta «Ma un coglione mi ha dato le indicazioni sbagliate così ho preso mille strade tranne che quella giusta, e quando finalmente l’ho trovato erano già le due. Poi ho preso la metro e sono tornata, passando da Jimmy’s.» Finii, indicando la pizza che tenevo su una mano, per poi riprendere. «Scusa, la prossima volta che deciderò di fare un giro ti avverto, okay?» Dissi tutto d’un fiato, per poi correre su per le scale senza lasciarla rispondere. Mi ero rotta delle torture che mi faceva subire ogni volta che uscivo da sola. Non ero una ragazzina né tantomeno una sconsiderata: sapevo badare a me stessa più di quanto non sapesse fare lei.
Salita al piano di sopra, sentii una delle porte del corridoio aprirsi, e mi fiondai nella mia camera prima ancora di vedere chi sarebbe sbucato fuori, non avevo voglia di vedere nessuno.
Sbattei la porta e la chiusi a chiave, poggiano pizza e Coca-Cola sul letto, per poi togliere il giacchetto e tirarne fuori il cellulare. Solo in quel momento ricordai che non avevo ancora risposto a Nora, così decisi di farlo più tardi, tramite e-mail, almeno avrei potuto scriverle senza dover pensare a non arrivare a chissà quante pagine di caratteri.
In dieci minuti finii la pizza, e alzandomi dal letto, bevvi l’ultimo sorso di Coca dalla lattina e buttai il tutto nel cestino accanto alla porta. E quando fui abbastanza vicina, notai che accanto al secchio, dietro al comò, c’era una sottospecie di maglia di lana. Spostai di poco il comò, e quando lo spostai abbastanza da prendere il groviglio di lana, questo cadde a terra. Era piuttosto piccolo per essere una maglia, e soprattutto non era così morbido da essere lana. Oltretutto, alla “testa” del groviglio c’erano due strane cuciture ovali. Raccolsi il groviglio e lo girai. Era un cappello. Un cappello a forma di panda. Era carino, ma che ci faceva lì? E soprattutto, di chi era? Non riuscivo ad immaginare Mike andare in giro con quel coso, né tantomeno quella altezzosa di Nicole. Sicuramente l’avrebbe definita una cosa da perdenti, e anche se non la conoscevo affatto, mi era bastato guardarla per non più di tre secondi per capire che persona era. Certo, a me stavano sulle palle più o meno tutti gli esseri viventi – forse anche i non viventi – ma lei era troppo. E oltre a quel “troppo”, era anche troppo superficiale per indossare quel cappello. Forse è dell’altro figlio, disse una voce dentro di me.
Bingo, ci mancava solo che iniziassi a sentire la mia stessa voce parlare con me stessa.
Buttai il cappello sopra al comò, e poi mi avvicinai alle valigie accanto al letto.
C’era proprio bisogno di sistemare quella camera, era troppo orrenda e.. vuota. Sembrava ci fosse morto dentro qualcuno.
Aprii la prima valigia, e ne tirai fuori scarpe e vestiti, i quali piegai e poggiai sul letto. Le scarpe avevano un sacco di posto sul fondo dell’armadio, così misi i miei sei paia – amavo le scarpe – sul fondo, per poi tirar fuori le stampelle dall’armadio e appenderci qualche vestito. Prima di partire, avevo dovuto scegliere quali vestiti portare subito con me e quali far portare poi dall’Assistenza Traslochi, e mi ci era voluta un’eternità per scegliere cosa portarmi. Tenevo a tutti i miei vestiti, mi piacevano tutti e anche se andavo spesso a fare shopping, mi piaceva indossare e ri-indossare i vecchi vestiti. Non ero una di quelle che “morto un Papa se ne fa un altro”, non buttavo via i vestiti dopo averli messi una volta sola. Al contrario di me, Nora era una di quelle persone, e mi toccava rimproverarla ogni volta di non spendere così tanti soldi per vestiti nuovi quando alla fine erano nuovi anche quelli che aveva nell’armadio, dato che spesso li buttava senza neanche indossarli.
In quel momento decisi che avrei dovuto chiamarla al più presto, come al più presto avrei dovuto smettere di pensare a lei così frequentemente. Già dovevo sopportare la nuova famiglia, la nuova città e tutto il resto, non avevo voglia di sentire la sua mancanza costantemente. Mi faceva male solo pensarci.
Aprii la seconda valigia e ne estrassi le camicie e i pullover, insieme alle felpe e ai due paia di jeans, che infilai subito nell’armadio. Nella terza e piccola valigia, ero riuscita ad incastrare la biancheria, i trucchi e gli accessori per capelli, con tanto di phon e piastra. Guardai per un attimo la valigia aperta sul pavimento, poi mi chinai a raccogliere tutta la biancheria, per poi metterla nei cassettoni del comò. Sopra di esso, c’era un grande specchio con i bordi di un rosa pallido, che ricordava uno di quegli specchi antichi, da principessa.
Guardai per un attimo il riflesso nello specchio, e per fortuna, le occhiaie del giorno prima erano sparite, anche se non del tutto. Il poco trucco che avevo messo quella mattina invece, era scomparso, e dovetti ammetterlo a malincuore, ma avevo un aspetto orrendo. Ci tenevo al mio aspetto fisico: anche se non ero una modella, mi piaceva restare in forma, truccarmi e pensare alle unghie e ai capelli, anche se questi ultimi li avevo trascurati ultimamente. Le unghie ora erano corte, e c’erano delle piccole macchie rimaste dello smalto che avevo messo il mese scorso, prima di iscrivermi in palestra. Mia madre aveva dato la fatidica notizia del trasferimento solo un mese prima della partenza, così avevo deciso di iscrivermi in palestra e riprendere con la boxe. Non che fossi stata mai interessata a quello sport, certo, però col crescere ci andavo spesso, per rafforzare la mia resistenza fisica e soprattutto rafforzare i miei pugni. Era grazie alla boxe che avevo imparato a darle, anche se avrei saputo farlo lo stesso senza di essa.
Quando avevo quattordici anni, venni espulsa dalla scuola per aver rotto un braccio a un mio compagno di classe, che per ripicca aveva ribaltato il mio banco con alcune sedie, dando poi la colpa a me. Ovviamente, io lo avevo picchiato per una buona ragione, e ovviamente, nessuno mi aveva creduto. Il ragazzo, Nick, aveva iniziato a prendere in giro Nora per il suo modo di essere, e dopo una settimana di battutine e battutacce, avevo perso la pazienza e lo avevo attaccato al muro con un braccio solo, mentre con l’altro gli tenevo il braccio stretto dietro la schiena. Non volevo romperglielo, né volevo fargli male – o meglio, non così male – ma una ragazzina di quattordici anni che avrebbe mai potuto fare contro un ragazzo grosso il doppio di lei? Almeno questo era quel che pensavo in quel momento, mentre Nick piangeva con la testa attaccata al muro.
Quel giorno era stato uno dei più brutti della mia vita, anche se ero rimasta abbastanza soddisfatta di aver spaventato Nick e il resto della classe così tanto da non rivolgere più a Nora neanche uno sguardo odioso.
Dopo aver lasciato Nick ancora attaccato al muro, a piangere per il braccio rotto, ero stata spedita nell’ufficio del preside, e in men che non si dica mia madre era già lì. Non so perché quel giorno non provò neanche a difendermi, ma dopo il cazziatone di ben due ore del preside, eravamo tornate a casa in silenzio; io pensando a cosa avrei fatto la mattina seguente, sicura di passarla liscia con mia madre, e lei pensando a chissà quale orrenda punizione affibbiarmi. Dopo un’ora di silenziosi borbotti e di telefonate, lo scoprii, e “orrenda” era un eufemismo. «Vai a fare le valigie, e assicurati di prendere tutta la roba di cui hai bisogno, per un anno.» Aveva detto, interrompendo la mia lettura di “Teen Vogue”. Il tono in cui lo disse era strano, non lo avevo mai sentito prima di allora. Era cupo, e un po’ malinconico forse.
«Eh? Perché?» Le avevo chiesto io.
«Fa quel che ti ho detto, ora.» Aveva risposto ancor prima che finissi di parlare io, forse per paura di ripensare alla sua decisione. Cosa che non fece, perché il giorno dopo mi ero ritrovata nell’atrio di quel che sembrava un albergo, ma che in realtà era una specie di prigione. Un collegio. Fuori era fatto di mattoni enormi e grigiastri, che ricordavano tanto quei castelli gotici antichi, mentre dentro era tutto in legno, dalla moquette al soffitto. A guardarlo dall’interno sarebbe sembrato uno di quegli alberghi di lusso di montagna, ma purtroppo non era così; quella non era una vacanza, ma il mio peggiore incubo.
Appena avevamo messo piede nel cancello del collegio, io avevo iniziato ad urlare a mia madre di riportarmi a casa, mentre lei se ne stava impassibile durante il mio sclero. Poco dopo erano arrivati il preside con due uomini alle spalle, che pensavo fossero professori, ma in realtà erano guardie. Mi avevano presa per le spalle e mi avevano tenuta ferma per tutto il tempo in cui mia madre parlava col preside nel suo ufficio. Più che un collegio sembrava una casa di cura, ed io non avevo di certo bisogno di essere ricoverata.
«Vuoi davvero lasciarmi qui? Con questi matti?» Avevo sussurrato a mia madre con le lacrime agli occhi, una volta che fu uscita dall’ufficio del preside.
«Tornerai a casa l’anno prossimo, è per il tuo bene.» Aveva risposto lei, impassibile come anche il giorno prima.
«Non me ne frega niente di quando tornerò a casa!» Iniziai ad urlare «Non voglio restare in questo posto, non ne ho bisogno! Sembra una prigione, una gabbia per matti, e non è il posto per me. Non è stata colpa mia quel che è successo ieri, non l’ho fatto apposta» finii la frase sussurrando, mentre le lacrime continuavano a scendere.
«Non è la prima volta che “picchi” un tuo compagno di scuola, e questa cosa deve finire. Hai quattordici anni, per la miseria, dovresti giocare con le bambole, non menare i tuoi compagni!» Anche lei aveva urlato, dicendo l’ultima frase, ma poi, dopo un ultima occhiata malinconica, se ne andò dal grande atrio, e sentii perfino la sua auto accendersi e dare di gas.
Io me ne stavo ancora nell’atrio, ancora sotto le braccia delle due guardie, e ancora a piangere.
«Questa non è una casa di cura, è solo una scuola come un’altra. L’unica differenza è che qui diamo vitto e alloggio, ma soprattutto disciplina.» Mi aveva detto il preside poco dopo l’uscita di mia madre. Poi mi accompagnò nella mia stanza – senza le guardie al seguito – e da lì a un anno dopo, imparai di tutto tranne che la disciplina. Ma per tornare a casa avrei dovuto fingere, così lo feci. Durante le sedute mensili dallo psicologo del collegio – l’ho detto io che era una casa per matti – finsi di essere la persona più tranquilla del pianeta, così tanto che sembravo quasi drogata. Però funzionò, e quando tornai a casa feci lo stesso con mia madre, anche se ogni tanto mi scappava qualche parolaccia e scatto d’ira. Così avevo iniziato ad andare in palestra, per sfogare la mia rabbia lì, e mi diedi alla boxe una volta alla settimana. Almeno lì avrei potuto tirare pugni senza dovermi preoccupare delle conseguenze.
Tornai in camera, in quella domenica di ottobre e in quel che era il mio riflesso davanti allo specchio. Misi una mano tra i capelli e iniziai a scrollarli un poco. Li avevo mossi, e al contrario di tutte le ragazze che avendoli mossi li volevano lisci e viceversa, a me piacevano così; forse erano l’unica cosa che mi piaceva di me, anche se sapevo di essere una bella ragazza. Erano folti e lunghi, e soprattutto rossi,come quelli di mia madre, anche se prima di partire li aveva fatti scurire un po’.
All’improvviso sentii una folata d’aria, e mi voltai verso la finestra, avvicinandomi per chiuderla. Trasferendomi lì, pensavo – o meglio, immaginavo – di avere una bella camera, grande, calda e accogliente, magari con una bella vista, ma quella era l’unica cosa che quella camera non possedeva. La vista della finestra dava sulla casa affianco, su una finestra di una qualche camera. O forse era un bagno.
Un ragazzo spuntò accanto alla tenda, con dei vestiti appesi alle stampelle che teneva su un braccio, ma dava le spalle alla finestra, quindi non potevo vedergli il volto. Okay, sicuramente non è un bagno. Dedussi alla fine. E sicuramente qui c’è bisogno di una tenda. Aggiunsi, per poi tornare alla valigia.
Raccolsi phon e piastra, insieme ai miei accessori da bagno, e mi diressi alla porta. Sbirciai con la testa per accertarmi che non ci fossero nudisti né fratelli sconosciuti, e poi andai verso il bagno. Anche quello era vuoto, per fortuna, e non potei fare a meno di ripensare alla mattina stessa, quando quell’ Harold o come si chiamava, era spuntato fuori dal bagno in mutande. Dio, che nervoso. Smettila di pensarci, non succederà più. Pensai. Almeno sarà meglio per lui che non succeda di nuovo.
Il bagno per fortuna era abbastanza grande da far entrare una doccia, una vasca, e due armadietti, e pure il lavandino e lo specchio, ovviamente. Tentai il primo armadietto, ma era colmo di roba: dopobarba, profumi da uomo, trucchi – di Nicole -, spazzole, lacca e altre cose che non guardai. Passai al secondo armadietto, e per fortuna questo era vuoto, completamente. Forse Mike lo aveva lasciato libero per noi.
Ci infilai phon e piastra, poi sistemai gli accessori da bagno, quali schiuma per i capelli, spazzolino e lavandino, assorbenti, eccetera. Quando mi voltai per andarmene quasi mi venne un colpo; Mike se ne stava impalato fuori alla porta, a braccia conserte, e ovviamente il sorriso del giorno prima non mancava.
«Sono contento che tu ti stia già sistemando» disse ancora sorridendo, sciogliendo le braccia che teneva sul petto.
«Già. Anch’io» risposi un po’ freddamente. Poi uscii dal bagno, e superandolo vidi che stava per aggiungere qualcosa, così mi fermai e mi voltai verso di lui, sbuffando.
«Senti, Alexandra…»
«Alex. Preferisco Alex.» Lo interruppi bruscamente.
«Giusto, Alex, vorrei parlarti se non ti dispiace. E anche tua madre vuole farlo, perciò scendi giù con me?»
Oh che palle, volevo sistemare la mia camera, non subirmi un discorso di “benvenuta in famiglia”. Al contrario però, annuii e mi diressi al piano di sotto con lui. Mi dava le spalle, e stavo guardando in modo così fitto i miei piedi che non mi accorsi di dove stavamo andando. Dove stava il salottino, c’erano delle grandi porte trasparenti, a vetro, e dopo averle superate notai che quel salottino era solo una specie di atrio.
«Oh, mio…» Biascicai, guadagnandomi un’occhiata divertita da Mike.
«Che c’è, pensavi che la case fosse tutta lì? E’ grande fuori quanto dentro» Rispose divertito.
«No, è che… è… voglio dire, ha stile.» Cercai di contenermi,e sia lui che mia madre, seduta su una poltrona, lo notarono, così scoppiarono a ridere.
Altro che salottino, quella era una vera reggia. Eravamo in un altro salotto, grosso almeno il triplo del salottino. All’entrata, dopo le porte a vetri, si estendeva un’enorme libreria, di quelle antiche e che si vedevano solo nelle grandi biblioteche. Di fronte alla libreria, c’erano due grandi poltrone in pelle nera, che davano “le spalle” alla libreria, e che erano divise da un piccolo tavolino di vetro. Andando poco più avanti, si estendeva un grande divano, in pelle nera anche quello, e di fronte ad esso c’era uno schermo al plasma. Dio solo sa di quanti pollici era. Sotto di esso, c’erano tre console, quali X-Box, Wii e Play Station 3, tra cui anche il lettore dvd. Dopo il divano, c’erano un tavolo enorme e lungo, tipo quelli che si vedevano nei salotti delle figlie di papà dei film adolescenziali. A completare il tutto era un’enorme vetrina, che conteneva quelli che sembravano ricordi di viaggi, foto di famiglia e varie cose per la casa. Praticamente quel salotto era grande quasi quanto il nostro appartamento di New York.
Mentre i due piccioncini sorridevano per la mia reazione, mi avvicinai alla libreria, toccando con l’indice qualche libro, in cerca di qualche titolo a me conosciuto. Non ce n’erano però, erano quasi tutti libri antichi, mentre quelli nuovi riguardavano corsi di specializzazione per lavorare in ospedale e cose così. Passai in rassegna lo scaffale di sotto,e notai che era vuoto.
«Tua madre mi ha detto della tua passione per i libri, così ecco, ho svuotato un ripiano della libreria così puoi metterci i tuoi. E se non ti basta posso svuotarne un altro, tanto quelli sono tutte vecchi libri.» Disse Mike, indicando la libreria.
Sicuramente un ripiano non mi sarebbe bastato, così apprezzai il gesto. «Grazie» sorrisi. «Allora, che volevate dirmi?» Chiesi avvicinandomi, per poi buttarmi sul divano. Mike sorrise per il mio gesto, e poi si avvicinò a mia madre, posandole una mano sulla spalla, mentre lei iniziava a parlare.
«So quanto odi che si giri intorno alle cose, perciò andrò dritta al punto. Domani mattina comincerai la scuola e…» alzò una mano per azzittirmi, quando io aprii bocca per ribattere. «Ti accompagnerà Tyler, perché io e Mike andremo in ospedale, e torneremo a casa la sera. Perciò dovrai anche arrangiarti per il pranzo, dato che domani avrai un permesso per uscire prima.» Permesso per uscire prima? E perché? Ma soprattutto, sta scherzando?! Non potevo iniziare la scuola così, su due piedi, che diamine eravamo appena arrivati! Dovevo prepararmi psicologicamente al tutto, non potevo svegliarmi, vestirmi e andare in quella scuola sconosciuta. Frenai la rabbia però, ripensando a Nora e al Natale che avrei dovuto passare con lei a New York, così annuii. «Va bene. Ma perché ho un permesso speciale? Cioè, perché posso uscire prima?»
Stavolta fu Mike a parlare. «Perché sei appena arrivata, e devi ancora ambientarti. Domani sarà una specie di giornata di prova, infatti, da quel che ho sentito, domani ci saranno per lo più riunioni tra i professori e cose del genere, quindi non sarà una giornata di compiti e lezioni» concluse la frase sorridendo, forse sperando in una mia qualche buona reazione al fatto che non avrei avuto lezioni né compiti il mio primo giorno di scuola.
Invece io non cambiai espressione, e risposi semplicemente con un «Ah, va bene» per poi aggiungere «Ma perché vai anche tu in ospedale? Non devi lavorare?» Mia madre era una fotografa, amava il suo lavoro e lo faceva da tutta una vita, per quel che ne sapevo. Spesso si divertiva a scattare foto a me con qualche strana espressione sulla faccia, oppure a Tyler mentre mangiava qualche dolce, dato che si sbrodolava continuamente. Ogni tanto faceva qualche scatto anche a me e a Nora, sia per ricordo che per divertimento,e una volta ci aveva promesso anche un intero album fotografico. Solo che poi Mike era entrato nella sua vita, e così avevamo dovuto dire addio al nostro album. Lui la impegnava molto, e quando non era occupata con lui era in ufficio a lavorare e scattare per qualche modella. Ci teneva al suo lavoro, e anche se prima della partenza aveva detto che lo avrebbe continuato, non ne avevamo poi parlato molto, quindi non conoscevo i suoi piani per il lavoro.
«Domani andrò in ospedale con Mike perché mi porterà a pranzo fuori» rispose lei, tenendogli una mano tra le sue «E poi mi farà conoscere i suoi colleghi, dato che a quanto pare, sanno molto di noi» Concluse sorridendo. Che palle, ci mancava solo che un giorno all’altro mi toccava partecipare ad una cena di lavoro con Mike e i tizi che vedeva ogni giorno al lavoro.
«Mmh… okay. Vado a finire di sistemare la camera» dissi alzandomi e dirigendomi verso l’uscita.
«Ti chiamiamo quando è pronta la cena!» Urlò mia madre quando le porte a vetro si chiusero.
Salii di corsa le scale e tornai in camera, in cui raccolsi le valigie vuote e le sistemai sotto il letto. Tirai fuori dalla quarta valigia la mia coperta leopardata, che avevo da quando ero piccola, e feci il letto, mettendola su di esso. Poi trovai nella valigia alcuni poster stropicciati dei miei gruppi e città preferite, li stirai un po’ e poi li appesi sulle pareti. I Beatles, i Queen, Lady Gaga, i Simple Plan e gli All-American Rejects dominavano la mia camera fin da quando avevano iniziato a cantare. Sorrisi guardando i poster sulle pareti,e poi accesi il mio portatile che avevo tirato fuori e mi attendeva sul letto. Nella camera c’era una scrivania in legno liscio, con sopra un computer fisso e apparentemente nuovo, ma non ci pensai minimamente ad accenderlo: nel mio portatile avevo praticamente tutta la mia vita, e li sarebbe rimasta.
Dopo averlo acceso e aperto la mia posta, iniziai a scrivere un e-mail a Nora.
 

Ciao bellezza, scusa se ti rispondo solo ora ma ho avuto abbastanza da fare
oggi. Voglio dire,stamattina mi sono persa e ho girovagato chissà
dove solo per il mio stupido caratteraccio. Ma non credo t’interessi questo.
Rispondendo alla tua prima domanda, il primo giorno all’inferno
ha fatto piuttosto schifo. Mia madre e il suo tipo hanno iniziato
a baciarsi e oddio, che schifo. Così sono andata alla pizzeria vicino casa
per prendere la cena, dato che quell’idiota di una figlia di Mike
l’aveva completamente bruciata, e in pizzeria sono successe un po’ di cose.
Cioè, è successa una cosa sola, ma non so spiegarti. Praticamente ho
“conosciuto” dei ragazzi, dei quali uno mi è praticamente venuto addosso
rovesciandomi la pizza, mentre due mi hanno chiesto di sedermi al tavolo con loro
e ovviamente io ho rifiutato. Anche se.. avrei voluto farlo, voglio dire..
Uno dei due ragazzi era un coglione, si vedeva lontano kilometri, ma l’altro…
Ok, forse era un coglione pure lui, ma era..bellissimo. Non so spiegarti,
non credo si possa esprimere a parole così tanta bellezza, ma quel ragazzo..
Dio, era perfetto. Ma cambiamo argomento. Mi manchi già anche tu,
non sai quanto, e soprattutto non sai quanto io mi stia trattenendo
dal rompere qualsiasi cosa mi capiti a tiro, solo per poterti vedere a Natale.
Quindi, quest’anno voglio un super regalo! Riguardo al “nuovo e sicuramente
affascinante fratello” non so dirti nulla, perché ancora non l’ho visto.
So, o meglio, ho una vaga idea di chi e come possa essere, ma
spero seriamente non sia chi penso che sia. Sicuramente non
capirai un accidente quando leggerai ‘sta mail, ma ti spiegherò
meglio più avanti. Ora vado, ho un mucchio di cose da fare, sai,
domani dovrò cominciare la scuola, DI GIA’! Ti voglio tantissimo bene,
Alex.

 
Scritto il tutto, cliccai sul tasto invio e spedii l’e-mail. Poi mi avvicinai all’iPod ancora in carica, e misi su Just Dance, mentre sistemavo la cartella a tracolla per il mio primo giorno di scuola.
Un’ora dopo era pronta la cena, così scesi di corsa le scale, per paura di saltare anche il secondo pasto della giornata, anche se non avevo così tanta fame, data la pizza delle tre.
Quando arrivai in cucina notai che non c’era nessuno, così pensai che fossero nel salotto; quando entrai erano lì, seduti ma senza aver toccato cibo. Forse era una stupida regola che usavano loro, quella di aspettare tutti prima di mangiare.
Mentre mi sedevo, sentivo quattro paia di sguardi addosso, ma non ci feci caso. Presi la forchetta e infilzai la pasta, facendo il primo boccone. I quattro paia di sguardi mi stavano ancora fissando, e poco dopo mia madre si schiarì la voce. «Che c’è?» Dissi masticando.
«Stavamo aspettando che arrivasse anche… » mia madre non fece in tempo a finire la frase che subito la porta a vetri si spalancò, ed entrò un ragazzo. Quasi mi strozzai con la pasta, così bevvi un sorso d’acqua, tenendo gli occhi bassi sul piatto.
Oddio, era quel ragazzo. Il tizio della pizzeria, quello bellissimo.
«Scusate il ritardo, ho avuto da fare con… ho avuto da fare.» Disse un po’ indeciso il moro, mentre si sedeva di fronte a me. Per la mia stupidità, continuavo a tenere la testa bassa, ma per fortuna nessuno se ne accorse. Credo.
Per una volta ringraziai Mike, quando prese la parola. «Stavamo aspettando solo te, sai?» Disse al figlio. «Volevamo parlarvi di una cosa, ma non potevamo farlo senza un componente della famiglia.» Famiglia. Al suono di quella parola risi, e me ne pentii subito, quando i quattro paia di occhi, più un quinto, mi guardarono.
«Scusate» dissi abbassando di nuovo la testa sul piatto. Mi sentivo ancora uno sguardo addosso, e non ci voleva un mago per sapere che era il suo sguardo. Lo sentivo, e anche se dava parecchio fastidio, una parte dentro di me era contenta. Smettila. Subito. Pensai.
«Dicevamo?» Mike riprese la parola «Ah, sì. Ragazzi, domani io e Sarah non ci saremo tutto il giorno, come tu» disse indicando me «Già sai, perciò starete a casa da soli.»
A quella notizia, Nicola sorrise soddisfatta, mentre Tyler si torturava insistentemente una pellicina e il ragazzo di fronte a me guardava il padre con un’espressione interrogativa. «Perché?» Chiese.
La sua voce.. dio. Era perfetta, era melodiosa e dolce, e…
«Perché io e Sarah saremo fuori tutto il giorno, e a pranzo saremo con i colleghi del lavoro. Ci tengono tanto a conoscerla» Concluse sorridendo, guardando – erano occhi dolci quelli?! – mia madre.
«Ah» rispose il ragazzo, aggrottando le sopracciglia. Indossava una maglietta grigia con stampato sopra qualche disegno stupido, e sulla testa portava un cappello di quelli hip-hop,  con la visiera piatta, bianco e blu. «Va bene. Quindi abbiamo casa libera?» Chiese al padre.
«Sì, ma se stai pensando quel che penso tu stia pensando, non ci pensare nemmeno» Rispose Mike, alzando un sopracciglio in segno di disapprovazione.
In risposta, il ragazzo sorrise – sarei potuta morire per quel sorriso – e scosse la testa, pensando a chissà cosa. «Non preoccuparti, padre, pensavo solo di invitare i ragazzi.»
«Allora va bene, figlio» disse Mike ridendo.
Sembravano avere un bel rapporto, almeno meglio di quel che avevano Tyler e mio padre. Mio fratello non ci fece caso però, continuava a torturarsi la pellicina, per poi sbuffare. «Allora si può? Voglio dire, si può mangiare? Il mio stomaco non ce la fa più ad aspettare» non fece in tempo a finire la frase che già aveva inforcato la pasta, messa in bocca e masticata. Tre delle persone sedute al tavolo risero, e iniziarono a mangiare, mentre la quarta, riposò il suo sguardo su di me. Alzai di poco lo sguardo, fingendo di dover bere, e notai che stava sorridendo.
Ma cosa cazzo rideva? Certo, aveva un sorriso mozzafiato ed era più che bellissimo, ma stava iniziando a darmi parecchio fastidio il suo modo di fare.
Dopo un’ora di stupide chiacchiere, finalmente la tortura della cena in famiglia finì, e mi alzai per andare in camera mia, quando mia madre mi prese per un braccio. «Ah-ah, dove pensi di andare?» Disse scuotendo la testa, disapprovando.
«In Afghanistan a giocare a guardia e ladri» risposi ironicamente. Qualcuno aveva riso alla battuta, ma non mi voltai per controllare chi fosse.
«Devi aiutare a sparecchiare tesoro, qui tutti fanno tutto.» Continuò lei ignorando la mia battuta.
«Ma che…»
«Lascia stare Sarah, non c’è bisogno che aiuti, non serve un’armata per sparecchiare la tavola, e poi deve prepararsi per la scuola» Disse Mike. Per la seconda volta in quel giorno, ringraziai che ci fosse.
«Scuola?» Per sfortuna, s’intromise anche suo figlio, avvicinandosi con in mano i piatti. Mi guardò negli occhi, con un punto interrogativo praticamente dipinto sulla faccia, anche se sorrideva.
Doveva smettere di sorridere così, o sarei morta per un attacco di cuore prima o poi.
Io tentavo di non guardarlo, ma poco dopo mi arresi e lo guardai negli occhi. In quei bellissimi occhi castani, che ricordavano quelli di Bambi. Avevo sempre trovato dolci gli occhi da cerbiatto, ma non li avevo mai visti su un ragazzo, e dio, se erano belli su di lui. Non credevo ci fosse qualcosa di imperfetto in lui, anche se di lui conoscevo solo l’aspetto fisico.
Tentai di tornare in me, e sperando che la mia voce non tradisse la mia sfacciataggine, risposi tenendo gli occhi fissi nei suoi. «Già, scuola.»
Mi volsi e mi incamminai verso il salottino, per poi salire in camera, ma appena fui fuori dal salotto, sentii dei passi accanto a me. Sapevo già che era sempre lui, ma non avevo voglia di parlarci, non per farmi beccare a guardarlo come un’ebete ogni volta che guardavo i suoi occhi. Così non mi voltai a guardarlo quando parlò.
«Sai, anch’io vado a scuola domani ovviamente, e ovviamente sarà la stessa scuola.. presuppongo» disse aggrottando le sopracciglia con piglio interrogativo. «Comunque non t’interessa, lo so, volevo solo presentarmi.» Disse fermandosi davanti a me, il che voleva dire che il passaggio era bloccato. Allungò una mano verso di me, sorridendo, ma io non la strinsi. La sua reazione non cambiò di una virgola però, e continuò a sorridere. «Sono Zayn.»
Zayn. Che nome strano, pensai. Particolare, certo, ma strano. Dopotutto però, aveva un colorito un po’ più scuro dei soliti inglesi, quindi doveva avere qualche origine straniera.
Guardai la sua mano ancora tesa verso di me, ma non sorrisi né risposi bruscamente. Semplicemente risposi: «Alex. Ma sicuramente lo sai già.»
Dopodiché, lo superai e salii di corsa in camera.
Oh, dio. Dovevo decisamente darmi una calmata, o sarei impazzita seriamente. Non conoscevo minimamente quel tipo, Zayn, eppure riusciva a farmi sentire così.. strana, con un solo sguardo. Come ho già detto, non avevo mai creduto al destino e quelle stronzate tipo l’amore a prima vista, ma forse avrei dovuto ricredermi sull’ultima cosa. O forse, avrei solo dovuto aspettare di pensare lucidamente, cioè dopo essermi abituata alla mia nuova vita.
Quando salii in camera, erano solo le dieci e un quarto, eppure stavo crollando dal sonno, così mi infilai la maglia enorme che indossavo sempre per dormire, e mi misi a letto, lasciando accesa solo la bajour sul comodino accanto al letto. Guarda un attimo il cellulare e l’iPod in carica, e nello stesso istante squillò il telefono avvisando di un nuovo messaggio. Allungai una mano per prenderlo, ma poi ci ripensai e la ritirai. L’avrei letto la mattina dopo, ero troppo stanca per parlare con qualcuno.
Neanche quella notte sognai niente, e quando alle 6.30 squillò la sveglia del telefono, mi alzai in fretta, fiondandomi al bagno e chiudendo a chiave. Feci una doccia al volo, asciugai i capelli e ravvivai un po’ con la schiuma, poi tornai in camera e mi vestii. Per il “grande giorno” avevo scelto la maglietta nera di Footlocker – amavo fare compere lì – con stampata su qualche frase di un qualche rapper, e sotto indossai i jeans scuri e stretti, con le mie scarpe preferite, le Ecko rosse e nere. Sopra alla maglietta, misi il giacchetto nuovo che avevo comprato alla Levi’s prima di partire: era a quadri rosso e nero, ed era caldo. Quindi era perfetto per la giornata che mi aspettava.
Staccai cellulare e iPod dai rispettivi caricabatterie, presi gli auricolari di quest’ultimo e raccolsi la cartella a tracolla da terra, per poi dirigermi al piano di sotto. Si erano fatte le 7.30, e la scuola iniziava alle otto precise, così presi del succo, una mela, e con mia madre mi avviai per la scuola, con la Jeep di Mike. Purtroppo, a noi si unì anche Nicole, che sedette davanti, ovviamente, mentre – per mia grandissima fortuna – Zayn disse che sarebbe andato coi suoi amici.
«Devo proprio portarti al Gran Palace, ci sono un casino di bei negozi, e ci divertiremmo tantissimo, mamma!» Diceva euforica Nicole. Sembrava un cane da riporto, e quasi quasi le usciva la bava dalla bocca.
«Leccaculo» borbottai.
«Come scusa?» Risposero in coro la bionda e mia madre, mentre io mi guardai intorno. Pensavo non mi avessero sentita, ma per fortuna non avevano capito. O meglio, avevano capito ma non pensavano di aver capito bene. Sembrava un gioco di parole.
«Nulla, dicevo che siamo arrivate.» Dissi guardando fuori dal finestrino oscurato.
Nicole diede un rapido bacio sulla guancia a mia madre, per poi scendere di corsa e andare verso le sue amiche. Più guardavo il gruppetto, più mi veniva voglia di strappare i capelli a tutte, uno per uno. Erano quattro ragazze, tre bionde – una era Nicole – e una mora. Dava le spalle alla macchina, perciò non la vidi in faccia, ma mi bastò vedere la reazione dei ragazzi che le passavano accanto per capire che era una bella ragazza. Ecco, già mi stava sulle palle. Non perché era bella, cosa che non sapevo se fosse vera, ma perché la vedevo che si dava delle arie, come se fosse la padrona di chissà cosa. Ci mancavano solo le riccone viziate pure lì.
«Alex» mia madre interruppe i miei pensieri, facendomi tornare in macchina. «So che è tutto nuovo per te, ma vorrei che concedessi a Mike e alla sua famiglia di far parte della tua.. della nostra famiglia. Quando ho accettato di venire a vivere qui, l’ho fatto anche per voi, per darvi una famiglia su cui contare, ma soprattutto per darvi un padre. Vorrei non dovermene pentire in futuro» Disse, con uno sguardo tra il preoccupato e il malinconico. Sapevo che aveva fatto la scelta giusta, accettando la proposta di Mike, ma non riuscivo comunque ad accettarla, perché io ero cresciuta a New York, ed era lì che avevo tutto. Sarebbe stato difficile e doloroso per me abituarmi alla mia nuova vita.
«D’accordo, farò la brava» Risposi, tentando un sorriso.
«Promesso?»
«Promesso.»
«Allora vai, e se c’è qualche problema non esitare a chiamare!» Quasi urlò, mentre scendevo dalla macchina, per paura che non la sentissi. Io la sentii bene, ma per fortuna i ragazzi nel piazzale non si accorsero di lei né di me.
Benvenuta all’inferno Alex.


"Myspace": buooondì, anche se sono le 4.30 e sono l'unica cretina in piedi è.è vabbè, chiedo scusa per aver postato così tardi questo capitolo, ma l'ho scritto tutto oggi, dato che in questi ultimi giorni sono stata male e ho avuto da fare a casa per natale eccetera. questo capitolo è lungo ben OTTO (o forse 9? no aspetta, forse erano 7 D:) pagine di word, anche se qui ho diminuito e cambiato la scrittura (mi piaceva di più così u.u), e boh, qui ho descritto un bel po' di cose, perché volevo far capire un po' che tipo è la protagonista, perché è quel che è. quindi spero ancora che non sia troppo lento o troppo noioso, ma in caso lo fosse fatemi sapere, così il prossimo cercherò di farlo più "divertente", non so. per chi non aveva ancora capito chi era il fratello (ahahah) penso che adesso si capisca no? :3 ammetto che non sapevo proprio come farli presentare ufficialmente, cioè avevo tremila scene in mente e alla fine ho scelto questa, quindi se non vi piace chiedo scusa çwç nel prossimo capitolo (spoiler u.u) ci saranno louis, niall e liam più di tutti credo, oltre ad alex ovviamente. v.v ho anche modificato il primo capitolo, cioè ho sistemato dove avevo scritto Mark al posto di Mike AHAHAHAHAH scusate, ma scrivo sempre tardi i capitoli perciò col sonno mi confondo, capitemi D: ahahah oltretutto, quando scrivo, lo faccio e basta, e alla fine non mi metto a rileggere tutto, perciò se trovate errori o cose varie, chiedo di nuovo scusa. èwé poi boh, ho una specie di "sorpresa" da dirvi, anche se piuttosto è una sorpresa per me, magari a voi non frega niente ahahahah ok me ne vado perché ho male a una chiappa (?) ed un sonno che sembrano tre, quindi se leggete questo mentre io sono a nanna, buona lettura e grazie mille per aver letto/recensito/qualunquecosafacciate. ultima cosa, se non avete un account qui e volete dirmi che ne pensate, sono anche su twitter o facciabook, ovvero, @wantmalikspenis sul primo, e "jojo smith" sul secondo (ho la foto con il cappello a forma di panda °w°). CIAAAAO A TUTTI BELLI E BRUTTI! <3

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Capitolo 5
*** chapter five; ***


La scuola era come tutte le altre, solo più.. inglese. Il piazzale era enorme, e a destra di esso si estendeva un enorme parcheggio, per quegli studenti dotati di mezzi.
Guardando gli studenti che parcheggiavano, provai tristezza per un attimo, ripensando alla mia auto. Me l’avevano regalata mia madre e Tyler per i miei quindici anni, anche se avevo preso la patente l’anno dopo. Era una One decappottabile, nera all’esterno e in pelle all’interno, anche se l’interno poi lo avevo fatto ricoprire di tessuto leopardato, di cui io e Nora andavamo pazze. Ci piaceva girare in città con la cappotta abbassata, magari urlando qualche canzone che ascoltavamo a tutto volume. Purtroppo però, avevo dovuto lasciarla a New York per il trasferimento, perché mia madre non sapeva come farmela portare. Aveva promesso però che appena arrivate in città, saremmo andate a vederne in qualche salone automobilistico, così me ne avrebbe comprata un’altra.
Smisi di guardarmi intorno e mi affrettai ad entrare, non volevo arrivare in ritardo solo per esser stata imbambolata a guardare il parcheggio.
L’interno della scuola mi ricordava un po’ la scuola di un telefilm che vedevo spesso, se non fosse che questa sembrava più nuova, più pulita. Appena entrai dall’enorme porta principale, trovai un bidello e mi diressi verso di lui. Non sapevo che fare, nessuno mi aveva detto dove andare e preferivo chiedere a qualcuno che lavorava lì, piuttosto che a qualche imbecille di passaggio.
Il bidello era sulla cinquantina, piuttosto basso e piuttosto in carne, con i capelli grigio-nero corti e brizzolati da cui spuntava qualche capello bianco. Indossava la classica tuta da bidello, e alla destra del petto teneva su un cartellino con su scritto “George”. Che coincidenza.
«Scusi»dissi avvicinandomi a George «Sono, ehm, nuova, e non so cosa dovrei fare o dove dovrei andare..»
«Oh beh, benvenuta alla Georgetown» rispose sorridendo. «Per prima cosa dovresti recarti in segreteria, ovvero lungo quel corridoio e poi a destra. Lì ti diranno cosa fare.» Disse indicando il corridoio, per poi sorridere gentilmente e continuare col suo lavoro.
«Grazie» ringraziai, per poi avviarmi.
Avevo seguito le indicazioni e per fortuna ero arrivata a destinazione senza perdermi come il giorno prima. Esitai un po’ fuori alla porta, non sapendo se dovessi bussare oppure entrare e basta. Optai per la seconda e aprii la porta.
La stanza era grande, e a pochi metri dalla porta c’era un lungo bancone, dietro il quale sedevano due donne: la prima aveva capelli corti di un rosso fuoco, un po’ in carne e dall’aria simpatica. Portava un paio di occhiali lenti sul naso, che tirava su ogni tanto, quando alzava lo sguardo da alcuni moduli. La seconda donna aveva dei capelli biondi che andavano sul grigio, ma non vedevo altro perché era nascosta dietro enormi pile di fogli. Stavolta optai per la prima scelta, e mi diressi verso la prima donna. Non si accorse subito di me, così aspettai che finisse le sue faccende, ma non finivano mai.
Sbuffai, e nello stesso istante la porta dell’ufficio si aprì, ed entrò un ragazzo.
Non ci feci molto caso, ero occupata ad aspettare la segretaria, ma quando il ragazzo si avvicinò al bancone, lo riconobbi, e quasi mi venne un infarto. Okay, non proprio un infarto, ma comunque rimasi di sasso. Capelli castani e pettinati ad arte, occhi azzurri.. era il ragazzo della mattina prima, il tipo che mi fissava alla fermata dell’autobus. Proprio vero che il mondo è piccolo, eh.
Lo fissai per un po’, e quando se ne accorse, si girò verso di me. Non so il perché di quella reazione, ma abbassai gli occhi, e mi girai dalla parte opposta, fissando il muro. Lo sentii ridere – il ragazzo, non il muro – ma quando si avvicinò a me, era per sporgersi sul bancone, davanti alla donna affaccendata.
«Hei, Margaret, avrei bisogno di un permesso» disse. Sorrideva, lo si capiva anche senza guardarlo.
Per mia sorpresa, la donna alzò subito lo sguardo dalle scartoffie che la tenevano tanto occupata, e guardò il ragazzo, con uno sguardo divertito. «Un altro, Louis?»
«Stavolta ho una visita» rispose il ragazzo ridendo.
Aveva una bella risata, e la sua voce aveva un che di dolce.
La donna sembrò pensarci un po’ su, ma poi, ancora sorridendo, rispose: «E va bene, per stavolta passi.» Poi aprì uno dei cassetti dietro il bancone, sotto la scrivania, e ne tirò fuori un semplice foglio, porgendolo al ragazzo.
Lui rise, in risposta, e poi commentò «Sì, certo, è quel che hai detto le ultime cinque volte.»
La donna gli porse anche una penna, che lui prese in fretta, per poi compilare il foglio. Poi la donna guardò me, sempre sorridente. Oh, beh, finalmente. Pensai. Ero arrivata lì prima del tipo, Louis, e lui era passato come se niente fosse.
«Di cosa hai bisogno cara?» Mi chiese la donna. Solo in quel momento notai che aveva gli occhi azzurri, di un bellissimo azzurro, a dir la verità. Avevo sempre voluto avere gli occhi azzurri, ma purtroppo mi erano capitate due iridi color cacca.
«Ehm.. in realtà non ne ho idea, voglio dire.. sono nuova, il bidello mi ha detto di venire qui e..»
«Afferrato!»M’interruppe la donna. «Allora, tesoro, devi compilare questo modulo» disse passandomi un foglio «e poi mettere una firma qui» continuò, stavolta indicando una x accanto a cui avrei dovuto mettere la firma.
Compilai il tutto in fretta, e dopo aver firmato consegnai i fogli. Margaret li prese, e dopo aver letto i primi dati che avevo compilato, assunse un’aria sorpresa. «Alexandra..» la interruppi.
«Alex. Preferisco Alex» dissi, aggrottando le sopracciglia.
«Allora, Alex, sei la figlia di Mike?» Eh? Figlia?
Scoppiai quasi a ridere, ma non lo feci, forse per rispetto alla gentilezza della donna.
«Oddio, no. Voglio dire.. non sono la figlia di Mike, cioè, mia madre sta con lui, sì, ma non sono sua figlia..»mi affrettai a precisare. La donna aveva uno sguardo perplesso, ma poi capì all’istante, e sorrise.
«Giusto. Scusami cara» si scusò sorridendo. Io sorrisi di rimando, poi la donna prese i fogli e sparì dietro una porta, a lato del bancone.
Con la coda dell’occhio notai che il ragazzo era ancora chino a compilare il foglio – ma quanto era lungo? – e per un momento pensai che stesse solo facendo finta di starlo ancora a compilare, forse per origliare la conversazione.
Ma dai, che dici, neanche ti conosce. Eppure pensavo ancora che lo stesse facendo apposta, chissà.
Quando Margaret ricomparve, si allungò verso di me, porgendomi altri fogli.
«Questi sono il tuo orario scolastico, la lista dei tuoi libri e le regole, che sicuramente non leggerai» Disse sorridendo. Era una donna alla mano, mi piaceva; ci sapeva fare coi ragazzi.
«Grazie» risposi afferrando i fogli, per poi leggere quello con l’orario scolastico.
 

I ora – letteratura
II ora – letteratura
III ora – matematica
IV ora – scienze
V ora – educazione fisica
- pranzo -
VI ora – arte
VII ora - arte

 
Perfetto, ora potevo dire che mi aspettava una giornata allegra. Odiavo matematica, anche se non ero mai andata male – più o meno – in quella materia, e odiavo anche educazione fisica e scienze. Per fortuna però, Mike aveva detto che quel giorno sarei uscita prima. Così, ricordandomene, guardai di nuovo Margaret, che mi squadrava sorridendo.
«Scusi, ehm..»oddio, che dovevo dirle? Ero un po’ troppo impacciata in quella stanza, ma non sapevo davvero che dirle. “Ehi, non so come né perché ma mi è stato detto dal mio nuovo padre acquisito che oggi posso uscire prima”, no, decisamente no.
La donna per fortuna capì al volo, quindi dedussi che conosceva abbastanza bene Mike per sapere già quel che doveva fare. «Sì, il permesso per l’uscita. Quasi me ne dimenticavo!» Ammise sorridendo, per poi allungarmi un altro foglio. Questo non dovevo compilarlo, era già stato fatto da Mike – questo lo dedussi dalla firma “Michael Parker” a fondo pagina – e Margaret disse che avrei semplicemente dovuto farlo firmare al mio professore della terza ora, e poi sarei potuta uscire. Okay, tre ore non erano un cattivo inizio, potevo farcela.
Ringraziai la donna, sempre sorridente, e mi diressi verso l’uscita, per poi fermarmi e voltarmi di nuovo verso il bancone. Margaret alzò gli occhi da quello verso di me, e il ragazzo, Louis, si era voltato anche lui. Ma che voleva?
«Scusi, dov’è..»chiesi guardando il foglio con l’orario «..l’aula tre?»
Margaret passò dal sorriso ad uno sguardo sorpreso, e poi si batté una mano sulla fronte, come se le si fosse appena accesa una lampadina. «Oh, già! Quest’oggi ci sarà una riunione del consiglio scolastico, con tutti gli studenti, nell’aula magna, perciò è lì che devi andare» disse, per poi guardare il ragazzo ed aggiungere: «Louis, forse puoi mostrarle la strada..» la interruppi subito.
«Grazie, ma no, grazie, non ce n’è bisogno. Posso trovarla da sola, grazie» Grazie, grazie, grazie. Ma che dicevo?
Indietreggiai verso la porta, mentre il ragazzo e Margaret risero, per poi tornare alle loro faccende.
Prima di chiudere la porta, vidi il ragazzo compilare di tutta fretta l’ultimo dato e consegnare il foglio in fretta, per poi correre alla porta. La chiusi in fretta, e in fretta cercai di dirigermi verso l’aula magna, che proprio non avevo idea di dove fosse. Ma al diavolo, avrei chiesto a qualche passante.
Sentii dei passi dietro di me, e non avevo bisogno di voltarmi per sapere chi fosse.
«Che fai, mi segui?» Disse il ragazzo affrettando il passo, per poi arrivare di fianco a me.
«No di certo, tu piuttosto. Ero qui prima di te, ma forse non l’hai notato dato che sei passato avanti come se niente fosse.» Risposi un po’ irritata. Ma che avevano i ragazzi di lì?
«Uno a zero per Alexan..»
Lo fulminai con lo sguardo, per poi tornare a guardare davanti a me.
«..Alex» terminò. Sorrise, forse per la mia reazione al nome, o forse semplicemente sorrideva sempre, come Margaret.
Okay, gli inglesi erano strani forti.
Continuai a camminare, sempre più irritata dal fatto che il tipo mi camminava a fianco come se niente fosse. Dopo aver svoltato l’angolo, mi fermai di colpo. «Ma che vuoi?» Chiesi voltandomi verso di lui, per guardarlo negli occhi, di quell’azzurro bellissimo.
Si fermò anche lui, e anche se aveva un’aria sorpresa, per il mio atteggiamento, non smetteva di sorridere. «Semplicemente accompagnarti in aula magna» rispose come se fosse una cosa ovvia.
«Nessuno ti ha chiesto di farlo» dissi io, ancora irritata. «So trovare l’aula da sola, grazie.»
Detto ciò, girai i tacchi e continuai lungo il corridoio illuminato, non sapendo dove stessi andando.
Sentii il ragazzo ridere, per poi quasi urlare «L’aula magna è dall’altra parte!»
In risposta, alzai il dito medio, senza voltarmi, e proseguii per la mia strada, sbagliata o giusta che fosse.
Per fortuna il tipo non aveva insistito, e dopo aver percorso e ripercorso gli stessi corridoi per più di dieci minuti, vidi una testa bionda correre per il corridoio opposto al mio. Mi affrettai per raggiungerlo, ma lui si fermò davanti ad un armadietto, così ne approfittai.
«Ehi, biondo» dissi avvicinandomi, allungando una mano sulla sua spalla. Lui si girò ancor prima avergliela toccata.
«Sì?»
Di nuovo quegli occhi.
Okay, il mondo dev’essere proprio piccolo.
Era il tipo del ristorante, il cameriere. Niall.
Quando mi guardò, anche lui si ricordò del nostro incontro, e mi sorrise un po’ imbarazzato.
Aveva un bel sorriso, sembrava un po’ un bambino, ma in senso positivo.
«Ciao» disse.
«Ciao» sorrisi, per poi abbassare lo sguardo sui fogli che tenevo ancora in mano, evitando quei due occhi azzurri. «Sapresti dirmi dov’è l’aula magna? La segretaria mi ha detto che c’è una specie di riunione, non ho capito granché..»
Mi interruppe, chiudendo l’armadietto e facendomi strada. «Certo, è da questa parte» disse, allungando un braccio verso il corridoio che portava all’aula. «Dovremmo sbrigarci però, sono piuttosto in ritardo oggi, e dato che anche tu sei qui direi che lo sei anche tu» sorrise.
Arrivati alla fine del corridoio, c’era una grande porta a due ante, con sopra un cartello con su scritto “aula magna”. Entrammo, e quella stanza sembrava di tutto tranne che un’aula magna. Piuttosto l’avrei chiamata teatro.
C’erano tantissimi posti a sedere, ovvero tantissime poltrone rosse, attaccate una all’altra, tipo quelle dei cinema.
La sala era davvero grande, e ai lati di essa c’erano delle grandi finestre, nascoste per metà da delle tende enormi e blu scuro, da cui filtrava la luce del giorno.
Dopo alcune poltrone, c’erano delle scale che portavano più giù, verso il palco – l’avevo detto che sembrava un teatro – da cui alcuni studenti scendevano e salivano, in cerca di posto. Io seguii il biondo, che aveva adocchiato dei posti liberi appena messo piede nell’aula. Ci sedemmo, e per fortuna i professori, sul palco, iniziarono il loro discorso in quel preciso momento.
Niall sedeva accanto a me, alla mia destra, mentre alla mia sinistra c’era una ragazza che presumevo avesse la mia stessa età, a meno che non avesse uno o due anni in meno. Sembrava carina, aveva i capelli biondi e di una normale lunghezza, e li portava legati in una coda a lato.
«Buongiorno a tutti» disse uno dei professori, prendendo un microfono e iniziando a camminare sul palco. Era un uomo alto e magro, e anche se non riuscivo a vederlo bene da quella distanza, sembrava abbastanza giovane.
«Inizio col dare il benvenuto ai nuovi arrivati, che quest’anno, purtroppo, sono in pochi in quanto abbiamo avuto troppe iscrizioni.» Continuò l’uomo, fermandosi accanto ad una donna alta e un po’ robusta, che dedussi fosse la professoressa di educazione fisica, in quanto indossava una tuta da ginnastica e aveva l’aspetto un po’ sudaticcio.
Non feci molto caso al resto di ciò che il professore disse, mi stavo annoiando a morte, ed era già passata un’ora dal benvenuto ai nuovi studenti.
«Ed ora, parliamo del ballo» a quelle parole alzai subito lo sguardo verso il palco, notando che la maggior parte degli studenti aveva raddrizzato la schiena e stirato le orecchie al solo sentire la parola “ballo”. Anche i professori sul palco lo notarono, di fatti sorrisero tutti, insieme a qualche risolino di qualche studente.
«Vi vedo piuttosto annoiati» commentò sarcastico il professore, per poi passare il microfono ad un altro professore. Quest’altro aveva l’aria trasandata: indossava un paio dei pantaloni color beige, che teneva su con una cinta, e dentro di essi teneva una camicia a quadri. Al collo portava un papillon giallo, in tinta con la camicia, e aveva i capelli grigi e ricci, con un paio di occhiali su di essi, che abbassò sugli occhi non appena prese in mano il microfono.
«Allora ragazzi»aveva una voce un po’ tremolante, forse per l’età o forse per agitazione «Come ben sapete, anche quest’anno si terrà il ballo di Halloween, tra precisamente tre settimane..»
Il professore continuò a parlare, ma la mia mente si era fermata a “ballo” e ad “Halloween”. Amavo i balli scolastici e amavo la festa di Halloween, era la più divertente. Io e Nora ci travestivamo sempre da qualche killer dei film horror, e ci divertivamo a spaventare i ragazzini che venivano a rompere le palle a casa mia – o a casa sua – per poi tenerci le caramelle e dargli lo “scherzetto”. Dopo aver spaventato – non a morte, ovviamente – i bambini, ci sbrigavamo a prepararci per qualche festa, e ci piaceva mettere abiti stretti ed estremamente sexy.
Anche se la mia mente aveva ormai preso la sua strada, afferrai lo stesso qualche cosa qui e là, e dopo tre ore lì dentro, finalmente potei uscire. Non avevo mai partecipato ad una riunione di tre ore nella mia vecchia scuola, ma se lì ne facevano spesso, mi sarebbe senz’altro piaciuta.
Quando i professori diedero il via per poterci alzare, io lo feci in fretta, mentre notai che tutti gli altri si affrettavano a non affrettarsi. Camminavano e si alzavano lentamente, coscienti che avrebbero dovuto affrontare ore di lezione dopo le tre ore di nulla. Io e Niall ci alzammo insieme, e quando uscimmo dall’aula, con gli altri studenti, notai che anche la ragazza che era stata accanto a me poco prima ci aveva affiancati.
«Ciao!» Disse sorridente non appena fummo fuori dall’aula magna.
«Ciao» risposi, accennando un sorriso.
«E’ stata parecchio noiosa, eh? Ma non preoccuparti, non sono tutte così» disse lei, rispondendo da sola alla sua stessa domanda. Mi piaceva però il suo modo di fare, anche se forse era un po’ troppo euforica. «No aspetta, in realtà sono sempre tutte così, ma non durano sempre così tanto, quindi ci si annoia di meno» concluse con una scrollata di spalle, sorridendomi. «Comunque piacere, sono Amy» disse allungando la mano verso di me «Cioè in realtà mi chiamo Emily, ma mi chiamano tutti Amy, quindi non vedo perché per te debba essere diverso».
Sì, era un po’ troppo euforica per i miei gusti, e forse aveva un po’ la parlantina, ma tutto sommato sembrava simpatica. mi piaceva. Le strinsi la mano, e poi sorrisi. «Io sono Alex, o meglio, Alexandra in realtà, ma tutti mi chiamano Alex» perché Alexandra non mi piace, aggiunsi mentalmente «Perciò non vedo perché per te debba essere diverso» dissi ripetendo le sue stesse parole, a cui lei rise.
Anche Niall lo fece, e se non lo avesse fatto, avrei praticamente scordato che c’era. Aveva una bella risata comunque, era contagiosa, e fece ridere anche me.
«Oh, ehi, ciao Niall!» Disse sorpresa Amy, notando anche lei solo ora che c’era anche lui.
«Ciao..» rispose lui, così imbarazzato che era impossibile non notarlo. Si grattò la testa, mentre Amy ancora sorrideva. «Sei nel mio corso di spagnolo, giusto?» Chiese lui.
«E anche in quello di chimica, storia e letteratura» confermò la ragazza sorridente.
«Ah, scusami non ti avevo notata.. Allora è un piacere conoscerti, finalmente» sorrise gentilmente ad Amy, che ricambiò mostrando un sorriso a trentadue denti. Io mi trovavo tra i due, e non sapevo che fare o che dire in quel momento, per non interromperli. Amy lo notò, e poi riprese a parlare con me.
«Tu sei nuova giusto?» Domandò.
«Sì, appena arrivata.»
«Che bello, allora dovrò farti fare il giro della scuola..» la interruppi.
«Sì, ehm, magari domani, okay? Oggi ho il permesso per l’uscita, in quanto è il mio primo giorno, perciò dovrei andare» dissi accennando a un sorriso di scuse.
«Okay, ci si vede domani allora!»Esclamò la ragazza, sempre sorridendo, mentre mi salutava con la mano.
Quel gesto la fece sembrare un po’ bambina, e accanto a Niall lo sembravano entrambi, ed erano carini insieme.
«E’ stato un piacere conoscerti!» Urlò Niall, facendo anche lui ciao con la mano, mentre io mi allontanavo.
Quando uscii dalla scuola, ero stranamente di buon umore. Forse per il fatto che non avevo avuto lezione, o forse perché non c’era stato cenno di Zayn e quei suoi due amici, sempre che frequentassero anche loro quella scuola. Sicuramente però, l’improvviso buon umore era dovuto a quei due ragazzi appena conosciuti, anche se Niall lo conoscevo già, in un certo senso.
Il permesso per l’uscita lo aveva firmato una donna giovane e minuta, che si era presentata come la prof di matematica. Mi era sembrata simpatica, ma chissà perché, non ero mai andata d’accordo con i professori che insegnavano quella materia. Tutti dicevano che ero brava ma che non mi impegnavo, dato che durante le verifiche andavo da schifo e prendevo voti orrendi, mentre quando ero chiamata alla lavagna andavo benissimo. Poi beh, erano seguite varie litigate nel corso degli anni ma, non per fare l’ipocrita, avevo sempre avuto ragione io.
Iniziai a camminare verso la fermata dell’autobus, anche se la scuola era più o meno a mezz’ora a piedi da casa mia, e poco dopo sentii dei passi dietro di me. Avrei continuato per la mia strada, se non fosse che quei passi erano di quella persona che pareva perseguitarmi.
«Non ti sto seguendo, giuro» disse alzando le mani, sorridendo «Solo che ti ho vista uscire, e dato che dovevo uscire anch’io, pensavo di darti un passaggio.» Alzò le sopracciglia, che gli dipingevano sulla faccia un’espressione che sperava accettassi l’invito.
«Per tua fortuna non ho voglia di aspettare l’autobus» risposi al ragazzo, sorpassandolo, mentre lui sorrideva avendo capito le mie intenzioni. «Ma spicciamoci, se volevo tornare a casa tardi sarei rimasta a scuola» dissi.
Lui riprese a camminare, e mi affiancò, indicandomi la macchina «Per tua fortuna, piuttosto, sono capitato nel posto giusto al momento giusto, altrimenti ti toccava aspettare» sorrise.
«Sì, certo» dissi, alzando gli occhi al cielo. «Come sei capitato nel posto giusto al momento giusto anche negli altri due nostri incontri, suppongo».
Lui non rispose alla provocazione, si limitò ad aprire la macchina e a farmi cenno di salire davanti.
La macchina era di una società che non conoscevo, ma era piuttosto carina. Era anche quella una decappottabile, ma non era una macchina di quelle grandi e costose, anzi, aveva l’aria di essere tutto il contrario. Al di fuori era di un celeste chiaro, che in un certo senso metteva in risalto gli occhi di Louis, mentre all’interno era di pelle beige. Stavo seriamente pensando che avrei potuto farmi regalare una macchina così.
«Bella macchina» commentai una volta acceso il motore ed essere partiti.
«Non ne hai una tu?» Chiese lui, guardandomi di tanto in tanto.
«No.. cioè, ne ho, o meglio, ne avevo una, ma ho dovuto lasciarla per trasferirmi qui».
«Ah, già.»
Non aggiunse altro, ma notando che lo fissavo, poco dopo sorrise un po’ imbarazzato. «Che c’è?»
«Nulla» risposi, guardando fuori dal finestrino «Sto solo pensando di trattarti un po’ meglio, tutto qui.»
Lo pensavo sul serio. Mi piaceva Louis, sembrava un tipo simpatico, anche se il nostro primo incontro non era di certo stato dei migliori, e anche se poche ore prima lo avevo praticamente mandato a farsi fottere. Ad ogni modo, mi piaceva il suo modo di fare, ed era anche molto carino, quindi perché no?
Di nuovo, lui non rispose, ma si limitò a sorridere, continuando a guardare fisso la strada davanti a sé, mentre io guardavo ancora fuori.
Non mi ero accorta di essere arrivata finché Louis non spense la macchina e parcheggiò davanti casa.
«Aspetta.. come facevi a… voglio dire, non ti ho detto dove abito. Come fai a sapere che vivo qui?»
Scrollò di nuovo le spalle, ma stavolta rispose. «Lo so e basta» disse guardando un punto vago fuori dal parabrezza.
«Sì, certo» risposi scuotendo la testa,alzando gli occhi al cielo. «Non farmi rimangiare la decisione sul trattarti meglio!» Risposi quasi urlando, mentre uscivo dalla macchina e mi chiudevo lo sportello alle spalle. Louis tirò giù il finestrino, e prima che potessi andarmene si sporse un poco. «Aspetta, posso farti una domanda?»
«Sì, dimmi» dissi.
«Sei omofoba o cose del genere?»
Che domande, ma a che pensava? Certo che non ero omofoba, ma quella non era una domanda che la gente normale fa alla gente normale durante la loro prima conversazione.
«No, direi di no, tutt’altro» risposi, un po’ preoccupata forse, ma poi sorrisi.
«Okay, grazie. Ci vediamo»sorrise anche lui, per poi accendere il motore e andarsene.
Sarà pure carino, ma è stato un po’ strano. Forse era gay, e data la mia decisione sul trattarlo meglio, voleva accertarsi che non fossi omofoba, così da non ritirare la mia decisione. Chissà.
Entrai in casa, salii le scale e arrivata in camera, poggia la cartella sul comò. Mi addentrai nell’armadio, alla ricerca del libro che avevo iniziato a leggere prima di partire, ovvero “Romeo e Giulietta”.
Per quanto io ricordi, leggevo da sempre, ma soprattutto leggevo qualsiasi libro, anche se preferivo le storie fantasy quali i vampiri, i fantasmi e cose del genere. Per l’estate, la mia prof di letteratura mi aveva dato da leggere appunto “Romeo e Giulietta”, e mi ero appassionata così tanto a quella storia, che avevo iniziato a rileggere il libro non appena finito.
Quando lo trovai, praticamente mi buttai sul letto, e iniziai a leggere. Dopo quasi due ore, era già ora di pranzo, e iniziavo a sentir fame, così scesi al piano di sotto e andai al frigorifero, da cui ne tirai fuori del prosciutto insieme a qualche sottiletta. Avevo trovato anche del pane per toast, così optai per quelli anziché un banale panino, e dopo aver preparato il tutto, misi i toast nel microonde.
Cinque minuti dopo li stavo già divorando, e quando guardai l’orologio, era già l’una. Non sapevo a che ora sarebbero rientrati Nicole e Zayn, né Tyler, anche se sapevo che lui era a far compere per l’Università.
Finito di pranzare, ripulii il bancone della cucina, salii in camera a prendere il libro della sera prima, e mi sedetti sul divano in pelle nera, nel salottino.
Iniziai a leggere, e non mi resi conto del tempo che passava, come succedeva ogni volta che iniziavo a leggere. Amavo farlo, e avevo trilioni di libri che a volte mi piaceva rileggere più volte, avevo preso questa passione da mia madre, in quanto da giovane scriveva storielle qua e là.
“Non c’è mondo per me aldilà delle mura di Verona: c’è solo purgatorio, c’è tortura, lo stesso inferno; bandito da qui, è come se fossi bandito dal mondo, e l’esilio dal mondo vuol dir morte. E quindi dire esilio è dire morte con altro termine, falso ed improprio; e tu, a chiamar esilio la mia morte, mi mozzi il capo con un’ascia d’oro, e sorridi del colpo che m’uccide”. Dio solo sa quanto le donne di oggi pagherebbero per avere al proprio fianco un uomo così. Disposto a sacrificare tutto per amore di una donna, di una semplice donna. Purtroppo però, nessuna storia o favola equivaleva alla realtà: ormai gli uomini al massimo ti regalavano un orologio; non c’era più il romanticismo di un tempo, neanche più i mazzi di fiori portavano.
Non mi accorsi dei due che rientravano, finché non sentii la porta di casa aprirsi e delle risate entrare insieme ai due, che però non erano due. Mi sporsi con la testa dal divano per vedere chi era, ma non ci misi molto a scoprirlo. Il primo ad entrare fu Zayn, seguito dal nudista – oh, dio – e al tipo gentile, Liam. Tutti e tre quasi si piegavano in due dal ridere, e insieme a loro c’erano anche due ragazze, che ovviamente ridevano anche loro. Probabilmente qualcuno di loro aveva fatto una qualche figuraccia, facendo così ridere il gruppo, non ridevano certo per la loro simpatia, in quanto sembravano un gruppo di idioti. (Forse ridevano appunto perché erano idioti, chissà.) La prima delle due ragazze era Nicole, e accanto a lei c’era una delle ragazze che erano con lei quella mattina nel piazzale della scuola. La tipa aveva lunghi capelli corvini, con gli occhi chiari, e cazzo se era bella. Quasi la invidiavo, ma quasi.
Quando i cinque si accorsero di me sul divano – il primo a farlo fu Liam, che si avvicinava pian piano – smisero di ridere di colpo, anche se Zayn sorrideva e la mora aveva un sorriso malizioso stampato sulla faccia. Era alta quanto Zayn, e accanto a lui sembravano quasi due Dei.
La mora mi squadrò da cima a fondo, e io feci lo stesso, mentre Liam si sedette accanto a me.
«Heilà» disse lui sorridente.
«E così» s’intromise la mora, avvicinandosi al divano, in una camminata sensuale fin troppo inappropriata «tu sei Alex, dico bene?» Chiese squadrandomi ancora.
Era di fronte al divano ora, e da quella vicinanza notai che aveva gli occhi azzurri, una pelle tra il rosa e l’olivastro, e un viso perfetto. Sembrava uscita da una di quelle riviste di moda che facevano sentire brutta chiunque non fosse su quelle pagine.
Mi stava già sulle palle per il modo di fare, ma avevo promesso a mia madre che avrei fatto la brava, perciò sorrisi e tentai di essere il più gentile possibile. «Dici bene, e tu sei?»
In risposta lei scoppiò quasi a ridere, emettendo un suono simile a «pff», per poi scostarsi i capelli in modo esagerato, molto probabilmente per attirare su di sé l’attenzione dei ragazzi. Era piuttosto patetica, ma per sua fortuna l’attenzione l’aveva avuta eccome.
«Bellezza, andiamo di sopra o no?» Chiese il riccio nudista.
«Subito dolcezza» rispose la mora, «Volevo fare conoscenza con la nuova sorellina di Nicki» disse con un sorriso falso, sottolineando la parola “sorellina”. Fanculo la gentilezza, la prossima volta le avrei sputato addosso se mi avesse chiamata ancora così.
Io le feci un sorriso altrettanto falso, mentre notai Zayn aggrottare le sopracciglia, per poi parlottare con Harry. Nicole se ne stava impalata con lo sguardo fisso sulla scena tra me e la ragazza perfetta, di cui ancora non avevo capito il nome. Liam invece, se ne stava tranquillo accanto a me, spostando lo sguardo dalla ragazza, ai ragazzi, e poi a me, come se stesse seguendo una partita di ping-pong.
La mora si volse in fretta, e si precipitò su per le scale con i due ragazzi e Nicole, mentre Liam rimase accanto a me. Perfetto, il mio buon umore era svanito al primo sguardo con la ragazza perfetta.
Richiusi il libro, quasi con forza, e feci per alzarmi. Liam mi trattenne per un braccio però. «Lasciala perdere» disse con uno sguardo un po’ preoccupato. Pensava ci fossi rimasta male o cosa? «E’ solo in cerca di attenzioni, e purtroppo ne riceve fin troppe.» Disse corrugando la fronte, tenendomi ancora per il braccio.
«Suppongo che non sia il tuo tipo allora» dissi io tranquillamente. «E comunque» continuai alzandomi, facendogli mollare la presa sul mio braccio «Non m’interessa quel che vuole o non vuole; non la conosco né ho intenzione di farlo.»
«Lo sapevo» sorrise lui. Aveva un bel – e forse quel “bel” era un eufemismo – sorriso, e nel complesso era un gran bel ragazzo, anche se forse l’ho già detto.
«Sapevi cosa?»
«Che tipo eri» rispose, con uno sguardo divertito, sempre sorridendo. «Cioè, lo avevo già capito l’altra sera, ma pensavo fosse solo una specie di maschera, non so, eri appena arrivata».
«Sinceramente? Non sto seguendo per niente il tuo discorso, ma non credo tu sappia che tipo sono, quindi se non vuoi beccarti una denuncia per stalking, evapora.» Dissi un po’ acida, facendogli segno di andarsene con le mani.
«Ehi, non prendertela con me» sorrise, «Non ci sto provando o cose del genere, ti stavo solo dicendo quel che penso.» Disse sinceramente.
«Beh, magari a me non interessa quel che pensi» risposi io sarcastica.
«Beh, magari, potremmo parlare un po’ di quel che non ci interessa l’uno dell’altro, dato che a quanto ho visto non hai molto da fare» disse felicemente, facendo cenno con la testa verso il libro che avevo lasciato sul divano.
Finsi di offendermi; mi piaceva leggere, e preferivo passare certe serate chiusa in camera a far quello, piuttosto che andare in giro a muovere il culo in qualche discoteca piena di strafatti. «Guarda che leggere è importante, fa bene alla cultura» dissi assumendo un tono quasi saggio.
«Sinceramente, non credo che la storia di due tipi che sono innamorati ma non possono stare insieme e quindi si uccidono, possa acculturare così tanto» rispose tutto d’un fiato, corrugando la fronte.
«Beh, ti sbagli. E poi non c’entra nulla la cultura, quella è una storia d’amore, una delle più romantiche oltretutto» insistetti io.
«Okay, fingiamo che tu abbia ragione, allora cos’è che intendi tu per romanticismo? O per amore? Perché se io stessi con qualcuno e quel qualcuno morisse, saprei che quel qualcuno vorrebbe che io fossi felice, perciò tenterei di ricominciare a vivere la mia vita felicemente, piuttosto che morire insieme a quel qualcuno.»
Da lì, iniziammo a parlare sull’amore e sul vero romanticismo, all’incirca per tre ore, seduti sul divano a bere e a mangiare patatine. Liam era simpatico, e anche molto intelligente. Riuscii a tirargli fuori qualche informazione sui libri che aveva letto in vita sua, e anche se all’inizio affermava di odiare i libri, poco dopo disse che ne aveva letti parecchi, tra cui anche “Romeo e Giulietta”. Andammo avanti per ore a parlarne, e non so perché ma avrei voluto che il tempo si fermasse. Gli unici miei coetanei con cui ero mai andata d’accordo, erano Nora e Jake, quello che era stato il mio migliore amico finché non andai in collegio. Quindi trovarmi così bene con qualcuno che neanche conoscevo, mi faceva sentire strana in qualche modo, ma mi piaceva. E dato che avevo svelato a Liam praticamente tutta la mia “vita tra i libri”, non potevo trattarlo male, o meglio, non volevo trattarlo come trattavo tutti gli altri. Al contrario, volevo diventargli amica, così quando lui mi chiese di pranzare insieme a scuola, il giorno dopo, accettai volentieri, così avremmo potuto approfondire i nostri scambi di opinione su i due innamorati di Shakespeare.
Harry e la mora  se n’erano andati via un’ora prima di Liam, e vedendo che io e lui ci stavamo divertendo, la mora fece una smorfia, per poi fare un cenno con la testa e sparire nella serata fredda, insieme al riccio.
Zayn e Nicole erano rimasti al piano di sopra, e dato che io e Liam ci eravamo ingozzati di succo e patatine, non avevo molta fame quella sera, nonostante fossero le 20:30, così salii le scale e mi chiusi in camera, accendendo il pc.


"Myspace": chiedo scusa per il tempo che ci ho messo per scrivere questi ultimi due capitoli, ma proprio non ho avuto il tempo per farlo, altrimenti li avrei già scritti e pubblicati da un pezzo çwç ad ogni modo, il primo capitolo è arrivato a ben 450 e più visualizzazioni, quindi che dire se non G R A Z I E? cioè afgsedrsdfostregf vi sposerei uno per uno tutti quanti çç ma purtroppo sono già promessa al mio zayn, scusate uù comuunque, anche questo capitolo è più lungo dei primi, e come con gli altri quattro, spero vi piaccia, anche se sono diventata strainsicura (?) dopo il quarto capitolo, dato che ho ricevuto solo due recensioni çç (ma una non conta perché l'ha scritta una mia amica parecchio cretina AHAHAHAH) cioè, grazie mille a chi ha recensito eh, solo che negli altri capitoli ho avuto rispettivamente 10, 9 e 7 recensioni, perciò ci sono rimasta un po' spiazzata, se così si può dire e.e vabbè non mi dilungo oltre, spero solo che questo capitolo vi piaccia, perché lo dedico tutto a Daniela, la mia prima fan ufficiale (L), che mi supporta e mi ama tanto uù grazie mille Dani. <3
au revoir!

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Capitolo 6
*** chapter six; ***


Dopo aver aspettato che la lenta connessione di quella sera mi portasse alla casella delle e-mail, finalmente riuscii ad aprire quella di Nora. Non era molto lunga, e mi dispiacque un po’ perché avrei voluto raccontarle tante di quelle cose, tra cui il mio “nuovo amico” Liam.
 

Ciao splendore, come stai? Immagino come stavi ieri..
Ad ogni modo, ho bisogno di parlarti, URGENTEMENTE!
Sai, Jake è venuto a sapere della tua partenza, e sono riuscita a rigirare la frittata per un po’, ma poi lui ha iniziato a sbottare e beh,
ti racconto tutto per telefono, quindi sbrigati a chiamarmi stronza! Non vorrei che ti dimenticassi di me, quindi,
sappi che ho iniziato a mettere via i pochi spicci che mi restano dallo stipendio, in caso non riuscissi a venire tu da me questo Natale.
Non cambia poi molto che sia tu o io a fare quelle sette ore di volo, no?
Beh questo è tutto, o meglio, quasi tutto, aspetto la tua chiamata quindi non esitare e muoviti ad alzare quel benedetto telefono, a qualsiasi ora sia!

Ti voglio infinitamente bene, Nora.

 
Leggere le sue e-mail mi rendeva un po’ triste, sia per il fatto che da due giorni dovevamo sentirci tramite quelle, sia per il fatto che non potevo sentirla sorridere, come invece avrei potuto fare tramite telefono. Mi mancava quel suo strano accento, anche se non lo sentivo da soli tre giorni. Così spensi il computer in fretta e mi precipitai di corsa al piano di sotto, per arrivare al telefono.
Quando ci arrivai, però, il telefono era occupato. Da Zayn.
«Sì… sì.» Diceva alla persona dall’altra parte della cornetta. Non ci mise molto a notarmi, dato che me ne stavo in piedi, a braccia conserte, sul bordo delle scale, in attesa.
Sorrise, guardandomi, e poi si affrettò ad agganciare, concludendo con un “ci si becca in giro”.
Mi avvicinai al telefono appena lui riagganciò, ma notando che non si spostava – il che mi impediva di prendere il telefono da sopra il mobile – sbuffai. «Ho bisogno del telefono.. è piuttosto urgente.» Cercai di evitare il suo sguardo il più possibile, ma non ci riuscii molto. Era come se quei due occhi color nocciola mi chiamassero, come se aspettassero che i miei si fissassero in loro. Ma come poteva un semplice sguardo di quel ragazzo ridurmi così?
Smettila di dire stronzate e prendi quel cavolo di telefono.
«Scusa» dissi spostandolo, per poi afferrare il telefono. Lui rise, e non appena alzai gli occhi per guardarlo di sbieco, arrivò Nicole, che mi tolse il telefono dalle mani quasi con rabbia.
«Eh no, questo è mio.» Sbottò la ragazza, componendo in fretta un numero e poi sparendo al piano di sopra.
Se fosse stata una cosa possibile, in quel momento avrebbe potuto uscirmi il fumo dalle orecchie per la rabbia.
«Fanculo!» Sbottai anch’io, sbuffando sonoramente. Zayn se ne stava immobile di fronte a me, ancora col ghigno sulla faccia. «E tu che vuoi? Vai a farti un giro cazzo!» Quasi gli urlai contro, facendo un gesto con la mano per poi andarmene nel salotto dietro la porta a vetri.
Che diamine, avevo bisogno di sentire Nora, ma a quanto pareva non era possibile. Il cellulare ovviamente era senza soldi, ma se li avessi avuti non avrei esitato a chiamarla, nonostante il costo della chiamata da paese a paese. Nella e-mail aveva scritto di Jake.. e io dovevo sapere. Volevo sapere, perché ancora ci tenevo a lui. Era stato il mio migliore amico fin da quando eravamo all’asilo, e forse il fatto che abitasse a due passi da me contribuiva alla durata della nostra amicizia. Ci eravamo conosciuti per la prima volta durante la festa di compleanno di una nostra compagna di classe dell’asilo, Bianca White, che ci aveva invitati più per ricevere dei regali in più che per gentilezza. Odiavo quella ragazzina, era stupida e viziata, e Jake lo sapeva bene dato che era il poveretto che doveva subirsela tutti i giorni. Lo costringeva ad indossare abitini eleganti durante le giornate di scuola, mentre lei indossava vestitini da sposa o abiti eleganti per ragazzine. Il giorno del compleanno di Bianca, mi ero sporcata di gelato, così mia madre mi aveva accompagnata nella fontana di casa White, dove trovai Jake seduto sui gradini a piangere. Mi aveva raccontato tutto quel che Bianca le faceva passare, e che i nostri compagni di scuola lo prendevano in giro per come lei lo faceva vestire. Io per fortuna ero sveglia anche da ragazzina, così, dopo aver aspettato che smettesse di piangere, lo avevo preso per mano e ci eravamo diretti da Bianca. All’inizio lei faceva la presuntuosa, vedendo che ci tenevamo per mano, ma poi le avevo sbraitato contro, dicendole che doveva lasciar in pace Jake altrimenti avrei spezzato il collo a tutte le sue bambole. Odiavo quelle cose lì, le bambole, erano inutili e anche piuttosto brutte. L’unica volta che ne avevo ricevuta una, non mi aveva fatto chiudere occhio per notti, a causa del suo starsene a fissarmi tutto il tempo con quegli occhietti bianchi. Buffo che una come me avesse paura delle bambole, ma incutevano seriamente terrore. Come le bambole di quel film horror, “La sposa di Chucky”.
Da quel giorno, io e Jake eravamo diventati amici, dividevamo la merenda con l’altro quando questo la scordava, e ci facevamo portare spesso dalle nostre mamme al Mc Donald’s vicino casa. Alcuni giorni, Bianca si avvicinava, o meglio, provava ad avvicinarsi ancora a lui, ma dopo tentativi falliti, ci rinunciò e puntò un altro ragazzino. Non potete immaginare quanto possono essere perfide le bambine.
Ad ogni modo, io e Jake eravamo cresciuti insieme, nel vero senso della parola. Avevamo frequentato le elementari insieme, e anche le medie. Ovviamente anche lui, come me, aveva preso le difese di Nora quando ce n’era bisogno, solo che lui era un tipo piuttosto tranquillo, perciò si limitò a minacciare a parole chiunque la prendesse in giro, al contrario di me che passavo direttamente alle mani. Eravamo un bel trio però, e quando mia madre mi portò in quello stupido collegio, fu la fine. Non avevo avuto tempo di salutare Nora, nonostante la sentissi tutti i giorni, figuriamoci lui. Poco più di un mese prima del mio cambio di scuola, lui confessò; ricordo ancora la scena come se fosse ieri.
 
Eravamo seduti nel salotto di casa sua, a guardare una replica dello show di Ellen che ci eravamo persi durante la settimana per i troppi compiti. Entrambi odiavamo le superiori, anche se eravamo solo al primo anno, perciò ci aiutavamo sempre con i compiti, per riuscire a superare l’anno insieme.
Appena finita la replica dello show, lui preparò della cioccolata calda e me la porse.
«So che ci diciamo sempre tutto» aveva iniziato «ma c’è una cosa che.. ecco, che non ti ho detto.»
In quel momento non mi resi conto di quel che diceva, ero troppo impegnata ad affogare i marshmallow nella cioccolata, ma quando afferrai ciò che aveva detto, per un attimo mi paralizzai. Come aveva detto lui, ci eravamo sempre detti tutto, perciò doveva essere qualcosa di grande – o di grave – per essersela tenuta dentro. Io avevo tentato con un po’ di ironia, chiedendogli se per caso volesse dirmi che era gay, ma lui, dopo aver assunto una  finta espressione offesa, aveva risposto che non l o era. Non che avessi qualcosa contro i gay eh, ma se lo fosse stato, avrei voluto saperlo dal momento in cui aveva capito di essere.. diverso. Avrei voluto esserci dall’inizio.
«No, sciocchina» aveva riso lui, in risposta alla mia domanda sul suo orientamento sessuale. «Non è niente di grave, almeno penso, è solo.. solo una cosa che sento, diciamo.»
«Beh, io sto sentendo il mio stomaco chiedere questa cioccolata calda e piena di marshmallow, quindi fai entro la fine del mondo, grazie» risposi io, tentando l’ironia.
«Okay, mi butto.» E detto ciò, aveva quasi sbattuto la tazza sul bancone della cucina, per poi avvicinarsi pericolosamente in tutta fretta. Si fermò giusto cinque centimetri da me, guardandomi dall’alto, data la sua altezza. Io ero rimasta spiazzata da quell’azione, e da quella vicinanza, così avevo trattenuto il respiro, e pensai davvero di star per esplodere.
«Che..?»
«Lasciami parlare» mi interruppe, mettendomi una mano sulla bocca per farmi tacere. Io non mossi un muscolo, così lui continuò. «Io non so.. non so come dirtelo..voglio dire, lo so ma non so come potresti prenderla tu, o come potrei prenderla io. E’ una cosa importante, che potrebbe rovinare tutto oppure semplicemente migliorarlo.. io non ne ho idea, ma voglio provare. Voglio almeno provare a dirtelo perché me lo tengo dentro da un po’, non ho potuto parlarne nemmeno con Nora, sai. Non sono bravo con discorsi di questo genere, e tu lo sai più di tutti, quindi di nuovo mi butto.» Al concludere la frase mi tolse la mano dalla bocca, e vedendo che io non accennavo a muovermi, aveva ripreso a parlare. «Io.. tu.. cioè noi…siamo amici da tanto, no? Perciò forse è per questo che è accaduto, o forse per uno strano scherzo del destino, io non lo so, è successo e basta. Ti ricordi quando la settimana scorsa Zack aveva provato a toccarti..?» Annuii. «Ecco.. beh non l’ho colpito solo perché sei la mia migliore amica. Quando ti guardava.. aveva uno sguardo strano, sembrava quasi che volesse mangiarti, per non usare altri termini. Ti mangiava letteralmente con gli occhi, solo che tu non te ne accorgevi, mentre io sì, e quando lui ha provato ad avvicinarsi beh.. mi sono sentito..strano. Non avevo mai provato quella sensazione prima d’ora, né con te né con nessun altro: era del tutto estranea per me. Era un misto di rabbia e di.. gelosia. Volevo difenderti, e proteggerti, e.. avrei voluto sbatterti al muro. Ma non come pensi tu eh, cioè, non volevo prenderti a pizze o strapparti i capelli.. volevo solo fare questo» dopo averci girato intorno per più di cinque minuti, aveva interrotto il suo discorso avvinandosi ancora, togliendo di mezzo quei cinque centimetri che ci separavano. Mi aveva baciata, o meglio, il mio migliore amico mi stava baciando e io  me ne stavo immobile a lasciarlo fare. Ero paralizzata, non tanto da quel che stava facendo ma da quel che sarebbe accaduto dopo.
Le sue labbra erano morbide e dure allo stesso tempo, e sapevano di fragola – molto probabilmente perché masticava chewingam in continuazione. Il suo era un bacio.. tranquillo. Non spingeva le sue labbra contro le mie con forza, ma con gentilezza, quasi avesse paura di farmi male. Forse sta solo provando a se stesso che quel che pensa non è giusto, e che quindi non prova niente, avevo pensato. Così lo lasciai fare, senza rispondere al bacio né fare movimenti bruschi. Chiusi semplicemente gli occhi, in attesa che il bacio cessasse, e quando lo fece, tornai in me, mentre lui aveva uno sguardo quasi estasiato sul volto.
«Quel che volevo dirti è che sono innamorato di te.» Aveva detto deciso, fissando i suoi occhi grigi nei miei.
Io non risposi subito, mi limitai a guardarlo negli occhi, come lui faceva con me.
Odiavo dover fare quel che stavo per fare, ma era necessario, per lui, per me.. per la nostra amicizia.
«Mi dispiace, Jake, ma io non provo lo stesso per te.» Gli avevo detto, piuttosto freddamente. «Penso che dovresti andare, e magari schiarirti le idee.. non sei sicuro di quel che provi, hai solo voluto metterti alla prova per capire se i tuoi sentimenti sono veri, ma non lo sono. Quel che hai sentito durante la scenata con Zack… non è stato niente. Sei il mio migliore amico, è più che normale che tu sia protettivo nei miei confronti, ma il tuo è solo un amore.. fraterno.»
I suoi sentimenti invece erano veri, e lo capii quando il suo sguardo passò da estasiato a triste, in un nanosecondo. Aveva le lacrime agli occhi, e quando vidi lui e la sua chioma bionda sparire fuori casa, avrei giurato di aver visto una lacrima sulla sua guancia.
Dal giorno dopo, non ci eravamo più parlati come prima, perché io non sapevo come affrontare l’argomento, e nemmeno lui. Anche in mezzo a mille persone, tra noi regnava l’imbarazzo, e nessuno dei due voleva o poteva fare il primo passo. Non volevo perderlo, come lui non voleva perdere me, ma nessuno dei due sapeva come superare l’accaduto, nonostante avessimo superato insieme cose ben peggiori.
Più o meno un mese dopo l’accaduto, mia madre mi aveva portato in quel collegio, così la speranza di riallacciare i nostri rapporti era andata a farsi friggere. Quando tornai dal collegio lui aveva dei nuovi amici, una nuova migliore amica e una ragazza, così decisi di chiudere definitivamente la cosa e di non provare a parlarci.
 
Dopo quindici interminabili minuti, che parevano appunto un’eternità, salii di nuovo al piano di sopra, aprendo di getto la porta della camera di Nicole. Era ancora al telefono, ma che cazzo!
Quando mi vide aprire la porta, un’espressione rabbiosa le apparse sul volto, ma così velocemente quanto era arrivata, se ne andò, lasciando il posto ad un’espressione menefreghista, mentre parlottava con qualche sua stupida amica al telefono. La mia pazienza non era mai stata duratura, e quei quindici minuti erano stati abbastanza, così mi allungai verso di lei e le strappai il telefono di mano, mentre lei iniziò a sbraitare.
«Che diavolo credi di fare?! Ridammi subito quel telefono, stronza!»
Io la ignorai semplicemente, mettendo la cornetta all’orecchio. «Sì, sì, è molto interessante parlare con te ma avrei urgentemente bisogno di parlare con una mia cazzo di amica, è stato bello conoscerti!» Quasi urlai alla cornetta, per poi riattaccare.
Nicole mi guardava ancora sbalordita, tacendo però, così non feci molto caso a lei; semplicemente uscii dalla stanza e mi diressi nella mia, componendo il numero di Nora appena aver messo piede in corridoio.
Rispose dopo tre squilli.
«Casa Smith, chi parla?»
«Cazzo se mi è mancata la tua voce!» Sorrisi.
«Oh mio dio, sei tu?!» Urlò dall’altra parte della cornetta, per poi emettere uno strillo acuto, che mi fece scoppiare a ridere.
«Ehi, calma, sono solo io» dissi ancora ridendo «Non sono mica Johnny Depp.»
«Già, sei molto meglio tesoro» rise lei, per poi riprendersi e iniziare con l’interrogatorio. «Allora, come stai? E soprattutto, com’è la nuova casa? E tuo fratello? Voglio dire, fratellastro… e la tua sorellastra? La immagino piccola e carina, magari paffutella, un po’ come Heidi sai…» la interruppi immediatamente.
«Frena, frena, frena! Una domanda per volta Nora, e no, la mia sorellastra non è affatto piccola, né carina né tantomento paffutella. Anzi forse un po’ paffutella lo è, ma è soprattutto una grandissima stronza.» Alzai il tono di voce sul finire la frase, sperando che in qualche modo Nicole potesse sentirmi.
«Aspetta, perché sarebbe una grandissima stronza? Non è che sei tu, come al solito, che dai giudizi affrettati? Infondo a te stanno sulle palle tutti, solo dopo un po’ cambi idea» Disse, e in quel momento immaginai la sua espressione: un po’ accigliata, con un accenno di sorriso sulle labbra e un’espressione un po’ da bambina. Mi venne da sorridere a quell’immagine, ma subito ci ripensai, pensando a ciò di cui stavamo parlando.
«No, non sono io.. non stavolta almeno, giuro! Sono stata ad aspettarla gli anni di mia nonna che si staccasse da questo benedettissimo telefono, un altro po’ e le avrei sbattuto la testa al muro» dissi arrabbiata, emettendo uno strano suono simile al “grr”. Nora scoppiò a ridere, e dio, se mi era mancata la sua risata.
«Mi mancava sentirti sai?» Dissi di getto.
«E’ lo stesso per me, anche se sei partita da pochi giorni.. sai, ho già un sacco di scoop da raccontarti, ma di quello in cima alla mia lista, sai già!»
Non dissi niente, limitandomi ad annuire con la testa, come se lei potesse vedermi. Al mio silenzio, continuò a parlare.
«Insomma… stamattina il signor Figgins faceva l’appello, e quando non ha chiamato il tuo nome, Jake se n’è accorto nonostante fosse troppo occupato con la sua tipa.» A Nora non era mai piaciuta la ragazza di Jake, perciò le affibbiava sempre nomi del tipo “quella tizia” o “la stronza” o cose simili. «E beh,» continuò «Ovviamente ha chiesto il perché ti avesse saltata, e quando il signor F. gli ha detto del tuo trasferimento, ha sbottato letteralmente.»
«Cioè? Cos’è che ha fatto?» Odiavo quando mi teneva sulle spine e girava intorno a quel che voleva dirmi, e lo sapeva bene. Infatti odiavo ancor di più quando, ben sapendo che odiavo quando faceva così, continuava a farlo.
«Beh nulla, si è alzato di botto ed ha rovesciato il tavolo, nel vero senso della parola.» Si fermò per un attimo, in attesa di un mio sclero che però non arrivò. «..Insomma, è impazzito di punto in bianco, capisci? Penso che dovresti chiamarlo…»
La interruppi. Chiamarlo? Neanche per sogno, e non era una questione di orgoglio, non lo era affatto.
«Stai scherzando?! Non lo chiamerei neanche se stessi per morire, lo sai benissimo. Potrebbe anche finire sotto un tram o non so, potrebbe finire in prigione o in un ospedale per overdose, non me ne fregherebbe nulla. Non lo chiamerò, fine della storia.» Cercai di sembrare il più decisa possibile, ma purtroppo Nora sapeva bene com’ero fatta.
«Sappiamo entrambe che cambierai idea, perciò quando lo farai, vorrei sapere cos’hai intenzione di dirgli, okay?»
Sbuffai, e la sentii sorridere dall’altra parte del telefono. «Okay.»
Sentii dei passi dietro di me, e quando mi voltai mi ritrovai davanti Zayn, con quegli occhi da cerbiatto che erano una calamita per me.
«Che vuoi? Vorrei un po’ di privacy, sai com’è.» Dissi infastidita. Lui invece non batté ciglio, limitandosi a masticare una fetta di pane tostato, piuttosto rumorosamente. «Allora? Hai intenzione di andartene o vuoi un invito scritto?»
«Chi è? E’ quella rompipalle della tua sorellastra?» Urlò Nora dalla cornetta, sperando di essere sentita, cosa in cui riuscì dato che Zayn scoppiò in una risata fragorosa.
Dio, aveva una risata meravigliosa, e il suo sorriso…
«Sono solo venuto ad avvertirti che la cena è pronta» disse il ragazzo, tra le risate.
«Ah. Grazie, arrivo tra due minuti» risposi secca, voltandomi per tornare alla conversazione con Nora. Aspettai che Zayn se ne andasse prima di parlare, e quando lo fece, notai dalla sua alzata di spalle che stava ancora ridendo.
Chissà perché sembravano tutti felici in quella casa tranne me.
«Ci sei o devo chiamare quelli di CSI?»
«Ci sono, scusami» risposi ridendo. Era una delle sue solite battute, e sentirgliela ripetere mi fece ridere. «Aspettavo che il mio.. fratellastro tornasse a farsi i cazzi suoi.» Continuai, enfatizzando la parola “fratellastro”.
«Hei hei hei, quanta rabbia» disse, scoppiando in una fragorosa risata. «E’ per caso successo qualcosa?»
“Beh, se per qualcosa intendi la strana sensazione che provo ogni volta che lo guardo o che è nei paraggi, ogni volta che quei suoi due occhi perfetti mi guardano ed ogni volta che sorride.. sì, è successo qualcosa.”
«No.. » mentii. Non potevo dirle che pensavo di essermi presa una stupidissima cotta per un tipo che non conoscevo minimamente, e che soprattutto sarebbe potuto diventare il mio vero fratellastro se solo quei due si fossero sposati. Dovevo togliermelo dalla testa, e lo avrei fatto al più presto. «Sai come sono fatta, mi stanno sempre tutti sulle palle» continuai, non mentendo però. Era vero che mi stavano sempre tutti lì, anche se era una mia scelta. Forse era questione di genetica o cose simili, ma io ed il resto del mondo, non andavamo d’accordo.
Per fortuna Nora se la bevve. “E per fortuna, non può vederti in faccia perché state parlando tramite una cazzo di cornetta” aggiunse una voce nella mia testa.
Quelle voci avrebbero iniziato a farmi impazzire un giorno all’altro.
«Sì, hai ragione» scherzò lei, per poi urlare qualcosa di non molto comprensibile a qualcuno che era accanto a lei.
«Che succede?»
«Succede che sto per commettere un sorellicidio!» Urlò, ancora alla persona – sicuramente sua sorella più piccola, Sarah – accanto a lei. «Alex scusa ma devo lasciarti, quell’imbecille di mia sorella sta minacciando di spifferare ai miei dei bicchieri di troppo di sabato, e se vengono a saperlo a New York ci vengo a calci in culo» disse con tono triste. La immaginai subito bollire di rabbia, mentre si guarda intorno alla ricerca di qualcosa di grosso e pesante da tirar dietro alla sorella minore con cui litigava spesso.
«Non preoccuparti, ci risentiamo domani okay?»
«Sicuro. Ti voglio bene, e buonanotte per dopo dolcezza!»
«Anche a te, ti voglio bene anch’io» risposi appena in tempo, prima che attaccasse.
Poggiai il telefono sul grande tavolo di legno del salotto, sospirando, e poi mi diressi in cucina.
Mi sorpresi al trovarci la famiglia al completo, sia perché avevano espressamente detto tutti che sarebbero rientrati tardi, sia perché non li avevo sentiti rientrare.
«Ciao tesoro» mi accolse mia madre, abbracciandomi. «Com’è andata a scuola?»
Lo sapevo. Perché cavolo i genitori dovevano far così? Come se fossero programmati per farti quell’unica stupida e inutile domanda. Per fortuna però, quel primo giorno di scuola mi era piaciuto, quindi non avrei dovuto inventare una scusa per scappare di sopra senza raccontarle niente.
«E’ andato bene» ammisi scrollando le spalle.
«Ho capito bene oppure ho perso l’udito?» Scherzò mia madre.
Mezz’ora dopo ci ritrovammo tutti e sei seduti a tavola a parlare del più e del meno.
«Liam? Liam Payne?» Chiese Mike quando dissi a mia madre che avevo passato il pomeriggio con lui, infilandosi un boccone di carne in bocca.
«Sì, penso sia quello il suo cognome» risposi.
«Sì papà, è stata tutto il pomeriggio a civettare con Liam» s’intromise Nicole.
Dio, quanto era stupida. Se non fossi stata pigra mi sarei alzata e le avrei ficcato la forchetta in bocca finché non ci si fosse strozzata.
«Beh, se “civettare” ora vuol dire parlare di Shakespeare, allora sì, ho civettato con Liam tutto il pomeriggio.» Dissi a Mike, facendo un sorriso falso a Nicole, per poi bere un sorso d’acqua.
«Shakespeare?» Chiese lui interessato, ignorando la stupidità della figlia.
«Sì, Shakespeare.» Risposi, bevendo un altro sorso d’acqua. «A Liam piace, così ne abbiamo parlato, dato che lui trova stupido il fatto che una persona muoia per un’altra solo per amore.»
Zayn scoppiò in una fragorosa risata, per poi beccarsi un’occhiataccia dal padre.
Idiota.
«E tu? Pensi che sia stupido o che sia, non so, romantico?» Chiese ancora Mike, prendendo un altro boccone dal piatto.
«E’ una cosa romantica ovviamente.» Risposi con tono un po’ acido. Ma dai, che domanda era? Chiunque avrebbe desiderato una storia d’amore come quella di Romeo e Giulietta. Certo, magari senza la morte tragica, ma comunque restava una bella storia.
«Ormai gli uomini al massimo ti regalano un reggiseno, che tra l’altro è un regalo fatto per portarsi a letto la donna.» Continuai, scuotendo la testa. Mia madre rise, e ogni tanto faceva segno di sì, pensandola come me su tutto. «Ai vostri tempi ci si scriveva lettere d’amore e ci si faceva dichiarazioni al chiaro di luna o robe così, no? Adesso piuttosto che maturare, gli uomini tornano col cervello all’età della pietra.»
«Sono d’accordo» ammise mia madre, ancora ridendo.
«Aspetta, ma non tutti gli uomini sono così! Io non lo sono per esempio» rispose un Mike sorridente, che poi aggrottò le sopracciglia, fingendosi offeso.
«Beh, lo vedremo San Valentino, o al nostro anniversario» disse in risposta mia madre, sorridendogli.
«Se è una sfida, l’accetto volentieri.» E così detto, si strinsero la mano come due ragazzini, per poi ridere.
Erano carini insieme, e mi piaceva vedere mia madre così felice quando era con lui, però era ancora tutto strano e.. nuovo. D’altronde erano passati appena tre giorni, doveva passarne di tempo prima che mi abituassi.
«Regalarle un paio di slip insieme al reggiseno non conta papà» s’intromise Zayn, ridendo anche lui.
«Perché avete così poca fiducia in me?» Disse il padre, fingendosi ancora una volta offeso. «So essere un galantuomo quando voglio.»
«Tesoro, tu sei sempre un galantuomo, ma non vuol dire che tu sappia cos’è il romanticismo» rispose mia madre divertita, poggiando una mano sulla spalla di Mike. «Come ho detto, aspetteremo San Valentino o qualche altra festa. Allora potrai mostrare questo tuo lato romantico» concluse lei sorridendo, per poi stampargli un bacio sulla guancia.
La serata si svolse tutto il tempo così, tra battute e occhiatacce, e se non fosse stato per i miei due “fratellastri” sarebbe stata una serata perfetta. Zayn scherzava spesso col padre e con mia madre, mentre Nicole accennava qualche parola ogni tanto, lanciandomi più che altro occhiatacce appunto. Io la ignoravo semplicemente, non avevo voglia di strapparle i capelli solo al terzo giorno di convivenza.
Dopo aver sparecchiato la tavola, mia madre e il suo uomo si diressero in salotto a guardare qualche film poliziesco, insieme a Nicole che però se ne stava con la faccia incollata al portatile, su una delle poltrone del salottino. Zayn era andato in camera sua mentre noialtri sparecchiavamo, e quando anch’io tornai in camera mia, ci trovai Tyler seduto sul letto, a sfogliare qualche foto trovata in qualche scatolone di quelli buttati a terra.
«Che fai qui?» Chiesi una volta entrata, chiudendomi la porta alle spalle.
«Niente, volevo solo parlarti, e salutarti come si deve. Sai, no? Domani è il grande giorno» sospirò.
Già, l’indomani sarebbe partito per il college, e lo avremmo rivisto per le vacanze di Natale, a cui mancavano ancora due mesi belli e buoni. «Ti divertirai, sicuramente più che qui.» Dissi io, scrollando le spalle e sedendomi accanto a lui sul letto.
«Questo è poco ma sicuro, ma non è questa la mia preoccupazione.»
«E qual è allora?»
«Per leggere cose come Shakespeare sei piuttosto stupida a volte sai?»
Lo guardai di sottecchi, aggrottando la fronte mettendo su un’espressione imbronciata. «E tu piuttosto stronzo sai?»
Lui rise, cosa che poi feci anch’io, dandogli un pizzicotto.
«Sei tu che mi preoccupi.» Disse una volta tornati seri. «Voglio dire, sai essere piuttosto stronza a volte, quindi spero per te e per loro che non combinerai una delle tue per mandare a rotoli questa famiglia. Mamma è felice ora, non rovinare tutto, okay?»
Lo ammetto, poteva esser stronzo e coglione quanto voleva, ma spesso sapeva essere dolce, e a volte anche intelligente. Certo, litigavamo spesso, ma quali fratelli non lo fanno? Lui era il mio fratello maggiore, gli avrei voluto bene sempre e comunque, anche se avessimo litigato ogni minuto di ogni giorno.
«Perché dovete sempre mettermi tutti in cattiva luce?» Chiesi scherzando, anche se in fondo c’era qualcosa di vero. «Okay, so di aver fatto un bel po’ di casini in passato, ma sono cambiata e soprattutto sono cresciuta. Vedo com’è felice con Mike, non sono così egoista da rovinare il loro rapporto solo per qualche capriccio.»
«Hai scordato di dire maturata.» Aggiunse lui, sorridendo.
«Come?»
«Hai detto che sei cambiata e sei cresciuta, ma non hai detto che sei maturata. La Alex di qualche mese fa non avrebbe mai detto certe cose, e soprattutto non avrebbe resistito cinque minuti senza combinare qualche guaio o offendere qualcuno.» Sorrise ancora, cosa che fece sorridere anche me, mentre abbassavo lo sguardo sulle foto che teneva tra le mani.
Aveva ragione, ero cambiata ed ero maturata, ma non me ne ero accorta. Ero sempre stata un po’ scapestrata e troppo impulsiva, non pensavo mai a quel che dicevo o facevo: agivo e basta. Da un po’ di tempo però le cose erano cambiate, e forse era successo proprio quando mia madre aveva iniziato ad essere felice. Mi piaceva vederla sorridere, mi piaceva vederle apparire le fossette agli angoli della bocca, che la facevano sembrare un po’ una bambina. E mi piaceva vedere come le si illuminavano gli occhi quando si parlava di Mike. Non avevo mai creduto davvero nell’amore – se non nei libri – ma quel che vedevo in lei tutti giorni era la cosa che più si avvicinava ad esso. Forse io non l’avrei mai scoperta, o forse sì, ma per ora mi limitavo a guardarla attraverso di lei.
«Già.» Dissi semplicemente, sfiorando le foto con le dita. Erano quattro, e tutte e quattro ritraevano noi tre – io, Tyler e mia madre – durante le nostre vacanze insieme. La prima raffigurava noi tre il Natale precedente: c’eravamo io e Tyler che bisticciavamo per chi dei due dovesse appendere la cima dell’albero, e mia madre che correva accanto a noi subito dopo aver premuto il tasto che avrebbe scattato la foto, il quale aveva l’autoscatto per riprenderci tutti e tre. Io e mia madre indossavamo quei cappelli natalizi di Babbo Natale, mentre Tyler indossava un cerchietto con le orecchie e le corna da renna su di esso, il che gli si addiceva parecchio.
La seconda foto ritraeva me, Tyler e Nora, al pranzo di Pasqua, durante il quale io mi ero pasticciata la felpa nuova di cioccolato, appena avevo scartato l’enorme uovo che mi aveva regalato Tyler. Nella foto, Nora aveva il grembo pieno di fazzoletti, con cui cercava di pulirmi la felpa che portavo addosso, mentre io mi ingozzavo di cioccolata, sporcandomi la faccia. Avevo un’espressione un po’ imbronciata, che a quanto aveva detto mia madre, era troppo buffa per non essere ripresa, così aveva raccolto la macchina fotografica dal tavolo e si era messa a fare qualche scatto, mentre Tyler si era messo accanto a me, cambiando posizione ad ogni scatto.
La terza foto invece era una semplice foto di famiglia, scattata durante il compleanno di mia madre, sempre con l’autoscatto. C’era lei, china sulla piccola torta bianca e rosa, che soffiava le sue candeline, mentre Tyler si buttava sulla birra e io sorridevo accanto a lei, applaudendo. Nella quarta foto, c’eravamo sempre noi tre, molti anni prima però. Io ero ancora in fasce, mentre Tyler aveva abbastanza anni da poter camminare e correre. La foto era stata scattata da mio padre quando era ancora con noi, e come la foto precedente, era semplice: mia madre era seduta sulla sedia a dondolo che ci aveva regalato mia nonna, e teneva in braccio me, mentre su uno dei braccioli della sedia stava seduto – o meglio, sdraiato – Tyler.
Era bello vedere come le foto restassero sempre uguali, mentre i soggetti ritratti cambiassero invece durante gli anni. Per questo mia madre amava la fotografia: le piaceva fermare tutti i momenti delle nostre vite, belli o noiosi che fossero, per poi guardarle e riguardarle gli anni dopo.
«Nella prossima foto ci saranno tre persone in più» dissi io. Non mi ero accorta di averlo detto ad alta voce, ero persa tra i miei pensieri ed ero sicura che quello fosse tra quelli.
«Non è detto che sia una cosa negativa però, no?»
«Vedremo.» Risposi sospirando. «Mi mancherai brutto stupido» Continuai, dandogli un buffetto su una guancia. In risposta lui mi strinse in un abbraccio di quelli rari, che quasi mi strozzò.
«Anche tu poetessa» sorrise. Solo lui mi chiamava così, e mi piaceva che lo facesse, anche se non era proprio un soprannome appropriato.
«Vedi di farti sentire spesso allora, o dovrò rimpiazzarti con un nuovo fratello» scherzai io, staccandomi dall’abbraccio per poterlo guardare negli occhi azzurri.
«Mai!» Finse un’espressione stupita, spettinandomi poi i capelli. Odiavo che mi si toccassero i capelli, e lui lo sapeva bene, ma era anche l’unica persona a cui lo lasciavo fare, quindi non dissi niente. «Mi farò sentire, promesso.»
Gli scompigliai un po’ i capelli scuri, per poi abbracciarlo un’ultima volta. «Se quando mi alzerò domattina sarai già partito, beh, fa’ buon viaggio.»
«Lo farò, non preoccuparti.» Sorrise, e poi si staccò dall’abbraccio, alzandosi dal letto. Prima che uscisse dalla camera, raccolsi una delle foto sparse sul letto – quella che ritraeva noi tre a Natale, essendo la sua preferita – e gliela porsi.
«No, tienila tu, so che ti piace tanto.» Disse lui, sorridendo.
«Ma no, figurati, è la tua preferita. E poi quest’anno ne scatteremo una nuova, mi terrò quella.» Scrollai le spalle, dandogli la foto e abbracciandolo di nuovo. «Buonanotte» dissi, tra la sua spalla e il suo collo.
«Buonanotte sorellina» rispose accarezzandomi i capelli.
Quando uscì dalla porta, mi ci volle un po’ per richiuderla. Avevo le lacrime agli occhi, anche se il nostro non era stato un addio ma piuttosto un arrivederci. Era inevitabile però, essere malinconici dopo aver salutato un proprio familiare.
Chiusi di nuovo la porta a chiave, e dopo aver messo il cellulare in carica sul comodino, accesi la bajour e mi misi sotto le coperte. Il giorno dopo mi sarei dovuta svegliare presto, e avrei dovuto frequentare le lezioni normalmente. Sarebbe stata una giornata dura, oppure no, ma quel che importava era che avrei sicuramente rivisto Liam, e Louis, e forse anche Niall ed Amy. Li conoscevo da neanche un giorno, ma se volevo ambientarmi in quella città, dovevo stringere delle vere amicizie, e beh, loro sembravano degli ottimi candidati.
 
 
 
Myspace: saaaalve uu vi prego vi prego vi prego, non uccidetemi per sta cagata che è venuta fuori D: ci ho messo un po’ per scriverla, tra natale, capodanno, befana eccetera ho sempre avuto qualche parente a rompere le palle a casa, e ultimamente la mia connessione fa schifo, quindi non ho potuto aggiornare prima çç lo so che sono in ritardo di un mese e che, come ho già detto, sto capitolo è una cacata, ma l’ho scritto comunque con il cuore (?) quindi mi piacerebbe che recensiste facendomi sapere che ne pensate :3 per il ritardo mi farò perdonare in due modi: postando presto il prossimo capitolo (penso che in settimana sarà messo, anzi, lo sarà sicuramente uu) e beh, facendo accadere qualcosina.. ahahahah non vi dico niente però, quindi non chiedetemi spoiler su twitter che tanto non ve li dico èé posso solo dirvi che nel prossimo capitolo ci sarà un po’ di louis e un po’ di liam ùwù tornando a sto capitolo, l’inizio, la metà e boh (?) non mi piace per niente çwç mi piace solo la fine perché ho parlato del legame che hanno tyler ed alex, e del rapporto tra mike e la mamma *u* non ho un’immagine ben precisa dei loro volti (della madre e di mike), ma appena avrò trovato degli attori che gli si addicono (?) ve li faccio vedere se vi interessa u.u per alex beh, immaginatevi solo una strafica (ahahahah) rossa e con le palle, un po’ camionista ma comunque taaaanto dolce uu per tyler beh, logan lerman ci sta. AHAHAHAHAH vorrei tanto farci brutte cose con lui (logan, non tyler ahahah) ma non si può çwç vabbè, anyway (?), la parte su jake mi fa alquanto schifo, e sicuramente alla maggior parte di voi non piacerà il suo personaggio (credo), ma se l’ho messo è solo perché ho in mente una cosa da far succedere nei prossimi capitoli con uno dei ragazzi.. non vi dico chi né vi dico cosa però èé l’unica cosa che posso dirvi è che per far succedere quel che succederà (?), jake era inevitabile in sta fan fiction uu per lui immaginatevi quello strafigo di alex pettyfer, se volete dargli un volto u.u okay ora vado che ho sonno ahahah buonanotte a chi legge (?) spero recensiate in tante <3
ps: non siete eccitate pure voi per il compleanno di zayn? cioè vi giuro io sto crepando fdgvfgvsbgvdrsgfvsdf mamma ç____ç comunque scusate anche se trovate qualche errore, ma non sono riuscita a rileggerlo tutto perché ho problemi di vista ultimamente D:

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Capitolo 7
*** chapter seven; ***


Quando alle 6.30 suonò la sveglia, per fortuna non feci fatica ad alzarmi, dato che la sera prima non avevo fatto tardi, quindi avrei avuto abbastanza tempo per fare una bella doccia calda. Così mi alzai, presi l’asciugamano e gli accessori da bagno, e mi ci diressi. La feci scorrere per circa due minuti, e quando ci entrai, lasciando che il getto caldo mi colpisse, iniziai a rilassarmi del tutto. Quella mattina faceva piuttosto freddo, se non avessi avuto scuola sarei rimasta sotto quel getto per ore.
Venti minuti dopo uscii dalla doccia e mi avvolsi nella asciugamano che avevo lasciato riscaldare sul termosifone, mentre con uno più piccolo iniziai ad asciugarmi i capelli, per poi passare al phon. Ci misi all’incirca cinque minuti ad asciugarli: era lunghi e folti, ma anche se restavano un po’ bagnati, si asciugavano in fretta da soli. Non persi tempo a piastrarli né a frizionarli, erano già mossi di loro e mi piacevano così. Gli diedi solo una smossa con le mani, per poi passare ad un trucco leggero – fard, matita e mascara – e tornare in camera.
Appena aprii la porta mi scontrai con un muro, che notai poco dopo che non era affatto un muro ma un ragazzo. Quel ragazzo. Ed io ero in asciugamano. Sperai che la mia voce non tremasse davanti a lui, e per mia fortuna non lo fece.
«Non si bussa?» Chiesi a Zayn, fingendomi scocciata.
«Stavo per farlo, ma poi ho sentito girare la chiave ed ho aspettato che uscissi.» Scrollò le spalle, come se fosse una cosa ovvia.
«Beh, magari la prossima volta puoi evitare di startene impalato davanti alla porta, così da evitare un infarto o una facciata a qualcuno.» Alzai gli occhi al cielo, sorpassandolo e dirigendomi in camera.
«Bell’asciugamano» urlò lui poco prima che chiudessi la porta.
«Idiota.» Borbottai.
Non ci misi molto a vestirmi, dato che avevo scelto i vestiti da mettere prima di andare a letto la notte scorsa. Avevo scelto una canottiera a righe, bianca e blu, con dei pantaloni dello stesso blu della maglietta, e completando il tutto con un blazer bianco e delle scarpe bianche col tacco. Indossato il tutto, sorrisi soddisfatta all’immagine riflessa nello specchio, poi raccolsi la tracolla da terra e dopo aver preso anche il cellulare con l’iPod, mi diressi al piano di sotto a fare colazione.
In cucina c’era un po’ di trambusto, e quando arrivai, ci trovai Nicole intenta – molto probabilmente – in qualche ricetta che comprendeva veleno e roba marcia.
«Se non sei capace perché non lasci perdere e basta?» Le chiesi con fare ovvio, posando la borsa sul tavolo della cucina e sedendomi.
«E tu perché non ti fai gli affari tuoi? Almeno io so cucinare.» Rispose a tono la bionda.
«Se quello tu lo chiami cucinare allora..»
«Buongiorno ragazze!» Mia madre interruppe la nostra quasi-litigata, per fortuna oppure no, per poi avvicinarsi al frigorifero e tirandone fuori del succo all’arancia. «Lascia stare, ci penso io» sorrise dolcemente a Nicole, facendola sedere a tavola. Okay, la colazione era salva.
Guardai il display sul cellulare, che segnava le 7,00 e notando di avere ancora abbastanza tempo, feci colazione in fretta con un bicchiere di succo e delle frittelle stracolme di zucchero e sciroppo al cioccolato, come piacevano a me. Quasi mi ci strozzai, avendo paura che da presto che fosse, sarei finita con l’arrivare il ritardo il secondo giorno, e quando sentii dei passi svelti scendere le scale, suonò il campanello.
Zayn apparve alle mie spalle, prendendo il piatto di frittelle che gli porgeva mia madre, sedendosi su uno degli sgabelli, mentre io finii il tutto bevendo l’ultimo sorso di succo.
«Non ti si rompe una gamba se vai ad aprire eh» disse sprezzante Nicole, notando che non accennavo a muovere un passo verso la porta. Di certo non era una visita per me, perciò perché avrei dovuto scomodarmi?
Le risposi mandandole un bacio, per poi beccarmi la sua solita occhiataccia.
Non feci caso alle persone alla porta finché non entrarono in cucina, tutte – ovviamente - sorridenti.
La prima ad entrare fu una ragazza, quella del giorno prima, la “ragazza perfetta”. Appena mise piede in cucina mi squadrò da cima a fondo, alzando un sopracciglio con aria di superiorità. Quel giorno indossava dei jeans così stretti da riuscire ad entrare solo ad una scopa, con sopra un top scollato che ovviamente le metteva – di nuovo – in mostra le forme, e sopra di esso un giacchetto in pelle nera.
Quando la mora salutò Zayn con un gesto della mano – dotata di unghie rosse che sembravano piuttosto degli artigli – feci finta di non vederla: non volevo vomitare la colazione di un istante prima solo per qualche effusione mattutina. La ragazza si accomodò poi sullo sgabello accanto a Nicole, di fronte a Zayn, che si trovava accanto a me, e mise un gomito sul tavolo, per poi chiudere la mano a pugno e poggiarci sopra il mento.
La persona che era entrata dopo di lei era il nudista, Harry, che alla mia vista mi squadrò anche lui da cima a fondo, con uno sguardo che sembrava mangiarti con gli occhi. Se non avesse smesso da lì a due secondi, gli avrei ficcato a forza il pasticcio che aveva “cucinato” Nicole. Per fortuna però, la terza persona ad essere entrata lo salvò. Era Liam, che sorrise al mio sorridere quando lo vidi.
«Buongiorno Romeo» gli sorrisi. Lui rise, forse perché trovava buffo il modo in cui l’avevo chiamato.
«Buongiorno Giulietta» rispose sorridendo, avvicinandosi.
«Signora Parker» s’intromise la mora, ancora appoggiata al tavolo. «Non sono carini?» Chiese subito, fingendo un tono smielato e tentando di fare gli occhi dolci, in presenza di mia madre, che per un attimo lasciò stare i fornelli e si girò a guardare la scena. «Sì, lo sono» si rispose da sé la ragazza.
Quante sceneggiate, perché doveva fare la gatta morta in casa mia?
Quella mattina per mia fortuna, mi ero svegliata piuttosto allegra, quindi le risposi di rimando. «Mamma,» cominciai, guardando mia madre con gli stessi occhi dolci della ragazza poco prima. «Non è idiota?» Chiesi riferendomi alla ragazza, che subito tramutò espressione da finta smielata ad incazzata. Se era possibile far uscire il fumo dalle orecchie, allora quello sarebbe stato il momento giusto in cui sarebbe successo. «Sì, lo è.» Risposi alla mia stessa domanda, sorridendo falsamente poi alla mora, per poi prendere la borsa ed alzarmi.
Mia madre mi lanciò un’occhiataccia, ma la ignorai e continuai. «Oggi prendo qualcosa da Jimmy, non ho intenzione di morire avvelenata» ammisi, facendo un cenno con la testa verso Nicole. Anche lei mi lanciò un’occhiataccia – o forse anche due – ma mia madre sorrise per un attimo, per poi mimare un bacio con le labbra e augurarmi buona fortuna per la scuola.
La sera prima, mia madre aveva detto a me, Zayn e Nicole che avremmo dovuto arrangiarci con il pranzo, dato che sia lei che Mike – che quella mattina aveva cominciato il turno alle 5,00 – avrebbero lavorato fino a tardi. Zayn aveva poi risposto che si sarebbe arrangiato con degli amici, e non essendo brava in cucina io avrei dovuto affidarmi a quella di Nicole. Questo finché non avevo visto il pasticcio di quella mattina e non avevo ripensato alla cena nel giorno del nostro arrivo. Nicole era sicuramente peggiore di me ai fornelli, e non volevo rischiare una morte prematura per avvelenamento da cibo.
Quando raggiunsi la porta, Harry prese il mio posto a tavola, addentando anche lui le frittelle, mentre Liam mi seguì con lo sguardo. «Non vuoi un passaggio? Abbiamo un posto in più, sai.» Mi chiese gentilmente, sfoderando il suo sorriso da bravo ragazzo.
Se non fosse per la mora, per Nicole e per i due ragazzi che si ingozzavano di frittelle, avrei accettato volentieri. Lanciai un’occhiata veloce al tavolo, per poi rifiutare. «Nah, ci vediamo a scuola» risposi al ragazzo, sorridendo come lui poco prima.
Non ci misi molto ad arrivare a scuola, a piedi erano più o meno venti minuti, ma con le cuffie alle orecchie, sembravo avercene messi cinque.
Quando arrivai nel grande piazzale, c’era parecchia gente fuori, ma notai con mio grandissimo sollievo che alcuni studenti entravano già, così mi sarei risparmiata lo stare da sola in quel piazzale fino al suono della campanella. Sarebbe stato stupido e piuttosto imbarazzante. Mi affrettai ad entrare, e seguendo una mini mappa della scuola che mi aveva dato Margaret il giorno prima, riuscii a trovare i corridoi in cui erano situati gli armadietti, fino ad arrivare al numero diciassette, il mio. Con mia grande sorpresa, poggiato su di esso c’era una chioma biondo chiaro, seguita da un’altra di un biondo cenere. Alla mia vista i due sorrisero, e come il giorno prima, mi salutarono facendo un gesto con la mano.
«Hei» annunciai quando li raggiunsi.
«Buongiorno» dissero i due in coro,  sorridendo a trentadue – o meglio, sessantaquattro – denti.
«Che fate qui?» Chiesi.
«Veniamo a scuola come tutti, purtroppo» rispose il primo biondo. Vedere quei suoi occhi così azzurri e profondi, faceva sempre uno strano effetto, e mettevano allegria.
«Dai, intendo cosa ci fate davanti al mio armadietto.» Sorrisi io, arrotolando le cuffie dell’iPod per poi depositarlo nella cartella.
«Ti aspettavamo ovviamente!» Rispose allegra la ragazza, tirando su gli occhiali che le erano scesi sul naso. Il giorno prima doveva aver messo delle lenti a contatto, perché quelli erano occhiali da vista.
«Siccome ieri hai avuto qualche problema a trovare l’aula magna, ho pensato che avresti avuto bisogno di una guida per ambientarti, e mentre venivo qui ho incrociato Amy per il corridoio» spiegò allegro Niall, sorridendo prima e me e poi alla ragazza.
«E’ la stessa cosa che ho pensato io, ma lui mi ha preceduta» disse lei un po’ imbarazzata.
«Grazie ad entrambi, sarei persa senza di voi!» Sorrisi alla loro gentilezza, per poi voltarmi di scatto insieme ai due e a qualche altro studente, quando la porta di servizio accanto agli armadietti sbatté.
Mi stupii nel vedere che la persona che ne uscì fosse Louis, ma mi stupii ancora di più nel vederlo incazzato, che forse “frustrato” era più appropriato. Quella mattina sembrava avere un atteggiamento strano, e mi venne qualche dubbio sulla sua aria da bravo ragazzo.
Lo seguii con lo sguardo finché non arrivò a noi sorpassandoci, senza guardarci.
«Louis..» dissi debolmente, confusa.
«Lascialo stare, ha bisogno di stare solo» sospirò Niall, con sguardo affranto, seguendo anche lui Louis con lo sguardo, finché quest’ultimo non sparì lungo una rampa di scale.
Grazie alla mia impulsività non diedi retta al consiglio di Niall, e seguii Louis su per le scale, lasciando la borsa a terra davanti all’armadietto custodito dai due biondi.
Non sapevo dove quelle scale portassero, ma di certo portavano a parecchi piani superiori, cosa che si dichiarò esatta quando vidi Louis entrare in una stanza, dopo aver corso per quattro rampe di scale. Lo seguii dietro di essa, e quando sentii l’aria fredda del mattino sulle guancie, notai che non era una stanza qualunque ma era una terrazza. Una grande terrazza, con tanto di bella vista. Qua e là c’erano dei grandi vasi colmi di fiori di vari tipi e colori, e al centro della terrazza c’era una grande fontana rotonda, che sgorgava acqua dal tubo eretto al centro, circondato da uccellini che beccavano per bere.
Mi ricordava un po’ la terrazza che Zac Efron mostra su “High School Musical”, uno dei miei film preferiti.
Attorno alla fontana c’erano quattro grandi panchine in legno, disposte a quadrato attorno ad essa, e Louis si sedette su una di quelle, dandomi le spalle.
Quando mi avvicinai, il ticchettio dei tacchi mi tradì, ma lui non si voltò.
«Che ci fai qui?» Chiese lui, sempre senza voltarsi, guardando un punto in lontananza davanti a sé.
«E tu?»
«L’ho chiesto prima io.»
Odiavo quella risposta. Che importava chi chiedeva prima? Rispondi e basta, porca miseria.
«Mi sembra ovvio, avevi l’aria incazzata e ho voluto accertarmi che non stessi andando ad uccidere qualcuno.» Dissi ironicamente, scrollando le spalle anche se lui era ancora girato.
«Se mai deciderò di uccidere qualcuno, te lo farò sapere» rispose sospirando.
Mi avvicinai alla sua panchina e mi sedetti vicino a lui, guardando nella sua stessa direzione.
«Va bene.» Risposi semplicemente. Se non aveva voglia di parlare della cosa che lo turbava in quel momento, lo avrei capito benissimo. Mi sarei limitata a restare seduta accanto a lui, a guardare il suo stesso panorama in silenzio. Non servivano sempre delle stupide parole di conforto a calmare situazioni come quelle, a volte bastava un semplice e complice silenzio.
«Se sei venuta per startene qui seduta senza far niente, dopo aver scoperto il mio nascondiglio, puoi anche andartene.» Disse d’un tratto, un po’ bruscamente. Sorrisi al sentirlo chiamare il suo “nascondiglio”, ripensando ancora alla terrazza floreale di Zac Efron.
«In realtà sono venuta per controllare che stessi bene. Ho deciso di essere più gentile con te, ma se fai lo stronzo mi viene difficile.»
Lui non rispose, e quando mi voltai verso di lui, fissando quei suoi occhi azzurri tanto belli, notai un accenno di tristezza, che aveva preso il posto della rabbia.
«Grazie» sospirò infine, accennando ad un sorriso, sempre guardando di fronte a sé.
Non seppi esattamente per cosa mi stava ringraziando, ma risposi ugualmente con un «prego», continuando poi a guardare nella sua stessa direzione.
Restammo così per dieci minuti buoni, e al suono della campanella lui si alzò, con me al seguito, e scendemmo nei corridoi. Sentivo il suo sguardo addosso, ma feci finta di nulla e guardai dritto davanti a me, fin quando sbucammo nel corridoio di poco prima, in cui trovammo Niall ed Amy ancora appoggiati al mio armadietto. Mentre ci dirigevamo a passo lento verso di loro, notai che alcuni ragazzi lanciavano occhiatacce a me, evitando di guardare Louis, ma ignorai anche loro, e sorrisi soddisfatta ai due biondi davanti a noi, quando li raggiungemmo.
Negli occhi di Niall si leggeva chiaramente “che è successo?”, ma invece che rivolersi a me, parlò con Louis.
«Tutto bene amico?» Gli chiese gentilmente, forse un po’ timoroso, stringendogli la mano, che Louis strinse a sua volta, annuendo.
«Vogliamo sbrigarci o avete deciso di marinare?» Chiese Louis ancora accanto a me, con tono scherzoso, facendo un cenno con la testa verso il grande orologio sulla parete che segnava le 8:10.
Cazzo, eravamo in ritardo di dieci minuti! Anche se non eravamo i soli nel corridoio, non volevo far tardi il mio secondo giorno, perché significava un mucchio di occhiate quando sarei entrata in classe.
«Io devo scappare, ho educazione fisica ora, ci si becca dopo» disse Niall frettoloso, salutandoci con la mano come suo solito ormai, mentre si dirigeva di corsa verso la palestra che non sapevo dove fosse.
«Voi avete lezione con me?» Chiesi io speranzosa. Non volevo essere in ritardo e pure senza amici.
«Dipende, cos’hai ora?» Amy mi prese di mano il foglio col mio orario, leggendo attentamente.
Annuiva ogni tanto, per poi sorridere allegramente riconsegnandomi il foglio.
«Per tua fortuna, abbiamo gran parte delle lezioni in comune oggi!» Disse allegra, mentre io sospirai per la gioia. Louis se ne stava in silenzio accanto a noi, spostando lo sguardo dall’una all’altra, senza mai dire niente. Quando lo guardai con piglio interrogativo lui scrollò le spalle, facendo segno con la mano di precederlo, avviandoci verso la classe di letteratura.
Grazie ai miei due nuovi amici – se così potevo chiamarli – non ci mettemmo molto a trovare l’aula, e riuscimmo ad entrarci per un pelo, prima che la porta si chiudesse.
Alla cattedra c’era una donna piuttosto giovane, forse sulla trentina, che al nostro arrivo ci sorrise gentilmente, per poi aprire il registro.
“Perfetto, nessuna presentazione imbarazzante.”
In fondo all’aula spaziosa notai che c’era una fila di banchi vuoti - composta esattamente da cinque banchi – e quando li adocchiai avvicinandomi, Amy scosse la testa mentre Louis mi tenne per un braccio.
«Che c’è?» Bisbigliai.
«Quelli sono.. occupati.» Disse Louis, bisbigliando anche lui.
Scherzava? «Ma se sono vuoti» risposi io; con un’alzata di spalle poggiai la borsa su uno di essi e mi sedetti.
Louis ed Amy si guardarono per un secondo, che sembrava un’eternità, e se non fossi stata troppo presa dalla donna alla cattedra, avrei pensato che si stessero dicendo chissà cosa con quel solo sguardo.
Finalmente poi decisero di sedersi accanto a me, Amy alla mia destra e Louis occupando l’unico banco sulla sinistra. Erano entrambi accigliati, ma li ignorai e incrociai le braccia sul banco, accavallando le gambe.
«Tu devi essere Alex» disse d’un tratto la professoressa, sorridendo e facendo voltare la classe verso di me.
E ti pareva. Ci mancava solo la scena imbarazzante del “raccontaci un po’ di te”, per cominciare la giornata.
Non successe però, infatti mi limitai ad un cenno con la testa, e la professoressa a cominciare l’appello, dopo avermi accolta con un “benvenuta”.
Era una donna che gli uomini – e i ragazzi – avrebbero definito “attraente”, ma a me ricordava un po’ una befana. Forse perché indossava degli occhiali di quelli che di solito portano le nonne, e perché aveva legato i capelli in una specie di crocchia disordinata. Forse era anche un po’ gobba, ma guardandola da davanti non potevo accertarmene; fatto sta che era comunque una bella donna. I capelli dovevano essere lunghi e folti, tra un castano chiaro e un biondo cenere, ed aveva un fisico abbastanza snello da sembrare una modella.
Appena finì l’appello, la donna si presentò come la professoressa Flack, che insegnava appunto letteratura.
Iniziò a parlare della lezione del giorno prima, che a quanto pare riguardava Amleto, ma dopo poco più di dieci minuti, fu interrotta da qualcuno che bussò insistentemente sulla porta, facendo voltare tutti in quella direzione. Non appena la porta si aprì, dopo che la prof ebbe dato il consenso ad entrare, ne spuntarono due ragazzi e una ragazza, che purtroppo conoscevo.
Ridevano tutti e tre, ma il riccio smise subito, sotto lo sguardo penetrante della professoressa. Più che penetrante, era uno sguardo strano, d’intesa, che il ragazzo ricambiò con un sorriso beffardo.
Speravo sinceramente che non fosse in atto quel che pensavo fosse in atto, o avrei vomitato la colazione di una settimana prima.
La ragazza camminò svelta verso i banchi in ultima fila – i nostri – picchiettando con i tacchi sul pavimento, sculettando peggio delle papere de “Gli Aristogatti”. Alzai gli occhi al cielo, e quando la mora si fermò davanti al mio banco, con uno sguardo tra il sorpreso e il divertito, la ignorai fingendomi impegnata a guardarmi le unghie.
«Scusa, starei seguendo la lezione» le dissi, facendo un gesto con la mano per scacciarla via. Non mi ero accorta che alcuni dei miei compagni si erano voltati verso quella scena finché non sentii dei risolini da parte di qualche ragazza, e dei grugniti da parte di ragazzi.
La mora di fronte a me non mosse un dito, ma se gli sguardi potessero uccidere, allora sotto il suo sarei morta già da un pezzo in quel momento. Mi pareva di aver visto la sua fronte corrugarsi, e le vene del collo irrigidirsi un poco.
«Te ne vai o vuoi un invito scritto?» Chiesi alla ragazza, che se ne stava ancora impalata davanti al mio banco.
La vidi stringere i pugni, forse per evitare di mettermi le mani al collo o strapparmi i capelli, ma poi il moro che era entrato con lei ed Harry, le mise una mano sulla spalla. «Lascia perdere» disse divertito alla ragazza, che sembrò calmarsi improvvisamente, e che poi sorrise maliziosamente a Zayn.
«Idioti» borbottai io, sperando di non essere sentita, evitando così una lite solo il mio secondo giorno di scuola. Non che avessi paura del confronto certo, ma avevo promesso che mi sarei comportata bene, e così avrei fatto. E poi l’avrei stesa in un battibaleno, non ci sarebbe stato divertimento.
La ragazza, rassegnata, prese fiato e si sedette al banco di fronte a quello di Zayn, che si sedette al banco libero accanto ad Amy, seguito poi da Harry, che si sedette sull’ultimo banco.
Ecco perché Louis ed Amy sembravano strani poco prima, quei banchi erano occupati dai coglioni di turno, neanche fossimo in una stupida telenovela per adolescenti.
All’improvviso un leggero calcio mi distolse dai miei pensieri e dalla lezione – che non seguivo per niente – e quando mi voltai verso la proprietaria, la vidi sorridere compiaciuta. Le sorrisi in risposta, scrollando le spalle, e un istante dopo vidi un foglio accartocciato sul mio banco, che aveva proprio le sembianze del mio primo scambio di bigliettini.
Nella mia ormai vecchia scuola, me ne scambiavo sempre con Nora, durante qualsiasi lezione, anche per scriverci una semplice faccina. Ci divertivamo a passare il tempo durante le lezioni super noiose, ma soprattutto ci divertivamo a far andare in paranoia il prof. Wilson, il cinquantenne un po’ fuori di testa che ci insegnava biologia.
Guardai con aria confusa il destinatario accanto a me, che fingeva di seguire la lezione, e poi aprii il mio primo bigliettino. Ci misi un po’ per capire la calligrafia disordinata di Louis, ma poi riuscii a leggere.
“Dovrebbero farti una statua”, diceva il biglietto.
Tirai fuori una penna dalla borsa a terra, e risposi in fretta “Addirittura?”, per poi accartocciare il bigliettino e lanciarlo sul banco di Louis, che lo prese al volo sorridendo.
Lo vidi sorridere ancora, mentre rispondeva frettolosamente con la sua grafia disordinata.
Quando alzò gli occhi verso di me, sentendosi osservato, gli sorrisi nello stesso istante in cui sentii un colpo di tosse, che quando mi voltai vidi provenire dalla professoressa, che ci guardava con segno di disapprovazione. Non disse niente però, così mimai delle scuse e mi misi composta, fingendo di seguire la lezione.
Mancavano più o meno venti minuti alla fine, e passarono in fretta, così quando l’intera classe si alzò e si diresse di corsa verso la prossima lezione, la seguii, insieme a Louis ed Amy.
Avevamo tutti e tre inglese, che era mia materia preferita, perciò fu facile non annoiarsi e seguire la lezione. Chi insegnava era la prof. Porter, una donna sulla sessantina che mi ricordava molto mia nonna, il che era un punto a suo favore, in quanto io e mia nonna andavamo molto più che d’accordo. Avevo sempre amato i professori che insegnavano inglese, anche solo per il fatto che insegnassero quella materia, perciò non mi ci volle molto ad abituarmi al suo accento del nord e al suo spigliato modo di fare. Era una donna abbastanza in carne, con dei capelli corti e biondi, con delle sfumature bianche, e gli occhi piccoli e verdi erano nascosti dietro un paio di occhiali dalla montatura spessa e violetta. Era una donna simpatica, e notai subito che ci sapeva fare coi ragazzi, specialmente quando, notando che ero “la nuova alunna” mi fece uno sguardo complice, evitandomi figure di merda in stupide presentazioni.
Alla terza ora avevo matematica, sempre insieme ad Amy, mentre Louis aveva un’altra ora di inglese. Ci salutammo in fretta e lui disse che ci saremmo visti in mensa per il pranzo, due ore dopo, in cui io mi separai da Amy per trovarmi con Niall ed andare insieme a lezione di letteratura, di nuovo. Quindi, due ore dopo ci ritrovammo all’entrata, in cui io ed Amy – che mi aveva aspettata fuori dalla classe, per poi accompagnarmi in bagno - trovammo Louis intento a parlare con Niall. Non sembravano proprio amici di vecchia data, ma erano amici, e quando li raggiungemmo ci sorrisero entrambi. Erano carini e sembravano simpatici, anche se non li conoscevo per niente ancora, ma sarebbe stato bello approfondire la loro amicizia: erano gentili – almeno Niall lo era – e di ragazzi gentili non se ne vedeva spesso in giro. Forse però, ripensando a Liam, di ragazzi gentili in Inghilterra ce n’erano parecchi.
Non appena io ed Amy arrivammo dai due ragazzi all’entrata della mensa, si udì un baccano alle nostre spalle, e non feci in tempo a girarmi che qualcosa, o meglio, qualcuno, mi venne addosso di tutto peso, facendomi quasi cadere. Quasi.
«Ma sei stupido!? Gli occhi ce li hai in culo oppure..» sbottai contro al ragazzo che mi aveva quasi fatta cadere, per poi bloccarmi quando notai chi era il ragazzo.
Lui si portò una mano dietro al collo, un po’ in imbarazzo, sorridendo timidamente.
«A quanto pare dobbiamo scontrarci sempre» disse poi, chinandosi per raccogliere la tracolla che mi era caduta per la sua innata stupidità nel travolgere le persone. Parlando appunto di persone gentili, o come si dice, parli – anche se lo avevo solo pensato – del diavolo e spuntano le corna.
«Fanculo, mi hai fatto male stavolta» mi lamentai io, massaggiandomi la spalla su cui aveva urtato lui.
«Scusa, Zayn ha scommesso che chi arrivava ultimo avrebbe pagato il pranzo, così ho dovuto correre fin qui, non l’ho fatto apposta e..» lo interruppi, prima che cominciasse il monologo che sembrava stesse per cominciare.
«Fa’ niente, non me l’hai mica rotta la spalla.» Sorrisi al ragazzo, che ricambiò il sorriso timidamente. La botta mi aveva fatto male, certo, ma non era niente di grave. Al massimo mi sarebbe venuto un piccolo livido in giornata, ma sarebbe passato in men che non si dica.
Liam si avvicinò un po’, prendendo la mano con cui mi stavo massaggiando la spalla, per poi posare il braccio sulla mia “spalla buona”, facendo segno a me e gli altri di entrare in mensa.
«Non stavi facendo una scommessa tu? E poi cos’è questa confidenza?» Chiesi accigliandomi, indicandogli il suo braccio sulla mia spalla. Lui rise, e ci seguì in fila per prendere il pranzo.
«Se avessi saputo che saresti venuta in mensa, non avrei accettato la scommessa e sarei venuto direttamente da te, ma comunque sia ho vinto io.» Disse sorridendo compiaciuto, facendo un cenno con la testa verso la porta, da cui entrarono due ragazzi – un riccio e un moro – piuttosto affaticati, che non appena notarono il loro amico accanto a me, in fila, ci raggiunsero.
«Ti sei arreso Liam?» Chiese Zayn al ragazzo accanto a me, con il respiro affannato. L’altro ragazzo, Harry, si guardò intorno, forse in cerca di qualcuno, per poi lanciare un’occhiata a me e deridere Liam.
«Ho solo deciso di fare uno strappo alla regola e di pranzare con tua sorella» disse Liam. Rabbrividii al sentirmi chiamare “sorella”, ma feci finta di niente e mi guardai intorno, cercando i miei amici, che seguivano la scena dall’inizio della fila per il pranzo.
All’affermazione di Liam, Harry scoppiò a ridere, ma si fermò non appena Zayn gli lanciò un’occhiataccia, forse infastidito dall’appellativo con cui Liam mi aveva chiamata. Perfetto, voleva una sorellastra quanto io volevo un fratellastro; non avremmo avuto problemi a cercare di andare d’accordo quindi.
«Come vuoi, a dopo» concluse la conversazione il moro, guardando un’ultima volta Liam, per poi sparire con il riccio.
«Dov’è che pranzano?» Chiesi a Liam, che con una scrollata di spalle e un cenno del capo aveva salutato i due.
«Qui, ma di solito prendiamo il pranzo al bar qui di fronte, sai, il cibo della scuola fa piuttosto schifo» rispose lui accigliato, indicandomi il cibo smorto che se ne stava nel carrello-frigo in attesa di essere digerito da qualcuno. Sembrava vecchio di cinquant’anni, ed ero sicura che l’uvetta sul dessert non fosse uvetta.
«Che schifo» dissi facendo una smorfia, guardando il “cibo”.
Avevo deciso di non suicidarmi il secondo giorno di scuola – piuttosto avrei mangiato il pappone che aveva preparato Nicole quella mattina – così io e Liam, che si trovò d’accordo con me, ci dirigemmo verso uno dei tavoli liberi. Niall, Louis ed Amy ci raggiunsero poco dopo, con i loro vassoi stracolmi di cibo.
«Ma come fate a mangiare quella roba?» Chiesi sprezzante quando i tre si sedettero attorno al tavolo tondo.
«Sai, non tutto quel che vedi è come sembra» disse Louis, inforcando la forchetta e mettendo in bocca il primo boccone di quel che doveva essere pasta al burro.
«Sai, preferirei morire di fame che farlo ingerendo una di quelle.. cose.»
«Sono buone davvero sai, almeno queste polpette sì» disse Niall, infilandosi una polpetta intera in bocca.
«Grazie, ma per stavolta passo.» Che schifo, non avrei mai messo in bocca una qualsiasi cosa che provenisse da quella mensa. Quindi presi nota mentalmente di portarmi il pranzo – o i soldi – da casa, il giorno dopo.
«Allora pranziamo insieme?» Chiese tutto a un tratto Liam, guardando me che guardavo Niall ingozzarsi.
Amy stava ridendo per il modo di fare del biondo, mentre Louis con tono da maestrina gli diceva di masticare a bocca chiusa, ma appena Liam parlò tutti e tre smisero di fare quel che stavano facendo, per guardare prima il ragazzo e poi me.
«Come?» Chiesi io un po’ distratta.
Liam rise, e poi ripeté la domanda, sempre nel silenzio che aleggiava da qualche secondo. «Pranziamo insieme?»
«Sì.. va bene.» Accettai, un po’ incerta. Liam era un bel ragazzo, oltretutto anche gentile, quindi ci saremmo divertiti a pranzare insieme, no?
I miei tre amici, che ancora tacevano, mi guardarono, per poi riprendere a fare quel che facevano poco prima come se niente fosse. Ma che avevano?
Un quarto d’ora dopo, mentre la campanella continuava a suonare per segnare la fine del pranzo, ci alzammo all’unisono e dopo aver buttato i vassoi ormai vuoti, ci dirigemmo all’uscita, per tornare a lezione.
Non mi accorsi di Zayn ed Harry accanto a noi finché Liam non si fermò.
«Zayn» disse all’amico, che si fermò anche lui. Io e gli altri eravamo arrivati all’entrata della mensa, e guardavamo la scena da lì.
«Devo andare a lezione» rispose Zayn guardandosi intorno.
«Farò in fretta allora.» Disse Liam, grattandosi la testa. «Volevo solo avvisarti che non verrò a pranzo con voi dopo.»
«Ah sì?» S’intromise Harry, lanciando un’occhiata al nostro gruppo. «Che c’è? Te la fai con gli sfigati adesso?»
Imprecai mentalmente, lottando contro me stessa per non buttarmi su di lui e strappargli tutti i ricci. «Imbecille.» Borbottai, incrociando le braccia sul petto.
«Non sono sfigati, e poi vado a pranzo fuori con Alex.» Rispose Liam all’amico.
Dava le spalle alle porte della mensa, perciò non potei vedere la sua espressione, ma pur non vedendolo, sapevo che aveva un’espressione accigliata, che diceva che disapprovava il comportamento dell’amico.
Aveva fatto quell’espressione più di un paio di volte, a casa mia, il giorno prima, durante il nostro battibecco su Romeo e Giulietta, e più di un paio di volte io avevo riso di quella espressione.
«Lo dici tu» borbottò Harry, nello stesso instante in cui Zayn disse un semplice “ok”.
«Allora ci si vede» concluse la conversazione Liam, alzando una mano in segno di saluto.
Zayn ed Harry seguirono l’amico finché non arrivò accanto a noi, e quando guardai male Harry, lo vidi dire qualcosa a Zayn, che ci guardava accigliato.
Idioti.
Mancavano ancora due ore alla fine delle lezioni, e passarono piuttosto in fretta.
Dopo aver “pranzato”, ognuno si diresse verso la propria lezione: io, Liam ed Amy, che avevamo lezione insieme, ci dirigemmo verso l’aula in cui poco prima avevamo avuto letteratura, stavolta per matematica però. Una cosa che mi piaceva di quella scuola – oltre al fatto che fosse grande – era che le lezioni si svolgevano nelle stesse aule – nonostante ce ne fossero parecchie - alternandosi con le materie, come facevamo in America.
Il professore che entrò con dieci minuti di ritardo, era quello dall’aria trasandata del giorno prima, durante la riunione in aula magna. Anche oggi portava un papillon, di colore rosso però, che era in tinta con i pantaloni rossi. Si era presentato come il professor Finchel, e pure se aveva un’aria simpatica – oltre che trasandata – era un po’ sfigato. Probabilmente viveva ancora in casa con la madre, non avendo mai avuto nessuna donna, e viveva di gatti e telenovele strappalacrime.
A guardarlo sistemarsi per l’ennesima volta gli occhiali sul naso, mi venne in mente un’idea stupida, che scacciai via subito.
Amy aveva preso di nuovo posto accanto a me, mentre Liam sedeva al banco in cui ore prima si trovava Harry, ed io al posto che prima occupava Louis.
Mentre il professore trasandato cominciava la lezione, chiamando Liam alla lavagna facendogli svolgere chissà quali equazioni, iniziai a guardarmi intorno. I compagni con cui ero in classe prima erano cambiati, anche se notai qualche viso familiare tra di loro, tra cui le due bionde amiche di Nicole e della mora che si credeva la Regina Elisabetta. Quando si accorsero che le guardavo, fecero una smorfia e mi guardarono con disprezzo. Idiote pure loro, pensai. Ma era mai possibile che tutti in quella scuola dovevano essere o troppo gentili o troppo snob?
Iniziai a seguire la lezione – o meglio, Liam che svolgeva delle cose a me incomprensibili – proprio quando qualcuno bussò alla porta, e ne entrò il moro dagli occhi ipnotici, Zayn. Se anche lui aveva matematica, era piuttosto ritardatario dato il ritardo che aveva fatto anche qualche ora prima. Però non entrò né chiese scusa per il ritardo, semplicemente si guardò intorno, finché i suoi occhi non si posarono su di me.
«Potrebbe uscire un attimo Alex?» Chiese serio al professore, che sembrò spaesato.
«Chi?» Si sistemò ancora gli occhiali sul naso, aprendo il registro per cercare la sconosciuta, ovvero io.
Sbuffai, alzandomi. «Sono io.»
«Oh, benvenuta!» Disse allegro il signor Finchel, tornando sul pianeta terra. «Lei dev’essere la nuova alunna» continuò, sistemandosi per la millesima volta gli occhiali che continuavano a ricadergli sul naso. «Non l’avevo notata, mi scusi» sorrise l’uomo, per poi farmi cenno con la mano di uscire.
«Cazzo se è strambo» dissi una volta uscita fuori, con Zayn al fianco, che sorrise.
«E ancora non lo hai visto ballare» rise lui, mostrando dei denti bianchi perfetti, e un sorriso perfetto e quei suoi occhi..
«Volevo solo lasciarti le chiavi di casa» disse tutto a un tratto, guardandomi accigliato. Molto probabilmente la mia faccia aveva cambiato colore, guardandolo sorridere, ma sperai non fosse così, o che almeno non lo avesse notato.
«Perché? Non vai a casa tu?» Chiesi, fingendo che la mia stupidità non fosse stata evidente.
«No» si passò una mano tra i capelli, pettinati in modo impeccabile. «Vado da Harry e resto a cena da lui, e Nicole penso vada da Madison.»
«Chi è Madison?» Chiesi ingenuamente.
«E’ quella che vorrebbe sbranar..» cominciò sorridendo, ma lo interruppi. Era la mora, ovvio.
Avevo sempre trovato “Madison” un nome brutto; le calzava a pennello.
«Va beh, non m’interessa» dissi un po’ brusca, afferrando le chiavi che teneva in mano. «Grazie per le chiavi.»
Mi voltai e misi la mano sulla maniglia dell’aula, e lo sentii ridere.
«Divertiti con Payne» disse allontanandosi.
Ma perché diavolo rideva sempre? Ero così divertente?
Quando rientrai in classe sentivo addosso lo sguardo di Liam – che nel frattempo aveva finito le sue equazioni - ma non ci feci caso e tornai al mio posto, notando un foglio stropicciato a terra, accanto alla mia sedia. Lo raccolsi e lo aprii sotto il banco, per non farmi vedere.
“Sì, addirittura” c’era scritto, accompagnato da una faccina sorridente. “E comunque, mi hai rubato lo stile!”
Era il bigliettino che Louis aveva cercato di mandarmi qualche ora prima, ma che gli fu impossibile a causa del professore che ci aveva colti sul fatto. Non avevo fatto caso all’abbigliamento di Louis quella mattina, ma ripensandoci aveva una maglietta a righe bianche e azzurre, con dei pantaloni dello stesso azzurro. Sorrisi pensando al suo buon gusto nel vestire, dato che eravamo praticamente vestiti uguali.
A interrompere i miei pensieri fu Liam, che tornando al suo posto, bisbigliò un “pss” per farmi voltare verso di lui. «Che c’è?» Chiesi bisbigliando.
«Che voleva?»
«Chi?» Domanda stupida.
«Zayn!» Rispose bisbigliando.
«Oh, nulla. Mi ha dato le chiavi di casa.» Gli mostrai le chiavi che avevo messo in tasca, e poi tornai a seguire la lezione.
Gli ultimi venti minuti di lezione passarono in fretta, come l’ultima ora e le ore precedenti, così, al suono della campanella, Liam mi affiancò mentre ci dirigevamo all’uscita, per andare a pranzo insieme.
Quando uscimmo, davanti al grande cancello c’erano Louis e Niall che ci aspettavano, ma sembravano – o meglio, Louis sembrava – piuttosto nervosi. Il perché era ovvio: Harry Styles era accanto a loro, probabilmente rompendogli le palle con qualche sua battutina come quella di ore prima in mensa.
Affrettai il passo, seguita da Liam, e non appena raggiungemmo i tre – circondati da un piccolo gruppo di studenti – mi posizionai accanto a Louis, in posizione di difesa come spesso facevo quando qualcuno attaccava Nora.
«Che cazzo vuoi?» Chiesi rabbiosa ad Harry, che rideva insieme ad alcuni studenti di una battuta che aveva fatto poco prima.
Lui mi guardò in cagnesco, squadrandomi dalla testa ai piedi. «Che vuoi tu, piuttosto.» Rispose col mio stesso tono. «Ci stiamo divertendo qui, vuoi unirti a noi?» Chiese con un che di malizioso, ridendo di gusto guardando un Louis incazzato.
Feci un passo in avanti, per pararmi davanti al mio amico e prendere a sberle il riccio, ma Liam mi precedette, mettendo un braccio davanti a me, probabilmente avendo intuito le mie intenzioni.
«Va’ a farti un giro Styles.» Disse con un tono secco all’amico.
«Ma che vuoi, Liam?» Replicò Harry incazzato, guardando un po’ confuso l’amico.
Lo fissò per quel che parve un’eternità, per poi guardare me e poi di nuovo lui. «Ho capito..» disse guardando Liam «Ti piace, non è così?» Rise beffardo, per poi fare un cenno con la testa in segno di disapprovazione.
«Perché non segui il suo consiglio e te ne vai?» Gli chiesi io, incrociando le braccia sul petto e guardandolo con aria di sfida.
«Wow.» Continuò il riccio, guardando rispettivamente me, Liam, Niall – che stringeva i pugni come per trattenersi dallo sferrare un pugno ad Harry - ed infine Louis. «Che c’è Tomlinson, ti fai difendere ora?»
«Sbagli Styles» replicò Louis in tono freddo. «Si chiama amicizia, ma tu non puoi saperlo perché non sai cos’è.» Detto questo, raccolse lo zaino da terra e se ne andò.
Guardai confusa Liam e Niall, per poi lanciare un’occhiataccia ad Harry e raggiungere Louis, insieme a Niall.
Voltandomi, vidi Liam parlare con Harry, e sembrava piuttosto incazzato. Mi sorprendeva la sua galanteria - se così si può chiamarla – dato che non mi era parso che lui e Louis fossero amici.
Louis aveva affrettato il passo, e feci un po’ fatica a raggiungerlo, ma quando lo feci e cercai di trattenerlo per un braccio, lui si scostò e continuò a camminare. A quel punto mi fermai, non sapendo che fare, dato che lui aveva più muscoli e chili di me, quindi mi sarebbe stato impossibile fermarlo con la forza.
Niall, che era rimasto indietro, si fermò accanto a me quando mi raggiunse, e quando ci guardammo, ci scambiammo uno sguardo d’intesa, prima che lui disse «Tu va’, ci penso io a lui.»
Prima che andasse dietro a Louis, tirai fuori un quaderno dalla borsa, strappandone un foglio e scrivendoci sopra il mio numero di cellulare. «Daglielo» dissi a Niall, porgendogli il foglio. «Digli che può chiamarmi a qualsiasi ora, se ne ha bisogno.» Il biondo annuì, prendendo il foglio, per poi sparire tra la folla di studenti e raggiungere Louis, di cui ormai non c’era traccia.
Non sapevo perché gli avessi lasciato il mio numero, forse era stata una cosa stupida, ma anche se lo conoscevo da poco mi era simpatico, e quando mi aveva sorriso qualche volta il giorno prima, lo avevo trovato carino. Mi dispiaceva vederlo star male o incazzarsi per qualche imbecille come Harry.
Rimasi lì nel piazzale per pochi minuti, finché non sentii qualcuno al mio fianco, Liam.
«Andiamo a pranzo?»
Annuii, e ci dirigemmo a piedi in un piccolo pub a pochi isolati di distanza dalla scuola.
Si trovava esattamente sulla Madison Road, che era una via piuttosto carina, con tanti negozi e bar.
Il pub era piccolo e carino, e all’entrata c’era una grande insegna al neon con su scritto “The old house”. L’interno era caldo e accogliente, e subito sulla sinistra si estendevano vari tavolini e panche di legno, mentre sulla destra c’era il bancone, cui dietro stava un uomo barbuto sulla quarantina, che ci accolse con un sorriso che ricambiammo.
Ci accomodammo ad un tavolo in fondo al pub, e subito ordinammo: io presi un semplice toast con una Coca – non avevo molta fame dopo la scenata di poco prima – mentre Liam prese un hamburger a doppio strato, con patatine fritte e una birra.
Dato che nessuno dei due parlò, iniziai a guardarmi intorno, posando lo sguardo sui vari poster e quadri appesi qua e là, per decorazione.
Le nostre ordinazioni arrivarono subito, e non appena il ragazzo addetto al servizio si dileguò, Liam parlò.
«Mi dispiace per prima..» disse tenendo lo sguardo basso sul piatto.
«Non è colpa tua» risposi guardandolo. Era vero, lui non c’entrava col comportamento di Harry, anzi, aveva anche difeso Louis, più o meno. Aveva dimostrato ancora una volta di essere gentile, il che era un punto a suo favore.
«Lo so, ma Harry è amico mio, perciò mi sento in dovere di scusarmi» continuò lui, stavolta alzando lo sguardo. «E’ un coglione, la maggior parte delle cose che dice, le dice senza pensarci. Mi dispiace per come ha trattato Louis, qualunque cosa sia successa.»
«Non vanno molto d’accordo, eh?» Risi con amarezza, bevendo un sorso di Coca-Cola.
«Già. Anche se prima erano amici, migliori amici forse.»
«Come scusa?» Non ci credevo. Non potevano esser stati migliori amici ed ora essere così ostili l’uno nei confronti dell’altro, anche se piuttosto era Harry che ce l’aveva con Louis, per chissà quale motivo.
«Erano migliori amici.. credo. Non ci ho mai capito molto della loro situazione, ma ad ogni modo, credo che di questo debba parlartene Louis.» Disse gentilmente, abbozzando un sorriso.
«Già.» Risposi, abbassando lo sguardo sul toast. Non credevo che Louis mi avrebbe mai raccontato qualcosa, non tanto perché non eravamo così intimi da confidarci, quanto perché avevo visto che ci stava male, mentre poco prima Harry lo derideva. Di certo non sarebbe stato un argomento facile per lui da raccontare, perciò avrei aspettato di conoscere la storia finchè non avesse deciso lui di parlarne, un giorno.
Il pomeriggio passò lentamente, tra un boccone e una chiacchierata, mentre con Liam parlavamo del più e del meno e scherzavamo su quanto strano fosse il professore di matematica, quello strambo. Liam mi chiese del mio primo giorno, del trasferimento e di com’era la mia vecchia casa. Gli raccontai anche di Nora e di Jake – tralasciando la sua cotta e il fatto che non fossimo più amici – e della mia esperienza al collegio, di cui lui rise a crepapelle sui dettagli che gli diedi riguardo il mio “cattivo comportamento”.
Mi veniva spontaneo confidarmi con lui, anche se ci eravamo conosciuti da poco. Era simpatico e gentile, ed anche piuttosto dolce, oltre che molto ma molto bello. Mi piaceva vedergli illuminarsi gli occhi quando vedeva qualcosa che gli piaceva, o come li chiudeva quando rideva così tanto da avere male allo stomaco.
Eravamo rimasti al pub per un’ora buona, dopo aver finito di pranzare.
«Ci vieni al ballo di Halloween?» Mi chiese tutto a un tratto.
In realtà non ci avevo ancora pensato, ma appena avevano dato la notizia di un ballo imminente, il giorno prima, mi ero sentita piuttosto eccitata per l’occasione. Mi piacevano i balli, e amavo la festa di Halloween.
«Penso di sì, sì.»
«Allora..» cominciò, guardando il tavolo, un po’ in imbarazzo, per poi fissare gli occhi color nocciola nei miei. «Ti andrebbe.. non so, di andarci insieme?»
Per un momento rimasi spiazzata, ma non ci pensai due volte. «Sì.» Risposi semplicemente, sorridendo.
Liam sospirò, chiaramente sollevato dalla risposta. «Bene» sorrise. «Sai già da cosa ti maschererai?» Chiese divertito.
Non lo sapevo, ma sapevo che come al solito avrei cercato il vestito perfetto all’ultimo minuto, ottenendo stress e calli ai piedi, dovuti alle lunghe camminate per i negozi alla ricerca di quello.
«Sinceramente no, ma quando l’avrò scelto ti avvertirò, magari ci vestiamo a coppia.» Sorrisi, e lui con me.
«Potremmo fare la Bella e la Bestia, ma poi tu dovresti fare la bestia perché io sono il bello» scherzò lui, facendomi ridere.
«O magari potremmo vestirci da King Kong e la sua tipa, di cui non ricordo il nome» dissi pensierosa, tentando di ricordare la bionda del film. «Tu saresti perfetto per fare lo scimmione, ed io per fare la donzella in pericolo.» Sorrisi maliziosamente, mentre lui rise.
«Parlando di donzelle.. allora potresti fare tu Cenerentola ed io il principe, anche se non ti ci vedo a fare una ragazza dalle buone maniere» scherzò ancora. Aveva ragione però, non mi ci vedevo neanch’io nei panni di Cenerentola, ma era questo il bello dell’indossare una maschera: fingersi qualcuno che non si è. E poi, avevo sempre amato Cenerentola, anche se quando ero piccola preferivo la storia della Sirenetta alle altre della Disney.
«Se mi trovi delle scarpette di cristallo, allora vada per Cenerentola.» Dissi decisa. Ce lo vedevo Liam come principe: conosceva le buone maniere, e l’aspetto del principe ce l’aveva. «E comunque non sottovalutarmi» continuai io, mentre lui sorrise per la scelta delle maschere. «So essere una gentildonna anch’io sai?» Finsi di essere offesa, e quando lui scoppiò a ridere non seppi se era per quel che avevo detto o se per l’espressione che avevo. Forse per entrambe le cose.
«Che diavolo ridi?» Chiesi scherzando, mentre lui si calmava un po’.
«Beh, hai appena detto la stupidaggine del giorno, o forse del secolo.» Disse tra una risata e l’altra. «Ti conosco da due giorni e ti ho sentita dire più parolacce di quante ne abbia sentite in vita mia.»
«Evidentemente i tuoi genitori ti hanno educato per bene» dissi con finto fare da snob, bevendo l’ultimo sorso di Coca-Cola.
Il resto del pomeriggio passò così, tra battute e risate, e quando venne il momento di tornare a casa, quasi me ne dispiacqui. Mi divertivo con Liam, ma sicuramente saremmo usciti di nuovo nel corso della settimana.
Si erano fatte le 18 quando arrivai a casa, accompagnata da lui, che però decise di non entrare. Disse che doveva aiutare il padre a riparare non so cosa - non avevo capito bene di cosa parlasse, dato che si trattava di auto – perciò quando arrivammo davanti al cancello di casa mia, mi salutò con un abbraccio veloce e con un “ci vediamo domani”, facendo un sorriso dei suoi, timido e gentile.
Quando entrai in casa, era completamente buia, così mi diressi al piano di sopra, prendendo l’asciugamano da doccia e dirigendomi in bagno. Quel giorno faceva piuttosto freddo, perciò mi sarei concessa almeno mezz’ora sotto il getto caldo. Avrei potuto rilassarmi e poi mettermi comoda a leggere qualche bel libro, finché non fosse arrivata l’ora di cena.
Entrai in bagno, presi l’iPod dalla tasca dei pantaloni e misi su la playlist che ascoltavo di solito mentre facevo la doccia, facendo partire “Parfume” delle Parade. Tolsi in fretta i vestiti, mentre il getto della doccia si riscaldava, e poi mi ci buttai sotto a capofitto, lasciando che il getto caldo mi riscaldasse, mentre intonavo qualche nota della canzone.




Myspace: okay, chiedo scusa per non so cosa (?) ma chiedo scusa çç cioè, il capitolo è pronto da sabato, ma sabato sono andata da mia cugina e ieri mi è venuta la febbre, quindi non ho potuto postarlo D: però è stato meglio così, perché oggi mi è venuta in mente una scena e quindi l’ho fatto un po’ più lungo uù (ben 10 pagine di word, AMATEMI) ahahah. boh, non so che dire se non grazie infinitamente alle persone che hanno messo la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, cioè vi amo, sul serio çwwç se magari volete leggere qualche altra mia fan fiction (?) ne ho iniziate altre due, che potete trovare qui http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=158579 uù anyway, so che nell’altro capitolo avevo scritto che sarebbe successo qualcosa con louis, ma alla fine ho optato per far succedere “qualcosa” con liam, perché volevo aspettare un po’ per far diventare amici amici (?) alex e louis èé ma ad ogni modo, in caso qualcuno si fosse preoccupato dell’orientamento sessuale di louis (in quanto in un capitolo ha chiesto ad alex se fosse omofoba) vi spoilero (perché sono buona uu) che non è gay! ahahahah vedrete poi uù spero che questo capitolo vi piaccia, perché dico sinceramente che a me piace, non so perché *u* se vi aspettate il ballo di halloween nel prossimo capitolo, mi dispiace deludervi ma dovrete aspettare il capitolo dopo il prossimo (?) o forse il prossimo al prossimo (?), vedremo. nel frattempo vi dico solo che sti giorni mi sono venute in mente un po’ di belle scene per la fan fiction, che mi piacciono un sacco e che quindi spero non vi deludano çç
spero che questo capitolo vi piaccia, in quanto è più lungo di tutti gli altri, e che recensiate ovviamente, perché mi fa piacere leggere le vostre recensioni, cioè siete tutte dolcissime sadsdfgefbfdgtfg <3
comunque, se avete twitter (lo so che lo avete uù) mi seguite qui http://twitter.com/#!/69withpayne per favore? çç mi hanno bloccato il vecchio account (wantmalikspenis) quindi ho dovuto farne uno nuovo e vi giuro, sono tipo super depressa çwwç oltretutto ieri mi è venuta l’influenza, quindi chiedo scusa in anticipo se posterò in ritardo in questa settimana, anche se credo che posterò piuttosto recentemente date le scene che mi sono venute in mente uù beh, leggete e recensite bellezze <3 ps: sì, la flack è QUELLA flack AHAHAHAHAHAHAH ma vi prego, non odiatemi çç l'ho messa solo per poterla insultare a piacimento ahahahah quindi praticamente vi ho spoilearto che alex e lei non andranno molto d'accordo, ma ok u.u bye!

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Capitolo 8
*** chapter eight; ***


Quando uscii dalla doccia, guardai l’orario sul display dell’iPod, che segnava le venti precise. Ci avevo messo più o meno quaranta minuti, ma mi ero presa del tempo sotto il getto caldo e rilassante.
Mi avvolsi subito nell’asciugamano caldo, prendendo l’iPod e uscendo dal bagno. Le luci dei corridoi erano spente come le avevo lasciate, il che voleva dire che avevo ancora casa libera.
Entrai in camera e dopo essermi asciugata per bene, indossai l’enorme maglia viola della New York University che mi aveva regalato Tyler il mese prima, con sotto un paio di culotte. Asciugai al volo i capelli col phon, lasciandoli come sempre mossi naturali, e poi presi l’iPod, con tanto di cuffie, e il libro di Twilight, dirigendomi al piano di sotto.
Era l’ora di cena, ma dato che non avevo ancora abbastanza da fame da tentare di cucinare, decisi di aspettare che tornasse a casa qualcuno e far cucinare e lui, a patto che non fosse Nicole. Avrei preferito morire di fame.
Appena arrivai in salotto, accesi l’iPod mettendo su “Who let the dogs out” degli Baha Man, e mi buttai sul divano, sdraiandomi tenendo le gambe in aria, muovendole a ritmo della canzone. Di solito ascoltavo canzoni lente mentre leggevo, per non distrarmi dalla lettura, ma quella canzone mi ispirava, così, insieme al movimento delle gambe, iniziai a canticchiarla mentre iniziavo a leggere quel libro per l’ennesima volta.
Twilight era uno dei miei libri preferiti, e pure se trovavo che i film avessero rovinato alcuni dei libri della saga, erano anch’essi tra i miei preferiti, in quanto avessi sempre amato le storie su fantasmi, vampiri e cose simili.
“Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, nonostante nei mesi precedenti ne avessi avuta più di un’occasione, ma di sicuro non l’avrei immaginata così.
Con il fiato sospeso, fissavo gli occhi scuri del cacciatore, dall’altra parte della stanza stretta e lunga, e lui ricambiava con uno sguardo garbato.
Era senz’altro una bella maniera di morire, sacrificarmi per un’altra persona, qualcuno che amavo. Una maniera nobile, anche. Conterà pur qualcosa.”
Quelle parole, si mischiavano a quelle della canzone che continuavo a canticchiare, e continuai a leggere, immergendomi del tutto nel libro, nel personaggio che tanto amavo.
“Sapevo che se non fossi mai andata a Forks non mi sarei trovata di fronte alla morte. Per quanto fossi terrorizzata, però, non riuscivo a pentirmi di quella scelta. Se la vita ti offre un sogno che supera qualsiasi tua aspettativa, non è giusto lamentarsi perché alla fine si conclude.”
When the party was nice, the party was jumpin’
“Il cacciatore fece un sorriso amichevole e si avvicinò con passo lento e sfrontato, pronto a uccidermi.”
Voltai pagina nello stesso istante in cui la canzone finì, lasciando il posto a “Naive” dei The Kooks, ma non appena iniziai il primo rigo, un’ombra si piazzò davanti al divano, coprendomi così la luce.
Zayn fece capolino, guardandomi sorridente dall’alto, con in bocca un biscotto, un bicchiere di latte in una mano e il telecomando nell’altra.
«Ti sposti? Mi stai facendo ombra.» Dissi infastidita, riprendendo a leggere. Lui però non si spostava, il che non mi permetteva di tornare al mio libro.
Lo chiusi quasi sbattendolo, alzandomi dal divano e togliendomi una cuffia. «Allora? Vorrei tornare al mio libro, sai com’è.»
Lui tentò di ridere – “tentò” perché teneva ancora in bocca il biscotto – mentre mi squadrava da cima a fondo, con sguardo curioso.
A quel punto abbassai lo sguardo sulle mie gambe, che avevo scordato fossero coperte solo per metà coscia dall’enorme maglia, che tirai subito giù intenta a coprirle il più possibile.
Merda, che figura.
Zayn continuava a fissarmi divertito – stavolta non fissando le mie gambe – così sbottai. «Vuoi una foto o te ne vai? Vorrei leggere, sempre che tu sappia come si fa.» Okay, forse non dovevo insultarlo su cose stupide come quella, ma trattarlo in quel modo era l’unica soluzione al mio essere impacciata quando c’era lui nei paraggi.
Forse gli insulti con lui funzionavano, perché si tolse il biscotto dalla bocca, accigliandosi. «Tu vuoi leggere ed io guardare la tv» cominciò. «Quindi se magari non occupi tutto il divano, ognuno può fare quel che vuole fare senza rompere all’altro.»
Aveva ragione, ma se fosse arrivato prima magari non avrebbe interrotto la mia lettura.
Subito mi si accese quel che la gente chiama lampadina, e incrociando le braccia sul petto lo guardai con appiglio. «Scusa ma tu non dovevi uscire?»
Scrollò le spalle, dando un morso al biscotto e sedendosi sul posto in cui prima penzolavano le mie gambe.
«Ho cambiato idea.»
Scrollai le spalle anch’io, sedendomi poi accanto – ma il più possibile lontano – a lui, che mi scrutava curioso.
«Tu non dovevi uscire con Liam?» Chiese poi.
«Siamo usciti infatti, sono tornata un’ora fa.»
Zayn sembrò pensarci un po’ su, ma senza aggiungere altro accese la tv, mentre io misi di nuovo le cuffie.
«Ah, c’è un telefono che squilla, credo sia il tuo» aggiunse tutto a un tratto, prima che premessi il tasto “play”.
«E che aspettavi a dirmelo?» Mi alzai sbuffando, scuotendo la testa mentre lui rideva divertito.
«Non volevo interrompere la canzone» urlò dal divano mentre sparivo su per le scale.
Lo mandai a farsi fottere mentalmente, sorridendo subito dopo. Quel ragazzo mi faceva uno strano effetto, non riuscivo ad essere incazzata con lui come facevo con tutti gli altri.
Non appena misi piede al piano di sopra, sentii la suoneria del mio cellulare, e piombando in camera lo afferrai di tutta fretta. Risposi senza guardare il numero sul display, ma non appena la voce parlò, riconobbi la persona dall’altra parte della cornetta.
«Alex.» Sospirò, quasi fosse sollevato per il fatto che avessi risposto.
«Louis.» Sorrisi, cosa che lui non poté vedere ma che sicuramente sentì, dato che lo sentii sorridere poi dall’altra parte della cornetta. «Ti sei deciso a chiamare, finalmente» continuai io, dato che lui non parlava.
«Già. Volevo ringraziarti per il numero e per, ecco.. per oggi.»
«Non c’è problema, Lou, non ho fatto niente.» Risposi al ragazzo che rise, molto probabilmente per il modo in cui l’avevo chiamato. Mi era venuto spontaneo chiamarlo così, anche se mi ricordava un po’ un nome da gatti.
«Sì invece, nessuno ha mai preso le mie difese in quel modo, nemmeno Niall, e tu beh» prese fiato, forse cercando le parole giuste. «Tu non mi conosci neanche..» rispose infine.
Era ovvio che se avessimo affrontato la questione, avremmo parlato di quel che avevo fatto io, ma non ci avevo pensato prima, perciò non seppi che rispondere. Avevo preso le sue difese perché non trovavo giusto che quell’imbecille del nudista lo trattasse a quel modo, anche se non sapevo esattamente cosa fosse successo, né trovavo giusto far finta di niente quando il giorno prima avevo detto a Louis che gli avrei dato una “possibilità”, che non lo avrei trattato male. Lo avevo difeso perché era la cosa giusta da fare, e se nessun altro lo avesse fatto, beh, era un motivo in più per difenderlo da’ me.
«Allora ecco un buon motivo per farlo» risposi dopo un attimo di silenzio, sorridendo.
«Conoscermi? Non credo sia una buona idea.» Il suo tono era diventato improvvisamente freddo, il che mi spinse ancor di più al volerlo conoscere, e soprattutto a capire quei suoi “sbalzi d’umore”.
«Perché non lo lasci decidere a me?» Tentai di essere il più dolce possibile, sperando che il suo tono tornasse quello di poco prima e che quindi si calmasse.
Louis sospirò, come se stesse prendendo una decisione. «E va bene, come preferisci.» Disse infine.
«Allora ci vediamo domattina, 7.30 a casa mia» lo dissi seriamente, ma con tono scherzoso, sperando che non riattaccasse o tornasse di nuovo freddo.
«Mi stai invitando a fare colazione da te, o stai solo cercando di scroccare un passaggio?» Rise, il che mi fece sorridere. Lo conoscevo da più o meno tre giorni, eppure c’era qualcosa che mi attirava a conoscerlo, nonostante quei suoi sbalzi d’umore.
Tornai alla conversazione, ridendo di rimando al ragazzo in attesa di una risposta. «Entrambi, perciò sii puntuale, o la colazione te la scordi!» Urlai quasi alla cornetta, sorridendo e riattaccando prima che Louis potesse ribattere.
Non avevo intenzione di attaccargli il telefono in faccia, e sperai seriamente che non lo avesse pensato. Sicuramente non lo avrebbe fatto però.
Ero ansiosa di tornare al mio libro, così lanciai il cellulare sul letto e corsi di sotto, precipitandomi sul divano in cui Zayn era appollaiato a guardare la tv.
Non appena tornai in salotto, Zayn si voltò verso di me, seguendomi con lo sguardo finché non mi sedetti.
«Che c’è?» Chiesi di nuovo infastidita dal suo sguardo. O meglio, ero infastidita dal modo in cui mi guardava, anche se avrei voluto che quei suoi occhi così perfetti restassero fissi nei miei tutto il tempo.
Dovevo smetterla di pensare certe cose, o sarebbe finita male. Per me ovviamente. Nessun ragazzo era mai riuscito a farmi lo stesso effetto che mi faceva lui, anche solo guardandomi. Soprattutto guardandomi. Avrei potuto restare un giorno intero a fissare quei suoi capelli corvini sempre pettinati perfettamente, o anche quei suoi occhi nocciola così magnetici. Oppure il suo sorriso, così perfetto e dolce allo stesso tempo.
Forse dolce no, perché non lo avevo ancora mai visto sorridere dolcemente per qualcosa o a qualcuno, anche se sicuramente lo aveva fatto milioni di volte per conquistare una qualsiasi delle tante ragazze che sicuramente aveva avuto. Anche io avevo avuto parecchi ragazzi – che piuttosto erano tutti delle scappatelle – ma sicuramente non avevo mai fatto a nessuno lo stesso effetto che Zayn faceva a chiunque lo guardasse, perché ovviamente nessuno poteva resistere a quel suo sguardo ipnotico, mentre al mio, beh, chiunque poteva resistergli, non avendo nulla di speciale o di.. ipnotico. Per mia sfortuna, avevo ereditato gli occhi castani da quell’uomo che chiamavo padre, mentre Tyler si era beccato la fortuna di ereditare quelli azzurri di mia madre, anche se poi lui aveva ereditato i capelli scuri da mio padre ed io quelli rossi da mia madre. In sintesi, nessuno di noi quattro aveva qualcosa di speciale, perciò non avrei mai potuto far subire a qualche ragazzo quel che io subivo ogni volta che guardavo il ragazzo perfetto davanti a me.
Fissando me che lo fissavo, finalmente Zayn si decise a rispondere, sorridendo compiaciuto.
«Niente, chi era?» Chiese, non tanto per curiosità quanto per gentilezza.
«Louis.» Risposi secca, dando un’occhiata alla tv. «Sono i Lakers?» Lui annuì, continuando a guardare la partita in gioco.
Non ero un’esperta di basket, ma un giorno, - durante la famosa vacanza a Los Angeles - io e Tyler avevamo incontrato Kobe Bryant, che firmò gentilmente la maglietta della sua squadra che Tyler aveva comprato poco prima, firmando anche la mia che avevo comprato per bellezza.
Tyler era riuscito ad ottenere anche una foto, il che mi fece rosicare parecchio dato che l’unico VIP che avevo mai incontrato in vita mia era un cretino che presentava uno stupido talkshow su un canale tv dimenticato da Dio.
Ignorando del tutto Zayn e la partita, misi le cuffie di nuovo nelle orecchie, anche se non feci partire subito la musica. Mi piaceva il silenzio che c’era in quel momento, interrotto ogni tanto da qualche fischio proveniente dalla partita o da Zayn che sospirava perché segnavano gli avversari.
Tornai finalmente al mio libro, ma dopo neanche cinque minuti, dopo aver sospirato rumorosamente, Zayn interruppe – di nuovo – la mia lettura.
Poteva pure essere bello da morire, ma odiavo essere interrotta mentre leggevo. Alla prossima interruzione gli avrei dato un pugno o molto probabilmente un calcio negli organi genitali.
«Ti piace Liam?»
Come sapeva che non stavo ascoltando la musica? E soprattutto, perché gli interessava?
Per un momento pensai che gli interessasse perché fosse anche solo un po’ interessato a me, ma subito scacciai via quell’idea. Non era possibile e soprattutto sarebbe stato sbagliato.
Rimasi per un attimo spiazzata dalla domanda, ma poi, senza alzare gli occhi dal libro, risposi «E a te che te ne frega?»
Non volevo guardarlo negli occhi per tradirmi da sola, sapendo che quel che avrebbe visto nei miei – nel caso fosse così intelligente da riuscire a leggervi – era stupida speranza.
«Fingendo che tu abbia risposto di sì, la mia è solo curiosità.» Rispose lui, continuando a guardare la partita. Non lo avevo guardato, ma sapevo che non stava guardando me perché avrei sentito il suo sguardo penetrante a metri di distanza.
«Fingendo che la tua sia solo curiosità, sì, mi piace.» Era vero, Liam mi piaceva. O meglio, iniziava a piacermi: era carino, era simpatico ed era stato più che grande ad aver difeso Louis quella mattina, nonostante loro due non fossero amici e nonostante stesse andando contro Harry per difenderlo. Era gentile, e sembrava il tipo di ragazzo che chiunque avrebbe definito il “principe azzurro”.
Mi venne subito in mente la conversazione di poche ore prima, riguardo all’andare alla festa vestiti da Cenerentola e il principe. Io non ero esattamente la persona adatta per quel ruolo, ma Liam l’aspetto del principe ce l’aveva tutto.
Zayn non rispose né fece altre domande: si limitò a socchiudere un po’ gli occhi e a guardare la partita.
Era bello quanto strano, pensai.
Come lui, tornai ai fatti miei, e finalmente ripresi a leggere il mio libro. Come sempre succedeva quando leggevo, il tempo passò in fretta - anche se non era passata ancora neanche un’ora precisa - ma stavolta ad interrompere la mia lettura fu il campanello, che Zayn andò ad aprire.
Ne entrarono mia madre e Mike, entrambi zuppi fino al midollo, il che mi parve strano dato che non c’era stata nemmeno una nuvola durante la giornata. Forse era solo una pioggerella temporanea.
«Ragazzi, che bello trovarvi ancora vivi» scherzò mia madre, poggiando la borsa sul ripiano della cucina mentre Mike appendeva i cappotti bagnati all’ingresso, spostando lo zerbino sotto di essi in modo che non bagnassero la moquette.
«Perché?» Chiese Zayn ingenuo, aprendo il frigorifero.
«Perché siete stati a casa da soli un pomeriggio intero e non vi siete scannati» rise mia madre, accompagnata da Mike che avvicinandosi, le posò un bacio su una guancia, mentre l’abbracciava da dietro.
Troppe smancerie per i miei gusti, anche se erano carini e sembravano una coppia di adolescenti certe volte.
«Non parlate per me» rispose Zayn, chiudendo il frigorifero e sedendosi su uno degli sgabelli della cucina. «Io non ho problemi di convivenza.» Continuò, guardandomi divertito.
Lo fulminai con un’occhiataccia, e non appena il campanello suonò di nuovo, andai ad aprire.
Stavolta entrarono due figure femminili, di cui avrei fatto volentieri a meno quella sera. O anche tutta la vita.
«Finalmente hai imparato ad aprire quando qualcuno suona» disse ironicamente la bionda, che entrò per prima.
«Se avessi saputo che eravate voi, non lo avrei fatto.» Risposi io, sorridendo falsamente alla mora che succedette Nicole.
Madison adocchiò Zayn ancor prima di metter piede dentro casa, e gli sguardi che si scambiavano i due mi diedero il voltastomaco. Ero infastidita dal fatto che a lei piacesse Zayn, ma lo ero ancor di più del fatto che lui la ricambiava.
Ignorai i due e chiusi la porta, mentre Madison, togliendosi la giacca, fece scrollare l’acqua su di me apposta. Certo, era solo qualche goccia, ma l’avrei volentieri presa a pugni sulle gengive anche solo per essere entrata in casa mia.
«Imbecille» borbottai, avvicinandomi alla cucina. Mia madre era impegnata a cucinare, con Mike che sbucciava le patate e Nicole che iniziò a tirar fuori piatti e bicchieri per apparecchiare la tavola.
Solo in quel momento mi accorsi di essere ancora in mutande, così corsi di sopra ad infilarmi un paio di pantaloncini, e quando scesi trovai la tavola apparecchiata, con Nicole, Madison e Zayn già seduti.
«Ovviamente quando c’è da apparecchiare scappa di sopra» mormorò a voce alta Nicole, non appena andai al divano a recuperare il mio libro. Ignorai la sua frecciatina, ignorando così anche la voglia di strozzarla, e mi sedetti accanto a Zayn, per non dover stare accanto ad una delle due oche, anche se la bionda era seduta di fronte a me.
Senza badare ai tre, aprii il libro, alzandolo all’altezza del viso così da non dover subire le occhiatacce delle due, e ricominciai a leggere. Non feci caso alla chiacchiere che i tre scambiavano con Mike e mia madre in cucina, non m’interessava e volevo concentrarmi sul mio libro, ma dopo all’incirca venti minuti, la cena era pronta e fui costretta a chiuderlo per la millesima volta nel giro di due ore.
Sbuffai, poggiandolo sul tavolo accanto al piatto di pollo e patatine che Mike mi aveva appena posato davanti.
Pollo? Perfetto, avrei saltato la cena.
Odiavo il pollo fatto in casa, e mia madre lo sapeva bene, eppure lo aveva cucinato lo stesso. Avevamo cambiato casa e famiglia, ma non avrei cambiato le mie abitudini alimentari. Non avevo mai mangiato il pollo in casa, e mai lo avrei fatto.
Non appena mia madre e Mike si sedettero a tavola, Madison non mancò di fare la leccaculo, così, alzando il bicchiere manco fosse il papa, fece uno stupidissimo brindisi. «Alla famiglia.» Disse sorridendo ai due genitori seduti nei rispettivi capotavola, che ricambiarono il sorriso alzando anche loro i bicchieri, seguiti da Nicole e Zayn, che lo fece nonostante sembrasse alquanto disinteressato.
Io non ci pensai nemmeno di unirmi al gruppo, così tenni lo sguardo fisso sul piatto per non dover vedere mia madre lanciarmi occhiatacce o scuotere la testa in segno di disapprovazione come faceva ogni volta che facevo qualcosa di sbagliato.
Finirono di brindare – chi con acqua, chi col vico e chi con la Coca-Cola – quanto velocemente avevano iniziato, e non appena si buttarono sul cibo, sentii addosso lo sguardo di uno dei presenti.
«Non hai fame?» Mi chiese Mike, facendo un cenno al mio piatto, che guardavo scettica.
«Non mangio questa roba.»
Se fosse stato possibile, in quel momento lo sguardo di mia madre mi avrebbe trafitta. «Tesoro, che c’è che non va?» Chiese, con tono che agli altri poteva sembrare dolce, ma a me dava l’impressione contraria.
Ma mi prendeva per il culo? Che faccia tosta, aveva precisato più volte prima della nostra partenza che nonostante la nuova famiglia, non avremmo cambiato mai niente della nostra vecchia vita se non le persone con cui avremmo vissuto. «Sai benissimo che non mi piace il pollo.» Risposi un po’ brusca, guardandola con sguardo accusatorio.
«Non sapevo non mangiassi il pollo» s’intromise Mike, forse per paura che reagissi male, magari tirando il piatto e il suo contenuto in testa a qualcuno o rovesciando il tavolo per protesta. «Sei vegetariana?»
«Non sono vegetariana, semplicemente non mangio il pollo.» Mi lamentai, incrociando le braccia sul petto.
«Andiamo, Al, non fare la bambina e mangia quel pollo» disse Madison, fingendosi interessata.
Una parola, una sola parola e le avrei ficcato la coscia del pollo su per il setto nasale. Odiavo lei e odiavo le persone leccaculo, il che me la fece odiare ancor di più.
«Perché non lo mangi tu, quel pollo?» Sbottai, prendendo la coscia di pollo nel mio piatto e lanciandola verso di lei con l’intento di colpirla. Non successe però, ma la coscia finì nel bicchiere colmo di vino, il che schizzò fuori da esso finendo sul tavolo e poi su di lei.
Sentii Mike soffocare una risata, mentre mia madre spostò la sedia piuttosto rumorosamente, per andare accanto alla mora a tentare di pulirle via il vino.
Con noncuranza presi il mio libro e mi alzai da tavola, scuotendo la testa per la stupidità di mia madre.
«Vai in camera tua!» Urlò lei alle mie spalle, non appena mi alzai. «E non uscire fino a domattina!»
«E’ quel che stavo andando a fare!» Le urlai di rimando, lanciandole un’occhiataccia mentre strofinava un tovagliolo bagnato sul top scollatissimo della ragazza, che tentava in tutti i modi di pulir via l’enorme macchia.
Corsi su per le scale, e noncurante di chiudere la porta a chiave, la sbattei violentemente, per poi buttarmi sul letto. Ero incazzata, e in un certo senso ferita per lo stupido comportamento di mia madre, quindi, come facevo sempre durante i miei “attacchi” di nervosismo, piansi.
Non persi tempo ad asciugare quelle stupide lacrime; sapevo già che non appena avessi ripensato qualche minuto dopo a quel che era appena successo, sarebbero riscese come niente fosse.
Odiavo sentirmi debole, ma soprattutto odiavo piangere. Non lo facevo mai se non per nervosismo, il che non mi capitava spesso dato che di solito ero io a far innervosire gli altri.
Chiusi gli occhi, aspettando che la rabbia svanisse, iniziando a fare quel che facevo in quei casi: pensare a dieci cose belle per cui essere felice. In cima alla lista, c’era Nora: lei era l’unico vero motivo per cui ero stata felice negli anni precedenti. Insieme avevamo affrontato tante cose, e da quando era entrata a far parte della mia vita, l’aveva migliorata come nessuno avrebbe potuto mai fare.
Al secondo posto, c’era New York. Quella era la mia casa, oltre che una delle città – se non l’unica – più bella del mondo. Ripensandoci sentii un po’ di malinconia, ma se ne andò con la stessa fretta con cui era arrivata.
Al terzo posto, c’era Taylor Lautner. Era il mio attore preferito – nonché uno degli attori principali di Twilight – e lo seguivo da quando era bambino, dato che aveva solo un anno in meno di me. Praticamente ero cresciuta con lui, guardando i suoi film, le sue interviste e vedendolo crescere giorno dopo giorno, fino a diventare quel gran bel ragazzo che era diventato. Un giorno di tanti anni prima, avevo promesso a Nora che l’avrei sposato un giorno, mentre lei aveva promesso di sposare Robert Pattinson.
Al quarto posto, c’era la musica. Non c’era bisogno di spiegazioni, lei meritava di essere in quella lista, forse anche prima di New York, al secondo posto.
C’era sempre stata, e sempre lo avrebbe fatto, nei momenti belli e in quelli brutti, come una migliore amica.
Al quinto invece c’erano i libri, tutti i miei libri preferiti, che nella mia vecchia camera tenevo in un o scaffale basso per paura che potessero cadere e rovinarsi se fossero stati ad un piano più alto.
Il sesto posto spettava al mio negozio preferito: H&M. Non c’era da dare spiegazioni, era un negozio favoloso e non c’era un solo vestito brutto. Al settimo posto c’era..
Qualcuno interruppe i miei pensieri ticchettando sulla porta.
«Posso entrare?» La porta era aperta, e l’uomo poggiato su di essa mi scrutava curioso, finché non entrò dopo che gli feci sì con il capo.
Mike si sedette sul mio letto, poggiandoci su una scatola di quelle in cui mettevano la pizza da portar via.
«Ti ho portato questa.» Disse gentilmente, mentre io mi sedevo. «Ho pensato che avessi fame, così ho fatto una corsa da Jimmy e te l’ho presa.» Mi sorrise, e rimasi quasi estasiata dal suo sorriso perfetto.
«Grazie.» Risposi un po’ incerta, colpito dal suo gesto.
Notando che non aggiunsi altro, continuò a parlare lui. «Mi dispiace per prima, Sarah ha esagerato, ma forse non dovevi tirare il pollo addosso a quella.» Sul finire della frase iniziò a ridere, e non potei fare a meno di notare che aveva chiamato Madison “quella”.
«Non piace neanche a te, eh?» Gli chiesi sorridendo.
Come spesso faceva il figlio, scrollò le spalle. «Sinceramente? No, ma se è una buona amica per Nicole allora sono contento che lei ci si trovi bene.» Sorrise, un po’ amaramente forse, pensando al cattivo gusto della figlia nello scegliersi le amiche.
«Sei un buon padre» dissi sincera, accennando un sorriso.
Era vero, era un buon padre, e avrei pagato oro per averne uno così. Purtroppo però, non si può sempre avere tutto nella vita, no?
«E tu una buona figlia.»Rispose lui, sorridendomi. Di nuovo ricambiai il sorriso, abbassando poi lo sguardo.
«Scusa se a volte, non so, ti tratto male.» Cominciai, un po’ in imbarazzo. Era giusto scusarmi per come l’avevo trattato da quando lo avevo conosciuto, ma non trovavo le parole giuste per farlo. «Voglio dire,» ritentai «Mi dispiace se a volte sono un po’.. come dire, fredda. Ma non è per te sai, è che non sono abituata ad avere un padre» lo dissi in fretta, quasi avendo paura della sua reazione al sentirsi chiamare “padre” da me, o forse per paura della mia al chiamarlo così. Lui però sorrise, e non appena aprì bocca per ribattere, lo fermai con un cenno della mano. «Io penso che tu sia un grand’uomo, nel senso che sei un bravo dottore, e un bravo padre e forse anche un bravo marito» mi impicciai un po’ con le parole, ma continuai, decisa su quel che volevo dirgli, o almeno fargli capire. «E sono contenta che tu abbia scelto proprio mia madre.» Ero sincera, ero più che contenta che si fossero trovati. «Sai, quando lui se n’è andato lei è stata male per mesi, forse anni e forse ci sta ancora male, non lo so, ma da quando ti conosce ha ricominciato a sorridere, e a comportarsi da madre, come non faceva ormai da tempo.. Certo, forse il mio comportamento non è mai stato dei migliori, ma c’è stato un periodo in cui non parlavamo più a causa di mio padre, perché lei non riusciva a far nulla senza che le tornasse in mente lui, ed io non sapevo come aiutarla, mi sentivo impotente.»
Forse stavo cominciando a blaterare, ma continuai dato che lui non accennava a fermarmi e ascoltava attentamente. Quel che stavo dicendo era la verità, tutto quel che mia madre aveva passato era stato un inferno, ed io mi ero sentita impotente ogni santo giorno, a guardarla star male senza riuscire a farla sorridere. Avevo cominciato a stare meno tempo a casa e più fuori, in modo da non vederla star male giorno dopo giorno, ma in quel modo soffrivo anch’io per non starle vicina. Così un giorno presi Nora, corremmo nella videoteca e affittammo all’incirca una ventina di film, tra cui alcuni horror, alcuni film d’azione e la maggior parte commedie. Poi corremmo anche al supermercato, a comprare enormi barattoli di gelato e di nutella, insieme ad altre schifezze quali patatine e caramelle, e non appena arrivammo a casa mia, portammo quasi di peso mia madre sul divano, su cui ci sedemmo anche noi e iniziammo a guardare tutti quei film.
Lo facemmo per una settimana di seguito – io e Nora saltammo anche una settimana di scuola – e tutto finché mia madre non tornò a star bene, più o meno. Quel che le serviva era compagnia, era una famiglia ed era divertirsi, così le demmo tutte e tre le cose. Dopo quella settimana, insieme a delle amiche, iniziò ad uscire per locali e a scattare di nuovo le sue amate fotografie, e così cominciò a riprendersi pian piano, finché poi, qualche anno dopo, non conobbe Mike.
Continuai con il mio specie di discorso, sperando che l’uomo seduto di fronte a me capisse quel che volevo dire nonostante il mio essere impacciata.
«Tu le hai salvato la vita sai?» Lo dissi guardandolo negli occhi, che erano azzurri come quelli di Nicole.
Zayn non aveva ripreso niente da lui, perciò doveva aver ereditato tutto dalla madre, sicuramente bellissima come lui. Non che Mike fosse brutto, ma sembrava il tipico inglese: occhi azzurri, carnagione chiara e capelli tra il castano e il biondo. Zayn invece era l’opposto, e se non lo si conosceva, si poteva dire per certo che non erano padre e figlio.
«Voglio dire,» continuai, fingendomi modesta «Io ho fatto la mia parte, ma tu hai fatto il resto: l’hai resa felice, perciò, grazie.» Forse, quello era il momento più sincero della mia vita. Gli avevo detto tutto con il cuore, ed era quel che pensavo di lui, non volevo che si facesse un’idea sbagliata su di me solo perché lo ignoravo o rispondevo male. Era il mio modo di fare con tutti, non era qualcosa contro di lui, e volevo farglielo capire.
Mike sorrise, guardandomi fissa negli occhi come avevo fatto io poco prima. «Sai, Alex, sei più matura di quanto tua madre pensi.» Beh, grazie. «Sono sincero, se sapesse quel che mi hai detto, sarebbe fiera di te, e per quanto possa importarti, lo sono anch’io.»
Senza pensarci mi avvicinai a lui e lo abbracciai, stringendo sempre più la presa, che lui ricambiò.
Era strano, ma non volevo staccarmi da quell’abbraccio; era come quello che di solito si danno padre e figlia, ed io non ne avevo mai avuto uno. Mi piaceva quella sensazione di calore e di amore, e mi piaceva sapere di avere una figura.. paterna su cui contare.
Lentamente e di malavoglia, mi staccai. «Grazie.» Dissi ancora, sorridendo sinceramente.
«Mangia, o si fredda» rispose lui, accarezzandomi i capelli e facendo un cenno col capo verso la scatola di pizza. Io annuii, e dopo avergli dato la buonanotte, Mike si alzò e si avviò verso la porta, prima di fermarsi e voltarsi di nuovo. «Un’ultima cosa» disse ridendo.
«Sì?» Chiesi un po’ confusa.
«Perché non mangi il pollo fatto in casa?»
«Alle elementari la maestra mi costrinse a mangiarlo, e non so perché lo vomitai. Non lo avevo mai mangiato fatto in casa prima d’ora, sai, di solito mangio quello fritto dei fastfood, quindi non mi piacque e lo vomitai. E da lì mamma decise che non lo avrebbe mai cucinato, o meglio, se lo avesse fatto, non mi avrebbe costretta a mangiarlo.» Magari era una cosa stupida, ma avevo ancora impressa nella mente la scena della maestra che mi imboccava a forza per farmi svuotare il piatto come gli altri bambini.
Mike non disse niente, forse aveva preso la cosa sul serio quanto me, perciò si limitò ad annuire e a sparire nel buio del corridoio.
Mangiai lentamente, godendomi ogni morso, per poi ripulire tutto.
Improvvisamente ricordai di aver lasciato l’iPod al piano di sotto, e anche se non avevo voglia di vedere nessuno dei presenti – a parte Mike – scesi le scale, dirigendomi verso il salotto.
Per mia solita sfiga, trovai tutti seduti lì, chi sul divano e chi sulle poltrone, mentre si godevano chissà quale film in compagnia. Grazie per avermi chiesto di partecipare.
Feci l’indifferente, e avvicinandomi al divano su cui sedevano mia madre, Zayn e Madison, presi l’iPod sul tavolino di fronte ad esso, e mi voltai per tornare su, con lo sguardo di tutti – a parte Nicole - su di me.
Mia madre mi tenne per il braccio, e mi voltai sbuffando. «Che c’è?» Dissi acida.
«Dovremmo parlare.»
«Sono stanca ora, sto andando a letto.» Tagliai corto, non volendo prolungare quella stupida scenata.
Certo, prima mi caccia via da tavola e poi vuole parlare, ma per favore. E quella cretina di Madison se ne stava sul divano come se niente fosse, per di più abbracciata a Zayn che anche se guardava me, era completamente preso da lei.
Dio, che nervi. Scrollai il braccio per sciogliere la presa di mia madre, e poi salii di nuovo di sopra, pestando i piedi sulle scale per fare più rumore possibile. Entrata in camera chiusi la porta a chiave e mi buttai di nuovo sul letto, attaccando il cellulare e l’iPod ai rispettivi caricabatterie, per poi spengere la bajour e infilarmi sotto le coperte. Con tutto quel nervosismo e il pianto di prima, mi era venuto un enorme mal di testa, ma come al solito sarebbe passato durante la notte, quindi non avrei avuto problemi il giorno dopo.
Mi voltai su un fianco, sospirando, e lentamente chiusi gli occhi. Mi addormentai poco dopo, e come le notti precedenti, non sognai niente.
 
La mattina dopo mi risvegliai un po’ intontita, forse per le “troppe emozioni” della notte precedente. Erano le 6.00 – quindi presto – così decisi di restare altri dieci minuti a letto, guardando il soffitto.
Era di un bianco spoglio, come le pareti, e mi sarebbe piaciuto dargli un tocco di colore, magari celeste come piaceva a me. Mentalmente, presi nota di sistemare la mia camera come si deve, in settimana.
Cinque minuti dopo, mi alzai dal letto, stiracchiandomi, e dopo essere andata in bagno a lavarmi faccia e denti e a pettinarmi, misi di nuovo un po’ di trucco – matita, fard e mascara – e aprii l’armadio.
Non avevo un’ampia scelta di vestiti, dato che alcuni di essi erano ancora a New York ad aspettare di essere spediti con il resto della mia roba, perciò scelsi la minigonna nera a balze, con sopra una canottiera di quelle larghe, con sopra qualche citazione di qualche rock band. Sopra il tutto misi un giacchetto nero, e frugando tra le scarpe – le uniche cose che ero riuscita a portarmi dietro senza lasciarne neanche un paio a New York – trovai quelle bianche col tacco, che avevo comprato il Natale scorso. Si intonavano perfettamente con le scritte sulla canottiera, perciò, guardandomi compiaciuta allo specchio, raccolsi la borsa da terra, presi iPod e cellulare e scesi di sotto, picchiettando silenziosamente con i tacchi sulla moquette.
«Ti sembra quello il modo di andare in giro di prima mattina?» Chiese una voce nel corridoio buio, facendomi quasi saltare. Nicole era apparsa all’improvviso, vestita ma con i capelli più che arruffati, e guardava le mie scarpe come se fossero immondizia.
«E parli tu?» Risposi a tono, indicandole il groviglio di capelli con un cenno della testa.
La sentii borbottare un “deficiente”, ma la ignorai e scesi al piano di sotto, poggiando la borsa su uno degli sgabelli. Mi avviai verso il frigorifero, a aprendolo ne tirai fuori il succo alla pesca, versandolo in un bicchiere, e dopo averlo richiuso aprii la credenza, prendendo l’enorme barattolo di Nutella che Mike aveva comprato il giorno prima.
Sedendomi, aprii il barattolo e iniziai a spalmare la Nutella su una fetta di pane tostato, che era sul ripiano della cucina da poco, dato che era ancora calda. Probabilmente Mike o mia madre avevano scaldato il pane da poco, prima di uscire per andare a lavoro.
Addentai la fetta di pane, alternandomi con il succo, e non appena finii scesero Zayn, Nicole e sfortunatamente anche Madison. Non sapevo avesse dormito lì, altrimenti le avrei tagliato i capelli durante la notte o non so, magari le avrei sgonfiato le tette con uno stuzzicadenti come se fossero palloncini. Sarebbe stato divertente per me e disastroso per lei: due piccioni con una fava.
Non appena mise piede in cucina, mi squadrò da capo a piedi come suo solito, per poi sorridere maliziosamente a Zayn, che ricambiò il sorriso e si sedette accanto a me.
Di nuovo quelle “smancerie”. Se avessero continuato, avrei vomitato sicuramente, anche solo ripensando a quello stupido pollo della sera prima.
Avrei tirato volentieri il barattolo di Nutella in testa ad entrambi, i quali continuavano a fissarsi, quasi mangiandosi con gli occhi. Feci una smorfia e mi voltai, bevendo il succo.
Neanche avessero messo la sveglia, suonò il campanello, e non appena Nicole andò ad aprire, ne entrarono come il giorno prima, Liam ed Harry, che come suo solito mi squadrò.
Lanciai un’occhiata al riccio, poi alla mora che ancora fissava Zayn e infine al barattolo di Nutella che tenevo tra le mani. Liam si sedette accanto a me, sullo sgabello libero, ma non ci feci caso e puntai gli occhi su Harry.
Volevo provocare Madison, e per come il riccio mi guardava tutti i giorni, non sarebbe stata una cosa difficile.
Infilai un dito nel barattolo di Nutella, per poi portarlo alla bocca e leccare via la Nutella in modo provocante, facendo sì che Harry – quasi – sbavasse.
Continuai a leccarmi il dito, guardando Harry che se ne stava senza problemi a bocca aperta, deglutendo di tanto in tanto, spostando lo sguardo dal dito a me e viceversa.
Sentii subito puntati addosso gli occhi degli altri due ragazzi,dei quali uno – Liam – deglutì piuttosto rumorosamente. Zayn era silenzioso, e non mi voltai a guardarlo: dovevo fingermi indifferente, anche se mi dava più che fastidio il suo comportamento con Madison.
Quest’ultima, mi guardò con rabbia, e potei quasi vederle il fuoco nelle pupille, come succedeva nei cartoni animati. Sorrisi mentalmente, compiaciuta dal successo della mia azione, continuando a leccare la Nutella.
Sentii anche Nicole mormorare all’amica un “che schifo” sotto voce, ma continuai a provocare Harry e i ragazzi, finché il campanello non suonò di nuovo.
Io non mi mossi però, e neanche i ragazzi, i quali continuavano a fissarmi mentre leccavo via il resto della Nutella sul dito, così, sospirando piuttosto rumorosamente, Nicole si avviò verso la porta, dal quale entrò un Louis piuttosto sorpreso.
Cazzo, Louis!
Avevo scordato di averlo invitato a fare colazione, ma dopo quel che era successo con Harry il giorno prima, non volevo che i due stessero nella stessa stanza per più di cinque minuti, così, prima che entrasse del tutto in casa, mi alzai in fretta dallo sgabello, facendolo quasi cadere, e prendendo la borsa a tracolla mi diressi verso Louis. Aveva lanciato un’occhiata frettolosa a tutti i presenti, per poi posare lo sguardo su di me.
La colazione. Merda, quella mattina ero un po’ sbadata, forse per la presenza della cogliona di turno, che era tornata a mangiarsi con gli occhi il moro che sedeva accanto a me.
Tornai verso il bancone della cucina, prendendo un bicchiere di carta di quelli in cui mettono il caffè a portar via, e lo riempii di caffè, con tanto di zucchero, e poi con un tovagliolo presi uno dei pancake che Nicole aveva appena poggiato sul ripiano.
Mi affrettai verso la porta sulla quale Louis osservava la scena curioso, prima di essere fermata da Liam.
«Ti serve un passaggio?» Chiese gentilmente, come il giorno prima.
Pensavo l’avesse capito che sarei andata con Louis, ma forse sperava gli dicessi comunque di sì. Magari però l’avrei fatto il giorno dopo, quel giorno avevo detto a Louis che mi doveva un passaggio, ed io la colazione, anche se già quella non stava andando come previsto.
«No, vado con Louis, grazie» risposi a Liam, sorridendogli, mettendo il pancake e il caffè in mano a Louis, per poterlo poi spingere lentamente verso l’uscita.
«Ma che è successo?» Chiese Louis non appena fummo fuori casa.
«Perché?»
«Beh, Liam ti stava mangiando con gli occhi, ed Harry dava l’impressione di volerti saltare addosso.» Rise, ma si accigliò anche un po’, forse confuso per l’accaduto.
«Sarà per questa» risposi indicando la minigonna. Non avrei mai detto a Louis della scena di poco prima, mai e poi mai.
Guardò la gonna con ammirazione, per poi sorridere mentre ci avvicinammo alla sua auto.
«Peccato, mi piaceva essere gemelli.»
Ricordai subito a quando il giorno prima aveva scritto sul bigliettino che gli avevo rubato il look, e subito risi, entrando in macchina.
«Non era esattamente questo che intendevo con “fare colazione da me”, ma mi farò perdonare, magari domani.» Dissi tutto a un tratto, guardando fuori dal finestrino non appena Louis partì.
Ogni tanto sorseggiava il caffè e dava grandi morsi al pancake, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata preoccupata.
«Non preoccuparti, ti perdono.» Rispose dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo di pancake. «Però l’invito per domani è accettato.»
Sorrisi per il suo modo di fare, e mi voltai a guardarlo. Era davvero bello, anche se non era esattamente il mio tipo, però quei suoi occhi blu e quei capelli spettinati ad arte, avevano un non so ché che mi attirava.
Smisi di pensare alla sua bellezza, e di nuovo mi voltai verso il finestrino, a guardare le case che lentamente sorpassavamo. Nessuno dei due parlava, ma non c’era quel silenzio imbarazzante che c’era di solito nei film in scene tipo quella, al contrario, stavamo bene entrambi. Almeno io stavo bene, anche se avevo l’impressione che neanche a Louis desse fastidio quello strano silenzio.
Poco dopo però parlò, ma non mi voltai per guardarlo.
«E’ successo qualcosa?»
«Perché?» Chiesi stupidamente, continuando a guardare fuori.
«Perché sei strana.» Disse guardandomi, per poi tornare a guardare la strada. «Magari è un’impressione mia, ma è così.»
«Non è successo niente.» Risposi con tono secco, il che praticamente mi tradì.
«Se non vuoi parlarne va bene, ma vorrei aiutarti se posso, come d’altronde hai fatto tu ieri con me.»
Era gentile, e apprezzavo il suo gesto, ma non volevo raccontagli della stupida litigata con mia madre per uno stupido pollo. Anche se quella stupida litigata mi aveva fatta star male e mi aveva fatta sentire in un certo senso tradita; non gli avrei detto nulla. Di solito tenevo i miei problemi per me perché non mi piaceva addossarli alle persone che amavo, quindi mi limitavo ad ascoltare sempre gli altri, fingendo di star bene anche quando stavo in tutt’altro modo. Ero fatta così, per me venivano sempre prima le persone a cui volevo bene, e anche se non conoscevo ancora Louis, sentivo di potermi fidare, di potergli voler bene. Perciò decisi di tacere.
«Grazie.» Gli risposi semplicemente, abbozzando un sorriso.
Non mi ero accorta che eravamo già arrivati a scuola, così non appena parcheggiammo, presi Louis sotto braccio e ci avviammo verso l’entrata, in cui trovai Amy seduta a leggere un libro.
«Buongiorno!» Esclamò allegra, alzando gli occhi dalla pagina e guardandoci sorridente.
«Niall dov’è?» Le chiese Louis, guardandosi intorno.
«Oh, non è ancora arrivato.» Sorrise la bionda, per poi alzarsi e prendermi sotto braccio – cosa che fece staccare l’altro mio braccio dalla presa su Louis.
«Volevo chiedertelo ieri, ma poi ti ho vista occupata con Liam..» cominciò Amy, alzando le sopracciglia in segno di approvazione, facendo chissà quali pensieri su me e Liam. «Quindi,» continuò, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Ti va di venire a casa mia, oggi pomeriggio? I miei sono fuori fino a stasera, e mi piacerebbe passare del tempo con te, anche per conoscerci.» Il sorriso si allargò, mostrando i suoi denti perfetti e le fossette che le apparivano agli angoli della bocca ogni qualvolta sorrideva.
«Certo, mi farebbe piacere.» Risposi sorridendo alla bionda.
Vidi Louis voltarsi in fretta verso la strada da cui eravamo appena arrivati, facendomi notare una testa bionda correre tra i tanti studenti.
Quando arrivò accanto a noi, quasi cadde, frenando sulle punte dei piedi, mentre pian piano riprendeva fiato per la corsa.
«Scusate, non è suonata la sveglia» disse Niall affaticato, portandosi una mano sul petto mentre con l’altra si reggeva su Louis, che rideva insieme a noi per il biondo appena arrivato.
Li guardai uno per uno, da Niall a Louis, da Louis ad Amy, e non potei fare a meno di sorridere, pensando al gruppetto che si era formato in soli tre giorni.
«Allora, pronti per l’inferno?» Sospirò Niall, dopo essersi finalmente ripreso dalla corsa.
«Pronti.» Rispose deciso Louis, guardando di fronte a sé con aria piuttosto teatrale, come se stessimo per affrontare chissà che cosa.
«Ragazzi,» li ammonì un’Amy sorridente. «Non siamo in un film, è solo la scuola.»
«Ho sentito bene?» Chiese Louis al biondo, sempre con aria teatrale, a cui si unì anche Niall. «Non è “solo la scuola”, cara Amy, è l’inferno.» Continuò, guardando l’entrata della scuola come se fossero le porte dell’inferno, appunto.
Scossi la testa ridendo, per poi avviarmi con i miei tre amici verso “l’inferno”. 




Myspace: allora, boh vado di fretta perché sono le 5, e se i miei mi beccano al pc mi tagliano i viveri, infatti corro in camera ahahahah vabbè, chiedo scusa per sto schifo che mi è uscito fuori, ma questo è solo un capitolo di “transizione”, perché dal prossimo succederanno tante care cose, ma non fatemi spoilerare sennò è la fine D: chiedo scusa per averci messo tanto a postare, ma da giorni avevo problemi di connessione, che per fortuna oggi si è ripresa çç non so che altro aggiungere, se non che spero vi sia piaciuta la scena con la nutella ahahahahah mi è venuta in mente ieri e non potevo non metterla, come quella di quel maledettissimo pollo D: non chiedetemi perché, ce l’avevo con il pollo u.u comuuunque, non vi chiedo molto, solo una piccola cosa, cioè di recensire per bene çç intendo dicendomi se c’è qualcosa che vi piace, qualcosa che non vi piace e magari dicendomi cos’è che vi piace e non vi piace (?). so che magari vi annoia stare a scrivermi una recensione, e vi capisco benissimo, ma vorrei sapere in cosa non vado bene e in cosa sì, così da potermi migliorare çç perciò vi sarei più che grata se mi scriveste quali scene vi piacciono e quali trovate noiose, eccetera eccetera :3 oh, e (solo per questa volta) a sei recensioni pubblico il prossimo capitolo, da cui vi ricordo che inizieranno a svolgersi delle cosucce (?) uù
ps: vi ricordo che mi hanno bloccato l’account su twitter, quindi se volete dirmi lì cosa ne pensate, mi trovate qui http://twitter.com/#!/69withpayne 

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Capitolo 9
*** chapter nine; ***


«Scegli: “Ricatto d’Amore” o “Nothing Hill”?»
«Dai, Amy, non possiamo vedere che so, un horror? Non mi piacciono i film strappalacrime.» Mi lamentai per la millesima volta nell’arco di cinque minuti.
«Alex, hai mai visto “Ricatto d’Amore”? Non credo.» Cominciò Amy, decisa. «E’ un film spettacolare, e fa anche piuttosto ridere, mentre “Nothing Hill” è per persone inguaribilmente romantiche, perciò hai ragione, non credo sia un film per te.» Disse sorridendo, facendo la finta smorfiosa.
«Stai dicendo che non sono romantica?» Chiesi con tono falsamente offeso, incrociando le braccia sul petto mentre lei infilava il dvd nel lettore.
«No, sto solo dicendo che quel film è per persone davvero ma davvero romantiche, magari poi tu sei una persona romantica e basta.»
Alzai le sopracciglia, ridendo. «Romantica “e basta”?»
«Hai capito.» Rispose con una scrollata di spalle la bionda, la quale si era appena accoccolata sul divano, posizionandosi esattamente di fronte alla tv.
Avevo accettato l’invito di Amy quella mattina, e dopo aver pranzato da Nando’s, ci eravamo dirette a casa sua come deciso, dopo essere passate al supermercato a comprare schifezze varie, quali marshmallow e tavolette di cioccolata varia: al latte, fondente, bianca, ripiena alla fragola e infine, con le nocciole. Ce n’era davvero di mille tipi, e ci avevamo messo un po’ a sceglierne, anche se io mi ero buttata principalmente sulle caramelle, lasciando la scelta della cioccolata ad Amy, che essendo più che indecisa ne aveva presa tutta e di più.
Quel giorno la mia ‘giornata scolastica’ era trascorsa in fretta, e non appena era suonata la campanella dell’ultima ora, fui costretta a salutare Louis e Niall da lontano, in quanto Amy mi si era attaccata ad un braccio per trascinarmi via da lì il più velocemente possibile.
Non avevo incontrato – né scontrato – Liam, ma non l’avevo neanche cercato, il  che mi dispiacque un po’ dato che mi andava decisamente a genio.
«Allora? Ti siedi o no? Tra poco iniziano i titoli di coda!» Esclamò Amy, fissando lo schermo con gli occhi spalancati, nel momento in cui tra i trailer contenuti nel dvd passò quello del suo film preferito: Titanic.
Sapevo che era il suo preferito perché mi aveva supplicata di vederlo pochi minuti prima, alla quale richiesta io avevo rifiutato all’istante, disprezzando quanto più possibile quello stupido film. Ed era stupido davvero, voglio dire, quale persona sana di mente resta su una nave che sta affondando, quando può benissimo andarsene insieme alla persona che ama? Odiavo quel film e quella stupida trama, così avevo pregato e supplicato a più non posso Amy per far sì che accettasse di vedere un film horror, o almeno una commedia. Lei però aveva rifiutato, ed io mi arresi, in quanto fossi sua ospite ed oltretutto fosse la prima volta che visitavo casa sua. Non volevo essere un’ospite fastidioso né tantomeno maleducato, così accettai mal volentieri di vedere uno di quei due film che tanto le piacevano, optando per il film “spettacolare”.
Mi sedetti accanto a lei, afferrando la ciotola stracolma di marshmallow e caramelle varie – ovviamente Haribo – e buttandomici dentro con foga, afferrandone quante più mi fosse possibile. Di solito non mangiavo dolci, ma se si trattava di Haribo, le avrei divorate tutte in un battibaleno.
Il film cominciò, e trovando finalmente una posizione comoda, sistemai la schiena sullo schienale del divano, poggiando la testa sul cuscino nel frattempo che il film partì.
 
«Lo so che ti è piaciuto, tanto.» Affermò Amy alla fine del film, mentre pian piano ripulivamo il piccolo tavolinetto in vetro davanti al divano, sul quale c’erano ciotole e bevande varie che avevamo divorato durante le quasi due ore del film, che devo ammettere che mi era piaciuto parecchio. Forse il fatto che il protagonista maschile era quel figo di Ryan Reynolds aiutava non poco, ma anche la trama del film era stata abbastanza divertente, e poi amavo Sandra Bullock.
Alla quasi provocazione della bionda non risposi, e quando guardai il grande orologio appeso nella cucina, tirai fuori in fretta il cellulare dalla tasca, digitando frettolosamente il numero di mia madre.
Amy mi aveva invitata a restare a dormire da lei, per conoscerci meglio e per divertirci, dato che i genitori non sarebbero rientrati quella notte e lei non voleva restare sola, ed io avevo accettato senza ripensamenti, ma erano quasi le 20,00 e il che significava che mia madre sarebbe tornata a casa di lì a poco.
Rispose dopo tre squilli, molto probabilmente senza guardare il numero sul display, in quanto era solita rispondere con un tono formale quando la chiamavano sconosciuti.
«Mamma, sono Alex.» Risposi sospirando, cosa che fece anche lei dall’altra parte della cornetta.
«Ciao tesoro, dove sei?»
«Ti ho mandato un messaggio prima, chiedendoti se potevo restare da Amy, ma a quanto pare eri troppo impegnata per trovare due secondi per me.» Dissi scocciata, sfregando la mano sul tavolo della cucina.
Ero davvero scocciata, mi mancava parlare con lei e nell’ultimo periodo non l’avevamo fatto granché, oltretutto la sera prima avevamo “discusso” per via di quella gatta morta di Madison.
«Sai benissimo che devo tenere il cellulare..» la interruppi non appena cominciò, non avevo voglia di discutere per telefono.
«Sì, okay, senti, resto a dormire da Amy stasera. I suoi genitori sono fuori città, non torneranno prima di domattina e non voglio lasciarla sola.» Non le stavo esattamente chiedendo il permesso, ma lei non replicò né si arrabbiò.
«Va bene, a domani.» E detto questo riattaccò, lasciandomi come un’imbecille col cellulare all’orecchio, ascoltando i “tu, tu, tu” che provenivano dall’altra parte.
La mandai a quel paese mentalmente, e poi tornai ad Amy, che stava lavando le ciotole in cui poco prima c’erano le schifezze che avevamo ingurgitato. Le diedi una mano, e non appena finimmo salimmo in camera sua – che era molto.. rosa – saltando la cena, dato che avevamo già mangiato abbastanza per quella sera.
«Stai scherzando? Non ti farò spaccare la schiena, e poi il mio letto è per due, forse anche per tre.» Protestò Amy non appena le dissi che avrei tranquillamente dormito in un sacco a pelo sul pavimento, come facevano nei film.
Alla fine però accettai la proposta del letto caldo e comodo, ringraziando Dio per non dovermi davvero spaccare la schiena sul pavimento di legno.
Ci sedemmo sul letto, accendendo il portatile di Amy per mettere su qualche canzone del momento, perdendoci in chiacchiere.
«Allora.. tu e Niall?» Le chiesi d’un tratto, interrompendo il suo monologo su quanto fosse affascinante Ryan Reynolds. Ero più che d’accordo con lei su ciò, ma in quel momento c’erano degli scoop succulenti che mi aspettavano.
«Io e Niall cosa?» Chiese spensierata, spalancando un poco gli occhi verdi.
«Non fare la finta tonta, ho visto come lo guardi.» Risposi sorridendole, poggiando i gomiti sul letto e reggendomi su di essi. «Ed ho anche visto come lui guarda te.»
Amy finse di stare a gingillare con il portatile, ma non appena dissi quella frase si voltò di scatto, sbarrando completamente gli occhi. Scoppiai a ridere per la sua reazione, ma lei continuò a guardarmi allo stesso modo.
«Perché? Come mi guarda?!» Chiese impaziente, mordendosi un labbro.
«Ecco, hai appena ammesso che ti piace.» Le risposi sorridendo a trentadue denti. In realtà non sapevo come Niall la guardasse, voglio dire, non mi era sembrato che la guardasse in qualche modo specifico, ma se a lei lui piaceva, avrei fatto di tutto per far sì che venisse ricambiata.
Avevo sempre fatto così con Nora quando le piaceva un ragazzo, l’aiutavo a farsi avanti e quando veniva rifiutata, dopo averle offerto fazzoletti e cioccolata a volontà e averla consolata per almeno quarantotto ore, andavo dritta dal tipo minacciandolo di morte istantanea se si fosse fatto vedere in giro da Nora. Sapevo bene com’era fatta, e con il carattere che aveva sapevo che sarebbe stata male ogni qual volta avesse rivisto quel ragazzo dopo il rifiuto. Per cui il minacciare era l’unica cosa che mi era venuta in mente di fare, anche se ovviamente non avrei mai ucciso nessuno. Magari picchiato sì, ma ucciso no.
Dato che Amy non rispose e abbassò il viso con le guance ormai in fiamme, continuai io, cercando di essere il più gentile possibile, cosa che non mi riusciva spesso. «Da quanto vi conoscete?» Le chiesi.
«Millesettantuno giorni.» Disse tutto d’un fiato, riabbassando lo sguardo sul portatile, forse troppo in imbarazzo.
Beh, wow, contava anche i giorni. Tentai di fare il calcolo degli anni, sfruttando la mia bravura in matematica.
«Tre anni e trenta giorni?» Chiesi sconcertata, per la mia velocità nel fare il calcolo e per la sua ‘mania’ del contare i giorni. «Come mai li hai contati?»
Okay, forse non erano affari miei, ma mi sarebbe davvero piaciuto aiutarla con il biondino, ma per farlo avrei dovuto conoscere almeno una parte della storia, no?
«Non lo so.. » cominciò indecisa, torturandosi le mani. «So solo che da quando è entrato a far parte della mia vita, questa è migliorata.» Continuò, sempre tenendo il viso basso, sulle mani. «Tre anni e trenta giorni fa, era il mio primo giorno alle superiori, e quando lo vidi entrare a scuola, il mio cuore ha iniziato a battere come non mai, e lo sentivo palpitare fin nel cervello, mentre tentava da uscirmi dal petto.» Alzò lo sguardo verso di me, fermando la tortura delle sue mani, fissando i suoi occhi verdi nei miei. «Hai mai provato questo sentimento? Sai cosa si prova?»
L’avevo mai provato? No, certo che no.
Non lo avrei mai fatto, ero troppo stronza e scorbutica per piacere davvero a qualcuno, ed ero troppo menefreghista per riuscire a provare certe cose. Almeno così mi avevano detto.
Scossi la testa, un po’ in imbarazzo.
«Beh, lo proverai, e quando succederà saprai cosa si prova, ma credimi se ti dico che è la sensazione più bella del mondo.» Sospirò, portandosi le mani sul cuore, e poi allungando una mano per prendere la mia.
«Senti?» Chiese, quando accompagnò la mia mano sul suo cuore, che sentivo battere piuttosto frequentemente.
Quindi, l’amore è questo? Battiti accelerati, guance rosse e felicità?
«Sì.» Dissi, togliendo poi la mano.
«Beh,» continuai poi. «Direi che qui qualcuno si è preso una bella cotta.» Sorrisi, insieme ad Amy le cui guance erano passate dal roseo al bordeaux.
«Sì ma ti prego, ti prego, ti prego, non dirlo a nessuno. Specialmente a Niall.»
Ovvio che avrei tenuto la cosa per me, era una delle tante cose che faceva di me una buona amica.
«Non preoccuparti, terrò la bocca chiusa, davvero.» La rassicurai sorridendole.
«Grazie. Sapevo che non eri antipatica come sembravi.» Ammise poi, sorridendo mentre faceva una smorfia. Le diedi una leggera botta su un braccio, fingendomi offesa.
«Pensavi fossi antipatica?» Lei annuì, stringendosi nelle spalle sempre sorridente. «E non so, posso avere l’onore di sapere il motivo?»
Non che m’interessasse più di tanto, però in un certo senso le volevo già bene, e anche se mi avevano sempre detto tutti che sembravo stronza e antipatica – soprattutto la prima – non avevo mai chiesto a nessuno il perché lo sembrassi. Forse perché sapevo di esserlo, sapevo di essere piuttosto sgarbata e a volte anche lunatica, ma non m’importava quel che pensava la gente. Avevo Nora e la mia famiglia, e mi bastavano loro. Fino ad ora.
«Non so, è che sembri una di quelle ragazze senza peli sulla lingua e combinano sempre casini, tutto qui. Non sembri proprio “antipatica”, ma comunque mi sono ricreduta alla prima parola che ci siamo scambiate.» Ammise sorridendo.
«Va bene, allora in futuro mi spiegherai come mai ti sei ricreduta così in fretta.» Dissi scendendo dal letto, tirando giù la coperta dal mio lato per poi sedermi di nuovo, tirando su le coperte. «Ora possiamo dormire? Ho un sonno che sembrano due.»
Amy rise, spegnendo il portatile. «Non vedevo l’ora che me lo dicessi! Un altro po’ e sarei potuta morire qui.»
Si infilò anche lei sotto le coperte, spegnendo l’abajour e posando gli occhiali sul comodino accanto al letto. La fioca luce della luna che entrava dalla finestra le illuminava il volto, e faceva sembrare i suoi occhi verdi di un colore innaturale e meraviglioso. Avrei pagato oro per avere degli occhi come suoi in quel momento. O anche sempre.
«Buonanotte, Alex.»
«’Notte Amy.»
 
Il giorno seguente, per mia sfortuna avevo solo due ore in comune con Amy e i ragazzi, mentre la maggior parte delle altre dovevo passarle in classe con Nicole, Madison, Harry Styles e Zayn, ma passarono in fretta, per cui non arrivai all’ultima ora dando di matto.
Avevo letteratura, ed ero in classe con Liam ed Amy, mentre Niall e Louis dovevano affrontare una faticosa ora di educazione fisica, e come i due giorni precedenti, ci sedemmo agli ultimi banchi, che ormai erano diventati come di nostra proprietà, dato che né Madison né nessun’altro aveva fatto qualche obbiezione.
Entrammo in classe che la Flack era poggiata sulla cattedra, e dopo averci sgridati per il ritardo – ci eravamo fermati a guardare Niall giocare a calcio durante l’intervallo del pranzo – ci aveva assegnato, insieme al resto della classe, una relazione su un film che avremmo dovuto vedere, “Il pianista”.
Aveva diviso la classe in vari gruppi, ed essendo dispari, il mio era formato da sole tre persone: io, Amy e Liam, mentre tutti gli altri erano da quattro persone.
Noi tre ci eravamo già messi d’accordo su quando, dove e come vedere il film e fare la relazione, ma quando Zayn entrò in classe quasi a fine lezione, dovemmo cambiare i nostri piani in quanto la professoressa l’aveva infilato nel nostro gruppo, che a parer mio era perfetto prima del suo arrivo, dato che aveva scombussolato tutto. Non che m’importasse qualcosa se Zayn ci fosse o meno, ma non mi era sembrato il tipico studente modello, e per come si comportava a scuola, non ci avrebbe di certo dato una mano a prendere un bel voto.
«Vi ho già detto che non posso, ho da fare.» Aveva ripetuto lui quando Liam l’aveva praticamente supplicato di vederci quel sabato per il compito.
«Zayn, è un compito importante, varrà metà del tuo voto finale.» Amy aveva cercato di aiutare Liam, senza ovviamente successo.
Io non mi azzardai a parlare, non mi importava più di tanto che Zayn ci fosse o no, per me potevamo anche svolgere noi il compito e dare poi il merito anche a lui. L’importante era che lo svolgessimo, prendendo un buon voto.
Erano ormai dieci minuti che cercavano di trovare un accordo, senza riuscirci.
«Andiamo, cos’hai da fare di più importante? Non dirmi che esci con quella!»
Liam aveva quasi urlato, nonostante non fosse arrabbiato, ma ci eravamo guadagnati così le occhiatacce di vari compagni in quanto la Flack ci aveva lasciati organizzare i nostri “incontri di lavoro” durante la fine dell’ora.
Una ragazza bionda e con delle tette più che finte, fissava insistentemente Zayn e Liam, e se la mia memoria non aveva cominciato a fare cilecca, doveva essere una delle amiche bionde e stupide di Nicole e Madison. Sì, lo era per forza, altrimenti non si sarebbe interessata così tanto.
Le lanciai un’occhiataccia, e quando finalmente si degnò di guardarmi, le dissi nel tono più duro possibile: «Hai finito la radiografia? Guarda che così li sciupi, e oltretutto non c’è bisogno che li guardi in quel modo, le orecchie puoi usarle anche da girata per ascoltare i cazzi nostri e raccontarli alla tua amichetta.»
Avevo le braccia conserte e un’aria piuttosto annoiata, eppure dovevo averla spaventata dato che si era ritratta con la sedia e aveva assunto un’espressione quasi shockata.
Per sua fortuna, si limitò a fare una smorfia e a girarsi verso il suo gruppo, mentre io sentivo addosso gli sguardi dei miei “compagni di studio”.
«Che c’è?» Sbuffai guardandoli. «Decidete questo cazzo di giorno così poi ce ne andiamo.»
«A me va bene tutto, ma c’è qualcuno qui che pretende che stiamo ai suoi comodi.» Rispose Amy, sbuffando anche lei e guadagnandosi un’occhiata torva da parte di Zayn.
Liam continuava a guardare me, senza dire niente, ma lo ignorai e tentai di convincere Zayn a trovare un benedetto giorno in cui fare quel diavolo di compito.
«Zayn.» Dissi sospirando, poggiando le mani sul banco e fissandolo negli occhi, il che mi richiedeva uno sforzo enorme. «Non me ne frega niente se domani devi uscire con quella sgualdrina, o se devi guardarti un porno con Styles o non so, se devi guardarti allo specchio, ma se non svolgi quel cazzo di compito insieme a noi verrai bocciato in letteratura dato che la tua frequentazione alle lezioni è limitata a dieci minuti, perciò se non vuoi che Mike s’incazzi, datti da fare e trova un cazzo di giorno libero.»
Lui sorrise, e se non avesse avuto un sorriso mozzafiato che faceva sciogliere qualsiasi ragazza compresa me, lo avrei preso a pizze. «Per me va bene oggi.» Disse poi con una scrollata di spalle.
E ci voleva tanto?
Mi misi le mani sulla faccia, esasperata, mentre Liam, dopo aver smesso di fissarmi, guardò l’amico come se stesse per prenderlo a capocciate.
Amy parlò per noi, evitando ad entrambi di mettere le mani intorno al collo di Zayn. «Va bene, allora facciamo direttamente dopo scuola?»
Annuii, e non appena la campanella suonò ci alzammo quasi di corsa per uscire finalmente da quel carcere.
«Io devo fare una cosa, ci vediamo a casa.» Annunciò Zayn allontanandosi, senza lasciare a nessuno di noi il tempo di ribattere o di prenderlo per la maglietta e portare il suo bel culo fino a casa.
Sbuffai per l’ennesima volta in quella giornata, e accompagnata da Amy e Liam, raggiungemmo Niall e Louis all’uscita.
«Andiamo ad ordinare un film, vi unite?» Chiese Liam a loro due, che annuirono subito.
Ci dirigemmo verso la videoteca più vicina, fermandoci anche in un supermercato per comprare dei popcorn da guardare durante il film, nonostante fosse per un compito scolastico.
«Hai visto Liam?» Mi chiese d’un tratto Amy.
«No, cos’ha?»
«Ma no, intendo prima. In classe.»
Forse mi ero persa qualcosa, perché non avevo la minima idea di cosa stesse parlando. Scossi la testa.
«Ti stava guardando!»
«E quindi?» Domandai confusa. Che voleva dire? Anche Louis “mi stava guardando” quando lo avevamo visto al cancello della scuola, e lo stesso aveva fatto Zayn in classe poco prima. Non c’era nulla di male nel guardare una persona.
«Certo che sei tonta eh.» Si lamentò Amy, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. «Ti stava guardando in quel modo.» Concluse sorridendo, indicando Liam poco più avanti. I tre ragazzi erano davanti a noi di qualche passo, ma non avrebbero potuto ascoltare me ed Amy parlare a meno che non avessero un super udito, cosa che per fortuna non era tra le loro doti.
«In quale modo?» Mi stava guardando, certo, ma non lo faceva in nessun modo particolare.
«Nel modo in cui si guarda una persona che ti piace, o che almeno ti attrae.»
Beh, allora non mi aveva proprio guardata in nessun modo particolare, perché aveva lo stesso sguardo che aveva sempre con me.
Con me.Ecco, lo aveva con me, non con gli altri, quindi forse Amy aveva ragione. E se così fosse stato, allora ne sarei stata più che felice.
Interessavo – forse – ad un ragazzo che era tutto il contrario di quelli con cui ero stata, ma soprattutto interessavo a qualcuno che interessava a me. Più o meno.
Liam era bello, davvero bello, ed era gentile. Era un bravo ragazzo ma forse non era il mio tipo. Anzi, io non ce l’avevo nemmeno un tipo, ero sempre uscita con ragazzi belli fuori e di coccio dentro, nel senso di stupidità. Ci ero stata più o meno solo per divertimento, ma dietro a ciò c’era un motivo, che mi riportava al discorso della sera prima con Amy.
Io non avevo mai provato il sentimento che provava lei anche solo parlando di Niall, non l’avevo mai provato e forse non sarebbe mai successo. Non ero semplicemente il tipo, e se Amy aveva ragione ed io piacevo a Liam, non avrei voluto farlo soffrire per il mio carattere estremamente di merda.
Parlando del diavolo, Liam si voltò verso di noi, sorridendo divertito.
Non mi pareva che lui, Louis e Niall fossero proprio amici il primo giorno che li avevo conosciuti, ma nei momenti che passavamo tutti insieme andavano molto d’accordo.
«Di che parlate, dolcezze?»
«Di come..» Rispose pronta Amy, che interruppi subito prima di farmi fare una figuraccia.
«Ci vestiremo al ballo di Halloween.» Sorrisi falsamente, ma nessuno dei tre ragazzi se ne accorse, al contrario, sembrò accendersi una lampadina a tutti e tre.
«Oh, già.» Disse Liam, affiancandomi. «Dobbiamo ancora scegliere il costume adatto.»
Vero. Mancavano pochi giorni alla festa, ed anche se avevo sempre scelto come vestirmi all’ultimo minuto, quest’anno volevo e dovevo avere il costume perfetto.
Non sarei andata a girovagare per le strade spaventando i bambini vestendomi da uno dei killer dei più famosi film horror, come facevo di solito con Nora. Quest’anno sarei avrei dovuto partecipare a quel che era stato chiamato “ballo” nonostante fosse una festa, perciò dovevo essere impeccabile. Perfetta.
«Possiamo andare a cercarne domani, se non avete altri piani.» Proposi, ricevendo subito sorrisi e cenni di assenso.
Sorrisi mentalmente, pensando al bel vestito che avrei potuto comprare, e dopo poco eravamo arrivati davanti scuola, dove Louis doveva riprendere la macchina per tornare a casa. Lo salutammo, e dopo aver lasciato Niall al lavoro, da Jimmy’s, andammo a casa mia.
«Fate come foste a casa vostra, ovviamente.» Dissi non appena entrammo, affrettandomi verso la cucina per prendere tre lattine di quella che doveva essere una Coca-Cola da due soldi, comprata molto probabilmente in un discount. Beh, erano sempre meglio di niente però.
Salii le scale, facendo cenno ad Amy e Liam di seguirmi, e dopo esserci seduti sul pavimento, presi il portatile e lo accesi.
«Che fai?» Mi chiese Amy, alzando un sopracciglio.
«Metto quel dannato dvd, ovviamente.»
Zayn non era a casa, non si era ancora fatto vivo e non aveva nemmeno lasciato un dannatissimo messaggio in segreteria, o più semplicemente al cellulare. Aveva preso un impegno – anche se tecnicamente era stato costretto – e non lo stava mantenendo. Mi costava una certa fatica accendere il portatile anziché scaraventarlo fuori dalla finestra, ma resistetti all’impulso di farlo e presi nota mentalmente di mettere ben presto le mie mani intorno al collo di Zayn.
«Non possiamo farlo senza Zayn, non voglio che si prenda il merito di qualcosa che non ha fatto. E’ ora che impari a venire a scuola per studiare invece che per muovere quel suo bel culo per i corridoi facendo il superiore.»
Wow. Non avrei mai detto che Amy avesse le cosiddette palle per dire una cosa del genere. Voglio dire, non sembrava il tipo.
La guardai di sottecchi, mentre Liam rise, sfoggiando la sua bellissima e profonda risata.
Un momento.. bellissima? Da quando in qua trovavo la risata di Liam bellissima? Certo, lui era davvero bello, e gentile ed aveva quel sorriso che avrebbe sciolto anche l’iceberg più duro ma.. non potevo starmene lì a pensare quelle cose. Non quando avevo Liam a pochi centimetri, e soprattutto non quando a me non piaceva, perché non mi piaceva. Vero?
No, assolutamente no. E il discorso di poco prima con Amy ne era la prova. Io non l’avrei mai fatto soffrire, ma soprattutto la mia non era una cotta, né un’infatuazione né robacce simili. Liam era bello, punto.
«Io sono d’accordo con Amy» ammise lui guardandomi negli occhi. Io spostai subito lo sguardo altrove, troppo imbarazzata per aver pensato quelle cose neanche un minuto prima, così mi alzai con tutto il computer, richiudendolo e poggiandolo sulla scrivania.
Sbuffai, e guardandomi intorno notai un pezzo di stoffa dietro una pila di libri, e allungandomi a prenderlo mi accorsi che invece era il groviglio di quel che sembrava lana, di pochi giorni prima. O meglio, il cappello a forma di panda che avevo trovato al mio arrivo.
Lo guardai un attimo e poi lo infilai, sentendomi un po’ ridicola.
«Magari mi vesto da panda, alla festa.» Sorrisi voltandomi, sistemando le orecchie che erano rimaste nell’interno del cappello.
«Ammetto che ti dona, ma non ti ci vedo ad ingozzarti di miele.» Rise Liam, sfoderando di nuovo quel suo sorriso dolce e quella sua risata profonda.
Okay, dovevo seriamente darmi una calmata. Conoscevo Liam solo da pochi giorni, cos’era quell’improvviso interessamento nei suoi confronti? Non poteva piacermi, non poteva neanche solo interessarmi fisicamente. Era out, caput, assolutamente no.
Scossi la testa, di nuovo in imbarazzo, ma per fortuna fui salvata da Amy.
«Non erano gli orsi quelli ghiotti di miele? I panda si nutrono di bambù!» Rispose a Liam, scuotendo la testa come se lei fosse la maestra e Liam il bambino stupido.
«Beh fanno comunque parte della famiglia degli orsi, quindi per me sono tutti uguali..»
Io ed Amy scoppiammo a ridere, se per la stupidità appena uscita dalla bocca di Liam o se per la sua espressione, non sapevo dirlo.
«“Famiglia degli orsi”?» Gli fece da eco Amy, mentre lui si alzò dirigendosi verso di me, facendo per togliermi il cappello. Io opposi resistenza, poggiando le mani sulla testa e premendo affinché lui non riuscisse a sfilarmelo, e all’improvviso la porta della camera si aprì, facendo entrare una Nicole un po’ disorientata.
«Fareste meno..» cominciò guardandosi intorno, bloccandosi poi di colpo non appena il suo sguardo si fermò su di me, cambiandole radicalmente espressione.
Non sapevo cosa avesse e nemmeno m’importava granché, ma sembrava stesse per avere una qualche crisi di panico, o come si chiamano.
All’improvviso cacciò un urlo, che mi fece rabbrividire e non poco, e mi distrasse abbastanza da non vederla quando mi si catapultò addosso, afferrandomi quasi con le unghie.
Non sapevo che diavolo avesse, ma era senza dubbio fuori di testa, e se non mi avesse lasciata subito l’avrei presa a calci nei punti sensibili.
Urlò di nuovo, questa volta iniziando a piangere e tirandomi per la maglietta, ma prima che potessi alzare anche solo un dito, apparve uno Zayn piuttosto affannato e sconcertato sulla soglia della camera, che corse subito verso la sorella, prendendola per le braccia e cercando di allontanarla da me, mentre Liam mi si posizionò davanti.
Ma che cazzo le era preso?
«Il cappello!» Urlò Zayn, mentre Nicole si dimenava tra le lacrime, allungando le braccia – per quel che le braccia possenti di Zayn le permettevano – cercando di avvicinarsi a me.
«Togli il cappello!» Urlò di nuovo Zayn, mentre io ed Amy – che nel frattempo si era messa accanto a me – guardavamo Nicole sconcertate.
Non l’avrei mai detto, ma quella ragazza aveva dei seri problemi.
Tolsi il cappello, lanciandolo a Nicole che però non poteva prenderlo a causa delle braccia tenute ferme da Zayn. Quest’ultimo, intento a cercare di non farmi sbranare da Nicole, non riuscì a prenderlo in quanto aveva le mani occupate, così il cappello finì a terra, ma nessuno mosse un dito per raccoglierlo.
Nicole, ancora in lacrime, continuava a dimenarsi guardandomi come un leone incazzato guarda la sua preda – ovviamente umana – mentre Zayn tentò con parecchi sforzi di trascinarla fuori dalla mia camera, riuscendoci.
Non me ne ero resa conto, ma il cuore aveva iniziato a battermi più velocemente, ed ero più che sicura che se avessi controllato, mi avrebbero tremato mani e piedi, ma feci finta di niente, sospirando quando Liam si spostò da davanti a me.
Era stato gentile, come un cavaliere, solo che invece della strega cattiva, nella mia storia c’era una sorella psicopatica e un fratello imbecille. Non che li considerassi davvero dei parenti, dato lo stato di sangue completamente diverso, ma avrei preferito esser dovuta salvare da una strega pazzoide che da una sorella acquisita in preda a tempeste ormonali.
Liam si guardò intorno preoccupato, mentre Amy mi fissava con quei suoi occhi verdi che in quel momento non ero in grado di affrontare.
Incrociai le braccia sul petto, per evitare di tenere in mostra le mie mani tremolanti, ma neanche un secondo dopo vidi Nicole di nuovo di fronte a me, ma non feci in tempo a far nulla se non coprirmi la faccia con le mani, sperando che non volesse davvero infilare quelle sue unghiacce nelle mie guance, o qualche dito in un occhio, tanto meglio.
Non sentii nulla però, se non uno schiocco, seguito poi da un grugnito da parte di Nicole e lo sforzo di Zayn nel portarla via di nuovo.
Amy chiuse la porta, e Liam.. Liam era davanti a me.
Mi si era parato davanti come se stavamo affrontando Lord Voldemort, ma anche se in realtà era solo quella stupida di Nicole, il suo gesto mi fece molto più che piacere.
Se non fossi spaventata e stizzita, in quel momento avrei pianto dalla gioia, o forse sarei corsa per la stanza saltellando di tanto in tanto.
Avevo capito subito che Liam non era come gli altri ragazzi, idioti e superficiali, ma affrontare una ragazza incazzata e in piena crisi per difenderne una che se ne stava con le mani in mano, e che oltretutto non conosceva, era davvero un bel gesto.
Gli misi una mano su una spalla, e quando si voltò notai un segno rosso lasciato molto probabilmente dalla mano di quella malata di Nicole.
Me l’avrebbe pagata, Liam non c’entrava nulla, e se non ci fosse stato lui e avesse preso me, le avrei già rovinato quel suo bel faccino.
Il ragazzo davanti a me mi guardò preoccupato, non sapendo che quel che mi stava frullando in testa in quel momento riguardava lui, come molti degli altri pensieri di quella giornata. Guardai la sua guancia rossa, e istintivamente allungai una mano verso di essa, come se per magia un mio solo tocco potesse far sparire quel rossore che sarebbe diventato presto un bel graffio, se non un “rigonfiamento”.
Guardai la mia mano per aria, che non smetteva di tremare, e quando vidi Liam allungare un braccio verso di me, l’abbassai frettolosamente.
«E’ meglio se andate, cominceremo domani.» Dissi poi, voltandomi e avvicinandomi verso la finestra in modo che nessuno dei due potesse vedermi.
Stavo iniziando a sentirmi debole, ed odiavo quella sensazione perché debole voleva dire impotente.
Nonostante non lo dessi a vedere – almeno così credevo – la scenata con Nicole mi aveva scossa e non poco, ma non volevo farmi vedere in quel modo.. Qualunque fosse.
Mi avvicinai di più alla finestra, guardando fuori aspettando che Liam ed Amy si decidessero ad uscire. Avrei voluto pregargli di andarsene, ma sentii dei passi leggeri avvicinarsi e poi Amy sussurrare un “è meglio lasciarla sola”, ricevendo in risposta quel che doveva essere il solito sguardo preoccupato di Liam seguito da un cenno di assenso.
Aspettai cinque minuti buoni prima di voltarmi, e quando lo feci, mi buttai praticamente sul letto, guardando le mie mani ancora tremolanti. Mi girai su un fianco, raggomitolandomi, e non appena chiusi gli occhi, feci quel che facevo raramente: piansi.
 
 
 
Myspace”: okay, scusate se trovate qualche errore, ma non ho dormito tutta la notte scorsa per via di una mia amica molto birichina (ciao bri AHAHAHAHA) per cui sto crepando di sonno, veramente. chiedo scusa però se ci ho messo così tanto a postare, ma davvero non ho avuto tempo çç prometto però che mi farò perdonare, forse pubblicando il prossimo capitolo domani o dopodomani uu non ne ho idea, spero solo che questo capitolo non faccia schifo come penso, perché l’ho messo solo a causa della mia ritardarietà (?) nel postare, per cui, come si suol dire ‘o la va o la spacca’. (?) ad ogni modo, ho pubblicato una nuova fan fiction che cercherò di aggiornare frequentemente (in quanto ha già due capitoli più il prologo uu) e due one shot, da cui vorrei davvero che passaste. okay, so che i banner fanno cagare ma non so fare di meglio AHAHAHAHAHAH però comunque cliccateci sopra e vi porterà alla fan fiction/one shot uu comunque se vi aspettate la festa di halloween nel prossimo capitolo mi spiace deludervi, ma davvero non mancherà ancora molto a quel capitolo uu intanto vi informo che dal prossimo succederà qualcosa, anche se avevo detto la stessa cosa in quello precedente (perdonatemi D:) ma non voglio far accadere tutto in fretta, anche perché non sapevo di dover fare una scaletta (?) come fanno solitamente le persone che scrivono fan fiction AHAHAHAHAH quindi sì, sono una ritardata ma vabè. mi organizzerò uu
ps: una delle one shot è sì, su harry ed alex, i personaggi i questa fan fiction anche se qui harry non è un personaggio così importante, almeno non ora uu pps: se volete essere aggiornate quando posterò chissà cosa, fatemi sapere su twitter, sono @69withpayne <3






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Capitolo 10
*** chapter ten; ***


Non sapevo esattamente quanto tempo era trascorso da quando mi ero messa a letto, ma sicuramente non era abbastanza dato che sentii mia madre salire in camera mia per la terza volta consecutiva, chiedendomi cos’avessi che non andava.
In realtà saliva per dirmi che la cena era pronta, ma a quanto pare dopo qualche giorno aveva deciso di tornare a fare la madre, per cui tentava di preoccuparsi per me.
Per la terza volta biascicai un «non ho niente e non ho fame», prima di alzarmi definitivamente dal letto e chiudere quella benedetta porta a chiave. Mi sentivo stanca, un po’ fiacca e sentivo gli occhi bruciarmi, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare chiaramente quel che era successo quel pomeriggio.
Forse era una cosa che succedeva quando accadeva qualcosa di brutto. Il dimenticare quel qualcosa di brutto, intendo. O forse ero semplicemente troppo stanca per pensare. Fatto sta che non mi rimisi a letto, ma asciugandomi gli occhi con il dorso della mano, raggiunsi la finestra e mi sedetti sul davanzale, guardando in alto la luna che era spuntata più o meno da un paio d’ore. Poggiai la testa sullo stipite della finestra, circondando le ginocchia con le braccia e chiudendo gli occhi, cercando di scacciare i pensieri che tentavano di entrarmi in testa.
Subito mi balenarono in testa le immagini di quel che era successo con Nicole, di Liam davanti a me, di Zayn che urlava. Non riuscivo ancora a capire il perché della reazione di Nicole per quello stupido cappello, ma la scena di quel pomeriggio mi aveva, come dire.. spaventata, in un certo senso.
Scrollai la testa, e allungando un braccio sul comodino per afferrare il mio iPod, lo accesi e feci partire una canzone a caso. Sospirai, e guardando fuori dalla finestra notai una figura familiare guardare nella mia direzione.
Che ci faceva Liam sveglio alle.. guardai l’ora sul display dell’iPod, che segnava esattamente le 9,30pm. Beh, allora era ovvio che stesse sveglio.
Lo guardai, senza aprire la finestra per urlargli chissà cosa come succedeva nei film, ma sorrisi semplicemente. Era un sorriso un po’ forzato, ma lui ricambiò lo stesso, facendo poi un segno con la mano come a dirmi di aspettare. E così feci, mentre lui si voltò – forse cercando chissà cosa – per poi tornare alla finestra.
Si poggiò sul davanzale, sicuramente scrivendo qualcosa dato il movimento della sua mano, e quando finì alzò un foglio, tenendolo piegato per bene in modo che leggessi chiaramente.
“Stai bene?”
Leggendo quella semplice domanda, su un semplice foglio, sentii lo stomaco vorticare, come se qualcuno stesse risucchiando tutto quel che conteneva. O forse.. no, non era quella sensazione per cui la gente si sveglia la mattina sorridendo, non era quella sensazione per cui quella stessa gente andava a dormire sorridendo.. non poteva essere. Non così di punto in bianco almeno. O forse.. forse era possibile?  Forse sì.
Guardando Liam così serio, dalla finestra opposta alla mia, che si preoccupava per me.. era strano. Come la sensazione che stavo provando, anche se era piuttosto piacevole. Avevo i brividi, e sentivo lo stomaco attorcigliarsi, ma in modo positivo.
Non potevo darlo a vedere però, né potevo dire a Liam quel che stavo provando in quel momento, guardandolo dalla finestra. Quindi annuii, sorridendo sinceramente.
Stavo bene, davvero. Quel che era successo qualche ora prima non era stato niente, no? Solo una semplice ‘litigata’, se così la si vuol chiamare. Ma non era successo niente, era solo un malinteso che sarebbe stato chiarito presto. Per cui sì, stavo bene. Anche – o soprattutto – grazie al ragazzo dal sorriso dolce e spontaneo, dai capelli corti e spettinati e dagli occhi color nocciola..
Nel frattempo che io contemplavo la bellezza di Liam, lui scrisse qualcos’altro sul foglio, per poi alzarlo di nuovo e mostrare un “vuoi parlare?” a caratteri cubitali.
In risposta alzai una mano davanti alla faccia, come a dire di non preoccuparsi, e poi gli sorrisi, mimando un “grazie”. Lui sorrise a sua volta, e come me, si sedette sul davanzale della sua finestra, come per farmi compagnia.
Il mio sorriso si allargò, e quando vidi Liam intento a dire – a mimare – qualcosa, qualcuno bussò alla mia porta, ed infastidita per aver rovinato quel.. momento, mi alzai lentamente, girando la chiave pronta a mandare a quel paese mia madre se fosse tornata di nuovo per chiedermi se avessi fame.
E invece no. Quando aprii, mi trovai davanti l’unica persona che non avrei mai immaginato bussare alla mia porta. Almeno non quella sera.
«Che vuoi?» Chiesi con tono neutro non appena spalancai la porta.
«Solo parlarti.»
Parlarmi? E di cosa? Non avevamo assolutamente nulla da dirci, noi due.
Come se mi avesse letto nel pensiero, rispose: «Riguardo a prima.»
Oh, beh, allora. Non che m’interessasse sapere perché Nicole aveva dato di matto, ma mi doveva almeno delle scuse, no? Anche se mandare il fratello al posto suo, non era proprio un bel modo di scusarsi.
«Taglia corto, Zayn.» Ordinai voltandomi, sedendomi poi sul letto.
Lui si chiuse la porta alle spalle, e lentamente si avvicinò fino a sedersi anche lui.
Puntò subito i suoi occhi castano-dorati nei miei, ma come era già successo, non riuscii a tenere il suo sguardo per più di tre secondi. Quegli occhi, i suoi occhi, avevano un effetto strano su di me dalla prima volta che avevano incontrato i miei.
Erano ipnotici, e bellissimi. Chiunque si sarebbe sciolta guardandoli, compresa me.
Così evitai il più possibile di guardarlo, anche se forse era “da maleducati”.
«Mi dispiace per prima..» cominciò Zayn.
«Non sei tu che devi scusarti, e poi non è colpa tua.» Risposi pronta, stringendo un cuscino tra le braccia. Non era colpa sua qualunque cosa avesse Nicole, per cui perché era dispiaciuto?
«No, hai ragione,» rispose, «Ma avrei potuto spiegarti prima e invece non l’ho fatto.»
«Diciamo che il fatto che mi sono segregata in camera non ha aiutato.» Commentai abbozzando un sorriso.
«Forse.» Continuò Zayn. «Comunque devi sapere che Nicole non l’ha fatto apposta, cioè.. è una questione..» guardò un punto lontano, fuori dalla finestra, forse per cercare le parole giuste «Delicata. Mia madre è morta, sai?»
No, ma l’avevo intuito. E davvero non capivo come riuscisse a parlarne così.. tranquillamente. O meglio, non capivo come potesse parlare della sua morte, così tranquillamente.
Mio padre era ancora vivo, eppure non riuscivo a parlarne con nessuno, non volevo parlarne con nessuno. Diciamo che non ci riuscivo e basta, e se fosse morto riuscirei a parlarne ancora più difficilmente.
Annuii alla domanda di Zayn, alzando un po’ lo sguardo per controllare la sua espressione: impassibile.
«Lei è morta cinque anni fa, quando io avevo tredici anni e Nicole dodici. Lei era.. la donna più bella che avessi mai visto, e non lo dico perché era mia madre. Ed era anche la donna più dolce e altruista che avessi mai conosciuto. Non che ne avessi conosciute tante, certo, ma lo era davvero. Metteva sempre gli altri al primo posto, che fossero familiari, amici o semplici conoscenti.» Fece un sorriso amaro, guardando prima fuori e poi me, poi continuò. «Quando eravamo piccoli ci portava sempre al parco, tutti i pomeriggi di tutti i giorni, e quando è morta.. non ci siamo più tornati.»
Ora teneva lo sguardo fisso fuori dalla finestra, e vidi un luccichio nei suoi occhi, come se stesse piangendo silenziosamente. Delle lacrime però non c’era traccia.
Lo squadrai un attimo – il che mi fece sentire davvero stupida – e notai che la sua mano tremava un po’. Ero una persona istintiva, e il mio istinto in quel momento mi diceva di abbracciarlo, di rassicurarlo. Eppure non lo feci. Non so per quale motivo mi trattenni, ma non riuscivo nemmeno ad allungare una mano per stringere la sua. Ero come immobilizzata.
«L’ultimo carnevale che abbiamo passato insieme, ci aveva portati in un negozio di maschere, o una cosa simile, e credo sia stata una delle giornate più belle della mia vita.» Sorrise, ricordando ciò di cui stava parlando.
A vederlo così, mi sembrava quasi di essere.. gelosa. Lui aveva Mike, e nonostante la madre lo avesse lasciato quando ancora guardava i cartoni animati, Zayn riusciva a parlare di lei con serenità, mentre io, per quanto forte potessi sembrare, non avrei retto neanche un istante senza mia madre. Anche se negli ultimi giorni eravamo un po’ in crisi, non avrei mai potuto vivere senza di lei. Non riuscivo neanche a pensarci a una vita senza di lei, per cui in quel momento invidiavo Zayn. 
«Ha fatto provare a me e Nicole le maschere e i vestiti più strani, mentre ci scattava foto assurde, e alla fine, in uno degli scaffali più alti, Nicole vide un cappello, quelcappello, e mia madre voleva prenderglielo a tutti i costi. Siamo rimasti tutto il pomeriggio nel negozio ad aspettare che arrivasse il turno di un altro commesso dato che quella che c’era già non era in grado di arrivare allo scaffale (e no, non aveva una scala).»
Il sorriso apparso poco prima sul suo viso, si allargò per poi spegnersi del tutto.
«Dopo aver trascorso il pomeriggio al negozio, siamo tornati a casa con quel cappello, che mia madre indossava sotto comando di Nicole, e poi.. il giorno dopo è morta.» Si voltò verso di me, che avevo alzato la testa senza neanche accorgermene, e ci guardammo per gli occhi per un attimo che parve interminabile.
I suoi occhi castano-dorati sembravano quasi spenti, ma allo stesso tempo brillavano sotto la luce della luna, il che li rendeva ancora più belli. Come la sua pelle ambrata, e il suo sorriso al momento triste. Ma forse non avrei dovuto pensare a quelle cose in quel momento.
Sospirai, abbassando di nuovo la testa, sui miei calzini a righe.
«Se n’è andata così in fretta che non abbiamo neanche fatto in tempo a salutarla.» Continuò di nuovo Zayn, dato il mio silenzio. «Si è sentita male all’improvviso, mentre era a lavoro e noi a scuola, e quando siamo tornati a casa eravamo distrutti. Nicole pianse per mesi, e sono sicuro che lo fa ancora, mentre io no. Comunque, mia madre indossava quel cappello l’ultima volta che la vidi, e così anche Nicole. La mattina usciva presto di casa per andare a lavoro, per cui si occupava nostro padre di portarci a scuola.» Sospirò, guardando di nuovo me.
«Capisci quindi il perché della reazione di Nicole?» Chiese poi. «Quando mia..nostra madre morì, Nicole indossò quel cappello ogni secondo di ogni giorno, per anni. E quando finalmente riuscimmo a farglielo togliere, ci aveva pregati di buttarlo via, ma per qualche insulsa ragione non riuscimmo a farlo, per questo l’abbiamo nascosto nella sua camera, di mia madre..»
«Ma poi io l’ho trovato.» Conclusi io, stringendo ancor di più il cuscino che tenevo tra le braccia.
Non sapevo davvero cosa dire, non ero mai stata brava con certe cose, in quanto la mia situazione familiare non era delle migliori, ma avrei davvero voluto far qualcosa per tirar su Zayn in quel momento.
Magari avrei potuto costruire una macchina del tempo che mi avrebbe permesso di tornare indietro a quando avevo trovato quel cappello. O magari potevo tornare al giorno del mio trasferimento lì, dato che sembrava esser cominciato tutto con il piede sbagliato. Forse però, sarei potuta tornare indietro fino al momento della mia nascita. Magari non nascendo avrei evitato un sacco di problemi a tutti, dato che non riuscivo a farne una giusta neanche quando ci provavo con tutta me stessa.
Continuando a guardarmi i calzini, bisbigliai: «mi dispiace» prima di alzare di nuovo lo sguardo su Zayn, che guardava fuori. La luce della luna gli illuminava la parte del viso che avevo davanti, e lo rendeva ancora più bello. Sembrava uscito da una delle pubblicità in bianco e nero di Gucci, o Calvin Klein o chiunque sia. Sembrava come un Dio, e la sua pelle di solito scura, sotto quella luce gli dava un aspetto particolare. Poteva passare per Edward Cullen, se solo non avesse avuto più l’aspetto del lupo.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri stupidi, e tornai a pensare a qualcosa da dire.
Feci per aprire bocca, ma Zayn m’interruppe.
«Non devi dire per forza qualcosa, se non sai cosa si prova.»
«Già, non so cosa si prova, ma sai, è meglio che tua madre se ne sia andata così che nel modo in cui l’ha fatto mio padre.» Dissi tutto d’un fiato, senza nemmeno pensare alla cosa giusta da dire, che di certo non era quella. «Mi dispiace, intendevo..»
«Tranquilla,» m’interruppe, sorridendo gentilmente «Ho capito.»
Gli sorrisi, ripensando alle fotografie che avevo visto nel salotto il giorno in cui ci eravamo trasferiti lì. Ce n’era una in particolare che mi aveva colpita.
«E’ tua madre nella foto nel salotto, vero?» Chiesi.
C’erano parecchie foto di famiglia appese e non, nel salotto, ma in nessuna di quelle foto c’era la madre di Zayn e Nicole, eccetto che in una, in qui era stata fotografata solo lei. Ne ero rimasta rapita appena i miei occhi si erano posati su di essa, ed era difficile ricordare i suoi lineamenti perfetti, i capelli lunghi e un po’ mossi, dello stesso colore scuro di Zayn. Aveva anche un sorriso bellissimo, che nella foto mostrava i denti perfetti, e gli occhi castani, sotto la luce del luogo in cui era stata fotografata, sembrava quasi dorati, come quelli del figlio. La pelle era scura e liscia, segno che non era originaria dell’Inghilterra.
Nel complesso, era una delle donne più belle che avessi mai visto.
Per questo Zayn era così.. bello. Aveva preso da lei, almeno per l’aspetto esteriore. Avevo notato subito che lui e Mike non si somigliavano per niente, insomma, Mike sembrava il classico inglese, mentre Zayn sembrava più orientale.
«Non sei egiziano, vero?» Chiesi dal nulla, facendolo ridere.
«No, pakistano.» Rispose sorridendo, muovendo una gamba che probabilmente gli si era addormentata.
Quindi era per metà pakistano e per metà inglese, bello. Anche a me sarebbe piaciuto avere origini miste, magari italiane, o francesi. Ma Dio non ha accontentato tutti.
«Perciò hai un mucchio di parenti?»
Rise di nuovo, mostrando un sorriso perfetto.
«Diciamo di sì, ma non vivono qui a Londra.» Disse un po’ malinconicamente.
Forse gli mancavano i suoi parenti, o magari non avevano buoni rapporti. Avrei potuto invidiarlo se solo non fossi così acida da allontanare chiunque, perfino i parenti.
Gli unici che avevo erano i miei nonni, che vivevano anch’essi a New York, mentre i miei zii (parenti dell’uomo che un tempo chiamavo padre) abitavano in Francia da prima che i miei si sposassero. Non li conoscevo granché, ma le poche volte che li avevo incontrati, erano stati gentili e anche abbastanza simpatici, al contrario di mio padre. Almeno credevo che non fosse simpatico, in realtà non ricordavo nessun momento della mia infanzia passato a ridere con lui. Forse perché non era stato un padre così a lungo da farmi avere dei bei ricordi.
Smisi di pensarci, respirando mentalmente per non incazzarmi per colpa sua.
«E dov’è che vivono?» Ripresi il filo del discorso.
«Alcuni qui in Inghilterra, a Bradford, mentre altri sono rimasti in Pakistan.» Rispose. «La maggior parte vive ancora lì.»
Non conoscevo Bradford neanche per nome, la mia bravura in geografia si limitava a conoscere Londra ed Oxford.
«Ti mancano, vero?» Gli chiesi subito senza pensare, di nuovo. Magari non voleva parlarne..
«Sì e no.» Scrollò le spalle, facendo una smorfia. «Alcuni di quelli che vivono in Pakistan non li conosco nemmeno, ma quelli a cui sono più affezionato vivono tutti a Bradford. Mio zio, le mie cugine, i miei cugini..» concluse sorridendo, forse ripensando a qualcosa di divertente che aveva fatto con loro, oppure sorrideva semplicemente perché gli voleva bene. Come una vera famiglia.
Feci per aprire bocca per chiedergli qualcos’altro sulla sua famiglia, ma parlò prima di me.
«Sai,» disse alzandosi dal letto, «ti preferisco così.»

Così come?
«Così come?» Chiesi, guardandolo allontanarsi verso la porta.
«Così.» Rispose voltandosi. Non potevo vederlo, ma sapevo che stava sorridendo.
“Così” non era una risposta, ma forse intendeva gentile? Disponibile? Simpatica? O cos’altro..?
«Beh,» gli risposi fissando la sua schiena, mentre lui si fermò sul ciglio della porta «anch’io ti preferisco così
Abbassò la testa, scuotendola divertito, e prima che si chiudesse la porta alle spalle entrando nel corridoio buio, disse un «buonanotte» divertito.
Beh, in fondo non era così male, no? Voglio dire, non era antipatico come sembrava, né rompipalle come credevo. Era stato.. carino. Per aver sopportato le mie domande ma soprattutto per essersi scusato per Nicole.
Pensai che avrei dovuto parlarle, ma non appena mi ricordai di Liam, rimandai la ‘chiacchierata’ al giorno dopo e andai verso la finestra, che però era chiusa e con tanto di tende tirate. Perfetto. Sperai che Liam non se la fosse presa, mi bastava già aver discusso con mia madre e aver ‘litigato’ con Nicole, che aggiungere la persona più gentile che avessi mai conosciuto alla mia lista di sfighe.
Sospirai, e accendendo l’abajour sul comodino mi infilai sotto le coperte e chiusi gli occhi.
 
 
Dovevo essermi addormentata in fretta, e dovevo essere abbastanza stanca dato che non sognai nemmeno quella notte. Nonostante ciò, però, mi alzai subito infilandomi il bagno e facendo una doccia calda, prima di prendere al volo un bicchiere di succo e dei pancakes ed uscire.
Ero uscita ancor prima di vedere Nicole, perciò decisi che le avrei parlato più in là nel resto della giornata, come con Liam che quella mattina non si era fatto vivo, chissà perché.
Prima di uscire in fretta e furia da casa, avevo trovato mia madre con Mike e Zayn in cucina a fare colazione, e quest’ultimo mi aveva offerto un passaggio per andare a scuola. Ovviamente avevo rifiutato, non sarei mai salita in una macchina con Harry e quell’imbecille di Madison. Avrei dovuto trattenere l’irresistibile voglia di far sbandare l’auto per far sì che quei due uscissero fuori a capriole, finendo su qualche strada isolata o giù da un dirupo.
Okay forse era un po’ esagerato, ma comunque non avevo per niente voglia di vederli. Non prima di aver chiarito le cose con Liam e Nicole, anche se di quest’ultima alla fine non mi importava gran che. Volevo scusarmi, ma di certo non saremmo diventate amiche dopo.
Quando arrivai a scuola, trovai Niall, Louis ed Amy ad aspettarmi all’entrata, come il giorno prima, e non appena fui davanti a loro fui travolta da Amy che mi stritolava in un abbraccio da orso.
«Hey, hey, non respiro!» Risi, cercando di respirare mentre Louis e Niall si univano all’abbraccio.
Molto probabilmente sembravamo un gruppo di dementi agli occhi di.. tutti, ma ne valeva la pena per un abbraccio così, da cui però riuscii a staccarmi prima di morire soffocata. «Cos’è tutto questo affetto, oggi?» Chiesi una volta libera.
Louis e Niall si posizionarono uno alla mia destra ed uno alla mia sinistra, circondandomi le spalle e i fianchi con un braccio. «Dev’esserci per forza un motivo se vogliamo abbracciarti?» Domandò Louis accigliato.
«Certo che no, ma qualcosa qui puzza, e non è l’alito di Niall.» Risposi cercando di essere seria, con scarsi risultati e beccandomi un «hey!» dal biondo.
«In realtà credo abbia fatto una puzzetta, perché poco fa il suo didietro emanava un certo odorino.»
Anche Louis cercò di parlare con più serietà possibile, e a lui riuscì.
Niall gli diede un leggero schiaffo su un braccio, mentre io ed Amy cercavamo di trattenere le risate. Era buffo come quei ragazzi riuscivano a farmi cambiare umore così facilmente.
«Sappiamo tutti che sei tu che non ti lavi» gli rispose a tono Niall, riducendo gli occhi a due fessure.
«E allora lavami tu, trottolino amoroso!»
Louis quasi urlò, avvicinandosi di slancio a Niall e pizzicandogli le guance come facevano i miei nonni ogni volta che mi vedevano. Non volevo essere al posto di Niall in quel momento, anche se era divertito quanto me vedendo Louis con la bocca a culo di gallina che cercava di stampargli un bacio sulla guancia.
«Che idioti!» Rise Amy, prendendomi sottobraccio per avviarci tutti e quattro a lezione.
«Allora, come stai?»
«Bene.» Risposi sinceramente, sorridendole. «E tu?»
«Bene!» Sorrise a trentadue denti, spostandosi poi gli occhiali che le cadevano sul naso.
Lentamente ci dirigemmo nell’aula di chimica, in cui avevamo lezione in comune alla prima ora, e parlando del più e del meno – e soprattutto del ballo di Halloween – le ore passarono in fretta.
A pranzo decidemmo di incontrarci tutti in mensa, dato che l’ora prima avevamo tutti e quattro lezioni separate, e dopo quelle prime ore riuscii finalmente a trovare Liam che si aggirava per i corridoi tra folla diretta a pranzo. Lo raggiunsi quasi correndo, e quando gli fui vicino gli toccai un braccio istintivamente.
«Hey!»
«Ciao.» Sorrise voltandosi verso di me, per poi tornare a guardare dritto davanti a sé.
Sembrava strano.. che ce l’avesse ancora con me per ieri?
«Senti..» cominciai titubante. «Mi dispiace per ieri..»
«Non devi dispiacerti.» M’interruppe sorridendo gentilmente, come solo lui sapeva fare. «Non appena è arrivato Zayn sono andato a dormire, tranquilla.» Sorrise di nuovo, voltandosi di tanto in tanto verso di me.
Aspetta.. «Zayn?» Come sapeva che ero con Zayn?
«L’ho visto dalla finestra.»
Risposta ovvia, domanda stupida.
«Ah, già.» Dissi di nuovo stupidamente, fermandomi prima di arrivare all’entrata della mensa. «Beh, mi dispiace comunque averti lasciato lì così, sei stato.. gentile. Ieri intendo. Cioè.. hai capito, no?» Balbettai sul finire della frase, guardandomi intorno alla ricerca di una qualunque persona conosciuta da salutare per evitare quella scena alquanto imbarazzante.
Non ci sapevo fare con le parole. Anche se pensavo che il gesto di Liam della sera prima fosse stato gentile e.. meraviglioso, non sarei riuscita davvero a dirglielo.
Per fortuna lui capì al volo il mio imbarazzo, e passandosi una mano tra i capelli – gesto che mi fece morire e poi sopravvivere – sorrise di nuovo.
«Sì, ho capito, tranquilla.» 
Gli sorrisi di rimando, voltandomi verso le porte della mensa per entrare, ma mi tenne per un braccio.
«Senti… ti va se..» stavolta fu interrotto lui, dal chiasso proveniente dalla mensa che si fece più forte man mano che dei ragazzi accanto a noi spalancavano le porte per entrare. «Che succede?» Chiese qualcuno accanto a me, avvicinandosi alla folla all’interno.
Io e Liam raggiungemmo un gruppo di studenti accanto all’entrata, mentre allungavo il collo alla ricerca di Amy, Louis o Niall. O tutti e tre.
Solo quando Liam mi diede una leggera pacca sul braccio indicandomi il centro di tutto quel casino, trovai i tre. Erano al centro della folla, ma non riuscivo a capire cosa stava succedendo. Avevo parecchie persone davanti a me, e attraverso degli spazi riuscivo ad intravvedere le teste bionde di Amy e Niall, che erano di profilo rispetto a dove mi trovavo io.
C’era un buco al centro della folla, e loro erano lì.
Mi avvicinai spintonando qualcuno per riuscire a raggiungerli, seguita da Liam, e quando fui abbastanza vicina da poterli vedere tutti e due in faccia, seguii il loro sguardo verso la causa di quel casino: Madison. Ovviamente.
Lei e le sue amichette bionde tinte e decerebrate se ne stavano di fronte a loro, a uno o forse due metri di distanza, tutte e tre con le braccia incrociate sul petto cercando di sembrare intimidatorie, col risultato però di sembrare solo tre emerite coglione.
Nessuna delle cinque persone in questione mi vide arrivare, e quando con qualche passo raggiunsi i miei due amici, vidi con la coda dell’occhio Madison irrigidirsi, mentre le due bionde finte fecero un passo indietro. Bene, buon per loro.
«Che succede?» Chiesi ad Amy, che era sull’orlo delle lacrime  mentre fissava la bruna di fronte a noi.
Non avevo notato prima che non portava gli occhiali, ed era alquanto strano dato che li portava sempre per tutto il giorno. Perfino quando dormiva, l’avevo notato quando ero rimasta a dormire da lei.
Mi avvicinai di più, per cercare di capire cos’avesse Amy, e toccai qualcosa col piede: i suoi occhiali. Per fortuna non li avevo pestati, ma erano schiacciati a terra ed entrambe le lenti erano frantumate. «Ma che… » guardai gli occhiali a terra e poi Amy. Vidi le sue labbra tremare, e i suoi occhi trattenere a stento le lacrime, così mi misi davanti a lei senza pensarci due volte.
«Che diavolo vuoi?» Usai il tono più minaccioso che mi riuscì, mentre con una smorfia Madison si spostò i capelli all’indietro, lasciando così cadere gli occhi di ogni singola persona del sesso opposto, sul suo decolté.
«Cosa voglio?» Chiese con fare ovvio, avvicinandosi così tanto che se avesse aperto bocca le avrei visto l’apparato digerente. Ma come lei, mi avvicinai anch’io, senza battere ciglio. «Vorrei non dover vedere questi sfigati ogni giorno.»
Sfigati? Glieli davo io gli sfigati, dritti sui denti.
«Beh,» risposi incrociando le braccia, sorridendo amabilmente. «Mi dispiace che il tuo culo e il tuo ego siano così grandi da non lasciar entrare aria nel tuo cervello ristretto, ma alla tua età dovresti saper riconoscere ormai un gruppo di persone con un cervello» indicai il mio gruppo di amici alle mie spalle, comprendendo me «Da un gruppo di sfigate con più silicone che acqua nel corpo.» Finii indicando lei e le due oche dietro di lei.
Avrei voluto usare termini difficili e frasi da sapientona, ma non ero quel che si dice una cervellona, per cui le mie riposte arrivavano a quello, insulti e.. insulti. E comunque Madison non era stupida, per cui avrebbe capito i miei insulti anche se avessi usato un linguaggio dell’Ottocento.
«Il bue che dice cornuto all’asino, eh?» Rise falsamente, alzandosi ancor di più le tette finte.
«L’unico bue che vedo è finito nel tuo sedere,» risposi prontamente «E nelle tue gambe. E’ cellulite, quella?» Finsi una smorfia di disgusto, mentre gli studenti intorno a noi facevano la loro parte completando l’opera con svariati ‘ohh!’ e ‘ahia!’. «Dovresti stare più attenta alla linea, Maddie, altrimenti quelle tette scapperanno via.» Aggiunsi alla fine, squadrandola dalla testai a piedi con fare schifato. Non volevo usare termini offensivi fisicamente, in quanto non ero il tipo e avevo visto parecchi studenti in carne. Non che m’importasse di loro, ma non ero il tipo di ragazza che faceva caso a certe cose, e offendere una qualunque persona sul proprio peso, sarebbe stato da stupidi e superficiali.
«Se stai insinuando che queste» e si indicò le tette fuoriuscenti dal corpetto attillato «Sono finte, allora magari potresti farti un trapianto di cervello oltre che di tette.» Rispose acidamente, aggiungendo poi: «A quanto vedo madre natura non è stata così gentile con te.» facendo un cenno con la testa verso il mio petto.
Certo che era proprio senza cervello se riteneva che io non fossi dotata.
Se proprio devo dirlo, madre natura era stata piuttosto gentile con me, in quanto mi aveva donato una coppa C abbondante. Evidentemente con lei non era stata così generosa però, se aveva dovuto ricorrere ai ferri. Non risposi alla provocazione sulle mie misure però, punzecchiandola su altro.
«Sai, non ti facevo così superficiale da preferire due tette ad un cervello, ma evidentemente Dio non è stato così gentile da donartene uno.»
Non sapevo in realtà perché ci stessimo insultando così gratuitamente, ma io sicuramente non avrei smesso di farlo finché non si fosse scusata per qualunque cosa avesse fatto ad Amy e Niall.
Madison scoppiò in una risata sonora, scostandosi i capelli e avvicinandosi fino a sfiorarmi quasi.
Era poco più alta di me, per cui dovetti tenere lo sguardo alzato per affrontarla, anche perché aveva degli orribili tacchi che le avrei gentilmente rotto per infilarglieli gentilmente da qualche parte.
«Almeno, a me, Dio ha donato due splendidi occhi e un sorriso perfetto, invece che quattr’occhi e un sorriso..» guardò con faccia schifata Niall, cercando un aggettivo adatto. «Un sorriso, a dir poco orribile.» Aggiunse poi, fingendo un conato di vomito facendo ridere le due oche bionde.
Orribile? Sorriso orribile? Se osava anche solo pensare ad offendere uno dei miei amici, il suo sorriso sarebbe diventato così orribile da farla usare come spaventapasseri.
Strinsi i pugni, cercando di trattenermi dal sferrargliene abbastanza da rovinarle quel bel faccino. Stringevo così forte da sentire le mie unghie infilarsi nei palmi, ma almeno il dolore riusciva a distrarmi da prenderla a pugni o meglio, a capocciate.
Notando che non aprivo bocca, continuò.
«Non so come tu possa essere amica di questi.. questi. Voglio dire, non potevi trovare persone più sfigate di loro, eh?» Piegò la testa da un lato, sorridendo. «Forse però da oggi in poi smetteranno entrambi di recare danno a questa scuola mostrando in giro le loro brutte facce e quella bocca così oscena e.. strana da poter essere usata come cavatappi.»
Alludeva a Niall, di nuovo.
Strinsi ancora di più i pugni.
«Dai, ma l’avete visto sorridere?» Chiese guardandosi intorno, ridendo sempre più forte. «E’ una scena terrificante, dovrebbero metterla in qualche film horror.»
Strinsi ancora.
«E la sua risata? Sembra una pecora in calore, andiamo!» Rise ancora di più, mentre ancora di più, io stringevo i pugni.
Ahia, mi ero bucata un palmo.
«Biondo, spero con tutto il cuore che tu non sorrida più, altrimenti dovranno arrestarti per omicidio. E tu, poi..» Amy. No, non le avrei lasciato sputare merda anche su di lei. Non le avrei lasciato ferire ancor di più Niall né tantomeno l’avrei lasciata avvicinarsi a loro di anche solo trenta centimetri, cosa che stava per fare.
Ed è per questo che non appena mi oltrepassò andando verso di loro, la presi per i capelli facendola voltare, spingendola poi lontana dai miei amici mentre mi mettevo davanti a loro. Sul suo viso passò velocemente un’espressione di terrore, seguita subito da una infuriata.
Non fece in tempo a fare due passi però che mi avvicinai in fretta e tenendola per una spalla, le sferrai un pugno su quel che doveva essere il naso, dato il dolore lancinante che provai subito dopo. Ero stata una stupida, non avevo disteso le dita chiudendole poi in un pugno, avevo attaccato e basta. Ed era stato come dare un pugno sul cemento: duro e doloroso, molto doloroso.
Smisi di pensare al dolore però, concentrandomi sulla mora davanti a me che indietreggiava tastandosi la faccia con entrambe le mani, cercando di capire la fonte del sangue che continuava ad uscirle dal naso.
Non appena ci arrivò, si avvicinò di nuovo, quasi correndo, ma la spinsi ancor prima che si fermasse, facendola cadere a terra prima di buttarmici sopra per sferrarle altri pugni. Cosa che però non successe, dato che in neanche un secondo sentii più di due braccia afferrarmi per le spalle e per i fianchi, cercando di trattenermi.
Per mia sfortuna le braccia appartenevano a Liam e a due studenti più grandi e con parecchi muscoli, per cui non riuscii a far altro che dimenarmi, facendomi male da sola nei punti in cui quelle sei mani stringevano.
Le due finte bionde si accasciarono accanto a Madison che continuava a tastarsi il naso, guardandomi come se lei fosse un toro ed io un mantello rosso.
«Questa me la paghi, puttana! Dovrai sborsare così tanti soldi per il mio naso che quando sarai morta e decrepita in una tomba i tuoi stupidi familiari staranno ancora a pagarmi!» urlò infuriata. Oh, wow. Non sapeva che c’erano gli spiriti che vagavano allegramente sulla terra? Avrei potuto tranquillamente perseguitarla anche da morta, anzi, sarebbe stato molto più divertente che farlo da viva.
«E se tu provi anche solo ad avvicinarti ad uno di loro, finirai in una tomba ancor prima di dire plastica!» Urlai rabbiosa, smettendo di dimenarmi sperando che si decidessero a lasciarmi così da poterle completare l’opera con due occhi neri.
Non lo fecero però, neanche quando Madison si alzò correndo con le due bionde, e nemmeno quando metà della folla si dileguò impaurita. Riuscii a voltarmi verso Amy e Niall però, che avevano assistito alla scena come se avessero appena visto dei fantasmi.
Feci un respiro profondo, cercando di rilassare i muscoli senza successo. «State bene?»
Niall mi guardò per un momento che parve interminabile, mentre Amy fissava un punto davanti a sé, finché entrambi non si avvicinarono in un batter baleno, abbracciandomi. Subito ricambiai l’abbraccio – almeno per quel poco che potevo date le sei possenti braccia che ancora mi trattenevano – chiudendo gli occhi e abbassando le spalle, espirando. Qualche secondo dopo sentii Liam sussurrare «va bene così», e le sei braccia lasciarmi libera di ricambiare quell’abbraccio. Quando ci staccammo, Amy sorrise, lasciando che le lacrime che erano scese sulla mia spalla, ora scendessero sulle sue guance, mentre Niall sorrise dolcemente.
«Sei stata grande.» Disse semplicemente, mostrando il sorriso più bello che avessi mai visto.
Gli sorrisi di rimando, allungando poi una mano per asciugare le guance di Amy, che sorrise forzatamente, in imbarazzo.
Liam si avvicinò a Niall, sorridendo anche lui, per poi posargli un braccio sulle spalle come a confortarlo. Nonostante non potessero definirsi amici, in quel momento Liam lo stava facendo. C’era per lui.
Presi Amy sottobraccio, e tenendola per mano uscii dalla mensa seguita da Niall e Liam, sotto gli sguardi di alcuni curiosi che erano rimasti attorno a noi.
Sarei stata sospesa? Può darsi. Sarei stata espulsa? Forse. Ma in quel momento non m’importava. I miei amici erano stati presi di mira ed io li avevo difesi, nel modo giusto o in quello sbagliato non importava. Importava che l’avevo fatto, come avevano fatto loro con me quella mattina, perciò, che fossi stata espulsa, sospesa o che altro, l’unica cosa di cui mi importava era che Niall ed Amy stessero bene. E che quella stronza l’avesse pagata.



Myspace: SONO VIVA! Lo so, vorreste uccidermi, ma vi prego di non farlo perché lo farò io stessa per aver pubblicato questa oscenità. Avevo in mente la scena di Liam alla finestra (?), il discorso/fatto di Zayn e Nicole e la rissa con Madison da più o meno quando ho iniziato la fan fiction, e non vedevo l’ora di arrivarci eppure ora ho scritto una cagata, per cui perdonatemi, ve lo chiedo in ginocchio çç per farmi perdonare però.. il prossimo capitolo sarà quello della festa osfhgoahfsd credo. No dai, spero D: ahahahah vabbè farò il possibile, devo solo sistemare una cosa che ho in mente altrimenti non posso far accadere quel che voglio far accadere (?) che sicuramente vi piacerà uu spero. Credo. D: non lo so più. Comunque, scusate se ho postato con così tanto ritardo dopo aver detto che avrei postato con due/tre giorni di distanza dall’altro, ma davvero ero in alto mare. E’ un periodo un po’ così ed ho un po’ di problemi miei e boh, l’ispirazione ogni tanto andava a farsi fottere per cui ho scritto un po’ per volta nonostante sapessi già cosa scrivere. E vi chiedo scusa anticipatamente perché non so proprio quando posterò il prossimo. Ho già in mente delle scene, per cui non è la fantasia che mi manca, ma il tempo çç però giuro (e se giuro giuro, cioè se giuro mantengo) che aggiornerò una volta a settimana :) ogni volta che avrò un po’ di tempo libero scriverò, anche se non sono al pc. Scriverò anche dall’ipod mentre sono a correre (= camminare veloce AHAHAHAHAH) in palestra e in qualsiasi altro momento io possa, promesso è_è Spero comunque che il capitolo non faccia così schifo da lasciarmi una recensione, anche solo per dirmi ‘ciao’ o ‘il capitolo fa cagare, ma non COSì cagare da non lasciarti scritte dieci parole’ o non so. Oh, e VI PREGO, ditemi se siete team Zalex/Alyn (?) o Lilex/Aliam (mi ricorda i preservativi, anche a voi? D:) o come mi ha detto una ragazza su twitter (scusa, non ricordo come ti chiami çç) team Loulex/Alis ( Louis-Alex) AHAHAHAHAH ci tengo tanto a saperlo e forse qualche vostra coppia (?) influenzerà le mie scelte per il continuo della fan fiction uu
Ps: scusate se non rispondo mai alle recensioni, ma ho sempre tanto da fare.. no vabbè è che sono troppo pigra AHAHAHAHAHAH veramente, però giuro che vi risponderò, ma intanto vi ringrazio infinitamente per tutte le recensioni, cioè vi amo dfoshdgohdfgio poi sono tra gli autori preferiti di 16 persone *o* cioè grazie mille <3 e anche a chi ha messo la fan fiction (e anche tutte le altre) tra le preferite/seguite/ricordate. Davvero, grazie. Significa tanto per me :’)
Ps1: vi ricordo che su twitter sono 
@69withpayne, e che se volete essere aggiornati su quando aggiorno (?) basta che me lo scrivete e vi informo non appena sforno un capitolo <3 Ps2: vi ricordo, di nuovo, che ho scritto due one-shot, una su Harry ed Alex (di questa fan fiction, sì) ed una su Zayn e.. me AHAHAHAHAH mi piacerebbe molto che passaste, per cui se avete voglia, basta che cliccate sui banner sotto uu Ps3: se volete dare un volto ai personaggi, ecco uu

Madison – Tyler – Jake – Amy – Nicole – Mike – Sarah - Nora

Poi beh i One Direction li conoscete, ed Alex non so çç sinceramente io mi immagino me stessa D: AHAHAHAHAHAHAHAH credo che chiunque lo faccia quando scrive, quindi non sono anormale io, giusto? çç per cui non so, immaginate voi stesse (solo rosse di capelli uu) oppure, lei. c: Ps4: (giuro che i PS sono finiti) avete visto iCarly? Cioè AHAHAHAHAHAHAHAHAH io sono stata in piedi fino alle 4 per vedere quei coglioni, e dopo aver aspettato per mesi quell’episodio del cavolo, sarà durato 40 minuti in croce e loro ci sono stati 15-20 minuti in tutto çç poi boh, mi ha dato parecchio al cazzo che fosse Harry il protagonista, cioè c’è stato praticamente solo lui ._. e non credo di essere l’unica ad averlo notato, poi boh Niall e Louis mi sono piaciuti un sacco, Zayn avrà detto tre sillabe in tutta la puntata e Liam sorrideva e annuiva AHAHAHAHAHAH poi beh la Nickelodeon che dice che i fan di iCarly sono i migliori per i TT sulla puntata…. Giammai. Quello è merito delle Directioners. DELLE.DIRECTIONERS. Sì scusate ma devo sfogarmi in qualche modo ahahahahahah poi vabbè quella stronza di Sam/Jenette che si è portata via il mio Zayn sdoghagdihugodshf le avrei staccato tutti i peli delle ascelle e glieli avrei attaccati tipo pizzetto e poi ci avrei fatto una treccina sotto il suo cazzo di mento faghdfgadfgdhdoh sì va bene me ne vado.

ONE SHOT SU HARRY/ALEX:


ONE SHOT SU ZAYN:

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Capitolo 11
*** 11. ***


Ciao cwc volevo solo avvisarvi che non ho ancora aggiornato per vari problemi, e non so quando lo farò D: non è che io non abbia ispirazione o cazzi vari, è che mi si è rotto il pc c__________c cioè non mi si riavvia più, e internet (uso il wifi del vicino) funziona solo sul pc di mio fratello, che ci sta incollato come una cozza sugli scogli e non me lo fa usare neanche se lo pago oro :o infatti sto scrivendo ciò dall'iPod cwc il capitolo l'avevo scritto, ma era sul mio bel pc che ora è andato a cagare, però boh non è del tutto perso perché mi hanno detto che forse posso salvare la mia roba, perciò non so, vedremo sti giorni cwc se aggiornerò sarà perché sono riuscita a salvare tutto e il pc non è andato perso, altrimenti mi toccherà riscrivere il capitolo D: vabbè, volevo dirvi solo questo. Scusate se sto aggiornando sempre tardi ultimamente, ma prima non avevo ispirazione, poi sono partita e ora il pc D: la sfiga è con me cwc ho visto anche che qualcuno ha tolto la fan fiction dalle preferite/seguite, e beh mi dispiace tantissimo, ma non posso biasimarvi visto che sto postando tardi ultimamente.. Per cui non so, fate quel che volete, ma spero che nessuno di voi abbandoni questa fan fiction perché ci tengo davvero tanto, e se non aggiorno frequentemente c'è un motivo valido, non lo faccio per pigrizia o cosa, quindi boh, spero di trovarvi ancora quando riuscirò a postare :)
 
Tanto per ricordarvelo (se avete voglia di leggere ancora qualcosa di mio e non volete 'abbandonarmi' dopo questo 'annuncio' D:) ho scritto un'altra fan fiction, anche se ora ha solo tre capitoli ma okay, e due one-shot, perciò se volete passate di lì nel frattempo che non ci sono :) non potrò aggiornare dall'iPod come sto scrivendo ora, sia perché il wifi non mi funziona più qui e non so perché, sia perché è impossibile scrivere un capitolo da qui, altrimenti lo farei cwc però continuerò tutte le fan fiction non appena mi è possibile (e ne ho già iniziata una su Louis che però devo postare, sempre che il pc non mi faccia perdere tutto c__c) quindi se avete voglia, passate nel mio account (?) e vedete quel che volete leggere uu vi chiedo scusa ancora, ma non posso farci niente, sono sfigata D:
A presto spero (pregate per me e per il mio pc). <3

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