Desolation Row

di nainai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Desolation Row ***
Capitolo 3: *** To the end ***
Capitolo 4: *** I'm not okay (I promise) ***
Capitolo 5: *** Demolition Lovers ***
Capitolo 6: *** Safe and sound ***
Capitolo 7: *** Give'em Hell, kid! ***
Capitolo 8: *** Cancer ***
Capitolo 9: *** This is how I disappear ***
Capitolo 10: *** Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us ***
Capitolo 11: *** Disenchanted ***
Capitolo 12: *** The Sharpest Lives ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: Il seguente scritto ha come protagonisti persone reali e personaggi di fantasia. Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia dell'autrice. Nessuna pretesa di verità o verosimiglianza. Nessun intento offensivo, nessun diritto legalmente tutelato s'intende leso e tutti i diritti spettano ai rispettivi titolari.

“In realtà non è che ci sia stato un momento in cui mi sono innamorato di Gerard.
C’è stato un momento in cui me ne sono reso conto, questo sì. Insolitamente è coinciso esattamente con quello in cui gliel’ho anche detto.
Tutto il resto – voglio dire, tutto quello che è venuto prima – non l’ho fatto perché sapevo di amarlo. L’ho fatto perché era il mio migliore amico, la persona con cui mi trovavo meglio, quella con cui parlavo di qualsiasi cosa, quello con cui non avevo nemmeno bisogno di parlare, a volte, perché tanto ci si guardava negli occhi e si rideva come se avessimo espresso ad alta voce i pensieri che ci frullavano nella testa in sincrono.
Mettici che Gerard è una persona per la quale fottutamente facile perdere la testa. Lui, le sue idee del cazzo, il suo entusiasmo – sempre tanta, troppa partecipazione! – nel venirtele a dire, nello spiattellarti dritto in faccia tutto quello che pensa e che prova…! È davvero facile perdere la testa per lui.
Eppure io al Project non lo sapevo ancora di essere innamorato. La vicinanza sempre più stretta tra di noi – quella che le fan non hanno avuto problemi a notare subito, eh – era la conseguenza inevitabile della vita da “comune” che si fa ai festival di quel tipo. Durante il Warped c’era Bert accanto a Gerard, era stato lui la sua ombra, il suo compagno e la sua dannazione. Stavolta toccò a me. Fu un “caso inevitabile”, ero già la persona più vicina a Gerard dopo che Mikey aveva mollato per correre dietro ad Alicia. Finì solo che diventammo una cosa unica. Due corpi ma una sola testa ed una sola anima da dividersi a metà tra palco, backstage e tourbus.
In quelle situazioni non vivi la vita vera. Di notte parlavamo di tutto o di niente, addormentandoci sempre e solo quando eravamo sfiniti, è che in quei momenti non c’era nessuno a parte noi e questo li faceva sembrare troppo speciali per farli finire, eravamo in un bozzolo fatto delle tre pareti di una cuccetta scomoda – la sua o la mia, Brian cominciava a credere che non ne servissero davvero due separate – ed una tenda tirata per dare agli altri un po’ di tranquillità che tanto non arrivava mai comunque. Alla fine si sono abituati ad addormentarsi con le nostre voci e le risatine di sottofondo. Di giorno se trovavi uno di noi due, avevi trovato l’altro, bastava alzare gli occhi e dare uno sguardo intorno. Il sesso – che poi sesso nemmeno lo è mai stato – non è una cosa così strana. Nel nostro mondo il sesso ha tutto un significato suo, diverso da quello che ha per gli altri. È così già in generale, quando sei un tour con la tua band e le groupie di una città ogni sera diversa ti convincono che non ci sia un domani in cui dovrai rendere conto a qualcuno di questa notte e, quindi, perché darle un significato che non ha? Se per tre mesi il tuo universo smette di allungarsi oltre la transenna della fascia di sicurezza sotto il palco od oltre la rete intorno al parcheggio dei bus, ridefinisci gran parte delle tue esigenze in relazione a quello stesso universo. Ciò che già ti appariva irreale e distante, diventa assolutamente irrilevante. Baciare Gerard, toccarlo o lasciarsi toccare è stato un gioco stupido a cui nessuno dei due dava un nome né un valore. Ci piaceva, ci fosse stato qualcosa di altrettanto “divertente” da fare in quelle nottate a due avremmo fatto quello senza che nessuno di noi si sentisse tradito o usato. Non era proprio nulla, a parte un gioco stupido.
Ma la verità che non mi raccontavo è che ero già innamorato di lui. Proprio come un qualunque stupido “migliore amico” che s’innamora del proprio migliore amico. Come un moccioso che s’innamora del tizio più grande e più figo che dice la cosa giusta al momento giusto. Come un fan che si innamora del proprio idolo di sempre…Cazzo se ero innamorato di Gerard.
Mi piacerebbe dire che è stata tutta colpa sua, perché, diavolo! io non ci pensavo davvero ad innamorarmi di lui! Io non pensavo ad innamorarmi proprio di un cazzo di nessuno...e invece in questa situazione c’ero caduto con tutte le scarpe e di tirarmene fuori proprio non c'era verso.
…ma dopotutto sarebbe una bugia. Le carte di questo poker le abbiamo date assieme, la posta in gioco…a quella davvero non ci avevamo pensato, l'avevamo messa sul piatto senza contarla. All-in. L'abbiamo capito solo quando le carte erano state calate che nessuno di noi aveva quelle vincenti.
Così, quando successe che a S. Bernardino mi baciò lui, sul palco, davanti a migliaia di persone e davanti a chissà quante altre, sedute a guardare la TV, e mi baciò davvero! non per gioco come era successo tutte le altre volte su quello stesso palco…quando successe tutto questo io non ci pensai neppure. A cosa stavo facendo, intendo, e nemmeno a dov’ero. Pensavo solo con chi c’ero. Per questo lo baciai anch’io.
Ma non mi sono detto comunque che ero innamorato di lui. Quello me lo sono detto – e gliel’ho detto – solo dopo aver rivisto Jamia. Lei era lì, i confini dell’universo si erano spezzati ed il mondo vero veniva a svegliarci tutti.
Carte scoperte, Gee.”
 

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Capitolo 2
*** Desolation Row ***


dr
DESOLATION ROW


Desolation Row
 
Oh Cinderella, she seems so easy
“Well, it takes one to know one,” she smiles
And she puts her hands in her back pockets
Oh Bette Davis style
And now but here comes Romeo, moaning
“You Belong to Me I Believe”
And then someone says,”You’re in the wrong place, my friend
You better leave”
And then the only sound that’s left
After the ambulances go
Is Cinderella sweeping up
On Desolation Row

“Desolation Row”
My Chemical Romance
“Watchmen soundtrack”


Chiunque si fosse trovato a passare da quei corridoi l’avrebbe reputata una scena assurdamente comica. Ed in effetti, quelli che si trovavano davvero nei corridoi in quel momento – ma anche quelli che erano nelle aule attorno e sentendo il casino erano usciti di corsa a godersi lo spettacolo – stavano ridendo. Sotto i baffi o apertamente, tanto i due protagonisti della sceneggiata ed i tre comprimari che li seguivano a distanza sembravano troppo presi da se stessi per badarci davvero.
-Sei una gran testa di cazzo!- urlava il più basso dei cinque al tizio bruno, alto e grosso, che li precedeva a passi pesanti, distanziato di un paio di metri scarsi.- Porca puttana Eva, Gerard!- lo apostrofò senza ottenere nulla.- Ti fermi e ne discutiamo civilmente?! È tutta la cazzo di notte che ci ignori!
La donna – l’unica del gruppo e che con gli altri non c’entrava assolutamente nulla tanto era diversa nel tuo tailleur formale e con la sua aria di distinta professionista quarantenne – sospirò voltandosi al ragazzo tatuato che le camminava di fianco scrutando con un misto di odio e rassegnazione il nano ed il bruno più avanti.
-Brian, ti prego.- sibilò la donna.- Fa qualcosa! Tutto questo è mortalmente imbarazzante!
-Credi che se avessi avuto un minimo di autorità su quei due, Stacy, saremmo qui oggi?- ringhiò in risposta lui.
La donna sospirò nuovamente, continuando a seguire i due in questione mentre loro si allontanavano sempre di più; immaginava che sarebbe stato totalmente inutile tentare di far notare loro che erano in Tribunale e bastavano già il loro abbigliamento ed i loro modi tutt’altro che eleganti a richiamare l’attenzione di chiunque fosse presente per cui si rassegnò a seguirli nello stesso silenzio sconfitto dell’uomo che le procedeva di fianco ed in quello imbarazzato del gigante biondo che camminava immediatamente dietro.
Il bruno uscì, superando le porte a vetri in fondo al corridoio come se la sola idea di restare lì dentro dovesse ucciderlo, e l’altro gli andò dietro con la stessa foga. La luce del sole di un fine marzo infuocato, l’odore dell’asfalto bruciato, il rumore del traffico di New York ed una pioggia di flash li investirono appena misero la testa all’aperto. Non badarono a niente di tutto questo. Domande e voci s’incrociavano sulle loro teste, ma il bruno guadò la ressa di giornalisti armati di macchine fotografiche e registratori facendo forza sulla propria mole e l’altro gli andò dietro abbastanza rapidamente da riuscire ad afferrarlo per la manica del giubbotto prima che s’infilasse in una delle due auto scure che li aspettavano accanto al marciapiede.
-Cosa cazzo vuoi, Frank?!- reagì il bruno votandosi con tanta ferocia da creare una bolla di vuoto attorno a loro, mentre i giornalisti, per quanto affamati delle loro pelli, si facevano istintivamente indietro di qualche passo.
Il tappetto, però, no. Lui non si mosse affatto e continuò a sfidare l’altro faccia a faccia, tenendolo per la manica del giubbotto così forte da costringerlo a liberarsi con uno strattone.
-Parlare…!- provò a dire.
L’altro neppure lo ascoltò.
-Ma si può sapere cosa ti aspettavi, eh?!- continuò, invece, con la stessa rabbia.- Se se qui per sentirti dire “grazie”, beh, allora vaffanculo! Nessuno ha chiesto a te o a Bob di mettervi in mezzo! Anzi! a dirtela tutta non mi dispiacerebbe affatto se vi faceste un pacco e mezzo di cazzi vostri e mi lasciaste un po’ in pace! Ne ho le palle piene di sentirmi il vostro fiato sul collo!
-Arrogante, figlio di puttana!- fu la reazione del più basso, inferocito.
Il bruno gli mise le mani addosso praticamente d’istinto, senza pensarci. I flash scattarono di nuovo ma nessuno dei due ci badò, il più grosso spintonò indietro il più piccolo, ma anche se era quasi il doppio l’altro resisteva a muso duro ed i due si fronteggiavano in una selva fatta di commenti e domande scomode che non ascoltavano affatto.
-Cosa cazzo credi! Che tutto ti sia dovuto? eh, Gerard?!- stava accusando il piccoletto.- Se io e Bob siamo intervenuti è perché siamo tuoi amici! Credi che fossimo felici quando lei è morta? Pensi che ci siamo sentiti bene nel leggere quel fottuto striscione?!
-NON PARLARNE!- fu il ruggito che il bruno gli scagliò addosso.
Ed il mondo intero si zittì come nella scena di un film.
Il più piccolo si fece indietro. In una resa silenziosa di cui il bruno approfittò immediatamente, s’infilò attraverso la portiera aperta dell’auto ed ordinò all’autista di muoversi ancor prima di chiudere fuori tutti gli altri.
Il tizio tatuato afferrò il piccoletto mentre la macchina si allontanava e la folla ricominciava a rumoreggiare in una catena discordante di domande confuse; lo prese per una spalla, di malagrazia, spingendolo a forza dentro la seconda auto su cui salì assieme al gigante biondo ed alla donna.
Nella quiete ovattata e dai vetri oscurati della limousine, Frank si lasciò andare all’indietro contro il sedile di pelle e chiuse gli occhi, come se avesse esaurito tutto in colpo le energie.
Adesso sì che sentiva addosso il peso delle botte, date e ricevute la sera prima, ed anche quello della notte in cella a camminare avanti ed indietro come un animale in gabbia – e quei cazzo di occhi ostinatamente fissi su qualsiasi cosa non fossero loro! – gli pesavano perfino le parole di quel Giudice idiota, che di loro tre non sapeva un cazzo ma si era preso comunque il disturbo di fargli la paternale, perché la gente come loro i valori veri della vita vera non sapeva manco cosa fossero “e bell’esempio che davano, poi, ai ragazzi di oggi!”.
Intanto allo Stato di New York non gliene fregava un cazzo se loro avevano o meno dei valori, i soldi della cauzione dalla Universal li aveva presi lo stesso e tanti saluti!
Che poi se ne parlava al processo, certo, ma comunque sapevano tutti e tre che un bel po’ di ore di servizi sociali non gliele avrebbe tolte nessuno. E tour sospeso dopo appena due date, visto che nessuno di loro poteva lasciare lo Stato.
Muovendosi impacciato per i muscoli indolenziti, il chitarrista si sistemò sul sedile dell’auto. Accanto a lui Brian si stava lamentando: contro i fan, contro il Giudice, contro Bob e Frank stesso...ma sopra ogni cosa si stava lamentando di Gerard. Istintivamente tese l’orecchio ascoltando quello che diceva.
-È completamente partito!- esclamò il manager spazientito. Stacy provò a rabbonirlo, anche lei l’avrebbe presa male al posto di Gerard, ma Brian ormai era partito in quarta e gli altri due ragazzi sapevano bene che era inutile tentare di fermarlo. E comunque erano oggettivamente nella merda, con tutti i soldi che la Universal aveva già speso per quel tour e tutti quelli che avrebbe dovuto spendere per spostare tutto a data da destinarsi. Non l’avrebbero passata liscia.- Completamente fuori di testa! Vorrei capire che cazzo gli è passato in quel cervello bacato! scendere a picchiare un fan!
-Un cazzone che gli stava insultando la moglie morta.- precisò piatto Frank senza muoversi e senza aprire gli occhi.
-Quello che sia, Frank! – strillò l’altro esasperato.- E voi due!- aggiunse indicando sia il chitarrista che il batterista seduto dal lato opposto dell’auto, accanto alla donna.- Come diavolo è saltato per testa a voi di andargli dietro!
Bob borbottò qualcosa, Frank non lo ascoltò. Un’urgenza nuova e pressante si era fatta strada nella testa del più giovane, scattò in avanti tanto rapidamente che Brian finì appiccicato alla portiera mentre lui si precipitava sull’altro sedile, piombando tra Stacy e Bob e picchiando contro il vetro che separava l’abitacolo del guidatore.
-Ha bisogno di qualcosa, Sig. Iero?- s’informò l’autista vagamente sorpreso abbassando il finestrino per potergli parlare.
-Sì. Portami da Gerard.- ordinò secco.
-Cosa?!- gridò Brian, mentre anche Bob gli chiedeva se fosse serio.- Quello ti ammazza se ti rivede davanti a lui prima del prossimo secolo, Frank!
-Ah, ma sta zitto, Brian! - lo apostrofò malamente il chitarrista, voltandosi a scoccargli un’occhiataccia- Tu non capisci un cazzo!- asserì cattedratico, ribadendo poi la propria richiesta all’uomo che ancora attendeva di capire dove puntare l’auto.- Casa di Gerard Way, adesso!
-Frank…- provò ancora Bob, ma l’autista aveva già richiuso il vetro ed invertito il senso di marcia.
Stacy si spostò vicino a Brian, mormorando qualcosa di incomprensibile sul fatto che “era troppo vecchia per certe cose”, lui si scusò e poi guardò i due musicisti uno accanto all’altro sul sedile. Frank si era sistemato di fianco a Bob, piantando lo sguardo fuori dal finestrino come se lo scorrere lento del traffico newyorkese fosse lo spettacolo più interessante del mondo, sembrava così risoluto che Brian si chiese se per caso non fosse vero che non aveva capito un cazzo. Decise di lasciarlo fare a modo suo.
-Devo andare da lui.- ci tenne comunque a ribadire il chitarrista.
Bob sospirò ed annuì, guardando poi il proprio manager con un’espressione che lo implorava di chiuderla lì.
***
Ci sarebbero stati almeno due ottimi motivi per non farlo.
Gerard se li era ripetuti entrambi prima di scendere dal palco, superare le bodyguard, scavalcare le transenne ed affondare in una folla urlante di ragazzini idioti solo per raggiungere lui e riempirlo dei pugni che si sentiva già sulle nocche delle mani.
Uno di quei motivi era il fatto che sarebbe successo un casino.
Il casino poi era successo davvero: Frank lo aveva seguito – perché cazzo non si decideva ad uscire dalla sua vita una volta per tutte?! – Bob, inspiegabilmente, era andato dietro al più piccolo ed, in definitiva, lo aveva seguito anche lui. Si era scatenata una rissa, si erano fatti male in parecchi, e loro tre - e lui - erano finiti a passare la notte al fresco.
I giornali scandalistici ci avrebbero ricamato su per mesi: i “My Chemical Romance” come dei veri teppisti di Belleville! Con lo spettacolino che lui e Frank avevano offerto davanti al Tribunale ci sarebbe stato di che parlare per i secoli a venire. Erano fottuti. La Universal se li sarebbe sbranati, tutti e cinque – pure quei due poveracci di suo fratello e Ray che, come al solito, con le loro beghe del cazzo non c’entravano nulla - alla fine lui e Frank c’erano riusciti davvero a distruggere la band.
Di tutta quella storia gli dispiaceva che fossero stati attenti a mettere lui in una cella diversa dalla loro. Gli sarebbe piaciuto riprendere il discorso da dove lo avevano interrotto quando la polizia li aveva separati.
L’altro buon motivo era che non ne valeva la pena.
Faceva un male fottuto dirselo, ma era davvero così. Non ne valeva la pena proprio per un cazzo.
Gerard si strofinò gli occhi, tra le mani la tazza di caffè stava diventando fredda in fretta, lui era stanco – erano più di ventiquattro ore che stava sveglio – eppure non aveva voglia di dormire, né di farsi una doccia, togliersi quegli abiti puzzolenti di dosso e trovarsi qualcosa da fare, che fosse pure chiamare suo fratello e rassicurarlo che era vivo. Brian ci avrebbe pensato, Brian pensava sempre a tutto e sapeva bene che Mikey e Ray non avrebbero perdonato di essere stati costretti a rimanere senza notizie dopo che lui aveva preteso restassero fuori da quella storia: bastavano tre componenti su cinque nella merda fino al collo, non c’era bisogno che i due “puliti” dimostrassero la propria simpatia per i delinquenti.
E pensare che quel concerto lo aveva aspettato spasmodicamente. Cazzo! due sere prima, a Newark, era stato quasi meno di un “assaggio”, non gli era bastato! era servito solo ad aumentare la sua fame! Lui voleva tornare a cantare, voleva tornare su un palco ad urlare, a gridare, a strillare tutto quel dolore che sentiva dentro e che non poteva esprimere in nessun modo!
Da lì sotto nessuno gli chiedeva perché urlasse, da lì sotto non venivano domande perché era come se lui e quella marea di teste che si agitavano avessero le stesse identiche domande da fare e le stesse risposte da darsi!
Era quello ciò di cui aveva bisogno.
Lo avevano capito anche Mikey, Ray e Bob quando avevano detto a Brian che erano a posto, che potevano – dovevano – ricominciare. E ‘fanculo se lì per lì Gerard urlava e sbatteva le porte in faccia alla gente e Frank lo mandava al diavolo nei corridoi degli Studi! Loro tre sapevano che ce l’avrebbero fatta, anche perché dovevano farcela. Lui non poteva continuare a tenersi tutto dentro e se quello era l’unico modo che avevano per aiutarlo, lo avrebbero usato.
Beh, quella sera Gerard si sentiva da dio su quel palco. New York! ai loro piedi. New York che li aveva aspettati e voluti ed ora li osannava. Come diamine avrebbe potuto sentirsi se non da dio? Le note di “Desolation Row” erano appena partite in un crescendo lento che lui amava: quella canzone era stata l’inizio, per lui. Il cambiamento era partito da lì e quello stile arrabbiato e cattivo, che era stata una scelta presa quasi per gioco quando avevano arrangiato “Desolation”, era diventata un’esigenza nuova che aveva finito per influenzare tutto il disco. Loro ci avevano messo dentro tanto, tutti quanti: lui la sua rabbia per il tradimento di Lindsay e poi per la sua morte; Frank l’odio che covava contro di lui perché era l’unico mezzo che aveva per difendersi; Mikey, Ray e Bob la rabbia che provavano nel vedere il loro sogno, realizzato, spaccarsi sotto i colpi che lui e Frank assestavano con metodo e precisione, litigandosi una leadership che formalmente Gerard deteneva, ma nei fatti era sicuramente del più giovane dei due. Con quello spirito i ragazzi suonavano “Desolation” e con lo stesso spirito lui la cantava, recitava i versi sul palco ad uso e consumo di un pubblico di cui in realtà si accorgeva solo di sbieco. Ognuno di loro, singolarmente, al partire del proprio “ruolo” aveva dimenticato quello degli altri, suonavano e cantavano per se stessi ed i My Chemical Romance smettevano di essere una band di cinque elementi e diventavano cinque unità distinte, chiuse in un assolo disperato.
Ma non importava. Perlomeno a Gerard non interessava davvero chiedersi il perché fosse lassù – una volta era una risposta che sarebbe stato in grado di dare ad occhi chiusi, svegliato nel cuore della notte – tutto quello che gli serviva erano le note nelle vene ed il dolore alla gola se sforzava la voce sentendo quel groppo fastidioso che sapeva troppo di rabbia trattenuta.
Poi, però, aveva abbassato gli occhi e nella marea indistinta delle teste che si muovevano a tempo con la sua aveva visto quel sorriso. Il sorriso prima dello striscione. Il sorriso perché era malato e sbagliato e lui ancora non ne capiva la ragione, aveva dovuto per forza accorgersi dello striscione per capirla.
“Ora che la puttana è morta, i My Chemical Romance possono risorgere dalle sue ceneri!”
Gerard si era detto che c’erano almeno due ottimi motivi per ignorare quella provocazione.
Se li era ripetuti entrambi: la Universal avrebbe sbranato ciò che restava di loro dopo il casino che ne sarebbe venuto su. E poi, comunque, non ne valeva affatto la pena.
Nonostante questo, Gerard era sceso dal palco, aveva superato le bodyguard che provavano a fermarlo ed aveva scavalcato le transenne.
In quel momento tutto ciò che voleva era scaricarli in faccia all’idiota, quei dannatissimi pugni che si sentiva sulle nocche!
All’indomani del ritrovamento del cadavere di Lindsay – si era ammazzata nel bagno di casa loro. Overdose. Era morta nella vasca, l’acqua era fredda quanto il cadavere quando Gerard l’aveva trovata – Brian gli aveva suggerito una soluzione semplice e rapida per fugare qualsiasi dubbio: un test di paternità sul feto che Linz aveva ammazzato insieme a se stessa. Gerard gli aveva risposto che non ne vedeva l’utilità, di chiunque fosse quel figlio, ora come ora lui era l’unico ad essersela presa a quel posto e tanto bastava.
Era sufficientemente sincero, quantomeno nel non voler dare una risposta ai propri dubbi.
Quando Lindsay gli aveva annunciato di essere rimasta incinta, Gerard aveva già scoperto della relazione tra lei e Jimmy da un po’, ed era un po’ anche che programmava di piantarla, rinviando per i motivi più stupidi. Il suo dirgli del bambino, con quell’aria felice e serena di mammina già fatta e finita, gli aveva fatto saltare i nervi ed insieme gli aveva reso chiaro che no, non poteva davvero lasciarla.
Del resto sapeva che, se la storia tra loro aveva smesso di funzionare già un mese dopo il matrimonio, la colpa era principalmente sua. Aveva sposato Lin-z per i motivi più sbagliati del mondo, non se li era nemmeno raccontati e, di sicuro, non li aveva mai detti a lei. Ma Lynz non era una cretina e non le ci era voluto molto per accorgersi che il loro rapporto era tutto sbagliato, nato sbagliato e tenuto in vita per un’ostinazione infantile di Gerard. Lui non riusciva ad ammettere con se stesso il proprio errore e, quindi, non era disposto nemmeno a mettere una pietra su quella farsa che era diventata il loro matrimonio.
Che poi, “diventata”…Ad essere onesti era stata una farsa già nel suo nascere! se ci ripensava Gerard scoppiava a ridere da solo.
In ogni caso, che il bambino fosse suo o di Jimmy, Gerard aveva preferito tenersi l’uno e l’altra - la madre - e fingere che fosse tutto perfettamente in ordine anche se non lo era affatto.
I problemi veri all’interno della band erano nati allora; anche perché la scoperta del tradimento e l’annuncio della gravidanza di Lindsay avevano coinciso con l’inizio delle registrazioni per l’album nuovo. Gerard si era ritrovato a dover dividere nuovamente gli stessi spazi vitali con Frank dopo che per mesi l’unico passatempo di quest’ultimo era stato buttare merda su di lui e su tutti i My Chemical Romance, nascondendo dietro quell’odio feroce la verità della loro amicizia bruciata. Nessuno di loro due era davvero disposto a concedere niente all’altro, Gerard perché sentiva di non potersi fidare di nessuno dopo aver perso in un colpo le due persone che reputava più importanti nella propria vita, Frank perché se avesse concesso un solo metro sarebbe morto e, se doveva uccidere per sopravvivere, lo avrebbe fatto senza rimpianti. Gli altri tre avevano sopportato in un silenzio preoccupato, parteggiando per Gerard in modo più o meno velato solo perché lo consideravano – a ragione – l’elemento più debole tra loro. Frank non glielo perdonava.
Poi Lynz era morta.
Per la precisione si era ammazzata. Non nel senso di suicidata, no, ma per Gerard – che per quella merda ci era passato e ne era uscito – farsi equivaleva ad un suicidio e se solo lo avesse saputo che lei si bucava, avrebbe cercato in tutti i modi di tirarla fuori da quello schifo. Anche perché così aveva ammazzato pure il bambino ed anche se non fosse stato suo – cazzo, Brian, non m’interessa saperlo! – quella povera creatura non se lo meritava proprio di morire a quel modo.
Beh, comunque Lynz era morta. Alla vigilia dell’uscita dell’album, per giunta. Le ultime tre canzoni da definire, le date del tour già studiate a tavolino, il lancio promozionale, le serate ad MTV, il concerto di presentazione… Brian aveva guardato la faccia di Gerard mentre sedeva nella sala d’aspetto dell’ospedale, poi quelle di Bob, Ray e Mikey tutti attorno a lui, ed aveva capito che poteva dire addio a questo disco. Almeno per il momento.
Il campanello di casa doveva stare suonando già da un po’.
In realtà Gerard lo aveva anche sentito, solo che aveva sperato che, chiunque fosse, si sarebbe arreso nel vedere che lui non andava ad aprire. Alla fine sospirò, lo scampanellio si era fatto più insistente invece di diminuire ed il qualcuno sulla soglia batteva pugni contro la porta nemmeno intendesse buttarla giù. Si alzò, lasciando lì la tazza e camminando lento e stanco lungo il corridoio buio: non apriva le finestre di casa da settimane, ormai, quando venivano a fare le pulizie si raccomandava di richiuderle tutte appena finito. Allungò una mano verso la serratura interna facendola scattare, ruotò il pomello ed aprì.
-Sei una testa di cazzo.- lo accolse Frank, aria truce e sguardo fosco.
Ma Gerard lo conosceva comunque troppo bene per non accorgersi di quanto fosse preoccupato.
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
In questo caso sono doverose un certo numero di “spiegazioni”.
Ho iniziato a scrivere questa storia moltissimo tempo fa, per la precisazione nell’estate del 2009 ed all’indomani dei “fattacci” che tutti i fan dei MyChem conoscono.
Allora provai ad ipotizzare l’evolversi della situazione a seguito del matrimonio di Gerard, dell’annuncio della gravidanza di Lin-z ecc. ecc. Se ci fosse stato un nuovo album - mi dicevo - niente sarebbe potuto essere più come prima.
Adesso un nuovo album c’è. Confesso di non essere riuscita, ancora, da inquadrare esattamente “il cambiamento” del gruppo - anche se è evidente che anche quello ci sia stato - ma sono quasi certa che, nell’attuale assetto di cose, “Desolation Row” si configuri come un AU fortemente OOC.
Per motivi sentimentali intendo comunque portarla avanti, premettendo che, ad oggi, non è ancora conclusa ma è un lavoro che mi piace abbastanza da volerlo terminare.
Spero che potrà incontrare anche il vostro positivo giudizio, nonostante sia una libera interpretazione di “quello che sarebbe potuto essere, ma non è stato”.
 
Grazie in anticipo a coloro che, sulla semplice “fiducia”, mi hanno confermato il proprio affetto ^_^
MEM
 

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Capitolo 3
*** To the end ***


To the end
 
She keeps a picture of the body she lends.
Got nasty blisters from the money she spends.
She's got a life of her own and it shows by the Benz
She drives at 90 by the Barbies and Kens.
If you ever say never too late.
I'll forget all the diamonds you ate.
Lost in coma and covered in cake.
Increase the medication.
Share the vows at the wake.
Kiss the bride.

If you marry me,
Would you bury me?
Would you carry me to the end?

So say goodbye to the vows you take
And say goodbye to the life you make
And say goodbye to the heart you break
And all the cyanide you drank.
 
“To the end”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet Revenge”
 
Nello sbattere la porta in faccia ai My Chemical Romance, Frank lo sapeva bene di starci lasciando un pezzo di sè. Pure bello grosso. Niente era stato più uguale, dopo, soprattutto lui non era più lo stesso. Jamia aveva assistito impotente ed amorevole ad un processo lento di trasformazione del ragazzo che amava in un adulto disilluso ed amareggiato.
Per un po’ i Leathermouth erano bastati. Gli avevano tenuto il cervello occupato - la penna pure mentre riempiva i fogli di un odio che si diceva di provare ma, ora come ora, non ricordava nemmeno perché – ed avevano fatto il loro lavoro dandogli una scusa per chiudere. Con Gerard e con i MyChem fino a data da destinarsi. Trincerati dietro le “divergenze musicali” di rito, lui e Gee avevano mentito a tutti, anche ai loro amici, per tenere segreto quello che neanche tra loro si erano detti davvero. A più di un anno di distanza dalla chiusura del tour della “Black Parade” nel reincontrarsi tutti agli Studi della Universal, Bob, Ray e Mikey erano ancora ignari di cosa esattamente fosse successo e del perché Frank e Gerard a malapena tollerassero di trovarsi nella stessa stanza assieme.
Quelle litigate senza senso – il senso lo trovavi in qualsiasi cosa, dalla linea di chitarra alla performance vocale del frontman, per arrivare fino a mandarsi a ‘fanculo i parenti risalendo alla decima generazione – erano un modo come un altro per mantenere comunque la distanza. Frank sentiva di non riuscire più a guardare Gerard con la stessa ammirazione fiduciosa con cui “il ragazzino che era stato” lo guardava, ora vedeva i suoi limiti ed i suoi errori con una precisione che faceva male; lui avrebbe davvero voluto avere ancora negli occhi l’adorazione che gli altri sembravano mantenere intatta. Gerard, comunque, non lo aiutava affatto, ostinandosi in una caparbietà inferocita che nessuno di loro capiva, tanto che Brian dovette tirare fuori quella storia di malavoglia e raccontare loro di Lindsay e di Jimmy per giustificare il comportamento del cantante. Frank aveva pensato solo che se fosse stata sua moglie le avrebbe già dato un calcio nel culo da tempo.
E poi si era sentito in colpa nel pensarlo, visto che lui della propria moglie nemmeno si ricordava quando era in tour ed il suo cazzo manifestava le proprie esigenze.
Ma Lynz non gli era mai piaciuta, ed anche se Frank non si diceva le vere ragioni per cui non gli era mai piaciuta, era più che disposto ad applaudire qualsiasi evento che giustificasse un proprio sarcastico “te l’avevo detto” sibilato nel mezzo di una sessione di registrazione, quando Gerard sfiancava tutti con lamentele infinite. Quella volta lì ne era nata una scazzottata con i fiocchi e, per un momento, mentre si scambiavano pugni ed insulti sul pavimento della saletta negli Studi, Frank si era sentito stupidamente bene, perché almeno un modo – per quanto malato – per averlo ancora addosso e tra le mani lo aveva trovato.
Sapeva bene che finché non avesse preso le distanze in via definitiva da tutti loro, lasciando la band per non tornarci mai più, Gerard sarebbe rimasto dov’era, avvelenandogli l’anima e le vene più di quanto non avesse già fatto. E poco importava che per lui non fosse più una divinità in Terra, fintanto che non riusciva a togliersi dalla mente i suoi occhi, la sua voce, i suoi sorrisi e perché no, i suoi baci e le sue carezze, non sarebbe riuscito a ricominciare a respirare liberamente e smettere di sentire quel dolore sordo alla bocca dello stomaco ogni volta che l’altro era davanti a lui e non gli parlava.
Lì per lì, quando Brian lo aveva richiamato all’ordine, lui aveva anche risposto che non sarebbe tornato. Che andassero a farsi fottere i My Chemical Romance, lui aveva chiuso ed aveva una propria band! E poi era solo la seconda chitarra, no? ne avrebbero trovata in fretta un’altra.
Brian aveva riso senza alcuna allegria ma con un sarcasmo evidente, aveva incrociato le braccia sul petto commentando un “molto divertente, Frank” decisamente privo di sentimento e poi gli aveva ricordato del contratto milionario che aveva siglato con la Universal insieme a quegli altri quattro. Frank aveva storto il naso, borbottato qualcosa e aveva ceduto.
Ovviamente avrebbe ceduto comunque. Come cazzo poteva non farlo, non rivederlo davvero mai più?! Però alla rabbia non aveva proprio potuto rinunciare, altrimenti, cazzo, sarebbe stato impossibile ritrovarselo ancora davanti!
Tutto questo andava bene, era giusto. Gerard aveva reagito alle sue istigazioni, lo aveva insultato e pure picchiato, gli teneva testa in sala di registrazione e gli teneva testa quando c’era da prendere qualche decisione. Frank pensava con una smorfia che adesso sì, si stava sudando e guadagnando la propria leadership. Non gliene faceva passare una, provando anche un certo piacere nel tormentarlo, pure per il solo gusto di farlo.
Mikey e Ray se n’erano accorti – Bob no, ma lui non li conosceva così bene – il più piccolo aveva smesso di rivolgergli la parola per un pezzo – sei ancora il mio migliore amico, Mikey, vaffanculo! – Toro aveva tentato di mediare, rimettere insieme dei cocci per tutti loro inspiegabili.
Ma per quanto stronzo, arrabbiato, deluso e ferito potesse essere, Frank lo sapeva che l’aver accettato di rimanere nei MyChem – di rivederlo – aveva un solo significato. Quel dannato idiota era ancora così fottutamente attaccato al suo sangue da avvelenarlo completamente. E lui non voleva proprio disintossicarsi.
-…cosa cazzo ci fai qui?
Gerard era esausto mentre lo diceva. Non c’era nemmeno rabbia nella sua voce, solo un gemito strozzato di paura e disperazione. Era pallido come non mai, chiuse gli occhi davanti alla luce troppo forte del sole che arrivava dalle vetrate dietro Frank, ma non si spostò dalla porta d’ingresso.
-Mi assicuro che tu sia vivo.- ammise Frank piatto.
Non sapeva nemmeno lui se voleva davvero suonare freddo e distaccato come aveva fatto, sapeva che avrebbe voluto vederlo rientrare, magari sedersi e bere un bicchiere d’acqua. Aveva la sensazione che tra un momento gli sarebbe cascato tra le braccia come in un film per ragazzine.
Sospirò quando capì che l’altro non intendeva fare assolutamente nulla. Gli mise una mano addosso per spingerlo dentro e Gerard sembrò trovare tutto d’un colpo le forze perdute, si divincolò con un ringhio basso e pericoloso e fece un passo istintivo all’indietro per portarsi fuori della sua portata, ma senza lasciargli libero l’accesso a casa.
-Frank, cosa cazzo vuoi?!- ripeté rabbiosamente ed a voce alta.
Il chitarrista non sapeva se gioire di quella istantanea ripresa, ma a bruciapelo si rispose di no.
-Te l’ho detto.- ribadì lento e basso.- Volevo assicurarmi che stessi bene.
-Sto bene!- ritorse l’altro secco.- Ora puoi anche andare al diavolo da un’altra parte!- aggiunse facendo per sbattergli sul muso il battente.
Frank lo bloccò con una manata, entrando di forza dentro casa e spintonando Gerard all’indietro nello stesso gesto. Lì per lì lui indietreggiò, sorpreso, ed il più giovane chiuse la porta dietro di loro con un calcio.
-Non ti riesce proprio di capire quando è il momento di piantarla, eh Gerard?- si stava informando pacatamente Frank.
-Sei in casa mia! Senza permesso! Nessuno ti ha chiesto di venirci ed ancora meno di entrare…! E vieni a dire a me che ho passato la misura?!- scandì Gerard piantandoglisi davanti per impedirgli di continuare ad avanzare.
Frank non ribatté. Con un’occhiata circolare colse l’insieme dell’ambiente, scrutando attraverso le porte le stanze che si aprivano sull’ingresso.
-…questo posto sembra una tomba.- mormorò disgustato. E poi scattò in avanti con tanta rapidità che Gerard non ebbe il tempo di fermarlo.- Apri queste cazzo di finestre e piantala di giocare al quattordicenne emo, Gee!- lo rimproverò mentre avanzava lui stesso verso le vetrate del salone e si metteva a tirare le tende pesanti per fare entrare il sole.
-Frank!- lo richiamò Gerard inferocito.- Frank, smettila subito e vattene! Esci da qui, Frank! IERO!
Si voltò. Sia per quel cognome gridato con tanto astio da fare male, sia per la mano pesante che gli stringeva dolorosamente la spalla. Gerard ansimava, scarmigliato e trasfigurato dall’ira che pulsava attraverso le sue dita, le sentiva artigliargli direttamente la pelle sotto i vestiti tanta era la cattiveria con cui lo tenevano fermo. Gli stava facendo male.
-Non sei ancora stanco?- gli chiese in tono calmo. Lo sentì rilassarsi, se ne accorse perché la sua mano stringeva appena un po’ di meno.- Non ti è bastato quello che è successo? Vuoi urlare, Gerard?- lo interrogò.- Bene. Fallo.
Deglutì a forza. Lasciandolo di scatto come se bruciasse.
-Levati da qui. Ci penso io ad aprire.- sbottò Frank spostando gli occhi. Chissà se c’era un modo per ottenere che parlasse…uno qualsiasi…
***
Sentiva il rumore dell’acqua attraverso la porta chiusa ed, anche se era più di un’ora che Gerard era sparito in bagno, confidava – sperava – di non doversi preoccupare di ritrovarlo morto. Sbuffò, le mani in tasca, fermo sul pianerottolo che collegava il primo piano della casa al secondo. Davanti a sé aveva la porta dietro cui si era infilato il più grande dopo il loro “scontro” verbale al piano di sotto, sulla sinistra c’era la porta della camera da letto patronale. Puntò da quella parte, avrebbe recuperato qualcosa di pulito per l’altro visto che si era chiuso in bagno senza nemmeno preoccuparsi di portarsi dietro un ricambio. E così avrebbe avuto anche una scusa valida per entrare ed assicurarsi che fosse vivo.
Aprì la porta con qualche difficoltà, sembrava che la serratura fosse rotta o qualcosa del genere, nel far scivolare il battente sui cardini lasciò a terra una striscia più chiara sullo strato spesso di polvere che ricopriva il pavimento.
Il cuore mancò un battito.
All’interno la camera era stata trasformata in un deposito confuso di oggetti; erano mesi che nessuno entrava lì dentro – Frank se ne accorse con facilità – sul letto erano accatastate in disordine diverse tele non finite ed altre completamente bianche, in un angolo stava un tavolo da disegno e per terra valigette di colori ed album ormai rovinati. C’era una culla per neonati, azzurra, un orso di peluche gigantesco con il pelo arruffato dalla polvere, una cassapanca con disegni infantili…
Camminò all’interno muovendosi come in un reliquiario, con tutta l’accortezza che sentiva di dover riservare a quel posto. C’era metà della vita di Gerard lì dentro: il vestito che Lindsay aveva portato al matrimonio – e che lui non aveva nemmeno visto, se non nelle foto – era buttato sul letto, semisepolto sotto una delle tele ed una valigia dall’aria anonima; c’era una scatola piena di fumetti e di pupazzi di supereroi, alcuni si ricordava che li avevano comprati assieme; l’armadio era aperto ed era stato svuotato di tutti gli abiti, dentro erano stati sistemati alla rinfusa più contenitori di plastica trasparente, dentro uno di quelli Frank lesse i titoli di un paio di album dei Misfits.
…che diavolo stava succedendo?
-Frank?
Si voltò di scatto, sentendosi come un ladro sorpreso con la refurtiva in mano. Gerard lo guardava  dalla soglia della camera, un accappatoio addosso ed un asciugamano a frizionare i capelli bagnati. Non sembrava turbato all’idea che fosse entrato lì dentro e Frank si obbligò a rilassarsi anche lui.
-Cosa stai facendo?- gli chiese il più grande.
-Volevo prenderti dei vestiti puliti.- ammise soltanto, tirando un respiro profondo prima di parlare. Nonostante tutto la voce non aveva vacillato.
-Non dormo più lì dentro.- si limitò a comunicare Gerard, anche se la cosa era sufficientemente evidente ad entrambi.
Si spostò lungo il corridoio, mentre Frank gli andava dietro chiudendo di nuovo la porta, lo vide entrare un paio di stanze più avanti, in quella che una volta era stata la camera degli ospiti. Frank si affacciò alla soglia subito dopo di lui e lo trovò impegnato a cercare una maglietta all’interno di una cassettiera.
-Sono vivo.- riferì brevemente Gerard quando, voltandosi, si accorse che Frank era ancora lì, appoggiato allo stipite, e lo scrutava con attenzione. Si girò a frugare dentro l’armadio alla propria sinistra, ma Frank non si era mosso quando tornò a voltarsi con i jeans in mano. Lo guardò.- Sono vivo, ho detto!
-Me ne rendo conto.- ribatté il chitarrista serafico.- Respiri!
-Bene. Quindi, cosa ci fai ancora qui?- lo interrogò l’altro buttando malamente i vestiti sul letto.
Frank avrebbe avuto un milione di risposte valide da offrire. “Mi assicuro che ci resti, vivo”; “Vorrei capire che cazzo è successo nella tua testa”; “Sono qui perché sono sinceramente preoccupato per te”. Ce n’erano altre, ma le scartò tutte comunque perché tanto erano sullo stesso tono. Annuì brevemente, accennò un saluto con la mano ed uscì.
***
-E questa sarà la stanza del bambino!- aveva esclamato Lindsay piroettando su se stessa all’interno della cameretta. Gerard aveva sorriso nonostante tutto nel vederla così raggiante, lei si era fermata di colpo proprio al centro della stanza e lo aveva guardato.- Così è di fianco alla nostra e se piange lo sentiamo subito.- aveva spiegato lei.
Di quel progetto erano rimaste quattro pareti colorate in azzurro ed in giallo, a superfici opposte, ed una tenda con le mongolfiere appesa davanti la finestra a veranda. Gerard respirò piano, allungò la mano ed afferrò la maniglia della porta per tirarsela dietro uscendo.
La distanza tra la cameretta e la scala che portava al piano inferiore non gli era mai sembrata più lunga da percorrere, soprattutto perché doveva per forza passare davanti a quell’altra stanza. Quella che lui e Lindsay avevano diviso – nella buona e nella cattiva sorte! – “finché morte non li aveva separati”. Nei primi giorni dopo il ritrovamento del suo cadavere, quando si era ostinato a non andarsene, a non rifugiarsi da Mikey come pure suo fratello lo aveva scongiurato di fare, si era detto ironicamente che, vista la splendida piega del loro matrimonio, era stata una fortuna che la Morte ci avesse messo tanto poco a separarli. La prospettiva che la Buona e la Cattiva Sorte potessero trascinarli negli anni fino a che fossero diventati entrambi gli scheletri di quello che avevano amato da giovani, lo tormentava al punto da farlo ridere nel ripensare alla scena che aveva trovato in quel bagno. In fondo era stata sufficientemente irreale da pensare di essere in uno dei loro video, magari uno di quelli più macabri ed ossessivi, ma di sicuro uno dei meglio riusciti. Poi si era reso conto di stare impazzendo, molto lentamente ma con una costanza invidiabile, ed aveva deciso che era davvero il caso di prendersi una pausa. Mikey lo aveva tenuto con sé per il tempo necessario, quando era tornato Gerard aveva trovato la forza di reagire, forse non nel modo giusto – suo fratello gli aveva chiesto di vendere la casa e comprarne un’altra, ma lui stavolta era stato irremovibile – ma nell’unico che riusciva ad elaborare. E chiudere quella stanza  - così come lasciare intatta l’altra, la cameretta, a monito di un futuro che non gli sarebbe spiaciuto poi così tanto – prendere le sue cose, quelle ancora importanti, e trasferirsi nella camera degli ospiti era stato il suo modo di metabolizzare quella fase della propria vita.
Il passo successivo era buttare fuori il dolore; per quello i ragazzi avevano detto a Brian che adesso erano pronti.
-…sì, resto qui.- Gerard si fermò sull’ultimo gradino, tendendo l’orecchio a quella voce. Non era andato via?- E’ la cosa migliore, Jamia. Spiace anche a me, porta pazienza. Ti amo…
Puntò da quella parte con tutta la rabbia che sentiva ancora in corpo. Aveva tollerato anche troppo! Va bene presentarsi lì, va bene costringerlo a lasciarlo entrare, va bene recitare la parte dell’amico che si preoccupa – 'cazzo aveva da preoccuparsi? Non era lui quello che cantava in giro di volerlo vedere all’Inferno?! – ma a tutto c’era un limite.
-Frank, cosa diavolo fai ancora in casa mia?!- lo aggredì ancor prima di entrare in salotto.
Lui stava chiudendo la telefonata in quel momento. Si voltò con un’aria talmente rilassata e distesa da fargli saltare i nervi, sembrava che qualunque cosa facesse non riuscisse proprio a smuoverlo dalle sue decisioni. Qualsiasi esse fossero.
-Qual è il tuo problema, Gerard?- gli ritorse il chitarrista pacato.
-Il mio problema?!- scattò Gerard ironicamente.- Il mio problema sei tu, Iero!- ruggì, gesticolando platealmente mentre parlava ed incombendo minacciosamente su di lui- Il mio problema sei tu da mesi! E sembra che sia tu ad avere un problema con me! Quindi, ora mi chiedo cosa diavolo ci faccia in casa mia la persona che dice in giro di odiarmi tanto da non poter tollerare la mia vista!
-Ti sbagli. La tua vista la tollero, è che quando apri la bocca rovini l’effetto scenico.- ribatté incolore Frank.- Ora ti spiace farti indietro? Stai invadendo il mio spazio vitale.- spiegò facendogli cenno di spostarsi.
-Tu il mio spazio vitale lo stai appestando da ore, ormai.- ringhiò Gerard in risposta, facendo comunque un passo indietro, ma solo per evitare che Frank lo toccasse. Aveva scoperto che non sopportava che lui lo toccasse, per nessuna ragione.- Ho qualche speranza di riavere la mia libertà?!
-Più libero di così!- sogghignò cattivo Frank.
E se ne pentì. Nel momento stesso in cui vide la faccia di Gerard perdere di nuovo quel po’ di colore che aveva riacquistato dopo la doccia.
L’altro sembrò quasi sgonfiarglisi davanti, Frank ebbe l’immediata percezione di quel ritrarsi, come all’interno di un guscio che era solo la sua testa, qualche pensiero dentro cui il più giovane non riusciva – non poteva più – seguirlo.
Per un momento provò il senso feroce di quella mancanza: aveva perso la capacità, ma ancor prima la possibilità, di entrare in sintonia perfetta con la persona che aveva davanti a sé. Più di ogni altra cosa, avrebbe pagato qualunque prezzo per tornare indietro.
-Resto qui, oggi.- sussurrò deglutendo a fatica. Gerard continuava a non reagire e a non guardarlo pure se i suoi occhi erano piantati su di lui. Frank andò avanti imperterrito, decidendo coscientemente di prenderlo per un consenso tacito alle sue pretese.- Mi fermo a dormire da te.
-…fai come vuoi.- fu l’unica risposta che ottenne, data senza forza e senza sentimento un momento prima che Gerard gli girasse le spalle e se ne tornasse al piano di sopra.
***
Frank aveva iniziato una scrupolosa ispezione della casa. In realtà non ne aveva avuto intenzione, ma quando era salito alle camere da letto ed aveva scoperto che la seconda stanza degli ospiti era stata trasformata in un mausoleo vuoto fatto di pareti color carta di zucchero e tende a disegni per bambini, aveva avuto sinceramente paura. Quindi aveva preso a girare tutta la casa.
Gli fece un po’ male entrare nello studio di Gerard – ci era stato altre volte prima che lui si sposasse, lo ricordava bene, ed era sempre stato un gran casino di fogli da disegno, pennelli, dischi, dvd e “giocattoli” di ogni tipo – e trovare un ordine asettico, impersonale, proprio di un luogo che non veniva mai utilizzato, se non per lavoro. Il Mac sulla scrivania era acceso, sul desktop erano segnalate tre nuove mail in arrivo, una era di Mikey che probabilmente voleva notizie del fratello. Frank si lasciò cadere sulla poltrona di pelle e prese a dondolarsi pigramente a destra e a sinistra mentre fissava pensieroso la stanza.
Due loculi ed una camera mortuaria…
-Vivi in un cimitero, Gerard.- sussurrò a se stesso.
Quanto meno era stato felice nel notare che non c’era alcool di nessun tipo in casa, nemmeno birra.
Si alzò per tornare sui propri passi. Era stanco anche lui ed aveva bisogno di riposare; si assicurò che Gerard fosse nella sua stanza a dormire e poi se ne tornò in salotto, stendendosi sul divano ed incrociando le braccia al petto.
Si svegliò il mattino dopo con la sensazione fisica di non aver dormito così bene per un sacco di tempo.
 
 
 

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Capitolo 4
*** I'm not okay (I promise) ***


I’m not okay (I promise)

What will it take to show you that it's not the life it seems?
I'm not okay
I've told you time and time again you sing the words but don't know what it means
I'm not okay
To be a joke and look, another line without a hook
I held you close as we both shook for the last time take a good hard look!

I'm not okay
I'm not okay
I'm not okay
You wear me out

Forget about the dirty looks
The photographs your boyfriend took
You said you read me like a book, but the pages all are torn and frayed

I'm okay
I'm okay!
I'm okay, now
I'm okay, now

But you really need to listen to me
Because I'm telling you the truth
I mean this, I'm okay!
Trust Me

I'm not okay
I'm not okay
Well, I'm not okay
I'm not o-fucking-kay
I'm not okay
I'm not okay
Okay
 
“I’m Not Okay (I Promise)”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet Revenge”
 
-Grazie.
Non era esattamente il tipo di saluto che Frank si era aspettato. Sbatté le palpebre facendo una certa fatica nel mettere a fuoco prima il profilo scuro della tazza - un leggerissimo filo di fumo indicava che il contenuto era ancora caldo e c’era un profumo piacevole di caffè – risalì poi lungo le dita che gliela stavano porgendo e riconobbe il proprietario di quella mano. Gerard.
…“grazie” di che?
-Prego.- ritorse- Cos’ho fatto, stavolta?- aggiunse credendo di cogliere un certo sarcasmo nella voce dell’altro.
Si tirò su sul divano con qualche difficoltà, sentendo le ossa dolergli fastidiosamente dopo tante ore di sonno in posizione tutt’altro che comoda. Si grattò la nuca, i capelli aggrovigliati e sporchi, davanti a lui Gerard fece una smorfia e bevve dalla propria tazza nel tentativo di prendere tempo e decidere come rispondergli. L’altra tazza continuava a spingerla verso il suo viso, per cui Frank si decise ad accettare l’offerta e rischiare che fosse caffè avvelenato, era comunque troppo invitante.
-Per l’altra sera.- spiegò Gerard, che evidentemente no, non era affatto sarcastico nel ringraziarlo. Solo che riusciva ad ammettere quelle cose soltanto a denti stretti, quasi ringhiandole, e Frank si rese conto di starlo praticamente torturando nel chiedergli di aggiungere altro. Annuì per fargli capire che poteva bastare, ma Gerard continuò imperterrito, distogliendo gli occhi.- Ed anche per ieri.- aggiunse secco prima di allontanarsi.
Frank sorrise tra sé e sé, sorseggiando il caffè, apparentemente non era avvelenato constatò con una certa soddisfazione. Si alzò rapido dal divano – e questo gli costò un dolore feroce alla base della schiena, maledette le sue idee del cazzo! – e raggiunse Gerard in cucina, dove il bruno sedeva al tavolo centrale con aria cupa. Prese posto direttamente dall’altro lato, senza chiedere permesso e ricevendone in cambio un’occhiata malevola dal più grande, che comunque non commentò.
-Posso chiederti una cosa?- domandò dopo che il silenzio si fu protratto per un po’ senza che nessuno dei due desse segno di volerlo interrompere.
Gerard mise giù la tazza con un rumore sordo e sospirò.
-Se non puoi farne a meno…- commentò soltanto.- Del resto ero stupito che fossi riuscito a rimanere zitto finora!- sbuffò velenoso con un mezzo sorriso storto dei suoi.
-Beh, sì, vaffanculo anche a te, Way.- ribatté pratico Frank, ma non si scompose perché in quei mesi di lavoro assieme se n’erano scambiate sicuramente di peggio.- Posso o no?
Gerard assentì con un gesto annoiato della mano e riprese a sorseggiare il caffè.
-Hai ricominciato a bere?
Detta così a bruciapelo faceva un male fottuto! Gerard strabuzzò gli occhi e per poco non si affogò, tanto che sputò il caffè che aveva in bocca direttamente nella tazza, mettendola giù subito dopo, disgustato.
La sua prima tentazione fu di prenderlo a calci. Perché non gliel’aveva mai dato il permesso di farsi i cazzi suoi! Il fatto che gli avesse concesso di dormire nel suo salotto e non lo avesse buttato fuori di casa non significava certo che aveva perdonato quei fottutissimi due anni di silenzio e crudeltà gratuita! …e vaffanculo se gratuita non lo era affatto!
Poi però incrociò gli occhi di Frank, così assurdamente seri da scaraventarlo indietro di…Dio, aveva completamente perso il conto degli anni che erano passati!
-Non avevo nessun motivo di farmi del male, non credi? Non sarebbe servito a nessuno.- sbottò con un sorriso incattivito, ma siccome spostò lo sguardo sul tavolo e sulla tazza mentre lo diceva quel sorriso perse gran parte della sua cattiveria e diventò solo molto triste visto con quell’inclinazione lì, quella che Frank aveva dal suo lato del tavolo.- ….una volta saresti stato molto orgoglioso di me, per questo.- aggiunse Gerard piatto.
-Se vuoi proprio saperlo, sono orgoglioso di te anche adesso, Gerard.
No, non era sicuro di volerlo sapere. Qualcosa dentro il suo stomaco non faceva quello che avrebbe dovuto, un nodo che si serrava un po’ troppo stretto e finiva per fargli venire voglia di correre a chiudersi in un cesso a vomitare. Cosa poi non lo sapeva nemmeno lui, perché era quasi certo che avrebbe voluto vomitare parole, idee e concetti che erano tutti accatastati e tutti insieme nella sua testa. E tutti avevano a che fare con Frank.
Gerard alzò il viso ad incrociare di nuovo il suo sguardo.
-Che ne dici se adesso te ne vai?- chiese con durezza.
Eliminiamo il problema, tutto sarà più facile.
Frank si alzò, Gerard non lo guardò nemmeno, rimase seduto mentre lui riprendeva a parlare.
-Chiama Mikey, sarà preoccupato.- consigliò pacatamente.
Rimase seduto anche mentre lui usciva. La strada, tanto, la conosceva.
***
-Gerard?!
Sorrise. Non si era aspettato nulla di diverso che quel tono “affamato” dal fratello. Brian gli aveva di sicuro detto tutto quello che c’era da sapere ma Mikey non si sarebbe mai accontentato delle parole di qualcun altro, doveva sentire la sua voce e sapere da lui – dalle sfumature che avvertiva – se era davvero tutto a posto. Immaginava quanto gli fosse costato non venire il giorno prima davanti al Tribunale a riprenderselo di persona.
-Sono o.k., Mikey.- gli disse prima di qualsiasi altra cosa, sforzandosi di suonare convincente senza sapere, in realtà, quanto potesse funzionare. Con Frank non aveva funzionato affatto.- E lì come va? Giornalisti fuori la porta?
Sentì suo fratello sbuffare. Era un sì, ma Mikey non glielo confermò perché immaginava che Gerard non ne avesse bisogno – né di avere conferma di una cosa ovvia, gli bastava affacciarsi alla finestra e guardare in strada sotto il proprio palazzo per saperlo, né di avere addosso anche quella responsabilità.
-Vuoi che venga da te?- lo sentì chiedere.
Si scosse, realizzando a fatica che lui gli aveva posto una domanda di qualche tipo.
-N…no- mormorò appena. E poi spiegò di getto – C’è stato Frank, qui, fino a poco fa. Sono o.k. davvero, Mikey.- ribadì.
-…Frank?
Gerard si lasciò scappare uno sbuffo di divertimento. Non che non lo capisse, lo stupore dell’altro, eh!
-Sì, Frank. Si era messo in testa che dovessi tagliarmi le vene o affogarmi nella vasca da bagno o che so io!- ci scherzò su.- Ha dormito qui stanotte.
-Ah.- recepì lento suo fratello.
-Michael, che c’è?
-No, nulla.- mentì lui, per riprendere con leggerezza- Beh, io so che non ti sei tagliato le vene o affogato nella vasca da bagno, posso venire lo stesso da te?
Gerard rise, arrendendosi all’evidenza che non se lo sarebbe scollato di dosso facilmente. Erano più di ventiquattro ore che non si vedevano!
-Fai come vuoi, piattola, ma sono quasi certo che Brian non approverà.- lo mise in guardia.
-Che vada a farsi fottere Brian.- ribatté il piccolo Way in modo candido – L’ho ascoltato abbastanza. Dammi mezz’ora e sono lì.
Gerard ci si affacciò davvero alla finestra, guardando in strada e chiedendosi oziosamente come Frank fosse passato incolume da lì.
-Portati un kalashnikov.- consigliò contando almeno tre furgoncini appostati in attesa della sua faccia. O di quella di un qualsiasi membro a caso dei My Chemical Romance.
***
Dopo due giorni senza lavarsi, una doccia calda era stata la cosa più simile al Paradiso dopo una scopata con tutti i crismi. Frank uscì dal bagno con i jeans già addosso ed una salvietta a strofinarsi i capelli ancora ingarbugliati nonostante lo shampoo, il balsamo, le amorevoli cure di Jamia che aveva passato mezz’ora a districarglieli – “cosa diavolo hai fatto in prigione per conciarti così?! Oh mio Dio, Frank! è sangue questo?!”.
Probabilmente era sangue davvero. Non suo, sperava, comunque non ricordava di aver preso botte in testa. Neanche tanti pugni in faccia, a dirla tutta. A dirla proprio tutta, pensò sghignazzando ed entrando in camera da letto, era stato quasi divertente. Era un po’ che non facevano a botte con nessuno e farlo quando sei nel giusto da’ sempre una gran soddisfazione!
-Jam! – strillò mentre rovistava inutilmente dentro un cassetto- Hai visto la mia maglietta rossa?
-Quale maglietta rossa?- gli gridò lei di rimando dalla cucina.
-…quella rossa!- obiettò lui stralunato, come fosse ovvio.
E quando lei si limitò a mandarlo al diavolo senza rispondergli – ma usando il suo nome per intero, segno che era vagamente esasperata – lui trotterellò a raggiungerla in cucina e la osservò maneggiare soddisfatta la trinciapollo.
-Quella che ho comprato due giorni fa.- piagnucolò cercando di richiamare la sua attenzione. Lei gli scoccò solo un’occhiata stizzita e riprese a fare a pezzi il volatile con gusto evidente.- L’avevo presa al mio negozio preferito! Ero tornato a Belleville apposta! Doveva essere il mio portafortuna per il tour e…
-Punto primo!- esordì Jamia voltandosi di scatto ed agitandogli contro la trinciapollo.- E’ presumibile che dovendo essere il tuo portafortuna per il tour tu l’abbia infilata in valigia: per portarla in tour, tipo! Ci hai guardato?- non lo lasciò rispondere perché sapeva già quale sarebbe stata la risposta.- Punto secondo, Frank, non mi pare che ti abbia portato grande fortuna finora.
-Sei arrabbiata?- si ritrovò a chiedere suo malgrado.
Lei respirò a fondo, rilassandosi sotto il suo sguardo. Infilzò la trinciapollo in ciò che restava della povera bestia e si scostò i capelli dal viso chiudendo gli occhi.
-No.- mormorò.- Ero preoccupata. Vorrei che smettessi di fare certe cazzate, Frank.- ammise.
-Lo avresti fatto anche tu.- sussurrò lui con convinzione.
Lei riaprì gli occhi e lo guardò fisso. In realtà, sembrava starlo semplicemente studiando. Frank sapeva che la risposta ce l’aveva già nella testa, voleva solo guardarlo e chiedersi cosa avesse lui nella propria, di testa.
“Sei arrabbiata perché sono rimasto da Gerard?”
Era questo che Jamia si aspettava – voleva – lui le chiedesse. In questo caso non sapeva davvero cosa avrebbe risposto. Forse di no, perché sapeva che mettere Frank davanti ad una scelta di quel tipo significava rischiare davvero di perderlo, come non lo aveva mai rischiato nella loro vita – se non due anni prima. Forse di sì, perché un po’ arrabbiata ci si sentiva ed aveva tutti i diritti di esserlo. A lei le bugie che avevano raccontato erano sempre suonate per ciò che erano. E pazza ad accettarlo fino al punto di dire di “sì” a quella sottospecie di moccioso che ora la scrutava fiducioso!
-Certo, lo avrei fatto anche io.- confessò senza problemi. Poi sorrise con affetto sincero.- Come sta Gerard?
Non ricordava più nemmeno l’ultima volta in cui, in quella casa, era stato lecito fare una domanda simile. Adesso lo era di nuovo, lei lo sapeva.
-A pezzi.- le rispose Frank, improvvisamente serio – Non mi ero accorto proprio di quanto cazzo si fosse fatto male, sai?
Lei sospirò, voltandosi per finire di preparare il pollo.
-Probabilmente non volevi chiedertelo nemmeno.- lo rimproverò quietamente.
E lui sapeva che era così e, quindi, non si difese.
-Vado a cercare la mia maglietta.- disse voltandosi.
-Disfa le valigie anche.- ordinò lei pratica.- Tanto mi sa che per un pezzo non mi libererò di voi!
Nel silenzio della cucina, in cui il solo rumore era quello che produceva lei sbrindellando la carne del loro pranzo, Jamia si ritrovò a pensare che la sua, di fortuna, le aveva voltato le spalle. Era una cattiveria…o meglio, era il suo egoismo a parlare per lei, perché non poteva davvero dirsi che la morte di Lindsay fosse stata “un colpo di sfortuna”. La morte di Lindsay era stata una tragedia, tutti loro l’avevano vissuta in quel modo e tutti loro avevano avuto davanti agli occhi Gerard mentre, soffocato dagli eventi, fissava il vuoto come se non ci fosse proprio nulla dentro su cui concentrare l’attenzione. Per quanto Frank potesse essere stato accecato dai propri demoni personali, Jamia non lo era stata abbastanza dalla propria gelosia per non leggere in faccia a quello che restava un amico un dolore tanto pesante da ucciderlo. Per assurdo aveva sempre saputo che l’unica persona che poteva recuperare Gerard dall’Inferno che aveva scelto come vita era proprio Frank, così quando si era accorta che suo marito, invece, passava il proprio tempo ad infierire con una cecità crudele, il suo primo istinto era stato quello di costringere Frank a vedere, appunto. Ma poi un istinto più forte – quello di sopravvivenza – aveva prevalso e lei era passata sul cadavere di Gerard con la stessa incuranza che ci stava mettendo Frank.
Del resto, si era detta, non era stato bello e non era stato facile per lei accettare una verità che la rendeva “l’ultima ruota del carro” in un rapporto a due dove lei era finita a fare l’altra anche se il suo ruolo sarebbe stato ben diverso. Né Frank né Gerard in quell’occasione si erano posti il problema di cosa provasse – soprattutto non Gerard, che si poneva il problema di cosa provassero gli altri solo se serviva a fornirgli il testo di una nuova canzone – entrambi l’avevano dimenticata in un angolo dal quale lei aveva osservato in un silenzio obbligato i colpi che le infliggevano. Passare sul cadavere dell’altro – quello vero, quello il cui ruolo doveva essere tale – era un suo sacrosanto diritto.
Per cui, in quest’ottica, la morte di Lindsay diventava un tragico colpo di sfortuna. Frank lì per lì poteva anche non aver letto negli occhi di Gerard il bisogno che aveva di lui, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe successo.
“Lo avresti fatto anche tu
Jamia si disse che no, magari non era stata sincera. Lei voleva vedere Gerard distrutto in modo definitivo e completo.
Dopo S. Bernardino, nel precipitarsi al Project Revolution, la mente di Jamia era stata un libro vuoto. Tutta la storia che lei e Frank ci avevano scritto assieme era stata cancellata in un colpo solo dall’evidenza. La cosa che più la feriva era proprio l’indifferenza con cui loro due l’avevano fatto – entrambi – calpestandola solo perché non l’avevano vista e non perché le volessero fare del male: Jamia scompariva davanti a Gerard. Era arrivata al Project con questa consapevolezza ed insieme con nessuna consapevolezza, perché ogni suo pensiero era stato azzerato e la sua era una mente vuota su cui scrivere tutto da capo. Anche se aveva sorriso a Frank nel rivederlo, anche se era stata felice quando lui l’aveva abbracciata, sollevata e baciata davanti a tutti, festeggiando il suo arrivo come se fosse davvero contento di quell’improvvisata, Jamia in quei momenti era pagina bianca. Riscriveva se stessa senza confidare in nulla del proprio passato ed ancor più senza confidare in nulla di quel futuro che aveva creduto possibile. Forse era stato questo suo atteggiamento di disillusione ed insieme di attesa a permetterle di rivedere Gerard, di parlare con lui e scambiarsi sorrisi come se fosse tutto “come sempre”. Vista dall’interno quella cosa era anche più contorta e malata che da fuori, mentre camminava accanto a loro Jamia si rendeva conto lentamente che per almeno uno dei due – Gerard – tutto si era svolto in un limbo perfetto, da cui nulla era trapelato anche se il mondo intero aveva potuto vederlo. L’altro – Frank – si rodeva in un silenzio teso e nervoso, fatto di indecisione e di speranze mal riposte.
Jamia lo sapeva.
Jamia lo sapeva benissimo che sarebbe stata solo il ripiego. Lo aveva saputo ancora prima di vedere Frank sparire una sera nel tourbus dietro Gerard – erano stati lì dentro forse un’ora scarsa, Frank ne era uscito stravolto e le era passato davanti senza neppure vederla – lo aveva saputo anche senza bisogno di interpretare il viso di lui mentre le chiedeva di sposarlo - non c’era già più nessuna luce negli occhi di Frank quel giorno – lo aveva saputo indipendentemente dalle parole di Gerard sul palco e senza doverlo vedere respingere con furia disperata il bacio di Frank a giorni di distanza – erano giorni che giocavano a fare gli estranei l’uno per l’altro.
Jamia lo sapeva di essere la ruota di scorta, ma aveva detto di “sì” comunque, perché tanto aveva vinto lei, no? Se avesse saputo che in premio avrebbe avuto metà del cuore che l’aveva amata – l’altro pezzo non era semplicemente rimasto attaccato a Gerard, era proprio morto – probabilmente avrebbe detto di “no”, chissà. Da allora del suo Frank non era rimasta che l’ombra e quello sconosciuto arrabbiato e deluso ed amareggiato con cui condivideva il letto non era affatto la stessa cosa. Per cui, magari, il prezzo della sua “fortuna” era stato un po’ alto e per bilanciarlo Dio – o il Diavolo – si era preso qualcosa che valesse altrettanto. Jamia questo non lo sapeva, no. Sapeva che la sua fortuna era finita il giorno in cui Lindsay e suo figlio erano morti.
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
Buon 2011 a tutte voi, signorine!!!
Chiedo perdono perché avevo promesso a me stessa di lasciarvi il capitolo nuovo come “regalo” prima delle vacanze natalizie, ma gli eventi mi hanno letteralmente travolta…
Mi faccio perdonare, sperando che possa rappresentare un “buon inizio” per tutte coloro che seguono questa storia e che ringrazio come sempre di cuore!
Alla prossima!
MEM
 

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Capitolo 5
*** Demolition Lovers ***


demolition lovers
Demolition Lovers

I would drive on to the end with you
A liquor store or two keeps the gas tank full
And I feel like there's nothing left to do
But prove myself to you and we'll keep it running

But this time, I mean it
I'll let you know just how much you mean to me
As snow falls on desert sky
Until the end of everything
I'm trying, I'm trying
To let you know how much you mean
As days fade, and nights grow
And we go cold

Until the end, until this pool of blood
Until this, I mean this, I mean this
Until the end of...
 
“Demolition Lovers”
My Chemical Romance
“I brought you my bullets, you brought me your love”
 
Attraversò la strada zigzagando tra le macchine ferme in coda, qualcuno degli automobilisti più esasperati salutò questa sua impresa con un colpo di clacson, ma lui non si voltò neppure ed approdò sano e salvo sul marciapiede opposto, adocchiando da lontano la sagoma tozza della palazzina a quattro piani e sotto i tre furgoncini appostati. Puntò dritto ad una delle traverse laterali, digitando nel frattempo sulla tastiera del cellulare un numero che – nonostante il tempo trascorso – ricordava comunque a memoria. Due squilli, dall’altro lato la voce che gli rispose aveva un tono strano, freddo e metallico.
-Frank.- fu salutato.
-Ciao Mikey!- Si sforzò di suonare simpatico ed allegro come non era da tempo nemmeno con il suo (ex)migliore amico.- E’ tutto o.k.?- s’informò con gentilezza.
Un gatto nero gli attraversò la strada correndo da destra a sinistra, da una palazzina all’altra del vicolo e su per il muro del cortile interno della seconda.
“Sì. Certo.”, rispose asciutto il suo interlocutore. Ma era chiaro che pensasse l’esatto opposto. Frank si chiese se per caso Mikey non si fosse contortamente convinto che quello che era successo era in qualche modo colpa sua: fino a prova contraria su quel palco c’era, aveva visto Gerard caricare a testa bassa i fan…! Era un’ipotesi talmente pazzesca che si trattenne in tempo dall’esprimerla ad alta voce.
-Ehi, senti, volevo chiederti se eri stato da tuo fratello.- spiegò rapido. Il vicolo era finito e lui si trovava sull’altro lato dell’isolato. Cominciò a contare i numeri procedendo a destra.
Mikey sbuffò un accenno di risatina velenosissimo. Frank si fermò di colpo al centro del marciapiede e rimase in ascolto.
-Sì. Dopo che tu te ne sei andato.- specificò il Way minore.
-Ah.- fu l’unico suono che riuscì ad articolare.
Una vecchietta gli passò di fianco guardandolo con disapprovazione, ma quello non era esattamente il genere di quartiere in cui le loro felpe, i tatuaggi, i piercing ed i jeans sdruciti venivano visti di buon occhio, non avrebbe capito mai perché Gerard si fosse ostinato a comprare lì la propria casa. Probabilmente aveva a che fare con tutto il suo desiderio di normalità e convenzioni sociali, una delle millemila turbe che Gerard Arthur Way aveva ereditato dalla propria adolescenza di ragazzino problematico.
-Era un segreto, Frank?- stava chiedendo Mikey, sarcastico.- No, perché mio fratello non lo ha ritenuto tale e non ha avuto difficoltà a dirmelo.
Sforzò una risata che tentò di far suonare quanto più possibile sincera, ma sentiva un peso opprimente alla bocca dello stomaco.
-Un segreto, Mikes? E che razza di segreto sarebbe?!- ci scherzò su.- C’erano pure Bob e Brian quando sono andato da lui! E dì, come lo hai trovato?- chiese tentando di riportare tutta la discussione su toni più normali.
-No.
Ovviamente sapeva esattamente quello che l’altro intendeva dirgli. Rimase fermo dov’era con una mano a reggere il cellulare contro l’orecchio e l’altra affondata nella tasca dei jeans.
Mikey, in compenso, non sentiva l’esigenza di avere alcuna autorizzazione per continuare.
-Te ne fotte qualcosa?- lo interrogò brusco.- No, perché noi eravamo convinti che non te ne fottesse proprio più nulla, sai. Ed io avrei anche un po’ del mio a dover raccattare il risultato dei tuoi disastri. Lo hai ammazzato tu Gerard, Frank, lo sai?- ringhiò velenoso- Non è morto il giorno che Lindsay è stata sepolta, mio fratello è morto il giorno in cui tu te ne sei andato! Il giorno in cui ti ha visto in televisione sputare veleno contro quello che cazzo! pensavamo fosse anche il tuo sogno! Ma ci sbagliavamo.- proseguì, incoraggiato dal suo silenzio o semplicemente troppo pieno per poter continuare a stare zitto - Perché è chiaro che tu su quel sogno non avevi nessuna difficoltà a passarci. Ed ogni tua fottutissima parola, Frank, era una pugnalata che davi a Gerard, ed io mi sono ritrovato per mesi a chiedermi perchè lo stessi facendo! Merda! Un po’ ci ero rimasto male anche io a vederti accantonare anni di amicizia per niente! ma sicuramente non ci sono rimasto male tanto quanto lui, Frank! E tu, invece di prenderti le tue responsabilità, sei pure tornato! A fare cosa, me lo spieghi?! Ad infestarci?! A massacrare quello che non avevi già distrutto?! E allora, vaffanculo, Frank! Se vuoi sapere come cazzo sta mio fratello, lo chiami e preghi qualsiasi divinità in cui credi che lui abbia voglia di dirtelo!
La voce di Mikey si spense brusca quanto lo era stata nel parlargli. Aveva alzato progressivamente il tono, arrivando ad urlargli contro con una ferocia che, in uno mite come lui, nemmeno sospettavi. Solo che Mikey era uno che nell’amicizia ci aveva sempre creduto – ed a ragione – e probabilmente, per quanto dicesse, Gerard non era stato l’unico tra loro a soffrire quell’abbandono.
Frank si lasciò andare di schiena contro la cancellata in ferro battuto di una delle palazzine, fece rumore e fece anche male, lui chiuse gli occhi ed inghiottì quel dolore sperando per un istante che potesse essere abbastanza da mettere a tacere l’altro, di dolore, quello sordo e costante che lo uccideva lentamente da due anni a quella parte. Un cancro in progressione continua come ogni agonia che si rispetti.
-…va all’Inferno, Mikey.- sentì sussurrare alla propria voce. E quindi no, non era affatto “abbastanza”. Via libera, allora.- Va all’Inferno tu, Gerard, Brian, Ray e pure Bob! Andate all’Inferno tutti quanti! Due fottutissimi anni, Mikey!- sibilò spalancando gli occhi di scatto e stringendo il pugno nella tasca fino ad avvertire le unghie piantarsi nella carne nonostante fossero cortissime. Era teso come una corda, teso e pronto a scattare contro chiunque, le braccia gli facevano male tanto erano in tensione.- Due fottutissimi anni e ci fosse stato uno di voi quattro stronzi che avesse preso un cazzo di telefono per chiedermi come stessi! Eravate troppo impegnati con le stronzate di Gerard, eh?! con i suoi piagnistei del cazzo! Lui piagnucola e voi tutti a stringervi attorno! E Frank è un figlio di puttana, sì, ma nessuno di quelli che si dicono suoi amici fa lo sforzo di chiedergli perché lo sia diventato! Vi siete chiesti una sola volta come ci stessi io?! Porca puttana Eva, Mikey,- gli gridò contro - non è bello svegliarti un giorno e scoprire che le persone più importanti della tua vita non sono che degli estranei che ti giudicano da lontano! Tu parli del nostro sogno come se fosse una cosa vera e reale, io pensavo che lo fosse la nostra amicizia, cazzo! ed invece ho scoperto che non valeva niente di niente! E quindi non farmi la predica adesso, Mikey, perché non ne hai il diritto manco per un cazzo! e se vuoi proprio saperla tutta, me ne fotto se tuo fratello si spara un colpo di pistola in testa e tu ti ritrovi a fare la vedova inconsolabile al suo funerale, ma cazzo non dirmi che io ho ucciso lui perché non sai cosa cazzo stai dicendo e non hai nessun fottutissimo diritto di dirlo! Ed ora dimmi se tuo fratello sta bene, cazzo!
Dio. Era patetico. Tutto quel bel discorso e si ritrovava comunque a pendere da quel sordo battere aritmico che avvertiva al cuore ogni volta che pensava a lui, al fatto che potesse essere meno che felice…
Senza contare la voglia, che sentiva, di piangere come un moccioso. Si arrotolò su se stesso, spingendo il viso contro la cancellata per nascondersi il più possibile ai passanti, il cappuccio della felpa tirato sulla testa come nei peggiori racconti di fangirls scatenate. Era davvero patetico!
-…no, che non sta bene.- disse piano Mikey dall’altro lato del telefono e, quando si accorse che anche la sua voce era sull’orlo delle lacrime, Frank si sentì almeno un po’ meno stupido e gli scappò anche una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso.- Frank, io non ci riesco. - lo implorava in tono strozzato. - Fai qualcosa, ti prego, io non ci riesco proprio…
Annuì anche se lui non poteva vederlo.
-Vaffanculo, Mikes.- sussurrò tirandosi dritto. Ma si sentiva instabile sulle gambe.
L’altro rise istericamente.
-Vaffanculo anche a te, Frankie.- lo prese in giro.
-La prossima volta che hai qualcosa da dire, dilla.- ordinò Frank.
-La prossima volta che mi costringerai a dirti qualcosa, ti riempirò di pugni e poi te la dirò.- promise Mikey.
***
La ragazzina aveva i capelli corti, di due colori – un castano scurissimo, praticamente nero, ed un rosso vivace – una maglietta nera con il logo dei My Chemical Romance, scarpe da ginnastica rosa ed un i-pod con la musica a tutto volume. Stava seduta sulla scala del palazzo dondolandosi sui talloni, agganciati al gradino sotto il sedere, gli occhi semichiusi.
Frank le si fermò davanti e lei ci mise un po’ a metterlo a fuoco. Quando lo fece, gli sorrise e saltò in piedi.
-Sapevo che saresti tornato!- affermò allegramente staccando le cuffie dalle orecchie.
-Sì, beh, ciao Sarah.- le sorrise lui di rimando, imbarazzato.- Ti secca?- chiese poi.
Sarah si affrettò a negare, salì a due a due i gradini del palazzo e si appoggiò pesantemente al portoncino in vetro, con Frank che la seguiva veloce dentro l’edificio. Davanti alla porta dello scantinato lei si fermò ridacchiando.
-Se mio padre mi becca, mi ammazza.- disse – Questa cosa gli può far perdere il posto!
Ma mentre parlava stava già smanettando con il grosso lucchetto che chiudeva la porta e con un mazzo di chiavi che recitavano “custode” sulla targhetta appesa all’anello.
-Mi farò perdonare.- ritorse Frank altrettanto divertito.- Grazie!- scoccò rapido infilandosi dentro lo scantinato mentre lei rispondeva “de nada” e lo salutava facendo “ciao ciao” con la manina.
Frank si mosse nella penombra del locale cantina affidandosi al ricordo del giorno precedente ed alla poca luce che veniva dai finestroni a livello della strada.
Era stata un’autentica fortuna, il giorno prima, incontrare quella ragazzina mentre s’intrufolava di soppiatto nella palazzina di Gerard nel momento stesso in cui lui – bloccato all’interno dalle troupe televisive appostate fuori dall’edificio – si chiedeva come ne sarebbe uscito. Sarah non credeva ai propri occhi: quando aveva scoperto quel passaggio le era sembrato di toccare il cielo con un dito, potendosi permettere di spiare da lontano uno dei suoi idoli di sempre – “Vive nel palazzo dietro il tuo, papà!” – ma trovarsene un altro davanti, a distanza ravvicinata, era decisamente più di quello che avesse mai sperato. Frank l’aveva fissata, lei aveva fissato lui, e poi la strada e le troupe, gli aveva sorriso e gli aveva chiesto se “voleva un passaggio”.
Adocchiando la scala dall’altro lato del locale cantina, Frank si arrampicò, ora, tenendosi al corrimano arrugginito; i passi rimbombavano sui gradini di metallo, si fermò sul pianerottolo e saggiò la porta per assicurarsi che fosse aperta. Quella fece un rumore tutt’altro che piacevole ma si spalancò appena lui la spinse.
Gerard ci mise un pezzo ad andargli ad aprire. Frank si stava spazientendo in fretta ed aveva trovato un gioco interessante nel staccare pezzi di intonaco intorno al campanello d’ottone dorato, quello che recitava “Way” in caratteri eleganti che parevano da libro stampato. Gerard aprì la porta per fissarlo perplesso e sporgersi poi a guardare mentre ancora Frank reggeva l’ultimo pezzetto d’intonaco color pesca tra le dita.
-Hai finito di distruggermi casa?- domandò il cantante, passandosi stancamente una mano sulla faccia e tra i capelli.
Sembrava si fosse appena alzato, Frank registrò la cosa e scrutò l’orologio mente lo seguiva dentro.
-Sono le quattro del pomeriggio!- esclamò.
Gerard lo fissò sollevando un sopracciglio ed entrò in cucina puntando la macchinetta del caffè.
-Sì, direi di sì. Quindi?
-Dormivi? Di nuovo? Ieri non hai fatto altro!- notò a mo’ di rimprovero.
-Tanto non ho nulla da fare.- commentò asciutto Gerard di fianco al ripiano della cucina, portando il caffè alle labbra.
-Potresti fare qualcosa di più utile!- Gerard gli ricordò piatto che non poteva neanche uscire con quell’assedio sotto casa, ma Frank non lo stava ascoltando e proseguì imperterrito.- Potresti disegnare, ad esempio!
Non era un’affermazione casuale.
Anche se lo sapeva Gerard non poté impedirsi di reagire a quel modo. Anzi, forse proprio perché sapeva che quella di Frank non era un’affermazione casuale reagì esattamente come fece: con una risata sguaiata ed amara che zittì il più piccolo rapida come un pugno in faccia.
-Non dire cazzate, Frankie!- lo derise Gerard scrutandolo di traverso- Io sono il cantante di una delle band di punta della Universal, come puoi credere che abbia il tempo per fare qualcosa di così inutile come disegnare?- sibilò avanzando verso il tavolo. Si lasciò cadere pesante su una delle sedie ed appoggiò la tazza di fianco a sé.- Pensavo che tu più di tutti avessi chiaro il punto, Frank. Non siamo solo macchinette per fare soldi?
Frank non disse nulla. Sedette silenziosamente dall’altro lato del tavolo, continuando a fissare il cantante parlare, il tono sarcastico sostituito da uno più profondo e disilluso. Su una cosa Mikey non aveva mentito affatto: Gerard Way era morto e sepolto.
-Stamattina, dopo che sei andato via, ha chiamato Brian per avvisarmi che la Universal sta pensando di sciogliere il contratto.-  lo informò stringato.- Faranno leva su non so che clausola che riguarda i guai con la legge, ma Brian mi ha detto che il problema non è solo quello che è successo. Pare che le prospettive di vendita del nuovo disco siano decisamente inferiori a quelle del vecchio, il pubblico della “Black Parade” non è pubblico al quale possiamo propinare il nuovo sound, si aspettavano già di dover moltiplicare il battage pubblicitario ma stanno valutando l’impatto che avrà questa storia sui fan meno fidati.
Mentre parlava continuava a bere dalla tazza accanto a sé. Frank si accorse di una smorfia poco piacevole che gli tirò la faccia mentre mandava giù l’ennesimo sorso.
-Quanto caffè hai bevuto da stamattina?- chiese a bruciapelo.
Gerard voltò il viso fissando l’oggetto della domanda, poi scosse la testa.
-Abbastanza da farmi venire un attacco di gastrite.- ammise con la stessa smorfia, allentando leggermente i pantaloni che gli stringevano dolorosamente sullo stomaco.
-Ed hai mangiato?
-No.- Frank si alzò con un sospiro, avviandosi risoluto verso il frigorifero.- Frank, che diavolo stai facendo?- lo interrogò Gerard mentre lo seguiva con la coda dell’occhio.
-Cucino!- annunciò allegramente l’altro.
-…tu?- chiese preoccupato lui.- Tu non sai cucinare!- “Stronzo!”- No, sul serio, Frank! La tua cucina è in grado di uccidere! Se gli Stati Uniti sapessero della sua esistenza ti classificherebbero arma chimica…- continuò imperterrito tirandosi in piedi per andargli dietro e fermarlo prima che fosse troppo tardi.
-L’hai finita?!- sbottò Frank riemergendo dal frigo e guardandolo storto.- Vaffanculo, Gerard! Se non ti sta bene, muori di fame!
-Modera i termini, coglione! Guarda che non te l’ho mica detto io di cucinare!- ritorse lui altrettanto stizzito.
-E allora non cucino!- concluse Frank mandando il portellone del frigo a chiudersi con uno schianto.-Vestiti, usciamo.- ordinò subito dopo.
Lì per lì si aspettò un pugno, vero stavolta, perché Gerard aveva proprio la faccia di quello che stava valutando la possibilità di metterlo al suo posto a suon di cazzotti. Beh, se la sarebbe cercata. Affondò le mani in tasca e sporse in fuori il muso, arrogante, quasi chiamandoselo quel pugno con aria di sfida evidente. Gerard lo fissò un attimo, soppesandolo con quell’occhiata, poi sbuffò un sospiro – ma a Frank parve proprio che se la ridesse sotto i baffi – e gli girò le spalle.
***
A Sarah quasi venne un colpo a vederli riemergere assieme dalla porta dello scantinato. Suo padre era passato di lì almeno tre volte in due ore ed era stato tutto un susseguirsi di: “Sarah, cosa diavolo ci fai nel sottoscala, esci subito!”, “Ora arrivo, papà!”, “La Sig.ra Whelland si è già lamentata quattro volte questa settimana per averti trovata dentro il portone!”, “La Signora Whelland è una vecchia rompisca…”, “Sarah!”.
Su quell’ultima invocazione la porta dello scantinato si aprì e Frank ne riemerse, un pezzo alla volta, cominciando dalla testa e dal cappuccio della felpa grigia.
-Sarah!- esclamò anche lui. Soffocando subito quella parola dietro la mano quando lei si voltò di scatto sibilando uno “shhhh!” sconvolto.- Scusa.- sussurrò ancora e lei annuì, si guardò attorno circospetta per essere certa che il padre non tornasse a vedere cosa succedeva e poi gli fece cenno di uscire in fretta.
Frank non se lo fece ripetere, uscì dalla porta e lasciò il passaggio libero per una seconda persona, che Sarah focalizzò solo dopo qualche istante.
-Ehm…ciao…- salutò il nuovo arrivato, a disagio.
A quel punto lei si appese alla spalla di Frank per essere certa di non svenire.
-Te lo avevo detto che in qualche modo mi facevo perdonare!- ci scherzò lui ridendo.
-…uccidendomi?- sussurrò Sarah in tono vago.
 
Nota di fine capitolo:
Non sono morta!
Anche se il lavoro, l’acquisto della mia prima casa (*-*) e tanti altri disastri piccoli e grandi hanno cercato seriamente di uccidermi XDDDD
 
Però sono sopravissuta. E lo sono anche al mio primo meraviglioso concerto dei MyChem!
Un’esperienza strabiliante, che mi ha riempito di ulteriore amore per questa band e, sopra ogni cosa, per il suo cantante e che mi ha convinta che questa storia aveva “oziato” anche troppo…
Quindi, vediamo di portarla in porto!
 
E spero che continui a piacervi!
MEM

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Capitolo 6
*** Safe and sound ***


Safe and sound
 
And all my hopes and dreams
Aren't for anyone
I keep them safe and sound

And hope this picture is
Not yours anymore
But can you hear me now?

The dead stop dreaming
I’ll set ablaze this life
Your shadow keeps me bright

So try and stop me
Or suffocate this light
Because I can burn all night

Until my heart stops beating
You’ll never hear me say
I'm backing down

If I say,
Its lost its meaning
If I can’t find my way
It’s over now

But I won't
Walk away
 
“Safe and sound”
G. Way e K. Himuro
“Final Fantasy Advent Children Complete Soundtrack”
 
-È stato molto crudele da parte tua. Smettila di ridere! è stato crudele davvero, Frank. Quella poveretta stava per sentirsi male sul serio e…Mi stai ascoltando?
-Sinceramente? No. All’incirca da quando siamo usciti dal portone.
Gerard sospirò. Avevano camminato per mezz’ora buona, a passo anche piuttosto sostenuto, Frank era una delle poche persone che conosceva che riusciva a ridere e…correre senza rimanere a corto di fiato. O di energie. Era una cosa di lui che lo aveva sempre divertito.
Il fatto è che Frank era una delle poche persone che conosceva che riuscivano a trovare sempre e comunque “un motivo per riderci su”. Magari quello gli era anche un po’ mancato negli ultimi due anni. Sospirò, non riusciva ad essere davvero arrabbiato. Eppure da quando avevano lasciato Sarah – e ce n’era voluto! quella piccola peste sembrava davvero sul punto di collassargli davanti, Gerard non si era mai sentito così a disagio in vita propria! – Frank non aveva fatto altro che prenderlo in giro con una familiarità così inusuale tra loro…almeno nell’ultimo periodo delle loro vite.
-Dove stiamo andando?- chiese Gerard quando realizzò che in quella mezz’ora di strada non si era ancora informato sulla loro meta.
-Ah, in un posto.- rispose Frank facendo il vago.
Il cantante sospirò più forte, stavolta spazientito, e cambiò bruscamente rotta, obbligando anche il più piccolo a piantare una frenata al centro del marciapiede, inciampando maldestramente nel primo distinto passante in giacca e cravatta che veniva loro incontro.
-Ragazzino, attento a dove metti i piedi! - strepitò quello.
-Mi scusi, mi scu…Ehi! Ragazzino a chi, stronzo?!
Gerard lo recuperò per la collottola prima che Frank gli si gettasse al collo e si scusò con l’uomo.
-Tenga a bada suo fratello!- lo rimproverò il tizio incravattato.
-Sì, beh, ci provo, ma lui fa un po’ quello che gli pare. È come un animale domestico.- commentò Gerard con un sorriso di circostanza.
-“Animale domestico” lo dici a quel cretino del tuo vero fratello, Way!- protestò Frank quando ripresero a camminare affiancati nella nuova direzione scelta dal cantante.- E poi si può sapere dove cazzo stai andando tu adesso?!
-Ho fame.- annunciò Gerard. Inforcò gli occhiali scuri, calcò il cappellino che portava sulla testa e s’infilò nel primo fast food che trovò.
-Non lì, assassino e cannibale!- sentì provenire dalle sue spalle.
Chiuse la porta in faccia al chitarrista e si fece strada fino al bancone.
La ragazza dietro la cassa era bionda, carina, un tipino acqua e sapone con i capelli raccolti in una coda ordinata, la faccia da brava ragazza ed un sorriso dolcissimo sul viso.
Gerard si rese conto che su una cosa Frank ci aveva preso in pieno: aveva un disperato bisogno di vedere altri esseri umani. Bastò che lei gli alzasse in faccia due occhioni azzurrissimi e che la sua vocetta gentile gli chiedesse cosa voleva, perché Gerard si sentisse sgravato del peso di quei tre giorni infernali.
Le sorrise anche lui, togliendosi pure gli occhiali per risponderle ed al diavolo la possibilità di farsi riconoscere! Non sarebbe morto per due autografi in più.
Quando uscì dal locale trovò Frank ad aspettarlo, seduto su un idrante e con l’aria scazzata. Ridacchiò, addentando con gusto il proprio hamburger, e lui tirò fuori una faccia schifata che lo fece morire dal ridere, tanto da rischiare seriamente di strozzarsi con il boccone. Frank gli batté premurosamente sulla schiena - prendendoci gusto a tirargli sberle! – e poi si abbassò a controllare che respirasse, mentre Gerard, piegato in due, riprendeva fiato a respiri corti ed ansanti.
-Questa è la punizione divina.- commentò il più piccolo cattivo.
-No, questo sei tu che sei uno stronzo!- ritorse l’altro a fatica. Ma quando Frank lo mandò al diavolo ed invertì nuovamente la strada per tornare da dove erano arrivati, Gerard sbraitò un insulto a caso e lo seguì.- Però il panino lo finisco, che ti piaccia oppure no!- gli gridò dietro.- Ne vuoi un po’, Frankie?
Non che si aspettasse di meno di un medio alzato in risposta.
***
-Ti ho già detto che sei uno stronzo?
Avrebbe avuto voglia di rispondergli di “sì”. Sia perché effettivamente non gli ripeteva altro da ore, sia perché sì – appunto – Frank era stato uno stronzo. Ed anche uno di quelli seri.
Invece non lo fece, non gli rispose “sì” e, per la verità, non gli rispose affatto.
Cazzo. Non pensava che guardarlo in faccia in quel momento sarebbe stato così complicato, Gerard fissava la porta del negozio come se stesse guardando la bocca dell’Inferno e la sua espressione era la stessa identica di un condannato a morte.
Di sicuro quello era un fottutissimo supplizio…
-Dai, non farla tanto lunga!- lo rimbeccò comunque il chitarrista, rivestendosi di una strafottenza che non sentiva per nulla ma che gli era indispensabile per fare quello che doveva.- È solo un negozio! Mica ti ingoia!- lo derise spintonandolo in avanti con una risata sarcastica.
Gerard si piantò saldo al terreno, tanto che a Frank parve di prendere a manate un muro. La rabbia con cui l’altro lo guardò per un momento gli fece diventare il sangue ghiaccio liquido. Merda.
-Beh, io vado lì dentro.- affermò secco Frank, infilando le mani nelle tasche dei jeans e ricambiando quell’occhiata.- Se pensi di non farcela, ci si vede a casa.- lo sfidò.
Stava giocando sporco, merda, stava giocando sporchissimo!
Ascoltò il suono del campanello sulla porta come se fosse stato il segnale d’ingresso in un mondo diverso, parallelo. Dentro il negozio di fumetti c’era silenzio, colore, odore di carta e di plastica nuove. A parte lui c’erano solo altri tre ragazzi ed il negozio era abbastanza grande perché non si dovesse stare tutti uno addosso all’altro, lo apprezzò. Stava girovagando naso all’insù, verso gli scaffali della Marvel, quando il suono del campanellino ruppe a metà il discorso che il proprietario del negozio ed uno dei tre ragazzi stavano facendo, qualcosa sui nuovi episodi di Star Wars – nemmeno se li ricordava i nuovi episodi di Star Wars! – Frank non ebbe bisogno di girarsi per indovinare di chi fosse la presenza che gli si era avvicinata in un silenzioso rancoroso. L’astio che avvertiva era così concreto che se si voltava avrebbe toccato quello prima ancora di Gerard, quasi fosse una barriera fatta di odio che avevano drizzato tra di loro.
Sfilò un volume dal raccoglitore che recitava “X-man” sulla targhetta.
-Lo hai letto questo?- s’informò in tono pratico, facendo vedere la copertina colorata all’altro di fianco.
Gli rispose un silenzio più lungo e più pesante, si girò per cercarsi da solo le risposte che non arrivavano e Gerard ricambiò la sua espressione di attesa con la propria ferocia.
-…che cazzo di domande idiote fai?- scandì a voce bassa e lenta.- Lo sai che li ho letti tutti.
Frank lo sapeva, infatti.
-Beh, io no.- commentò con leggerezza. Prese a sfilarne degli altri, senza senso e senza ordine. Gerard lo guardava, ogni tanto Frank gli gettava un’occhiata per assicurarsi che fosse vivo e respirasse ancora, ma quello sembrava comunque e sempre sul punto di mettersi ad urlare. E non urlava ancora. Non ancora, non ancora, non ancora…- Che dici? visto che li conosci così bene potresti darmi un consiglio.- suggerì.
Gerard deglutì a fatica.
-…sei fuori di testa…Frank?
-No, io no.- sputò lui breve e deciso.- Tu invece sì. Di sicuro non sei la persona che conoscevo, Gerard, non quella che reputava questi – ed alzò i volumi che reggeva tra le mani – il suo vero sogno. Perché quando ti ho conosciuto io la band non era che una delle cose, Gerard Way ne aveva talmente tante ed era talmente pieno di quelle cose che non riusciva a stare un attimo zitto. Mi ci hai riempito la testa pure a me, sai.- aggiunse con un sorriso triste. Ricacciò al loro posto i fumetti, mettendoli dentro con cura per non sgualcire le copertine, ed intanto continuava a parlare- La band era una, è vero, Gerard, ma cazzo! quando ti vedevo seduto a disegnare mi sembrava che potessi isolarti dal mondo intero, che solo in quel momento fossi davvero felice come non eri nemmeno sul palco. Era una dimensione tutta tua, che credi? che non ce ne accorgessimo, noi altri, che ci chiudevi fuori? Come diavolo hai fatto a perderti una cosa così, Gee?
Ma gli rispose ancora e solo il silenzio. Sospirò. Voltando le spalle e guardandosi attorno, il proprietario ed il tizio che parlavano di Star Wars erano passati a parlare di fumetti, avevano alzato il tono di voce progressivamente ma Frank non riusciva a sentirsene infastidito, ridevano e sembravano così entusiasti di quello che stavano facendo…
Qualcosa gli urtò il braccio con un colpo leggerissimo, abbassò gli occhi per vedere ciò che Gerard gli stava porgendo, senza guardarlo. Frank prese in automatico il fumetto dalle sue mani.
-La band era di tutti. Era questo che mi faceva pensare fosse più importante. Almeno finché non mi hai fatto capire che per te non era così.
***
Brian guardò prima Ray e poi Mikey: nessuno dei due sembrava davvero convinto di ciò che stavano per fare e lui non aveva difficoltà a capire il motivo di quella loro insicurezza. Di solito erano Frank o Gerard quelli che affrontavano da soli le interviste, di solito erano loro quelli preparati a parlare a ruota di cose non preventivate prima. Ed invece, stavolta Gerard e Frank manco ci sarebbero stati lì, con loro, a Ray e Mikey sarebbe toccato prendersi un po’ delle responsabilità degli altri due e caricarsele addosso, resistendo al fuoco incrociato di una conferenza stampa spinosa. Si grattò la testa. Forse aveva sbagliato valutazione…magari dare la possibilità ai diretti responsabili di parlare e spiegare le proprie ragioni sarebbe stata la soluzione migliore.
Ray intercettò le sue perplessità voltandosi a guardarlo e gli sorrise incoraggiante.
-Che sarà mai, Brian!- esclamò fiducioso.- Li conosciamo i giornalisti, no?
-Uhm.
-Non fare quella faccia!- insistette l’altro ridendo.
-No, ma che faccia!- lo rintuzzò Brian sbrigativo.- Mikey?- s’interessò subito dopo, visto che il più piccolo restava zitto, mani in tasca, fissando la gente assiepata nella saletta preparata per la conferenza.
Il Way minore lo guardò di sbieco, senza riuscire nemmeno a fingere un po’ della tranquillità che Toro ostentava.
-Sono o.k.- mentì comunque.
-Beh, cerca solo di non perdere le staffe se dovessero dire qualcosa di…poco carino…su tuo fratello.- consigliò Brian.
-Se loro non lo dicono è meglio.- ribatté Mikey con un tono che all’altro non piacque affatto.
-Se non ve la sentite…- provò a suggerire.
-Cosa?- lo zittì rapido il bassista voltandosi del tutto stavolta, per affrontarlo bene faccia a faccia.- Mandi a monte l’intervista così la Warner dovrà solo stringere per passare sui nostri cadaveri?- gli chiese breve e secco.- Noi ci abbiamo sputato il sangue per questa band, Brian, e tu lo sai meglio di chiunque altro. Ed io non lascerò che tutto vada al diavolo per una stronzata fatta da un fan.
-Da tuo fratello.- lo corresse duro Brian.
-Da un fan.- ribadì asciutto Mikey.- Perché se al posto di Gerard ci fossi stato tu, o io, o Ray o chiunque altro di noi, avrebbe fatto la stessa cosa.
-Sì, ma…
Mikey sorrise, in un modo storto e disilluso che non gli apparteneva affatto ma che veniva su dal repertorio preferito dell’altro dei fratelli Way; Brian si rese conto per un momento di quanto quei due si somigliassero al di là delle differenze evidenti.
-Non preoccuparti, ai giornalisti questo non lo diciamo.- promise Mikey ironicamente.
Brian provò ad intervenire ancora, ma fu Ray stavolta a mettergli una mano sulla spalla e tirarselo vicino, mentre il ragazzo più giovane tornava a scrutare le teste oltre il fondale con il logo “My Chemical Romance” in rosso su nero.
-Accontentati.- disse il chitarrista.- Sia perché sai che è vero, sia perché è giusto così. Non puoi chiederci di biasimare Gee, noi siamo sempre stati una cosa sola, Brian, tu lo sapevi quando ti sei preso il compito di aiutarci. Adesso fai parte del gruppo, quindi accontentati. Staremo alle regole del gioco solo perché questa cosa è più importante e noi faremo di tutto per difenderla, per tutti noi, ma non chiederci di condividere l’opinione di quella gente.
-Ray!- si lamentò il manager sconsolato.
Lui scosse la testa. Poi sorrise, per davvero stavolta.
-Sai…in realtà era un pezzo che non eravamo così insieme come in questa storia. Magari saremmo dovuti scendere anche io e Mikey da quel palco a fare a pugni.
-Magari!- commentò divertito il bassista voltandosi a scambiare un’occhiata d’intesa con il compagno di band.
Brian non rispose nulla. Si disse che almeno sembravano entrambi più rilassati.
***
Alicia accese la TV. Davanti a lei, in un colpo di luce, apparve l’immagine sorridente e serena di Mikey, poi il sonoro e la voce tranquilla e modulata che spiegava con pazienza ad uno dei giornalisti che “sì, Gerard era davvero molto dispiaciuto di quello che era successo. E così anche Bob e Frank”. Uno spiacevole incidente, così lo aveva classificato suo marito, confortato dalle parole di Ray al suo fianco. I due si scambiavano sguardi e sorrisi mentre parlavano, cercando nell’altro l’appoggio che non trovavano nella platea sotto di loro.
Qualcuno insistette: perché non erano stati i diretti interessati a venire a chiedere scusa? Ray rispose sinceramente, la casa discografica riteneva non fosse ancora il momento per loro di rilasciare interviste ma la posizione dei My Chemical Romance su quello che era successo era – come sempre – comune, quindi loro esprimevano lo stesso pensiero di Gerard, Frank e Bob.
Alicia sospirò. Sul tavolino accanto al divano il cellulare che Mikey aveva lasciato a casa s’illuminò e vibrò leggermente. Lei posò il telecomando sul divano e si spostò a prendere il telefono, il display segnalava un nuovo messaggio da Frank. Lo aprì: “Mi dispiace”. Sorrise. A Mikey avrebbe fatto piacere leggerlo quando fosse tornato.
Abbassò il volume della televisione e tornò a ciò che stava facendo. In camera da letto aveva disfatto la valigia del marito, ammucchiando i vestiti alla rinfusa tra i cuscini e spalancando armadio e cassetti per rimetterli a posto. Cominciò a piegare magliette e camicie.
Lei, per assurdo, si sentiva la persona meno indicata del mondo per vivere quello che stava succedendo. Era la ragazza di Mikey da…aveva perso il conto – rise. Ma non credeva che questo giustificasse la sua presenza in quel momento. In quei tre anni di matrimonio lei e Mikey avevano vissuto in un bozzolo, si adoravano al punto da aver potuto dimenticare ogni cosa fosse all’esterno di quel mondo ideale. Era stato abbastanza difficile per Michael ritornare di colpo alla realtà quando Frank aveva annunciato a tutti che sarebbe andato via, lei più di chiunque altro aveva dovuto capire quanto a fondo potessero essere arrivate le parole del chitarrista.
Mikey, chiaramente, aveva nascosto tutto dietro i suoi “quel bastardo sta facendo soffrire mio fratello come un cane!”, ma lei lo vedeva bene che, in realtà, a soffrire come un cane era anche lui. E non solo perché quella storia gli aveva tolto Frank – e Frank era comunque il suo migliore amico! – ma perché gli aveva tolto anche Gerard. Da allora, da quando erano tornati dal Project, Gerard era cambiato. Si era allontanato così tanto da tutti loro da sembrare quasi inaccessibile. Prima avevano pensato che fosse Lyn-z, in fondo erano appena sposati, ci stava che volessero vivere assieme, solo loro due. Poi avevano capito che lei non c’entrava, si erano accorti che Gerard non sorrideva più, non scriveva più. All’improvviso era una pianta senza fiori e senza frutti, un albero sterile al centro di un giardino costoso – ciò che i MyChem erano diventati – ed era stato fin troppo facile – per Mikey più di tutti – associare quel dolore al tradimento di Frank.
-E la crisi all’interno della band? Girano voci che vi scioglierete ancora prima che il tour riprenda.
Dalla televisione Mikey rispose, controllando il tono di voce.
-Noi non siamo mai stati in crisi.- mentì disinvolto.
Alicia non sapeva se fosse vero, se Gerard avesse smesso di vivere per colpa di quel sogno andato in fumo. Era uscita la storia di Lindsay e Jimmy, era una giustificazione in fondo, no? Brian che diceva a tutti che dovevano tornare in sala di registrazione, i ragazzi che si stringevano attorno a Gee per fargli sentire che non era solo comunque, Frank che tornava ed era un estraneo per tutti loro… Alicia si ricordava della cena che Jamia aveva preparato per salutare quel ritorno del gruppo, Ray e Bob avevano stretto la mano di Frank con freddezza. Gerard e Lyn-z nemmeno c’erano. Mikey non aveva guardato nessuno.
Lei aveva abbracciato Frank, ed era freddo e rigido nel suo abbraccio proprio come Gerard.
-Bentornato a casa.- gli aveva detto.
Lui aveva sorriso, ma lei non era riuscita a riconoscerlo comunque.
Dal salotto una giornalista petulante chiese a Mikey se fossero vere le voci che volevano il figlio che Lyn-z stava aspettando come figlio di un altro. Ebbe la decenza di non specificare, ma la risatina che le sfuggì in ogni caso era sufficiente a far provare un brivido ad Alicia, non le ci volle molto ad immaginare cosa stava provando Mikey. Lui ci mise un po’, la voce uscì sforzata stavolta.
-Non c’è nulla di vero. Gerard amava sua moglie ed era ricambiato e lei aspettava il loro primo figlio.- sussurrò in tono basso e sofferto.
Ray doveva avergli posato una mano sulla spalla. Alicia sapeva che da quel momento in poi avrebbe risposto lui a tutte le domande, non avrebbe permesso che torturassero ancora Mikey. Lo sapeva, perché sapeva come funzionavano le cose tra loro.
Per questo non aveva potuto fare altro che abbracciare Frank quella sera. Qualunque cosa fosse successa, lui era uno di loro e scendendo da quel palco dietro a Gerard lo aveva soltanto ricordato a tutti.
Il telefono di casa squillò. Alicia appese la stampella con l’ultimo paio di pantaloni, chiuse l’anta dell’armadio e tornò in salotto, alla televisione c’era una VJ che non conosceva che presentava una trasmissione nuova, spense prima di aprire la comunicazione.
-Pronto?
-Ciao, Aly. Come va, tesoro?
Sorrise.
-Ciao, Mikey.- rispose dolcemente.- Dovrei fartela io questa domanda.
-Mi hai visto?
-Più che altro, sentito.- ammise lei.- Però eri molto carino!- commentò allegramente.
Mikey rise, sembrava stare bene. Alicia si appuntò di ringraziare Ray ma, siccome c’erano veramente troppi motivi per cui farlo, sapeva che non ce ne sarebbe stato alcun bisogno. Magari poteva preparare una crostata, ma Christa era sempre stata più brava di lei in cucina! Rise di se stessa.
-Che c’è?- le chiese suo marito.
-Pensavo che sono una moglie pessima!- ammise divertita.
-Non è vero!- protestò lui.
-Ti è arrivato un messaggio da Frank.- lo avvisò Alicia.- Dice che gli dispiace.
A Mikey non serviva altro per capire di cosa parlasse. Anche se non poteva vederlo, Alicia se lo immaginò stringersi nelle spalle ma sorridere felice. Sorrise anche lei.
-Non è stato così terribile.- sminuì Mikey.
-Ah, dillo a lui! In ogni caso, sei stato talmente bravo che tuo fratello ti costringerà a farlo più spesso, vedrai!- lo prese in giro.
-Ti prego.- sospirò lui affranto.- Lo ha già detto Brian.
Alicia rise ancora.
-…che dici?- gli chiese poi.- La organizziamo noi, stavolta, una cena per il ritorno della band?
 
Nota di fine capitolo della Nai:
Solo per ringraziarvi tutti – e soprattutto i nostri cinque (qui lo sono ancora!) “eroi”!
MEM

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Capitolo 7
*** Give'em Hell, kid! ***


Give’em Hell, kid!

If you were here I'd never have a fear.
So go on live your life.
But I miss you more than I did yesterday.

You're beautiful!

Well I'm a total wreck and almost every day.
Like the firing squad or the mess you made.
Well don't I look pretty walking down the street.
In the best damn dress I own?

If you were here I'd never have a fear.
So go on live your life.
But I miss you more than I did yesterday.
You're so far away.
So c'mon show me how.
'Cause I mean this more than words can ever say.
 
“Give’em Hell, kid”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet Revenge”
 
Frank promise a Jamia di non metterci molto. Lei annuì, per nulla convinta. Poi lui chiuse la portiera, infilò le chiavi dell’auto nella tasca della giacca e corse dall’altro lato della strada.
Girò attorno all’isolato, davanti al portone di Gerard la strada era libera ma lui passò comunque sul retro e cercò da lontano la palazzina dove lavorava il padre di Sarah. La ragazzina era lì come sempre, immersa nella lettura di un libro di storia contemporanea, lui le si fermò davanti sorridendo e la chiamò: quando alzò gli occhi, si illuminò, felice, nel riconoscerlo.
-Ciao. Ti ho portato una cosa.- cominciò Frank cercando nell’altra tasca.- Per farmi perdonare davvero, stavolta.- scherzò.
Sarah scese a due a due i gradini d’ingresso, raggiungendolo fuori dal cancelletto esterno.
-Farti perdonare?- chiese.- Ma se io sto chiaramente vivendo un sogno!- esclamò raggiante.
Frank si strinse nelle spalle e le allungò un cd anonimo in una custodia trasparente, sopra non c’era scritto nulla e lei lo fissò interrogativa.
-Cos’è?- gli chiese.
Lui ridacchiò.
-Una sorpresa.- rintuzzò la sua curiosità.- Fidati, ti piacerà.
Lei accettò il regalo e lui affondò le mani dentro i jeans e la guardò dondolandosi sui talloni, indeciso su come affrontare la cosa. Sarah lo capì anche senza che parlasse che quello era un addio, sorrise triste ed abbassò gli occhi fissandosi la punta delle scarpe rosa.
-Vi hanno lasciati in pace, eh?- disse dopo un po’.
Lui annuì, con una smorfia che la fece ridere.
-Sì. Brian sa come gestirsi i giornalisti, credo abbia fatto capire loro che non avrebbero cavato nulla di più di quello che gli abbiamo dato.- rispose.- Si sono dovuti accontentare di Mikey e Ray.
-Sono stati molto bravi!- affermò lei, orgogliosa come fossero stati amici suoi.
Frank rise e pensò che era davvero carina, dispiaceva anche a lui rinunciare alla sua…amicizia? Brian era sempre stato molto categorico sullo spazio per i fan dopo che erano diventati famosi, e loro avevano imparato piuttosto in fretta che era una necessità quella di non dare eccessiva confidenza.
Questo, però, non pareva sufficiente a non fargli provare un po’ di tenerezza per quella ragazzina con l’aria da bambina che lo guardava con un misto di ammirazione ed affetto. Avrebbe voluto dirle che si sarebbero rivisti tutte le volte che voleva, magari darle pure il proprio numero. Alla fine si disse solo che andava bene così.
-Ehi.- la chiamò dandole un buffetto sulla guancia, e lei arrossì appena e lo guardò.- Fatti vedere al prossimo concerto, così ti presentiamo gli altri.- le promise.
Sarah rise.
-E poi dai!- insistette lui allegramente.- Quell’altro sta proprio qui dietro! Basta che fai il giro dell’isolato e te lo ritrovi che torna a casa con le buste della spesa!
-Dio, Frank, che immagine!- sbuffò lei affondando il viso tra le mani in preda all’imbarazzo.
Lui ridacchiò, scompigliandole i capelli già arruffati.
-Io vado,- disse solo. “Mmmh”, bofonchiò lei mordendosi le labbra.- ci si vede in giro, piccola.
Nel salire le scale della palazzina di Gerard aveva ancora l’immagine di Sarah - che tornava in silenzio a sedersi sul suo gradino, l’ipod già in mano ed una cuffia tra le dita – a ronzargli nella testa e dirgli che magari non proprio tutto quello che avevano fatto ed ancora facevano era inutile. Era un po’ che non gli succedeva, ma aveva voglia di suonare.
Sorrise, allungò un dito e premette il campanello.
Gerard gli aprì, ed il suo primo pensiero cosciente nel vedere Frank fu “cosa cazzo ha da sorridere a quel modo?!”; inghiottì il rigurgito di bile che gli salì dallo stomaco e sostituì l’espressione perplessa con una scazzata, mentre voltava le spalle al chitarrista e tornava ad immergersi nell’appartamento, la tuta ancora addosso, una maglietta indecifrabile ed i capelli bagnati.
-Non sei ancora pronto?!- lo raggiunse la voce di Frank, alterata.
Sentì la porta chiudersi e non si degnò di voltarsi, mettendo piede sul primo gradino della scala per tornare al bagno al piano di sopra.
-È una cena a casa del mio fratellino, non lo vedo da ieri, devo essere bellissimo.- elencò asciutto.
Frank sospirò, scosse la testa rassegnato e lo guardò allontanarsi. Mentre il rumore del phon e la voce di Gerard – stava canticchiando…?! – lo raggiungevano al piano di sotto, lui si mise a girovagare per la casa alla ricerca di un punto da cui poter guardare giù in strada. Entrò in studio, arrivò di fronte alla finestra verandata e si affacciò: l’auto nera era ancora ferma dall’altro lato, accostata al marciapiede, dal finestrino abbassato vide che Jamia aveva tirato fuori una rivista e leggeva, dondolando la testa a tempo di musica mentre ascoltava la radio. Tornò dentro, voltandosi ad ispezionare la stanza; non era cambiato nulla dall’ultima volta, salvo che sulla scrivania qualcuno aveva spostato la tastiera del pc e c’era un foglio – che sembrava bianco da lì – abbandonato accanto ad un paio di portamine rossi e blu e a due gomme rovinate.
Frank sentì il cuore mancare un battito.
Uno solo.
Fu per quello che si avvicinò, perché un po’ sperava che il foglio fosse bianco davvero – ed un po’ no…proprio come la sensazione di rivolere una chitarra sotto le dita – ma per scoprirlo aveva bisogno di farlo piano, perché rimettere tutto a posto in una volta sola poteva essere semplicemente troppo…
-Ma che accidenti stai combinando?!
La voce di Gerard lo fece trasalire. Si voltò di scatto, “pescato con le mani nella marmellata!” pensò, e poi si diede mentalmente dello scemo perché non gli sembrava di stare facendo nulla di che. Infilò le mani in tasca ostentando la sfacciataggine dei ragazzini impudenti.
Una cosa che aveva sempre avuto, in realtà, ed a Gerard faceva anche un po’ ridere, proprio per questo decise di non dire nulla e si affrettò a girarsi per non fargli vedere lo sbuffo di sorriso che aveva in faccia.
-Smettila di infilare il naso nei cazzi miei ed andiamo! – lo riprese quando fu certo di poter suonare convincente – Poi dici che sono io a fare tardi!- si lamentò petulante avviandosi verso la porta di casa.
Frank non lo seguì subito.
Nonostante tutto il suo sguardo tornò a posarsi sul foglio che no, non era affatto bianco, ed un viso di ragazzino – o di ragazzina? – che somigliava incredibilmente a Lindsay ed aveva il sorriso che Gerard aveva perso da tempo, gli ricambiò quell’occhiata curiosa.
Gerard camminava davanti a lui, veloce e nervoso, si stava ancora lamentando di qualcosa ma Frank aveva smesso di ascoltarlo; quando il cantante si spostò per lasciargli spazio davanti la porta ed uscire, lui lo aspettò sul pianerottolo.
-Ascolta bene, tu!- lo rintuzzò Frank con un sorriso a metà.- Vietato fare lo stronzo se non vuoi che ti lasci a piedi!- minacciò mostrando le chiavi dell’auto all’altro.
-Tu, invece, puoi?- lo rimbeccò sarcastico Gerard, andandogli dietro verso le scale.
-Io, invece, posso.- confermò arrogante Frank.
Gerard scosse la testa ridacchiando ma il chitarrista non lo vide perché ce l’aveva alle spalle. Più che altro intuì il sorriso quando vide il bruno avvicinarsi all’Hammer ed affacciarsi a salutare Jamia con una serenità tranquilla che lui non si aspettava affatto. “Ciao, Jam, è un sacco che non ci si vede”, “Ti trovo bene, Gee!”. Le portiere che si aprivano, la musica che veniva abbassata, Frank ascoltò il rombo del motore quando lo avviò e le chiacchiere di Jamia e Gerard quando lei si girò sul sedile per continuare a parlare con lui.
Sorrise, ingranò la marcia e sterzò.
***
Il ragazzo era alto ed anche abbastanza robusto. Non fosse stato per quel viso da ragazzino, con gli occhi verdi grandissimi e brillanti ed i capelli tagliati corti e morbidi, biondissimi, sarebbe stato un uomo fatto.
Era anche piuttosto carino.
Ed a giudicare da quello che portava addosso non doveva stare messo male nemmeno a soldi.
Sarah lo valutò nel complesso mentre si avvicinava, lei era seduta come sempre sulle scale del portoncino con l’i-pod alle orecchie e la vecchia borsa di tela strabordante libri di fianco a sé sul gradino. La Sig.ra Whelland si lamentava sistematicamente con suo padre perché le permetteva di stare lì, ma poi non la voleva dentro – nemmeno nella stanzetta del custode – e lui non sapeva cosa diavolo farci con lei al pomeriggio. Così Sarah rimaneva sulla scala, ascoltava musica e guardava il mondo che passava davanti al portoncino.
In questo caso “il mondo” – un ragazzo biondo, dagli occhi verdi, piuttosto carino – le si fermò davanti.
-Ciao!- le sorrise lui amichevole.
Sarah si chiese se stesse parlando proprio con lei, uno così non lo conosceva, se ne sarebbe ricordata!
-…ciao…- mormorò togliendo una cuffia dall’orecchio e spegnendo il lettore.
-Tu sei Sarah, vero?- le chiese lui, con una punta di sicurezza in meno. Quando lei fece sì con la testa, il sorriso tornò con lo stesso entusiasmo.- Frank mi ha mandato a portarti una cosa.- spiegò lui.
-Frank?- domandò Sarah perplessa.
-Sì. Faccio parte dello staff dei MyChem.- aggiunse il ragazzo, aprì il cancelletto esterno della palazzina e le si fece incontro lungo il viale, dal basso della corta scalinata di ingresso arrivava proprio alla sua altezza, se lei restava seduta così sul gradino. Le porse una mano.- Ethan.- si presentò.
-Sarah.- confermò lei, rilassandosi un po’ nel sentire il calore piacevole di quelle dita grandi e forti.- Lavori davvero per loro?- chiese con curiosità.
Ethan rise.
-Sì!- esclamò.
-Ma quanti anni hai?- indagò lei leggermente stupita. Non gliene dava più di diciotto scarsi. Almeno non a guardarlo in faccia.
-Ventidue.- rispose lui e poi scosse la testa divertito.- Sembro più piccolo, eh? Tu quanti ne hai?
-Sedici.- disse.- Senti, ma Frank è stato qui poco fa e…- aggiunse poi interrogativa.
-Sì, ma questo – cominciò Ethan tirando fuori qualcosa dal proprio tascapane, lei vide che era una copia del nuovo album dei My Chemical Romance- sono andato a prenderlo io da casa di Ray, i ragazzi te lo hanno autografato.- le annunciò porgendole il cd.
Sarah, nel riconoscerlo, si lasciò sfuggire un gridolino di gioia che soffocò veloce dietro la mano mentre lui rideva.
-Oh, Dio!- saltellò scattando in piedi e, prendendo il cd dalla sue mani, lo cullò contro il petto.- Frank è un angelo!
-Beh, insomma!- commentò Ethan ironico.- Gli dirò che hai gradito.
-Digli pure che lo amo!
Ethan rise ancora.
-Sei proprio come ti ha descritto Frank!
-Che ha detto? - chiese lei un po’ preoccupata.
-Dice che sei una strana ragazzina, che sei simpatica e non ti atteggi a stalker come le altre fan impazzite…
-Davvero ha detto così!? Ha detto che sono simpatica.... - arrossì pensando che era stata  dannatamente fortunata.
-In realtà parla un sacco di te e…
-Sarah!- Lei alzò il viso, dalla finestra del secondo piano una vecchia signora la fissava con aria di rimprovero.- Chi è quel ragazzo? Mandalo via o dirò a tuo padre che ti vedi con persone poco raccomandabili! E poi entra, che Pussy è scappato di nuovo e devi riprendermelo.
Ethan rideva ancora quando la vecchia rientrò e Sarah abbassò il viso con un’espressione scocciata.
-La Sig.ra Whelland.- presentò- È un’arpia e ci credo che Pussy le scappi sempre! Io le scapperei in continuazione, per dire!- commentò acidamente.- …devo andare.- sospirò poi.
-Sì, o.k.- ridacchiò lui. E le sorrise ancora.- Senti…ti secca se torno qualche volta? Così, giusto per far arrabbiare la Sig.ra Whelland ed aiutarti a cercare Pussy.- le chiese.
Sarah arrossì, non le era mai capitato che un ragazzo - un ragazzo! - per di più un ragazzo di 22 anni! S’interessasse anche solo minimamente a lei.
-…uhm…mmh mmh.- mugugnò prima di scappare dentro.
Ethan la guardò entrare nel portone continuando a sorridere, lei si richiuse il battente a vetri dietro le spalle e lui la sentì chiamare “Pussy! micio micio”.
Abbassò gli occhi sulla tracolla di tela della ragazzina, infilato nella tasca interna c’era il cd anonimo che Frank le aveva portato un paio di ore prima, l’angolo della custodia trasparente sporgeva fuori dalla cerniera. Si abbassò e lo sfilò con calma, lasciandolo ricadere nella propria borsa. Poi andò via.
***
-Dai, molla quell’insalata e vieni a giocare con noi, Gee!
Il cantante lo guardò malissimo, ma Ray non sembrò accorgersene, impegnato a cercare di contrastare il Way minore che, sullo schermo del televisore, stava pestando felicemente il suo personaggio nell’ultima versione di “Tekken”.
Gerard si guardò bene dal commentare - anche perché Ray aveva già smesso di prestargli attenzione ed era tornato a concentrarsi esclusivamente sul videogame - posò di malagrazia la coppa di vetro al centro del tavolo e sentì suo fratello indagare sarcastico:
-Cos’è? Hai bisogno di qualcuno da battere per recuperare in autostima, Toro?!
Gerard scoccò a suo fratello un’occhiataccia perfino peggiore di quella che aveva rivolto al chitarrista, ma anche Mikey non si voltò per accorgersene ed il più grande ringhiò un freddo “Grazie tanto, Mikes! anche io ti voglio bene!”, tornando subito dopo in cucina.
-Gioco io!- si offrì prontamente Frank.
Con un salto acrobatico superò la spalliera del divano e piombò accanto a Mikey che lo accolse con un  sonoro “vaffanculo” quando gli fece perdere un paio di punti.
-Tu stai lontano dalla mia 360!- strepitò il bassista senza soluzione di continuità e senza guardarlo- Non intendo dovermene comprare una nuova!
-Ancora con questa storia che sarei un animale analogico, io…- cominciò a protestare il più piccolo.
-Mi hai distrutto il portatile la scorsa settimana, Frank.- terminò incolore Ray mentre sullo schermo atterrava Mikey e poi cominciava a prenderlo a calci in rapida sequenza.- Perfino le ragazze ti hanno detto che devi stare lontano dal forno elettrico!- lo prese per il culo.
Gerard - appena tornato in salotto insieme al cesto del pane - rise. Frank lo guardò di sbieco e poi ricominciò a concentrarsi su Ray e Mikey.
-Siete cattivi! Io voglio giocare!- piagnucolò.-Bob, diglielo tu!- si appellò al batterista, in piedi di fianco alla TV.
-Non provarci, Frank, dopo è il mio turno e vorrei giocare anche io.- lo rimbeccò lui insensibile alle sue lamentele.
 Jamia uscì anche lei dalla cucina, portando altre ciotole ed una bottiglia di vino, gettò un’occhiata circolare al gruppetto radunato attorno alla TV e sospirò pesantemente.
-C’è qualcuno di voi altri maschi – esordì in tono spregiativo – che sia così gentile da muovere il sedere e venire a dare una mano? Gerard è l’unico cavaliere rimasto qui dentro!
-Grazie, Jamia.- si beò lui, pavoneggiandosi soddisfatto.
-No, è che è troppo schiappa per giocare con noi veri uomini e viene a dare una mano a voi signorine.- lo rintuzzò Mikey, sempre senza staccare gli occhi dallo schermo.
Mentre era il turno di Frank di spanciarsi dalle risate arrotolato sul divano, Gerard mollò brusco i piatti che stava distribuendo sulla tavola e marciò a picchiare il fratello.
Jamia sospirò ancora ed annunciò che ci rinunciava, ritirandosi in buon ordine in cucina mentre Alicia, ridendo anche lei, veniva a darle il cambio nel sistemare la tavola.
-Mikey, fate giocare Frank.- ordinò Aly, ignorando il fatto che il marito non avesse dieci anni e lei non fosse sua madre che mediava con i compagnetti di scuola.
-Ma, amore…!- rintuzzò lui disperatamente.
Ray approfittò di quell’ulteriore momento di distrazione per scaraventare il personaggio di Mikey giù dal ring e la scritta “You lose” lampeggiò felice sullo schermo.
-Ahah!- gridò il chitarrista soddisfatto.
-Cedi il posto, Mikey, che ti faccio vedere come si fa.- ridacchiò Bob facendosi passare il pad e detronizzando il bassista dal divano.
-‘Fanculo…- borbottò lui alzandosi.- Vado in cucina anche io prima di uccidere Frank per avermi fatto perdere.- annunciò stizzito.
-Ehi! cosa centro io?!- protestò il diretto interessato, sistemandosi a gambe incrociate accanto a Bob per seguire la nuova partita tra lui e Ray.
Mikey non rispose. In cucina Jamia e Gerard chiacchieravano tra loro, lei gli stava chiedendo di quei mesi in cui non si erano visti, cosa avesse fatto, come si sentisse. Domande di circostanza che, però, faceva piacere sentire. Mikey sapeva che tra Jam e suo fratello le cose non erano più state troppo lineari dopo il Project, nessuno all’interno della band conosceva le vere motivazioni – tranne Gerard e Frank, s’intende – ed anche Jamia era stata brava a non lasciare trapelare nulla. L’ultima volta che lei e Gerard si erano visti era stato per il funerale di Lindsay e del bambino, lei, se possibile, era stata in quell’occasione la più amorevole, accorta ed attenta delle amiche, perfino più di Alicia che Gerard lo conosceva come un fratello! Ma lui non c’era con la testa in quell’occasione. E non c’era stato più per un mucchio di tempo dopo. Mikey non aveva difficoltà a pensare che semplicemente non si fosse neanche accorto delle attenzioni che Jamia gli aveva rivolto allora, per cui era stato facile per lei farlo e per lui accettarlo. Di sicuro, si disse il minore dei Way mentre continuava a spiare la scena tra i due fingendo di aiutare Christa a scodellare e spadellare, il loro “piccolo mondo” aveva subito negli ultimi due anni tanti e tali scossoni da avere un terrificante bisogno di ricostruire i propri equilibri e Jamia e Gerard, in qualche modo, ci stavano provando sotto i suoi occhi.
-Mikey, no! Ti ho detto che la salsa la devi versare nella coppetta, non sull’anatra!- strillò Christa, strappandolo bruscamente a quelle riflessioni.
Mikey arrossì mentre gli altri due presenti nella stanza si voltavano a fissarlo, Christa gli toglieva di mano mestolo e pentola per riparare al danno e finire il lavoro al posto suo ed Alicia tornava in cucina ridendo di lui.
-Pasticcione!- schioccò sua moglie stampandogli un bacio sulla guancia che non fece che aumentare il suo imbarazzo.
-Se hai la testa altrove, non venire a fare danno qui.- rintuzzò la “cuoca”.
-Hai perso contro Ray, fratellino?- indagò Gerard con un sorriso cattivo.
Jamia rise e Mikey sbuffò un “fatti i cazzi tuoi” piuttosto risentito ma che diede a tutti la risposta esatta alla domanda del maggiore dei due fratelli.
-Fuori, fuori tutti!- esordì frettolosamente Christa quando ebbe terminato di preparare la coppetta con la salsa ed il piatto di portata con l’anatra arrosto. Rifilò la prima ad un fratello ed il secondo all’altro e li spinse in direzione del salotto.- Voi maschi siete dei disastri! Non so chi sia peggio tra Frank, te, e tuo fratello!
-Io cosa centro?- s’indispettì Gerard.
-Stessi geni!
-Lavatevi le mani e venite a tavola.- chiamò Jamia a raduno.
-Si mangia!- scattò su Bob felice mollando tutto a mezzo tra le proteste di Ray che stava vincendo.
-Vigliacco!
-Io mi siedo accanto a Bobby!
-No, perché altrimenti passate tutto la cena a fare casino, Frank, ed io non voglio raccogliere cibo finito nei posti più impensati del salotto per i prossimi dieci giorni!
-Ma, Aly…!!!
Mentre prendevano posto tra le chiacchiere confusionarie, le battute che si inseguivano, le risate e qualche manata tirata a caso nei momenti più irritanti, Mikey guardò la scena dicendosi che era così che sarebbe dovuto essere sempre e gli sembrò, per un solo momento, di essere tornato indietro di anni ed anni, a quando la sera si radunavano a casa di qualcuno a caso tra loro e la madre di turno preparava la cena per tutti.
…peccato per quell’ombra scura nel sorriso di suo fratello…
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Cancer ***


Cancer

Help her gather all my things
And bury me in all my favorite colors,
My sisters and my brothers, still,
I will not kiss you,
'Cause the hardest part of this is leaving you.
 
“Cancer”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
 
Gerard Arthur Way aveva preso delle abitudini precise e nemmeno se n’era accorto. Come una bestia da salotto o un anziano signore stanco della vita. Un po’ stanco, per la verità, ci si sentiva pure ed era proprio quella stanchezza ad avergli insegnato a risparmiare le energie per usarle solo dove fosse indispensabile. Così, come un animale o un anziano, si svegliava sempre alla stessa ora del mattino – un’ora impensabile, a cui il sole, in quella stagione dell’anno, non ne voleva sapere per almeno altre due ore di farsi vedere all’orizzonte – e si faceva sempre il caffè come prima cosa. Poi il bagno, la doccia, vestirsi, accendere la TV, lasciar parlare il telegiornale, buttare via il giornale senza leggerlo, tornare a dormire. Stavolta sul divano.
Era a quella routine che gli altri avevano deciso di strapparlo e lui lo sapeva.
Per questo non rimase particolarmente sorpreso, nello svegliarsi dal pisolino mattutino, di trovare la segreteria telefonica invasa di messaggi. Il cellulare lo spegneva o lo dimenticava nella giacca per tutto il giorno – una volta in cui era stato molto ordinato nel sistemare le sue cose era finito dentro l’armadio – ma il telefono di casa, per quanto abbassasse la suoneria, doveva lasciarlo acceso comunque. Adesso la segreteria lampeggiava i suoi cinque messaggi luminosi in una cifra di un rosso sgargiante. Vinse la tentazione di cancellarli senza ascoltare e premette il bottone che faceva partire il primo.
-Gee, sono Brian.- annunciò professionale la voce del manager. Lui era già diretto in cucina.- Sei in casa? Guarda che ho parlato con quelli della Warner e dicono che vogliono incontrarci lunedì. Vedi di renderti presentabile per allora.- Una pausa, il tono che cambiava e riprendeva con serenità - Ho sentito Mikes, mi ha detto della cena di ieri! Potevate invitare anche me, brutti stronzi!
Emergendo dal frigo Gerard si disse che doveva rispondergli, qualcosa del tipo “no, in questo periodo sei troppo rompicoglioni – tu e la storia del bravo manager – per aver voglia di ricordarci che sei amico nostro”.
Si ritrovò a chiedersi da cosa gli venisse tutto quell’astio inacidito e sospirò.
La segreteria scattò con un “bip” acuto; il secondo messaggio era di Frank e Gerard posò il latte sul ripiano della cucina e rimase immobile, la ciotola vuota davanti a sé, ascoltando.
-Ehi, Gee, ci sei? Guarda che se stai ancora dormendo vengo lì e ti prendo a calci nel culo per farti alzare!- lo minacciò il chitarrista, rapido e cattivo.- In ogni caso fai meglio a sollevare il tuo flaccido di dietro da sopra il materasso, perché ho deciso che, siccome siamo ingrassati entrambi, passo da te prima di pranzo ed andiamo a correre. È arrivato il momento di rimetterci in forma prima del tour!- esclamò vivacemente.
Gerard sbuffò un sorriso appena accennato e versò il latte nella ciotola voltandosi, poi, a cercare i cereali dentro la credenza.
-Gerard, sono Mikey. Ho sentito Brian,- annunciò il terzo messaggio.- mi ha detto della riunione di lunedì. Beh, è una cosa positiva, no? Ah, Aly voleva sapere se ti andava di venire a pranzo da noi oggi e…- La voce si spense nel sottofondo rumoroso di “Dance Dance” dei Fall Out Boy. Altro promemoria, sospirò Gerard, dire a Mikey di cambiare suoneria al cellulare.- Ah…aspetta un secondo…mi chiamano dall’altro lato.- La voce si fece distante ed attutita, segno che suo fratello si era allontanato per parlare al telefonino.- Ciao Frank!- Quanto era che non lo sentiva usare un tono così allegro nel pronunciare quel nome? Una fitta gli serrò lo stomaco.- Oh, davvero?- Mikey rise, Gerard sorrise nonostante tutto.- Ah, beh, o.k. No, è perché ero al telefono…No, lascia perdere!- rise ancora e Gee gli andò dietro senza sapere per cosa stessero ridendo entrambi.- Sì, ci sentiamo dopo. Gerard?- chiamò Mikey tornando all’apparecchio fisso.- Ritiro l’invito a pranzo, sono d’accordo con Frank: sei troppo grasso! Divertitevi sotto il sole e con il caldo ed in mezzo all’asfalto…Ciao ciao.
-‘Fanculo, fratellino!- rise Gerard ad alta voce.
E mentre infilava in bocca la prima cucchiaiata di cereali un’idea cattiva si fece strada nella sua testa. Buttò uno sguardo all’orologio appeso davanti a sè e registrò l’ora. Le dodici. Aveva poco tempo.
Bob, dal quarto messaggio, gli chiese se aveva idea di dove potesse essere finito il suo cofanetto di Star Treck, quella della quarta…o quinta…o sesta stagione. Magari lo aveva lasciato a Chicago, ma non se lo ricordava proprio.
Gerard era al piano di sopra mentre il batterista parlava, cacciando fuori a caso vestiti da dentro l’armadio ed i cassetti, in meno di due minuti era pronto e stava ridiscendendo le scale.
Ray gli chiese se avesse ascoltato quel cd che gli aveva prestato la settimana prima, aveva voglia di sentire cosa ne pensasse.
Gerard passò davanti alla segreteria, premette un secondo tasto e cancellò tutti e cinque i messaggi, le chiavi al volo da sopra il mobile all’ingresso, il giubbotto infilato sulle scale e scendeva a precipizio le rampe che lo separavano dal pianterreno.
La giornata era semplicemente splendida. Mentre tirava fuori gli occhiali da sole dal taschino della giacca e li inforcava, si concesse un respiro profondo e fu ripagato dall’incredibile sensazione che il sole stesso potesse essere respirato in una mattina come quella. Non faceva troppo freddo, non c’era molto traffico e tutto sembrava appoggiare l’idea di una passeggiata. Prese a destra e camminò da quella parte fino alla fine dell’isolato, svoltando nella prima traversa disponibile e sbucando sul retro.
Davanti alla palazzina del padre di Sarah ci doveva passare per forza e sentì la voce della ragazzina chiamarlo in tono entusiasta da sopra i gradini d’ingresso. Si fermò a ricambiare il suo saluto e la vide che gli correva incontro.
-Che ci fai qui a quest’ora?- la interrogò.- Dovresti essere a scuola!
-Gerard, oggi è sabato.- Lui rimase un secondo interdetto, facendo mente locale, e poi annuì con uno sbuffo scoraggiato.- Hai perso la cognizione del tempo, eh?- gli chiese lei affettuosamente.
-Una roba del genere.- ammise il cantante a mezza voce.- Ti secca se mi fermo un attimo?- le domandò sull’impulso del momento.
-Oh, sì, terribilmente!- scherzò lei, spalancando il cancelletto per permettergli di entrare.
Gerard rise e le andò dietro verso i gradini d’ingresso, dove si sedettero fianco a fianco.
-Dov’è che stai andando?- chiese Sarah sorridendo, gomiti sulle ginocchia e mento tra le mani.
Lui la guardò un secondo, pensando che era una cosina davvero graziosa, doveva ammetterlo, e domandandosi di conseguenza quando fosse successo che avessero smesso di accorgersi delle persone che venivano a sentirli suonare. Il successo aveva un sacco di controindicazioni…
-Scappo.- confessò semplicemente stringendosi nelle spalle.- Credo che Frank avesse intenzione di farmi fare della…ginnastica…- spiegò con una smorfia che la fece ridere di gusto.- Così fuggo prima che mi trovi.
-Povero Frankie!- esclamò lei e poi cambiò espressione repentinamente, facendosi seria.- Uh!- sbuffò, un’aria dispiaciuta sul viso tondo.- Dovresti scusarti con lui per me.- mormorò- Ho perso il cd che mi aveva dato…
-Quale cd?
-Ah, non so, in realtà. Era un cd senza nessuna scritta, una roba masterizzata, non ho idea di cosa ci fosse su. Lui aveva detto che era una sorpresa…- aggiunse in un sussurro.
Gerard le sorrise incoraggiante.
-Glielo dico e vedrai che ti farà un’altra copia.- la rassicurò.- Frank è uno che non dice mai di no se sa che una cosa ti fa piacere.
-Eh, lo sospettavo!- affermò lei dondolandosi sui talloni, imbarazzata.
Lui la studiò un momento di sottecchi, sorridendo maliziosamente mentre capiva al volo un paio di cosette…
-…non è che ti piace?- indagò insinuante.
Ovviamente lei arrossì di botto, facendosi istintivamente indietro e scuotendo freneticamente la testa.
-Nonono!- sfiatò in un colpo solo.- Non è lui che mi piace!
-…e chi?- insistette Gerard, stavolta solo curioso.
Rendendosi conto di aver peggiorato le cose, Sarah cominciò a guardarsi attorno disperata, cercando vie di fuga improbabili per sparire. Gerard se ne accorse e scosse la testa comprensivo, afferrandola per una spalla e spingendola delicatamente verso di sé per farla tornare a sedere composta.
-O.k., o.k., questa conversazione non è mai avvenuta.- le disse accondiscendente.- Ora ricomincia a respirare normalmente, non posso rischiare di ucciderti ogni volta che ti incontro.
Per la prima volta nella sua intera vita, Sarah fu contenta dell’intervento provvidenziale della Sig.ra Whelland e del dannato fuggitivo Pussy.
Mentre cercava ancora di realizzare appieno che Gerard Way – GerardOhMioDioWay! – le stava effettivamente toccando una spalla, un gattaccio nero scivolò rapido tra loro, costringendo il cantante a mollarla di scatto e lei ad alzarsi strillando. Dalla veranda del secondo piano la Sig.ra Whelland si affacciò gridando.
-Sarah! Riacchiappa il mio gatto! E chi è quel ragazzaccio?! – individuò Gerard.- Mandalo via! Io non capirò mai come fa tuo padre a sopportare che tu frequenti certa gente?! E quei capelli, Sarah…!
-Devo andare!- scattò rapidamente la ragazzina, terrorizzata da tutta la situazione, e si precipitò giù dai gradini e dietro il gatto con una tale velocità che Gerard ebbe seriamente paura di vederla rotolare.
…cominciava a credere di aver capito chi fosse il preferito di Sarah…
-Bah!- commentò imbarazzato tirandosi in piedi ed infilando le mani in tasca.
***
 Individuò Frank anche da quella distanza. Sedeva su un estintore rosso, era vestito di nero – e fin qui: Frank  – aveva i capelli in disordine e batteva un piede a terra ritmicamente, come se seguisse una musica che era solo nella sua testa. Aveva cominciato a fare caldo e Frank si era tolto la felpa della tuta e la portava arrotolata attorno alla vita, le mani infilate dentro le maniche legate tra loro. Puntava il naso verso l’alto, Gerard si chiese se stesse guardando in su al suo appartamento, ma poi si accorse che l’altro non stava fissando nulla di preciso e continuava a studiare distrattamente la facciata pulita della palazzina. Del resto doveva pure aver provato a bussare ed essersi reso conto che no, non era in casa. Rise.
Visto che Frank era distratto, Gerard riuscì ad arrivargli alle spalle silenziosamente; quando gli toccò il braccio lui sobbalzò e si voltò di scatto, ad occhi sgranati come un cucciolo terrorizzato. Gerard rise più forte.
-Aspettavi qualcuno?- lo prese in giro mentre l’espressione dell’altro cambiava in un ghigno arrabbiato.
-Vaf-fan-culo!- scandì bene Frank tirandosi in piedi.
Gerard gli rifilò senza preoccuparsi la busta di carta che reggeva tra le mani, ma la parte strabiliante dell’operazione fu il fatto che Frank la prendesse senza porsi domande. Mentre il cantante scavava in tasca alla ricerca delle chiavi di casa, l’altro iniziò a lamentarsi andandogli dietro verso il portone d’ingresso.
-Mi hai mollato qui apposta!- sbraitò.- Sapevi che sarei venuto! Non ti sei fatto trovare?!- esclamò con un tono così stupito che a Gerard venne voglia di voltarsi e chiedergli “perché? Ero tenuto a farlo?”, infilò la chiave nel portone ed aprì.- E poi spiegami, cosa accidenti c’è qui dentro?!- concluse infilando il naso nella busta.
-Cibo.- si limitò a ridere Gerard.
Frank continuò ad insultarlo metodicamente per tutte le rampe di scale, Gerard non lo ascoltava ed anche se era chiaro come il sole, questo non sembrava sufficiente a scoraggiare il più piccolo.
-…Ed ho parlato con Brian, stamattina, e mi ha detto che lunedì vuole che stiamo tranquilli e zitti e che ci pensa lui.- capì soltanto il cantante davanti la porta di casa.
Si mise di nuovo a smanettare con le chiavi, continuando a dare le spalle al chitarrista, ma stavolta attento a quello che lui diceva. Frank se ne accorse e proseguì in tono più calmo.
-Pare che quelli della Warner stiano rivalutando la loro posizione, forse non ci sbattono fuori. Anche perché, a detta di Brian, avremmo un paio di proposte che lui starebbe pure valutando.
-Un’altra etichetta?- chiese Gerard spingendo la porta con la spalla ed entrando nell’ingresso. Si sfilò il giaccone di dosso e lasciò che Frank lo superasse in direzione della cucina mentre lui appendeva la giacca all’attaccapanni.- Non sarebbe male…magari qualcosa di più piccolo…- fantasticò ad alta voce.
E pure se non lo diceva, Frank capì che in quel “piccolo” ci stava un “impegnativo” molto poco velato. Gerard pareva davvero sul punto di implodere e sicuramente non era in grado di reggere altra tensione o aspettative. Posò la busta sul tavolo e si voltò a cercare piatti e bicchieri per apparecchiare, mentre l’altro entrava dietro di lui e lo aiutava. Frank notò solo a pelle come Gerard tollerasse meglio quel suo “invadergli gli spazi”, per un momento si era sinceramente aspettato di essere buttato fuori a calci non appena avesse messo mano alle cose dell’altro…
-Non credo che Brian voglia qualcosa di più “piccolo”.- smontò i sogni del cantante.- Sarebbe una bella sconfitta, no?
-Credevo che tu fossi il primo tra noi a sentire la pressione di una casa discografica esigente come la Reprise.- commentò acidamente Gerard senza guardarlo.
Frank incassò il rimprovero fingendo di non averlo afferrato e proseguì tranquillamente nella propria opera di distribuzione delle stoviglie.
-Se ne dicono di stronzate!- ci rise su, ma che non ci fosse nessuna allegria in quelle parole era fin troppo chiaro.
L’altro non commentò, si sedette da una parte del tavolo ed aspettò che lui facesse altrettanto.
-Ho fatto due chiacchiere con Sarah stamattina.- cambiò discorso Gerard. Stavolta il sorriso di Frank fu assolutamente sincero nell’alzargli in faccia gli occhi, tanto che contagiò anche lui.- Ah, mi ha chiesto di dirti che è molto dispiaciuta ma ha perso il cd che le avevi dato.
-Davvero?
-Cosa c’era su? Sarah ha detto di non averlo potuto sentire…
-La demo dell’album.- spiegò Frank affondando la forchetta nel piatto.
Gerard annuì.
-Ne ho una copia anche io; dopo gliela masterizziamo, così gliela porti stasera.
-Sei arrabbiato perché gliel’ho data?
Era insolito sentirsi fare una domanda del genere da Frank, lui era il tipo che non chiedeva mai “permesso” ed il più delle volte non sapeva dire “scusa”. Gerard alzò gli occhi dal piatto per puntarglieli addosso, perplesso, Frank ricambiava il suo sguardo tranquillamente.
-…ma…perché dovrei?- borbottò a disagio.
-Non lo so. Sei sempre tetro, non capisco cosa ti passa per la testa, ti chiedo se qualcosa ti da fastidio.- si giustificò il chitarrista spiccio.
-Non sono tetro.- ribatté l’altro infastidito da quella notazione.
-Non te ne accorgi nemmeno?- rise Frank.
Gerard non rispose. No, non se ne accorgeva affatto. Abbassò di nuovo lo sguardo sul piatto, prendendo a scaraventare nervosamente il cibo in lungo e in largo con la forchetta. Il suo umore era talmente costante da mesi che aveva anche smesso di preoccuparsi di quale fosse. Evidentemente non era così per chi lo circondava.
-Prendi adesso.- si sentì richiamare indietro dalla voce di Frank. Alzò gli occhi ancora una volta, “uhm?” fece senza capire.- Stai lì zitto, sembra che ti abbia fatto qualche torto incredibile anche solo a rivolgerti la parola, ma non dici niente.- proseguì Frank piatto.- Non ci sto nella tua testa, Gee, non indovino cosa pensi.- lo rimproverò.
-…una volta lo facevi.
-Credevo di farlo!- si derise da solo lui.- Non penso di esserci mai riuscito veramente.
Gerard si alzò. Non aveva voglia di mangiare ancora, ma soprattutto non aveva voglia di continuare quella discussione. Sparecchiò la propria parte di tavola solo per avere un pretesto per voltare le spalle all’altro ancora seduto, ascoltandolo sospirare pesantemente, e non disse nulla comunque.
Frank gli andò dietro, mise piatto, bicchiere e forchetta nel lavello e lasciò a Gerard il compito di pulire, infilando le mani in tasca ed uscendo dalla cucina.
In salotto, buttato sul divano, accese la televisione solo per avere un qualche rumore che lo distraesse da quel silenzio. Poteva anche tornarsene a casa propria, si disse, Jamia sarebbe stata contenta di averlo un po’ per sé e lì era evidente che non fosse particolarmente ben accetto. Ma era comunque restio ad andarsene, Gerard alla porta non ce lo aveva ancora messo – non dubitava che prima di sera lo avrebbe fatto, quel nuovo lui sembrava tollerare molto poco la compagnia in genere – e lui aveva voglia di rimanere ancora un po’. Sentiva l’altro muoversi per la casa ignorandolo, sapeva che non sarebbe venuto a cercarlo affatto, che si sarebbe trovato qualcosa da fare per i fatti propri e si sarebbe rintanato da qualche parte, presumibilmente lo studio, per farla. Per un po’ – un’oretta, forse – si accontentò della quiete che era scesa sulla casa, riuscì perfino a concentrarsi sul notiziario e poi su un programma idiota di MTV. Alla fine fu più forte di lui e si alzò.
Gerard non era nello studio. Frank salì al piano di sopra e vide la porta della camera da letto matrimoniale aperta. Quando si affacciò lo vide intento a cercare qualcosa nel disordine da sgabuzzino che regnava lì dentro, gli dava le spalle, ogni tanto tirava fuori un paio di oggetti da una pila confusionaria e li lasciava ricadere accanto a sé senza ordine. Frank li guardò e vide che non c’era alcun ordine nemmeno nella scelta. In ogni caso, quando si voltò e lo vide, Gerard pareva essersi dimenticato pure di quello che aveva tirato fuori; in una mano teneva una vecchia valigetta di colori ad olio, nell’altra una tela, una volta bianca ed ora giallastra per la polvere ed il tempo.
-Vuoi dipingere?- chiese Frank.
-Dovrò pur fare qualcosa nel mio tempo libero, fino a lunedì.- affermò spiccio l’altro.
Quell’ostentazione di indifferenza era abbastanza forzata da strappare a Frank un sorriso, che si concesse velocemente solo perché Gerard era tornato a voltarsi e non poteva raccoglierlo. Il chitarrista fece sparire qualsiasi espressione dal proprio viso giusto un istante prima che l’altro si disincastrasse da un groviglio di carabattole inutili e, con qualche difficoltà, riuscisse a rimettersi dritto in uno spazio libero poco distante dal letto ingombro.
-Vuoi una mano?- s’informò Frank nel vedere Gerard studiare il modo migliore di tirare su tutto e portarselo via da lì.
-…uhm…- commentò piatto lui, distratto ed imbarazzato in un modo che lo rendeva ancora più infantile del solito. Annuì a disagio.- Mmh mmh.- convenne raccogliendo una parte del materiale e lasciando l’altra dov’era.
Uscì per primo, Frank entrò al suo posto raccogliendo una tavolozza ed il cavalletto; lo seguì al piano di sotto, sentendolo armeggiare nello studio, quando entrò lo vide che trascinava un divano per spostarlo da davanti la finestra verandata.
-Qui c’è più luce.- affermò con una punta del vecchio entusiasmo negli occhi. Si mise a tirare le corde della tenda per spostarla di lato in modo che il sole potesse entrare, Frank posò il cavalletto ed andò a dargli una mano.- Questa casa è buia…- borbottava Gerard guardando l’intreccio di cordoni per capire il motivo per il quale non riusciva a tirar via la tenda come voleva- Come diavolo è fatta…?!
-Magari dovremmo provare a spostare questo? io dico che è incastrata da questo lato…
-No, aspetta, secondo me è solo che non è il filo giusto…
-Eh, ma proviamo! Guarda che anche questo non si muove di un millimetro!
-Frank, non tirare se non sai che stai combinando! Aspet…
La tenda venne giù con uno schianto sonoro ed i due fecero appena in tempo a tirarsi indietro prima che il bastone di legno che la reggeva al muro li colpisse. Gli ultimi svolazzi della parte garza sottilissima all’interno si posarono delicatamente sulle teste di entrambi, in un’immagine sufficientemente ridicola da trasformare l’irritazione di uno – Gerard – e la costernazione dell’altro – Frank – in un’identica espressione divertita, soffocata sul nascere dalla sensazione – sbagliata – che non fosse il luogo, il tempo e la persona giusta con cui ridere.
-Meglio chiamare qualcuno per ripararla.- si tirò indietro Frank per primo.
Gerard acconsentì con uno sbuffo, liberandosi insieme all’altro dalla prigione di fili e stoffa e lasciandola a terra in un mucchio disordinato. Il sole del pomeriggio entrava senza schermature se non quelle dei vetri bombati, a terra c’era una scacchiera di riquadri dorati e loro due al centro a fissarsi senza sapere che dire.
Frank avvertì la tensione che saliva, la necessità di andarsene era ormai tanto evidente da non poter essere ignorata.
Fu comunque Gerard ad esprimere ad alta voce quel pensiero, tornando indietro verso la scrivania e piegandosi sul computer.
-Ho masterizzato il cd per Sarah.- gli disse sfilando il disco dal lettore.- Glielo lasci tu andando via?
Frank scrollò le spalle per dire che andava bene ed allungò una mano quando lui gli porse la bustina trasparente con dentro la demo.
-Salutami Jamia.- disse Gerard.
Il chitarrista si chiese se si fosse solo sognato l’esitazione che aveva percepito nella voce dell’altro: lui sembrava assolutamente sereno e distaccato, impaziente di vederlo uscire da casa propria.
Infilò il cd in una tasca dei pantaloni e ringraziò per il pranzo con una cordialità da estraneo che gli diede fastidio. Gli diede comunque più fastidio capire che era perfettamente naturale adottare quel tono.
Gerard non lo seguì alla porta nemmeno stavolta.
 
 

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Capitolo 9
*** This is how I disappear ***


This is how I disappear

That without you is how I disappear,
And live my life alone forever now.
And without you is how I disappear,
And live my life alone forever now.

Can you hear me cry out to you?
Words I thought I'd choke on figure out.
I'm really not so with you anymore.
I'm just a ghost,
So I can't hurt you anymore,
So I can't hurt you anymore.

And now, you wanna see how far down I can sink?
Let me go, fuck!
So, you can, well now so, you can
I'm so far away from you.
Well now so, you can.

And without you is how I disappear,
And without you is how I disappear.
Forever, forever now!
 
“This is how I disappear”
My Chemical Romance
“The Black Parade”

Pioveva. Una domenica nefasta come quella Frank non se la ricordava da mesi. Forse quell’inverno…il funerale di Lindsay…ma non era domenica ed il cimitero sotto la pioggia era sicuramente uno spettacolo meno deprimente della città sotto tutto quel grigio e quell’acqua.
Lui aveva dimenticato a casa l’ombrello, ma questo era ordinario, Jamia gli aveva urlato di prenderlo giusto un momento prima che lui si mettesse a fare qualcosa di più interessante che starla a sentire. Per quando era uscito, l’avvertimento di lei era già scomparso da un pezzo, così come Jamia stessa dopo aver annunciato che andava con Alicia a fare shopping. Di girare in macchina per New York in pieno giorno non se ne parlava nemmeno a spararsi, Frank aveva tirato su il cappuccio della felpa appena aveva sentito le prime gocce che gli urtavano il naso e la fronte ed aveva sperato di arrivare a destinazione prima di bagnarsi del tutto.
Speranza vana. Quando era riuscito ad attaccarsi al campanello della palazzina di Gerard, era zuppo come un pulcino e grondava acqua sul tappetino d’ingresso fuori dal portone, quello che recitava “welcome” in blu su sfondo panna sporco…sì…del fango delle sue scarpe.
-…cazzo.
-Frank?- gracchiò il citofono, e lui si affrettò a tirare su la faccia per rispondere.
-Sì, Gee,- confermò.- sono io. Aprimi che mi sto prendendo un accidente.
-…
-‘Fanculo! Apri, stronzo!
Una scarica elettrica, un “click”. Frank si voltò, allungando una mano a spingere il portone, e lo vide - …sotto la pioggia, dall’altra parte della strada, aveva anche lui il cappuccio della felpa tirato fin quasi agli occhi e come lui scolava acqua ed aveva i vestiti appiccicati addosso - però lo riconobbe lo stesso…
Quando mise piede dentro l’androne sentì la risata di Gerard risuonare per tutta la tromba delle scale, grugnì e si affacciò in su, da sopra il corrimano, sbirciando la faccia del cantante appesa in cima all’ultima rampa, le braccia incrociate sul legno ed un sorriso beffardo.
-Non penserai che ti lasci entrare in casa mia ridotto a quel modo!- esclamò Gerard.
-Non solo lo penso, ne sono anche certo.- affermò lui impudente, e prese a salire a due a due i gradini.
Gerard lo accolse accigliato, ma Frank lo spinse dentro casa e finse di non accorgersene. Qualcosa di pesante e morbido gli finì in testa, strappandogli un accenno di protesta, almeno finché a tatto non capì che si trattava di un asciugamano e se lo levò dalla faccia.
-Vatti a fare una doccia ed asciugati.- gli disse secco il bruno, camminando per primo in direzione della scala che portava di sopra – Ti cerco dei vestiti asciutti.
Frank venne fuori dal bagno - vestito e profumato e con i capelli ancora umidi - mezz’ora dopo, vagando per casa alla ricerca del proprio ospite. Alla fine lo trovò nello studio, seduto a terra davanti ad una tela già sbozzata, una lattina di redbull di fianco e lo sguardo assorto di chi sta pensando a qualcosa di non troppo piacevole. Il chitarrista gli andò vicino senza chiedergli permesso e si lasciò cadere con un tonfo di fianco a lui, dall’altro lato della lattina, incrociando le gambe sotto il sedere e fissando il quadro con una caricatura malfatta dell’espressione concentrata del bruno. Gerard afferrò in fretta la presa per il culo e gli tirò un ceffone pesante sul braccio, ma Frank rise e si voltò.
-Andiamo al cinema?- indagò.
-…posso farti una domanda?- se ne uscì l’altro senza rispondere. Frank scrollò le spalle per dire che andava bene.- Perché torni qui?- Il sorriso sulla faccia del più piccolo si congelò come una maschera; Gerard finse di non vederlo, continuò a parlare con la stessa sfrontatezza insensibile, quella di chi stia chiacchierando di circostanze prive di interesse.- Insomma…io e te a stento ci parlavamo fino a meno di cinque giorni fa, Frank, e non è cambiato niente da allora. Non sono cambiato io, non lo sei tu…ma ti ostini a tornare qui ogni santo giorno ed io davvero non capisco cosa diavolo ti aspetti da me. Perché torni qui?
-Perché nei hai bisogno.- confessò freddamente Frank.
-Non ho bisogno di te.
-No, forse no. Ma hai bisogno di qualcuno ed io non conosco nessuno che possa andar bene.
Gerard si fece scappare un sorriso cattivo, spostando la faccia in basso per fissarsi la punta delle scarpe.
-Beh, non prenderti troppo disturbo, Frank. Sicuramente quella persona non sei tu.- gli sputò addosso con indifferenza.
Frank incassò il colpo - per assurdo, faceva anche un po’ male - gli venne la tentazione di chiudere gli occhi per resistere al dolore sordo alla bocca dello stomaco, ma incassò e sorrise, le mani che tremavano insistentemente.
-…sei veramente un figlio di puttana.- notificò amaro.
***
Non si erano parlati per tutto il pomeriggio. Frank si era alzato ed era andato fuori dallo studio in un silenzio carico di tensione, gli era sembrato per un momento di rivivere quell’unica scazzottata agli Studi di registrazione: nell’aria c’era la stessa corrente di risentimento, rabbia e frustrazione. Ma soprattutto la stessa voglia di riprendersi qualcosa che era sparito da un pezzo.
Frank se n’era andato dalla stanza proprio per quello, poteva resistere a tutto – lo aveva fatto – ma non poteva resistere alla tentazione di annullare la distanza che li teneva lontani. Gerard, invece, sembrava tutto teso nel mantenerla, quella distanza, nel metterci spazio, ancora ed ancora, fino a non vederlo proprio più, tanto erano distanti; lui era tutto teso nel tentativo di scavarsi da solo una fossa da cui fosse impossibile riemergere.
E aveva un bel dire Frank nel ripetersi che il proprio scopo era solo quello di non permettergli di ammazzarsi da solo. L’altruismo non era mai stata davvero una sua qualità, alla fine la vicinanza che s’imponeva con Gerard – così come era stato tutte le altre volte – aveva un suo risvolto ben poco altruistico nel non voler permettere a qualcosa che considerava ancora suo - …ed era ridicolo farlo, allo stato – di buttarsi via senza permesso.
Così, mentre già aveva un piede sulla porta e mezza felpa, ancora umida, infilata, si era voltato di scatto, aveva mandato il battente a chiudersi con un botto sonoro e, per essere certo che Gerard non fraintendesse credendo che fosse fuggito sul serio, aveva pestato i piedi a terra rumorosamente mentre si riappropriava con prepotenza del salotto ed accendeva la TV buttandosi sul divano. Dallo studio era venuta in risposta la musica, il gruppo Frank non lo aveva riconosciuto ma faceva un gran casino, aveva sorriso mentre Gerard sollevava il volume fino a riempire tutta la casa, lui aveva alzato il volume della televisione ed era iniziata una guerra tra adolescenti arrabbiati.
Ad arrendersi per primo fu Gerard.
Frank stava in piedi vicino alla finestra: di sotto, accostata ad un portone che offriva un accenno di riparo, c’era ancora la stessa figura incappucciata ed il chitarrista si lasciò scappare una smorfia. Quella storia gli piaceva poco, pochissimo.
L’arrivo di Gerard lo scosse ma lui fece di tutto per non richiamare l’attenzione dell’altro sul tizio in strada e si allontanò dalla vetrata con calma studiata.
-Usciamo?- chiese Gerard brusco, non dando segno di aver badato affatto ai movimenti di Frank. Lui lo fissò perplesso ed il bruno continuò senza quasi prendere fiato.- E’ praticamente una settimana che sono chiuso qui dentro, mi sembra di impazzire. Dovunque mi giro c’è qualcosa che mi fa sentire come se dovessi soffocare da un momento all’altro e non ne posso più. Sono quasi certo che se non rimetto il naso fuori prima di domani – e per fuori intendo un’uscita seria! – quando saremo con quelli della Reprise dirò qualche stronzata talmente grossa che sarà tutto irrecuperabile e sarà stata colpa mia davvero. Non mi sentivo….così da secoli! Non mi sono mai sentito così! Mi sfugge tutto da sotto le mani e non so davvero che pesci prendere e mi sento come se da un momento all’altro dovesse crollarmi il mondo addosso! Ed è assurdo, sai, perché il mondo addosso mi ci è già crollato da un pezzo e…
Si fermò esattamente come aveva cominciato. Nel nulla.
Frank lo fissava senza aprire bocca, Gerard gli ricambiava lo sguardo perché sembrava semplicemente incapace di aggiungere un’altra sillaba. Era il discorso più lungo che gli facesse da mesi – se Frank lo avesse frequentato un po’ di più, anche al di fuori del lavoro, avrebbe saputo che era il discorso più lungo che Gerard faceva da anni. Era anche il più “pieno” di cose che gli sentisse pronunciare da una vita…dal tourbus…dal Project, da quando erano ancora amici. Ed anche se Gerard in tutto quel parlare non lo aveva guardato neppure una volta, ma aveva continuato a spostare gli occhi ovunque con un movimento isterico che gli aveva fatto pensare fosse impazzito, Frank sapeva che stava parlando proprio a lui.
Ma non sapeva come reagire.
-…quindi, usciamo?- si sforzò di completare il bruno, spostando il peso da un piede all’altro con l’imbarazzo di un ragazzino che chieda un appuntamento galante.
Frank arricciò le labbra e tirò su le mani, scuotendo leggerissimamente la testa come in cerca di un’idea che gli fornisse una risposta adeguata. Alla fine disse l’ovvio.
-Dove sono gli ombrelli in questa casa?- con una normalità che non sentiva affatto di provare.
Per tornare a sentirsi a proprio agio ci vollero ore – quattro fottute ore della sua nottata – ed un numero di birre sufficienti da perdere il conto e farlo sbronzare.
Perché cazzo aveva scelto di andare a sbronzarsi portandosi dietro Gerard proprio non lo capiva! Gee non beveva. Gee non beveva più davvero: aveva sorriso alle sue ordinazioni, aveva fatto un paio di giri anche lui per tenergli compagnia e poi aveva proseguito ingurgitando un quantitativo decisamente più modesto di coca o redbull o altre cazzate simili. Frank si era sentito stupidamente orgoglioso. Ma probabilmente erano gli effetti dell’alcool che cominciavano a farsi sentire.
Di sicuro erano stati gli effetti dell’alcool a dissipare quel rimasuglio di gelo che strisciava tra loro; non era la prima volta che si trovava a pensarlo, ma Frank credeva che ci fosse qualcosa di “mistico” nel modo in cui certi posti influiscono sull’umore della gente e certe situazioni ti portino a credere possibili le favole. C’erano confessioni, discorsi, risate che potevano essere fatte solo così, davanti ad una birra, ai due lati di un tavolo di legno o plastica ma ugualmente unticcio ed appiccicoso, nel profondo di un posto talmente squallido che non ti sogneresti di entrarci da sobrio superati i diciassette anni di età e la voglia di ribellarti al sistema.
Gerard e Frank si erano ritrovati a parlare tra loro come se tutto si fosse svolto tre anni prima, in un altro posto in cui loro erano amici per la pelle ed avevano degli amici che avrebbero dato la propria vita per loro. Era un bel posto, Frank ci stava caldo e comodo, per questo non si decideva ad uscirne ed ordinava un’altra birra.
Non avevano fatto grandi discorsi – allora li facevano, in mezzo a tutti gli altri, di discorsi, ed a volte senza nemmeno soluzione di continuità – avevano parlato di film, fumetti, videogiochi, cani e gatti…Avevano parlato di musica e del disco. Avevano parlato perfino del tour, di come Mikey avrebbe rotto le palle con la propria pedanteria, di come Bob avrebbe trovato il modo di fare qualche scherzo del cazzo a tutti, di come loro avrebbero cercato di coinvolgere Ray nel ripagare il batterista con la stessa moneta.
In un angolo del cervello di Frank una vocina sottile sottile – flebile sotto gli occhi di Gerard che sorridevano di nuovo – gli diceva che quella cosa non sarebbe mai successa, perché domattina, passata la sbronza, Frank sarebbe stato Frank e Gerard sarebbe saltato di nuovo dentro la propria trincea. Ci aveva bevuto su – alla tua, Vocina! – e l’aveva messa a tacere.
A notte fonda rientravano abbracciati cantando a squarciagola lungo le strade di New York…O era solo lui che cantava? Però Gee stava ridendo!
-Frank, piantala.- lo rimproverò il bruno, ma non sembrava davvero infastidito e Frank continuò imperterrito a rumoreggiare versi strascicati di canzoni a caso, mischiandole fra di loro con un’inventiva notevole.- Sveglierai tutto il vicinato e sarò costretto a trasferirmi.
-Poco male!- esclamò Frank abbattendoglisi pesantemente sulla spalla ed aggrappandosi al suo braccio.- Ti ospito da me!- gli promise.
-Sì, certo. Io, te e Jamia.- sogghignò l’altro.
-Mi piace!- affermò Frank soddisfatto, fermandosi di colpo e trattenendo così l’altro che si bloccò con una protesta smorzata.- Saremmo una bellissima famiglia!- ragionò.
-Il mio concetto di famiglia ed il tuo non coincidono, Iero.- ci scherzò su Gerard liberandosi per riprendere a camminare.
-Ah, questo proprio sì!- convenne il chitarrista raggiungendolo in due balzelli per tornare ad avvinghiarsi al suo braccio.- Se avessero coinciso, adesso saremmo io e te e niente Jamia!- trillò allegramente.
-…sei ubriaco.- constatò Gerard senza dare peso alle parole dell’altro. Erano arrivati al portone, il padrone di casa cercò le chiavi in tasca e le inserì nella serratura.- A casa non ci arrivi, vero?
Frank si rimise dritto, valutando tra sé e sé quella richiesta - con un’aria così concentrata che Gerard si fece scappare un altro sorriso - poi scosse la testa e la cosa gli diede un capogiro che lo costrinse ad afferrare la mano dell’altro per non cadere davvero stavolta.
-Merda, no!- rispose spiccio ed anche un po’ dispiaciuto.
Gerard respirò profondamente, annuendo appena.
-Vieni su.- gli concesse aprendo il portoncino e trascinandoselo dietro.
***
Sarah non era mai uscita con un ragazzo prima. Figuriamoci con un ragazzo più grande! Sorrideva tra sé e sé pensando che, forse, quella non era nemmeno un’uscita di “quel” tipo lì. Ethan non l’aveva invitata fuori dicendole “passo a prenderti sotto casa tua alle otto, metti qualcosa di carino!”, ed anche se magari quello era un po’ da film, Sarah si ritrovava a chiedersi comunque se bastasse incontrarsi…per caso? fuori dal cancelletto della palazzina dove lavorava suo padre, lui che ti sorride e tu che arrossisci.
-Ciao. Speravo proprio di vederti. Ti va di fare un giro?
“Ti va di fare un giro” non è “passo a prenderti ecc.”.
…no?!
-A che stai pensando?
Sarah si voltò ad incrociare gli occhi enormi di Ethan, erano bellissimi, di un colore tanto brillante che anche alla luce della strada parevano illuminarsi da dentro piuttosto che riflettere i lampioni!
-Che come “giro” si è allungato parecchio.- ci scherzò su lei in risposta, accennando all’orologio che lui portava al polso per fargli vedere che ora si fosse fatta.
Ethan la guardò davvero, l’ora, e sembrò improvvisamente a disagio.
-Pensi che i tuoi ti faranno storie?- le chiese dispiaciuto.
-Nah!- scosse la testa lei.- Vivo con papà, mamma è morta due anni fa. Lui alla domenica va fuori con gli amici e secondo me non è ancora tornato.- gli spiegò.- Comunque siamo arrivati.- aggiunse indicando un portone davanti a loro, dall’altra parte della strada.- Vivo lì.
-Ah…- borbottò lui.- Allora…ti chiamo?- indagò incerto grattandosi i capelli mentre lei si sistemava il giubbotto di jeans addosso e la borsa a tracolla.
Sarah lo fissò con un’espressione entusiasta.
-Sì!- esclamò vivacemente.- Mi farebbe molto piacere! Ti do il numero…- si affrettò scavando nella borsa per cercare il cellulare. Lui tirò fuori il proprio dalla tasca dei pantaloni e prese nota del numero che lei dettò velocemente.- Fammi uno squillo.- chiese lei per memorizzare il suo.
Ethan eseguì e Sarah, impacciata, quasi si dimenticò come fare per registrare il chiamante e pasticciò con i tasti per un paio di minuti sotto lo sguardo divertito dell’altro.
Quando rialzò lo sguardo, lui la baciò.
Non era un gran bacio, aveva solo appiccicato le labbra alle sue, in modo infantile e giocoso, approfittando del momento in cui lei era distratta per rubarle quel tocco leggero. Sarah però pensò che era il suo primo bacio e si portò le dita alle labbra premendoci su come a voler trattenere quella sensazione leggera di qualcosa di caldo e morbido.
Ethan la osservava ancora, silenzioso e sorridente. Lei ci mise un po’ a ricambiare i suoi occhi e lo fece con un’aria da bambina smarrita che lo deliziò. Lui si abbassò molto più lentamente, per darle il tempo di tirarsi indietro stavolta, e ripeté quel gesto, posando di nuovo la bocca su quella di lei.
-Sei morbida.- le disse sulle labbra.
E quando le accarezzò con la lingua per chiederle di aprirle, lei sospirò e schiuse la bocca per rispondere timidamente a quel gioco.
Ethan si tirò indietro tenendola abbracciata, il viso affondato nei capelli di lei la cullò dolcemente e Sarah singhiozzò un sospiro di felicità autentica.
-Mi piaci.- le disse lui.
-…anche tu.- ammise lei in un sussurro bassissimo.
-Ci vediamo domani?
Sarah annuì perché non era sicura di poter parlare, teneva la faccia contro il petto di lui solo perché non sapeva bene di che colore fosse diventata e non voleva proprio fare la figura della bambina inesperta. Anche se lo era.
Quando lui la lasciò andare, scappò via di corsa, agitando solo una mano in segno di saluto ma senza fidarsi di dire una sillaba di più. Ethan rimase ad aspettare che entrasse nel portone e, quando lei si voltò a chiuderselo alle spalle, lo vide che la salutava ancora da dietro il vetro.
***
Mal di testa e senso di nausea erano o.k. Effetti naturali della sbornia. Bene. Il mal di schiena a cosa era dovuto?
Frank si rotolò su quello che credeva essere il proprio letto, ancora ad occhi chiusi e mugugnando di dolore ad ogni singolo movimento, tutto ciò che ne ottenne fu di ruzzolare giù dal divano che lo ospitava e schiantarsi su un pavimento incredibilmente più duro di quanto avrebbe dovuto essere. Almeno per lui ed almeno in quelle circostanze.
-…porc…!- esordì il chitarrista massaggiandosi la nuca nel punto in cui aveva impattato contro il terreno. Peccato che gli facessero male anche le chiappe! …ad essere onesti non aveva idea di quale parte del corpo non urlasse dolore in quel momento.- Ma che cazzo è successo?- borbottò con voce impastata, rotolando ancora per aggrapparsi al divano ed aprire gli occhi con qualche difficoltà.
La luce del giorno entrava in tutto il proprio splendore dalla finestra spalancata, ferendogli fastidiosamente gli occhi e costringendolo ad una semicecità che stava esaurendo quel po’ di pazienza che gli restava. Odiava sbronzarsi. No, odiava il post-sbronza. Meglio, ecco.
E non ricordava dove fosse.
Sentì dei passi in quello che immaginò essere il corridoio, una porta che veniva chiusa ed un rumore di qualcosa che veniva posato su un mobile – chiavi, riconobbe – poi altri passi ed infine una figura entrò nella stanza, lasciando cadere davanti a lui un borsone nero con un tonfo sordo che rimbombò nella sua testa. Frank si lasciò andare nuovamente pancia all’aria sul pavimento, gemendo per il dolore alla testa e per il senso di spossatezza, e la figura rimase lì, insensibile, incombendogli addosso ma almeno coprendogli in parte la luce del sole.
-Sei un disastro.- notificò una voce apatica che Frank riconobbe anche ad occhi chiusi. Nella sua testa due o tre tasselli si rimisero a posto da sé: aveva dormito da Gerard perché era troppo ubriaco per tornare a casa da solo e l’altro non aveva intenzione di riportarcelo.
-Avresti dovuto restituirmi a Jamia.- biascicò, mordendosi la lingua subito dopo. Cazzo diceva?!
-Sì, certo.- liquidò il cantante fingendo di non cogliere la battutaccia dell’altro.- Sono stato a casa tua a prenderti dei vestiti puliti, non c’è tempo per passare da lì prima della riunione.
-Merda, la riunione!- sbottò Frank senza fiato. E per la fretta fece il grosso errore di tirarsi in piedi di scatto, salvo rimanere boccheggiante a mezz’aria, una mano premuta contro la bocca ed una nausea feroce a tormentargli lo stomaco.
-…non azzardarti a vomitarmi sul parquet.- gli intimò Gerard prima di dargli le spalle ed uscire.- Vuoi fare colazione?- chiese ironicamente dal corridoio.
Frank mandò giù la saliva ed il fiato in un colpo solo e, lentamente, finì di mettersi dritto. Uhm…se non si muoveva andava tutto bene.
-Vaffanculo!- notificò all’indirizzo dell’altro.
Si mise a sedere con calma, tirandosi vicino il borsone ed iniziando a scavarci dentro con metodo. Dalla cucina arrivavano rumori assolutamente familiari – Gerard si faceva il caffè, Frank sorrise – lui li ascoltava distrattamente e non fu particolarmente stupito quando, sollevando gli occhi, vide che l’altro era già di ritorno e lo scrutava in silenzio, appoggiato contro lo stipite della porta e con una tazza in mano.
-Spero ce ne sia anche per me.- pretese il chitarrista.
-Sai dove sono le tazze.- lo liquidò Gerard spiccio.
Frank non raccolse, dal fondo del borsone tirò fuori una maglietta rossa che riconobbe e che gli strappò un sorriso talmente soddisfatto che le provocazioni del cantante gli rimbalzarono addosso.
-La mia maglia!- esclamò felice come un bambino.
-Ah, sì.- sbottò Gerard.- Jamia mi ha detto di prenderti quella perché dice che tu sei convinto porti fortuna e voleva che la indossassi oggi. Così quando ci licenzieranno capirai che non porta affatto fortuna.- spiegò.
Frank lo guardò malissimo.
No, non per la battuta in sé. Era la sua indifferenza, l’idea che potesse “non importargli” se davvero la band fosse scomparsa quel giorno. Dove diavolo era finito il Gerard Way che conosceva?
…dove diavolo era finita la persona di cui si era innamorato?

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Capitolo 10
*** Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us ***


Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us

And I get a little shaken, because I live my life like this
And well I find it hard to stay, with the words you say
Oh baby let me in
Oh baby let me in

And you can cry all you want to, I don't care how much
You'll invest yourself in me, we're not working out,
We're not working out
And you can't keep my brother, and you won't fuck my friends
and we're not working out, we're not working out
This time I mean it, never mind the times I've seen it

Never again, never, never again
 
“Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us”
My Chemical Romance
“I brought you my bullets, you brought me your love”
 
Non aveva dormito affatto. Soltanto chiudere gli occhi lo aveva reso dolorosamente consapevole di due cose: l’indomani mattina si sarebbe decisa la sorte della band – quella che lui aveva voluto e lui stava distruggendo – e Frank dormiva nella stanza sotto la sua, ubriaco e dopo avergli ribadito per l’ennesima volta qualcosa che Gerard non voleva sentirsi ripetere. Si era rigirato nel letto inquieto, maledicendosi mentalmente per non aver, una volta tanto, riportato a galla vecchie e pessime abitudini ed essersi sbronzato anche lui con l’amico. Frank era comunque troppo ubriaco per poterglielo impedire, magari il giorno dopo Gerard si sarebbe preso una ramanzina con i fiocchi ma sul momento non avrebbe dovuto pensare a niente. Si era alzato praticamente all’alba; l’altro continuava a russare rumorosamente arrotolato sul suo divano, lui si era lavato e vestito ed era uscito.
Andare a casa di Frank e reincontrare Jamia a tu per tu era stata una bella prova di coraggio, di cui Gerard, in realtà, avrebbe fatto a meno più che volentieri. Lei, chiaramente, gli aveva sorriso e si era informata gentilmente di come stesse, lui aveva risposto in modo così freddo e formale che ne era venuto fuori un momento di silenzio imbarazzatissimo. Gerard aveva sentito disperatamente il bisogno di voltarsi e scappare, partiva dalla pancia e gli faceva pensare che poteva tranquillamente andare direttamente alla riunione, a piedi e senza tornare indietro a prendere il chitarrista. Che si fottesse e si arrangiasse un po’ da solo! Lei glielo aveva letto in faccia; nell’osservare il sorriso di Jamia addolcirsi e farsi più vero, Gerard si era ricordato il motivo per cui Frank aveva scelto lei, dopotutto.
-Vieni dentro. Ti preparo un caffè.
Non era semplicemente un invito. Era una vera e propria offerta di tregua e lui si sentiva tanto stanco da avvertire la necessità di una tregua, da una qualsiasi delle cose che gli stavano dando l’assedio in quei giorni. Sentì che potevano fingere tutti e due, lei e lui, che le cose fossero ancora come all’inizio, quando Jamia era un po’ la sorella del gruppo, quella che preparava le torte e curava le ferite con cerotti e sorrisi.
-Grazie.- aveva accettato in tono spento.
Lei non gli aveva chiesto niente. In cucina aveva messo su il caffè come promesso, il discorso lo avevano portato di tacito accordo direttamente su Frank e su un argomento neutrale, l’uscita del giorno prima. Gerard aveva raccontato a Jamia di come l’altro avesse esagerato a bere, delle chiacchiere idiote che si erano scambiati – e tacerle la verità non era stato nemmeno tanto difficile – lei gli aveva detto che era felice che le cose tra loro si stessero sistemando, perché Frank l’aveva presa proprio male di perdere la loro amicizia. Parlava al plurale, Frank aveva preso male di perdere l’amicizia di tutti loro, tutti e quattro. Gerard sapeva che stava facendo un favore a se stessa ed a lui a non dire la verità che entrambi conoscevano.
Nel tornare a casa, la borsa con i vestiti del più piccolo sulla spalla, si era reso conto del retrogusto amaro che aveva in bocca e del dolore sordo che gli chiudeva lo stomaco.
Frank era sveglio quando lui era arrivato…beh…più o meno, almeno. Gerard aveva provato vivo e presente il senso di fastidio che l’averlo dentro casa gli dava. Lì per lì non si era fornito una spiegazione, ma questa gli arrivò lampante nel momento in cui, seduto nella sala riunioni della Reprise, si sentì soffocare dal bisogno fisico di uscire di lì.
Brian aveva ribadito loro di non parlare, con una categoricità che non era per niente da lui e che, generalmente, loro cinque ignoravano con superficialità. Quel giorno si sentiva nell’aria che non sarebbe stato così. Bob se ne stava in un angolo con una faccia così rossa da rendere palese il suo dispiacere e la vergogna per essere la causa di tutto quello, Gerard si sentì tentato di battergli una pacca sulla spalle e fargli notare, gentilmente, che era lui l’unico responsabile ed al diavolo il senso di colpa del batterista! Mikey e Ray erano tranquilli, si associavano silenziosamente al proprio manager e gli offrivano sostegno in quel momento come non avevano mai fatto prima. Frank era, incredibilmente, spaesato, ma quel genere di cose non faceva per lui e Gee pensò che in quel momento era fin troppo chiaro quanto ancora il chitarrista ci tenesse ai MyChem.
Avrebbe voluto poter condividere il loro stato d’animo, sentirsi anche lui teso perché stavano rischiando tutto. Man mano che il tempo passava, però, e che la tensione nella stanza diventava una presenza opprimente, Gerard si rendeva conto che no, a lui non interessava sapere se sarebbero sopravvissuti a quella “bravata”. Tutto ciò che lui voleva era che quei due della Reprise – Tony e Dave – si decidessero a smetterla di sorridergli e manifestargli il proprio rincrescimento per l’incidente increscioso del concerto. Voleva che la piantassero tutti di guardarlo come se da un momento all’altro dovesse esplodere o andare in frantumi – e chiedendosi quale delle due prospettive fosse la peggiore. Degli sguardi ansiosi di Mikey, di quelli di riprovazione di Brian, dell’interrogatorio silenzioso di Ray e, peggio di ogni cosa, dell’aria affamata con cui Frank lo teneva d’occhio ne aveva piene le palle. E quella che avvertiva non era davvero paura, ma solo senso di pericolo, perché sul punto di esplodere – o andare in frantumi, e nemmeno lui sapeva dirsi cosa potesse essere peggio – ci si sentiva davvero. E non voleva che fosse lì, con loro, con nessuno di loro.
Prese a giocare nervosamente con l’accendino già un istante dopo aver risposto a monosillabi alle domande educate dei due della Reprise, fuori il cielo di New York era pesante quanto il suo stato d’animo ed andava bene così. Non poteva durare per sempre, no? Bastava resistesse per un po’ ancora…
Avesse potuto almeno fumare lì dentro, cazzo!
-E’ chiaro che un’eventuale cattiva riuscita del disco porrebbe la band in una situazione difficile agli occhi della direzione…
-E’ chiaro.- convenne Brian spiccio.
-Quindi, non ti sarà difficile capire, Brian, che per…allettare la direzione ci voglia qualcosa che faccia presumere la buona volontà della band ad uscire da questa…empasse?
-Oh sì, Dave, assolutamente. Tutta la buona volontà.
Frank dondolò sulla sedia. Mikey se ne accorse e gli tirò un’occhiataccia tale che lui si lasciò immediatamente ricadere composto e si mise dritto, mani sul tavolo e sguardo fintamente attento agli uomini della Reprise.
A quanto pareva erano arrivati al punto. Brian era stato molto chiaro con lui, Gerard sapeva che in realtà la Warner si trincerava dietro quella storia solo per non dover manifestare il disagio di una prospettiva di vendita del disco decisamente in calo rispetto alle stime fatte al momento della produzione. Sospirò pesantemente e Frank gli scoccò uno sguardo preoccupato che lui evitò, storcendo la bocca in una smorfia per impedirsi di commentare acidamente l’agitazione del più piccolo.
-Immagino, in ogni caso, che anche la direzione capirà se dovessimo ritenerci liberi di guardarci attorno.
No, la direzione non capiva. Il sorriso sui volti di Dave e Tony diventò così rigido che Ray sbuffò in un accenno di risata – che soffocò sul nascere – Mikey sorrise discretamente e perfino lui sentì gli angoli delle labbra tendersi in un sorrisetto cattivo e soddisfatto.
-Facciamo così!- esclamò vivacemente Brian facendosi avanti lungo il tavolo, un colpo di piatto di fianco a sé che fece sobbalzare i due uomini.- Vediamo che ne viene fuori da questo cd e poi ne parliamo dati alla mano, eh?- liquidò il manager.
Quando si alzò, gli altri cinque lo imitarono con una prontezza ed un accordo invidiabili, tanto che Gerard si sentì orgoglioso di loro, ed allo stesso modo si esibirono ad un coro cantilenante ed ironico che intonò un “ciao Dave e Tony” cattivissimo. In strada, poi, Ray, Bob, Mikey e Frank scoppiarono a ridere all’unisono e Brian non se la sentì nemmeno di riprenderli e si unì a loro.
Gerard si accese una sigaretta.
-Andiamo a mangiare qualcosa tutti assieme?- stava chiedendo Brian.
Il cantante si concentrò sul sapore della nicotina, anche se non era possibile la sentiva già in circolo e rimpiangeva ben altre sostanze, sicuramente più efficaci. No, aveva bisogno di andare via, realizzò fissando gli altri riuniti in circolo.
-Io vado a casa.- annunciò piatto.
Suo fratello annuì per tutti, più che altro – immaginò Gerard – stava cercando di tenergli lontano domande che non avrebbe apprezzato. Peccato non riuscisse a tenergli lontano anche premure che apprezzava ancor meno, pensò quando Frank si intromise repentinamente.
-Ti accompagno.- si offrì imitandolo nell’accendersi una sigaretta.
Gerard ingoiò la risposta velenosa che gli salì alle labbra. Frank non lo stava nemmeno guardando, solo suo fratello si accorse dello sguardo malevolo e disperato che rivolse al chitarrista più giovane. Non disse nulla comunque e camminò in direzione dei taxi parcheggiati lì vicino.
 
***
Arrivarono davanti alla palazzina di Gerard in un silenzio teso che Frank non capiva. L’altro non aveva spiccicato una parola che fosse una da quando erano usciti dall’incontro con quelli della Reprise, si era seduto nel primo taxi che erano riusciti a trovare ed aveva dato l’indirizzo di casa propria in tono così basso e svogliato che lui, per sicurezza, lo aveva ripetuto ad un autista spaesato. Quando l’auto si fermò a pochi metri dal cancelletto, il bruno si tirò fuori a velocità razzo, praticamente gettando in faccia al conducente i soldi della corsa e puntando a passi lunghissimi verso l’ingresso. Frank ci mise qualche secondo di più ad andargli dietro, stava ancora aprendo la portiera quando Gerard era già al portoncino e litigava con le chiavi per aprire.
-Grazie e buona giornata.- si affrettò a salutare il tassista, che annuì soltanto e rispose con un cenno della mano, presumibilmente chiedendosi chi fossero quei due pazzi.
Frank sospirò pesantemente e seguì l’altro.
-Hai intenzione di venirmi dietro fino a casa?!- si sentì aggredire ancora prima di entrare nel portone.
Si bloccò sulla soglia, un gradino più in sotto rispetto al pianerottolo di ingresso, guardando in su, stupito, il viso alterato di Gerard.
-Gee…
-Gee tua madre, Iero!- infierì l’altro interrompendolo con una ferocia che Frank non capì affatto, ma che bastò a fargli perdere quel po’ di tranquillità che ancora conservava.
-…che cazzo ti prende, Way?- domandò in tono basso e controllato, stringendo i pugni fino a sentire le nocche fargli male.
-Mi prende che non ne posso più di averti attorno.- sussurrò Gerard allo stesso modo, facendo evidente fatica a tenere a bada quello che gli ronzava nella testa.- Non tollero la tua presenza, sei asfissiante più di Mikey, sei invadente quanto Brian o Bob e sei pedante peggio di Ray. Questo, se ti consola, ti fa capire che non voglio tra le palle te più di quanto voglia uno qualsiasi di quegli altri quattro.- spiegò lento.- Quindi fai un favore a tutti e due, vattene da tua moglie e restaci!- sputò rabbiosamente.
Frank aveva voglia di prenderlo a pugni. Soprattutto quel dannato colpo basso di tirare in mezzo Jamia – fottutissima jamia! – non glielo perdonava facilmente! Cazzo! non riusciva proprio a regolarsi quando dava fiato a quella dannata fogna! Poteva stare zitto per secoli e poi tirare fuori in una volta sola tanta di quella merda che Frank aveva dei seri problemi a tollerarla… e ad essere onesti non è che non sentisse anche lui la dannata tensione di quei giorni del cazzo, se quel coglione credeva di essere autorizzato a comportarsi come se esistesse solo lui…beh, si sbagliava di grosso!
-Gerard, io non ho idea di cosa cazzo ti sia preso, ma se vuoi che sia sincero, non me ne frega un fottuto niente.- si sentì rispondere il cantante. Quando Gerard fece per intervenire, Frank lo zittì con un’occhiata talmente arrabbiata che l’altro si ritrovò a fare un passo indietro all’interno della palazzina.- Sai qual è il tuo problema?- gli chiese il più piccolo.- Che tutti noi, ma soprattutto quei quattro idioti, ti abbiamo convinto che tutto ti sia dovuto. Beh, la novità è che no, non è così, e sì, è un favore quello che ti ho fatto in questi giorni a starti dietro e darti retta.
-Potevi risparmiartelo!- s’intromise Gerard velenosamente.
-Ah, questo è sicuro!- rintuzzò Frank in un ringhio basso.- Visto che la riconoscenza non fa proprio per te, stronzo!
-Dovrei esserti riconoscente per avermi invaso la vita, Frankie?!
-Dovresti essermi riconoscente perché nonostante tutto…- si fermò.
La forza di quello che non diceva era tanta che li obbligò tutti e due, per un momento, a trattenere il fiato mentre si guardavano e stabilivano di rispettare un tacito accordo di silenzio.
Anche se li stava uccidendo entrambi.
-…dovresti essermi riconoscente, perché sono ancora qui a sbattermi per te anche se non sono tenuto e, a dirla tutta, nemmeno mi va più di tanto.- riprese Frank sottilmente, respirando male.
-Bene.- mormorò Gerard.- Quella è la strada.- aggiunse indicando la via alle spalle di Frank.- Grazie tante per il tuo aiuto non richiesto, Iero.
Frank rimase un momento di troppo fermo dov’era. Non poteva credere che stesse andando davvero a quel modo. Per un po’ – si rese conto – si era illuso che tutto potesse ripartire da dove si era interrotto. Magari su basi diverse – c’era Jamia adesso, c’era in un modo in cui lui non poteva e voleva ignorarla – magari sarebbe stato anche difficile, però per un momento doveva essersi illuso che si potesse fare comunque. Mentre realizzava di stare perdendo Gerard un’altra volta, si accorse anche di quanto gli mancava la sua presenza.
Ferirsi era diventato l’unico modo che conoscevano, ormai, per restarsi attaccati alla pelle ed alle ossa.
-…avresti dovuto mandarmi un biglietto per il tuo funerale, Way, mi spiace davvero un sacco essermelo perso.- sussurrò cattivo Frank. Proprio per quello. Per restargli addosso con una cicatrice di più.
Sentì il portone chiudersi quando uscì dal cancelletto esterno, Gerard era rimasto a guardarlo andare via e Frank si chiese se gli fosse venuta la tentazione, almeno una volta, di allungare una mano a riprenderselo. Inghiottì la saliva e la rabbia, infilò le mani in tasca e camminò dritto per la propria strada.
Sul marciapiede opposto una figura in felpa, jeans e maglietta nera con il logo stampigliato in rosso gli ricambiò lo sguardo quando Frank si voltò distrattamente e si accorse di lei.
…doveva…avvisare Gerard…? Perché gli riusciva difficile anche solo pensare di dovergli parlare di nuovo?
Respirò a fondo, non era una cosa buona che tutto riprendesse come quando non si parlavano nemmeno…non lo era… per…la band…
***
Il quantitativo assurdo di cazzate che si era detto, Frank lo realizzò nell’aprire la porta di casa. Quando fu investito dal profumo invitante del pranzo e dalla voce di Jamia che cantava in cucina, la radio accesa, ed il suo primo – unico – pensiero coerente fu che aveva voglia di vomitare. Per un istante perfetto – quello in cui rimase immobile, le chiavi ancora nella toppa della porta e gli occhi chiusi strettamente – si disse che forse poteva voltarsi ed uscire di nuovo. Camminare a piedi, per dove non aveva importanza…magari casa di Mikey…magari nessun posto in particolare, ma camminare fino ad avere i piedi che gli facevano male e nessuna forza per mettere un altro passo in fila. In quell’istante perfetto, Jamia spariva, Gerard non era ancora diventato un problema, lui viveva per la musica e la band era il centro dell’Universo. Peccato che quest’ultimo coincidesse tragicamente con la dimensione esatta di una cuccetta troppo stretta in cui il respiro di Gerard ed il suo si confondevano fino a non sapere più a chi appartenesse l’aria che stava respirando.
-…merda.- sussurrò a voce bassissima Frank, credendo che il corridoio fosse ancora vuoto.
Quando aprì gli occhi vide che non era così. Lei stava ferma davanti la soglia della cucina, un sorriso enorme sul viso ed un mucchio di dubbi così chiari da essere stampati negli occhi.
-Ciao, Jam.- sorrise di rimando, falso quanto lei.
-Ciao!- esclamò Jamia prontamente.- Com’è andata?- s’informò.
-Ah…da Dio!- ricambiò lui con entusiasmo. Sfilò le chiavi e chiuse la porta dietro di sé.- Brian è stato grande e, come vedi, la mia maglietta porta fortuna!- la prese in giro affettuosamente, indicando orgogliosamente l’indumento rosso sotto il giubbotto di pelle.
Lei rise e gli andò dietro mentre Frank iniziava stancamente a spogliarsi.
-Faccio una doccia.- annunciò in camera da letto, sfilando la maglia.- Stamattina mi sono svegliato talmente tardi che non c’è stato modo nemmeno di darsi una lavata decente.
-Sì, Gee mi ha detto che eri ubriaco fradicio!- lo riprese lei con aria talmente “materna” che a Frank scappò un sorriso più sincero e si piegò a baciarla a stampo sulle labbra imbronciate.- Frank Anthony Iero!- lo bacchettò comunque Jamia.
-Oooh! Non ero così ubriaco!- protestò lui, infilandosi in bagno con solo i boxer addosso.
Jamia non gli diede tregua. Rise divertita – ed era un suono bellissimo - inseguendolo prima che potesse chiuderle la porta davanti, si appoggiò al battente con tutte e due le mani spingendo per riaprirlo e, quando lui lo lasciò di scatto, lei quasi gli inciampò addosso, finendo tra le sue braccia con uno gridolino soffocato.
-…ciao, amore.- la salutò lui trattenendola contro di sè per impedirle di cadere a terra.
Jamia si rigirò nel suo abbraccio. Non sembrava intenzionata ad allontanarsi. Anzi. Appena lui le lasciò margine per farlo, lei sollevò le braccia e gliele fece passare attorno al collo, avvicinando il viso al suo per baciarlo.
-Mi sei mancato un po’ in questi giorni.- ammise, poi, a mezza voce Jamia, occhi chiusi e fronte contro quella di lui. Frank respirò il suo profumo, Jamia aveva sempre avuto l’odore di qualcosa di pulito; affondò il viso nei capelli di lei per sentire se quella sensazione di innocenza era ancora dove la ricordava. Immutata.- In realtà, mi manchi sempre quando sei via…
-Mi sei mancata anche tu.- sussurrò Frank, rendendosi conto mentre lo diceva che era vero.
Nel baciarla, spingerla verso la doccia, spogliarla lentamente, Frank pensò di essere una persona molto stupida.
Perché a buttare via le fortune che la vita ti da, significa che sei stupido.
E quando poi quella fortuna ti si attacca addosso come aveva fatto con lui e, nonostante questo, tu continui a non volerla vedere – non vedere Jamia era così assurdamente facile, lei c’era e le “cose che ci sono” sono proprio quelle che non vedi più...
-…ti amo, Jam.
 
 

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Capitolo 11
*** Disenchanted ***


Disenchanted

Well I was there on the day
They sold the cause for the queen,
And when the lights all went out
We watched our lives on the screen.
I hate the ending myself,
But it started with an alright scene.

It was the roar of the crowd
That gave me heartache to sing.
It was a lie when they smiled
And said, "you won't feel a thing"
And as we ran from the cops
We laughed so hard it would sting

If I'm so wrong, so wrong, so wrong
How can you listen all night long?
Now will it matter after I'm gone?
Because you never learn a goddamned thing.
 
“Disenchanted”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
 
Frank sentiva il sapore della donna che amava. Il sapore di Jamia impresso a fuoco nei suoi sensi. E poi il rumore fastidioso di qualcosa in sottofondo, un trillo insistente, le note disarmoniche di una canzone sparata a volume crescente ed il rumore della plastica che urtava in modo ritmico e veloce sul legno laccato del comodino. Jamia si rigirò nel suo abbraccio, protestò contro il suo orecchio sottraendogli quel profumo stordente di bagnoschiuma dolce e shampoo alla frutta, un profumo che sapeva di licei da cartone animato. Lui non voleva svegliarsi e la inseguì nel letto, ma solo per farsi spingere via a mani aperte contro il petto.
-…rispondi!- biascicò lei in un ordine indispettito.
Frank sospirò, si voltò tra le coperte stizzito, facendo fatica per tirarsi a sedere e cercare a tentoni il cellulare sul comodino. Di aprire gli occhi non aveva nessunissima intenzione, la sua unica intenzione era mandare a ‘fanculo quel rompicoglioni dall’altro lato della comunicazione e tornare a raggomitolarsi contro il seno di Jamia. Lei aveva ricominciato a dormire con un sorriso soddisfatto appena lui aveva zittito l’apparecchio.
-…chi cazzo è che rompe a quest’ora della notte?!- chiese, sufficientemente assonnato da non riuscire nemmeno minaccioso quanto avrebbe voluto.
Gli rispose un silenzio così pesante che Frank si ritrovò nonostante tutto a trattenere il fiato. In accordo perfetto con la persona dall’altra parte della cornetta. Era quasi certo che anche i loro cuori avessero preso a battere allo stesso ritmo.
-…pronto…?- mormorò strozzato, a voce bassissima per non svegliare la moglie.
Questa volta qualcuno si lasciò scappare un singhiozzo.
Frank scostò le coperte lentamente, posando a terra i piedi e camminando scalzo ed al buio, un’occhiata alle spalle, dietro di sé, Jamia sorrideva ancora, lui si affrettò a chiudere la porta che separava la zona notte e quella giorno dell’appartamento. Dall’altra parte, chiunque fosse, continuavano a venire solo sospiri soffocati e nessuna parola, nessun respiro normale. Frank si sedette su un divano con uno sbuffo pesante, chiudendo di nuovo gli occhi ma solo perché non riusciva a sopportare tutto quello.
…no…non aveva necessità di vedere chi fosse.
-Gee.- chiamò.- Stai bene?
Era una domanda di circostanza. La risposta era nella lentezza con cui lui prendeva fiato, come se respirare ancora dovesse richiedergli uno sforzo di volontà e non fosse più un gesto incondizionato dettato dall’istinto di sopravvivenza.
-Ho bisogno di te.- si sentì implorare Frank in un sussurro sottilissimo.
***
Ci sono molti modi di impazzire. Gerard lo aveva realizzato nel momento in cui aveva capito che lui era impazzito, ad esempio. E nessuno pareva essersene accorto.
Aveva chiuso la porta di casa con un’urgenza assurda addosso. Si era precipitato al piano di sopra – aveva scaraventato il giubbotto per terra passando nel corridoio, da qualche parte sulle scale o davanti al salotto – dentro la camera da letto, prendendo a scavare nel marasma confuso degli scatoloni e dell’altra immondizia che aveva raccolto lì. Aveva buttato tutto all’aria perché nemmeno lui sapeva cosa cercava, aveva solo bisogno di ritrovarla…qualunque cosa fosse…di ritrovare la propria anima, buttata da qualche parte assieme a tutto il resto che andava gettando via senza nessuna cura. C’era la sua vita lì dentro. C’era tutta la sua vita, cazzo! e lui voleva solo liberarsene -  o ritrovarla? – e poi ri-iniziare, perché era certo che si potesse fare, che si potesse ricominciare in un mondo in cui Lindsay non c’era, il bambino non c’era, Jimmy non era un’ombra incombente, Frank non era un sorriso dimenticato…
Frank.
Gerard si era fermato ansante al centro del disastro. Si era lasciato cadere a sedere per terra. I suoi occhi giravano tutto attorno, spostandosi rapidi ed isterici su qualsiasi oggetto senza vederne nessuno. Frank. C’era anche lui là in mezzo – si ritrovava tra le mani i pezzi rotti di vecchi 45 giri, i Misfits di cui avevano parlato assieme fino alla noia! – c’erano le notti in tour e le cazzate fatte o dette, in interviste, sul palco, da soli o in mezzo agli altri. Lui e Frank erano sempre stati uguali a se stessi, che stessero scherzando tra loro o con gli amici di sempre o che stessero cazzeggiando davanti al mondo intero, lui e Frank erano sempre gli stessi. Lui e Frank.
E poi era arrivata Lyn-z e Gerard non si riusciva proprio a ricordare come. Da quel “vaffanculo, siete una manica di sfigati e basta!” ad un “ti amo” detto labbra contro labbra. Le labbra di Lyn-z erano buone, anche se tutti stavano lì a dirgli di no, lei sapeva di femmina e di sesso, sapeva di una normalità un po’ assurda e divertente che lo faceva stare bene. E poi Frank c’era comunque, no? Sì, certo, protestava un po’, lei non gli piaceva ma non piaceva a nessuno e Gerard aveva imparato a scuotere le spalle e fare ciò che gli andava. E allora che fosse la bocca di Frank o quella di Lynz, Gerard stava bene lo stesso e magari…ma solo per errore…quei due sapori doveva averli mischiati un po’ nella sua mente. Ed ora non ricordava più dove fosse finito quello di Frank.
-Perché lo hai baciato?
-Non l’ho baciato.
-…gli hai infilato la lingua in bocca.
-Lo facciamo sempre.
-…No. Non sei credibile, Way.
Lynz era una buona amica. Una di quelle che fanno le domande giuste e si danno le risposte che tu non fornisci. Si fa presto a confondere le idee così, no?
-…che cosa cazzo ho fatto?- si domandò Gerard a voce bassa, guardando il vuoto che aveva creato attorno a sé.
Gli venne da ridere. Anche a non voler tirare fuori metafore spicciole da presente e passato, ci si ritrovava male in quel vuoto. In fondo lui da solo non sapeva proprio stare, no? E lei l’aveva bruciata, veloce e violento, l’aveva spinta lui stesso in quella vasca, sul baratro della morte, a premersela in vena per non doversi ricordare di una vita in cui erano due atomi nemmeno in rotta di collisione. E lui…lui lo aveva perso, ancora prima, lasciandolo a curarsi da solo le ferite che aveva inferto ad entrambi, a riattaccare i cocci di se stesso – ed ora anche di lui, Gerard, che con i cocci non aveva mai saputo farci – e vedere un po’ se dalle briciole ci si poteva costruire qualcosa. Ripartire da zero. Con uno di loro due impegnato a trascinarseli tutti verso quello “zero”, in una discesa che non era più solo auto-distruttiva, quanto deflagrante e basta.
Nel guardarsi attorno, Gerard pensò che tra le macerie l’erba gramigna come lui attecchisce proprio bene.
***
Frank aveva trovato il portone aperto. La scala era nera e portava su su verso un Inferno fin troppo conosciuto. Non era la prima volta che affrontava le crisi di Gerard – sorrise – non sarebbe stata nemmeno l’ultima a quanto pareva. Aveva lasciato la macchina parcheggiata dove non avrebbe potuto, l’indomani, con tutta probabilità, sarebbe dovuto andare a riprendersela al deposito della polizia. Non gliene fregava un cazzo. Non era riuscito a fregargliene abbastanza nemmeno quando aveva scritto quelle due righe stringate a Jamia, mollandole il biglietto sul tavolo della cucina e fingendo di non sentire quando lei si era svegliata, alla fine, e lo aveva chiamato nel buio che era già sulla porta. Per essere certo che lei non lo rintracciasse, spense il cellulare appena arrivò davanti la soglia di casa dell’altro. Bussò. Ovviamente non gli rispose nessuno, ed ovviamente era aperta anche quella di porta. Lasciò la borsa nell’ingresso e buttò un’occhiata al salotto. Era tutto spento, nessuna luce e nessun movimento. Nessun suono nemmeno. Perfino il respiro di Gerard non faceva rumore quando si avvicinò a lui, davanti al divano nel salotto.
Il bruno non lo guardò. Sembrava che nel disegno del pavimento ci fosse una qualche verità nascosta che lui, Frank, non afferrava proprio. Né si sentiva particolarmente incline alla filosofia esistenziale, non dopo quel rocambolesco risveglio che gli avrebbe guadagnato il peggior litigio della sua vita matrimoniale!
Sospirò. Era nervoso, ma la sua non era rabbia – e sì che sarebbe stato giustificato se lo avesse preso a pugni in faccia per quello che gli aveva fatto! – era preoccupazione, ed il silenzio che Gerard si ostinava ad osservare, il buio sepolcrale nel quale si era rifugiato – fisicamente e non solo – lo irritavano perché gli facevano paura. A Frank le cose piaceva affrontarle e Gerard, invece, non gli dava mai un mulino contro cui scagliarsi, preferendo di gran lunga fantasmi intangibili che giravano in tondo solo nella sua dannata testa.
-Parlamene.- esordì il più piccolo quando, in piedi davanti all’altro, non fu riuscito a strappargli nemmeno uno sguardo.- Gee, cazzo, parla!- insistette freddo e rapido.- Parla o giuro che lo faccio io e non ti piacerà per un cazzo quello che ho da dirti.
Sapeva che non erano state le sue minacce. Quando Gerard prese un respiro profondissimo, come stesse riemergendo dal mare di merda in cui stava annegando, e gli sollevò in faccia due occhi che Frank al buio intuiva solo – ma bastava, cazzo se bastava a fare male! – Frank sapeva che non erano state le sue minacce a farlo decidere.
-Li ho ammazzati io.- si sentì dire in tono distaccato, quasi incurante. A Gerard piaceva giocare ad uccidersi fingendo verso di sé un’indifferenza che il suo egoismo dissipava del tutto agli occhi di chi lo conosceva. Frank lo conosceva dannatamente bene.- E’ stata una presa per il culo dall’inizio, non avrei mai dovuto sposarla. Sapevamo che nessuno di noi amava l’altro abbastanza, ci si sono messi la mia fottuta paura di restare solo e la sua leggerezza idiota nel fare le cose e bam! eravamo con un anello al dito ed un figlio in arrivo senza nemmeno accorgercene.
-Sono errori che si fanno, Gee.- mormorò Frank senza forza, non ci credeva manco lui che certi errori si fanno. E sì che era colpevole allo stesso identico modo…
Gerard sorrise triste.
-Non le fai certe vaccate sulla pelle degli altri, Frank.- sibilò in un rimprovero che affondò nello stomaco del chitarrista tanto quanto nel suo. L’immagine di Jamia appena sveglia, ancora intontita dal sonno, che sentiva la porta di casa chiudersi su una speranza di normalità che andava a puttane, ferì Frank come un pugno diretto in piena faccia.- Io lo sapevo che lei si faceva scopare da un altro ed ho finto di non saperlo perché c’era quel cazzo di bambino di mezzo. Ma certe cose non le nascondi nemmeno se vuoi, Frank, io non riuscivo proprio a fingere che me ne fottesse qualcosa e Lindsay non è mai stata stupida.
-…stai esagerando. Lo ha scelto lei di farsi.
Lui non lo ascoltava e fu chiaro quando si limitò a lasciarsi andare con la testa sulla mano, appoggiato pesantemente allo schienale del divano, arruffando e tirando i capelli annodati.
-…dovevi vederla, Frank…- mormorò con un sorriso, chiudendo forte gli occhi come avesse bisogno sul serio di visualizzarla davanti a sé. Fantasma del Natale Passato – Era bellissima mentre parlava del bambino. Era felice come non la vedevo da mesi. Ed io avrei voluto dirglielo in quel momento,- Frank mandò giù la saliva, ignorò il dolore che provava al petto finché poté e poi, quando fu troppo, ci portò la mano artigliando la maglietta e la carne con la stessa ferocia. Ma Gerard non lo guardava.- che era bellissima ed ero felice anche io e volevo quel bambino proprio come lo voleva lei. Invece non dicevo nulla e scappavo sempre. Un impegno e poi un altro, e poi uno suo, e poi Jimmy che chiamava e lei che rideva al telefono con lui, e poi lei sempre più distante, sempre più silenziosa, con sempre meno voglia di condividere i sorrisi con qualcuno che non voleva vederglieli fare…
Jamia era a casa e lo aspettava. Jamia aspettava Frank per l’ennesima volta. Lo avrebbe aspettato per tutta la vita? A volte Frank se lo era chiesto…quella volta Frank se lo era chiesto e si era detto di no. Sposarla era stata la risposta ad una paura fottuta, la paura di perderla perché nemmeno l’amore di Jamia poteva essere per sempre.
Ed ora l’aveva lasciata ad aspettare una volta di più.
-Li ho ammazzati io.- chiuse Gerard in un circolo perfetto.
Frank annuì. Perché era vero e perché era inutile. Lindsay e suo figlio erano morti, di chiunque fosse quel bambino ed a chiunque appartenesse il cuore della donna la verità incontestabile era che a perdere, alla fine, era stato Gerard. E lui stava per accollarsi la metà di quella sconfitta.
-Ci facciamo un caffè?- domandò pratico e diretto.
Si stupì lui per primo di come il suo tono fosse rimasto saldo e sicuro. E sì che il cuore doveva essere scoppiato ormai, o almeno doveva averlo stritolato davvero forte tra le dita.
***
Prese il telefono in automatico. Squillava. E poi era troppo vicino al suo orecchio. E se avesse continuato si sarebbe svegliato anche Gerard e lui non voleva. Arrotolato sulla poltrona di fianco al divano in cui aveva dormito Frank, il cantante si rigirò nel sonno borbottando qualcosa ed aggrappandosi ai cuscini sgualciti come un bambino. Ci doveva stare fottutamente scomodo su quell’arnese, sarebbe stato piccolo perfino per Frank stesso. Sospirò, la notte prima non c’era proprio riuscito a spedirlo a letto a dormire, così aveva ripiegato sul piano “B”, quello che prevedeva di tenerlo sveglio a suon di chiacchiere fino a che non fosse crollato di suo. A quel punto, però, ci si doveva accontentare riguardo alle sistemazioni logistiche.
Frank rispose solo quando fu in cucina, lontano da Gerard e senza il rischio che lui sentisse.
-Pronto?- chiamò con voce impastata.
-…che cazzo sta succedendo?- si sentì aggredire da un Mikey alquanto preoccupato.
Si strofinò gli occhi, era così stanco che le crisi isteriche dell’altro gli scivolavano addosso con un’indifferenza ammirevole.
-A cosa ti riferisci, Mikes?- domandò svogliatamente.
-…perché ci hai messo tanto a rispondere?- spiegò il bassista.- Perché lo hai fatto tu e non mio fratello? dov’è mio fratello? ‘cazzo ci fai tu lì a quest’ora, Iero?!
-Ci ho dormito. Sono arrivato stanotte, dopo che tuo fratello mi ha chiamato in preda alla depressione più nera ed io ho pensato che fosse il caso di venire a controllare fosse vivo e non si fosse suicidato dopo aver riattaccato con me.- riassunse spiccio Frank. Le altre domande trovavano risposta implicita.
-Gee dorme?- borbottò Mikey dopo qualche momento di silenzio in cui metabolizzò le informazioni e pensò che aveva voglia di un altro caffè. Frank si sentiva di condividere quel bisogno e si voltò intorno cercando con gli occhi la brocca di vetro che avevano lasciato da qualche parte quella notte. “Uhm”, bofonchiò intanto.- Hai avvisato Jamia?- chiese bruscamente l’altro.
Frank smise di cercare di tenere in bilico telefono, brocca e tazza e posò tutto quello che non era strettamente indispensabile. Prima che cadesse.
-Più o meno.- mormorò a mezza voce, chiudendo gli occhi. Aveva mal di testa.
-“Più o meno” significa “no”?- infierì Mikey. Frank lo sentì sbuffare un sorriso che non capì ma che suonava come un rimprovero fraterno.
-…le ho lasciato un biglietto…
-Stamattina ha chiamato Alicia.- spiegò Mikey e Frank pensò che non doveva essere tanto male infilare la testa nel cesso e tirarsi dietro lo sciacquone da solo. Lo avrebbe fatto sentire meno una merda, per dire…- Aly si è chiusa in camera e non ho sentito cosa si sono dette, ma mi pare chiaro quale fosse il problema.
-E’ stata Alicia a dirti di chiamare qui e vedere se c’ero?
-No, Alicia non mi ha detto di cercarti. Immagino che ti abbia difeso con lei, conoscendola…
-Ottimo. Così sono pure in debito con tua moglie.
-Frank, hai una voce del cazzo. Che sta succedendo?- interloquì Mikey senza dare retta alle ultime battute del chitarrista.
Frank si chiese se fosse il caso di parlargliene. Si appoggiò al piano della cucina e fissò distratto la punta delle scarpe. Forse Gerard aveva ragione a cercare le risposte alle domande esistenziali nelle mattonelle del pavimento…
-Senti, tuo fratello è a pezzi…- cominciò piano.
-Questo era lampante. Come era lampante che non volesse nessuno attorno ieri e te meno di tutti. Perché ti ha chiamato?
-Immagino che sia stata la disperazione.- rispose Frank, a lui ed a sé stesso, e si concesse un sorriso beffardo già mentre lo diceva.- Però…ora è tutto sotto controllo, Mikes, fidati.
-Se non di te, non so davvero a chi attaccarmi, Iero.- ridacchiò il bassista e Frank gli andò dietro, anche se nessuno dei due riusciva a suonare sereno come avrebbe voluto.- Chiama Jamia.- gli consigliò subito dopo.
-Ah, sì. Certo.- mentì Frank con disinvoltura.
-…guarda che poi pure Alicia smette di difenderti.- ci provò ancora Mikey.
-No, ma la chiamo.
-…oggi.
-…
-Frank.
-Frank?!- intervenne una voce esterna - Dove diavolo sei finito? Guarda che se ti stai bevendo il mio caffè, ti ammazzo e seppellisco il cadavere in cantina!
Frank rise.
-Tuo fratello si è svegliato.- annunciò.
-Sì, ho sentito.- gli andò dietro l’altro.- Passamelo.- chiese poi e Frank allungò il telefono quando Gerard entrò sbadigliando nella stanza.
 
 
                                                                                                                       

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Capitolo 12
*** The Sharpest Lives ***


The Sharpest Lives

Well it rains and it pours
When you're out on your own
If I crash on the couch
Can I sleep in my clothes?
'Cause I've spent the night dancing
I'm drunk, I suppose
If it looks like I'm laughing
I'm really just asking to leave

This alone, you're in time for the show
You're the one that I need
I'm the one that you loathe
You can watch me corrode like a beast in repose
'Cause I love all the poison
Away with the boys in the band

I've really been on a bender and it shows
So why don't you blow me a kiss before she goes?

Give me a shot to remember
And you can take all the pain away from me
A kiss and I will surrender
The sharpest lives are the deadliest to lead
A light to burn all the empires
So bright the sun is ashamed to rise and be
In love with all of these vampires
So you can leave like the sane abandoned me
 
“The Sharpest Lives”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
 
Alle cose buone ti abitui in fretta.
Frank si era abituato in fretta a stare a casa di Gerard. Gerard si era abituato in fretta ad avercelo in giro per casa. Jamia era quella che ci aveva messo di più – in termini di cuore e non di tempo, però – ad accettare l’idea che Frank stesse da Gerard. Alla fine, una volta di più, era stata ad un gioco che ricominciava a somigliare tragicamente ad una corsa tondo tondo intorno ad un falò. Troppo vicino al fuoco, troppo vicino, Frank, ma di tirarti via…nemmeno a parlarne.
Quando lui l’aveva chiamata il giorno dopo, lei era rimasta in silenzio, attaccata alla cornetta del telefono macerando rabbia e tenendola zitta, chiusa nel proprio corpo, dove l’unico danno che poteva produrre era a lei, massacrandole un organo – il cuore – che tanto di funzionare bene non voleva più saperne. Mentre lui parlava e le chiedeva di capireancora?! – lei mulinava nella sua testa una ghirlanda di odio e rancore con cui avrebbe voluto strangolare Gerard, soffocarlo e vederlo agonizzare, ed invece taceva e soffocava solo lei. “Me lo strapperai dalle braccia. So che non potrò impedirlo”. La consapevolezza però non bastava a farle abbandonare per prima lo scoglio, arrendersi alla morte inevitabile del suo matrimonio e lasciarsi andare sulla corrente di quella tempesta iniziata il giorno in cui Lindsay era stata sepolta. E quindi, per una volta di più, era stata ragionevole ed amorevole e disponibile e sorridente e comprensiva e amica di Gerard e fiduciosa di Frank e tenera e dolce e…
Quanti milioni di bugie aveva accatastato nella propria vita? Fino a scomparire sotto la superficie liscia di uno specchio riflettente, lei era un’Alice intrappolata oltre lo specchio.
Frank non aveva chiesto altro. Un appiglio striminzito a cui aggrapparsi, come era stato il suo sorriso strozzato al telefono, quell’ingoiare una volta di più e mormorare con un fiato così sottile da essere inudibile un “certo, capisco, resta pure lì quanto sarà necessario”. Lui aveva afferrato quella frase e l’aveva sollevata fino a farne un caposaldo su cui fondare la propria convinzione ed era rimasto proprio per tutto il tempo necessario. A lui, per riprendersi dalle proprie ferite, a Gerard, per riprendersi ciò che non aveva mai smesso di appartenergli.
Non che le cose tra loro si fossero sistemate con un magico colpo di bacchetta. C’era una distanza invisibile che mantenevano anche dopo giorni da quella “notte delle confessioni”. Frank non sentiva il desiderio di colmarla e su cosa pensasse Gerard al riguardo preferiva non farsi domande. All’inizio, poi, era stato solo un diverso modo di scannarsi: ritrovarsi a dividere gli spazi quando si è due estranei come loro erano ritornati ad essere è dannatamente difficile. Frank sembrava sempre si trovasse nel posto sbagliato al momento meno adatto, Gerard pareva incapace di riadattarsi alla presenza di un essere vivente in una casa che era stata abitata solo da lui e dai fantasmi. Si mordevano se facevano tanto da restare nello stesso identico posto per più di mezz’ora, avevano un bisogno fisico di separarsi e rintanarsi in zone diverse della casa appena la presenza dell’altro diventava una dolorosissima consapevolezza. C’era stato un inseguirsi di cattiverie ed insulti, litigi violenti e malignità urlate da una parte all’altra dell’appartamento in un inseguimento feroce che era finito più di una volta a pugni e calci e minacce di “andare via/ buttare fuori”. Non se n’era mai fatto nulla, man mano che il tempo passava l’odio si smorzava nell’abitudine. Il ricordo prendeva il sopravvento sul bisogno di vendetta. La familiarità di una volta tornava a ripetersi in gesti che erano rimasti troppo uguali a se stessi per essere cancellati del tutto.
L’unica ombra scura nella vita di Frank divenne in fretta l’assenza di Jamia. Non riusciva a parlare con lei come avrebbe voluto…non riusciva a parlarle e basta, le mentiva sapendo di starlo facendo e la comprensione di quanto grande fosse quella menzogna cresceva con il numero di sorrisi spenti che riusciva a strappare a Gerard. Meglio di niente, si diceva quando ci riusciva, alla prossima volta sarà un sorriso vero, di quelli che ricordo ancora come fosse ieri…
I sorrisi non tornavano, ma Gerard sì. Lentamente forse, ma era di nuovo con lui e Frank se ne rendeva conto quando, seduto nello studio dell’altro fingendo di leggere un fumetto ed ascoltare musica, poteva permettersi di spiarlo dipingere senza che Gerard sentisse l’esigenza di cacciarlo via dalla stanza.
Quella mattina, comunque, non era affatto un giorno come gli altri. Che fosse stato il bisogno di fare qualcosa per tenere sotto controllo la tensione o che fosse davvero una decisione ponderata, Gerard lo raggiunse in cucina con una faccia strana, che non prometteva necessariamente del buono, e quella richiesta già sulle labbra.
-Mi dai una mano a sbaraccare la stanza da letto?
Frank sollevò un sopracciglio, la tazza vuota e la brocca del caffè ancora a mezz’aria sopra il ripiano accanto ai fornelli.
-…eh?- chiese.
Gerard sbuffò stizzito. Questa cosa non l’avevano ancora superata del tutto, bastava che Frank facesse tanto da contraddirlo – o semplicemente, non assecondarlo subito - e lui perdeva la pazienza e sbuffava, come se doversi ripetere gli costasse una fatica eccessiva ed il più giovane dovesse apprezzare già il fatto avesse parlato una volta.
-Eccheccazzo, Iero!- sbottò adesso, sedendosi al tavolo su cui l’altro stava posando caffè e tazza.
Frank s’indispettì, mollò tutto e si tirò dritto, approfittando spudoratamente del temporaneo vantaggio di poterlo squadrare dall’alto in basso.
-Senti un po’, Way!- rintuzzò rabbiosamente.- com’è che non te lo sei ancora levato ‘sto vizio di usare un tono del cazzo con me?!
-Non è colpa mia se sei lento, Frankie.- lo prese per il culo il cantante, servendosi tranquillamente del caffè e della tazza dell’altro.- Ti ho chiesto una mano per liberare la camera da letto della roba che c’è ammont…
-Guarda che il concetto lo avevo afferrato!- ribatté acidamente il più piccolo, interrompendolo e spostando di malagrazia una sedia per sistemarsi di fronte a lui.- Ovviamente ti sembra il caso di farlo proprio stamattina!- gli sputò contro subito dopo.
-Un giorno vale l’altro.- biascicò con indifferenza Gerard, chiudendosi nelle spalle e sbrindellando una biscotto tra le dita.
-Abbiamo l’udienza tra tre ore.- gli ricordò Frank secco.
Gerard scaraventò i resti del dolce nel piatto da cui lo aveva prelevato e lo guardò malamente.
-Quindi restiamo tre ore seduti a fissare il muro?!- sbottò- Comunque figurati! volevo solo rendere quella dannata stanza funzionale così da poterti lasciare quella degli ospiti e farti dormire in un letto vero, ma resta pure sul divano se preferisci, Iero!- lo aggredì un istante prima di sollevarsi ed uscire.
Lo raggiunse quasi un’ora più tardi, di sopra e dopo aver sbollito la rabbia che provava. No, non aveva voglia di prendersi a pugni con Gerard poco prima di entrare in un’aula di Tribunale. L’altro stava seduto per terra in camera da letto, fissando con odio palese la distesa informe di oggetti che appestavano il lato opposto della stanza. Frank incrociò le braccia al petto e guardò nella stessa direzione.
-Beh, se non cominciamo, non finiremo.- commentò propositivo.
***
Bob era di nuovo il più nervoso di tutti e tre. A parte Brian, s’intende; ma Brian si sarebbe accontentato delle loro teste per smettere di essere nervoso e, quindi, continuando a mandarli a ‘fanculo a mezza voce – a ritmo di una volta ogni tre minuti – riusciva a mantenere i nervi abbastanza saldi. Fuori di lì c’era la stampa che li aspettava e Brian doveva mantenere i nervi saldi. Gerard sedeva composto davanti al banco loro riservato, osservava tutto spostando lo sguardo con sincera curiosità attorno a sé. In fondo non aveva sbagliato a pensare che ammazzandosi di fatica quel mattino, spostando scatoloni e mobili per quasi due ore ininterrottamente, sarebbe riuscito ad affrontare bene quella cosa. Ora ricambiava le occhiate divertite di quel tipo, nel banco di fianco al loro, senza necessariamente sentire l’esigenza di raccogliere la provocazione, aspettarlo fuori di lì e prenderlo a botte fino a lasciarlo in un lago di sangue sul selciato. Oddio…il desiderio di farlo c’era, ed era anche tornato più volte ad ondate concentriche che avevano coinciso con i momenti in cui il ragazzino gli aveva sorriso apertamente e con aria così innocente da fargli sentire un groppo allo stomaco.
Era pazzo. Era un fottuto pazzo. Ed era anche un dannato stalker.
Sapeva che Frank se n’era accorto da un po’, lui ci aveva messo più tempo ma alla fine l’aveva notata quella figurina bionda appostata vicino a casa sua, oppure fuori dei negozi in cui lui ed il chitarrista entravano, perfino fuori dagli Studi l’ultima volta che ci erano stati. Non sapeva come avesse avuto il suo indirizzo, aveva provato l’impulso di chiederglielo – afferrarlo per il risvolto della felpa, attaccarlo al muro fino a lasciarcelo appiccicato da sé e poi…magari…anche fargli la domanda, sì. Non sapeva come fosse riuscito a tenere a freno quello stesso impulso, ma ci era riuscito.
Ogni dannata volta che quel moccioso gli sorrideva, Gerard vedeva lo striscione del concerto come se lo avesse avuto davanti a sé. Ogni volta. Ogni fottutissima volta…
Frank se n’era accorto. Non gli aveva detto nulla per fargli capire che sapeva cosa gli passava per la testa, si era limitato a guardarlo preoccupato e poi a sforzare un sorriso che era decisamente mal riuscito e Gerard aveva subito intuito che lui sentiva esattamente le stesse cose. Questo gli era stato utile, questo e la fatica.
Al termine dell’udienza, Mikey era venuto a prenderli con la propria macchina, aspettandoli davanti ad una delle uscite laterali con Alicia e Jamia mentre Brian attirava l’attenzione su di sé e Stacy e s’infilava nell’auto della casa discografica dopo le domande di rito.
-Tutto ok?- aveva chiesto ansiosamente suo fratello vedendolo pallido peggio del solito.
Gerard aveva annuito soltanto, perché non sapeva se ce la faceva a parlare. Bob aveva raccontato cosa era successo e aveva riferito il verdetto del Giudice – i lavori sociali se li sarebbero fatti ma, dati gli impegni di lavoro, potevano essere rimandati per un po’ – Jamia aveva buttato le braccia al collo di Frank e gli si era appesa addosso con l’urgenza di una qualunque moglie che non veda suo marito da due settimane. Gerard si ritrovò a ringraziare l’abbraccio caldo di Alicia perché lo fece sentire decisamente meno solo e meno debole di quanto non avesse provato fino a quel momento. Si nascose nei capelli di lei e le rimase addosso, approfittando spudoratamente dei suoi diritti di amico fraterno.
-Ehi, è tutto a posto, Gee.- lo consolò lei carezzandogli le spalle e cullandolo come un bambino.
-Sì, lo so.- mormorò lui in tono così basso che fu Alicia soltanto a sentirlo. Mikey continuava a studiarlo con la preoccupazione che si sarebbe sgretolato da un momento all’altro sotto i loro sguardi.
-…a me, non mi abbraccia nessuno?- s’imbronciò Bob in un timido tentativo di smorzare la tensione che si avvertiva nell’aria.
Mikey colse al volo e si infilò nella risata stentata degli altri con una battuta in tono smozzato.
-Non provarci, Bobby bello, non m’ingannerai con la cazzata del calore umano.
-Andiamo a casa, vi preparo la cena!- propose Alicia staccandosi dall’abbraccio di Gerard con una delicatezza tipicamente femminile e solo per abbracciare anche l’omone biondo al proprio fianco.
Bob ricambiò impacciato e poi la lasciò andare subito per permetterle di raggiungere l’auto parcheggiata lì di fianco.
-Vieni con noi, Gee?- s’informò Frank con naturalezza.
Jamia, già in direzione dell’Hammer nero che aveva ripreso al deposito giudiziario, si voltò disinvoltamente.
-Non essere sempre invadente, Frank! Lascia stare Gerard e Mikey un po’ da soli, ché Mikes stava morendo stamattina!- lo rimproverò con un sorriso affettuoso per il cantante.
-Vado con mio fratello.- annuì anche Gerard.- Potete portarvi Bob se volete,- scherzò poi con un sorriso incerto.- da noi occupa solo spazio!
Bob gli diede un buffetto risentito sulla nuca e Gerard rise ed entrò in auto, lasciando poi spazio al batterista per sederglisi di fianco sul sedile posteriore.
-Ci vediamo a casa!- annunciò Alicia in un ultimo richiamo generalizzato, un secondo prima di sparire anche lei nella berlina metallizzata.
***
Jamia insistette per riaccompagnarli dopo cena. “Non intendo andare un’altra volta a riprendere la macchina in quel posto orrendo!” sbraitò quando Frank provò a dirle che potevano fare il contrario e riaccompagnarla loro per poi andarsene con l’Hammer. Il chitarrista cedette davanti alla minaccia di essere sbranato da una moglie inferocita che aveva passato quattro ore della propria esistenza litigando con i custodi di un deposito giudiziario per auto; lasciarono Bob sul divano di Mikey, dove si era addormentato serafico come un bambino e troppo pieno di cibo e birra per sollevarsi di lì, e si infilarono nel fuoristrada nero parcheggiato sotto casa.
-Almeno mi chiami quando arrivi? Per essere sicuro che sia tutto a posto!- pregò Frank, piuttosto preoccupato all’idea che Jamia se ne andasse in giro da sola in piena notte.
Lei, impegnata nella guida, si limitò a grugnire il proprio fastidio ed a rimbeccarlo con un risentito “come credi che faccia quando tu non ci sei?!” che fece ridere Gerard, seduto sul sedile posteriore dell’auto. Lei li lasciò davanti il cancello del cantante, Gerard scese, salutò rapidamente e si allontanò per dare agli altri due la propria privacy con la scusa di dover aprire il cancello. Frank ci mise un po’ a decidersi a staccarsi dalle labbra della moglie, lei continuava a spingerlo via ma lui si ostinava ogni volta che Jamia gli faceva notare che era tardi e Gee lo stava aspettando davanti al portoncino. C’era qualcosa negli occhi di Jamia che faceva credere al ragazzo di stare facendo la più grande cazzata della propria vita.
-Ti amo.- le disse piano, e dentro di sé aveva pensato tutt’altro, aveva pensato un “vuoi che venga con te?” che non aveva detto affatto perché si era trasformato un secondo prima di uscirgli dalla bocca. Lui, del resto, non voleva andare con lei.- Grazie.- si sentì in dovere di aggiungere.
Jamia si limitò ad annuire e poi sporgersi ad aprirgli la portiera per fargli capire che adesso doveva scendere. E farlo davvero. Ed anche in fretta. Perché magari lui non se ne poteva accorgere, ma lei lo sapeva che se fosse rimasto ancora avrebbe urlato e pianto.
-Se avete bisogno di qualcosa chiamami.- si costrinse a dire mentre lui usciva dall’auto.
-Oh…siamo grandi abbastanza!- scherzò Frank senza allegria.
Chiuse lo sportello, fece un passo indietro e spinse le mani in tasca, rimanendo lì a guardarla che faceva inversione e si immetteva nuovamente sulla strada. L’Hammer sparì in fretta svoltando qualche angolo più in là e Frank camminò lento e triste verso il cancello di casa di Gerard.
-Se volevi, potevi restare con lei.- suggerì quest’ultimo nel vederlo venire avanti a testa china. Frank scrollò le spalle e Gerard insistette.- Sto bene. Non ho bisogno che tu stia con me.- mentì.
-Beh, ne ho bisogno io.- ritorse Frank spiccio, sapendo bene che sarebbe stato inutile tentare di smentire l’altro. Lo spinse leggermente in avanti per dirgli di muoversi ad entrare e Gerard eseguì meccanicamente, anche se continuava a fingersi contrariato.- Ho bisogno di restare con te per assicurarmi che tu non abbia bisogno di me.- ridacchiò Frank alle sue spalle, salendo le scale al buio con la sola guida dei passi sicuri di Gerard.
-Idiota.- commentò il più grande infastidito. Poi cambiò tono – Lo hai visto?
-…chi?- domandò Frank in modo così sorpreso che Gerard gli scoccò un’occhiata dall’alto in basso a fargli intendere che sapevano entrambi perfettamente di chi stava parlando.- T…te…ne sei accorto?- borbottò stentato il chitarrista.
-Da un po’.- ammise Gerard.- Ma hai fatto bene a non dirmelo.- convenne breve.- Lo avrei ammazzato se me lo fossi ritrovato davanti…prima.- concluse con qualche difficoltà a spiegare il concetto.
Non era facile dire che il motivo per cui ora poteva accettare di essere stalkerato da un pazzo che si era permesso di infangare la memoria di Lindsay era solo e soltanto la presenza di Frank. Non era facile dirlo proprio a Frank. Gerard sapeva di stare ammettendo già troppo con quell’unica frase, ma sapeva anche che qualcosa doveva concederla all’altro dopo che lui aveva fatto già la parte più “grossa” in quella riconciliazione forzata.
Frank ebbe la decenza di limitarsi ad annuire, comunque, e mantenne un silenzio rispettoso ed una distanza, anche fisica, accettabile. Gerard arrivò sul pianerottolo cercando le chiavi in tasca ed il chitarrista si fermò poco più indietro.
-Gee.- si sentì chiamare il più grande. “Uhm…”- Pensi…che sia pericoloso?
-No, è solo fuori di testa.- sminuì Gerard.
-Non mi piace.- ammise Frank.
Gerard rise.
-Figurati a me!- esclamò con sincerità.-Non siamo i primi né gli ultimi a cui succede.- si strinse poi nelle spalle. Spinse la porta e lasciò libera la soglia all’altro.- Frank,- fu la sua volta di chiamarlo mentre lui gli passava davanti ed entrava nell’appartamento buio.- grazie.- disse solo davanti al suo sguardo interrogativo.
-Mi ringrazi troppo spesso.- borbottò Frank sfilandosi il cappotto nell’ingresso. Gerard accese la luce ridacchiando.- Sembra che tu debba farti perdonare!- infierì.
-Non sperarci!- lo puntò Gerard con il dito e Frank si allontanò ridendo anche lui.
 
 
 

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