Desolation Row di nainai (/viewuser.php?uid=11830)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Desolation Row ***
Capitolo 3: *** To the end ***
Capitolo 4: *** I'm not okay (I promise) ***
Capitolo 5: *** Demolition Lovers ***
Capitolo 6: *** Safe and sound ***
Capitolo 7: *** Give'em Hell, kid! ***
Capitolo 8: *** Cancer ***
Capitolo 9: *** This is how I disappear ***
Capitolo 10: *** Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us ***
Capitolo 11: *** Disenchanted ***
Capitolo 12: *** The Sharpest Lives ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Attenzione:
Il seguente scritto ha come protagonisti persone reali e personaggi di
fantasia. Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia
dell'autrice. Nessuna pretesa di verità o verosimiglianza.
Nessun intento offensivo, nessun diritto legalmente tutelato s'intende
leso e tutti i diritti spettano ai rispettivi titolari.
“In realtà non è che ci sia stato un
momento in cui mi
sono innamorato di Gerard.
C’è stato un momento in cui me ne sono reso conto,
questo
sì. Insolitamente è coinciso esattamente con
quello in cui gliel’ho anche
detto.
Tutto il resto – voglio dire, tutto quello che è
venuto
prima – non l’ho fatto perché sapevo di
amarlo. L’ho fatto perché era il mio migliore
amico, la persona con cui mi
trovavo meglio, quella con cui parlavo di qualsiasi cosa, quello con
cui non
avevo nemmeno bisogno di parlare, a volte, perché tanto ci
si guardava negli
occhi e si rideva come se avessimo espresso ad alta voce i pensieri che
ci
frullavano nella testa in sincrono.
Mettici che Gerard è una persona per la quale
fottutamente facile perdere la testa. Lui, le sue idee del cazzo, il
suo
entusiasmo – sempre tanta, troppa
partecipazione! – nel venirtele a dire, nello
spiattellarti dritto in
faccia tutto quello che pensa e che prova…! È
davvero facile perdere la testa
per lui.
Eppure io al Project non lo sapevo ancora di essere innamorato.
La vicinanza sempre più stretta tra di noi –
quella che le fan non hanno avuto
problemi a notare subito, eh – era la conseguenza inevitabile
della vita da
“comune” che si fa ai festival di quel tipo.
Durante il Warped c’era Bert
accanto a Gerard, era stato lui la sua ombra, il suo compagno e la sua
dannazione. Stavolta toccò a me. Fu un “caso
inevitabile”, ero già la persona
più vicina a Gerard dopo che Mikey aveva mollato per correre
dietro ad Alicia.
Finì solo che diventammo una cosa unica. Due corpi ma una
sola testa ed una
sola anima da dividersi a metà tra palco, backstage e
tourbus.
In quelle situazioni non vivi la vita vera. Di notte
parlavamo di tutto o di niente, addormentandoci sempre e solo quando
eravamo
sfiniti, è che in quei momenti non c’era nessuno a
parte noi e questo li faceva
sembrare troppo speciali per farli finire, eravamo in un bozzolo fatto
delle
tre pareti di una cuccetta scomoda – la sua o la mia, Brian
cominciava a
credere che non ne servissero davvero due separate – ed una
tenda tirata per
dare agli altri un po’ di tranquillità che tanto
non arrivava mai comunque.
Alla fine si sono abituati ad addormentarsi con le nostre voci e le
risatine di
sottofondo. Di giorno se trovavi uno di noi due, avevi trovato
l’altro, bastava
alzare gli occhi e dare uno sguardo intorno. Il sesso – che
poi sesso nemmeno
lo è mai stato – non è una cosa
così strana. Nel nostro mondo il sesso ha tutto
un significato suo, diverso da quello che ha per gli altri.
È così già in
generale, quando sei un tour con la tua band e le groupie di una
città ogni
sera diversa ti convincono che non ci sia un domani in cui dovrai
rendere conto
a qualcuno di questa notte e,
quindi,
perché darle un significato che non ha? Se per tre mesi il
tuo universo smette
di allungarsi oltre la transenna della fascia di sicurezza sotto il
palco od
oltre la rete intorno al parcheggio dei bus, ridefinisci gran parte
delle tue
esigenze in relazione a quello stesso universo. Ciò che
già ti appariva irreale
e distante, diventa assolutamente irrilevante. Baciare Gerard, toccarlo
o
lasciarsi toccare è stato un gioco stupido a cui nessuno dei
due dava un nome
né un valore. Ci piaceva, ci fosse stato qualcosa di
altrettanto “divertente”
da fare in quelle nottate a due avremmo fatto quello senza che nessuno
di noi
si sentisse tradito o usato. Non era proprio nulla, a parte un gioco
stupido.
Ma la verità che non mi raccontavo è che ero già innamorato di lui. Proprio
come un
qualunque stupido “migliore amico” che
s’innamora del proprio migliore
amico. Come un moccioso che s’innamora del tizio
più grande e più figo che dice la cosa giusta al
momento giusto. Come un fan
che si innamora del proprio idolo di sempre…Cazzo se ero
innamorato di Gerard.
Mi piacerebbe dire che è stata tutta colpa sua,
perché, diavolo!
io non ci pensavo davvero ad innamorarmi di lui! Io non pensavo ad
innamorarmi
proprio di un cazzo di nessuno...e invece in questa situazione
c’ero caduto con
tutte le scarpe e di tirarmene fuori proprio non c'era verso.
…ma dopotutto sarebbe una bugia. Le carte di questo poker
le abbiamo date assieme, la posta in gioco…a quella davvero
non ci avevamo
pensato, l'avevamo messa sul piatto senza contarla. All-in.
L'abbiamo capito solo quando le carte erano state calate che
nessuno di noi aveva quelle vincenti.
Così, quando successe che a S. Bernardino mi
baciò lui,
sul palco, davanti a migliaia di persone e davanti a chissà
quante altre,
sedute a guardare la
TV,
e mi baciò davvero! non per gioco come era successo tutte le
altre volte su
quello stesso palco…quando successe tutto questo io non ci
pensai neppure. A
cosa stavo facendo, intendo, e nemmeno a dov’ero. Pensavo
solo con chi c’ero. Per
questo lo baciai
anch’io.
Ma non mi sono detto comunque che ero innamorato di lui.
Quello me lo sono detto – e gliel’ho detto
– solo dopo aver rivisto Jamia. Lei
era lì, i confini dell’universo si erano spezzati
ed il mondo vero veniva a
svegliarci tutti.
Carte scoperte,
Gee.”
|
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Capitolo 2 *** Desolation Row ***
dr
DESOLATION
ROW
Desolation
Row
Oh
Cinderella, she
seems so easy
“Well, it takes one to know one,” she smiles
And she puts her hands in her back pockets
Oh Bette Davis style
And now but here comes Romeo, moaning
“You Belong to Me I Believe”
And then someone says,”You’re in the wrong place,
my friend
You better leave”
And then the only sound that’s left
After the ambulances go
Is Cinderella sweeping up
On Desolation Row
“Desolation Row”
My Chemical Romance
“Watchmen soundtrack”
Chiunque
si fosse trovato a passare da quei corridoi l’avrebbe
reputata una scena assurdamente comica. Ed in effetti, quelli che si
trovavano davvero nei corridoi in
quel momento –
ma anche quelli che erano nelle aule attorno e sentendo il casino erano
usciti
di corsa a godersi lo spettacolo – stavano ridendo. Sotto i
baffi o
apertamente, tanto i due protagonisti della sceneggiata ed i tre
comprimari che
li seguivano a distanza sembravano troppo presi da se stessi per
badarci
davvero.
-Sei
una gran testa di cazzo!- urlava il più basso dei
cinque al tizio bruno, alto e grosso, che li precedeva a passi pesanti,
distanziato di un paio di metri scarsi.- Porca puttana Eva, Gerard!- lo
apostrofò senza ottenere nulla.- Ti fermi e ne discutiamo
civilmente?! È tutta
la cazzo di notte che ci ignori!
La
donna – l’unica del gruppo e che con gli altri non
c’entrava
assolutamente nulla tanto era diversa nel tuo tailleur formale e con la
sua
aria di distinta professionista quarantenne –
sospirò voltandosi al ragazzo
tatuato che le camminava di fianco scrutando con un misto di odio e
rassegnazione il nano ed il bruno più avanti.
-Brian,
ti prego.- sibilò la donna.- Fa qualcosa! Tutto
questo è mortalmente imbarazzante!
-Credi
che se avessi avuto un minimo di autorità su quei
due, Stacy, saremmo qui oggi?- ringhiò in risposta lui.
La
donna sospirò nuovamente, continuando a seguire i due in questione mentre loro si
allontanavano sempre di più; immaginava che sarebbe stato
totalmente inutile
tentare di far notare loro che erano in Tribunale e bastavano
già il loro
abbigliamento ed i loro modi tutt’altro che eleganti a
richiamare l’attenzione
di chiunque fosse presente per cui si rassegnò a seguirli
nello stesso silenzio
sconfitto dell’uomo che le procedeva di fianco ed in quello
imbarazzato del
gigante biondo che camminava immediatamente dietro.
Il
bruno uscì, superando le porte a vetri in fondo al
corridoio come se la sola idea di restare lì dentro dovesse
ucciderlo, e l’altro
gli andò dietro con la stessa foga. La luce del sole di un
fine marzo
infuocato, l’odore dell’asfalto bruciato, il rumore
del traffico di New York ed
una pioggia di flash li investirono appena misero la testa
all’aperto. Non
badarono a niente di tutto questo. Domande e voci
s’incrociavano sulle loro
teste, ma il bruno guadò la ressa di giornalisti armati di
macchine
fotografiche e registratori facendo forza sulla propria mole e
l’altro gli andò
dietro abbastanza rapidamente da riuscire ad afferrarlo per la manica
del
giubbotto prima che s’infilasse in una delle due auto scure
che li aspettavano
accanto al marciapiede.
-Cosa
cazzo vuoi, Frank?!- reagì il bruno votandosi con
tanta ferocia da creare una bolla di vuoto attorno a loro, mentre i
giornalisti,
per quanto affamati delle loro pelli, si facevano istintivamente
indietro di
qualche passo.
Il
tappetto, però, no. Lui non si mosse affatto e
continuò a sfidare l’altro faccia a faccia,
tenendolo per la manica del
giubbotto così forte da costringerlo a liberarsi con uno
strattone.
-Parlare…!-
provò a dire.
L’altro
neppure lo ascoltò.
-Ma
si può sapere cosa ti aspettavi, eh?!- continuò,
invece, con la stessa rabbia.- Se se qui per sentirti dire
“grazie”, beh,
allora vaffanculo! Nessuno ha chiesto a te o a Bob di mettervi in
mezzo! Anzi!
a dirtela tutta non mi dispiacerebbe affatto se vi faceste un pacco e
mezzo di
cazzi vostri e mi lasciaste un po’ in pace! Ne ho le palle
piene di sentirmi il
vostro fiato sul collo!
-Arrogante,
figlio di puttana!- fu la reazione del più
basso, inferocito.
Il
bruno gli mise le mani addosso praticamente d’istinto,
senza pensarci. I flash scattarono di nuovo ma nessuno dei due ci
badò, il più
grosso spintonò indietro il più piccolo, ma anche
se era quasi il doppio l’altro
resisteva a muso duro ed i due si fronteggiavano in una selva fatta di
commenti
e domande scomode che non ascoltavano affatto.
-Cosa
cazzo credi! Che tutto ti sia dovuto? eh, Gerard?!-
stava accusando il piccoletto.- Se io e Bob siamo intervenuti
è perché siamo
tuoi amici! Credi che fossimo felici quando lei è morta?
Pensi che ci siamo
sentiti bene nel leggere quel fottuto striscione?!
-NON
PARLARNE!- fu il ruggito che il bruno gli scagliò
addosso.
Ed
il mondo intero si zittì come nella scena di un film.
Il
più piccolo si fece indietro. In una resa silenziosa
di cui il bruno approfittò immediatamente,
s’infilò attraverso la portiera
aperta dell’auto ed ordinò all’autista
di muoversi ancor prima di chiudere
fuori tutti gli altri.
Il
tizio tatuato afferrò il piccoletto mentre la macchina
si allontanava e la folla ricominciava a rumoreggiare in una catena
discordante
di domande confuse; lo prese per una spalla, di malagrazia, spingendolo
a forza
dentro la seconda auto su cui salì assieme al gigante biondo
ed alla donna.
Nella
quiete ovattata e dai vetri oscurati della
limousine, Frank si lasciò andare all’indietro
contro il sedile di pelle e
chiuse gli occhi, come se avesse esaurito tutto in colpo le energie.
Adesso
sì che sentiva addosso il peso delle botte, date e
ricevute la sera prima, ed anche quello della notte in cella a
camminare avanti
ed indietro come un animale in gabbia – e
quei cazzo di occhi ostinatamente fissi su qualsiasi cosa non fossero
loro!
– gli pesavano perfino le parole di quel Giudice idiota, che
di loro tre non
sapeva un cazzo ma si era preso comunque il disturbo di fargli la
paternale,
perché la gente come loro
i valori
veri della vita vera non sapeva manco cosa fossero “e
bell’esempio che davano,
poi, ai ragazzi di oggi!”.
Intanto
allo Stato di New York non gliene fregava un
cazzo se loro avevano o meno dei valori, i soldi della cauzione dalla
Universal
li aveva presi lo stesso e tanti saluti!
Che
poi se ne parlava al processo, certo, ma comunque
sapevano tutti e tre che un bel po’ di ore di servizi sociali
non gliele
avrebbe tolte nessuno. E tour sospeso dopo appena due date, visto che
nessuno
di loro poteva lasciare lo Stato.
Muovendosi
impacciato per i muscoli indolenziti, il
chitarrista si sistemò sul sedile dell’auto.
Accanto a lui Brian si stava
lamentando: contro i fan, contro il Giudice, contro Bob e Frank
stesso...ma
sopra ogni cosa si stava lamentando di Gerard. Istintivamente tese
l’orecchio
ascoltando quello che diceva.
-È
completamente partito!- esclamò il manager
spazientito. Stacy provò a rabbonirlo, anche lei
l’avrebbe presa male al posto
di Gerard, ma Brian ormai era partito in quarta e gli altri due ragazzi
sapevano bene che era inutile tentare di fermarlo. E comunque erano
oggettivamente
nella merda, con tutti i soldi che la Universal aveva già
speso per quel tour e
tutti quelli che avrebbe dovuto spendere per spostare tutto a data da
destinarsi. Non l’avrebbero passata liscia.- Completamente
fuori di testa!
Vorrei capire che cazzo gli è passato in quel cervello
bacato! scendere a
picchiare un fan!
-Un
cazzone che gli stava insultando la moglie morta.-
precisò piatto Frank senza muoversi e senza aprire gli occhi.
-Quello che sia,
Frank! – strillò l’altro esasperato.- E
voi due!- aggiunse indicando sia il
chitarrista che il batterista seduto dal lato opposto
dell’auto, accanto alla
donna.- Come diavolo è saltato per testa a
voi di andargli dietro!
Bob
borbottò qualcosa, Frank non lo ascoltò.
Un’urgenza
nuova e pressante si era fatta strada nella testa del più
giovane, scattò in
avanti tanto rapidamente che Brian finì appiccicato alla
portiera mentre lui si
precipitava sull’altro sedile, piombando tra Stacy e Bob e
picchiando contro il
vetro che separava l’abitacolo del guidatore.
-Ha
bisogno di qualcosa, Sig. Iero?- s’informò
l’autista
vagamente sorpreso abbassando il finestrino per potergli parlare.
-Sì.
Portami da Gerard.- ordinò secco.
-Cosa?!-
gridò Brian, mentre anche Bob gli chiedeva se
fosse serio.- Quello ti ammazza se ti rivede davanti a lui prima del
prossimo
secolo, Frank!
-Ah,
ma sta zitto, Brian! - lo apostrofò malamente il
chitarrista, voltandosi a scoccargli un’occhiataccia- Tu non
capisci un cazzo!-
asserì cattedratico, ribadendo poi la propria richiesta
all’uomo che ancora
attendeva di capire dove puntare l’auto.- Casa di Gerard Way,
adesso!
-Frank…-
provò ancora Bob, ma l’autista aveva
già
richiuso il vetro ed invertito il senso di marcia.
Stacy
si spostò vicino a Brian, mormorando qualcosa di
incomprensibile sul fatto che “era troppo vecchia per certe
cose”, lui si scusò
e poi guardò i due musicisti uno accanto all’altro
sul sedile. Frank si era
sistemato di fianco a Bob, piantando lo sguardo fuori dal finestrino
come se lo
scorrere lento del traffico newyorkese fosse lo spettacolo
più interessante del
mondo, sembrava così risoluto che Brian si chiese se per
caso non fosse vero
che non aveva capito un cazzo. Decise di lasciarlo fare a modo suo.
-Devo
andare da lui.- ci tenne comunque a ribadire il
chitarrista.
Bob
sospirò ed annuì, guardando poi il proprio
manager
con un’espressione che lo implorava di chiuderla
lì.
***
Ci
sarebbero stati almeno due ottimi motivi per non
farlo.
Gerard
se li era ripetuti entrambi prima di scendere dal
palco, superare le bodyguard, scavalcare le transenne ed affondare in
una folla
urlante di ragazzini idioti solo per raggiungere lui
e riempirlo dei pugni che si sentiva già sulle nocche delle
mani.
Uno
di quei motivi era il fatto che sarebbe successo un
casino.
Il
casino poi era successo davvero: Frank lo aveva
seguito – perché cazzo
non si decideva ad
uscire dalla sua vita una volta per tutte?! – Bob,
inspiegabilmente, era
andato dietro al più piccolo ed, in definitiva, lo aveva
seguito anche lui. Si
era scatenata una rissa, si erano fatti male in parecchi, e loro tre -
e lui - erano finiti a passare la
notte al
fresco.
I
giornali scandalistici ci avrebbero ricamato su per
mesi: i “My Chemical Romance” come dei veri
teppisti di Belleville! Con lo
spettacolino che lui e Frank avevano offerto davanti al Tribunale ci
sarebbe
stato di che parlare per i secoli a venire. Erano fottuti. La Universal
se li
sarebbe sbranati, tutti e cinque – pure quei due poveracci di
suo fratello e
Ray che, come al solito, con le loro beghe del cazzo non
c’entravano nulla -
alla fine lui e Frank c’erano riusciti davvero a distruggere
la band.
Di
tutta quella storia gli dispiaceva che fossero stati
attenti a mettere lui in una cella
diversa dalla loro. Gli sarebbe piaciuto riprendere il discorso da dove
lo
avevano interrotto quando la polizia li aveva separati.
L’altro
buon motivo era che non ne valeva la pena.
Faceva
un male fottuto dirselo, ma era davvero così. Non
ne valeva la pena proprio per un cazzo.
Gerard
si strofinò gli occhi, tra le mani la tazza di
caffè stava diventando fredda in fretta, lui era stanco
– erano più di
ventiquattro ore che stava sveglio – eppure non aveva voglia
di dormire, né di
farsi una doccia, togliersi quegli abiti puzzolenti di dosso e trovarsi
qualcosa da fare, che fosse pure chiamare suo fratello e rassicurarlo
che era
vivo. Brian ci avrebbe pensato, Brian pensava sempre a tutto e sapeva
bene che
Mikey e Ray non avrebbero perdonato di essere stati costretti a
rimanere senza
notizie dopo che lui aveva preteso restassero fuori da quella storia:
bastavano
tre componenti su cinque nella merda fino al collo, non c’era
bisogno che i due
“puliti” dimostrassero la propria simpatia per i
delinquenti.
E
pensare che quel concerto lo aveva aspettato
spasmodicamente. Cazzo! due sere prima, a Newark, era stato quasi meno
di un “assaggio”,
non gli era bastato! era servito solo ad aumentare la sua fame! Lui voleva
tornare
a cantare, voleva tornare su un palco ad urlare, a gridare, a strillare
tutto
quel dolore che sentiva dentro e che non poteva esprimere in nessun
modo!
Da
lì sotto nessuno gli chiedeva perché urlasse, da
lì
sotto non venivano domande perché era come se lui e quella
marea di teste che
si agitavano avessero le stesse identiche domande da fare e le stesse
risposte
da darsi!
Era
quello ciò di cui aveva bisogno.
Lo
avevano capito anche Mikey, Ray e Bob quando avevano
detto a Brian che erano a posto, che potevano – dovevano – ricominciare. E
‘fanculo se lì per lì Gerard urlava e
sbatteva le porte in faccia alla gente e Frank lo mandava al diavolo
nei
corridoi degli Studi! Loro tre sapevano che ce l’avrebbero
fatta, anche perché dovevano
farcela. Lui non poteva
continuare a tenersi tutto dentro e se quello era l’unico
modo che avevano per
aiutarlo, lo avrebbero usato.
Beh,
quella sera Gerard si sentiva da dio su quel palco.
New York! ai loro piedi. New York che li aveva aspettati e voluti ed
ora li
osannava. Come diamine avrebbe potuto sentirsi se non da dio? Le note
di “Desolation
Row” erano appena partite in un crescendo lento che lui
amava: quella canzone
era stata l’inizio, per lui. Il cambiamento era partito da
lì e quello stile arrabbiato e
cattivo, che era stata una
scelta presa quasi per gioco quando avevano arrangiato
“Desolation”, era
diventata un’esigenza nuova che aveva finito per influenzare
tutto il disco.
Loro ci avevano messo dentro tanto, tutti quanti: lui la sua rabbia per
il
tradimento di Lindsay e poi per la sua morte; Frank l’odio
che covava contro di
lui perché era l’unico mezzo che aveva per
difendersi; Mikey, Ray e Bob la
rabbia che provavano nel vedere il loro sogno, realizzato, spaccarsi
sotto i
colpi che lui e Frank assestavano con metodo e precisione, litigandosi
una
leadership che formalmente Gerard deteneva, ma nei fatti era
sicuramente del
più giovane dei due. Con quello spirito i ragazzi suonavano
“Desolation” e con
lo stesso spirito lui la cantava, recitava i versi sul palco ad uso e
consumo
di un pubblico di cui in realtà si accorgeva solo di sbieco.
Ognuno di loro,
singolarmente, al partire del proprio “ruolo” aveva
dimenticato quello degli
altri, suonavano e cantavano per se stessi ed i My Chemical Romance
smettevano
di essere una band di cinque elementi e diventavano cinque
unità distinte,
chiuse in un assolo disperato.
Ma
non importava. Perlomeno a Gerard non interessava
davvero chiedersi il perché fosse lassù
– una
volta era una risposta che sarebbe stato in grado di dare ad occhi
chiusi,
svegliato nel cuore della notte – tutto quello che
gli serviva erano le
note nelle vene ed il dolore alla gola se sforzava la voce sentendo
quel groppo
fastidioso che sapeva troppo di rabbia trattenuta.
Poi,
però, aveva abbassato gli occhi e nella marea
indistinta delle teste che si muovevano a tempo con la sua aveva visto
quel
sorriso. Il sorriso prima dello striscione. Il sorriso
perché era malato e
sbagliato e lui ancora non ne capiva la ragione, aveva dovuto per forza
accorgersi dello striscione per capirla.
“Ora
che la
puttana è morta, i My Chemical Romance possono risorgere
dalle sue ceneri!”
Gerard
si era detto che c’erano almeno due ottimi motivi
per ignorare quella provocazione.
Se
li era ripetuti entrambi: la Universal avrebbe
sbranato ciò che restava di loro dopo il casino che ne
sarebbe venuto su. E
poi, comunque, non ne valeva affatto la pena.
Nonostante
questo, Gerard era sceso dal palco, aveva
superato le bodyguard che provavano a fermarlo ed aveva scavalcato le
transenne.
In
quel momento tutto ciò che voleva era scaricarli in
faccia all’idiota, quei dannatissimi pugni che si sentiva
sulle nocche!
All’indomani
del ritrovamento del cadavere di Lindsay – si
era ammazzata nel bagno di casa loro.
Overdose. Era morta nella vasca, l’acqua era fredda quanto il
cadavere quando
Gerard l’aveva trovata – Brian gli aveva
suggerito una soluzione semplice e
rapida per fugare qualsiasi dubbio: un test di paternità sul
feto che Linz
aveva ammazzato insieme a se stessa. Gerard gli aveva risposto che non
ne
vedeva l’utilità, di chiunque fosse quel figlio,
ora come ora lui era l’unico
ad essersela presa a quel posto e tanto bastava.
Era
sufficientemente sincero, quantomeno nel non voler
dare una risposta ai propri dubbi.
Quando
Lindsay gli aveva annunciato di essere rimasta
incinta, Gerard aveva già scoperto della relazione tra lei e
Jimmy da un po’,
ed era un po’ anche che programmava di piantarla, rinviando
per i motivi più
stupidi. Il suo dirgli del bambino, con quell’aria felice e
serena di mammina
già fatta e finita, gli aveva fatto saltare i nervi ed
insieme gli aveva reso
chiaro che no, non poteva davvero lasciarla.
Del
resto sapeva che, se la storia tra loro aveva smesso
di funzionare già un mese dopo il matrimonio, la colpa era
principalmente sua.
Aveva sposato Lin-z per i motivi più sbagliati del mondo,
non se li era nemmeno
raccontati e, di sicuro, non li aveva mai detti a lei. Ma Lynz non era
una
cretina e non le ci era voluto molto per accorgersi che il loro
rapporto era
tutto sbagliato, nato sbagliato e tenuto in vita per
un’ostinazione infantile
di Gerard. Lui non riusciva ad ammettere con se stesso il proprio
errore e,
quindi, non era disposto nemmeno a mettere una pietra su quella farsa
che era
diventata il loro matrimonio.
Che
poi, “diventata”…Ad essere onesti era
stata una farsa
già nel suo nascere! se ci ripensava Gerard scoppiava a
ridere da solo.
In
ogni caso, che il bambino fosse suo o di Jimmy, Gerard
aveva preferito tenersi l’uno e l’altra - la madre
- e fingere che fosse tutto
perfettamente in ordine anche se non lo era affatto.
I
problemi veri all’interno della band erano nati allora;
anche perché la scoperta del tradimento e
l’annuncio della gravidanza di
Lindsay avevano coinciso con l’inizio delle registrazioni per
l’album nuovo.
Gerard si era ritrovato a dover dividere nuovamente gli stessi spazi
vitali con
Frank dopo che per mesi l’unico passatempo di
quest’ultimo era stato buttare
merda su di lui e su tutti i My Chemical Romance, nascondendo dietro
quell’odio
feroce la verità della loro amicizia bruciata. Nessuno di
loro due era davvero
disposto a concedere niente all’altro, Gerard
perché sentiva di non potersi
fidare di nessuno dopo aver perso in un colpo le due persone che
reputava più
importanti nella propria vita, Frank perché se avesse
concesso un solo metro
sarebbe morto e, se doveva uccidere per sopravvivere, lo avrebbe fatto
senza rimpianti.
Gli altri tre avevano sopportato in un silenzio preoccupato,
parteggiando per
Gerard in modo più o meno velato solo perché lo
consideravano – a ragione – l’elemento
più debole tra loro. Frank non glielo perdonava.
Poi
Lynz era morta.
Per
la precisione si era ammazzata. Non nel senso di
suicidata, no, ma per Gerard – che per quella merda ci era
passato e ne era
uscito – farsi equivaleva
ad un
suicidio e se solo lo avesse saputo che lei si bucava, avrebbe cercato
in tutti
i modi di tirarla fuori da quello schifo. Anche perché
così aveva ammazzato
pure il bambino ed anche se non fosse stato suo – cazzo, Brian, non m’interessa saperlo!
– quella povera creatura non
se lo meritava proprio di morire a quel modo.
Beh,
comunque Lynz era morta. Alla vigilia dell’uscita
dell’album, per giunta. Le ultime tre canzoni da definire, le
date del tour già
studiate a tavolino, il lancio promozionale, le serate ad MTV, il
concerto di
presentazione… Brian aveva guardato la faccia di Gerard
mentre sedeva nella
sala d’aspetto dell’ospedale, poi quelle di Bob,
Ray e Mikey tutti attorno a
lui, ed aveva capito che poteva dire addio a questo disco. Almeno per
il
momento.
Il
campanello di casa doveva stare suonando già da un
po’.
In
realtà Gerard lo aveva anche sentito, solo che aveva
sperato che, chiunque fosse, si sarebbe arreso nel vedere che lui non
andava ad
aprire. Alla fine sospirò, lo scampanellio si era fatto
più insistente invece
di diminuire ed il qualcuno sulla soglia batteva pugni contro la porta
nemmeno
intendesse buttarla giù. Si alzò, lasciando
lì la tazza e camminando lento e
stanco lungo il corridoio buio: non apriva le finestre di casa da
settimane,
ormai, quando venivano a fare le pulizie si raccomandava di richiuderle
tutte
appena finito. Allungò una mano verso la serratura interna
facendola scattare,
ruotò il pomello ed aprì.
-Sei
una testa di cazzo.- lo accolse Frank, aria truce e
sguardo fosco.
Ma
Gerard lo conosceva comunque troppo
bene per non accorgersi di quanto fosse
preoccupato.
Nota
di fine capitolo
della Nai:
In
questo caso sono
doverose un certo numero di “spiegazioni”.
Ho
iniziato a
scrivere questa storia moltissimo tempo fa, per la precisazione
nell’estate del
2009 ed all’indomani dei “fattacci” che
tutti i fan dei MyChem conoscono.
Allora
provai ad
ipotizzare l’evolversi della situazione a seguito del
matrimonio di Gerard,
dell’annuncio della gravidanza di Lin-z ecc. ecc. Se ci fosse
stato un nuovo
album - mi dicevo - niente sarebbe potuto essere più come
prima.
Adesso
un nuovo album
c’è. Confesso di non essere riuscita, ancora, da
inquadrare esattamente “il
cambiamento” del gruppo - anche se è evidente che
anche quello ci sia stato -
ma sono quasi certa che, nell’attuale assetto di cose,
“Desolation Row” si
configuri come un AU fortemente OOC.
Per
motivi
sentimentali intendo comunque portarla avanti, premettendo che, ad
oggi, non è
ancora conclusa ma è un lavoro che mi piace abbastanza da
volerlo terminare.
Spero
che potrà
incontrare anche il vostro positivo giudizio, nonostante sia una libera
interpretazione di “quello che sarebbe potuto essere, ma non
è stato”.
Grazie
in anticipo a
coloro che, sulla semplice “fiducia”, mi hanno
confermato il proprio affetto
^_^
MEM
|
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Capitolo 3 *** To the end ***
To the end
She keeps a picture of the body
she
lends.
Got nasty
blisters from the money she spends.
She's got a
life of her own and it shows by the Benz
She drives
at 90 by the Barbies and Kens.
If you ever
say never too late.
I'll forget
all the diamonds you ate.
Lost in coma
and covered in cake.
Increase the
medication.
Share the
vows at the wake.
Kiss the
bride.
If you marry
me,
Would you
bury me?
Would you
carry me to the end?
So say
goodbye to the vows you take
And say
goodbye to the life you make
And say
goodbye to the heart you break
And all the
cyanide you drank.
“To the end”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet
Revenge”
Nello
sbattere la porta in faccia ai My Chemical Romance, Frank lo sapeva
bene di
starci lasciando un pezzo di sè. Pure bello grosso. Niente
era stato più
uguale, dopo, soprattutto lui non
era
più lo stesso. Jamia aveva assistito impotente ed amorevole
ad un processo
lento di trasformazione del ragazzo che amava in un adulto disilluso ed
amareggiato.
Per
un po’ i Leathermouth erano bastati. Gli avevano tenuto il
cervello occupato -
la penna pure mentre riempiva i fogli di un odio che si
diceva di provare ma, ora come ora, non ricordava nemmeno
perché
– ed avevano fatto il loro lavoro dandogli una scusa per
chiudere. Con Gerard e
con i MyChem fino a data da destinarsi. Trincerati dietro le
“divergenze
musicali” di rito, lui e Gee avevano mentito a tutti, anche
ai loro amici, per
tenere segreto quello che neanche tra loro si erano detti davvero. A
più di un
anno di distanza dalla chiusura del tour della “Black
Parade” nel reincontrarsi
tutti agli Studi della Universal, Bob, Ray e Mikey erano ancora ignari
di cosa esattamente fosse successo
e del
perché Frank e Gerard a malapena tollerassero di trovarsi
nella stessa stanza
assieme.
Quelle
litigate senza senso – il senso lo
trovavi in qualsiasi cosa, dalla linea di chitarra alla performance
vocale del
frontman, per arrivare fino a mandarsi a ‘fanculo i parenti
risalendo alla
decima generazione – erano un modo come un altro
per mantenere comunque la
distanza. Frank sentiva di non riuscire più a guardare
Gerard con la stessa
ammirazione fiduciosa con cui “il ragazzino che era
stato” lo guardava, ora
vedeva i suoi limiti ed i suoi errori con una precisione che faceva
male; lui
avrebbe davvero voluto avere ancora negli occhi l’adorazione
che gli altri
sembravano mantenere intatta. Gerard, comunque, non lo aiutava affatto,
ostinandosi in una caparbietà inferocita che nessuno di loro
capiva, tanto che
Brian dovette tirare fuori quella storia di malavoglia e raccontare
loro di
Lindsay e di Jimmy per giustificare il comportamento del cantante.
Frank aveva
pensato solo che se fosse stata sua moglie
le avrebbe già dato un calcio nel culo da tempo.
E poi
si era sentito in colpa nel pensarlo, visto che lui della propria
moglie
nemmeno si ricordava quando era in tour ed il suo cazzo manifestava le
proprie
esigenze.
Ma
Lynz non gli era mai piaciuta, ed anche se Frank non si diceva le vere
ragioni
per cui non gli era mai piaciuta, era più che disposto ad
applaudire qualsiasi
evento che giustificasse un proprio sarcastico “te
l’avevo detto” sibilato nel
mezzo di una sessione di registrazione, quando Gerard sfiancava tutti
con
lamentele infinite. Quella volta lì ne era nata una
scazzottata con i fiocchi
e, per un momento, mentre si scambiavano pugni ed insulti sul pavimento
della
saletta negli Studi, Frank si era sentito stupidamente bene,
perché almeno un
modo – per quanto malato
– per averlo
ancora addosso e tra le mani lo aveva trovato.
Sapeva
bene che finché non avesse preso le distanze in via
definitiva da tutti loro,
lasciando la band per non tornarci mai più, Gerard sarebbe
rimasto dov’era,
avvelenandogli l’anima e le vene più di quanto non
avesse già fatto. E poco
importava che per lui non fosse più una divinità
in Terra, fintanto che non
riusciva a togliersi dalla mente i suoi occhi, la sua voce, i suoi
sorrisi e
perché no, i suoi baci e le sue carezze, non sarebbe
riuscito a ricominciare a
respirare liberamente e smettere di sentire quel dolore sordo alla
bocca dello
stomaco ogni volta che l’altro era davanti a lui e non gli
parlava.
Lì
per lì, quando Brian lo aveva richiamato
all’ordine, lui aveva anche risposto
che non sarebbe tornato. Che andassero a farsi fottere i My Chemical
Romance,
lui aveva chiuso ed aveva una propria band! E poi era solo la seconda
chitarra,
no? ne avrebbero trovata in fretta un’altra.
Brian
aveva riso senza alcuna allegria ma con un sarcasmo evidente, aveva
incrociato
le braccia sul petto commentando un “molto divertente,
Frank” decisamente privo
di sentimento e poi gli aveva ricordato del contratto milionario che
aveva
siglato con la Universal
insieme a quegli altri quattro. Frank aveva storto il naso, borbottato
qualcosa
e aveva ceduto.
Ovviamente
avrebbe ceduto comunque. Come cazzo poteva non farlo, non
rivederlo davvero mai più?! Però alla
rabbia non aveva proprio
potuto rinunciare, altrimenti, cazzo, sarebbe stato impossibile
ritrovarselo
ancora davanti!
Tutto
questo andava bene, era giusto. Gerard aveva reagito alle sue
istigazioni, lo
aveva insultato e pure picchiato, gli teneva testa in sala di
registrazione e
gli teneva testa quando c’era da prendere qualche decisione.
Frank pensava con
una smorfia che adesso sì, si stava sudando e guadagnando la
propria
leadership. Non gliene faceva passare una, provando anche un certo
piacere nel
tormentarlo, pure per il solo gusto di farlo.
Mikey
e Ray se n’erano accorti – Bob no, ma lui non li
conosceva così bene – il più
piccolo aveva smesso di rivolgergli la parola per un pezzo – sei ancora il mio migliore amico, Mikey,
vaffanculo! – Toro aveva tentato di mediare,
rimettere insieme dei cocci
per tutti loro inspiegabili.
Ma
per quanto stronzo, arrabbiato, deluso e ferito potesse essere, Frank
lo sapeva
che l’aver accettato di rimanere nei MyChem – di rivederlo – aveva un solo
significato. Quel dannato idiota era
ancora così fottutamente attaccato al suo sangue da
avvelenarlo completamente.
E lui non voleva proprio disintossicarsi.
-…cosa
cazzo ci fai qui?
Gerard
era esausto mentre lo diceva. Non c’era nemmeno rabbia nella
sua voce, solo un
gemito strozzato di paura e disperazione. Era pallido come non mai,
chiuse gli
occhi davanti alla luce troppo forte del sole che arrivava dalle
vetrate dietro
Frank, ma non si spostò dalla porta d’ingresso.
-Mi
assicuro che tu sia vivo.- ammise Frank piatto.
Non
sapeva nemmeno lui se voleva davvero suonare freddo e distaccato come
aveva
fatto, sapeva che avrebbe voluto vederlo rientrare, magari sedersi e
bere un
bicchiere d’acqua. Aveva la sensazione che tra un momento gli
sarebbe cascato
tra le braccia come in un film per ragazzine.
Sospirò
quando capì che l’altro non intendeva fare
assolutamente nulla. Gli mise una
mano addosso per spingerlo dentro e Gerard sembrò trovare
tutto d’un colpo le
forze perdute, si divincolò con un ringhio basso e
pericoloso e fece un passo
istintivo all’indietro per portarsi fuori della sua portata,
ma senza
lasciargli libero l’accesso a casa.
-Frank,
cosa cazzo vuoi?!- ripeté rabbiosamente ed a voce alta.
Il
chitarrista non sapeva se gioire di quella istantanea ripresa, ma a
bruciapelo
si rispose di no.
-Te l’ho
detto.- ribadì lento e basso.- Volevo assicurarmi che stessi
bene.
-Sto
bene!- ritorse l’altro secco.- Ora puoi anche andare al
diavolo da un’altra
parte!- aggiunse facendo per sbattergli sul muso il battente.
Frank
lo bloccò con una manata, entrando di forza dentro casa e
spintonando Gerard
all’indietro nello stesso gesto. Lì per
lì lui indietreggiò, sorpreso, ed il
più giovane chiuse la porta dietro di loro con un calcio.
-Non
ti riesce proprio di capire quando è il momento di
piantarla, eh Gerard?- si
stava informando pacatamente Frank.
-Sei
in casa mia! Senza permesso! Nessuno ti ha chiesto di venirci ed ancora
meno di
entrare…! E vieni a dire a me che ho passato la misura?!-
scandì Gerard
piantandoglisi davanti per impedirgli di continuare ad avanzare.
Frank
non ribatté. Con un’occhiata circolare colse
l’insieme dell’ambiente, scrutando
attraverso le porte le stanze che si aprivano sull’ingresso.
-…questo
posto sembra una tomba.- mormorò disgustato. E poi
scattò in avanti con tanta
rapidità che Gerard non ebbe il tempo di fermarlo.- Apri
queste cazzo di
finestre e piantala di giocare al quattordicenne emo, Gee!- lo
rimproverò
mentre avanzava lui stesso verso le vetrate del salone e si metteva a
tirare le
tende pesanti per fare entrare il sole.
-Frank!-
lo richiamò Gerard inferocito.- Frank, smettila subito e
vattene! Esci da qui,
Frank! IERO!
Si
voltò. Sia per quel cognome gridato con tanto astio da fare
male, sia per la
mano pesante che gli stringeva dolorosamente la spalla. Gerard
ansimava,
scarmigliato e trasfigurato dall’ira che pulsava attraverso
le sue dita, le
sentiva artigliargli direttamente la pelle sotto i vestiti tanta era la
cattiveria con cui lo tenevano fermo. Gli stava facendo male.
-Non
sei ancora stanco?- gli chiese in tono calmo. Lo sentì
rilassarsi, se ne
accorse perché la sua mano stringeva appena un po’
di meno.- Non ti è bastato
quello che è successo? Vuoi urlare, Gerard?- lo
interrogò.- Bene. Fallo.
Deglutì
a forza. Lasciandolo di scatto come se bruciasse.
-Levati
da qui. Ci penso io ad aprire.- sbottò Frank spostando gli
occhi. Chissà se c’era
un modo per ottenere che parlasse…uno qualsiasi…
***
Sentiva
il rumore dell’acqua attraverso la porta chiusa ed, anche se
era più di un’ora
che Gerard era sparito in bagno, confidava – sperava
– di non doversi preoccupare di ritrovarlo morto.
Sbuffò,
le mani in tasca, fermo sul pianerottolo che collegava il primo piano
della
casa al secondo. Davanti a sé aveva la porta dietro cui si
era infilato il più
grande dopo il loro “scontro” verbale al piano di
sotto, sulla sinistra c’era
la porta della camera da letto patronale. Puntò da quella
parte, avrebbe
recuperato qualcosa di pulito per l’altro visto che si era
chiuso in bagno
senza nemmeno preoccuparsi di portarsi dietro un ricambio. E
così avrebbe avuto
anche una scusa valida per entrare ed assicurarsi che fosse vivo.
Aprì la
porta con qualche difficoltà, sembrava che la serratura
fosse rotta o qualcosa
del genere, nel far scivolare il battente sui cardini lasciò
a terra una
striscia più chiara sullo strato spesso di polvere che
ricopriva il pavimento.
Il
cuore mancò un battito.
All’interno
la camera era stata trasformata in un deposito confuso di oggetti;
erano mesi
che nessuno entrava lì dentro – Frank se ne
accorse con facilità – sul letto
erano accatastate in disordine diverse tele non finite ed altre
completamente
bianche, in un angolo stava un tavolo da disegno e per terra valigette
di
colori ed album ormai rovinati. C’era una culla per neonati,
azzurra, un orso
di peluche gigantesco con il pelo arruffato dalla polvere, una
cassapanca con
disegni infantili…
Camminò
all’interno muovendosi come in un reliquiario, con tutta
l’accortezza che
sentiva di dover riservare a quel posto. C’era
metà della vita di Gerard lì
dentro: il vestito che Lindsay aveva portato al matrimonio – e che lui non aveva nemmeno visto, se non
nelle foto – era buttato sul letto, semisepolto
sotto una delle tele ed una
valigia dall’aria anonima; c’era una scatola piena
di fumetti e di pupazzi di
supereroi, alcuni si ricordava che li avevano comprati assieme;
l’armadio era
aperto ed era stato svuotato di tutti gli abiti, dentro erano stati
sistemati
alla rinfusa più contenitori di plastica trasparente, dentro
uno di quelli
Frank lesse i titoli di un paio di album dei Misfits.
…che diavolo stava
succedendo?
-Frank?
Si
voltò di scatto, sentendosi come un ladro sorpreso con la
refurtiva in mano.
Gerard lo guardava dalla
soglia della
camera, un accappatoio addosso ed un asciugamano a frizionare i capelli
bagnati. Non sembrava turbato all’idea che fosse entrato
lì dentro e Frank si
obbligò a rilassarsi anche lui.
-Cosa
stai facendo?- gli chiese il più grande.
-Volevo
prenderti dei vestiti puliti.- ammise soltanto, tirando un respiro
profondo
prima di parlare. Nonostante tutto la voce non aveva vacillato.
-Non
dormo più lì dentro.- si limitò a
comunicare Gerard, anche se la cosa era
sufficientemente evidente ad entrambi.
Si
spostò lungo il corridoio, mentre Frank gli andava dietro
chiudendo di nuovo la
porta, lo vide entrare un paio di stanze più avanti, in
quella che una volta
era stata la camera degli ospiti. Frank si affacciò alla
soglia subito dopo di
lui e lo trovò impegnato a cercare una maglietta
all’interno di una
cassettiera.
-Sono
vivo.- riferì brevemente Gerard quando, voltandosi, si
accorse che Frank era
ancora lì, appoggiato allo stipite, e lo scrutava con
attenzione. Si girò a
frugare dentro l’armadio alla propria sinistra, ma Frank non
si era mosso
quando tornò a voltarsi con i jeans in mano. Lo
guardò.- Sono vivo, ho detto!
-Me
ne rendo conto.- ribatté il chitarrista serafico.- Respiri!
-Bene.
Quindi, cosa ci fai ancora qui?- lo interrogò
l’altro buttando malamente i
vestiti sul letto.
Frank
avrebbe avuto un milione di risposte valide da offrire. “Mi
assicuro che ci
resti, vivo”; “Vorrei capire che cazzo è
successo nella tua testa”; “Sono qui
perché sono sinceramente preoccupato per te”. Ce
n’erano altre, ma le scartò
tutte comunque perché tanto erano sullo stesso tono.
Annuì brevemente, accennò
un saluto con la mano ed uscì.
***
-E questa sarà la stanza del bambino!- aveva
esclamato
Lindsay piroettando su se stessa
all’interno
della cameretta. Gerard aveva sorriso nonostante tutto nel vederla
così
raggiante, lei si era fermata di colpo proprio al centro della stanza e
lo
aveva guardato.- Così è di fianco alla nostra e
se piange lo sentiamo subito.-
aveva spiegato lei.
Di quel progetto erano rimaste quattro pareti colorate in
azzurro ed in giallo, a superfici opposte, ed una tenda con le
mongolfiere
appesa davanti la finestra a veranda. Gerard respirò piano,
allungò la mano ed
afferrò la maniglia della porta per tirarsela dietro uscendo.
La distanza tra la cameretta e la scala che portava al piano
inferiore non gli era mai sembrata più lunga da percorrere,
soprattutto perché
doveva per forza passare davanti a quell’altra
stanza. Quella che lui e Lindsay avevano diviso – nella buona e nella cattiva sorte!
– “finché morte non li aveva
separati”. Nei primi giorni dopo il ritrovamento del suo
cadavere, quando si
era ostinato a non andarsene, a non rifugiarsi da Mikey come pure suo
fratello
lo aveva scongiurato di fare, si era detto ironicamente che, vista la
splendida
piega del loro matrimonio, era stata una fortuna che la Morte
ci avesse messo tanto
poco a separarli. La prospettiva che la Buona
e la
Cattiva Sorte
potessero trascinarli negli anni fino a che fossero diventati entrambi
gli
scheletri di quello che avevano amato da giovani, lo tormentava al
punto da
farlo ridere nel ripensare alla scena che aveva trovato in quel bagno.
In fondo
era stata sufficientemente irreale da pensare di essere in uno dei loro
video,
magari uno di quelli più macabri ed ossessivi, ma di sicuro
uno dei meglio
riusciti. Poi si era reso conto di stare impazzendo, molto lentamente
ma con
una costanza invidiabile, ed aveva deciso che era davvero il caso di
prendersi
una pausa. Mikey lo aveva tenuto con sé per il tempo
necessario, quando era
tornato Gerard aveva trovato la forza di reagire, forse non nel modo
giusto –
suo fratello gli aveva chiesto di vendere la casa e comprarne
un’altra, ma lui
stavolta era stato irremovibile – ma nell’unico che
riusciva ad elaborare. E
chiudere quella stanza - così come
lasciare intatta l’altra, la
cameretta, a monito di un futuro che non gli sarebbe spiaciuto poi
così tanto –
prendere le sue cose, quelle ancora importanti, e trasferirsi nella
camera
degli ospiti era stato il suo modo di metabolizzare quella fase della
propria
vita.
Il passo successivo era buttare fuori il dolore; per quello
i ragazzi avevano detto a Brian che adesso erano pronti.
-…sì, resto qui.- Gerard si
fermò sull’ultimo gradino,
tendendo l’orecchio a quella voce. Non era andato via?-
E’ la cosa migliore,
Jamia. Spiace anche a me, porta pazienza. Ti amo…
Puntò da quella parte con tutta la rabbia che
sentiva ancora
in corpo. Aveva tollerato anche troppo! Va bene presentarsi
lì, va bene
costringerlo a lasciarlo entrare, va bene recitare la parte
dell’amico che si
preoccupa – 'cazzo aveva da
preoccuparsi?
Non era lui quello che cantava in giro di volerlo vedere
all’Inferno?! – ma
a tutto c’era un limite.
-Frank, cosa diavolo
fai ancora in casa mia?!- lo aggredì ancor prima di entrare
in salotto.
Lui stava chiudendo la telefonata in quel momento. Si
voltò
con un’aria talmente rilassata e distesa da fargli saltare i
nervi, sembrava
che qualunque cosa facesse non riuscisse proprio a smuoverlo dalle sue
decisioni. Qualsiasi esse fossero.
-Qual è il tuo problema, Gerard?- gli ritorse il
chitarrista
pacato.
-Il mio problema?!- scattò Gerard ironicamente.-
Il mio
problema sei tu, Iero!- ruggì, gesticolando platealmente
mentre parlava ed
incombendo minacciosamente su di lui- Il mio problema sei tu da mesi! E
sembra
che sia tu ad avere un problema con me!
Quindi, ora mi chiedo cosa diavolo ci faccia in casa mia la persona che
dice in
giro di odiarmi tanto da non poter tollerare la mia vista!
-Ti sbagli. La tua vista la tollero, è che quando
apri la
bocca rovini l’effetto scenico.- ribatté incolore
Frank.- Ora ti spiace farti
indietro? Stai invadendo il mio spazio vitale.- spiegò
facendogli cenno di
spostarsi.
-Tu il mio spazio vitale lo stai appestando da ore, ormai.-
ringhiò Gerard in risposta, facendo comunque un passo
indietro, ma solo per
evitare che Frank lo toccasse. Aveva scoperto che non sopportava che
lui lo
toccasse, per nessuna ragione.- Ho qualche speranza di riavere la mia
libertà?!
-Più libero di così!-
sogghignò cattivo Frank.
E se ne pentì. Nel momento stesso in cui vide la
faccia di
Gerard perdere di nuovo quel po’ di colore che aveva
riacquistato dopo la
doccia.
L’altro sembrò quasi sgonfiarglisi
davanti, Frank ebbe l’immediata
percezione di quel ritrarsi, come all’interno di un guscio
che era solo la sua
testa, qualche pensiero dentro cui il più giovane non
riusciva – non poteva più
– seguirlo.
Per un momento provò il senso feroce di quella
mancanza:
aveva perso la capacità, ma ancor prima la
possibilità, di entrare in sintonia
perfetta con la persona che aveva davanti a sé.
Più di ogni altra cosa, avrebbe
pagato qualunque prezzo per tornare indietro.
-Resto qui, oggi.- sussurrò deglutendo a fatica.
Gerard
continuava a non reagire e a non guardarlo pure se i suoi occhi erano
piantati
su di lui. Frank andò avanti imperterrito, decidendo
coscientemente di
prenderlo per un consenso tacito alle sue pretese.- Mi fermo a dormire
da te.
-…fai come vuoi.- fu l’unica risposta
che ottenne, data
senza forza e senza sentimento un momento prima che Gerard gli girasse
le
spalle e se ne tornasse al piano di sopra.
***
Frank aveva iniziato una scrupolosa ispezione della casa. In
realtà non ne aveva avuto intenzione, ma quando era salito
alle camere da letto
ed aveva scoperto che la seconda stanza degli ospiti era stata
trasformata in
un mausoleo vuoto fatto di pareti color carta di zucchero e tende a
disegni per
bambini, aveva avuto sinceramente paura. Quindi aveva preso a girare
tutta la casa.
Gli fece un po’ male entrare nello studio di
Gerard – ci era stato altre volte
prima che lui si
sposasse, lo ricordava bene, ed era sempre stato un gran casino di
fogli da
disegno, pennelli, dischi, dvd e “giocattoli” di
ogni tipo – e trovare un
ordine asettico, impersonale, proprio di un luogo che non veniva mai
utilizzato, se non per lavoro. Il Mac sulla scrivania era acceso, sul
desktop
erano segnalate tre nuove mail in arrivo, una era di Mikey che
probabilmente
voleva notizie del fratello. Frank si lasciò cadere sulla
poltrona di pelle e
prese a dondolarsi pigramente a destra e a sinistra mentre fissava
pensieroso
la stanza.
Due loculi ed una
camera mortuaria…
-Vivi in un cimitero, Gerard.- sussurrò a se
stesso.
Quanto meno era stato felice nel notare che non
c’era alcool
di nessun tipo in casa, nemmeno birra.
Si alzò per tornare sui propri passi. Era stanco
anche lui
ed aveva bisogno di riposare; si assicurò che Gerard fosse
nella sua stanza a
dormire e poi se ne tornò in salotto, stendendosi sul divano
ed incrociando le
braccia al petto.
Si svegliò il mattino dopo con la sensazione
fisica di non aver
dormito così bene per un sacco di tempo.
|
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Capitolo 4 *** I'm not okay (I promise) ***
I’m
not okay (I promise)
What will it
take to
show you that it's not the life it seems?
I'm
not okay
I've
told you time and time again you sing the words but don't know what it
means
I'm
not okay
To
be a joke and look, another line without a hook
I
held you close as we both shook for the last time take a good hard look!
I'm
not okay
I'm
not okay
I'm
not okay
You
wear me out
Forget
about the dirty looks
The
photographs your boyfriend took
You
said you read me like a book, but the pages all are torn and frayed
I'm
okay
I'm
okay!
I'm
okay, now
I'm
okay, now
But
you really need to listen to me
Because
I'm telling you the truth
I
mean this, I'm okay!
Trust
Me
I'm
not okay
I'm
not okay
Well,
I'm not okay
I'm
not o-fucking-kay
I'm
not okay
I'm
not okay
Okay
“I’m Not Okay (I
Promise)”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a Sweet
Revenge”
-Grazie.
Non
era esattamente il tipo di saluto che Frank si era aspettato.
Sbatté le
palpebre facendo una certa fatica nel mettere a fuoco prima il profilo
scuro
della tazza - un leggerissimo filo di fumo indicava che il contenuto
era ancora
caldo e c’era un profumo piacevole di caffè
– risalì poi lungo le dita che
gliela stavano porgendo e riconobbe il proprietario di quella mano.
Gerard.
…“grazie”
di che?
-Prego.-
ritorse- Cos’ho fatto, stavolta?- aggiunse credendo di
cogliere un certo
sarcasmo nella voce dell’altro.
Si
tirò su sul divano con qualche difficoltà,
sentendo le ossa dolergli
fastidiosamente dopo tante ore di sonno in posizione
tutt’altro che comoda. Si
grattò la nuca, i capelli aggrovigliati e sporchi, davanti a
lui Gerard fece
una smorfia e bevve dalla propria tazza nel tentativo di prendere tempo
e decidere
come rispondergli. L’altra tazza continuava a spingerla verso
il suo viso, per
cui Frank si decise ad accettare l’offerta e rischiare che
fosse caffè
avvelenato, era comunque troppo invitante.
-Per
l’altra sera.- spiegò Gerard, che evidentemente
no, non era affatto sarcastico
nel ringraziarlo. Solo che riusciva ad ammettere quelle cose soltanto a
denti
stretti, quasi ringhiandole, e Frank si rese conto di starlo
praticamente
torturando nel chiedergli di aggiungere altro. Annuì per
fargli capire che
poteva bastare, ma Gerard continuò imperterrito,
distogliendo gli occhi.- Ed
anche per ieri.- aggiunse secco prima di allontanarsi.
Frank
sorrise tra sé e sé, sorseggiando il
caffè, apparentemente non era avvelenato
constatò con una certa soddisfazione. Si alzò
rapido dal divano – e questo gli
costò un dolore feroce alla base della schiena, maledette le
sue idee del
cazzo! – e raggiunse Gerard in cucina, dove il bruno sedeva
al tavolo centrale
con aria cupa. Prese posto direttamente dall’altro lato,
senza chiedere
permesso e ricevendone in cambio un’occhiata malevola dal
più grande, che
comunque non commentò.
-Posso
chiederti una cosa?- domandò dopo che il silenzio si fu
protratto per un po’
senza che nessuno dei due desse segno di volerlo interrompere.
Gerard
mise giù la tazza con un rumore sordo e sospirò.
-Se
non puoi farne a meno…- commentò soltanto.- Del
resto ero stupito che fossi
riuscito a rimanere zitto finora!- sbuffò velenoso con un
mezzo sorriso storto
dei suoi.
-Beh,
sì, vaffanculo anche a te, Way.- ribatté pratico
Frank, ma non si scompose
perché in quei mesi di lavoro assieme se n’erano
scambiate sicuramente di
peggio.- Posso o no?
Gerard
assentì con un gesto annoiato della mano e riprese a
sorseggiare il caffè.
-Hai
ricominciato a bere?
Detta
così a bruciapelo faceva un male fottuto! Gerard
strabuzzò gli occhi e per poco
non si affogò, tanto che sputò il
caffè che aveva in bocca direttamente nella
tazza, mettendola giù subito dopo, disgustato.
La
sua prima tentazione fu di prenderlo a calci. Perché non
gliel’aveva mai dato
il permesso di farsi i cazzi suoi! Il fatto che gli avesse concesso di
dormire
nel suo salotto e non lo avesse buttato fuori di casa non significava
certo che
aveva perdonato quei fottutissimi due anni di silenzio e
crudeltà gratuita! …e
vaffanculo se gratuita non lo era affatto!
Poi
però incrociò gli occhi di Frank, così
assurdamente seri da scaraventarlo
indietro di…Dio, aveva
completamente
perso il conto degli anni che erano passati!
-Non
avevo nessun motivo di farmi del male, non credi? Non sarebbe servito a
nessuno.- sbottò con un sorriso incattivito, ma siccome
spostò lo sguardo sul
tavolo e sulla tazza mentre lo diceva quel sorriso perse gran parte
della sua cattiveria
e diventò solo molto triste visto con
quell’inclinazione lì,
quella che
Frank aveva dal suo lato del tavolo.- ….una volta saresti
stato molto
orgoglioso di me, per questo.- aggiunse Gerard piatto.
-Se
vuoi proprio saperlo, sono orgoglioso di te anche adesso, Gerard.
No,
non era sicuro di volerlo sapere. Qualcosa dentro il suo stomaco non
faceva
quello che avrebbe dovuto, un nodo che si serrava un po’
troppo stretto e
finiva per fargli venire voglia di correre a chiudersi in un cesso a
vomitare.
Cosa poi non lo sapeva nemmeno lui, perché era quasi certo
che avrebbe voluto
vomitare parole, idee e concetti
che
erano tutti accatastati e tutti insieme nella sua testa. E tutti
avevano a che
fare con Frank.
Gerard
alzò il viso ad incrociare di nuovo il suo sguardo.
-Che
ne dici se adesso te ne vai?- chiese con durezza.
Eliminiamo
il problema,
tutto sarà più facile.
Frank
si alzò, Gerard non lo guardò nemmeno, rimase
seduto mentre lui riprendeva a
parlare.
-Chiama
Mikey, sarà preoccupato.- consigliò pacatamente.
Rimase
seduto anche mentre lui usciva. La strada, tanto, la conosceva.
***
-Gerard?!
Sorrise.
Non si era aspettato nulla di diverso che quel tono
“affamato” dal fratello.
Brian gli aveva di sicuro detto tutto quello che c’era da
sapere ma Mikey non
si sarebbe mai accontentato delle parole di qualcun altro, doveva
sentire la
sua voce e sapere da lui – dalle
sfumature che avvertiva – se era davvero tutto a
posto. Immaginava quanto
gli fosse costato non venire il giorno prima davanti al Tribunale a
riprenderselo di persona.
-Sono
o.k., Mikey.- gli disse prima di qualsiasi altra cosa, sforzandosi di
suonare
convincente senza sapere, in realtà, quanto potesse
funzionare. Con Frank non
aveva funzionato affatto.- E lì come va? Giornalisti fuori
la porta?
Sentì
suo fratello sbuffare. Era un sì, ma Mikey non glielo
confermò perché
immaginava che Gerard non ne avesse bisogno – né
di avere conferma di una cosa
ovvia, gli bastava affacciarsi alla finestra e guardare in strada sotto
il
proprio palazzo per saperlo, né di avere addosso anche
quella responsabilità.
-Vuoi
che venga da te?- lo sentì chiedere.
Si
scosse, realizzando a fatica che lui gli aveva posto una domanda di
qualche tipo.
-N…no-
mormorò appena. E poi spiegò di getto –
C’è stato Frank, qui, fino a poco fa.
Sono o.k. davvero, Mikey.- ribadì.
-…Frank?
Gerard
si lasciò scappare uno sbuffo di divertimento. Non che non
lo capisse, lo
stupore dell’altro, eh!
-Sì,
Frank. Si era messo in testa che dovessi tagliarmi le vene o affogarmi
nella
vasca da bagno o che so io!- ci scherzò su.- Ha dormito qui
stanotte.
-Ah.-
recepì lento suo fratello.
-Michael,
che c’è?
-No,
nulla.- mentì lui, per riprendere con leggerezza- Beh, io so
che non ti sei
tagliato le vene o affogato nella vasca da bagno, posso venire lo
stesso da te?
Gerard
rise, arrendendosi all’evidenza che non se lo sarebbe
scollato di dosso
facilmente. Erano più di ventiquattro ore che non si
vedevano!
-Fai
come vuoi, piattola, ma sono quasi certo che Brian non
approverà.- lo mise in
guardia.
-Che
vada a farsi fottere Brian.- ribatté il piccolo Way in modo
candido – L’ho
ascoltato abbastanza. Dammi mezz’ora e sono lì.
Gerard
ci si affacciò davvero alla finestra, guardando in strada e
chiedendosi
oziosamente come Frank fosse passato incolume da
lì.
-Portati
un kalashnikov.- consigliò contando almeno tre furgoncini
appostati in attesa
della sua faccia. O di quella di un qualsiasi membro a caso dei My
Chemical
Romance.
***
Dopo
due giorni senza lavarsi, una doccia calda era stata la cosa
più simile al
Paradiso dopo una scopata con tutti i crismi. Frank uscì dal
bagno con i jeans
già addosso ed una salvietta a strofinarsi i capelli ancora
ingarbugliati
nonostante lo shampoo, il balsamo, le amorevoli cure di Jamia che aveva
passato
mezz’ora a districarglieli – “cosa
diavolo hai fatto in prigione per conciarti così?! Oh mio
Dio, Frank! è sangue
questo?!”.
Probabilmente
era sangue davvero. Non suo, sperava, comunque non ricordava di aver
preso
botte in testa. Neanche tanti pugni in faccia, a dirla tutta. A dirla proprio tutta, pensò
sghignazzando ed entrando
in camera da letto, era stato quasi divertente. Era un po’
che non facevano a
botte con nessuno e farlo quando sei nel giusto da’ sempre
una gran
soddisfazione!
-Jam!
– strillò mentre rovistava inutilmente dentro un
cassetto- Hai visto la mia
maglietta rossa?
-Quale
maglietta rossa?- gli gridò lei di rimando dalla cucina.
-…quella
rossa!- obiettò lui stralunato, come fosse ovvio.
E
quando lei si limitò a mandarlo al diavolo senza
rispondergli – ma usando il suo
nome per intero, segno che era vagamente
esasperata – lui trotterellò a raggiungerla in
cucina e la osservò maneggiare
soddisfatta la trinciapollo.
-Quella
che ho comprato due giorni fa.- piagnucolò cercando di
richiamare la sua
attenzione. Lei gli scoccò solo un’occhiata
stizzita e riprese a fare a pezzi
il volatile con gusto evidente.- L’avevo presa al mio negozio
preferito! Ero
tornato a Belleville apposta! Doveva essere il mio portafortuna per il
tour e…
-Punto
primo!- esordì Jamia voltandosi di scatto ed agitandogli
contro la
trinciapollo.- E’ presumibile che dovendo essere il tuo
portafortuna per il
tour tu l’abbia infilata in valigia: per portarla in tour,
tipo! Ci hai guardato?-
non lo lasciò rispondere perché sapeva
già quale sarebbe stata la risposta.-
Punto secondo, Frank, non mi pare che ti abbia portato grande fortuna
finora.
-Sei
arrabbiata?- si ritrovò a chiedere suo malgrado.
Lei
respirò a fondo, rilassandosi sotto il suo sguardo.
Infilzò la trinciapollo in
ciò che restava della povera bestia e si scostò i
capelli dal viso chiudendo
gli occhi.
-No.-
mormorò.- Ero preoccupata. Vorrei che smettessi di fare
certe cazzate, Frank.-
ammise.
-Lo
avresti fatto anche tu.- sussurrò lui con convinzione.
Lei
riaprì gli occhi e lo guardò fisso. In
realtà, sembrava starlo semplicemente
studiando. Frank sapeva che la risposta ce l’aveva
già nella testa, voleva solo
guardarlo e chiedersi cosa avesse lui
nella propria, di testa.
“Sei
arrabbiata perché
sono rimasto da Gerard?”
Era
questo che Jamia si aspettava – voleva
– lui le chiedesse. In questo caso non sapeva davvero cosa
avrebbe risposto.
Forse di no, perché sapeva che mettere Frank davanti ad una
scelta di quel tipo
significava rischiare davvero di perderlo, come non lo aveva mai
rischiato
nella loro vita – se non due anni
prima.
Forse di sì, perché un po’ arrabbiata
ci si sentiva ed aveva tutti i diritti di
esserlo. A lei le bugie che avevano raccontato erano sempre suonate per
ciò che
erano. E pazza ad accettarlo fino al punto di dire di
“sì” a quella sottospecie
di moccioso che ora la scrutava fiducioso!
-Certo,
lo avrei fatto anche io.- confessò senza problemi. Poi
sorrise con affetto
sincero.- Come sta Gerard?
Non
ricordava più nemmeno l’ultima volta in cui, in
quella casa, era stato lecito
fare una domanda simile. Adesso lo era di nuovo, lei lo sapeva.
-A
pezzi.- le rispose Frank, improvvisamente serio – Non mi ero
accorto proprio di
quanto cazzo si fosse fatto male, sai?
Lei
sospirò, voltandosi per finire di preparare il pollo.
-Probabilmente
non volevi chiedertelo nemmeno.- lo rimproverò quietamente.
E
lui sapeva che era così e, quindi, non si difese.
-Vado
a cercare la mia maglietta.- disse voltandosi.
-Disfa
le valigie anche.- ordinò lei pratica.- Tanto mi sa che per
un pezzo non mi
libererò di voi!
Nel
silenzio della cucina, in cui il solo rumore era quello che produceva
lei
sbrindellando la carne del loro pranzo, Jamia si ritrovò a
pensare che la sua,
di fortuna, le aveva voltato le spalle. Era una cattiveria…o
meglio, era il suo
egoismo a parlare per lei, perché non poteva davvero dirsi
che la morte di
Lindsay fosse stata “un colpo di sfortuna”. La
morte di Lindsay era stata una
tragedia, tutti loro l’avevano vissuta in quel modo e tutti
loro avevano avuto
davanti agli occhi Gerard mentre, soffocato dagli eventi, fissava il
vuoto come
se non ci fosse proprio nulla dentro su cui concentrare
l’attenzione. Per
quanto Frank potesse essere stato accecato dai propri demoni personali,
Jamia
non lo era stata abbastanza dalla propria gelosia per non leggere in
faccia a
quello che restava un amico un dolore tanto pesante da ucciderlo. Per
assurdo
aveva sempre saputo che l’unica persona che poteva recuperare
Gerard
dall’Inferno che aveva scelto come vita era proprio Frank,
così quando si era
accorta che suo marito, invece, passava il proprio tempo ad infierire
con una
cecità crudele, il suo primo istinto era stato quello di
costringere Frank a vedere,
appunto. Ma poi un istinto più
forte – quello di sopravvivenza
–
aveva prevalso e lei era passata sul cadavere di Gerard con la stessa
incuranza
che ci stava mettendo Frank.
Del
resto, si era detta, non era stato bello e non era stato facile per lei
accettare una verità che la rendeva
“l’ultima ruota del carro” in un rapporto
a
due dove lei era finita a fare l’altra anche se il suo ruolo
sarebbe
stato ben diverso. Né Frank né Gerard in
quell’occasione si erano posti il
problema di cosa provasse – soprattutto
non
Gerard, che si poneva il problema di cosa provassero gli altri solo se
serviva
a fornirgli il testo di una nuova canzone –
entrambi l’avevano dimenticata
in un angolo dal quale lei aveva osservato in un silenzio obbligato i
colpi che
le infliggevano. Passare sul cadavere dell’altro
– quello vero, quello il cui ruolo doveva
essere tale – era un suo sacrosanto diritto.
Per
cui, in quest’ottica, la morte di Lindsay diventava un
tragico colpo di
sfortuna. Frank lì per lì poteva anche non aver
letto negli occhi di Gerard il
bisogno che aveva di lui, ma era chiaro che a lungo andare sarebbe
successo.
“Lo
avresti fatto anche
tu”
Jamia
si disse che no, magari non era stata sincera. Lei voleva
vedere Gerard distrutto in modo definitivo e completo.
Dopo
S. Bernardino, nel precipitarsi al Project Revolution, la mente di
Jamia era
stata un libro vuoto. Tutta la storia che lei e Frank ci avevano
scritto
assieme era stata cancellata in un colpo solo dall’evidenza.
La cosa che più la
feriva era proprio l’indifferenza con cui loro due
l’avevano fatto – entrambi –
calpestandola solo perché non
l’avevano
vista e non perché le volessero fare del male:
Jamia scompariva davanti a
Gerard. Era arrivata al Project con questa consapevolezza ed insieme
con
nessuna consapevolezza, perché ogni suo pensiero era stato
azzerato e la sua
era una mente vuota su cui scrivere tutto da capo. Anche se aveva
sorriso a
Frank nel rivederlo, anche se era stata felice quando lui
l’aveva abbracciata,
sollevata e baciata davanti a tutti, festeggiando il suo arrivo come se
fosse davvero
contento di quell’improvvisata, Jamia in quei momenti era
pagina bianca.
Riscriveva se stessa senza confidare in nulla del proprio passato ed
ancor più
senza confidare in nulla di quel futuro che aveva creduto possibile.
Forse era
stato questo suo atteggiamento di disillusione ed insieme di attesa a
permetterle di rivedere Gerard, di parlare con lui e scambiarsi sorrisi
come se
fosse tutto “come sempre”. Vista
dall’interno quella cosa
era anche più contorta e malata che da fuori, mentre
camminava accanto a loro Jamia si rendeva conto lentamente che per
almeno uno
dei due – Gerard – tutto si era svolto in un limbo
perfetto, da cui nulla era
trapelato anche se il mondo intero aveva potuto vederlo.
L’altro – Frank – si
rodeva in un silenzio teso e nervoso, fatto di indecisione e di
speranze mal
riposte.
Jamia
lo sapeva.
Jamia
lo sapeva benissimo che sarebbe stata solo il ripiego. Lo aveva saputo
ancora
prima di vedere Frank sparire una sera nel tourbus dietro Gerard
– erano stati lì dentro
forse un’ora scarsa,
Frank ne era uscito stravolto e le era passato davanti senza neppure
vederla
– lo aveva saputo anche senza bisogno di interpretare il viso
di lui mentre le
chiedeva di sposarlo - non c’era
già più
nessuna luce negli occhi di Frank quel giorno – lo
aveva saputo indipendentemente
dalle parole di Gerard sul palco e senza doverlo vedere respingere con
furia disperata
il bacio di Frank a giorni di distanza – erano
giorni che giocavano a fare gli estranei l’uno per
l’altro.
Jamia
lo sapeva di essere la ruota di scorta, ma aveva detto di
“sì” comunque, perché
tanto aveva vinto lei, no? Se avesse saputo che in premio avrebbe avuto
metà
del cuore che l’aveva amata – l’altro
pezzo non era semplicemente rimasto
attaccato a Gerard, era proprio morto – probabilmente avrebbe
detto di “no”,
chissà. Da allora del suo
Frank non
era rimasta che l’ombra e quello sconosciuto arrabbiato e
deluso ed amareggiato
con cui condivideva il letto non era affatto la stessa cosa. Per cui,
magari,
il prezzo della sua “fortuna” era stato un
po’ alto e per bilanciarlo Dio – o
il Diavolo – si era preso qualcosa che valesse altrettanto.
Jamia questo non lo
sapeva, no. Sapeva che la sua fortuna era finita il giorno in cui
Lindsay e suo
figlio erano morti.
Nota
di fine capitolo
della Nai:
Buon
2011
a tutte voi,
signorine!!!
Chiedo
perdono perché avevo
promesso a me stessa di lasciarvi il capitolo nuovo come
“regalo” prima delle
vacanze natalizie, ma gli eventi mi hanno letteralmente
travolta…
Mi
faccio perdonare,
sperando che possa rappresentare un “buon inizio”
per tutte coloro che seguono
questa storia e che ringrazio come sempre di cuore!
Alla
prossima!
MEM
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Capitolo 5 *** Demolition Lovers ***
demolition lovers
Demolition Lovers
I would drive on to the
end with you
A liquor store or two keeps the gas tank full
And I feel like there's nothing left to do
But prove myself to you and we'll keep it
running
But this time, I mean it
I'll let you know just how much you mean to me
As snow falls on desert sky
Until the end of everything
I'm trying, I'm trying
To let you know how much you mean
As days fade, and nights grow
And we go cold
Until the end, until this pool of blood
Until this, I mean this, I mean this
Until the end of...
“Demolition
Lovers”
My Chemical
Romance
“I
brought you my bullets, you brought me your love”
Attraversò
la strada zigzagando tra le macchine ferme in coda, qualcuno degli
automobilisti più esasperati salutò questa sua
impresa con un colpo di clacson,
ma lui non si voltò neppure ed approdò sano e
salvo sul marciapiede opposto,
adocchiando da lontano la sagoma tozza della palazzina a quattro piani
e sotto
i tre furgoncini appostati. Puntò dritto ad una delle
traverse laterali, digitando
nel frattempo sulla tastiera del cellulare un numero che –
nonostante il tempo
trascorso – ricordava comunque a memoria. Due squilli,
dall’altro lato la voce
che gli rispose aveva un tono strano, freddo e metallico.
-Frank.-
fu salutato.
-Ciao
Mikey!- Si sforzò di suonare simpatico ed allegro come non
era da tempo nemmeno
con il suo (ex)migliore amico.-
E’
tutto o.k.?- s’informò con gentilezza.
Un
gatto nero gli attraversò la strada correndo da destra a
sinistra, da una
palazzina all’altra del vicolo e su per il muro del cortile
interno della
seconda.
“Sì.
Certo.”, rispose asciutto il suo interlocutore. Ma era chiaro
che pensasse
l’esatto opposto. Frank si chiese se per caso Mikey non si
fosse contortamente
convinto che quello che era successo era in qualche modo colpa sua: fino a prova contraria su quel palco
c’era,
aveva visto Gerard caricare a testa bassa i fan…!
Era un’ipotesi talmente
pazzesca che si trattenne in tempo dall’esprimerla ad alta
voce.
-Ehi,
senti, volevo chiederti se eri stato da tuo fratello.-
spiegò rapido. Il vicolo
era finito e lui si trovava sull’altro lato
dell’isolato. Cominciò a contare i
numeri procedendo a destra.
Mikey
sbuffò un accenno di risatina velenosissimo. Frank si
fermò di colpo al centro
del marciapiede e rimase in ascolto.
-Sì.
Dopo che tu te ne sei andato.-
specificò il Way minore.
-Ah.-
fu l’unico suono che riuscì ad articolare.
Una
vecchietta gli passò di fianco guardandolo con
disapprovazione, ma quello non
era esattamente il genere di quartiere in cui le loro felpe, i
tatuaggi, i
piercing ed i jeans sdruciti venivano visti di buon occhio, non avrebbe
capito
mai perché Gerard si fosse ostinato a comprare lì
la propria casa.
Probabilmente aveva a che fare con tutto il suo desiderio di normalità e convenzioni
sociali, una delle millemila turbe che Gerard Arthur
Way aveva ereditato dalla propria adolescenza di ragazzino problematico.
-Era
un segreto, Frank?- stava chiedendo Mikey, sarcastico.- No,
perché mio fratello
non lo ha ritenuto tale e non ha avuto difficoltà a dirmelo.
Sforzò
una risata che tentò di far suonare quanto più
possibile sincera, ma sentiva un
peso opprimente alla bocca dello stomaco.
-Un
segreto, Mikes? E che razza di segreto sarebbe?!- ci scherzò
su.- C’erano pure
Bob e Brian quando sono andato da lui! E dì, come lo hai
trovato?- chiese
tentando di riportare tutta la discussione su toni più
normali.
-No.
Ovviamente
sapeva esattamente quello che l’altro intendeva dirgli.
Rimase fermo dov’era
con una mano a reggere il cellulare contro l’orecchio e
l’altra affondata nella
tasca dei jeans.
Mikey,
in compenso, non sentiva l’esigenza di avere alcuna
autorizzazione per
continuare.
-Te
ne fotte qualcosa?- lo interrogò brusco.- No,
perché noi eravamo convinti che
non te ne fottesse proprio più nulla, sai. Ed io avrei anche
un po’ del mio a dover
raccattare il risultato dei tuoi disastri. Lo hai ammazzato tu Gerard,
Frank,
lo sai?- ringhiò velenoso- Non è morto il giorno
che Lindsay è stata sepolta,
mio fratello è morto il giorno in cui tu te ne sei andato!
Il giorno in cui ti
ha visto in televisione sputare veleno contro quello che cazzo!
pensavamo fosse anche il
tuo sogno! Ma ci sbagliavamo.- proseguì,
incoraggiato dal suo silenzio o
semplicemente troppo pieno per
poter
continuare a stare zitto - Perché è chiaro che tu
su quel sogno non avevi
nessuna difficoltà a passarci. Ed ogni tua fottutissima
parola, Frank, era una
pugnalata che davi a Gerard, ed io mi sono ritrovato per mesi a
chiedermi perchè lo
stessi facendo! Merda! Un po’
ci ero rimasto male anche io a vederti accantonare anni di amicizia per
niente!
ma sicuramente non ci sono rimasto male tanto quanto lui, Frank! E tu,
invece
di prenderti le tue responsabilità, sei
pure tornato! A fare cosa, me lo spieghi?! Ad infestarci?! A
massacrare
quello che non avevi già distrutto?! E allora, vaffanculo,
Frank! Se vuoi
sapere come cazzo sta mio fratello, lo chiami e preghi qualsiasi
divinità in
cui credi che lui abbia voglia di dirtelo!
La
voce di Mikey si spense brusca quanto lo era stata nel parlargli. Aveva
alzato
progressivamente il tono, arrivando ad urlargli contro con una ferocia
che, in
uno mite come lui, nemmeno sospettavi. Solo che Mikey era uno che
nell’amicizia
ci aveva sempre creduto – ed a ragione – e
probabilmente, per quanto dicesse,
Gerard non era stato l’unico tra loro a soffrire
quell’abbandono.
Frank
si lasciò andare di schiena contro la cancellata in ferro
battuto di una delle
palazzine, fece rumore e fece anche male, lui chiuse gli occhi ed
inghiottì
quel dolore sperando per un istante che potesse essere abbastanza
da mettere a tacere l’altro, di dolore, quello sordo e
costante che lo uccideva lentamente da due anni a quella parte. Un
cancro in
progressione continua come ogni agonia che si rispetti.
-…va
all’Inferno, Mikey.- sentì sussurrare alla propria
voce. E quindi no, non era
affatto “abbastanza”. Via libera, allora.- Va
all’Inferno tu, Gerard, Brian,
Ray e pure Bob! Andate all’Inferno tutti quanti! Due
fottutissimi anni, Mikey!-
sibilò spalancando gli occhi di scatto e stringendo il pugno
nella tasca fino
ad avvertire le unghie piantarsi nella carne nonostante fossero
cortissime. Era
teso come una corda, teso e pronto a scattare contro chiunque, le
braccia gli
facevano male tanto erano in tensione.- Due fottutissimi anni e ci
fosse stato
uno di voi quattro stronzi che avesse preso un cazzo di telefono per
chiedermi
come stessi! Eravate troppo impegnati con le stronzate di Gerard, eh?!
con i
suoi piagnistei del cazzo! Lui piagnucola e voi tutti a stringervi
attorno! E
Frank è un figlio di puttana, sì, ma nessuno di
quelli che si dicono suoi amici
fa lo sforzo di chiedergli perché lo sia diventato! Vi siete
chiesti una sola
volta come ci stessi io?! Porca puttana Eva, Mikey,- gli
gridò contro - non è
bello svegliarti un giorno e scoprire che le persone più
importanti della tua
vita non sono che degli estranei che ti giudicano da lontano! Tu parli
del nostro
sogno come se fosse una cosa vera e reale, io pensavo che lo fosse la
nostra
amicizia, cazzo! ed invece ho scoperto che non valeva niente di niente!
E
quindi non farmi la predica adesso, Mikey, perché non ne hai
il diritto manco
per un cazzo! e se vuoi proprio saperla tutta, me ne fotto se tuo
fratello si
spara un colpo di pistola in testa e tu ti ritrovi a fare la vedova
inconsolabile al suo funerale, ma cazzo non dirmi che io
ho ucciso lui perché non sai cosa cazzo stai
dicendo e non hai
nessun fottutissimo diritto di dirlo! Ed ora dimmi se tuo fratello sta
bene,
cazzo!
Dio.
Era patetico. Tutto quel bel discorso e si ritrovava comunque a pendere
da quel
sordo battere aritmico che avvertiva al cuore ogni volta che pensava a lui, al fatto che potesse essere meno
che felice…
Senza
contare la voglia, che sentiva, di piangere come un moccioso. Si
arrotolò su se
stesso, spingendo il viso contro la cancellata per nascondersi il
più possibile
ai passanti, il cappuccio della felpa tirato sulla testa come nei
peggiori
racconti di fangirls scatenate. Era davvero patetico!
-…no,
che non sta bene.- disse piano Mikey dall’altro lato del
telefono e, quando si
accorse che anche la sua voce era sull’orlo delle lacrime,
Frank si sentì
almeno un po’ meno stupido e gli scappò anche una
smorfia che avrebbe voluto
essere un sorriso.- Frank, io non ci riesco. - lo implorava in tono
strozzato.
- Fai qualcosa, ti prego, io non ci riesco proprio…
Annuì
anche se lui non poteva vederlo.
-Vaffanculo,
Mikes.- sussurrò tirandosi dritto. Ma si sentiva instabile
sulle gambe.
L’altro
rise istericamente.
-Vaffanculo
anche a te, Frankie.- lo prese in giro.
-La
prossima volta che hai qualcosa da dire, dilla.- ordinò
Frank.
-La
prossima volta che mi costringerai a dirti qualcosa, ti
riempirò di pugni e poi
te la dirò.- promise Mikey.
***
La
ragazzina aveva i capelli corti, di due colori – un castano
scurissimo,
praticamente nero, ed un rosso vivace – una maglietta nera
con il logo dei My
Chemical Romance, scarpe da ginnastica rosa ed un i-pod con la musica a
tutto
volume. Stava seduta sulla scala del palazzo dondolandosi sui talloni,
agganciati al gradino sotto il sedere, gli occhi semichiusi.
Frank
le si fermò davanti e lei ci mise un po’ a
metterlo a fuoco. Quando lo fece,
gli sorrise e saltò in piedi.
-Sapevo
che saresti tornato!- affermò allegramente staccando le
cuffie dalle orecchie.
-Sì,
beh, ciao Sarah.- le sorrise lui di rimando, imbarazzato.- Ti secca?-
chiese
poi.
Sarah
si affrettò a negare, salì a due a due i gradini
del palazzo e si appoggiò
pesantemente al portoncino in vetro, con Frank che la seguiva veloce
dentro
l’edificio. Davanti alla porta dello scantinato lei si
fermò ridacchiando.
-Se
mio padre mi becca, mi ammazza.- disse – Questa cosa gli
può far perdere il
posto!
Ma
mentre parlava stava già smanettando con il grosso lucchetto
che chiudeva la
porta e con un mazzo di chiavi che recitavano
“custode” sulla targhetta appesa
all’anello.
-Mi
farò perdonare.- ritorse Frank altrettanto divertito.-
Grazie!- scoccò rapido
infilandosi dentro lo scantinato mentre lei rispondeva “de
nada” e lo salutava
facendo “ciao ciao” con la manina.
Frank
si mosse nella penombra del locale cantina affidandosi al ricordo del
giorno
precedente ed alla poca luce che veniva dai finestroni a livello della
strada.
Era
stata un’autentica fortuna, il giorno prima, incontrare
quella ragazzina mentre
s’intrufolava di soppiatto nella palazzina di Gerard nel
momento stesso in cui
lui – bloccato all’interno dalle troupe televisive
appostate fuori dall’edificio
– si chiedeva come ne sarebbe uscito. Sarah non credeva ai
propri occhi: quando
aveva scoperto quel passaggio le era sembrato di toccare il cielo con
un dito,
potendosi permettere di spiare da lontano uno dei suoi idoli di sempre
– “Vive nel palazzo dietro
il tuo, papà!” –
ma trovarsene un altro davanti, a distanza ravvicinata, era decisamente
più di
quello che avesse mai sperato. Frank l’aveva fissata, lei
aveva fissato lui, e
poi la strada e le troupe, gli aveva sorriso e gli aveva chiesto se
“voleva un
passaggio”.
Adocchiando
la scala dall’altro lato del locale cantina, Frank si
arrampicò, ora, tenendosi
al corrimano arrugginito; i passi rimbombavano sui gradini di metallo,
si fermò
sul pianerottolo e saggiò la porta per assicurarsi che fosse
aperta. Quella
fece un rumore tutt’altro che piacevole ma si
spalancò appena lui la spinse.
Gerard
ci mise un pezzo ad andargli ad aprire. Frank si stava spazientendo in
fretta
ed aveva trovato un gioco interessante nel staccare pezzi di intonaco
intorno
al campanello d’ottone dorato, quello che recitava
“Way” in caratteri eleganti
che parevano da libro stampato. Gerard aprì la porta per
fissarlo perplesso e
sporgersi poi a guardare mentre ancora Frank reggeva l’ultimo
pezzetto
d’intonaco color pesca tra le dita.
-Hai
finito di distruggermi casa?- domandò il cantante,
passandosi stancamente una
mano sulla faccia e tra i capelli.
Sembrava
si fosse appena alzato, Frank registrò la cosa e
scrutò l’orologio mente lo
seguiva dentro.
-Sono
le quattro del pomeriggio!- esclamò.
Gerard
lo fissò sollevando un sopracciglio ed entrò in
cucina puntando la macchinetta
del caffè.
-Sì,
direi di sì. Quindi?
-Dormivi?
Di nuovo? Ieri non hai fatto altro!- notò a mo’ di
rimprovero.
-Tanto
non ho nulla da fare.- commentò asciutto Gerard di fianco al
ripiano della
cucina, portando il caffè alle labbra.
-Potresti
fare qualcosa di più utile!- Gerard gli ricordò
piatto che non poteva neanche
uscire con quell’assedio sotto casa, ma Frank non lo stava
ascoltando e
proseguì imperterrito.- Potresti disegnare, ad esempio!
Non
era un’affermazione casuale.
Anche
se lo sapeva Gerard non poté impedirsi di reagire a quel
modo. Anzi, forse
proprio perché sapeva che quella di Frank non era
un’affermazione casuale reagì
esattamente come fece: con una
risata
sguaiata ed amara che zittì il più piccolo rapida
come un pugno in faccia.
-Non
dire cazzate, Frankie!- lo derise
Gerard scrutandolo di traverso- Io sono il cantante di una delle band
di punta
della Universal, come puoi credere che abbia il tempo per fare qualcosa
di così
inutile come disegnare?-
sibilò
avanzando verso il tavolo. Si lasciò cadere pesante su una
delle sedie ed
appoggiò la tazza di fianco a sé.- Pensavo che tu
più di tutti avessi chiaro il
punto, Frank. Non siamo solo macchinette per fare soldi?
Frank
non disse nulla. Sedette silenziosamente dall’altro lato del
tavolo,
continuando a fissare il cantante parlare, il tono sarcastico
sostituito da uno
più profondo e disilluso. Su una cosa Mikey non aveva
mentito affatto: Gerard
Way era morto e sepolto.
-Stamattina,
dopo che sei andato via, ha chiamato Brian per avvisarmi che la
Universal
sta pensando di sciogliere il contratto.-
lo informò stringato.- Faranno leva su non so
che clausola che riguarda i guai con la legge, ma Brian mi ha detto che
il
problema non è solo quello che è successo. Pare
che le prospettive di vendita
del nuovo disco siano decisamente inferiori a quelle del vecchio, il
pubblico
della “Black Parade” non è pubblico al
quale possiamo propinare il nuovo sound,
si aspettavano già di dover moltiplicare il battage
pubblicitario ma stanno
valutando l’impatto che avrà questa storia sui fan
meno fidati.
Mentre
parlava continuava a bere dalla tazza accanto a sé. Frank si
accorse di una
smorfia poco piacevole che gli tirò la faccia mentre mandava
giù l’ennesimo
sorso.
-Quanto
caffè hai bevuto da stamattina?- chiese a bruciapelo.
Gerard
voltò il viso fissando l’oggetto della domanda,
poi scosse la testa.
-Abbastanza
da farmi venire un attacco di gastrite.- ammise con la stessa smorfia,
allentando leggermente i pantaloni che gli stringevano dolorosamente
sullo
stomaco.
-Ed
hai mangiato?
-No.-
Frank si alzò con un sospiro, avviandosi risoluto verso il
frigorifero.- Frank,
che diavolo stai facendo?- lo interrogò Gerard mentre lo
seguiva con la coda
dell’occhio.
-Cucino!-
annunciò allegramente l’altro.
-…tu?-
chiese preoccupato lui.- Tu non sai cucinare!-
“Stronzo!”- No, sul serio,
Frank! La tua cucina è in grado di uccidere! Se gli Stati
Uniti sapessero della
sua esistenza ti classificherebbero arma chimica…-
continuò imperterrito
tirandosi in piedi per andargli dietro e fermarlo prima che fosse
troppo tardi.
-L’hai
finita?!- sbottò Frank riemergendo dal frigo e guardandolo
storto.- Vaffanculo,
Gerard! Se non ti sta bene, muori di fame!
-Modera
i termini, coglione! Guarda che non te l’ho mica detto io di
cucinare!- ritorse
lui altrettanto stizzito.
-E
allora non cucino!- concluse Frank mandando il portellone del frigo a
chiudersi
con uno schianto.-Vestiti, usciamo.- ordinò subito dopo.
Lì
per lì si aspettò un pugno, vero
stavolta,
perché Gerard aveva proprio la faccia di quello che stava
valutando la
possibilità di metterlo al suo posto a suon di cazzotti.
Beh, se la sarebbe
cercata. Affondò le mani in tasca e sporse in fuori il muso,
arrogante, quasi
chiamandoselo quel pugno con aria di sfida evidente. Gerard lo
fissò un attimo,
soppesandolo con quell’occhiata, poi sbuffò un
sospiro – ma a Frank parve
proprio che se la ridesse sotto i baffi – e gli
girò le spalle.
***
A
Sarah quasi venne un colpo a vederli riemergere assieme dalla porta
dello
scantinato. Suo padre era passato di lì almeno tre volte in
due ore ed era
stato tutto un susseguirsi di: “Sarah, cosa diavolo ci fai
nel sottoscala, esci
subito!”, “Ora arrivo, papà!”,
“La
Sig.ra Whelland
si è già lamentata
quattro volte questa settimana per averti trovata dentro il
portone!”, “La
Signora Whelland
è una vecchia
rompisca…”, “Sarah!”.
Su
quell’ultima invocazione la porta dello scantinato si
aprì e Frank ne riemerse,
un pezzo alla volta, cominciando dalla testa e dal cappuccio della
felpa
grigia.
-Sarah!-
esclamò anche lui. Soffocando subito quella parola dietro la
mano quando lei si
voltò di scatto sibilando uno “shhhh!”
sconvolto.- Scusa.- sussurrò ancora e
lei annuì, si guardò attorno circospetta per
essere certa che il padre non
tornasse a vedere cosa succedeva e poi gli fece cenno di uscire in
fretta.
Frank
non se lo fece ripetere, uscì dalla porta e
lasciò il passaggio libero per una
seconda persona, che Sarah focalizzò solo dopo qualche
istante.
-Ehm…ciao…-
salutò il nuovo arrivato, a disagio.
A
quel punto lei si appese alla spalla di Frank per essere certa di non
svenire.
-Te
lo avevo detto che in qualche modo mi facevo perdonare!- ci
scherzò lui
ridendo.
-…uccidendomi?-
sussurrò Sarah in tono vago.
Nota di fine capitolo:
Non sono morta!
Anche se il lavoro,
l’acquisto della mia prima casa (*-*) e tanti altri disastri
piccoli e grandi
hanno cercato seriamente di uccidermi XDDDD
Però sono sopravissuta.
E lo sono anche al mio primo meraviglioso concerto dei MyChem!
Un’esperienza
strabiliante, che mi ha riempito di ulteriore amore per questa band e,
sopra
ogni cosa, per il suo cantante e che mi ha convinta che questa storia
aveva
“oziato” anche troppo…
Quindi, vediamo di
portarla in porto!
E spero che continui a
piacervi!
MEM
|
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Capitolo 6 *** Safe and sound ***
Safe
and sound
And all my
hopes and
dreams
Aren't
for anyone
I
keep them safe and sound
And
hope this picture is
Not
yours anymore
But
can you hear me now?
The
dead stop dreaming
I’ll
set ablaze this life
Your
shadow keeps me bright
So
try and stop me
Or
suffocate this light
Because
I can burn all night
Until
my heart stops beating
You’ll
never hear me say
I'm
backing down
If
I say,
Its
lost its meaning
If
I can’t find my way
It’s
over now
But
I won't
Walk
away
“Safe and sound”
G. Way e K. Himuro
“Final Fantasy Advent Children
Complete Soundtrack”
-È
stato molto crudele da parte tua. Smettila di ridere! è
stato crudele davvero,
Frank. Quella poveretta stava per sentirsi male sul serio
e…Mi stai ascoltando?
-Sinceramente?
No. All’incirca da quando siamo usciti dal portone.
Gerard
sospirò. Avevano camminato per mezz’ora buona, a
passo anche piuttosto
sostenuto, Frank era una delle poche persone che conosceva che riusciva
a
ridere e…correre senza
rimanere a
corto di fiato. O di energie. Era una cosa di lui che lo aveva sempre
divertito.
Il
fatto è che Frank era una delle poche persone che conosceva
che riuscivano a
trovare sempre e comunque “un motivo per riderci
su”. Magari quello gli era
anche un po’ mancato negli ultimi due anni.
Sospirò, non riusciva ad essere
davvero arrabbiato. Eppure da quando avevano lasciato Sarah –
e ce n’era
voluto! quella piccola peste sembrava davvero sul punto di collassargli
davanti, Gerard non si era mai sentito così a disagio in
vita propria! – Frank
non aveva fatto altro che prenderlo in giro con una
familiarità così inusuale
tra loro…almeno nell’ultimo periodo delle loro
vite.
-Dove
stiamo andando?- chiese Gerard quando realizzò che in quella
mezz’ora di strada
non si era ancora informato sulla loro meta.
-Ah,
in un posto.- rispose Frank facendo il vago.
Il
cantante sospirò più forte, stavolta spazientito,
e cambiò bruscamente rotta,
obbligando anche il più piccolo a piantare una frenata al
centro del
marciapiede, inciampando maldestramente nel primo distinto passante in
giacca e
cravatta che veniva loro incontro.
-Ragazzino,
attento a dove metti i piedi! - strepitò quello.
-Mi
scusi, mi scu…Ehi! Ragazzino
a chi,
stronzo?!
Gerard
lo recuperò per la collottola prima che Frank gli si
gettasse al collo e si
scusò con l’uomo.
-Tenga
a bada suo fratello!- lo rimproverò il tizio incravattato.
-Sì,
beh, ci provo, ma lui fa un po’ quello che gli pare.
È come un animale
domestico.- commentò Gerard con un sorriso di circostanza.
-“Animale
domestico” lo dici a quel cretino del tuo vero
fratello, Way!- protestò Frank quando ripresero a
camminare affiancati
nella nuova direzione scelta dal cantante.- E poi si può
sapere dove cazzo stai
andando tu adesso?!
-Ho
fame.- annunciò Gerard. Inforcò gli occhiali
scuri, calcò il cappellino che
portava sulla testa e s’infilò nel primo fast food
che trovò.
-Non
lì, assassino e cannibale!- sentì provenire dalle
sue spalle.
Chiuse
la porta in faccia al chitarrista e si fece strada fino al bancone.
La
ragazza dietro la cassa era bionda, carina, un tipino acqua e sapone
con i
capelli raccolti in una coda ordinata, la faccia da brava ragazza ed un
sorriso
dolcissimo sul viso.
Gerard
si rese conto che su una cosa Frank ci aveva preso in pieno: aveva un
disperato
bisogno di vedere altri esseri umani. Bastò che lei gli
alzasse in faccia due
occhioni azzurrissimi e che la sua vocetta gentile gli chiedesse cosa
voleva,
perché Gerard si sentisse sgravato del peso di quei tre
giorni infernali.
Le
sorrise anche lui, togliendosi pure gli occhiali per risponderle ed al
diavolo
la possibilità di farsi riconoscere! Non sarebbe morto per
due autografi in
più.
Quando
uscì dal locale trovò Frank ad aspettarlo, seduto
su un idrante e con l’aria
scazzata. Ridacchiò, addentando con gusto il proprio
hamburger, e lui tirò
fuori una faccia schifata che lo fece morire dal ridere, tanto da
rischiare
seriamente di strozzarsi con il boccone. Frank gli batté
premurosamente sulla
schiena - prendendoci gusto a tirargli sberle!
– e poi si abbassò a controllare che respirasse,
mentre Gerard, piegato in due,
riprendeva fiato a respiri corti ed ansanti.
-Questa
è la punizione divina.- commentò il
più piccolo cattivo.
-No,
questo sei tu che sei uno stronzo!- ritorse l’altro a fatica.
Ma quando Frank
lo mandò al diavolo ed invertì nuovamente la
strada per tornare da dove erano
arrivati, Gerard sbraitò un insulto a caso e lo
seguì.- Però il panino lo
finisco, che ti piaccia oppure no!- gli gridò dietro.- Ne
vuoi un po’, Frankie?
Non
che si aspettasse di meno di un medio alzato in risposta.
***
-Ti
ho già detto che sei uno stronzo?
Avrebbe
avuto voglia di rispondergli di “sì”.
Sia perché effettivamente non gli
ripeteva altro da ore, sia perché sì –
appunto – Frank era stato uno stronzo.
Ed anche uno di quelli seri.
Invece
non lo fece, non gli rispose “sì” e, per
la verità, non gli rispose affatto.
Cazzo.
Non pensava che guardarlo in faccia in quel momento sarebbe stato
così
complicato, Gerard fissava la porta del negozio come se stesse
guardando la
bocca dell’Inferno e la sua espressione era la stessa
identica di un condannato
a morte.
Di
sicuro quello era un
fottutissimo supplizio…
-Dai,
non farla tanto lunga!- lo rimbeccò comunque il chitarrista,
rivestendosi di
una strafottenza che non sentiva per nulla ma che gli era
indispensabile per
fare quello che doveva.- È solo un negozio! Mica ti ingoia!-
lo derise
spintonandolo in avanti con una risata sarcastica.
Gerard
si piantò saldo al terreno, tanto che a Frank parve di
prendere a manate un
muro. La rabbia con cui l’altro lo guardò per un
momento gli fece diventare il
sangue ghiaccio liquido. Merda.
-Beh,
io vado lì dentro.- affermò secco Frank,
infilando le mani nelle tasche dei
jeans e ricambiando quell’occhiata.- Se pensi di non farcela,
ci si vede a
casa.- lo sfidò.
Stava
giocando sporco, merda, stava giocando sporchissimo!
Ascoltò
il suono del campanello sulla porta come se fosse stato il segnale
d’ingresso
in un mondo diverso, parallelo. Dentro il negozio di fumetti
c’era silenzio,
colore, odore di carta e di plastica nuove. A parte lui
c’erano solo altri tre
ragazzi ed il negozio era abbastanza grande perché non si
dovesse stare tutti
uno addosso all’altro, lo apprezzò. Stava
girovagando naso all’insù, verso gli
scaffali della Marvel, quando il suono del campanellino ruppe a
metà il
discorso che il proprietario del negozio ed uno dei tre ragazzi stavano
facendo, qualcosa sui nuovi episodi di Star Wars – nemmeno se
li ricordava i
nuovi episodi di Star Wars! – Frank non ebbe bisogno di
girarsi per indovinare
di chi fosse la presenza che gli si era avvicinata in un silenzioso
rancoroso.
L’astio che avvertiva era così concreto che se si
voltava avrebbe toccato
quello prima ancora di Gerard, quasi fosse una barriera fatta di odio
che
avevano drizzato tra di loro.
Sfilò un volume
dal raccoglitore che recitava
“X-man” sulla targhetta.
-Lo
hai letto questo?- s’informò in tono pratico,
facendo vedere la copertina
colorata all’altro di fianco.
Gli
rispose un silenzio più lungo e più pesante, si
girò per cercarsi da solo le
risposte che non arrivavano e Gerard ricambiò la sua
espressione di attesa con
la propria ferocia.
-…che
cazzo di domande idiote fai?- scandì a voce bassa e lenta.-
Lo sai che li ho
letti tutti.
Frank
lo sapeva, infatti.
-Beh,
io no.- commentò con leggerezza. Prese a sfilarne degli
altri, senza senso e
senza ordine. Gerard lo guardava, ogni tanto Frank gli gettava
un’occhiata per
assicurarsi che fosse vivo e respirasse ancora, ma quello sembrava
comunque e
sempre sul punto di mettersi ad urlare. E non urlava ancora. Non
ancora, non
ancora, non ancora…- Che dici? visto che li conosci
così bene potresti darmi un
consiglio.- suggerì.
Gerard
deglutì a fatica.
-…sei
fuori di testa…Frank?
-No,
io no.- sputò lui breve e deciso.- Tu invece sì.
Di sicuro non sei la persona
che conoscevo, Gerard, non quella che reputava questi – ed
alzò i volumi che
reggeva tra le mani – il suo vero sogno. Perché
quando ti ho conosciuto io la
band non era che una delle cose, Gerard Way ne aveva talmente tante ed
era
talmente pieno di quelle cose che non riusciva a stare un attimo zitto.
Mi ci
hai riempito la testa pure a me, sai.- aggiunse con un sorriso triste.
Ricacciò
al loro posto i fumetti, mettendoli dentro con cura per non sgualcire
le
copertine, ed intanto continuava a parlare- La band era una,
è vero, Gerard, ma
cazzo! quando ti vedevo seduto a disegnare mi sembrava che potessi
isolarti dal
mondo intero, che solo in quel momento fossi davvero felice come non
eri
nemmeno sul palco. Era una dimensione tutta tua, che credi? che non ce
ne
accorgessimo, noi altri, che ci chiudevi fuori? Come diavolo hai fatto
a
perderti una cosa così, Gee?
Ma
gli rispose ancora e solo il silenzio. Sospirò. Voltando le
spalle e
guardandosi attorno, il proprietario ed il tizio che parlavano di Star
Wars
erano passati a parlare di fumetti, avevano alzato il tono di voce
progressivamente ma Frank non riusciva a sentirsene infastidito,
ridevano e
sembravano così entusiasti di quello che stavano
facendo…
Qualcosa
gli urtò il braccio con un colpo leggerissimo,
abbassò gli occhi per vedere ciò
che Gerard gli stava porgendo, senza guardarlo. Frank prese in
automatico il
fumetto dalle sue mani.
-La
band era di tutti. Era questo che mi faceva pensare fosse
più importante.
Almeno finché non mi hai fatto capire che per te non era
così.
***
Brian
guardò prima Ray e poi Mikey: nessuno dei due sembrava
davvero convinto di ciò
che stavano per fare e lui non aveva difficoltà a capire il
motivo di quella
loro insicurezza. Di solito erano Frank o Gerard quelli che
affrontavano da
soli le interviste, di solito erano loro quelli preparati a parlare a
ruota di cose non preventivate
prima. Ed invece,
stavolta Gerard e Frank manco ci sarebbero stati lì, con
loro, a Ray e Mikey
sarebbe toccato prendersi un po’ delle
responsabilità degli altri due e caricarsele
addosso, resistendo al fuoco incrociato di una conferenza stampa
spinosa. Si
grattò la testa. Forse aveva sbagliato
valutazione…magari dare la possibilità
ai diretti responsabili di parlare e spiegare le proprie ragioni
sarebbe stata
la soluzione migliore.
Ray
intercettò le sue perplessità voltandosi a
guardarlo e gli sorrise
incoraggiante.
-Che
sarà mai, Brian!- esclamò fiducioso.- Li
conosciamo i giornalisti, no?
-Uhm.
-Non
fare quella faccia!- insistette l’altro ridendo.
-No,
ma che faccia!- lo rintuzzò Brian sbrigativo.- Mikey?-
s’interessò subito dopo,
visto che il più piccolo restava zitto, mani in tasca,
fissando la gente
assiepata nella saletta preparata per la conferenza.
Il
Way minore lo guardò di sbieco, senza riuscire nemmeno a
fingere un po’ della
tranquillità che Toro ostentava.
-Sono
o.k.- mentì comunque.
-Beh,
cerca solo di non perdere le staffe se dovessero dire qualcosa
di…poco
carino…su tuo fratello.- consigliò Brian.
-Se
loro non lo dicono è meglio.- ribatté Mikey con
un tono che all’altro non
piacque affatto.
-Se
non ve la sentite…- provò a suggerire.
-Cosa?-
lo zittì rapido il bassista voltandosi del tutto stavolta,
per affrontarlo bene
faccia a faccia.- Mandi a monte l’intervista così
la Warner dovrà solo
stringere per passare sui nostri cadaveri?- gli chiese breve e secco.-
Noi ci
abbiamo sputato il sangue per questa band, Brian, e tu lo sai meglio di
chiunque altro. Ed io non lascerò che tutto vada al diavolo
per una stronzata
fatta da un fan.
-Da
tuo fratello.- lo corresse duro Brian.
-Da
un fan.- ribadì asciutto Mikey.- Perché se al
posto di Gerard ci fossi stato
tu, o io, o Ray o chiunque altro di noi, avrebbe fatto la stessa cosa.
-Sì,
ma…
Mikey
sorrise, in un modo storto e disilluso che non gli apparteneva affatto
ma che veniva
su dal repertorio preferito dell’altro dei fratelli Way;
Brian si rese conto
per un momento di quanto quei due si somigliassero al di là
delle differenze
evidenti.
-Non
preoccuparti, ai giornalisti questo non lo diciamo.- promise Mikey
ironicamente.
Brian
provò ad intervenire ancora, ma fu Ray stavolta a mettergli
una mano sulla
spalla e tirarselo vicino, mentre il ragazzo più giovane
tornava a scrutare le
teste oltre il fondale con il logo “My Chemical
Romance” in rosso su nero.
-Accontentati.-
disse il chitarrista.- Sia perché sai che è vero,
sia perché è giusto così. Non
puoi chiederci di biasimare Gee, noi siamo sempre stati una cosa sola,
Brian,
tu lo sapevi quando ti sei preso il compito di aiutarci. Adesso fai
parte del
gruppo, quindi accontentati. Staremo alle regole del gioco solo
perché questa
cosa è più importante e noi faremo di tutto per
difenderla, per tutti noi, ma
non chiederci di condividere l’opinione di quella gente.
-Ray!-
si lamentò il manager sconsolato.
Lui
scosse la testa. Poi sorrise, per davvero stavolta.
-Sai…in
realtà era un pezzo che non eravamo così insieme
come in questa storia. Magari saremmo dovuti scendere anche
io e Mikey da
quel palco a fare a pugni.
-Magari!-
commentò divertito il bassista voltandosi a scambiare
un’occhiata d’intesa con
il compagno di band.
Brian
non rispose nulla. Si disse che almeno sembravano entrambi
più rilassati.
***
Alicia
accese la
TV.
Davanti
a lei, in un colpo di luce, apparve l’immagine sorridente e
serena di Mikey,
poi il sonoro e la voce tranquilla e modulata che spiegava con pazienza
ad uno
dei giornalisti che “sì, Gerard era davvero molto
dispiaciuto di quello che era
successo. E così anche Bob e Frank”. Uno
spiacevole incidente, così lo aveva
classificato suo marito, confortato dalle parole di Ray al suo fianco.
I due si
scambiavano sguardi e sorrisi mentre parlavano, cercando
nell’altro l’appoggio
che non trovavano nella platea sotto di loro.
Qualcuno
insistette: perché non erano stati i diretti interessati a
venire a chiedere
scusa? Ray rispose sinceramente, la casa discografica riteneva non
fosse ancora
il momento per loro di rilasciare interviste ma la posizione dei My
Chemical
Romance su quello che era successo era – come
sempre – comune, quindi loro esprimevano lo stesso
pensiero di Gerard,
Frank e Bob.
Alicia
sospirò. Sul tavolino accanto al divano il cellulare che
Mikey aveva lasciato a
casa s’illuminò e vibrò leggermente.
Lei posò il telecomando sul divano e si
spostò a prendere il telefono, il display segnalava un nuovo
messaggio da
Frank. Lo aprì: “Mi
dispiace”. Sorrise.
A Mikey avrebbe fatto piacere leggerlo quando fosse tornato.
Abbassò
il volume della televisione e tornò a ciò che
stava facendo. In camera da letto
aveva disfatto la valigia del marito, ammucchiando i vestiti alla
rinfusa tra i
cuscini e spalancando armadio e cassetti per rimetterli a posto.
Cominciò a
piegare magliette e camicie.
Lei,
per assurdo, si sentiva la persona meno indicata del mondo per vivere
quello
che stava succedendo. Era la ragazza di Mikey da…aveva perso
il conto – rise.
Ma non credeva che questo giustificasse la sua presenza in quel
momento. In
quei tre anni di matrimonio lei e Mikey avevano vissuto in un bozzolo,
si
adoravano al punto da aver potuto dimenticare ogni cosa fosse
all’esterno di
quel mondo ideale. Era stato abbastanza difficile per Michael ritornare
di
colpo alla realtà quando Frank aveva annunciato a tutti che
sarebbe andato via,
lei più di chiunque altro aveva dovuto capire quanto a fondo
potessero essere
arrivate le parole del chitarrista.
Mikey,
chiaramente, aveva nascosto tutto dietro i suoi “quel
bastardo sta facendo
soffrire mio fratello come un cane!”, ma lei lo vedeva bene
che, in realtà, a
soffrire come un cane era anche lui. E non solo perché
quella storia gli aveva tolto
Frank – e Frank era comunque il suo migliore amico!
– ma perché gli aveva tolto
anche Gerard. Da allora, da quando erano tornati dal Project, Gerard
era
cambiato. Si era allontanato così tanto da tutti loro da
sembrare quasi
inaccessibile. Prima avevano pensato che fosse Lyn-z, in fondo erano
appena
sposati, ci stava che volessero vivere assieme, solo loro due. Poi
avevano
capito che lei non c’entrava, si erano accorti che Gerard non
sorrideva più,
non scriveva più. All’improvviso era una pianta
senza fiori e senza frutti, un
albero sterile al centro di un giardino costoso – ciò che i MyChem erano diventati
– ed era stato fin troppo facile –
per Mikey più di tutti – associare quel dolore al
tradimento di Frank.
-E
la crisi all’interno della band? Girano voci che vi
scioglierete ancora prima
che il tour riprenda.
Dalla
televisione Mikey rispose, controllando il tono di voce.
-Noi
non siamo mai stati in crisi.- mentì disinvolto.
Alicia
non sapeva se fosse vero, se Gerard avesse smesso di vivere per colpa
di quel
sogno andato in fumo. Era uscita la storia di Lindsay e Jimmy, era una
giustificazione in fondo, no? Brian che diceva a tutti che dovevano
tornare in
sala di registrazione, i ragazzi che si stringevano attorno a Gee per
fargli
sentire che non era solo comunque, Frank che tornava ed era un estraneo
per
tutti loro… Alicia si ricordava della cena che Jamia aveva
preparato per
salutare quel ritorno del gruppo, Ray e Bob avevano stretto la mano di
Frank
con freddezza. Gerard e Lyn-z nemmeno c’erano. Mikey non
aveva guardato
nessuno.
Lei
aveva abbracciato Frank, ed era freddo e rigido nel suo abbraccio
proprio come
Gerard.
-Bentornato
a casa.- gli aveva detto.
Lui
aveva sorriso, ma lei non era riuscita a riconoscerlo comunque.
Dal
salotto una giornalista petulante chiese a Mikey se fossero vere le
voci che volevano
il figlio che Lyn-z stava aspettando come figlio di un
altro. Ebbe la decenza di non specificare, ma la risatina che
le
sfuggì in ogni caso era sufficiente a far provare un brivido
ad Alicia, non le
ci volle molto ad immaginare cosa stava provando Mikey. Lui ci mise un
po’, la
voce uscì sforzata stavolta.
-Non
c’è nulla di vero. Gerard amava sua moglie ed era
ricambiato e lei aspettava il
loro primo figlio.- sussurrò in tono basso e sofferto.
Ray
doveva avergli posato una mano sulla spalla. Alicia sapeva che da quel
momento
in poi avrebbe risposto lui a tutte le domande, non avrebbe permesso
che
torturassero ancora Mikey. Lo sapeva, perché sapeva come
funzionavano le cose
tra loro.
Per
questo non aveva potuto fare altro che abbracciare Frank quella sera.
Qualunque
cosa fosse successa, lui era uno di loro e scendendo da quel palco
dietro a
Gerard lo aveva soltanto ricordato a tutti.
Il
telefono di casa squillò. Alicia appese la stampella con
l’ultimo paio di
pantaloni, chiuse l’anta dell’armadio e
tornò in salotto, alla televisione
c’era una VJ che non conosceva che presentava una
trasmissione nuova, spense
prima di aprire la comunicazione.
-Pronto?
-Ciao,
Aly. Come va, tesoro?
Sorrise.
-Ciao,
Mikey.- rispose dolcemente.- Dovrei fartela io questa domanda.
-Mi
hai visto?
-Più
che altro, sentito.- ammise lei.- Però eri molto carino!-
commentò
allegramente.
Mikey
rise, sembrava stare bene. Alicia si appuntò di ringraziare
Ray ma, siccome
c’erano veramente troppi motivi per cui farlo, sapeva che non
ce ne sarebbe
stato alcun bisogno. Magari poteva preparare una crostata, ma Christa
era
sempre stata più brava di lei in cucina! Rise di se stessa.
-Che
c’è?- le chiese suo marito.
-Pensavo
che sono una moglie pessima!- ammise divertita.
-Non
è vero!- protestò lui.
-Ti
è arrivato un messaggio da Frank.- lo avvisò
Alicia.- Dice che gli dispiace.
A
Mikey non serviva altro per capire di cosa parlasse. Anche se non
poteva
vederlo, Alicia se lo immaginò stringersi nelle spalle ma
sorridere felice.
Sorrise anche lei.
-Non
è stato così terribile.- sminuì Mikey.
-Ah,
dillo a lui! In ogni caso, sei stato talmente bravo che tuo fratello ti
costringerà a farlo più spesso, vedrai!- lo prese
in giro.
-Ti
prego.- sospirò lui affranto.- Lo ha già detto
Brian.
Alicia
rise ancora.
-…che
dici?- gli chiese poi.- La organizziamo noi, stavolta, una cena per il
ritorno
della band?
Nota
di fine capitolo
della Nai:
Solo
per ringraziarvi
tutti – e soprattutto i nostri cinque (qui lo sono ancora!)
“eroi”!
MEM
|
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Capitolo 7 *** Give'em Hell, kid! ***
Give’em Hell, kid!
If you were here I'd never have
a fear.
So go on
live your life.
But I miss
you more than I did yesterday.
You're
beautiful!
Well I'm a
total wreck and almost every day.
Like the
firing squad or the mess you made.
Well don't I
look pretty walking down the street.
In the best
damn dress I own?
If you were
here I'd never have a fear.
So go on
live your life.
But I miss
you more than I did yesterday.
You're so
far away.
So c'mon
show me how.
'Cause I
mean this more than words can ever say.
“Give’em Hell,
kid”
My Chemical Romance
“Three Cheers for a
Sweet Revenge”
Frank promise a Jamia di non
metterci molto. Lei annuì, per nulla convinta. Poi lui
chiuse la portiera,
infilò le chiavi dell’auto nella tasca della
giacca e corse dall’altro lato
della strada.
Girò attorno all’isolato, davanti
al portone di Gerard la strada era libera ma lui passò
comunque sul retro e
cercò da lontano la palazzina dove lavorava il padre di
Sarah. La ragazzina era
lì come sempre, immersa nella lettura di un libro di storia
contemporanea, lui
le si fermò davanti sorridendo e la chiamò:
quando alzò gli occhi, si illuminò,
felice, nel riconoscerlo.
-Ciao. Ti ho portato una cosa.-
cominciò Frank cercando nell’altra tasca.- Per
farmi perdonare davvero,
stavolta.- scherzò.
Sarah scese a due a due i gradini
d’ingresso, raggiungendolo fuori dal cancelletto esterno.
-Farti perdonare?- chiese.- Ma se
io sto chiaramente vivendo un sogno!- esclamò raggiante.
Frank si strinse nelle spalle e
le allungò un cd anonimo in una custodia trasparente, sopra
non c’era scritto
nulla e lei lo fissò interrogativa.
-Cos’è?- gli chiese.
Lui ridacchiò.
-Una sorpresa.- rintuzzò la sua
curiosità.- Fidati, ti piacerà.
Lei accettò il regalo e lui
affondò le mani dentro i jeans e la guardò
dondolandosi sui talloni, indeciso
su come affrontare la cosa. Sarah lo capì anche senza che
parlasse che quello
era un addio, sorrise triste ed abbassò gli occhi fissandosi
la punta delle scarpe
rosa.
-Vi hanno lasciati in pace, eh?-
disse dopo un po’.
Lui annuì, con una smorfia che la
fece ridere.
-Sì. Brian sa come gestirsi i
giornalisti, credo abbia fatto capire loro che non avrebbero cavato
nulla di
più di quello che gli abbiamo dato.- rispose.- Si sono
dovuti accontentare di
Mikey e Ray.
-Sono stati molto bravi!- affermò
lei, orgogliosa come fossero stati amici suoi.
Frank rise e pensò che era
davvero carina, dispiaceva anche a lui rinunciare alla sua…amicizia? Brian era sempre stato molto
categorico sullo spazio per
i fan dopo che erano diventati famosi, e loro avevano imparato
piuttosto in
fretta che era una necessità quella di non dare eccessiva
confidenza.
Questo, però, non pareva
sufficiente a non fargli provare un po’ di tenerezza per
quella ragazzina con
l’aria da bambina che lo guardava con un misto di ammirazione
ed affetto. Avrebbe
voluto dirle che si sarebbero rivisti tutte le volte che voleva, magari
darle
pure il proprio numero. Alla fine si disse solo che andava bene
così.
-Ehi.- la chiamò dandole un
buffetto sulla guancia, e lei arrossì appena e lo
guardò.- Fatti vedere al
prossimo concerto, così ti presentiamo gli altri.- le
promise.
Sarah rise.
-E poi dai!- insistette lui
allegramente.- Quell’altro
sta
proprio qui dietro! Basta che fai il giro dell’isolato e te
lo ritrovi che
torna a casa con le buste della spesa!
-Dio, Frank, che immagine!-
sbuffò lei affondando il viso tra le mani in preda
all’imbarazzo.
Lui ridacchiò, scompigliandole i
capelli già arruffati.
-Io vado,- disse solo. “Mmmh”,
bofonchiò lei mordendosi le labbra.- ci si vede in giro,
piccola.
Nel salire le scale della
palazzina di Gerard aveva ancora l’immagine di Sarah - che tornava in silenzio a sedersi sul suo gradino,
l’ipod già in mano
ed una cuffia tra le dita – a ronzargli nella testa
e dirgli che magari non
proprio tutto quello che avevano fatto ed ancora facevano era inutile.
Era un
po’ che non gli succedeva, ma aveva voglia di suonare.
Sorrise, allungò un dito e
premette il campanello.
Gerard gli aprì, ed il suo primo
pensiero cosciente nel vedere Frank fu “cosa
cazzo ha da sorridere a quel modo?!”;
inghiottì il rigurgito di bile che
gli salì dallo stomaco e sostituì
l’espressione perplessa con una scazzata,
mentre voltava le spalle al chitarrista e tornava ad immergersi
nell’appartamento, la tuta ancora addosso, una maglietta
indecifrabile ed i
capelli bagnati.
-Non sei ancora pronto?!- lo
raggiunse la voce di Frank, alterata.
Sentì la porta chiudersi e non si
degnò di voltarsi, mettendo piede sul primo gradino della
scala per tornare al
bagno al piano di sopra.
-È una cena a casa del mio
fratellino, non lo vedo da ieri, devo essere bellissimo.-
elencò asciutto.
Frank sospirò, scosse la testa
rassegnato e lo guardò allontanarsi. Mentre il rumore del
phon e la voce di
Gerard – stava
canticchiando…?! – lo
raggiungevano al piano di sotto, lui si mise a girovagare per la casa
alla
ricerca di un punto da cui poter guardare giù in strada.
Entrò in studio,
arrivò di fronte alla finestra verandata e si
affacciò: l’auto nera era ancora
ferma dall’altro lato, accostata al marciapiede, dal
finestrino abbassato vide
che Jamia aveva tirato fuori una rivista e leggeva, dondolando la testa
a tempo
di musica mentre ascoltava la radio. Tornò dentro,
voltandosi ad ispezionare la
stanza; non era cambiato nulla dall’ultima volta, salvo che
sulla scrivania
qualcuno aveva spostato la tastiera del pc e c’era un foglio
– che sembrava bianco da
lì – abbandonato
accanto ad un paio di portamine rossi e blu e a due gomme rovinate.
Frank sentì il cuore mancare un
battito.
Uno solo.
Fu per quello che si avvicinò,
perché un po’ sperava che il foglio fosse bianco
davvero – ed un po’
no…proprio come la sensazione di rivolere una chitarra sotto
le dita – ma per scoprirlo aveva bisogno di farlo
piano, perché rimettere
tutto a posto in una volta sola poteva essere semplicemente
troppo…
-Ma che accidenti stai combinando?!
La voce di Gerard lo fece
trasalire. Si voltò di scatto, “pescato con le
mani nella marmellata!” pensò, e
poi si diede mentalmente dello scemo perché non gli sembrava
di stare facendo
nulla di che. Infilò le mani in tasca ostentando la
sfacciataggine dei
ragazzini impudenti.
Una cosa che aveva sempre avuto,
in realtà, ed a Gerard faceva anche un po’ ridere,
proprio per questo decise di
non dire nulla e si affrettò a girarsi per non fargli vedere
lo sbuffo di
sorriso che aveva in faccia.
-Smettila di infilare il naso nei
cazzi miei ed andiamo! – lo riprese quando fu certo di poter
suonare
convincente – Poi dici che sono io a fare tardi!- si
lamentò petulante
avviandosi verso la porta di casa.
Frank non lo seguì subito.
Nonostante tutto il suo sguardo
tornò a posarsi sul foglio che no, non
era affatto bianco, ed un viso di ragazzino – o di ragazzina?
– che somigliava
incredibilmente a Lindsay ed aveva il sorriso che Gerard aveva perso da
tempo, gli
ricambiò quell’occhiata curiosa.
Gerard camminava davanti a lui,
veloce e nervoso, si stava ancora lamentando di qualcosa ma Frank aveva
smesso
di ascoltarlo; quando il cantante si spostò per lasciargli
spazio davanti la
porta ed uscire, lui lo aspettò sul pianerottolo.
-Ascolta bene, tu!- lo rintuzzò Frank
con un sorriso a metà.- Vietato fare lo stronzo se non vuoi
che ti lasci a
piedi!- minacciò mostrando le chiavi dell’auto
all’altro.
-Tu, invece, puoi?- lo rimbeccò
sarcastico Gerard, andandogli dietro verso le scale.
-Io, invece, posso.- confermò
arrogante Frank.
Gerard scosse la testa
ridacchiando ma il chitarrista non lo vide perché ce
l’aveva alle spalle. Più
che altro intuì il sorriso quando vide il bruno avvicinarsi
all’Hammer ed
affacciarsi a salutare Jamia con una serenità tranquilla che
lui non si
aspettava affatto. “Ciao, Jam, è un sacco che non
ci si vede”, “Ti trovo bene,
Gee!”. Le portiere che si aprivano, la musica che veniva
abbassata, Frank
ascoltò il rombo del motore quando lo avviò e le
chiacchiere di Jamia e Gerard
quando lei si girò sul sedile per continuare a parlare con
lui.
Sorrise, ingranò la marcia e
sterzò.
***
Il ragazzo era alto ed anche
abbastanza robusto. Non fosse stato per quel viso da ragazzino, con gli
occhi
verdi grandissimi e brillanti ed i capelli tagliati corti e morbidi,
biondissimi, sarebbe stato un uomo fatto.
Era anche piuttosto carino.
Ed a giudicare da quello che
portava addosso non doveva stare messo male nemmeno a soldi.
Sarah lo valutò nel complesso
mentre si avvicinava, lei era seduta come sempre sulle scale del
portoncino con
l’i-pod alle orecchie e la vecchia borsa di tela strabordante
libri di fianco a
sé sul gradino. La Sig.ra Whelland
si lamentava sistematicamente con suo padre perché
le permetteva di stare lì, ma poi non la voleva dentro
– nemmeno nella
stanzetta del custode – e lui non sapeva cosa diavolo farci
con lei al
pomeriggio. Così Sarah rimaneva sulla scala, ascoltava
musica e guardava il
mondo che passava davanti al portoncino.
In questo caso “il mondo” – un ragazzo biondo, dagli occhi verdi,
piuttosto carino – le si fermò davanti.
-Ciao!- le sorrise lui amichevole.
Sarah si chiese se stesse
parlando proprio con lei, uno così non lo conosceva, se ne
sarebbe ricordata!
-…ciao…- mormorò togliendo una
cuffia dall’orecchio e spegnendo il lettore.
-Tu sei Sarah, vero?- le chiese
lui, con una punta di sicurezza in meno. Quando lei fece sì
con la testa, il
sorriso tornò con lo stesso entusiasmo.- Frank mi ha mandato
a portarti una
cosa.- spiegò lui.
-Frank?- domandò Sarah perplessa.
-Sì. Faccio parte dello staff dei
MyChem.- aggiunse il ragazzo, aprì il cancelletto esterno
della palazzina e le
si fece incontro lungo il viale, dal basso della corta scalinata di
ingresso
arrivava proprio alla sua altezza, se lei restava seduta
così sul gradino. Le
porse una mano.- Ethan.- si presentò.
-Sarah.- confermò lei,
rilassandosi un po’ nel sentire il calore piacevole di quelle
dita grandi e
forti.- Lavori davvero per loro?- chiese con curiosità.
Ethan rise.
-Sì!- esclamò.
-Ma quanti anni hai?- indagò lei
leggermente stupita. Non gliene dava più di diciotto scarsi.
Almeno non a
guardarlo in faccia.
-Ventidue.- rispose lui e poi
scosse la testa divertito.- Sembro più piccolo, eh? Tu
quanti ne hai?
-Sedici.- disse.- Senti, ma Frank
è stato qui poco fa e…- aggiunse poi
interrogativa.
-Sì, ma questo – cominciò Ethan
tirando fuori qualcosa dal proprio tascapane, lei vide che era una
copia del
nuovo album dei My Chemical Romance- sono andato a prenderlo io da casa
di Ray,
i ragazzi te lo hanno autografato.- le annunciò porgendole
il cd.
Sarah, nel riconoscerlo, si lasciò
sfuggire un gridolino di gioia che soffocò veloce dietro la
mano mentre lui
rideva.
-Oh, Dio!- saltellò scattando in
piedi e, prendendo il cd dalla sue mani, lo cullò contro il
petto.- Frank è un
angelo!
-Beh, insomma!- commentò Ethan
ironico.- Gli dirò che hai gradito.
-Digli pure che lo amo!
Ethan rise ancora.
-Sei proprio come ti ha descritto
Frank!
-Che ha detto? - chiese lei un po’
preoccupata.
-Dice che sei una strana
ragazzina, che sei simpatica e non ti atteggi a stalker come le altre
fan
impazzite…
-Davvero ha detto così!? Ha detto
che sono simpatica.... - arrossì pensando che era stata dannatamente fortunata.
-In realtà parla un sacco di te
e…
-Sarah!- Lei alzò il viso, dalla
finestra del secondo piano una vecchia signora la fissava con aria di
rimprovero.- Chi è quel ragazzo? Mandalo via o
dirò a tuo padre che ti vedi con
persone poco raccomandabili! E poi entra, che Pussy è
scappato di nuovo e devi
riprendermelo.
Ethan rideva ancora quando la
vecchia rientrò e Sarah abbassò il viso con
un’espressione scocciata.
-La Sig.ra Whelland.- presentò- È
un’arpia e ci credo che Pussy le scappi sempre! Io le
scapperei in
continuazione, per dire!- commentò acidamente.-
…devo andare.- sospirò poi.
-Sì, o.k.- ridacchiò lui. E le
sorrise ancora.- Senti…ti secca se torno qualche volta?
Così, giusto per far
arrabbiare la
Sig.ra Whelland
ed aiutarti a cercare Pussy.- le chiese.
Sarah arrossì, non le era mai
capitato che un ragazzo - un ragazzo!
- per di più un ragazzo di 22 anni! S’interessasse
anche solo minimamente a
lei.
-…uhm…mmh mmh.- mugugnò prima di
scappare dentro.
Ethan la guardò entrare nel
portone continuando a sorridere, lei si richiuse il battente a vetri
dietro le
spalle e lui la sentì chiamare “Pussy! micio
micio”.
Abbassò gli occhi sulla tracolla
di tela della ragazzina, infilato nella tasca interna c’era
il cd anonimo che
Frank le aveva portato un paio di ore prima, l’angolo della
custodia trasparente
sporgeva fuori dalla cerniera. Si abbassò e lo
sfilò con calma, lasciandolo
ricadere nella propria borsa. Poi andò via.
***
-Dai, molla quell’insalata e
vieni a giocare con noi, Gee!
Il cantante lo guardò malissimo,
ma Ray non sembrò accorgersene, impegnato a cercare di
contrastare il Way
minore che, sullo schermo del televisore, stava pestando
felicemente il suo personaggio nell’ultima versione di
“Tekken”.
Gerard si guardò bene dal
commentare - anche perché Ray aveva già smesso di
prestargli attenzione ed era
tornato a concentrarsi esclusivamente sul videogame - posò
di malagrazia la
coppa di vetro al centro del tavolo e sentì suo fratello
indagare sarcastico:
-Cos’è? Hai bisogno di qualcuno
da battere per recuperare in autostima, Toro?!
Gerard scoccò a suo fratello
un’occhiataccia perfino peggiore di quella che aveva rivolto
al chitarrista, ma
anche Mikey non si voltò per accorgersene ed il
più grande ringhiò un freddo “Grazie
tanto, Mikes! anche io ti voglio bene!”, tornando subito dopo
in cucina.
-Gioco io!- si offrì prontamente
Frank.
Con un salto acrobatico superò la
spalliera del divano e piombò accanto a Mikey che lo accolse
con un sonoro
“vaffanculo” quando gli fece perdere un
paio di punti.
-Tu stai lontano dalla mia 360!-
strepitò il bassista senza soluzione di
continuità e senza guardarlo- Non
intendo dovermene comprare una nuova!
-Ancora con questa storia che
sarei un animale analogico, io…- cominciò a
protestare il più piccolo.
-Mi hai distrutto il portatile la
scorsa settimana, Frank.- terminò incolore Ray mentre sullo
schermo atterrava
Mikey e poi cominciava a prenderlo a calci in rapida sequenza.- Perfino
le
ragazze ti hanno detto che devi stare lontano dal forno elettrico!- lo
prese
per il culo.
Gerard - appena tornato in
salotto insieme al cesto del pane - rise. Frank lo guardò di
sbieco e poi
ricominciò a concentrarsi su Ray e Mikey.
-Siete cattivi! Io voglio giocare!-
piagnucolò.-Bob, diglielo tu!- si appellò al
batterista, in piedi di fianco
alla TV.
-Non provarci, Frank, dopo è il mio
turno e vorrei giocare anche io.- lo rimbeccò lui
insensibile alle sue
lamentele.
Jamia
uscì anche lei dalla cucina, portando
altre ciotole ed una bottiglia di vino, gettò
un’occhiata circolare al
gruppetto radunato attorno alla TV e sospirò pesantemente.
-C’è qualcuno di voi altri maschi
– esordì in tono spregiativo –
che sia così gentile da muovere il sedere e venire a dare
una mano? Gerard è
l’unico cavaliere rimasto qui dentro!
-Grazie, Jamia.- si beò lui,
pavoneggiandosi soddisfatto.
-No, è che è troppo schiappa per
giocare con noi veri uomini e viene a dare una mano a voi signorine.-
lo
rintuzzò Mikey, sempre senza staccare gli occhi dallo
schermo.
Mentre era il turno di Frank di
spanciarsi dalle risate arrotolato sul divano, Gerard mollò
brusco i piatti che
stava distribuendo sulla tavola e marciò a picchiare il
fratello.
Jamia sospirò ancora ed annunciò
che ci rinunciava, ritirandosi in buon ordine in cucina mentre Alicia,
ridendo
anche lei, veniva a darle il cambio nel sistemare la tavola.
-Mikey, fate giocare Frank.-
ordinò Aly, ignorando il fatto che il marito non avesse
dieci anni e lei non
fosse sua madre che mediava con i compagnetti di scuola.
-Ma, amore…!- rintuzzò lui
disperatamente.
Ray approfittò di quell’ulteriore
momento di distrazione per scaraventare il personaggio di Mikey
giù dal ring e
la scritta “You lose” lampeggiò felice
sullo schermo.
-Ahah!- gridò il chitarrista
soddisfatto.
-Cedi il posto, Mikey, che ti
faccio vedere come si fa.- ridacchiò Bob facendosi passare
il pad e detronizzando
il bassista dal divano.
-‘Fanculo…- borbottò lui
alzandosi.- Vado in cucina anche io prima di uccidere Frank per avermi
fatto
perdere.- annunciò stizzito.
-Ehi! cosa centro io?!- protestò
il diretto interessato, sistemandosi a gambe incrociate accanto a Bob
per
seguire la nuova partita tra lui e Ray.
Mikey non rispose. In cucina
Jamia e Gerard chiacchieravano tra loro, lei gli stava chiedendo di
quei mesi
in cui non si erano visti, cosa avesse fatto, come si sentisse. Domande
di
circostanza che, però, faceva piacere sentire. Mikey sapeva
che tra Jam e suo
fratello le cose non erano più state troppo lineari dopo il
Project, nessuno
all’interno della band conosceva le vere motivazioni
– tranne Gerard e Frank,
s’intende – ed anche Jamia era stata brava a non
lasciare trapelare nulla.
L’ultima volta che lei e Gerard si erano visti era stato per
il funerale di
Lindsay e del bambino, lei, se possibile, era stata in
quell’occasione la più amorevole,
accorta ed attenta
delle
amiche, perfino più di Alicia che Gerard lo conosceva come
un fratello! Ma lui
non c’era con la testa in quell’occasione. E non
c’era stato più per un mucchio
di tempo dopo. Mikey non aveva difficoltà a pensare che
semplicemente non si
fosse neanche accorto delle attenzioni che Jamia gli aveva rivolto
allora, per
cui era stato facile per lei farlo e per lui accettarlo. Di sicuro, si
disse il
minore dei Way mentre continuava a spiare la scena tra i due fingendo
di
aiutare Christa a scodellare e spadellare, il loro “piccolo
mondo” aveva subito
negli ultimi due anni tanti e tali scossoni da avere un terrificante
bisogno di
ricostruire i propri equilibri e Jamia e Gerard, in qualche modo, ci
stavano
provando sotto i suoi occhi.
-Mikey, no! Ti ho detto che la
salsa la devi versare nella coppetta, non sull’anatra!-
strillò Christa,
strappandolo bruscamente a quelle riflessioni.
Mikey arrossì mentre gli altri
due presenti nella stanza si voltavano a fissarlo, Christa gli toglieva
di mano
mestolo e pentola per riparare al danno e finire il lavoro al posto suo
ed
Alicia tornava in cucina ridendo di lui.
-Pasticcione!- schioccò sua
moglie stampandogli un bacio sulla guancia che non fece che aumentare
il suo
imbarazzo.
-Se hai la testa altrove, non
venire a fare danno qui.- rintuzzò la
“cuoca”.
-Hai perso contro Ray, fratellino?-
indagò Gerard con un
sorriso cattivo.
Jamia rise e Mikey sbuffò un
“fatti i cazzi tuoi” piuttosto risentito ma che
diede a tutti la risposta
esatta alla domanda del maggiore dei due fratelli.
-Fuori, fuori tutti!- esordì frettolosamente
Christa quando ebbe terminato di preparare la coppetta con la salsa ed
il
piatto di portata con l’anatra arrosto. Rifilò la
prima ad un fratello ed il
secondo all’altro e li spinse in direzione del salotto.- Voi
maschi siete dei
disastri! Non so chi sia peggio tra Frank, te, e tuo fratello!
-Io cosa centro?- s’indispettì
Gerard.
-Stessi geni!
-Lavatevi le mani e venite a
tavola.- chiamò Jamia a raduno.
-Si mangia!- scattò su Bob felice
mollando tutto a mezzo tra le proteste di Ray che stava vincendo.
-Vigliacco!
-Io mi siedo accanto a Bobby!
-No, perché altrimenti passate
tutto la cena a fare casino, Frank, ed io non voglio raccogliere cibo
finito
nei posti più impensati del salotto per i prossimi dieci
giorni!
-Ma, Aly…!!!
Mentre prendevano posto tra le
chiacchiere confusionarie, le battute che si inseguivano, le risate e
qualche
manata tirata a caso nei momenti più irritanti, Mikey
guardò la scena dicendosi
che era così che sarebbe dovuto essere sempre e gli
sembrò, per un solo
momento, di essere tornato indietro di anni ed anni, a quando la sera
si
radunavano a casa di qualcuno a caso tra loro e la madre di turno
preparava la
cena per tutti.
…peccato per quell’ombra scura
nel sorriso di suo fratello…
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Capitolo 8 *** Cancer ***
Cancer
Help her gather
all my
things
And
bury me in all my favorite colors,
My
sisters and my brothers, still,
I
will not kiss you,
'Cause
the hardest part of this is leaving you.
“Cancer”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
Gerard
Arthur Way aveva preso delle abitudini precise e nemmeno se
n’era accorto. Come
una bestia da salotto o un anziano signore stanco della vita. Un
po’ stanco,
per la verità, ci si sentiva pure ed era proprio quella
stanchezza ad avergli
insegnato a risparmiare le energie per usarle solo dove fosse indispensabile. Così, come un
animale o
un anziano, si svegliava sempre alla stessa ora del mattino –
un’ora
impensabile, a cui il sole, in quella stagione dell’anno, non
ne voleva sapere
per almeno altre due ore di farsi vedere all’orizzonte
– e si faceva sempre il
caffè come prima cosa. Poi il bagno, la doccia, vestirsi,
accendere la TV,
lasciar parlare il telegiornale, buttare via il
giornale senza leggerlo, tornare a dormire. Stavolta sul
divano.
Era
a quella routine che gli altri avevano deciso di strapparlo e lui lo
sapeva.
Per
questo non rimase particolarmente sorpreso, nello svegliarsi dal
pisolino
mattutino, di trovare la segreteria telefonica invasa di messaggi. Il
cellulare
lo spegneva o lo dimenticava nella giacca per tutto il giorno
– una volta in
cui era stato molto ordinato nel sistemare le sue cose era finito
dentro
l’armadio – ma il telefono di casa, per quanto
abbassasse la suoneria, doveva
lasciarlo acceso comunque. Adesso la segreteria lampeggiava i suoi
cinque messaggi
luminosi in una cifra di un rosso sgargiante. Vinse la tentazione di
cancellarli senza ascoltare e premette il bottone che faceva partire il
primo.
-Gee,
sono Brian.- annunciò professionale la voce del manager. Lui
era già diretto in
cucina.- Sei in casa? Guarda che ho parlato con quelli della Warner e
dicono
che vogliono incontrarci lunedì. Vedi di renderti
presentabile per allora.- Una
pausa, il tono che cambiava e riprendeva con serenità - Ho
sentito Mikes, mi ha
detto della cena di ieri! Potevate invitare anche me, brutti stronzi!
Emergendo
dal frigo Gerard si disse che doveva rispondergli, qualcosa del tipo
“no, in questo periodo sei troppo
rompicoglioni – tu e la storia del bravo manager –
per aver voglia di
ricordarci che sei amico nostro”.
Si
ritrovò a chiedersi da cosa gli venisse tutto
quell’astio inacidito e sospirò.
La
segreteria scattò con un “bip” acuto; il
secondo messaggio era di Frank e
Gerard posò il latte sul ripiano della cucina e rimase
immobile, la ciotola
vuota davanti a sé, ascoltando.
-Ehi,
Gee, ci sei? Guarda che se stai ancora dormendo vengo lì e
ti prendo a calci
nel culo per farti alzare!- lo minacciò il chitarrista,
rapido e cattivo.- In
ogni caso fai meglio a sollevare il tuo flaccido di dietro da sopra il
materasso, perché ho deciso che, siccome siamo ingrassati
entrambi, passo da te
prima di pranzo ed andiamo a correre. È arrivato il momento
di rimetterci in
forma prima del tour!- esclamò vivacemente.
Gerard
sbuffò un sorriso appena accennato e versò il
latte nella ciotola voltandosi,
poi, a cercare i cereali dentro la credenza.
-Gerard,
sono Mikey. Ho sentito Brian,- annunciò il terzo messaggio.-
mi ha detto della
riunione di lunedì. Beh, è una cosa positiva, no?
Ah, Aly voleva sapere se ti
andava di venire a pranzo da noi oggi e…- La voce si spense
nel sottofondo
rumoroso di “Dance Dance” dei Fall Out Boy. Altro
promemoria, sospirò Gerard,
dire a Mikey di cambiare suoneria al cellulare.- Ah…aspetta
un secondo…mi
chiamano dall’altro lato.- La voce si fece distante ed
attutita, segno che suo
fratello si era allontanato per parlare al telefonino.- Ciao Frank!- Quanto
era che non lo
sentiva usare un tono così allegro nel pronunciare quel nome? Una fitta gli serrò lo
stomaco.- Oh, davvero?- Mikey rise, Gerard sorrise nonostante tutto.-
Ah, beh,
o.k. No, è perché ero al telefono…No,
lascia perdere!- rise ancora e Gee gli
andò dietro senza sapere per cosa stessero ridendo
entrambi.- Sì, ci sentiamo
dopo. Gerard?- chiamò Mikey tornando
all’apparecchio fisso.- Ritiro l’invito a
pranzo, sono d’accordo con Frank: sei troppo grasso!
Divertitevi sotto il sole
e con il caldo ed in mezzo all’asfalto…Ciao ciao.
-‘Fanculo,
fratellino!- rise Gerard ad alta voce.
E
mentre infilava in bocca la prima cucchiaiata di cereali
un’idea cattiva si
fece strada nella sua testa. Buttò uno sguardo
all’orologio appeso davanti a sè
e registrò l’ora. Le dodici. Aveva poco tempo.
Bob,
dal quarto messaggio, gli chiese se aveva idea di dove potesse essere
finito il
suo cofanetto di Star Treck, quella della quarta…o
quinta…o sesta stagione.
Magari lo aveva lasciato a Chicago, ma non se lo ricordava proprio.
Gerard
era al piano di sopra mentre il batterista parlava, cacciando fuori a
caso
vestiti da dentro l’armadio ed i cassetti, in meno di due
minuti era pronto e
stava ridiscendendo le scale.
Ray
gli chiese se avesse ascoltato quel cd che gli aveva prestato la
settimana
prima, aveva voglia di sentire cosa ne pensasse.
Gerard
passò davanti alla segreteria, premette un secondo tasto e
cancellò tutti e
cinque i messaggi, le chiavi al volo da sopra il mobile
all’ingresso, il
giubbotto infilato sulle scale e scendeva a precipizio le rampe che lo
separavano dal pianterreno.
La
giornata era semplicemente splendida. Mentre tirava fuori gli occhiali
da sole
dal taschino della giacca e li inforcava, si concesse un respiro
profondo e fu
ripagato dall’incredibile sensazione che il sole stesso
potesse essere respirato in una
mattina come quella.
Non faceva troppo freddo, non c’era molto traffico e tutto
sembrava appoggiare
l’idea di una passeggiata. Prese a destra e
camminò da quella parte fino alla
fine dell’isolato, svoltando nella prima traversa disponibile
e sbucando sul
retro.
Davanti
alla palazzina del padre di Sarah ci doveva passare per forza e
sentì la voce
della ragazzina chiamarlo in tono entusiasta da sopra i gradini
d’ingresso. Si
fermò a ricambiare il suo saluto e la vide che gli correva
incontro.
-Che
ci fai qui a quest’ora?- la interrogò.- Dovresti
essere a scuola!
-Gerard,
oggi è sabato.- Lui rimase un secondo interdetto, facendo
mente locale, e poi
annuì con uno sbuffo scoraggiato.- Hai perso la cognizione
del tempo, eh?- gli
chiese lei affettuosamente.
-Una
roba del genere.- ammise il cantante a mezza voce.- Ti secca se mi
fermo un
attimo?- le domandò sull’impulso del momento.
-Oh,
sì, terribilmente!- scherzò lei, spalancando il
cancelletto per permettergli di
entrare.
Gerard
rise e le andò dietro verso i gradini d’ingresso,
dove si sedettero fianco a
fianco.
-Dov’è
che stai andando?- chiese Sarah sorridendo, gomiti sulle ginocchia e
mento tra
le mani.
Lui
la guardò un secondo, pensando che era una cosina
davvero graziosa, doveva ammetterlo, e domandandosi di conseguenza
quando fosse
successo che avessero smesso di accorgersi delle persone
che venivano a sentirli suonare. Il successo aveva un sacco
di controindicazioni…
-Scappo.-
confessò semplicemente stringendosi nelle spalle.- Credo che
Frank avesse
intenzione di farmi fare della…ginnastica…-
spiegò con una smorfia che la fece ridere di gusto.-
Così fuggo prima che mi
trovi.
-Povero
Frankie!- esclamò lei e poi cambiò espressione
repentinamente, facendosi
seria.- Uh!- sbuffò, un’aria dispiaciuta sul viso
tondo.- Dovresti scusarti con
lui per me.- mormorò- Ho perso il cd che mi aveva
dato…
-Quale
cd?
-Ah,
non so, in realtà. Era un cd senza nessuna scritta, una roba
masterizzata, non
ho idea di cosa ci fosse su. Lui aveva detto che era una
sorpresa…- aggiunse in
un sussurro.
Gerard
le sorrise incoraggiante.
-Glielo
dico e vedrai che ti farà un’altra copia.- la
rassicurò.- Frank è uno che non
dice mai di no se sa che una cosa ti fa piacere.
-Eh,
lo sospettavo!- affermò lei dondolandosi sui talloni,
imbarazzata.
Lui
la studiò un momento di sottecchi, sorridendo maliziosamente
mentre capiva al
volo un paio di cosette…
-…non
è che ti piace?- indagò insinuante.
Ovviamente
lei arrossì di botto, facendosi istintivamente indietro e
scuotendo
freneticamente la testa.
-Nonono!-
sfiatò in un colpo solo.- Non è
lui che mi piace!
-…e
chi?- insistette Gerard, stavolta solo curioso.
Rendendosi
conto di aver peggiorato le cose, Sarah cominciò a guardarsi
attorno disperata,
cercando vie di fuga improbabili per sparire. Gerard se ne accorse e
scosse la
testa comprensivo, afferrandola per una spalla e spingendola
delicatamente verso
di sé per farla tornare a sedere composta.
-O.k.,
o.k., questa conversazione non è mai avvenuta.- le disse
accondiscendente.- Ora
ricomincia a respirare normalmente, non posso rischiare di ucciderti
ogni volta
che ti incontro.
Per
la prima volta nella sua intera vita, Sarah fu contenta
dell’intervento
provvidenziale della Sig.ra Whelland e del dannato fuggitivo Pussy.
Mentre
cercava ancora di realizzare appieno che Gerard Way – GerardOhMioDioWay! – le stava
effettivamente toccando una spalla,
un gattaccio nero scivolò rapido tra loro, costringendo il
cantante a mollarla
di scatto e lei ad alzarsi strillando. Dalla veranda del secondo piano la Sig.ra Whelland si affacciò gridando.
-Sarah!
Riacchiappa il mio gatto! E chi è quel ragazzaccio?!
– individuò Gerard.-
Mandalo via! Io non capirò mai come fa tuo padre a
sopportare che tu frequenti
certa gente?! E quei capelli, Sarah…!
-Devo
andare!- scattò rapidamente la ragazzina, terrorizzata da
tutta la situazione,
e si precipitò giù dai gradini e dietro il gatto
con una tale velocità che
Gerard ebbe seriamente paura di vederla rotolare.
…cominciava
a credere di aver capito chi fosse il preferito di Sarah…
-Bah!-
commentò imbarazzato tirandosi in piedi ed infilando le mani
in tasca.
***
Individuò
Frank anche da quella distanza. Sedeva su un estintore rosso, era
vestito di
nero – e fin qui: Frank – aveva i capelli
in disordine e batteva un
piede a terra ritmicamente, come se seguisse una musica che era solo
nella sua
testa. Aveva cominciato a fare caldo e Frank si era tolto la felpa
della tuta e
la portava arrotolata attorno alla vita, le mani infilate dentro le
maniche
legate tra loro. Puntava il naso verso l’alto, Gerard si
chiese se stesse
guardando in su al suo appartamento, ma poi si accorse che
l’altro non stava
fissando nulla di preciso e continuava a studiare distrattamente la
facciata
pulita della palazzina. Del resto doveva pure aver provato a bussare ed
essersi
reso conto che no, non era in casa. Rise.
Visto
che Frank era distratto, Gerard riuscì ad arrivargli alle
spalle
silenziosamente; quando gli toccò il braccio lui
sobbalzò e si voltò di scatto,
ad occhi sgranati come un cucciolo terrorizzato. Gerard rise
più forte.
-Aspettavi
qualcuno?- lo prese in giro mentre l’espressione
dell’altro cambiava in un ghigno
arrabbiato.
-Vaf-fan-culo!-
scandì bene Frank tirandosi in piedi.
Gerard
gli rifilò senza preoccuparsi la busta di carta che reggeva
tra le mani, ma la
parte strabiliante dell’operazione fu il fatto che Frank la
prendesse senza
porsi domande. Mentre il cantante scavava in tasca alla ricerca delle
chiavi di
casa, l’altro iniziò a lamentarsi andandogli
dietro verso il portone
d’ingresso.
-Mi
hai mollato qui apposta!- sbraitò.- Sapevi che sarei venuto!
Non ti sei fatto
trovare?!- esclamò con un tono così stupito che a
Gerard venne voglia di
voltarsi e chiedergli “perché? Ero tenuto a
farlo?”, infilò la chiave nel
portone ed aprì.- E poi spiegami, cosa accidenti
c’è qui dentro?!- concluse
infilando il naso nella busta.
-Cibo.-
si limitò a ridere Gerard.
Frank
continuò ad insultarlo metodicamente per tutte le rampe di
scale, Gerard non lo
ascoltava ed anche se era chiaro come il sole, questo non sembrava
sufficiente
a scoraggiare il più piccolo.
-…Ed
ho parlato con Brian, stamattina, e mi ha detto che lunedì
vuole che stiamo
tranquilli e zitti e che ci pensa lui.- capì soltanto il
cantante davanti la
porta di casa.
Si
mise di nuovo a smanettare con le chiavi, continuando a dare le spalle
al
chitarrista, ma stavolta attento a quello che lui diceva. Frank se ne
accorse e
proseguì in tono più calmo.
-Pare
che quelli della Warner stiano rivalutando la loro posizione, forse non
ci
sbattono fuori. Anche perché, a detta di Brian, avremmo un
paio di proposte che
lui starebbe pure valutando.
-Un’altra
etichetta?- chiese Gerard spingendo la porta con la spalla ed entrando
nell’ingresso. Si sfilò il giaccone di dosso e
lasciò che Frank lo superasse in
direzione della cucina mentre lui appendeva la giacca
all’attaccapanni.- Non
sarebbe male…magari qualcosa di più
piccolo…- fantasticò ad alta voce.
E
pure se non lo diceva, Frank capì che in quel
“piccolo” ci stava un “impegnativo”
molto poco velato. Gerard
pareva davvero sul punto di implodere e sicuramente non era in grado di
reggere
altra tensione o aspettative. Posò la busta sul tavolo e si
voltò a cercare
piatti e bicchieri per apparecchiare, mentre l’altro entrava
dietro di lui e lo
aiutava. Frank notò solo a pelle come Gerard tollerasse
meglio quel suo
“invadergli gli spazi”, per un momento si era
sinceramente aspettato di essere
buttato fuori a calci non appena avesse messo mano alle cose
dell’altro…
-Non
credo che Brian voglia qualcosa di più
“piccolo”.- smontò i sogni del
cantante.- Sarebbe una bella sconfitta, no?
-Credevo
che tu fossi il primo tra noi a sentire la pressione di una casa
discografica
esigente come la Reprise.- commentò acidamente
Gerard senza guardarlo.
Frank
incassò il rimprovero fingendo di non averlo afferrato e
proseguì
tranquillamente nella propria opera di distribuzione delle stoviglie.
-Se
ne dicono di stronzate!- ci rise su, ma che non ci fosse nessuna
allegria in
quelle parole era fin troppo chiaro.
L’altro
non commentò, si sedette da una parte del tavolo ed
aspettò che lui facesse
altrettanto.
-Ho
fatto due chiacchiere con Sarah stamattina.- cambiò discorso
Gerard. Stavolta
il sorriso di Frank fu assolutamente sincero nell’alzargli in
faccia gli occhi,
tanto che contagiò anche lui.- Ah, mi ha chiesto di dirti
che è molto
dispiaciuta ma ha perso il cd che le avevi dato.
-Davvero?
-Cosa
c’era su? Sarah ha detto di non averlo potuto
sentire…
-La
demo dell’album.- spiegò Frank affondando la
forchetta nel piatto.
Gerard
annuì.
-Ne
ho una copia anche io; dopo gliela masterizziamo, così
gliela porti stasera.
-Sei
arrabbiato perché gliel’ho data?
Era
insolito sentirsi fare una domanda del genere da Frank, lui era il tipo
che non
chiedeva mai “permesso” ed il più delle
volte non sapeva dire “scusa”. Gerard
alzò gli occhi dal piatto per puntarglieli addosso,
perplesso, Frank ricambiava
il suo sguardo tranquillamente.
-…ma…perché
dovrei?- borbottò a disagio.
-Non
lo so. Sei sempre tetro, non capisco cosa ti passa per la testa, ti
chiedo se
qualcosa ti da fastidio.- si giustificò il chitarrista
spiccio.
-Non
sono tetro.- ribatté l’altro infastidito da quella
notazione.
-Non
te ne accorgi nemmeno?- rise Frank.
Gerard
non rispose. No, non se ne accorgeva affatto. Abbassò di
nuovo lo sguardo sul
piatto, prendendo a scaraventare nervosamente il cibo in lungo e in
largo con
la forchetta. Il suo umore era talmente costante
da mesi che aveva anche smesso di preoccuparsi di quale fosse.
Evidentemente
non era così per chi lo circondava.
-Prendi
adesso.- si sentì richiamare indietro dalla voce di Frank.
Alzò gli occhi
ancora una volta, “uhm?” fece senza capire.- Stai
lì zitto, sembra che ti abbia
fatto qualche torto incredibile anche solo a rivolgerti la parola, ma
non dici
niente.- proseguì Frank piatto.- Non ci sto nella tua testa,
Gee, non indovino
cosa pensi.- lo rimproverò.
-…una
volta lo facevi.
-Credevo
di farlo!- si derise da solo
lui.- Non penso di esserci mai riuscito veramente.
Gerard
si alzò. Non aveva voglia di mangiare ancora, ma soprattutto
non aveva voglia
di continuare quella discussione. Sparecchiò la propria
parte di tavola solo
per avere un pretesto per voltare le spalle all’altro ancora
seduto,
ascoltandolo sospirare pesantemente, e non disse nulla comunque.
Frank
gli andò dietro, mise piatto, bicchiere e forchetta nel
lavello e lasciò a
Gerard il compito di pulire, infilando le mani in tasca ed uscendo
dalla cucina.
In
salotto, buttato sul divano, accese la televisione solo per avere un
qualche
rumore che lo distraesse da quel silenzio. Poteva anche tornarsene a
casa
propria, si disse, Jamia sarebbe stata contenta di averlo un
po’ per sé e lì era
evidente che non fosse particolarmente ben accetto. Ma era comunque
restio ad
andarsene, Gerard alla porta non ce lo aveva ancora messo –
non dubitava che
prima di sera lo avrebbe fatto, quel nuovo lui
sembrava tollerare molto poco la compagnia in genere – e lui
aveva voglia di
rimanere ancora un po’. Sentiva l’altro muoversi
per la casa ignorandolo,
sapeva che non sarebbe venuto a cercarlo affatto, che si sarebbe
trovato
qualcosa da fare per i fatti propri e si sarebbe rintanato da qualche
parte,
presumibilmente lo studio, per farla. Per un po’ – un’oretta, forse – si
accontentò della quiete che era scesa sulla
casa, riuscì perfino a concentrarsi sul notiziario e poi su
un programma idiota
di MTV. Alla fine fu più forte di lui e si alzò.
Gerard
non era nello studio. Frank salì al piano di sopra e vide la
porta della camera
da letto matrimoniale aperta. Quando si affacciò lo vide
intento a cercare
qualcosa nel disordine da sgabuzzino che regnava lì dentro,
gli dava le spalle,
ogni tanto tirava fuori un paio di oggetti da una pila confusionaria e
li
lasciava ricadere accanto a sé senza ordine. Frank li
guardò e vide che non
c’era alcun ordine nemmeno nella scelta. In ogni caso, quando
si voltò e lo
vide, Gerard pareva essersi dimenticato pure di quello che aveva tirato
fuori;
in una mano teneva una vecchia valigetta di colori ad olio,
nell’altra una
tela, una volta bianca ed ora giallastra per la polvere ed il tempo.
-Vuoi
dipingere?- chiese Frank.
-Dovrò
pur fare qualcosa nel mio tempo libero, fino a lunedì.-
affermò spiccio
l’altro.
Quell’ostentazione
di indifferenza era abbastanza forzata da strappare a Frank un sorriso,
che si
concesse velocemente solo perché Gerard era tornato a
voltarsi e non poteva
raccoglierlo. Il chitarrista fece sparire qualsiasi espressione dal
proprio
viso giusto un istante prima che l’altro si disincastrasse da
un groviglio di
carabattole inutili e, con qualche difficoltà, riuscisse a
rimettersi dritto in
uno spazio libero poco distante dal letto ingombro.
-Vuoi
una mano?- s’informò Frank nel vedere Gerard
studiare il modo migliore di
tirare su tutto e portarselo via da lì.
-…uhm…-
commentò piatto lui, distratto ed imbarazzato in un modo che
lo rendeva ancora
più infantile del solito. Annuì a disagio.- Mmh
mmh.- convenne raccogliendo una
parte del materiale e lasciando l’altra dov’era.
Uscì
per primo, Frank entrò al suo posto raccogliendo una
tavolozza ed il
cavalletto; lo seguì al piano di sotto, sentendolo
armeggiare nello studio,
quando entrò lo vide che trascinava un divano per spostarlo
da davanti la
finestra verandata.
-Qui
c’è più luce.- affermò con
una punta del vecchio entusiasmo negli occhi. Si
mise a tirare le corde della tenda per spostarla di lato in modo che il
sole
potesse entrare, Frank posò il cavalletto ed andò
a dargli una mano.- Questa
casa è buia…- borbottava Gerard guardando
l’intreccio di cordoni per capire il
motivo per il quale non riusciva a tirar via la tenda come voleva- Come
diavolo
è fatta…?!
-Magari
dovremmo provare a spostare questo? io dico che è incastrata
da questo lato…
-No,
aspetta, secondo me è solo che non è il filo
giusto…
-Eh,
ma proviamo! Guarda che anche questo non si muove di un millimetro!
-Frank,
non tirare se non sai che stai combinando! Aspet…
La
tenda venne giù con uno schianto sonoro ed i due fecero
appena in tempo a
tirarsi indietro prima che il bastone di legno che la reggeva al muro
li
colpisse. Gli ultimi svolazzi della parte garza sottilissima
all’interno si
posarono delicatamente sulle teste di entrambi, in
un’immagine sufficientemente
ridicola da trasformare l’irritazione di uno – Gerard – e la costernazione
dell’altro – Frank
– in un’identica espressione divertita, soffocata
sul nascere
dalla sensazione – sbagliata
– che
non fosse il luogo, il tempo e la persona giusta con cui ridere.
-Meglio
chiamare qualcuno per ripararla.- si tirò indietro Frank per
primo.
Gerard
acconsentì con uno sbuffo, liberandosi insieme
all’altro dalla prigione di fili
e stoffa e lasciandola a terra in un mucchio disordinato. Il sole del
pomeriggio entrava senza schermature se non quelle dei vetri bombati, a
terra
c’era una scacchiera di riquadri dorati e loro due al centro
a fissarsi senza
sapere che dire.
Frank
avvertì la tensione che saliva, la necessità di
andarsene era ormai tanto
evidente da non poter essere ignorata.
Fu
comunque Gerard ad esprimere ad alta voce quel pensiero, tornando
indietro
verso la scrivania e piegandosi sul computer.
-Ho
masterizzato il cd per Sarah.- gli disse sfilando il disco dal
lettore.- Glielo
lasci tu andando via?
Frank
scrollò le spalle per dire che andava bene ed
allungò una mano quando lui gli
porse la bustina trasparente con dentro la demo.
-Salutami
Jamia.- disse Gerard.
Il
chitarrista si chiese se si fosse solo sognato l’esitazione
che aveva percepito
nella voce dell’altro: lui sembrava assolutamente sereno e
distaccato,
impaziente di vederlo uscire da casa propria.
Infilò
il cd in una tasca dei pantaloni e ringraziò per il pranzo
con una cordialità
da estraneo che gli diede fastidio. Gli diede comunque più
fastidio capire che
era perfettamente naturale adottare quel tono.
Gerard
non lo seguì alla porta nemmeno stavolta.
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Capitolo 9 *** This is how I disappear ***
This is how I disappear
That without
you is how
I disappear,
And
live my life alone forever now.
And
without you is how I disappear,
And
live my life alone forever now.
Can
you hear me cry out to you?
Words
I thought I'd choke on figure out.
I'm
really not so with you anymore.
I'm
just a ghost,
So
I can't hurt you anymore,
So
I can't hurt you anymore.
And
now, you wanna see how far down I can sink?
Let
me go, fuck!
So,
you can, well now so, you can
I'm
so far away from you.
Well
now so, you can.
And
without you is how I disappear,
And
without you is how I disappear.
Forever, forever
now!
“This is how I disappear”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
Pioveva.
Una domenica nefasta come quella Frank non se la ricordava da mesi.
Forse
quell’inverno…il funerale di Lindsay…ma
non era domenica ed il cimitero sotto
la pioggia era sicuramente uno spettacolo meno deprimente della
città sotto
tutto quel grigio e quell’acqua.
Lui
aveva dimenticato a casa l’ombrello, ma questo era ordinario,
Jamia gli aveva
urlato di prenderlo giusto un momento prima che lui si mettesse a fare
qualcosa
di più interessante che starla a sentire. Per quando era
uscito, l’avvertimento
di lei era già scomparso da un pezzo, così come
Jamia stessa dopo aver
annunciato che andava con Alicia a fare shopping. Di girare in macchina
per New
York in pieno giorno non se ne parlava nemmeno a spararsi, Frank aveva
tirato
su il cappuccio della felpa appena aveva sentito le prime gocce che gli
urtavano il naso e la fronte ed aveva sperato di arrivare a
destinazione prima
di bagnarsi del tutto.
Speranza
vana. Quando era riuscito ad attaccarsi al campanello della palazzina
di Gerard,
era zuppo come un pulcino e grondava acqua sul tappetino
d’ingresso fuori dal
portone, quello che recitava “welcome” in blu su
sfondo panna sporco…sì…del
fango delle sue scarpe.
-…cazzo.
-Frank?-
gracchiò il citofono, e lui si affrettò a tirare
su la faccia per rispondere.
-Sì,
Gee,- confermò.- sono io. Aprimi che mi sto prendendo un
accidente.
-…
-‘Fanculo!
Apri, stronzo!
Una
scarica elettrica, un “click”. Frank si
voltò, allungando una mano a spingere
il portone, e lo vide - …sotto la
pioggia, dall’altra parte della strada, aveva anche lui il
cappuccio della
felpa tirato fin quasi agli occhi e come lui scolava acqua ed aveva i
vestiti
appiccicati addosso - però lo riconobbe lo
stesso…
Quando
mise piede dentro l’androne sentì la risata di
Gerard risuonare per tutta la
tromba delle scale, grugnì e si affacciò in su,
da sopra il corrimano,
sbirciando la faccia del cantante appesa in cima all’ultima
rampa, le braccia
incrociate sul legno ed un sorriso beffardo.
-Non
penserai che ti lasci entrare in casa mia ridotto a quel modo!-
esclamò Gerard.
-Non
solo lo penso, ne sono anche certo.- affermò lui impudente,
e prese a salire a
due a due i gradini.
Gerard
lo accolse accigliato, ma Frank lo spinse dentro casa e finse di non
accorgersene. Qualcosa di pesante e morbido gli finì in
testa, strappandogli un
accenno di protesta, almeno finché a tatto non
capì che si trattava di un asciugamano
e se lo levò dalla faccia.
-Vatti
a fare una doccia ed asciugati.- gli disse secco il bruno, camminando
per primo
in direzione della scala che portava di sopra – Ti cerco dei
vestiti asciutti.
Frank
venne fuori dal bagno - vestito e profumato e con i capelli ancora
umidi -
mezz’ora dopo, vagando per casa alla ricerca del proprio
ospite. Alla fine lo
trovò nello studio, seduto a terra davanti ad una tela
già sbozzata, una
lattina di redbull di fianco e lo sguardo assorto di chi sta pensando a
qualcosa
di non troppo piacevole. Il chitarrista gli andò vicino
senza chiedergli
permesso e si lasciò cadere con un tonfo di fianco a lui,
dall’altro lato della
lattina, incrociando le gambe sotto il sedere e fissando il quadro con
una
caricatura malfatta dell’espressione concentrata del bruno.
Gerard afferrò in
fretta la presa per il culo e gli tirò un ceffone pesante
sul braccio, ma Frank
rise e si voltò.
-Andiamo
al cinema?- indagò.
-…posso
farti una domanda?- se ne uscì l’altro senza
rispondere. Frank scrollò le
spalle per dire che andava bene.- Perché torni qui?- Il
sorriso sulla faccia
del più piccolo si congelò come una maschera;
Gerard finse di non vederlo,
continuò a parlare con la stessa sfrontatezza insensibile,
quella di chi stia chiacchierando
di circostanze prive di interesse.- Insomma…io e te a stento
ci parlavamo fino
a meno di cinque giorni fa, Frank, e non è cambiato niente
da allora. Non sono
cambiato io, non lo sei tu…ma ti ostini a tornare qui ogni
santo giorno ed io
davvero non capisco cosa diavolo ti aspetti da me. Perché
torni qui?
-Perché
nei hai bisogno.- confessò freddamente Frank.
-Non
ho bisogno di te.
-No,
forse no. Ma hai bisogno di qualcuno ed io non conosco nessuno che
possa andar
bene.
Gerard
si fece scappare un sorriso cattivo, spostando la faccia in basso per
fissarsi
la punta delle scarpe.
-Beh,
non prenderti troppo disturbo, Frank. Sicuramente quella persona non
sei tu.-
gli sputò addosso con indifferenza.
Frank
incassò il colpo - per assurdo,
faceva
anche un po’ male - gli venne la tentazione di
chiudere gli occhi per
resistere al dolore sordo alla bocca dello stomaco, ma
incassò e sorrise, le
mani che tremavano insistentemente.
-…sei
veramente un figlio di puttana.- notificò amaro.
***
Non
si erano parlati per tutto il pomeriggio. Frank si era alzato ed era
andato
fuori dallo studio in un silenzio carico di tensione, gli era sembrato
per un
momento di rivivere quell’unica scazzottata agli Studi di
registrazione:
nell’aria c’era la stessa corrente di risentimento,
rabbia e frustrazione. Ma
soprattutto la stessa voglia di riprendersi qualcosa che era sparito da
un
pezzo.
Frank
se n’era andato dalla stanza proprio per quello, poteva
resistere a tutto – lo aveva fatto
– ma non poteva resistere
alla tentazione di annullare la distanza che li teneva lontani. Gerard,
invece,
sembrava tutto teso nel mantenerla, quella distanza, nel metterci
spazio,
ancora ed ancora, fino a non vederlo proprio più, tanto
erano distanti; lui era
tutto teso nel tentativo di scavarsi da solo una fossa da cui fosse
impossibile
riemergere.
E
aveva un bel dire Frank nel ripetersi che il proprio scopo era solo
quello di
non permettergli di ammazzarsi da solo. L’altruismo non era
mai stata davvero
una sua qualità, alla fine la vicinanza che
s’imponeva con Gerard – così come
era stato tutte le altre volte – aveva un suo risvolto ben
poco altruistico nel
non voler permettere a qualcosa che considerava ancora suo
- …ed era ridicolo farlo, allo stato – di buttarsi
via senza
permesso.
Così,
mentre già aveva un piede sulla porta e mezza felpa, ancora
umida, infilata, si
era voltato di scatto, aveva mandato il battente a chiudersi con un
botto
sonoro e, per essere certo che Gerard non fraintendesse credendo che
fosse
fuggito sul serio, aveva pestato i piedi a terra rumorosamente mentre
si
riappropriava con prepotenza del salotto ed accendeva la
TV
buttandosi sul divano. Dallo studio era venuta in risposta la musica,
il gruppo
Frank non lo aveva riconosciuto ma faceva un gran casino, aveva sorriso
mentre
Gerard sollevava il volume fino a riempire tutta la casa, lui aveva
alzato il
volume della televisione ed era iniziata una guerra tra adolescenti
arrabbiati.
Ad
arrendersi per primo fu Gerard.
Frank
stava in piedi vicino alla finestra: di sotto, accostata ad un portone
che
offriva un accenno di riparo, c’era ancora la stessa figura
incappucciata ed il
chitarrista si lasciò scappare una smorfia. Quella storia
gli piaceva poco,
pochissimo.
L’arrivo
di Gerard lo scosse ma lui fece di tutto per non richiamare
l’attenzione dell’altro
sul tizio in strada e si allontanò dalla vetrata con calma
studiata.
-Usciamo?-
chiese Gerard brusco, non dando segno di aver badato affatto ai
movimenti di
Frank. Lui lo fissò perplesso ed il bruno
continuò senza quasi prendere fiato.-
E’ praticamente una settimana che sono chiuso qui dentro, mi
sembra di
impazzire. Dovunque mi giro c’è qualcosa che mi fa
sentire come se dovessi
soffocare da un momento all’altro e non ne posso
più. Sono quasi certo che se
non rimetto il naso fuori prima di domani – e per fuori intendo un’uscita seria!
– quando saremo con quelli della
Reprise dirò qualche stronzata talmente grossa che
sarà tutto irrecuperabile e
sarà stata colpa mia davvero. Non mi sentivo….così da secoli! Non mi sono mai
sentito così! Mi sfugge tutto da sotto le mani e non so
davvero che pesci
prendere e mi sento come se da un momento all’altro dovesse
crollarmi il mondo
addosso! Ed è assurdo, sai, perché il mondo
addosso mi ci è già crollato da un
pezzo e…
Si
fermò esattamente come aveva cominciato. Nel nulla.
Frank
lo fissava senza aprire bocca, Gerard gli ricambiava lo sguardo
perché sembrava
semplicemente incapace di aggiungere un’altra sillaba. Era il
discorso più
lungo che gli facesse da mesi – se Frank lo avesse
frequentato un po’ di più,
anche al di fuori del lavoro, avrebbe saputo che era il discorso
più lungo che
Gerard faceva da anni. Era anche il
più “pieno” di cose
che gli sentisse
pronunciare da una vita…dal tourbus…dal Project,
da quando erano ancora amici. Ed
anche se Gerard in tutto quel parlare non lo aveva guardato neppure una
volta,
ma aveva continuato a spostare gli occhi ovunque con un movimento
isterico che
gli aveva fatto pensare fosse impazzito, Frank sapeva che stava
parlando
proprio a lui.
Ma
non sapeva come reagire.
-…quindi,
usciamo?- si sforzò di completare il bruno, spostando il
peso da un piede
all’altro con l’imbarazzo di un ragazzino che
chieda un appuntamento galante.
Frank
arricciò le labbra e tirò su le mani, scuotendo
leggerissimamente la testa come
in cerca di un’idea che gli fornisse una risposta adeguata.
Alla fine disse
l’ovvio.
-Dove
sono gli ombrelli in questa casa?- con una normalità che non
sentiva affatto di
provare.
Per
tornare a sentirsi a proprio agio ci vollero ore – quattro fottute ore della sua nottata
– ed un numero di birre
sufficienti da perdere il conto e farlo sbronzare.
Perché
cazzo aveva scelto di andare a sbronzarsi portandosi dietro Gerard
proprio non
lo capiva! Gee non beveva. Gee non beveva più davvero: aveva
sorriso alle sue
ordinazioni, aveva fatto un paio di giri anche lui per tenergli
compagnia e poi
aveva proseguito ingurgitando un quantitativo decisamente
più modesto di coca o
redbull o altre cazzate simili. Frank si era sentito stupidamente
orgoglioso. Ma probabilmente erano gli effetti
dell’alcool che cominciavano a farsi sentire.
Di
sicuro erano stati gli effetti dell’alcool a dissipare quel
rimasuglio di gelo
che strisciava tra loro; non era la prima volta che si trovava a
pensarlo, ma
Frank credeva che ci fosse qualcosa di “mistico”
nel modo in cui certi posti
influiscono sull’umore della gente e certe situazioni ti
portino a credere
possibili le favole. C’erano confessioni, discorsi, risate
che potevano essere
fatte solo così, davanti ad una birra, ai due lati di un
tavolo di legno o
plastica ma ugualmente unticcio ed appiccicoso, nel profondo di un
posto
talmente squallido che non ti sogneresti di entrarci da sobrio superati
i
diciassette anni di età e la voglia di ribellarti al
sistema.
Gerard
e Frank si erano ritrovati a parlare tra loro come se tutto si fosse
svolto tre
anni prima, in un altro posto in cui loro erano amici per la pelle ed
avevano
degli amici che avrebbero dato la propria vita per loro. Era un bel
posto,
Frank ci stava caldo e comodo, per questo non si decideva ad uscirne ed
ordinava un’altra birra.
Non
avevano fatto grandi discorsi – allora
li
facevano, in mezzo a tutti gli altri, di discorsi, ed a volte senza
nemmeno
soluzione di continuità – avevano
parlato di film, fumetti, videogiochi,
cani e gatti…Avevano parlato di musica e del disco. Avevano
parlato perfino del
tour, di come Mikey avrebbe rotto le palle con la propria pedanteria,
di come
Bob avrebbe trovato il modo di fare qualche scherzo del cazzo a tutti,
di come
loro avrebbero cercato di coinvolgere Ray nel ripagare il batterista
con la
stessa moneta.
In
un angolo del cervello di Frank una vocina sottile sottile – flebile sotto gli occhi di Gerard che
sorridevano di nuovo – gli diceva che quella cosa
non sarebbe mai successa,
perché domattina, passata la sbronza, Frank sarebbe stato
Frank e Gerard
sarebbe saltato di nuovo dentro la propria trincea. Ci aveva bevuto su
– alla tua, Vocina!
– e l’aveva messa a
tacere.
A
notte fonda rientravano abbracciati cantando a squarciagola lungo le
strade di
New York…O era solo lui che cantava? Però Gee
stava ridendo!
-Frank,
piantala.- lo rimproverò il bruno, ma non sembrava davvero
infastidito e Frank
continuò imperterrito a rumoreggiare versi strascicati di
canzoni a caso,
mischiandole fra di loro con un’inventiva notevole.-
Sveglierai tutto il
vicinato e sarò costretto a trasferirmi.
-Poco
male!- esclamò Frank abbattendoglisi pesantemente sulla
spalla ed aggrappandosi
al suo braccio.- Ti ospito da me!- gli promise.
-Sì,
certo. Io, te e Jamia.- sogghignò l’altro.
-Mi
piace!- affermò Frank soddisfatto, fermandosi di colpo e
trattenendo così
l’altro che si bloccò con una protesta smorzata.-
Saremmo una bellissima
famiglia!- ragionò.
-Il
mio concetto di famiglia ed il tuo non coincidono, Iero.- ci
scherzò su Gerard
liberandosi per riprendere a camminare.
-Ah,
questo proprio sì!- convenne il chitarrista raggiungendolo
in due balzelli per
tornare ad avvinghiarsi al suo braccio.- Se avessero coinciso, adesso
saremmo
io e te e niente Jamia!-
trillò
allegramente.
-…sei
ubriaco.- constatò Gerard senza dare peso alle parole
dell’altro. Erano
arrivati al portone, il padrone di casa cercò le chiavi in
tasca e le inserì
nella serratura.- A casa non ci arrivi, vero?
Frank
si rimise dritto, valutando tra sé e sé quella
richiesta - con un’aria così
concentrata che Gerard si fece scappare un altro sorriso - poi scosse
la testa
e la cosa gli diede un capogiro che lo costrinse ad afferrare la mano
dell’altro per non cadere davvero stavolta.
-Merda,
no!- rispose spiccio ed anche un po’ dispiaciuto.
Gerard
respirò profondamente, annuendo appena.
-Vieni
su.- gli concesse aprendo il portoncino e trascinandoselo dietro.
***
Sarah
non era mai uscita con un ragazzo prima. Figuriamoci
con un ragazzo più grande! Sorrideva tra
sé e sé pensando che, forse,
quella non era nemmeno un’uscita
di
“quel” tipo lì. Ethan non
l’aveva invitata fuori dicendole “passo a prenderti
sotto casa tua alle otto, metti qualcosa di carino!”, ed
anche se magari quello
era un po’ da film, Sarah si ritrovava a chiedersi comunque
se bastasse
incontrarsi…per caso? fuori dal cancelletto della palazzina
dove lavorava suo
padre, lui che ti sorride e tu che arrossisci.
-Ciao.
Speravo proprio di vederti. Ti va di fare un giro?
“Ti
va di fare un giro” non è “passo a
prenderti ecc.”.
…no?!
-A
che stai pensando?
Sarah
si voltò ad incrociare gli occhi enormi di Ethan, erano
bellissimi, di un
colore tanto brillante che anche alla luce della strada parevano
illuminarsi da
dentro piuttosto che riflettere i lampioni!
-Che
come “giro” si è allungato parecchio.-
ci scherzò su lei in risposta,
accennando all’orologio che lui portava al polso per fargli
vedere che ora si
fosse fatta.
Ethan
la guardò davvero, l’ora, e sembrò
improvvisamente a disagio.
-Pensi
che i tuoi ti faranno storie?- le chiese dispiaciuto.
-Nah!-
scosse la testa lei.- Vivo con papà, mamma è
morta due anni fa. Lui alla domenica
va fuori con gli amici e secondo me non è ancora tornato.-
gli spiegò.-
Comunque siamo arrivati.- aggiunse indicando un portone davanti a loro,
dall’altra
parte della strada.- Vivo lì.
-Ah…-
borbottò lui.- Allora…ti chiamo?-
indagò incerto grattandosi i capelli mentre
lei si sistemava il giubbotto di jeans addosso e la borsa a tracolla.
Sarah
lo fissò con un’espressione entusiasta.
-Sì!-
esclamò vivacemente.- Mi farebbe molto piacere! Ti do il
numero…- si affrettò
scavando nella borsa per cercare il cellulare. Lui tirò
fuori il proprio dalla
tasca dei pantaloni e prese nota del numero che lei dettò
velocemente.- Fammi
uno squillo.- chiese lei per memorizzare il suo.
Ethan
eseguì e Sarah, impacciata, quasi si dimenticò
come fare per registrare il
chiamante e pasticciò con i tasti per un paio di minuti
sotto lo sguardo
divertito dell’altro.
Quando
rialzò lo sguardo, lui la baciò.
Non
era un gran bacio, aveva solo appiccicato le labbra alle sue, in modo
infantile
e giocoso, approfittando del momento in cui lei era distratta per
rubarle quel
tocco leggero. Sarah però pensò che era il suo
primo bacio e si portò le dita
alle labbra premendoci su come a voler trattenere quella sensazione
leggera di
qualcosa di caldo e morbido.
Ethan
la osservava ancora, silenzioso e sorridente. Lei ci mise un
po’ a ricambiare i
suoi occhi e lo fece con un’aria da bambina smarrita che lo
deliziò. Lui si
abbassò molto più lentamente, per darle il tempo
di tirarsi indietro stavolta,
e ripeté quel gesto, posando di nuovo la bocca su quella di
lei.
-Sei
morbida.- le disse sulle labbra.
E
quando le accarezzò con la lingua per chiederle di aprirle,
lei sospirò e
schiuse la bocca per rispondere timidamente a quel gioco.
Ethan
si tirò indietro tenendola abbracciata, il viso affondato
nei capelli di lei la
cullò dolcemente e Sarah singhiozzò un sospiro di
felicità autentica.
-Mi
piaci.- le disse lui.
-…anche
tu.- ammise lei in un sussurro bassissimo.
-Ci
vediamo domani?
Sarah
annuì perché non era sicura di poter parlare,
teneva la faccia contro il petto
di lui solo perché non sapeva bene di che colore fosse
diventata e non voleva
proprio fare la figura della bambina inesperta. Anche se lo era.
Quando
lui la lasciò andare, scappò via di corsa,
agitando solo una mano in segno di
saluto ma senza fidarsi di dire una sillaba di più. Ethan
rimase ad aspettare
che entrasse nel portone e, quando lei si voltò a
chiuderselo alle spalle, lo
vide che la salutava ancora da dietro il vetro.
***
Mal
di testa e senso di nausea erano o.k. Effetti naturali della sbornia.
Bene. Il
mal di schiena a cosa era dovuto?
Frank
si rotolò su quello che credeva essere il proprio letto,
ancora ad occhi chiusi
e mugugnando di dolore ad ogni singolo movimento, tutto ciò
che ne ottenne fu
di ruzzolare giù dal divano che lo ospitava e schiantarsi su
un pavimento
incredibilmente più duro di quanto avrebbe dovuto essere.
Almeno per lui ed
almeno in quelle circostanze.
-…porc…!-
esordì il chitarrista massaggiandosi la nuca nel punto in
cui aveva impattato
contro il terreno. Peccato che gli facessero male anche le chiappe!
…ad essere
onesti non aveva idea di quale parte del corpo non urlasse dolore in
quel
momento.- Ma che cazzo è successo?- borbottò con
voce impastata, rotolando
ancora per aggrapparsi al divano ed aprire gli occhi con qualche
difficoltà.
La
luce del giorno entrava in tutto il proprio splendore dalla finestra
spalancata, ferendogli fastidiosamente gli occhi e costringendolo ad
una
semicecità che stava esaurendo quel po’ di
pazienza che gli restava. Odiava
sbronzarsi. No, odiava il post-sbronza. Meglio, ecco.
E
non ricordava dove fosse.
Sentì
dei passi in quello che immaginò essere il corridoio, una
porta che veniva chiusa
ed un rumore di qualcosa che veniva posato su un mobile –
chiavi, riconobbe –
poi altri passi ed infine una figura entrò nella stanza,
lasciando cadere
davanti a lui un borsone nero con un tonfo sordo che
rimbombò nella sua testa.
Frank si lasciò andare nuovamente pancia all’aria
sul pavimento, gemendo per il
dolore alla testa e per il senso di spossatezza, e la figura rimase
lì,
insensibile, incombendogli addosso ma almeno coprendogli in parte la
luce del
sole.
-Sei
un disastro.- notificò una voce apatica che Frank riconobbe
anche ad occhi
chiusi. Nella sua testa due o tre tasselli si rimisero a posto da
sé: aveva
dormito da Gerard perché era troppo ubriaco per tornare a
casa da solo e
l’altro non aveva intenzione di riportarcelo.
-Avresti
dovuto restituirmi a Jamia.- biascicò, mordendosi la lingua
subito dopo. Cazzo diceva?!
-Sì,
certo.- liquidò il cantante fingendo di non cogliere la
battutaccia
dell’altro.- Sono stato a casa tua a prenderti dei vestiti
puliti, non c’è
tempo per passare da lì prima della riunione.
-Merda,
la riunione!- sbottò Frank senza fiato. E per la fretta fece
il grosso errore
di tirarsi in piedi di scatto, salvo rimanere boccheggiante a
mezz’aria, una
mano premuta contro la bocca ed una nausea feroce a tormentargli lo
stomaco.
-…non
azzardarti a vomitarmi sul parquet.- gli intimò Gerard prima
di dargli le
spalle ed uscire.- Vuoi fare colazione?- chiese ironicamente dal
corridoio.
Frank
mandò giù la saliva ed il fiato in un colpo solo
e, lentamente, finì di
mettersi dritto. Uhm…se non si muoveva andava tutto bene.
-Vaffanculo!-
notificò all’indirizzo dell’altro.
Si
mise a sedere con calma, tirandosi vicino il borsone ed iniziando a
scavarci
dentro con metodo. Dalla cucina arrivavano rumori assolutamente
familiari – Gerard si faceva il
caffè, Frank sorrise
– lui li ascoltava distrattamente e non fu particolarmente
stupito quando,
sollevando gli occhi, vide che l’altro era già di
ritorno e lo scrutava in
silenzio, appoggiato contro lo stipite della porta e con una tazza in
mano.
-Spero
ce ne sia anche per me.- pretese il chitarrista.
-Sai
dove sono le tazze.- lo liquidò Gerard spiccio.
Frank
non raccolse, dal fondo del borsone tirò fuori una maglietta
rossa che
riconobbe e che gli strappò un sorriso talmente soddisfatto
che le provocazioni
del cantante gli rimbalzarono addosso.
-La
mia maglia!- esclamò felice come un bambino.
-Ah,
sì.- sbottò Gerard.- Jamia mi ha detto di
prenderti quella perché dice che tu
sei convinto porti fortuna e voleva che la indossassi oggi.
Così quando ci licenzieranno
capirai che non porta affatto fortuna.- spiegò.
Frank
lo guardò malissimo.
No,
non per la battuta in sé. Era la sua indifferenza,
l’idea che potesse “non
importargli” se davvero la band fosse scomparsa quel giorno. Dove diavolo era finito il Gerard Way che
conosceva?
…dove
diavolo era finita la persona di cui si era innamorato?
|
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Capitolo 10 *** Honey, this mirror isn’t big enough for the two of us ***
Honey, this mirror isn’t big enough
for the two of us
And
I get
a little shaken, because I live my life like this
And well I find it hard to stay, with the words
you say
Oh baby let me in
Oh baby let me in
And you can cry all you want to, I don't care
how much
You'll invest yourself in me, we're not working
out,
We're not working out
And you can't keep my brother, and you won't
fuck my friends
and we're not working out, we're not working out
This time I mean it, never mind the times I've
seen it
Never again, never, never again
“Honey, this mirror isn’t
big enough for the two of us”
My Chemical Romance
“I brought you my bullets, you
brought me your love”
Non
aveva dormito affatto. Soltanto chiudere gli occhi lo aveva reso
dolorosamente
consapevole di due cose: l’indomani mattina si sarebbe decisa
la sorte della
band – quella che lui aveva voluto
e lui
stava distruggendo – e Frank dormiva nella stanza
sotto la sua, ubriaco e
dopo avergli ribadito per l’ennesima volta qualcosa che
Gerard non voleva
sentirsi ripetere. Si era rigirato nel letto inquieto, maledicendosi
mentalmente per non aver, una volta tanto, riportato a galla vecchie e
pessime
abitudini ed essersi sbronzato anche lui con l’amico. Frank
era comunque troppo
ubriaco per poterglielo impedire, magari il giorno dopo Gerard si
sarebbe preso
una ramanzina con i fiocchi ma sul momento non avrebbe dovuto pensare a
niente.
Si era alzato praticamente all’alba; l’altro
continuava a russare rumorosamente
arrotolato sul suo divano, lui si era lavato e vestito ed era uscito.
Andare
a casa di Frank e reincontrare Jamia a tu per tu era stata una bella
prova di
coraggio, di cui Gerard, in realtà, avrebbe fatto a meno
più che volentieri.
Lei, chiaramente, gli aveva sorriso e si era informata gentilmente di
come
stesse, lui aveva risposto in modo così freddo e formale che
ne era venuto
fuori un momento di silenzio imbarazzatissimo. Gerard aveva sentito
disperatamente il bisogno di voltarsi e scappare, partiva dalla pancia
e gli
faceva pensare che poteva tranquillamente andare direttamente alla
riunione, a
piedi e senza tornare indietro a prendere il chitarrista. Che si
fottesse e si
arrangiasse un po’ da solo! Lei glielo aveva letto in faccia;
nell’osservare il
sorriso di Jamia addolcirsi e farsi più vero, Gerard si era
ricordato il motivo
per cui Frank aveva scelto lei, dopotutto.
-Vieni
dentro. Ti preparo un caffè.
Non
era semplicemente un invito. Era una vera e propria offerta di tregua e
lui si
sentiva tanto stanco da avvertire la necessità di una
tregua, da una qualsiasi
delle cose che gli stavano dando
l’assedio in quei giorni. Sentì che potevano
fingere tutti e due, lei e lui,
che le cose fossero ancora come all’inizio, quando Jamia era
un po’ la sorella
del gruppo, quella che preparava le torte e curava le ferite con
cerotti e
sorrisi.
-Grazie.-
aveva accettato in tono spento.
Lei
non gli aveva chiesto niente. In cucina aveva messo su il
caffè come promesso,
il discorso lo avevano portato di tacito accordo direttamente su Frank
e su un
argomento neutrale, l’uscita del giorno prima. Gerard aveva
raccontato a Jamia
di come l’altro avesse esagerato a bere, delle chiacchiere
idiote che si erano
scambiati – e tacerle la
verità non era
stato nemmeno tanto difficile – lei gli aveva
detto che era felice che le
cose tra loro si stessero sistemando, perché Frank
l’aveva presa proprio male
di perdere la loro amicizia. Parlava al plurale, Frank aveva preso male
di
perdere l’amicizia di tutti loro, tutti e quattro. Gerard
sapeva che stava
facendo un favore a se stessa ed a lui a non dire la verità
che entrambi
conoscevano.
Nel
tornare a casa, la borsa con i vestiti del più piccolo sulla
spalla, si era
reso conto del retrogusto amaro che aveva in bocca e del dolore sordo
che gli
chiudeva lo stomaco.
Frank
era sveglio quando lui era
arrivato…beh…più o meno, almeno.
Gerard aveva
provato vivo e presente il senso di fastidio che l’averlo
dentro casa gli dava.
Lì per lì non si era fornito una spiegazione, ma
questa gli arrivò lampante nel
momento in cui, seduto nella sala riunioni della Reprise, si
sentì soffocare
dal bisogno fisico di uscire di
lì.
Brian
aveva ribadito loro di non parlare,
con una categoricità che non era per niente da lui e che,
generalmente, loro
cinque ignoravano con superficialità. Quel giorno si sentiva
nell’aria che non
sarebbe stato così. Bob se ne stava in un angolo con una
faccia così rossa da
rendere palese il suo dispiacere e la vergogna per essere la causa di
tutto
quello, Gerard si sentì tentato di battergli una pacca sulla
spalle e fargli
notare, gentilmente, che era lui l’unico responsabile ed al
diavolo il senso di
colpa del batterista! Mikey e Ray erano tranquilli, si associavano
silenziosamente al proprio manager e gli offrivano sostegno in quel
momento
come non avevano mai fatto prima. Frank era, incredibilmente, spaesato,
ma quel
genere di cose non faceva per lui e Gee pensò che in quel
momento era fin
troppo chiaro quanto ancora il chitarrista ci tenesse ai MyChem.
Avrebbe
voluto poter condividere il loro stato d’animo, sentirsi
anche lui teso perché stavano
rischiando tutto. Man
mano che il tempo passava, però, e che la tensione nella
stanza diventava una
presenza opprimente, Gerard si rendeva conto che no, a lui non
interessava
sapere se sarebbero sopravvissuti a quella
“bravata”. Tutto ciò che lui voleva
era che quei due della Reprise – Tony
e
Dave – si decidessero a smetterla di sorridergli e
manifestargli il proprio
rincrescimento per l’incidente
increscioso del concerto. Voleva che la piantassero tutti di guardarlo
come se
da un momento all’altro dovesse esplodere o andare in
frantumi – e chiedendosi
quale delle due prospettive fosse la peggiore. Degli sguardi ansiosi di
Mikey,
di quelli di riprovazione di Brian, dell’interrogatorio
silenzioso di Ray e,
peggio di ogni cosa, dell’aria affamata
con cui Frank lo teneva d’occhio ne aveva piene le palle. E
quella che
avvertiva non era davvero paura, ma solo senso di pericolo,
perché sul punto di
esplodere – o andare in frantumi, e
nemmeno lui sapeva dirsi cosa potesse essere peggio
– ci si sentiva
davvero. E non voleva che fosse lì, con loro, con nessuno di
loro.
Prese
a giocare nervosamente con l’accendino già un
istante dopo aver risposto a
monosillabi alle domande educate dei due della Reprise, fuori il cielo
di New
York era pesante quanto il suo stato d’animo ed andava bene
così. Non poteva
durare per sempre, no? Bastava resistesse per un po’
ancora…
Avesse
potuto almeno
fumare lì dentro, cazzo!
-E’
chiaro che un’eventuale cattiva riuscita del disco porrebbe
la band in una
situazione difficile agli occhi della direzione…
-E’
chiaro.- convenne Brian spiccio.
-Quindi,
non ti sarà difficile capire, Brian, che
per…allettare la direzione ci voglia
qualcosa che faccia presumere la buona volontà della band ad
uscire da
questa…empasse?
-Oh
sì, Dave, assolutamente. Tutta la buona volontà.
Frank
dondolò sulla sedia. Mikey se ne accorse e gli
tirò un’occhiataccia tale che
lui si lasciò immediatamente ricadere composto e si mise
dritto, mani sul
tavolo e sguardo fintamente attento agli uomini della Reprise.
A
quanto pareva erano arrivati al punto. Brian era stato molto chiaro con
lui,
Gerard sapeva che in realtà la
Warner si trincerava dietro
quella storia solo per non dover manifestare il disagio di una
prospettiva di
vendita del disco decisamente in calo rispetto alle stime fatte al
momento
della produzione. Sospirò pesantemente e Frank gli
scoccò uno sguardo
preoccupato che lui evitò, storcendo la bocca in una smorfia
per impedirsi di
commentare acidamente l’agitazione del più piccolo.
-Immagino,
in ogni caso, che anche la direzione capirà se dovessimo
ritenerci liberi di
guardarci attorno.
No,
la direzione non capiva. Il sorriso sui volti di Dave e Tony
diventò così
rigido che Ray sbuffò in un accenno di risata –
che soffocò sul nascere – Mikey
sorrise discretamente e perfino lui sentì gli angoli delle
labbra tendersi in
un sorrisetto cattivo e soddisfatto.
-Facciamo
così!- esclamò vivacemente Brian facendosi avanti
lungo il tavolo, un colpo di
piatto di fianco a sé che fece sobbalzare i due uomini.-
Vediamo che ne viene
fuori da questo cd e poi ne parliamo dati alla mano, eh?-
liquidò il manager.
Quando
si alzò, gli altri cinque lo imitarono con una prontezza ed
un accordo
invidiabili, tanto che Gerard si sentì orgoglioso di loro,
ed allo stesso modo
si esibirono ad un coro cantilenante ed ironico che intonò
un “ciao Dave e Tony” cattivissimo. In strada,
poi, Ray, Bob, Mikey e Frank
scoppiarono a ridere all’unisono e Brian non se la
sentì nemmeno di riprenderli
e si unì a loro.
Gerard
si accese una sigaretta.
-Andiamo
a mangiare qualcosa tutti assieme?- stava chiedendo Brian.
Il
cantante si concentrò sul sapore della nicotina, anche se
non era possibile la sentiva
già in circolo e
rimpiangeva ben altre sostanze,
sicuramente più efficaci. No, aveva bisogno di andare via,
realizzò fissando
gli altri riuniti in circolo.
-Io
vado a casa.- annunciò piatto.
Suo
fratello annuì per tutti, più che altro
– immaginò Gerard – stava cercando di
tenergli lontano domande che non avrebbe apprezzato. Peccato non
riuscisse a tenergli
lontano anche premure che
apprezzava
ancor meno, pensò quando Frank si intromise repentinamente.
-Ti
accompagno.- si offrì imitandolo nell’accendersi
una sigaretta.
Gerard
ingoiò la risposta velenosa che gli salì alle
labbra. Frank non lo stava nemmeno
guardando, solo suo fratello si accorse dello sguardo malevolo e
disperato che
rivolse al chitarrista più giovane. Non disse nulla comunque
e camminò in
direzione dei taxi parcheggiati lì vicino.
***
Arrivarono
davanti alla palazzina di Gerard in un silenzio teso che Frank non
capiva.
L’altro non aveva spiccicato una parola che fosse una da
quando erano usciti
dall’incontro con quelli della Reprise, si era seduto nel
primo taxi che erano
riusciti a trovare ed aveva dato l’indirizzo di casa propria
in tono così basso
e svogliato che lui, per sicurezza, lo aveva ripetuto ad un autista
spaesato.
Quando l’auto si fermò a pochi metri dal
cancelletto, il bruno si tirò fuori a
velocità razzo, praticamente gettando in faccia al
conducente i soldi della
corsa e puntando a passi lunghissimi verso l’ingresso. Frank
ci mise qualche
secondo di più ad andargli dietro, stava ancora aprendo la
portiera quando
Gerard era già al portoncino e litigava con le chiavi per
aprire.
-Grazie
e buona giornata.- si affrettò a salutare il tassista, che
annuì soltanto e
rispose con un cenno della mano, presumibilmente chiedendosi chi
fossero quei
due pazzi.
Frank
sospirò pesantemente e seguì l’altro.
-Hai
intenzione di venirmi dietro fino a casa?!- si sentì
aggredire ancora prima di
entrare nel portone.
Si
bloccò sulla soglia, un gradino più in sotto
rispetto al pianerottolo di
ingresso, guardando in su, stupito, il viso alterato di Gerard.
-Gee…
-Gee
tua madre, Iero!- infierì l’altro
interrompendolo con una ferocia che Frank non capì affatto,
ma che bastò a
fargli perdere quel po’ di tranquillità che ancora
conservava.
-…che
cazzo ti prende, Way?-
domandò in
tono basso e controllato, stringendo i pugni fino a sentire le nocche
fargli
male.
-Mi
prende che non ne posso più di averti attorno.-
sussurrò Gerard allo stesso
modo, facendo evidente fatica a tenere a bada quello che gli ronzava
nella
testa.- Non tollero la tua presenza, sei asfissiante più di
Mikey, sei
invadente quanto Brian o Bob e sei pedante peggio di Ray. Questo, se ti
consola, ti fa capire che non voglio tra le palle te più di
quanto voglia uno
qualsiasi di quegli altri quattro.- spiegò lento.- Quindi
fai un favore a tutti
e due, vattene da tua moglie e restaci!-
sputò rabbiosamente.
Frank
aveva voglia di prenderlo a pugni. Soprattutto quel dannato colpo basso
di
tirare in mezzo Jamia – fottutissima
jamia! – non glielo perdonava facilmente! Cazzo!
non riusciva proprio a
regolarsi quando dava fiato a quella dannata fogna! Poteva stare zitto
per
secoli e poi tirare fuori in una volta sola tanta di quella merda che
Frank
aveva dei seri problemi a tollerarla… e ad essere onesti non
è che non sentisse
anche lui la dannata tensione di quei giorni del cazzo, se quel
coglione
credeva di essere autorizzato a comportarsi come se esistesse solo
lui…beh, si
sbagliava di grosso!
-Gerard,
io non ho idea di cosa cazzo ti sia preso, ma se vuoi che sia sincero,
non me
ne frega un fottuto niente.- si
sentì
rispondere il cantante. Quando Gerard fece per intervenire, Frank lo
zittì con
un’occhiata talmente arrabbiata che l’altro si
ritrovò a fare un passo indietro
all’interno della palazzina.- Sai qual è il tuo
problema?- gli chiese il più
piccolo.- Che tutti noi, ma soprattutto quei quattro idioti, ti abbiamo
convinto che tutto ti sia dovuto. Beh, la novità
è che no, non è così, e sì,
è
un favore quello che ti ho fatto in questi giorni a starti dietro e
darti
retta.
-Potevi
risparmiartelo!- s’intromise Gerard velenosamente.
-Ah,
questo è sicuro!- rintuzzò Frank in un ringhio
basso.- Visto che la
riconoscenza non fa proprio per te, stronzo!
-Dovrei
esserti riconoscente per avermi invaso la vita, Frankie?!
-Dovresti
essermi riconoscente perché nonostante
tutto…- si fermò.
La
forza di quello che non diceva era tanta che li obbligò
tutti e due, per un
momento, a trattenere il fiato mentre si guardavano e stabilivano di
rispettare
un tacito accordo di silenzio.
Anche
se li stava uccidendo entrambi.
-…dovresti
essermi riconoscente, perché sono ancora qui a sbattermi per
te anche se non
sono tenuto e, a dirla tutta, nemmeno mi va più di tanto.-
riprese Frank
sottilmente, respirando male.
-Bene.-
mormorò Gerard.- Quella è la strada.- aggiunse
indicando la via alle spalle di
Frank.- Grazie tante per il tuo
aiuto
non richiesto, Iero.
Frank
rimase un momento di troppo fermo dov’era. Non poteva credere
che stesse
andando davvero a quel modo. Per un po’ – si rese
conto – si era illuso che
tutto potesse ripartire da dove si era interrotto. Magari su basi
diverse – c’era Jamia
adesso, c’era in un modo in cui
lui non poteva e voleva ignorarla – magari sarebbe
stato anche difficile,
però per un momento doveva essersi illuso che si potesse
fare comunque. Mentre
realizzava di stare perdendo Gerard un’altra volta, si
accorse anche di quanto
gli mancava la sua presenza.
Ferirsi
era diventato
l’unico modo che conoscevano, ormai, per restarsi attaccati
alla pelle ed alle
ossa.
-…avresti
dovuto mandarmi un biglietto per il tuo funerale, Way, mi spiace
davvero un
sacco essermelo perso.- sussurrò cattivo Frank. Proprio per
quello. Per
restargli addosso con una cicatrice di più.
Sentì
il portone chiudersi quando uscì dal cancelletto esterno,
Gerard era rimasto a
guardarlo andare via e Frank si chiese se gli fosse venuta la
tentazione,
almeno una volta, di allungare una mano a riprenderselo.
Inghiottì la saliva e
la rabbia, infilò le mani in tasca e camminò
dritto per la propria strada.
Sul
marciapiede opposto una figura in felpa, jeans e maglietta nera con il
logo
stampigliato in rosso gli ricambiò lo sguardo quando Frank
si voltò
distrattamente e si accorse di lei.
…doveva…avvisare
Gerard…?
Perché gli riusciva difficile anche solo pensare
di dovergli parlare di nuovo?
Respirò
a fondo, non era una cosa buona che tutto riprendesse come quando non
si
parlavano nemmeno…non lo era… per…la
band…
***
Il
quantitativo assurdo di cazzate che si era detto, Frank lo
realizzò nell’aprire
la porta di casa. Quando fu investito dal profumo invitante del pranzo
e dalla
voce di Jamia che cantava in cucina, la radio accesa, ed il suo primo
– unico –
pensiero coerente fu che aveva
voglia di vomitare. Per un istante perfetto – quello in cui
rimase immobile, le
chiavi ancora nella toppa della porta e gli occhi chiusi strettamente
– si
disse che forse poteva voltarsi ed uscire di nuovo. Camminare a piedi,
per dove
non aveva importanza…magari casa di Mikey…magari
nessun posto in particolare,
ma camminare fino ad avere i piedi che gli facevano male e nessuna
forza per
mettere un altro passo in fila. In quell’istante perfetto,
Jamia spariva, Gerard
non era ancora diventato un problema, lui viveva per la musica e la band era il centro
dell’Universo.
Peccato che quest’ultimo coincidesse tragicamente con la
dimensione esatta di
una cuccetta troppo stretta in cui il respiro di Gerard ed il suo si
confondevano
fino a non sapere più a chi appartenesse l’aria
che stava respirando.
-…merda.-
sussurrò a voce bassissima Frank, credendo che il corridoio
fosse ancora vuoto.
Quando
aprì gli occhi vide che non era così. Lei stava
ferma davanti la soglia della
cucina, un sorriso enorme sul viso ed un mucchio di dubbi
così chiari da essere
stampati negli occhi.
-Ciao,
Jam.- sorrise di rimando, falso quanto lei.
-Ciao!-
esclamò Jamia prontamente.- Com’è
andata?- s’informò.
-Ah…da
Dio!- ricambiò lui con entusiasmo. Sfilò le
chiavi e chiuse la porta dietro di
sé.- Brian è stato grande e, come vedi, la mia
maglietta porta fortuna!- la
prese in giro affettuosamente, indicando orgogliosamente
l’indumento rosso
sotto il giubbotto di pelle.
Lei
rise e gli andò dietro mentre Frank iniziava stancamente a
spogliarsi.
-Faccio
una doccia.- annunciò in camera da letto, sfilando la
maglia.- Stamattina mi
sono svegliato talmente tardi che non c’è stato
modo nemmeno di darsi una
lavata decente.
-Sì,
Gee mi ha detto che eri ubriaco fradicio!-
lo riprese lei con aria talmente “materna” che a
Frank scappò un sorriso più
sincero e si piegò a baciarla a stampo sulle labbra
imbronciate.- Frank Anthony
Iero!- lo bacchettò comunque Jamia.
-Oooh!
Non ero così ubriaco!-
protestò lui,
infilandosi in bagno con solo i boxer addosso.
Jamia
non gli diede tregua. Rise divertita – ed
era un suono bellissimo - inseguendolo prima che potesse
chiuderle la porta
davanti, si appoggiò al battente con tutte e due le mani
spingendo per
riaprirlo e, quando lui lo lasciò di scatto, lei quasi gli
inciampò addosso,
finendo tra le sue braccia con uno gridolino soffocato.
-…ciao,
amore.- la salutò lui trattenendola contro di sè
per impedirle di cadere a
terra.
Jamia
si rigirò nel suo abbraccio. Non sembrava intenzionata ad
allontanarsi. Anzi.
Appena lui le lasciò margine per farlo, lei
sollevò le braccia e gliele fece
passare attorno al collo, avvicinando il viso al suo per baciarlo.
-Mi
sei mancato un po’ in questi giorni.- ammise, poi, a mezza
voce Jamia, occhi
chiusi e fronte contro quella di lui. Frank respirò il suo
profumo, Jamia aveva
sempre avuto l’odore di qualcosa di pulito;
affondò il viso nei capelli di lei
per sentire se quella sensazione di innocenza
era ancora dove la ricordava. Immutata.- In realtà, mi
manchi sempre quando sei
via…
-Mi
sei mancata anche tu.- sussurrò Frank, rendendosi conto
mentre lo diceva che
era vero.
Nel
baciarla, spingerla verso la doccia, spogliarla lentamente, Frank
pensò di
essere una persona molto stupida.
Perché
a buttare via le fortune che la vita ti da, significa che sei stupido.
E
quando poi quella fortuna ti si attacca addosso come aveva fatto con
lui e,
nonostante questo, tu continui a non volerla vedere – non vedere Jamia era così assurdamente
facile, lei c’era e le “cose che
ci sono” sono proprio quelle che non vedi più...
-…ti
amo, Jam.
|
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Capitolo 11 *** Disenchanted ***
Disenchanted
Well I was
there on the
day
They
sold the cause for the queen,
And
when the lights all went out
We
watched our lives on the screen.
I
hate the ending myself,
But
it started with an alright scene.
It
was the roar of the crowd
That
gave me heartache to sing.
It
was a lie when they smiled
And
said, "you won't feel a thing"
And
as we ran from the cops
We
laughed so hard it would sting
If
I'm so wrong, so wrong, so wrong
How
can you listen all night long?
Now
will it matter after I'm gone?
Because
you never learn a goddamned thing.
“Disenchanted”
My Chemical Romance
“The Black Parade”
Frank
sentiva il sapore della donna che amava. Il sapore di Jamia impresso a
fuoco
nei suoi sensi. E poi il rumore fastidioso di qualcosa in sottofondo,
un trillo
insistente, le note disarmoniche di una canzone sparata a volume
crescente ed
il rumore della plastica che urtava in modo ritmico e veloce sul legno
laccato
del comodino. Jamia si rigirò nel suo abbraccio,
protestò contro il suo
orecchio sottraendogli quel profumo stordente di bagnoschiuma dolce e
shampoo
alla frutta, un profumo che sapeva di licei da cartone animato. Lui non
voleva
svegliarsi e la inseguì nel letto, ma solo per farsi
spingere via a mani aperte
contro il petto.
-…rispondi!-
biascicò lei in un ordine indispettito.
Frank
sospirò, si voltò tra le coperte stizzito,
facendo fatica per tirarsi a sedere
e cercare a tentoni il cellulare sul comodino. Di aprire gli occhi non
aveva
nessunissima intenzione, la sua unica intenzione era mandare a
‘fanculo quel
rompicoglioni dall’altro lato della comunicazione e tornare a
raggomitolarsi
contro il seno di Jamia. Lei aveva ricominciato a dormire con un
sorriso
soddisfatto appena lui aveva zittito l’apparecchio.
-…chi
cazzo è che rompe a quest’ora della notte?!-
chiese, sufficientemente assonnato
da non riuscire nemmeno minaccioso quanto avrebbe voluto.
Gli
rispose un silenzio così pesante che Frank si
ritrovò nonostante tutto a
trattenere il fiato. In accordo perfetto con la persona
dall’altra parte della
cornetta. Era quasi certo che anche i
loro cuori avessero preso a battere allo stesso ritmo.
-…pronto…?-
mormorò strozzato, a voce bassissima per non svegliare la
moglie.
Questa
volta qualcuno si lasciò
scappare un
singhiozzo.
Frank
scostò le coperte lentamente, posando a terra i piedi e
camminando scalzo ed al
buio, un’occhiata alle spalle, dietro di sé, Jamia
sorrideva ancora, lui si
affrettò a chiudere la porta che separava la zona notte e
quella giorno
dell’appartamento. Dall’altra parte, chiunque
fosse, continuavano a venire solo
sospiri soffocati e nessuna parola, nessun respiro normale. Frank si
sedette su
un divano con uno sbuffo pesante, chiudendo di nuovo gli occhi ma solo
perché
non riusciva a sopportare tutto quello.
…no…non
aveva necessità di vedere
chi fosse.
-Gee.-
chiamò.- Stai bene?
Era
una domanda di circostanza. La risposta era nella lentezza con cui lui prendeva fiato, come se respirare
ancora dovesse richiedergli uno sforzo di volontà e non
fosse più un gesto
incondizionato dettato dall’istinto di sopravvivenza.
-Ho
bisogno di te.- si sentì implorare Frank in un sussurro
sottilissimo.
***
Ci
sono molti modi di impazzire. Gerard lo aveva realizzato nel momento in
cui
aveva capito che lui era impazzito, ad esempio. E nessuno pareva
essersene
accorto.
Aveva
chiuso la porta di casa con un’urgenza assurda addosso. Si
era precipitato al
piano di sopra – aveva scaraventato il giubbotto per terra
passando nel
corridoio, da qualche parte sulle scale o davanti al salotto
– dentro la camera
da letto, prendendo a scavare nel marasma confuso degli scatoloni e
dell’altra immondizia che
aveva raccolto lì. Aveva
buttato tutto all’aria perché nemmeno lui sapeva
cosa cercava, aveva solo
bisogno di ritrovarla…qualunque cosa fosse…di
ritrovare la propria anima,
buttata da qualche parte assieme a tutto il resto che andava gettando
via senza
nessuna cura. C’era la sua vita lì dentro.
C’era tutta la sua vita, cazzo! e
lui voleva solo liberarsene - o ritrovarla? –
e poi ri-iniziare, perché
era certo che si potesse fare, che si potesse ricominciare in un mondo
in cui
Lindsay non c’era, il bambino non c’era, Jimmy non
era un’ombra incombente,
Frank non era un sorriso dimenticato…
Frank.
Gerard
si era fermato ansante al centro del disastro. Si era lasciato cadere a
sedere
per terra. I suoi occhi giravano tutto attorno, spostandosi rapidi ed
isterici
su qualsiasi oggetto senza vederne nessuno. Frank. C’era
anche lui là in mezzo
– si ritrovava tra le mani i pezzi rotti di vecchi 45 giri, i
Misfits di cui
avevano parlato assieme fino alla noia! – c’erano
le notti in tour e le cazzate
fatte o dette, in interviste, sul palco, da soli o in mezzo agli altri.
Lui e
Frank erano sempre stati uguali a se stessi, che stessero scherzando
tra loro o
con gli amici di sempre o che stessero cazzeggiando davanti al mondo
intero,
lui e Frank erano sempre gli stessi. Lui
e Frank.
E
poi era arrivata Lyn-z e Gerard non si riusciva proprio a ricordare
come. Da
quel “vaffanculo, siete una manica di sfigati e
basta!” ad un “ti amo” detto
labbra contro labbra. Le labbra di Lyn-z erano buone, anche se tutti
stavano lì
a dirgli di no, lei sapeva di femmina
e di sesso, sapeva di una normalità un po’ assurda
e divertente che lo faceva
stare bene. E poi Frank c’era comunque, no? Sì,
certo, protestava un po’, lei
non gli piaceva ma non piaceva a nessuno e Gerard aveva imparato a
scuotere le
spalle e fare ciò che gli andava. E allora che fosse la
bocca di Frank o quella
di Lynz, Gerard stava bene lo stesso e magari…ma solo per
errore…quei due
sapori doveva averli mischiati un po’ nella sua mente. Ed ora
non ricordava più
dove fosse finito quello di Frank.
-Perché
lo hai baciato?
-Non
l’ho baciato.
-…gli
hai infilato la lingua in bocca.
-Lo
facciamo sempre.
-…No.
Non sei credibile, Way.
Lynz
era una buona amica. Una di quelle che fanno le domande giuste e si
danno le
risposte che tu non fornisci. Si fa presto a confondere le idee
così, no?
-…che
cosa cazzo ho fatto?- si domandò Gerard a voce bassa,
guardando il vuoto che
aveva creato attorno a sé.
Gli
venne da ridere. Anche a non voler tirare fuori metafore spicciole da
presente
e passato, ci si ritrovava male in quel vuoto.
In fondo lui da solo non sapeva proprio stare, no? E lei
l’aveva bruciata, veloce e violento, l’aveva spinta
lui stesso
in quella vasca, sul baratro della morte, a premersela in vena per non
doversi
ricordare di una vita in cui erano due atomi nemmeno in rotta di
collisione. E lui…lui lo
aveva perso, ancora prima,
lasciandolo a curarsi da solo le ferite che aveva inferto ad entrambi,
a
riattaccare i cocci di se stesso – ed
ora
anche di lui, Gerard, che con i cocci non aveva mai saputo farci
– e vedere
un po’ se dalle briciole ci si poteva costruire qualcosa.
Ripartire da zero.
Con uno di loro due impegnato a trascinarseli tutti verso quello
“zero”, in una
discesa che non era più solo auto-distruttiva,
quanto deflagrante e basta.
Nel
guardarsi attorno, Gerard pensò che tra le macerie
l’erba gramigna come lui
attecchisce proprio bene.
***
Frank
aveva trovato il portone aperto. La scala era nera e portava su su
verso un
Inferno fin troppo conosciuto. Non era la prima volta che affrontava le
crisi
di Gerard – sorrise – non sarebbe stata nemmeno
l’ultima a quanto pareva. Aveva
lasciato la macchina parcheggiata dove non avrebbe potuto,
l’indomani, con
tutta probabilità, sarebbe dovuto andare a riprendersela al
deposito della
polizia. Non gliene fregava un cazzo. Non era riuscito a fregargliene
abbastanza nemmeno quando aveva scritto quelle due righe stringate a
Jamia,
mollandole il biglietto sul tavolo della cucina e fingendo di non
sentire
quando lei si era svegliata, alla fine, e lo aveva chiamato nel buio
che era
già sulla porta. Per essere certo che lei non lo
rintracciasse, spense il
cellulare appena arrivò davanti la soglia di casa
dell’altro. Bussò. Ovviamente
non gli rispose nessuno, ed ovviamente era aperta anche quella di
porta. Lasciò
la borsa nell’ingresso e buttò
un’occhiata al salotto. Era tutto spento,
nessuna luce e nessun movimento. Nessun suono nemmeno. Perfino il
respiro di
Gerard non faceva rumore quando si avvicinò a lui, davanti
al divano nel
salotto.
Il
bruno non lo guardò. Sembrava che nel disegno del pavimento
ci fosse una
qualche verità nascosta che lui, Frank, non afferrava
proprio. Né si sentiva
particolarmente incline alla filosofia esistenziale, non dopo quel
rocambolesco
risveglio che gli avrebbe guadagnato il peggior litigio della sua vita
matrimoniale!
Sospirò.
Era nervoso, ma la sua non era rabbia – e sì che
sarebbe stato giustificato se
lo avesse preso a pugni in faccia per quello che gli aveva fatto!
– era
preoccupazione, ed il silenzio che Gerard si ostinava ad osservare, il
buio
sepolcrale nel quale si era rifugiato – fisicamente e non
solo – lo irritavano
perché gli facevano paura.
A Frank le
cose piaceva affrontarle e Gerard, invece, non gli dava mai un mulino
contro
cui scagliarsi, preferendo di gran lunga fantasmi intangibili che
giravano in
tondo solo nella sua dannata testa.
-Parlamene.-
esordì il più piccolo quando, in piedi davanti
all’altro, non fu riuscito a
strappargli nemmeno uno sguardo.- Gee, cazzo,
parla!- insistette freddo e rapido.- Parla o giuro che lo faccio io e
non ti
piacerà per un cazzo quello che ho da dirti.
Sapeva
che non erano state le sue minacce. Quando Gerard prese un respiro
profondissimo,
come stesse riemergendo dal mare di merda in cui stava annegando, e gli
sollevò
in faccia due occhi che Frank al buio intuiva solo – ma
bastava, cazzo se
bastava a fare male! – Frank sapeva che non erano state le
sue minacce a farlo
decidere.
-Li
ho ammazzati io.- si sentì dire in tono distaccato, quasi
incurante. A Gerard
piaceva giocare ad uccidersi fingendo verso di sé
un’indifferenza che il suo
egoismo dissipava del tutto agli occhi di chi lo conosceva. Frank lo
conosceva
dannatamente bene.- E’ stata una presa per il culo
dall’inizio, non avrei mai
dovuto sposarla. Sapevamo che nessuno di noi amava l’altro
abbastanza, ci si
sono messi la mia fottuta paura di restare solo e la sua leggerezza
idiota nel
fare le cose e bam! eravamo con un anello al dito ed un figlio in
arrivo senza
nemmeno accorgercene.
-Sono
errori che si fanno, Gee.- mormorò Frank senza forza, non ci
credeva manco lui
che certi errori si fanno. E sì che era colpevole allo
stesso identico modo…
Gerard
sorrise triste.
-Non
le fai certe vaccate sulla pelle degli altri, Frank.- sibilò
in un rimprovero
che affondò nello stomaco del chitarrista tanto quanto nel
suo. L’immagine di
Jamia appena sveglia, ancora intontita dal sonno, che sentiva la porta
di casa
chiudersi su una speranza di normalità
che andava a puttane, ferì Frank come un pugno diretto in
piena faccia.- Io lo
sapevo che lei si faceva scopare da un altro ed ho finto di non saperlo
perché
c’era quel cazzo di bambino di mezzo. Ma certe cose non le
nascondi nemmeno se
vuoi, Frank, io non riuscivo proprio a fingere che me ne fottesse
qualcosa e
Lindsay non è mai stata stupida.
-…stai
esagerando. Lo ha scelto lei di farsi.
Lui
non lo ascoltava e fu chiaro quando si limitò a lasciarsi
andare con la testa
sulla mano, appoggiato pesantemente allo schienale del divano,
arruffando e
tirando i capelli annodati.
-…dovevi
vederla, Frank…- mormorò con un sorriso,
chiudendo forte gli occhi come avesse
bisogno sul serio di visualizzarla davanti a sé. Fantasma del Natale Passato –
Era bellissima mentre parlava del
bambino. Era felice come non la vedevo da mesi. Ed io avrei voluto
dirglielo in
quel momento,- Frank mandò giù la saliva,
ignorò il dolore che provava al petto
finché poté e poi, quando fu troppo, ci
portò la mano artigliando la maglietta
e la carne con la stessa ferocia. Ma Gerard non lo guardava.- che era
bellissima ed ero felice anche io e volevo quel bambino proprio come lo
voleva
lei. Invece non dicevo nulla e scappavo sempre. Un impegno e poi un
altro, e
poi uno suo, e poi Jimmy che chiamava e lei che rideva al telefono con
lui, e
poi lei sempre più distante, sempre più
silenziosa, con sempre meno voglia di
condividere i sorrisi con qualcuno che non voleva vederglieli
fare…
Jamia
era a casa e lo aspettava. Jamia aspettava Frank per
l’ennesima volta. Lo
avrebbe aspettato per tutta la vita? A volte Frank se lo era
chiesto…quella volta
Frank se lo era chiesto e
si era detto di no. Sposarla era
stata la risposta ad una paura fottuta, la paura di perderla
perché nemmeno
l’amore di Jamia poteva essere per sempre.
Ed
ora l’aveva lasciata ad aspettare una volta di più.
-Li
ho ammazzati io.- chiuse Gerard in un circolo perfetto.
Frank
annuì. Perché era vero e perché era
inutile. Lindsay e suo figlio erano morti,
di chiunque fosse quel bambino ed a chiunque appartenesse il cuore
della donna
la verità incontestabile era che a perdere, alla fine, era
stato Gerard. E lui
stava per accollarsi la metà di quella sconfitta.
-Ci
facciamo un caffè?- domandò pratico e diretto.
Si
stupì lui per primo di come il suo tono fosse rimasto saldo
e sicuro. E sì che
il cuore doveva essere scoppiato ormai, o almeno doveva averlo
stritolato
davvero forte tra le dita.
***
Prese
il telefono in automatico. Squillava. E poi era troppo vicino al suo
orecchio.
E se avesse continuato si sarebbe svegliato anche Gerard e lui non
voleva.
Arrotolato sulla poltrona di fianco al divano in cui aveva dormito
Frank, il
cantante si rigirò nel sonno borbottando qualcosa ed
aggrappandosi ai cuscini
sgualciti come un bambino. Ci doveva stare fottutamente scomodo su
quell’arnese, sarebbe stato piccolo perfino per Frank stesso.
Sospirò, la notte
prima non c’era proprio riuscito a spedirlo a letto a
dormire, così aveva
ripiegato sul piano “B”, quello che prevedeva di
tenerlo sveglio a suon di
chiacchiere fino a che non fosse crollato di suo. A quel punto,
però, ci si
doveva accontentare riguardo alle sistemazioni logistiche.
Frank
rispose solo quando fu in cucina, lontano da Gerard e senza il rischio
che lui
sentisse.
-Pronto?-
chiamò con voce impastata.
-…che
cazzo sta succedendo?- si sentì aggredire da un Mikey
alquanto preoccupato.
Si
strofinò gli occhi, era così stanco che le crisi
isteriche dell’altro gli
scivolavano addosso con un’indifferenza ammirevole.
-A
cosa ti riferisci, Mikes?- domandò svogliatamente.
-…perché
ci hai messo tanto a rispondere?- spiegò il bassista.-
Perché lo hai fatto tu e
non mio fratello? dov’è mio fratello? ‘cazzo
ci fai tu lì a
quest’ora, Iero?!
-Ci
ho dormito. Sono arrivato stanotte, dopo che tuo fratello mi ha
chiamato in
preda alla depressione più nera ed io ho pensato che fosse
il caso di venire a
controllare fosse vivo e non si fosse suicidato dopo aver riattaccato
con me.-
riassunse spiccio Frank. Le altre domande trovavano risposta implicita.
-Gee
dorme?- borbottò Mikey dopo qualche momento di silenzio in
cui metabolizzò le
informazioni e pensò che aveva voglia di un altro
caffè. Frank si sentiva di
condividere quel bisogno e si voltò intorno cercando con gli
occhi la brocca di
vetro che avevano lasciato da qualche parte quella notte.
“Uhm”, bofonchiò
intanto.- Hai avvisato Jamia?- chiese bruscamente l’altro.
Frank
smise di cercare di tenere in bilico telefono, brocca e tazza e
posò tutto
quello che non era strettamente indispensabile. Prima che cadesse.
-Più
o meno.- mormorò a mezza voce, chiudendo gli occhi. Aveva
mal di testa.
-“Più
o meno” significa “no”?-
infierì Mikey. Frank lo sentì sbuffare un sorriso
che
non capì ma che suonava come un rimprovero fraterno.
-…le
ho lasciato un biglietto…
-Stamattina
ha chiamato Alicia.- spiegò Mikey e Frank pensò
che non doveva essere tanto
male infilare la testa nel cesso e tirarsi dietro lo sciacquone da
solo. Lo
avrebbe fatto sentire meno una merda, per dire…- Aly si
è chiusa in camera e non
ho sentito cosa si sono dette, ma mi pare chiaro quale fosse il
problema.
-E’
stata Alicia a dirti di chiamare qui e vedere se c’ero?
-No,
Alicia non mi ha detto di cercarti. Immagino che ti abbia difeso con
lei,
conoscendola…
-Ottimo.
Così sono pure in debito con tua moglie.
-Frank,
hai una voce del cazzo. Che sta succedendo?- interloquì
Mikey senza dare retta
alle ultime battute del chitarrista.
Frank
si chiese se fosse il caso di parlargliene. Si appoggiò al
piano della cucina e
fissò distratto la punta delle scarpe. Forse Gerard aveva
ragione a cercare le
risposte alle domande esistenziali nelle mattonelle del
pavimento…
-Senti,
tuo fratello è a pezzi…- cominciò
piano.
-Questo
era lampante. Come era lampante che non volesse nessuno attorno ieri e
te meno
di tutti. Perché ti ha chiamato?
-Immagino
che sia stata la disperazione.- rispose Frank, a lui ed a sé
stesso, e si
concesse un sorriso beffardo già mentre lo diceva.-
Però…ora è tutto sotto
controllo, Mikes, fidati.
-Se
non di te, non so davvero a chi attaccarmi, Iero.- ridacchiò
il bassista e
Frank gli andò dietro, anche se nessuno dei due riusciva a
suonare sereno come
avrebbe voluto.- Chiama Jamia.- gli consigliò subito dopo.
-Ah,
sì. Certo.- mentì Frank con disinvoltura.
-…guarda
che poi pure Alicia smette di difenderti.- ci provò ancora
Mikey.
-No,
ma la chiamo.
-…oggi.
-…
-Frank.
-Frank?!-
intervenne una voce esterna -
Dove diavolo sei finito? Guarda che se ti stai bevendo il mio caffè, ti ammazzo e
seppellisco il cadavere in cantina!
Frank
rise.
-Tuo
fratello si è svegliato.- annunciò.
-Sì,
ho sentito.- gli andò dietro l’altro.- Passamelo.-
chiese poi e Frank allungò
il telefono quando Gerard entrò sbadigliando nella stanza.
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Capitolo 12 *** The Sharpest Lives ***
The Sharpest Lives
Well it rains
and it pours
When you're out on your own
If I crash on the couch
Can I sleep in my clothes?
'Cause I've spent the night dancing
I'm drunk, I suppose
If it looks like I'm laughing
I'm really just asking to leave
This alone, you're in time for the show
You're the one that I need
I'm the one that you loathe
You can watch me corrode like a beast in repose
'Cause I love all the poison
Away with the boys in the band
I've really been on a bender and it shows
So why don't you blow me a kiss before she goes?
Give me a shot to remember
And you can take all the pain away from me
A kiss and I will surrender
The sharpest lives are the deadliest to lead
A light to burn all the empires
So bright the sun is ashamed to rise and be
In love with all of these vampires
So you can leave like the sane abandoned me
“The
Sharpest Lives”
My Chemical
Romance
“The
Black Parade”
Alle
cose buone ti abitui in fretta.
Frank
si era abituato in fretta a stare a casa di Gerard. Gerard si era
abituato in fretta
ad avercelo in giro per casa. Jamia era quella che ci aveva messo di più – in termini
di cuore e non di
tempo, però – ad accettare
l’idea che
Frank stesse da Gerard. Alla fine, una volta di più, era
stata ad un gioco che
ricominciava a somigliare tragicamente ad una corsa tondo tondo intorno
ad un
falò. Troppo vicino al fuoco, troppo vicino, Frank, ma di
tirarti via…nemmeno a
parlarne.
Quando
lui l’aveva chiamata il giorno dopo, lei era rimasta in
silenzio, attaccata alla
cornetta del telefono macerando rabbia e tenendola zitta, chiusa nel
proprio
corpo, dove l’unico danno che poteva produrre era a lei,
massacrandole un
organo – il cuore – che tanto di funzionare bene
non voleva più saperne. Mentre
lui parlava e le chiedeva di capire
–
ancora?! – lei mulinava
nella sua
testa una ghirlanda di odio e rancore con cui avrebbe voluto
strangolare
Gerard, soffocarlo e vederlo agonizzare, ed invece taceva e soffocava
solo lei.
“Me lo strapperai dalle braccia. So
che
non potrò impedirlo”. La consapevolezza
però non bastava a farle
abbandonare per prima lo scoglio, arrendersi alla morte inevitabile del
suo
matrimonio e lasciarsi andare sulla corrente di quella tempesta
iniziata il
giorno in cui Lindsay era stata sepolta. E quindi, per una volta di
più, era
stata ragionevole ed amorevole e disponibile e sorridente e comprensiva
e amica
di Gerard e fiduciosa di Frank e tenera e dolce e…
Quanti milioni
di bugie aveva accatastato nella propria vita? Fino a scomparire sotto
la
superficie liscia di uno specchio riflettente, lei era
un’Alice intrappolata
oltre lo specchio.
Frank
non aveva chiesto altro. Un appiglio striminzito a cui aggrapparsi,
come era
stato il suo sorriso strozzato al telefono, quell’ingoiare
una volta di più e
mormorare con un fiato così sottile da essere inudibile un
“certo, capisco, resta
pure lì quanto sarà necessario”. Lui
aveva afferrato quella frase e l’aveva
sollevata fino a farne un caposaldo su cui fondare la propria
convinzione ed
era rimasto lì proprio
per tutto il
tempo necessario. A lui, per riprendersi dalle proprie ferite, a
Gerard, per
riprendersi ciò che non aveva mai smesso di appartenergli.
Non
che le cose tra loro si fossero sistemate con un magico colpo di
bacchetta.
C’era una distanza invisibile che mantenevano anche dopo
giorni da quella
“notte delle confessioni”. Frank non sentiva il
desiderio di colmarla e su cosa
pensasse Gerard al riguardo preferiva non farsi domande.
All’inizio, poi, era
stato solo un diverso modo di scannarsi: ritrovarsi a dividere gli
spazi quando
si è due estranei come
loro erano
ritornati ad essere è dannatamente difficile. Frank sembrava
sempre si trovasse
nel posto sbagliato al momento meno adatto, Gerard pareva incapace di
riadattarsi alla presenza di un essere vivente in una casa che era
stata
abitata solo da lui e dai fantasmi. Si mordevano se facevano tanto da
restare
nello stesso identico posto per più di mezz’ora,
avevano un bisogno fisico di
separarsi e rintanarsi in zone diverse della casa appena la presenza
dell’altro
diventava una dolorosissima consapevolezza. C’era stato un
inseguirsi di
cattiverie ed insulti, litigi violenti e malignità urlate da
una parte
all’altra dell’appartamento in un inseguimento
feroce che era finito più di una
volta a pugni e calci e minacce di “andare via/ buttare
fuori”. Non se n’era
mai fatto nulla, man mano che il tempo passava l’odio si
smorzava
nell’abitudine. Il ricordo prendeva il sopravvento sul
bisogno di vendetta. La
familiarità di una volta tornava a ripetersi in gesti che
erano rimasti troppo
uguali a se stessi per essere cancellati del tutto.
L’unica
ombra scura nella vita di Frank divenne in fretta l’assenza
di Jamia. Non
riusciva a parlare con lei come avrebbe voluto…non riusciva
a parlarle e basta,
le mentiva sapendo di starlo facendo e la comprensione di quanto grande fosse quella menzogna
cresceva con il numero di
sorrisi spenti che riusciva a strappare a Gerard. Meglio di niente, si
diceva
quando ci riusciva, alla prossima volta sarà un sorriso
vero, di quelli che
ricordo ancora come fosse ieri…
I
sorrisi non tornavano, ma Gerard sì. Lentamente forse, ma
era di nuovo con lui
e Frank se ne rendeva conto quando, seduto nello studio
dell’altro fingendo di
leggere un fumetto ed ascoltare musica, poteva permettersi di spiarlo
dipingere
senza che Gerard sentisse l’esigenza di cacciarlo via dalla
stanza.
Quella
mattina, comunque, non era affatto un giorno come gli altri. Che fosse
stato il
bisogno di fare qualcosa per tenere
sotto controllo la tensione o che fosse davvero una decisione
ponderata, Gerard
lo raggiunse in cucina con una faccia strana, che non prometteva
necessariamente del buono, e quella richiesta già sulle
labbra.
-Mi
dai una mano a sbaraccare la stanza da letto?
Frank
sollevò un sopracciglio, la tazza vuota e la brocca del
caffè ancora a mezz’aria
sopra il ripiano accanto ai fornelli.
-…eh?-
chiese.
Gerard
sbuffò stizzito. Questa cosa non l’avevano ancora
superata del tutto, bastava
che Frank facesse tanto da contraddirlo – o semplicemente,
non assecondarlo
subito - e lui perdeva la pazienza e sbuffava, come se doversi ripetere
gli
costasse una fatica eccessiva ed il più giovane dovesse
apprezzare già il fatto
avesse parlato una volta.
-Eccheccazzo, Iero!- sbottò
adesso,
sedendosi al tavolo su cui l’altro stava posando
caffè e tazza.
Frank
s’indispettì, mollò tutto e si
tirò dritto, approfittando spudoratamente del
temporaneo vantaggio di poterlo squadrare dall’alto in basso.
-Senti
un po’, Way!- rintuzzò rabbiosamente.-
com’è che non te lo sei ancora levato
‘sto vizio di usare un tono del cazzo con me?!
-Non
è colpa mia se sei lento, Frankie.-
lo prese per il culo il cantante, servendosi tranquillamente del
caffè e della
tazza dell’altro.- Ti ho chiesto una mano per liberare la
camera da letto della
roba che c’è ammont…
-Guarda
che il concetto lo avevo afferrato!- ribatté acidamente il
più piccolo,
interrompendolo e spostando di malagrazia una sedia per sistemarsi di
fronte a
lui.- Ovviamente ti sembra il caso di farlo proprio stamattina!- gli
sputò
contro subito dopo.
-Un
giorno vale l’altro.- biascicò con indifferenza
Gerard, chiudendosi nelle
spalle e sbrindellando una biscotto tra le dita.
-Abbiamo
l’udienza tra tre ore.- gli ricordò Frank secco.
Gerard
scaraventò i resti del dolce nel piatto da cui lo aveva
prelevato e lo guardò
malamente.
-Quindi
restiamo tre ore seduti a fissare il muro?!- sbottò-
Comunque figurati! volevo
solo rendere quella dannata stanza funzionale così da
poterti lasciare quella
degli ospiti e farti dormire in un letto vero, ma resta pure sul divano
se
preferisci, Iero!- lo aggredì un istante prima di sollevarsi
ed uscire.
Lo
raggiunse quasi un’ora più tardi, di sopra e dopo
aver sbollito la rabbia che
provava. No, non aveva voglia di prendersi a pugni con Gerard poco
prima di
entrare in un’aula di Tribunale. L’altro stava
seduto per terra in camera da
letto, fissando con odio palese la distesa informe di oggetti che
appestavano
il lato opposto della stanza. Frank incrociò le braccia al
petto e guardò nella
stessa direzione.
-Beh,
se non cominciamo, non finiremo.- commentò propositivo.
***
Bob
era di nuovo il più nervoso di tutti e tre. A parte Brian,
s’intende; ma Brian
si sarebbe accontentato delle loro teste per smettere di essere nervoso
e,
quindi, continuando a mandarli a ‘fanculo a mezza voce
– a ritmo di una volta
ogni tre minuti – riusciva a mantenere i nervi abbastanza
saldi. Fuori di lì
c’era la stampa che li aspettava e Brian doveva
mantenere i nervi saldi. Gerard sedeva composto davanti al banco loro
riservato, osservava tutto spostando lo sguardo con sincera
curiosità attorno a
sé. In fondo non aveva sbagliato a pensare che ammazzandosi
di fatica quel
mattino, spostando scatoloni e mobili per quasi due ore
ininterrottamente,
sarebbe riuscito ad affrontare bene quella cosa. Ora ricambiava le
occhiate
divertite di quel tipo, nel banco di fianco al loro, senza
necessariamente
sentire l’esigenza di raccogliere la provocazione, aspettarlo
fuori di lì e
prenderlo a botte fino a lasciarlo in un lago di sangue sul selciato.
Oddio…il
desiderio di farlo c’era, ed era anche tornato più
volte ad ondate concentriche
che avevano coinciso con i momenti in cui il
ragazzino gli aveva sorriso apertamente e con aria
così innocente da fargli
sentire un groppo allo stomaco.
Era
pazzo. Era un fottuto pazzo. Ed era anche un dannato stalker.
Sapeva
che Frank se n’era accorto da un po’, lui ci aveva
messo più tempo ma alla fine
l’aveva notata quella figurina bionda appostata vicino a casa
sua, oppure fuori
dei negozi in cui lui ed il chitarrista entravano, perfino fuori dagli
Studi
l’ultima volta che ci erano stati. Non sapeva come avesse
avuto il suo
indirizzo, aveva provato l’impulso di chiederglielo
– afferrarlo per il risvolto della
felpa, attaccarlo al muro fino a
lasciarcelo appiccicato da sé e
poi…magari…anche fargli la domanda, sì.
Non
sapeva come fosse riuscito a tenere a freno quello stesso impulso, ma
ci era
riuscito.
Ogni dannata
volta che quel moccioso gli sorrideva, Gerard vedeva lo striscione del
concerto
come se lo avesse avuto davanti a sé. Ogni volta. Ogni
fottutissima volta…
Frank
se n’era accorto. Non gli aveva detto nulla per fargli capire
che sapeva cosa
gli passava per la testa, si era limitato a guardarlo preoccupato e poi
a
sforzare un sorriso che era decisamente mal riuscito e Gerard aveva
subito
intuito che lui sentiva esattamente le
stesse cose. Questo gli era stato utile, questo e la fatica.
Al
termine dell’udienza, Mikey era venuto a prenderli con la
propria macchina,
aspettandoli davanti ad una delle uscite laterali con Alicia e Jamia
mentre
Brian attirava l’attenzione su di sé e Stacy e
s’infilava nell’auto della casa
discografica dopo le domande di rito.
-Tutto
ok?- aveva chiesto ansiosamente suo fratello vedendolo pallido peggio
del
solito.
Gerard
aveva annuito soltanto, perché non sapeva se ce la faceva a
parlare. Bob aveva
raccontato cosa era successo e aveva riferito il verdetto del Giudice
– i
lavori sociali se li sarebbero fatti ma, dati gli impegni di lavoro,
potevano
essere rimandati per un po’ – Jamia aveva buttato
le braccia al collo di Frank
e gli si era appesa addosso con l’urgenza di una qualunque
moglie che non veda
suo marito da due settimane. Gerard si ritrovò a ringraziare
l’abbraccio caldo
di Alicia perché lo fece sentire decisamente meno solo e
meno debole di quanto
non avesse provato fino a quel momento. Si nascose nei capelli di lei e
le
rimase addosso, approfittando spudoratamente dei suoi diritti di amico
fraterno.
-Ehi,
è tutto a posto, Gee.- lo consolò lei
carezzandogli le spalle e cullandolo come
un bambino.
-Sì,
lo so.- mormorò lui in tono così basso che fu
Alicia soltanto a sentirlo. Mikey
continuava a studiarlo con la preoccupazione che si sarebbe sgretolato
da un
momento all’altro sotto i loro sguardi.
-…a
me, non mi abbraccia nessuno?- s’imbronciò Bob in
un timido tentativo di
smorzare la tensione che si avvertiva nell’aria.
Mikey
colse al volo e si infilò nella risata stentata degli altri
con una battuta in
tono smozzato.
-Non
provarci, Bobby bello, non m’ingannerai con la cazzata del
calore umano.
-Andiamo
a casa, vi preparo la cena!- propose Alicia staccandosi
dall’abbraccio di
Gerard con una delicatezza tipicamente femminile e solo per abbracciare
anche
l’omone biondo al proprio fianco.
Bob
ricambiò impacciato e poi la lasciò andare subito
per permetterle di
raggiungere l’auto parcheggiata lì di fianco.
-Vieni
con noi, Gee?- s’informò Frank con naturalezza.
Jamia,
già in direzione dell’Hammer nero che aveva
ripreso al deposito giudiziario, si
voltò disinvoltamente.
-Non
essere sempre invadente, Frank! Lascia stare Gerard e Mikey un
po’ da soli, ché
Mikes stava morendo stamattina!- lo rimproverò con un
sorriso affettuoso per il
cantante.
-Vado
con mio fratello.- annuì anche Gerard.- Potete portarvi Bob
se volete,- scherzò
poi con un sorriso incerto.- da noi occupa solo spazio!
Bob
gli diede un buffetto risentito sulla nuca e Gerard rise ed
entrò in auto,
lasciando poi spazio al batterista per sederglisi di fianco sul sedile
posteriore.
-Ci
vediamo a casa!- annunciò Alicia in un ultimo richiamo
generalizzato, un
secondo prima di sparire anche lei nella berlina metallizzata.
***
Jamia
insistette per riaccompagnarli dopo cena. “Non intendo andare
un’altra volta a
riprendere la macchina in quel posto
orrendo!” sbraitò quando Frank
provò a dirle che potevano fare il contrario
e riaccompagnarla loro per poi andarsene con l’Hammer. Il
chitarrista cedette
davanti alla minaccia di essere sbranato da una moglie inferocita che
aveva
passato quattro ore della propria esistenza litigando con i custodi di
un
deposito giudiziario per auto; lasciarono Bob sul divano di Mikey, dove
si era
addormentato serafico come un bambino e troppo pieno di cibo e birra
per
sollevarsi di lì, e si infilarono nel fuoristrada nero
parcheggiato sotto casa.
-Almeno
mi chiami quando arrivi? Per essere sicuro che sia tutto a posto!-
pregò Frank,
piuttosto preoccupato all’idea che Jamia se ne andasse in
giro da sola in piena
notte.
Lei,
impegnata nella guida, si limitò a grugnire il proprio
fastidio ed a
rimbeccarlo con un risentito “come credi che faccia quando tu
non ci sei?!” che
fece ridere Gerard, seduto sul sedile posteriore dell’auto.
Lei li lasciò
davanti il cancello del cantante, Gerard scese, salutò
rapidamente e si allontanò
per dare agli altri due la propria privacy con la scusa di dover aprire
il cancello.
Frank ci mise un po’ a decidersi a staccarsi dalle labbra
della moglie, lei
continuava a spingerlo via ma lui si ostinava ogni volta che Jamia gli
faceva
notare che era tardi e Gee lo stava aspettando davanti al portoncino.
C’era
qualcosa negli occhi di Jamia che faceva credere al ragazzo di stare
facendo la
più grande cazzata della propria vita.
-Ti
amo.- le disse piano, e dentro di sé aveva pensato
tutt’altro, aveva pensato un
“vuoi che venga con te?” che non aveva detto
affatto perché si era trasformato
un secondo prima di uscirgli dalla bocca. Lui, del resto, non voleva andare con lei.- Grazie.- si
sentì in dovere di
aggiungere.
Jamia
si limitò ad annuire e poi sporgersi ad aprirgli la portiera
per fargli capire
che adesso doveva scendere. E farlo davvero. Ed anche in fretta.
Perché magari
lui non se ne poteva accorgere, ma lei lo sapeva che se fosse rimasto
ancora
avrebbe urlato e pianto.
-Se
avete bisogno di qualcosa chiamami.- si costrinse a dire mentre lui
usciva
dall’auto.
-Oh…siamo
grandi abbastanza!- scherzò Frank senza allegria.
Chiuse
lo sportello, fece un passo indietro e spinse le mani in tasca,
rimanendo lì a
guardarla che faceva inversione e si immetteva nuovamente sulla strada.
L’Hammer sparì in fretta svoltando qualche angolo
più in là e Frank camminò
lento e triste verso il cancello di casa di Gerard.
-Se
volevi, potevi restare con lei.- suggerì
quest’ultimo nel vederlo venire avanti
a testa china. Frank scrollò le spalle e Gerard insistette.-
Sto bene. Non ho
bisogno che tu stia con me.- mentì.
-Beh,
ne ho bisogno io.- ritorse Frank spiccio, sapendo bene che sarebbe
stato
inutile tentare di smentire l’altro. Lo spinse leggermente in
avanti per dirgli
di muoversi ad entrare e Gerard eseguì meccanicamente, anche
se continuava a
fingersi contrariato.- Ho bisogno di restare con te per assicurarmi che
tu non
abbia bisogno di me.- ridacchiò Frank alle sue spalle,
salendo le scale al buio
con la sola guida dei passi sicuri di Gerard.
-Idiota.-
commentò il più grande infastidito. Poi
cambiò tono – Lo hai visto?
-…chi?-
domandò Frank in modo così sorpreso che Gerard
gli scoccò un’occhiata dall’alto
in basso a fargli intendere che sapevano entrambi perfettamente di chi stava parlando.-
T…te…ne sei
accorto?- borbottò stentato il chitarrista.
-Da
un po’.- ammise Gerard.- Ma hai fatto bene a non dirmelo.-
convenne breve.- Lo
avrei ammazzato se me lo fossi ritrovato davanti…prima.- concluse con qualche
difficoltà a spiegare il concetto.
Non
era facile dire che il motivo per cui ora poteva accettare di essere
stalkerato
da un pazzo che si era permesso di infangare la memoria di Lindsay era
solo e
soltanto la presenza di Frank. Non era facile dirlo proprio a Frank.
Gerard
sapeva di stare ammettendo già troppo con
quell’unica frase, ma sapeva anche
che qualcosa doveva concederla all’altro dopo che lui aveva
fatto già la parte
più “grossa” in quella riconciliazione
forzata.
Frank
ebbe la decenza di limitarsi ad annuire, comunque, e mantenne un
silenzio
rispettoso ed una distanza, anche fisica, accettabile. Gerard
arrivò sul
pianerottolo cercando le chiavi in tasca ed il chitarrista si
fermò poco più
indietro.
-Gee.-
si sentì chiamare il più grande.
“Uhm…”- Pensi…che sia
pericoloso?
-No,
è solo fuori di testa.- sminuì Gerard.
-Non
mi piace.- ammise Frank.
Gerard
rise.
-Figurati
a me!- esclamò con sincerità.-Non siamo i primi
né gli ultimi a cui succede.-
si strinse poi nelle spalle. Spinse la porta e lasciò libera
la soglia
all’altro.- Frank,- fu la sua volta di chiamarlo mentre lui
gli passava davanti
ed entrava nell’appartamento buio.- grazie.- disse solo
davanti al suo sguardo
interrogativo.
-Mi
ringrazi troppo spesso.- borbottò Frank sfilandosi il
cappotto nell’ingresso.
Gerard accese la luce ridacchiando.- Sembra che tu debba farti
perdonare!-
infierì.
-Non
sperarci!- lo puntò Gerard con il dito e Frank si
allontanò ridendo anche lui.
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