Umi ni kaeru- Return to the Sea

di hotaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tipico inizio di un manga ***
Capitolo 2: *** Le fate delle tre e... ***



Capitolo 1
*** Il tipico inizio di un manga ***


1
Umi ni kaeru – Return to the Sea


La canzone riportata nel capitolo è "Return to the Sea", cantata da Kana Ueda. Non fatevi ingannare dalla serie, è una canzone magnifica!


Il tipico inizio di un manga


Quello era il tipico inizio di un innumerevole numero di manga: la protagonista deve trascorrere un certo periodo di tempo in un luogo sconosciuto, lontano da casa e popolato da estranei, che nove volte su dieci si rivelava magico. O dove perlomeno tutti i ragazzi del posto si innamoravano di lei, ma Chibiusa pensava di essere ancora un po' piccola per certe cose.
Sbirciò la valigia di sua madre: quanti manga aveva nascosto in mezzo ai vestiti, accuratamente scelti dalla sua riserva personale e segreta, ma che Chibiusa aveva scoperto ancora all'ultimo anno d'asilo?
Aveva atteso pazientemente di andare a scuola e imparare a leggere, prima di iniziare a divorarli uno dopo l'altro- in gran segreto, s'intende. Era stata particolarmente attenta a quelli contrassegnati dalla possessiva firma "Rei": sapeva che era un'amica della madre, a cui la signora Chiba non disdegnava mai di chiedere in prestito i manga, per poi dimenticarsi puntualmente di restituirli. Poteva accadere in qualsiasi momento che Rei pretendesse- giustamente- di riaverli indietro, per cui era meglio non sciuparli troppo.
Comunque alla fine della prima elementare Chibiusa era diventata velocissima a leggere, e conosceva già un mucchio di caratteri sconosciuti ai suoi compagni.
- Ma davvero questa Makoto è bravissima a preparare dolci? - chiede d'un tratto Chibiusa, ricordandosi a casa di chi avrebbe dovuto vivere per il mese successivo.
- Garantisco io – confermò sua madre, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro al ricordo delle magnifiche torte dell'amica – Quando arriveremo a riprenderti probabilmente rotolerai, invece di camminare!
Forse Usagi stava proiettando sulla figlia quello che sarebbe successo a lei, in un frangente simile, ma Chibiusa non replicò. In un posto del genere sarebbe stata così impegnata, che non avrebbe nemmeno avuto il tempo di ingrassare.
Appiccicò di nuovo il viso al finestrino, osservando la baia che si stendeva sotto di lei, oltre quella curva che la loro auto stava percorrendo. L'acqua tranquilla brillava sotto la luce del sole, come un enorme specchio.
Mentre percorrevano lentamente un piccolo tratto in discesa, qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa che si confondeva col colore delle onde, pur distinguendosi leggermente, e poi un viso umano che a tratti emergeva dall'acqua. Chibiusa trattenne il respiro. Era diventata davvero come la protagonista di un manga? Quella era davvero una sire...?
Ad un tratto suo padre svoltò a destra, entrando finalmente nel paese, e la piccola insenatura fra gli scogli scomparve dalla vista di Chibiusa.


Otogibanashi saigo no peeji wa
Kakikaerarete higeki ni kawari
Tatta hitotsu shinjiteta hito no kokoro sae mo miushinau
Ai mo yume mo maru de suna no oshiro mitai na no
Hakanaku kowarete yuku no yo sore wo nozomanakutatte

[L'ultima pagina della favola
è stata riscritta e cambiata in tragedia
ho perduto persino il cuore dell'unica persona in cui credevo
Anche l'amore, anche i sogni sono proprio come un castello di sabbia:
fragili, crollano e scompaiono anche se non lo vuoi]


- Ah, ma non sapevo che fossi tornata a vivere qui! Pensavo che Makoto avesse un posto in più e...
- Non preoccuparti, Usagi – intervenne Makoto – Non c'è alcun problema. Chibiusa può rimanere qui quanto volete, di posto ce n'è in abbondanza.
- Sì, mi farà bene avere una bambina per casa. Sono così depressa... - una Minako profondamente abbattuta si lasciò cadere sul divano, in una posa languida che ricordava le attrici del cinema anni Trenta.
Usagi si sporse verso Makoto, sussurrandole all'orecchio:
- Ma... che è successo? Non andava tutto a gonfie vele con quel ragazzo? Erano andati a convivere, no?
- Veramente non lo so bene neanch'io – rispose l'amica, in un sussurro altrettanto controllato – È tornata da una settimana, e non fa altro che ingozzarsi di dolci e guardare film in bianco e nero. Non so ancora niente di...
- Ehi, voi due! La smettete di spettegolare su di me? - Minako, col dorso della mano appoggiato sulla fronte in una posa vagamente teatrale, non si era ancora alzata dal divano – Che razza di amiche siete?
- Scusa, ma...
- Comunque, mia cara Chibiusa – Minako si voltò verso di lei, i grandi occhi azzurri che scintillavano – Ricorda che gli uomini sono degli esseri viscidi e infingardi, e l'unica cosa che vogliono è portarti a l...
- Minako!
- Le stavo solo dicendo di non fidarsi di nessun esemplare di genere maschile! - un flessuoso gatto bianco le saltò in grembo, iniziando a fare le fusa – A parte i gatti, è ovvio. Dimmi, ti piacciono?
Quest'ultima domanda venne rivolta a Chibiusa, che annuì vigorosamente.
- Sì, moltissimo! Anche noi a casa abbiamo una gatta.
- Ah, sì? E dove l'avete lasciata?
- Ce la terrà Rei per tutto il tempo che staremo via. Avevamo pensato di portarla qui, ma ci è sembrato un viaggio troppo lungo e non volevamo sballottarla così tanto.
- Peccato, ad Artemis avrebbe fatto piacere conoscerla – Minako ammiccò a Chibiusa, indicandole il gatto come a spiegare che quello era il suo nome – E si sarebbe di certo comportato bene, anche se è un maschio felino, perché altrimenti ci avrei pensato io a castrarlo.
- Castrarlo? - quella era una parola che Chibiusa non aveva mai sentito – Che significa?
- Impedirgli di riprodursi, cara – rispose Minako, alzando la coda del gatto e mostrando il significativo didietro, malgrado i tentativi di resistenza di Artemis. Chibiusa fece una smorfia.
Makoto si sporse verso Usagi, sussurrandole in un orecchio:
- Sta' tranquilla, vigilerò io sulla sua innocenza. Minako è più fuori del solito perché è stata lasciata, ma...
- Chi è stata lasciata? Per tua informazione, l'ho mollato io! - strillò l'interessata, strizzando senza pietà la coda del suo povero gatto – Quel viscido, maledetto... Chibiusa! Per i prossimi vent'anni, fidati solo del tuo papà!
Il tono perentorio di Minako indusse la bambina ad annuire prontamente, chiedendosi come avrebbe fatto a sopravvivere un mese con quella pazza. Sperava che Makoto l'avrebbe protetta, le sembrava molto più equilibrata.
La mano di sua madre su una spalla le fece capire che era arrivato il momento dei saluti.
- Chibiusa, sono convinta che qui ti divertirai. Ma non preoccuparti, ti chiameremo tutti i giorni – le disse Usagi, abbracciandola.
- Ma no, una volta ogni due giorni è sufficiente – rispose ragionevolmente Chibiusa, ritenendosi ormai abbastanza grande per sopravvivere un mese senza i suoi genitori.
In effetti, per quanto gli Stati Uniti potessero essere interessanti, un mese di conferenze, convegni e ricevimenti di ambasciata non erano quanto di più adatto per una bambina.
- Mi raccomando, allora, fai la brava – le disse suo padre, abbracciandola a sua volta – E vedrai che bel regalo ti porteremo.
- Ci conto! - rispose lei, cominciando però a sentirsi già un po' triste.
- Salutatemi gli U.S.A.! - canticchiò Minako, mentre sia lei che Makoto si congedavano da Usagi e Mamoru – E portate qualcosa anche a noi! Bye-bye!
Quando la macchina dei suoi genitori fu scomparsa dalla strada, diretta all'aeroporto che avrebbe portato i coniugi Chiba oltreoceano, Chibiusa entrò in casa assieme alle due amiche della madre.
Makoto le offrì subito una fetta di torta, che lei accettò volentieri; Minako le propose un po' di karaoke nel soggiorno e Artemis le saltò in grembo per farsi accarezzare da mani più delicate, dopo la strizzata che aveva preso.
All'improvviso, il barlume di tristezza che Chibiusa aveva iniziato a provare venne lavato via con un colpo di spugna. Situazione da manga o no, sentì che per il mese successivo si sarebbe trovata davvero bene.






Inizio di una long che non so quanto sarà long, ma l'idea in testa c'è, vediamo come si svilupperà.
La canzone è tratta dall'anime "Mermaid Melody" che, per quanto pessimo, ha il pregio di aver sfornato una canzone simile, a cui vi prego di dare una possibilità. È splendida, veramente. Ne troverete una strofa in ogni capitolo, e presto capirete perché fa da filo conduttore alla vicenda.
Questo primo capitolo è solo introduttivo, ma spero che vi sia piaciuto. Se voleste farmi sapere cosa ne pensate, a me fa sempre piacere. ^^

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Capitolo 2
*** Le fate delle tre e... ***


2- Le fate delle tre e... Le fate delle tre e...


Quella mattina, quando Chibiusa si svegliò, non si stupì nel sentirsi accanto il familiare calore ronfante di un gatto. C'era più che abituata, Luna dormiva spesso con lei. A farle sgranare gli occhi ancora impastati dal sonno fu tuttavia la vista di una ciambella pelosa bianca come la luna, invece che nera come la notte. E allora si rese conto che quella non era la sua gatta ma Artemis, e che non era a casa sua ma dalle amiche di sua madre, Makoto e Minako, e avrebbe dovuto rimanerci per un mese.
In effetti si ricordò anche che Artemis dormiva con lei da un paio di giorni, tanto che Minako aveva iniziato a fare l'offesa. Non con lei; con il gatto. E in fondo Chibiusa non ci trovava niente di strano: anche Luna e sua madre, di tanto in tanto, si tenevano il broncio a vicenda. Poteva sembrare assurdo, ma quando facevano pace sia lei che suo padre riuscivano ad accorgersene.
E non le era dispiaciuto trovare un simile elemento comune tra Minako e sua madre: la faceva sentire un po' a casa, perché se c'era un momento in cui la nostalgia si faceva sentire, quello era la mattina appena sveglia, prima che si decidesse ad allungare una mano su Artemis e lui si stiracchiasse con un miagolio gutturale, prima di gettare da parte il lenzuolo e andare di sotto ad indovinare, solo dall'odore, che cosa aveva preparato Makoto. Di solito usciva prestissimo per andare al lavoro, mentre Minako si alzava molto più tardi, lasciando Chibiusa con la casa tutta per sé per qualche ora.
- Chibiusa! Minako non si è ancora svegliata? - chiese allibita Makoto, quando tornò a casa per preparare il pranzo.
La bambina scosse la testa: aveva trascorso la mattinata a fare un po' di compiti e ad insegnare ad Artemis a starle stravaccato su una spalla, portandoselo in giro per casa come faceva con Luna. Aveva imparato in fretta, tanto che Chibiusa sospettava che non fosse nuovo a certi giochetti: davvero, Minako era proprio come sua madre.
- Hai voglia di venire con me in negozio, oggi? - chiese Makoto mentre mangiavano, in tono quasi di scusa per averla lasciata sola tutto quel tempo in una casa non sua. Certo che, se Minako non l'avesse piantata in fretta con la sua "crisi depressiva post-relazione fallita"... Makoto aveva l'impressione che ci si stesse più che altro crogiolando.    
- In negozio?
- Sì, lavoro in una piccola pasticceria di proprietà di un'anziana signora del posto. Ti va di venire con me?
Quando gli occhi di Chibiusa, a quell'invito inaspettato, sembrarono divenire d'un tratto più grandi e luminosi, Makoto dovette reprimere un sorriso che avrebbe rischiato di sfociare in una risata. Chiba o no, quella bambina era indubbiamente figlia di Usagi.


- Oh, sono dolci occidentali?
- Principalmente sì, la signora aveva sposato un europeo, e insieme avevano messo su questo piccolo negozio – spiegò Makoto, iniziando a tirar fuori i dolci dal grande frigo della cucina per disporli in vetrina.
Mentre osservava deliziata le paste, i pasticcini e le fette di torta, Chibiusa chiese:
- A che ora aprite?
- Alle tre, in tempo perché arrivino le fate.
Chibiusa ci mise un momento a realizzare ciò che Makoto aveva appena detto, impegnata com'era a non sbavare su un vassoio di bigné ripieni di crema e panna, su cui faceva capolino un pezzo di pasta allungato a formare collo e becco. Un dolcissimo cigno, da cui Chibiusa si costrinse a distogliere lo sguardo.
- Le... fate? Alle tre? - era certa che quella frase non le fosse nuova, perché un simile, bizzarro accostamento era difficile dimenticarselo – Ah!
- Che cosa c'è? - le chiese gentilmente Makoto, bagnando una spugna per andare a pulire i tavolini all'esterno.
- La mamma mi aveva raccontato delle fate delle tre, una volta che abbiamo fatto i biscotti! - le rivelò Chibiusa seguendola, e aiutandola a sistemare le sedie.
- Ma davvero? - fece Makoto sorpresa – Se lo ricorda ancora?
- In che senso?
- Sai, sono stata io a raccontare a lei e alle altre delle fate delle tre, sempre in qualche occasione in cui facevamo i biscotti insieme. Era una vecchia tradizione di mia madre – Makoto sistemò l'ombrellone, ridacchiando piano – E pensare che all'epoca andavamo ancora a scuola, Usagi ha proprio una bella memoria!
- Solo per certe cose.
- Già, è davvero... ehi! - Makoto si voltò, mentre Chibiusa si nascondeva dietro un sorriso birichino – Non si parla così della propria mamma.
- Ma è la verità – rispose candidamente Chibiusa.
- Anche se è la verità – replicò Makoto senza battere ciglio – E adesso vieni, sono certa che uno di quei cigni non vede l'ora di diventare il tuo dessert.


Alle tre in punto aprirono il negozio, e dopo nemmeno un minuto il campanello sopra alla porta trillò allegramente.
- Buon pomeriggio, signora – la salutò Makoto, senza sorprendersi di quell'inaspettato tempismo – Il solito?
- Certo, cara. Io e le ragazze siamo qui fuori.
Chibiusa si sporse dalla porta, sbirciando senza farsi vedere le "ragazze": tre signore sulla settantina, che sedute attorno ad un tavolino rotondo cicalecciavano come tre studentesse uscite da scuola. A giudicare dalla risatina di gruppo che seguì, avrebbe giurato che stessero parlando di ragazzi.
- Te l'avevo detto, no? - fece Makoto, preparando una cioccolata e due caffé, accompagnati sul vassoio da tre paste differenti – Che sarebbero arrivate alle tre.
- Mmm? - Chibiusa era tornata al suo cigno-bigné, e ora aveva la bocca tutta sporca di crema chantilly. Si voltò verso la porta, perplessa, e poi tornò a guardare Makoto. Inghiottì pensierosa l'ultimo boccone senza nemmeno curarsi di pulirsi la bocca, per poi avvicinarsi di soppiatto all'entrata, mentre Makoto portava fuori il vassoio.
Un coro entusiasta accompagnò l'arrivo dei dolci, e quelle tre signore decisamente pienotte, ma con mani e piedi incredibilmente minuti, si dedicarono ciascuna alla propria porzione, senza smettere di chiacchierare un secondo.
- Sarebbero loro? - sussurrò Chibiusa, tornata dietro al bancone con Makoto – Le fate delle tre?
- Chissà – fece Makoto con un sorriso – Certo è che, se verrai qui anche domani, le vedrai arrivare alla stessa ora e ordinare le stesse cose, e questo ogni singolo giorno dell'anno in cui il negozio è aperto.
Chibiusa fece tanto d'occhi, pensando che in quel caso la taglia della signore era pienamente giustificata.
- E ogni volta hanno da raccontarsi tante di quelle cose che sembra non si vedano da mesi, chissà come fanno!
Mentre Makoto parlava, la conversazione all'esterno si era fatta più animata, finché due di loro scoppiarono a ridere e la terza si rifugiò dietro la sua tazza, imbronciata.
- Oh, ma non ci sono solo loro – Makoto si sporse verso di lei, alzando un indice e facendole l'occhiolino – In questo negozio vedrai anche le sirene delle cinque e le streghe delle sette e mezza.
- Come? - Chibiusa sbatté un paio di volte le palpebre, chiaramente perplessa. Credeva che Minako fosse l'unica matta sul serio, ma in effetti per andarci d'accordo Makoto non poteva non esserlo un po' anche lei. E poi erano entrambe amiche di sua madre, il che rendeva tutto più chiaro.
- Di' un po', ti va di aiutarmi a fare dei biscotti ai semi di papavero? - le propose Makoto.
- Ai semi... di papavero? Si possono fare dei biscotti con i semi dei fiori? - Chibiusa sgranò gli occhi, ancora più incredula che per le fate, le streghe e le sirene.
- Ma certo che sì! Ah già, a tua madre non piacciono, dice che i semi le si incastrano tra i denti e poi non se ne accorge – Makoto ricordava ancora quella volta che Usagi si era presentata ad un appuntamento con il suo Mamo-chan e questi le era quasi scoppiato a ridere in faccia, vedendo i suoi denti più neri che bianchi. Erano solo i primi tempi che si frequentavano, e Usagi quella figuraccia non l'aveva mai mandata giù – Se solo si fosse ricordata di lavarsi i denti...
- Chi deve lavarsi i denti? - domandò Chibiusa, chiedendosi che cosa stesse passando per la testa di Makoto per ridacchiare così.
- Tutti, dopo aver mangiato dei dolci! - esclamò lei, posandole le mani sulle spalle e spingendola nel retrobottega – E adesso al lavoro!
 

Aiutare Makoto si rivelò davvero divertente. Chibiusa era sicura di rallentarla parecchio, visto che in teoria lei era al lavoro e non nella cucina di casa, ma Makoto era abile e paziente: se con una mano le mostrava come usare lo stampino dei biscotti per sprecare meno impasto possibile, con l'altra infornava una torta e farciva di crema dei cestini di pastafrolla. E senza far cadere mai niente: non un sacchetto di farina, non una scodella colma di panna. Chibiusa era allibita, ma iniziava a sospettare di essere lei fin troppo abituata ai pasticci di sua madre.
Ogni tanto arrivava qualche cliente, che si faceva annunciare dallo scampanellio alla porta, e Makoto volava nell'altra stanza per servirlo.
- Ci sono sempre così pochi clienti? - chiese Chibiusa, che non riusciva a credere che dolci come quelli potessero non venire apprezzati.
- Solo in questo periodo dell'anno – rispose Makoto – Anche se dà sul mare, questo posto non è per niente una località turistica, quindi d'estate si svuota più che riempirsi. Dipende dai giorni, comunque: se mi accorgo che sono troppo indaffarata, di solito chiedo a Minako di venire a darmi una mano.
- Minako non lavora? - chiese candidamente Chibiusa.
- A volte – rispose Makoto, senza scomporsi troppo – Quando vince un provino e le danno una parte in qualche drama (¹).
- Oh, è vero! - esclamò Chibiusa, chiedendosi come avesse fatto a dimenticarlo – Era lei la fidanzata di Satoshi, quella che muore cadendo da una rupe scoscesa!
- Vedo che sei informata, eh? Immagino che tua madre non si perda una puntata delle serie in cui compare Minako – Chibiusa annuì – In effetti i suoi personaggi fanno sempre una fine tragica: i produttori dicono che è brava ad esprimere il pathos senza esagerare, quindi le danno sempre ruoli di questo genere.
- Sì, sì: mi ricordo che una volta è caduta dalle scale d'emergenza di un ospedale in cui faceva l'infermiera, e un'altra è annegata in un lago al tramonto, col suo fidanzato che ha gridato il suo nome per tutta la notte! - continuò Chibiusa infervorata – La mamma piange sempre, quando muore lei.
- Immagino che piangano un sacco di spettatori, per questo la fanno morire così spesso – sbuffò Makoto, che certe logiche di marketing proprio non le capiva – Certo è che così ogni lavoro le dura appena pochi mesi.
E poi doveva correre da un set all'altro per una nuova serie di provini, ma Minako tutta entusiasta diceva che era un ottimo modo per fare gavetta e accumulare esperienza.
- Contenta lei... - concluse Makoto, guarnendo una torta di fragole – Comunque al momento è tutta presa dal suo "periodo di assestamento", come lo chiama lei. Il tempo di trovare un altro ragazzo che le muoia dietro, e sarà di nuovo felice e contenta, vedrai.
Makoto tacque, rendendosi conto di aver parlato ad alta voce ed essersi lasciata sfuggire forse un po' troppo, ma constatò sollevata che Chibiusa era tornata in negozio, attirata dal trillo del campanello.
Un'occhiata all'orologio appeso alla parete, e Makoto già sapeva chi era appena entrato.


Dakedo ima mo wasurerarenai no
Anata ga itsumo utatta merodii
Mune ni hibiku tabi itsuka modoreru ki ga suru no ano koro ni
Kitto kitto kaereru no tsunagareta kusari furiharai
Futatsu no sekai ga musubareta aoi umi he

[Ma anche ora non posso dimenticare
la melodia che cantavi sempre
risuona nel mio petto e ho l'impressione di poter tornare a quel giorno
posso tornare senza dubbio a quel periodo, è tutta una catena che mi lega e da cui mi libererò
verso il mare blu a cui sono legati due mondi]


La prima cosa a cui Chibiusa pensò quando la vide, fu il colore dell'acqua nella baia il pomeriggio in cui era arrivata lì con i suoi genitori, un paio di giorni prima. O forse era solo l'odore del mare poco distante ad essere appena entrato dalla porta del negozio, in un refolo di brezza pomeridiana.
- Buon pomeriggio, signorina Kaiou – salutò Makoto accanto a lei – Il solito?
La donna annuì, prendendo già dalla borsa il portafogli per pagare. Makoto tagliò senza esitazioni una fetta da una torta esposta in vetrina: un tripudio di panna, cioccolato e amarene. A Chibiusa sembrò quasi strano che a una donna così sottile e raffinata potesse piacere un dolce del genere, ma magari era per qualcun altro.
Mentre la osservava, la donna si voltò a guardarla e le sorrise gentile, facendo sobbalzare Chibiusa. Aveva come l'impressione di averla già vista, o forse erano i suoi capelli ondulati a ricordarle qualcosa... ma poi si disse che era impossibile, era lì solo da due giorni, come poteva conoscere qualcuno?
Per prendere il pacchetto che Makoto le porgeva, la donna distolse lo sguardo. Pagò e salutò senza chiedere a Makoto chi fosse quella nuova bambina, quando invece parecchi clienti quel giorno si erano interessati a lei. Senza dubbio in quel posto ogni faccia nuova doveva destare molta curiosità.
- Hai fame? Vuoi fare merenda? - le chiese Makoto quando la donna fu uscita, dicendole poi di scegliere quello che voleva.
Mentre addentava una fetta della stessa torta presa dall'ultima cliente- Foresta Nera, si chiamava, era un dolce tedesco- Chibiusa lanciò un'occhiata all'orologio del negozio.
Erano da poco passate le cinque.


- Eccomi qui! - annunciò una voce squillante, che batté in volume il campanello alla porta.
- Toh, le sette e mezza. Tempismo perfetto – commentò Makoto lavandosi le mani, dopo aver terminato di pulire il bancone da lavoro.
Chibiusa soffocò una risata quando vide far capolino un'allegra massa di capelli biondi, che di depresso non aveva proprio niente. Ecco chi era la strega, allora.
- Si lavora, eh?
- Già, pensa un po' che cosa assurda.
- Oh, ma come siamo acide. Chi lo direbbe che prepari dolci tutto il giorno? A proposito, ho visto che ti è rimasta un po' di Sacher...
- Minako, non si mangiano dolci prima di cena! - la sgridò Makoto, quasi avesse avuto a che fare con una bambina più piccola di Chibiusa, non una coetanea.
- Ma che hai capito? Te la compro e la porto a casa, così la mangiamo come dessert.
- Ah, allora va bene. Te la metto in una scatola...
- Lascia, faccio io! - muovendosi come a casa propria, Minako prese una scatola di carta della misura adatta e tornò nell'altra stanza, dovendo poi urlare per farsi sentire – Domani vengo a darti una mano!
- No, domani porti Chibiusa da qualche parte! - gridò Makoto di rimando, per sovrastare il rumore dell'acqua nel lavello – È stata chiusa qui dentro con me per tutto il giorno!
- Ah già, Chibiusa! Ti sei divertita?
Chibiusa, che con molto senso pratico si era posizionata sulla soglia della porta comunicante, così da non dover urlare per parlare con nessuna delle due, rispose:
- Molto. Ho sempre desiderato vedere come funziona una pasticceria. E poi ho mangiato una pasta e una fetta di torta.
Minako fece capolino dalla porta, gli occhi sgranati.
- Solo? Sicura di essere figlia di tua madre? - senza aspettare risposta, continuò allegramente: – L'ultima volta che Usagi è stata qui, si è spazzolata mezzo negozio.
- Che esagerata – commentò Makoto – E poi parli proprio tu: hai smesso di ingozzarti solo nel periodo in cui dovevi fare la parte di una ballerina! Me lo ricordo, quanto eri disperata perché dovevi perdere quattro chili in due settimane.
- Ehi, tanto per cominciare io non ero disperata. Ed erano tre e mezzo, non quattro – fece Minako dalla porta con aria battagliera – E poi hai idea di che tortura fosse, stare qui e non poter toccare nemmeno una scaglietta di cioccolato? Roba da far impazzire chiunque!
- Beh, vedo che poi ti sei ripresa alla grande.
- Guarda che quei chili non li ho più recuperati!
- Certo, certo. Comunque, domani porti Chibiusa in qualche bel posto. Magari le mostri il mare.
- Oh sì, andiamo in spiaggia! Ti va? - suo malgrado, Chibiusa ammirò la nonchalance con cui Makoto aveva delicatamente cambiato argomento. Era una capacità che aveva sempre invidiato anche a suo padre – Magari ti trovi il ragazzo!
- Non credo che Mamoru sarebbe molto d'accordo – rise Makoto – E poi non eri tu che due giorni fa le dicevi di non fidarsi degli uomini?
- Oh, un'innocente storiella estiva non può fare male a nessuno, e non c'è alcun bisogno che Mamoru lo sappia – Minako si bloccò, colta da un dubbio improvviso – O sei già impegnata?
Chibiusa scosse prontamente la testa, chiedendosi come avessero fatto ad arrivare ad un argomento simile da un semplice: "Ti sei divertita?".
- Oh! - esclamò invece all'improvviso, ricordandosi di una cosa – Quando siamo arrivati qui, dalla strada ho visto una piccola spiaggia fra gli scogli...
- Ah, ho capito! È un'insenatura a due chilometri da qui – fece Minako – Vuoi andarci? Guarda che là di ragazzi non ce ne sono, però...
Chibiusa si affrettò a spiegare che la mancanza di fauna maschile non le causava nessun problema, al che Minako si chinò a scrutarla in viso, due dita sotto il mento a sostenere un'espressione tutt'altro che rassicurante.
- Mmmh... secondo me hai qualcuno, qui un fidanzatino c'è di sicuro. Magari un senpai (²), eh Mako...
Splash.
Minako non aveva finito di parlare che uno straccio per asciugare i piatti le era arrivato dritto in faccia. Completamente bagnato, tra l'altro.
- Eh, ma che permalosa! Era una battutina innocente! - fece Minako con voce piagnucolosa, togliendosi lo straccio dal viso senza fare una piega.
- Un'altra battutina innocente e salti la cena! - ribatté Makoto – E adesso renditi utile, dammi una mano a pulire!
In due ci misero poco, mentre Chibiusa aspettava vicino all'entrata con la scatola della Sacher tra le braccia, e quando finalmente spensero le luci per uscire non stava più nella pelle. Per la fame, certo, e per la voglia di assaggiare quella torta.
Ma anche per ciò che l'attendeva il giorno dopo: era certa che un giorno al mare con Minako fosse una di quelle esperienze in cui era impossibile annoiarsi. E quando uscirono dal negozio, col cielo che iniziava a farsi più aranciato a ovest e l'odore del mare ad accoglierle, a Chibiusa venne in mente la donna della Foresta Nera, dai capelli dello stesso colore della baia sotto il sole estivo.
Cosa aveva detto Makoto sui clienti delle cinque...?


Dopo un paio di bocconi aveva appoggiato la forchetta sul piattino, senza più degnare il dolce di un'occhiata. Tutta quella panna le dava la nausea, per non parlare del cioccolato. Al massimo poteva apprezzare le amarene, se non fossero state annegate in quella bomba calorica. E pensare che prima era quasi arrivata a piacerle, specialmente in certi... intimi momenti.
Prese bruscamente il piatto, senza curarsi della forchetta che finì sul pavimento, gettando poi la torta nel secchio della spazzatura in cucina.
Tornando in salotto, dove la finestra aperta sul mare lasciava entrare la luce languida del tramonto, lo sguardo le cadde sul suo violino abbandonato sullo sgabello del pianoforte, in posizione quasi pericolosa.
Michiru sospirò. Se i quadri incompiuti nel suo studio potevano essere lasciati a loro stessi ancora per un po', il suo strumento non ammetteva pause. Rimandare al giorno dopo l'esercizio quotidiano significava perdere agilità nella mano, equilibrio nell'archetto e ritmo nell'esecuzione. O, per come la vedeva lei, offendere in modo irreparabile il proprio violino. Aver voluto a tutti i costi imparare a suonare uno strumento simile a sé aveva i suoi lati negativi, ma proprio per questo Michiru sapeva bene come prenderlo.
Una serenata al sole morente l'avrebbe lusingato abbastanza da starsene buono fino al giorno seguente, lasciandola sola col mare e lo sciabordio dei suoi pensieri. Senza pensare che quello era un pezzo con accompagnamento al pianoforte, senza pensare che il violino da solo sembrava piangere, aspettando una voce che non l'avrebbe più raggiunto. Per svuotare il mondo e l'aria che respirava con la sua voce da gatto innamorato, come aveva detto qualcuno.  
Bastava arrivare a domani.   











(¹) Fiction televisive, che in giapponese si chiamerebbero "dorama"
(²) Senpai: compagno di scuola più grande


Il primo capitolo di questa storia l'ho pubblicato mesi fa, e non so se scusarmi per l'immenso ritardo o avvisarvi che probabilmente questa sarà la regola. Nel caso, siate preparati.
La storia delle fate delle tre l'ho ripresa dal quarto film di Sailor Moon, dove è per l'appunto Makoto a raccontare di questa storia alle sue amiche, mentre preparano i biscotti. E anche la faccenda del senpai era il cavallo di battaglia di Makoto, ma soprattutto nelle prime serie.
Capitolo un po' di passaggio, tanto per dedicare spazio a tutti i personaggi che compaiono in questa storia, ma c'è molto altro che deve saltar fuori.
Se avete voglia di lasciarmi un commento ne sarei felice; intanto ne approfitto per augurarvi buona Pasqua!

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