VaMpIrE StOrY

di PaPrIkA ChAn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 2: *** Spiegazioni e proposte ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio... ***


Salve gente! Rieccomi con una nuova fic di Naruto!  Questa storia la voglio dedicare alla dolce _NaruHina_!

Allora... in questa fic Sasuke sarà il protagonista. Lui è un vampiro e deciderà di scrivere della sua vita. Premetto che sarà una storia interessante! :D


Buona lettura, Saky-chan.

 

 


                                          Come tutto ebbe inizio

 

 

 

E’ da tanto ormai che cammino su questa terra, ho molti ricordi che m'innondano la testa e forse è per rinchiuderli da qualche parte che ho deciso di scriverli qui, così sto cercando di catturare i miei sentimenti, sotto forma di simboli, su questi fogli di carta. Ma questi simboli non assomigliano per niente ai miei pensieri o ai sentimenti. In questi ultimi anni le poche persone che conosco mi chiamano Mikael…Mikael Sansker e forse tra i tanti nomi che mi sono stati affibbiati è l’unico che ho scelto personalmente…o quasi; Sono stato chiamato in così tanti modi che ormai non ricordo più neanche il mio vero nome: Vurdalak….Strigoi…Wendigo…ma nessuno di questi mi appartiene, si reggono su fondamenta costruite con ignoranza, superstizione e molta paura. Ma adesso basta divagare, mi trovo qui sotto il lago del cielo in una notte come tante e non voglio perdere tempo.

Nacqui molto tempo fa da una famiglia povera: mio padre era un semplice cacciatore e di lui ricordo ancora come se fosse ieri le sue dita forti e piene di calli che tendevano l’arco con la stessa maestria con cui colpivano il viso di mia madre, potrei parlarvi di lei per giorni, di come solo lei riusciva a calmarmi e su come le sue braccia riuscissero a calmare i miei pianti dopo che venivo picchiato da mio padre, o quando mi costringeva a quelle terribili battute di caccia che secondo lui servivano a temprare la mente e lo spirito per diventare “veri uomini” come si definiva lui stesso. All’età di 19 anni ero alto 1,89 contro lo scarso metro e settantacinque di mio padre; naturalmente ero diventato più forte e più veloce di lui, ma forse non ero così diverso da lui…la ricordo come se fosse ieri quella notte: Era il compleanno di mio padre, mia madre gli aveva cucinato un cinghiale arrosto che io stesso avevo cacciato, il più grande che abbia mai visto, lui tornò a casa dalla taverna completamente ubriaco, si avvicinò al tavolo e rovesciò tutto per terra urlando e sbraitando che tutto quello era uno spreco; vidi chiaramente alla luce delle candele che il viso di mia madre si stava già rigando di lacrime, un viso così dolce e angelico che sarebbe stato in grado di fermare qualunque animale selvaggio, persino quelle antiche bestie mitologiche che si fermavano solo di fronte al nobile spirito di un eroe; ma mio padre era peggio di una bestia…si scagliò contro mia madre per l’incredibile spreco che aveva fatto, colpendola ripetutamente sul viso e prendendola a calci, sembrava non volersi fermare mai, sembrava volesse ucciderla…e forse ci sarebbe riuscito se sgranando all’improvviso gli occhi non si fosse girato a guardarmi, l’elsa della spada di famiglia (forse la cosa più preziosa che possedevamo in casa) che gli spuntava dalla schiena, mi guardava con uno sguardo misto di rabbia e stupore, poi il sangue cominciò a scorrergli dalla bocca e cadde per terra riverso…morto. Io, suo figlio, l’avevo ucciso, ero soddisfatto di me stesso, ero riuscito a ribellarmi al tiranno, ma appena guardai mia madre negli occhi caddi in ginocchio; era terrorizzata, mi fissava con lo stesso sguardo con cui guardava mio padre e io stesso mi vedi riflesso nei suoi occhi, e vidi mio padre, solo più giovane e alto. Non potevo resistere a lungo, mi sollevai, sfilai la spada dal corpo di mio padre e corsi via, senza neanche guardare mia madre per l’ultima volta, senza mai voltarmi indietro. Ero diventato come lui e non meritavo di rimanere di fianco a mia madre. Conosco già la domanda che vi passa per la testa, no, non ho mai più rivisto mia madre, cercai di farle avere qualche soldo che guadagnai, ma di questo vi parlerò più in là. Correvo per il bosco, avevo 20 anni ed ero spaventato, ma non per il luogo in cui mi trovavo, mio padre mi fece abituare a quel posto lasciandomi a 10 anni per 2 giorni in quella dannata macchia verde che circondava la mia casa; ormai poche cose al di fuori di me potevano spaventarmi, avevo paura di me stesso, di quello che ero diventato, o che credevo di essere diventato. Vagai per 3 giorni nella foresta, attratto dalle luci lontane della città. Giunsi a Parigi all’alba del quarto giorno, ero stremato e sporco e nessuna città ha pietà per un uomo ridotto in quelle condizioni. Durante una sola notte dovetti battere 5 briganti che attirati dalla mia spada volevano rapinarmi, così presi uno straccio e lo avvolsi intorno a “Pherenico”, questo era il nome della spada, mia madre mi raccontò che in greco voleva dire “portatore di vittoria”, ma mi sembrava solo portatore di sventure. Non so perché non me ne liberai subito, chiunque al mio posto l’avrebbe gettata nel primo corso d’acqua, lasciandola lì ad arrugginire…ma non potevo; forse era il mio ultimo gesto di rispetto verso mio padre.

Provai ad arrangiarmi in molti modi e appena riuscì a fare abbastanza soldi per un pasto caldo mi recai verso una locanda. Il nome era « Les griffes du diable » e forse finii proprio tra i suoi artigli. Appena entrato automaticamente cercai con lo sguardo le vie di fuga più accessibili, era una fissazione che mi aveva insegnato mio padre, bisognava essere pronti sempre a tutto…mi avvicinai al bancone e chiesi all’oste un pasto. L’uomo era grosso, enorme, sarà stato alto due metri e pesante come minimo 200 chili, mi guardò subito con circospezione, ma appena gli feci vedere i soldi mi diede il benvenuto con un sorriso formato da una lunga fila di denti marci, mi allontanai col piatto e mi sedetti in fondo, il più vicino possibile alla porta sul retro. Mi sentivo finalmente al sicuro, ma appena finita la carne più schifosa che abbia mangiato (resa eccellente però dal digiuno) si avvicinarono a me 3 uomini, tutti sembravano benestanti dal modo di vestire, automaticamente allungai la mano verso la spada. Il più alto dei tre si avvicinò e con lo stesso alito che aveva mio padre quando tornava dalla locanda mi disse: “Non vogliamo straccioni come te qua dentro, il solo vederti ci fa passare la fame, vattene oppure…” e accompagnò le ultime parole con un gesto molto eloquente. Non cercavo problemi, chiedendo scusa mi alzai e me n'andai, ma sentii chiaramente uno di loro che alternando ogni 4 parole con un rutto disse: “Non possiamo lasciarlo andare semplicemente, altrimenti prima o poi tornerà!” ma non ci feci caso più di tanto e mi allontanai dalla locanda senza dare nell’occhio. Fuori la luna era stata oscurata dalle nubi e la visibilità in strada era ormai pessima, così girai in un vicolo per cercarmi un posto dove passare la notte. Appena svoltato l’angolo vidi un uomo in fondo al vicolo, era uno dei tre, aveva già sfoderato la spada e si stava avvicinando a me, nell’attimo in cui poggiai la mano sullo straccio che avvolgeva la spada sentì una fitta incredibile alla nuca e per qualche secondo non vidi più nulla, quando riacquistai parzialmente la vista mi accorsi di essere stato preso allo spalle dagli altri due, sentivo il sangue colarmi caldo dietro la testa, tutto si stava facendo confuso, sentii i tre discutere sul cosa farne di me, e quindi vidi che sfoderarono le lame capii che la mia vita stava per finire, chiusi gli occhi aspettando l’inevitabile, cercando di immaginare cosa si provasse a morire, quando sentì un rumore sordo, come di un rametto che viene spezzato, aprii gli occhi e vidi uno dei tre disteso di fianco a me, con il collo girato in un modo innaturale, gli altri si girarono di scatto verso la quinta figura che li aveva disturbati e che aveva ucciso il compagno con tale rapidità; era un uomo coperto completamente da un cappuccio, in un attimo vidi un lama nella mano dell’uomo, ma non riuscì a rimanere sveglio, mi addormentai sperando che quell’uomo fosse lì per salvarmi la vita e soprattutto che riuscisse a sconfiggere gli altri due con la stessa semplicità con cui aveva posto fine alla vita del loro amico.

Ricordo ancora che sognai mia madre, stava pregando di fronte alla tomba di mio padre affinché mi proteggesse dall’alto, anche dopo tutto quello che gli avevo fatto…Mi alzai di scatto, mi trovavo in una stanza calda, arredata con un mobilio molto antico e particolare, sembrava provenire da terre molto lontane dalla nostra, vi erano maschere di mostri e demoni appese ai muri, spostai le coperte e feci per alzarmi quando sentii dei passi avvicinarsi alla porta, subito provai ad alzarmi ma mi presero subito delle forti vertigini e muovendo inconsapevolmente le mani verso la testa mi accorsi che ero stato bendato. La porta si aprì e vidi il mio salvatore, era lui, e su questo non avevo dubbi. Era un uomo sulla cinquantina, con una barba incolta e i capelli neri come il carbone...mi assomigliava tantissimo. Aveva gli occhi di un rosso, innaturale per un essere umano.Era alto qualche cenimetro più di me, aveva il fisico tipico dello schermitore, agile ma muscoloso, quando aprì la bocca per parlare mostrò una fila di perfetti denti bianchi come perle: “Sei un ragazzo robusto, ti sei salvato, e quella non era una ferita da poco”. Aveva una voce molto suadente e calda, e io di risposta non riuscivo a dire nulla. Si sedette su una sedia che si trovava accanto alla porta e cominciò a fissarmi, non riuscivo a resistere a quel meticoloso studio, quegli occhi sembravano trapassare come lame tutto quello su cui si posavano; con un enorme sforzo riuscii a parlare: “Perché mi hai salvato?” per la prima volta sentii la mia voce tentennare e accorgermene non mi aiutò nel mantenermi calmo. “Perché non avrei dovuto? Quei tre sono…anzi, ERANO dei buoni a nulla, ti ho notato alla locanda e hai subito attirato la mia attenzione, soprattutto per quella stupenda spada che porti con te.” E solo in quel momento notai che Pherenico era appoggiata di fianco al mio letto, feci per parlare ma lui mi zittì con un cenno della mano: “Pensa a riposare, parleremo quando ti sentirai meglio” ed uscì dalla stanza.

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Eccoci alla fine del cappy....

Chi sarà mai il salvatore del nostro giovane vampirello???

E sopratutto...che misteri nasconde?

Leggete il prossimo capitolo e capirete!


Bacioni Saky-chan!

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Capitolo 2
*** Spiegazioni e proposte ***


Secondo chappy di Vampire Story.

 

                                                    Spiegazioni e proposte

 

Dopo quella conversazione dormii per 2 giorni, delirando e sognando di tutto..cose oggetti e persone mi sfrecciavano davanti agli occhi veloci come fulmini, e io non riuscivo ad afferrare niente e nessuno, tutto troppo veloce e lontano. Il terzo giorno aprii gli occhi, mi sforzai ad alzarmi. Dopo i primi secondi in cui sentii ancora delle forti vertigini riuscii a rimettermi in piedi, notai sulle sedia un vestito piegato con cura, me lo infilai con gran difficoltà perché era un vestito molto particolare, privo di bottoni o lacci (solo in seguito venni a sapere che veniva dall’oriente) tenuto stretto in vita da una fascia ricamata con filo d’oro. Appena uscito dalla stanza mi tornarono le vertigini, ma questa volta per lo stupore dell’ambiente circostante; era un corridoio lunghissimo e tutti i muri, su entrambi i lati, erano coperti da un bassorilievo enorme, le scene rappresentavano banchetti, guerre, amori, demoni, angeli e tutto quello che la mente umana può immaginare, restai a guardare le pareti per molto tempo, toccando ogni tanto con le dita i visi di quelle persone tristi o contente come per assicurarmi che fossero davvero inanimate e non povere anime imprigionate nella fredda pietra. Stavo per ripercorrere per l’ennesima volta il corridoio quando notai una porta in fondo, con una debole luce che filtrava da sotto, mi feci coraggio ed entrai; la stanza sembrava uno studio, di pianta circolare con un diametro di una quindicina di metri ma con un soffitto altissimo, e al centro di questo un apertura da cui filtrava la luce lunare su una piccola conca per raccogliere l’acqua piovana. Le pareti erano completamente coperte da enormi librerie, credo ancora oggi di non aver mai visto tanti libri insieme, tutti divisi in ordine alfabetico da una cura maniacale per l’ordine ma essenziale per riuscire a trovare un volume. Solo dopo molto mi accorsi della scrivania che si trovava vicino alla piccola conca d’acqua, e dell’uomo chino su questa, con la mano sinistra che veloce appuntava su un foglio quello che di interessante trovava nella pagina che teneva aperta con la mano destra, su un enorme libro dalle pagine ingiallite: era lui, il mio salvatore; quasi come se fosse riuscito a leggere i miei pensieri si voltò in quell’istante, incrociò le braccia sul petto e mi guardò abbozzando un sorriso: “Vedo che ti sei ripreso…bene..qual è il tuo nome?”-“Cosa vuoi da me?”-dissi-“ah bel nome!piacere Cosavuoidame io mi chiamo Madara”-mi rispose sollevando il sopracciglio e ridendo-“Da te non voglio nulla, se hai un posto dove tornare, vai pure, ma non mi sembra che tu ce l’abbia quindi forse posso proporti qualcosa”-aveva già inquadrato tutto, e mi stava per proporre qualcosa, anche se dal tono in cui lo disse sembrava pronto ad accettare una sola risposta-“Resta con me, questa casa è grande ed ho bisogno di qualcuno che la tenga in ordine, in cambio ti darò vitto alloggio e t'insegnerò tutto quel che conosco”-nel dirlo allargò le braccia in un gesto che sembrava abbracciare tutti i volumi di cui era tappezzata la stanza, la prima domanda che mi venne in mente fu: “Perché proprio io?”- lui sollevò un dito e disse: “Perché NON tu? Ti ho trovato e salvato e io non credo alle coincidenze, o almeno ho imparato a non crederci, sei un ragazzo corretto e giusto, sei in grado di difenderti da solo e sei molto intelligente, allora?”- non avevo molta scelta, fuori mi aspettava una vita di stenti per riuscire a prendere un tozzo di pane, qui mi si prospettava una vita diversa ma comunque preferibile e poi non ero costretto a rimanere: “Accetto”- a quella risposta Madara non si scompose più di tanto, anche se l’ombra di un sorriso gli sfiorava le labbra: “Perfetto allora, vatti a dare una lavata e poi torna qui quando sarà giorno, ti aspetto”- e si girò tornando sui libri, stavo per uscire dalla stanza quando mi disse: “Il bagno è la terza porta sulla destra, e dopo porta con te Pherenico, a più tardi Mikael”-mi girai di scatto, non gli avevo detto il nome della spada e in più mi aveva chiamato Mikael, non era il mio nome ma nel sentirmi chiamare in quel modo provai una strana sensazione, decisi comunque di rimandare a dopo le domande anche per darmi un po’ di tempo per schiarirmi le idee. Raggiunsi il bagno e cercai di rilassarmi, mi aspettava una vita nuova, nuove esperienze e nuove conoscenze, ma lo stesso non riuscivo a dimenticare la mia famiglia e tutto quello che avevo fatto, però dovevo comunque provare a continuare a vivere sennò i fantasmi del passato avrebbero divorato il mio cuore, così provai a chiudere tutto in angolo della mia mente.
Appena tornai nella stanza gli chiesi subito il motivo del nome che mi aveva dato, lui sorridendo rispose: “Mikael è il nome in ebraico dell’Arcangelo Michele, il guerriero celeste che è a capo delle legioni angeliche, viene sempre descritto con una spada fiammeggiante e quella tua spada sembra ardere davvero” – “ E come conosci il nome della mia spada?”- chiesi, a quelle parole si zittì e fece finta di nulla, e a me non importava più di tanto. Madara mi portò subito a fare un giro della casa, era davvero grande, a due piani e con un giardino sul retro, tutti i locali erano ampi e spaziosi con mobili che sembravano provenire da tutti gli angoli più remoti del mondo, sarebbe bastato un semplice giro di quella casa per uscirne più ricchi interiormente di nozioni o semplici immagini fantasiose di luoghi selvaggi e impervi in cui uomini bizzarri intagliavano la sedia su cui ti trovavi seduto o la maschera che osservi appesa al muro. Non fu difficile badare alla casa, entrambi non mangiavamo molto e ci accontentavamo di una cucina semplice. Le lezioni duravano quasi tutto il giorno, Madara riteneva che il detto “mens sana in corpore sano” dovesse essere scolpito nella mente di ogni vero uomo, quindi alternava allenamenti fisici (soprattutto nell’uso della spada) a vere e proprie lezioni incentrate su varie branche del sapere, ma dopo poco cominciai a capire quali fossero i suoi veri interessi e la sua storia: Madara non aveva nessuno a cui tramandare le sue conoscenze, per questo si era affidato ad uno sconosciuto come me, sembrava un 50enne ma forse aveva molti più anni, aveva girato il mondo e visto terre ancora sconosciute, ma soprattutto era un vero esperto di magia nera e occultismo; più le lezioni progredivano più mi faceva addentrare in questo mondo, riti, magie, demoni, spiriti e quant’altro. Aveva imparato da maghi indiani, orientali ed europei, e ricordava tutto come se fosse accaduto ieri. Devo dire che le lezioni non mi sembrarono mai noiose e le nozioni mi rimanevano impresse, mi sentivo come una spugna che assorbiva tutto, ma forse solamente per cercare di dimenticare e sommergere i ricordi. Ogni giorno però quando giungeva la notte, niente poteva fermare i miei pensieri, nessuna barriera o muro, arrivavano come una tempesta a sconvolgere la mia mente e il mio cuore distruggendo tutto. Madara sembrava non accorgersi del dolore che provavo, o almeno sembrava non volersi immischiare. La gente di Parigi lo conosceva come un mago e grazie alle loro commissioni riusciva a vivere agiatamente, i cittadini gli chiedevano notizie sui cari defunti, su gente scomparsa, e alcune persone chiedevano la morte di nemici; in questo caso Madara valutava bene tutto, riusciva a capire dagli sguardi e dai movimenti se una persona stava mentendo (insegnò anche a me come fare), e accettava solo se la persona da uccidere era davvero malvagia. La morte non avveniva quasi mai per mano del mago, ma tramite illusioni ed evocazioni che provocano nella vittima un infarto o un ictus che le uccidevano; mi disse che preferiva evocare gli spiriti delle persone che erano state uccise dal malvagio. Tutti lo rispettavano e in certo modo si sentivano protetti da lui, sapevano che non avrebbe mai fatto del male ad un innocente. Erano ormai cinque anni che vivevo con lui, avevo imparato quasi tutto e come continuava a ripetermi lui, ormai mi mancava solo di fare “esperienza sul campo” ma non avevo intenzione di proseguire il suo lavoro, non m’ importava e non l’avrei fatto, ormai ero in grado di badare a me stesso e alla prima occasione mi sarei allontanato da lui e dalle sue arti nere.
Era un giorno di pioggia quando durante un allenamento con la spada sentimmo suonare alla porta, fuori c’era un uomo sui trent'anni con un lungo mantello rosso foderato di una folta pelliccia, tutti a Parigi lo chiamavano Orochimaru, questo soprannome gli fu affibbiato perché tra le sue varie attività gestiva una decina di bordelli in tutta la città; Madara mi parlò di lui, era un mago ma dai metodi diversi da quelli del mio maestro, non aveva scrupoli e non chiedeva motivazioni se le sacche dei suoi clienti erano piene di denaro. Andammo giù ad aprire e Orochimaru, senza dir nulla, entrò nell’abitazione, si levò il mantello e si sedette sul divano invitandoci con un sorriso a fare altrettanto come se quella fosse stata casa sua e noi gli ospiti. Madara si sedette, mentre io rimasi in piedi alle sue spalle: “Avevo sentito parlare del tuo discepolo, non sembra un granché comunque, sicuro di aver fatto una buona scelta?” – a quelle parole il mio spirito s'infiammò ma Madara mi placò con un gesto della mano: “Che cosa vuoi da me Orochimaru? Vieni qua nella mia casa e ti comporti come un padrone, che cerchi?”- Il parigino fece un gesto di sdegno alle parole del mio maestro come se si fosse offeso, contemporaneamente portò la mano guantata sotto il mento, accarezzandosi il pizzetto; dopo qualche secondo di silenzio disse: “C’è una delle mie…ragazze diciamo…che è posseduta da qualcosa, sento chiaramente in lei un’altra essenza, ma non riesco a distruggerla o cacciarla dal suo corpo, è una delle mie pupille e tengo molto a lei..-“Sei venuto qui a chiedere il mio aiuto?”-lo interruppe Madara-“Sai bene quanto disprezzo te e i tuoi affari e pretendi che ti dia una mano?” – “Non te lo chiedo per me ma per la ragazza, seppellisci l’ascia di guerra mio caro Madara, ho già pronta la ricompensa, non ho tempo da perdere qui con te e con il tuo fedele cagnolino, se vuoi aiutare la ragazza vediamoci domani al 5 di Rue Duperie alle 21, se ci sarai bene, sennò sarò costretto ad uccidere la ragazza”. A queste parole si alzò, prese il mantello e se n'andò mentre Madara era rimasto seduto, aveva entrambe le mani sotto al mento e uno sguardo concentrato, dopo poco disse: “Sento che qualcosa non quadra,forse mi sbaglio ma se fosse vero? Non posso rischiare di far morire quella povera ragazza, domani andrò all’appuntamento.” – “Vuoi che venga anche io? Posso esserti utile in molti modi”- dissi posizionandomi di fronte a lui e cercando di sembrare il più calmo possibile, l’idea di entrare in azione infatti mi aveva emozionato, e non poco – “Va bene, verrai con me, stanotte rimarremo a digiuno per poter meglio affrontare il rito di domani, vai nella tua camera, ti chiamerò più tardi”.

 

Eccoci alla fine...spero vi sia piaciuto....

Bacioni Saky-chan!

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