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di Ptolemaios
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La memoria gioca brutti scherzi ***
Capitolo 2: *** Facce nuove, stessi mostri ***
Capitolo 3: *** Parenti Serpenti ***
Capitolo 4: *** C'è nessuno in casa? ***
Capitolo 5: *** Indovina chi viene a cena? ***



Capitolo 1
*** La memoria gioca brutti scherzi ***


Di certo non immaginava che sarebbe dovuto tornare per quello. Sì, i suoi genitori erano anziani, ma stavano bene. Sicuramente non avrebbe mai pensato che sarebbe successa una cosa del genere. Neil non era mai stato a molti funerali nella sua vita, ma quello che ricordava meglio erano i visi cupi, i fiumi di lacrime, magari aiutati dal collirio. Beh, in ogni buon funerale che si rispetti ci devono essere i parenti pronti ad avventarsi sul patrimonio del defunto. Altrimenti che scopo hanno le feste dopo la cerimonia funebre? Neil aveva cercato il più possibile di non pensarci a un’eventualità del genere. Di allontanarla dalla propria mente fino a quando non ci si sarebbe dovuto scontrare. E, per quanto lui non lo volesse, quel giorno era arrivato.

Morti entrambi, all’apparenza senza alcuna causa particolare. L’esame del medico legale avrebbe poi rivelato che la causa della morte era stata un arresto cardiaco, ma c’era comunque qualcosa di strano. Almeno secondo Neil.
Possibile che fossero morti tutti e due nel medesimo giorno? Quasi allo stesso momento? Oltre a Neil anche la polizia aveva sospettato qualcosa. Ma le indagini condotte non avevano portato a niente. “Morte naturale” così recitava il referto finale. Sta di fatto che caso o non caso, Neil era in viaggio verso Palmetto, la città dove avevano vissuto i suoi genitori. La città dove era cresciuto. La città dalla quale era scappato.

Se qualcuno gli chiedeva come mai dalla calma della campagna si era trasferito nel caos di Atlanta, Neil rispondeva con un semplice “Non succede mai niente laggiù”. Almeno, quella era la scusa ufficiale. La verità non l’aveva mai detta a nessuno, nemmeno al suo psicanalista da 500 dollari l’ora. Bè, dopotutto fare il caporedattore per l’Atlanta Voice, rendeva abbastanza. E lui di problemi ne aveva fin troppi da sviscerare. Un lavoro che lo soddisfa ma una vita che lo distrugge. Una combinazione perfetta. Single, ma non per scelta. E quando la scelta non è tua, non è tanto divertente.

La verità era che cercava di pensare a qualsiasi altra cosa tranne che al funerale imminente. Fin i suoi problemi andavano bene, pur di non pensare a quello. Anche se ormai, quasi senza rendersene conto, aveva già attraversato Fairburn. Il che voleva dire che mancava poco meno di un quarto d’ora per Palmetto. Cazzo, se c’era un motivo per cui odiava la campagna, era perché sembrava tutto morto. Potevi girare lo sguardo dove volevi, sembrava di stare nelle cittadine di campagna di “The Walking Dead”. Zombie esclusi, ovviamente. Era tutto uguale. Case tutte uguali, vie tutte uguali, anche le macchine parcheggiate fuori a momenti erano tutte uguali. Uno dei motivi per cui era scappato da lì, no?

Sbagliato.

Mentiva solamente a se stesso in quel modo. Era scappato da altro. Molto altro.
"Eccoci arrivati… Dio che schifo di posto. Mi mancano già i clacson nel traffico…"
Un’altra bugia anche quella? Al momento non aveva molta voglia di chiederselo. La strada principale del paese non era molto lunga, e casa dei suoi genitori era in una delle ultime traverse. Aspettava di trovarsi diverse persone sulla strada per casa dei suoi. Ma non c’era nessuno. E la cosa era piuttosto strana.

Era per caso arrivato in un’ora di fiacca? Era pieno pomeriggio…

Eccolo arrivato, finalmente. La traversa era anch’essa deserta, con qualche macchina parcheggiata qui e la. Neil posteggiò l'auto e guardò l’orologio.
"Ecco perché non c’è nessuno, sono in anticipo di un’ora. Tanto vale entrare in casa…"
L’atmosfera spettrale rimaneva comunque, anticipo o no. E non aveva molta voglia di rimanere fuori al sole. Prese le chiavi di casa dalla tasca (Le aveva sempre tenute a casa ad Atlanta, in caso di bisogno. Ma quando le riprese quella mattina prima di partire, erano così impolverate che per poco non starnutì) e si avviò verso la porta.
Un tale silenzio c’era nell’aria. Neil era molto stranito da tutta questa calma, tanto che si guardò dietro le spalle un paio di volte, come a cercare qualcuno che gli facesse compagnia.
Le chiavi scattarono nella serratura e Neil rimise piede in quella casa. Come a conferma dell’atmosfera generale del paese, anche in casa non c’era nessuno. O forse sì?

"C’è qualcuno? Sono Neil, il figlio di Andrew e Sheila! C’è nessuno?"
Nulla, nessuna voce in risposta.

Ma proprio mentre Neil stava per andare in salotto per mettersi comodo, qualcosa lo bloccò. Al piano di sopra, una porta sbatté fortissimo, preceduta da un cigolio.
Un cigolio che assomigliava più a una risata sommessa.

Qualcosa, aveva dato il benvenuto a Neil.

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Capitolo 2
*** Facce nuove, stessi mostri ***


La porta aveva sbattuto con una tale violenza da far sobbalzare Neil. Tecnicamente non ci sarebbe dovuto essere nessuno in quella casa, tantomeno finestre aperte che facessero corrente. Perché era quella la causa della porta sbattuta, no?
La casa era strutturata su due piani. O meglio, tre piani, se si volesse tenere conto del solaio. Al piano terra, o primo piano (Bè insomma, non fa più figo contare anche il piano d’entrata come piano a tutti gli effetti? Una scena da manuale: agente immobiliare che ti descrive una casa di tre piani compreso il piano terra. Così sembrano addirittura quattro. Magia. Dopotutto c’è chi moltiplica pani e pesci, e chi piani delle case.)
c’erano un ampio salone che si collega direttamente alla cucina, anch’essa molto grande, finendo con un piccolo bagno vicino alle scale. Il piano superiore era invece dedicato alle stanze da letto con bagni annessi (per famiglia e ospiti) e una saletta di ritrovo. Più su infine c’era il solaio, anch’esso molto ampio e molto buio.
A occhio e croce, secondo Neil, la porta che aveva sbattuto avrebbe dovuto essere o di una delle stanze del piano superiore, o quella del solaio. Così dopo aver sistemato il cappotto su un divano della sala, salì le scale per andare a chiudere bene la porta sbattuta e serrare la finestra che faceva corrente. Neil era un maniaco dell’ordine e della pulizia. Nessuna matita fuori posto o granello di polvere resistevano al suo passaggio. Lo Swiffer più veloce del west. O della redazione dell’Atlanta Voice, che dir si voglia.
Arrivato al primo piano (O secondo, agente immobiliare docet), Neil cominciò a cercare la porta incriminata. Girare per quelle stanze gli riportava alla mente tanti ricordi. La camera dei suoi genitori, la sua camera da letto, dove era stato fino a prima di andare al college…  Almeno quelli erano bei ricordi, almeno quelli…

Senza rendersene conto Neil era arrivato davanti la stanza degli ospiti. La porta era socchiusa, a differenza di tutte le altre su questo piano. Neil la aprì, pensando che questa fosse la stanza dove c’era la finestra aperta. Quel che trovò invece, fu tutto l’opposto di quel che immaginava. La finestra della stanza non solo era saldamente chiusa, ma aveva anche delle spesse tende tirate. C’era pochissima luce, e l’atmosfera era piuttosto buia.
"Che strano, eppure pensavo fosse questa la stanza dove c’era corrente… E perché poi avrebbero lasciato le tende tirate?" Pensò ad alta voce Neil, avvicinandosi per aprire le tende. Ma al secondo passo verso la finestra, Neil sentì un brivido freddo corrergli su per la schiena. Si immobilizzò all’istante, guardandosi nervosamente intorno. Fu allora che sentì che qualcosa gli passò di fianco, come di corsa. Neil a quel punto era terrorizzato. Si girò di scatto verso la porta e si fiondò fuori dalla stanza. Non si guardò indietro, per la paura di poter vedere qualcosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Richiuse nervosamente la porta dietro di lui e si fermò per riprendere fiato.
"Cosa diavolo era? Neil, calmati. Va tutto bene. Ti sei fatto suggestionare dalle tende tirate, dal silenzio della stanza e tutto il resto. Non c’è nulla. È uno degli attacchi che dice lo psicanalista. Va tutto bene"
Neil continuò a ripetersi queste parole come un mantra per qualche minuto, fino a quando non si fu calmato. Nonostante la brutta esperienza di prima, Neil voleva ancora cercare la porta che aveva sbattuto. Evidentemente non era nessuna delle porte su quel piano. L’unica che rimaneva era quella che conduceva al solaio. Quando era piccolo, Neil non aveva mai amato il solaio. Insomma, quale bambino piccolo non avrebbe paura di un enorme spazio completamente buio? È l’incubo per eccellenza, l’uomo nero che ti divora non appena ci metti piede. Ma ormai era grande per avere paura di certe cose.
Salì la piccola scaletta che conduceva alla porta, e mise una mano sul pomello per aprirla. Ma la porta non si aprì. Il pomello cominciò a vibrare. Neil ritrasse la mano di scatto, fissando il pomello che faceva le sue ultime vibrazioni.
Tutto ciò era assurdo, non poteva stare accadendo davvero. Era solo la sua immaginazione, tutta autosuggestione. Era colpa della morte dei suoi genitori. Era sconvolto, tutto qui.
Come a convincersi Neil mise una mano sulla porta. La porta però lo smentì, vibrando ancora.
Neil era sul punto di impazzire quando il campanello suonò. Quel suono quasi lo risvegliò, facendolo tornare lucido. Neil riguardò la porta, ma era normale, non vibrava.
Autosuggestione.
Neil corse giù per le scale, andando alla porta di ingresso per aprire.
"Arrivo, un attimo!"
Una volta nella sala al piano terra, andò alla porta. Casualmente l’occhio gli cadde sul divano, dove aveva posato il cappotto.
Il cappotto era sparito.

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Capitolo 3
*** Parenti Serpenti ***


Il cappotto non c’era più. Sparito, scomparso, volatilizzato. Inghiottito dal warp. Rapito dagli alieni.

Ammesso che gli alieni avessero un qualche interesse in un cappotto.

Fermo immobile dov’era, Neil cercò di fare mente locale. Dove poteva averlo messo? Eppure si ricordava perfettamente di averlo lasciato lì.

"Mah, lo avrò lasciato da un’altra parte, sicuramente. Mica avrà messo i piedi no?" Penso a voce alta Neil. Dopotutto si era anche immaginato porte che sbattevano e che vibravano.

O forse no?

Ma a prescindere da dove fosse lo stramaledetto cappotto, era suonato il campanello e doveva andare a vedere chi era.
Sicuramente saranno stati dei parenti alla porta, dato che il funerale era previsto in serata. In teoria alla funzione sarebbero dovuti essere presenti circa 20 persone.
Buona parte sarebbero stati cugini e nipoti, figli dei fratelli dei suoi genitori. Infatti a loro sarebbe importato poco e niente del funerale.

In fin dei conti a quale ragazzo importa di uno zio che non vedi mai e di cui non sai nemmeno il nome?

Le vere star della serata erano i fratelli dei genitori di Neil. I corvi che volteggiavano intorno alle ricche carcasse in decomposizione. Infatti qualcosa che la maggior parte del parentado ignorava era l’eredità in ballo.

Terreni, casa, denaro. Molto denaro.

E quanto c’era così tanto ben di Dio a disposizione vuoi che l’essere umano medio non tiri fuori dall’armadio la sua miglior grettezza e avidità?
Perché non raccontiamoci balle. L’unico veramente a pezzi per l’accaduto era Neil, tutti gli altri erano li per battere cassa. Buona proporzione, 1 a 20. Non la migliore performance ma ci andava vicino. Ovviamente l’oscar andava a quei funerali dove anche il cane era lì per i soldi. Dove tutti i presenti si guardavano in cagnesco. Giust’appunto.

Neil aprì la porta e si trovò davanti i primi due corvi: Maximilian, unico fratello maschio di suo padre e sua moglie, Monica.

Neil non aveva grandi ricordi di zio Maximilian, tranne il suo marcato accento texano e la perenne puzza di alcool che lo accompagnava. In due parole, un bovaro. La moglie lo aiutava a gestire il ranch di famiglia e il fatto che fosse arrivato per primo era indicativo dell’interessamento all’eredità. Non era un mistero in famiglia che il ranch di Maximilian stesse fallendo.

"Ciao Neil, sono… davvero addolorato per quello che è successo" Esordì l’omaccione abbracciando in modo fintissimo Neil.

"Grazie zio. Credo che nessuno se l’aspettasse. Puoi immaginare la mia reazione alla notizia..." disse Neil, giusto per non rimanere muto come un pesce.

"Fatti forza ragazzo. Oggi saremo qui tutti per ricordare Andrew e Sheila" E tentare di incassare l’eredità. Ovviamente Maximilian non lo disse, glielo si leggeva faccia. Però lo spettacolo più pietoso che era avvenuto durante quello scambio di battute era l’espressione della moglie, Monica. Un finto addolorato d’annata, degno della miglior sciacquetta dei B-Movie.

"Forza accomodatevi, poggiate i cappotti sul divano" Ammesso che non spariscano anche a voi, pensò sarcastico Neil.

"Credo che a breve arriveranno anche tutti gli altri. Vado a preparare del caffè in cucina" Disse Neil, pur di togliersi dalla vista gli zii.

"Ottima idea Neil, noi ti aspettiamo qui" Gli rispose Maximilian

Neil andò in cucina, e mise su la macchinetta del caffè. I genitori odiavano il classico caffè americano. O meglio, avevano cominciato ad odiarlo dopo una vacanza in Italia che gli regalarono lui, zio Paul (fratello di sua madre) e zia Julie (sorella di suo padre). Da allora, o era caffè espresso o niente.

E come dargli torto.

Ma nemmeno il tempo di preparare la moka (Neil aveva ovviamente dovuto imparare a fare il caffè all’italiana) e il campanello suonò di nuovo.
Col suono del campanello comparve anche qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Il cappotto di Neil, poggiato su una sedia della cucina.

E una strana voce sommessa, che arrivava dal primo piano.

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Capitolo 4
*** C'è nessuno in casa? ***


Ok, qui stavamo sfiorando il ridicolo.

Prima le porte che sbattono, poi le porte che non contente di aver fatto il teatrino si mettono a vibrare, e ora le voci.

“Direi che c’è un limite a tutto” pensò Neil.

La vocina sommessa, che sembrava sentir solo lui dato che i suoi due zii chiacchieravano tranquillamente tra loro, pareva provenire ancora una volta dal piano di sopra.
Quando Neil non aveva un granché da fare, ovvero quando aveva finito di lavorare, non sapeva che libro leggere, quando rimaneva fisso a guardare i DVD da poter vedere, spento e riacceso più volte la PS3 non riuscendo a decidersi a che gioco giocare, solo allora iniziava a guardare i peggio documentari sulla tv via cavo.

La cosa che più piaceva a Neil di quei documentari, era che parlavano dei più disparati argomenti, compreso il sovrannaturale.

Avete capito bene, sovrannaturale. Fantasmi, vampiri (quelli veri, non quelli che brillano al sole), zombie, spiriti… quest’accozzaglia di creature.

Un giorno, guardando questi documentari, si erano messi a parlare dei poltergeist. Esserini che prendevano possesso di vari oggetti in una casa, provocando caos e paura incontrollata. Tostapane che volano, paperette di gomma per il bagno che saltano per casa, porte che sbattono, la tv che si sintonizza su canali sconosciuti (ecco questo magari può non far paura ma essere interessante), e così via.

Facendo mente locale, Neil ripensò a quei programmi. Ma giudicò sciocca l’idea che ci fosse davvero uno spiritello in casa che si divertiva a far sbattere e far scomparire le cose.

Già, un’idea completamente idiota.

Mentre Neil con un sorriso sardonico riprese a fare il caffè, la vocina sommessa tornò a farsi sentire.
Neil cercò di ignorarla, nonostante la sentisse abbastanza bene. Biascicava parole senza senso, composte da lettere a caso, quando all’improvviso Neil sentì distintamente una parola che rischio di fargli combinare un disastro con la caffettiera.
"arvt… sulrv… nlth… ben… torn… ato…"

Le mani di Neil tremarono, in preda ad un agitazione feroce. Esercitò tutto il suo autocontrollo per non rovesciare il caffè. Dopo quell’ultima parola la vocina si ammutolì, lasciando spazio al solo rumore del caffè che veniva su nella caffettiera.

Neil prese al volo tre tazzine, e versò il caffè per se e per i due zii.
"Grazie Neil, caffè all’italiana vero?" Disse Maximilian vedendolo arrivare dalla cucina.
"Sì zio, proprio come lo preparavano mamma e papà" Rispose Neil.
"E sono sicuro che non te ne frega proprio un cazzo di come facevano il caffè mamma e papà" pensò Neil.

"Neil ascolta, sai per caso quanti saremo stasera al funerale?" Chiese Monica.
“Che cosa? Non sa nemmeno chi ci sarà al funerale? Ma cristo…” pensò Neil furente. Che fossero entrambi qui per mettere gli artigli su un pezzo dell’eredità era chiaro, ma in modo così sfacciato?
Neil non credeva alle proprie orecchie. E in un moto di cattiveria disse, anche se sapeva che non era vero "Ci saranno tutti, ma proprio tutti".
I due zii sbiancarono, perché sapevano benissimo che quel tipo di affermazione significava parenti che avrebbero voluto vederli morti.
Neil rise di gusto dentro di se vedendo le loro espressioni spaventate. Purtroppo non sarebbe durata. A breve sarebbero arrivati tutti gli altri parenti in blocco.
E infatti, come a confermare il suo pensiero il campanello suonò più volte.

Neil andò alla porta per vedere chi era arrivato. Passando vicino alla finestra che si trovava affianco alla porta, vide che c’era il parentado al gran completo. E vide anche due facce che sperava fortemente di vedere: zio Paul e zia Julie.

Neil sorrise e prima di andare ad aprire la porta, prese il suo cappotto magicamente riapparso e lo sistemò sull’ampio appendiabiti a destra della porta.
Tutti i parenti lo salutarono porgendogli le loro condoglianze, chi in modo sincero e chi in modo finto e falso. Anche tutti i cuginetti lo salutarono, facendogli le condoglianze. Ora di questi bisognava solo distinguere come poco fa. Ovvero capire chi l’aveva fatto perché era davvero triste per la scomparsa dei loro zii, e chi perché era stato addestrato modello SS naziste a recitare in modo perfetto dai genitori il loro dispiacere.

Gli ultimi a entrare furono Paul e Julie, che strinsero in un lungo abbraccio il loro nipote.
"Non hai idea di come ci sentiamo Neil… siamo davvero a pezzi per l’accaduto" Esordì zio Paul.
"Lo so bene zio, siete gli unici a cui possa credere in questo covo di vipere" Rispose Neil.
"Dimmi, chi sono stati i primi ad arrivare?" Chiese Juile con un sorrisino.
"Sono stati Maximilian e Monica… ma perché me lo chiedi, zia?" Chiese Neil con aria interrogativa.
"Ha ha, lo sapevo! Paul, mi devi 10 dollari." Disse con aria trionfante Julie.
"Ero indeciso se scommettere su quel vecchio porco di Maximilian o su Stephen e la sua sete di denaro. Be’ ma è stata una scommessa difficile, mica è facile capire quale di due stronzi puzza di più." Disse Paul allungando la banconota a Julie.

Neil scoppiò a ridere, tenendosi le mani davanti alla bocca per non fare rumore. Come sempre solo loro due riuscivano a strappargli un sorriso quando le cose andavano male.
"Oh zia, ho qui i film che mi avevi prestato. Se aspetti un attimo vado a prenderli in macchina" Disse Neil.
"Sicuro, intanto io e Paul entriamo in casa" Rispose Julie.
Neil entrò con loro un attimo per prendere le chiavi della macchina dal cappotto appeso.
Ma messe le mani nella tasca dove aveva lasciato le chiavi, non trovò nulla.

Stavolta a sparire, erano state loro.

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Capitolo 5
*** Indovina chi viene a cena? ***


Prima di cominciare volevo fare le mie scuse a tutti coloro che stanno seguendo il mio racconto. È passato tantissimo dall'ultimo capitolo, per tutta una serie di motivi. Vacanze, lavoro... Insomma ho avuto parecchie gatte da pelare xD Ma adesso sono tornato attivo, e vi prometto che sarò più costante.

Salvo invasioni aliene, o piogge di meteoriti. 

Ops. I meteoriti sono già caduti, in Russia. Conto sugli alieni xD

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Va bene.

Stavolta al poltergiest, puffo, alieno di turno gli era preso un interesse maniacale per le chiavi. È giusto, una connessione perfettamente logica da cappotto a chiavi.

Neil fece un lungo sospiro e si rivolse verso Julie. “Scusa zia, non trovo più le chiavi della macchina…”

“Non fa niente Neil, c’è tutto il tempo. Piuttosto entriamo in casa insieme a tutti gli altri.”

Tutti gli altri. Già, perché con l’arrivo di Paul e di Julie tutti i parenti erano presenti all’appello. Erano circa le cinque del pomeriggio, e mancava ancora tanto al funerale. Prima bisognava intrattenere le serpi, dargli da mangiare, e ovviamente non farle sbranare tra loro. Neil avrebbe preferito di gran lunga volare in Afghanistan per andare ad ammazzare qualche talebano. O respingere un invasione aliena. Ma purtroppo nei dintorni di Atlanta i talebani scarseggiavano.

E anche gli alieni, non credete mica.

Mentre Neil entrava in casa, ripensò agli strani eventi accaduti fin’ora. Com’era possibile che sbattessero porte chiuse, vibrassero maniglie, e vocine bisbigliassero per la casa? Erano davvero i soliti attacchi di cui aveva discusso con il suo psicanalista? Dovevano esserlo. Frutto della sua immaginazione.

Inoltre, fosse stato in un romanzo horror, non sarebbe già morto qualcuno?

“Aaah!”

L’urlo, agghiacciante nel quasi silenzio che regnava in casa, proveniva dalla cucina
.
Neil si fiondò sul posto, temendo già il peggio. Ma fortunatamente non c’era nulla di cui preccuparsi. O quasi.
Uno dei cuginetti era scivolato ed aveva picchiato un ginocchio per terra. La madre lo stava già confortando, massaggiandogli l’articolazione.

“Mio Dio che strizza…” Pensò Neil.

Una mano si posò all’improvviso sulla spalla di Neil, che trasalì sbiancando.

“Chi è?!” Esclamò nervoso.

“Sono io Neil…” Gli rispose Paul. “Che ti è preso? Manco ti avesse afferrato un mostro” Disse sorridendo.

“Scusa zio… Ho i nervi a fior di pelle.” Rispose Neil.

“Non ti preoccupare, ti capisco. Piuttosto, forse ti conviene radunare tutti e spiegare che succederà oggi.” Disse Paul.

“Giusto. Adesso raduno tutti nel salotto.” Rispose Neil.

“Bravo. Che a vederli sembrano un branco di mucche al pascolo.” Cercò di scherzare Paul.

“Più che mucche sono iene, pronte a saltare addosso alla carcassa. Guarda Maximilian.” Disse Neil sporgendosi verso il salotto. “Sta lanciando occhiatacce a chiunque.”

“Magari crede di avere lo sguardo che uccide.” Disse Paul.

“Come no, è talmente grasso che non riuscirebbe ad uccidere nemmeno una lumaca. Voglio dire, si fa prima a saltarlo che a girarci intorno, è più facile che crepi di infarto quel bastardo. Avvoltoio di merda.” Disse Neil con rabbia.

“Calmati Neil… Alla fine sarà il testamento a parlare, e sono sicuro che i tuoi genitori non hanno lasciato nulla a lui, come a nessun’altro che non fosse meritevole.” Disse Paul, cercando di calmare il nipote.

“Hai ragione, zio. Su, andiamo.” Disse Neil avviandosi.

In realtà, fosse dipeso da Neil, tre quarti delle persone presenti non sarebbero mai state chiamate. Ma purtroppo le disposizioni erano chiare, e non si poteva ignorarle.

Prima di chiamare tutti Neil andò in bagno. Voleva lavarsi un attimo il viso con dell’acqua fredda, così da poter affrontare meglio tutti quanti. Arrivato al bagno, chiuse la porta e si avvicinò al lavandino.
Il rubinetto gocciolava, come se qualcuno l’avesse usato da poco senza chiudere bene i rubinetti.

Strano, dato che non aveva visto nessuno andare al bagno al piano terra. Poco male, sarà stato qualcuno mentre lui parlava con zio Paul in cucina.

Neil aprì il rubinetto dell’acqua fredda, pronto a sciacquarsi. Ma l’acqua che scorreva non era fredda, bensì era calda. Bollente.
“Ma com’è possibile? E dire che ho aperto il rubinetto giusto…” Pensò Neil.

L’acqua stava già emettendo vapore per tutto il bagno, tanto era calda. Facendo attenzione a non scottarsi, Neil chiuse con cura il rubinetto dell’acqua fredda. Diede una stretta a quello dell’acqua calda, e riaprì piano quello dell’acqua fredda.

Adesso l’acqua che scorreva era fredda.

Neil guardò con aria interrogativa il rubinetto, e si sciacquò il viso più volte. Si asciugò per bene, e si guardò allo specchio. Purtroppo non vedeva niente, dato che l’acqua calda di prima aveva già appannato il vetro. Mentre si stava per chinare per prendere un asciugamano pulito con cui spannare lo specchio, Neil notò qualcosa.

Sul vetro appannato c’era una scritta, tracciata come se qualcuno l’avesse fatta con le dita.

La scritta recitava “È ora…”.

Neil strabuzzò gli occhi incredulo, e se li stropicciò per leggere meglio.

La scritta però era scomparsa.

“Va bene. Adesso ci mancava solo la bambina di The Ring che fa l’Uomo Ragno in giro per il bagno e fa scritte sui vetri appannati. Perfetto. Sto diventando completamente scemo.” Pensò ad alta voce Neil.

Che poi, è ora di cosa?

Ora di mangiare? La bambina di The Ring voleva un invito scritto per la cena di stasera?

Neil finì di pulire lo specchio ed uscì dal bagno, dirigendosi in salotto.

“Scusate, gente…!"
Ottimo inizio, chiamarli manco fossimo ad un raduno per un concerto rock.

“Vi ringrazio per essere tutti qui in questa triste occasione, vedo che non manca nessuno.”
Certo, li ringrazierei di più se andassero un po’ tutti a fanculo. E ci credo che non manca nessuno, se potessero farebbero tutti in coro “Soldi, soldi, soldi!”.

“Il funerale di celebrerà nella chiesa della cittadina, qui vicino casa. Ceneremo qui, e una volta tornati dalla funzione, terremo un piccolo rinfresco…”
Sì, vi darei da mangiare un calcio in bocca, con un rinfresco di schiaffi.

“Poi ci saluteremo e ognuno potrà tornare a casa…”
Giusto, prima sparite brutte carogne e meglio è.

Di uccidervi tutti nella più lenta agonia.

Stop.

Neil si bloccò di colpo. Ok tutte le cattiverie, ma quell’ultimo pensiero? Avrebbe giurato di non averlo pensato, ma se lo era trovato in mente, pronto ad esplodere.
L’aveva davvero pensato? Certo, avrebbe di gran lunga preferito rendere omaggio ai suoi genitori da solo, magari accompagnato da Paul e Julie, ma vedere morti tutti gli altri…

Neil non sapeva più davvero cosa pensare. Ma cercò di farsi forza, e di etichettare tutte quelle stranezze come una conseguenza dello stress.

Nel frattempo durante tutto il suo discorso, nessuno aveva fiatato. Avevano ascoltato tutti in silenzio, con grande attenzione. Strano, non c’era nemmeno il solito fesso che faceva la domanda stupida.

Tutti i parenti si dispersero per casa, cercando di ingannare il tempo fino all’ora di cena. Ma qualcuno doveva pur cucinare.

Neil andò ai fornelli, e a lui si unirono Paul e Julie, seguiti da un paio di cugini che volevano dare una mano.
“Vi ringrazio. Abbiamo un sacco di carne qui, pensavo ad una classica bistecca accompagnata da patate come piatto principale.” Disse Neil, esponendo la sua idea per la cena.

“Buono! Facciamo quello allora?” Disse Stan, uno dei due cugini che si erano uniti a lui in cucina.

“Sì dai. E gli altri si attaccano se non gli sta bene”. Disse Paul sorridendo.

I cinque si misero all’opera, iniziando a preparare. Nessuno parlava, come se ognuno sapesse che cosa doveva fare. Neil si mise addirittura a fischiettare, subito imitato dagli altri quattro. Si scambiarono tutti un sorriso, tranquilli e sereni.

Ma giustamente, mica poteva durare.

Delle urla strazianti e terrificanti riecheggiarono per la casa.

Neil si fermò di colpo, imitato da Paul e Julie. Stan era sbiancato, e Anne, l’altra cugina, aveva lasciato cadere il coltello per lo spavento.
“Co-Cosa è successo…?” Chiese Anne tremando.

“Cerchiamo di stare calmi.” Disse Paul “Si sarà fatto male qualcuno, come prima, no?”

“Lo spero tanto, zio…” Disse Neil.

“Da dove provenivano le urla? Dal piano di sopra?” Chiese Julie.

“Credo di sì zia. Forse dalla stanza degli ospiti” Rispose Neil.

Ma ciò che Neil non poteva sapere, era che la stanza degli ospiti aveva subito un ritinteggiatura.

Completa.

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