Airplanes in the Empty Sky

di Marsie Sinclair
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fly00- Se un Giorno di Pioggia... ***
Capitolo 2: *** Fly01- Cuore e Ragione ***



Capitolo 1
*** Fly00- Se un Giorno di Pioggia... ***


AIRPLANES00

êAirplanes in the Empty Skyê

"Tutte le guerre sono civili perché tutti gli uomini sono fratelli."

François Fénelon

 

Fly 00!Se un Giorno di Pioggia …

 

“Shane!”

Stava piovendo, peggio, stava diluviando, così forte da far quasi male, eppure la piazza era gremita di gente. Quello era un giorno glorioso per l’Impero, il giorno in cui per il Nemico sarebbe iniziata la fine.

 

Guerra. Si andava in guerra. Shane andava in guerra.

Una stonata marcia militare veniva trasmessa dagli altoparlanti; ogni tanto si inceppava, ma nessuno ci faceva caso. Erano tutti presi a sventolare bandierine insulse e ad  acclamare i soldati.

 

Erano così tanti, pronti ad andare alla guerra, ma lui ne cercava solo uno, però era tutto così stranamente sfocato e non riusciva a distinguerli. Logico, pioveva. Tutta colpa di quell’acqua che cadeva dal cielo così violenta, che gli picchiava in testa e sulle spalle così forte, e che lo inzuppava così tanto.

Ad Avalon City pioveva sempre e, quando non pioveva, il cielo era cupo, oscurato da pesanti nuvoloni grigi e malsani fumi di scarico. Faceva una gran tristezza.

Invece, quelle lacrime copiose che gli stavano solcando il volto, quelle non sapeva proprio da dove fossero uscite. Non avrebbe dovuto piangere. Perché non ce n’era motivo,no? La guerra… la guerra… era necessaria, no?

 

La pomposa musichetta  finì. Il discorso del Governatore stava per iniziare.

“Popolo di Avalon, oggi è un grande giorno”

 

 Tirò su con il naso, continuando invano a cercare con gli occhi zuppi di pioggia e lacrime in mezzo alle schiere di soldati.

Non è una bella cosa, la guerra.

 

“Il destino ha voluto che le nostre armi si levassero contro l’arroganza di coloro che vogliono privarci di ciò che è nostro per diritto”

 

Perché la sera ci sarebbero stati solo buio e silenzio.

 

“Ma tutto ciò avrà presto fine: la supremazia del nostro glorioso Impero sarà provata dal coraggio dei nostri prodi combattenti, disposti a compiere anche il sommo sacrificio per la causa!”

 

Perché forse non avrebbe mai più sentito quel ragazzo insopportabile parlare di fate, cavalieri e inventarsi storie incredibili solo per vederlo sorridere.

Perché forse, ma solo forse, ben inteso, gli sarebbe mancato un pochino quell’idiota dalla testa troppo vuota e il cuore troppo pieno.

 

I soldati sfilavano, seri, impettiti e indifferenti nelle loro divise verde foresta. Solo uno sorrideva arrogante e spavaldo, i corti capelli rossicci scuriti dalla pioggia battente.

“Shane!” gridò ancora il bambino, ma la sua debole voce andò persa tra mille altri richiami simili.

 

“Siatene fieri.” concluse solenne il Governatore, la cui voce stridula, amplificata da quello strumento di nuova concezione chiamato altoparlante, sovrastò le esclamazioni della folla.

 

Lanciò un’occhiata di puro odio verso la tribuna, sotto la quale i pezzi grossi dell’Impero si godevano lo spettacolo dei battaglioni sfilare. Ci sono persone che piangono e quello spaventapasseri parla di gloria, si disse il ragazzino. Forse era troppo piccolo per comprendere i giochi dei politici, ma una cosa gli era fin troppo chiara: quella gente gli aveva portato via tutto.

Prima i suoi genitori, ora Shane: era rimasto completamente solo, perso. E la colpa  era solo del Governatore.

 

Lo odiava, detestava con tutta l’anima quell’ometto viscido che blaterava di coraggio, sacrificio e robe simili dall’alto del suo bel palco riparato e comodo mentre gli altri sotto la pioggia battente salutavano per l’ultima volta i propri cari.

 

La marcia zoppicante ricominciò e, attraverso la cortina d’acqua grigia, apparvero le sagome sgraziate di alcune enormi aeronavi da guerra, dondolanti come tristi ubriachi di ritorno da una notte di follie, che attraccarono all’aeroporto della città. I soldati, dopo un ultimo rigido saluto militare alla tribuna d’onore, si imbarcarono salendo velocemente lungo le passerelle d’acciaio al ritmo cadenzato della musica.

 

La cerimonia terminò. Poco a poco la folla si disperse per riprendere le proprie attività –in guerra non c’era tempo per i sentimentalismi- e, alla fine, nella grande piazza principale rimase solo una minuscola figura che, in ginocchio nel fango, piangeva come e più del cielo tetro. In mano stringeva un medaglione a forma di pentacolo, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza.

 

 

 

!

 

 

“Arthur-san?”

Toc, toc, toc.

Qualcuno stava bussando piano alla porta

“Capitano? Abbiamo quasi raggiunto il porto, signore. Se potesse venire sul ponte…”

Il pirata aprì pigramente un occhio, pentendosene però subito. Un fastidiosissimo raggio di sole, filtrando attraverso le tende leggere, lo colpiva dritto in viso, quasi accecandolo.

Strano che non avesse chiuso tutto la sera prima. Solitamente prima di andare a letto tirava le tende pesanti in modo che la stanza fosse immersa nel buio più totale. Invece questa volta no: l’elegante cabina era immersa nella calda luce dorata - e tremendamente – fastidiosa del Sole.

Come se già quello non bastasse a dare abbastanza noie, gli faceva male la schiena, il cuscino era molto più duro e scomodo di quanto sarebbe dovuto essere e aveva anche un certo freddo.

 

“Arthur-san? - continuò la stessa voce di prima. - Non vorrei essere scortese, ma stiamo tutti aspettando voi.”

Questa volta era un po’ più alta e i colpi alla porta un po’ più insistenti.

 

Alzò con cautela la testa, socchiudendo gli occhi per ricacciare indietro la sensazione di stordimento e un misto di vaghi ricordi annebbiati e pieni di pioggia. Si guardò intorno un po’ spaesato, cercando di capire cosa ci fosse di sbagliato. Gli ci volle un po’ più del dovuto, ma alla fine se ne accorse: si era addormentato alla scrivania, col duro legno stagionato come cuscino – questo spiegava il mal di schiena - e una bottiglia di rum mezza vuota in mano – e questo spiegava perché ci vedeva doppio.

 

My God...” ringhiò a denti stretti, passandosi una mano sul viso nel vano tentativo di schiarirsi le idee. “What a massive hangover…”

 

Si alzò, un po’ traballante, dalla sedia, con tutta l’intenzione di andare ad aprire prima che quel bussare fintamente gentile gli facesse saltare definitivamente i nervi, fermandosi però davanti al grande specchio intarsiato per darsi una sistemata veloce: dio, era ridotto da far pena!

 

Lasciò un attimo perdere lo scocciatore, per meglio osservare con aria cupa il proprio riflesso. Si chiese come diavolo avesse fatto a ridursi così: i corti capelli biondo cenere erano talmente arruffati e intrattabili da dargli l’aspetto tragicomico da pagliaccio triste, accentuato dal trucco nero - che la sera prima era certo di non avere - che colando gli aveva rigato le guance. Guardò con orrore gli occhi rossi e un po’ vacui, solitamente così luminosi ed espressivi, ora solo gonfi di pianto; doveva aver frignato come una fontana la sera prima. Colpa del rum, accidenti!

Non era possibile - e neppure dignitoso - che il capitano di una tra le più temute ciurme di pirati non reggesse mezza bottiglia di rum!

Santissimo cielo, non aveva addosso altro che i pantaloni strappati e macchiati, un fiocco di un rivoltante rosa caramella legato al collo e un solo stivale! Più che ovvio che avesse freddo – ed era totalmente ridicolo!

 

Si fiondò sull’armadio, pescando a caso una camicia stropicciata e un paio di pantaloni teoricamente puliti.

Al di là della porta della sua cabina, riprese l’irritante toc toc.

Ringhiò un poco amichevole “I’m coming!” seguito da un altrettanto poco elegante invito ad aspettare senza scassare le scatole, che tanto lui era il capitano e nulla si muoveva senza il suo consenso e la sua presenza, e a levarsi dai piedi; dunque si infilò nel suo bagno personale – la sua carica offriva indubbi vantaggi.

 

Dopo una buona mezz’ora a mollo nell’acqua tiepida, e dieci minuti con la testa sotto un getto gelido, era tornato a ragionare più o meno chiaramente e, cosa non meno importante, non sembrava più un non-morto appena scappato dalla tomba. Ecco, adesso si sentiva in grado di affrontare una nuova giornata.

 

“Siamo quasi arrivati al porto di Soave, capitano!” questa volta il tono della voce oltre la porta era più alto e la patina di pacata cortesia era quasi sparita. “Vi attendiamo tutti per pianificare l’attacco” 

 

Rimase in bilico su una gamba, mentre stava cercando di infilarsi i pantaloni, fissando la porta con due occhi da pesce lesso che non ha ancora capito che fine ha fatto.

L’assalto al Palazzo del Podestà di Soave! Non poteva esserselo scordato! Misericordia era stata una sua idea! Dopo quel colpo avrebbe finalmente potuto abbandonare la pirateria, ricomprarsi la casa di famiglia ad Avalon e anche i suoi compagni avrebbero avuto di che vivere!

 

Finì di rivestirsi in fretta e furia, raccattò armi e soprabito e, borbottando qualcosa riguardo alla gente che non sa aspettare, si diresse al ponte di comando, dove gli altri lo attendevano già armati e pronti alla battaglia.

 

 

 

!

 

 

 

Soave era la più grande e ricca delle Repubbliche Meridionali. Costruita interamente sull’acqua, era un luogo davvero splendido: palazzi dalle forme delicate ed eleganti si alternavano a templi e sedi di compagnie mercantili, in un susseguirsi ininterrotto di meraviglie, una festa per gli occhi e per l’anima, come dicevano tutti coloro che avevano avuto l’immensa fortuna di visitare la città.

 

Peccato che Arthur non avesse di certo il tempo per ammirare il paesaggio offertogli. Mancava pochissimo all’assalto e, cosa abbastanza insolita, non si sentiva per niente tranquillo; c’era qualcosa, una specie di presentimento, che lo rendeva teso come una corda di violino.

 

Il piano di base era semplice, quindi le possibilità che qualcosa potesse andare storto minime: mimetizzandosi tra le centinaia di aeronavi mercantili si sarebbero avvicinati il più possibile al Palazzo per poi, passando dai tetti, raggiungere le stanze del Podestà, rimanendo inosservati. Quindi, a rigor di logica, non c’era motivo di essere agitati.

 

Perfino i tetti a Soave erano un’opera d’arte, un insieme caotico di guglie, torrette, cupole e quant’altro l’ingegno umano avesse mai prodotto in campo architettonico, che, con il calare del sole, divenivano un groviglio di ombre perfette per nascondersi. E questo valeva anche per il Palazzo del Podestà, teoricamente il luogo più protetto e sorvegliato della città, se non si teneva conto dell’assenza di guardie sui balconcini.

 

E in effetti la prima parte del piano filò liscia come l’olio. I pirati non ebbero  quasi nessuna difficoltà a raggiungere e introdursi nel grande edificio col favore delle tenebre.

 

Da una piccola finestra in cima a una delle torrette più discrete, un gruppo di loro scivolò silenzioso in quello che doveva essere un corridoio secondario del Palazzo, completamente deserto. Il capitano, sceso per primo, osservò la situazione: come aveva previsto, quella doveva essere la zona più tranquilla, e meno controllata, dell’edificio. Dalle carte che aveva studiato, se non sbagliava, si trovavano nei pressi dell’archivio; tutti incartamenti inutili, per loro.

Da lì si sarebbero potuti dividere, addentrandosi sempre di più, fino ad arrivare alle stanze davvero importanti, quelle piene di danari, gioielli e tesori. Avrebbero ripulito tutto il Palazzo, e quel colpo sarebbe passato alla storia. E poi si sarebbero concessi una bella vita di rendita.

 

“Se non vi dispiace, vorrei occuparmi io delle guardie” disse in tono basso ed affilato Kiku, accarezzando il fodero di seta della sua fidata katana. “Miku-chan ha voglia di giocare” aggiunse l’orientale con un sorriso storto, per poi scomparire tra le ombre invisibile e silenzioso come uno spettro, senza nemmeno aspettare un cenno di assenso del suo capitano. Poco male, tanto seguivano sempre quello schema.

Era un tipo davvero bizzarro, quel Kiku. L’orientale si era imbarcato qualche anno prima come cartografo di bordo assieme ad un non meglio specificato parente, un ragazzino estremamente esuberante di nome Kim. Erano entrambi abilissimi combattenti, perfino troppo bravi per essere dei semplici tecnici in effetti, ma nessuno aveva mai fatto loro domande in proposito.

 

Lasciati andare Kiku e il resto della ciurmaglia, Arthur si diresse verso i piani inferiori, a passo veloce e sicuro, ma senza correre per non fare troppo rumore.

Ad eccezione di qualche sparuta guardia che faceva il solito giro di ronda interno, l’enorme dimora di appena due piani si poteva considerare completamente deserta, come del resto era logico aspettarsi dopo il tramonto, in una notte che prometteva tempesta, e il giovane capitano non incontrò alcuna difficoltà a passare inosservato. Da un certo punto di vista gli dispiaceva quasi di non aver incontrato resistenza, ma d’altra parte ne aveva già abbastanza di seccature senza che ci si mettessero di mezzo anche le guardie – o peggio qualche serva armata di padella.   

 

I corridoi del Palazzo erano estremamente spaziosi, con ampie finestre ad arco e soffitti affrescati immersi in una penombra ingannevolmente rassicurante.

 

In quanto capitano, Arthur aveva il privilegio di scegliere per sé gli oggetti più belli, e soprattutto il diritto ad affrontare l’avversario più forte: in questo caso particolare il nipote del Podestà in persona, su cui giravano certe storie che davano i brividi. Si diceva che sua signoria Veneziano avesse poteri tremendi, che fosse in grado di manovrare i corpi altrui come fossero stati marionette e che le sue capacità di combattente andassero oltre ogni immaginazione. Personalmente Arthur riteneva quelle voci un po’ esagerate, se non addirittura inaffidabili: c’erano troppe cose che non quadravano, ad esempio il fatto che nessuno avesse visto di persona il prodigioso guerriero in azione. 

 

Alle stanze private del Podestà si accedeva tramite un ingresso ad arco con pesanti porte di legno dorato. Il pirata le aprì con un forte calcio, rivelando una grande stanza riccamente arredata, immersa nelle tenebre. L’unica fonte di luce, se tale si poteva definire, erano le ampie finestre spalancate sulla piazza principale della città. Arthur si guardò attorno con circospezione, attento a scorgere anche il minimo movimento; tutte quelle tende erano perfette per nascondersi e sapeva per esperienza che non si era mai troppo cauti. 

 

All’improvviso un altro lampo illuminò la stanza, rivelando una strana figura che subito catturò l’attenzione del capitano: c’era qualcuno rannicchiato in un angolo tra una specchiera barocca e la parete, un ragazzo non più grande di quindici anni che, tremando come un animale braccato, cercava di farsi il più piccolo possibile nel vano tentativo di scomparire tra gli ingombranti abiti bianchi e oro.

 

A quel ridicolo spettacolo, Arthur si lasciò scappare una risata di scherno. A giudicare dagli abiti indossati, quel patetico esserino altri non doveva essere che il famoso nipote del Podestà, di sicuro un po’ diverso dai ritratti ufficiali in cui era rappresentato in veste di prode condottiero. Assolutamente pietoso! Quelli che avevano messo in giro le voci non dovevano avere molto chiaro il concetto di spietato guerriero!

Si avvicinò a lui a grandi passi con il suo miglior sorriso da predatore stampato in faccia e, tenendogli la spada puntata contro per precauzione, gli intimò di alzarsi. “Come with me, now!” ordinò in tono aspro. “Tuo nonno mi pagherà bene per riaverti indietro tutto intero, anche se, really, non ne capisco il motivo! You are so weak!

 

Il ragazzo si alzò lentamente rimanendo sempre appiattito contro il muro.

“Non voglio” pigolò tra un singhiozzo e l’altro scuotendo violentemente il capo. “Piove… mi bagnerò… ci sono i tuoni! Non voglio uscire!”

 

A sentire quelle parole da vigliacco il capitano perse gran parte della sua, già scarsa, pazienza: quella patetica creatura gli stava sottraendo tempo prezioso! “Come on!” ringhiò afferrando saldamente il moretto per un braccio e trascinandolo senza troppi complimenti verso la porta, mentre questi si dibatteva come un pesce nella rete, per di più gridando come un matto.

“E smettila di strillare, mi dai sui nervi!” gli sibilò di nuovo contro.

 

Non era certamente la prima volta che Arthur faceva prigioniero qualcuno ma, sinceramente, non aveva mai visto nessuno tanto fuori di sé dalla paura o almeno nessuno aveva reagito a quel modo: il ragazzo piangeva senza il minimo ritegno tirando dalla parte opposta per liberarsi, e chiamava aiuto con tutto il fiato che aveva. Non sapeva, povero piccolo idiota, che a quell’ora Kiku doveva aver già messo fuori combattimento gran parte delle guardie e che quindi tutta quella resistenza molesta era completamente inutile – oltre che fastidiosa. Gli faceva quasi pena.

 

Tanto aveva cercato di divincolarsi che alla fine i lacci della camicia si erano sciolti lasciando intravedere un bel ciondolo d’argento smaltato scintillante alla luce spettrale dei lampi; la preziosa croce finemente lavorata eppure deliziosamente semplice catturò subito l’attenzione del pirata che, da brava gazza ladra qual era, non resistette alla tentazione di appropriarsene. Allungò una mano repentina, afferrando il monile. Non l’avesse mai fatto!

 

Il ragazzo cacciò un grido acutissimo, un suono talmente penetrante da stordire Arthur per qualche istante.

What the hell …!” esclamò per poi zittirsi di colpo: senza che quasi se ne fosse accorto qualcuno si era frapposto tra lui e il moretto dalla voce da sirena antinebbia, un tizio enorme dall’aria ben poco conciliante.

Il gigantesco combattente portava la divisa nera e oro delle guardie di palazzo e, a giudicare dalla gran quantità di medaglie e alamari, doveva esserne il capitano o qualcosa di simile. Una cosa in particolare però catturò l’attenzione del giovane pirata: la familiare croce smaltata che scintillava  allettante al collo della guardia, identica a quella del piccolo vigliacco.

Allora i gioielli erano due, quindi doppio guadagno e chissà quali altre luccicanti meraviglie aspettavano solo di finire nelle sue tasche … bastava solo liberarsi del bestione.

Più facile a dirsi che a farsi, maledizione: quel tizio pareva solido come una quercia e altrettanto difficile da abbattere!

  

“Vi consiglio di lasciare immediatamente sua signoria, mein herr” gli ordinò il gigante con un tono che non ammetteva repliche.

Con uno scatto stizzito, Arthur lasciò andare il braccio della sua preda, prendendo le distanze dal tizio appena arrivato.

Quello dal suo canto fece cenno al ragazzo di allontanarsi, non prima però di avergli messo in mano un piccolo pugnale di quelli che solitamente si portano nascosti sotto gli abiti. Arthur si  mise immediatamente in guardia: doveva terminare il duello, riprendersi la preda e scappare, prima che quella specie di armadio vivente riuscisse ad acchiapparlo, altrimenti… beh, non sarebbe stato per nulla piacevole.

 

Senza indugiare ulteriormente, si lanciò all’attacco approfittando della distrazione del proprio avversario e, un po’ per un colpo di fortuna un po’ grazie alle interminabili lezioni di scherma con i due orientali, riuscì a lasciare una lunga linea scarlatta sulla schiena della guardia. Non sarà stato molto leale ma al momento l’etichetta era l’ultimo dei suoi pensieri. E poi lui era un pirata, e i pirati giocano sporco, lo si sa.

 

La guardia emise un rantolo di dolore.

“Ludwig!” gridò il moretto. “State attento, per carità!”

Arthur osservò il ragazzino tentare di correre in soccorso del guastafeste, prima di essere fermato di nuovo con un cenno di quest’ultimo. Non doveva avergli fatto troppo male, visto che si reggeva ancora bene in piedi. Probabilmente gli aveva fatto solo un indecoroso graffietto. Quel dannato armadio doveva essere fatto d’acciaio! Solitamente nessuno restava in piedi dopo un fendente del genere, era un colpo segreto da assassino che non lasciava scampo, damn it!

 

E poi quel malefico ragazzino continuava pigolare: erano così fastidiosi quei piccoli, acuti lamenti! Gli impedivano di ragionare chiaramente e, come se non bastasse, più il mostriciattolo si lamentava, più il suo enorme cane da guardia ci dava dentro con quella maledetta frusta.

Doveva esserci uno stretto legame tra il nipotino del Podestà e l’armadio ambulante: forse erano molto amici e, a giudicare dallo strillo di prima, il ragazzo teneva più alla sua preziosa croce che non alla propria vita.

 

Da un certo punto di vista Arthur si trovò ad invidiarli entrambi; doveva essere bello poter affidare la propria vita a qualcuno e allo stesso tempo che quella persona si fidasse ciecamente di te.   

 

Improvvisamente avvertì un dolore fortissimo, quasi insopportabile al fianco e, abbassando lo sguardo, vide con misto di rabbia e paura l’elsa ingioiellata del pugnale luccicare tra le pieghe della camicia: quel piccolo infame, vedendo il proprio amico in pericolo, aveva raccolto quel poco coraggio che possedeva e aveva lanciato l’arma – probabilmente alla cieca- facendo centro. Accidenti a lui, mica era valido!

 

Non era di sicuro la prima volta che rimaneva ferito in battaglia, ma questa volta era mille, no un milione di volte peggio: non tanto il dolore fisico - con quello aveva dovuto imparare a convivere tanto tempo addietro - comunque terribile, quanto l’umiliazione di essere stato colpito a tradimento da un vigliacco che non aveva neppure il coraggio di mettere due parole una dietro l’altra! Quel maledetto ragazzino se ne stava lì imbambolato balbettando frasi senza senso, manco fosse stato lui quello pugnalato! Maledizione! Maledizione!

 

Si sentì invadere da un’ondata di rabbia. 

Bloody hell!” ringhiò, estraendosi la lama dalla ferita. you will pay it, little monster!”

Tentò di muovere un passo ma cadde in ginocchio con una mano premuta sul fianco e l’altra sulle labbra per trattenere un grido. Cazzo, era una situazione quasi comica, in fondo: il famoso Capitano Kirkland era stato messo fuori servizio da un incompetente che probabilmente non sapeva neppure da che parte si impugna una spada! Che razza di perversa ironia!

 

Strinse i denti fin quasi a farsi male, mentre alzava gli occhi pieni di collera verso gli altri due.

Senza un motivo apparente, anche il ragazzino ora era a terra, inerte come una bambola di stracci. Il suo povero cuoricino da mammoletta cresciuta sotto una campana di vetro non doveva aver retto alla vista e il suo enorme amico era corso immediatamente al suo fianco premuroso come un’infermiera – o una madre - sollevandolo delicatamente quasi avesse avuto paura di romperlo. Diavolo, adesso sì che le aveva viste tutte!

 

Avvertì una specie di fitta al petto a quella vista disgustosa - no, non si trattava di gelosia. Era tutta colpa di quel maledetto pugnale, forse il mostriciattolo ci aveva messo del veleno - vedendo con quanta dolcezza l’inflessibile guardia si prendeva cura del suo piccolo amico.

 

Nessuno si era mai preoccupato per Arthur a quel modo, a parte le creature mistiche che solo lui era in grado di vedere, e delle volte neppure loro. Era temuto dai suoi numerosi nemici, rispettato dai propri compagni ma solo per la carica che aveva strappato con le unghie e coi denti al proprio predecessore; ma a nessuno importava veramente di lui da molto - troppo - tempo.

 

Detestava i nobili e la cosiddetta gente normale perché vedeva in essi ciò che un destino crudele gli aveva impedito di essere. A sei anni aveva dovuto imparare a combattere per sopravvivere nei vicoli malfamati di Avalon City; gli era toccato fare il tagliaborse per avere di che tirare avanti e, santissimo cielo, quegli spaventapasseri eleganti non avevano la minima idea di quanto una vita simile possa far crescere velocemente (almeno in apparenza) qualcuno!

 

“Voi non uscirete vivo di qui,mein herr.” Ringhiò l’enorme guardia strappando Arthur dalle proprie insensate riflessioni “Ciò che avete tentato di fare a sua signoria è imperdonabile.” Quello che spaventò non poco il giovane capitano fu il freddo odio di cui erano intrise quelle poche parole: erano definitive, una sentenza inappellabile; non era di sicuro la prima minaccia di morte ricevuta ma, santo cielo, quel tizio dava i brividi!

E poi, lo sapeva per esperienza diretta, non c’era nemico più testardo e pericoloso di chi si batteva per proteggere una persona cara: non ti mollava finché non eri stecchito, ovvero molto, molto presto nel suo caso.

Arthur recuperò a fatica la propria spada poi tentò – in vano- di mettersi in guardia: se proprio doveva finire lì, sarebbe stata una fine degna di lui!

“Non farla tanto lunga, bestione” ribatté il capitano sarcastico “non è mica colpa mia se il tuo protetto è un inutile buono a nulla!” se ne avesse avuto la forza sarebbe scoppiato in una sprezzante risata: quella era davvero una situazione grottesca.

Forse non era stata una buona idea provocarlo, si disse Arthur; sarà stato un effetto ottico dovuto ai lampi che si susseguivano praticamente ininterrottamente, fatto stava che attorno alla figura già imponente della guardia aleggiava una spettrale aura simile ad un fuoco fatuo.

Per la prima volta in anni di onorata pirateria, il capitano Kirkland ebbe davvero paura: ridotto in quello stato era praticamente impossibile che riuscisse a difendersi, figurarsi tentare un contrattacco.

Nel frattempo il gigante gli si era avvicinato silenzioso come uno spettro fino a torreggiare su di lui, la letale frusta pronta a calare sulla sua misera figura.

Arthur si sentiva come un patetico insetto intrappolato in una ragnatela: solo, impotente e indifeso come mai in vita sua e la cosa lo faceva infuriare terribilmente. Se c’era una cosa che non tollerava era la debolezza, soprattutto in sé stesso: non c’è dignità nella resa, era il suo credo.

“Arrendetevi, pirata, e forse vi finirò velocemente: non voglio che sua signoria assista alla vostra dipartita.” intimò la guardia, la voce marziale intrisa di gelida furia: quel tizio davvero sapeva come far tremare la gente!

Quindi farlo infuriare serviva solo a peggiorare la situazione, si rese conto il capitano: l’unica cosa da fare era cercare di guadagnare tempo nella speranza che qualcuno venisse a dargli una mano.

“Ma che bravo cane da guardia!” esclamò Arthur tentando di darsi un’aria sprezzante “Molto zelante da parte tua, ma vorrei capire che ci guadagni a fare da balia a quel piccolo vigliacco!” si fermò qualche istante a riprendere fiato: il fianco gli faceva un male del diavolo e cercare di non darlo a vedere non migliorava di sicuro le cose.

“Non osate offendere sua signoria o ve ne pentirete!”

Oh! Aveva fatto centro, quindi!

Eccolo lì il modo per distrarre il mastino: parlare male del suo prezioso amichetto  pareva fargli perdere le staffe, perciò …

“Pentirmene, dici? Voi militari siete così stupidi! Ci sono cose peggiori della morte, bestione: quelli come te non sanno cosa vuol dire patire l’inferno in terra ogni singolo giorno della tua vita, sapere che la tua unica opportunità di sopravvivere è ingannare e rubare e che la tua esistenza potrebbe finire in un vicolo con un coltello piantato nella schiena! E sai qual è il bello: a nessuno importerebbe un dannato accidente!” gli veniva quasi da ridere: stava per essere ammazzato come un cane e l’unica cosa che riusciva a fare era blaterare a vuoto! Che roba!

Quegli emeriti idioti dei suoi compagni avrebbero fatto meglio a farsi vivi, altrimenti qua sarebbe finita male, molto, molto male.

 

Il giovane capitano serrò gli occhi preparandosi a ricevere il colpo di grazia … che non arrivò mai.

Riaprì lentamente gli occhi, stupito di essere ancora vivo – dolorante, malridotto ma innegabilmente vivo- e ciò che vide lo lasciò assolutamente senza parole: il ragazzo, che nel frattempo si era ripreso, si era frapposto tra lui e la guardia! Forse non era poi tanto vigliacco come credeva.

“Fermatevi, per carità!” gridò il moretto, la voce già acuta resa ancor più stridula dal pianto “Non voglio che nessuno si faccia male per colpa mia! Sono stanco di vedere le persone soffrire! Basta!”

Arthur non poteva credere alle proprie orecchie: santo cielo, quel ragazzo lo stava difendendo!

“Perché non possiamo vivere in pace, senza odio o vendette?” singhiozzò ancora il piccolo nobile, senza curarsi delle espressioni stupite dipinte sia sul viso del proprio amico, che su quello del pirata.

Per la seconda volta in quella strana serata Arthur avvertì ancora quella bizzarra sensazione, come di una specie di stretta al petto che si allentava: c’era qualcosa nelle richieste accorate di quel ragazzo che lo faceva sentire … beh, strano. 

“Cercate di essere ragionevole” perfino l’inflessibile guardia di palazzo sembrava non esserne immune “questo avanzo di galera non merita la vostra pietà, se lo lasciate andare continuerà con le sue azioni criminali.”

“Non mi importa! Lasciatelo andare e basta! Io … io … è un ordine!”

Wow! Questo sì che era inaspettato!

L’enorme guardia lasciò cadere a terra la frusta quasi fosse stata rovente e, sempre con quell’aria da mamma lupa pronta a saltarti alla gola, si fece da parte: molto probabilmente temeva che il proprio avversario tentasse qualche tiro mancino e, sinceramente, ne aveva tutte le ragioni. Mai fidarsi di un pirata, soprattutto se questi aveva le spalle al muro.

In effetti ad Arthur vennero in mente un centinaio di modi diversi, tutti molto poco cavallereschi, per portare a termine la propria missione: avrebbe potuto approfittare di un attimo di distrazione per prendere in ostaggio il ragazzino e garantirsi così di poter lasciare la città in tutta sicurezza o magari prima pretendere oro e gioielli, e poi un lasciapassare per andarsene con la propria nave e tutto il resto. Con il prezioso nipotino nelle sue mani, non gli sarebbe stato negato nulla, sicuro come l’inferno! Ma mettere in pratica un piano del genere non era affatto semplice. Ci voleva forza e agilità, per non parlare di una buona dose di fortuna; in pratica era fuori questione o forse -

       

“Andatevene” la voce aspra e marziale dell’imponente guardia strappò il giovane capitano dalle proprie sconclusionate macchinazioni . “Ci sono state abbastanza ingiustizie per questa notte.”

What?!” domandò Arthur stupito. “Non vorresti vendicarti perché ho tentato di rapire il tuo amico? Sono ferito, una preda facile… I don’t understand…

 

Nein, non sarebbe leale nei confronti di entrambi. Fosse per me, vi eliminerei senza pensarci due volte ma sua signoria ha intercesso per voi. È una persona meravigliosa, in grado di fare miracoli: ritenetevi fortunato, pirata, la pietà è  merce rara da queste parti ma lui non sembra darci molto valore. ”

I gelidi occhi azzurri della guardia furono attraversati per un attimo da un lampo di tenerezza. “Vi auguro di trovare anche voi qualcuno che illumini la vostra cupa esistenza. Non sta a me decidere della vostra vita. E ora lasciate questo luogo prima che cambi idea. Dal balcone farete prima.”

 

Il giovane pirata non sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che qualcuno dimostrava un minimo di umanità nei suoi confronti e non aveva la minima idea di come reagire. Forse avrebbe dovuto ringraziare, o una roba del genere. Tacque invece, per salvare almeno la faccia, fece un piccolo cenno del capo prima di balzare oltre il parapetto ornato di fiori rampicanti.         

 

Riuscì in qualche modo ad atterrare più o meno intero, attutendo la caduta con un paio di capriole. Si rimise in piedi a fatica, premendo la mano sulla ferita. Pioveva a dirotto. Due secondi la fuori, ed era già  fradicio. Guardò verso l’alto sperando di vedere la Queen Bess galleggiare pigramente sopra il palazzo in attesa del proprio capitano. Invece trovò la vecchia nave malconcia che stava veleggiando lontano: i suoi compagni non l’avevano aspettato e probabilmente avevano preso l’occasione per liberarsi di lui.

 

“Maledetti pirati traditori!” ringhiò amareggiato, attraversando a passi incerti la piazza deserta. Teoricamente era ancora un pirata pure lui quindi si stava offendendo da solo, ma al momento non glie ne importava meno di niente.

Aveva rischiato mille volte la pelle per tirare fuori dai casini quella banda di ingrati, e quelli come ricambiavano? Abbandonandolo lì a crepare da solo!

Proprio vero: mai fidarsi di un pirata, ti tradirà alla prima occasione. 

 

Soave sotto la pioggia era lo spettacolo più malinconico che Arthur avesse mai visto. L’acqua gocciolava lentamente lungo i visi di pietra delle statue e la città, solitamente brulicante di traffici come un formicaio, sembrava disabitata. Il buio della notte, i vicoli stretti e deserti, la pioggia che scrosciava incessante, rendevano quasi spettrale la città. Non un’anima viva si vedeva, dando l’impressione di essere precipitati in un luogo abbandonato e senza vita.

 

 Del resto sarebbe stato folle andarsene in giro con un tempo simile, ma da un certo punto di vista quella per Arthur era una fortuna: un pirata ferito che barcollava come una marionetta mal manovrata avrebbe attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, il che significava finire in un’umida cella a marcire con muffa e ragni come unica compagnia. Decisamente una prospettiva molto poco attraente.

 

Erano anni che il giovane non si sentiva tanto male, sia fisicamente che psicologicamente: stanco, abbattuto, debole e solo come un cane abbandonato. Anche le creature magiche, che lo seguivano ovunque proteggendolo con i loro poteri, erano misteriosamente scomparse. In effetti, era da quando la nave aveva passato i confini della Repubblica di Soave che non si facevano vive… probabilmente si erano stancate di accompagnarsi ad una penosa imitazione di pirata acido e incattivito come una strega di mille anni…

 

Con il dolore che si propagava malignamente dal fianco fino a martellargli nella testa, si sorprese a pensare che nessuno sano di mente gli sarebbe stato accanto di sua spontanea volontà, neppure i suoi compagni. E, sinceramente, non avevano torto…

 

“E così questa è la fine”

Sospirò, lasciandosi scivolare lungo un muro scrostato fino a sedersi scomposto  sulle pietre grigie e viscide di pioggia. “Mi aspettavo qualcosa di più… epico…”

 

Si sentiva vuoto, come se oltre al sangue che lentamente ma inesorabilmente stava scorrendo via stesse perdendo la sua stessa essenza. O forse era sempre stato vuoto come una statua di cera, ma solo in quel momento se ne rendeva conto.

Poggiò la testa contro il muro. Stava diventando sempre più pesante.

 

Dicevano che negli ultimi attimi di vita si riesca ad intravedere il senso della propria esistenza… Balle!

Arthur Kirkland vide solamente un portico smangiato dalla salsedine, e un rigagnolo d’acqua che lentamente si tingeva di scarlatto.

 

APPUNTI DI VIAGGIO 

Buonasera a tutti!

Dopo lunghe e travagliate vicende rieccomi a voi con questo folle progetto: una Alternative ad ambientazione Steampunk in collaborazione con la mia carissima socia in affari Prof, che ringrazio fin da ora per la sua professionalità e pazienza.

Per quanto riguarda la lunghezza posso dirvi che sarà una vicenda complessa e articolata che andrà avanti per un bel po'.

Gli aggiornamenti saranno purtroppo abbastanza irregolari ma posso garantirvi che ogni tanto ci faremo vive...

Grazie da principio a chi commenterà, preferirà o semplicemente apprezzerà in silenzio!

BaciBaci!

See ya soon!

S. 

 

 

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Capitolo 2
*** Fly01- Cuore e Ragione ***


STREAMPUNK02

Fly 01! Cuore e Ragione

 

Un giovane dai corti capelli colore del grano maturo camminava per gli stretti vicoli di Soave a testa alta, incurante della pioggia battente e canticchiando tra sé un motivetto un po’ stonato. Era così fiero di sé stesso che ci mancava poco che si mettesse a saltellare come un bambino l’ultimo giorno di scuola. Il motivo di tanta allegria era una pergamena coperta da una grafia minuta ed elegante che dichiarava Alfred F. Jones membro ufficiale della Gilda dei Cacciatori di Pirati, con tanto di sigillo in ceralacca rossa e firma del Cancelliere in persona. Un vero onore.

 

Aveva sempre sognato di fare il Cacciatore: attraversare i cieli su un fantastico biplano dando la caccia ai cattivi… so cool! E il bello era che il governo lo pagava più che bene per fare una cosa che adorava, meglio di così!

 

Era quasi arrivato davanti a casa quando, in penombra a lato del portico mezzo rovinato che faceva da ingresso, vide qualcosa di scuro. “Ecco” sbuffò, “il solito ubriacone che si è addormentato dove capita! That’s not cool! Poveraccio, chissà che mal di schiena domattina!”. Ridacchiò tra sé, continuando per la sua strada ma poi, guidato forse dalla curiosità, si avvicinò al tizio riverso a terra.

 

“Ehi, amico! Wake up!” lo chiamò a voce un po’ più alta, ma l’altro non diede segno di aver sentito. “Ho detto sveglia!!” gridò quasi, spazientito.

Ancora niente.

“Ma sei sordo?!”

Si inginocchiò accanto alla figura immobile esaminandola da vicino: all’apparenza era un ragazzo sui vent’anni, dai capelli biondi, arruffati come un nido di corvi, pallidissimo e con una strana espressione triste sul viso delicato.

Portava abiti eleganti, forse un pochino troppo appariscenti, fradici di pioggia e –

“Cavolo, amico!” esclamò sconcertato, “Chi ti ha ridotto così?”

 

Alfred ne capiva poco o niente di medicina - in effetti era più corretto dire che anche l’idea di una semplice iniezione gli dava i brividi - ma era più che evidente che quel poveraccio era ferito, e anche in maniera piuttosto grave. Purtroppo il giovane cacciatore tendeva anche a farsi prendere dal panico in situazioni del genere molto meno gravi, figurarsi alla vista di tutto quel sangue: ci mancò poco che non cacciasse un urlo!

 

Si impose di mantenere la calma: primo, era ben poco eroico mettersi a strillare come una ragazzina, secondo, quel poveretto aveva davvero bisogno di aiuto.

“A- Aspetta qui, okay?” balbettò in un tono che voleva essere rassicurante e che invece risultò solamente stridulo. “E cerca di restare vivo! Torno subito!”

 

Alfred non sapeva cosa fare. Come al solito aveva agito d’impulso e adesso non aveva la minima idea di cosa fare!

 

Aveva chiamato a gran voce suo fratello Matthew per farsi aprire, scordandosi nella fretta che quella era anche casa sua e quindi aveva la chiave; si precipitò dentro senza una parola buttando all’aria ogni stanza in cerca di qualcosa di utile – cosa non gli era chiaro - sotto lo sguardo sconcertato del fratello.

 

“Al! Per la miseria, che stai combinando?” esclamò Matt dopo qualche minuto.

“C’è un tizio mezzo morto là fuori! Devo aiutarlo!”. Questa volta aveva strillato davvero, non molto gentile come risposta ma era agitato e pure un po’ spaventato – anche se non l’avrebbe mai ammesso. 

“Come, scusa?”

Matt era rimasto senza parole. “Chiama le guardie e stanne fuori! Hai appena ottenuto la licenza e l’ultima cosa di cui hai bisogno è avere un tizio di cui non sai assolutamente nulla nascosto in casa! Potrebbe anche essere un pirata o peggio!”

 

Matt era calmo e gentile ma, al contrario del fratello, mancava completamente di spirito d’avventura; cercava di tenersi il più possibile lontano dai guai, e delle volte lo faceva anche a spese degli altri. 

 

“Quindi non vorresti fare nulla?!” replicò incredulo e quasi arrabbiato Alfred; non poteva credere che suo fratello fosse capace di un atto tanto meschino!

 

“No, semplicemente rivolgiti alle autorità e lascia che se ne occupino loro. Altrimenti che vorresti fare? Portarti in casa quel disgraziato di cui non sappiamo nulla? Cerca di ragionare, per favore.”  

 

Peccato che il ragionare non fosse il forte di Alfred, soprattutto quando precipitava in quello stato di agitazione: preferiva di gran lunga agire e poi riflettere per bene sulla questione quand’era già tutto finito – possibilmente per il meglio. Sapeva benissimo anche lui che accogliere qualcuno di cui non si sa nulla non era una mossa molto intelligente, ma sapeva anche che non c’erano scuse per abbandonare una persona sola e ferita in mezzo ad una strada. E poi quel ragazzo aveva qualcosa di speciale: sembrava così solo, come se fosse stato dimenticato e non aspettasse altro che qualcuno si accorgesse della sua esistenza. Gli ricordava un po’ un giocattolo rotto gettato malamente in un angolo perché aveva smesso di essere divertente.

 

Il giovane cacciatore prese una coperta pesante dall’armadio della propria stanza e si diresse a passo veloce verso l’entrata, ignorando le proteste provenienti dal piano di sopra. Matt poteva dire quel che voleva, ma ormai aveva deciso: avrebbe protetto e dato rifugio a quel poveretto e non ci sarebbe stato modo di fargli cambiare idea.

 

Fuori pioveva ancora molto forte e i lampi illuminavano ad intermittenza di una spettrale luce bluastra il portico, creando strane ombre contro la parete scrostata, ma al momento ad Alfred non importava minimamente del tempo: l’unica cosa che gli interessava era la figura immobile a terra appena riparata dal balcone. Gli si inginocchiò di nuovo accanto, questa volta in silenzio, si sfilò un guanto di pelle per avere maggior sensibilità e procedette ad esaminare più attentamente il corpo del giovane sconosciuto.

Era inutile ripetere che di medicina ne capiva poco o niente ma certi concetti di base per il lavoro aveva dovuto impararli, cose come medicazioni d’emergenza o roba simile ma non aveva mai avuto occasione di metterli in pratica. E sinceramente avrebbe preferito non averne ancora per molto.

Okay” sospirò per tentare di calmarsi “cos’è che diceva quello stupido corso? Ah, sì … controllare che il cuore batta ancora”

A dirla tutta il giovane cacciatore si sentiva un po’ – tanto- in imbarazzo ad appoggiare la testa sul petto di un emerito sconosciuto, insomma non era mica un maniaco miseriaccia! Per fortuna gli venne in mente che nel manuale si parlava anche di altri punti che non avrebbero dato adito a strani equivoci.  

Al prese delicatamente la mano destra dell’altro tra le proprie: era fredda, inerte e macchiata di scarlatto come gli abiti di quel povero ragazzo; sollevò con cautela la manica fradicia di pioggia e non solo, e appoggiò due dita sull’incavo del polso dell’altro. Avvertì appena sotto pelle il pulsare debole e irregolare del sangue, segno che il soffio vitale non aveva ancora abbandonato quel misero corpo malridotto.

Thanks God!” esclamò Alfred visibilmente sollevato: sarebbe stato un bel guaio se il tipo avesse tirato le cuoia davanti casa sua, avrebbe avuto le guardie cittadine in mezzo ai piedi per chissà quanto e poi, a dirla tutta, umanamente gli sarebbe spiaciuto davvero tanto!

Adesso non rimaneva altro che portare il ragazzo in casa, appena pochi passi e sarebbero stati entrambi al caldo e all’asciutto.

Al prese la coperta pesante che aveva lasciato al riparo per terra e, con tutta la delicatezza di cui era capace, la avvolse attorno alle spalle esili dell’altro poi, quasi senza sforzo, sollevò il ragazzo tra le proprie braccia. Era una strana sensazione, inusuale ma non per questo spiacevole.

Alfred si era sempre creduto un eroe, una persona speciale destinata a grandi cose e a cui il fato aveva fin ora propinato un’esistenza monotona ma, ora che il tanto sospirato cambiamento era arrivato con l’aspetto di uno strano ragazzo ferito non sapeva sinceramente cosa fare.

               

!

 

La primissima cosa che Arthur percepì, o almeno credette di avvertire nello stato di confusione in cui si trovava, fu una sensazione di piacevole calore, come se fosse avvolto in un morbido bozzolo.

Poi gli giunse alle orecchie, ovattato e distante il ticchettio della pioggia contro il vetro di una finestra.

Probabilmente, se si fosse concentrato abbastanza, sarebbe anche riuscito a sentire la stridula melodia di un violino scordato; tutte le mattine, poco dopo l’alba, sotto la sua finestra si piazzava un suonatore ambulante non molto bravo che, armato di buona volontà, un vecchio cilindro malridotto e uno strumento di terza o forse anche quarta mano, si guadagnava da vivere rompendo i timpani ai passanti –

D’improvviso altre immagini gli si affollarono nella mente; non erano chiare, duravano pochi attimi e poi esplodevano in una pioggia di scintille multicolori: vide una figura minuta correre per i vicoli bui di una città ancor più cupa, un maestoso galeone galleggiare pigramente in un cielo talmente blu da sembrare dipinto, un palazzo splendido del colore dell’oro e, più cercava di concentrarsi e ricordare dove aveva visto quelle cose, più la luce si faceva intensa e quasi insopportabile. Era fastidiosa, gli faceva dolere gli occhi e voleva che smettesse.

 

My God” ringhiò il giovane ex capitano tentando di riprendere un minimo di consapevolezza di sé “stupid sunlight … so annoying!

La stanza in cui si trovava era immersa in una confortevole penombra a parte un unico sottile e brillantissimo raggio di luce che, filtrando attraverso le persiane scure, lo colpiva direttamente in viso. Era stata proprio quella luce dorata ad averlo richiamato nel mondo dei vivi.

Già. Nel mondo dei vivi, ma dove esattamente?

Non ricordava molto delle ultime ore, solo pochi flash sfocati e un insieme di bizzarre quanto ben poco piacevoli sensazioni. E la cosa lo irritava assai: era come quando, dopo una serata di follie in qualche taverna, si svegliava solitamente senza vestiti e in posizioni decisamente poco dignitose con l’unica differenza che nel letto di uno sconosciuto fin ora non ci era mai finito.

E, adesso che era un po’ più in sé, poco a poco i ricordi tornarono: la sera prima c’era stato il colpo più grosso di tutta la sua carriera ma qualcosa era andato storto, con il bel risultato che i suoi compagni l’avevano tradito e lasciato a crepare da solo come un cane.

Ricordava anche di essere rimasto ferito e, cosa ancor peggiore, era stato un maledetto ragazzino incompetente a pugnalarlo. Solo a ripensarci gli venivano i nervi: aveva sconfitto nemici ben più tosti per poi farsi mettere al tappeto da un malefico mostriciattolo dannatamente fortunato, non era assolutamente possibile! Oltre al danno pure la beffa! Avrebbe tanto voluto averlo per le mani quel piccolo vigliacco, sicuro come l’inferno l’ avrebbe fatto pentire di essere venuto al mondo!

In un impeto di nervoso fece per tirare un pugno al materasso ma bastò il solo accenno di movimento per scatenargli un ondata di dolore al fianco quasi insopportabile; sicuramente una persona con meno autocontrollo avrebbe cacciato un urlo da svegliare mezza città.

Istintivamente si portò una mano alla parte lesa stando ben attento a non fare gesti bruschi avvertendo stranamente un morbido tessuto sotto le dita “Delle bende? Why?” si domandò ancora un tantino intontito.

Someone saved me” realizzò dopo qualche istante.

E questo pensiero  lo portò a porsi un’altra fatidica questione ovvero chi l’aveva salvato ma soprattutto dove diavolo era finito?

 

Si guardò attorno in cerca di qualche indizio ma nella piccola stanza non c’era davvero molto da vedere a parte il letto su cui era disteso, un comodino di legno semplice e, dal lato opposto rispetto a lui, una scrivania ingombra di fogli come lo erano le pareti. Da principio al giovane ex capitano parvero solo insiemi bizzarri di linee ma poi, concentrandosi meglio, vide che erano progetti, disegni molto dettagliati di macchine volanti e altri stranissimi congegni a cui non sapeva dare nome. Arthur arrivò alla conclusione che il proprietario della stanza doveva essere un inventore o quanto meno un appassionato di meccanica, ma oltre a questa per altro azzardata ipotesi nient’altro.

Fu distratto dai suoi ragionamenti da un concitato vociare proveniente da oltre la porta chiusa e, infastidito da tanta agitazione, volle andare a vedere che diavolo ci fosse da strillare tanto; non erano molto forti come voci a dirla tutta ma Arthur si era appena svegliato, aveva un mal di testa colossale e non era di sicuro dell’umore giusto per ignorare il tutto e magari pure ringraziare di essere stato svegliato a urlacci come l’ultimo dei mozzi.  

L’ormai ex pirata tentò di alzarsi, ma il solo sforzo di scostare le pesanti coperte in cui era stato premurosamente avvolto lo lasciò completamente esausto perciò, imprecando contro la propria debolezza, si rintanò di nuovo nel suo tiepido bozzolo.

Non passarono neppure pochi attimi che Arthur sprofondò di nuovo nel modo dei sogni, ignaro che al piano di sotto si stesse decidendo il suo destino.

 

!

 

“No!”

“E invece sì!”

“Al, cerca di ragionare: non è un comportamento intelligente …”

Due ragazzi, entrambi biondi e simili nell’aspetto, stavano discutendo animatamente uno seduto scompostamente su una seggiola di paglia, l’altro tutto preso ai fornelli. Quello un pochino più basso e dall’aria più calma stava tentando inutilmente di far ragionare il fratello.

“Ma io sono un Eroe e gli eroi salvano le persone in difficoltà!” insistette Alfred “Credi che Amazing Eagle si facesse problemi su chi aiutare e chi no? Lui salva tutti, buoni e cattivi, perché è così che devono comportarsi gli Eroi!”

Quando ci si metteva Al sapeva essere discretamente testardo, soprattutto quand’era un discussione il suo status di presunto eroe; arrivava a comportarsi come un bambino capriccioso che voleva un gioco a tutti i costi, tirava fuori argomentazioni di ben poco fondamento e, quando rimaneva a corto di spiegazioni razionali si affidava al sempre valido metodo della resistenza passiva. E, quando faceva così, Matt lo trovava discretamente insopportabile esattamente come lo era in quel momento.

“Alfred, per favore! Smettila di blaterare di fumetti e torna alla vita reale!” ringhiò Matt, esasperato “Hai portato a casa quel tizio di cui non sappiamo un accidente come mi portavi i gatti di strada senza riflettere sulle conseguenze! Ti rendi conto che non sappiamo nulla di quel ragazzo? Potrebbe anche essere un criminale, o peggio! Le brave persone non finiscono pugnalate così, santissimi numi!”

No, le brave persone non girano di notte, non vengono lasciate a crepare nei vicoli e soprattutto non portano il marchio della pirateria sul proprio corpo! Naturalmente Alfred non lo sapeva perché non è stato lui a rattoppare e rimettere in sesto – per quanto le sue limitate conoscenze gli permettevano- quel tizio e anche se l’avesse visto con i suoi occhi non avrebbe voluto crederci per pura testardaggine! Era toccato al piccolo, invisibile Matthew fare il lavoro sporco mentre il grande eroe tremava come una ragazzina isterica davanti ad un grosso ragno peloso: nonostante non fosse stato altro che un mediocre meccanico gli era toccato mettere in pratica le sue scarsissime conoscenze mediche per salvare la pelle – compito non facile- a quello stranissimo ragazzo. Tanto per cambiare Al era sparito dalla circolazione con una patetica scusa per poi ricomparire, a lavoro terminato, bianco più di un lenzuolo e domandare se era andato tutto bene.

Non andava bene proprio per niente, si disse il giovane meccanico, c’era un tizio sospetto mezzo morto nascosto in casa: magari dandogli ospitalità avrebbero finito per essere considerati complici di un criminale dalle autorità oppure si sarebbero attirati le ire degli amici del ragazzo o, peggio ancora, dei suoi nemici!

“Matt!” esclamò l’altro biondo con la tipica petulante cantilena dei bambini capricciosi “Non credevo che fossi così egoista, davvero! Magari non ha fatto niente di male ed è rimasto ferito per difendere una ragazza da dei briganti! Pensi sempre male di tutto e di tutti, bro, dovresti rilassarti!”

Matt dal canto suo avrebbe voluto gridargli che lui invece doveva finirla di vivere nel mondo dei fumetti e guardare in faccia la realtà per una volta ma si trattenne optando invece per un atteggiamento più cauto e conciliante. “E va bene” si arrese alla fine “gli daremo ospitalità finché non sarà in grado di andarsene con le sue gambe ma se farà qualcosa di sospetto o se scopriamo che è un poco di buono fila dritto al primo presidio della Guardia Cittadina, intesi?”

Quella non era diffidenza cronica ma volersi parare le spalle: se le cose fossero andate storte almeno Al avrebbe ottenuto la sua prima ricompensa ma quest’ultima considerazione Matthew la tenne per sé.

Okay, bro!”

 

!

 

La giornata nel Palazzo di Soave era cominciata molto più presto del solito e ciò era ben intuibile dall’aspetto di coloro che al momento occupavano le stanze eleganti dell’Alta Cancelleria.

“E questo sarebbe tutto?” domandò il Cancelliere Edelstein sollevando gli occhi dai pochi fogli che fino a poco prima aveva letto con attenzione – e pure una punta di disgusto- e posandoli sugli altri bizzarri occupanti del suo ufficio.

Avevano entrambi l’espressione soddisfatta di un gatto che aveva appena catturato un grosso ratto, nonostante portassero ancora i segni dello scontro appena terminato e non fosse ancora l’alba.

Claro que si!” esclamò con entusiasmo il più alto – e normale- dei due Capitani mettendosi ancor più a suo agio sulla sedia elegantemente decorata posta di fronte alla maestosa scrivania del Cancelliere.

Antonio Fernandez Carriedo, Capitano della Guardia Cittadina nonché ex pirata, era l’idolo di tutta la popolazione femminile della città e non c’era certo da meravigliarsene: alto, bello, abbronzato, gentile e coraggioso era l’archetipo del combattente moderno ma nessuno avrebbe mai voluto averlo come avversario. C’era qualcosa in quei profondi occhi verdi che parlava di un oscuro passato, un misto di furia e tristezza che in battaglia si trasformava in un’inesauribile energia che faceva tremare anche il più spietato dei combattenti.

Nessuno sapeva nulla della vita dell’affascinante Capitano prima che egli giungesse – in catene- al porto di Soave e, per evitare la pena capitale, giurasse fedeltà alla Repubblica ma una cosa era certa: all’inizio pareva che non glie ne importasse nulla ma poi accadde qualcosa durante la sua prima missione che lo trasformò nella feroce mamma lupa che era adesso.  

Il Cancelliere osservò con una smorfia di sufficienza la guardia: non gli era mai  stato troppo simpatico con quel sorriso ebete, l’aria di chi è perso nel suo mondo e soprattutto il fatto che chissà come riuscisse ad accattivarsi la simpatia di tutti. Ma questa era solo la sua opinione personale che, a quanto pareva, non era condivisa da nessun altro a Palazzo.

“Ovviamente, damerino!” si intromise l’altro combattente, le iridi scarlatte scintillanti di autocompiacimento “Il magnifico sottoscritto ha preso a calci quei bastardi!”

Se c’era una cosa che il Cancelliere non poteva tollerare era la volgarità e, a parer suo, Gilbert Beilshmidt, Capitano delle Guardie di Palazzo, era uno degli esseri più rozzi e privi di classe con cui avesse mai avuto la sventura di avere a che fare. Era rumoroso, maleducato e non sapeva assolutamente come comportarsi.

“Abbassa la cresta, spaccone!” si intromise all’improvviso una voce femminile “Se non fosse stato per me non avreste mai cacciato quei pirati!”

La voce apparteneva ad una bella ragazza dai lunghi capelli color mogano abbigliata con la semplice uniforme verde e bianca da cameriera, unico particolare stonato in quell’immagine di premurosa dolcezza era la bizzarra arma che la giovane domestica portava appesa a tracolla.

Un’enorme e resistente padella d’acciaio che la ragazza utilizzava con micidiale maestria, come avevano imparato a loro spese coloro che avevano tentato di invadere il Palazzo quella notte.

Il Cancelliere rimase per qualche istante stupito dalla comparsa dell’affascinante domestica ma, ricordandosi del rischio che la ragazza aveva corso  battendosi contro gli invasori, si ricompose praticamente subito riassumendo il solito contegno rigido “Signorina Elizavetha!” abbaiò “Siete consapevole di quali siano i vostri compiti? Fino a prova contraria i vostri doveri non comprendono la difesa della città, e oltretutto il vostro comportamento avventato vi ha messo in serio pericolo!”

Eliza fece una smorfia scocciata ma non replicò, si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di rispondere a tono eppure si trattenne. Arrossì un poco, per la rabbia o per l’imbarazzo non è dato sapere, ma la reazione della ragazza si limitò a quello.

Bisognava dire che il talento militare della dolce cameriera era stato determinante per cacciare i pirati perciò il Cancelliere non infierì più di tanto, si limitò a congedare la ragazza con un freddo “Buona giornata” per poi sfogare tutta la tensione accumulata in quella notte a dir poco stressante sugli altri due.

Le grida infuriate del Cancelliere a cui si sovrapponevano ogni tanto forti rumori di soprammobili che andavano in pezzi risuonarono nelle ampie stanze del Palazzo per una buona mezz’ora.

“Puoi strillare finché ti pare, damerino isterico, ma le cose non cambiano: ti ho salvato la pelle, a te e a questa banda di buoni a niente! Sai bello, l’dea di far credere a quei bastardi che il loro capo era stecchito è stata mia!” esclamò Gilbert scoppiando poi in una sprezzante risata

“IO SONO UN GENIO!” strillò ancora alzandosi di scatto, seguito d’appresso dall’altro Capitano, dopo di che uscirono a passo di marcia sbattendosi la pesante porta dorata alle spalle.

Rimasto finalmente solo, il cancelliere si lasciò sfuggire un lungo ed esasperato sospiro: se il buongiorno si vedeva dal mattino, quella sarebbe stata di sicuro una giornata pessima.

 

 

!

 

Soave era una città splendida, un concentrato di sorprese e meraviglie,  ma nulla era lontanamente paragonabile alla delicata bellezza dei giardini del Palazzo dei Podestà. C’erano eleganti roseti, fontane, romantiche grotte artificiali, un’ enorme labirinto di siepi e perfino una sala da ballo tutta di vetro con piante esotiche provenienti da tutto il mondo.

Purtroppo però solo pochissimi potevano godere di tanta meraviglia: il Podestà, la sua famiglia e, grazie ad un tacito accordo, tutti coloro che lavoravano a corte.

 

La tempesta che per tutta notte si era scatenata sulla città era finita poco prima dell’alba e di essa non erano rimaste che poche nuvole leggere e sfilacciate come veli antichi, un piacevole venticello fresco e tante pozzanghere.

 

“Signoria!” chiamò per l’ennesima volta Ludwig “Smettetela di correre in mezzo alle pozzanghere! Finirete col cadere e sporcarvi!”

Non era di sicuro la prima volta – e neppure la seconda o la terza- che, inciampando nei propri stessi abiti, l’esuberante ragazzino finiva lungo disteso a terra infangandosi da capo a piedi. Come facesse, dopo tutte le lezioni di portamento ed etichetta, ad essere ancora tanto maldestro era un autentico mistero.

Dopo la nottataccia a dir poco movimentata l’unica cosa che la bionda guardia desiderava era trovare un angolo tranquillo e magari asciutto del giardino in cui mettersi a leggere in santa pace ma, a quanto pareva, non era l’unico a voler passare qualche ora all’aria aperta: il piccolo erede, vedendolo uscire aveva insistito per accompagnarlo. Oh, non che Lud avesse qualcosa in contrario però sua signoria non era di certo un compagno silenzioso: parlava di continuo – solitamente a vuoto- non stava fermo un istante e, peggio del peggio, se c’era una minima possibilità di cacciarsi in qualche bizzarro guaio lui ci finiva sicuramente.

Delle volte poteva essere abbastanza stressante stargli appresso.

Improvvisamente il ragazzino si fermò, guardandosi attorno rapidamente come un animaletto curioso  poi, altrettanto velocemente, andò a raggiungere la propria imponente balia, pardon, guardia.

“Se sto lontano dalle pozzanghere, tu poi la smetti di darmi del voi?” domandò innocentemente il piccoletto “È strano, non mi piace e poi non ha senso!” si lamentò ancora il più giovane. Erano mesi che il piccolo erede insisteva con quella bizzarra richiesta ma, nonostante tutto, Lud non era ancora riuscito a farci l’abitudine: ogni singola volta che si trovava davanti quel visetto da cucciolo che cerca casa, arrossiva come una scolaretta alla prima cotta messo a disagio dall’infantile esuberanza del proprio protetto.

“Non lo so …” balbettò imbarazzato “non è appropriato! L’etichetta impone che mi rivolga a voi chiamandovi signoria, lo sapete bene …”

Il più piccolo gonfiò le guance indispettito. “Regole, regole, regole! Non pensi ad altro! Che noiaaa!” ecco un'altra cosa che sapeva fare bene oltre a combinare guai: ottenere quel che voleva dalla sua guardia preferita sfinendo il poveretto a suon di capricci.  “Però era molto più divertente quando eravamo piccoli e mi portavi i fiori e poi ti insegnavo a dipingere … poi però è cambiato tutto …” i grandi occhi color ambra del piccolo erede si riempirono di lacrime di delusione. Abbassò mestamente il capo e, con piccoli passi strascicati, andò a sedersi su una delle tante panchine disposte lungo il sentiero.

Invece, quando il primo metodo non funzionava, il ragazzino aveva un altro asso nella manica: fare leva sull’effetto devastante che il suo aspetto tenero e infantile aveva sulla fermezza altrui.

Naturalmente queste erano solo congetture frutto di anni di convivenza più o meno forzata con il piccolo erede; non che Lud non gli volesse bene, anzi avrebbe dato la sua stessa vita per proteggerlo, semplicemente delle volte finiva con applicare le nozioni di strategia militare alla vita di tutti i giorni diventando un pochino diffidente.

“E va bene, ma ora non piangete … cioè, non piangere!” esclamò la guardia affrettandosi a raggiungere il proprio protetto, gli si sedette accanto e, imbarazzatissimo come mai in vita sua, si preparò a mettere in pratica le sue – scarse- capacità consolatorie. Ma con sua grande sorpresa – e sollievo- non ve ne fu alcun bisogno.

“Che bello!” esclamò il ragazzino tutto allegro “Allora sono più importante delle tue noiosissime regole!” dopo di che saltò al collo della guardia abbracciandolo stretto, o almeno provandoci visto la differenza di costituzione tra i due.

Ormai Ludwig avrebbe dovuto farci l’abitudine a quelle esuberanti dimostrazioni d’affetto, almeno in teoria, invece non era affatto così: ogni singola volta che il piccolo erede gli si appiccicava addosso a quel modo, Ludwig si ritrovava preda di bizzarre emozioni contrastanti. Da una parte trovava il comportamento del ragazzino imbarazzante oltre ogni immaginazione, la sua vocetta infantile troppo acuta e la sua assoluta incompetenza incredibilmente irritante ma, d’altra parte, erano proprio quei difetti che lo rendevano a modo suo carino. Il bello era che il biondo capitano, di fronte a tutto questo, reagiva in maniera goffa e rigida al tempo stesso come se la vicinanza con il piccolo erede bastasse ad annientare anni e anni di addestramento militare. Del resto in accademia, fino a prova contraria, non insegnano a fare da compagni di giochi o confessori o fratelli maggiori a principi  - adorabilmente- viziati!

“Lud?” chiamò dopo qualche attimo il ragazzino, all’improvviso di nuovo triste e preoccupato “Dici che starà bene quel ragazzo?”

L’altro rimase di sasso di fronte a tanto altruismo: si poteva fare un elenco  chilometrico dei difetti di quel piccolo combina guai ma non era da tutti chiedere notizie del proprio rapitore. Quel ragazzino aveva un cuore d’oro, poco ma sicuro!

“Certo che sì, almeno spero” rispose un pochino esitante: probabilmente quel pirata da due soldi non aveva passato la notte visto com’era ridotto, ma non se la sentiva proprio di dirlo al suo generoso protetto. Gli avrebbe spezzato il cuore. “ Ma ora dovresti smettere di pensare a questa brutta storia.” Il biondo combattente cercò in qualche modo di cambiare discorso: si sentiva un tantino a disagio a mentire alla persona per lui più importante “Tra poco ci saranno i festeggiamenti per la Notte degli Incanti e c’è ancora tanto da organizzare.” Sinceramente sperava che la prospettiva della festa bastasse a far scordare al piccolo erede la disavventura coi pirati anche perché, se la cosa fosse giunta a orecchio del Podestà, sarebbe stato un guaio per tutti. Licenziati in tronco, come minimo.

“Eh sì, ci sarà la festa tra poco …” fece il piccoletto sorridendo appena “sai che mi stavo dimenticando …” abbassò lo sguardo arrossendo imbarazzato dalla sua stessa sbadataggine. La guardia, ancor più a disagio, tentò nuovamente di cambiare discorso, un po’ per levarsi l’espressione adorabile dell’altro dalla mente ma soprattutto per preservare la propria carriera “Quest’anno sarà presente anche il Podestà quindi dovrai impegnarti al massimo!” aggiunse con quello che avrebbe dovuto essere un sorriso rassicurante.

“Che bello! Ci sarà anche il Nonno!” esclamò il ragazzino di nuovo tutto allegro  “Grazie, Lud!”

Per fortuna il piccoletto non aveva la memoria lunga, si disse il combattente tirando un sospiro di sollievo: per il momento la sua carriera era salva.

 

!

 

La tempesta come era giunta, poco prima dell’alba, era passata lasciandosi alle spalle solo poche ormai innocue nuvolette bianche tutte sfilacciate: la pioggia violenta sembrava aver ripulito l’aria dando al paesaggio un’aria di nuovo, come se l’acqua avesse lavato tutto. Un’atmosfera idilliaca che ben poco s’adattava al clima a dir poco teso che c’era sulla Queen Bess.

 

Dopo il fallimentare tentativo di assalto al Palazzo di Soave, i pirati erano prontamente battuti in ritirata trovando rifugio in una baia ben riparata un po’ più a nord della fiorente città; per sicurezza la bandiera con l’unicorno alato simbolo del loro capitano era stata ammainata e ogni arma ben nascosta ma sempre a portata di mano in caso di visite sgradite. Nessuno faceva caso ad una vecchia nave malconcia, probabilmente momentaneamente ancorata per riparazioni ma non si era mai troppo cauti.

 

La ciurma si era riunita sul ponte per decidere il da farsi ora che il capitano era, eufemisticamente parlando, irreperibile e, dopo una discussione che era durata praticamente tutta notte, ma non erano ancora giunti a capo di nulla. A parte il fatto che bisognava trovare una soluzione: alcuni, fedeli al proprio giuramento di fedeltà, volevano tornare indietro a liberare il capitano Kirkland, mentre gli altri – la maggioranza ad essere sinceri- preferivano nominare in fretta un successore che prendesse il posto di quel, tali testuali parole, patetico incompetente.

“Con tutto il rispetto, sarebbe un rischio inutile rientrare in città … con ogni probabilità il Capitano è già stato giustiziato; credo che l’opzione più sensata sia scegliere qualcuno che prenda il posto di Kirkland-san, temo” propose molto educatamente Kiku “In quanto suo secondo, mi propongo come suo successore, ovviamente con il vostro consenso.”

Quasi nessuno si azzardò a ribattere: nonostante il piccolo orientale non alzasse mai la voce, tutti sapevano – alcuni per esperienza personale- che non era salutare mettersi contro l’apparentemente innocuo cartografo e che quando Kiku domandava qualcosa per favore era un ordine a cui si doveva per forza obbedire.

Tutti, tranne uno.

“No che non hai il mio diavolo di consenso, bastardo di un mangiacarte!” ringhiò colui che, per la sua natura ben poco incline all’obbedienza, si era posto a capo dei pochi ancora fedeli all’ ex capitano “Pensi con tutti i tuoi bei modi di farmi fare quello che vuoi?”

Gli altri pirati fecero istintivamente un passo indietro lasciando ai contendenti campo libero, visto che quando quei due perdevano le staffe diventavano discretamente distruttivi. Ad una prima occhiata non si sarebbe mai detto ma, dietro l’aspetto delicato da bambole di porcellana, si nascondeva l’animo e il talento di autentici maestri d’arme.

E non era l’unica cosa, a parte la reciproca antipatia, che li accomunava: avevano entrambi un misterioso passato alle spalle. Kiku era apparso un giorno a bordo – al largo delle Isole Mirai, ma questo era un particolare che nessuno voleva ricordare-  facendosi assumere come cartografo, mentre l’altro era stato salvato per miracolo dopo una violentissima tempesta quand’era ancora bambino e, forse per colpa dell’incidente, non ricordava altro che il proprio nome, Romano e qualche piccolo e per altro inutile dettaglio.

“Perdonatemi ma ora non è il momento per i sentimentalismi, Romano –kun, comprendo il fatto che siate grato al capitano ma dovreste anche guardare in faccia la realtà: sotto il suo comando, per altro non molto professionale, le nostre casse non si sono affatto riempite … in fondo quanto gli è accaduto, senza togliere nulla alla tragicità dell’ evento, è stata una benedizione per le nostre finanze …”

Il giovane orientale non fece in tempo a terminare la frase che l’altro era già scattato in piedi, pronto a ribattere a tono e se necessario anche a lasciar parlare le armi. “Certo che tu la lealtà non ce l’hai manco sotto la suola degli stivali! Voltare le spalle a chi ti ha mantenuto fin ora, a te e a quel tirapiedi morto di fame che ti porti appresso … lo dicevo io che non c’è da fidarsi dei sorci di biblioteca! Sorridono davanti e poi, quando meno te lo aspetti, arriva la fregatura!” quasi gridò l’irruente meridionale, ormai stava per perdere definitivamente le staffe: ancora una parola da parte dell’altro e, c’era da scommetterci, gli sarebbe saltato alla gola.

Se, all’improvviso qualcuno di assolutamente inaspettato non si fosse frapposto fra i due contendenti.

 

!

 

L’Anima Mundi veleggiava placidamente in un cielo blu cobalto punteggiato qua e là da piccole lucentissime stelle, sotto di essa si stendeva il cupo oceano che separava le floride isole riunite sotto il leone d’oro della Repubblica di Soave dalle terre settentrionali che formavano l’Impero Avalon.

Tre settimane di volo e oltre dieci anni di guerre separavano i due territori ma, per chi era abituato a viaggi molto più lunghi, le distanze contavano davvero poco.

 

Il Podestà Augusto Vargas amava le serate come quelle: l’atmosfera così calma e quasi immobile gli dava un senso di pace, come se tutti i problemi e i dolori fossero lontani. In effetti non era solo l’atmosfera così bella a metterlo di buon umore, ma anche la sensazione che finalmente le cose andavano per il verso giusto: le trattative di pace con Avalon erano quasi concluse, mancava solo la firma finale e la Guerra dei Due Leoni sarebbe stata solo un bruttissimo ricordo, il viaggio di ritorno stava proseguendo nel migliore dei modi e presto, molto presto sarebbe finalmente tornato a casa.

Solo questo semplice pensiero bastò a far sembrare la serata ancora più perfetta: ancora qualche giorno l’ammiraglia avrebbe raggiunto il porto in tempo per la Notte degli Incanti e questa volta i festeggiamenti sarebbero stati ancora più grandiosi visto che avrebbero coinciso con la firma del trattato di pace e con il compleanno del suo adorato nipotino. Beh, a dire il vero mancava ancora un po’ di tempo alla firma effettiva ma ormai gran parte del lavoro era fatto, poi per il suo dolcissimo Feli questo ed altro! Insomma quindici anni non si compiono tutti i giorni e il minimo che potesse fare era essere presente alla grande festa per consegnargli di persona i meravigliosi regali.

In effetti era il minimo dopo tutto quello che quel povero ragazzino aveva dovuto sopportare, per lui l’importante non erano gli oggetti ma le persone anzi l’unica persona rimastagli.

 

Ma questo non era il momento per i ricordi tristi: tra poco sarebbe stato un giorno di grande festa e nulla avrebbe potuto rovinare la calma che si era creata.

 

O no?


APPUNTI DI VIAGGIO

Il capitolo precedente, come vi sarete resi conto, è stato ampiamente modificato e migliorato sia con l'aggiunta di parti descrittive che con scene inedite come mi è stato consigliato sia dalla mia socia sia da voi fan, quindi sarebbe meglio rileggerselo se no alcune cose non saranno molto chiare...

Bhe non ho altro da dire a parte grazie in anticipo e grazie a chi ha commentato!

Bacibaci
See ya
S.

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