From now on _ di Lelenu (/viewuser.php?uid=101189)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prisoner ***
Capitolo 3: *** Hand in Hand ***
Capitolo 4: *** Only a Week ***
Capitolo 5: *** I want you now more than ever ***
Capitolo 6: *** Fear. ***
Capitolo 7: *** You'll be fine ***
Capitolo 8: *** Mrs Pattinson? ***
Capitolo 9: *** I was not there. ***
Capitolo 10: *** He was not there. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Ok. Buonasera, gente. Allora, questa è la mia nuova FF e sto morendo d'ansia, non so perchè, ora che posto.
Questa storia mi frullava in testa da un pò e praticamente subito ho avuto una voglia matta di metterla nero su bianco. C'era un problema però: scriverla era ed è un parto!
Non so perchè ma è come se non riuscissi ad esprimere tutto ciò che sento dentro quando la penso nella mia testolina.
Ad ogni modo io ci provo e vi posto il prologo.
Beh direi che però mi tocca fare una dedica e un ringraziamento.
Grazie grazie grazie a Cloe e Fiò, che hanno dato un'occhiata a questa cosetta prima che io postassi (Grazie mie splendide Guru) E dedico l'inizio della storia, oltre che a loro due, anche a Giulia che ho stressato un pò ultimamente.
Beh ora mi sto zitta e vi faccio leggere.
Spero alla prossima :*
Prologo
Ti sorridono e pensano che hai tutto.
Si, a loro basta guardarti in faccia, sapere che il tuo conto in banca è pieno e automaticamente hai tutto.
Infondo sono Kristen Stewart, di che mi lamento?
Infondo sono ricca, famosa… Dovrei essere felice.
“Tu hai tutto!” mi dicono.
“Sei fortunata!” pensano.
Indubbiamente lo sono. Indubbiamente sono fortunata ad avere la mia vita piena di fottutissime cose materiali.
Sono fortunata ad avere persone che mi vogliono bene.
Sono fortunata ad essere bella.
Ma quando questa fortuna ti si ritorce contro che si fa? Quando tutte le cose belle che hai sono la causa della tua distruzione, come ci si sente?
Quando quella bellezza di cui tutti parlano e che tutti ti invidiano viene violata, come puoi continuare a guardarti allo specchio?
Non la volevo tutta questa fortuna. Questa fottutissima fortuna non la volevo.
Desideravo solo essere una comune ragazza di 21 anni felice di vivere la sua vita. E non una giovane obbligata a crescere in fretta dagli eventi che, per carità mi hanno dato tanto, tutto oserei dire, ma allo stesso tempo mi hanno privato di me stessa.
E brucia dentro come fuoco che ti riduce in carbone, sapere che tutto questo sta accadendo a te.
Allora chiudo gli occhi, serrando le labbra per non gridare, facendo finta che sia solo un brutto sogno. Un terribile incubo che ti lacera dentro.
Ma non è così. Nessun incubo, nessun brutto sogno.
Il mostro però c’era.
Quel mostro che ora è scomparso ma ha lasciato i suoi segni su di me.
Quel mostro che mi ha privata della felicità.
E allora voglio piangere. Voglio piangere sperando che le lacrime possano lavarmi e togliermi lo sporco che mi sento addosso. Ma non ci riesco.
Sono pietrificata in un corpo che non sento neanche più mio.
Guardatemi in questo momento. Guardatela ora Kristen Stewart.
Guardatela in questo dannato letto di ospedale.
Credete ancora nella sua immensa fortuna avuta in vita?
La invidiate ancora?
Io non invidierei mai una donna violentata da uno sconosciuto.
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Capitolo 2 *** Prisoner ***
Eccomi qui!
Beh si è passato un pochino da quando ho postato il prologo ma scrivere il capitolo ha richiesto diverso tempo. Ci tengo a ringraziarvi davvero tutti, per le tante visite e anche per le recensioni: mi avete resa immensamente felice.
Beh che dire? Adesso sto zitta e vi lascio al capitolo.
Elena*
Prisoner
Pov Rob
12 ore. 12 fottutissime ore di aereo mi sono bastate per farmi entrare nella condizione nostalgia-incazzo, per la tua lontananza.
La paura che ogni volta mi attanaglia lo stomaco, quando siamo lontani, è impressionante.
Non so perché. Non capisco per quale motivo riesco a sentirti al sicuro solo se sei accanto a me. Solo vedendoti e stringendoti tra le mie braccia ho l’assoluta certezza che tu stia bene.
E saperti dall’altra parte del mondo, sicuramente non mi fa stare molto sereno. Saperti da sola in quella casa, non mi rende molto tranquillo.
Saperti senza di me, mi fa impazzire.
E guarda caso nemmeno stavolta le mia ansia riesce a farmi stare calmo.
Dio, a volte sembro suo padre! Ma è più forte di me.
Lei deve stare bene.
Lei deve essere felice.
Lei deve stare al sicuro.
Ma se questo dannato aereo non atterra entro 60 secondi, quelli a non essere più al sicuro sono i passeggeri, perché farò una strage!
Devo accendere quel telefono! Devo chiamarla.
Devo sentire la sua voce.
Devo sapere che ha fatto in queste 12 ore.
Devo dirle che la amo, quanto la amo.
Chiudo gli occhi quando sento l’aereo che inizia a scendere verso il basso, cercando di calmarmi e respirare molto lentamente per il bene della mia salute psichica.
Non appena sento le ruote toccare terra, faccio un respiro di sollievo e togliendomi la cintura di sicurezza. Neanche il tempo di alzarmi e mi ritrovo Dean accanto.
“Adesso chiamo per vedere se c’è già la macchina fuori”
Determinato come sempre, ma mai stanco in viso e pronto a lamentarsi.
Poveretto fa una vita fin troppo stressante dietro i miei ritmi. Forse dovrei dargli un po’ di ferie ora che viene Natale.
“Va bene Dean. Fa con calma.”
Mentre scendo dall’aereo prendo in mano il cellulare e lo accendo.
Sta per finire la tortura. Stai per sentire la sua voce e tutto andrà bene come sempre e avrai l’ennesima conferma che sei solo un pallosissimo fidanzato paranoico del piffero.
Vibra. Eccome se vibra.
3 sms
7 sms
17 sms
26 sms
31 sms.
31 sms??
Ma che cazzo….
Quale motivo plausibile ci sarebbe per un tale accanimento al mio telefonino da parte di tutt? Che diavolo era successo?
Non farti prendere dal panico. Non è successo niente. Non è….
11 chiamate di Lizzy, 7 di Tom, 8 di mamma…
Nessuna sua.
Nessuna chiamata di lei. Nessun sms.
Non ho nemmeno il tempo di entrare nella più profonda e assolutamente oscura forma di paranoia, che di nuovo prende a vibrare il telefono nelle mie mani: Lizzy.
“Che cazzo succede?!”
“Rob…”
No, Rob niente! E’ successo qualcosa. Lo so. Me lo sento.
E non mi posso permettere di stare calmo. Non posso esserlo.
Non posso esserlo senza capire, senza sapere.
Senza Lei.
“Ti prego non chiedermelo… Non chiedermi di mantenere la calma!”
“Devi! Altrimenti non credo che…”
Aveva la voce incrinata dal pianto. Era preoccupata, shockata.
E tutto questo non faceva che peggiorare la situazione. Non faceva che rendermi irrequieto. Iniziai a tremare come una foglia, forse per paura o forse per rabbia.
Iniziai ad avere fitte in tutto il corpo ed iniziai a rendermi conto che davvero qualcosa era andata storta.
“Non devo un cazzo Lizzy! 31 sms! 31 sms e varie chiamate perse da mezzo mondo tranne che di lei! Dimmi che cazzo succede!!”
“Sono in ospedale.. con Kristen..”
Ospedale.
Kristen…
“E’… senti, adesso è davvero necessario che tu stia calmo Rob.. per favore”
E’ in ospedale.
“.. Rob…”
“Parla!”
“…E’ stata.. Kristen è stata violentata… siamo qui da circa sei ore… Rob, ti prego…”
Non sentivo più. Mi ero fermato a quella parola che ancora risuonava nella mia mente.
A quella parola spregevole, ignobile, dolorosa, orrenda, mostruosa…dolorosa.
Fu come sentire una lama profonda infilzarsi dentro il mio stomaco, sentirla scavare sempre più nel profondo fino a farmi morire lentamente.
Violentata.
Kristen. Violentata.
Quel “violentata” riferito a lei. Quel “violentata” riferito alla mia Kristen.
Quel “violentata” riferito alla mia fidanzata, alla mia donna, alla mia amante, alla mia migliore amica.
Al mio Amore.
POV Kristen
“Secondo me è sveglia!”
Lizzy?
“Ma sta un po’ zitta,eh! E falla dormire. Si vede lontano un miglio che dorme!”
Tom?
Ma che diavolo…
“..Kris.. Kristen sono Lizzy…”
Lo so chi sei!
“..Andiamo Kris.. So che sei sveglia!”
Si lo sono! Andiamo perché non apro gli occhi?
A già, perché mi sembra di avere le palpebre bloccate da un peso abnorme!
Che qualcuno me lo tolga, Dio Santissimo!!
“..Vabbè direi che sei proprio scema, Liz! Se la svegli mi incazzo da morire!”
Sta un po’ zitto Tom! Mi scoppia la testa. Forse ho un peso anche lì!
Si, decisamente ho una quantità indefinita di massi disseminata per tutto il corpo.
Occhi, testa, labbra, gambe…ventre.
No, direi che quello me lo sento dilaniato. Direi che il mio ventre è assolutamente strappato in piccoli pezzi e martoriato.
Ma che diavolo mi è successo?
Dove diavolo sono?
E soprattutto perché ci sono Lizzy e Tom con me e non quella sottospecie di fidanzato che mi ritrovo, che alla prima occasione mi lascia sola a Londra?
Ah. Ecco.
Non è a Londra.
Mentre io invece sono ancora qui,vero?
“Va bè vado a prendermi un caffè e poi provo a chiamare di nuovo Jules.”
Mamma?
Che c’entra mamma-Stew adesso?
Che c’entra lei se io sto benissimo nel mio appartam…
Oh.
Oh.
Male.Male improvviso. Male acuto fino a farmi mancare il respiro.
Male che strazia l’anima e la stacca dal mio corpo.
“Vedi di stare ferma! E sta un po’ zitta troia!”
No.. No! Non voglio…
No, lasciami! No!
“Apri queste fottute gambe, da brava! HO DETTO APRI QUESTE GAMBE!”
Rob.. No…
Voglio Rob. Robert. Dov’è Robert?
Lasciami, voglio Robert!
Ti prego Rob, vieni! Ti prego.
Rob…
“ROBERT!”
Rob… datemi Rob! Tremo. Tremo di paura. Tremo di dolore.
Tremo per i ricordi che potenti come un bomba atomica mi hanno svegliata e mi hanno liberata dai pesi.
Ma che dico?
Non mi hanno liberata. Adesso sono tutti concentrati in un punto ben preciso.
In quel punto che fa male da impazzire e sembra che stia per scoppiare.
In quel famoso cuore che tutti abbiamo e tutti consideriamo la cosa più importante.
E improvvisamente ricordo dove sono. Ricordo cosa è successo.
Ricordo tutto.
E fa male.
Fa più male di quanto pensassi.
Sembra che mi abbiano appena strappato l’anima. Sembra che questa vita non sia più la mia.
Che questo corpo non mi appartenga più.
No, non è più mio un corpo dilaniato da mani sconosciute e violente.
Non è più mio questo corpo.
“Kris.. Kristen,come ti senti?”
Mi ridestai leggermente dal mio stato di trans giusto per fissare i miei occhi in quelli preoccupati di Lizzy.
Non li avevo mai visti così cupi e agitati.
Mi stringeva la mano convulsivamente per cercare una mia reazione, positiva o negativa che fosse, purchè ne vedesse una.
“Kris va tutto bene… adesso va tutto bene!”
Mi abbracciò improvvisamente fregandosene di tutti i fili attaccati al mio corpo.
Mi abbracciò come mai prima d’ora. Mi abbracciò come una sorella.
Ma non era il suo abbraccio quello che volevo. No, io avevo bisogno di altre braccia nelle quali rifugiarmi adesso.
“Rob…”
Il mio fu soltanto un debole sussurro mentre ancora ci stringevamo a vicenda.
Un sussurro pronunciato con una voce non mia. Una voce spenta, senza tono.
Una voce fredda e piatta.
Una voce che non mi appartiene.
Quel semplice sussurro bastò a farla staccare da me.
Si sistemò meglio sulla sedia e togliendosi velocemente dal viso le lacrime che lo rigavano, mi prese la mano e prese a parlare freneticamente.
“Mio fratello è sull’aereo. Tra qualche ora sarà qui. Sta tranquilla. Ma tu come stai? Kristen, come ti senti? Hai dormito per dieci ore.”
“Dieci ore?”
“Si! Ti hanno imbottito di farmaci e… di questo ne parlerai con i dottori. Ma come stai? Non fisicamente, intendo.”
Come sto?
Non sto. Semplicemente non sento niente. Ed è questo niente che mi fa male.
Questo non sentire, mi fa soffrire.
“Mi sento.. vuota”
Lizzy fece per aprire bocca e dire qualcosa quando venne interrotta da un Tom dalla faccia stanca, stanchissima direi, con in mano un caffè.
“Lizzy l’ho preso anche a… ehi, bambola! Ti sei svegliata!”
Posò velocemente i bicchierini col caffè sul comodino accanto al letto dove ero distesa e si fiondò letteralmente su di me.
Non ho né la forza né la voglia di ricambiare l’abbraccio.
Non ce la faccio.
Semplicemente nemmeno queste sono le braccia di cui ho bisogno.
Non appena il mio migliore amico capì che quell’abbraccio non stava significando niente per me, lo sciolse con naturalezza e mi carezzò il viso.
Fu un leggero sfiorare proprio dove avvertivo la presenza di un ematoma. Gli scorsi gli occhi pieni di lacrime che non tardarono a scendere e l’unica cosa che riuscì a fare fu stringergli la mano nella mia come avevamo sempre fatto in ogni momento del bisogno.
Ma nemmeno quella mano è la mia.
Mi sento intrappola dentro un involucro sconosciuto.
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Capitolo 3 *** Hand in Hand ***
Ehm si... Si sono io.
Si ho postato nel 2012 e non vi ho fatto nemmeno un piccolo regalo di Natale.
"Con quale barbaro coraggio questa si presente qui adesso?"- Starete dicendo. Beh avete assolutamente ragione ma sono stata incasinatissima per gli impegni e ho persino affrontato il blocco dello scrittore *cerca di giustificarsi*
Ehm ehm si ma... veniamo alla cosa principale!! Si incontranooo!! *______* Awwww finalmente abbiamo questo incotro Robsten e...e... Beh leggete,no? ;)
Hand in Hand
POV Rob
Non è possibile.
Non ci credo.
Non può essere vero.
Passai l’intero viaggio ripetendomi queste parole ininterrottamente. Come ad autoconvincermi!
Le ripetevo con così tanta attenzione e devozione che quasi stavo riuscendo a credere che davvero fosse tutto un brutto sogno.
Un orribile incubo che mi stava facendo impazzire. Purtroppo non era così. E me ne accorsi soltanto quando ebbi davanti agli occhi la facciata del St. Thomas Hospital.
Dal primo istante in cui misi piede in quell’ospedale, sentivo che tutto andava a rotoli. Ad ogni passo che facevo in quei corridoi e ad ogni gradino che salivo, perdevo un pezzo di cuore.
Avevo i piedi pesanti come mattoni. Come se non volessi schiodarmi dalla mattonella in cui mi trovavo. Forse per la stanchezza.
Forse perché sono codardo. Forse per paura.
Una tremenda paura di vederla in chissà quali condizioni in un fottuto letto d’ospedale. Dovevo vederla. Il prima possibile.
Invece no. Quel prima possibile a quanto pare era solo un’illusione, visto che adesso mi trovo bloccato in un cazzo di ascensore perché se provo ad uscire vengo assalito da un’orda di paparazzi.
“Senti Dean, ho sopravvissuto una marea di volte a questi cazzoni. Ce la farò anche sta volta.”
Dico con quella voce atona e spente che mi ritrovo da qualche ora.
Non so perché ma è come se mi fossi spento non appena il mio cervello ha incominciato ad elaborare la notizia.
Mi trovo in uno stato di transizione. Non piango, non urlo, non sono incazzato.
Non ancora,almeno.
Sto semplicemente tenendo tutto dentro facendomi lacerare in due da quell’urlo che non riesco a buttare fuori, ma che mi tormenta l’anima.
“Non esiste. E’ per la tua sicurezza e la sua!” – dice Dean con fare autoritario!
La sua? La sua sicurezza? Lei non ha sicurezza se non ha me.
Senza proferire parola sblocco le porte dell’ascensore e senza interpellare Dean esco nella sala d’aspetto principale dell’ospedale.
Come era prevedibile i flash impazziscono come ogni volta.
Ti accecano e ti mandano in tilt.
Faccio finta di niente e tengo tutto dentro senza parlare o insultare nessuno.
Devo solo mantenere la calma.
Cammino fino al banco delle informazioni e chiedo di lei.
L’infermiera mi guarda interdetta per un attimo, come se non riuscisse a credere alla mia presenza lì.
E’ una donna giovane, una trentina d’anni, bionda con gli occhi azzurri. Un viso semplice, umile. Di quelle brave persone che con uno sguardo riescono a scaldarti il cuore.
Fa per dire qualcosa ma poi improvvisamente chiude di nuovo la bocca.
Come se non potesse parlarmi.
Come se si stesse facendo scappare qualcosa che deve tenere per sé.
“Senta, ha intenzione di dirmi dove si trova si o no?”
La donna mi guarda con un’espressione dispiaciuta e scuote la testa quasi con le lacrime agli occhi.
“Mi dispiace.. ma.. Non posso dirle dove si trova. Ho ordine di dare comunicazioni sulla signorina Stewart solo a parenti stretti. Mi dispiace signor Pattinson.”
Oh andiamo è assurdo! E’ la mia fidanzata! Ed è stata… violentata.
Ed io non posso vederla?!
“Senta, se lei ha capito chi sono dovrebbe farmi salire senza controbattere!”
“Mi dispiace ma lei può essere anche la persona più ricca del mondo ma…”
“Non mi importa un fico secco della mia fama! Ma santo Dio, mezzo mondo sa che siamo fidanzati da anni! E poi lì con lei c’è persino mia sorella! La prego mi dica dove si trova! La prego.”
L’infermiera mi guarda per qualche istante senza dire niente, poi alza gli occhi al cielo e facendomi segno di correre mi dice: “6° piano,stanza 347!”
Non ringrazio nemmeno e inizio a correre verso la rampa di scale più vicina.
Ogni scalino è un passo in più per arrivare a lei. Ogni scalino è un passo in più per vederla. Ogni scalino è un passo in più per la completa distruzione del mio cuore.
6° piano,stanza 347!
6° piano,stanza 347!
6° piano,stanza 347!
Lo ripeto mentalmente mentre faccio questa maratona che sembra infinita.
Quando arrivo al 6° piano sono letteralmente senza fiato, mi piego sulle ginocchia per riprendere le forze quando mi sento chiamare. “Rob..”
Mia sorella è a pochi metri seduta in una saletta con accanto Tom.
“Lizzy!” Li vedo. Hanno gli occhi gonfi e rossi.
Sono stanchi e scombussolati. Come se si trovassero nel posto sbagliato per la cosa sbagliata. Ed è così. Niente è giusto in questa situazione. Niente è normale. Mia sorella mi viene incontro e mi abbraccia in una maniera così strana. Come a sorreggermi.
Come se fosse lei a tenermi in piedi in quel momento.
E forse è davvero così. Forse questo abbraccio è davvero la prima cosa che mi da un briciolo di forza.
Ma so già che è una partita persa e che non appena la vedrà, questo briciolo di forza, se ne andrà insieme al mio ultimo pezzo di cuore.
Lo stesso gesto lo compie Tom e non appena sento le sue braccia stringermi, realizzo che anche lui è sconvolto.
Volto la sguardo verso la stanza 347 e vi trovo la porta chiusa e un agente della polizia davanti.
Confuso mando uno sguardo interrogativo al mio migliore amico che alza le spalle come a dire “E’ la prassi”.
“C’è la polizia dentro con Ruth, a noi non è stato permesso di rimanere. Ci hanno letteralmente cacciati fuori!” Dice mia sorella con una voce più che agitata.
“Beh io devo entrare!” Mi avvicino alla porta ma non appena provo ad abbassare la maniglia per entrare l’agente mi si pare davanti con sguardo minaccioso.
“Mi dispiace ma qui non può mettere piede.”
POV Kristen
“Ascolta Kristen, è davvero importante! Sei sicura di non ricordare niente?” Dio, perché continuano a torturarmi! Sono più di due ore ormai che sto chiusa qui dentro senza vedere nessuno all’infuori di Ruth e il commissario.
E saranno più di due ore che mi rivolgono sempre le stesse domande.
“Ve l’ho già detto aveva il viso coperto!” “Io vorrei capire che diavolo ti era preso?? Che ti eri messa in testa? Fare una passeggiata in santa pace! E’ assurdo Kristen!” Basta Ruth.
Basta tutti.
Basta.
Non posso continuare così. Non posso ripetere sempre le stesse cose e non posso arrivare a pensare che sia colpa mia solo perché ho deciso di fare due passi senza la mia guardia del corpo.
Non voglio più nessuno. Non voglio che mi si rivolga una parola. Non voglio che mi si continui a ricordare tutto.
E non voglio più continuare a vivere in questo corpo non mio.
Sono sveglia da circa 5 ore e già non riesco a convivere con me stessa. Non riesco a non vedermi e non sentirmi sporca.
Non riesco a non provare questo senso di oppressione che mi attanaglia e mi fa sentire incatenata in questo cazzo di involucro che sento estraneo.
“Senti tu dovresti concentrarti sulla voce, magari riusciamo a….”
-“GUARDI CHE SE NON MI FA ENTRARE IMMADIATAMENTE LE SPACCO LA FACCIA!”-
Quella voce. L’unica voce che in queste ora avrei voluto sentire.
La sua voce.
“Rob…”
Fu quel mio sussurro a darmi la conferma e la convinzione che quelle urla che venivano da fuori, potevano appartenere solo a lui.
“C’è Rob… Fate entrare Rob!” Vedo Ruth alzare gli occhi al cielo e il commissario guardarmi con gli occhi storti per ammonirmi. “Mi dispiace ma prima dobbiamo finire qui… cerca di capire che è molto importante e..”
“RUTH TI HO DETTO DI FARLO ENTRARE!”
Ed è un urlo liberatorio. Forse il primo da quando ho aperto gli occhi.
La mia agente mi guarda severamente e senza dire una sola parola va alla porta e la apre con il viso nero per la rabbia.
Figurarsi, per adesso sarà convinta che sto solo facendo i capricci; che sono io a non voler aiuto.
Fa segno di entrare a Rob e quando lo vedo varcare la soglia e fisso i miei occhi nei suoi è come se tutto il mio dolore, fisico e morale, che non riesco a sentire in me venisse trasferito in un lui.
Come se con il mio sguardo lo stessi trafiggendo con milioni di coltellate.
Lo capisco da suoi occhi colmi di lacrime e dal suo corpo che tremava solo dopo pochissimi istanti.
Si avvicina a me e senza dire niente mi sfiora lo zigomo. Quello zigomo che mi aveva sfiorato Tom.
Quello zigomo che fa male e riporta a galla i ricordi.
Chiudo gli occhi con forza cercando di scacciare i pensieri che fanno male e provo a concentrarmi solo su quel lieve gesto di Rob.
“Che ti hanno fatto amore mio…”
Una frase detta così piano che persino io, che mi trovo a pochi centimetri di distanza, ho fatto fatica nel sentirla.
Apro gli occhi lentamente e li rivolgo ai suoi mentre prende la sua mano tra la mia.
Ho così tanto bisogno di lui adesso.
Ho così tanto bisogno di sentirlo accanto.
“Lasciateci soli, per favore.”
Dicendo queste parole riuscì a far staccare lo sguardo fisso di Rob sul mio viso per farlo passare a Ruth e al commissario.
La mia pubblicista ovviamente esitò: “Io non credo che…”
“L’avete sentita? Vuole che voi usciate di qui!” dice lui con un tono glaciale che mai gli avevo sentito.
Mai gli avevo sentito pronunciare delle parole in una maniera così fredda.
I due annuirono con convinzione ed escono dalla stanza, non prima di avermi ricordato che domani avremmo continuato quello che avevamo interrotto per l’arrivo di Robert.
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Non ha chiesto niente.
Non ha voluto sapere niente. Nessun dettaglio.
Siamo solo stati abbracciati per una quantità indefinita di tempo e darci conforto a vicenda.
Non ha avuto né pietà né compassione per me. E probabilmente ha fatto uno sforzo immane per non chiedermi cose sentivo in quel momento.
Ad ogni mio movimento però si muoveva anche lui. Mi chiedeva se stavo comoda, se mi dava fastidio che stesse sdraiato accanto a me.
Ma non ha chiesto. Non ha chiesto niente.
E non so come ha fatto, ma ha capito che era proprio quello di cui avevo bisogno.
Cercare di non pensarci almeno per qualche ora. E anche se è impossibile farlo, lui è stato l’unico ad aiutarmi in quest’impresa, forse perché anche lui aveva bisogno di non rimuginarci sopra per un po’.
Ora siamo praticamente distesi uno accanto all’altra con le mani intrecciate a guardare il soffitto.
Sembra buffo ma è un gesto che mi da normalità. E’ un gesto che mi fa sentire un po’ più me stessa.
E’ una cosa che facciamo sempre subito dopo aver fatto l’amore. Stiamo per almeno 3 minuti in silenzio, mano nella mano, a guardare il soffitto. Senza dirci niente. Semplicemente constatando che anche se solo tenendoci per una mano, ci siamo.
Ed è questa la cosa che più mi da sollievo. Anche se solo dandomi una mano lui c’è.
E ci sarà sempre.
Beh si era alquanto orrendo eh?
Cercherò di rimediare la prossima volta, Giurin Giurello *mette la mano sul cuore*
Un bacione alla mia Giulia che continua a sopportarmi e a tutte quelle scrittrici screanzate che non mi aggiornano Joy ( senza fare nomi, Cloe e Fio).
Che dirvi gente, ormai che avete letto scappo e non mi resta che augurarvi un Buon 2012.
Elena*
P.S. Viva gli Azteki e 'nto culu ai Maja- Cit. Fiorello
U_U
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Capitolo 4 *** Only a Week ***
Saalvee! Eh,si. Ho sfornato il nuovo capitolo.
Scusate se ci metto tanto a scriverli ogni volta, ma viene tutto un pò particolare da esprimere.
Se vedete il capitolo qui è solo perchè ieri non sono stata al massimo e scrivere è stata l'unica cosa che è riuscita a farmi sfogare e quindi devo anche chiedere un GRAZIE immenso allo "scrivere" che mi aiuta sempre.
Un altro grazie va a Giulia e, ovviamente, a tutti voi che leggete!
Un bacio, Elena*
Only a Week
POV Robert
Ormai erano passati quattro giorni.
Quattro giorni in cui avevo fatto di tutto, ovviamente in maniera cauta e sottile, per rubarle un piccolo sorriso.
Ma come previsto non ci ero riuscito.
Passavo tutto il giorno e spesso anche la notte, quando potevo rimanere, lì con lei, sperando che la mia vicinanza la facesse sentire meglio.
A dire il vero ancora non riuscivo a capire cosa sentisse davvero, quale razza di sensazione dovesse avere dentro.
Non l’ho vista né sentita piangere neanche una volta; stava sempre lì, ferma, come se non fosse successo niente.
Non reagiva neppure al dolore fisico e questo non riuscivo davvero a spiegarmelo.
Come si faceva a non lamentarsi con due costole incrinate, un ventre sicuramente lacerato, anche se non lo avevo visto e non me ne parlava lo avevo immaginato, ematomi e tagli sparsi in tutto il corpo?
Nonostante ciò lei andava avanti senza lamenti, senza lacrime o crisi isteriche.
In compenso era arrivata Jules che non faceva che piangere ogni volta che si ritrovava la figlia davanti. Sembrava una fontana che non riusciva mai a fermarsi. Un pomeriggio fui costretto ad accompagnarla fuori dalla stanza di Kristen con una scusa. Era come se a lei desse fastidio che gli altri stessero male per qualcosa che nemmeno lei sentiva.
Così presi Jules e la portai a prendere un caffè, volente o nolente.
“Io non capisco per quale motivo debba fare così, perché è così apatica con tutti? Perché… perché lei…”
Alzai gli occhi al cielo mentre sentivo l’ennesimo discorso sul fatto che non era possibile quel suo comportamento, che aveva bisogno di un bravo psicologo il prima possibile e che bisognava capire ciò che le passava per la testa.
“Jules, il suo modo di reagire è questo. Non possiamo farci niente e tantomeno non possiamo forzarla a piangere o a urlare.”
“Ma così soffre il doppio perché non si sfoga con nessuno! Ma almeno con te parla? Ti dice ciò che sente?”
No che non me lo diceva. Non parlava per niente con me. O per lo meno parlavamo di tutto ma non di quello. Parlavamo di musica, di cinema, di come facesse schifo il trailer di Mirror Mirror, di quanta voglia aveva di stare un po’ ai fornelli e di quanto volesse di nuovo i capelli castani; ma mai parlavamo dell’accaduto o di come si sentiva.
“Jules.. Lei… quando vorrà parlare sa che io ci sono e lo stesso vale per te o per chiunque altro. Siamo sempre qui per lei.”
Ed era così che passavano le giornate tra un far finta di niente con Kristen da un lato e un consolare i parenti dall’altro.
Per quanto riguarda me, beh io non avevo ancora definito la mia situazione. Passavo dalla tristezza alla felicità di essere almeno adesso accanto a lei; dai sensi di colpa per non esserci stato in quel momento al sollievo di vederla viva e non con molti problemi alla salute fisica.
E poi c’era il male più grande: la paura di non riavere più la mia Kristen.
Quella che si confidava con me per ogni cosa; la Kristen che rideva e scherzava e mi prendeva in giro in continuazione.
Quella paura riusciva a tagliarmi in due ma dovevo essere forte per me ma soprattutto per lei.
Altro momento importante della giornata era sicuramente il pasto. E anche oggi, come da quattro giorni a questa parte, si rifiutava di ingerire qualcosa.
Rifiuatava i primi, i secondi, la cioccolata, i biscotti. Rifiutava tutto. E tanto per non farci mancare niente, dopo la crisi di mamma Jules, anche oggi si ripeteva la storia.
“Ok stammi a sentire, tutto questo non è normale: tu solitamente ti ingozzi di brutto, mia cara.” “Grazie per il fine complimento, ma no nemmeno oggi ho voglia di pranzare”
Non aveva voglia di pranzare, cenare o fare colazione da quando era qui dentro e non si trattava di una cosa da niente. Già lei era prossima allo scomparire dalla faccia della terra con il suo fisichino, così non l’avrei trovata più nemmeno in mezzo alle coperte!
“Capisco che il cibo d’ospedale fa davvero schifo. Credimi, su questo non ti do torto ma qui ho una cosa per te…” Mi girai verso i piedi del letto dove mia madre mezzora prima aveva posato una borsa termica, la aprì e ne uscì il piatto che, in quel momento avrei volentieri mangiato anche io.
“Andiamo Stew, queste le devi mangiare!” La vidi guardare il piatto che avevo in mano con quegli occhi che sembravano volessero uscire dalle orbite. Stava morendo di fame la stronzetta capricciosa.
“Le lasagne di mamma Clare sono il tuo piatto preferito e per inciso mi ha detto di dirti che le ha cucinate solo per te. Quindi direi che dovresti approfittarne.”
Tentennò con lo sguardo fin quando spostò la vista sull’altro lato della stanza come e non volerne sapere niente. Ormai era diventata una questione di principio perché sapevo che non voleva darmela vinta anche se la fame la stava divorando letteralmente.
“Sai che ti dico? Fottiti! Io c’ho fame e me le mangio.”
Tagliai un pezzo di lasagna e lo misi in bocca. Dio erano superlative. Ecco perché amavo mia madre! E per carità Kristen sapeva cucinare in una maniera che si può definire straordinaria, ma le lasagne come mamma non le avrebbe mai fatte e ne era consapevole.
Mi guardava con la coda dell’occhio mentre gustavo quella delizia fin quando la vidi girarsi di scatto e gesticolare.
“Al diavolo! Dammi questo piatto!”
E fu inevitabile scoppiare a ridere dopo la sua reazione. La prima risata dopo giorni e fu incredibile che la mia risata riuscì a strapparle un sorrisetto dalle labbra.
Quel piccolo e tenero sorriso che in quel momento mi rese la persona più felice del mondo e la fece sembrare, per qualche istante, di nuovo la mia Kris.
“Fappi che lo fto fasendo solo fer tua fadre” disse a bocca piena “mica per te!” aggiuse dopo aver mandato giù il primo boccone. E nemmeno qui riuscii a trattenere le risate e lei fece lo stesso.
Mi erano mancati quei momenti, mi era mancata vederla così, mi era mancata la sua risata.
“Sei bella quando ridi…” Non mi ero accorto di averlo detto fin quando non vidi il suo sguardo imbarazzato su di me.
Era vero, era bellissima quando rideva e anche di più quando s’imbarazzava.
“Volevo dire, sei bella sempre ma.. quando ridi..”
“Ho capito!”
“Ok..”
E fu lì che ci fù il momento più imbarazzante in assoluto: silenzio totale senza sapere che dire o che fare. Almeno lei stava mangiando e aveva quella scusa ma io che stavo facendo? Niente, stavo a guardarla insistentemente come se solo così poteva capire quello che mi frullava nella mia testolina.
Quando la sua porzione di lasagne era a metà posò la forchetta sul piatto poggiandolo sul comò accanto al letto.
Non sapevo per quale motivo ma aveva smesso di mangiare e questo non mi andava affatto bene.
“Ehi, no.. perché hai smesso? Continua a mangiare.” Mi alzai subito e andai a prendere quel piatto per rimetterglielo nelle mani ma lei fece segno di no con la testa e rimise il piatto lì dove lo aveva poggiato prima.
“Vieni qui un attimo, siediti qui.” Mi fece segno di mettermi accanto a lei e così feci. Improvvisamente prese le mie mani nelle sue e prese a carezzarle come a tranquillizzarmi.
“Io… Mi dispiace… Mi dispiace essere così fredda, mi dispiace essere distante. Mi dispiace non essere più me stessa.”
Me ne stava parlando. Forse stava iniziando leggermente ad aprirsi nei miei confronti.
Se era davvero così, avrei ringraziato Dio all’infinito.
Mi bastava semplicemente provare a capire ciò che sentiva, mi bastava che mi rendesse partecipe dei suoi sentimenti.
“…Il fatto è che io per prima non mi sento più me stessa. Non sento niente, non riesco ad essere triste né arrabbiata. E il non sentire niente per adesso è l’unica cosa che mi fa stare così. Non sento più il mio corpo. Io non riesco più a rendermi conto dentro a quale razza di involucro mi trovo; mi sento chiusa in un qualcosa che non mi appartiene più.”
Ce la stava mettendo tutta per provare a farmi capire. Lo vedevo dal suo sguardo così intento a scrutarmi. Il suo sguardo che quasi quasi mi chiedeva scusa per non so cosa.
“Perché non me ne hai parlato prima?”
“Non lo so… Io.. speravo passasse ma invece sto ancora così, con l’unica differenza che le lasagne mi hanno fatta sentire un po’ più me stessa” sorrise dicendo questa frase ed io lo feci con lei.
Poggiai la mia fronte sulla sua respirando a fondo e annusando il suo odore. Quel meraviglioso odore che nemmeno in ospedale l’abbandonava.
“Ti amo e.. ti prometto che passerà..”
“Come fai a dirlo? Come…”
“Shsss… Io ne sono sicuro, perché ti amo e credo in te”.
Ed era vero, io credevo in lei e nella sua forza.
POV Kristen
Forse, e sottolineo forse, stavo un po’ meglio. A distanza di una settimana, mi ero ritrovata a sorridere alle battute di Tom e alle prese in giro del mio fidanzato.
Si direi che Clare aveva messo una pozione magica in quelle benedette lasagne che mi avevano leggermente sbloccato.
Adesso mangiavo qualcosa in più, il tutto rigorosamente cucinato dalla suocera inglese e da Rob che ogni tanto se ne usciva con un “Questa panna cotta l’ho cucinata con le mie manine!”
Adesso era come se in me ci fosse la presenza di due personalità: quella non-me che ero diventata e la vecchia e vera me che ogni tanto saliva a galla, respirava e poi tornava a soffocare.
Anche mia madre aveva ripreso la situazione in mano. Quelle sue crisi di pianto improvvise mi mandavano in bestia e non facevano che peggiorare il tutto. Adesso tentava di trattenersi, almeno davanti a me.
Mio padre chiamava almeno 3 volte al giorno e ogni telefonata dire che durava tanto era un eufemismo: parlavo con lui, con i miei fratelli e tutti avevano almeno un discorso di 10 minuti da fare.
La situazione fisica andava meglio. Riuscivo a dormire in una nuova posizione: sul fianco destro. Certo le costole incrinate rimanevano sempre là, ma non era un dolore insopportabile. Per me era solo un fastidio.
Notai infatti in questi giorni che non ero diventata insensibile soltanto alla sfera sentimentale ed emotiva ma anche a quella del dolore fisico.
Ero solo infastidita da queste sensazioni nell’organizmo ma non essendo più mio il corpo, non mi appartenevano più nemmeno i dolori.
L’unica cosa veramente positiva era che sentivo sempre più grande dentro me la necessità di passare tutto il mio tempo con Rob.
Questo mi faceva tanto sentire me. La vecchia Kristen che avrebbe passato ogni istante delle sua vita persino chiusa in un bunker senza cibo e senza acqua ma con Robert accanto.
Era l’unico con cui stavo riuscendo leggermente ad aprirmi ed era l’unico che riusciva a farmi mangiare.
Una cosa sicuramente prevedibile era la pazzia che ci sarebbe stata nel mondo dei mass media: Kristen Stewart chiusa in ospedale per una settimana con Robert Pattinson che faceva da spola tra la clinica e casa mia/nostra qui a Londra, per prendere biancheria e cose mie, ovviamente non poteva che fare scalpore! Ininterrottamente si sentivano urla di paparazzi che avrebbero venduto l’anima al diavolo per una mia foto in questo momento. Invece no: si erano accontentati di fare qualche scatto a mia madre, a Lizzy, a Tom, a Robert e si erano persino beccati un dito medio alzato con nonchalance dalla supermamma Clare.
Le più carine in assoluto erano state le mie fans: la mia stanza era completamente invasa da fiori e peluche e biglietti carini. Alcune mi avevano persino mandato un collage di foto e un dvd con dei video dove mi chiedevano come stavo e mi dicevano che mi erano accanto in questo momento.
Inevitabilmente la causa del mio soggiorno alla pensione inglese dei malati era stata svelata dalla polizia e da Ruth il giorno dopo dell’accaduto. Da quel momento la mia attività preferita era diventata googlarmi per vedere quale sito di gossip stava facendo la maggiore tragedia intorno a ciò che mi era successo.
La notte era il momento più brutto in assoluto. Fecero restare a dormire Robert soltanto le prime due notti, poi era costretto a tornare a casa già dopo cena e in quei momenti in cui ero sola avrei voluto piangere e dare sfogo di ciò che avevo dentro e ancora non conoscevo, ma non ci riuscivo. Così me ne stavo lì, rannicchiata nelle coperte con la tv accesa che parlava da sola e il telefono in mano per messaggiare con Robert fin quando lui chiudeva gli occhi, perché io non riuscivo a chiuderli più.
Dopo un’intera settimana chiusa qui dentro, quel giorno dovevo essere dimessa e finalmente tornare a dormire in un letto conosciuto e soprattutto con qualcun altro di altrettanto conosciuto accanto.
Quella mattina già alle 7 sentii bussare e dopo nemmeno aver detto “avanti” vidi la testa di Rob affacciarsi silenziosamente per vedere se ero sveglia.
Non appena vide i miei occhi spalancati, mi fece un sorriso ed entrò in stanza con due buste e un girasole in mano.
“Buongiorno…” posò tutto sul letto e si fiondò a sfiorarmi delicatamente le labbra, non andava oltre a quello da quando era successo tutto questo.
“ ‘Giorno.. Mattiniero oggi?” mi sorrise con quel sorriso caldo che faceva sempre bene anche nelle situazioni più assurde e difficili.
“Beh, signorina, non vedo l’ora di riportarla a casa,no?”
“Mi sembra anche giusto, una settimana è più che sufficiente” Annuì deciso e continuò “A questo proposito ti ho portato delle cose…”
Prese il girasole e me lo spiaccicò sul viso come fa un bambino quando è ansioso di far vedere il giocattolo nuovo.
“Lo vedo, lo vedo Rob! Non è necessario spalmarmelo sul viso e.. Grazie!”
“E.. Prego. Ma non ti illudere, l’ho solo rubato in un vaso a casa dei miei.” Disse con un tono totalmente disinvolto e io, ovviamente, come una bambina, dovevo pur stargli al gioco “Certo certo. Non sia mai che tu abbia un pensiero per me”. Fece un ghigno divertito e passò alla prima busta.
“Ok qui ci stanno sciarpa, guanti e cappelli di lana. Inizia a fare davvero freddo fuori e ha piovuto tutta la notte quindi appena usciamo li metterai”
“Si e direi anche che hanno una doppia funzione: se alzo la sciarpa fino al naso e abbasso il cappello fino agli occhi mi faranno da burqa e i paparazzi non fotograferanno me ma soltanto l’utilissimo regalo del mio fidanzato!” “Giusto! E qui ci sta la colazione…” disse prendendo la seconda busta e uscendone cornetti e un cappuccino.
“Ehm.. dovrei, fare il prelievo. Sai, non sono ancora passati e…” vedevo che già mi guardava con le sopracciglia alzate e il suo sguardo indagatore che mi filtrava il corpo.
“Davvero,eh? Devi fare ancora il prelievo… Mhm, quindi deduco che l’infermiera con cui ho parlato prima di entrare qui si sbagliasse..” ecco, non gli potevo mentire su niente. Ma come diavolo faceva?
“Sai lei mi ha detto di aver fatto un prelievo a Miss Stewart alle 6 di stamattina… sai com’è ti ha trovata sveglia!”
Sbuffai alzando gli occhi al cielo e gli porsi la mano destra sgarbatamente come a dire ‘dammi quel cazzo di cappuccino prima che me ne penta!’
Iniziai a bere sotto lo sguardo divertito del mio fidanzato; quando finì gli diedi in mano il bicchierone e sorridendo in maniera impertinente dissi “Finito!”
“Brava bambina. Un cornetto?”
Lo guardai storcendo il naso e capì subito che con il cappuccino avevo già dato per colazione.
Sistemo di nuovo tutto, liberò il letto dalle buste e si sistemò accanto a me.
“Che danno di interessante alla tv di prima mattina?”
“Un fottuto cazzo di niente.” “La smetti di essere così sboccata?” mi rimproverava ma rideva sotto i baffi, si vedeva lontano un miglio.
“Senti questa è la vera me stessa che ogni tanto viene a farmi visita e ti lamenti pure?”
“Scusa scusa… Hai ragione.”
Restammo a sorridere per un po’ in silenzio dando retta al notiziario in tv che elencava le recenti catastrofi naturali (ormai ce n’erano almeno 10 al giorno) che avevano colpito il mondo, fin quando bussarono alla porta.
Era il medico che mi aveva seguito in quei giorni e teneva in mano una cartelletta, probabilmente documenti da firmare.
“Buongiorno Kristen, giorno Robert..”
“Salve… devo ancora firmare documenti prima di uscire? Ieri sera avevate detto che erano gli ultimi…”
Il medico mi guardò con uno strano sguardo e poi fece segno di no con la testa.
“No, non sono documenti. Niente da firmare e come detto oggi ti dimettiamo. Solo.. qui ho i risultati delle analisi del sangue di stamattina, sai ho voluto analizzarle il prima possibile così te ne saresti potuta andare anche per l’ora di pranzo.”
“Grandioso! Davvero la ringrazio dottore, non so come…”
“Aspetta! C’è una cosa di cui dovrei parlarti… In privato,ecco..”
Il dottore spostò lo sguardo su Rob per farmi capire che si riferiva a lui e prontamente il mio fidanzato si alzò dicendo “Certo.. ehm, scusate. Kristen, io aspetto fuo-“
“Tu non ti muovi di qua! Dottore qualunque cosa può dirmela davanti a lui.”
“Kristen, davvero io sto fuori e poi…” “Io ti voglio qui con me! Non una parola in più. Ora dottore, mi dica.”
Il medico prese un respiro profondo e, dopo aver dato un’ultima occhiata alla cartelletta, parlò.
“Kristen, questa cosa diciamo che è possibile vederla attraverso l’esame del sangue solo dopo una settimana e, come tu sai, un giorno si e uno no ti abbiamo prelevato il sangue per un checkup completo e nell’analisi di stamattina è venuto fuori l’esame Beta HCG…beh, positivo.”
“Scusi, potrebbe semplificare la cosa. Cosa diavolo è questo Beta Hcts?”
“Si chiama Beta HCG,Rob…” dissi deglutendo.
“Si ma cos’è??” odiava non capire di cosa si parlava ma io avevo già capito.
“Ecco, Robert, Kristen… lei è…”
“Sono incinta.”
Ok....scappo prima di essere linciata....
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Capitolo 5 *** I want you now more than ever ***
Saaalvee.
Uh, si lo so che sono in ritardo di quasi un mese! Ma a mia discolpa
dico che è stato un periodo pieno di lavoro a scuola (causa
fine quadrimestre), quindi, beh cercate di capirmi *fa gli occhioni
dolci*
Beh, il capitolo l'ho sfornato, è tutto per voi e...
Godetevelo!
Ci
sentiamo giù ;)
I want you
now more than ever
POV
Kristen
Niente più umidità, niente
più nuvole, niente più freddo
insopportabile… Niente più Londra.
Erano passati 3 giorni da quando venni dimessa
dall’ospedale
e praticamente subito Rob aveva prenotato un volo per Los Angeles.
Un volo per casa.
Gli avevo detto, invano, che potevamo restare
lì ancora per
un po’. Passare del tempo con i suoi.
Far stare lui a casa sua.
Invece no.
Mi aveva
liquidata con un “Qui io e te ci staremo il meno
possibile”.
E in quei due giorni in cui rimanemmo nella città
grigia, prima di partire, non ci fermammo un solo attimo.
Fu un continuo
andare e venire da studi e cliniche mediche.
E un continuo
cambiare discorso quando non eravamo lì
dentro.
Mi
portò da ben tre ginecologi e, sfortunatamente, tutti
confermavano la mia gravidanza.
Io,
probabilmente, ero talmente scombussolata da lasciar
fare tutto a Rob. Era lui che faceva domande, che si informava, che
chiedeva
spiegazioni.
Era lui che non
si dava pace dentro di sé.
Come
ha fatto a
rimanere incinta se prendeva la pillola?
C’è
la possibilità che
non sia di quel bastardo?
Quando
si potrà fare
il test di paternità?
Era una macchinetta che mai si fermava e smetteva di chiedere.
Chiedeva,
chiedeva, chiedeva… ma nessuno dava risposte certe. Nessuno
poteva avere
risposte certe e concrete per le prossime due settimane.
E’
vero, prendevo la pillola. Ma è anche vero che quella
settimana, mentre Rob si trovava a Londra con me, dimenticavo spesso di
prenderla, rapita com’ero dal lavoro e, soprattutto, dalla ginnastica notturna.
Quindi, anche
se improbabile, era possibile rimanere
incinta.
C’era
la possibilità che non fosse di quel bastardo?
Me lo chiedevo
ogni istante. Ogni istante ci speravo. E ogni
istante pensavo e ripensavo alla notte prima del buio.
La notte prima,
che aveva visto protagonisti me e Rob di
momenti bellissimi, dolci, passionali… ultimi momenti prima
che lui partisse
per Los Angeles e ultimi momenti prima della perdita di me stessa.
Anni a fare
l’amore con la persona che ami e, il regalo più
bello che Dio dovrebbe fare a una coppia arriva con l’uomo
cattivo?
No. Mi
rifiutavo di crederci. Mi rifiutavo di abbandonarmi
all’idea di portare dentro di me il frutto
del male.
Non era
così, non poteva esserlo e non doveva esserlo.
Dal canto mio
non riuscivo mai ad esprimere la mia opinione.
Non riuscivo a parlarne con lui. E non perché non volessi,
ma semplicemente
perché lui era sempre impegnato a trovare una qualche soluzione.
Arrivati a Los
Angeles, non mi diede nemmeno il tempo di
posare i bagagli che mi parcheggiò
a
casa dei miei, perché lui doveva
necessariamente fare in modo di fissare un appuntamento con
un non so quale
medico, mentre io dovevo riposare e, a suo parere, stare dai i miei e
avere la
compagnia dei miei fratelli non poteva farmi che bene.
Ammetto che
aveva avuto ragione. Mi ero rilassata e mi ero
goduta la loro vicinanza –mi erano mancati tanto- ;
l’unico problema era stato
mia madre che, come mi aspettavo, stressava ancora di più di
quando mi trovavo
in ospedale.
“Ti
preparo un bel tè, tesoro?” era almeno la
centesima
volta che lo chiedeva in quel dannato pomeriggio.
“No,
mamma. Sto bene così. Cam a te come…”
“Kristen, devi mandare giù qualcosa!”
ancora? Ma cos’ero una bambina? Va bene
che non stavo esattamente al top del top, ma non ero malata,
non fisicamente, ero solo… incinta.
“Mamma,
la lasci in pace? Anzi, ci lasci in pace?” vidi
sbuffare mia madre, ormai spazientita, mentre si dirigeva in cucina.
“Vieni
qui, ranocchia!” mi disse mio fratello Cameron
allargando le braccia nel momento stesso in cui mi rannicchiavo sul suo
petto.
Mi era mancato
il mio fratellone. Mi era mancato poterlo
abbracciare e sentirmi protetta da lui.
“Allora…
lui come…Si, insomma.. Rob…”
“E’
fuori di sé.” Mi guardò con un punto
interrogativo
stampato in faccia.
“ Nel
senso che… è nervoso, frenetico, non si ferma un
attimo. So perché lo fa, Cam. Lo fa per non pensare. Per
darmi l’impressione
che sta bene; ma devo essere sincere: non ho idea di come si sente
davvero!
Ogni volta che provo a prendere il discorso lui mi sfugge.”
“Sai
che devi parlargli. Ma tu come stai? Intendo… per
tutto”
E io come
stavo? Non lo sapevo nemmeno io. Non riuscivo a
decifrare una vera e propria sensazione. Non capivo cosa sentivo e non
sapevo
cosa pensare. Riuscivo solo a… ed essere un po’
più me stessa.
Forse
perché mi trovavo di nuovo ad LA.
Forse
perché c’era mio fratello lì con me.
Forse per
questo… bambino.
Faceva strano
pensarlo. Era strano pensare che dentro me
stesse crescendo una creatura. Una creatura ancora invisibile ma che
fra nove
mesi sarà
tra le mie braccia. Una
creatura che… poteva davvero essere un splendido regalo per
la mia vita e per
quella di Robert.
“Cam,
voglio che sia suo.”
“Lo
so. Andrà tutto bene; tra due settimane farai questo
test e vedrai che fra nove mesi avremo un splendido baby-Pattinson e
uno
sclerato papà-Pattinson.”
E come sempre
quel matto era riuscito a farmi sorridere.
Lo abbracciai
il più forte possibile e gli soffiai un debole
“grazie” sul
collo.
Quando prima di
cena Rob mi venne a prendere i miei
insistettero un sacco per farci rimanere a mangiare lì ma,
né io né Rob,
eravamo in vena e, a dire il vero, avevo voglia di stare un
po’ da sola con
lui.
Avevo voglia di
stringerlo a me. Di sentirlo vicino.
“Pizza
o cinese?” mi chiese mentre eravamo in macchina, con
un tono di voce totalmente piatto.
“A
dire il vero ho tanta voglia di cucinare per te” ed era
vero. Volevo cucinare per lui. Volevo provare a tornare alle
normalità.
“Non
dovresti affaticarti”
“Sto
bene. E voglio cucinare. Per te!”
“Si
ma dovresti riposare”
“E tu
dovresti smetterla!”
Non so se fu il
mio tono, non so se fu perché un gatto ci
tagliò la strada, ma lui frenò di colpo.
Lo vidi
prendere un respiro profondo prima di riprendere a
guidare in silenzio fino all’arrivo a casa.
Sapevo che si stava trattenendo dallo sfogarsi. Ma io non
volevo questo. Non volevo che si tenesse tutto dentro. Avevo solo
voglia di
averlo accanto e di sapere ogni singolo pensiero che gli passava per la
testa.
Quando
aprì la porta cosa non potette fare a meno di notare
le valige che avevamo lasciato nell’atrio quello stesso
pomeriggio; fece per
prendere due di quei bagagli per salirli sopra dicendo “Vado
a disfarli…”
“Aspetta un attimo”
Non so se fece finta di non sentirmi o se semplicemente non voleva
rispondermi
ma, come se io non avessi detto nulla, continuò imperterrito
a fare le scale.
Questa
situazione mi stava distruggendo quel poco che ero
riuscita a riavere di me stessa e non ce la faceva più. Non
potevo
materialmente farcela senza di lui.
Mi resi conto
delle lacrime che inondavano il mio viso solo
quando la mia vista risultò appannata da non permettermi di
vedere il mio
fidanzato che, come se non fossi stata nessuno, mi ignorava.
Rapidamente
passai il dorso della mia mano per scacciare via
quelle goccioline di sofferenza e dopo essere andata in cucina e aver
preso un
bicchiere d’acqua per calmarmi, presi coraggio e seguii
Robert al piano
superiore.
POV
Rob
Le stavo
facendo del male.
Ero un
maledetto ragazzo del cazzo che non sapeva più cosa
diamine fare.
Ero un fottuto
fidanzato che faceva soffrire la donna che
ama.
Buttai la
valigia sul nostro letto nella maniera più
sgarbata e nervosa possibile. Aprì con così tanta
durezza la cerniera che si ruppe
alterando ancora di più il mio morale.
“Cazzo!”
“Se non ti calmi romperai anche l’altra.”
Eccola, sapevo che sarebbe salita.
Lei non avrebbe mai lasciato perdere facilmente come speravo.
Io
semplicemente non volevo riempirla di con i miei pensieri
e le mie paranoie. Ne stava già passando abbastanza e io non
avrei di certo
messo il dito nella piaga.
La guardai
negli occhi per qualche istante poi, sospirando,
misi sul letto anche l’altra valigia e inizia a disfarla.
Non potevo
continuare a trattarla così. Perché se da un lato
non le davo il peso dei miei pensieri, dall’altro la stavo
lasciando
terribilmente sola.
“Ti
fermi un secondo?” disse posando la sua mano sulla mia.
Non avevo il
coraggio di guardarla negli occhi, perché
sapevo che avrebbe
avuto lo sguardo
spento, come ogni momento da quel maledetto giorno.
Io non ce la
facevo. Era inutile. Non riuscivo a pensare
alla possibilità che quello poteva non essere mio figlio.
Morivo al
pensiero che dentro di lei esisteva qualcosa
lasciatale da quell’animale.
“Ti
prego guardami” i scongiurò con la voce di chi sta
per
scoppiare in un pianto disperato.
Non ce la
facevo.
Non ce la
facevo .
Non ce la
facevo.
“Ho
detto guardami!” prese il mio volto tra le sue mani
costringendomi a fissare il mio sguardo nel suo.
Bruciava dentro
vederla così. E faceva ancora più male che,
adesso, era anche colpa mia.
“Ti
prego di qualcosa. Qualsiasi cosa. Di qualunque cosa che
non riguardi dottori o visite. Dimmi una fottuta frase che mi faccia
sentire me
stessa!”
Tremavano le
sue mani intorno al mio viso mentre da suoi
occhi scendevano fiumi di lacrime.
“Io…
non… non lo so. Non so cosa dirti…”
Tremava.
Tremavo.
“Dimmi
che mi ami. Dimmi che ci sei e che ci sarai. Dimmi
che sei qui con me. Perché io non ti sento
più…
t-ti
prego… dimmelo.”
Ormai
singhiozzava ed io con lei.
Anche io le
afferrai il viso tra le mie mani e poggiai la
mia fronte sulla sua, respirando con affanno sul suo viso.
Io
c’ero. Ci sarei sempre stato per lei.
“..ti
amo…” era l’unica cosa che ero in grado
di dire in
quel momento.
Ed era vero. La
amavo con tutto me stesso e, in quel momento,
come mai prima d’ora.
Avevamo bisogno
l’uno dell’altro.
Necessariamente,
incessantemente,
obbligatoriamente, asfissiantemente.
Colto da
un’improvvisa frenesia trovai le sue labbra e fu
come ricevere una profonda boccata d’ossigeno in grado di sedarmi e farmi dimenticare tutto per un
pò solo per lei, per noi.
La presi per i
fianchi e la spinsi fino a farla arrivare con
le spalle al muro e lì, mentre tremava come una foglia che
aveva paura di
cadere da un albero, capii che nell’intero universo non
c’era niente che non
avrei fatto per lei e se questo significava crescere un figlio non mio,
lo
avrei fatto.
Mentre le sue
mani viaggiavano nei miei capelli disperatamente,
io alzai la sua maglia
quel tanto che bastava per affondare le mie dita nella sua carne.
La volevo.
Avevo bisogno di sentirla.
E lei, aveva
bisogno di sentire me.
Come se mi
avesse letto nel pensiero prese i lembi della mia
felpa e li alzo fino a sfilarmela, lasciandomi a torso nudo. Ci guardammo negli occhi con
il respiro corto
e notai che ancora piangeva.
“Kristen…”
“Shsss…
Basta. Vieni qui e basta.” Mi prese per il collo e
una volta incollate le sue labbra sulle mie, prese le mie mani e le
porto sulla
sua maglietta, portandomi a togliergliela.
Poi fece tutto
lei: si tolse il reggiseno e si sbottonò i
jeans.
Quando
camminando all’indietro arrivammo sul nostro letto,
Kristen non aveva praticamente più niente addosso e
armeggiava con la mia
cintura per togliermela il prima possibile.
Quando
anch’io fui libero da tutti gli indumenti spostai con
i piedi la valigia che era rimasta sul letto e, una volta tolti i
boxer, presi
posto su di lei.
Su di lei che
era tutto. Su di lei era la mia vita.
Le carezzai
lievemente il viso mentre scendevo giù lasciando
una scia di baci lungo il suo collo, lungo il suo seno, lungo il suo
ventre e
sempre più giù, baciandole ogni livido con cui
era marchiato il suo corpo, fino
a sentirla gemere quando le mie labbra sfiorarono la stoffa dei suoi
slip. Lentamente
glieli sfilai per poi tornare a contemplarla lì, nel centro
del suo piacere.
La sentivo
gemere e tremare sotto di me mentre lei stessa mi
guidava con le sue mani tra i miei capelli. Quando risalì
lungo la strada che
avevo percorso all’inizio e le sfiorai le labbra in maniera
impercettibile,
come fossero di cristallo. E senza pronunciare alcun suono mi
mimò un ti amo, nell’istante
in cui feci unire i
nostri corpi.
E fu come
tornare a casa. Sentirla mia. Volerla in quel
momento più che mai. E desiderare al massimo renderla
completa, proprio come me
in quell’istante.
Facemmo
l’amore come mai prima d’ora. Bisognosi di
appartenerci e bisognosi di esserci l’uno con
l’altra. E quando arrivammo all’apice
insieme, mi resi conto che, qualunque cosa sarebbe successa, io ci
sarei stato.
Con
lei, per lei.
Sudati e
ansanti ci abbracciammo e per una quantità infinita
di minuti restammo in silenzio, mentre io mi limitavo a sfiorarle il
viso e i
capelli.
Fu lei la prima
parlare ma solo dopo aver preso un respiro
profondo.
“Rob,
tra 15 giorni farò quel test di paternità
e…”
“…
e qualunque sia il risultato, io sarò padre di quel
bambino.” Lo dissi tutto d’un fiato e, dopo un
minuto dove il suo viso era
totalmente coperto dallo sconcertamento, la vidi pian piano aprirsi in
un
sorriso che non le vedevo da tanto tempo e la strinsi a me il
più forte che
potevo.
Amavo lei con
tutto me stesso e avrei amato quel piccolino. Adesso
dovevo solo pensare che presto, sarei stato un papà.
OK,
bene bene bene... A me il capitolo stavolta ispira più delle
altre volte anche se, come sempre, non è sta gran cosa -_-
Spero di non essere stata volgare in questa prima scena di sesso
presente nella FF e se a qualcuno ha dato fastidio o è
sembrata troppo forte (anche se non credo), chiedo scusa
già da ora.
Baci a tutti e alla prossima.
Elena*
|
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Capitolo 6 *** Fear. ***
FEar
Ok sono
terribilmente in ritardo (chiedo umilmente perdono) ma quale migliore
sorpresa
di un nuovo capitolo per Pasqua? *si paragona alla sorprese delle uova*
Ok non parlo più e ci risentiamo giù...
(Ho fatto la rima u.u)
Fear
Pov.
Robert
Una pecorella.
Due pecorelle.
Tre pecorelle.
Quattro pecorelle.
Cinque pecorelle.
Sei pecorelle.
Sette pecorelle.
Otto pecorelle.
Nove pecorelle.
Un caprone.
Dieci pecorelle.
Und-
Ma… Il caprone
fa parte della conta o è solo un conteggio
separato ma che sostanzialmente si svolge dentro quello delle pecorelle?
Mi girai spalancando gli
occhi e fissandoli al soffitto buio e sospiro. L’ennesimo da
quando mi ero coricato.
Voltai lo sguardo sulla
mia sinistra notando l’orario che
lampeggiava sul display della radiosveglia.
3:23
Sono le 3:23
dell’11 Dicembre.
Sono le 3:23 e io non
chiudo occhio da quando la mia
testolina si è lentamente poggiata su questo morbidissimo
cuscino.
Dormi.
Dormi Rob.
Robert
Douglas Thomas Pattinson dormi. Adesso!
Uno,
due, tre sonno profondo vieni a me!
Ok.
Stop.
Mi
alzai di botto, provocandomi persino un
giramento di testa, e a piedi nudi percorsi l’intero
corridoio fino ad arrivare
al corrimano delle scale che portavano giù e davano sul
salotto.
Osservai
dall’alto l’intera stanza e
improvvisamente ebbi l’illuminazione.
Avevo
trovato come trascorrere le restanti ore di
quella notte insonne.
Corsi
su in soffitta salendo i gradini a tre a tre
e, quando mi ritrovai in mezzo a quel polveroso ammasso di
cianfrusaglie, non
ci misi molto a scorgere lo scatolo con tutte le decorazioni di Natale.
Lo presi e lo caricai su una spalla. Non avevo tenuto conto di una cosa
però:
luci spente.
Come
avrei fatto a scendere tutti quegli scalini
scalzo, con uno scatolone tra le mani e per di più al buio?
Tu
scendi dalle scale, stai attento Robert peròò
potresti farti malee e il culo romperti un
pòò…
Destro
Sinistro
Scalino
Destro
Sinistro
Scalino
Non so esattamente come, ma riuscii ad arrivare in salotto sano e
salvo.
Adoravo sistemare la casa per Natale. Era uno di quei momenti in cui
l’intera
famiglia era unita.
Era
uno di quei momenti che mi faceva tornare
bambino.
Era
uno di quei momenti che mi faceva dimenticare
tutti gli altri problemi e pensieri.
Ed
era proprio questo il punto: volevo
dimenticare per qualche istante tutti i film mentali che per tutta la
notte mi
stavano torturando.
Aprii
la scatola ed iniziai ad uscire calze, luci,
candeline…
Sembrava
il paese dei balocchi quello in cui mi
stavo addentrando; un paese che avrebbe mascherato di luci e colori
tutti i
miei film mentali.
La
verità era che stavo scappando. Scappavo dalle
mie paure che la mattina dopo avrei dovuto affrontare.
Proprio
mentre stavo appendendo al camino la
prima calza, sentii una voce roca e assonnata provenire dalle scale.
“Potrei capire che cazzo stai facendo?”
“Niente,
c’è poco da fare, la finezza ti
abbandona anche di notte,eh?”
Eccola
la mia
donna. Con la mia felpa della Duff che le copre a mal’appena
ciò che le deve coprire.
Gambe
perfettamente lisce e… eccitanti al
massimo.
Capelli
all’apice del disordine e gote rosse che
le danno un’aria dolcissima che sembra farla tornare
all’infanzia.
E’
lei la donna per cui vivo.
E’
lei la donna che vorrei per sempre.
E’
lei la donna con la quale crescerei un figlio non mio.
“Poche
chiacchiere Pattinson. Te lo ripeto di nuovo:
che diavolo stai facendo alle 4 di mattina?”
“Oh,
vedo che la signorina si è degnata di usare
un linguaggio più forbito” sbuffò
sonoramente scendendo gli ultimi tre scalini.
“Non
lo ripeterò un’altra volta: cosa stai-“
“Dio, Kristen! Secondo te cosa sto facendo?”
Guardò
attentamente me e la scatola piena di
decorazioni. Poi di nuovo me. Poi di nuovo la scatola. Infine, fissando
lo
sguardo nei miei occhi e cercando di trattenere una risata, disse
“Ehm, amore,
a cosa ti servono le cose di Natale l’11 Dicembre?”
“Sembrava
così vuota la stanza..” sussurrai
pianissimo per giustificarmi.
Kristen
mi guardò con un sopracciglio talmente
arcuato che, se in quel momento non mi fossi vergognato così
tanto, avrei anche
riso.
“Rob..”
“Mhmm..”
“Robert!”
“Eh..”
“Robert
Pattinson, parla!” m’intimò in tono
perentorio.
“Ok ok ok. Non riuscivo a dormire!” ammisi
accasciandomi sul divano con aria
decisamente sconfitta.
La
sentii prendere un respiro profondo prima di
raggiungermi sul divano e sdraiarsi, poggiando la testa sulle mie gambe.
Infilzai
i suoi capelli con le mie dita e inizia
ad accarezzarglieli. Non aveva più le extension ed era
tornata al mio (suo) amato castano.
“Mhmmm…
Continua così, amore. Sento già Morfeo
che inizia a palparmi” Sorrisi impercettibilmente e la sentii
prendere l’altra
mia mano per portarsela alle labbra e baciarla teneramente.
Sapevo
cosa voleva fare. Voleva tranquillizzarmi.
Voleva farmi rilassare perché sapeva il motivo per il quale
non avevo chiuso
occhio tutta la notte.
“Kris…”
“Dimmi”
aprì gli occhi sorridendomi calorosamente.
Non
ho idea di come facesse, ma sembrava così
calma e tranquilla. Come se fosse tutto perfetto.
Come
se domani non avremmo saputo chi fosse il
padre di quel bambino.
“Domani…”
iniziai a parlare e notai
immediatamente che il suo sguardo stava diventando sempre
più storto, come a
volermi incenerire.
“..
E se..” provai a continuare…
“Niente
SE! Chiaro?” disse saltando in piedi e
puntandomi un dito contro.
“Non
lo fare, Pattinson! Non ci provare. Non dire
una sola parola!”
“Kristen,
ho paura. Ho una fottuta paura che mi
sta mangiando lo stomaco!”
“Te
lo mangio io lo stomaco a morsi se non la
smetti.” mi urlò contro.
La
guardai sconcertato. Un po’ per il tono che
aveva usato; un po’ perché ero sempre
più sconvolto dal vederla così distaccata
dalla spada di Damocle che incombeva su di noi.
“Ho
paura. Ho paura. Ho paura. Ho paura. Ho paura
e lo dico. E lo dico a te. Perché tu devi starmi a sentire.
Io. Ho. Paura.”
“Io.
No.” concluse facendo una smorfietta di
ovvietà.
“Beh,
buon per te! Ne sono felice. Ma questo non
cambia il mio stato
d’animo.” Urlai
dando un calcio al tavolino davanti al
divano.
Io
davvero stavo scoppiando. Sentivo l’ansia che
mi divorava a poco a poco, senza lasciarmi il tempo di prendere un
attimo di
respiro che mi desse calma e serenità. Non ragionavo
più, era questa la verità.
Non
ragionavo perché adesso si faceva sempre più
concreta e vicina la possibilità di non essere
papà. Un papà che è partecipe
nella vita di suo figlio sin dall’atto del concepimento.
Ecco.
Kristen
abbassò lo sguardo e dondolandosi da un
pietre all’altro mi prese le mani tra le sue e
iniziò a carezzarle con i suoi
pollici.
“Io
non ho paura. E non devi averne nemmeno tu. E
sai perché? Perché mi sono convinta di una cosa
importante. Mi son convinta che
la speranza è l’ultima a morire. Ed è
lei che ti fa andare avanti. Ti fa andare
avanti convinta di ciò che vuoi. E se quello che vuoi
è puro e lo desideri con
tutto te stesso, non devi temere. Non devi temere perché
qualcuno lassù sa chi
è nel giusto e chi no; sa cosa il nostro cuore vuole davvero
e se questa cosa
la desideri nel modo più vero possibile, allora si
realizzerà.” Aveva gli occhi
lucidi e stringeva convulsamente le mie mani, come a volermi
trasmettere anche
con il contatto tutto quello che sentiva in quell’istante.
Non l’avevo mai
vista così convinta di ciò che diceva e mai
l’avevo vista così bella e
naturale.
Lentamente
avvicinai le nostre mani intrecciate
al suo viso e, con il dorso della mia, le sfiorai gli zigomi.
Forse
aveva davvero ragione…
___________________________________________
Busta
bianca; timbro blu e rosso.
Mittente:
Cedars-Sinai Medical Center
Destinatario:
Robert Douglas Thomas Pattinson
La rigiro in mano da un quarto d’ora ormai. Un quarto
d’ora da quando siamo
tornati a casa dalla clinica. Un quarto d’ora da quando ci
siamo seduti a gambe
incrociate sul nostro letto. Un quarto d’ora che passiamo in
silenzio a
contemplare una busta sigillata.
“Forse…
Dovremmo dare una sbirciatina. Sai
com’è..”
Alzai
lo sguardo puntandolo nei suoi smeraldi
verdi. “Kris, non credo di farcela. Ti giuro, me la sto
facendo sotto. Aspet-“
“Da
qua!” disse strappandomi dalle mani la busta
maledetta.
“Che
sarà mai? Via il dente, via il dolore.” Sussurrò
più a se stessa che a me, aprendo
con mani tremanti l’involucro di carta.
Ne
uscì fuori il foglio piegato in tre e, dopo
aver preso una profonda boccata d’aria, lo spiegò
e abbassò gli occhi per
leggere.
Giuro
su quanto è vero che la amo, mai come in
quel momento l’avevo odiata.
Stava
rileggendo le stesse righe un’infinità di
volte. Sempre con la stessa espressione indecifrabile. Sempre mentre io
me la
stavo facendo nelle mutande.
Quando
alzò lo sguardo, il suo volto era una
maschera piegata dallo stupore e dalla tristezza più
assoluta. Lasciò cadere il
foglio sul letto e, dopo avermi lanciato un’ultima coltellata
di dolore con gli
occhi, piegò la sua testa sulle ginocchia e si mise le mani
tra i capelli.
No.
No.
Non
è vero.
Non
poteva davvero essere successo.
Non
era possibile.
Mi
rifiutavo di crederci.
“Kris..
Kris no.. Dimmi che non è davvero così.
Ti prego” dissi scuotendola per un braccio mentre iniziavo a
tremare dalla
testa fino ai piedi. “No. No no no..
Kristen…” le diedi un altro scossone ma
non si mosse.
Preso
da un’ondata di rabbia gettai un pugno sul
letto e afferrai in malo modo quel dannato foglio.
Dovevo
vederlo con i miei occhi. E certo, dovevo
e volevo farmi ancora più male.
Dovevo…
Cosa?
Lessi
rapidamente quelle poche righe per la
seconda volta e strabuzzai gli occhi. Mi sentii improvvisamente confuso.
“…Ma…”
provai a sussurrare qualcosa ma, non
appena notai il viso della mia fidanzata, leggermente scosto dalle sue
ginocchia, impegnata a trattenersi dal ridere, spalancai occhi e bocca
all’inverosimile.
Non
so per quanto restai in trance a cercare di
capire se fosse tutto vero. Ricordo solo che presi coscienza di stare
davvero
per diventare papà solo quando Kristen mi si gettò di sopra,
ridendo e piangendo
contemporaneamente. Sorrisi
come mai
prima d’ora quando iniziò a baciarmi in ogni
angolo del mio viso e mi sentii in
pace con me stesso.
Mi
sentii tranquillo e sereno.
“Sei
una fottuta attrice di merda! Sei una
fottuta attrice di merda, hai capito? Ti odio”
“Io
ti amo da impazzire! Ti amo ti amo ti amo ti
amo ti amo”
“Ti
amo anche io” mormorai impossessandomi delle
sue labbra ormai coperte dalle mie e dalle sue lacrime di gioia.
La
amavo con tutto me stesso e amavo da morire il
nostro bambino.
Awwwwwwwwwwww
*_____*
Ma
quanto sono belli,eh?
Ok Sondaggio: Chi di voi credeva che il bambino non fosse di Robert?
Ah volevo precisare che il Cedars-Sinai Medical
Center è una
clinica dove le Star partoriscono. E dove un giorno Kristen
partorirà sul
serio U_U
(tranquille è tutta la cioccolata di oggi che mi fa
sparlare).
Ehm, ancora tanti Auguri per questa Pasqua che sta per giungere al
termine
e.... divertitevi domani e mangiate più che potete U_U
Addio.
Elena*
|
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Capitolo 7 *** You'll be fine ***
You'll
be fine
Pov
Kristen
"Scacco
matto! Alla faccia
tua." esultai dopo aver messo fine a quell'estenuante partita di
scacchi
che mi stava facendo mandare in pappa il cervello con cervelletto e
annessi
vari.
"Ti
piacerebbe! Guarda qua, sorella, posso
ancora muovere il re. Destra... sinistra..." disse mentre spostava quel
povero Re a cui ormai stava facendo venire la nausea.
"Ehi,
fratello, ti ricordo che ormai io
sono specialista di scacchi e contro-scacchi."
"Ah
si? Cos'è, tu e Rob ve la passate a
fare partite tutti i giorni tutto il giorno, anche se non state in
luna di miele?"
Non
poteva averla detta davvero. Non poteva aver detto
quella squallidissima battuta, per di più in mia presenza
senza curarsi dei
miei ormoni. Eh già, i miei ormoni impazziti che
gliel’avrebbero fatta pagare.
“Ritira
subito quello che hai detto!” lo minacciai con gli
occhi che ormai sprizzavano fuoco. Come poteva mettersi contro una
donna
incinta?
Come poteva mettersi contro Kristen
Stewart incinta??
“
E se io non lo facessi?” disse con quel suo sorrisetto da
perfetto idiota stampato in viso.
Mi
tolsi la ciabatta e giuro su quant’è vero che
avevo fame
che avrei sul serio fatto molto molto male
a mio fratello ma, (s)fortuna volle che un fracasso terribile
proveniente dalla
cucina attirasse completamente i miei pensieri. Come se quello fosse
stato un
campanello d’allarme, mi alzai e a piedi scalzi raggiunsi il
prima possibile la
mia cucina, o quello che ormai ne
restava.
Quando
entrai la prima cosa che notai fu la mia batteria di
pentole a terra e un fidanzato che tentava di raccogliere
ciò che poteva mentre
si lamentava massaggiandosi un punto preciso sulla testa.
Inutile
dire che la cosa di cui mi preoccupai maggiormente
furono le mie pentole.
“La mia padella antiaderente!”
Rob
alzò lo sguardo e mi studiò trattenendo il
respiro:
dovevo sembrare seriamente una bestia inferocità!
“Cosa.. cosa ci fai in cucina?” chiese con la voce
che tremava: aveva paura.
Aveva paura di me e non nascondo che la cosa mi faceva sentire potente.
“ No, la domanda è: cosa ci fai tu
nella mia cucina?”
spifferai a denti
stretti, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
“
Volevo preparare la cena e… Oh mio dio, perché
sei a piedi
scalzi? Fa fredda, siamo a dicembre e poi ci sono i microbi. Potresti
prendere
delle malattia..” senza fermarsi per prendere il respiro e
continuando
ruzzolare una miriade di possibili catastrofi che potevano colpirmi per
quei 4
passi a piedi nudi, mi portò in braccio fino in salotto dove
trovai mio
fratello Cam ad accogliermi con una coperta, che mi mise addosso non
appena il
mio dolce sederino toccò il divano.
Ormai
era una settimana che andava avanti così. Mio fratello
arrivava a casa nostra di prima mattina e non mi mollava nemmeno un
secondo.
Perché giustamente non bastava Robert, no. Avevo decisamente
bisogno di un fratello
iperprotettivo che mi faceva sentire una perfetta malata.
Mi
prendeva in braccio per farmi spostare da un punto ad un
altro, mi portava in bagno, mi chiedeva ogni istante come mi sentivo o
se avevo
bisogno di qualcosa.
Adesso
prendete tutto questo, moltiplicatelo per due,
considerata che lo faceva anche di notte e aggiungete
l’iperprotettività innata
del mio fidanzato. Potevo mai essere tranquilla io? Inutile dire che il
mio
cervello fosse sul punto di andare a farsi fottere.
“Punto
n. 1 se non l’hai notato oggi è il 1 Dicembre e a
Los
Angeles non fa per
niente freddo, quindi
escluderei tutte le tue ipotesi cataclismatiche; punto n.2 quella
è la mia
cucina e gradirei un po’ di attenzione.” Lo
guardavo fisso negli occhi in
cagnesco per farmi ascoltare meglio ed essere più
convincente ma, ovviamente,
non ci riuscì visto che lui partì di nuovo
all’attacco.
“Punto n.1, amore, scusa
se mi
preoccupo, anzi ci
preoccupiamo per la tua salute;” disse alzando le
sopracciglia con fare di superiorità, “ e punto
n.2 quella è anche la mia
cucina, dato che l’ho comprata io con
i miei soldi, come tutto quello che
c’è in questa fottuta casa, e quindi sono libero
di usarla quando e come
voglio.”
Ciò
che disse mi fece restare di sasso. Mi stava
rinfacciando qualcosa? Me lo stava davvero rinfacciando?
Fu una cosa che mi fece male e, data la mia precaria
stabilità ormonale, non
riuscii a trattenere le lacrime.
“B..
bene.. visto che questa è la tua
casa e quella è la tua
cucina, io levo le tende.” Mi alzai senza pensare veramente a
quello che stavo
per fare ma in un batter d’occhio, senza quasi rendermene
conto, mi ritrovai
con le mie converse ai piedi, una borsa con l’essenziale a
tracolla e uno
sguardo appannato dalle lacrime.
“Portami a casa Cam.” ero ferma e decisa e nessuno
mi avrebbe smosso dalle mie
intenzioni.
Robert
e mio fratello mi guardavano a bocca aperta come se
fossi io la pazza della situazione. Ma davvero non si rendevano conto
che il
mio livello di sopportazione era arrivato al limite??
Cameron
prese un respiro profondo e poi, dopo aver preso
chiavi e cellulare, alzando la mano destra a mò di saluto,
disse in maniera
perplessa: “Io vado. Direi che mi aspettano a casa per cena
e…” rivolse uno
sguardo comprensivo a Rob, come se fosse lui quello da capire e
compatire.
“..Beh.. buona fortuna, cognato.”
E
prima che potessi aggiungere qualsiasi altra cosa mi
ritrovai sola con quello screanzato.
Non potevo credere che mio fratello, sangue del mio sangue, lo stesso
che si preoccupava per ogni mia
minima cosa, non avesse esaudito la mia unica ed umile richiesta:
portarmi via
da lì.
Quasi
sconsolata e arresa buttai la mia borsa a terra e il
rumore che essa provocò fece sbattere le palpebre a Rob,
come se finalmente
fosse tornato tra di noi.
Sì,
si era svegliato ma continuava a non proferire parola.
Continuava a non respirare e
continuava ad ignorare me e le mie fottute lacrime di nervosismo che
scendevano
copiose come se niente fosse.
Devo
dire che il tutto mi irritava e non poco; così ripresi
la mia borsa, le chiavi della mia mini e, quando aprii la porta di casa
sentii
due braccia prendermi di peso per la vita per farmi accozzare contro un
massiccio petto, che spesso – sempre –
popolava i miei sogni erotici.
Iniziai
a dimenarmi tra la sue braccia fin quando mi fece
voltare e i miei occhi fecero un terribile, e assolutamente perfetto,
incidente
con i suoi. Boccheggiai e annaspando riuscii a dire un flebile
“fammi andare”.
Fece
segno di no con la testa e, ponendo entrambe le sue
mani ai lati del mio viso, mi penetrò ancora di
più – se fosse possibile -
con il blu dei suoi occhi. Era sempre così.
Ogni volta. Perché riuscivo a diventare persino sua schiava
sotto la potenza di
quelle pozze infinite?
“
Tu non vai da nessuna parte” sussurrò con la voce
più
triste che mai. “mi… mi dispiace per prima. Non
volevo dire quelle cose.”
“Se
le hai dette vuol dire che devi pensarle almeno un
po’…”
dissi abbassando i miei occhi.
“No!
Ti giuro che non è così! Ti giuro che non lo
penso. Io…
non so perché le ho dette. Ma tu ti lamenti ad ogni mio
gesto. Ad ogni mia preoccupazione.
Io… ho solo paura per te… per voi”
“…
per noi…” sguardo basso.
“non sai nemmeno se è tuo.” Sguardo bassissimo.
Sguardo
basso ma alta paura.
“Cosa…
cosa dici? No! No Kristen. Dimmi che non è quello che
penso. Dimmi che non hai davvero pau-“
“Senti
non lo so! Non lo so. Non so niente. Sono
nervosissima e non ci capisco più una mazza!”
sbottai passandomi una mano tra i
capelli, riuscendomi
a schiodare da
quella posizione.
Mi
sedetti sul divano iniziando a mangiarmi le unghie fin
quando anche lui si mise accanto a me e in silenzio strinse la mia mano
tra la
sua.
So cosa significava. So che voleva dire con quel gesto.
Lui
c’era.
Lui
ci sarebbe stato.
E
io lo sapevo. Sapevo che non mi avrebbe abbandonata. Ma se
sarei stata io ad abbandonare lui e persino me stessa? Se la paura mi
avrebbe
mangiata viva che avrei fatto? Se sarei stata io quella a non riuscire
a
crescere un bambino – mi faceva schifo già
pensarlo – non suo?
“Voglio
che sia tuo. Deve
essere tuo.” Ormai era superfluo trattenere le lacrime
davanti a lui.
“Lo
sarà. Lo è. Lo è e ti dico anche il
perché. Perché io
voglio una figlio da te dal primo momento che ti ho vista; voglio
essere il
padre dei tuoi figli dalla prima volta che ho incontrato quegli occhi
schifosamente verdi e belli; voglio un bambino tutto nostro da sempre. E se qualcuno lassù
esiste
davvero non ci farebbe mai questo torto. Non dopo quello che
è successo. Non
dopo quello che hai sopportato. Un bambino deve essere frutto di amore
e non
di…” il suo viso deformato da una smorfia di
dolore e ribrezzo “..di violenza e
orrore.”
Aveva
ragione. Un figlio era un frutto che sbocciava tra i
fiori di un amore vero. Dovevo semplicemente avere tanta fede. E sperare. Sperare con
tutto il cuore.
“Adesso
tu devi anche capire che sei incinta di 2 settimane.
E questo significa che tutto è ancora molto a rischio e devi
stare attenta ad
ogni minimo movimento e… io e tuo fratello vogliamo solo
proteggerti!” cambiò
prontamente discorso, lo scaltro.
Sbuffai
sonoramente quando sentii il suo naso sfiorarmi il
braccio. Si, lui voleva proteggermi ma la mia sanità mentale
chi la proteggeva?
“Si ma siete ossessivi. Tra un po’ mi aiutate anche
a respirare! Sul serio,
dovete calmarmi perché non ne posso più. State
esagerando. Soprattutto tu!”
conclusi puntandogli il dito contro.
Mi
guardò con uno sguardo buffo per poi scoppiare a ridere
prendendo la mia mano accusatrice e portandola alle sue labbra per
baciarla
dolcemente. “proverò a limitarmi ok?”
Annuii
come una bambina ma non mi bastò. “ e dirai a mio
fratello di non farsi più vedere?” chiesi
speranzosa. Insomma, era anche
un’invasione della privacy. Non ero nemmeno libera di
slinguazzarmi il mio uomo
che mi sentivo due occhi puntati addosso.
“Ma
voglio bene a Cam. E’ il mio cognato preferito”
mise il
finto broncio da cane bastonato.
“No,
mi dispiace. Gli concedo una visita un giorno sì e uno
no. E una volta a settimana, se proprio vuole, può cenare
con noi.” Dissi
pacatamente e con sguardo serio. Serio ma non abbastanza per Rob, che
scoppiò a
ridere annuendo.
“Ok.
D’accordo. Adesso, se ci siamo calmati, dovremmo
mangiare qualcosa. Sai, sono le 21.30. Com’è che
non hai fame?”
Storsi
il musetto “non ho detto di non averne. Mhmmm ok, mi
metto ai fornelli.”
Mi
alzai ma mi sentii afferrare la mano. “Ti aiuto?”
Lo sapevo.
“Roob…”
“Ti
prego. Ti prego ti prego ti prego. Ehi te lo chiedo solo
perché infondo voglio imparare a cucinare” disse
cercando di discolparsi dalla
sua improvvisa voglia di rovistare in cucina.
Beh
infondo che male poteva fare cucinare insieme al proprio
fidanzato?
“Alza quelle chiappe da lì, scemo!”
sorrise e prendendomi per i fianchi mi
guidò in quella che era e sarebbe sempre stata la mia cucina.
Come
sempre ogni giorno vola quando si ha paura di arrivare
ad uno in particolare. E quel giorno di cui avevo paura era arrivato e
bruciava
come il sole di Los Angeles alle 8 di mattina. Senza aprire gli occhi
respirai
profondamente girandomi su un fianco, sperando che Robert capisse che
fossi
sveglia. E ovviamente fu così. Non tardò ad
arrivare il suo braccio pronto a
stringermi da dietro né tanto meno la sua barba mattiniera a
sfregare sul mio
viso.
“
‘Giorno” mormorò lasciandomi un bacio
sulla guancia.
“Ciao.”
Non avevo voglia di alzarmi. Non avevo voglia di
mettere fine a quell’abbraccio. Non avevo voglia di andare in
clinica.
Sì,
perché proprio quel giorno avremmo fatto il test. Quel
test tanto agognato. Entrambi avremmo fatto il prelievo ed entro
qualche giorno
avremmo saputo come stavano le cose. Sì, tutto molto bello e
finalmente chiaro
ma… se non sarebbe andata come speravamo?
Sentii
il suo braccio stringermi ancora di più a sé e
grazie
a questo riuscii ad allentare le paranoie e a sorridere quando lo
sentii
sbadigliare sonoramente.
“
Se magari la sera non staresti fino a tardi a giocare a
nomi-cognomi-cose e città, la mattina non saresti
così stanco.” Puntualizzai.
“Ehi
ehi ehi. Non iniziamo! Mica giocavo da solo.” Disse
facendomi girare e mettendosi su di me.
“Ok
è vero non giocavi da solo ma come vedi io non sto
morendo dal sonno come te!”
“Touchè.”
Risi
e dopo avergli gettato le braccia al collo gli diedi il
mio buongiorno personale, come ogni mattina. Feci scontrare le nostre
labbra
prepotentemente, sperando anche di svegliarlo un po’ di
più, in un bacio che ci
avrebbe dato forza e coraggio per la giornata che andavamo ad
affrontare.
Sentii la sua lingua sfiorarmi il palato e prepotentemente infilai le
mie dita
tra i suoi capelli per avvicinarlo ancora di più a me.
Come
sperai il mio Rob si svegliò per bene e non fu
l’unico
a sentire il richiamo della giungla,
visto che sentivo sempre più qualcosa che
s’ingrossava e premeva sfacciatamente
sulla mia coscia.
“Mhmmm…mi
sa – bacio
– che – bacio
– adesso – bacio
- sei - bacio
– fin troppo – bacio
– svegl… mhmmm”
Non
potevo
farcela. Non poteva farcela.
Non
potevamo
farcela.
Feci
scivolare le mie mani fino al suo -mio-
fondoschiena, mentre la sua lingua riprendeva la sua esplorazione. Ma
proprio quando le mie esili dita stavano
trapassando l’elastico del suo pantalone della tuta, mi
sentii afferrare i
polsi e rapidamente portarli sopra la mia testa. Quando aprii gli occhi
me lo
ritrovai davanti con uno sguardo tra il divertito e il frustrato.
“Andiamo Stew, non farmi impazzire proprio
stamattina”
“Cos’ha questa mattina di differente dalle
altre?”
“So cosa vuoi fare, signorina”
“Ah
si?”
“Si.” Rispose carezzandomi
le labbra
con la punta del suo naso.
“
e… e cosa vorrei fare,scusa?” respiro stronzo che
mi
hai abbandonato, me la pagherai.
“Tu…”
iniziò con voce roca e suadente “… vuoi
far finta di
niente!” concluse con tono fermo e squillante, alzandosi e
guardandomi con
sguardo accusatorio.
Ok.
Aveva colto il punto.
Non
era meglio un po’ di sano sesso invece di un prelievo di
sangue? Non volevo farlo. Non ne avevo la minima voglia. E non per
paura
dell’esito che da lì a qualche giorno avrei avuto,
cosa che influiva ma alla
quale ci avrei pensato dopo che un ago mi avrebbe infilzato la vena.
Ecco,
avevo paura degli aghi! E nessuno di questi avrebbe osato penetrarmi la
pelle.
L’unica cosa che aveva il permesso di penetrare me stessa
stamattina era
rimasta al suo posto, chiusa nella sua gabbia.
Niente
prelievo. Niente sangue.
Niente
aghi.
Non
lo volevo fare. Non lo volevo fare. Non lo volevo fare.
“Stewart?”
Ecco. Appunto.
L’infermiera
chiamò il mio nome esattamente mentre Rob si
stava facendo dissanguare nella
stanza accanto. Non avrei fatto nessun prelievo senza lui che mi
stringeva
l’altra mano. Assolutamente no.
“Scusi,
ehm… potrebbe aspettare un minuto? Giusto il tempo
che…”
“Ehi..” tempismo
perfetto.
Mi
voltai e lo vidi spuntare
dalla porta a destra mentre si teneva un pezzettino di
cotone stretto lì
dove gli avevano prelevato il sangue.
“Entri
con me? Ti prego.”
“Certo!”
e senza chiedere altro mi accompagnò per mano in
quella stanza; quella stanza che, adesso me ne stavo davvero rendendo
conto,
avrebbe stabilito la verità e avrebbe, inevitabilmente,
deciso in un modo o in
un altro la famiglia che saremmo stati.
Strinsi
ancora più forte la mano di Robert mentre sentivo
l’ago infilarsi nella mia vena e lui, di tutta risposta, si
avvicinò per
baciarmi una guancia e sussurrarmi
“Va
tutto bene. Andrà tutto
bene”
Okaay.
Che si dice bella gente? Tutto bene? *prova a fare finta di niente e a
dimenticare il suo ritardo a postare*
Ehm ehm,
si scusate! Sono in tremendo e oltraggioso ritardo maaa... Beh adesso
avete letto il capitolo e...
che ne
pensate??
Spero vi sia piaciuto e , come vedete le paure di Kristen ( non parlo
degli aghi) piano piano salgono a galla anche se lei, da donna forte
quale è, cerca sempre di nasconderli.
L'esame
del DNA alla quale si sono sottoposti è un esame del DNA
prenatale non invasivo. E che significa?
In sintesi il test si basa sul rilevare, con particolari analisi,
frammenti fetali del DNA nel sangue materno.
Ok.
Adesso me ne vado che dovrei finire di ripetere filosofia.
A presto... spero.
Elena*
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Capitolo 8 *** Mrs Pattinson? ***
Buonaseraa!
Ma non sono stata bravissima ad aggiornare così
presto? Ovviamente vi chiederete il perchè... Beh domani
mattina volerò a Praga
fino a venerdì sera e non mi andava di farvi aspettare
così tanto quiindii..
Eccovi il capitolo.
Mrs
Pattinson?
POV
Kristen
Non
pensavo fosse così difficile. Sul serio. Era
una cosa di tutte le ingravidate avere la nausea a poco più
di un mese di
gravidanza o ero io la sfigata di turno?
Decisamente
ero proprio io ad essere sfigata.
Avevo passato
il Natale con la testa china sul bellissimo water di casa mia con la
mano di
Robert in fronte, sempre pronta a sorreggermi, mentre le nostre
famiglie erano
a tavola con Sienna e Tom, esaltati per la notizia del test positivo al
DNA, a
mangiare quello che Robert aveva
cucinato.
Già.
Perché
adesso era lui il cuoco di casa. Dopo
anni passati a pregarlo di fare anche solo un sandwich adesso lui mi
cucinava
divinamente (o quasi). Doveva essere una sorta di dote naturale della
famiglia
Pattinson. E sicuramente starmi sempre accanto mentre cucinavo qualcosa
doveva
pur dare i suoi giusti frutti.
Beh
era l’uomo perfetto. Lo era sul serio.
Ma non me ne facevo niente dell’uomo perfetto che cucina
quando io mi sentivo
sempre lo stomaco sottosopra e in subbuglio.
Volevo
davvero capire cosa ci fosse di normale
in un fidanzato che imparava a cucinare solo quando tu ti sentivi il
vomito che
incombeva incessantemente dal primo istante in cui aprivi gli occhi la
mattina
fino all'ultimo subito prima di chiuderli la sera. Era
diventata una specie di fobia la mia. Avevo
paura a mandare giù la qualsiasi perché tanto,
dopo cinque minuti, l’avrei
rispedita fuori dal mio piccolo e gracile corpo. Ma lui non demordeva.
Lui
che mi preparava la mousse al cioccolato.
Lui
che mi portava a letto cappuccino e
croissant.
Lui
che si sforzava di cucinare le lasagne come
sua madre e...
e
io che ... che rimettevo la cena di Capodanno
sul suo Walter, nel clu dei
preliminari-da-prima-notte-dall'anno.
Era
stata una serata perfetta. Decisamente la più bella da non
so quanto tempo. Cenetta
a lume di candela nella veranda di casa nostra; tutto a base di pesce,
come io
amo; tutto cucinato da lui; io che non sentivo un minimo fastidio al
mio
delicato pancino… Noi che dopo la mezzanotte ci trasferivamo
sul nostro letto;
lui che mi spogliava così lievemente, quasi fossi una
bambola di porcellana; io
che mi avvicinavo sempre più al centro del suo piacere; lui
che solo con lo
sfiorarmi mi mandava l’eccitazione alle stelle….
Io che sboccavo sul suo
gioiello più importante proprio mentre stavo per
fargli…
Dio
solo sa quanto mi sentii in colpa quel momento.
“Amore
sul serio, non è successo niente!” disse mentre si
ripuliva e io piangevo
seduta a terra in un angolo del bagno.
“Smettila
di piangere. Non vorrai mica passare tutta la notte lì in
quell’angolo a
disperarti per una cavolata che sarebbe potuta succedere a
tutti.”
“Beh
tu
non hai mai vomitato sulla mia… Iolanda!”
sbottai col viso inondato di lacrime.
Lo
sentii
sospirare e venire
incontro a me. Alzai gli
occhi e lo vidi bello come mai prima d’ora. Nudo, con solo un
asciugamano
intorno ai fianchi e i capelli scompigliati.
Dannati
ormoni
che un minuto prima mi fate rovinare tutto e quello dopo mi fate
sentire una
cagna in calore.
“Okay,
è vero. A me non è mai successo ma… Io
non sono di certo incinta del nostro
splendido bambino!” esclamò asciugandomi le
lacrime con un po’ di carta igienica
e rivolgendomi un sorriso pieno di dolcezza e comprensione.
“Come
fai a dire che
è splendido? Non abbiamo
ancora fatto la prima ecografia” tirai sù col naso.
“Credevo
avessimo deciso di andarla a
fare nell’anno nuovo”
“Si
ma.. Insomma, chi può dirci che in
questo mesetto lui sia stato bene qui dentro? E se tutto questo
vomitare fosse
un campanello d’allarme per indicarci che lui non sta
bene?” Mi guardò con un’espressione
stranita come a voler dire ma che cazzo
dice?
“Ok.
Tu hai sonno. Sei stanca perché stai
iniziando a sparare deliberatamente cazzate. E’ meglio che ti
porti a letto
prima che la situazione degeneri” disse prendendomi in
braccio.
“Non
è una cazzata. E’ semplicemente
una cosa che mi gira in testa da un po’. Come possiamo essere
certi che qui
dentro vada tutto bene” mi sfiorai la pancia
impercettibilmente mentre Robert
mi poggiava sul nostro letto.
“Okay.
Mhmmm facciamo che lo chiediamo
direttamente a lui” si mise su di me e dopo avermi lasciato
una scia di baci
lungo tutto il busto, partendo dal mio collo, si soffermò
sul mio ventre e lo
carezzò delicatamente.
“Allora campione, qui c’è qualcuno
davvero preoccupato per te. Diciamo che la
tua mamma si fa prendere dall’ansia, mica io! Il tuo papone
è forte come
Superman!” ridacchiai al sentire quelle parole!
“Shss
stai disturbando un dialogo
padre-figlio”
“Oh,
scusatemi” sussurrai
“Torniamo
a noi. Io sono sicuro che tu
stia bene ma… Beh la signorina che ti terrà al
caldo per i prossimi 8 mesi si
sta facendo delle seghe mental-“
“Che
termini!”
“senti da che pulpito” mi rispose alzando lo
sguardo. Sbuffai gettando la testa
sul cuscino lasciandolo continuare in quel suo strano discorso.
“Piccolino,
potresti confermare al tuo
papà che sei in ottima forma?”
Scherzava o
attendeva sul serio una
risposta?
“Sì papà, sto benissimo. Salutami la
mamma” disse a un certo punto con una voce
totalmente infantile.
Scoppiai a
ridere così forte che
dovetti trattenermi la pancia per gli spasmi che mi provocavano le
risa.
Robert si stese
accanto a me con un
sorriso stampato sulle labbra e mi prese la mano mentre io cercavo di
contenere
le risate. Ecco i miei ormoni erano più che pazzi e a tutto
questo contribuiva
anche lui che mi mandava in tilt anche senza essere incinta.
Come poteva
riuscire a farmi sorridere
anche nei momenti in cui l’ansia prendeva il sopravvento e
iniziavo a sentirmi
un piccolo essere indifeso nelle mani di nessuno?
“Sei
bella quando ridi”
“Questa
frase…”
“..Preferisco dirtela nel nostro letto e non in un letto
d’ospedale” sorrisi
voltandomi verso di lui e scontrandomi con il blu fottutamente
magnetico dei suoi occhi.
Quanto amavo
quello sguardo? Due pozze
profonde che mi mandavano in pappa il cervello.
Avvicinai i
nostri visi lentamente fin
quando i nostri nasi si sfiorarono “Sai, la nausea mi
è decisamente passata”
mormorai sulle sue labbra. Sorrise leggermente e dopo avergli preso tra
le mani
il volto salii a cavalcioni su di lui e gli sciolsi il nodo
dell’asciugamano
rendendolo di nuovo nudo sotto di me. Era bello. Bello da morire. Mi
abbassai
sul suo petto e quando sentii il suo cuore battere così
forte sotto il mio
seno, mi resi conto di quanto fossi fortunata ad avere un uomo talmente
innamorato di me.
“Sai…”
iniziò infilando le sue dita
dentro i miei slip “credo che potremmo saltare ogni tipo di
preliminare”
concluse sfilandomeli completamente e gettandoli a terra.
“Anch’io
credo che potremmo evitare
quell’inutile perdita di tempo” gli catturai la
bocca con le mie labbra
iniziando a far vagare le mie mani tra i suoi capelli. Senza porre fine
al
nostro bacio, mi sentii afferrare per i fianchi e farmi girare
sottosopra fino
a trovarmi il mio Dio greco su di me e con ogni punto
strategico a contatto col mio. Inarcai la schiena al massimo
facendo accozzare i nostri bacini come a volere un contatto
più profondo. Il contatto
più profondo per eccellenza.
Lo sentii gemere
quando, con il viso
incastrato nel mio collo, affondò in me e mi fece tremare
dal piacere.
Si muoveva
dolcemente e con le mani mi
teneva talmente stretta a sé come a volermi implorare di non
scappare via. Ma come
avrei potuto farlo?
Assecondai i
suoi movimenti muovendo
il mio bacino verso lui nella maniera più sensuale e
vogliosa possibile. Poi,
quando sentii che stavo per arrivare al mio punto di non ritorno dal
piacere,
gli afferrai i capelli con forza e portai la sua testa tra i miei seni
mentre i
miei denti affondavano nella carne della sua spalla sinistra. Lui
dovette
capire perché sentii le sue dita raggiungermi lì
dove stavo per scoppiare. Iniziò
a massaggiarmi sempre più forte mentre continuava a dare
spinte. Ero davvero al
limite quando con un urlo venni e sentii il suo piacere inondarmi.
“Sai…”
affanno che incombi vai via “Chi
fa sesso il primo dell’anno fa
sesso tutto l’anno” ridacchiò
impercettibilmente mentre si mette a pancia in
giù e mi osservava con gli occhi socchiusi.
“Prima
o poi scriverò una canzone su
quanto sei bella nuda…”
“ Sei
serio?” mi voltai per guardarlo
meglio negli occhi.
“Assolutamente si. Insomma sei perfetta! E meriti di essere
celebrata in una
canzone… scritta a me.”
“Tu mi
celebri in ogni tua canzone.”
“E’ vero ma non la tua nudità.
Quindi…”
“Quindi…
scordatelo!”
“Oh
andiamo. Mica faccio il tuo nome!
Tantomeno la canterei io. Cioè, in privato la canterei io ma
magari… Potrei
darla a Marcus e…”
“Rob!
Robert, toglitelo dalla testa!”
dissi ridendo per il suo entusiasmo.
“Ma
sei così bella…” disse
appiccicandosi a me “..e liscia”
continuò sfiorandomi “..e dolce “mi
baciò un
capezzolo “…e profumata” mi
annusò il collo.
“Amore,
io eviterei di continuare…”
“Io
invece propongo proprio di
andare avanti” sorrise mettendomi su di
me, pronto per il secondo round.
______________________________________
“Smettila
di mangiarti le unghie!”
Era almeno la
terza volta che me lo
ripeteva e sinceramente non avevo voglia di ascoltarlo. Ero agitata. E
quando
ero agitata mangiavo le unghie.
Fine del
discorso.
Era
più di un’ora che aspettavamo qui,
seduti nella sala d’aspetto e ancora nessuno ci aveva
chiamati. Era ovvio
essere agitati. Era ovvio visto che si aspettava di fare la prima
ecografia per
vedere il proprio figlio.
Ripresi a
mangiucchiarmi le unghie ma
non riuscii ad arrivare nemmeno al secondo che qualcuno, il mio qualcuno, mi prese la mano e la
strinse nelle sue in una morsa più che forte.
Gli rivolsi lo
sguardo più feroce che
ero capace di fare e nello stesso istante un’infermiera fece
capolino.
“La
signora Pattinson?”
La signora
Pattinson?
Pattinson
Attinson…
Me lo sentivo
ancora in testa l’eco di
quell’espressione.
Robert mi diede
una piccola spinta
con la quale mi
risvegliai e
immediatamente il mio sguardo saettò su di lui. Lui che
aveva prenotato l’appuntamento.
Lui che lo aveva prenotato a nome…
“C’è la signora Kristen Jaymes
Pattinson?”
Ecco appunto.
“Si,
siamo noi!” rispose lui facendomi
alzare a forza e guidandomi dentro lo studio
dell’ecografista.
Appena la
dottoressa ci vide spalancò
occhi e bocca contemporaneamente. Perfetto. Io già ero nel
mio mondo dopo il “Signora
Pattinson” e
se ci si metteva anche questa…
“Ehm… Non sapevo voi foste sposati”
“Non
lo siamo” balbettai
impercettibilmente.
“Oh.
Avevo visto un Kristen Jaymes
Pattinson tra gli appuntamenti ma non credevo…”
sembrava in un trance
irrimediabilmente grave.
“Salve,
io sono il padre del bambino”
disse Robert porgendole la mano e risvegliandola dai suoi pensieri.
“Ahm..
Il mio ginecologo mi ha indicato lei come ecografista…
scusi?” richiamai
l’attenzione di quella donna che continuava a stringere la
mano del mio fidanzato, sorridendo
come un’ebete.
“Ah si
certo. Io sono la dottoressa Bayle.
E’ un piacere conoscervi. Ehm… Kristen puoi
accomodarti sul lettino”
Annuii
iniziandomi a distendere e a
sbottonarmi i jeans. Immediatamente Robert mi venne accanto e mi
sorrise
calorosamente. Un sorriso al quale io non ricambiai.
“Poi
io e te dobbiamo parlare”
sussurrai in modo che sentisse solo lui.
Alzò
gli occhi al cielo mentre un
sorrisetto si faceva spazio sul suo viso.
“No!
Non ridere. Cos’era quel Signora
Pattinson,eh?” sussurrai
altrettanto piano come prima.
“Shsss.
Vedi di non agitarti adesso…”
mi rispose baciandomi lievemente il naso.
“Allora,
pronti per vedere il vostro
fagiolino?”
Restai zitta e
immobile aspettando di
vederlo sul serio su quel monitor. Non feci in tempo a pensarlo
che… eccolo.
Eccolo. Era vero.
Esisteva
davvero. Ed era piccolissimo.
Sorrisi con gli
occhi lucidi, mentre
cercavo la mano di Rob senza spostare il mio sguardo dal monitor.
Quando le
nostre dita si incontrarono, sentii le sue tremare esattamente come le
mie. Improvvisamente
la stanza venne inondata da un rumorino completamente nuovo. Un rumore
continuo
e veloce. Un battito.
Ormai ero
andata. Le lacrime mi
solcavano il viso e me ne accorsi solo quando Robert mi prese il viso e
mi
baciò in ogni suo angolo. Non una parola. Non un commento.
Eravamo
così noi. Ci bastava solo
esserci l’uno per l’altro. Nei momenti brutti come
in quelli belli e,
finalmente, questo era uno di quei momenti talmente meravigliosi che
mai nella
nostra vita avremmo dimenticato.
Ok! Allora... Scusate se
c'è qualche errore, ho riletto il capitolo diverse volte ma
sono stanchetta (febbre e partenza imminente) e qualcosa mi
sarà sfuggita.
Che dire, poteva sicuramente venirmi meglio maa... Boh per stavolta
è così.
Vi auguro una felice settimana.
Mi mancherete davvero tutte ç__ç
Un grosso abbraccio a Giulia e Leti (che mi mancheranno di
più di tutte)
A presto*
Elena*
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Capitolo 9 *** I was not there. ***
Eeeee saalve! Ok
si sono in ritardo ma a mia
discolpa dico che non è esattamente un periodo
roseo… Mhmmm comunque ecco qui
il capitolo e..
Anything else…
[thanks to Leti & Giu]
I was not there
Pov Kristen
Non pensavo di
poterci ricadere
dentro. Non pensavo di trascinare giù con me persino lui.
Forse la
verità è che da quel burrone
non ci ero mai uscita. Forse la vera me non era ancora salita a galla.
E se il bambino
da un lato riusciva a
darmi sollievo e felicità, dall’altro pensavo solo
che avrei potuto perderlo.
Che con quel terremoto che mi aveva squartato in due anche lui sarebbe
andato a
finire in un burrone.
Mi bastava
alzarmi la mattina e
guardarmi allo specchio per notare ancora su di me i segni di quella
violenza.
I segni del male che mai mi avrebbero lasciata.
Un livido, un
graffio, una cicatrice.
Cicatrici
profonde che avevano il
potere di far riempire i miei occhi come vasche trasbordanti
d’acqua. E mi
bastava sfiorarle e chiudere gli occhi per rivivere quei momenti
orrendi.
Per risentire le
mie urla
Per risentire le mie preghiere
ti prego fammi morire adesso ma metti
fine a questo incubo
Per ripensare al
mio ventre
martoriato
Per ripete i
miei sussurri nei momenti
più brutti
Ti amo, Rob, ti amo
“Anch’io
ti amo” sentii dire alle mie
spalle mentre due mani calde sfregavano sulle mie braccia per darmi un
po’ di
sollievo dai brividi di terrore che stavo rivivendo.
Aprii gli occhi
e immediatamente delle
goccioline scesero copiose sulla mia guancia. Rob bi baciò
la spalla e mi
strinse a sé ma… Non volevo
quell’abbraccio. Non volevo i suoi baci.
Non volevo
essere consolata.
Volevo solo
dimenticare.
Mi liberai dalle
sue braccia e m’incamminai
verso la camera da letto. Non so perché ma quella mattina mi
sentivo ancora a
Londra, in quel vicolo, pesta e piena di sangue.
Sentivo dolore,
rabbia, frustrazione,
tristezza, umiliazione. Sentivo solitudine.
“Non
hai fatto colazione stamattina”
mi seguì come previsto
“Non mi andava”
“Allora a pranzo cucino qualcosa in più”
“Sul serio tranquillo. Non ho molta fame” dissi
mentre mi infilavo di nuovo
sotto le coperte.
“Mi
spieghi perché stamattina stai
messa così?” mi accarezzava i capelli nel suo
solito modo dolce che funzionava
da calmante.
Ma non quella
volta. Non quella
mattina dove mi sentivo totalmente colpita e affondata dai ricordi.
“Non
è niente. Ti dispiace chiudere le
persiane?”
“Si mi dispiace. Onestamente mi dispiace”
“Ti
prego Rob. Non farmi fare
discussioni”
“E’
proprio quello che voglio.
Discutere. Parlare. Vederti parlare. Perché non lo fai
più. Mi sembra di essere
tornato a quando eri in clinica.”
“Ok, va bene. Adesso lasciami dormire”
“No!
Non ti lascio dormire!” urlò
terribilmente forte, prendendomi per i polsi e strattonandomi.
Quella mossa.
Quello stringermi i
polsi per farmi sentire incatenata.
“Lasciami!”
urlai prontamente
scappando via da lui assottigliandomi sulla parete di fronte al letto.
Iniziai a
piangere silenziosamente
tenendo salde le mie mani sul mio ventre rigonfio di ormai 3 mesi.
“Scusa..
Io.. Io non..”
“Non toccarmi mai più” sussurrai
volgendo il
mio sguardo al pavimento.
“Kristen”
iniziò alzandosi dal letto e
avvicinandosi sempre di più “ti prego dimmi che
succede. Per favore sfogati!
Qualsiasi cosa ti passi per la mente dimmela! Qualsiasi”
Ormai i
singhiozzi mi stavano
squarciando il petto come
una voragine e
facevo fatica a fare un respiro completo.
“
I-io… La verità.. è che…
che ero
sola. Dove.. Dov’eri tu?” sputai fuori quasi con
cattiveria.
“Avevi
detto che.. che mi avresti
sempre protetta. Che non… che non mi sarebbe mai successo
niente. Ma dov’eri?
Dove,eh?”
Ed era vero. Lo
avevo pensato in
questi mesi. Sapevo che era un pensiero stupido da bambina. Ma era vero. Lo pensavo e
finalmente glielo avevo
detto.
Glielo avevo
detto e lo avevo
distrutto.
E adesso era
lì di fronte a me con il
viso ricoperto da una maschera di dolore misto a sorpresa.
Gli avevo fatto
male e ne ero
consapevole. Ma il male che stava provando lui era solo la decima parte
di ciò
che tormentava me.
“Io… non so che dire”
“Scusa…”
sussurrai
“Nono.. Ti avevo chiesto di dirmi quello che pensavi e.. e lo
hai fatto. Sono
io a dover ringraziare te” fece un respiro profondo e senza
rivolgermi uno
sguardo uscì dalla camera.
E fu in quel
momento che probabilmente
mi sentii ancora più sola di quando quel mostro aveva
approfittato di me.
Pov Robert
E’
vero. Fa male sentirsi dire la
verità.
Anche se era una
cosa che avevi sempre
saputo; anche se è una cosa per avresti già
voluto punirti dall’inizio.
Fa male.
Quella mattina
ci avevo messo solo
un’ora per preparare un borsone e lasciare casa. Si, me ne
ero andato e, a dire
il vero, non riuscivo nemmeno a capirne fino a in fondo il motivo.
Ero risalito in
camera da letto e
l’avevo trovata seduta sul pavimento, con spalle al muro e
viso piegato sulle
ginocchia e, sinceramente, non avevo avuto il coraggio di dire nemmeno
una
parola.
Stavo
sbagliando. Stavo facendo
l’ennesimo errore ma non mi importava.
Sapevo solo che
dovevo
autodistruggermi sempre di più nel peggiore dei modi.
Tornando a Londra.
Tornando
lì dove l’incubo era
iniziato; tornando a rivivere quei momenti che lei riviveva ogni
istante da
quel maledetto giorno.
Cercai una pensione in periferia e senza dire niente alla mia famiglia
o ai
miei amici – o a Kristen – e restai lì
per 5 giorni.
5 fottuti giorni
dove pensai solo a
bere e a non degnare il cellulare di un solo sguardo.
Lo sentivo
squillare, a volte
ininterrottamente, ma non me ne preoccupavo.
In cuor mio
sapevo di sbagliare ancora
una volta ma non rivolsi il pensiero nemmeno a mio figlio. Non riuscii
a
rendermi conto che, in fondo, l’avevo lasciata sola anche
stavolta.
Quando, dopo
fiumi di alcol e un
numero indefinito di sigarette fumate, mi svegliai a terra col viso
spiaccicato
ad una moquette di uno strano giallo piscio, mi resi conto che
incarnavo in
pieno il classico barbone londinese che cincischiava sui marciapiedi di
ogni
strada.
Raccolsi quel
briciolo di forza che mi
restava e dopo essermi trascinato con fatica in bagno per una doccia
gelata,
presi il telefono in mano e notai la bellezza di 523 chiamate e 215 sms.
Rimasi una buona
mezzora e controllare
il tutto e, come era prevedibile nemmeno una chiamata o un sms
appartenevano a
Kristen.
Mia madre, mio padre, Tom, le mie sorelle, Cameron… persino
John – e non nego
che a leggero il suo nome mi misi un po’ di paura in corpo-
Lei no.
Lei non mi aveva cercato.
Devo dire che
non era mai successo
prima. Da quando stavamo insieme non avevamo mai passato più
di 6/7 ora senza
sentirci.
Stavolta era
successo. Ed era durato
per 5 cazzutissimi giorni!
5 giorni senza
di lei.
5 giorni senza
sapere come stava.
5 giorni senza
avere notizie di nessun
genere e senza dare notizie.
5 giorni dove me
n’ero andato.
5 giorni dove
l’avevo lasciata sola.
Preso
da un’improvvisa rabbia che cresceva sempre più in
petto, tirai un pugno
massacrante alla finestra.
Sangue.
Rosso.
Bruciore.
Dolore.
Ed
era esattamente tutto quello che aveva sentito lei in quella
pozzanghera di
disperazione che l’aveva avvolta in quegli istanti terribili.
Già,
lei aveva sentito questo e un’altra lista interminabile di
sensazioni che mai e
poi avrei desiderato provasse.
Ma
era successo. Era successo ed io non ero là per lei.
Non
ero lì pronto a proteggerla, come le avevo promesso.
Non
ero lì a sostenerla quando si era svegliata in ospedale.
Non
c’ero.
Ma
questo non significava che non ci sarei stato in futuro. E me
l’ero promesso! Avevo
promesso a me stesso di non abbandonare mai più
né lei né il nostro bambino.
E invece?
Invece ero stato il solito cazzone senza cervello!
Notai
il sangue colare dalla mia mano giù sul pavimento sotto
forma di goccioline
rosse e dense.
E in quelle goccioline rividi le lacrime che scorrevano sul viso di
Kristen
qualche giorno prima.
Quasi
come contagiato dal ricordo della sua disperazione, iniziai a piangere
come un
bambino quando si perde e non trova la via di casa.
Solo
che io non mi ero perso.
Io
me n’ero andato via da casa.
Sentivo
la mano bruciare sempre più così andai in bagno
per sciacquarmi e trovai un po’
di sollievo con l’acqua fresca. Proprio mentre cercavo del
cotone per tamponare
la ferita, sentii il mio cellulare squillare e senza neanche pensarci
un
secondo mi precipitai nell’altra camera per rispondere.
“Pronto”
“Stronzo!”
Lizzy.
“… Lizzy.. Io..”
“No. Non parlare. Non ti voglio nemmeno sentir fiatare.
Voglio solo che muovi
il culo e vieni a Londra. Me ne fotto di dove sei perché
anche se ti trovi
Timbùctu, tu adesso prendi un cazzo di aereo e vieni qui
dalla tua donna che si
trova di nuovo in quel cazzo di letto bianco!”
“.. Che diavolo…”
“Kristen è in ospedale! E se quella fottuta
macchina l’ha investita è solo
colpa tua!”
e di nuovo, come allora, mi sentii morire e l’unica cosa di
cui ero consapevole
era: io non c’ero.
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Capitolo 10 *** He was not there. ***
Gente,
vi chiedo immensamente scusa per il ritardo e... Vi lascio subito al
capitolo!
He was not there.
POV Kristen
"Kristen!"
"Ciao Claire. Posso entrare?"
La madre di Robert mi guardò con uno sguardo carico di
sorpresa ma, non appena fissò i suoi occhi nei miei,
capì subito che qualcosa non stava andando per il verso
giusto.
Quando Rob se n'era andato, ci avevo messo 3 giorni per capire che
dovevo andarmelo a riprendere. 3 giorni per capire che, con le mie
parole, gli avevo servito sul piatto d'argento un'uscita dalla nostra
casa e dalla nostra vita.
"Come mai a Londra, tesoro? e Rob? Ormai vi aspettavamo per Pasqua!"
Rob? Robert non era lì?
"Io.. son venuta per parlare con Rob. Lui davvero non è
qui?"
"No. Direi proprio che lui non è qui"
Lui non era lì. Non era a Londra. O forse sì. Ma
di sicuro non è a casa dei suoi.
stavo ancora assimilando la notizie quando sentii dei passi provenire
dalle scale. Non feci in tempo a voltarmi che un uragano mi
saltò addosso per abbracciarmi.
"Kristen! Oddio mi sei mancata in questi mesi! Come sta il mio nipotino
preferito,eh? E il mio fratellone?"
"Ehm... Io... non so dov'è. Credevo di tovarlo qui ma..."
"Come non sai dov'è?" chiese Lizzie alzando di qualche
ottava il tono di voce.
Feci segno di no con la testa abbassando lo sguardo che pian piano si
stava riempiendo di lacrime.
Lui non era qui e questa consapevolezza mi fece sentire la persona
più sola e sfigata sulla faccia della terra. Io non chiedevo
tanto. Volevo solo stare bene e avere un pò di
serenità con le persone che amavo. Volevo dimenticare quei
momenti terribili che adesso stavano rovinando la mia vita.
"Piccola, ma cosa è successo?"
"Io... Io l'ho praticamente cacciato di casa! E' questa la
verità. Sono stata una stupida! Una stupida! Ho inizio a
parlare a vanvera a sfogarmi su di lui. A dire che era tutta colpa sua
quello che era successo perchè lui non era
lì con me a proteggermi e... lui se n'è andato.
Son tre giorni che non lo sento. E non so dov'è. Speravo di
trovarlo qui e invece..." non riuscii più a proferire una
sola parola presa com'ero dai singhiozzi. Avevo bisogno di vederlo, di
sentirlo. Di sapere che stesse bene. E anche il mio bambino aveva
tremendamente bisogno del suo papà!
"Ho così tanta... tanta paura che gli sia successa qualcosa!"
"Ma no! No no! Non dire sciocchezze... Vedrai adesso lo chiamiamo e
risolviamo tutto"
Claire prese il telefono e compose con le mani tremanti il numero del
figlio. Si era preoccupara anche lei adesso. Aveva come un velo di
tristezza e panico su tutto il viso. Lizzie invece si era limitata a
starmi accanto e a tenermi la mano senza dire una sola parola.
A quella chiamata Rob non rispose e nemmeno a tutte le altre che
provarono a fare quel giorno e le mattina dopo.
Passai la notte a casa Pattinson e nonostante le forti insistenze di
Lizzie e Victoria per farmi dormire con loro, preferii riposare per
qualche ora nella camera del mio uomo. Mi era sempre piaciuto quel
letto. Era morbido, rilassante... E ci avevamo passato davvero un sacco
di tempo lì sopra. Avevamo riso lì sopra; avevamo
pianto, litgato, ci eravamo amati. Ma lo avevamo fatto sempre insieme.
Queste volta invece c'ero solo io a piangere e ad accanirmi con un
cuscino prendendolo a pugni.
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"Oh Buongiorno!"
Eccolo lì, il mio secondo papà. Mi bastava solo
una sua parola ed era come se riprendessi a sorridere automaticamente.
Il padre di Robert era una delle migliori persone esistenti sul pianeta
terra. Riusciva a coccolarti e a considerarti davvero come una figlia,
anche se in passato sei stata causa di tanta sofferenza per il figlio.
Mi precipitai tra le sue braccia, mentre il resto della famiglia era
intenta a fare colazione, e mi sentii protetta dal mondo intero.
"Quando ieri sera son tornato eri già in camera a dormire e
così ho preferito aspettare stamattina per salutarti"
"Non ho chiuso occhio per l'intera notte. Un pò di compagnia
mi avrebbe fatto bene" dissi con voce spenta dandogli un bacio sulla
guancia e sedendomi per fare colazione insieme agli altri.
"Sul serio non hai dormito per niente?" chiese con voce preoccupata
Victoria.
"Beh davvero vuoi farmi credere che non si nota dalle borse sotto gli
occhi?"
Sorrise leggermente prima di passarmi il telefono in mano.
"Abbiamo pensato che forse sarebbe meglio se chiamassi tu..."
"Io... davvero non me la sento. Lui è arrabbiato con me. Mi
starà odiando come mai prima d'ora."
"Mio figlio non ti odierebbe per nessun motivo al mondo! Tu sei la
persona più importante della sua vita e fidati se te lo
dico! Sei tu quella per cui ha mollato casa e famiglia per correre a
Los Angles. Sei tu quella per cui ha combattuto per più di
un anno prima di averti. Sei tu quella che lo ha salvato dall'alcool e
dalla strada che stava prendendo. Sei tu quella con cui sta costruendo
una famiglia. So che adesso ti sembrerà che la stia
distruggendo ma non è così. Lui... Ha solo avuto
un momento difficile ed è scappato. Prababilmente
avrà avuto paura e con questo non intendo giustificarlo!
Dico solo che... devo tranquillizzarti perchè
tornerà tutto apposto. Devi fidarti di me..."
Guardai Claire negli occhi e annuii impercettibilmente al suo discorso.
Era strano fare colazione a casa Pattinson senza avere Robert
accanto. Non era mai successo prima. Ma per loro non cambiava niente:
con o senza di lui accanto, mi consideravano sempre la salvatrice del
loro piccolo di casa,
la ragazzina che a 18 anni è antrata a casa loro
con una felpa di pail lunga fino alle ginocchia e con la mano
stretta stretta in quella di loro figlio. Sin da subito ero stata per
loro la quarta figlia da coccolare e viziare in tutti i modi; la
ragazza californiana che, a detta di Richard, "Aveva portato il sole in
casa". Sarei sempre stata loro grata per tutto il bene che mi volevano.
"Che ne dici se magari stamattina andiamo a fare shopping per il
bambino? Dai, magari ti rilassi un pò e..."
"Lizzie, a dire il vero avrei voglia di fare due passi da sola. Scusa
ma davvero ne ho bisogno..."
"Oh nono. Tranquilla.. Vai." Rispose sorridendo.
"Ok. Allora vado a prendere il cappotto. Ci vediamo dopo" sorrisi
impercettibilmente prima di uscire dalla cucina.
Fare due passi non era stata davvero una felice idea. Quelle strade,
quelle macchine, quelle nuvole... Ogni vicolo mi ricordava quegli
attimi di terrore e il fatto che io mi aggirassi in quelle zone ancora
una volta da sola, non metteva tranquilla neanche me. La
verità è che avrei voluto avere Robert accanto a
me. Pronto a stringermi la mano e farmi dimenticare quell'incubo che
m'inseguiva.
A volte può bastare un piccolo errore, un distrazione, una
differenza di qualche secondo. Era statao così. Se fossi
uscita di casa poco prima forse quel maniaco non sarebbe mai arrivato a
me.
E se adesso avessi guardato il semaforo anzichè
preoccuparmi delle lacrime che continuavano a scendere dai miei occhi,
forse non quel taxy non mi sarebbe finito addosso e forse il mio
bambino non avrebbe rischiato la vita.
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POV Robert
Fu come tornare indietro nel tempo. Un assurdo flashback che si faceva
spazio dentro me spaccandomi in due per il dolore.
Stesso ospedale.
Stessa persona lì ad aspettarmi.
Incubo diverso.
Un diverso che non aveva niente di nuovo.
Corsi a perdifiato fino alla clinica e poi sù per le scale.
Ironia della sorte volle che all'accettazione ci fosse proprio la
stessa infermiera che qualche mese fa mi aveva fatto passare in reparto
capendo il mio stato d'animo.
Mi trafisse con un'occhiata carica di tristezza e compassione e senza
che io proferissi parola mi indicò un medico poco lontano.
Lo raggiunsi e gli spuntai alle spalle proprio mentre si dedicava ad
un'attenta lettura di una cartella medica.
"Mi scusi... Salve io sono..."
"So perfettamente chi è lei!" esclamò con un tono
duro capace di far paura a chiunque.
"Vorrei sapere..."
"Sta bene. Tutti e due. Il bambino sta bene. E' stata un'ottima mamma:
l'ha saputo proteggere per bene. E' questo che voleva sapere?"
"Sì.. Io... Mi scusi perchè mi parla
così?
"Non parlo in nessun modo. Adesso ho da fare. Devo continuare il giro.
La stanza è l'ultima del corridoio. Ah e... Non si aspetti
una grande accoglienza."
Restai lì fermo quasi sconcertato dal tono e dalle parole
che quel medico aveva usato. Forse mi era soffermato davvero troppo su
quello per tralasciare la cosa più importante: il mio
bambino era salvo.
Con quella nuova consapevolezza camminai respirando profondamente fino
ad arrivare alla porta giusta. era socchiusa e sentivo le voci delle
mie sorelle e dei miei genitori mentre chiacchieravano tranquillamente,
forse per sdrammatizzare un pò la situazione.
Bussai lievemente e immediatamente il chiacchiericciò cesso
di esistere e tutti si voltarono nella mia direzione. Venni perforato
da otto occhi pungenti che trasmettevano odio come non mai. Ma non
erano quelli gli sguardi che mi interessavano. L'unico che davvero
contava per me non mi calcolava nemmeno di striscio.
Fissava fuori dalla finestra mentre vidi scendere due lacrime lungo il
suo viso e immediatamente mi sentii più verme di quanto lo
fossi sul serio.
"Posso entrare?" chiusi in un sussurro.
Come risposta ricevetti un sonore sbuffo da Lizzie che si
alzò per uscire "Se entri tu, io esco. Non ci sto nella
stessa stanza con te" sentenziò con tono brusco e scontroso.
Victoria la seguì a ruota, così come i miei
genitori. Nessun proferì parola a differenza di mia madre
che mi sfiorò il viso e sussurrò un "Non farlo
mai più".
Uscirono tutti e chiusero la porta alle mie spalle sulla quale io mi
appoggiai. Non avevo il coraggio di fare un solo passo.
Era lì davanti a me. Era distrutta e cosa ancora peggiora la
vedevo tremendamente sola e abbandonata a se stessa.
"Non mordo. Puoi anche sederti qui" disse a voce bassissima indicando
la sedia accanto al letto.
Presi un respiro profondo e a passi lenti mi avvicinai.
Stare di nuovo accanto a lei era quasi come riprendere a
respirare. Un respiro necessario per vivere ma che
contemporaneamente mi stava bruciando dentro.
"Ho... Incontrato il dottore fuori e..."
"Lui sta bene. Ho solo una gamba rotta, se sapere come sto io
t'interessa ancora"
"Kristen..."
"No, sta zitto. Non dire una parola." mi supplicò con quei
suoi occhi color smeraldo.
"Senti, io ti amo. Dico davvero. Non so cosa mi sia preso. Io..."
"Mi hai lasciata sola di nuovo"
"Lo so" ammisi abbassando gli occhi.
Era tremendamente vero: l'avevo lasciata sola. E per di più
non avevo scuse.
"Che hai fatto alla mano?" disse dopo un pò interrompendo il
silenzio.
"Ho preso a pugni una finestra" dissi sorridendo tristemente.
"Fà vedere"
Mi prese la mano e la sfioro lentamente quasi come se avesse al posto
delle dita delle piume.
"Ci vogliono dei punti. Sarà meglio che chiami un medico e
ti faccia dare un'occhiata..." disse spostandosi sulla sinistra per
suonare il campanello e chiamare un infermiere.
"No. Sta ferma. Non fare sforzi!" mi affrettai a dire velocemente
prendendola per le spalle per farla tornare ad una posizione di riposo.
Toccarla mi permise di sentire una scossa elettrica lungo tutta la
colonna vertebrale. Mi permise di sentirmi vivo.
Occhi negli occhi. Respiri che si confondono.
Ancora una volta noi.
Sentii delle dita familiari infilzarsi tra i miei capelli e
accarezzarli con movimenti fluidi e dolci. Istintivamente chiusi gli
occhi per godermi il momento di pura beatitudine.
"Ti prego non lasciarmi più sola" sussurrò con la
voce spezzata dal pianto.
Le carezzai il viso e feci segno di no con la testa, incapace di
aggiungere altro.
"... Questo bimbo sente la mancanza del suo papà quindi..."
"Anche voi mi siete mancati!" la strinsi sul mio petto respirando il
suo profumo che la abbandonava nemmeno in ospedale.
"Mi dispiace mi dispiace mi dispiace" cantilenai sul suo collo,
riempiendoglielo di baci.
"Mi è sembrato di stare in apnea in tutti questi giorni.
Senza di te non respiro. Mi manca l'aria. Mi manca la terra da sotto i
piedi"
"Ti giuro che non andrò mai più via. Te lo
prometto!" la rassicurai.
E immediatamente mi resi conto che mai e poi avrei potuto farle di
nuovo del male.
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