Just... complicated

di lievebrezza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassettesimo (modificato) ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitreesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattresimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinquesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisettesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventottesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinovesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo trentesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo trenunesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentaduesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatreesimo ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattresimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinquesimo (parte prima) ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentacinquesimo (parte seconda) ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Non so nemmeno io da dove m'è venuta fuori. Datemi un parere, ditemi se vale la pena di andare avanti oppure no. Edit: dato che la non paternità dell'idea mi è stata fatta notare, faccio una precisazione. Oggi su ITASA, un forum che frequento abitualmente, è stato pubblicato un gif set su teacher!Blaine; da lì, mi si è piazzata in testa questa storia, che ho sentito la necessità di scrivere. So che non è la prima e non sarà l'ultima su questo argomento, ma intanto volevo dare una mia personalissima interpretazione dell'idea. So che è un AU, so che è OOC, so che la cosa è in dissonanza con la mia scheda d'autrice. La verità è che è la scheda a essere in dissonanza con me, solo che sono troppo pigra per andare a modificarla per dire che adesso mi piacciono anche le AU e le OOC (se non esagerate).

 

Capitolo primo

 

Il colpo di fulmine è un errore che non si è avuto il coraggio

o la possibilità di riconoscere al momento di commetterlo.

Charles Baudelaire

 

Chi mai amò che non abbia amato al primo sguardo?

Christopher Marlowe

 

 

Blaine si guardò allo specchio del mobile d’ingresso, aggiustandosi la cravatta con un sospiro insoddisfatto; stava per tornare di nuovo in camera per cambiarsi, quando l’orologio lo avvertì che un ulteriore cambio d’abito l’avrebbe fatto sicuramente tardare. Con un altro sospiro, questa volta solo appena esasperato, afferrò la borsa da terra e uscì dal suo minuscolo appartamento: tutto sommato, non era importante come era vestito o se il colore della cravatta era abbinato a quello dei calzini. O comunque, non era importante tanto quanto l’essere puntuali.

Tardare proprio il suo primo giorno di scuola sarebbe stato inammissibile: saltò in auto e guidò versò il McKinley, godendosi divertito la brezza di settembre che entrava dal finestrino abbassato.

Un nuovo inizio era davvero quello che ci voleva. Un piccolo assaggio di libertà e di autonomia, non chiedeva davvero altro, dopo tutto quel tempo passato a studiare; forse in quel liceo non l’avrebbero apprezzato quanto in realtà meritava, ma era comunque un inizio.

Sceso dall’auto, si guardò intorno: tutto era come se l’era immaginato. Era diverso dalla Dalton, dove gli studenti camminavano ordinatamente lungo i corridoi che dalle stanze portavano direttamente alle aule delle lezioni: qui una folla di studenti strisciava tra le auto, ragazzi si rincorrevano gridando e altri si abbracciavano dopo un’intera estate trascorsa separati. Perfino i colori erano diversi: alla Dalton era tutto uniformemente rosso e blu, mentre qui ciascuno poteva vestirsi come preferiva.

Blaine pensò che quella era la prima volta in assoluto che si recava a scuola senza indossare un’uniforme: si controllò di nuovo l’abbigliamento nello specchietto dell’auto, riavviandosi un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. I suoi capelli, quelli sì, che non cambiavano mai. Ma perché continuava a preoccuparsi di come era vestito? A nessuno sarebbe importato un accidente dei suoi pantaloni, o della sua camicia.

Fece un respiro profondo d’incoraggiamento, strinse la tracolla della sua borsa e chiuse la portiera dell’auto, poi si tuffò nella variopinta massa di studenti che stava lentamente confluendo verso il portone principale.

Nell’atrio, si guardò confusamente intorno, senza ricordarsi dove era la segreteria. C’era stato appena una settimana prima, eppure aveva già rimosso ogni informazione utile a ritrovarla.

“Mmm…” mormorò piano, mentre fingeva di leggere dei fogli appesi alla bacheca e si sforzava di ricordare.

Non poteva certo chiedere a uno dei ragazzi che gli stavano passando accanto; già era nuovo, passare anche per quello nuovo e tonto non era certo la migliore delle idee. Guardò di sfuggita verso destra, poi vide la segretaria che si faceva strada tra gli studenti; si lasciò sfuggire un gemito di felicità e le corse dietro, raggiungendola poi nella stanza antistante l’ufficio di Figgings.

“Anderson! Mi ha fatto prendere un colpo prendendomi alle spalle. Eravate abituati a comportarvi così alla Dalton, con le vostre povere segretarie?” disse lei, togliendosi il soprabito e accendendo il computer sulla scrivania.

“Mi dispiace, mi sono fatto prendere dall’entusiasmo. Ha pronto tutto? Dovrei essere in classe tra…” guardò l’orologio da polso che suo padre gli aveva regalato qualche mese prima. “Beh… cinque minuti fa.”

Lei ridacchiò, ricordandogli che il primo giorno di scuola tutti se la prendevano comoda, quindi anche lui poteva sentirsi libero di fare lo stesso, nessuno l’avrebbe giudicato male per qualche minuto di ritardo. Gli allungò un paio di libri e un plico di carte, poi gli augurò buona fortuna.

“Ne avrà bisogno. Questo inferno non è di certo la Dalton.”

Lui deglutì e le regalò un sorriso stiracchiato, poi uscì dalla stanza; il corridoio era ormai vuoto e a parte qualche studente in ritardo come lui, non c’era nessuno. Camminò lentamente, cercando di allontanare il più possibile il momento di entrare in aula, facendo correre distrattamente le dita sugli armadietti e leggendo alcuni volantini appesi in giro. Un ultimo sguardo alla teca dei trofei, poi si strinse al petto il suo piccolo carico.

Era il momento di entrare. Sarebbe andato tutto bene.

Quando aprì la porta, l’interno era l’inferno: tre ragazze stavano fumando con la testa fuori dalla finestra, un ragazzo era sdraiato a terra tenuto fermo da altri due seduti su di lui, palline di carta imbevute di saliva sfrecciavano nell’aria e diversi studenti stavano gridando, nello sforzo di farsi sentire in tutto quel chiasso. Blaine si chiuse la porta alle spalle, facendola sbattere sonoramente: tutti rimasero fermi nelle loro posizioni per un paio di secondi, giusto il tempo di studiare il nuovo arrivato, poi ripresero a fare esattamente quello che stavano facendo.

Quello che non si aspettavano era che Blaine camminasse fino alla cattedra, invece di sedersi a uno dei pochi banchi rimasti liberi. Così come non si aspettavano la sua reazione quando continuarono a fare chiasso nonostante si fosse schiarito la voce con un paio di colpetti di tosse: prese tra le dita un gesso nuovo di zecca e lo fece passare sulla lavagna, attraversandola da parte a parte. Il suono era talmente fastidioso che per coprirsi le orecchie a una delle ragazze la sigaretta cadde sui jeans.

Non aggiunse altro, se non uno smagliante sorriso: quando tutti furono seduti, si voltò e scrisse il suo nome sulla stessa lavagna che qualche minuto prima aveva usato come strumento di tortura.

“Blaine Anderson” lesse ad alta voce, per poi rivolgersi alla classe “Ovviamente, potete chiamarmi signor Anderson. Per quest’anno sarò il vostro professore di Letteratura Inglese e Americana avanzata. La mia segreta speranza è che abbiate tutti scelto questo corso mossi dalla passione per la materia, ma so bene che non è così. So che qualcuno è qui perché pensa che sia più semplice questo corso rispetto a Calcolo o Chimica, ma questo, purtroppo per voi, non è affatto vero.”

La classe rispose con un mormorìo quasi funebre.

“Chi non è intenzionato a prendere seriamente questo corso ha una settimana di tempo per cambiare atteggiamento o trasferirsi verso lidi più lieti. Ora… facciamo l’appello? Poi passiamo alle cose divertenti.”

Qualcuno sprofondò la faccia sul banco, alcuni bisbigliarono che forse era meglio spostarsi a Spagnolo.

Mentre ripeteva i nomi sull’elenco che gli aveva dato la segretaria, Blaine si sforzava di collegare i nomi ai volti degli studenti che rispondevano: “Hudson?”.

Un ragazzone alzò la mano dall’ultimo banco: la sua aria spaesata non prometteva niente di buono, ma Blaine si ricordò di non dare peso alle apparenze, quindi gli rivolse un sorriso sincero e andò avanti con l’elenco.

“Hummel?” Nessuno in particolare rispose, ma la classe intera iniziò a ridacchiare.

“Kurt. Kurt Hummel?” Ripeté di nuovo con aria scocciata, senza ricevere nessun cenno. Lo stesso ragazzo che aveva appena risposto alzò la mano, sbracciandosi per farsi notare: come se fosse necessario, con quella stazza.

“Sì, Hudson?” chiese sollevando un sopracciglio.

“Ehm… Kurt è mio fratello, siamo arrivati insieme a scuola, ma non so perché non c’è.” Rispose l’altro con aria confusa, come se non sapesse cosa dire una volta interpellato.

“Tuo fratello? Hudson e Hummel sono due cognomi diversi… hai voglia di prendere in giro qualcuno?”

L’altro annuì vigorosamente.

“Siamo fratellastri, professore.”

“Bene. Risolto il mistero della parentela, possiamo concludere con certezza che il signor Hummel ha trovato qualcosa di più interessante da fare del presentarsi a lezione.” Segnò una breve nota di demerito sul suo registro, poi continuò con l’appello, senza dare la possibilità a Finn di aggiungere altro.

Blaine ci aveva ragionato a lungo, circa l’atteggiamento da adottare come professore: aveva poco più di vent’anni, sarebbe stato facile optare per un rapporto amichevole con i suoi studenti. Fantasticava già di pacche sulle spalle e tranci di pizza mangiati insieme ai ragazzi sui gradini della scuola, ma poi si era ravveduto: i ragazzi l’avrebbero mangiato vivo, se gli avesse dato troppa confidenza. Era troppo giovane per potersi permettere quel tipo di rapporto, così aveva optato per una linea dura.

Disse ai ragazzi di prendere la loro copia di Dubliners, poi si alzò e iniziò a spiegare, camminando tra i banchi per controllare che tutti ascoltassero o prendessero appunti senza distrarsi. Requisì un paio di cellulari e un divertente biglietto con una sua caricatura: nel disegno sputava fuoco dal naso.

Incredibilmente, quando finì la lezione, gli studenti uscirono ordinatamente dalla stanza, prendendo ciascuno una copia del compito della settimana che Blaine aveva impilato sulla sua cattedra. Blaine stava appuntandosi alcune cose sull’agenda e stava cercando di ricordarsi dov’era il bagno dei professori. L’ultimo della fila era Finn, che rimase in piedi davanti a lui, stropicciando il foglio tra le mani con aria nervosa.

“Professor Anderson?” disse attirando la sua attenzione. Blaine alzò lo sguardo dall’agenda e rimase in attesa che Finn parlasse.

“Per favore, non metta la nota a Kurt. Ci dev’essere un motivo serio per cui non si è presentato… sono sicuro che c’è una spiegazione. Non è da lui saltare una lezione.” Disse guardandosi le mani, imbarazzato.

“Se domani ci degnerà della sua presenza, sono certo che avrà modo di spiegarsi. Ora vai, o farai tardi per la lezione della prossima ora.” Rispose tornando a dedicarsi alla sua agenda. Quando Finn finalmente uscì dall’aula, Blaine si alzò di scatto in piedi: dove accidenti era il bagno dei professori? Maledetta la sua pessima memoria e la sua passione per i caffè extra-large!

Suonata la campanella, uscì dalla stanza e controllò il corridoio: tutti gli studenti erano in classe, non avrebbe attirato l’attenzione gironzolando qua e là tenendo le gambe strette. Si ritrovò in un’ala priva di aule, con solo qualche laboratorio inutilizzato; stava per tornare indietro, quando vide la porta del bagno dei ragazzi. A quel punto, decise di non farsi ulteriori scrupoli: farsi trovare in una pozza di urina era decisamente più imbarazzante che usare il bagno degli studenti.

La porta si aprì cigolando e lui sgattaiolò dentro il bagno deserto: s’infilò in uno dei cubicoli, quando sentì un singhiozzo provenire dall’ultimo bagno in fondo. Blaine guardò sconfortato davanti a sé, ma ormai sapeva che doveva andare a vedere chi c’era.

“Ehi?” disse incerto, camminando con passo sicuro verso la fonte dei singhiozzi. Sorprendentemente, trovò un ragazzo seduto a terra, con le ginocchia raccolte al petto e il viso nascosto tra le braccia che gli cingevano le gambe: stava evidentemente piangendo, scosso com’era da continui tremori. Blaine s’accostò accanto a lui, accucciandosi sulle gambe; un intenso profumo di menta lo colse di sorpresa.

“Che succede?” chiese appoggiandogli una mano sulla spalla. Fu in quel momento che si accorse che la maglia del ragazzo era zuppa di liquido verde ghiacciato e che probabilmente buona parte dei tremori era dovuto a quello. “Ma sei ghiacciato!”

L’altro mugugnò qualcosa in risposta, ma con il viso completamente nascosto era piuttosto difficile capire anche solo una parola. “Mi dispiace, ma se continui a stare così sarà impossibile capire qual è il problema.”

Fu allora che il ragazzo alzò gli occhi: Blaine non vide i segni lasciati sulla fronte dalla pressione della pelle contro l’orologio da polso, né il rossore dovuto al pianto. Vide solo due splendidi occhi azzurri che ora lo osservavano incerti.

“Ho detto che è normale essere ghiacciati, se ti tirano addosso tre granite extra-large.” Disse con un soffio di voce, accennando un sorriso storto. Blaine infilò una mano nel taschino della giacca e gli porse il suo fazzoletto; il ragazzo non disse nulla e lo usò per tamponarsi gli occhi.

“Non è il caso di alzarti e cambiarti? Magari potresti anche dirmi che cosa è successo e chi è stato a farti questa poco gradita doccia.” Blaine s’alzò e gli porse la mano. Da terra, il ragazzo lo guardò intensamente per qualche istante, strinse il fazzoletto in una mano e allungò l’altra per farsi aiutare ad alzarsi.

Era più alto di lui.

“Non c’è bisogno di essere così gentile.” Disse con la voce ancora rotta dal pianto, afferrando il suo zaino, appoggiato contro il muro del bagno.

“Diciamo che sto facendo quello che dev’essere fatto. Allora, hai un cambio con te o devo andare a prenderti qualcosa nell’armadietto?” L’altro lo guardò sorpreso.

“Sei nuovo? Non ti ho mai visto. Devi essere dell’ultimo anno, vero? Chissà, magari abbiamo anche qualche corso insieme… ti conviene andare, finchè non ti ha visto nessuno insieme a me. Potrei rovinarti la reputazione prima ancora che tu ce l’abbia, una reputazione.” Aprì la zip della felpa leggera che indossava e se le sfilò, poggiandola sul lavandino accanto. Blaine stava per rispondere, quando l’altro riprese a parlare.

“Maledizione, hanno bagnato anche la maglietta.” Disse abbassando lo sguardo sulla macchia verde che gli si appiccicava al petto. Blaine non disse nulla e rimase lì accanto, incerto sul da farsi. Il ragazzo si voltò verso di lui e lo guardò scocciato. “Ascolta, adesso dovresti davvero andartene. Lo dico per te. Vai via. Hai già un bell’aneddoto da raccontare, puoi dire a tutti che mi hai trovato a piagnucolare per terra in uno dei bagni, con una chicca così potrebbero farti entrare anche nella squadra di football.”

Detto questo, si afferrò il lembi della maglia e iniziò a sfilarsela dalla testa; istintivamente, Blaine si voltò. Forse un altro professore non l’avrebbe fatto, ma lui non voleva che iniziassero a girare voci; prima o poi gli studenti avrebbero saputo che era gay, ma unire quell’informazione il fatto che aveva visto uno studente seminudo poteva essere imbarazzante.

Allungò la mano verso uno degli asciugamani e lo inumidì con dell’acqua tiepida, poi lo passò all’altro.

“Vado ad avvisare Figgins, queste cose non dovrebbero succedere.” Una risata amara alle sue spalle lo colse di sorpresa, mentre gli prendeva l’asciugamano dalle mani.

“Sì certo… come se non fossero tre anni che cerco di far capire a quell’idiota che la mia vita è un inferno. In bocca al lupo, davvero.” Lo sentì frugare nello zaino e il suono leggero di tessuto gli suggerì che si stava rivestendo. “Comunque puoi anche voltarti, anche se mi guardi non te l’attacco, eh?”

Blaine si voltò: se prima non aveva voluto indugiare, stavolta si concesse un’occhiata. Era alto, muscoloso e tonico, con capelli ordinati (eccezion fatta per il ciuffo appiccicato alla fronte dalla granita) e una pelle talmente rosea da sembrare trasparente.

“Cosa?” chiese mentre si infilava un cardigan verde scuro.

“L’omosessualità, non fingere di non saperlo.” Rispose l’altro un po’ più insicuro. Le certezze di Kurt in quel momento vacillarono un poco: magari quel ragazzo così carino davvero non sapeva nulla e voleva solo essere gentile. Magari non era un altro di quelli che l’avrebbero allontanato non appena saputo… beh, i suoi gusti. La risata dell’altro lo rimise di nuovo sulla difensiva, ma fu quello che disse a scioccarlo.

“Beh, direi che per quello sei in ritardo di parecchio.” Lo disse con un’espressione che tolse a Kurt ogni dubbio. E che gli diede la speranza di essere un po’ meno solo. O forse di aver trovato qualcuno. “Ora andiamo, anche se non servirà a nulla preferisco andare da Figgings.”

Gli fece cenno di uscire dal bagno, ma Kurt fece segno di no con la testa.

“E’ meglio di no. Magari se non faccio la spia non si arrabbieranno troppo.” Disse andandogli accanto.

“Ma…” cercò di obiettare Blaine.

“Davvero, è meglio così. Comunque… grazie.” Improvvisamente rosso in volto, Kurt si sporse verso di lui, e prima che Blaine potesse fermarlo o dire qualcosa, gli diede un rapido bacio sulla guancia. Fece un passo indietro e uscì dal bagno prima che Blaine potesse chiarire la situazione.

 

Stupido stupido stupido… si stava ripetendo mentalmente, mentre correva verso l’aula di biologia. Come poteva essere stato così sfacciato? Si era fatto vedere in condizioni disastrose, l’aveva trattato malissimo, cercando di cacciarlo via mentre cercava di essere gentile e poi di punto in bianco gli aveva dato un bacio sulla guancia, come una ragazzina delle medie.

Se quel tizio aveva deciso di non evitarlo, probabilmente ora sì, che avrebbe cambiato idea. E avrebbe anche avuto degli ottimi motivi per farlo.

Kurt entrò in classe in ritardo, sedette accanto a Finn e buttò i suoi libri sul banco.

“Sei nei guai, il nuovo professore di letteratura si è incazzato di brutto quando non sei arrivato.” Gli sussurrò Finn, mentre l’insegnante distribuiva dei fogli.

“Domani chiederò a papà di firmarmi una giustificazione, dirò che ho perso l’autobus.” Rispose lui, con il cuore che ancora batteva.

“Non puoi.” Disse Finn con aria colpevole.

“E perché?” chiese distrattamente.

“Perché gli ho detto che eri arrivato a scuola con me. E ti ha messo una nota. Quell’Anderson è un rompipalle.”

“COSA?” strillò Kurt. “Accidenti Finn, sei un disastro. Questo primo giorno di scuola non poteva cominciare peggio.”

Kurt appoggiò il mento sul palmo della mano e si ficcò una mano in tasca, pronto ad ascoltare la lezione e annoiarsi a morte; però qualcosa lo distrasse. Si ritrovò tra le dita un piccolo fazzoletto azzurro, ancora umido delle sue lacrime: si era scordato di restituirlo a quel ragazzo. Lo rigirò tra le dita, scoprendo che un angolo aveva delle iniziali ricamate in blu scuro. Le guardò passandoci sopra un dito, sentendosi di nuovo un idiota.

 B. A.

 

“Che cos’è?” chiese Finn.

“Niente.” Lo rificcò in tasca.

 

nda

Kurt è all'ultimo anno ed è maggiorenne.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Grazie a Medea, moglie e beta stupenda, come farei senza di te? Un piccolo edit (sì, ho preso il vizio) per dirvi che aggiornerò la storia due volte a settimana, il lunedì e il venerdì sera. Come al solito, manderò un mp per avvisare dell'aggiornamento chi ha messo la storia nelle seguite/preferite. A lunedì!

Capitolo secondo

Quando quel ragazzo era uscito dal bagno di corsa, chiudendosi la porta alle spalle, il primo istinto di Blaine era stato quello di corrergli dietro, per dirgli che… che aveva appena baciato un professore. Che è una cosa sbagliata da fare, che avrebbe dovuto almeno presentarsi, che non si può atterrare così sulla faccia di una persona e poi andarsene via. Blaine si ritrovò a pensare che magari non era un suo professore; ma c’erano comunque dei limiti da rispettare. Delle regole da seguire. Com’era la storia di quella insegnante di matematica arrestata a Philadelphia?

In verità, quello di seguire il ragazzo fuori dal bagno non era stato davvero il primo istinto di Blaine: il primo era stato quello di correre nella prima toilette e liberarsi approssimativamente di mezzo litro di pipì. L’essere improvvisamente solo gli aveva fatto ricordare il motivo per cui era entrato in quel bagno una decina di minuti prima; con la mente lucida e la vescica sgombra, aveva finalmente iniziato a ragionare, ma la guancia continuava a scottargli terribilmente.

Accidenti, che situazione.

Iniziò a camminare avanti e indietro, strisciando le dita sui lavandini e riflettendo su che cosa fosse meglio fare. In quanto insegnante, non poteva semplicemente lasciar correre.

Come prima cosa poteva andare da Figgings e denunciare l’atto di bullismo di cui il ragazzo era stato vittima, ma da come aveva reagito quando l’aveva proposto, probabilmente era inutile, forse addirittura dannoso. Blaine sapeva bene quanto gli adolescenti sanno essere meschini e quel poveretto sembrava saperlo altrettanto approfonditamente: ai ragazzi non sarebbe importato che era stato un professore a riportare l’accaduto, avrebbero reso la sua vita un inferno. Sempre che non lo fosse già. In effetti non era il ritratto della felicità, accucciato a terra e zuppo di granita ghiacciata.

Gli scocciava ammetterlo, ma probabilmente tacere era l’unico modo per non creargli ulteriori problemi; Blaine decise che avrebbe indagato sulla situazione e si sarebbe sforzato di trovare un modo di aiutarlo, dato che apparentemente nessuno fino a quel momento sembrava averlo fatto.

“Ok. Non faccio la spia. Che faccio?” si chiese Blaine, fermandosi per un istante, poi ricominciando a camminare nervoso. Aveva la sensazione che qualcosa andava necessariamente fatto. O detto. Ma, tanto per cominciare, non aveva idea di chi fosse quello studente, né aveva intenzione di perlustrare le aule per ritrovarlo. E anche se l’avesse incontrato, che gli avrebbe detto?

Avrebbe dovuto spiegargli l’imbarazzante equivoco che li aveva visti protagonisti: “Mi duole informarti che hai tenuto un atteggiamento inappropriato nei confronti di un insegnante.”. Blaine si schiaffeggiò la fronte alla sola idea di una conversazione simile e si lasciò sfuggire un lamento; perché, su tutti gli insegnati della scuola, era stato proprio lui a trovare quel ragazzo? Perché s’era fatto sfuggire con quel ragazzo che gli omosessuali in quel bagno erano due? Perché non aveva accettato di insegnare educazione fisica in New Mexico, anziché andare a Lima?

Caffè.

Blaine aveva bisogno di caffè bollente e con un po’ di fortuna avrebbe ritrovato la sala professori che Figgings gli aveva mostrato la settimana prima. Risoluto, si voltò per uscire, quando vide la maglia di quel ragazzo appallottolata su uno dei lavandini. Senza pensarci troppo, Blaine la prese: era ancora umida di acqua e sciroppo. Prima di rendersene conto, il profumo emanato dal tessuto si fece strada fino al suo naso; non ci aveva ovviamente affondato dentro il naso, ma un sottile profumo di vaniglia, unito a quello pungente della menta, l’avevano comunque raggiunto.

Indeciso sul da farsi, quando lesse sull’etichetta che la maglia era di Marc Jacobs e che probabilmente costava almeno cento dollari, si convinse a portarla via: qualcuno avrebbe potuto gettarla o rubarla, se l’avesse lasciata lì. O peggio, quel ragazzo avrebbe potuto accusarlo di essere stato proprio lui ad arraffarla, magari dicendo a tutti che l’aveva anche visto a petto nudo. Da un amichevole scambio di opinioni alla denuncia per molestie il passo era breve e Blaine non aveva una consolidata carriera accademica dietro cui nascondersi. Poteva già immaginarsi i cittadini di Lima con fiaccole e forconi che circondavano il suo appartamento.

Scosse la testa, stupendosi di come la sua mente fosse ancora capace di galoppare senza freno, se non si sforzava di trattenerla. Guardò di nuovo la maglia: il giorno successivo l’avrebbe riportata a scuola stirata e lavata; non sapeva bene a chi avrebbe potuto affidarla, ma confidava di trovare una soluzione. Era sicuro che quel ragazzo avrebbe apprezzato quella piccola attenzione, dopotutto era il minimo che poteva fare per aiutarlo nell’immediato.

Uscì dal bagno con la maglia stretta in pugno e la portò nella sua aula: la arrotolò con cura, in modo che la parte asciutta fosse all’esterno e la ficcò nella sua borsa. Seduto alla scrivania, appoggiò il viso contro il palmo di una mano e ricominciò a pensare.

Prima di rendersene conto, la mente stava vagando su pelle liscia, su occhi azzurri e capelli castani. Su quello sguardo prima ferito, poi così improvvisamente fiducioso e altrettanto velocemente diventato imbarazzato. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Blaine scosse la testa e scacciò via i pensieri che la affollavano.

Caffè.

Adesso sì, che doveva prendersi un caffè. Si alzò e camminò verso la segreteria, dove ricordava di aver visto l’accesso alla sala professori; mentre percorreva il corridoio, trovò due ragazzoni che spintonavano un piccoletto.

“Dacci i soldi del pranzo. Forza, non farti pregare!” L’altro frugava nervosamente nella sua tracolla, ma più lo spintonavano più gli risultava difficile afferrare qualcosa all’interno della borsa. Blaine affrettò il passo e in pochi istanti fu da loro.

“Che accidenti state facendo? Smettetela immediatamente.” Disse con il tono più professionale e autorevole che riusciva a simulare. I due si voltarono: se uno non sembrava minimamente disturbato dalla sua presenza, l’altro lo osservava confuso. Era evidente che si stava chiedendo chi fosse quel tizio, per arrivare da loro e interromperli con tanta sicurezza. Quando si voltarono per ricominciare a tormentare il ragazzino, decidendo di non dargli minimamente credito, decise che in questo caso era necessario intervenire.

“Bene. Andiamo dal preside.”

Prima che potessero dire altro, Blaine li afferrò entrambi per la felpa e iniziò a camminare verso l’ufficio del preside; fecero resistenza solo per qualche secondo, ma non smise per un attimo di tirarli con determinazione, senza mostrare la paura che aveva di prendersi a sua volta uno spintone. O peggio.

Quando arrivarono davanti alla porta di Figgings, erano entrambi silenziosi: non tanto per paura di quello che sarebbe accaduto, quanto piuttosto per la sorpresa. In tutti quegli anni, nessuno dei professori aveva mai fatto troppo caso a quello che succedeva nei corridoi e al massimo si limitavano a un rimprovero scherzoso; d’altro canto, tutti loro stavano ben attenti a limitarsi, quando c’erano dei professori nelle vicinanze. Ma chi poteva immaginare che quel tappo tutto leccato fosse un professore? E che avesse anche le palle di intervenire?

“Signor Preside?” chiese entrando nel suo ufficio, spingendo gentilmente i ragazzi verso l’interno. Riluttanti, si piazzarono ai lati della scrivania del preside. L’altro, con la tracolla stretta al petto, sedette fuori, insieme alla segretaria.

“Buongiorno, professor Anderson!” lo salutò sorridente l’altro. “Vedo che ha fatto conoscenza di alcuni dei nostri migliori giocatori di football, non sapevo che fosse coinvolto nella gestione della squadra!”

Il preside salutò altrettanto allegro i ragazzi, che raddrizzarono la schiena e rivolsero un sorrisetto beffardo a Blaine. Era evidente che il timore di pochi minuti prima era svanito, sostituito da una serena confidenza.

“No, non sono coinvolto nella gestione della squadra. Ho solo trovato questi ragazzi in corridoio, durante le ore di lezione, intenti a spintonare un ragazzo del terzo anno per farsi dare i suoi soldi.”

Poi successe l’incredibile. Figgings rise, seguito dai due ragazzi. Blaine li osservò sconvolto.

“Anderson, non posso credere che lei si sia fatto abbindolare! Questi ragazzoni amano scherzare, non ruberebbero mai del denaro agli altri studenti, né si permetterebbero mai di mettergli le mani addosso. Non è vero, ragazzi?”

Il preside s’alzò e diede due pugnetti sulla spalla di ciascuno, fingendo un piccolo incontro di boxe. Inutile dire che Blaine aveva osservato l’intera scena senza dire una parola.

“Le sto dicendo che li ho visti con i miei occhi spintonare quel ragazzo. E che ho sentito chiaramente le minacce che gli hanno rivolto per farsi dare i soldi. Siamo solo al primo giorno di scuola, se non facciamo niente adesso, entro la fine dell’anno che cosa arriveranno a combinare? Mi dispiace, ma non sono abituato a chiudere gli occhi di fronte a episodi di questo tipo e pretendo che i ragazzi ricevano una punizione.”

Parlò con una determinazione tale che Figgings smise di giocherellare con i ragazzi e lo guardò incerto.

“Ma è solo il primo giorno di scuola…” disse stringendosi nelle spalle.

“Appunto. E’ SOLO il primo giorno di scuola. È la seconda ora del primo giorno di scuola e questi ragazzi hanno già saltato una lezione e minacciato fisicamente e verbalmente un compagno. Se non vuole occuparsene personalmente, sono a disposizione per delle ore di punizione dopo la fine delle lezioni oggi stesso. Così come sono disponibile per degli incontri con i loro genitori.” Blaine s’impuntò, incrociando le braccia sul petto. Non aveva intenzione di mollare, questo doveva essere ben chiaro.

Figgings fece un sospiro, poi sedette alla scrivania.

“Va bene… Ragazzi, oggi dopo la scuola rimarrete due ore dopo il termine delle lezioni. Andate nell’aula del professor Anderson, deciderà lui che cosa farvi fare. Contento?” disse scocciato a Blaine, mentre compilava distrattamente il foglio della punizione.

“Non è a me che sta facendo un favore.” Rispose piccato l’altro. “Vi aspetto alle 15.00, portate dei guanti di gomma, potete chiederli agli inservienti.”

Ignorò le proteste dei ragazzi e li condusse fuori dall’ufficio. Quando se ne andarono, lamentandosi a gran voce, tornò dal ragazzo seduto fuori dall’ufficio di Figgins.

“Grazie.” Gli disse accennando un sorriso.

“Che lezione dovresti avere ora?”

“Biologia.”

“Bene, ti accompagno io in aula, così posso spiegare all’insegnante perché hai tardato.”

Il ragazzo prese la sua borsa e lui lo seguì: ovviamente Blaine non si ricordava dove accidenti era il laboratorio di biologia. Ma come aveva fatto a non perdersi durante i suoi tre anni alla Dalton, che era grande almeno dieci volte di più di questo liceo infernale?

 

Kurt ascoltava distrattamente la lezione di biologia, quando qualcuno bussò alla porta dell’aula: con sua sorpresa, entrarono Dean, il secchione del terzo anno che aveva sempre il raffreddore, e il ragazzo che aveva conosciuto una mezz’ora prima nel bagno. Allora erano compagni di corso.

“Sei in ritardo.” Disse la Jones a Dean, che tirò su rumorosamente con il naso e corse al suo banco senza aggiungere nulla, se non un silenzioso sguardo al ragazzo dietro di lui. Kurt osservò sorpreso quel breve scambio di battute, chiedendosi perché l’altro ragazzo aveva tardato tanto e perché la Jones non glielo stava facendo notare, a differenza di come aveva fatto con Dean.

“Questa è una giustificazione firmata da me e dal preside.” Il ragazzo porse un foglio alla Jones, che lo lesse brevemente e alla fine fece un sospiro esasperato. “Dean era con me.”

Una possibile spiegazione si stava lentamente facendo strada nella testa di Kurt, che si rifiutava ostinatamente di lasciarla venire a galla. C’era solo un gruppo ristretto tra le persone della scuola, autorizzate a firmare giustificazioni: i genitori e i professori. Evidentemente non era il padre di Dean, che era un bifolco cinquantenne che indossava solo camicie di denim scolorito, quindi…

“Oh. Accidenti.”

Scivolò lentamente contro lo schienale, nascondendosi dietro Puck e quella montagna umana della sua fidanzata, Lauren. Finn fortunatamente gli aveva tenuto il posto accanto al suo, nell’ultima fila, così era stato semplice sparire alla vista.

“Non si dimentichi della riunione di stasera. Mi raccomando, ci saranno tutti gli insegnanti.” La Jones ficcò il foglio nel registro e gli fece un cenno di saluto, poi il ragazzo uscì dall’aula.

Il volto di Kurt ormai era in fiamme: era stato emotivamente contenuto per anni, non toccava persone che non fossero parenti o amici strettissimi praticamente da sempre, e l’unica volta che aveva avuto uno slancio verso un ragazzo carino e gentile, era venuto fuori che era un insegnante. Cosa c’era che non andava in lui?

Forse all’ultima svendita quella strega a cui aveva strappato dalle mani una cintura di Gucci gli aveva lanciato una maledizione. O forse con il suo SUV aveva investito il gatto di qualcuno.

“Coso, stai bene?” Finn, assonnato, attirò la sua attenzione.

“Come? Io… sì, sto bene. Fa caldo, non è vero?” disse sventolandosi il viso con la mano. Sarebbe andato tutto bene: sicuramente quel professore non era uno dei suoi. Si sarebbero limitati a qualche occhiata imbarazzata nelle poche occasioni in cui si sarebbero incrociati nei corridoi, poi avrebbero dimenticato l’accaduto.

O Kurt si sarebbe seppellito vivo.

O avrebbe fatto un trapianto di faccia.

Una soluzione l’avrebbe trovata.

“Hai visto? Con Dean ha scritto pure la giustificazione, a te invece ha scritto la nota. Che stronzo.” Disse Finn, tornando a sdraiarsi sul banco. Kurt, pietrificato, si voltò verso di lui.

“Chi?”  chiese con gli occhi sbarrati.

Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Non il nuovo professore di letteratura. Ti prego, non il nuovo professore di letteratura.         

“Ma Anderson, no? Il nuovo professore di letteratura, con quel nome assurdo. Blaine… o qualcosa del genere.” Rispose Finn, senza lasciare più nessun dubbio.

Bene. Fantastico.

Ora sì, che le iniziali sul fazzoletto avevano un senso. Ce l’aveva ancora stretto in una mano: dischiuse lentamente le dita e lisciò la parte con le lettere elegantemente ricamate.

Blaine Anderson.

Renderglielo sarebbe stato di certo imbarazzante, soprattutto ora che era stropicciato e sudaticcio; decide di lavarlo e stirarlo quello stesso pomeriggio, così almeno non avrebbe aggiunto alla pessima impressione che già aveva dato anche quella di essere una persona con scarsa cura di sé. Aprì il libro di biologia, cercando di non pensare a quando era stato accorto nell’inumidire l’asciugamano con acqua tiepida, prima di passarglielo, o quanto era morbida la guancia su cui aveva posato le labbra. O a quando il cuore aveva pompato forte mentre correva fuori dal bagno.

Perché Kurt aveva già preso delle cotte in passato, era piombato dentro nell’innamoramento come un folle che si butta in pozzo: aveva insistito anche quando aveva saputo che Finn era etero, e lo stesso aveva fatto con Sam. Si era ripromesso di non abbandonarsi a pensieri fantasiosi sull’amore finchè non avrebbe abbandonato quel buco di città, ma quando si era ritrovato davanti quel ragazzo bellissimo, gentile e beh… gay, c’era ricascato come una pera cotta, prendendosi pure la libertà di baciarlo. Perché Kurt, in fondo, non desiderava altro che essere amato, stretto, coccolato e confortato. Voleva qualcuno con cui parlare liberamente, qualcuno che sapesse com’era, qualcuno che lo accettasse, così com’era: maledizione, aveva solo diciotto anni, non poteva biasimare se stesso per aver buttato tutto quel desiderio sulla prima persona che aveva mostrato un briciolo di disponibilità nei suoi confronti.

Scribacchiò distrattamente sul quaderno fino alla fine della lezione, con Finn che gli pisolava placidamente accanto mentre riponeva tutte le sue speranze, una dopo l’altra, nel cassettino dei progetti per il futuro. Ci sarebbe stato tempo, prima o poi avrebbe incontrato qualcuno.

 

All’intervallo, Blaine prese coraggio ed entrò nella stanza dei professori: inspiegabilmente, al suo ingresso ci fu una breve pausa di silenzio, seguita da un sommesso mormorìo. Mentre raggiungeva la macchinetta del caffè, in un percorso che da pochi metri sembrava essere diventato infinito, carpì qualche parola.

“Imporsi su Figgins…”

“… non siamo alla Dalton.”

“Il morale della squadra…”

“… chi si crede di essere.”

Prese una bustina di zucchero e sedette a uno dei tavolini liberi, tenendo lo sguardo fisso sulla sua tazza mentre girava lentamente il cucchiaino nel liquido bollente. Stava iniziando a chiedersi se quella della punizione era stata davvero una buona mossa, quando una donna in pantaloncini corti, delle dimensioni di un armadio a tre ante, entrò nella stanza.

“Chi è Blaine Anderson?” tuonò, con i pugni appoggiati sui fianchi. Tutti i presenti si voltarono di scatto verso di lui, che aveva timidamente alzato una mano per rispondere all’appello; in pochi passi, la donna era al suo tavolo. Afferrò due ciambelle e una sedia, poi vi sedette sopra a cavalcioni.

“Giusto te, stavo cercando.” Nella stanza c’era un silenzio tombale, tutti erano pronti a godersi lo spettacolo della nuova allenatrice che faceva a pezzi il professorino che aveva osato far mettere in punizione due dei suoi giocatori. Lei diede un morso gigantesco a una delle ciambelle, poi lo puntò con il dito.

“Io sono la coach Beiste. Anche io sono nuova, e che sia maledetta se non è vero, sono contenta che qualcuno mi aiuti a mettere in riga quegli animali.” Poggiò le ciambelle e gli allungò la mano, con le dita ancora sporche di glassa; Blaine, sorpreso, appoggiò il cucchiaino e la strinse, senza dire nulla.

“Quelli sono delle bestie senza rispetto, ieri ho fatto i provini e ho fatto una fatica cane a impormi e farmi ascoltare. E sono quindici anni che alleno ininterrottamente. La mia filosofia di gioco è chiara: gioca bene e gioca giusto. In genere se uno non ha rispetto degli altri giocatori, dell’allenatore o degli schemi di gioco, è perché è abituato a non avere rispetto per nessuno anche fuori dal campo. Quindi chapeau, Blaine. Finalmente uno che la pensa come me.”

Lui sorrise silenziosamente e bevve un sorso di caffè, poi iniziarono a parlare del più e del meno, almeno finchè Emma Pilsbury non arrivò al loro tavolo.

“Scusatemi se vi interrompo. Blaine, non è vero? Volevo chiederti se al termine dell’intervallo puoi venire con me, ho un’idea per la punizione di oggi.”

Blaine annuì, poi anche lei sedette con loro, sorseggiando una tisana dal thermos e guardando impaurita la Beiste che raccontava di quando le si era incastrato un osso di pollo in gola. Quando suonò finalmente la campanello, la coach diede una scrollata di spalle a entrambi a mo’ di saluto, poi se ne andò in palestra, lasciandoli soli.

“Cosa avevi intenzione di fare durante le due ore di punizione?” chiese Emma, poggiando il thermos e raccogliendosi le mani in grembo. “So che i ragazzi hanno chiesto dei guanti di gomma a uno degli inservienti, quindi non hai progettato di farli studiare.”

Lui si strinse nelle spalle. “C’è sempre qualche angolo della scuola disgustosamente sporco. Pensavo di farli ripulire qualche schifezza, di solito è un buon deterrente.” Alla sola idea, lei rabbrividì.

“Allora avevo immaginato giusto. Vieni con me, ho un piccolo suggerimento.” Si alzò e gli fece cenno di seguirla. Non camminarono a lungo: Emma si fermò davanti a uno dei bagni principali, lungo il corridoio su cui si affacciavano la maggior parte delle aule.

“Questo è il bagno dei maschi.” Disse lei aprendo la porta. “Ho voluto aspettare la fine dell’intervallo per essere sicura che non ci fosse nessuno. Ecco, è così da almeno due anni.”

In un primo momento, Blaine non capì che cosa doveva guardare. Sembrava un bagno normale, normale quanto può esserlo un bagno maschile in un liceo pubblico: uno dei distributori di sapone era rotto, i cestini traboccavano di cartacce, per terra c’erano macchie d’acqua ovunque e i muri erano pieni di scritte.

“Non capisco, vuoi che faccia pulire il bagno ai ragazzi?”

“Non esattamente.” Disse lei, facendo qualche passo verso le piastrelle che coprivano il muro di fronte ai lavandini. “Vorrei che gli facessi cancellare queste. E quelle che coprono i muri di tutte le toilette. Io le ho cancellate personalmente almeno un paio di volte, ma nel giro di due giorni le hanno rifatte tutte, rincarando la dose. Non sappiamo chi è a farle, ma abbiamo qualche sospetto. Se magari le facciamo ripulire ai ragazzi e gli diciamo che gliele faremo togliere ogni volta che ricompariranno… forse la smetteranno.” Blaine ormai aveva smesso di ascoltarla.

Perché aveva iniziato a leggere quelle scritte cui in un primo momento non aveva fatto caso: a eccezione di poche, ciascuna di esse faceva riferimento alla stessa persona. Camminò lentamente davanti alle scritte, leggendone alcune: Kurt Hummel succhiaccazzi, Kurt checca, Hummel frocio… per citare solo i più raffinati. Alcuni erano corredati da vignette piuttosto esplicite e volgari, ma era sempre chiaro a chi stavano facendo riferimento.

“Ma… come…” Blaine non impiegò molto a fare un rapido collegamento tra il Kurt Hummel che non si era presentato alla sua lezione e il ragazzo che aveva trovato in quel bagno nell’ala meno utilizzata della scuola. Era evidente che non poteva utilizzare il bagno in cui si trovava ora Blaine.

Era scioccato dalla crudeltà di alcuni giochi di parole e dalla viltà che caratterizzava ogni scritta: si voltò verso Emma, che lo osservava in silenzio.

“E’ cominciato tutto due anni fa, quando Kurt era al secondo anno. Nessuno sapeva che era gay, ma si è preso una cotta talmente intensa per Finn Hudson da non rendere necessario nessun coming out.” Blaine, nel riconoscere quel nome, la interruppe.

“Il suo fratellastro?” chiese sconcertato.

“A quell’epoca non erano altro che compagni di scuola, i loro genitori si sono sposati solo qualche mese fa. Da quando a scuola si è saputo, è diventato il bersaglio prediletto dei bulletti della scuola. Ogni scusa è buona per scrivergli parolacce sull’auto, gettargli addosso granite o aggiungere qualche frase su questo muro.” Rispose lei sconsolata.

“Ma il preside…”

“Kurt si è lamentato tante volte, ma non ci sono mai testimoni, tutti negano o comunque ogni atto è risolto definendolo una ragazzata. Ho pensato che potremmo aiutarlo almeno permettendogli di andare in bagno senza leggere quotidianamente queste scritte oscene. Tu cosa ne dici?” sorrise piano, incerta.

“Hai avuto un’ottima idea, Emma. Vado a procurarmi tutto il necessario, avrò bisogno di solventi.”

“Puoi trovare tutto nel mio ufficio, ti accompagno.” Uscirono dal bagno, mentre Blaine si sforzava di non far vedere quando quelle pareti l’avessero scioccato.

O quanto gli avessero ricordato le scritte che trovava sul suo armadietto.

O quanto l’atteggiamento dei professori e del preside fosse simile a quello della scuola che frequentava prima della Dalton.

O quanto avesse paura che le stesse cicatrici che si portava addosso potessero incidere la pelle di un altro ragazzo.

Di quel ragazzo, in particolare.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Solo una piccola introduzione veloce: volevo ringraziarvi. Questa storia è nata un po' per gioco e un po' per caso, ancora adesso non sono certa di volerla terminare, ma di certo se andrò avanti sarà anche grazie all'entusiasmo e alla gentilezza che avete dimostrato nei suoi confronti.

Davvero, il vostro appoggio è eccezionale e non vi ringrazierò mai abbastanza per questo.

 

 Capitolo terzo

 “Hey Kurt! Pss… Kurt!” Finn era in piedi davanti al bagno dei maschi e si sbracciava per attirare l’attenzione del fratellastro, che con mani tremanti stava prendendo i libri di letteratura dal suo armadietto. Di solito era stare in corridoio che gli metteva agitazione, non andare in aula.

“Che c’è? Hanno aggiunto qualche nuova frase di cui non capisci il significato?” rispose sprezzante, passandogli davanti senza fermarsi, con i libri e il quaderno stretti al petto.

“Smettila, vieni dentro.” Insistette Finn.

“Io lì non ci entro.” Kurt si era voltato e gli aveva risposto bruscamente, sorpreso dalla richiesta di Finn. Come poteva aspettarsi che Kurt lo seguisse dentro quella galleria degli orrori? Era decisamente troppo umiliante. Stava per aggiungere qualche altro commento sarcastico, quando Finn lo afferrò per un braccio e lo tirò dentro.

L’odore di solvente e di vernice lo stordì, nonostante le finestre aperte per far circolare l’aria. Ma ciò che lo sconvolse davvero fu il candore delle pareti, completamente intonse per la prima volta da mesi: era sorpreso di vederle improvvisamente bianche, dato che non si erano degnati di ripulirle nemmeno durante l’estate. Kurt si era rassegnato all’idea di farsi accompagnare da quello schifo fino al diploma e si chiedeva che senso aveva farlo ora, con gli studenti che erano pronti a imbrattarle di nuovo nel giro di un paio d’ore.

Si ricompose e guardò Finn, fingendosi nient’affatto sorpreso: “Cinque dollari che entro le undici ci sono almeno due scritte e tre disegni di me senza pantaloni.”

Diede un’ultima occhiata al bagno, poi uscì, seguito di corsa da Finn. Non contento, il fratello continuò a parlarne: “Ma no, non capisci! Girano delle voci a scuola, Azimio e Dave hanno detto che faranno il culo a strisce a chiunque sporcherà di nuovo il muro.” A quel punto, Kurt si fermò.

“Sono loro che scrivono quelle schifezze, di solito.” Disse osservando scettico Finn.

“Lo so! È che il signor Anderson ieri li ha messi in punizione per aver spintonato un ragazzo e li ha costretti a ripulire tutto dopo la scuola. Lui e la Pilsbury hanno detto che li avrebbero obbligati a rifarlo ogni volta che le scritte sarebbero ricomparse. Forte no?” L’entusiasmo di Finn era tangibile, perché gli si spezzava il cuore vedere Kurt fare chilometri ogni volta che doveva fare pipì o cambiarsi i vestiti zuppi di granita. E poi in diversi disegni c’era anche lui senza pantaloni a far compagnia a Kurt, solitamente in modi assai poco fraterni, quindi quella era una doppia vittoria. O no? L’espressione sul viso di Kurt era indecifrabile, mentre camminava lasciando Finn impalato in mezzo al corridoio.

Non aveva dormito bene quella notte, al pensiero di trovarsi in classe con il signor Anderson seduto alla cattedra e lui schiacciato dietro il suo banco. Non aveva idea di come la questione sarebbe stata affrontata, o quando: solo l’idea lo uccideva per l’imbarazzo. Aveva sognato di entrare in classe con tutta la bocca sporca di rossetto e di essere sbeffeggiato davanti a tutta la classe, con i compagni e il professore che lo prendevano in giro. Subito dopo essere scappato via dal bagno aveva realizzato di essersi messo in una situazione complicata, ma solo durante la lezione di biologia aveva avuto la sfortuna di capire quanto era davvero complessa.

 Arrivato davanti alla classe di letteratura inglese, tirò diritto fino al bagno dove il signor Anderson l’aveva trovato accucciato a terra. Non gettò nemmeno un’occhiata all’interno dell’aula, fingendo di non essere minimamente interessato.

Una volta davanti allo specchio del bagno fece un respiro profondo e prese dalla borsa lacca e spazzola per sistemarsi rapidamente i capelli, poi si pizzicò appena le guance per nascondere il pallore mortale che la nottata insonne gli aveva tanto generosamente regalato. Nel vedere i lavandini, ricordò improvvisamente di avere lasciato lì la maglietta il giorno prima: si abbassò per vedere se era per terra, ma non riuscì a trovarla. Scocciato, camminò avanti e indietro un paio di volte, poi gettò un’occhiata all’angolo in cui si era seduto il giorno precedente: ma che gli era passato per la testa? Per terra poteva esserci qualunque cosa, anche se era il bagno meno usato di tutta la scuola: doveva essere davvero a pezzi per essere arrivato a tanto senza nemmeno rendersene conto. Di solito non reagiva tanto male agli scherzi che gli venivano fatti quotidianamente, ma l’aver trascorso un’estate particolarmente serena l’aveva reso stupidamente fiducioso nei confronti dell’inizio della scuola: magari nessun avrebbe fatto più caso a lui, magari l’avrebbero lasciato stare. Invece i disegni sui muri del bagno erano ancora lì, tutti ridacchiavano quando passava e scimmiottavano le sue movenze, esattamente come tre mesi prima. Le granite erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, senza contare che era a causa loro che s’era cacciato in quel guaio con il professore di letteratura.

Stupido stupido stupido

Come se la sua vita fosse tanto semplice da non preoccuparsi di una bazzecola come quella. Idiota.

Quando finalmente trovò il coraggio di entrare in aula, scoprì che il professore non era ancora arrivato e che non c’erano banchi liberi, se non in prima fila: Finn oggi si era seduto con Puck, nell’ultima fila. Il fratello gli fece un cenno di scuse e Kurt fu costretto a piazzarsi davanti a tutti, vicino alla porta. Almeno poteva usare il banco vuoto accanto al suo per riporre la borsa e il maglioncino che ora aveva appoggiato sulle spalle. Dietro di lui gli altri cominciarono a fare chiasso e lui poggiò la testa sul banco, coprendosi con le braccia in attesa dell’arrivo del professore.

Non appena la porta si chiuse, tutti rimasero improvvisamente in silenzio; fu l’insolita tranquillità dei compagni a distrarre Kurt, che alzò lo sguardo dal banco e incrociò quello del signor Anderson, che stava poggiando la sua borsa sulla cattedra. Lo sguardo di Blaine era così diverso, rispetto al giorno precedente nel bagno. Altrettanto intenso, ma diverso: si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, mentre Blaine riponeva alcuni libri in uno dei cassetti. Nessuno dei due mostrava stupore nel vedere l’altro; anche se in modi diversi, entrambi erano venuti già a conoscenza del fatto che l’uno era il professore dell’altro. Ma Kurt negli occhi di Blaine vide qualcosa d’altro: nonostante non fossero più gentili e impacciati come il mattino precedente, in loro c’era una sorta di calore che lo portò istintivamente a sorridere. Fu una fugace occhiata di confidenza, che durò solo un secondo, per essere rimpiazzata da una fredda professionalità.

 Perfino quando parlò, la sua voce si rivelò diversa: era più dura di quanto ricordasse, il tono più secco, le parole scelte con più attenzione. Il professore fece l’appello, e quando chiamò Kurt, lo informò che il giorno precedente aveva ricevuto una nota a causa della sua assenza alla lezione.

“Ma io ieri… insomma, noi… io credevo fosse chiaro perché…” Kurt non voleva dirlo a tutta la classe, ma onestamente non s’aspettava che la nota fosse ancora lì ad attenderlo. Il signor Anderson sapeva perché non era venuto a lezione, pensava non fosse necessario aggiungere altro; dopotutto, con Dean si era dimostrato piuttosto comprensivo. Perché con lui doveva essere diverso?

“Hummel, ne parleremo al termine della lezione, ora per favore lasciami terminare l’appello.”

Kurt annuì e si fece piccolo sul suo banco: davvero si era dipinto tutto nella sua testa? Era convinto che il giorno precedente nel bagno tra lui e quel ragazzo si fosse creata una, seppur breve, connessione. Non il principio di nulla, quello ormai era chiaro, ma Kurt pensava che fosse sufficiente per cancellare quella nota senza fare troppe storie.

E, segretamente, per essere trattato in modo diverso dagli altri.

Evidentemente si sbagliava, perché il signor Anderson lo interrogò esattamente come gli altri su quanto era stato detto durante la lezione precedente e in almeno un paio di occasioni l’aveva richiamato perché stava disegnando sul banco anziché prendere appunti. Con un sospiro, Kurt affrontò il resto della lezione senza speranze.

 

Blaine ci aveva pensato per tutta la sera, sia durante la riunione dei professori, che mentre stirava la maglietta di Kurt: da un lato voleva andare da quel ragazzo, sedersi con lui in una caffetteria e parlargli come se si fossero conosciuti per caso alla fermata dell’autobus, ma dall’altro sapeva che anche solo un briciolo di confidenza poteva essere l’inizio di qualcosa di davvero pericoloso. Perché la storia di Kurt era troppo simile alla sua per lasciarlo indifferente e perché era bastato un tocco leggero delle sue labbra su una guancia per farlo incespicare.

Blaine aveva deciso di non lasciare spazio a nulla, nella speranza che Kurt si rivelasse uno studente scostante e irritante, o di trovarlo meno bello di quanto ricordasse. O con uno sguardo meno sofferente e bisognoso di attenzioni, cure e affetto. Voleva che fosse antipatico e irriverente, voleva che i suoi compiti fossero copiati da Wikipedia, disordinati e pieni di errori, voleva che si spostasse in un altro corso.

Per quello non aveva cancellato la nota.

Per quello aveva interrogato Kurt e lo aveva ripreso quando si era distratto.

Non voleva che nutrisse delle speranze o che confidasse di trovare in Blaine qualcosa di più di un professore disponibile. La tentazione era troppo forte, l’unico modo per evitare di cascarci era tagliare ogni contatto: perfino la maglia era un errore a questo punto, ma ormai doveva rendergliela.

Non gli era sfuggito il modo in cui Kurt aveva reagito durante l’appello, ma Blaine aveva tenuto duro; aveva faticato tanto per ottenere quel lavoro, ora doveva sforzarsi di non rovinare tutto. Si era ripetuto che era un ragazzino qualunque, non diverso da tanti altri; non aveva nulla di speciale, nulla che valesse la pena di mandargli all’aria la carriera o la reputazione. Non lo guardò in faccia nemmeno una volta per tutta la lezione, a eccezione di quel lungo sguardo che si erano scambiati mentre poggiava le sue cose sulla cattedra. Avrebbe voluto schiacciare in quello sguardo tutto quello che voleva e non poteva dirgli, ma era impossibile: mi dispiace, Kurt.

Al termine della lezione, tutti uscirono ordinatamente, ma Blaine chiese a Kurt di restare: “Hummel, dobbiamo parlare della tua assenza di ieri.”

Con l’aula vuota e la porta chiusa, Kurt afferrò la tracolla e arrivò fino alla cattedra, appoggiando la schiena a uno dei banchi della prima fila.

“Mi dispiace per ieri. Io non avevo capito che Lei… beh, che Lei era un professore. Non mi sarei mai permesso di dire certe cose sul preside, né di trattarla in quel modo. La prego, mi cancelli la nota. Sono terribilmente mortificato e dispiaciuto, non avevo nessuna ragione per saltare la lezione, né per trattarla in quel modo.”

Blaine ripose l’agenda su cui stava scrivendo e si strinse la radice del naso tra indice e pollice.

“Kurt. Non devi scusarti di niente. Statura ed età non giocano a mio favore, non sei di certo il primo a fare lo stesso errore. Io avrei dovuto rendere le cose chiare fin da subito e così che non ci fossero equivoci. Né lasciarmi sfuggire informazioni personali che potevano confonderti.”

Kurt spostò il peso da un piede all’altro, imbarazzato.

“Grazie per aver fatto cancellare quelle scritte dal bagno. L’ho apprezzato molto.”

“Avevo due ore di punizione da riempire, l’idea è stata della Pilsbury. È lei che dovresti ringraziare.” Rispose secco Blaine, di nuovo concentrato a non dire nulla di cui poteva pentirsi. Qualcosa come: “Se avessi potuto, le avrei graffiate via con le mie stesse unghie, non appena le ho viste. Avrei grattato fino a farmi sanguinare le dita, pur di cancellare quello scempio.” o “In questa scuola hanno più fantasia di quella che frequentavo io. Si limitavano a chiamarmi checca o ad ammazzarmi di botte.”

Guardò il ragazzo in piedi davanti a lui e si trattenne dal dirgli che avrebbe trovato qualcuno, prima o poi. Qualcuno che lo avrebbe stretto, coccolato e protetto. Qualcuno che non avrebbe avuto paura di dire al mondo intero che lo amava. Qualcuno che gli avrebbe fatto capire che era importante e speciale. Ma Blaine questo non poteva dirglielo: perché quando poteva, Blaine diceva sempre la verità. E la verità era che dopo gli anni infernali nel suo primo liceo e quelli vissuti tra le ovattate pareti della Dalton, l’unico uomo con cui aveva trascorso più di mezz’ora, l’unico che sembrava davvero comprenderlo e ascoltarlo era William Shakespeare.

Morto da più di cinquecento anni. Non era certo l’esempio di un sereno rapporto di coppia.

“Lo farò non appena la vedrò.” Kurt teneva gli occhi fissi sulla mano che stringeva la tracolla, ma ebbe il coraggio sufficiente per dirlo. “Mi dispiace per essere stato inopportuno.” Poi alzò lo sguardo: “Mi dispiace per il bacio sulla guancia. Tu eri così carino e … cioè, volevo dire che Lei è stato così carino con me ieri… se avessi saputo che lo faceva perché era un professore non l’avrei mai fatto, invece credevo… non lo so cosa credevo. È stato comunque un errore. A volte sono impulsivo e poi me ne pento. Oddio, non pensi che vado continuamente a distribuire baci a dei perfetti estranei.”

Blaine fece un sospiro, poi sorrise benevolo.

“Non ti devi scusare Kurt. Non è stato niente. Non ha avuto alcun significato per me, quindi non ti preoccupare. È come se non fosse mai successo. Davvero.”

Ecco, forse era stato un tantino troppo esplicito nel chiarire che la cosa non aveva alcun valore, ma l’importante era che il messaggio arrivasse forte e chiaro. Dagli occhi improvvisamente lucidi di Kurt, capì di aver fatto centro.

“Le ho riportato questo.” Sfilò dalla borsa il fazzoletto da taschino di Blaine, che era stato accuratamente stirato e lavato. Kurt lo porse a Blaine con dita incerte, ma l’altro non allungò le mani per prenderlo; così decise di limitarsi ad appoggiarlo sulla cattedra, vicino alla sua agenda. Blaine si era completamente dimenticato di averglielo dato.

“Curioso, anche io ho qualcosa per te.” Aprì il primo cassetto della scrivania e poggiò accanto al fazzoletto la maglia di Kurt, accuratamente lavata e stirata a sua volta. “Ieri l’hai lasciata sul lavandino, ho pensato che il minimo che potevo fare era restituirtela, ma non sapevo che fossi un mio studente. L’ho scoperto solo dopo.”

Kurt guardò la maglia, poi la prese delicatamente, infilandoci sotto la mano.

“Grazie. Le direi che è una delle mie preferite, ma se fosse vero probabilmente non l’avrei dimenticata sul lavandino. Beh, allora io vado…”

Quando Kurt si scostò dal banco e fece per andare verso la porta, Blaine si alzò di scatto dalla cattedra, facendo per seguirlo. Kurt si voltò a osservarlo, corrucciando le sopracciglia e chiedendosi perché l’aveva fatto; non c’era bisogno di accompagnarlo fuori, la strada era piuttosto semplice da trovare.

“Io…” disse improvvisamente incerto. Si sentiva meno professore che mai, in quel momento. “Devo andare in sala professori.”

“Va bene. A domani.” Kurt uscì dalla stanza senza voltarsi indietro e Blaine rimase lì fermo, a metà strada tra la cattedra e la porta. Esattamente come aveva desiderato, a Kurt non importava un accidenti di lui o di quello che faceva, altrimenti non se ne sarebbe andato senza aggiungere altro. Tornò a sedersi, ma era ben lungi dal sentirsi soddisfatto; si sentiva svuotato, perché niente di quello che aveva appena detto o fatto rispecchiava minimamente quello che in realtà avrebbe desiderato dire o fare.

Nella sua testa, le cose sarebbero andate diversamente. Un piccolo tocco sulla spalla, un sorriso e una domanda: “Non ti preoccupare della nota, ho capito da me perché non sei venuto a lezione. Hai voglia di parlare? Ho un’ora libera.”

Ma non era possibile, perché tra i tantissimi modi in cui quella conversazione poteva andare avanti, almeno metà erano deliziosamente piacevoli e assolutamente inaccettabili, quindi l’unico modo per evitarli era non sostenerla affatto. Anche se significava passare per uno stronzo.

O per un semplice professore.

 

Kurt uscì dall’aula stordito. Se da un lato la freddezza del signor Anderson nei suoi confronti l’aveva sorpreso, sotto sotto sapeva che doveva aspettarsela: che mai doveva succedere, se non una conversazione civile in cui gli diceva che non era successo niente?

Era ovvio che sarebbe finito tutto in una bolla di sapone. Si era agitato tanto per niente.

Arrivò al suo armadietto e cominciò a riporvi con cura i libri di letteratura e la maglia che il professore gli aveva stirato: rimase a osservarla per qualche istante, notando la cura con cui il colletto era stato ripiegato,

e accarezzò delicatamente il tessuto intorno ai bottoni, poi chiuse lo sportello e s’incamminò verso biologia, pronto ad archiviare tutta la faccenda come un’altra delle cose che avrebbe dimenticato una volta finito il liceo.

Kurt non aveva intenzione di mollare. Potevano scrivere quello che volevano sui muri, potevano inzupparlo di granita e potevano prenderlo in giro fino a farlo piangere, ma non avrebbe mai rinunciato a essere se stesso: impulsivo, esagerato e un po’ vanitoso. Aveva faticato tanto per accettarsi e ora era pronto a fare tutto quello che era necessario per tirare fino alla fine del quarto anno: tenere un cambio d’abiti nell’armadietto, andare al bagno abbandonato per non leggere scritte oscene sul suo conto, sedersi da solo durante le lezioni che seguiva senza Mercedes, fingere di non sentire le risatine quando passava.

Perché se Kurt si sforzava, poteva immaginarsi tra dieci anni, felicemente accoccolato sul divano contro suo marito, a raccontargli di quella volta che, senza saperlo, aveva baciato il nuovo professore di letteratura; avrebbero riso, poi si sarebbero baciati per davvero e poi magari…

Lui sapeva che avrebbe trovato qualcuno, una volta uscito da quell’inferno: qualcuno che ci sarebbe stato davvero per lui, qualcuno con cui parlare per ore senza annoiarsi, qualcuno a cui affidarsi completamente.

A volte si chiedeva se la sua fantasia non era troppo ottimista e si domandava se forse immaginare era meglio che scontrarsi con la realtà di una vera relazione, ma poi si ricordava che aveva solo diciotto anni e che sognare non costava niente. Soprattutto ora, quando la vita aveva così poco da offrirgli, in quel senso.

Per ora nei suoi sogni non andava oltre a qualche bacio, ma era certo che quel momento sarebbe arrivato.

In mezzo corridoio, Kurt arrossì. Perché per la prima volta lo aveva appena immaginato con riccioli neri, umidi come appena usciti dalla doccia, e occhi color miele. Sorridenti e gentili come li aveva visti la prima volta.

Si mise una mano sulla guancia: stava per dirsi da solo quanto era sciocco, stupido e inutile anche solo pensarci, quando qualcuno interruppe i suoi pensieri.

“Ehi, fatina! Invece di stare lì imbambolato, perché non ascolti un po’ quello che abbiamo da dirti?”

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Una piccola nota introduttiva. Prima di tutto voglio ringraziarvi, perché onestamente non mi sarei mai aspettata che il terzo capitolo di una mia storia potesse arrivare ad avere trenta recensioni; perché siete stati in tanti a scrivermi e chiedermi di continuare; perché in tanti avete ascoltato fino allo sfinimento le mie paranoie. GRAZIE!

Il risultato è che ho deciso di continuare a pubblicare la storia, il vostro entusiasmo ha spazzato via ogni titubanza. Seriamente, vi adoro.

Dato che poi questo è l’ultimo aggiornamento prima di Natale, vi auguro anche buone feste! Domani aggiornerò anche Klaine and the city, ma non so quanti di voi seguano anche quella storia, quindi intanto ve lo scrivo anche qui.

Vi lascio anche il link alla mia pagina Facebook, dove pubblico gli aggiornamenti e qualche altra stupidata.

http://www.facebook.com/pages/Lievebrezza-EFP/237960512916776

Come sempre, manderò l’avviso di aggiornamento a chi è stato così gentile da aggiungere la mia storia nei preferiti: per una storia che è appena al terzo capitolo è una grandissima dimostrazione di fiducia. Vi ringrazio anche di questo.

Ora giuro che ho finito e vi lascio alla storia. Ci vediamo lunedì con il quinto capitolo: un bacio e un abbraccio a tutti, mi auguro che ciò che leggerete sia interessante.

 

Capitolo quarto


“Ehi, fatina! Invece di stare lì imbambolato, perché non ascolti un po’ quello che abbiamo da dirti?”
Kurt alzò gli occhi al cielo: dal caldo abbraccio del suo futuro marito immaginario ai freddi e malinconici corridoi del suo liceo il passo era breve. A volte davvero troppo breve per rispondere sempre con un sorriso, soprattutto quando a strapparlo via dalle sue fantasticherie erano due idioti. Anche se era appena il secondo giorno di scuola, per Kurt era come se l’estate non fosse mai esistita, come se tutti quei quotidiani tormenti non fossero ricominciati appena ieri. Vedere i muri bianchi nel bagno gli aveva dato un pizzico di speranza, ma quello schiamazzo che aveva richiamato la sua attenzione nel corridoio era la dimostrazione esatta che era davvero troppo presto per abbassare la guardia.

I pesanti passi alle sue spalle si facevano sempre più vicini, così si voltò, stringendo al petto il libro di biologia come una sorta di scudo; non disse nulla, ma guardò dall’alto in basso i due giocatori che gli stavano andando incontro, con le mani affondate nelle tasche della giacca da football e lo sguardo strafottente. Mentre si avvicinavano li guardò con attenzione: visti così facevano più pena che paura. Forse era la camminata priva di un briciolo di grazia, o le espressioni del viso, così forzatamente minacciose da sembrare caricature; Kurt era preoccupato per quello che gli facevano di solito, non per come apparivano. Non voleva ritrovarsi anche quest’anno con la schiena piena di lividi, costretto a nasconderli continuamente a suo padre.

Se quei due fossero stati anche solo un pizzico più intuitivi, avrebbero letto nei suoi occhi qualcosa di pericolosamente simile al disprezzo e all’esasperazione. Il silenzio era l’unica difesa che aveva, insieme al sarcasmo cui ricorreva ogni volta che era costretto a parlare con loro.

“Non ci interessa quello che ha detto il nuovo professore. Nel bagno degli uomini quelli come te non sono i benvenuti, scritte o non scritte. Abbiamo ripulito solo per non essere sbattuti fuori dalla squadra, ma un muro bianco non cambia le cose, cancellare qualche disegno non ti rende normale, rimani comunque uno schifoso pervertito.” Disse Azimio, che mentre parlava spingeva inesorabilmente Kurt dal centro del corridoio fin contro gli armadietti. Quando concluse con enfasi la frase, un piccolo schizzo di saliva fece ulteriormente arretrare Kurt che, quando appoggiò la schiena contro il metallo freddo, rabbrividì attraverso il sottile tessuto della camicia.

“Tu non ci entri nel nostro bagno. Hai capito? Metteremo un cartello, come per i cani fuori dai bar.”

Karofsky era accanto all’altro e diede a Kurt una leggera spintarella sulla spalla. Kurt aprì la bocca per parlare, ma qualcosa gli impedì di andare avanti: forse paura, forse rassegnazione, forse stanchezza.
“Ecco bravo, stai zitto. Sappi che possiamo anche non limitarci a granite e spintoni, quindi cerca di non fare troppo lo sfrontato; l’ultima cosa che vogliamo è una checca arrapata pronta a guardarci l’uccello quando andiamo in bagno. L’anno è lungo e i professori non possono tenerti d’occhio continuamente.”

E quando mai uno dei professori si era preoccupato di tenerlo d’occhio?

Li guardò furibondo, con gli occhi lucidi per la frustrazione: non poteva rispondergli, non poteva minacciarli, non poteva fare la spia. Poteva solo subire, perché fare qualunque altra cosa avrebbe peggiorato la situazione; ed esattamente come diceva Azimio, l’anno era appena cominciato.

“Fichetta.”

Con quell’ultima parola, Karofsky si sporse verso di lui e gli diede una scrollata più forte del solito, sbattendolo con forza contro gli armadietti. Preso alla sprovvista, Kurt incassò scompostamente il colpo: il suono metallico fece girare alcuni studenti, che fino a quel momento avevano ignorato tranquillamente la scena, classificandola come normale routine. Nessuno fece nulla, ovviamente, ma qualcuno si fermò a guardare.
Azimio non fece una piega, ma Karofsky si guardò intorno circospetto, temendo di aver attirato l’attenzione di qualche professore. Nonostante qualche sguardo, nessuno si avvicinò, così prese Azimio per il braccio.
“Andiamo, non voglio farmi altre due ore con quel tappo. Abbiamo pulito abbastanza, per quest’anno, non è il caso di ricascarci di nuovo.”

Andò via con il compagno di squadra, lanciando un ultimo sguardo a Kurt che, dopo averli visti andare via, aveva appoggiato la testa all’armadietto e, chiusi gli occhi, stava facendo un respiro profondo: per tranquillizzarsi, o per trattenersi, Dave non lo sapeva. Si voltò verso Azimio e si costrinse a non guardarlo di nuovo; cominciarono a parlare delle tette di una starlette televisiva.

Un altro respiro, poi Kurt aprì gli occhi. Davanti a lui c’era una ragazza che lo guardava con attenzione: Kurt sorrise. Stava per dirle di non preoccuparsi, che stava bene e che non c’era bisogno di avvisare nessun professore dell’accaduto, poi capì che stava solo aspettando che lui si togliesse dal suo armadietto. Raddrizzò la schiena e se ne andò via, ignorando il dolore che pulsava alla base della spalla, nel punto in cui quell’idiota l’aveva schiacciato con forza contro il lucchetto. Non aveva bisogno di controllare, sapeva già che gli sarebbe venuto un bel livido e, mentalmente, si rimproverò di aver incassato così male il colpo. Era fuori allenamento?

Seduto accanto a Finn durante la lezione di biologia impiegò almeno mezz’ora per liberarsi di quella viscida e fastidiosa sensazione che gli rimaneva in corpo dopo ogni conversazione con quegli idioti. Ogni volta impiegava qualche minuto in più, ma alla fine ritornava sempre a essere se stesso: passò la restante ora di lezione ad ascoltare con attenzione, prendendo appunti con una penna ricoperta di glitter, esibendola senza il minimo imbarazzo. Si ripeteva continuamente che l’avrebbero preso di mira anche se fosse venuto a scuola in jeans, felpa ed Eastpack, quindi non aveva intenzione di rinunciare ai suoi abiti alla moda per poi essere trattato comunque da schifo.

Ogni tanto la mente vagava e ritornava su quel divano: si immaginava seduto con le ginocchia raccolte al petto, avvolto in un plaid di pile e con una tazza di cioccolata in mano, intento a raccontare come aveva passato la sua giornata a una figura dai tratti confusi, seduta dall’altro lato del divano. Avrebbero riso insieme su quello che era successo nel backstage o dell’acuto finale di Kurt, che ovviamente era il protagonista di un famoso spettacolo a Broadway. Avrebbero indossato maglioni coordinati e camicie con i gemelli, mentre davanti a loro scoppiettava un piccolo fuoco e un gatto si strusciava contro le loro gambe intrecciate. Suo marito sarebbe stato l’unico a cui avrebbe raccontato ogni cosa, nei pochi momenti in cui si concedeva di ricordare gli anni del liceo: gli avrebbe detto di non piangere, gli avrebbe detto che se ci fosse stato lui sarebbe andato tutto diversamente. Gli avrebbe detto che ora era al sicuro, che nessuno l’avrebbe mai più toccato o insultato.

Di nuovo, mentre tornava ad ascoltare una noiosissima spiegazione sul DNA, Kurt si trovò a chiedersi se immaginare l’amore era più bello che viverlo davvero. E forse per la prima volta, si chiese incerto se avrebbe avuto modo, prima o poi, di scoprirlo davvero.


I pensieri di Blaine, alcune ore più tardi, non erano tanto diversi da quelli di Kurt. Seduto a un tavolo del Lima Bean, fissava con sguardo vacuo lo schermo del pc, mentre si chiedeva che cosa mai c’era di tanto sbagliato in lui per essersi messo in una situazione tanto imbarazzante già al suo secondo giorno di lavoro. Non che ci fosse nulla da risolvere: ormai aveva parlato con Kurt e aveva chiarito la situazione, ma era leggermente turbato da quanto in realtà avesse desiderato dire tutt’altro, in quella conversazione. Da quel pensiero al pensare alle sue vicende passate il passo fu breve.

Era da quell’assurdo san Valentino che credeva di non essere tagliato per le relazioni. Blaine poteva dire con certezza che lui e l’amore correvano su due linee parallele destinate a non incrociarsi mai; era sicuro di avere un pessimo fiuto per i ragazzi e di essere totalmente inadatto a vivere le storie d’amore; dopotutto, la sua vita era costellata di insuccessi sentimentali, dovuti prima a un eccessivo entusiasmo, poi a una sconfortante ingenuità, condita da una buona dose di solitudine.

La sua prima vera cotta risaliva ai primi anni nel liceo che frequentava prima di trasferirsi alla Dalton: aveva infilato un biglietto anonimo nell’armadietto di uno dei ragazzi più popolari del quarto anno, in cui molto spontaneamente aveva espresso la sua ammirazione. Quando gli studenti avevano scoperto che era lui l’autore di quella sdolcinata dichiarazione d’amore, non si erano fatti scrupoli nel diffondere rapidamente la notizia in tutta la scuola. Per poi scrivergli FROCIO sulla fronte con un pennarello indelebile. La scritta aveva resistito quasi a ogni solvente e aveva impiegato quasi una settimana a scomparire. Chiuso in camera, con quella parola che gli bruciava sulla fronte e la musica che gli assordava le orecchie, aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più fatto nessuna avance a un ragazzo eterosessuale, neppure il più velato dei complimenti. Non che quella decisione gli avesse evitato di essere pestato in almeno un paio d’occasioni.

Poi c’era stato Jeremiah, il primo ragazzo gay che aveva conosciuto e dimostrato un minimo interesse nei suoi confronti: era bastato uscire con lui per un paio di caffè e Blaine si era preso una cotta colossale, al punto di tormentare i Warblers per accompagnarlo nella più imbarazzante esibizione che il centro commerciale di Westerville avesse mai visto. Ogni volta che gli tornava in mente il modo in cui aveva saltellato da uno scaffale all’altro il viso gli diventava bollente per la vergogna. Ma la parte più imbarazzante era venuta dopo, quando era ingenuamente corso incontro a Jeremiah fuori dal lavoro e aveva scoperto che era stato licenziato e non era minimamente interessato a lui. Anzi, non aveva intenzione di rivederlo mai più, neppure per un caffè.

Stupidamente, Blaine aveva immaginato che le cose sarebbero andate in modo completamente diverso. Jeremiah gli sarebbe andato vicino e l’avrebbe delicatamente baciato sulle labbra, solleticandogli il viso con i suoi riccioli biondi mentre gli sussurrava che era stato un folle a cantare per lui davanti a tutti; l’avrebbe preso per mano e sarebbe diventato il suo ragazzo. Invece, era rimasto impalato come uno stoccafisso alla fermata dell’autobus, gelando fino nelle ossa mentre si chiedeva che cosa aveva sbagliato: forse era stata la canzone, forse il momento, forse il luogo. Forse semplicemente era lui che non andava bene.
Di nuovo.

Era rimasto seduto da solo su quella panchina per più di quattro ore, attonito dall’umiliazione e dalla confusione. Tornato alla Dalton, chiuso nella sua stanza, aveva pianto tutte le sue lacrime fino a sentirsi esausto; nessuno dei suoi amici sapeva bene come prenderlo o cosa dirgli, così rimasto lì finché la scusa dell’influenza era diventata inverosimile. Senza nessuno al suo fianca capace di rincuorarlo, era riemerso da quel periodo nero, ritrovandosi più fragile che mai. Alla fine, quando si era quasi convinto che si trattava di una semplice cotta finita male, aveva conosciuto Sebastian.

Con alle spalle un’estate davvero pessima, divisa tra i litigi con suo padre e il silenzio di sua madre, quel ragazzo proveniente da Parigi gli era sembrato subito così… esotico.

Non poteva negare di essere rimasto affascinato dal suo atteggiamento e dal modo in cui sembrava guardarlo. Allo stesso modo, il suo essere elegante, contenuto e un bravo ragazzo aveva avuto il medesimo effetto su Sebastian: gli era girato attorno giusto il tempo di assicurarsi che fosse gay, poi aveva iniziato a puntarlo.
Non ci voleva molto per capire che Sebastian non era il ragazzo adatto a lui: troppo sicuro di sé, troppo strafottente, troppo esperto. Non era quello di cui aveva bisogno in quel momento, ma era quello che aveva a disposizione; in più, Sebastian non gli aveva lasciato molta scelta. Semplicemente gli era stato addosso in ogni momento che non prevedeva lezioni o prove con il Glee Club e nel giro di un paio di settimane, Blaine si era ritrovato a trascorrere insieme a lui ogni minuto della giornata. Non erano una coppia, perché tra loro non era mai successo niente: Sebastian parlava troppo ed era troppo esuberante per i suoi gusti. A differenza di come era accaduto con Jeremiah, Blaine non aveva mai immaginato di baciare Sebastian in modo romantico: si era masturbato, spesso e volentieri, ma non c’era mai dolcezza quando pensava a lui. Sapeva di non esserne innamorato e che per questo non moriva dalla voglia di vederlo quando erano separati o non fantasticava su come sarebbe stato baciarlo davanti a un fuoco scoppiettante.
Poi, Sebastian si era stufato di aspettare: aveva approfittato di un momento tranquillo nella sala studio della Dalton, gli aveva tolto di mano il libro che stava studiando e l’aveva baciato, schiacciandolo senza tanti complimenti contro lo schienale del divano su cui erano entrambi seduti. Sorpreso da quel gesto improvviso, prima di rendersene contro, Blaine si era trovato a ricambiarlo, e come il resto della relazione che era seguita, nemmeno quel primo bacio era stato dolce, romantico o tenero. Era stato uno scontro di lingua, denti e saliva; c’erano stati gemiti e mani che s’infilavano sotto le giacche, ma nessuno aveva sussurrato parole d’amore. Né nessuno dei due si era aspettato di sentirle pronunciare.

Nessuno dei due aveva accarezzato delicatamente la pelle d’altro, né aveva finto qualcosa che non c’era. Non era stato il primo bacio che aveva immaginato tante volte nel corso degli anni: quella sera, quando nella solitudine della sua stanza si era tolto la divisa, Blaine aveva trovato solo un succhiotto violaceo, dei graffi su un fianco e due bottoni allentati. Però si era sentito meno solo; aveva sentito di avere qualcosa.

E avevano cominciato a stare insieme, nello strano modo in cui Sebastian concepiva la loro relazione: per lui tutto era ammesso e nulla poteva essergli rimproverato. Se Blaine si lamentava che andava troppo spesso allo Scandal o che quel segno sul collo era certo di non averglielo fatto lui, bastava che Sebastian gli ricordasse che non erano una coppia per farlo tacere. Si ripeteva che non doveva niente e andava a cantare con i Warblers, si tuffava nei suoi libri di letteratura e si convinceva che poteva fare a meno di lui, finché non bussava alla porta della sua camera, Blaine gli apriva e si lasciava spingere sul letto, ricacciando in un recondito angolo della mente il motivo per cui era arrabbiato con lui.

Ovviamente, per Sebastian non era stato sufficiente prendersi il primo bacio di Blaine senza il minimo coinvolgimento affettivo, senza dargli alcuna importanza: si era preso, nemmeno troppo lentamente, anche tutto il resto. Una sera nel parcheggio dello Scandal lo aveva afferrato per la nuca e senza troppi preamboli, l’aveva tirato verso la patta dei suoi pantaloni. Un altro giorno si era infilato nella sua doccia, dopo l’allenamento di lacrosse. Una notte si era intrufolato nel suo letto ed era rimasto fino al mattino successivo. Ogni volta senza chiedere. Non che a Blaine quelle cose non piacessero o non interessassero: fare pratica con Sebastian era davvero molto piacevole, ma tutto era così diverso da come l’aveva sempre immaginato. Lentamente, si era convinto che le sue erano fantasticherie adolescenziali, che magari era tutto esattamente come doveva essere e che era lui ad aver desiderato qualcosa che non esisteva: ogni tocco sarebbe stato identico, anche se fossero stati innamorati.

Solo verso la fine dell’anno scolastico, quando mancavano alcuni mesi al diploma, Blaine aveva capito davvero quanto poco Sebastian tenesse a lui, visto che aveva deciso di tornare in Francia per gli studi universitari, senza nemmeno avvisarlo. Blaine l’aveva scoperto in mensa, ascoltando le chiacchiere eccitate di due ragazzi del primo anno. Ovviamente Blaine sapeva bene che non avrebbero scelto college nella stessa città, né si aspettava un addio straziante dopo la cerimonia di fine anno, ma pensava di valere abbastanza da ricevere quell’informazione prima degli altri, magari di ascoltare i dubbi di Sebastian al riguardo. Aveva chiesto così poco a Sebastian, nel corso di quei mesi: non gli aveva chiesto di fare finta di essere innamorato, non gli aveva chiesto di essere il solo, non gli aveva mai chiesto nulla. Eppure, vedersi negata anche quella piccola cortesia l’aveva ferito più ogni altro gesto di Sebastian e gli aveva permesso di aprire finalmente gli occhi.

Non gli aveva più concesso di dormire nella sua stanza, non era più andato a recuperarlo quando il buttafuori dello Scandal gli requisiva le chiavi dell’auto perché era ubriaco marcio, non gli aveva più dato la possibilità di toccarlo. Lo ignorava nei corridoi, si sedeva lontano da lui ogni volta che ne aveva occasione; troppo confuso per elaborare mentalmente lo shock, era capace solo di allontanarlo fisicamente. Sebastian aveva trovato la sua reazione assurda e aveva insistito a lungo perché tutto tornasse come prima, ma dopo un tentativo troppo invadente, Blaine l’aveva improvvisamente schiaffeggiato in pieno viso. L’altro era rimasto a guardarlo per qualche istante, con le mani che gli tenevano ancora ferme le spalle e la bocca semi aperta, poi se ne era andato, senza dire nulla.

Non si erano più rivolti la parola, dopo quel giorno. Almeno, non si erano più parlati finché non si erano incontrati ad Harvard e nessuno dei due era la stessa persona di due anni prima. Ed erano cambiate parecchie cose.


“Finn, io dopo scuola prendo il bus per andare a lezione di piano, te lo ricordi? Ti lascio la mia macchina per andare a casa dopo gli allenamenti. La roba sudata per l’amor del cielo mettila nel borsone, non contaminarmi il bagagliaio, ok?” Nel corridoio del McKinley, Kurt gli ficcò le chiavi in una mano senza tanti preamboli e se ne andò, camminando disinvolto verso l’ingresso.

La forza di Kurt veniva in buona parte dalla pianificazione e della determinazione: sapeva che cosa voleva e sapeva che cosa doveva fare per ottenerlo. Il massimo dell’istruzione che poteva avere a Lima era offerto dal McKinley, pertanto seguiva il maggior numero di corsi avanzati e aveva il massimo dei voti in quasi tutte le materie. L’ideale sarebbe stato seguire un corso di teatro o di letteratura teatrale, ma era decisamente chiedere troppo per una scuola pubblica a Lima; per questo motivo era intenzionato a seguire con particolare attenzione il corso di letteratura inglese avanzata. Avrebbero sicuramente parlato di teatro e non voleva perdersi nemmeno un’informazione, perché tutto sarebbe poi finito nel suo curriculum.

Alla formazione scolastica univa lezioni private di canto e di pianoforte, a casa si sforzava di ascoltare musica, guardare film impegnati, tenersi informato su ciò che accadeva quotidianamente nel mondo dello spettacolo. E della moda, ovviamente.

Ogni fibra del suo corpo era impegnata: doveva arrivare al massimo delle sue possibilità per avere una minima chance di ottenere ciò che davvero desiderava. E quello che Kurt Hummel desiderava davvero era diventare una star. Voleva che tutti lo guardassero ammirati dal suo talento, dalla sua presenza scenica, ammaliati dalle sue doti e dalla sua performance. Lo voleva più di ogni altra cosa.

Per ora doveva accontentarsi di essere additato nei corridoi perché indossava degli stivali anziché sneakers consunte, o perché appesa alla cintura aveva una coda pelosa, ma un giorno quei bifolchi avrebbero pagato fior di dollari per sedersi nelle poltroncine di un lussuoso teatro e guardarlo da lontano, finalmente libero di risplendere. Era solo questione di tempo e di resistenza. Era disposto a rinunciare a qualunque altra cosa, ma non a quella.

Era questo che si ripeteva quotidianamente, anche ora, seduto su un bus maleodorante, mentre andava a lezione di pianoforte. Adorava la sua auto, ma sapeva essere una persona pratica: lo stesso bus che lo portava da scuola allo studio della signorina Rice, procedeva la sua corsa e andava diritto a casa sua. Era una coincidenza talmente fortunata che sarebbe stato un affronto al buco dell’ozono non approfittarne. Gli piaceva concedere a Finn, solo di tanto in tanto, di guidare il suo SUV e farsi bello con Rachel; almeno lui poteva approfittare degli ampi sedili reclinabili e del tetto panoramico. In più essere green era uno dei trend del momento, insieme ai pantaloni di pelle e il pizzo.

Canticchiando tra sé e sé, scese dal bus e corse lungo il marciapiede, oltrepassando il Lima Bean dove si fermava a prendere un caffè quando perdeva la corsa delle cinque e doveva aspettare quaranta minuti per prendere quella successiva. Kurt adorava quel posto, anche se amava bistrattarlo sostenendo che era solo la pallida imitazione di Starbucks, troppo metropolitano per abbassarsi ad aprire una filiale a Lima.

Quando, puntuale come un orologio, la signorina Rice lo trattenne abbastanza da fargli perdere il bus, Kurt entrò sorridendo nella caffetteria, pregustando il soffice sapore dei loro muffin senza burro e il cappuccino con latte scremato, ma quello che vide mentre aspettava pazientemente in fila lo sorprese: il signor Anderson era seduto a uno dei tavolini più lontani dalle vetrine, con in mano una tazza che sembrava contenere almeno mezzo litro di caffè bollente.

Spostando il peso da un piede all’altro mentre aspettava il suo turno, Kurt si concesse il lusso di dargli una lunga occhiata, certo di non essere stato visto e, di nuovo, sembrava guardare una persona diversa non solo dal ragazzo che aveva incontrato nel bagno la prima volta, ma anche dal professore conosciuto in aula. I capelli non erano incollati alla testa, ma si muovevano scomposti ogni volta che inclinava la testa per bere; sembravano soffici, scuri e ricci. Non indossava né camicia, né gilet, come le altre volte, ma un maglioncino di cotone rosso e una polo, con dei jeans scuri.

Stava sorridendo, ed era bellissimo.

Per un istante, Kurt pensò che avrebbe potuto andare a salutarlo, magari scambiare con lui due parole sulla lezione di quel giorno e bofonchiare ancora qualcosa di estremamente imbarazzante; poi si accorse che il professore non era solo, a quel tavolo. Seduto davanti a lui c’era un ragazzo, che ascoltava con attenzione quello che gli stava raccontando concitatamente; anche lui era piuttosto carino, anche se era molto diverso dall’altro. Era molto alto, con corti capelli castani e un largo sorriso: se era il suo ragazzo, il professore era fortunato. 
Quando arrivò il suo turno, prese il caffè e chiese di avere il muffin in un sacchetto, ma prima ancora di elaborare consciamente la cosa Kurt aveva deciso che, forse, poteva usare quei quaranta minuti per una breve passeggiata al parco. Mentre prendeva le sue ordinazioni, il ragazzo castano prese la mano del signor Anderson.

 Kurt uscì dal locale con passo leggero e cuore pesante.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Signori, il quinto capitolo. E' estremamente lungo e ci ho lavorato sopra parecchio: spero che troviate un minutino per leggerlo e magari per farmi sapere che cosa ne pensate. Un abbraccio e buon Santo Stefano!

Per chiarire un paio di cose prima della lettura: in stampatello siamo al presente, nel corsivo sono i ricordi di Blaine. Buona lettura!

Capitolo quinto

Dentro al Lima Bean filtrava una pigra luce pomeridiana, che illuminava i tavolini attraverso le vetrate dell’ingresso: alcune persone erano in fila davanti alla cassa, occhieggiando i dolci e confabulando sulle loro ordinazioni, altre invece erano sedute, leggendo distrattamente il giornale o scrivendo al computer. Nessuno faceva caso al giovane ragazzo che sfogliava attentamente un libro, spulciando a matita le note scritte fitte e ricopiando alcuni passi sul suo portatile; così come nessuno fece caso al ragazzo che paio d’ore dopo sedette con lui dopo aver ordinato un cappuccino.

Blaine gli sorrise stancamente, chiuse il computer e ci appoggiò sopra il libro, spingendolo di lato e sfregandosi gli occhi, probabilmente provati dalle ore trascorse a fissare lo schermo. L’altro ragazzo fece dondolare il bicchiere di cartone in una mano, guardando la schiuma oscillare all’interno; fece una smorfia poco convinta, bevve un sorso e lo poggiò sul tavolino, vicino al caffè di Blaine. Fece un lungo sospiro, poi finalmente parlò.

“Blaine, ti prego, dimmi di nuovo perché sei venuto in questo posto dimenticato da Dio.” Sollevò un sopracciglio e guardò Blaine, seduto di fronte a lui. Sembrava seriamente aspettarsi una risposta.

“Per l’ennesima volta, dopo la laurea avevo bisogno di cambiare aria. Ho mandato i curriculum all’ultimo minuto e quello di Lima è l’unico liceo che mi ha proposto un lavoro come professore di letteratura. L’alternativa era insegnare educazione fisica in New Mexico, quindi la scelta è stata obbligata. Ecco. Contento?” Esasperato, Blaine versò altro zucchero nel suo caffè, sbuffando sonoramente.

“Contento? Ucciderei per un cappuccino fatto a regola d’arte. Cazzo, in questo buco di culo non c’è nemmeno Starbucks. Che fine ha fatto la dolce, affidabile e materna globalizzazione?” Rispose l’altro, senza moderare minimamente il tono di voce. “Allora, chi devo scoparmi per avere un cappuccino che non sappia di merda?” Alcune persone si voltarono verso di loro e lo guardarono storto, ma lui non fece una piega.

“Sebastian! Accidenti a te, modera il linguaggio… non sei più a Parigi, qui capiscono ogni singola parola che ti esce da quella boccaccia che ti ritrovi.” Blaine si sporse verso di lui, come se la vicinanza potesse in qualche modo correggere il linguaggio scurrile dell’altro.

“Dopo tutti questi anni, sei ancora un damerino.” Sebastian gli fece una linguaccia e riportò alle labbra il cappuccino annacquato che fino a qualche minuto prima stava facendo dondolare annoiato nella mano. “Allora, fiorellino, come ti vanno le cose?”

 ***

Dopo quel tentativo di pacificazione e lo schiaffo di Blaine in pieno viso, non si erano rivolti la parola fino alla fine dell’anno scolastico. Terminata la cerimonia dei diplomi, Blaine se ne era andato prima ancora che l’altro potesse dire o fare qualcosa per recuperare in extremis quello che rimaneva del loro rapporto. Quando aveva lasciato la Dalton non aveva più né il numero di telefono di Sebastian, né l’intenzione di rivederlo. Almeno non intenzionalmente.

Se l’era ritrovato seduto davanti nella sala colazioni di Harvard all’inizio del suo terzo anno d’università: incredibilmente, aveva faticato a riconoscerlo in quel ragazzo smunto, smagrito e arruffato che fissava mesto la sua tazza di latte senza nessuna voglia apparente di vuotarla.

Con le labbra imbronciate, rimestava lentamente il liquido con il cucchiaio, che teneva mollemente stretto tra le dita: sembrava completamente perso nei suoi pensieri e Blaine, paralizzato per la sorpresa, ne aveva approfittato per osservarlo con attenzione. I capelli erano sporchi e fuori taglio, appiccicati alla testa da un sonno agitato, gli occhi erano spenti e cerchiati da profonde occhiaie, mentre sulle spalle la camicia cadeva larga, come se avesse indossato gli abiti di qualcun altro. Erano passati più di due anni dal loro diploma e Blaine aveva smesso di essere arrabbiato con lui già da un pezzo: con il passare del tempo aveva imparato a sigillare accuratamente i suoi sentimenti e a non rendersi mai vulnerabile. Sebastian gli aveva confermato la sua assoluta incapacità nei rapporti affettivi: l’unico modo per non essere ferito era non lasciarsi mai coinvolgere. Ora era curioso di sapere perché Sebastian non era alla Sorbona e intento a scoparsi ogni ragazzo gay che ci metteva piede. Sembrava essere la pallida e triste imitazione del ragazzo che era.

E così l’aveva chiamato per nome, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla tazzina che ora aveva stretta tra le mani: alzati gli occhi, li aveva spalancati un poco quando aveva riconosciuto Blaine nel ragazzo seduto davanti a lui.

“Fantastico…” aveva mormorato, passandosi una mano nei capelli. “Ci mancava solo aggiungere un vecchio errore a questo periodo di merda. ”

Si era alzato ed era andato via senza aggiungere altro, trascinando i piedi mentre lentamente abbandonava la sala della colazione. In quell’occasione, Blaine non aveva avuto la possibilità di dirgli altro.

Dopo quel primo incontro, l’aveva incrociato ancora nei corridoi dei dormitori e ogni volta sembrava stare peggio: Blaine ormai aveva abbandonato la curiosità in favore di una seria preoccupazione. A ogni incontro, Sebastian sembrava più magro e più abbattuto: più di ogni altra cosa, era l’assenza di ogni luccichio ad angustiare Blaine. Sebastian poteva essere stato freddo o scorretto, ma era innegabile la vitalità che lo caratterizzava e che animava con malizia il suo sguardo; ora nei suoi occhi non si leggeva che sconfitta.

Si era informato tra gli altri studenti e aveva fatto qualche domanda in segreteria: aveva scoperto che era iscritto al secondo anno di economia, anziché al terzo, e che era arrivato in università ai primi di settembre. Non faceva parte di nessuna confraternita, non frequentava mai le lezioni e non aveva legato con nessuno, né sembrava intenzionato a farlo. Dondolava irrequieto dalla mensa alla caffetteria, ciondolando in biblioteca e passeggiando per i corridoi.

A inizio dicembre, Blaine non era più riuscito a trattenersi ed era andato a bussare alla sua camera: non sapeva esattamente cosa fare, ma voleva sapere che cosa gli era successo. All’interno sembrava essere esploso un cassonetto: i vestiti erano ammucchiati ovunque, sulla scrivania erano abbandonati vasetti di yogurt maleodoranti e a terra il pavimento era coperto di cartacce. L’unico libro collocato sulla libreria era un enorme dizionario di francese.

Sebastian era sdraiato a pancia in giù sul letto, con un braccio che pendeva da un lato e toccava a terra, il viso appiccicato al cuscino e un’ampia macchia di saliva vicino alle labbra. Sul suo viso aveva riconosciuto la familiare espressione comatosa che caratterizzava i suoi peggiori postumi da sbornia: qualcuno doveva essersi divertito parecchio, la sera precedente. L’odore di alcool, misto a quello di abiti sporchi e latte rancido, aveva colpito brutalmente il naso di Blaine, che aveva aperto le finestre senza curarsi di chiedere il permesso; aria fresca e fiocchi di neve avevano invaso la stanza, costringendo Sebastian a svegliarsi. Si era guardato intorno con aria confusa, poi si era ributtato sulle coperte annodate, senza prestare alcuna attenzione alla presenza di Blaine ai piedi del letto.

A distanza di anni Blaine ancora non sapeva spiegarsi perché aveva fatto quello che aveva fatto. Aveva afferrato un sacco della spazzatura, raccolto le cartacce e ripulito la scrivania: era incredibile quanta roba si era accumulata in quella piccola stanza. Aveva preso i vestiti, li aveva etichettati e portati in lavanderia, poi era tornato da Sebastian, determinato ad arrivare in fondo alla faccenda. Come sempre, le brioches al miele erano l’unica cosa in grado di farlo alzare quando nient’altro sembrava funzionare: aver dormito insieme per mesi gli aveva insegnato qualcosa. Sebastian si era seduto sul letto e aveva sbranato i cornetti senza dire una parola, lanciando occhiate guardinghe a Blaine, appoggiato alla scrivania.

“Hai intenzione di lavarti, prima o poi?” Lo aveva guardato un po’ schifato, arricciando il naso.

“Non è affar tuo. Né mai lo è stato.” Sebastian aveva mandato giù l’ultimo boccone, poi era rimasto in silenzio, stropicciando tra le dita il bordo delle lenzuola. Ma Blaine non aveva ceduto e si era avvicinato al letto, prendendolo per un braccio.

“Qualunque cosa ti sia successa, ti posso assicurare che dopo una doccia le cose ti sembreranno migliori.” Lo aveva tirato piano e Sebastian, troppo debole per opporre resistenza, lo aveva seguito nel piccolo bagno privato della sua stanza, sedendosi sull’asse del water. Blaine aveva acceso l’acqua della doccia e atteso finché il vapore non aveva invaso il bagno, poi era andato da Sebastian e gli aveva sfilato la casacca del pigiama. L’altro, intontito dall’alcool e dal sonno, lo aveva lasciato fare e si era diretto verso la doccia in boxer, sospinto da Blaine; era in quel momento che si era reso conto di quanto fosse dimagrito. Non era mai stato un ragazzone, ma ora davvero ai limiti del macilento.

Mentre Sebastian era nella doccia, Blaine aveva disfatto completamente il letto e chiuso la finestra, poi si era seduto alla scrivania. Aveva aspettato a lungo, poi era tornato nel bagno: non si era stupito di trovare l’altro raggomitolato sotto il getto dell’acqua bollente, seduto a terra nella doccia. Con un sospiro aveva spento l’acqua e l’aveva aiutato ad alzarsi, poi gli aveva passato l’accappatoio, che fortunatamente sembrava asciutto e pulito.

Quando entrambi si erano trovati nella stanza, seduti a gambe incrociate sul materasso, Sebastian finalmente aveva iniziato a parlare; prima aveva biascicato a casaccio sulla pessima vodka che si era bevuto la sera prima, poi si era lamentato della neve e dello scivolone che aveva fatto, picchiandosi la schiena.

La stessa scena si era ripetuta per diverse mattine: ogni giorno prima delle lezioni Blaine passava da lui, trovando la stanza un poco più in ordine e Sebastian un poco più in sé, ma fu solo a marzo che iniziò a parlare della Francia. Aveva impiegato quasi tre mesi per dare a Blaine una mezza idea di quello che gli era successo.

E ad aprile, finalmente parlò di François.

 ***

“Ricapitolando, il preside è un’idiota, tu hai paura che l’allenatrice voglia metterti su uno spiedo per poi mangiarti e i giocatori di football fanno quello che vogliono nei corridoi. In sostanza, tedio mortale.” Sebastian non sembrava minimamente impressionato dal resoconto dei primi due giorni di lavoro di Blaine. Non che l’altro nutrisse la minima speranza di stupirlo in qualche modo, ma confidava di non farlo morire di noia dopo solo un quarto d’ora di conversazione.

Forse però c’era qualcosa che poteva raccontargli; non c’era motivo di nascondere quel piccolo episodio, dopotutto loro due si raccontavano tutto. Lui e Sebastian non avevano segreti, o almeno non ne avevano più. Nel loro strano e bizzarro rapporto non c’era più spazio per le mezze verità, soprattutto dopo tutto quello che avevano passato insieme.

 ***

“Cazzo Blaine… era assolutamente perfetto. Bellissimo viso, corpo scolpito, una voce sensuale e fare esperto. Inutile dirti che a letto era una bomba, con lui sapevi come iniziava ma non sapevi mai come sarebbe finita, o quando. Era così simile a me, sotto così tanti aspetti. Nemmeno due mesi e avevo lasciato il mio monolocale per abitare con lui.”

“Ma l’università…” aveva balbettato Blaine, versandogli del thè nella tazza e disponendo dei biscotti su un piattino, per invogliarlo a mangiare.

“Fanculo l’università, per la prima volta nella mia vita, ero innamorato. Perdutamente innamorato, oserei dire. Non so come è successo, ma una mattina mi sono alzato e ho capito di voler stare solo con lui. Pensavo solo alla sua pelle, al suo neo sul collo e alla sua risata. Avrei potuto riconoscerlo tra cento, quando entravo in una stanza.” Sebastian aveva fatto una risatina amara, mentre schiacciava uno spicchio di limone tra le dita, lasciando colare il succo nella sua tazzina.

“Doveva essere davvero molto bello.” Aveva commentato Blaine. Ormai sapeva che doveva parlare il meno possibile, se non voleva che Sebastian si chiudesse di nuovo.

“Ma no, non era solo quello. Anzi, quella era la cosa meno importante. Era il modo in cui mi parlava, le cose che mi raccontava, perfino l’arredamento della sua casa mi faceva impazzire. Passavamo pomeriggi interi a letto, guardando film, sgranocchiando schifezze e fumando una sigaretta dopo l’altra. Ci ubriacavamo con cognac d’annata e passavamo la notte a coccolarci e sussurrarci parole d’amore. Ero diventato un clichè vivente, il classico americano disincantato che si lascia affascinare da un parigino e crede di avere trovato l’amore della sua vita.”

Stavolta, Blaine non aveva detto nulla e Sebastian era rimasto in silenzio, respirando piano.

“Non importa tutto quello che è successo dopo, nessuno mi convincerà del contrario. L’ho amato davvero, l’ho amato perdutamente e nessuno mi porterà mai via questa convinzione. Quello che abbiamo avuto è stato vero. E mi piace credere che per poco mi abbia amato anche lui. È quando ho incontrato lui che ho capito che tra di noi era stato tutto sbagliato.”

Aveva alzato lo sguardo lucido verso Blaine, che aveva annuito e si era stretto nelle spalle. Non gli stava dicendo niente di nuovo, anche Blaine sapeva che quello che c’era stato tra loro alla Dalton non era mai stato amore.

“E poi mi ha scaricato. Era… giugno, credo. Una sera sono tornato a casa ed era sul divano con un altro. Ho iniziato a gridare e lui mi ha detto che non mi aveva mai dato l’esclusiva. Non ho voluto accettarlo, ho aspettato seduto sulle scale finché quel tizio non se n’è andato via. Tutte le nostre cose erano in quell’appartamento, s’è fatto scopare da un altro nelle lenzuola che avevamo scelto insieme. Ero furioso, l’ho spintonato e poi l’ho baciato. Nel giro di mezz’ora mi ha trasformato in bipolare del cazzo.”

Blaine aveva deglutito forte. Anche tra lui e Sebastian non c’era mai stata l’esclusiva e gli aveva dato fastidio saperlo con altri, non poteva immaginare come era sapere che l’uomo che amavi ti aveva tradito. Ma non sapeva che c’era di peggio.

“Ho passato i due mesi successivi diviso tra una camera in affitto vicino all’università e il suo appartamento. Andavo, tornavo, gli gridavo addosso, poi facevamo l’amore. Mi buttava fuori di casa perché ero ubriaco, poi cantavo sotto il suo terrazzo per ore, finché non si decideva a farmi tornare. Poi una sera anche lui si è stufato di questo giochino e mi ha detto di prendere tutte le mie cose e andarmene. Mi ha messo in mano le chiavi e mi ha chiesto di lasciarle al portiere quando avevo finito. Finalmente solo, dentro in quel cazzo di appartamento, mi sono scagliato contro ogni cosa. Mi sentivo così debole, così stupido… non pensavo che sarebbe mai potuto succedere. Proprio a me, che ero il re dello Scandal. Mi sono sentito così piccolo, così provinciale, così giovane. Ovviamente, gli ho devastato l’appartamento, mentre piangevo ogni mia lacrima. Ho rovesciato i comodini, lanciato in aria le lenzuola e strappato le pagine dei libri.”

Di nuovo, Blaine non aveva commentato.

“E’ stato allora che le ho trovate. Stavo lanciando tutti i suoi vestiti per terra e nell’ultimo cassetto le ho trovate. Erano medicine, Blaine, tante medicine. Quando ho capito di che cazzo si trattava, ho visto tutto nero ed è stato allora, che il mondo mi è caduto addosso per davvero.”

Sebastian non aveva dato il tempo di avanzare ipotesi, aveva sputato l’informazione tra di loro, esattamente tra la zuccheriera e il piatto con i biscotti. E Blaine aveva capito perché Sebastian era distrutto, devastato e annichilito.

“François era sieropositivo. E ovviamente non si è mai degnato di dirmelo, nemmeno dopo che abbiamo iniziato a scopare senza mai usare una cazzo di protezione. Mai.”

 ***

Nella caffetteria del Lima Bean, Blaine decise che non c’era davvero nulla che valeva la pena di nascondere a Sebastian. Non dopo gli incontri sulle malattie sessualmente trasmissibili e quelli sull’accettazione e la ricostruzione di sé. Non dopo che l’aveva accompagnato a fare il test dopo i sei mesi dall’ultimo rapporto con François, non dopo che l’aveva visto piangere come un bambino perché era sano. Non dopo le nottate che avevano passato a parlare, eviscerare e riparare.

In verità, c’erano molte cose che non dicevano mai ad alta voce: Sebastian non aveva mai detto a Blaine che l’unica cosa che gli impediva di piazzarsi sotto la finestra di François era il fatto che suo padre gli avesse requisito il passaporto dopo averlo riportato di peso in America, né che non c’era giorno in cui non pensasse a lui. Blaine non gli confessava di avere ancora il desiderio di innamorarsi di qualcuno, nonostante per lui fosse impossibile avvicinarsi davvero a un altro uomo.

Forse non erano segreti perché entrambi sapevano benissimo cosa passava per la testa dell’altro.

O forse erano segreti proprio perché non lo dicevano ad alta voce e non ne parlavano mai. Però parlavano di tantissime altre cose.

“Il primo giorno, durante la seconda ora, un mio studente mi ha baciato.” Disse stropicciandosi le dita. Detta così, sembrava una cosa di gran lunga più peccaminosa di quanto fosse in realtà, ma era esattamente il tipo di cosa che poteva accendere l’entusiasmo e l’interesse di Sebastian.

“Oh cazzo. Adesso devi raccontarmi tutto.” Sebastian si mise comodo sulla poltroncina e iniziò a bere il cappuccino come se improvvisamente non fosse poi così schifoso.

E Blaine gli raccontò tutto: del ragazzo seduto a terra nei bagni, delle scritte sui muri, del modo in cui piangeva e di come gli aveva parlato dopo la lezione. Della nota sul registro, della maglia e del suo fratellastro.

“Sì, ho capito. Hai fatto il bravo professorino contenuto, applausi. Ma non è questo che voglio sapere, e lo sai.” Il bicchiere di Sebastian era ormai vuoto e lui continuava a stringerlo con trepidazione.

“E cosa vuoi sapere?” Aveva domandato in risposta Blaine, corrucciando le sopracciglia.

“Lui, com’è?”

Solo dopo aver parlato per cinque minuti buoni descrivendo l’esatta sfumatura dei capelli castani di Kurt e del raffinato pallore della sua pelle, Blaine si rese conto davvero di quanto attentamente l’aveva osservato. Sebastian ascoltava attento il discorso concitato dell’amico, quando si accorse di un ragazzo che guardava nella loro direzione; lo interruppe.

“Ascolta… lo so come la pensiamo sui rapporti di coppia e tutto quanto, ma in fila alla cassa c’è una specie di creatura delle favole che ti sta letteralmente mangiando con gli occhi. Perché non lasci stare lo studente e non ti butti su quell’elfo in jeans da 300 dollari? Secondo me sarebbe uno scambio molto interessante.” Blaine rimase bloccato nella sua posizione, perché girato com’era non poteva vedere le persone vicine alla cassa senza voltarsi platealmente. Rimase fermo, aspettando che Sebastian gli desse il via libera per girarsi e guardare; tra di loro, quella era una routine consolidata.

“Ok, sta guardando i muffin nell’espositore, girati adesso. Veloce! Maglione verde.” Sebastian gli diede un colpetto leggero sul polso e Blaine scattò fulmineo. Quando si girò di nuovo verso di lui, la sua espressione era indecifrabile.

“Beh, che c’è? Non puoi dirmi che non è da mordicchiare tutto. E anche se tu fossi di gusti davvero difficili, credo che quello non riusciresti davvero rispedirlo al mittente.” Sebastian si sporse di lato e lanciò una lunga occhiata d’apprezzamento. “Sicuro come l’oro che fa Pilates. O yoga. Dev’essere snodata, quella bambolina.”

“È lui.” Sussurrò Blaine, paralizzato.

“Chi?” chiese Sebastian, riportando svogliatamente gli occhi sull’amico.

“Lo studente. È lui, è Kurt.”

Sebastian allungò una mano e strinse piano quella di Blaine, con occhi pieni di comprensione e un pizzico di apprensione, disse semplicemente: “Cazzo amico, sei proprio nei guai.”

Nessuno dei due fece caso allo sguardo di Kurt, all’aria strana che aveva mentre ordinava caffè e muffin da asporto, o al passo affrettato con cui era uscito dalla caffetteria, con il collo rigido e gli occhi fissi davanti a sé.

 ***

“Siamo giocattoli rotti, Blaine”. Sebastian l’aveva detto durante il quarto anno di università di Blaine, mentre seduti sul divano di una caffetteria studiavano per gli esami del periodo primaverile. Nonostante entrambi avessero avuto diversi pretendenti, non andavano mai oltre qualche appuntamento. Blaine non parlava mai troppo di sé con i ragazzi che frequentava; gli sembravano sempre troppo distanti, mentre in realtà quello distante era sempre e solo lui. Per quanto gli altri parlassero, sembravano non avere mai nulla in comune con lui: se non erano viziati figli di papà, sicuri di sé e pericolosamente simili al Sebastian di qualche anno prima, erano talmente insicuri e fragili da non insistere mai abbastanza per conoscerlo meglio. Indifferentemente, tutti si stancavano presto di un ragazzo che voleva parlare solo di letteratura, musica e storia, senza mai dare un briciolo di sé. Nessuno sapeva mai che cosa gli passava per la testa.

Nessuno, tranne Sebastian.

Sebastian andava un poco oltre, ma aveva impiegato quasi un anno, dopo il test, per ritornare alla sua variopinta vita sessuale: la quantità di preservativi che portava sempre con sé era industriale. Aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai più innamorato, che mai più avrebbe patito le pene dell’inferno per amore. Come Blaine, anche lui era circondato da muri alti e spessi: potevano avere il suo corpo, ma nessuno poteva sapere che cosa c’era dietro quella facciata smaliziata e irriverente.

Nessuno, tranne Blaine.

In quella caffetteria, Blaine aveva alzato lo sguardo dal suo libro e aveva concesso a Sebastian un sorriso storto: “Hai ragione, siamo giocattoli rotti.”.

 ***

 Blaine aveva sperato che Kurt fosse uno studente assente, disinteressato alle lezioni e scostante nel presentare i suoi elaborati: ovviamente, le sue speranze si erano infrante contro la prepotente determinazione di Kurt. A lezione, superato l’imbarazzo iniziale, era sempre attento, pronto a intervenire acutamente nelle discussioni che Blaine si sforzava di intavolare con gli studenti; era incredibile con quanta concentrazione fosse in grado di ascoltare le spiegazioni. I suoi saggi erano sviluppati con cura e ricchi di riflessioni personali: era raro che non sfiorassero l’eccellenza con la loro proprietà di linguaggio e l’acume che li caratterizzava. Senza nemmeno rendersene conto, Blaine cominciò a prendere l’abitudine di correggerli per ultimi: dopo venti saggi banali, copiati da Wikipedia o dall’enciclopedia, ritrovarsi davanti la sua calligrafia ordinata era una salutare boccata di ossigeno. A volte li leggeva e rileggeva, sforzandosi di cercare significati nascosti nelle parole che si ritrovava davanti; la cosa incredibile era che a volte c’era davvero qualcosa di celato. E quando stringeva quella piccola, preziosa informazione tra le dita, Blaine si sentiva bene. Inconsapevolmente, stava già conoscendo Kurt più di quanto fosse necessario per il bene di entrambi. Più leggeva, più scopriva, più Kurt gli sembrava interessante.

Sebastian, che probabilmente era il peggior studente di Harvard di sempre, ciondolava tra la casa di Blaine e quella dei suoi genitori, che abitavano a solo un’ora di treno da Lima: per sfuggirgli, Blaine prendeva compiti, libri e portatile per rifugiarsi al Lima Bean, dove la connessione a Internet era gratuita dopo la prima consumazione. A volte passava lì interi pomeriggi, sprofondando nella lettura di un libro o la stesura di una delle sue ricerche; ormai conosceva tutto il personale per nome e il menù a memoria.

Era inizio dicembre ed erano passati esattamente tre mesi dal bacio con Kurt. Tra lui e quello studente non c’erano più stati contatti sconvenienti: l’aveva interrogato, gli aveva corretto i compiti e l’aveva quotidianamente incontrato nei corridoi, ma Kurt non aveva dimostrato più la minima intenzione di conoscerlo meglio o di parlargli fuori dall’orario di lezione. Ovviamente Blaine non poteva sapere che Kurt si crucciava perché credeva di aver fatto un’avance a un ragazzo fidanzato. O più di una, se si considerava la loro imbarazzante conversazione, in cui gli aveva detto di trovarlo carino.

Blaine aveva continuato a combattere, per quanto poteva, gli atti di bullismo che accadevano quotidianamente nei corridoi del McKinley, ma nelle poche occasioni in cui avevano coinvolto Kurt, la sua strenua resistenza a seguirlo dal preside per fare dei nomi gli aveva impedito di aiutarlo in qualche modo. Kurt non frequentava ancora il bagno maschile del corridoio principale e spesso a lezione emanava l’odore dolciastro degli sciroppi delle granite; quando succedeva, i suoi vestiti non erano elegantemente coordinati tra di loro, segnale evidente di un cambio di abiti obbligato e non desiderato.

Ogni volta che notava la tristezza negli occhi di Kurt sentiva la tentazione di farlo fermare per parlargli, poi si ricordava quale era il suo ruolo e si limitava a chiedergli se qualcuno gli aveva dato fastidio. Kurt, ostinato, gli rispondeva sempre che andava tutto bene e Blaine si sentiva inutile.

Seduto al Lima Bean, Blaine mise da parte il saggio sgrammaticato di Hudson per richiamare alla memoria quello che era successo quel pomeriggio, poco più di due ore prima: buttò lo sguardo fuori dalla vetrina della caffetteria e si perse nei fiocchi di neve che cadevano scompostamente a terra.

 ***

Era la fine della sesta ora, Blaine aveva raccolto le sue cose e stava camminando lungo il corridoio, pregustando il pollo thai che aveva acquistato il pomeriggio precedente, quando aveva visto qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. Su uno degli armadietti del corridoio c’era una scritta dipinta con vernice di una accesa tonalità di rosso: FROCIO. Blaine era rimasto impalato lì davanti, mentre gli studenti e i professori si passavano accanto, ciascuno diretto verso la propria aula. Nessuno aveva fatto caso a lui e all’espressione addolorata con cui stava leggendo e rileggendo quella parola: improvvisamente era il ragazzino di quattordici anni raggomitolato sul letto, con la fronte che bruciava per la vergogna e una scritta che sembrava con cancellarsi mai dalla sua pelle. Aveva allungato la mano per toccare la superficie della vernice, che si era rivelata asciutta, seccata già da almeno un paio d’ore.

Al sapore amaro dei ricordi si era rapidamente sostituita la furia. Blaine era corso nel ripostiglio degli inservienti e aveva afferrato la prima cosa che gli era sembrata adatta al suo scopo, una specie di spatola piatta, poi era ritornato lì. Aveva ammucchiato i suoi libri sopra l’armadietto e aveva iniziato a raspare via la vernice, senza preoccuparsi delle scaglie che sporcavano il pavimento accumulandosi ai suoi piedi. Aveva cancellato almeno metà della scritta, quando Kurt si era fermato accanto a lui.

“Signor Anderson, che cosa sta facendo?” aveva chiesto con gli occhi spalancati. Blaine aveva continuato a grattare come una furia, con il viso arrossato e gli occhi accesi; non si era voltato verso di lui e aveva risposto a denti stretti.

“Sto… pulendo… questo… armadietto… non lo vedi? È sporco. Questa scritta è qui da ORE. E nessuno si è degnato di sistemarla. Allora… lo… sto… facendo… io.” Un sospiro, poi era passato alla lettera successiva. A fermarlo era stata una mano delicata, che era passata davanti agli occhi e lo aveva afferrato piano per un polso, costringendolo a fermarsi. Nonostante le dita di Kurt avessero stretto il polsino della camicia, Blaine riusciva a sentire attraverso il tessuto che erano calde.

“E’ colpa mia.” Aveva detto piano, come se stesse confidando qualcosa. “L’altro bagno è in manutenzione, ieri ho usato quello principale.”

Blaine aveva abbassato le braccia, che si erano rivelate più indolenzite di quanto si sarebbe aspettato. Da quanto stava grattando?

“Non dire sciocchezze. Dovresti poter usare ogni bagno di questa scuola senza temere ritorsioni. Non appena avrò finito qui, andrò a demolire l’ufficio di Figgings. E stavolta vieni anche tu.”

Kurt era rimasto lì vicino a lui, ma era evidente che l’idea non lo entusiasmava affatto.

“Il preside è già andato a casa.” Aveva detto stringendosi nelle spalle. Solo a quel punto aveva lasciato il polso di Blaine, che aveva ancora stretto tra le dita, come temendo che potesse ricominciare a grattare anche mentre parlavano.

“Ma come è possibile? Di solito rimane fino alla settima ora ed è appena terminata la sesta…” Kurt aveva sollevato le sopracciglia e lui aveva guardato l’orologio. Era più di un’ora e mezza che si stava accanendo su quel povero armadietto, i corridoi erano deserti, a eccezione di qualche studente che frequentava i club scolastici.

“Tu che fai ancora qui?” aveva chiesto, come se saperlo fosse davvero di qualche utilità.

“Ho lezione di pianoforte, il bus passa una ventina di minuti dopo il termine dell’ultima lezione.” Kurt si era infilato tra lui e l’armadietto, che poi aveva aperto per infilarci delle penne e prendere degli spartiti e una piccola sacca. “Non si preoccupi di andare avanti a pulire. Di solito ci pensa il custode nel fine settimana.”

“Di solito?” aveva ribattuto incredulo Blaine. “Perché, è successo più di una volta?”

“Intende questo mese o quest’anno?” La risposta di Kurt parlava da sé, così Blaine aveva ripreso alacremente a grattare via la vernice. Dato che non poteva parlare con il preside, almeno poteva rendersi utile nell’immediato. Accanto a lui, Kurt l’aveva osservato incerto, mordendosi il labbro prima di parlare.

“So che non è obbligato a farlo, ma lo sta facendo lo stesso, quindi grazie.” Blaine aveva smesso di agitare la spatola e si era voltato. Kurt aveva le guance appena arrossate e, a giudicare dai suoi occhi lucidi, sembrava addirittura commosso. “A nessuno importa mai di quello che mi succede e non posso dire tutto a mio padre senza farlo agitare inutilmente. Una volta tanto, è carino vedere qualcuno che invece di dire che si preoccupa per me, fa davvero qualcosa per farmi stare meglio.”

Poi si era voltato ed era andato via. Con la spatola sospesa a mezz’aria, Blaine l’aveva guardato uscire dalla porta principale senza rispondergli nulla.

 ***

Blaine era seduto a un tavolino di un insolitamente affollato Lima Bean, con la neve che non accennava a fermarsi e una discreta quantità di vernice rossa incastrata sotto le unghie, intento a ripensare a quello che era successo. Si chiese se avrebbe potuto dire qualcosa di più costruttivo o incoraggiante, se era sembrato un folle mentre tutto concentrato graffiava via la scritta. O se qualcuno aveva visto Kurt afferrarlo per il polso e tenerlo per più del necessario.

Scosse la testa e allungò la mano verso l’ultimo saggio rimasto da correggere, quando si accorse che il diretto proprietario di quella elegante calligrafia era in piedi davanti alla zona dei tavoli e si guardava intorno cercando un posto libero. Era Kurt, con il naso arrossato e un buffo berretto, che soffiava su un cappuccino e muoveva lo sguardo sulla sala; quando vide che i posti erano tutti occupati, lanciò uno sguardo sconsolato all’esterno, dove la neve non accennava a fermarsi. Era evidente che non aveva alcuna voglia di uscire.

L’indecisione di Blaine durò solo per qualche istante, durante la quale diversi pensieri rimbalzarono nella sua mente: “Ho davanti una sedia vuota… però è un mio studente. Ha avuto una brutta giornata, non voglio che prenda anche freddo. Se fosse stata una ragazza, l’avrei chiamata per farla sedere. Se fosse stato Hudson, gli avrei già fatto cenno. Per non è uno studente qualunque. Ma è solo un caffè.”

Alzò il braccio e lo agitò finchè Kurt non lo vide; gli sorrise e gli fece un cenno di saluto, poi iniziò a camminare verso l’uscita. Non aveva capito che il gesto di Blaine era anche un invito a sedersi, così lo chiamò di nuovo.

“Kurt, vieni! Ho una sedia libera.”

Il ragazzo si voltò e lo osservò per un paio di secondi, prima di iniziare a farsi strada nell’intrico di sedie, persone e tavoli che li separava. Se il signor Anderson non l’avesse chiamato, non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedergli se quel posto era libero; probabilmente stava aspettando il suo ragazzo, ma faceva davvero troppo freddo per aspettare al parco il bus per il ritorno. Kurt era disposto a una mezz’ora di silenzioso imbarazzo, seduto al tavolino del suo professore, pur di non morire congelato su una panchina. Ringraziò il cielo di avere una rivista nella borsa e sedette.

“Grazie.”

“Non c’è problema, dopotutto è solo un caffè, no?”

“Già, solo un cappuccino e poi vado.” Rispose Kurt, sorridendo cauto.

È solo un caffè. Blaine se lo ripeté di nuovo. Ma anche questa volta faticò a crederci.

N.d. a.

Lo so, ho dedicato un sacco di spazio a Blaine e Sebastian, ma volevo dare un'idea chiara (spero) del rapporto che c'è tra di loro ora. Hanno avuto una specie di relazione quando erano solo ragazzi, si sono ritrovati quando erano uomini; onestamente io credo che Blaine sia troppo buono per ignorare una persona in difficoltà, soprattutto se ha già archiviato l'astio che nutriva nei suoi confronti. Sebastian che si innamora e rimane scottato ce lo vedo: direi che ha avuto una bella punizione per come si è comportato con Blaine. Comunque, scanso equivoci, tra i due non c'è nient'altro che una bella amicizia. Non c'è tensione sessuale, nè alcun sentimento amoroso da parte di nessuno dei due: sono amici. Amici di quelli che ti hanno visto toccare il fondo e che ti hanno passato la pala quando hai voluto iniziare a scavare, Quindi Sebastian ha preso la mano di Blaine senza nessun doppio fine; rimane uno sporcaccione un po' sboccato, ma quello che è successo in Francia l'ha anche cambiato profondamente. Cosa ne dite di questa sua nuova veste? In ogni caso, questo è l'ultimo capitolo in cui verrà dedicato così tanto spazio al loro rapporto.

Per quanto riguarda Kurt e Blaine... direi che qualcosa inizia a muoversi. E se qualcosa deve iniziare a muoversi dove potrebbe accadere, se non al Lima Bean?

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto

Seduto al tavolino del Lima Bean, Kurt teneva lo sguardo fisso sulla sua rivista, sforzandosi di comportarsi come se il professor Anderson fosse uno sconosciuto cortese che gli aveva concesso di dividere il tavolo per non farlo stare in piedi. In realtà non stava davvero leggendo: si limitava a fissare una pagina per una quantità di tempo ragionevole, poi voltava pagina e cominciava a fissare quella successiva. Si sentiva fuori posto e a disagio, ogni fibra del suo corpo era rigida e lui era terrorizzato all'idea di fare qualcosa di fuori luogo. Di nuovo.

Dopo un po’ trovò il coraggio di alzare gli occhi e gettare un'occhiata all'orologio appeso alla parete: per poco non spalancò la bocca per la sorpresa, quando si accorse che era seduto solo da cinque minuti. Forse quella di accettare l'invito del professore non era stata una buona idea, dato che apparentemente il tempo stava magicamente rallentando e lui stava sudando freddo.

Probabilmente sarebbe stato altrettanto a disagio seduto con la Pilsbury o l'insegnante di francese, ma forse non avrebbe mai accettato di sedersi con loro. Tornò a fissare la pagina, accorgendosi più di un minuto dopo che era un esplicito articolo riguardante il punto G; con le guance in fiamme, voltò goffamente la pagina, strappandone un angolino con quel movimento brusco.

Maledette riviste di moda femminile. Possibile che debbano sempre mettere qualche sconceria? Perché non si limitano a scarpe e borse, come è giusto che sia?

 

D'altro canto, Blaine non era più rilassato; continuava a ripetersi che se qualcuno della scuola li avesse visti insieme avrebbe avuto la possibilità di pensare qualcosa di male. Non poteva fare a meno di pensarci, anche se nessuno al McKinley sapeva che era gay: non che lo stesse esattamente nascondendo, semplicemente riteneva che i suoi gusti sessuali fossero affar suo e che non ci fosse alcun bisogno di sbandierarli qua e là. Dopotutto, nessuno degli altri professori aveva mai sentito la necessità di annunciare che gli piacevano le donne. Perché proprio lui doveva comportarsi diversamente? Certo, forse in un paio di occasioni aveva evitato di rispondere a qualche domanda diretta riguardo il nome della sua fidanzata, ma erano dettagli. La vita privata è chiamata così anche perché la sua caratteristica principale è quella di essere... beh, privata.

Si concesse di tornare mentalmente presente e guardare Kurt: era seduto esattamente di fronte a lui, con le gambe elegantemente accavallate e la giacca drappeggiata sullo schienale della sedia. Con gli occhi incollati alla rivista che aveva immediatamente sfilato dalla borsa non appena si era seduto, non sembrava avere intenzione di spiccicare parola per tutta la durata della sua permanenza. A vederlo così, nessuno avrebbe mai potuto pensare che fosse una persona quotidianamente tormentata, dal momento che nulla nel suo aspetto sembrava tradire insicurezza o tristezza. Kurt non aveva un singolo capello fuori posto, né abiti in disordine: anzi, tutto ciò che indossava sembrava gridare fiducia in se stesso, fermezza e serenità. Indubbiamente era necessaria una buona dose di coraggio per uscire di casa con una giacca ricoperta di borchie e mettere piede in un liceo sperando di uscirne incolume. Blaine, quando ancora non si era trasferito alla Dalton, indossava jeans sformati e felpe sportive nella speranza di essere invisibile: era osservando Kurt che si stava lentamente rendendo conto che non era servito a nulla, se non a tradire se stesso. Con o senza papillon, era stato bersaglio di ogni tipo di scherzo, più o meno mortificante: forse, subire quel trattamento senza cambiare di una virgola poteva essere un modo di reagire.

Forse presentarsi a scuola con una coda di pelliccia appesa alla cintura era l'unico modo che Kurt aveva a disposizione per dire: “Non cambierò mai. Io sono favoloso, così come sono.”

Di nuovo, Blaine guardò Kurt, rendendosi conto di un'altra cosa: se i suoi abiti e il suo aspetto sembravano mandare un messaggio così preciso, i suoi occhi sembravano mandare un altro, altrettanto intenso: Kurt era stanco. Gli occhi di Kurt erano sembrati così combattivi, quando aveva cercato di mandarlo via da quel bagno; perfino coperto di granita e con le lacrime sulle guance aveva una fierezza che impossibile non notare.

Blaine sfregò le dita una contro l'altra, pensieroso; sotto le unghie aveva ancora i resti della vernice che aveva grattato via dall'armadietto di Kurt, giusto qualche ora prima.

FROCIO

Passano gli anni, ma certe abitudini sono dure a morire. Blaine si consolò pensando che quella pelle così pallida e delicata non era mai stata sfregiata da solventi e pennarelli indelebili. O forse era successo e lui non se n'era accorto, così come gli altri professori di quel liceo sembravano non accorgersi di tante cose; magari a metà ottobre Kurt non aveva avuto davvero l'influenza, ma era rimasto a casa aspettando che qualche segno scolorisse. O che qualche livido scomparisse?

Blaine rabbrividì al solo pensiero e si mise a riordinare i saggi che stava correggendo, giusto per fare qualcosa e non sembrare un idiota che siede in un bar fissando le persone; in cima al mucchio, c'era il saggio di Kurt. Il ragazzo, notando il movimento di Blaine, aveva alzato lo sguardo e osservato che cosa stava facendo: inevitabilmente, lo sguardo cadde sui saggi. Blaine non aveva nessuna intenzione di correggerlo con lui presente, così li prese tutti e li infilò nella borsa. Kurt sollevò un sopracciglio, allungando il collo incuriosito.

“Ve li consegnerò corretti domani mattina. Niente anticipazioni.” L'altro sbuffò e fece per tornare all'articolo sulle maschere d'argilla casalinghe, quando Blaine inaspettatamente aggiunse: “Sono curioso di sapere se sei riuscito a scrivere qualcosa di originale perfino su un argomento logoro e bistrattato come questo.”

Era vero. Come sempre aveva lasciato il compito di Kurt per ultimo e bruciava letteralmente dalla voglia di leggerlo: esattamente come gli aveva appena detto, voleva vedere come aveva riflettuto sul doppio suicidio di Romeo e Giulietta. Blaine aveva scelto di analizzare quell'opera con l'intento di stimolare gli studenti con qualcosa di familiare, ma era innegabile che era qualcosa di davvero banale, su cui era impossibile scrivere qualcosa di nuovo. Aveva una pila di saggi da quattro facciate ciascuno pronta a provarlo: come sempre c'era chi li biasimava per essersi uccisi per amore, chi li attaccava per averlo fatto tanto frettolosamente e chi invece aveva visto il film con Leonardo di Caprio. Per quanto scontate, alcune riflessioni erano comunque buone e non si era fatto troppi problemi nel concedere qualche A e parecchie B, ma la correzione non era stata un'esperienza gratificante.

Forse Blaine nutriva troppe speranze nei confronti del compito di Kurt, eppure l'avrebbe deluso trovarsi davanti un compito scritto a regola d'arte, ma senza quel pizzico arguzia che lo distingueva sempre.

Parlare della materia, quella sì che era un'ottima idea per non stare in silenzio e impiegare il tempo in modo interessante: Blaine si sentì molto fiero della sua intuizione. Kurt si strinse nelle spalle con fare modesto: “Ho sempre trovato la loro storia un po' triste, anche se bella. E' solo nel periodo più recente che ho imparato ad apprezzarla davvero. Comunque ci ho lavorato sodo, come sempre.”

“Non ti preoccupare, Kurt. Il tuo impegno è evidente in ogni momento, sia durante le lezioni in classe, che nei compiti che consegni. Sarei ingiusto a sostenere il contrario.”

Kurt fece un piccolo sorriso, poi abbassò lo sguardo e tornò a sfogliare la rivista in silenzio; ora che avevano cominciato a parlare, a Blaine sembrava strano non portare avanti la conversazione, in un modo o nell’altro. Si sforzò di pensare un argomento neutro: se invece di Kurt ci fosse stato Finn Hudson, di che cosa avrebbero parlato?

Di certo non di scuola, se non voleva che Hudson morisse di noia. Avrebbero parlato di... di sport! Blaine si chiese se Kurt era un tipo sportivo, ma prima ancora di darsi una risposta, si trovò a dire: “Allora Kurt, fai parte di qualche squadra a scuola? O magari di qualche club?”.

Kurt lo guardò sconcertato, corrugando le sopracciglia come se stesse decidendo se prendere seriamente la sua domanda. Fece una piccola pausa, prima di parlare.

“No, nessuna squadra. Per un breve periodo sono stato il kicker della squadra di football, ma la cosa non è durata molto. Così come non è durato molto il mio periodo tra le fila dei Cheerios. Adesso mi limito alle lezioni del Glee Club e di pianoforte. E al pilates.”

Blaine ebbe un momento di blackout quando sentì nominare il pilates: come Sebastian aveva argutamente predetto, delle gambe così non potevano essere un semplice dono di natura. Si sforzò di allontanare quel pensiero dalla mente e si ripromise di non lasciarselo sfuggire con l’amico. Le battute che sarebbero uscite da quella bocca avrebbero fatto arrossire il più navigato degli sboccati.

Tra tutti gli argomenti che il professor Anderson avrebbe potuto proporre per fare un poco di conversazione e interrompere quel silenzio così impersonale, Kurt si stupì di sentirlo parlare proprio di sport. Era palese che Kurt non era un tipo sportivo, anche se si dedicava quotidianamente all'attività fisica: suo padre aveva rinunciato diversi anni prima di coinvolgerlo forzosamente nel suo personalissimo rito fatto di football, patatine fritte e nachos. Ogni volta che cercava di commentare una partita, finiva per parlare dei colori delle uniformi e dei pantaloni con le ghette: sicuramente l'arrivo di Finn era stata una benedizione, da quel punto di vista.

Kurt pensò che forse era il signor Anderson a essere un appassionato di sport, così cercò di andargli incontro, aggiungendo: “E lei? Scommetto che ha una squadra del cuore. È così che si dice, giusto?”

“Oh sì... seguo il baseball, ma in realtà non l'ho mai praticato. Al liceo me la cavavo con la boxe.” si trovò a rispondergli.

“Boxe? Mi scusi se mi permetto, ma la immaginavo più un tipo da tennis. O da golf.” Kurt sembrava incredulo e senza rendersene conto chiuse la rivista mentre commentava la succosa rivelazione del suo insegnante.

Blaine aveva cominciato a tirare pugni dopo l'ennesimo pestaggio e aveva continuato a dedicarsi a questo sport anche alla Dalton. Era una delle poche valvole di sfogo che gli rimanevano: quando suo padre lo ignorava, quando sua madre beveva troppo, quando Sebastian tornava troppo tardi dallo Scandal, lui scappava in palestra e infilava i guantoni. Colpiva il sacco finché non sentiva le braccia indolenzite per lo sforzo, il fiato corto e le gambe fiacche, poi andava avanti; si fermava quando non sentiva più niente, quando non aveva più voglia di gridare, quando smetteva di pensare che era un vigliacco. O un codardo, uno senza spina dorsale, uno schifoso pervertito, un frocio...

“Ho sempre avuto un buon gioco di gambe. E un'ottima difesa.”

Non gli disse che era stato lo psicologo della Dalton a consigliargli di sfogare fisicamente la sua frustrazione, né che una volta si era rotto una nocca tirando un pugno contro il muro dopo una discussione con suo padre. Disse la solita frase, la stessa che diceva ai ragazzi con cui usciva quando scoprivano che aveva praticato la boxe: era una risposta rassicurante, che lo faceva apparire semplicemente sportivo. Nient'altro.

Non un ragazzo debole, incapace di affrontare chi gli ha reso una vita un inferno. Non un uccellino rinchiuso in una gabbia d'oro. Solo un ragazzo portato per una certa disciplina sportiva: poteva essere la corsa, invece è stata la boxe. Semplice.

Di solito quando lo diceva durante un appuntamento, l'altro ragazzo lo guardava estasiato, gli chiedeva se la praticava ancora o se aveva mai fatto a botte: lui si stringeva nelle spalle e cambiava argomento, magari proponendo di toccargli il bicipite, per sentire se era ancora allenato.

Chiaramente con Kurt non poteva andare così, né lo desiderava; di certo non si aspettava la smorfia incuriosita che gli si dipinse in volto.

“Mmm... non mi piacciono gli sport violenti. Se aveva un buon gioco di gambe, poteva fare scherma. Anche se mima un combattimento di spade dall'esito mortale, è più elegante.”

Kurt era sorpreso dall'inaspettata passione di Anderson per uno sport così poco raffinato e nel giro di un attimo si trovò a chiedersi perché mai una persona tanto posata, amante della letteratura e dei papillon, trovasse soddisfacente dedicarsi a una simile disciplina. Prima che quel pensiero trovasse risposta, il professore lo coinvolse in una conversazione sulla Tempesta di Shakespeare: quando ne riemersero, Kurt era in ritardo per il suo pullman.

“È tardissimo... devo scappare!” Si alzò in piedi e strappò via la giacca dalla sedia. “Il successivo è dopo due ore, perdo questo sono fregato. Io... mi dispiace!”

Afferrò la sua rivista e la ficcò nella sua borsa, che si era infilato malamente a tracolla preso com'era dalla fretta di uscire dalla caffetteria. Blaine gli fece cenno di non preoccuparsi e lui corse via; arrivato alla porta d'ingresso del locale, s'immobilizzò e si voltò a guardarlo. Qualcosa, in quello che vide, lo convinse a tornare indietro.

“Olio d'oliva e carta assorbente.” Disse improvvisamente, in piedi davanti a Blaine.

“Come scusa?” chiese sorpreso. Davvero non riusciva a capire che cosa intendeva con quella frase tanto criptica.

“Per togliere le macchie di vernice dalle mani senza rovinare la pelle.” Lo sguardo di Kurt si era abbassato sulle mani di Blaine, i cui polpastrelli erano macchiati. Nemmeno si era accorto di come stesse sfregando le mani, osservando la pelle tinta.

“Uh. Ok, grazie. Buono a sapersi, almeno la prossima volta non userò il solvente della Pilsbury.”

Vide la schiena di Kurt irrigidirsi non appena comprese il significato di ciò che Blaine aveva appena detto: aveva intenzione di ripulire l’armadietto di nuovo, se fosse stato necessario.

“Io… è stato davvero carino da parte sua e l’ho apprezzato molto. Ma è meglio che non ci sarà una prossima volta.” Rispose Kurt, asciutto.

“Sai chi è stato? Hai intenzione di denunciarlo al preside?” domandò incredulo Blaine, sorpreso dal suo mutato atteggiamento. A settembre gli aveva detto chiaramente che l’unico modo di non essere infastidito troppo era quello di non fare la spia e tenere un profilo basso.

In realtà, Kurt fece una risata amara.

“Sì, so chi è stato. E no, non ho intenzione di denunciarlo. Non ci sarà una prossima volta perché non voglio che lei si sporchi di nuovo le mani per pulire qualcosa che verrà rifatto subito dopo.”

“Ma è solo vernice! E poi non posso proprio fingere di non vedere…”

“Lo fanno anche gli altri professori, non è difficile. Ascolti, io l’anno prossimo con un po’ di fortuna non sarò più né in quella scuola, né a Lima, quindi non vale la pena di sprecare il suo tempo con me. Io terrò duro fino al diploma e per me sarà sufficiente, poi tutto questo sarà solo un ricordo da archiviare. Qualcosa che forse non dimenticherò mai, ma che sarà passato. Lei invece rimarrà e prima o poi si stancherà di combattere. Qui, come in qualunque altra scuola, ogni anno arrivano nuovi bulli e ogni anno ci sono nuove cause perse da proteggere. Cercare di porvi rimedio è frustrante ed è inutile, perché da solo non riuscirà mai a cambiare le cose.”

Blaine rimase in silenzio, combattuto sulla risposta da dare a Kurt: da un lato voleva dirgli che si era preso troppa libertà nel parlargli così direttamente, dall’altro voleva chiedergli che cosa fosse successo per diventare tanto disincantato. E poi, davvero credeva di valere così poco da non meritare di essere protetto, almeno a scuola?

“Questo non toglie che è stato davvero molto gentile da parte sua fare quello che ha fatto. E che quella sarà una delle cose che di sicuro non vorrò dimenticare.” Abbassò lo sguardo, rosso in viso, prese di tasca il suo berretto e se le ficcò in testa. “Buona correzione, professore. A domani.”

“Ciao, Kurt.” Si trovò a rispondergli, guardandolo uscire fuori e correre in direzione della fermata del bus. Da dove era seduto, lo vide solo correre: non sapeva che Kurt in realtà stava cercando di raggiungere il pullman che era appena ripartito. Né lo vide sedersi sotto la pensilina con i piedi affondati nella neve, perché non aveva il coraggio di tornare dentro al Lima Bean.

Quello che Blaine invece fece fu prendere una penna rossa e il saggio di Kurt dalla borsa, sperando di trovare tra le quelle righe la risposta alla domanda che ormai era ben chiara nella sua mente: silenziosamente, Kurt stava combattendo o stava soccombendo, sotto quegli abiti firmati e quel ciuffo laccato?

La morte di Romeo e Giulietta, la perfetta conclusione di un amore perfetto”

Blaine lesse accigliato il titolo e superata un’introduzione piuttosto tradizionale, s’addentrò nel testo; inaspettatamente, le sue speranze trovarono soddisfazione. L’idea di Kurt era originale e piuttosto complessa, ma a Blaine non piaceva quello che sembrava essere nascosto tra una parola e l’altra. Kurt sosteneva che il suicidio era stato, per i due innamorati, l’unico modo per proteggere il loro amore, l’unica cosa che li ha resi famosi e tanto suggestivi: “… immaginare come sarebbe potuta proseguire la loro storia è più soddisfacente e romantico di leggere di un uomo e una donna che combattono la noia e la quotidianità di una relazione. La morte li ha resi perfetti, perché non sapremo mai come sarebbe finita tra loro due. La morte li ha resi, per ironia della sorte, immortali: senza questa prematura dipartita, la loro fama non sarebbe andata oltre qualche spettacolo teatrale. Senza il dramma, senza il veleno e senza il pugnale, Romeo e Giulietta non sarebbero mai usciti dal Globe, intrappolati tra neonati chiassosi e genitori impiccioni. Magari tra di loro ci sarebbero stati bisticci, tradimenti e male parole, mentre nella nostra fantasia possono vivere in mondo perfetto dove la loro pelle è sempre tesa, le labbra sorridenti e le loro dita intrecciate. A volte immaginare è l’unico modo per possedere qualcosa di davvero assoluto, perché la realtà ha troppo spesso un gusto amaro per poter essere davvero grande. La fantasia è un rifugio per anime sole, un posto dove nascondersi quando la realtà è troppo penosa da sopportare.”

Blaine lasciò correre gli occhi sul testo senza far caso alla penna rossa che aveva poggiato distante dai fogli; ogni parola, ogni frase, era talmente… consapevole. Ancora una volta, sentiva che attraverso il testo stava raggiungendo una piccola, preziosa parte di Kurt, ma davvero non era felice di quello che stava scoprendo.

“Ritrovare uno scritto inedito di Shakespeare, l’equivalente letterario di un sequel cinematografico, sarebbe un tale peccato, un terribile affronto. Neppure un grande maestro potrebbe scrivere qualcosa di lontanamente paragonabile ai romantici sogni che le generazioni hanno vagheggiato leggendo questa storia. Immaginare è più sicuro che vivere e vedere tutto sbriciolarsi intorno a sé.”

Stava stringendo i fogli con forza e si costrinse a lasciarli sul tavolo, sgranchendo le dita indolenzite. Era più di un’ora che leggeva e rileggeva, aveva bisogno di schiarirsi le idee; era meglio tornare a casa e rimuginare con calma su quello che Kurt aveva scritto nel saggio.

Infilò la giacca, ripose con cura il compito di Kurt nella borsa insieme agli altri e uscì dalla caffetteria: tra la breve conversazione avuta con lui e quel saggio, non riusciva a togliersi quel ragazzo dalla testa. Sentiva ancora l’urgenza di dover fare qualcosa per lui, nonostante gli avesse chiaramente detto di lasciarlo stare; era come se avessero lasciato un discorso a metà.

Quando vide Kurt seduto alla pensilina del bus, con i piedi affondati nella neve, le braccia incrociate sul petto e le labbra livide, lo interpretò come un segno del destino.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Grazie a Medea e Chicca che mi hanno betato il capitolo in tempi record. Siete delle sante.

Grazie alle 67 persone che hanno aggiunto la storia ai preferiti... e a tutti coloro che trovano un minuto per dirmi cosa pensano della storia. Siete fantastici!


Capitolo settimo


Le parole gli erano scivolate fuori dalle labbra prima ancora di accorgersene e ora si sentiva un perfetto idiota. Non solo aveva parlato al signor Anderson in modo totalmente inappropriato, ma aveva anche perso l'autobus; ora era costretto a restarsene seduto lì al freddo, rimuginando su quello che aveva detto e congelando fin dentro le ossa. Tra una riflessione e l'altra, Kurt si chiese perché le giacche da vento imbottite non andavano mai di moda.

Forse perché fanno sembrare chiunque un obeso sacco di sassi?

Strinse le braccia intorno al petto e fece un piccolo lamento; avrebbe barattato volentieri la sua giacchetta borchiata con qualcosa in grado di riscaldarlo decentemente, anche a costo di sembrare appena uscito dagli anni Ottanta. Almeno gli stivali sembravano reggere: aveva la neve alle caviglie ma i piedi erano ancora asciutti. Li sollevò entrambi da terra e li batté uno contro l'altro per liberare la suola dal ghiaccio, poi infilò una mano in tasca per controllare l'orario. Con la punta delle dita intirizzite, sbloccò la tastiera, poi si lasciò sfuggire un altro doloroso lamento.

Erano seduto lì da un'ora, avrebbe dovuto aspettarne almeno un'altra prima di arrivare a casa, così provò a chiamare a Finn. Il telefono squillò a vuoto per parecchi secondi, poi scattò la segreteria: era ancora agli allenamenti, probabilmente rotolando qua e là con Puck sui materassi della palestra. Chiamare suo padre era fuori discussione, Carole avrebbe finito di lavorare in ospedale solo alle venti e tornare a casa a piedi era assolutamente folle. Non solo la strada era coperta di ghiaccio e di neve, ma era già piuttosto buio e un buon tratto di percorso era privo di illuminazione e percorso da auto che non limitavano granché la loro velocità: Kurt poteva già immaginare il notiziario locale che descriveva il suo ritrovamento in uno dei prati che costeggiavano la carreggiata.

Sarebbe anche potuto tornare dentro al Lima Bean, ma incrociare lo sguardo con il professor Anderson era davvero troppo. Già era stato sufficientemente strano rimanere a chiacchierare con lui senza dimenticarsi che era un suo insegnante e nient'altro, affrontarlo ora che gli aveva detto quelle cose era impossibile. Nei dintorni non c'erano altri locali, se non un piccolo supermercato e ristorante greco, quindi Kurt si passò del burrocacao sulle labbra e decise di rimanere a morire sotto quella pensilina ghiacciata.

In un altro momento, avrebbe occupato il suo tempo fantasticando su Broadway, sul suo appartamento a New York e sul fantomatico marito con cui avrebbe diviso il divano, ma ora proprio non riusciva a togliersi dalla testa il signor Anderson e l'espressione indecifrabile che aveva fatto quando gli aveva chiesto di lasciarlo perdere.

Che si aspettava, dopotutto? Kurt l'aveva già ringraziato a scuola, ma la vista di quelle dita macchiate l'aveva disturbato: di nuovo, era riuscito a sentirsi sbagliato. Metteva Finn in imbarazzo, creava problemi a suo padre e ora aveva coinvolto il nuovo professore nei suoi casini. Nessuno poteva davvero aiutarlo, non finché non sarebbe successo qualcosa di davvero grosso, qualcosa di talmente grave da costringere il preside all'espulsione degli studenti responsabili; Kurt avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare di arrivare a quel punto. Tanto era sicuro che qualunque cosa fosse necessaria, l'avrebbe coinvolta nel più spiacevole dei modi; meglio sopportare qualche spintone, qualche presa in giro e qualche scritta, piuttosto che farsi massacrare di botte. Meglio tenere un profilo basso, attirare poco l'attenzione e lasciar procedere le cose, ormai era bravo nel fingere con chiunque che tutto a scuola andava abbastanza bene. Bastavano un sorriso, capelli laccati e vestiti in ordine, e la maggior parte delle persone credeva che fosse smagliante dentro tanto quanto lo era fuori. A volte era incredibile quanto le persone intorno a lui fossero pigre, così disposte ad accontentarsi delle apparenze per credere che lui stesse bene. Il professor Shue era sempre troppo preso dai preparativi delle gare ed era sollevato dal silenzio di Kurt, che non combatteva più per gli assoli e dondolava pacifico sul fondo. Rachel e Mercedes ogni giorno si complimentavano con lui per i suoi vestiti, poi passavano a vomitargli addosso i dettagli delle loro confuse vite amorose, chiedendo consigli che poi puntualmente non seguivano. A Finn era sufficiente avere il frigorifero pieno.

L'unico con cui Kurt doveva davvero sforzarsi era suo padre: ogni cena era estenuante, ma non gli avrebbe mai dato altri motivi per preoccuparsi per lui, soprattutto ora che il cardiologo aveva trovato il suo cuore affaticato. Kurt gli sorrideva e condiva la sua insalata, raccontando la giornata di scuola di qualcun altro, fingendo che fosse la sua: la cosa triste era che a volte quasi ci credeva anche lui.

E poi c'era il professor Anderson. Forse se non l'avesse visto piangere il primo giorno di scuola non si sarebbe mai accorto di lui, invece ora Kurt aveva un'altra persona con cui fingere. Ma era un professore, tenerlo a distanza non sarebbe stato difficile, probabilmente quello che gli aveva detto dentro al Lima Bean era bastato per farsi etichettare come una causa persa e passare ad altro. Sicuramente da quel momento in poi il signor Anderson si sarebbe limitato a qualche cortese scambio di parole durante le lezioni, ma nulla di più; Kurt non si sentiva particolarmente soddisfatto di questa piccola vittoria.

Kurt avrebbe voluto trovare qualcuno con cui parlare davvero, qualcuno in grado di capirlo, senza provare pena, pietà o compassione. Voleva essere compreso e ascoltato. Qualcuno che capisse cosa si prova. Nessuno era davvero capace di mettersi nei suoi panni: c'era chi sminuiva, chi prendeva le distanze, chi si preoccupava e voleva prendere provvedimenti, ma nessuno sapeva davvero com'era. Forse era quello che credeva di aver trovato nel signor Anderson, quando aveva creduto di avere davanti un semplice studente, quel primo giorno nel bagno: un confidente.

“Kurt?” Alzò gli occhi dal telefono e guardò con sorpresa la persona che aveva davanti. Il signor Anderson era sul marciapiede, a pochi passi da lui, con addosso un caldo cappotto blu e una sciarpa; aveva le mani affondate nelle tasche e una pesante tracolla, che probabilmente conteneva il suo portatile e tutti i compiti che stava correggendo quando lo aveva incontrato in caffetteria. Stava camminando verso di lui.

Kurt gli indirizzò un sorriso tirato, ma non si alzò.

“Hai perso l'autobus?” chiese, nonostante fosse piuttosto ovvio che Kurt non fosse seduto a morire di freddo per libera scelta.

“Mmm... sì.” Rispose lui, rendendosi conto di quanto le sue labbra sembravano paralizzate dal freddo e chiedendosi se per caso erano blu. Maledetto Ohio.

Non c'era nessuno che poteva venire a prenderti?” Di nuovo, fece una domanda ovvia. Blaine si vergognò della sua incapacità di fare conversazione, dato che l'espressione di Kurt era sempre più oscillante tra lo sconcertato e lo scocciato.

“No. Mio padre e la mia matrigna sono al lavoro, Finn è agli allenamenti. La prossima corsa è tra un'ora, non manca molto.” Si strinse nelle spalle, ostentando nonchalance.

“Uh... e tua madre, non può?” Continuò imperterrito Blaine.

No, lei... beh, è morta. E poi non ha mai preso la patente.” Lo disse con tranquillità, ma la reazione del signor Anderson fu spropositata: spalancò gli occhi e il viso si fece esangue, per poi arrossarsi terribilmente. Gli si leggeva in faccia che si stava maledicendo per la clamorosa gaffe che aveva appena fatto; rimase in silenzio per qualche istante, riordinando i suoi pensieri.

“Credo che non mi imbarazzerò ulteriormente chiedendoti se abiti nei dintorni, perché altrimenti saresti andato a casa a piedi già da un pezzo. Quindi... vuoi un passaggio? Saperti morto congelato su una panchina quando avrei potuto portarti a casa non mi farebbe dormire serenamente.”

Kurt fece una risatina, prendendosi un poco di tempo per decidere se accettare o meno la proposta. In fondo non c'era nulla di male, se fosse stato Shue probabilmente sarebbe stato lui stesso a chiedergli un passaggio a casa, così annuì impercettibilmente e si alzò. Stava facendo qualche cauto passo sulla lastra di ghiaccio che divideva il marciapiede dalla pensilina, quando perse l'equilibrio a causa delle gambe intorpidite dal freddo. In una mano aveva la tracolla, che ancora non aveva messo sulla spalla, e nell'altra il cellulare: se non voleva cadere di faccia doveva lasciar andare il cellulare o la borsa, che erano rispettivamente un Iphone e un pezzo vintage di Marc Jacobs, per liberarsi le mani ed attutire l'impatto. Rimase in stand-by, con il cervello incapace di trovare una priorità tra il telefono, la borsa e i suoi raffinati lineamenti.

Per fortuna, qualcuno con riflessi migliori dei suoi, forse dovuti a un buon gioco di gambe e a un passato da sportivo, intervenne: Kurt fu afferrato per le spalle prima ancora di aver realizzato che si sarebbe spaccato la faccia sull'asfalto anche mollando tutto quello che aveva in mano. Si ritrovò sbilanciato pericolosamente in avanti, con Blaine che lo sorreggeva; non appena riprese il controllo della situazione, fece un profondo respiro e alzò lo sguardo.

“Ti tengo.” gli disse Blaine, che aveva il viso a pochi centimetri dal suo. Con le mani dell'altro che lo stringevano forte e gli impedivano di scivolare, Kurt annuì sicuro e si raddrizzò, poi quando mise piede su una zona del marciapiede che non sembrava una trappola mortale scoppiò a ridere. Era il tipico sollievo di quando ti rendi conto che stavi per farti male e renderti ridicolo tutto in una volta.

“Ho la macchina qui vicino. Pensi di riuscire ad arrivarci senza una performance alla Pattini d'argento?”. Chiese Blaine, indicando un parcheggio poco distante.

“Dodge. Mary Mapes Dodge.” Rispose Kurt, camminandogli a fianco. Alla sua risposta, Blaine smise di camminare e lo guardò; Kurt si accorse solo dopo qualche passo che il professore non era più accanto a lui, così si voltò. Blaine sembrava essersi ripreso dalla sorpresa e lo stava raggiungendo.

“Sono colpito. Ma in fondo non dovrei, è da settembre che sei uno studente brillante. Questo però è un libro che non abbiamo mai studiato in classe.” gli disse dopo essergli arrivato di nuovo accanto.

“Me lo leggeva mia madre, quando nevicava. Non sono mai stato bravo a pattinare, così lei mi diceva che potevo immaginare di saperlo fare. Adorava leggere, diceva che era un modo di scoprire il mondo senza uscire di casa e di fare qualunque cosa, anche senza soldi, senza coraggio e senza talento.” Kurt parlò senza pensare. Non gli capitava spesso di parlare di sua madre, ormai erano passati anni da quando era morta.

“È un'osservazione molto intelligente.” fu quello che rispose Blaine, senza aggiungere altro.

Arrivarono nel parcheggio, dove le auto erano poche e coperte di neve.

“Quella è la mia.” Blaine ne indicò una con aria imbarazzata e Kurt seguì il suo cenno aspettandosi di trovarsi davanti un macinacaffè su ruote. Shue non aveva mai fatto mistero della miseria di stipendio che il McKinley elargiva ai suoi insegnanti, quello di un nuovo professore era presumibilmente ancora più scarno. Quando si trovò davanti un lussuosissimo SUV Mercedes, la mandibola gli cadde rumorosamente a terra, mentre ad alta voce recitava religiosamente il nome completo del modello.

“Ehm... già. Non avrei mai detto che eri un esperto d'auto.” rispose il signor Anderson, il cui imbarazzo era tangibile.

“E io non avrei mai detto che lei è un boxeur. Evidentemente ci sbagliavamo entrambi.” rispose Kurt senza staccare gli occhi dall'auto. Ci girò attorno e si posizionò davanti alla portiera del passeggero, quasi scalpitando all'idea di salire e vedere l'interno. Blaine prese le chiavi e fece scattare le serrature; una volta seduto al posto del guidatore fece manovra per uscire dal parcheggio, con Kurt che osservava estasiato gli optional dell'auto e i sedili in pelle.

“Da che parte?” chiede prima di svoltare sulla strada. Fu in quel momento che Kurt sembrò tornare in sé e ricordarsi che il professore non sapeva dove viveva.

“A sinistra. Mi scusi per l'entusiasmo, ma la mia passione per le cose belle diventa incontenibile in alcuni casi. Probabilmente è colpa di mio padre, ma davanti a una bella auto vado completamente in tilt.”

“Tuo padre? È un collezionista?” domandò Blaine, mentre si immetteva su una strada che collegava quella zona di Lima ai quartieri residenziali.

“O no, è un meccanico. Ha un'officina dall'altro lato della città.” rispose Kurt, allungando una mano verso i bottoni che regolavano il riscaldamento.

“Mmm... capito.”

Guidò silenziosamente per diversi minuti, seguendo le indicazioni che Kurt gli dava di tanto in tanto. Non sapeva come riaprire l'argomento senza spaventarlo o farlo chiudere a riccio: nessuno meglio di lui aveva presente quanto è difficile aprirsi con uno sconosciuto. O peggio, con un insegnante. Così continuò a guidare, aspettando il momento buono e la giusta ispirazione; finché non arrivò davanti alla casa di Kurt.

“Quella è casa mia.” Kurt indicò una graziosa villetta, circondata da un giardino curato e uno steccato dipinto di bianco. A Blaine quasi mancò il fiato per l'aura di affetto che ogni dettaglio sembrava emanare al solo sguardo: non era semplicemente una casa ordinata, ma era una casa amata.

“Io... grazie per il passaggio.” disse Kurt, improvvisamente a disagio.

“Kurt, non ho potuto fare a meno di pensare a quello che mi hai detto dentro al Lima Bean, prima di andartene. Così come non riesco di smettere di pensarci anche adesso.”

disse di punto in bianco.

“Mi dispiace, non mi sarei dovuto permettere e...” balbettò Kurt, in tono di scusa.

“No, non hai capito quello che voglio dirti. Il punto è che io voglio aiutarti lo stesso, ma non so come farlo. Mi hai chiaramente detto che non vuoi denunciare nessuno al preside, né vuoi che io intervenga personalmente per cancellare una scritta o mettere qualcuno in punizione, perché in entrambi i casi finiresti solo per attirare l'attenzione e metterti ancora di più nei guai. Io non posso restare lì, senza... senza dire o fare nulla per farti stare meglio.”

Lo disse con una tale energia e convinzione, che nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio la sua buona fede e forza di volontà. Nemmeno Kurt, che ora lo guardava a occhi spalancati.

“Io lo so com'è. Non potrei mai perdonarmi di lasciarti passare tutto questo senza muovere un dito. Vorrei solo sapere cosa ti passa per la testa, senza chiederti di fare la spia o altro, solo... ascoltare.”

Non appena lo disse, qualcosa si mosse nello sguardo di Kurt, mezzo nascosto dal berretto che portava calcato sulla fronte. Deglutì.

“Io prendo lezioni di pianoforte di fronte al Lima Bean due volte a settimana. Il lunedì e il mercoledì. Magari... se un giorno avessi voglia di parlare, io potrei... sedermi ancora al suo tavolo?” propose con voce incerta. Non sapeva se l'avrebbe fatto davvero, ma solo l'idea lo faceva stare bene: magari avrebbe potuto raccontargli di quella volta che Azimio gli aveva imbrattato l'auto, oppure di come Shue ignorava continuamente le sue idee. Solo parlare, senza conseguenze.

“Sì. Assolutamente.” Blaine annuì con decisione.

“Senza che lei poi vada da Figgings?”

Blaine annuì ancora.

“E dagli studenti?”

Un altro assenso.

“E da mio padre?”

Blaine esitò per un istante, chiedendosi che cosa fosse giusto fare se Kurt gli avesse raccontato di qualcosa che avrebbe necessariamente richiesto un intervento. Poi pensò che Kurt era troppo intelligente per nascondere qualcosa di davvero grave, quindi disse un ultimo, convinto: “Sì.”

Blaine non avrebbe permesso che gli succedesse qualcosa, se ne sarebbe accorto prima. Nessuno l'avrebbe mai toccato con un dito, a differenza di quello che era successo a lui. Nessuno l'avrebbe mai trovato svenuto e martoriato in mezzo al parcheggio della scuola, con due costole rotte e un'emorragia interna.

“Io.. vado. Ci vediamo a scuola domani. E al Lima Bean, magari, più...avanti. Non lo so, forse.” Mormorò Kurt a occhi bassi, prima di scendere dall'auto e camminare spedito verso casa. Almeno, spedito quanto le sue ginocchia molli gli consentivano in quel momento.

Blaine lo guardò andare via, accese il motore e fece inversione, pronto a guidare fino al suo minuscolo appartamento. Sentiva di avere fatto un piccolo passo, anche se non sapeva esattamente in quale direzione: era stato talmente spontaneo dire a Kurt che anche lui aveva passato qualcosa di simile, che nemmeno si era reso conto di aver rivelato qualcosa di personale a qualcuno che non era Sebastian.

Kurt tolse gli stivali lasciandoli sotto il portico, armeggiò con le chiavi ed entrò nel calore accogliente del salotto, lasciandosi cadere sul divano senza nemmeno togliersi la giacca. Era a casa, non era morto congelato e sembrava aver fatto una specie di promessa al suo professore di letteratura, che a quando pare moriva dalla voglia di sapere come stava. Chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale, ripensando al momento in cui stava cadendo sul ghiaccio e alle mani che l'avevano sorretto.

“Ti tengo.” gli aveva detto il professor Anderson. E stranamente, Kurt sentiva che anche in quel momento, mentre era seduto sul divano, quelle parole avevano un senso e un calore che non riusciva a spiegarsi. Non era il primo insegnante che cercava di dargli una mano, ma era il primo che sembrava farlo perché voleva e non perché era giusto farlo. Dannazione, era la prima persona, a eccezione di suo padre, a volerlo davvero ascoltare. E forse la prima a poterlo davvero capire.

Stava per cedere alla tentazione di fantasticare su come sarebbe stato alzare lo sguardo e approfittare di quella vicinanza, magari strofinando il suo naso ghiacciato contro quello dell'altro, ma perfino per un animo romantico come il suo era una fantasia davvero troppo scontata, così si alzò dal divano e andò in camera sua. Avrebbe fatto una bella doccia calda e infilato degli abiti puliti, poi avrebbe studiato fino all'ora di cena, quando avrebbe cucinato qualcosa di buono per la sua famiglia. È questo quello che fanno le persone felici di solito.

E Kurt era felice. Lo era?

Forse ora un poco di più di prima.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Sono riuscita ad aggiornare, ora parto per la montagna! Vi avviso già che lunedì non aggiornerò, ma che lo farò martedì sera.

Ho tantissimi messaggi a cui rispondere e tantissime belle recensioni: prometto che al mio ritorno risponderò a tutti, lasciatemi fare l'ultimo esame e poi sarò tutta vostra. Se nel frattempo avete voglia, leggete questo capitolo e fatemi sapere cosa ne pensate. Un abbraccio e buona epifania!

Capitolo ottavo

 

Il giorno successivo a scuola, Kurt si concesse di contemplare per qualche secondo la superficie lucida dell'armadietto, dove solo pochi frammenti di vernice gli ricordavano che cosa era stato scritto. Il sollievo di vederlo pulito era tale che si lasciò sfuggire un sospiro di gratitudine mentre armeggiava con la combinazione del lucchetto. Di nuovo gli tornò in mente l'immagine delle mani macchiate del professor Anderson e di nuovo si pentì di quello che gli aveva detto; non era tenuto a farlo, eppure si era rimboccato le maniche e aveva grattato la vernice per quasi due ore. Doveva per forza significare qualcosa.

Forse era solo una brava persona, o forse l'aveva preso in simpatia. Di certo la pena non era sufficiente per prendersi tanto a cuore una causa persa come la sua. Empatia, magari? Dopotutto in macchina gli aveva detto che sapeva che cosa stava passando.

Perso nei suoi pensieri, Kurt prese i libri di letteratura e la sua copia di Romeo e Giulietta; stava per chiudere l'armadietto, quando vide che sul lato interno, in una delle fessure, era incastrato un biglietto. Il suo cuore perse un colpo mentre allungava le dita per sfilarlo.

Dev'essere del signor Anderson. Si ritrovò a pensare.

Lo strinse furtivo in una mano, poi si guardò intorno: nessuno, come sempre, sembrava far caso a lui, così lo aprì. In piedi davanti all'armadietto, spiegò il foglio con cura, concentrato a non perdersi nessun dettaglio di quel momento: era un foglio strappato da un quaderno, a righe, piegato tante volte per riuscire a farlo passare nell'apertura dello sportello. Se non fosse stato troppo strano, Kurt l'avrebbe annusato.

Quando finalmente arrivò al messaggio, rimase senza parole, anche se doveva aspettarsi quello che stava leggendo. La calligrafia era irregolare, le parole erano scritte calcando senza eleganza sulla carta e in un angolo c'era una macchia di ketchup.

“PUOI CANCELLARE QUELLO CHE VUOI, MA RESTI SEMPRE UN PERVERTITO. SE LA PROSSIMA VOLTA LA CANCELLI ANCORA, TE LO SCRIVIAMO SU QUELLA FACCIA DI CHECCA CHE TI RITROVI.”

Kurt deglutì con forza, fissando il foglio con occhi spalancati. Non sapeva se era più sconvolto per la minaccia che aveva appena letto o perchè era convinto di trovare un biglietto del signor Anderson. Si sentì stupido per averlo pensato, così appallottolò il messaggio in una mano e si voltò per chiudere lo sportello; stava bloccando il lucchetto, quando una forte spinta lo fece sbattere contro quella stessa sporgenza che pochi minuti prima custodiva il foglietto.

Istintivamente si portò la mano alla guancia, che aveva violentemente sbattuto contro il metallo, e lasciò cadere quello che stringeva: con orrore, trovò le dita macchiate di sangue. Era poco, ma era decisamente sangue; si toccò di nuovo la pelle nel punto in cui pulsava di più, incredulo.

“Oh, cazzo... Azimio, stavolta hai esagerato.” Sentì dire da Karofsky mentre si voltava verso il corridoio per vedere chi l'aveva spinto con tanta forza. Azimio era già a qualche passo di distanza e non sembrava particolarmente preoccupato dalle parole del compagno di squadra: si voltò e si strinse nelle spalle, facendogli cenno di seguirlo. Kurt non disse nulla, sfregando le dita una contro l'altra per ripulirle; l'altro abbassò lo sguardo e le vide.

“E' solo un graffio.” disse con aria dispiaciuta facendo un passo verso di lui. Kurt istintivamente si ritrasse, appoggiando la schiena al suo armadietto e guardandolo spaventato.

“Va bene, come vuoi. Arrangiati, fatina. Ma se ti viene in mente di fare la spia, sappi che Azimio potrebbe anche farti di peggio.” Karofsky alzò entrambe le braccia in segno di resa e di disinteresse, poi se ne andò, lasciando quell'ultima minaccia galleggiare tra lui e Kurt.

Mentre andava nel bagno dei ragazzi, Kurt si ficcò l'indice in bocca, poi lo passò sulla pelle; quando arrivò davanti allo specchio, vide che fortunatamente si trattava davvero di un piccolo taglio. Era evidente perchè la sua pelle era molto chiara, ma era un graffio; poteva andargli peggio, ma comunque non avrebbe dovuto esserci. Con un sospiro rassegnato, ci picchiettò sopra del correttore, che bruciò un poco ma che fu sufficiente per rendere il segno quasi invisibile.

Prima era troppo frastornato dal biglietto che aveva appena letto e dal sangue che si era inaspettatamente trovato sulla faccia per reagire come avrebbero meritato, ma ora era decisamente scocciato. Gli spintoni erano seccanti, ma almeno i lividi erano facili da nascondere, ma che avrebbe fatto se gli avessero lasciato un segno più evidente? Suo padre se ne sarebbe accorto, e avrebbe fatto una sfuriata al preside, che puntualmente non avrebbe fatto nulla, lasciandolo in balìa di bulli che lo avrebbero preso per una checca spiona. Kurt era già stanco di essere a scuola, ed erano appena le otto di mattina: raccolse la sua borsa, ripose il correttore e si avviò verso l'aula di letteratura.

Mentre ripassava davanti al suo armadietto, vide a terra il foglio appallottolato che gli era caduto, così lo raccolse e lo gettò in un cestino. Si era davvero convinto che fosse un messaggio del professore, ma ora si rendeva conto di quanto fosse stato stupido pensarlo.

Sedette accanto a Finn, dato che Puck aveva pensato bene di non presentarsi in classe: secondo la sua stramba teoria, non essere presente alla consegna dei compiti corretti era un modo per evitare di prendere un brutto voto. Il professore entrò mentre ascoltava Finn lamentarsi di Rachel, blaterando senza accorgersi minimamente della strana espressione di Kurt e della sua guancia un po' gonfia. Ma nessuno faceva mai caso a queste cose, così Kurt aveva imparato a non rimanerci male: non contare mai sulle persone è un buon modo per non rimanere delusi.

Quando il professor Anderson si alzò dalla cattedra e passò tra i banchi, Kurt gli rivolse un timido sorriso, alzando lo sguardo dal suo quaderno. Il suo sorriso divenne più ampio quando vide che il saggio che il professore gli porgeva era corredato di una A scritta in rosso brillante, cerchiata con entusiasmo. Si scambiarono uno sguardo complice e Kurt si sentì strano, perchè quel piccolo istante gli stava dando sensazioni più piacevoli dell'ottimo voto che aveva appena ricevuto. In realtà durò pochissimo, perchè accanto a lui Finn cominciò a borbottare sopra il suo compito, lamentandosi che il professore era davvero troppo severo con le valutazioni.

“Ma li ha già corretti? Accidenti...” disse sfogliando con foga il suo foglio a protocollo.

Kurt sorrise, perchè lui lo sapeva già che il professore avrebbe consegnato i compiti corretti proprio quella mattina; glielo aveva detto lui stesso mentre li riponeva nella sua borsa, quando Kurt aveva allungato il collo per vedere il suo voto. Non era un segreto di stato, eppure era qualcosa che lui sapeva e gli altri no. Se avesse continuato a incontrarlo, quante altre cose avrebbe saputo?

Il signor Anderson si era di nuovo seduto alla cattedra e stava rispondendo alle domande di una ragazza che voleva chiarimenti sul suo voto: Kurt approfittò della sua distrazione per guardarlo di nuovo. Ormai sapeva bene qual era il suo aspetto, qual era il colore dei suoi capelli e quello dei suoi occhi, ma non lo aveva mai guardato davvero con attenzione. Era come se solo per il fatto di essere un professore lo rendesse un essere asessuato; in quei tre mesi di lezione, Kurt non aveva più fatto caso davvero al suo aspetto. A volte notava com'era vestito o se aveva tagliato i capelli, ma non si soffermava più di tanto sul resto: era un professore e questo era sufficiente per disinteressarsene completamente. Eppure, dopo la loro conversazione in caffetteria e il viaggio in auto, Kurt ora sapeva di non poterlo più considerare solo un insegnante; non per una decisione cosciente, semplicemente era così. Inclinò la testa, per guardarlo meglio. Per guardarlo per la prima volta. E...

“Coso, hai preso un'altra A?” Finn gli diede una spallata, sporgendosi sul suo banco e allungando le mani per prenderlo. Con la sua elefantina delicatezza, stava per buttarlo per terra.

“Fermo lì, tu questo non lo tocchi!” disse spingendolo di nuovo verso la sua sedia. Con fare protettivo, prese il suo compito e lo allontanò da Finn. Fu in quel momento che si rese conto che il suo foglio a protocollo aveva un peso strano.

Mentre Finn giocherellava con una penna, aprì lentamente il saggio: dentro c'era infilato qualcosa. Per la seconda volta nel giro di venti minuti, Kurt si guardò le spalle e prese il cartoncino. Di colore beige chiaro, era grande circa la metà di un A4 ed era ripiegato una sola volta. Kurt lo appoggiò in grembo sotto il banco e lo aprì, trovandosi davanti una scrittura sottile ed elegante. Inaspettatamente, al centro del foglio c'era solo una parola. Kurt la lesse e lasciò che il cuore gli salisse in gola, mentre assimilava il significato di quello che aveva davanti.

Courage

Il ragazzo ficcò il cartoncino nella tasca della borsa prima che Finn si accorgesse di quello che stava leggendo. Non gli aveva scritto nulla di personale, nulla di romantico, nulla compromettente, eppure Kurt aveva il cuore congelato e le guance in fiamme.

Mi ha scritto un biglietto. Me l'ha scritto davvero.

In quel momento, Blaine stava guardando verso di lui: tutti stavano leggendo il proprio compito o chiacchierando tra di loro, così quando Kurt incontrò il suo sguardo, gli fece un cenno. L'espressione di Kurt non rendeva necessaria alcuna spiegazione, era evidente che aveva trovato il suo biglietto. Kurt annuì impercettibilmente, poi abbassò gli occhi sul foglio davanti a lui, fingendo di guardare le correzioni.

E Blaine ne approfittò per continuare a guardarlo. Fin dal loro primo incontro aveva avuto ben chiaro che Kurt era uno studente, anche se non era sicuro che frequentasse le sue lezioni, e questo sarebbe dovuto essere sufficiente a privare Kurt di ogni attrattiva, ma già quando aveva parlato di lui a Sebastian si era accorto che, senza rendersene conto, aveva osservato Kurt molto più di quanto fosse davvero necessario. Non che avesse mai elaborato coscientemente di trovarlo attraente, né si era mai azzardato a fantasticare su di lui in nessun modo; semplicemente aveva memorizzato con molta attenzione i lineamenti di Kurt, il colore della sua pelle e dei suoi occhi. Nel suo sguardo non c'era nulla di erotico, nulla di... sessuale. Era come essere dentro un museo e restare incantati davanti a un quadro, soffermandosi su ogni dettaglio fino a imprimerlo nella propria mente, pur sapendo che non permesso acquistarlo, toccarlo o portarselo via. Nemmeno si formulava il desiderio di possederlo, ma questo non impediva certo di apprezzarlo a fondo.

Sarebbe stato sciocco dire che Kurt era brutto. Sostenerlo sarebbe stato ingiusto e Blaine di certo non era cieco, eppure non ammetteva neppure con se stesso di trovare Kurt bellissimo. Si limitava a immagazzinare dettagli, senza mai cogliere l'insieme. Senza mai esprimere una valutazione, nonostante Sebastian avesse più volte cercato di fargli ammettere di trovarlo attraente. Ma ora che aveva parlato con lui, che l'aveva accompagnato a casa e l'aveva convinto, forse, a confidarsi con lui, senza nemmeno rendersene conto Blaine non riusciva più a considerarlo un semplice studente. Per quello gli aveva scritto quel biglietto e l'aveva fatto scivolare nel compito dopo averlo corretto: voleva che quella connessione non si spezzasse, aveva paura che bastassero un paio di giorni per convincere Kurt che era meglio continuare a tenersi tutto dentro. Aveva letto e riletto il suo saggio, domandandosi se Kurt fosse semplicemente dotato di una fervida immaginazione o se invece si stesse nascondendo nella fantasia.

Anche lui, quando era adolescente, non tanti anni prima, aveva sognato di trovare un ragazzo speciale: più che sogni, erano progetti. Prima di quel ragazzo delle medie, prima di Jeremiah, prima di Sebastian, Blaine era sempre stato certo che qualcuno fosse nel mondo in attesa di incontrarlo, ma una delusione dopo l'altra lo avevano convinto del contrario. O era difficile, o era impossibile. Lui aveva deciso di rinunciare a indagare ulteriormente, dato che quel poco che aveva visto l'aveva ferito a sufficienza.

Ma Kurt?

Era difficile credere che non esistesse qualcuno disposto ad amarlo completamente. Qualcuno disposto a proteggerlo, ascoltarlo, curarlo e sostenerlo. Qualcuno pronto a litigare con lui e poi chiedere scusa senza vergognarsene, oppure disposto a tenergli il broncio pur di sostenere la sua posizione e a perdonarlo all'istante al primo cenno di pentimento. Qualcuno perfetto per lui, capace di farlo sorridere e di farlo sentire bene anche senza fare niente di straordinario.

Il suo biglietto voleva dirgli proprio quello. Blaine non poteva sapere con certezza che quel qualcuno fosse dietro l'angolo, o che averlo sarebbe stato facile, ma con un po' di coraggio e un po' di pazienza l'avrebbe trovato. Forse anche lui avrebbe trovato quella persona, se avesse avuto la pazienza di capire che Jeremiah e Sebastian non andavano bene per lui.

“Professore? Mi scusi, non ho capito questa correzione.” Dorothy Smith lo distrasse e tornò nei suoi panni, prendendo una penna e concentrandosi sul pessimo saggio che gli aveva piazzato sotto il naso. Una parte di Blaine tirò un sospiro di sollievo.

Un'altra avrebbe voluto continuare a guardare Kurt.

 

Quando mercoledì Kurt mise piede nel Lima Bean, aveva alle spalle una lezione di pianoforte andata sorprendentemente male e un martedì pomeriggio da dimenticare. Aveva passato il giorno precedente facendo esercizi di matematica, controllando il graffio sulla guancia e provando un nuovo modo di acconciarsi i capelli. Disperato, per distrarsi aveva perfino aiutato Finn a riordinare i suoi videogiochi, pur di non pensare che forse avrebbe incontrato il signor Anderson in caffetteria. Anche lì, fuori dalla porta del locale, Kurt non aveva ancora deciso se tenere fede alla promessa che aveva fatto; magari sarebbe entrato e non avrebbe avuto la forza di andare da lui, magari non sarebbe entrato affatto, o magari, nel peggiore degli scenari immaginabili, non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo. Pensando a quella possibilità, Kurt fece una smorfia: niente di più facile. Dopotutto, perchè avrebbe dovuto essere diverso dagli altri? Spinse la porta ed entrò, mettendosi in fila alla cassa. Aspettò qualche istante prima di cercarlo, ma gli bastò poco per vedere dov'era seduto.

Il professore gli fece un cenno di saluto, cui lui rispose appena, sopraffatto da un'ondata di panico. Quando arrivò alla cassa, biascicò confusamente il suo ordine, mentre si rendeva davvero conto di quello che stava per fare. Afferrò la tazza di cappuccino e il biscotto all'avena che gli avevano piazzato davanti e meccanicamente s'avviò alla zona dei tavolini. Davanti ad Anderson tirò dritto, sedendosi al tavolo accanto al suo: praticamente erano distanti meno di un metro, ma erano a due tavoli diversi. In qualche modo, questa divisione sembrava rassicurarlo.

Blaine aveva notato subito Kurt, fin dal momento in cui era entrato al Lima Bean, ma aveva aspettato che anche Kurt lo vedesse per salutarlo. Quando finalmente riuscì a mostrare a Kurt dov'era il suo tavolo, un'ondata di panico lo assalì: che cosa avrebbe fatto dopo che si sarebbe seduto con lui? Non s'aspettava certo che la conversazione nascesse spontaneamente, ma in queste cose non era davvero bravo e aveva già avuto occasione di dimostrarlo; alla fine, vedere Kurt sedersi poco distante, ma non al suo tavolo, fu un sollievo.

Almeno finchè non si resero conto entrambi che occupare due tavoli e parlarsi era ridicolo e poco funzionale. Fu Kurt a trovare il coraggio di rompere il ghiaccio.

“Non so perchè mi sono messo qui.” disse giocherellando con il tovagliolo.

“Uh. Forse sei a disagio?” Buttò lì Blaine, anche se era ovvio che il motivo era quello.

“Beh, direi di sì. È strano.” Rispose lui, iniziando a strappare il tovagliolo in tanti piccoli pezzi.

“Suppongo che tu abbia ragione. Perchè non vieni qui e ci limitiamo a bere e leggere come l'altro giorno? Se poi qualcuno ha qualcosa da dire... insomma, cerchiamo di essere spontanei.”

Kurt alzò lo sguardo, fissandolo scettico e corrucciando la fronte: “Se fosse spontaneo, ora che cosa farebbe?”.

“Probabilmente ti chiederei metà di quel biscotto.” rispose Blaine, senza pensare. “E chiederei a te di spostarti qui, perchè sono troppo pigro per spostare tutta la mia roba.”

Kurt guardò il suo biscotto, poi prese quello e il cappuccino, decidendo finalmente di sedersi all'altro tavolo. Senza dire nulla, prese un libro dalla borsa, accorgendosi solo dopo un po' dello sguardo interrogativo che qualcuno gli stava indirizzando.

“Allora?” chiese Blaine.

“Allora cosa?”

“Quel mezzo biscotto... credevo fosse un sì.” Era la verità, era goloso almeno tanto quanto era pigro, e ormai aveva messo gli occhi su quel dolcetto.

“Oh. Ma è mio.” disse Kurt, prima di leggergli in faccia quanto lo desiderava. “Va bene, però solo metà, perchè è il mio preferito.” Lo spezzò, prese un nuovo tovagliolino e lo passò al professore, che diede immediatamente un morso con aria estasiata.

Blaine mandò giù il primo boccone, assaporandolo con aria confusa: perchè aveva un gusto e una consistenza tanto strani?

“Non è al cioccolato.” bofonchiò, per poi bere un sorso di caffè nel tentativo di mandare giù quel pezzo di cemento che aveva appena ingoiato.

“No, è all'avena.” Rispose Kurt, sollevando un sopracciglio. Non poteva credere che l'avesse preso per un tipo da biscotti al cioccolato.

“Mi ero sempre chiesto che gusto avesse il cibo dei cavalli, e ora, sfortunatamente per me, lo so.”

Kurt rise, ma quando vide che l'altro non sembrava intenzionato a finire quel mezzo biscotto, aggiunse con aria seria: “Ormai deve mangiarlo tutto. È un regalo.”.

Gli occhi acquosi del signor Anderson di fronte a quella minaccia lo fecero ridacchiare di nuovo, prima ancora di rendersi conto che era seduto al tavolo di un bar scherzando con un suo insegnante.

“Va bene!” Con aria di sfida, prese il biscotto tra due dita e ne morse via un altro pezzo, sforzandosi di non fare una faccia schifata mentre masticava. Subito dopo, un altro sorso di caffè. “E ora so che gusto ha la segatura. Ah, che giornata piena di emozioni.”

Kurt non potè far altro che ridere di nuovo, così ghiacciò quando gli venne rivolta quella domanda.

“Che cosa hai fatto alla guancia, Kurt? Oggi è meno gonfia, ma c'è del correttore lì sopra, o sbaglio?”

“Niente, sono inciampato... sono caduto dalle scale.” La risposta affiorò automaticamente dalle sue labbra, esattamente come era successo con suo padre, quando aveva notato il graffio.

“Ah.” Blaine registrò quell'informazione con espressione scettica, ma non chiese altro. Se Kurt non aveva intenzione di digli la verità, era meglio non forzarlo. “Gustati il tuo biscotto, Kurt.”

Prese il libro che aveva chiuso quando era arrivato il ragazzo e lo riaprì nel punto in cui aveva messo il segno, cominciando a leggere. Kurt rimase in silenzio per un po', poi parlò.

“E' difficile.”

Lo guardò, ma non lo interrupe, né richiuse il libro.

“Insomma, non posso venire qui e raccontarle tutto quanto... se fossimo a scuola forse sarei in qualche modo obbligato, ma così è diverso. Non è qui come professore, no? Io... lei non si mai nemmeno presentato davvero.”

“Ma a questo possiamo rimediare subito. È facile.” Allontanò la mano dalla sua tazza di caffè e prese quella di Kurt, che stava stringendo il bordo del tavolo. Quando la strinse, notò che quella di Kurt era calda almeno quanto la sua. “Ciao Kurt, io sono Blaine.”

“Blaine” ripetè Kurt, prima di potersi fermare.

BlaineBlaineBlaineBlaineBlaine

Fece rotolare quel nome sulla lingua, assaporandolo come una caramella; se non fosse stato davvero troppo strano, l'avrebbe ripetuto ad alta voce, anziché a mente, finchè anche alle sue labbra non sarebbe riuscito familiare come già sembrava esserlo a lui stesso. Sapeva già che quello era il suo nome, ma sentirglielo dire mentre si presentava l'aveva autorizzato a conoscerlo.

“Era il nome di mio nonno.” aggiunse Blaine. “E' di origine irlandese... è la parola gaelica per indicare il colore giallo, ma è anche il nome di un allenatore di Pokemon della lega di Kanto.”

“E del fidanzato californiano di Barbie.”

“Beh, direi che adesso sai qualche cosa in più su di me, vero Kurt?”

“Mi hanno spinto.” confessò improvvisamente Kurt. “E' perchè non c'era più la scritta sull'armadietto. Mi hanno spinto e ho sbattuto contro una delle prese d'aria dello sportello. Di solito ci vado contro con la schiena, ma stavolta mi hanno preso di sorpresa.”

“Immaginavo fosse andata così. L'ho notato quando ti ho consegnato il compito, ma non ho voluto trattenerti dopo la lezione per chiedertelo.”

Ah, quindi l'aveva visto da subito.

“A volte mi chiedo se si stancheranno mai di tormentarmi e inizieranno a lasciarmi stare. Mi sento così codardo a non rispondergli mai, ma è solo perchè spero che ne abbiano abbastanza e passino a qualcun altro. È una cosa così... egoista da desiderare.” disse a bassa voce.

“Vorrei poterti dire che prima o poi succederà, ma sulla base della mia esperienza...” S'interruppe.

“Che cosa le hanno fatto, professore?” chiese Kurt, colpito dalla sua espressione improvvisamente cupa. Durò solo un'istante, poi Blaine sorrise.

“Niente che un altro cappuccino e un paio di biscotti al cioccolato non possano curare.” mentì, mentre si alzava per andare alla cassa. Kurt fece per prendere una banconota, ma l'altro lo fermò. “Non ci pensare nemmeno, sono io che ti ho costretto a regalarmi metà del tuo buonissimo biscotto, il minimo che posso fare è comprartene un altro, insieme un po' di cappuccino per evitare che ti si incastri nell'esofago. Non vorrei averti sulla coscienza.”

Kurt ripose il portafogli e lo guardò allontanarsi, mentre con il pollice sfregava la tasca della borsa che custodiva il suo bigliettino.

Che cosa ti hanno fatto, Blaine?

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Chiedo venia per l'aggiornamento tardivo e notturno. So di non meritarmi una recensione ma... ok, come non detto. Sono stata una bambina cattiva.


Capitolo nono

 

Alla fine, Kurt non scoprì granché, dal momento che durante il loro primo incontro al Lima Bean Blaine non gli disse nulla di sé, se non il proprio nome di battesimo e poco altro: tuttavia sembrò davvero intenzionato ad ascoltare. Quando il loro tempo s’approssimò al termine e Kurt dovette andarsene alla fermata dell’autobus, fu un piccolo dispiacere per entrambi: infatti, quando poi Kurt aveva cominciato a parlare, quell’ora insieme era sembrata anche troppo breve. Se il ragazzo uscì dalla caffetteria con la gola annodata, desideroso di restare, l’altro rimasto seduto al tavolo, prese in mano il portatile e cominciò svogliatamente a lavorare su una ricerca.

Mangiare sabbiosi biscotti all’avena mentre Kurt gli raccontava del suo futuro a Broadway con occhi luccicanti non era stato affatto spiacevole. Anzi, conoscerlo senza dover scavare tra le frasi dei suoi saggi aveva comunque il gusto della scoperta, era altrettanto interessante e avvincente. Anche fuori dalle interrogazioni scolastiche Kurt era sagace, brillante e divertente. L'impressione che Blaine aveva avuto era che quello fosse solo un piccolo assaggio di quello che Kurt aveva da offrire.

***

“E pensa, a tutti e due piace la stessa copertina di Vogue!” disse Blaine, a gambe incrociate sul divano, agitando le braccia mentre parlava. Sebastian, seduto a terra e nascosto dietro un quotidiano, piegò il giornale mostrandogli la sua espressione perplessa.

“Beh, che c'è?” chiese lui smettendo di parlare.

“Dio, siete così... così gay!” rispose l'altro, alzando gli occhi al cielo e tornando a leggere il giornale.

“E' un ragazzo fantastico. Merita di avere qualcuno con cui parlare che non lo faccia sentire un emarginato. E poi anche tu leggi Vogue, non fare il superiore.” replicò piccato Blaine.

“Infatti alla Dalton ero famoso per il mio spassionato e incontrastato amore per la vagina, non è vero?” La voce sarcastica con cui Sebastian gli si rivolse fu sufficiente a convincere Blaine a tirargli una cuscinata, che accartocciò la sua copia del Times.

“Maledizione Blaine, a volte sei così infantile!” disse ridendo e allungando una mano verso uno degli altri cuscini, per poi agitarlo con aria battagliera.

 ***

Sull'autobus, Kurt non fece nessuna delle cose che faceva di solito per occupare i venti minuti di viaggio: non lesse la rivista che aveva nella borsa, non scrisse sms né giocherellò con il cellulare. Non mise nemmeno le cuffie del lettore mp3 che aveva sempre con sé per riempire i numerosi tempi morti della sua giornata.

Kurt non fece nulla di tutto questo. Kurt memorizzò.

Ripensò all'espressione attenta di Blaine quando gli parlava di qualcosa che per lui era importante, al modo in cui aveva cercato di metterlo a suo agio dopo il primo imbarazzante momento insieme, a come era calda e ferma la stretta della sua mano mentre si presentava. Il modo in cui sembrava ascoltarlo... Ripercorse ogni dettaglio di quell'incontro, cullandolo piano mentre lo assimilava. Dopo essersi dedicato a ciò che aveva visto, passò a ciò che si erano detti.

Fu in quel momento che si accorse che Blaine gli aveva detto davvero poco di sé, ma non se ne preoccupò molto. In fondo, il punto era far parlare e sfogare Kurt, non fare reciproca conoscenza. Non era un appuntamento.

In quel caso, Blaine gli avrebbe stretto la mano mentre si raccontavano cose personali a vicenda. Gli avrebbe detto che quel maglione faceva risaltare il colore dei suoi occhi. Magari l'avrebbe riaccompagnato a casa in auto e magari, prima di scendere, loro...

Prima di completare quell'immagine mentale, Kurt s'accorse di essere quasi a casa, così schiacciò il bottone rosso per far fermare l'autobus e scattò in piedi, senza nemmeno rendersi conto del sorriso ebete che gli illuminava il volto.

 “Stai bene?” chiese Burt, seduto a tavola di fronte a lui, mentre tagliava la bistecca che aveva nel piatto senza staccare gli occhi dal figlio.

“Io... mmm... sì, direi di sì. Sto bene, papà.” Rispose Kurt distrattamente, spezzettando il pezzo di pane che aveva in mano e sorridendo sincero.

“La lezione di piano è andata bene?” Chiese di nuovo, ficcandosi un pezzo di carne in bocca e indicandolo con la forchetta con aria sospettosa.

“Oh, sì. La signorina Rice dice che sono un talento naturale.” Kurt fece correre gli occhi sul tavolo, poi fece cenno a Finn di passargli la scodella che aveva in mano. “Credo che prenderò ancora un po' di insalata di patate.”

L'intera famiglia lo guardò sconvolta mentre si serviva canticchiando un altra porzione e mangiava di gusto. Kurt era sempre stato attento alla sua alimentazione, stipando prodotti biologici e privi di conservanti nel frigorifero e negli armadietti della cucina, ma nell'ultimo periodo era sembrato più che altro inappetente: vederlo ingollare dei carboidrati di sua spontanea volontà fu un'esperienza che lasciò tutti di stucco.

Nemmeno se ne rendevano conto, ma quella che avevano davanti era la differenza tra il fingersi sereni e l'esserlo davvero, anche solo per un po'.

 ***

La volta successiva le cose andarono più o meno nello stesso modo: dopo un certo imbarazzo iniziale cominciarono a parlare come se non si fossero mai interrotti. Non appena Kurt entrò nel locale, Blaine lo salutò sollevando quello che aveva tutta l’aria di essere un biscotto all’avena, facendolo scoppiare a ridere mentre si metteva in fila per prendersi un cappuccino. Ovviamente quel biscotto era per lui, mentre il muffin ricoperto di cioccolato appoggiato sul tavolino era per Blaine: una delle prime cose che Kurt aveva scoperto sul professore era la sua incontenibile golosità e il disinteresse per tutto ciò che era salutare e biologico. Blaine beveva quantità industriali di caffè che zuccherava senza il minimo contegno, per poi inzupparci qualunque dolce abbastanza appetitoso da attirare la sua attenzione. Gli bastava leggere la dicitura “triplo cioccolato” nella vetrina del Lima Bean per far scattare la mano verso il portafogli; prima ancora di averlo realizzato, Blaine stava affondando i denti in qualcosa di morbido. O ripieno. O glassato.

Il tutto sotto gli occhi di Kurt, che non faceva che domandarsi dove diavolo nascondesse tutto il grasso che quei dolci dovevano per forza accumulargli da qualche parte. Ovviamente non sapeva che Blaine univa un metabolismo invidiabile a due ore di massacrante jogging ogni mattina. Al massimo, nei giorni in cui era più malizioso, pensava che il fidanzato e lui passavano delle nottate davvero... impegnative. Il solo pensarlo gli faceva accaldare il viso e lo metteva in imbarazzo, quindi cercava di non soffermarsi troppo sull'idea, rimanendo concentrato su quello che si dicevano.

A volte ridevano, ma più spesso parlavano sottovoce, con le teste chine sui caffè; in quei momenti Kurt non parlava certo di Broadway o dell’ultimo numero di Vogue, ma di qualche triste episodio che lo aveva visto protagonista. Mentre raccontava, spesso si chiedeva se forse l’altro si stava annoiando o se magari lo stava giudicando un vigliacco, così alzava gli occhi dalla sua tazza e lo guardava, prendendosi una piccola pausa. Ogni volta Blaine gli appariva nello stesso identico modo, con gli occhi concentrati e comprensivi, un accenno di sorriso sulle labbra e le dita che sbriciolavano distratte un pezzo di biscotto. Blaine lo ascoltava davvero, senza giudizi e senza compatirlo, proprio come aveva promesso. Una parola dopo l’altra, un incontro dopo l'altro, Kurt sentiva di fidarsi di lui sempre di più, sempre più intensamente.

Quando Kurt riprendeva il discorso dopo una di queste pause, faticava a ignorare l’ombra scura che certi dettagli dei suoi racconti sembravano accendere nello sguardo di Blaine. Parlava, ma a volte il suo desiderio di domandare era incontenibile, costringendolo a ingoiare le domande che gli si affollavano sulle labbra prima di farsele sfuggire. Non ci voleva molto per capire che Blaine era una persona davvero molto riservata e lui si sforzava di rispettare questo particolare aspetto della sua personalità: quando era tentato di fargli qualche domanda, cercava di ricordarsi che non avevano mai stabilito che lo scambio di confidenze dovesse essere reciproco.

 ***

“E quando ride, gli si arricciano il naso e le sopracciglia in un modo buffissimo. Strizza gli occhi e tira la bocca. Così.” Blaine era davanti ai fornelli, intento a parlare mentre rimestava il pollo al curry che lui e Sebastian avrebbero mangiato per cena. Si voltò verso l'amico, che stava fumando con la testa fuori dalla finesta, per mostrargli l'espressione che stava cercando di imitare.

L'altro si sforzò di rimanere serio, tirò un'ultima boccata poi lanciò il mozzicone nel giardino dei vicini. Ancora senza dire nulla, chiuse la finestra e si appoggiò con la schiena al calorifero, incrociando le braccia al petto.

“Sinceramente?” rispose infine. Blaine si era di nuovo voltato verso la padella.

“Ovvio, come se fosse possibile impedirti di fare la checca sarcastica.”

“Sembravi un furetto accecato dal sole. Presumibilmente al centro di una corsia dell'autostrada, un attimo prima di essere investito da un tir.” Disse piatto. “Credo che sia la faccia meno sexy che tu abbia mai fatto. E lo dice uno che ti ha tenuto la testa mentre vomitavi l'equivalente del tuo peso corporeo in vodka e tequila.”

“Ah ah.” Blaine simulò una risata. “Davvero molto divertente. Io comunque non stavo dicendo che era una faccia sexy, sai?”

“Mmm... e quindi perchè ne stavi parlando?”

“Così. Tanto per dire qualcosa. Non ho mai visto nessuno ridere così.” disse Blaine, continuando a controllare la cottura. Non gli disse che riuscire a far ridere Kurt così spensieratamente lo faceva stare bene. Che a volte nel bel mezzo di qualche attività si ritrovava a ridere da solo perchè ripensava a qualcosa che Kurt gli aveva raccontato. O che tutti i libri che aveva sul comodino in quei giorni glieli aveva consigliati Kurt. O che la settimana prima Kurt gli aveva chiesto di che marca era il maglione rosso che portava e alla fine si era ritrovato a indossarlo più spesso e con più soddisfazione.

“Forse non ti è mai capitato di veder ridere così qualcuno perchè per la maggior parte del tempo sei una noia mortale.” sbottò l'altro, sedendosi a tavola.

“Sebastian!”

“Ok, scusa. Lo sai che divento una merda, quando ho fame. E in questo momento ho una fame assurda.”

Blaine si voltò con due piatti fumanti in mano e l'altro alzò le posate, trionfante.

“Blaine Anderson Cooper, tu sei la persona più simpatica sulla faccia della terra.”

“Così va meglio.”

***

Kurt stava ballando con Carole in cucina, quando suo padre tornò dal lavoro. Nell'aria c'era profumo di vaniglia e cioccolato, la musica si diffondeva dolcemente nell'ingresso e la casa aveva un calore inaspettato. Finn era seduto sul tavolo, con le gambe a penzoloni mentre con un cucchiaio ripuliva una scodella dagli avanzi di una crema bianca.

Quando mise piede nella stanza, Kurt fece fare una giravolta a Carole ed entrambi scoppiarono a ridere, con le guance arrossate dalla vicinanza al forno e il tanto cantare; lo salutarono con una mano, poi ripresero a ondeggiare insieme al ritmo della canzone che in quel momento passava alla radio. Finn li guardò e alzò gli occhi al cielo.

“Abbiamo fatto le tortine.” disse a Burt, come se quella spiegazione fosse sufficiente. Come dimostrazione, sollevò un cupcake bianco e rosso, tipicamente natalizio, che Burt prese immediatamente e addentò con delizia.

“Erano mesi che non li preparavi.” disse con la bocca piena, mentre assaporava l'impasto morbido e la crema dolce, con le decorazioni di zucchero che gli scricchiolavano piano sotto i denti. “A cosa dobbiamo l'onore?”

“E' quasi Natale. Volevo essere sicuro di essere ancora capace di farli.” rispose lui, stringendosi nelle spalle. Aveva smesso di farli quando a lezione di economia domestica Azimio aveva detto che solo le checche si mettono i grembiuli e usano il forno. Che i veri uomini mettono le gambe sotto al tavolo o al massimo accendono il microonde. Ovviamente l'aveva detto mentre Kurt mostrava trionfante una sua piccola creazione, decorata con soffici fiori di crema che aveva impiegato quasi quindici minuti ad assemblare; tutti si erano messi a ridere e lui si era seduto, mortificato. Da quella volta si era limitato a cucinare per preparare la cena quando Carole era di turno in ospedale, ma tutto ciò che c'era di divertente nello stare davanti ai fornelli aveva perso tutta la sua magia.

Almeno finchè Blaine non gli aveva detto di andare pazzo per i tortini glassati.

Finn tornò a dedicarsi alla scodella, sporcandosi il viso di crema; Kurt rise, arricciando il naso e lanciandogli un tovagliolo, per poi alzare il volume della radio quando sentì l'inizio di una canzone natalizia.

 ***

La prima volta che Kurt rimase più di un'ora alla caffetteria fu per caso: stavano appassionatamente parlando di un'opera di Beckett e si erano scordati di guardare l'orologio. Quando se ne era accorto, Kurt era corso fuori giusto in tempo per guardare l'autobus andarsene, così era ritornato dentro al Lima Bean. In verità non era nemmeno troppo dispiaciuto. Scrisse un sms a Finn per avvisare che sarebbe rientrato più tardi e riprese il discorso da dove l'avevano interrotto; quando venne l'ora di tornare alla fermata, Blaine lo accompagnò e rimase con lui finchè l'autobus non arrivò.

La seconda volta, Kurt finse non guardare l'orologio, poi finse di essersene ricordato all'improvviso, quando ormai era troppo tardi. D'altro canto, Blaine finse di credergli e andò a prendere un altro caffè per entrambi mentre Kurt telefonava per avvertire del ritardo. Lo stesso accadde la terza volta. E la quarta.

Dalla quinta volta in poi smisero di recitare, limitandosi a rimanere seduti insieme per quasi tre ore. Non parlavano tutto il tempo: a volte leggevano entrambi e si passavano le riviste quando trovavano un articolo interessante, a volte Kurt faceva dei compiti e Blaine si dedicava alle sue ricerche. Era come se la reciproca compagnia fosse sufficiente per stare bene, anche senza bisogno di parlare troppo.

A volte invece Kurt parlava per tre ore intere, senza smettere nemmeno quando camminavano insieme verso la fermata dell'autobus, mentre con le lacrime agli occhi raccontava di qualcosa che quel giorno l'aveva davvero scombussolato. In quei momenti, Blaine sentiva le dita bruciare dal desiderio di prendergli una mano e stringerla, nell'intento di farlo stare bene. Ma c'era anche qualcos'altro che desiderava fare. Qualcosa che erano anni che non faceva più, se non con Sebastian.

Blaine aveva voglia di raccontargli di sé. Di come i ricordi dei soprusi e delle botte fossero ancora tremendamente vividi. Di come il sentirsi un vigliacco a volte fosse ancora un macigno che gli premeva sulla coscienza. Di come a volte si sentisse terribilmente solo, anche con Sebastian che russava accanto a lui sul divano. Voleva dare a Kurt la possibilità di dargli sollievo, esattamente come lui si sforzava di fare. Anche nei giorni più tristi, quando Kurt parlava ininterrottamente, alla fine saliva con l'autobus con un sorriso, salutandolo con la mano dal finestrino mentre si allontanava. Perchè Kurt stava meglio, dopo avergli raccontato tutto e aver subito i suoi pessimi tentativi di farlo ridere e tirarlo su.

Anche Blaine voleva sentirsi così. Ma sapeva che non era possibile.

 ***

“Di nuovo quel maglione rosso? Ti hanno bruciato l'armadio, ti si è rotta la lavatrice o ti sei unito a qualche setta?” si lamentò Sebastian quando vide Blaine entrare in casa e togliersi la giacca.

“Sta zitto e aiutami a trascinare dentro questo affare.” disse indicando l'abete che stazionava sul pianerottolo. Sebastian sbuffò nel modo più teatrale possibile, poi si avvicinò a passi pesanti all'albero, sollevando il tronco e spingendolo dentro casa. Ansanti, lo misero in un angolo del salotto di Blaine, accanto alla televisione.

“E' spelacchiato.” commentò mentre guardava il nuovo arrivato con occhio critico.

“E' un albero vero, ovviamente non può essere perfetto, Sebastian. E poi mancano tre giorni a Natale, gli alberi migliori se li erano già portati tutti via. Per fortuna che Kurt mi ha dato il nome di un vivaio ancora rifornito.” disse Blaine, buttandosi sul divano e scalciando via le scarpe.

“Ancora con questo Kurt? Nemmeno lo conosco e già non lo sopporto. E poi, da quando te ne importa del Natale, piccolo elfo?”

“Da sempre. E' solo che con i miei non lo festeggiavamo molto, lo sai anche tu.”

“Lo so... li hai chiamati?” Disse Sebastian, sedendosi sul divano accanto a lui.

“No. Ovvio che no.”

“Quello che cos'è?” chiese indicando qualcosa che sbucava dalla tracolla di Blaine. Il ragazzo seguì lo sguardo di Sebastian, fino a notare il pacchetto regalo che faceva capolino con la sua carta argentata.

“Non è niente.” rispose piegandosi verso la borsa con l'evidente intenzione di richiuderla. Sebastian fu più veloce, tuffandosi sul tappeto e strappandogli tutto di mano.

“E' il mio regalo di Natale, non è vero?” disse mentre sfilava il pacchetto e lo agitava tra le mani, spingendo via Blaine che, combattivamente, si sforzava di riprenderlo.

“NO! NON TOCCARLO! Se lo apri...”

Sebastian corse via con il regalo stretto al petto e si chiuse in camera di Blaine, mentre l'altro picchiava sulla porta urlandogli di uscire.

“Giuro che se mi hai preso un altro libro ti nascondo tutte le mutande!” gridò Sebastian dall'interno della stanza, con un fruscìo di carta di sottofondo. Mentre apriva il pacchetto, rideva come un pazzo alla reazione di Blaine. “Cazzo, calmati! Lo sai che ogni anno riesco a intercettare i miei regali un pezzo prima di...”

S'interruppe e Blaine smise di agitarsi, mentre guardava la porta che si apriva lentamente, rivelando Sebastian con il braccio alzato e qualcosa in una mano.

“Blaine. Spiegami che cosa cazzo significa. Perchè io un'idea ce l'ho e spero tanto per te di sbagliarmi.”

“E' una sciocchezza, davvero... non avevo nemmeno intenzione... non so nemmeno io perchè...” balbettò lui, arretrando mano a mano che Sebastian gli si avvicinava, spingendolo verso il muro.

“Cazzate. E ora ti conviene iniziare a cantare.” Lo afferrò per il bavero del suo amato maglione rosso e lo trascinò verso il salotto.

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Non mi assumo nessuna responsabilità, sappiatelo.

 

Capitolo decimo


“Davvero Sebastian, ti stai sbagliando. Non c'è motivo di agitarsi tanto... stai facendo una tragedia per una sciocchezza. Chi è la checca isterica adesso?”
Blaine era seduto sul divano del suo salotto, con il colletto del maglione storto per lo strattone che Sebastian gli aveva dato trascinandolo lì di peso. Guardava l'amico camminare avanti e indietro davanti a lui, con stretta in mano la fonte della sua preoccupazione. Preoccupazione inutile, a dare retta a Blaine.
“Non dirmi cazzate, Blaine. Piuttosto non dire niente, ma non prendermi per il culo. Ti conosco da troppo tempo e troppo bene per crederti.”
Si era fermato di botto, per poi sedersi sul tavolino vicino alla poltrona, con i gomiti puntati sulle cosce e lo sguardo fisso su Blaine. Inutile, niente sembrava convincerlo a cambiare argomento.
“Non è niente. Lo sai che c'è quella bella libreria a Westerville... quella per collezionisti, ti ricordi? Fatto è che settimana scorsa ci sono andato per vedere se era arrivato qualcosa di interessante, qualche prima edizione o magari una copia autografata. Stavo girando tra gli scaffali quando me lo sono ritrovato tra le mani. Prima di rendermene conto, l'avevo comprato.”
Sebastian rimase immobile, evidentemente insoddisfatto di quella spiegazione tanto sintetica; gli fece un cenno, invitandolo a continuare, così Blaine si concesse un sospiro esasperato e andò avanti.
“Non ho speso nemmeno molto, è solo che... non appena l'ho visto ho pensato che fosse perfetto per Kurt. Solo dopo ho pensato che magari era stato un acquisto impulsivo.” Balbettò, per poi mordersi il labbro.
“Ah. Ed è stato prima o dopo che prendessi la stilografica, scrivessi una dedica nella prima pagina e lo confezionassi amorevolmente con della carta regalo?” Rispose sarcastico Sebastian, picchiettando un dito sopra il volume che aveva appoggiato accanto a sé sul tavolino. Sulla copertina, un carattere tipografico che risaliva a più di cinquant'anni prima recitava a chiare lettere il titolo del libro.
Orgoglio e pregiuzio, Jane Austen
“L'ho comprato qualche giorno fa, è da allora che sono indeciso. Non so se è il caso di darglielo... nel dubbio l'ho preparato e impacchettato ma... so che è un gesto che potrebbe essere interpretato male, esattamente come stai facendo tu adesso.”
“Sei ancora indeciso? Maledizione, Blaine!” Sebastian scattò in piedi, afferrò violentemente il libro e lo aprì sulla prima pagina, dove l'elegante scrittura di Blaine faceva capolino in una dedica di poche righe. Con aria teatrale, iniziò a leggere ad alta voce, camminando lentamente intorno al divano.
“In me c'è un'ostinazione che non sopporterà mai di essere intimorita dalla volontà degli altri. Il mio coraggio cresce sempre, a ogni tentativo di intimidirmi.”
Sebastian s'interruppe, concedendosi una pausa enfatica, in piedi alle spalle di Blaine, che teneva lo sguardo basso, senza dire nulla. Era una bella frase, presa dal romanzo. Non c'era nulla di male nel dedicarla a Kurt, a riconoscere tra quelle parole una poetica descrizione del suo carattere.
“Aspetta, ora arriva la parte migliore, quella in cui mi crescono le ovaie mano a mano che leggo. Dov'è che era... ah, ecco.” Fece scorrere il dito lungo la pagina, fingendo di cercare il punto dove si era fermato, poi riprese a leggere. “Kurt, so che nella tua vita ancora non c'è nessun signor Darcy in piedi accanto al tuo pianoforte, ma credo che questa frase ti calzi a pennello e renda giustizia alla tua forza e alla tua perseveranza. Non cambiare, perchè un giorno ci sarà un uomo davvero fortunato accanto a te. Buon Natale.”
Blaine rimase in silenzio e Sebastian si buttò accanto a lui sul divano, cominciando a parlargli con voce ragionevole, ora che aveva capito come stavano davvero le cose. Il suo amico non gli stava nascondendo nulla, semplicemente aveva bisogno che qualcuno gli chiarisse la situazione.
“Esattamente, quanti studenti hai in quel liceo?” chiese dopo aver posato il libro in grembo a Blaine.
“Circa una sessantina.” rispose l'altro, che già aveva capito dove Sebastian stesse cercando di andare con il suo discorso. Prese il libro tra le mani e lo sfogliò distrattamente.
“Bene. Di questi sessanta, quanti hanno problemi a scuola? Di ogni tipo... bullismo, dislessia, genitori divorziati, disturbi dell'alimentazione. Quanti?” Continuò tranquillo, incrociando le gambe e rimanendo silenziosamente in attesa di una risposta.
“Circa una decina, più o meno. Che io sappia, almeno.”
“Ok, perfetto. Un'ultima domanda. Di questi dieci, con quanti ti incontri regolarmente fuori dalla scuola per delle chiacchierate che durano mediamente più di due ore?”
“Ma Sebastian...” cercò di interromperlo.
“Di questi dieci, a quanti hai preso un regalo di Natale che ti sei preso la briga di personalizzare e impacchettare? Mi sembra evidente che qui c'è qualcosa di cui parlare, Blaine. Qualcosa che potrebbe portarti un sacco di problemi, in ogni senso.”
“Va bene. Ora smettila.” Blaine scattò in piedi e lì rimase, passandosi una mano in mezzo ai capelli, con aria confusa e imbarazzata. “E' solo Kurt. Lo faccio solo con lui e con nessun altro studente. Ma lui è speciale, Sebastian. Non ha nessuno con cui parlare, non vuole fare la spia al preside ed è così solo... non potevo fare finta di niente, dovevo aiutarlo in qualche modo. Il fatto che mi sia simpatico rende solo le cose più semplici.”
“Ovvio. Però essere un bravo insegnante non ti obbliga a incontrarlo fuori dalla scuola o a prendergli un regalo di Natale. Non dirmi cazzate, Blaine. Ti piace, ammettilo, così possiamo parlarne da persone adulte e trovare un modo di tirarti fuori da questa situazione prima che ti si spezzi il cuore.” Lo sguardo duro di Sebastian mentre lo diceva lo mandò nel panico.
“No. Non mi piace, ti sbagli.” disse con voce strozzata.
“Ti devo ricordare che sei un disastro, in queste cose? Te lo devo dire davvero che dopo un eterosessuale, un commesso un pezzo più vecchio di te e un sociopatico come me, l'unico bambolotto che mancava alla tua collezione era lo studente emarginato? Cazzo Blaine, solo tu potevi ficcarti in un pasticcio simile.”
Blaine aprì la bocca, ma non emise nemmeno un suono. Sebastian era sempre stato particolarmente schietto con lui, ma il più delle volte gli diceva cose che in fondo sapeva già. Magari aveva solo bisogno di sentirsele dire in faccia, ma non gli arrivavano completamente nuove; in questo caso, ogni parola era uno schiaffo che lo lasciava muto.
“Pensaci, Blaine. Parli spesso di lui, più spesso di qualunque altro tuo studente. Hai fotocopiato i suoi saggi e li tieni sempre sulla scrivnia. Ci passi pomeriggi interi ed è riuscito a farti apprezzare i biscotti all'avena, che sono la cosa più disgustosa sulla faccia della terra. Gli hai preso un regalo ma sei indeciso come una ragazzina e non sai se darglielo davvero. Io non so se ti sei innamorato di quel ragazzo, ma qui c'è in ballo qualcosa di grosso. Non so se per lui è lo stesso, ma di certo tu provi qualcosa. La cosa più triste è che è passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che non sei nemmeno in grado di accorgertene da solo.”
Blaine sedette sulla sua poltrona, accanto all'albero di Natale spelacchiato che avevano appena trascinato in casa. Era senza fiato, con il cervello che elaborava le parole di Sebastian senza capirle davvero; nemmeno si accorse dell'amico che si era alzato e accucciato davanti a lui. Lo vide solo quando gli poggiò entrambe le mani sulle sue ginocchia, attirando la sua attenzione.
“So che per me non c'è più speranza, ma spero che per te sia diverso. Voglio che trovi qualcuno da amare, Blaine. Non voglio che tu rimanga inchiodato con me per sempre, come due zitelle in un appartamento pieno di gatti. Però non voglio che ti cacci in un'altra situazione senza via d'uscita, non voglio che tu soffra di nuovo. Questa cosa deve finire prima che tu ti faccia male.” Lo disse con voce seria e contrita, il suo tono colpì Blaine.
“Ma lui... io non...” balbettò.
“Prima che tu ci rimetta la carriera e la reputazione. Prima che tu faccia un passo falso  e ti si spezzi il cuore. Lo dico per te, Blaine. Non devi più vederlo, trova un altro modo di aiutarlo, ma proteggi te e lui chiudendola qui.”
“Ti stai sbagliando.” disse Blaine con poca convinzione, abbassando lo sguardo verso Sebastian. L'altro si strinse nelle spalle e alzò in piedi, afferrando il libro che aveva fatto cominciare quella discussione.
“Dato che a quanto pare con te funziona solo la letteratura, lasciami citare Jane Austen ancora una volta.”
Aprì il libro e lesse lentamente un paio di righe, poi lo buttò sulle gambe di Blaine e uscì dalla stanza. Blaine lo ascoltò a malapena frugare nel cassetto della cucina mentre cercava un accendino, soffocato com'era dal rimbombo delle parole che Sebastian aveva appena letto.
"È successo così gradualmente, che non saprei quando è cominciato.”
Strinse al petto il libro, mentre iniziava a chiedersi se il suo amico avesse ragione. Blaine ricordava perfettamente la prima volta che aveva incontrato Kurt nel bagno della scuola, così come aveva ben presente le distanze che aveva preso nei suoi confronti; ma quello che era successo in seguito si perdeva in un intrico di saggi, sguardi tristi e biscotti divisi a metà. Presi singolarmente sembravano tutti episodi innocenti.

“Spiegami di nuovo perché l’hai preparato e io non posso mangiarlo.” borbottò Finn, seduto accanto a lui in automobile, mentre Kurt usciva in retromarcia dal loro vialetto.
“Perché non è per te. È per... un'altra persona. E poi ne ho preparata una teglia intera, di cui ti sei già abbondantemente servito ieri pomeriggio, quindi direi che puoi anche dichiararti soddisfatto.” rispose Kurt, mettendosi la cintura e controllando di avere la strada libera prima di uscire completamente dalla loro proprietà. Il viaggio verso la scuola stava prendendo decisamente una brutta piega.
“Farmi mangiare quelli venuti male non conta. Almeno dimmi per chi è quell’affare.”  continuò a insistere.
“Ti dovrebbe essere sufficiente sapere che non è per te.” Kurt teneva gli occhi incollati davanti a sé, ignorando le proteste di Finn. Maledizione, se era sempre ignaro di quello che accadeva intorno a lui ed era sempre semplice nascondergli le cose, allora perché era assolutamente impossibile fargli dimenticare un solo dolce che Kurt aveva ficcato nella sua borsa?
“Dimmelo!” disse alzando la voce.
“No.”
“Sono per un ragazzo, non è vero? Altrimenti me lo diresti senza problemi.” ipotizzò, controllando la reazione di Kurt alle sue parole. Le guance improvvisamente paonazze di Kurt lo convinsero di essere sulla buona strada, quindi seguitò a fargli domande imbarazzanti, nel tentativo di farlo cedere.
“No.” rispose in tono meno convincente.
“Andiamo Kurt... sei mio fratello! Non lo dico a nessuno, ma dimmi chi è! Mancano solo due giorni a Natale, fammi questo regalo.” La voce lamentosa di Finn si stava facendo insopportabile e Kurt si lasciò sfuggire un sospiro d’esasperazione.
“Non è nessuno. E poi non ho nemmeno deciso se darglielo. Se sei fortunato, stasera lo riporto a casa e te lo puoi mangiare, contento?”
“Ma a chi importa del dolce? Ora voglio sapere con chi sto rivaleggiando per potermelo mangiare. È un ragazzo della scuola?” La curiosità di Finn ormai era incontenibile. “Deve piacerti tanto, hai lavorato in cucina praticamente tutto il pomeriggio.”
“Non è vero che mi piace!” disse Kurt voltandosi verso di lui. “E anche se fosse, le cose non cambierebbero di una virgola. E ora chiudiamo l’argomento, altrimenti apro la portiera e ti sbatto giù dalla macchina, hai capito?”
Ovviamente, Finn lo ignorò. “Perché, non è gay? Caspita, se è così certo che è un problema. O magari è fidanzato... è fidanzato Kurt? Niente è scritto nella pietra, magari si lasciano e...”
Esasperato, Kurt accostò l’auto e si fermò, con le mani strette sul volante al punto di avere le nocche bianche per il nervoso che lo stava attraversando. Nemmeno lui sapeva perché se la stava prendendo tanto.
“Finn,  questa persona non è disponibile per talmente tanti motivi che se comincio a elencarli come minimo rimaniamo qui bloccati fino all’ora di pranzo. Quindi, ora dacci un taglio. Se io riesco ad accontentarmi di quel poco di attenzione che mi concede, tu pensi di riuscire a piantarla di assillarmi e chiudere il becco fino a quando non arriviamo a scuola?”
Lo sguardo che gli rivolse convinse Finn a tacere per davvero. Annuì impercettibilmente e accese la radio; il tragitto, a eccezione della musica, continuò nel più completo silenzio. Questo permise a Kurt di ragionare e chiedersi che accidenti c’era che non andava in lui: possibile che fosse un disastro tale da rischiare di prendersi una cotta per il primo ragazzo gay che gli dedicava un minimo d’attenzione? Perché ogni volta che saliva su quel maledetto autobus gli si spezzava il cuore e doveva ripetersi fino allo sfinimento che era un idiota anche solo a pensare a Blaine più del dovuto?
È un professore. È il tuo professore di letteratura. È fidanzato. È fidanzato con uno schianto di ragazzo. Non è minimamente interessato a te, vuole solo darti una mano. Il tempo che passate insieme non significa niente per lui, vuole solo essere gentile.
Dopo ogni incontro doveva ripeterselo un po’ più a lungo, ma alla fine riusciva a smettere di pensare all’espressione sorridente di Blaine quando lo vedeva entrare in caffetteria e al saluto che gli rivolgeva quando saliva sull’autobus e se ne andava via. Non  pensava più a quanto vicine erano le loro mani quando si appoggiavano sul tavolino, o quanto fosse buono il profumo che portava. Non ci pensava più e cominciava a studiare, tenendosi stretta la sensazione di benessere che quegli incontri gli lasciavano. E cercava di accantonare il malessere che lo assaliva quando pensava che con le vacanze di Natale non lo avrebbe visto per quasi due settimane, perché le lezioni di pianoforte erano sospese.
Nonostante gli sforzi, entrare al Lima Bean con un sorriso fu comunque piuttosto difficile. In più, Kurt sentiva il pacchetto che aveva preparato scottare dentro la borsa e sentiva irrazionalmente che Blaine avrebbe potuto intuirne la presenza attraverso il tessuto. Di nuovo, si congratulò con se stesso per l’idea stupida che aveva avuto e sedette davanti a Blaine con il suo cappuccino in mano.
Poi vide che il professore indossava quel maglioncino rosso che gli stava così bene e il malumore gli passò, anche se solo per un poco. Era solo una sua impressione o nelle ultime due settimane l’aveva indossato più spesso di quanto non avesse fatto nei due mesi precedenti?
“Allora Kurt, pronto per le vacanze natalizie?” chiese Blaine, cercando di spezzare il mutismo in cui Kurt sembrava essere caduto. Quando parlavano il tempo passava più velocemente, quindi stupidamente pensava che tacendo il pomeriggio sarebbe diventato infinito. Fece una smorfia.
“Non ti piace il Natale?” domandò sorpreso e incusiosito.
“Oh no... io adoro il Natale. E stare lontano dai corridoi della scuola per due settimane intere. E dai compiti a sorpresa di letteratura.” Blaine rise in risposta a quella frecciatina. “E’ solo che...”
L’altro tacque, aspettando che Kurt terminasse la frase.
“... è solo che mi mancheranno molto...”
Di nuovo silenzio da parte di Blaine.
“... mi mancheranno molto le mie lezioni di pianoforte.” Era chiaro per entrambi che non stava parlando affatto delle lezioni della signorina Rice, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce.
“Oh beh... anche a me mancheranno molto.” rispose inaspettatamente Blaine. Kurt alzò gli occhi dal suo cappuccino e inarcò un sopracciglio con aria sorpresa.
“Le mancheranno le mie lezioni di pianoforte?” Lo incalzò Kurt, perplesso e confuso.
“Io... non era questo che volevo dire. Mi mancheranno...”
Blaine rimase sospeso per un istante, ma nemmeno lui trovò il coraggio di dire la verità.
“... mi mancheranno molto i miei pomeriggi di studio qui al Lima Bean. Mi hanno detto che sotto Natale questo posto è sempre strapieno.” Riuscì a spostare la conversazione su un altro binario, con grande sollievo. Fu in quel momento che si rese conto di quanto gli sarebbe mancato vedere Kurt così spesso, così maledisse Sebastian, che gli aveva messo la pulce nell’orecchio e aveva passato la serata a fargli il lavaggio del cervello. Se non avesse avanzato quella stupida idea, probabilmente nemmeno si sarebbe preoccupato di quella sensazione sgradevole che gli stava chiudendo lo stomaco; non ci avrebbe letto nessuno strano segnale, né si sarebbe fatto troppe domande. Avrebbe liquidato la questione come una normale inquietudine da professore coinvolto nelle vicende di un alunno. Perché era così, giusto?
Kurt fece un sorriso tirato di fronte alla sua risposta e nascose il viso dietro la tazza di cappuccino che stava sorseggiando.
“Non andrà a casa per le vacanze?”
“Io... no, rimarrò qui a Lima.”
Kurt avrebbe voluto chiedergli se era da solo, se sarebbe stato raggiunto dai suoi genitori, se il suo fidanzato sarebbe rimasto con lui, invece annuì, messo a tacere dall’ombra di tristezza negli occhi di Blaine. Quando succedeva gli dispiaceva che lo scambio tra loro non fosse reciproco, perché aveva l’impressione che l’altro avesse voglia di parlare. Magari un giorno avrebbe trovato il coraggio di chiedere e avrebbe scoperto che Blaine non aspettava altro, chissà.
“Preferisce il panettone o il pandoro?” disse invece. La golosità di Blaine rimaneva comunque un argomento affascinante da affrontare e lui non era mai stufo di vedere i suoi occhi luccicare non appena lasciavano gli argomenti più spinosi in favore di altri.
“Entrambi, purché coperti e farciti di cioccolato, ovvio!” rispose prontamente Blaine. Entrambi scoppiarono entrambi a ridere, poi passarono il pomeriggio a parlare delle tradizioni natalizie della famiglia di Kurt, dello spettacolo che il Glee Club aveva allestito a scuola e della celeberrima opera di Dickens. Il tempo insieme fu piacevole e come era accaduto per tutti i precedenti incontri, alla fine erano entrambi dispiaciuti di doversi salutare. Più che dispiaciuti, forse.
Uno accanto all’altro, camminarono lentamente verso la fermata dell’autobus, trascinando i piedi nella neve finché non rimasero in piedi alla panchina, indecisi su come salutarsi. Impulsivamente, Kurt infilò la mano nella sua tracolla e prese il pacchetto che ci aveva nascosto, per poi allungarlo a Blaine tenendolo appoggiato sul palmo di entrambe le mani.
“Kurt...” disse Blaine, guardando il pacchetto con occhi spalancati. Lo prese dalle mani di Kurt, stringendolo delicatamente in una mano mentre apriva il coperchio con aria incuriosita.
“Lo so che è fuori luogo. Ma è davvero una sciocchezza, solo una piccola cosa per dirle che... che è bello avere qualcuno con cui parlare. Sono felice che il suo pessimo senso dell’orientamento l’abbia portata in quel bagno, il primo giorno di scuola.” Disse imbarazzato, mentre osservava Blaine alle prese con il suo regalo. Sicuramente l’avrebbe trovato stupido o infantile: resistette all’impulso di strapparglielo dalle mani.
“Oh, Kurt... questo è il regalo di Natale più grazioso che abbia mai ricevuto. Li hai fatti tu?” chiese Blaine, senza staccare gli occhi dal contenuto della scatola.
“Io... sì, li ho fatti io.” Bofonchiò Kurt, beandosi dello sguardo estasiato che Blaine stava dedicando alle sue creazioni. Improvvisamente pensò che forse non era stata una pessima idea.
Blaine richiuse la scatola e gli sorrise.
Oh sì, decisamente non era stata una cattiva idea.
Poi Blaine fece qualcosa che non si aspettava: con il suo pacchetto in bilico in una mano, aprì la zip della sua borsa e prese qualcosa, che poi porse a Kurt. Lui abbassò gli occhi e vide qualcosa che aveva tutta l’aria di essere un’edizione di “Orgoglio e pregiudizio”, vecchia almeno di cinquant’anni.
“Mi ha regalato un libro.” disse mentre prendeva il volume dalle mani di Blaine.
Aveva gli occhi incollati sulla copertina, senza notare l’aria impacciata con cui Blaine disse: “Non l’ho fatto io. Voglio dire, l’ho comprato. Però la dedica l’ho scritta io. L’avevo anche impacchettato ma... ci sono stati dei problemi.”
Guardò Kurt aprire lentamente il libro e leggere con occhi stupefatti la dedica scritta nella prima pagina con l’elegante calligrafia di Blaine. Forse Sebastian aveva ragione, forse non avrebbe dovuto smettere di vederlo; ma allora perché vederlo sorridere lo faceva stare così bene?
Alle loro spalle si stava avvicinando l’autobus e Kurt si voltò, valutando quanto tempo gli rimaneva; si morse il labbro, poi con gli occhi lucidi infilò il libro nella sua borsa. Blaine era davanti a lui, con la scatola di dolci in una mano e l’aria agitata; c’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli, ma non aveva né il tempo né il permesso di dirle.
Mentre l’autobus accostava accanto al marciapiede, Kurt pensò soltanto: “Al diavolo.”. Poi si tuffò letteralmente tra le braccia di Blaine, abbracciandolo stretto e gli disse, con le labbra vicine all’orecchio e tutto il calore che poteva esprimere: “Buon Natale, Blaine”.
Non professor Anderson.
Non signor Anderson.
Solo Blaine.
Quel Blaine che dopo un momento d’incertezza l’aveva trattenuto e che ora stava ricambiando il suo abbraccio, stringendogli un braccio intorno alla schiena e affondando il viso nella sua spalla. Quel Blaine che con altrettanto calore gli stava mormorando contro il tessuto del cappotto: “Buon Natale a te, Kurt.”

Nda:

La santa donna che ha avuto la pazienza di ascoltare il mio sclero e poi trovare un'idea meravigliosa per la dedica sul libro è come sempre Medea. Non so come farei, senza quella ragazza. Se invece volete vedere che cosa c’era nella scatola che Kurt ha dato a Blaine, cliccate questo link.
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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Posso confessarvi una cosa? Inizio a essere spaventata dal successo che sta avendo questa storia. Davvero, ho il terrore di deludervi.


Capitolo Undicesimo


Chissà, forse se Kurt e Blaine fossero stati in un film avrebbero sciolto l'abbraccio e si sarebbero baciati appassionatamente, sussurrandosi tra un bacio l'altro come avrebbero combattuto per difendere il loro amore. Kurt poteva immaginare tutta la scena, con tanto di labbra arrossate, dita che correvano tra i capelli e gente che li spiava dai finestrini. O che batteva le mani intonando una smielata canzone natalizia mentre la neve si posava delicatamente sui riccioli di Blaine.
Si sarebbero guardati intensamente negli occhi e avrebbero riso, mentre i titoli di coda cominciavano a rincorrersi sullo schermo e le luci in sala si accendevano, nascondendo agli occhi degli spettatori che cosa sarebbe successo dopo. Tutti avrebbero calpestato i pop corn mentre prendevano i cappotti e uscivano dal cinema, disinteressandosi di come Kurt e Blaine avrebbero dato la notizia a scuola o quanto sarebbe stato frustrante nascondere la loro relazione. Si sarebbero accontentati di quel perfetto momento d'intimità, non avrebbero sentito il bisogno di vederli smontarsi sotto le difficoltà quotidiane di quello che avrebbe comportato quel bacio.
Nessuno voleva davvero sapere qual era il vero sapore della realtà.
Nessuno voleva sapere di come non ci fosse nulla di romantico nell'aria fredda che sferzava tra capelli e dell'autista dell'autobus che suonava il clacson, mentre i passeggeri li guardano scocciati, senza la minima intenzione di cantare.
A Kurt era sembrato di rimanere stretto a Blaine per ore, invece erano rimasti così vicini solo per pochi secondi; il primo a ritrarsi era stato proprio Kurt, ben conscio della rumorosa presenza del mezzo fermo dietro le sue spalle. Tra di loro, più nessuna parola, solo un cenno del capo e un rapido sguardo d'intesa, poi si era voltato ed era salito, occupando sul primo sedile libero con la mente affollata di pensieri.
Si era trattato di un'occhiata veloce, ma sufficientemente calda e rassicurante. Era stata sufficiente a convincere Kurt che non era necessario scusarsi per aver oltrepassato qualche limite. Che andava bene così, che era a tutto a posto.
Sempre quell'occhiata veloce gli aveva impedito di correggere rapidamente il suo augurio, mormorando: “Ehm... volevo dire signor Anderson. Mi dispiace professore.”
Era stato il perfetto scambio di auguri.
Una manciata di secondi in cui si erano concessi di abbandonare i panni di studente, di professore, di ragazzo con problemi di fiducia, di ragazzo con problemi e basta. Per pochi, brevissimi istanti, l'universo gli aveva permesso di assaporare come sarebbe stato essere solo Kurt e Blaine, due ragazzi che si abbracciano stretti sotto la neve per farsi gli auguri. Qualcosa di prezioso, dove i dolci nella scatola sarebbero sempre rimasti perfetti e le pagine del libro deliziosamente lisce.
Un piccolo momento perfetto, riservato solo a loro due. Che anche solo una parola in più avrebbe reso banale, imperfetto, imbarazzante.
Seduto in un cantuccio, con la sensazione del braccio caldo di Blaine che afferrava la stoffa del suo cappotto e il profumo della sua acqua di colonia che gli riempiva il naso, Kurt venne distolto dal caldo benessere in cui era ancora avvolto. Nella tasca della giacca, il cellulare vibrò silenziosamente e per un momento pensò irrazionalmente che fosse Blaine. Ovviamente non era lui, dal momento che non aveva il suo numero di telefono.
Era Finn.
“Coso, scendi alla prossima fermata, sono in macchina dietro all'autobus.”
Kurt aveva ancora il cuore in gola quando rispose alla chiamata con aria perplessa ed era ancora in quello stato quando, con poca convinzione, fece quello che suo fratello gli chiedeva; una volta sceso sul marciapiede, vide immediatamente Finn accostato a pochi metri di distanza.
“Che ci fai qui?” chiese incuriosito mentre si allacciava la cintura, seduto dal lato del passeggero. Finn indossava la tuta da ginnastica che di solito portava in casa e il giaccone mezzo aperto, come se fosse uscito solo per una commissione veloce. In un angolo della bocca aveva appiccicata qualche briciola, che cadde non appena cominciò a parlare.
“Oggi non c’erano gli allenamenti dopo la scuola ed ero sul divano a giocare alla Xbox quando ho notato che non eri ancora arrivato a casa. Ti ho chiamato, ma non rispondevi. Ormai era passato un pezzo dalla fine della lezione di piano e faceva un freddo cane, allora ho preso l’auto e sono venuto a cercarti. Prima ho suonato alla signorina Rice, perché ho pensato che forse la lezione di oggi era più lunga del solito, ma mi ha detto che eri andato via da ore.  Non sapevo dove accidenti cercarti, allora sono passato davanti al Lima Bean, ma non eri nemmeno lì. Alla fine ti ho visto vicino alla fermata un attimo prima che salissi, ma non ho fatto in tempo a fermarti. Quindi ti ho telefonato per non guidare fino a casa da solo come un idiota.” rispose Finn, perdendosi in un confuso labirinto di spiegazioni e giustificazioni. Kurt capì che lo stava soffocando di parole inutili solo quando gli disse che lo aveva visto alla fermata dell’autobus.
L’aveva visto con Blaine.
L’aveva visto dare a Blaine il pacco regalo con i dolci.
L’aveva visto abbracciare Blaine.
E aveva visto Blaine abbracciare lui, appoggiando il viso contro il suo cappotto.
Di colpo, Kurt si rese conto di quanto quel gesto fosse stato stupido e impulsivo, ma prima di poter dire qualunque cosa, Finn ricominciò a parlare.
“In più, mi piacerebbe sapere che diavolo ci facevi lì fuori con il professor Anderson. Insomma, fuori da scuola quasi non lo riconoscevo, assurdo! Tipo che con i capelli senza cemento e il sorriso in faccia sembra un’altra persona. Sembra quasi che abbia meno di trent'anni, vestito così.”
“Finn, guarda che ha ventitrè anni, non cinquanta.” si trovò a sbottare. Si era preoccupato di quello che Finn avrebbe potuto pensare vedendoli insieme su quel marciapiede, invece per ora sembrava solo colpito da quanto Blaine sembrasse diverso fuori da scuola. Si lasciò sfuggire una risatina isterica.
“E tu come fai a saperlo?” chiese improvvisamente, mentre si fermava a uno stop e controllava la strada guardando a destra e sinistra.
“Si è laureato a luglio, dopo quattro anni di studi. Fatti due conti.”
“Ahhhh.... capito.” rispose soddisfatto. Per poi assumere di nuovo un'espressione confusa.
“Che c'è adesso?”
“E tu come fai sapere che si è laureato a luglio?”
“L'ha detto in classe un po' di tempo fa.” mentì Kurt, intenzionato di chiudere il discorso nel modo più rapido e indolore possibile. Segretamente sperava che Finn cominciasse a parlare d'altro, dimenticandosi della scatola di dolci che doveva per forza aver visto in mano a Blaine. Era solo un dettaglio, ma se Finn l'avesse ricordato avrebbe sicuramente riconosciuto nel loro professore di letteratura il ragazzo di cui lui e Kurt avevano parlato proprio quella mattina. Insomma, era un collegamento abbastanza semplice, perfino lui sarebbe riuscito ad arrivarci.
“In classe? Ah... ecco perchè non lo sapevo. Niente di quello che dice in classe sembra entrarmi in testa. Allora non è tanto vecchio. Tipo per essere un prof.” ragionò Finn.
“Già.” annuì Kurt, mordendosi il labbro.
Di certo il problema qui non è l'età.
“Però è un professore. Quindi di sicuro è una noia mortale.”
L'altro tacque, stringendosi la borsa contro il petto e pregando perchè quel viaggio finisse entro i successivi cinque secondi. Sentiva i meccanismi del cervello di Finn scricchiolare mentre con lentezza estenuante arrivavano al punto che sembrava sfuggirgli da quando li aveva visti insieme.
“Kurt?” chiese incerto.
“Sì?”Sospirò. Evidentemente, era arrivato il momento che stava aspettando.
“Perchè eri lì con lui? Voglio dire... non è che eri lì e lui passava per caso e si è fermato a salutarti. Vi stavate abbracciando e lui aveva in mano il pacchetto di dolci.”
Nessuna risposta da parte di Kurt, che affondò nel sedile.
“Kurt? Dai... non fare così. Spiegami.” La voce di Finn era così gentile che non potè fare a meno di voltarsi a guardarlo, seppure senza dare l'impressione di voler dire qualcosa. “Conosce quel ragazzo di cui parlavamo, non è vero?”
Kurt assunse un'espressione imbarazzata e cominciò a stropicciarsi il bordo del cappotto. Fu proprio quella sua reazione a dare a Finn il pezzo mancante per completare il puzzle di quell'assurda situazione.
“Oddio. Non è amico del ragazzo che ti piace. E' lui. È lui che ti piace.”disse con voce piatta, senza aggiungere nessun altro commento. Riprese a parlare quando arrivarono nel vialetto di casa, ripetendo la conclusione cui era improvvisamente giunto: “E' lui. Che idiota, come ho fatto a non capire subito? La scatola di dolci, il fatto che non è disponibile e che non volevi dirmi di chi si trattava... e ci credo che non spiccicavi una parola! Cazzo Kurt, è un professore! Ma sei impazzito?”
Kurt abbassò lo sguardo e si limitò a rispondergli: “Non puoi capire. Non ti azzardare a dire un'altra parola al riguardo, perchè non hai il diritto di farlo, hai capito?”. Afferrò la borsa e scese dall'auto, avviandosi a grandi passi verso casa dopo aver sbattuto con forza la portiera. Alle sue spalle, sentì Finn fare lo stesso e corrergli dietro; quando lo raggiunse, Kurt era già sulle scale, diretto verso camera sua.
“Guarda che non può uscirne niente di buono!” gli disse dal pianerottolo, facendolo fermare tra un gradino e l'altro. Per un momento ebbe il desiderio di dirgli che non era vero, di voltarsi e urlargli in faccia che quello che Blaine gli aveva dato nel corso di quelle tre settimane era di più di quanto lui avesse fatto in mesi e mesi di amicizia. Che gli incontri con lui erano il momento più bello della settimana e che parlargli era così semplice e giusto e naturale... così tanto che quasi faceva male pensare di non poter avere di più.
Avrebbe voluto dirgli che non doveva preoccuparsi per lui. Perché quando l'aveva abbracciato, non solo Kurt aveva capito di essersi innamorato di lui, ma aveva capito anche di essere disposto ad accontentarsi, pur di non perderlo.

Dopo aver guardato Kurt  salire sull’autobus, Blaine si era seduto su una panchina ed era rimasto lì per più di un’ora, finché il gelo tipico delle sere invernali non gli era strisciato sotto la pelle. Stordito, tutto quello che sapeva era che abbracciare Kurt era stato qualcosa di nuovo, per lui. Familiare e nuovo allo stesso tempo, quel semplice tocco si era rivelato in grado di farlo sentire bene; erano anni che non si sentiva così vicino a qualcuno. Avrebbe voluto fosse durato di più, per bearsi del senso di sicurezza e di appartenenza che aveva sentito tra le braccia di Kurt.
Quando ormai il naso sembrava essersi congelato, aveva camminato come un automa fino alla sua auto e aveva guidato fino al suo appartamento senza riuscire a concentrarsi su nient’altro che il profumo di vaniglia dei capelli di Kurt. E al suo corpo caldo premuto contro il suo cappotto. E a come farsi chiamare per nome fosse sembrato giusto, in quell’istante.
Al suo arrivo, la casa era deserta e probabilmente era meglio così; di certo sentirsi dire da Sebastian che aveva ragione era l’ultimo dei suoi pensieri. Aveva bisogno di una doccia bollente, di spogliarsi e chiarirsi le idee una volta per tutte, anche se le parole dell’amico gli rimbombavano nella testa intrecciandosi fitte al dolce augurio di Kurt.
Senza troppe cerimonie, si sfilò i vestiti e si mise sotto il getto rassicurante dell’acqua: in cuor suo sperava che lavasse via ogni cosa. Non si sentiva sporco, né aveva l’impressione di aver fatto qualcosa di sbagliato: ciò che lo spaventava più di tutto era proprio la sua mancanza di sensi di colpa, di disagio, di irrequietezza, il desiderio di toccarlo ancora, di rivederlo, di riabbracciarlo. Il suo rapportarsi con Kurt era spontaneo e naturale, ascoltarlo era divertente e intimo, parlargli era semplice. Così come era fin troppo semplice dimenticarsi di tutto il resto, quando era con lui.
Buon Natale, Blaine
Forse Sebastian aveva ragione, trascorrere il tempo con Kurt e affezionarsi a lui era solo un modo per trovarsi un surrogato di fidanzato e saziare la sua solitudine. Innamorarsi di uno studente era una cosa abbastanza stupida da essere perfettamente in linea con i suoi standard amorosi, ma anche un’ottima strategia di difesa. Con Kurt avrebbe avuto sempre delle ottime scuse per non esporsi e non aprirsi: non era per mancanza di fiducia o di coraggio, ma perché era un suo professore. Frustrato, picchiò un pugno contro una delle piastrelle, sentendosi un idiota nell’istante stesso in cui le nocche colpivano la superficie umida del muro. Non era in un film e nessuno l’avrebbe visto, poteva tenere per sé certe sceneggiate.
Buon Natale, Kurt
Mezz’ora più tardi, Blaine uscì dal bagno con un asciugamano arrotolato intorno ai fianchi e arrivò in camera, trovando Sebastian seduto sul letto a gambe incrociate. Stava per salutarlo, quando notò che l’amico era in procinto di  affondare i denti in uno dei tortini di Kurt.
E non un tortino qualunque. Era quello con glassa verde e la stella dorata sulla punta, a imitazione di un albero di Natale. Era quello che Blaine aveva segretamente designato come il suo preferito, l’ultimo che avrebbe mangiato. Aveva deciso di riservare quel dolce a un momento preciso: lo avrebbe mangiato la mattina di Natale, quando si sarebbe svegliato completamente solo in quell’appartamento minuscolo, con la silenziosa compagnia di un albero di Natale spelacchiato. Avrebbe lasciato spazio ai pensieri tristi mentre passava dal sonno alla veglia, poi avrebbe aperto il frigorifero per fare colazione e avrebbe sorriso mentre ricordava che Kurt aveva fatto davvero qualcosa per fargli passare un felice Natale. Finito il dolce avrebbe dovuto di nuovo affrontare la realtà, ma quello avrebbe ritardato quel duello, almeno per un poco.
Forse era quello il motivo per cui saltò immediatamente addosso a Sebastian, strappandoglielo di mano come una furia e riponendolo con delicatezza nella scatola.
“Ma che accidenti ti prende?” chiese Sebastian, guardandolo sorpreso.
“Niente.” bofonchiò lui, posando il coperchio sopra i dolci e voltandosi verso l’altro. “Se ne volevi uno, dovevi chiedermelo.”
“Mi avresti detto di sì, se ti avessi chiesto di mangiarlo?” domandò Sebastian, incurvando le labbra con aria scettica e alzando gli occhi al cielo.
“No.” rispose secco Blaine.
“Bene, allora ho avuto una buona intuizione, quando ho deciso di mangiarlo mentre eri nella doccia. Peccato che il mio piano diabolico sia tristemente sfumato. Dove sei stato tutto il pomeriggio?” si buttò di schiena sul letto, guardando Blaine aprire un cassetto e prendere una maglietta.
“In giro.” Mugugnò con aria evasiva.
“Vuoi fare questo gioco? Va bene. Sappiamo entrambi che sei andato al Lima Bean, ignorando completamente i consigli che ti ho dato, non provare a negarlo.  Fammi vedere dov’è il libro che ti avevo chiesto di non dare a quel ragazzino.”
“Non mi ricordo dove l’ho messo.”Blaine tacque, infilandosi la maglietta sulla pelle ancora bagnata.
“Tu che non ti ricordi dove hai messo un libro?” Sebastian si tirò su a sedere. “Cazzo, Blaine. Ma ti si è fuso il cervello? Io davvero non so come dirtelo che ti stai mettendo nei guai. Quel ragazzino si stuferà di vederti, prima o poi. O inizierà a pensare che è strano vedere un insegnante fuori da scuola. O magari proverà a ricattarti in chissà quale astruso modo, solo per girare questa cosa a suo favore. E sai chi ci andrà di mezzo?”
“Io?” rispose Blaine, poco convinto.
“NO! Io. Io che ti raccoglierò con un cucchiaino e dovrò vedermi Shakespeare in love per la milionesima volta. Che passerò i pomeriggi sul divano a massaggiarti le spalle, mentre tu ti ingozzi di gelato al pistacchio direttamente dalla vaschetta, lamentandoti di quanto credevi che lui fosse diverso.”
“Ma...”
“No, Blaine. Niente ma. Lo sappiamo tutti e due che non sai gestire queste cose. E nemmeno io, altrimenti non saremmo messi così. Per fortuna che avevo già intuito che non mi avresti ascoltato.” Ficcò una mano nei pantaloni e ne estrasse una busta, che allungò a Blaine. “Buon Natale, stronzo.”
“Che cos’è?” chiese Blaine, prendendo la busta tra le mani e rigirandola un paio di volte.
“Un maglione!” rispose sarcastico l’altro.
“Davvero molto divertente Sebastian...” s’interruppe quando vide il contenuto della busta.
“E’ un biglietto aereo per l’Oregon. I miei sono lì per Natale e una decina di giorni fa mi hanno chiesto di raggiungerli nel loro chalet per le vacanze. La mia intenzione era di rimanere qui a sbronzarmi in compagnia del mio migliore amico, ma direi che ora la priorità è quella di farti cambiare un po’ aria. Sgomberare la mente, si dice così, no? Cioccolata calda, palle di neve, ragazzi da scopare e salutare... Natale in stile Smithe, insomma.”
Blaine alzò gli occhi dal biglietto e incrociò lo sguardo intenso di Sebastian. Era evidente che, a modo suo, era preoccupato; offrirgli un Natale un famiglia e un po’ di svago era un modo per distrarlo e forse dimostrare che Blaine si era preso una sbandata bella e buona, che un po’ di distanza gli avrebbe fatto dimenticare con facilità.
Gli venne voglia di confessare.
“Sebastian, quei dolci me li ha regalati Kurt per Natale, è per quello che non volevo che li mangiassi.”
“Lo immaginavo, Blaine. Mi è venuto il dubbio quando hai tentato di staccarmi la testa.”
“E... il libro, io gliel’ho dato.”
“Lo so. Stamattina sei sgattaiolato verso la porta d’ingresso con un’aria colpevole che non avrebbe lasciato nel dubbio nemmeno un cieco. Sei la persona più trasparente che conosca.”
“Mi ha abbracciato.”
“E tu ovviamente l’hai respinto, ricordandogli che sei un professore, che nessun contatto fisico è accettabile e che doveva scusarsi immediatamente. Giusto?”
Silenzio. Blaine giocherellò timidamente con il bordo umido dell’asciugamano, che iniziava a bagnare anche la maglietta nei punti in cui il tessuto toccava la spugna.
“Giusto?” ripeté di nuovo Sebastian, ormai senza crederci.
“Mi ha chiamato Blaine. Mentre lo abbracciavo, mi ha chiamato Blaine.” mormorò piano.
Una volta tanto, fu Sebastian a rimanere in silenzio.
“Sebastian?”
“Ti prego, non lo dire.” commentò alzando gli occhi al cielo.
“E’ stato bellissimo.”

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


Capitolo dodicesimo

Lima, Ohio. Vigilia di Natale

Senza ombra di dubbio, Lima era la città più noiosa, piatta e banale che si potesse immaginare: neppure la neve riusciva a renderla interessante, accumulandosi grigiastra e bagnaticcia ai lati delle strade. Anche l'atmosfera natalizia sembrava in qualche modo artefatta, squallida e di seconda scelta, dipinta di colori dal sapore chimico e intrisa di aromi industriali.

Vanillina dolciastra.

Cannella in polvere dall'odore amarognolo.

Pupazzi di Babbo Natale con pantaloni che gli penzolavano mollemente sui fianchi.

Blaine guardò con occhi inespressivi l'enorme insegna luminosa del supermercato dove lui e Sebastian stavano entrando. Conoscendo il suo amore per lo shopping di lusso e il suo desiderio di vedere il mondo, non era stupito da quanto intensamente Kurt volesse andarsene il più rapidamente possibile da Lima: era un posto cui non apparteneva, dove non avrebbe mai trovato una collocazione che lo rendesse davvero felice. Non c'era nessuno che potesse essere più incompatibile di Kurt con Lima.

Piuttosto, Blaine era sorpreso di esserci finito lui, in quella cittadina. Amava la letteratura, l'arte, la musica classica, si era sempre distinto per la sua intelligenza e la devozione alla ricerca, infatti dopo il suo B. A. tutti i suoi professori l'avevano supplicato di iscriversi ai corsi per conseguire il Master's Degree e tutti si aspettavano di vederlo sfrecciare con successo verso il dottorato. Si riempivano tutti la bocca, dipingendo per lui un luminoso futuro come studioso e conferenziere: come un’idiota, aveva anche creduto che avessero ragione.

Le cose sarebbero dovute andare diversamente, dopo la sua laurea ad Harvard. Un posto come assistente universitario alla Brown mentre studiava per la specializzazione, poi il prestigioso dottorato in letteratura inglese della NYU: nulla di tutto questo prevedeva un appartamento pidocchioso e una classe di studenti scalmanati, gesso sotto le unghie e odore di disperazione. Quel Natale avrebbe dovuto trascorrerlo accoccolato su una delle poltrone in pelle della sala comune di qualche confraternita esclusiva, ascoltando la musica di un violino e leggendo per l'ennesima volta un classico della letteratura. Se chiudeva gli occhi poteva sentire il profumo acre del legno aromatico che scoppiettava nel camino e lo scricchiolare sommesso dell'imbottitura dello schienale mentre si sedeva. Intorno a lui, poche persone silenziose persone concentrare come lui nella lettura o coinvolte in profonde dissertazioni filosofiche.

Anche in quella situazione si sarebbe comunque sentito solo e Sebastian sarebbe arrivato brandendo una bottiglia di superalcolici e una confezione di preservativi, ma almeno avrebbe avuto un obiettivo nella vita. Uno scopo.

Un senso di appartenenza.

Blaine si costrinse a smettere di pensarci e seguì Sebastian nella corsia dei prodotti di elettronica, mentre dozzinali motivetti natalizi gli assordavano le orecchie e gli sgomberavano la mente, senza riuscire a metterlo davvero di buon umore.

“Era davvero necessario fermarci qui? Il volo è tra quattro ore, se lo perdiamo tua madre mi ucciderà. Quella donna già mi odia, non voglio darle altri motivi per avercela con me.” borbottò Blaine, mentre accompagnava svogliatamente Sebastian tra gli scaffali di quello che era uno dei più grandi supermercati di Lima. In realtà non era la paura di far tardi a disturbarlo; Blaine odiava fare la spesa e soprattutto odiava farla con Sebastian, che leggeva scrupolosamente le etichette e i prezzi di ogni prodotto, impiegando ore per comprare anche solo un deodorante.

“Prima di tutto, mia madre non ti odia affatto, devi smetterla di ripeterlo ogni volta che abbiamo a che fare con lei. Sai benissimo che ha una sorta di perversa venerazione nei tuoi confronti, dato che sei quello che mi ha più o meno salvato quello che sembrava il tracollo emotivo del secolo. Se ti tratta così, è solo perchè non ti sei messo con me dopo avermi impedito di diventare un rifiuto umano. Ovviamente lei adora il suo bambino, come darle torto, e considera un idiota chiunque non le faccia compagnia in questa sua convinzione. Quindi a suo parere la colpa del nostro mancato fidanzamento è tua, di certo non mia, che sono adorabile e irresistibile.” Rispose Sebastian, ripetendo un discorso che lui e Blaine avevano fatto decine di volte. Mentre parlava si guardava intorno, come cercando qualcosa tra la folla che riempiva le corsie in preda alla tipica frenesia natalizia.

“Hai mai provato ad accennarle il fatto che insieme siamo completamente disfunzionali? O magari potresti dirle che non riesci a stare più di dieci giorni senza scoparti qualcuno di nuovo, per poi dimenticarti il suo nome e la sua faccia. E anche di rifare il letto. Comunque ancora non mi hai detto perchè siamo qui.” sbottò Blaine, rigirandosi un pacchetto di caramelle tra le mani.

“Lo sai che non riesco a prendere l'aereo se non ho tutte le mie cose.” gli rispose l'altro, controllando dentro il cestino che Blaine portava appeso al braccio che ci fosse tutto il necessario. “Mmm... vediamo. Fazzoletti di carta, salviettine umidificate, snacks, Coca Cola Zero, tappi per le orecchie, l'ultimo libro di Rollins, qualche rivista... ah, maledizione. Quasi dimenticavo!” Senza dare il tempo a Blaine di fermarlo, s'infilò nella corsia dei prodotti di cura per il corpo e tornò sorridendo con in mano una scatola di preservativi e un flacone dall'aspetto molto familiare per entrambi.

“Ecco, adesso c'è davvero tutto.”

Blaine lo guardò perplesso mentre Sebastian ricontrollava minuziosamente i suoi acquisti.

“Vuoi spiegarmi perchè non puoi comprarti queste stronzate direttamente in aeroporto? Stiamo perdendo tempo in mezzo a questo casino assurdo e finiremo per passare almeno mezz'ora in fila alla cassa, schiacciati tra bambini urlanti e genitori sull'orlo di una crisi di nervi.”

“Caro, sai meglio di me che nei negozi dell'aeroporto costa tutto il doppio e io non ho intenzione di farmi spennare. In più qui la scelta è più ampia e la fauna è estremamente accattivante.”

“Sebastian, i tuoi ti pagano la retta di Harvard e tu passi la maggior parte a bere stravaccato sul mio divano. Dire che sei schifosamente ricco è un eufemismo... Solamente i calzini che indossi costano ottanta dollari e tu sprechi un'ora dentro un supermercato per risparmiarne cinque?”

“Ognuno ha le sue piccole particolarità.” rispose l'altro con un sorriso sornione. Blaine decise di abbandonare la discussione per cominciarne un'altra.

“Va bene. Allora spiegami questi.” Prese la scatola di preservativi e gliela sventolò davanti alla faccia con aria indispettiva, per poi ributtarla poi insieme al resto dei prodotti. “Nel Oregon non vendono profilattici?”

“Blaine, ingenuo amico mio. Supponiamo che uno degli steward sia molto carino e io abbia improvvisamente tanta, tanta paura di volare, al punto che mi prende un attacco di panico e ho tanto bisogno di essere consolato...” disse con aria distratta, come se non fosse realmente coinvolto in quella conversazione.

“Gli steward non si scopano i passeggeri nei bagni di un aereo!” Gli fece notare Blaine, alzando la voce. Una signora con in mano una confezione di datteri si voltò a guardarlo e lui le sorrise in tono di scuse.

“Allora supponiamo che uno degli altri passeggeri sia molto carino e io abbia improvvisamente tanta... “ S'interruppe e si guardò intorno con aria frustrata, per poi tornare a concentrarsi su Blaine.

“Ascolta, è questo il supermercato che ti porta la spesa a casa, giusto?” domandò di nuovo.

“Ma che hai?”

“Tu dimmelo e basta.”

“Per l'ennesima volta... sì, Sebastian. È proprio questo. Adesso vuoi dirmi che cosa mi stai nascondendo, esattamente?” rispose Blaine, roteando gli occhi.

“Hai presente il plaid marrone, quello che tieni sempre sul divano?”

Certo, questo sì che era un bel cambio di argomento.

“Quello che mi ha regalato mia nonna quando sono andato all'università? Sì certo...” Si trovò a rispondere, desideroso di vedere dove Sebastian fosse intenzionato ad arrivare.

“Si lava a secco oppure va bene anche la lavatrice?” Ora che sapeva che era un regalo di sua nonna, mancata diversi mesi prima, sembrava improvvisamente preoccupato.

“Sebastian... esattamente, COSA hai fatto a quella povera coperta? O SOPRA quella povera coperta?”

“Un paio di settimane fa ho conosciuto un ragazzo e ieri le cose mi sono un tantino sfuggite di mano. O meglio, se vogliamo essere letterali, dalla mano non m'è sfuggito proprio niente, però la tua amata trapunta potrebbe essere stata testimone involontaria del nostro incontro.”

Ovvio. Quando si parlava di Sebastian, c'era sempre di mezzo un ragazzo.

Poi Sebastian trovò finalmente quello che cercava: Eric, il commesso che si occupava delle consegne all'appartamento di Blaine era nella corsia dei dolci, intento a disporre alcune confezioni natalizie di biscotti al burro. Sorrise soddisfatto e cominciò a camminare verso di lui, voltandosi dopo qualche passo, ricordandosi improvvisamente della presenza di Blaine.

“Io... torno subito. Tu aspettami qui, eh!”

“Sì, come no.”

Alzò gli occhi al cielo e rimase in piedi in mezzo al corridoio, guardando Sebastian picchiare sulla spalla del ragazzo per attirare la sua attenzione. L'altro si voltò immediatamente e quando vide chi aveva davanti, fece un gran sorriso. Blaine corrucciò le sopracciglia nel vedere l'abbraccio che si stavano scambiando e l'aria complice con cui stavano chiacchierando; Eric di sicuro non era il tipo di ragazzo che di solito interessava a Sebastian, eppure l'impressione era proprio che ci stesse provando con lui.

Non era brutto, ma aveva davvero poco a che spartire con quelli che di solito frequentavano il letto di Sebastian: era poco più alto di Blaine, dal viso rotondo con il naso e la fronte spruzzati di lentiggini. La divisa gli segnava un leggero accenno di pancetta ed era evidente che non metteva piede in una palestra da mesi. All'appello mancavano zigomi scolpiti, un corpo da urlo, abbigliamento alla moda e atteggiamento da top model: era un ragazzo normale, dall'aria molto dolce.

Con un sospiro, si appoggiò con la schiena a uno degli scaffali e incrociò le braccia sul petto, aspettando che Sebastian portasse a termine la sua missione. Per passare il tempo, si ricordò delle riviste che aveva nel cestino, quindi ne prese una a caso e iniziò a sfogliarla.

Dopo aver terminato di leggere un articolo ridicolo su come aumentare la massa muscolare mangiando yogurt di soia, alzò lo sguardo e controllò che Sebastian fosse ancora in vista: e infatti eccolo lì, che chiacchierava con Eric, strofinandogli piano l'avambraccio con il palmo della mano. La scena lo sorprese non poco, così rimase a guardare. Osservò Sebastian sporgersi verso di lui e sussurrargli piano qualcosa all'orecchio, facendolo arrossire e ridacchiare compiaciuto; Blaine sorrise, quando l'amico posò una mano sulla guancia di Eric e l'accarezzò con il pollice.

Di fronte a quel gesto delicato, rimase senza parole. Erano anni che non lo vedeva comportarsi così dolcemente, soprattutto con qualcuno che si era già portato a letto; inoltre le sue tecniche di corteggiamento erano brusche e passionali, non prevedevano alcuno sfioramento. Né di certo una visita fintamente casuale sul luogo di lavoro. Non aveva ancora formulato il pensiero che forse c’era speranza anche per Sebastian, quando qualcuno attirò irrimediabilmente la sua attenzione.

Una figura alta e snella, con il collo avvolto da una sciarpa color caramello, gli passò accanto spingendo un carrello colmo di quelli che sembravano gli ingredienti necessari per preparare il pranzo di Natale del secolo.

Era Kurt.

Non era solo, stava chiacchierando con una donna che gli camminava vicino. Blaine era convinto che non l’avrebbe visto per almeno due settimane, invece era lì; guardarlo fu sufficiente per ricordargli la piacevole sensazione di stringerlo a sé.

E il profumo di vaniglia della sua pelle. Un nodo gli strinse lo stomaco. Magari Kurt si era pentito di quel momento? Fece un paio di passi verso di lui e senza pensarci troppo gli toccò appena il gomito, per chiamarlo.

“… no Carole, dobbiamo assolutamente preparare le meringhe italiane. La ricetta francese è così banale e poi non abbiamo il forno adatto senza contare che… oh.” Si voltò e sorrise, quando riconobbe il volto di Blaine.

O meglio, sorrise per un istante brevissimo, poi spalancò gli occhi e arrossì vistosamente. In un primo momento era stato semplicemente felice di avere davanti Blaine, poi si era ricordato delle libertà che si era preso il pomeriggio precedente. L’aveva abbracciato.

Ma che gli era saltato in testa? Ora sarebbero stati a disagio ogni volta che si sarebbero incontrati. Che idiota.

“Ciao Kurt. Spese natalizie?” disse sorridendo.

Questa sì che era una frase a effetto. Che idiota.

“Uh sì… non avevo visto…” balbettò Kurt, incapace di continuare la conversazione, in bilico tra l’istinto di chiamarlo per nome e il dovere di trattarlo come un professore. Dietro di lui, Carole fece un colpetto di tosse, facendoli sussultare entrambi.

“Kurt, ti lascio parlare con il tuo amico, intanto vado a prendere i salatini, ok?” Il tono complice con cui lo disse lo fece arrossire ancora di più. Non ebbe il tempo di dirle che non c’era bisogno di andarsene, che già era sparita insieme al carrello, non prima di avergli strizzato l’occhio compiaciuta.

“Lei… ehm, è la mia matrigna.”

“Carole, giusto?”

“Già.”

“Sembra una signora gentile.”

“Lo è. A volte forse è inopportuna, ma è molto dolce.”

Si guardarono entrambi i piedi, ammutoliti. Sembrava di essere tornati a tre settimane prima, quando rompere il ghiaccio era difficile.

“Io… non dev’essere per forza strano. O complicato.” Kurt alzò di scatto la testa, ascoltando con attenzione quello che l’altro stava dicendo. “Magari fuori da scuola puoi chiamarmi semplicemente Blaine, come… come hai fatto ieri. Io non la prenderei come una mancanza di rispetto o un eccesso di confidenza. Dopotutto, è inutile negare che abbiamo un rapporto un po’…”

“Particolare?” propose Kurt.

“Già.” Annuì Blaine, aggrappandosi all’assenso di Kurt.

“Ok. Per me va bene… voglio dire, avere il suo permesso vuol dire tanto.” Blaine fece un sorrisetto e Kurt capì dove voleva arrivare. Si corresse. “Avere il tuo permesso, vuol dire tanto per me. È un po’ come se fossimo amici.”

“Io credo che lo siamo.” Lo interruppe timidamente Blaine.

“E cosa fanno due amici quando si incontrano al supermercato?” domandò Kurt.

“Ehm… si salutano, poi si dicono a vicenda quanto sia stressante il caos natalizio, raccontano i loro acquisti e poi si fanno gli auguri.” Spiegò Blaine.

“Bene. Ci siamo salutati, direi che è superfluo parlare della quantità di persone che in questo momento sta correndo da una corsia all’altra, quindi passiamo direttamente agli acquisti. Sto aiutando Carole e mio padre con la spesa di Natale, se non intervengo finiamo per mangiare solo tacchino e patate. E tu?”

“Solo qualche cosa presa in fretta, tra poche ore prendiamo l’aereo per l’Oregon.” Sollevò il cestino per sottolineare quello che aveva appena detto, ma agghiacciò quando Kurt ci guardò dentro e contemporaneamente chiese: “Prendiamo? Con chi vai in Or… uh”.

Se possibile, gli occhi di Kurt si spalancarono ancora di più quando vide i preservativi in bella mostra nel cestino; Blaine abbassò di scatto il braccio, portando fuori dal campo visivo di Kurt la sua spesa.

“Con un amico.” Rispose Blaine, che ormai non sapeva più dove guardare.

“Ah.” Disse piatto Kurt.

“Io quelli non li uso. Cioè quando serve… insomma, non sono miei. Li usa lui. Voglio dire, con altri. È gay.”

Kurt sollevò un sopracciglio, confuso dalle informazioni che Blaine stava caoticamente buttando fuori. Avrebbe voluto dirgli che non era tenuto a dire nulla della sua vita sessuale, ma era troppo arduo perfino chiedergli di non toccare l’argomento; sperò che lo capisse da solo. In effetti, Blaine tacque.

“E' ok, Blaine.”

“Non è il mio ragazzo. Vedi? E’ lì che ci prova con uno dei commessi.” Indicò Sebastian, che a diversi metri di distanza si stava ancora intrattenendo con Eric. Quando lo vide, Kurt trattenne il fiato.

Era il ragazzo del Lima Bean. Allora non era il suo fidanzato?

Rimasero qualche secondo in silenzio, poi accadde qualcosa. Eric annuì mentre Sebastian gli diceva qualcosa, sempre toccandogli piano la guancia; poi un uomo gli passò accanto e urtò con una forte spallata Eric, che spinto contro lo scaffale, fece cadere diversi prodotti a terra.

Istintivamente, Blaine buttò la rivista che aveva ancora in mano nel cestino e andò verso di loro di corsa. Nel frattempo sia lui che Kurt sentirono distintamente le risate di alcuni clienti e sempre quell'uomo dire ad alta voce: “...'sti froci. Ma perchè non andate a fare queste schifezze da un'altra parte? Eh... qui c'è gente che vuole fare la spesa di Natale senza vedere due checche che...”.

“Brutto idiota...”

Sebastian fu più veloce e lo raggiunse prima che Blaine potesse impedirglielo: lo spinse con forza contro una delle mensole e lo bloccò con un gomito sotto la gola, sibilandogli insulti a pochi centimetri dalla faccia. Non prestò la minima attenzione a tutta la gente che aveva immediatamente smesso di fare acquisti per raccogliersi intorno a loro e godersi ogni singolo dettaglio. Dietro di lui Kurt aiutò Eric ad alzarsi e Blaine si avvicinò a Sebastian stringendogli piano la mano su una spalla. Era un fascio di nervi e tra una parola e l'altra respirava con forza dal naso.

“Sebastian.” lo chiamò. “Smettila dai, lascia correre.”

Il ragazzo spinse più forte e l'altro si lasciò sfuggire un rantolo, quasi soffocato dalla pressione del braccio di Sebastian contro il collo. Il viso era paonazzo, probabilmente più per la sorpresa che per la difficoltà a respirare: era evidente che non si sarebbe mai aspettato una simile reazione. Blaine diede una scrollata all'amico, che finalmente allentò la presa e fece un passo indietro, guardando soddisfatto quel bigotto portarsi una mano al petto e fare dei profondi respiri affannosi. Intorno a loro, un mormorio sommesso e parecchie occhiate di disapprovazione.

Kurt lo riconobbe: era Emmet, il padre di Azimio.

Quando arrivarono il direttore e una delle cassiere, si recarono immediatamente da lui, intimando ai ragazzi di non muoversi, altrimenti avrebero chiamato la polizia. Blaine, nell'udire quell'avvertimento, boccheggiò, mentre Eric iniziava a spiegare al suo datore di lavoro, con voce sommessa, che cosa era successo di preciso.

“Noi non abbiamo fatto niente... è stato lui a permettersi di...” balbettò, mentre la cassiera aiutava a rialzarsi l'idiota che aveva fatto uscire Sebastian di testa.

“Ah sì? E tu che cosa stavi facendo con quel tizio, per attirare tanto l'attenzione?” rispose il direttore, con un'espressione disgustata in viso.

Blaine si guardò intorno, senza vedere nessuno disposto a farsi avanti per dire come erano andate davvero le cose. C'erano decine di persone che avevano visto Eric venire spintonato e altrettante avevano sentito gli insulti che avevano fatto scattare la reazione di Sebastian; non uno di loro fece un cenno. Kurt sembrava troppo agitato per esporre i fatti con chiarezza e lui teneva d’occhio Sebastian, temendo che facesse qualche sciocchezza.

“Ma che diavolo sta succedendo?” Nella folla che si era raccolta, si fece avanti uno dei clienti, che guardò alternativamente i ragazzi e l'uomo ancora ansante appoggiato al direttore. Quando i suoi occhi si posarono su Kurt, il tono si fece immediatamente allarmato:“Kurt? Stai bene?”

Sebastian scelse proprio quel momento per esporre rapidamente la sua versione dei fatti: “Quello stronzo gli ha dato uno spintone e ci ha chiamato froci. Non stavamo facendo niente di male!”

Se non fosse stata la situazione meno adatta per farlo, Blaine avrebbe riso per il tono petulante e isterico con cui il suo migliore amico si stava lamentando; poi vide l’espressione di quell’uomo farsi pericolosamente seria.

“E' vero?” chiese guardando il direttore.

“Non ne ho idea, sono arrivato qui e lo spilungone stava aggredendo uno dei clienti. Ha mollato solo quando quel ragazzo gli ha chiesto di farlo.” Indicò Blaine, che ancora stava trattenendo Sebastian, fremente di rabbia. Accanto a loro, Eric si strofinava una spalla.

“Scommetto che ha un buon motivo per essere così arrabbiato. Perchè non ci diamo tutti una calmata e qualcuno con porta un po' di ghiaccio per la spalla di quel ragazzo che è caduto?”

Blaine si voltò verso Kurt, che osservava la scena improvvisamente rilassato.

“Chi è quel signore?”

Kurt sorrise radioso.

“Quello è il mio papà.”

 

Nda.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


Buonasera a tutti!

Questo che vi lascio è il tredicesimo capitolo di una storia che è nata un po' per caso e che un po' per caso è diventata la storia cui probabilmente tengo di più. So che vi stresso con le mie insicurezze, con le mie domande e i miei dubbi, e per questo vi chiedo scusa. Grazie per la pazienza con cui vi prendete cura dei miei scleri, sia su FB che su EFP, grazie per l'entusiasmo con cui l'avete accolta e con cui la state sostenendo. Avete superato di gran lunga ogni mia più rosea aspettativa.

Davvero, se non fosse per voi, probabilmente sarebbe rimasta una storia incompleta, abbandonata nell'oblio di EFP. Forse è per questo che ho così paura di deludervi o di pubblicare qualcosa che non è all'altezza delle aspettative che si sono create. Incrocio le dita.

Ne approfitto anche per scusarmi di un'altra cosa: sono in arretrato nel rispondervi alle recensioni e mi sento da schifo per questo. Le ho lette tutte, ma in questi giorni sono davvero presissima e piuttosto di scrivere una risposta buttata lì preferisco aspettare. Ma risponderò a tutte, parola di lupetto. Ve lo meritate e voglio farlo per bene.

Altro ringraziamento? Signori... la storia è nei preferiti di 116 persone. Non avete idea quanto mi renda felice e che soddisfazione sia per me. Grazie per la vostra fiducia.

Detto questo, vi lascio il link alla mia pagina FB, dove aggiorno sullo status di stesura dei capitoli e vi rendo partecipi ai miei scleri.

http://www.facebook.com/pages/Lievebrezza-EFP/237960512916776

Buona lettura, LieveB

 

Capitolo tredicesimo

 

Dopo quel pomeriggio nel supermercato, Blaine non ebbe più dubbi sull'origine della determinazione di Kurt. Nè su quanto la sua situazione familiare fosse diversa dalla sua.

Dal momento che suo figlio sembrava, seppur marginalmente, coinvolto in quella baruffa, Burt prese il controllo della situazione senza la minima esitazione. Con decisione, dissipò la folla, riprese il direttore per le insinuazioni che aveva fatto nei confronti del suo dipendente e costrinse il padre di Azimio a scusarsi con Eric per quello spintone inaspettato. Il tutto con una naturalezza che aveva dello straordinario: Blaine lo osservava incantato, in piedi accanto a Kurt, nient'affatto impressionato dal carisma di suo padre.

“Bene. Direi che la questione si è risolta nel migliore dei modi.” disse Sebastian con aria soddisfatta, sfregandosi i palmi della mani e guardando compiaciuto il direttore che tornava nel suo ufficio. “La ringrazio davvero per essere intervenuto, signor...”

“Hummel. Sono Burt Hummel. E mi dispiace contraddirti, ma la questione non è ancora risolta. Devi scusarti anche tu.”

“Come prego? Lei sta sicuramente scherzando. Sta scherzando?” Il ragazzo strabuzzò gli occhi per la sorpresa e si voltò a guardare Blaine, chiedendo una conferma. Non era sicuro di aver sentito bene, ma Blaine annuì con convinzione. Era d'accordo con la proposta di Burt, e anche in caso contrario difficilmente avrebbe avuto il coraggio di esternare i suoi dubbi; Sebastian tortò a guardare Burt, che dopo un sospiro prese a spiegarsi.

“Non c'è mai nessuna giustificazione per la violenza, neppure quando si viene provocati. Lo ammetto, anche io qualche volta mi sono comportato in modo impulsivo, credendo di essere alla parte del giusto, eppure me ne sono sempre pentito. Quindi ascolta il consiglio di chi è più vecchio di te e ci è già passato, vai a scusarti con quell'uomo. Se non lo fai, è praticamente certo che ti prenderai una denuncia... lo vuoi prendere o no, quell'aereo per l'Oregon?”

“Ma...” Cercò di obiettare Sebastian, ma qualcosa nello sguardo di Burt lo fece desistere.

“Fila.” Disse di nuovo, indicando con un cenno del capo Emmett. Sebastian sbuffò e alzò gli occhi al cielo, poi si avviò a grandi passi lontano da loro con i pugni chiusi rigidamente appoggiati lungo il corpo, evidentemente contrariato da quell'imposizione.

Blaine ridacchiò, perchè grazie all'intervento di Burt le cose si erano appianate rapidamente e probabilmente non avrebbero nemmeno perso l'aereo. Quando rise, sentì Kurt unirsi sommessamente a lui: non conosceva ancora Sebastian, quindi non poteva sapere quanto era assurdo vederlo sottomettersi alla richiesta di qualcun'altro, ma l'espressione esasperata con cui l'aveva fatto era sufficiente per divertirsi un po'. Si scambiarono uno sguardo complice.

“Quindi... come conosci mio figlio?”

La voce di Burt sembrava arrivare da un'atra dimensione, ma Blaine la sentì distintamente, così raddrizzò la schiena e tese la mano, accompagnandola con uno dei suoi sorrisi più carismatici: “Le chiedo scusa, signor Hummel. Con tutto questo trasbusto non ho avuto occasione di presentarmi come si conviene. Sono Blaine Anderson, il professore di letteratura di Kurt. Piacere di conoscerla.”

“Così lei sarebbe il professor Anderson, giusto? Kurt ha preso davvero degli ottimi voti nella sua materia.” disse Burt, osservandolo accuratamente.

“Oh sì.” rispose Blaine, guardando per un istante Kurt e poi tornando su suo padre “Vorrei che tutti in classe avessero un briciolo del suo entusiasmo e del suo coinvolgimento nella materia. Le lezioni sarebbero più stimolanti per tutti.”

Kurt si sentì imbarazzato. Già era difficile essere presente durante i classici incontri con i professori, perchè suo padre era sempre sulla difensiva e prendeva male qualunque critica veniva mossa nei confronti di suo figlio, ma stare lì impalato a guardarlo mentre parlava con Blaine era troppo. Preferì prendere le distanze, prima che capisse che Blaine era... il suo professore preferito.

“Papà, mentre parlate dei miei voti, io vado a recuperare Carole e Finn, ok? Anzi, perchè non parlate anche del suo, di rendimento? Aspettatemi qui, ci metto un attimo.” Loro annuirono e Burt chiese a Blaine se c'era la speranza che Finn portasse a casa almeno una B per la fine dell'anno. La curvatura che assunsero le sopracciglia di Blaine quando rispose non lasciava molte speranze.

Kurt si allontanò rapidamente, sforzandosi di riprendere fiato. Era convinto che non avrebbe rivisto Blaine per giorni e giorni, che avrebbe avuto tutto il tempo per elaborare il loro abbraccio e lo scambio di regali, invece eccolo lì, pronto a farsi dare del tu e a professarsi suo amico. Si immerse nei suoi pensieri, imprimendosi nella mente il sorriso di Blaine quando l'aveva chiamato nei corridoi del supermercato: avrebbe potuto fingere di non vederlo, eppure l'aveva chiamato.

E aveva sentito l'esigenza di specificare che quel Sebastian non era il suo fidanzato. Doveva per forza significare qualcosa, ma non voleva illudersi: si ripromise di ripensarci più tardi, a mente fredda. Purtroppo il caso volle che la questione venisse risolta nell'immediato, quando Kurt si imbattè in Sebastian, mentre attraversava le varie corsie alla ricerca di Finn e della sua matrigna.

Se lo trovò davanti con in bocca una stringa di liquirizia e l'espressione imbronciata. Trovarsi Kurt improvvisamente davanti lo fece sorridere in un modo che avrebbe messo chiunque in allerta.

“Oh, guarda chi c'è, il golden boy del McKinley.” disse un po' beffardo, mordendo un pezzo di caramella. Non sembrava intenzionato a spostarsi.

“Mmm... già. Ascolta, Blaine è ancora là con mio padre e ti sta...” rispose Kurt, messo in difficoltà dall'atteggiamento ambiguo di quel ragazzo più grande.

“No, Kurt, ascoltami tu. Non ho idea di quello che ti passa per la mente e non mi interessa saperlo, ma una cosa te la voglio dire. Hai presente quel ragazzo?” sorridendo, indicò Blaine, che era a una trentina di metri di distanza, coinvolto in un'appassionata conversazione con Burt. “Quel ragazzo è una delle persone più importanti della mia vita e farei tutto per lui. Quindi se provi a metterlo nei guai o a fare qualche cazzata adolescenziale, ti verrò a cercare. Dopo il trattamento Smithe non distinguerai più Vogue da Vanity Fair, sono stato chiaro?”

“Non è il tuo fidanzato, me l'ha detto.” Kurt rispose secco. Non c'era nessun dubbio, lui non avrebbe mai messo Blaine nei guai né gli avrebbe creato problemi, quindi quelle minacce erano superflue e fuori luogo. Con chi credeva di parlare, con il primo ragazzino che incrociava per strada?

“O no, non sono il suo fidanzato, è questo il bello. Io sono suo amico e per lui voglio solo il meglio. Non c'è in ballo la gelosia o la competizione, quindi deve esserti ben chiaro che parlo per il suo bene se ti dico che devi star ben attento a come ti comporti con lui. È un ragazzo fantastico, ma ha le sue debolezze. Non posso permettere a nessuno di approfittarsene.” La voce gli si addolcì, in quell'ultima parte di discorso.

“Non devi preoccuparti. So stare al mio posto.” rispose semplicemente. Poi lo scansò e continuò a cercare Carole, anche se con un peso che gli stringeva la gola. Non aveva capito subito qual era il punto di Sebastian a causa dell'arroganza con cui aveva esordito, ma poi ci era arrivato: era solo un ragazzino che aveva incontrato il primo ragazzo gay disposto a dedicargli un minimo di attenzione e si era preso una cotta. Forse Blaine, che lo conosceva, sapeva bene che era innocuo e al massimo sarebbe stato Kurt a uscire da quella storia con il cuore spezzato, ma per Sebastian era diverso. Non si era fatto scrupoli a dirgli quanto era importante Blaine per lui ed era evidente che gli voleva sinceramente bene: per lui Kurt era un ragazzino che poteva rivelarsi pericoloso.

Non che fosse sua intenzione accusare Blaine di averlo molestato, ma poteva capire Sebastian, se aveva preso in considerazione anche quella possibilità. Ma non sapeva che Kurt era già venuto a patti con se stesso nel momento esatto in cui aveva capito di essersi innamorato di Blaine: non avrebbe mai potuto averlo, né sarebbe mai stato ricambiato. Si sarebbe accontentato, senza scambiare la gentilezza per affetto o per qualcosa che avrebbe tanto voluto leggere negli occhi di Blaine, ma che non avrebbe mai trovato.

Amore.

Anche se a volte...

“Kurt! Eccoti qui! Le uova per le meringhe le vuoi large o extra-large?” chiese Carole, che soppesava due confezioni sotto gli occhi perplessi di Finn.

“Large.” rispose automaticamente, poi elencò i dettagli che la sua matrigna si era persa. “C'è stata una piccola discussione tra alcuni clienti e papà è intervenuto, ora sta parlando dei voti con il mio professore di letteratura, magari sei interessata.”

“Non gli è successo niente, vero?” chiese allarmata. Alle sue spalle, Finn guardò torvo Kurt: sentir parlare dei suoi voti in letteratura inglese proprio alla vigilia di Natale non era la migliore delle notizie.

“No, no... tranquilla. Lo sai come è fatto, non riesce a non ficcare il naso ed essere straordinario.”

“Oh, bene. E quel ragazzo con cui ti ho lasciato?” gli diede una gomitata leggera, poi ripose compiaciuta una confezione di uova nel carrello ormai stracolmo.

“Quello era il nostro professore di letteratura, non mi hai lasciato il tempo di presentartelo.” rispose lui piatto, sollevando un sopracciglio. In realtà, era piuttosto contento che Carole avesse frainteso la situazione e li avesse lasciati soli.

“Oh. Il tuo professore? Ma... dal modo in cui ti ha guardato... e come tu...” Lui sollevò un sopracciglio, supplicandola di chiudere il discorso e accettare la realtà. “Va bene. Comunque è un peccato, è davvero molto carino.” Gli strizzò l'occhio e Finn alzò gli occhi al cielo. Finalmente s'incamminarono insieme verso il punto dove aveva lasciato suo padre e Blaine; anche Sebastian si era unito al gruppo, ma non partecipava alla conversazione. Si limitava a strappare silenziosamente rabbiosi morsi da un'altra stringa di liquirizia, aspettando che Blaine si decidesse ad andarsene.

“Papà?” Lo chiamò, distogliendo Burt da Blaine.

“Bene, eccovi qua. Avete finito di riempire quel povero carrello? Mangeremo per settimane, con tutta quella roba.” Si voltò verso Blaine e disse: “Peccato che vada in Oregon, altrimenti l’avremmo invitata a passare il Natale con noi. Nessuno deve stare da solo in giorni importanti come questi.”

Blaine annuì in un modo fin troppo entusiasta che non sfuggì a Sebastian.

“Eh già. Peccato che venga in Oregon con me. Sempre se decide di voler lasciare questo supermercato entro…” Tirò indietro la manica del maglione e si guardò il polso nudo per un paio di secondi “… entro i prossimi cinque minuti.”

Nessuno fece caso a Kurt, dal momento che l’attenzione era tutta dedicata a Sebastian e alla sua teatrale impazienza: non aveva mai avuto il coraggio di fare domande personali a Blaine e ora se ne stava pentendo. Avevano parlato a lungo di quanto amasse il Natale, i pranzi in famiglia e gli addobbi dell’albero, eppure quando si era accorto che Blaine non nominava mai la sua famiglia non gli aveva mai chiesto con chi avrebbe trascorso le feste. Se non fosse stato per Sebastian che l’aveva invitato all’ultimo minuto, sarebbe stato solo?

Kurt si sentì uno schifo, perché Blaine era sempre stato disposto ad ascoltarlo, invece lui non aveva mai fatto nessuno sforzo per conoscerlo di più. Magari non era vero che non voleva parlare di sé, magari aspettava solo che Kurt chiedesse.

“Giusto, hai ragione. Signor Hummel, la ringrazio ancora per il suo aiuto. Ha salvato il nostro Natale e ha evitato che questa testa calda si mettesse nei pasticci come suo solito.” Mise una mano sulla spalla di Sebastian, che sorrise. Non aveva ancora perdonato quell’uomo per averlo obbligato a scusarsi, ma era da idioti non riconoscergli alcun merito.

“Dovere.” Rispose semplicemente Burt, toccandosi la visiera del berretto.

“Bene, allora noi andiamo. Kurt, Finn, ci vediamo quando ricomincia la scuola, studiatevi bene il capitolo su Osborne e ricordatevi di portarmi un saggio di almeno 5000 parole sull’opera Ricorda con rabbia. A fine gennaio ci sono gli esami di metà semestre. Buon Natale ragazzi.” Blaine si voltò verso Burt e Carole. “Buon Natale, signori Hummel.”

Un ultimo saluto, un ultimo scambio di convenevoli, una rapida occhiata a Kurt e se ne andarono; Burt fece un sospiro e guardò la sua famiglia.

“Forza, andiamo, quel povero tacchino non cuocerà mai da solo.”

Durante il tragitto in auto, Kurt non riuscì più a contenere la sua curiosità e si sporse dal sedile posteriore, sbucando tra quelli di Burt e Carole, seduti davanti.

“Papà?” chiese timidamente, per non distrarlo troppo dalla guida.

“Che c’è?”

“Di cosa avete parlato tu e…” Si fermò giusto un istante prima di chiamarlo con il suo nome di battesimo e gettarsi in una spirale di domande. “… e il professor Anderson? Vi ho visto chiacchierare mentre andavo a cercare Carole e Finn.”

“Perché?” chiese Burt. “Hai qualcosa da nascondere?”

Lui e Carole scoppiarono a ridere, mentre l’espressione sul viso di Finn si fece indecifrabile.

“N-no, ovvio che no. Ero solo curioso!” Il tono con cui lo chiese fu tanto scocciato quanto infantile.

“Kurt, di che vuoi che abbiamo parlato? Gli ho chiesto dei tuoi voti e ha detto che sei straordinariamente perspicace e che scrivi concetti molto originali. È fiero dei risultati che stai ottenendo. Poi abbiamo parlato di Finn e di come potrebbe prendere una B se si sforzasse di ascoltare un po’ di più in classe.”

“Ah. E come facevi a sapere che se non andava in Oregon sarebbe stato solo per Natale?” continuò a indagare, sperando di apparire naturale.

“Kurt, so che non dovrei dirtelo, perché è un tuo professore e tutto quanto, ma non hai visto che aria smarrita che ha in alcuni momenti quel ragazzo? Tu probabilmente non te ne sei mai accorto, perché di sicuro non perde un colpo quando parla della scuola e della sua materia, ma è bastato chiedergli se la sua famiglia era dell’Oregon per vedere qualcosa di diverso in lui. Non credo che abbia dei buoni rapporti con i suoi genitori, o magari è orfano, non lo so.”

“Che cosa ti ha detto della sua famiglia?” Kurt ormai non si tratteneva più e voleva sapere tutto quello che si erano detti, soprattutto se dava spazio a conclusioni come quelle.

“Ehm… fammi pensare. Gli ho chiesto che cosa faceva per Natale e mi ha detto che andava in Oregon con il suo amico. Quando poi gli ho chiesto se era originario di quello stato, mi ha detto che la sua famiglia è dell’Ohio e che sono i genitori di Sebastian ad avere una villa o un cavolo di chalet in Oregon. Tutto qui. Ah beh, mi ha detto anche che se Sebastian non l’avesse invitato, probabilmente non sarebbe comunque andato dai suoi. Per questo ho pensato subito che avremmo potuto farlo venire a pranzo da noi, mi sembra un bravo ragazzo e non merita di rimanere solo.”

“Ma Burt, non gli hai fatto troppe domande? Magari sei stato invadente.”

“Andiamo Carole, è solo un ragazzo, dopotutto. E poi non mi è sembrato infastidito.”

Cambiarono argomento e Kurt sprofondò nel sedile, accanto a Finn, maledicendosi per essere stato tanto codardo. Non sapeva che se Blaine cambiava argomento e non diceva nulla di sé era solo per paura di aprirsi con qualcuno che sarebbe potuto piacergli.

 

Burt era innocuo, era un papà ed era un brav’uomo, raccontargli di sé non era un rischio. Ma parlare con Kurt, o con un ragazzo… era diverso. Con uno studente poi, era la cosa peggiore da fare.

Blaine e Sebastian stavano trascinando la spesa verso l’auto sportiva di Sebastian, quando il più alto sbottò: “Idiota, abbi almeno l’accortezza di non guardarlo così, in presenza di suo padre.”.

“Così come?” Blaine si fermò in mezzo al parcheggio, aspettando la risposta di Sebastian.

“Come se fosse la prima cosa bella che incroci nel giro di sei anni.” Si voltò e buttò fuori quella frase con esasperazione.

“Smettila.” Disse Blaine, cercando di farlo tacere.

“Cristo, avevi l’aria di uno che si sarebbe buttato sotto una macchina al posto suo! Come puoi essere così ovvio?”

“Quanto ti piace esagerare, non è vero? E poi senti da che pulpito viene la predica, hai quasi un soffocato uno sconosciuto perchè ha spintonato il tuo nuovo pupillo!” rispose Blaine, alzando la voce. Ormai stavano litigando.

“Non ti permettere di tirare in mezzo Eric, hai capito? Sei tu che davanti a un bel musetto e una storia lacrimosa stai perdendo di vista il fatto che non puoi e non devi volerlo, quel ragazzo! Maledizione, sembri un ragazzino alla prima cotta.”

“Siamo solo amici, gli sto solo dando una mano.”

“Sai cosa ti dico Blaine? Fanculo.” Sebastian aveva abbassato la voce e gli stava letteralmente sibilando in faccia quelle parole. “Quando ti ritroverai con la faccia incollata alla sua e lui ti metterà nei guai, oppure ti ricambierà per un po' e finirà per scaricarti, non sognarti nemmeno di venire a bussare alla mia porta.”

“Sono stato da solo per più di due anni, quando te ne sei andato in Francia. Penso di poter gestire un rapporto informale con uno studente.”

Si pentì immediatamente di averlo detto. Parlare della Francia e della loro relazione passata in un litigio era proprio un colpo basso: Sebastian si voltò e s'avviò verso l'auto senza dire una parola. Blaine rimese in mezzo al parcheggio per un po', infine lo seguì. Il viaggio verso l'aeroporto fu silenzioso, ma in fila al check-in trovarono il modo di fare pace.

“Se dovessi incasinare tutto e poi venissi a cercare il tuo aiuto, non ci sarebbe niente che potrebbe convincerti ad ascoltarmi?” mormorò Blaine mentre toglieva l'orologio e lo riponeva in una delle vaschette dei controlli. Sebastian era in piedi accanto a lui, che si slacciava la cintura.

“Penso che tatuarti Sebastian Smithe è stato qui su una natica potrebbe essere sufficiente.” rispose lui, sfacciato. Blaine spalancò la bocca, poi alzò gli occhi al cielo.

Sei sempre il solito. Facciamo che ti offro una giornata alle terme e ti permetto di ripetermi Te l'avevo detto finchè non ti stanchi.”

Sebastian finse di mostrarsi pensieroso finchè non si ritrovarono al di là dei controlli, armeggiando con i giacconi e i trolley: “Ok. Andata. Blaine?”

“Che c'è?”

“Io non voglio che tu rimanga solo. Se mi impiccio così tanto è solo perchè voglio il meglio per te.”

“Lo so. È solo che a volte non so nemmeno io cosa sia il meglio per me. Ora come ora, parlare con Kurt mi fa stare bene, per me è sufficiente.” rispose lui, ficcando la pochette con i flaconcini di liquidi in una delle tasche esterne del borsone.

“Chissà... magari non è sbagliato quello che c'è tra di voi. Magari è solo... complicato, ecco.”

Blaine annuì e lo seguì verso il loro gate.

 

Due settimane più tardi, dopo un Natale passato a impedire a Sebastian di cadere in coma etilio e a evitare le allusioni lascive della signora Smithe, Blaine stava scrivendo al computer seduto al solito tavolino del Lima Bean. Era concentrato sul suo lavoro, quando sentì la sedia di fronte alla sua muoversi e qualcuno prendere posto al suo tavolo; gli bastò intravedere la sciarpa scozzese di Kurt per riconoscerlo. Vederlo in classe quella mattina non era stato sufficiente, gli era mancato.

“Kurt? Sei in anticipo, o sbaglio?” buttò l’occhio sull’orologio dello schermo. In teoria, Kurt in quel momento doveva essere dalla signorina Rice, intento a suonare il pianoforte e leggere spartiti musicali. “Manca ancora un’ora e mezza alla fine della tua lezione.”

“Io… ho detto una bugia alla signorina Rice.” Rispose Kurt, arrossendo vistosamente e portandosi al viso il bicchierone di latte macchiato che si era preso al bancone, nel tentativo di nascondersi.

“Che cosa le hai detto?”

“Che avevo mal di testa e che preferivo andare a casa prima. Non avevo voglia di restare lì, oggi.”

“Ah…” Blaine reagì lentamente.

“Avevo voglia di parlarti, Blaine. Di parlarle, signor Anderson? Non lo so, sono un disastro, mi dispiace.” Se possibile Kurt fu ancora più imbarazzato.

“Rilassati Kurt, te l’ho detto io che potevi darmi tranquillamente del tu, però se ti mette a disagio puoi anche non farlo. Non voglio… creare situazioni spinose, ok?”

Blaine lo fece senza nemmeno accorgersene. Lasciò il mouse che stava ancora stringendo per appoggiare la mano sopra quella di Kurt, che tamburellava nervosamente sul tavolino. Non strinse, si limitò ad appoggiare le sue dita su quelle di Kurt.

Erano fredde e lisce.

Kurt non si ritrasse al suo tocco, ma trovò il coraggio di continuare a parlare: “Mi sei mancato. Avevo voglia di vederti.”

Non potevo aspettare.

“Anche io avevo voglia di vederti.”

Si guardarono per qualche istante senza dire nulla, poi Kurt si sporse verso il suo pc e sfilò la mano da sotto quella di Blaine.

“Che cosa stai scrivendo?”

“E’ una ricerca che ho iniziato all’università. E' un'analisi approfondita dell'opera di John Cheever. In teoria doveva essere allegata alla mia domanda di iscrizione alla Brown per gli anni della specializzazione. Anche quando tutto è saltato, non ho avuto il cuore di mollare e continuo a lavorarci anche se so che non la leggerà mai nessuno.”

“Io potrei leggerla, se tu me lo permettesi. Probabilmente non ci capirei nulla, ma ho un repertorio di lodi e complimenti preconfezionati che potrei esibire senza alcuna vergogna.” rispose disinvolto, anche se sentiva le dita scottare sotto il ricordo del tocco che le aveva sfiorate. Di solito questo era il momento in cui Blaine cambiava discorso.

“Non potrei mai obbligarti, Kurt. Allora, cosa hai letto di bello durante le vacanze?” Chiuse il lapton e prese un pezzo di biscotto.

“Perchè sei a Lima e non alla Brown?” Chiese improvvisamente Kurt. Aveva riflettuto a lungo sulla possibilità di fare delle domande personali a Blaine e aveva deciso che se ci fosse stata l'occasione, si sarebbe buttato. Se poi l'altro alzava le difese, si sarebbe limitato a non farlo più.

“Io...” Blaine era spiazzato. “Suppongo che sia perchè mio padre mi ha tagliato i fondi e si è rifiutato di pagarmi le tasse universitarie. Sì, direi che è quello il motivo principale, dato che mi avevano già accettato.” Si trovò a rispondere.

Kurt era visibilmente dispiaciuto.

“Oh... avete litigato?” Di nuovo, un'altra domanda.

“Sai, con tuo padre sei fortunato. Lui ti accetta, ti ama e ti rispetta per quello che sei. Il mio ha deciso che se non mi trovavo una fidanzata entro settembre mi avrebbe buttato fuori di casa.”

Poi Kurt fece una cosa che non si sarebbe mai aspettato: gli prese la mano e gli strofinò il dorso con il pollice per pochi secondi, pensieroso. Non disse nulla, poi lo lasciò.

“Lo immaginavo.” annuì piano.

“Lo immaginavi?” Blaine lo guardò sorpreso.

“Sei troppo in gamba per essere finito qui. Doveva esserci per forza qualcosa che ti costringeva. Non sapevo esattamente cosa, ma ora che lo so non posso dirmi davvero stupito. Mio padre è un'eccezione più unica che rara... se ti va di parlarne un po', io sono bravo ad ascoltare tanto quanto lo sono a rovesciarti addosso tutti i miei problemi.”

L'altro fece un'espressione incerta, così Kurt decise di dargli il tempo di pensarci.

“Pensaci su, intanto io vado a prederti uno di quei biscotti al triplo cioccolato che hanno appena esposto. Con la pancia piena e il sangue zuccherino si ragiona meglio.” Blaine fece per prendere il portafogli dalla tracolla, ma Kurt lo fulminò con lo sguardo. “Questo lo offro io. E non si discute.”

Quando tornò al tavolo, Blaine non gli raccontò né di suo padre, né degli episodi di bullismo che l'avevano mandato all'ospedale. Nemmeno di Jeremiah o del suo strano rapporto con Sebastian. Gli raccontò dell'università, del suo amore per la letteratura inglese, di quanto avesse sofferto quando aveva perso l'occasione di andare alla Brown e di quanto Lima a volte gli stesse stretta. Kurt ascoltò, annuì e commentò. Non fu mai invadente, ma si dimostrò interessato e curioso; ogni cosa che disse fu assolutamente perfetta e Blaine non si pentì nemmeno di una confidenza. Uscirono dalla caffetteria sorridendo e quando arrivarono alla fermata dell'autobus per lui fu spontaneo chiedergli se voleva un passaggio a casa.

Per Kurt fu naturale rispondere di sì.

Davanti alla casa degli Hummel si augurarono una buona serata, poi Kurt si sporse verso di lui e gli diede un breve abbraccio, poi scese dall'auto. Prima di chiudere la portiera, si voltò verso Blaine e disse: “Sono stato davvero bene oggi.”

Poi se ne andò.

Blaine accese il motore e cominciò a chiedersi perchè si sentiva così bene ma anche così strano. Poi lo capì: quello con Kurt non era stato un semplice incontro. Gli altri forse sì, ma quello era stato un appuntamento. Forse da fuori gli altri non l'avrebbero definito così, ma era stato un vero e proprio appuntamento.

Avevano parlato per conoscersi meglio, si erano confidati ma non troppo, si erano toccati, ma non troppo. Aveva lasciato che Kurt gli offrisse i biscotti, gli aveva parlato di sé e l'aveva riaccompagnato a casa. Gli aveva detto che era stato bene.

Realizzò anche un'altra cosa: se Kurt fosse stato un altro, l'avrebbe baciato. Poteva scommetterci ogni ricciolo che aveva in testa. L'avrebbe baciato.

In panico, prese il telefono e chiamò Sebastian, che in quel momento era ad Harvard per un dimostrare ai suoi genitori che era ancora interessato all'economia internazionale.

“Pronto?”

“Sebastian, ho appena avuto il miglior appuntamento di sempre.” disse con tono sereno.

“Lieto di saperlo. Lui com'è? Aspetta però... di solito in questo giorno della settimana non ti incontri con Kurt?” Il tono sollevato di Sebastian si fece preoccupato.

“Infatti. L'appuntamento è stato con lui.”

“Blaine... ti prego, non farmi ricominciare.”

“Avevi ragione Sebastian. Questa cosa deve finire prima che io combini qualche pasticcio e Kurt ci vada di mezzo.” Lo disse con voce rotta, sforzandosi di ricacciare indietro lo sconforto che lo stava assalendo.

“Vorrei dire che sono contento di aver ragione, ma non so per quale motivo, mi sento di merda. Vuoi che venga da te? E giuro che non sto cercando una scusa per liberarmi di questi gruppi di studio.”

“No. Io... io starò bene. Credo di essermi fermato in tempo con questa storia, niente danni, niente casini. Rimani dove sei.” rispose piatto.

“Chiamami quando vuoi, anche di notte.”

“Sì.”

Guidò fino a casa in una maschera di compostezza, ma quando entrando nella sua camera vide la pila di saggi lasciò crollare ogni difesa. Tutti i compiti erano impilati da un lato, ma quello di Kurt era dall'altro, pronto per essere corretto per ultimo. Sul cassettone, c'era la scatola dei dolci, che ora usava per riporre i biglietti regalo e i suoi segnalibri. Sul comodino c'era una stella di zucchero che non aveva avuto il coraggio di mangiare e che ora difendeva dagli attacchi predatori di Sebastian. Accanto, una pila di libri, di cui metà erano stati acquistati su suggerimento di Kurt.

Come aveva potuto essere così cieco?

Si sdraiò sul letto, completamente stordito dalla consapevolezza che l'aveva colpito tanto all'improvviso. Era innamorato di Kurt. E non solo in seguito a quell'ultimo incontro.

Forse da prima di Natale.

Forse dalla prima volta che l'aveva incontrato al Lima Bean.

Forse dalla prima volta che l'aveva visto piangere in quel bagno.

Ed era sbagliato. Era bellissimo, ma era sbagliato.

E doveva finire.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


Capitolo quattordicesimo


Kurt entrò in casa di soppiatto, con tutta l'intenzione di arrivare alla sua camera senza essere intercettato da Finn; sfortunatamente, suo fratello era sul divano della sala e lo aveva visto entrare.

“Ciao Kurt. Come è andata la lezione di piano? La signorina Rice ha chiamato un paio d'ore fa per sapere come stavi. Le ho detto che dormivi e che avevi un po' di febbre. Era molto dispiaciuta.” Kurt congelò nel sentire quelle parole; si tolse il cappotto e lo appese in ingresso.

“Vedo che però ti senti meglio, dato che probabilmente sono ore che sei in giro a fare altro. O sbaglio?” disse Finn beffardo, ancora seduto comodamente. Lì rimase anche quando Kurt gli si piazzò davanti, poggiandosi al tavolino della sala, affondandosi il viso tra le mani nello sforzo di decidere che cosa rispondere.

“Finn.” disse infine, alzando la testa.

“Kurt.”

“Non ti devi preoccupare per me. Né devi pensare male del professor Anderson. Ci incontriamo di tanto in tanto per parlare. Si offerto di darmi un po' di conforto e io alla fine ho accettato. È gentile con me, mi ascolta e non mi giudica, perchè sa come ci si sente quando la vita quotidiana è un inferno come la mia.” disse con voce stanca.

“Hai saltato le lezioni, vi siete fatti i regali di Natale.” seguitò lui.

“E allora? Con il Glee Club andiamo a casa del professor Schuester per mangiare la pizza, noi invece ci incontriamo in una caffetteria al pubblico. Non vedo differenze. E poi, ti ripeto, non ti devi preoccupare.”

“Oh certo... perchè se il professor Schuester scrivesse una dedica come questa sul libro di una studentessa nessuno penserebbe male, vero Kurt?” disse sfilando da sotto un cuscino la sua copia di Orgoglio e pregiudizio. Kurt si sporse e gliela strappò dalle mani con fare protettivo, poi si strinse il libro al petto.

“Hai frugato tra le mie cose! Ma come diavolo ti è saltato in mente?” Gli occhi di Kurt erano furenti, ma quando fece per alzarsi Finn lo trattenne, costringendolo a rimanere.

“Tu mi dici di non preoccuparmi, ma oggi hai saltato una lezione di pianoforte. E tu adori le lezioni della signorina Rice. Io non so cosa stia succedendo esattamente tra di voi, ma di certo questa è una conseguenza bella concreta sulla tua vita. Il piano è importante per te, Kurt. Non sono sicuro di voler nascondere a tuo padre questa cosa che hai fatto. Non senza sapere perchè l'hai fatto.”

Kurt fece un sospiro quando capì che Finn non avrebbe mollato tanto facilmente.

“Avevo voglia di vederlo e di parlargli, tutto qui. Non succederà più, quindi puoi anche tenere la bocca chiusa, per questa volta.” sbottò.

“Non è così semplice. Se Burt lo scopre e viene a sapere che io non ho detto niente... magari quello è malintenzionato e tu...” rispose Finn, confuso.

“Maledizione Finn! Blaine è un ragazzo fantastico, non potrebbe mai farmi del male. Mai e poi mai. Ha promesso di starmi vicino e di aiutarmi. E poi lui almeno ha dimostrato attenzione nei miei confronti fin dal primo minuto, non come te, che ti ricordi di quanto sto di merda solo quando ti fa comodo giocare al fratello premuroso, ok?”

“Blaine? Adesso lo chiami per nome?” Finn sembrava preoccupato e perplesso insieme, mentre guardava Kurt alzarsi in piedi con il viso arrossato per lo sfogo. Il ragazzo gli mise il libro sotto il naso per sottolineare con enfasi il suo discorso: “Non toccare più le mie cose, hai capito? Se vuoi chiedermi qualcosa vieni da me e apri la boccuccia.”. Finn annuì silenziosamente.

Stava per uscire dalla stanza, quando Finn si voltò verso di lui e disse: “Cazzo Kurt... non è che invece sei proprio tu che provi qualcosa per lui?”. Di nuovo, Kurt rimase fermo, senza girarsi. Alla fine guardò Finn da sopra la spalla, con una compostezza e una consapevolezza negli occhi che lasciarono il ragazzone di stucco.

“Che io provi qualcosa oppure no, le cose non cambiano. Non sono così stupido da pensare che potrebbe ricambiarmi, né pretendo da lui più di quanto non mi conceda. Stare insieme al Lima Bean mi fa stare bene, Finn. Ti prego, non portarmelo via.”

Finn rimase in silenzio e suo fratello salì dalle scale.

Quella sera a cena, quando Burt chiese a Kurt com'era andata la lezione di pianoforte, Finn lo ascoltò mentire senza interromperlo nemmeno per un secondo, annuendo interessato e sforzandosi di non tradire la perfetta messinscena di Kurt.

Anche se non era sicuro che quella fosse la cosa più giusta da fare.



 

La sera, dopo aver preso quella decisione, Blaine corresse con attenzione il compito di Kurt su Ricorda con rabbia, che si rivelò ancora più straordinario del solito, poi lo ripose sul mucchio di saggi degli altri compagni. Dovette sforzarsi di non ammirare la sua sagacia nel descrivere quella spirale di amore, dolore ed espiazione, tanto rappresentativa, secondo Kurt, non solo della società civile, ma anche della natura umana stessa.

È solo uno dei tanti saggi che ho corretto. Un buon saggio.

Prese il suo maglione rosso e lo buttò nella cassettiera, promettendosi di indossarlo il più raramente possibile; poi raccolse dal comodino tutti i libri che aveva acquistato su sua indicazione e li portò in salotto, ficcandoli in un mobiletto dove custodiva vecchi testi universitari che non leggeva mai. Non ebbe il cuore né di gettare la stella di zucchero, né di mangiarla, così la chiuse in una piccola scatola, che nascose alla vista. Era strano, stava faticosamente cancellando dalla sua vita privata la presenza di qualcuno che ancora non sembrava mai averne fatto parte attivamente. Come aveva potuto essere così sordo alle osservazioni di Sebastian? Tutto nella sua stanza sembrava gridare il nome di Kurt. Ora che sapeva quello che provava, poteva sentirlo mentre si insinuava sotto la sua pelle.

L'ultimo tocco in quella triste missione fu prendere un nuovo contenitore per i suoi biglietti d'auguri e mettere la scatola dei dolci di Kurt sotto il letto. Il getto caldo della doccia non lo fece stare meglio, ma lo convinse che l'unica cosa da fare era smettere di vederlo. In ogni caso, le alternative erano pessime: nascondergli i suoi sentimenti e soffrire silenziosamente come un cane, esternarli come un adolescente innamorato e scoprire di non essere affatto ricambiato, perdere la sua amicizia e la sua fiducia, essere licenziato. Non gli sarebbe rimasto più nulla.

Kurt era forte, l'avrebbe aiutato come professore. Sarebbe stato sufficiente e ciascuno sarebbe rimasto fermamente ancorato al suo ruolo: tutto sarebbe andato bene. A lui sarebbe passata, Kurt avrebbe continuato a vivere la sua vita come prima di quell'incontro al Lima Bean e l'anno scolastico sarebbe finito in un soffio. Poi Kurt sarebbe volato a New York e lui avrebbe cercato un posto di lavoro migliore. O semplicemente sarebbe rimasto lì.

Sdraiato in pigiama sul suo letto, si sforzò di rilassarsi e di non pensare di nuovo a quanto fosse semplice stare vicino a Kurt. Perchè in realtà non era per niente semplice. Era dannatamente complicato.



Martedì la lezione di letteratura si svolse come di consueto. E come di consueto, Kurt si rivolse a Blaine chiamandolo “professor Anderson” e non rimase in classe più del dovuto; quando suonò la campanella, prese le sue cose e uscì con Finn. Lui e Blaine si sarebbero visti il giorno successivo, perchè Kurt aveva appuntamento con la signorina Rice sia di lunedì che di mercoledì. Durante la lezione, Kurt intervenne al dibattito in classe, lesse con piacere che il saggio scritto durante le vacanze si era meritato una A piena e cantò a pieni polmoni alle prove del Glee club. Era talmente ubriaco di euforia che non notò nemmeno il leggero cambiamento nel comportamento di Blaine nei suoi confronti: ormai tutto era un semplice riempitivo tra un incontro e l'altro.

Mercoledì fece lo stesso: ore e ore di noiose lezioni, bruschi spintoni contro gli armadietti all'intervallo, degli spaghetti al pomodoro tra i capelli a mensa, cantare nell'ultima fila della coreografia al Glee. Ma il mercoledì era diverso dagli altri giorni: dopo le prove del numero dei regionali, corse dalla signorina Rice per suonare il pianoforte. Ormai anche quello era solo parte di un'attesa, che gli riusciva meno insopportabile se si riempiva la testa di cose da fare, così da non pensare continuamente a Blaine. A Blaine che ora poteva chiamare per nome, che poteva abbracciare e toccare, che riempiva ogni sua fantasia e che ora sembrava disposto a rispondere alle sue domande.

Scese le scale del condominio dove seguiva le lezioni di piano e si catapultò dentro alla caffetteria dall'altro lato della strada: di solito Blaine era seduto sempre al solito tavolo, concentrato a leggere un libro o qualche appunto sullo schermo del laptop. Quando lo vedeva entrare interrompeva ogni attività per un gesto di saluto e sorrideva. In fila alla cassa, lanciò un'occhiata fugace in quella direzione: non voleva sembrare disperato, però doveva ammettere non vedeva l'ora di incontrarlo.

Non c'era.

Kurt corrugò le sopracciglia e meno disinvoltamente controllò tutto il locale. Apparentemente Blaine non era seduto a nessuno dei tavoli: forse era in ritardo, oppure aveva avuto un contrattempo improvviso. Se Blaine avesse saputo di non poter venire a lezione avrebbe trovato sicuramente il modo di avvisarlo; sapeva che ci sarebbe rimasto male. Stava rimuginando sulle varie spiegazioni per la sua assenza, quando arrivò il suo turno alla cassa: ordinò il solito cappuccio e un dolce ipercalorico da dividere con Blaine. Kurt non sapeva tanto bene perchè, ma aveva voglia di festeggiare e mandare al diavolo la dieta. Avrebbe preso anche il caffè per Blaine, ma non era sicuro di quando sarebbe arrivato; rischiava di raffreddarsi nell'attesa e non voleva che andasse sprecato. Con la fetta di torta al cioccolato in bilico su un piattino e il bicchiere pieno di liquido bollente, si fece strada tra gli altri clienti fino al tavolo più in vista del locale. Anche se era un po' appiccicoso e in mezzo a una corrente d'aria, lo scelse perchè voleva essere sicuro che Blaine lo vedesse immediatamente. Per ingannare l'attesa, cominciò a fare i compiti di matematica.

Rimase seduto lì per più di due ore, scattando ogni volta che la porta si apriva e sorridendo come uno stupido pensando che lui fosse arrivato. Non mangiò il dolce, che rimase intatto, abbandonato sul tavolino anche quando se ne andò via. Gli era dispiaciuto non vederlo, ma si disse che probabilmente aveva avuto dei buoni motivi per non presentarsi: a dicembre non era mai mancato, nemmeno una volta. Poteva succedere, gli avrebbe chiesto spiegazioni il giorno successivo, dopo la lezione di letteratura. Se avesse avuto il suo numero l'avrebbe chiamato. Forse.

Purtroppo, dopo la lezione del giovedì Blaine chiese a Puck di fermarsi in classe per parlare del suo rendimento; Kurt rimase nervosamente fuori dalla porta per tutta la durata del cambio d'ora, ma quando finalmente Puck uscì era già il momento di correre a biologia. Non incrociò Blaine per tutto il giorno, quasi come volesse evitarlo. Era così? Impossibile.

Venerdì accadde lo stesso: questa volta Blaine trattenne due studenti che avevano fatto troppo chiasso per una ramanzina apparentemente infinita, così Kurt perse di nuovo l'occasione di parlargli. Non lo vide per il resto della giornata e non lo trovò in aula professori.

A quel punto, Kurt iniziò a preoccuparsi di averlo offeso in qualche modo. Eppure era sicuro che si fossero salutati nel migliore dei modi, quando Blaine l'aveva accompagnato a casa: era stato un incontro straordinariamente divertente e piacevole, non c'erano stati momenti troppo imbarazzanti o frasi fraintendibili. Perchè Blaine avrebbe dovuto ignorarlo?

Passò il weekend con un umore nero, che preoccupò sia Burt che Carole. Rimase nella sua stanza pensando e ripensando al motivo per cui Blaine si era comportato così: alla fine concluse che qualunque cosa fosse, gliene avrebbe parlato lunedì pomeriggio al Lima Bean. Forse era qualcosa di cui non voleva parlare a scuola, o magari gli stava preparando una sorpresa. Nei pensieri di Kurt, l'idea che Blaine potesse non presentarsi di nuovo non era nemmeno una possibilità.

Invece accadde di nuovo. Kurt entrò al Lima Bean e cercò inutilmente la figura familiare tra i tavolini. Quando vide che non c'era, fece esattamente la stessa cosa che aveva fatto la settimana prima: ordinò una bevanda per sé e un dolce per entrambi, poi sedette al tavolino più in vista e aspettò. Rimase a guardare la porta finchè il cappuccino non diventò freddo gelato e anche l'ultimo autobus per tornare a casa passò davanti alla caffetteria; quando i commessi iniziarono a girare le sedie e metterle sui tavoli per pulire il pavimento, chiamò Finn, chiedendo di andarlo a prendere.

“Vuoi un po' di torta?” disse semplicemente, quando suo fratello entrò affannato e con la giacca sporca di neve. Il sorriso di Kurt era triste.

“Vieni Kurt, andiamo a casa.”

Finn lo prese sottobraccio e lo accompagnò all'auto. Durante il viaggio di ritorno non parlarono di Blaine, ma di quale scusa inventarsi per giustificare ai loro genitori l'ora tarda del rientro di Kurt. Fu grato a Finn per non aver toccato l'argomento; fu solo così che riuscì a resistere fino all'ora di andare a letto, per scoppiare in un pianto disperato, nascosto sotto le coperte.

Che cosa aveva fatto?

Perchè improvvisamente Blaine non voleva più vederlo?

 


 

Ogni pomeriggio, per non cadere nella tentazione di correre da Kurt, Blaine sprofondava sul divano e si malediceva di non aver ascoltato Sebastian fin dal primo momento. E di non aver ascoltato il suo istinto, che gli consigliava di stare lontano da quel ragazzo.

Perchè faceva male. Stare senza Kurt faceva male. Era peggio di quando l'aveva rifiutato quel ragazzo del liceo, peggio di quando aveva fatto licenziare Jeremiah e peggio di quando Sebastian si era trasferito in Francia senza avvertirlo. Era un dolore privo di ingenuità, di orgoglio e di innocenza: era un dolore consapevole, in cui meritava di sprofondare fino a non sentire più nulla. Ma più ci si abbandonava, più faceva male.

Non aveva neppure avuto il coraggio di dire a Kurt che non sarebbe andato alla caffetteria, tanto era preso a non andare a pezzi. E sapere che Kurt poteva essere lì, in quel momento, in attesa, lo faceva sentire la persona peggiore della terra.

Anzi, era la persona peggiore della terra. Avevano qualcosa di speciale e lui lo aveva rovinato con i suoi stupidi sentimenti, tutti sbagliati e tutti storti. Era stato un codardo e un egoista: doveva parlargli e spiegargli che c'era ancora per lui, anche se aveva bisogno che tutto rimanesse a scuola. O forse nemmeno quello era sufficiente, ma Kurt meritava di sapere. Blaine era un uomo migliore di così e Kurt non doveva pagare le conseguenze dei suoi errori.

Passò il weekend arrotolato nel plaid di sua nonna, che la lavanderia aveva consegnato pulito in settimana, strafogandosi di gelato senza nemmeno sentirne il sapore. Non rispose alle telefonate di Sebastian, né lo richiamò dopo aver ascoltato i suoi messaggi in segreteria, sempre più allarmati.

Blaine? Sei in casa? No? Sei al Lima Bean. Quando finiscono questi esami del cazzo torno e ci penso io a te. Biondo o moro, tu rispondi a questo e al resto ci penso io. Richiamami quando senti il messaggio, ok?”

E non rispondi ancora. Non ci credo che alle nove di sera non sei in casa. Sei solo uno stronzo che non risponde al telefono quando il suo migliore amico chiama. Andiamo, prendi questa cornetta e dimmi cosa succede. Dio... vorrei essere lì. Chiamami quando vuoi, tengo il telefono acceso.”

Blaine, mi sto preoccupando. Per favore, richiamami. Sono agli esami ma tengo la vibrazione al cellulare. Niente... chiamami, ok?”

Qualunque cosa sia successa sono sicuro che possiamo sistemarla, ok? Però ho bisogno di parlare con te. Eric mi ha detto che ieri non avevi una bella cera, quando ti ha consegnato la spesa. E poi mi ha detto che hai preso tre vaschette di gelato alla noce. Alla noce! L'ultima volta che l'hai mangiato è stato quando la Brown è saltata, quindi ti supplico... chiamami.”

Vuoi dirmi che succede? Se non mi chiami entro un'ora prendo un aereo, hai capito? Arrivo da te e ci penso io a raddrizzarti.”

Blaine... sono le undici di domenica sera, smettila di commiserarti e chiamami. Ti voglio bene, qualunque cosa tu abbia combinato, questo non cambia. Io ci sarò sempre e...”

Blaine si alzò e staccò la spina del telefono con un gesto secco, poi tornò sul divano, pugnalando con il cucchiaio la vaschetta di gelato che teneva in grembo.

 


Martedì, terminata la lezione, Blaine sentì distintamente i passi disordinati di tutti gli studenti uscire dall’aula, così come sentì uno di loro chiudere lentamente la porta e rimanere in piedi a poca distanza dalla sua cattedra. Non aveva bisogno di guardare per sapere che si trattava di Kurt, ma alzò comunque lo sguardo dai fogli che stava riordinando. E non aveva bisogno di chiedergli che cosa voleva, ma lo fece lo stesso.

“Hai bisogno di qualcosa, Hummel? Rischi di perdere la lezione di biologia, se rimani qui troppo a lungo.” Cercò di non far trasparire la sua agitazione e quanto sentisse sbagliato ricorrere al tono serio e posato che usava quando era in classe, ben diverso da quello con cui era ormai solito discorrere con Kurt. Posò la penna e rimase in attesa, anche se era già ben chiaro quello che Kurt voleva dirgli.

“Io…” L’altro rimase frastornato dalle parole che gli erano state appena rivolte e dal tono di cui erano intrise, ma poi andò avanti comunque. “Volevo solo sapere perché negli ultimi giorni al Lima Bean mi sono sempre seduto da solo, aspettando inutilmente qualcuno che aveva promesso di essere presente.”

Kurt fece un passo verso la cattedra, sfregandosi nervosamente un palmo contro la coscia, in attesa di una risposta che non arrivava. “Il primo giorno ho pensato che forse c’era stato un imprevisto, così ho aspettato per più di due ore, seduto a quel tavolino, senza toccare il dolce al cioccolato che avevo comprato da dividere con te. Ieri ho pensato che forse avevi l'influenza, ma la lezione si è tenuta normalmente, sia ieri che oggi, in più ora come ora mi sembri in perfetta salute. Poi ho cominciato a pensare di aver detto qualcosa di sbagliato, di aver detto qualcosa di offensivo o di essermi preso troppe libertà nei tuoi confronti, ma sapevo che se fosse stato davvero così ci saremmo chiariti, ne avremmo parlato da persone adulte. Sei stato tu a dirmi che potevo darti del tu, che eravamo amici. O almeno una specie particolare di amici. Alla fine ho concluso che forse il problema non era qualcosa che ho detto o fatto, ma che il problema sono semplicemente io.”

Ormai aveva le lacrime agli occhi, il pugno chiuso lungo il fianco, i denti stretti mentre parlava guardando il pavimento. Moriva dalla voglia di avere una rassicurazione, un abbraccio, una carezza. Sentirsi dire che era un fraintendimento, che si sarebbero visti ancora e ancora, che Blaine non era stanco di lui. Invece l'altro non disse nulla e si sfregò la radice del naso tra la punta della dita, cercando di trovare un modo per uscire interi da quella conversazione.

“Non sei tu il problema, Kurt. E’ solo… che non possiamo più vederci fuori dalla scuola, mi dispiace. Avrei dovuto trovare il tempo per dirtelo, ma ho pensato che possiamo parlare qui in classe, magari tra un cambio dell’ora e l’altro. Ma non di più. È colpa mia, non avrei dovuto…”.

“Me l’aveva promesso.” Disse Kurt a bassa voce. Blaine spinse indietro la sedia e si alzò, appoggiandosi nervosamente contro la scrivania con le braccia incrociate sul petto. Guardò Kurt, che era di fronte a lui, cominciando a balbettare delle spiegazioni: “Lo so che l'ho detto, è solo che è complicato e…”

“Me lo avevi promesso, Blaine!” Kurt alzò gli occhi, da cui una grossa lacrima di rabbia stava rotolando giù per una guancia. “Mi avevi promesso che quando tutti gli altri mi avrebbero abbandonato, tu saresti rimasto. Mi avevi promesso di ascoltarmi e di starmi vicino, perché tu sai come ci si sente. Erano tutte stronzate, non è vero? Erano tutte bugie?”

Non era più triste, spaventato e preoccupato. Kurt era furioso. Si sentiva una stupido, per essersi fatto abbindolare come un ragazzino, aggrappandosi alle vuote promesse di Blaine.

“Kurt, non dire così… io…” Blaine fece un passo verso di lui, accennando ad appoggiargli la mano su una spalla, ma l’altro si ritrasse, senza lasciarsi toccare.

“Sei come tutti gli altri. Anzi, mi scusi. Lei è come tutti gli altri, signor Anderson. Anzi, lei è peggio, perchè almeno loro non ti fanno credere di essere interessati a te, quindi non ti danno nemmeno la possibilità di deluderti. Non si prendono la tua fiducia e poi la calpestano quando sono stanchi di far finta. E sa qual è la cosa che mi fa arrabbiare di più? È che io fin dall’inizio le ho detto di starmi lontano, le ho dato la possibilità di lasciarmi perdere. Io non le ho mai chiesto niente. Mai. Ma lei ha insistito e ha insistito finchè non ho ceduto. E io sono stato così ingenuo, così cieco, così affascinato dalle sue parole che ho finito per credere che fossero vere.”

La voce di Kurt, così rigida, controllata e intrisa di gelida rabbia fu un colpo per Blaine, così come le parole che gli aveva rovesciato addosso. Provò a tenere duro, per quello che gli riusciva. Voleva solo abbracciarlo stretto, dire che non era vero, dire che gli era mancato. Baciargli la fronte, sentire il profumo di vaniglia dei suo capelli e appoggiare le labbra sul suo collo, aspettando che smettesse di divincolarsi al suo tocco.

“Mi dispiace, Kurt.” Un altro passo verso di lui, che era immobile e tremante di furia e di rancore. Blaine riusciva a capire come si sentiva in quel momento, ma sapeva che Kurt non gli avrebbe mai creduto se glielo avesse detto. “Davvero… vorrei che fosse diverso, ma non posso più andare avanti così.”

Kurt fece un respiro profondo, sforzandosi di riacquistare il controllo. Da quella minima distanza, Blaine riusciva a vedere una macchia rossa sul suo collo, dovuta all’agitazione; desiderò baciarlo esattamente in quel punto. Di nuovo, pensieri sbagliati. Scosse la testa.

“Perché? Almeno quello me lo deve… perché?” chiese con voce sfinita, come se quell’ultimo sfogo avesse esaurito ogni sua energia. Di nuovo, lo sguardo di chi non aveva più voglia di lottare. Erano settimane che Blaine non lo vedeva negli occhi di Kurt.

Di fronte al suo silenzio, Kurt lo chiese di nuovo: “Perchè?”

“Me lo stai chiedendo davvero? Oppure vuoi solo vedere se ho il coraggio di dirlo ad alta voce?” Lo disse a bassa voce, quasi mormorando. Ormai erano a un passo l’uno dall’altro.

“Certo che lo sto chiedendo davvero! Voglio sapere che cosa l’ha spinta a prendersi gioco di me, delle mie confidenze, dei miei sentimenti. Chi si crede di essere? Che buona ragione ha per prendermi e poi gettarmi via?” Kurt si morse il labbro e alzò entrambe le mani, chiuse in un pugno e le appoggiò sul petto di Blaine. Non lo stava davvero colpendo, né lo stava tenendo a distanza: era un gesto ambiguo tanto quanto lo era il loro rapporto.

“Sono troppo noioso?”

Batté piano i pugni.

“Troppo debole?”

Un altro colpo. Blaine gli afferrò con delicatezza i polsi, fermandolo. Ma Kurt continuò, divincolandosi, con le guance ormai rigate di lacrime.

Che cosa aveva fatto?

“Troppo vigliacco. Troppo egocentrico. Troppo impiccione. Troppo superficiale. Troppo effemminato. Troppo piagnucolone.”

Un colpo, poi un altro. Blaine strinse più forte, poi interruppe il fiume di parole che usciva dalle labbra di Kurt. L’aveva allontanato per salvarlo e per salvarsi, invece era Kurt che stava andando in mille pezzi proprio a causa sua: un’ulteriore conferma di quanto non fidarsi di nessuno fosse sempre la cosa migliore da fare, per proteggersi. Involontariamente, Blaine stava impartendo a Kurt la stessa lezione che Sebastian e Jeremiah gli avevano sbattuto in faccia pochi anni prima: si sentì uno schifo. E uno stupido, perché solo lui poteva trovare l’anima gemella in una persona che non avrebbe mai potuto avere. E che non l’avrebbe mai voluto.

“Maledizione Kurt, possibile che non tu capisca? Non posso più vederti perché mi sono innamorato di te. Ed è un cazzo di casino, ecco perché non posso più andare avanti.” Blaine lasciò le sua mani, che smisero di opporsi alla sua stretta e ricaddero lungo i fianchi per la sorpresa.

Un silenzio imbarazzante lasciò entrambi immobili per qualche istante, con il fiatone per le parole urlate e sussurrate, ora in mezzo a loro come insormontabili macigni. Blaine aveva paura di guardare Kurt in faccia, temendo di leggervi disgusto, disapprovazione e orrore; si voltò verso la cattedra e senza dire nulla iniziò a impilare tutti i libri e a ficcarli con violenza nella sua tracolla. Immaginava che dirlo ad alta voce non sarebbe stato un sollievo o una liberazione, ma ora si sentiva dilaniato, come se con un morso si fosse appena staccato una parte di sé. Kurt non l'avrebbe mai più guardato nello stesso modo. L'avrebbe perso per sempre.

Concentrato com’era a evitarne lo sguardo, non sapeva che Kurt era immobilizzato solo dalla sorpresa. Nient’altro. Aveva fantasticato su come sarebbe stato essere il ragazzo di qualcuno, come sarebbe stato essere il ragazzo di Blaine, ma non aveva mai immaginato come sarebbe stato se i suoi sentimenti fossero stati ricambiati. Né da Blaine, né da nessun altro. Gli era sempre bastato immaginare un futuro felice con un marito dai contorni confusi, ma anche quando quella figura aveva cominciato ad assumere i tratti di Blaine per lui era sempre stato chiaro che si trattava solo di fantasie. Semplicemente aveva deciso di accontentarsi di quello che Blaine poteva concedergli, per quello era così arrabbiato per le sue assenze: desiderava così tanto e si accontentava di così poco, come poteva togliergli anche questo? Non aveva mai dipinto uno scenario come quello che gli si era palesato davanti e non aveva idea di che cosa fare.

Lo guardò riporre i libri, afferrare la giacca e mettersi la borsa a tracolla senza mai alzare gli occhi. Fu quando gli passò accanto senza dire una parola, quasi fuggendo dall’aula e gli occhi piantati a terra, che ebbe la forza di riprendersi e di fermarlo; stavolta fu lui ad afferrarlo per un polso, costringendolo a restare.

Bastò un tocco, e Blaine si fermò, seppure senza voltarsi, ancora con il viso rivolto alla porta.

“E se dicessi che è lo stesso anche per me? Se ti dicessi che anche io mi sono innamorato di te?” sussurrò Kurt, con il cuore in gola.

“Non dirlo.” rispose Blaine in un soffio.

“Perchè?” Kurt deglutì con forza solo per trovare il coraggio di chiederglielo.

“Perchè non cambierebbe nulla, ecco perchè.” Rispose l’altro. Quando Kurt sciolse la sua stretta, Blaine uscì dall’aula, lasciandolo solo.

 

Nda.

Direi che questo muove le acque, e parecchio. O sbaglio?

La scena finale è stata la prima scena che ho immaginato e scritto, così come quella del primo bacio. Non so se vi piace come sono andate le cose, ma vi dico solo: “It get's better”.

Ora mi metterò in paziente attesa delle frustate che mi merito. Ok?

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


Capitolo quindicesimo

 

Kurt guardò Blaine andarsene dall'aula, senza aggiungere nulla a quel breve scambio di parole. Tutta la rabbia, la confusione, la furia, si erano aggrovigliate in fondo alla sua gola. Se erano bastate poche parole per gonfiargli il cuore di speranza, di trepidazione e di desiderio, altrettante poche erano state sufficienti a strapparglielo via dal petto.

Non cambierebbe niente.

Allora perchè sembrava cambiato tutto? Kurt sentiva il sangue pompare nelle orecchie e le dita tremare, mentre i polpastrelli dimenticavano la sensazione di stringere la pelle del polso di Blaine.

L'aveva trattenuto, prima che se andasse via, ma non era stato sufficiente. Ricacciò l'istinto di rincorrerlo nel caos del cambio dell'ora, afferrare di nuovo quel polso e ripetere le stesse parole, ripeterle finchè la risposta non sarebbe cambiata. Poggiò la schiena al muro e chiuse gli occhi, sforzandosi di riordinare i suoi pensieri.

Amava qualcuno ed era ricambiato: non lo avrebbe mai creduto possibile. Almeno non al liceo.

E di certo non da Blaine.

Non dal bellissimo, dolce, premuroso Blaine, che con un sorriso illuminava una stanza e che mangiava dolci al cioccolato in quel modo goffo e adorabile. Non da Blaine, che beveva troppo caffè e la sera guardava film della Disney per addormentarsi. Non da Blaine, che gli aveva regalato quel libro per Natale e che usava l'acqua di Colonia più buona del mondo.

Non poteva essere così fortunato.

E infatti non lo era, perchè Blaine era un professore. Strinse gli occhi e fece una smorfia, preso dallo sconforto e dalla confusione. Poteva farcela. Poteva gestire questa cosa come una persona adulta: avrebbe ingoiato quel gomitolo di sconforto e frustrazione, poi avrebbe camminato a testa alta verso l'aula di biologia.

Respirò profondamente, poi corse fuori dall'aula, le cui pareti sembravano essersi fatte soffocanti, ed entrò nel bagno più vicino: si bagnò i polsi e le tempie con dell'acqua, cercando di contenere l'attacco di panico che gli annodava lo stomaco. Sentiva i conati di vomito premergli contro la gola, mentre il petto gli si agitava per la difficoltà di ispirare ed espirare normalmente.

Che cosa stava succedendo? Che cosa avrebbero fatto?

Strinse con entrambe le mani i bordi del lavandino, mano a mano che il respiro da affannato si faceva più regolare. Kurt era stato improvvisamente sbalzato nella realtà, dove potevi anche incontrare il principe azzurro, ma non era poi così scontato andarsene via insieme a cavallo.

Si ripetè più volte che era tutto a posto, che non era cambiato niente. Saltò la seconda ora e passò attraverso la giornata come uno zombie: ironia della sorte, fuori pioveva a dirotto. Scroscianti getti d'acqua cancellavano la neve natalizia, mentre Kurt guardava dalla finestra e si costringeva a non pensare. Era incredibile come si sentisse schiacciato da così poche parole, pronunciate a voce bassa in un'aula vuota.

Un cazzo di casino...

mi sono innamorato di te.

Non cambierebbe niente.

Era tutto lì.

Si morse un labbro e guardò la lavagna, senza capire davvero quello che c'era scritto. Continuava a pensare a come sarebbe stato se Blaine fosse stato il professore di letteratura tedesca, libero da impicci e ostacoli scolastici. O se lui avesse avuto un paio d'anni in più e l'avesse conosciuto all'università. O se entrambi fossero stati commessi in una caffetteria a New York, con grandi sogni e piccoli appartamenti. Ognuno di quegli scenari portava a un incontro, una serie di appuntamenti, chiacchiere e confessioni sussurrate, sfioramenti di dita. Nasi che si strofinavano piano e palmi delle mani caldi, stretti uno contro l'altro nel buio di un cinema, odore di pop corn al burro e caramelle gommose.

Un bacio, presto o tardi. Magari nascosti nell'androne di un palazzo per ripararsi dalla pioggia.

Inconsapevolmente, si portò l'indice alle labbra. A parte Brittany, non aveva mai baciato nessuno. Nessuno che contasse, almeno. Si chiese se Blaine aveva mai fantasticato su baciarlo e stringerlo, ma dopo poco s'imbarazzò e scacciò il pensiero.

Che sciocco... ovvio che ci aveva pensato, ma aveva anche deciso che non sarebbe mai successo. Come sempre, Kurt Hummel non poteva avere ciò che voleva.

Prese parte alle prove del Glee svogliatamente, ciondolando qua e là con disinteresse e cantando a voce bassa, senza sforzarsi nemmeno un poco. Non aveva intenzione di andare a casa prima del dovuto, né sentiva la necessità di piangere o disperarsi; era uno stato d'animo strano, multicolore e sfaccettato, che lo confondeva e lo stordiva. Avrebbe voluto gridare perchè un ragazzo si era innamorato di lui e quel ragazzo era Blaine. Avrebbe voluto gridare, perchè non sarebbero potuti stare insieme e perchè aveva già deciso che era tutto sbagliato. Era furibondo, perchè solo a lui il fato poteva fare un tiro tanto mancino. Tra tutti gli stati d'animo che lo attraversavano, alla fine Kurt decise di arrabbiarsi.

Non era giusto.

Probabilmente fu per quello che quando Karofsky lo spintonò nel corridoio lo seguì negli spogliatoi: non era stato un colpo più forte del solito, né era stato accompagnato da insulti di particolare complessità. Stava camminando verso il suo armadietto e quello scimmione l'aveva colpito come sempre, mandandolo a sbattere contro il muro: niente di nuovo, né di originale. Ma stupidamente, Kurt aveva voglia di litigare, di sfogarsi, chissà... magari anche di fare a pugni. Voleva sentire qualcosa, qualcosa che lo distraesse da tutto quello che gli passava per la testa. Avere anche solo l'impressione di fare qualcosa. Di avere il potere di intervenire.

“Sto parlando con te. Ehi tu! Ma si può sapere qual è il tuo problema con me?” gridò nello spogliatoio, sbattendosi la porta alle spalle. Il suono secco fece rimbombare il metallo sottile degli armadietti. Aveva già le guance rosse per l'agitazione, il lembri del maglione che dondolavano dietro di lui per la breve corsa, il dito indice puntato verso quell'idiota.

Karofsky aprì lo sportello senza voltarsi, borbottando beffardo qualcosa sui gay e la loro passione per l'uccello altrui. Kurt rise forte, amareggiato e altrettanto strafottente. Con pochi passi fu davanti a Dave, che ora armeggiava con un borsone appoggiato su una delle panche.

“Vai via, non voglio che una checca come te mi giri intorno mentre mi spoglio. Potrebbero girare strane voci, potrebbero pensare che mi stai trasformando in una fatina.” disse con gli occhi fissi sui vestiti sportivi che stava spostando dentro uno degli armadietti.

“Possibile che voi etero abbiate tutti paura che un gay voglia convertirvi? Che cosa credi, che potrei essere interessato a uno come te... Indovina un po', non sei il mio tipo! Ma ti pare? Uno che a trent'anni sarà calvo, grasso e perennemente sudaticcio. Pensi davvero che potrei entrare di soppiatto nello spogliatoio per vederti senza pantaloni? Dio... che pena mi fai.” Le parole gli uscirono senza nemmeno pensarci troppo, ma Karofsky parve sentirle fin troppo bene. Buttò i vestiti dentro l'armadietto e lo chiuse di botto con una smorfia arrabbiata sulle labbra.

“Non provocarmi, sai?” ringhiò a denti stretti.

E Kurt gridò più forte ancora, con le tempie che pulsavano e l'indice che premeva contro la spalla dell'altro. Non aveva più niente, tanto valeva sfogarsi.

“Altrimenti? Puoi prendermi a pugni quanto vuoi, non cambierò mai. Io sono fiero di quello che sono e di chi sono. Se per te è un problema puoi anche andartene al diavolo.”

“Smettila, Hummel!” Dave chiuse anche la serratura con un gesto secco e si voltò completamente verso di lui, con un mano chiusa a pugno. Kurt la guardò solo per un istante e spinse ancora una volta il dito contro il suo petto, mentre concludeva la sua invettiva.

“Dio... sei solo un ragazzino ignorante, spaventato da quanto è straordinariamente ordinario. E che...”. Avrebbe continuato. Aveva una miniera intera di insulti pronti, ma la sua bocca era fuori uso. In verità, tutto il suo corpo era fuori uso, immobilizzato e in corto circuito.

Karofsky si era appena sporto verso di lui, gli aveva afferrato il viso con entrambe le mani e lo stava baciando, premendo forte le sue labbra contro quelle di Kurt. Era attonito, paralizzato e passivo, mentre l'altro lo stringeva.

Riusciva a pensare solo che profumava di pino silvestre, sudore e menta. E che era tutto sbagliato.

Quando l'altro si allontanò, Kurt si portò la mano alle labbra, esattamente come aveva fatto qualche ora prima mentre immaginava di baciare Blaine. Non era un tocco speranzoso, ma un incredulo gesto di difesa.

Lo guardò con occhi sgranati e lo respinse con forza, disgustato, quando provò ad avvicinarsi di nuovo. Karofsky diede un pugno, forte, all'armadietto, poi uscì con passo svelto e disordinato dallo spogliatoio. Kurt rimase solo.

Lo guardò andarsene, tolse le dita dalle labbra poi corse in uno dei bagni, dove vomitò con urgenza il pasto che aveva forzosamente consumato a pranzo sotto gli occhi indagatori di Finn. Col tempo, aveva imparato che non c'era niente come l'inappetenza per renderlo sospettoso, così aveva sbocconcellato una fetta di pizza e bevuto un succo di frutta.

Inginocchiato a terra in quel bagno, solo e confuso, Kurt riuscì a pensare solo a una cosa da fare. Poco importava che fosse giusta o sbagliata.

 


 

 

“Ciao fiorellino, come te la passi in quel di Lima? Hai deciso che sono di nuovo degno dell'onore di sentire la tua voce?” La voce familiare di Sebastian dall’altro capo del telefono fu un momentaneo sollievo per Blaine, che gironzolava irrequieto per casa da ore. Per qualche istante, ebbe la tentazione di raccontagli tutto: di come per l’ennesima volta si era dimostrato assolutamente idiota, di come aveva confessato a Kurt di amarlo e di come Kurt gli aveva sussurrato di provare lo stesso. O magari gli avrebbe detto di come lasciare quell’aula fosse stata una delle decisioni più difficili della sua vita.

Ma Blaine non aveva davvero bisogno di sentirsi dire che era in un gran casino. In un altro momento l’avrebbe detto immediatamente a Sebastian, certo che avrebbe ascoltato ogni sua parola, per poi saltare sul primo aereo e presentarsi davanti alla sua porta con un una pila di porno e un secchio di pollo fritto. Tuttavia, l’ultima cosa di cui Sebastian aveva bisogno era una distrazione durante gli esami di gennaio, quindi Blaine si limitò a sospirare e a mormorare nel telefono: “Mmm… tutto bene, a parte un tempo da lupi. È da stamattina che piove ininterrottamente. Ci sono stati un po' di problemi sulla linea, ultimamente. E mi si è rotto il cellulare... come vanno gli esami?”.

Sebastian non era affatto convinto dal tono sostenuto con cui Blaine simulava disinvoltura, ma lasciò che fosse l'amico a decidere il momento migliore per iniziare a parlare di quello che doveva essere successo tra lui e Kurt. Moriva dalla voglia di sapere se aveva continuato a vederlo, se gli aveva parlato o se era accaduto qualcosa, ma non chiese nulla. Alla fine, Blaine cantava sempre, l'importante era non forzarlo troppo.

“Gli esami vanno una merda, come sempre. Torno da te fra due settimane, prepara la birra.” mugugnò nel telefono, chiudendo di botto il libro di economia internazionale che stazionava davanti a lui. Si salutarono e Blaine guardò l'orologio che aveva al polso: erano appena le sei, ma aveva voglia di pizza. A pranzo non aveva mangiato nulla, troppo agitato per mandare già qualcosa, ma ora la sua natura vorace si stava facendo prepotentemente sentire. Telefonò a una pizzeria che faceva consegne a domicilio e ordinò una margheriza super-size per le sette, poi cercò di impegnare la mente per i successivi sessanta minuti. Non poteva e non voleva telefonare a Kurt, ma doveva evitare di pensarlo.

Quando suonò il campanello, Blaine era in tuta da ginnastica, seduto sul divano con in mano un libro e un succo di frutta; aveva già fatto la doccia e si stava disperatamente rilassando. Ogni volta che Sebastian lo vedeva allungare le mani verso la consunta felpa grigia di Harvard alzava gli occhi al cielo e lo supplicava di non uscire di casa conciato così, altrimenti nessuno l’avrebbe mai più scopato; di fronte a quelle proteste, Blaine si stringeva nelle spalle e si buttava sul divano, avvolgendosi grato nel suo plaid di pile. In genere Sebastian andava avanti a insultarlo finchè non ne aveva abbastanza dell’indifferenza di Blaine alle sue parole, quindi prendeva una birra e si sedeva accanto a lui: alla fine, si ficcava sotto la coperta e si addormentava dopo i primi dieci minuti di Transformers. In proposito, la teoria di Blaine era che erano entrambi troppo gay per interessarsi davvero al finale del film. O per interessarsi a dei robot alieni, in generale.

Era passata appena mezz’ora da quando aveva telefonato per farsi portare una pizza e si era talmente immerso nella lettura da dimenticarsene completamente. Come sempre, un buon libro sembrava l'unico modo per sconnettersi dal mondo.

Corse al citofono, schiacciò il tasto che apriva il portone del condominio e iniziò a frugarsi nelle tasche, dove era sicuro di aver ficcato una banconota da dieci dollari subito dopo aver telefonato in pizzeria. Stava ancora maledicendo il suo disordine, quando bussarono sommessamente alla porta. Era davvero troppo preso per andare ad aprire di persona.

“Accidenti… ma dove diavolo li ho messi? Avanti, è aperto! Giuro che avevo dieci dollari proprio qui…” Borbottò mentre prendeva la giacca dall’attaccapanni e cominciava a controllare una tasca dopo l’altra, senza far caso alla porta che si stava aprendo alle sue spalle. Quando finalmente trovò la famosa banconota, inspiegabilmente accartocciata in una delle tasche più interne, si voltò trionfante, mentre la rendeva presentabile lisciandola tra le dita.

“Ecco qua, e il resto è mancia, ovviam…” Le parole gli morirono in gola quando vide che sulla soglia di casa non c’era Max, il ragazzo delle consegne, pronto a dargli la solita frecciatina scocciata. Al posto suo c’era Kurt, completamente zuppo di pioggia e con i capelli appiccicati alla fronte, gli occhi gonfi di pianto e l’aria stravolta. Non sembrava nemmeno lui: a Blaine ricordava terribilmente la prima volta che l’aveva visto nel bagno della scuola, con quel labbro inferiore stretto tra i denti per darsi un contegno.

“Kurt! Che cosa ci fai qui?” lo disse con sorpresa, mentre un altro pensiero gli si formulava rapido nella mente, troppo forte da pronunciare ma impossibile da non pensare.

Non dovresti essere qui. Ovunque, ma non qui.

Prima che potesse dire quella frase ad alta voce, Kurt lo anticipò, guardandosi i piedi impacciato e rispondendo semplicemente: “Non sapevo dove altro andare.”

Quella era una bugia: lo sapevano benissimo entrambi. Qualunque cosa fosse successa, poteva andare da Rachel, o da Mercedes. Se era un problema che solo un adulto poteva affrontare, poteva parlare con suo padre o telefonare al professor Schuester: invece era lì, zuppo come un pulcino, che lo fissava dalla soglia del suo appartamento, aspettando che Blaine lo invitasse a entrare o lo mandasse via. E Blaine cedette, fingendo di credere che quello era davvero l’unico posto dove poteva andare, anziché l’unico luogo in cui non doveva essere.

Si scansò dalla porta e gli fece un cenno con il capo. “Vieni dentro”. Kurt fece un paio di passi verso l’interno, giusto il necessario per lasciare a Blaine lo spazio per chiudere la porta. Rimase lì nell'ingresso, spostando con aria imbarazzata il peso da un piede all'altro.

Blaine si passò una mano nei capelli mentre lo guardava: era bagnato fradicio. Kurt sembrò leggergli nel pensiero: “Sono venuto qui a piedi dalla scuola. Ho dimenticato l'ombrello e...”.

Il labbro gli tremò appena, mentre due lacrime gli rotolavano giù dalle guance. Blaine avrebbe anche potuto dargli dei suoi vestiti per evitare che si prendesse un malanno, ma non era sicuro di volere che Kurt si spogliasse nel suo appartamento. Era inopportuno.

“Sei tutto bagnato. Togliti la giacca e il maglione, li metto ad asciugare sul termosifone.” disse con praticità. Non sapeva perchè Kurt era così sconvolto e non aveva fretta di sapere se era colpa sua, però poteva aiutarlo a stare meglio, almeno fisicamente. “Vado a prenderti una felpa.”

Quando tornò dalla sua camera con in mano un cambio asciutto, Kurt era ancora nello stesso punto, con la giacca drappeggiata su un braccio e il maglione appallottolato tra le mani. Indossava solo una maglietta a manica corta, che fortunatamente sembrava essere appena umida; tremava visibilmente e aveva i contorni delle labbra leggermente bluastri. S'infilò grato l'indumento che Blaine gli porgeva e si lasciò condurre passivamente fino al divano, dove l'altro lo avvolse nel plaid di pile e gli sussurrò piano: “Vado a prepararti un po' di thè, ok? Aspettami qui.”.

“Ho sporcato tutto il pavimento. Mi dispiace.” disse con il fiato corto, sopraffatto dal profumo della coperta. Blaine doveva averla usata fino a poco prima. Era tiepida, morbida e intrisa del pungente aroma di menta del suo bagnoschiuma.

“Kurt, non ti preoccupare, davvero. Stai qui e respira. Andrà tutto bene.”

Afferrò i suoi vestiti e li mise ad asciugare, poi filò in cucina, dove accese il bollitore e cominciò freneticamente a riflettere. Non poteva mandarlo via, non finchè non sarebbe stato meglio, qualunque cosa fosse successa: Emma aveva detto che i ragazzi del Glee andavano spesso da Will, quindi pensò che non doveva preoccuparsi. Kurt era solo un suo studente che aveva un problema e che per risolverlo era venuto da lui: sperava solo di non essere lui il problema. Anche se era altamente probabile che fosse così. Gettò un'occhiata nella sala, dove Kurt era seduto in un angolo del divano con i lembri della coperta stretti nelle mani e l'aria triste. Sembrava spezzato.

Quando gli porse la tazza colma di liquido bollente, la strinse grato; ma quando Blaine sedette accanto a lui sul divano, seppure a debita distanza, sembrò improvvisamente rendersi conto della situazione. Si alzò di scatto, inciampando nel bordo della coperta e facendo vacillare la tazza, finendo per rovesciare un poco di thè a terra e sul plaid.

“Non dovrei essere qui. Mi scusi, che disastro. Io... ora vado. Starò bene, davvero.” disse mentre cercava di divincolarsi dalla coperta con la mano libera, mentre l'altra teneva maldestramente la tazza di thè. Blaine si alzò e gli poggiò le mani sulle spalle, costringendolo a sedersi.

“Non se ne parla nemmeno. Finchè non ti sei asciugato e calmato, non vai da nessuna parte.”

Lo disse in tono talmente sicuro e convinto che Kurt sedette docilmente, abbandonando l'idea di andarsene. Rimasero in silenzio mentre beveva il thè a piccoli sorsi e si riscaldava. Quando arrivò il fattorino con la pizza, Kurt sorrise, perchè aveva finalmente capito lo strano comportamento di Blaine, che quando gli aveva aperto la porta aveva blaterato qualcosa su dei soldi e sul suo maledetto disordine.

Scrisse un messaggino a Carole per dirle che avrebbe cenato da Mercedes. Seduti a gambe incrociate sul tappeto, uno di fronte all'altro, mangiarono la pizza direttamente dal cartone, appoggiato sul tavolino della sala.

Kurt non parlava perchè era agitato e scosso, Blaine non voleva forzarlo e si limitava a guardarlo di sottecchi, tra un morso e l'altro. Kurt cominciò a parlare solo quando finirono di mangiare e tornarono di nuovo sul divano.

“Oggi un ragazzo mi ha baciato.” sbottò all'improvviso.

“Uh.” Blaine non sapeva che cosa rispondere.

“Sulla bocca.” precisò con sguardo vuoto.

“E questo ragazzo..” mormorò Blaine, indeciso su come continuare.

Ti piace?

Ti piace più di me?

“E' stato Dave Karofsky. Stavamo litigando negli spogliatoi. Io ero così arrabbiato, gli ho detto delle cose terribili perchè ero stufo di farmi trattare così... E lui mi ha... afferrato. C-costretto, direi. Io poi l'ho spinto via e lui ha dato un pugno all'armadietto. Forte.” Gli sembrava raccontare qualcosa successo a un altro. “Per poco ho avuto paura che volesse picchiarmi.”

“Il giocatore di football? Non sapevo che...” Commentò Blaine, perplesso. Di certo quel gesto spiegava molti dei comportamenti di Karofsky nei suoi confronti; presumibilmente era il motivo principale per cui infastidiva Kurt continuamente.

“Nemmeno io.” Rispose Kurt, stringendosi nelle spalle. “Io... Avevo bisogno di raccontarlo a qualcuno. Non posso dirlo a nessuno dei miei compagni di scuola, perchè non voglio che si sappa in giro. Di certo non posso condividerlo con mio padre... farebbe qualche colpo di testa o gli verrebbe un altro attacco di cuore. Gli altri professori non capirebbero. Mi dispiace essere piombato qui senza avvisare, soprattutto dopo quello che...”.

Ci siamo detti.

“Non ti preoccupare., non dirò nulla a nessuno, se è questo che vuoi. Rimango comunque tuo amico anche se oggi...” Blaine fece per appoggiare la mano sul ginocchio di Kurt, ma poi la ritrasse, anche se il suo solo intento era quello di rassicurarlo.

“Così e tutto più difficile.” rispose Kurt, facendo una smorfia.

“Già.”

Tacquero per poco, poi Kurt riprese a parlare.

“Non avevo mai baciato nessuno. Un ragazzo, intendo. Pensavo sarebbe stato diverso... pensavo che io mi sarei sentito diverso. Ora invece mi sembra tutto sbagliato. Mi sento nauseato e sottosopra, come se avessi fatto io qualcosa per provocarlo o per costringerlo.”

Involontariamente, Blaine ricordò di quella volta alla Dalton quando Sebastian, seduto con lui nella sala comune, gli aveva tolto il libro dalle mani e aveva premuto con forza le labbra contro le sue. Anche se erano amici e Sebastian non lo aveva mai maltrattato, non ricordava il suo primo bacio come un momento speciale: si era sentito diverso, dopo quel giorno, ma per i motivi sbagliati. Aveva peccato di curiosità ed era andato avanti, pensando che forse era lui a esserci immaginato baci, amore e carezze diverse da come erano in realtà... poi tutto era andato a rotoli. C'erano stati altri ragazzi, altri abbracci, altri baci, ma non si era mai scrollato dalle spalle quella sensazione di estraneo e di meccanico.

“Forse ti è sembrato tutto sbagliato perchè non era la persona giusta... tu non volevi baciarlo, no?”

“No.” Kurt scosse piano la testa. “Io immaginavo di baciare te. L'avevo pensato fino a poco prima.” Lo disse con le guance arrossate e una consapevolezza sincera. Quella confessione gli rotolò dalle labbra prima di potersi fermare.

“Kurt...” Blaine lo supplicò piano, ma Kurt lo interruppe, ora inarrestabile. Tanto valeva essere sinceri.

“Se uno immagina di fare una cosa non è come se la facesse davvero, no?” mormorò Kurt, stringendosi nella coperta e voltandosi verso di lui. “Non voglio sentirmi in colpa solo perchè immagino di fare qualcosa che non mi è permesso fare. Dire di voler fare qualcosa e poi non farlo ti rende colpevole?”.

Blaine non avrebbe voluto rispondere, ma lo fece comunque.

“No. Direi di no, altrimenti dovremmo condannare per omicidio chiunque dica di voler ammazzare qualcuno. Sarebbe sufficiente solo pensarlo o desiderarlo, ma dire di voler fare qualcosa non è come farlo davvero... nessuno può biasimarti.” Kurt fece un respiro profondo, completamente senza difese.

“Se tu non fossi il mio professore, ti prenderei la mano. Sarebbe calda e liscia. Avrebbe la forma perfetta per stare stretta tra le mie.” Lo disse a bassa voce, sfregando il pollice contro le sue stesse dita. Se chiudeva gli occhi, poteva sentirla. Aprì la mano, poi la poggiò sulla sua coscia, con il palmo rivolto verso l’altro, senza dire altro. Incantato dalle sue parole, Blaine allungò il braccio, avvicinando il suo palmo a quello di Kurt, senza toccarlo; rimase a pochi centimetri di distanza. Guardarono entrambi le loro mani: forse erano destinati a rimanere per sempre così. Vicini come due rette parallele, che corrono insieme senza incontrarsi mai. Ma loro non erano due stupide linee, potevano sentire il calore della vicinanza, bramarlo, stringerlo, annullarlo.

“Non possiamo.” Blaine non era sicuro di averlo detto davvero. Forse l'aveva solo pensato. Sollevò la mano e l'avvicinò alla guancia di Kurt, arricciando i polpastrelli fin quasi a sfiorare la peluria sottile del suo viso. Sentiva il respiro del ragazzo sulla pelle sottile del suo polso, era solo appena più affannato, eccitato e agitato da quel gioco proibito tra di loro.

Guardare e non toccare. Per l'ennesima volta, ritrasse la mano. Non aveva mai desiderato così tanto toccare qualcuno.

“Posso chiederti una cosa?” Kurt lo guardò negli occhi, lui annuì. “Se io non fossi stato un tuo studente, se ci fossimo conosciuti in altre circostanze, se fossimo stati... ancora noi, ma diversi, mi avresti baciato?”.

“Sicuramente sì. Però non mi sarei mai innamorato di te, perchè non avrei avuto l'opportunità di conoscerti e di farmi conoscere davvero. Io non parlo mai di me, mi sono successe cose che mi hanno reso un po'... schivo. Invece con te è stato diverso, ho voglia di dirti tutto. E non posso. E' una cosa che mi sta facendo impazzire. Vorrei poter...” Blaine si passò una mano nei capelli, maledicendosi per essere così immaturo, goffo e impreparato. C'erano le parole giuste. Dovevano esserci.

“O tutto o niente? E' così che ragioni... io ero già pronto ad accontentarmi, tu invece non ci riesci. Se non puoi avere tutto, allora preferisci rinunciare al resto. Quello che abbiamo è bello. Non ti basta?” disse con voce triste, stropicciando la coperta che gli copriva ancora le gambe. “Abbiamo il Lima Bean, i libri, il caffè, i dolci...”.

“La verità è questa, Kurt. Tu dici che se io non fossi il tuo professore mi prenderesti per mano. Io invece ti dico che se tu non fossi un mio studente, ti prenderei quella mano e la stringerei forte, intrecciando le tue dita con le mie. Me la porterei alle labbra, ne mordicchierei l'interno del polso, dove la pelle è più sensibile, poi salirei fino alla piega del gomito e ti bacerei anche lì. Arriverei al tuo collo, alle tue labbra, non saprei fermarmi Kurt. Se tu non fossi un mio studente, vorrei avere tutto. Tutto quanto, fino all'ultima goccia.”

“Ma...” Kurt provò a ribattere, lusingato e intimorito insieme. Eccitato, forse. Blaine si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza.

“La vuoi sapere la verità? La verità è che non mi importa davvero. Non mi importa che sei un mio studente. Io voglio tutto lo stesso, soprattutto ora che so che anche tu lo vorresti... sono spaventato da quanto lo voglio. Ogni volta che ti vedo è come se...”. Kurt lo guardava con occhi spalancati. “Ci guardiamo un film, che ne dici? Per guardare un film non c'è bisogno di parlare.”.

Kurt annuì silenziosamente e lo guardò prendere il dvd di Rent. Sorrise, perchè era prevedibile: avevano parlato di quel musical fino a sfinirsi.

“Se canto però non ti lamentare.” disse quando Blaine abbassò le luci e tornò sul divano. L'altro non rispose e rise piano, così come non disse nulla quando Kurt gli allungò metà della trapunta, coprendogli le gambe. Kurt avrebbe voluto stringergli la mano, anche solo per vedere se davvero Blaine non avrebbe saputo fermarsi: tremava alla sola di idea di lui che lo baciava sul collo. Avrebbe reclinato la testa per lasciargli più spazio e avrebbe passato le mani tra i suoi capelli, stringendolo sempre più vicino...

Qualcosa vibrò nella sua tasca. Era un messaggio, piuttosto scocciato, di Finn.

Mercedes ha appena chiamato a casa per chiederti gli appunti di storia. Sei fortunato che ho risposto io. Dove sei? Per davvero, intendo.

Guardò lo schermo luminoso del cellulare mentre pensava a come poteva tornare a casa. L'auto l'aveva lasciata a scuola, non sapeva se c'erano autobus e chiedere un passaggio a Blaine era fuori discussione. Chiese a Finn di passare a prenderlo davanti alla libreria dall'altro lato della strada: si sarebbe inventato qualche bugia, poi, sul momento.

Ok. Arrivo tra un quarto d'ora.

Infilò il telefono nella tasca con un sospiro e vide che Blaine lo stava guardando.

E' tutto ok?” chiese sollevando le sopracciglia con aria interrogativa.

Io... devo andare. Ho detto una bugia ai miei per spiegare la mia assenza a cena, ma a quanto pare Finn quando vuole sa essere più furbo di Sherlock Holmes. Passa a prendermi tra poco.” disse tirando indietro la coperta.

Gli hai detto dov'eri?”

No... ma credo che lo sappia.” Si strinse nelle spalle. Non c'era dubbio, Finn avrebbe capito al volo che era con Blaine: altrimenti perchè mentire? Blaine spense il lettore DVD e ripiegò la coperta, mentre Kurt controllava lo stato dei suoi vestiti: erano ancora umidi, ma andavano bene. Si cambiò rapidamente, senza voltarsi. Puzzavano di pioggia.

Blaine armeggiò con l'attaccapanni e tornò con una sciarpa: “Prendila, almeno così copri il collo. Se ti ammali domani non puoi venire a lezione.”

Kurt sorrise a quel tentativo di ironia, poi rimasero uno di fronte all'altro per diversi secondi, indecisi su cosa dire.

Allora... sei ancora del parere tutto o niente?” domandò Kurt, con gli occhi bassi.

E' difficile, Kurt. Già è una situazione complessa, se a questo ci aggiungi che sono un disastro in queste cose, allora puoi essere certo che non finirà bene. Però possiamo provarci. Posso provarci.” La mano stretta a pugno, le unghie conficcate nel palmo. “Qualcosa può essere abbastanza, ma ho bisogno di pensarci.”

Kurt alzò lo sguardo e sorrise; di nuovo il pungente desiderio, la sensazione di calore sotto la pelle, il senso di possesso, di appartenenza, l'odore di casa, assalirono Blaine. “Ok.”

Con Karofsky cosa pensi di fare?” Cambiò argomento.

Non lo so. Qualcuno dovrebbe parlargli, perchè dev'essere frustrante nascondersi quotidianamente. Non dirò niente a nessuno, però lui ha bisogno di aiuto.”

Ti tratta male continuamente e ti ha rubato il primo bacio, eppure riesci a preoccuparti per lui. Gli parlerò io. Domani. Fingerò di aver visto qualcosa, di aver intuito. Non lo so, mi inventerò qualcosa, ma vedremo di far finire questa storia. Magari se lui la smette anche gli altri seguiranno il suo esempio.”

Kurt si dondolò poco convinto sui talloni. “Spero che non debbano baciarmi tutti per smettere di tormentarmi. Allora io vado, magari questa giornata infinita arriverà alla fine, se riesco a mettermi un pigiama e infilarmi a letto.”

Giornatina pesante, non è vero?”

Ridacchiarono, a disagio.

Allora ci penserai?” domandò Kurt.

Forse riuscirò ad abbandonare la mia politica Tutto o niente. Intanto vediamoci al Lima Bean come al solito.”

Kurt sorrise, lo salutò e uscì dalla porta. Quando Blaine la chiuse, si voltò a guardare il suo appartamento: sembrava diverso. Perfino l'odore sembrava essere cambiato.

La coperta ripiegata con cura sul divano, la custodia del dvd sul tavolino, il cartone della pizza sul mobile della cucina, il berretto di Kurt dimenticato sul termosifone. Respirò profondamente, mentre si rendeva conto che era bastato averlo in casa per un paio d'ore e di nuovo ogni oggetto sembrava gridare la sua presenza. Perfino le pieghe del divano.

Pochi secondi e una nuova consapevolezza lo colpì con forza alla bocca dello stomaco. Non era la casa ad essere cambiata, era lui. Non poteva voltarsi davanti a quello che il destino gli aveva riservato, non dopo averne stretto il calore tra le dita. Non stava nemmeno cercando e aveva trovato Kurt. Si era opposto, ma era comunque scivolato sotto la sua pelle. L'aveva tagliato via ed era ritornato prepotente. Aprì la porta e corse fuori.

Kurt era in fondo al corridoio, che aspettava l'ascensore. Blaine ringraziò di abitare al settimo piano.

Kurt!”

Lo guardò voltarsi e osservarlo sorpreso mentre gli si faceva incontro.

Ci ho pensato.”

Ci hai pensato? Quando, negli ultimi trenta secondi?” rispose lui, incredulo.

Sì.” disse Blaine, senza fiato.

E?” Kurt sollevò le sopracciglia, in attesa di una risposta.

Tutto, Kurt. Voglio tutto quanto.”

Poi lo fece. Guardò il volto stupefatto di Kurt, gli poggiò le mani sulle guance con tutta la delicatezza di cui era capace e lo avvicinò al suo viso. Lo disse di nuovo: “Tutto.”

Lasciò che fosse Kurt a chiudere la distanza che li separava. Niente doveva essere simile al bacio brusco che Karofsky gli aveva riservato. E quando Kurt finalmente si avvicinò, Blaine si rese conto che quello era il primo bacio che contava, per entrambi.

Perchè non c'era niente di sbagliato anche se tutto sembrava gridare il contrario.

Perchè anche se Kurt era goffo e insicuro, ogni suo disordinato movimento contro le labbra di Blaine era pura perfezione.

Perchè era morbido, dolce e caldo. Profumava di vaniglia e di pioggia.

Perchè lo volevano disperatamente tutti e due, anche se avevano appena deciso che qualcosa poteva anche essere abbastanza.

Potevano averlo immaginato diversamente, con mani che stringevano e accarezzavano, con dita che s'intrecciavano in armonia e un tramonto alle spalle, ma non sarebbe mai stato così devastante. Si allontanarono con il fiato corto e le labbra arrossate.

“E' così che sarebbe dovuto essere il tuo primo bacio, Kurt.” disse stringendogli delicatamente il viso tra le mani, parlando con le labbra ancora vicine a quelle di Kurt, le fronti che si toccavano, il respiro caldo. Avevano ancora gli occhi chiusi.

“E così il secondo.”

Si allontanò per baciarlo sulla fronte, scostando con la punta del naso i capelli bagnati. La pelle di Kurt era umida e liscia.

“E così il terzo.”

Scese appena, per baciarlo a un angolo della bocca. Kurt sorrise.

“E così tutti gli altri.”

Tolse le mani dal suo viso e lo abbracciò, appoggiando il viso nell'incavo del collo di Kurt, dove baciò teneramente lo scampolo di pelle lasciato scoperto dalla sciarpa e dal colletto del cappotto. Lo baciò più volte con un'urgenza quasi disperata, in contrasto con il tocco soffice delle labbra su Kurt.

Quando trovò il coraggio di guardarlo di nuovo, disse la verità: “Sarebbe dovuto essere così, Kurt. E non sai quanto mi dispiaccia che sia andata diversamente.”.



Nda

Dunque. Io mi preparo ai sassi e ai pomodori, nel frattempo lasciatemi ringraziare chi ha messo la storia nei preferiti e chi ha espresso il suo apprezzamento. Ora vado a sotterrarmi, perchè ho una paura blu che non vi piaccia. Credo che mi riserverò la possibilità di rileggere e modificare.

A presto!

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Capitolo 16
*** Capitolo sedicesimo ***


Capitolo sedicesimo


“Sarebbe dovuto essere così, Kurt. E non sai quanto mi dispiaccia che sia andata diversamente.”

A quelle parole, Kurt aprì finalmente gli occhi: Blaine non era stato mai così vicino, così trasparente, così sincero. In quel momento l'ultimo pensiero tra i mille che vorticavano per la sua mente era quello di aver baciato un suo professore. Quello che sapeva era che aveva baciato per la prima volta un ragazzo che gli piaceva.

Un uomo di cui era innamorato. Chiaro e semplice.

Era un traguardo, una vittoria, qualcosa di incontaminato, qualcosa che sarebbe rimasto per sempre suo. Non c'era amarezza nel suo sguardo, ma gli occhi di Blaine lo osservavano attenti, come se temesse di essere improvvisamente respinto; con la felpa di Harvard, i capelli scarmigliati e le sopracciglia corrucciate, sembrava più giovane che mai. Kurt gli cinse le braccia al collo e si avvicinò piano, attento. Questa volta, fu il suo turno a rassicurarlo.

“Per quanto mi riguarda, questo è stato il primo. Tu, sei stato il primo. Tutti gli altri non contano.”

Bisbigliò, con la guancia contro la sua, i polsi contro i capelli della nuca. Sentì le spalle di Blaine rilassarsi al suono di quelle parole.

“Kurt, domani verrai al Lima Bean, dopo la lezione di piano? Abbiamo parecchie cose di cui parlare... è meglio non aspettare.”

Mentre parlava, Blaine strofinò piano la guancia contro quella di Kurt. Avrebbe potuto respirare quel profumo per sempre, senza esserne mai davvero sazio. Vaniglia e pioggia.

Aveva detto che avrebbe faticato a fermarsi, una volta cominciato; ora si rendeva conto che era terribilmente vero. Toccare qualcuno senza essere solo attratto dal suo aspetto era qualcosa di straordinario, che lo ubriacava e lo sopraffaceva, sfioramento dopo sfioramento: davanti a Blaine si stava aprendo un mondo intero di possibilità, sensazioni e fantasie, che lo spaventavano e attiravano inesorabilmente.

“Sì. Io... ci sarò senz'altro.” rispose senza esitazione l'altro.

Nella tasca del cappotto di Kurt, il cellulare prese a vibrare insistentemente e nessuno dei due ebbe bisogno di controllarlo per sapere chi lo stava chiamando.

“Finn.”

“Hudson.”

Dissero all'unisono con tono rassegnato, ancora stretti uno all'altro, una guancia contro l'altra, il naso che accarezzava piano la linea della mandibola.

“Meglio che vada, altrimenti non mi darà pace.” disse Kurt, allontanandosi appena. L'aria fredda del corridoio ghermì sulla pelle di Blaine, privandolo rapidamente del calore di Kurt; si trattenne dall'istinto di riavvicinarlo, afferrarlo, fermarlo. Era convinto che Kurt stesse davvero per andarsene, invece si ritrovarono di nuovo a baciarsi; fu con nuova e rinnovata confidenza che si abbandonarono a quel momento, almeno finchè il cellulare di Kurt non vibrò di nuovo.

“Devo andare.” Soffiò quelle parole contro le sue labbra, Blaine fece una smorfia.

“Lo so... è solo che...” Disse piano, mentre allungava il braccio e premeva il bottone dell'ascensore.

Il sonoro Ding dell'apertura delle porte arrivò molto più velocemente di quanto desiderassero.

“Sarei rimasto volentieri. Ma...” Rispose Kurt, scivolando dentro la cabina. Blaine fermò la porta con la mano.

“Lo so. Ci vediamo domani a scuola.”

“Blaine?”

Lui non disse nulla, limitandosi ad attendere.

“Adesso che so come potrebbe essere avere tutto, credo che qualcosa non sia più abbastanza. Tutto è meglio.” Lo disse sorridendo, poi le porte dell'ascensore si chiusero.

Quando uscì dal palazzo di Blaine, vide immediatamente Finn dall'altro lato della strada, con la schiena appoggiata al cofano e le braccia incrociate; quando notò Kurt, aprì le braccia con aria esasperata.

“Kurt! Fa un freddo cane... quanto ci hai messo ad arrivare! Ma dov'eri? E con chi?”

“Sali in macchina.” Kurt saltò sul sedile del passeggero e si allacciò la cintura. “Vai a scuola, devo riprendere la mia auto. Che cosa hai detto a papà?”

“Gli ho detto che uscivo un momento per andare da Puck. Perchè non eri da Mercedes? E perchè hai lasciato la macchina a scuola?” Le domande di Finn arrivavano come sparate da una mitragliatrice, ma Kurt era davvero troppo su di giri per dirgli di stare zitto.

“Oggi dopo la scuola avevo voglia di camminare. E non ero da Mercedes perchè ero con qualcun altro. E questo è qualcosa che ovviamente papà non ha nessun interesse di sapere, capito?”

“Eri con lui?” chiese solamente, continuando a guidare.

“Sì.” Non aveva senso mentire. Non a Finn, almeno. “Non devi dirlo a nessuno.”

“Perchè? Non c'è niente di male ad essere amici di un professore. Io sono il testimone di nozze del professor Shue e le ragazze sono andate un sacco di volte a casa della coach. Che c'è di diverso nel tuo caso? A parte il fatto che tu hai una cotta per lui, ovvio.” La semplicità con cui a volte Finn riusciva a focalizzare un problema era spiazzante.

“E' diverso. Per favore, Finn. Non dirlo a nessuno.”

Non si vergognò di chiederlo con una punta di agitazione. Lui e Blaine, nessuno avrebbe capito.

Finn parcheggiò accanto all'auto di Kurt e fece un respiro profondo.

“Ok.” disse un filo di voce, la fronte appoggiata al volante.

“Davvero?” chiese Kurt, incerto.

“Però devi dirmi la verità, Kurt. Che c'è tra di voi?” Si voltò verso di lui. Voleva solo capire.

“Non c'era niente, Finn. Niente.” Scosse la testa, negando.

“E adesso?”

“Adesso c'è tutto, Finn. Tutto.”

Rimasero in silenzio, non c'era altro da aggiungere. Finn annuì impercettibilmente, ma a Kurt fu sufficiente; si sporse verso di lui e lo abbracciò stretto. “Sei il fratello migliore del mondo.”




Il giorno successivo, Kurt entrò in classe all'ultimo minuto e sedette in fondo, dove Finn gli aveva tenuto il posto, costringendo Puck a sedersi in prima fila. Quando aveva chiesto a Finn di farlo, era bastato dirgli che era meglio così e lui aveva acconsentito senza fare altre domande. Ed era vero, era più facile essere seduto in ultima fila, intervenire poco ai dibattiti e tenere un profilo basso: almeno per i primi giorni, doveva abituarsi all'idea che a scuola non poteva comportarsi con Blaine come avrebbe voluto. Ovvero sedersi in braccio a lui e non fare altro che pomiciare intensamente per due ore, mentre i resto della classe leggeva o scriveva. O afferrarlo per la cravatta, trascinarlo fuori con una scusa qualunque e baciarlo senza tregua sulla scala antincendio fino al cambio dell'ora.

Ma queste non erano opzioni valide e Kurt sapeva che gli sarebbe servito un po' di tempo per evitare di guardarlo come se fosse l'unica persona presente nella classe. In quel momento, Blaine si voltò scrisse qualcosa sulla lavagna: Kurt deglutì e si rese conto che forse sarebbe servito più tempo di quanto aveva preventivato per smettere di fantasticare su di lui durante le ore di lezione. Era dunque questo quello di cui parlavano tanto i romanzi e film che leggeva e guardava quando aveva del tempo libero e l'animo a pezzi? Desiderio, trepidazione, aspettativa, tensione. Si morse il labbro e si forzò ad abbassare lo sguardo sui suoi appunti. Anche se era sempre stato spaventato dal sesso, dal corpo, dall'intimità fisica, quando lo guardava non c'era nulla in Blaine che gli ricordasse la brutalità di quei filmati che gli era capitato di vedere.

Tutto era dolcezza, calore e... passione, forse? Non ne era sicuro.

Rimase quasi immobile per tutta la durata della spiegazione, con Finn che lo fissava attentamente. Anche se aveva promesso di tacere e di tenere per sé il segreto di Kurt, non era affatto contento di quello che stava succedendo, era evidente.

Lui e Blaine si scambiarono solo un paio di sguardi, che non avevano nulla dell'impazienza, dell'ambiguità e della disperazione della sera precedendente, ma che bastarono per fargli tremare piano la penna tra le dita. Vederlo seduto dietro la cattedra non lo aiutava a dimenticare che aveva baciato un professore; sentirlo parlare di Dickens e di compiti in classe era eccitante e angosciante allo stesso tempo.

Dovette costringersi a non guardarlo continuamente, a non perdersi nel ricordo della sera precedente, a non immaginare cosa si sarebbero detti in caffetteria di lì a poche ore. Pochi minuti dopo, la sua mente non era più fisicamente presente: improvvisamente ebbe sulle labbra la sensazione della lingua di Blaine che lambiva un angolo della sua bocca e il calore del suo corpo schiacciato contro il suo.

In pratica, furono le due ore più lunghe della sua vita.

Quando uscì dall'aula, Blaine stava già correggendo alcuni compiti: come era prevedibile, salutò lui esattamente come tutti gli altri, e Kurt desiderò intensamente che la giornata scorresse il più velocemente possibile. Ancora poco e sarebbero stati al Lima Bean, insieme e come eguali.

Era a questo che stava pensando Kurt in piedi davanti al suo armadietto, intento a riporre i libri di letteratura inglese e a cercare i suoi appunti di biologia; quando Karofsky gli passò accanto e nella breve manciata di secondi in cui incrociarono lo sguardo, gli venne spontaneo salutarlo, per voltarsi di nuovo verso le sue cose.

“Ciao Dave.”

Non aveva idea del perchè lo avesse fatto: forse perchè era talmente di buon umore da pensare che essere stato baciato da Dave avesse avuto un qualche significato. Non aveva intenzione di ricattarlo o di minacciarlo, ma pensava che forse aver condiviso quel momento segnasse la fine delle angherie e dei soprusi, almeno da parte di Dave. Di certo non era così stupido da continuare a tormentarlo, ora che sapeva il suo segreto.

Lo spintone arrivò comunque, forse più forte del solito perchè completamente inaspettato. Sentì Azimio ridere forte: “Ti sei fatto un amichetto, Karofsky?”.

“Che fai, adesso mi saluti pure?” sibilò Dave a denti stretti, guardando Kurt con occhi strani. Era come se in qualche modo gli stesse chiedendo di tenergli il gioco, di non dire nulla; Kurt era troppo sorpreso per rispondergli per le rime.

“Ecco bravo, stai zitto.” Lo prese per le spalle e gli diede un'altra scrollata, per poi sbatterlo ancora contro l'armadietto; senza fiato, Kurt ci appoggiò la schiena e scivolò piano a terra, fino a sedersi sul pavimento. Dave se n'era già andato da un pezzo quando finalmente riprese a respirare con calma.

“Stai bene Kurt?” La voce sottile di Emma lo raggiunse improvvisamente e lui si accorse della sua presenza. Era inginocchiata accanto a lui e gli stava appoggiando una mano sulla spalla.

“Io... sì, sto bene.” Mise la tracolla sulla spalla e fece per alzarsi, mascherando, per quanto possibile, il dolore che gli si irradiava lungo il braccio. Altro livido in arrivo.

“Sei sicuro? Vuoi venire nel mio ufficio? Ti preparo un po' di thè al limone e magari mi dici che cosa succede. Ho anche dei biscotti al mais biologico in confezioni singole.” Lo disse gentile, ma lui scosse la testa con decisione.

“Grazie signorina Pillsbury, nonostante i biscotti al mais siano allettanti sono costretto a declinare. Ho lezione di biologia tra pochi minuti.” Pochi passi, ed Emma lo perse di vista, mescolato nella folla degli studenti in corridoio.

Dave era già lontano, dandosi pacche sulla schiena con Azimio e commentando le gonne delle ragazze che aspettavano di andare in classe. Nessuno dei due aveva voglia di andare a lezione di matematica.

“Scusami Dave, posso parlarti un minuto?”

Nel sentire il suo nome si voltò: sulla soglia dell'aula di letteratura inglese c'era il professor Anderson, che gli stava rivolgendo un caldo sorriso. Si chiese che cosa mai avesse bisogno di dirgli, dato che non seguiva nessuno dei suoi corsi e che per il suo ultimo anno aveva scelto di studiare solo spagnolo e tedesco. Scrollò le spalle, salutò Azimio ed entrò nell'aula, prendendo posto nel banco di fronte alla cattedra, in prima fila. Anderson si piazzò proprio di fronte a lui, con la schiena appoggiata alla scrivania e le mani unite poggiate in grembo.

Per poco Dave non alzò gli occhi al cielo. Odiava quando i professori cercavano di fingersi amici degli studenti o calarsi nei loro panni: nessuno poteva sapere che cosa stava passando, e di certo non questo damerino impomatato. Resistette alla tentazione di spingere indietro la sedia e andarsene via, così rimase, guardandolo con un sorriso strafottente dipinto in volto.

“Allora Dave, come sta andando la squadra di football?”

Sbuffò. Chiunque al McKinley sapeva che la squadra faceva faville, sotto l'abile guida della Beiste; l'anno precedente avevano vinto il campionato e probabilmente ci sarebbero riusciti di nuovo. Dave non vedeva l'ora di poterlo scrivere nel suo curriculum scolastico. Le università andavano pazze per questi dettagli e lui non vedeva l'ora di lasciarsi Lima alle spalle.

Grugnì un poco convinto: “Bene.”

Poi tacque, guardandolo storto con le braccia incrociate sul petto. Anderson chiuse gli occhi per qualche secondo, come riflettendo sulle parole da pronunciare, e fece un respiro profondo. La conversazione stava per prendere un'altra piega, era evidente.

“Ti ho chiesto di venire con me perchè vorrei parlarti di Kurt Hummel.”

Dave fece una smorfia di disgusto, ma non disse nulla. Gli veniva talmente automatico che non doveva più nemmeno sforzarsi di fingere: per chiunque era chiaro come il sole che gli omosessuali non gli andavano giù. E che non sopportava Hummel, ovviamente.

Salvo poi mettersi a letto, masturbarsi furiosamente pensando a lui e incazzarsi come una bestia per esserci cascato di nuovo. Ogni volta che gli succedeva, ogni volta che lo faceva, il giorno successivo lo spingeva più forte, con più rabbia, con più frustrazione. Quel ragazzino l'avrebbe fatto impazzire, se non la smetteva di girare per la scuola come niente fosse, con i suoi jeans aderenti e i capelli profumati di lacca. Anzi, probabilmente era già impazzito, altrimenti non l'avrebbe baciato nello spogliatoio; per fortuna nessuno aveva visto niente. Anche se Hummel avesse trovato le palle per dirlo a qualcuno, non avrebbe avuto niente per provarlo: sarebbe stata la sua parola contro quella di uno dei giocatori più popolari della scuola. Avrebbe taciuto, se lo sentiva.

In più glielo aveva fatto capire che sarebbe finito nei guai, se anche solo pensava di raccontarlo. E Dave sapeva essere molto convincente, quando si impegnava. L'immagine mentale di Kurt seduto a terra gli balenò davanti agli occhi per qualche istante.

“Hummel dice? E viene da me?” borbottò in risposta al professore, che lo fissava aspettando una sua reazione. Involontariamente, perse un pizzico della sua spavalderia; abbassò lo sguardo, arrossì in modo impercettibile.

“Non puoi negare di riservare un trattamento particolare a questo studente, o sbaglio? Spintoni, prese in giro, scritte nei bagni e sull'armadietto... servizio completo direi.” Il tono di Blaine era calmo e descrittivo nel constatare quei fatti. In quanto professore era suo compito aiutare Dave e sostenerlo nel suo cammino verso l'accettazione, ma sapeva che se anche solo per un istante fosse uscito da quei panni, gli sarebbe stato difficile non saltare immediatamente al cuore del problema. Pensare a Dave come un ragazzo problematico, in difficoltà e confuso, era l'unica cosa che riusciva a tenere a freno i suoi nervi. Era importante.

Dave non sospettava dove Anderson volesse arrivare, pensando che fosse la solita ramanzina che già altre volte aveva riservato a lui e Azimio.

“Sai Dave, a volte non c'è un motivo preciso per cui prendiamo di mira qualcuno. Nella maggior parte dei casi si tratta solo di un tizio sfigato e occhialuto, di una ragazza troppo grassa o di un compagno con l'apparecchio ai denti, ma non credo che sia una coincidenza il fatto che tu indirizzi certi gesti solo ed esclusivamente a Kurt.”

Blaine non aggiunse altro, fece solo un piccolo sorriso comprensivo. Chissà, magari sarebbe stato sufficiente far capire a Dave che poteva fidarsi di lui e l'argomento sarebbe venuto fuori da solo.

“Hummel? Quello è solo una checca isterica. Niente di più, niente di meno.” Forse non avrebbe dovuto parlare così di un compagno di scuola a un professore, ma di nuovo, l'abitudine a prendere le distanze fu troppo forte.

“Hai qualche problema con gli omosessuali, Dave? È per questo che te la prendi con Kurt?”

Dave fece una smorfia: “Sono tutti sbagliati, quelli. Non dovrebbe andare in giro e fare come se fosse normale essere così.”. Ripetè quello che diceva sempre sua madre quando guardava la tv e mostravano qualche attore famoso in compagnia del fidanzato. O quando per caso le capitava di guardare Ellen. Sentì un moto di nausea allo stomaco. Dire certe cose con i suoi amici era semplice, ma pronunciarle in presenza di un professore così tranquillo e pacato... le faceva sembrare quasi sbagliate.

“Lui ti ha mai infastidito? Ha fatto di proposito qualcosa nei tuoi confronti che ti ha disturbato o ti ha messo in imbarazzo?”. Blaine sapeva che non era così, ma non poteva comportarsi altrimenti. Non poteva chiedere espressamente a Dave perchè aveva incollato la faccia a quella di Kurt.

“Ci deve solo provare ad avvicinarsi, quello. Gli piacerebbe.”

Il senso di nausea si fece più intenso: che diavolo c'era di sbagliato in lui? Forse aveva creduto che Kurt potesse capirlo, ma aveva sbagliato tutto. Stupidamente aveva pensato che baciarlo gli avrebbe fatto capire in che inferno stava vivendo: magari l'avrebbe ricambiato, l'avrebbe abbracciato, gli avrebbe parlato. Sarebbe stato tutto diverso.

Di nuovo, l'immagine di Kurt, disgustato, sconvolto e con le labbra arrossate si fece a forza spazio nella sua mente. Gli aveva detto chiaro e tondo che non gli piaceva, né mai gli sarebbe interessato; ovvio, come poteva trovare qualcosa di buono negli spintoni che quotidianamente lo sbattevano contro il muro?

Sorrise strafottente.

“Come ti dicevo, Dave, a volte ci accaniamo contro chi simboleggia le nostre paure. Qualcosa che ci spaventa, qualcosa che vorremmo nascondere o che vorremmo negare. E' possibile che tu riconosca in Kurt qualcosa che fatichi ad accettare in te stesso?”.

Dave spalancò gli occhi: adesso aveva capito dove voleva arrivare. Come l'aveva intuito? Era sempre stato attento con le parole e con i gesti... possibile che fosse stato proprio il suo tormentare Kurt a farlo beccare? Impossibile, qualcuno doveva avergli detto qualcosa.

E sapeva anche chi.

Blaine lesse la paura negli occhi del ragazzo e si chinò verso di lui, appoggiando le mani sul banco.

“So che può essere difficile, soprattutto alla tua età, ma devi capire che è normale essere confusi. Non c'è nulla di cui aver paura e possiamo trovare insieme qualcuno con cui parlare e...”

“NON C'E' NULLA DI CUI PARLARE!” Dave urlò prima ancora di potersene rendere conto. Ma chi accidenti si credeva d'essere quello, per venire a dirgli certe cose?

“Non devi reagire così, Dave. Non sei solo in tutto questo, possiamo...”.

La voce fremente di rabbia con cui il ragazzo sibilò la sua risposta lo fece desistere: “Io non so come le sia venuta in mente questa idea, ma non si azzardi mai più a parlarmi. Né provi a tirare fuori questa storia con qualche altro professore. Lei non ha il diritto di farlo, ha capito?”.

Dave spinse bruscamente il banco davanti a sé, urtando appena le gambe di Blaine, poi si alzò e uscì con passo pesante dalla stanza. Blaine lo guardò andarsene via, ma non ebbe il coraggio di seguirlo e costringerlo a parlare ancora: una strana sensazione lo attraversò subdola. Capì che era meglio tenere gli occhi aperti, quel ragazzo era incasinato per davvero, avrebbe potuto fare qualche sciocchezza.

Dave saltò la lezione successiva, rinchiudendosi in sala pesi. Nessuno doveva sapere, avrebbe dovuto essere più attento. Tra lo sforzo e il sudore, riusciva a non tremare di paura: sapeva che cosa sarebbe successo, se a scuola l'avessero scoperto. Sarebbe rimasto solo, sarebbe stato tormentato ancora più di Kurt e non avrebbe avuto più nessuno accanto: neppure i più sfigati della scuola l'avrebbero aiutato, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare.

Aggiunse altri pesi sul bilancere e si sdraiò sulla panca, tamponandosi il collo con un asciugamano. Doveva fare qualcosa e assicurarsi che Hummel tenesse la bocca chiusa.


Nda

Solo uno spaziettino piccino picciò per l'autrice, si può?

Prima di tutto GRAZIE: dopo l'entusiasmo con cui avete reagito all'ultimo capitolo, credo che sarei felice anche se questa storia non ricevesse più nemmeno una recensione da questo momento in poi. Davvero, avete superato ogni mia più ottimistica aspettativa: speravo che il capitolo con il bacio potesse piacervi, ma non mi aspettavo che potesse piacere così tanto. Ero commossa e sconvolta insieme, mentre guardavo il numero delle letture aumentare a dismisura (stiamo parlando di 1200 letture in cinque giorni... aiuto!).

Ora l'hype è andato e il bacio che aspettavate c'è stato, quindi immagino che l'interesse per la storia subirà un calo notevole, ed è normale, ma spero che rimarrete con me fino alla fine. Incrocio le dita e vi prometto tanto angst, qualche scena rosso-arancione e tanto fluff. E tanto bitch!Sebastian, grande assente in questo capitolo. Ma sarà protagonista di uno dei prossimi capitoli, quindi ci rifaremo!

Ah, dimenticavo!

Tanti auguri Sara, questo capitolo è per te!

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassettesimo (modificato) ***


AVVISO: quella che segue è una versione modificata del capitolo 17 pubblicato lunedì. Non si tratta di modifiche radicali, quindi dopo un po' di riflessione ho deciso di pubblicarlo modificando semplicemente la prima versione. Manderò un mp di avviso a tutti quelli che seguono la storia.

Scusatemi per l'inconveniente!

Capitolo diciassettesimo

 

Erano le quattro del pomeriggio, di un giorno qualunque di Gennaio; dopo la pioggia che aveva inondato Lima per tutto il giorno precedente, la neve sul marciapiede era ridotta a una grigiastra caricatura di se stessa, in cui la gente affondava i piedi scongiurando di non scivolare. Alcuni correvano in posta, altri tornavano a casa da scuola, altri ancora sedevano pigramente sui divanetti del Lima Bean, rigirando svogliati un cucchiaino e chiacchierando senza preoccupazioni. Con un po' di sforzo, tra di loro si poteva distinguere la sagoma di un ragazzo che camminava davanti alle vetrine dei negozi si infilava dentro la caffetteria: era Blaine, che con il naso arrossato per il freddo, si stava recando all'appuntamento con Kurt.

Il collo avvolto in una sciarpa di lana a righe, i capelli ricci fermati con il gel, le labbra screpolate per il vento. Per chiunque poteva essere un ragazzo semplicemente in fila alla casa, che si muoveva nervoso, come mosso da fretta o ansia. Si poteva pensare che stesse aspettando qualcuno, osservando le sue continue occhiate alla porta d'ingresso: magari una bella ragazza su cui sperava di fare colpo, o un amico a cui doveva raccontare qualcosa di importante.

A Blaine in realtà sembrava di camminare con un enorme cartellone pubblicitario appeso alla schiena: “Blaine Anderson, 23 anni, ho baciato un mio studente e ora sto per incontrarlo per parlare della nostra relazione. O forse sto per essere arrestato per corruzione di minore. O pedofilia. Non giudicatemi, per favore.”

Nemmeno gli appetitosi biscotti al cioccolato che gli strizzavano l'occhio da dietro il bancone sembravano ricordargli che Kurt aveva diciotto anni e che non era né un bambino, né un minorenne. O che il loro bacio era stato fantastico e a lungo desiderato da entrambi. Niente di quello che c'era tra di loro era illegale, solo inopportuno.

Eppure la sua mente era popolata da incubi in cui la SWAT infrangeva le vetrine del locale, correva tra i tavoli in mezzo ai fumogeni e lo portava via in manette, sotto lo sguardo schifato della clientela. Blaine mormorò la sua ordinazione con gli occhi sbarrati e barcollò fino al tavolo libero più lontano dall'ingresso: stava immaginando la sua pubblica lapidazione in piazza, con Burt Hummel che gli dava il colpo di grazia brandendo una chiave inglese.

Si costrinse a pensare lucidamente, senza riuscirci. Aveva passato la serata in uno stato di piacevole fibrillazione, accoccolato sul divano e con gli occhi fissi sul televisore senza pensare ad altro che Kurt. Ai suoi baci timidi e incerti, alle sue mani calde, al profumo di vaniglia della sua pelle. Aveva dormito tranquillo ed era andato a scuola completamente impreparato all'eccitazione con cui aveva atteso l'ingresso di Kurt in classe.

L'aveva visto entrare e sedersi in fondo all'aula, poi l'intera lezione era stata un inferno: aveva spiegato, risposto ad alcune domande e anche alzato la voce quando necessario, avvolto da una trance che conduceva con sicurezza ogni suo gesto, mentre nella sua testa non aveva che lui. “Fanculo Dickens.” aveva pensato, guardando di sfuggita Kurt mordicchiare la gomma della matita “Lo voglio. Lo voglio più di quanto non abbia mai voluto nessun altro. Voglio proteggerlo, voglio che mi protegga. Voglio stringerlo, rannicchiarmi contro di lui sul divano e raccontargli qualunque cosa.”

Lo sforzo maggiore era stato togliere il pilota automatico e dedicarsi per davvero alla lezione, smettendo di fantasticare su Kurt, lui e la sala professori deserta.

E ora eccolo lì, seduto a quello stupido tavolino, in una stupida caffetteria di provincia, a chiedersi perchè diavolo era lì, incasinato come mai nella sua vita. Ed era stato parecchio incasinato in passato, quindi era davvero un bello sforzo, quello di superare se stesso. Stava quasi per alzarsi, quando la porta si aprì ed entrò Kurt.

Un sorriso, un complice scambio di sguardi, e Blaine capì perchè era lì, a quello stupido tavolino, in quella stupida caffetteria. Perchè anche se era un disastro, giusto o sbagliato che fosse, si era innamorato di quel bellissimo ragazzo che lo stava salutando e gli stava chiedendo se voleva qualcosa da sgranocchiare. Quel ragazzo intelligente, prezioso, dolcissimo che era seduto davanti a lui e dondolava un biscotto al cioccolato proprio di fronte ai suoi occhi.

“Stai bene? Hai preso solo il caffè, sei malato?” disse Kurt, porgendogli il biscotto mentre lo scrutava alla ricerca di sintomi di raffreddore o influenza. Era troppo assurdo vederlo senza qualcosa da sgranocchiare.

“Uh sì... ero distratto, quando ho fatto l'ordinazione.” Evitò di dirgli che stava pensando a suo padre che lo finiva colpendolo alla tempia con un crick e mise grato un pezzo enorme di dolce in bocca, beandosi del cioccolato che gli si scioglieva contro il palato.

“Hai messo il maglione rosso, mi piace. Ma stamattina non l'avevi, voglio dire... in classe eri vestito diversamente.” Notò Kurt, con il suo solito occhio critico. Adorava quel maglioncino aderente.

“Sono passato da casa a cambiarmi.”

Spiegò rapidamente, sentendosi un completo idiota. Era vero, era andato al suo appartamento e aveva tolto giacca e camicia per mettere il maglione rosso, forse spinto dal desiderio di compiacere Kurt o rendere il loro appuntamento speciale. Solo che spiegarlo ad alta voce era imbarazzante.

“A cambiarti?” Ripetè Kurt, perplesso.

“Sì... io ho pensato che magari era carino...” bofonchiò, spezzettando il concetto in tante parole, nella speranza di farlo sembrare meno stupido “... vestirmi bene per il nostro incontro. Dato che è il primo da... ecco.”

“Uh. Anche io ho scelto bene cosa mettermi, questa mattina. Però non sono andato a casa a cambiarmi.” disse con voce dispiaciuta. “Va bene lo stesso?”.

Blaine per poco non si soffocò con il biscotto che stava masticando: come poteva anche solo pensare di non andare bene? Si astenne dal dare una lusinghiera occhiata e disse semplicemente: “Non dire sciocchezze, certo che va bene. Sei bellissimo.”

Chissà perchè, Blaine si sentiva improvvisamente un po' sfacciato. Forse era l'ebbrezza che gli dava il saper far arrossire Kurt in modo adorabile, o forse era sapere che non era il solo a essere imbarazzato e impacciato, ma sentiva di poter essere se stesso. Un po' più del solito, almeno.

La bocca di Kurt abbandonò la sua piega compiaciuta e si chiuse in un piccolo, imbarazzato sorriso, che nascose portandosi la tazza alle labbra. 

Blaine infilò la mano nella borsa e prese una busta, che porse a Kurt. Era completamente bianca, a eccezione di uno dei lati, su cui era scritto il nome di Kurt. ”Prima che me ne dimentichi o che le cose diventino troppo serie, prendi questa. Ho voluto fare una cosa, questa mattina, durante una delle mie ore libere.”

“Che cos'è?” chiese rigirandosela tra le mani con aria incuriosita. Non ragionava lucidamente, stava ancora pensando che Blaine gli aveva detto di trovarlo bellissimo.

“Kurt, tra tre settimane scade il termine per presentare la domanda alla NYADA. Mi avevi detto che forse avresti avuto bisogno di una lettera di presentazione da parte dei tuoi professori da allegare al fascicolo scolastico, così oggi quando Rachel Berry è passata a ritirare quella che avevo scritto per lei, ho pensato che poteva far comodo anche a te.” Kurt continuava a guardare la busta. “Ho creduto che magari tu non avresti avuto il coraggio di chiedermela, per paura di essere inopportuno. Ma ho anche avuto paura che aspettare troppo mi spingesse a scrivere una lettera troppo accorata e personale. Così l'ho preparata stamattina e l'ho redatta nel modo più obiettivo possibile. Ti posso assicurare che risulti comunque uno studente straordinario e che anche moderando volutamente i toni non ho potuto fare altro che lodarti.”

“Wow. Grazie Blaine. Hai ragione, non avrei mai avuto il coraggio di chiedertelo. Ormai la domanda è pronta, devo solo... spedirla. Spero che non sia troppo scarna, per i loro standard.”

“Che cosa hai scritto?” domandò curioso. Dio, quando voleva prenderlo per mano. Ogni volta che parlava di New York e del futuro i suoi occhi erano così dannatamente luminosi.

“Vediamo... la tua lettera, ovviamente. Quella di Shue e quella della Sylvester. Poi i tre anni di Glee Club, il football, i Cheerios, i miei voti... non molto insomma. Ah, le lezioni di pianoforte.”

“Non molto dici?” Blaine era stupefatto.

“Non ho avuto parti da protagonista in nessun musical, fuori dalla scuola non ho mai combinato un granchè. Però ho avuto un'idea. Ho allegato anche un dvd con il video di Vogue che Artie ha realizzato con me e Mercedes, più la registrazione di un paio di mie performance. Non sono degli assoli alle competizioni, ma se cercano talento di sicuro non gli rimarranno indifferenti.”

Lo disse con una convinzione che non aveva né superbia né spocchia; Blaine l'aveva sentito cantare, sapeva che era bravo. Meritava di lasciarsi Lima alle spalle.

“Sono sicuro che sarai uno dei finalisti, Kurt. Andrai a New York e farai un provino che li lascerà senza parole.” Annuì con convinzione.

“Lo spero.”

Rimasero in silenzio. Una questione irrisolta galleggiava nell'aria in mezzo a loro, ma non ebbero la forza di afferrarla: se anche avessero avuto la fortuna di rimanere insieme fino alla fine, che cosa avrebbero fatto quando Kurt sarebbe partito per New York? Forse non valeva la pena combattere, se tutto era destinato a finire.

Una mezz'ora più tardi, esauriti i convenevoli sulle vacanze di Blaine in Oregon, su Rent e sulla follia della Sylvester, rimanevano ben pochi argomenti frivoli a loro disposizione. Un elefante rosa si accomodò tranquillo nel mezzo del loro tavolo, osservando placido Kurt che giocherellava con il tovagliolo e Blaine che cominciava a sbriciolare nervosamente quel povero biscotto. Fu Kurt, inaspettatamente, a tirare fuori la questione.

“Dunque ieri…” Come inizio non era certo particolarmente brillante, ma almeno era qualcosa.

“Siamo qui per parlarne, no?” Blaine colse la palla al balzo.

“Già. Diciamo le cose come stanno. Ci siamo baciati. Voglio dire, sei un mio professore e ci siamo baciati.” Kurt lo disse come se non credesse nemmeno alle sue stesse parole. Come se fosse intento a descrivere qualcosa accaduto ad altri.

“Il tuo primo bacio. Avrebbe dovuto essere tutto maledettamente più semplice... insomma, un cinema, mani sudate, pop corn. Cose così.” Decisamente diverso dal bacio goffo e disperato che avevano condiviso nel corridoio del palazzo di Blaine, dopo essersi detti che tra di loro non doveva nascere niente.

“Come è stato il tuo?” Kurt appoggiò la guancia sul palmo della mano e lo guardò attento. Non credeva di avere il coraggio di chiederglielo, invece l'aveva fatto.

“Il mio cosa?” Finse di non capire. Non poteva dirgli la verità. O forse sì?

“Il tuo primo bacio. Come è stato?”  ripetè.

“Io... ehm.” balbettò.

La mano di Sebastian che lo spingeva indietro, la sua lingua inaspettatamente scivolosa sui denti, il succhiotto e le dita che gli sfilavano la camicia per arrivare alla pelle. I graffi sui fianchi. Il fuoco della sala comune che scoppiettava senza poesia alle loro spalle.

Respinse il ricordo dell’amarezza dopo il suo primo bacio, la sorpresa dopo la sua prima volta: era tutto così diverso da come se l’era immaginato. E con nessuno dei ragazzi che aveva conosciuto poi era mai stato diverso: si era abituato all’assenza della magia al punto di chiedersi se davvero doveva esserci. Forse era qualcosa di mitico, o forse una stupida fantasia da adolescente inesperto. Baciare senza affetto, fare sesso senza amore: era sicuro, quasi confortevole, sapere di poter avere il piacere senza esporsi.

Almeno, prima di Kurt. Era stato lui a farlo ricredere: forse non era un giocattolo rotto, come lui e Sebastian amavano definirsi. E forse le sue non erano fantasticherie da ragazzino: il bacio con Kurt era stato qualcosa di straordinario, nuovo e pericolosamente vicino a come aveva immaginato il suo primo bacio. Perfino meglio.

“E' stato inaspettato. Lo cercavo da una vita, uno così, ma non pensavo che avrei mai avuto la forza di andare da lui. Non è stato perfetto, ma è stato esattamente come doveva essere: profumato, un po' impacciato, a tratti amaro. In una parola, bellissimo. Sarei potuto andare avanti per ore, è stato diverso da ciò che ricordavo. Molto più simile alle fantasie adolescenziali che ho considerato stupide per anni e anni.”

L'aveva detto davvero. Era la verità. Kurt lo guardò confuso,.

“Credo di non capire. Come poteva essere diverso da qualcosa che ricordavi, se è stato il primo?” inclinò la testa e attese la spiegazione di Blaine, che sorrise piano.

“Davvero non hai capito, Kurt? Quello di ieri è stato il primo bacio anche per me. Il primo che ho dato a qualcuno per cui provavo qualcosa. Non mi importa se tutto tra di noi è incasinato e imbarazzato, tornerei indietro e lo rifarei cento volte, pur di provare di nuovo quello che mi hai fatto sentire..” Questa volta, arrossirono entrambi, ma Blaine continuò a parlare. “Prendimi in giro, compatiscimi se vuoi, ma in ventitrè anni non ho mai avuto nessuno. Non sono mai stato il ragazzo di nessuno, né mai ho desiderato esserlo, questa è la verità.”.

Kurt aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse; guardò ancora una volta Blaine, con una mano infilata tra i capelli e le dita strette forte.

“Nemmeno io.”

Incrociarono lo sguardo e sorrisero. Blaine districò la mano dai riccioli e l'appoggiò con l'altra sul tavolo, preparandosi a parlare con franchezza. Quello che disse uscì dalle sue labbra con una tale determinazione che Kurt quasi si spaventò.

“Meglio essere trasparenti, da questo momento in poi. “Mi piaci Kurt. Mi piaci tanto. E non scherzavo ieri, quando ti ho detto che qualcosa non è abbastanza... secondo me dovremmo darci una chance, anche se sarà terribilmente complicato. Io credo che potrebbe valerne la pena.”

Non lo disse a voce bassa, né con aria intimorita. Era paurosamente serio. Kurt deglutì: era davvero un discorso da adulti, niente giochi, niente trucchetti. Solo la verità.

“Dal primo momento io... Mi hai messo in crisi, fin da quando ti ho conosciuto il primo giorno di scuola, accoccolato a terra in quello stupido bagno, zuppo di granita e di lacrime. Non sai quanto avrei voluto che fossi stupido, antipatico e irritante. Dio, Kurt, ho sperato così tanto. Ti volevo scortese e maleducato. Avrebbe reso più semplice aiutarti senza… senza questo ingombrante bagaglio emotivo che ora mi sto portando sulle spalle. Avrei voluto che non mi fossi affine, che fossi antipatico e superbo. Speravo che il corso fosse abbastanza difficile da farti cambiare idea e trasferirti a Calcolo. O Economia domestica. Qualunque cosa, pur di non vederti ogni giorno sapere cosa rischiavo tutte le volte che ti guardavo e ti parlavo. Qualunque cosa, purchè tu fossi di passaggio, qualcuno di cui tra qualche anno avrei faticato a ricordare il nome, o i lineamenti.”

Gli occhi di Kurt si fecero lucidi. Per settimane, per mesi, dopo quello stupido bacio sulla guancia, aveva misurato ogni singola parola che aveva pronunciato in classe, solo per mettere tra lui e il professore la distanza che quel giorno sembrava essersi magicamente annullata. La stessa distanza che era scomparsa quando l'aveva trovato a grattare via la vernice dal suo armadietto, la stessa che si era trasformata in un muro quando aveva visto Blaine mano nella mano con Sebastian al Lima bean.

“Mi hai ignorato per più di tre mesi. Fino a inizio dicembre, abbiamo parlato solo in classe durante le lezioni, scambiandoci i miei saggi. Nient’altro, nemmeno mi guardavi in faccia durante l’appello. Ero invisibile.”

“Infatti… quei saggi erano la palese dimostrazione che non eri né stupido, né superficiale, né svogliato. Sei intelligente, è quella la prima cosa che mi ha… attirato verso di te. Ti ho conosciuto prima attraverso le tue parole, i tuoi ragionamenti, la tua calligrafia; non potevo evitarlo, anche se mettevo delle distanze tra me e te, ogni volta che leggevo qualcosa di tuo sentivo di grattare sotto la superficie.”

“E cosa hai trovato Blaine?” chiese senza fiato. Stavano parlando davvero.

“Qualcosa che non volevo trovare. Non eri un ragazzo qualunque, eri diverso da tutti gli altri. Sei speciale, Kurt. Sei speciale per me. Ho trovato qualcosa per cui vale la pena rischiare. Prima di conoscerti, non riuscivo a passare più di mezz’ora in compagnia di qualcuno che non fosse un collega, un compagno di progetti o Sebastian senza la tentazione di scivolare via. Paradossale che sia, sento di poterti dire qualunque cosa.”

Quasi, qualunque segreto.

“Con te, sento di poter essere davvero me. Senza fronzoli, senza muri, senza bugie. Eppure sento di privarti di qualcosa... se accantonassi il mio egoismo, potresti trovare un ragazzo della tua età, qualcuno con cui poter stare davvero, senza sotterfugi.”

Kurt lo guardò sorpreso, improvvisamente destato dal meraviglioso calore delle parole di Blaine. Aggrottò le sopracciglia: “Senza sotterfugi? Credi che se mi mettessi con un ragazzo, che so, del terzo anno, potrei andare in giro mano nella mano con lui? Non potrei farlo, né a scuola, né a Lima. E poi non funzionerebbe comunque.” Kurt scosse la testa. “Perchè sarei comunque innamorato del mio professore di letteratura inglese, ecco perchè. E poi non tirare fuori la storia della differenza di età, se tu non insegnassi al McKinley probabilmente staremmo insieme da prima di Natale.”

“Se io non insegnassi al McKinley non ci saremmo mai incontrati.”.

“E se io non mi fossi preso quella granitata, probabilmente sarei rimasto uno studente come tutti gli altri. Io credo che tutte queste coincidenze vogliano dirci qualcosa.”

“Allora non hai intenzione di sfruttare questa cosa per avere voti più alti? O per ricattarmi e far promuovere Finn?” disse Blaine, cercando di stemperare quella sottile tensione che lentamente si era instaurata tra di loro. Era un bella cosa, si erano trovati a dispetto di tutto, forse non era necessario farsi troppe domande.

Kurt non colse l'ironia della sua frase e lo guardò con occhi inorriditi, scuotendo con forza la testa: “No! Assolutamente no, come puoi pensarlo?”.

Blaine rise del suo stupore.

“Allora, che cosa facciamo adesso? Voglio dire, possiamo anche decidere di fingere che non sia successo e andare avanti così.” Kurt si strinse nelle spalle.

“E' questo che vuoi?”

“No.”

“Nemmeno io.”

“Continueremo a incontrarci qui. Due volte a settimana?” chiese Kurt.

“E possiamo anche andare insieme in biblioteca, magari. Adoro le biblioteche.” propose Blaine. “E magari... potresti venire a casa mia, qualche volta?”

Kurt sgranò gli occhi, mentre si domandava freneticamente se c'erano dei sottintesi, in quella proposta. C'erano?

L'altro non capì immadiatamente il motivo della sua agitazione, ma quando ci arrivò quasi si strozzò con un boccone di biscotto. Ovvio che Kurt avrebbe interpretato male quella frase: maledizione, detta così era uscita proprio male. Pensare che non aveva la minima intenzione di fare nulla con Kurt, almeno ora.

“Per dei film. Seduti sul divano. Anche ai lati opposti del divano, se preferisci. Senza impegno. Se non vuoi non andiamo nemmeno in biblioteca.” mitragliò rapidamente.

“Uh. Ok. Casa tua va bene. Insomma è più tranquillo e saremo da soli, no?” Kurt fece un sorriso incerto.

Soli, certo. A eccezione di Sebastian, che sarebbe tornato entro tre settimane: l'idea che rimanesse ad Harvard dopo la fine degli esami invernali era inconcepibile, sicuramente sarebbe atterrato sul suo divano prima ancora di far asciugare l'inchiostro del suo ultimo saggio.

Avrebbe trovato un modo per dirgli di Kurt e farli andare pacificamente d'accordo: aveva tre settimane di tempo per convincere Sebastian a non spaventare a morte Kurt.

“Ok, posso chiederti una cosa? È un po’ che ci penso, ma non avevo il coraggio. Ma dal momento che abbiamo deciso di essere onesti e trasparenti…” Lasciò la frase in sospeso e la mente di Blaine galoppò verso pascoli surreali, mentre si interrogava sulla domanda di Kurt. Forse voleva parlare del sesso? O forse ci aveva ripensato e non voleva più rivederlo? Magari voleva dire tutto ai suoi genitori? Trattenne il respiro e sbriciolò l'ultimo pezzo di biscotto che aveva tra le dita.

“Certo, dimmi.” Disse sforzandosi di sembrare impassibile. Kurt arrossì vistosamente e abbassò lo sguardo, facendo correre la punta del dito lungo il bordo della sua tazza. Stava prendendo tempo.

“Posso avere il tuo… il tuo numero di telefono? Di cellulare, intendo.” Lo disse con un tono di voce talmente basso e con un’aria tanto intimorita che per poco Blaine non si buttò attraverso il tavolo, per abbracciarlo stretto. Invece annuì.

“Kurt, ma sicuro che puoi averlo. Non ci avevo nemmeno pensato.”

Allungò la mano, con il palmo verso l’alto, e l’appoggiò sul tavolo; quando Kurt la guardò con aria perplessa, Blaine mosse le dita, come per sottolineare la sua richiesta. Apparentemente non servì a nulla, perché Kurt si limitò a sbirciarsi intorno imbarazzato, mordendosi un labbro.

“Non so se è il caso…” mormorò piano. Stavolta fu il turno di Blaine ad assumere un’espressione confusa: che cosa aveva capito quel ragazzo? Ma Kurt riprese a parlare, così non disse nulla. “Insomma, non è prudente prenderci per mano, in pubblico… a me piacerebbe, ma non credo che sia opportuno.” Se possibile, lo disse con voce ancora più sottile.

“Il tuo cellulare, Kurt. Voglio solo il tuo cellulare per digitare il mio numero, nient’altro.” Gli rispose divertito.

“Oh.”

Il viso di Kurt era qualcosa di straordinario: riuscì a sembrare deluso e imbarazzato insieme, mentre con una mano recuperava il telefono dalla tracolla e lo passava a Blaine. In quello scambio, il professore lo prese piano per il polso, strofinando il pollice contro la pelle, appena sopra il bordo della camicia; si chinò appena verso di lui e gli tolse il telefono di mano.

“Se potessi, ti terrei la mano perfino durante la lezione. Anzi, se potessi non farei lezione del tutto… ti porterei al cinema.” Kurt sorrise. “E’ stupido, non è vero? E’ solo che dopo ieri sera è davvero difficile non passare tutto il tempo a guardarti.”

“Non è stupido. Anche io ho pensato la stessa cosa.” Lo rassicurò.

Solo che non era coinvolto un cinema. Solo te, io e una sala professori poco frequentata.

Blaine digitò rapidamente il suo numero sullo schermo e lo guardò: “Sotto che nome posso salvarmi?”.

“Credo che Blaine sia più che sufficiente.”

Aggiunse il suo nome e fece partire una telefonata. Un trillo sommesso proveniente dal suo giaccone fu la conferma di aver fatto tutto per bene: “Poi salverò anche il tuo nella mia rubrica.”

“E' ufficiale, allora.” sancì Kurt. “Anche se ci sarebbe un'altra cosa.”

Blaine mandò giù il suo sorso di cappuccino e lo guardò interrogativo, inclinando la testa di lato. Perchè Kurt stava arrossendo e abbassando lo sguardo?

“Io mi stavo chiedendo... scusami, non sono bravo in queste cose.”

Lui sorrise incoraggiante. Ormai i momenti più imbarazzanti erano andati, non temeva più nulla.

“Davvero non sei mai stato il ragazzo di nessuno? Mi sembra così strano.”

La domanda di Kurt lo allontanò dall'immagine di Sebastian che lo legava a una sedia cercando di farlo ragionare. O a lui e Kurt che studiavano in biblioteca, gomito contro gomito, accarezzandosi pigramente, di tanto in tanto, la schiena.

“Sì, è vero. O meglio, ho avuto una specie di relazione, ma non è stata un successo. Quindi direi che sono single da sempre.”

“Non puoi dire sul serio.” Kurt era spiazzato. E incredulo.

“Perchè?”

“Voglio dire... chi si lascerebbe scappare un ragazzo come te? All'accademia devi aver fatto strage di cuori, per non parlare poi dell'università. Sei bellissimo, sei dolce e premuroso, sei intelligente e sei gay. Quale idiota potrebbe rispedire al mittende uno così? Nessuno.”

Blaine fece un sorriso amaro: ovvio che ad Harvard le cose erano più facili, ma non per uno come lui, così chiuso, sfuggente e schivo. Certo, di sesso ne aveva fatto parecchio, ma non aveva mai avuto nessuno che avrebbe potuto, o voluto per essere precisi, chiamare “il suo ragazzo”. Per sfogarsi, parlare o confidarsi aveva Sebastian e qualche vecchio amico della Dalton, non aveva mai avuto bisogno di nessun altro. Almeno, non finchè aveva incontrato Kurt e aveva scoperto bisogni che credeva di aver seppellito anni prima. E aveva capito di essere sempre stato in attesa, inconsapevolmente alla ricerca.

“Va bene... abbiamo promesso trasparenza, giusto? E questa tua domanda ci porta a uno dei prossimi due argomenti all'ordine del giorno.”

“E quali sarebbero?” Kurt aggrottò le sopracciglia.

“Uno è Dave Karofsky. E l'altro è Sebastian.”

“Sebastian, il tuo amico di Harvard?”

“Sì, proprio lui. Siamo un po' più che amici, in verità. Credo che sia stato la cosa più simile a un fidanzato che abbia mai avuto e anche ora è una parte importante della mia vita. E non era esattamente pazzo di felicità, quando ha capito che mi... ecco, che stavo iniziando a provare qualcosa per te.Nel suo colorito modo di esprimersi, ha esternato più volte le sue riserve.”

“Ah. Ora capisco perchè mi ha quasi minacciato di morte alla vigilia di Natale, quando ci siamo incontrati al supermercato. Che dolce.” commentò Kurt con aria sarcastica, facendo una smorfia.

“Ti ha... COSA?” Blaine affondò il viso tra le mani. “Ci vorrà altro caffè, per arrivare vivi a stasera.”

"Perchè, cosa succede stasera?"

"Ti porto fuori, ovvio."

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo diciottesimo ***


Capitolo diciottesimo


Erano rimasti a parlare fino alle sette di sera, chini l’uno verso l’altro e terribilmente tentati di toccarsi. Anche solo una mano. Un polso. Per loro sarebbe stato abbastanza.

Per altri sarebbe stato troppo.

Parlarono della NYADA, della scuola, dei Warblers e di Harvard. Forse perché avevano promesso franchezza, forse perché Kurt gli sembrava ancora più attento e disponibile del solito, ma Blaine parlò anche di sé. Non disse perché si era trasferito alla Dalton e non raccontò nei dettagli la sua relazione passata con Sebastian: cosa avrebbe pensato di lui? Kurt avrebbe pensato che era stato un codardo a fuggire via dal suo vecchio liceo, quando lui invece combatteva ogni giorno per difendere la sua libertà di essere chi voleva. Avrebbe pensato che era stato un superficiale, per imbarcarsi in una relazione senza sentimenti, quando lui preferiva rimanere solo, piuttosto che cedere a compromessi.

Però condivise con Kurt i suoi sogni.

Oggi niente computer?” chiese Kurt, guardando le gambe di Blaine, dove si solito si trovava la sua tracolla e il cavo dell’alimentatore.

Oh no. Ho pensato che sarebbe stato scortese mettermi a lavorare, proprio oggi che dovevamo parlare di qualcosa di così importante. E poi… a volte mi chiedo perché spreco il mio tempo lavorando su quel saggio. Nessuno lo leggerà mai, eppure non riesco a smettere di lavorarci come un pazzo. È praticamente terminato e invece continuo a limarlo, correggerlo e ritoccarlo.”

Quando hai iniziato a lavorarci?”

Blaine si morse un labbro e abbassò le palpebre, mentre ci pensava: “Settembre. Non dell’anno passato. Ho cominciato a scrivere più di un anno e mezzo fa. Te l’ho detto, lo stavo preparando per la domanda di specializzazione alla Brown, andava presentato dopo aver superato la prima selezione.”

Spero che tu non mi reputi invadente se te lo chiedo, ma perché non hai più fatto richiesta di iscrizione? So che hai litigato con tuo padre ma… il nostro futuro è importante. Hai mai pensato di chiedere un prestito d’onore, o una borsa di studio?”.

Blaine sorrise amaro.

 ***

Maledizione Blaine! Non puoi mollare tutto così. Hai lavorato duro. E guardami quando ti parlo, mi fai sembrare un idiota.”

Nella stanza del dormitorio, Sebastian era in pigiama accanto a lui, urlando come un pazzo mentre Blaine disfaceva le valigie dopo essere tornato dalle vacanze di Natale in Ohio. Gli aveva appena detto che suo padre non avrebbe pagato i suoi studi alla Brown e che dopo la laurea, a Luglio, avrebbe cercato lavoro come insegnante, ma evidentemente il suo amico non era d’accordo.

Quando aveva chiesto perché suo padre aveva preso quella decisione, la risposta di Blaine non gli piacque affatto. La famiglia di Sebastian era decisamente facoltosa, ma entrambi i suoi genitori erano di mentalità aperta: dall’età di quattordici anni si era portato chiunque nella sua stanza e gli unici rimproveri che aveva ricevuto riguardavano il volume delle effusioni. Per il resto, i suoi genitori erano considerati delle specie di hippie dell’alta società, ma erano sufficientemente ricchi per convincere tutti che le loro bizzarrie potevano essere considerate capricci innocenti.

Non puoi permettergli di rovinarti la vita solo perché ti piace l’uccello, Blaine! È follia pura.” Come sempre quando era furioso, Sebastian aveva il viso paonazzo. Per attirare l’attenzione di Blaine, ficcò le mani in uno dei borsoni e iniziò a tirare fuori indumenti a casaccio, lanciandoli disordinatamente sul letto.

Sebastian, che cazzo fai?” aveva gridato, posando i calzini che aveva in mano e prendendolo per i polsi fino a costringerlo a fermarsi.

Non può Blaine, dobbiamo trovare un modo.” Aveva gli occhi pieni di lacrime per la rabbia e la voce rauca; a quella distanza, notò finalmente l'ombra violacea sulla guancia di Blaine. “Ti ha colpito, Blaine? L’ha fatto di nuovo, non è vero? Non gli è bastato il giorno del Ringraziamento, doveva rovinarti anche il Natale. Te l’avevo detto, se si azzardava ancora ad alzare…” Era più di un’ora che andava avanti a strillare, così Blaine lo costrinse a sedersi sul letto e si accucciò in mezzo alle sue gambe, poggiando il mento su una delle sue ginocchia, coperta solo dal tessuto sottile del pigiama.

Respira Sebastian. Chiudi gli occhi e respira.” Disse piano.

L’altro scosse la testa, facendo per alzarsi, ma Blaine lo spinse di nuovo sul letto, in mezzo ai vestiti sparpagliati ovunque. “Cosa ti hanno detto all’incontro, settimana scorsa?”

Che non posso avere il controllo su tutto.” Rispose l’altro controvoglia, ripetendo meccanicamente uno degli slogan del suo gruppo di ricostruzione e accettazione del sé. Dopo il suo ritorno dalla Francia era uscito faticosamente dallo stato catatonico in cui si trovava, ma più di un anno dopo lui e Blaine stavano ancora lavorando sulla sua tendenza a perdere le staffe; in lui c’erano ancora ferite profonde dovute a François, anche se ogni giorno sembrava stare meglio e avvicinarsi sempre di più all’essere sereno.

E cosa devi fare quando ti accorgi che c’è qualcosa che va oltre le tue possibilità d’intervento?” lo incalzò Blaine.

Ubriacarmi fino a sfiorare il coma etilico e farmi scopare finchè non cammino storto?” rispose canzonatorio e sarcastico. L’espressione seria di Blaine lo fece sospirare forte. “E va bene. Devo respirare, chiudere gli occhi e focalizzare.”

Forza Sebastian.” Blaine chiuse di occhi e fece un respiro profondo, così Sebastian lo imitò. Dopo un paio di minuti, sembrava essersi calmato e respirare normalmente.

Ho focalizzato.” Disse quando aprirono gli occhi.

Ah sì?” domandò incuriosito Blaine.

Sì, ho focalizzato che tuo padre è uno stronzo.” Disse scompigliando con la mano i riccioli di Blaine, ancora inginocchiato a terra e con la testa sulle sue gambe. L’altro ridacchiò piano, ma non lo contraddisse. “E’ troppo tardi per richiedere una borsa di studio, vero?”

Il silenzio di Blaine fu esplicito. Avrebbe dovuto muoversi con anticipo, ormai erano scaduti tutti i termini, neppure i professori che gli erano più affezionati avrebbero potuto aiutarlo in nessun modo.

Possono darti i soldi i miei genitori. Già ti adorano… possiamo fingere di stare insieme, non dobbiamo neanche fare sesso. Mia madre sarebbe così felice che firmerebbe assegni in bianco anche per farci comprare della cocaina. Figurati se le diciamo che è per la tua istruzione.” Propose Sebastian, pizzicandogli una guancia.

E’ troppo tardi, Sebastian. E poi comunque non li accetterei mai. Stai tranquillo. L’idea di insegnare mi è sempre piaciuta, sono certo che andrà tutto bene. Prenderò un minuscolo appartamento in affitto e terrò sempre libero il divano per te. E tutti i ragazzi che porterai a casa.” Provò a sorridere, ma non fu convincente. Sebastian abbassò lo sguardo verso di lui, sfregandosil pollice lungo la linea della mandibola, pensieroso.

A volte penso che se non fossi andato in Francia ora sarebbe tutto diverso. Possiamo innamorarci, Blaine? Per favore. Non andartene, troveremo una soluzione.” disse a voce bassa, sconfortato. Blaine lo guardò, voltandosi completamente verso di lui; Sebastian ritrasse la mano. Si scambiarono un sguardo intenso e Blaine si alzò in piedi, poi afferrò il viso di Sebastian e lo baciò sulla fronte. L’altro gli cinse le braccia intorno al corpo, quando dopo il bacio gli poggiò la guancia sulla testa.

Non si sarebbero mai innamorati, questo Blaine lo sapeva bene. E lo sapeva anche Sebastian. Tante volte aveva pensato che sarebbe stato più semplice innamorarsi di lui, ma sentirglielo dire ad alta voce era stato strano: si rese conto che nell’anno e mezzo che avevano trascorso insieme non avevano mai parlato davvero di quella possibilità.

Abbiamo perso la nostra occasione tanti anni fa, ma ci siamo ritrovati. Probabilmente doveva andare così. Siamo perfetti, come amici. Anche se vorrei che avessimo la stessa taglia di pantaloni, così potremmo scambiarci i jeans, non solo le sciarpe.” Sebastian rise, con il viso affondato nella casacca del pigiama di Blaine.

Quando si tirò indietro, era di nuovo se stesso. O meglio, il se stesso che mostrava più spesso, quello irriverente e sfacciato, mondano e promiscuo. Non spezzato, irascibile e bisognoso. Probabilmente nessuno dei due sarebbe stato in grado di gestire una possibile evoluzione amorosa del loro rapporto. A volte la fragilità sua e di Sebastian lo spaventava.

Spero per te che quel divano sia comodo, perché sarò il tuo quotidiano tormento, Anderson. E fanculo l’ordine, io e te andiamo fuori per una serata Smythe-style e non ho intenzione di sentirti dire di no. Ti voglio ubriaco marcio e avvinghiato a qualcuno su un cazzo di divanetto entro due ore. Alla tua carriera penseremo domani, nel frattempo andiamo a bruciare un po’ di neuroni e a scoparci qualche matricola figlio di papà.”

Sebastian?” disse mentre l’altro lo afferrava per una mano e lo trascinava fuori dalla stanza, dopo avergli lanciato addosso il cappotto. “Siamo in pigiama! Ed è Gennaio.”

Allora inizia a prepararti una bella storiella su un fantomatico pigiama-party, non vorrai arrivare al pub impreparato!”.

Risero, poi corsero giù dalle scale.

 ***

Durante il terzo anno, quando sono tornato a casa per Natale , mio padre mi ha presentato una delle sue giovani segretarie. A sua discolpa posso assicurarti che era molto carina e simpatica, ma ovviamente non ho avuto altra scelta che dirle di non essere interessato. Mio padre si è arrabbiato moltissimo e ha minacciato di non pagarmi più gli studi, sapendo che erano qualcosa cui tenevo moltissimo. Sperava di mitigare la mia cocciutaggine.”

Come se uno potesse decidere di non essere gay, se stimolato nel modo giusto.” Kurt fece uno smorfia.

Ho concesso a mio padre molte libertà, ma quella volta proprio non ce l’ho fatta ad assecondarlo. Quando prima di tornare ad Harvard gli ho mostrato la lettera della Brown che in tono entusiasta accettava la mia pre-iscrizione, si è limitato a chiedermi se avevo ricevuto anche una borsa di studio. Era definitivo, non avrebbe più scucito un dollaro… peccato che era troppo tardi per muovermi in altro modo.”

Pessima tempistica.” Commentò Kurt, con amarezza.

Già. Quindi a luglio mi sono laureato e ho cercato lavoro. Al McKinley cercavano un nuovo insegnante di letteratura e… eccomi qua. L'alternativa era insegnare educazione fisica in New Mexico e, per quanto io detesti l'Ohio con tutto il cuore, sinceramente non posso odiarlo più di Albuquerque.”

Davvero un'ampia scelta.”

E poi io non amo granchè lo sport... insomma, corro tutti i giorni e facevo boxe, ma non saprei insegnare altro a voi studenti. Con la letteratura è diverso, è ciò che amo.”

Un buon gioco di gambe, giusto? Io continuo a credere che tu e la boxe siate una strana accoppiata. Tennis, polo, lacrosse... quello sì. Ma la boxe mi fa uno strano effetto.”

Blaine fece un sorriso tirato e si strinse nelle spalle: “Parliamo invece di Dave, che forse dovrebbe sfogare le sue frustrazioni su un sacco e non su di te.”

E tu per che cosa ti sfogavi su quel sacco, Blaine?

 ***

Un ragazzo camminava lungo i corridoi della Dalton, fino ad arrivare a una delle stanze del secondo piano; Sebastian non avrebbe mai ringraziato abbastanza le segretarie per aver premiato gli ottimi voti e la condotta di Blaine con una stanza singola. Scivolò dentro senza accendere la luce, ma non ebbe il tempo di togliersi i pantaloni e la giacca che già Blaine aveva acceso la luce. Immobile, con la mano ferma su uno dei bottoni del cappotto, lo guardò strofinarsi gli occhi e scostare i riccioli dalla fronte.

Ti ho aspettato, questa sera. Avevi detto che avremmo guardato insieme un film nella sala comune.” mormorò, con la voce impastata dal sonno. Sebastian sorrise e si strinse nelle spalle con aria disinteressata, poi riprese a spogliarsi.

Sono andato allo Scandal. Avevo bisogno di staccare un po'.” disse dopo aver ripiegato i pantaloni sulla scrivania di Blaine ed essersi avvicinato di nuovo al letto. Blaine lo guardava perplesso, troppo assonnato per aver voglia di discutere. Si infilò sotto le coperte con addosso soltanto i boxer e avvolse l'altro in un abbraccio che puzzava di birra scadente e sigarette. Lasciò un bacio sulla spalla di Blaine e spense la luce.

Dormiamo, domani c'è il compito di scienze.”

Blaine chiuse gli occhi e quando si risvegliò con un gemito il mattino successivo, le mani di Sebastian stavano frugando lente nei pantaloni del suo pigiama. E quando a pranzo litigò al telefono con suo padre, pensò che forse aveva ragione: “Non puoi essere gay, Blaine. Sarai per sempre solo.”.

Le nocche delle mani bruciavano contro il sacco, mentre un pugno dopo l'altro si addossava ogni colpa: era colpa sua se sua madre beveva e suo padre era sempre arrabbiato. Avrebbe dovuto essere più intraprendente, più forte, pù resistente...

Era colpa sua se Sebastian lo lasciava sempre solo.

Era colpa sua se era scappato dal suo vecchio liceo.

Codardo

Un pugno.

Vigliacco

Un pugno.

Debole

Un pugno.

Almeno quello sapeva farlo bene.

 ***

Non era di lui che stavano parlando, ma di Dave Karofsky.

Oggi l'ho salutato nel corridoio... sorprendentemente non ha apprezzato la mia iniziativa e ora ho una spalla tutta indolenzita. Tu l'hai incontrato, sei riuscito a farlo ragionare?”.

Sì, ma non credo che abbia intenzione di fare coming out molto presto. Almeno, non in questo secolo. Proverò a parlargli ancora, ma tu devi stargli il più lontano possibile.”

Kurt lo guardò sorpreso e preoccupato insieme: “Ha capito che ti ho detto del bacio. O gliel'hai detto? Non posso stargli più lontano di così... non è che io vada esattamente a cercarmeli, i guai.”

Lo so. È solo che... è bello incasinato, Kurt. Per ora sono stato molto sul vago, ma devi promettermi che se le cose dovessero degenerare me lo dirai. Non voglio che...” Blaine fece una pausa “... non voglio che la situazione ti sfugga di mano. So come la pensi sul fare la spia e parlare con il preside, però nell'ultimo periodo sta punendo molti più atti di bullismo di quanto non abbia mai fatto prima.”

Perchè tu gli porti studenti colpevoli in ufficio, ecco perchè. Non appena smetterai di farlo, lui smetterà di preoccuparsene.” rispose Kurt. “E' frustrante, perchè lo fai?”

Tu lasciami fare il mio lavoro, Kurt. E promettimi che se le cose dovessero farsi... intense, me lo dirai e mi permetterai di prendere provvedimenti.”

Io voglio solo andarmene via, Blaine. Dimenticarmi di tutto e di tutti... non voglio sprecare il mio tempo per...” Provò a resistere.

Promettimelo, Kurt. È importante.”

Va bene. Te lo prometto.” Annuì serio. In fondo le cose non sarebbero potute andare peggio di così, promettere a Blaine di avvisarlo del contrario era semplice; Kurt era convinto che la sua situazione si sarebbe difficilmente aggravata.

 ***

Frocio schifoso. È il ballo della scuola e tu l'hai rovinato. Esibizionista del cazzo.”

Una calcio nell'addome, quando era già a terra con la bocca piena di sangue. Blaine sentì la costola rompersi e il dolore espandersi fino alla gola, soffocando ogni tentativo di chiamare aiuto. O di supplicare pietà, forse.

La lingua gli corse su un dente. Sembrava allentato. Stupidamente, pensò agli anni passati con il filo interdentale in mano, in piedi davanti allo specchio, alle pulizie dentali e al sentirsi in colpa ogni volta che beveva caffè o mangiava una gelatina di frutta. Chissà cosa avrebbe detto il dottor Roberts, quando glielo avrebbe sistemato.

Danny era sdraiato accanto a lui, con un occhio tumefatto, un labbro spaccato e l'aria stravolta. Respirava con colpi brevi e secchi, un suono sibilante ogni volta che l'aria usciva tra i denti sporchi di sangue: collasso del polmone, dissero poi in ospedale. Non lo disse quella sera e non lo disse mai in seguito, ma Blaine sapeva che trovava la sua idea di andare insieme al ballo stupida, rischiosa e un po' esibizionista.

Checche!”

Vedere Danny incassare un calcio in pieno petto fu quasi più doloroso che riceverne un paio a suo volta. Rimasero esanimi, sdraiati in quel parcheggio, finchè una ragazza del secondo anno non li vide e chiamò un'ambulanza. Si chiamava Cathy. Blaine avrebbe tanto voluto ringraziarla, ma non trovò mai il coraggio di tornare in quella scuola, una volta uscito dall'ospedale. Scrisse un biglietto per lei e lo tenne nella tasca della divisa per mesi, finchè una volta non lo dimenticò nel taschino e spedì la giacca in lavanderia: quando tornò, il suo ringraziamento era ridotto a un grumo informe e biancastro. Lo gettò via.

Sdraiato in quello stupido letto, con mille tubicini che correvano lungo e dentro le sue braccia, aveva risposto stentatamente alle domande incalzanti della polizia.

Chi erano Quanti erano Cosa hanno detto Chi hanno colpito per primo Quanti hai detto che erano Li avete provocati Perchè non siete andati via subito Perchè siete andati al ballo insieme Avete amoreggiato in pubblico Perchè vi hanno seguito fuori

Danny se la caverà, ma non vuole vederti.”

Non avrebbe mai scordato l'espressione di suo padre, in piedi sulla soglia della stanza, l'odore di disinfettante e il retrogusto di sangue sulle labbra: le ferite si riaprivano ogni volta che provava a parlare. Quasi provava soddisfazione nel sentire i lembi scollarsi e l'umido del sangue colare piano lungo il mento: era un sopravvissuto, non avrebbe più avuto paura.

Perchè?” domandò, senza curarsi di tamponare la ferita.

Perchè è colpa tua, Blaine. È tutta colpa tua. Se non avessi voluto fare di testa tua come al solito, tutto questo non sarebbe successo... pensavo che farti scrivere con un pennarello sulla fronte ti avesse insegnato che certe particolarità è meglio tenersele per sé. Perchè non ce l'hai detto che la situazione era tanto grave? Ti avremmo trasferito in un'altra scuola, saresti stato al sicuro.”

Blaine chiuse gli occhi e affondò la testa nel cuscino: spintoni, pugni sulle spalle, scritte sui muri, pettegolezzi, biglietti nell'armadietto e parolacce, in continuazione. L'aveva detto. L'aveva detto continuamente a tutti, ma nessuno aveva mai pensato che le cose potessero andare peggio. Forse non l'aveva pensato nemmeno lui.

La vita faceva schifo. E forse era un po' anche colpa sua.

 


 

Rassicurato, Blaine picchiò soddisfatto il palmo della mano sul tavolo.

Bene. E ora, vogliamo andare?” disse alzandosi e iniziando a infilarsi il cappotto “Dobbiamo fermarci in un posto, poi abbiamo un po' di strada da percorrere.”

Aspetta... per che ora torneremo a casa?” domandò Kurt, cominciando a vestirsi a sua volta. Blaine gli aveva detto che l'avrebbe portato fuori quella sera, ma non aveva aggiunto alcun dettaglio. “Non so nemmeno se sono vestito nel modo adatto.”

Non torneremo tardi. Le undici, mezzanotte al massimo. Hai il cappotto, la sciarpa, i guanti e il berretto, al resto ci penso io.” Uscirono insieme dalla caffetteria e cominciarono a camminare verso il parcheggio.

Devo avvisare a casa. Posso dire che ti ho incontrato in caffetteria e stiamo andando insieme a una conferenza, o qualcosa del genere? Almeno i miei non si preoccupano, sai... sei un professore. E questa è una sera in settimana.” Kurt arrossì. Si sentiva un ragazzino.

Uh... ok? Non ci avevo pensato. Ormai sono anni che non devo chiedere il permesso a nessuno per uscire la sera. Chiamali.” Blaine gli diede una pacca sulla spalla come incoraggiamento. La stessa che ricevette da Kurt, quando Burt chiese di parlargli al telefono.

Pronto? Buonasera, signor Hummel.” disse con la voce più professionale che aveva in repertorio. “Sì, ho incontrato Kurt al Lima Bean e per caso gli ho detto di questo Meet&Greet a pochi chilometri fuori città. È un'occasione imperdibile e Kurt ha insistito molto per accompagnarmi... Sì, per mezzanotte al massimo. Certo... ah, ok. Bene. Buonasera signor Hummel.”

Blaine fece un lungo sospiro e passò il telefono a Kurt, che ringraziò il padre e chiuse la telefonata. “Non farlo mai più... avvertimi prima!” si lamentò facendo passare il braccio dietro la schiena di Kurt e avvicinandoselo mentre camminavano. “Sono una persona orribile. Orribile.”

Mentre Blaine continuava a ripeterlo, Kurt ridacchiò stringendosi appena a lui. Era stato così spontaneo che l'abbracciasse.

Andiamo... non è che mi stai portando in un bosco per una messa satanica e poi farmi in mille pezzi, o sbaglio? E' una piccola, innocente, bugia. Non fa male a nessuno.” lo rassicurò Kurt. Nel sentir nominare il bosco, per poco Blaine non scoppiò a ridere.

Dove andiamo?” chiese Kurt, seduto al lato del passeggero.

Vedrai.” Blaine mise in moto e iniziò a guidare fuori Lima. Si fermò solo davanti a una specie di bistrot biologico, dove acquistarono dei bagels e riempirono un thermos di cioccolata calda. Dopo quasi mezz'ora di viaggio Kurt smise di fare domande e si accoccolò sul sedile, sbocconcellando il bagel e giocherellando con la radio. Fu quando si accorse che Blaine stava percorrendo una ripida strada molto buia che riprese a tempestarlo di domande: “Blaine, quando parlavo del sabba e dei boschi stavo scherzando. Davvero, non c'è bisogno di farmi a pezzi, ti prometto che non dovrai mai più parlare al cellulare con mio padre.”

Blaine si voltò verso di lui e gli prese la mano: “Stai tranquillo, siamo quasi arrivati.”

Improvvisamente, la strada si fece dissestata e a Kurt sfuggì un piccolo urlo spaventato, che tentò di nascondere portandosi la mano alle labbra. Quando vide dove erano arrivati, scese dall'auto guardò davanti a sé, affascinato. Apparentemente avevano scalato un'alta collina ed erano arrivati in una radura affacciata su uno strapiombo: le luci della città erano lontane, intorno a loro solo alberi scuri, neve intonsa e il cielo.

Si girò verso Blaine, che stava armeggiando nel bagagliaio: ne riemerse con una spessa coperta di pile, che aprì e stese sull'ampio cofano dell'auto. Lo fissò con cura e poi ci saltò semplicemente sopra con un elegante balzo: nel giro di pochi secondi, era sdraiato sull'auto, con la schiena contro il cristallo anteriore e il resto del corpo steso sul cofano caldo.

Che aspetti? Vieni Kurt!”

Kurt gli lanciò un’occhiata scettica, calpestando incerto la neve mentre tornava vicino all'auto: “Non credo di essere capace. Non l’ho mai fatto prima…”

Sciocchezze. Ecco dai, sdraiati qui accanto a me, ti tengo io.” Blaine gli allungò la mano e lo afferrò saldamente per l'avambraccio, tirandolo vicino a sé.

E se scivolo?” disse aggrappandosi al cappotto di Blaine, che sembrava sorprendentemente tranquillo e confortevole.

Non scivolerai. E poi anche se fosse non puoi finire tanto lontano, no?” Lo rassicurò.

Il ragazzo alzò appena il collo, senza lasciare il tessuto che stringeva tra le dita, e controllò: Blaine aveva ragione, al massimo era una caduta sulla neve, non l'avrebbe di certo ucciso.

Tu.” disse, quando finalmente trovò una posizione sicura, con le gambe contro quelle di Blaine e la testa incastrata contro la sua spalla. Aveva alzato lo sguardo e aveva capito perchè quel posto era assolutamente speciale: il cielo era completamente sgombro e nel gelo invernale aveva assunto una tonalità di blu sognante e surreale. Era tempestato di migliaia di stelle.

Io cosa?” rispose divertito Blaine.

Tu mi hai portato a vedere le stelle. Sei almeno reale?” chiese continuando a guardare in alto, senza fiato. Se qualcuno, anche solo un mese prima, gli avesse detto che si sarebbe trovato sdraiato abbracciato a un ragazzo bellissimo sul cofano della sua auto, per guardare il cielo stellato, Kurt gli avrebbe chiesto se scherzasse. E invece era tutto vero: c'era perfino la cioccolata calda, che fumava pigramente dal bicchierino di plastica spessa che teneva in mano.

Certo che lo sono!” rispose Blaine, fingendosi offeso. Si fece subito serio. “Le cose si faranno difficili, prima o poi, Kurt. La telefonata con tuo padre è stato solo un piccolo assaggio del casino in cui ci stiamo cacciando... se non possiamo stare insieme alla luce del sole, ci meritiamo almeno un po' di romanticismo. E un cielo pieno di stelle da guardare.”

Nell'udire quelle parole, Kurt si mosse con cautela fino a voltarsi verso di lui. Era buio, riusciva a intravedere a malapena i contorni del viso di Blaine, ora che i fari e l'illuminazione dell'abitacolo erano spenti. Forse fu l'oscurità a renderlo tanto audace, ma non ebbe paura di chinarsi verso di lui senza chiedere il permesso.

Quando si baciarono, sentirono cioccolata, desiderio e un pizzico di felicità. Più di prima.

Perchè se non potevano avere il sole, avevano comunque migliaia di stelle.

 

 

Nda

Buonasera! Vi rubo un momentino, sempre che non abbiate già chiuso la pagina dopo la lettura.

Volevo solo avvisare che il capitolo 17 è stato modificato venerdì ed è per questo che non ho aggiornato. Se non l'avete ancora letto, sappiate che i cambiamenti sono proprio sfumature, ma ci volevano.

Poi volevo ringraziare tutti coloro che hanno supportato i miei scleri via facebook e via messaggio qui su EFP.

Poi volevo ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto la storia nei preferiti. Vedere questa storia scavalcare "Un'estate da ricordare" è stato uno shock. Uno shock positivo, ma pur sempre uno shock: un po' come scoprire che il nuovo fidanzato è più bravo del fidanzato storico con cui sei stata per una vita. Ho reso l'idea? Sicuramente no, ma pazienza.

Poi volevo ringraziare tutti coloro che su FB seguono tutte le cavolate che pubblico. Con voi non mi sento mai sola. E se trovo un cd di Glee a 1.90 euro ho anche qualcuno a cui raccontarlo.

La pagina FB è a questo indirizzo http://www.facebook.com/pages/Lievebrezza-EFP/237960512916776


E poi... vi ringrazio perchè è bellissimo avere così tante persone da ringraziare!

Un abbraccio, LieveB



 


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Capitolo 19
*** Capitolo diciannovesimo ***


Spero che questo capitolo vi piaccia di più del precedente... mi scuso per le recensioni in sospeso, ma sono agli scoccioli con la redazione della tesi e non faccio altro che correre da una biblioteca all'altra, ultimamente.

Rimedierò. Giuro.

Magari con una OS sporcellosa? sì, sto cercando svergognatamente di riguardagnarmi il vostro affetto.  E poi, credo che i miei cupcakes fallici siano segnale dell'universo: devo scrivere una smut. E' tempo.

Ps. Se non avete visto i cupcakes fallici, fate un salto sulla mia pagina FB

Capitolo diciannovesimo


“Kurt… si sta facendo tardi. Dobbiamo andare.” Bofonchiò Blaine contro le labbra di Kurt, tra un bacio e l'altro, con poca convinzione. Il ragazzo si allontanò appena e gli appoggiò la testa sul petto, strofinandosi languido.

“Restiamo ancora un pochino, ti prego, non voglio andare a casa. Non voglio che sia domani. Beviamo dell’altra cioccolata, raccontami ancora del tuo viaggio a New York. Sei andato a teatro?”

Blaine sospirò sonoramente, fingendosi esasperato.

“Vediamo… sì, ci sono andato. Sebastian si è lamentato tutto il tempo, una seccatura pazzesca.”

“Perché, non gli piaceva lo spettacolo?”

“Oh no… è solo che io ho insistito per acquistare dei biglietti scontati in uno di quei botteghini fuori dal teatro e solo quando siamo entrati abbiamo scoperto che anche se è uno spilungone, le mie gambe corte vanno più veloci delle sue.” spiegò in modo criptico.

Kurt corrugò le sopracciglia, perplesso; così Blaine finì di raccontare: “Uno dei due posti era dietro una colonna… e se l’è beccato lui. Per arrivare prima alla poltrona migliore l’ho praticamente scavalcato, ci ha impiegato settimane a perdonarmi.”

L’altro rise della sua audacia e il trillo allegro delle loro chiacchiere riempì il silenzio della notte.

Quando la cioccolata finì e il gelo cominciò a penetragli le ossa, a entrambi dispiacque ammettere che rischiavano di morire di freddo, se fossero rimasti anche solo altri cinque minuti sdraiati sopra quel cofano. Kurt scivolò giù e iniziò a piegare il plaid con cura, mentre Blaine riponeva il thermos nella portiera: si mossero con calma, con le dita intirizzite, poi salirono sull’auto.

“Sebastian si è incontrato ancora con quel ragazzo del supermercato?” chiese Kurt, mentre scendevano lungo il sentiero sconnesso che riportava alla strada principale. Blaine annuì, anche se non era del tutto certo che l’amico avesse di nuovo visto Eric, dopo Natale. Di certo aveva passato le vacanze sussurrando al telefono e aveva detto di no a delle avances davvero molto esplicite: al vecchio Sebastian bastava un’occhiata per partire in quarta e Blaine non aveva potuto impedirsi di notare il cambiamento.

“Credo che si siano sentiti ancora. Adesso Sebastian è ad Harvard, quindi credo che sia altamente probabile che stia vedendo altre persone. Se capisci cosa intendo.” Per sottolineare il concetto mimò delle virgolette con le dita quando pronunciò “vedendo”.

Kurt lo guardò confuso, così Blaine aggiunse altri dettagli.

“Diciamo che la vita sessuale di Sebastian è molto...variopinta. Come un arcobaleno dai mille colori, solo che invece dei colori... ci sono ragazzi. Tanti.” scosse la testa in allegro compatimento, così notò l'espessione inorridita, imbarazzata e contrita di Kurt.

“Una volta ho provato a guardare uno di quei filmacci.” disse in un fiato di voce “Il sesso è... oddio. A me piace il romanticismo, mi piacciono i musical, sfiorarsi le dita, guardare le stelle. Quello... quello era orrible.” scosse con forza la testa.

“Kurt, dimmi che non stiamo davvero avendo questa conversazione.” commentò Blaine, imbarazzato. Avrebbe voluto dirgli che stava sbagliando, che il sesso era divertente, liberatorio e piacevole, ma sapeva che avrebbe reso le cose solo più imbarazzanti.

“No. La discussione si chiude qui, Parliamo dell'ultimo numero di Vogue.” Blaine gli fu grato del cambio d'argomento, ma continuò a pensare, durante tutto il viaggio, che forse c'era un problema. Non si era mai concesso il lusso di immaginare lui e Kurt in qualcosa di più spinto di uno strusciamento o di un bacio, ma ora era perplesso: non perchè sperava di arrivare al dunque e le convinzioni di Kurt fossero un ostacolo, ma perchè non era equilibrato avere un'idea tanto disgustata del sesso.

Si baciarono a diversi semafori di distanza dalla casa di Kurt, per non rischiare di farsi vedere dai suoi vicini, o peggio da suo padre, mentre pomiciavano con l'auto accostata nella sua strada.

“Ci vediamo domani a scuola.” salutò Kurt prima di correre via, felice, lungo il vialetto.

“Già. A scuola.” Blaine riavviò l'auto e si diresse verso il suo appartamento, con il sapore di Kurt ancora sulle labbra.

 


 

Il giorno successivo Kurt era in piedi davanti a una delle bacheche e stava chiacchierando animatamente con Mercedes. Era spensierato, di buon umore e su di giri come mai da settimane: l'amica l'aveva notato e l'aveva minacciato di pizzicarlo a morte se le avesse confessato, durante la pausa pranzo, il motivo di tanta allegria.

“Ora vado a lezione, ma poi facciamo i conti.” Lui le fece una linguaccia, poi tornò a leggere gli annunci. Non si accorse di Karofsky finchè non fu in piedi accanto a lui e continuò a canticchiare sottovoce.

“Ehi, fatina.” Il tono freddo, controllato e diverso dalla solita spacconeria con cui era solito rivolgergli la parola gli gelò il sangue. Si voltò lentamente, trovandosi il viso di Karofsky poco distante dal suo, di nuovo. “L'hai detto a qualcuno?”

Kurt negò, scuotendo il capo con decisione.

“Bravo. E ricordati bene... se te lo fai sfuggire, giuro che ti ammazzo. Se affondo io, affondi anche tu, fosse anche l'ultima cosa che faccio. Sei morto, hai capito?”.

Uno spintone e se ne andò, mentre il mondo di Kurt andava di nuovo a pezzi.

 


 

Blaine stava riordinando gli appunti che aveva usato per l'ultima lezione quando si aprì la porta della classe e un uomo entrò con passo sicuro; lo riconobbe immediatamente. Era l'uomo del supermercato. Era il padre di Kurt.

Che diavolo ci fa qui?

Raddrizzò la schiena, ricordandosi che in un luogo pubblico non avrebbe mai potuto fargli del male.

“Buongiorno signor Hummel, giusto?”

Burt, con il berretto stretto nella punta delle dita, annuì serio.

“Ho pensato che forse il nostro incontro al supermercato non poteva essere considerato un vero e proprio colloquio scolastico, così ho lasciato uno dei miei assistenti in officina e sono venuto qui.”

“Bene, ho giusto un'ora libera prima della prossima lezione. Prego, si accomodi.” Gli indicò con un cenno uno dei banchi della prima fila e fece strada, sedendosi a sua volta. Ci aveva pensato a lungo e aveva deciso che era inutile sedersi dietro la cattedra, durante gli incontri con i genitori.

Sorrise quieto, mentre una tempesta di pensieri gli stava letteralmente sconvolgendo il cervello.

Ieri ho baciato suo figlio, mentre eravamo sdraiati sul cofano della mia aiuto.

Al buio.

In mezzo a un bosco.

So che può suonare strano, ma io davvero...

Burt tamburellò le dita sul tavolo e interrupe il flusso di coscienza in cui Blaine si era immerso.

“E' un bravo ragazzo.” disse semplicemente. Blaine lo guardò confuso e sorpreso: nessuno aveva mai messo in dubbio che Kurt lo fosse. Il problema al massimo era che Blaine lo trovava irresistibilmente straordinario.

“Signor Hummel, credo che nessuno in questa classe potrebbe mai metterlo in dubbio.”

“So che chiedere un occhio di riguardo sarebbe ingiusto, ma lei ha magari qualche suggerimento da darci, qualche dritta prchè i suoi voti migliorino? A casa davvero non sappiamo più come prenderlo e si sta avvicinando il momento di fare domanda ai college.” rispose Burt, speranzoso.

“Ma... non capisco. Kurt ha dei voti ottimi e ha presentato un curriculum entusiasmante alla NYADA, perchè vi preoccupate?” domandò perplesso. Davvero non riusciva a capire la preoccupazione di Burt, che ora stava sollevando un sopracciglio e lo stava fissando.

“Non so parlando di Kurt.” disse secco.

Il professore inclinò la testa di lato, poi, improvvisamente, l'illuminazione.

L'altro figlio, idiota che non sei altro.

“Ah! Finn Hudson. Certo. Mi scusi, a volte la differenza di cognome di fa dimenticare Finn e Kurt sono fratellastri.” rispose, con fin troppo entusiasmo.

“Quindi...” Burt lo invitò a continuare il discorso.

“Quindi... Ha perfettamente ragione, Finn è un bravo ragazzo e ha delle potenzialità che al momento non sta affatto provando a sviluppare. In classe è pigro, distratto... non ascolta e spesso consegna con ritardo i suoi compiti scritti. E quando sono puntuali sono copiati da internet. Non so se è mancanza di volontà o di tempo, ma sicuramente potrebbe far di più e io sarei pronto a premiare un suo sforzo.”

Burt annuì in silenzio, pensieroso.

“Ma io questo sforzo devo vederlo, signor Hummel. Finn potrebbe anche prendere una B entro la fine dell'anno, ma ho bisogno di vedere della buona volontà da parte sua.” intrecciò le dita e l appoggiò sul banco. “Magari Kurt potrebbe aiutarlo, oppure...”.

Blaine prese la sua borsa, appoggiata a terra accanto alle sue gambe, e sfilò un foglio da un raccoglitore. Lo lesse per un istante, come controllando di aver preso quello corretto, poi lo girò e lo porse a Burt.

“... oppure potreste controllarlo un po' di più. Questo è l'elenco dei compiti dei prossimi due mesi, con le relative scadenze. Potreste usarlo per verificare che almeno si degni di consegnare in tempo ciò che gli viene richiesto, sarebbe già un passo avanti. E magari potreste togliere la connessione internet dal suo computer, così sarebbe costretto a fare le ricerche in biblioteca, su libri veri.”

Bur buttò lo sguardo sulle parole fitte del foglio che teneva in mano e fece una smorfia riconoscente. Lo sollevò appena: “Grazie.”

“E' un piacere, signor Hummel. Da parte mia, posso dirle che Finn può ritenersi libero di chiedermi qualunque chiarimento e sono pronto ad apprezzare con generosità ogni suo futuro miglioramento.”

Sorrise fiducioso, mentre Burt ripiegava il foglio e lo ficcava nella tasca del giubbotto.

“Bene. E ora, vorrei sapere dove siete andati esattamente, lei e mio figlio ieri sera.”

“L'altro figlio, giusto?”

“Già.”

“Siamo andati in una libreria di Westerville. Ci siamo incontrati al Lima Bean e quando ho detto a Kurt dove sarei andato dopo aver bevuto il caffè, ha insistito per accompagnarmi.”

“Mmm...” Il grugnito di disapprovazione di Burt giunse chiaro e forte alle orecchie di Blaine, che non aggiunse altro. “Mi ha sorpreso la telefonata di ieri sera. Kurt non è il tipo di ragazzo disposto a dare fiducia a chiunque e difficilmente esce la sera, soprattutto in settimana. Gli abbiamo dato il permesso solo perchè era con lei, ma onestamente ci è parsa una richiesta... insolita.”.

Blaine fece un sospiro, poi lo disse: “Signor Hummel, devo confessarle una cosa. Ieri sera non è stata la prima volta che io e Kurt ci incontravamo al Lima Bean. È per questo che non si è fatto tanti problemi nell'accompagnarmi a Westerville.”

Ok, l'aveva detto. Non aveva detto proprio tutto, ma di certo era già abbastanza. Burt sbattè le palpebre, come se non riuscisse ad afferrare il senso di quello che Blaine aveva appena detto.

“Come prego?” chiese incredulo.

“E' da inizio dicembre che io e Kurt passiamo del tempo insieme in caffetteria, dopo le sue lezioni di piano. Parliamo, leggiamo il giornale...” provò a spiegare.

“E a lei questa sembra una cosa normale? Perchè Kurt non me l'ha detto e me l'ha nascosto per tutte queste settimane? Quando arrivo a casa oggi...”

“Ascolti, Kurt è un ragazzo straordinariamente forte, entusiasta e determinato, ma aveva bisogno di qualcuno con cui parlare liberamente e il caso ha voluto che quella persona fossi io.” Blaine sapeva di averlo interrotto, ma Burt lo lasciò parlare. “A volte essere l'unico ragazzo gay in una scuola può essere difficile da vivere e avere qualcuno che ha vissuto la medesima esperienza può essere una benedizione, soprattutto se è disposto ad ascoltarti senza giudicardi e considerarti un piagnone, una vittima o un codardo.” La voce gli si incrinò appena sulla fine del suo discorso, ma almeno servì a catturare tutta l'attenzione di Burt.

Blaine poteva leggergli la domanda negli occhi.

“Quindi lei...”

“Sì, signor Hummel, sono omosessuale. Kurt l'ha saputo mesi fa, per caso. Sempre per caso un giorno ha perso l'autobus dopo le lezioni di piano e si è seduto con me perchè non c'erano posti liberi. Ho scoperto di essere un buon ascoltatore e ho voluto aiutarlo a sfogarsi. La prego però di non divulgare questo dettaglio della mia vita privata, dato che al momento a scuola sono davvero poche le persone che lo sanno.”

“Non le sembra sconveniente frequentare uno studente fuori dalla scuola?” chiese Burt.

“Se invece di incontrare me, Kurt avesse preso il caffè con la Pillsbury, avrebbe pensato lo stesso che voleva fare qualcosa di male? Solo perchè sono gay devo essere malintenzionato?” domandò schietto.

“Un momento, io non ho mai detto questo. Sono il papà di Kurt, si ricorda? Mi sembra che alla vigilia di Natale in quel supermercato sono stato quello che ha difeso il suo amico da Emmett, quindi per cortesia, non mi insulti.”

Blaine tacque, imbarazzato. Aveva ragione, ma ormai non poteva più rinunciare a Kurt, né aveva intenzione di farlo.

“Ha ragione, le chiedo scusa. E' solo che Kurt merita di essere felice e se nel mio piccolo posso contribuire non ho intenzione di tirarmi indietro. Gli voglio bene, signor Hummel, questo non posso negarlo, e se pensassi che passare del tempo con me lo danneggi, avrei smesso da tempo.”

Il padre di Kurt si grattò la testa, mentre rielaborava a lungo quello che Blaine gli aveva appena detto. Tutti a casa avevano notato un cambiamento in Kurt, che sembrava proprio risalire a dicembre; si chiese se fosse stato davvero Blaine a contribuire alla fine di quei mesi grigi.

“Il ragazzo al supermercato... è il suo fidanzato?” chiese improvvisamente in tono schietto.

“Come? Sebastian, intende? No... no. È un amico di lunghissima data che spesso rimane a casa mia, ma non è niente di più che un caro amico.” Involontariamente ripensò alla conversazione con Kurt della sera precedente, mentre rientravano in auto.

“Mmm...” Burt annuì e si appoggiò il mento contro le nocche. “Kurt è andato diverse volte a casa del professor Shue e non ho mai avuto niente in contrario. Finn sarà anche il suo testimone di nozze. Quando era nei Cheerios è andato spesso a casa della Sylvester, generalmente per farsi insultare.”

Blaine non capiva quale fosse il punto cui mirava Burt, ma rimase in paziente attesa.

“Quindi non vedo perchè qualche caffè con lei dovrebbe fare la differenza, soprattutto se l'effetto è quello di non avere un figlio inappetente, scontroso e demoralizzato. Quello che mi dispiace è non averlo saputo da subito e le sono grato di avermelo detto, seppure con un considerevole ritardo.

Blaine non riusciva a credere alle sue orecchie e sgranò gli occhi.

“Io... grazie per la fiducia, signor Hummel.”

Si sentì di nuovo una persona orribile e seppe con certezza, proprio in quell'esatto momento, che sarebbe andato all'inferno.

“Mi fido del giudizio di Kurt. Se lui pensa che sia giusto passare del tempo con lei, significa che è la cosa migliore da fare. Ora però credo che sia ovvio che anche il resto della famiglia debba conoscerla meglio: dopottutto, Kurt ha soli diciotto anni. Conosco Will Schuester da anni e ho avuto modo di fare lo stesso con Sue... quindi è il suo turno, caro il mio ragazzo.”

“Io... credo di non capire.” mormorò confuso.

“E' semplice: quello degli Hummel è un clan e non si può avere a che fare un solo membro della famiglia. Si consideri ufficialmente invitato a cena da noi, l'appuntamento è per questo sabato. Non porti vino, perchè ho avuto un attacco di cuore e Kurt non mi permette di berlo. Andrebbe sprecato, capisce?” Burt andò avanti a parlare e Blaine ancora una volta si rese conto di persona di quanto era straordinaio quell'uomo; anche se non gli aveva chiesto se voleva andarci, a quella cena.

Semplicemente, non aveva scelta.

Sarebbe stata la serata più imbarazzante della sua vita, senza ombra di dubbio.

“Ma certo. Ho capito. Niente vino.” trovò la forza di rispondere.

“Bene.” Burt annuì con convinzione, poi si picchiettò con la mano sulla tasca dove aveva ficcato il foglio per Finn. “Dunque, abbiamo parlato di Finn, abbiamo una strategia d'attacco per farlo studiare di più e meglio, lei si è guadagnato il privilegio di assaggiare il polpettone di Carole e io ho una ramanzina da fare a Kurt per avermi tenuto un segreto. Direi che è stato un incontro piuttosto impegnativo, ma produttivo.” Fece per alzarsi, ma Blaine gli fece segno di sedersi.

“Aspetti, vorrei parlarle ancora di una cosa.” Burt sedette di nuovo e attese. “Come le ho detto, anche io ho alle spalle un'adolescenza un po' difficile e dalla mia parte non avevo un rapporto con mio padre bello come quello che lei ha con Kurt. Tra di noi non c'è mai stata accettazione e sostegno, al più malcelata tolleranza e disapprovazione.”

“Perchè mi sta dicendo questo?”

“Perchè in questo liceo non c'è un corso di educazione sessuale e perchè non c'è nemmeno la possibilità di acquisire qualche conoscenza su quello che è il sesso per i giovani gay. Ho scoperto, e la prego di non pensare male quando glielo dirò, che Kurt ha un'idea molto molto vaga del sesso e che non ha la minima intenzione di colmare queste lacune.” Glielo disse con il cuore aperto, sinceramente preoccupato per l'atteggiamento di Kurt della sera precedente.”Lui è la persona più pura e trasparente che abbia mai conosciuto, ma non può continuare a vivere nell'ignoranza.”

“Quando sarà pronto, l'ascolterà.” Burt aveva uno sguardo che non prometteva niente di buono.

“Signor Hummel, quando ero un ragazzino mi sono cercato da solo le informazioni che mi servivano, ma Kurt non lo farà. Poi magari un giorno si troverà in situazioni che non sarà in grado di gestire e farà qualche sciocchezza.”

In un angolo remoto della sua testa, Blaine sperava di poter essere presente, quando quel momento sarebbe arrivato: non era nemmeno un pensiero cosciente, eppure nel profondo non poteva impedirsi di immaginare come sarebbe stato fare l'amore con lui, stringerlo, prendersene cura, amarlo con il corpo e con la mente. Blaine non aveva mai fatto l'amore con nessuno, solo sesso. Forse se avesse avuto un padre con Burt e le idee più chiare, con Sebastian non sarebbe mai successo nulla, non si sarebbe buttato via così.

Burt taceva ancora.

“Forse sto entrando in territorio che non mi compete e le domando scusa, Però le chiedo di pensarci. Quello che c'è tra lei e Kurt potrebbe davvero fare la diffenza, nella sua crescita.” concluse.

“Bene.” Burt si alzò, impassibile. Gli strinse la mano e si avviò verso la porta; prima di uscire si voltò con aria determinata e disse: “Si ricordi. Sabato sera alle venti. Niente vino.”

“Certo. Ci sarò.” annuì lui, sfiancato dalla conversazione. Lo seguì in corridoio, bramando un caffè, e un momento per riflettere, quando incrociò Kurt vicino a una delle bacheche.

“Kurt, non crederai mai a quello che... ma stai bene, è successo qualcosa?” domandò quando notò il suo colorito pallido e l'aria stravolta. Kurt fece un sospiro, poi annuì. Sapeva di aver promesso a Blaine che gli avrebbe detto la verità, quando le cose si sarebbero fatte più difficili, ma non ne ebbe la forza; istantaneamente, decise di infrangere la promessa.

“No, non è successo niente.”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo ventesimo ***


Capitolo ventesimo



Una voce, all'improvviso. Un fiato caldo sul collo.

Se lo dici a qualcuno, giuro che ti ammazzo. Hai capito fatina? Niente più glitter e niente più unicorni. Sei morto. Io sarò anche sputtanato davanti a tutta la scuola, ma dei due tu sarai quello che farà la fine peggiore, hai capito?”

Kurt alzo lo sguardo dalla fontanella su cui era chinato per bere, fissando Dave con occhi sbarrati. Intorno a loro non c'era nessuno, giusto qualche studente che si era attardato fuori e ora correva in direzione delle aule; ingollò l'acqua che aveva in bocca e continuò a guardare Karosky, i cui occhi sembravano quasi più spaventati dei suoi.

Non sta succedendo di nuovo.

Mi sono spiegato?” ripetè.

Non lo dirò a nessuno, non c'è bisogno di minacciarmi ogni giorno.” rispose asciutto.

Sono io che decido che cosa posso o non posso fare.” disse a denti stretti, guardandosi furtivamente alle spalle, prima da una parte, poi dall'altra.

Kurt annuì e guardò Dave andarsene, non prima di aver ricevuto un pugno deciso sulla spalla. Si massaggiò con una smorfia di disapprovazione, ripetendosi mentalmente che erano solo parole. Solo parole di un ragazzino spaventato che non sarebbe mai passato ai fatti.

Impossibile.

Impossibile?

E poi mancavano pochi mesi alla fine della scuola, non poteva rischiare di fare la spia e mettersi nei guai quando New York era a un passo di distanza; raddrizzò la schiena e camminò fino all'aula di letteratura. Non doveva permettersi distrazioni, non con il suo traguardo a portata di mano.

Senza dimenticare che mancavano poche ore al suo appuntamento settimanale con Blaine e presentarsi di cattivo umore sarebbe stato un terribile spreco; soprattutto quando avevano in programma di parlare della cena a casa Hummel. Mancavano solo due giorni e avevano ancora un sacco di cose di cui parlare: quando Blaine gli aveva detto dell'idea di suo padre, Kurt si era concesso il lusso di andare in panico solo per pochi minuti, poi aveva preso un block-notes e aveva preparato un piano di battaglia.

La verità era che quella era un'occasione d'oro e non voleva sprecarla: anche se era folle pensarlo, l'idea di poter stare con Blaine dopo la fine dell'anno scolastico e dopo il trasferimento a New York gli galleggiava nella mente già dalla sera del loro primo bacio. Dopo essere rimasto sdraiato con lui sotto le stelle, il viso di Blaine aveva preso prepotentemente posto in ogni sua fantasia: rinunciare a lui era inaccettabile. Forse era presto per pensarci, ma voleva vedere Blaine seduto sul divano a commentare la partita insieme a suo padre, voleva vederlo sulla soglia di casa pronto a portarlo al cinema o a pattinare, voleva che quello che c'era tra di loro avesse la possibilità di crescere: era stupido che desiderasse tutto questo?

In ogni caso, sarebbe stato più semplice, se suo padre avesse avuto una buona impressione di Blaine fin dal principio. Bastava essere organizzati ad affrontare il peggio e il dolce charme di Blaine, unito ai suoi occhioni da cucciolotto smarrito, avrebbe fatto il resto. Kurt era fiducioso.

Dall'ultimo banco, si piegò di lato per guardarlo entrare in classe: incrociarono lo sguardo e Blaine fece un impercettibile sorriso. Nessuno avrebbe capito, ma Kurt sapeva che sorrideva perchè stava pensando a loro due, alla cioccolata e alle stelle; tutti avrebbero pensato che il professor Anderson era di buon umore, ma solo Kurt poteva dire di saperne la causa. O vantarsi di esserne la ragione.

Lo guardò di nuovo mentre faceva l'appello, mordicchiando il tappo della penna tra un nome e l'altro; Carole l'avrebbe adorato.

 



E da quanto tempo tu e Kurt vi date appuntamento in caffetteria?” Il tono inquisitorio con cui la domanda gli fu rivolta fece involontariamente congelare le spalle di Blaine.

Io... ehm... dev'essere da...” Guardò l'interlocutore, incerto.

Forza Blaine, non esiste una risposta giusta. Però esistono tante risposte sbagliate che possono metterti in guai seri, quindi sforzati un po'. È solo una chiacchierata amichevole, perchè sei così nervoso? Non avrai qualcosa da nascondere...” Incredibilmente, quell'avvertimento non lo rilassò minimamente.

Da... da inizio Dicembre.” rispose.

Sicuro?”

Sì. Sono sicuro.” Confermò in un soffio di fiato.

Bene. È la stessa cosa che gli ho detto io prima di avere quella terribile conversazione.” Kurt non trattenne un brivido e con una smorfia spuntò una voce dalla lista che aveva appoggiato accanto alla sua tazza di caffè.

Un giorno mi dirai che cosa ti ha detto tuo padre di tanto sconvolgente? Onestamente dopo il nostro colloquio mi è sembrato tranquillo, non avevo idea che avesse deciso di tornare prima dal lavoro e coinvolgerti in una conversazione che ti ha traumatizzato al punto da non volermi dare nessun dettaglio.” Blaine era perplesso, ma non sapeva che dopo essere uscito dalla sua aula, Burt aveva guidato fino a una clinica pubblica ed era rimasto seduto nel suo furgone per quaranta minuti, fino a quando non aveva trovato il coraggio di entrare e dire a una delle infermiere dell'ingresso che aveva bisogno di opuscoli e suggerimenti per fare un discorsetto sul sesso al figlio adolescente.

Gay.”, aveva aggiunto. Quando gli avevano piazzato in mano dei foglietti sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate e l'ossessione per il seno femminile si era accordo di aver tralasciato un'informazione fondamentale.

Poi era andato a casa, aveva aspettato che Kurt tornasse da scuola e gli aveva preparato dei toast. Lui e Kurt si erano seduti al tavolino della cucina e dopo una breve ramanzina su quanto fosse importante la trasparenza nella loro famiglia e aver strappato a Kurt la promessa di non fare più nulla di nascosto, aveva cominciato a parlargli di sesso.

Come era prevedibile, Kurt si era ficcato le dita nelle orecchie e aveva provato a scappare, ma la morsa paterna era stata troppo forte per riuscire a sfuggirle. Kurt era stato costretto a sfogliare quei volantini, ascoltare suo padre e fargli delle domande. Delle domande.

In un'ora, aveva scoperto molte più cose di quanto non avesse mai osato chiedere. O desiderato sapere.

Tornato in camera, aveva ficcato tutto il materiale informativo in un cassetto e aveva cercato di fare i compiti: era stato inutile. Nella sua mente la fantasia galoppava, inciampando in concetti che ancora gli erano estranei e alieni: frottage, orale, manuale, rimming... Alla fine prese quegli stupidi fogli e si mise a leggerli seduto sul tappeto, con la schiena appoggiata al letto e le gambe incrociate: quando Finn era passato per chiedergli in prestito l'Ipod, aveva lanciato tutto sotto il comodino e lo aveva guardato con le guance in fiamme.

Quella sera, Kurt aveva avuto la netta sensazione che la sua innocenza gli fosse stata strappata via.

Ti ho detto che non mi va di parlarne, ok?” rispose di nuovo a Blaine, irritato e imbarazzato.

Ma Kurt... avevamo promesso che mi avresti detto sempre tutto, no? Cosa potrà mai essere di tanto sconvolgente?” domandò per l'ennesima volta. Kurt alzò gli occhi al cielo e chiuse il quaderno di botto; si chinò verso di lui e confessò.

Sesso, Blaine. Mi ha parlato di sesso. Meccanismi e sentimenti, tutto quanto. Con dettagli, tanti dettagli. Non so come accidenti gli sia saltato in mente di venire a farmi un discorso del genere così di punto in bianco, ma ti giuro che se lo scopro qualcuno passerà cinque minuti davvero penosi.” ruggì a bassa voce. E Blaine sbiancò e arretrò a una velocità tale che Kurt non potè ignorare la sua reazione.

E' tutto ok, Blaine?” chiese sospettoso.

Sì. Certo. Assolutamente.”

E' tutto ok perchè tu non hai niente a che fare con questa storia, giusto?” domandò ancora.

Mmm... sì.” Blaine si morse le labbra e annuì vigorosamente. L'espressione indagatrice sul viso di Kurt si rilassò.

Per fortuna. Come ho potuto anche solo pensarlo? Voglio dire... sarebbe assurdo che tu vada da mio padre a chiedergli di parlarmi di queste cose. Immagina se un giorno quello che c'è tra di noi venisse fuori, credo che verrebbe a cercarti con una mazza chiodata.” rise, spensierato all'idea.

N-no... io e te, quelle cose... è proprio l'ultimo dei miei pensieri.” buttò lì Blaine, facendo interrompere immediatamente la risata di Kurt, che avvampò in viso.

Non so se essere lusingato o mortificato.” commentò a voce bassa. Blaine ormai non sapeva più dove guardare, imbarazzato.

Ma come diavolo erano arrivati a parlare di quella roba?

Meglio tornare all'argomento del giorno, ovvero la cena di sabato sera. Ricordati: non portare vino, niente che contenga fragole, non nominare i Chicago Bulls, Bush Senior e Bush junior, le auto elettriche, l'esercito e soprattutto quello che mi succede quoridianamente a scuola, ok'?” Elencò Kurt in tono pratico, leggendo la lista che aveva preparato.

Tuo padre mi sembra una persona ragionevole e soprattutto ti vuole un bene dell'anima, perchè non vuoi che sappia del bullismo?” domandò.

Qualcosa sa. Sa che il liceo non è esattamente il paradiso in terra per me e sa che non vedo l'ora di andarmene. Per un vedovo che ha avuto seri problemi di cuore e che pochi mesi fa ha unito due famiglie, con tutto lo stress e le strane dinamiche che ne conseguono, ti posso assicurare che ha già abbastanza di cui preoccuparsi.” spiegò Kurt, sperando di chiudere la questione.

Non tutti i padri sarebbero disposti a fare quello che il tuo ha fatto l'altro pomeriggio, lo sai, vero?”

Kurt si strinse nelle spalle: “Lo so. Fa già abbastanza per essere straordinario, non voglio chiedergli di più o farlo preoccupare. È solo questione di tempo e sarò libero.”

Blaine sorrise, poi tornarono a parlare degli argomenti tabù di casa Hummel-Hudson, sfiorandosi di tanto in tanto la punta delle dita.

Dunque, se vedi che mio padre inizia a tamburellare le mano sul tavolo in questo modo, significa che...”




Scusami Sebastian, ma sono un po' di fretta. Sto uscendo.” Blaine stava finendo di radersi tenendo il telefono incastrato tra la guancia e la spalla. Dall'altro lato della linea, Sebastian si lasciò sfuggire uno squittìo eccitato.

Blaine, hai un appuntamento?” Poteva sentirlo distintamente saltellare qua e là per la stanza.

E' solo una cena. Ti ricordi dove ho messo i miei gemelli?” domandò strofinandosi il viso con un asciugamano umido e afferrando il deodorante.

Dipende. Se intendi quelli che tenevi in mezzo alle gambe, probabilmente li hai persi per strada quando ti sei preso una cotta per un tuo studente. Se invece intendi quelli nella scatola di velluto blu, allora devi guardare nell'ultimo cassetto del comodino. Lato destro del letto.”

Sebastian ascoltò pazientemente Blaine che frugava nelle sue cianfrusaglie.

Allora... con chi esci?” domandò impaziente.

Mmm... alcune persone.” Blaine rimase sul vago. Non aveva voglia di mentirgli, ma sapeva che dire la verità avrebbe significato avere un Sebastian davvero molto arrabbiato sul suo divano nel giro di un paio di giorni. “Davvero 'bas, non è niente di speciale.”

Lo sai che mi chiami 'bas solo quando stai cercando di distrarmi e mettermi di buon umore, non è vero?” commentò l'altro, scocciato.

Sì che lo so. E so che funziona sempre, perchè è la tua mammina a chiamarti così quando ha voglia di farti le coccole sul divano.” lo canzonò.

Non è vero!” protestò l'altro in tono infantile.

Ascolta, io adesso devo andare, non vorrei fare tardi e dare una brutta impressione. Ci sentiamo domani, ok? Tu quando torni?” Per poco non si strangolò con le sue stesse mani, mentre faceva il nodo alla cravatta e contemporaneamente chiudeva un cassetto spingendolo con un fianco. Fare due cose allo stesso tempo lo metteva in difficoltà.

Due settimane, Anderson. Due settimane e il tuo segretuccio verrò svelato. Me lo sento nelle ossa che stai uscendo con qualcuno...” disse minaccioso.

Chiamami quando arrivi, così passo a prenderti all'aeroporto. Ciao 'bas, salutami Harvard!” attaccò il telefono e si rimboccò la camicia nei pantaloni. Un ultimo sguardo allo specchio e infilò il cappotto, poi afferrò il mazzo di fiori per Carole che Kurt aveva scelto insieme a lui in un negozio del centro di Lima e il vassoio di pasticcini che aveva insistito per prendere. Kurt aveva detto che avrebbe pensato lui a preparare il dolce, ma per Blaine era inaccettabile presentarsi senza qualcosa da mangiare tutti insieme al termine della cena. Poggiò cautamente i suoi doni sul sedile posteriore e guidò fino a casa di Kurt.

Più si avvicinava alla zona residenziale dove si trovava la graziosa villetta degli Hummel, più sentiva una spiacevole sensazione di calore diffondersi lungo i suoi polsi e lungo la gola. La cravatta era improvvisamente soffocante, i polsini stretti, le scarpe scomode e il profumo dei fiori troppo intenso.

Quali sono i sintomi di un attacco di panico?

Il giardino era illuminato da bassi lampioncini che spuntavano dalla neve ghiacciata sul prato e sul portico c'era ancora una fila di lucine natalizie dorate. Blaine camminò con passo sicuro fino al patio e suonò il campanello tenendo in bilico i fiori e il vassoio: fu Carole ad aprirgli la porta. Il caldo, sereno e sincero sorriso della donna lo rilassò immediatamente: era solo una tranquilla cena casalinga a casa dei genitori di un suo alunno. L'avevano invitato perchè sapevano che abitava da solo e perchè aveva stretto amicizia con Kurt, sarebbe andato tutto bene.

Carole prese il suo cappotto e lo invitò a sedersi sul divano con Burt e Finn, intenti a guardare una partita di hockey e a masticare con gusto degli snack a basso contenuto di grassi. Non appena lesse l'etichetta, Blaine quasi scoppiò a ridere: era evidente che erano una scelta di Kurt. Sedette su una delle estremità del divano, prese un salatino e lo mordicchiò circospetto, prendendo familiarità con l'ambiente che lo circondava; Burt e Finn l'avevano salutato e gli stavano rivolgendo giusto qualche frase di benvenuto, troppo presi dalla conclusione della partita per essere davvero ospitali. Carole era salita dalle scale per chiamare Kurt, così Blaine approfittò del silenzio per guardarsi intorno.

Il salotto era caldo e confortevole, elegante e casalingo allo stesso tempo: su una mensola erano allineate diverse cornici, in cui riconobbe un Kurt di poco più di cinque anni seduto in braccio a una donna dai lineamenti molto simili a quelli del bambino. Doveva essere la madre, ipotizzò. Ne studiò con discrezione il pallore della pelle, gli occhi azzurri e il naso dal profilo sottile: era decisamente la madre di Kurt.

Nel frattempo, Carole era entrata nella camera di Kurt e stava osservando perplessa il mucchio di abiti ammassato sopra quello che un tempo era stato il letto: “Kurt, il professor Anderson è già arrivato. Puoi scendere a fargli compagnia mentre finisco di preparare la cena? Lo sai che tuo padre e Finn non sono esattamente dei principi del galateo. Non quando c'è l'hockey, almeno. Kurt!”

Il ragazzo uscì dal bagno della sua stanza con addosso solo un paio di boxer, dei calzini e una t-shirt, corredati a un'aria disperata: “Non so cosa mettermi.”

Carole alzò gli occhi al cielo, prese una giacca grigia dal mucchio e un paio di jeans, che gli appoggiò al petto; poi gli intimò: “Vestiti. Ho bisogno del tuo aiuto.”

Lui abbassò lo sguardo sull'abbinamento proposto da Carole, che trovò molto originale e che decise di adottare; dopotutto, il suo cervello era completamente fuso e non sembrava avere intenzione di collaborare. Infilò i vestiti sotto lo sguardo impaziente di Carole e si spuzzò della lacca sui capelli.

Ma che ti prende stasera? Di solito sei sempre in anticipo!” si lamentò uscendo dalla stanza e scendendo le scale. Lui la seguì rapidamente, con gli occhi bassi.

No. No. E poi no. Signor Hummel, non può dirlo sul serio!” la voce accesa di Blaine gli fece alzare di scatto la testa ed entrambi accelerarono il passo. Arrivati in salotto, trovarono Burt, Finn e Blaine che discutevano animatamente.

Boston, marzo 2007. Quella è stata la partita del secolo. E' la nostra ultima parola, Anderson.”

Kurt sgranò gli occhi nel guardare Blaine battere i palmi sulle ginocchia con frustrazione: apparentemente, Burt e Finn erano d'accordo e non c'era possibilità di fargli cambiare idea.

Cerchiamo di non scaldare troppo gli animi, ragazzi.” Li ammonì Carole. Tutti tre gli uomini si girarono e a lei non sfuggì il sorriso di sollievo che si dipinse sulle labbra di Blaine alla vista di Kurt.

Buonasera, signor Anderson.”

Kurt.” Si salutarono forse un po' troppo formalmente, per essere due persone che uscivano insieme per due pomeriggi a settimana. Burt li osservò scettico, studiandone le espressioni.

Vado ad aiutare Carole in cucina, dato che voi sembrate aver già legato, ok?”

Loro annuirono e dopo una lunga occhiata ndirizzata a Kurt, Blaine si unì alla conversazione che Burt e Finn avevano già ripreso senza esitazione.

E' un ragazzo talmente carino.” disse Carole sottovoce, lavandosi le mani. “Davvero un bocconcino.” Ridacchiò complice e diede un colpetto di gomito a Kurt, che accanto a lei stava affettando dei pomodori con aria sognante.

Carole, ma che dici! È un professore!” la ammonì, sempre a bassa voce. Lei fece spallucce e aprì il forno per controllare la cottura dell'arrosto.

Una cosa non esclude l'altra. L'arrosto è pronto. Dì a tutti di andare in sala da pranzo.”

Un'ora e diversi antipasti più tardi, Blaine stava gustando deliziato il primo pasto, dopo mesi di pizze e cinese d'asporto, degno di quel nome. Si servì delle altre patate con un sospiro di soddisfazione.

E così Harvard. Giusto?” chiese Burt, quando Blaine gli passò il vassoio con i contorni.

Sì signore, un posto straordinario. È stato un privilegio poter studiare per anni tra quelle mura, così ricche di storia e di fascino. È stato un dispiacere terminare gli studi e lasciarle.” disse mentre tagliava con cura una fetta di carne. Straordinariamente, la conversazione era naturale e sciolta: avevano parlato della scuola, accennato alla letteratura, commentato la partita appena terminata. Si aspettava un interrogatorio, invece avevano chiacchierato tranquillamente e si sentiva perfettamente a suo agio: inconsapevolmente, desiderò che quella fosse solo una di tante cene.

La scelta di insegnare in Ohio è stata un caso o una scelta?” domandò Carole, curiosa.

In realtà è stata una scelta obbligata. L'alternativa era il New Mexico... ho preferito tornare in Ohio.” rispose lui. Parlare del suo lavoro era un argomento sicuro, ma parlare del suo ritorno in Ohio... era diverso. Si mosse a disagio sulla sedia, urtando la gamba di Kurt, seduto davanti a lui; si guardarono nervosi, agitati da quel contatto involontario.

Ah, giusto. Sei originario dell'Ohio, mi ricordo che l'avevi detto a Burt quando ti abbiamo incontrato al supermercato prima di Natale.” commentò Carole.

Già. Sono cresciuto a Westerville.” Non aggiunse altro, così Carole provò a portare avanti la conversazione.

Il ragazzo che era con te... lui che cosa fa?”

Sebastian? A parte scatenare risse nei supermercati, studia Economia ad Harvard.” rispose lui, con un sorriso affettuoso, che Carole fraintese immediatamente.

Dunque vi siete conosciuti all'università? Che cosa dolce... torna spesso a trovarti?”

Blaine sgranò gli occhi e quasi si soffocò con il boccone che stava masticando quando capì il senso delle parole della donna. “Oh. No. Noi abbiamo frequentato il liceo insieme e viene spesso a stare a casa mia, ma non è il mio ragazzo. Assolutamente no.”

Oh. Scusami... devo aver ricordato male il racconto di Burt dell'incidente al supermercato. Avevo capito che questo... Sebastian fosse gay e che per quello era stato spintonato dal padre di Azimio.” commentò perplessa.

No, è stato Eric a essere spintonato. Eric, giusto?” spiegò Burt, chiedendo a Blaine una conferma. Lui annuì silenziosamente. “Eric è il ragazzo di Sebastian e il signor Anderson è un suo amico.”

Capisco. Scusami per il fraintendimento. Quindi niente ragazzo, Blaine?”

Dio, quella donna sapeva essere cocciuta. Burt lo guardò attentamente, in attesa di una risposta.

No, signora. Non sono molto tagliato per le storie d'amore. Almeno, fino a poco tempo fa credevo di essere destinato a rimanere solo per sempre.” si trovò a rispondere. Fu per il volere di qualche divinità che non si voltò a guardare Kurt proprio mentre pronunciava quelle parole, accolte da Carole con un sorriso.

Bene, sono felice di saperlo. L'amore è qualcosa di talmente bello che sarebbe egoistico privarsi della possibilità di incontrare qualcuno di speciale.” gli strizzò l'occhio con aria complice.

Kurt tacque, studiando con attenzione il piatto vuoto davanti a sé. Finn fece altrettanto, troppo spaventato all'idea di fare un commento inopportuno: quei due erano agitati, ma nessuno di loro era preoccupato per lui, che si trovava in mezzo, terrorizzato. Nel dubbio, era rimasto in un religioso silenzio, che aveva interrotto solo per rispondere a domande dirette; i genitori interpretarono quell'atteggiamento come semplice timidezza, dovuta alla presenza del professore.

Kurt e Carole sparecchiarono e portarono al tavolo il vassoio di Blaine e la torta preparata da Kurt.

Wow. È splendida.” commentò Blaine, allungando il collo per guardarla meglio, affascinato. “Che cos'è esattamente?”

Finn rispose per tutti, esibendo una confidenza che avrebbe fatto invidia al più navigato dei pasticceri: “Pavlova al cioccolato bianco e frutti di bosco.” disse con orgoglio “I frutti di bosco li ho lavati io.”

Beh, non ho idea di che cosa ci sia esattamente dentro, ma sembra straordinaria.” Blaine si leccò un labbro, impaziente. In piedi accanto a lui, Kurt tagliò una fetta abbondante e la posò su un piattino, poi gliela passò: “E' un dolce a base di meringa. Ho pensato che fosse sufficientemente goloso da soddisfare un palato esigente come il tuo. Ora mi dirai se è abbastanza dolce.”

Lui e Blaine risero complici, ma nessuno si unì a loro. Senza nemmeno rendersene conto, Kurt aveva dato del tu a Blaine davanti a tutti. E Blaine non lo aveva corretto, ma anzi aveva riso con piacere alla sua frecciatina. Gli altri seduti al tavolo non presero parte a quel piccolo scambio, osservando in silenzio.

Blaine piantò gli occhi nel dolce, concentrato come se fosse stato intento nell'operare a cuore aperto, e Kurt girò intorno al tavolo, tornando a sedersi tra Finn e Carole. Allungò la mano verso il vassoio e sgranocchiò timidamente una lingua di gatto.

Il resto della cena trascorse tranquillo e Kurt fu ben attento a non ripetere lo stesso errore. Erano le dieci passate quando Carole andò in cucina a riassettare i piatti e le pentole; Finn augurò a tutti buonanotte e uscì per andare a trovare Rachel. Burt sedeva tranquillo sulla poltrona facendo zapping sul televisore con aria distratta. Prima che Blaine andasse via, lui e Kurt fecero un giro turistico della casa, su insistenza di Carole; al piano superiore, sicuro di sapere Carole in cucina e il padre sul divano, Kurt trovò il coraggio di baciare Blaine. Rimasero uno contro l'altro per una manciata di secondi, in un disordinato intreccio di mani e labbra.

E' meglio di no.” disse Blaine, senza fiato. Resistette alla tentazione di affondare le dita nei capelli di Kurt, stringere le mani sul suo sedere, spingerlo dentro la stanza, perdere ogni precauzione. Kurt annuì imbarazzato, mordendosi il labbro inferiore, lucido di saliva; per poco Blaine non rischiò di nuovo di dimenticarsi dove erano e chi c'era al piano di sotto. Lo baciò delicatamente sulle labbra un'ultima volta.

Andiamo.”

Alla fine passarono in cucina a salutare Carole: come un vero galantuomo, Blaine la ringraziò per la splendida cena e si complimentò per l'accoglienza. Infine tornarono in sala, dove Burt si stava alzando per andargli incontro.

E' stato un piacere, signor Anderson. Credo che convenga anche lei, se dico che sarebbe una buona idea cenare insieme di nuovo.” Blaine lo ringraziò, così come aveva fatto con Carole e si avviò verso l'ingresso.

Lo accompagno alla macchina.” disse Kurt prima di uscire.

Non stare fuori troppo, fa freddo.” disse Carole dalla cucina. Kurt prese la giacca di Blaine e si infilò il suo cappotto; insieme arrivarono sul patio e sedettero sulla panca addossata al muro.

E' andata.” sussurrò Kurt, sollevato.

E' andata bene.” rispose Blaine, sereno.

Mi dispiace che Carole ti abbia fatto tante domande. E' solo che per lei sei così... giovane. Le viene spontaneo fare la mamma pettegola e apprensiva. Credo che sia difficile per lei mantenere le distanze.” si scusò Kurt, stringendogli piano la mano. Intrecciarono le dita e nascosero le loro mani poggiandole tra di loro.

Beh... direi che io sono proprio l'ultimo che può insegnare agli altri a mantenere le distanze. No?”

Blaine sorrise. Era felice di avere Kurt nella sua vita. Ed era felice di avere la possibilità di conoscere la sua famiglia.

Già.”

Tacquero per diversi minuti, guardando nel buio davanti a loro.

Quando hai detto quella cosa... parlavi di me?” chiese Kurt a bassa voce, fissandosi le ginocchia. Blaine cominciò a parlare, disegnandogli pigri cerchi nel palmo della mano.

Io... sì. Ho fatto tanti errori in passato, Kurt. Tante cose di cui mi sono pentito, tante cose che mi hanno cambiato e trasformato... ma questa volta è diverso. Sento di essere nel giusto, con te. Prima ho sempre agito per i motivi sbagliati.”

Non ci credo.”

Oh sì che ci puoi credere. Prima mi sono innamorato, o almeno credevo di esserlo, di uno dei ragazzi più popolari della scuola, solo perché era bello e affascinante. Non mi interessava che fosse etero, che fosse vuoto, superficiale e spaccone, mi immaginavo accanto a lui, al sicuro e protetto. Questa immagine è stata sufficientemente accattivante da convincermi che lasciargli un biglietto di San Valentino poteva essere una buona idea. Ovvio, mi sbagliavo.”

Kurt fece un piccolo gemito, condividendo la pena e la vergogna che Blaine doveva aver provato.

Poi mi sono preso una cotta per Jeremiah. Quella volta non ho peccato di entusiasmo, quanto piuttosto di ingenuità. Era gay, è stato abbastanza per ignorare la differenza di età, la mancanza di chimica, la sua prevedibile reazione a una serenata in mezzo al negozio dove lavorava. Sempre a San Valentino, per non smentirmi.”

Almeno non si può dire che mancavi di intraprendenza.”

E infine Sebastian. Lì il mio problema è stato la solitudine. Alla Dalton erano tutti amichevoli, corretti ed educati, ma così costretto in quell’uniforme a volte avevo voglia di gridare. Mi sono messo con lui perché pensavo che magari anche lui era nella stessa situazione; era così esotico, sicuro di sé, spavaldo. Sapevo di non esserne innamorato, ma ero uno straccio, così gli sono finito tra le braccia e senza nemmeno rendermene conto mi sono ritrovato a passare il mio primo San Valentino da fidanzato con Sebastian che vomitava nel bagno della mia stanza, dopo aver pomiciato con mezzo Scandal.” disse a denti stretti.

A quell’immagine, Kurt fece una smorfia.

Sembrava appena uscito da un film di serie B sugli esorcismi. È rimasto a letto tutto il giorno successivo, lamentandosi perché non ricordava dove aveva messo il tovagliolo con il numero di un ragazzo che assomigliava a Jared Leto.” aggiunse Blaine, ridacchiando.

Con te è diverso. Tutto è sbagliato, ma non quando sono con te. Non siamo noi due a essere sbagliati, questa volta. Mi piaci perchè sei tu, quello che provo... è reale.” Kurt alzò lo sguardo dalle ginocchia e poggiò la testa sulla sua spalla. Blaine lo baciò sui capelli, approfittando dell'oscurità e della solitudine.

Tra due settimane mio padre e Carole andranno a trovare mia zia Sarah in Florida.” disse con un tono di voce che insospettì immediatamente Blaine.

E...”

E voglio venire a casa tua, Blaine.”

Sorpreso, Blaine aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse.

 

Dentro casa, Carole si sedette pesantemente accanto a Burt.

Vuoi parlarne?” disse mentre il marito teneva gli occhi ostinatamente puntati sul divano.

Di cosa?” rispose fingendo nonchalance.

Della cotta pazzesca che Kurt ha per il suo professore di letteratura. E del fatto che il sentimento dev'essere reciproco.” rispose lei, a bassa voce.

In quel momento, Kurt entrò dalla porta d'ingresso.

Buonanotte.” disse con un ampio sorriso, prima di correre su dalle scale. Loro guardarono fuori dalla finestra e videro Blaine salire in auto e mettere in moto.

Ah. Di quello, ovvio.” rispose Burt. “Possiamo aspettare domani mattina? Ho bisogno di dormirci sopra.”

E' carino.”

Lo so.”

Sembra un bravo ragazzo.”

Lo so.”

E...”

Domani Carole, ti prego.” disse strofinandosi gli occhi, assonnato.


Nda

La storia vi piace ancora? Mi farebbe tanto piacere cosa ne pensate.,, anche se siamo al ventesimo capitolo.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventunesimo ***


Capitolo ventunesimo

 

Salito in auto, Blaine aveva guidato fino a casa cercando di ignorare il nodo di emozione che gli si era formato in fondo alla gola. Aveva raccontato a Kurt parecchi dettagli dei suoi disastri sentimentali, eppure non si sentiva né debole, né esposto, né vulnerabile: condividere con lui il suo passato era come avere qualcuno con cui portarlo sulle spalle, anziché un motivo in più per angustiarsene. Forse Kurt poteva essere davvero un nuovo inizio.

Riordinò un paio di cianfrusaglie che aveva lasciato in giro mentre si preparava e contemporaneamente parlava al telefono con Sebastian; ripose i gemelli e si ficcò sotto la doccia. In ogni angolo gli sembrava di vedere cose che andavano sistemate, buttate o spostate: se e quando Kurt sarebbe tornato a casa sua, tutto avrebbe dovuto essere in ordine.

Magari avrebbe anche spolverato.

E portato quegli scatoloni di vestiti estivi in garage, invece di lasciarli accanto al letto.

E riempito il frigorifero.

O dato fuoco a qualcosa. Perfino un incendio avrebbe migliorato l'aspetto di quel posto.

Nonostante l'ansia suscitata dal suo disordine cronico e dalle sue pessime abilità di casalingo, Blaine andò a dormire sereno. Quello che Kurt gli aveva detto sotto il patio continuava a ronzargli in testa: voleva venire a casa sua mentre i genitori erano lontani per il weekend. Che cosa intendeva esattamente, con quella richiesta? Parlarne con Sebastian era fuori discussione. E comunque sapeva già che quel maniaco avrebbe interpretato quelle parole solo in un modo: sesso.

O qualcosa del genere.

Infilò una vecchia maglia di Harvard e si convinse di rimandare la questione al mattino successivo, una volta digerito l'arrosto e rimosso quella strana sensazione che gli stava scivolando sotto la pelle.

Eccitazione.

Blaine conosceva un antidoto efficace: lesse qualche pagina di Dickens e fu sufficiente per scacciare ogni pensiero probito dalla sua mente, poi scivolò completamente sotto il piumone e spense la luce.

In un quartiere residenziale, a qualche chilometro di distanza, un uomo più maturo e decisamente meno sereno rotolava nel letto, ingarbugliando le lenzuola intorno alle gambe e scalciando in aria con nervosismo. Con un sospiro, la donna sdraiata accanto a lui, esasperata, perse ogni speranza di addormentarsi in pace; con in viso un'espressione stravolta, Carole allungò il braccio verso l'interruttore e accese l'abat-jour del suo comodino.

“Burt, ti prego... è stata una giornata infinita e domani ho il turno in ospedale. Scegli tu, o ne parliamo adesso e risolviamo la questione, oppure ci pensiamo domani ma tu ti dai una calmata e la smetti di rubarmi le coperte. Sto gelando.” disse stringendogli la mano sulla spalla. Con un grugnito, Burt accese anche l'altra lampada e si mise seduto, con la schiena appoggiata alla testata del letto; con le braccia incrociate sul petto e le sopracciglia corrucciate, era il ritratto di un padre pensieroso.

“Bene... quindi ne vuoi parlare, deduco.”

Lui fece una smorfia e arricciò il naso, esasperato.

“Dimmi cosa ti passa per la testa. Il problema è Blaine o il fatto che è un professore? Oppure è perchè Kurt ormai è un ometto sta cominciando a...” provò lei.

“E' ancora il mio bambino! Ha solo diciotto anni, sarà in grado di capire come funzionano certe cose?” la interruppe, sbottando all'improvviso e allargando le braccia davanti a sè. “Voglio dire, questo Blaine chi è? Che cosa ha fatto? È una brava persona? Magari fuma crack ed è uno con le mani lunghe che magari...”

“Burt, amore... shhh...” Carole si inginocchiò accanto al marito e gli appoggiò i palmi delle mani sulle guance, costringendolo a voltarsi verso di lei. “Pensi davvero che il ragazzo che questa sera è stato a cena a casa nostra possa essere un criminale o un tossicodipendente malintenzionato?”

Burt sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

“Allora, lo sospetti davvero?”

“No.” sputò la risposta controvoglia.

“Ecco. E' la stessa cosa che penso anch'io. Vogliamo parlare dell'impressione che ci ha fatto questa sera? A me è sembrato un ragazzo dolce, troppo giovane per essere già così solo e bravo nel suo lavoro. Anche Finn sembra essergli sinceramente affezionato, nonostante il suo scarso amore per la materia. Ti ricordi cosa avevi detto a Natale, dopo avergli parlato per la prima volta?”

“Ho detto che mi è sembrato un ragazzo di cuore.” disse Burt a bassa voce, ricordandosi l'intenso desiderio che aveva avuto di invitare quel ragazzo a casa loro per il Natale, dopo aver saputo che forse l'avrebbe trascorso in solitudine. Ricordò il modo sollecito in cui era intervenuto per aiutare il suo amico, il sorriso sincero che aveva sul viso quando se ne era andato con Sebastian, gli occhi che si erano illuminati ogni volta che Kurt aveva aperto bocca quella sera. Il modo affascinato con cui lo guardava, completamente privo di malizia.

“E ti ricordi anche che cosa avevi detto, quando Finn ci ha raccontato di Puck e Shelby?” lo incalzò lei. Ricordavano entrambi con chiarezza l'aria eccitata con cui Finn aveva riportato il pettegolezzo e come Burt aveva interrotto bruscamente la conversazione durante la cena, dicendo che...

“Nessun amore merita un'etichetta.” bisbigliò. “L'amore è amore.”

“E poi se a questo aggiungi che Blaine ha pochi anni in più di Kurt, a quanto ne sappiamo non ha adottato il figlio che Kurt ha avuto per sbaglio con una cheerleader e che non è la madre biologica di una delle sue amiche del Glee Club... direi che la situazione è complessa, ma non tanto quanto è successo tra Puck e Shelby.” commentò lei, troppo assonnata per dare pathos alle informazioni che stava pigramente ammucchiando tra di loro.

Burt rispose con una specie di ruggito di frustrazione.

“Senza dimenticare che il nostro Kurt non è Puck. Se Kurt decidesse davvero di fare un passo in questa direzione, non credi che soppeserebbe bene quale decisione prendere? È un ragazzo tanto maturo e attento, mi risulta difficile pensare che possa fare qualche sciocchezza.”

“Già, proprio come quanto tormentava Finn. O quando si è messo con quella bionda stupidina solo per farmi dispetto. Molto adulto, come comportamento.” commentò lui, amaro.

“Burt, non essere ingiusto. Sono episodi vecchi, Kurt non è un ingenuo, è un combattente.”

“E' solo che non voglio vederlo soffrire o prendersi una cotta per il primo ragazzo gay che gli dimostra un po' di attenzioni, capisci? Almeno se fosse uno studente come lui avrebbero più occasioni di parlarsi, di conoscersi, di capire se hanno qualcosa in comune. Ma un professore... per quanto giovane, Blaine è già un uomo con esperienze, con tutta una sua storia alle spalle.” stropicciò il lenzuolo tra le dita. “Kurt è stato nascosto così a lungo... se trovasse l'amore, non vorrei mai che fosse costretto a vivere di sotterfugi. Tu cosa pensi?”

Carole si sporse verso di lui e lo baciò delicatamente sulla guancia.

“Penso che Kurt sia davvero fortunato, perchè sei il padre migliore del mondo, Burt. Penso che sia presto per preoccuparsi e penso che dobbiamo lasciare a Kurt la possibilità di fare gli errori che tutti fanno alla sua età. Lasciamolo fare ma teniamolo d'occhio... E ora dormi, per ora quel ragazzo non gli ha fatto altro che bene e lo sai anche tu.”.

Carole tornò sotto le coperte e spensero la luce. Dopo pochi minuti, sentì Burt rotolare su un fianco e sdraiarsi contro la sua schiena, avvolgendola con un braccio.

Le premette le labbra contro la nuca.

“Ti amo.”

“Anch'io.”

Straordinariamente, Burt riuscì finalmente ad addormentarsi.

 


 

Due settimane dopo davanti alla casa degli Hummel, Burt stava caricando l'auto insieme a Finn, mentre nel vialetto Carole dava le ultime raccomandazioni a Kurt, ancora in pigiama.

“Allora, il numero dell'albergo è sul block notes in ingresso, tutti gli altri numeri di emergenza sono al solito posto. Sopra il frigo ti abbiamo lasciato cento dollari per comprarti un regalino e magari uscire a cena con le ragazze. Ok?” disse premurosa.

“Carole... non c'è problema, davvero. Non sono offeso. La prozia di Finn è un po' all'antica, è normale. Forse se mi avessi avvisato anche l'altra volta avrei evitato...” disse lui, stringendosi nelle spalle. La vecchia zia di Carole era una graziosa vecchietta, grintosa e piuttosto burbera, che gli aveva pizzicato le guance paragonandolo a un bambolotto per un intero weekend. Quando poi era saltato fuori che era gay, per poco quelle amorevoli carezze non erano diventate sonori ceffoni; Carole c'era rimasta malissimo e quello della prozia era rimasto un tasto dolente.

“Mamma! Non posso rimanere anche io a casa? Ti prometto che...” Si lamentò Finn, chiudendo il bagagliaio dell'auto e provando ancora una volta a convincerla.

“No, Finn. Ne abbiamo già parlato. Martedì hai il compito di letteratura e sappiamo benissimo che non studieresti un accidente, se rimanessi a casa. Ora saluta tuo fratello e fila in auto, i libri sono sul sedile posteriore, puoi leggere un po' di pagine mentre andiamo in aeroporto.” rispose lei, irremovibile.

“Ciao coso, fai il bravo e controlla la casa.” Finn abbracciò brevemente Kurt, gli diede una pacca sulla spalla e a grandi passi si avviò verso l'auto, sconsolato. Dopo aver salutato suo padre e Carole, Kurt voltò sui tacchi, saltellò fino al frigorifero, arraffò il denaro e chiamò Mercedes per programmare un giro al centro commerciale.

Kurt era un uomo con una missione.

E con un appuntamento. Alle sei doveva essere a casa di Blaine e aveva solo nove ore per fare la spesa, comprarsi un pigiama nuovo, farsi una maschera facciale al cetriolo e preparare la borsa per dormire fuori casa. Fremente di aspettativa, si vestì al volo e si precipitò a casa di Mercedes, del tutto ignara del vero motivo della sua eccitazione.

Contemporaneamente Blaine stava correndo da un lato all'altro del suo minuscolo appartamento; non appena aveva preso in mano il piumino della polvere, i sessanta metri quadrati del bilocale sembravano magicamente trasformati nell'equivalente di un superattico. Erano due settimane che si riprometteva di sistemare la casa in vista dell'appuntamento con Kurt, ma ogni sera crollava sfinito sul divano oppure trovava qualcosa di più interessante da fare.

Dormire, ad esempio.

Ovviamente si era ridotto all'ultimo minuto a salvare il salvabile e ora, sudato per la fretta, stava concentrando in poche ore quello che avrebbe dovuto fare con calma nei giorni precedenti. Alle quattro del pomeriggio si rese conto di avere perso il controllo della situazione: in boxer, con il lettore mp3 bloccato dall'elastico dell'intimo, stava cantando a squarciagola e ordinando scrupolosamente per grandezza i suoi flaconi di prodotti per il corpo. Quando si riconobbe nel ragazzo riflesso dallo specchio sopra il lavandino, con gli occhi stravolti e i capelli impazziti, realizzò che forse stava esagerando. In compenso la casa era uno specchio.

Con un respiro profondo, decise di fermarsi e andare a scegliere che cosa indossare, per poi farsi una doccia e riacquistare un aspetto umano. Trollerellò fino alla sua camera, canticchiando tra sé e sé e benedicendo la decisione di Sebastian di passare il weekend a casa dei suoi genitori prima di tornare a vegetare sul suo divano. L'aveva tolto da un bel pasticcio.

Quando fresco di doccia, sbarbato e profumato, arrivò in cucina, Blaine era decisamente di buon umore: la serata prevedeva una cenetta, un film e un po' di coccole. Kurt sarebbe rimasto a dormire e avrebbero trascorso insieme tutta la domenica: era dal bacio fugace scambiato durante il giro turistico di casa Hummel che non avevano un momento solo per loro, se non si contavano gli appuntamenti al Lima Bean e in biblioteca. Ormai lui e Kurt si vedevano quasi ogni giorno dopo la scuola, ma sempre in pubblico: compensavano la carenza di contatto fisico con molte parole, ma ormai quella serata aveva assunto per entrambi un valore quasi mistico.

Non era un segreto che Blaine non fosse un grande cuoco, però aprire il frigorifero e scoprire un limone solitario che giocava a carte con un cartone del latte fu una sorpresa anche per lui. Si chiese da quanto tempo era che non faceva la spesa. Una spesa vera, con uova, carne, verdure e niente surgelati. Stava per ricordarselo quando Kurt suonò il campanello.

Blaine si infilò le scarpe e andò a incontrarlo davanti all'ascensore; con un brivido, ricordò che il punto in cui trovava in quel momento era lo stesso dove si erano scambiati quel primo, bisognoso, bacio. Le porte si aprirono con un dling sonoro e Kurt barcollò fuori dalla cabina, sbuffando; portava una voluminosa tracolla da viaggio, in una mano stringeva una specie di valigetta per attrezzi rosso fiammante e nell'altra un sacchetto del supermercato che dava l'impressione di poter scoppiare da un momento all'altro. Blaine inclinò la testa di lato e si sfregò il mento tra pollice e indice, perplesso; guardò con aria sospettosa il sacchetto della spesa.

“E quello?” lo indicò con un cenno. Kurt cominciò a camminare lungo il corridoio, impedendogli di prendere uno dei suoi bagagli e aiutarlo.

“Pensavi davvero di convincermi a mangiare di nuovo della pizza unta e coperta di condimenti sott'olio? Dovresti vergognarti di aver approfittato del mio tracollo emotivo per avermi fatto mandar giù anche solo un boccone di quella roba. Stasera avremo una vera cena, con tovaglia, bicchieri e soprattutto posate. Io ho portato gli ingredienti e le mie doti culinarie, tu puoi apparecchiare e lavare i piatti quando abbiamo finito.” disse in tono pratico mentre si avvicinavano alla porta dell'appartamento di Blaine. Kurt era evidentemente su di giri e un poco isterico; evidentemente, Blaine non era il solo ad aver avuto una giornata particolarmente piena.

Lo accompagnò in cucina, dove, senza mollare né il sacchetto né la valigetta, Kurt cominciò a guardarsi intorno.

“Hai un frullatore a immersione? Oddio... avrei dovuto pensarci. Non ce l'hai, vero? E adesso che...” disse granando gli occhi.

“Adesso, Kurt. Ci calmiamo un pochino, ok?” Kurt smise di parlare. “Prendiamo questo.” Blaine prese il sacchetto dalla sua mano e lo appoggiò sul tavolo. “E questa.” Accanto al sacchetto mise anche la valigetta, poi si avvicinò e gli sfilò la tracolla dalla spalla.

Kurt lo guardò in silenzio. “Poi...” disse Blaine, prima di cingergli le braccia intorno al corpo e baciarlo leggermente sulle labbra. Sotto il suo tocco delicato, il corpo di Kurt si rilassò visibilmente; si sporse verso Blaine e ricambiò, rendendosi finalmente conto che erano soli, che non c'era nessuno che poteva disturbarli e che finalmente potevano baciarsi senza interruzioni.

E probabilmente ne era ben conscio anche Blaine, che lo afferrò per i fianchi e lo sollevò fino a farlo sedere sul tavolo. Kurt era senza fiato, quella era la cosa più... sexy che avesse mai fatto.

“Allora... qual è il programma della serata?” chiese Blaine, con la fronte contro la sua, mentre riprendevano fiato. Non avrebbe mai creduto che baciare qualcuno potesse essere tanto eccitante.

“Io...” Kurt era confuso. Aveva lavorato tutto il giorno e ora sembrava che la sua mente fosse in totale blackout. “Io... cucinerò. Poi ti ho portato una sorpresa.”

Blaine sorrise. “Bene. Io cosa posso fare per aiutarti?”

Kurt sembrò tornare in sé. “Dimmi dove sono le pentole, poi siediti al tavolo e raccontami come è andata la tua giornata.”

E fu esattamente quello che fecero: Blaine rimase seduto al tavolo, mentre Kurt si muoveva con grazia lungo il bancone della cucina tagliando verdure, cuocendo e canticchiando. Parlarono di musica, di scuola, di viaggi, interrompendosi solo quando Kurt si avvicinava a Blaine con una forchetta su cui era infilzato un assaggio. Blaine lo guardava incantato.

La cena si rivelò ottima, ma non era quella la sorpresa che Kurt aveva preparato per lui. Dopo aver sparecchiato e lavato i piatti, prese la valigetta e alcune cose che aveva nascosto in frigorifero non appena era arrivato; costrinse Blaine a sedersi al tavolo e chiudere gli occhi.

“Blaine, benvenuto al primo corso di decorazione di cupcake per principianti della scuola di pasticceria di Kurt Hummel.” A quell'invito, il ragazzo aprì gli occhi e si trovò davanti una moltitudine di barattolini pieni di zuccherini colorati, confetti, glitter e polverine. In fila al centro del tavolo c'erano una decina di cupcake rossi, avvolti in pirottini bianchi; Kurt ne prese uno tra le mani e lo mostrò a Blaine.

“Blaine, questo è un cupcake nudo.” Glielo mise davanti, poi si spostò dietro di lui. Non fece in tempo a chiedergli dove stesse andando, quando le braccia di Kurt lo avvolsero: “Bene. Questa è la glassa per decorare, è bella fredda ed è già nella sacca. Prendila e tienila così.”

Gli mise in mano una sacca per decorare e gli spiegò come tenerla, toccandogli i polsi per correggerne i movimenti.

“Ora premi e gira, lentamente... gira ancora e sali. Ora tira verso l'alto.” La voce di Kurt, insieme alle sue mani, guidavano Blaine che alla fine ammirò soddisfatto il suo primo cupcake.

Storto e sbilenco, ma suo. Lo sollevò e lo mostrò trionfante a Kurt, che lo baciò sulla guancia per premiarlo.

“Ora gli altri.” gli sussurrò all'orecchio. Blaine per la prima volta trovò la pasticceria quasi sensuale.

Uno dopo l'altro, Kurt gli spiegò come coprire tutti gli altri, finchè ognuno non fu adornato da un fiero e grazioso ciuffo bianco.

“Ora viene la parte più divertente.”

Kurt sedette accanto a lui e allungò le mani verso gli zuccherini: in pochi secondi decorò un paffuto dolcetto, coprendolo di glitter rosa e cuoricini di glassa. E aveva ragione: era davvero divertente. Passarono almeno mezz'ora occupandosi degli altri, ridendo come pazzi e realizzando cupcake sempre più estrosi e kitsch.

“Prendi quello che ti piace di più.” gli disse Kurt, quando finirono. Blaine prese senza esitazione uno degli ultimi, coperto di piccole stelle arcobaleno, confetti argentati e glitter fucsia. “Ora taglialo a metà.”

Quando aprì le due metà in cui aveva diviso il dolce, scoprì che in realtà solo la parte superiore era rossa, mentre l'interno era un arcobaleno di colori che si alternavano uno dopo l'altro in curve sinuose.

“Wow. Questo è il pasticcino più gay della storia dei pasticcini.” disse studiando l'interno del dolce. Affondò i denti in una delle due metà e passò l'altra a Kurt. “Grazie, mi sono divertito tantissimo. Direi che questa sera sei stato tu a insegnare qualcosa a me, professor Hummel.”

Il bacio che si scambiarono dopo sapeva di vaniglia ed era croccante come lo zucchero.

“Io direi di passare alla fase due.” propose Blaine, quando finirono di riordinare.

“Film?” disse Kurt estraendo il dvd di Titanic dal suo borsone.

“Anche.”

Seduti sul divano, mentre le familiari immagini del film scorrevano sullo schermo, guardarono insieme gli annuari della Dalton e gli album fotografici di Harvard.

“Questo è Jeff. E questo è Nick.” spiegò Blaine puntando il dito su alcuni volti sorridenti.

“Questa è la cerimonia del diploma.”

Nella fotografia, Blaine indossava la toga ed era abbracciato a una donna poco più bassa di lui. Accanto a loro, un uomo in giacca e cravatta guardava severo verso l'obiettivo; i riccioli grigi e la forma delle labbra erano un segno evidente del legame che aveva con Blaine.

“Sono i tuoi genitori, vero?” chiese Kurt.

“Già. Erano così fieri di me... sai che non sono venuti ad Harvard, quando mi sono laureato?” disse amaro, voltando la pagina dell'album. Nell'immagine successiva un Blaine poco più giovane di quello seduto accanto a lui sollevava entusiasta una pergamena, abbracciato stretto da una signora anziana e un compassato signore di mezza età.

“Non sono i tuoi nonni.” Non c'era nessuna somiglianza.

“Oh no... loro sono Mildred, la mia tata, e Richard, il maggiordomo. Sono stati dei nonni, per me.” Blaine guardò con affetto la fotografia. “Non li vedo da allora.”

Chiuse l'album e lo appoggiò sopra gli altri. “Mi dispiace. Doveva essere una serata allegra e io sto rovinando tutto con questi ricordi tristi.”

“Non dirlo neanche. Mi piace conoscerti meglio. Diventi più reale.”

“Più reale?” Blaine sorrise, mentre Kurt si avvicinava mordicchiandosi un labbro nervosamente.

“Oh sì' disse prima di baciarlo. Era strano: più conosceva Blaine, più capiva che non era perfetto e che a volte diceva la cosa sbagliata al momento sbagliato, più gli piaceva. Più si innamorava. Più lo voleva.

E probabilmente l'aveva capito anche Blaine, perchè il bacio che li stava unendo in quel momento non aveva nulla di casto; l'aveva spinto indietro e fatto sdraiare sulla schiena, stringendogli un fianco mentre con le labbra scivolava lungo il collo e dietro le orecchie. Blaine afferrò il tessuto sottile della camicia lo tirò per sfilarlo dai pantaloni, poi intrufolò la mano fino a toccare la pelle di Kurt, calda e viva. Lo strinse piano e si trovarono sdraiati uno sopra l'altro, in quello che per Kurt era la cosa più intima che avesse mai condiviso con qualcuno.

Sentì la mano di Blaine muoversi sotto la camicia, salire lungo il petto e accarezzargli un capezzolo con la punta del pollice. Rabbrividì dal piacere del contatto e inspiegabilmente trovò la forza di farlo fermare, anche se il suo corpo lo supplicava di andare avanti; nella sua mente, il discorso di suo padre e le didascalie degli opuscoli si intrecciavano inesorabilmente.

Troppo presto.

“Uh. Ok...” disse interrompendo il bacio. Blaine sbattè gli occhi e ritrasse di scatto la mano.

“Scusami.” Gli avvamparono le guance, come se il gesto di toccare Kurt fosse stato inconsapevole. “Io... m-mi sono lasciato prendere la mano. Letteralmente.”

Kurt si rimise seduto e lui fece altrettanto. Con il fiato corto, si guardarono di sottecchi.

“Guardiamo il film.” propose Blaine. Kurt annuì, con il labbro inferiore stretto tra i denti e il cuore che batteva a mille.

“Sì.” Blaine sollevò un braccio e Kurt gli si accoccolò contro il fianco, silenziosamente.

 

Erano quasi le undici quando gli occhi pieni di lacrime di Blaine finirono di leggere i titoli di coda.

“Stai crollando dal sonno...” commentò, allontanandosi appena per guardare Kurt, la cui testa continuava a ciondolare, nonostante i suoi sforzi di restare sveglio.

“Non è vero.” bofonchiò, con la bocca impastata, raccogliendo le gambe sul divano e appoggiandosi meglio contro il corpo caldo di Blaine. Affondò il viso nel tessuto morbido del suo maglione e ci sfregò il naso: profumava di detersivo per piatti e colonia. Inspirò a fondo e gli sembrò il profumo più buono del mondo.

“Kurt?” Blaine lo scrollò piano. “Andiamo, se ti addormenti vestito domani mattina sarai intrattabile. Forza, alziamoci.”

Kurt provò a fare resistenza, ma l'altro era irremovibile; gli scivolò fuori dalle braccia, facendogli perdere il punto di appoggio e quasi crollare di lato. Si svegliò per bene e si strofinò un occhio con la mano chiusa a pugno.

“Va bene. Ho capito.” Si alzò e camminò accanto a Blaine, che in piedi davanti al divano lo guardava severo, con le braccia incrociate sul petto. Si trascinò fino alla borsa che aveva appoggiato in ingresso e ripescò il suo beauty e il pigiama, poi arrancò controvoglia fino al bagno.

L'acqua fredda con cui si sciacquò il viso gli fece riacquistare un pizzico di lucidità. Sbirciò tra i vari prodotti per il corpo che Blaine aveva allineato su una piccola mensola; con sorpresa, scoprì che Blaine aveva la pelle secca, che usava uno shampoo del supermercato e che il gel con cui si incollava i capelli alla testa ogni giorno costava un occhio.

“Curioso” pensò, mentre faceva correre le dita sulle etichette. “Sembrano ordinati per grandezza.”

Aprì un barattolo di crema e lo annusò sospettoso: il familiare profumo della pelle di Blaine lo colpì in pieno viso. Chiuse gli occhi e respirò di nuovo, godendosi la sensazione di essere ancora sul divano, con il viso nascosto tra il collo e la spalla di quel ragazzo che...

“Kurt?” Qualcuno bussò sommessamente alla porta e per poco il vasetto che aveva tra le mani non gli cadde per terra.

“Ehm... sì?”

“Non ti sei addormentato, vero?” chiese Blaine, dall'altro lato della porta.

“No, ho solo una routine serale piuttosto elaborata, non preoccuparti.” rispose lui, quasi scoppiando a ridere all'idea di farsi trovare addormentato sul freddo pavimento del bagno. Aprì la porta e Blaine si scostò per lasciargli lo spazio per uscire. “Comunque avevo finito.”

Kurt aveva i capelli arruffati e la pelle rosata per la reazione all'acqua gelata con cui si era lavato il viso; il pigiama blu, seppure abbottonato con cura, rivelava un ampia porzione di pelle candida. Blaine deglutì a quella vista: era la prima volta in assoluto che vedeva un ragazzo in pigiama. O meglio, alla Dalton aveva visto decine e decine di ragazzi in pigiama e Sebastian non faceva che poltrire in mutande sul suo divano senza il minimo contegno, ma questo era diverso. Gli era capitato di dormire con altri ragazzi, all'università, ma mai di condividere con loro il momento prima di andare a letto: c'era un gran fruscìo di vestiti, seguito dal sesso e da lui che sgattaiolava fuori dalla loro stanza prima che fosse mattina. Niente pigiami, niente profumo di dentifricio, niente sguardi teneramente assonnati.

Avere Kurt davanti, con una mano stretta intorno al suo spazzolino e l'aria troppo assonnata per essere imbarazzato, era tutto un altro mondo. Era intimo, dolce e... terribilmente eccitante, suo malgrado. Si guardarono in silenzio per qualche istante.

“E' tutto a posto?” domandò Kurt. Quando inclinò la testa, un ciuffo di capelli scivolò fuori posto e per Blaine su sufficiente. Con un passo chiuse la distanza tra di loro e si concessero di perdere il controllo per la seconda volta, quella sera.

La bocca di Kurt era fresca contro la sua, il profumo di vaniglia e di menta erano più intensi e Blaine era soppraffatto dalla totalità di sensazioni che lo stavano investendo mentre premeva il suo corpo contro quello di Kurt e quello di entrambi contro il muro del corridoio. Un solo gemito strozzato, forse per la sorpresa, e Kurt si gettò dentro a quel bacio con altrettanto entusiasmo. Era così caldo e accogliente essere schiacciato contro Blaine in quel modo, che quasi non badò al muro freddo che aveva dietro alla schiena, senza rendersene conto, sollevò una gamba e la appoggiò contro la coscia di Blaine, che si fece ancora più vicino.

“Hai un profumo così buono.” disse Blaine, baciando il petto di Kurt nel punto in cui la casacca del pigiama rimaneva aperta. L'altro reclinò la testa indietro con un sospiro.

Blaine gli afferrò con decisione la nuca quando...

“E questo che diavolo...” disse sorpreso. Appeso al colletto del pigiama di Kurt c'era un cartellino di dimensioni colossali; si portò le mani al collo, imbarazzato, e Blaine scoppiò a ridere.

“Aspetta.” Lo staccò delicatamente e buttò il cartoncino nel cestino del bagno, poi lo prese per mano, accompagnandolo di nuovo in salotto. Mentre Kurt si vestiva, Blaine aveva aperto il divano-letto e lo aveva preparato per lui; ne avevano parlato, della possibilità di dormire insieme, ma nessuno dei due l'aveva trovata una buona idea. Blaine aveva insistito per cedergli il letto, ma alla fine la cocciutaggine di Kurt aveva avuto la meglio; per lui era abbastanza poter stare insieme tutta la sera e ritrovarsi il mattino successivo con la prospettiva di trascorrere insieme la domenica. Anche se accoccolarsi contro Blaine sotto le coperte era allettante, era un passo prezioso che voleva gustarsi in un'altra occasione.

Un passo alla volta.

Sorrise, guardando la cura con cui Blaine aveva piegato le lenzuola e le coperte.

“Bene... allora... buonanotte. Ci vediamo domani, Kurt.” Blaine lo baciò leggermente sulle labbra.

“Sogni d'oro.” rispose Kurt.

Credeva di non riuscire a prendere sonno, sdraiato in un letto estraneo e in una casa sconosciuta, invece la stanchezza della giornata lo ghermì lasciandolo senza forze. Nel giro di pochi minuti, Kurt dormiva profondamente, con un sorriso di serena felicità stampato sul viso.

Erano passate da poco le due quando si aprì la porta d’ingresso dell’appartamento e una sottile lama di luce, proveniente dal pianerottolo, illuminò parte del salotto. Una figura alta e barcollante entrò, chiudendosi la porta alle spalle senza troppa attenzione; Kurt, sdraiato sul divano, non si svegliò, ma mugugnò piano nel sonno, infastidito dall’intrusione.

Blaine si è addormentato sul divano. Fantastico… stanotte il letto è mio.

Sebastian, troppo assonnato e con qualche Martini di troppo nello stomaco, non studiò troppo a lungo la figura sdraiata nell’oscurità e si diresse verso la zona notte della casa, pregustandosi una salutare dormita nel lettone di Blaine. Accese la luce del bagno, strizzando le palpebre infastidito dal riverbero violento: accecato e intontito, per poco non fece pipì nel lavandino. Con i pantaloni ancora calati, maledisse Eric, che abitava ancora con i suoi genitori e dopo una fantastica scopata nella sua auto l’aveva portato sotto casa di Blaine senza troppi complimenti. Sebastian fece correre la lingua felpata contro il palato con una smorfia e si sciacquò la bocca il colluttorio.
Ma sono entrato nell’appartamento giusto? Questo bagno è troppo in ordine per essere quello di Blaine. Ah no, ecco il gel. È la casa giusta.

Lanciò i vestiti in un angolo e uscì dal bagno con addosso soltanto i boxer; scivolò nella camera da letto, stavolta senza commettere l’errore di accendere la luce. Il materasso cigolò appena sotto il suo peso e Sebastian si accoccolò soddisfatto sotto le coperte. Blaine non gli permetteva mai di dormire con lui perché gli ricordava le nottate trascorse insieme alla Dalton. A Sebastian questa sua fissazione andava più che bene, dal momento che avere un uomo nel letto gli ricordava François. Però quel divano era davvero troppo corto per un ragazzo della sua altezza e ogni mattina impiegava cinque minuti buoni a capire come riacquistare l’uso di tutte le articolazioni delle gambe. Con un mugolìo soddisfatto, si girò sul fianco andando a sbattere contro l’altra persona che occupava il letto.

“Mmm...” bofonchiò Blaine contro il cuscino, ancora mezzo addormentato. “Ne abbiamo parlato, non puoi dormire qui.”

“Idiota...” biascicò Sebastian, continuando imperterrito a sistemarsi nel letto. “Se ci sei tu che dormi sul divano, io dove accidenti vado a dormire?”

Nessuno dei due si rese conto dell'assurdità della conversazione.

“Io sono nel letto. Ci sei tu sul divano. Sono due settimane che insisti per dormire lì e non qui.”

“Fanculo. Sono tornato da cinque minuti e già mi stai friggendo il cervello.” rispose secco.

Nell'oscurità, Blaine si svegliò di colpo.

“Sebastian?” domandò mentre accendeva la luce.

“L'unico e il solo.” rispose lui con un sorriso beffardo, nonostante la luce gli desse fastidio da morire. Voleva solo dormire e smaltire l'alcool, non fare una chiacchierata cuore a cuore nel bel mezzo della notte.

Il volto sorpreso e stravolto di Blaine lo costrinse a unire i pezzi del puzzle di quella serata. “Aspetta... ma se tu sei qui nel letto, allora chi c'è sul divano?” disse improvvisamente lucido.

 

 

 

 

 

 

 

 

nda

Scusatemi per il ritardo. Spero ne sia valsa la pena.

Domani darò una rilettura per cambiare un paio di cosette e vedere se c'è qualche errore... nel frattempo se vi andasse di farmi sapere se vi è piaciuto!

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventiduesimo ***


Prima di tutto, scusatemi per la pausa che mi sono presa... troppi casini e troppi impegni, ma spero che gli spoiler quotidiani e questo capitolo insolitamente lungo possa farmi perdonare. Ringrazio tutti quelli che si sono fatti sentire su Fb e su Twitter e che non mi hanno mandato a quel paese per i continui giochetti mentali cui vi sottoponevo. A volte sono un po' cattiva... perdonatemi.

Zitta zitta, la storia ha raggiunto i 190 preferiti. Onestamente sono deliziata, ma ancora incredula.

Un abbraccio e buona lettura.

 

Capitolo ventiduesimo


Aspetta... ma se tu sei qui nel letto, allora chi c'è sul divano?”

Mentre entrambi elaboravano quella domanda, Sebastian e Blaine si scambiarono una lunga occhiata silenziosa e il tempo sembrò fermarsi per qualche istante, quando Sebastian sembrò finalmente realizzare che sul divano c'era qualcuno che Blaine non voleva assolutamente fargli incontrare. Poi, accadde tutto molto velocemente: Sebastian era dal lato del letto più vicino alla porta, ma l'alcool che aveva in corpo non lo rendeva particolarmente agile, così incespicò nelle lenzuola, che si ingarbugliarono inesorabilmente intorno alle sue gambe. Blaine, la cui sonnolenza era stata rapidamente spazzata via da un fiotto di adrenalina e di cieco terrore, buttò indietro il piumone e corse intorno al letto, pronto a barricare Sebastian dentro la stanza. Cosa fare dopo averlo rinchiuso non gli era molto chiaro, ma si preparò comunque a combattere.

Inciamparono disordinatamente l'uno nell'altro, sbattendo addosso alla porta, che rimbombò nel silenzio della notte; Sebastian, reso feroce dalla curiosità e spericolato dall'alcool, non si fece troppi problemi a spintonare via Blaine e correre scompostamente lungo il corridoio, mulinando le braccia vittorioso mentre raggiungeva il salotto. Con un sorriso trionfante, accese improvvisamente la luce della stanza, premendo con forza sull'interruttore proprio nel momento in cui Blaine gli arrivava alle spalle e lo afferrava per un polso, nel vano tentativo di fermarlo.

Strappato bruscamente dall'accogliente calore del buio, Kurt strizzò le palpebre per abituarsi alla luce che gli aveva aggredito gli occhi e si mise a sedere sul divano; con i capelli arruffati e il pigiama spiegazzato, era il ritratto dell'innocenza.

“Ma che succede...” disse strofindandosi il viso, ancora intontito dal sonno. Alzò lo sguardo e si trovò davanti, ai piedi del divano, un ragazzo dall'aria familiare con addosso solamente un paio di boxer e accanto a lui Blaine, che lo teneva stretto per un polso e si mordeva il labbro inferiore. Per poco non scoppiò a ridere, quando vide l'aspetto dei capelli di Blaine, arruffati e disordinati. Ma l'altro ragazzo... chi era?

Ah, Sebastian. Pensò distrattamente, mentre ricordava il loro incontro al supermercato di Lima poco prima di Natale. Dev'essere tornato da Harvard prima del tempo.

Poi ricordò le sincere minacce che Sebastian gli aveva rivolto e stupidamente afferrò i lembri del lenzuolo con entrambe le mani e se lo tirò fino al mento: forse per proteggersi, dato che era completamente vestito e non aveva nulla da nascondere.

“Blaine?” Sebastian lo puntò con l'indice e si voltò lentamente verso l'amico, che guardava Kurt con aria colpevole. Non sembrava arrabbiato o sorpreso. Forse era solo deluso che il grande segreto sdraiato sul divano fosse solo Kurt. “Che cosa ci fa lui qui?” biascicò interrogativo.

“Lui... stava dormendo sul divano. Perchè aveva molto sonno.” rispose cautamente Blaine, nella speranza che Sebastian fosse abbastanza ubriaco da bersi quella versione e dargli il tempo di elaborare una spiegazione accettabile entro il mattino successivo, quando di certo sarebbe stato meno gestibile.

“Ah.” rispose l'altro, inclinando la testa di lato, riprendendo a osservare Kurt, perplesso. “Tu non volevi che lo vedessi, non è vero?” constatò.

“Già. Sai, svegliarlo così bruscamente è stato molto scortese da parte tua, Sebastian.” provò ancora, facendo cautamente cenno a Kurt di scendere dal divano senza attirare troppo l'attenzione. “Non è vero Kurt?”

“Mmm... sì.” Il ragazzo non capiva bene dove Blaine stesse andando a parare, ma scivolò giù dal divano e rimase in piedi, sfregandosi le braccia per il freddo, a disagio.

“Lui non dovrebbe essere qui.” Sebastian sembrava non mollare, ma Blaine riuscì a farlo sedere sulle coperte.

“Ascolta Sebastian, abbiamo tutti un gran sonno e tu sei ubriaco marcio. Perchè non rimandiamo questo discorso a domani mattina, quando saremo tutti riposati? Ti prendo un bicchiere d'acqua, tu intanto sdraiati.” lo spinse gentilmente sulla spalla e Sebastian si lasciò rimboccare le coperte, senza mai smettere di guardare con astio il povero Kurt, che gli aveva appena ceduto il letto. Quando Blaine si voltò per andare in cucina, Kurt lo seguì immediatamente.

“Posso sapere che diavolo sta succedendo?” sussurrò a bassa voce, mentre Blaine versava dell'acqua in un bicchiere e prendeva nervosamente due aspirine da una scatola di farmaci.

“Dopo ti spiego. Per ora ti basti sapere che Sebastian è molto più pericoloso da sobrio che da ubriaco.” rispose Blaine a voce altrettanto bassa e leggermente intrisa di paura. “Vai in camera mia.”

Kurt annuì e con passi silenziosi s'avviò lungo il corridoio, camminando circospetto sotto lo sguardo di Sebastian, ancora perfettamente sveglio e sdraiato sul divano con le braccia incrociate e l'aria scocciata. Blaine uscì dalla cucina, appoggiò alcune cose sul tavolo del salotto e si inginocchiò accanto al divano, all'altezza della testa di Sebastian. Lo prese piano per un avambraccio, costringendolo a distogliere l'attenzione dal corridoio.

“Bas, l'acqua è qui sul tavolino accanto a te. Qui ci sono le tue caramelline gommose e l'aspirina per domani mattina, quando ti sveglierai con il tuo solito merdosissimo umore da post-sbornia. Ok?”

Sebastian allungò una mano e afferrò una manciata di orsetti di gomma, canticchiando soddisfatto. Quando Blaine si alzò in piedi e si spazzolò i pantaloni del pigiama con un sospiro, Sebastian sembrò ricordare il motivo per cui fissava il corridoio fino a pochi secondi prima.

“Quello lì è un tuo studente. E adesso è in camera tua.” disse con voce assente.

“Lo so. Non è esattamente così che doveva andare la nottata. Grazie tante Sebastian, davvero. Sto per passare le ore più imbarazzanti della mia vita, grazie al tuo provvidenziale intervento. Grazie tante.” disse guardando verso il corridoio, illuminato leggermente dalla luce proveniente dalla camera da letto. Sebastian alzò lo sguardo, senza cogliere il sarcasmo di cui ogni parola di Blaine sembrava essere satura.

“Pregno.” bofonchiò confuso, con la bocca piena di orsetti gommosi e gli occhi che finalmente sembravano cedere al sonno. Blaine fece un sospiro esasperato e andò in camera.

Qui trovò Kurt, che, seduto sul bordo del letto, s'alzò di scatto non appena lo vide entrare; si girò verso il letto, poi verso la porta, poi abbassò gli occhi verso il borsone che aveva afferrato in ingresso: “Io... ora mi cambio e vado a casa.” disse imbarazzato.

“Kurt.” Blaine si avvicinò e lo afferrò per i fianchi, giocherellando con l'elastico dei suoi pantaloni prima di trovare la forza di parlare. “Siamo nel bel mezzo della notte e stai crollando per il sonno. Non potrei mai farti guidare in queste condizioni. Se l'idea di dormire qui con me è... troppo, posso portarti a casa io, oppure gettare Sebastian dalla finestra e liberare il divano.”

Kurt spostò il peso da un piede all'altro, ridacchiando impacciato tra le braccia di Blaine.

“Il letto è grande. È solo per qualche ora... prometto di non toccarti nemmeno con un dito. Se non lo vorrai. Possiamo fare una barriera di cuscini per dividere il materasso.” propose Blaine, preoccupato dal suo silenzio. Kurt fece un respiro profondo, poi voltò la testa e guardò il letto da sopra la spalla.

“Ok.” disse semplicemente.

“Ok alla barriera di cuscini? Oppure ok alla totale assenza di contatto fisico?” domandò.

“Niente barriera.”

“Bene! Bene. Ok. Andiamo a letto. Insieme. Per dormire.” disse Blaine, baciandolo grato sulla guancia e poi girando intorno al letto. “Non ti dispiace dormire da quel lato? Io dormo sempre a destra.”

Kurt si strinse nelle spalle: scegliere il lato del letto era la minore delle sue preoccupazioni, in quel momento. Quello che gli stava attanagliando lo stomaco era il lento prendere consapevolezza del fatto che avrebbe dormito con Blaine, quella notte; per le prossime sei ore, Blaine sarebbe stato sdraiato accanto a lui, a pochi centimetri di distanza.

“Bene. Allora io...” Blaine aggiustò le lenzuola e il piumone, che portavano ancora i segni della sua recente collutazione con Sebastian; sollevò un angolo delle coperte, continuando a osservare Kurt, che non si era mosso di un millimetro e continuava a fissare il letto. “Kurt?”

Il ragazzo sbattè le palpebre. “Sì, arrivo.”

“Non sei obbligato... io potrei... recuperare un sacco a pelo o...” continuò a parlare, guardando Kurt riscuotersi rapidamente e ficcarsi sotto le coperte senza troppe cerimonie. “Bene.”

Blaine si unì a lui e rimasero per una manciata di secondi sdraiati sulla schiena, fissando il soffitto in silenzio; Kurt allungò il braccio e premette alcuni tasti dell'interruttore elettrico vicino al comodino, finchè al terzo tentativo la stanza non fu inondata di oscurità. Nel buio, Blaine trovò il coraggio di ricominciare a parlare.

“Domani mattina, potrei aver bisogno di un momento da solo con Sebastian. Devo spiegargli un po' di cose, ma sono sicuro che poi avremo tutta la giornata per noi. Potremmo andare a pattinare o al cinema... non saprei.” disse senza voltarsi verso Kurt, fissando un angolo dell'armadio illuminato da uno spiraglio di luce proveniente da un lampione esterno.

“Sebastian non è molto d'accordo con questa cosa, vero?” Quella di Kurt non era una vera domanda, ma più che altro una constatazione. Blaine rispose con un gemito esasperato.

“Avrei voluto... introdurgli la cosa in modo diverso, ma a quanto pare il caro Sebastian non sa rinunciare alle sue spettacolari entrate in scena. Spero che riesca a capire quanto io ti... quanto sei importante per me.”

Un fruscìo leggero di coperte. Kurt si era mosso e Blaine si congelò all'istante, intimorito dalla possibilità di fare il gesto sbagliato. Sentì la mano di Kurt tamburellare invitante sul materasso, nello spazio in mezzo a loro, così allontanò il braccio dal petto, fino a sfiorare il palmo di Kurt, rivolto verso l'alto e in attesa. Intrecciarono strette le loro dita e si lasciarono sfuggire un sospiro.

“Capirà.” disse Kurt. “Capiranno tutti, quando sarà il momento.”

Si addormentarono.

Diverse ore più tardi, Kurt aprì gli occhi e lesse sul display luminoso della sveglia che erano appena le sei; nonostante avesse alle spalle diverse ore di sonno, si sentiva stranamente indolenzito. Assonnato, provò a muovere cautamente una spalla per stiracchiarsi, senza riuscirci. Fu a quel punto che si rese conto di non riuscire a muovere quasi nessuna parte del corpo: qualcosa lo teneva fermo, premuto contro il materasso. Si trattenne dallo scalciare e divincolarsi un attimo prima di capire che cosa stava succedendo davvero: era sdraiato sul fianco destro e Blaine era letteralmente arrampicato su di lui. Evidentemente, si erano mossi nel sonno e durante la notte quella casta stretta di mano con cui si erano addormentati si era trasformata in una coccola ad alto contatto fisico.

Respirò profondamente e senza muoversi si sforzò di decifrare la situazione.

Un braccio di Blaine lo cingeva all'altezza del petto, fino ad arrivare a una delle mani di Kurt, che teneva leggermente stretta per il polso; il suo viso era affondato nell'incavo del collo, incastrato tra la spalla e la nuca, contro cui respirava piano, ancora completamente addormentato. Una gamba era appoggiata sopra a quelle di Kurt, bloccandole entrambe, mentre tutto il resto del corpo di Blaine era strettamente aderente alla sua schiena.

Superato il panico e la sorpresa di avere qualcuno tanto vicino durante il sonno, Kurt trovò quell'abbraccio particolarmente piacevole e caldo. Blaine profumava di menta, zucchero a velo e bagnoschiuma, la sua stretta era rassicurante e gradevole; uno dei suoi riccioli lo solleticava lungo il lobo dell'orecchio e le labbra di tanto in tanto gli sfioravano la pelle, facendolo rabbrividire. Involontariamente, ripensò a loro due sdraiati sul divano e alla mano di Blaine che scivolando sotto la sua camicia era arrivata a strofinargli il pollice contro un capezzolo. Non per la prima volta da quando aveva conosciuto Blaine, Kurt pensò che non avrebbe mai pensato di poter trovare qualcuno come lui. Non a Lima, almeno.

A volte fantasticava ancora su New York, sul suo futuro marito e sui loro maglioni coordinati, ma gli era bastato passare un paio di mesi insieme a Blaine per non riuscire a immaginare che lui, seduto su quel divano davanti al camino. Anche se tra di loro era ancora tutto da decidere.

Blaine si mosse nel sonno, accarezzandogli la nuca con la punta del naso e stringendosi a lui; non si svegliò, ma sembrò riconoscere Kurt anche nel sonno. Lo baciò sul collo prima di tornare a dormire profondamente. Il suo respiro regolare contro la pelle lo cullò lentamente, finchè anche Kurt non si riaddormentò, aprendo il cassetto in cui aveva rinchiuso i suoi sogni quel tanto che bastava per immaginare di essere a New York, nel suo appartamento, accoccolato contro suo marito.




 

Quando si svegliò di nuovo, il letto era vuoto e lui era completamente solo nella stanza; puntellò il gomito sul cuscino e si sollevò per leggere le ore. Erano le nove passate.

Strofinandosi gli occhi, scivolò fuori dalle coperte e si alzò, diretto verso la porta, che era appena socchiusa; da fuori provenivano le voci sommesse di Blaine e Sebastian, che probabilmente erano in salotto. Kurt non voleva interromperli e Blaine gli aveva chiesto un momento da solo con Sebastian, così appoggiò la schiena contro il muro e sedette a terra, origliando la conversazione.

“... di testa pazzesco. L'avevo detto a Eric che il Martini mi uccide, se non ci mangio insieme qualcosa.” Sebastian camminava avanti e indietro per il salotto, bevendo lentamente dell'acqua da un bicchiere che Blaine gli aveva portato poco prima. “Per fortuna che mi hai lasciato l'aspirina, almeno non ho i miei soliti istinti omicidi.” borbottò, continuando a camminare. Blaine era seduto sul divano, sopra le coperte ancora tiepide; sul tavolino non c'erano più orsetti di gomma.

“Allora ti vedi ancora con Eric?” chiese Blaine, con le braccia ficcate in mezzo alle gambe e l'aria stanca. Sebastian smise di camminare e tacque, guardandolo a lungo; poi sedette accanto a lui, facendo sobbalzare piano Blaine sul divano.

“Non parliamo di me ed Eric. Parliamo di te e della fatina del pilates che sta pisolando nel tuo bel lettone in questo momento. Credevo che ti fossi reso conto che tutta questa cosa è una gigantesca, mostruosa cazzata, destinata a complicare la tua vita. Non che tu abbia bisogno di casini, al momento. Giusto?” disse secco. La sbornia era passata, quello era Sebastian, lucido e asciutto come sempre.

“Sì, lo so... ma vedi...” Blaine ci provò a spiegare, ci provò davvero, ma l'amico non sembrava avere molta voglia di ascoltare. Gli appoggiò una mano sul ginocchio.

“Ascolta. È da settembre che ti dico di stare attento. Ho capito che ti piaceva ancora prima che te ne rendessi conto, ho capito che provavi qualcosa e ho cercato di avvisarti, per evitare che facessi qualche sciocchezza. Alla fine ci sei arrivato anche tu, che non poteva esserci niente tra di voi, niente che non portasse a una montagna di guai. Lo sapevo che stavi di merda, ma ti rifiutavi di rispondere al telefono e di richiamarmi quando ti lasciavo un messaggio in segreteria, senza preoccuparti di farmi sapere come stavi mentre ero bloccato ad Harvard per quegli stupidi esami. Poi ti ho sentito e stavi meglio, lo sentivo chiaramente. Ho pensato che avessi superato la cosa come una persona matura e responsabile, invece c'eri dentro in pieno. Cazzo, Blaine!” concluse esasperato, allargando le braccia.

“Lo so. Ma è successo tutto così velocemente e io...”

“Io davvero non ti capisco, Blaine. Sono anni che non ti fidi di nessuno e poi concedi la tua fiducia a questo ragazzino, senza nemmeno sapere chi è. Ma non lo vedi anche tu?”

“Sebastian, smettila. Lasciami spiegare.”

“Sentiamo.” rispose l'altro, alzando gli occhi al cielo con aria scettica.

“Avevo deciso che questa... questa cosa era sbagliata. Non sono andato in caffetteria, l'ho evitato nei cambi d'ora a scuola. Ma stavo peggio di prima e lui ha travisato il mio comportamento. Ha pensato che mi stessi allontanando perchè era un frignone o perchè mi ero stufato di fare il buon samaritano; mi ha affrontato, abbiamo quasi litigato. Lui era così... deluso e amareggiato. Ho dovuto dirglielo, non potevo lasciare che mi odiasse.” Blaine chiuse gli occhi, scuotendo la testa. Sapeva di aver fatto la cosa giusta.

“Che cosa gli hai detto, Blaine?” La voce di Sebastian gli giunse più preoccupata che mai.

“Che mi stavo innamorando di lui.” Blaine lo guardò con gli occhi lucidi, un accenno di sorriso che sembrava dire Sii felice per me, Sebastian, mi sto innamorando. Forse non sono tutto rotto. “E poi è venuto a casa mia ed è successo. Ci siamo baciati ed è stato bello, Sebastian. È stato giusto. Non riuscirai a convincermi del contrario.”

Strinse i pugni appoggiandoli sulle ginocchia e Sebastian si alzò in piedi, cominciando a gesticolare in direzione della camera da letto.

“Hai incontrato decine di ragazzi all'università, Blaine. Decine e decine. Va bene, c'era chi era troppo snob, chi troppo lagnoso, chi mangiava troppo aglio e chi allungava le mani senza permesso, ma tra di loro c'erano anche dei ragazzi normali, desiderosi solo di compiacerti e farti innamorare. Non hai mai mollato, hai sempre tenuto duro. Poi sei arrivato qui, tutto solo, e ti sei messo con lui. Non ti dice niente questa coincidenza?”

“Lui è diverso.” sbottò Blaine, cominciando a infastidirsi per i discorsi di Sebastian.

“Sì, è vero. È diverso. È giovane, è immaturo, è innamorato dell'idea di stare con un professore, non dell'idea di stare con te. Andiamo Blaine, ci siamo passati anche noi. Alla Dalton io mi scopavo l'assistente di laboratorio, che era una noia mortale ma mi passava le risposte dei test.”

“Non hai nessun diritto di parlare così, Sebastian! Non lo conosci, non sai che persona è e non sai che...” Blaine stava alzando la voce, furibondo per le insinuazioni di Sebastian. Si alzò in piedi.

“E' solo un ragazzino qualunque, Blaine. Non gliene faccio una colpa. Lui è solo un ragazzino. E tu sei sempre il solito ingenuo. Tra pochi mesi se ne andrà e nemmeno si ricorderà del professore di letteratura che gli faceva le coccole sul divano. Non capisco perchè stai sprecando il tuo tempo con lui.”

“Perchè? Davvero non vuoi capire, non è vero?” Blaine era senza fiato, lui e Sebastian erano a pochi centimetri l'uno dall'altro, entrambi furenti di rabbia. Entrambi surriscaldati dal tentativo di far capire all'altro il proprio punto di vista.

“Perchè? Perchè la tua grande debolezza è sempre stata quella di sentirti solo anche in mezzo a una folla, Blaine. E io capisco perchè adesso c'è quel ragazzino nella tua camera da letto. Perchè è innocente, è dolce, è indifeso ed è terribilmente simile a quel ragazzino disastrato che mi portavo a letto alla Dalton. Non cambierai il tuo passato facendo il carino con lui. Non cambierà niente, Blaine. Niente.”

“E ancora ci ricaschi. Nemmeno ci hai parlato e già credi di conoscerlo, non è vero? Io non capisco. Se non vuoi parlare direttamente con lui, puoi sempre chiedere a me che persona è; eppure non lo fai. Forse perchè non vuoi sentirti dire che è forte, che è coraggioso, che è intelligente e che lo ammiro per la forza con cui affronta l'inferno ogni sacrosanto giorno?”

Kurt, seduto a terra nella camera da letto, si raccolse le ginocchia al petto e ci appoggiò una guancia, girando la testa di lato. Gli dispiaceva che stessero litigando, ma Sebastian era stato ingiusto nei suoi confronti; in più, si sentiva in colpa per non aver detto a Blaine di Dave e delle sue minacce. Ma se già era preoccupato per lui, che cosa avrebbe fatto se avesse saputo il resto? Due grosse lacrime di scapparono da un angolo degli occhi, bagnando la mandibola e il collo mentre scivolavano lungo il viso.

Sebastian scosse la testa, ancora poco convinto. “Ma perchè...” cominciò a dire.

“Perchè lo amo, Sebastian! Lo amo! Ecco perchè! È così difficile da capire? Onestamente pensavo di avere un briciolo di comprensione in più dal mio migliore amico, non l'ennesima paternale su quanto sia sbagliato quello che c'è tra me e Kurt. L'hai detto anche tu in aeroporto, non ti ricordi? Complicato, non sbagliato. Ma evidentemente era solo tentativo di tenermi buono mentre cercavi di farmelo dimenticare.”

Sebastian spalancò la bocca, ma non disse nulla. Che cosa poteva dire, ora che improvvisamente aveva capito che Blaine faceva sul serio? Niente. Era tutto sbagliato. Le cose sarebbero potute andare diversamente: avrebbe potuto ascoltarlo fin dall'inizio, rimanergli accanto, gioire con lui del loro primo bacio e essere felice per vedere finalmente Blaine mettersi in gioco. Capì che Kurt non era un rifugio dalla vita reale, ma una scommessa: era qualcuno per cui Blaine era disposto a tutto. L'istinto di proteggerlo era stato più forte e, come sempre, aveva creduto di sapere cosa era meglio per lui. Doveva spiegarsi. Doveva spiegarglielo.

“Blaine, io non...” Provò a spiegarsi, ma stavolta fu il turno di Blaine di scuotere la testa.

“Non volevi piombarmi in casa e insultare sia me che lui? Troppo tardi.” si voltò e uscì dal salotto, lasciandolo lì in piedi, solo. Sebastian sedette sul divano e affondò il viso tra le mani.

Quando Blaine entrò nella stanza da letto, Kurt si stava alzando da terra mentre una grossa lacrima gli rotolava giù per una guancia; si strofinò il palmo per nasconderla e sorrise incerto. Non era ancora del tutto in piedi, quando Blaine gli afferrò il viso con entrambe le mani e lo tirò a sé, baciandolo intensamente per alcuni secondi; si godette la sensazione della lingua di Blaine che spingeva contro le sue labbra, lasciandosi appoggiare al muro come la sera precedente.

“Non m'importa quello che dice. E non deve importare nemmeno a te.” disse ansimando piano contro la sua guancia, quando entrambi ebbero il fiato corto. Kurt annuì, completamente arreso.

“Vestiti. Usciamo. Metti dei jeans o dei pantaloni pesanti. E una sciarpa. Hai portato gli stivali?” gli chiese Blaine, mentre apriva bruscamente la cassettiera e tirava fuori dei pantaloni scuri e quella che sembrava essere una maglia termica.

“Io... s-sì, ho gli stivali. Dove andiamo? Non facciamo neanche colazione? Ci sono i tortini.”

Blaine gli rispose senza voltarsi e senza smettere di frugare nel cassetto: “E' una sorpresa. Tu metti quello che ti ho detto... dobbiamo andare. La giacca adatta te la presto io. Nell'armadietto sopra il lavandino c'è il thermos, lo riempiamo di caffè e facciamo colazione quando arriviamo.”

“La giacca giusta? Ma che hai in mente?” Kurt lo osservava perplesso, ma Blaine non lo degnò di un'occhiata. Alzò gli occhi al cielo, afferrò i suoi vestiti che l'altro gli aveva indicato e andò in bagno a prepararsi.

Un quarto d'ora più tardi, Kurt era sulla soglia della camera di Blaine, con degli aderenti pantaloni neri infilati negli stivali e uno sguardo assassino che implorava una tazza di caffè. Sebastian era ancora sdraiato sul divano e faceva nervosamente zapping, mordicchiandosi un labbro e cercando di non sembrare troppo interessato a quello che stavano combinando.

“Sono pronto.” disse Kurt, sgranando gli occhi quando Blaine gli allungò un indumento poco familiare. Corrugò le sopracciglia, fissando quello che stringeva tra le mani. “Sei serio, Blaine? Non puoi davvero... avere... dov'è?”

Blaine gli strizzò l'occhio, soddisfatto per essere riuscito a sorprenderlo.

“Andiamo in garage, Kurt. Quando ho troppi pensieri per la testa e non c'è la boxe, mi rimane solo una cosa da fare. E vorrei farla insieme a te.”

Kurt annuì, ancora incerto dalla proposta di Blaine, ma ormai intrigato. Quando uscirono dalla stanza, Sebastian si alzò dal divano, scattando come una molla.

“Blaine... ascolta. Aspetta.” disse appoggiando la schiena al divano, mentre Blaine lo ignorava ostinatamente, ficcandosi violentemente le chiavi in tasca e cercando il portafogli. Kurt era tra loro due, osservandoli con aria imbarazzata e stringendo tra le mani la giacca, ma Sebastian non lo degnò di un'occhiata. Era una cosa tra lui e Blaine, per ora.

“Non puoi scappare sempre, Blaine. Non fare così, lo sai che io voglio solo...” Blaine aprì la porta e uscì dall'appartamento, lasciandola socchiusa perchè Kurt lo seguisse. Il ragazzo afferrò il pomello d'ottone e abbassò gli occhi mentre chiudeva la porta.

“Mi dispiace.” sussurrò notando l'espressione distrutta di Sebastian, che li guardava andarsene, ormai solo nel salotto. Quando chiuse la porta, Blaine lo stava già aspettando nell'ascensore e una volta arrivati ai garage sotterranei gli fece strada prendendolo per mano; imprecò sottovoce mentre cercava la chiave per aprire il suo, poi fece un sorriso trionfante.

“Kurt, ti presento la mia bambina. Ci porterà in un posto speciale.”

Davanti a Kurt, parcheggiata accanto all'auto di lusso che già in altre occasioni aveva visto a scuola, c'era una motocicletta. Una di quelle grosse. Rimase a fissarla finchè Blaine non gli appoggiò contro il petto un casco e non gli domandò: “Vuoi venire con me?”.

Fece correre le dita sopra la superficie lucente del casco, seguendo pensieroso il profilo dei disegni che si rincorrevano lungo il bordo.

“Sì. Ovunque.”

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitreesimo ***


Capitolo ventitreesimo


Dalla finestra dell'appartamento, un Sebastian piuttosto combattuto guardò Blaine andarsene via in moto, lasciandosi sfuggire un sospiro frustrato; ovviamente non era la prima volta che gli capitava di litigare e Sebastian era certo che in un modo o nell'altro si sarebbero chiariti, ma odiava quel breve arco di tempo che divideva i loro bisticci e le loro pacificazioni. Era così inutile e stupido fingere che non si sarebbero più parlati o che non avrebbero trovato una scusa qualunque per porre fine alle ostilità, eppure lo facevano ogni volta; ma forse era davvero necessario separarsi di tanto in tanto, giusto per schiarirsi le idee e sbollire l'arrabbiatura.

Si passò una mano nei capelli, poi si buttò sul divano e afferrò il cellulare; digitò a memoria il numero di Eric, senza nemmeno guardare lo schermo, intento com'era ad arrotolarsi addosso il plaid di pile che aveva già usato durante la notte. Eric rispose dopo un paio di squilli, salutandolo con quella voce così alla mattina presto era maledettamente vivace: quando lo sentì parlare, Sebastian stava già sorridendo, senza nemmeno rendersene conto.

Ciao piccolo.” mormorò nel telefono, affondando infreddolito la schiena contro i cuscini del divano. “Sono qui tutto solo da Blaine, ti va di passare a trovarmi? Sì, porta anche gli esercizi di Analisi, ti aiuto io, se non muoio di noia non appena apri i libri. Va bene, ci vediamo qui tra un'ora.”

Scalciò indietro la coperta e s'incamminò verso il bagno: era ancora sottosopra per la discussione con Blaine e moriva dalla voglia di chiamarlo per raccontargli tutto quello che era successo tra lui ed Eric da inizio dicembre. Forse, ora che anche Blaine c'era dentro fino al collo, avrebbe saputo dirgli come affrontare tutta quella tempesta di sensazioni che gli ingarbugliavano lo stomaco ogni volta che pensava ad Eric.

Quando uscì dalla doccia e guardò la sua sagoma sfocata riflessa dallo specchio del bagno coperto di vapore, disegnò una faccina sorridente con la punta del dito; Blaine odiava questa sua abitudine, ma più gli chiedeva di non farlo, più forte era la tentazione di trasgredire. Ridacchiò, immaginando l'espressione scocciata che si sarebbe dipinta sul viso di Blaine quando l'avrebbe scoperto. Finì di prepararsi, poi si accucciò sul divano, aspettando che Eric suonasse il campanello.



 

Il viaggio fu più breve di quanto Kurt avesse immaginato: si era seduto dietro Blaine, appoggiando la testa contro la sue schiena e gli aveva cinto il busto con le braccia, pregando tra sé e sé di arrivare tutto intero a destinazione. Quando il motore aveva cominciato a ruggire sotto alle sue gambe, aveva stretto Blaine più forte, facendolo scoppiare a ridere; solo dopo una decina di chilometri e dopo aver verificato di persona che l'altro era perfettamente in grado di guidare senza farli uccidere entrambi, si era rilassato, godendosi quell'inconsueto punto di vista sul panorama rurale dell'Ohio.

A un certo punto, fermi al semaforo, Blaine aveva allungato il braccio dietro di sé e gli aveva battuto il palmo sulla coscia a mo' di saluto, facendolo irrigidire e distrarre: l'aveva preso alla sprovvista, proprio mentre si godeva la sensazione di respirare all'unisono, con il petto appoggiato alla sua schiena. Incerto su come rispondere a quella pacca, fece lo stesso sulla sua spalla; la risata di Blaine gli arrivò attutita dall'imbottitura del casco.

Un volta arrivati, Blaine lo aiutò a scendere dalla sella; Kurt aveva le gambe tremanti e le dita irrigidite per la forza con cui aveva stretto il suo giubbotto ogni volta che una curva gli sembrava spericolata o la velocità eccessiva.

Eccoci qui.” disse Blaine, dopo avergli slacciato accuratamente il casco e averlo appoggiato su un muretto poco distante dal punto in cui avevano parcheggiato la moto. Sfilò i guanti e lo prese per mano, invitandolo a camminare insieme a lui lungo un piccolo sentiero coperto da larghi sassi piatti, che lì portò davanti al Grand Lake Saint Marys; Kurt lo conosceva per fama e sapeva che molti del suo liceo trascorrevano lì le vacanze, ma non ci era mai venuto. Spalla contro spalla, le mani intrecciate strette tra di loro, si voltarono silenziosamente verso il panorama che gli si apriva davanti. Il cielo quel giorno era plumbeo, così che l'acqua del lago sembrasse una distesa di grigio metallo liquido, mossa pigramente da onde regolari e poco pronunciate.

Oltre a loro non c'era nessuno. I piccoli cottage che d'estate venivano affittati dalle famiglie erano vuoti, con le persiane chiuse e le porte sbarrate; il bar davanti al quale si stendeva il molo non aveva tavolini all'esterno e le luci erano spente, tutte le barche a remi erano ammassate in un capanno di rete metallica dall'aria poco resistente. Tutto sembrava grigio, malinconico e abbandonato, come se non fosse possibile che da maggio in poi quella passeggiata avrebbe brulicato di turisti con cestini da pic nic e infradito di gomma.

Blaine chiuse gli occhi e respirò profondamente l'aria umida e fredda che il vento gli sospingeva addosso, lasciandosi cullare per qualche istante dai ricordi. Kurt lo guardò in silenzio, senza chiedergli nulla; con i capelli scompigliati, le palpebre socchiuse e l'espressione assorta, sembrava il ritratto di qualcuno perennemente in fuga da qualcosa. Forse Sebastian non aveva tutti i torti.

Venivo qui in vacanza ogni estate.” disse aprendo gli occhi. “I miei mi portavano sempre un paio di settimane in Europa o in qualche paradiso tropicale, ma niente era divertente come stare un mese intero da mia nonna Marianne. Giocavo con il fango, rincorrevo le lucciole e facevo scorpacciate di pesche... avevo un sacco di amici qui. Non c'erano miniclub o guide turistiche cui affidarmi, eppure non mi annoiavo mai, non ero mai solo.”

Forse non stava scappando. Forse stava solo tornando.

Vedi quella casa?” Blaine indicò un cottage di grandi dimensioni, collocato alle spalle delle piccole casette mobili più vicine al lago. Il termine cottage era riduttivo, ma appropriato al contesto: una villa di città non avrebbe avuto un patio tanto grande, persiane bianche e mattoni a vista lungo i fianchi. “Era la casa di vacanza di mia nonna. Mio nonno adorava questo posto e lei si è rifiutata di vendere la casa, dopo la sua morte. I miei genitori e i miei zii le ripetevano che una casa così grande era sprecata per una donna sola, ma le ha tenuto duro fino alla fine. Diceva che non era una donna sola, perchè c'ero sempre io a farle compagnia.”

Blaine cominciò a camminare lungo la passeggiata che costeggiava il lago, senza accorgersi che Kurt stava ancora ammirando la villa. Poteva vedere Blaine correre a perdifiato lungo la collina, scalciare le scarpe in un angolo della spiaggia e andare incontro agli altri bambini; riusciva a immaginarlo chiaramente, con addosso una maglia a righe e i capelli ricci aggrovigliati, le mani sudate tipiche dei bambini vivaci strette intorno a un secchiello rosso e il sorriso sgangherato, senza uno degli incisivi anteriori. Poteva vederlo correre indietro, afferrare la mano di sua nonna e tirarla per un braccio, facendole fretta e guadagnandosi una sculacciata.

O forse si sbagliava.

Magari Blaine giocava tutti i pomeriggi sul tavolo della cucina, seduto insieme ad altri bambini, versando un thè immaginario in piccole tazze di porcellana che la nonna gli aveva comprato in una bottega del paese vicino, sgranocchiando biscotti e parlando di principi. E allora Kurt poteva vederlo di nuovo, con la camicia immacolata abbottonata fin sotto il collo, i capelli divisi ina riga perfetta e il mignolo sollevato mentre beveva con eleganza.

O forse sbagliava ancora.

Forse era uno di quei bambini che giocavano solo a pallone, con le ginocchia sbucciate e le scarpe sempre piene di sabbia, che...

Kurt? Non vieni?” Blaine era a una decina di metri da lui, con le mani infilate nei jeans e la testa interrogativamente piegata di lato. Lui annuì, scuotendo il capo e liberandosi dei fantasti di tanti, piccoli, diversi Blaine, poi andò incontro all'unico Blaine che conosceva, quello reale.

“Sì! Arrivo.” rispose sorridendo e afferrò la mano che Blaine gli porgeva. Era fredda, liscia e forte.

Fu con somma sorpresa di Kurt che Blaine estrasse dalla giacca un pesante mazzo di chiavi: era convinto che si sarebbero limitati a guardare la casa da fuori, gironzolando per il giardino che la circondava, così sgranò gli occhi quando vide Blaine combattere con la serratura della porta principale, che si aprì, cingolando, al terzo tentativo.

“Da quando mia nonna è morta, non hanno più fatto molti lavori di manutenzione. In più con la recente flessione del mercato immobiliare è praticamente impossibile venderla. Troppo grande, troppe stanze... mio padre ha detto che è meno costoso lasciarla qui e aspettare che almeno il terreno guadagni un po' di valore, per poi buttarla giù.” Il tono di voce di Blaine era fremente di disapprovazione. Lasciarono la porta d'ingresso aperta, perchè l'interno era illuminato solo da quella poca luce che filtrava attraverso le persiane chiuse.

L'aria era piena di polvere, che si sollevava e mulinava al loro passaggio, gli ambienti erano in penombra, con i mobili coperti da ampi lenzuoli che arrivavano fino a terra e scatoloni impilati, doviziosamente sigillati con scotch da pacco. Senza alcun preavviso, Blaine aprì le finestre della facciata, inondando l'interno di luce grigia: le pareti si rivelarono di un bianco candido, con alcune macchie d'umido che infiammavano gli angoli.

“Cerco di venire qui più spesso possibile, ma quando ero all'università era difficile trovare il tempo. L'aria del lago è così umida che è impossibile evitare che si formino quelle macchie. Se la nonna le vedesse impazzirebbe, salirebbe su uno sgabello e spruzzerebbe candeggina per ore, maledicendo mio padre e quella strega di sua moglie.” Rise tra sé e sé, poi si spostò in cucina, dove aprì anche la porta di servizio. Kurt intravide un'altalena di ferro e un capanno per gli attrezzi.

“Quanto tempo fa è... venuta a mancare, tua nonna?” chiese cauto Kurt, seguendolo al piano superiore, attento a non inciampare nelle scatole che ingombravano le scale. “Ups...” disse quando con la punta del piede ne urtò una, spostandola appena.

“Ormai sono passati più di due anni. Sono venuto alla casa su lago fino all'ultima estate, quando era gravemente malata. E sono stato l'unico a venire per sistemare le cose ci aveva lasciato quando è morta. Per questo ci sono tutti questi scatoloni, le macchie e tutto il resto... non ho avuto né molto tempo né molto aiuto.”

Insieme aprirono le finestre delle camere da letto, finchè Kurt non si trattenne più: “Quale di queste era la tua camera?”

Voleva sapere com'era Blaine da bambino. Aveva bisogno di saperlo.

“Oh, non è su questo piano. È in mansarda. Aspetta...” Blaine entrò in una delle stanze e tornò con un lungo bastone, alla cui estremità c'era un uncino; lo usò per aprire una botola situata al centro del soffitto del corridoio. Kurt non l'aveva nemmeno notata.

“Era il mio fortino, quando mi capitava di litigare con i miei amici mi chiudevo qui sopra e scendevo solo se mia nonna faceva i biscotti. Li mangiavo direttamente dalla teglia del forno, lei mi sgridava e faceva lo stesso. Ci scottavamo la lingua e bevevamo litri di latte freddo, poi ci sedevamo sul dondolo del patio e le raccontavo tutto.” Blaine glielo disse mentre apriva una scala pieghevole e ci si arrampicava. Kurt fece lo stesso e lo scricchiolio sinistro del metallo sotto i suoi piedi fu un incentivo sufficiente per non guardare il sedere di Blaine, che si arrampicava sopra di lui. All'ultimo gradino, l'altro lo afferrò per un polso e lo aiutò ad alzarsi in piedi nella stanza, poi aprì una piccola finestra e scostò la tenda che copriva il lucernario.

Ed eccolo lì... il piccolo Blaine. Un bambino che premeva sul muro le mani coperte di tempera, proprio sopra l'interruttore della luce. Un bambino che leggeva tanto, che impilava i libri su quello scaffale ormai vuoto e che giocava a baseball, prima di scoprire la boxe. I muri della stanza erano dipinti di azzurro tenue, scolorito dal tempo, e portavano ancora i segni dello scotch dei poster, ormai ingialliti e ammucchiati sotto al letto. Il letto era solo un telaio, privo di materasso e impolverato: sul soffitto, all'altezza del cuscino, erano appiccicate decine di stelle forforescenti.

“Avevo paura del buio.” disse Blaine con un sussurro, quando vide che Kurt si era alzato sulle punte dei piedi e le stava sfiorando le dita. “Anche quando mi è passata, non le ho mai volute togliere.”

Nell'angolo più vicino al lucernario c'era una grande scrivania, che apparteneva evidentemente al Blaine che non aveva più paura del buio, ma aveva paura di altre cose. Su uno dei lati era incollato uno stemma della Dalton e gli angoli erano pasticciati con calcoli e piccoli appunti. Blaine ci sedette sopra e tirò sulle gambe una scatola che aveva appena preso da uno dei cassetti.

Dentro, tante fotografie schiacciate insieme.

“Le preferite sono a casa, ma non ho avuto la forza di portarle via tutte. Era come dire addio alla casa in modo definitivo... non ce l'ho fatta.” Abbassò lo sguardo sulle foto e ne sfilò alcune, passandole a Kurt, che si era seduto davanti a lui, allontanando la sedia dalla scrivania.

E di nuovo, il piccolo Blaine fu davanti ai suoi occhi. In una fotografia era seduto in braccio a una donna anziana, con addosso una salopette di jeans e una polo, intento a giocare con due soldatini; su un braccio aveva un livido rotondo e le labbra erano corrucciate, come se stesse simulando i suoni di una battaglia. Lei rideva, con i capelli bianchi che le ricadevano a ciuffi davanti agli occhi. Nelle mani stringeva a sua volta dei soldatini.

Kurt prese dalle mani di Blaine un'altra fotografia, avido e curioso. Soffiò via la polvere.

Se nell'altra immagine Blaine doveva avere circa cinque anni, qui era più grande. Era sdraiato sulla pancia, al centro di quella stanza dove si trovavano ora. Stava disegnando, con la lingua stretta tra i denti e l'espressione concentrata. Era stata scattata da sua nonna, arrampicata in cima alla scala: si capiva perchè era riflessa in uno specchio appeso alle spalle di Blaine, con una Kodac usa e getta tra le mani. Kurt alzò gli occhi, ma sul muro azzurro non c'era più alcuno specchio.

Si mise in piedi e si avvicinò alla scatola. Non vedeva l'ora di guardarle tutte.

Non notò che Blaine ne aveva sfilate rapidamente un paio e le aveva messe di nascosto nel cassetto. Fotografie in cui Blaine aveva già sedici anni, un sopracciglio rotto, le costole fracassate, un occhio nero e un dente di porcellana nuovo di zecca, per sostituire quello che era volato via dopo un calcio ben assestato. Fotografie in cui, seduto sul dondolo con le braccia strette intorno al busto, guardava il lago in primavera per la prima volta, mentre i suoi genitori preparavano le carte per la Dalton e lo tenevano al riparo da occhi indiscreti.

Fotografie in cui era arreso. Sconfitto. Solo.

Kurt appoggiò la schiena contro la scrivania, accoccolandosi contro il suo petto; Blaine scivolò in avanti, appoggiandogli il mento sulla spalla, cingendogli l'addome con le braccia. Gli raccontò i retroscena di ogni fotografia, mano a mano che i ricordi gli correvano davanti agli occhi; di tanto in tanto, quando Kurt criticava il suo amore per le salopette e per i tuffi dal molo, gli premeva le labbra sul collo e lo stringeva appena più forte, accarezzandolo piano sotto il giubbotto.

Quelli erano ricordi passati, ma il ragazzo che aveva nascosto nel cassetto era ancora dentro di lui, rannicchiato in qualche angolo a leccarsi ferite che non sembravano rimarginarsi mai.

Kurt si voltò tra le sue braccia e ripose le scatola sulla scrivania.

“Devi esserti davvero divertito, si vede nelle fotografie che eri... un bambino felice.”

“E non hai ancora visto la parte migliore. C'è ancora una cosa di questa casa, che non ti ho mostrato.” Blaine allontanò appena Kurt e scivolò giù dalla scrivania, poi la spinse fin sotto la grande finestra che si apriva sul soffitto. Sotto gli occhi perplessi di Kurt salì in ginocchio sul piano del mobile, poi aprì il lucernario verso l'esterno; infine si arrampicò fuori, con un piccolo saltello. Kurt fissò il punto in cui si trovava Blaine fino a un attimo prima, poi lo imitò.

Trovò Blaine seduto sul letto, con le gambe raccolte al petto. Dall'alto della collina, si vedeva quasi interamente tutto il lago, le montagne che lo circondavano e tutte le ville che ne costeggiavano le sponde. Con passo infermo, arrivò accanto a lui.

Il panorama era mozzafiato. Kurt si chiese come sarebbe stato poter ammirare quello spettacolo d'estate, con il cielo sereno e il calore sulla pelle. Rimasero lì a lungo, incuranti dell'aria gelata che saliva dall'acqua fino alla villa.

“Magari quest'estate potremmo venire qui.” propose Blaine. “In un paio di stanze ci sono ancora i mobili e i materassi. Potrei far allacciare l'elettricità per un paio di settimane o controllare se il vecchio generatore funziona ancora.”

Kurt si morse il labbro.

“Potrei venire prima di partire per New York.”

“Già.”

“Tu rimarrai a Lima?” Lo chiese perchè era tanto che ci pensava. Sapeva che Blaine non aveva fatto domanda per nessuna università e nessuna borsa di studio, così come sapeva che il suo contratto al McKinley era solamente di un anno.

“Non lo so. Ho mandato in giro un po' di curriculum, ma per ora... l'unica cosa certa è che rimarrò a Lima fino a giugno.”

Tacquero. Kurt riempì quel silenzio voltandosi verso di lui e baciandolo piano e disperatamente sulle labbra, finchè non si trovarono sdraiati sul tetto, con le tegole conficcate nella schiena. Faceva meno male che pensare a cosa avrebbero fatto quando la scuola sarebbe finita.

 

Rimasero al lago tutto il giorno. Quando finalmente si decisero a lasciare la casa, era quasi ora di pranzo ed entrambi morivano di fame: a causa del litigio di Blaine con Sebastian non avevano fatto colazione. Camminarono lungo il lago, cercando un posto che non fosse chiuso durante il periodo invernale: Blaine aveva chiesto a Kurt di rimanere almeno fino a metà pomeriggio, così la casa sarebbe rimasta aperta almeno qualche altra ora e gli ambienti avrebbero preso un po' d'aria. Dopo quasi un'ora di passeggiata trovarono un ristorante che sembrava non essere abbandonato: all'interno c'erano poche persone, ma la cucina era decisamente aperta e funzionante. Il menù non era molto vario e Kurt avrebbe trascorso tutto il pomeriggio sul tapis roulant per consumare le calorie che Blaine gli aveva fatto ingurgitare, ma in quel momento non pensò ad altro che sbaffarsi il pesce fritto e le patatine non appena glieli piazzarono davanti. In una mossa azzardata, riuscì a rubare anche uno dei calamari di Blaine.

Rimasero lì a parlare per due ore, finchè la cameriera non cominciò a spegnere le luci e appoggiare le sedie sui tavoli. Pagarono e uscirono, prendendosi per mano: intorno a loro non c'era nessuno, non c'era motivo di essere cauti.

“Mi piacerebbe che questo weekend durasse per sempre.” disse Kurt, seduto sulla moto, mentre Blaine prendeva il suo casco. Di ritorno dal ristorante erano saliti ancora sul tetto della casa, poi ne avevano accuratamente richiuso tutte le finestre.

Blaine si voltò, poi fece qualcosa che Kurt non si aspettata: appoggiò di nuovo il casco di Kurt sul muretto e si sedette sulla sella della moto, voltato verso Kurt.

“Ma che...” Fece per dire.

Come per il loro primo bacio, Blaine gli prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, al punto che le loro fronti quasi si sfiorarono. Gli occhi di Kurt erano grigi come il cielo sopra di loro.

“Anch'io vorrei che questo weekend durasse per sempre.”

Quando lo baciò, spingendolo appena indietro, Kurt scoprì che avere il gancio della sella conficcato nella schiena era davvero poco da sopportare, quando il corpo di Blaine si strusciava contro il suo. Nei suoi ricordi, il viaggio di ritorno fu davvero piuttosto confuso.



 

I genitori di Kurt sarebbero tornati durante la notte, così lui e Blaine decisero di cenare insieme, sempre all'appartamento di Blaine. Lungo il corridoio che portava dall'ascensore alla porta di Blaine non c'era nessuno, quindi non ebbero alcun motivo di interrompere quel bacio appassionato che li aveva uniti al piano terra, non appena erano entrati nella cabina e avevano premuto il bottone della pulsantiera. Sfortunatamente, quando entrarono nell'appartamento Blaine non vide né Eric né Sebastian seduti sul tappeto davanti alla tv, affondato com'era nell'incavo del collo di Kurt; fu l'amico, con un paio di colpi di tosse ben assestati, a riportarli nel mondo dei vivi.

“Scusateci... noi stiamo cercando di studiare, qui.” disse con voce sarcastica.

Finalmente i ragazzi si voltarono verso il salotto, da dove Sebastian li guardava storto ed Eric ammiccava, salutando amichevolmente con la mano; Blaine si passò una mano nei capelli e Kurt arrossì vistosamente, bofonchiò un saluto e filò in bagno.

“Come è andato il giro in moto?” Sebastian si alzò, spazzolando della polvere immaginaria dalle ginocchia. Eric gli fece un cenno e gli tirò il bordo dei jeans, come cercando di ricordargli qualcosa, e lui alzò gli occhi al cielo. “Va bene... glielo chiedo. Non me ne sono dimenticato.”

Blaine lo guardò interrogativo, ancora in piedi nell'ingresso.

“Eric vuole vedere la tua moto. E' tutto il giorno che mi fa impazzire... puoi per favore mettere da parte il fatto che sono stato uno stronzo e farlo contento? Altrimenti non me la perdonerà mai.” disse ostentando disinteresse e distacco.

“Ma certo che posso... solo... Kurt...” Guardò verso il corridoio. Non era sicuro di voler lasciare Kurt da solo con Sebastian. “Non so se è il caso...”

“Non lo mangio. Promesso.” Lo rassicurò Sebastian. Riluttante, Blaine annuì e disse a Eric di prendere la sua giacca, lanciando all'amico un'occhiata minacciosa.

“Ho promesso!” rispose esasperato Sebastian, alzando le mani al cielo. Eric saltellava da un piede all'altro fremente d'eccitazione; non appena chiusero la porta dell'appartamento, cominciò a tempestare Blaine di domande.

Quando Kurt tornò in salotto, non si aspettava di vedere solamente Sebastian seduto in poltrona, con i denti affondati in uno dei suoi tortini arcobaleno.

“Dov'è Blaine?” chiese rimanendo sulla soglia della stanza. Da lì vedeva che né lui né Eric erano in cucina. Sebastian si strinse nelle spalle.

“Sono giù nel garage, Eric voleva vedere la moto.” Un altro morso al dolce. “Cazzo, quelli di Natale non sono riuscito ad assaggiarli, ma almeno stavolta mi sono vendicato. Li hai fatti tu, non è vero?”

Kurt annuì, senza nascondere un po' di orgoglio. Era evidente che a Sebastian piacevano.

“Sei proprio un clichè, il solito gay amante della cucina. Scommetto che ami la moda, i musical e sai anche cucire.” Disse per prenderlo un po' in giro. Sebastian non era esattamente un asso, nel fare nuove amicizie. Di solito era privo di tatto, educazione e sincera intenzione di fare conoscenza.

“Ho imparato a cucire e a cucinare quando mia mamma è morta. Avevo otto anni. So anche smontare un motore d'auto e rimontarlo pezzo per pezzo, ma fingerò di non avertelo detto, così la tua battuta sui clichè continuerà a far parte del tuo repertorio di battute spiritose. Ora scusami, vado anche io in garage, almeno non ti sto tra i piedi.” Rispose secco Kurt, cercando con gli occhi la sua giacca.

“Uh. Allora Blaine non scherzava, quando ha detto che hai un bel caratterino. Dai, siediti qui, parliamo un momento... non mi va di non andare d'accordo con il ragazzo del mio migliore amico.”

“Niente più battute idiote?”

“No. Promesso. Anzi, per favore, non dire a Blaine quello che ho detto prima. Gli avevo detto che non ti avrei trattato male, mentre era con Eric.” Kurt sollevò un sopracciglio e sedette sul divano, davanti a Sebastian, che con un altro morso finì di mangiare il tortino che aveva in mano. Appoggiò la carta sul tavolino in mezzo a loro, vicino ai libri di Eric. Kurt spalancò gli occhi, quando vide l'incarto argentato di un preservativo; si costrinse a fare il disinvolto.

“Va bene. Almeno avrò qualcosa con cui ricattarti. Eric è il tuo ragazzo?” chiese senza troppi giri di parole. Quando Sebastian annuì piano, lo osservò incuriosito. “Blaine mi ha detto che non sei proprio un tipo da relazione fissa.”

“Cambiamo tutti idea, no? A volte si tratta solo di trovare la persona giusta. Anche Blaine, seppure per motivi diversi dai miei, si riteneva una persona destinata a rimanere sola. Eppure eccoti qua.”

“Già.” Kurt accavallò le gambe. “Credo che senza di lui questo anno sarebbe stato molto diverso, per me. Dio... L'idea di tornare a scuola domani mi fa venire la nausea. A scuola è uno schifo.”

Kurt non sapeva perchè stesse parlando tanto liberamente quel ragazzo irritante, ma lo fece. Forse perchè era gay e poteva capirlo, forse perchè era amico di Blaine e in fondo non doveva essere tanto male...

“Anche la scuola era uno schifo, per Blaine. Scoprire di essere gay e vedere che tutti si comportano diversamente dev'essere una cosa terribile da sopportare. Lui me ne ha sempre parlato tanto, ma credo di non aver mai capito fino in fondo cosa significa non aver voglia di alzarsi dal letto la mattina.” Sebastian rispose asciuttamente, eppure il tono della conversazione si era fatto serio, prima ancora che se ne rendessero conto.

“Mi sembra di comprendere che per te non è andata così. O sbaglio?” Kurt era incuriosito e sorpreso. Aveva sempre dato per scontato che chiunque dovesse passare le pene dell'inferno, dopo il coming out; evidentemente si sbagliava.

“Ho sempre saputo di esserlo. Gay, intendo. Niente drammi, niente dilemmi... quando ho detto a mia mamma che mi piaceva l'uccello, mi ha risposto che finalmente avevamo qualcosa in comune e ha chiesto alla cameriera di portare dello champagne. Avevo... quattordici anni, se non ricordo male. Non ho mai avuto problemi, perchè non ho mai frequentato scuole pubbliche e fin dal primo anno del liceo sono andato alla Dalton.”

“Qualcuno è più fortunato di altri, non è una colpa. Non per tutti dev'essere lo stesso.” commentò Kurt. “Voglio dire, sono cose che lasciano il segno, drammi di cui si farebbe a meno.”

“Già. A volte i drammi vengono dopo, ma almeno servono a farti capire cosa è davvero importante. Forse non è stata una colpa essere stato fortunato, ma è stata colpa mia il modo in cui mi sono comportato, credo. Per me niente è mai stato troppo difficile. Se volevo una cosa, o me la compravano, o mi impegnavo per averla. L'auto, la piscina in giardino, un anno in Francia, Blaine... non appena li ottenevo, non avevano più importanza. Non appena l'odore di nuovo svaniva, sentivo l'istinto di correre via, di maltrattarli, di trattarli con noncuranza.”

Sebastian giocherellava con il tessuto del bracciolo. Chissà perchè stava dicendo a quel ragazzino quelle cose; forse non era davvero uno qualunque, proprio come aveva detto Blaine. Si accese una sigaretta, si alzò e aprì la finestra. Improvvisamente si sentiva triste e sbagliato.

“Non credo che tu sia più quella persona. Almeno, non con Blaine, questo è chiaro come il sole. Non importa cosa c'è stato tra di voi in passato, se ora per lui sei il migliore amico che possa desiderare.” Kurt era ancora seduto sul divano.

Sebastian buttò fuori dal naso una boccata di fumo. Sembrava sul punto di dire qualcosa di importante, così Kurt trattenne tra i denti il suo disappunto sul suo vizio di fumare.

“Un buon amico. E' quello che sono, alla fine? Fin dall'inizio non ho fatto altro che disapprovare quello che faceva, senza sforzarmi di capirlo. L'ho portato in Oregon perchè non volevo che passasse il Natale da solo, ma anche perchè sapevo che avrebbe finito per venire a cercarti. L'ho preso in giro quando mi ha detto che gli piacevi, gli ho urlato addosso quando ho scoperto il pacchetto con il libro... avrei dovuto capire che era qualcosa di più di una cotta autolesionista. Avrei dovuto sostenerlo e ascoltarlo, invece che fargli affrontare da solo tutto quello che gli passava per la testa e costringerlo a nascondermi tutto per tre settimane.”

“Non biasimarti, chiunque si sarebbe comportato così.” Kurt si strinse nelle spalle, ben conscio che quello che c'era tra lui e Blaine poteva essere complicato da capire e condividere.

“Chiunque, ma non io. Blaine c'è sempre stato per me e anche quando non mi doveva nulla mi ha raccattato e aggiustato. Buon dio, mi ha fatto perfino il bagno, quando ero troppo ubriaco e miserabile per trovare la forza di lavarmi. Il bagno, ci crederesti? E nemmeno per un secondo mi ha compatito.”

“Non potevi sapere.” disse Kurt.

“Non potevo perchè non ho voluto sapere. È questo è stata solo colpa mia... sono stato così... cieco e arrogante.” Ormai Sebastian non stava più parlando con Kurt.

 

Nda

 

Per aiutarvi a visualizzare:

  • Questa è un'immagine del lago dell'Ohio dove Blaine porta Kurt.

  • Questa è una fotografia della moto di Blaine (Guzzi Griso 1200)

    http://www.bachecaannunci.it/adpics/griso247.jpg

  • Questa la mia idea della casa di Marianne.

Per il resto, grazie di aver letto. Spero che la storia continui a piacervi e vi prometto che presto torneremo tra i muri del mcKinley. Questo weekend finirà, prima o poi, no?

Tra l'ultimo aggiornamento e questo, la storia ha raggiunto e superato i duecento preferiti. Posso amarvi?


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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattresimo ***


Capitolo ventiquattresimo

 

Blaine passò più di mezz'ora in garage con Eric ed ebbe di nuovo la conferma delle sue passate impressioni: sembrava un bravo ragazzo, limpido e genuino, ma non aveva niente in comune con i ragazzi che di solito interessavano a Sebastian. Era carino, quello era innegabile, eppure gli sembrava assurdo che fosse più di un mese che frequentava l'amico; di solito le storielle di Sebastian non duravano più di una sera. Due, se il ragazzo in questione era particolarmente... capace. E nessuno aveva mai avuto il privilegio dell'esclusiva, neppure Blaine.

L'unico era stato François, che aveva masticato e risputato con disprezzo la fiducia che Sebastian aveva riposto ciecamente in lui, abbagliato dal primo amore e dai profumi di Parigi. Era stata una scottatura profonda, che aveva grattato Sebastian fin nelle ossa; erano serviti mesi di deriva alcolica, mesi terapia psicologica e di gruppo per rimetterlo in sesto. Aveva giurato a se stesso che nessuno si sarebbe mai più approfittato di lui, che mai avrebbe permesso a qualcuno di prenderlo in giro. Preferiva essere solo, piuttosto che rischiare.

Ma allora... che ci faceva Eric a casa di Blaine?

Aveva solo un paio d'anni meno di loro e aveva frequentato il McKinley: ora studiava in un college pubblico, ma abitava ancora con sua madre e il compagno. Non l'aveva detto chiaramente, ma Blaine aveva avuto l'impressione che la scelta di non andarsene di casa fosse dovuta al desiderio di dare un'occhiata a sua madre e al rapporto disastrato che aveva intrecciato con uno scansafatiche di prima categoria. Blaine gli raccontò con piacere della sua moto e gli mostrò l'interno del Suv, promettendogli che il weekend successivo glieli avrebbe fatti provare: l'entusiasmo di Eric era privo di invidia e gelosia, traboccava di sincera partecipazione.

Stavano ancora ridendo per una sua battuta quando tornarono nell'appartamento e trovarono Sebastian e Kurt appoggiati al davanzale della finestra, intenti a chiacchierare a bassa voce. Prima di ricordarsi che aveva litigato furiosamente con Sebastian e che quei due non erano affatto amici, cullò per un paio di secondi quell'immagine, chiedendosi come sarebbe stato essere un gruppo; uscire insieme al cinema, pasticciare con la moto mentre Sebastian e Kurt ascoltavano musica seduti nell'auto, schiacciarsi sul divano con due scodelle di pop corn e pomiciare liberamente, senza temere qualche critica.

“E' tutto ok?” chiese Blaine mentre abbandonava quell'idea e appendeva la sua giacca con quella di Eric all'attaccapanni in ingresso. Kurt si voltò e gli andò incontro sorridendo, Sebastian lanciò l'ennesimo mozzicone della finestra.

“Credo che qualcuno abbia voglia di parlarti. Io vado in cucina a preparare la cena, ok?” Non gli lasciò il tempo di rispondere e lo baciò leggermente sulla guancia, poi sparì alla vista, infilandosi in cucina e socchiudendo la porta. Blaine allargò le braccia, impotente, così fece cenno a Sebastian di sedersi sul divano; quando Eric tornò dal bagno, comprese immediatamente la situazione e seguì Kurt in cucina senza dire una parola.

“Sembra un ragazzo fantastico.” disse Blaine, conciliante. La rabbia di quella mattina era svanita, mutata in un sordo rancore; ma se Sebastian voleva parlare era disposto ad ascoltarlo. Era un buon amico e quando sbagliava era capace di scusarsi, riconoscendo i suoi errori senza troppi giri di parole: sarebbe stato ingiusto non dargli una chance di farlo.

“Lo è.” rispose Sebastian, guardando verso la porta della cucina. Si morse un labbro, nervoso.

“E' diverso da... gli altri. Non mi sembra il tuo tipo.” commentò Blaine, quando vide che Sebastian non sembrava avere idea di come continuare il discorso.

“Oh... è vero. Me lo sono ritrovato qui in casa una mattina in cui tu eri a scuola. Ero annoiato a morte, lui era tutto sorridente con i tuoi sacchetti della spesa e ho provato a portarmelo a letto, giusto per occupare un paio d'ore prima di pranzo e divertirmi un po'.” Si strinse nelle spalle.

“Un paio d'ore? Qualcuno qui si sopravvaluta un po'.” Lo prese in giro Blaine, sollevando le sopracciglia e fingendo incredubilità.

“Il treno Smythe quando parte deve fare il giro completo di tutte le stazioni, caro. Comunque, ci ho provato pesantemente, ma lui mi ha detto di no. Anche se il mio gay-radar non sbaglia mai, ho pensato che fosse etero, insomma, era l'unico motivo per cui poteva riuscire a dirmi di no. Ma poi prima di andarsene via mi ha dato un bacio. E lì è nata una specie di sfida.”

“Vorrei dirti che non sembra una cosa da te, ma... è proprio una cosa da te.” Blaine alzò gli occhi al cielo. Lo lasciò continuare a parlare, sembrava che Sebastian avesse bisogno di raccontargli qualcosa di importante.

“Ogni giorno telefonavo al supermercato e ordinavo roba, chiedendo espressamente di lui. E ogni giorno la stessa storia: lo capivo che gli piacevo, ma non si arrivava mai al dunque. Baci, strusciamenti, giusto una mano nei pantaloni ma niente di più.”

“Adesso capisco perchè il frigorifero era sempre pieno di cibo che non mi ricordavo di aver comprato!” Blaine si battè la fronte con il palmo della mano. Era stato un periodo breve, durato forse cinque o sei giorni, durante i quali ogni volta che apriva un armadietto trovava prodotti perfettamente integri e sconosciuti. Erano stati giorni felici, in cui aveva creduto che la casa fosse incantata, o popolata di gnomi gentili; invece era solo Sebastian che faceva i salti mortali per portarsi a letto un tizio. Fantastico.

“Alla fine era lui che passava con delle scuse, quindi ho smesso di ordinare quotidianamente cose inutili. Insieme facevamo cose assurde, come parlare o guardare la televisione... finchè io non ce l'ho più fatta e sono scoppiato.” Fece una risatina amara.

“Cioè?” Blaine aggrottò le sopracciglia, perplesso.

“Gli ho chiesto perchè diavolo non voleva scoparmi.”

“Sempre molto sottile, eh. Un vero duca.” commentò Blaine.

“E per fortuna che gliel'ho chiesto, Blaine. Per farla breve, non aveva il coraggio di dirmi che non sarebbe venuto a letto con me finchè non gli avessi mostrato degli esami del sangue. Ha aperto il portafogli e mi ha fatto vedere i suoi, fatti due giorni dopo che avermi conosciuto. Erano giorni che cercava di dirmelo, ma non tirava fuori l'argomento perchè non voleva sembrare provinciale.”

“Oh.” Blaine era sorpreso.

“Già.” Sebastian annuì con forza.

“E tu che cosa hai fatto?”

“Il pomeriggio stesso sono andato a fare il prelievo e ho pagato un extra per farmeli consegnare il più rapidamente possibile. Qualche giorno dopo... beh, abbiamo fatto l'amore.”

“Non sesso, Sebastian?” Sentirlo pronunciare quelle parole lo lasciò di stucco.

“E' quello che credevo che fosse, finchè non ho capito che era tutt'altro. Se fosse stato solo sesso, non mi sarebbe importato avere qualcun'altro sdraiato sotto di me, no? Voglio dire... quei ragazzi nei club così carini, così disinvolti, alla fine erano tutti uguali. Invece in quel momento ho voluto solo lui; non sarebbe stato lo stesso, se non fosse stato Eric. Era da François che non mi sentivo così tranquillo e al sicuro, quando ero solo con qualcuno in quel modo.”

“Sono felice per te, Sebastian.” disse sinceramente. Se qualcuno li avesse sentiti, si sarebbe sorpreso della facilità con cui parlavano; ma tra loro era sempre stato così. Quando erano pronti, mettevano tutte le carte in tavola.

“Ed ero anche dannatamente spaventato, chiaro. Perchè era tutto completamente diverso da quando stavo a Parigi: niente drammi, niente scenate, nessun sofisticato vernissage e film in bianco e nero. Niente sesso intossicante e travolgente. Semplicemente, nel giro di due settimane mi sono ritrovato a pensare a lui anche quando non era lì con me. E ho cominciato a pensare che magari era tutto nella mia testa, che per lui ero uno qualunque, che non sarebbe durata, che sarei finito di nuovo in terapia... Ero così spaventato, Blaine. Lo sono ancora.”

“E' per quello che...”

“Che ti dicevo che Kurt stavi sbagliando tutto? Che non dovevi fidarti? Che per lui eri uno qualunque? Cazzo, sì. Sono un idiota, mi dispiace. È solo che io ormai c'ero dentro fino al collo e mi sembrava assurdo che tutti e due avessimo trovato qualcuno nello stesso momento, capisci? Come diceva quella psicologa? Manie di controllo. Dato che non riuscivo a controllare me stesso e quello che mi stava succedendo, allora cercavo di tenere te fuori dai guai. O almeno quelli che credevo fossero guai.”

Blaine si morse un labbro. Lentamente iniziava a capire il punto di vista di Sebastian.

“Poi tu stamattina mi hai detto che le cose sono serie e ho capito quanto sono stato stronzo. Mi dispiace, Blaine. Voglio che mi racconti tutto di te e Kurt. Voglio conoscerlo e voglio mentire sulla natura del vostro rapporto quando la polizia verrà ad arrestarti. Ok?”

A quel punto, Blaine scoppiò a ridere.

“Sebastian, Kurt è maggiorenne. La cosa peggiore che può succedermi è perdere il posto e finire su qualche giornale... certo non è qualcosa che mi auguro che succeda, ma nessuno ti costringerà a giurare il falso.” A Sebastian si rilassarono le spalle. Avevano fatto pace, a modo loro.

“Quindi... mi racconterai tutto di lui? Sembra un bel tipino, quando eravate giù in garage mi ha bruciato con delle battute al vetriolo che pizzicano ancora. Sono sicuro che mia madre lo adorerebbe.”

Dalla cucina sentirono Eric e Kurt chiacchierare sommessamente mentre un fragrante profumo di uova e burro si spandeva nell'aria.

“Sarebbe fantastico se riuscissimo ad andare tutti d'accordo.” aggiunse Sebastian, speranzoso.

“Così quest'estate potreste venire con noi alla casa sul lago. In alcune stanze ci sono ancora i mobili. Poi non lo so... tu sarai ad Harvard, io sarò chissà dove, Kurt sarà a New York e Eric sarà ancora con sua madre e quell'ubriacone.” La voce di Blaine era triste. Ogni volta che pensava alla fine dell'anno scolastico gli si formava un nodo alla gola.

“Ti ha già parlato di Stu, a quanto sento.” L'espressione di Sebastian diceva tutto. “Comunque... non hai fatto domanda per la Brown, allora? Le termini per consegnare la domanda sono appena scaduti. Sai, borse di studio e tutto il resto. Potresti vendere il suv e usare i soldi per una stanza in affitto.”

“Non lo so, Sebastian. Mi sento così... sospeso. Non ho voglia di pensarci. Parliamo d'altro.”

“Ok. Com'è quella bambolina a letto? Scommetto che con tutto quel pilates riesce a mettere le caviglie dietro il collo.” disse chinandosi verso di lui con aria complice. Blaine arrossì e lo zittì.

“Shhh! Vuoi che ti senta e ti uccida? Non abbiamo ancora... ecco, capito.” rispose Blaine con aria imbarazzata, a voce bassissima. Si costringeva a non pensarci, parlarne con Sebastian era davvero troppo per i suoi nervi.

“Ma sei pazzo? L'hai visto? È assolutamente perfetto... che aspetti a saltargli addosso?” commentò l'altro a denti stretti, sforzandosi di mettere ogni goccia del suo stupore anche in quel sussurro.

“E' più complicato di così, Sebastian. Tra noi sarà sempre complicato. E quando a Giugno non sarà più complicato per il fatto che non sono il suo professore, sarà complicato perchè vivremo in due stati diversi, con tutta probabilità. Non voglio che sprechi la sua prima volta con qualcuno che sa di dove lasciare, prima o poi.”

Non lasciò a Sebastian il tempo di rispondergli e si alzò, dirigendosi verso la cucina.

 


 

Kurt era rivolto verso i fornelli e li stava contemplando, ragionando su cosa poteva preparare per la cena; il frigorifero era mezzo vuoto e Sebastian aveva fatto piazza pulita di quel poco che era rimasto. Si accorse della presenza di Eric in cucina solo quando iniziò a parlargli; si era seduto sul tavolo da pranzo e faceva dondolare le gambe, osservandolo con aria complice.

“Ho pensato che fosse meglio lasciarli soli. Da quanto ho capito stamattina Sebastian ha fatto una delle sue sceneggiate. O sbaglio?”

Kurt decise di preparare una frittata, così mise una padella sul fornello più grande e accese il gas.

“Non sbagli. Quando vuole ha un modo di esprimersi piuttosto colorito. Direi che ha tenuto duro fino alla fine, ma poi Blaine è scoppiato.”

“Allora tu e Blaine... state insieme?” domandò incuriosito, di punto in bianco. Kurt sollevò un sopracciglio, di fronte a una domanda tanto diretta; da come Eric si stava comportando, lui e Kurt sembravano essere due amici che avevano ripreso una conversazione intima, interrotta pochi minuti prima. Peccato che fosse solo la seconda volta che si parlavano.

Si voltò verso di lui e si appoggiò con la schiena contro il bancone.

“Come scusami?” chiese fingendo di non aver capito immediatamente la domanda.

“Tu e Blaine. Avete una storia, sì o no?” Eric scandì con cura le parole. Apparentemente non aveva colto il sarcasmo di Kurt.

“In un certo senso. Sì, direi di sì.” rispose l'altro, guardandosi gli stivali. Eric non portava le scarpe e indossava solo dei calzini a righe: la loro punta colorata entrava e usciva dal campo visivo di Kurt ogni volta che faceva ciondolare i piedi avanti e indietro. “E tu? Voglio dire... con Sebastian. Ormai è da prima di Natale, no?”

Kurt ricordava chiaramente il giorno della Vigilia, quando una carezza di Sebastian era stata sufficiente a far imbufalire Emmet; ricordava chiaramente anche Eric, con la mano sulla spalla dolorante, mentre veniva ripreso dal direttore per non avere tenuto un comportamento appropriato sul luogo di lavoro.

“Già, ci siamo conosciuti un paio di settimane prima di Natale. Non avrei mai creduto che tra di noi potesse funzionare, che potessimo trovare un nostro equilibrio. E invece... la vita è strana, no?” Eric si strinse nelle spalle, ma sorrideva. Kurt pensò immediatamente che il problema per Eric fosse stato il passato di Sebastian, diviso tra club, sesso anonimo e storie di una notte; doveva essere impegnativo riuscire a fidarsi di una persona così. Parlò prima ancora di rendersi conto che non erano affari suoi.

“Hai ragione, dev'essere difficile relazionarsi con la sua passata variopinta vita sessuale, per dirla con le parole di Blaine.” Non appena finì di parlare, lo scatto degli occhi dell'altro ragazzo gli fece capire che aveva appena detto una fesseria. O che era entrato in un campo minato.

“Io veramente intendevo dire che è una relazione a distanza, perchè anche se è spesso qui da Blaine, in realtà il suo posto è ad Harvard. È stato un mese intenso, ma ci siamo visto molto meno di quanto avremmo voluto.” Lo corresse Eric.

“Uh... io... scusami. Ho pensato che...” balbettò Kurt.

“A un certo punto impari ad andare oltre, sai? Ho paura della distanza, è dura essere così lontani quando si è solo agli inizi di una storia. Senza contare poi le differenze sociali e culturali che ci dividono. Che potranno mai condividere un ricco e ribelle studente della Ivy League con il figlio di una ragazza madre che frequenta un college statale e intanto lavora in un supermercato? Sulla carta siamo una partita persa.” Eric si guardò le ginocchia, continuando a dondolare i piedi. “A quello poi puoi aggiungere un sacco di altre cose... che non sono il suo tipo ideale, per esempio. Ma per qualche strano motivo, quando siamo insieme stiamo bene.”

Kurt sorrise. Anche lui e Blaine sulla carta non avevano delle premesse eccezionali, eppure...

“Funzioniamo.” concluse Eric, con un sorriso un po' tirato.

“Sì, credo di capire cosa intendi. Credo di capirlo molto bene.” Si guardarono per un'istante, poi Eric disse qualcosa che distrusse quell'atmosfera di complicità che si era creata tra di loro.

“E poi il sesso con lui qualcosa di fantastico. Già da sé sarebbe un ottimo motivo per tenermelo stretto, ma così è proprio la ciliegina su quella magnifica torta alla panna che è Sebastian.” disse strizzandogli l'occhio con aria maliziosa. Kurt alzò gli occhi al cielo e arrossì vistosamente, ora che aveva scoperto che Eric e Sebastian avevano decisamente qualcosa in comune.

Dal salotto giunse una risata attutita ed entrambi si voltarono, guardando verso la porta socchiusa.

“A quanto pare qualcuno ha fatto pace.” commentò Eric, sorridendo sincero. Kurt appoggiò sul tavolo, accanto alle gambe di Eric, una grossa ciotola in cui cominciò a mescolare le uova per la cena.

“Allora... lui com'è?” disse Eric a bassa voce, indicando verso Blaine con un cenno del capo.

“E' molto dolce e attento... parliamo molto.” Aggiunse un pizzico di sale e riprese a mescolare; alzò il capo quando Eric rise e lo guardò facendo una smorfia. “Che c'è?”

“Intendevo sapere com'è a letto, non che tipo di fidanzato è. Ho voglia di spettegolare.” Fece una linguaccia e gli pizzicò il gomito, invitandolo bonariamente a parlare. Kurt fissò gli occhi sull'impasto e riprese a mescolare furiosamente.

“Non posso dirtelo.” bofonchiò.

“E andiamo... stiamo con due che sono migliori amici, credi che Blaine non abbia detto niente di te a Sebastian? Sicuramente lo sta facendo proprio ora. Siamo destinati a diventare amici, e gli amici si dicono tutto, tanto vale cominciare fin da ora. Io ti ho detto di Sebastian, tu mi dici di Blaine. Così siamo pari. È semplice.” Allargò le mani per sottolineare il concetto, poi rimase in attesa. Kurt afferrò la ciotola e tornò ai fornelli; rispose con voce talmente sottile che Eric fu costretto a scendere dal tavolo e andargli vicino.

“Che hai detto?”

“Ho detto che non posso dirtelo perchè non lo so. Com'è a letto.” Versò le uova nella padella e abbassò il fuoco. “Ecco perchè.”

“Voi due non avete ancora... ma sei pazzo? Voglio dire... l'hai visto?” Per poco Eric non indicò Blaine con l'indice, giusto per mettere Kurt ancora più in imbarazzo. “E' un figo, che aspetti?”

“E andiamo... dobbiamo continuare a parlarne?” Kurt afferrò il manico della padella, muovendola nervosamente sul fuoco. Eric era accanto a lui, con la testa letteralmente sopra i fornelli per riuscire a entrare nel suo campo visivo e costringerlo a parlare.

“Tu dammi un buon motivo per non strappare i vestiti a Blaine e io cambio argomento.” Insistette.

“Perchè stiamo insieme solo da tre settimane.” Era un buon motivo, no? Dovevano conoscersi meglio, abituarsi alla presenza dell'altro...

“E allora? Io con uno così non aspetterei tre giorni. Ovvio, con le dovute precauzioni, ma appena vedo semaforo verde...”

“Va bene! E' perchè non l'ho mai fatto, ok? Contento?” Kurt lo ammise mentre rivoltava rabbiosamente la frittata, che per poco non si ruppe malamente. “Sono terrorizzato da tutto... tutto quanto.” Fece un ampio gesto con le mani, lasciando il manico della padella e muovendo le dita con nervosismo.

“Ma scusami, non andavi a letto con Finn Hudson? Ne parlava tutta la scuola, quando ero senior.” Eric era sinceramente perplesso.

“Cosa? NO! Assolutamente no. È mio fratello!” Kurt era scandalizzato. Tra tutte le cose che Eric poteva sapere su di lui, doveva proprio tirare fuori la sua vecchia cotta. Ovvio.

“Ok, non agitarti, erano solo pettegolezzi. Io me lo ricordo perchè non ero ancora gay dichiarato, quindi storie come questa mi davano un po' di speranza... quando andavo allo Scandals speravo di incontrarti, ma probabilmente eri troppo giovane.”

“Lo Scandals?” Kurt si voltò verso di lui, interrogativo.

“Ma sì, il bar gay di Lima. Avevo una carta d'identità falsa e andavo lì un paio di sere a settimana. Mi vergognavo all'idea di cercarti a scuola, però mi avrebbe fatto piacere parlare un po' con te. Da adolescente gay ad adolescente gay. Però possiamo farlo adesso! Forza, dì allo zio Eric di che cosa avresti tanta paura.”

“Io non parlerò di sesso con te.”

Eric si strinse nelle spalle: “Bene. Aspetta che vado a chiamare Blaine. O magari Sebastian? Sai, la scelta di gay con cui fare una chiacchierata cuore a cuore stasera è molto ampia.”. Tuttavia non si mosse, rimanendo con un fianco appoggiato al bancone e le braccia incrociate al petto; Kurt sbuffò.

“E andiamo, Kurt... quante storie. Con chi vuoi parlarne di queste cose, con le tue amichette del club della castità?”

“E' solo che non so da che parte cominciare.” Giocherellò con la padella.

“Io di solito comincio togliendomi i pantaloni.” Scherzò l'altro.

“Ah ah. Molto divertente. Questa conversazione è finita.”

“Pessima battuta, lo ammetto. E se provassi io a dirti di che cosa hai paura? Vediamo... di sicuro hai paura di non saperci fare. Ci passiamo tutti. Poi avrai paura che... faccia male. E anche questa è una paura normale. Poi avrai dei dubbi sulle malattie... o magari pensi che sia qualcosa di sporco. Sbaglio? Fermami pure, io vado avanti.”

Kurt continuava a fissare la superficie gialla della frittata, mentre Eric snocciolava con nonchalance tutte le sue peggiori paure. Annuì impercettibilmente.

“Ascolta, ormai è quasi pronta la cena, quindi non ho il tempo di farti un discorso lungo e articolato, però su due piedi posso dirti che sono tutte paure infondate. O meglio... di sicuro non ci saprai fare, la prima volta, ma non ci vorrà molto per imparare. E poi esercitarsi è una buona scusa per farlo ancora e ancora. Farà male, ma solo un po'. E solo all'inizio. E per il resto... ricordati il cappuccio. E gli esami del sangue. Su queste cose non si scherza, impara questa regola generale e vedrai che sarai più tranquillo.”

Gli diede una pacca sulla spalla come incoraggiamento, poi Sebastian e Blaine entrarono in cucina.

“Mmm... che profumino.” commentò Sebastian, baciando leggermente Eric sulle labbra.

 

Per tutta la durata della cena, Kurt e Blaine si gravitarono intorno senza quasi mai toccarsi, sotto gli occhi divertiti di Sebastian ed Eric. Eric aiutò Sebastian a riporre i piatti nella lavastoviglie, mentre Kurt e Blaine si accoccolarono insieme sul divano, lontani da occhi indiscreti e maliziosi.

“Spero che tu sia divertito… domani a scuola sarà difficile comportarsi come se niente fosse.” disse Blaine, accarezzando con la punta delle dita il polso di Kurt. L’altro fece un sospiro e gli scivolò contro, appoggiandogli la testa sulla spalla. “Potremmo scappare. Prendiamo un aereo, un treno, qualunque cosa… anche la mia moto, e ci diamo alla macchia.” aggiunse Blaine.

“Come Thelma&Louise?” disse Kurt.

“Come Thelma&Louise.”

Tacquero entrambi, senza sapere che stavano pensando alla stessa cosa, a causa dei discorsi maliziosi intrattenuti prima di cena con Sebastian ed Eric. Blaine pensava sinceramente quello che aveva detto all’amico: non poteva negare di desiderare tantissimo Kurt, ma sentiva che non era ancora il momento giusto, per loro. Avrebbero fatto tutto per bene, poco per volta; quando entrambi sarebbero stati pronti. Parlare con Sebastian gli aveva fatto capire una cosa importante: anche Blaine non aveva mai fatto l'amore con nessuno. Solo sesso.

Con Kurt doveva essere diverso.

E Kurt… non era nemmeno sicuro di quello che voleva, in quel momento, e di certo non aveva il coraggio di affrontare l’argomento con Blaine. Quando sarebbe stato il momento l’avrebbe capito, ne era sicuro.

“Ma non ti stanchi mai di mangiare? Mi chiedo dove la metti, tutta la roba che ti sbaffi!” Le accorate proteste di Eric, che seguiva Sebastian in salotto, interruppero i pensieri di entrambi; il ragazzo più alto aveva in mano una scodella enorme ricolma di patatine e non sembrava affatto intenzionato a condividerla con Eric, che allungava speranzoso una mano.

“Facciamo a chi si addormenta prima davanti a Transformers? Il mio record sono quarantacinque minuti di visione interrotta.” Sollevò speranzoso una confezione di birre da sei bottiglie e Eric sventolò in aria il dvd con aria allegra.

“Sì, certo. Aspettate…” Blaine fece cenno a Kurt di avvicinarsi al bracciolo e tutti e quattro s’incastrarono sul divano. Sebastian e Blaine al centro, Eric e Kurt ai lati; la struttura del divano cigolò appena mentre si sistemavano nella posizione più comoda.

Quando il film cominciò, Sebastian prese una birra per sé e una per Blaine dalla confezione appoggiata sul tavolino, poi ne passò una anche a Kurt. Il ragazzo la prese in mano osservandola per qualche istante, prima che Sebastian si sporgesse sopra Blaine e gliela aprisse con un gesto secco, accompagnato da un sospiro esasperato.

“Bas… Kurt non può bere, ha solo diciotto anni. E lo sai.” disse Blaine, in tono di rimprovero. “Poi deve guidare per andare a casa. Vuoi che gli ritirino la patente?”

“Dio, Blaine, rilassati un po’… guarda che qui non sei il professor Anderson, sei solamente il Blaine che si è bevuto anche le orecchie e che ha vomitato l’anima nelle sue stesse scarpe. Quindi per favore risparmiati le lezioncine.”

Entrambi si voltarono verso Kurt, che annusava circospetto la birra avvicinando il collo della bottiglia al naso, ispirando piano.

“E’ a basso contenuto calorico?” chiese a Sebastian, mentre sollevava la birra per leggere meglio l’etichetta. Di fronte a quella domanda, la reazione di Sebastian fu immediata: gli strappò la birra di mano e la passò a Eric.

“Ehi! Ma che modi… che ho fatto di male?” domandò Kurt, sorpreso.

“Non te la meriti. E ora zitto, che comincia il film.”

Tutti risero e Kurt si addormentò prima ancora di vedere le automobili trasformarsi in robot, con Blaine che gli accarezzava piano i capelli mentre guardava distrattamente il film. Kurt dormiva profondamente, con la testa incastrata con il suo collo, quando Sebastian gli diede un leggero colpo con il gomito; Blaine alzò lo sguardo da Kurt e si voltò.

“Chi l'avrebbe mai detto, eh?” bisbigliò Sebastian, con il braccio stretto intorno a Eric, concentrato sullo schermo con aria quasi comica. Blaine spostò un ciuffo di capelli e ne baciò leggermente la fronte, premendo con delicatezza le labbra.

“Chi l'avrebbe mai detto.” ripetè a bassa voce. Quasi più a se stesso che all'amico.

Poi, involontariamente, guardò il calendario.

 

Nda.

(Medea, posso rubarti il copyrigh e chiamarlo L'angolo di LieveB?)

 

Prima di tutto, tanti auguri di buon compleanno Giulia (@Lulina)! Visto che il regalo-capitolo è arrivato? E siamo a 24!

E per chi fosse interessato e non l'avesse già vista, sulla pagina FB ho pubblicato una foto che mostra un po' come immagino Eric.

 

Per il resto voglio ringraziarvi ancora una volta tutti quanti. Grazie a tutti per le letture, i preferiti e le recensioni che avete riservato a questa storia, cominciata tra tanti dubbi che mi tiro ancora dietro dopo mesi. So che vi ringrazio spesso (e vorrei farlo ancora di più, provate a fermarmi) e so che a volte rompo un po' le balle perchè penso che il capitolo non vi sia piaciuto e spingo per sapere cosa ne pensate; sono una lagna e mi dispiace.

 Ma EFP non serve proprio a questo?

Se fossi convinta di non avere nulla da imparare, non vi chiederei un feedback o un parere, non ascolterei i vostri suggerimenti e magari risponderei pure male alle critiche. E' con umiltà e senso di partecipazione che mi diverto a pubblicare le mie storie e a condividerle con chi ha voglia di leggerle.

Se scrivessi solo per me stessa, ogni parola rimarrebbe un semplice foglio di word salvato nel mio pc; metto le mie storie qui per il gusto di sfidare un po' me stessa e avere il piacere di parlarne con qualcuno.

Non mi vergogno di dire che ho sempre una punta di trepidazione al momento di aggiornare e che ho sempre un tuffo al cuore quando vedo una nuova recensione, un nuovo messaggio privato, un commento su Facebook, un twitt (sì, me donna multimediale); non per una stupida classifica o per far prendere una boccata d'aria alla mia scarsa autostima, ma perchè qualcosa che ho scritto ha mosso qualcuno a mettere le mani sulla tastiera e a farmi sapere che cosa ne pensa. Nel bene e nel male, perchè come sempre preferisco una recensione negativa o un messaggio con qualche critica piuttosto che non suscitare nessuna reazione.

Se è patetico... beh, mi dispiace, ma io la penso così e non ci trovo nulla di male.

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinquesimo ***


Capitolo venticinquesimo


Nel giro di un paio di settimane trovarono un equilibrio, a modo loro. Per Kurt era strano avere degli amici fuori dalla scuola ed era strano essere improvvisamente circondato da così tanti gay: Eric e Sebastian erano più grandi di lui ma sembravano intenzionati a tenerselo ben stretto. Sebastian sembrava più che altro studiarlo con attenzione, misurando con cura ogni parola che diceva in sua presenza e osservandone la reazione; Eric, più semplicemente, lo considerava una sorta di mascotte e lo punzecchiava continuamente per ottenere pettegolezzi succosi o farsi cucinare qualcosa.

Aveva capito di esserne diventato davvero amico quando riuscì a stare da solo con loro senza imbarazzo: un pomeriggio, pochi giorni dopo la gita al lago, era arrivato all’appartamento di Blaine e li aveva trovati nel bel mezzo di un esperimento; senza fare troppe domande e senza pensare troppo alle conseguenze si era unito a loro, lasciandosi trascinare dell’entusiasmo con cui l’avevano coinvolto. Quando più tardi Blaine era rientrato dalla riunione pomeridiana con gli altri insegnanti li aveva trovati tutti e tre sul divano intenti a guardare la Bella e la Bestia: seduti nell’oscurità, rannicchiati su se stessi e intenti a mormorare le battute del film, erano leggermente inquietanti. Erano moderatamente brilli e con le lacrime agli occhi per la commozione.

Sebastian compreso, che abbracciava un cuscino con aria assente, stringendoselo al petto.

“Che accidenti state combinando?” disse lanciando la tracolla sull’attaccapanni.

“Shhhh…” Lo azzittirono all’unisono, senza guardarlo e senza staccare gli occhi dal televisore.

“Kurt?” domandò circospetto, accovacciandosi accanto a lui. Nella stanza c’era un forte odore di vodka, ma Blaine non riusciva a capire da dove proveniva: sul tavolo del salotto c’erano solo degli innocui orsetti di gomma in una ciotola, ma nessun bicchiere e nessuna bottiglia sospetti.

“E’ un esperimento.” Rispose Kurt in tono pratico, senza voltarsi. Fuori dal campo visivo di Blaine, Sebastian iniziò a intonare Stia con noi con voce malferma e piena di sentimento.

“Un esperimento?” ripeté incredulo e guardandosi intorno. Maledizione, da dove veniva quell’odore pungente di vodka? Si sporse verso Kurt, per distoglierlo dal film e capire che cosa accidenti stava succedendo; a quel punto, capì che probabilmente l’odore di alcool veniva proprio da lui.

“Che c’è?” disse quando Blaine lo strattonò, costringendolo a voltarsi. Aveva gli occhi leggermente lucidi, sorrideva in modo quasi inquietante e aveva le guance arrossate: era definitivamente su di giri.

“Hai bevuto, Kurt? Sei ubriaco?” Blaine non sapeva perché, ma continuava a parlare con un tono di voce bassissimo, quasi temendo di disturbare la visione del film.

“Bevuto? Noooo… ho mangiato gli orsetti.” Kurt indicò la ciotola sul tavolino e finalmente Blaine si decise ad afferrarne un paio, nella speranza di capire; erano insolitamente umidi e scivolosi, dalla consistenza strana tra le dita, quasi gonfi. Quando ne ficcò uno in bocca, capì.

“Ehi, ma che fai?” Protestò Sebastian quando Blaine spense bruscamente la televisione.

“Sebastian! Dimmi che non hai fatto quella cosa idiota che hai visto settimana scorsa su internet. E che hai pure coinvolto Kurt!” sbraitò, agitando la ciotola.

“Ma Blaine, è comodo! Non sporchi i bicchieri e non bevi a stomaco vuoto, è semplicemente fantastico. Anche Kurt dopo il decimo orsetto era d’accordo con noi. E i film Disney visti da ubriachi sono una cosa meravigliosa.” Cercò di spiegare, complicando ancora di più la situazione.

“Rimangiati quello che hai detto, i film Disney sono meravigliosi anche visti da sobri!” lo rimbeccò Blaine.

Eric e Kurt ridevano piano, crollando quasi abbracciati uno sull’altro, mentre Sebastian allungava le braccia per salvare le caramelle inzuppate di alcool dalla furia di Blaine: “Non buttarli, io ed Eric ci lavoriamo da una settimana. Quelli sono i nostri bambini!”.

“Va bene!” Blaine sbatté la ciotola di nuovo sul tavolino, prese Kurt per un braccio e lo trascinò in cucina, dove lo costrinse a bere un caffè e mangiare qualcosa, finché non sembrò tornare in sé. Poi fu sufficiente informarlo che la vodka senza calorie non esisteva e la sua reazione bastò per far pentire Sebastian di averlo fatto ubriacare; fu dopo aver gridato a pieni polmoni che Kurt capì di avere davvero legato con tutti loro.

Da quel momento, le cose cambiarono.

I ragazzi del Glee cominciarono a tempestarlo di domande ogni volta che vedevano Eric o Sebastian aspettarlo fuori da scuola per andare a bere un caffè insieme o per passare da Blockbuster e scegliere un film per la sera. Mercedes e Rachel stavano letteralmente impazzendo per la curiosità e non gli davano pace, così fu costretto a dare loro una sorta di spiegazione: “Sono degli amici. Li ho conosciuti per caso al Lima Bean, sono gay e stanno insieme. No, non ho una cotta per nessuno dei due. No, non ho intenzione di presentarveli. No, non vanno più al liceo da anni. No, non siamo legati da una strana e perversa relazione a tre.” Finn, che sapeva benissimo che Eric e Sebastian erano amici del professor Anderson e che sapeva bene come li aveva conosciuti, ascoltava le incessanti ipotesi delle ragazze con sguardo divertito e complice.

Le amiche assorbivano come spugne ogni informazione che Kurt gli elargiva, impazienti di saperne sempre di più: Mercedes aveva deciso che il suo preferito era Eric, perché adorava le sue lentiggini, mentre Rachel, in virtù del suo amore spassionato per i ragazzi alti, aveva scelto Sebastian come suo personalissimo beniamino. Probabilmente se avesse avuto occasione di conoscerlo di persona avrebbe cambiato nettamente idea, ma non era affatto nei piani di Kurt che questo succedesse. Tuttavia quando a metà febbraio lo minacciarono di stampare delle t-shirt con scritto Team Seberic e di pedinarlo fin dentro al Lima Bean, finalmente Kurt si convinse a presentarglieli.

Ovviamente il ragazzo non era affatto entusiasta della cosa, ma quando lo disse ai ragazzi scoprì che Sebastian ed Eric non erano dello stesso avviso.

“Finalmente. Morivo dalla voglia di chiedere a Mercedes dove ha comprato la felpa che indossava settimana scorsa. Tu ti ostini a non chiederglielo da parte mia, almeno ora avrò l’occasione di farlo in prima persona.” Esultò Eric, sdraiato tra le gambe di Sebastian sul divano di Blaine.

“Era verde acido, Eric! Quel colore si abbina malissimo con la tua pelle, quante volte dovrò ripetertelo?” rispose Kurt, arrivando a un passo dal pestare i piedi a terra, esasperato. Nell’osservare la sua drammatica reazione, Sebastian roteò gli occhi e strappò di mano il telecomando a Eric, che si lamentò sentitamente.

Signore, per cortesia, smettetela di bisticciare. Maledizione, ci sono più estrogeni nell’aria di questo salotto che nella sala parto dell’ospedale di Lima.” disse bonariamente mentre cercava dei documentari, saltando freneticamente da un canale all’altro.

“Ma quella felpa…” provò a difendersi Eric.

“Tesoro, il verde ti sta davvero di merda. Soprattutto il verde acido, te l’ho già detto. Questa volta ha ragione Kurt, anche se questo non lo autorizza a comportarsi da primadonna mestruata e isterica.” A quelle parole Kurt spalancò la bocca, scioccato e pronto a ribattere. Eric gli fece una vendicativa linguaccia piena di soddisfazione, accoccolandosi contro il petto di Sebastian.

“Allora, per voi va bene?” disse costringendo entrambi a piegare le gambe e sedendosi sul divano con loro.

“Se per te va bene e se per Blaine va bene, perché no?” rispose Sebastian, stringendosi nelle spalle “Se può servire a farle smettere di nascondersi dietro ai cespugli per spiarci quando veniamo a prenderti a scuola, direi che è la cosa migliore da fare. Almeno staranno buone per un po’. Falle stare sulle spine fino a San Valentino, poi combina pure un incontro al Lima Bean, ok?”

Sintonizzò il televisore sul National Geographic e lanciò il telecomando sul tavolino; Kurt raccolse le ginocchia al petto e ci appoggiò sopra il mento.

“Ovvio che non dovete dire niente di…”

“… di te e Blaine. Ma davvero pensavi che non ci fossimo arrivati? E pensare che Blaine ripete continuamente che sei il più sveglio della classe. A questo punto mi chiedo come siano messi gli altri. AHI! Ma sei impazzito? Quale ragazzo può avere il coraggio di dare ancora i pizzicotti alla veneranda età di diciotto anni?” disse sfregandosi un polpaccio, proprio nel punto dove Kurt l’aveva appena pizzicato con forza attraverso il tessuto dei jeans.

“Zitti, adesso arrivano le balene!” L’ammonimento di Eric fece voltare tutti verso la televisione, in silenzio.

Durante la pausa pubblicitaria, Eric si voltò sdraiandosi sulla pancia e prese a mormorare qualcosa a Sebastian, tra un bacio e l’altro; Kurt li guardò con la coda dell’occhio, poi controllò l’orologio e si chiese quando Blaine sarebbe finalmente rientrato. Da quando Sebastian aveva accettato la storia tra lui e Blaine la loro routine era cambiata, anche se non di molto: nei giorni in cui aveva lezione di pianoforte continuavano a incontrarsi in caffetteria, mentre gli altri pomeriggi Sebastian o Eric, se non doveva lavorare, passavano a prenderlo fuori da scuola e si ritrovavano tutti a casa di Blaine; a volte si sedevano intorno al tavolo della cucina, chi studiando e chi correggendo i compiti, altre invece guardavano la televisione, incastrati sul divano e lasciando briciole ovunque. Ormai Kurt era diventato un maestro nell’incastrare i suoi impegni e nell’essere a casa cinque minuti prima che suo padre e Carole rientrassero; con l’aiuto di Finn, almeno una sera a settimana si inventava una cena a casa di Mercedes o Rachel, così poteva rimanere a casa di Blaine fino a tardi senza destare troppi sospetti. In quelle occasioni, Sebastian ed Eric andavano al ristorante oppure organizzavano un giro per i club di Columbus, giusto per lasciare lui e Blaine un po’ da soli; Sebastian non usciva mai dall’appartamento senza una battuta maliziosa o un’occhiata allusiva, che faceva arrossire Kurt e infuriare Blaine.

Erano tutte insinuazioni che cadevano a vuoto, perché la verità era che non accadeva proprio un bel niente: almeno, niente di più di parecchi baci, qualche mano che si infilava sotto un maglione e qualche strusciamento. La libido impazzita di Blaine era ormai immune anche alle pagine più soporifere di Dickens e la situazione si stava facendo parecchio bollente; quando non era Kurt a tirarsi indietro era lui stesso a mettere un freno, alzandosi dal divano con una scusa e filando in cucina, con il fiato corto e il battito a mille. Ogni volta che, più o meno inconsapevolmente, allungava le dita verso i lembi della maglia di Kurt o bottoni della sua camicia, l’altro allontanava gentilmente la mano e Blaine finiva per sentirsi una sorta di maniaco perverso.

Non poteva sapere che la pelle di Kurt scottava per il desiderio di premersi contro quella di Blaine, ma che era terrorizzato all’idea di mostrare tutti i lividi che gli decoravano le spalle e la schiena; Blaine avrebbe voluto sapere che cosa era successo e Kurt avrebbe dovuto raccontargli di Karofsky, dei continui spintoni, delle minacce, della paura. Preferiva passare per pudico, piuttosto che per vigliacco.

Ma anche Kurt, dal canto suo, cominciava a sentire la pressione dell’eccitazione che sgretolava lentamente, ma inesorabilmente, tutte le sue preoccupazioni sul sesso; ovviamente il fatto che Sebastian ed Eric ne parlassero continuamente e in toni a dir poco entusiastici l’aveva aiutato a guardare la faccenda con altri occhi. Più conosceva il Blaine nascosto sotto alla camicia e alla cravatta da professore, ai discorsi incoraggianti e ai libri di letteratura, più si innamorava di quel ragazzo impacciato, volenteroso e dolce che divideva con lui i suoi pop corn e lo accompagnava all’ascensore; e più si innamorava, più sentiva il gravoso peso di giugno, del diploma, della partenza per New York e dell’inevitabile separazione da Blaine. Voleva che i mesi trascorsi insieme fossero indimenticabili e iniziava a pensare che fare l’amore con Blaine potesse essere un modo perché il ricordo rimanesse impresso nella mente di entrambi, comunque andassero le cose.

Eppure, ogni volta finiva per respingere la sua mano e premere Play del lettore dvd, sedendosi accanto a Blaine mentre cercavano di respirare normalmente e fingere che andava tutto bene.

 

Era ormai metà febbraio quando la vita di Blaine e Kurt ebbe una spinta decisiva verso una precisa direzione.

Come ogni mattina, Blaine parcheggiò il SUV nell’area riservata agli insegnanti e s’incamminò verso l’edificio principale, con passo pesante e aria pensierosa; quando entrò, scoprì che tutta la scuola era stata addobbata in occasione di san Valentino. I corridoi erano decorati con lunghi striscioni con cuori rosa e rossi ritagliati nel cartoncino, gli armadietti degli studenti sfoggiavano adesivi colorati e lungo il suo percorso verso la sala professori Blaine dovette richiamare diverse coppiette prese a festeggiare con eccessivo entusiasmo. Si limitò a qualche occhiata esasperata e a dei richiami scherzosi: non solo pensava che sarebbe stato davvero troppo zelante portare degli studenti dal preside per qualche bacio di troppo, ma sapeva che Figgins era stanco del suo impegno in ambito disciplinare e che non avrebbe preso bene un suo ennesimo ingresso in ufficio con studenti colpevoli al seguito. Nonostante il preside accettasse passivamente tutti i suoi sforzi di rimettere in riga i bulli della scuola, Emma e la coach Beiste erano sempre pronte ad aiutarlo, sostenendolo con una fornitura di pamphlets surreali e brusche ramanzine negli spogliatoi; spesso prendevano un caffè insieme o pranzavano in sala professori e a volte si univa a loro anche Will, l’insegnante di spagnolo che gestiva il Glee Club e usciva con Emma.

Era bello avere qualcuno che lo capiva ed era disposto a sporcarsi un po’ le mani per aiutarlo: grazie ai ripetuti ammonimenti e punizioni che riuscivano a strappare dalla bocca riluttante di Figgins, da settembre gli episodi bullismo erano diminuiti e anche in squadra sembrava esserci meno aggressività latente. Nonostante questa soddisfazione, Blaine sentiva che c’era ancora molto su cui lavorare con Dave, anche se era passato del tempo dal bacio forzato tra lui e Kurt; la sua reazione violenta e strafottente al discorso di Blaine era la prova tangibile che Dave aveva bisogno di essere aiutato, che era confuso e privo di guida. Ormai erano giorni, se non settimane, che provava a parlargli di nuovo, ma senza successo; non appena si incrociavano nei corridoi Dave si infilava nel bagno degli studenti o scompariva tra la folla, lasciando Blaine senza la possibilità di fermarlo. La sua riluttanza lo preoccupava, senza dimenticare che Kurt sembrava particolarmente attento non tornare sull’argomento e Blaine iniziava a pensare che forse…

Una domanda diretta di Will, che stringeva la mano di Emma, lo distrasse improvvisamente dai suoi pensieri, riportandolo nell’aula professori, dove era seduto con in mano una tazza di caffè e una ciambella: “… che ne dici, Blaine, potresti essere interessato?”.

“Scusami Will, ero perso nei miei pensieri. Che cosa stavi dicendo?” chiese imbarazzato.

“Ho detto che stasera io ed Emma usciamo insieme per una cena e che ci farebbe piacere che venissi anche tu. Magari puoi portare la tua ragazza… altrimenti, se sei single, Emma ha una persona speciale che vorrebbe presentarti.” Con un cenno del capo indicò poco discretamente la professoressa di scienze naturali seduta a un tavolo poco distante, che udendo quelle parole arrossì vistosamente e prese a fissare il libro che stava sfogliando. Blaine seguì con lo sguardo il cenno di Will, poi deglutì vistosamente.

“Io… mi farebbe piacere, ma non ho una ragazza e…” Cominciò a spiegare.

“Bene! Sono sicura che tu e Eliza andrete d’accordo. E’ molto dolce, ama i cani e le passeggiate all’aria aperta e…” Emma stava snocciolando qualcosa di pericolosamente simile a un elenco, così questa volta fu il turno di Blaine a interromperla.

“Il punto non è Eliza.” Disse a bassa voce, per non farsi sentire da nessuno oltre alle persone sedute al suo tavolo. “Sembra davvero molto carina e sono sicuro che passeggiare con lei dev’essere la fine del mondo, ma davvero non… come posso dirlo senza… io… ecco… sono gay.” Concluse, con un soffio di fiato, poi rimase in silenzio; non si aspettava una reazione negativa, conosceva quelle persone da abbastanza tempo per sapere che la sua omosessualità non era un problema. Quello che temeva era che si fossero offesi per averlo saputo tanto tardi; non che l’avesse propriamente nascosto, semplicemente aveva evitato di toccare l’argomento.

Emma prese un biscotto e lo sgranocchiò pensierosa, mentre la coach, che trovava il pollame arrosto un’ottima prima colazione, strappò una coscia dal pollo che stava dilaniando e con le labbra lucide d‘unto disse: “Sue aveva ragione, maledizione. Blaine, sembri troppo etero per essere davvero gay. E ci ho rimesso cinque dollaroni sonanti.”

Emma la fulminò con un’occhiataccia, poi rivolse lo sguardo verso Blaine: “Puoi portare il tuo ragazzo, se vuoi. Ormai lavori qui da un po’, se c’è qualcuno di importante nella tua vita a noi farebbe piacere conoscerlo.” disse sorridendo.

Blaine per poco non scoppiò a ridere di fronte alla gentile proposta di Emma: al momento c’erano solo due persone davvero importanti nella sua vita e non poteva portare nessuna delle due a quella cena. Kurt… beh, non c’era bisogno di spiegarsi perché. E Sebastian, oltre a non essere il suo ragazzo, avrebbe trascorso la notte di San Valentino facendo cose ben poco caste con Eric in un albergo di lusso nei pressi di Westerville; anche volendo, non avrebbe avuto il tempo di interpretare la parte del finto fidanzato a una cena.

“E’ davvero molto gentile da parte tua, Emma. Ma al momento…” Blaine fece una breve pausa, poi optò per una mezza verità “Al momento non c’è nessuno che potrei presentarvi.”

Qualcuno che sarebbe stato entusiasta di portare con sé in realtà c’era, ma non poteva farglielo conoscere: lo conoscevano già benissimo.

“Se l’avessimo saputo prima, magari avremmo potuto combinarti un appuntamento.” Ribatté lei, strizzandogli l’occhio. Poi ricordò improvvisamente di Eliza e aggiunse: “Poverina, lei ci rimarrà malissimo. Posso dirle che sei appena uscito da una relazione difficile e che al momento non ti senti di vedere altre persone, se non vuoi che… si sappia, ecco.”

Blaine posò la ciambella che stava svogliatamente mordicchiando e la rassicurò: “Non preoccuparti Emma, non era mia intenzione tenere la cosa segreta, è solo che amo tenere la mia vita privata separata da quella lavorativa e temevo di avere dei problemi con i ragazzi. Tutto qui.”

Lei sorrise e parlarono d’altro, lanciando di tanto in tanto delle occhiate dispiaciute alla povera Eliza, che stava leggendo ignara di tutto. Ripensò a Kurt, a San Valentino, alle mille cose che oggi avrebbe dovuto dirgli, poi guardò Emma e Will scambiarsi delle piccole scatole di cioccolatini a forma di cuore. Ripensò al fatto che lui e Kurt non avrebbero festeggiato; o almeno, non come avrebbero voluto. Blaine era un ragazzo romantico, ma non aveva mai avuto occasione di dimostrarlo a qualcuno che ne ricambiasse i sentimenti; anche quest’anno non avrebbe potuto farlo, perché portare Kurt al ristorante sarebbe stato decisamente poco opportuno.

Così come fargli recapitare un mazzo di fiori.

O uno di quei GorillaGram che vanno tanto di moda.

Avrebbero suscitato domande degli amici, la curiosità di Carole e suo padre… non voleva che Kurt mentisse più del dovuto e tornare a casa da scuola con delle rose tra le braccia sarebbe stato difficile da spiegare. Semplicemente Kurt sarebbe venuto a casa sua, avrebbero mangiato qualcosa insieme e guardato un film; anche se l’idea di avere Sebastian ed Eric fuori da casa era alettante, non gli sembrava sufficiente. Voleva dare qualcosa a Kurt, un regalo, un pensiero, un segno del suo affetto; eppure non riusciva a farsi venire un’idea romantica che non fosse troppo sdolcinata o troppo impersonale.

Almeno, fino a poche ore prima era quella la sua principale preoccupazione. Ora invece…

“Ora vado, ho preparato un compito a crocette per i miei ragazzi. Almeno non passeranno la lezione a scrivere biglietti di San Valentino pieni di errori grammaticali e fingendo di ascoltarmi.” Prese la sua tracolla e uscì, raggiungendo rapidamente la sua classe; gli studenti erano tutti seduti al loro posto e silenziosi, intenti a ripassare le ultime cose prima di riporre i libri e cominciare la prova scritta. Rispetto alla prima volta che era entrato in aula sembravano delle altre persone; Blaine era estremamente soddisfatto di come era riuscito a farsi rispettare e insegnare un minimo di educazione a quei selvaggi.

Chiamò una delle ragazze del prima fila e le fece distribuire i fogli con le domande, poi si concesse il piccolo lusso di lanciare un’occhiata a Kurt: era seduto in ultima fila e sembrava su di giri. Blaine si chiese se un altro incontro ravvicinato con gli orsetti alla vodka di Sebastian fosse il responsabile di quel sorriso luminoso. Ma forse era solo il maglioncino rosso che sfoggiava, o forse la spilla a forma di cuore appuntata sulla tasca della camicia. O forse non si sarebbe mai abituato alla bellezza di Kurt.

Mentre gli studenti compilavano il compito, Blaine si sforzò con poco successo di non guardarlo continuamente; non riusciva a immaginare come sarebbe stato non poterlo vedere ogni giorno, con la lingua che di tanto in tanto leccava piano le labbra e la sua espressione concentrata mentre mordicchiava il cappuccio della penna. O come sarebbe stato il suo mondo quando non avrebbe più potuto incrociare di soppiatto il suo sguardo in classe e vedere i suoi occhi illuminarsi con un piccolo sorriso segreto. Era in momenti come quello che Blaine si chiedeva se era stato stupido da parte su gettarsi in qualcosa di tanto fragile e temporaneo, se invece era stato semplicemente coraggioso; anche se la sua vita prima di Kurt ormai sembrava una sbiadita fotografia chiusa in un cassetto e il futuro senza di lui sembrava pericolosamente vicino e grigio, Blaine era convinto che ne era valsa la pena.

Fu proprio osservandolo durante il compito scritto che si accorse che Kurt aveva finito di scrivere molto prima degli altri; anche se avrebbe potuto consegnare e usare il resto dell’ora per leggere un giornale o prepararsi per la lezione successiva, Kurt continuava a rigirarsi il foglio tra le mani con aria nervosa. Lo leggeva e lo rileggeva, ripassando con la penna le crocette che aveva tracciato più di mezz’ora prima.

Quando tutti uscirono, Kurt si alzò per consegnare il suo compito; Blaine finse di scrivere qualcosa, mentre l’altro appoggiava la tracolla sul primo banco e trafficava con quello che conteneva. Blaine appoggiò la penna e rimase seduto alla cattedra, finché Kurt non si voltò.

“Hai un biglietto di San Valentino per me?” chiese Blaine sorridendo e abbassando gli occhi sulle mani di Kurt, le cui dita stringevano forte una busta bianca. Non appena la vide, capì che non era affatto simile a un biglietto di auguri; era lunga e rettangolare, tutto un lato era stato aperto infilando un dito in una delle pieghe e strappando con foga. I polsi di Kurt tremavano leggermente.

“Non è un biglietto per me.” Ormai non era più una domanda, ma gli occhi lucidi di Kurt erano una risposta. Lo guardò mordersi il labbro e annuire emozionato. La spilla a forma di cuore tintinnò piano contro uno dei bottoni della camicia quando mosse la busta, rigirandosela tra le mani.

Ironia della sorte, avevano entrambi qualcosa di importante da dirsi. Proprio lo stesso giorno: il cuore di Blaine si strinse appena, quando Kurt parlò.

“Blaine, ho ricevuto questa lettera stamattina. Ce l’ho fatta. Sono un finalista.” Disse con voce inferma, intrisa di entusiasmo ed orgoglio. In tutta risposta, Blaine si alzò di scatto e camminò fino alla porta dell’aula, che si richiuse alla spalle; confuso, Kurt si voltò lentamente per guardarlo e Blaine gli fece incontro, abbracciandolo stretto.

“Lo sapevo che ce l’avresti fatta, Kurt. Sono così… fiero di te. Te lo sei meritato, sarai felice.” Gli disse affondando il viso nel colletto della sua camicia, tremando piano insieme a lui. Un’ondata di orgoglio, entusiasmo e sorda disperazione lo colpì in pieno viso; si aggrappò più forte al maglione di Kurt, stringendo il tessuto tra le dita. Si allontanò giusto per prendere il viso di quel bellissimo ragazzo tra le mani e costringerlo a guardarlo negli occhi.

“Sarai felice, Kurt.” Ripeté con ancora maggiore convinzione. Forse lo stava dicendo più a se stesso che a Kurt, ma non importava, perché quello che Kurt gli rispose lo lasciò senza fiato.

“Vieni con me, Blaine.” Il suo sguardo, il suo tono di voce. Era terribilmente serio. “A settembre, vieni con me a New York. Per favore.” Aggiunse, con il viso ancora stretto tra le mani di Blaine, come se chiederlo gentilmente potesse cambiare la risposta che quella domanda avrebbe ricevuto.

“Non posso.” Blaine scosse la testa, lasciando cadere le braccia lungo il corpo. Kurt le afferrò tra le sue, appoggiandosele al petto e cominciando a parlare concitato; l’altro artigliò piano il tessuto, mentre lo ascoltava.

“Sì che puoi. Lo so che dire che stiamo insieme da poco è un eufemismo, è tra noi è tutto così… dannatamente complicato. Ma io credo che sia qualcosa di importante. Anzi, ne sono sicuro. Qui a giugno per te non… sarà tutto finito. New York è grande, puoi venire e lavorare come tutore di qualche ragazzino viziato o cercare lavoro in una scuola privata. Prenderemo un minuscolo appartamento insieme a Rachel e Finn a Chelsea, io lavorerò in qualche stupido Starbuck’s e ti passerò di nascosto i biscotti senza farteli pagare. Berremo caffè e la domenica andremo a Central Park e magari Sebastian potrebbe…” Il discorso di Kurt si fece confuso, mano a mano che le fantasie si sovrapponevano una all’altra.

“Non posso, Kurt.” Blaine sciolse le mani dalla stretta di Kurt e camminò fino alla cattedra. Dal cassetto estrasse un’altra busta, che diversamente da quella di Kurt era stata aperta con cura, probabilmente con un tagliacarte. Probabilmente con un tagliacarte d’argento con incise delle iniziali, come quello Blaine lasciava appoggiato sulla sua scrivania in camera da letto.

“Anche io ho ricevuto una lettera questa mattina. L’unica differenza è che non me l’aspettavo affatto.”

Blaine allungò la busta a Kurt, tenendola tra due dita. A Kurt bastò uno sguardo per leggere il mittente e capire che cosa stava cercando di dirgli; alzò lo sguardo verso Blaine, allarmato e sorpreso.

“A settembre andrò alla Brown, Kurt. E’ tutto qui dentro. Borsa di studio, modulo di iscrizione, elenco dei corsi. C’è perfino una lettera scritta personalmente da uno dei professori di letteratura, in cui si complimenta per il saggio che ho spedito.” Disse in fretta. Nonostante la sorpresa, nonostante il ritrovarsi improvvisamente davanti a una possibilità che aveva solo accarezzato fino a quel momento, nonostante l’idea di essere a centinaia di chilometri da casa e da Kurt, Blaine era… meno spaventato. Per la prima volta dopo mesi aveva smesso di sentirsi sospeso, leggendo quella lettera; aveva capito che a frenarlo era stata solo la paura di fallire. Che era quello che voleva davvero.

“Avevi detto di non aver scritto a nessuna università.” Commentò Kurt, con gli occhi fissi e increduli sulla busta.

“Non l’ho fatto, ma qualcuno con manie di controllo sulla mia vita e una perversa tendenza a occupare il mio divano ha preparato i documenti e li ha spediti mesi fa. Me l’ha detto stamattina, quando mi ha trovato pietrificato davanti alla cassetta della posta.” Spiegò Blaine. Stava ancora rimuginando sul regalo di San Valentino per Kurt quando aveva visto la lettera; Sebastian aveva dovuto scuoterlo per una spalla per ottenere la sua attenzione e spiegare come erano andate le cose.

“Sebastian.” Disse Kurt, anche se non c’era davvero bisogno di dirlo ad alta voce. Era bastato uno sguardo per capire che Blaine sarebbe partito.

“Sebastian.” Ripeté Blaine. E di nuovo, non era di quello che stavano parlando; avevano sempre evitato l’argomento, ma sapevano che prima o poi si sarebbero dovuti separare. E ora in quello sguardo c’erano dei Mi dispiace e Dobbiamo parlarne e Mi mancherai e…

“Non voglio lasciarti.” Mormorò Kurt, fregandosene della lezione che stava perdendo e del fatto che c’era solo una porta a dividerli dal resto del mondo per tuffarsi contro Blaine e abbracciarlo stretto. “Ci dev’essere un modo.”

Era reale: non potevano più fingere che le cose dopo la fine della scuola sarebbero state più facili. Se avessero deciso di rimanere insieme sarebbe stata ancora più dura. Blaine lo accarezzò lentamente lungo la schiena, facendo correre piano il palmo della mano dalle spalle fino ai fianchi.

“Abbiamo fino a Giugno. E la casa al lago. Abbiamo il tempo di capire se…”

Se varrà la pena di tenere duro, se poi ci lasceremo lo stesso.

Non capì nemmeno come accadde, ma lui e Kurt si ritrovarono a terra; Blaine con la schiena contro il muro, proprio sotto la lavagna, e Kurt raggomitolato tra le sue braccia, scosso dai singhiozzi.









Nda --> Angolo di LieveB (Fra m'ha venduto i diritti)

Ma buonasera, è lunedì, quindi si aggiorna!

Che dire, stavolta di carne al fuoco ce n'è: Sebastian ed Eric hanno adottato Kurt, Kurt è diventato loro amico, Rachel e Mercedes li conosceranno, San Valentino non è ancora finito... e Blaine il primo di settembre inizia i corsi alla Brown. Poca roba, no?

Ieri guardavo il mio pannello autrice e per poco non mi sono cadute le palle... degli occhi. Io vorrei raccogliere tutte quelle 226 persone che hanno aggiunto questa storia ai preferiti, offrirgli un caffè e un tortino, poi chiacchierarci un po'. Davvero, grazie. Immaginate di avere un cupcake accanto al pc, tutto decorato di cuoricini di zucchero e con sopra un grazie di cioccolato: ve lo mando io! Se penso ai salti alti che ho fatto quando la mia prima ff ha superato i 100 preferiti... non avrei mai creduto di raggiungere la quota 200. Follia pura, davvero.


Termino lasciandovi due link. Se gli orsetti alla vodka vi hanno stuzzicato, qui c'è il link per prepararli:

http://www.youtube.com/watch?v=75i3jchB9-E

http://www.youtube.com/watch?v=IOg4cH5M-o0&feature=related

 

E tenete d'occhio la pagina FB mia e di Medea, perchè pubblicheremo un file audio con un nostro (piccolo) sclero + ringraziamento, al termine del quale ci saranno due spoiler sulle nostre storie.

 

A lunedì prossimo! E grazie per il vostro tempo!

LieveB

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***


Capitolo ventisei

 


“Ciao.” Blaine era in piedi davanti alla porta del suo appartamento e Kurt era appena uscito dall'ascensore; aveva camminato fino all'ingresso, ma l'altro aveva aperto prima ancora che potesse suonare il campanello.

“Ciao.” rispose timidamente una volta davanti a lui, con il suo stupido pacchettino stretto tra le mani. Quando si erano lasciati, poche ore prima, si erano ritrovati accartocciati l'uno sull'altro, seduti sul pavimento dell'aula di letteratura inglese avanzata; Blaine aveva aspettato che Kurt smettesse di piangere, gli aveva dato un fazzoletto e un bicchiere d'acqua, poi gli aveva promesso che avrebbero parlato la sera stessa. “Posso entrare?” chiese Kurt, sbirciando verso l'interno, alle spalle di Blaine. L'altro si scansò, prendendogli la giacca e appendendola vicino alla porta. “Sebastian è ancora qui, ma sta per andarsene. Non è vero, Sebastian?” disse con tono di rimprovero.

L'altro uscì dalla cucina con un sacchetto appeso al braccio e una bottiglia di vino stretta in una mano: “Che fretta avete? Sono appena le otto... c'è tutta la notte davanti e voi cercate già di sbattermi fuori di casa?”

“Io devo essere di ritorno per mezzanotte, non ho esattamente tutta la notte a disposizione.” Lo rimbeccò Kurt, appoggiando un pacchetto sopra il tavolino del salotto.

“Mezzanotte?” Sebastian si bloccò davanti all'ingresso, quasi sconvolto all'idea. “Dio, ma hai cinque anni? Mezzanotte è un coprifuoco da liceale.”

“Sebastian... io sono un liceale.” Ribadì, come se fosse davvero necessario. L'altro fece una smorfia e uscì di casa, sbattendosi la porta alle spalle e lasciandoli soli.

“Dunque eccoci qua.” commentò Blaine, dondolandosi sul talloni. “Potresti... andare in camera mia, per favore?” chiese all'improvviso. Kurt si voltò a guardarlo, sollevando un sopracciglio con aria interrogativa. “Non pensare male, ho solo bisogno di una decina di minuti per preparare un paio di cose.”

Anche se incuriosito dalla misteriosa richiesta di Blaine, Kurt si allontanò e sedette sul letto di Blaine, sfogliando i suoi libri mentre aspettava di poter tornare di là. Mentre leggeva accarezzò il tessuto del piumone: ormai non poteva più guardare quel letto come un semplice pezzo d'arredamento. Ci aveva dormito, Blaine gli si era arrampicato addosso e lo aveva stretto come se lasciarlo andare via fosse fuori discussione: in quel momento Kurt realizzò di aver deciso qualcosa di importante. Sotto sotto, sapeva che prima o poi lui e Blaine avrebbe fatto l'amore tra quelle lenzuola: non quella sera e nemmeno quella successiva, sapeva che avrebbe avuto la sua prima volta proprio lì. Immaginare Blaine nudo, sdraiato sopra di lui era così semplice, così naturale... non riusciva nemmeno a sentirsi spaventato dall'idea di essere così indifeso ed esposto in presenza di qualcuno; al contrario, l'idea lo intrigava, emozionava ed eccitava. Si morse il labbro, voltandosi verso i cuscini. I discorsi di Eric dovevano averlo in qualche modo influenzato, perchè si sentiva stranamente impaziente.

Anche con la porta chiusa, riconobbe il familiare tintinnìo delle stoviglie e il suono di Blaine che spostava il divano; si trattenne a stento dal fiondarsi fuori dalla stanza e sbirciare, ma riuscì a resistere. Ebbe il tempo di svuotare la mente da pensieri lussuriosi, scrivere qualche sms alle ragazze e fingere di essere nel pieno di una maratona di film strappalacrime, quando finalmente Blaine bussò piano alla porta.

“Puoi venire. Però devi chiudere gli occhi. Prometto di non approfittarmene.” disse infilando la testa nello spiraglio che aveva aperto; Kurt si alzò e lasciò che Blaine gli coprisse il viso con le mani, mentre lo guidava lungo il corridoio, fin sulla soglia del salotto. Con il corpo di Blaine premuto dietro la schiena e il suo respiro sul collo, Kurt era già pienamente soddisfatto della piega che la serata stava prendendo; ma quando sentì Blaine togliere le mani dai suoi occhi e sussurrargli di guardare, rimase a bocca aperta.

In dieci minuti, il salotto era diventato una romantica alcova, illuminata solo da candele sparse sulle mensole e lungo i mobili; il divano e la poltrona erano spariti, mentre il tavolino era circondato di cuscini. C'erano perfino una rosa rossa e una scatola di cioccolatini.

“Se non possiamo andare al ristorante insieme, ho pensato di portare il ristorante da noi.” disse con aria imbarazzata ed emozionata insieme. Kurt non rispose, guardando le stoviglie in stile giapponese che erano appoggiate sul tavolino e il vassoio di sushi che metteva l'acquolina in bocca al primo sguardo. “So che è tutto sdolcinato e stupidamente romantico, ma… Ti prego, dimmi che ti piace.”

“Non mi piace.” disse fermandosi a pensare, per poi voltarsi verso Blaine, il cui volto nervoso era illuminato appena dal bagliore delle candele. “Lo adoro.”

Il modo in cui sorrise, completamente innocente ed estasiato, lo fece avvicinare; si lasciò avvolgere dalle braccia di Blaine e stringere. “E' perfetto.” mormorò quando trovò il coraggio di guardarlo.

Quando Blaine lo baciò delicatamente sulle labbra, Kurt si rallegrò che non dovessero preoccuparsi che la cena finisse per raffreddarsi. Perchè finalmente erano soli. Non c'erano banchi, non c'erano aule e non c'erano etichette: tra quelle mura, nessuno era studente e nessuno era professore, erano solo Kurt e Blaine che si baciavano.

Un paio di minuti dopo si rallegrò che i cuscini sparsi sul pavimento rendessero le piastrelle tanto comode e accoglienti, perchè in qualche modo si erano ritrovati sdraiati a terra e nessuno dei due sembrava intenzionato ad alzarsi. O a smettere di accarezzare l'altro ovunque.

E quando dopo un quarto d'ora di strusciamenti, baci e carezze, Kurt con un movimento del bacino riuscì a far gemere Blaine in un modo del tutto nuovo, si rallegrò di tutti i discorsi imbarazzanti che Eric gli aveva fatto ogni volta che erano da soli. Preso dall'entusiasmo, strinse con forza il sedere di Blaine, avvicinandolo ancora di più; al secondo gemito, che stavolta sfuggì a entrambi, Blaine si tirò indietro.

“Cenare.” disse con il fiato corto, alzandosi sulle ginocchia. “Noi dovremmo cenare. E poi parlare.”

“Il cibo è sopravvalutato. Soprattutto il sushi.” rispose Kurt, sollevandosi per baciarlo ancora. Forse stava iniziando a capire il senso di tutti quei discorsi di Eric.

“Dopo. Voglio fare tutto per bene Kurt. Non ho mai avuto una cena di San Valentino come si deve.” faticò ad allontanarsi, ma quella frase ebbe l'effetto voluto su Kurt, che si mise a sedere.

“Ok. Cenare.” allungò le dita verso le bacchette come segno di buona volontà e fece cenno a Blaine di sedersi accanto a lui. Per buona misura, ficcò in bocca un pezzo di sushi, che si rivelò straordinariamento buono. Non buono quanto baciare Blaine e sentirsi la pelle scottare, ma sentiva di doversi accontentare, almeno per ora.

“E parlare.” aggiunse Blaine, giocherellando con un gamberetto. “Di quello che succederà dopo giugno. Io ci ho pensato.”

Kurt masticava lentamente e anche se desiderava tornare a baciare Blaine fingendo di non aver ricevuto nessuna lettera, si voltò per ascoltarlo. Blaine si sedette a gambe incrociate, guardandosi le mani mentre parlava.

“Io... credo che tu abbia ragione. Quello che abbiamo è qualcosa di importante, nato tra mille difficoltà e destinato probabilmente a incasinarsi ancora di più, ma bello. Però è presto per sapere se è qualcosa per cui vale la pena rinunciare a un'occasione come la Brown o New York. È troppo presto perchè uno chieda all'altro un sacrificio di questa portata. Troppe cose potrebbero andare storte... potremmo capire di non essere fatti davvero l'uno per l'altro, di non essere davvero coinvolti, o cambiare idea su quello che vogliamo.”

Kurt fece per interromperlo, ma Blaine non glielo permise.

“Non sto dicendo che debba accadere, però potrebbe succedere. Io sono pazzo di te, ma so che ci sono ancora centinaia di cose che non sappiamo l'uno dell'altro e forse una di quelle cose potrebbe essere un motivo sufficiente per separarci. E inutile fingere che sia impossibile che non accada. Voglio che... tu sei speciale per me, Kurt. Non voglio rovinare tutto facendoti promesse che non posso mantenere. Nè costringerti a farne a tua volta. Voglio conoscerti fino in fondo, voglio continuare a innamorarmi di te giorno dopo giorno, voglio arrivare a giugno e dire con certezza che quello che c'è tra di noi resisterà alla distanza e alle chiacchiere, voglio arrivare a giugno e promettere di non lasciare che abitare in due città diverse ci divida. E voglio prometterlo perchè so che sarà così, non solo perchè non voglio che succeda. Capisci che cosa intendo?”

L'altro annuì lentamente e aggiunse: “Sì. Se fossimo due compagni di scuola, io non ti chiederei di rinunciare al tuo sogno. E non vorrei che tu mi chiedessi di rinunciare al mio.”

Blaine si avvicinò e gli appoggiò un palmo sulla guancia, accarezzandolo lentamente con il pollice.

“Ho così tante cose da imparare, Kurt. Sarei onorato di poterle imparare insieme a te, un passo dopo l'altro. Anche questa cena, San Valentino, per me è tutto nuovo, ma sono felice di essere qui con te.”

Kurt appoggiò la fronte alla sua e rimasero così per qualche istante, ascoltando solo il suono del loro respiro. Anche solo con quel contatto, la cena, i cioccolatini e i fiori avevano perso ogni importanza; avevano appena preso un impegno importante. Si erano appena concessi una chance.

“Ho un regalo per te.” disse Kurt all'improvviso e guardandosi intorno per vedere dove Blaine aveva spostato il suo pacchetto. “E' perfetto.”

“Aspetta... anche io ne ho uno per te ma...” Kurt si alzò e tornò poco dopo con una piccola confezione stretta tra le mani, che porse a Blaine con sorriso incerto. Lui lo afferrò, facendo scivolare le dita sulla carta argentata mentre Kurt tornava a sedersi; si decise a scartarlo e per poco il cuore non perse un battito quando capì che cosa stava stringendo tra le mani.

“Kurt. Io...” disse rigirandolo incredulo. Era una vecchia copia di “Grandi speranze”.

“Non è una copia qualunque, è stata stampata il mese e l'anno in cui sei nato. Aprila.” spiegò Kurt, accarezzandone piano la copertina sgualcita. All'interno, una busta che proteggeva una vecchia fotografia: Blaine la sollevò per osservarla meglio. Ritraeva Kurt, di poco più di tre o quattro anni, seduto in braccio a una donna dall'aria familiare; ridevano entrambi e Kurt agitava le gambe, scoperte da una salopette di jeans.

“E' tua madre.” Non c'era bisogno di altre spiegazioni. Kurt si appoggiò contro la sua spalla.

“Sì.” Guardarono verso l'immagine, così straordinariamente intima da fare quasi male. Blaine la ripose nella busta, poi la infilò nuovamente tra le pagine del libro. “Volevo che avessi qualcosa di mio. So che è stupido ma... non sono riuscito a togliermi dalla testa quest'idea. Fin dopo la gita al lago... e così...”

“Kurt, è perfetto.” lo zittì, appoggiandosi il libro al petto con gratitudine. “Tu sei perfetto. E smettila di dire che è stupido, altrimenti significa che è stupido anche il mio regalo.”

“La cena è fantastica. Voglio dire, non ho assaggiato quasi nulla ma...” Evidentemente la cena era solo l'inizio, perchè Kurt si ritrovò un pacchetto appoggiato in grembo.

“Non sono bravo in queste cose, aprilo e basta.”

In fondo, l'idea di Blaine era simile a quella di Kurt: voleva che avesse qualcosa di suo. Per questo motivo dopo aver ordinato il sushi e i fiori, aveva girato mezza città senza trovare nulla di adatto; alla fine aveva preso la sua sciarpa preferita, quella che Kurt aveva più volte ammirato e l'aveva impacchettata. Solo l'idea di vederlo entrare in classe con quella avvolta intorno al collo gli faceva venire i brividi.

“Blaine?” Kurt era seduto con lo sguardo basso, intento a giocherellare con le frange della sciarpa, combattendo con le parole che gli stavano per sfuggire dalle labbra. L'altro si limitò a guardarlo, con il pollice che correva lungo le pagine fibrose del libro. Kurt alzò lo sguardo e parlò con voce chiara,

“Credo di amarti.”

“Credo di amarti anch'io.” Gli rispose allungando la mano a stringere la sua.

 


 

Puntuali come un mal di denti a Ferragosto, Mercedes e Rachel il 15 febbraio non aspettarono nemmeno la fine della seconda ora per ricordare a Kurt che aveva promesso loro un appuntamento al Lima Bean subito dopo San Valentino: non potevano più aspettare, dovevano assolutamente conoscere quei ragazzi e sapere dove avevano portato Kurt la sera precedente. Quando avevano saputo che non sarebbe venuto alla festa di Sugar l'avevano letteralmente torturato per scoprire dove sarebbe stato; nessuno sforzo da parte di Kurt era riuscito a convincerle che sarebbe rimasto a casa per guardare un film strappalacrime e ingozzarsi di gelato allo yogurt. Inspiegabilmente, più si impegnava a nascondere che aveva trascorso la serata a casa di Blaine, più le loro incontenibili fantasie coinvolgevano lui, la coppia di amici e i club più trasgressivi di Columbus.

“Davvero ragazze, ieri non avevo proprio voglia di uscire. Se Breadstix era troppo rumoroso figuratevi le discoteche di città! E poi lo sapete, ho sempre considerato San Valentino una festa consumistica e sopravvalutata, non potete biasimarmi se...” ripetè per l'ennesima volta durante la pausa pranzo; diede un morso alla mela che teneva in mano e prese fiato, pronto a lanciarsi nuovamente nella sua soporifera filippica contro l'abuso di glitter scadente e di biscotti a forma di cuore, ma Mercedes, finalmente convinta, alzò gli occhi al cielo, esasperata ed arresa.

“Ok. Ti prego, non ricominciare. Piuttosto, raccontaci che cosa hanno fatto Eric e Sebastian. Anzi, ce lo racconteranno oggi in caffetteria, perchè tu hai organizzato tutto per bene e oggi finalmente conosceremo questi famosi amici con cui trascorri tanto tempo, non è vero?”

Kurt annuì silenziosamente, masticando la sua mela con aria poco convinta. A giudicare dalle risposte confuse che i suoi sms avevano ricevuto, i ragazzi erano ancora in hotel a smaltire i festeggiamenti di San Valentino; aveva anche provato a telefonare, ma il ringhio assonnato con cui Sebastian aveva iniziato la conversazione l'aveva fatto desistere. Si era limitato ad augurargli buona giornata e riagganciare in tutta fretta.

Ora poteva solo continuare a scrivergli e sperare che non fossero troppo esausti, al punto da dimenticare l'appuntamento al Lima Bean; le sue speranze erano tutte riposte in Eric. Avvisò di nuovo Blaine di non venire in caffetteria e incrociò le dita, affidandosi alla bontà del destino.

Fortunatamente il suo nuovo amico non lo deluse: Kurt e le ragazze si erano appena seduti a un tavolino vicino a una delle vetrine, quando riconobbe la figura di Eric tra le persone in fila davanti alla cassa. Immediatamente Rachel cominciò a squittire eccitata, dandosi di gomito con Mercedes e bisbigliando: “Kurt! Sono arrivati...”. Lui si alzò con un sospiro, poco propenso ad abbandonare il cappuccino che non aveva ancora assaggiato, e si trascinò fino all'ingresso, dove l'altro lo salutò con un sorriso dispiaciuto.

“Scusaci, siamo in ritardo.” disse inclinando la testa di lato e stringendosi nelle spalle. Accanto a lui, Sebastian fece una smorfia infastidita e mosse la mano, come scacciando un insetto molesto: “...'ric, per favore, non gridare. Siamo a un passo da te, tieni sotto controllo i decibel, per l'amor del cielo.”

In realtà Eric non aveva affatto gridato, così Kurt fece un passo avanti per guardarlo con attenzione: erano le quattro del pomeriggio e Sebastian era ancora in pieno post-sbornia, con i capelli in disordine e gli occhi cerchiati di viola. Nonostante il viso quasi devastato e l'espressione scocciata, il costossissimo cappotto che indossava e la sciarpa di cachemere avvolta stretta intorno al collo riuscivano a dargli un'apparenza quasi sofisticata; Eric si dondolava distrattamente da un piede all'altro, sbirciando verso la vetrina dei dolci con le mani ficcate dentro le tasche di un anonimo piumino blu e con in testa un berretto tessuto da una nonna evidentemente priva di gusto estetico.

O daltonica, dato che era decorato da vistose strisce tuschese, rosso e senape.

Se Sebastian poteva passare per un decaduto e vizioso aristocratico di altri tempi, Eric sembrava appena uscito da una puntata di Settimo cielo e una pesca di beneficenza.

“Dio, fa caldo qui dentro, non è vero?” Sebastian infilò con un gesto secco due dita nel colletto del cappotto, allargando la stretta della sciarpa e rivelando qualcosa di paurosamente simile a un morso, o un livido, proprio vicino alla gola. “Faranno il frappuccino d'inverno? Se bevessi ora un caffè bollente, penso che potrei morire.” disse con nonchalance, tirando ancora di più la sciarpa, fino a lasciare il collo completamente scoperto.

“Sebastian, e quello che diavolo è? Erano previsti animali selvatici nel programma della vostra seratina romantica?” chiese Kurt, spalancando gli occhi e indicando discretamente il segno che ormai era in bella vista, alla mercè di tutti i puritani di Lima. Quando il ragazzo lo guardò confuso, troppo svogliato per lasciarsi coinvolgere dal sarcarsmo di Kurt, si rivolse dunque a Eric, che rideva sommessamente con aria maliziosa.

“Beh?” Lo intimò a rispondergli, indicando con un cenno del capo Sebastian, che si strofinava gli occhi assonnato.

“Diciamo che a volte... sono necessarie le maniere forti per tenere a bada un ragazzone voglioso di coccole. Non è vero, Sebastian?” disse passandogli la mano lungo la schiena. L'altro grugnì di rimando, voltandosi verso Eric e affondando esausto il viso nell'incavo del suo collo; se possibile, il sorriso sornione e soddisfatto di Eric, si allargò ancora di più. Con Sebastian spalmato addosso in quel modo, gli occhi gli brillavano in modo speciale.

“No.” Kurt lo guardò scioccato, arrossito fino alle orecchie all'idea di loro due che si saltavano addosso in una camera d'albergo, poi allungò le mani e gli sfilò dalla testa il berretto ad aghi. “Io mi rifiuto di sentirti dire certe cose con questo affare appollaiato sui capelli. Questo cappello è un crimine contro il mondo del fashion, come è possibile che Sebastian te lo abbia lasciato mettere?”

Mentre avanzavano lentamente lungo la fila, con aria possessiva Eric gli strappò dalle mani l'indumento, lo ripiegò con cura e se lo mise in tasca; con gli occhi chiusi, Sebastian era ancora aggrappato al suo fianco, così dovette sporgersi un poco verso Kurt per farsi sentire.

“Me lo lascia mettere perchè me l'ha regalato lui.” disse orgoglioso, accarezzando affettuosamente la tasca dove era riposto. Kurt sollevò le sopracciglia, assorbendo incredulo quell'informazione.

“Stai scherzando.” ribattè senza indugio, fermamente intenzionato a non credergli “Devi scherzare.”

“Niente affatto. Per rilassarsi, Sebastian fa la maglia. Ammetto che questo abbinamento di colori in particolare è un tantino infelice, ma la sua tecnica è davvero ottima. Gliel'hanno insegnato a uno di quei corsi per le manie di controllo... credo che Blaine abbia almeno un cassetto pieno di sciarpe, tutte realizzate da questo principino.” Eric passò le dita tra i capelli di Sebastian, che sembrava del tutto ignaro della loro conversazione, e gli stampò un bacio sulla fronte; una signora in fila dietro di loro fece una smorfia, ma Kurt li trovò assolutamente adorabili.

“Non dirgli che te l'ho detto, ma credo ne sta preparando una anche per te.” bisbigliò piano. “Quando sarà pronto a dartela, finirà per lanciartela sulle gambe senza tante cerimonie, probabilmente sostenendo che è un avanzo di qualche altro lavoro. In realtà, significa che ti adora e che per lui sei parte della famiglia.” Gli strizzò l'occhio e quando finalmente fu il loro turno per ordinare scrollò piano Sebastian, che mormorò qualcosa a proposito di un frappuccino fuori stagione.

“Un frappuccino al caramello e una cioccolata calda. Con doppia panna. Avete ancora dei cupidolcetti? Ok... quello con la glassa rosa, può metterlo in un sacchettino d'asporto? Può chiuderlo con uno di quei graziosi adesivi a forma di cuoricino? Grazie.”

Ancora sotto shock all'idea di Sebastian seduto in poltrona con un gomitolo di lana appoggiato sulle ginocchia, Kurt rimase a guardare Eric ordinare per entrambi, infilare nella tracolla di Sebastian un biscotto a forma di cuore e rimetterlo in piedi, spingendolo verso Kurt mentre afferrava la sua tazza e il bicchierone con la granita al cappuccino.

“Allora, dove sono le ragazze?” disse allungando il collo verso la zona dei tavoli; notare Rachel e Mercedes che si sbracciavano fu inevitabile. Alzò i bicchieri a mo' di saluto e s'incamminò sorridendo verso di loro, facendosi strada tra gli altri clienti e le sedie; a Kurt non rimase che smettere di fissare Sebastian, dargli una scrollata e trascinarselo dietro, sperando nelle sue miracolose capacità di smaltire l'alcool e sostenere una brillante conversazione anche con il cervello a pezzi.

Talento che si rivelò ben presto utile, perchè Sebastian fu rapido a intervenire in ben due occasioni.

“Al supermercato? Kurt, non ci avevi detto che avevi conosciuto Eric al lavoro!” La voce querula di Rachel lo fece voltare di scatto, proprio mentre Eric apriva la bocca, pronto a raccontare con entusiasmo del loro primo incontro.

“Oh sì, sapeste che coincidenza! Caso vuole che Sebastian fosse lì per salutarmi prima di partire per l'Oregon e che Kurt avesse appena incontrato...”

Blaine

Sebastian, con voce rauca, lo interruppe: “Il padre di un vostro compagno di scuola, che ha pensato bene di usare Eric come sacca da pugilato, sbattendolo contro uno degli scaffali.”

Mentre i ragazzi raccontavano di come Emmett avesse spintonato Eric e di come il padre di Kurt fosse intervenuto per risolvere la situazione, Kurt approfittò di quel momento per lasciarsi cullare dai ricordi: arrossì ripensando a Blaine che gli mostrava il contenuto del suo cestino, dimenticandosi completamente del contenuto equivoco che stava esibendo, di come l'avesse con dolcezza invitato a dargli del tu e del sorriso che gli si era dipinto in viso quando Kurt aveva acconsentito. La mente tornò alla sera precedente, a come lui e Blaine avessero deciso seriamente di darsi una chance.

“... e ci hanno portato la colazione in camera. Perfino il bloodymary di Sebastian! Non hanno fatto una piega, gli hanno solo chiesto se voleva che il succo di pomodoro fosse biologico.” sentì raccontare da Eric, ancora sovraeccitato per la sua prima volta in un hotel a cinque stelle.

Mercedes e Rachel fecero una smorfia, così lui smise di parlare, osservandole confuso.

“Allora è vero che ieri sera Kurt non è uscito con voi, noi non volevamo crederci.” disse Mercedes, giocherellando dispiaciuta con una bustina di zucchero. “A noi piaceva immaginarlo mentre entrava in un club con una carta d'identità falsa, magari per incontrare un intrigante fidanzato, che non può presentarci per qualche misterioso motivo... era divertente pensarci!”

Rachel, seduta accanto a lei, annuì mordicchiandosi un labbro. Kurt le guardò con disapprovazione.

“Ma ovvio che no, Kurt ieri sera era da...”

Prima che Kurt potesse scattare attraverso il tavolo, ficcare un bicchiere di carta in bocca a Eric e portarlo fuori dal locale trascinandolo per le caviglie, Sebastian intervenne una seconda volta nella conversazione, cingendogli le spalle con un braccio e raccontanto che noia tale fosse il povero Kurt e di come fossero stati costretti a scaricarlo.

“A volte è terribile essere amici di un liceale.” commentò con una smorfia. Detto questo, il pomeriggio procedette in tutta tranquillità: Mercedes disse a Eric dove aveva comprato quella felpa verde acido che tanto adorava, mentre Rachel risucchiò Sebastian in una conversazione monodirezionale sulle Nuove Direzioni, il matrimonio con Finn e i suoi papà gay. Quando Sebastian approfittò della sua capatina in bagno per dire a Kurt: “Questa ce la paghi, ho i postumi peggiori di sempre e sono intrappolato qui con una che sembra appena uscita da un cartone animato. Sabato ti conviene portare ancora quegli affari coperti di glassa, altrimenti non mi presterò mai più a una cosa del genere.”

Kurt rise senza lasciarsi intimorire, perchè Sebastian fosse stato serio, non avrebbe avuto problemi ad andarsene e lasciarlo lì come un fesso: invece quando Rachel uscì dal bagno si stampò un sorriso in faccia e la salutò con la mano.

“Allora, non mi fai vedere una foto con i tuoi papà? Scommetto che sono affascinanti.” disse con un sorriso malizioso che inquietò appena la ragazza, ma non le impedì di sfoderare il cellulare e mostrargli i suoi genitori con aria fiera.

Kurt si accoccolò tra Eric, che parlava fitto con Mercedes di un film che doveva assolutamente andare a vedere, e Sebastian, che non risparmiava commentini ironici sulle cravatte di Leroy: avere lì Blaine sarebbe stato perfetto. Si sarebbero seduti vicini, avrebbero letto ciascuno il proprio libro e avrebbero disegnato con la punta del dito delle pigre spirali, uno sul palmo dell'altro. In quel momento, la mancanza di Blaine e il fatto di non poterlo avere lì con sé lo colpì con forza.

Afferrò il cellulare dalla tasca per scrivergli un sms, quando sentì Sebastian toccarlo con il gomito e indicare con discrezione qualcuno che era appena entrato.

“E quello chi è?” Vicino alla cassa, in piedi accanto a una donna che doveva essere sua madre, c'era Dave Karofsky.

 

L'angolo di LieveB

Scusatemi per il ritardo di 50 minuti, disguido con il treno/bus.

Dal prossimo capitolo, tanto angst, tanto klaine, tanto ammore.



 

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisettesimo ***


Capitolo Ventisettesimo

 

Dentro al Lima Bean, Kurt guardò in direzione di Karosfky, che si era voltato verso sua madre e sembrava imbarazzato; in attesa della risposta di Kurt, Sebastian continuò a fissarlo con attenzione, quasi studiandone le fattezze e l'atteggiamento. Sembrava più che altro incuriosito, e l'evidente disagio del ragazzone lo rendeva impaziente di sapere chi era.
“Allora, chi è? Guardava verso il nostro tavolo.” domandò di nuovo. Forse aveva una cotta per una delle ragazze, magari era una vecchia fiamma, o forse...
Prima che Kurt potesse spiegare, Rachel intervenne nella conversazione, guardando indispettita il ragazzo e la madre prendere due caffè d'asporto: “Quell'idiota è Dave Karofsky. E' uno dei giocatori di football del nostro liceo, dà parecchio fastidio a Kurt. Granite in faccia, battute idiote... quello è proprio un...”
Kurt la guardò sorpreso, aggrottando le sopracciglia: era sempre stato convinto che ciascun membro del Glee Club vivesse nel proprio piccolo e privato mondo di umiliazione, senza prestare attenzione a quello che accadeva agli altri. Evidentemente si sbagliava, perchè anche se Rachel non sapeva nulla del bacio, delle minacce e degli spintoni, sembrava essere ben consapevole che la vita di Kurt non era tutta rose e fiori. Lui si sentì in colpa per averli ingiustamente considerati egoisti.
“La scuola fa schifo, giusto?” chiese Sebastian, ripetendo le parole che Kurt aveva pronunciato nella loro prima conversazione civile all'appartamento di Blaine. Sorprendentemente, non gli sembrò strano che Sebastian se le ricordasse; di nuovo, gli invidiò la tranquillità con cui aveva vissuto gli anni di scuola.
“Il più delle volte è uno schifo. Ma almeno è tutto sotto controllo.” Mentì Kurt. Non poteva dirgli che incontrare il suo persecutore perfino al Lima Bean gli aveva fatto venire la nausea, che vederlo dove lui aveva passavo così tanti momenti piacevoli l'aveva in qualche modo sconvolto: si sentiva violato. E sapeva che era sciocco sentirsi così, perchè era solo una stupida caffetteria.
Ormai anche Eric e Mercedes avevano smesso di parlare tra di loro e stavano guardando verso l'ingresso; senza nemmeno rendersene conto, tutto il gruppetto squadrò Karosfky mentre usciva dal locale e si avviava lungo il marciapiede. Nessuno di loro capì quanto quegli sguardi l'avessero innervosito: mentre sua madre continuava a chiacchierare instancabile, Dave sentiva dei brividi corrergli lungo la schiena. Mentre camminava, si chiese chi erano quei ragazzi con Hummel. Si chiese perchè l'avevano guardato in quel modo.
Si chiese se l'avevano guardato in quel modo perchè sapevano.
Non appena lo attraversò il dubbio di essere stato scoperto, e in qualche modo tradito, dovette combattere contro la tentazione di tornare indietro, correre fino al loro tavolo per afferrare uno di loro per il bavero del maglione. Uno dopo l'altro, li avrebbe scrollati fino a quando non sarebbe stato certo di essere ancora al sicuro.
L'unica cosa che lo rassicurava era la certezza che Hummel aveva probabilmente troppa paura per condividere con qualcuno quel segreto; inoltre, anche se la voce si fosse diffusa, chi mai avrebbe dato retta a una checca isterica come quel ragazzino? Avrebbero pensato tutti che dopo essersi preso una cotta per lui, attratto dalla divisa e dalla sua popolarità, Kurt si stava vendicando di un rifiuto e di un cuore spezzato.
Perchè lui non era omosessuale. Tutti lo sapevano che a lui piacevano tette e culi.
E capelli lunghi.
E gonne corte.
Uno come lui non avrebbe mai notato che oggi il maglione di Kurt era un poco più sbottonato del solito.
Uno come lui non ne avrebbe mai approfittato di quella piccola apertura per sbirciare quella lunga cicatrice che correva lungo la pelle pallida del collo di Kurt.
Uno come lui non avrebbe mai pensato di farci scorrere la punta delle dita e chiedergli come se l'era fatta, se gli faceva male, se poteva magari appoggiarci le labbra e...
“David, mi stai ascoltando?” Sua madre era ferma, pochi passi davanti a lui, e lo guardava interrogativa, con una mano appoggiata sui fianchi e l'altra stretta intorno al suo caffè.
“Scusami. Mi sono distatto un momento.” La raggiunse e spinse l'idea di Kurt fuori dalla sua mente.
Nello stesso istante, Kurt bevve un sorso del suo cappuccino e si sforzò di non pensare più a Dave e al livido che stava lentamente guarendo sulla sua spalla destra: si buttò nella conversazione, condividendo con Rachel le idee che aveva per l'esibizione del Glee Club.
Quella volta, non accadde nulla. Sebastian aveva chiesto chi fosse quel ragazzo e Dave era uscito prima ancora che potesse succedere altro; a parte quella occasione, Kurt non l'aveva mai visto al Lima Bean, così continuò a incontrarsi lì sia con Blaine che con le ragazze. In principio sobbalzava ogni volta che si apriva la porta, ma poi dimenticò completamente quell'episodio.
Se ne dimenticò con progressiva facilità, perchè con la fine dell'inverno e l'arrivo della primavera, la vita di Kurt si trasformò in qualcosa di magico e sopportare Karosfky, Azimio e gli altri bulli era diventato più semplice.
Era facile scrollare le spalle dopo uno spintone, quando entrando in classe Blaine gli rivolgeva un sorriso. Il dolore era ancora lì e in un angolo recondito della sua mente Kurt sapeva che era sbagliato sopportare in silenzio, ma tacere era così semplice che non voleva complicarsi la vita.
Cantare insieme agli altri ragazzi del Glee, sedersi in caffetteria con Blaine e dividere con lui un biscotto al cioccolato, arrossire fino all'impossibile ascoltando i discorsi di Eric sulle migliori marche di lubrificanti: c'era così tanto affetto nella sua vita che qualche punzecchiatura da parte di quegli idioti era ben poca cosa in confronto ai complimenti che Blaine gli sussurrava all'orecchio ogni sera.
“Faccia da checca.” Potevano anche urlarlo in mezzo corridoio, ma tutto quello che sentiva era la voce di Blaine, che dopo avergli succhiato piano un lobo dell'orecchio, gli diceva che era il ragazzo più bello che avesse mai baciato. Il più bello che avrebbe  mai visto.
“Finocchio.” Ovviamente l'avevano scritto di nuovo nei bagni, ma era sufficiente leggere un sms di Blaine o guardare Eric e Sebastian coccolarsi affettuosamente sul divano per sapere che se c'era qualcuno di sbagliato, di certo non era lui. Si sentiva fiero di chi era, ora più che mai.
“Frocio.” Anche la scritta sull'armadietto era ricomparsa, ma Blaine si era fermato con lui dopo la fine delle lezioni e l'aveva aiutato a ripulire, per poi andare a Figgins a fare una scenata. Anche se praticamente non era servito a nulla e nulla era cambiato, era bello sapere di avere qualcuno su cui contare.
Così come era stato straordinariamente semplice smettere di fantasticare su New York e sul suo futuro marito immaginario: che bisogno ne aveva, ora che la realtà quotidiana era tanto bella? Sapere che a maggio sarebbe andato una settimana a New York per le audizioni della Nyada e accoccolarsi sul divano di Blaine era meglio di ogni sua passata fantasia. Neppure sforzandosi avrebbe potuto dipingere nella sua mente l'esatta sensazione del corpo caldo di Blaine premuto contro il suo, la gradevole carezza della sua barba incolta contro la pelle del collo e il profumo di sonno, carezze e caffè che gli rimaneva addosso dopo una sera di coccole.
Semplicemente, Kurt era innamorato. Ed essere innamorato nel presente era di gran lunga più soddisfacente che immaginare di esserlo.
Tutto era più divertente, più interessante e più saporito.



 

“Non lo fai mai? Ma davvero non hai mai provato, nemmeno una volta?” La sorpresa di Eric sembrava genuina, ma riuscì comunque a mettere Kurt in serio imbarazzo. Se qualcuno gli avesse detto che intorno a metà marzo si sarebbe trovato seduto sul divano di Blaine a parlare di certe cose con un ragazzo che nemmeno era il suo fidanzato, avrebbe riso anche solo all'idea.
Ora invece tutto questo era paurosamente reale. Eric aveva deciso che la paura di Kurt nei confronti del sesso era dovuta solo all'ignoranza, a degli opuscoli scabrosi e all'assenza nella sua vita di un amico gay disposto ad aprirgli gli occhi: fare di Kurt un disinibito cultore del sesso era diventata una specie di missione, cui Eric si dedicava con fin troppo entusiasmo. Purtroppo per Kurt, i suoi discorsetti istruttivi erano diventati ben presto un'abitudine: bastava che Sebastian tornasse qualche giorno ad Harvard o si chiudesse in cucina a studiare, ed un Eric pieno di buone intenzioni piombava su Kurt, istruendolo senza pietà. Dettagli piccanti fioccavano in abbondanza, così come domande imbarazzanti e aneddoti di vita vissuta. Il giorno in cui Eric gli aveva ficcato in mano un cetriolo e un preservativo Kurt si era quasi messo a piangere. E ora che gli stava parlando con tanta disinvoltura di mettersi le dita in un determinato posto, era di nuovo sul punto di piangere; probabilmente era solo lo shock a impedirgli di scoppiare in singhiozzi disperati. Tutto, pur di cambiare argomento.
“Allora, non hai mai provato per davvero oppure sei solo troppo timido per ammetterlo?” Eric ripetè la domanda, schioccandogli le dita davanti agli occhi, per attirare la sua attenzione.
“Smettila! No, non l'ho mai fatto. E non ci tengo, grazie tante.” Gli rispose scocciato, incrociando le braccia sul petto e pregando tra sé e sé perchè Blaine tornasse a casa il prima possibile.
“Come puoi dirlo, se non hai mai provato? Prima di tutto devi mettere la gamba in questo modo...” disse allungando la mano verso un ginocchio di Kurt, che s'irrigidì d'istinto non appena lo afferrò per una coscia. Dietro di loro, la porta d'ingresso si aprì e nel giro di un attimo Blaine li stava osservando perplesso.
“Che accidenti state facendo?” chiese appendendo la giacca e buttando la borsa in un angolo.
“Niente. NIENTE!” rispose rapidamente Kurt, allontanandosi da Eric e lanciandogli uno sguardo infuocato, quasi sfidandolo a dire la verità. Con una risata, Blaine si lasciò cadere sul divano tra loro due, circondando disinvoltamente le spalle di Kurt con un braccio.
“Non vedo cetrioli e banane, quindi non può essere tanto grave. O sbaglio?” disse ironico accarezzando piano la nuca di Kurt, ancora nervoso. Eric ridacchiò maliziosamente sotto i baffi mentre si alzava per raggiungere Sebastian in cucina, senza contraddire Blaine e senza svelare ulteriori dettagli.
“Credimi Blaine, era di gran lunga peggio.” Kurt alzò gli occhi al cielo, ma non ebbe l'opportunità di aggiungere altro, perchè Blaine si stava già avvicinando per un bacio, posandogli delicatamente le labbra sul collo. Lui rabbrividì piano e tacque, dimenticando completamente il motivo per cui era in imbarazzo fino a un momento prima.
“La mia sciarpa ti stava proprio bene, oggi a scuola. Mmm... ti fermi per cena?” chiese strofinando il naso vicino al colletto della camicia, ispirando il profumo di Kurt. “Sebastian ed Eric escono, potremmo finalmente concerci un cena salutare, di quelle che piacciono a te.”
“Verdure crude e riso integrale?” Propose Kurt, speranzoso. Da quando Sebastian aveva cominciato a contribuire alle spese dell'affitto e dell'appartamento, lui ed Eric avevano monopolizzato le cene: Kurt aveva la nausea ogni volta che sentiva odore di pollo fritto e cibo thai; perfino il suono del campanello gli faceva venire in mente i fattorini dei ristoranti take-away, portatori d'unto e spezie.
“Tutto quello che vuoi.” Lo disse mordicchiandogli appena la mandibola, con un tono che a Kurt fece quasi passare la fame.
“O-ok. Allora rimango.” Si affrettò a rispondere, prima di abbandonare l'argomento e attirare finalmente Blaine in un bacio degno di quel nome. La verità era che i discorsi di Eric lo imbarazzavano, ma ormai l'idea del sesso non gli sembrava più raccapricciante: non sapeva se era merito del suo nuovo amico o del corpo di Blaine, ma il punto era che baciarlo non era più sufficiente. Non lo era già da un po', ma Kurt non sapeva come sbloccare la situazione.
Il primo passo logico sarebbe stato sbottonarsi un po', ma aveva paura che la sua inesperienza potesse deludere Blaine. Inoltre, spiegare tutti quei lividi sarebbe stato piuttosto complicato. In sostanza, finivano sempre per baciarsi e basta, con sua crescente frustrazione.
Blaine era più tranquillo: gli ormoni adolescenziali lo avevano abbandonato da tempo e il vivere passo dopo passo il nascere e crescere di una relazione era qualcosa di straordinariamente nuovo per lui. In più, Dickens era sempre pronto a dargli una mano, stroncando sul nascere ogni impulso inopportuno.
Un paio di settimane dopo San Valentino avevano parlato anche di quello: era stata una conversazione matura e responsabile, al termine della quale era chiaro che entrambi volevano andarci piano. Blaine aveva rassicurato Kurt che aspettare non era un problema, troppo volte era finito a letto con qualcuno troppo presto, pentendosene. E come Sebastian amava ricordargli, non fare sesso con Kurt avrebbe migliorato la sua posizione durante il processo per corruzione di minore in cui sarebbe incappato, presto o tardi. A nulla era servito ribadire che Kurt era maggiorenne.
C'era tuttavia qualcosa che Blaine desiderava fare, ma che ancora non aveva il coraggio di chiedere a Kurt: voleva che rimanesse di nuovo a dormire da lui. L'unica volta in cui era successo non si era goduto il momento quanto avrebbe voluto: Kurt era stato sbattuto giù dal divano da un Sebastian ubriaco e molesto, si erano ritrovati a dividere il letto un po' per caso e Blaine era scivolato fuori dalle coperte quando ancora dormiva per parlare con l'amico in pieno post-sbornia. Quello che Blaine voleva era coccolarlo fino ad addormentarsi insieme, arrampicarsi su Kurt in cerca di calore e portargli la colazione a letto. Niente di strano, solo coccole e caffè.
Se quella volta una serie di coincidenze l'aveva buttato in quella particolare situazione, ora era ben conscio di quanto fosse un traguardo per lui, essere pronto a dormire con qualcuno senza nemmeno averci fatto sesso: il sonno è il momento in cui siamo più indifesi, eppure Blaine non vedeva l'ora di poter stare con Kurt anche in quel modo. Voleva sapere se russava, se rubava le coperte o parlava mentre sognava: l'ultima volta era troppo nervoso all'idea di Sebastian sul divano per godersi quelle sfumature.
Ma forse quello era il momento giusto per chiederglielo: era sabato sera, Burt era con Carole a Washington e i ragazzi erano già usciti e sarebbero rimasti fuori tutta la notte. Loro invece erano in cucina e stavano riordinando le stoviglie dopo aver cenato; Kurt canticchiava tra sé e sé e si muoveva con disinvoltura da un armadietto all'altro.
“Kurt?” Lo abbracciò da dietro, circondandolo con le braccia e appoggiandogli il mento sulla spalla.
L'altro si fermò e si godette la familiare sensazione del corpo di Blaine contro il suo, aspettando che continuasse a parlare.
“Ti andrebbe di... rimanere a dormire qui, stanotte?” La domanda gli era uscita dalle labbra più incerta di quanto volesse, ma ormai era tardi. Sentì Kurt irrigidirsi leggermente.
“Ma Sebastian non sta ancora sul divano?” domandò voltandosi e appoggiando la schiena al piano della cucina. “Voglio dire... dovremmo cambiare le lenzuola e tutto quanto.”
Quasi Blaine rise: si era preoccupato di come Kurt avrebbe potuto reagire all'idea, mentre invece non aveva nemmeno capito che cosa gli stava davvero chiedendo.
“Io veramente intendevo con me. Nel mio letto.” rispose timidamente, afferrandolo per i fianchi con gentilezza. “Sai, piccoli passi.”
“Oh.” Kurt sgranò gli occhi e arrossì, prima di annuire convinto. “Sì, mi piacerebbe. Però... non ho il pigiama, le mie creme e lo spazzolino da denti.”
“Non ti preoccupare, a quello ci penso io.” rispose lui con un sorriso.
Qualche ora più tardi, Kurt uscì dal bagno di Blaine con addosso una t-shirt di Harvard decisamente troppo grande e un paio di pantaloni sportivi. “Credo di non essere mai stato vestito così male in tutta la mia vita. Nemmeno quando mi fingevo etero e portavo bomber senza maniche.” disse guardandosi nello specchio vicino all'ingresso. Blaine, alzandosi dal divano su cui era seduto, lo rassicurò.
“Secondo me sei bellissimo. E sapere di essere l'unico a poterti vedere così...”
Mi eccita.
Mi emoziona.
Mi fa venire voglia di dividere il letto con te ogni notte.

“... mi piace. Kurt Hummel il fashionista in pantaloni della tuta e magliettona. Sei adorabile.” disse prendendolo per mano. “Per fortuna che Sebastian ha una insana mania per le scorte di sapone e spazzolini da denti.”
“Se avessi quei denti da cavallo, anche io mi preoccuperei di non avere abbastanza spazzolini per pulirli adeguatamente.” commentò Kurt sarcastico, seguendo Blaine in camera da letto.
“Non essere cattivo, ti ha anche regalato una sciarpa, non è una cosa facile per lui.” Blaine lasciò la sua mano e si recò verso la finestra per controllare le persiane, poi afferrò il bordo delle coperte e lo tirò indietro; alzando lo sguardo, si accorse che Kurt era rimasto sulla soglia della stanza. “E' tutto ok? Se hai cambiato idea...”
Kurt scosse il capo, ripiombando nella realtà: era davvero troppo semplice fingere di essere a New York e di chiacchierare amabilmente con il proprio marito, prima di infilarsi a letto con lui. Era a Lima, con addosso dei vestiti che non gli appartenevano e stava per addormentarsi con il suo ragazzo: di nuovo, la realtà superava la fantasia. Le lenzuola erano fresche e rigide, il fruscìo del piumone era accogliente e Blaine era più bello di qualunque uomo avesse mai potuto immaginare al suo fianco; si sdraiò accanto a lui senza paura e in un attimo si ritrovarono nella stessa posizione in cui erano soliti guardare la televisione. Kurt era sdraiato su un fianco, accoccolato contro il suo petto e con una gamba infilata tra quelle di Blaine, che lo stringeva con un braccio.
“Comodo?” gli chiese Blaine nell'oscurità, baciandolo sui capelli ancora umidi di doccia. Anche se avrebbe dovuto prevederlo, scoprire che profumavano del suo stesso shampoo gli provocò una scossa lungo la schiena.
“Certo.” Kurt appoggiò una guancia su di lui e si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto mentre si sistemava meglio contro il corpo di Blaine. “Buonanotte, Blaine.” mormorò piano, con la voce appena impastata di sonno.
L'altro tracciava pigre spirali tra le sue spalle, assaporando ogni istante di quel confuso dormiveglia.
“Buonanotte Kurt.”
Ovviamente non rimasero fermi per tutta la notte, né dormirono ininterrottamente. Diverse ore più tardi, quando ancora era buio e la notte era silenziosa, Blaine si risvegliò in una posizione completamente diversa: impiegò diversi minuti per riscuotersi dal torpore e capire perchè aveva un braccio completamente bloccato. Kurt giaceva su un fianco, completamente raggomitolato su se stesso, e lui era sdraiato con l'addome contro la sua schiena, il bacino contro il suo e il braccio destro incastrato sotto il suo cuscino. Si mosse lentamente per liberarlo, poi alzò la testa per scrutare la sagoma addormentata di Kurt: al buio distingueva appena le sue mani aggrappate al bordo del piumone e le spalle, che si alzavano e abbassavano a ritmo del suo respiro.
Prima ancora di rendersene conto, con la mano stava accarezzandolo lungo il corpo: prima il collo, poi in punta di dita lungo la spalla, il braccio, il fianco e la coscia, poi di nuovo. Kurt si mosse impercettibilmente, svegliato piano da quel tocco gentile; diversamente dall'altra volta, impiegò pochi istanti per riconoscere Blaine sdraiato contro di lui, intento a coccolarlo con tanta dedizione. Si spostò lentamente, fino a far aderire di nuovo la sua schiena contro a... si fermò di colpo.
Oh.
Questa sì che è una sorpresa interessante. Pensò Kurt, constatando che evidentemente, le coccole stavano avendo un certo effetto collaterale su Blaine, tanto vicino da non poter nascondere in alcun modo quello che gli stava accadendo sotto la cintura.
Kurt finse un lento risveglio, muovendo i fianchi e strusciandosi quasi casualmente contro il bacino di Blaine; eccitato e con il viso in fiamme, era reso stranamente coraggioso dal buio e dal calore della notte. Un respiro strozzato e imbarazzato fu il chiaro segnale che anche Blaine aveva pienamente colto la situazione.
“Blaine?” disse interrogativo ma tranquillo, quando sentì l'altro smettere di accarezzarlo e immobilizzarsi; probabilmente stava aspettando che Kurt si riaddormentasse, per evitare una conversazione a dir poco spinosa.
“Io... emh... scusami Kurt. Non dipende da me, lo sai. E' che tu sei talmente... scusami.” rispose a disagio e voce bassa, facendo per allontanarsi. Il distacco fu talmente spiacevole che Kurt non esitò ad afferrare la mano di Blaine, che fino a poco prima era appoggiata sul suo fianco, e intrecciarla sotto la sua.
“Non scusarti.” Tirò il braccio di Blaine fino sulla sua pancia, lasciando che infilasse la mano sotto la maglietta. Al buio, anche i lividi facevano meno male e sembravano meno importanti: sentì Blaine rilassarsi, quindi trovò il coraggio di condurre la sua mano fino all'inguine, sopra ai pantaloni.
“Oh.” Fu il turno di Blaine di essere piacevolmente sorpreso nello scoprire di non essere il solo ad avere perso il controllo della situazione. “O-oh.” ripetè, quando Kurt spinse il bacino contro il suo palmo, ruotando i fianchi per sottolineare il concetto.
“Toccami, Blaine.” La voce di Kurt, limpida nel silenzio della notte, fu l'inizio di qualcosa che nessuno dei due si sarebbe aspettato; improvvisamente impaziente, Blaine gli afferrò i lembi della maglia e gliela sfilò, facendo lo stesso con la sua. Fu così che scoprirono che essere sdraiati uno contro l'altro, ma a petto nudo, era ancora più piacevole di prima: con così tanto da sentire, a Blaine importava poco che con il buio fosse impossibile vedere chiaramente Kurt. Affondò il viso nell'incavo del suo collo, succhiando piano un punto qualunque, mentre con la mano scivolava lungo la sua pelle, fino ad infilare la mano sotto la coulisse dei pantaloni. E sotto l'elastico dei boxer.
Kurt non sentì paura quando quelle dita incerte presero a toccarlo in un punto tanto intimo, né si vergognò di spingersi in quel contatto con forza e desiderio; senza la minima idea di quale fosse la cosa giusta da fare in una situazione simile, si strofinò contro il bacino di Blaine, che sembrò apprezzare. Confuso dalla miriade di sensazioni che lo stavano assalendo, intensificate dal buio e dal silenzio della stanza, Kurt reclinò e girò la testa, cercando disperato le labbra di Blaine; quando le trovò, non esitò a baciarlo con una passione nuova, che non aveva mai messo negli altri baci passati.
Anche se era passato tanto tempo dall'ultima volta che si era trovato così vicino a qualcuno, Blaine sapeva che non era per quello che tutto gli sembrava così nuovo e intenso. Era perchè lo stava facendo a Kurt, ecco perchè ogni gemito soffocato lo faceva impazzire, ecco perchè sentire il suo nome pronunciato da qualcuno con il fiato corto lo faceva muovere più velocemente ed ecco perchè tutto durò poco, ma fu egualmente soddisfacente per entrambi. Eccitato dalla piega inaspettata presa dagli eventi, Blaine venne addirittura prima di Kurt, boccheggiando tra un bacio e l'altro, colpito all'improvviso da un orgasmo particolarmente profondo.
Sentire Blaine ansimare il suo nome tra un gemito di piacere e l'altro fu troppo per i nervi del povero Kurt, che lasciò perdere ogni contegno abbandonandosi alle carezze di Blaine. Anche quando tutti e due rimasero senza fiato, non si mossero: incollati l'uno all'altro, leggermente sudati e un poco sconvolti, tacquero per diversi minuti, fino a ritornare in sé.
Il primo a muoversi fu Blaine, che aveva la fronte appoggiata alla nuca di Kurt: mosse appena il mento per arrivare a baciare delicatamente la pelle bollente della spalla, ancora scossa dal respiro irregolare e lievemente imperlata di sudore. Con discrezione, sfilò la mano dall'intimo di Kurt, che, sensibile, si lasciò sfuggire un piccolo respiro strozzato; per rassicurarlo, prese ad accarezzarlo sulla pancia, appoggiando la guancia sulla sua spalla.
“Stai bene?” chiese timidamente, quando finalmente Kurt sembrò avere ripreso il controllo.
“Io... credo di non essere mai stato così bene.” Blaine rise piano e quando anche Kurt si unì a lui divertito, la sottile tensione creatasi tra loro si spezzò senza lasciare traccia. Si rilassò al punto che non fece caso a Kurt che incespicava per la stanza al buio cercando la sua magliettà, né si insospettì quando lo supplicò di non accendere la luce.
Era talmente felice che l'idea che Kurt potesse nascondergli qualcosa non lo sfiorò nemmeno. Si limitò a rifugiarsi tra le sue braccia non appena lo vide tornare a letto, addormentandosi poco dopo.



 

Fu qualche tempo dopo che ebbe occasione di scoprire che si sbagliava. Esattamente quando Kurt scoprì fino a che punto Dave fosse disposto a spingersi per tenere nascosto il suo segreto.
E fu tutta colpa di Sebastian.
“Non puoi non andare a vederlo! The Hunger Games è una cosa stupenda... lo so che apprezzare un film in cui dei ragazzini sono costretti ad ammazzarsi a vicenda può sembrare da psicopatici, ma posso assicurarti che ti stai perdendo il film migliore dell'anno!” Entusiasta, Eric si era lanciato di nuovo in una lode sperticata del film, approfittando dell'assenza di Sebastian, in fila alla cassa per un secondo caffè. Le ragazze, e Kurt con loro, alzarono gli occhi al cielo, ancora scettiche.
“Ma non è possibile che...” cominciò Mercedes.
“Hai letto i libri?” la interruppe lui, afferrando il bordo del tavolino.
“No, ma...” provò a difendersi lei.
“Ecco, allora non lo sai.” la zittì convinto. Poco dopo, Sebastian era di ritorno; si lasciò cadere sul divanetto accanto al suo ragazzo, circondandogli le spalle con il braccio.
“Ancora con questi maledetti Hunger Games?” chiese voltandosi verso di lui con aria scocciata. Eric ridacchiò con aria colpevole, senza rispondere alla domanda.
“Mi sta facendo impazzire, non parla d'altro da settimane, ormai.” commentò voltandosi verso gli altri. Kurt aggrottò le sopracciglia e aggiunse: “Non ti preoccupare, il tempo per parlare d'altro con me lo trova sempre, per mia sfortuna.”
Le ragazze non potevano sapere a cosa si stesse riferendo di preciso, quindi guardarono incuriosite Eric, che stava mostrando la punta della lingua a Kurt. Gli strizzò l'occhio e aggiunse allusivo: “E hai anche il coraggio di lamentarti? Dovresti ringraziarmi, e lo sai.”
Kurt si limitò a sbiancare e cambiare rapidamente argomento: da quanto Eric l'aveva beccato sul divano con Blaine e le mani sotto la coperta, non gli aveva più dato pace. Ogni scusa era buona per battutine e domande terribilmente imbarazzanti, che Kurt si sforzava di tenere sotto controllo.
“Guardate chi c'è.” Sebastian alzò lo guardo e indicò Karofsky, di nuovo dentro alla caffetteria insieme alla madre. “Che viene a fare, mi chiedo io. Sembra sempre scazzato da morire e non fa che guardarci storto.”
“Ha qualche problemino con i gay, e voi non vi state esattamente nascondendo... probabilmente è per quello che attirate la sua attenzione. Noi invece siamo gli sfigati del Glee Club, non c'è bisogno di fare gli esibizionisti per guadagnarsi un'occhiataccia.” spiegò Rachel con un sospiro, accennando allo stretto abbraccio che univa i due ragazzi seduti sul divanetto. Eric aveva la testa appoggiata sulla spalla di Sebastian e di tanto in tanto gli schioccava qualche bacio sul collo, solleticandolo pigramente.
“Per i miei standard, ci siamo trattenendo. Non è vero, piccolo?” Sebastian afferrò Eric per il mento, costringendolo gentilmente a sollevare il viso, per poi baciarlo sulle labbra; mentre si allontava dal suo viso, controllò fugacemente la reazione di Karofsky. Con un ghigno compiaciuto, notò la collera attraversarne gli occhi, mentre stringeva la mano a pugno.
“Omofobo del cazzo.” ringhiò tra i denti. A Sebastian era capitato davvero raramente di essere guardato tanto male: nessuno si era mai azzardato a insultarlo, neppure gli aristocratici amici dei suoi genitori. Quello sguardo lo stava facendo infuriare e neppure sapeva perchè ci stava danto tanto peso.
“Lascialo perdere, Sebastian. Tra cinque minuti sarà fuori di qui, con la sua ciambella e i suoi pregiudizi. Non rovinarti il pomeriggio.” lo riprese blandamente Kurt, che tuttavia stava cominciando a preoccuparsi della possibile reazione dell'amico alle sgradite attenzioni da parte di Dave. Infatti, senza dare peso alle parole di Kurt, Sebastian attirò Eric in un altro bacio, che a differenza dei precedenti, più discreti e silenziosi, si rivelò ben più passionale; le ragazze si sciolsero in un coro di tenero apprezzamento, mentre Kurt prese ad agitarsi.
Che bisogno c'era di stuzzicarlo in quel modo? Voleva prendersi un pugno?
Poi Sebastian fece una cosa stupida. Troppo stupida perfino per i suoi standard.
Se fino a quel momento le effusioni tra lui ed Eric potevano essere sembrate qualcosa di un po' esibizionista, ma non direttamente indirizzato a Karofsky, un gesto di Sebastian tolse ogni dubbio al riguardo. Non appena incrociò lo sguardo del ragazzo, ancora in piedi vicino all'ingresso, in attesa di sua madre, Sebastian gli strizzò l'occhio con aria ammiccante, quasi flirtando. A quell'ammiccamento, in cui aveva esasperato il suo atteggiamento malizioso, aggiunse anche un offerta verbale, scandendo con cura ciascuna parola, affinchè anche da una certa distanza l'altro potesse capire quello che stava dicendo: “Ti piace quello che vedi, bambolina?”.
Anche se Kurt aveva paura di quello che poteva vedere, non resistette e si voltò verso Dave, che infuriato e rosso in viso, stava respirando con il naso, tenendo i denti serrati per la rabbia; quando si girò di nuovo verso Sebastian per dirgli di piantarla una volta per tutte, non fece in tempo a impedire il disastro.
Sebastian si portò la mano sinistra chiusa a pugno verso la bocca e con pochi, ma efficaci, gesti simulò quello che era evidentemente un servizietto orale; non contento, alla fine finse di asciugarsi le labbra con il pollice e gli mandò un bacio volante. Kurt si gettò quasi attraverso il tavolo, ma non riuscì a fermarlo; quando lo spettacolino di Sebastian giunse al termine, il suono secco della porta che sbatteva comunicò a tutti che Karofsky non l'aveva affatto apprezzato.
Il sorriso soddisfatto di Sebastian per essere riuscito a farlo infuriare scomparve non appena vide l'espressione impaurita di Kurt, lasciando spazio a confusione. Non poteva sapere che sicuramente Dave avrebbe interpretato quei gesti come prova dell'indiscrezione di Kurt e che il giorno successivo a scuola gliel'avrebbe fatta pagare. Pensava solo di aver messo in imbarazzo un bullo.
“Idiota.” disse alzandosi, afferrando la giacca e uscendo senza aggiungere altro.
Quella notte riuscì a malapena a dormire: avrebbe voluto chiamare Blaine, ma non voleva farlo preoccupare. Sapeva che avrebbe provato a parlarci, finendo per mettere Kurt ancora di più nei guai, seppure comportandosi con le migliori intenzioni.
Non poteva dirlo a suo padre, perchè sarebbe stato ancora peggio.
Prima di addormentarsi, provò a convincersi che non sarebbe successo niente di male, per poi abbandonarsi a un sonno agitato e privo di sogni.
Il giorno successivo mise piede al McKinley sforzandosi di diventare invisibile in mezzo alla folla di studenti, muovendosi senza attirare l'attenzione e intenzionato a nascondersi in classe il più rapidamente possibile. Alla prima ora c'era Letteratura, la vicinanza di Blaine l'avrebbe in qualche modo rilassato: si strinse intorno al collo la sciarpa che aveva ricevuto a San Valentino e incrociò le dita.
Ovviamente non servì a nulla, perchè un istante dopo Dave gli aveva gettato in pieno viso una granita turchese, che macchiò rapidamente tutta la sua maglia; per contenere i danni, s'affrettò a prendere gli abiti di ricambio dall'armadietto e corse verso il solito bagno. Non era arrabbiato, ma era quasi sollevato: si aspettava da Karofsky qualcosa di più della solita granita, dopo quello che era successo al Lima Bean. Era un po' che lui e Azimio non gli riservavano una doccia ghiacciata, preferendo spintoni e dolorosi tuffi nei cassonetti; forse la rabbia di Dave si era saziata anche solo guardandolo rabbrividire in mezzo al corridoio.
Nonostante il freddo e l'umiliazione, raggiunse uno dei lavandini e cominciò a spogliarsi rapidamente; non voleva fare tardi alla lezione di Blaine e non voleva prendersi una nota, quindi bagnò degli asciugamani di carta e prese a tamponarsi rapidamente il petto, sforzandosi di non guardare troppo i lividi giallastri che gli attraversavano le spalle e la schiena.
Quando sentì la porta del bagno aprirsi e si voltò per vedere chi stava entrando, il ricordo di Blaine che lo aiutava a cambiarsi e asciugarsi gli scaldò il cuore; in un battito di secondi, decise che quella sera stessa avrebbe confessato a Blaine le minacce di Karofsky. Avrebbe capito perchè aveva taciuto e l'avrebbe aiutato: aveva promesso che l'avrebbe protetto. E ora, dopo mesi dal loro primo incontro in quel bagno desolato, Kurt si sentì pronto a fidarsi completamente di lui.
Fu grazie a quella consapevolezza che si voltò con un sorriso.
Fu quello stesso sorriso che gli si pietrificò in viso quando vide Karofsky chiudersi la porta alle spalle e guardarlo in un modo che gli ghiacciò il sangue ancora più della granita.
Fu ancora con il sorriso in visto, che lentamente si spegneva, che Kurt capì che la granita era solo una scusa per farlo andare in quel bagno isolato.
Arretrò di un passo, appoggiando la schiena alle piastrelle del muro.

 

 

 



L'angolo di LieveB

Il capitolo si è completamente cancellato dal file word due minuti prima della pubblicazione. Per fortuna che l'avevo mandato alla beta. Mi si è ghiacciato il sangue quando me ne sono accorta.

Btw, spero che vi sia piaciuto: ho aggiornato oggi perchè lunedì sarò via per la classica gita fuoriporta e in qualche modo volevo augurarvi Buona Pasqua!

Vi chiedo scusa, non ho ancora risposto alle recensioni degli ultimi due capitoli ma non stata tiratissima con il lavoro e ho usato ogni minuto libero per scrivere questo capitolo. In ogni caso, le ho lette tutte e continuo a rimanere stupita delle cose che mi scrivete: ora mi prendo il mio momento di relax e rispondo a tutte, perchè adoro farlo. E farlo per bene!

Un abbraccione e buona Pasqua!

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Capitolo 28
*** Capitolo ventottesimo ***


 

Capitolo ventottesimo

 

La porta del bagno era chiusa alle spalle di Dave, tra di loro c'era solo il corridoio, con una fila di lavandini da un lato e i cubicoli dei wc dall'altro. Spaventato dall'espressione determinata di Dave, Kurt era arretrato fino a premere la schiena nuda contro le piastrelle del bagno; erano fredde, così si incrociò le braccia sul petto, un po' per scaldarsi e un po' per coprirsi.

“Che cosa vuoi?” chiese con voce ostentatamente sicura, quasi strafottente. In realtà era piuttosto preoccupato: a petto scoperto, ancora umido d'acqua e sciroppo, solo con Dave in quello stupido bagno, si sentiva più inerme che mai. Ogni livido urlava e scottava appena sotto la pelle e le minacce di Dave rieccheggiavano tetre tra i suoi ricordi: prima di allora non aveva mai avuto tanta paura. Ora temeva davvero che potesse succedergli qualcosa di male. Qualcosa di davvero brutto.

Si pentì più che mai di non aver raccontato tutto a Blaine, di non aver chiesto a qualcuno del Glee di accompagnarlo a cambiarsi, di non aver fermato Sebastian prima di fare della volgare scenetta. Deglutì con forza, anche se la bocca e la gola erano secche. Alzò il mento con fierezza simulando un po' di coraggio, mentre l'altro si avvicinava chiudendo progressivamente la distanza che li divideva.

“Cosa voglio?” ripetè Karofsky, quasi canzonandolo. “Cosa non voglio, Hummel.”

Erano a due passi di distanza e Kurt sentiva il cuore battergli follemente nelle orecchie, sempre più frenetico ogni minuto che passava. Per un attimo aveva anche pensato di scappare via, ma lo spazio per passare accanto a Dave era davvero scarso: l'avrebbe afferrato, avrebbe picchiato contro le porte dei bagni o la ceramica dei lavandini. Si sarebbe fatto male e comunque Karofsky si sarebbe arrabbiato ancora di più: meglio stare fermo e sperare in bene.

“Ieri pomeriggio ti sei divertito al Lima Bean, ma ora è il mio turno. Chissà quante risate ti sei fatto insieme ai tuoi amichetti frocetti, pronti a dare spettacolo e ad ammicarmi con le loro mossettine. Ti credi un grande per avermi messo in imbarazzo davanti a mia madre, perchè è' divertente prendere in giro le persone, non è vero? Ma chi ride adesso, ora che sei tutto solo, senza nessuno che ti guarda le spalle?”

Karofsky parlava a denti stretti, con i pugni chiusi appoggiati ai jeans e le braccia rigide. Sembrava pronunciare quelle parole quasi meccanicamente, modulando con cura il tono della voce nonostante la rabbia, quasi recitando un discorso che aveva ripetuto all'infinito nella sua testa. Kurt non poteva sapere che Dave la sera precedente aveva saltato la cena, troppo agitato per mangiare, e sotto gli occhi stupefatti dei suoi genitori era salito in camera sua senza concedere nemmeno mezza spiegazione del suo comportamento: si era rinchiuso lì dentro e aveva camminato avanti e indietro, fermandosi di tanto in tanto per giocherellare distrattamente con uno dei suoi modellini. Si era sforzato di trovare le parole giuste per affrontare Kurt a scuola, ma la verità era che era troppo spaventato e confuso per imbastire un discorso efficace: voleva solo urlargli in faccia e chiedergli perchè aveva detto il suo segreto ai suoi amici.

Perchè l'aveva fatto? Era convinto che Kurt avesse capito quanto fosse importante per lui che nessuno sapesse, credeva che nonostante il bacio, gli spintoni e le minacce, l'altro gli fosse in qualche modo leale. O almeno che fosse abbastanza spaventato. Perchè invece l'aveva tradito?

E che poteva fare ora, se nemmeno le minacce servivano a far tacere Kurt?

Doveva parlargli, ma sapeva che non l'avrebbe mai convinto a seguirlo in un posto appartato; era ovvio che non si fidasse di lui e non poteva dargli torto. Ma aveva trovato comunque il modo di metterlo all'angolo e redarguirlo una volta per tutte: era stato semplice, era bastata una granita e saltare la prima ora. Il bagno dove andava a ripulirsi era sempre deserto e tutti sarebbero stati a lezione: nessuno avrebbe notato Dave che lo seguiva all'interno, nessuno avrebbe pensato che si erano appartati. Non sarebbero girate voci e lui avrebbe avuto l'occasione perfetta di sistemare le cose.

“No... nessuno ha riso alle tue spalle. Io non gli ho detto nulla. Nessuno sa niente. Te lo giuro.” lo rassicurò Kurt, con la voce che tremava appena.

“Nessuno? Quindi secondo te dovrei credere che quel cazzone ha messo in piedi tutta quella scenetta senza sapere nulla... mi credi così stupido?” gli ringhiò contro in risposta.

“Sebastian l'ha fatto solo perchè continuavi a guardare il nostro tavolo, se tu non avessi attirato la sua attenzione non ti avrebbe mai messo in imbarazzo.” Kurt si sforzò di essere convincente, ma la verità era che le ipotesi di Dave non erano poi così assurde, seppure distanti dalla realtà. Era comprensibile che avesse interpretato in quel modo il gesto di Sebastian, pensando che Kurt non avesse saputo tenere la lingua tra i denti.

“Ti facevo più intelligente, Hummel. Non ci guadagni niente a spettegolare i fatti miei in giro, soprattutto se li racconti a chi non ha nemmeno l'accortezza di tenerli per sé e fingere di non sapere.” La voce di Dave era dura, ormai era a un passo da lui. Se possibile, Kurt si strinse ancora di più le braccia intorno al corpo, tremando per il freddo.

“Te l'ho detto io non ho...” provò a spiegare, di nuovo.

“Nemmeno al professor Anderson? Nemmeno a lui, che è venuto a farmi un discorsetto tanto preoccupato proprio dopo...” Il nostro bacio “... quel giorno? Vuoi dirmi che anche quello è un semplice caso, una pura coincidenza?” commentò beffardo. Nell'udire quelle parole, Kurt sgranò gli occhi.

Era vero. Non aveva mantenuto il segreto di Karofsky, l'aveva confessato a Blaine: si era presentato sconvolto a casa sua, grondante di pioggia, gli aveva raccontato tutto e poi aveva ricevuto il suo primo bacio. Non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Il giorno in cui aveva capito che avrebbe potuto avere tutto.

L'altro interpretò il suo silenzio come un'ammissione di colpa.

“Lo sapevo! LO SAPEVO!” Improvvisamente Dave lo afferrò con forza per un polso, strattonandolo mentre ripeteva quelle parole con voce sempre più spezzata. “Lo sapevo! Maledizione, lo sapevo. Cristo, giuro che se qualcuno a scuola...”

“Lasciami, mi fai male...” piagnucolò Kurt, quando la stretta si fece più intensa. Preso dall'agitazione e dalla consapevolezza, l'altro stava cominciando a fargli davvero male.

“Lo sai che cosa succede se qualcuno a scuola lo scopre?” disse tra i denti, a pochi centimetri dalla faccia di Kurt. L'altro si strinse tra le spalle, rassegnato, e Dave lo guardò confuso, senza mollare la presa.

“Credo che nessuno meglio di me possa saperlo, no? Sono due anni che tu e i tuoi amici non mi date un attimo di tregua, no?” spostò dal petto il braccio libero, mostrandogli i lividi che fino a poco prima stava cercando di nascondere. E che Dave, nella sua furia, non aveva notato. “Suppongo che anche tu troverai qualcuno di grande e grosso che ci prenderà gusto a farti capire quanto sei sbagliato. No?”

Kurt ormai era stanco di combattere e non riusciva a capire che cosa volesse da lui; voleva che tacesse, voleva che sparisse... non gli importava più. Con occhi sconvolti, Karofsky stava fissando i segni che macchiavano il busto, altrimenti immacolato, di Kurt: erano più di una decina. Alcuni erano piccoli, segno evidente dell'urto contro uno spigolo, altri sulle spalle erano a gruppi di tre, ricordo delle prese d'aria degli armadietti, altri erano larghi e dalla forma indefinita, riconducibili alla caduta secca contro il fondo del cassonetto. Quelle macchie violacee erano orribili, ed erano tutte colpa sua; tenne le dita ancora strette intorno al polso di Kurt, che lo guardava fiero e arrendevole insieme. Se l'avesse guardato in viso, Dave avrebbe capito che lo stava quasi sfidando ad andare oltre: se aveva sopportato tutto quello, sembrava dire, avrebbe sopportato anche il resto, ma non sarebbe riuscito a scalfirlo, né a cambiarlo. Ma Dave non lo stava guardando negli occhi: stava fissando i segni evidenti della sua violenza, della sua paura e della sua ignoranza: lo shock di essere responsabile di quello che vedeva gli strinse lo stomaco al punto che per un istante le gambe gli cedettero, tremanti.

Decine e decine di volte, solo sotto la doccia negli spogliatoi o al sicuro sotto le coperte del suo letto, si era toccato con furia, immaginando di accarezzare il corpo di Kurt: l'aveva immaginato sodo e compatto, privo di imperfezioni, liscio e perfetto sotto la punta dei suoi polpastrelli. Carne calda, sudata, morbida e profumata. In quei sogni, gli occhi di Kurt lo guardavano con desiderio e dalle sue labbra uscivano parole compiacenti, che lo supplicavano di far correre le sue dita ovunque: nella realtà, niente era così.

Nè lo sarebbe mai stato.

Dave abbassò lo sguardo su di sé e finalmente vide che cosa stava facendo: Kurt era premuto contro il muro, tremante per il freddo, intimorito e disgustato dal suo tocco, con il labbro inferiore stretto tra i denti. Lo lasciò andare, arretrando di un passo e guardando le sue nocche della mano, bianche per lo sforzo di tenerlo fermo fino a pochi secondi prima: non si era mai reso conto delle conseguenze delle sue azioni, che almeno fino a quel momento erano rimaste nascoste sotto camicie attillate e maglioncini stravaganti. Invece ora erano lì, talmente evidenti da stridergli tra i denti come sabbia.

Non c'era calore. Non c'era morbidezza. Niente era immacolato o profumato. C'era solo l'odore dolciastro della granita e quello chimico del sapone economico della scuola. Pelle fredda e martoriata, occhi che supplicavano di essere lasciati in pace.

Kurt si stava strofinando l'avambraccio martoriato, che già sembrava promettere un ematoma notevole; lo guardava sospettoso e incerto, senza capire che cosa stesse davvero succedendo. Forse era stupido da parte di Dave aver capito solo a quel punto, ma aveva finalmente compreso di avere un problema, e che quel problema non era affatto Kurt.

Se si masturbava pensando a Kurt, non era perchè l'altro l'avesse provocato o contagiato. Se l'aveva baciato, non era perchè voleva umiliarlo e metterlo a tacere. Fino a quel momento nemmeno aveva capito quale fosse esattamente il segreto che doveva tenere nascosto al resto del mondo, ma ora la consapevolezza l'aveva colpito come un macigno.

Odiava Kurt perchè era tutto ciò che non poteva essere.

Odiava Kurt perchè aveva capito chi era e aveva il coraggio di esserlo, nonostante fosse difficile.

Odiava Kurt perchè si era innamorato di lui senza nemmeno rendersene conto.

E senza rendersene conto aveva perso ogni possibilità di essere ricambiato.

Era gay.

“Io... mi dispiace.” si voltò verso i lavandini, improvvisamente intimidito dalla nudità del ragazzo e allungò la mano verso la camicia pulita che era appoggiata sopra uno di questi, porgendogliela goffamente. Sembrò accorgersi solo in quel momento di quanto a lungo aveva fissato Kurt, che ora si stava infilando imbarazzato l'indumento afferrato con mani tremanti da quelle di Dave; era ancora inconsapevole del fatto che non gli sarebbe successo nulla di male e continuava a guardare l'altro senza capire che cosa fare. Sovrappose in fretta i lembi della camicia senza chiuderla, ancora vulnerabile e infreddolito, con le labbra appena bluastre.

“Non so cosa mi è preso... io...” balbettò Karofsky, avvicinandosi di nuovo e alzando una mano. Senza sapere che in realtà era un tentativo di carezza, di consolazione o di premura, l'altro strizzò gli occhi e abbassò il viso, aspettandosi un colpo.

“Perchè non vuoi ascoltarmi?” ruggì Dave con frustrazione, afferrandogli le mani aggrappate disperate alla camicia. Non era mai stato bravo con le parole. E nemmeno con i gesti, soprattutto in un momento tanto agitato e confuso perfino nella sua testa. Come poteva costringerlo a restare, come poteva costringerlo a prestargli attenzione?

Nella foga, lo spinse di nuovo contro il muro.

“Lasciami andare, per favore! Non lo dirò a NESSUNO!” singhiozzò Kurt, con gli occhi chiusi, scuotendo la testa a destra e sinistra, negando con forza, affannandosi a convincerlo.

Poi qualcuno afferrò Dave per le spalle e lo strappò via dalle mani di Kurt, sbattendolo lontano, contro uno dei lavandini; Kurt, ancora con le braccia strette intorno al corpo, si lasciò scivolare a terra, fino a ritrovarsi seduto sul pavimento e la testa affondata tra le ginocchia.

“Tu, fuori di qui. E sappi che ci saranno delle conseguenze.”

Dei passi pesanti si allontanarono di fretta e furia, la porta del bagno sbattè con forza. Poi quella voce si fece mano a mano più vicina. “Kurt? Stai bene?”

Ripetè di nuovo la domanda, in tono preoccupato. “Kurt. Kurt! Stai bene?”

Era Blaine, accoccolato accanto a lui, che gli strofinava delicatamente un braccio per attirare la sua attenzione; alzò gli occhi gonfi di pianto, per incontrarne lo sguardo, vergognandosi un po' delle sue guance rigate di lacrime e del suo naso umido. Doveva essere un mostro, in quel momento.

“E' andato via, ma questa storia deve finire adesso. Ora si fa a modo mio, ok?” Blaine sedette accanto a lui, cingendolo protettivo con un braccio, e Kurt affondò il viso nella sua camicia, singhiozzando strozzato. Finalmente era al sicuro.

Blaine aveva capito subito che qualcosa non andava: quel mattino a colazione, Sebastian aveva accennato alla scenetta che aveva messo in piedi in mezzo al Lima Bean, raccontandogli la reazione, a suo parere, spropositata che Kurt aveva avuto. Sebastian non sapeva del bacio tra Dave e Kurt, non sapeva che il giocatore avrebbe potuto interpretare in un solo modo il suo stupido comportamento; allarmato, Blaine aveva telefonato subito a Kurt, ma senza ottenere risposta, così si era ripromesso di fermarlo in classe dopo la lezione, ricorrendo a una scusa qualsiasi. Voleva sentire anche la versione di Kurt e ribadirgli di nuovo la sua disponibilità a sostenerlo con il preside, qualunque cosa fosse successa e qualunque fosse stata la reazione di Karofsky all'idiozia di Sebastian.

La sua preoccupazione era salita alle stelle quando in classe aveva trovato solamente Finn e sul cellulare non aveva alcun avviso da parte di Kurt. Quando Kurt tardava per una lezione, a causa di una granita, di un incontro sgradito in corridoio o della celebre lentezza di Finn nel fare colazione, spediva sempre un sms a Blaine; questo non gli impediva certo di ricevere un richiamo davanti alla classe o di portare ufficialmente delle giustificazioni firmate, ma serviva a far stare Blaine tranquillo. Sapere che si stava solamente cambiando gli abiti zuppi o che Mercedes aveva bisogno di sfogarsi per qualche problema di cuore gli impediva di pensare subito al peggio: Kurt gli aveva promesso di raccontargli tutti i dettagli del bullismo che subiva, ma Blaine viveva nel costante timore che le cose volgessero al peggio.

Kurt forse nemmeno si rendeva conto di quanto intensa fosse la sua preoccupazione nei suoi confronti: anche quando i loro incontri in caffetteria erano diventati dei veri e propri appuntamenti, non si era mai dimenticato di chiedergli come andavano le cose a scuola, se Karofsky l'aveva infastidito ancora dopo quel bacio negli spogliatoi e di come fosse il suo umore. Kurt sembrava sereno, ma lui continuava a cercare quell'ombra di tristezza che per mesi gli aveva adombrato gli occhi: ne scrutava i movimenti, spulciava ogni significato recondito nascosto tra le righe dei suoi saggi e lo osservava quando credeva di essere solo. A volte sembrava stanco, ma fortunatamente non sembrava mai sofferente, o spaventato.

Blaine non sopportava l'idea che anche Kurt potesse vivere esperienze simili alla sua senza denunciarle e senza difendersi: fin dal primo giorno di scuola, quando l'aveva incontrato in quel bagno, aveva promesso a se stesso che avrebbe fatto del suo meglio per proteggerlo. E quando Kurt gli aveva impedito di andare da Figgings per denunciare le scritte sull'armadietto e gli spintoni subiti nei corridoi, aveva storto il naso, ma si era fidato del suo giudizio: Kurt aveva promesso che gli avrebbe raccontato tutto. E lui sapeva che Kurt non gli avrebbe mai mentito.

Prima di conoscere davvero Blaine, Kurt aveva deciso di non reagire per rassegnazione e per timore che le cose potessero mettersi sempre peggio; resistere era logorante, ma tenere un profilo basso sembrava servire a qualcosa. Da quanto tra lui e Blaine le cose si erano fatte intense, c'era talmente tanta felicità nella sua vita che nemmeno le minacce di Dave e il dolore dei lividi sembravano minare il suo ottimismo. Blaine non si rendeva conto di quanta forza lui, ma anche la compagnia di Sebastian ed Eric, dessero a Kurt; sapere di poter contare su di loro, sul loro affetto, l'aver scoperto di avere una chance a New York e di essere ancora vicino agli amici del Glee Club, rendeva Kurt più fiducioso che mai.

Fiducia che gli sarebbe potuta rivelare fatale, se Dave non avesse visto i suoi lividi o se fosse scattato contro di lui intimorito da una denuncia. O da un ennesimo rifiuto.

In ogni caso, qualcosa era scattato in Blaine: il banco vuoto, il mancato avviso sul cellulare, la discussione con Sebastian a colazione... si era scusato con i ragazzi e gli aveva chiesto di rimanere quieti per un po' mentre faceva una commissione veloce in sala professori. Poi era uscito dall'aula, era passato dall'armadietto di Kurt, dal bagno del corridoio principale e infine, con il cuore in gola, da quello desolato dell'ala con i laboratori. Qui aveva spalancato la porta e si era trovato davanti uno spettacolo che gli aveva tolto il fiato e qualche anno di vita: Kurt s'intravedeva a malapena, coperto quasi interamente dalla figura massiccia di Dave Karofsky, che lo premeva contro il muro in fondo al bagno. Mentre si avvicinava a grandi passi, Blaine vide l'espressione contratta, intimorita e sopraffatta di Kurt, che si raggomitolò a terra non appena Blaine spinse via il suo aggressore.

Non si curò troppo di sapere dove Dave era scappato: la cosa non sarebbe finita lì, ma ora la sua priorità era Kurt, che piangeva disperato contro di lui, con le dita artigliate alla sua giacca. A Blaine mancava il fiato: esattamente, che cosa aveva appena interrotto? Dave quando si era voltato non era sembrato furioso, nonostante il modo prepotente con cui teneva fermo Kurt; sembrava dispiaciuto e mortificato. Blaine era confuso e sapeva che solo Kurt avrebbe potuto chiarire la situazione.

Lo accarezzò a lungo sulla schiena, baciandolo di tanto in tanto sui capelli, finchè il suo respiro non si fece regolare e non alzò gli occhi.

“Mi hai sentito, Kurt? Lui è andato via, ma questa storia deve finire adesso, prima che qualcuno si faccia male. Ora si fa a modo mio, ok?” disse con voce ferma. Più che mai, in quel momento si era sentito incapace di proteggere degnamente Kurt. Si stava chiedendo se davvero tacere fosse servito a contenere le aggressioni e a impedire che peggiorassero; ma forse non sarebbe mai successo nulla se Sebastian non avesse fatto l'idiota.

Non sapeva quale fosse la cosa migliore da fare, ma di certo sapeva qual era quella più responsabile: dovevano andare dal preside e segnalare l'accaduto.

“Io...” provò a rispondere balbettando Kurt, tremando per il freddo. Blaine si alzò e gli porse la mano, sorridendo per rincuorarlo. Era il momento di fare l'adulto.

“Seduto a terra ti prenderai un malanno, perchè non finisci di vestirti e non ti scaldi un po'? Ti porto in aula professori per un caffè pessimo ma bollente e mi racconti per bene che cosa è successo, poi andiamo da Figgins e chiamiamo tuo padre. E i genitori di Dave.” Kurt si morse il labbro e strinse la mano di Blaine per alzarsi. Quando fu in piedi, Blaine non lo stava più guardando in viso.

Ma soprattutto, non sorrideva più.

I suoi occhi erano puntati sulla porzione di pelle che la camicia aveva scoperto. Prima che Kurt potesse richiuderne in fretta i lembi, Blaine li aveva afferrati e li aveva aperti, con gli occhi spalancati per lo shock. Lo guardò intensamente, scrutando ogni segno, poi guardò Kurt.

“E questi cosa sono, Kurt?” La voce era ferma, ma intrisa di un'emozione intensa, che Kurt non riuscì a riconoscere. Collera, forse?

“Questi... uhm... io posso spiegarti.” si limitò a dire.

“Che cosa sono, Kurt?” ripetè la domanda, alzando la voce. L'altro abbassò gli occhi sul pavimento e tacque. “Che cosa mi hai nascosto? Da quanto... da quanto tempo li hai? Settimane?”

Ancora nessuna risposta.

“Mesi? Maledizione Kurt, sono mesi?” Blaine lasciò di scatto il tessuto che ancora stringeva tra le dita e Kurt finalmente riconobbe quello che impregnava ogni singola parola. Era delusione.

Annuì impercettibilmente, senza il coraggio di affrontarlo. Quando alzò finalmente la testa, incontrò l'espressione distrutta di Blaine e sentì qualcosa rompersi, dentro di lui. Un'incrinatura.

“Non volevo che ti preoccupassi. E non sarebbe servito...”

“Non sarebbe servito? Kurt, questi sono abusi! Che cos'altro mi hai nascosto?” Frustrato, si passò una mano tra i capelli, allontanandosi di un paio di passi e dandogli la schiena, disperato. Erano mesi che si fidava di lui, che non denunciava quello che Kurt gli raccontava perchè la situazione sembrava sotto controllo, e ora stava scoprendo che erano settimane, mesi, che l'altro veniva malmenato. Forse quotidianamente. “Che cos'altro, Kurt? Io mi fidavo di te. Mi fidavo... avevi promesso, Kurt! Avevi promesso di raccontarmi tutto!”

Di nuovo, Kurt lo guardò colpevole, indeciso se raccontargli tutto e peggiorare la sua situazione.

“Che altro, Kurt? Lividi, aggressioni, che cosa mi stai nascondendo ancora?” domandò, distante di poco, guardandolo quasi come se Kurt fosse improvvisamente un estraneo.

“Lui ha... Ha minacciato di uccidermi. Se dicevo a qualcuno del... del bacio.” mormorò a bassa voce. “Non potevo dirtelo... non... non voglio che... non voglio andare dal preside. Mio padre si preoccuperebbe e...”

No. Kurt, no. Dal primo giorno ho promesso a me stesso che ti avrei aiutato. Non volevi che dicessi nulla al preside o agli altri professori, ma tacere sulle granite non è come nascondere una minaccia di morte. Non è questione di fare la spia, ma di prendere la decisione giusta. E se tu non sei abbastanza cresciuto per capirlo, è compito mio prendere quella decisione al posto tuo.”

Ma... ti prego, Blaine. Non servirà a nulla.” provò.

No. Ora vestiti, devi essere presentabile se vuoi parlare con il preside.” disse voltandosi verso la porta del bagno, dandogli le spalle. “Dimmi solo una cosa. Tutte queste settimane... ogni volta che provavo a toglierti... ogni volta che mi dicevi che non ti sentivi pronto a farti vedere da me. Era vero, oppure era solo una scusa per continuare a nascondermi quei segni?”

L'incrinatura dentro Kurt si allargò, ma non rispose a quella domanda. Non c'era bisogno che parlasse perchè Blaine capisse qual era la verità.

Non voglio andare dal preside.” disse infilandosi la camicia pulita nei pantaloni, senza badare troppo alla perfezione. “Non cambierebbe niente.”

Blaine rimase fermamente rivolto verso la porta, che continuò a fissare anche quando Kurt finì di vestirsi, appallottolando senza cura gli abiti bagnati tra le mani, e lo raggiunse: l'espressione di Blaine era sconvolta, indescrivibile, indecifrabile.

Credevo che ti fidassi di me abbastanza da raccontarmi quello che ti succedeva, Kurt. Evidentemente non sono abbastanza perchè tu possa contare su di me. Mi dispiace. Non so se sono più deluso dal tuo silenzio o da me stesso, per non essere stato capace di farti sentire al sicuro.” rispose asciutto. Kurt, in piedi accanto a lui, gli cinse il fianco con un braccio.

Ti sbagli. E' solo una cosa che era piccola, ma più passava il tempo, più diventava enorme e ingestibile... sapevo che ti saresti arrabbiato. Ho sbagliato a tenertela nascosta, mi dispiace. Credevo che le cose fossero sotto controllo e...” provò a spiegare.

Non voglio che tu finisca come me, Kurt.” lo interruppe Blaine. “Io ho tenuto la testa bassa per anni, non ho mai combattuto. Ho fatto l'errore di credere che le cose fossero sotto controllo, che non potessero andare peggio di così, invece sono finito in ospedale e poi mi sono nascosto alla Dalton. In un modo o nell'altro, sono sempre stato la vittima. Tu invece hai tuo padre, che è pronto a combattere come un leone perchè tu possa essere come vuoi. Tu eri così... coraggioso, così disincantato, sapere che in qualche modo che la tua forza poteva anche essere merito mio mi faceva stare bene, Kurt. Mi faceva essere fiero. Mi faceva credere di essere una persona migliore del ragazzino spaventato che ero anni fa.”

Si voltò verso Kurt, appoggiandogli una mano sulla guancia. Il bacio che gli diede all'angolo delle labbra, sotto gli occhi stupefatti di Kurt, era amaro.

Evidentemente mi sbagliavo, perchè sentivi il bisogno di proteggermi nascondendomi la verità.” L'altro provò a intervenire, ma Blaine non glielo permise. Afferrò il braccio che Kurt gli stringeva ancora attorno al busto e lo allontanò da sé. “Ma questo non importa. L'importante è che in un modo o nell'altro, la verità è venuta fuori. Ora andiamo Hummel, lasciami fare il mio lavoro.” Disse con voce fredda, pronto a lasciare quel bagno.

Dove tutto era cominciato.

E dove tutto, forse, era finito.



 

 

Angolo di LieveB

 

… toc toc... ok, come non detto. Magari ci sentiamo dopo.

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Capitolo 29
*** Capitolo ventinovesimo ***


Capitolo ventinovesimo

 

Per la prima volta da anni, quella mattina quando Burt si era seduto al tavolo della colazione non aveva trovato suo figlio dall'altro lato del tavolo, sgranocchiando distrattamente delle barrette ai cereali e leggendo qualche rivista alla moda. Niente battutine sarcastiche sul modo animalesco in cui Finn si ingozzava di biscotti, niente consigli su una colazione sana: Burt si ficcò in bocca il più rapidamente possibile del bacon ancora sfrigolante, approfittando furtivamente del ritardo di Kurt. Masticò in fretta, continuando a tenere d'occhio la porta, ma di Kurt nessuna traccia; fu quando Finn barcollò verso il tavolo infilandosi la felpa e allungando una mano verso il sacchetto dei biscotti che Burt cominciò a preoccuparsi. Non ci voleva un genio per capire che non era una coincidenza e che l'insolita assenza di Kurt era dovuta all'appuntamento con il preside Figgins; per sicurezza, pensò bene di concedergli ancora cinque minuti.

“Kurt! Sbrigati, o faremo tardi! Kurt!” gridò a pieni polmoni senza salire le scale. Forse i capelli oggi richiedevano un'attenzione speciale, o forse non aveva la giacca adatta per fronteggiare i genitori di Karosfky: dopo dieci minuti, trascorsi senza nessun cenno di vita al piano superiore, Burt si avviò con passo solenne verso la camera di Kurt, continuando a chiamarlo.

“Kurt, che fai ancora in camera? Sono quasi le otto!” disse spalancando la porta e scoprendo che l'intera stanza era ancora immersa nell'oscurità. Con un gemito, Kurt afferrò i bordi del cuscino e ci infilò sotto la testa, respirando a malapena mentre premeva la faccia contro il materasso per nascondersi dalla luce della lampada che suo padre aveva appena acceso. Avrebbe voluto rimanere lì per sempre al buio, miserabile e immerso in una sordida pozza di autocommiserazione: aveva anche i pantaloni del pigiama scomodamente arrotolati intorno alle ginocchia, il che non faceva che peggiorare la sua situazione. La seta si stropiccia facilmente.

Mugugnò qualcosa nel disperato tentativo di mandare via suo padre, ma senza successo; sentì il materasso cedere appena sotto il peso di qualcuno che si sedeva accanto a lui.

“Ma che fai?” chiese Burt, passando una mano sopra le coperte, accarezzandolo affettuosamente lungo la schiena. Da sotto il piumino gli giunse in risposta solo un sospiro strozzato, così afferrò risoluto il cuscino e lo appoggiò sul comodino; Kurt si voltò di lato, guardandolo con aria supplice. Aveva gli occhi gonfi, le palpebre arrossate.

“Per favore, papà... posso non andare a scuola, oggi?”

L'altro aggrottò le sopracciglia con aria scettica, senza considerare nemmeno per un istante l'ipotesi: quando Kurt era tornato da scuola accompagnato dal suo professore di letteratura erano riusciti a trattenerlo a stento dal correre direttamente a casa di Karofsky, e ora che Blaine l'aveva convinto a esprimere le sue preoccupazioni direttamente al preside non aveva intenzione di rinunciare. Con il senno di poi si era reso conto che presentarsi sbraitando a casa di quel ragazzo non avrebbe facilitato le cose, ma lo shock di scoprire che Kurt gli aveva nascosto per settimane e mesi quello che quotidianamente gli accadeva a scuola era stato intenso. Senza contare che quando Blaine gli aveva chiesto di sedersi sul divano perché lui e Kurt “dovevano parlargli di qualcosa di importante”, si era preparato all'ufficiale dichiarazione della loro relazione e non a scoprire che Kurt veniva maltrattato e minacciato da un compagno di scuola.

“Non se ne parla nemmeno, Kurt. C'eri anche tu ieri, ne abbiamo parlato tutti insieme e abbiamo concluso che questa è la cosa migliore da fare. Se poi Figgins non prenderà dei provvedimenti adeguati, allora penseremo a qualcosa d'altro; ma non mi convincerai a far finta di nulla.” rispose risoluto, battendo leggermente il palmo della mano sul letto. Kurt emise un lamento, ma non si mosse da sotto le coperte.

“Non sei arrabbiato con me, vero?” ripeté per l'ennesima volta. Da quando il pomeriggio precedente Burt era diventato paonazzo in viso e Blaine l'aveva letteralmente bloccato sul divano per impedirgli di fare qualche sciocchezza, Kurt non aveva fatto altro che ripetere quella domanda.

“No. Non sono arrabbiato. E' solo che avrei averlo saputo prima. Avrei voluto che al primo livido tu fossi venuto da me... ma capisco che tu abbia avuto paura. E capisco che resistere e tacere fosse più facile che provare a combattere, per poi vedere i tuoi sforzi sbattere contro quell'asino di Figgins. È tutto ok, Kurt. Avrei voluto che le cose andassero diversamente, ma va bene così.” rispose di nuovo, con voce carezzevole, facendo per alzarsi. “Ora vestiti, altrimenti faremo tardi.”

“Papà?” Burt si riaccomodò sul letto con un sospiro. Conosceva quel tono di voce.

“Che c'è, figliolo?”

“Anche Blaine è arrabbiato con me. Per non avergli detto... delle minacce e dei lividi. Gli avevo promesso che l'avrei avvisato, se le cose si fossero fatte peggiori, ma non l'ho fatto.” disse con un filo di voce. Da quella cena, non si era più fatto scrupoli a chiamare Blaine per nome anche davanti a suo padre, né gli nascondeva i loro incontri al Lima Bean; semplicemente ometteva di raccontare quanto spesso andasse a casa sua. O il fatto che fossero ormai ben oltre l'amicizia.

“E tu perché l'hai fatto?”

“Lui crede che abbia taciuto perché credevo non fosse in grado di proteggermi. O per proteggere anche lui. Era così... deluso, papà. Ho infranto una promessa e non credo che mi perdonerà mai per averlo deluso.” strinse la mano, aggrovigliando le lenzuola intorno alle dita. A chiunque sarebbe risultato ovvio che non parlava semplicemente di professore amareggiato e di certo non sfuggiva a Burt Hummel, che amava Kurt da molto tempo e lo conosceva meglio di chiunque altro.

“Gli passerà.”

“E se non gli passasse?” lo incalzò Kurt, sollevando la testa dal materasso.

“Fossi in te starei tranquillo. Quando si ama qualcuno, non è raro arrabbiarsi con quella persona, ma alla fine si perdona sempre; più si ama, più si ripongono speranze e aspettative, più cocente è la delusione. Tu sei giovane e anche Blaine lo è. Dovete solo imparare ad ascoltare e perdonare. Gli passerà, Kurt, quel ragazzo è così innamorato di te... secondo me gli passerà, prima o poi. Tu magari però prova a spiegargli perché ti sei comportato così, aiutalo a capire e se ha interpretato male spiegati. E se non ti vuole ascoltare, ascoltalo tu.”

Kurt ormai era completamente seduto e guardava suo padre con occhi sgranati.

“Innamorato? Non dire sciocchezze, papà. Io non...” provò a negare.

Burt sorrise placido e si alzò dal letto: “Volevi un consiglio e te l'ho dato. Posso non sapere tante cose, ma ti posso assicurare che certe non mi sfuggono, soprattutto quando riguardano te. Quando sarai pronto a parlarmene ti ascolterò, ma non prendermi in giro e non ti azzardare a dirmi bugie, Kurt. E stai attento a non rimanere ferito da qualcosa di più grande di te.”

Rosso in viso per l'imbarazzo, il ragazzo annuì in silenzio, sillabando un “Grazie”, senza pronunciare alcun suono.

“Ora vestiti. È quasi ora di andare.” Burt si richiuse la porta alle spalle in silenzio, lasciando Kurt a rimuginare su quello che gli aveva appena detto. Era dalla prima cena a casa Hummel che lui e Carole avevano avuto dei sospetti circa la natura dell'amicizia tra suo figlio e quel ragazzo: un paio di cene più tardi, i dubbi avevano lasciato posto alla certezza; anche se celato, l'affetto che sembravano nutrire uno nei confronti dell'altro era evidente e sincero. Kurt era visibilmente più sereno rispetto ai primi mesi di scuola e a loro vederlo felice era stato sufficiente per accogliere Blaine più che volentieri e mettere in secondo piano le preoccupazioni che avevano in principio riguardo una loro eventuale relazione. Blaine era un bravo ragazzo e semplicemente, Burt si fidava del giudizio di Kurt.

Kurt, che fino alle due di notte era rimasto sveglio, con la sciarpa di Blaine ridicolmente avvolta intorno al collo, il cellulare in una mano e la sua spiegazzata copia di Orgoglio e pregiudizio nell'altra, rileggendo infinite volte i suoi passi preferiti e la dedica di Blaine. Poi era lentamente scivolato in uno stato di confuso dormiveglia, in cui il ricordo del loro primo abbraccio si mescolava a quello del primo bacio; quando si era svegliato e gli eventi del giorno precedente l'avevano schiaffeggiato in pieno viso, Kurt non aveva fatto altri che chiedersi il significato del silenzio di Blaine.

Era solo Hummel, ora?

O Blaine l'aveva detto solo perché era solo... arrabbiato e amareggiato?

Era qualcosa a cui avrebbero potuto porre rimedio?

Aveva sospirato disperato e si era tuffato sotto le coperte, finché suo padre non era venuto a chiamarlo. Come sempre, Burt aveva capito tutto. E sapeva esattamente che cosa Kurt voleva sentirsi dire.

Combatti per tenere stretto quello che hai.

 

Quarantacinque minuti più tardi, Kurt era seduto con suo padre fuori dall'ufficio del preside e di fronte a lui c'era Karofsky insieme ai suoi genitori; Dave sembrava nervoso e sfregava continuamente i palmi sudati uno contro l'altro, tenendo gli occhi bassi, fissi sulla punta delle sue scarpe da ginnastica. Kurt sprofondò con la schiena nella sgangherata imbottitura della poltroncina, sforzandosi di non respirare troppo rumorosamente e di non fissare la schiena di Blaine, già dentro all'ufficio di Figgins, intento a parlare con fervore; paradossalmente, era più nervoso all'idea di rivedere Blaine che ad affrontare la questione del bullismo con il preside.

Il pomeriggio precedente, dopo che Blaine era andato via da casa Hummel, Kurt aveva parlato a lungo con suo padre, poi gli aveva telefonato: il cellulare di Blaine era spento e al numero di casa continuava a rispondere un Sebastian sempre più confuso e imbarazzato. Tra un tentativo e l'altro, il cordless di casa era squillato all'improvviso e lui aveva risposto: “Blaine?” prima ancora di rendersi conto che la voce dall'altro capo del filo era di un altro.

Era Dave, che con voce tremolante, gli prometteva che avrebbe raccontato tutto ai suoi genitori non appena tornato a casa dagli allenamenti di football. Non gli aveva chiesto di astenersi dal denunciarlo, né di lasciare che i suoi genitori si occupassero di lui: gli aveva solo chiesto scusa, con voce tanto strozzata da sembrare quasi un estraneo, e gli aveva detto che avrebbe trovato il modo di farsi perdonare, prima o poi. Non sapeva ancora che i suoi genitori erano già stati informati dalla scuola e che il mattino successivo avevano un appuntamento dal preside; Dave aveva chiuso la conversazione prima ancora che Kurt potesse dirglielo, lasciandolo attonito e stranito.

Dentro all'ufficio del preside, Blaine era in piedi e aveva entrambe le mani appoggiate sulla scrivania, mentre Emma era seduta poco distante da lui.

“Signor Anderson, non credo che sia il caso di prendere la faccenda tanto seriamente. Sono delle ragazzate e...” disse Figgins, con aria poco convinta. Il professore si chinò verso di lui, ripetendo per l'ennesima volta la soluzione che lui ed Emma avevano trovato.

“Io... insomma, siamo a Lima... non credo che ci sia la necessità di...” bofonchiò, sfogliando il fascicolo che circa una mezz'ora prima i due gli avevano portato, perché lo valutasse prima dell'appuntamento con gli studenti coinvolti nella vicenda.

“Signor Figgins, con tutto il rispetto, se non si decide a risolvere la questione così come dev'essere fatto, mi premurerò personalmente perché tutta la città sappia con quanto poco entusiasmo e rigore morale conduce questa scuola. Non può fare finta di niente e io non ho intenzione di permetterglielo, quindi le conviene prendere una decisione alla svelta. Dico bene, Emma?” senza sollevare le mani dalla scrivania, Blaine si voltò di scatto verso Emma, che annuì decisa e battagliera in direzione del preside.

“E' una proposta innovativa, al Carmel High ha avuto largo sostegno anche da parte dei genitori del consiglio d'istituto. Sarebbe un'ottima pubblicità e dimostrazione di mentalità progressista, conferirebbe lustro alla scuola e ne incrementerebbe il prestigio.” aggiunse convinta.

Il preside si afferrò la radice del naso tra indice e pollice, abbandonandosi a un profondo sospiro.

“Va bene. Fateli entrare.” rispose infine. Trionfante, Blaine aprì la porta e invitò tutti all'interno.

La riunione si rivelò meno sgradevole di quanto Kurt avesse immaginato; se non fosse stato per la presenza di Blaine, così distante e professionale, l'avrebbe definito perfetta. I genitori di Karofsky avevano ammesso senza esitare che il figlio aveva dei problemi e che la sera precedente aveva spontaneamente confessato ogni cosa, senza nemmeno sapere che erano già stati contattati dalla scuola.

“Dave ha sbagliato e ora, grazie al cielo, se n'è reso conto. Accetteremo qualunque punizione riterrete necessaria, ma abbiamo deciso di prendere dei provvedimenti anche a casa.” La madre si voltò verso Kurt e allungò una mano per appoggiarla sulle sue. “Mi dispiace che a me e a Paul sia servito tanto tempo per capire che c'era qualcosa che non andava. E che tu abbia pagato le conseguenze del disagio di Dave e della nostra mancanza. Ti prego di accettare le nostre scuse, Kurt.”

Lui annuì impercettibilmente e provò a scambiare un rapido sguardo con Dave, che continuava a fissare a terra; la donna continuò a parlare. “Sappiamo tutto quanto, sarà un lungo percorso.”

Fu sufficiente quello per capire che sapevano esattamente per quale motivo era stato proprio lui il bersaglio principale delle attenzioni di Dave; fortunatamente per lui, sembravano non fare un dramma della possibile omosessualità del figlio. Di nuovo, si pentì di non aver parlato prima.

“Bene, sono felice di avere il vostro appoggio. Dal momento che aggredire fisicamente un proprio compagno è un atto particolarmente grave, ho pensato che la punizione più adatta per questa situazione è l'espulsione immediata dalla scuola. Tuttavia, dato che Dave è venuto spontaneamente da voi e sembra sinceramente pentito per quello che ha fatto, temo che fargli perdere l'ultimo anno e la borsa di studio sia una punizione eccessiva.” disse Figgins. “Voglio dargli l'opportunità di cambiare e di dimostrare di essere realmente pentito del suo comportamento. Così ho pensato a una possibile alternativa, che consiste in un mese di sospensione e in dieci ore la settimana da impiegare nel volontariato. Dato che Dave è molto bravo in matematica, si fermerà ogni giorno dopo la scuola per aiutare i compagni in difficoltà. Kurt, so che questo ti sembrerà insufficiente e inadeguato, ma per favore, ascolta fino alla fine.”

Tacque, e il preside continuò, recitando le parole che Blaine ed Emma gli avevano appena ripetuto.

“Forse è tardi per intervenire, ma un tentativo può essere comunque di buon auspicio. Dalla prossima settimana, grazie a dei fondi extra che la signorina Pillsbury è riuscita a ricavare tagliando alcune spese dei Cheerios, il McKinley finanzierà l'avvio di un gruppo LGTB, finalizzato alla sensibilizzazione degli studenti e alla diffusione di informazioni. Dave sarà più che benvenuto agli incontri e ai seminari che verranno organizzati, non appena il suo terapeuta lo riterrà pronto a partecipare.”

Kurt si mosse eccitato sulla sedia: era un'idea davvero fuori dalla portata del preside, pertanto doveva essere di Blaine, al massimo di Emma. Non vedeva l'ora di dirlo a Rachel e ai suoi genitori. Suo padre incrociò le braccia sul petto, con aria non troppo soddisfatta; Blaine in piedi accanto al preside, intervenne per rassicurarlo.

“Ovviamente questo è un grande gesto di fiducia nei confronti di Dave. Dev'essere chiaro per tutti che al primo passo falso l'espulsione diventerà una certezza. Nessuno deve pagare per le insicurezze degli altri.” aggiunse con aria dura, indirizzato ai genitori del ragazzo, che annuirono convinti e senza esitazione.

Parlarono ancora per poco, poi uscirono tutti dall'ufficio, lasciando Figgins da solo con Emma per organizzare i primi incontri e stabilire il programma del gruppo; Karofsky si allontanò con i suoi genitori, che si scusarono di nuovo con Kurt prima di andarsene. Rimasero Burt, Kurt e Blaine, in piedi in mezzo al corridoio silenzioso. Burt abbracciò brevemente Kurt e gli passò la mano tra i capelli, assicurandosi che stesse bene, poi annunciò che sarebbe tornato in officina.

“Io... vi lascio ragazzi.” strinse la mano a Blaine e disse con aria seria. “Grazie di tutto.”

Lo guardarono andarsene, poi Kurt lasciò un'occhiata speranzosa in direzione di Blaine: “Mmm... dovrei andare a lezione di letteratura, ma se il professore è qui...”

“Mi sono preso la giornata libera. Non sapevo quanto avrebbe richiesto quella riunione... ho fatto del mio meglio Kurt, per aiutare sia te che Dave. Ora... meglio che vada” disse senza guardarlo davvero.

“Aspetta. Guardami.” Kurt lo afferrò per un polso, costringendolo a fermarsi, esattamente come quando gli aveva confessato i suoi sentimenti la prima volta. “Kurt o Hummel. Chi sono per te, adesso? Non puoi andartene via senza dirmelo.”

Blaine si voltò, incontrando finalmente gli occhi preoccupati di Kurt; sapeva che la cosa più giusta da fare era appoggiargli una mano sulla guancia e baciarlo, sussurrargli che sarebbe andato tutto bene e che gli serviva solo un po' di tempo per capire perché era così sconvolto. Che il suo silenzio e la sua distanza erano qualcosa che riguardava più lui che loro. Ma non era il luogo adatto per farlo. E soprattutto, l'istinto di Blaine gli gridava di correre. Di mettere spazio tra lui e Kurt, prima di rimanere ferito.

Prima di andarsene, si combatté abbastanza per rispondergli bisbigliando: “Non lo so. Ma io sono ancora il tuo Blaine.”

 


 

Blaine si sentiva infantile, furibondo, deluso e impotente. Il tutto contemporaneamente.

Ora che Kurt stava bene, ora che aveva fatto il suo lavoro, poteva accantonare il professor Anderson e lasciare che Blaine prendesse il sopravvento; non riusciva nemmeno a capire il perché di quel turbine emotivo in cui si trovava. Si concesse il lusso di prendere fiato e respirare, per scoprire di non riuscirci.

E quando si sentiva così, c'era solo una cosa in grado rimetterlo in piedi.

Tornato a casa da scuola, trovò Sebastian seduto sul tappeto del salotto, con un libro sulle ginocchia e una matita masticata stretta tra i denti; non appena udì la porta d'ingresso, s'alzò e gli andò incontro.

“Allora, come è andata? Ho provato a chiamare Kurt, ma non risponde né a me né a Eric e...” cominciò a spiegare frettolosamente. Da quando aveva saputo del bacio, della reazione di Karofsky e dei lividi, aveva provato a parlare con Kurt decine di volte senza successo; voleva scusarsi, voleva darsi dell'idiota e voleva chiedergli come stava. Ma Kurt non gli aveva dato la possibilità di farlo: aveva chiamato a casa, aveva chiesto di Blaine e aveva attaccato non appena aveva capito che l'altro non voleva parlargli, lasciando Sebastian a fissare la cornetta con un idiota. E se Kurt non voleva parlargli, preso da altre preoccupazioni, Blaine non era di certo d'aiuto: dopo avergli raccontato brevemente quello che era successo si era chiuso in camera e non aveva più detto una parola. Sebastian l'aveva sentito parlare al telefono con una certa Emma e l'aveva visto stampare dei documenti da un sito per la difesa dei diritti della comunità LGTB, ma non era riuscito a strappargli nessuna spiegazione circa il suo comportamento.

Scocciato dal suo silenzio, era sprofondato sulla poltrona e aveva iniziato a sferruzzare furiosamente una sciarpa, che ora giaceva dimenticata sul divano. Sapeva che Blaine era rimasto scottato dalle bugie di Kurt e sapeva che l'amico non aveva la minima idea su come comportarsi; non che Sebastian fosse un genio nelle relazioni, ma quando si tratta di Blaine... per lui era sempre tutto molto più chiaro.

Blaine era spaventato. Si trattava solo di capire il perché.

“Che cosa ha fatto il preside? E Kurt sta meglio?” domandò seguendo lentamente Blaine nella sua stanza. Rimase sulla soglia, osservando Blaine prendere un borsone, appoggiarlo sul letto e ficcarci furiosamente dentro degli indumenti.

“Blaine? Se stai partendo per una vacanza sappi che anche io vorrei...”

Non capì immediatamente che cosa stesse facendo, ma quando vide i guantoni, Sebastian serrò i denti, preoccupato. I guantoni non erano mai un buon segno. Ed erano mesi che non li tirava fuori dall'armadio, il che significava che erano mesi che Blaine non si sentiva impotente e indifeso.

“Blaine?” Lo chiamò di nuovo, più allarmato. L'amico non si voltò, chiuse con un gesto secco la zip della sacca e se la buttò scompostamente sulla spalla; si voltò e guardò Sebastian finché quello non si spostò dalla porta della sua stanza, lasciandolo passare. Mentre si allontanava lungo il corridoio, diretto verso l'ingresso, Sebastian si sporse e gli gridò: “Non è un modo molto maturo di affrontare...”

Ma il portone dell'appartamento si era già chiuso dietro le spalle di Blaine, che non si era degnato nemmeno di ascoltare quello che aveva da dirgli.

“... di affrontare la cosa” completò Sebastian, guardando sconsolato l'ingresso, ormai deserto.

Erano passate da poco le tre, quando qualcuno suonò il campanello; sospirò, convinto che si trattasse di Blaine, uscito da casa come una furia senza le chiavi. O forse Eric. Quando poi bussarono alla porta e si alzò dal divano per aprire, si trovò davanti Kurt. Imbarazzato, guardò subito oltre le spalle di Sebastian, cercando qualcuno che purtroppo non c'era.

“C'è Blaine?” chiese senza entrare.

“Non c'è. E'... andato in palestra.” Tanto valeva dire la verità.

“In palestra?”

“A boxare.”

“Ah. Oggi avevo lezione di piano... non c'era al Lima Bean, niente serata Fox, immagino.” Sorpreso dall'assenza di Blaine, Kurt decise di non restare ad aspettarlo, anche se era il giorno della settimana dedicato ai loro telefilm preferiti e alla pizza mangiata davanti alla televisione. S'allontanò con le spalle curve e Sebastian lo lasciò andare via, senza trovare il coraggio di fermarlo e chiedergli di rimanere comunque.

Erano quasi le sei, quando Blaine rientrò in casa, trascinando le gambe con aria distrutta; di nuovo, Sebastian appoggiò il libro che stava sottolineando e lo seguì. Aveva i capelli umidi di doccia, ma gli sembrava impossibile che avesse trascorso veramente tutte quelle ore in palestra; poi Blaine si buttò di schiena sul letto e scalciò via le scarpe.

“Vai fuori dai coglioni.” disse con un filo di voce, strofinandosi una mano dolorante sulla faccia. In piedi davanti a lui, Sebastian si appoggiò i pugni sui fianchi.

“Me ne vado se mi dici che ti prende.” chiese con voce preoccupata.

“Mi prende che mi sono bevuto settimane di bugie.” rispose senza troppa convinzione. In realtà in problema era un altro, non l'aveva ancora focalizzato con chiarezza, ma non voleva l'aiuto di Sebastian. Stupidamente, non si rendeva nemmeno conto che solo parlare con Kurt avrebbe potuto davvero aiutarlo a capire.

“Andiamo Blaine, secondo te questo ti autorizza a ignorare le sue chiamate? In un momento come questo, poi? Come se a tutti i suoi casini avesse bisogno anche di sommare un fidanzato lunatico.”

“Ho fatto il mio lavoro. Quel ragazzo non gli farà più nulla e Kurt starà bene.” puntualizzò.

“Ovvio, perché è solo di questo che dobbiamo preoccuparci, non è vero?”

“Sebastian, lo sai che ti voglio bene, ma davvero... Vai fuori dai coglioni. Adesso.”

L'altro alzò le mani, sconfitto.

“Va bene! Lo capisco quando non sono desiderato. E' solo che... parlaci, ok?” concluse prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle. Tornò solo un paio d'ore dopo, intenzionato ad appoggiare una birra e mezza pizza sulla sua scrivania: lo trovò profondamente addormentato, appallottolato sopra le coperte e con il naso affondato nel cuscino di Kurt, le dita strette sulla copertina di una vecchia copia di Dickens. Lasciò il cibo dove previsto, lo coprì con un pile, spostò il cellulare che teneva vicino alle gambe e spense la luce, lasciandolo solo.

Maledetto zuccone, pensò dopo aver guardato il cellulare spento.

E le cose andarono avanti così per il resto della settimana: Blaine aveva preso qualche giorno di libertà dalle lezioni, ma trascorreva tutto il tempo chiuso in palestra. Perfino uno dei personal trainer gli aveva chiesto se era tutto a posto a casa, guadagnandosi un'occhiataccia; Blaine l'aveva ignorato, poi si era voltato verso il sacco e aveva ripreso a sfogarsi, inzuppando la canotta di sudore.

E Kurt non si rassegnò. Continuò a telefonargli e ad andare a casa sua ogni pomeriggio dopo la scuola: suo padre gli aveva detto di provare a parlargli, ma era davvero difficile riuscire a farlo, se non erano fisicamente nella stessa stanza o Blaine non si decideva ad accendere il cellulare.

Nel weekend Kurt non aveva lezioni e aveva tutte le intenzioni di arrivare entro domenica sera accoccolato sul divano con Blaine. In un modo o nell'altro, non avrebbe lasciato che Blaine lo chiudesse fuori, non ora che sapeva com'era essere parte del suo mondo.

 


 

Era sabato. E se tre giorni a massacrarsi sul tapis roulant e a spaccarsi le nocche contro il sacco non erano serviti a schiarirsi le idee, per Blaine rimanevano poche alternative. Alternative che abbracciò con qualche esitazione, cedendo infine al suo bisogno di... fuggire, semplicemente.

Perché altrimenti avrebbe dovuto parlare con Kurt. E aveva troppa paura di scoprire che quei giorni di distanza avevano mandato tutto a puttane.

“Blaine! Che cazzo stai facendo? E' sabato, maledizione!” Sebastian grugnì dal divano quando Blaine accese la luce e cominciò a frugare nel ripostiglio dell'ingresso, svegliandolo di soprassalto. Con gli occhi impastati di sonno, lo guardò arraffare qualcosa e poi fiondarsi in cucina, senza nemmeno spegnere la luce; lamentandosi per il brusco risveglio, lo seguì riluttante in cucina.

“Sì, vai avanti così... ignorami pure.” disse versandosi una tazza di caffè e sedendosi sul tavolo.

L'altro prese qualcosa dal frigorifero e lo mise nello zaino appoggiato sul bancone.

“Blaine... è sabato. Non puoi andartene via... che cosa diavolo dirò a Kurt? Che il suo ragazzo è talmente spaventato all'idea che tra di voi non sia tutto fottutamente rose e fiori da preferire nascondersi piuttosto che comportarsi da adulto?” sbottò, reso anche più sincero del solito dal suo pessimo risveglio. Era stanco di vedere Blaine brancolare qua e là; voleva che fosse di nuovo felice. E sapeva che Kurt doveva far parte del quadro, se voleva che accadesse.

Blaine strinse le spalle, ma continuò a ignorarlo. Sebastian bevve un lungo sorso di caffè, in attesa di una risposta.

“Io... non dirgli niente. Ho bisogno solo di un altro paio di giorni, poi ci parlerò io.” disse voltandosi e appoggiando la schiena al bancone. Incrociò le braccia sul petto, pensieroso.

“Blaine. Per favore. Vuoi dirmi perché stai dando tanto peso a questa cosa? Era spaventato, mettiti nei suoi panni e vai oltre, per l'amor del cielo.” L'altro picchiò la tazza sul tavolo, frustrato.

Sebastian non sapeva che Blaine, qualche giorno prima, aveva preso una decisione importante. Aveva deciso di raccontare a Kurt tutto quanto, perché non era giusto nascondergli qualcosa di così importante della sua vita, che ancora oggi riusciva a influenzare le sue decisioni e il suo modo di essere. La Dalton, il ballo, i suoi genitori, si sentiva pronto a confessargli tutto e sentiva che Kurt non l'avrebbe considerato un fallito e un debole. Sapeva quanto sarebbe stato difficile aprirsi, ma sapeva di poterlo fare perché Kurt era sempre stato trasparente con lui. O almeno, così credeva. Credeva di conoscerlo e di riporre al meglio la sua fiducia.

E anche se una parte di lui sapeva che entrambi avevano nascosto qualcosa all'altro e che stava approfittando dell'errore di Kurt per tirarsi indietro, non poteva impedirselo. Voleva scappare, di nuovo. Perché era più facile che aprirsi a qualcuno che ti aveva ferito, anche solo perché era spaventato.

“Io vado.” tagliò corto, chiudendo di scatto lo zaino.

“Ci vediamo.” Sebastian alzò la tazza a mo' di saluto e lo guardò andarsene. Quando Kurt suonò il campanello un paio di ore dopo, era ancora seduto al tavolo della cucina, con un cruciverba malamente pasticciato davanti agli occhi. Si alzò con un sospiro, gli aprì la porta e aspettò il suo arrivo seduto sul divano; Kurt aprì lentamente l'uscio e sbirciò all'interno.

“Ciao...” disse incerto, guardando verso la camera da letto di Blaine. Nemmeno si curò di fingere che il motivo della sua presenza potesse essere un altro.

“Guarda, Blaine non c'è. E' uscito da un pezzo. Ti direi di aspettarlo qui, ma credo che non sarà di ritorno fino domenica notte. Lunedì mattina, forse.” rispose Sebastian, sottolineando con il tono della voce quanto la cosa non fosse colpa sua. Almeno quella.

“E dov'è andato?” domandò Kurt, mordicchiandosi un labbro e continuando a guardare in direzione del corridoio. Quasi come Blaine potesse palesarsi all'improvviso, corrergli incontro e dirgli che andava tutto bene.

“Non ne ho idea. Ha preso la moto, uno zaino ed è uscito senza aggiungere altro.”

“La moto?” ripeté Kurt. La mente era già andata a loro due, seduti sul tetto della casa di sua nonna, mezzi congelati, che si baciavano disperatamente pur di non parlare di giugno, di New York e della Brown. Per essere due che passavano ore a chiacchierare, avevano sviluppato un vero talento nell'evitare certi argomenti.

“Già. Aveva il giubbotto.” ribadì Sebastian, roteando gli occhi. Stava per aggiungere qualcosa, ma Kurt si era già voltato e stava uscendo dall'appartamento.

Per fortuna, la sua amata auto aveva il navigatore GPS integrato e lui aveva un'idea piuttosto chiara del luogo in cui Blaine poteva essere andato. Guidò con il cuore in gola, terrorizzato all'idea di essersi sbagliato, ma non appena arrivò in prossimità del lago, riconobbe la moto di Blaine in mezzo ad altre parcheggiate nell'erba, vicino al muretto dove la volta precedente avevano lasciato i caschi. Blaine stava scappando. E se stava scappando, la sua moto l'avrebbe portato in un solo posto, dove si sarebbe sentito protetto e al sicuro.

Camminò velocemente lungo il sentiero che portava alla passeggiata vicina alle sponde, con gli occhi già indirizzati verso la casa di Marianne, che sotto il sole primaverile era ancora più bella di quanto ricordasse. Le finestre del piano terra erano aperte e Kurt era ormai certo che Blaine fosse lì. O che sarebbe tornato entro sera per chiuderle.

Il legno del patio scricchiolò sotto i suoi piedi quando lo percorse per raggiungere l'ingresso: il disimpegno davanti alle scale era illuminato e tutto sembrava meno spettrale rispetto all'ultima visita. Deglutì con forza, poi bussò con decisione sulla porta, già aperta quasi completamente.

Quando non ottenne nessuna risposta, bussò di nuovo.

Ancora nulla.

Forse Blaine non c'era, magari stava passeggiando sul lago. O magari era a pranzare in quel ristorante... entrò in casa, respirando lentamente l'odore di legno, di polvere e di umido, abituandosi all'aria viziata e leggermente soffocante. Senza la presenza di Blaine al suo fianco, che descriveva con affetto ed entusiasmo ogni dettaglio, l'interno della casa sembrava perdere ogni fascino.

Senza nemmeno rendersene conto, cominciò a salire le scale, facendo attenzione a non inciampare negli scatoloni; quando arrivò al piano superiore, lo trovò inondato di luce. Le finestre di tutte le stanze erano aperte e la botola che portava al sottotetto, quindi alla vecchia cameretta di Blaine, era spalancata. La scaletta metallica gli dondolava solitaria davanti agli occhi.

Senza badare al cigolìo delle giunture arrugginite, Kurt cominciò ad arrampicarsi: se Blaine era fuori, voleva dare anche solo uno sguardo a quella camera, per poi scendere e aspettarlo seduto sul patio. Con gli occhi fissi sui suoi piedi, era talmente concentrato nello sforzo di non cadere all'indietro che quando una mano gli strinse il polso all'improvviso, per poco non si mise a gridare per la sorpresa; si strinse più forte alla scaletta e alzò gli occhi, incrociando quelli stupiti di Blaine, accucciato a terra, sul pavimento della camera.

Si rilassò appena e lasciò che l'altro lo aiutasse a salire; si spolverò le mani sui jeans e finalmente lo guardò di nuovo. Erano in piedi, uno davanti all'altro. Kurt non sapeva che cosa dire, così senza troppi preamboli e senza preavviso, si buttò contro di lui, abbracciandolo stretto.

“Stavo cominciando a credere di averti solo immaginato.” disse con il viso affondato nella maglia di Blaine, che profumava di colonia e benzina. Strinse più forte, nel terrore che Blaine potesse respingerlo.

E fu in quel momento, in quell'abbraccio, che Blaine ricominciò a respirare davvero.

Né la boxe, né superare parecchi limiti di velocità, né sedersi sul tetto della casa e respirare l'aria salmastra che un tempo gli era stata tanto familiare, niente era riuscito a fargli vedere le cose con chiarezza. Invece il profumo dei capelli puliti di Kurt l'aveva colpito come uno schiaffo, facendogli rilassare la schiena e le spalle, che nemmeno si era accorto di avere contratto.

Kurt era il problema ed era anche la soluzione.

E respirando, finalmente capì da cosa stava scappando.

Il problema non era più che Kurt fosse un suo studente. Né che a settembre sarebbero stati in due città separate. Il problema era che per la prima volta da tantissimo tempo Blaine era pronto ad aprirsi con qualcuno, con la chiara consapevolezza che quel qualcuno non era perfetto.

“Ehi.” Kurt si allontanò non appena percepì il corpo di Blaine rilassarsi tra le sue braccia. “Sei ancora... arrabbiato? Mi sei mancato tantissimo.” disse senza vergogna. Era sincero.

Gli era mancato sedersi con lui al Lima Bean, scambiarsi consigli sui libri da leggere e ammirare le smorfie che faceva quando sostituiva di nascosto i biscotti al cioccolato con quelli all'avena. Gli era mancato telefonargli con la testa nascosta sotto le coperte, per bisbigliargli la buonanotte. Gli era mancato vederlo in classe, scambiarsi occhiate fugaci e fermarsi in aula dopo la lezione con qualche scusa. E sì, anche se solo per tre giorni, gli era mancata la consapevolezza di poter contare su Blaine.

“Non ero arrabbiato Kurt. Ero... sono spaventato.” si trovò a dire, prima ancora di rendersene conto. Perché a quegli occhi non poteva resistere e non poteva più mentire; forse era per quello che lo aveva evitato, perché sapeva che non appena l'avrebbe rivisto... avrebbe smesso di fuggire.

“Sono qui per ascoltarti, Blaine. Nient'altro.” Kurt abbassò le braccia e si allontanò, fino a sedersi davanti alla scrivania. Blaine annuì e saltò sul mobile davanti a lui, facendo dondolare le gambe per qualche istante.

“Non so che cosa dirti.”

“Perché non hai nulla da dirmi o perché non sai da che parte cominciare?” propose Kurt, concedendosi un piccolo sorriso. “Nel caso... potremmo cominciare dallo spiegarmi perché sono giorni che non mi rispondi al telefono.”

“Pensavo fossi sempre stato del tutto sincero con me. Scoprire che mi avevi mentito... mi ha fatto capire qualcosa di importante.” spiegò Blaine, guardandosi le ginocchia. “Hai così tanto... potere su di me. Dire che mi stavo innamorando di te è stata una confessione difficile ma ora...”

Tacque, finché non sentì Kurt alzarsi e avvicinarsi; aprì appena le ginocchia e Kurt si appoggiò contro di lui, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarlo.

“Ma ora?” chiese con un soffio di fiato.

“Ma ora ho capito davvero cosa significa mettere se stessi nelle mani di qualcun altro, per la prima volta. E sono così spaventato, Kurt. Perché so che prima o poi, anche involontariamente, mi farai soffrire ancora. E io lo farò a te. Eppure continuo... continuo a volerlo. Sento che vale la pena di rischiare, anche se il mio istinto mi dice di scappare.” confessò.

“Mi dispiace averti mentito. Avrei dovuto fidarmi di te, lasciare che mi aiutassi. Non te l'ho detto solo perché pensavo che Figgins non avrebbe mai fatto nulla al riguardo, o che Dave avrebbe finito per farsi ancora più aggressivo; sarebbe stato più difficile resistere e far finta di nulla, a quel punto. Mi dispiace avere infranto quella promessa, ma voglio che tu sappia che non ho taciuto perché ti ritenevo incapace di proteggermi. Lo capisci questo?” Anche se aveva detto che era lì per ascoltare, non riuscì a impedirsi quella veloce spiegazione. Kurt gli teneva ancora il viso tra le mani e Blaine annuì, sentendosi un idiota per non avergli dato l'opportunità di chiarirsi prima; l'altro si avvicinò, ma quando le sue labbra furono a pochi centimetri da quelle di Blaine, abbastanza vicine per sentirne il calore, si fermò. Quella pausa catturò nuovamente l'attenzione di Blaine, che lo guardò interrogativo.

“Siamo... siamo a posto allora? Non c'è più niente in sospeso? Perché ho davvero voglia di fare pace e baciarti, ma se c'è ancora qualcosa di cui parlare non posso.” chiese Kurt, osservando attentamente il viso di Blaine “E per favore, basta scappare.”

Blaine coprì le mani di Kurt con le sue e le abbassò entrambe con dolcezza.

“Hai ragione, basta scappare.” Si chinò appena di lato per aprire uno dei cassetti e sfilare due fotografie, che guardò per qualche secondo prima di passarle a Kurt, che ne stava osservando i gesti con aria perplessa. Erano quelle che gli aveva impedito di vedere la prima volta che erano entrati insieme in quella camera, e ora Kurt le teneva strette tra due dita, mentre con una mano si copriva la bocca per soffocare gemito di sorpresa.

Alzò gli occhi solo per un attimo, si tolse la mano dalle labbra e la pose sopra a quella di Blaine, poi tornò a guardare l'immagine che aveva davanti. Il Blaine della fotografia era chiaramente più giovane di quello seduto davanti a lui, ma non era un bambino: doveva avere sedici anni, forse meno. Era seduto sul dondolo che Kurt ricordava di aver visto nel giardino del cottage, ormai arrugginito e sgangherato; con le braccia avvolte intorno al busto, guardava davanti a sé con occhi spenti, in direzione del lago. Seduto di lato, era evidentemente reduce da qualcosa di terribile: dalla canottiera s'intravedevano le bende che giravano intorno allo sterno e l'unico occhio visibile era talmente gonfio da essere appena aperto, corredato da un sopracciglio rotto, seppure ricucito con cura.

Poteva vederlo dal modo in cui teneva le spalle, da come si stringeva le braccia, da come le labbra erano ben lontane dal sorridere: era un Blaine sconfitto, solo e arreso. Inconsapevolmente, Kurt alzò la mano e sfiorò il sopracciglio di Blaine: impercettibile alla vista, una cicatrice l'attraversava quasi interamente.

“Quando...” si trovò a chiedere, tornando con la punta delle dita sulla superficie scolorita, come ad accarezzare quel ragazzo che non aveva mai incontrato. Negli occhi di Kurt, nulla di quello che Blaine avrebbe temuto di vedere: né pietà, né orrore. Solo dispiacere. E di nuovo, si pentì di aver pensato che avrebbe potuto biasimarlo in qualche modo, fare come i suoi genitori e dargli la colpa dell'accaduto, reputarlo un vigliacco.

“E' stato durante il secondo anno di liceo.” rispose, rassicurato dalla genuina reazione di Kurt.

“Non è stato un incidente.” Non era davvero una domanda, ma Blaine rispose lo stesso.

“No. Un gruppo di compagni di scuola m'ha massacrato di botte dopo il ballo di primavera. Non era passato molto dal mio coming out e mi ero presentato con un amico, anche lui gay... a quanto pare qualcuno l'ha preso come un affronto personale e ha pensato bene di darci una lezione mentre aspettavamo che suo padre venisse a prenderci.”

Kurt annuì, si morse il labbro e guardò di nuovo la fotografia.

“Quando ero in ospedale, i miei genitori mi proposero di andare alla Dalton. In quel momento ero terrorizzato all'idea di tornare nella mia vecchia scuola... accettai il trasferimento senza esitare. Nemmeno denunciammo i miei aggressori, perché la notizia avrebbe dato troppo scalpore e non avrebbe giovato agli affari di mio padre.” aggiunse, stringendo la mano di Kurt. “Non gliel'ho mai perdonato. Mi hanno nascosto qui al lago finchè non sono guarito completamente, poi alla Dalton. Avrebbero dovuto combattere per me, invece... si sono vergognati.”

“Non c'era niente di sbagliato in te.” commentò Kurt, appoggiando le fotografie sulla scrivania accanto a Blaine.

“Sono scappato Kurt. Sempre. Sai che al liceo non mi sono mai vestito come volevo perché avevo paura che mi prendessero in giro e che capissero quello che ero? E non è servito a nulla rinunciare ai papillon, nascondere Vogue sotto il letto e guardare il football. Non ero come te, non avevo il coraggio di essere me stesso, ma anche essere vile non mi ha salvato.” aggiunse con voce frustrata. “Sono cresciuto, ho imparato a difendermi, a mettere le distanze tra me e gli altri, a sostenere con forza quello che penso e quello che sono, ma sotto ho ancora paura di essere quel ragazzino troppo spaventato per mettere le bretelle. E quando ho scoperto che mi avevi nascosto di essere in difficoltà... ho pensato che anche tu mi vedessi così, debole e impaurito.”

Kurt appoggiò un dito sulle fotografie, lo tamburellò appena, poi guardò Blaine. “Sai cosa vedevo in te, prima di sapere questa storia? Vedevo un ragazzo che aveva sofferto, ma che si era rialzato. Un ragazzo pronto ad aiutare gli altri, a mettersi in discussione e a fare quel passo in più, quello che tanti preferiscono non fare. Avresti potuto ignorarmi, quella mattina nel bagno. Avresti potuto denunciare l'accaduto al preside e non fare altro, scaricando su di lui la responsabilità di prendere una decisione. Invece mi hai dato il tuo fazzoletto e mi sei rimasto vicino. E so che l'avresti fatto con qualunque altro ragazzo avresti incontrato, senza dubbio.”

Blaine fece per intervenire, ma Kurt lo interruppe.

“E quando ho saputo di tuo padre, dell'università e di non hai voluto fingere di essere qualcuno che non eri solo per salvare le apparenze... beh, ho visto un uomo forte, che non ha ceduto a compromessi, che è rimasto fedele a se stesso, anche se significava rinunciare alla sicurezza economica e anche ai propri sogni.”

Lo baciò leggermente sulle labbra, secche e screpolate dalla folle corsa in moto.

“E ora che vedo queste fotografie, io vedo un sopravvissuto. Sono così fiero di te, Blaine, in questo momento più che mai. Devi essere orgoglioso di chi sei, di ogni tuo papillon e di ogni paio di bretelle che custodisci nei cassetti e che metti la mattina per fare lezione.”

Lo baciò di nuovo, più intensamente.

“In verità, non ho mai trovato il coraggio di mettere davvero le bretelle.” mormorò Blaine, con la fronte appoggiata a quella di Kurt. Risero entrambi, sentendosi più leggeri; Kurt perché finalmente aveva capito perché l'altro scappava, e Blaine perché aveva capito che a volte rischiare può renderti infinitamente più felice che nasconderti.

“Riguardo alle bretelle... c'è una prima volta per tutto. Possiamo inventarci qualcosa.” Nella sua mente, stava già pensando a un modello in cotone colore caramello, che aveva visto su Vogue un paio di mesi prima. Blaine scivolò fino al bordo della scrivania, abbracciandolo stretto, poi uscirono sul tetto.

“Potremmo fare il bagno nel lago.” propose Blaine, guardando la superficie increspata dell'acqua.

“Blaine... è aprile. Come minimo moriremmo assiderati. E poi non abbiamo i costumi da bagno... hai idea di quanto costi questa camicia?” rispose stizzito, guadagnandosi in risposta una sonora risata. “Non ho mai fatto il bagno in un lago, quando mi deciderò a farlo sarà a modo mio.”

“Non hai mai fatto il bagno in un lago?” domandò Blaine, sorpreso da quella rivelazione. Non riusciva a immaginare Kurt in costume da bagno, ma sembrava impossibile che dicesse sul serio.

“No. C'è una prima volta per tutto e noi abbiamo una lunga lista da spuntare insieme.” rispose senza rendersi conto di quanto quella frase lasciasse spazio a doppi sensi. Lo capì quando Blaine gli rispose con aria maliziosa: “Che ne dici di cominciare da adesso?”

Kurt arrossì e abbassò lo sguardo, sentendo Blaine avvicinarsi fino a toccargli la spalla.

“Non ho mai baciato nessuno... sulla punta del naso.” gli sussurrò all'orecchio, facendolo ridacchiare divertito.

“Mai?” domandò senza alzare lo sguardo.

“Mai.”

Ed era vero. Lo trovava un gesto affettuoso e divertente, ma aveva sempre temuto che gli occasionali ragazzi con cui andava a letto finissero per prenderlo in giro, così aveva sempre rimandato. Non voleva passare per quello strano o eccentrico.

“E il tuo nasino... sembra fatto apposta, se mi concedi di dirlo.” Quando Kurt finalmente alzò gli occhi, semplicemente lo baciò dove aveva appena detto. E mentre dal naso scivolava verso le labbra, accarezzando la lingua di Kurt con la sua, fu felice di aver aspettato tutto quel tempo.

Per poterlo fare con Kurt.

“Sai anche che cosa non ho mai fatto?” disse Kurt tra un bacio e l'altro, approfittando di una breve pausa. “Non sono mai andato a New York.”

“Ci andrai per l'audizione della Nyada, manca poco.” tagliò corto Blaine, senza smettere di guardargli le labbra. “Io ci sono stato... è bellissima.”

Kurt si allontanò, assumendo un'espressione pensierosa.

“Ci sei già stato? Allora non è una prima volta da mettere nella nostra lista.” disse dispiaciuto, ma quasi malizioso. Blaine lo guardò senza capire e Kurt continuò a parlare.

“Però non ci sei mai stato con il tuo ragazzo, no? E io nemmeno.” gli strizzò l'occhio, aspettando che Blaine traesse le sue conclusioni.

“Mi stai chiedendo di accompagnarti alla tua audizione e di trascorrere con te una settimana a New York?” domandò attonito.

“Solo se mi rispondi che verrai.” concluse Kurt, guardandolo in trepidante attesa.

 

 

Nda.

 

Scusatemi per il ritardo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto... io incrocio le dita!

LieveB

 

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo trentesimo ***


Trentesimo capitolo

 

Ancora seduto in auto, Blaine si infilò l'indice nel colletto della camicia e cercò inutilmente di liberarsi la gola dall'opprimente nodo che la stava lentamente chiudendo; quando anche quello si rivelò inutile, deglutì con forza e bevve frustrato un sorso d'acqua. Si sentiva i capelli appiccicati alla nuca, intrisi di sudore nervoso e agitazione.

“Forza, ce la puoi fare.” Si ripetè per l'ennesima volta, buttando la bottiglia nel contenitore della portiera e sbattendo le mani sul volante. L'interno dell'auto era opprimente, ma non era angosciante quanto quello che lo aspettava dall'altro lato della strada, dentro la casa degli Hummel, ancora illuminata dal sole, prossimo al tramonto. Strinse i denti e passò la lingua contro il palato nel vano tentativo di recuperare almeno l'aspetto di una persona serena: in realtà, tutto quello cui riusciva a pensare era il sabato precedente e la notte che aveva trascorso insieme a Kurt. Sapeva che, in un modo o nell'altro, Burt Hummel gli avrebbe letto la verità negli occhi e l'avrebbe aperto da parte a parte con una chiave inglese o qualche diavoleria simile. Alzò lo sguardo verso lo specchietto retrovisore, dove i suoi occhi spaventati lo fissarono di rimando, spalancati e lucidi.

Doveva entrare in quella casa e fare bella impressione, ma convincere le sue gambe a muoversi sembrava impossibile.

“Sei una brava persona, Blaine. Pensa alla Dalton, alla boxe, all''università e alla tua bella personalità.” si disse, aggiustandosi il papillon e occhieggiando verso la casa, le cui luci erano accese e minacciose nel buio della sera. “Non pensare a...”.

 

Il viso di Kurt affondato nel suo collo.

Il loro respiro affannato che appannava appena i finestrini dell'auto.

Le brioches che avevano sbocconcellato quando si erano svegliati il mattino successivo, con i capelli in disordine e gli arti indolenziti.

Le confessioni di Blaine, seduti in quella camera scura e polverosa, erano state la prima volta in cui Blaine aveva trovato il coraggio di aprirsi con qualcuno. Qualcuno che non fosse un estraneo che non avrebbe più rivisto, qualcuno che non fosse Sebastian, che conosceva ogni suo segreto e sapeva sempre che cosa gli passava per la testa. Il bacio sul naso era stato il primo che Blaine si era concesso di chiedere senza vergogna.

Ma quel pomeriggio e quella sera c'erano state molte altre prime volte, per entrambi.

C'erano stati i primi baci dati a cuor leggero, con la consapevolezza di non avere nessun segreto che pesava sul proprio cuore, sotto il caldo sole primaverile. Perfino l'aria del lago sembrava festeggiare la loro sincerità: fresca e profumata, scompigliava i capelli di Kurt, seduto sul tetto, facendolo sbuffare in modo adorabile sotto gli occhi innamorati di Blaine, che si godeva in silenzio ogni piccola sfavillante risatina.

Rimasero a lungo seduti sul tetto e Blaine rispose a ogni domanda di Kurt: gli descrisse il ballo scolastico, la cura con cui aveva scelto il fiore da appuntare alla giacca e il nervosismo con cui era entrato nella sala, con la mano stretta a quella del suo amico in cerca di rassicurazione. Ai dettagli più innocenti, come il senso di nausea che l'aveva colto dopo aver assaggiato il punch corretto con la vodka, se ne contrapponevano di sgradevoli e terrificanti, come il suono delle costole che scricchiolava sotto il peso di un calcio ben assestato.

Un suono che Blaine non avrebbe mai più dimenticato, quasi più del dolore che l'aveva trafitto.

Avevo scelto uno smoking poco appariscente, con un papillon di seta. Ero così fiero di quel completo... mia madre mi aveva accompagnato a comprarlo e non aveva fatto altro che ripetermi quanto fossi affascinante... avevo messo il gel, ovviamente, e mio padre mi aveva prestato un paio dei suoi gemelli preferiti...” aveva raccontato con occhi sognanti. Per Kurt non era stato difficile dipingersi l'immagine mentale di un giovane Blaine emozionato e impacciato, che si allacciava il cravattino davanti allo specchio, fiero del coraggio di presentarsi al ballo vestito di tutto punto e con un accompagnatore. Poteva sentire la mano sudata di Blaine che stringeva il bicchiere con il punch mentre ammirava le coppie ballare, soddisfatto di essere lì, anche solo per guardare gli altri.

Non gli aveva nascosto nulla, non ne aveva più ragione.

Mi hanno strattonato talmente forte che una delle maniche della giacca si è staccata quasi completamente... quando ho provato a reagire, ho tirato un pugno talmente maldestro che per poco non mi sono rotto una mano, ma in compenso ho perso uno dei gemelli di platino che mio padre mi aveva prestato. Pensa che quando sono tornato lì un paio di settimane dopo, ho insistito per inginocchiarmi a terra e cercarlo: non l'ho trovato, però in compenso ho raccolto uno dei miei molari vicino a un cassonetto.”

Kurt si era voltato di scatto, domandando sgomento: “Uno dei tuoi... molari?”

L'altro si era stretto nelle spalle e si era abbracciato le ginocchia, continuando a guardare verso il lago: “Dei ragazzi coinvolti ero l'unico incapace di difendersi... i loro pugni sono andati a segno decisamente più dei miei. Ho dovuto sostituirlo con uno in porcellana... è stato strano, ma è una delle poche ferite che sono guarite in fretta, senza lasciare troppi segni.”.

Aveva sorriso amaro e aveva socchiuso gli occhi, quando Kurt gli aveva sfiorato la mandibola con la punta delle dita.

Il completo era da buttare. Io... io ero da buttare, un misero mucchietto di ossa rotte e seta strappata. Quella sera avevo creduto di poter cambiare la mia vita, invece mi hanno dato il colpo di grazia; altro che bretelle e papillon, sono corso alla Dalton e mi sono nascosto grato sotto quella divisa. E nel letto di Sebastian.”

 

Ancora una volta, Blaine sbattè le mani sul volante e aprì con un gesto secco la portiera dell'auto; si appoggò con la schiena al cofano e guardò verso casa Hummel: sarebbe andato tutto bene, Burt era un uomo ragionevole e loro si amavano sinceramente. Il padre di Kurt l'avrebbe capito e avrebbe dato la sua benedizione, in caso contrario... Blaine si fermò a metà strada lungo il vialetto d'ingresso, colpito improvvisamente da quel pensiero: Kurt l'aveva rassicurato, ma ora non si ricordava più perchè non doveva temere l'ira di Burt. Esattamente, che cosa l'avrebbe trattenuto dall'afferrarlo per i capelli e trascinarlo immediatamente da Figgins?

 

Solo se mi rispondi che verrai.” Kurt l'aveva chiesto senza troppi preamboli e poi l'aveva guardato, rimanendo in attesa della sua risposta. Blaine si era passato la mano tra i capelli, già sconvolti dal casco, e aveva annuito.

Ovvio. Ovvio che vorrei venire con te a New York. Tra un provino e l'altro, vorrei fare tutte quelle cose stupidamente romantiche, come dividerci un tortino alla Magnolia Bakery dopo una fila di due ore, passeggiare a Central Park e baciarti in cima all'Empire State Building, ma...” aveva provato a spiegare. Nonostante il suo tentennamento, Kurt non aveva smesso di sorridere, come se avesse previsto la sua risposta.

... ma non posso farlo. Chiederti di dormire a casa mia quando tuo padre è a Washington non è la stessa cosa che partire con te per una settimana tenendolo all'oscuore della tua famiglia. Se davvero volessimo farlo, dovremmo essere adulti e...”

Blaine lo aveva guardato, lasciando che Kurt intuisse la conclusione del suo ragionamento; l'aveva colta immediatamente e aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo.

E chiedere il permesso?” aveva detto con aria poco convinta e perplessa, per poi ripetere ancora “Essere adulti e chiedere il permesso?”.

Esatto.”Blaine aveva annuito convinto. Forse un po' spaventato, ma sicuro di quello che aveva appena detto. “Niente più fughe, almeno con tuo padre e Carole potremmo parlarne, no?”

E per la prima volta, avevano parlato seriamente della possibilità di mettere al corrente la famiglia di Kurt di quello che c'era tra di loro; se avevano intenzione di stare insieme anche dopo la fine della scuola, alle spalle avrebbero avuto più di cinque mesi di relazione da condividere. Mesi di amore, litigi e coccole, che rischiavano di essere offuscati dal peso delle bugie che avevano dovuto raccontare per poter stare insieme.

Dopo poco, anche Kurt fu convinto dalle parole di Blaine: “Mio padre ha già capito qualcosa. Non so quanto e non so quanto voglia sapere davvero, ma per lui non sarà un fulmine a ciel sereno. Conoscendolo lui e conoscendo Carole, se non mi ha messo spalle al muro fino a ora è perchè in qualche modo non disapprovano a morte questa cosa. Meglio approfittarne, prima che cambino idea: sicuramente apprezzeranno la sincerità, anche se arriva un po' in ritardo.”

Forse era sciocco anche solo pensarlo, ma l'idea di poter tenere per mano Blaine anche a casa sua, magari durante una cena, gli mandava brividi lungo la schiena, ricolmi di aspettativa ed eccitazione.

Niente più fughe. Direi che ha senso... non che la cosa non mi terrorizzi a morte, ma ammetto che ha un senso.” Kurt alla fine gli aveva dato ragione ed erano andati a pranzo, stabilendo i dettagli della grande sera in cui avrebbero messo tutte le carte in tavola. E se poi i suoi genitori non avessero acconsentito a lasciare che Blaine venisse con lui a New York, Kurt almeno avrebbe avuto la consapevolezza di averci provato: fingere di andare da solo e in realtà farsi accompagnare da Blaine era davvero fuori discussione, in questo erano d'accordo. Già gli pesavano le piccole bugie che aveva rifilato negli ultimi mesi, una di tale portata era assolutamente insostenibile; se era destinati a durare, l'appoggio della sua famiglia era qualcosa cui non aveva intenzione di rinunciare.

Ma andiamo, che vuoi che succeda?” aveva detto a Blaine, che al ristorante stava sbriciolando il pane con aria nervosa, avanzando qualche apocalittica ipotesi circa la reazione di Burt.

Non so, tuo padre potrebbe andare da Figgins e farmi licenziare. Oppure potrei finire su qualche giornale scandalistico e la Brown finirebbe per ritirare la mia borsa di studio alla velocità della luce?” l'aveva rimbeccato. L'idea era sua e ne era convinto, ma questo non gli impediva di avere paura. Burt sapeva essere minaccioso, quando voleva: aveva perfino convinto Sebastian a scusarsi con il padre Azimio, quindi in pratica era in grado di fare qualunque cosa.

Fidati, mio padre non lo farebbe mai. Piuttosto, preparati per una seria chiacchierata suocero - genero, quella sì che sarà imbarazzante...” seduto accanto a lui, Kurt gli aveva accarezzato lentamente una gamba, mentre arrossiva al solo pensiero. Poi, sembrava aver pensato improvvisamente a qualcosa: “Se dovesse prendere il fucile, ricordati di correre a zig-zag mentre scappi in giardino, ok?”

Un fucile... a zig-zag? Cosa?” L'altro aveva reagito con sorpresa e un pizzico di puro terrore, ma la mente di Kurt vagava già verso altri lidi, più sereni e gratificanti.

Sarà la prima volta che porto un ragazzo a casa. Voglio dire, un ragazzo tutto mio. Un'altra prima volta.”aveva detto con voce sognante.

E io non sono mai stato a casa di un ragazzo tutto mio. Per conoscere i suoi genitori... o per presentarmi come il suo ragazzo. Vorrei poter fare lo stesso con te, ma credo che non finirebbe molto bene. E non perchè sei un mio studente.”

Forse un giorno si sistemerà anche quello, no? Per ora e per oggi, potremmo concederci un'altra prima volta, solo per noi.” Kurt aveva sollevato la sua lattina di aranciata e sorseggiandola, aveva rimuginato un poco, lasciando Blaine, che aveva una lunga lista di prime volte da proporre a Kurt, in sospeso.

Non ho mai dormito in auto. E tu?” aveva detto di punto in banco, lasciandolo di stucco.

Come ti è venuta quest'idea?” aveva domandato perplesso, quando finalmente aveva trovato la presenza mentale per rispondergli.

Non lo so. Stavo pensando che non potevamo tornare insieme, perchè tu sei in moto e io sono in auto. Ho pensato che ho un cd in macchina che vorrei proprio farti sentire, e poi ho realizzato che in quell'auto enorme c'è davvero un sacco di spazio. Quindi, se dovessimo far tardi, potrei anche dormire lì e partire domani mattina... non mi piace guidare assonnato.” aveva risposto appoggiando con nonchalance la lattina sul tavolo e stringendosi nelle spalle.

Non è particolarmente comodo, te lo posso assicurare.” lo aveva informato Blaine, mentre faceva cenno alla cameriera di portare il conto. Kurt aveva sollevato un sopracciglio, osservandolo interrogativo.

Lo so perchè mi è capitato, di tanto in tanto.” si era limitato ad aggiungere, senza precisare che parecchie altre cose sono davvero scomode, da fare in auto. Meglio non rendere la situazione inutilmente imbarazzante.

Forse perchè tu non hai mai dormito in una Navigator.” aveva concluso, strizzandogli l'occhio.

 

E anche ora, mentre con l'indice premeva il bottone del campanello di casa Hummel, Blaine non smetteva di ripensare a quel sabato sera, passato con Kurt sdraiati sul molo del lago e poi nella sua auto. Deglutì ancora una volta e aspettò che qualcuno aprisse la porta.

 

Era già buio quando avevano raggiunto l'auto: dopo il pomeriggio trascorso tra gli scatoloni della casa di Marianne e le gambe mollemente a penzoloni dal molo, avevano cenato in un ristorante di un paesino poco distante. Avevano passeggiato mano nella mano, sereni, lungo le sponde del lago, immerse nell'oscurità.

L'auto di Kurt, parcheggiata solitaria, gli era apparsa più accogliente che mai, quando l'aria fresca della sera aveva cominciato a lambirgli gentilmente le spalle; senza una parola, Kurt aveva aperto la portiera posteriore e aveva fatto in cerimonioso inchino, invitando Blaine all'interno. Prima di salire dall'altro lato, aveva acceso la radio e inserito nel lettore un cd: Blaine non aveva riconosciuto immediatamente la musica che aveva invaso l'abitacolo, ma ne aveva apprezzato il ritmo dolce e allegro.

Aspetta, dovrei avere... eccolo.” Subito dopo, Kurt si era inginocchiato sul sedile posteriore dell'auto e aveva frugato nel bagagliaio, finchè non aveva estratto trionfante una coperta di pile. Blaine si era seduto dall'altro lato e l'aveva osservato con pazienza mentre trafficava indaffarato, sforzandosi di non focalizzare tutta la sua attenzione sul sedere di Kurt, che gli esibiva invitante a poca distanza. O al fatto che erano chiusi in un piccolo spazio e non sentiva di avere affatto sonno.

Anzi, ogni traccia di stanchezza l'aveva abbandonato non appena aveva notato quanto fasciante fosse la camicia di Kurt e quanto ne seguisse ogni movimento, evidenziandone la schiena snella.

Stanotte la temperatura si abbasserà un po'.” aveva detto aprendo la coperta e gettandola sulle sue gambe e quelle di Blaine. A quel punto, Blaine non aveva resistito oltre, ma si era chinato verso di lui, per catturarne le labbra in un bacio, che aveva strappato a Kurt un gemito di sorpresa.

Sono felice che tu sia venuto a cercarmi, questa mattina.” gli aveva sussurrato allontandosi appena, baciandolo poi sulla punta del naso, solo perchè sapeva di avere il potere di farlo. Kurt aveva chiuso gli occhi e si era goduto la sensazione del corpo di Blaine di nuovo premuto contro il suo, delle sue braccia che lo stringevano. La temperatura all'interno dell'auto era ormai un problema lontano.

E io sono felice di averti trovato.” aveva risposto con il fiato corto, quando le attenzioni di Blaine erano scivolate lungo il suo collo. In quel momento realizzò quanto effettivamente gli era mancata la lingua di Blaine che gli correva sulla pelle, le sue mani che lo accarezzavano e il suo alito caldo, capace di farlo addirittura rabbrividire tra un bacio e l'altro. Non gli sarebbe bastato mai, né mai ci avrebbe più rinunciato.

Anche se imparare di nuovo come toccarlo e come baciarlo era qualcosa di egualmente straordinario.

Ed eccitante.

Quando i movimenti si fecero più scomposti e Blaine notò di essere ormai completamente sdraiato sopra Kurt, si appoggiò gli avambracci per sollevarsi e guardarlo in viso; non riusciva a vederlo distintamente, ma la luce di un lampione poco distante era sufficiente per riflettere lo scintillìo negli occhi di Kurt. La coperta era aggrovigliata tra le loro gambe senza cura.

Senza dire una parola, Kurt arretrò appena, appoggiando la schiena alla portiera, senza allontanare lo sguardo da Blaine, senza perderlo di vista neppure per un istante. Blaine lo vide respirare profondamente e capì che stava prendendo una decisione: Blaine aveva imparato a riconoscere quella espressione e come sempre era felice di vederla sul viso di Kurt. Soprattutto in certi contesti.

E poi...” aveva detto come continuando un discorso che non avevano mai iniziato. “C'è qualcosa che vorrei fare. Per bene, questa volta.”

Senza guardare, aveva portato le mani ai bottoni della sua camicia. Uno dopo l'altro, sotto gli occhi assetati di Blaine, aveva sbottonato lentamente l'indumento: Kurt era nervoso ma determinato, e Blaine non era intervenuto per aiutarlo, paralizzato com'era dalla possibilità di vedere di nuovo la pelle di Kurt. Non una visione fugace sotto la luce fredda del bagno della scuola, un'immagine rubata portatrice di segreti e rivelatrice di bugie: quello davanti a lui era Kurt che abbatteva un muro e che si offriva a lui completamente. O quasi.

Ogni bottone sembrava una promessa.

Ogni centimetro di pelle che si mostrava era capace di abbattere il contegno che Blaine si stava sforzando di mantenere. Era eccitato come mai prima, e nemmeno si stavano toccando. L'aspettativa, la fiducia e l'intimità di quel gesto lo stavano uccidendo, con le dita che bruciavano letteralmente dal desiderio di posarsi quella pelle.

Aveva guardato Kurt aprire anche l'ultimo bottone, allontanare i lembi della camicia e sfilarli dai pantaloni, poi si era concesso di guardare davvero. Aveva impresso nella sua mente ogni tenera, pallida sfumatura, per godersi al massimo quel momento, per cancellare con ogni dettaglio possibile quello che aveva visto in quello stupido bagno, per possedere il corpo di Kurt prima ancora di toccarlo.

E quando era stato sicuro che non avrebbe mai potuto dimenticare l'esatta tonalità dei piccoli capezzoli rosati che stava per toccare, aveva allungato un braccio fino a sfiorare Kurt con la punta delle dita.

Sei bellissimo.” lo aveva detto con voce talmente delicata che per qualche istante aveva pensato di non averlo nemmeno pronunciato. A quelle parole, Kurt si era rilassato e aveva chiuso gli occhi con un sospiro, abbandonandosi completamente al tocco gentile di Blaine, ancora assorto nei suoi pensieri, immerso nella contemplazione del suo corpo.

Sei perfetto.” Con il pollice era corso lungo la linea del suo collo, fino a perdersi lungo le spalle, sotto il tessuto sottile che ancora le nascondeva; dal mento, era sceso con la punta dell'indice sulla gola, in mezzo al petto, fino a solleticargli l'ombelico e accarezzare la sottile peluria chiara che fuggeva invitante sotto i confini dei pantaloni.

Con il palmo della mano, aveva saggiato la consistenza compatta dei suoi addominali, poco definiti ma asciutti, caldi e invitanti, più morbidi di qualunque altra superficie avesse mai avuto la fortuna di toccare.

Aveva stretto, punzecchiato e giocherellato con i suoi capezzoli, finchè Kurt non aveva inarcato la schiena, mordendosi il labbro inferiore, senza ancora aprire gli occhi, arreso.

Poi Blaine si era dedicato ai lividi.

Si era chinato di nuovo su di lui e aveva baciato ogni segno, uno dopo l'altro; ci aveva sfregato le labbra con leggerezza, quasi come per cancellarli, li aveva leccati appena, li aveva baciati. Sarebbero stati gli ultimi, nessuno si sarebbe mai più permesso di toccarlo. E quando si era dedicato al resto di Kurt, le dita del ragazzo si erano intrecciate ai suoi capelli, indirizzandolo cauto verso i punti che gli erano sembrati più sensibili alle carezze di Blaine.

Gli aveva mordicchiato e graffiato uno dei fianchi e aveva succhiato avido uno dei capezzoli, finchè infilargli la mano nei pantaloni non era sembrata l'unica cosa da fare per dare sollievo agli incessanti gemiti di Kurt. A quel punto, fargli raggiungere l'apice era stato incredibilmente rapido; il respiro affannato contro l'incavo del suo collo, unito alle mani di Kurt che gli avevano slacciato frenetiche i jeans e si erano insinuate con movimenti esperti fin sotto i suoi boxer, avevano ridotto Blaine in condizioni simili nel giro di pochi minuti.

Stravolti, eccitati e sopraffatti, avevano impiegato un po' per tornare presenti a se stessi. Almeno, presenti quanto il torpore dell'orgasmo sembrava concedere: con i pantaloni ancora sbottonati, i vestiti arricciati e i capelli in disordine, Blaine si era accoccolato contro il fianco di Kurt e aveva tirato la coperta sui sedili, poco prima di cadere in un sonno pacifico con il viso premuto contro il petto nudo di Kurt, in alcuni punti ancora umido della sua saliva.

Il mattino successivo, quando Kurt si era svegliato, l'auto era vuota. Ancora mezzo spogliato sotto la coperta di pile, si era rapidamente rivestito, mugugnando indolente per la scomoda sensazione appiccicosa all'altezza dell'inguine; quando aveva finito si era sentito terribilmente vulnerabile, ma non appena aveva preso il suo telefono per chiamare Blaine, una delle portiere si era aperta.

Ehilà... ho portato la colazione.” Il sorriso di Blaine, appena visibile dietro il sacchetto di carta che stringeva tra i denti, lo aveva riportato di nuovo sulla Terra; Kurt aveva afferrato una delle due tazze di caffè che stringeva tra le mani e gli aveva tolto il sacchetto dalle labbra, per poi premerci grato le sue, giusto un breve istante. Poi si era lasciato avvolgere dal profumo dei cornetti fragranti.

Si erano seduti uno accanto all'altro, bevendo in silenzio e pescando i dolci dal sacchetto appoggiato in mezzo a loro; Kurt aveva appoggiato la tazza sulle ginocchia e Blaine si era voltato per osservarlo, attratto da quel gesto.

Io...” Kurt si era voltato a sua volta. Blaine aveva una briciola di brioches appiccicata a un angolo della bocca, gli occhi brillanti nonostante le occhiaie dovute a una dormita davvero poco confortevole e i capelli schiacciati da un lato.

Era bellissimo.

Ed era suo.

Io ti amo, Blaine.” aveva detto prima ancora di realizzare che era il momento sbagliato. Non si era lavato i denti, aveva un'aria stravolta ed erano seduti sui sedili posteriori della sua auto. Ma poi Blaine aveva sorriso, l'aveva baciato sulla guancia e gli aveva risposto, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

Ti amo anche io.” Blaine lo aveva detto senza esitare. Aveva guardato Kurt, con la guancia decorata dalla trama del sedile contro cui aveva dormito, il labbro superiore macchiato di schiuma di cappuccino e gli occhi azzurri ancora appannati dal sonno.

Era bellissimo.

Era straordinario.

Ed era suo.

 

Blaine, finalmente sei arrivato!” Carole sorrise aprendo la porta d'ingresso, accogliendo affettuosa il ragazzo. “Ho fatto il polpettone, il tuo preferito. Vieni in cucina, voglio farti assaggiare un paio di cosette, prima della cena.”

La seguì all'interno, salutò con un cenno Burt seduto sul divano e sprofondò in quella familiare atmosfera domestica. Kurt aveva ragione, sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

 

L'angolo di LieveB

Sono pessima.

E voi siete dei santi.

Prometto una coccola da Sebastian/Eric/Kurt/Blaine, a voi la scelta, per ogni giorno di ritardo che accumulo. Concedetemi ancora un pochino della vostra pazienza, e dal 21 di maggio sarò un pelo più libera. Prima di quella data non posso promettervi altri aggiornamenti, ma il 20 pubblicherò la OS SebEric, per festeggiare la mia laurea.

Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Vi mando un abbraccio strettissimo.

LieveB

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Capitolo 31
*** Capitolo trenunesimo ***


Capitolo trentunesimo

 

Era venerdì pomeriggio e Kurt non riusciva a concentrarsi in nessun modo durante le lezioni: ovviamente essere stato costretto a guardare Blaine seduto dietro la cattedra per due intere ore non gli era stato affatto d'aiuto. Inchiodato al suo banco, ne aveva quasi scavato la superficie con le unghie quando il professore si era voltato verso la lavagna per disegnare uno schema riassuntivo: moriva dalla voglia di alzarsi, afferrarlo per un polso e trascinarlo fuori da quella stupida, soffocante, ridicola aula.

Alla terza volta in cui Blaine si era chinato per prendere il gesso cadutogli a terra, Kurt fu pericolosamente sul punto di rovesciare il banco e abbandonare l'aula di corsa, giusto per evitare di ghermire il professore di letteratura sotto gli occhi innocenti dei suoi compagni di classe. Seriamente, quante volte aveva intenzione di torturarlo ancora?

L'immagine dei jeans fascianti di Blaine, il ricordo di loro due in macchina sdraiati uno sull'altro e il nodo allo stomaco dovuto alla cena cui avrebbero preso parte quella sera gli impedivano di pensare ad altro che Blaine. Non ascoltò una singola parola della lezione di biologia, corse senza convinzione durante educazione fisica e bruciò un'intera teglia di muffin a economia domestica. E Kurt non bruciava mai nulla di quello che cucinava: l'influenza dei discorsi istruttivi di Eric e l'innegabile sex-appeal di Blaine cominciavano a rendere la sua libido ingestibile.

Gettò frustrato tutti i dolci rovinati nel cestino dell'immondizia, poi si voltò verso Mercedes, guardandola con occhi supplichevoli; ancora prima di parlarle, l'amica aveva capito che cosa stava per chiederle.

“Shopping?” domandò speranzosa, giocherellando con una delle sue vistose collane. Anche se non aveva davvero bisogno di un paio di scarpe nuove, gironzolare con Kurt per il centro commerciale le mancava da impazzire: era da gennaio che trascorrevano del tempo insieme solo a scuola e al Glee, senza contare gli appuntamenti al Lima Bean con Eric e Sebastian. Le mancava stare un po' con il suo migliore amico.

Kurt, fortunatamente, le sorrise di rimando: “Sì, Mercedes. Abbiamo bisogno di shopping.”

Convinsero Rachel a saltare l'ultima lezione e le prove del Glee Club, poi la costrinsero a salire sulla macchina di Kurt e partirono in direzione dell'unico centro commerciale degno di nota nei dintorni di Lima. Ovviamente Kurt non era l'unico a essere preoccupato per la cena di quella sera: Blaine gli scrisse numerosi sms, uno più delirante dell'altro, in cui chiedeva quale fosse esattamente il calibro del fucile di Burt, se dovesse preparare il passaporto per espatriare rapidamente prima di essere rinchiuso nel seminterrato Hummel e se nella cassetta del pronto soccorso avessero eventualmente dei lacci emostatici e un kit di sutura.

Seduto con le ragazze con un milkshake in una mano e un muffin nell'altra, Kurt gli rispose sereno, sforzandosi di tranquillizzarlo; al quinto sms, gli occhi curiosi delle sue amiche lo stavano trafiggendo.

“Chi ti scrive, Kurt?” Il loro sguardo non prometteva nulla di buono, e senza interrompere il contatto visivo, il ragazzo ripose il cellulare nei jeans e si portò con nonchalance la cannuccia del frullato alle labbra.

“Nessuno di particolare. Perchè?” domandò fingendosi perplesso, dopo aver bevuto un sorso.

“Perchè quel nessuno ha avuto l'onore di una suoneria personalizzata sul tuo telefono. Onore che noi bramiamo da mesi. Mesi, Kurt.” rispose Rachel, socchiudendo le palpebre. Quello sguardo lo preoccupò, ma si sforzò di non darlo a vedere. Non rispose nulla e si dedicò alla minuziosa masticazione del muffin, neanche avesse appena morsicato un pezzo di cemento e vetro; silenziosamente, sperava che le ragazze abbandonassero l'argomento.

Improvvisamente, Rachel spalancò gli occhi e si voltò verso Mercedes, afferrandole una mano; si scambiarono un'occhiata complice e confabularono tra di loro sotto lo sguardo sorpreso di Kurt, che riuscì a carpire solo qualche brandello di conversazione.

“... te l'avevo detto.”

“Chissà quale dei due...”

“... avremmo dovuto accorgercene prima.”

Andarono avanti per poco, finché non tornarono a guardare il ragazzo, ancora seduto sulla poltroncina, con le gambe accavallate e la cannuccia stretta tra i denti.

“Kurt, perchè non ce l'hai detto prima?” domandarono solennemente, quasi professionali.

“Cosa?” Lui aggrottò le sopracciglia, senza davvero capire che cosa stesse succedendo.

“Che sei l'amante di Sebastian, sciocchino!” rispose Mercedes, schioccando le dita con aria saccente. “Voglio dire, avevamo capito già da un po' che avevi in ballo qualche ragazzo, ma non volevamo impicciarci troppo... pensavamo che avessi un buon motivo per tenercelo nascosto. Ma ora che abbiamo conosciuto Sebastian ed Eric, non possiamo rimanere in silenzio mentre spezzi il cuore di quell'anima candida di Eric.”

Kurt rise talmente forte per l'assurdità di quelle affermazioni che il frullato gli andò di traverso; scosso da un attacco di tosse convulsa, bofonchiò una risposta che potesse convincere le ragazze dell'idiozia di quello che avevano appena detto.

“Anima candida? Chi, Eric? Buon Dio... se solo sapeste... io e Sebastian... ma è... abominevole!”

Quando riprese a respirare normalmente, articolò una frase più completa e, soprattutto, convincente.

“Prima di tutto, se c'è qualcosa di vero su questa Terra, Eric non è un'anima candida. Non potrebbe mai e poi mai stare con Sebastian, se fosse davvero così. Secondo, io e Sebastian non abbiamo nessuna relazione clandestina. Finiremmo per sbranarci a vicenda prima ancora di cominciare.”

Miracolosamente, le ragazze sembrarono credergli. Il che le portò a domandare: “Ma allora con chi ti scrivi? Non prenderci in giro, è evidente che c'è qualcuno. Ce ne siamo accorte già da un po' di tempo.”

Kurt fece un respiro profondo e prese rapidamente una decisione: negare sarebbe stato inutile, avrebbero cercato di rubargli il telefono ed erano abbastanza maligne da non accontentarsi delle informazioni che ci avrebbero trovato. Era stato abbastanza furbo da salvare il numero di Blaine senza usare il suo vero nome e nascondeva tutti gli sms più compromettenti in una cartella con password; tuttavia erano capaci di salvare il numero e telefonare a Blaine per scoprire chi si nascondeva sotto quel Mr. A. della sua rubrica.

Erano le sue migliori amiche e in quel momento capì che moriva dalla voglia di condividere il suo segreto con qualcuno che non fosse Finn o suo padre: qualcuno che capisse pienamente la bellezza del primo amore, qualcuno a cui raccontare dei piccoli gesti gentili del proprio ragazzo, qualcuno a cui telefonare dopo un litigio. Sapeva di non potergli dire tutto, ma sapeva di non poter negare del tutto.

“Va bene. Va bene... ecco... c'è qualcuno, ok? Però non posso dirvi di più.” ammise, tenendo gli occhi bassi. Ora doveva solo sperare che si accontentassero della sua ritrovata sincerità: il peggio che poteva accadere era che Rachel capisse che Finn ne sapeva più di lei e lo ricattasse per ottenere la verità sul misterioso fidanzato di Kurt.

“Non è... dichiaratamente nella tua squadra?” Mercedes pose quella domanda a bassa voce, senza rendersi conto che stava offrendo a Kurt una scusa perfetta. LA scusa perfetta. Tuttavia, il ragazzo preferì non cogliere quell'occasione.

“Diciamo che non sono in molti a saperlo e che per ora preferiamo tenere la cosa per noi. Almeno per un altro mese o poco più.” Mancavano un mese e sette giorni alla fine della scuola, Kurt aveva un'applicazione del cellulare che faceva il countdown sullo schermo: chiunque l'avrebbe interpretata come fretta di lasciare il liceo, mentre in realtà stava contando i giorni che lo dividevano dal poter stare con Blaine alla luce del sole. Almeno, nei limiti concessi dalla omofobica mentalità dell'Ohio.

“E' bello?” Rachel passò al sodo in un battito di ciglia.

“Sì. E' speciale.”

“E' alto? E' un giocatore di football? Scommetto che un tipo tutto muscoli, ti sono sempre piaciuti così.” aggiunse Mercedes. Lui si trattenne dallo scoppiare a ridere solo perchè l'immagine di Blaine infilato in una aderente divisa da football si era rivelata sorprendentemente interessante.

“Oh no... direi che è il tipo di persona diametralmente opposta. E' intelligente e molto dolce.” disse sorridendo, quasi sognante. Rimase attento a non concedere troppi dettagli, ma raccontò quel poco che poteva alle amiche, che pendevano dalle sue labbra.

“Avete già... sai, ecco...” Incredibilmente, quella domanda appena accennata giunse da Rachel, seduta sul bordo del divanetto, con la sua innocente gonna a pieghe e i calzettoni al ginocchio. Mercedes si voltò di scatto verso di lui, che arrossì istantaneamente.

“Rachel! No! Ovvio che no!” Lo sdegno nella sua esclamazione era tangibile, sbattè il frullato sul tavolino in mezzo a loro e incrociò le braccia sul petto.

“Non fare tanto il santarellino, Kurt. Sei un ragazzo anche tu, per di più adolescente. Esattamente come Finn, Puck e Sam, muori dalla voglia di darci dentro.” commentò Mercedes, con un tono da donna vissuta che lo fece sentire un ragazzino alle prime armi. “Da quanto dura questa storia?”

“Da gennaio.” rispose senza pensare.

“E vorresti farci credere che in quasi cinque mesi il pensiero di strapparvi i vestiti e fare zozzerie ancora non ha sfiorato la tua candida mente? Kurt, è con noi che stai parlando.” Mercedes tagliò corto, ma disse qualcosa di vero, che Kurt ammetteva a fatica perfino a se stesso.

Ci aveva pensato eccome. Non da subito, ovviamente. Nè si era sentito immediatamente pronto ad andare fino in fondo, ma il pensiero l'aveva stuzzicato in più di un'occasione, complici anche le continue frecciatine di Eric e l'aspetto assolutamente appetitoso di Blaine. Si era chiesto come sarebbe stato essere completamente nudo, abbandonato tra le sue mani, come sarebbe stata la loro prima volta e se mai ce ne sarebbe stata una.

Eric gli aveva tolto ogni dubbio sulle “procedure”, ma con Blaine non avevano mai davvero toccato l'argomento; ogni passo in avanti era arrivato lentamente e naturalmente, senza discorsi e senza richieste. Pensava che anche il resto sarebbe venuto da sé, prima o poi. Sapeva che Blaine non era vergine e che sembrava non avere alcun problema ad aspettare, ma ora era lui che cominciava a essere impaziente.

“Qualcosa c'è stato. Ma non mi sentivo ancora pronto, fino a poco tempo fa.” rispose, con le guance che ancora scottavano. Lo stava dicendo davvero ad alta voce?

“E cosa è cambiato?” Le ragazze ascoltavano attentamente, bramando i dettagli.

“Ho capito di amarlo. E gliel'ho detto.” disse accennando un sorriso. Loro lo abbracciarono stretto senza aggiungere nulla e Kurt fu felice di aver condiviso almeno parte del suo segreto con loro.

“Tesoro, non vediamo l'ora di conoscerlo. Dev'essere davvero speciale, se ha saputo guadagnarsi la tua fiducia e il tuo affetto.” ammisero convinte. “E ora che cosa facciamo?”

“Shopping, no? Voglio prendergli un regalo. E ho già in mente che cosa potrebbe davvero servirgli.” sussurrò complice, in aria cospiratoria.

Due ore più tardi, in uno dei negozi di moda maschile più trendy di Lima, Kurt stringeva tra le dita una scatola che conteneva un paio di bretelle sottili, di un rosso che ricordava le mele caramellate dei luna park estivi; aprì il coperchio e passò uno dei polpastrelli sopra una delle fibbie, contemplando la tonalità irriverente, quasi provocatoria, del tessuto. Si chiese se Blaine avrebbe mai avuto il coraggio di portarle davvero, ma seppure dubbioso al riguardo, decise di acquistarle lo stesso. Magari, un giorno...

 


 

Blaine, con la camicia appiccicata alla schiena sudata, era in cucina e stava contemplando insieme a Carole il suo splendido polpettone, che aveva appena appoggiato trionfante al centro del tavolo.

“Sembra magnifico.” si complimentò, lanciando contemporaneamente uno sguardo ansioso verso le scale che portavano al piano superiore. Il gesto non sfuggì a Carole, che sorrise complice.

“Kurt si sta ancora preparando. Oggi è andato al centro commerciale con delle amiche ed è rientrato tardi. Non dirgli che te l'ho detto, ma quando ci sei anche tu alle cene del venerdì, impiega il doppio del tempo per vestirsi.” Gli strizzò l'occhio e cominciò a tagliare a fette la carne, senza fare troppo caso all'ammorbidirsi dell'espressione preoccupata di Blaine, che stava ripensando a Kurt che si specchiava nel minuscolo specchietto dell'auto e si spruzzava di lacca i capelli, nel vano tentativo di nascondere il disastro causato dalla notte trascorsa sui sedili posteriori.

Non aspettava altro che momenti come quello, ancora e ancora.

Voleva scoprire se cantava sotto la doccia, se leggeva prima di andare a letto e se gli abiti nel suo armadio erano divisi per colore. Voleva vedere altre fotografie di quando era solo un bambino, ascoltare Burt raccontare aneddoti imbarazzanti sulla sua infanzia e baciarlo sulla guancia, accoccolato contro di lui sul divano di casa Hummel.

E sì, a volte pensava anche a come sarebbe stato andare oltre. Non era mai stato così vicino a nessun altro ed era ovvio che si chiedesse come sarebbe stato fare l'amore con Kurt: era bellissimo, adorava ogni centimetro del suo corpo e toccarlo gli toglieva il fiato, non era tanto folle da non desiderare di più. Non ne avevano mai parlato davvero e Blaine aveva interpretato quel silenzio come insicurezza, da parte di Kurt: era disposto ad aspettare, perchè non avrebbe mai potuto forzarlo, ma anche perchè a sua volta non era certo di sentirsi pronto. Aveva fatto sesso, in passato, ma non aveva mai fatto l'amore: al momento, lasciarsi andare anche sotto quell'aspetto lo agitava, tuttavia sapeva che sarebbe successo.

E quando sarebbe successo, sarebbe stato speciale. A quel punto, Blaine capì di essere una di quelle persone che preferiscono rimandare un grande piacere, godendosi ogni istante dell'attesa, della trepidazione e dell'eccitazione che li separano da quel momento, finchè non è più possibile trattenersi oltre.

Dei passi affrettati sulle scale lo distrassero da quei pensieri e Kurt comparve sulla soglia della cucina: il profumo chimico della lacca si mescolò a quello burroso e speziato delle patate arrosto. Blaine si trattenne a stento dal corrergli incontro, abbracciarlo stretto e accarezzargli la schiena.

“Ciao, sei arrivato.” si scambiarono un saluto veloce, assai più formale di quanto davvero desiderassero, e aiutarono Carole a preparare le ultime cose, chiacchierando del più e del meno.

Mentre gli passava i bicchieri, Blaine sfiorò il polso di Kurt e non ci fu bisogno di parlare per intendersi. Ore e ore di lezioni di letteratura in cui non potevano fare altro che guardarsi avevano insegnato ad entrambi come comunicare anche senza pronunciare ad alta voce i loro pensieri.

Sono agitato. E tu sei bellissimo.

Kurt, concentrato sul fantasma di quel tocco, dispose sul tavolo anche il pane, e quando si urtarono nei dintorni del forno, rispose aggrottando le sopracciglia.

TU sei bellissimo. E andrà tutto bene.

Quando si unirono a loro anche Burt e Finn, la cena finalmente ebbe inizio. Si parlò delle prove del Glee Club, del trasferimento alla Brown di Blaine, degli impegni diplomatici di Burt e del matrimonio sfumato da Finn e Rachel.

“Che cosa pensa dei matrimoni omosessuali, signor Hummel? So che ormai diversi stati stanno compiendo passi decisivi verso l'eguaglianza.” domandò Blaine, mentre Finn sparecchiava e Carole prenderva il dolce dal frigorifero.

“Penso che il giorno in cui mio figlio amerà qualcuno abbastanza da volerlo sposare, sarà un giorno davvero felice solo se nessuno gli impedirà di farlo. E lo stesso vale per te, Blaine. Nessuno ha il diritto di giudicare l'amore altrui, né impedire a qualcuno di celebrarlo. In conclusione, posso dirti che farò ogni cosa in mio potere perchè questo avvenga.” Burt rispose con una tale spontaneità e semplicità, che il cuore di entrambi si gonfiò di affetto, orgoglio e tenerezza; si scambiarono uno sguardo fugace, domandandosi silenziosamente se quando quel giorno sarebbe arrivato, avrebbero avuto l'altro al loro fianco.

Magari un giorno l'avrebbero saputo.

Quando Burt notò che la fetta di cheesecake di Kurt era praticamente intatta, capì che c'era qualcosa che non andava; a quel piccolo, forse insignificante indizio, si aggiunse l'agire nervoso di Blaine, che continuava ad avvolgersi un ricciolo intorno all'indice. All'ennesimo, impercettibile, cenno tra i due, i suoi dubbi divennero certezza: stava per accadere qualcosa, solo che al momento non sapeva con certezza che cosa.

Aprì la bocca, pronto a chiedere che diavolo stessero nascondendo, quando Kurt, con un gesto secco, appoggiò la forchetta sul piatto del dolce e gli disse, serio come mai prima: “Papà, io e Blaine abbiamo bisogno di parlarti. È importante.”

A quella dichiarazione, Blaine sgranò gli occhi, ma immediatamente abbandonò la forchetta sul tavolo e ingollò il boccone di torta che aveva appena messo in bocca; quando Burt lo guardò, annuì convinto per confermare le parole di Kurt e spinse indietro la sedia, togliendosi il tovagliolo dalle gambe.

“Meglio andare in salotto.” aggiunse saggiamente. Burt assottigliò le palpebre e inclinò la testa, sforzandosi di decifrare la situazione; lentamente, un pensiero si formò nella sua mente, e capì che, se aveva ragione, era decisamente meglio affrontare la cosa seduto comodamente in poltrona.

“Già, meglio andare in salotto. Scusateci un istante.” disse a Finn e Carole, che stavano osservando la scena senza dire nulla. I tre si alzarono e uscirono dalla stanza, dirigendosi verso la stanza adiacente. Carole si voltò verso Finn, che si strinse nelle spalle e bisbigliò: “Non me lo chiedere, non ho idea di cosa stia succedendo.”

Lui e Carole sparecchiarono in silenzio, con le orecchie tese incuriosite verso il salotto, dove Blaine e Kurt si erano accomodati sul divano, uno accanto all'altro; Burt invece era sprofondato sulla poltrona imbottita posizionata davanti a loro ed era rimasto silenziosamente in attesa. Quando capì che la situazione non si sarebbe sbloccata tanto rapidamente, provò a dire: “Allora ragazzi... non state per dirmi che c'è qualcun altro che dà noia a Kurt durante le ore di lezione, vero?”. Almeno avrebbe escluso fin da subito la peggiore delle ipotesi; fortunatamente, entrambi negarono con un cenno della testa.

E allora cosa dovete dirmi? Non possiamo certo rimanere qui tutta la sera e guardarci in faccia, giusto?” rispose un poco spazientito da tutta quella suspense.

I ragazzi si voltarono uno verso l'altro e Kurt si avvicinò impercettibilmente a Blaine, che allo stesso tempo aveva appoggiato la mano sopra la sua; quello che accadde poi fu rapido, anche se non precisamente indolore. Blaine abbassò un istante la testa e chiuse gli occhi, quasi riflettendo sulle parole migliori per condividere con Burt la notizia per cui gli avevano chiesto di sedersi in salotto; uno sforzo inutile, considerando che erano giorni che ci pensava invano, senza arrossire o sudare in modo imbarazzante anche solo all'idea. Ma forse i recenti eventi l'avevano cambiato più di quanto volesse ammettere, perchè Blaine sapeva che qualcosa di così bello non meritava di essere nascosto, né di essere descritto diversamente da quello che era.

Alzò il capo e incrociò lo guardo di Burt, seduto sulla poltrona con i gomiti appoggiati sulle cosce e le sopracciglia corrucciate, quasi più per l'attesa che per una reale preoccupazione; quando finalmente parlò, non c'era incertezza nella sua voce, ma orgoglio. Strinse più forte la mano di Kurt e si buttò, senza paura.

“Sono innamorato di Kurt, signore.” tornò a guardare Kurt, con gli occhi appena lucidi di emozione.

Kurt non fece caso a suo padre, né a Finn e Carole che origliavano dalla cucina, ma si incatenò a quello sguardo; aggrappato com'era agli occhi fieri e adoranti di Blaine, non si rese nemmeno conto di aver parlato a sua volta.

“E io amo lui, papà.”

Un fiato di voce, una manciata di secondi, e la verità era lì. Fresca di novità, era rotolata dalle loro labbra fino a terra, e ora, ai piedi di Burt, attendeva paziente di essere raccolta dalle sue mani callose.

Per essere scagliata altrove, forse.

O forse per essere protetta, coccolata e compresa, come Kurt e Blaine osavano sperare. Lo guardarono con il fiato sospeso e il cuore che batteva lentamente, con ogni singola pulsazione che gli rimbombava nelle orecchie; come al rallentatore, Burt battè le mani sulle ginocchia per poi stringerle, infine si lasciò cadere con un sospiro contro lo schienale della poltrona. Kurt solitamente riusciva a leggere il significato di ogni espressione del viso di suo padre, ma questa volta era come sforzarsi di decifrare un foglio completamente bianco.

Impossibile.

Passarono diversi secondi, quando si decise a rispondergli; non potevano saperlo, ma Burt aveva preso una decisione molto chiara in merito a quello che gli avevano appena detto. Lui e Carole avevano capito già da tempo che qualcosa stava accadendo, sentirselo dire non era stato un fulmine a ciel sereno.

“Conosco abbastanza Kurt per sapere che non mi presenterebbe mai un ragazzo senza essere certo della serietà dei sentimenti che nutre nei suoi confronti. E conosco abbastanza te, Blaine, per capire che non sei il tipo di persona che si prende una sbandata per uno studente e mette a repentaglio la sua carriera e la sua reputazione per quello che reputa un banale flirt. Dunque si tratta di una cosa seria, altrimenti non sareste mai venuti a dirmelo, giusto?” disse pensieroso, domandando conferma.

“Sì, papà.” confermò Kurt. Blaine gli strinse la mano più forte, prima di parlare a sua volta.

“Devo confessarle che in principio ho combattuto quello che stava nascendo tra di noi, ma questo... sentimento è stato più intenso della mia forza di volontà, qualcosa che si è sviluppato ed è cresciuto senza che nemmeno me ne rendessi conto. Cercavo qualcuno come Kurt praticamente da sempre e quando l'ho trovato mi sono innamorato di lui nel più sincero e incontenibile dei modi.”

“Non me ne stupisco, Kurt è un ragazzo straordinario. Sono suo padre, chi può saperlo meglio di me.” rispose Burt, colpito dalla vibrante onestà delle parole di Blaine più di quanto volesse ammettere. Non aveva desiderato altro per Kurt, se non la felicità e un ragazzo che ricambiasse intensamente i suoi sentimenti.

“Da quanto...” chiese, sfregandosi il mento tra le dita.

“Da dopo le vacanze di Natale. Circa.” Kurt sapeva che suo padre non sarebbe stato troppo felice nello scoprire che erano già mesi che lui e Blaine stavano insieme, ma voleva essere sincero. Dopotutto, non gli avrebbe mai creduto se gli avesse detto che si erano appena scoperti innamorati ed erano immediatamente corsi a confessarglielo.

“Sono quasi cinque mesi. Non è poco tempo.” commentò, portò le mani dal mento alla nuca, che grattò per un istante. “Tra un mese finisce la scuola. Tra quattro mesi Kurt si trasferisce a New York e tu alla Brown. Che cosa avete intenzione di fare?”

Burt Hummel era un uomo pratico. Se si amavano, era sciocco e ingiusto tentare di separarli, il pensiero non l'aveva nemmeno sfiorato; Kurt era visibilmente più felice da quando Blaine era entrato nella sua vita, per lui questo era più importante di qualsiasi convenzione sociale.

“Ne abbiamo parlato e abbiamo deciso che nessuno dei due può chiedere all'altro di rinunciare ai suoi progetti di vita. Per ora vogliamo stare insieme e trascorrere l'estate portando avanti la nostra storia, poi decideremo se una relazione a distanza è davvero una possibilità concreta, per noi.”

Sentire Blaine dirlo ad alta voce, di fronte a qualcuno di tanto importante quanto suo padre, gonfiò il cuore di Kurt. Si sentiva così adulto, in quel momento.

“E' un ragionamento molto concreto, direi che mi trovo pienamente d'accordo con voi. Sono felice che abbiate deciso di rendermi partecipe, alla fine. Ma ora mi trovo a chiedervi... perchè? O meglio, che cosa vi aspettate che faccia, ora che lo so anche io. E Carole ovviamente.”

Kurt guardò Blaine, che spalancò appena le labbra, sorpreso. In effetti, non avevano pensato bene a che cosa si aspettavano sarebbe successo, nel caso in cui Burt avrebbe approvato la loro relazione.

“Ragazzi, è innegabile che mi state mettendo in una situazione complessa, anche se solo per un mese. Qui nessuno ha sentito il bisogno di precisarlo, ma Blaine, tu sei il professore di Kurt. Suppongo che per Kurt abbandonare il tuo corso non fosse una possibilità, così come per te lo era licenziarti, ma converrete con me nel definire la situazione... complicata, ecco.”

Blaine non si sentiva nella posizione di chiedere nulla, così tacque; Kurt ci riflettè un poco, poi parlò: “Dato che a scuola e in pubblico non possiamo comportarci come tali, mi piacerebbe che qui a casa io e Blaine fossimo trattati come una coppia. Niente di strano... sederci a guardare la televisione insieme, magari studiare, invitare un poco più spesso Blaine a cena.”.

Burt chiuse gli occhi e sospirò.

“Con te non è mai semplice, vero Kurt? Sarai la mia rovina... Cene, televisione e studiare? Si può fare. Ma se volete essere considerati una coppia, allora dovete anche accettare le mie regole. Kurt, devi smetterla di sgattaiolare fuori la sera raccontandomi che vai da Rachel o Mercedes. Ho incontrato i signori Berry la scorsa settimana e ho scoperto che i pigiama party non sono frequenti tanto quanto mi hai fatto credere. Ci sono gli esami finali, voglio che tu sia concentrato sullo studio.”

Kurt arrossì fino alla punta delle orecchie e annuì, colpevole, senza tentare di giustificarsi. Blaine cominciò lentamente a scavare una fossa immaginaria in cui nascondersi; i genitori di Sebastian erano molto liberali e nel periodo in cui aveva frequentato la sua casa non aveva mai dovuto affrontare discorsi simili. Era tutto nuovo, per lui.

“E ovviamente, nelle rare occasioni in cui Blaine entrerà nella tua camera, la porta rimarrà aperta. E se in casa non c'è nessuno, rimarrete al piano terra. In cucina, in salotto o nel giardino sul retro, a vostra scelta.” elencò Burt, ormai perfettamente calato nei panni di padre alle prese con un nuovo fidanzato. “Ho avuto anche io vent'anni, Blaine. Siamo tra adulti, quindi non prendiamoci in giro, ok? Se qualcosa succederà, non sarà in camera di Kurt mentre io e Carole guardiamo A modern family seduti sul divano, chiaro?”

Le orecchie di Kurt presero fuoco, quando esclamò: “Se qualcosa succederà? Papà, ma è ridicolo, noi nemmeno abbiamo mai...”. Poi s'interruppe, prima di dire qualcosa di cui poteva pentirsi, meglio non rendere partecipe suo padre della loro vita di coppia fino a quel punto.

“Ridicolo o meno, gli opuscoli sono ancora nella tua scrivania... per quanto tu rimanga sempre il mio bambino, ti consiglio caldamente un'attenta rilettura.” aggiunse suo padre a bassa voce, come se Blaine non potesse capire a che cosa si stava riferendo di preciso.

“Papà!” Kurt era esasperato e sorpreso dalla piega che la situazione sembrava aver preso, ma era anche confortato dal fatto che suo padre li stava trattando esattamente come si era immaginato il primo incontro tra lui e il suo primo fidanzato. Era rassicurante.

“E, ovviamente, sei in punizione per le bugie che hai detto. Puoi anche avere diciotto anni, ma vivi ancora sotto il mio tetto. Da domani, per due settimane, regime duro. A te l'onore poi di spiegare a Blaine in cosa consiste.” concluse Burt.

Al ragazzo sfuggì un lamento e Blaine capì che non era possibile contrattare, con Burt Hummel. Ringraziò il cielo di essere ancora seduto sul divano e di non essere stato costretto a correre a zig zag per il loro giardino.

“Ora andate, prima che cambi idea.” Si alzò dalla poltrona e si avviò verso la cucina, dove Carole lo attendeva bramosa di dettagli. I ragazzi si guardarono, completamente privi di energie, e si lanciarono in un lungo abbraccio di sollievo; Blaine avrebbe voluto baciarlo, ma non era ancora certo che quello fosse concesso nel regime duro di punizione di Kurt. Stretti com'erano, e intenti a mormorarsi parole di rassicurazione e affetto, non videro Carole e Burt che li guardavano dalla soglia della cucina, nè videro come Carole accarezzava lentamente la schiena di Burt, che li osservava con gli occhi pieni di lacrime. Forse era commosso, forse era felice. Era complicato spiegarlo, ma al momento preferiva abbandonarsi a quella sensazione e lasciarsi travolgere.

“Vieni, andiamo sul retro.” Kurt si alzò e afferrò la mano di Blaine, costringendolo ad alzarsi. Il giardino di casa Hummel era semplice, ma curato: circondato da una semplice staccionata bianca, consisteva in un prato all'inglese e alcune aiuole, cui Carole si dedicava nel tempo libero. I due sedettero sui gradini del patio, con Kurt appoggiato al petto di Blaine, accoccolato tra le sue gambe.

“Regime duro, quindi?” Era senza parole.

“Cellulare solo a scuola, auto solo per andare e tornare dalle lezioni, niente riviste e niente computer. Mi tocca preparare la colazione per tutti e devo andare a lavorare al negozio nel weekend. Niente uscite con gli amici. Al massimo possono venire a trovarmi, ma non possiamo guardare la televisione o niente di divertente, solo studiare sul tavolo della cucina.” recitò Kurt, rassegnato. Gli era capitato raramente di essere messo in punizione, ma ogni volta se l'era meritato: una volta aveva saltato la scuola per andare a Columbus e vedere uno spettacolo teatrale, un'altra volta aveva speso più di millecinquecento dollari in shopping online. Suo padre non era severo, ma sapeva punirlo, quand'era necessario.

“Quindi saremo relegati al piano terra, giusto?” commentò Blaine divertito, massaggiandogli le spalle con delicatezza.

“Ovvio.” sbottò Kurt. “E scusami per prima, mio padre è stato fuori luogo. E' stato più imbarazzante del necessario.”

Blaine aggrottò le sopracciglia: “A cosa ti riferisci?”

“Alla porta chiusa. Nemmeno aspettassimo ogni momento opportuno per... ecco, capito?” Le guance di Kurt si arrossarono di nuovo, mentre aspettava che Blaine dicesse qualcosa al riguardo. Gli sarebbe bastato sapere che non vedeva l'ora di avere una porta che li dividesse dal resto del mondo e sarebbe stato sufficiente, ma Blaine non lo accontentò.

“Non c'è problema, dopotutto non c'è tutta questa fretta, no?” rispose tranquillo, accarezzandogli la nuca.

A quel punto, sull'onda delle emozioni di quella serata e ubriaco di sollievo, Kurt non si trattenne più: “Sono davvero così poco attraente che è così facile aspettare? Non ti viene mai voglia di... strapparti i vestiti e lasciarti andare?” Non appena lo disse, si sentì stupido; eppure, desiderava lo stesso una conferma da Blaine. Voleva sentirsi dire che era irresistibile, che stava solo aspettando un cenno, che... non sapeva nemmeno lui che cosa voleva sentirsi dire, ma lo voleva adesso. Sentì Blaine chinarsi verso di lui e baciarlo delicatamente sul collo, poi parlare tenendo le labbra vicine alla pelle che aveva appena sfiorato. Istintivamente, Kurt chiuse gli occhi.

“Sto aspettando il momento giusto.” sussurrò piano. “Non la persona giusta, Kurt. Il momento.”

“Davvero lo desideri veramente?”

“Non essere sciocco, è ovvio che voglio fare l'amore con te. Ma non in fretta... non subito. Prima voglio tenerti per mano e voglio abbracciarti affondando il viso nel tuo collo, esattamente come ora. Voglio baciarti ancora sotto questo il portico quando passo a prenderti per portarti fuori a cena e sentire la tua testa sulla spalla quando siamo seduti insieme al cinema. Voglio farti il solletico fino a farti lacrimare gli occhi, voglio farti ridere, voglio coccolarti; voglio tutto quanto da te, l'ho sempre detto. E non potrei mai cambiare idea, Kurt.” sussurrò sfregando la guancia contro la nuca di Kurt, inspirando il profumo di shampoo alla frutta e di lacca. “Voglio tutto, da te.”

“Tutto quanto?” gli chiese, quando le braccia di Blaine gli cinsero il busto e l'altro si appoggiò con il mento sulla sua spalla.

“Tutto quanto.” ripetè, con sicurezza.

Guardarono verso l'oscurità del giardino e rimasero in silenzio, con la mente piena di sogni, speranze e paure. E con la consapevolezza di essere cresciuti ancora un po', quella sera.

 

 

 

 

 

L'angolo di LieveB

 

Hola classe! Come andiamo?

E son 31! Non avrei mai pensato che la storia potesse raggiungere simili dimensioni ma... le cose hanno preso un tantino il sopravvento su di me. O meglio, la storia sta abusando di me e del mio scarso tempo libero, il che è un male per me e un bene per voi. Sempre che non abbia cominciato ad annoiarvi, allora è un male anche per voi e vi chiedo scusa. Soprattutto perchè poi i capitoli si stanno allungando esponenzialmente... quindi se la storia non vi piace più è una vera tortura!

 

Per chi invece continua ad apprezzarla... beh, un caloroso grazie! E' davvero fantastico vedere che anche a così poco dalla fine c'è sempre qualcuno che la ritiene abbastanza buona da aggiungerla ai preferiti! ^_^ Quindi ancora... grazie! Oggi sono ripetitiva.

E grazie anche a tutti coloro che mi lasciano un segno del loro passaggio e condividono con me le sensazioni che il capitolo gli ha lasciato. Come sapete in questi giorni sono davvero molto presa: sto leggendo tutte le recensioni, ma purtroppo non ho il tempo di sedermi al pc e rispondervi per bene. Sarà mia cura farlo non appena ne avrò la possibiltà, nel frattempo vi ringrazio tutti di cuore, perchè è davvero sempre un grandissimo piacere leggere quello che mi scrivete.

 

Dato che l'ho scritto su FB, lo scrivo anche qui. Con mia grande tristezza, JC volge quindi al termine (4-5 capitoli, epilogo compreso, che ho già scritto) e nuove prospettive devono aprirsi. Mai fermarsi, giusto?
Quindi, nell'ordine:
1) Dopo la fine di Just...complicated, vestirò il lutto per una sola settimana. Il lunedì rimarrà il giorno degli aggiornamenti delle ff della sottoscritta.
2) Riprenderò ad aggiornare Klaine and The City, ma questo ve lo avevo già detto.
3) In contemporanea, comincerò a pubblicare una delle due storie che sto preparando. Una è una Klaine a basso (nullo!) contenuto di angst: ci saranno arcobaleni, zucchero filato e unicorni, sparsi su cinque capitoli. Sarà breve e divertente, spero. Tanto lo sapete che la mia specialità non è far ridere (quella spetta a Medea00), anzi, per la verità non ho proprio nessuna specialità, ma son dettagli.
L'altra ff è la kurtastian di cui vi ho parlato un bel po' di tempo fa, la quale sta lentamente prendendo forma. Ho in mente alcune scenette che vi faranno adorare quella povera anima di Sebastian. Almeno, spero. Autostima, portami via.
4) Io e la moglie tra un mesetto o poco più inizieremo a pubblicare la nostra fanfiction a 4 mani. Argomento Klaine, impostazione e contenuti particolarissimi: a detta della moglie, unisce la sua ironia e simpatia alla mia... ehm... com'è che era Fra? Siamo comunque molto molto eccitate dall'idea.
5) Dimenticavo! Oltre alla Seberic, in questa mia capoccia si sono balenate un paio di OS sempre appartenenti al Complicated Verse: arriveranno. Non so quando, ma arriveranno.

A proposito della prossima long-klaine (cinque capitoli fanno una long? Non ne sono sicura), sulla mia pagina FB ho pubblicato qualche indizio e qualche spoiler... se vi andasse di passare e unirvi alle speculazioni, vi lascio il link.

 


Vi ricordo poi che lunedì prossimo non ci sarà il capitolo n.32, causa discussione della tesi, ma pubblicherò la OS SebEric di cui vi avevo parlato... a mo' di regalo per festeggiare un pochino con voi la fine del mio percorso universitario.


Un applauso a chi è arrivato a leggere fino in fondo!
BTW... vi adoro tutti.

A presto,

LieveB

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentaduesimo ***


Capitolo trentaduesimo

 

Dopo quella sera, come era prevedibile, Burt rimase fedele alle sue parole, proibendo a Kurt l'uso di internet, dell'auto e del cellulare, rendendo la sua vita una noia mortale; tuttavia anche Blaine non fu da meno nel mantenere quanto promesso a Kurt. Se studiare seduti al tavolo della cucina di casa Hummel era tutto quello che il ragazzo poteva concedergli in quel momento, lui era deciso a non lamentarsene, ma piuttosto avrebbe approfittato di ogni momento per stare con lui: puntuale, fin dal primo giorno di punizione si era presentato ogni pomeriggio davanti alla sua porta, con un plico di documenti sotto il braccio e due tazze di caffè del Lima Bean strette tra le mani.

Se Kurt e Blaine non vanno al Lima Bean, sarà il Lima Bean a venire da loro.” disse sorridendo, sollevando le mani per mostrare trionfante quello che aveva portato; Kurt aspettò di essere al riparo da occhi indiscreti per abbracciarlo stretto, in muto ringraziamento.

Studiare in presenza di Blaine, senza la distrazione di Sebastian che guardava la televisione o le chiacchiere dei clienti della caffetteria, si rivelò particolarmente efficace: con la mano di Blaine stretta nella sua, o l’interno del suo avambraccio disponibile come tela di infiniti disegni tracciati con la punta delle dita mentre ripassava, i pomeriggi di studio volavano.

Se già essere fidanzato con uno studente poteva essere una terribile monotonia (niente cinema, niente ristorante, niente clubs...), essere fidanzato con uno studente in punizione poteva essere ancora peggio: fortunatamente, Blaine sembrava aver preso bene la situazione e questo faceva sentire Kurt meno in colpa. Inoltre, non solo il professore sembrava aver accolto positivamente i cambiamenti imposti dallo stretto regime di Burt: Eric e Sebastian erano più che felici di avere l'appartamento a propria disposizione, dato che passava molto tempo a casa Hummel, fermandosi talvolta anche a cena.

Forse, non poter andare a Lima Bean con Kurt ogni pomeriggio era un piccolo prezzo da pagare, se in cambio poteva tuffarsi sui manicaretti di Carole e strizzargli l’occhio mentre Burt distribuiva il dolce: essere lì, con Burt che lo guardava burbero e paterno, lo faceva sentire a casa. Certo, ovviamente gli mancava avere Kurt che gli dormiva accoccolato addosso sotto le coperte, con la schiena appoggiata contro il suo petto e i capelli arruffati in cui affondare il viso, ma Blaine stava imparando a conoscere un nuovo tipo di intimità da condividere con lui. Forse meno travolgente e passionale, ma sicuramente coinvolgente.

E tutto sommato, si trattava solo di resistere un paio di settimane, poi ci sarebbe stato il viaggio a New York, in cui avrebbero trascorso un po' di tempo insieme prima che Kurt volasse a Chicago per i Nazionali di canto corale: Blaine poteva sopportare, mancava poco. In fondo a quel tunnel di divieti, la prospettiva di quella vacanza rifulgeva più luminosa che mai, un’appetitosa oasi in un deserto fatto di compiti e genitori maniaci del controllo.

Premio che era purtroppo strettamente connesso all’approvazione di Burt, al momento ancora del tutto ignaro dei loro progetti insieme: Blaine cominciava a essere preoccupato e non perdeva occasione per ricordare a Kurt che ormai mancavano pochi giorni al provino.

Glielo chiederò stasera, promesso.” gli sussurrò Kurt mentre erano seduti sul patio che dava sul giardino posteriore, dopo l’ennesima lamentela di Blaine al riguardo. Burt non sapeva della loro intenzione di andare insieme alla conquista della NYADA e della Grande Mela, ma Kurt continuava a rimandare e i tempi si facevano sempre più stretti.

E il prezzo dei biglietti aerei continuava a lievitare a vista d'occhio, con grande preoccupazione di Blaine, che di certo non navigava nell'oro, ultimamente.

Promesso?” lo incalzò, appoggiando la spalla contro quella di Kurt, spingendo piano e con aria complice. Sapeva che sarebbe stato difficile affrontare l’argomento, ma il ragazzo aveva rifiutato la sua proposta di essere presente quando avrebbe parlato a suo padre; dato che era stata una sua idea, sosteneva che fosse sua responsabilità illustrargliene le argomentazioni.

Promesso. Ti manderò un sms dal cellulare di Finn per farti sapere come è andata.” gli aveva risposto, sfregandogli il naso contro il collo e beandosi qualche istante del profumo familiare della colonia di Blaine. Solo qualche istante, perché le luci del patio cominciarono a lampeggiare frenetiche, accendendosi e spegnendosi mentre qualcuno all'interno si schiariva rumorosamente la voce.

Credo che sia ora di andare.” commentò Blaine, ridacchiando per il sottile ammonimento di Burt. Quando furono sicuri di essere di nuovo soli prese il viso di Kurt tra i palmi delle mani e lo avvicinò al suo; prima di baciarlo, sussurrò qualcosa che fece ribollire il sangue nelle vene di entrambi.

Non vedo l'ora di essere da solo con te, a New York.”

Mentre Kurt ricambiava il bacio con entusiasmo, approfittando di ogni secondo concesso da suo padre, si sforzò di attribuire al fascino della città il brivido lungo la schiena scatenato da quelle parole. Non all'idea di dividere il letto con Blaine per una settimana intera.

O di poter stare insieme a lui alla luce del sole.

Aspetterò il tuo messaggio.” gli ricordò, prima di uscire dalla porta d'ingresso e dirigersi verso la sua auto, parcheggiata dall'altro lato della strada. Kurt rimase a osservarlo, appoggiato contro lo stipite della porta, finchè non scomparve alla vista. A quel punto, fece un respiro profondo, girò sui tacchi e si recò in salotto, dove Burt stava fingendo di leggere un libro che teneva appoggiato in grembo, mentre in realtà era profondamente addormentato; Carole, seduta accanto a lui, guardava distrattamente la televisione mentre compilava un cruciverba.

Non capirò mai come riesca a sprofondare tanto rapidamente nel sonno.” sussurrò lei a bassa voce, guardandolo da sopra gli occhiali da lettura che teneva calati sulla punta del naso. “Un attimo fa era incollato a quel maledetto interruttore della luce, ora invece dorme come un bambino.”

Kurt le sorrise e si accomodò sul bracciolo, sfilando il libro dalle mani di suo padre e raddrizzandogli il berretto; a quel tocco gentile, Burt si stropicciò gli occhi e raddrizzò la testa di scatto.

Sono sveglio!” disse, con un sussurro impastato dal sonno.

Bene, perché ho davvero bisogno di parlarti.” rispose Kurt, con la voce giusto un pizzico più entusiasta di quanto potesse permettersi. Era il tipico tono cui ricorreva quando doveva chiedergli qualcosa, e Burt impiegò meno di un secondo per riconoscerlo.

La punizione non si sospende.” sbottò burbero, togliendo le gambe dal tavolino e massaggiandosi le ginocchia indolenzite.

Non si tratta di questo, papà. Volevo chiederti se per l'audizione... sai, a New York... dato che sarebbe al termine del regime duro e ormai sai la verità su me e Blaine...” cominciò a elencare confusamente, senza arrivare al punto. Ormai aveva tutta l'attenzione di Burt, che lo osservava poco convinto.

Dillo e basta, figliolo. Risparmiaci questa agonia.” tagliò corto, scambiando un’occhiata complice con Carole, seduta accanto a lui con il cappuccio della Bic stretto tra i denti.

Vorrei che fosse Blaine ad accompagnarmi al provino.” sputò fuori, con un coraggio che non sapeva di possedere. Ora che l’aveva detto ad alta voce, si rese conto che forse suo padre non sarebbe stato d’accordo.

C'è un motivo in particolare per cui non vuoi più andare con i genitori di Rachel?” chiese Burt, aggrottando la fronte. Avevano prenotato il volo e l'aereo non appena erano arrivate le lettere di entrambi i ragazzi. I signori Berry si erano dimostrati più che disponibili a occuparsi anche di Kurt.

No. E' solo che vorrei passare un po' di tempo con Blaine senza preoccuparmi troppo delle apparenze e dei pettegolezzi. Niente di strano, solo passeggiare mano nella mano o prendere un gelato.” rispose arrossendo. Fingere che la loro fosse una relazione normale.

Essere solo Kurt e Blaine, anche se per pochi giorni.

Mi dispiace Kurt, ma la mia risposta è no. L'aereo è prenotato, la tua camera d'albergo con Rachel anche e tutto andrà come previsto.” rispose secco, allungando di nuovo le mani verso il libro.

Ma papà!” protestò Kurt scattando in piedi, senza rendersi conto di quanto la sua lamentela sembrasse infantile. Con un sospiro, Burt gli fece cenno di sedersi di nuovo e di darsi una calmata.

Qualche giorno fa mi hai chiesto di trattare Blaine come il tuo fidanzato, non come il tuo professore di letteratura, giusto? E io non credo che tu sia pronto per stare con lui una settimana intera, in una città che non conosci e soprattutto non in un'occasione tanto importante. Voglio che tu vada con i genitori di Rachel, che ti concentri sul tuo provino e sulle varie prove che dovrai affrontare. Non stai andando a New York per passeggiare e mangiare gelato, Kurt; stai andando a scommettere sul tuo futuro, non puoi permetterti distrazioni, o te ne pentirai per il resto della tua vita, se qualcosa dovesse andare storto.”

Spiegò con pazienza, ma Kurt sembrava non volerlo ascoltare.

Fai così solo perché hai paura che ci siano pettegolezzi!” lo accusò. Burt lo squadrò, deluso da quell'affermazione, dettata più dalla frustrazione per il rifiuto che da una vera convinzione.

Non dire sciocchezze, se mi preoccupassi davvero dei pettegolezzi e non della tua felicità allora le cose in questa casa sarebbero molto diverse. E poi, Blaine è un tuo professore, nessuno a scuola troverebbe nulla da ridire se ti accompagnasse. In ogni caso, la conversazione è chiusa. Fila a letto, è tardi.” Burt liquidò la questione con un gesto della mano.

Ma…” Kurt, di nuovo in piedi, provò a intervenire, ma Burt lo interruppe prima che potesse dar voce alle sue proteste.

Avrai tempo quest’estate per goderti Blaine, ok? Potrete andare insieme a New York per cercare un appartamento da dividere con Rachel, oppure potreste andare qualche giorno alla casa sul lago. La penso come te, vi meritate di trascorrere del tempo insieme senza preoccuparvi delle apparenze. Ma quando le acque si saranno calmate, senza sotterfugi e senza bugie.” Carole, si appoggiò una mano sul petto, stringendo la penna, e annuendo commossa.

Kurt non disse nulla e lasciò la stanza, ma nonostante fosse furibondo capì le ragioni di suo padre; questo comunque non serviva a lenire la frustrazione dovuta alla delusione. Arrivato in camera di Finn, afferrò il suo cellulare senza troppi preamboli e scrisse velocemente un messaggio a Blaine, come promesso, poi filò a letto, con le guance che scottavano per l’insuccesso della conversazione con Burt.

 A qualche chilometro di distanza, appoggiato sul tavolino del salotto, l’Iphone di Blaine vibrò silenziosamente, attirando l’attenzione di Sebastian, sprofondato sul divano con Eric stretto tra le braccia. Dato che Blaine non era lì, Sebastian si mosse per allungare le dita fino ad afferrarlo, guadagnandosi un mugugno scocciato da Eric, mezzo addormentato con addosso la sua felpa di Harvard; ovviamente lo ignorò, pizzicandogli un fianco solo per il gusto di svegliarlo del tutto.

Blaine! Telefono!” Lo chiamò alzando il cellulare con un braccio e agitandolo in aria; l’amico sbucò di corsa dalla cucina, tuffandosi letteralmente su Sebastian per strappargli il telefono dalle mani e leggere quello che Kurt gli aveva scritto. La delusione si dipinse sul suo viso immediatamente, facendogli lanciare il telefono sulla poltrona ed emettere un gemito demoralizzato.

Maledizione.” Gli altri lo guardarono confusi mentre si passava una mano tra i capelli, ma non chiesero nulla; quando Blaine si trascinò fuori dal salotto, si strinsero nelle spalle e si voltarono di nuovo verso il televisore.

Non avrei mai detto che la vita delle api potesse essere tanto interessante.” Disse Sebastian, bevendo un sorso di birra.

E non siamo ancora arrivati alla produzione del miele!” trillò entusiasta Eric, che ora sembrava più che felice di avere interrotto il suo pisolino. Ignorarono Blaine anche quando fu di ritorno una mezz'ora più tardi: lo guardarono appena mentre afferrava il telefono e lasciava di nuovo la stanza a grandi passi.

In sostanza, Blaine si sentiva un perfetto idiota, tanto per cambiare: si era illuso che almeno questo progetto sarebbe andato in porto, ma non aveva fatto i conti con Burt Hummel. Conoscendolo già da tempo, avrebbe dovuto immaginarsi che non avrebbe dato la sua benedizione; scocciato, afferrò il calendario che teneva sulla scrivania, vicino ai compiti da correggere, e controllò quando finalmente avrebbe potuto godersi la compagnia di Kurt.

Sdraiato a pancia in giù sul letto con la pagina del mese di Maggio davanti agli occhi, calcolò rapidamente che lui e Kurt avrebbero trascorso più di tre settimane separati, o quasi: due settimane di punizione, una settimana a New York con i signori Berry, qualche giorno a Chicago con le New Directions, accompagnato da Schue ed Emma. Scoraggiato, lanciò senza troppe cerimonie il calendario, che cadde a terra; rotolò sulla schiena e chiuse gli occhi, stringendosi un cuscino al petto. Solo il pensiero dell'imminente fine della scuola riusciva a dargli la forza di tenere duro.

Per poco, pensò anche di chiedere a Schuester di far parte del gruppo di docenti che avrebbero accompagnato il Glee Club della scuola a Chicago, ma sarebbe sembrato troppo sospetto: nonostante l'amicizia che aveva stretto con lui ed Emma, non si era mai dimostrato troppo interessato alle loro attività canore. Nonostante morisse dalla voglia di sentire Kurt cantare, sapeva che la sua presenza avrebbe messo entrambi in difficoltà; inoltre Will sembrava piuttosto perspicace e non faceva che chiedergli di organizzare un appuntamento a quattro con Emma.

Uno sguardo di troppo tra lui e Kurt sarebbe stato sufficiente per attirare l'attenzione e provocare sgradite insinuazioni. Un peccato, perchè nelle rare occasioni in cui le Nuove Direzioni si erano esibite davanti a tutta la scuola, Kurt l'aveva colpito per il suo innegabile talento.

Si concesse di sbuffare ancora una volta nel più infantile dei toni, poi si spogliò e strisciò sotto le coperte con addosso solo i boxer: si addormentò rapidamente, anche se il profumo di Kurt sul suo cuscino era ormai quasi impercettibile. Quella notte non sognò granchè, fatta eccezione per un terribile incubo in cui era inspiegabilmente un'ape operaia inseguita da un'enorme ape regina che brandiva una chiave inglese e indossava un berretto; scalciò indietro le coperte e maledisse il polpettone di Carole, cui attribuì la colpa del sonno agitato.

I sogni di Kurt furono più tranquilli, ma ai piedi del suo letto c'era un foglio scribacchiato rapidamente, in cui la data del 28 Maggio era scritta a grandi lettere: anche lui, come Blaine, aveva fatto quattro conti, per poi buttarsi a letto e piagnucolare un po'.

 Il giorno seguente, al termine della lezione, Kurt si fermò in classe per raccontare a Blaine i dettagli della sua conversazione con Burt. Un misero messaggino dal cellulare di Finn era davvero troppo poco per liquidare la questione.

E comunque gli ho detto che era un'idea mia.” aggiunse alla fine, quando terminò di riportargli parola per parola quello che si erano detti. “Almeno così la tua immagine perfetta non sarà minimanente intaccata, agli occhi di mio padre.”

Kurt, sono il tuo professore e gli ho detto che io e te stiamo insieme da mesi. Ti posso assicurare che la mia immagine è già intaccata ed è ben lontana dalla perfezione.” ribattè lui, ironico.

Quindi, in conclusione... ancora una settimana di punizione, i provini di New York e i Nazionali a Chicago. Con un po' di fortuna, se non succede nulla nel frattempo, per il 28 di Maggio potremmo avere occasione di trascorrere del tempo insieme lontani dalla cucina di casa mia e da quest'aula del McKinley.” rispose Kurt, sconsolato.

E quella sarà la settimana degli esami finali, quindi tu sarai preso dallo studio e io dalla preparazione dei compiti e dalla loro correzione.” rincarò Blaine. “Credo che fino al primo weekend di Giugno non potremo allontanarci troppo da banchi, cattedre e tavoli della cucina, nemmeno volendo.”

Senza dimenticare gli incontri del nuovo gruppo LGBT, che mi impegnerà due pomeriggi a settimana a partire da domani.” sbuffò Kurt, ficcando furibondo i libri nella tracolla, appoggiata sul primo banco, davanti alla scrivania di Blaine. Perfino la prospettiva di prendere parte al progetto di Blaine ed Emma lo infastidiva, ora che sapeva di quanto tempo li avrebbe privati. “Quest'anno il Prom di Brittany sarà una vera boccata d'aria. Al diavolo i dinosauri, ballerò con le ragazze fino a farmi girare la testa. E se Puck sarà abbastanza ubriaco, gli strapperò anche un lento.”

Non c'era bisogno di dirlo, sapevano entrambi che avrebbe preferito ballarlo insieme, quel lento; Blaine rise all'idea di Noah, completamente sbronzo, che si lasciava stringere da Kurt sulle note di qualche canzone sdolcinata. Poi realizzò qualcosa di fondamentale.

Ovviamente il prom cade proprio il primo weekend di Giugno, quindi direi che anche quel sabato sera è già impegnato.” Quando Kurt aprì la bocca, pronto a rinunciare al ballo, Blaine lo fermò. “Non pensarci nemmeno, è il tuo Senior Prom. Non lo dimenticherai mai e capiterà una volta sola. Anche se sarai senza accompagnatore, sarà qualcosa che ti segnerà per sempre, in un modo o nell'altro.”

In cuor suo, sperava che l'esperienza si rivelasse più gradevole dell'unico ballo cui avesse mai partecipato; ma era difficile che potesse essere peggiore, quindi Blaine era fiducioso, al riguardo.

Vorrei che fossi tu, il mio accompagnatore.” disse Kurt, improvvisamente serio.

Kurt...” cominciò a dire Blaine, pronto a spiegargli, come se fosse necessario, perchè non era possibile. Anche se l'avrebbe voluto.

Lo so, lo so... studente, professore...” rispose Kurt, frustrato. Poi si ricordò improvvisamente di qualcosa, aprì la borsa ed estrasse una scatola, incartata con cura. “L'ho preso qualche giorno fa, ma poi tra la punizione e il resto non ho più avuto occasione di dartelo. È un regalo per te.”

Allungò la confezione a Blaine, che si alzò per prenderla e scartarla sorpreso.

Bretelle, Kurt?” commentò dopo aver aperto la scatola e accarezzato il paio di bretelle rosso fiammante che conteneva. “Dio, non avrò mai il coraggio di metterle, ma sono bellissime!”

Entrambi ridacchiarono.

Chissà, magari un giorno... uno che ha avuto il coraggio di dire a Burt Hummel che amava suo figlio potrebbe trovare anche quello per indossare delle bretelle alla luce del sole, no? Scommetto che alla Brown ne andranno tutti pazzi.”

Quello che accadde dopo, accadde molto velocemente. O forse accadde lentamente, ma a Kurt e Blaine sembrò una manciata di secondi. Forse fu pensare alla Brown, forse fu l'idea di non poter accompagnare Kurt al prom, forse furono le bretelle o forse aveva semplicemente voglia di farlo: Blaine appoggiò la scatola sulla cattedra e baciò Kurt sulle labbra.

Non fu passionale.

Fu un bacio denso, colmo di parole non dette, di significati sottintesi e di desideri inespressi. Forse durò poco, perchè anche se mossi dall'impulsività, sapevano che c'era solo una porta a dividerli dal resto del mondo. Una porta che poteva essere facilmente aperta.

E quando accadde, Kurt registrò a malapena gli eventi successivi a quel bacio. Seduto a terra, nel bagno abbandonato, ricordò confuso le parole pronunciate dal professor Schuester mentre entrava nell'aula con le mani cariche dei programmi degli incontri del gruppo LGBT che Emma gli aveva affidato perchè li portasse a Blaine. Accoccolato sul pavimento, con la testa stretta tra le ginocchia, non aveva idea di quello che lui e Blaine avevano risposto mentre si scioglievano rapidamente da quell'abbraccio che li stringeva. Ricordava solo di aver afferrato la sua borsa, di essere maldestramente inciampato nei suoi piedi mentre girava intorno a Schue tenendo gli occhi bassi e di essere crollato proprio lì dove si trovava ora, con il cuore che batteva a mille.

Non era il solo ad avere qualche difficoltà nel capire che cosa era successo: Will si era ritrovato da solo con Blaine tanto rapidamente che per qualche istante pensò di essersi immaginato la presenza di Kurt e la sua immediata fuga. Poi, il mucchio di volantini che aveva lasciato cadere a terra per la sorpresa, lo sguardo preoccupato e colpevole di Blaine lo riportarono nel presente e tutto si fece chiaro nella sua mente; si voltò, chiuse la porta che Kurt aveva lasciato spalancata e tornò a guardare il collega, che nel frattempo si era seduto.

Blaine... puoi spiegarmi che cosa ho appena visto? Perchè se è davvero quello che credo, non mi piace affatto.” disse con voce seria, rimanendo in piedi, a pochi passi dalla cattedra. La punta di disgusto con cui pronunciò quella domanda non sfuggì a Blaine, che si riscosse immediatamente.

Will. Io e Kurt... è complicato.” cominciò a spiegare.

 

L'angolo di LieveB

Buonasera a tutti! Ormai siamo proprio agli sgoccioli. Direi che uno-due capitoli, più l'epilogo e abbiamo finito.

Vi ringrazio tutti per la pazienza e per le decine di mp che mi avete scritto per farmi gli auguri di laurea o per dirmi "in bocca al lupo", siete stati fantastici. Fortunatamente è andato tutto veramente, veramente bene e ora sono più attiva che mai per scrivere. A proposito, per chi se la fosse persa, ho pubblicato una OS divisa in due parti dedicata a Sebastian ed Eric; è proprio una cosina, scritta giusto per dare un pizzico di chiarezza sulle circostanze in cui si sono conosciuti. Vi lascio il link qui, il titolo è più bello della storia in sè, il che è tutto dire.

"When Sebastian meets Eric. A Just Complicated Interlude."

Per quanto riguarda la storia... vi dico solo che Schue prenderà parte a uno dei miei momenti preferiti in assoluto di questa ff, uno dei primi che ho immaginato quando ho pensato a come scriverla. Non vi dico se sarà bello o triste, ma sarà intenso. Spero davvero che possa piacervi.

Su New York, so che qualcuno (tutti?) non apprezzerete la decisione di Burt di negargli il permesso di partire insieme; ci ho pensato un bel po', ho anche consultato gli amici della Glee Family per risolvere i miei dubbi. Alla fine, per quanto fossi tentata dall'idea di scrivere di loro insieme nella Grande Mela, ho pensato che fosse più realistico che Burt negasse la sua benedizione a questo viaggio. Spero che non mi ucciderete troppo, per questo.

Un abbraccio,

LieveB

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo trentatreesimo ***


Capitolo trentatreesimo

Chiusa la porta, il professor Schuester scavalcò il mucchio di fogli che aveva fatto cadere e appoggiò entrambe le mani sulla cattedra, dietro la quale Blaine era seduto, impietrito dal timore di dire la cosa sbagliata e convincere William che era compito di Figgins chiarire la situazione.

Avvenimento che Blaine si augurava di riuscire a evitare, dal momento che il preside era un perfetto idiota e che fin dai primi giorni di scuola non aveva preso in particolare simpatia il giovane professore troppo esigente e rigoroso. Probabilmente si sarebbe divertito un mondo a dipingerlo davanti a tutta Lima come un educatore perverso, per poi licenziarlo senza battere ciglio.

E' complicato?” L'altro ripetè in tono di furibondo scherno quello che Blaine aveva appena balbettato; le nocche delle dita che stringevano il ripiano di legno della scrivania erano quasi bianche per lo sforzo di trattenersi dall'afferrare Blaine e scuoterlo fino a ottenere una risposta. “Sei fuori di testa, Blaine?”

William era senza parole per la sorpresa, ma come Burt, aveva imparato a conoscere Blaine e voleva aspettare prima di saltare a conclusioni affrettate o prendere decisioni di cui poteva pentirsi. Ma il collega teneva gli occhi bassi e non sembrava aiutarlo a non pensare il peggio.

Blaine?” provò a chiamare la sua attenzione, a distrarlo dai pensieri su cui sembrava rimuginare.

Ti ricordi quando a San Valentino mi hai chiesto di uscire a cena con te ed Emma?” rispose di punto in bianco. Perplesso, Will annuì in silenzio, sforzandosi di capire in che direzione andassero le parole di Blaine.

Non ho voluto che Emma mi combinasse un appuntamento perchè sarei rimasto con Kurt, quella sera. Mi dispiace che tu l'abbia scoperto così, avrei voluto che le cose andassero diversamente.” concluse, alzando lo sguardo e incontrando quello dell'altro, che lo fissava con occhi spalancati.

Mi stai dicendo che questa... questa cosa va avanti da febbraio? Da più di quattro mesi?” ribattè, in tono amaro e sconvolto. Non sapeva perchè era ancora lì, in quella stanza, e non se ne era andato, ora che aveva la confema dei suoi primi sospetti: il professor Anderson, il ragazzo che aveva imparato a conoscere nel corso dei mesi, aveva una relazione con uno studente. E non uno a caso, ma proprio con Kurt.

Quando Blaine percepì chiaramente il disprezzo nelle parole dell'altro, alzò il viso di scatto e strinse i pugni, precisando a denti stretti quello che aveva appena detto: “Quello che sto cercando di dirti, è che sono innamorato di lui. È diverso.”

Schuester allentò la stretta delle dita dal piano della cattedra e prese a camminare avanti e indietro, sotto gli occhi attenti di Blaine; si passò una mano tra i capelli e dopo poco si fermò, voltandosi verso di lui e allargando le braccia, rassegnato.

Non puoi, Blaine. E' uno studente, noi professori non possiamo intrattenere rapporti che vadano oltre alcuni limiti precisi, con questi ragazzi. È sbagliato.” Lo disse con un tono comprensivo, ma fermo e colmo di disapprovazione. Blaine inclinò la testa e si lasciò sfuggire una risatina amara.

Ok, certi limiti. Vogliamo parlare del fatto che hai chiesto a Finn Hudson di essere il tuo testimone di nozze? E che gli hai detto a chiare lettere che è uno dei tuoi migliori amici? Forse non hai una relazione con Santana, o con Mercedes, ma anche tu hai superato da tempo il sottile confine che distingue un insegnante da un confidente o un amico. Per quei ragazzi sei molto di più di un educatore, e in questo non c'è nulla di sbagliato.” rispose.

William spalancò la bocca, pronto a ribattere, ma sapeva che quello che Blaine aveva detto era vero. Riflettè sulle sue parole per poco, poi gli sbattè in faccia il dettaglio che apparentemente gli stata sfuggendo. Lo bisbigliò, come se dirlo a bassa voce potesse renderlo meno grave. O meno vero.

L'amicizia è una cosa ben diversa da una relazione, Blaine. È contro le regole.”

Così come è contro le regole amare un'altra donna quando sei sposato e tua moglie è incinta, però succede lo stesso. Non è vero, Will? Può succedere di combattere contro un sentimento e uscirne sconfitti, lasciare una persona ti si insinui sotto la pelle, anche se sai che è sbagliato e credi che sarebbe meglio per entrambi lasciar perdere.” Era evidente, parlava di lui ed Emma. Di come si erano innamorati quando William era ancora sposato e quando credeva che sua moglie fosse incinta. Aveva trovato la sua anima gemella e nonostante tutto fosse contro di lui, alla fine aveva ceduto a quel sentimento. “Invece a volte quello che sembra sbagliato è solo dannatamente complicato, ci spaventa, ci pone delle domande a cui non vorremmo mai rispondere e ci mette alla prova. Ci sei passato anche tu, Will. Me l'hai raccontato tu e me l'ha raccontato Emma. Sai che cosa significa provare qualcosa e sforzarsi di respingerlo, quando non vorresti fare altro che buttartici a capofitto.”

Schue si appoggiò con la schiena contro la prima fila di banchi, sconfitto dal discorso di Blaine, che stava parlando accorato e determinato, ma sincero. Gli sembrava così giovane, ora.

Avrebbero potuto chiamarti traditore, vigliacco o debole, ma tu sapevi la verità, sapevi che ti eri innamorato di un'altra e basta. Non è una decisione presa coscientemente, ma un sentimento con cui mi sono ritrovato a fare i conti. È tutto nuovo per me, ma so che è qualcosa di puro e qualcosa che vale la pena di vivere. Non mi convincerai del contrario, non ora che manca così poco alla fine della scuola e sono a un passo da poter vivere questa relazione alla luce del sole.”

Blaine, svuotato da quello sfogo, con il cuore che batteva a mille, afferrò i suoi libri e li ficcò bruscamente nella sua borsa, sotto gli occhi estereffatti di William, ancora intento a elaborare il significato delle sue parole. Quando spinse indietro la sedia, pronto ad alzarsi, l'altro finalmente parlò.

Aspetta, Blaine.” Schue si stava sfregando il mento con le dita della mano, con le braccia strette al petto mentre pensava su quale fosse la cosa migliore da fare. “Kurt è un ragazzo straordinario... ma ne ha passate tante. A volte mi sembra così fragile, non credi che si meriti una relazione più tranquilla, con qualcuno della sua età?” Non c'era aggressività in quella domanda e Blaine si trovò a rispondere più amaramente di quanto volesse, lasciando William di stucco.

Se credevi che fosse così fragile, perchè non hai mai mosso un dito per aiutarlo? Ne ha passate tante, ma avresti potuto impedirlo; eppure non hai fatto nulla. Forse è proprio per quello che invece Kurt tanto forte, più di me e più di te, che tanto ci affanniamo nel proteggerlo. Ma su una cosa posso darti ragione. È straordinario e ha scelto me, a discapito di tutto. Non è un bambino e ha preso la sua decisione, forse potresti fare ammenda a tutte le tue passate mancanze e lasciarlo essere felice.”

Blaine si alzò, passò la tracolla sulla spalla e riordinò le ultime carte. “Se non mi credi, se vuoi esserne sicuro, parla con lui. Ha diciotto anni, credo che sia perfettamente in grado di dimostrarti che non l'ho plagiato.”

Infilò un plico di fogli nel primo cassetto e aggiunse un'ultima frase, prima di andarsene: “Lo amo davvero. Ho passato gli ultimi anni a scappare da ogni problema, non portarmelo via, ora che ho deciso di fermarmi e smettere di correre.”

Schuester lo guardò abbandonare la stanza, poi si accucciò a terra per raccogliere il mucchio di volantini che Emma gli aveva affidato; stordito da quella conversazione, riuscì solo a tenere le mani impegnate, senza decidere su quale fosse la decisione migliore. Appoggiò il tutto sulla cattedra di Blaine, poi si avviò lungo il corridoio, diretto all'ufficio di Emma; la trovò intenta a sgranocchiare una carota mentre leggeva attentamente il fascicolo disciplinare di uno studente.

Ehi! Ma guarda chi c'è!” disse allegra, quando lo vide entrare. Ripose i documenti e incrociò le braccia sul petto, guardandolo sorridente mentre si sedeva. Quando notò l'espressione seria e grave sul viso del compagno, il sorriso si fece meno sincero.

Che cosa è successo?” domandò preoccupata.

Devo raccontarti una cosa, ho bisogno di un parere. Ma devi promettermi di tenere il massimo riserbo, qualunque sia la decisione che prenderò.” Accavallò le gambe e cominciò a parlare.

Blaine invece era alla ricerca di Kurt, che trovò, senza sorprendersi, nel bagno dove si erano incontrati per la prima volta. Non era seduto a terra, ma era in piedi davanti a uno dei lavandini e si stava asciugando le mani.

Che ha detto?” chiese gettando sconsolato gli asciugamani di carta nel cestino. “Siamo nei guai?”

Per ora no.” rispose Blaine, abbracciandolo stretto per qualche secondo. “Se William si comporterà come credo, terrà questa cosa per sé, ma prima di prendere una decisione vorrà parlarti. E sarà meglio per entrambi che tu sia convincente.” Aggiunse con un sorriso storto.

Kurt strinse le labbra e annuì, poi guardò Blaine compilare un foglio tenendolo appoggiato sulle piastrelle del muro del bagno: “Tieni, è una giustificazione per entrare in ritardo alla lezione di biologia. Ti accompagno in classe, poi torno al lavoro.”

Camminarono in silenzio fino all'aula e Blaine lo salutò stringendogli appena un gomito, sussurrandogli: “Andrà tutto bene.”




Kurt incontrò il professor Schue al Glee Club quel pomeriggio stesso, sia il giorno successivo in occasione di uno dei primi incontri del gruppo LGBT del liceo; seduto accanto a Rachel, guardò il professore entrare nell'aula e accomodarsi accanto a Emma. Inaspettatamente non sembrava avere fretta di parlargli e a Kurt questo andava benissimo: non trovava l'idea di affrontare l'argomento “Ho baciato un suo collega” particolarmente accattivante.

Durante il primo incontro furono i genitori di Rachel a tenere un piccolo discorso e un dibattito; raccontarono com'era stato essere omosessuali negli anni Ottanta, le difficoltà nello sposarsi e la decisione di avere una figlia. Alcuni dei presenti fecero domande intelligenti, altri si limitarono a tacere ed ascoltare un po' controvoglia, ma fondamentalmente l'idea di Blaine ed Emma si rivelò un successo.

Kurt, temendo che il professor Schuester volesse approfittare di quell'occasione per metterlo all'angolo, decise anche di non rimanere più del necessario. Una volta terminato l'incontro afferrò Rachel per un braccio e la trascinò con sé, balbettando qualcosa a proposito di una emergenza artistica: sentì gli occhi di Schue trapanargli la schiena, ma non si voltò.

Invece sfilò il cellulare da una tasca e telefonò a suo padre, per chiedergli il permesso di rientrare un'ora più tardi; quando spiegò che era strettamente necessario e che ne andava del suo futuro, Burt gli concesse una breve pausa dalla punizione, ma si riservò il diritto di monitorare costantemente i suoi movimenti.

Sì papà, io e Rachel abbiamo appena parcheggiato fuori dal negozio.”

Kurt spense il motore della Navigator con un sospiro esasperato, ignorando la risatina compiaciuta di Rachel. L'ingresso di “Between the sheets”, con la sua insegna metallica da quattro soldi e le vetrine impolverate, era a pochi passi da loro.

Sì, siamo solo io e lei.” Ripetè per l'ennesima volta nell'auricolare, scendendo dall'auto e aspettando di essere raggiunto dall'amica.

Tra un'ora sarò a casa, promesso.”

Sfilò l'auricolare e lo ficcò nella tasca dei jeans, poi seguì Rachel dentro l'unico negozio decente di musica della città.

Da quando tuo padre è così attento ai tuoi spostamenti?” commentò lei, mentre si avviavano verso il loro reparto preferito, con gli occhi già puntati su una precisa sezione di cd.

Da quando sono in punizione.” rispose lui, facendo correre le dita sugli spartiti dagli angoli arricciati o ingialliti. Si pentì di non aver portato con sé dell'Amuchina, o qualcosa di simile. Con un sospiro, realizzò che avrebbe portato tutta quella polvere con sé fino a casa.

Che hai combinato? Burt non mi sembra un tipo poi così severo.” Rachel stava impilando diversi fascicoli e non era poi così coinvolta nella conversazione, almeno finchè Kurt non le disse il motivo per cui era sottoposto al regime duro.

Per via di quel... ehm... ragazzo. Gliel'ho detto. Anzi, glielo abbiamo detto, e lui si è arrabbiato per le svariate bugie che gli ho raccontato.” Arrossì vistosamente, tenendo gli occhi puntati sullo scaffale. Non era ancora abituato a parlare di Blaine con Rachel e Mercedes.

Ovviamente l'altra buttò di lato tutti gli spartiti che aveva accumulato e si voltò verso di lui, estasiata: “Glielo avete detto insieme? Oddio Kurt... è così romantico! Dev'essere il ragazzo più dolce di sempre, se è sopravvissuto a un incontro con tuo padre. So che te l'ho già detto, ma non vedo l'ora di conoscerlo.”

Lui si strinse nelle spalle, un po' imbarazzato, e tornò a rivolgere la sua attenzione agli oggetti esposti; Rachel, ovviamente, non smise di blaterare.

Ma ora che la scuola sta per finire, perchè non lo inviti al prom? L'estate è alle porte, che ti importa dei pettegolezzi? Qualunque sia il motivo per cui tenete tutto segreto, tra meno di quattro mesi saremo a New York e Lima sarà solo un ricordo.” Lo afferrò per la manica e lo strattonò piano, giusto per sottolineare il concetto. Lui inorridì all'idea, sottraendo il braccio alla sua presa.

Tu, Rachel Berry, sei pazza. Non potrei mai chiedergli di venire al ballo con me. Cioè... sarebbe bello, ma non posso. E poi lui ha qualche problema con i balli in generale, non voglio metterlo in imbarazzo o creare problemi. È complicato, non puoi capire.”

E allora spiegati! Maledizione, sono una tua amica, perchè non vuoi condividere nulla con me?” sbottò lei, afferrando il mucchio di fogli e allontanandosi a grandi, drammatici, passi verso la zona anni Cinquanta. Kurt sbuffò, ma non la rincorse: erano venuti con la sua auto e litigavano ogni volta che mettevano piede in quel negozio. L'avrebbe lasciata sbollire per un po', poi sarebbe stata Rachel stessa a tornare da lui; s'immerse nella contemplazione degli spartiti. Ormai aveva deciso che il suo provino finale sarebbe stato un pezzo da un musical, ma ancora non sapeva scegliere tra il rischio e la sicurezza di un grande classico.

Scusami Kurt, posso disturbarti? Devo assolutamente sapere dove hai acquistato quella spilla.” Dall'alto lato dello scaffale, una vecchia conoscenza stava attirando la sua attenzione. Prima che potesse rispondergli, Chandler non solo si complimentò per la sua spilla, ma anche per il suo intero outfit: girò intorno allo scaffale e in un battito di ciglia prese a favoleggiare, come suo solito, su loro due a New York e sui più grandi musical di sempre.

Era innegabile che il suo entusiasmo fosse contagioso, ma Kurt fu felice di aver chiarito da tempo di non essere interessato a lui in quel senso: il fiume di messaggini imbarazzanti si era interrotto immediatamente e Chandler si era rivelato una conoscenza piacevole, con cui non gli dispiaceva chiacchierare di tanto in tanto, quando si incontravano al negozio.

Era un ragazzo particolare, che era riuscito inspiegabilmente a farsi spezzare il cuore da ogni ragazzo gay dell'Ohio, ma che nonostante questo, e innumerevoli relazioni intrattenute online e bruscamente concluse, non sembrava mai perdere la sua allegria. Presi com'erano dalla reciproca confessione dei propri timori circa i provini, nemmeno videro Rachel raggiungerli e guardare affascinata il nuovo arrivato come una creatura leggendaria, proveniente da Narnia o da Pandora.

A Kurt servirono una manciata di secondi per capire che cosa stava accadendo dietro quel frangettone scuro, nei profondi meandri della mente di Rachel: aveva identificato Chandler come il ragazzo del mistero. E non poteva darle torto, dopotutto era la prima volta che lo beccava a chiacchierare con un ragazzo nel bel mezzo del negozio, senza contare che il ragazzo in questione era terribilmente invadente e sembrava incapace di parlare con qualcuno senza toccarlo o afferrarlo.

La sua espressione imbarazzata e il totale disinteresse di Chandler per il rispetto dello spazio personale altrui davano l'impressione che si conoscessero da tempo e che Kurt non volesse la presenza di Rachel. Naturalmente, la ragazza ignorò completamente l'invito di andarsene tacitamente sussurrato dalle sopracciglia aggrottate di Kurt e allungò la mano per presentarsi.

Rachel. Sono la migliore amica di Kurt. Ma ovviamente ti avrà già parlato di me.”

Neppure quella sottile allusione servì a chiarire l'equivoco, perchè Chandler prima le strinse la mano, poi squittì sovraeccitato: “Sì! Certo! Me l'ha detto che era qui con te a fare acquisti per il provino alla NYADA! Da quanto mi ha detto sei bravissima! Non vedo l'ora di sentirti cantare, Kurt si è lasciato sfuggire che ai Nazionali farai un assolo.”

Kurt si trattenne a stento dallo sbattersi il palmo della mano sulla fronte: aveva accennato di essere lì nel negozio con un'amica e in passato aveva raccontato a Chandler della tendenza di Rachel ad accaparrarsi tutti gli assoli, ma messa così sembrava che gli avesse parlato per ore del talento di Rachel e dei suoi variopinti interessi. Lei si voltò verso di lui con una espressione in viso che diceva a chiare lettere: “Oh. Mio. Dio. Lo adoro già.

Stava per aprire la bocca e trovare un modo qualunque per dire a Rachel che era solo un conoscente e che non era il fidanzato del mistero, quando lei tornò a guardare Chandler e disse qualcosa che bloccò il cuore di Kurt.

Scommetto che questo furbetto non ti ha detto che tra un paio di settimane ci sarà il ballo della scuola al McKinley, non è vero?” ammiccò con tono complice. Il ragazzo si portò una mano al petto e spalancò la bocca, fingendosi sorpreso. Almeno, Kurt sperò che stesse fingendo, perchè era dai tempi del cinema muto che nessuno gesticolava in modo tanto caricaturale.

Oh no, cara. Non mi ha detto proprio nulla.”

Ed era vero. Non gli andava giù l'idea di raccontargli che sarebbe andato al ballo da solo, o che forse non ci sarebbe andato affatto; insomma, non erano affari suoi, ecco. Stava per precisarlo, ma non fu abbastanza veloce. Così, attonito, non riuscì a impedire che l'inevitabile accadesse.

Probabilmente perchè non ha il coraggio di invitarti, ma secondo me tu saresti più che felice di accompagnarlo, non è vero?” Gli strizzò l'occhio, convinta di aver aiutato Kurt a dar voce a un desiderio inespresso. A quel punto fu davvero a un passo dal mettersi a gridare, ma poi, nel rispondere a quella domanda di Rachel, la voce di Chandler s'incrinò: “Sarebbe un piacere immenso poterlo accompagnare. Nella mia scuola ho sempre fatto l'addetto al guardaroba e nessuno mi ha mai invitato... sono l'unico gay dichiarato, perfino i miei amici preferiscono tenersi alla larga, in occasioni come questa.”

Rachel, comprensiva e commossa, gli afferrò una mano e la strinse tra le sue.

Sono sicura che andrà tutto bene e che vi divertirete. Per evitare problemi diremo che siete amici, così, qualunque sia la tua... situazione, non ci saranno domande inopportune. Io e Mercedes non sappiamo molto, però ti prometto che terremo la bocca chiusa, così come abbiamo fatto fino a ora.” disse accorata, mentre Chandler tirava su con il naso e cercava di darsi un contegno. A quel punto, Kurt non se la sentì di ritirare l'invito di Rachel, tuttavia avanzò una precisazione, che almeno avrebbe chiarito a quel ragazzo i termini della cosa.

Giusto. Come amici. Perchè non c'è altro.” Si affrettò a dire, proprio mentre Chandler guardava stranito Rachel e stava per domandare il motivo di una simile aria di cospirazione. Alle parole di Kurt, si voltò sorridendo e con gli occhi un po' lucidi.

Come amici. Sì, mi piacerebbe.”

Bene. Ora noi andiamo... hai il mio numero, quindi... ecco, ci sentiamo per i dettagli, va bene?” Kurt prese Rachel per un polso e la trascinò fuori dal negozio, del tutto dimentico degli spartiti che aveva programmato di acquistare. Quando furono in auto, controllò sul display del cellulare di avere ancora abbastanza tempo per portare Rachel a casa e rientrare entro l'orario stabilito da suo padre, poi le diede la lavata di capo che si meritava.

Grazie davvero, sei la migliore amica del mondo.” disse a denti stretti, mentre innestava la retro.

Lo so. Senza il mio provvidenziale intervento non avresti mai trovato il coraggio di invitarlo al ballo. Anche se ci andate come amici, per salvare le apparenze, che importa? Almeno starete insieme. Senza dimenticare che è stato romanticissimo usare Between The Sheets come pied-à-terre per un rapido incontro con il tuo biscottino biondo e che...” Il fiume di smancerie era inarrestabile, ma questa volta Kurt fu più determinato, anche grazie all'assenza di un Chandler commosso in piedi davanti a lui.

Maledizione Rachel! Quello non è B... quello non è il mio ragazzo, l'ho conosciuto per caso l'anno scorso lì nel negozio e quando ci incontriamo scambiamo sempre quattro chiacchiere. Non è nemmeno un amico, è giusto un conoscente.” sbottò, svoltando bruscamente a destra.

Oh.” disse lei, sorpresa. Rimase a rimuginare un poco su quella recente scoperta. Poi ripetè di nuovo quel verso, con maggiore coscienza del danno che aveva appena fatto.

Ooooh... Kurt! Ma perchè non me l'hai detto?” Lo riprese, cambiando nervosamente la posizione sul sedile. Lui si voltò di scatto.

Perchè non mi hai dato il tempo di dirlo! E mi sono ritrovato con quel poveretto a un passo dalle lacrime, quando gli hai detto che volevo invitarlo! Pensi che io sia un mostro? Come potevo dirgli che preferivo andare da solo piuttosto che con lui?”

Lei si morse un labbro e raccolse le gambe al petto, sconsolata; rimase in silenzio fino a quando Kurt non accostò davanti a casa sua, senza spegnere il motore.

Mi dispiace Kurt, credevo di aiutarti. Se mai avrò l'opportunità di parlare con il tuo vero ragazzo, ricordami di chiarire tutto con lui e di assumermi tutta la colpa di questo pasticcio. Spero che non se ne abbia a male.” disse aprendo la portiera.

In che senso?”

Beh... non so per quale motivo lui non ti accompagni o tu non voglia chiederglielo, ma in ogni caso non sarà particolarmente felice di sapere che vai al prom con un altro, no?” Spiegò lei, come se fosse ovvio.

Maledizione, Kurt non ci aveva pensato.

Con un sospiro, guardò Rachel andarsene, poi guidò verso casa, dove Blaine l'avrebbe raggiunto con il solito caffè e un sacchetto pieno di biscotti all'avena stretto tra i denti.

Kurt si chiese se tra di loro le cose sarebbero mai state semplici, poi aggiunse mentalmente una nuova voce alla sua lista dei desideri:

Uccidere Rachel Berry nel sonno e farlo sembrare un incidente.”




nda

E siamo agli sgoccioli! Nel prossimo capitolo... NYADA, nazionali e un pizzico di Eric. Poi, Prom ed epilogo.

Non vedo l'ora che questa ff finisca, ho il bisogno fisico di vederla conclusa, ahahahah!

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattresimo ***


Capitolo trentaquattresimo

 

Kurt si era appena seduto al tavolo della cucina, spargendo libri, quaderni e spartiti intorno a sé, preso dallo sconforto e dalla paura: la tensione, che gli provocavano gli esami finali, il provino della NYADA e le Nazionali con le Nuove Direzioni, era quasi insostenibile. Da giorni stava studiando tutte le materie, ripassando i testi delle canzoni per l'esibizione a Chicago e programmando i pezzi da portare al suo provino, il tutto contemporaneamente: era sfiancato. Senza contare che ora doveva anche confessare a Blaine di Chandler e del provvidenziale intervento di Rachel, sperando che l'altro non interpretasse la cosa nel peggiore dei modi.

E come dimenticare il professor Schuester e l'imbarazzante conversazione che prima o poi avrebbero dovuto affrontare? Kurt si passò una mano tra i capelli, lasciandosi sfuggire un sospiro frustrato e chiedendosi da quando, esattamente, la sua vita fosse diventata tanto complicata ed estenuante.

Si era seduto da poco davanti a quella montagna di carte, ancora indeciso a quale impegno dedicarsi per primo, quando Blaine suonò il campanello: in perfetto orario come sempre, aveva portato due tazze della miglior miscela del Lima Bean e un sacchetto di biscotti integrali, tutto per Kurt. Più, ovviamente, qualcosa di unto e ripieno di cioccolato per sé; nonostante Blaine avesse coraggiosamente combattuto il ribrezzo che nutriva nei confronti di quei biscotti sabbiosi, ancora non riusciva ad apprezzarli veramente. O preferirli a un muffin farcito con crema alle nocciole.

Lo sbaffo a un angolo delle labbra tradiva infatti la sua imperitura passione per il cioccolato e per gli spuntini consumati in auto, spargendo briciole ovunque senza il minimo ritegno. Ovviamente, a Kurt sembrò bellissimo, perfino con il labbro superiore golosamente impiastricciato.

“Ciao Kurt, come è andata con il professor Schuester?” chiese premurosamente, scivolando dentro casa e passando a Kurt una delle tazze. Blaine non aveva pensato ad altro per il resto della giornata, consapevole che sarebbe stata una conversazione imbarazzante, ma decisiva per aiutare William nel giudicare la loro relazione. Aveva incontrato il collega in aula professori e gli era bastato uno sguardo per capire che anche Emma sapeva tutto; lei gli aveva sorriso ma non aveva detto nulla, limitandosi a granocchiare una delle sue carotine. William invece era apparso pensieroso, profondamente immerso in elucubrazioni che Blaine non faticava a immaginare; confidava che Kurt, quel pomeriggio avesse fatto la sua parte nel convincerlo a tacere ed era ansioso di sapere come era andata.

Tuttavia non aveva fatto i conti con i programmi di Kurt.

Dato che non aveva idea di quale sarebbe stata la reazione di Blaine alla rivelazione circa il suo accompagnatore al Prom, Kurt decise di approfittare fin da subito dell'assenza di Finn nella casa per baciarlo. Dopotutto, Burt non aveva detto nulla sui baci pre-studio, quindi non stavano davvero infrangendo le regole. E la porta della cucina era aperta, esattamente come richiesto da suo padre, che purtroppo non si era ricordato degli ultimi allenamenti di football di Finn e del settimanale appuntamento di Carole con il Club del Libro.

Per farla breve, erano soli.

Kurt aspettò che anche Blaine avesse appoggiato il suo cappuccino sul tavolo e la tracolla a terra, poi colmò la breve distanza che li separava e lo baciò, afferrandolo quasi di sorpresa per il bavero della giacca: solo in quel momento si era reso conto della fame che gli aveva lasciato addosso l'interruzione del mattino. Dopo un primo momento di sincero stupore, Blaine avvolse Kurt tra le braccia e lasciò che il suo corpo reagisse alle attenzioni di Kurt, calandosi in un bacio che profumava di caffè, cioccolato e desideri inespressi.

“Aspetta forse Finn...” protestò allontanandosi appena, sforzandosi di ragionare.

“Allenamenti.” rispose Kurt, intrecciando le dita sulla nuca di Blaine e attirandolo di nuovo verso di sé, impaziente.

“Ma Carole...” bofonchiò contro le labbra insistenti del ragazzo.

“Club del libro.” sussurrò di nuovo, mettendolo a tacere con un altro bacio.

Con le dita che correvano lungo la schiena dell'altro, sotto la camicia o sfiorando l'orlo dei jeans, persero il conto dei minuti che trascorsero stretti e persi, appoggiati all'anta del frigorifero; solo i rumori delle automobili che sfrecciavano fuori, lungo le vie del quartiere residenziale, interrompevano quello del fruscìo di tessuto stropicciato da mani impazienti e dello schiocco di labbra affamate, intente a scivolare le une sulle altre.

A interrompere la foga in cui erano caduti, senza quasi rendersene conto, furono i passi pesanti di Finn nell'ingresso, che urlò un saluto veloce mentre saliva le scale trascinando con sé il pesante borsone dell'attrezzatura sportiva. Kurt e Blaine si districarono l'uno dall'altro e rimasero a guardarsi per un istante, con il fiato corto e la punta delle dita che pizzicava per il desiderio di riprendere quello che avevano interrotto.

“Forse è meglio che ci sediamo.” propose Blaine. “Il caffè potrebbe raffreddarsi.”

Kurt annuì, ma una volta al tavolo, mentre Blaine estraeva i suoi appunti dalla valigetta, non cominciò ad aprire uno qualunque dei libri che lo stavano attendendo, impazienti di essere studiati.

“Ho bisogno di parlarti di una cosa.” disse, mordendosi il labbro.

“E' per il professor Schuester, vero? E' andata tanto male?” Lo sguardo preoccupato di Blaine esprimeva chiaramente la sua agitazione al riguardo. Poteva anche fingere sicurezza, ma sapeva che la decisione di William non era minimamente soggetta al suo controllo, né a quello di Kurt.

“No. In verità io... l'ho evitato. Ho saltato il Glee e dopo l'incontro sono andato via subito. Non ce l'ho fatta a rimanere, però domani lo fermerò e gli dirò come stanno davvero le cose. Non voglio che pensi male o che si faccia l'idea sbagliata, però oggi davvero non ho avuto il coraggio di affrontarlo.” Rispose Kurt, sinceramente.

Blaine era sorpreso, ma capì che poteva essere difficile, quindi non disse nulla, se non: “Era di questo che volevi parlarmi allora? Non devi preoccuparti, penso che ormai le cose peggio di così non possano andare, sono solo felice che sia stato William e non qualche altro professore, o addirittura uno studente. Siamo stati proprio imprudenti e...” cominciò a ragionare, dando voce alle sue preoccupazioni.

“No, non è questo.” Lo interruppe Kurt. “Si tratta del ballo di fine anno.”

“Spero che tu abbia abbandonato l'idea di non partecipare. Lo sai quello che penso, è un'esperienza importante, non voglio che rinunci solo perchè io non ti posso accompagnare e sarò costretto a sorvegliare il punch per tutta la serata...”

“Non sarò solo. Ho un accompagnatore.” disse improvvisamente Kurt. “Un ragazzo.”

“Oh, è un'ottima notizia. E di chi si tratta? È uno dei tuoi amici del Glee?” domandò Blaine, sorpreso dalla notizia.

“Si tratta di Chandler, un ragazzo che vedo di tanto in tanto al negozio di musica. Anche lui andrà a New York a settembre e spesso chiacchieriamo di quello che faremo quando ci trasferiremo, oppure di musica. Di moda, anche. Apprezza molto gli abbinamenti che faccio con i vestiti.”

Preso com'era dal tentativo di dipingere Chandler come un conoscente, al più come un amico, Kurt non precisò come esattamente le cose fossero andate tra di loro e come si fosse ritrovato Chandler come accompagnatore.

“Aspetta, questo è un modo per dirmi che... Quello che stai cercando di farmi capire è che...” Blaine non ebbe il coraggio di terminare la frase, né di domandarlo ad alta voce. Ma lo voleva sapere, questo era ovvio: voleva sapere se Kurt avesse deciso che un ragazzo della sua età, privo di vincoli di sorta e con più interessi in comune, fosse miglior compagnia di un professore di letteratura che da settembre in poi avrebbe abitato a chilometri e chilometri di distanza dalla Grande Mela.

Avrebbe potuto capirlo, ma allora non si spiegava quel bacio disperato che si erano scambiati poco prima. O forse era stato un bacio d'addio, e nemmeno l'aveva capito?

Resistette alla tentazione di saltare a conclusioni affrettate, combattendo l'istinto di alzarsi e andare via, per evitare di sentire qualcosa di sgradito.

“No!” Kurt sgranò gli occhi e afferrò la mano di Blaine, che era sbiancato e già si stava preoccupando a morte, sforzandosi di interpretare quello che Kurt gli aveva appena confessato. “Quello che volevo dire è che Rachel ha pensato che lui fosse il mio ragazzo, quello che tengo nascosto, e che si è impicciata invitandolo al ballo della scuola chiedendogli di essere il mio accompagnatore. Pensava che non avessi il coraggio di fare da me la proposta e ha pensato bene di farla al posto mio.”

Blaine smise di trattenere il fiato e ascoltò il resto di quello che Kurt aveva da dirgli.

“Volevo dire che era una pessima idea, ma lui era talmente felice che non ho avuto il cuore di rimangiarmi l'invito di Rachel. Però ho chiarito che saremmo andati insieme solo come amici, riesco a reggerlo solo a piccole dosi, pochi minuti per volta. Passarci insieme una serata intera sarà un disastro, ma forse sarà meglio che trascorrere tutto il tempo a sbavare dietro al giovane professore di letteratura.” concluse Kurt, strizzandogli l'occhio.

“Quello appostato dietro al punch, che si sforzerà di non fissare tutta la sera il bellissimo studente di letteratura inglese?” Scherzò di rimando Blaine, con il cuore più leggero.

“Esatto, proprio lui.”

Dopo averlo rassicurato, Kurt lo baciò piano sulle labbra, affascinato dal modo in cui gli occhi di Blaine si erano spalancati per la preoccupazione. In quel momento avrebbe dato qualunque cosa per essere certo di non perderlo mai, per convincerlo a non lasciarlo, anche quando sarebbe stata dura.

“E ho anche avuto un'idea per convincere Schue a tenere la bocca chiusa.” disse complice.

“Mi fido del tuo istinto. E... Kurt?” chiese Blaine. “Sei proprio sicuro che quel Chandler non...”

“Non gli permetterei mai di baciarmi sulla punta del naso. Nè dividerei con lui i miei amati biscotti.” rispose Kurt, pronunciando quelle parole in un tono decisamente più serio di quanto fosse davvero necessario. Risero entrambi e finalmente rivolsero la loro attenzione ai libri sparpagliati sul tavolo, tenendosi per mano mentre leggevano.

Il giorno successivo, Kurt non aspettò che il professor Schuester lo avvicinasse prima della lezione con il Glee Club, ma attese sulla soglia dell'aula prove: non appena lo vide entrare, lo fermò, impaziente.

“Professore, so che ci sono delle domande che vuole rivolgermi. E so che sarebbe una conversazione difficile per entrambi, perciò voglio mettere quello che ho da dirle dentro in una canzone. Se poi avrà ancora qualcosa da chiedermi, parleremo.”

Schue, preso in contropiede dalla sua improvvisa intraprendenza, annuì e gli chiese se volesse farlo immediatamente; Kurt disse che preferiva farlo nell'auditorium. Non gli confessò che Blaine l'aveva sentito cantare in rarissime occasioni e che voleva fosse presente almeno quella volta, seduto nelle ultime file del teatro. Disse semplicemente che era un pezzo importante, che meritava di essere cantato nel teatro.

Seduto su un semplice sgabello nero, al centro del palcoscenico immerso nell'oscurità, con le gambe accavallate e il microfono stretto tra le mani, Kurt chiuse gli occhi e si concentrò per qualche istante, mentre gli amici si accomodavano sui sedili delle prime file. Quando riaprì gli occhi, vide subito Blaine, che era appoggiato allo stipite di una delle porte in cima alle scale, con le braccia incrociate sul petto.

“Ragazzi, questa canzone la voglio dedicare a una persona speciale. Qualcuno che per me significa moltissimo, qualcuno a cui non sono ancora pronto a dire addio. Qualcuno a cui forse non lo dirò mai, se mi permetterà di continuare a far parte della sua vita e rendere la mia straordinaria con la sua presenza. Questa è per te.”

Mentre le note d'apertura di I have nothing di Witney Houston cominciavano a diffondersi nell'atmosfera raccolta e intima dell'auditorium, i ragazzi si guardarono interrogativi, chiedendosi di chi stesse parlando. A eccezione di Mercedes, Rachel e Finn, nessuno aveva idea che Kurt fosse innamorato di qualcuno al punto di dedicargli una canzone tanto intensa. Nonostante la curiosità, furono catturati dalla voce di Kurt e si lasciarono trasportare dalla sua commozione: se avevano dubbi circa l'identità della persona cui la canzone era rivolta, non potevano averne sul sincero affetto che Kurt sembrava nutrire nei suoi confronti. Ogni singola parola vibrava per la passione, il trasporto e l'ardore con cui abbandonava le sue labbra: chiunque, ascoltando quella canzone e il fervore cui era intrepretata, avrebbe capito che era destinata a qualcuno di davvero fortunato.

E non sfuggì nemmeno a Blaine, con il cuore che sussultava a ogni sguardo di Kurt, a ogni gesto delle sue mani, a ogni respiro nel microfono. In quel momento, appoggiato a quella porta, nascosto agli occhi dei presenti, decise che avrebbe sopportato ogni distanza necessaria, pur di non perdere quella sensazione.

E il ragazzo in grado di fargliela provare.

Con le luci di nuovo accese, Kurt si concesse solo uno sguardo verso il fondo dell'auditorium, dove Blaine era ancora in piedi, fermo e immobile; quando Blaine si allontanò la punta delle dita dalle labbra e applaudì silenziosamente, gli accennò un timido sorriso accompagnato da un fugace cenno d'assenso, poi tornò a dedicarsi agli altri. Mentre tornavano in aula, Kurt rimase apposta in fondo al gruppo, così che Schuester potesse parlargli, se lo desiderava; non si stupì, quando il professore lo affiancò, lasciando che tra loro e gli studenti si creasse una distanza sufficiente perchè non sentissero la loro conversazione.

Era chiaro, William era davvero preoccupato che questa relazione fosse qualcosa di sbagliato, ma sapeva bene che Blaine non era il tipo di persona che si approfittava degli altri e che Kurt non era uno sprovveduto. Se non era un gioco, se era qualcosa di serio, allora avrebbe ascoltato il consiglio di Emma e non avrebbe ostacolato un sentimento sincero; la domanda che stava per rivolgergli era solo una conferma, avrebbe dovuto essere cieco e sordo per non capire quello che Kurt aveva cercato di comunicargli con quella canzone.

Allora è questo quello che pensi? E' questo quello che provi davvero per... per lui?” domandò a bassa voce, con la voce colma di preoccupazione, appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendo piano, sforzandosi di fargli sentire il suo sostegno, qualunque fosse la risposta. Risposta che già poteva immaginare, ma che aveva bisogno di sentire.

“Sì.” rispose, con tutta la decisione e la determinazione di cui era capace. Dal sorriso sincero che si dipinse sul volto del professore, capì di averlo convinto.

“Allora sono felice per te, Kurt.” Sciolse la stretta dalla sua spalla e battè una pacca amichevole sulla sua schiena.

 

***

“Ha detto davvero così?”

Gli occhi di Blaine brillavano per la felicità, lo stupore e la speranza. Kurt era davanti a lui, ancora in piedi in mezzo alla cucina di casa Hummel, e gli aveva appena comunicato che erano salvi, che il professor Schue avrebbe mantenuto il loro segreto.

“Sì.” annuì di nuovo, trattenendo a stento l'entusiasmo; Blaine si sbattè letteralmente contro di lui, abbracciandolo con tutta la forza che aveva in corpo. Quando si allontanò da lui, lo prese per le spalle e disse, con un soffio di fiato: “E' merito tuo Kurt, l'hai convinto con quella canzone. Sei stato... non ci sono parole per dire quanto è stato eccezionale. Avrei dato qualcunque cosa per essere in prima fila e applaudirti davanti a tutti, mostrare a tutti quanto sono fiero di te, del tuo coraggio, del tuo talento... davvero, sei stato straordinario. Tu sei straordinario.”

Poi lo baciò, con quasi altrettanta forza. Quando si divisero, affannati, Kurt appoggiò la fronte alla sua e trovo solo la forza di sussurrargli: “Mi togli il respiro, Blaine.”

Blaine stava per dire qualcosa, ma la voce di Carole, seduta sul divano del salotto, lo distrasse: “Ragazzi, ho chiuso un occhio anche troppo a lungo. O andate in cucina a studiare, o dovrò chiedere a Blaine di andarsene.”

Il tono era scherzoso, ma il rimprovero era ben evidente; si presero per mano e si avviarono in cucina. Quel giorno, Kurt aveva deciso di dedicare l'intero pomeriggio alla preparazione del suo provino: aveva stampato tutto il fascicolo in cui la NYADA dava le indicazioni generali per partecipare, tutti gli spartiti e i cd con le canzoni che aveva ipotizzato andassero bene, infine un elenco di suggerimenti o dritte che aveva trovato in Internet. Blaine invece stava lavorando alle basi di una ricerca che aveva intenzione di approfondire una volta trasferitosi alla Brown.

“Spero davvero che anche gli esaminatori della NYADA siano entusiasti quanto te nei confronti del sottoscritto, ma ti confesso di nutrire dei dubbi al riguardo. La concorrenza sarà spietata.” mormorò Kurt, sconfortato, lasciandosi cadere sulla sedia. Blaine sorrise, stringendogli la mano nel tentativo di rincuorarlo.

“Non dire così, scommetto che il clima sarà fantastico e gli altri ragazzi saranno amichevoli. Dopotutto avete tanti interessi in comune, prima di sera, ammessi o meno, sarete tutti amici.” disse ottimista. Kurt sollevò un sopracciglio, ma non rispose, nonostante fosse scettico.

 

Rachel, sei sicura che accamparsi fuori dalla NYADA alle sei di mattina sia davvero necessario? Dopotutto faranno l'appello dei presenti non prima delle otto.” LeRoy, ancora in pigiama, guardò la figlia correre da un lato all'altro della stanza, controllando di avere con sé tutto il necessario. A ogni scatto, la coda di cavallo le dondolava frenetica sulla testa.

Papà, l'anno scorso c'è stato uno sciopero della metropolitana e una ragazza si è presentata in ritardo di due minuti. Non le hanno nemmeno permesso di entrare nell'edificio. Vuoi che succeda anche a me e Kurt? Non credo proprio.” rispose risoluta.

Kurt, che era ancora nella stanza che divideva con l'amica, non era meno agitato. Guardò per l'ennesima volta nella sua tracolla, come se gli spartiti, il suo fascicolo e i cd con le basi potessero essere fuggiti via negli ultimi trenta secondi. Si aggiustò il ciuffo sulla fronte e infilò nella borsa un flacone di lacca e un deodorante: il clima di New York a fine maggio era già torrido ed era terrorizzato dall'idea di arrivare al provino con la camicia bagnata di sudore. Era antiestetico e maleodorante, quindi assolutamente inaccettabile.

Stava ripiegando con cura il suo pigiama, quando Rachel entrò nella stanza come un uragano: “Sei pronto? Dobbiamo andare a fare colazione, poi andare a prendere la metropolitana, poi accaparrarci i posti migliori fuori dal portone dell'accademia.”

Scattò sull'attenti come un soldato e la seguì verso l'ascensore, salutando con un cenno LeRoy e Hiram, che erano sulla soglia della loro camera, ancora assonnati. Avevano provato a insistere per convincere i ragazzi a farsi accompagnare, ma Rachel si era rivelata irremovibile: avevano controllato insieme l'indirizzo della scuola e cronometrato insieme il tragitto in metropolita il giorno precedente, ma in nessun modo voleva che lei e Kurt facessero la figura dei bambini. Tuttavia, promise di scattare qualche fotografia, se fosse stato possibile.

Ci vediamo stasera, ragazzi.” mormorarono, stretti uno all'altro e un po' commossi, ancora in pigiama. Loro annuirono, poi le porte dell'ascensore si richiusero. Quando, dopo una leggera colazione, arrivarono all'accademia, scoprirono che già almeno una cinquantina di ragazzi li aveva preceduti. Rachel si lanciò sull'ultima panchina rimasta libera e spedì Kurt allo Starbuck's più vicino per un rifornimento di caffè e biscotti.

Accenarono un saluto amichevole ad alcuni dei presenti, che li guardarono sorpresi o si limitarono a ignorarli, mantenendo un fermo contatto visivo con il portone della scuola, quasi temendo di perdersi il fatidico momento della sua apertura. Kurt si appuntò mentalmente si raccontare a Blaine che si era davvero sbagliato, circa l'atteggiamento degli altri ragazzi: altro che interessi in comune e amicizie estemporanee, lì ognuno aveva un'espressione che poteva solo essere definita come spietata.

 

“Posso aiutarti in qualche modo a prepararti?” chiese Blaine, quando sentì Kurt sbuffare di nuovo e lanciare un foglio sul tavolo con aria esasperatamente drammatica.

“Non credo, la prima selezione è basata sull'improvvisazione. C'è davvero poco da preparare... o la va o la spacca, direi.” sbottò l'altro, spiegando brevemente.

“Improvvisazione? In che senso?” domandò Blaine, appoggiando la penna e dedicandogli tutta la sua attenzione, incuriosito. “Credevo dovessi presentare delle canzoni e un monologo, questa cosa mi arriva del tutto nuova.”

“Diciamo che nella prima scrematura, chiedono ai candidati di muoversi, di far vedere come gesticono il loro corpo sul palco, che coscienza hanno dei loro gesti e se sono espressivi. Non devi proprio ballare, ma dimostrare di saper dire qualcosa attraverso il movimento.” rispose Kurt. “E' difficile da spiegare. Potrebbe essere... che so... che ti chiedano di fare i fuochi d'artificio, ecco. E tu, con un base di musica molto neutra, devi dare loro l'idea dei fuochi d'artificio.”

Blaine rise, guadagnandosi un'occhiataccia da Kurt.

“Fuochi d'artificio? Ma è facilissimo!” esclamò.

“Ah sì? Fammi un po' vedere.” lo sfidò Kurt, in tutta risposta, incrociando le braccia sul petto e inviandolo a muoversi con un cenno del mento. Con sua sorpresa, Blaine non si alzò dalla sedia, ma si limitò a voltarsi verso di lui, piegare i gomiti e sollevare le mani strette a pugno all'altezza del viso; aprì e chiuse le dita un paio di volte, sorridendo entusiasta ogni volta che mostrava i palmi. Poi, continuò ad aprire e chiudere i pugni, ma con le braccia stese e muovendole fin sopra la sua testa, disegnando una sorta di semicerchio. Il tutto sotto gli occhi esterrefatti di Kurt, incredulo davanti a quello spettacolo immondo.

“Allora, cosa ne dici?” chiese alla fine, soddisfatto della sua performance.

“Dico che hai fatto bene a darti alla letteratura.” rispose Kurt, affondando il viso tra le mani, sconsolato.

 

Quando finalmente il portone si aprì, tutti si scaraventarono verso l'ingresso e seguirono le indicazioni che li portarono in un'enorme aula; chiusa la porta, una donnina minuscola salì su un soppalco dove si trovava una cattedra e cominciò a fare l'appello. Quando chiamava, quella persona doveva presentarsi da lei, che timbrava il documento allegato alla lettera della NYADA, poi spostarsi in un'altra stanza; impiegarono più di due ore per controllare tutti i presenti, risolvere le proteste dei ritardatari esclusi e cominciare con le selezioni vere e proprie. Erano talmente in tanti che alcuni candidati preferirono accomodarsi in corridoio, dove la tensione sembrava essere meno intensa. Tuttavia l'infinita sfilata di fotografie appese alle pareti, che ritraevano grandi attori e illustri cantanti in pose serie e concentrate, contribuiva a far sentire delle nullità anche i pochi coraggiosi che si erano arrischiati lì fuori.

Ovviamente, nessuno dava a vedere la sua agitazione: chi si azzardava a parlare lo faceva solo per decantare la propria esperienza o il proprio talento. Kurt e Rachel, che si erano avventurati nel corridoio, sgranarono gli occhi nell'osservare una ragazza che, in perfetta divisa da danza classica, stava appoggiando una gamba sul muro per riscaldare i muscoli; dall'altro lato, un'altra si stava esibendo in una spaccata perfetta, facendola apparire come la cosa più semplice del mondo.

Adeguandosi alle espressioni degli altri, impassibili o al più annoiati, anche Kurt e Rachel si diedero un contegno, smettendo di guardarsi intorno e di ascoltare le chiacchiere degli altri: stretti uno accanto all'altro, si sforzarono di non lasciarsi schiacciare dalla superbia altrui, tanto blandamente esibita, decidendo di parlare tra loro di cose che non riguardassero né la danza né il canto, quasi fingendo di non dare troppo peso a quell'audizione. Quando i primi ragazzi cominciarono a uscire dall'auditorium in seguito al loro provino, magari in lacrime o con l'espressione sconvolta, non si unirono ai cori di chi gongolava per il loro fallimento, né diedero a vedere che erano terrorizzati dall'idea di fare una figura ancora più misera; nel dubbio, optarono per l'indifferenza, aggrappandosi uno all'altro.

Quando finalmente chiamarono Rachel, dopo un'attesa che ormai sembrava infinita, Kurt rimase fuori dalla porta ad aspettarla, camminando impaziente avanti e indietro: l'amica tornò nel corridoio sorridendo, con sommo e malcelato disappunto da parte degli altri candidati presenti.

Mi hanno chiesto di leggere un brano ad alta voce, è stato facile. Faccio parte dal primo anno del club di lettura espressiva e scrittura creativa. Credo di essere andata bene, ma non ne sono certa.” sussurrò a Kurt, quando si intrufolarono in un angolo appartato per scambiarsi le impressioni sul provino.

Come fai a non averne idea? Non ti hanno detto nulla?” domandò perplesso Kurt.

Niente di niente. Impassibili e immobili come statue.” ribettè lei, scuotendo la testa.

Kurt ebbe modo di sperimentare l'impassibilità dei professori sulla sua pelle, quando sei ore più tardi venne il suo turno: seduti tra la seconda e la terza fila di poltroncine, i membri della commissione erano davvero paragonabili a statue di sale per la loro immobilità. Con un incolore tono di voce lo invitarono a salire sul palco e a presentarsi.

Kurt Hummel.” disse, sforzandosi di non mostrare quanto era intimidito dalla loro solennità. Tra i presenti riconobbe Madame Tibidaux, una performer che tutto il mondo considerava un mostro sacro di Broadway: ricacciò in gola il moto di nausea nervosa che lo assalì e congelò il suo sorriso sulle labbra, attendendo ulteriori indicazioni.

Un uomo fece un cenno al pianista presente al lato del palcoscenico, poi si rivolse a Kurt: “Lei è un gatto, signor Hummel. Ce lo faccia credere, e fra tre giorni ci rivedremo per il secondo provino.”

Un gatto. Bene. Era più facile dei fuochi di artificio, perchè dopotutto era un animale e Kurt nella sua vita ne aveva visti tanti: con la musica che si spandeva dolcemente nell'aria, Kurt incarcò la schiena all'indietro, allungando le braccia e sciogliendo le dita, stiracchiandosi nel più voluttuoso e lento dei modi. Si chinò in avanti, fino ad appoggiare le mani e le ginocchia a terra; dentro di sé, ringraziò il cielo per essersi concentrato tanto sullo yoga e il pilates nell'ultimo anno. Quando la melodia s'interruppe bruscamente, con una nota quasi fastidiosa, Kurt si voltò di scatto da un lato, contraendo ogni muscolo di cui aveva il controllo: in tutto e per tutto, era un gatto in allerta. Era talmente concentrato da non avere nemmeno il tempo di pensare che in realtà poteva sembrare ridicolo.

Quando la melodia riprese, non si rilassò immediatamente, ma riprese a stiracchiarsi guardingo; nel momento in cui la nota si presentò nuovamente, vibrandogli nel petto, scattò all'attacco, correndo con balzi silenziosi fino a un'estremità del palcoscenico, fermandosi a un metro da un muro di scena con una mano allungata ad artiglio e gli occhi fissi su un nemico immaginario.

Nemmeno notò il cenno di uno dei professori al pianista, che smise di suonare; sorpreso per l'improvvisa interruzione, Kurt si ricompose e tornò davanti alla commissione.

Può andarsene, signor Hummel.” gli disse distrattamente una donna seduta nella prima fila. Lui annuì, ringraziò e uscì.

In tutto, era rimasto dentro all'auditorium per tre minuti.

Nessun commento sulla sua prova, né in bene, né in male. Non una smorfia, non un sorriso.

Frastornato, uscì con Rachel e le raccontò com'era andata, assolutamente incapace, esattamente come lei, di dire se il provino era stato un successo. Mentre sedevano da Starbuck's, più affamati che mai, si appuntò mentalmente di smentire Blaine anche sull'idea che aveva circa l'atteggiamento dei professori.

 

“Molto divertente, Kurt. Ma sono i fuochi d'artificio migliori che potessi fare, ecco.” rispose Blaine alle prese in giro di Kurt, facendogli una linguaccia. “Ma scommetto che tutti ti adoreranno. Voglio dire, quale folle potrebbe trovarti meno che straordinario? Rimarranno senza parole.”

“Credi?” domandò Kurt, affamato di rassicurazioni.

“Ne sono certo. Ora, se non posso aiutarti con la preparazione per la prima selezione, c'è qualcosa che posso fare per aiutarti con la seconda?” propose Blaine, entusiasta.

“Devo prima di tutto arrivarci vivo, alla seconda selezione. Tra la prima e la seconda passano tre giorni e la mattina del secondo giorno viene pubblicato online l'elenco degli ammessi. Chi passa deve presentarsi all'accademia per la prova di canto e recitazione.” spiegò rapidamente Kurt, afferrando dei fogli. “Si devono portare due pezzi cantati, uno lento e un più ritmato, più un monologo.”

“Hai già qualche idea?” Blaine sfogliò gli appunti di Kurt, che erano apparentemente indecifrabili.

“Per il primo pezzo, mi sto esercitando da due mesi su Music of the night, dal Phantom of the Opera. È un classico, quindi l'avranno sentito decine, se non centinaia di volte, ma è necessario presentare qualcosa di difficile, quindi alla fine per forza ti tocca scegliere tra i pezzi più famosi. Non ne sono entusiasta, ma lo so fare bene.” rispose lui, stringendo le spalle. Blaine battè il palmo della mano sul tavolo.

“Aggiudicato, allora! E per il pezzo più veloce?” chiese ammucchiando lo spartito di Music of the night e due cofanetti dvd del Phantom, spostandoli su un lato del tavolo.

“Ho pensato a qualcosa da Cabaret, ma non sono del tutto convinto. Vorrei fare qualcosa di più frizzante, qualcosa che possa dare l'idea delle mie potenzialità e anche della mia personalità. C'è, in effetti, una canzone in particolare cui stavo pensando, ma non vorrei rischiare troppo in un'occasione tanto importante.”

“Spara.” lo incalzò Blaine.

Not the boy next door, dal musical The boy from Oz. È irriverente, è veloce, è divertente. Mi piace. Ho anche comprato i pantaloni d'oro da nascondere sotto i pantaloni neri che indosserò al provino, ma ancora non sono certo della cosa. Forse è meglio Cabaret, dovrei spulciare ancora il...” Blaine lo interruppe.

“Quale delle due opzioni ti fa sentire più felice e più a tuo agio? Secondo me dovresti riflettere su questo. Alla commissione non sfuggirà nemmeno una sfumatura e credo che mostrarti disinvolto, convinto della tua scelta e felice mentre canti possa essere una scelta vincente. Non devi decidere ora, ragionaci su.”

“Non posso permettermi di sbagliare, Blaine, C'è così tanto in gioco... non voglio combinare un pasticcio e finire dietro il bancone del Lima Bean. Ripetere ogni giorno sempre le stesse azioni, meccanicamente, sarebbe la mia rovina. Sarebbe una condanna a morte.” bofonchiò Kurt, ormai in preda all'agitazione.

“Cerchiamo di rimanere focalizzati.” rispose Blaine, passandogli una mano sulla schiena. “La preparazione è la miglior strategia d'attacco. E tu, signorino mio, sei in guerra.”

Kurt rise, poi gli disse qual era l'ultima parte del provino cui dovevano pensare: “Il monologo. Su quello sono in alto mare. Rachel ha già scelto un pezzo dalla Medea, ma io fatico a districarmi tra tutti quegli autori. Volevo qualcosa di inusuale, ma sono del tutto impreparato. Non dev'essere nulla di classico, né di troppo tragico, perchè è davvero difficile impressionarli in un minuto e mezzo.”

“Su questo, lasciati consigliare. Ho l'idea perfetta.” Il sorriso di Blaine era raggiante. “Uscire con un professore di letteratura inglese ti darà pure qualche vantaggio, no?”

“Davvero?”

“Sì. Porterai un monologo estratto da...”

 

... La ballata del carcere di Reading, di Oscar Wilde.” Kurt, in piedi al centro del palco, era senza fiato per aver cantato Music of the night al massimo delle sue possibilità. Il fatto che l'avessero interrotto appena un minuto dopo aver cominciato non era particolarmente confortante, ma dopo aver scoperto di essere stato ammesso alla seconda selezione aveva deciso di smettere di farsi domande e dare semplicemente il meglio di sé. Era l'unico modo per vivere quell'esperienza senza rimpianti.

Rachel non era ancora stata chiamata e lo aspettava fuori, abbandonata a se stessa in mezzo a dei pomposi candidati che non facevano che ripetere quanto fosse stato semplice superare la prima selezione; fortunatamente, la ragazza era perfettamente in grado di difendersi, seppure intimorita.

Si tratta di un celebre componimento poetico che...” cominciò a spiegare Kurt, ben consapevole che il pezzo suggeritogli da Blaine era inusuale. Uno dei giudici alzò la testa dal block notes che teneva sulle ginocchia e su cui stava scarabocchiando.

Signor Hummel, anche se non ha portato un pezzo celebre del poeta, le posso assicurare che nessuno dei presenti ha bisogno di una lezione su Oscar Wilde. La prego di cominciare.” lo blandì annoiato con un cenno della mano e Kurt si lanciò senza indugi nella recitazione, a lungo preparata con l'aiuto di Blaine. Anche se ovviamente aveva dovuto scegliere un piccolo estratto dell'opera, era felice dell'illuminazione di Blaine: in quella ballata, Wilde rifletteva sulla vita come opera d'arte, sulla necessità di essere perdonati quando si commetteva un errore e sul senso di alienazione che colpiva chi era costretto a ripetere ogni giorno le stesse azioni.

In ogni parola instillò la sua frustrazione, la sua sofferenza e il suo desiderio di fuga. Venne interrotto a metà, quando Madame Tibidaux si schiarì la voce e lo invitò a fermarsi.

Signor Hummel, lei suona qualche strumento musicale?” domandò.

Sì, suono il pianoforte da quando ho sette anni.” rispose lui. Non si aspettava delle domande.

E ha qualche esperienza teatrale?” aggiunse.

Ho recitato in due musical della scuola e faccio parte da tre anni del Glee Club. La prossima settimana parteciperò alle gare nazionali di canto coreografato.” rispose, senza fiato e con il timore di dimenticarsi qualche dettaglio importante.

Che cosa ha portato come seconda parte cantata?” chiese un uomo smilzo, seduto accanto alla Tibidaux. Nessuno dei presenti sembrava particolarmente impressionato, né dalle sue risposte, né da quello che fino a ora aveva dimostrato di saper fare.

In principio ho pensato a qualcosa da Cabaret, poi ho optato per qualcosa di più fedele a me stesso, qualcosa che potesse mostrare davvero chi sono e ciò di cui sono capace.” disse il titolo della canzone e si tuffò nella musica, strappandosi i pantaloni con disinvoltura e ballando su il pianoforte. Per la prima volta, durante i provini, si sentiva felice, libero e al massimo delle sue possibilità: li avrebbe lasciati senza parole, non sarebbero rimasti indifferenti, non stavolta. Sentiva di poter fare qualsiasi cosa, in quel momento. La canzone era perfetta, lui era perf...

Bene. Si fermi qui.” La melodia si interruppe, con Kurt che stava ancora ballando. Nessuno aveva un'espressione in viso che promettesse buone notizie. “Può andare, ma aspetti fuori dalla porta un momento.” disse la Tibidaux.

Il cuore di Kurt perse un battito, mentre si affrettava fuori, più confuso che mai. Quando Rachel lo vide fece per andargli incontro, ma lui, con un gesto della mano, la fermò: non si premurò nemmeno di nascondere la sensazione di sconfitta che lo stava assalendo. Per un istante aveva creduto di avercela fatta, ma ora stava aspettando di rientrare per sentirsi dire che il suo percorso finiva lì.

Qualcuno dall'interno lo chiamò e nel giro di una manciata di secondi fu di nuovo davanti alla commissione. Strinse i pugni, determinato ad accettare il rifiuto senza versare nemmeno una lacrima; sarebbe rimasto impassibile, esattamente come loro.

Che cosa significa per lei essere su un palcoscenico, signor Hummel?” chiese una donna che fino a quel momento non aveva mai parlato. Lui deglutì, poi rispose con tutta la sincerità di cui era capace.

Fino a qualche mese fa, cantare era l'unica cosa che mi rendeva felice. Ora so che non è tutto. Ma so che è quello che voglio fare. Essere sul palcoscenico mi permette di essere me stesso, solo... di più. Mi sento più alto, mi sento più forte, sento di calzare meglio nella mia stessa pelle.”

Vide la donna scambiarsi un cenno con la Tibidaux, poi tornare a guardarlo.

Signor Hummel, in questa scuola accettiamo venti studenti all'anno e solo la metà di loro arriva al diploma, perchè non regge alla pressione. Chi esce da qui è destinato a diventare uno dei migliori performer della nazione, ed è qualcosa che si ottiene lavorando oltre ogni immaginazione. Alla Nyada non esistono sabati, domeniche e serate con gli amici, solo duro lavoro e completa dedizione alla scuola. Gli studenti mangiano quello che gli indichiamo, dormono quando glielo diciamo e superano i limiti che non credevano di avere; vogliamo il meglio, per estrarre l'eccellenza. Essere ammessi in questa accademia è un onore e un privilegio, ma è solo l'inizio.” disse con voce piatta, ma gonfia di severità e presunzione. Kurt per poco non roteò gli occhi, frustrato da quel discorso esageratamente lungo per precedere un rifiuto.

La donna fece una pausa, poi continuò a parlare, e quello che disse lo costrinse ad alzare la testa di scatto. Eccolo dunque, il rifiuto.

Dunque le comunico che non ci sarà alcuna terza selezione per lei.” afferrò un plico di fogli che teneva in grembo e lo sollevò. “Questo è il suo modulo di iscrizione all'accademia, da questo momento lei è ufficialmente una matricola, domani può passare in segreteria dove le spiegheranno tutte le procedure burocratiche per perfezionare la sua domanda.”

Scese dalla scaletta, completamente attonito, e prese con mani tremanti i fogli che la donna gli stava porgendo con un sorriso. Ringraziò sottovoce, poi uscì, letteralmente sotto shock.

Ce l'ho fatta.” mormorò a Rachel, quando lo afferrò per una spalla e lo scosse per ottenere una reazione. “Ce l'ho fatta. Mi hanno preso.”

Lei lo abbracciò stretto e i presenti lo guardarono in cagnesco, ma Kurt riusciva a pensare solo a due persone: suo padre e Blaine. Corse fuori dall'edificio per telefonargli: quando risposta, Burt rischiò un attacco di cuore per la sorpresa, Blaine interruppe la lezione della quarta ora per correre fuori dall'aula e non perdere la chiamata.

Sono così fiero di te, Kurt.” dissero entrambi, prima di riagganciare.

Kurt era rimasto lontano dall'auditorium poco più di una decina di minuti: quando tornò, vide Rachel che veniva accompagnata fuori da uno dei segretari. Era sconvolta, ma non in senso positivo.

Che cosa è successo?” chiese afferrandole una mano. Lei alzò gli occhi, già rossi e colmi di lacrime, per singhiozzargli in risposta: “Mi sono dimenticata le parole, Kurt. Ho rovinato tutto.”

Sedettero fuori, su quella stessa panchina dove il primo giorno avevano fatto colazione, e attesero l'arrivo dei signori Berry, che si premurarono di consolare la figlia in ogni modo possibile e di parlare con i membri della commissione. Tutto sembrò inutile e quando fu evidente che non ci sarebbero state seconde occasioni dovettero lasciare la scuola, rassegnati.

Quella notte, Rachel dormì nella camera dei suoi genitori, accoccolata tra di loro, inebetita dallo shock e dalla disperazione; Kurt aveva fatto quello che poteva per rassicurarla, ma fu egoisticamente felice di essere solo. Perfino nell'insuccesso, Rachel era riuscita a oscurare il suo traguardo: si era dovuto nascondere per telefonare a Lima e avvisare il Glee Club dell'ottima riuscita del suo provino, aveva a malapena parlato con Finn, troppo preoccupato per lo stato psicologico di Rachel, e non aveva ancora nemmeno sfogliato la sua domanda di iscrizione, perchè la ragazza scoppiava a piangere ogni volta che la vedeva. Kurt, intimorito dall'idea che potesse afferrarla e farla a pezzi, preferì nasconderla e leggerla con calma con un solido muro a dividerlo da Rachel.

Sdraiato sul letto, raccontò a suo padre ogni dettaglio del suo provino, poi chiamò Blaine: prima si godette le congratulazioni di Sebastian ed Eric, i quali sottolinearono più di una volta quanti ragazzi carini e scopabili fossero presenti a New York, poi si concesse una lunga telefonata con Blaine. Gli lesse le parti più interessanti del regolamento, i nomi dei corsi che gli sembravano più interessanti e perfino gli orari della mensa, finchè Blaine non gli chiese di fermarsi.

Kurt? Ora sei in camera, vero?” chiese.

Sì. Rachel sta dormendo con...” rispose lui.

Vai alla finestra, ormai è tardi. Per favore, guarda la città.” Preso dall'ansia dei preparativi, dalla frenesia del suo successo e dalla disperazione dell'amica, Kurt quasi non si reso conto di essere davvero a New York. Appoggiò la mano alla grande finestra della camera e guardò l'infinita sequela di luci che animavano le strade.

Era, semplicemente, magico.

Ce l'hai fatta, Kurt.” sussurrò Blaine al telefono. E Kurt, finalmente, guardò per la prima volta la città che sarebbe diventata la sua casa per i prossimi anni, forse per sempre. Era spaventato, era eccitato ed era felice, ma Blaine lo stava aiutando a focalizzarsi su quel momento che non sarebbe mai più tornato.

Quello in cui la soddisfazione ti striscia lentamente sotto la pelle, ti fa vedere tutto con più chiarezza e ti fa sentire più completo.

Quello in cui le paure, le incertezze e le difficoltà ancora non hanno minato la perfezione della tua felicità.

Quello in cui ti senti in cima al mondo, con la consapevolezza di poter fare qualunque cosa stretta tra le dita.

A centinaia di chilometri da quella finestra, Blaine lo stava strappando del dovere di provere pena per la sua amica e dall'ansia di cominciare a organizzare immediatamente il suo futuro: gli stava regalando un momento di pura, inestimabile perfezione.

Ce l'ho fatta.”respirò nel telefono, completamente paralizzato da quella realizzazione.

 

 

 

 

 

 

 


nda

Buonasera a tutti! Spero che il terzultimo capitolo di JC vi sia piaciuto.

Volevo approfittare di questo spazietto per ringraziare Medea, che mi ha aiutato ad avvicinare il provino di Kurt alla realtà e a discostarmi da quella baggianata pazzesca che i RIB ci hanno propinato. Ho modificato qualcosa per esigenze di narrazione (le modalità della prima e della seconda selezione in realtà erano invertite), ma per il resto sono rimasta molto fedele (spero) all'atmosfera che mi ha descritto e ai dettagli che mi ha raccontato.

Per quanto riguarda il fatto che Kurt sia stato ammesso alla scuola senza fare la terza selezione: è successo a un'amica di Medea dopo un provino in una prestigiosa scuola italiana di recitazione. Ho pensato che Kurt si meritasse una redenzione catartica, dopo il finale di Glee. Pertanto, concediamogli la soddisfazione di essere passato subito.

In ogni caso, spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio fin da ora tutti coloro che avranno il tempo e la voglia di farmi sapere cosa ne pensano. Io vi mando un abbraccio e vi saluto: ci vediamo (leggiamo?) lunedì prossimo, con il penultimo capitolo! Vestitevi eleganti, è l'ora del prom!

LieveB


Modifica alla NDA del 14 Giugno, NON LEGGETE SE NON VOLETE SPOILER (PICCOLISSIMI) SULL'ULTIMO CAPITOLO

"A JUST COMPLICATED GIVEAWAY"

Come alcuni di voi sanno, la parola con cui si conclude l'ultimo capitolo di JC è "addio". Scherzando nel post sotto, qualcuno ha cominciato ad avanzare delle ipotesi e a tentare di indovinare la frase in cui era inserita questa parola, così ho pensato... "E se qualcuno ci riuscisse?"

Così, è nata, alla buona, questa cosa.

Ho preparato un regalino per chi di voi dovesse azzeccare la frase (difficile) o il contesto in cui è scritta/pronunciata (più facile). E' una stupidatina, nata così per divertirci tra di noi.

Se avete voglia di partecipare, scrivete qui sotto nei commenti la vostra ipotesi. Lunedì, in concomitanza con la pubblicazione del capitolo, vi dirò chi si è avvicinato di più.

E gli spedirò un bel pacchetto. ^_^

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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinquesimo (parte prima) ***


Dunque, dopo la bellezza di sei mesi, ecco il capitolo conclusivo di Just...complicated. Abbiate pazienza, questa è solo la prima parte: la conclusione si  è rivelata qualcosa di talmente gigantesco che ho dovuto spezzarla in due parti.

La seconda parte arriverà tra martedì e mercoledì, promesso.


Capitolo trentacinquesimo

 (parte prima)


Con l'ammissione alla Nyada non c'era più tempo per immaginare e fantasticare; il futuro di Kurt stava bussando alla sua porta e si aspettava che facesse qualcosa di concreto al riguardo, senza limitarsi a favolosi sogni a occhi aperti. Stentava a realizzare che fosse tutto vero: aveva ottenuto un posto nella scuola dei suoi sogni, aveva un ragazzo meraviglioso che lo amava e andare a scuola non era più un incubo, perché finalmente Karofsky si era ravveduto. Erano settimane, mesi forse, che Kurt non incontrava più il suo marito senza volto, che non si rannicchiava con lui davanti a un camino inesistente per raccontargli la sua giornata; non aveva più bisogno di immaginare qualcuno cui importasse della sua vita, qualcuno con cui potesse condividere i suoi dubbi e le sue debolezze senza timore. Non era difficile rinunciare a quella figura sfocata, quando vedeva il viso di Blaine illuminarsi in un sorriso, quando poteva baciare di nascosto le sue labbra al caffè o sbirciarlo da sopra il suo quaderno durante una lezione. Almeno finchè avrebbe potuto stringergli la mano e godere della sua concretezza, accarezzargli le nocche, baciarne il palmo e mordicchiarne il polso, Kurt non aveva intenzione di rifugiarsi nella fantasia. Il presente e i presupposti per il futuro erano luminosi e soddisfacenti più di ogni volo pindarico.

Tuttavia, Kurt non sarebbe mai stato abbastanza grato a Blaine per averlo costretto a fermarsi quella sera dopo la seconda selezione, e averlo spinto ad assaporare il dolce sapore della vittoria, in un momento in cui era ancora libero dai sensi di colpa e dall'opprimente ombra del futuro.

Nei giorni successivi al suo provino, Kurt si aggrappò più e più volte alla sensazione che aveva provato guardando le strade di New York dalla finestra, durante la sua prima notte da matricola della Nyada: ogni volta che il pianto di Rachel lo aveva fatto sentire in colpa per il suo successo, aveva ripensato alla calda soddisfazione che gli si era acciambellata sul petto davanti a quello spettacolo straordinario e aveva ricominciato a respirare.

Lo aveva fatto quando Rachel e suoi genitori si erano offerti di accompagnarlo in segreteria e aiutarlo con l'iscrizione, salvo poi fare una scenata isterica nei corridoi e cercare di intrufolarsi tra i candidati per la terza selezione.

Lo aveva fatto quando Rachel non aveva voluto fare altro che starsene chiusa nella loro camera d'albergo, nonostante avessero ancora un paio di giorni a disposizione per visitare la città. Aveva sopportato teneramente i lunghi silenzi dell'amica, ascoltato fingendo interesse le teorie complottistiche dei suoi padri e si era nascosto ogni volta che doveva leggere un messaggino di congratulazioni. Tutto per non urtare i suoi sentimenti.

Si era confortato con quella sensazione perfino quando, al loro ritorno a Lima, l'attenzione di tutti i membri delle Nuove Direzioni si era focalizzata sulla personale tragedia di Rachel e su come fosse possibile aiutarla a ottenere un altro provino. Aveva taciuto, aveva sorriso e accettato volentieri i pochi, timidi, complimenti che qualcuno aveva avuto il coraggio di fargli quando lei non era presente.

Si era goduto i festeggiamenti con la sua famiglia, anche se Finn sembrava quasi aver paura a mostrarsi troppo entusiasta, e gli era bastato. Sapeva che per Rachel era dura attutire quella delusione, ma sapeva anche che se la sarebbe cavata: esattamente come lui, era una combattente. Avrebbe trovato la via per arrivare ai suoi sogni, in un modo o nell'altro.

Infatti Kurt non si stupì quando Rachel e Tina organizzarono un viaggio in auto per raggiungere madame Tibidaux in una città a pochi chilometri da Lima, dove l'artista teneva un importante seminario di recitazione; forse l'avrebbero convinta ad ascoltare le suppliche di Rachel e a darle una seconda chance. Tuttavia, il ragazzo insistette perché l'amica prendesse in considerazione anche accademie meno prestigiose della Nyada, inviando la domanda di iscrizione dove era ancora possibile; lui l'aveva fatto da tempo, ben conscio che era folle puntare tutto su un'unica scuola, soprattutto una che accettava venti studenti l'anno.

Con l'aiuto di Finn, riuscì a convincerla, ma nonostante tutto l'attenzione di Rachel continuava a rimanere concentrata su madame Tibidaux e la sua segreteria telefonica; in più di un'occasione lui e gli altri dovettero strapparle dalle mani il cellulare per impedirle di registrarci un'altra, lacrimosa, versione di Don't cry for me Argentina.

Ora tutto rimaneva nelle mani di quella imperturbabile donna e in quelle degli altri membri della commissione: in tutta onestà, Kurt non nutriva grandi speranze al riguardo. Per quanto il talento di Rachel fosse innegabile, concederle un secondo tentativo sarebbe stato ingiusto nei confronti di tutti coloro che avevano commesso un errore e non avevano avuto la possibilità di rimediare.

Nessuno ebbe il fegato di dirglielo in faccia, ma in realtà era quello che pensavano tutti. Ma Rachel era una di famiglia, quindi non era un problema farsi in quattro per lei e confortarla in ogni modo possibile, nonostante fosse assai improbabile la sua ammissione all'accademia dei suoi sogni. Data la vicinanza delle gare nazionali a Chicago, era davvero importante che la loro star riuscisse a ritrovare la sicurezza in sé e l'entusiasmo che l'aveva sempre caratterizzata, altrimenti avrebbero potuto dire addio al podio. Solo la notizia che la Tibidaux sarebbe stata a Chicago proprio nei giorni della loro performance aveva convinto Rachel a gettarsi a capofitto nelle prove, strenuamente aggrappata alla speranza che quella donna potesse palesarsi nell'auditorium proprio durante il suo assolo.

 

***


Mentre a scuola si consumava quel dramma, nei tre giorni che precedevano la partenza per le gare, Kurt si godette la ritrovata liberà: il ritorno da New York aveva coronato la fine del regime punitivo di suo padre e Kurt fu più che felice di celebrarla accoccolandosi sullo scalcinato divano di Blaine, dedicandosi a quelle numerose e didattiche attività che proprio non potevano essere messe in pratica nella cucina di casa Hummel. Sorprendentemente, Blaine sembrò più che felice di accontentarlo, sbattendo Sebastian ed Eric fuori dall'appartamento senza lasciarsi intenerire dalle loro suppliche; nonostante Kurt volesse un gran bene a quei ragazzi, fu senza un briciolo di rimorso che li guardò lamentarsi e andarsene via con passo pesante. Rimanevano tre giorni prima delle gare, degli esami finali e del prom; i momenti da rubare per stare con Blaine erano davvero pochi.

Stranamente però, il giorno prima della partenza per Chicago, quando Kurt si presentò a casa di Blaine con una grossa borsa stretta in mano e un sorriso soddisfatto stampato in volto, gli impedì di scagliare la sua consueta occhiata minacciosa ai due che al momento poltrivano sul tappeto, per invitarli silenziosamente a sparire per almeno un paio d'ore.

“Aspetta. Volevo farvi vedere una cosa.” disse Kurt, appoggiando con cura la borsa sul bracciolo del divano e guadagnandosi un piccolo applauso da Sebastian ed Eric, immediatamente ripiombati sul tappeto. Blaine lo guardò incuriosito, ma non disse nulla; si limitò ad avvicinarsi, cingergli i fianchi con un braccio e guardarlo adorante.

“Dovete sapere che vicino al nostro hotel, a New York, c'era questo posto assurdo in cui facevano delle svendite e...” cominciò a spiegare, eccitato, sfregando le mani una contro l'altra. “E sono riuscito ad approfittare di un momento di distrazione dei signori Berry per fuggire dall'albergo e tuffarmi in quel paradiso del fashion.”

Quando accennò alla sua rocambolesca fuga, che aveva richiesto una divisa da cameriere, una corsa a perdifiato giù per le scale di servizio e una scatola di fiammiferi, Sebastian sollevò un sopracciglio e domandò incredulo: “Kurt, sei dovuto scappare dalla tua stanza? Per andare... in un negozio?”

“I signori Berry si sono rivelati molto più severi di quanto io potessi immaginare. Dato che loro non volevano lasciare Rachel da sola e lei non voleva abbandonare il suo letto, non si fidavano a lasciarmi uscire da solo.” spiegò, ricordando come lui stesso avesse provato, inutilmente, a ribellarsi al loro divieto.

“Sì, io questo lo capisco ma... per andare in un negozio? Avrei capito una capatina notturna a un club, da te mi sarei anche aspettato una fuga di mezzanotte per andare a vedere un musical o fare stalking a qualche celebrità, ma un negozio... voglio dire, ce ne sono tonnellate, qui in Ohio.” ripeté, scuotendo la testa. L'espressione di Kurt si fece dura: “Sebastian. Era una svendita di Alexander McQueen, a DUE isolati dall'albergo. Conosco gente che venderebbe sua nonna su Ebay anche solo per metterci piede.”

“Ok, non ti scaldare!” Sebastian sollevò le mani per scusarsi e Kurt riprese a spiegare.

“Bene. Mio padre mi aveva lasciato la carta di credito per eventuali emergenze e quando ha saputo del provino mi ha dato il permesso di prendermi un regalo. Diciamo che aver saputo della svendita e avere una carta di credito in tasca mi ha dato il coraggio necessario a mentire e corrompere un cameriere. Ma ne è valsa la pena.” concluse, sognante.

“Va beh, ma allora io a questo punto voglio vedere che hai preso!” esclamò Eric, allungando le mani verso il borsone. Con uno scatto, Kurt lo bloccò, dopo essersi sciolto dall'abbraccio di Blaine.

“Voi aspettatemi qui. Voglio farvelo vedere indossato, dato che non verrete al prom.”

Strappò dalle curiose mani di Eric il famoso borsone e trotterellò elegantemente verso la camera di Blaine. “Rimarrete a bocca aperta!” gridò prima di chiudere la porta alle sue spalle. I tre ragazzi rimasti in salotto si accomodarono sul divano e nella stanza calò il silenzio.

“Blaine, ma questo Alexander chi è?” chiese Sebastian, sporgendosi verso l'amico, seduto dall'altro lato. “Voglio dire, a Kurt piace proprio tanto, eh.”

“E' uno stilista. Mi sembra.” aggiunse Eric, che era proprio in mezzo a loro. “Una delle cassiere compra sempre Vogue e mi costringe a sfogliarlo insieme a lei da quando ha saputo che sono gay. Se non sbaglio, è morto un paio d'anni fa.”

“Ah. Beh, questo spiegherebbe la svendita.” commentò imbarazzato Sebastian. Tacquero, finchè finalmente Kurt non si palesò sulla soglia della stanza, facendo una giravolta su se stesso e fermandosi trionfante, con le mani sui fianchi. Tutti e tre inclinarono la testa di lato, sforzandosi di mettere a fuoco quello che avevano davanti.

“Kurt, quello è... ” Blaine non concluse la domanda. Ma era un kilt, ovvio che lo era. Si morse un labbro quando Kurt girò di nuovo su se stesso, annunciando entusiasta che...

“Sì, è un kilt! E non ci crederete mai, l'ho pagato una miseria. Ho dovuto lavorarci un po' su con la macchina da cucire perché era troppo grande ma ora mi calza a pennello, non è vero?” Si passò le mani sulla giacca e spazzolò la stoffa da polvere immaginaria, poi li guardò speranzoso. “Vi piace?”

Blaine sembrava preoccupato, Eric era più che altro attonito, Sebastian era evidentemente su di giri.

“Mi piace!” disse battendo la mano su un ginocchio. “Dove si comprano questi affari?”

Eric si voltò di scatto verso di lui: “Non vorrai davvero mettertelo, spero! Con quelle cosce secche che ti ritrovi sembreresti un pollo spennato.”

In tutta risposta, Sebastian fece un ghigno compiaciuto: “Ma io non ho mai detto di volerlo comprare per me, caro. Ti vanti sempre della consistenza marmorea dei tuoi polpacci, è giunta l'ora di indossare qualcosa che li valorizzi.”

Scandalizzato, Eric spalancò la bocca: “Senza offesa, Kurt, ma io con quell'affare addosso in giro non ci vado!”

Il ghigno soddisfatto di Sebastian si fece più largo: “Non ho mai detto che devi andarci in giro. Dopo quello che ho intenzione di farti quando lo metterai... probabilmente non riusciresti ad andare in giro neanche volendo.”

L'espressione di Eric, da indignata, si fece interessata e lusingata: “Lo metterò se tu ti impegnerai a recuperare un caschetto da minatore. Lo sai che ho un debole per il fratello maggiore di Billy Elliot.”

Lo scambio verbale tra i due aveva lasciato Blaine e Kurt di stucco. In una manciata di secondi, un innocente capo d'abbigliamento era diventato il protagonista di una delle fantasie erotiche di Sebastian, e uno dei film preferiti di Kurt era stato profanato senza pietà. Fantastico, davvero.

“Ehm, ragazzi? Possiamo tornare a concentrarci su di me, per cortesia? Vorrei un parere sincero, come mi sta? Voglio metterlo al ballo della scuola.” domandò Kurt, schioccando le dita davanti agli occhi dei due per interrompere uno scambio di sguardi che poteva essere definito solo come rovente. Blaine ridacchiò e allungò le dita ad afferrare il bordo del kilt.

“Ti sta splendidamente, Kurt.” saggiò la consistenza del tessuto tra i polpastrelli, pensieroso.

“Ma?” lo incalzò l'altro, intravedendo l'incertezza nell'espressione di Blaine.

“Ma non vorrei che finissi per attirare troppo l'attenzione, ecco. Già andrai con quel Chandler... penseranno tutti che è il tuo ragazzo, anche se hai detto a tutti che siete solo amici. Mettere un kilt potrebbe essere la ciliegina sulla torta che potrebbe finire per infastidire qualcuno; manca così poco alla fine della scuola, non vorrei che per un capriccio fashionista perdessi l'opportunità di concludere l'anno serenamente.” Kurt non rispose.

“Kurt, per quanto mi riguarda, e lo dico nel più amichevole e disinteressato dei modi, sei uno schianto. Se entrassi in un club vestito così, nel giro di cinque minuti di te non rimarrebbero che brandelli. Ma moriresti felice, te lo posso assicurare.” commentò Sebastian. Eric, accanto a lui, annuì vigorosamente.

Kurt abbassò lo sguardo per osservare il kilt, combattuto tra l'ascoltare l'opinione di Blaine o dare libero sfogo alla sua eccentricità.

“Dopotutto è questo lo scopo di questi eventi, no? Mettersi in mostra e farsi belli. Non voglio rinunciarci, non dopo quello che ho passato per comprarlo. Solo per metterci sopra le mani ho affrontato corpo a corpo due tizi che erano il doppio di me, e ho cucito per ore per adattarlo alla mia taglia. No, non si discute, questo sarà il mio outfit per il ballo.”

Davanti alla sua determinazione l'istinto di Blaine fu quello di farsi piccolo piccolo contro lo schienale del divano e lasciare che Kurt facesse quello che preferiva, ma il ricordo di quanto era accaduto all'unico ballo cui aveva preso parte era troppo vivido per lasciar correre. Quindi provò comunque a ribadire quello che pensava, anche se aveva la netta impressione che Kurt non volesse ascoltarlo: “Non saprei, Kurt... sarai sicuramente bellissimo, ma se dovesse succedere qualcosa di grave? Non dico che debba per forza succedere la stessa cosa, ma un po' di prudenza potrebbe essere una buona idea.”

“Non voglio nascondermi, Blaine.” strappò dalla mano di Blaine il bordo del kilt. “Ne ho passate di tutti i colori quest'anno, voglio che il mio prom sia qualcosa che in futuro ricorderò con piacere, non l'ennesima occasione in cui ho dovuto adattare me stesso al contesto in cui mi trovo per non urtare i sentimenti altrui.”

“E io questo lo capisco, ma...” rispose Blaine.

“No, Blaine. Niente ma. Almeno da te mi sarei aspettato un briciolo di sostegno. So bene quello che è successo al tuo ballo e so che vuoi proteggermi, ma sono stanco di avere paura. Andrà tutto bene. Io e Chandler arriveremo con Rachel e Finn, berremo bevante annacquate e dondoleremo a ritmo di musica, poi ce ne andremo a casa. Se hai davvero il timore che possa succederci qualcosa, puoi scortarci tu stesso alla macchina, per controllare che non ci sia nessuno in agguato nel parcheggio.”

“Io credo che non sia davvero una buona idea, Kurt. Sembra proprio che tu stia andando a cercare guai.” concluse Blaine, scuotendo la testa. Kurt s'irrigidì e fece una smorfia, poi girò su se stesso, abbandonando la stanza.

“Kurt, aspetta...” Il suono sordo della porta della sua camera che veniva sbattuta lo fece desistere dall'avanzare una qualunque spiegazione. Quando si alzò, scoprì con sorpresa che Kurt aveva chiuso la porta a chiave.

“Ehm... Kurt?” bussò delicatamente, ma l'altro non rispose. Sentì solamente il fruscio di abiti che venivano lanciati sul letto e i passi di Kurt che si muoveva avanti e indietro, borbottando tra sé e sé.

“Kurt, possiamo parlarne un momento per favore?” provò a dire, aggrappandosi alla maniglia.

“No. Vai via.” fu l'articolata risposta di Kurt.

“Andiamo, non puoi essere davvero arrabbiato. Lo sai che l'ho detto solo perchè ho paura che ti succeda qualcosa! Non puoi prendertela con me solo perchè sono preoccupato!”

Kurt non rispose e Blaine rimase lì davanti ancora per qualche minuto, finchè non decise di tornare in salotto, dove Sebastian ed Eric lo aspettavano ansiosi.

“Allora?” domandarono all'unisono.

“Niente, si è chiuso nella mia stanza e non vuole parlarmi.”

Sia Sebastian che Eric fecero un tentativo di stanarlo, ma senza successo. Fu solo due ore più tardi, dopo svariate suppliche sussurrate da Blaine attraverso la porta, che Kurt decise di uscire; indossava un paio di jeans e la maglia di Harvard di Blaine, oltre che un'espressione tremendamente scocciata.

“Esco solo perchè ho fame. Sono ancora arrabbiato con te.” disse puntando il dito sul petto di Blaine con aria risoluta. Era del tutto intenzionato a non lasciare cadere l'argomento.

“E io continuo a pensare che tu sia cocciuto e testardo. E che mettere un kilt potrebbe attirare troppo l'attenzione di qualche malintenzionato e cacciarti nei guai, ma ti coccolerò comunque sul divano.”

Kurt, con le braccia incrociate sul petto, sollevò un sopracciglio: “Davvero?”

“Volente o nolente, ti atterrerò di forza sui cuscini e ti somministrerò una dose mortale di grattini. Ma rimango della mia idea.” scherzò Blaine.

“E io della mia.” rispose Kurt di rimando.

“Bene, almeno su questo siamo d'accordo. So che pensi che mi preoccupo per niente ma...”

Kurt lo guardò intensamente, poi annuì: “Staremo attenti, promesso.”

Blaine sarebbe stato presente, se fosse successo qualcosa sarebbe potuto intervenire e aiutarlo. Proteggerlo, se necessario: non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa di grave. Blaine sorrise, rassicurato, e seguì Kurt in salotto, sprofondando seduto accanto a lui.

A quel punto, Sebastian sollevò un argomento che tutti i presenti avevano paura di affrontare.

“Bene, ora che la nostra drama queen ha finito di tormentarci con la sua sindrome premestruale, possiamo riflettere su qualcosa di davvero importante? Fra tre mesi questo appartamento non sarà più il bilocale con il più alto tasso di gay di Lima? Voglio dire, perfino allo Scandals di tanto in tanto mette piede qualche etero, qui perfino il ragazzo delle consegne è più queer di un unicorno che cavalca l'arcobaleno.” disse con un sospiro.

“Già. Tre mesi.” rispose Blaine, sospirando di rimando. Tre mesi e lui sarebbe stato alla Brown.

E Kurt, con il suo amato kilt, a New York.

“Avete già pensato come... ehm, diffondere la notizia che voi due state insieme? Voglio dire, con la fine della scuola non sarà più necessario nascondersi, giusto? Non che siate mai stati esattamente dei maghi nel tenere un profilo basso, ma...” domandò Eric, sporgendosi verso Blaine e Kurt.

“Oh. Beh... veramente io non ci avevo ancora pensato. Forse dirlo il giorno dopo la fine della scuola sarebbe un po' come ammettere che la relazione è nata durante l'anno scolastico, quindi probabilmente farebbe comunque nascere un po' di pettegolezzi. Potremmo andare avanti così ancora per qualche settimana, poi semplicemente cominciare a farci vedere in giro e...” Improvvisamente, Blaine si sentì spaventato. Con la fine della scuola alle porte, il rischio di uno scandalo si faceva più reale che mai: chissà che cosa avrebbe detto la gente, magari sarebbero arrivati i giornalisti, addirittura avrebbero finito per avvisare i suoi professori alla Brown. Di bocca in bocca, la storia del giovane insegnante innamorato sarebbe diventata quella di un educatore perverso che approfittava di un ragazzino.

Anche se ancora arrabbiato, Kurt lo baciò su una tempia e gli passò una mano sulla schiena, quando vide che si stava agitando: “Tranquillo, Blaine. Non dobbiamo appendere manifesti per le strade un minuto dopo la fine della scuola. I miei genitori lo sanno già, i tuoi amici anche. Ci penserò io a dirlo ai ragazzi del Glee, ma sono certo che, a parte lo stupore iniziale, si limiteranno a chiedermi se sono ancora in tempo per corromperti e far alzare i loro voti di fine anno. Non c'è bisogno che lo sappiano altre persone, ma noi potremo finalmente andarcene a cena, al bowling e al ristorante senza timore di ripercussioni. Solo io e te, ok? Non succederà nulla di quello che già so stai immaginando sotto quel cuscino di ricci.” sorrise, sforzandosi di essere rassicurante.

E Blaine riprese a respirare normalmente: “Già. Sì. Scusami... mi è presa un po' d'ansia all'improvviso. Comunque mi mancherà, questo appartamento. E le nostre serate tutti insieme.”

Non avevano ancora parlato di quello che avrebbero fatto a settembre, se avrebbero dato o meno una chance a una relazione a distanza, così ignoravano che nessuno dei due aveva intenzione di concedere all'altro la possibilità di abbandonarlo. Avevano paura di dirlo ad alta voce, ma il desiderio di mettersi in gioco era forte.

Blaine stava quasi per dire a tutti che avrebbero potuto organizzare serate simili nell'appartamento newyorchese di Kurt, dando voce alla sua speranza di rimanere con lui anche dopo le rispettive partenze, quando fu il turno di Sebastian di alzarsi e annunciare qualcosa ai presenti.

“Ragazzi, a proposito dell'appartamento, anche io ed Eric vogliamo rendervi partecipi di una decisione molto importante che abbiamo preso mentre Kurt era a New York per i provini.” Eric si alzò e Sebastian lo strinse a sé, appoggiandogli il braccio sulle spalle. “Come sapete già, lui studia qui in Ohio e io ad Harvard. Fino a oggi ho potuto giustificare questi lunghi soggiorni a Lima dicendo ai miei che stavo da Blaine, ma non appena si trasferirà alla Brown non sarà più una scusa plausibile. Quindi... l'appartamento lo prenderemo in affitto noi due non appena Blaine chiuderà il suo contratto, abbiamo già parlato con il proprietario. E domani porterò Eric a conoscere i miei. Cena ufficiale e tutto quanto.”

Non aveva ancora finito di parlare, che Eric strillò, allargando le braccia in modo teatrale: “Andiamo a vivere insieme! Ci potete credere?”

Mentre Kurt ed Eric si abbracciavano entusiasti, saltellando qua e là per la stanza e discutendo delle possibili modifiche che potevano introdurre per rimediare al pessimo gusto dell'attuale occupante, Blaine si alzò dal divano e strinse solennemente la mano di Sebastian, che poi lo tirò in un abbraccio, per sussurrargli terrorizzato all'orecchio: “Mi sto letteralmente cagando sotto all'idea, sappilo. Ma se non dessi davvero una chance a questa cosa, non potrei mai perdonarmelo.”

“Sono sicuro che tua madre lo adorerà. Ovvio, non è nemmeno paragonabile alla perfezione fatta persona quale invece sono io, ma suppongo che si accontenterà. Ma la convivenza andrà bene, praticamente vivete insieme sotto questo tetto già da mesi. Non hai intenzione di lasciare Harvard, vero?” chiese, realizzando che forse era quella l'idea dell'amico.

“No, no. Alla fine qui con Eric studio più di quanto non facessi a Boston, la media dei miei voti è addirittura migliorata. Non rimarrò sempre qui, ma sarà il posto dove tornerò non appena possibile. Ed Eric aveva davvero bisogno di cambiare aria. Qualche giorno fa ne abbiamo parlato e ci siamo trovati d'accordo, è stato quasi naturale decidere di rimanere qui. È stato troppo spontaneo per essere qualcosa di cui potrei pentirmi.” Si scambiarono una lunga occhiata eloquente, poi Kurt sbucò all'improvviso in mezzo a loro e abbracciò stretto Sebastian.

“Ragazzi, è meraviglioso! Dobbiamo assolutamente festeggiare.” annunciò.

“Orsetti alla vodka?” gridò interrogativo Eric dalla cucina.

Disapprovando la proposta alcolica di Eric, Blaine scosse la testa e urlò in risposta: “C'è del sidro frizzante nel frigorifero, prendi quello e le patatine nella dispensa. Poi ordiniamo qualcosa da asporto!”

“Sushi?” supplicarono Sebastian e Kurt all'unisono. Blaine annuì, perchè aveva paura della possibile reazione di Kurt, se avesse proposto di ordinare ancora thailandese.

“E che sushi sia.”

Kurt raggiunse Eric in cucina, poi passò la serata chiacchierando con i ragazzi di quanto costavano i voli tra Columbus e Boston, della necessità di cambiare il materasso del letto della camera matrimoniale e di quanto sarebbero state carine le pareti se le avessero coperte di tappezzeria color lavanda. L'allegria e l'ottimismo di Sebastian ed Eric, eccitati per la prossima convivenza, fu contagiosa: stretto tra le braccia di Blaine, con la possibilità di un futuro radioso e la fine della scuola alle porte, Kurt pensò di non poter essere più felice di così.

Anche se rimaneva ancora un po' arrabbiato con Blaine, ovvio.


***

 

Nonostante le raccomandazioni di Blaine, in cuor suo Kurt si convinse addirittura che nulla sarebbe più potuto andare storto. Tale illusione sembrò irrobustirsi ulteriormente quando dopo qualche giorno le Nuove Direzioni vinsero a Chicago e madame Tibidaux fece la sua improvvisa comparsa nel pubblico del teatro proprio durante l'assolo di Rachel, rendendo così più concreta la possibilità di portare Rachel con sé a New York.

L'ingresso a scuola tra i coriandoli e i festeggiamenti degli altri studenti fu qualcosa di epico, che lui e gli altri ragazzi non avrebbero mai dimenticato: i perdenti del Glee erano finalmente dei campioni. Camminare per i corridoi, beandosi degli applausi entusiasti, fu catartico, quasi terapeutico: tutti volevano abbracciarli, congratularsi o stringergli la mano. Se non fosse stato tanto elettrizzante, avrebbero avuto la forza di realizzare che quelle erano le stesse persone che si erano rifiutate di dividere il banco con loro, che avevano boicottato ogni loro iniziativa e che avevano mormorato alle loro spalle le peggiori malignità. In quel momento, tuttavia, non aveva importanza: l'adrenalina e l'eccitazione avevano creato un'atmosfera unica e loro intendevano godersela fino alla fine.

Forse fu proprio per quello che, trasportato dall'ottimismo, quando Kurt incontrò in corridoio Dave non esitò nell'accettare la sua proposta di andare in un'aula appartata per parlare un momento da soli. Il ragazzone chiuse la porta e giocherellò con uno dei cordini della sua felpa, bofonchiando nervosamente qualche complimento per la vittoria, mentre Kurt si accomodò su uno dei banchi vuoti. Lo osservò incuriosito, senza sapere qual fosse il vero motivo della richiesta di Dave o di cosa intendesse parlargli: fece dondolare le gambe e attese pazientemente che trovasse da sé la forza di dirglielo. Si spazzolò dalle spalle i coriandoli che i giocatori di hockey gli avevano scherzosamente tirato addosso e rispose alle cortesi, seppure imbarazzate, domande di Dave sulle gare e su New York in primavera; si sentiva a suo agio a stare da solo con lui, perché da settimane non vedeva più, nei suoi movimenti, la furia trattenuta stento che nei mesi precedenti aveva imparato a temere.

“Grace, la mia... ehm, terapeuta, mi ha detto che devo parlarti.” disse improvvisamente, interrompendo le chiacchiere senza importanza che li avevano intrattenuti fino a quel momento. Kurt annuì in silenzio e gli fece cenno di continuare, lasciando cadere a terra i coriandoli che aveva raccolto fino a quel momento. “Stavamo parlando del ballo e mi è sfuggito... le ho detto che avrei voluto andare al ballo con te.”

Kurt sgranò gli occhi, sorpreso da quella confessione. Dave agitò le mani tra di loro e si affrettò a spiegarsi: “Non fraintendermi, non è mai stata mia intenzione chiederti effettivamente di venire al ballo con me. Non sono pronto per far sapere a tutti che... che forse sono gay. Secondo Grace ho davvero molto lavoro da fare su me stesso prima di poter reggere la pressione psicologica e sociale di un coming out. Quello che intendevo dire, è che ero molto confuso circa quello che provavo per te, l'idea che avevo... per un certo momento ho pensato che forse mi piacevi, non lo so. Che forse c'erano dei sentimenti da parte mia, nei tuoi... nei tuoi confronti.”

Agli occhi sgranati, Kurt accompagnò una bocca poco elegantemente spalancata. Non aveva mai preso in considerazione quella possibilità, aveva semplicemente pensato che Dave avesse smesso di essere omofobo e fosse venuto ai patti con la sua possibile omosessualità.

“Dave, io...” cominciò a dire, ma l'altro lo interruppe, afferrando una mano che Kurt teneva appoggiata sulle ginocchia e riprendendo a parlare, con voce rotta, ma determinata.

“Non devi dire niente. In realtà io... provavo sentimenti molto contrastanti. E a volte li provo tutt'ora, ma quello su cui devo concentrarmi per adesso è solo me stesso. Uno dei tanti passi che devo compiere è chiederti scusa, Kurt. Mi dispiace che la mia frustrazione sia stata causa per te di tanta sofferenza; per poter andare avanti ho bisogno di sapere che potrai perdonarmi, un giorno.”

“Sì. Voglio poter essere tuo amico, un giorno. Ma se è questo ciò di cui hai bisogno ora, sappi che vedo che sei cambiato. E sono felice per te, davvero.”

Kurt abbassò lo sguardo sulle loro mani e voltò la sua, contraccambiando la stretta gentile di Dave, sorridendo timidamente davanti a quell'immagine: mesi prima, avrebbe considerato folle l'idea di prendere per mano Karofsky. Ma erano cambiate tante cose, durante quei mesi: lui stesso era cambiato ed era in grado di perdonare qualcuno che credeva non gli avrebbe mai chiesto scusa.

Rimasero così, per qualche istante, finchè il silenzio e quell'intima immobilità non li fecero sentire a disagio: Dave fece un passo indietro, Kurt sfilò la mano e la infilò in tasca.

“Con chi verrai al ballo, dunque?” chiese, giusto per spezzare l'imbarazzo del momento.

“Con Santana Lopez. Mi ha chiesto di aiutarla nella sua campagna di reginetta.” rispose l'altro, stringendosi nelle spalle. Essere un giocatore di football aiutava, almeno in quelle circostanze.

“Santana? Ma lei è innamorata di...” Kurt non concluse la frase. Dopotutto, erano solo i ragazzi del Glee a sapere di lei e Brittany; non avevano ancora ben chiaro che cosa ci fosse tra di loro, ma sapevano che c'erano in ballo dei sentimenti.

“Di Brittany, la cheerleader bionda che crede che esistano gli unicorni. Sì, ne sono a conoscenza.”

Fu Dave a finire la sua frase, lasciando Kurt di stucco. Quella conversazione si stava rivelando assai più sorprendente di quanto si fosse aspettato.

“Ma come fai a saperlo?” sbottò, saltando giù dal banco.

“Diciamo che incrocio Santana in un certo posto, un paio di volte a settimana. E a volte ci capita di sederci insieme in sala d'attesa e parlare un po'. Abbiamo qualche problema in comune, qualche dubbio da chiarire, ma ci stiamo lavorando su. Qualche giorno fa eravamo in caffetteria, siamo inciampati nell'argomento prom e abbiamo convenuto che andarci con un... beh, con un amico potesse essere il giusto compromesso. Piuttosto che andarci da soli o... ecco, lo sai.”

Kurt sollevò un sopracciglio, elaborando rapidamente quello che Dave gli aveva appena detto. Dunque anche Santana stava vedendo una terapeuta; era lieto di saperlo, perché lui per primo aveva osservato con perplessità il suo improvviso disinteresse per i ragazzi del McKinley in favore delle attenzioni di Brittany. Non aveva osato dirle nulla al riguardo, ma sapeva che si era trattato di un cambiamento troppo repentino per lasciare che lo affrontasse da sola.

“Hai ragione, se non vi sentite pronti, è meglio così.”

“Ho saputo che tu invece verrai con un certo... Chandler, giusto? Sono felice per te. Insomma, dopo tutti questi casini trovare qualcuno disposto a mettersi in gioco così tanto con te, è roba grossa. Giusto?” commentò imbarazzato. Kurt si affrettò a spiegare i pettegolezzi che gli erano giunti.

“E' solo un amico. Rachel non voleva che venissi da solo e ha pensato bene di chiedere a Chandler di accompagnarmi, ma non è il mio ragazzo. Proprio no, ecco.”

“Oh. Scusami, allora. Ho pensato che quella degli amici fosse solo una scusa. È quello che penseranno tutti, lo sai.”

“Sì, lo so. Ma non volevo rimangiarmi l'invito e ferirlo, dato che sembrava tenerci così tanto. Gli esami sono alle porte e il sabato del ballo la scuola ormai sarà finita, che vuoi che ci succeda?”

L'entusiasmo e l'ottimismo di Kurt lasciarono Dave comunque preoccupato. Si sfregò il mento tra indice e pollice, pensieroso: “Meglio che facciate attenzione. Non ero di certo l'unico ad averti preso di mira.”

Kurt stava per rispondergli, quando Sugar aprì la porta dell'aula e strillò eccitata nella sua direzione, per poi correre via barcollando su dei tacchi vertiginosi: “Eccoti, finalmente ti ho trovato! Corri Kurt, stiamo per mettere il trofeo nella teca! Che aspetti, forza, vieni!”

Si voltò a guardare Dave, che gli fece silenziosamente cenno di andare; quando raggiunse gli altri ragazzi nella sala del coro, le raccomandazioni del giocatore scivolarono in un angolo recondito della sua mente, insieme alle riserve di Blaine circa le possibili reazioni al suo kilt. Il trofeo era sfarzoso, luccicante e pretenzioso, ma in quel momento a Kurt non importava che fosse kitsch: era un simbolo, il fiore all'occhiello di un anno iniziato sotto i peggiori auspici e che ora si concludeva in bellezza. Rimase a contemplarlo insieme agli altri, tenendo Rachel per mano, finchè lei non si sciolse dalla sua stretta per pomiciare con Finn; Kurt avrebbe voluto che anche Blaine fosse lì in quel momento, per condividere con lui la gioia dei festeggiamenti. Si lasciò sfuggire un lamento, poi tornò a buttarsi nella mischia dei ragazzi, che stavano spruzzando sidro e mangiando torta.

Sarebbe venuto il loro momento. Mancavano solo una settimana di esami e il prom, poi la scuola sarebbe finita e avrebbero potuto comportarsi come una coppia normale. Assaggiare finalmente quale gusto avrebbe avuto concedersi quel tutto che ora sembrava ancora così lontano.

 

***

 

Durante la settimana degli esami, decisero di comune accordo che era meglio non vedersi ogni giorno. Kurt doveva studiare e Blaine aveva numerosi impegni, dovuti agli scrutini, che lo costringevano a rimanere a scuola anche dopo la fine delle lezioni. Il giorno del prom giunse in un battito di ciglia, lasciando alle loro spalle la stanchezza dello studio e l'estenuante ritmo delle prove finali: riuscirono a incontrarsi per fare colazione insieme il sabato mattina al Lima Bean, beandosi dei caldi raggi di sole che filtravano attraverso le vetrate del locale.

Sfiancato dalla settimana appena conclusa, Kurt decise di premiarsi con un frappuccino al caramello e un enorme biscotto ripieno: al diavolo la dieta, si era detto. Ormai tutti i pantaloni gli andavano larghi a causa dello stress da provino, nazionali ed esami: poteva concedersi un po' di cibo spazzatura, altrimenti il suo sedere avrebbe finito per assomigliare a una prugna secca. Seduto davanti a lui, Blaine stava sfogliando un giornale, sbocconcellando distrattamente un muffin gigantesco e canticchiando la canzone di Katy Perry che era trasmessa dalla radio della caffetteria.

Ormai aveva abbandonato i suoi tentativi di convincere Kurt a cambiare abbigliamento per il ballo di fine anno: neppure il sostegno di Burt era servito a qualcosa. Se possibile, Kurt si era impuntato ancora di più su quella scelta appariscente.

Seduti al loro solito tavolino, erano rilassati, confortati da quel rassicurante silenzio; questo almeno finchè il cellulare di Kurt non emise il caratteristico suono che segnalava l'arrivo di un messaggino. Kurt ignorò il suono e continuò a guardare fuori dalla vetrina, succhiando la cannuccia con la ferma determinazione di godersi l'unico frappuccino che avrebbe bevuto nel 2012.

Poi il telefono suonò ancora.

E ancora.

E ancora.

“Dovresti rispondere.” commentò Blaine, smettendo di canticchiare e alzando gli occhi dal giornale che stava coprendo di ditate al cioccolato fondente. “Potrebbe essere qualcosa di importante.”

Kurt mordicchiò infastidito la cannuccia, poi sbuffò: “So già di chi si tratta. Può aspettare.”

Un altro messaggino.

Poi un altro ancora.

Blaine fece per parlare e Kurt sollevò una mano per fargli cenno di fermarsi: “Va bene. Ora leggo. Ma so già che è Chandler. E' da ieri che sta dando di matto per l'outfit di stasera. Da quando ha saputo del kilt non fa che tormentarmi, perché vuole indossare qualcosa di altrettanto originale; ma so già che non riuscirà mai a essere elegante quanto me, per quanto si sforzi.”

Blaine sollevò un sopracciglio, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Kurt si strinse nelle spalle: “Ehi! Guarda che, nonostante i tuoi dubbi, l'idea del kilt è stata geniale, l'ha ammesso anche lui. Comunque ora mi sta scrivendo per sapere se deve passare lui a prendermi o se passo io da lui. E di che colore metto la cravatta, così può prendermi una boutonnière coordinata.” Alzò gli occhi al cielo, esasperato.

“Non fare così, dai... è molto gentile da parte sua. Ha voglia di farti passare una bella serata e dovresti apprezzare i suoi sforzi.” Precisò Blaine, facendolo sentire immediatamente in colpa. Kurt digitò rapidamente un paio di sms di risposta, poi tolse la suoneria.

“Gli ho detto che passo a prenderlo io con la limousine noleggiata da Rachel e Finn, e che la mia cravatta è nera. Contento? Così oggi al mucchio di cose che ho da fare devo anche aggiungere una visita al fiorista, perché mi sentirei un idiota a non contraccambiare il suo pensiero.” Si sfregò il viso con una mano, esasperato.

“Accidenti Kurt, rilassati... che avrai poi da fare.” commentò Blaine, roteando gli occhi e prendendolo in giro. L'altro, in tutta risposta, gli fece una linguaccia; Blaine sapeva benissimo che avrebbe passato il pomeriggio correndo da Rachel, Tina, Santana e Brittany per aiutarle a sistemare gli ultimi dettagli dei loro abiti, per poi tornare da Finn e costringerlo brutalmente a indossare lo smoking a nolo che aveva ritirato in lavanderia prima di arrivare al Lima Bean.

“Ammettilo, adori sentirti indispensabile.” Blaine si sporse verso di lui e gli pizzicò teneramente il braccio. Ancora un giorno, e dopo ogni scherzosa presa in giro, avrebbe potuto farsi perdonare con un bacio. A quelle parole, Kurt rise cristallino e Blaine desiderò ancora di più di poterlo baciare.

“Lo ammetto. Ma sai cosa mi piacerebbe ancora di più?” rispose facendosi improvvisamente serio.

“Cosa?” Blaine sorrideva ancora.

“Poter ballare con te. Stasera. Sarebbe catartico.” buttò lì, come se avesse proposto qualcosa che avrebbero potuto fare in tutta tranquillità.

“Kurt... ne avevamo parlato. Non possiamo. Io vorrei ma... non eri d'accordo anche tu di limitarci ai ragazzi del Glee e di lasciare che le cose prendano la loro strada da sé? Ballare insieme al promo sarebbe come mettere l'annuncio su Lima Today.” spiegò Blaine, sorpreso dall'improvvisa proposta di Kurt. Ma poteva capirlo, lui stesso avrebbe dato tutto per avere quattro anni in meno ed essere un senion in quello stupido liceo.

“Lo so... è solo che più programmo l'uscita con Chandler, più mi rendo conto che sarebbe stato meraviglioso poter stare con te, questa sera. Ci saremmo fatti forza a vicenda, avremmo ballato e cantato insieme agli altri... Che cosa poteva essere meglio di ballare con il ragazzo che amo? Lo so, è una sciocchezza. Non avremmo mai il coraggio di farlo, in più non è possibile, quindi... fingiamo che io non abbia detto nulla, va bene?” Kurt tamburellò le dita sul tavolo, perso nei suoi pensieri.

A Blaine passò l'appetito, così appoggiò il muffin vicino al giornale, stordito dalla sua improvvisa inappetenza. Il caffè era improvvisamente troppo forte, così spinse indietro anche quello, verso il centro del tavolo. Era fiero di stare con Kurt, ma quello che gli stava chiedendo era troppo.

Allora perché stava accarezzando l'idea di farlo lo stesso?

Scosse la testa e abbassò lo sguardo sul giornale, sforzandosi di ricordare quello che Kurt gli aveva detto la settimana prima, quando erano seduti sul divano del suo appartamento, e riprese a respirare.

Sarebbe andato tutto bene, il prom sarebbe passato e loro avrebbero avuto un'estate intera da trascorrere insieme per capire se c'era o meno un futuro per la loro storia. Kurt cominciò a parlare della possibilità di passare un paio di settimane insieme presso la casa al lago e Blaine fu grato di quel cambio d'argomento: l'idea di partecipare al ballo per fare qualcosa di diverso dal sorvegliare le bevande lo terrorizzava.

Il potere che il ricordo di quel pestaggio riusciva ad avere ancora su di lui dopo tanti anni lo faceva infuriare. Ma lo spaventava anche.

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Capitolo 36
*** Capitolo trentacinquesimo (parte seconda) ***


Non mi perdo in ciance. Buona lettura e buon ultimo capitolo.

E' tempo di prom, quindi vestitevi eleganti!

 

Capitolo trentacinquesimo

(parte seconda)

 

Come era prevedibile, Chandler si rivelò un accompagnatore entusiasta: quando Kurt e gli altri arrivarono davanti alla villetta dove viveva con i suoi genitori, era già sotto il portico, saltellando eccitato accanto a sua madre, una minuscola donnina bionda. Che ovviamente saltellava a sua volta.

Kurt pensò che forse il costante stato di esaltazione del ragazzo fosse qualcosa di genetico.

“Kurt! Yuuuuuhh! Sono qui!”

Lo chiamò agitando freneticamente la mano e alzandosi sulle punte dei piedi, come se per sbaglio Kurt potesse non vederlo o dimenticarlo lì sulla soglia. Fortunatamente, il suo abbigliamento era originale, ma garbato ed elegante: il completo vintage di Vivenne Westwood che Kurt gli aveva consigliato di indossare si era rivelato un'ottima scelta. Anche se uno accanto all'altro sembravano una coppia di fashion editor in libera uscita, doveva ammettere che insieme stavano piuttosto bene.

Come amici, ovvio.

La madre di Chandler insistette per scattargli una fotografia davanti alla porta di casa e arrivò anche a lasciarsi sfuggire una lacrima di commozione: “Il mio bambino è diventato un ometto...” mormorò mentre gli aggiustava il colletto della giacca. Probabilmente se avesse letto anche solo uno dei messaggini osè che Chandler aveva scritto l'anno prima al povero Kurt nel tentativo di sedurlo, si sarebbe risparmiata certe affermazioni. Tuttavia Kurt la trovò oltremodo tenera, e fu felice di aver dato a Chandler, con il suo invito incidentale, la possibilità di prendere parte a un ballo con tanto di accompagnatore. Era evidente che era qualcosa cui sia lui sia la sua mamma tenevano moltissimo.

Raggiunsero Rachel e Finn nella limousine, poi ripartirono, diretti al McKinley: su di giri, Chandler strinse energicamente la mano a Finn e spalmò il viso contro il finestrino, godendosi il viaggio. Quando arrivarono al liceo, Sam e Puck non aspettarono il loro ingresso in palestra e si fecero loro incontro a grandi passi; prestando ben poca attenzione al loro benvenuto, Kurt allungò il collo per vedere se Blaine era nei paraggi, ma non ebbe fortuna.

“Ciao ragazzi! Ehi, tu devi essere... Chandler, non è vero? Siamo tutti così felici di poter finalmente incontrare il ragazzo che ha rubato il cuore del nostro Kurt. Non è vero, Puck?” disse Sam sorridendo e afferrando la mano di Chandler e scuotendola con forza.

In piedi accanto a lui, Puck annuì serio, poi passò direttamente alle minacce, appoggiandogli una mano sulla spalla con simulata gentilezza: “E' vero. Ma tu prova anche solo a farlo soffrire, che dovrai vedertela con Puckzilla. E' chiaro? Nessuno può permettersi di...”

“Ullalà! Sei proprio un orso cattivone, non è vero?” rispose Chandler, battendo le mani, entusiasmato dal tentativo di Puck di spaventarlo. Diede un colpo di gomito nelle costole di Kurt, per attirare la sua attenzione: “Non ero mai stato ammonito da un ragazzo tanto carino.”

Strizzò l'occhio a Puck con aria complice, il quale si voltò verso Sam, paralizzato dall'imprevedibile reazione del ragazzo; Kurt per poco non scoppiò a ridere di fronte a quello spettacolo. La serata si preannunciava spassosa e pregna di equivoci.

“Tranquilli, Chandler non è il mio ragazzo. È solo un amico che mi accompagna al ballo. Per favore, siate gentili e accantonate i tentativi di intimidazione. Ok?” si premurò di raccomandare, lanciando un'occhiataccia a Puck.

La palestra puzzava di plastica, sudore e alcool di contrabbando: forse fasciare più di duecento adolescenti in tessuti sintetici da quattro soldi e rinchiuderli in una palestra non era la migliore delle idee. Soprattutto a inizio Giugno.

A Kurt mancò il respiro per l'aria soffocante e viziata, ma almeno ebbe una buona scusa per lasciare Chandler con gli altri e allontanarsi per qualche istante: “Vado a prendere qualcosa da bere. Ti va bene una Coca Light?”

Chandler, che stava già dondolando a ritmo della musica, gli rivolse un cenno assente e tornò a chiacchierare con Brittany; a quanto pare, quei due avevano legato immediatamente. Kurt li osservò per qualche istante, poi scosse la testa e si diresse verso il tavolo delle bevande, dove si aspettava di trovare Blaine. E fu proprio lì che lo scovò, intento a rassicurare Sue che nessuno avrebbe corretto il suo punch.

Kurt si prese un momento per ammirare il modo in cui la giacca gli cadeva perfettamente sulle spalle, poi si schiarì la voce: “Mi scusi, professor Anderson. Ci possiamo servire da soli o dobbiamo chiedere a voi?” domandò scherzoso, ottenendo l'attenzione di Blaine, che sorrise allegro.

Si spostarono all'estremità del tavolo e Kurt gli indicò il punto dove si trovavano Chandler e gli altri ragazzi, pronti per le loro esibizioni. In quel momento stava cantando Tina, ma nessuno sembrava prestarle troppa attenzione.

“Sembra davvero contento di essere qui. Chandler, intendo.” commentò Blaine, che stava sorseggiando una lattina di aranciata insieme a Kurt.

“Lo è. Spero di divertirmi almeno la metà di quanto si divertirà lui.” sospirò in risposta Kurt, con la Coca destinata al ragazzo ancora stretta in una mano.

“Comunque... sei bellissimo, stasera.” sussurrò Blaine, mantendo un'espressione impassibile e concentrata sugli studenti, fingendo di controllare la situazione. Kurt arrossì comunque e abbassò lo sguardo.

“Anche tu. Peccato però che ti manchi qualcosa.” mormorò di rimando e sorridendo compiaciuto. Blaine si voltò di scatto verso di lui, sorpreso.

“Ah sì, e che cosa?” domandò, incuriosito dall'affermazione di Kurt.

“Vieni.” Kurt appoggiò la lattina sul tavolo e gli fece cenno di fare altrettanto. “Dì alla Sylvester che devi restituirmi un libro. Io dirò lo stesso ai ragazzi, così nessuno ci verrà a cercare.”

Rimase in attesa vicino a una delle porte, finchè Blaine non lo raggiunse: “Dove andiamo?”

“Nella tua aula, ovvio.”

Kurt e lui camminarono insieme lungo i corridoi bui e silenziosi; una volta nell'aula, Blaine sedette sulla cattedra e rimase in attesa. Ancora non sapeva che cosa gli mancasse per essere perfetto, ma aveva la netta sensazione che l'avrebbe scoperto presto: Kurt stava frugando nella tasca interna della sua giacca.

“Ok. Chiudi gli occhi e apri il palmo della mano.” Lo istruì serio. Blaine non esitò nell'eseguire, chiudendo immediatamente gli occhi; li riaprì quando sentì Kurt posargli qualcosa sulla mano.

Qualcosa di piccolo, ma leggero e morbido.

Si ritrovò tra le dita la boutonnière più graziosa che avesse mai visto, oltre che, davanti a sé, un meraviglioso ragazzo imbarazzato.

“E' per la tua giacca. Non è fatta con i fiori perchè si sarebbe sgualcita a infilarla nella tasca. L'ho fatta io, qualche... qualche giorno fa. Potremmo fingere che sei passato a prendermi e che te l'ho regalata? Come se fossimo venuti qui insieme. Solo come Kurt e Blaine.” balbettò agitato. “Però se non ti piace, non metterla. Non sei obbligato, ecco.”

Blaine era senza parole. Accarezzò delicatamente una delle piume e passò il polpastrello sulla piccola moneta che ne decorava la base: era perfetta.

“Kurt... io non ti ho preparato nulla.” Si scusò, ma Kurt lo zittì togliendogli la boutonnière dalle mani e cominciando a fissarla alla sua giacca.

“Non importa. Da domani... sarà tutto diverso. Ma stasera sei ancora il mio professore. So bene che ci sono cose che non potresta fare nemmeno volendo. È tutto ok.”

Passò la mano sui rivolti della giacca e fece un sorriso soddisfatto: “Il tocco del maestro. Ora sì, che sei perfetto. Il mio bellissimo Blaine.”

L'altro scivolò già dalla cattedra e lo abbracciò stretto, senza azzardarsi a baciarlo.

“Grazie.” mormorò.

“Ora torniamo in palestra. Ma prima dammi un libro.” rispose Kurt.

“Un libro?” domandò Blaine, perplesso.

“Sì, era la nostra scusa per lasciare momentaneamente il ballo, ricordi?”

Blaine rise, afferrò il volume più vicino e lo passò a Kurt, poi spensero la luce e abbandonarono l'aula. Al loro ritorno, Sue era furibonda: in cinque minuti, il tavolo delle bevande era stato saccheggiato e senza Blaine che presidiava il punch lei non era andata a prendere i rifornimenti.

“Maledizione, Anderson!” sbottò quando arrivarono.

“Mi scusi coach. Doveva rendermi un libro.” si scusò educatamente Kurt, sollevando il libro incriminato. Sue sollevò un sopracciglio e commentò acida: “Certo Hummel, scommetto che non potevi vivere un altro giorno senza la tua copia di Analisi avanzata della poesia medievale dell'Inghilterra rurale. Anche io non riesco a dormire, se non mi rileggo almeno qualche pagina di quel capolavoro ogni sera.”

I due sgranarono gli occhi. Non si erano nemmeno resi conto di aver preso un libro tanto improbabile. Blaine aprì la bocca per spiegarsi, ma Sue lo zittì appoggiandogli l'indice sulle labbra.

Non me ne frega un accidente del perchè mi avete raccontato una balla. Ma se non incolli il tuo culo a questo tavolo per il resto della serata posso assicurarti che l'anno prossimo sarai tu il razzo umano dei miei Cheerios. E tu, Porcellana, fila a ballare con quella specie di folletto che ti sei portato appresso. Sparisci.”

Non questionarono le sue minacce e si salutarono rapidamente. Per il resto della serata, Kurt ascoltò i ragazzi del Glee cantare ed eseguì a sua volta un paio di pezzi; vide Blaine solo quando trovò il tempo di fermarsi per bere, ma fu felice di vedere che gli studenti sembravano soddisfatti delle loro performance.

E nessuno lo prese in giro per il suo kilt. Compiaciuto, si appuntò mentalmente di riferirlo a Blaine.

In sostanza, procedeva tutto meravigliosamente. Una perfetta conclusione per un anno cominciato tanto male.

 

***


La serata stava per arrivare al termine. Tutti smisero di ballare (e, nel caso specifico di Chandler, saltellare scompostamente sul posto) e si raccolsero davanti al palco dove si trovavano i vari candidati ai titoli di re e reginetta. Kurt strizzò l'occhio a Santana che, fasciata in un abito rosso fuoco, era talmente bella da mozzare il fiato; accanto a lei, un imbarazzato Karofsky salutò la folla con un cenno della mano.

Quando Figgins si presentò sul palco con le buste contenenti i nomi dei vincitori, la folla mormorò eccitata: scoprire che Dave era stato scelto come re non fu una grande sorpresa per nessuno. Kurt applaudì con gli altri e si godette l'espressione soddisfatta di Santana, ormai convinta di avere la vittoria in tasca.

Tutti trattennero il respiro mentre il preside apriva la seconda busta e accolsero perplessi l'espressione scura con cui lesse tra sé e sé il nome della reginetta; chiuse gli occhi per un istante, poi lo sputò nel microfono.

“Kurt Hummel.”

Queste furono le esatte parole che distolsero lo sguardo di tutti i presenti dal palco e li costrinsero a voltarsi verso Kurt, ancora in piedi in prima fila. Tutti lo videro rimanere immobile e impallidire, poi portarsi una mano alle labbra per nascondere un singhiozzo. Tutti lo videro sfuggire al tentativo di Rachel di prenderlo per un braccio mentre usciva di corsa dalla palestra, con i lembri del kilt che gli dondolavano all'altezza delle ginocchia.

Blaine era ancora al tavolo delle bibite, ma non gli sfuggì alcun dettaglio, nonostante la distanza dal palco; strinse con forza una mano intorno a una lattina, combattuto sul da farsi. Si chiese se avrebbe attirato troppo l'attenzione, rincorrendolo fuori dalla palestra mentre tutti erano immobili. Fu Sue, accanto a lui, a dargli una decisa scrollata: “Che aspetti, vai da lui, idiota.”

Uscì da una porta laterale e raggiunse rapidamente Kurt, che stava correndo nel corridoio. Come era prevedibile, stava piangendo ed era sconvolto; Blaine lo afferrò per una spalla e lo tirò in un abbraccio. Non c'era nessuno che poteva vederli, ma forse l'avrebbe fatto comunque.

“Kurt. Calmati. Ora ti porto a casa.” gli disse accarezzandogli i capelli, con il cuore che si spezzava a ogni singulto.

“Mi sono sbagliato, Blaine!” si lamentò rabbioso Kurt, con il viso appoggiato alla sua camicia. Le dita che si aggrappavano al tessuto. Si allontanò da lui e allargò le braccia, furibondo; con il dito, indicò la palestra. “Tutto questo tempo... ho pensato che fossero cambiati. Invece si stavano prendendo gioco di me, stavano organizzando questa stupida buffonata per farsi quattro risate. Quanto sono stato ingenuo.”

Anche tra le lacrime, Kurt non aveva perso il suo cipiglio combattivo; Blaine sedette a terra, con la schiena appoggiata agli armadietti, e lasciò che si sfogasse. Lo guardò urlare, tirare un calcio al muro e smettere di piangere; poteva quasi sentire i suono dei suoi pensieri mentre decideva come reagire.

“Che cosa vuoi fare?” domandò quando Kurt smise di camminare freneticamente avanti e indietro. Kurt inspirò profondamente, si passò i pollici sotto gli occhi per asciugare le lacrime e raddrizzò la schiena.

“Io andrò lì fuori. E mi prenderò quella stupida corona. Possono farsi gioco di me, Blaine, ma non mi spezzeranno. Non stavolta, non a un passo dalla fine di questo inferno. Non gli darò questa soddisfazione.” Si accucciò a terra davanti a lui e gli appoggiò le mani sulle ginocchia. “Gli dimostrerò che non possono toccarmi. Non possono toccare né me, né quello che abbiamo.”

Coraggiosamente, seppure poco elegantemente, tirò su con il naso, pronto a combattere. Blaine gli passò un fazzoletto e aggiunse in tono pericolosamente serio: “Credo che dovrò scambiare quattro parole con Figgins. E' inaccettabile che proprio lui si sia prestato a questa pagliacciata. Sarebbe bastato tacere e ti avrebbe risparmiato tutta questa sofferenza.”

“E' ok, Blaine. Da mezzanotte in poi, quell'uomo non avrà più alcun potere sulla mia vita. Non sprecare altro fiato con lui. Andiamo.” Si alzò in piedi e s'avviò a testa alta verso l'ingresso della palestra. Blaine rimase ai lati del palco mentre si lasciava incoronare e augurava alla Middleton di rodersi il fegato per l'invidia. Nonostante l'amarezza della situazione, a Blaine sfuggì comunque una risata; risata di cui si pentì non appena il preside annunciò il primo ballo di Kurt e Dave come re e reginetta. Blaine era senza parole di fronte all'idiozia di quell'uomo, ma non impiegò molto a decidere come reagire e a pagarne le eventuali conseguenze.

I due ragazzi coinvolti non furono meno sorpresi dalla richiesta di Figgins, e seppure riluttanti abbandonarono il palco.

“Che cosa hai intenzione di fare?” chiese Kurt a denti stretti, inclinando la testa verso Dave, che camminava rigidamente accanto a lui. L'altro distolse lo sguardo dalla folla che si stava aprendo intorno a loro, quasi sfidandoli a ballare per davvero; era senza fiato e un ronzio sordo gli assordava le orecchie da quando Figgins li aveva invitati a raggiungere la pista. Aveva ascoltato, orgoglioso ma confuso, il discorso di Kurt, ma ora non aveva idea di cosa fare, o di cosa si aspettassero tutti da lui: se avesse vinto Santana, sarebbe stato tutto molto più semplice.

“Non ne ho idea. Ma non posso ballare con te. Non posso.” rispose muovendo a malapena le labbra, quasi temendo che gli altri, seppure così distanti da loro, potessero in qualche modo origliare la loro conversazione. Sentì Kurt sospirare e continuare a scendere lentamente gli scalini: il cervello di entrambi stava pensando a una soluzione che risparmiasse entrambi dal vivere un momento terribilmente umiliante, ma senza successo.

Quando finalmente si ritrovarono al centro della pista da ballo, la musica ancora non era cominciata, forse perchè Mercedes e Santana erano ancora tra la folla, mentre la band non sembrava intenzionata a prendere gli strumenti; l'attenzione di tutti era su di loro.

Sul giocatore di football costretto a ballare con lo zimbello della scuola.

In silenzio, Kurt si voltò interrogativo verso di lui, senza la forza gli porgli di nuovo quella domanda. La corona sulla testa di Dave era storta, i suoi occhi più spaventati che imbarazzati, come se stesse contemplando l'ipotesi di ballare davvero con lui; Kurt lo osservò pazientemente, leggendo nel suo volto il dilemma che stava vivendo. Non ci sarebbe stato bisogno di spiegazioni, quando Dave decise che era chiedergli troppo; tuttavia, provò a scusarsi con lui, mordendosi un labbro prima di parlare. Spostò il peso da una gamba all'altra, poi si chinò verso Kurt e bisbigliò con voce intrisa di sincero rammarico: “Mi dispiace Kurt. Mi dispiace così tanto.”

Kurt annuì impercettibilmente, solo per fargli capire che non era un problema, che ce l'avrebbe fatta anche da solo; dopo quello scambio silenzioso, Dave si voltò e cominciò ad allontanarsi da lui. L'essere di nuovo fonte di sofferenza per Kurt era devastante, ma sapeva che rimanere avrebbe distrutto quel precario equilibrio che aveva costruito con tanta fatica nelle ultime settimane. Non si premurò di salutare i suoi amici, né di cercare Santana: salì in auto e guidò fino a casa, attonito e affranto.

E nel frattempo, di nuovo Kurt era solo. Guardò Dave allontanarsi in fretta, camminando scompostamente tra la folla, spintonando ragazzi qua e là per farsi strada verso l'uscita; nessuno sembrava prestargli attenzione, tutti non avevano occhi che per Kurt.

Kurt, il triste ragazzino gay incoronato dalla scuola come una regina, solo per il gusto di divertirsi ancora un'ultima volta alle sue spalle. Abbandonato, solo come un idiota, al centro della pista da ballo, con il kilt di cui andava tanto fiero e la boutonnière che Chandler gli aveva regalato giusto poche ore prima. Quando ancora credeva che tutto sarebbe andato per il meglio, che avrebbe chiuso l'anno in bellezza.

Kurt si sforzò di staccare gli occhi dalla sagoma del ragazzo che fuggiva e fece un mezzo giro su se stesso, a un passo dal lasciar crollare quell'allegra facciata con cui aveva appena accettato il suo scettro e pronunciato un sagace discorso indirizzato a Kate Middleton. Nonostante salire su quel palco e concedere a Figgins di consacrarlo reginetta del ballo fosse stato difficile, non era stato nemmeno lontanamente mortificante come essere lì, davanti a una folla di studenti, senza cavaliere e senza nessuno apparentemente intenzionato a prendere il suo posto.

Aveva preso parte allo scherzo, seppure controvoglia, per dimostrare a tutti che era migliore di loro; ma ora non desiderava altro che correre a nascondersi. La corona gli scottava sulla fronte e le nocche tanto strette intorno allo scettro da essere quasi bianche; perfino il suo viso non aveva la forza di arrossire, tanto era l'imbarazzo e la delusione che gli stavano attanagliando lo stomaco.

Nella folla silenziosa, Kurt riconobbe le ragazze del Glee Club, apparentemente paralizzate per la sorpresa: nessuna di loro si aspettava che il preside, per quanto meschino e ignorante, potesse spingersi fino a quel punto. Bloccate sul posto, si stavano chiedendo se si rendesse conto della situazione in cui aveva appena messo il povero Kurt; con il senno di poi realizzarono che avrebbero potuto raggiungerlo e danzare con lui, ma in quel momento non riuscivano a muovere nemmeno un muscolo, paralizzate e incredule. Lui e Rachel si scambiarono un'occhiata colma di amarezza, poi lo sguardo di Kurt continuò a vagare tra gli studenti: qualcuno rideva, qualcuno aveva gli occhi sgranati e sembrava dispiaciuto. Forse si erano accorti che il loro scherzo non si era rivelato innocente quanto credevano.

O forse non pensavano che la situazione potesse tanto sfuggirgli di mano.

A Kurt non importava quello che pensavano: sarebbe rimasto lì finchè la canzone non fosse terminata, poi avrebbe finto un mal di testa e si sarebbe rifugiato nel caldo conforto del letto di Blaine. Poteva già immaginare la scena; avrebbe pianto, stretto a lui, fino ad addormentarsi, poi avrebbe trascorso il giorno successivo a dimenticare la rovente sensazione di inadeguatezza e infelicità che ora gli bruciava nel petto. Sebastian ed Eric si sarebbero uniti a lui: Eric insultando a ripetizione ogni studente della scuola e Sebastian minacciando di far causa all'istituto.

Blaine avrebbe avuto le parole giuste. Blaine avrebbe saputo rimettere tutto a posto. Ma per ora, Kurt si sentiva così ingenuo e stupido: se davvero aveva sperato che qualcosa fosse cambiato, ora stava sperimentando sulla sua stessa pelle che non era affatto così. Blaine aveva ragione, non avrebbe dovuto abbassare la guardia; si ripromise di dargli ragione, una volta stretto al sicuro tra le sue braccia.

Alle sue spalle, Mercedes e Santana cominciarono a cantare. Kurt si chiese se il tempo stesse forse rallentando, perchè gli sembrava di essere sceso dal palco da ore, mentre probabilmente era passata una manciata di secondi. Dato che stava vivendo l'equivalente sociale di una morte repentina ma colma di sofferenza, Kurt si preparò a vedere il film della sua vita scorrergli lentamente davanti agli occhi prima della fine definitiva; inspirò profondamente, trattenendo le lacrime.

Chandler, rosso in viso per l'imbarazzo, non si azzardò a farsi avanti; come non poteva biasimare Karofsky, Kurt non giudicò codardo nemmeno lui. Era venuto al ballo del McKinley per passare una serata divertente e si era ritrovato davanti a quel bizzarro spettacolo; era ovvio che non desiderasse affatto prenderne parte. Sospirò, rassegnato.

Sarebbe stata la canzone più lunga di sempre.

Blaine era rimasto accanto al palco, aveva ascoltato il discorso di Kurt ed era rimasto sorpreso dal modo assurdo con cui la situazione era stata gestita; nel giro di pochi secondi, fu ben consapevole che lo stupore era stato rimpiazzato dalla collera.

Dal momento che si trovava fuori dal suo campo visivo, Kurt non potè vederlo scagliarsi contro il preside non appena quello scese dal palco per lasciare spazio al primo ballo tra re e reginetta. Fu tuttavia William, che stava cercando Emma, a vederlo: lui e Figgins stavano discutendo animatamente e Blaine sembrava fuori di sé dalla rabbia, anche se quello che stava urlando era soffocato dall'introduzione musicale di Dancing Queen e dalle chiacchiere eccitate dei ragazzi. Blaine, persi i panni di giovane professore posato e composto, stava agitando le braccia e sembrava sul punto di assalire fisicamente Figgins; perfino Emma, in piedi accanto a lui, con le labbra tirate e i pugni stretti appoggiati sui fianchi, non sembrava affatto più tranquilla. L'oggetto della loro furia, Figgins, si strinse nelle spalle con aria noncurante: sembrava non condividere le loro preoccupazioni, né trovare la situazione mostruosamente paradossale. Piuttosto sembrava scocciato da quelle veementi rimostranze.

William li raggiunse e posò una mano sulla spalla di Blaine, costringendolo a interrompere la sequela di furibonde argomentazioni che stava scagliando contro il suo superiore: “... ma le posso assicurare che non finisce qui. Informerò chi di dovere della sua incompetenza. Mi ha capito bene? E anche i giornali se sarà necessario, non è possibile che un educatore che riveste un ruolo tanto importante si permetta di dare spazio a...”

Quando la stretta del collega si fece più stretta sulla sua spalla, Blaine s'interruppe e rivolse la sua attenzione a Schue, ignorando completamente la risposta stizzita che il preside gli stava indirizzando, lasciando che divenisse un rumore di fondo, insieme alla musica e ai bisbigli degli studenti: “... chi si crede di essere per mettere in discussione le mie decisioni... è solo un ragazzino... l'ho sopportato per un anno intero... con tutte le sue idee tragressive e strampalate...”

“Blaine, credo che dovresti lasciarlo perdere almeno per ora.” Gli disse, indicandogli con un cenno del capo qualcosa che si era completamente perso mentre sfogava la sua frustrazione contro il suo superiore. Kurt era rimasto solo al centro della pista e sembrava sull'orlo di un precipizio.

Quello che accadde subito dopo fu una scelta che segnò la vita di entrambi; Blaine ricordò le parole di Sebastian, di quanto decidere di rischiare a volte fosse una decisione tanto spontanea da non poter essere sbagliata. Di quanto a volte correre via dai problemi gli avesse impedito di proteggere le persone che amava.

Di quanto Kurt fosse stato coraggioso nel voler essere ancora una volta se stesso: nonostante le raccomandazioni di Blaine, aveva deciso di non adattarsi e non piegarsi. Si era innamorato di lui per la sua forza e avrebbe fatto tutto il possibile perchè non la perdesse. Non ora.

Si tolse la giacca e la buttò tra le mani di Blaine, poi si fece strada tra i ragazzi che continuavano a fissare Kurt; nemmeno fece caso a Schue ed Emma che portavano Figgins nel suo ufficio per calmarsi e bere un caffè. Quando raggiunse Kurt, era voltato di spalle.

Si ritrovarono soli, con una folla che li circondava: Blaine allungò il braccio e lo sfiorò sul fianco, quel tanto che bastava per attirare la sua attenzione.

L'espressione del ragazzo, quando si voltò, era indecifrabile. Non sembrò capire immediatamente le intenzioni di Blaine, ma sembrò piuttosto pensare che fosse venuto a prenderlo per portarlo via da lì. Ma poi il professore gli porse la mano e, sorridendo timidamente, chiese: “Vuoi ballare con me?”

Kurt quasi rise, forse per il nervosismo che l'aveva attraversato mentre afferrava la mano di Blaine, o forse per l'accecante visione delle bretelle rosso ciliegia che il professore esibiva fiero, dopo averle nascoste sotto la giacca per tutta la sera.

“Ti tengo.”

Fu con gesti esperti che lo attirò a sé, ma i loro passi furono tutt'altro che smaliziati; volteggiarono lentamente ed incerti, sotto gli occhi attoniti dei ragazzi, ben consci che quel ballo avrebbe potuto significare molto per entrambi. Fu quando si rese conto che nessuno li avrebbe interrotti, che Blaine si concesse di stringere Kurt più vicino.

A chiunque sarebbe risultato palese la confidenza che c'era tra loro due. Non si trattava di un professore che risparmiava una figuraccia a un alunno, ma di un uomo innamorato che danzava con lui sull'orlo di un baratro. Disposto a cadere insieme a lui, se necessario.

Kurt lasciò che le braccia di Blaine lo confortassero, ma non appena ne ebbe l'occasione, gli sussurrò incredulo all'orecchio: “Sei impazzito? Potrebbero pensare che...”

“Che ti amo?” Rispose Blaine, allontandosi da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi. Lo sguardo di Kurt brillava di lacrime trattenute, delusione e speranza. “Allora non penserebbero nulla di sbagliato.”

“Ma Figgins...” provò a ribattere Kurt. Intorno a loro, alcuni ragazzi del Glee Club sembravano usciti dalla loro temporanea immobilità e stavano ballando, sollevati dal modo in cui si era risolta la situazione; non riuscivano a capire esattamente perchè il professor Anderson fosse corso da Kurt in maniche di camicia e bretelle, ma la felicità del loro amico sembrò mettere a tacere i loro dubbi. A metà della canzone, altri studenti si unirono a loro e Mercedes cominciò a cantare con più convinzione; lei prima di tutti sembrò capire che cosa stesse esattamente succedendo, sulla pista da ballo. Lei e, ovviamente, Finn, che si trovò costretto a spiegare alla propria fidanzata perchè sembrava il meno sorpreso tra i presenti.

Ma per Kurt e Blaine continuava a non esserci nessun'altro, a eccezione di loro due.

“Mi sono licenziato. Circa tre minuti fa.” rispose Blaine alle preoccupazioni di Kurt, fingendo di guardare l'orologio sul polso sinistro. “Per quanto ne può sapere quell'idiota, questo è il nostro primo bacio.”

“Il nostro...”

Blaine non gli lasciò il tempo di domandare spiegazioni; semplicemente, smise di ballare, si alzò appena sulle punte dei piedi e baciò Kurt sulle labbra, afferrandogli il viso tra le mani con dolce fermezza. Il ragazzo impiegò almeno un paio di secondi per reagire, ma poi accantonò ogni titubanza e fu più che lieto di contraccambiare.

“Il nostro primo bacio.” confermò Kurt, quando appoggiò la sua fronte contro quella di Blaine e infilò un dito sotto una delle bretelle, giocherellandoci. “E' ufficiale?” chiese incontrando lo sguardo con quello di Blaine.

“E' ufficiale.” rispose, baciandolo ancora una volta, solo per un istante. A quella vista Rachel tentò di battere le mani, eccitata dalla scoperta dell'identità del fidanzato misterioso, ma Finn glielo impedì; non riuscì a fare altrettanto con Chandler, che una volta sfuggito alla presa di Puck, strillò entusiasta, ricordando ai due di non essere esattamente soli.

Il ritmo sostenuto di Dancing Queen lasciò il posto a un lento: Kurt afferrò Blaine per una mano e lo trascinò con sé, abbandonando il centro della pista. In un angolo più appartato, ripresero a ballare; Blaine appoggiò la testa sul petto di Kurt e lasciò scivolare via la rabbia, la frustrazione e la delusione. Kurt, con la guancia sui capelli di Blaine, riprese a respirare e realizzò che forse l'anno, in un modo o nell'altro, era finito davvero in bellezza. Ma che forse... forse poteva finire ancora meglio.

“Sono così fiero di te.” disse allora, inspirando lentamente il profumo di shampoo e gel che ormai aveva imparato ad amare. “Non avrei mai pensato che... che potessi farlo davvero. Davanti a tutti.”

Blaine smise di muoversi e appoggiò le mani sui suoi fianchi.

“Ti ricordi il nostro primo bacio? Il nostro primo vero bacio? In quel corridoio ti ho detto che volevo tutto da te. Ma è stato solo questa sera, in questo momento, che sono riuscito a dartelo, il mio tutto. Mi dispiace aver aspettato così tanto per renderti fiero di me.” rispose Blaine, con voce spezzata dalla commozione.

“Ci faranno tante domande.” disse serio Kurt. “Domande a cui, stasera, non ho davvero voglia di rispondere. Domani, forse. Ma non ora.”

“Possiamo andarcene. Andiamo a prenderci una pizza, Sebastian ed Eric sono ancora a Westerville, però potremmo...” propose Blaine. Anche lui era del medesimo avviso di Kurt. Sapeva che il licenziamento non gli avrebbe risparmiato qualche domanda da parte dei colleghi, ma per ora non voleva che dedicarsi a Kurt.

“No. Voglio andare a casa tua.” rispose l'altro, con uno sguardo che lasciava ben pochi dubbi sulle sue reali intenzioni. Blaine si limitò ad annuire, prenderlo per mano e accompagnarlo fuori, verso la sua auto.

 

***

 

Al loro arrivo, l'appartamento di Blaine era buio e silenzioso, ma tanto familiare da essere solo accogliente. Kurt guardò Blaine accendere le luci, drappeggiare le loro giacche sulle sedie della cucina e passarsi nervosamente una mano tra i capelli; sembrava quasi più agitato di Kurt, che invece era tranquillo. Lo shock della serata stava lentamente abbandonandolo, lasciandolo sciolto e rilassato; se era uscito vivo da quello, allora poteva sopravvivere a qualunque cosa. Raggiunse Blaine in cucina e lo trovò con entrambe le mani appoggiate al bancone, lo sguardo fisso sul rubinetto; appoggiò la punta delle dita sulla spalla e lo chiamò piano.

“Blaine... che succede?” domandò, intimorito. Forse Blaine ancora non lo desiderava, in quel senso? O forse si era pentito di quello che avevano fatto davanti alla scuola?

Kurt voleva solo capire.

Ma poi lo guardò in viso: Blaine era spaventato ed emozionato insieme.

“Non l'ho mai fatto, Kurt.” disse a bassa voce, quasi come vergognandosi di quell'ammissione. Kurt spalancò gli occhi, senza cogliere il senso di quelle parole: era convinto che Blaine non fosse vergine, gliel'aveva detto lui stesso.

“Uh... io credevo che..” si trovò a rispondergli, perplesso.

“Ho fatto sesso in passato, Kurt. Ma non ho mai fatto l'amore con nessuno prima d'ora. So cosa toccare, so come toccarlo, ma non so... non sono mai stato abbastanza vicino a qualcuno per rendermi tanto vulnerabile. Era solo sesso.” confessò. Ed era vero. Con Sebastian, e tutti i ragazzi che erano seguiti, era stato sempre e solo sesso privo di importanza: non aveva mai provato ad essere emotivamente connesso con qualcuno, prima di passare al lato fisico. E lo desiderava talmente tanto, con Kurt, che l'intensità con cui ora lo voleva lo spaventava.

Kurt sorrise, rassicurante.

“Non avevi mai baciato nessuno sulla punta del naso, eppure con me ci sei riuscito, non è vero? E scommetto che non ti sei nemmeno sentito un idiota.” disse complice. Blaine rise appena, ancora rigido.
“Ascolta, Blaine. Anche io non l'ho mai fatto. Ma sono qui, mi fido di te e ti voglio. Per me è sufficiente sapere che mi ami per sapere che andrà tutto bene. Non hai nulla da dimostrarmi.” Lo accarezzò sulle spalle, sforzandosi di andare avanti nonostante il rossore del suo viso. “Voglio solo starti vicino. Più vicino di quanto non abbiamo mai fatto. Possiamo, Blaine?”

Blaine annuì, più convinto: “Sì.”

L'altro arrotolò uno dei suoi riccioli intorno all'indice, poi intrecciò le dita con quelle di Blaine: “Andiamo.”

Camminarono insieme fino alla soglia della camera di Blaine e insieme si spogliarono lentamente a vicenda; non era accaduto spesso in passato, ma Kurt era convinto che non ci sarebbe mai stato un momento migliore di quello per andare fino in fondo. Anche se alla fine dell'estate si fossero separati, quella sarebbe rimasta la loro notte perfetta.

Si presero tutto il tempo necessario, dedicandosi ai bottoni e ai polsini senza fretta, baciandosi a ogni passo e fermandosi a contemplare ogni centimetro di pelle, mano mano che si scoprivano. La stanza era illuminata appena da una piccola lampada, ma quella semi oscurità rendeva tutto più intimo, più caldo, più rassicurante.

Kurt incespicò nella cintura di Blaine, che invece non riuscì a trovare la zip del kilt, nascosta su uno dei fianchi; risero della loro goffaggine, ma nessuno dei due si sentì davvero imbranato, mentre le mani dell'altro accorrevano ad aiutarlo e soffocavano le scuse tra un bacio e una carezza.

Quando si sdraiarono sul letto, con addosso solo l'intimo e nient'altro, Kurt era completamente perso: non aveva idea né di che ore fossero, né da quanto tempo lui e Blaine fossero in quella stanza. Ogni tocco sulla pelle era puro fuoco, che bruciava ogni pensiero che osava avventurarsi fuori da quelle mura.

Baciò la cicatrice che attraversava il sopracciglio di Blaine, accarezzò il fianco che era stato bendato per settimane, correndo le dita lungo le coste che tocchi assai meno gentili del suo avevano osato spezzare; scivolò con le labbra lungo il suo collo, l'interno del gomito e del polso, succhiò lentamente un capezzolo. Mentre riscopriva il corpo di Blaine, ascoltò le sue reazioni, i suoi gemiti, i suoi sussurri più incorenti; non c'era nulla di nuovo, né nei suoi genti, né nei punti che toccava, eppure ogni movimento sembrava carico di sensazioni che nemmeno lui riusciva a decifrare.

Lasciò che Blaine affondasse le dita nelle sue spalle, che lo spingesse sotto di lui per dedicarsi cautamente a sua volta alla riscoperta del suo corpo. Tracciò umidi sentieri con la punta della lingua, fremette con lui nello stringere, accarezzare e baciare ogni centrimetro della sua pelle d'avorio, nel coccolare ogni curva del suo corpo.

Per Blaine non era la prima volta che aveva un ragazzo quasi completamente arreso sotto il suo tocco, ma era la prima volta che ogni suo gemito di piacere era soddisfacente quanto essere toccato a propria volta. Non c'era fretta, non stava aspettando che fosse il suo turno per godere: avrebbe potuto rimanere per sempre lì, portandolo all'apice ancora e ancora, e sarebbe stato felice.

Ma la realtà prese il sopravvento sopra i suoi propositi, perchè a un certo punto non riuscirono più a trattenere l'avidità dei loro baci, né l'urgenza delle loro dita: senza rendersene conto si trovarono a desiderare di più, a volerne ancora.

Quando Blaine sfilò i boxer di Kurt e baciò l'interno della sua coscia, nessuno dei due pensava ad altro che a quel momento. Pensarono a come il corpo di uno sembrava scivolare alla perfezione su quello dell'altro, a come la mano di Blaine sembrava creata apposta per stringere quella di Kurt, a come non ci fosse vergogna nei baci affannati che si stavano scambiando.

Non c'era musica, ma non aveva importanza, finchè la sinfonia dei loro respiri affannati avrebbe spezzato il silenzio della notte.

Non c'erano candele, ma nemmeno quello aveva importanza, perchè una lampada da quattro soldi era più che sufficiente per illuminare i loro sguardi. C'era tutto un mondo su quel letto. Un mondo da toccare, annusare e assaporare, non solo da vedere.

Non c'erano incenso o oli profumati che addolcivano l'aria, ma nessuno ne sentiva il bisogno: il profumo della pelle dell'altro era più inebriante di qualunque altra fragranza.

Non c'erano parole, non c'erano promesse, non c'erano eterne dichiarazioni d'amore: era la loro notte perfetta, non potevano sprecare il fiato con giuramenti che non erano certi di poter mantenere.

E quando il momento arrivò, Kurt non aveva paura. E Blaine nemmeno.

Perchè non avrebbero voluto essere in nessun'altro posto, né con nessun'altra persona. Tutto quello che desideravano era essere lì, nudi, sudati e affannati, intenti a soddisfare bisogni che nemmeno sapevano di poter avere. Blaine baciò Kurt sulla fronte e gli sussurrò che sarebbe tornato presto; fu di ritorno poco dopo, con quello che aveva trafugato dal borsone di Sebastian; Kurt guardò i preservativi e il lubrificante che stringeva tra le mani e realizzò che stava per succedere veramente.

Lasciò che Blaine ci armeggiasse e tornasse a sdraiarsi accanto a lui; quando le dita di Blaine gli scivolarono tra le cosce, sussultò.

“E' freddo!” si trovò a esclamare, sorpreso. Non si sentì infantile, sapeva che Blaine non l'avrebbe mai preso in giro. E non si vergognò nemmeno di avere bisogno di ulteriori rassicurazioni quando accolse teso l'inevitabile fastidio che accompagnava l'intimità di alcuni gesti, né di essere impacciato nei movimenti quando Blaine si sdraiò su di lui.

Erano insieme e sarebbe andato tutto bene.

Blaine era certo che non avrebbe mai dimenticato quella notte; anche se fosse stato con Kurt solo per quella volta, non avrebbe mai scordato il calore del suo corpo, il suo profumo, la sensazione di poterlo amare con tutto se stesso. Registrò nella mente ogni sussulto, ogni domanda sussurrata tra le labbra, ogni movimento scomposto e disordinato. Era tutto straordinario, nonostante fosse ben lungi dall'essere perfetto. Ma andava bene così.

Perchè Kurt in quel momento era suo, completamente.

E lui era completamente perso dentro di lui.

In ogni gesto, in ogni spinta, in ogni gemito, gridarono l'uno all'altro l'amore che provavano in quel momento. E quando tutto giunse al termine, non fu davvero finito.

Ci furono carezze, domande, raccomandazioni e premure, che Blaine non aveva mai riservato a nessuno. Nè che mai nessuno aveva dedicato a lui, allo stesso modo. Coccolò Kurt pulendolo delicatamente con un asciugamano umido, raccolse i loro indumenti intimi e gli passò i suoi boxer, poi tornò a letto, sdraiandosi sulla schiena.

Erano stanchi, erano stravolti, ma non si erano mai sentiti più felici di così. Ma non si erano mai nemmeno sentiti tanto diversi da se stessi: fare l'amore li aveva spogliati delle ultime incertezze, e degli ultimi segreti rimasti.

Erano solo Kurt e Blaine, ora.

Erano nudi anche emotivamente, non solo fisicamente.

Quando l'altro tornò a letto, Kurt si sdraiò sulla pancia, accoccolandosi accanto a lui e con la testa rivolta verso Blaine; l'appoggiò sul suo petto e gli rivolse un sorriso malinconico. Esausto, lo baciò all'altezza del cuore, sfregando il naso contro il suo collo.

“La scuola è finita. Non sei più il mio professore.” mormorò spostandosi piano fino ad appoggiare di nuovo il mento su Blaine. “Siamo solo io e te. Niente titoli, niente lezioni, niente segreti.”

Blaine sorrise a quell'affermazione e passò lentamente le dita tra i capelli di Kurt, ora appiccicati alla sua fronte sudata.

“E' l'inizio di qualcosa di nuovo. E' l'inizio del nostro tutto.” aggiunse Kurt, a bassa voce. “Possiamo fare qualunque cosa, possiamo essere qualunque cosa.” S'interruppe e fece un sospiro combattuto, prima di continuare. “Ma allora perchè questa notte mi sembra così dannatamente simile a un addio?”

Kurt alzò gli occhi, incontrando lo sguardo con quello di Blaine, appena visibile nella penombra della stanza. Lo vide sorridere sincero e lasciarsi sfuggire un sospiro.

“Perchè lo è, Kurt.” Gli accarezzò la guancia con il pollice. Kurt abbassò le palpebre e si lasciò cullare dal suo tocco. “Questa notte, in un certo senso... è stato davvero un addio.”

 

 

 

 

 Nda

Oooook... dopo sei lunghi mesi, Just...complicated ha visto la fine.

Per chi fosse interessato, questa è la boutonnière che Kurt ha fatto a Blaine.

A presto con la prossima storia!

No, sto scherzando. Lunedì pubblico l'epilogo. ^_^

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Capitolo 37
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Blaine si stiracchiò, sbadigliando pigramente, e rotolò fuori dal letto in religioso silenzio; con passo accuratamente leggero, raggiunse il bagno e si preparò con cura meticolosa per l'importante giornata che lo stava aspettando. Almeno stavolta non ebbe dubbi su cosa indossare: aveva ben chiaro che a nessuno sarebbe importato il colore del suo papillon.

Anzi, per nessuno avrebbe avuto alcuna importanza il fatto che ne indossasse uno. Addirittura, sotto un certo punto di vista, sarebbe stato quasi deludente presentarsi senza niente di simile stretto al collo: certi clichè meritano di essere rispettati.

Completamente vestito, seppure ancora poco reattivo, si trascinò fino in cucina, annodando con mani esperte il farfallino mentre percorreva il corridoio; il profumo del caffè lo colpì quando era ancora sulla soglia della stanza, facendolo istintivamente sorridere. Se ne versò una tazza e mangiò distrattamente due biscotti, passeggiando intorno al tavolo: era troppo nervoso e intontito per sedersi con calma. Raggiunta la finestra, rimase in piedi a contemplare il panorama mentre finiva di sorgeggiare il liquido bollente; il sole stava sorgendo e la città era meravigliosa.

Mentre riordinava la cucina si chiese se si sarebbe mai abituato a tutta quella frenesia, poi preparò sul bancone una tovaglietta, dei cereali integrali e una scodella; svuotò la caraffa di caffè e lanciò un'occhiata all'orologio. Era presto, ma l'ansia stava cominciando a scorrergli pacificamente sotto la pelle, aumentando mano mano che il sonno lo abbandonava.

Tornò in bagno, si lavò i denti, sistemò meglio la camicia e ravviò i capelli; non aveva senso rimanere a ciondolare per casa, così decise di partire poco prima del previsto. Dopotutto, nel corso degli anni il suo senso dell'orientamento non era affatto migliorato; era capace di perdersi persino nella casa di Sebastian ed Eric, nonostante la frequentasse assiduamente.

Non resistette alla tentazione di tornare in camera da letto, dove Jack stava ancora dormendo, teneramente appallottolato nel lenzuolo; Blaine si avvicinò al lato del letto e lo accarezzò gentilmente sulla guancia, senza svegliarlo, poi lo baciò sulla fronte, sfiorandogli appena la pelle, calda di sonno. Quando Jack, senza aprire gli occhi, mormorò un saluto e strinse più forte le coperte, il suo cuore perse un battito: non era la prima volta, da quanto Jack era improvvisamente entrato nella sua vita, che Blaine si chiedeva se si sarebbe mai davvero abituato alla sua presenza. Ormai erano sei anni che se lo domandava ogni mattina.

E ogni sera.

Si strappò di forza dalla stanza, afferrò la sua valigetta e uscì dall'appartamento, dove incontrò subito la signora Jones, che gli sorrise bonaria: “Blaine, sapevo che saresti uscito prima del dovuto. Non essere nervoso, sono certa che andrà tutto bene. Jack sta bene?” domandò sbirciando alle spalle di Blaine, cercando di cogliere la famigliare figura di Jack accoccolata sul divano con un libro o seduta sul tavolo del salotto, intenta a sgranocchiare un biscotto e scrivere.

“E' ancora a letto.” guardò velocemente l'orologio. “Si alzerà tra cinque minuti, ho impostato la sveglia, quel dormiglione non avrà scampo.”

“In bocca al lupo, Blaine.” Lo guardò materna e Blaine per poco non si tuffò ad abbracciarla, desideroso di ogni rassicurazione possibile; mantenne un discreto contegno, sorridendo incerto.

“Lo spero. Grazie, signora Jones. Grazie davvero.”

Strinse le dita intorno alla maniglia della valigetta, la salutò di nuovo e poi corse giù dalle scale; nell'androne recuperò la sua malconcia bicicletta e lasciò l'edificio. Quando si trovò in strada, il caos della città lo schiaffeggiò in pieno viso, scacciando le preoccupazioni in un angolo della sua mente e sospingendolo verso la pista ciclabile che attraversava il parco.

Prima delle nove Blaine era già nel cuore del Greenwich Village e respirava la dotta aria autunnale dell'Università di New York: il dipartimento di Arti e Scienza era a pochi passi e sembrava fissarlo, pronto a spalancare le sue fauci. Mentre assicurava la bicicletta alla rastrelliera era così spaventato che riusciva a malapena a muoversi; rimase in piedi a qualche decina di metri dall'ingresso, che negli ultimi anni era sempre apparso amichevole, o almeno inoffensivo.

Uno studente lo urtò, facendogli scivolare la tracolla dalla spalla e risvegliandolo dal torpore ansioso in cui era caduto: si riscosse, aggiustò la borsa e si diresse verso l'ingresso a grandi passi, ostentando più sicurezza di quella che effettivamente possedeva.

In apnea, raggiunse il suo minuscolo studio, salutò educatamente uno degli inservienti ancora intento ad applicare la nuova targa accanto alla porta e si rinchiuse all'interno, sprofondando grato sulla sua poltrona: non erano nemmeno le dieci, quindi aveva due ore di tempo per imparare di nuovo a respirare e recuperare una camicia che non fosse intrisa di sudore e paura.

Poi avrebbe tenuto la sua prima lezione universitaria.

La targa fuori dalla posta lo diceva a chiare lettere: professor Blaine Anderson, Letteratura americana del XX secolo. Quasi roboante, se non fosse stato che l'interno dello studio sembrava gridargli beffardo: Novellino, Novellino, Novellino, Novellino. Forse erano le pareti prive di quadri, a eccezione della sua laurea ad Harvard, della specializzazione alla Brown e del diploma alla NYU: era evidente che era appena arrivato, che aveva ancora tutto da dimostrare.

O forse erano gli scaffali, vuoti e miseri, ancora scombri da libri, da enciclopedie, da tesi di laurea dei suoi studenti e da pubblicazioni prestigiose: aveva solo un paio di saggi, pubblicati quando era ancora in Rhode Island, e il calendario con i gatti che Jack gli aveva regalato un paio di settimane prima. A casa aveva ancora due scatoloni pieni di cose, ma non aveva ancora avuto il tempo, e il coraggio, di portarle.

L'attenzione fu attirata da uno degli armadietti, le cui ante erano socchiuse: si alzò e girò intorno alla scrivania, accucciandosi davanti al mobile per aprirlo. All'interno, con somma gratitudine e sorpresa, trovò una camicia bianca, accuratamente stirata e ripiegata, fresca di bucato: appoggiato accanto, un biglietto scritto con una elegante calligrafia, che amava come la prima volta in cui i suoi occhi ci si erano posati.

 

Anche se il calendario è sicuramente utile, questa potrebbe esserlo di più. Nel primo cassetto della scrivania ci sono un deodorante, dei biscotti al cioccolato e delle salviettine umide: rinfrescati, mangia e soprattutto... respira. Andrà tutto bene.

Mi ringrazierai stasera a casa.

Tuo marito, che pensa sempre a tutto.

 

E Blaine capì che sarebbe davvero andato tutto bene. Non gli importava che il suo studio fosse praticamente un vecchio sgabuzzino e che gli studenti avrebbero trovato il suo corso troppo noioso: non era solo, dentro a quel caos. Accarezzò distrattamente la fede nuziale e l'ora di cominciare la lezione arrivò senza più ansie: il professor Anderson entrò nell'aula con un sorriso genuino in volto, una camicia profumata e una briciola di biscotti al cioccolato appiccicata a un angolo delle labbra; incespicò sui gradini che portavano al soppalco con la cattedra e faticò a capire come accendere il microfono, ma se la cavò con un sorriso che rubò il cuore di parecchi, tra gli studenti in prima fila. Dopo dieci minuti dall'inizio della lezione, Blaine era sicuro che la giornata sarebbe filata liscia come l'olio. Guardò le teste chine degli studenti che scrivevano e capì che la sua vita non sarebbe potuta essere più completa di così.

Almeno finchè non vide suo marito sulla soglia dell'aula, con gli occhi preoccupati, che gli faceva discretamente cenno di uscire, tamburellando le dita sul vetro della porta.

“Ragazzi, prendiamoci una pausa.” disse prima di uscire rapidamente dalla classe, ormai all'apice della preoccupazione. Che cosa poteva essere successo per farlo piombare lì e chiedergli di interrompere la lezione?

 

***

 

Aveva trovato un bagno poco frequentato, si era accoccolato per terra e aveva pianto per un'infinità di tempo, finchè una mano non gli si era appoggiata sulla spalla e lo aveva scosso con gentilezza.

“Ti stavamo cercando da un po'.” La voce tranquilla di Rose lo pacificò e lui tirò su con il naso, sonoramente. Non appena sentì il suono, si pentì di essere stato tanto maleducato.

“Scusami.” si premurò di dire, pulendosi il naso con il dorso della mano.

“Tranquillo.” Rose gli infilò le mani sotto le ascelle e lo prese in braccio, portandolo fuori dal bagno. “Ora chiamiamo a casa e vai a riposarti, va bene?” disse carezzevole, muovendo una mano lungo la sua schiena, finchè i singhiozzi non s'interruppero e raggiunsero l'infermeria, dove lo aiutò a sdraiarsi. “Stai qui, i tuoi genitori arriveranno presto, li ho fatti chiamare.”

Jack si allarmò. “Li hanno chiamati? Ma... papà oggi... si arrabbieranno.”

La maestra sorrise e si attorcigliò un ricciolo intorno a una delle dita: “Conoscendoli, non si arrabbieranno per niente, ma staranno correndo qui preoccupati da morire. Però almeno a loro dovrai dire che cosa è successo, va bene?”.

Il bambino si morse il labbro e annuì, poi si sdraiò sul fianco, lasciandosi cullare dalle sue carezze sui capelli: anche papà lo faceva sempre con i capelli di papi mentre guardavano la televisione, quindi non c'era niente di male, non era una cosa da bambini. Quando i suoi genitori arrivarono, Jack dormiva profondamente e aveva macchiato il cuscino di saliva.

“Ma che accidenti è successo?” disse Kurt, non appena Rose li portò in corridoio per spiegare il motivo della telefonata.

“Non lo sappiamo esattamente, ma alcuni degli altri bambini devono averlo preso in giro e Jack è scappato via dalla classe piangendo. Non riuscivamo a trovarlo da nessuna parte e per qualche minuto abbiamo temuto che avesse addirittura lasciato l'edificio... fortunatamente era in uno dei bagni fuori servizio del terzo piano e si è lasciato tranquillizzare.” disse con quella voce dolce che ormai Kurt aveva imparato ad apprezzare. Non era un caso che Rose fosse la maestra preferita di Jack fin da quando aveva iniziato le scuole elementari, circa un mese prima.

“Ci avete fatto spaventare a morte! Ha idea dei pensieri che mi sono venuti quando mi avete telefonato e mi avete annunciato che forse mio figlio era sparito?” disse furibondo e con il fiato corto, dovuto alla corsa con cui si era precipitato dentro la scuola non appena avevano parcheggiato.

“Kurt, l'importante è che Kurt stia bene e che non sia successo niente. Ora portiamolo a casa e cerchiamo di capire cosa è successo, va bene?” Blaine sembrava tranquillo, ma un ricciolo fuori posto e il papillon sgualcito tradivano lo spavento che si era preso. “Possiamo portarlo a casa, vero?” chiese voltandosi verso Rose, non appena Kurt annuì alle sue parole.

Kurt prese in braccio Jack, che ancora mezzo addormentato mormorò delle scuse confuse, poi lo portarono in auto.

“Credo che qualcuno lo picchi.” bisbigliò non appena uscirono dal parcheggio della scuola e si avviarono lungo la strada che portava al loro appartamento. Jack dormiva sul sedile posteriore e sembrava sereno, come se nulla fosse successo.

“Non dire sciocchezze, Kurt.” Blaine guardò nello specchietto retrovisore, quasi come se un rapido controllo potesse dare più spessore a quello che stava dicendo. “Ce l'avrebbe detto. Quante volte gli abbiamo detto di informarci immediatamente? Avere due padri ormai non è più un problema come qualche anno fa, dev'essere per forza qualcos'altro.”

“Forse era solo nostalgia di casa? O forse si sente trascurato, magari se lavorassimo meno forse...” cominciò a ragionare Kurt.

“Se lavorassimo meno? Kurt, quel bambino sta bene e non gli manca nulla. La signora Jones è una babysitter straordinaria, io lo passo a prendere ogni pomeriggio e tu lo tieni di giorno quando non hai le prove. Eric e Sebastian non fanno altro che viziarlo, per non parlare poi di Finn e Rachel.” Kurt svoltò in una via secondaria quando Blaine aggiunse, in tono di garbato rimprovero. “Forse se qualcuno la smettesse di farlo dormire nel lettone...”

“Succede solo una volta ogni tanto!” si giustificò subito Kurt, alzando gli occhi al cielo, facendo scoppiare Blaine in una risata.

Quando arrivarono a casa, Jack era ormai sveglio, ma non sembrava avere alcuna intenzione di raccontare che cosa era successo; seduto sul divano con le braccine incrociate sul petto e il broncio, rimaneva impassibile di fronte a tutte le domande dei suoi preoccupati genitori.

“Posso andare in camera mia?” disse spalancando gli occhioni dorati e piantandoli in quelli di Kurt. Di solito funzionava e il padre gli conceva immediatamente tutto quello che gli chiedeva, perso in un sorriso sognante, ma questa volta l'essere palesemente il figlio biologico di Blaine sembrò non sortire alcun effetto.

“Non usare certi mezzucci, Jack. Ora, se non ci dici che cosa e successo ci costringi a...”

La minaccia di Kurt fu interrotta da un sommesso, ma insistente, bussare alla porta; Blaine, seduto sul tappeto del salotto accanto al marito, si alzò con un sospiro e aprì l'ingresso. Quando Sebastian ed Eric entrarono, ignorarono completamente i vecchi amici e si precipitarono dal loro pupillo, quasi calpestando Kurt, ancora seduto a terra davanti al figlio.

Sebastian lo ispezionò rapidamente, controllando che non fosse ferito, mentre Eric gli accarezzò i capelli e chiese in tono sospettoso a Kurt: “Che cosa è successo? Perchè vi hanno chiamato da scuola?”.

Non attese alcuna risposta e si voltò di nuovo verso il bambino, che si godeva trionfante tutte quelle attenzioni, ben conscio che l'avrebbero aiutato a distogliere i genitori dalle loro pressanti domande.

“Stai bene piccolo?” Entrambi sprofondarono sul divano, tenendo il bambino in mezzo.

“Sta bene! Solo che non vuole dirci perchè è scappato dalla classe.” Blaine si lasciò cadere accanto a Kurt, cingendogli le spalle con un braccio. Il bambino scosse ancora la testa da destra a sinistra con decisione.

“No. Mi vergogno.” disse convinto. Sebastian aggrottò le sopracciglia.

“Hai sei anni, Jack. E' statisticamente improbabile che tu abbia davvero fatto qualcosa di cui vergognarti.” commentò con voce professionale. A quelle parole, il piccolo sgranò gli occhi, impressionato.

“Statificamente? Davvero?” domandò incredulo, voltandosi verso Sebastian, che annuiva sicuro di sé, accompagnato da Eric, altrettanto convinto delle parole del compagno.

“Staficamente. Giuro. E poi, se racconti quello che è successo, potrei raccontarti di quella volta che papà Blaine ha vomitato dentro in un sombrero, proprio in un negozio di souvenir messicani. Quello sì, che è stato imbarazzante.” aggiunse sorridendo sornione.

“Avevo un virus!” si scusò Blaine, ma i presenti risero ignorandolo completamente. Il loro viaggio in Messico era un'eterna fonte di aneddoti.

“Un virus chiamato tequila bum bum.” lo corresse Eric, e tutti risero di nuovo. Jake li guardava confuso, perchè non aveva mai sentito parlare di una malattia chiamata in quel modo: e se anche lui l'avesse presa? Magari avrebbe vomitato dentro al cappellino di Rose. Contava anche se non era un sombrero, forse.

Kurt si mise sulle ginocchia e si avvicinò al figlio.

“Piccolo, vuoi dirci che cosa è successo? Croce sul cuore che nessuno ti prenderà in giro. E nessuno si arrabbierà.” Tutti fecero solennemente un segno sul proprio petto e prima di parlare Jake aspettò che proprio tutti avessero finito, poi fece un sospiro.

“Papà, mi sono innamorato.” disse con un filo di voce, rosso in viso e con gli occhi bassi. Eric si portò la punta delle dita alle labbra, contemplandolo intenerito; Blaine e Kurt si guardarono, confusi.

“E perchè piangevi in quel bagno?” lo incalzò Blaine.

“Perchè mi sono innamorato della maestra Rose. Io... le ho scritto una lettera e le ho portato un regalo, ma gli altri bambini li hanno trovati e mi hanno preso in giro. Per favore, non arrabbiatevi.” Il labbro inferiore gli tremava appena, mentre faceva quella confessione.

“Ma cucciolo, perchè mai dovremmo arrabbiarci? Domani verremo a scuola e ne parleremo con la maestra, così gli altri bambini non ti lasceranno stare, va bene? Tu però lo sai che non...” Kurt si voltò verso Blaine, in cerca d'aiuto. “... che la maestra Rose è troppo grande per te, non è vero?” concluse, poco soddisfatto della spiegazione che era riuscito a pronunciare. Jake alzò gli occhi e Blaine gli sorrise incoraggiante.

“Ma io la amo. Voglio stare con lei per sempre, come te e papà. Anche se non è un maschio.”

Sebastian si lasciò sfuggire una risata, ma Eric lo guardò talmente male che non ebbe il coraggio di andare avanti; Blaine si mise in ginocchio accanto a Kurt e accarezzò il viso di suo figlio.

“Jake, puoi innamorarti di chi vuoi, sia maschietti che femminucce, per me e papà non fa differenza. Però Rose è troppo grande per te, e poi è la tua maestra, capisci?”

“Zio Sebastian mi ha detto che anche tu eri il maestro di papà. E che a volte con l'amore si sistema tutto.” rispose fiero, guardando verso Sebastian in cerca di supporto. L'uomo sbiancò quando improvvisamente capì il motivo delle numerose domande che Jack gli aveva fatto qualche giorno prima: probabilmente aveva scritto la lettera perchè gli aveva raccontato del biglietto che Blaine aveva scritto a Kurt, e aveva preparato un regalo ispirato dal primo Natale che i suoi genitori avevano vissuto insieme.

Kurt afferò la mano di Blaine, perchè la verità e l'innocenza delle parole di suo figlio erano troppo intense perchè potesse reggerle da solo. Ormai erano passati più di dieci anni da quei pochi mesi in cui Blaine era stato il suo professore, ma non avrebbe mai potuto dimenticarli.

 

Perchè lo è, Kurt. Questa notte, in un certo senso... è stato davvero un addio.”

Quella notte fu davvero un addio, ma non quello che chiunque si sarebbe aspettato: Blaine il mattino successivo non disse a Kurt che la distanza sarebbe stata un peso troppo grande da sopportare, né Kurt disse che voleva andarsene a New York privo di legami. Dissero addio alle persone che erano state, quelle di cui avevano vestito i panni prima di incontrarsi in quel bagno, prima di baciarsi per la prima volta in quel corridoio, prima di aver ballato insieme e di aver fatto l'amore.

Kurt salutò gli anni del liceo, i soprusi, il silenzio e il suo continuo sentirsi fuori posto, per abbracciare finalmente i suoi sogni. Non c'era più posto per immaginazione e fantasie: da quel giorno avrebbe costruito il suo futuro, un passo dopo l'altro. Non era più un ragazzino spaventato e sdraiato nel letto con Blaine, disse addio senza fatica al ragazzo che era stato, ringraziandolo per averlo fatto diventare un uomo con la forza di afferrare i suoi desideri e stringerseli al petto.

Non aveva più paura di chiedere aiuto, né di confidare negli altri.

Kurt non aveva paura di scommettere su quello che c'era tra di loro.

Non aveva paura di tentare.

Sentiva che avrebbe potuto ottenere qualunque cosa.

Blaine disse addio al ragazzo che aveva aspettato così a lungo per diventare uomo, che per tanti anni aveva vissuto all'ombra di suo padre, dei suoi errori passati e dei pregiudizi degli altri. Non si vergognava di ammettere che era stato proprio Kurt a insegnargli che scappare è inutile, se non hai nessuno presso cui rifiugiarti; che ci vuole coraggio per confidare in qualcuno, anche quando chiudere tutti gli altri fuori dalla propria vita sembra più semplice.

Non aveva più paura di spingersi oltre quei limiti che si era imposto da solo.

Non aveva più paura di rischiare e magari, rimanere deluso.

Era pronto ad afferrare la valigia e lasciarsi quel liceo alle spalle, anche se sarebbe stato difficile.

Sentiva che avrebbe potuto ottenere qualunque cosa.

Quella notte, l'anno scolastico giunse al termine; ma non fu semplicemente la fine di qualcosa.

Fu un inizio.

L'inizio dei due anni più lunghi della loro vita,.

Perchè gli esami di Blaine sembravano cadere esattamente nei rari, rarissimi, periodi in cui Kurt era più libero. E perchè quando Kurt era sopraffatto dal ritmo incessante di prove estenuanti e continui rimproveri, a volte non aveva le forze di prendere il treno e andare da Blaine. A volte non aveva nemmeno l'energie sufficienti per telefonargli, ma crollava esausto sul divano, risvegliandosi solo quando sentiva Rachel sfilargli le scarpe e scuoterlo piano sulla spalla.

Perchè Kurt aveva nuovi amici, e quando ballava nei club della città, impiegava appena una manciata di secondi per attirare gli sguardi. E a volte era davvero difficile ricordare gli occhi ambrati di Blaine, in mezzo a quel caos ipnotico di luci, alcool e sudore.

Mani che accarezzavano, labbra che sussurravano complimenti e sorrisi compici, che scacciavano la fatica di una scuola che gli stava portando via tutto. E il suo dolce Blaine a chilometri di distanza.

Blaine che passava ore e ore sui libri, che aveva voglia di stare con Kurt, ma non poteva permettersi nemmeno una pausa. Kurt era New York, Sebastian ad Harvard: a volte si sentiva ancora così solo che la tentazione di buttarsi nel letto di qualche sconosciuto diventava quasi insostenibile.

Furono i due anni più lunghi della sua vita.

Perchè era così facile parlare per ore di quello che amava, chiacchierare davanti a un caffè con studenti che amavano la letteratura quanto lui, capaci di finire le sue frasi e chiarire i suoi dubbi. Sarebbe stato così semplice far diventare quel caffè qualcosa di più. E Blaine non sarebbe stato più solo, anche se quel qualcuno insieme a lui non sarebbe stato Kurt.

Perchè litigare al telefono era più duro, più freddo e più rischioso che farlo di persona. Ogni parola poteva sembrare meschina, senza potersi baciaretoccareaccarezzare subito dopo.

Ma fu anche estremamente semplice.

Perchè ogni volta che i loro impegni glielo permettevano, correvano uno tra le braccia dell'altro. La pigrizia non fu mai un'opzione, per loro. Perchè ogni volta che si infilava nel letto di Kurt, dentro in quella stanza minuscola di quell'ancora più minuscolo appartamento, Blaine sentiva di avere di nuovo trovato il suo posto nel mondo. E ogni volta che Kurt sgattaiolava nel dormitorio della Brown per fargli una sorpresa, il sorriso di Blaine lo ripagava delle ore in auto che erano necessarie per raggiungerlo.

Perchè nei club di New York c'erano tanti ragazzi, ma l'immagine degli occhi di Blaine si faceva sempre viva nella mente di Kurt, ricordandogli che per quanto potesse cercarli, non li avrebbe mai trovati lì. E allora continuava a ballare, ma lasciava che il suo ricordo lo cullasse al ritmo della musica.

Perchè anche quando Blaine si sentiva solo e arrivava a un passo dal finire a letto con un ragazzo qualsiasi, il ricordo di com'era fare l'amore, e non semplicemente sesso, lo fermava sempre, prima ancora che il pensiero di cedere diventasse qualcosa di cosciente. Anche se la sensazione di essere solo poteva essere intensa e dolorosa, Blaine sapeva che era solo quello. Una sensazione. Non era più solo, anche se Kurt era chilometri di distanza: bastava prendere in telefono e chiamarlo. O rileggere i suoi messaggi. O guardare le fotografie delle loro vacanze al lago. O affondare il viso nella maglia che aveva dimenticato tra le lenzuola un paio di settimane prima.

Nessuno sembrava essere come lui. Neppure chiacchierare con appassionati di letteratura era soddisfacente quanto lo era stato sedersi con Kurt al Lima Bean, o correggere i suoi saggi; potevano sapere tante cose, ma tutti peccavano di quell'arguzia che impregnava ogni parola di Kurt.

Perfino litigare non era un problema. Perchè riappacificarsi era la parte migliore di ogni loro discussione, una sottile arte che avevano sviluppato con il tempo e con fatica.

Quei due anni vissuti distanti avevano temprato il loro sentimento: quando finalmente Blaine arrivò a New York e presero insieme un monolocale in affitto poco distante dal Greenwich Village, non fu l'inizio di una relazione, ma la naturale evoluzione di qualcosa che era cominciato anni prima. E anche se la quotidianità e la convivenza li avevano costretti ad affrontare sfide sempre nuove, avevano anche reso il loro amore ancora più reale e terreno.

Non impiegarono molto a capire che la minore delle difficoltà era stata la professione di Blaine al momento del loro primo incontro: le bollette, l'affitto, il lavoro, il disordine, le amicizie, i colleghi, la lavanderia... si rivelarono assai più complicati da gestire di una relazione clandestina. Sotto l'influsso di una relazione sempre più matura e serena, il ricordo di quel periodo si fece sempre più sbiadito. Non c'era più il professor Anderson. Nè lo studente Kurt Hummel.

A eccezione di quando, per divertimento, rivestivano quei vecchi panni: Blaine inforcava un paio di occhiali e rimproverava Kurt per essere stato “uno scolaro davvero cattivo”, battendo le nocche su un libro qualsiasi e fingendo di essere sul punto di portarlo dal preside. Kurt, ovviamente, era disposto davvero a tutto, pur di non rovinare la sua fittizia carriera accademica.

Ma a parte quei momenti privati, erano sempre e solo Kurt e Blaine. Esattamente come quando per la prima volta si erano abbracciati sotto la neve, mentre l'autobus aspettava che Kurt salisse.

E quando una sera Sebastian ed Eric si presentarono sulla loro soglia reduci da un weekend a Las Vegas con l'aria stravolta, due anelli dozzinali e un certificato di matrimonio, bastò uno sguardo al luccichìo di felicità negli occhi dei loro amici per capire che era giunto il momento di fare il grande passo. Lui e Kurt si sposarono tre mesi dopo presso il munificio di New York e Burt pianse come un bambino, anche se il giorno successivo lo negò con decisione; solo a distanza di anni ammise che nei suoi ricordi ogni dettaglio della giornata era sfumato, annacquati com'erano i suoi occhi di lacrime.

E quando Rachel partorì, Blaine trovò il coraggio di afferrare le mani di Kurt e dire ad alta voce che voleva avere un bambino. Quando annunciarono che stavano cercando una madre biologica, Sebastian fu in prima linea per le peggiori battutine che la sua mente era in grado di creare; non solo non riuscì a fargli cambiare idea, ma tredici mesi dopo si ritrovò inginocchiato accanto alla culla di Jack, nato quattro giorni prima per raccontargli, con voce giocosa, una versione tutta sua di Cenerentola.

In cui la principessa era un transessuale e la matrigna la maitresse di un bordello di lusso, ovviamente.

Blaine era solo un assistente universitario, l'appartamento era piccolo e Kurt passava più tempo a teatro che a casa; fu tutto dannatamente complicato, ma ogni gioia sembrava costantemente amplificata dalle difficoltà che attraversavano per ottenerla.

In quel caos tutti avevano dimenticato come era cominciata. Perfino Kurt e Blaine.

 

Almeno fino a quel momento, quando Jack li aveva guardati negli occhi e aveva detto di essere innamorato della sua maestra. E Kurt per qualche istante non fu più la stella di Broadway candidata al Tony per la sua straordinaria interpretazione del Cappellaio Matto. E Blaine non fu più il brillante giovane professore di letteratura della NYU.

Furono due genitori imbarazzati e senza parole.

Nient'altro che due ragazzi.

Lo zio Sebastian ti ha raccontato questa cosa? Ma che gentile da parte sua.” rispose Blaine a denti stretti, alzando lo sguardo per rivolgere all'amico un'occhiata a dir poco minacciosa. L'altro allargò le braccia come per scusarsi, ma non disse nulla.

“E' vero, anche papi, tanto tanto tempo fa, era il maestro di papà. Ma noi eravamo un po' più grandicelli.” spiegò Kurt a Jack, che li fissava con occhi sgranati, in attesa di parole di conforto.

“Avevate più di otto anni? Eravate già alle scuole medie?” bisbigliò incredulo.

“Sì, eravamo molto più grandi di te. Ma papi era più giovane di Rose.” aggiunse Kurt. Si sentiva stupido a precisarlo, ma sentiva la necessità di dirlo; dopotutto, Rose aveva più di quarant'anni, Blaine non ne aveva nemmeno venticinque, all'epoca. Non che a Jack importasse, evidentemente.

Jack fece un sospiro frustrato, lentamente assimilando le informazioni che i genitori gli stavano offrendo. “Ma io la amo.” disse abbattuto. “Voglio sposarla.”

All'improvviso, Blaine ebbe una illuminazione.

“Sai una cosa, campione? Io e papà non ci siamo sposati subito. Quando ero il suo... maestro, noi siamo diventati amici. Amici speciali. Ci raccontavamo un sacco di segreti e passavamo tantissimo tempo insieme, poi abbiamo capito che eravamo innamorati. Solo dopo ancora tantissimo tempo, ci siamo sposati. Perchè non provi a essere solo amico di Rose, prima di chiederle di sposarti?” propose schioccando le dita, con aria soddisfatta. Kurt avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne e si voltò verso Jack, che si stava mordicchiando il labbro, pensieroso. Trattennero il respiro, mentre il bambino valutava l'idea del padre.

“Ma giocavate anche?” domandò, come se potesse fare la differenza.

“Oh sì, giocavamo un sacco. Continuamente. Ogni volta che potevamo.” annuì Blaine, senza pensare troppo ai doppi sensi che ai suoi amici risultarono immediatamente evidenti. Eric, malizioso, strizzò l'occhio con aria complice in direzione di Kurt, rosso in viso.

“E dopo che diventeremo amici speciali, diventerà tutto più semplice?” domandò sospettoso.

Kurt rise e gli rispose immediatamente.

“Oh no... diventeranno solo più complicate.” Forse non era la cosa migliore da dire, ma stranamente si rivelò quella giusta.

“Ah. Però a Rose non piace il cioccolato bianco. Non credo di poter essere amico speciale di qualcuno che non mangia il cioccolato bianco...” rimuginò a bassa voce. “E poi non so se voglio che un mio amico mi corregga i compiti... e magari Adele sarà invidiosa, se smetto di giocare con lei per stare sempre con la maestra.”

Le piccole imperfezioni di Rose, incompatibili con l'amicizia speciale che Blaine aveva proposto per evitare la celebrazione di un matrimonio affrettato, convinsero Jack che forse era meglio aspettare e conoscerla meglio, prima di assumersi un impegno tanto gravoso. Sebastian ed Eric giocarono con lui e cenarono tutti insieme, ordinando una pizza per festeggiare la prima cotta del loro bambino.

Quella sera, quando Eric e Sebastian tornarono al loro appartamento e Jack finalmente si addormentò nel suo lettino, Blaine trovò Kurt appoggiato allo stipite della porta, intento a contemplarlo in silenzio.

“Un papillon per i tuoi pensieri.” disse appoggiandogli il mento sulla spalla.

“Era da un pezzo che non pensavo agli anni del liceo. Forse quello che abbiamo fatto è stato folle... non è vero? Che giovani incoscienti. E tutto sembrava così insormontabile, neppure sapevamo che era la punta di un iceberg. Che ingenui.” commentò sfregando la guancia sui riccioli di Blaine, che ormai lo stava baciando sul collo.

“Quindi te ne penti? L'hai detto anche a Jack... niente diventa più semplice, le cose possono farsi solo più complicate.” Tra un bacio e una parola, la voce di Blaine era calda contro il suo collo. Kurt si voltò e ne afferrò delicatamente il viso tra le mani, costringendo Blaine a guardarlo negli occhi; il sapore del tutto, con Blaine, era complesso, ma non si era mai pentito della sua scelta.

“Meravigliosamente complicate.” disse prima di baciarlo sulle labbra e allontanarsi appena. E come ormai era abitudine per Blaine, ripetè le parole del marito.

“Meravigliosamente complicate.”

 

FINE

 

 

 

 

 

 

Ooook. Prendiamoci un momentino. Anzi, me lo prendo io, che ho appena scritto la parola fine a questa storia che mi ha accompagnato perfino sotto la doccia, negli ultimi sei mesi (l'idea per l'epilogo l'ho avuta mentre mi mettevo il balsamo).

Intanto vi dico che diverse cose non le ho messe nel capitolo, ma le ho ben chiare in mente (tipo cosa è successo a Sebbie ed Eric, o se Blaine possiede ancora la moto); se avete domande, chiedete!

Posso prendermi un pezzetto di questa pagina e fare i dovuti ringraziamenti? Abbiate pazienza, sono davvero pessima, in queste cose. Sento che la storia meriterebbe da parte mia una nota autore conclusiva particolarmente elaborata, ma al momento sono talmente conbattuta tra la malinconia e il sollievo da non sapere bene che cosa dire.

Vediamo... comincio con il dire che non mi sarei mai aspettata che JC, nata un po' per caso, come ho sempre detto, potesse assumere tali dimensioni. Quando l'ho cominciata, avevo in mente solo tre-quattro scene: la dichiarazione di Blaine nella classe, il loro primo bacio, il discorso con Will e l'uscita allo scoperto con il ballo. Era gran poco per andare avanti, ma è stato divertente e avventuroso arrivarci: Eric, Sebastian, la casa al lago, le bretelle e i biscotti al triplo cioccolato sono arrivati solo dopo, ma sono stati i benvenuti. Senza di loro, JC non sarebbe stata la stessa.

Magari migliore, chissà. Ma diversa.

Per quanto mi riguarda, è forse l'unica storia che, rileggendola, non cambierei. Ma tra sei mesi magari avrò cambiato idea, ma per ora è questo quello che penso.

Voglio dire anche un'altra cosa... in quanto storia nata un po' per caso, ammetto di aver avuto diversi momenti in cui ero in dubbio se andare avanti oppure no. O meglio, non c'è bisogno di ammetterlo, perchè ogni volta vi ho reso partecipi di tutte le mie titubanze: non mi vergogno di dire che alcuni punti della storia sono frutto proprio di un lavoro di gruppo. E' stato parlando, lamentandomi e rimuginando con alcune persone che la storia ha preso la forma che conoscete; anche diverse delle critiche o dubbi espressi da alcuni lettori l'hanno influenzata. Magari non come avrebbero voluto, ma l'hanno fatto. Per questo motivo vi ringrazio tutti.

Chi ha avuto la pazienza di ascoltare tutti i miei scleri.

Chi ha ascoltato i miei scleri e poi mi ha, giustamente, mandata a cagare.

Chi mi ha scritto per rendermi partecipe dei suoi dubbi.

Chi legge in silenzio.

Chi recencisce sempre, qui, su Fb o su Twitter.

Chi ha seguito la storia fin dall'inizio.

Chi è arrivato solo adesso (e si è risparmiato sei mesi di quei famosi sei mesi di scleri).

Chi è stato con JC solo per un po', poi l'ha abbandonata.

Chi l'ha schifata fin da subito e me l'ha detto sul naso.

Chi ha preso parte ai miei brainstorming e mi ha detto quello che dovevo sentirmi dire. E non quello che avrei voluto, sentirmi dire. (Gleek Family?)

Chi mi ha detto che gli rendevo il lunedì un po' più speciale.

Chi ha pazientemente letto, betato e commentato le mie bozze. Medea e Chicca, grazie. Sicuramente, senza voi due, la storia sarebbe stata diversa. E io più scontenta. Quindi grazie per non avermi sfanculato ogni volta che dicevo: “Ti mando un pezzettino!” e vi cargavo di 3000 parole da leggere e correggere. Avreste potuto farlo, ma non l'avete fatto.

 

So bene che stiamo parlando di una ff e non della Divina Commedia. O anche solo di un Harmony. Però in qualche modo mi sono affezionata a questa storia, che mi ha dato tanto. JC mi ha fatto conoscere tante persone, mi ha dato grandissime soddisfazioni e grandissime delusioni, mi ha permesso di conoscermi un po' meglio e di fare un viaggio avventuroso e ricco di imprevisti.

Sei mesi fa ho visto un gif set con un teacher!Blaine e ho iniziato a scrivere una ff. A sei mesi di distanza vi posso dire, come si usa su tumblr, I REGRET NOTHING.

Ma è ora di dirle addio (questo è un addio vero, non come Kurt e Blaine, eh).

 

Quindi... alla prossima, Ladies and Gays, nella speranza che sia un viaggio altrettanto intenso.

Al prossimo lunedì!

 

Un abbraccio,

LieveB

 

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