Damnation of a lonely soul

di Viki_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. ***
Capitolo 3: *** II. ***
Capitolo 4: *** III. ***
Capitolo 5: *** IV. ***
Capitolo 6: *** V. ***
Capitolo 7: *** VI. ***
Capitolo 8: *** VII. ***
Capitolo 9: *** VIII. ***
Capitolo 10: *** IX. ***
Capitolo 11: *** X. ***
Capitolo 12: *** XI. ***
Capitolo 13: *** XII. ***
Capitolo 14: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Questa storia ha partecipato al contest A cacciA di Spaccio (Inferno), indetto dal gruppo Cercando chi dà la Roba alla Rowling classificandosi seconda e vincendo il premio Originalità e Caratterizzazione.


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita. (Bokura ga ita)


Damnation of a lonely soul

Prologo.





“Ma tu sei.. Harry... Harry Potter!”
Il barista scrutò confuso il volto del giovane che aveva davanti.
Una bettola come quella non si addiceva ad un eroe, per niente.
“Festeggi così l'ingresso di ogni avventore, tu?” chiese il ragazzo biascicando.
Era ubriaco marcio, ma dalla borsa che portava a tracolla proveniva il tintinnare di un bel gruzzolo.
Jim, proprietario del Bad Dog Pub di Notturn Alley non era un tipo che faceva domande, soprattutto a gente ricca e ben disposta a spendere.
Ma diamine, quello era Harry Potter.
“No, certo che no.” rispose orgoglioso. “Che ti servo?”
“Qualcosa che mi scaldi, fuori si gela.”
Jim prese dalle sue spalle una bottiglia di whisky incendiario e un bicchierino, poi, vedendo la faccia poco convinta del ragazzo, prese un calice più grande.
“Ah, tu si che mi capisci barista. Tu si che mi capisci.” gracchiò lui iniziando poi a tossire.
Era messo proprio male. Nonostante nevicasse da giorni, indossava una giacca leggera e aveva la barba lunga. Sembrava tornato da un lungo viaggio in un luogo del sud.
“Vieni da un posto caldo?”
Prima di rispondere Potter tracannò il whisky alla goccia.
“Un posto caldo dici?” chiese il giovane guadandolo con occhi che niente avevano a che fare con l'eroe di cui Jim aveva  tanto sentito parlare. “Vengo dal centro dell'inferno.” 

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Capitolo 2
*** I. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.



Damnation of a lonely soul


I.

 
La novità ha un fascino a cui difficilmente possiamo resistere.
(William Makepeace Thackeray)



“Sto arrivando!”
Hermione Granger accorgendosi di essersi sbeccata lo smalto dell'indice sinistro, imprecò silenziosamente.
“STO ARRIVANDO!” ribadì per l'ennesima volta, sempre più convinta che il suono del campanello avesse già irrimediabilmente compromesso il suo udito.
Aprì la porta e si trovò davanti il suo ragazzo, Ronald Weasley, pieno di una sostanza collosa dalla testa ai piedi.
“Che ti è successo?” chiese facendolo entrare, cercando di ignorare l'odore di uova marce che lo accompagnava.
“Prima tu, hai impiegato una vita a rispondere.”
“Stavo finendo di mettermi lo smalto, è il mio primo giorno oggi. E tu? Puzzi di fogna, Ron.”
“Anche io ti amo, Herms. Mah, George sta facendo degli esperimenti giù in negozio. Sono venuto su per farti gli auguri.”
Ron si sporse verso di lei, le baciò la punta del naso.
“Vedi che vivere sopra i Tiri Vispi è una figata? Io vengo, ti bacio e ritorno al lavoro.” disse muovendosi quel tanto che bastava per spargere un po' di sostanza collosa sul pavimento.
“E magari ti fai pure una doccia, che dici?”
“Sì, signor Ministro!” esclamò portandosi una mano sulla fronte come un militare sull'attenti.
“Trattassero così bene tutte le stagiste, sarebbe fantastico. Ma penso che passerò cinque settimane a fare tè e ad archiviare scartoffie.”
Hermione si guardò la mano con l'unghia sbeccata, scosse la testa.
“Ok, vado.” disse baciando l'unico pezzo di fronte non sporco del suo ragazzo. “Tu stasera esci con Harry?”
“Non lo so, è qualche giorno che non lo sento. In ogni caso sarò qui per cena. A proposito, c'è qualcosa nel frigo? Sto morendo di fame.”
“Il cheesecake di tua madre.”
“Figo.”



“Questa sarà la tua scrivania per il prossimo mese e passa.” disse Maria Stewart indicando una valanga di documenti. “Sì, insomma. C'è da dare una sistemata, ma penso che sotto a questa roba esista ancora una scrivania.”
Hermione sorrise e appoggiò la giacca leggera sullo schienale della sua sedia.
Si era candidata per lo stage al Ministero solo due settimane prima e aver ricevuto una risposta positiva in tempi record l'aveva riempita di euforia.
L'ufficio a cui era stata affidata era la branca amministrativa del Wizengamot, e vi lavoravano tre donne, tutte molto indaffarate.
Le scrivanie erano divise da pareti semovibili alte poco più di Hermione mentre lo spazio comune era decorato con quadri e un ficus dall'aria malaticcia.
Mentre Hermione osservava il suo cubicolo, Maria aveva appellato un paio di scatoloni vuoti.
“Ecco, metti qui tutte queste vecchie scartoffie, tanto sono da buttare. Quando hai finito di liberare la scrivania, ti darò il tuo vero lavoro.”
“Perfetto.”
“Siccome oggi sei qui solo nel pomeriggio, dovrai recuperare la mattinata un sabato, mi dispiace. La pausa è alle 17. Ora, se non hai altre domande torno a lavorare.”
Mentre Maria scompariva dietro ad uno dei muri, Hermione tirò fuori la bacchetta e iniziò a fare ordine.
Il suo vero lavoro la aspettava e non vedeva l'ora di scoprire di cosa si trattasse.



***


Harry si alzò dal letto che il sole era già alto.
Appoggiò i piedi nudi a terra, sentendo un brivido dietro la schiena.
Non vi badò.
Era una battaglia persa.
Aveva tentato in tutti i modi di modificare Grimmauld Place, scaldarla, renderla accogliente.
Aveva tinteggiato le pareti, eliminato tutti i mobili antichi e li aveva sostituiti.
Niente.
La vecchia casa accusava ogni colpo, ma non cedeva.
Ogni modifica era seguita dalla scoperta dell'ennesimo problema da sistemare.
Quella settimana, a peggiorare le cose, ci aveva pensato il sistema di riscaldamento babbano.
La caldaia che Harry aveva fatto istallare andava a giorni alterni, ronzava.
Scaldava troppo o troppo poco.
Il fuoco sembrava l'unica soluzione plausibile.
Alla fine aveva vinto ancora lei, la casa.
Anche quella mattina, gelata.
Se ne stava lì, orgogliosa.
Fredda e silenziosa come un cimitero.
Harry non provò nemmeno a guardarla, quella caldaia nuova.
Si avvicinò al fuoco e si accorse di essere rimasto senza legna.
Imprecò.
Rimase per qualche minuto davanti al fuoco spento, poi scrollò le spalle e tornò in camera da letto.
Non era più stanco, ma si addormentò lo stesso, di nuovo.
Muovendosi il meno possibile per non perdere il poco calore che aveva riacquistato sotto le coperte, Harry Potter rimase sdraiato tutto il giorno.
E la notte successiva.
E il giorno dopo ancora.
La casa, sempre più fredda e buia, scricchiolò tutta.
Mobili, finestre, anche le scale.
Un canto di vittoria.
Harry non vi badò.
La verità era che Harry Potter che era stufo di combattere.

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Capitolo 3
*** II. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.


Damnation of a lonely soul


II.


Chi combatte il fuoco col fuoco di solito finisce in cenere.
(Abigail Van Buren)



“Barty Crouch Junior.”
Hermione rilesse per l'ennesima volta il nome scritto su ognuno dei quindici faldoni che si era trovata in ufficio quella mattina.
Maria le aveva affidato il suo vero lavoro pochi minuti prima.
Archiviare la vita giuridica di quell'uomo.
Sistemare ogni allegato, ogni pagina, ogni prova.
Era confusa.
“E' morto?” aveva chiesto alla sua coordinatrice dopo aver ascoltato tutte le istruzioni.
“No, non ufficialmente. Ma noi archiviamo la sua pratica. Voglio dire, ora che è senza anima non farà più danni no?”
Hermione si tirò in un sorriso nervoso e tornò ad osservare i documenti davanti a lei.
Per Maria Barty Crouch Junior poteva essere un corpo vuoto ad Azkaban, ma per lei non era così.
Iniziando a leggere le prime pagine del primo faldone, Hermione ricordò il volto di Harry appena tornato dal cimitero.
Il Trofeo Tremaghi in una mano e il corpo di Cedric Diggory nell'altra.
Il suo sguardo deciso mentre dal letto dell'infermeria raccontava il ritorno della sua nemesi.
Alzò lo sguardo e si sorprese di essere ancora al Ministero.
Viva, pulita, tranquilla.
Niente Mangiamorte, niente Voldemort, niente sangue.
Niente Harry.
“Harry.” sussurrò a bassa voce stringendo i pugni.
Non lo vedeva da un pezzo, le mancava.
Scosse la testa per scacciare i brutti pensieri e si rimise a leggere.
Rapporto pedinamento sospettato: Barty Crouch Junior.
Luogo: Londra Babbana, Notting Hill
Stilato da: Ind. Dimitri Sabanof e Auror Hestia Jones
Il sospettato si è intrattenuto dalle ore 12 alle ore 12e45 con Lucius Malfoy...
“Non devi leggerti tutti i documenti. Basta che li dividi per tipo.” la interruppe Maria appoggiando un altro faldone sulla scrivania ormai satura. “Questo è quello più recente, è appena arrivato.”.


Hermione sistemò secondo il consiglio di Maria il primo faldone impiegandoci più o meno un paio di giorni.
Alla fine della prima settimana di stage, i faldoni sistemati erano tre.
Nonostante evitasse di perdere tempo inutilmente, ogni tanto le scappava l'occhio su qualche dato, qualche nome conosciuto.
Silente, ad esempio.
Non poteva fare a meno di fermarsi, di leggere qualcosa.
Ai suoi occhi, Barty Crouch Junior era diventato una sorta di personaggio fittizio.
Quasi fosse esistito solo in quei faldoni polverosi.
E forse per quello, Hermione non riusciva a pensare ad altro.
Al protagonista della storia che stava ricostruendo pezzo per pezzo.
“Ma che cosa ti importa di quel pazzo? Voglio dire.. Fai il tuo lavoro e fregatene.” le aveva detto una sera Ron, visibilmente stufo di sentirla parlare di lavoro.
Avrebbe voluto dirgli che in realtà anche lui entrava e usciva dai suoi pensieri.
Che non c'era solo Barty Crouch nella sua mente.
Ma non era del tutto vero.
Nessuna persona reale aveva così tanto spazio nelle sue giornate.



***


“Non mi hai richiamato.”
“Non sono pratico di cellulari.”
“Sei tu il babbano.” la voce minacciosa di Ginny rimbombò fastidiosamente nel cervello di Harry, stordendolo. “Oh, ci sei ancora?”
“Sì, io sono qui. E tu dove sei?”
Rancore.
Harry non riusciva a darsene una ragione.
Ma la odiava.
Profondamente.
“A Holyhead, e dove se no? Domani partiamo per Edimburgo, giochiamo contro le Red Devil.”
“Benissimo.” disse senza passione. “Senti, ora devo andare, Gin. Ci sentiamo domani.”
“Chiamami però, ok? Allora, se mi chiami dalle 2 alle 3 mi trovi. Se no dopo cena. Fai come vuoi. Ah, anche in pausa pranzo.”
Parole.
Ginny parlava a raffica, senza aspettarsi una risposta.
Harry appoggiò il cellulare sul divano, si tolse gli occhiali, si massaggiò le tempie.
“Va benissimo Gin. Ti chiamerò.” disse ad alta voce quando il telefono tornò silenzioso.
“Mi manchi un sacco, lo sai vero?”
“Sì, sì Gin. Ciao.”
Non attese il suo saluto.
Prese il cellulare e lo gettò nel fuoco.
Poi si avvicinò allo specchio, si guardò.
“Io amo Ginny, la amo.” disse cercando di sorridere.
Non ci riuscì.
Come non ci riusciva da mesi.
Il dolore, caldo e distruttivo come il fuoco, si era impossessato di lui.
Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
Il dolore si accuiva.
E non sembrava esserci cura, se non continuare a fingere che tutto andasse bene.

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Capitolo 4
*** III. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul


III.


Nessuno mi ha mai detto che il rimpianto si sente come la paura.
(Clive Staples Lewis)
 


“Tutto bene? Ho sentito un tonfo!”
“Sì, ho solo rovesciato un faldone.”
Hermione era già in ginocchio, a terra, circondata dai fogli sparsi del faldone rovesciato.
“Vuoi una mano?”
“No, no Maria, non preoccuparti. Tanto avrei dovuto sistemarli comunque tutti questi documenti.”
Maria sorrise, poi appellò una tazza di thè.
“Non ti sei fermata un secondo oggi. Guarda che se non riesci a finire non importa.”
“Lo faccio volentieri, davvero.”
Hermione non mentiva.
Il suo lavoro le piaceva.
Archiviare, scoprire, imparare.
Nelle tre settimane di lavoro aveva letto di tutto.
Rapporti segreti, teste eccellenti, prove difficilmente confutabili.
Barty Crouch Junior era solo un ragazzo, ma aveva una fedina penale da far impallidire i Mangiamorte della prima ora.
Forse era per quello che Voldemo...
I pensieri di Hermione furono interrotti da un documento strano, diverso dagli altri.
Babbano.
Una lettera scritta al computer da una certa Melinda Falk, Indicibile del Ministero della Magia.
Breve, solo poche righe.
“Si richiede il trasferimento temporaneo del prigioniero Crouch, Barty Junior dalla prigione di Azkaban all'Ufficio Misteri. In allegato, secondo le norme vigenti, il rapporto completo delle motivazioni del trasferimento e la firma di almeno cinque Indicibili.”
Hermione cercò tra i documenti a terra l'allegato, ma non lo trovò.
Ribaltò l'ufficio da capo a piedi, ma niente.
In compenso trovò alcuni solleciti alla richiesta di trasferimento, l'ultimo datato pochi giorni prima dell'inizio del suo stage.
Uscì dall'ufficio e si infilò nel cubicolo di Maria, vuoto.
Hermione sbuffò e decise di andare da Dafne, la più anziana e severa delle impiegate.
“Signora Dafne? Posso disturbarla?”
“Non c'è la tua referente.”
Appunto.
“No, è per questo che sono venuta da lei. Questo documento parla di un allegato che non riesco a trovare... mi chiedevo cosa devo farne.”
La signora guardò il documento solo un secondo, poi prese una pergamena parlando fra sé.
“Indicibili, quei maledetti... il quarto.. ma noi siamo operaie, certo...”
Scrisse quattro righe poi con un colpo di bacchetta lo animò.
“Ho mandato un promemoria interufficio all'Ufficio Misteri. Tieni quel documento da parte e lascia stare.”



“Hai sentito Harry?”
“Mmmh?” borbottò Hermione ingoiando l'ultimo boccone del suo toast.
“Harry Potter. Quel ragazzo non tanto alto, moro, con la faccia sempre malaticcia... Harry, Herms, Harry.”
“No, avrei dovuto?”
“Era una domanda. Ginny dice che non lo sente da quasi una settimana e io non lo vedo al bar da ancora più tempo... Hermione, mi stai ascoltando?”
“Sì, Ron.” mentì lei, sfogliando per l'ennesima volta i documenti che aveva in mano.
“Cosa ho detto?”
“Che non vedi Harry da un po'.” ipotizzò lei.
“Ma ti sei portata il lavoro a casa?”
“No.. Voglio dire, sì, ma non è per lavoro.”
Ron si voltò verso il mobile della cucina, alzò le braccia al cielo.
“Cos'è quella roba?” chiese voltandosi con espressione severa.
“Documenti dell'Ufficio Misteri. Ci sono pagine di richieste inascoltate. Perché?”
Ron le strappò i fogli dalle mani, li gettò per terra.
“Che fai? Sono documenti del Ministero.”
“Allora perché li hai portati qui? Puoi ascoltarmi un secondo?”
“Andrò da Harry domani in pausa pranzo, se ti fa piacere.”
Non fu necessario il pugno che Ron assestò al tavolo per farla rinsavire.
Hermione si pentì delle sue parole l'istante dopo, troppo tardi per scusarsi.
Ron raccolse i documenti e uscì dalla cucina.
“Mi dispiace, Ron, ma il lavoro... Hai ragione. Harry non si fa più vedere, andrò da lui. Dove vai?”
chiese vedendo il ragazzo prendere la giacca.
“Se devi lavorare esco.”
“No, no. Mettiamoci sul divano. Ci penso domani a quello.”
Prima di trascinare Ron in salotto, Hermione diede un ultimo sguardo alle lettere di Melinda Falk.
L'ufficio Misteri e Harry.
Avrebbe sistemato tutto.



***


Il campanello di Grimmauld Place suonò tre volte.
Harry si alzò lentamente dalla poltrona, si stiracchiò.
Non aveva voglia di vedere nessuno, ma aveva riconosciuto il ritmo.
Trillo lungo, trillo corto, trillo lungo.
Hermione.
Si passò una mano tra i capelli, sospirò.
Quando lei lo strinse tra le sue braccia, sentì qualcosa.
Qualcosa di strano a livello dell'ombelico.
Era vivo, infondo.
Sotto tutto quella cenere c'era ancora un fuoco che aveva voglia di bruciare.
“Sei pazzo a sparire così? Ron e Ginny erano in pensiero.”
“Mi dispiace, sono stato molto impegnato.”
Abbassò lo sguardo, sperando che bastasse per mascherare la verità.
“Immagino.” disse Hermione distratta.
Quasi ci rimase male.
Per la prima volta gli aveva creduto al primo colpo.
La fece accomodare in salotto, le portò del thè fumante.
“Come va lo stage?”
“Bene.” rispose sorseggiando la bevanda con gusto. “Dimmi tu quando.”
“Quando cosa?”
“Vorrai dirmi perché non esci di casa da tre settimane.” disse con semplicità.
Hermione lo guardò negli occhi con un'espressione vincente.
Harry tacque, cercando le parole giuste in giro per il salotto.
Quando vide un pezzo della tastiera del suo cellulare nel camino, sbuffò.
“Avevo bisogno di una vacanza.”
“Ho tutto il tempo, fai con calma.” ribadì Hermione come se Harry non avesse detto nulla.
“E' la verità.”
“E io sono un ippogrifo. Ti piacciono i miei artigli Harry?”
Silenzio.
L'ennesima stoccata dolorosa.
Nonostante la forza di Hermione lo infastidisse, era la prima volta dopo giorni che aveva voglia di parlare.
Riempirla di scuse, farla annegare in stupide frasi di circostanza.
“Quando la guerra è finita mi sono sentita persa. Più di una volta ho pensato che forse sarebbe stato meglio morire.” disse lei dopo alcuni minuti di silenzio.
“Che stronzata.”
“Così mi ferisci, sono seria.”
“Hermione.” pronunciare il suo nome era doloroso ma appagante, come un faticoso lavoro manuale. “Io non voglio morire.”
“Eppure te ne stai qui chiuso a far niente. Non è una vita, questa.”
“E la tua? Ron mi ha scritto qualcosa.” disse indicando di scatto il fuoco. “Barty Crouch Junior. E' un'ossessione, la tua. Chi sei tu per giudicare?”
Hermione si piegò in avanti, come se le sue affermazioni le avessero provocato del male fisico.
“I-io... Non stiamo parlando di me ora. Ma tu... come ti sentiresti se io sparissi per tre settimane? Come la prenderesti eh?”
“Ti lascerei fare quello che vuoi.”
“Benissimo, Harry Potter.” esclamò alzandosi in piedi e porgendogli la tazza di thè. “Fai quello che vuoi. Muorici in questa casa, ok. Io.. Beh, sparirò.”
“Non ho detto questo Hermione... Ma si può sapere che avete tutti?”
“Disse quello che è chiuso da un mese in una vecchia casa muffita.”
“Tre settimane.”
“E la stessa c... sai che c'è? Arrangiati.”
Hermione fece per uscire dalla stanza, ma Harry fu più veloce.
Le prese un polso, lo strinse.
Quasi sentì il suo sangue scorrere sotto la pelle.
“Hermione, io..”
“Non hai detto che mi lasceresti fare quello che voglio? Lasciami uscire.”
Scottato, la liberò.
Se solo avesse saputo quello che sarebbe successo il giorno dopo, l'avrebbe tenuta stretta.
Per sempre.

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Capitolo 5
*** IV. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul


IV.


Il sospetto perseguita chi sa di essere in fallo;
il ladro in ciascun cespuglio crede di vedere un birro.
(Shakespeare, Enrico VI)



Uscendo da Grimmauld Place numero 12, Hermione provò per l'ennesima volta quello strano senso di colpa.
Aveva fatto bene a parlare con Harry, a scrollarlo un po' da quella vita tremenda che stava facendo eppure si rendeva conto che nemmeno lei stava seguendo la direzione giusta.
Chiuse gli occhi, si appoggiò alla ringhiera rinsaldata tra il civico 11 e il 13.
Nella sua testa vide gli occhi di Harry, spenti.
Aveva bisogno di lui.
E lui... in qualche modo, nonostante il muro che si era costruito intorno, Hermione sapeva che anche lui aveva bisogno di lei.
“Signorina Granger?”
Hermione aprì gli occhi. Una donna decisamente più bassa di lei la osservava a meno di un metro di distanza.
“Io e lei dobbiamo parlare.” disse prendendola in malo modo per il braccio.
Lo strappo all'ombelico che sentì subito dopo la informò che si stava smaterializzando.
Arrivata sul punto di vomitare, Hermione chiuse gli occhi.
Quando li riaprì Grimmauld Place era solo un ricordo lontano.
Era in piedi, in un ufficio illuminato.
“Dove siamo? Chi è lei?” chiese guardandosi intorno.
La prima cosa che le venne in mente era il Ministero.
C'era qualcosa di diverso, però.
Le pareti dell'ufficio in cui si trovava erano più scure e l'aria era più umida.
Dopo aver osservato le pareti coperte di librerie, si soffermò sulla grande scrivania al centro della stanza.
Su una targa dorata c'era la risposta di tutte le sue domande:“Melinda Falk, Indicibile del Ministero della Magia.”
“Lei ha qualcosa che mi appartiene.” disse la donnina, con una voce che cozzava con il suo fragile aspetto.
“Non so di cosa lei stia parlando.”
Hermione mentì cercando di rimanere calma.
Qualcosa iniziò a vibrare sui suoi fianchi.
I documenti dell'Ufficio Misteri nella sua borsa.
Si era dimenticata di riporli in ufficio.
“Io... Sto solo cercando di fare il mio lavoro.”
“Ah sì? Portare a casa del signor Potter dei documenti del Ministero rientra nelle sue mansioni?”
“No, no. Il signor Potter non ha visto questi documenti. Non era mia intenzione mostrarli a qualcuno.”
Melinda Falk si sedette alla scrivania, unì le dita sotto al mento.
“Posso sapere che cosa l'ha portata a rubare dei documenti del Ministero?”
“Io non ho rubato niente.” rispose con passione. “Sto solo cercando di fare il lavoro che mi è stato assegnato.”
“Si ricorda che cosa le ha detto la signora Dafne? Non sono affari suoi, questi.”
“Lei come fa a sapere cosa...”
“Cosa non le è chiaro nella frase “Non sono affari suoi”, signorina Granger?” la donna enfatizzò ogni parola con la voce sempre più acuta, sembrava veramente molto agitata.
“Non volevo arrecarle disturbo.” mentì Hermione, temendo che la Falk stesse per congedarla.
Anche se quell'ufficio aveva un non so che di sinistro, non voleva andarsene.
Voleva saperne di più, voleva capire che cosa c'era dietro al trasferimento di Barty Crouch.
Melinda Falk la osservava dalla scrivania, meditabonda.
“Le sue richieste non sono state ascoltate.” buttò lì Hermione, togliendo i documenti dalla borsa.
“Perspicace.”
“Perchè volete trasferire qui Barty Crouch?”
“Non sono affari di una stagista impudente. Lei non è  al di sopra delle regole, signorina Granger.”
“Lo so, le dirò, signora Falk, le regole mi piacciono, molto.”
Hermione era consapevole di star giocando con il fuoco. Non sapeva da dove nasceva tutta quella confidenza, ma il desiderio di scoperta si era impadronito di lei.
Era affamata di verità.
“Le piaciono le regole, Granger? Se le piacessero così tanto, l'Ufficio Misteri avrebbe ancora la sua scorta di Giratempo.”
“Ogni tanto bisogna riconsiderare le proprie priorità.”
“Lei è una ragazzina molto emotiva, non è così?” chiese la donna con un sorrisetto furbo che Hermione non riuscì a comprendere.
“Se credo in una cosa, se ci credo davvero, sono pronta a combattere per essa fino alla morte.”
“Sa, signorina Granger, non mi sono mai piaciuti gli eroi. E ora vada a fare il suo lavoro.”
“E i documenti?”
“A tempo debito verrò a riprendermeli.” la congedò con un sorriso di circostanza.


Hermione uscì dall'ufficio sbattendo la porta, senza la minima idea di come tornare all'Atrium.
Si trovò in un corridoio largo un paio di metri, fiocamente illuminato da torce. Su entrambi i lati si aprivano diverse porte con vecchie placche di ottone.
Istintivamente si diresse verso la parte più luminosa del corridoio, e dopo un paio di curve si trovò davanti a delle scale.
Sentendosi sollevata, Hermione trasse un sospiro.
Poi tese l'orecchio. Dietro l'ennesima svolta, poco più avanti delle scale, percepì delle voci.
Incuriosita, si avvicinò di soppiatto e si schiacciò contro il muro per non essere notata.
“Dice che una stagista dell'ufficio del Wizengamot cercava il rapporto. Melinda se la mangia, quella sprovveduta.”
Due Indicibili stavano chiacchierando davanti a una porta simile a quella da cui era uscita qualche minuto prima.
“Ah, se l'avesse letto. Voglio dire, sai come la penso su quel tipo di esperimenti.”
“Mah, io non sono molto contrario. Voglio dire.. è vuoto.”
Uno dei due uomini ridacchiò.
“Certo, ma un uomo non è un barile di Idromele, Damien. Voglio dire.. a forza di mettere e di togliere roba, quello impazzisce.” commentò scettico.
“Ma se non ha l'anima? Te lo dico io. Zero controindicazioni. Sarà utile a noi e indolore per quel tipo. E poi, voglio dire.. E' Barty Crouch.. Tu-sai-chi non sarebbe risorto, se quel pazzo non gli avesse dato una mano.”.
Dopo qualche istante di silenzio, un terzo uomo si unì alla conversazione.
Era molto più vecchio degli altri due e vedendo la loro reazione, doveva essere un pezzo grosso.
“Non mi sembra il luogo di fare questi discorsi. Abbiamo già discusso sulla segretezza degli esperimenti emozionali, no?”
“Sì, signor Heartless.” dissero in coro i due uomini, tacendo finchè non lo videro scomparire in una delle porte che davano sul corridoio.
“Ma secondo te gli esperimenti a cosa servono di preciso?”
“A far star buona la Falk, quella è mezza pazza.”
Sentendo quel nome, Hermione ebbe un brivido.
Solo un istante dopo si rese conto che non era stato quel pensiero a provocarglielo.
Una piccola spinta, all'altezza dei reni.
“Credo che abbia sentito abbastanza, signorina Granger.”
E mentre nel corridoio rimbombavano le ultime risatine degli Indicibili, Hermione fu colpita da un dolore fortissimo, come se tutto ad un tratto qualcuno le avesse separato la pelle dalla carne.
Bruciava, troppo.
Si voltò, scagliò un incantesimo contro il suo aggressore.
Ma il dolore era imbattibile.
Urlò con tutta la forza che aveva in corpo.
Poi si fece tutto buio.



***


Il paio di jeans più bello che aveva.
Una maglietta bianca e una camicia a quadri, quella che Ginny gli aveva regalato pochi mesi prima.
La vecchia cintura di cuoio di Dudley.
Harry si preparò di tutto punto, come se dovesse andare ad un appuntamento.
In realtà, stava cercando la voglia di uscire di casa.
Risedendosi sul divano, si rese conto di aver avuto la peggiore idea del mondo.
Quei jeans erano scomodi e troppo stretti per stare seduti a lungo.
Forse per quello, si rialzò.
Andò in camera, si guardò un po' intorno.
Attaccato con il magiscotch allo specchio c'era un bigliettino.
Harry Potter è il mio eroe.
Harry sorrise.
Hermione gli aveva scritto quel bigliettino mesi prima, non si ricordava per quale motivo.
Era stata lei, il giorno prima, a fargli venire voglia di uscire.
Era lei, si disse, la molla che aveva fatto scattare l'azione.
Doveva vederla, scusarsi.
Magari chiederle informazioni su Barty Crouch, perché no.
Anche lui era curioso, Hermione di solito si appassionava a storie interessanti.
Si sedette sul letto, tirò fuori un paio di scarpe rovinate, se le mise.
Lanciò un'altra occhiata al bigliettino e scese in salotto.
Il citofono suonò.
Suono lungo, altro suono lungo.
“Chi è?”
“Ron.”
Sorpreso Harry aprì la porta.
“Hey, amico, quanto tempo!” disse facendolo entrare.
“Già. Hermione?”
“Lo so, mi dispiace. Ma davvero avevo bisogno di una vacanza..”
“No, Harry. Io.. volevo sapere se era qui. Non è tornata a casa ieri sera.”
Harry fece un gesto di stizza, imprecò.
Nella sua mente, le parole di Hermione rimbombarono per qualche secondo.
“Ha chiesto al Ministero?”
“Sì, hanno detto che è stata là, anche oggi. Ma non è tornata a dormire.”
I due rimasero in silenzio per qualche minuto.
“Forse è dai suoi genitori.” disse Harry senza passione. “Io e lei abbiamo litigato, ieri.”
“Ah. Comunque nemmeno tra me e lei le cose vanno bene... Il lavoro, il Ministero. Non so.”
“Stare sulla porta non ha senso, vieni in salotto.”
Gli aveva detto che sarebbe sparita.
Che voleva essere lasciata andare.
No, Hermione non lo avrebbe fatto per un semplice capriccio.
Dopo aver offerto una Burrobirra a Ron, Harry si slacciò i jeans.
Quelli stretti che si era messo apposta per andare da lei, per dirle che aveva ragione.
Pochi minuti dopo, o forse un'eternità, un gufo ticchettò alla finestra.
Quando Harry lo fece entrare, si appollaiò sulla poltrona, proprio accanto a Ron.
“Cosa dice?” chiese impaziente vedendo l'amico leggere il testo della lettera.
Ciao Ron, mi hanno mandata in missione per il Ministero. La partenza è stata improvvisa e non ho potuto salutarti, mi dispiace. Hermione. Oh, miseriaccia! Ero così preoccupato.”
Harry osservò il bigliettino nelle mani di Ron.
La scrittura ordinata di Hermione era diversa.
Diversa da quel “Harry Potter è il mio eroe”.
“Già, tutto bene.”disse a Ron, cercando di essere il più convincente possibile.

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Capitolo 6
*** V. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

V.
 

Ho sempre sostenuto che le persone sono speciali perché noi le rendiamo tali.
Ma ci sono persone veramente speciali, lo sono perché lo sono...
perché sono un dono e nutrono la nostra anima.
(Silvana Stremiz)
 

“Una settimana, una settimana.”
La voce di Melinda Falk rimbombò nella stanza a vetri in cui Hermione era stata rinchiusa.
Una teca di vetro, miseramente arredata.
Un letto, alcuni libri.
In un angolo, unica parte oscurata, il bagno.
Tutto intorno alla stanza, giorno e notte passavano uomini e donne, si fermavano, alcuni la guardavano con occhi pieni di amarezza.
Alcuni si scusavano sottovoce.
Era diventata la cavia di un tremendo esperimento di cui non conosceva né i limiti né le finalità.
Si era svegliata lì, indolenzita e affamata.
E nessuno, nessuno le aveva detto nulla.
Solo quella tremenda donna, con una sorta di megafono invisibile, si divertiva a torturarla da chissà dove.
La Falk l'aveva obbligata a scrivere una lettera a Ron, ore o giorni prima.
Senza luce, senza orari, non riusciva a capire quanto tempo fosse passato.
Aveva letto un paio di pagine di alcuni libri, ma aveva lasciato perdere.
Passava fasi alterne di rabbia e rassegnazione.
Insonne, inappetente.
Dormire con osservatori nemmeno tanto silenziosi intorno era impossibile.
Mangiare?
Il cibo che le si materializzava davanti ogni tanto le faceva venire la nausea.
“Ehi, Granger. Dico a te.” ripeté la Falk facendola tornare in quella tremenda realtà. “Il tuo fidanzatino è venuto a cercarti al Ministero.”
“Quando?”
“E' stato all'ufficio del Wizengamot a chiedere di te, quel Potter. Devi scrivergli una lettera.”
“N-no.” disse con la voce che tremava. Per la prima volta dopo tutto quel tempo, trattenere le lacrime divenne impossibile. “No. Dovete farmi uscire di qui.”
La donna rise.
Non potendo vedere il suo volto, Hermione scagliò un libro contro una parete qualsiasi.
Un Indicibile si voltò verso di lei con uno sguardo pieno di terrore.
“NO!” urlò più forte.
“La sua curiosità l'ha portata qui, signorina Granger. Deve solo aver la pazienza di saziare anche la nostra. Appena avrà provato tutte le emozioni che cerchiamo, verrà liberata.”
“Emozioni? I-io non... Vi prego. Vi prego. Basta.”
Pianse, sciogliendosi in singhiozzi dolorosi.
Intorno lei iniziò a radunarsi una folla curiosa.
Cercò di pensare a qualcosa di bello, di ignorarli.
Pensò al calore di un abbraccio.
La prima persona che le venne in mente fu Harry.
Ancora.
E solo in quell'istante, appoggiandosi al vetro gelato, si rese conto di non aver corretto la Falk.
Harry non era il suo ragazzo, non era la prima persona a cui avrebbe dovuto pensare.
Non dopo la loro ultima discussione.
Nonostante tutto, non riusciva ad essere arrabbiata con lui.
Nonostante la disperazione, non riuscì a trattenere un sorriso.
I suoi modi goffi, il suo schiarirsi la voce nei momenti di imbarazzo.
I suoi occhi spenti degli ultimi giorni.
Harry aveva bisogno di lei
E lei, relegata in quella teca di vetro, sentiva di avere ancora più bisogno di lui.



***



“Buongiorno, sono Maria, posso darle una mano?”
“Ho bisogno di Hermione, è qui?”
La donna, che lo aveva accompagnato in un cubicolo, lo guardò titubante.
“Non l'hanno informata? Hermione è partita per una missione.”
“Da quando le stagiste amministrative vanno in missione, signora Maria?” Harry parlò lentamente, cercando di mantener fede al piano che aveva escogitato prima di uscire di casa.
Calmo, pacato.
“E' stata un'idea di Hermione.”
Una donna anziana fece capolino dall'ingresso e parlò senza degnarlo di uno sguardo. “Era curiosa di come si lavora sul campo.”
“C'è qualche modo per contattarla?”
“Lasci a me il messaggio e glielo recapiterò.”
“E' una cosa piuttosto personale.” disse Harry in tono forzatamente cordiale. “Non importa, grazie dell'informazione.”
Dubbi.
Il senso di colpa che lo aveva torturato dopo la notizia della partenza di Hermione era stato sopraffatto da mille altri sentimenti.
Era incredibilmente diffidente e quelle due donne, i loro atteggiamenti rigidi e impostati, non lo avevano aiutato.
Erano delle pessime attrici in mano a un qualche burattinaio.
Il suo sesto senso, o meglio, il suo stomaco, dicevano che Hermione era ancora lì, a pochi passi da lui.
Aspettava in qualche modo di essere raggiunta.
Harry salì al primo livello cercando di pensare solo a quello, evitando di ricordare che per tre settimane aveva pensato di poter vivere bene lontano da tutto e da tutti.
Lontano da Hermione, che con tutto e tutti non aveva niente a che fare, ma che lui, per pigrizia e stupidità, aveva deciso di archiviare come tutti gli altri.
“Buongiorno, vorrei vedere il Ministero della Magia.” disse quasi urlando, carico di una forza che aveva quasi dimenticato di possedere.
“Ha un appuntamento?”
“Sa chi sono io? Harry Potter.”
Vedendo la segretaria di Kingsley fare una faccia di timorosa reverenza, Harry si sentì un cane.
“Scusi, ma.. Ho davvero bisogno di vederlo.”
“Si accomodi, signor Potter. La riceverà appena può.”



“Harry!” esclamò Kingsley alzandosi dalla sedia per andare a stringergli la mano. “E' una vita che non ti vedo. Ti aspettavo tra gli iscritti per il nuovo corso per Auror e invece..”
“Sto cercando di riprendere in mano la mia vita lentamente.”
“Immagino. Comunque.. Cosa c'è di tanto urgente da spaventare la mia povera segretaria?”
Harry abbassò lo sguardo, si schiarì la voce.
“Hermione è in missione per i tuoi, vero?”
“Oh, sì. Sai, qui è così, qualcuno ti chiama e ti manda in Lapponia a contrattare pietre per i nuovi studi di Pozioni. Ho parlato con la coordinatrice della missione, Hermione era entusiasta.”
“Non sai dove sia quindi?”
Kinglsey rise.
“Sono il Ministro della Magia, è vero. Ma non posso sapere ogni scopo di ogni missione. Alcuni reparti sono assegnati a supervisori di mia fiducia, loro fanno le mie veci. Ma c'è qualcosa che posso fare per te?”
“Vorrei solo essere sicuro che lei stia bene.” disse in tono solenne.
“Dirò a Felicity di contattare la coordinatrice Falk. Avrai notizie di Hermione in giornata, non preoccuparti.”
Lo ringraziò e fece per uscire, ma messa la mano sulla maniglia sentì il bisogno di parlare.
“Non voglio mobilitare il Ministero per niente, ma Hermione è partita senza dirmi niente e mi sembra strano.”
“Non ha detto nulla nemmeno a Ron?” chiese Kingsley confuso.
“Sì, no. Cioè.. Gli ha scritto un messaggio.”
“Beh, Harry. Io contatterò lo stesso Melinda, ma vedi... Forse Hermione non ci ha pensato. Magari non sei più la sua priorità principale. E' normale.”
Sentendosi dire quelle parole, a cui Harry aveva pensato ma che testardamente continuava a scacciare dalla sua testa, si rese conto di quanto potesse far male una realtà così stupida.
Mentre lui stava chiuso nel suo dolore, il mondo intorno a lui era andato avanti.
Le persone avevano trovato delle nuove priorità.
Ma Hermione non era “le persone” e Harry avrebbe fatto altri tentativi inutili prima di considerarla come tutti gli altri.
Prima di arrendersi e dimenticarsi che Hermione era Hermione.
Prima di buttarla nel “tutti”.
Sbagliando per la seconda volta.




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Capitolo 7
*** VI. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

VI.



Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo,
ma niente, assolutamente niente,
sostituisce lo sguardo dell'essere umano.
(Paulo Coelho)




Emozioni, sentimenti, brividi.
Hermione era diventata un animale in cattività.
Ogni rumore, ogni odore, ogni gesto intorno a lei era cambiato.
Tutto amplificato.
Tutto nuovo, diverso, incredibilmente importante.
Ormai aveva imparato a memoria tutte le facce degli Indicibili, a riconoscerne i ritmi, le espressioni facciali.
I punti di vista.
Li aveva contati, almeno ci aveva provato.
Una buona metà approvava la sua carcerazione.
Alcuni erano spaventati dalla sua presenza.
Mezza dozzina era dalla sua parte.
Un uomo, in particolare, aveva avuto il coraggio di parlare con lei.
Almeno, ci aveva provato.
Ogni volta, però, la voce di Melinda Falk rimbombava minacciosa nella teca di vetro.
Hermione aveva capito che non c'erano solo telecamere a sorvegliarla, o strumenti magici simili.
Aveva capito che la sua presenza in quella teca era rilevata attraverso le emozioni che provava.
Melinda Falk si era fatta scappare delle frasi, il resto Hermione lo aveva intuito dalle parole di quell'uomo.
Piccoli pezzi di verità.
Quel giorno, Hermione lo contò come il settimo dopo il messaggio che era stata obbligata a scrivere ad Harry, l'uomo si avvicinò alla teca, con discrezione.
“Loro sanno cosa pensi.” scandì con il labiale.
Lei fece finta di niente, cercando di non modificare in alcun modo il suo stato emotivo.
Si voltò verso di lui solo un istante.
Vide che l'uomo fingeva di prendere appunti.
Nessuna voce.
Melinda Falk doveva essersi concessa il primo momento di distrazione in moltissimo tempo.
“A chi pensi.” aggiunse l'uomo prima di andarsene come se niente fosse.
Hermione lo guardò, accennò un sorriso e tornò a leggere il libro che aveva scelto quel giorno.
Ogni giorno, come un rito, estraeva un volume dalla piccola libreria.
Lo guardava, lo accarezzava.
Ogni libro era diverso per genere.
Compendi scientifici accanto a romanzi d'amore.
Istruzioni per la cura di piante acquatiche e epopee classiche.
Quel giorno aveva scelto una raccolta di fiabe per bambini.
Come al solito, si mise a leggere ad alta voce.
“C'era una volta una mamma drago molto preoccupata, il suo cucciolo era malato. Il draghetto non volava e la sua pelle a scaglie verdi era spenta e secca...”
Hermione leggeva ad alta voce per non pensare.
Per dimenticare tutti quei gesti e rumori e voci che rimbombavano amplificati nella sua prigione di cristallo.
Poi, accadde qualcosa.
In un angolo della teca, un uomo si fermò.
Incappucciato come gli Indicibili più importanti.
Quasi sempre inseriti in quella metà che trovava la prigionia di Hermione più che giustificata.
Hermione si avvicinò, rimase ad un passo dal vetro.
Guardò gli occhi brillanti sotto quel cappuccio.
E senza che potesse dire qualcosa, senza che potesse commentare quello che stava accadendo, mille sirene iniziarono a suonare.



***


“Harry?”
Ron alzò appena lo sguardo dalla scacchiera.
Neville, al contrario, si agitò così tanto per salutarlo da far cadere la sua regina.
“Ops... Ehi, Harry! E' una vita che non ci vediamo.”
“Sì.” disse Harry sbrigativo, avvicinandosi poi al bancone per ordinare una birra scura.
Il Salem Pub di Londra era il locale più frequentato dai Maghi che non giravano a Diagon Alley.
Era gestito da una vecchia locandiera chiacchierona, che aveva preso Harry in simpatia.
La donna, prima di lasciarlo tornare dagli amici, gli tenne un po' il muso per non essersi fatto vedere per molti giorni.
Quando finalmente poté tornare da Ron e Neville, i due avevano sgombrato il tavolo dalla scacchiera.
“Allora, tutto bene?” chiese Neville sorridendo.
“Sì, sì. Ron.. hai avuto notizie di Hermione?” chiese cercando qualcosa nella giacca.
“No, no. Perché?”
“Qualche giorno fa ho ricevuto questa.”
Harry porse la pergamena che circa una settimana prima un vecchio gufo bruno gli aveva consegnato.
Aveva aspettato del tempo per mostrargliela.
Giusto il tempo per rileggerla un milione di volte, per capire.
Per trovare una risposta adatta.
Per convincere Ron.
Dal canto suo, il rosso impiegò un tempo lunghissimo per leggerla.
“Hai chiesto ad Hermione di metterti con te?”
Nonostante sorridesse, Ron si era irrigidito.
“No. Leggila bene.”
Caro Harry, mi dispiace per non averti dato mie notizie, ma ho bisogno di tempo, come il terzo anno, ricordi? Lo aveva detto anche Sirius, prima di partire. Ho capito che Ron ha molto più cervello di te: lui, mentre tu cercavi il tuo destino, mi è stato vicino. Mettiamo una croce sopra a tutto questo. Sono in un luogo che mi piace molto, non cercarmi. Hermione. Eh.. quindi?”
“Non capisci? Sirius, il tempo, il cervello... Hermione è all'Ufficio Misteri!”
Neville, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio, deglutì rumorosamente.
“Harry, smettila.” disse Ron serio. “E' la scusa più patetica che io abbia mai sentito per un rifiuto.”
“Sono serio.” ribadì Harry. “Possibile che tu non sia preoccupato? Hermione non si fa sentire da giorni.”
“Questa è la sua scrittura.”
“Beh, non importa.” disse Harry riprendendosi la lettera di Hermione. “Domani entrerò all'Ufficio Misteri e andrò a prendere Hermione.”
“COSA?” esclamò Ron incredulo. “Harry, miseriaccia, stai veramente esagerando. Secondo te é possibile tenere un prigioniero al Ministero senza dare nell'occhio? Dai, Harry, tu sei pazzo.”
“Può darsi, ma tutto questo non ha senso. Perché Hermione dovrebbe scrivermi una lettera del genere? Io non le ho chiesto nulla.” Harry si tolse gli occhiali, si sfregò gli occhi.
Non aveva raccontato a Ron della sua improvvisata al Ministero, la settimana prima.
Non aveva detto niente a nessuno, per combattere la sua crociata personale.
Non gli aveva parlato delle ricerche sulla coordinatrice Falk, sui suoi dubbi.
Aveva deciso di smettere di pensare, di ritornare all'azione.
Un po' per Hermione.
Molto, forse troppo, per il vecchio Harry.
Si era dato un limite, comunque: l'Ufficio Misteri era l'ultimo tentativo.
“Che cosa devo fare?” chiese Ron sbuffando.
Sottovoce aggiunse una frase che Harry non riuscì a comprendere.



“Cosa ci fai qui Ronald?” chiese Arthur Weasley sorpreso.
Guardò il figlio appoggiato sulla sua scrivania dell'ufficio Applicazione della Magia e sorrise.
“Niente, stavo solo... Non hai 10 galeoni da prestarmi? Ho lasciato il portafoglio in negozio.”
“Certo.”
E mentre svuotava la tasca interna della sua giacca, non si rese conto che suo figlio se n'era già andato con un messaggio interuffici in mano.


“Chi?” Melinda Falk non distolse lo sguardo dalla parete del suo ufficio, su cui le immagini della teca di Hermione Granger scorrevano giorno e notte.
Sotto alle immagini, una scritta: tranquillità.
Un sentimento inutile.
“E' tranquilla.” commentò quasi stizzita. “Chi mi vuole?”
“Morgana Jorkers, dell'Ufficio Mediazione con i Troll.”
“Mediazione con i Troll?”
Melinda Falk si sistemò meglio sulla sedia.
Sullo schermo Hermione Granger leggeva un libro.
“Sarà uno di quei nuovi reparti.” rispose la sua segretaria.
“Non puoi mandarci, McFair? ”
“No, dice che ha bisogno proprio di lei.”
Miranda Falk diede un'altra occhiata al muro.
La Granger si era alzata, stava camminando verso il vetro.
“Curiosità? Potter!”
E prima di dire altro, premette a fondo il pulsante di emergenza sotto la sua scrivania.


Harry aveva superato i controlli senza nessuna difficoltà.
Era entrato in un ufficio di soppiatto, aveva rubato un pesante mantello da Indicibile.
Si era fatto guidare dall'istinto.
Era arrivato davanti alla verità e ne era rimasto per metà disgustato e per metà incuriosito.
Hermione era chiusa in un cubo di vetro grande quanto la sala comune dei Grifondoro.
Intorno a lei, uomini e donne passeggiavano senza darle attenzione alcuna.
Probabilmente abituati a quello spettacolo.
Convinto che la teca fosse in qualche modo protetta, Harry rimase ad osservare Hermione da uno dei corridoi che vi convergevano.
Pallida, dimagrita.
Il suo sguardo, posato sul libro che portava in grembo, era nascosto dai soliti capelli arruffati.
Lo alzò solo un istante, per guardare un uomo che prendeva appunti.
Hermione gli accennò un mezzo sorriso, permettendo a Harry di rivedere il suo volto.
Vivo.
Poi, la sua voce.
Hermione si mise a leggere qualcosa di molto simile ad una fiaba.
Quella voce, il tono così conosciuto eppure dimenticato, provocò in Harry una reazione improvvisa.
Quella voce gli stava dicendo qualcosa.
“Avevi ragione Harry” e “Mi hai trovata.” e “Ti ho aspettato tanto tempo.” e “Bentornato.”
Noncurante dell'inferiorità numerica, del fatto di essere nel covo del nemico, Harry non riuscì a stare lontano da quella voce.
Si avvicinò alla teca, rimase a osservare qualche secondo Hermione.
Poi anche lei lo notò, si avvicinò al vetro.
I loro occhi si incontrarono.
Hermione schiuse la bocca, forse disse qualcosa.
Una sirena iniziò a fischiare e qualcuno, qualcuno di molto forte, intrappolò i polsi di Harry.
Una trappola.
Ma nonostante intorno a lui tutti avessero iniziato a muoversi con velocità doppia, nonostante le due mani che lo tenevano fossero diventate quattro e poi otto e poi di più, Harry non distolse lo sguardo.
Rimase a fissare Hermione e i suoi occhi nocciola.
I suoi pugni battere contro il vetro che li divideva.
Le sue gote impallidire alla vista di qualcosa che Harry, schermato da decine di uomini, non poteva vedere.
Qualcosa che, notò Harry, le aveva riempito gli occhi di terrore.

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Capitolo 8
*** VII. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

VII.



L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni;
e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà,
magia e bellezza sono in noi.
(Kahlil Gibran)



“Fermi!”
La voce di Melinda Falk rimbombò nella teca di vetro in modo fastidioso.
Se l'avesse spinta un paio di note più in alto, sarebbe diventata un richiamo per cani da caccia.
Gli Indicibili che avevano fatto capannello intorno ad Harry si aprirono in due frange, permettendo alla Falk di vedere il prigioniero.
Hermione, dal canto suo, rimase con le mani attaccate alla lastra che la divideva dal suo migliore amico.
“Potter.” borbottò tra sé e sé la donna. “Perfetto, dunque... Chiamatemi Heartless, subito!”
disse in modo pratico avvicinandosì a Harry senza degnare Hermione di uno sguardo.
“Cosa ci fai qui Potter? Sei venuto a salvare la tua amata?” chiese alzando gli occhi al cielo, disgustata.
Hermione, guardò Harry, apparentemente tranquillo nonostante due paia di mani lo tenessero molto stretto.
“Lei, non.. liberatelo... voi non..” disse Hermione con foga.
Poi, sentì l'aria mancarle nei polmoni.
La Falk finalmente si rivolse a lei con un braccio alzato.
“Continua a fare l'eroina e ti faccio diventare un filetto di drago sottovuoto.”
Hermione cadde sulle ginocchia e si portò una mano alla gola.
“Hermione, stai calma.” le disse Harry con un filo di voce.
Alzando lo sguardo, poté vedere i suoi occhi verdi saettare dalla donna a lei cambiando ad ogni passaggio la loro espressione.
Odio e affetto.
“Che carini.” commentò Melinda Falk acidamente, ormai ad un passo da Harry. “Vediamo di far fruttare tutti questi sentimenti eh.”
Hermione iniziò ad avere la vista annebbiata.
Ogni cellula del suo corpo reclamava ossigeno e l'aria rarefatta entrava nei polmoni senza darle sollievo.
“Harry.” sussurrò usando poi tutta la forza che le era rimasta per battere contro il vetro.
Chiuse gli occhi più volte, faticando sempre di più per riaprirli.
“Direi che è sufficiente, Melinda. Ridia l'ossigeno a quella povera ragazza.”
L'Indicibile Heartless comparve da uno dei corridoi.
Hermione suppose che il braccio della Falk non si fosse abbassato per sua spontanea volontà.
Anzi, sul volto della donna apparve una smorfia.
L'effetto dell'arrivo di Heartless fu immediato: gli Indicibili si dileguarono e lei poté ricominciare a respirare normalmente.
L'aria tornata densa bruciava nella sua gola come fuoco.
Harry, finalmente libero, si avvicinò al vetro.
“Fermo.” disse Heartless con un tono così calmo da fare paura.
Melinda Falk si mise a fianco del Indicibile, con un passo che a Hermione ricordò molto quello di una bambina al paese dei balocchi.
“Potter, capo. Potter! Possiamo estrarre quello che vogli...”
L'uomo alzò un braccio e la Falk tacque all'istante, poi si avvicinò a Harry, ancora concentrato su Hermione.
“Signor Potter, sono Demetrius Heartless, Capo degli Indicibili del Ministero della Magia. E' libero di andarsene quando vuole, non ascolti i deliri della mia collega.”
Melinda Falk, sentendo quelle parole, spense il suo sorriso come una lampadina fulminata.
“Io non me ne andrò senza Hermione, signor Heartless.”
“Allora sono costretto a chiederle di entrare nella teca. E sul mio onore, le giuro che vi libererò appena mi sarà possibile.”
Hermione iniziò a battere di nuovo sul vetro.
“Vai Harry, vai via. Non fidarti.”
“ZITTA!”
“Melinda, ti prego.” disse Heartless in modo accondiscendente, come se parlasse con una bambina capricciosa. “Non aiuti la negoziazione.”
Harry si schiarì la voce, guardò Hermione, posò la mano sul vetro dove lei aveva appena battuto il suo pugno.
“E se la liberassi con la forza?”
“Il cubo è controllato. Se non viene aperto da me, al suo interno si crea un vuoto e la signorina Granger muore all'istante.”
Hermione spalancò gli occhi.
“Allora fatemi entrare. Sanno che sono qui, se passerà troppo tempo verranno a cercarmi, signor Heartless.”
“Non ne dubito. Signorina Granger, si allontani dal vetro.”
E mentre le sue gambe si muovevano da sole verso il centro del vetro, Hermione con la coda dell'occhio vide la Falk ridacchiare.



***


“Sei un idiota!” esclamò Hermione buttandosi tra le sue braccia mentre il lato del cubo temporaneamente aperto si richiudeva.
Harry iniziò ad accarezzarle i capelli, osservando Heartless e la coordinatrice Falk sparire in uno dei corridoi.
Il calore del corpo di Hermione lo rinvigorì.
“Ron sa che sono qui. Heartless mi sembra un tipo affidabile.”
“Mi tengono chiusa da settimane in questa teca di vetro come un animale in uno zoo, li credi persone affidabili?”
Hermione, sempre incollata al suo petto, sbuffò.
“Che altro potevo fare?”
“Uscire e andare da Kingsley, o dagli Auror, ecco cosa potevi fare.”
“Sono indicibili, Herm. Ti avrebbero trasferita in un secondo.”
Harry strinse l'amica tra le braccia come non faceva da tempo.
Lei non parlò, rimase a cullarsi in silenzio.
Harry passò in rassegna la prigione.
Sembrava una spoglia casa di bambola.
Solo quando Hermione si sciolse dall'abbraccio, Harry iniziò a credere di essere stato imbrogliato.
Per cercare di pensare ad altro, si fece raccontare tutto quello che era successo nell'ufficio Misteri, rendendosi conto che la definizione “animale da zoo” era perfetta per quello che era successo ad Hermione.
“...un Indicibile mi ha detto che loro sanno cosa provo e a chi penso. Forse è per quello che ti hanno scoperto. Quando ho visto i tuoi occhi sotto il cappuccio, io...” lasciò la frase incompiuta, tirando su con il naso.
Per un po' rimasero in silenzio, seduti sul letto.
Harry prese una mano di Hermione tra le sue.
Si sentiva stupido.
Per qualche istante si trovò a pensare che avrebbe preferito vivere tutta una vita in quella scatola, piuttosto che tornare a Grimmauld Place.
L'ansia di trovare Hermione, di dimostrare di non essere pazzo, lo aveva fatto rinascere.
E la gioia di rivederla, non aveva fatto altro che aumentare la sua fame di vita.
Mentre Harry cercava le parole giuste da dire e mentalmente contava i minuti che erano passati dal suo arrivo, Hermione non distolse mai lo sguardo da lui, sorridendo.
“Sapevo che saresti venuto a cercarmi.” sussurrò avvicinandosi alla sua spalla.
“Non riuscivo ad accettare il fatto che preferissi Ron a me. Che Ron avesse più cervello.” disse lui sorridendo estraendo un foglio di pergamena spiegazzato da sotto la veste di Indicibile che aveva rubato.
Qualcosa cadde sul pavimento.
Hermione raccolse il coriandolo di carta.
Harry Potter è il mio eroe.” disse senza bisogno di rileggere quello che proprio lei aveva scritto tempo prima. “Lo penso ancora, è ancora vero. Anche se ti ho detto che mi avresti lasciato fare quello che volevo... sei venuto a salvarmi.”
Harry non commentò a parole il punto di vista di Hermione.
Decise solo di stringerla ancora, più forte.
Sperando che lei capisse quello che aveva fatto per lui.
Che dei due, il vero salvatore era proprio lei.



Melinda Falk si tenne mezzo passo dietro al Capo Heartless, sbattendo i tacchi sulla pietra nuda con più forza del dovuto.
Impaziente.
L'uomo procedette con andatura lenta fino al suo ufficio e si fermò un passo dopo la porta per permetterle di aprirla.
Gentilezza inutile.
Melinda Falk sapeva che come suo superiore Heartless poteva entrare e uscire da ogni stanza dell'Ufficio Misteri.
Decise comunque di sorridergli e di entrare prima di lui.
Il muro trasmetteva la patetica riconciliazione tra la principessa e il suo eroe.
Non fece nemmeno lo sforzo di leggere il sentimento registrato.
“Si accomodi.” disse senza nemmeno badare al fatto che Heartless era già seduto e stava già sfogliando gli appunti sparsi sulla sua scrivania.
“Melinda, è ora di liberarla.”
“Ma come? Voglio dire... li abbiamo raccolti tutti. Mancava solo questo, l'ultimo. Adesso arriva la fase più... importante.” concluse mordendosi quasi la lingua.
Divertente era la parola giusta, ma se la tenette per sé.
Heartless alzò lo sguardo dalle pergamene e dagli appunti scritti a computer.
Per qualche istante la guardò dritto negli occhi.
“Non possiamo utilizzare Hermione Granger come cavia, Melinda. Lei è una persona molto conosciuta nel mondo magico. Non ha che vent'anni e non ha fatto male a nessuno.”
“E' vero, ha vent'anni, meglio. La sua mente e giovane, fresca, oltremodo brillante.. Perfetta per essere svuotata e riempita.”
Heartless si voltò verso lo schermo.
Potter e la Granger stavano parlando seduti sul letto.
“Non ho chiesto una tua opinione. Oblivieremo entrambi, terremo i sentimenti, gli stati e le emozioni che abbiamo raccolto da parte. Richiederemo il trasferimento di Barty Crouch Junior, o troveremo un altro baciato e ripartiremo con l'esperimento. Il Consiglio è d'accordo.”
Melinda strinse i pugni, respirò profondamente.
“Ho già espresso i miei dubbi sull'efficacia dell'esperimento sui senz'anima.”
“Se non funzionerà cercheremo una cavia tra i criminali. Non mi dissuaderai, Melinda. Hermione Granger merita una vita serena e la tua antipatia nei suoi confronti non deve interferire con il buon lavoro che hai fatto fino ad adesso.”
Le nocche delle sue mani erano sempre più bianche.
Sentiva le lunghe unghie laccate penetrarle la pelle.
Un dolore quasi piacevole.
“La mia antipatia, dice? Quei due.. Eroi dite? Io dico ignoranti e scavezzacollo. Siamo noi i veri eroi, signor Heartless. Noi studiosi, che per la scienza sacrifichiamo le nostre vite. Il limite delle arti magiche è la nostra sfida più grande. Hermione Granger potrebbe essere perfetta per l'esperimento. Lei e le sue patetiche punte emotive sono come calamite per i sentimenti e gli stati.”
Pronunciare le parole “Hermione Granger” e “perfetta” nella stessa frase le fece capire di essere arrivata al limite.
Si alzò in piedi, guardò Potter stingere la Granger e dovette usare tutto il suo autocontrollo per non mostrare al superiore la sua espressione schifata.
“No. La decisione è stata prese”
Heartless estrasse dalla veste un ciondolo color ambra e se lo avvicinò alla bocca.
“Avete raccolto abbastanza amore?” disse senza che Melinda potesse sentire la risposta.
“Ora, andiamo a parlare con quei due.”

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Capitolo 9
*** VIII. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

VIII.


Un bacio può essere una virgola,
un punto interrogativo
o un punto esclamativo.
È una fondamentale regola di lettura che ogni donna dovrebbe conoscere.
(George Sand)
 


“Hai detto che Ron lo sa che sei qui, vero?” chiese ad Harry per l'ennesima volta.
“No, non lo sa.”
“Quante volte te l'ho chiesto?”
“Venticinque.”
“Sapevo che si sarebbe preoccupato anche lui.”
Harry le diede una pacca sulla spalla senza dire nulla, poi si voltò verso il drappello di persone che era appena apparso davanti alla teca.
Heartless, la Falk, alcuni altri Indicibili che Hermione conosceva solo di vista.
Solo i primi due, però, si fermarono.
“Scusate per l'attesa.” disse il Capo degli Indicibili. “Siete liberi.”
Il vetro scomparve in un battito di ciglia.
Hermione fece per alzarsi dal letto, ma Harry la fermò.
“Voglio sapere cosa fate qui sotto. Perché avete tenuto Hermione chiusa in questa gabbia.”
Hermione lo vide come un errore.
La sua curiosità l'aveva portata lì, l'aveva fatta rinchiudere.
Guardò Harry, che le restituì lo sguardo con un piccolo cenno del capo.
Gli Indicibili soppesarono la richiesta di Harry parlando sommessamente tra di loro.
La prima a tornare a fissarli fu Melinda Falk.
La sua espressione era indecifrabile.
“Benissimo.” disse Heartless facendo apparire un tavolo con quattro sedie in mezzo a quella che era stata la stanza di Hermione. “Io e la mia collega risponderemo a tutte le vostre domande.”
Harry fu il primo a sedersi.
Di fronte a lui si mise il Capo Heartless.
Hermione si trovò a dover sostenere il freddo sguardo di Melinda Falk.
I due Indicibili mantennero la parola e raccontarono tutto quello che era successo intorno a lei negli ultimi giorni.
“Quindi, avete monitorato le mie emozioni e i miei stati d'animo per studiarli?” chiese lei incredula.
“Sì. E' nostra convinzione che sia possibile modificare le variabili emozionali degli esseri umani inserendo o togliendo alcuni fattori di cui sono composti. Ad esempio, Melinda è riuscita a capire subito che sotto il mantello c'era lei, signor Potter, perché Hermione ha attivato un mix di emozioni che solo lei riesce a suscitare. Ogni persona le provoca diverse reazioni inconsce.”
“Cosa ne farete di tutti questi studi?” chiese Harry.
Hermione vide Melinda Falk sporgersi impercettibilmente verso di lei.
“Abbiamo intenzione di mettere le teorie studiate grazie alla signorina Granger in pratica.” fu ancora Heartless a rispondere.
“Avete intenzione di svuotare e riempire una persona delle sue emozioni?”
“Non una persona qualsiasi, no. Nonostante non ci siano effetti collaterali riscontrati, pensavamo di fare i nostri esperimenti su Barty Crouch Junior. Tanto la sua esistenza non può peggiorare ancora.”
Hermione spalancò la bocca.
La prigionia le aveva fatto dimenticare le sue ricerche, i documenti scritti a computer di cui non riusciva a trovare la spiegazione.
Barty Crouch doveva essere trasferito per diventare una cavia per gli esperimenti sulle emozioni.
Strinse i pugni con rabbia.
“Hanno rifiutato tutte le vostre richieste, però. Come farete senza la cavia?”
“Queste ricerche, signorina Granger, non hanno scadenza. I dati che abbiamo raccolto grazie a lei...”
“Vorrei che smettesse di dire “grazie a lei”. Non ho avuto scelta, nessuno mi ha chiesto niente. Io lo avrei fatto lo stesso, per il progresso, forse anche più in fretta. Ma avevo il diritto di sapere cosa stava succedendo.”
Melinda Falk fece per ribattere, ma Heartless la fermò con uno sguardo.
“Ha perfettamente ragione, signorina Granger. Ma avevamo bisogno di emozioni spontanee, non vincolate dalla conoscenza. Ammetto che i nostri metodi siano stati un po' rudi, ce ne dispiaciamo molto.”
Nonostante l'uso del plurale, Hermione non impiegò molto a capire che era l'unico a pensarla in quel modo. La donna di fronte a lei, la stessa che chissà quanti giorni prima l'aveva rapita da Grimmauld Place, aveva un'espressione disgustata sul volto.
Hermione si voltò verso Harry e comprese che non aveva più domande da fare.
“Signorina Granger, recuperi i suoi effetti. Torneremo per condurvi fuori tra qualche minuto.”
“So dov'è la porta.” rispose lei gelida.
“Non ne dubito, ma dopo l'ingresso del signor Potter abbiamo attivato il sistema di sicurezza d'emergenza. Avete bisogno di me per uscire.” concluse Heartless scomparendo di nuovo con la Falk.



***


Harry guardò Hermione aggirarsi meditabonda nella stanza.
Voleva chiederle come stava, ma non voleva spezzare il filo dei suoi pensieri.
Densi, quasi li vedeva muoversi intorno ai riccioli di Hermione.
“Non vedo l'ora di tornare a casa.” disse più a se stessa che a lui raccogliendo dei libri. “Dici che questi posso prendermeli? “Quello che avreste voluto sapere sul Quidditch prima di giocarci” piacerebbe un sacco a Ron. Oh, ho così voglia di vederlo.”
Harry sorrise e non si stupì di trovarlo doloroso.
Stava ricominciando tutto.
Avrebbe dovuto chiamare Ginny per raccontarle tutto, sì.
Fingere di amarla ancora.
Già quella notte avrebbe dormito di nuovo a Grimmauld Place.
Anche se non vedeva casa sua da poche ore, gli sembrava di essere stato lontano una vita.
In senso più che positivo.
“Dove pensi che siano andati adesso?”
“Forse a controllare che tutte le informazioni raccolte siano complete.” le rispose tornando a sedersi sul letto.



“Non aveva detto che voleva obliviarli? Che senso aveva raccontargli tutto?”
Melinda Falk guardò il muro.
Senza il cubo di vetro non poteva sapere di cosa stessero parlando Potter e la Granger e questo non le piaceva.
“Melinda, sa anche lei che l'incantesimo funziona meglio su persone emotivamente stabili. Ora che hanno le loro risposte, sarà più facile.”
“E quando pensa di agire?”
“Li faremo stare un passo davanti a noi, come da prassi, non si accorgeranno di nulla. Arriveranno in superficie e la loro vita riprenderà senza intoppi.”
La Falk fece un sorrisino.
“Perchè li abbiamo lasciati soli?”
“Voglio essere certo che le versioni che inseriremo nelle loro menti siano identiche.”
“Granger era in missione, Potter l'ha incontrata in Atrium e vissero tutti felici e contenti.” ripeté per l'ennesima volta la donna.
Frasi costruite in fretta, ma efficaci.



Quando i due Indicibili tornarono da loro, Harry e Hermione erano già pronti per uscire.
L'uomo indicò loro un corridoio e li seguì insieme alla Falk.
Un mezzo passo indietro.
Harry ascoltò il rumore dei loro passi sulla pietra.
Cercò di pensare alla luce del sole, così lontana da quel posto tetro.
Cercò di pensare all'emozione di cavalcare una scopa, al calore di un abbraccio.
Non bastò per cancellare la tempesta che era nata nella sua testa.
Si fermò.
“Lo farò io.”
“Scusa?” gli chiese Hermione confusa.
“Signor Heartless, farò da cavia per il vostro esperimento.”
“HARRY! Ma sei pazzo? Non è un gioco!”
“Stavate per obliviarci, non è così che funziona? Obliviate Hermione.” disse senza guardarla.
Per tutta risposta lei le saltò addosso,  prendendolo per gli estremi della tunica da Indicibile che ancora indossava.
“Harry, no. E lei non si avvicini nemmeno!” disse alla Falk, che già aveva sfoderato la bacchetta. “Lui non...”
Harry sosprirò, strinse le mani di Hermione con le sue.
Non sapeva cosa dire, così appoggiò le sue labbra su quelle di lei.
Sarebbe bastato per stupirla, per avere qualche secondo di vantaggio.
Ma, senza premeditarlo, quel contato lo ferì.
Capì che forse era quello il fuoco di cui aveva bisogno.
Tutto ciò che poteva saziare la sua fame.
Harry cercò di non pensarci e allontanò il volto dal suo.
Hermione lo guardava con gli occhi sgranati.
Lui per codardia distolse i suoi, rivolgendosi agli Indicibili.
Melinda Falk incrociò il suo sguardo e fece un cenno.
“Oblivion”.



Melinda Falk era una donna di mezza età.
Non particolarmente bella, ma dotata.
Anni prima, voci sul pensionamento del professor Vitius le avevano dato i suoi quindici minuti di gloria.
Qualcuno aveva tirato fuori il suo nome.
Insegnante di Incantesimi ad Hogwarts.
Melinda Falk non avrebbe comunque accettato.
Odiava i giovani e le loro belle speranze, amava il suo lavoro.
Gli incantesimi potenti.
La natura della magia e i suoi confini.
Aveva molti difetti, Melinda Falk.
Anche se lei non se ne rendeva conto.
Puntava tutto sui suoi pregi.
La bravura negli incantesimi più complessi, ad esempio.
Le sue scoperte, anche.
Per una strega così potente, padroneggiare un semplice incantesimo di Memoria era uno scherzo.
Appoggiando i piedi sulla sua scrivania, Melinda Falk scoppiò a ridere.
Soddisfatta.
Quel giorno poteva essere la svolta che da tempo aspettava.

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Capitolo 10
*** IX. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

IX.

Darei tutti i miei giorni per un unico ieri.
(Jim Morrison)


Il mattino seguente, Hermione Granger si svegliò di buon umore.
Tornare a casa dopo una missione era bellissimo.
Mentre faceva colazione, cercò di studiare le sue mosse future.
Lo Stage al Ministero era stato breve, forse troppo.
Della sua missione, forse per la stanchezza, ricordava poco.
Faceva molto freddo in quel posto.
Ron si alzò poco dopo di lei, anche lui di buon umore.
Si avvicinò e le scoccò un bacio sulle labbra.
I suoi baci avevano cambiato sapore.
Erano piacevoli, ma diversi.
Hermione non stette a congetturare molto su quel fatto.
“Cosa fai oggi?” le chiese Ron riempiendosi la tazza di porridge.
“Voglio andare a trovare i miei, poi a Hogwarts. Vorrei che la McGrannit mi scrivesse una lettera di raccomandazione.”
“Lo farà sicuramente. Chi se la merita più di te?”
Hermione sorrise e si lasciò cullare un po' dai complimenti del suo ragazzo, terminando la colazione ancora con il sorriso sulle labbra.
Uscendo di casa, Hermione si stupì di quanto le mancasse l'aria fresca di Londra, il cielo plumbeo sopra la sua testa.
Come se fosse stata chiusa in un luogo buio per troppo tempo.
Con un gesto spontaneo si sfiorò il collo, si fermò in mezzo al marciapiede.
Uscì da Diagon Alley dimenticandosi del buon umore, di Ron, dei suoi.
Sentì il bisogno di vedere Harry, di parlare con lui.
Lui che, il giorno prima della sua partenza, l'aveva fatta arrabbiare tremendamente.



***


Quello stesso mattino, alcuni chilometri più a Sud di Diagon Alley, Harry Potter si alzò.
Curioso.
Si vestì velocemente, preferendo la comodità a discapito dell'eleganza.
Jeans scoloriti, un maglione molto pesante.
Seguendo le indicazioni dell'Indicibile Heartless, si presentò nell'Atrium del Ministero della Magia alle dieci in punto.
Attese il suo accompagnatore - “si farà riconoscere” gli aveva detto Heartless il giorno prima – accanto alla fontana dei Magici Fratelli, tornata al suo antico splendore.
Mentre controllava per l'ennesima volta il suo vecchio orologio d'oro, un uomo basso e tarchiato gli tamburellò il braccio.
“Qualcuno le ha chiesto qualcosa?” chiese quell'uomo evitando i convenevoli.
“No, ho cercato di non dare nell'occhio.”
“Essere lei non deve essere facile, signor Potter.”
Harry non rispose e seguì l'Indicibile nel percorso che lo separava dall'Ufficio Misteri.
“La signora Falk sarà da lei in un secondo.” disse quando furono entrati in una piccola stanza al nono livello. “Si tolga i suoi abiti babbani e indossi questa. E' stato un piacere.”
Quella che l'uomo gli aveva indicato era una lunga tunica chiara.
Harry la indossò notando subito come quel colore facesse sembrare la sua carnagione ancora più pallida, quasi verdastra.
I pochi giorni passati a cercare Hermione non erano bastati alla sua pelle per riprendere un colore umano.
Era diventato anche lui un vecchio mobile polveroso di Grimmauld Place.
“Scusi se interrompo il suo film mentale, Potter. Ma siamo pronti.”
Melinda Falk, entrata chissà quando nello spogliatoio, lo spinse senza tanti complimenti verso una stanza attigua.
Harry strizzò gli occhi: le luci al neon lo accecarono.
Al centro della stanza un lettino.
In un angolo, un calderone fumante.
I lati della stanza erano di pietra nuda, ma Harry ipotizzò che fossero stregati.
Sentiva delle voci eccitate provenienti da quelle che sembravano pareti molto spesse.
“Allora.” iniziò la Falk. “Ecco quello che succederà. Berrà la pozione e poi si sdraierà. Il resto lo faremo noi da fuori. Domande?” chiese come se rispondere ai suoi dubbi fosse una tortura.
“Cosa succederà dopo? Voglio dire... Dovrò rimanere qui?”
Melinda Falk roteò gli occhi.
“No. Le faremo un paio di domande e poi potrà tornare da Miss Smemorella. Ovviamente dovrà compilare un rapporto sulle sue sensazioni e sulle sue condizioni fisiche che riporterà domani. Ora, siamo pronti?”
“Sì.”

Harry, dopo aver bevuto la pozione, si sdraiò sul lettino.
Iniziò ad aver caldo.
La lunga tunica chiara si appiccicò alla sua schiena, alla pancia, dietro alle ginocchia.
Chiuse gli occhi cercando di respirare lentamente.
Si sorprese di sentire un profumo conosciuto.
Erba appena tagliata, aria pulita.
Sorrise.
Cercò di aprire gli occhi, ma si sentì improvvisamente stanco.
Arrabbiato.
In qualche modo, sentì di avere una situazione in sospeso con qualcuno.
Qualcuno da picchiare, a cui fare del male.
Ma anche quella sensazione, così come era arrivata, scomparì.
Quello che arrivò dopo, fu intenso.
Harry sentì il sangue scorrergli nelle vene, scaldarlo.
Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata.
Quando l'eccitazione raggiunse il suo cervello, sentì ogni parte del suo corpo fremere.
Avrebbe voluto muovere le braccia, ma si sentiva legato.
Pensò a Ginny, l'unica persona con cui aveva condiviso una cosa del genere.
Ma era diverso, era più intenso, sempre di più.
Poi, si sentì come morire.
Il dolore lo attraversò, sentì i peli dietro al collo rizzarsi, le vertebre scricchiolare.
Qualcosa di molto pesante lo stava premendo contro il lettino.
Ormai allo stremo delle forze, invocò il ritorno della pace.

“E' vivo?” chiese una voce molto vicino al suo orecchio destro.
“Certo che è vivo, incapace. E' tutto sotto controllo. Dovevamo solo scegliere l'emozione da estrapolare.”
“Ma quelle urla?”
“Stia zitto Gregory, se ne vada. Potter!”
La voce acuta di Melinda Falk trafisse la sua testa da parte a parte.
“Sono vivo.” biascicò tentando di alzarsi.
Una mano con unghie laccate d'argento lo premette sul lettino.
“Deve stare qui, Potter. Per la sua sicurezza."
Harry, ancora intontito si chiese se fosse possibile per una persona parlare e sbuffare nello stesso momento. "Allora, Potter, Hermione Granger è stata rapita.”

Harry la guardò stupito dal cambio di tono e cercò di capirne la ragione.
“Se la caverà.”
“E' stato Voldemort a rapirla, è tornato, Potter.”
L'uomo chiamato Gregory squittì dalla paura.
“Lo ucciderò di nuovo, nessun problema.” si trovò a dire riprovando ad alzarsi.
Gli sfuggiva qualcosa e, giudicando lo sguardo dell'indicibile Gregory, immobile vicino alla porta, doveva essere qualcosa di grosso.
“Ottimo, puoi andare.”
Melinda Falk gli mise in mano un paio di fogli e se ne andò.
Harry, ancora stordito da tutte le sensazioni provate, rimase sul lettino per un po', asciugandosi il sudore dalla fronte.
Gregory, ripreso un certo controllo, rimase a guardarlo.
“Stava bluffando, vero? Lei ha avuto paura?”
“Paura? No, assolutamente. Hermione se la caverà e se non sarà così, la salverò.”
“Non si rende conto di cosa è successo? Non ha paura per lei??”
Harry era confuso.
“Io... dovrei averne?”
"Lei-sa-chi, signor Potter."
"Ho capito. Non sono sordo."
"Comunque non è vero." borbottò l'uomo continuando a guardare Harry con uno sguardo stupito. "La signorina Granger sta bene. Penso, almeno. Ma la sua paura..."
"Mi avete tolto la paura?”
Gregory annuì.
"Deve essere una bella sensazione."
Tutto sommato, si disse Harry lasciando il Mistero, quel Gregory aveva ragione.


“Harry?”
Hermione si alzò dal marciapiede di fronte a Grimmauld Place spaventandolo.
“Che ci fai qui?”
“Volevo scusarmi per come mi sono comportata l'ultima volta che ci siamo visti.”
“Che ne dici di entrare?” le chiese mettendo la chiave nella toppa.
I suoi capelli tornati brillanti, gli occhi più vivi.
Hermione era uscita dalla sua prigiorne personale solo poche ore prima e già su di lei si vedevano i segni della guarigione.
Specchiandosi su uno dei pannelli che componevano la pesante porta di Grimmauld Place, Harry si chiese se anche su di lui la libertà avrebbe avuto l'effetto desiderato.
“Ok.”

Harry senza paura.
Senza paura Potter.
“Sai, Hermione. Ti perdono. Se non fosse stato per te sarei stato qui a deprimermi e a fingere che mi importasse ancora di Ginny e che tutto andasse bene.”
“Che...ti importasse di Ginny? Cosa?”
“Penso che oggi la lascerò, sì.”
Hermione lo fulminò con lo sguardo, poi si sedette sul divano.
“Ci hai riflettuto abbastanza, Harry? Non hai paura della sua reazione?”
Harry scoppiò a ridere.
“Ma sei scemo?” chiese Hermione scuotendo la testa.
“Non posso essere di buon umore? Preferisci il cupo Potter?”
"No, ma... L'ultima volta che ci siamo visti.. non è stato bello." 
Harry ripensò all'ultima vera volta, al loro bacio.
Alla decisione di farle dimenticare la prigionia.
Hermione porse una mano a Harry.
Lui, stringendola, si scusò.
"E' stato un periodo strano. Mi dispiace se ti ho ferito."

Harry appellò un paio di burrobirre, stappò la sua e ne bevve un lungo sorso.
"Hai davvero intenzione di lasciarla?"
"Sì."
"C'è un'altra?"
Senza paura Potter.

"Una cosa del genere."

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Capitolo 11
*** X. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

X.


"Il coraggio è quasi una contraddizione in termini.
 Esso implica un forte desiderio di vivere che prende la forma di essere pronti a morire." 
(Gilbert Keith Chesterton)


Che Harry Potter, il suo migliore amico, fosse speciale, Hermione lo sapeva da tempo.
Speciale sotto ogni punto di vista.
Non assomigliava a nessuno, nessun lato del suo carattere era riscontrabile in persone al di fuori di lui.
Era speciale anche nei suoi lati negativi e nascosti.
Nella sua testardaggine patologica, nella sua modestia estrema.
Era passata circa una settimana dal suo ritorno a Londra e Hermione decise, dopo l'ennesimo colloquio di lavoro, di andarlo a trovare a Grimmauld Place.
“Sei uno zombie!” aveva esclamato quando, dopo un'attesa più lunga del solito, lui le aveva aperto la porta.
Era talmente emaciato da sembrare terrorizzato alla vista della luce.
“Sto bene.” biascicò lui facendole strada, non riuscendo a nascondere un brivido.
Mentre lentamente raggiungeva il salotto, Hermione notò che faceva fatica a camminare.
Era anche un po' ricurvo, come se si fosse rotto una costola.
“Le hai prese?”
“Cosa? Dove?”
“Dico.. ti hanno picchiato?”
Harry sorrise dolorosamente.
“E' solo un po' di influenza. H-hai sentito quel rumore?” chiese voltandosi di scatto verso la finestra.
Delirava.
Hermione si sedette accanto a lui, sistemandogli la coperta sulle spalle.
“Scotti. Hai preso un po' di Pozione Pepata?”
“Non ne ho. Hermione, va tutto bene.” Harry arrossì. “Sono in pigiama.”
“Non vedo cosa c'entri quello che indossi.”
“Niente.”
Rimasero in silenzio per un po', poi Hermione ravvivò il fuoco e si tolse la giacca.
“Ti preparo un po' di zuppa calda, che dici? Prima di tornare a casa passo in farmacia e ti prendo un po' di pozione.”
“Non devi, non preoccuparti.”
Hermione lasciò il salotto senza ascoltarlo e iniziò a spadellare in cucina.
Di tanto in tanto controllava Harry, ancora seduto sul divano, rigido.
Quando lui sentiva di essere osservato, la guardava solo un istante, poi distoglieva lo sguardo.
Buffo e goffo.
Stranamente spaventato.
Quando la zuppa fu pronta, Hermione gliela portò.
Harry, come risvegliato da un sonno profondò, sussultò.
“Dai, mangia, questa ti farà bene.”
Era speciale anche quel giorno, febbricitante.
Passò in rassegna con lo sguardo opaco di febbre la zuppa, Hermione.
La osservò dalla testa ai piedi, come se la stesse guardando per la prima volta.
Lei non riuscì a fare a meno di sorridere.
Poteva il ragazzo che aveva ucciso Voldemort farsi mettere al tappeto da un po' di febbre?
“Che fai?” sbottò lui ad un certo punto rovesciandosi la minestra sul petto.
Hermione lo guardò sorpresa.
“Stavo sentendo se hai la febbre.” disse con la mano ancora alzata accanto al viso di Harry. “Si può sapere perché sei così spaventato? Non ti voglio picchiare! Guarda che hai fatto!”
Lui si guardò il pigiama e si toccò la pancia.
“Scotta.” borbottò appoggiando il piatto sul tavolino da tè più vicino.
“Togliti la maglia, subito!”
Harry la guardò di nuovo sbalordito, poi scattò in piedi e senza aggiungere altro uscì dalla stanza.
Hermione, ancora stranita, si alzò in piedi e fece un giro della stanza.
Il suo piede, arrivando al secondo divano, sbatté contro qualcosa.
Un libro.
Quello che avreste voluto sapere sul Quidditch prima di giocarci.
Lo raccolse, se lo girò tra le mani.
Quando Harry ritornò in salotto, stava ancora cercando di capire perché quel libro le ricordava qualcosa.
Doloroso eppure interessante.
Il Quidditch non le era mai interessato.
Eppure..
“Hey, Harry. Dove hai preso questo libro?”
“In biblioteca, penso.”



***


Harry non si era mai reso conto della complessità della natura umana.
In una settimana era stato privato di diverse emozioni e stati d'animo.
E non era stato tutto divertente come quella gloriosa giornata senza paura.
Aveva lasciato Ginny in un modo che, solo pochi giorni dopo, privato della felicità, gli aveva fatto versare lacrime amare.
La tristezza che lo aveva colpito quel giorno era stata talmente pungente da farlo ammalare.
L'indicibile Heartless lo aveva visitato.
Andava tutto bene, così, recuperata la sua felicità, Harry fu privato del suo coraggio.
Quel giorno, spezzato dai pensieri negativi del giorno precedente e da un sentimento che lo faceva sentire in pericolo ovunque, Harry si era chiuso in casa.
Ogni rumore, ogni pensiero, lo terrorizzava.
Sapeva che sarebbe morto a Grimmauld Place.
Solo.
I brividi di paura si unirono con quelli della febbre sempre più alta.
La luce del fuoco rimbalzava su ogni superficie creando mostruose ombre danzanti.
Harry rimase disteso sul divano nella semi oscurità, rincuorato solo dalla luce ovattata proveniente dalla grande finestra che si affacciava sulla piazza.
Quel giorno, quello stesso terribile giorno, Hermione lo andò a trovare.
Harry non si era mai reso conto della complessità della natura umana.
Quando la guardò, quando per errore incontrò i suoi occhi castani, Harry capì.
Capì che il coraggio era qualcosa di diverso dal semplice contrario di paura.
Harry si rese conto che anche parlare con Hermione era difficile.
Solo la sua presenza lo imbarazzava.
Continuava a guardarlo, a cercare un contatto fisico con lui.
Le sue mani lo sfiorarono un paio di volte.
Con naturalezza.
Il suo sorriso.
Harry per la prima volta dopo tanto tempo si ricordò che Hermione fosse donna.
Cercò di non concentrarsi su quel dettaglio, sul velo di trucco che quel giorno le colorava il viso.
Sul maglione che mostrava una scollatura pudica ma visibile.
Quando dopo aver cercato in tutti i modi di farlo sentire meglio, Hermione si alzò per andarsene, si voltò verso di lui e appoggiò le labbra sulla sua fronte.
Harry si sentì andare a fuoco.
Quando tornò in sé, si ritrovò solo.
Solo, ma molto meno spaventato.


Quando, svegliandosi la mattina seguente, si svegliò in quella stanza, Harry provò pena per se stesso.
Il salotto sapeva di notte, di chiuso, di fuoco, di Hermione, di zuppa rovesciata.
Per sentirsi tranquillo fece un giro della casa, controllò che nessuno fosse entrato nella notte.
Scrivendo il solito rapporto – paranoia, paura ingiustificata, timidezza – si rese conto di star giocando con il fuoco.
Per quello che stava facendo al suo corpo, alla sua anima.
Ormai in fiamme, spezzato dalle emozioni provate e dalla febbre.
Svuotarsi e riempirsi di sensazioni come fossero caramelle poteva aver cambiato la sua vita, ma non in meglio.
Si guardò allo specchio, si tolse gli occhiali e iniziò a sfregarsi gli occhi quasi con violenza.
L'unica cosa che lo teneva sveglio, che lo teneva acceso, era Hermione.
Hermione che con la sua vita ordinaria arrivava e lo guardava.
E lo guardava come prima.
Prima di tutto.
“Io ho baciato Hermione.” si disse coprendosi poi il viso con le mani per l'imbarazzo.
E, se avesse avuto più coraggio, glielo avrebbe detto in quell'istante.


Melinda Falk arrivò al Ministero con qualche minuto d'anticipo.
Passando a testa alta davanti alla Fontana dei Magici Fratelli, vide qualcosa di strano.
Hermione Granger, immobile.
Stava guardando le statue, sola.
Melinda fece per superarla, poi alzò le spalle e tornò indietro.
“Bella statua, vero?”
“Signora Falk, buongiorno.” disse Hermione affabile sorridendo solo un istante.
“Arrivederci, signorina Granger.”
Proseguendo per la sua strada, Melina non riuscì a resistere e si voltò un'ultima volta verso la ragazza.
Principessa Smemorella la guardava attonita.
Qualcosa, nella sua bella vita, si era rotto.
Poteva vederlo sul suo volto stupito, nei suoi pugni chiusi.
Melinda Falk aveva tenuto tra le mani la memoria di Hermione Granger solo pochi istanti.
Pochi istanti che erano bastati per rendere la sua perfetta vita un inferno.

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Capitolo 12
*** XI. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

XI.
 

Quando si vuole soffrire ed amare,
si può molto,
si può il massimo che si possa al mondo.
(Charles de Foucauld)


Malata, stanca, posseduta.
Hermione non riusciva a spiegarsi cosa stesse succedendo alla sua memoria.
Talvolta si trattava di buchi di dieci minuti, ma altre volte..
Il suo corpo lavorava diviso dalla sua mente. Ecco che si trovava in posti in cui non aveva mai pensato di andare.
Si risvegliava lì.
E in più, la sua mente sapeva cose che il resto di lei non conosceva.
Sdraiata a letto con gli occhi spalancati, rifletteva.
Accanto a lei Ron russava beato, il suo petto si alzava ed abbassava regolarmente.
Tranquillo.
E invece lei.. era distante.
Distante come Harry.
Harry che, come sempre, sembrava condividere quel suo malessere.
Hermione non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione che era successo qualcosa mentre lei era via.
“Ron.” disse scuotendo il ragazzo.
Lui aprì gli occhi e si voltò verso di lei, cercando di stingerla al suo petto.
“Hai freddo?”
“No, Ron. Ascoltami.” sussurrò scuotendolo di nuovo.
“Che c'è?”
“Cosa è successo quando ero via?”
“Dobbiamo parlarne per forza adesso?”
“Sì.”
“Niente.” biascicò lui sfregandosi gli occhi. “Ho lavorato, sono uscito con i ragazzi. Non ti ho tradito.”
“Non è quello. Voglio dire.. Harry? Che ha fatto Harry?”
“Niente. Lui... Sai com'è.. si è preoccupato e credeva ti avessero rapito. E' andato a far casino al Ministero, ma tu eri appena tornata, quindi...”
Hermione spalancò gli occhi e lo prese per la maglia del pigiama.
Ron, fraintendendo, la baciò.
Lei accettò di buon grado quel gesto, ma poi si alzò.
“Dove vai? Sono le due di notte.”
“Da Harry.”
“Perchè?”
“Torno presto, ok?”


Erano le due di notte, davvero.
Hermione si infilò i pantaloni e un maglione sul pigiama, smaterializzandosi appena fuori casa.
Grimmauld Place era ancora più squallida alla luce della luna.
Suonò il campanello più volte.
Da dentro provennero dei rumori.
“Sono Hermione.” disse prima che gli fosse chiesto.
La porta si aprì appena, mostrandole il volto di un uomo.
Sul suo volto angosciato, Hermione vide qualcosa.
L'ennesima sensazione di essere ad un passo dalla verità.
“Non c'è Harry?”
“Sta dormendo.”
“Lei chi è? Perché è qui?”
L'uomo non rispose e la precedette in salotto.
“Sono un medico. Il signor Potter mi ha chiamato per la sua influenza.” disse poi sedendosi rigidamente su una poltrona.
“Bugiardo. Lei sa chi sono io, vero?”
“E' una persona abbastanza conosciuta, sì.”
“No, no.” Hermione urlò. “Lei.. mi ha guardato... Lei sa! Devo parlare con Harry, subito!”
L'uomo si schiarì la voce.
“Ha davvero bisogno di riposare, potrà parlare con lui domani mattina.”
“Allora mi dica lei.” disse ormai sull'orlo delle lacrime. “Perchè io non mi ricordo niente? Perché? Perché so cose che non dovrei sapere?”
Il medico la fissò intensamente negli occhi, accentuando ancora di più l'angoscia sul suo volto.
Sembrava soffrire di un dolore fisico enorme.
“Io non lo so signorina Granger. Io no so cosa ci sia nella sua testa. A cosa stia pensando in questo momento.”
Hermione guardò quell'uomo provando la stessa sofferenza.
La stessa delusione.
“Rimarrò qui finchè non si sveglierà.”



***


“Lei stava dalla parte di Hermione, vero? Non è così?” chiese Harry iniziando a tossire in modo incontrollato.
L'uomo che aveva fermato annuì.
“Allora deve venire con me. Mi hanno tolto la capacità di mentire. Io non posso vedere Hermione, o le dirò la verità.”
“Io non... il capo Heartless...”
“Il capo Heartless e quella pazza della Falk mi hanno dato un cellulare. Un fottuto cellulare. Così quando Hermione mi chiederà come mai sto male e spiffererò tutti i vostri segreti potrò mandarvi un messaggio per avvisarvi.” Harry tossì di nuovo. “Crede che avrei chiesto a lei se avessi avuto una scelta migliore? Lei balbetta, è magro da far paura e sembra un gran codardo. Mi scusi, non posso dire bugie.”
L'Indicibile lo osservò a lungo, poi, dopo quella che gli era sembrata un'eternità, seguì Harry fuori dal Ministero.
La mancanza di freni inibitori, l'impossibilità di mentire, ebbe un effetto deleterio su di lui.
Il fisico già corrotto dalla malattia, dalla tristezza, dall'abuso che il suo padrone aveva compiuto su di esso, cedette del tutto.
Harry si appoggiò al portone di Grimmauld Place davanti al quale si era appena materializzato e incitò l'Indicibile ad entrare.


“Che senso ha?”
Quando Harry riaprì gli occhi, l'uomo lo stava osservando con apprensione.
“Che senso ha per un ragazzo come lei, signor Potter. Questo esperimento la sta uccidendo.”
“Anche la mia vecchia vita lo stava facendo. Così sarà solo più veloce.”
Harry rise, poi tossì.
Il suo stomaco brontolò rumorosamente.
“Vuole qualcosa da mangiare? Non ci siamo nemmeno presentati. Non che mi interessi chi è lei.”
“Sono Smith, Conrad Smith.”
“Piacere. Faccia come fosse a casa sua. Vorrei che fosse molto più di un sequestro. Ma lei mi serve.”
Il signor Smith preparò per entrambi bacon e uova strapazzate, nonostante fosse ormai sera.
Harry doveva aver dormito molte ore.
Dopo aver consumato la cena in silenzio, Harry si sentì decisamente meglio.
“Ora viene il bello.” disse appellando poi delle pergamene. “Ho bisogno che lei prenda nota di tutto quello che dico. E' molto importante che mi segua.”
“Vuole affidare ad uno sconosciuto le sue memorie?”
“Non mi viene in mente nessun altro a cui affidarle in questo momento. Sono piuttosto solo.”
“Hermione Granger?”
“Se Hermione leggesse quello che sto per raccontarle, temo che tutto andrebbe a rotoli. Ora, quando è pronto...”
Smith si sistemò meglio sulla sedia e incantò una piuma.
“Questa è la verità. Questo è quello che voglio che tu sappia, Hermione.”


“...ed è stato importante.”
Harry si interruppe per l'ennesima volta.
La tosse, la stanchezza, i dolori.
Tutto lottava contro la sua voglia di parlare.
Conrad Smith non faceva una piega, anche se aveva aumentato la dose di caffè che nelle pause si concedeva.
Quella pausa però, era causata dalla porta.
Qualcuno suonava.
“Chi può essere?” chiese l'uomo.
Trillo lungo, trillo corto, trillo lungo.
“E' lei, riconosco il modo di suonare. Devo nascondermi.” esclamò alzandosi e buttando le pergamene nel minibar accanto al divano.
“E io che gli posso dire?”
“Si inventi una balla. Io non posso dire bugie.”


Hermione Granger era una ragazza forte.
Conrad Smith lo sapeva.
Sapeva che nonostante gli occhi semichiusi dalla stanchezza, sarebbe stata sveglia fino all'alba.
I suoi occhi.
Conrad Smith, che era stato un obliviatore per anni, non si stupì di vedere al loro interno la verità.
Hermione era stata vittima di un incantesimo volontariamente debole.
Scoprire la verità a piccoli pezzi doveva essere una tortura.
Una tortura che solo una persona poteva aver deciso di infliggere ad una ragazza così innocente.
Quando finalmente la ragazza, alle prime luci dell'alba, si addormentò, Smith avvisò Harry Potter.
Non seppe dare un nome all'emozione che provò vedendo il ragazzo guardarla, fare retrofront, uscire di casa.
Angoscia, dolore, rabbia, tenerezza.
Vide l'amore.
Quell'amore che in quella lunga notte l'aveva torturato.


Harry Potter entrò nello spogliatoio e si mise la tunica meccanicamente.
Era l'ultima volta.
L'ultima tortura.
Non sarebbe tornato, no.
Si sarebbe fatto strappare l'ultimo sentimento, l'ultimo grido.
L'ultima emozione.
Entrò nella sala dell'esperimento e attese l'ingresso di Melinda Falk senza provare una particolare emozione, ma con il pensiero fisso di Hermione.
Hermione che dormiva su quel divano.
“Siamo pronti Potter? Oggi ci giochiamo metà del risultato finale.”
L'indicibile Falk gli portò il calice colmo di pozione e controllò come d'abitudine il suo stato di salute.
“Sta meglio, niente febbre.” disse totalmente disinteressata.
Harry fermò la mano magra e un po' rugosa sul suo petto.
“Lo sa vero?”
Melinda Falk non rispose e rimase a fissare il suo braccio bloccato.
“Non tornerò a riprendermi quello che mi strapperete oggi. Potete tenervelo.”

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Capitolo 13
*** XII. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

XII.

La morte è questo: la completa uguaglianza degli ineguali
(Jankélévitch, Vladimir)


 

Quando Hermione si svegliò, sapeva che tutto era compiuto.
Se ne rese conto trovando il dottore a fissarla con le lacrime agli occhi.
“Dov'è?”
“All'ufficio Misteri. Ma potrebbe essere troppo tardi.”



***


“Ma tu sei.. Harry... Harry Potter!”
Il barista della bettola in cui si era rifugiato lo guardò con attenzione.
“Festeggi così l'ingresso di ogni avventore, tu?” chiese lui, sentendo ogni fibra del suo corpo urlare dal dolore.
Doveva bere, subito.
E aveva tutto il denaro per farlo.
“No, certo che no. Che ti servo?”
“Qualcosa che mi scaldi, fuori si gela.”
Un bicchiere di Whisky era quello che ci voleva.
Vedendo l'uomo sceglierne uno troppo piccolo, lo guardò torvo.
“Ah, tu si che mi capisci barista. Tu si che mi capisci.” disse poi vedendolo cambiare idea, optando per uno più grande.
“Vieni da un posto caldo?”
Harry si rese conto solo in quel momento di essere scappato con una giacca troppo leggera.
“Un posto caldo dici? Vengo dal centro dell'inferno.”



***


Hermione lesse le pergamene che il dottore le aveva dato prima di uscire sempre più incredula.
Melinda Falk.
La donna della fontana.
Le aveva strappato la memoria, la vita, Harry.
La attese a lungo, accanto agli ascensori del Ministero.
“LEI!” urlò vedendo l'ascensore risalire.
Era sola.
La Falk la prese per un braccio e la portò all'interno dell'ascensore.
Le porte si chiusero proprio dietro la sua schiena.
“Lei. Io... Dov'è Harry?”
“Se n'è andato.”
Erano sole.
Qualcosa dentro di lei le consigliò di ucciderla.
“Dove?”
“Voleva bere. Non sono fatti miei.”
“Ah no? Lei mi ha lasciato questa memoria difettosa. Lei lo ha portato a fare quegli esperimenti. Lei.. io...”
Hermione riprese fiato.
L'ascensore si fermò davanti all'imbocco del corridoio dell'ufficio Misteri.
Melinda Falk scese e le puntò la bacchetta alla gola, sorprendendola.
“Miss Smemorella, mettiamo due cose in chiaro: primo, Potter ha scelto di fare questo esperimento e secondo... è stato lui a volerla obliviare. Ora, io non sono cupido. A me delle vostre tormentate storie d'amore non importa. Barty Crouch, Harry Potter. Sono corpi. Corpi donati per la scienza.”
“Tu non sei umana. No.” sibilò Hermione. “Tu sei una puttana. Ed è inutile che ti nascondi dietro a Harry... io.. Dov'è lui?”
Una fitta alla testa le fece cedere le ginocchia.
Sentì la bacchettà della Falk bruciarle il mento, ma non vi badò.
“Spera solo che lui sia ancora vivo. Verrò a prenderti. Io... io ti ucciderò.”



***


Harry Potter non si reggeva in piedi.
Eppure qualcosa nel profondo lo spinse a dirigersi verso il Ministero della Magia.
Lentamente, sempre più debole, si incamminò.
La magia non sarebbe servita.
La magia era una cosa inutile per gente folle, ne era convinto.
Eppure si sentiva in dovere di andare al Ministero.
Non sapeva perché.
Non ricordava, o forse non ci era mai stato.
Tossì.
Gli abitanti babbani di Londra lo guardavano.
Lui si sentiva sempre più debole.
Si accasciò a terra, in un angolo.
E non sentì più freddo.



***


Quando Hermione ricevette quella telefonata di Conrad Smith, lo stava ancora cercando.
Nel posto sbagliato.
Grimmauld Place era deserta.
Harry si stava avvicinando lentamente al Ministero, forse a lei.
L'indicibile era seduto accanto a lui, sembrava gli stesse parlando.
Lei gli si gettò addosso.
Era dimagrito, pallido.
Ma bollente.
Lo chiamò.
Gli sussurrò tutto quello che da tempo voleva dirgli.
Che sapeva che lui si era preoccupato, che l'aveva cercata.
Che aveva condiviso con lei la teca di vetro, mentre lei gli parlava di Ron.
Che l'aveva amata.
E che, in tutta quella folle esperienza, in quel momento in cui nulla le sembrava reale tranne la follia, lui era l'unico punto fermo.
“Io ti perdono, Harry. Anche se hai permesso che mi cancellasse la memoria, se mi hai mentito. Io, ti perdono, lo giuro. Sei un pazzo, Harry. Sei... Dovevi dirmelo. Dovevi dirmi che questa cosa ti stava consumando. Io ti avrei fermato, come sempre. Harry... io ti amo.” disse con voce commossa.
Lui si voltò, la guardò.
Sapeva che non poteva essere, ma lei ci vide la solita luce.
Harry era lì.
“Io non so chi sei.”
La sua voce era un soffio di vento.
Hermione gli strinse una mano, forte.



***


Melinda Falk osservò il contenuto dell'ampolla che aveva davanti.
Un liquido denso, dorato.
Sembrava Felix Felicis.
Più denso, oro fuso.
Amore condensato.
Era talmente concentrata su quel prezioso tesoro, che non si rese conto dei passi dietro di lei.
“Avada Kedavra”.
Il suo ultimo pensiero andò all'anima pura di Hermione Granger



***


Quando Harry Potter lo aveva definito un codardo, Conrad Smith non aveva fatto una piega.
Era vero.
Era ancora più vero detto dalle labbra di chi, poco tempo prima, aveva ucciso il mago oscuro più potente di tutti i tempi.
Aveva conosciuto meglio Potter e si era reso conto che dell'eroe non era rimasto niente.
Era anche lui umano.
Era anche lui un codardo.
Così codardo da lasciarsi morire su una strada.
Così codardo da farsi usare come un puntaspilli da una pazza piuttosto di riconoscere i suoi sentimenti.
Piuttosto che provare paura.
Gli disse tutto questo mentre aspettava Hermione.
Potter guaiva come un cane.
Nessuno meritava una fine del genere.
Nemmeno un'anima dannata.
Nemmeno un uomo privo d'amore.
Harry Potter andava vendicato.

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Capitolo 14
*** Epilogo. ***


Titolo: Damnation of a lonely soul
Rating: giallo/arancio
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Altro personaggio
Prompts: Rapimento, Tradimento, Fame, Fuoco
Ora che siamo adulti e sappiamo che non esiste qualcosa come l'eternità. Ma allora... il tempo si fermò davvero e noi eravamo le uniche persone al mondo. Quell'istante fu così reale eppure così simile a un sogno, sembrò durare solo un attimo ma anche un'eternità. Sono sicura che nei nostri giovani cuori di allora l'eternità fosse realmente esistita.

Damnation of a lonely soul

Epilogo.





“Questa è la verità. Questo è quello che voglio che tu sappia, Hermione.
Tutto è una bugia.
Ho mentito, ho finto che andasse tutto bene finchè ho potuto.
Finchè il mio corpo e la tua memoria lo hanno permesso.
Siamo stati privati entrambi di qualcosa.
Ma siamo diversi.
Ho deciso di mia spontanea volontà di partecipare ad un esperimento del Ministero. Mi hanno prelevato emozioni e stati d'animo, hanno usato la mia anima come un calderone.
Sono stato l'uomo più felice della terra.
Poi quello più triste.
Il più crudele.
Il più fortunato.
Oggi sono quello che non può dire bugie.
Voglio dirti tutto, voglio spiegarti quello che ho intenzione di fare.
Hermione, tu non sei mai partita.
Sei stata chiusa in una teca di vetro, nell'ufficio Misteri.
Ti ho trovata lì, osservata da occhi indiscreti.
Cavia da laboratorio.
Ti hanno studiata.
Melinda Falk, voglio che ti ricordi di questo nome.
E' anche per colpa sua che io oggi devo scrivere queste parole.
Ti ha obliviata.
Ma lo ha fatto male.
Ti ha torturata.
Voglio che tu la smetta di soffrire Hermione.
Perché quando ero ancora lucido, quando tutte queste sensazioni non avevano ancora corrotto il mio animo, tu mi facevi stare bene.
Pensare a te prima di entrare nel laboratorio mi permetteva di separarmi dal mio corpo.
E' una sensazione strana, non la auguro a nessuno.
Ma pensando alla tua cocciutaggine, all'impegno che avevi messo per tirarmi fuori da casa.
Era bello.
Sono un'anima mutilata, stanca.
Ho deciso di morire.
Non è giusto, né tanto meno sensato.
So solo che non ho più fame.
Non mi interessa più niente, salvo sapere come stai.
Cercare di capire se ti ricordi di quello che è successo, della teca di vetro e del libro che volevi portare a Ron.
Così, stasera ti ho scritto la verità.
E dopo tutto questo, dopo tutti gli errori che ho fatto e che farò, voglio solo che tu mi perdoni.
Nient'altro.
L'averti vicina in questi anni è stato un privilegio.
Anche quando mi sentivo solo, tu c'eri.
Ah, c'è stato un bacio.
Credimi, è stato un diversivo.
Prima o poi ricorderai. Voglio che tu non ti senta in colpa nei confronti di Ron.
Io ti ho baciata perché non sapevo cosa dirti.
L'ho fatto senza sapere quello che avrei provato.
Ho sentito il fuoco.
E tu hai spalancato gli occhi.
E' stato strano, troppo breve per capire se fosse sbagliato.
Ma l'ho fatto.
Ed è stato importante.”



Hermione rilesse per l'ultima volta la pergamena e la passò all'uomo.
“Perché gliel'ha fatto fare? Perché ha scritto queste cose senza farlo ragionare?”
Conrad Smith fissò la sua stessa calligrafia.
Alcune lettere erano scolorite dalle lacrime della ragazza.
“Crede davvero che sarebbe bastato? Crede che la mia opinione sarebbe bastata? Signorina Granger, nemmeno l'amore che provava per lei, nemmeno lei stessa l'ha convinto a smettere.”
“Io non sapevo cosa stava facendo.”
Distrutta dal dolore, Hermione si voltò verso la finestra.
Anche sul San Mungo il sole splendeva.
Forse la notizia non aveva ancora raggiunto il mondo magico, forse nessuno sapeva della morte di Harry Potter.
Si sentì crollare.
Poi, una mano le si posò sulla spalla.
“Sa, signorina. Io non penso che nemmeno lui lo sapesse.”
“Non mi ha nemmeno riconosciuta.”
“Ne è sicura?”
E mentre Conrad Smith si congedava con un mezzo inchino, Hermione ripensò all'ultimo sguardo di Harry.
Ai suoi occhi brillanti.
Ricordò le sue ultime parole, taglienti come una lama.
Ma più di tutto ricordò l'ultimo istante di vita di Harry, la forza con cui le strinse la mano.
Poi, si accorse che c'era qualcosa, accanto a lei.
Un'ampolla piena di liquido dorato.
Il contenuto, non appena la sfiorò, si agitò come scosso dal vento.
“Harry Potter è il mio eroe.” sussurrò.
Le sfuggì un sorriso.


Fine.

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