Una corsa contro il tempo

di telesette
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prima parte ***
Capitolo 2: *** seconda parte ***
Capitolo 3: *** terza parte ***
Capitolo 4: *** quarta parte ***
Capitolo 5: *** quinta parte ***
Capitolo 6: *** sesta parte ***
Capitolo 7: *** settima parte ***
Capitolo 8: *** ottava parte ***
Capitolo 9: *** nona parte ***
Capitolo 10: *** decima parte ***
Capitolo 11: *** undicesima parte ***
Capitolo 12: *** dodicesima parte ***
Capitolo 13: *** tredicesima parte ***
Capitolo 14: *** quattordicesima parte ***
Capitolo 15: *** quindicesima parte ***
Capitolo 16: *** sedicesima parte ***



Capitolo 1
*** prima parte ***


Come Luigi XIII irruppe furibondo nelle stanze della regina, i medici lì presenti impallidirono per lo stupore. Il cardinale pareva l’unico a non essere sorpreso, era comprensibile che il cattivo stato di salute della regina avesse gettato il sovrano nello sconforto, tuttavia trovava inaccettabile il suo comportamento. Quando il re spalancò le porte senza nemmeno farsi annunciare, Sua Eminenza aveva appena dato ordine a dei servitori di allontanare immediatamente la povera Constance, così da permettere ai dottori di fare il loro lavoro, ma l’arrivo improvviso del sovrano aveva gettato tutti nella più totale confusione.

- Cardinale Richelieu - esclamò il re a denti stretti. - Che cosa state facendo?
- Vostra Maestà - rispose il cardinale gelido, accennando un inchino. - Mi sono premurato di riunire qui i migliori medici di Francia, nell’interesse di Sua Maestà la regina ovviamente, ma la sua dama di compagnia sembra alquanto isterica al momento e mi stavo appunto accingendo ad allontanarla…
- L’unico che deve allontanarsi da qui siete soltanto voi - puntualizzò il re, senza mezzi termini.

Richelieu inarcò il sopracciglio infastidito ma, invece di reagire a quella mancanza di rispetto, si limitò a cercare di convincere Sua Maestà delle sue buone intenzioni.

- Maestà, rendetevi conto che la regina è gravemente ammalata: questi signori sono stati appunto incaricati di prestarle tutte le cure possibili e…

Senza neanche ascoltarlo, Luigi attraversò la stanza e si fermò accanto al letto della moglie. Costei era sdraiata supina, col volto pallido e ansimante, e uno dei medici le aveva appena scoperto il braccio per applicarle un salasso.

- Che cosa significa questo? - domandò dunque il sovrano, ormai sul punto di esplodere.
- Si tratta solo di un salasso curativo, Vostra Maestà - rispose il medico, cercando di giustificarsi. - Per espellere i succhi maligni, è necessario che…
- Andatevene - ordinò il re, con un tono che non ammetteva repliche. - Uscite di qui immediatamente, via!
- Ma, Vostra Maestà…
- Via, ho detto!

Spaventati e offesi dall’atteggiamento del sovrano, i medici uscirono dalla stanza senza fiatare. Il cardinale invece rimase immobile come se niente fosse ma, non appena il re gli si rivolse esplicitamente, capì che non era il caso di insistere oltre.

- Ascoltatemi bene, Richelieu - esclamò dunque il re. - Se dovessi vedere di nuovo uno solo di quei ciarlatani qui dentro, vi riterrò personalmente responsabile delle conseguenze… Sono stato chiaro?
- Chiarissimo, Vostra Maestà - rispose il cardinale con voce atona.
- Penso sia inutile aggiungere che vi proibisco di interessarvi oltre della salute di mia moglie, non voglio e non intendo discutere sulla questione!
- Capisco perfettamente, con permesso!

Facendo mostra di un autocontrollo incredibile ( o della più totale indifferenza ), Richelieu si congedò senza battere ciglio. Non appena fu uscito dalla stanza, Constance si avvicinò al re, incapace di contenere oltre la sua agitazione.

- Ho cercato di fermarli, Maestà - spiegò la giovane preoccupata. - Sono giorni che la regina non si alza dal letto, è così debole che non riesce nemmeno a mangiare, e loro volevano applicarle addirittura un salasso…

La regina emise un debole sussulto, sollevando appena le palpebre, e chinò la testa verso il consorte al suo fianco. Luigi le prese la mano tra le proprie, accarezzandola dolcemente, e le rivolse uno sguardo angosciato.

- Luigi… - mormorò la donna con un filo di voce.
- Va tutto bene, amore mio - provò a rassicurarla il re. - Cerca di riposare adesso!

Sulle prime Anna si sforzò di sorridere ma, a causa del suo malore, finì nuovamente per perdere conoscenza.

- Povera Maestà - gemette Constance con le lacrime agli occhi.

Il re socchiuse gli occhi e chinò il capo. Anche il re di Francia era del tutto impotente, davanti a quella difficile situazione, e l’unica cosa che poteva fare per la sua adorata moglie era restarle accanto e tenerle la mano in silenzio. Da giorni ormai la regina Anna era caduta preda di una misteriosa malattia e, dal momento che nessuno sembrava in grado di curarla, le sue condizioni si erano aggravate nel giro di una settimana. Nel vedere colei che amava in quel terribile stato di debolezza, il cuore di Luigi soffriva più di chiunque altro: la carnagione della donna aveva assunto un colorito cereo, il viso tirato e le guance infossate, il male la stava uccidendo lentamente… Fu davanti a quell’immagine pietosa che Luigi si rese conto della gravità della situazione.

- Constance, ti prego - esclamò ad un tratto il sovrano. - Va subito ad avvertire il capitano De Tréville e il suo medico personale, di’ loro che li voglio qui al più presto possibile!
- Vostra Maestà, siete sicuro?
- Non permetterò a quei macellai di avvicinarsi ancora a mia moglie: voglio che sia un vero medico a visitarla, per favore, fa come ti ho detto!

Constance obbedì senza discutere. Luigi accostò la mano di Anna alle labbra e la sfiorò dolcemente, rivolgendo una muta preghiera all’Onnipotente.

 

***

 

Il dottore visitò la regina per più di un quarto d’ora, senza dire una parola. Aldilà della tenda che separava il letto dal resto della stanza, il re e il capitano De Tréville assieme a Constance attendevano con ansia. I minuti scorrevano così lenti che perfino l’orologio sembrava fermo e, anche se nessuno aveva il coraggio di esprimerli a voce alta, non ci voleva molto per indovinare i loro pensieri. Il medico personale di De Tréville era un uomo che sapeva il fatto suo ( certamente molto più degli incapaci al soldo di Richelieu ) ma, per quanto esperto di medicina, non era certo in grado di fare miracoli; eppure era a lui che Luigi XIII si affidava adesso. Ad un tratto il dottore scostò appena l’enorme drappo rosso e si unì al gruppetto, con un’espressione mesta dipinta in volto.

- Allora, dottore - domandò il re. - Avete capito di che si tratta?
- La situazione è grave - spiegò il medico, sospirando fortemente. - Data la respirazione affannosa, per un attimo avevo pensato a qualcosa di fisico ma…
- “Ma” cosa?

Il dottore sollevò lo sguardo, aggiustandosi gli occhiali sul volto e rivolgendo ai presenti un’occhiata molto seria.

- Esaminando attentamente le pupille e la lingua di Sua Maestà la regina, posso affermare che sono presenti tutti i sintomi di una gravissima intossicazione!
- Ma… come…
- Posso solo fare una supposizione ma, per quanto sia difficile da dimostrare, vi assicuro che è l’unica spiegazione possibile!
- Per l’amor di Dio, dottore, parlate!
- La regina è stata avvelenata - disse dunque il medico, lasciando tutti di stucco. - Su questo non c’è il minimo dubbio: la sostanza che ha ridotto Sua Maestà in quelle condizioni è frutto di una somministrazione costante e prolungata che ha compromesso tutte le sue difese; al momento sono state attaccate le vie respiratorie ma, se è come temo, presto sarà troppo tardi per intervenire!

Il re e gli altri erano a dir poco sconvolti. Possibile che qualcuno a corte odiasse tanto Sua Maestà la regina, al punto da architettare un piano così diabolico? Luigi si sentiva terribilmente responsabile: per tanto tempo aveva chiuso gli occhi, senza considerare i nemici che affollavano la reggia, e temeva dunque di aver involontariamente concesso loro di mettere in atto questa orribile macchinazione. Non riusciva a credere che stesse accadendo veramente, la sua amatissima Anna avvelenata… Ovviamente bisognava venire a capo di questa faccenda ma, al momento, la cosa più importante era salvare la vita della sua consorte.

- La prego, dottore - esclamò il re, cercando di controllarsi. - La prego, faccia tutto ciò che è necessario per salvarla!
- Credetemi, Maestà - rispose il medico, scuotendo la testa. - Se fosse in mio potere, vi assicuro che non perderei tempo… Purtroppo la mia conoscenza in materia è assai limitata; ho riconosciuto i sintomi, perché ho visto casi simili in passato, ma non saprei da che parte cominciare per contrastare gli effetti del veleno!
- Ma conoscerete pure qualcuno - intervenne dunque De Tréville. 
- In Francia, intendete? No, mi dispiace: da quando il cardinale Richelieu in persona ha dichiarato abominevoli gli studi sulla tossicologia, temo che non esistano medici in grado di occuparsi di un caso di avvelenamento così esteso, come quello di Sua Maestà la regina appunto!
- Quel vecchio imbecille - imprecò De Tréville. - Capacissimo di condannare l’intera Francia alla minaccia di un’epidemia, con tutte le sue farneticazioni sull’anticristo… Eppure dev’esserci una soluzione!

Il dottore si grattò la fronte pensieroso.

- E’ solo una possibilità ma, se il medico che operava nella guarnigione sul confine nord della Francia fosse ancora vivo, forse…
- Vi riferite a Dajenau, per caso? - domandò De Tréville.
- Proprio lui, anche se ormai sono anni che non ho più sue notizie… All’epoca era tra i migliori nel trattare casi del genere, per non dire il migliore, suppongo ve ne ricordiate!
- Altroché - sospirò il capitano dei moschettieri. - Otto o nove anni fa fu proprio lui a salvarmi, quando rischiai di rimanere vittima di un’omicidio: l’assassino aveva intinto la sua lama nel veleno, per essere sicuro del risultato, ed è stato solo grazie all’abilità di quell’uomo che sono riuscito a sopravvivere!
- E dove si trova questo dottor Dajenau, adesso? - domandò il re ansioso.
- Difficile a dirsi - ammise l’altro. - A causa dell’editto di Sua Eminenza, Dajenau rischiò seriamente di essere arrestato; naturalmente riuscimmo a farlo fuggire ma, da allora, entrambi non ne abbiamo più saputo nulla!
- Capisco - osservò il re. - E tuttavia quest’uomo potrebbe essere l’unica possibilità rimasta di salvare Anna!
- Il problema è il tempo, Vostra Maestà - sottolineò il dottore gravemente. - Anche mettendoci alla ricerca di Dajenau, ammesso che sia ancora vivo, potrebbero volerci molti giorni e… Anche se mi rincresce dirvelo, dubito che la regina riuscirà a sopravvivere ancora a lungo!

In quel momento, con uno sforzo notevole, la regina chiamò a sé Constance. Subito la fanciulla si fece avanti per confortarla ma, per quanto bene le volesse, non c’era molto che potesse fare per lei. Luigi XIII si sentiva così inutile, di fronte alla triste realtà, ma non riusciva ad accettare di veder morire sua moglie senza nemmeno tentare di salvarla.

- De Tréville - esclamò.
- Comandi, Maestà!
- Fate radunare subito i tre moschettieri: Athos, Porthos e Aramis… Spiegate loro la situazione e ditegli di mettersi immediatamente alla ricerca di questo dottor Dajenau!
- Certo, Maestà, darò l’ordine immediatamente!

De Tréville si inchinò ma, proprio mentre stava per uscire, il re aggiunse anche un’altra cosa.

- Dite al giovane D’Artagnan che voglio vederlo immediatamente!
- D’Artagnan - ripeté De Tréville. - Volete che prenda parte anche lui a questa missione?

Il re annuì.

- Istruitelo voi sull’incarico, se preferite, ma ditegli anche che ho bisogno di conferire con lui di persona!

 

***

 

Poco dopo D’Artagnan si ritrovò innanzi al cospetto di Sua Maestà, nell’ufficio di quest’ultimo, ansioso di sapere il motivo della sua convocazione.

- Moschettiere D’Artagnan, ai vostri ordini - disse subito il giovane, salutando il re con il dovuto rispetto.

Sua Maestà Luigi XIII era in piedi davanti alla finestra. Da principio sembrava non essersi accorto della sua presenza ma, senza perdere tempo, fece segno a D’Artagnan di avvicinarsi.

- Il capitano De Tréville vi ha già messo al corrente?
- Sì, Vostra Maestà - rispose il giovane.
- D’Artagnan, come avrete capito, non si tratta di una missione facile: il dottor Dajenau potrebbe essere disperso ovunque, forse non è nemmeno più in Francia, ma il vostro compito è quello di trovarlo e condurlo qui nel più breve tempo possibile!
- Certo, Vostra Maestà, mi rendo conto!

Prima che il guascone potesse chiedere il permesso di congedarsi e raggiungere i suoi compagni, il re lo afferrò per le spalle e lo guardò dritto negli occhi.

- Ma… Maestà - mormorò il giovane stupito.
- D’Artagnan, voglio un giuramento da voi - esclamò il re. - Non ho dubbi sulla vostra lealtà, ne ho avuto ampia dimostrazione in passato… Quello che vi chiedo adesso è di promettermi che farete di tutto, anche l’impossibile, per trovare Dajenau e portarlo a palazzo!

D’Artagnan era sorpreso dal tono di Sua Maestà. Più che un ordine, la sua sembrava veramente la richiesta accorata di un uomo affranto che riponeva in lui tutte le sue speranze. Il giovane moschettiere avvertì quasi un fitto nodo alla gola, nell’osservare lo sguardo pieno di supplica del sovrano, tanto che non sapeva assolutamente cosa rispondere.

- Vi prego, D’Artagnan - disse ancora il re. - Giuratemi che farete qualunque cosa, qualunque cosa pur di riuscire nella vostra impresa, è questo che voglio sentirvi dire prima che voi partiate!

Ora D’Artagnan riusciva a comprendere fin troppo bene ciò che Sua Maestà stava provando in quel momento. Quando tempo addietro Constance cadde vittima della trappola di Milady, lottando per giorni tra la vita e la morte, il giovane moschettiere era distrutto all’idea di perderla per sempre. Ora la regina Anna stava attraversando un momento molto simile, vittima di un complotto ancora da chiarire, e il re suo marito desiderava salvarla più di ogni altra cosa al mondo. Non si trattava solo di adempiere al suo dovere di moschettiere, questo D’Artagnan lo sapeva, e certamente avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per soddisfare la richiesta del sovrano.

- Ve lo prometto, Maestà - rispose il giovane deciso. - Lo giuro su quello che ho di più caro, oltre che sul mio onore, vi prometto che farò anche l’impossibile per Sua Maestà la regina!

Il re parve sollevato.

- Grazie, D’Artagnan - esclamò infine. - So bene di poter contare su di voi e sui vostri amici moschettieri, ma la vita di mia moglie dipende dalla vostra missione… Avevo bisogno di sentirvelo dire, spero possiate comprendere!

D’Artagnan sorrise.

- Non temete, siamo in molti a desiderare il bene di Sua Maestà la regina: voi, il capitano De Tréville, i moschettieri, la mia fidanzata Constance… Ed è anche un mio desiderio, dunque!
- Le vostre parole mi confortano, D’Artagnan - mormorò il re commosso.
- Abbiate fede, Maestà - concluse D’Artagnan, sicuro di sé. - Torneremo qui col dottor Dajenau quanto prima, ve lo assicuro!

Così dicendo, D’Artagnan si congedò immediatamente. Luigi XIII lo vide allontanarsi dalla finestra al galoppo, assieme ai suoi tre coraggiosi compagni, e dentro di lui non poté fare a meno di sperare ed augurarsi che la loro missione andasse a buon fine. Quella che D’Artagnan si accingeva a compiere infatti era una vera e propria corsa contro il tempo.

 

( continua col prossimo capitolo )

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Capitolo 2
*** seconda parte ***


Antoine Dajenau era originario della Borgogna, in un piccolo paesino a due giorni di cavallo da Parigi.
Secondo De Tréville, dopo essere scampato all'arresto, c'erano forti probabilità che avesse fatto ritorno al suo paese natale. Tuttavia, dopo nove anni trascorsi senza avere sue notizie, lo stesso Capitano dei Moschettieri dubitava che il medico fosse ancora lì. Da quando Richelieu aveva esteso i suoi provvedimenti, nel giudicare "eretici" gli studiosi di chirurgìa e tossicologìa, molti colleghi di Dajenau erano stati arrestati e giacevano tuttora in catene.
L'unica cosa certa, sempre secondo De Tréville, era che Dajenau non si trovava in prigione.
Le guardie cardinalizie non lo avevano trovato e, anche a costo di setacciare tutta la regione, D'Artagnan e compagni lo avrebbero cercato ovunque. Dajenau era l'unico in grado di salvare la vita della regina, così come in passato aveva salvato De Tréville da sicura morte, perciò era necessario trovarlo e scortarlo a Parigi prima che fosse troppo tardi.

- Se manteniamo la velocità dei cavalli stanotte, arriveremo a Poumatiérre entro domani mattina - osservò Athos, facendo mentalmente il calcolo della distanza che ancora li separava dal paese.
- Peccato - borbottò Porthos a voce alta. - Avrei preferito mangiare un boccone, prima di una cavalcata notturna...
- Non dire sciocchezze - lo rimproverò Aramis. - E poi il tuo cavallo correrà meglio, se ti tieni leggero!
- Ehi, cosa vorresti insinuare?
- Smettila di lamentarti - esclamò dunque Athos. - Non possiamo permetterci una sosta, oppure ti sei dimenticato della nostra missione?
- No, certo che no, però...

Incapace di protestare, Porthos dovette dirsi d'accordo con gli altri.
La missione veniva senza dubbio prima del suo stomaco, anche se questo cominciava già a protestare, e non c'era tempo da perdere. Subito Athos e Aramis fecero schioccare le redini, in modo da non rallentare la velocità, e Porthos si costrinse ad imitarli non senza un forte sospiro di rassegnazione.
Anche D'Artagnan era concentrato sulla gravità della situazione.
La vita della regina era appesa ad un filo, un filo sottilissimo, e ogni secondo poteva essere più prezioso che mai. Per un attimo il guascone rammentò le parole di Sua Maestà re Luigi, sentendo ancora su di sé lo sguardo afflitto di quegli occhi che lo imploravano, e comprendeva perfettamente lo stato d'animo del sovrano.
Che cosa avrebbe fatto il giovane moschettiere, se al posto della regina ci fosse stata Constance?
Senza dubbio avrebbe smosso mari e monti pur di salvarla, maledicendo altresì la propria impotenza con un dolore fin troppo grande da sopportare. Quando la bionda fanciulla era rimasta vittima di uno sporco tranello, restando vari giorni tra la vita e la morte, D'Artagnan avrebbe forse venduto la propria anima al diavolo pur di salvarla... e probabilmente il re stava pensando la stessa cosa adesso.
Vedere chi si ama in pericolo di vita, senza potere fare niente, è come sentirsi scendere la punta di una lunga lama affilata in pieno cuore.
D'Artagnan si sentiva più che mai vicino al dolore del sovrano, come se fosse suo, e il solo pensiero gli trasmetteva forza e determinazione maggiori per riuscire nell'impresa.

- Corri Ronzinante, corri !!!

Galoppando al massimo delle sue forze, Ronzinante fece il possibile per tenere dietro ai cavalli dei moschettieri. E nel rosso chiarore del tramonto, lo sguardo fisso davanti a sé, D'Artagnan seguitò imperterrito a cavalcare lungo la strada per Poumatiérre. L'ansia della corsa, mista al desiderio di essere già arrivato a destinazione, per un attimo gli fece quasi dimenticare che forse l'uomo che cercava non lo avrebbe mai trovato nel luogo dove lui e gli altri erano diretti.

 

( continua col prossimo capitolo )

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Capitolo 3
*** terza parte ***


Constance soffriva enormemente, nel vedere la povera Regina Anna penare così tanto.
Fin dal giorno in cui era stata introdotta a corte, come dama di compagnia di Sua Maestà, la giovane fanciulla aveva provato subito un forte affetto per quella donna gentile e sfortunata. Costretta a passare sopra i suoi sogni e i suoi desideri, a causa dei suoi doveri sociali, la regina aveva sofferto molto e molte amarezze segnavano il peso del nome che portava. Molti e potenti nemici cospiravano contro di lei, cercando in ogni modo di screditarla agli occhi del Re e della Francia intera, ma nel tempo la donna aveva imparato a farsi cauta.
Troppe volte i suoi nemici avevano approfittato della sua ingenuità, per poterla colpire duramente.
Dapprima il Cardinale Richelieu, con quella trovata del pappagallo, che origliava ogni sua conversazione.
Poi fu la volta della collana, donata al Duca di Buckingam quale pegno tangibile dei suoi sentimenti, rischiando seriamente lo scandalo e la guerra.
E infine la morte dello stesso Buckingam, per la quale non le era stato possibile neppure piangere se non in silenzio.
Ogni colpo era assai duro.
Ogni ferita assai dolorosa.
Tuttavia invece di cedere, Anna aveva trovato dentro di sé la forza per andare avanti, mostrando a tutti l'orgoglio e la fierezza di una vera sovrana.
Oltre all'affetto e alla devozione per lei, Constance non poteva fare a meno di nutrire una grande ammirazione per il coraggio della sua Regina.
Vederla patire quella straziante agonia, senza poterla aiutare in alcun modo, era terribile.
Le sue condizioni peggioravano, lentamente ed inesorabilmente, e tutto quello che poteva fare era assisterla con la sua impotenza.

- Oh, D'Artagnan - sospirò la fanciulla, giungendo le mani sul petto. - Ti supplico, torna presto con il dottor Dajenau!
- Constance, per cortesia, andate a prendere dell'acqua fresca - disse allora il medico di De Tréville, porgendole la piccola bacinella da riempire.

La ragazza ubbidì.
Uscendo nel corridoio, passando distrattamente davanti ad una stanza con la porta socchiusa, Constance udì appena distintamente una frase che la fece fermare di colpo. Qualcuno in quella stanza sembrava molto agitato, tanto che lei poté cogliere parte di ciò che diceva, e ascoltando più attentamente non era certo difficile capire perché.

- ... Vi ripeto che non è possibile, non possiamo andare oltre...
- Spero tu stia scherzando, al punto in cui siamo, ti conviene andare fino in fondo!
- Ma ora che De Tréville ha rafforzato la sorveglianza, mi sarà impossibile avvicinarmi senza essere scoperto...

Constance avvicinò il volto alla fessura della porta semiaperta, quel tanto che bastava per permetterle di vedere in faccia i due individui che discutevano tra di loro. Uno di essi era il Duca De Vitesse, elegante nel suo abito scuro, inconfondibile coi suoi occhi celesti molto chiari e la chioma color notte che gli incorniciava il volto; l'altro invece era un giovane valletto di nome Arsène, biondo e con occhi molto grandi, che sembrava sconvolto da qualcosa.
Mentre Arsène tremava e sudava abbondantemente, il Duca al contrario era calmo e freddo come se niente fosse.
Sulle prime la fanciulla non poté certo indovinare il motivo di tale nervosismo ma, come Arsène parlò di nuovo, la rivelazione fu a dir poco terrificante.

- Ho accettato di servirvi, mio signore - disse Arsène, sperando nella comprensione del nobiluomo davanti a lui. - Sono onorato di servire la causa della Francia, ma non potete chiedermi di...
- Rilassati, figliolo - fece il Duca, poggiando le mani sulle sue spalle, nel tentativo di rassicurarlo. - Finora ti sei comportato molto bene, non ci vorrà molto ormai per portare a termine il piano che abbiamo concordato!
- Se il Re scopre quello che abbiamo fatto, ci farà tagliare la testa!

De Vitesse sorrise.

- Il Re cesserà di essere un problema molto presto: una volta sistemata la sua consorte, subito dopo toccherà a lui...
- Ma hanno già scoperto quello che abbiamo fatto - ribatté Arsène, sempre più sconvolto. - Non ci metteranno molto a scoprire in che modo la Regina sia stata avvelenata!

Costance ebbe un sussulto.
Dunque era De Vitesse il responsabile di tutto, ed era più che evidente che Arsène fosse al suo servizio in questa ignobile faccenda.
Tuttavia, alla luce dei fatti, qualcosa doveva essere andato storto.
Arsène aveva paura. Temeva che, procedendo nella somministrazione di piccole dosi di veleno nelle bevande della Regina, i moschettieri lo avrebbero ben presto scoperto e messo agli arresti.
Invano De Vitesse tentò di tranquillizzarlo, convincendolo che non aveva nulla da temere, ma era ovvio che il giovane non fosse più in grado di pensare lucidamente.

- Ci uccideranno - gemette. - Ci uccideranno tutti...
- Il piano è già in atto - sottolineò De Vitesse, voltandogli le spalle con noncuranza. - E' come una carica di polvere da sparo: una volta accesa la miccia, si può solo attendere che esploda!
- Signore, io non voglio morire - gemette ancora Arsène. - Ho sbagliato, non lo so... All'inizio pensavo che uccidere la Regina servisse per il bene della nazione ma... e se avessimo sbagliato tutto ?!?

Un lampo sinistro attraversò per un istante gli occhi di De Vitesse.

- Mi stai forse dicendo che non vuoi più servire la nostra causa? - domandò il Duca con una nota gelida nella voce.
- Io... Io non...
- Molto bene, allora - tagliò corto il Duca, voltandosi di scatto. - I tuoi servigi non sono più richiesti... Addio!

Un rumore secco.
Arsène sbarrò gli occhi, mormorando qualcosa con voce strozzata, ma le parole si persero gorgogliando nel sangue che gli riempiva la bocca.
Constance vide il valletto accasciarsi e, non appena questi crollò a terra immobile, il Duca sollevò leggermente il pugnale con cui lo aveva appena trafitto allo stomaco.

- Eri un bravo ragazzo - commentò il Duca sarcastico, pulendo la lama nel suo fazzoletto. - Se mi avessi dato ascolto, forse saresti riuscito a vivere un po' più a lungo... Peccato!

Sconvolta e inorridita, da quanto aveva appena visto e sentito, Constance si scostò dalla porta.
Purtroppo non ebbe il tempo di allontanarsi che, premendole forte una mano sulla bocca, qualcuno la afferrò saldamente per le braccia.

- Mmmppphhh !!!

Come la porta si spalancò, De Vitesse vide comparire Constance assieme all'uomo che la teneva stretta per impedirle di scappare.

- L'ho scoperta mentre stava origliando qua dietro - spiegò costui, con voce roca ma possente.
- Peggio per lei - esclamò il Duca, passando oltre il cadavere di Arsène. - Non possiamo permetterci altri errori, la posta in gioco è troppo alta!
- Cosa ne dobbiamo fare di lei ?
- E' ovvio che dobbiamo eliminarla, sciocco - grugnì l'altro infastidito. - Per il momento però, è bene forse aspettare; dobbiamo già portare via il corpo di questo idiota, senza dare nell'occhio... Uhm!

Il Duca rimuginò un istante.
Constance provò a liberarsi ma inutilmente.
L'individuo che l'aveva catturata pareva avere due morse d'acciaio al posto delle mani.

- Allora?
- Portiamola con noi - tagliò corto il Duca convinto. - Ce ne sbarazzeremo in un secondo momento!

 

( continua col prossimo capitolo )

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Capitolo 4
*** quarta parte ***


Come era prevedibile, quando D'Artagnan e gli altri giunsero a Poumatiérre per chiedere informazioni, nessuno seppe dir loro nulla. Dajenau non aveva mai fatto ritorno a casa, proprio come temeva De Tréville, e nessuno aveva più avuto sue notizie per molti anni.
Ben lontani dal rinunciare alla prima difficoltà, i moschettieri presero in considerazione un'altra strada. Interrogarono varie persone, tra coloro che in passato avevano avuto a che fare col dottor Dajenau ( perlopiù si trattava di suoi vecchi pazienti o semplici conoscenti ), cercando di raccogliere quante più informazioni possibile sugli spostamenti e le abitudini dell'uomo in gioventù...
Fu così che vennero a sapere che, circa una quindicina d'anni addietro, Dajenau riuscì a salvare gli abitanti di Espére ( un piccolo paesino, a due ore di cavallo da Poumatiérre ) dall'epidemia che sembrava aver condannato l'intera popolazione; bambini e adulti morivano dolorosamente, accusando gravi difficoltà alle vie polmonari, fino a che Dajenau non decise di ignorare l'editto di quarantena di Sua Eminenza il Cardinale ( ottenendo così i suoi primi guai con la legge )...
Impegnando tutto sé stesso, nello stabilire le cause della malattia e trovare la cura adeguata, Dajenau riuscì a sottrarre da morte sicura quasi due terzi della popolazione. Gli abitanti di Espére lo acclamarono come eroe e salvatore, anche quando le guardie cardinalizie vennero ad arrestarlo perché fosse processato come eretico, e da allora nessuno in quel paese aveva dimenticato il grosso debito di gratitudine nei confronti di quel medico straordinario.
Dal momento che non avevano altre piste da seguire, D'Artagnan e gli altri si dissero d'accordo di estendere le loro ricerche proprio nel minuscolo paesino poco distante. Ovviamente sapevano che non avevano molte speranze di trovare colui che cercavano ma, dato che il tempo gli era maggiormente nemico, non potevano che affidarsi alla sorte.
Espére era ancora più piccola di Poumatérre.
Non più di sei o sette file di abitazioni disposte lungo una corta via principale e una serie di stradine più strette; l'edificio più alto era la torre campanaria della chiesa, riconoscibile anche da lontano, e nell'aria si sentiva l'odore e la fragranza del pane appena sfornato.
Athos suggerì saggiamente di dividersi in due gruppi: lui e Aramis avrebbero perlustrato la zona sud del paese, mentre D'Artagnan e Porthos avrebbero chiesto informazioni nella zona nord.

- Speriamo di avere fortuna - mormorò il bruno moschettiere. - Se Dajenau non si trova nelle vicinanze, purtroppo la nostra missione è destinata a fallire miseramente!
- Non disperare, Athos - replicò D'Artagnan deciso. - Sono sicuro che lo troveremo, me lo sento!

Athos annuì.

- Spero che tu abbia ragione, D'Artagnan... D'accordo allora, diamoci da fare!

Una volta stabilito di ritrovarsi tutti nell'unica locanda del paese, non prima che fosse calata la notte, i quattro si divisero e cominciarono a rivolgere alcune domande in giro.
Anche qui purtroppo, nonostante molti ricordassero ancora la generosità e il buon cuore del dottor Dajenau, nessuno seppe dire ai moschettieri più di quanto essi già sapevano.
Dopo una serie di estenuanti e inutili ricerche, mentre il cielo volgeva all'imbrunire, D'Artagnan e Porthos si trascinavano stancamente sui loro cavalli. Nessuno dei due aveva scoperto nulla, ed era improbabile che Athos e Aramis avessero avuto più fortuna, di conseguenza si sentivano in preda ad un micidiale sconforto.
Mentre procedevano lungo la strada, improvvisamente sentirono delle grida di rabbia provenire da un vicolo adiacente.
Alcuni energumeni stavano minacciando una povera donna indifesa, avvolta in logore vesti che le nascondevano quasi completamente il viso, e uno di loro la fece cadere a terra con una sberla. Il pane che la donna reggeva in mano rotolò a terra, tuttavia non ebbe il tempo di raccoglierlo che gli uomini le si strinsero addosso.

- Brutta ladra che non sei altro - ruggì l'uomo che l'aveva presa a schiaffi.
- Questa volta non te la caverai facilmente - fece eco un altro, sollevando il proprio pugno. - Ti daremo una lezione che ricorderai per un pezzo!
- Io... Io non ho rubato niente - provò a spiegare la donna, invano. - Per favore, lasciatemi andare...
- Balle - tuonò ancora il primo. - E con quale denaro avresti pagato una pagnotta così grande ?!?
- Puoi solo averla rubata...
- LADRA !!!

Fremente di sdegno e di collera, D'Artagnan non poteva tollerare oltre una simile ingiustizia.
Tre uomini grandi e grossi usare violenza su una donna sola e inerme.
Il giovane guascone non concepiva come individui del genere potessero ergersi a "giudici", solo perché il numero e la forza gli permetteva di imporre tale autorità. Gli esseri umani che scambiano la violenza con la giustizia sono peggio dei criminali stessi, poiché nessuno infatti oserà muovere loro alcuna ragione. Troppe volte l'atto di punire qualcuno, indipendentemente dalla gravità della sua colpa, chiama i cosiddetti Giustizieri ( forti solo quando sono in soprannumero! ) ad eseguire una sentenza senza stabilire quanto questa sia giusta o meno.
Lo stesso Signore Gesù, sottraendo l'adultera dal linciaggio della folla, sfidò ogni uomo allora presente a vantare la propria purezza e innocenza onde da poter scagliare ciascuno la pietra contro di lei...
Da allora erano passati secoli, eppure la scena tornava ogni volta a ripetersi.
Sempre più cruda.
Sempre più violenta.
E mentre tanti grandi colpevoli godono tuttora di un'esistenza stimata e rispettabile, molti piccoli innocenti vengono chiamati invece a rispondere delle loro azioni come se il diritto alla vita fosse loro precluso.

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- Vigliacchi - imprecò D'Artagnan a denti stretti. - Non gli permetterò di compiere una simile infamia!
- Ti seguo a ruota, amico mio - fece eco Porthos, battendo il pugno nella mano guantata.

Subito i due scesero da cavallo, infilandosi nel vicolo, e presero dunque le difese della donna.

- Non vi impicciate, forestieri - sbraitò l'uomo più alto del gruppo, levando già il braccio per colpire nuovamente la sventurata sotto di lui. - Questa dannata ladra avrà quello che si merita e... Ouuff !!!

Malgrado la sua giovane età, il pugno di D'Artagnan era sufficientemente in grado di rompere il grugno a chicchessìa.
Quando l'uomo non intende ascoltare ragioni, purtroppo, l'unica è riportarlo a più miti consigli con le care vecchie buone maniere... non molto "cristiane" forse, ma senza dubbio molto molto efficaci.

- Allora - esclamò il guascone severo. - Uno è sufficiente, o ne volete ancora?
- Dannato moccioso - fece il tizio colpito, massaggiandosi il mento dolorante. - Ti ammazzo!

Abbassandosi di scatto, D'Artagnan evitò il gancio che l'individuo provò a sferrargli alla cieca. Un altro gli scivolò alle spalle, afferrandolo al collo con il braccio, ma D'Artagnan sfruttò istintivamente la sua presa per darsi un colpo di reni e sferrare un calcio a piedi uniti; mentre il primo aggressore si ritrovò scaraventato all'indietro, il secondo sbarrò gli occhi per la sorpresa e, prima che avesse il tempo di rendersene conto, D'Artagnan gli mollò una durissima gomitata al basso ventre.
Vedendo la facilità con la quale il giovane moschettiere si era liberato dei suoi due compagni, il terzo sollevò alto un bastone che teneva in mano, col chiaro intento di spaccargli la testa.

- Piccolo delinquente - urlò. - Ti insegno io a... a... eh ?!?

Improvvisamente il tizio si ritrovò sospeso a mezz'aria, con i piedi che scalciavano nel vuoto, e solo un attimo dopo si rese conto che Porthos lo aveva appena afferrato per la collottola senza il minimo sforzo.
Inghiottendo a fatica e lasciando scivolare a terra il bastone, costui divenne pallido in volto come un cencio.
Porthos lo guardò di traverso e, rimettendolo giù piano piano, si sfregò il pugno poderoso sulla stoffa della casacca.
L'altro rabbrividì, al pensiero di come un pugno di quelle dimensioni avrebbe certamente ridotto la sua grossa zucca vuota, e di fatto scappò via a gambe levate.

- State bene, signora? - domandò D'Artagnan, aiutando la donna a rialzarsi.

Questa, nel sollevare il capo per vederlo e ringraziarlo, ebbe come un lieve sussulto.
D'artagnan non riuscì a vedere molto del suo viso, anche perché la parte superiore era nascosta dall'ombra di un logoro mantello con cappuccio, per giunta costei voltò il capo repentinamente per evitare di guardarlo negli occhi.
Anche Porthos si avvicinò, raccogliendo il pane da terra e scrollandolo ben bene della polvere prima di restituirglielo.

- Questo è vostro - disse con un sorriso.
- Grazie, gentili signori - mormorò la donna, con voce tremante ma sincera. - Non so davvero come ringraziarvi...
- Non lo dica nemmeno, era nostro preciso dovere - esclamò dunque D'Artagnan. - Piuttosto permetteteci di accompagnarvi fino a casa vostra, a scanso di altri brutti incontri da parte di quegli individui...
- Oh no, davvero, non è il caso - rispose lei, visibilmente agitata. - Vi ringrazio, siete molto generosi, ma non posso certo abusare della vostra cortesia!
- Ma veramente noi...

Prima che D'Artagnan potesse anche solo aggiungere qualcosa, la donna si strinse la pagnotta al petto e si allontanò a passo svelto lungo la strada.
D'Artagnan rimase stupito per qualche attimo, almeno finché Porthos non gli posò la mano sulla spalla.

- Faremmo meglio ad andare, adesso - osservò il robusto moschettiere. - Athos e Aramis vorranno sapere se abbiamo scoperto qualcosa su Dajenau!

Il giovane annuì.
Come entrambi rimontarono a cavallo, la donna si fermò a guardarli in silenzio.
In quel mentre, da sotto la veste che gli nascondeva il volto, qualcosa si mosse con un verso vagamente simile ad uno squittìo.

- Buono, piccolo mio, buono - mormorò la donna, accarezzando il piccolo rigonfiamento sotto la veste con una mano orribilmente ustionata.

Costei sollevò appena lo sguardo, rivelando un paio di splendidi occhi verdi e luminosi, tuttavia si limitò ad osservare i due moschettieri in lontananza e proseguì mestamente nella direzione opposta.

 

( continua col prossimo capitolo )

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Capitolo 5
*** quinta parte ***


Frattanto le condizioni della Regina peggioravano sempre di più.
Temendo che l'ignoto avvelenatore potesse proseguire nella sua opera, Sua Maestà il Re si disse d'accordo con De Tréville e il dottore, affinché nessun cibo potesse esserle somministrato all'infuori degli infusi di erbe preparati dal dottore stesso.
Il dottor Beauchamp, pur non essendo all'altezza di Dajenau in materia di tossicologia, era comunque un veterano della medicina e conosceva il fatto suo. I suoi decotti non potevano contrastare gli effetti del veleno, ignorando purtroppo quale questo fosse, tuttavia erano sufficienti a sostenere un organismo debilitato come quello della sovrana.
Certo era però che, nelle sue attuali condizioni, la povera Anna era a malapena in grado di sorseggiare. Di conseguenza, oltre agli organi intossicati, la denutrizione presentava segni sempre più evidenti.
Il volto di Anna era sempre più pallido ed emaciato, la pelle tirata e le guance infossate, tanto che le ossa erano così spaventosamente visibili da farla assomigliare piuttosto ad uno scheletro.
Il Re non poteva fare altro che starle vicino, con tutto il suo amore, pregando e sperando affinché un miracolo la guarisse.

- Luigi - mormorò stancamente la donna.
- Non ti affaticare, Anna - rispose l'altro, stringendole amorevolmente la mano tra le proprie. - Il dottore sta facendo il possibile, amore mio... Abbi fede!
- Oh, caro...

Malgrado la debolezza, il fatto che il marito fosse sinceramente preoccupato per lei era il più grande motivo di conforto.
Anna aveva rinunciato al suo sogno d'amore con Buckingam molto tempo fa, ancora prima di apprendere del suo triste ed efferato assassinio, e con Luigi aveva trovato l'affetto e il calore di un uomo sinceramente innamorato e devoto.
Il Re dal canto suo, per quanto accusato di trascurare i suoi doveri e gli affari di stato, sentiva ugualmente il bisogno di starle accanto con tutto il suo amore.
Anna non era "solamente" parte di un accordo tra due paesi, bensì Regina di Francia e sua moglie!
Molte cose erano cambiate nel cuore e nella mente di Re Luigi, da quando questi aveva appreso la gravità degli errori commessi e della sua fiducia malriposta, e tra queste l'uomo aveva compreso quali fossero i suoi precisi doveri come Re per il suo popolo... e come marito per la donna che amava.
Gli occhi di Anna, chiari e limpidi nonostante la sua evidente sofferenza, erano l'immagine pura della sua anima.
In quel preciso istante, se le forze glielo avessero permesso, la donna avrebbe tanto voluto stringere a sé il marito e abbracciarlo con tutta sé stessa.
Purtroppo invece, non riusciva quasi più a tenere gli occhi aperti.

- Sono così stanca - mormorò. - Così stanca...

Come tutte le altre volte, sotto lo sguardo preoccupato del medico, la Regina si abbandonò ancora al sonno sfinita.
Ormai era chiaro che non poteva resistere a lungo in quelle condizioni, non più di alcuni giorni al massimo, e il Re non riusciva assolitamente ad accettarlo.
Piangendo in silenzio lacrime amare infatti, Luigi accostò la mano della moglie alle labbra.
Nonostante tutto il suo potere e le ricchezze di un "reale" di Francia, in quel momento si sentiva come il più umile ed infelice degli uomini.
Poteva avere tutto ciò che desiderava.
Poteva ottenere qualunque cosa, semplicemente impartendo un ordine.
Ma non poteva guarirla...
Il dottore gli fece segno di alzarsi e di seguirlo nella sala adiacente.

- Mi dica la verità, dottore - esclamò ansioso il sovrano. - Quante possibilità ci sono di salvarla?
- Non posso mentirle, Maestà - rispose Beauchamp. - Dal momento che non riesce quasi ad ingerire il minimo indispensabile per sopravvivere, non posso illuderla con false speranze: se solo conoscessimo l'esatta origine del veleno, in modo da poterle somministrare l'antidoto, avremmo buone possibilità di aiutarla!
- Capisco - fece il Re, chinando mestamente il capo.
- E c'è un'altra cosa che mi preoccupa - disse ancora il dottore. - Il fatto che la sua dama di compagnia sia scomparsa dall'altro giorno... Cosa può esserle successo?
- Darò ordine di cercarla, non dubitate - tagliò corto il sovrano, troppo addolorato per rendersi conto appieno delle parole dell'altro. - Scusatemi, ho bisogno di... stare da solo un momento!
- Con permesso!

Beauchamp si inchinò rispettosamente, tornando al capezzale della Regina, mentre Luigi si accostò all'ampia vetrata volgendo gli occhi verso il cielo.

- Perché - gemette. - Perché, Dio? Perché ti accanisci con lei e con la sua anima innocente ?!? Se intendi punirmi, per gli errori che ho commesso, ebbene prenditela con me: accanisciti sul mio sangue, sulle mie ossa, sulla mia carne; privami di tutto ciò che possiedo, fossanche della vita stessa, ma salva almeno lei... almeno lei, ti supplico!

Affranto e sconvolto, dalla disperazione e dal dolore, il sovrano si accasciò dunque in ginocchio stringendosi alle tende della finestra con tutte e due le mani. Ormai non sapeva più a quale santo votarsi, non sapeva più chi o "cosa" implorare, pur di ottenere grazia per la sua consorte in fin di vita.
Tutte le sue speranze erano ora riposte in una sola persona.

- Per favore, D'Artagnan - sussurrò tra le lacrime. - Vi scongiuro, fate in fretta!

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 6
*** sesta parte ***


Constance aprì gli occhi...

Malgrado il forte dolore alla testa e la fatica nel mettere a fuoco le immagini, la fanciulla si risvegliò viva e vegeta in un ambiente angusto e male illuminato. Il luogo dove si trovava era una specie di alta torre circolare, fatta di pietre scure e ammuffite, con una torcia accesa quale unica fonte di illuminazione. Lo squittìo che giungeva alle sue orecchie, segno che i topi stavano andando e venendo dalle loro tane, era amplificato dalle pareti ove il suono rimbalzava in modo impressionante.
Constance si rese conto di essere saldamente incatenata alla parete, con solide manette che le serravano polsi e caviglie, ma la cosa più impressionante in quella orribile cella era il corpo rigido e immobile di un uomo steso per terra.
La fanciulla lo riconobbe dagli occhi sbarrati e dai lineamenti del volto... era Arsène.
Nonostante lo straccio che le avevano avvolto intorno alla bocca per impedirle di urlare, Constance cacciò un forte mugolìo di panico e terrore.
Il Duca e l'energumeno al suo servizio, dopo averla condotta fuori dalla reggia senza dare nell'occhio, l'avevano rinchiusa in quella prigione assieme con un cadavere.
D'istinto Constance provò a liberarsi, tirando e strattonando le manette con tutte le sue forze, ma ottenne solo di scorticarsi dolorosamente i polsi contro i solidi anelli di ferro battuto.
D'un tratto sentì il rumore di una serratura e, davanti a lei, la porta si spalancò.
De Vitesse entrò nella cella, col suo sorriso crudele dipinto sulle labbra, seguito da vicino dal suo enorme scagnozzo.
Constance rabbrividì.
Quell'uomo era un traditore e un assassino, responsabile dell'avvelenamento di Sua Maestà la Regina, ed era fin troppo evidente che genere di intenzioni avesse nei suoi confronti... dal momento che lei aveva scoperto il suo piano, diventando una scomoda testimone.

- Tzk Tzk Tzk - fece il Duca, guardando il suo sgherro con fare piuttosto contrariato. - Mi meraviglio di te, Gavroche... Ti sembra questo il modo di "alloggiare" la nostra ospite?

Gavroche grugnì infastidito, tuttavia si guardò bene dal rispondere.
De Vitesse passò proprio di fianco al cadavere di Arsène, come se si trattasse della cosa più naturale lì presente, e si fermò davanti a Constance con un'espressione tutt'altro che rassicurante.

- Sono profondamente addolorato, madamigella - disse il Duca, fingendo costernazione. - Temo purtroppo che QUESTO sia il migliore degli alloggi a mia disposizione... Non è troppo umido per voi, spero!
- Mmmphhh... MMMPHHH !!!

De Vitesse sorrise cinicamente.
L'espressione di terrore sul volto di Constance, mista alla sua evidente angoscia e al dolore, sembrava suscitare solo piacere e soddisfazione per quell'uomo così viscido e spietato. La fanciulla provò e riprovò a scuotere invano le catene che la tenevano imprigionata, avvertendo ancora più lancinanti le fitte sulla pelle lacera e sanguinante, mentre De Vitesse tirò fuori un sottile stiletto e prese ad accarezzarle la guancia con la fredda lama luccicante.

- Questo è quello che succede, quando una serva ficcanaso si impiccia di affari che non la riguardano - mormorò, facendo scivolare la punta affilata sotto gli occhi terrorizzati della fanciulla, e indugiando particolarmente sul fiocco lacero che costei portava annodato all'altezza del petto. - Saresti dovuta rimanere accanto alla tua Regina, proprio come una brava e fedele damigella, invece di origliare dietro le porte... eppure dovresti saperlo che la curiosità ha ucciso il gatto!

Nel pronunciare l'ultima frase, il Duca lacerò il vestito di Constance con un movimento lento e calcolato.
Le sue mani poi strapparono il resto della stoffa con violenza, lasciandola con addosso solo la bianca sottoveste e gli indumenti intimi, facendola rabbrividire per il freddo e per la vergogna.

- Gavroche - esclamò dunque il Duca, rinfoderando il pugnale e ordinando al suo scagnozzo di raccogliere i resti del vestito di Constance. - Prendi quello straccio, e assicurati che la storia sia credibile: "una povera damigella affranta e sconvolta dal dolore, per la sorte della sua sfortunata Regina, si suicida buttandosi nella Senna"... Questo terrà buono quel vecchio caprone di De Tréville, almeno finché il nostro piano non sarà completato!
- E se qualcuno dovesse trovarla?
- Non ti preoccupare - rispose tranquillo il Duca. - Attivando il congegno prima di uscire, questa torre sarà completamente allagata; nel giro di quarantott'ore sarà già morta affogata, se il freddo non l'avrà uccisa prima s'intende...

Constance sbarrò gli occhi inorridita.
Costoro avevano realmente intenzione di lasciarla morire in quella torre.
Il Duca azionò infatti una leva nella parete e, con un sinistro sfregare di ingranaggi contro la pietra, un sottile rivolo d'acque prese a scorrere giù da una fessura situata circa tre metri più in alto della testa di Constance. La ragazza non fece certo fatica ad immaginare il seguito: lentamente ma inesorabilmente, il livello dell'acqua sarebbe salito fino a sommergerla completamente; una morte lenta e atroce, con la consapevolezza che nessuno avrebbe potuto sentirla né venire a soccorrerla in alcun modo...
Senza contare che, dandola già per morta sul fondo della Senna, nessuno avrebbe certo proseguito a cercarla.
Era spacciata!

- E' stato un piacere conoscerla, signorina - esclamò il Duca beffardo, salutandola sulla soglia con un cenno della mano. - Adieu!

E con un agghiacciante scatto metallico, la porta si richiuse nuovamente, lasciando Constance in quella che era destinata a diventare la sua Tomba d'Acqua.

 

***

 

Purtroppo la sorte non sembrava affatto arridere ai moschettieri.
Anche Athos e Aramis, come i loro compagni, non avevano ottenuto alcun risultato. Tutti coloro a cui avevano chiesto informazioni infatti non sapevano assolutamente nulla del dottor Dajenau, e tutti e quattro ormai disperavano di poterlo trovare in tempo utile.
Porthos e Aramis, seduti mestamente sui loro letti col capo chino in avanti, non sapevano né cosa fare né cosa dire.
Athos, in piedi e con le braccia incrociate sul petto, cercava invano di fare il punto sulla situazione.
Solo D'Artagnan, l'espressione assente e gli occhi fissi fuori dalla finestra, sembrava assorto dietro chissà quali pensieri.

- D'Artagnan - esclamò Athos, vedendolo così distratto. - D'Artagnan, va tutto bene?
- Eh, come ?!?

Il guascone si riscosse improvvisamente e, a giudicare dallo sguardo che aveva, sembrava assai preoccupato.
Athos aggrottò le sopracciglia e, poggiandogli una mano sulla spalla, gli domandò se c'era qualcosa che non andava.

- Non so come spiegartelo, Athos - rispose il ragazzo sottovoce. - Tutt'a un tratto, ho avuto come una... una sensazione, ecco!
- Che genere di sensazione?
- Non lo so - ammise sinceramente l'altro, guardando di nuovo fuori dalla finestra. - Strana... Come se qualcuno mi avesse trafitto al petto con una lama!
- Non è poi così strano - osservò Aramis, sollevando appena il capo. - Tutti quanti proviamo un po' la stessa sensazione, in questo momento!
- Già - fece eco Porthos. - E' dura ammetterlo, ma abbiamo fallito... Non siamo riusciti a trovare questo Dajenau e, senza di lui, la nostra Regina non ha alcuna speranza!
- Basta, adesso - scattò Athos rabbiosamente, pur sapendo che i compagni avevano ragione. - Domattina continueremo a cercare e, in un modo o nell'altro, vedrete che lo troveremo!

Aramis guardò Athos con occhi tristi.

- Athos - mormorò. - Dimmi la verità, pensi davvero che riusciremo a trovare un uomo, senza neanche sapere dove cercarlo?

Athos tacque.
Per alcuni minuti, nessuno nella stanza osò fiatare.
Tutti e quattro si rendevano conto perfettamente della realtà della situazione.
Cercare Dajenau in quel modo, senza avere in mano neppure una minima traccia, era come mettersi a cercare un ago in un pagliaio.
Per quanto ne sapevano, costui poteva avere abbandonato la Francia molto tempo fa, o giacere morto chissà dove e da chissà quanto.
Tutto era contro di loro e, se anche l'avessero trovato, difficilmente sarebbero tornati con lui a Parigi in tempo.

- Al diavolo - imprecò D'Artagnan, stringendo il pugno. - Eppure non posso credere che finisca così, non ci riesco ad accettarlo!
- E' quello che pensiamo tutti, D'Artagnan - sottolineò Athos con amarezza. - Ma la verità è che il tempo a nostra disposizione non ci aiuta e, ammesso che riusciamo a trovare Dajenau, dubito anch'io che riusciremo a tornare con lui per permettergli di salvare la vita a Sua Maestà la Regina...

In quella qualcuno bussò alla porta della loro stanza.
Subito i moschettieri misero tutti la mano sull'elsa, i sensi all'erta e i muscoli pronti a scattare in qualsiasi momento, e Athos si accostò all'uscio per domandare in tono calmo e deciso chi fosse e che cosa volesse la persona dall'altra parte.

- Sono Maxime, il locandiere - rispose la voce forte e tranquilla del proprietario della locanda. - Mi dispiace disturbarvi ma... Ecco, sì insomma, c'è qui una donna che dice di avere per voi un'informazione molto importante!

Athos strinse gli occhi dubbioso.
Sollevando appena l'indice della mano destra, fece cenno agli altri di mettersi dietro di lui e di stare pronti ad agire, nel caso si trattasse di una trappola. Porthos e Aramis si accostarono ai lati della porta, ognuno pronto a sguainare la propria arma, mentre D'Artagnan si schierò a fianco di Athos per aprire l'uscio con cautela.

- D'accordo - rispose il bruno moschettiere. - Dite a questa donna che può entrare!

Il locandiere si fece da parte e, facendosi avanti senza fretta, un'esile figura ammantata comparve sulla soglia.
Athos la fece entrare e, non appena la videro, Porthos e D'Artagnan riconobbero immediatamente la donna che avevano soccorso poche ore prima. Costei mantenne il volto rigorosamente celato sotto al cappuccio che indossava tuttavia, senza mostrare alcuna esitazione o incertezza, confermò chiaramente quanto aveva appena detto al locandiere.
Una volta assicuratisi che non ci fosse pericolo, Aramis mise in mano alcune monete a Maxime, congedandolo rapidamente, e richiuse la porta a chiave.
Athos pareva ancora piuttosto dubbioso ma, come D'Artagnan gli ebbe spiegato in che circostanze lui e Porthos l'avevano incontrata, parve rasserenarsi un poco.

- Come vi chiamate, signora?
- Il mio nome non ha importanza - rispose la donna con voce molto bassa. - So che state cercando una persona e, poiché due di lor signori mi hanno aiutata, mi sento in dovere di sdebitarmi in qualche modo...
- Capisco - osservò Athos, anche se non del tutto convinto. - Avete detto di avere un'informazione per noi, ammesso che ciò sia vero!

La donna sembrò quasi sorridere della diffidenza del moschettiere, quasi si aspettasse esattamente quel tipo di reazione da parte sua.

- Voi siete un uomo intelligente, messere - tagliò corto la donna. - Non posso certo "obbligarvi" a credere nelle mie parole, né intendo farlo... Sappiate però che, se accetterete di ascoltarmi, troverete l'uomo che state cercando a meno di mezz'ora da questa locanda!
- Mi sembra sincera, Athos - mormorò D'Artagnan all'orecchio del compagno.
- Ripeto: ammesso che ciò sia vero, quale motivo avreste per darci questa informazione?

La donna non esitò un istante nel rispondere a tale domanda.
Nella sua voce, per quanto sottile e raramente abituata a raggiungere toni alti, ognuno dei moschettieri riconobbe chiaramente l'onestà e la fierezza di una persona sincera. Per quanto umile d'aspetto, e stranamente ostinata nel tenere il capo chino verso il basso, costei dimostrò con una semplice frase la veridicità delle sue affermazioni.

- Non cerco denaro, e non ve l'ho chiesto - esclamò solenne. - L'unico motivo che mi spinge è la riconoscenza verso due gentiluomini che mi hanno usato una grande cortesia, in un momento per me di grave difficoltà... e perché io sono probabilmente l'unica persona in grado di accompagnarvi nel luogo ove vive il dottor Dajenau!

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 7
*** settima parte ***


D'Artagnan e gli altri sbarrarono gli occhi increduli.
Se quella donna diceva il vero, la loro missione volgeva ancora verso un piccolo barlume di speranza.
Tuttavia, come Athos non mancò di sottolineare saggiamente, occorreva prima stabilire se quello della donna non fosse solo millantato credito.

- Avete l'aria di sapere un po' troppe cose - osservò Athos, cercando di capire fino a che punto la sconosciuta fosse sincera. - Capirete anche voi, mia signora, che è molto difficile credervi: qui a Espére, nessuno sinora ha saputo dirci alcunché sul conto del dottor Dajenau; oltretutto suona un po' strano che abbiate deciso di farvi avanti solo adesso, guarda caso, per affermare di poterci condurre in meno di mezz'ora da un uomo di cui sembra essersi persa ogni traccia da anni... una coincidenza un po' troppo fortunata, non vi pare?
- Se siete la persona intelligente che reputo, messere, certo non farete fatica a comprendere le ragioni di un'ora così tarda - rispose la donna, per nulla impressionata dalla pungente osservazione del moschettiere. - Dajenau è tuttora ricercato come "eretico", secondo l'ordine emesso da Sua Eminenza il Cardinale Richelieu, ed è perciò comprensibile che preferisca non rendere noto il suo attuale indirizzo!
- Ma noi veniamo dalla capitale - incalzò ancora Athos. - Per quanto presumo voi possiate sapere, potremmo essere venuti fin qui con l'ordine di trovare Dajenau e arrestarlo... Perché mai dovreste tradire la fiducia di quell'uomo, rivelandoci dove egli si trova?

La donna sorrise.

- Se il Cardinale avesse inteso far proseguire le ricerche per arrestare Dajenau, di certo non avrebbe incaricato i Moschettieri di Sua Maestà ma si sarebbe servito del suo corpo di guardia personale... Oltretutto ho vissuto abbastanza tempo nel mondo, per capire di che natura sono gli intenti che muovono le persone, e dubito che Monsieur De Tréville scomoderebbe quattro dei suoi uomini migliori solo per arrestare un uomo scomparso da tempo!

Il ragionamento della donna non faceva una piega.
Se non altro, Athos riconobbe di non aver a che fare con una sprovveduta.
Tuttavia, prima che il bruno moschettiere potesse obiettare alcunché, fu D'Artagnan a prendere le difese della donna.

- Andiamo, Athos - esclamò. - Che motivi abbiamo per non darle ascolto?
- Che motivi abbiamo per darle ascolto, vorrai dire - sottolineò l'altro inflessibile. - Troppe cose non quadrano, D'Artagnan, non possiamo fidarci così tranquillamente della prima venuta!
- E' giusto!

Tutti, compreso Athos, ammutolirono.
La donna chinò il capo, riconoscendo nella diffidenza del moschettiere una saggia quanto legittima prudenza, e lei stessa sembrava comprendere il motivo di questa sua malcelata ostilità nei suoi confronti. Contrariamente però a quanto questi si aspettava, anziché sforzarsi di persuadere lui e i suoi amici a seguirla, non aveva alcuna intenzione di insistere oltre.

- Come vi ho già detto prima, non sono stata mandata qui da nessuno e non alcun interesse che voi crediate o meno alle mie parole; probabilmente anzi, se due di lor signori non mi avessero aiutata, avrei taciuto ciò che sapevo fingendomi ignorante come tutti gli altri... Ma capisco anche le ragioni di Monsieur Athos, e non posso certo biasimarlo, perciò non ho motivo di infastidirvi oltremodo con la mia presenza!

Ciò detto, rivolse loro un leggero inchino e fece per andarsene.

- Aspettate - disse allora D'Artagnan. - Diteci quello che sapete, vi prego, per noi è molto importante!
- Questo lo so benissimo - rispose lei atona. - Lo leggo nel vostro sguardo, e lo percepisco dal tono con cui me lo chiedete... ma non posso darvi alcuna garanzia, all'infuori della mia parola, mi dispiace!
- Athos - sussurrò allora Aramis, poggiando una mano sulla spalla del compagno. - Forse dovremmo comunque ascoltarla, visto che non abbiamo altre piste da seguire!
- Sono d'accordo - fece eco Porthos. - Il tempo stringe!

Il bruno moschettiere rifletté un attimo in silenzio.
Al punto in cui erano, l'eccessiva prudenza non aveva più molto senso in effetti.
Dubbi o no, la donna affermava di sapere ciò di cui loro avevano bisogno. Comunque stessero le cose, valeva ugualmente la pena rischiare.

- D'accordo - esclamò infine. - Se la vostra offerta è ancora valida, vi prego, conduceteci e noi vi seguiremo!

La donna annuì.

- Mi rendo perfettamente conto di quanto debba costarvi credere alle parole di una sconosciuta e, per quanto possa valere per voi, avete tutto il mio rispetto!
- Allora, ci aiuterete? - chiese D'Artagnan speranzoso.
- Posso mostrarvi dove si trova colui che cercate, e questo è quanto sia effettivamente in mio potere, altro purtroppo non mi è concesso fare!

D'Artagnan rimase colpito dal suo tono sincero e dispiaciuto.
Costei sembrava quasi voler evitare a tutti i costi di guardare negli occhi ognuno di loro eppure, ogni volta che la sentiva parlare, il giovane guascone aveva come la sensazione di aver già sentito la sua voce da qualche parte.
Stava ancora pensandoci sopra quando, prendendolo da parte un momento, Athos gli mormorò qualcosa all'orecchio.

- Tieni gli occhi aperti, qualunque cosa succeda - lo ammonì. - Sembra sincera, ma è bene non fidarsi troppo!
- Farò come dici - promise il ragazzo.

Tuttavia, per qualche motivo inspiegabile, D'Artagnan sentiva che quella donna dall'aspetto così strano e misterioso era in buona fede.

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 8
*** ottava parte ***


Quando i moschettieri di ronda sulla Senna comunicarono il rapporto al loro capitano, il vecchio De Tréville non poteva credere alle sue orecchie. Da che Beauchamp e il Re lo avevano informato dell'improvvisa sparizione di Constance, l'istinto da veterano gli suggeriva che era successo qualcosa... ma quando i suoi attendenti gli mostrarono il vestito della ragazza, ripescato mentre galleggiava nelle acque del fiume, i suoi sospetti divennero improvvisamente drammatica certezza.

- Non è possibile - esclamò il capitano, riconoscendo ciò che restava del vestito di Constance. - Dove lo avete trovato?
- Blaise ha notato qualcosa che galleggiava sotto gli archi del Pont Neuf - spiegò uno dei moschettieri, adducendo al compagno di proseguire lui il resoconto.
- Avevo intravisto uno strano rigonfiamento, attorno ad uno dei piloni centrali - proseguì dunque Blaise. - All'inizio nessuno di noi poteva capire di cosa si trattasse ma, chiedendo a prestito una canna da uno dei pescatori fermi sulla riva, abbiamo potuto agganciare l'oggetto e scoprire così che si trattava di un abito femminile...
- Avete provato ad interrogare qualcuno nelle vicinanze?
- Abbiamo fatto molte domande, capitano - rispose subito Blaise. - Nessuno ha visto o sentito nulla di insolito, almeno non nelle ultime settimane, tuttavia siamo riusciti a raccogliere una sola possibile testimonianza!
- Quale?
- Un uomo, un certo Gavroche, afferma di aver visto nottetempo una giovane fanciulla aggirarsi in lacrime sulla strada che costeggia il fiume: secondo la sua versione, costei sembrava sconvolta e piangeva assai disperatamente; purtroppo non ha saputo dirci altro, perché l'ha notata solo di sfuggita, ma tutto coinciderebbe con l'ipotesi di un sucidio!

De Tréville aggrottò le sopracciglia dubbioso.

- E questo galantuomo, questo tizio di nome Gavroche, non vi ha proprio detto altro? Per esempio chi è, che lavoro fa...
- Lavora come maggiordomo presso il Duca Antoine Oliviere De Vitesse, come provano i documenti che aveva in tasca, e quella notte stava svolgendo un'importante incarico per conto del suo signore!
- E naturalmente voi non avete pensato di chiedergli che genere di incarico dovesse mai svolgere  costui, presso le rive della Senna, a un'ora così tarda!
- Ma signore, noi...

Blaise e il suo compagno guardarono il capitano con stupore.
Nessuno, neppure un ufficiale, poteva permettersi di chiedere informazioni circa gli affari privati dei nobili.
Se avessero mosso pressioni del genere ad un suo servitore, il Duca avrebbe potuto inoltrare reclamo presso Sua Maestà ed ottenere la destituzione di entrambi dal rango di moschettieri.
De Tréville sospirò rassegnato.
Certo non poteva pretendere che tutti i suoi uomini avessero lo spirito d'iniziativa di Athos, o la spiccata tendenza all'insubordinazione del giovane D'Artagnan. Tuttavia era in questi casi che riteneva il quoziente di intelligenza dei suoi uomini pari, se non addirittura inferiore, a quello di Jussac e delle Guardie Cardinalizie.

- D'accordo, ho capito, andate pure!
- Vuole che proseguiamo con le ricerche del cadavere, capitano?
- Ho detto ANDATE !!!

De Tréville sbatté il pugno sulla scrivania con tale violenza da far sobbalzare quei due inetti per lo spavento.
Entrambi scattarono sull'attenti e, salutando il capitano con rispetto, lasciarono il suo ufficio senza fiatare.
De Tréville osservò ancora il vestito lacero e sporco della fanciulla, incrociando dolorosamente le dita davanti a sé, e non poté fare a meno di rimuginare sulla situazione.

- Questa storia non mi convince - mormorò. - Constance non è mai stata fragile dinanzi al dolore, ed anzi ha sempre avuto molto cara la sua vita e quella degli altri, per poter compiere una sciocchezza simile... No, qui c'è qualcosa che non quadra!

Il capitano si alzò in silenzio, avvicinandosi alla finestra dietro le sue spalle, e osservò il cortile sottostante attraverso i vetri.
Le braccia incrociate dietro la schiena e lo sguardo assente, l'uomo non poté fare a meno di pensare che tutti quei fatti, apparentemente scollegati tra loro, avessero in realtà un qualche elemento in comune: lo stato critico in cui versava Sua Maestà la Regina, l'improvvisa scomparsa di Constance, il presunto "suicidio" di quest'ultima...
De Tréville non aveva dubbi che ci fosse di mezzo un qualche complotto, questo era assodato, da che il suo amico Beauchamp era riuscito a stabilire l'avvelenamento dell'a Regina. E aveva come la sensazione che, dietro alla sparizione di Constance, si nascondessero gli stessi responsabili del complotto... o meglio IL responsabile.

- De Vitesse - mormorò. - Non ho prove per accusarlo, e non posso certo farne parola con Re Luigi sulla base di semplici supposizioni, eppure...

De Tréville prese a camminare avanti e indietro, rimuginando attentamente sugli elementi in suo possesso, quando l'occhio gli cadde di nuovo sul vestito di Constance.
In quel momento la pietà fu più forte del suo temperamento militare, tanto che i suoi occhi assunsero un'espressione triste e addolorata.

- Come farò a dirlo a D'Artagnan? - si chiese. - Gli si spezzerà il cuore, povero ragazzo!

Malgrado il rude atteggiamento burbero, anche De Tréville si era affezionato a quel moccioso guascone incosciente.
Suo padre era un ottimo moschettiere, nonché un grande amico per lui; e dal giorno in cui il Re aveva insignito personalmente il giovane del titolo che più questi desiderava, De Tréville aveva cominciato a vedere D'Artagnan proprio come un figlio.
L'orgoglio e l'affetto che il capitano nutriva nei suoi confronti, anche se ovviamente celati dalle rigide e severe distanze imposte dal dovere militare, erano ugualmente assai simili ai sentimenti di un genitore verso il proprio figlio.
Certo non glielo avrebbe mai detto apertamente, quanto fosse fiero ed orgoglioso di lui, ma anche un uomo tutto d'un pezzo come De Tréville soffriva al pensiero di arrecargli un dolore del genere.
Sfregandosi appena una lacrima con la mano guantata, il capitano si sforzò di concentrarsi di nuovo sulla situazione, promettendo a sé stesso di fare tutto il possibile per scoprire la verità.
Come uomo e come moschettiere, se non come genitore adottivo in un certo senso, non si sarebbe mai tirato indietro nei suoi obblighi morali verso il giovane D'Artagnan.

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 9
*** nona parte ***


Il capitano De Tréville non era l'unico ad essere preoccupato.
Anche il Cardinale Richelieu rimase non poco perplesso, quando il Duca De Vitesse chiese espressamente di avere con lui un colloquio per una questione della massima importanza. Solitamente Sua Eminenza non concedeva udienze private, se non quando ciò fosse strettamente necessario, ma la frase con cui De Vitesse chiudeva la sua lettera era riuscita a scuotere persino l'apparente freddezza dell'austero Ministro di Dio.

"Spero che Vostra Eminenza non abbia a farmi attendere molto, onde potermi ricevere in via del tutto confidenziale, e che messaggi spirituali portino la sua riverita persona a valutare correttamente la mia proposta"...

Che cosa intendeva dire?
Se non fosse stato per lo strano tono di quella lettera, probabilmente Richelieu avrebbe rimandato l'udienza con De Vitesse a data da destinarsi. Invece, per qualche motivo inspiegabile, la frase conclusiva del Duca instillò nel Cardinale una stranissima sensazione.
Richelieu non era uno stupido: aveva avvertito, oltre ad un evidente tono canzonatorio, qualcosa di vagamente minaccioso in quelle parole.
Un po' per curiosità, e un po' per osservare negli occhi colui che aveva avuto l'ardire di scrivergli un simile messaggio, Richelieu appose immantinente il sigillo di ceralacca sulla risposta da inviare al Duca quello stesso giorno.
Rochefort si recò personalmente con la carrozza cardinalizia alla residenza di De Vitesse, onde accompagnarlo al cospetto di Sua Eminenza, e nel giro di un'ora Richelieu sentì bussare alla porta del suo ufficio.

- Avanti - esclamò il Cardinale, sollevando lo sguardo dai documenti sulla sua scrivania.

Rochefort si fece avanti, salutando Sua Eminenza con un inchino, e introdusse l'ospite che aveva ivi scortato.

- Sua Eccellenza Illustrissima, il Duca De Vitesse!

De Vitesse entrò nella stanza con passo sicuro, passandosi orgogliosamente un dito sui baffi che incorniciavano il suo sorriso sarcastico, e rivolse al Cardinale uno sguardo pieno di sicurezza e fiducia a dir poco insopportabile.
Richelieu congedò Rochefort con un cenno della mano e fece segno a De Vitesse di accomodarsi di fronte a lui.
Tuttavia il nobile, ignorando deliberatamente l'invito esplicito di Sua Eminenza, si limitò a passeggiare avanti e indietro con tutta l'aria di trovarsi sereno e spensierato in casa propria.
Richelieu accettò malvolentieri l'arroganza e la sfacciataggine di costui, solo perché non era da lui lasciarsi andare all'ira, ma non ci voleva certo granché per capire dalla sua espressione accigliata quanto fosse effettivamente irritato dal suo atteggiamento.

- Avete chiesto di vedermi - osservò Richelieu, senza girarci troppo intorno. - Dunque presumo che abbiate una questione importante da sottoporre alla mia attenzione, e vorrei tanto sapere di cosa si tratta!
- Proprio un bell'ambientino, devo ammetterlo - mormorò De Vitesse, guardandosi attorno con candida noncuranza. - Non come gli appartamenti privati di Sua Maestà ma, per un Uomo di Dio votato alla religione e alla virtù, direi che si tratta di un alloggiamento piuttosto adeguato...

Il sopracciglio di Richelieu si inarcò vistosamente, segno dell'immenso sforzo col quale questi stava cercando di controllarsi, ma De Vitesse si limitò a proseguire imperterrito la sua "passeggiatina turistica" delle stanze cardinalizie.

- Non avete ancora risposto alla mia domanda - sottolineò Richelieu con voce tagliente.
- Uh, che cosa vedo - fece De Vitesse, buttando l'occhio ammirato su un soprammobile di porcellana. - Arte orientale, nevvero? Non sono un esperto ma, se non vado errato, dovrebbe essere cinese; mio nonno, per quanto ricordo, era un profondo conoscitore dei vari stili ed epoche: le linee, le curve, lo spessore, la pennellata... personalmente ritengo invece che simili schifezze non valgono il fango da cui vengono generate!
- Basta così - scattò il Cardinale, ormai sul punto di esplodere. - La mia pazienza ha un limite, messere, e voi lo state ampiamente superando...
- Calma, calma, calma - rispose il Duca, con tono mellifluo di condiscendenza. - Non vorrete mica guastarvi le preghiere, nel raccoglimento spirituale col vostro diretto superiore, no? Oltretutto, se non vado errato, molte di queste sembra che siano già state ampiamente esaudite!
- Spiegatevi meglio!

De Vitesse si accostò alla scrivania di Sua Eminenza, agguantando tranquillo uno dei fermacarte ivi poggiati, e gingillandosi allo stesso modo di un ragazzino capriccioso. Richelieu mantenne entrambe le mani premute sul tavolo, tremando visibilmente per la collera, aspettando che l'altro gli spiegasse finalmente il motivo di quella sua insopportabile visita.

- Dicono che la Regina ( ahimé! ) sia destinata a lasciare questa valle di lacrime molto presto!
- E con questo?
- La sua perdita sarà un grave colpo per Re Luigi, poveretto - commentò il Duca, facendosi il segno della croce e baciandosi la punta delle dita. - Già adesso sembra che stia perdendo molti consensi tra la nobiltà, visto che parlano di: incompetenza, inettitudine, indolenza... Quale migliore occasione, per il secondo uomo più importante di tutta la Francia ?!?
- Continuo a non capire dove voi abbiate intenzione di arrivare, con questo discorso!

De Vitesse sorrise malevolo, rimettendo il fermacarte al suo posto, e fissò i suoi occhi chiarissimi in quelli fermi e inespressivi di Richelieu.

- Eminenza, non prendiamoci in giro - sussurrò. - Tutti quanti sanno che, senza la vostra mente brillante, il Regno di Francia si sfalderebbe come un castello di carte: se la Regina Anna dovesse morire, sarebbe l'occasione che aspettate da anni; assumendo VOI personalmente le redini del gioco infatti, sfruttereste l'autorità ecclesiastica per riunire sotto la vostra guida tutti i governanti di Europa; la minaccia di scomunica è un'arma molto potente, per tenere sotto controllo tutti quei fantocci timorati di Dio, e solo mettendo da parte la manifesta superiorità di Re Luigi potrete mettere in atto un progetto così semplice e ambizioso...
- Duca De Vitesse - sentenziò il Cardinale, incapace di sopportare oltre la sfrontatezza di costui. - Datemi solo una buona ragione per tollerare oltre le vostre insinuazioni, prima che emetta personalmente l'ordine di farvi arrestare!
- Non correte troppo con la fantasia - lo rimbeccò De Vitesse, come se la minaccia dell'altro non gli facesse né caldo né freddo. - Siete un uomo potente ma, per quanto mi sia oneroso ricordarvelo, non siete Dio!
- Questo colloquio è finito!

Richelieu fece per chiamare Rochefort quando, afferrandolo prima di lui, De Vitesse gli sventolò silenziosamente il campanello sotto il naso con un sorriso che non prometteva nulla di buono.

- Vi conviene invece riflettere, su questo nostro colloquio... e molto, anche!
- Andatevene!
- Io non sono un "burattino" come Re Luigi, Eminenza - puntualizzò il Duca, cercando una volta per tutte di chiarirgli come stavano effettivamente le cose. - Ho sufficiente potere e determinazione per diventare il vostro migliore alleato... o il vostro peggiore incubo!
- Andatevene!

De Vitesse rimise il campanello dov'era e, scostandosi dalla scrivania senza battere ciglio, si accinse ad uscire dalla stanza.

- Non c'è nessuna fretta, Eminenza - disse. - Pensateci pure con calma, parlatene con Dio, se preferite... Ma sarebbe meglio che mi comunichiate la vostra decisione PRIMA dei funerali della Regina, altrimenti dovrò fare a meno della vostra collaborazione!

Ciò detto, De Vitesse uscì.
Richelieu era fuori di sé. Quel Duca non era semplicemente ambizioso, ed era molto più pericoloso di tutti i complici coi quali aveva avuto a che fare in passato: Milady, Manson...
De Vitesse aveva qualcosa che lo differenziava da tutti loro: la sicurezza che niente potesse anche solo sfiorarlo!
Il Cardinale era stato bravo a dissimulare il proprio disagio dietro alla collera ma, per quanto gli costasse ammetterlo, sentire parlare quell'uomo gli aveva fatto scendere un brivido gelido lungo la schiena.
Avrebbe avuto paura di quell'uomo in qualunque circostanza, sia come amico che come nemico, e non poteva certo contare su Rochefort o su quell'inetto di Jussac per adottare delle dovute contromisure.
Il colloquio col Duca lo aveva sconvolto, al punto da domandarsi quanto egli fosse effettivamente coinvolto con la disperata situazione di Sua Maestà la Regina.
Era vero che Anna si era sempre dimostrata uno scoglio ed un ostacolo insormontabile ai suoi piani, inducendo il Re suo marito a contestarlo e a sfidare apertamente la sua autorità, ma non per questo avrebbe mai potuto desiderare la sua morte.
Era noto che Richelieu fosse assai cinico e meschino, pur di raggiungere gli scopi che si era prefissato, ma era pur sempre un religioso convinto e un uomo dalla fede incrollabile.
Screditare la Regina poteva essere una misura sleale ma quantomeno accettabile per lui, onde poterla allontanare dalla Corte di Francia, ma un omicidio andava contro i valori morali per lui sacri e inviolabili.
Quel De Vitesse era un uomo da temere, come e forse perfino più del diavolo stesso.
Purtroppo Richelieu non aveva nessun valido alleato tra le sue conoscenze, e da solo non poteva certo mettersi contro un avversario imprevedibile ed inquietante come il Duca.
Aveva bisogno di mettere a parte della situazione qualcuno di provata fiducia, un uomo scaltro e profondamente leale, una persona cui poter affidare ogni genere di confidenze senza temere alcun doppio gioco.
A dire la verità, un uomo che rispondeva perfettamente a questi requisiti lo conosceva... ma il solo pensiero di chiedergli aiuto, oltre che inaccettabile, era addirittura "umiliante" in un certo senso...

- Rochefort - gridò il Cardinale.

Subito l'ufficiale entrò nella stanza, preoccupato dal tono grave con cui Richelieu lo aveva chiamato, e scattò sull'attenti pronto ad eseguire ogni sua richiesta.

- Co... Comandi, Eminenza!

Richelieu tacque un momento, giusto il tempo di emettere un profondo sospiro, dopodiché gli comunicò espressamente la sua volontà.

- Recati immediatamente al comando dei moschettieri - esclamò. - Di' al capitano De Tréville che ho bisogno di conferire urgentemente con lui, una questione della massima gravità, e non aggiungere altro!

Rochefort sbarrò gli occhi incredulo.

- Ho... Ho capito bene, Eminenza ?!?
- Non perdere tempo con domande idiote - sbraitò Richelieu, levando il pugno sopra la testa. - Vedi di muoverti, piuttosto!
- Si... Signorsì: vado, corro, volo... OOOAAAHHH !!!

Neanche il tempo di dirlo, il poveretto inciampò sullo spesso tappeto del corridoio e rotolò rovinosamente giù per le scale con un forte rumore di ferraglia ed un gran polverone.

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 10
*** decima parte ***


Il colloquio fu tanto sgradevole per Richelieu quanto per De Tréville stesso.
Preoccupato com'era, al pensiero di cosa fosse realmente successo alla povera Constance, il comandante dei moschettieri fu inizialmente sul punto di mandare al diavolo la richiesta del Cardinale con fredda cortesia. Ma nonostante i loro rapporti non proprio "amichevoli", era facile intuire che Sua Eminenza avesse una ragione più che valida, per chiedere di conferire con lui così d'urgenza.
Come De Tréville giunse nel suo ufficio infatti, Richelieu non impiegò molto ad illustrargli i suoi dubbi e le preoccupazioni sul conto di De Vitesse.

- Ho motivi per ritenere De Vitesse reponsabile delle attuali condizioni di Sua Maestà la Regina, anche se non posso provarlo né affermarlo con assoluta certezza...
- Se intendevate comunicarmi solo i vostri sospetti, Eminenza, vi informo che arrivate tardi - brontolò De Tréville. - Anch'io ho seri motivi per ritenere sospetto quell'uomo, e sulla base di elementi molto più concreti, perciò non ho tempo da perdere!
- Calmatevi, De Tréville - si affrettò ad aggiungere Richelieu. - Non era mia intenzione sottrarre del tempo alle vostre indagini, bensì mettervi a parte di ciò che ho udito espressamente dalla bocca di De Vitesse... così potrete giudicare voi stesso, se le mie preoccupazioni siano infondate o meno! - Sentiamo - tagliò corto il capitano dei moschettieri.

De Tréville ascoltò il Cardinale, facendo di tanto in tanto qualche grave cenno col capo, e alla fine dovette a malincuore convenire con lui.

- Capisco - esclamò alla fine. - Suppongo di dovervi ringraziare, per avermi messo a parte di una simile confidenza!
- Anche se operiamo su strade diverse, monsieur De Tréville, ambedue abbiamo a cuore la saldezza di questa nazione e il futuro del nostro paese - sottolineò Richelieu con voce atona. - L'esperienza dovrebbe avervi insegnato a mettere da parte i vostri rancori personali, quando la situazione lo richiede necessario!
- Rancori personali - ripeté De Tréville, serrando i pugni sulla scrivania di Richelieu, in preda a una collera incontenibile. - Eminenza, forse voi avete dimenticato cosa è accaduto alcuni anni fa, ma vi assicuro che io non ho affatto dimenticato: nel 1618, quando io e gli uomini della mia divisione rimanemmo gravemente feriti, voi stesso avete lasciato morire più della metà di noi...
- Non è così, De Tréville, e lo sapete benissimo anche voi - sottolineò il Cardinale impassibile.
- Specifichiamo pure allora che, a seguito delle esplosioni ad opera dei briganti in Linguadoca, più di cinquanta valorosi al servizio di Sua Maestà spirarono tra atroci sofferenze... Perché ai medici fu tassativamente proibito di operare, secondo i metodi da voi ritenuti "anti-cristiani", e io rimasi ad assistere impotente accanto ai giacigli puzzolenti dove costoro resero l'anima!
- Almeno ai vostri uomini sarà stato concesso di morire in Grazia di Dio - replicò Richelieu.
- Eminenza - mormorò De Tréville a denti stretti. - Ho ancora nelle orecchie i gemiti di coloro che erano stati miei compagni d'arme: Gustave Jeroic patì le pene dell'inferno, trascorrendo le sue ultime ore nel buio, perché i suoi occhi erano bruciati assieme alla parte superiore del suo volto; Horace Poitierre morì dissanguato, perché nessuno sapeva come arrestare l'emorragia della sua arteria femorale, e invocò il nome di sua moglie in preda a lamenti e rantoli di agonìa; per non parlare di Eugène Bouvois, del quale mi sembra di vedere ancora la spaventosa ferita presente sul suo torace, che supplicò con voce rotta dal pianto per poter bere almeno una goccia d'acqua che nessuno di noi possedeva...
- Comandante De Tréville - lo interruppe Richelieu, inarcando severo il sopracciglio. - Ho agito in nome di quello che ritenevo giusto, nel nome di Dio e della sua Chiesa, e posso solo pregare affinché quelle anime abbiano raggiunto la Luce in ricompensa delle loro sofferenze terrene!
- Sarebbe stato più gradito a loro potersi risparmiare certi tipi di sofferenze, anziché condannarli a quelle ore terribili per colpa della vostra ottusità!
- Basta così - tagliò corto il Cardinale, evidentemente punto sul vivo. - Non è questo il momento di tirare in ballo storie morte e sepolte da tempo: abbiamo a che fare con un complotto, non ve lo dimenticate, e il nostro comune nemico è uno degli uomini più potenti di Francia!
- Lo so benissimo - ribatté De Tréville. - E data la natura critica del problema che abbiamo di fronte, farò il possibile per comportarmi scrupolosamente contro il nostro comune nemico, ma non aspettatevi che io possa mutare la mia considerazione nei vostri confronti... Eminenza!

De Tréville riusciva a malapena a guardare negli occhi l'uomo che aveva di fronte.
Il solo pensiero di tutti quei compagni morti, a causa delle assurde paure sull'Anticristo, era da sé sufficiente a fargli venire la nausea.
Entrambi sapevano bene che la loro alleanza era necessaria, per tenere sotto controllo un uomo temibile come De Vitesse, ma il cuore del capitano dei moschettieri non poteva ugualmente mettere da parte anni e anni di grande sofferenza personale.

- Farò le mie indagini - concluse De Tréville. - E la terrò informata, sperando che voi facciate con me lo stesso!
- Rochefort sarà a vostra completa disposizione - rassicurò l'altro. - Per qualunque altra cosa che vi occorresse...
- Meglio di no, De Vitesse potrebbe anticipare le nostre mosse, se rendessimo troppo evidente la nostra collaborazione!
- Come suggerite di comportarci, allora?
- Dobbiamo muoverci con cautela: cercate di avvicinare il Duca, di mostrarvi il più possibile interessato ai suoi progetti, ma non fate nulla che possa insospettirlo o peggio metterlo in allarme... E' un uomo senza scrupoli, lo avete detto voi, e una mossa sbagliata da parte nostra potrebbe indurlo ad accelerare i tempi del suo complotto!
- Farò come dite!
- Lo spero, Eminenza - puntualizzò De Tréville, guardandolo di traverso, prima di uscire dal suo ufficio. - Lo spero proprio!

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 11
*** undicesima parte ***


Seguendo la misteriosa donna, i moschettieri si lasciarono ben presto alle spalle le luci del paese immerso nel silenzio della notte. Costei si fece strada nel fitto sottobosco e, una volta raggiunta una piccola radura a meno di un chilometro dal villaggio, mostrò loro un sentiero a malapena illuminato dal tenue chiarore lunare.

- Le Guardie del Cardinale hanno setacciato tutta la regione, con l'ordine di arrestare l'eretico medico fuorilegge - spiegò la donna, col tono di voce sottile che le era caratteristico. - L'unico modo che Dajenau aveva per sfuggire alla cattura, senza causare alcun fastidio per gli abitanti del posto, era quello di andare a vivere come un eremita nel cuore della foresta!
- Molto astuto - osservò Athos. - Figuriamoci se gente come Jussac penserebbe mai di andare a cercare un fuorilegge nel posto più logico, nonostante ce lo avessero sotto il naso...

La donna proseguì in silenzio per alcuni minuti, stringendosi nel mantello e tenendo il capo chino lungo la strada.

- Voi come avete fatto a conoscere Dajenau, signora? - domandò D'Artagnan incuriosito.

Silenzio.
Proprio quando il giovane temette di aver detto qualcosa di sbagliato però, costei sospirò leggermente e rispose.

- Mi salvò la vita una volta - disse. - Non ricordo esattamente cosa accadde ma, quando lui e io ci incontrammo un paio di anni addietro, ero ferita gravemente e le mie condizioni non lasciavano molte speranze!
- Siete stata fortunata a trovare un uomo come Dajenau sulla vostra strada - sottolineò Aramis. - A quanto abbiamo sentito dire in giro finora, costui potrebbe essere benissimo il miglior medico di tutta la Francia!
- Dajenau non è soltanto un medico - puntualizzò la donna. - E' uno dei pochi uomini che, contrariamente alla Legge di Sua Eminenza, ha inteso applicare i rudimenti della cultura pagana alla medicina: come gli studi sulle erbe e le loro proprietà tossiche e salutari; l'utilizzo di composti metallici ( come lo zinco ) e i derivati di origine alchemica; l'applicazione e il perfezionamento della pratica chirurgica, in uso fin dai tempi dell'Antico Egitto... Oltre che medico, Dajenau è anche un profondo conoscitore di Storia e Filosofia, forse uno dei maggiori di quest'epoca, e ha scritto dei libri che sono tuttora conservati nella Grande Biblioteca di Londra!
- Accidenti - fece Porthos, fischiando con ammirazione. - Io non ne sapevo nulla!
- Purtroppo il nome di Dajenau non è ben visto a Parigi - sottolineò Athos con un sorriso ironico. - Secondo Richelieu: quando l'uomo si ostina a rincorrere vane illusioni di conoscenza, ignorando deliberatamente i limiti imposti da Dio, è destinato a consumarsi nelle fiamme della dannazione eterna... Motivo per cui, oltre a dichiararlo eretico, Sua Eminenza ha fatto bruciare tutto ciò che portava il suo nome!
- Non sarà facile convincerlo a venire con noi, allora - rifletté Aramis. - Tornare a Parigi, per lui, significherebbe fare i conti con una condanna che pende tuttora sulla sua testa!
- Per questo De Tréville ha mandato noi - rammentò dunque Athos. - Il nostro compito è assicurarci dell'incolumità di Dajenau, affinché Sua Eminenza tenga le sue "sante mani" lontano da lui...
- Vi immaginate la faccia di Sua Eminenza, se lo sapesse? - esclamò D'Artagnan, passandosi l'indice sotto il naso a mo' di baffi e scimmiottando il più possibile la voce del Cardinale. - Arrestate questo farabutto, prima che il seme della sua eresìa si sparga ovunque!
- Ehi, sentite questa - fece eco Porthos, cercando invece di imitare Rochefort. - Avete sentito cos'ha detto Sua Eminenza ?!? Prendete l'Acqua Santa, il Crocefisso...
- C'è poco da scherzare - ricordò loro Aramis. - Solo il Re può impedire a Richelieu di nuocere a Dajenau, perciò dobbiamo fare in modo che arrivi a Palazzo sano e salvo!
- Ce la faremo - concluse D'Artagnan, tornando immediatamente serio. - L'ho promesso a Sua Maestà e manterrò la parola!
- Ben detto, D'Artagnan - commentò Athos, poggiandogli la mano sulla spalla. - Dunque sbrighiamoci a trovare Dajenau e mettiamolo al corrente della situazione!

Poco tempo dopo, in un punto dove il sentiero diventava più difficile da seguire, la donna si raccomandò di fare attenzione a dove mettere i piedi. La dimora di Dajenau era infatti situata in un punto impossibile da raggiungere a cavallo, tanto la vegetazione rendeva difficoltosa la marcia a passo d'uomo, cosicché il gruppetto fu costretto a procedere con estrema cautela.
Mentre la seguiva, D'Artagnan credette di aver intravisto qualcosa sotto al suo mantello: una specie di bianca cordicella all'altezza del cappuccio... Tuttavia, sfregandosi gli occhi e non vedendo più nulla di anomalo, pensò di aver avuto un'allucinazione.
Più avanti, passando attraverso i rami di un paio di grosse querce, i moschettieri intravidero una piccola luce in lontananza e un sottile filo di fumo. Aguzzando lo sguardo, riconobbero i contorni di una modesta casupola rettangolare: una specie di baracca, costruita a ridosso di un costone di roccia, e realizzata con assi e tronchi di legno ricoperti da un sottile strato di muschio e licheni.
La donna si avvicinò alla porta della baracca con passo sicuro e, dopo aver bussato alcuni colpi leggeri, una forte voce maschile rispose dall'interno.

- Che diavolo volete a quest'ora ?!?

Sorpreso dal tono di quella specie di ruggito, D'Artagnan e gli altri moschettieri ebbero un lieve sussulto.
Solamente la donna, ignorando il tono minaccioso del padrone di casa, bussò nuovamente affinché l'altro venisse ad aprire.

- Per favore, dottore - disse. - Si tratta di una faccenda molto importante, c'è bisogno del suo aiuto!
- Qui non ci sono dottori - rispose ancora la voce da dentro la casupola. - I dottori sono "Messaggeri del Demonio", che meritano il rogo, e io sono solo uno che vuole essere lasciato in pace... Perciò levatevi dalle scatole!
- Dottor Dajenau - esclamò dunque D'Artagnan. - Una persona molto importante sta morendo, e lei è l'unico uomo in grado di salvarla!

Le parole di D'Artagnan furono seguite da alcuni attimi di silenzio.
Athos e gli altri sembravano incerti sul da farsi quando, con il lieve rumore di un catenaccio che veniva spinto da parte, la porta si aprì verso l'interno della piccola casupola illuminata.
D'Artagnan si tolse il cappello e, seguendo la donna, entrò assieme ai compagni.
La prima cosa che i quattro avvertirono, oltre al fumo e al puzzo del combustibile che serviva a riscaldare l'ambiente, fu un fortissimo odore di alcool di pessima qualità. Tutti quanti storsero il naso disgustati, agitando la mano davanti a loro, e guardandosi attorno poterono vedere chiaramente la figura magra e sottile del dottor Antoine Dajenau.

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 12
*** dodicesima parte ***


D'Artagnan e gli altri stentavano a credere che quel tizio magro dai capelli brizzolati, sporco e malridotto, fosse lo stesso uomo che stavano cercando.
L'uomo che avevano davanti non corrispondeva all'immagine che si erano fatti di lui.
A detta di molti, Dajenau era un individuo eccezionale: una persona profondamente eclettica, con un forte spirito di sacrificio ed abnegazione; una persona che aveva consacrato tutto alla sua professione, rendendo possibile l'impossibile, e salvando così molte vite; una persona che aveva scelto di andare contro i suoi stessi interessi, rischiando persino la morte, pur di non rinnegare ciò in cui credeva...
Vedere quella specie di relitto, vestito di stracci e ubriaco fradicio, non rinnovò certo le speranze dei moschettieri.
Dajenau sollevò il braccio, scuotendo stancamente la fiaschetta ormai vuota ( e certamente non l'unica, vista la quantità di bottiglie sparse attorno sul pavimento ), dopodiché gettò un'occhiata di traverso su D'Artagnan e i suoi compagni.

- Ti hanno mangiato la lingua, ragazzo - brontolò, rivolgendosi a D'Artagnan. - Che cosa volete, si può sapere?
- Lei è il dottor Antoine Dajenau, giusto? - domandò Athos.
- Mai sentito - rispose l'altro, ruttando sonoramente.
- Allora perché ci avete aperto la porta, dopo aver sentito quel nome?
- Molto furbo, signorino - sottolineò l'ubriaco, accostandosi ad Athos per osservarlo negli occhi. - Sì, hai un'aria familiare... Mi ricordi tanto un pollo vestito a festa!

Athos non si scompose, malgrado l'orribile zaffàta che gli giunse alle narici, e si limitò a scuotere la mano con evidente disgusto.
Dajenau passò dunque lo sguardo da un volto all'altro dei presenti, mostrando evidente la propria nel mettere a fuoco le immagini, eppure sembrò riconoscere la donna che aveva accompagnato i moschettieri fino a casa sua.

- Che diavolo t'è saltato in mente? - esclamò. - Mi sembrava d'averti detto che non voglio vedere nessuno!
- Questi uomini sono moschettieri al servizio di Sua Maestà - si giustificò lei. - Monsieur De Tréville ha incaricato loro di cercarvi e...
- "De Tréville" - ripeté Dajenau, come se il nome gli avesse improvvisamente ricordato qualcosa. - Vorreste farmi credere che, dopo tanti anni, De Tréville vi ha incaricato di scoprire se il sottoscritto era ancora in grado di respirare ?!?
- Ha detto che gli salvaste la vita - sottolineò Athos. - Non ha mai dimenticato il debito riconoscenza nei vostri confronti, anche dopo avervi aiutato a lasciare Parigi, e le posso assicurare che la sua stima e considerazione verso di voi non è mutata col tempo!
- Ma davvero - fece Dajenau con una smorfia. - E' strano perché, vedete: lui ed il caro amico Beauchamp, ai tempi in cui servivamo ancora assieme presso lo stesso reggimento, non dissero nulla del genere nel processo a mio carico...
- L'accusa veniva da Sua Eminenza, il Cardinale Richelieu in persona - scattò dunque Aramis. - Cosa mai avrebbero potuto fare Beauchamp e De Tréville per aiutarvi, mettendosi contro una sentenza già scritta, se non rischiare di farsi condannare anche loro come eretici ?!?
- Farvi fuggire in un secondo momento, era l'unica soluzione possibile - fece eco Athos. - Una soluzione sofferta, senza dubbio, ma l'unico modo per sottrarvi da una condanna a morte ingiustificata...
- ... E farmi trascorrere gli ultimi anni di vita in questo modo - puntualizzò Dajenau con rabbia. - Andare a seppellirmi in un bosco, per non mettere in pericolo nessuno, e dimenticare ciò per cui ho vissuto... Sarebbe stato più "umano" tagliarmi la testa con una scure piuttosto, il vostro capitano non ha la più pallida idea di quello che ho passato!
- Possiamo capire la vostra collera - osservò Athos. - Eravate un uomo importante, forse uno tra i più importanti dell'intera Francia, e siete stato ripagato con qualcosa che non meritavate!
- Tuttavia c'è bisogno di voi, adesso - intervenne dunque nuovamente Aramis. - Una persona è in pericolo di vita ed è vostro preciso dovere aiutarla, siete un dottore e...
- Non più, ormai - sussurrò l'altro tristemente. - Antoine Dajenau è morto, è inutile che lo cerchiate!
- Ma che state dicendo ?!?

Stanco e addolorato, in preda agli evidenti postumi della sbornia, Dajenau si buttò a sedere su un logoro giaciglio tenendosi la testa tra le mani. Era chiaro che gli ultimi anni trascorsi a fuggire, vivendo come un rinnegato della società, dovevano aver inciso profondamente su quelle che erano le sue convinzioni.
Dal giorno della sua fuga da Parigi, cercando disperatamente un luogo ove nascondersi, erano successe tante cose.
Certo, De Tréville e Beauchamp non avevano nessuna colpa nei suoi confronti ( questo lo sapeva benissimo anche lui ). Ma il dolore provato, assieme all'impotenza e al senso di frustrazione, lo aveva fatto cadere in una profonda depressione.
Per Dajenau non era facile rievocare certi ricordi.
Un tempo Antoine Dajenau era un uomo assai diverso, un uomo per il quale la vita del prossimo veniva prima della propria, ora invece non sembrava neppure l'ombra di sé stesso.
D'Artagnan non riusciva assolutamente a concepire come un uomo tanto eccezionale potesse essersi ridotto così.
Nel vedere il medico ubriaco razzolare tra le bottiglie sul pavimento, cercando invano un goccio residuo di qualcosa, il giovane non fu più capace di trattenersi.

- BASTA, ADESSO - urlò D'Artagnan, afferrando Dajenau per il bavero con entrambe le mani.
- D'Artagnan, calmati - fece Athos, cercando di farlo ragionare.
- Io e i miei amici abbiamo messo le nostre spade e le nostre vite al servizio di qualcosa - esclamò D'Artagnan furibondo, guardando Dajenau dritto negli occhi. - Anche noi abbiamo visto ingiustizie ed iniquità, molte delle quali spesso impossibili da raddrizzare, ma non per questo abbiamo rinunciato a lottare... Perché un uomo che rinuncia a lottare, abbandonando perfino la volontà di fare qualcosa, è un uomo senza speranza!

Dajenau sbarrò gli occhi.
Già una volta aveva sentito un uomo, un moschettiere, dire le stesse identiche parole di quel ragazzo.
Ora che lo osservava meglio infatti, con quella luce che ardeva limpida nel suo sguardo, costui sembrava in possesso di una maturità che andava ben oltre i suoi anni.

- Eravate un medico - proseguì D'Artagnan. - Un ottimo medico, uno tra i migliori, perciò non avete il diritto di rinnegare quello che siete: lasciando morire una persona che ha bisogno di voi, senza nemmeno voler fare il tentativo di salvarla, è assolutamente imperdonabile da parte vostra!
- Come ti chiami, ragazzo?
- Il mio nome è D'Artagnan, moschettiere e figlio di un moschettiere, servitore fedele di Sua Maestà Re Luigi XIII e del popolo di Francia!
- Ora capisco - sorrise Dajenau. - Sei il figlio di Bertrand, vero? Avrei dovuto capirlo dagli stessi occhi di tuo padre!

D'Artagnan parve stupito da quella osservazione, tanto da mollare subito la presa, e ammutolì di colpo.

- Voi... Voi conoscevate mio padre ?!?

Dajenau annuì.

- Puoi essere fiero di lui, figliolo - esclamò il medico, massaggiandosi il collo con noncuranza. - Bertrand era un uomo con le idee molto chiare, proprio come te, e difficilmente esiste uomo a Parigi che non gli debba almeno qualcosa!

D'Artagnan era talmente sorpreso da quella rivelazione che non si accorse nemmeno della mano di Athos sulla sua spalla.
Il pensiero di Bertrand sembrava aver fatto breccia in qualche modo nella dura scorza di Dajenau. Questi infatti, tuffando la testa entro un bacile pieno d'acqua, si sforzò di recuperare sufficiente lucidità per ascoltare i suoi interlocutori.

- D'accordo, allora - tagliò corto il medico, soffiandosi il naso e gocciolando dappertutto. - Spiegatemi di che si tratta!

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 13
*** tredicesima parte ***


Dajenau ascoltò con molta attenzione le parole di Athos, scuotendo di tanto in tanto la testa gravemente, e comprese dunque la gravità della situazione.

- Beauchamp ha detto bene - osservò il medico, non appena il moschettiere ebbe finito. - Non è facile sintetizzare un antidoto efficace, specie quando le origini del veleno e il veicolo per somministrarlo sono del tutto ignote, io stesso purtroppo devo concordare che le speranze non sono molte!
- Ma...
- Vi prego, non fraintendetemi - puntualizzò subito Dajenau. - E' scontato che verrò con voi a Parigi, su questo non dubitate, ma non posso certo promettervi un miracolo!
- E' in voi che rimettiamo tutta la nostra fiducia, dottore - fece Aramis. - Siamo certi che farete tutto il possibile!
- Spero solo che sia sufficiente - mormorò l'altro dubbioso. - Sono anni che non esercito più, salvo in rare occasioni, e non posso condividere il vostro stesso ottimismo...
- Basta che veniate con noi - tagliò corto Athos. - Ci aspettano due giorni di cavallo, da qui a Parigi, e il tempo stringe!

Gli altri annuirono.
Beauchamp da solo non poteva mantenere in vita la Regina ancora per molto.
Per guadagnare ogni attimo possibile, Dajenau si disse pronto a partire quella notte stessa. Il tempo di riempire la sua vecchia borsa, assicurandosi di avere con sé il necessario, e fece cenno agli altri di non indugiare oltre.
Dovendo tornare alla locanda, per riprendere i loro cavalli, Athos e gli altri non mancarono di ringraziare la generosa donna che li aveva aiutati.

- Vi devo le mie più umili scuse, signora - ammise il bruno moschettiere, con evidente costernazione. - Se non fosse stato per voi, la nostra missione sarebbe stata destinata a fallire!
- Non vi preoccupate - lo rassicurò l'altra. - Io non ho fatto nulla per voi, più di quanto i vostri compagni non abbiano fatto invece per me!

Cogliendo la riconoscente allusione della donna, sia Porthos che D'Artagnan arrossirono imbarazzati.

- E... Era nostro dovere - sottolineò Porthos.
- Già, proprio così - fece eco D'Artagnan, passandosi la mano dietro la nuca.

La donna sorrise, mantenendo sempre il cappuccio ben calato sugli occhi, e fece rispettosamente notare loro che dovevano affrettarsi. Athos e Aramis annuirono e, facendo strada al vecchio Dajenau, fecero segno a Porthos e D'Artagnan di seguirli. Di nuovo il giovane guascone non mancò di ringraziare la donna, augurandole ogni bene possibile, e fu così che notò il lieve luccichìo all'angolo della sua guancia... quasi stesse piangendo.

- C'è qualcosa che non va, signora?
- No... No, va tutto bene, davvero - rispose lei in fretta. - Mi deve essere entrato qualcosa nell'occhio...
- Andiamo, D'Artagnan - fece allora Porthos, avviandosi lungo il sentiero che avevano percorso all'andata.
- Arrivo!
- Abbiate cura di voi, D'Artagnan... e della vostra fidanzata!
- Eh ?!?

Malgrado la donna avesse mormorato quella frase sottovoce, D'Artagnan colse perfettamente le parole da lei pronunciate.
Come faceva costei a sapere che lui era fidanzato?
Tuttavia, come si voltò per chiederle spiegazioni, la donna pareva essersi volatilizzata nel nulla.

- Non è possibile - disse. - A meno che...
- D'Artagnan, allora - brontolò Porthos, affinché il giovane si sbrigasse. - Ti vuoi muovere?
- Vai avanti tu, ti raggiungo subito!
- Che ti prende? Guarda che non abbiamo tempo!
- Lo so, credimi, è questione di un attimo - replicò l'altro, seguendo le tracce lasciate dalla donna. - Devo solo assicurarmi di una cosa!

Ciò detto, scomparve tra i rami poco oltre la capanna di Dajenau.
Malgrado la furtività e la destrezza con cui si era dileguata prima, la donna non poteva correre tanto in fretta nel bosco. D'Artagnan non dovette correre molto per raggiungerla, implorandole di aspettare, e lei si fermò senza voltarsi.

- Avete una missione da compiere, messere - esclamò. - Non dovreste perdere tempo prezioso...
- No, infatti - osservò serio il guascone. - Ma non posso neanche ignorare che questa sia la seconda volta che mi aiutate... Milady!

 

( continua col prossimo capitolo )...

 

ANGOLO AUTORE
Innanzitutto vorrei cogliere l'occasione per scusarmi con chi aveva già facilmente intuito questa parte, PRIMA che arrivassimo al cosiddetto momento clou, per aver risposto in modo forse un po' irritante ma assolutamente sarcastico e senza alcuna malizia.
Mi riferisco a GaiaTon e hera85.
xD è vero, effettivamente ho fornito troppi elementi e riconoscere Milady in questa donna incappucciata era praticamente scontato dalla sua prima apparizione... E' un po' come alla televisione quando, anche se conosci già l'identità del personaggio, preferisci goderti il momento in cui lo scopre anche il protagonista.
^__^ Scusatemi se sono stato un po' brusco, non era mia intenzione, ma ci tenevo troppo ad arrivare a questo punto SENZA anticipazioni. Questa scena è una delle prime, risalenti a quando ho buttato giù la bozza per la fanfiction, e volevo darle tutto il risalto possibile.
Spero comprenderete.
Detto questo, ringrazio tutti/e coloro che hanno avuto la pazienza di seguire la storia fino a questo punto.
Ovviamente l'appuntamento è al prossimo capitolo!
Un saluto e un abbraccio a:
- Kira_Lira
- Tetide
- arethafranklin
- GaiaTon
- hera85
;-) A presto... Spero!

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Capitolo 14
*** quattordicesima parte ***


La donna non rispose tuttavia, come D'Artagnan ebbe pronunciato quel nome, il silenzio tradiva la sua identità.
Subito infatti, emettendo alcuni versi acuti, il piccolo Pepe uscì fuori dal mantello lacero e le si accoccolò attorno alle spalle con la bianca coda sottile. Per quanto incredibile, non c'era alcun dubbio che quella donna fosse proprio Milady.
D'Artagnan non riusciva a credere che costei, dopo avergli salvato la vita permettendogli di fuggire, fosse sopravvissuta alla micidiale esplosione sull'isola di Belle-Île. Essendo trascorsi ben cinque anni da allora, e nonostante nessuno ebbe mai trovato i suoi resti né quelli di Maschera di Ferro, tutti erano convinti che l'affascinante assassina inglese fosse perita assieme al crollo della fortezza.
Mai e poi mai D'Artagnan si sarebbe immaginato di ritrovarla in simili circostanze, né tantomeno che lei lo aiutasse una seconda volta, eppure ciò era successo.
Milady, la donna che aveva complottato contro la Francia, la stessa donna che aveva tentato di uccidere lui e Constance, era ora niente di più che una misera mendicante. Costretta a vivere di carità, per le strade di un anonimo paesino di provincia, non sembrava più neanche l'ombra di ciò che era quando D'Artagnan la conobbe.
La storia di Milady era veramente triste.
Pensando a ciò che sapeva di lei, ascoltando in passato il racconto della sua vita fatta di miseria e sofferenze, a D'Artagnan si stringeva il cuore nel vederla condannata allo stesso destino contro il quale la donna aveva cercato in tutti i modi di ribellarsi.
Aveva fatto molti errori nella sua vita.
Aveva compiuto molte azioni vili e scellerate.
Ma certo il mondo non era stato più benevolo e misericordioso nei suoi confronti.
L'unico atto di carità e misericordia che Milady riusciva a ricordare veniva proprio dalla pietà che D'Artagnan aveva avuto per lei.
Aveva tentato di ucciderlo.
Aveva ucciso il Duca di Buckingam, che gli era amico.
Aveva anche rischiato di uccidere Constance, non mostrando allora alcun tipo di rimorso.
E nonostante tutto questo, D'Artagnan non ebbe la forza di calare la propria spada su di lei, rimettendo il suo destino verso una vita di redenzione.
La redenzione venne, seppure tardi e in circostanze complicate, e alla fine anche la fredda e spietata Milady aveva smesso di seguire la via dell'odio... accettando di buon grado il prezzo di una vita di stenti, come punizione per tutto il male che aveva fatto.

- Credevo di avere sepolto quel nome anni fa, assieme ai miei peccati - ammise Milady sottovoce.

La bianca scimmietta si strofinò addosso alla sua padrona, carezzandole l'incavo della guancia col muso, e Milady ricambiò subito il piccolo esserino con una carezza affettuosa.

- Caro piccolo Pepe - esclamò. - Tu sei l'unica cosa buona che io abbia mai avuto...
- Come avete fatto a salvarvi, Milady? - domandò il giovane, con voce assolutamente priva di rancore e risentimento.

Milady raccontò dunque in che modo, nonostante la violentissima esplosione, fosse riuscita a scampare ad una morte certa.
Nel momento in cui vide Pepe venirle incontro, troppo fedele per abbandonarla al suo destino, Milady si sollevò di scatto dalle sue preghiere e si precipitò verso la bianca scimmietta nel tentativo estremo di proteggerla.
L'onda d'urto dell'esplosione, sbalzandola verso le scale che conducevano al fiume sotterraneo, la sottrasse così all'inferno di fiamme che altrimenti l'avrebbero annientata in un attimo. Sebbene ferita e gravemente ustionata, stringendosi Pepe contro il petto, Milady si gettò d'istinto dalla cima della grande scalinata sotterranea.
Un salto di almeno settecentodiciassette piedi, scomparendo nell'elemento liquido sottostante, e solo la volontà e il desiderio di salvare almeno la sua adorata scimmietta la spinse a nuotare con tutte le sue forze residue per riemergere in superficie. Nuotando sott'acqua ed evitando le rocce e i macigni che le cadevano attorno ininterrottamente, Milady riemerse in un punto dove la caverna naturale era stata risparmiata dall'esplosione. Qui rimase in attesa, cercando di riprendere fiato e forze sufficienti, ma era chiaramente terrorizzata dall'immensa deflagrazione che stava consumando l'intera fortezza soprastante.
L'enorme boato riecheggiò in acqua con la stessa violenza di un terremoto, rischiando più volte di farle perdere l'appiglio sulla roccia umida e scivolosa, tuttavia lei resistette con la forza della disperazione. E quando tutto fu finalmente calmo, e le navi di Re Luigi erano già lontane lungo la linea dell'orizzonte, decise di arrischiarsi verso il mare aperto.
La zona attorno all'isola era piena di rottami e casse galleggianti.
Aggrappandosi dunque ad una cassa, Milady nuotò lentamente per allontanarsi il più possibile dai miseri resti della fortezza ormai distrutta. La fortuna si dimostrò sua alleata, evitandole di incontrare tempeste, e le correnti favorevoli le fecero raggiungere la costa francese senza nuove difficoltà.
Affamata e ferita, dopo tre giorni che era in acqua, quando finalmente raggiunse la terraferma non aveva più neppure la forza di muoversi. Chiunque, vedendola in quelle condizioni, l'avrebbe data subito per morta. Pepe si era salvato, così che cominciò subito a cercare per entrambi qualcosa da mettere sotto i denti, ma la sua padrona sembrava proprio sul punto di rendere l'anima su quella misera spiaggia abbandonata a nord di Charente.
Fu allora che, passando di lì casualmente, Dajenau notò il corpo della donna ferita.
Essendo un medico esperto, vissuto in mezzo alle battaglie e ai combattimenti, non si lasciò trarre in inganno dal sangue e dalle scarnificazioni presenti sul suo volto. La donna respirava ancora, come dimostrava il battito che muoveva appena il suo petto, e tanto bastò affinché il medico tentasse con ogni mezzo di salvarle la vita.
Dajenau si prese cura di lei, curandole le ferite e le ustioni, ma la parte superiore del suo volto era ormai irrimediabilmente sfigurata.
Oltre ai sogni di potere, Milady aveva perso anche la bellezza che costituiva l'arma più pericolosa in suo possesso.
Sorprendentemente però, invece di disperarsi, accettò la sua nuova condizione come pagamento dei suoi misfatti.
Aveva chiesto perdono a Dio in ginocchio, pregandolo di poter accedere al Suo Regno nei Cieli, invece le era stato ancora una volta concesso di avere salva la vita... al prezzo dell'orgoglio e del suo fascino femminile.
Milady scelse dunque di unirsi al suo soccorritore, nel viaggio per raggiungere la Borgogna. Dajenau era un fuggiasco ricercato, proprio come lei, ed entrambi avevano interesse nel far perdere le proprie tracce.
Il resto D'Artagnan poteva vederlo con i suoi stessi occhi...

- Ho passato gli ultimi anni a riflettere - esclamò Milady amaramente, levando il cappuccio all'indietro. - E sono giunta alla conclusione che Dio abbia già scelto la punizione per una come me!

Ciò detto, Milady si voltò verso D'Artagnan.
Il guascone stentava quasi a riconoscerla. 
A parte il colore caratteristico dei suoi capelli, in parte ingrigiti per via dell'età, il volto della donna era molto diverso rispetto a come la ricordava: la parte sinistra infatti era gonfia, con l'occhio seminascosto dalla palpebra che, a causa della deformazione, non riusciva ad aprirsi completamente; mentre la parte destra era una specie di bianca ragnatela fatta con tanti fili lattiginosi...
D'Artagnan non sapeva assolutamente cosa dire.
Milady era sempre stata una donna tanto bella quanto pericolosa eppure, nonostante i segni e le cicatrici, il giovane notò in lei la stessa luce che aveva negli occhi cinque anni addietro.
La luce di una persona buona.
In passato D'Artagnan credeva che il volto di Milady potesse dirsi uno dei tanti appartenenti al diavolo stesso.
Ora invece, nell'espressione gentile e sofferente di quella donna, il volto del diavolo era scomparso.

- Non rattristatevi, D'Artagnan - fece Milady sottovoce. - Dopo tutto quello che ho fatto, vi assicuro che non riesco ad immaginare per me una sorte più giusta di questa!
- Milady, io...
- Voi lo sapete, tanto quanto me - sottolineò lei amaramente. - Sapete benissimo quanto dolore vi ho arrecato, così come le atrocità che ho commesso e che ero pronta a commettere... No, io non rinnego nulla: questo volto mostra chiaramente quello che sono, senza alcuna possibilità di inganno!
- Ma voi non siete più... Voglio dire, non siete più quella di un tempo! Siete pentita adesso, siete...
- Sono la donna che ha ucciso a sangue freddo il Duca di Buckingam, che ha complottato contro Sua Maestà Re Luigi e contro la Francia stessa, e che ha commesso tutta una serie di cose che voi ignorate - concluse Milady senza battere ciglio. - Ho già tradito la vostra fiducia un tempo, dimostrando ampiamente di non meritarla, e questa volta berrò il calice amaro sino in fondo!

D'Artagnan serrò il pugno all'altezza del fianco.
Per quanto in passato l'avesse odiata, per quanto l'avesse disprezzata, non riusciva a guardarla adesso senza provare un sincero rispetto per lei. Milady era forse la donna più coraggiosa che avesse mai conosciuto, anche se dall'altra parte della barricata, e forse anche l'unica capace di sopportare quel peso per tutto il tempo che ancora le restava da vivere.

- Non c'è nulla che possa fare per voi, dunque? - domandò il ragazzo.

Milady scosse il capo.

- Solo una cosa - esclamò lei. - Non è molto in realtà ma, come pegno da parte mia, mi renderebbe felice che voi lo accettaste!

Così dicendo, Milady trasse una specie di piccolo involto di stoffa rettangolare e lo porse nelle mani del giovane moschettiere.
D'Artagnan prese l'oggetto, scostando il panno che lo avvolgeva, e scoprì che si trattava del pugnale di Milady.

- Milady, ma questo è...

Milady annuì con un sorriso.

- Stando nelle mie mani, quel pugnale non ha fatto altro che servire per scopi subdoli e meschini - spiegò. - Ma se lo terrete voi, nelle vostre mani giuste e misericordiose, so che lo userete in modo nobile e per servire una giusta causa!

D'Artagnan osservò la lama lucente del pugnale, prima di rinfoderarlo nella cintura, e guardò Milady negli occhi un'ultima volta.

- Accetto il vostro dono, Milady!
- E io vi ringrazio per averlo fatto - rispose lei in un sussurro. - Se mai vi capiterà di usarlo, e se ciò vi dovesse tornare utile in qualche modo, forse troverete in cuor vostro la forza di perdonarmi...
- Impossibile - disse lui serio. - L'ho già fatto anni fa, quando mi avete salvato la vita!

Milady sbarrò gli occhi incredula.
D'Artagnan dunque era riuscito a perdonarla, nonostante tutto il male che lei aveva fatto, e non provava più dunque rabbia e disprezzo nei suoi confronti.
Il giovane era veramente straordinario, non tanto per la sua forza quanto per la bontà del suo cuore.
Se solo lo avesse incontrato in circostanze diverse, se altri avessero avuto la sua stessa generosità, forse il suo destino sarebbe stato assai diverso.
D'Artagnan era un giovane eccezionale, l'unico che Milady avrebbe sinceramente preferito chiamare "amico" piuttosto che affrontarlo, fortuna che la loro guerra personale era ormai morta e sepolta sotto cinque anni di pentimento e comprensione.

- Devo raggiungere i miei compagni, adesso - tagliò corto lui, congedandosi in fretta. - Vi auguro ogni bene!
- Anche a voi, D'Artagnan, che Dio vi benedica e vi assista sempre!

Quella fu l'ultima volta che D'Artagnan e Milady si incontrarono.
Ciò che entrambi serbarono nel cuore, nel tempo a venire, fu la prova della loro riconciliazione.
Non erano più nemici ormai, non avevano motivo di esserlo.
E nel pensare l'uno all'altra, e viceversa, tutto ciò che li riguardava era riassunto in un caldo sorriso reciproco sulle labbra.

 

( continua col prossimo capitolo )...

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Capitolo 15
*** quindicesima parte ***


De Tréville si impegnò anima e corpo, per fare luce sulla scomparsa di Constance.
Anche se non disponeva di prove sufficienti per accusare De Vitesse, nulla riusciva a togliergli dalla testa la certezza che quel viscido nobiluomo avesse a che fare anche e soprattutto con quella storia. Certo, i dubbi e le paure di Richelieu non erano da meno: De Vitesse era un uomo pericoloso, capacissimo di architettare un colpo di stato in piena regola, dunque andava tenuto sotto controllo per più di un motivo.
Purtroppo non era possibile avvicinarlo, né procedere apertamente contro di lui, e comunque non certo sulla base di semplici supposizioni.
Gli uomini di De Tréville erano tutti piuttosto in gamba, ma non avevano certo l'intraprendenza di D'Artagnan, l'intuito di Athos, la determinazione di Aramis né tantomeno il coraggio di Porthos. Poiché i quattro migliori moschettieri del suo reggimento erano ancora lontani, impegnati tuttora nella disperata ricerca di Dajenau, De Tréville non sapeva proprio su chi altri fare affidamento per quella dannatissima situazione.
Poiché era necessaria la più totale collaborazione, Richelieu e De Tréville si dissero d'accordo nell'incontrarsi ogni dodici ore, per consultare insieme i rapporti dei moschettieri e delle guardie cardinalizie che avevano l'ordine di controllare a debita distanza i movimenti di De Vitesse.
Purtroppo sinora tanto De Tréville quanto Sua Eminenza non si potevano dire fortunati nelle indagini.

- Niente da fare - esclamò Richelieu d'un tratto, chinando il capo sui rapporti con aria sconsolata. - De Vitesse non è tipo da commettere imprudenze e, se non riusciamo a raccogliere anche la più piccola traccia, sarà impossibile mettere a parte Sua Maestà del suo bieco complotto!
- Dubito che Sua Maestà ci ascolterebbe, in ogni caso - osservò gravemente il capitano dei moschettieri, ovviamente alludendo alle condizioni in cui versava tuttora la Regina. - Non ho mai visto Re Luigi così abbattuto!
- E' comprensibile - annuì il Cardinale. - Secondo il medico, le possibilità che la Regina Anna possa riprendersi sono pressoché nulle...
- Non siamo qui per parlare di questo, adesso - tagliò corto De Tréville bruscamente. - Piuttosto, ditemi, chi si sta occupando di sorvegliare De Vitesse in questo momento?
- Monsieur Rochefort, ovviamente - rispose il Cardinale. - Anche se non condividete i suoi metodi, senza dubbio riconoscerete la sua abilità sul campo!

De Tréville chinò il capo, come se si fosse imbalsamato di colpo.

- E' proprio perché lo conosco, che nutro dei seri dubbi - sospirò, stringendosi nelle spalle.

***

- Etciù!
- Salute - esclamò Jussac, porgendo garbatamente il fazzoletto al suo superiore.

Rochefort si soffiò il naso, imprecando a bassa voce per l'umidità e il fetore del vicolo in cui erano stati costretti ad acquattarsi.
Non era certo facile pedinare qualcuno senza essere visti, specialmente un nobile, così erano costretti a svolgere le loro indagini in condizioni sempre più scomode e indescrivibili. I due ufficiali al servizio di Sua Eminenza erano stretti in uno spazio angusto e soffocante, in una fessura tra due abitazioni a malapena sufficiente per passarvi di lato, e proprio davanti ad una botte scoperchiata che odorava in modo terribile di aringhe affumicate.
Dalla loro posizione, in prossimità di uno dei ponti che attraversava la Senna, videro il Duca passeggiare tranquillamente dalla parte opposta. Costui sembrava ignaro di essere osservato, addirittura si era messo a giocherellare con il pugnale, e sembrava anche in procinto di aspettare qualcuno.
Fortunatamente per Rochefort e per il suo sottoposto, colui che De Vitesse aspettava non tardò ad arrivare.
Il Duca rinfoderò l'arma, sorridendo beatamente, e si avvicinò al nuovo arrivato per scambiare con lui alcune parole in via del tutto confidenziale e riservata.
Purtroppo sia Rochefort che Jussac non avevano modo di sentire cosa si stessero dicendo e, non potendo certo avvicinarsi tanto da ascoltare la loro conversazione, l'ufficiale dovette escogitare in fretta una soluzione.

- Trovato - disse, districandosi a fatica dalla sua postazione. - Vieni, Jussac, dammi una mano!
- Eh ?!?

Sotto lo sguardo allibito e confuso di Jussac, Rochefort si sporse completamente fuori del ponte, proprio in corrispondenza del punto da dove gli era possibile inquadrare con lo sguardo il Duca e il suo interlocutore ( un uomo alto e di corporatura robusta, avvolto da un pesante mantello e con un cappello a tesa larga che gli nascondeva parte del volto.

- Vieni qua - ordinò Rochefort, tendendo il braccio a Jussac. - Tienimi forte, mi raccomando!
- Ma capitano - fece l'altro perplesso. - Che cosa avete in mente di fare, siete impazzito?
- Obbedisci - ruggì Rochefort spazientito. - Gli ordini di Sua Eminenza sono chiari: sorvegliare De Vitesse e raccogliere quante più informazioni possibile... Perciò devo scoprire cosa si stanno dicendo lui e quell'altro, a costo della vita!

Senza osare contraddirlo, Jussac afferrò saldamente il braccio del suo ufficiale, consentendo a quest'ultimo di puntare i piedi sul parapetto e restare audacemente sospeso in orizzontale sopra il fiume. Da questa assurda quanto assolutamente indescrivibile posizione, Rochefort poteva tuttavia osservare la scena che gli interessava con estrema chiarezza. Pur avendo perso un occhio in guerra, dovendo compensare in modo efficace la sua menomazione, l'occhio rimastogli aveva infatti sviluppato una vista pari a quella di un'aquila. Ignorando i muscoli indolenziti e concentrandosi al massimo nella sua azione temeraria, Rochefort fu dunque in grado di leggere la conversazione sulle labbra.

- Perfetto - mormorò l'ufficiale, ricostruendo le parole, attraverso il sottile movimento labiale dei due individui. - Sua Eminenza aveva ragione: parlano di attendere che il veleno nelle vene di Sua Maestà la Regina compia il suo effetto; parlano di una riunione al vertice della nobiltà, che si terrà nelle sale del Louvre dopodomani; e adesso stanno anche parlando di una certa "impicciona" e di come l'hanno sistemata! Certo che, se dicessero anche dove si trova...
- Capitano - gemette Jussac, sentendo la presa scivolargli a causa del guanto. - Capitano, attento!
- Ma... Brutto cretino - esalò Rochefort, resosi conto della situazione. - Tienimi forte!
- Non ci riesco, è colpa del guanto...
- Ma che fai, disgraziato ?!?
- Capitano, non ce la faccio...
- Non osare!

Purtroppo com'era prevedibile, non appena la mano sgusciò via dalla presa di Jussac, Rochefort si ritrovò ad annaspare come un'anatra ubriaca e cadde in acqua con un tonfo sordo. L'unica nota positiva era che, pur con l'inconveniente, De Vitesse e il suo scagnozzo non si erano accorti di nulla; infatti, terminata la conversazione, si stavano ora allontanando lungo la strada che curvava ad est in uno dei vicoli adiacenti al fiume.
Nel punto ove era affondato Rochefort, comparve una vistosa chiazza di bollicine.
Jussac sporse la testa preoccupato, augurandosi che fosse ancora vivo, e lo chiamò animosamente per nome.

- Capitano Rochefort, state bene?

Subito Rochefort riemerse, con un pesce in bocca e altri due piccoli pesciolini nelle orecchie, rosso in faccia proprio come il tipico colore dei gamberi di fiume. Sputando dunque il pesce con rabbia, alzò lo sguardo verso Jussac e inveì aspramente contro di lui e la sua imbecillità.

- Tirami subito fuori di qui, specie di animale che non sei altro - urlò. - Voglio affogarti con le mie mani !!!

 

( continua col prossimo capitolo )...

 

Angolo Autore:

rieccomi di nuovo qua, dopo una lunga assenza.
Dedico questo capitolo a tutti/e coloro che hanno ancora la pazienza di leggere e aspettare gli aggiornamenti, in particolare hera85 e Tetide, scusandomi ancora per i disagi.
O.O purtroppo la mail di telesette è costantemente intasata, perlopiù di "richieste" su nuove storie e piccoli fandom perlopiù semisconosciuti, cosicché sono costretto a dividermi da una parte e dall'altra... a meno che qualcuno non mi faccia dono dell'ubiquità!
Ad ogni modo cercherò comunque di fare il possibile, tempo e lavoro permettendo, come sempre del resto.
Ringrazio tutti/e per le lettere e i disegni, cui purtroppo faccio spesso molta fatica a stare dietro, e ovviamente continuerò a scrivere storie ancora per molti anni - anzi, mi sa che dovrò chiedere a Lucifero di tenermi il posto in "caldo", per portare a termine tutte le idee che ho in testa... dunque dovrete sopportare la mia presenza per circa mezzo secolo, mese più mese meno.
^__^ Alla prossima fanfiction o aggiornamento!

DADO

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Capitolo 16
*** sedicesima parte ***


- Complimenti, Rochefort, proprio una bella figura !!!

Non appena Rochefort comunicò il rapporto a Sua Eminenza, fradicio e gocciolante com'era dopo il tuffo nella Senna, lo stesso Richelieu non riuscì a trattenere la propria collera per il comportamento inetto del suo sottoposto.

- Suvvìa, non siate troppo severo, Richelieu - intervenne De Tréville. - In fondo, grazie a Rochefort, perlomeno adesso abbiamo la conferma che ci serviva!
- Già - ne convenne il cardinale con un sospiro. - Anche se la testimonianza di Rochefort da sola non basta come prova: De Vitesse è un Pari di Francia, un uomo estremamente potente e ambizioso, e possiede molti amici a corte pronti a garantire per lui in qualsiasi momento!
- E poi non dimentichiamoci della ragazza da lui rapita - osservò De Tréville. - Deve trattarsi certamente di Constance, povera figliola, se almeno sapessimo da dove cominciare a cercarla!
- Sono... Sono mortificato - provò a dire Rochefort, starnutendo rumorosamente a causa del freddo. - Stavano quasi per dirlo, se solo non fossi caduto in acqua, io...
- Voi avete fatto del vostro meglio - riconobbe generosamente De Tréville. - Adesso abbiamo due importanti priorità: costringere De Vitesse a smascherarsi e scoprire dove lui e il suo complice tengono nascosta Constance!
- Dunque, ritenete che sia ancora viva? - domandò Richelieu dubbioso.

Il comandante dei moschettieri strinse gli occhi gravemente.

- Lo spero - disse. - Mi sono fatto carico di proteggerla per conto di D'Artagnan, quando questi è partito per eseguire gli ordini di Sua Maestà; non potrei mai perdonarmelo, se le fosse successo qualcosa!
- Capisco - osservò il cardinale. - Tuttavìa, se non riusciremo a trovarla prima del suo ritorno dalla missione, dovremo comunque informare D'Artagnan dell'accaduto!

De Tréville tacque.
Negli ultimi giorni, era stato testimone di fatti gravissimi: l'avvelenamento della Regina, la disperazione di Re Luigi, il complotto di De Vitesse, e ora anche il rapimento e la presunta dipartita della povera Constance...
L'uomo non osava neanche immaginare come avrebbe reagito D'Artagnan, nell'apprendere una simile notizia. Quella fanciulla era tutto per lui, l'unica ragione della sua esistenza; ed era logico supporre che potesse impazzire dal dolore, o perdere completamente il senno, nel venire a conoscenza della sua scomparsa.

- Che rimanga tra noi, Eminenza - esclamò d'un tratto. - Mi occuperò io di informare D'Artagnan, non appena sarà di ritorno, nel frattempo sia io che voi continueremo le ricerche assieme alle nostre comuni indagini sul conto di quell'infame!
- Come volete, De Tréville - annuì Richelieu. - In fin dei conti, D'Artagnan è pur sempre un uomo del vostro reggimento!
- Non si tratta di questo - mormorò l'altro debolmente. - Quando ho accettato di prenderlo sotto la mia ala protettrice, mi sono sentito in obbligo verso il mio antico compagno d'arme Bertrand; il padre di D'Artagnan era un mio carissimo amico, uno degli uomini più coraggiosi e fedeli al Re che io abbia mai conosciuto, e quel ragazzo è diventato quasi come un figlio per me... Perciò preferisco dirgli personalmente di Constance, assumendomene tutta la responsabilità se necessario, piuttosto che vederlo soccombere sotto il peso di un dolore troppo grande da sopportare!  

***

D'Artagnan e gli altri giunsero nuovamente a Parigi, spronando i cavalli come se avessero il diavolo in corpo.
Dopo quattro giorni di assenza, la paura di non arrivare in tempo si era fatta sempre più forte. Dajenau sembrava sorpreso, nel vedere quanto la città fosse cambiata negli anni, tuttavia non vi era certo il tempo per una visitina turistica. Athos e compagni attraversarono le strade al galoppo, stringendo le redini con tutta la forza che avevano, e solo quando videro le mura del palazzo reale in lontananza tutti e quattro si presero un attimo di respiro.
Dajenau scese da cavallo, guardandosi attorno con l'aria smarrita.

- Vi sentite bene, dottore? - domandò Aramis.

L'altro annuì.

- Manco da Parigi da nove anni - rispose Dajenau in un soffio. - Credevo che non l'avrei mai più rivista!
- Sono sicuro che il Re non mancherà di esprimervi la propria riconoscenza - sorrise Athos fiducioso. - Certamente revocherà l'ordine di arresto nei vostri confronti, non temete: avrete modo di rifarvi una vita e un nome degni del più assoluto rispetto!
- Forse - sospirò il medico, smontando di sella con la borsa stretta nella mano. - Ad ogni modo, vediamo quello che posso fare!

Nello scortare il dottore all'interno del palazzo, questi prese da parte D'Artagnan e gli si rivolse seriamente.

- Ascoltami, D'Artagnan - esclamò Dajenau. - Tu sei riuscito a ricordarmi quello che avevo dimenticato: cioé che un medico è innanzitutto al servizio dei malati... Avevo preferito rimuovere questo concetto dalla mia mente, affogando i miei dispiaceri nell'alcool, ma tu me lo hai restituito e perciò ti ringrazio!
- Dottor Dajenau, io...
- Andiamo - fece il medico, dandogli un'energica pacca sulla spalla. - Fammi strada!

Non appena Athos mostrò alle guardie il salvacondotto reale, recante gli ordini di Sua Maestà in persona, a tutti loro fu concesso accedere alle stanze private della Regina ove Re Luigi e il dottor Beauchamp li attendevano con ansia. Quando Beauchamp riconobbe il suo amico e collega di un tempo, non riuscì a trattenere le lacrime di commozione.

- Grazie al cielo - esclamò. - La situazione sta precipitando, dobbiamo agire prima che sia troppo tardi, è probabile che la Regina non riesca a superare la notte!
- Allora bando ai convenevoli - tagliò corto Dajenau secco, avvicinandosi al letto della paziente.

Re Luigi era fermo ed immobile al capezzale della moglie, tenendole la mano sottile tra le proprie, incapace di fare o dire qualunque cosa per alleviare il suo dolore. La donna era sempre più debole ed emaciàta, di un pallòre quasi cadaverico in volto, e con gli zigomi delle guance incavati a causa della denutrizione. Da circa una settimana, Beauchamp non riusciva a somministrarle altro che farmaci, nel tentativo di rallentare gli effetti del veleno tuttora in circolo, ma ormai la resistenza della povera Anna era giunta chiaramente al limite.

- Maestà - mormorò Dajenau, rivolgendo al Re uno sguardo più che eloquente. - Per favore, lasciatemi dare un'occhiata alla paziente, ogni secondo è prezioso!

Luigi non reagì, tanto era affranto dal dolore degli ultimi giorni trascorsi, cosicché si scostò dal letto assieme a Beauchamp senza opporre resistenza.
Subito Dajenau, senza neanche togliersi la giacca, prese a visitare la Regina per rendersi conto della situazione. Il polso era appena percettìbile, così come il respiro era riscontràbile solo accostando uno specchietto alle labbra, e il cuore batteva talmente piano da sembrare già fermo. Beauchamp aveva visto giusto nella sua diagnosi: era impossibile che la Regina superasse la notte, in quello stato di debolezza, ed era ancora necessario scoprire la natura misteriosa del veleno per poter somministrarle l'antidoto.

- Da quanto tempo è così ? - domandò Dajenau, aprendole piano la palpebra per controllare la dilatazione della pupilla.
- Il processo regressìvo ha avuto origine da più di due settimane - spiegò gravemente Beauchamp. - Il veleno deve aver paralizzato il canale alimentare, perché la paziente non riesce più ad ingerire neppure i liquidi, e sono già quattro giorni che non tiene cibo nello stomaco!
- Oh, Anna - mormorò il Re affranto. - La prego, dottore... La prego, faccia qualcosa!

Dajenau strinse gli occhi, sudando nervosamente.
In quanto esperto di situazioni del genere, attraverso il colorito giallastro che cerchiava il sottile disco nero delle pupille, poteva solo supporre che il veleno fosse una sorta di qualche derivato oppiàceo. In genere, quel tipo di sfumature, erano tipiche dei fumatori orientali... Tuttavìa, per trasformarsi in un veleno mortale, il prodotto doveva essere stato distillato attraverso qualche bevanda opportunamente drogata.
Improvvisamente l'occhio di Dajenau cadde su una bottiglia di vetro trasparente, all'interno della quale vi era ancora un quarto di vino color porpora.

- Chi le ha dato da bere questo vino? - domandò agitato.
- La bottiglia dev'essere rimasta lì, dalla scorsa settimana - rispose Beauchamp. - Come ti ho già detto, la Regina non...
- Ma ha ingerito di questo vino, nei giorni scorsi ?!? - scattò l'altro furiosamente.

Subito Beauchamp parve comprendere.

- Stai dicendo che... quel vino...
- La linea di fermentazione di questo vino presenta segni di alterazione - fece notare Dajenau, sollevando la bottiglia perché tutti potessero vederla. - Il rosso di borgogna, come qualsiasi altro vino, tende a scurirsi... ma sulla linea di galleggiamento di questa bottiglia vi sono delle particelle che, entrando a contatto con l'aria, ristagnano in modo evidente tra le bollicine tanto che è possibile intravederle anche ad occhio nudo!
- Che il cielo mi fulmini - imprecò Beauchamp, passandosi mentalmente una mano tra i capelli. - Ho avuto sotto gli occhi quella bottiglia per giorni, e non ho pensato neppure di controllarla; ero troppo preso dal cercare di rallentare il più possibile gli effetti del veleno!
- Hai fatto bene - replicò Dajenau, odorando accortamente il contenuto della bottiglia. - Senza saperlo, le hai allungato la vita quanto basta: estratto di papavero, làudano, cicuta e digitale... Se ha ingerito più volte questa roba, negli ultimi giorni, non avremmo avuto comunque il tempo di preparare l'antidoto!
- Allora esiste un antidoto - gemette il Re.

Dajenau inarcò il sopracciglio sinistro.

- E' presto per dirlo, Maestà - esclamò. - Posso cominciare a prepararlo, con l'aiuto dell'amico Beauchamp, ma tutto dipenderà da quanto in fretta agirà l'antidoto rispetto all'azione avanzata del veleno e...
- Basta così - tuonò ad un tratto una voce profonda, irrompendo nella stanza.

Tutti gli occhi dei presenti andarono dunque verso la porta.
Sua Eminenza il Cardinale Richelieu era appena comparso in tutta la sua solenne figura e, a giudicare dalla sua espressione, non sembrava molto contento di vedere "l'eretico" dottor Dajenau al capezzale di Sua Maestà la Regina.

 

( continua col prossimo capitolo )...

 

Angolo Autore:

dopo più di un anno dall'ultimo aggiornamento, interrompendomi soprattutto per via di una serie di discussioni piuttosto pesanti che mi hanno allontanato da questo fandom, ho deciso di riprendere ugualmente questa storia dal punto in cui mi ero interrotto. Contavo di finirla molto prima ma, quando si è oggetto di astio e polemiche, non è poi così strano che la serenità e l'ispirazione vadano a farsi benedire...
Ringrazio hera85, Tetide, arethafranklin, Kira_Lira e tutto il supporto morale dei miei vari committenti su Facebook e tramite e-mail. Basta poco, per ritrovare la voglia e l'entusiasmo... specie quando si ha la consapevolezza che, continuando a scrivere per il puro piacere di farlo, si evita di dare soddisfazione a chi-so-io.
No, non sto parlando di Voldemort.
Orbene, bando alle ciance e appuntamento al prossimo capitolo!

DADO

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