The Slytherin Lion di Leenadarkprincess (/viewuser.php?uid=137064)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Me, myself and I ***
Capitolo 2: *** Hide(ous) and sick ***
Capitolo 3: *** Cunning as a Ferret ***
Capitolo 4: *** Where the snake lies, why and when to tell lies ***
Capitolo 5: *** Soaring across humiliation ***
Capitolo 6: *** Buried secrets ***
Capitolo 7: *** DEALING WITH THE DEAL ***
Capitolo 8: *** Curiosity killed the ferret ***
Capitolo 9: *** Pureblood prince charming - part one ***
Capitolo 10: *** Pureblood prince charming - part two ***
Capitolo 11: *** PLAYING THE UROBORO ***
Capitolo 12: *** NEVER say never ***
Capitolo 13: *** Unwanted initiation ***
Capitolo 14: *** SNEAKY snake ***
Capitolo 15: *** To dare into the lare ***
Capitolo 16: *** Back to black ***
Capitolo 17: *** The snake stole the secret (S.S.S.) ***
Capitolo 18: *** Cobras Crave Christmas (C.C.C.) ***
Capitolo 19: *** M.U.D.B.L.O.O.D., or ***
Capitolo 20: *** HOME, sweet home ***
Capitolo 21: *** Nightmare before christmas ***
Capitolo 22: *** A Christmas Carol ***
Capitolo 1 *** Me, myself and I ***
Ok,
d’accordo, ammetto che i Malfoy, grandissimo casato, con
eminentissimi antenati,
eccetera, non hanno sangue di indovino nelle loro vene. E devo dire che
la cosa
non mi ha mai disturbato granché. Tuttavia, devo anche
ammettere che anche un
cretino avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe successo, ad ubriacarsi di Acquaviola.
Si,
ero stato un vile a persuadermi ad uscire ad ubriacarmi, ma in fondo, i
Serpeverde non brillavano certo per coraggio, no? Era il settimo anno,
la mia
vita andava a rotoli, e mi sentivo autorizzato a lenire le mie
sofferenze in
uno dei luridi calici della Testa di Porco.
La
Testa di Porco. Posticino piuttosto squallido, ne convengo, e non avrei
certo
desiderato che i miei genitori venissero a conoscenza delle mie
frequenti
uscite in quel luogo. Ma i Tre Manici di Scopa traboccava di gente
indegna,
Mezzosangue e traditori della loro stirpe, e non volevo mischiarmi a
loro.
Oh,
e va bene. Nemmeno loro volevano avere nulla a che fare con me,
d’accordo.
Draco
Malfoy. Ultimo discendente del grande Casato Senza Indovini Malfoy,
erede di
una vasta tenuta – e visto come andavano le cose, di un sacco
di grane – nonché
autore di un piano geniale che aveva concesso ai seguaci del Signore
Oscuro di
penetrare ad Hogwarts, l’anno prima, assassinando
così quel babbione barbuto di
Silente. Oh, e va bene, sarei dovuto essere io a farlo fuori, contenti?
Peccato
che non ci fossi riuscito affatto, e che del lavoro sporco si fossero
occupati
i miei compagni – se così vogliamo definirli.
Peccato
che ora l’ultimo erede dei Malfoy fosse disprezzato da tutti.
Grazie a Potter
gran parte dei Mangiamorte erano stati catturati, il Signore Oscuro era
fuggito, Kingsley era Ministro della Magia, e tutti – nessuno
escluso – erano
passati dalla parte dei buoni.
Tutti
tranne me.
Anche
i Serpeverde si erano convertiti in massa, ed ora facevano i bravi
bambini a
braccetto con le altre case. Ma io non potevo farlo, i sospetti
– mai
verificati – sul mio conto erano troppi. La mia famiglia era
ad Azkaban, ma
nonostante il mio Marchio Nero, che tutti si erano convinti essermi
stato
imposto con la forza, io ero rimasto ad Hogwarts.
Dove
ora ero un reietto.
Quindi,
Testa di Porco. Era un ambiente malfamato, e quindi poco frequentato
dai nuovi
Serpeverde buonisti. Ciò nonostante sapevo bene che i
rapporti col locale erano
interrotti solo in superficie, perché ingenti
quantità di Ogden Stravecchio
circolavano ancora per i dormitori.
Era
Ottobre, e già faceva un freddo cane. Se anche avessi
voluto, dove sarei potuto
andare? Io non avevo mantelli
dell’Invisibilità, come Potter, e nemmeno amici
devoti e tirapiedi pronti ad
osannarmi. Non più, almeno. Intendiamoci, non sentivo la
mancanza di Tiger e
Goyle, anzi; insomma, adesso soltanto i miei compagni di dormitorio mi
rivolgevano la parola, ma soltanto in privato, prima di dormire, ed in
quelle
occasioni non è che perdessi il sonno se loro non mi davano
la buonanotte.
In
effetti l’unico che davvero mi spalleggiava era McNair, il
nipote dell’omonimo
boia che aveva tentato di accoppare l’indegna bestia che mi
aveva quasi strappato
un braccio ad unghiate. McNair – David per gli amici, tra i
quali chissà perché
mi annoverava – non era come suo zio, sua madre si era
staccata dal ramo
principale della famiglia da anni ormai. Era un bravo ragazzo, uno di
quelli
veri, intendo, non che avesse carisma, o coraggio, ma era sensibile,
tutto
sommato. Per quanto possa esserlo un Serpeverde, immagino, secondo la
definizione della banda Potter.
Tutto
solo in quell’orribile bettola, sentivo per le strade il
vociare degli studenti
di ritorno da Mielandia e dagli altri negozi. Era prevista
un’altra uscita a
breve, per Halloween. Nonostante i problemi di sicurezza nessuno
tentava di
impedire agli alunni di frequentare il villaggio, nel tentativo di
mantenere
alti gli spiriti. Beh, non il mio, quello era garantito.
E
così, un’acquaviola dopo l’altra, mi ero
accompagnato per oltre un’ora,
sfogliando nel frattempo un noiosissimo libro che il Professor Vitious
ci aveva
assegnato. Ma lo misi presto da parte, e bevvi così tanto
che mi sentii girare
la testa. non ero ubriaco, però, non ancora. Ero sobrio
abbastanza da uscire
dalla Testa di Porco senza barcollare, con la tasca del mantello che
tintinnava
a causa di una scorta personale di Acquaviola particolarmente forte che
avevo
persuaso il barista a vendermi.
Fui
il primo a rientrare al castello, credo. In ogni caso, per tutto il
tragitto
fui solo. Dalla temperatura e dall’aria umida intuivo che non
mancava molto al
primo periodo delle nevicate. Ne fui contento. Si sarebbero tutti
occupati
della neve e non avrebbero badato a me.
Scesi
nei sotterranei – incredibilmente freddi, inutile dirlo
– e pronunciai la
parola d’ordine. Entrai nella Sala Comune quasi deserta,
eccezione fatta per i
marmocchi dei primi anni che mi guardavano con occhi grandi come
padelle mentre
li ignoravo per andare verso il dormitorio.
Quando
mi chiusi la porta alle spalle fu un vero sollievo.
A
questo punto potreste domandarmi che cosa c’entra tutto
questo con le
conseguenze della mia sbornia. Beh, è molto semplice.
Tracannai una buona metà
della bottiglia in mio possesso e finii con l’essere ubriaco
marcio. A quel
punto dormire era impossibile – mi girava troppo la testa
– e, per farla breve,
decisi che avevo proprio bisogno di una boccata d’aria. Ero
convinto che non
fosse passato molto tempo da quando ero arrivato, mentre doveva essere
già
sera, perché anche ai piani superiori non c’era
luce.
I
corridoi erano quasi deserti, e per un istante pensai che avrei potuto
anche uscire
nel parco, ma non ne avevo voglia. Approfittai invece della desolazione
del
castello per barcollare verso la Torre Nord. Purtroppo, visto lo stato
di
totale confusione in cui mi trovavo, finii per dovermi appoggiare al
corrimano
alla quarta rampa di scale.
Salii
ancora un po’, ma arrivato davanti alla biblioteca mi fermai,
colpito dalla
nausea. Giudicai più prudente fermarmi. Presto capii che era
meglio cercare un
bagno, al più presto, e mi voltai per farlo. Scesi
addirittura qualche gradino,
senza ricordare che il settimo a partire
dall’alto tendeva a scomparire se non lo si
calpestava fischiettando. Il
gradino scomparve, io persi l’equilibrio, e rovinai verso il
basso travolgendo
una malcapitata ragazza che saliva la scalinata nello stesso momento.
Nonostante
l’avessi colpita, comunque, ebbe la prontezza di riflessi di
aggrapparsi alla
balaustra evitando di precipitare come feci io. Colpii il pavimento con
la testa
e sentii un dolore lancinante – peggio di quella volta in cui
quello
psicopatico di Crouch Jr., dimenticando di essere il mio alleato, mi
trasformò
in un furetto e mi sbatacchiò qua e là per tutte
le segrete.
Per
un po’ non capii più nulla. il mondo era soltanto
una spirale di dolore. Poi
sentii una voce chiamarmi, ma non potevo risponderle – non
avevo fiato.
Ci
misi parecchio per mettere a fuoco l’immagine di fronte a me,
ma quando lo
feci, pensai che sarebbe stato meglio non farlo affatto.
Perché ad aver
assistito alla rovinosa caduta dell’ultimo Malfoy ubriaco
come una spugna,
c’era la Granger. China su di me, con uno sguardo un
po’ preoccupato, ma
decisamente non abbastanza, visto che con ogni probabilità
dovevo essermi
fratturato la testa.
Anche
voci decisamente più delicate di quella della Granger mi
sarebbero sembrate
terribilmente insopportabili, in quel momento, e se mai avessi potuto
trovare
un’attrattiva nella Sporca Mezzosangue (S.M. per i nemici
stretti), non sarebbe
certo stata la sua voce.
«Malfoy?
Malfoy?» la sentii chiamare, e mi sentii scuotere. Avrei
voluto risponderle per
gridarle di andare a quel paese o di prendermi un rimedio contro il
dolore
atroce alla testa, ma anche se non avessi battuto la testa, ero pur
sempre
ubriaco, e lei era sempre una Sangue Sporco (S.S. per i nemici
stretti).
Inoltre, come spesso succede quando si prova un dolore forte, sentivo
una
rabbia feroce dentro di me. Avrei voluto picchiarla anche solo per non
sentire
le punte dei suoi capelli crespi toccarmi fastidiosamente il viso.
«Malfoy?».
Deficiente, pensai, non vedi che
non riesco a respirare?
Parte
della sbornia si dissolse in quei momenti drammatici, e quando mi resi
conto
che davvero, non riuscivo a
respirare. Aprii la bocca ma la richiusi senza aver concluso niente.
Forse
stavo morendo. Bene. Male. Boh. Stavo troppo male per giudicare.
In
quel momento il suo schiaffo da putrida S.M. mi colpì in
pieno viso.
Boccheggiai, gli occhi ancora colmi delle lacrime dovute alla mia
caduta.
«C-che...»
mugugnai. S.S. si raddrizzò appena sentendo quel verso
uscire dalla mia bocca. «Che..
cazzo... fai... Granger?» sibilai, alzando appena il capo. Un
attacco di
vertigine assurdo mi attraversò, ma lo ignorai. La rabbia
c’era ancora, e non è
bene essere arrabbiati quando non si è sobri, specie per le
Sporche Mezzosangue
che sono sempre state tue nemiche, e che ti hanno appena visto
precipitare da
una rampa di scale perché non reggi la sbornia. E che ti
hanno schiaffeggiato,
magari.
Lei
non sembrò sorpresa. se lo aspettava. Forse anche una SM
come lei capiva che il
dolore rende aggressivi. Beh, sarei stato aggressivo comunque con lei,
se ve lo
stavate chiedendo, ma magari con più contegno.
«Volevo
solo verificare che non ti fossi rotto la testa»
replicò freddamente,
fissandomi con disprezzo. «E se adesso riuscissi a darti una
calmata, e mi
permettessi di accompagnarti in infermeria...».
«Bada
agli affari tuoi» replicai.
«Beh,
visto che mi hai travolta in pieno, non sono esattamente estranea alla
vicenda»
disse lei. «Allora, lo vuoi il mio aiuto, oppure
no?».
«No»
riuscii a dire, secco. «Vattene».
«Ok»
disse lei senza scomporsi. Si voltò di scatto e si
allontanò, senza fretta,
verso la mia destra. Nel frattempo cercavo di non vomitare e di alzarmi
in
piedi. Dio, che dolore. E che nausea. Ma nessun Malfoy vomitava a pochi
metri
dalla biblioteca, decisi, e per distrarmi mentre cercavo di stare in
piedi
aggrappandomi al muro pensai con soddisfazione che la dannata Granger
non era
poi così dannatamente buona da aiutare il suo nemico in
punto di morte se lui
la insultava.
Sarebbe
stato piacevole, se non avessi rischiato di vomitare il cervello sulle
scale.
Non
so per quanto rimasi lì, ma dopo un certo lasso di tempo
sentii passi concitati
di qualcuno in avvicinamento. Non mi voltai perché davvero,
la testa mi girava
troppo perché potessi farlo impunemente; tuttavia capii che
si trattava di
Madama Chips quando la udii gracchiare al mio orecchio una serie di
frasi sconnesse.
«Ma ragazzo... ragazzo... scale... odore... bere... senza
ritegno...
avvertita...». O magari ero io che non capivo più
niente? In effetti ero tanto
confuso che non
sentii granché di tutto
il suo discorso, mentre una vocina dentro di me si chiedeva come mai
Madama
Chips fosse lì. Non l’avevo mai vista fuori da
scuola, a parte, talvolta, al
banchetto in Sala Grande. Chissà cosa faceva quella vecchia
strega Corvonero
per il resto della sua giornata. Naturalmente, me ne fregavo, ero solo
stordito.
Mentre
mi passava un braccio attorno alla vita e mi induceva a proseguire
lungo il
corridoio, realizzai con uno sprazzo di lucidità che quando
avevo travolto la
Granger, lei era diretta verso la
biblioteca. Invece alla fine se n’era andata lungo lo stesso
corridoio che
percorrevo io ora e che, senza dubbio, conduceva
all’infermeria.
Non
ci si può più fidare nemmeno dei nemici, al
giorno d’oggi?
Non
vidi Harry e Ron fino all’ora di cena, e fino ad allora
passai tutto il tempo a
tormentarmi un lembo della veste mentre leggevo l’ultimo tomo
recuperato in
biblioteca. C’erano moltissime buone ragioni per sentirmi
agitata, riguardo a
quel rifiuto di Malfoy. Non che non avessimo notato in precedenza che
era
strano – vista la sua situazione, che cosa si poteva
aspettare? – ma ubriaco...
accidenti, Malfoy ubriaco!
Mi
faceva – ci faceva
– un po’ pena,
Malfoy, specie dopo che si era rifiutato di uccidere Silente. Nessuno
era al
corrente di quanto era accaduto davvero quel giorno orribile, a parte
quelli
dell’Ordine. Per tutto il resto del mondo Malfoy era il
dannato, infido figlio
di Mangiamorte, che forse aveva collaborato per
uccidere Silente, ma che rimaneva una sorta di succube
sgherro, un
colpevole marginale da compatire ma anche condannare. Per
l’Ordine, e per noi
in particolare, era un idiota e certamente responsabile, ma se non
fosse stato
lui a far entrare i Mangiamorte, Voldemort avrebbe cercato un altro
modo, e per
Dio, magari avrebbe trovato qualcuno di peggio come Goyle. Aveva
esitato prima
di uccidere Silente e lo sapevamo, e per questo ci dispiaceva. Anche se
Malfoy
ne era all’oscuro, la decisione di Kingsley di farlo restare
nella scuola,
sebbene sorvegliato, era dovuta in parte alle insistenze di Harry.
Altre
ragioni per cui mi sentivo agitata? Il fatto era che non solo mi faceva
pena,
non solo lo avevo visto ubriaco, ma avrei voluto aiutarlo. Se
c’era davvero del
buono in lui come sembrava che fosse, forse avremmo dovuto fare
qualcosa.
Naturalmente non sapevo bene che cosa, specie perché
difficilmente ce lo
avrebbe permesso.
Non
fraintendetemi, ok? Non sentivo niente di più che un
po’ di pietà per lui e per
una situazione dove si era trovato ad agire in qualche modo per forza.
Era
stato un vile, un codardo ed un debole, ma ehi, era pur sempre un
Serpeverde.
Nulla di nuovo sotto il sole, giusto?
Così
scesi in Sala Grande e mi accomodai al mio posto quando la
metà degli studenti
ancora doveva arrivare. Dopo Hogsmeade, la maggior parte si attardava
per
ripulirsi e vestirsi, perciò generalmente si cenava un
po’ più tardi. Ero
andata ad Hogsmeade ma me n’ero andata via quasi subito; il
tempo di comprare
qualcosa da Mielandia, mandare un Gufo espresso al Ghirigoro che doveva
ancora
spedirmi un libro, e fare scorta di alcuni ingredienti per pozioni in una piccola
bottega del luogo.
Neville
era lì, a sorseggiare un po’ di succo di zucca con
aria pensierosa. Sua nonna
si era data alla macchia in estate, convinta che per quanto i
Mangiamorte
fossero per il momento sotto controllo, qualcuno la sarebbe andata a
cercare.
Con qualcuno intendeva probabilmente la cara Bellatrix, una degli unici
sei
Mangiamorte ancora in libertà. Eh si, il Signore Oscuro non
se la passava tanto
bene, la battaglia di giugno era stata estremamente sanguinosa e grazie
a
Kingsley, che ci aveva inviato i rinforzi, e che ancora cacciava le
reclute
Mangiamorte sparse per il paese, si era evitato il peggio. Avevano
tentato di
impossessarsi del Ministero proprio il giorno delle nozze di Bill
– che erano
state posticipate – ma non ci erano riusciti. Un numero
incredibile di maghi e
streghe si erano precipitati sul posto salvando il governo magico, e
catturando
un centinaio di nemici.
Harry
era diventato, naturalmente, una sorta di guida per la
comunità di Maghi e
Streghe. Era una sorta di ragazzo immagine,quello che non aveva voluto
essere
per Caramell, ma che non aveva esitato ad essere per Kingsley. Appariva
nei giornali,
si faceva intervistare, incoraggiava la popolazione a stare in guardia
e a
combattere. Certo la situazione non era il massimo, ma era ancora tutto sotto controllo.
E
naturalmente cercava gli Horcrux. Di tanto in tanto saltavamo le
lezioni per
andare alla ricerca di quei dannati cosi, alle spalle del Signore
Oscuro il
quale, se si preoccupava di reclutare nuovi seguaci, non temeva certo
che
stessimo cercando di infilzare i pezzi della sua anima in una sorta di
spiedino
magico. Harry passava metà della sua giornata a zonzo per il
castello,
apparentemente convinto che l’Horcrux che vi era nascosto
sarebbe apparso dallo
sgabuzzino delle scope, o qualcosa di simile. Non provava nemmeno a
chiedere
informazioni a quelli delle altre case, convinto com’era che
avrebbero capito
che cosa aveva in mente.
«Si,
beh, non è che tutta questa gente sappia degli
Horcrux» faceva notare Ron di
solito, quando nessuno sentiva. «Non credo che chiedere loro
di un manufatto
antico equivalga a strillare “ehi, sapete
dov’è l’anima di
Voldemort?”». Ma
quando Harry si impuntava su qualcosa non c’era modo di
distoglierlo, né di
fargli ammettere che forse poteva avere torto. Ok, lo ammetto, spesso
non aveva
torto, ma accidenti, altrettanto spesso non aveva ragione!
Questa
ricerca rendeva difficile seguire le lezioni, anche se Harry e Ron
ghignavano
sempre quando facevo cenno alla cosa. Di fatto però non
potevano negare che i
loro voti – già piuttosto bassi –
precipitavano sempre più verso un abisso.
Io
facevo del mio meglio per stare al passo, ma ci riuscivo solo faticando
un
sacco. Quel giorno, quando Malfoy mi aveva scambiata per un birillo da
abbattere, mi stavo dirigendo come al solito alla biblioteca alla
ricerca di un
aiuto nei compiti. Ma non ci ero mai arrivata.
Mentre
riflettevo su tutto questo osservai il posto di solito occupato da
Malfoy, in
un angolo impietoso accanto a McNair, che era vuoto. Sicuramente Madama
Chips
avrebbe insistito per farlo restare lì la notte.
Chissà se si era accorta che
era ubriaco; ne dubitavo, ma chissà. Magari gli avrebbero
tolto dei punti.
Magari.
«Ehi.
Her – mio – ne» scandì Neville.
«Mmh?»
feci io, voltandomi verso
di lui.
«Che
cosa osservi?» fece lui, la fronte aggrottata.
«Beh»
dissi io, precipitosamente. «Sai, volevo sapere se era vero
quello che avevo
sentito nel bagno delle ragazze, sul fatto che Pansy Parkinson abbia
pianto in
bagno per oltre un’ora perché non le riusciva la
pozione che avrebbe dovuto
preparare». Balla, ma Neville non se ne accorse, e tutto
eccitato – odiava la
Parkinson molto più di me – si mise a scrutare la
tavolata verde e argento con
un luccichio negli occhi.
«In
effetti ha gli occhi un po’ rossi, credo» disse
trionfante.
Probabilmente
era allergica al gatto di qualcuno, pensai, ma mi dedicai al succo di
zucca
mentre Neville sorrideva con soddisfazione.
Alla
fine Harry e Ron arrivarono. Erano piuttosto affannati. Harry prese
posto
accanto a me e Ron alla sua destra. Avevo sperato che si sarebbero
messi
entrambi accanto a me, ma lasciai perdere. Era troppo importante quello
che
avevo loro da dire.
«Che.
Stanchezza» si lagnò Ron servendosi di tre tipi
diversi di carne ed ignorando
il pasticcio di cavolo. Anche Harry riempì il piatto di
roba. «Abbiamo dovuto
fare venti minuti di coda, Hermione, capisci? VENTI. Solo per avere il
dannato
torroncino di Fred e George» sottolineò,
inghiottendo un pezzo di carne grande
quanto lui. «Fe favolo vogli’no, a ffarmi
veri’fi’are che la loro deglutì
«Stupida merce venga venduta al giusto prezzo a Mielandia?
Che idiozia».
«Lascia
perdere lo stupido torrone sanguinolento, e ascolta. Ho cose da
dirvi»
esclamai.
«Anche
noi» dissero i due in coro. «Rosmerta è
tornata. Pare che la maledizione
Imperius non le abbia provocato danni gravi» disse Harry.
Lanciai
un’altra occhiata al tavolo Serpeverde – imitata
dagli altri – mentre Ron
aggiungeva, scharendosi la voce con una smorfia, «Ma
è ancora scossa. Voglio
dire, non serve nessuno se non vede le bacchette sul tavolo dove non si
possono
toccare, e anche così, si volta sempre di scatto come se
temesse che qualcuno
la stesse stregando». Scosse il capo. «non vi pare
esagerato? Insomma, per la
maggior parte del tempo faceva quello che voleva, non era proprio una
marionetta, no? non è certo colpa sua se...».
Come
al solito Ron non mostrava alcun tatto. Sospirai.
«Discuteremo più tardi della
tua assoluta carenza di delicatezza, Ron» dissi, parlando in
fretta. «Oh,
quello che ho da dirvi è davvero importante».
Poi
abbassai la voce, così che nessuno a parte loro mi sentisse.
«Malfoy è in
infermeria».
Ron
finse platealmente di strozzarsi con il succo di zucca. Però
era sorpreso
davvero. «Cos’è gli hai fatto una
fattura, o cosa?».
«Non
è stata colpa mia» dissi, cercando di tirargli una
pedata e centrando lo stinco
di Harry, i cui occhi si riempirono di vere lacrime. Raccontai loro
tutto
l’accaduto, mentre loro mi guardavano a bocca aperta.
«Però»
disse Ron con un fischio. «E così, Malfoy ha fatto
colpo, eh?».
«Letteralmente,
però» risposi.
Harry
era pensieroso. Non era mai positivo quando pensava. «Vorrei
fare qualcosa per
aiutarlo. Non lo so, mi mette a disagio vederlo così, lui,
che è sempre stato
amato e riverito da tutti» disse mentre Ronald borbottava
qualcosa che
ricordava molto un “se l’è
cercata”.
«Che
cosa vuoi fare?» replicai io, rassegnata. «Credi
davvero che accetterebbe il
nostro aiuto? E poi, cosa potremmo fare noi per lui? Diventare i suoi
nuovi
migliori amici?».
Harry
alzò le spalle abbandonando il terreno senza più
combattere. «In fondo anche
noi ne abbiamo passate parecchie, no? Harry ha passato anni lasciato da
parte,
credo che possa
sopravvivere anche lui»
disse Ron, che non aveva un briciolo di pietà verso Malfoy.
Mentre lo diceva
fissava il proprio piatto, come se la discussione gli interessasse
marginalmente. Sapevo che quando era in quello stato stava elaborando
qualcosa,
spesso non troppo intelligente.
Tuttavia,
devo dirlo, vederlo così noncurante mi faceva stare male.
Io, provare qualcosa
per lui? No di certo. Insomma, che cosa mi importava di lui? Non
più di quanto
mi importasse di Malfoy. O di uno Schiopodo Sparacoda. Ok, Ron era mio
amico,
ma era tutto qui. Lo ripetei a me stessa più volte ed
intanto salutai Ginny la
quale giungeva proprio in quel momento. Lei mi vide e
ricambiò il saluto ma
girò al largo. Harry l’aveva piantata in asso
dicendole che lo faceva per il
suo bene, e di certo non era quello che una qualunque donna innamorata
amava
sentirsi dire. Insomma, di fronte ad il ragazzo amato che soffre e ti
dice di
lasciarlo in pace, che cosa avrebbe dovuto provare? Del resto, ero
certa che
Ginny non si fosse affatto arresa, e che passasse il suo tempo a
preparare
qualcosa alle nostre spalle. Ed intanto usciva con Seamus (si,
Finnigan,
l’amico di Dean Thomas) con il quale, stando agli odiosi
racconti di lui, si
era spinta piuttosto oltre.
La
maggior parte della sala ormai era piena. Vidi la Parkinson alzarsi da
tavola
per correre incontro a due Serpeverde e confabulare con loro tutta
concitata.
Qualcuno doveva averle detto qualche cosa, e di certo non avevo
problemi ad
immaginare che cosa.
«...trovarlo»
disse una delle due Serpreverde. La sua voce era tanto squillante che,
mentre
si avvicinavano all’uscita e quindi al nostro tavolo, riuscii
a cogliere
qualche frammento della loro conversazione. Erano tutte e tre molto
concitate e
all’apparenza tormentate.
Tesi
l’orecchio ad di sopra del masticare rumoroso di Ron, ma
colsi solo qualche
parola, non molto rivelatrice. “Chips”,
“testa”, “notte”,
“pozione” fu tutto
quello che udii, ma sentii perfettamente la risposta di Pansy,
pronunciata con
voce insolitamente acuta, nervosa.
«Povero
Draco... sono davvero dispiaciuta... però, sai, ho cinquanta
centimetri di
pergamena da consegnare per domani, e non posso proprio... magari
domani
pomeriggio andrò a trovarlo».
Così
Pansy si allontanò in fretta e furia e, almeno
così speravo, oppressa dai sensi
di colpa. Ron si voltò finalmente verso di noi, con aria
eccitata. «Ah-ah!»
disse sornione. «La Parkinson non ha
nemmeno il coraggio di farsi vedere in infermeria a
visitarlo!».
«Beh,
davvero orribile da parte sua, considerato il fatto che fino
all’anno scorso
avrebbe venduto anche le mutande pur di toccarlo!» replicai,
piccata.
«Donne»
disse Ron con un sospiro drammatico, e aggiunse sottovoce qualcosa di
simile a
“soprattutto le mutande”. Finsi di non sentirlo,
accalorata per quell’unica
parola che aveva pronunciato, ma prima che potessi lanciarmi in un
rimprovero
contro di lui ed i suoi rimproveri sessisti – Harry si era
già fatto piccolo
piccolo – quando Seamus in persona sbucò dal nulla
e gli batté la mano sulla
spalla.
«Donne,
eh? Non ti chiederò il motivo della tua
esclamazione» disse il nuovo arrivato.
Ron
lo vide e si adombrò appena. dopo che l’anno prima
aveva snobbato Harry, e dopo
le storie che circolavano su lui e Ginny, non era molto ben disposto
verso di
lui. Harry faceva del suo meglio per sembrare impassibile ma non ci
riusciva
affatto. sferrò comunque un calcio a Ron per richiamarlo
alla compostezza, e
lui gemette impercettibilmente.
«Ciao,
Seamus» disse Harry sforzandosi di essere cordiale. Era il
più grande incapace
del mondo a fingere, ma Seamus parve apprezzare il suo sforzo e gli
diede
un’occhiata compassionevole prima di tornare a voltarsi verso
Ron. «Vuoi
ripetere l’impre sa,
eh? Dopo la
Brown...».
Ero
molto consapevole di avere la faccia rovente, ma mai quanto le orecchie
di Ron.
Era imbarazzato e confuso, ma aveva una punta di compiacimento sulla
faccia. Mi
lanciò un’occhiata fulminea che finsi di non
cogliere, mentre mi concentravo
nel bere il mio succo di zucca.
«Oh,
ma stai zitto» bofonchiò Ron.
«Ti
piace proprio la barista, eh?». Quasi mi soffocai, ma nessuno
se ne accorse.
Rosmerta? Sapevo che Ron aveva un debole per lei, ma davvero le aveva
fatto gli
occhi dolci?
«Non
mi piace» negò lui, ma troppo in fretta.
Persi
il resto della loro discussione – improntata su Seamus ed i
suoi consigli
amorosi - intenta com’ero tutto d’un tratto a
tagliare le mie patate e a
cospargerle di salsa, e concentrandomi sulla discussione che Neville
stava
avendo con un tizio a proposito di Incantesimi.
Alla
fine Seamus se ne andò, ed io mi voltai verso
di loro. «Di che stavate parlando?»
chiesi, impassibile. Ron non
rispose, ancora rosso.
Harry
sospirò. «Rosmerta ha assunto la nipote per
aiutarla, e “guardarle le spalle”.
È una ragazza piuttosto giovane».
«Lo
immagino» dissi, senza più guardarli.
«Ehm...
si è diplomata da poco. Ha
studiato
all’estero, mi pare» disse Harry, evidentemente
cercando di trascinare
l’argomento per mostrare che non c’era nulla di cui
preoccuparsi.
«Lo
immagino» fu tutto quello che mi degnai di dire. Inghiottii
qualche boccone di
patate, poi mi alzai. «Scusatemi. Ho da studiare»
dissi poi, e li piantai lì
come due idioti. Una volta arrivata nella Sala Comune, scansai un
gruppo di
mocciosi del secondo anno e mi rifugiai nel mio dormitorio, dove mi
infilai
sotto le coperte quasi subito e mi addormentai.
Sognai
di essere un’allevatrice di furetti biondi che affittavo alle
ragazze dal cuore
spezzato. Erano furetti da combattimento, e aggredivano gli innamorati
fedifraghi, i fidanzati, ed uno squallido barbone coi capelli rossicci
che
beveva idromele barricato.
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Capitolo 2 *** Hide(ous) and sick ***
Quando
mi risvegliai la mattina seguente al mio incidente sentii qualcosa
smuoversi
all’interno del mio essere – soltanto, si trattava
di nausea e non di qualcosa
di più poetico. Vomitai bile e poco altro nel catino che la
Chips mi aveva
caritatevolmente lasciato di fianco, la testa lacerata da fitte che
girava
vorticosamente.
Dio,
se stavo male. Nessuna posizione mi dava sollievo, non potevo fare
altro che
cercare di pensare a qualcosa che non fosse la stanza che si rifiutava
di
smettere di girare. Gesù, non poteva essere la sbronza.
Magari mi ero davvero
spaccato la testa.
Quando
l’infermiera arrivò dovevo avere un aspetto
davvero di merda perché mi lanciò
uno sguardo pietoso che non poteva essere frainteso.
Borbottò qualcosa che
somigliava assieme ad un rimprovero e ad un discorso pietoso, mentre mi
tastava
la testa.
Se
si fosse trattato di un osso rotto, la Chips l’avrebbe
curato. Perdio, non era stata
una Corvonero per nulla. Tuttavia non poteva vedere dentro alla mia
testa, se
capite cosa intendo, perciò non era proprio sicura di che
cosa non andasse.
Mormorò un paio di incantesimi che avrebbero risaldato le
ossa craniche ma
oltre ad un bel po’ di dolore in più non ebbero
altro effetto che quello di
farmi strillare come una donnetta. Mai detto di sapere sopportare il
dolore. Mi
somministrò anche un tonico ed un intruglio che sapeva di
vomito ma che servì
ad acquietare le vertigini. Dopodiché si
allontanò con aria preoccupata.
Sembrava
strano che la donna incaricata di curare ragazzini colpiti in piena
fronte da
Bolidi vaganti non fosse in grado di fare altro, ma sapevo che non era
così
semplice. Anche in quel caso teneva dentro l’infortunato per
una settimana e lo
incantava più volte fino a sistemare il danno. Il guaio con
la testa era che il
danno era invisibile.
Quindi
mi rassegnai ad aspettare di sentirmi meglio, e sapete, non
è che fossi
esattamente distrutto dal dolore. Si, insomma, tranquillità,
nessuno sguardo
minaccioso o al massimo compassionevole, e l’esenzione dai
compiti. Se fosse
accaduto l’anno prima, avrei già avuto un
centinaio di persone al mio capezzale
disposti non soltanto a darmi le indicazioni per i compiti, ma anche a
farmeli.
Sospettavo invece che nessuno sarebbe stato così entusiasta
all’idea di venirmi
a trovare, ora. Non quando qualcuno poteva vederli.
Così,
mi godetti qualche ora di solitudine. La Chips mi chiese se desideravo
qualcosa
da leggere e quasi le risposi di no, perché non ero un
accanito lettore. Però,
accidenti, non avevo altro da fare, perciò acconsentii con
una certa
riluttanza. Mi portò le Fiabe di Beda il Bardo –
che ignorai –, un libro di
incantesimi ed uno di Storia, poi se ne andò.
A
quel punto presi la bacchetta dal comodino e decisi di occupare il
tempo a
provare qualche incantesimo. Ce n’era uno piuttosto
promettente che doveva
servire a trasformare in un uccellino una teiera, e mi sforzai
diligentemente
per una decina di minuti, senza il minimo risultato. La cosa mi
irritò perché,
anche se non sempre gli incantesimi mi riuscivano al primo colpo,
quantomeno di
solito provocavano un qualcosa
sull’oggetto interessato. Tentai con un altro incantesimo,
corrucciato, senza
migliore esito. A quel punto, un po’ in apprensione, puntai
la mia bacchetta
verso il cucchiaino posato accanto alla teiera sul comodino.
«Wingardium
Leviosa» dissi con voce roca.
Il
cucchiaio non si mosse. Non accadde nulla.
A
quel punto, lo ammetto, entrai in panico. Ammetto che, nelle occasioni
di
tensione, mi capita di pensare sempre alla peggiore delle ipotesi, e mi
lascio
un po’ sovreccitare. Comunque, pensai che la botta in testa
avesse compromesso
qualcosa di vitale per la magia. Per qualche minuto la testa
ricominciò a
girarmi un po’, e questo contribuì ad agitarmi
ancora di più.
Alla
fine decisi che forse il fatto che stessi male mi avesse portato a
pronunciare
l’incantesimo con insicurezza. Ancora una volta, puntai la
bacchetta verso il
cucchiaio. «Wingardium Leviosa» scandii con
l’aria più autoritaria che la mia
nausea mi consentisse di assumere.
Il
cucchiaio si mosse, si sollevò un pochino, poi ricadde a
terra.
Immensamente
sollevato, decisi immediatamente che solo il mio sangue di Malfoy, dove
la
magia era incredibilmente pura, mi aveva consentito di superare il mio
grave
trauma cranico. Mi esercitai ancora per un po’ fino a che il
cucchiaio non
rispose pienamente ai miei comandi, poi lasciai stare. Prima di riporta
al suo
posto la lucidai per bene; mio padre lo aveva sempre fatto quando la
bacchetta
era sua, sostenendo che non sarebbe stato dignitoso averla sporca e
malmessa
come il ramoscello di una siepe Babbana.
Allora
presi il volume di Storia e cominciai a sfogliarlo. era la biografia di
un mago
di qualche secolo prima, un tale Ignotus Peverell, sfuggito alle
persecuzioni.
Era una biografia piuttosto lacunosa ma si sforzava di ricostruire
l’intera
esistenza di Ignotus. Il cognome Peverell era abbastanza conosciuto,
era una
famiglia Purosangue il cui nome era ormai andato perduto, ma come tutti
i
Purosangue era probabile che fossimo stati imparentati con almeno uno
dei
Peverell. Del resto pochi avevano il sangue altrettanto puro come i
Malfoy.
Mi
appassionò. Lessi di tutta la sua infanzia, e della sua
adolescenza, ma lì mi
interruppi perché in quel momento entrò McNair
tutto trafelato e con quell’aria
indignata che aveva sempre quando tentava di riparare ad una
ingiustizia. Cristo.
«Sono
venuto appena ho saputo» dichiarò piombando a
sedere sulla sedia più vicina, le
gote arrossate. Ogni tanto, quando aveva un’espressione
così, sembrava un
bambino e non un adulto Serpeverde. Tacque un istante. «In
realtà l’ho sentito
ieri sera» aggiunse alla fine, con aria colpevole,
«ma ero così stanco che...
beh, in fondo non era orario di visita». Si
schiarì la voce. «Ti ho portato i
compiti» disse alla fine, schiaffando alcuni fogli ed un paio
di libri sul
tavolo.
Io
alzai gli occhi al Cielo. «McNair...» dissi, con un
sospiro. «Sei un idiota.
Non volevo avere la
possibilità di
fare i compiti».
«Oh»
commentò lui, compunto. «Non immaginavo... sei al
settimo anno, pensavo... i
MAGO...».
«Lascia
perdere» dissi io tagliando corto di fronte alla sua
mortificazione. Ma perché
non era un Tassorosso?
Rianimatosi,
mi sorrise. «Senti, ma... che cosa è successo
esattamente?».
Per
dargli qualcosa su cui occupare i pensieri, gli feci un breve resoconto
di
quanto era accaduto da quanto, la mattina precedente, ci eravamo
salutati.
McNair non andava spesso ad Hogsmeade se non era accompagnato da tante
persone,
perché temeva che qualche Mangiamorte se la prendesse con
lui. Essere nel ramo
ribelle della famiglia talvolta è quasi peggio di essere un
Mezzosangue od un
SS.
Lui
ascoltò annuendo. «Granger» disse alla
fine, pensieroso. «Il nome mi è
familiare. È carina?».
«No»
dissi senza nemmeno pensarci. «E’ l’amica
di Potter».
«La
rossa? Quella del mio anno?» domandò McNair
sfregandosi il mento, pensieroso.
«E’ una Purosangue, no?». Se
c’era una cosa su cui davvero McNair era un
Serpeverde, erano le questioni di sangue. L’unica cosa era,
che anziché provare
disgusto per i Sangue Sporco, li chiamava Nati Babbani e li considerava
come
persone meno fortunate. Poteva anche parlarci, ma mai avrebbe voluto
imparentarsi con loro.
«Chi,
pel di carota Weasley? No, non quella, quella è
l’ex di Potterino, e si, è una
Purosangue, ma è come se fossero Babbani. Naturalmente non
li consideriamo
parenti. L’altra, quella coi capelli crespi».
«Oh,
quella con quel nome da Shakespeare?» chiese lui emozionato.
Era un amante di
Shakespeare. Probabilmente era quello che lo portava ad avere tanta
stima dei
Babbani, il fatto di Shakespeare. Anche se non era ancora certificato
il fatto
che non fosse in realtà il mago. «Aspetta...
Ofelia? No, non Ofelia».
«Hermione»
lo corressi, storcendo il naso. Probabilmente era la prima volta che
pronunciavo anche il suo nome. Cuore mio, trattieniti.
«E’
la migliore del vostro anno, giusto? È carina»
disse lui.
«I
suoi genitori sono Babbani» dissi con voce atona.
«Oh.
Poverina» disse, con aria compassionevole. «Ma
è davvero possibile che sia la
migliore del corso? Una Babbana?».
«Così
pare».
«Deve
avere qualche parente mago» disse lui pensieroso. Non ce
l’aveva granché con i
Mezzosangue. Del resto anche io ammettevo che c’era una bella
differenza tra mudblood e halfblood; anche tra i Serpeverde
c’erano dei Mezzosangue, anche se
si trattava sempre di gente con un grande ascendente magico, mentre non
ce
n’era nessuno di Sangue Sporco. In fondo anche il Signore
Oscuro era stato un
mezzosangue, così come Potter, eppure al primo anno non
avevo avuto problemi
all’idea di stringere un legame con lui. Era stato lui a
scegliere la strada
sbagliata.
«No,
non ne ha» lo informai. «nessuno fin dai tempi di
Merlino».
«Bizzarro»
commentò allora lui. «Eppure, con un nome
simile... non è un nome da San... da
Nato Babbano. Continuo a credere che sia una Mezzosangue. Che cosa
fanno i
suoi?».
«perdio,
McNair, ti pare che sia mai andato a chiederglielo? È
Babbana e amica di
Potter, anche solo l’idea di toccarla mi ripulsa. Se ti piace
tanto invitata ad
uscire come ha fatto quell’idiota, quel McLaggen,
l’anno scorso, o almeno così
pare».
«E’
uscita con McLaggen?». Strabuzzò gli occhi.
«E tu come lo sai?».
«Pansy.
Credo che un po’ fosse attratta da quel tizio. Personalmente,
lo trovo un
idiota. Specie se vuole la Granger».
«Mmh...».
McNair rimase in silenzio qualche minuto. «Non ho mai
approfondito l’argomento,
ma... perché ce l’hai tanto con Potter? Si,
insomma, vi odiate da sempre, non a
causa di Lord... del Signore Oscuro».
«Potter
è un idiota».
«Però...»
sembrò voler dire qualcosa ma si interruppe. Potter era pur
sempre un
Grifondoro, ed un nemico del Signore Oscuro. Nonché mio.
«Per quale motivo la
Granger ti ha aiutato, allora?» chiese invece.
Cominciavo
ad essere stufo di McNair, delle sue presa di coscienza per Potter e
per la
Granger.
«Perché
non ha il fegato per essere una stronza» proclamai con aria
stanca. «Ma se
vuoi, domani cercala e chiediglielo di persona. Se hai voglia di
parlare con
una Sangue Sporco».
«Detto
dal tizio che viene ignorato anche dagli altri Serpeverde»
disse una voce
squillante, «mi sembra un po’ improprio, non
credi?».
Hermione
Granger, SM, SS, nonché persona inopportuna, stava sulla
soglia e ci guardava,
corrucciata. Doveva aver assistito al nostro ultimo scambio di battute.
Accidenti.
Sia io che McNair arrossimmo appena, ma per ragioni diverse; lui per
l’imbarazzo di essere stato sorpreso ad insultare qualcuno,
fosse anche una
Sangue Sporco, io perché non volevo che pensasse che parlavo
di lei in sua
assenza. Lo giuro, solo per quello. Oh, d’accordo, anche
perché aveva centrato
il punto. A parte questo, però, non c’era altro.
Davvero.
«E
tu che diavolo ci fai qui, Granger?» dissi, con aria
spavalda. «Ti è
dispiaciuto che sia sopravvissuto e sei venuta a terminare il
lavoro?».
Lei
fece un sorriso amabile e quindi inquietante, specie se rivolto a me.
«Vorrei
che fosse così. Purtroppo sono solo venuta per conto della
professoressa
McGranitt per darti i suoi compiti, che nessuno ha voluto portarti, e
che ho
dovuto prendere io perché la McGranitt mi ha pregata di
farlo. Oh, e dovevo
anche darti un messaggio da parte sua, e cioè, che ha saputo
che eri ubriaco e
che ha provveduto personalmente
a togliere venticinque punti per Serpeverde. Ma forse nella vostra casa
basta
che imprechiate contro un Grifondoro per riguadagnarli».
Avrei
voluto rispondere qualcosa di molto arguto, ma
avevo mal di testa, e poi, che cosa avrei potuto dire? Non
che gliela
volessi dare vinta, ma proprio non sapevo cosa dire.
«Ehm...
senti» disse McNair, titubante, «non te la sei
presa, vero?».
«Figurati»
disse lei altezzosa tirando su con il naso. «Non per certa
feccia. Specie se
questa feccia deve ubriacarsi per dimenticarsi di essere
feccia». E detto
questo alzò il mento, mi schiaffò i libri sulle
ginocchia badando bene a non
sfiorare nemmeno la coperta, si voltò su se stessa frustando
l’aria con i suoi
capelli crespi, e si allontanò a passo di marcia. Rosso di
collera le urlai
dietro di andare in un certo posto, ma lei fece finta di nulla o forse
non mi
sentì.
Invece
mi sentì Madama Chips che, forse pensando che mi stessi
riferendo a McNair,
fece capolino da un’altra porta e puntandogli il dito contro
lo cacciò, minacciandolo
di morte se avesse fatto agitare ancora il paziente (che sarei stato
io).
Così
rimasi da solo – di nuovo – con un mucchio di
compiti da fare,ed il mio mal di
testa. feci tutto quello che avevo da fare, ma la mia testa era
altrove, e cioè
a quanto fosse umiliante essere dileggiato da una Mezzosangue, e a come
mostrare al mondo che il cadetto Malfoy aveva ancora un bel
po’ di dignità da
vendere.
Anche
se al momento, lo stesso cadetto Malfoy era impegnato a vomitare
l’anima in un
catino.
McNair
non tornò a trovarmi. Glielo
avevo
proibito per alcuni ottimi motivi. Il primo, che talvolta risultava
spossante.
Il secondo, che così avevo una scusa per non avere i compiti
– visto che la
Granger mi aveva portato solo quelli di Trasfigurazione. Il terzo, che
vedendo
che nessuno mi veniva a trovare, forse quei figli di puttana che un
tempo
avrebbero sbandierato con orgoglio la propria essenza Serpeverde, e che
ora
imploravano Potter di avere un’istantanea del suo culo, si
sarebbero sentiti in
colpa.
Ero
davvero incazzato, e non solo perché stavo male, anche se
ammetto di non essere
tollerante quando sto male. Perché non avrei dovuto essere
intollerante, visto
quello che mi era sempre stato dovuto, e che adesso tutti si
dimenticavano di
darmi?
Sapevo
che la viltà era il tratto più famoso dei
Serpeverde, ma di vili era pieno il
mondo. Quello che spesso si dimenticavano di ricordare nel menzionare
gli
attributi che facevano tale un Serpeverde, era che per essere tali
bisognava
possedere anche molti pregi. Oltre alla purezza di sangue, intendo.
Anche se
molti Serpeverde erano degli idioti – non erano certo
Corvonero – l’astuzia, la
furbizia, erano ammirate, così come una certa
abilità a risolvere situazioni
complicate. A questo si aggiungeva l’orgoglio, una certa
regalità. Cosa che in
molti avevano dimenticato.
Ok,
d’accordo, la maggior parte dei Serpeverde non erano svegli.
Sapevo anche che
ormai finire a Serpeverde significava solamente sentire il fascino di
quella
parte della vita, che tutti si ostinavano a considerare oscura.
Tuttavia tutti
noi ci ostinavamo a considerare la casa di Serpeverde la migliore;
accidenti,
era quello che avrebbe dovuto essere. Eravamo i più puri, i
più eletti, avremmo
dovuto essere maghi dotati e capaci. Invece, e
l’atteggiamento patetico dei
miei compagni lo dimostrava, non
era
più così da molto tempo.
Non
avevo il diritto di essere arrabbiato? La mia casa era disprezzata.
Tutte le
altre venivano considerate come case di uguale dignità,
sebbene Tassorosso
fosse per alcuni un gradino più in basso. Nessuno era
disposto ad accettare che
avessimo ragione noi. ma dovevamo averla. Ne ero certo. Fin da bambino
mi era
stata insegnata l’importanza del sangue puro,
dell’orgoglio, del talento usato
per ribadire la propria superiorità, ed ora, con il loro
comportamento, quegli
idioti facevano sembrare che Potter e la gente di quella risma avesse
ragione.
Perciò
si, ero arrabbiato, e stanco. Insomma, non valevano più
niente i Serpeverde,
quelli autentici? E soprattutto, perché nessuno riusciva a
capire che cosa
significasse esserlo? L’orgoglio, la nobiltà,
l’intelligenza, perché nulla di
tutto questo poteva essere valutato, soltanto perché
tendevano verso una
direzione differente?
Intendiamoci,
non che non fossi contento di non essere più costretto a
convivere con il
Signore Oscuro. Non era molto carino da guardare in faccia e non era
piacevole
una conversazione che anziché sulle barzellette verteva su
piani di conquista e
stragi, né un cameratismo distorto e servile, né
un ambiente malsano dove le
maledizioni che venivano lanciate tra i compagni erano più
numerose dei saluti.
Ehi,
mai detto di essere stato contento nel vedere Babbani morenti penzolare
a testa
in giù dal soffitto della mia sala da pranzo. Il mio
appetito non ne era
granché stimolato, se proprio volete saperlo, né
lo era nel vedere Nagini
soddisfare il suo con i resti di quegli stessi Babbani.
Si,
non potevo non gioire sapendo che io ero al sicuro –
relativamente, si intende
– e che la mia famiglia lo era, seppur dietro le sbarre. Le
notti di paura che
avevo passato l’anno precedente, nella mia dimora, sentendo i
Mangiamorte al
piano di sotto gozzovigliare tra le antiche mura della mia casa, loro,
molti
dei quali non avrebbero nemmeno potuto osare pensare di ricevere un
invito in
una situazione differente... sapendo di avere un compito da svolgere, uccidere, io che non avevo mai ucciso
nessuno, che avevo sognato soltanto una vita di gloria e di agio come
il mio
sangue esigeva, io, che non avevo mai fatto nulla di peggio di
torturare Potter
– e quella, ammettiamolo, non era nemmeno tortura.
Uccidere
Silente. Non ce l’avevo fatta. Anche tra le mura di Hogwarts
mi era sembrato di
sentire la risata tetra e vuota del Signore Oscuro che risaliva gli
scaloni di
marmo – non sbronzo come me, di sicuro, ma trionfante e
scortato dai suoi folli
adepti -, lo strisciare di Nagini che reclamava un suo spuntino, mentre
la Sua
voce mi intimava, fallo, fallo, fallo. E avevo tramato e tramato e
tramato,
sapendo che la vita di mio padre era in pericolo, quella di mia madre
era in
pericolo, così come lo era la mia; maledicendo la mia sorte
che mi portava
lontano dal mio cammino, tremando, piangendo talvolta in segreto, come
la volta
in cui Potter mi aveva scoperto.
Si,
ero stato sollevato, ma non abbastanza, perché il Signore
Oscuro ci voleva, né
era scomparso, e ancora tremavo. E nel frattempo ero odiato da tutti,
commiserato da molti, e solo. Meglio soli che male accompagnati, non
è vero?
Eppure
mi bruciava terribilmente nel mio piccolo orgoglio di Malfoy, lo stesso
che mi impediva
adesso di strisciare dai buoni
– veri
o presunti – e da quelli che tenevano la foto di Silente sul
comodino per
implorare perdono e comprensione. Non mi era mai piaciuto sapere che
mio padre
era riuscito così a ricostruirsi una vita, quando il Signore
Oscuro era stato
costretto a soccombere di fronte alla brutta faccia di baby Potter,
come se per
tutto il tempo il Signore Oscuro lo avesse ingannato. E poi, andiamo,
come
avevano fatto a bersela? “Lo giuro, mi aveva detto di voler
aprire una
associazione di beneficienza per Babbani infreddoliti, non sapevo che
li
torturasse, pensavo facesse loro il solletico! ....dare loro fuoco? Oh,
ma io
volevo solo scaldarli, davvero!”. Che diavolo!
Volevo
parlare con qualcuno, anche con Potter, solo per insultarlo. Un legame
d’odio
era meglio di nessun legame. Perfino un elfo domestico sarebbe andato
bene, se
mi avesse permesso di sfogare quello che avevo dentro... le parole che
avevo
dentro.
Queste
meditazioni cupe mi occuparono la giornata, perché soltanto
nel pomeriggio mi
decisi ad aprire il libro su Ignotus. Prima avevo delle vertigini
troppo
violente, che Madama Chips non mi aiutò a combattere mentre
mi lanciava
incantesimi piuttosto dolorosi e senza altro esito che quello di farmi
strillare ancora. Per fortuna ero l’unico paziente
dell’infermeria.
Il
secondo ed il terzo giorno proseguirono allo stesso modo. Mi sentivo
stanco e
svogliato, perché non avevo nulla da fare se non pensare al
mio mal di testa o
alle mie condizioni pietose. Il terzo giorno in particolare prometteva
di
essere particolarmente spiacevole, visto che era il giorno delle
selezioni per
il Quidditch. Non che avessi intenzione di parteciparvi, visto che
nessuno mi
parlava, ma comunque, la sensazione di giocare era qualcosa che non
provavo da
tempo.
Sentivo
le urla venire dal campo di gioco, il vociare di tanti studenti in
fila. Dopo
una buona mezz’ora, stufo di stare a letto, calciai via le
coperte con disgusto
e mi alzai, barcollante, per avvicinarmi alla finestra. La testa girava
un po’
meno di prima, ma mi appoggiai comunque al davanzale.
I
colori delle divise erano quelle di Corvonero, impossibili da
confondere
nonostante il campo fosse piuttosto lontano. Si vedevano tante piccole
figure
danzare nell’aria, e sospirai, desiderando di essere
lì fuori.
Mi
mancavano i tempi di spensieratezza. Quelli in cui tutti mi volevano e
mi
seguivano, quelli in cui tutti invidiavano la mia scopa, il mio ruolo,
i miei
voti perfino, il mio viso caparbio e bello. Si, diavolo, sapevo di
essere
bello, ricco ed invidiato, perfino da quelli delle altre case. Eppure,
dannazione, anche se la mia anima Serpeverde vomitava –
metaforicamente – a
quella confessione, perfino essere uno di quei Tassorosso vocianti
sugli spalti
sembrava attraente. Loro erano liberi, amati, senza un oscuro signore
serpentesco a strisciare nei loro incubi – almeno, non come
succedeva a me.
Loro non avevano mai neppure visto in faccia – se faccia era
– il Signore
Oscuro. Per questo potevano ancora scherzare e preoccuparsi di perdere
dieci
punti per la loro casa, chiedersi come fosse andato il compito di
Trasfigurazioni, se quella strega della Cooman avesse ragione ad
informarli che
si sarebbero rotti una gamba, e così via.
Mentre
pensavo a tutto questo, la porta alle mie spalle si aprì, ed
io mi voltai di
scatto. Pessima idea. Feci appena in tempo a notare un cespuglio di
merdosi
capelli crespi, prima di cadere carponi per terra, e cercare di non
vomitare
ancora. Ero davvero stufo di farlo. La Chips mi aveva rimpinzato di
dolci
perché riuscissi ad assimilare nutrimento, visto tutto
quello che avevo perso
rimettendo. Beh,qualcuno di loro sarebbe tornato alla luce.
«Malfoy...».
Cristo, quella voce mi aumentava la nausea in maniera esponenziale.
Forse, se
avessi vomitato sul paio di scarpe di vernice nera che mi stavano di
fronte
agli occhi, avrei almeno avuto la soddisfazione di far credere alla
Granger che
la sua presenza bastava a provocarmi i conati. Inoltre.... vernice
nera?
Eravamo tornati indietro di tre secoli, o cosa?
Purtroppo,
la nausea era scomparsa già dal giorno prima quasi del
tutto, a differenza
delle vertigini. Perciò no, non vomitai. Sentii qualcosa
toccare terra con un
tonfo, poi vidi le ginocchia ossute della Granger posarsi sul
pavimento, ed una
mano toccarmi la spalla con dolcezza nauseante.
«Draco
Malfoy» disse il mio nuovo incubo, piano. «Mi
senti?».
«Si»
dissi, ingoiando le offese, perché le avevo perse nel
vortice della realtà che
non voleva fermarsi. Potevo sempre mandarla a quel paese più
tardi.
Non
disse altro, forse perché capì che la mia
risposta laconica derivava dalla mia
totale afasia momentanea dovuta alla nausea. Mi tirò su
senza complimenti né
gentilezza, ed in qualche modo mi sostenne fino al letto. Mi ci fece
stendere, piano,
e dopo un minuto o giù di lì mi sentii meglio
(leggi: meno di merda). A quel
punto la guardai. Mi scrutava in silenzio, le labbra premute
l’una contro
l’altra come avrebbe fatto quella becera della McGranitt, e
non certo con
timore.
«Ti
senti meglio?».
Volevo
fare un cenno di assenso, ma era un’idea davvero pessima.
«Si» dissi di nuovo.
Ehi, due frasi senza insultarla. Dovevo muovermi a recuperare, prima
che le
offese mi andassero di traverso soffocandomi. Stupida Babbana poteva
andare
come inizio, ma poi avrei dovuto proseguire con più elegante
sdegno.
Sporca
Mezzosangue? Sporca Mudblood era
meglio.
SM
mi guardava ancora, con insistenza quantomeno fastidiosa, ma non
riuscivo ad
infastidirmi perché non vedevo l’ora di
insultarla. Il contatto umano, che cosa
meravigliosa.
«D’accordo»
disse lei altezzosa. «Dovevo solo portarti i compiti. Non
volevo farlo, ma la
persona incaricata» e fece un sorrisetto malvagio,
«ha improvvisamente
ricordato altri impegni».
«Stupida
Babbana, non mi interessa» dissi, ma non appena la frase mi
uscì di bocca, mi
accorsi che era esteticamente schifosa. Decisi di migliorarla con una
nuova
frase più articolata. «Le parole di una Sporca Mudblood come te sono fastidiose di per
sé, ma il fatto che tu
possa anche solo pensare di parlarmi con una tale insolenza, dimostra
che al di
là di quei capelli stopposi non nascondi una grande
intelligenza». Questa frase
era troppo pomposa, ma ehi, chi se ne fregava? In fondo,
l’importante era
insultare qualcuno (leggi: parlare con qualcuno, ma non ditelo in giro).
La
Granger non si scompose, anzi, mi guardò con una sorta di
compassione. COMPASSIONE, per me! Sentii di nuovo una grande rabbia, ma
era una rabbia impotente,
perché anche insultarla non avrebbe portato a nulla.
dannazione!
Nel
frattempo la sporca mezzosangue si era alzata e aveva raccolto dal
pavimento il
plico di compiti che vi aveva posato per aiutarmi. Magnifico. Quindi
allontanare McNair era stato inutile. Me li lasciò cadere
sulle gambe con
forza, anche se feci finta di non accorgermene. «Questi sono
di
Trasfigurazione, Pozioni, e Difesa Contro le Arti Oscure» mi
informò, con voce
piatta. «Quello di Pozioni è per domani, gli altri
due per Giovedì. Ah, a
proposito... i compiti di Trasfigurazione, quelli che ti ho dato la
volta
scorsa, dove sono?».
Indicai
con aria aristocratica il comodino. La stupida Babbana prese le
pergamene e le
sfogliò.
«Non
li hai fatti» constatò, stupita.
«Si,
beh, ti informo che non sono affari tuoi, Granger. Comunque sono
esentato dai
compiti».
«E
questo chi lo ha deciso?» chiese lei, disgustata. Quando si
trattava di compiti
se la prendeva sul personale, più di quanto non accadesse se
la offendevi.
Idiota.
«Io»
dissi io osservandomi le unghie, annoiato.
«E
che cosa pensi che dirà la McGranitt? Domani devi
consegnarglielo».
«Non
ne saprà nulla, Granger» dissi con aria da
saputello, e voce nasale. «I compiti
saranno fatti».
Lei
spalancò la bocca, insopportabilmente, e mi
guardò. «Vuoi farteli fare?».
«Fatti
i cazzi tuoi, Granger»
ripetei, come in
una litania.
«Beh,
non sfrutterai qualcuno solo perché vuoi fare il povero
malato» disse lei con
decisione, ficcandosi le pergamene nella borsa, e scrutandomi come se
fossi
stato un grumo viscido di spazzatura. «Lo sai, Malfoy, questa
volta nessuno
fingerà di crederti mentre fingi di agonizzare».
Finsi
di non ascoltarla. Non mi importava nemmeno che prendesse i compiti. Se
la
McGranitt avesse protestato, avrei sempre potuto dirle che la Granger
me li
aveva presi, e così l’avrei messa nei guai. La
prospettiva mi riempiva di
maliziosa contentezza, che espressi stiracchiandomi pigramente tra le
lenzuola
candide.
A
quel punto vidi che faceva retrofront, diretta verso la porta. Mi
dispiacque,
mi stavo divertendo ad insultarla, ed inoltre non volevo lasciare che
se ne
andasse avendola vinta. «Dove sono Potter e Lenticchia,
Granger? Stanno ancora
cercando di salire sulla scopa?» chiesi, con un sorriso
perfido, che vide non
appena si voltò.
«Naturalmente.
Imitano te, che non sai nemmeno salire le scale»
replicò, e ancora una volta se
ne andò sbattendo la porta, e svegliando Madama Chips, che
avevo sentito
russare nel suo ufficio. Arrivò tutta agitata e questa volta
non trovò nessuno.
Allora borbottò qualcosa e richiuse la porta, lasciandomi
solo di nuovo a
sbollire la rabbia.
Passò
almeno un’ora, durante la quale ebbi modo di pensare a ogni
insulto contro
l’impurità di sangue che riuscii ad elaborare, e
che annotai mentalmente per
ripeterli alla Granger quando ne fosse giunta l’occasione.
Poi la Chips
ritornò, una pergamena in mano, informandomi
che un tizio dal San Mungo sarebbe arrivato domani per
visitarmi e
stabilire se le cure da lei prestate fossero state efficaci o meno.
«Non sono
un’esperta di testa, ragazzo» mi disse intanto,
mentre mi tendeva un calice
colmo di pozione soporifera ed un vassoio con la cena. «Ma se
c’è una cosa che
mi consola è sapere che con quella
avevi qualche problema anche prima di venire qui».
Non
replicai. Mentre mangiavo, McNair salì
all’infermeria per cinque minuti, giusto
il tempo per salutarmi mettendo a tacere i sensi di colpa –
nonostante fossi
stato io a dirgli di non venire – e per comunicarmi che la
mia avventura era
conosciuta ormai in tutta la scuola, e che tutti i Grifondoro erano
rimasti
deliziati sapendo che mi ero ubriacato.
«Splendido»
commentai, cercando di sembrare disinteressato. Non che fosse difficile
dissimulare, con McNair. «Suppongo che la Granger non abbia
resistito all’idea
di gettare fango sul mio buon nome».
«In
realtà» disse il mio interlocutore, evidentemente
incerto sull’opportunità di
difendere una Sangue Sporco, «è stata la
professoressa McGranitt. Ha detto a
Pansy quello che era successo per invitarla a portarti i compiti, e la
voce si
è sparsa a macchia d’olio».
Meraviglioso.
Non potevo neppure incriminare la sporca Nata Babbana per le mie
disgrazie. Era
decisamente una pessima giornata.
«A
proposito, McNair, non venire domani. Mi sto già
rimettendo».
«D’accordo.
In ogni caso» arrossì appena, «ci sono i
provini di Quidditch, domani». Quel
povero diavolo avrebbe voluto fare il Cacciatore, nonostante sembrasse
goffo.
Dubitavo che ne fosse in grado, ma ehi, non avevo nessuna motivazione
seria per
dire che facesse schifo. E poi, inutile dirlo, non sempre a passare
erano i
migliori. Voglio dire, guardate Weasley!
«Che
diavolo dici? Non erano oggi?».
«Dovevano.
Solo, dopo i Corvonero è venuta la volta dei Tassorosso.
Praticamente metà
della Casa si è presentata, ed erano tutti... beh,
pietosi». Se lo diceva lui,
ci credevo. «Sono andati avanti ore.
Così, domani tocca a quelli di Grifondoro e di Serpeverde,
perché non siamo
riusciti a combinare nulla col buio».
«Capisco»
dissi. «Quindi Potter non ha ancora dato il meglio di
sé».
Lui
scosse il capo.
«D’accordo»
dissi, alzando le spalle. «Beh, McNair, sono parecchio stanco
adesso. Se non ti
dispiace...».
Così
lo congedai senza troppi complimenti, e lo vidi uscire dalla porta di
corsa per
non arrivare tardi.
Sospirai,
certo che il giorno seguente sarebbe stata un’altra luunga
giornata. Tuttavia,
se c’era una cosa che avevo imparato sulle giornate di merda,
era che bastava
tirare l’acqua alla fine di ogni giornata, sperando che
quella successiva
sarebbe andata meglio. che diavolo, ero un vero Serpeverde, un vero
Malfoy, e
dovevo dimostrarlo a tutta la feccia che c’era lì
fuori. Era come uno squallido
nascondino di emozioni, dovevo solo inghiottire tutto quanto di
più doloroso
provavo, e fotterli tutti. Anche se avevo un aspetto di merda e mi
sentivo come
tale, sarei stato meglio, sarei andato lì fuori, e Cristo,
gliela avrei fatta
vedere.
Sempre
che fossi riuscito a reggermi sulle mie gambe, naturalmente.
Non
sarei dovuta essere io a portare di nuovo i compiti a Malfoy. La prima
volta la
McGranitt me lo aveva chiesto ritenendomi abbastanza matura da
affrontare un
Malfoy malato senza ucciderlo; la lezione seguente tuttavia aveva
pizzicato Ron
a discutere con Harry – a cui io non avevo partecipato, in
parte perché non ero
stata invitata (probabilmente si trattava della nuova barista, o forse
di
Ginny), in parte perché era il settimo anno, e cavolo davvero dovevo concentrarmi
– e per punizione lo
aveva incaricato di portare al nostro adorabile ex furetto appunti e
compiti da
fare.
Inutile
dire che Ron se n’era
completamente
dimenticato. Aveva passato l’intero pomeriggio come
inebetito, seduto sulla
poltrona, sgridando di quando in quando uno di quelli del primo o del
secondo
anno che avevo deciso di avvicinarsi. Quando gli avevo chiesto se aveva
portato
i compiti a Malfoy, aveva battuto appena le palpebre e poi aveva
borbottato
qualcosa su “numerosi impegni”, ma le sue orecchie
erano parecchio rosse ed
anche il suo viso, e di certo non era per colpa del fuoco.
Allora
gli avevo strappato la borsa dalle ginocchia, avevo estratto i fogli
incriminati, e dopo avergli lanciato un’occhiata velenosa che
non invidiava
certo quella di un Basilisco, me n’ero andata stupidamente
arrabbiata, e
stupidamente disgustata da me stessa all’idea di esserlo.
Non
avevo pensato a Ron mentre discutevo con Malfoy, perché lui
mi aveva fatto
pena. Se avessi potuto aiutarlo, lo avrei fatto, ma avevo la netta
convinzione
che Malfoy fosse molto al di là di qualunque aiuto. Le
offese che gli avevo
lanciato erano dovute principalmente all’abitudine che avevo,
di non lasciare
che nessuno l’avesse vinta in un colloquio verbale.
Tuttavia,
mentre scendevo le scale verso la Sala Grande, la mia mente era ben
lungi dal
soffermarsi su cose infime come Malfoy. Era Ron quello a cui pensavo.
Oh,
d’accordo, l’anno precedente avevo più
volte dovuto riflettere su quello che
provavo per lui, quando avevamo passato quei lunghi mesi divisi a causa
di
quell’orrida di Lavanda
Brown,
eppure... anche se avevo temuto di avere una cotta per lui, avevo
deciso che lo
consideravo solamente un amico, altrimenti perché mi sarei
dovuta accontentare
di sentirlo sussurrare il mio nome nell’incoscienza?
Quindi,
dopo quella volta in cui lui era stato avvelenato, ed avevo temuto per
la sua
vita, e lo avevo sentito invocare il suo nome, avevo deciso che era
stata una
sorta di gelosia da amica, la voglia di non condividerlo per una
persona
immeritevole della quale a lui non importava davvero.
Doveva
essere così anche questa volta. Mi seccava semplicemente che
lui potesse
passare tutto il suo tempo pensando ad una tizia della quale sapeva
poco o
niente, solo per via della sua bellezza. Eravamo amici, davvero amici,
ed
eravamo coinvolti in cose molto rischiose ed essenziali, e lui che
faceva?
Perdeva tempo dietro a qualche sciacquetta che comunque avrebbe potuto
vedere
appena una volta ogni tanto.
Era
così, senza dubbio.
Arrivai
nella mia Sala Comune, e scorsi i miei due amici chini su pergamene e
libri. Mi
avvicinai, cercando di essere di buon umore, sapendo di non riuscirci,
ma anche
che loro avrebbero probabilmente mancato di accorgersene. Benedetto
spirito di
osservazione maschile. Perfino Malfoy era più acuto di loro,
talvolta.
Harry
aveva la fronte aggrottata e gli occhi fissi su un unico punto di
Pozioni
Avanzate. Il mio pozioni avanzate,
visto che la sua copia era nell’armadio di Pozioni, e quella
con cui l’aveva
scambiata nascosta in qualche meandro oscuro della Stanza della
Necessità. Non
che avessi da ridire, su questo punto. Non impazziva nessuno, ormai,
all’idea
di sfruttare le impressionanti conoscenze del Principe Mezzosangue. Non
da
quando eravamo venuti
a conoscenza del
fatto, che il Principe era quello stesso Piton che aveva ammazzato
Silente. Del
resto, anche prima, non era stato quel libro a far rischiare ad Harry
di
ammazzare Malfoy? Scommetto che gli era rimasta qualche cicatrice.
Oh,
d’accordo, ero anche un po’ gelosa dei risultati
che Harry era riuscito ad
ottenere da quel dannato libro. E irritata, perché non avevo
saputo fare
altrettanto.
Ron
invece aveva apparentemente rinunciato a consultare il libro di testo e
scribacchiava freneticamente.
«Ciao.
Come procedono i vostri compiti?» chiesi, sedendomi di fronte
a loro. Inutile
dire che io li avevo già fatti, i compiti. Non potevo certo
permettermi di
restare indietro.
«Male»
risposero loro in coro. Io scossi il capo.
«Ve
l’ho detto. Anziché perdere tempo con certe
cavolate» e scoccai un’occhiata di
traverso a Ron che lui non percepì e che Harry
ignorò, «dovreste mettervi
d’impegno nello studio».
«Oh,
andiamo, Hermione» protestò Harry, disperato.
«Lo sai che la scuola non è al
primo posto quest’anno, nei miei pensieri. Gli
Horcrux» aveva abbassato la voce
ad un sussurro da cospiratore, «non ne abbiamo trovato
nemmeno uno».
«Non
intendo dire quello»
dichiarai
altezzosamente. «Ma Harry, sul serio, non ci stiamo mettendo
davvero tutto
l’impegno che dovremmo metterci, in nessuna di queste cose,
e...».
«Si,
forse hai ragione» disse lui frettolosamente.
«Però, Hermione... anche se vuoi
farci la ramanzina... sul serio, abbiamo bisogno di aiuto».
«Si,
Hermione» si affrettò ad aggiungere Ronald.
«Ci stavamo scervellando»,
- calcando sulla parola con tono teatrale -, «per
finire questo dannato tema per Lumacorno».
«Avreste
dovuto farlo già ieri» dichiarai, ma senza
durezza, mentre tiravo verso di me
la pergamena di Harry, già riempita per metà
(anche se sul contenuto avevo
qualcosa da ridire).
«Scusami»
dissero entrambi, molto contriti.
Cominciai
stancamente a leggere le righe buttate giù da Harry, ma in
tutta sincerità,
facevano schifo. Corressi un paio di cose qua e là, sapendo
che in nessun caso
ne avrebbe ricavato qualcosa di meglio di
“accettabile”, e chiedendomi nel
frattempo come fosse possibile che un ragazzo che, come Harry, era
tutto meno
che stupido, fosse un tale inetto.
Tuttavia
era una domanda che mi ponevo da un secolo, perciò non
cercai nemmeno di
rispondere. Invece pensai che, se anche Harry aveva avuto da fare
– tra
Horcrux, compiti, il Ministero e anche il suo ruolo di capitano di
Quidditch,
benché a mio parere non fosse qualcosa che meritava di
interferire con lo
studio – lo stesso non si poteva dire di Ron. Mi sentii
irritata.
Misi
da parte il tema di Harry, anche se non avevo finito di correggerlo.
«E tu,
Ron? Che cosa hai fatto finora?». Ron arrossì
appena, ma spinse verso di me la
sua pergamena. La lessi a mente, il sopracciglio alzato.
«LA
SECONDA LEGGE DI GOLPAROTT ED I SUOI
EFFETTI NELLA CORRETTA PREPARAZIONE DEI DISTILLATI
La seconda legge
di Golparott è
una delle leggi fondamentali tra quelle che influenzano la preparazione
di una
pozione. Nel caso dei distillati, essa si applica,
perché...» qui si interrompeva.
Tacqui,
brevemente, prima di alzare gli occhi a fissarlo.
«Tutto
qui?».
Lui
alzò le spalle, imbarazzato. «Non sono bravo in
queste cose, ‘mione, lo sai,
no?».
Il
mio sopracciglio si arcuò nuovamente. «Non hai
neppure scritto una riga».
«Una
si» tentò di scherzare lui, ma fu freddato dalla
mia espressione omicida. Si
schiarì la voce. «Beh, speravo che tu potessi...
aiutarmi, ecco».
Sdegnata,
sbuffai. «Non si tratta di aiutarti, Ronald. Si tratta di farti i compiti» puntualizzai,
picchiettando con il dito sopra a
quello che osava definire “il suo tema”.
«Se ci avessi almeno provato...».
«Senti,
mi dispiace, ok? Ho avuto da fare, sono stanco...».
«Avuto
da fare? A fare cosa?» domandai, sprezzante. Le sue orecchie
si colorirono, e
farfugliò qualcosa di incomprensibile, mentre Harry si
schiariva timidamente la
voce. «Ehm... Hermione...».
«La
verità, Ronald Weasley»
dissi a voce
alta, consapevole di essere sempre
più
arrabbiata, «è che tu non fai un bel niente.
Ti limiti a rimanere chiuso in quei due pensieri che costituiscono la
tua
giornata: il Quidditch, ed il cibo. Oh, non importa quanto io sia
stanca, lui
non può fare il tema...».
«Hermione...»
riprovò Harry, guardandosi attorno allarmato. La Sala era
quasi vuota, in molti
erano già scesi a cenare, ma quelli presenti cominciavano a
lanciare occhiate
via via più frequenti nella nostra direzione.
«...anche
se io sono riuscita a trovare il tempo, lui no, lui deve passare il
proprio
tempo a giocare a Gobbiglie, o... o...».
Ron
era sempre più rosso, ma si accalorava, boccheggiando, come
per rispondermi.
Harry ripeté di nuovo il mio nome.
«...
a pensare a qualche stupida barista che probabilmente non sa neppure
come ti
chiami...». Ron era ormai quasi violaceo in volto.
«...lui
è troppo al di sopra di noi per ridursi a...».
«Basta
così!» ululò lui, indignato, anche se
qualcosa nella sua espressione gridava
colpevolezza. «Hermione, tu... come ti permetti...
come....».
Naturalmente
avrei potuto ascoltarlo sproloquiare, ma sarebbe stato inutile.
«Vado
a cenare» dissi, senza ascoltarlo. Girai sui tacchi e uscii
attraverso il buco
nel ritratto, cercando di non piangere non strillare, ignorando Ron che
ancora
cercava di elaborare qualcosa di intelligente da dire.
A
cena mi sedetti vicino a Ginny, e parlammo del più e del
meno, evitando
misteriosamente di accennare – o di salutare – i
due che poco dopo si unirono
al tavolo, uno rosso, arrabbiato e assieme stupido, l’altro
confuso e timoroso.
Mangiai in fretta, ignorando tutti tranne Ginny, e salii al Dormitorio
prima
ancora che lei finisse la seconda portata. Quando mi sedetti sul letto,
ed
aprii la borsa alla ricerca di un libro, vi trovai, appena spiegazzati,
i fogli
dei compiti di Malfoy. Aprendoli, vidi che aveva cominciato a farli,
interrompendosi a metà della descrizione di come il naso si
potesse tramutare
in un becco.
Aveva
una calligrafia antiquata, da snob, ed un linguaggio pedante.
Però ci aveva
provato, e non faceva poi così
schifo. Chissà, forse ci avrebbe provato davvero, nonostante
tutto, se non gli
avessi sottratto i fogli per stizza.
Fu
così che, un po’ per dispetto verso Ronald Weasley
e le sue debolezze,un po’
per compassione e senso di colpa verso un Malfoy piuttosto brutto e
malato, mi
apprestai a buttare giù qualcosa per
quest’ultimo,da consegnare alla McGranitt
per l’indomani. Si, lo so, difficile da credere.
Del
resto, non era la prima cosa impossibile che vedevo.
Ciao! Sono
tornata! Innanzitutto
volevo ringraziare anche LadySerpeNera, nefastia, riketta, silvj
per aver messo la storia tra le seguite, e a flors99, nefastia
(ancora!), e
teya (ancora!) per aver recensito. Detto questo (dovuto!), volevo
inserite un
paio di note personali, la prima dei quali è sul nome dei
capitoli, per tutti
coloro (capita, gli altri non si offendano!) che non sanno
così bene l’inglese.
“Me, myself and I” è una frase fatta
inglese per dire “solo soletto”, e mi
sembrava adatta per il primo capitolo in assoluto. “Hide(ous)
and sick” ricorda
l’inglese “hide and seek” che significa
nascondino; “hideous and sick”
significa però letteralmente “repellente e
malato”.
Infine, un paio di
cose sulla
trama... il prossimo capitolo sarà l’ultimo
ambientato in infermeria (promessa
di scout!) e sarà piuttosto importante per la trama
futura... si sta finalmente
ingranando il racconto,quindi pazientate solo un po’!
Un grazie sentito
ancora a tutti
quelli che leggono la mia FF, sperando di non lasciarli delusi, e a
tutti
coloro che seguono e recensiscono! Grazie mille! A presto!
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Capitolo 3 *** Cunning as a Ferret ***
«E
qui?» chiese l’insopportabile individuo che avevo
di fronte, tastandomi
l’ennesimo punto della testa con le sue dita fredde e
sottili. Premeva con
forza sufficiente da farmi male anche dove non avevo alcun trauma,
figurarsi dove
mi ero spaccato la testa. Glielo avevo detto già la prima
volta, ma non
sembrava
affatto ascoltarmi, e continuava a
tastarmi senza ritegno la testa, chiedendomi man mano se sentivo dolore.
Di
tanto in tanto, ricacciava verso l’alto le maniche del suo
camice violetto, in
una sorta di tic nervoso, che finiva per innervosire anche me. Specie
sentendo
in continuazione quelle manacce gelide tastarmi la testa, scostandomi i
capelli
in un modo che faceva venire i brividi.
«Per
la dannata, ennesima volta» ringhiai, scostandomi dal suo
tocco ed osservandolo
con alterigia. Quel dannato sbarbatello mi dava sui nervi. Ricordavo
che,
all’epoca in cui ero stato al primo anno, lui era al settimo
di Tassorosso, e
si chiamava William Larkins. Era troppo giovane, troppo inesperto, e
troppo Tassorosso per potermi
visitare.
«L’intera testa
mi fa male, anche se
ho battuto qui» ed indicai un punto vicino alla nuca.
«Capisco»
disse lui placidamente, con l’aria di chi accoglie un particolare
interessante ma già
sospettato, fissandomi sorridente. «Beh, non credo ci sia
nulla di rotto, se
capite cosa intendo, ma credo che abbia un trauma di scarso rilievo
nella
regione...» e cominciò a sciorinare una lista
infinita di termini tecnici che
la Chips ascoltò con interesse, commentandoli con
l’aria esperta.
Larkins
assicurò la Chips che aveva fatto esattamente quello che
andava fatto, che la
testa era una questione delicata e serviva uno specialista, come lui
appunto,
ma che le cure che mi aveva prestato andavano più che bene,
e che avevo
soltanto bisogno di riposo. Concluse con la frase più patetica e scontata che avessi mai
sentito, che rivolse a me con il
suo sorriso irritantemente cortese e gentile. «...soltanto un
po’ di riposo...
in fondo, il corpo è la
magia più
grande di tutte, e sono certo che il tuo organismo saprà
rispondere in maniera
efficace, se lo lasci tranquillo».
Scoppiai
a ridere in faccia a William Larkins, con un certo disprezzo, che
tuttavia lui
non colse. Si limitò a sorridere e a guardarmi come se avessi colto nella sua
frase qualcosa di
innocentemente spiritoso, e volesse ringraziarmi per aver riso.
«Non
credo ci fosse bisogno di lei per
arrivare ad una diagnosi del genere» dissi sprezzante,
incrociando le braccia
al petto, e scrutando la sua uniforme
troppo grande per la sua corporatura da sbarbatello che gli cadeva male
addosso.
«No,
forse no. Siete molto fortunati, qui, ad avere una infermiera
competente come
Madama Chips. È molto più competente di molti
Medimagi che si trovano oggi in
circolazione» disse chinando appena il capo con cortesia.
«Già.
Se non mi sbaglio anche tu hai avuto modo di verificarlo, quella volta
in cui
hai mangiato cacca di Doxi, vero?». Era un classico, quello
di mangiare le uova
di Doxi per scommessa, ma ricordavo il Caposcuola di Serpeverde anni
prima
sogghignare mentre un suo camerata gli raccontava di averle scambiate,
nel caso
di William Larkins, con cacca dello stesso animale, senza togliergli un
solo
punto per comportamento irrispettoso. Larkins era stato quasi due
settimane in
infermeria, perché la cacca di Doxi era molto tossica, e lo
aveva molto
indebolito.
William
Larkins arrossì, finalmente imbarazzato, e
tossicchiò coprendosi la bocca con
una mano. Le maniche scivolarono lungo il braccio per
l’ennesima volta, ma
questa volta non le ricacciò indietro. Invece mi
guardò, con qualcosa di
indefinito nei suoi occhi di un comune marrone nocciola.
Perché
me la prendevo tanto con William Larkins? Non poteva essere solamente
perché
era un Tassorosso, o un medico troppo giovane e goffo. Forse era
perché era
troppo, dannatamente gentile, o forse perché semplicemente
volevo sfogare la
mia rabbia su qualcuno che non poteva replicare, e che in ogni caso non
avrei
più rivisto. In verità non lo sapevo proprio, ma
anche se forse avevo esagerato,
non ritrattai né minimizzai le mie parole di fronte alla sua
espressione
mortificata.
Si,
era una cosa da stronzo. E quindi? Ero un Malfoy, ed un Malfoy aveva
ogni
diritto di trattare da inferiore un essere come Larkins, che aveva
qualche
parentela Purosangue ma nemmeno poi così tante, e
nient’altro che la sua
licenza da Medimago a raccomandarlo.
«Si
fanno molte cose stupide quando si è giovani»
disse alla fine William Larkins
in tono sommesso, sforzandosi di sorridere ancora. «Ma sarei
felice se potessi
aiutare quelli che come te fanno le stesse stupidaggini che facevo io
allora,
proprio come Madama Chips ha aiutato me».
Avrei
voluto mandare a quel paese quel Medimago da strapazzo, ma non ci
riuscii. A
dire la verità, non riuscii a fare un bel niente. Provai
addirittura – ma non
ditelo in giro – una punta di qualcosa che somigliava in
maniera sospetta a rimorso, se non
a vergogna, totalmente
illogico. Voglio dire, era pur sempre William Larkins. Che
però mi guardava con
tranquillità assoluta, ed una punta di compassione, senza
più sorridere.
Così
lo guardai, e poi abbassai lo sguardo, cercando di mantenere un
contegno
offeso, ma senza riuscirci bene come avrei voluto, mentre la Chips mi
scoccava
un’occhiata di fuoco ed intanto, con mille ringraziamenti,
spingeva il giovane
verso la porta.
Larkins
si lasciò trascinare placidamente, arrestandosi soltanto
sulla porta. Allora si
voltò verso di me, scrutandomi per un paio di istanti.
«I miei auguri per una
pronta guarigione» mormorò, prima di uscire.
Fu
così che mi sentii una vera merda, e mi ritrovai per una
buona mezz’ora a
ruminare dentro di me i ricordi dell’accaduto, cercando il
più possibile di
dimostrare la colpevolezza di William Larkins, e trovando invece
più di un
punto sul quale biasimarmi. A quel punto non potevo più
ignorare di essermi
comportato in maniera incresciosa, perciò cercai di
convincermi che i punti sul
quale avevo sbagliato erano altri, e non poi così gravi.
Decisi
che William Larkins era giovane e Tassorosso eccetera, e dunque indegno
di visitare
me, ma forse, in virtù di qualche parentela Purosangue, non
così indegno di
essere un Medimago. In fondo si sapeva che i Tassorosso erano degli
sgobboni e
doveva essersi preparato adeguatamente per curare la gente comune; che
comunque
un Malfoy avrebbe dovuto mostrare la propria superiorità
semplicemente con la
propria superiore presenza e con il suo comportamento ineccepibile,
mentre io
avevo forse un po’ esagerato nell’esprimere il mio
disprezzo verbalmente. Conclusi la
mia apologia
mentale ricordando a me stesso che William Larkins era un idiota, e che
con
tutta probabilità si era già dimenticato
dell’accaduto. A quel punto accantonai
la questione, soddisfatto, e non ci pensai più.
Mi
dedicai invece alla lettura del libro su Peverell. Da quanto avevo
letto fino a
quel momento, si trattava di un personaggio singolare. Era nato da una
famiglia
nobile, e anche se non si sapeva se fosse di stirpe di mago, potevo ben
immaginarlo io, perché aveva con le sue doti dimostrato di
avere sangue puro.
Aveva due fratelli maggiori e due sorelle, la maggiore della quale era
la
figlia più anziana, la minore la più piccola.
Tutti, eccezione fatta per la
minore, avevano dimostrato un certo talento nella magia, talento
tuttavia che
poteva rappresentare un rischio in un’epoca di persecuzioni
come quella. Nessun
mago adulto che avesse più intelligenza di un Weasley si
sarebbe fatto fregare
da un Babbano intenzionato ad ucciderlo, ma un bambino si. Anche per
questo
mandare i propri figli ad Hogwarts era sempre stata considerata
un’ottima idea,
visto che li teneva al sicuro.
Il
secondogenito, Rodolphus, ed Ignotus, si erano sempre considerati
rivali.
Entrambi erano brillanti e a scuola avevano esibito il loro talento.
Entrambi
avevano finito la scuola con il massimo dei voti e avevano messo a
punto
incantesimi prima sconosciuti.
Si
sapeva che i tre fratelli maggiori avevano deciso di viaggiare quando
Ignotus
aveva terminato la scuola. L’itinerario non era conosciuto,
ma si sapeva che ne
erano tornati più divisi di prima. Il fratello primogenito
era morto molto
giovane, di morte violenta, mentre quello di mezzo aveva perso,
sembrava, la
donna amata, per poi suicidarsi.
A
quel punto ero arrivato il giorno prima, e per distrarmi ripresi la
lettura
quando finalmente la storia aveva raggiunto risvolti interessanti.
All’epoca in
Irlanda c’erano state alcune rivolte magiche, che erano state
sedate solo con
un grande spargimento di sangue. Pare che Ignotus avesse combattuto con
valore,
riportando diverse ferite, ma dalla parte degli Irlandesi,
poiché era
innamorato della figlia di un nobile del posto.
Ero
appunto arrivato alla tregua concessa dagli inglesi, con il conseguente
ritorno
di gloria di Ignotus a casa con l’amata, quando la porta
dell’infermeria si
spalancò senza preavviso, facendomi sobbalzare, e Madama
Chips trotterellò
dentro la stanza, seguita da due ragazzi pallidi che reggevano un
terzo,
semisvenuto.
Uno
dei due aveva al collo una sciarpa Grifondoro, mentre l’altro
indossava la
divisa della loro squadra. Mentre si avvicinavano ad un letto vuoto,
vidi con
chiarezza che quello che reggevano era Potter.
In
quel momento entrarono affannati anche la Granger e quello sporco
traditore dei
proprio sangue che andava sotto il nome di Weasley. Furono accanto a
Madama
Chips mentre questa lisciava il lenzuolo per fare spazio al corpo dello
Sfregiato. I due ragazzi lo adagiarono con – a mio parere
– fin troppa cautela
sul letto. Avrei potuto immaginare che si fosse trattato di un semplice
incidente a Quidditch – del resto Potter era sufficientemente
imbecille per
ingoiare il Boccino, figuriamoci se non era in grado di farsi centrare
da un
Bolide – se non fosse stato per un particolare che nessuno
notò, tranne me.
Vidi la Sporca Mudblood, pallida e sconvolta, afferrare Lenticchia per
un braccio
e fissarlo con sguardo spaventato. La vidi sussurrargli qualcosa
all’orecchio,
con un’emozione che andava al di là della semplice
preoccupazione. Sentii la
Chips chiedere qualcosa di indistinto ad uno dei soccorritori, e sentii
questi
risponderle che “non era colpa di nessuno, non lo avevano
colpito”.
Posseggo
uno straordinario intuito per queste cose, perciò non ci
volle molto perché
capissi che c’era qualcosa sotto. Potter era chiaramente
illeso, era solo
svenuto – come una di quelle donnette che piombano in terra
per un calo di
zuccheri, anche se vista la melensaggine del gruppo Potter dubitavo che
si
trattasse di un calo di pressione.
Perciò,
che cosa poteva essere? Dubitavo che Potter fosse incinto, anche se era
abbastanza donna per rendere l’ipotesi plausibile. Non
sembrava nemmeno malato,
o almeno, non lo era fino a qualche giorno prima, o qualcuno si sarebbe
accorto
di una sua malattia.
Che
diavolo stava combinando, Potter?
Sapevo
che pasticciava con l’Ordine della Fenice, e che faceva da
ragazzo immagine per
il Ministero – anche se non sapevo che immagine
poteva offrire con la sua brutta faccia, ma comunque. Ora che il
Signore Oscuro
si era dovuto ritirare a causa delle notizie rese pubbliche sul suo
tentato
colpo di Stato – non sarebbe riuscito a prendere il controllo
del Ministero
senza che l’intera popolazione lo sapesse e si ribellasse
– la situazione era
diventata decisamente più gestibile.
Eppure
non c’era da sbagliarsi. Se avesse pensato al fatto che
qualcuno la osservava,
forse S.S. sarebbe riuscita a controllare la sua espressione; invece
aveva
espresso tutta la sua ansia per qualcosa che non concerneva tanto la
salute di
Potter, quanto piuttosto la causa del suo malessere. Non potevo
sbagliarmi, ero
certo che ci fosse qualcosa sotto.
Decisi
all’istante che avrei dovuto indagare; una parte di me
però si chiedeva per
quale motivo Potter ed i suoi nauseanti amichetti fossero sempre
invischiati in
affari pericolosi.
Intanto
Madama Chips osservava Harry e, sollevandogli le palpebre, verificava
che fosse
effettivamente incosciente, e nel frattempo scacciava con gesti bruschi
i due
volenterosi barellieri improvvisati, nonostante questi meritassero una
generosa
ricompensa per aver avuto il coraggio di toccare Potter. I due
indietreggiarono
intimoriti, avvicinandosi a Weasley e alla Sangue Sporco, che si
ricomposero
lasciando trapelare solo una generica preoccupazione. La Granger
distolse lo
sguardo dall’amico e lasciò che lo sguardo vagasse
attorno, immersa in chissà
che Babbanici pensieri. Quando il suo sguardo si posò su di
me, parve
ricordarsi della mia presenza, e i suoi occhi tornarono a Potter e poi
a
Weasley.
Questi
si voltò verso di lei con aria interrogativa, e per la prima
volta mi vide.
Strinse le labbra e abbassò gli occhi a terra.
Mentre
battagliavo con quei due idioti con lo sguardo, Madama Chips era corsa
a
prendere la sua bacchetta ed era appena tornata. La puntò
sul Fesso Che
Purtroppo Era Sopravvissuto e scandì:
“Innerva”. Il Fesso Sopravvissuto
sussultò, e socchiuse gli occhi, tirando un sospiro tremante.
Si
guardò attorno, con lo sguardo annebbiato. Più
annebbiato del solito, intendo.
I suoi amichetti furono immediatamente al suo fianco, lei con occhi
lucidi e
sgranati, lui con un’aria stupida. Più stupida del
solito, intendo.
«Harry!».
«Che...».
Lui parve acquistare improvvisamente consapevolezza.
«Ah...». Si rizzò a
sedere, nonostante il borbottio di protesta di Madama Chips, che lo
fissava
pensierosa ed insieme lievemente preoccupata. Ronald Weasley stava per
dire
qualcosa, ma lei lo interruppe con autorevolezza. «No,
no» disse con decisione.
Mentre si voltava verso Weasley, vidi la Granger sussurrare qualcosa
all’orecchio di Potter, per poi ritrarsi quando lo sguardo
inquisitore della
vecchia strega si posò su di lei. «Mi dispiace, ma
non mi sembra il caso di
restare così affollati attorno... no... via, via... adesso
tutti fuori,
lasciate che si riposi.... vedete che sta bene... signorina Granger...
e tutti
voi... fuori» e nel frattempo li spintonava fuori con
malagrazia.
Fu
così che, nonostante le proteste del Potter fan club, la
porta si richiuse
lasciando soli me e Potter. Ci guardammo con una certa
ostilità – soprattutto
da parte mia – mentre il gelo scivolava espandendosi nella
stanza con una
velocità incredibile.
Sarebbe
stata una lunga ripresa.
Almeno
avevo un buon motivo per riprendermi, adesso.
Avevo
avvertito Ron di stare pronto alle undici e mezzo, sapendo che con
tutta
probabilità sarebbero stati tutti a letto per
quell’ora. Così, cinque minuti in
anticipo, scivolai giù dal letto in silenzio senza essere
notata. Forse non era
un bene che fossi diventata così brava a camminare furtiva
nel buio. Ero andata
a letto vestita quindi non dovetti perdere altro tempo se non quello di
infilare in fretta le scarpe ed afferrare da sotto il cuscino il
Mantello
dell’invisibilità che avevo preso dal baule di
Harry quel pomeriggio.
La
sala comune era effettivamente deserta; purtroppo per me, nemmeno Ron
si vedeva
da nessuna parte. Inveendo mentalmente contro gli idioti dai capelli
rossi feci
il giro della sala per controllare che non si fosse assopito su di una
poltrona. Non c’era.
A
quel punto decisi che, se non fosse arrivato entro cinque minuti, sarei
andata
da sola. Mi sedetti presso il fuoco, rigirandomi il Mantello tra le
mani. Era liscio
come seta. D’improvviso pensai a quante volte avevo
già fatto cose simili, come
passeggiare di notte per la scuola sotto quello stesso Mantello, o
andare da
Hagrid.
Quante
cose erano cambiate da quando avevo seguito Harry e Ron per convincerli
a non sfidare
Malfoy a duello? Non erano nemmeno miei amici, allora, ed io... beh,
ero solo
una ragazzina petulante. Ancora non avevo sperimentato la vera paura,
non avevo
mai sfidato cani a tre teste, né lupi mannari aggressivi,
né un Signore Oscuro
sempre più forte (e più brutto) intenzionato ad
ucciderci. Erano passati quasi
sette anni da allora, e questo sarebbe stato l’ultimo anno
che passavo ad
Hogwarts.
Mi
sentii invadere dalla tristezza. Ora non si trattava più di
scoprire chi avesse
tentato di far cadere Harry dalla scopa durante una stupida partita di
Quidditch, o di insegnargli ad appellare gli oggetti per il Torneo
Tremaghi.
Ogni volta che dovevo affrontare qualcosa mi sembrava più
spaventosa, eppure
era quello che dovevamo fare.
Sospirai
piano, guardando il fuoco, senza più nemmeno ricordare che
cosa stavo facendo
lì. Guardavo il fuoco, desiderando quasi che Sirius o
qualcun altro dell’Ordine
ne facesse capolino per rassicurarmi e dirmi che ci avrebbe pensato
lui. E dire
che la missione di quella sera non era nemmeno così
rischiosa. Ero
semplicemente stanca, e di cattivo umore.
«Hermione?».
Quel sussurro mi riscosse bruscamente. Mi voltai e vidi Ron, nervoso,
guardarmi.
«Ron!»
sibilai, alzandomi di scatto. «Sei in ritardo!».
«Scusa»
replicò lui, un po’ risentito. «Ma non
trovo il Mantello, e sono diventato
pazzo per cercarlo».
Lo
sollevai, un sopracciglio rialzato in un gesto di biasimo che non
poteva essere
frainteso. «Oh» fece lui, con aria molto stupida.
«Ne avevamo discusso,
ricordi? Mentre tu saresti andato dalla McGranitt per spiegarle
l’accaduto» e
feci una pausa per osservarlo, ed assicurarmi che lo avesse fatto,
prima di
proseguire, «io sarei corsa a prendere il Mantello nel vostro
dormitorio».
«Lo
avevo scordato» bofonchiò lui. Sospirai. Sembrava
impossibile che potesse
scordarsi del mio incarico quando aveva portato a termine il suo, ma
naturalmente, visto che aveva quella
in testa, io passavo in secondo piano. Ma in fondo non mi importava.
«Andiamo»
tagliai corto, e lui mi seguì senza più dire
nulla. naturalmente il Mantello
era troppo corto, ormai, per tenerci entrambi sotto senza che le nostre
caviglie sporgessero. Colpa di Ron, che era sempre più alto.
Comunque era buio,
ed eravamo pronti a rannicchiarci in caso di bisogno.
Non
incontrammo nessuno, nemmeno gli insegnanti di pattuglia, nonostante
non
avessimo con noi la mappa del Malandrino. Alla porta
dell’infermeria esitai, ma
alla fine la aprii con un incantesimo e scivolammo nella stanza.
Non
era buio come nei corridoi, perché le grandi finestre
lasciavano filtrare la
luce della luna piena. Pensai confusamente che Lupin doveva essersi
trasformato, e mi chiesi se fosse Tonks a preparargli la pozione
antilupo, (anche
se visti i suoi attuali impegni era piuttosto improbabile) ed in caso
contrario,
chi se ne occupasse. Il pensiero di Lupin mi diede una nuova fitta di
nostalgia, e mi sfuggì un altro sospiro mentre percorrevamo
il corridoio tra le
file di letti. Ron mi lanciò un’occhiata
perplessa, ma non indagò.
Naturalmente. Che idiota.
Raggiungemmo
il letto di Harry e ci accostammo alla figura che vi giaceva, immobile
a parte
per un ritmico alternarsi di inspirazione d espirazione,
così realistico da
sembrare vero. Naturalmente, visto che si trattava di Harry,
c’erano buona
probabilità che fosse
vero e che si
fosse dimenticato di restare sveglio per aspettarci. Perché,
perché dovevo
essere amica di due tali idioti?
Mentre
Ron estraeva piano una mano dal Mantello per posarla sul rigonfiamento
che,
apparentemente, doveva celare la spalla di Harry, io mi voltai
guardinga verso
il letto di Malfoy. Non volevo rischiare che si svegliasse ed
origliasse la
nostra piccola conversazione.
Le
tendine attorno al suo letto erano chiuse, perciò non avrei
potuto stabilire se
dormisse o meno.
Puntai la bacchetta in
quella direzione e sussurrai: «Muffliato». Feci la
stessa cosa verso l’ufficio
di madama Chips. Avevo da tempo messo da parte la mia antipatia per
l’incantesimo, disarmata dalla sua utilità, e
poi... beh, ogni cosa era lecita
su quell’antipatico di Draco Malfoy, no?
Intanto
Ron aveva scrollato Harry senza troppi complimenti, chiamando il suo
nome, e
questi aveva mugugnato qualcosa di incomprensibile. Quando Ron mi
sentì usare
il Muffliato, lo chiamò a voce più alta e gli
diede un pizzicotto sul collo,
abbastanza forte perché lui trasalisse e alzasse di scatto
la testa, fissandoci
con occhi bulbosi a causa del sonno e quasi ciechi. Uhm,
c’erano delle volte in
cui mi chiedevo che cosa in Harry attirasse tanto Ginny... voglio dire,
non era
certo brutto, né stupido, ma quando era sveglio da poco... e
talvolta anche
durante il giorno... insomma, aveva una faccia da ebete.
«Checcoss...»
farfugliò, mulinando il braccio in direzione del comodino
alla disperata
ricerca dei suoi occhiali, a pochi centimetri dalle sue dita. Ecco, era
uno di
quei momenti dove non era al suo massimo.
Trovatoli, li inforcò rischiando di infilarsi
una stanghetta
nell’occhio, e fissandoci stordito.
«Santo
Cielo, Harry» dissi io, esasperata. «Ti avevo detto
che saremmo venuti, no?».
Lui si fece imbarazzato, e stringendosi nelle spalle,
tossicchiò, e si volse
verso la tenda che celava Draco Malfoy (Slavato Serpeverde per i nemici
stretti) con aria preoccupata.
«Muffliato»
disse Ron, come sempre incapace di formulare una frase intera ne non
costretto
– e talvolta
anche allora.
Harry
si rilassò. «Mi dispiace di essermi
addormentato» confessò con un certo
rammarico. «E’ che... non lo so, mi sentivo
spossato. Madama Chips deve avermi
dato qualche tipo di sonnifero...».
«Si,
si, non importa» tagliai corto, piuttosto ansiosa, gettando
il Mantello
dell’Invisibilità ai piedi del suo letto e sedendo
mici sopra. Ron si adombrò
per qualche motivo, ma lo ignorai. «Oh, Harry, si
può sapere che diavolo ti è
successo?».
Lui
si dimenò nervosamente tra le lenzuola. Se non voleva
dirmelo, poteva esserci
solo una spiegazione.
«Hai
visto Voldemort, non è vero?» sussurrai,
angosciata. Ron sgranò gli occhi.
Harry
non poté negarlo. «Ho visto... cose»..
«Che
genere di cose, per l’amor
del
Cielo?».
«Io...».
Harry esitò, mentre tornava con la mente alla visione del
giorno prima. Buon
Dio, come dimenticare quel momento? Lo avevo visto afflosciarsi sul
manico di
scopa come una marionetta e precipitare al suolo senza tanti
complimenti,
mentre Ron e Ginny sfrecciavano verso di lui, e uno degli aspiranti
Battitori
lo afferrava... sapevo che non era la prima volta che Harry sveniva
– diavolo,
era più difficile vederlo sano – ma stavolta non
c’erano Dissennatori, né maledizioni
in corso, e sapevo che la cosa aveva destato il solito scalpore in
tutta la
scuola.
«Ho
visto Voldemort» iniziò in un sussurro atono.
«Lui... lui era in un luogo che
non conoscevo. Era una stanza buia, e nera, con... broccato nero sulle
pareti,
ricamato in argento. C’era una tavola enorme, e
c’erano loro... i Mangiamorte
rimasti».
«Quanti
erano?» chiesi, preoccupata.
«Tredici»
disse Harry. Dunque Voldemort stava ancora reclutando seguaci.
Naturalmente ne
avrebbe trovati, oh, si, ne avrebbe trovati. La popolazione era
avvertita e le
forze di Voldemort abbastanza piccole per non costituire ancora una
minaccia,
ma sapevo che uno come lui sarebbe sempre stato capace di blandire
nuovi
seguaci...
«C’erano
Avery, e Mcnair, e Bellatrix». A quest’ultimo nome
Harry strinse i pugni. «Lui
era arrabbiato, molto arrabbiato, non capivo perché. E
poi...».
«Poi?»
chiese Ron, terrorizzato.
«...poi
è arrivato lui»
sibilò Harry, la voce
ricolma di amarezza. Non ebbi difficoltà a capire di chi
stava parlando.
Severus Piton, ex insegnante di Pozioni e di Difesa contro le Arti
Oscure, ex
alleato dell’Ordine... e più grande delusione di
tutti.
«Lui
chi?» chiese Ron. Possibile che fosse un tale idiota? Avrei
voluto tirargli una
gomitata ma era troppo distante. Così gli lanciai
un’occhiata colma di
disprezzo. «Piton» disse Harry, senza sentimento,
guardando la coperta.
«Oh»
fu tutto quello che a Ron riuscì di esclamare. Buon per lui
che fosse al di là
della mia portata di tirargli un
pugno.
Si, ok, ammetto che Ron mi rendeva un tantino nervosa, visto gli ultimi
avvenimenti. E allora? Eravamo solo amici.
«Piton
era nervoso. Voldemort era molto arrabbiato con lui. Ha fallito due
volte,
Hermione, e Voldemort non perdona».
«Qual’era
la sua missione?».
Gli
occhi di Harry si riempirono di collera, come di rado succedeva. Era un
ragazzo
davvero mite, lo era sempre stato. Mi chiesi se sarebbe mai giunto ad
un
limite, prima che l’odio ed il dolore trasformassero anche
lui, come era
accaduto con Voldemort.
«Lui...
avrebbe dovuto entrare a Grimmauld Place»
proseguì, parlando in fretta come per
togliere un doloroso cerotto. «Doveva cercare... qualcosa...
ma non gli aveva
spiegato esattamente che cosa fosse».
«E
come avrebbe dovuto fare a trovarlo, scusa?»
obiettò Ron.
«Non
lo so» disse Harry, stancamente.
Ma
la mia mente era volata ad altre conclusioni. «Potrebbe
essere semplicemente
una scusa. Per punire Piton per qualcosa che ha fatto.
Oppure...». Esitai.
«Spera di trovare qualcosa per incastrare te,
Harry».
Harry
annuì, stancamente, gli occhi verdi socchiusi. Si
toccò la cicatrice, piano.
«Non sono riuscito a capire esattamente che cosa si stessero
dicendo» disse
poi, in tono sommesso. «Perfino questa connessione
è inutile, ormai».
Sentii
un colpo al cuore. Se non fossi stata abituata ormai allo sconforto,
forse
avrei pianto. Ma non lo feci. Invece gli posai una mano sulla spalla,
con
gentilezza. «Harry. Non ha importanza quello che Voldemort
vuole, o non vuole,
o quello che non riusciamo a fare. Ce la faremo, dobbiamo riuscirci.
Troveremo
quei dannati Horcrux, dobbiamo solo... riuscire a cambiare
prospettiva».
Harry
si toccò di nuovo la fronte, poi mi fece un sorrisetto.
«Pensavo che ti saresti
arrabbiata, visto che non ho continuato ad esercitarmi con
l’Occlumanzia» mi
disse.
Io
mi strinsi nelle spalle. «In amore ed in guerra tutto
è lecito, ormai» dissi,
anche se mi odiavo per quello. «Non sono d’accordo
con tutto questo, eppure...
ormai ogni cosa che può esserci utile va accettata. Sempre
che tu voglia
farlo».
«Non
voglio» replicò lui. «Ma devo,
credo».
Sospirai.
Soltanto l’assoluta mancanza di passi in avanti nella ricerca
degli Horcrux
poteva avermi portata a quel punto. Ma non vedevo più altre
soluzioni. I regali
di Silente erano ancora un mistero per noi, e non c’era nulla
che potesse
avvicinarci agli altri Horcrux. Non ancora.
«Quindi
ora, che cosa facciamo?» chiese Ron, che sembrava
improvvisamente ansioso dopo
questa notizia. «Andremo a Grimmauld Place, Harry?».
«Temo»
disse lui, «che sia l’unica traccia che
abbiamo».
«Una
traccia è meglio di nulla» commentò
l’altro, emozionato.
«Dipende
da dove ci porterà» commentai io, sforzandomi di
prendere un tono acido, senza
minimamente riuscirci. Perché era vero, una traccia era
meglio di nulla, specie
in un momento come questo, quando tutto sembrava perduto.
Nel
frattempo Ron, alla ricerca di qualcosa per alleggerire
l’atmosfera, aveva
concentrato la propria attenzione su tutt’altro. Lo vidi
fissare il letto di
Malfoy con un mezzo sorriso.
«Cambiando
per un istante argomento» disse alla fine. «Come
è andato il resto della
giornata, con Malfoy?».
«In
realtà» disse Harry, arrossendo appena,
«Madama Chips mi ha dato il sonnifero
dopo appena mezz’ora, quindi, in pratica, non ho dovuto
sopportarlo granché».
«Beh,
meglio così, no?» disse lui, allegramente.
«In un certo senso mi aspettavo di
trovarvi ancora svegli a scambiarvi fatture orticanti».
«Credo
che Malfoy abbia altro per la testa che riempire me di
fatture» commentò Harry.
«Voglio dire, ormai è un emarginato. Nonostante
tutto, i sospetti nei suoi
confronti non spariranno in un colpo solo, no? E la sua famiglia
è caduta in
disgrazia».
«Credi
che siano al sicuro? Ad Azkaban, intendo» gli chiese Ron.
«Kingsley
ci ha detto di aver triplicato le sentinelle, e scacciato i
Dissennatori» gli
ricordai io, senza più durezza. «Credo che non ci
saranno problemi, in questo
senso»
«Già,
ma dubito che questo basti a rassicurarlo» fece notare Harry.
«Probabile»
ammisi io, scoccando un’occhiata pietosa al Furetto Fesso
(F.F. per i nemici
stretti) nascosto dalle tende. «E mi dispiace un
po’ per lui».
«Si,
beh, c’è chi sta peggio»
borbottò Ron, per nulla convinto.
«Ma
anche chi sta meglio» lo rimbeccai.
«Sapete,
a volte mi sento in colpa» disse Harry, in tono pensoso. Lo
guardammo entrambi,
interrogativi. «Se avessi detto in giro quello che ho visto
quella sera, sulla
Torre...» si rabbuiò, mentre nel suo sguardo
danzavano immagini terribili e
troppo recenti per non fare male, «...forse qualcosa sarebbe
potuto cambiare».
«E
come spiegheresti il motivo per cui eri lì con Silente,
allora?» lo interruppi
io, spazientita. «Harry, non avresti potuto farlo. Chiunque
capirebbe che non
puoi farlo. Ci sono cose, a volte, che la gente non può
capire e basta. Questa
è una di quelle. Se si spargesse la voce, e Voldemort
riuscisse ad intuire
quello che stiamo facendo... tutto sarebbe perduto, lo
capisci?».
«Lo
so» mormorò Harry, mentre Ron mi guardava con una
espressione confusa e assieme
indecifrabile. «E’ un’altra di quelle
cose di tutto questo che non potrò mai
dimenticare».
Rimanemmo
tutti e tre in silenzio per un po’. Sapevamo che
c’erano tante cose da fare,
alcune tanto pericolose che avremmo voluto scappare via gridando e
andare a
piangere tra le sottane di mammina. Naturalmente, nessuno di noi aveva
i
genitori a portata di mano, nemmeno Ron, che li evitava temendo che
sarebbero
riusciti a capire che cosa stavamo tramando.
La
sorte dell’intero mondo magico, in mano a tre adolescenti
problematici? Uno dei
quali era orfano e complessato, l’altro semplicemente
un’idiota, mentre la
terza, beh... la lista era lunga. Questa era esattamente una di quelle
cose che
il Mondo Magico avrebbe fatto meglio ad ignorare fino a che non fosse
finito
tutto, in un modo, o nell’altro.
«Diavolo»
fece Harry alla fine.
«Eh?»
fece Ron, mentre io dicevo, «Cosa?».
«Quella
dannata, vecchia pipistrella della Cooman» fece Harry, in
tono lamentoso. «perché,
di tutte le profezie che ha
fatto, doveva avverarsi proprio la mia?».
«Perché»
disse Ron, molto seriamente, «se fosse toccato a Malfoy,
sarebbe stato troppo
facile». Lo guardammo. «Il Signore Oscuro
è allergico ai furetti, non lo
sapevate?» fece allora lui, sgranando gli occhi.
Sia
io che Harry ci abbandonammo ad una breve risata. Mi fece –
quasi – dimenticare
che ero arrabbiata con lui.
Alla
fine era venuta l’ora di andare. Mi alzai, e presi il
Mantello.
«Dobbiamo
andare, Harry» dissi, con un certo rammarico.
«Credo che la Chips ti dimetterà
domattina, quindi ci vediamo a pranzo».
«Certo».
«A
domani, Harry» disse Ron. Poi ci infilammo entrambi sotto al
Mantello e ci
allontanammo in silenzio.
Ero
molto presa dalla conversazione che avevamo avuto. Dovevo meditare, e
capire
cosa, in tutto quello che era stato detto, risvegliava in me
l’intuito... lo
stesso che mi intimava di stare in guardia e di aspettare,
perché molte cose
sarebbero venute a galla.
Ero
molto presa dalla conversazione. Se non lo fossi stata forse mi sarei
resa
conto che non si era udito nemmeno un rumore provenire dal letto di
Malfoy,
durante l’intera durata della nostra visita. O che le tende
chiuse attorno al
letto potevano anche celare un letto vuoto.
O
che dietro delle altre tende, quelle della finestra, qualcuno aveva
ascoltato
l’intera conversazione.
Si,
lo so, forse dovrei affinare il mio spirito di osservazione.
Dal
mio nascondiglio li vidi svanire sotto il Mantello e sentii i loro
passi allontanarsi,
proprio come avevo sentito la loro intera conversazione.
Avevo
immaginato che sarebbero venuti quando avevo visto la Granger
sussurrare
nell’orecchio di Potter, e avevo piazzato un semplice
incantesimo nel
corridoio, che mi avvertisse se qualcuno si avvicinava. Quando era
scattato, mi
ero quasi meravigliato – non mi sembrava possibile che
fossero così stupidi da
caderci – ed ero scivolato dietro la tenda proprio mentre
sentivo qualcuno
aprire la porta con un incantesimo.
Avevo
sentito tutto, ed ora stavo lì, in attesa che Potter
dormisse – non ci avrebbe
messo tanto, immaginavo, specie visto che la Chips non
gli aveva somministrato alcun sonnifero – ed il mio cuore
batteva all’impazzata.
Non
solo perché avevo finalmente ricevuto la conferma che Potter
ed i suoi
amichetti tramavano qualcosa, e qualcosa di grosso.
Non
solo perché c’era davvero una profezia, ed un
qualche complotto.
Non
solo perché, apparentemente, Potter era connesso
all’Oscuro Signore.
Non
solo per quello che avevano detto su di me.
Era
per tutto questo, e perché la stanza descritta da Potter nel
suo sonno era una
stanza vera, ed io la conoscevo.
Era
la mia casa di città, a Londra.
Ciao a tutti! Come
sempre
ringrazio tutti i recensori, ma anche tutti i lettori. Dunque, la
storia sta ingranando,
questo era l’ultimo capitolo prima che Draco fosse
(finalmente!) dimesso. Ammetto
che la mia sensibilità romantica avrebbe apprezzato una
Hermione teneramente
prodiga di attenzioni per un Draco figo e moribondo, ma andiamo, siamo
realistici! -.-“ abbandonate le fantasticherie romantiche,
passiamo a
illustrare il titolo del capitolo. “Cunning as a
furret” significa “furbo come
un furetto”. Del resto Draco anche in versione non pelosa
è abilissimo a non
farsi notare. Ora che ha scoperto gran parte della verità,
come reagirà? Nel
prossimo capitolo...
Un ultimo appunto
sui nomi dei
personaggi. Utilizzo spesso nomi provenienti dai miei romanzi
preferiti, perciò
se qualcuno vi sembra familiare, non stupitevi. William Larkins, ad
esempio –
poverino! – deve il suo
nome alla mia
scrittrice preferita in assoluto... la soluzione nel prossimo spazio XD
indovinatelo se ci riuscite!
Recensite, mi
raccomando. Vi
aspetto!
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Capitolo 4 *** Where the snake lies, why and when to tell lies ***
IL
SIGNORE Oscuro era seduto sulla poltrona migliore, di seta verde con
alamari
argentati, e dava le spalle al fuoco. Un’ottima cosa per
chiunque gli stesse di
fronte, oserei dire, visto che nessuno, nemmeno Bellatrix, avrebbe
potuto
definirlo un bell’uomo. Non che sembrasse cosciente del fatto
di non essere un
ragazzo da copertina, comunque; per qualche perversa ragione, sembrava
molto
soddisfatto del suo aspetto. Ehi, contento lui.
Dalla
sua posizione era più che altro una sagoma scura ed
indistinta, e per quanto
nessuno protestasse visto che i suoi lineamenti serpenteschi erano
celati,
l’ignoto poteva risultare perfino peggio. Con una mano
pallida e sottile
accarezzava il serpente al suo fianco. Ognuno ha il proprio peluche,
anche se
un serpente gigante, personalmente, non mi ispirava alcuna tenerezza.
Dall’altro lato stava Codaliscia, gli occhietti acquosi
posati sul suo Oscuro
Signore, mentre con la mano sana si accarezzava quella
d’argento.
I
suoi seguaci erano per lo più in piedi a cerchio tutto
attorno al tappeto. Solo
Bellatrix, Avery e Piton sedevano su comode poltrone. Mio padre e mia
madre
stavano in piedi dietro all’oscuro seggio del Serpentesco
Signore (S.S. per
seguaci spaventati stretti), sollevati per essere in una posizione da
dove S.S.
non poteva vederli, e allo stesso tempo piuttosto accaldati per la
vicinanza
con il caminetto.
Ed
io, io stavo vicino a mia zia Bellatrix, e al diavolo l’amore
tra parenti,
avrei voluto essere altrove. Ogni volta che vedevo Bellatrix accanto al
Tenebroso Tiranno (T.T. per i fedeli schiavetti), pensavo che davvero
Dio li fa
e poi li accoppia. Lei lo fissava senza mai distogliere lo sguardo,
senza
preoccuparsi dell’eccessiva adorazione che trasudava dal suo
sguardo,
nonostante il marito Rodolphus non potesse esserne contento. Povero zio
Rodolphus. Per carità, non un compagnone, ma sempre meglio
di sua moglie, se
volete saperlo. C’era un motivo se alle cene di famiglia
preferivamo quelle con
i colleghi di mio padre. Alcuni potevano essere più
filobabbani di quanto fosse
a nostro parere dignitoso, ma almeno non rischiavamo di essere Cruciati
perché
non volevamo passare loro il sale.
In
realtà, non è che Bellatrix avesse mai Cruciato
nessuno in famiglia – a parte
Rodolphus. Ma era abbastanza squilibrata perché potesse
anche accadere, in
futuro.
Il
Signore Oscuro smise di accarezzare Nagini quando un Mangiamorte, un
giovane
dall’aria scialba ed un po’ malata, con corse verso
di lui buttandosi ai suoi
piedi in ginocchio. Chinò la testa in un umile saluto.
«Mio Signore... sono
qui» esclamò, prima di trovare il coraggio di
guardare il Signore Oscuro.
«Eccellente.
Portateli dentro».
Corpi
che levitavano a due metri ed oltre da terra. Occhi rovesciati o che
schizzavano veloci da un viso all’altro, alla ricerca di una
via di fuga.
Capelli che dondolavano in modo innaturale, arti che penzolavano
scomposti,
visi pallidi e deformati dalla paura, o flaccidi per
l’incoscienza. Sette
Babbani galleggiavano pigramente sopra di noi come mosche spaventate ed
impotenti.
«Crucio»
pigolò la voce di Bellatrix, mentre la sua bacchetta si
puntava verso le figure
fluttuanti, come tutti gli sguardi dei presenti, mentre i visi dei
Mangiamorte
si stendevano in sorrisi soddisfatti o in smorfie rigide di paura.
Grida
e corpi che si contorcevano. Non riuscivo a distogliere lo sguardo,
mentre
strida sempre più acute si spandevano per la stanza e
rimbombavano per le sale,
quelle stesse sale dove talvolta – magari non così
spesso, ma pur sempre
talvolta – avevo riso o almeno sorriso, quelle sale che mi
avevano visto
bambino e poi adolescente, che contenevano ricordi amari ma miei,
ricordi che ora
venivano tutti risucchiati da grida disumane.
E
poi finì, finì, ma nella maniera peggiore. Un
lampo verde.
Tornai
cosciente di colpo, e mi accorsi di aver urlato solo allora. Il cuore
mi
martellava nel petto ed ero sudato come se mi fossi trovato davvero
lì, di
nuovo, in quella stanza colma di morte. Avvertii il braccio sinistro
bruciare e
lo afferrai con la mano destra dove, sotto la manica, il Marchio Nero
bruciava.
«Malfoy».
Era la voce di Madama Chips, ma ci
volle
un po’ perché riuscissi a rimanere calmo, a non
dibatterti tra le coperte
odoranti di pulito dell’infermeria. La donna mi prese per le
spalle e mi spinse
contro il materasso per calmarmi.
«Ragazzo,
respira profondamente» disse Madama Chips con voce
rassicurante, e io obbedii. «Hai
solo avuto un incubo». Tentai di dimenticare la mia visione,
ma se potevo
ignorarla, non potevo cancellarla. Quei corpi... il rumore che facevano
le loro
carni, dilaniate dai denti di Nagini, che ne aveva fatto uno
spuntino... il
tappeto antico che si macchiava di sangue sporco eppure, in un certo
senso,
innocente.
Ed
il Marchio Nero che bruciava, avvertendomi che Lui stava chiamando.
Tuttavia
riuscii a calmarmi. Spalancai gli occhi e mi guardai attorno. Il mio
sguardo si
posò infine su Potter, che mi fissava attonito. Lo vidi
guardare il mio viso, e
poi, la mia mano stretta sul braccio. Un lampo passò nei
suoi occhi verdi, ed
io ritrassi la mano, automaticamente.
«Che
hai da guardare, Potter?» chiesi, alquanto acido. Potter
esitò, incerto, poi
guardò altrove. Un tempo avrebbe risposto a tono, ma anche
Potter era diverso,
ultimamente. Naturalmente, visto quello che avevo udito la sera prima,
mi
pareva comprensibile.
Madama
Chips, che si era allontanata, tornò trotterellando con un
calice fumante. Me
lo ficcò tra le mani intimandomi di berlo. Era un
ricostituente e sapeva di zuppa
di cavolo andata a male, ma la inghiottii comunque tanto per avere
qualcosa da
fare. Mi sentii effettivamente un pochino meglio, ed era un bene;
incubi
ricorrenti ed un Oscuro Signore che ti chiama a sé tendono a
farti sentire di
merda.
Madama
Chips sparì di nuovo dopo avermi strappato il calice vuoto
di mano, e
ricomparve solo per darne uno di simile allo Sfregiato, il quale lo
guardò poco
convinto ma fu costretto dallo sguardo di lei ad inghiottirlo senza
fare
storie.
«Dopo
pranzo sarai libero di andare» mi disse Madama Chips con aria
torva quando ebbe
recuperato anche l’altro calice. «Mentre
tu» e si rivolse al mio insopportabile
compagno di degenza, «tu aspetterai fino a
stasera». E detto questo se ne andò,
tirando su con il naso.
Così
io e Potter restammo soli. Lui stava apparentemente ancora riflettendo
sul mio
risveglio brusco, perché mi lanciava frequenti occhiate di
nascosto, mentre io
pensavo alle scoperte che su di lui avevo fatto la sera precedente.
Imbarazzante?
Voi che ne dite? Non era piacevole, no, specie se mi ero appena
svegliato
strillando come una donnetta, anche se avevo avuto ottime ragioni per
farlo.
Potter era svenuto per molto meno, giusto? Giusto. Quindi non avevo
motivo per
sentirmi imbarazzato. Lo ripetei a me stesso fino a quando non
cominciai a
crederci.
Passò
anche quella mattinata, grazie a Dio. Un’ora prima che Madama
Chips mi
chiamasse avevo posato il libro su Ignotus Peverell sul
comò, dopo averlo
terminato. Ne ero rimasto soddisfatto. Ma soprattutto mi aveva aiutato
a
distrarmi da quella che era la realtà, nella quale purtroppo
ero costretto a
ritornare.
La
domanda più urgente era: che cosa fare, visto che sapevo
dove si trovava il
Signore Oscuro?
La
seconda era: che diavolo era, esattamente, un Horcrux? E
perché la Banda
Balorda (B.B. per i Purosangue schizzinosi) li stavano cercando? Era
un’arma,
forse? O un segreto importante?
Dovevo
pensare, ed agire con mente lucida.
Il
momento in cui la Chips, dopo avermi tastato il cranio e avermi - evviva... –
somministrato dell’altro
intruglio disgustoso, mi disse che ero libero di andare, fu un momento
incredibilmente felice.
Quando
tornai al dormitorio, per la prima volta da parecchi mesi mi furono
tutti
attorno. Quello che l’amicizia, l’orgoglio, ed un
briciolo di senso del dovere
non erano riusciti a fare, lo fece il senso di colpa che aveva portato
tutti ad
ignorarmi mentre ero in infermeria. Nel dormitorio, dove nessuno degli
“altri”
poteva vederci, ero tornato per un attimo Draco Malfoy, uno dei grandi,
da
rispettare, magari temere, ma sempre considerare una sorta di idolo o
di
modello.
Pansy
Parkinson mi fu accanto in un attimo e, a dispetto di tutti coloro che
la
vedevano fare il filo ad un certo McDonald di Corvonero, fu tutta occhi
dolci e
voce gentile. Naturalmente non la filai di striscio, e alle sue domande
preoccupate risposi con monosillabi ed un cipiglio arrabbiato e
dignitoso.
Riservai naturalmente lo stesso trattamento a Zabini.
Agli
altri mi rivolsi con più tranquillità, ma con
risposte esaurienti e brevi.
Avevo bisogno di tutt’altro. Li piantai tutti in asso, anche
se con un sorriso
di circostanza, non appena individuai Nott. Lo raggiunsi, gli posai una
mano
sulla spalla, e sillabai, muto: “ti devo parlare”.
Lui mostrò di aver capito
solamente con un guizzo nello sguardo. Poi se ne andò. Non
era il luogo, né il
momento. Quando vidi che il gesto non era sfuggito a Blaise Zabini,
dovetti
trattenermi per non fargli il dito medio.
Theodore
Nott era stato – ed in un certo senso restava – il
mio migliore amico. Per
quanto tra Serpeverde esistano amicizie. Un vero Serpeverde
è un
individualista, come il Signore Oscuro. I legami si basano sulla stima
reciproca, non sulle svenevolezze, né sulle richieste di
aiuto. La debolezza
non va mostrata mai, e va celata
sotto un’apparenza di forza. Funziona così.
Comunque
funzionasse, era un amico. Con la storia di Silente... beh, diciamo che
ero
convinto ce l’avesse con me per quella storia. Si, forse
avrei potuto
accennargli qualcosa, del tipo, “ehi, sto complottando con il
Signore Oscuro
per assassinare quell’obsoleto pisquano di Silente, per far
entrare il mondo
magico sotto il regime di terrore del Supremo Serpente (S.S. per bracci
destri... anzi no, sinistri). Si
era
offeso, o almeno così pensavo. Naturalmente non ne avevamo
mai parlato, ma ne
ero convinto. Erano tutti Serpeverde in famiglia, ma nessuno che fosse
Mangiamorte. Non sapevo nemmeno bene quale fosse la sua posizione al
riguardo.
Al
sesto anno avevo avuto da fare con l’Armadio Svanitore, e
tutto il resto, e se
n’era risentito. Lui era sempre riuscito a superarmi, specie
negli ultimi anni,
in tutte le competizioni scolastiche e sportive, invece, e quello aveva
offeso
me, ma solo un pochino. Infantile? Già.
Insomma,
per farla breve non è che mi evitasse per la storia
dell’attentato a Silente, o
meglio, non perché non voleva sfigurare standomi accanto.
Ufficialmente eravamo
ancora veri amici, quindi avevo tutto il diritto di avere bisogno di
parlargli.
Di che cosa esattamente volessi parlargli, ehm, non lo sapevo.
Rivelargli tutta
la verità... no, era escluso. In effetti, non avrei dovuto
dirgli nulla.
Sospirando
per la mia boccaccia larga, salii a prendere della roba. Non sarei
andato ad
Incantesimi. Volevo ripulirmi e sistemarmi, prima di tornare tra i
comuni
mortali. Specie se questi comuni mortali non vedevano l’ora
di puntare i loro
dannati occhi su di me e sogghignare perché per una volta
avevo fatto un
errore. Perché diavolo mi ero ubriacato? Non era da me,
accidenti.
Pensai
di usare il bagno dei Prefetti che a quell’ora doveva essere
deserto, ma non
volevo attraversare mezza scuola. Decisi di usare quelli di Serpeverde
e basta,
per quanto li odiassi. C’era sempre qualche spiffero gelido a
rovinarmi la
festa, e anche se quelli del quinto, sesto e settimo anno avevo
addirittura una
vasca da bagno come quella dei Prefetti, nessuno la usava
perché nessuno voleva
starsene nudo a mollo ad osservare come un idiota i propri compagni
infilarsi
nelle docce. Né farsi il bagno con qualcuno.
Così
usai la doccia, imprecando contro l’acqua fredda –
possibile che i dannati elfi
domestici non capissero che qualcuno poteva aver bisogno di acqua calda
il
pomeriggio? – e nel frattempo, essendomi ricordato che la
McGranitt mi aveva assegnato
dei compiti, e che dopo che quella stolida della Granger me li aveva
presi non
avevo chiesto a nessuno di farli, imprecai anche contro quella
vecchiaccia e la
Limacciosa Lecchina che era Hermione Granger.
Uscii
dal bagno a torso nudo, ben consapevole delle occhiate che avrei
attirato in
questo modo. Chi ha un bel fisico dovrebbe mostrarlo, non nasconderlo
sotto le
palandrane sformate della divisa. Pansy Parkinson, con la quale
l’anno prima avevo
pomiciato più volte, mi lanciò uno sguardo di
fuoco che non si poteva
equivocare ma che ignorai. Salii al dormitorio, invece. Aveva sperato
la sua
occasione.
Mi
vestii con calma e meticolosità, cercando in quel rituale
consueto una
sicurezza che mi mancava. Dannato Potter con i suoi segreti, dannata
Granger che
mi aveva fottuto i compiti, dannato Weasley perché era uno
sgorbio lentigginoso
– non volevo certo lasciarlo solo – e dannato pure
il Signore Oscuro a causa
del quale la mia famiglia marciva in una cella umida ed io tremavo la
notte,
consapevole ora del fatto che qualcuno stava complottando qualcosa, e
che io
potevo solo stare a guardare.
Ogni
volta che il mio pensiero andava allo Squamoso Signore, mi sentivo
accapponare
la pelle. Sapevo dov’era, dannazione. Ma
a che cosa sarebbe servito dirlo? Sicuramente la zona era
ben protetta.
Forse avrei anche potuto avvicinarmi ad essa io, che ero ufficialmente
ancora
un alleato, ma degli Auror? E se il Signore Oscuro avesse scoperto che
ero
stato io a fare la soffiata, che cosa sarebbe successo a me, e alla mia
famiglia?
Eppure
stare a guardare... beh, erano decenni che il Signore Oscuro
passeggiava
indisturbato per le brughiere inglesi senza che uno straccio di nessuno
lo
scovasse, nonostante non fosse esattamente un uomo
dall’aspetto ordinario.
Forse agli Auror sarebbe effettivamente servito a qualcosa, e magari se
un
intero esercito si fosse
precipitato
sul posto... dannazione, era inutile, il Pitonato Padrone poteva sempre
svanire
con uno schiocco delle dita ed un po’ di fumo colorato
– anche senza il fumo,
in verità – lasciando tutti a bocca asciutta e
mettendo me in una posizione
ancora peggiore.
Quando
fui vestito ero ormai deciso a non spifferare nulla a nessuno. Afferrai
la
borsa dei libri, la bacchetta, e dopo aver tratto un sospiro profondo
mi
avventurai nella Sala Comune. non c’era quasi nessuno, a
parte quelli che
avevano l’ora buca. Pansy era svanita e così anche
Nott. Pansy era troppo scema
per aver passato Trasfigurazione, ma Theodore frequentava il corso con
me. In
effetti, Nott frequentava un mucchio di corsi. Oltre a Difesa Contro le
Arti
Oscure – materia inutile, come dimostrava il mio dannato caso
– frequentava
Erbologia, Incantesimi, Trasfigurazione e Pozioni, naturalmente, ma
anche
Antiche Rune, Astronomia e, sorpresa sorpresa, Storia della Magia.
Quando mi
aveva confermato di volerla portare avanti anche dopo il Gufo, avevo
alzato il
sopracciglio, ma lui aveva fatto spallucce. “Mi piace la
storia” aveva detto a
mo’ di scusa. Avrebbe voluto fare anche Aritmanzia, ma aveva
rinunciato al
quarto anno – e non mi aveva mai voluto dire
perché, anche se avevo sempre
sospettato che ci fosse qualcosa sotto. A pensarci, aveva anche ottimi
voti in
tutte le materie. Non come la Geniale Granger, naturalmente, ma meglio
di me.
Studiava davvero, se non altro.
La
Parkinson invece non aveva mai brillato a scuola. Se la cavava
piuttosto bene
in Trasfigurazione, e non era malaccio in Incantesimi ed in Difesa, ma
nel
resto era un disastro. Aveva ripreso Cura delle Creature Magiche, anche
se
quelli del nostro anno a farlo erano pochissimi, e poi Erbologia,
Astronomia e
Divinazione. Contenta lei.
Ed
io? Beh, avevo optato per le stesse materie di Nott, a parte per
Antiche Rune,
Astronomia e Storia della Magia. Quello che bastava, insomma, per avere
una
buona preparazione di base, e per permettermi di avanzare in qualunque
professione degna di questo nome. Non me la stavo cavando male. Pozioni
era una
vera agonia, anche se in un modo o nell’altro me
l’ero cavata fino a quel
momento, tra diversi “ACCETTABILE” ed anche qualche
“OLTRE OGNI PREVISIONE”.
L’unica mia consolazione era stata che, se io colavo
rapidamente a picco tra
mestoli e calderoni, gli altri attorno a me annaspavano con fatica
– anche la
Granger, ah, ah. Potter, dopo l’excursus dell’anno
precedente, era tornato ai
suoi votacci.
Nelle
altre materie me la cavavo discretamente. Trasfigurazione era difficile
ma non
impossibile, Erbologia decisamente fattibile, e Difesa Contro le Arti
Oscure
nulla che non potessi affrontare. Stesso discorso, Incantesimi. Il mio
problema
non era la pratica, almeno non quanto lo era la teoria. Tra gli
allenamenti di
Quidditch – si, ero in squadra, anche se era una fortuna che
fossi Cercatore
visto che altrimenti nessuno avrebbe osato passarmi la palla
– e lo studio,
ero già esausto.
Comunque
non era certo lo studio il mio problema principale. Camminavo lungo il
corridoio rasente al muro, un macigno sul cuore, e la sgradevole
sensazione che
avessi scritto sulla fronte “traditore”.
Più del solito, intendo. Tutti quelli
che passavo mi fissavano, ed anche se sapevo che era per la storia
dell’ubriacatura, mi sembrava di essere trasparente.
A
testa alta, fingevo indifferenza, e camminavo a passo spedito, ma non
troppo.
Ero lieto, comunque, che i corridoio fossero illuminati solamente da
fiaccole. Non
si sarebbe notato il lieve rossore che invadeva le mie guance
altrimenti
pallide.
Giunsi
alla porta dell’aula, che era socchiusa; segno che
l’insegnante non era ancora
arrivata. Sentivo alle mie spalle un chiocciare lontano che indicava un
gruppo
di studenti in avvicinamento. Dall’aula comunque proveniva il
vociare gaio di
parecchi alunni. Trassi un sospiro profondo. Entrai.
Un
gran numero di teste si voltò nella mia direzione. Tutti
tacquero. Avevo messo
un piede in avanti ma esitai, per un istante, colpito da un interesse
così
palese. Ma andiamo. Una volta non era di moda avere un giornale con due
buchi
per gli occhi? un po’ di ritegno, accidenti.
Non
volevo mostrarmi impaurito, perciò alzai ancora di
più il capo, e percorsi il
corridoio tra le due file di banchi diretto verso il
terz’ultimo, dove c’era
Zabini ed un altro Serpeverde che fissavano i loro libri con
discrezione.
Durante il mio breve tragitto, si alzò un brusio di voci.
«Ehi,
Malfoy» disse Ernie McMillan, uno dei pochi Tassorosso
ammessi alla
Trasfigurazione avanzata, che evidentemente intendeva vendicarsi per
qualunque
angheria subita in passato, «com’è che
oggi riesci a camminare in linea
retta?».
Coro
di risatine. Mi voltai, rosso, verso il Tassorosso.
“Perché non ho il tuo
sedere ciccione a distrarmi, davanti a me” avrei potuto
rispondergli. Oppure:
“Perché sono finalmente riuscito a scordare la
faccia di tua madre, che mi
aveva quasi procurato un infarto”. Una cosa così.
Ma non ce la feci, e per una
ragione molto semplice.
La
mia colpa che gravava su di me. Mi derideva perché avevo
tentato di uccidere
Silente, o perché sospettava che lo avessi fatto, e voleva
farmela pagare
perché ero un nemico. ed era così. Ero colpevole.
Cosa potevo dire, se non che
ripensavo allo sguardo di quel vecchio mentre abbassavo piano la
bacchetta,
mentre fissava me, poi Piton, mentre quest’ultimo lo spegneva
in un lampo
verde?
Mi
sembrava di tornare a quel giorno, in quel momento, alla mia fuga
trascinato da
Piton. E a quando Bellatrix mi aveva trascinato fuori dal cancello di
Hogwarts
ed io, con il cuore pesante ed il nodo in gola, non pensavo a nulla. A
quando
Kingsley era arrivato e l’aveva aggredita, e lei mi aveva
lasciato. A quando
l’avevano costretta alla fuga, ma avevano preso me,
portandomi con loro. A
quando, avvicinandomi alle mura della scuola tirato per una manica da
Dawlish, ed
avevo visto il corpo sotto la Torre di Astronomia.
Ed
ero colpevole, una volta ancora, perché sapevo dove il suo
incubo si celava, e
non lo avrei rivelato a nessuno. Che cosa potevo dirgli? In quel
momento, la
consapevolezza era immensa. Mi limitai a fissarlo in silenzio, per un
istante,
spegnendo la sua risata. Poi raggiunsi il mio posto in fretta
– di fianco a
Zabini, urgh – e mi sedetti, cercando di sembrare nobile e
distaccato, ma
sembrando soltanto sperduto.
Era
in momenti come quelli che desideravo avere al mio fianco McNair. Lui
si
sarebbe messo a parlarmi, il volto acceso dalla rabbia. Mi sentivo in
colpa, a
considerarlo inferiore, ma non potevo farci nulla. per me era una
spalla, ma
non sarebbe stato mai come con Nott. Anche se questi, tetro e spento,
mi
ignorava.
Mi
voltai in avanti quando un nuovo gruppo di alunni entrò
nell’aula, ma questi
non potevano riservarmi le stesse occhiate, perché ero
seminascosto dietro ad
un nerboruto Corvonero. Si avviarono ai loro posti, emozionati,
allungando il
collo verso di me. Uno degli ultimi sobbalzò quando la porta
alle sue spalle si
spalancò, e la McGranitt entrò.
Tutti
si chetarono, e corsero a sedere. La vecchia strega posò le
proprie cose sulla
cattedra e, dopo aver detto due o tre parole sulla gita di Hogsmeade
che si
sarebbe tenuta di lì a pochi giorni, e sulle misure di
sicurezza da tenere,
cominciò senza indugio la lezione. Un po’
più sollevato – avrebbe consegnato i
compiti alla fine della lezione, quantomeno – mi concentrai
sul modo migliore
di realizzare un perfetto naso ad uncino a partire da uno
all’insù. Una
spiegazione di almeno mezz’ora, anche se sembrava semplice.
«Mi
ricorda quello di qualcuno» sentii Weasley borbottare, dalla
fila accanto,
mentre la McGranitt puntava la bacchetta su McDonald donandogli un
enorme,
Pitonesco naso. Vidi Potter fare una smorfia divertita, che
cambiò subito in
una espressione depressa. Lo osservavo per capire che cosa stava
succedendo, ma
sembrava che fosse stato solo il nome di Piton a fargli
quell’effetto.
Intanto
McDonald implorava lamentosamente la professoressa di ridargli il suo
bel naso
diritto. Divertito, chinai il viso sulla pergamena che avevo di fronte,
scrissi
un paio di righe per ricordarmi il procedimento, poi puntai di nascosto
la
bacchetta contro McMilann due file avanti e sussurrai
l’incantesimo. Come
immaginavo il risultato non fu perfetto, ma vidi il suo naso gonfiarsi
e lo
vidi trasalire inorridito.
La
McGranitt lo rimbrottò perché non bisognava mai
tenere la bacchetta in mano in
quel modo mentre si pensava ad un incantesimo, perché il
rischio di produrne
uno non verbale e di incantarsi da sé era alto. Qualcuno
sogghignò, specie tra
i Serpeverde, e un calcetto sulla gamba sinistra mi avvertì
che Zabini sapeva
chi era il responsabile. Ne era divertito? Difficile dirlo. Era
impassibile.
Fu
il nostro turno di esercitarci, ma visto che le file di banchi erano da
tre, e
l’esercizio era da fare in coppie, i due più
interni di ciascuna fila furono
costretti a lavorare assieme. Con mio grande dispiacere, che
sottolineai con un
gemito, finii in coppia con la Granger.
Ecco
perché non sceglievo mai il banco della fila interna.
Ci
alzammo tutti e aspettai che la Sporca Mezzosangue mi raggiungesse,
mantenendo
la mia espressione più tipicamente disgustata sul viso.
«Che bello, Granger,
finalmente avrai un naso che si abbina ai tuoi denti» la
presi in giro con una
certa crudeltà. Sentivo il bisogno di sfogarmi un qualche
modo.
Lei
non batté ciglio. «Mi sono fatta sistemare i denti
parecchio tempo fa, Malfoy.
Anzi, in realtà sei stato proprio tu a permettermelo, quando
mi hai lanciato
quella fattura al quarto anno» mi disse, soave. «Ma
forse mentre eri un Furetto
non ci facevi caso».
Arrossii,
ma non mi scomposi. «Scusami, Granger. Sembri così
tanto un castoro, anche
così, che non riesco a notare la differenza».
«Capita
di non riuscire a capire più niente, quando si è
ubriachi» replicò lei, ed alzò
la bacchetta. E prima che potessi replicare disse,
«Ora...» e senza pronunciare
l’incantesimo la puntò verso di me. Sentii subito
il mio naso mutare. Era una
sensazione tremenda.
«Molto
bene, Granger» si udì la McGranitt dire da
lontano. «Quasi perfetto». La
Granger parve soddisfatta, io decisamente non lo ero.
«Chi
ti ha dato il permesso di stregarmi, Granger?».
«La
professoressa McGranitt».
«Risistemami
il naso, adesso» intimai, minaccioso.
«Quando
ti comporterai più civilmente» disse lei, amabile.
«Dunque, Malfoy, sai solo
offendere quelli più bravi di te, o sai brandire la
bacchetta come si deve?».
Colmo
di rabbia, le lanciai l’incantesimo dicendolo sottovoce. Non
accadde un bel
niente. «Stupefacente» disse lei con un sorriso
soddisfatto. «E, Malfoy, si
tratta di incantesimi non-verbali».
«Sta’
zitta» dissi, freddo. «Sangue Sporco».
Lei si irrigidì ma finse di non aver
sentito.
«Riprova»
disse, come se stesse parlando con un ritardato. Vaffanculo. Non ero
dell’umore
adatto.
«Non
darmi ordini» sibilai. Puntai la bacchetta contro di lei.
«E sistemami il naso,
invece».
«Non
lo farò» disse lei, risoluta. «Non sei
nella posizione per minacciare o
insultare qualcuno, Malfoy. Credevo che lo avessi capito. ora fai il
tuo
dannato dovere».
«Che
cosa complottate, tu ed i tuoi amici, eh?» dissi sottovoce.
Mi accorsi che
Potter e Lenticchia, troppo lontani per origliare, ci guardavano
preoccupati
dal mio aspetto aggressivo. Per non dare nell’occhio abbassai
la bacchetta,
quel tanto che bastava.
«Di
che parli?» non capiva, o fingeva di non capire?
«So
che Potter ha le visioni. E so che c’è qualcosa
che state facendo, qualcosa di
segreto». Il mio tono era quello beffardo di sempre.
Perché nessuno se la
prendesse con me perché non facevo nulla, riprovai con
l’incantesimo, ma il
naso della Granger non si allungò affatto, e si
limitò a arricciarsi un po’
verso il basso.
Lei
puntò la bacchetta contro il proprio viso. «Non so
di che parli» dichiarò,
mentre il naso tornava normale. Dannazione. «Non è
nulla che possa
interessarti, Malfoy». Dal suo tono capivo che non voleva e
che non intendeva
dirmelo.
Ritentai,
e questa volta si allungò un po’, ma senza tendere
verso il basso. Un terzo
tentativo lo ingrossò solamente. La Granger
annullò i due incantesimi con un
silenzioso colpo di bacchetta. «E se lo chiedessimo assieme a
qualcuno? Alla
McGranitt, ad esempio. Ora che è il Preside, sono certo che
avrà i mezzi
necessari per indagare.
La
Granger trasalì, poi il suo sguardo divenne duro.
«Non è con le minacce che
otterrai qualcosa, Malfoy» disse, pacata. «Ora,
scandisci l’incantesimo in tre
sillabe, e muovi il polso in senso orario, non anti-orario. Lo feci,
tanto non
avevo nulla da perdere, e finalmente un Piton con ricci capelli fulvi
mi
fissava. La Granger si voltò verso la McGranitt che
annuì brevemente. Poi
sistemò il proprio naso per la terza volta. Si
avvicinò a me, e pensai che
volesse schiaffeggiarmi. In effetti era una paura stupida, visto il
numero di
testimoni, ma comunque. ricordavo quello che mi aveva tirato al terzo
anno.
Cavolo, faceva male.
Mi
toccò con la bacchetta la punta del naso. Quando la
ritirò, sapevo già che il
mio naso era tornato come prima. Il punto in cui la sua bacchetta mi
aveva
toccato formicolava.
«Lascia
perdere, Malfoy» sussurrò poi la Mezzosangue,
rivolta a me, i pugni stretti.
Qualcosa nel suo sguardo mi diceva che la sua non era affatto una
minaccia. «Non
c’è nulla di degno per un Malfoy in cui tu debba
indagare». Mentiva, lo sapevo.
Avevo origliato tutto. Ma qualcosa nei suoi occhi mostrava
pietà, e non
risentimento, e la cosa mi faceva arrabbiare.
Non
ebbi il tempo né la possibilità di
protestare. La McGranitt si schiarì la voce e
dichiarò che la lezione era quasi
terminata. Gli studenti cominciarono a raccogliere la loro roba e
andare verso
la cattedra, il fila, per ricevere il proprio lavoro. Io mi preparai
con tutta
calma. Non avevo un bel niente.
Quando
passai vicino la cattedra, la professoressa mi fissò con
occhio penetrante. Un
esame che si concluse con lei che si ritraeva, pensosa, ed io con un
certo
sollievo. «Malfoy. Il suo lavoro...».
Aprii
la bocca, pronto ad incolpare la Granger. Ma lei completò la
frase prima che
potessi iniziare io la mia. «...è davvero buono.
Oserei dire, fin troppo
buono». E mi tese una pergamena, la mia pergamena, non
più vuota, ma riempita
da una calligrafia sottile. «Ha per caso ricevuto... qualche
aiuto esterno?».
«No,
professoressa» dissi io, che mi ero ripreso dallo shock
abbastanza per reggere
il mio gioco. «Ma ho avuto molto tempo, sa, in
infermeria...».
La
McGranitt non era convinta, e strinse le labbra insoddisfatta.
Però, dopo
avermi lanciato un ultimo sguardo sospettoso, mi fece cenno di andare.
Ed io
corsi via, con il mio prezioso tema con su scritto
“ECCEZIONALE”, che spiegai
non appena fui nel corridoio. La scrittura somigliava indubbiamente
alla mia,
anzi, sembrava proprio che lo fosse. Era forse più sottile,
e più sinuosa, ma avrebbe
potuto essere la mia scrittura svogliata.
Perché
avevo un tema con su scritto “ECCEZIONALE”, quando
non avevo fatto alcun tema?
Ci
pensai su un istante, ma mentre lo facevo, rallentai. Tre studenti mi
separavano. Erano Potter, Lenticchia, e la Granger, e
quest’ultima teneva lo
sguardo fin troppo fisso di fronte a sé, ed era –
ma poteva essere la luce
delle torce – un po’ troppo rossa.
Hermione
Granger aveva fatto il mio tema.
Il
mio tema.
Lo
cacciai in borsa, e mi avviai intontito verso Incantesimi. Ero nervoso
e
perfino arrabbiato. Quale diavolo di nemico ti fa i compiti per casa?
Un
nemico assolutamente melenso, pensai. Un nemico melenso, e fin troppo
buono,
tanto da farsi prendere dai sensi di
colpa perché il suo avversario numero uno non
poteva fare i compiti a
causa sua.
Badai
bene a fare finta di nulla e a non lasciare capire alla Granger che mi
ero
accorto della verità.
Il
cadetto Malfoy sapeva bene come umiliare i propri nemici.
Ma
come ringraziarli? Beh, no davvero.
Una
serie di problemi non da poco.
Voldemort,
malvagio Signore Oscuro, che ci voleva tutti morti, e era sempre sulla
buona
strada per riuscirci.
Pezzi
di anima che potevano essere ficcati ovunque, e che dovevamo trovare
Dio solo
sapeva dove.
Un
amico che, incidentalmente, leggeva nei pensieri di Voldemort. Radio
Serpente,
in pratica.
L’altro,
che era un idiota, troppo preso dalla barista, e dai suoi stupidi ed
inutili
pensieri. E che non mi piaceva
–
davvero, non poteva piacermi!
E
Draco Malfoy che sapeva, ed io non sapevo che cosa sapeva.
Piccolo
arrogante bastardo, aveva provato a minacciarmi. Ed era un pericolo.
Eppure se
pensavo a lui non provavo altro che compassione.
Oh,
già ed il compito di Trasfigurazione. Avevo preso Oltre Ogni
Previsione. Ma la
cosa migliore era che Malfoy aveva preso Eccezionale. Ed il merito era
mio.
NOTE
DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Come
sempre,
grazie a tutti coloro che seguono le mie storie e le inseriscono nei
preferiti,
in particolare a:
Mi scuso se il
capitolo è parso
corto o insoddisfacente, ma non volevo continuarlo più di
così, per non
spezzare male la trama.
Finalmente Draco
è uscito
dall’infermeria, anche se si può dire che non ne
sia uscito indenne. Ha seri problemi
con cui dover convivere, e scelte che deve fare. Comunque ha già
bisticciato con Hermione e non ne è
uscito rabbonito nei suoi confronti, anzi.
So che alcune
cose, come il modo
in cui è stato catturato Malfoy dopo l’attentato a
Silente, o il fatto che la
McGranitt sia Preside, non sono stati menzionati nei capitoli
precedenti. Ho
pensato che fosse più interessante venire a sapere questo
genere di cose poco
per volta, ecco. Per quanto riguarda altri accenni a vari personaggi,
come ad
esempio Nott, o Zabini, sappiate che quanto non viene spiegato non
è mai messo
a caso. Prima o poi ogni cosa guadagnerà un senso.
A proposito di
William Larkins,
apparso nello scorso capitolo, il suo nome viene da
“Emma”, uno dei favolosi
romanzi di Jane Austen, mio unico amore.
Un piccolo cenno
sul titolo del
capitolo: “Where the snake lies” significa
“dove sta il serpente”; “why and
when to tell lies” significa invece “quando e
perché dire bugie”. Sono i due
grandi problemi di questo capitolo, il cui titolo gioca sul termine
“lie” che
significa mentire, ma anche giacere, trovarsi.
Un’ultima
cosa: recensite, anche
negativamente, per sapere cosa ne pensate della trama e del modo in cui
ho
sviluppato i personaggi. Mi farebbe davvero piacere!
Ok, scusate
l’enorme parentesi!
XD
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Capitolo 5 *** Soaring across humiliation ***
NE’
RON né Harry parvero dare peso quanto me alle dichiarazioni
di Malfoy.
Raccontai loro per filo e per segno ogni particolare della nostra
conversazione, ma Ron si limitò a scuotere il capo e a
commentare: “sono solo spacconate,
Hermione. Come avrebbe fatto a scoprire la
verità?”.
«Vorrei
ricordarti» gli dissi allora, «che quando Harry ci
aveva raccontato dei suoi
sospetti su Malfoy, le avevi liquidate allo stesso modo. E chi
è che ha provato
ad assassinare Silente sulla Torre di Astronomia?».
«Se
non mi sbaglio, nemmeno tu eri sembrata troppo convinta»
aveva ribattuto lui,
ed ero arrossita mio malgrado. Mi voltai verso Harry, ignorando il mio
amico
dai capelli rossi, ma lui si strinse nelle spalle.
«Ron
ha ragione... voglio dire» si affrettò a precisare
vedendola mia espressione
tutt’altro che lieta, «deve aver immaginato che
stiamo tramando qualcosa, non è
stupido, ma non può certo immaginare... gli
Horcrux...».
«Sei
tu quello che è sempre convinto che tutti quanti stiano
cercando di scoprire il
nostro segreto» ribattei piccata.
«Perché Malfoy non dovrebbe esserci
riuscito?».
«E
come avrebbe fatto?» fece notare lui, poco convinto.
«Potrebbe
aver origliato qualche nostra conversazione... magari con la Pozione
Polisucco,
o... con un Mantello dell’Invisibilità»
dissi io in fretta, passando
mentalmente in rassegna diverse possibilità».
«Impossibile»
disse Ron, «usiamo sempre il Muffliato, no? E per quanto
riguarda la Pozione
Polisucco, non sono certo che sia capace di prepararla, e non
può averne rubata
così tanta a Lumacorno, giusto?».
«Può
essersela procurata in un altro modo, Ron. Prendi Fred e George, ad
esempio,
con il loro servizio di consegna di Filtri
d’Amore...».
«Fred
e George non venderebbero mai nulla
a
Malfoy, nemmeno un’unghia incarnita»
protestò Ron, infiammandosi.
«...e
per quanto riguarda il Muffliato» lo ignorai,
«potrebbe essersi preparato
qualche contro sortilegio in anticipo, o qualcosa del genere. Non
possiamo
saperlo».
«E’
un’ipotesi un po’... azzardata, Hermione»
disse Harry arricciando il naso.
Sospirai, sconfitta. Cominciavo a credere di aver fatto più
di un torto ad
Harry quando non gli avevo creduto, le innumerevoli volte in cui si era
lanciato nelle sue strampalate ipotesi; era estenuante non essere presa
sul
serio. In ogni caso, ero decisa a tenere Malfoy d’occhio.
Harry
aveva problemi più pressanti al momento che Draco Malfoy.
Dopo la sua ultima
visione, non faceva che ripetere la necessità di andare a
visitare Grimmauld
Place. Io ero d’accordo con lui, sebbene il pericolo non
fosse indifferente.
Discutemmo
per due giorni per definire i dettagli. Alla fine stabilimmo che
avremmo
approfittato della gita ad Hogsmeade – Ron emise un alto
gemito quando io ed
Harry convenimmo sul fatto che fosse la cosa migliore da fare
– per andare al
villaggio e Smaterializzarci senza farci notare. Avremmo visitato
Grimmauld
Place sotto il Mantello fino ad assicurarci che fosse sicuro, cercando
di
capire che attrattiva quel posto suscitasse in Voldemort. Poi saremmo
tornati a
Hogsmeade per fermarci da Mielandia e comprare qualcosa. Sarebbe stato
strano
se ad Hogsmeade non avessimo preso nulla.
«Magari
anche una puntatina ai Tre Manici di Scopa...» avevo sentito
Ron mormorare a
Harry, e quando lo avevo fulminato con un’occhiata
disgustata, si erra fatto
molto rosso e molto sciocco.
Nel
frattempo le stupide selezioni delle stupido Quidditch si erano
concluse. Ron
era riuscito – miracolosamente – ad essere
riammesso in squadra e sospettavo
che Harry avesse replicato l’impresa da me portata a termine
l’anno precedente,
quando avevo confuso McLaggen, perché
Cormac si allontanò dal campo un po’ barcollante.
Anche Ginny era tornata in
squadra, anche se tra lei ed Harry l’aria si sarebbe potuta
tagliare a fette.
In un certo senso ero contenta, perché così
(forse) sarebbero riusciti a
chiarirsi.
«Non
mi parla» mi disse Harry sospirando, il manico di scopa in
spalla, mentre
attraversavamo il prato verso il campo da Quidditch. Ron era rimasto
indietro
per finire di copiare il tema per Pozioni che Calì aveva
acconsentito a
prestargli. Mi ero rifiutata di farglielo vedere perché ero
stufa di vederlo
così svogliato e distratto, anche le la coscienza mi
rimordeva, visto che avevo
perfino fatto i compiti per Malfoy. Dall’altra parte...
vendetta, che diamine!
«Non quando non è strettamente necessario,
comunque».
«Beh,
che pretendevi?» replicai, tenendo alzata la veste fino alle
ginocchia per
evitare che si impigliasse nell’erba. Le calze si
impregnarono presto di acqua
e brina, e feci una smorfia. «Voglio dire, l’hai
piantata in asso dicendole che
non eravate fatti l’uno per l’altra...».
«Non
avevo scelta» protestò lui.
«Non
so» dissi io, con la mia migliore aria di disapprovazione.
«Sai come la penso
al riguardo... ma in ogni caso» interrompendolo prima che
potesse cominciare a
parlare, «Harry, anche se sa benissimo che non è
vero, che l’hai fatto per lei,
non può esserne sicura».
Harry
era estremamente sconfortato. Fissava lo spogliatoio in avvicinamento
in
silenzio.
«Avresti
dovuto accettare che stesse con te, Harry» conclusi, in tono
esitante, per
assicurarmi che la prendesse bene.
«Non
che importi granché, ormai, no?» fece lui, tetro,
arrestandosi di fronte alla
porta dello spogliatoio. «Si sta consolando bene».
Lo fissai con uno sguardo che
era puro disprezzo. «Tu e Ron siete proprio uguali»
dissi, sprezzante. «Non
vedete ad un palmo dal vostro naso». E mi voltai per
andarmene.
«Non
resti ad assistere agli allenamenti?» chiese Harry
speranzoso. Forse sperava
che la mia presenza avrebbe ammansito Ginny, o forse sperava che un
pubblico
parziale come me avrebbe incoraggiato Ron, che era piuttosto instabile
nelle
sue prestazioni, come sapevano tutti.
«Non
so» dissi io, esitante. La conversazione appena avuta mi
aveva buttata
nell’incertezza. Voglio dire, dovevo studiare, ma la storia
di Ginny
preoccupava anche me. Temevo che qualcuno si accorgesse di quello che
era
successo tra lei e Harry... e forse volevo anche vedere Ron giocare,
d’accordo.
«Dai,
Hermione» mi implorò Harry. «So che hai
molte cose da fare, ma forse... una
pausa...».
«Ok,
d’accordo» dissi, fingendomi seccata.
«Potresti
fare da arbitro».
«No,
grazie». Le mie prestazioni sulla scopa erano atroci, peggio
di quelle di
McLaggen confuso, il che era tutto dire. Le scope mi terrorizzavano.
Ogni volta
che alla Tana avevamo giocato, mi ero dimostrata la zavorra del gruppo.
Umiliante, ma vero.
Harry
mi guardò. «Siamo soltanto noi, Hermione. E non
devi neppure giocare». A quel
punto ero certa che mi volesse con sé per scongiurare il
pericolo Ginny. Se
fosse stato Ron il suo principale problema, la mia presenza sugli
spalti
sarebbe stata più che sufficiente. «Mi... ehm...
ci faresti un favore». Ok,
definitivamente.
«E
va bene». Questa volta ero davvero seccata, accidenti.
Così
mandò Romilda Vane – una delle riserve –
a recuperare una scopa affidabile
nello stanzino delle scope, mentre io aspettavo che i membri della
squadra si
cambiassero. Ron sembrava ringalluzzito dalla mia presenza, e Ginny mi
lanciò
un’occhiata inequivocabile che significava: “poi
parleremo”. Annuii appena,
mentre mi oltrepassava.
Insomma,
meno di dieci minuti dopo fluttuavo con aria insicura a
mezz’aria, dopo aver
liberato il Boccino ed i Bolidi (questi ultimi due con
difficoltà non
indifferenti), e con la Pluffa in mano. Questo voleva dire che avevo
solo una
mano sul manico, con il risultato che sembravo molto poco stabile. Uno
dei
Battitori, Hendricsson, mi fissava con uno sguardo pietoso. Lo ignorai.
«Ehm...
d’accordo» dissi. «Quando... quando
volete cominciare...».
«Beh,
difficile farlo, se non ci dai la Pluffa, no?» sentii Romilda
dire, e Ginny si
schiarì la voce – se per l’imbarazzo o
per zittire Romilda, difficile dirlo.
Quell’anno Harry aveva deciso di ammettere in squadra anche i
primi tra i
non-classificati, in maniera da avere sempre un sostituto a
disposizione nel
caso uno della squadra avesse avuto dei problemi. Così,
allenandosi tutto
l’anno, erano destinati a migliorare, e per di più
permetteva alla squadra
di allenarsi come se fosse stata una
partita. Avevo ammirato la sua decisione, molto prudente, ma in quel
momento
pensai che l’unica cosa positiva delle riserve era la
possibilità che Romilda –
o McLaggen, magari – si beccassero un Bolide in faccia.
«Al
mio via» dissi, ignorandola. «Uno... due...
tre...». diedi il segnale,
scagliando la Pluffa in alto. Fu un lancio misero ma Ginny
recuperò la palla al
volo. I giocatori sfrecciarono in posizione e Harry filò
alla ricerca del
Boccino, tallonato dal sostituto Cercatore che faceva schifo.
Io
rimasi a mezz’aria, sentendomi inutile, e tanto per fare
qualcosa salii verso
l’alto per avere una visuale migliore. Vidi Ginny fare
un’evoluzione ammirevole
a mezz’aria per salvare la Pluffa, ed Harry che si voltava a
guardarla e senza
accorgersene deviava la scopa verso sinistra. Quando se ne accorse si
era
spostato di parecchio dalla traiettoria originale e, vedendo che avevo
seguito
la manovra, assunse un’espressione molto stupida.
Ron
era un po’ grigio ma mi lanciava occhiate speranzose,
verosimilmente sperando
che lo avrei incoraggiato, ma ero l’arbitro e non mi dovevo
sbilanciare.
Spostai lo sguardo verso McLaggen che sollevò il petto con
orgoglio malcelato.
Non capivo se volesse farmi vedere che cosa mi ero persa, o se fosse
tanto
scemo da essersi dimenticato che eravamo usciti assieme.
Mi
sarebbe piaciuto scordarlo.
Seguii
la partita per un altro quarto d’ora. Harry aveva preso il
Boccino e lo aveva
lasciato di nuovo libero, questa volta però
perché si esercitasse l’altro
Cercatore. Lui restò invece ad osservare i Cacciatori
– o meglio, Ginny – ed i
Battitori, dando loro sporadici consigli.
Erano
settanta a venti per la squadra titolare, ma il merito non andava certo
a
Ronald, quanto piuttosto alla differenza di bravura tra i veri
Cacciatori e le
riserve. Harry non sembrava entusiasta, anche se si sforzava di
dissimularlo.
«Vai così, Hericcson... soltanto un po’
più a sinistra, Demelza... così...
molto bene» ripeteva, a tratti regolari, evitando
accuratamente di criticare
Ginny, perfino quando questa sbandò a causa di un moscerino
entratole
nell’occhio finendo addosso ad uno dei Battitori.
Altri
cinque minuti mi persuasero che era inutile che stesi a bordo della
scopa,
visto che potevo seguire la partita da terra. Piano piano (odiavo le
picchiate)
planai verso terra disegnando in aria ampie spirali.
«Oh,
brava, Granger. Ti conviene cercare di scendere dalla scopa prima che
questa si
stufi di trascinarti come un peso morto» disse una voce
melliflua non lontano.
Vidi
Malfoy, accompagnato da due tizi Serpeverde. Uno lo riconobbi subito.
Era quel
viscido di Nott, e sapevo che non era una cosa positiva,
perché aveva un’anima
così nera che probabilmente non riusciva a trovarsi al buio.
L’altro era il
McNair che avevo visto una volta in infermeria con lui, e che sembrava
il più
pericoloso perché sembrava falso. Stavano sulla parte
più bassa delle
gradinate, a pochi metri dal campo. Soltanto Malfoy era sorridente e
beffardo,
gli altri due erano mortalmente seri.
Lo
ignorai. Probabilmente era venuto apposta per sfogare la sua collera
sulla
squadra Grifondoro. Gli allenamenti Serpeverde non sarebbero cominciati
per
almeno altri tre quarti d’ora. Invece mi avvicinai con
più decisione a terra.
«Ricorda,
Granger, che per toccare a terra devi scendere»
proseguì l’altro, maligno. «Ma se vuoi
puoi anche buttarti giù, sono sicuro che
cadere di faccia ti aiuterebbe molto, se non altro a migliorare
l’aspetto».
Rimasi
zitta senza guardarlo. Puntai il manico verso terra e riuscii ad
avvicinarmi al
suolo con una certa eleganza, anche se l’impatto con il
terreno umido mi fece
barcollare. Incespicai, ma mi raddrizzai con dignità e mi
diressi verso lo
stanzino delle scope, anche se così dovevo sfilare davanti
ai tre Serpeverde.
Malfoy fece un altro paio di commenti, ma non reagii. Invece guardai
gli altri.
nessuno si era ancora accorto di loro, ma era questione di poco. Mi
infilai
nello sgabuzzino, misi a posto la scopa, e tirai un sospiro. Potevo
farcela.
Dannazione, potevo farcela.
Uscii.
Proprio in quel momento, sentii qualcuno litigare. Apparentemente Peaks
–
o come si chiamava
il dannato Battitore –
aveva accidentalmente colpito Ginny in testa con la mazza, e questa si
era
afflosciata sul manico di scopa, ansimante. Harry strillava contro il
responsabile, che era assieme contrito ed amareggiato, come se
accusasse Harry
di qualcosa.
«Potter
difende la sua amichetta... che carino». La voce era
più vicina del previsto.
Trasalii, mi voltai, e vidi a pochi metri quel deficiente di Malfoy che
mi
fissava arrogante. «Tutti sanno che fa dei favoritismi, ma
non mi aspettavo che
fosse così palese».
Mi
avvicinai a lui senza proferire parola. Qualcosa nella mia espressione
doveva
parlare, perché d’improvviso fece un passo
indietro. Ha! Stupido Furetto
Fifone! Mcnair rimase immobile, ma Zabini apparve risoluto. Me ne
fregavo.
Poteva anche picchiarmi, non me ne importava un accidente.
Puntai
il dito verso di lui. «Malfoy» dissi, zuccherosa.
«Vaffanculo». Non usavo mai
parole volgari, ma ci stava proprio bene. «Sei un arrogante
presuntuoso.
Proprio tu, che non hai uno straccio di persona che ti voglia, hai il
coraggio
di sbeffeggiare gli altri? mi fai ridere».
Malfoy
impallidì, sinceramente oltraggiato. Accidenti,
com’era liberatorio. Potevo
capire perché gli piacesse tanto, sfottermi.
«Sarò una sangue sporco, e tutto
quello che vuoi, ma sono comunque migliore di te. Tutti noi lo siamo.
Del tuo
sangue puro, tu, non sai cosa fartene» proseguii,
crogiolandomi selvaggiamente
in quella magnifica sensazione.
Malfoy
era a quel punto decisamente arrabbiato, e lo vidi mettere la mano in
tasca per
estrarre la bacchetta. Naturalmente io fui più veloce e lo
Disarmai senza
nemmeno pronunciare l’incantesimo. Vide semplicemente la
bacchetta schizzare
via prima ancora di averla stretta tra le dita e volare dritta nella
mia mano.
Sentii
un brivido di piacere assoluto, una sensazione di potere. Beccati
questa,
Malfoy! «Se provi un’altra volta ad incantarmi, ti
rimando di filato
all’infermeria» sibilai decisa, e dal mio tono si
presagiva che facevo sul
serio. non mi importava nemmeno di far perdere o meno punti a
Grifondoro. Lui
era una minaccia, per quello che era, e sapeva.
Nott
mi fissava, indecifrabile. Mcnair era terrorizzato, nemmeno fossi una
assassina. Ehi, volevo dire loro, lo sapete che quelli dalla parte dei
cattivi
siete voi, vero? «Puoi crederti superiore quanto ti pare,
Granger» disse
lentamente Draco Malfoy, in tono saccente ma circospetto.
«Eppure sono io,
quello con il coltello dalla parte del manico».
«Oh,
no» dissi io, tranquilla. «Ti sbagli, Malfoy.
Ostacolarci non è avere il
coltello dalla parte del manico. È scavarsi la fossa da
soli». Mi sentivo un
po’ un cattivo da telefilm, ma chi se ne importava? Era
importante che Malfoy
fosse abbastanza spaventato da lasciarci in pace. Detto questo gli
lanciai la
bacchetta, senza esitare, e lui la prese. Mi guardò, e
sentii che cercava di
scoprire qualcosa dalla mia espressione, ma sapevo di essere
impassibile.
«Tornate
al vostro fetido sotterraneo» dissi. E me ne andai,
così, verso il castello,
senza nemmeno voltarmi.
Mancava
davvero poco alla gita ad Hogsmeade, e la cosa aveva per me un duplice
significato. Ne ero felice, visto che potevo allontanarmi un
po’ dal castello.
Mi sentivo in trappola in quella fortezza. I castelli sono fatti per
tenere
fuori il nemico, ma avevo bisogno di un muro per proteggermi dal mio
stesso
castello.
Dall’altra
parte, però era deprimente sapere che la gita ad Hogsmeade
non avrebbe portato
alcun miglioramento nella mia situazione, visto e considerato che molto
probabilmente nessuno mi avrebbe accompagnato, ed io non volevo
ubriacarmi di
nuovo.
In
sostanza, avevo deciso di andare a visitare i miei, e nemmeno quella
era una
gita piacevole. Certo, niente Dissennatori che cercano di succhiarti
come una
bibita, ma era pur sempre una squallida segreta quella dove il sangue
Malfoy
marciva. Okay, niente umidi pagliericci muffiti – il denaro,
come avevo
scoperto con un certo stupore, serviva pur sempre a qualcosa
– ma da lì a
definirlo un villaggio vacanze ne passava di acqua sotto i ponti.
Eppure
dovevo parlare con i miei genitori. Dovevo farlo. C’erano
cose da dire, cose da
capire, anche se non volevo rivelare loro che Potter, la Granger e
quell’idiota
di Weasley stavano progettando, ne ero certo, la morte
dell’Oscuro Signore. E
mi sentivo... solo.
No,
cancellate quest’ultima parte, è troppo da
sfigato. Da Potter, se capite cosa
intendo dire.
Nel
frattempo intorno a me tutti fremevano per l’imminente
partita contro
Corvonero, che aveva una squadra apparentemente di tutto rispetto, per
una
volta. Eravamo tesi, ma nessuno voleva ammetterlo; ufficialmente
l’unica
squadra Purosangue avrebbe dovuto vincere, no? Razza pura, eccetera.
Come
cavalli di razza, roba così. In ogni caso era da un pezzo
che non vincevamo il
Campionato. Quest’anno era il mio ultimo anno, e volevo
vincere.
Mcnair
mi evitava. Chissà perché sospettavo che
c’entrasse qualcosa anche la Granger,
o la nostra piccola lite nel campo di Quidditch. Era troppo tenero, lo
dicevo
io. Cristo santo, chi poteva mai prendersela per la Granger? Soltanto
lui. Ma a
chi importava di lui? Era solo un marmocchio, e non c’era
ragione per
prendersela se voleva incorniciare una foto della faccia della Granger
ed
immaginare di baciare la sua bocca zannuta.
Non
avevo ancora parlato con Theodore di... beh, qualunque cosa volessi
rivelargli.
L’occasione propizia – non che fossi
così ansioso di fare una bella
chiacchierata con lui – si presentò il
giovedì, di ritorno da Erbologia.
«Mi
chiedo per quale dannato motivo non possiamo usare la magia per
concimare le
Mandragole» commentai rivolto a Nott tetro, mentre marciavamo
verso il
castello. «Suppongo che la vecchia megera pensi che faccia
bene alla pelle»
dissi. «Gratta e netta». Il fango (e non solo)
svanì dal mio mantello.
Naturalmente, quello di Theodore era impeccabile. Dannato bastardo.
«Cosa
abbiamo adesso?».
«Non
so. Credo che tocchi ad Antiche Rune». Grande. Ora buca. Ha
ha ha. Alla faccia
tua, Nott. Lui frugò nella tasca ed estrasse il foglio degli
orari. «No,
abbiamo Difesa contro le Arti Oscure». Pronunciò
quel nome come se fosse stata
una porcheria. Ero d’accordo.
«Fantastico»
dissi, tetro. Avevo saltato l’ultima lezione con una scusa,
ma non c’era modo
per saltare anche questa. Dannazione.
«Già.
Ora» disse lui pigramente, come se non gli fosse interessato
affatto, «ho come l’impressione
che avessi qualcosa da dirmi». Rimasi zitto per un
po’, lieto di essere un buon
Occlumante, anche se di certo Nott non stava usando la Legilimanzia.
Dovevo
essere imperscrutabile.
Sbuffai,
per minimizzare. Regola numero uno di un bravo Serpeverde: mai mostrare
quanto
una determinata cosa ti abbia fatto a pezzi. Così eviti che
qualcuno balli il
tango sui cocci del tuo cuore – metaforicamente – e
ti dai un contegno, il che
non è male, specie con le ragazze.
“Potter
ed i suoi stanno tramando qualcosa” sarebbe stata la cosa
migliore da dire. Ma
non la dissi. Forse perché sapevo che, riguardo al Signore
Oscuro, le nostre
opinioni divergevano. Insomma, nemmeno lui aveva la foto del Venerabile
Voldemort nel portafogli, ma in confronto a lui io ed i Sangue Sporco
eravamo
grandi amici. Chissà perché, ero convinto che lui
non avesse interesse a vedere
il Signore Oscuro destituito. Quindi, meglio arrivare al punto per
gradi. «Hai
mai sentito parlare di Horcrux?» chiesi.
Lui
sembrò riflettere per qualche istante. «Non so.
Forse... mi ricorda qualcosa»
disse. Beh, devo dire che avevo sperato che il termine gli fosse nuovo.
Se
c’era una cosa nella quale eccelleva, erano gli incantesimi
oscuri. Perché
diavolo Potter andava alla ricerca di roba oscura? Cristo.
Il
mondo andava alla rovescia. «Perché me lo
chiedi?».
Perché
Potter, quel demente di Potter, scortato da due tirapiedi stupidi come
caproni,
progetta probabilmente di scotennare il Signore Oscuro grazie a qualche
malefica, potente arma, che probabilmente non sarebbe neanche capace di
utilizzare. «Ho sentito due mocciosi ciarlare di qualcosa,
prima a Erbologia.
Il termine mi era nuovo, perciò mi chiedevo di che diavolo
stessero parlando».
Theodore
mi fissò, sorridendo. «Davvero? Parli del piccolo
Corner e del suo amichetto?».
Diavolo, Theodore, come facevo a saperlo? Me l’ero inventato.
«Uhm... forse.
Credi che abbia il tempo di prestare attenzione a plebei di altre
case?».
Visto, Nott? Nulla di nuovo. Ero sempre io, Serpeverde doc, che non stava coprendo Potter ed i suoi
progetti di assassinare il Signore Oscuro.
Nott
mi fissò, con l’aria saccente.
«Già. Comunque, questo non può avere a
che fare
con quello che dovevi dirmi, no? Visto che è da un pezzo che
vuoi parlarmene».
Maledizione
a Nott e alla sua
intelligenza. «Mi
avevano distratto. Mi sentivo frustrato all’idea che
sapessero qualcosa che io,
un Malfoy, non avevo mai sentito nominare.. ma probabilmente
è solo qualche
porcheria filo – Babbana».
«E
hai pensato che io ne fossi a
conoscenza?» disse lui con un sorrisetto sardonico.
«Diavolo,
Nott, che ne so? Mi è solo venuto in mente di chiedertelo,
nel caso in cui mi
sbagliassi». Visto? Una perfetta interpretazione di
Serpeverde – annoiato – e –
ferito – nell’orgoglio. Perfetta, a parte per lo
stridore di unghie mentre mi
arrampicavo sugli specchi. Comunque Theodore si rilassò.
«Siamo nervosetti, eh?
Insomma, Draco, qual è il problema? La Granger ti ha di
nuovo accarezzato in
contropelo?». Trovavo molto irritante che fosse
così divertito dalle mie
schermaglie verbali con la Granger. O meglio, dal fatto che –
ehm – non le
vincessi.
«Lascia
stare la Babbana Zannuta» replicai seccamente, con un gesto
della mano, che
significava più o meno: perché
dovrebbe
importarmi della Granger? Quando mai mi ha umiliato, o battuto?
Già. «Nott,
è una questione seria».
Nott
si fece attento, senza perdere il sorriso. Aveva sempre
un’aria condiscendente,
come tutti noi Serpeverde. Non condiscendente con me, se capite, ma con
il
mondo. «Che cosa succede?».
Gli
misi una mano sul braccio. Lui si fermò, e fissò
la mia mano stretta attorno al
gomito, con il suo sorriso sufficiente. Non gli piaceva essere toccato.
Ritrassi la mano, non tanto per rispetto, ma per averlo concentrato. Di
mio,
nemmeno io lo avrei toccato. Rapporto platonico, capite?
«Nott...
il Signore Oscuro è a Londra».
Nott
affilò subito lo sguardo, ma tacque. Così, mi
costrinse ad aggiungere qualcosa.
«Credo... suppongo abbia qualche piano concernente il
Ministero». Avrei potuto
aggiungere: è a casa mia, ma non volevo dare troppe
informazioni (o
spiegazioni). Mai troppo prudenti, è un motto che tengo
sempre a mente.
«Come
lo sai?». Potter ha le visioni. «Non importa come
lo so. Ho sentito il suo
richiamo». Toccai il punto dove, sotto la manica, il mio
Marchio Nero spiccava nero
contro la cute pallida del mio avambraccio. Nemmeno vi dico quanto
faccia male,
riceverlo. Né quanto abbia dovuto sforzarmi per non
strillare in faccia al
Signore Oscuro, rovinando la solenne cerimonia di iniziazione.
«E?».
Anche Nott non intendeva sbilanciarsi. Mi studiava. Forse pensava che
il
Signore Oscuro mi avesse chiesto di metterlo alla prova. Niente di
quelle
stronzate del tipo: “oh, amico, non dubiterei mai di
te!”. Sveglia, ragazzi. La
gente si tradisce tutti i giorni. Fatevene una ragione.
«Se
fossimo sorvegliati? Se il Ministero ci controllasse? Non posso
raggiungerli».
Nott non era un Mangiamorte, ma suo padre si. Ed era riuscito anche a
sfuggire
alla cattura. Era un mago abile, come il figlio. C’era una
ragione se lo
consideravo un pari, al contrario di gente come la Parkinson, o come
quel
rifiuto di Zabini.
Nott
era pallido. Sapere dov’era Voldemort (Colui che non deve
essere nemmeno
immaginato) significava sapere dov’era Nott Senior. E di
certo, non era stato
prodigo di informazioni con il figlio, nell’ultimo periodo.
Mandare una
cartolina avrebbe, probabilmente, soltanto suggerito agli Auror a che
putrido
rifugio andare a bussare. E diciamocelo, dubito che i posti prescelti
da Colui
che è quasi sempre incazzato , alias
l’Ossessionato Signore, vendano cartoline.
Comunque,
manteneva intatto un perfetto autocontrollo. Anzi, sorrideva, senza la
minima
esitazione. Meditava sulle mie parole. «Hai ragione. Non
possiamo... non puoi
permetterti di fare passi falsi, Draco. Anzi, quelli
dell’Ordine probabilmente
ci staranno addosso. Cautela» e scandì quelle
ultime parole mentre i suoi occhi
vagavano per il prato, specie nella zona alle mie spalle,
«è necessaria» disse,
con voce pacata.
Mi
voltai sentendo qualcuno avvicinarsi. Zabini, accompagnato da due
idioti del
quinto anno, la scopa sottobraccio, si avvicinava a noi. Probabilmente
era
uscito dal castello. Che strano, eppure frequentava Erbologia assieme a
noi.
saltava anche le lezioni, adesso?
Ci
osservava, un’espressione curiosa dipinta sul volto.
«Ma guardateli. Non
riuscite ad attendere nemmeno la sera per dichiararvi il vostro
amore» disse in
tono di scherno. Alle sue spalle i due ridacchiavano come due
ragazzine. Ehm.
Davano i brividi.
«Zabini,
perché non...» e la sequela di insulti, che
Theodore sciorinò senza battere
ciglio, ve la risparmio. Troppo colorita, e buon Dio, non sono una
verginella
impaurita.
«Volentieri.
Con tua madre» ci gridò dietro lui, che non aveva
rallentato e andava verso il
campo da Quidditch. Evidentemente aveva deciso di saltare tutte le
lezioni del
giorno. Comunque, ci fissava ancora con intensità, tanto da
farmi venire i
brividi.
Nott
lo ignorò, e assieme entrammo al castello. Dovetti mollare
Nott, allora, per
andare a recuperare la borsa al dormitorio. Avevo smesso di portarla ad
Erbologia quando qualche idiota Tassorosso, una lezione, era inciampato
finendo
addosso ad una specie di cactus colmo di vescicole, che era esploso
inondando
tutte le mie cose di pus. Naturalmente, lo avevo conciato per le feste.
Così,
arrivai in deciso ritardo alla lezione successiva. Ovviamente, visto
che mi ero
anche attardato a parlare con Nott. Spalancai la porta, e mi ritrovai con una quarantina di
studenti a fissarmi.
Ninfa dora Tonks scosse i capelli rosa cicca e mi lanciò uno
sguardo di rimprovero
arricciando il naso all’insù. «Sei in
ritardo, Draco».
Era
mia cugina, eppure mi trattava sempre come se fossimo stati estranei.
Non che
fosse una parentela di cui vantarsi. Era di talento, abbastanza carina,
ed era
una Metamorfomaga, ma insomma, era una traditrice, e sposata con Remus
Lupin!
«Mi
scusi, professoressa»
dissi,
sarcastico, suscitando qualche debole accenno di risata dalla zona
Serpeverde.
«Prego,
accomodati» disse lei, ignorandomi come se fossi stato un
Vermicolo, ed
indicando, orrore degli orrori, un posto vuoto in terzo banco...
accanto a Ron
Weasley.
«Professoressa»
dissi allora, con un ghigno. «Non posso sedermi accanto a
Weasley. Non sta mai
attento, mi distrarrebbe».
Il
motivo per cui usavo quel tono poco rispettoso era che sentivo ancora
gli occhi
di tutti addosso, e volevo mostrare che non mi importava, che ero
ancora quello
di un tempo, quello che non aveva ragione di preoccuparsi,
perché era ricco e
influente, nonché ammirato. Ah, e non volevo stare accanto a
Weasley, che alla
sua sinistra aveva Potter e la Granger.
Altre
risatine, un po’ più decise, si levarono dalle
file in fondo. Weasley era
scarlatto, soprattutto sulle orecchie, i pugni maldestri pallidi per la
stretta
con cui li teneva chiusi. Percepii i suoi due amichetti guardarmi,
l’una con
disprezzo, l’altro con... beh, meglio non definire il suo
sguardo. Non era
quello che sarebbe stato un paio di anni prima, ecco.
«Molto
bene, Draco» disse Tonks, amabile. «Apprezzo molto
il tuo interesse per le mie
lezioni». Mi sorrise, e sentii un velo di inquietudine.
«Hermione, fa’ cambio
di posto con Weasley. Soddisfatto, Draco?». La Granger
ubbidì in silenzio, ma
con una smorfia di disgusto, tale e quale a quella che avevo io
stampata in
faccia.
Fulminai
la donna con uno sguardo sdegnoso, mentre altri ridacchiavano
– stavolta di me,
non con me – e sbattei senza ritegno i libri contro il
tavolo. Mi accomodai,
rumorosamente, cercando di occupare più spazio possibile sul
tavolo, senza
toccare la sangue sporco (Rivoltante Reietta per i nemici stretti) che
comunque
fingeva di non essersi affatto accorta di me.
«D’accordo,
riprendiamo la lezione. Come stavo dicendo, i Maghi Oscuri molto spesso
non si
limitano a lanciare fatture – alcune delle quali abbiamo
già imparato a
contrastare, benché su questo fronte abbiamo ancora molto da
imparare – ma
talvolta, se il talento lo consente loro, ne creano di
nuove...».
Sfogliai
il manuale senza troppa convinzione mentre Tonks pronunciava quelle
parole,
cercando inutilmente la pagina, e di sembrare indifferente alla sangue
sporco.
Anatemi... fatture... dove diavolo era?
«Spesso
tali incantesimi diventano il marchio, la firma del mago oscuro,
sicché la
usano solo in determinate, speciali circostanze, e di conseguenza,
essendo
ignote ai più, sono difficili da contrastare...».
Sapete
cosa era quasi incontrastabile? La mia noia.
Ancora
non ero in grado di trovare la pagina. Lasciai perdere.
«Per
alcune lezioni, ci focalizzeremo sulla maniera migliore per difendersi
da tali
sortilegi. Alla fine, benché non mi aspetto che siate in
grado di...».
«Pagina
493» sentii qualcuno sussurrare. Mi voltai. La Mezzosangue mi
guardava, con
l’aria un po’ saccente e un po’
sprezzante. Tornai a voltarmi verso il libro,
come se non la avessi sentita, ma feci come aveva detto. sottolineai
due volte
il titolo con la mia piuma d’oca.
«...insomma,
ragazzi» disse Tonks, con l’aria stremata,
«avete capito, no?».
Qualche
mormorio di assenso.
«Benissimo!
Allora, uhm...». Le poche lezioni che avevamo seguito avevano
mostrato chiaramente
che la professoressa Tonks non era
brava nelle spiegazioni teoriche, che spesso si limitavano ad un breve
discorsetto introduttivo imparato a memoria o composto prima delle
lezioni.
Preferiva la pratica, o degli esempi. «Qualcuno sa dirmi un
esempio di
incantesimo offensivo ideato da...».
Successe
qualcosa di strano. La mano destra della Granger ebbe un mezzo scatto
verso
l’alto, tanto improvviso da spaventarmi. Mi voltai verso di
lei, aprendo la
bocca per protestare, ma la vidi esitare e lanciare
un’occhiata veloce a
Potter. Poi si voltò anche verso di me, condotta da
chissà che pensieri, poi la
stupida mezzosangue arrossì appena, e alzò la
mano.
«Si,
Hermione?» chiese Tonks, come sempre ringalluzzita. La
deprimeva vedere che
nessuno voleva rispondere alle sue dannate domande.
«Ehm...».
La Mezzosangue si schiarì la vocetta stridula, prima di
sussurrare: «Levi... levicorpus».
Potter
si voltò a guardarla, e strinse i pugni, abbassando poi lo
sguardo sul suo
testo. Weasley si agitò sulla sedia, imbarazzato. La Granger
sembrava a
disagio. «Corretto!» disse invece Tonks, lo sguardo
scintillante. «Molto bene,
Hermione. Si, il levicorpus fu un
incantesimo inventato da alcuni Mangiamorte, venti o
trent’anni fa, e fu spesso
usato da loro nel perseguitare i Babbani. Chi di voi è stato
all’ultima Coppa
del Mondo...» ma non la ascoltavo. Alla
parola “Mangiamorte”, quasi tutti mi avevano
lanciato almeno un’occhiata.
Strinsi
le dita contro il bordo del banco. Se solo avessero saputo... quello
che era
stato... cosa significasse... e quello che sapevo...
Percepii
lo sguardo della Granger puntato su di me, e mi voltai di scatto a
guardarla,
con un’espressione feroce. Mi stava guardando con
pietà, lei, una Mezzosangue,
una sciocca, un’amica di Potter? Come osava?
«Bada
agli affari tuoi, Granger» sibilai, minaccioso.
Lei
arrossì di rabbia. «Com’è
sentire parlare della tua ordinaria amministrazione,
Malfoy?» sussurrò allora.
Arrossii
anche io, e feci per replicare, quando la voce di Tonks
si levò tra le teste degli studenti.
«Chi
di voi sarebbe disponibile come cavia?».
Un
brusio sempre più forte si spanse per la classe. la donna
sembrò quasi
sperduta. «Io... naturalmente non siete obbligati»
disse, e notai che i suoi
capelli si facevano un po’ più scuri, forse per
l’imbarazzo, o la delusione.
«Mi chiedevo solo se qualcuno sarebbe disponibile, in maniera
tale da mostrare
ai suoi compagni in che cosa consista
l’incantesimo».
«Lo
faccio io».
Oh,
merda. Non potevo averlo detto. Chi sei tu? che ne hai fatto di Draco
Malfoy?
«Lo
faccio io» dissi di nuovo, pigramente, come se mi fossi
offerto di andarmene
via. Mi alzai, senza pensare a niente, la mente vuota, il sangue che
ancora
ribolliva. Tonks spalancò gli occhi, e diversi pensieri
scivolavano nei suoi
occhi violetti. A che stava pensando?
Il
brusio aumentò. Sentii la Mezzosangue sussultare appena
mentre mi ergevo in
tutta la mia - non
così imponente –
statura. «Io... sei proprio sicuro, Draco?» fece
Tonks, incerta.
Senza
rispondere, mi avviai con passo ciondolante verso la cattedra, e mi
voltai
verso gli altri con tono di sfida e, forse, di scherno. Notai Nott
osservarmi
con aria circospetta, un sorriso leggero che significava pericolo.
Fingeva che
non gli interessasse e da lì si poteva capire che era
guardingo, e attento.
Poco dietro di lui un gruppo di Serpeverde, tra cui la Parkinson e
Zabini,
sussurravano tra di loro. Ernie come diavolo si chiamava, quello di
Tassorosso,
sembrava aver preso una botta in testa.
«Ehm...
d’accordo. Molto bene, Draco» fece Ninfadora,
incerta, nel tentativo di essere
incoraggiante. «Vieni, spostati qui... bene...
così che tutti possano vedere...
eccellente. Ora...». levò la bacchetta. Tutti
erano concentrati sulla
bacchetta, o sul mio volto beffardo, compreso quello –
irritantemente
sconcertato – della stupida Mezzosangue Granger. Il silenzio
che era calato era
tombale.
«Levicorpus»
scandì la professoressa, e senza preavviso, mi sentii
afferrare per una
caviglia e tirare di scatto verso l’alto. Non gridai solo
perché nel battere i
denti a causa dello strattone mi ero morso la lingua. In breve, mi
ritrovai
appeso a testa in giù di fronte a tutti quanti, e ringraziai
che da qualche
anno sotto alla veste si portassero i pantaloni, se richiesto. Sentii
un coro
di “ooh” o “aah” di stupore e
interesse.
Inutile
dire che non avevo capito, preso com’ero dalla rabbia, in che
cosa consistesse
l’incantesimo, fino a che non mi ero trovato a oscillare a
testa in giù davanti
a quaranta o più ragazzi che mi fissavano a bocca aperta.
Cercai di ricompormi.
Avevo visto di peggio. Avevo...
Visto.
Già, avevo già visto corpi ciondolanti sul
soffitto, come me, o galleggianti
come morti sull’acqua. Avevo visto babbani torturati in
quella stessa
posizione, prima di... beh... morire. Le immagini del mio sogno di
pochi giorni
prima affiorarono,
ma le scacciai
subito. Era solo un gioco. Nessuno poteva ammazzare qualcuno solo
perché... era
Purosangue.
«Come
potete vedere» diceva intanto Tonks, «con il
Levicorpus il mago si trova ad
avere nelle sue mani la vittima, costringendola con un laccio
invisibile in una
posizione umiliante e di impotenza». Cominciavo a sentire il
sangue andare alla
testa, perciò non potevo non essere d’accordo.
«Può sembrare inoffensivo, ma
non dobbiamo dimenticare, che anche la tortura psicologica è
una tortura.
Umiliare, ferire le persone, non è meglio di ferirle
fisicamente o Cruciarle. Accanirsi,
isolare, odiare, disprezzare, discriminare... sono forse le armi
più potenti
che può avere il nostro nemico».
Non
riuscivo a concentrarmi, perché sentivo la testa esplodere.
«Liberacorpus»
disse solo allora Tonks, e ricaddi a terra, non molto dolcemente.
C’era
ancora silenzio. Tonks mi permise di andare a posto e mi
assegnò addirittura
quindici punti per il “coraggio” da me dimostrato.
Quando tornai a sedermi,
tutti mi fissavano. Bene, bene. Nessun Malfoy si sarebbe fatto
appendere
volontariamente in aria come un prosciutto, ma a mia discolpa, faccio
presente
che non avevo saputo in che cosa mi andavo a cacciare. Del resto, non
sapevo
cosa mi avesse spinto ad offrirmi per un qualsivoglia esperimento.
Né
volevo saperlo. Negazione e fuga da sé erano le prime regole
sentimentali di un
Serpeverde per bene, notoriamente.
Mentre
Tonks spiegava l’esatta composizione
dell’incantesimo, pensai alle parole da
lei pronunciate. Mi chiesi se non le avesse per caso dette, riferendosi
al
comportamento degli altri nei miei confronti, ma non volevo pensarci.
Non
volevo sentirmi in debito con una Traditrice.
La
Granger continuava a lanciarmi occhiatine di sbieco, ma feci finta di
non accorgermene.
Forse – ma non voglio dirlo. Non avrei mai ammesso, mai e poi
mai, che forse
non ero proprio l’unica vittima.
SPAZIO
DELL’AUTRICE
Mi devo scusare per la
poca
regolarità. Di solito posto ogni domenica, o al massimo ogni
due, ma Colei che
non deve essere nominata (leggi: maturità) è viva
e avvelena la mia esistenza.
-.-“ comunque, ho postato con tre giorni di ritardo, ma
perdonatemi!
Sono abbastanza
soddisfatta di
questo capitolo, visto che i personaggi cominciano a muoversi. Il
prossimo,
attualmente in fase di preparazione (già, non scrivo mai
nulla in anticipo, ah
ah ah -.-“) sarà ricco di avvenimenti legati alle
avventure dei nostri
protagonisti. Nel frattempo vediamo Draco che, non rassegnatosi ancora
alla sua
realtà di misero reietto, da una parte si rende odioso come
al solito,
dall’altro viene preso da un raptus folle, trasformandosi in
salame
ciondolante...
Hermione, che non ha
avuto
granché da dire questo capitolo, rimane furiosamente
preoccupata, e ne ha tutte
le ragioni! E forse, in un prossimo futuro, avrà anche da
scontrarsi
direttamente con le sue gelosie!
Un breve cenno, come
sempre, sul
titolo del capitolo. “Soaring across humiliation”
significa, più o meno,
“Planare attraverso l’umiliazione”, con
chiaro riferimento agli episodi imbarazzanti
del capitolo.
Infine, voglio far
presente che
eventuali incongruenze non sono casuali, ma verranno spiegate
più avanti. Spero
anche che abbiate apprezzato il fatto che, ad insegnare Difesa Contro
le Arti
Oscure, sia capitata Tonks, anche se sappiamo che non potrà
durare più di un
anno...
Ho anche cambiato un
paio di
cose nel capitolo precedente... incapacità di ricordare o di
distinguere i
nomi, ah ah ah -.-“
Per il resto, vi invito
a
Recensire, se volete, per aiutarmi a migliorare e farmi sapere se
giudicare
realistica / bella /passabile / disgustosa /indifferente la mia storia.
Grazie
a chi lo ha già fatto, a chi segue, inserisce tra le
preferite e le ricordate
le mie storie – anche se non riesco più a
ringraziare singolarmente – e anche a
chi legge almeno un po’ distrattamente queste pagine! Sto
provvedendo a
cambiare il layout di pagina per rendervi la lettura più
agevole!
Grazie ancora a tutti.
Ciao ^.^
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Capitolo 6 *** Buried secrets ***
«D’accordo.
Ripassiamo ancora una volta» dissi, rigirandomi tra le mani
il mantello
pesante. «Tanto per essere sicuri, ok?».
«Andiamo,
Hermione. Non siamo stupidi. Cosa vuoi che ci sfugga?» mi
chiese Ron, con una
smorfia sofferente, rigirandosi tra le mani un Freesbee Zannuto che
aveva
rubato ad uno del secondo anno. Glielo strappai di mano, sdegnata.
«Allora
comincia tu, Ron» lo incoraggiai, con disdegno.
«Certo»
disse lui, annuendo. «Usciamo dal castello, ridendo e
ciarlando come normali
studenti dell’ultimo anno alla ricerca di una distrazione
dallo studio...» un
attimo di pausa, durante il quale mi fissò, forse sperando
di intuire dal mio
viso impassibile se stesse dicendo qualche scempiaggine.
«...facciamo un giro
da Mondomago, e non appena vediamo che la via è libera, ci
infiliamo sotto il
mantello...». nuova pausa, altra – vana –
occhiata. «Andiamo alla Stamberga, ci
Materializziamo a Grimmauld Place, facciamo quella che dobbiamo fare, e
in men
che non si dica torniamo al villaggio». Sospirò,
soddisfatto di sé.
«Hai
dimenticato un particolare importante, Ron» dissi, sprezzante.
«Che
sarebbe?» fece lui, scocciato.
«Che
cosa pensi che dirà la gente quando non ci vedrà
da nessuna parte?» dissi,
alzando gli occhi al cielo.
«Mmh...
un bel niente, suppongo. Non è che prestino tanta attenzione
ai dettagli, no?».
«Ronald
Weasley, sei un idiota. Solo perché tu non ti accorgi
che...».
«Hermione,
ti prego» fece Harry, piuttosto di malumore.
«Oh,
d’accordo». Sbuffai, incrociando le braccia al
petto con superiorità.
«All’ultimo minuto ci inventeremo che la
professoressa McGranitt vuole vederci, così
tutti crederanno che
torniamo al castello. Soltanto allora potremmo filarcela».
Ron
borbottò qualcosa che somigliava terribilmente ad un
“paranoica”, ma sapevo di
avere ragione. Non che sperassi di avere qualche tipo di sostegno da
parte di Harry,
che dal momento in cui ci eravamo preparati a partire era caduto in un
silenzio
meditabondo. Sospirai. «Andiamo, prima che si faccia
tardi».
Scivolammo
fuori dal buco del ritratto, e pochi minuti dopo eravamo in fila
dinnanzi al
portone, aspettando il nostro turno perché Gazza ci
perquisisse con la sua
celebre Sonda Sensitiva. Ron, memore dell’ultima volta in cui
aveva osato fare
commenti in proposito, rimase coscienziosamente in silenzio mentre
veniva
minuziosamente controllato dall’arcigno custode. Harry a
malapena si accorse di
subire lo stesso trattamento. Io mi sottomisi senza protestare, e ci
allontanammo in silenzio, superando un gruppetto di ridacchianti
Serpeverde,
una delle quali sussurrava qualcosa all’orecchio di Blaise
Zabini.
Oh,
insomma. Neanche l’attuale stato di amici dei Grifondoro
– al quale, comunque,
nessuno credeva – impediva loro di spettegolarci alle spalle.
Ci osservavano
con curiosità quasi morbosa e rimpiansi di non avere
già indosso il Mantello.
Subito
davanti a me c’era Padma Patil. Mentre stavo ancora voltata
all’indietro, le
pestai accidentalmente un calcagno. Lei si voltò,
aprì la bocca per protestare,
fissandomi – e vidi la sua pelle dorata assumere una tinta
più scura.
Improvvisamente in imbarazzo, scoccò un’occhiata
veloce al mio volto, ed una
feroce a Ron – memore, probabilmente, della sua pessima
esperienza al Ballo del
cenno. Poi accelerò il passo e si allontanò, a
braccetto con la sua amica
Corvonero dai capelli a caschetto neri.
Accidenti.
Com’è che tutti avevano reazioni bizzarre, oggi?
Varcammo
i cancelli di Hogwarts a breve, e percorremmo il tragitto che conduceva
al
villaggio chiacchierando svagatamente – principalmente grazie
a me, visto che
Ron era più goffo del solito, e Harry quasi incapace di
parlare. Sapevo che
quelli attorno cercavano di origliare, quindi parlavo in un tono di
voce
normale, quello di chi non ha nulla da nascondere.
«Oh,
Harry, ricordami di prendere quella penna d’oca,quando
arriviamo da Mondomago»
dissi, a voce appena più alta, quando Nott ci
sorpassò velocemente senza
degnarci di un’occhiata. Lo vidi, parecchio più
avanti, parlare con un ragazzo
dall’aria meschina che non avevo mai visto.
«Ho
proprio voglia di una Burrobirra» esclamai, nonostante niente
mi fosse più
sgradito dell’idea di condurre Ron ai Tre manici di scopa,
quando vidi Lavanda
e Calì due file davanti, ridacchianti e giulive. E lo
ripetei una seconda volta
nello scorgere poco lontano McLaggen.
«Hermione»
sospirò Ron. «Sei una pessima attrice».
«Oh,
ma sta’ zitto» dissi, arrossendo. «Non
è che tu stia facendo granché per
aiutarmi, sai, e per quanto riguarda Harry...».
«Eh?
Cos..?» fece quest’ultimo, con l’aria di
chi stava dormendo.
Sospirai
di nuovo. A volte mi sentivo una baby sitter, più che
un’amica. E se proprio
volete saperlo, ero anche stufa di essere l’unico barlume di
sensibilità e
buonsenso femminile nei dintorni. Insomma, passavo tutto il mio tempo
tra i
libri, o assieme a loro. Perfino Ron aveva frequentato Lavanda, mentre
io...
beh, non conoscevo nemmeno molta gente, a dire il vero.
«In
ogni caso» dissi, pensierosa, «spero di aver
portato soldi a sufficienza. Devo davvero
fare rifornimento a Mondomago».
«Mondomago?»
sentimmo alle nostre spalle. Ci voltammo, e scorgemmo Neville
accostarci, il
viso rubicondo e paffuto disteso in un sorriso. Se la passava bene,
nonostante
fosse preoccupato per la nonna latitante. Insomma, dopo la battaglia di
Hogwarts, tutti lo guardavano con un rispetto anche maggiore rispetto a
quando
aveva partecipato alla nostra – ehm – diciamo,
spedizione al Ministero, più di
un anno prima.
«Già»
dissi con cautela.
«Sapete,
anche io devo fare degli acquisti da Mondomago» ci
informò allegramente,
affiancando Harry, e sfregandosi le mani intirizzite con aria gioviale.
«Non vi
dispiace se mi unisco a voi, eh? Sapete, ci sono un paio di Cesoie
che...».
«Ehm,
ecco...» pigolai, nello sforzo di elaborare una scusa geniale
che gli impedisse
di seguirci. Naturalmente potevamo farlo venire con voi, ma
c’era il rischio
che, nel dichiarare che dovevamo tornare al castello, decidesse di
ritornare a
sua volta.... scambiai con Ronald una occhiata angosciata.
Mentre
cercavo di partorire un’idea geniale che ci salvasse da
quell’inconveniente,
udimmo in lontananza un frastuono di voci concitate. Allarmata, alzai
lo sguardo.
C’era una piccola folla radunatasi
all’estremità del villaggio, e parecchi
studenti osservavano qualcosa, scambiandosi sguardi colmi di disagio o
sussurrando qualcosa. Qualcuno parlava ad alta voce. A sovrastare il
frastuono,
delle grida.
«Per
l’amor del cielo» esclamò Ron,
perplesso. «Che diavolo..?».
«Venite»
disse Harry la mano infilata sotto il Mantello dove, probabilmente,
teneva la
bacchetta. Quando fummo sufficientemente vicini, scorgemmo qualcosa di
inaspettato. Nott e Zabini stavano al centro dell’anello
formato dagli
studenti, e se le davano di santa ragione. Nessuno delle altre Case
sembrava
sicuro sul da farsi. Qualche Serpeverde, tra cui anche Pansy Parkinson,
assistevano alla scena, turbati, senza però intervenire.
Naturalmente. Stupidi
Serpeverde. Tra questi c’era anche Malfoy, che
però sembrava essere appena
arrivato assieme a Mcnair, e che dalle ultime file sembrava non credere
ai
propri occhi. si riscosse, e si fece largo a gomitate tra la folla.
«Nott»
chiamò, afferrando l’amico per il braccio.
L’altro si liberò con uno strattone.
«Stanne – fuori!» ruggì
questi, alterato. «Voglio mettere a tacere questo vile
– una volta per tutte».
«Non
puoi fare a botte in un luogo del genere, idiota!»
ringhiò Malfoy, facendo un
nuovo tentativo per trascinarlo via. Una gomitata sullo sterno lo
lasciò senza
fiato. «Ho detto – STANNE FUORI!»
ruggì Nott, con rabbia, eppure mai tanta come
quella dimostrata da Zabini. Questi schiumava rabbia, e nonostante non
sembrasse essere in vantaggio, lottava come una furia.
Nel
frattempo Malfoy si era trascinato al bordo della folla, che come per
magia si
dischiuse per lasciarlo passare. Con una sequela di improperi
irripetibili
tornò da McNair, ma dal suo viso intuivo che avrebbe
indagato. Diavolo, lo
avrei fatto anche io.
Neville
sembrava terrorizzato, ed incerto se fosse il caso o meno di fare
qualcosa.
Alla fine scosse il capo. «Vado a chiamare Dean e
Seamus» disse alla fine,
verosimilmente perché assistessero allo spettacolo. In
fondo, chi non avrebbe
voluto assistere alla lotta tra due Serpeverde inviperiti?
Così
sfrecciò via, e decisi che quella sarebbe senza dubbio stata
l’occasione
migliore per filarcela a nostra volta. Sussurrai
“andiamo” a Harry e questi
fece un cenno a Ron, e tutti e tre sgattaiolammo via prima che qualcuno
potesse
accorgersi della nostra assenza.
Dietro
l’angolo, in un vicolo deserto, Harry estrasse il Mantello.
Dovevamo camminare
ingobbiti affinché i piedi non sporgessero, ma scegliemmo
contrade poco
frequentate e nessuno ci notò, o almeno così
speravo.
Dieci
minuti più tardi eravamo al sicuro nella Stamberga
Strillante. Devo ammettere
che non si tratta del posto più confortevole del mondo,
almeno a mio parere, e
non posso dire di avere ricordi piacevoli connessi a questo luogo. In
ogni
caso, era più che sufficiente per Smaterializzarci senza che
nessuno ci
vedesse, o udisse. Era per quello che non avevamo voluto farlo in
strada.
Harry
si guardò attorno con aria estremamente cupa. Lo capivo. Era
qui che, più di
tre anni prima, avevamo incontrato Sirius per la prima volta. Era qui
che aveva
creduto, per un istante, di aver ritrovato una famiglia. Ricordavo di
aver
aggredito Piton quando questi aveva minacciato Sirius e Remus con la
bacchetta.
Riuscivo ancora a sentirmi, strillare, “Abbiamo aggredito un
professore,
abbiamo aggredito un professore!”. Com’era, che
tutto questo sembrava così
lontano?
Forse
tutto questo cominciava ad essere troppo.
Beh,
in ogni caso, non avevo scelta. No?
«Harry?»
sussurrai, posandogli la mano sulla spalla. «Io... credo che
dovremmo andare».
Lui
annuì, stancamente. Gli sorrisi, e lui fece una smorfia di
rimando. Presi a
braccetto sia lui sia Ron (“Non farmi spaccare,
eh!”), e , chiudendo gli occhi,
e ricordando le tre D, eseguii per la prima volta una
Smaterializzazione
Assistita.
Quando
arrivammo a destinazione. Ron si tastò il petto, incredulo.
«Whoah! Hermione,
sono tutto intero! Sei una forza». Arrossii, mio malgrado,
mentre Harry si
spazzolava via la polvere dal vestito. La casa era lì, di
fronte a noi, con il
suo stile Vittoriano che mi ricordava l’omonima regina della
quale la mia
bisnonna, quando era ancora viva, mi aveva raccontato qualche volta.
Harry
si avviò risoluto verso la porta, girò la
maniglia – che cedette senza problemi
sotto le sue dita – e entrammo, nel più assoluto
silenzio. Senza proferire
parola puntai la bacchetta verso il ritratto coperto dalle tende che
stava
nell’ingresso, scavalcando mentre lo facevo il portaombrelli
ricavato da una
zampa di troll, e usai il Muffliato.
«Da
che parte cominciamo?» chiesi poi agli altri due. Ron
sobbalzò e fece un mezzo
strillo, poi si voltò ansiosi verso l’incantevole
mamma Black, che però stava
sempre dietro le tende, in silenzio. lo guardò, perplesso.
Emisi un verso
frustrato, gli occhi al soffitto. «Ho usato il
Muffliato».
«Giusto»
borbottò lui, le orecchie rosse.
«Non
perdiamo tempo» ci esortò Harry. Assieme,
procedemmo verso la porta del
salotto. Mentre lo facevamo, mi chiesi se qualcuno
dell’Ordine, o magari
Kreacher, venisse mai a riordinare. Lo sporco e la polvere che vedevo
sui pochi
oggetti del corridoio non sembrava di due anni.
Dopo
un paio di passi, comunque, ci arrestammo, sentendo un fruscio... beh,
semplicemente inquietante. Estrassi la bacchetta e la puntai davanti a
me. La
polvere e lo sporco sembrarono sollevarsi, e turbinare al centro dello
spazio
angusto che ci stava di fronte. Ron, accanto a me, imprecò.
Harry era pronto a
lanciare un qualche incantesimo.
All’improvviso
sentii un freddo glaciale accarezzarmi come una mano lasciva, e la
lingua attorcigliarsi
come per rifiutarsi di farmi emettere un suono.
«Severus
Piton?»
sussurrò una voce... familiare.
Una voce calda, che non avremmo dovuto sentire più. Provai a
pronunciare il suo
nome, ma era difficile perfino pensare di parlare. Accanto a me
sembrava che
Ron fosse in preda a conati di vomito. Infine, il turbine di sporco si
dissolse...
e davanti a noi stava, come se fosse spuntato dalla moquette consunta,
la
figura polverosa e lacera di Albus Silente, i cui occhi vitrei erano
fissi su
di noi senza vederci.
«Pro...»
balbettò Harry. «Sciledde!»
biascicò Ron, terrorizzato. Io avevo il cuore in
gola, rischiavo di sentirmi male, e sentivo, cosa assurda a dire il
vero, le
lacrime agli occhi. la figura levò una mano putrida, come
per toccare Harry, che
teneva gli occhi sgranati, ed indietreggiò di un passo.
«No!»
strillai, con forza. «Professore, non lo faccia!».
Fare cosa, con esattezza?
Non lo sapevo, ma era una di quelle frasi che dicono tutti, quando
vedono
qualcosa fare qualcosa a qualcuno. Certo, non tutti vedono il proprio
Preside
morto che cerca di... beh, fare qualcosa. Non ve lo auguro.
Questo
riscosse Harry, quale che fosse stato il motivo della sua reticenza.
«professor
Silente...».
«Severus
Piton?» sussurrò la cosa, che di
certo non era Silente.
«Professore,non
non siamo Severus Piton! Nessuno di noi è Severus
Piton!».
Ma
la cosa tentava ancora di toccare Harry, le sue dita avvizzite protese
verso il
suo collo. Vidi Harry deglutire. «Stupeficium!»
gridai, verso l’immagine atroce
che cercava di imitare Silente. L’incantesimo lo
oltrepassò, come se fosse
stato un fantasma. La cosa si voltò verso di me.
Sapevo
di che cosa si trattava. Era l’incantesimo di Moody contro
Piton. Solo che,
qualunque cosa fosse l’incantesimo, Piton lo aveva
oltrepassato indenne.
Fantastico, morire per mano di un fantasma che il tuo untuoso nemico ha
schivato senza battere ciglio.
Tremavo.
Non che volessi propriamente scappare – non lo avevo fatto in
situazioni
peggiori – ma che diavolo, concedete un po’ di sana
paura ad una ragazza! La
cosa era sempre più vicina. Sentii Ron dire il mio nome,
anche se non riuscivo
a vederlo, perché era proprio dietro all’essere
che mi stava di fronte, e che
faceva per toccarmi...
«Pro...professor
Silente...» mormorai. «Lei... non siamo noi, quelli
che deve combattere. È
Piton... quello che l’ha uccisa...».
A
quella parola, la cosa sussultò, ed infine esplose in una
nuova di fumo e
polvere. Tossii, stropicciandomi gli occhi con le mani tremanti,
cercando di
recuperare la vista. Sentivo una gran voglia di piangere. Mi lasciai
cadere a
terra, sentendo il cuore ancora troppo veloce nel petto, ed una
improvvisa stanchezza,
come se avessi appena smesso di
correre.
«Tutto...
tutto bene?» fece Harry, dall’altra parte del
corridoio.
Annuii.
Non sapevo se avevo o meno voce.
«Dannazione.
Che diavolo era, quella cosa?» disse Ron, alterato.
«Una
trappola per Piton». Dissi io. «Hominum
Revelio!». Non accadde nulla. eravamo
soli.
«Ordinaria
amministrazione, quella di inventare trappole che tentano di fare fuori
i
propri alleati!» commentò lui, con un certo
disprezzoo.
«Non
sapevano che sarebbero venuti. Malocchio ce lo avrebbe
spiegato» dissi io,
paziente.
«Venite»
disse Harry. Lo seguimmo su per le scale fino all’ingresso
del salotto. Harry
sospirò, poi agì, spingendo piano la porta con
una mano, la bacchetta pronta
nell’altro. Con cautela, si sporse nella stanza. Lo vidi
irrigidirsi. «Cosa...
cosa c’è?» chiesi, esitante. Per tutta
risposta lui aprì del tutto la porta ed
entrò. Lo seguimmo, trovandoci di fronte ad uno spettacolo
desolante.
Ogni
cosa era fuori posto. I rivestimenti dei divani erano stati squarciati
e
l’imbottitura pendeva in più punti. Da uno dei
cuscini proveniva un ronzio che
somigliava in maniera sospetta a quello di un nido di Doxi, che doveva
aver
approfittato della nuova, comoda tana a disposizione non appena
possibile.
Degli oggetti che erano stati nelle vetrine e sui mobili, rimaneva ben
poco.
Molti si erano infranti sul pavimento, a fare compagnia ad alcuni
piatti e a
qualche bicchiere di cristallo, i libri erano stati accatastati in malo
modo
sul pesante tavolo intarsiato, mezzi aperti, alcuni con le pagine
piegate a
causa del volume soprastante. Una sedia era sovesciata a terra.
«Che
diavolo..?» fece Ron, allibito. Fece un passo verso il
tappeto che copriva gran
parte del pavimento. «E’ stato Piton
a..?».
«Si»
disse Harry, laconico. «E probabilmente, se c’era
qualcosa qui dentro, l’ha
trovata».
«Non
credo che si sia limitato a frugare in questa stanza»
obiettai io. In
quell’istante, il mio sguardo fu attirato da un particolare
inquietante. «Che
cosa c’è, Hermione?» fece lui. Scossi il
capo, e senza rispondere mi avvicinai
al grande arazzo dove era rappresentata la grande casata Black. Dove
avrebbe
dovuto esserci Sirius c’era un buco, bruciatura che sua madre
aveva fatto anni
prima, quando Sirius le si era ribellato. La bruciatura,
però, che prima si
limitava a deturpare fino a rendere illeggibile la sagoma di Sirius,
adesso
mostrava un cerchio completamente carbonizzato. Lo sfiorai con un dito.
Harry,
accanto a me, strinse il pugno. «Piton»
sputò, come se già il nome fosse stato
un’offesa.
«Si»
mormorai, il cuore gonfio di tristezza. «Piton».
Severus Piton aveva cancellato
completamente Sirius Black dalla sua Casata. Il suo ultimo atto di
disprezzo
per il suo antico nemico morto.
Esaminai
ancora un’altra volta gli altri nomi, sfocati per via delle
lacrime che mi
appannavano la vista e che mi affrettai ad eliminare. Tutti quei volti
erano...
beh, così seri. Sotto ad un’altra bruciatura lessi
“Andromeda”, la cugina di
Sirius. Le altre cugine, Bellatrix e Narcissa Black, stavano tronfie ed
orgogliose come sempre. Già, avevo scordato che Sirius era
stato imparentato
con loro... pensare che era cugino di Bellatrix, e che era stato lei ad
ucciderlo,
mi fece stare male. Avrebbero dovuto essere una famiglia, no? I Black,
i
Lestrange, i Malfoy...
Mi
voltai appena verso Ron. Anche lui, anche se aveva scelto
un’altra via, era
imparentato con loro. Anche Harry, visto che i Potter erano Purosangue.
Era
chiaro che non ci avevano mai nemmeno pensato, ma quella sarebbe dovuta
essere
quasi una sorta di famiglia, anche per loro...
Ed
invece non lo erano. Pensai a Malfoy, alla maniera in cui si
indirizzava verso
di loro, come se fossero stati spazzatura. Si, d’accordo,
magari era una
parentela di quarto, o di quinto grado, ma proprio loro, quelli che al
sangue
davano importanza fino all’ossessione, come potevano non
essere consapevoli
della enorme follia dell’ignorare quel legame?
Guardai
il fratello di Sirius. Era stato un Mangiamorte perfino lui.
Chissà se lui e
Sirius avevano mai litigato per questo? Probabilmente, anzi,
sicuramente si,
altrimenti Sirius non si sarebbe sentito così solo.
Regulus Arcturus
Black...
Reg...
Oh, cavolo.
«Harry»
dissi, con voce stridula.
«Che
c’è?» mi chiese lui. Si stava avviando
verso la porta.
«RAB»
sussurrai.
Certo
che avevo visto la stupida Banda Potter. Difficile NON vederla, mentre,
furtiva
quanto un drago alto dodici metri, si avviava verso una strada
laterale.
Dimenticati per un istante i due Serpeverde che lottavano, avevo
persino
provato a seguire i tre imbecilli, ma quando avevo girato
l’angolo dovevano già
essersi infilati sotto a quel loro Mantello
dell’Invisibilità.
Non
avevo dubbi su quello che stavano facendo. Sicuro come l’oro,
c’entrava con
Potter e con la sua visione. Avrei dato qualunque cosa –
perfino scambiarmi con
la Granger per un paio d’ore – per sapere la
verità su di loro. Non finiva
qui, decisi.
Così
fui costretto a tornare sui miei passi, e scorsi da lontano Zabini che,
seguito
dalla Parkinson Piagniucolante (P.P. per ex ... beh, frequentanti) e da
un paio
di altri viscidi Traditori del loro sangue, si allontanavano. Zabini
zoppicava
appena. Nott era sparito.
Per
quanto riguardava me, pensai che era un’ottima cosa. Non
avevo digerito come mi
aveva trattato, e non volevo vedere nessuno, anticipando come facevo le
occhiate di scherno che ne sarebbero seguite. Ne approfittai quindi per
dare
una gomitata a Mcnair, che non mi aveva visto e sembrava cercarmi con
lo
sguardo.
«Io
vado» borbottai, e lui annuì appena,
apparentemente ancora scosso. Cristo
santo. Orgoglio ed ambizione erano le cose che, mi risultava, erano
tipiche di
un Serpeverde. La codardia era solo un effetto collaterale del quale
quasi
tutti soffrivano. Perché diavolo era Serpeverde, Mcnair?
Si,
lo so, ve l’ho già chiesto. Non ditemi che non
avete anche voi qualche
perplessità. In certi casi, le scelte del Cappello Parlante
mi risultavano – e
risultano – incomprensibili.
Comunque
mi avviai nuovamente verso un luogo tranquillo. Quando lo trovai, senza
esitare
mi Smaterializzai.
Il
vento era freddo ed il mare sembrava anche nell’aria. Vi
sembra poetico? Certo,
se non vi trovate come me fradici e congelati. Cristo. Mi trovavo sul
margine
della riva spigolosa, una ventina di metri di strapiombo prima del
mare, e
qualche scoglio aguzzo che in questi casi non può mancare. E
dovevo ringraziare
che i Dissennatori fossero stati liquidati dopo che quelli del
Ministero
avevano “scoperto” che preferivano la compagnia
dell’Oscuro Signore alla loro.
Già, chi mai avrebbe potuto sospettare che viscide creature
che si nutrivano di
disperazione non preferissero i buonisti mollaccioni del Ministero ad
un
ombroso Signore Oscuro che torturava e umiliava i suoi stessi seguaci e
progettava di sottomettere l’Inghilterra – ed il
Mondo – alla sua volontà?
Idioti.
Fingendo
di non essere congelato fino al
coccige, mi avviai impettito verso la porta della enorme fortezza che
vedevo di
fronte a me. Non si vedeva nessuno, verosimilmente perché
gli esseri umani, a
differenza dei Dannati Dissennatori
(D.D. per tutti coloro che sono lieti di sfotterli non essendo sotto le
loro
grinfie) non amano gelarsi anche le orbite nella assai remota
eventualità che
qualcuno si presenti per far evadere qualcuno.
Esitai
per un istante prima di bussare, mentre cercavo di ricomporre i miei
lineamenti
congelati ad una maschera impassibile. Ero certo che, una volta che
l’avessi
assunta, non avrei più dovuto preoccuparmi. Non credevo di
riuscire a muovere
qualunque parte del mio viso, dopo. Mi chiesi se l’interno
della fortezza disse
più caldo, e sperai di si. Mia madre è sempre
stata delicata di salute, sapete.
Per un periodo, quando era bambina, avevano addirittura pensato di non
mandarla
a scuola.
Insomma,
alla fine bussai sperando che la mia mano ormai ridotta ad una palla di
neve
non si sbriciolasse sulla pesante porta rinforzata da acciaio ed
incantesimi.
Attesi qualche secondo, impaziente. Infine uno spiraglio, come una
finestrella,
si aprì. Un paio di occhi neri facevano capolino.
«Nome, e motivo della visita»
disse, in tono gelido. Ehi, a qualcuno si erano gelate le palle, eh?
«Il
mio nome è Draco Malfoy» dissi, aristocratico.
«Sono qui per vedere Lucius e
Narcissa Malfoy». Se non mi fossi gelato prima. Non potevano
controllarmi dentro la dannata
fortezza? Il tizio,
chiunque fosse, tacque. Richiuse lo sportellino, e per un attimo
temetti che
fosse andato chissà dove, a cercare conferma della mia
idoneità, lasciandomi a
morire assiderato fuori. Trascorse effettivamente quasi un minuto,
prima che il
portone si spalancasse – nel più completo
silenzio, nonostante la sua mole e
l’età. Scivolai nello spiraglio che mi era stato
lasciato, e sentii la porta
richiudersi.
Mi
trovavo in una saletta piccola e assolutamente fuori luogo. Una sorta
di sala
d’attesa, incredibilmente calda – le mani prima
congelate bruciavano – e piena
di poltroncine rosse. Di fronte a me stava una porta spalancata, e
sulla soglia
l’uomo che mi aveva fatto entrare mi aspettava. Mi fece cenno
di seguirlo ed
entrai in quello che doveva essere l’ufficio di controllo,
una stanza piccola e
molto organizzata, ricolma di scaffali e schedari.
«Ci
scusi» disse l’uomo. «Controlli di
routine. Da quando non ci sono i
Dissennatori, la nostra sicurezza è dovuta
aumentare». Notai che mi fissava,
piuttosto inquieto. Doveva aver sentito parlare di me, o almeno dei
miei.
Magnifico.
«Capisco»
dissi, sforzandomi di essere gelido come il vento che mi ero appena
lasciato
alle spalle.
«Desidera
qualche cosa di caldo? Abbiamo del Whisky Incendiario per i
visitatori» disse
lui, con l’aria di chi non avrebbe affatto voluto chiederlo.
A quelle parole,
mi sentii una grande nausea addosso. Dopo la mia stupida ubriacatura,
anche
solo sentirne parlare mi provocava dei conati. «No, la
ringrazio» dissi,
estraendo la bacchetta. Con la coda dell’occhio lo vidi
irrigidirsi, ma mi
limitai ad asciugarmi i vestiti con un semplice incantesimo
(non-verbale, cosa
che mi rese molto orgoglioso di me, e contribuì a farmi
sembrare un uomo di
mondo).
«La
bacchetta... non può portarla nella zona riservata ai
prigionieri» mi disse,
teso, con un colpo di tosse educato.
Mi
voltai a fissarlo, indignato. «Sono consapevole delle norme
relative alla
sicurezza. Non vorrà insinuare che io voglia compiere un
anno illegale».
«certo
che no!» si affrettò a ribattere
l’altro. Alla faccia sua. Dopo averla richiusa
nel suo fodero di velluto, consegnai la mia bacchetta
all’insopportabile Auror,
e mi sentii subito nudo ed indifeso, possibile vittima di qualsiasi
schermaglia
venisse loro in mente di portare avanti.
L’uomo
(leggi: l’idiota) sistemò la bacchetta in un
apposito vano numerato e mi
consegnò una targhetta con il numero corrispondente. Infine
mi fece cenno di
precederlo lungo un corridoio, dove la temperatura era abbastanza bassa
per
rimpiangere di aver lasciato il Mantello nell’altra stanza.
Mi
condusse lungo diversi passaggi, e sfilai davanti a numerose celle. In
più di
una vidi facce a me familiari, quelle dei mangia morte, che non
più tenuti a
freno dalla presenza di Dissennatori tenevano il viso premuto contro le
sbarre
e mi fissavano con rabbia, o con una sorta di avido desiderio
– di cosa, non lo
volevo sapere – ma io finsi di non curarmene nonostante il
mio cuore battesse
all’impazzata. Più di qualcuno mi gridò
dietro qualcosa, ed io accelerai il
passo, deciso a non prestare loro alcuna attenzione. Qualcuno aveva
un’aria
supplichevole; molti erano solo ragazzi della mia età, che
avevo visto ben
poche volte, perché erano stati reclutati da poco quando il
Signore Oscuro era
stato respinto.
Chissà
come, mi tornò in mente quando, un paio di giorni prima, mi
ero offerto come
cavia per il levicorpus. Qualcuno
di
loro lo aveva praticato, qualcuno aveva anche ucciso le proprie vittime
dopo
averci giocato. Traditori. Babbani. A quella parola, naturalmente,
l’immagine
della Granger seguì.
Ricordai,
chissà come, quella volta che alla Coppa del Mondo li avevo
incontrati mentre
fuggivano dagli Incappucciati che, sciocchi com’erano,
avevano stregato dei Babbani.
La Granger mi aveva chiesto se anche mio padre era tra loro, ed io
l’avevo
sbeffeggiata. Naturalmente, ancora non avevo saputo che cosa
significasse tutto
quello. Un’altra immagine, quella della Granger fluttuante in
aria, come quella
professoressa di Babbanologia che avevo visto morire implorando Severus
Piton
di salvarla. Non mi diede piacere, anzi, mi fece sentire.... insicuro.
Mi
sforzai di non pensare. Mi sforzai di pensare che comunque,
finché era la
Granger, era tanto di guadagnato. Però non ci riuscii.
Perché vedendo tutti
quei volti consumati e distorti in smorfie grottesche, pensavo alla sua
sciocca
espressione mentre penzolavo a testa in giù come cavia, un
volto qualunque
vagamente inorridito, vagamente spaventato, e pensavo che perfino lei,
che mi
disgustava tanto, sembrava più umana. Argh. Qualunque
confessione relativa alla
Granger – e diciamocelo, considerarla un po’
più umana di uno di quegli avanzi
di galera non era dire poi molto, in verità –
faceva male.
«Ci
siamo» fece all’improvviso l’Auror,
facendomi sobbalzare. Ci stavamo
avvicinando alla cella dove erano richiusi i miei genitori.
Senza
più prestargli attenzione accelerai ancora il passo, fino a
portarmi presso le
sbarre, attorno le quali strinsi le mie mani pallide.
All’interno c’era un
letto con pesanti tende a baldacchino, due poltrone, due bauli
contenenti degli
effetti personali, uno specchio contro una parete, e una pila di libri
accatastati contro la parete, che a giudicare dallo strato di polvere
dal quale
erano ricoperti non erano stati adoperati granché per
riempire la solitudine.
Ah,
si. C’erano anche i miei genitori. Mia madre era stesa sul
sofà, languidamente
sonnecchiante. Mio padre teneva in mano un libro – dunque
qualcuno veniva
davvero usato! – e lo sfogliava svogliatamente sulla
poltroncina (che aveva
l’aria di provenire dalla sala d’attesa). Era un
ambiente piuttosto tetro, e
squallido, per quanto fosse una reggia in paragone alle altre. Del
resto, i
Malfoy non erano ancora feccia. O forse si?
«Madre!
Padre!» esclamai, in tono appena patetico, sforzandomi di
contenere la voce.
Mia
madre si riscosse a quelle parole. Si voltò verso di me, e
vidi i suoi occhi un
tempo splendenti, ed ora incorniciate da occhiaie pesanti, posarsi su
di me.
Arrossì appena, forse dalla gioia e forse anche per
vergogna, e si alzò in
piedi. Mio padre chiuse di scatto il libro.«Draco!».
Si
avvicinarono. Entrambi cercavano di mantenere un contegno, a causa
dell’Auror
che stava alle mie spalle. «I suoi servigi non sono
più necessari» lo informai,
glaciale. «Si, la prego» aggiunse mio padre... in
tono molto umile.
«Desidera
entrare?» mi chiese l’Auror, senza accorgersene.
Quantomeno non sembrava uno di
quelli, che non vedevano l’ora di vedere un Malfoy
prostrarsi, come se quello
avesse potuto purgarli del loro sangue impuro. Annuii. Lui lo fece,
obbediente.
«Tornerò tra mezz’ora, se è
d’accordo» disse, richiudendo in fretta il cancello.
Chinai
il capo. Aspettai che si allontanasse, poi mi voltai verso i miei
genitori. Mia
madre mi toccò appena il viso, come per assicurarsi che
fosse proprio il mio,
mentre mio padre mi toccava una spalla. «Draco... sei troppo
magro» mi disse
mia madre.
«Niente
affatto, madre. Ad Hogwarts, anche volendo, non si soffre la
fame» risposi,
pacato.
Lei
scosse il capo, e tirò su con il naso, ergendosi in tutta la
sua altezza.
«Draco» disse. «Ci sono giunte voci...
sul tuo comportamento...».
«Che
genere di voci?» chiesi con cautela.
«Draco».
Questa volta fu mio padre a parlare. «ci è
arrivata una lettera...». ricevevano
altre lettere oltre che le mie? Notevole.
«...lettere» continuò mio padre,
spazientito, forse temendo di non avere la mia attenzione, «dove, in
breve...».
«Ti
sei ubriacato, Draco?». Oh, merda. Chi diavolo poteva inviare
notizie del
genere ai miei? «Hai davvero disonorato il buon nome del
nostro casato?». Okay,
quella frase mi mandò in bestia. Disonorare, io.?
«Perdonatemi,
madre» dissi, con aria di
scherno,
sottraendomi alle sue mani scarne, eppure ancora curate. «Non
sapevo ci fosse
ancora, un buon nome da disonorare. Quale che sia stato in mio
comportamento...».
«Draco!»
disse mio padre a voce alta, indignato. Lo ignorai. «...che
cosa può essere
peggio di vedere due Malfoy dietro le sbarre di Azkaban, e senza avere
una
qualche giustificazione? Foste almeno servi convinti del Signore
Oscuro»
sibilai, «potreste passare per martiri». Ero
arrabbiato, e teso, anche se non
avrei dovuto sbottare così, forse. Beh, non che non avessi
ragione.
Mia
madre sgranò gli occhi, inorridita. Mio padre
sibilò un, “come osi?”, senza
fiato. «Draco! Simili frasi... in un luogo come
questo...» sussurrò mia madre,
pallida come una morta, stringendo il mio polso con forza inaspettata,
e
facendo del suo meglio per trarmi a sé.
«Mi
dispiace,madre» dissi io. «Ma non intendo farmi
trattare da stupido. Sono
venuto fin qui solo per riguardo a voi. Ma qualunque cosa io abbia
fatto...».
«Allora
è vero?» fece Lucius Malfoy, severo. Mio padre era
bravissimo a tirare fuori il
fegato, quando non c’erano pericoli a minacciarlo.
«Ti sei ubriacato, Draco?».
A
dirvela tutta, ero stufo. Stufo di sentire “non è
da te”. Stufo di parole di
scherno, o di rimprovero. È vero, cavolo, non lo avrei mai
dovuto fare, e fino
all’anno prima forse non lo avrei fatto. e allora? Essere un
Malfoy, essere
Serpeverde, non contava più nulla. contava solo per me. Ero
in bilico tra due
voragini,e non sapevo dove avrei dovuto cadere. Scusatemi tanto se
avevo
provato a dimenticare.
«No»
mentii, fissando mio padre dritto negli occhi. Apparentemente, mentire
era
l’unico modo in cui potevo trovare un po’ di pace
tra quegli sguardi. «Avevo
bevuto a malapena una Burrobirra. Ho semplicemente avuto un
mancamento,sono
inciampato, e naturalmente la storia è stata ingigantita.
Essere Malfoy di
certo non aiuta... padre. Non adesso».
Mio
padre era pallido d’angoscia. «Mi...» si
riprese prima di dire “mi dispiace”.
Naturalmente. «verranno tempi migliori, Draco. Il Signore
Oscuro è stato
costretto a ritirarsi, ma anche se la popolazione è stata
avvertita... non
appena avrà raccolto abbastanza seguaci...».
Forse Potter lo
prenderà a calci
nel culo, nonostante sia un idiota, pensai, ma non lo dissi. Avrei potuto dire tante
cose, ma
mio padre... beh, avrebbe potuto trasmetterle al Signore oscuro. Beh,
non
sapevo che posizione assumere rispetto al Serpentesco Signore, al
momento, e
mio padre.... diciamo solo che come Occlumante fa schifo quasi come
Potter, e
mi hanno detto che è davvero una merda. Non come mia madre,
che invece era ad
un buon livello.
«Come
sai che ti vorrà con sé, e che non ti
scarterà come una scarpa vecchia?» dissi.
«Draco...
come puoi...» disse lui, turbato.
«Padre,
hai fallito troppe volte» dissi io, gelido. «Il
Signore Oscuro è molte cose, ma
non è uno sciocco».
«I
Malfoy» disse mio padre dopo una pausa, ma la voce gli
tremava, «I Malfoy sono
una famiglia... estremamente rispettata. Sono certo che il Signore
Oscuro...».
la sua voce si spense.
«Madre»
dissi. «Io... voglio parlare con voi». Lei
annuì, senza che mio padre facesse
una piega. Sembrava perso in pensieri foschi e tristi. Non potevo
biasimarlo.
Condussi mia madre dove lui non poteva sentirci.
«Madre» sussurrai. «Madre, il
Signore Oscuro è vicino». Lei sembrò
spaventata. «Che cosa...» disse, in un
pigolio. Io scossi il capo, e mi accostai al suo orecchio, osservando
di sottecchi
mio padre che non si era mosso. «E’ vicino, madre.
Ha chiamato».
Vidi
le sue labbra già pallide sbiancare mentre le premeva
assieme, ansiosa e
spaventata da quella notizia. Forse ad Azkaban il richiamo non
arrivava, o
forse lo aveva ignorato. «Draco...» disse, piano,
prendendo la mia mano tra le
sue.
«Madre»
dissi, nello stesso tono basso e vibrante. «Devo
rispondere?».
Lei
rifletté un istante, poi la sua espressone si
affilò. «Sono certa...» disse, e
deglutì, «che il Signore Oscuro capirà
se tu...».
Scossi
il capo. «Non è quello che intendevo»
dissi. Finalmente lei capì. Non chiedevo
se c’era una via d’uscita. Le chiedevo che cosa lei
avrebbe voluto. La vidi
come afflosciarsi, e le mani che tenevano la mia smisero di tremare.
Quando
rialzò lo sguardo, vidi che era quello di un vinto. Era il
suo sguardo a
parlare, e capii che non avrei ricevuto altra risposta che quella,
eppure...
eppure, non ero certo di averla compresa fino in fondo.
«Vieni
a parlare con tuo padre» disse poi, come se non fosse
accaduto niente. La
seguii. Per il resto della mezz’ora a noi concessa discutemmo
del più o del
meno, o meglio, li informai nel dettaglio a proposito della scuola, e
delle
nostre conoscenze. L’atmosfera restava tesa, ma tesa di
tristezza e non di
astio.
Alla
fine, udii in lontananza i passi dell’Auror che veniva a
riprendermi, e mi
alzai dal divano consunto. Non potevo credere che fosse passato
così poco
tempo.
Ben
presto sarei tornato a scuola, e... e cosa, dannazione?
Sapevo
che di fronte a me c’era una scelta, per quanto nebulosa. Ero
nella zona
grigia, ma avrei dovuto scegliere, forse anche troppo presto. Potevo
strisciare
al seguito del Signore Oscuro, baciargli le squame, e probabilmente
vincere la
guerra. Oppure potevo – cosa? Diventare un Auror, un membro
del Potter Fan
Club, e sperare che la sua mente poco brillante risolvesse il problema
che mi
opprimeva?
Mentre
mio padre mi metteva una mano sulla spalla in cenno di saluto, lo
fissai. Lui
non aveva scelto affatto... e guardate come era finito. Non sapeva
neppure se
era vittima o torturatore.
«Padre»
dissi all’improvviso, mentre l’Auror si avvicinava.
«Voglio che tu mi dica una
cosa».
Lui
mi guardò, interrogativo. «Alla Coppa del Mondo di
Quidditch... c’eri anche tu
tra gli Incappucciati?». Si, lo so, domanda bizzarra. Non
chiedetemi cosa mi
passasse per la testa. ero abbastanza sicuro della risposta, ma volevo
la
conferma.
Lucius
Malfoy impallidì ancora. «Che cosa intendi
dire?».
«Lo
sai benissimo, padre» dissi, freddamente. «Eri tra
quelli che torturavano i
Babbani?».
«Non
subirono alcun tipo di tortura, soltanto un leggero spavento»
replicò lui,
sulla difensiva.
«Rispondimi!»
sibilai.
Lui
tacque, ma l’espressione era più che eloquente.
Salutai sia lui sia mia madre,
così che quando l’Auror giunse alla porta della
cella ero pronto ad andarmene.
«Andiamo?» disse questi. «Si»
risposi io, gelido.
Non
mi voltai indietro. Chissà come, l’idea di mio
padre che faceva levitare la
gente si sovrapponeva nella mia testa al ricordo della lezione di Tonks.
Era
una brutta giornata.
Un’ora
dopo, ero alla Testa di Porco, anche se ci andavo piano. Avevo fatto un
giro da
Mielandia, da Mondomago, e perfino da Zonko, e alla fine avevo sentito
il
bisogno di un rifugio. Sorseggiavo un’acquaviola, piuttosto
depresso, sotto
l’occhio fastidiosamente vigile del proprietario, i cui
penetranti occhi
azzurri mi irritavano, fissi com’erano su di me.
Dov’era finito il solito
barista? Dannazione.
Di
tanto in tanto l’uomo, che stava lustrando senza convinzione
il bancone o uno
dei bicchieri, fissava accigliato la strada, l’espressione
arcigna che
accartocciava i suoi lineamenti già datati.
Chissà come, mi sentito assai poco
a mio agio.
Infine
lo vidi irrigidirsi, come se qualcosa di importante fosse arrivato. Mi
voltai
senza nemmeno accorgermene e al di là dei vetri appannati
scorsi Potter,
Weasley e la Granger provenire dalla direzione della Stamberga
Strillante.
Weasley e Potter parlottavano concitati. Prima che potessi interrogarmi
sulle
ragioni che potevano spingere il barista a comportarsi in quel modo, la
porta
si aprì, ed i tre idioti, incredibilmente, entrarono. Il mio
tavolo era accanto
alla porta, che aperta lo nascondeva, perciò non si
accorsero subito di me.
«...on
punto, non trovi?» diceva Ronald Weasley. «E
comunque, Harry, perché diavolo
non possiamo andare ai Tre Manici di scopa?». Lo disse piano,
però, e la
Granger si voltò a fulminarlo con un’occhiata di
fuoco. «Oh, Harry, se
riusciamo a trovare quella strega della Umbridge...».
Fu
soltanto allora che la Banda dei fessi mi vide. Ronald
Weasley sobbalzò. Harry Potter impallidì. Ma la Granger, che sapeva che io sapevo, mi
fissò con
qualcosa di duro nello sguardo.
«D’accordo.
Ripassiamo ancora una volta» dissi, rigirandomi tra le mani
il mantello
pesante. «Tanto per essere sicuri, ok?».
«Andiamo,
Hermione. Non siamo stupidi. Cosa vuoi che ci sfugga?» mi
chiese Ron, con una
smorfia sofferente, rigirandosi tra le mani un Freesbee Zannuto che
aveva
rubato ad uno del secondo anno. Glielo strappai di mano, sdegnata.
«Allora
comincia tu, Ron» lo incoraggiai, con disdegno.
«Certo»
disse lui, annuendo. «Usciamo dal castello, ridendo e
ciarlando come normali
studenti dell’ultimo anno alla ricerca di una distrazione
dallo studio...» un
attimo di pausa, durante il quale mi fissò, forse sperando
di intuire dal mio
viso impassibile se stesse dicendo qualche scempiaggine.
«...facciamo un giro
da Mondomago, e non appena vediamo che la via è libera, ci
infiliamo sotto il
mantello...». nuova pausa, altra – vana –
occhiata. «Andiamo alla Stamberga, ci
Materializziamo a Grimmauld Place, facciamo quella che dobbiamo fare, e
in men
che non si dica torniamo al villaggio». Sospirò,
soddisfatto di sé.
«Hai
dimenticato un particolare importante, Ron» dissi, sprezzante.
«Che
sarebbe?» fece lui, scocciato.
«Che
cosa pensi che dirà la gente quando non ci vedrà
da nessuna parte?» dissi,
alzando gli occhi al cielo.
«Mmh...
un bel niente, suppongo. Non è che prestino tanta attenzione
ai dettagli, no?».
«Ronald
Weasley, sei un idiota. Solo perché tu non ti accorgi
che...».
«Hermione,
ti prego» fece Harry, piuttosto di malumore.
«Oh,
d’accordo». Sbuffai, incrociando le braccia al
petto con superiorità.
«All’ultimo minuto ci inventeremo che la
professoressa McGranitt vuole vederci, così
tutti crederanno che
torniamo al castello. Soltanto allora potremmo filarcela».
Ron
borbottò qualcosa che somigliava terribilmente ad un
“paranoica”, ma sapevo di
avere ragione. Non che sperassi di avere qualche tipo di sostegno da
parte di Harry,
che dal momento in cui ci eravamo preparati a partire era caduto in un
silenzio
meditabondo. Sospirai. «Andiamo, prima che si faccia
tardi».
Scivolammo
fuori dal buco del ritratto, e pochi minuti dopo eravamo in fila
dinnanzi al
portone, aspettando il nostro turno perché Gazza ci
perquisisse con la sua
celebre Sonda Sensitiva. Ron, memore dell’ultima volta in cui
aveva osato fare
commenti in proposito, rimase coscienziosamente in silenzio mentre
veniva
minuziosamente controllato dall’arcigno custode. Harry a
malapena si accorse di
subire lo stesso trattamento. Io mi sottomisi senza protestare, e ci
allontanammo in silenzio, superando un gruppetto di ridacchianti
Serpeverde,
una delle quali sussurrava qualcosa all’orecchio di Blaise
Zabini.
Oh,
insomma. Neanche l’attuale stato di amici dei Grifondoro
– al quale, comunque,
nessuno credeva – impediva loro di spettegolarci alle spalle.
Ci osservavano
con curiosità quasi morbosa e rimpiansi di non avere
già indosso il Mantello.
Subito
davanti a me c’era Padma Patil. Mentre stavo ancora voltata
all’indietro, le
pestai accidentalmente un calcagno. Lei si voltò,
aprì la bocca per protestare,
fissandomi – e vidi la sua pelle dorata assumere una tinta
più scura.
Improvvisamente in imbarazzo, scoccò un’occhiata
veloce al mio volto, ed una
feroce a Ron – memore, probabilmente, della sua pessima
esperienza al Ballo del
cenno. Poi accelerò il passo e si allontanò, a
braccetto con la sua amica
Corvonero dai capelli a caschetto neri.
Accidenti.
Com’è che tutti avevano reazioni bizzarre, oggi?
Varcammo
i cancelli di Hogwarts a breve, e percorremmo il tragitto che conduceva
al
villaggio chiacchierando svagatamente – principalmente grazie
a me, visto che
Ron era più goffo del solito, e Harry quasi incapace di
parlare. Sapevo che
quelli attorno cercavano di origliare, quindi parlavo in un tono di
voce
normale, quello di chi non ha nulla da nascondere.
«Oh,
Harry, ricordami di prendere quella penna d’oca,quando
arriviamo da Mondomago»
dissi, a voce appena più alta, quando Nott ci
sorpassò velocemente senza
degnarci di un’occhiata. Lo vidi, parecchio più
avanti, parlare con un ragazzo
dall’aria meschina che non avevo mai visto.
«Ho
proprio voglia di una Burrobirra» esclamai, nonostante niente
mi fosse più
sgradito dell’idea di condurre Ron ai Tre manici di scopa,
quando vidi Lavanda
e Calì due file davanti, ridacchianti e giulive. E lo
ripetei una seconda volta
nello scorgere poco lontano McLaggen.
«Hermione»
sospirò Ron. «Sei una pessima attrice».
«Oh,
ma sta’ zitto» dissi, arrossendo. «Non
è che tu stia facendo granché per
aiutarmi, sai, e per quanto riguarda Harry...».
«Eh?
Cos..?» fece quest’ultimo, con l’aria di
chi stava dormendo.
Sospirai
di nuovo. A volte mi sentivo una baby sitter, più che
un’amica. E se proprio
volete saperlo, ero anche stufa di essere l’unico barlume di
sensibilità e
buonsenso femminile nei dintorni. Insomma, passavo tutto il mio tempo
tra i
libri, o assieme a loro. Perfino Ron aveva frequentato Lavanda, mentre
io...
beh, non conoscevo nemmeno molta gente, a dire il vero.
«In
ogni caso» dissi, pensierosa, «spero di aver
portato soldi a sufficienza. Devo davvero
fare rifornimento a Mondomago».
«Mondomago?»
sentimmo alle nostre spalle. Ci voltammo, e scorgemmo Neville
accostarci, il
viso rubicondo e paffuto disteso in un sorriso. Se la passava bene,
nonostante
fosse preoccupato per la nonna latitante. Insomma, dopo la battaglia di
Hogwarts, tutti lo guardavano con un rispetto anche maggiore rispetto a
quando
aveva partecipato alla nostra – ehm – diciamo,
spedizione al Ministero, più di
un anno prima.
«Già»
dissi con cautela.
«Sapete,
anche io devo fare degli acquisti da Mondomago» ci
informò allegramente,
affiancando Harry, e sfregandosi le mani intirizzite con aria gioviale.
«Non vi
dispiace se mi unisco a voi, eh? Sapete, ci sono un paio di Cesoie
che...».
«Ehm,
ecco...» pigolai, nello sforzo di elaborare una scusa geniale
che gli impedisse
di seguirci. Naturalmente potevamo farlo venire con voi, ma
c’era il rischio
che, nel dichiarare che dovevamo tornare al castello, decidesse di
ritornare a
sua volta.... scambiai con Ronald una occhiata angosciata.
Mentre
cercavo di partorire un’idea geniale che ci salvasse da
quell’inconveniente,
udimmo in lontananza un frastuono di voci concitate. Allarmata, alzai
lo sguardo.
C’era una piccola folla radunatasi
all’estremità del villaggio, e parecchi
studenti osservavano qualcosa, scambiandosi sguardi colmi di disagio o
sussurrando qualcosa. Qualcuno parlava ad alta voce. A sovrastare il
frastuono,
delle grida.
«Per
l’amor del cielo» esclamò Ron,
perplesso. «Che diavolo..?».
«Venite»
disse Harry la mano infilata sotto il Mantello dove, probabilmente,
teneva la
bacchetta. Quando fummo sufficientemente vicini, scorgemmo qualcosa di
inaspettato. Nott e Zabini stavano al centro dell’anello
formato dagli
studenti, e se le davano di santa ragione. Nessuno delle altre Case
sembrava
sicuro sul da farsi. Qualche Serpeverde, tra cui anche Pansy Parkinson,
assistevano alla scena, turbati, senza però intervenire.
Naturalmente. Stupidi
Serpeverde. Tra questi c’era anche Malfoy, che
però sembrava essere appena
arrivato assieme a Mcnair, e che dalle ultime file sembrava non credere
ai
propri occhi. si riscosse, e si fece largo a gomitate tra la folla.
«Nott»
chiamò, afferrando l’amico per il braccio.
L’altro si liberò con uno strattone.
«Stanne – fuori!» ruggì
questi, alterato. «Voglio mettere a tacere questo vile
– una volta per tutte».
«Non
puoi fare a botte in un luogo del genere, idiota!»
ringhiò Malfoy, facendo un
nuovo tentativo per trascinarlo via. Una gomitata sullo sterno lo
lasciò senza
fiato. «Ho detto – STANNE FUORI!»
ruggì Nott, con rabbia, eppure mai tanta come
quella dimostrata da Zabini. Questi schiumava rabbia, e nonostante non
sembrasse essere in vantaggio, lottava come una furia.
Nel
frattempo Malfoy si era trascinato al bordo della folla, che come per
magia si
dischiuse per lasciarlo passare. Con una sequela di improperi
irripetibili
tornò da McNair, ma dal suo viso intuivo che avrebbe
indagato. Diavolo, lo
avrei fatto anche io.
Neville
sembrava terrorizzato, ed incerto se fosse il caso o meno di fare
qualcosa.
Alla fine scosse il capo. «Vado a chiamare Dean e
Seamus» disse alla fine,
verosimilmente perché assistessero allo spettacolo. In
fondo, chi non avrebbe
voluto assistere alla lotta tra due Serpeverde inviperiti?
Così
sfrecciò via, e decisi che quella sarebbe senza dubbio stata
l’occasione
migliore per filarcela a nostra volta. Sussurrai
“andiamo” a Harry e questi
fece un cenno a Ron, e tutti e tre sgattaiolammo via prima che qualcuno
potesse
accorgersi della nostra assenza.
Dietro
l’angolo, in un vicolo deserto, Harry estrasse il Mantello.
Dovevamo camminare
ingobbiti affinché i piedi non sporgessero, ma scegliemmo
contrade poco
frequentate e nessuno ci notò, o almeno così
speravo.
Dieci
minuti più tardi eravamo al sicuro nella Stamberga
Strillante. Devo ammettere
che non si tratta del posto più confortevole del mondo,
almeno a mio parere, e
non posso dire di avere ricordi piacevoli connessi a questo luogo. In
ogni
caso, era più che sufficiente per Smaterializzarci senza che
nessuno ci
vedesse, o udisse. Era per quello che non avevamo voluto farlo in
strada.
Harry
si guardò attorno con aria estremamente cupa. Lo capivo. Era
qui che, più di
tre anni prima, avevamo incontrato Sirius per la prima volta. Era qui
che aveva
creduto, per un istante, di aver ritrovato una famiglia. Ricordavo di
aver
aggredito Piton quando questi aveva minacciato Sirius e Remus con la
bacchetta.
Riuscivo ancora a sentirmi, strillare, “Abbiamo aggredito un
professore,
abbiamo aggredito un professore!”. Com’era, che
tutto questo sembrava così
lontano?
Forse
tutto questo cominciava ad essere troppo.
Beh,
in ogni caso, non avevo scelta. No?
«Harry?»
sussurrai, posandogli la mano sulla spalla. «Io... credo che
dovremmo andare».
Lui
annuì, stancamente. Gli sorrisi, e lui fece una smorfia di
rimando. Presi a
braccetto sia lui sia Ron (“Non farmi spaccare,
eh!”), e , chiudendo gli occhi,
e ricordando le tre D, eseguii per la prima volta una
Smaterializzazione
Assistita.
Quando
arrivammo a destinazione. Ron si tastò il petto, incredulo.
«Whoah! Hermione,
sono tutto intero! Sei una forza». Arrossii, mio malgrado,
mentre Harry si
spazzolava via la polvere dal vestito. La casa era lì, di
fronte a noi, con il
suo stile Vittoriano che mi ricordava l’omonima regina della
quale la mia
bisnonna, quando era ancora viva, mi aveva raccontato qualche volta.
Harry
si avviò risoluto verso la porta, girò la
maniglia – che cedette senza problemi
sotto le sue dita – e entrammo, nel più assoluto
silenzio. Senza proferire
parola puntai la bacchetta verso il ritratto coperto dalle tende che
stava
nell’ingresso, scavalcando mentre lo facevo il portaombrelli
ricavato da una
zampa di troll, e usai il Muffliato.
«Da
che parte cominciamo?» chiesi poi agli altri due. Ron
sobbalzò e fece un mezzo
strillo, poi si voltò ansiosi verso l’incantevole
mamma Black, che però stava
sempre dietro le tende, in silenzio. lo guardò, perplesso.
Emisi un verso
frustrato, gli occhi al soffitto. «Ho usato il
Muffliato».
«Giusto»
borbottò lui, le orecchie rosse.
«Non
perdiamo tempo» ci esortò Harry. Assieme,
procedemmo verso la porta del
salotto. Mentre lo facevamo, mi chiesi se qualcuno
dell’Ordine, o magari
Kreacher, venisse mai a riordinare. Lo sporco e la polvere che vedevo
sui pochi
oggetti del corridoio non sembrava di due anni.
Dopo
un paio di passi, comunque, ci arrestammo, sentendo un fruscio... beh,
semplicemente inquietante. Estrassi la bacchetta e la puntai davanti a
me. La
polvere e lo sporco sembrarono sollevarsi, e turbinare al centro dello
spazio
angusto che ci stava di fronte. Ron, accanto a me, imprecò.
Harry era pronto a
lanciare un qualche incantesimo.
All’improvviso
sentii un freddo glaciale accarezzarmi come una mano lasciva, e la
lingua attorcigliarsi
come per rifiutarsi di farmi emettere un suono.
«Severus
Piton?»
sussurrò una voce... familiare.
Una voce calda, che non avremmo dovuto sentire più. Provai a
pronunciare il suo
nome, ma era difficile perfino pensare di parlare. Accanto a me
sembrava che
Ron fosse in preda a conati di vomito. Infine, il turbine di sporco si
dissolse...
e davanti a noi stava, come se fosse spuntato dalla moquette consunta,
la
figura polverosa e lacera di Albus Silente, i cui occhi vitrei erano
fissi su
di noi senza vederci.
«Pro...»
balbettò Harry. «Sciledde!»
biascicò Ron, terrorizzato. Io avevo il cuore in
gola, rischiavo di sentirmi male, e sentivo, cosa assurda a dire il
vero, le
lacrime agli occhi. la figura levò una mano putrida, come
per toccare Harry, che
teneva gli occhi sgranati, ed indietreggiò di un passo.
«No!»
strillai, con forza. «Professore, non lo faccia!».
Fare cosa, con esattezza?
Non lo sapevo, ma era una di quelle frasi che dicono tutti, quando
vedono
qualcosa fare qualcosa a qualcuno. Certo, non tutti vedono il proprio
Preside
morto che cerca di... beh, fare qualcosa. Non ve lo auguro.
Questo
riscosse Harry, quale che fosse stato il motivo della sua reticenza.
«professor
Silente...».
«Severus
Piton?» sussurrò la cosa, che di
certo non era Silente.
«Professore,non
non siamo Severus Piton! Nessuno di noi è Severus
Piton!».
Ma
la cosa tentava ancora di toccare Harry, le sue dita avvizzite protese
verso il
suo collo. Vidi Harry deglutire. «Stupeficium!»
gridai, verso l’immagine atroce
che cercava di imitare Silente. L’incantesimo lo
oltrepassò, come se fosse
stato un fantasma. La cosa si voltò verso di me.
Sapevo
di che cosa si trattava. Era l’incantesimo di Moody contro
Piton. Solo che,
qualunque cosa fosse l’incantesimo, Piton lo aveva
oltrepassato indenne.
Fantastico, morire per mano di un fantasma che il tuo untuoso nemico ha
schivato senza battere ciglio.
Tremavo.
Non che volessi propriamente scappare – non lo avevo fatto in
situazioni
peggiori – ma che diavolo, concedete un po’ di sana
paura ad una ragazza! La
cosa era sempre più vicina. Sentii Ron dire il mio nome,
anche se non riuscivo
a vederlo, perché era proprio dietro all’essere
che mi stava di fronte, e che
faceva per toccarmi...
«Pro...professor
Silente...» mormorai. «Lei... non siamo noi, quelli
che deve combattere. È
Piton... quello che l’ha uccisa...».
A
quella parola, la cosa sussultò, ed infine esplose in una
nuova di fumo e
polvere. Tossii, stropicciandomi gli occhi con le mani tremanti,
cercando di
recuperare la vista. Sentivo una gran voglia di piangere. Mi lasciai
cadere a
terra, sentendo il cuore ancora troppo veloce nel petto, ed una
improvvisa stanchezza,
come se avessi appena smesso di
correre.
«Tutto...
tutto bene?» fece Harry, dall’altra parte del
corridoio.
Annuii.
Non sapevo se avevo o meno voce.
«Dannazione.
Che diavolo era, quella cosa?» disse Ron, alterato.
«Una
trappola per Piton». Dissi io. «Hominum
Revelio!». Non accadde nulla. eravamo
soli.
«Ordinaria
amministrazione, quella di inventare trappole che tentano di fare fuori
i
propri alleati!» commentò lui, con un certo
disprezzoo.
«Non
sapevano che sarebbero venuti. Malocchio ce lo avrebbe
spiegato» dissi io,
paziente.
«Venite»
disse Harry. Lo seguimmo su per le scale fino all’ingresso
del salotto. Harry
sospirò, poi agì, spingendo piano la porta con
una mano, la bacchetta pronta
nell’altro. Con cautela, si sporse nella stanza. Lo vidi
irrigidirsi. «Cosa...
cosa c’è?» chiesi, esitante. Per tutta
risposta lui aprì del tutto la porta ed
entrò. Lo seguimmo, trovandoci di fronte ad uno spettacolo
desolante.
Ogni
cosa era fuori posto. I rivestimenti dei divani erano stati squarciati
e
l’imbottitura pendeva in più punti. Da uno dei
cuscini proveniva un ronzio che
somigliava in maniera sospetta a quello di un nido di Doxi, che doveva
aver
approfittato della nuova, comoda tana a disposizione non appena
possibile.
Degli oggetti che erano stati nelle vetrine e sui mobili, rimaneva ben
poco.
Molti si erano infranti sul pavimento, a fare compagnia ad alcuni
piatti e a
qualche bicchiere di cristallo, i libri erano stati accatastati in malo
modo
sul pesante tavolo intarsiato, mezzi aperti, alcuni con le pagine
piegate a
causa del volume soprastante. Una sedia era sovesciata a terra.
«Che
diavolo..?» fece Ron, allibito. Fece un passo verso il
tappeto che copriva gran
parte del pavimento. «E’ stato Piton
a..?».
«Si»
disse Harry, laconico. «E probabilmente, se c’era
qualcosa qui dentro, l’ha
trovata».
«Non
credo che si sia limitato a frugare in questa stanza»
obiettai io. In
quell’istante, il mio sguardo fu attirato da un particolare
inquietante. «Che
cosa c’è, Hermione?» fece lui. Scossi il
capo, e senza rispondere mi avvicinai
al grande arazzo dove era rappresentata la grande casata Black. Dove
avrebbe
dovuto esserci Sirius c’era un buco, bruciatura che sua madre
aveva fatto anni
prima, quando Sirius le si era ribellato. La bruciatura,
però, che prima si
limitava a deturpare fino a rendere illeggibile la sagoma di Sirius,
adesso
mostrava un cerchio completamente carbonizzato. Lo sfiorai con un dito.
Harry,
accanto a me, strinse il pugno. «Piton»
sputò, come se già il nome fosse stato
un’offesa.
«Si»
mormorai, il cuore gonfio di tristezza. «Piton».
Severus Piton aveva cancellato
completamente Sirius Black dalla sua Casata. Il suo ultimo atto di
disprezzo
per il suo antico nemico morto.
Esaminai
ancora un’altra volta gli altri nomi, sfocati per via delle
lacrime che mi
appannavano la vista e che mi affrettai ad eliminare. Tutti quei volti
erano...
beh, così seri. Sotto ad un’altra bruciatura lessi
“Andromeda”, la cugina di
Sirius. Le altre cugine, Bellatrix e Narcissa Black, stavano tronfie ed
orgogliose come sempre. Già, avevo scordato che Sirius era
stato imparentato
con loro... pensare che era cugino di Bellatrix, e che era stato lei ad
ucciderlo,
mi fece stare male. Avrebbero dovuto essere una famiglia, no? I Black,
i
Lestrange, i Malfoy...
Mi
voltai appena verso Ron. Anche lui, anche se aveva scelto
un’altra via, era
imparentato con loro. Anche Harry, visto che i Potter erano Purosangue.
Era
chiaro che non ci avevano mai nemmeno pensato, ma quella sarebbe dovuta
essere
quasi una sorta di famiglia, anche per loro...
Ed
invece non lo erano. Pensai a Malfoy, alla maniera in cui si
indirizzava verso
di loro, come se fossero stati spazzatura. Si, d’accordo,
magari era una
parentela di quarto, o di quinto grado, ma proprio loro, quelli che al
sangue
davano importanza fino all’ossessione, come potevano non
essere consapevoli
della enorme follia dell’ignorare quel legame?
Guardai
il fratello di Sirius. Era stato un Mangiamorte perfino lui.
Chissà se lui e
Sirius avevano mai litigato per questo? Probabilmente, anzi,
sicuramente si,
altrimenti Sirius non si sarebbe sentito così solo.
Regulus Arcturus Black...
Reg...
Oh, cavolo.
«Harry»
dissi, con voce stridula.
«Che
c’è?» mi chiese lui. Si stava avviando
verso la porta.
«RAB»
sussurrai.
Certo
che avevo visto la stupida Banda Potter. Difficile NON vederla, mentre,
furtiva
quanto un drago alto dodici metri, si avviava verso una strada
laterale.
Dimenticati per un istante i due Serpeverde che lottavano, avevo
persino
provato a seguire i tre imbecilli, ma quando avevo girato
l’angolo dovevano già
essersi infilati sotto a quel loro Mantello
dell’Invisibilità.
Non
avevo dubbi su quello che stavano facendo. Sicuro come l’oro,
c’entrava con
Potter e con la sua visione. Avrei dato qualunque cosa –
perfino scambiarmi con
la Granger per un paio d’ore – per sapere la
verità su di loro. Non finiva
qui, decisi.
Così
fui costretto a tornare sui miei passi, e scorsi da lontano Zabini che,
seguito
dalla Parkinson Piagniucolante (P.P. per ex ... beh, frequentanti) e da
un paio
di altri viscidi Traditori del loro sangue, si allontanavano. Zabini
zoppicava
appena. Nott era sparito.
Per
quanto riguardava me, pensai che era un’ottima cosa. Non
avevo digerito come mi
aveva trattato, e non volevo vedere nessuno, anticipando come facevo le
occhiate di scherno che ne sarebbero seguite. Ne approfittai quindi per
dare
una gomitata a Mcnair, che non mi aveva visto e sembrava cercarmi con
lo
sguardo.
«Io
vado» borbottai, e lui annuì appena,
apparentemente ancora scosso. Cristo
santo. Orgoglio ed ambizione erano le cose che, mi risultava, erano
tipiche di
un Serpeverde. La codardia era solo un effetto collaterale del quale
quasi
tutti soffrivano. Perché diavolo era Serpeverde, Mcnair?
Si,
lo so, ve l’ho già chiesto. Non ditemi che non
avete anche voi qualche
perplessità. In certi casi, le scelte del Cappello Parlante
mi risultavano – e
risultano – incomprensibili.
Comunque
mi avviai nuovamente verso un luogo tranquillo. Quando lo trovai, senza
esitare
mi Smaterializzai.
Il
vento era freddo ed il mare sembrava anche nell’aria. Vi
sembra poetico? Certo,
se non vi trovate come me fradici e congelati. Cristo. Mi trovavo sul
margine
della riva spigolosa, una ventina di metri di strapiombo prima del
mare, e
qualche scoglio aguzzo che in questi casi non può mancare. E
dovevo ringraziare
che i Dissennatori fossero stati liquidati dopo che quelli del
Ministero
avevano “scoperto” che preferivano la compagnia
dell’Oscuro Signore alla loro.
Già, chi mai avrebbe potuto sospettare che viscide creature
che si nutrivano di
disperazione non preferissero i buonisti mollaccioni del Ministero ad
un
ombroso Signore Oscuro che torturava e umiliava i suoi stessi seguaci e
progettava di sottomettere l’Inghilterra – ed il
Mondo – alla sua volontà?
Idioti.
Fingendo
di non essere congelato fino al
coccige, mi avviai impettito verso la porta della enorme fortezza che
vedevo di
fronte a me. Non si vedeva nessuno, verosimilmente perché
gli esseri umani, a
differenza dei Dannati Dissennatori
(D.D. per tutti coloro che sono lieti di sfotterli non essendo sotto le
loro
grinfie) non amano gelarsi anche le orbite nella assai remota
eventualità che
qualcuno si presenti per far evadere qualcuno.
Esitai
per un istante prima di bussare, mentre cercavo di ricomporre i miei
lineamenti
congelati ad una maschera impassibile. Ero certo che, una volta che
l’avessi
assunta, non avrei più dovuto preoccuparmi. Non credevo di
riuscire a muovere
qualunque parte del mio viso, dopo. Mi chiesi se l’interno
della fortezza disse
più caldo, e sperai di si. Mia madre è sempre
stata delicata di salute, sapete.
Per un periodo, quando era bambina, avevano addirittura pensato di non
mandarla
a scuola.
Insomma,
alla fine bussai sperando che la mia mano ormai ridotta ad una palla di
neve
non si sbriciolasse sulla pesante porta rinforzata da acciaio ed
incantesimi.
Attesi qualche secondo, impaziente. Infine uno spiraglio, come una
finestrella,
si aprì. Un paio di occhi neri facevano capolino.
«Nome, e motivo della visita»
disse, in tono gelido. Ehi, a qualcuno si erano gelate le palle, eh?
«Il
mio nome è Draco Malfoy» dissi, aristocratico.
«Sono qui per vedere Lucius e
Narcissa Malfoy». Se non mi fossi gelato prima. Non potevano
controllarmi dentro la dannata
fortezza? Il tizio,
chiunque fosse, tacque. Richiuse lo sportellino, e per un attimo
temetti che
fosse andato chissà dove, a cercare conferma della mia
idoneità, lasciandomi a
morire assiderato fuori. Trascorse effettivamente quasi un minuto,
prima che il
portone si spalancasse – nel più completo
silenzio, nonostante la sua mole e
l’età. Scivolai nello spiraglio che mi era stato
lasciato, e sentii la porta
richiudersi.
Mi
trovavo in una saletta piccola e assolutamente fuori luogo. Una sorta
di sala
d’attesa, incredibilmente calda – le mani prima
congelate bruciavano – e piena
di poltroncine rosse. Di fronte a me stava una porta spalancata, e
sulla soglia
l’uomo che mi aveva fatto entrare mi aspettava. Mi fece cenno
di seguirlo ed
entrai in quello che doveva essere l’ufficio di controllo,
una stanza piccola e
molto organizzata, ricolma di scaffali e schedari.
«Ci
scusi» disse l’uomo. «Controlli di
routine. Da quando non ci sono i
Dissennatori, la nostra sicurezza è dovuta
aumentare». Notai che mi fissava,
piuttosto inquieto. Doveva aver sentito parlare di me, o almeno dei
miei.
Magnifico.
«Capisco»
dissi, sforzandomi di essere gelido come il vento che mi ero appena
lasciato
alle spalle.
«Desidera
qualche cosa di caldo? Abbiamo del Whisky Incendiario per i
visitatori» disse
lui, con l’aria di chi non avrebbe affatto voluto chiederlo.
A quelle parole,
mi sentii una grande nausea addosso. Dopo la mia stupida ubriacatura,
anche
solo sentirne parlare mi provocava dei conati. «No, la
ringrazio» dissi,
estraendo la bacchetta. Con la coda dell’occhio lo vidi
irrigidirsi, ma mi
limitai ad asciugarmi i vestiti con un semplice incantesimo
(non-verbale, cosa
che mi rese molto orgoglioso di me, e contribuì a farmi
sembrare un uomo di
mondo).
«La
bacchetta... non può portarla nella zona riservata ai
prigionieri» mi disse,
teso, con un colpo di tosse educato.
Mi
voltai a fissarlo, indignato. «Sono consapevole delle norme
relative alla
sicurezza. Non vorrà insinuare che io voglia compiere un
anno illegale».
«certo
che no!» si affrettò a ribattere
l’altro. Alla faccia sua. Dopo averla richiusa
nel suo fodero di velluto, consegnai la mia bacchetta
all’insopportabile Auror,
e mi sentii subito nudo ed indifeso, possibile vittima di qualsiasi
schermaglia
venisse loro in mente di portare avanti.
L’uomo
(leggi: l’idiota) sistemò la bacchetta in un
apposito vano numerato e mi
consegnò una targhetta con il numero corrispondente. Infine
mi fece cenno di
precederlo lungo un corridoio, dove la temperatura era abbastanza bassa
per
rimpiangere di aver lasciato il Mantello nell’altra stanza.
Mi
condusse lungo diversi passaggi, e sfilai davanti a numerose celle. In
più di
una vidi facce a me familiari, quelle dei mangia morte, che non
più tenuti a
freno dalla presenza di Dissennatori tenevano il viso premuto contro le
sbarre
e mi fissavano con rabbia, o con una sorta di avido desiderio
– di cosa, non lo
volevo sapere – ma io finsi di non curarmene nonostante il
mio cuore battesse
all’impazzata. Più di qualcuno mi gridò
dietro qualcosa, ed io accelerai il
passo, deciso a non prestare loro alcuna attenzione. Qualcuno aveva
un’aria
supplichevole; molti erano solo ragazzi della mia età, che
avevo visto ben
poche volte, perché erano stati reclutati da poco quando il
Signore Oscuro era
stato respinto.
Chissà
come, mi tornò in mente quando, un paio di giorni prima, mi
ero offerto come
cavia per il levicorpus. Qualcuno
di
loro lo aveva praticato, qualcuno aveva anche ucciso le proprie vittime
dopo
averci giocato. Traditori. Babbani. A quella parola, naturalmente,
l’immagine
della Granger seguì.
Ricordai,
chissà come, quella volta che alla Coppa del Mondo li avevo
incontrati mentre
fuggivano dagli Incappucciati che, sciocchi com’erano,
avevano stregato dei Babbani.
La Granger mi aveva chiesto se anche mio padre era tra loro, ed io
l’avevo
sbeffeggiata. Naturalmente, ancora non avevo saputo che cosa
significasse tutto
quello. Un’altra immagine, quella della Granger fluttuante in
aria, come quella
professoressa di Babbanologia che avevo visto morire implorando Severus
Piton
di salvarla. Non mi diede piacere, anzi, mi fece sentire.... insicuro.
Mi
sforzai di non pensare. Mi sforzai di pensare che comunque,
finché era la
Granger, era tanto di guadagnato. Però non ci riuscii.
Perché vedendo tutti
quei volti consumati e distorti in smorfie grottesche, pensavo alla sua
sciocca
espressione mentre penzolavo a testa in giù come cavia, un
volto qualunque
vagamente inorridito, vagamente spaventato, e pensavo che perfino lei,
che mi
disgustava tanto, sembrava più umana. Argh. Qualunque
confessione relativa alla
Granger – e diciamocelo, considerarla un po’
più umana di uno di quegli avanzi
di galera non era dire poi molto, in verità –
faceva male.
«Ci
siamo» fece all’improvviso l’Auror,
facendomi sobbalzare. Ci stavamo
avvicinando alla cella dove erano richiusi i miei genitori.
Senza
più prestargli attenzione accelerai ancora il passo, fino a
portarmi presso le
sbarre, attorno le quali strinsi le mie mani pallide.
All’interno c’era un
letto con pesanti tende a baldacchino, due poltrone, due bauli
contenenti degli
effetti personali, uno specchio contro una parete, e una pila di libri
accatastati contro la parete, che a giudicare dallo strato di polvere
dal quale
erano ricoperti non erano stati adoperati granché per
riempire la solitudine.
Ah,
si. C’erano anche i miei genitori. Mia madre era stesa sul
sofà, languidamente
sonnecchiante. Mio padre teneva in mano un libro – dunque
qualcuno veniva
davvero usato! – e lo sfogliava svogliatamente sulla
poltroncina (che aveva
l’aria di provenire dalla sala d’attesa). Era un
ambiente piuttosto tetro, e
squallido, per quanto fosse una reggia in paragone alle altre. Del
resto, i
Malfoy non erano ancora feccia. O forse si?
«Madre!
Padre!» esclamai, in tono appena patetico, sforzandomi di
contenere la voce.
Mia
madre si riscosse a quelle parole. Si voltò verso di me, e
vidi i suoi occhi un
tempo splendenti, ed ora incorniciate da occhiaie pesanti, posarsi su
di me.
Arrossì appena, forse dalla gioia e forse anche per
vergogna, e si alzò in
piedi. Mio padre chiuse di scatto il libro.«Draco!».
Si
avvicinarono. Entrambi cercavano di mantenere un contegno, a causa
dell’Auror
che stava alle mie spalle. «I suoi servigi non sono
più necessari» lo informai,
glaciale. «Si, la prego» aggiunse mio padre... in
tono molto umile.
«Desidera
entrare?» mi chiese l’Auror, senza accorgersene.
Quantomeno non sembrava uno di
quelli, che non vedevano l’ora di vedere un Malfoy
prostrarsi, come se quello
avesse potuto purgarli del loro sangue impuro. Annuii. Lui lo fece,
obbediente.
«Tornerò tra mezz’ora, se è
d’accordo» disse, richiudendo in fretta il cancello.
Chinai
il capo. Aspettai che si allontanasse, poi mi voltai verso i miei
genitori. Mia
madre mi toccò appena il viso, come per assicurarsi che
fosse proprio il mio,
mentre mio padre mi toccava una spalla. «Draco... sei troppo
magro» mi disse
mia madre.
«Niente
affatto, madre. Ad Hogwarts, anche volendo, non si soffre la
fame» risposi,
pacato.
Lei
scosse il capo, e tirò su con il naso, ergendosi in tutta la
sua altezza.
«Draco» disse. «Ci sono giunte voci...
sul tuo comportamento...».
«Che
genere di voci?» chiesi con cautela.
«Draco».
Questa volta fu mio padre a parlare. «ci è
arrivata una lettera...». ricevevano
altre lettere oltre che le mie? Notevole.
«...lettere» continuò mio padre,
spazientito, forse temendo di non avere la mia attenzione, «dove, in
breve...».
«Ti
sei ubriacato, Draco?». Oh, merda. Chi diavolo poteva inviare
notizie del
genere ai miei? «Hai davvero disonorato il buon nome del
nostro casato?». Okay,
quella frase mi mandò in bestia. Disonorare, io.?
«Perdonatemi,
madre» dissi, con aria di
scherno,
sottraendomi alle sue mani scarne, eppure ancora curate. «Non
sapevo ci fosse
ancora, un buon nome da disonorare. Quale che sia stato in mio
comportamento...».
«Draco!»
disse mio padre a voce alta, indignato. Lo ignorai. «...che
cosa può essere
peggio di vedere due Malfoy dietro le sbarre di Azkaban, e senza avere
una
qualche giustificazione? Foste almeno servi convinti del Signore
Oscuro»
sibilai, «potreste passare per martiri». Ero
arrabbiato, e teso, anche se non
avrei dovuto sbottare così, forse. Beh, non che non avessi
ragione.
Mia
madre sgranò gli occhi, inorridita. Mio padre
sibilò un, “come osi?”, senza
fiato. «Draco! Simili frasi... in un luogo come
questo...» sussurrò mia madre,
pallida come una morta, stringendo il mio polso con forza inaspettata,
e
facendo del suo meglio per trarmi a sé.
«Mi
dispiace,madre» dissi io. «Ma non intendo farmi
trattare da stupido. Sono
venuto fin qui solo per riguardo a voi. Ma qualunque cosa io abbia
fatto...».
«Allora
è vero?» fece Lucius Malfoy, severo. Mio padre era
bravissimo a tirare fuori il
fegato, quando non c’erano pericoli a minacciarlo.
«Ti sei ubriacato, Draco?».
A
dirvela tutta, ero stufo. Stufo di sentire “non è
da te”. Stufo di parole di
scherno, o di rimprovero. È vero, cavolo, non lo avrei mai
dovuto fare, e fino
all’anno prima forse non lo avrei fatto. e allora? Essere un
Malfoy, essere
Serpeverde, non contava più nulla. contava solo per me. Ero
in bilico tra due
voragini,e non sapevo dove avrei dovuto cadere. Scusatemi tanto se
avevo
provato a dimenticare.
«No»
mentii, fissando mio padre dritto negli occhi. Apparentemente, mentire
era
l’unico modo in cui potevo trovare un po’ di pace
tra quegli sguardi. «Avevo
bevuto a malapena una Burrobirra. Ho semplicemente avuto un
mancamento,sono
inciampato, e naturalmente la storia è stata ingigantita.
Essere Malfoy di
certo non aiuta... padre. Non adesso».
Mio
padre era pallido d’angoscia. «Mi...» si
riprese prima di dire “mi dispiace”.
Naturalmente. «verranno tempi migliori, Draco. Il Signore
Oscuro è stato
costretto a ritirarsi, ma anche se la popolazione è stata
avvertita... non
appena avrà raccolto abbastanza seguaci...».
Forse Potter lo
prenderà a calci
nel culo, nonostante sia un idiota, pensai, ma non lo dissi. Avrei potuto dire tante
cose, ma
mio padre... beh, avrebbe potuto trasmetterle al Signore oscuro. Beh,
non
sapevo che posizione assumere rispetto al Serpentesco Signore, al
momento, e
mio padre.... diciamo solo che come Occlumante fa schifo quasi come
Potter, e
mi hanno detto che è davvero una merda. Non come mia madre,
che invece era ad
un buon livello.
«Come
sai che ti vorrà con sé, e che non ti
scarterà come una scarpa vecchia?» dissi.
«Draco...
come puoi...» disse lui, turbato.
«Padre,
hai fallito troppe volte» dissi io, gelido. «Il
Signore Oscuro è molte cose, ma
non è uno sciocco».
«I
Malfoy» disse mio padre dopo una pausa, ma la voce gli
tremava, «I Malfoy sono
una famiglia... estremamente rispettata. Sono certo che il Signore
Oscuro...».
la sua voce si spense.
«Madre»
dissi. «Io... voglio parlare con voi». Lei
annuì, senza che mio padre facesse
una piega. Sembrava perso in pensieri foschi e tristi. Non potevo
biasimarlo.
Condussi mia madre dove lui non poteva sentirci.
«Madre» sussurrai. «Madre, il
Signore Oscuro è vicino». Lei sembrò
spaventata. «Che cosa...» disse, in un
pigolio. Io scossi il capo, e mi accostai al suo orecchio, osservando
di sottecchi
mio padre che non si era mosso. «E’ vicino, madre.
Ha chiamato».
Vidi
le sue labbra già pallide sbiancare mentre le premeva
assieme, ansiosa e
spaventata da quella notizia. Forse ad Azkaban il richiamo non
arrivava, o
forse lo aveva ignorato. «Draco...» disse, piano,
prendendo la mia mano tra le
sue.
«Madre»
dissi, nello stesso tono basso e vibrante. «Devo
rispondere?».
Lei
rifletté un istante, poi la sua espressone si
affilò. «Sono certa...» disse, e
deglutì, «che il Signore Oscuro capirà
se tu...».
Scossi
il capo. «Non è quello che intendevo»
dissi. Finalmente lei capì. Non chiedevo
se c’era una via d’uscita. Le chiedevo che cosa lei
avrebbe voluto. La vidi
come afflosciarsi, e le mani che tenevano la mia smisero di tremare.
Quando
rialzò lo sguardo, vidi che era quello di un vinto. Era il
suo sguardo a
parlare, e capii che non avrei ricevuto altra risposta che quella,
eppure...
eppure, non ero certo di averla compresa fino in fondo.
«Vieni
a parlare con tuo padre» disse poi, come se non fosse
accaduto niente. La
seguii. Per il resto della mezz’ora a noi concessa discutemmo
del più o del
meno, o meglio, li informai nel dettaglio a proposito della scuola, e
delle
nostre conoscenze. L’atmosfera restava tesa, ma tesa di
tristezza e non di
astio.
Alla
fine, udii in lontananza i passi dell’Auror che veniva a
riprendermi, e mi
alzai dal divano consunto. Non potevo credere che fosse passato
così poco
tempo.
Ben
presto sarei tornato a scuola, e... e cosa, dannazione?
Sapevo
che di fronte a me c’era una scelta, per quanto nebulosa. Ero
nella zona
grigia, ma avrei dovuto scegliere, forse anche troppo presto. Potevo
strisciare
al seguito del Signore Oscuro, baciargli le squame, e probabilmente
vincere la
guerra. Oppure potevo – cosa? Diventare un Auror, un membro
del Potter Fan
Club, e sperare che la sua mente poco brillante risolvesse il problema
che mi
opprimeva?
Mentre
mio padre mi metteva una mano sulla spalla in cenno di saluto, lo
fissai. Lui
non aveva scelto affatto... e guardate come era finito. Non sapeva
neppure se
era vittima o torturatore.
«Padre»
dissi all’improvviso, mentre l’Auror si avvicinava.
«Voglio che tu mi dica una
cosa».
Lui
mi guardò, interrogativo. «Alla Coppa del Mondo di
Quidditch... c’eri anche tu
tra gli Incappucciati?». Si, lo so, domanda bizzarra. Non
chiedetemi cosa mi
passasse per la testa. ero abbastanza sicuro della risposta, ma volevo
la
conferma.
Lucius
Malfoy impallidì ancora. «Che cosa intendi
dire?».
«Lo
sai benissimo, padre» dissi, freddamente. «Eri tra
quelli che torturavano i
Babbani?».
«Non
subirono alcun tipo di tortura, soltanto un leggero spavento»
replicò lui,
sulla difensiva.
«Rispondimi!»
sibilai.
Lui
tacque, ma l’espressione era più che eloquente.
Salutai sia lui sia mia madre,
così che quando l’Auror giunse alla porta della
cella ero pronto ad andarmene.
«Andiamo?» disse questi. «Si»
risposi io, gelido.
Non
mi voltai indietro. Chissà come, l’idea di mio
padre che faceva levitare la
gente si sovrapponeva nella mia testa al ricordo della lezione di Tonks.
Era
una brutta giornata.
Un’ora
dopo, ero alla Testa di Porco, anche se ci andavo piano. Avevo fatto un
giro da
Mielandia, da Mondomago, e perfino da Zonko, e alla fine avevo sentito
il
bisogno di un rifugio. Sorseggiavo un’acquaviola, piuttosto
depresso, sotto
l’occhio fastidiosamente vigile del proprietario, i cui
penetranti occhi
azzurri mi irritavano, fissi com’erano su di me.
Dov’era finito il solito
barista? Dannazione.
Di
tanto in tanto l’uomo, che stava lustrando senza convinzione
il bancone o uno
dei bicchieri, fissava accigliato la strada, l’espressione
arcigna che
accartocciava i suoi lineamenti già datati.
Chissà come, mi sentito assai poco
a mio agio.
Infine
lo vidi irrigidirsi, come se qualcosa di importante fosse arrivato. Mi
voltai
senza nemmeno accorgermene e al di là dei vetri appannati
scorsi Potter,
Weasley e la Granger provenire dalla direzione della Stamberga
Strillante.
Weasley e Potter parlottavano concitati. Prima che potessi interrogarmi
sulle
ragioni che potevano spingere il barista a comportarsi in quel modo, la
porta
si aprì, ed i tre idioti, incredibilmente, entrarono. Il mio
tavolo era accanto
alla porta, che aperta lo nascondeva, perciò non si
accorsero subito di me.
«...on
punto, non trovi?» diceva Ronald Weasley. «E
comunque, Harry, perché diavolo
non possiamo andare ai Tre Manici di scopa?». Lo disse piano,
però, e la
Granger si voltò a fulminarlo con un’occhiata di
fuoco. «Oh, Harry, se
riusciamo a trovare quella strega della Umbridge...».
Fu
soltanto allora che la Banda dei fessi mi vide. Ronald
Weasley sobbalzò. Harry Potter impallidì. Ma la Granger, che sapeva che io sapevo, mi
fissò con
qualcosa di duro nello sguardo.
«Malfoy....»
ringhiò Weasley. Io mi alzai, tranquillo, il cuore che
batteva a mille, la mano
nella tasca dove custodivo la bacchetta.
«Bene»
dissi, tranquillamente. «Ora sputate il rospo».
SPAZIO DELL’
AUTRICE
Finalmente, il turning
point.
Nel prossimo episodio, il mondo dei nostri protagonisti
finirà per rovesciarsi,
e non solo a causa di Draco. Come sempre non sono molto regolare nello
scrivere, ma ce la farò! Giuro che ce la farò!
Come sempre ringrazio
tutti i
lettori, specie quelli che vorranno recensire... ricordatevi
che, qualunque cosa ne pensiate di
una storia, questa non può migliorare se non grazie ai
commenti dei lettori che
lo aiutano a crescere ^^ in ogni caso, grazie a tutti!
A
presto XD
«Malfoy....»
ringhiò Weasley. Io mi alzai, tranquillo, il cuore che
batteva a mille, la mano
nella tasca dove custodivo la bacchetta.
«Bene»
dissi, tranquillamente. «Ora sputate il rospo».
SPAZIO
DELL’ AUTRICE
Finalmente, il
turning point.
Nel prossimo episodio, il mondo dei nostri protagonisti
finirà per rovesciarsi,
e non solo a causa di Draco. Come sempre non sono molto regolare nello
scrivere, ma ce la farò! Giuro che ce la farò!
Come sempre
ringrazio tutti i
lettori, specie quelli che vorranno recensire... ricordatevi
che, qualunque cosa ne pensiate di
una storia, questa non può migliorare se non grazie ai
commenti dei lettori che
lo aiutano a crescere ^^ in ogni caso, grazie a tutti!
A
presto XD
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Capitolo 7 *** DEALING WITH THE DEAL ***
Non
si può spiegare l’indicibile trionfo che provai
quando sentii quel nome,
“Umbridge”. Non saprei spiegare perché.
Probabilmente soltanto perché era
l’ennesima prova che c’era davvero qualcosa sotto,
qualcosa di concreto da
trovare. Certo, magari i tre fessi non volevano dirmi che cosa fosse
esattamente, ma avevo i miei mezzi, e sapevo che con loro, o senza di
loro,
avrei scoperto la verità.
All’inizio
Potter e Lenticchia mi avevano guardato con un misto tra rabbia e
disprezzo. Quando
avevo detto loro, in tono suadente, che sapevo che stavano
architettando
qualcosa, Weasley aveva sbuffato con disprezzo. Con un ghigno, li avevo
invitati a sedersi, e loro avevano obbedito.
«Credi
davvero che ci cascheremmo?» aveva esclamato
Rosso, con disprezzo.
«Oh,
non c’è nulla in cui cascare, vi assicuro. Ho
soltanto sentito la vostra
interessante discussione in infermeria. Ah, e, Potter» avevo
detto, quando lui
aveva mosso appena una delle mani verso il mantello, «non ti
conviene provarci.
Sono ore che ti punto la bacchetta
contro, e tu non sei abbastanza veloce. E per inciso, ho preso le
dovute
precauzioni, nel caso avessi provato ad Incantarmi... non che ti
ritenga in
grado di farlo, beninteso». Balla. Ma naturalmente Potter era
troppo stupido da
capire il bluff. Anche la Granger, che sembrava scettica, non poteva
sapere se
fosse stata o meno la verità.
«Come
sai che volevo incantarti?».
«Potter,
come Occlumante fai davvero pena» lo avevo schernito.
«Anche a nascondere le
conversazioni private, se è per quello».
«Pensavamo
dormissi» aveva detto lo Sfregiato, con un’aria
indignata.
«Cristo,
Potter, siete stati voi tanto imbecilli da non controllare dove
fossi» avevo commentato,
gli occhi al Cielo. «E non vedo perché non avrei
dovuto origliare, se siete
stati tanto idioti da farmi intuire il vostro piano».
«Che
diavolo vuoi, Malfoy?» aveva chiesto la Granger, disgustata.
«Solo
sapere che cosa state macchinando, sporca Mezzosangue».
«Non
chiamarla così» aveva sbottato Weasley.
«Mi
spiace, Weasley, non sapevo aveste dei sentimenti da ferire».
«Insomma,
Malfoy, credi davvero che ti diremmo quello che abbiamo in
mente?» aveva
proseguito la Granger, ignorando il più recente scambio di
battute. Avevo
notato che il barista, poco lontano, ci osservava con interesse. Grazie
a Dio
non poteva sentirci, ma per precauzione avevo abbassato la voce,
cercando di
non fargli intuire la minaccia nelle mie parole. «Beh,
Granger... se non ci penserete
voi, vorrà dire che dovrò cercare altre... fonti.
Questi Horcrux, per esempio...» ed i tre erano impalliditi,
«sono certo che
sono – estremamente interessanti». Oh, quanto me
l’ero goduta!
«Lascia
perdere, Malfoy. Lo diciamo per te» aveva detto Potter,
stancamente,
appiattendosi il ciuffo di capelli neri che celavano la cicatrice con
un gesto
automatico.
«Non
ho intenzione di farlo».
«E
che cosa te ne faresti, di una simile informazione?» aveva
chiesto la Babbana
Zannuta, con un gesto di stizza del capo. «Andresti a
raccontarla al tuo Regio
Rettile, in attesa di una ricompensa?».
Io
l’aveva guardata, poi mi ero voltato verso Potter.
«Chi lo sa. Prima di tutto,
voglio sapere».
«NO»
aveva detto Ronald Weasley, battendo la mano sul tavolo con veemenza.
«Malfoy,
stanne fuori, hai capito? altrimenti...».
«Altrimenti
cosa, Weasley?» avevo sussurrato, gli occhi che lampeggiavano.
«Basta
così» aveva detto la Granger. Ero tornato a
guardare la sua brutta faccia da
mezzosangue, e avevo visto qualcosa
agitarsi in quello sguardo scuro. Sembrava anche vicina alle lacrime.
Cristo,
queste femmine Babbane. Come piangono facilmente. «Senti,
Malfoy. Quello che
stiamo facendo è un segreto. Un segreto fondamentale,
lo capisci? Non possiamo lasciare che finisca nelle mani
sbagliate». aveva
appoggiato entrambe le mani sul tavolo, vigorosamente, fissandomi.
«Tuttavia...
tuttavia, credo che potremmo farlo. Ad
una condizione».
L’avevo
guardata, senza capire. La Sangue Sporco era sufficientemente furba.
Non
esisteva che volesse dirmelo. Forse voleva mentire. O forse aveva in
mente
qualche contorto piano, ma di sicuro, non uno che mi sarebbe potuto
piacere.
«Hermione!
Che diavolo...» aveva detto il suo amico lentigginoso,
spaventato, lo sguardo
che saettava tra noi due. Alla fine la sua espressione si era fatta di
granito.
«Tu» aveva
detto, puntandomi contro
un dito pallido e molliccio. «L’hai incantata, non
è vero? Hermione...» e aveva
cominciato ad agitare grottescamente una mano di fronte al suo viso...
come se
questo fosse servito a qualcosa, nel caso in cui l’avessi
messa sotto il
controllo della Maledizione Imperius.
«Smettila,
Ron, sto benissimo» aveva detto lei, infastidita.
«Balle!
Hermione, ascoltami...».
«Ron»
aveva mormorato Harry Potter, posandogli una mano sulla spalla.
Sembrava che i
tre si fossero dimenticati della mia presenza.
«Aspetta». Poi si era voltato
verso la sua amichetta babbana. «Hermione» aveva
detto, cautamente. «Che cosa
proponi?».
Lei
si era alzata, lo sguardo lucente di soddisfazione, e aveva guardato
prima
loro, e poi il sottoscritto, che si sentiva particolarmente teso.
«Useremo l’Incanto
Fidelius» aveva esclamato,
trionfante.
Oh,
magnifico.
Meno
di mezz’ora dopo, eravamo di nuovo nella Stamberga
Strillante, anche se
arrivarci senza farci notare non era stato facile, visto che in quattro
era
praticamente impossibile passare inosservati, specie perché
il Mantello non
poteva coprirci – e dubito che Malfoy avrebbe voluto
provarci. Alla fine ci
eravamo Disillusi – Ron si era contorto come un pesce quando
aveva sentito
qualcosa di freddo scendere per la sua schiena – e
lentamente, con cautela,
eravamo arrivati a destinazione.
Non
ci avevo messo molto a convincere Harry e Ron. In effetti, era da tempo
che
meditavo sulla possibilità di usarlo. Se Harry fosse stato
il Custode Segreto,
neppure sotto tortura o con la lettura della mente sarebbero riusciti
ad
estrarci il segreto. Finchè Harry restava vivo, il segreto
sarebbe rimasto
intatto.. e diciamocelo, morto Harry, neppure i miei M.A.G.O. sarebbero
serviti
a qualcosa contro Voldemort.
In
questo modo, ci saremmo sbarazzati di un problema pericoloso: Malfoy, e
la sua
curiosità. Neppure Voldemort in persona avrebbe potuto
estorcergli il nostro
piano. E lo avremmo potuto tenere sotto controllo. Harry era convinto
che in
fondo ci fosse qualcosa di buono in lui, ed ero disposta a credergli,
visto
che... beh, per quanto Malfoy fosse odioso, non era Voldemort. Se non
fosse
stato educato in un certo modo, avrebbe potuto essere una brava persona.
Insomma,
convincere Ron fu più difficile, ma visto che io ed Harry
eravamo decisi, lui
dovette arrendersi. Malfoy ci aveva imprecato dietro, ed ero anche
certa che
avesse provato ad incantarci – difficile dirlo, visto che
avevo evocato uno
scudo per precauzione, visto che non avrei voluto sperimentare una
fattura
lanciata da Malfoy. Alla fine però aveva acconsentito
– per chissà quale
motivo, che non volevo davvero sapere – e ci aveva seguiti.
«D’accordo,
allora. Prima ci stringeremo le mani...» dissi, ed ignorai
Draco Malfoy che
fingeva di vomitare. «...poi, ognuno di noi
pronuncerà la frase, confiteri
nolo, secretum unum protegere
oportet... poi tu, Harry, che sarai il Custode, dovrai dire, fidelius... ed il gioco è
fatto, credo».
«Perché
conosci l’Incanto Fidelis?» si lagnò
Ron. «Accidenti a te, Hermione, con tutto
quello che abbiamo da studiare, tu...».
«Oh,
ma sta’ zitto» dissi, ma arrossii, lusingata.
«Hermione».
Harry parlò, ed era molto serio. Mi voltai verso di lui,
paziente. «Si,
Harry?».
«Io...
credo che dovresti essere tu».
«Prego?»
chiesi, confusa.
«Credo
che dovresti essere tu... il Custode Segreto, intendo». Sia
io che Ron assumemmo
una espressione piuttosto sciocca. «Che... Harry, io non
credo che...»
balbettai, incerta, ed anche un po’ spaventata.
«Davvero,
Hermione. Io parlo sul serio».
«Ma...
Harry...» la mia voce salì di diverse ottave
mentre lo dicevo, «Tu... questo è
qualcosa che riguarda te, Harry.
È il
tuo destino, non il mio. È giusto che sia tu a custodire
questo segreto».
Lui
scosse il capo. «Se io dovessi morire»
cominciò, e vedendo che io e Ron
volevamo interromperlo, ci fece cenno di lasciarlo finire, ed
alzò la voce. «Se
io dovessi morire, Hermione, l’Incanto si spezzerebbe.
Inoltre, come ha detto
anche Malfoy, io sono un pessimo Occlumante, no? qualcuno potrebbe
riuscire
a... leggere nella mia testa, e allora sarebbe tutto vano. Sono certo
che tu
saresti molto più brava, Hermione».
«Ma
io... Harry, davvero....» dissi, commossa mio malgrado, le
lacrime agli occhi.
«Come
hai detto tu, Hermione, è il mio segreto, giusto? La scelta
spetta a me» disse
lui, con decisione. Quando faceva così, era inutile
insistere.
«Io...
oh, d’accordo»
dissi, in tono incerto
e rassegnato. «Ora... mettete le mani l’uno
sull’altro... così... sopra la
mia».
Harry
obbedì subito, e mi fece un sorriso incoraggiante che non
ricambiai. Ron emise
un verso di totale esasperazione, ma fece lo stesso. Alla fine rimase
solo
Malfoy, che sembrava sul punto di vomitare, ma naturalmente, non poteva
essere
la verità. Gli lanciammo un’occhiataccia, tutti e
tre, e lui scrollò le spalle.
«Ti sei lavato le mani, vero, Weasley?» disse,
provocatorio, prima di posare la
sua mano appena sopra a quella di lui. Entrambi rabbrividirono.
«Fuori
la bacchetta.... e Malfoy, non provare nemmeno a fare qualcosa di
strano, siamo
uno contro tre, ti batteremmo» dissi, cercando di assumere un
tono sicuro e
professionale. Già, come no. Calò il silenzio
– ma solo dopo che Malfoy,
vagamente deluso, abbassasse appena la bacchetta. Era un silenzio
più pesante
di una scatola intera di Pallini Acidi da ingoiare, e vi assicuro che
è tutto
dire.
«Harry...
comincia tu» sussurrai, appena un po’ inquieta.
«Confiteri
nolo» disse lui, prontamente,
abbassando la bacchetta verso la mano di Malfoy. Qualcosa
brillò sulla punta, e
nessuno di noi se lo aspettava. Era un globo di luce, grande come una
mela, di
un bel colore oro pulsante che ricordava un sole in miniatura.
«Secretum unum protegere oportet»
concluse, scrutando con occhi vacui la luce. Questa tremolò
appena, poi rimase
sospesa qualche centimetro al di sopra delle nostre mani.
«Hermione»
disse Ron, incerto, «che cos’è quello?
È...?».
«...normale?»
lo aiutai io, scrutando la luce cautamente. «Io... credo che
sia una
proiezione». Era chiaro che voleva chiedere ancora
qualcos’altro, ma il mio
sguardo gli suggerì di rimandare le domande a dopo.
Così anche lui puntò la
bacchetta verso la propria mano, e dopo aver deglutito rumorosamente
disse, con
voce sufficientemente chiara: «Confiteri
nolo, secretum unum protegere oportet».
Riuscì a pronunciarlo
correttamente, ed ancora una volta vidi qualcosa emanare dalla
bacchetta di uno
dei miei amici. Una sottile nebbiolina scivolò fuori dalla
punta, aleggiando
attorno al sole di Harry. Era una nebbiolina incerta e lucente, e ne
fui
sorpresa.
Toccava
a Malfoy, ora. Non ne sembrava entusiasta, anzi, sembrava
più prossimo che mai
a battere in ritirata. «Forza, Malfoy. Non abbiamo tutto il
giorno» dissi,
acida, e lo vide storcere il naso con aria aristocratica.
«
Confiteri nolo» disse, con voce altera.
Qualcosa ondeggiò. Qualcosa sembrò tremolare
sulla sua pelle, come se fosse
stata sotto di essa. Come se un’altra pelle, più
setosa, più morbida, stesse
avvolgendo la sua pelle. «Secretum
unum
protegere oportet» concluse lui. Quella membrana di
fumo e niente si
staccò, piovendo come una miriade di petali verso le loro
mani giunte. In quel
momento qualcosa tremò, una vibrazione che non proveniva da
nessuna parte, e
per un istante temetti che le nostre mani si stessero fondendo assieme.
Anche
nei loro volti lessi un identico sconcerto, prima che finisse.
Le
luci si dissolsero, ed allora compresi che ci ero riuscita.
«Ce
l’hai fatta..?» gracchiò Ron.
«Già».
I
tre ritrassero le mani, come schifati. Draco Malfoy se la
pulì sui pantaloni,
altezzoso. «Ok, Granger, ora che hai dato prova delle tue
formidabili virtù,
che ne dici di raccontarmi che cosa state combinando?».
Io
lo guardai, amabile. «Non così in fretta, Fulmineo
Furetto» cinguettai.
«Che
c’è?» sbottò allora lui,
esasperato. «Devo fare un patto di sangue? Immolare un
caprone a San Potter, patrono degli sfigati?».
«Non
posso essere certa che abbia
funzionato, capisci?» gli feci notare.
«E
come pensi di scoprirlo?» domandò lui.
«Semplice.
Ti dirò una piccola, fondamentale parte del segreto.
Dopodiché noi» e gli
inclusi tutti con un ampio cenno della mano, «andremo alla
Testa di Porco, dove
tu» lo indicai,
«cercherai di
riferirla a qualcuno. Se ci riesci, ti Schianteremo, o ripeteremo
l’incantesimo. Altrimenti, ti diremo tutto».
Malfoy
alzò gli occhi al cielo, ma vidi un angolo della sua bocca
contrarsi all’insù,
soddisfatto. Credeva di aver intravisto una falla nel mio piano, ma
purtroppo
per lui, era solo una buca che avevo scavato per farcelo precipitare
dentro
come un allocco.
Così,
Testa di Porco, dieci minuti – ancora –
più tardi. Al barista, il cui sguardo
azzurro era piuttosto sospetto (lo vidi scrutarci senza ritegno mentre
tornavamo al tavolo) chiedemmo quattro Burrobirre, che estrasse da
sotto il
bancone, naturalmente così sporche che, una volta seduti,
mormorai un “Gratta e
Netta” nella speranza di pulirle. Inutilmente. Ok, sono una
di quelle, come
Tonks, che non sa utilizzare gli incantesimi domestici.
«Perfetto»
dissi io. «Ora, Malfoy, tocca a te. Ecco la prima
informazione; la storia di
Harry – quella della profezia – è
vera» dissi mentre stappavo una delle
Burrobirre.
«Quello
lo sapevo da me, oca giuliva» disse lui, acido, e Ron fece
una smorfia. «Mio
padre è anche stato arrestato, no?». Ron fece
sbattere la propria bottiglia sul
tavolo, trionfante. «Ha!» disse. Gli altri due
avventori del locale,che pure
erano troppo lontani per sentire il resto, si voltarono allarmati. Lui
non li
badò, gli occhi gli ardevano. «Dunque ammetti che
tuo padre c’era!».
«In
un’altra occasione certo che non lo farei, zotico»
disse Malfoy, con l’aria di
chi annusa letame. «Ma visto che tutti e tre eravate
presenti... che senso
avrebbe negare?». Io ed Harry ci guardammo. Sapevamo che
Lucius era stato
punito duramente per aver fatto infrangere la profezia.
«So
che lo sai» dissi, paziente. «Ma non hai mai saputo
che cosa dicesse quella
famosa profezia, no?».
Lo
sguardo di Malfoy lampeggiò. «Mio padre mi ha
spiegato che il Signore Oscuro ne
udì una parte» disse, cauto. «Fu Piton a
riferirgliela».
«Beh»
dissi, sporgendomi in avanti. «Noi la sappiamo per
intero». Lo sguardo di lui
si accese di segreta curiosità, ma a parte questo rimase
impassibile. «Immagino
che tu non ne conosca il contenuto» lo incalzai.
«Come
lo sapete? Chi vi ha rivelato la profezia?»
domandò Draco, versandosi della
Burrobirra dopo un’occhiata colma di sospetto al bicchiere.
«Silente»
sussurrai io. «L’ha detta ad Harry».
Lui
assentì appena.
«La
profezia dice» dissi, giocherellando con il tappo della
Burrobirra, incerta.
«Che... che lui ed Harry dovranno scontrarsi, prima o
poi». Lanciai un’occhiata
all’interessato, che sembrava molto preso dai nodi del legno.
«E soltanto...
uno dei due...». Avrei voluto chiedere aiuto, ma ora che ero
la Custode, non
avrebbero potuto. Mi schiarii la voce.
«Sopravviverà» pigolai.
Malfoy
alzò lo sguardo, gli occhi sbarrati. Spostò lo
sguardo tra me ed Harry, che
continuava a guardare il tavolo. Credo che Malfoy avrebbe voluto fare
una
battuta sarcastica, ma un conto era malignare a scuola, un conto era
scherzare
su Voldemort; doveva averne una paura cieca. Insomma, immagino che
conviverci
non fosse grandioso.
Alla
fine si alzò. «Vado?» mi chiese. Io
annuii. Si alzò ed uscì di corsa dal pub,
mentre io me ne stavo tranquilla ad aspettare. «Eh,
Hermione» disse Ron, come
colto da un’idea improvvisa. «E... e se il tuo
incantesimo non funziona?
Potrebbe anche dirti una balla».
«No,
non lo farà» dissi, raggiante, ficcando la mano in
tasca ed estraendone una
fiala colma di liquido trasparente. «Perché
metteremo questa nella sua
Burrobirra».
«Quello
è Veritaserum» disse Harry.
«Orca!»
esclamò Ron. «Hermione, come...».
Io
arrossii lievemente. «Potrei averne fregato un po’
dall’ufficio di Lumacorno»
ammisi infine, riluttante.
«Come
diavolo hai fatto?» trasecolò Ron. «Ma
soprattutto... perché ce lo avevi
dietro?».
E
sorridendo ancora gli mostrai la borsetta di perline che avevo
indossato quando
eravamo stati invitati al matrimonio di Bill. Beh, il quasi matrimonio.
«Pensavo che avremmo potuto avere bisogno di prendere
qualcosa» mi scusai. «E prima,
mentre andavate a prendere le ordinazioni, ne ho Appellata una
fiala».
«Geniale»
proclamò Ronald. «assolutamente...
completamente... geniale». Nel frattempo io,
molto rossa, versai qualche goccia del siero nella Burrobirra di Draco
Malfoy.
Questi
fu di ritorno, sufficientemente deluso da farmi intuire
l’esito della sua
spedizione. Si lasciò cadere sulla sedia.
«L’incantesimo funziona» disse,
laconico, prima che potessimo chiedergli qualcosa.
«Capisco»
dissi, quieta, bevendo dal mio boccale nella speranza che lui facesse
lo
stesso. Ed infatti, alla fine Malfoy bevve. Rabbrividì
appena.
«Dunque»
cominciai allora, «non ha funzionato».
«No,
e credimi, ci ho provato» disse Malfoy. Soddisfatta, annuii.
«E
dimmi» saltò su Ron all’improvviso.
«Hai mai dubitato della tua
eterosessualità?».
Malfoy
fece un’espressione di puro disprezzo, non privo di un certo
sconcerto. «Che
cazzo dici, Weasley?» domandò, piuttosto
oltraggiato.
«Lascialo
perdere» dissi, estremamente soddisfatta, e lanciando a Ron
un’occhiata inteneritrice.
«Allora,
Granger. Adesso, finalmente, mi racconterai la
verità?» chiese Malfoy,
impaziente.
«Certo
che te la racconterò» dissi io, tranquilla.
«ma non qui».
Lui
alzò gli occhi al cielo. «Per l’amor di
Dio, Granger, farei prima a morire di
vecchiaia che a stare qui ad aspettare».
«Non
ti pare un luogo troppo scoperto per queste cose?» feci io,
non poco irritata.
Fu
costretto a darmi ragione. Mi sporsi verso di lui, sorridente, e lui
fece per
scostarsi. Lo ignorai. «Stanotte, a mezzanotte, nella Stanza
delle Necessità.
Non farti beccare, stupido Serpeverde» sussurrai. Irato lui
si ritrasse, ma
annuì, lo sguardo cupo.
Ron,
piuttosto seccato per quel confabulare – o da Malfoy in
generale – si alzò di
scatto. «Credo che pagherò»
affermò in tono tetro, avviandosi verso il bancone.
Harry esitò, evidentemente incerto sul da farsi, ma si
alzò a sua volta. Ero
sicura che non volesse lasciare da solo Ron; quando metteva in moto il
cervello
dopo un periodo di inerzia rischiava di indursi pensieri poco
lusinghieri.
Probabilmente, comunque, l’idea di stare troppo con Malfoy lo
atterriva.
Così,
io e Malfoy si scrutammo, con grande ostilità. Allo stesso
tempo, dai movimenti
rapidi delle sue dita che giocherellavano con il boccale, dedussi che
era molto
più eccitato di quanto non mostrasse. «Hai
paura?» gli domandai. «Si»
non poté fare a meno di rispondere, e
subito dopo sbarrò gli occhi. Dentro di me sogghignavo.
«Preferiresti essere
rimasto all’oscuro?».
«No»
disse lui.
Ne
fui stupita, in un certo senso.
«Perché?».
Ancora
una volta forse avrebbe mentito, ed invece dalla sua bocca, mentre ci
provava,
uscì la verità. «Avevo paura anche
quando ero all’oscuro. Vivo nella paura,
ormai. Perciò, tanto vale». Serrò la
bocca, estremamente scosso dalle proprie
parole. Mi guardò, lo sguardo assassino.
«Perché lo sto dicendo?».
«Veritaserum,
Malfoy» dissi io, impassibile.
Mi
aspettavo che mi mandasse a quel paese. «Astuto»
disse invece, e doveva
pensarlo.
«Lusingata»
commentai, guardando Ron ed Harry che aspettavano che il barista,
intento a
pulire – per così dire – li degnasse di
uno sguardo. Stavano sussurrando
qualcosa.
«Dovresti
esserlo» sibilò l’altro.
«E’ la qualità principale di un
Serpeverde. Astuzia,
nobiltà, orgoglio, ambizione».
«Pensavo
fosse codardia» dissi io, sprezzante.
«Difficile
non pensarlo». Ci misi un po’ a collegare quello
che aveva detto. quando ci
riuscì lo guardai, stupita. Avevo lo sguardo fisso sul legno
nodoso del tavolo,
lo sguardo disgustato. Verosimilmente dai suoi compagni, e da quello
che aveva
detto.
«Dovrei
usarlo più spesso, il Veritaserum» dissi allora.
«Non
dubito che ti piacerebbe, non stupida Mezzosangue».
Naturalmente non poteva
lanciarmi insulti ai quali non credeva. Divertente. Sogghignai, e lui
mi
incenerì con un’occhiataccia. A quel punto mi
venne in mente una domanda, che
poteva sembrare stupida, ma che mi sorse spontaneamente. «Se
fossi finito a
Grifondoro, che cosa avresti fatto?».
«Non
sarebbe potuto accadere. Il Cappello mi ha assegnato senza battere
ciglio». Era
vero. A stento lo aveva toccato. «Il Cappello sa quello che
è richiesto a chi è
erede Purosangue». Diventava bravo ad eludere le domande ed
il Veritaserum, ma
non poteva eludere una domanda diretta. «Ma, ipoteticamente,
se fosse
accaduto?».
«La
mia famiglia ne sarebbe stata disgustata, sebbene fosse meglio di
Tassorosso,
ed io avrei provato vergogna, suppongo».
«Perché?»
chiesi. Lui mi guardò, e mi resi conto che non capiva la mia
domanda. Per lui
era una cosa assolutamente normale pensare che il mondo di Serpeverde
fosse
quello giusto. Non importava che, razionalmente, un Grifondoro
possedesse buone
qualità. Era così, punto. La cosa mi diede la
pelle d’oca, pur non sapendo bene
perché. Forse perché era un mondo così
chiuso.
«Perché
è così, Mezzosangue» disse lui,
imitando la mia voce più saccente. Fastidioso.
«Sei
chiuso, Malfoy».
«E
tu sei un’ingenua» disse lui, pigramente.
Risi.
Non potevo farne a meno. «Si, si, lo siamo tutti»
dissi. «Quando saprai,
Malfoy, capirai».
«Non
credo che potrei capire le vostre idee, Granger»
commentò Malfoy, non senza
superiorità. «Voi siete una razza a
parte».
«Per
fortuna» dissi, con tutto lo snobismo che avevo in corpo. Lui
sbuffò,
sprezzante.
«Avete
un’altra opinione di voi stessi, vero? Granger, solo
perché sei furba,
onorevole, eccetera, non puoi pensare che tutti finiscano per sbavarvi
dietro».
«Sai,
Malfoy» dissi io, scocciata. «Dovresti prendere
esempio dal tuo stesso
consiglio».
Malfoy
fece una smorfia disgustata e fece spallucce. Nel Ron ed Harry
tornarono al
tavolo. «Hermione» fece Harry, ignorando Malfoy
come se fosse stato una lumaca
bavosa, «dobbiamo andare». Mi alzai, e tutta
impettita andai al bancone, dove
buttai una manciata di monete. Harry, al mio fianco, sembrava
impaziente. Ron
stava in disparte con l’aria offesa.
Mentre
Malfoy pagava, io mi voltai verso di lui. «Non dimenticare,
Malfoy». Dissi il
suo cognome come se fosse stata una parolaccia. Poi io, Ron ed Harry
uscimmo
nel freddo ottobrino. Una volta liberi da Malfoy, ci sentivamo tutti
molto più
tranquilli.
«Andiamo»
dissi, prendendo entrambi a braccetto. Il pomeriggio scuriva in sera,
ed
eravamo nei guai. Chiusi gli occhi, e sorrisi. Era in momenti come
questi che
ero felice che Ron ed Harry fossero lì, con me. Assieme, in
silenzio, tornammo
al castello.
Hermione
cominciò dal principio. Raccontò della pietra
filosofale e di Raptor, del
Basilisco e del diario di Riddle, di Sirius e del Torneo Tremaghi.
spiegò di
Silente, di quello che mi aveva sempre detto, di quello che pensavamo.
Raccontammo del Ministero, di come Sirius fosse morto, di come Silente
avesse
scacciato Voldemort che aveva tentato di possedermi. E
raccontò di quando
Silente mi aveva finalmente svelato la verità sulla
Profezia. Infine parlò
anche dell’anno prima, dei miei incontri con Silente, di
quello che sapevamo, e
sospettavamo, e Malfoy non riuscì a nascondere la paura che
provava. Del resto,
era stato un anno atroce anche per lui. E raccontammo di RAB, e di come
quel
pomeriggio avessimo scoperto di Regulus Black. Avevamo parlato con
Kreacher e
lo avevamo sorprendentemente convinto a collaborare; anzi,
chissà come, dopo
che gli avevamo regalato il medaglione si era decisamente ammorbidito.
Quando
Hermione finì di raccontare, erano passate quasi due ore.
Ron cadeva dal sonno,
e a dire il vero anche io. Malfoy invece era livido e assolutamente
sveglio,
gli occhi di un animale in gabbia, seduto davanti a noi come un
accusato. Non
aveva spiccicato parola. Hermione era tesa, e anche un po’
compassionevole.
Alla
fine Hermione si schiarì la voce. «Ecco... ora sai
tutto» disse, fin troppo
timidamente considerato il fatto che si trattava pur sempre di Malfoy.
Malfoy
era chiaramente in bilico tra la tendenza ad odiarci e la tendenza a
non
scherzare con il fuoco. Ci guardò, ed era uno sguardo
indecifrabile, non perché
nascondesse qualcosa ma perché c’erano troppe cose
tutte assieme. «Merda» disse
infine, convinto probabilmente che riassumesse abbastanza bene non solo
il
nostro racconto, ma anche il suo pensiero. Beh, probabilmente aveva
ragione.
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Capitolo 8 *** Curiosity killed the ferret ***
Theodore
Nott mi fissava al di sopra del libro di
Aritmanzia. Io lo ignorai, cosa perfettamente giustificabile se
contiamo il
fatto che avevo tre rotoli di pergamena per la McGranitt e due per
Lumacorno
per l’indomani, e due occhiaie pesanti a sottolineare la mia
carenza di sonno.
Per quest’ultima, naturalmente, non avevo modo di
giustificarmi. “Ehi, Nott,
sai che Potter ed i suoi amichetti mi hanno appena messo al corrente
del loro
diabolico piano per distruggere il Signore Oscuro eliminando ad uno ad
uno i
pezzi della sua oscura anima? Tra parentesi, il Signore Oscuro si
nasconde al
momento proprio a casa mia, a contemplare magari la mia cameretta,
accarezzando
un orripilante serpente lungo dieci metri che con tutta
probabilità nasconde il
più inaccessibile di tutti i suoi segreti”. Avrei
pagato per vedere la sua
faccia.
E poi, ero ancora
arrabbiato con lui, anche se a
malapena lo ricordavo. La maniera in cui mi aveva trattato nella sua
zuffa con
Zabini era oltremodo irritante. Sbirciai l’atro interessato
mentre fingevo di
stiracchiarmi. Aveva un labbro spaccato ma Pansy o qualche altra
stupida oca
doveva averlo aiutato a liberarsi dei lividi.
Tornai a concentrarmi
sulla mia copia di
Trasfigurazione avanzata. Ma l’immagine della Banda Potter
era in agguato. Ah,
avere la Granger ad aiutarmi nei compiti! Sospirai drammatico, salvo
poi
ricordarmi che stavo dialogando con la mia testa. senza osare guardare
Nott, mi
stuzzicai la punta del naso con la piuma. Poi scrissi un paio di frasi,
senza
alcuna convinzione. Se solo Nott, che era seduto di fronte a me. Se
solo avesse
sentito il bisogno urgente di andare in bagno, avrei potuto sporgermi
con
assoluta noncuranza e scribacchiare un paio di espressioni che aveva
annotato
con la sua orribile calligrafia troppo piccola e stretta.
Non c’era
nessun altro nelle vicinanze,
naturalmente. Chi si sarebbe seduto accanto a me? Magari avrei potuto
fregare
il compito a Zabini. Perché non avevo comperato una di
quelle Piume Ricopianti,
o come si chiamavano? Da Zonko ne avevano in abbondanza. Peccato che
fossi
stato troppo preso dalla mia ricerca di Polvere Pruriginosa per Zabini
– tra
parentesi, l’avevo trovata, e lo avevo sentito rigirarsi nel
letto per ore.
E c’erano
ancora tutte le lezioni del pomeriggio.
Disgustato, voltai pagina nella speranza che Trasfigurazione Avanzata
mi
illuminasse. Nulla da fare.
Oh, andiamo! Come
potevo anche solo pensare di concentrarmi dopo quello
che
mi avevano detto? Senza contare che non sapevo come agire. Voglio dire,
una
persona non può ricevere una informazione del genere senza
scomporsi, no? Ma
cosa potevo sperare di fare? Che cosa volevo fare?
Stupido Potter.
Stupido Weasley. Stupida Granger.
Granger.... quel nome
mi fece venire un’idea.
Potevo costringerla a farmi i compiti, no? era così
stupidamente buonista da
accettare – me li aveva anche già fatti
– me li avrebbe fatti di nuovo. Bastava
che le dicessi che per colpa della loro stupida esistenza e dei loro
stupidi
problemi non avevo chiuso occhio e non ero stato in grado di studiare,
o
pensare.
Soddisfatto,
accartocciai la pergamena e la gettai
in malo modo nel cestino. Raccolsi la mia roba, la ficcai velocemente
nella
borsa, e feci per andarmene. «Malfoy» fece una voce
alle mie spalle. Mi voltai.
Zabini mi guardava, giocherellando con la sua piuma d’oca con
aria pigra. La
teneva in equilibrio sul naso, poi la riacciuffava se rischiava di
cadere. Era
troppo lontano per centrarlo con la mia copia del libro di Pozioni?
Valutai in
silenzio, impassibile.
«Che cosa
combinavi, ieri notte?». Il guaio di
dormire con Zabini è che è sempre attento. Credo
che perfino dalla nostra
biancheria sia in grado di capire dettagli della tua vita che
preferiresti
restassero un segreto. Naturalmente, quello che voleva sapere sarebbe
rimasto
un segreto, ma non grazie a me, purtroppo.
«Cercavo il
tuo neurone, Zabini. Quello che si è
perso anni fa» replicai, con un ghigno. Avevo notato,
però, che Nott mi fissava
con aria indagatrice. Lui dormiva, grazie a Dio, quando ero scivolato
giù dal
letto. Aquila di giorno, ghiro di notte.
«Molto
spiritoso. Perché non lo raccontiamo a
Lumacorno?». Come se Lumacorno avesse voluto saperne, di me!
Lo spaventavo a
morte, non mi rivolgeva la parola, ed evitava accuratamente di vedere
se facevo
qualcosa di giusto, o di sbagliato. Zabini lo sapeva, ma voleva mettere
in
evidenza il fatto che mi aveva beccato.
«Giusto. E
gli raccontiamo anche di tutte le volte
che marini le lezioni per giocare a Quidditch, che ne dici?»
dissi,
tranquillamente. I suoi occhi luccicarono. «Non ho mai perso
una lezione»
disse, con un sorriso misurato. «Sono molto attento nel
praticare i miei
interessi, a differenza di te».
Magari i professori erano convinti che non valesse la pena di
perseguitare
Zabini, ma io si.
«Almeno io
non faccio la parte del cocco del
professore, Zabini» dissi io, sorridendo. Poi, senza
aspettare risposta, mi
allontanai. Camminavo con lo sguardo basso, non per vergogna ma
perché ero
pensieroso. Notai però un gruppetto di ragazze che mi
fissavano. Naturalmente,
anche se tutti avevano troppa paura per avvicinarsi a me,
più di qualcuna
sembrava interessarsi a me e guardarmi come una specie di esiliato
volontario,
un ragazzo dannato ed interessante. Me n’ero reso conto
già da un po’, ma
dell’istinto da crocerossina non sapevo che farmene.
Erano in cinque e mi
guardavano, ammaliate e
spaventate. Una di loro, invece, sembrava più che altro
essere incuriosita da
me. La conoscevo, si chiamava Astoria. Era del mio anno, era una
ragazza che
tutti definivano un ghiacciolo umano, visto l’aspetto
austero. Non ci avevo mai
parlato granché, comunque.
Ricambiai lo sguardo,
senza ostilità ne freddezza.
Uno sguardo, e basta. Poi mi allontanai; avevo già scordato
di averla vista.
Decisi che, se la
Granger aveva un’ora buca,
probabilmente la stava passando a studiare. Speravo anche che Halloween
ormai
imminente avesse trasformato la sala di Grifondoro in una baraonda come
era
accaduta a quella di Serpeverde. In quel caso, se fossi stata una
stupida
secchiona, dove mi sarei diretta?
In biblioteca, ovvio.
In tutta fretta salii rampe e
rampe le scale – le stesse che tempo prima avevo percorso da
sbronzo, anche se
non è il caso di ritirare fuori quella vecchia storia
– fino ad arrivare alla
porta della biblioteca. Scivolai dentro, in silenzio. non
c’era molta gente,
naturalmente; soltanto la Granger e qualche sgobbone Tassorosso si
sarebbero
presi la briga di studiare tutto il pomeriggio a due giorni da
Halloween.
Mi aggirai tra gli
scaffali, ma senza alcun esito.
Le uniche facce anche solo vagamente note erano Calì e
Parvati Pati, le quali
erano nascoste in una sezione poco frequentata. La Grifondoro sembrava
arrabbiata e parlava alla gemella con un’aria corrucciata,
mentre l’altra, lo
sguardo cupo fisso a terra, non rispondeva. La scena non mi avrebbe
interessato
granché, se non avessi riconosciuto, tra gli incomprensibili
bisbigli, la
parola “Hermione”. Cercai di capire che cosa
stessero dicendo senza farmi
notare, ma era difficile, perché parlavano a bassa voce.
«Vista...
tempo... osservo...nascondendo
qualcosa...». Avevo l’orecchio incollato allo
scaffale, ormai.
«Senti,
Calì, lasciami in pace». Parvati
evidentemente era troppo arrabbiata per abbassare davvero la voce.
«Lavinia...
qual è il problema» sibilò impaziente
l’altra. «....osa sia.... occupata.... i vedo
mai...».
«Calì,
lasciami in pace» strillò Parvati. «Io
sto
benissimo». Si alzò, evidentemente,
perché un paio di istanti dopo la vidi
sfrecciare via verso l’uscita senza badarmi. Uhm. Beh, non
sapevo ancora
dov’era la Granger, ma pareva che ci fosse qualcosa di
interessante riguardo
alle Patil.
Il giro in biblioteca
rimase infruttuoso. Così
decisi che la mia ultima spiaggia era il parco. Tuttavia, la stupida
Mezzosangue non si fece vedere. Così alla fine, scornato, mi
apprestai a
rientrare nel castello... quando vidi la suddetta Mezzosangue (S.M.,
Secchiona
Mezzosangue, per gli amici) attraversare a falcate decise
l’ingresso. Le corsi
dietro, sperando che nessuno mi facesse caso. La seguii a questo scopo
per una
rampa o due di scale, ed ebbi perfino la soddisfazione di fare una
Fattura
Inciampante a Zabini quando lo superai – cosa della quale ero
estremamente
grato – mentre quegli si dirigeva in biblioteca.
«Granger!»
chiamai infine. La vidi irrigidirsi, e
poi voltarsi verso di me. Dalla sua espressione, dedussi che ero in
ritardo, e
l’avrei fatta indispettire volentieri trattenendola, se non
fosse stata nel mio
interesse di rabbonirla.
«Malfoy»
disse lei, disgustata. Ehi! «Sono in
ritardo».
«Anche
io» ribattei, incapace di tacere. «Ma devo
chiederti una cosa».
La sua espressione
sospettosa mi diceva che temeva
il peggio. «Cioè?».
«Ieri per
colpa della tua narrazione mirabolante
non sono riuscito a dormire, né a fare i compiti per la
McGranitt. Perciò
dovresti considerare come un dovere morale...».
«No»
e si voltò, riprendendo a salire le scale.
Merda! Indispettito la rincorsi. «Stupida Mezzosangue, la mia
non era una
domanda!». D’accordo, non la mia strategia migliore.
«Purtroppo
la mia rimane una risposta». Tornò a
voltarsi verso le scale.
«Spiffererò
tutto in giro!» esclamai allora, prima
di rendermi conto che, in effetti, non avrei potuto. Cavolo.
Lei
sogghignò divertita. «Malfoy... sei un essere
abietto». A quel punto la Mezzosangue aveva rinunciato ad
ogni seria pretesa
sulla propria incolumità. Purtroppo per lei, ero un Malfoy,
conoscevo potenti
incantesimi oscuri, e altri fastidiosi, che non vedevo l’ora
di sperimentare.
Alzai la bacchetta.
Senza neppure battere
ciglio, lei mi disarmò. Prima
che potessi fare altro, mi rifilò anche una Fattura
Gambemolli che mi fece
precipitare a terra in maniera poco signorile.
Ehm.
D’accordo, magari ero un mago oscuro un po’
arrugginito. E allora? Compensavo col carisma. E, rispetto al Signore
Oscuro,
con molti più capelli.
«Malfoy, sei
un vero idiota» disse lei con un
sorriso serafico, prima di girare sui tacchi ed allontanarsi, mentre io
le
strillavo improperi e strisciavo verso la bacchetta. Quando la presi,
se n’era
già andata. Peccato, altrimenti avrebbe potuto assaggiare la
mia furia.
In quel momento
passò, caso voleva, Mcnair.
Vedendomi afferrare la bacchetta sgranò gli occhi.
«Ehm... Draco?» chiese,
incredulo.
Lo guardai. Lui mi
guardò. «Cristo, David, so di
essere bello, ma tirami su!» sbottai.
«Che cosa
è successo?» mi chiese lui, dopo che si
fu affrettato ad obbedire.
«Storia
lunga» borbottai io. «Andiamo».
Barcollando
sulle gambe malferme, mi avviai verso il dormitorio, mentre McNair mi
seguiva
trotterellando ansioso. Sembrava una docile capretta che segue il suo
pastore –
ed io un pastore ubriaco.
«Sicuro di
stare bene?» domandò lui perplesso.
«Benissimo»
affermai io in tono distratto. Cercavo
di ricordare la contro fattura per la Fattura Gambemolli. Non mi venne
nulla in
mente. Grazie a Dio riuscivo a camminare – più o
meno.
Quando ritornai al
dormitorio, era quasi vuoto;
tutti si erano già diretti a lezione. Imprecando afferrai i
libri e,
sforzandomi di camminare normalmente, mi diressi a lezione.
Stupidissima
Granger. Avrei dovuto chiedere una contro fattura a Nott, ma non mi
andava di
parlargli. Ero ancora offeso. Così mi diressi verso
Incantesimi, ed arrivai ad
Incantesimi in ritardo ed ansimando. Mi beccai dieci punti in meno e
diverse
occhiatacce, ma almeno ero tornato a camminare normalmente.
L’unico
posto libero era nella penultima fila,
accanto – argh! – a Zabini. Nott era in primo banco
assieme alla ragazza che
avevo visto quella mattina, Astoria o come si chiamava. Gli sguardi di
entrambi
mi perforavano la schiena mentre mi avviavo controvoglia verso il mio
banco.
Buttai la mia roba sulla panca, tra me e Zabini, che mi
ignorò. Il professor
Vitious proseguì con la sua vocetta stridula:
«...ehm... si, come stavo
dicendo... oggi cominceremo con un Incantesimo fondamentale;
l’incanto
Proteus». Diversi sussurri seguirono, piuttosto concitati.
Avevamo lezione con
i Corvonero, e molti di loro già annuivano, felici.
«Sapete
dirmi di che cosa si tratta..?».
Un paio di istanti di
esitazione, ed un paio di
mani si sollevarono, seguite da altre tre o quattro. Tra di esse non
c’era
alcun Serpeverde; neppure Nott o Zabini, che comunque sembravano
piuttosto
sicuri di sé. Io avevo una vaga idea di che cosa si
trattasse, ma rimasi zitto
e con lo sguardo basso. Stavo ancora rimuginando sui compiti che, a
causa della
scarsa collaborazione della Granger, mi sarebbe toccato fare, e pensai
quando
vidi le mani sollevarsi che con tutta probabilità la sporca
Secchiona Sangue
Sporco (S.S.S. per amareggiati nemici) l’avrebbe alzata prima
ancora che Vitious
avesse finito di parlare. Maledetta.
Cercai di concentrarmi
su Zabini che, tutto rigido
ed impettito, sembrava teso ad ascoltare ogni singola parola
pronunciata da
Parvati Patil, che era stata scelta per rispondere. Quasi invidiavo
Zabini per
il suo rendimento scolastico; una ragione in più per odiarlo.
«Benissimo,
signorina Patil, benissimo» esclamò
Vitious, battendo le manine assieme. «D’accordo,
ragazzi. Il movimento
necessario non consiste che in una semplice stoccata, che tutti voi
siete
perfettamente capaci di eseguire... dovete pronunciare
“proteus” senza alcuna
esitazione, proprio mentre eseguite il movimento... ora, signorina
Patil, se
non le dispiace, distribuirebbe questi papiri alla classe..? La
ringrazio...
altri dieci punti per Corvonero... molto bene, dividetevi a coppie ora.
Dovete
incantare entrambi i fogli, naturalmente... dopodiché
verificate che
l’incantesimo vada a buon fine,
d’accordo?».
In coppia con
Zabini... meraviglioso. Ci lanciammo
un’occhiata ostile, in silenzio. lo sguardo di lui si posava
in continuazione
sulla ragazza che distribuiva le pergamene, come implorandola di fare
presto,
per liberarlo da questo supplizio. Su questo, non potevamo essere
più
d’accordo.
Zabini
frugò nella pesante borsa per estrarre la
bacchetta. Chissà come, mi venne in mente che non
l’avevo notata quando l’avevo
affatturato mentre si dirigeva in biblioteca. Incantesimi era al primo
piano,
la biblioteca al quarto. Quando era andato a riprenderla..?
Lo fissai, curioso.
Zabini se ne accorse, e assunse
un’aria strana, quasi nervosa. «Qualcosa non va,
Malfoy?» cantilenò con aria di
scherno.
«Niente,
Zabini...» dissi io, con un sorriso
assolutamente malvagio. «Pensavo solo a che cosa stai
nascondendo».
Impallidì
impercettibilmente, ma la sua espressione
non mutò. «Di che parli, Malfoy?» disse,
la voce vibrante di minaccia.
«Oh,
sappiamo entrambi a che cosa mi riferisco».
Ok, io non lo sapevo, ma questo era un dettaglio irrilevante. Mi venne
in mente
che aveva negato di aver saltato delle
lezioni, quella mattina, nonostante lo avessi visto con i miei occhi.
dove andava,
Zabini, quando marinava le lezioni..?
Parvati
arrivò in quel momento. Sembrava turbata;
probabilmente per via della litigata a cui avevo assistito. Uhm. Un
sacco di
gente aveva dei segreti, ultimamente. Certo, i miei non li batteva
nessuno.
Ripensarci mi turbò. Era da tutto il giorno che cercavo di
evitare di pensarci.
Merda.
Parvati
afferrò due rotolini di papiro piuttosto
spesso. Sia io che Zabini ci voltammo verso di lei, e dovevamo ancora
avere
delle espressioni feroci, perché mentre il suo sguardo si
posava prima su
Zabini, poi su di me, e poi di nuovo su Zabini, parve spaventata.
Buttò i due
rotoli sul tavolo e si allontanò in fretta, mentre Zabini,
perplesso – non si
era reso conto di avere un’espressione così
rabbiosa – esaminava me e lei come
se fossi stato io a spaventarla. Magnifico. Così ora tutti i
Corvonero
avrebbero saputo che litigavo con gli altri della mia Casa.
Afferrai in fretta un
rotolo, desiderando di
ficcarlo su per una narice al mio compagno, e lo dispiegai. Feci lo
stesso con
l’altro. Alzai la bacchetta, pronto ad eseguire
l’incantesimo, ma l’altro mi
bloccò. «Strappane un pezzo» disse,
scrutandomi come se mi vedesse per la prima
volta. «Devo provare anche io. Ubbidii in silenzio, staccai
due pezzi di
papiro, e li posai l’uno sull’altro.
«Proteus» scandii eseguendo una stoccata
forse troppo violenta. Così violenta che qualche scintilla
sprizzò sul
foglietto bruciacchiandolo appena. oh, beh. Ero nervoso.
Furibondo afferrai la
mia piuma e feci una crocetta
sul primo foglio. L’altro foglio rimase intonso.
Zabini ancora mi
esaminava.«Anziché guardarmi come
un fesso» sbottai, «perché non ci
provi?».
Zabini aveva
un’espressione curiosa che non
riuscivo a capire. «Il movimento era giusto» disse,
con voce calma, «e anche
l’incantesimo».
«Commovente
da parte tua dirmi che non sono
un’idiota» dissi io rabbiosamente. Però
ricordai la volta in cui, in
infermeria, avevo provato ad eseguire un “Wingardium
Leviosa” senza riuscirci.
Mi turbò.
Senza smettere di
guardarmi, Zabini alzò la
bacchetta e picchiò con decisione sul foglio.
«Proteus» scandì, e sul foglietto
prima bianco apparve una macchia indistinta. «Non male come
primo tentativo»
fece il professor Vitious. Entrambi sobbalzammo. Eravamo concentrati su
di noi.
«Ora prova
tu, Malfoy» mi incoraggiò. Vitious era
l’unico professore che riusciva a comportarsi con me come se
nulla fosse
successo, assieme alla McGranitt. Gli altri erano tutti o troppo
spaventati, o
risentiti, o troppo gentili.
A quel punto mi
concentrai. Ero un Malfoy. Un
Malfoy non poteva fallire, giusto? Sollevai la bacchetta e colpii la
rimanente
pergamena. «Proteus!». Poi presi la piuma e, dopo
averla intinta
nell’inchiostro, scrissi “Malfoy” sul
foglio. Sull’altro foglio, tremolante,
apparve una M seguita da una L.
«Ottimo,
tutti e due!» disse Vitious. «Cinque punti
a ciascuno di voi!».
Più di
qualcuno sembrava indispettito da questa
preferenza nei miei confronti. Gli unici ad esserci riusciti erano,
oltre a
Nott e a Parvati Patil, altri tre Corvonero. Tutti avevamo ricevuto dei
punti.
Marietta Enscombe, la
faccia annerita – Parvati
aveva dato fuoco accidentalmente al suo papiro prima di riuscire a
completare
l’incantesimo – alzò la mano.
Parlò attraverso la sciarpa che teneva sempre su
per il naso, a coprire l’acne che era quasi scomparsa, ma
dove “spia” si
riusciva ancora ad intravedere.
«Professor
Vitious..?» domandò, incerta.
«Si, mia
cara?» rispose lui, amabile.
«Ehm... per
quale motivo l’Incanto Proteus non si
utilizza per le comunicazioni private?». A quelle parole
arrossì appena. Più di
qualcuno dei Corvonero, non ultima Cho Chang, le lanciò
un’occhiataccia. Cosa
mi sfuggiva?
«Eccellente
domanda, signorina Enscombe!» trillò
Vitious, soddisfatto. «In effetti, il motivo è che
gran parte dei maghi e delle
streghe diplomati hanno ancora difficoltà con
l’incantesimo, che è estremamente
difficile. Inoltre, se anche ci riuscissero, dovrebbero incantare ogni
volta una
nuova pergamena dopo averne consumata un’altra.
L’incantesimo non è fatto per
trasferire frasi scritte ma per messaggi brevi ed incisivi, ed inoltre,
è un
sistema di comunicazione poco adatto alle notizie segrete
perché non è connesso
ad una persona, ma ad una cosa».
«Oh»
disse più di qualcuno, evidentemente deluso.
«Solitamente
l’incanto Proteus viene usato come segnale»
proseguì Vitious, sorridendo
alla delusione comune. «Un segnale stabilito, come un
pericolo, un
avvertimento, o un segnale d’avvio. Un sistema
simile» e qui la sua voce si
fece impercettibilmente più cauta, «è
stato utilizzato da
Colui-che-non-deve-essere-nominato, che imprimeva nei suoi seguaci il
cosiddetto “Marchio Nero”».
Dovetti fare uno
sforzo per non toccarmi il braccio
sinistro, dove un esempio di Marchio Nero dardeggiava la sua lingua
verde-nerastra con scherno. Deglutii. Tutti, notai, si voltarono nella
mia
direzione; perfino Zabini, non senza una punta di malignità,
mi fissava
apertamente. Il professor Vitious sembrava appena essersi reso conto
della
gaffe che aveva commesso.
A quel punto sentii
una rabbia convulsa salirmi
dentro. Insomma, con tutto quello che stavo passando... quello che
sapevo....
quello che avevo visto... che diritto avevano quei patetici plebei di
squadrarmi a quel modo?
«Ehm,
ragazzi...» pigolò Vitious, molto a disagio.
«Oh, no, professore»
dissi io pigramente nel mio miglior tono mellifluo. «Lasci
pure che facciano.
Del resto, non è certo una novità, dico bene? La
metà di loro ha sempre pensato
che lo fossi, e l’altra metà lo ha sempre
saputo». Il silenzio era tombale.
Sentivo il sangue pulsarmi nelle vene ma, nonostante il calore che mi
aveva
invaso, sapevo di traspirare un’aura di gelo.
«Ora, se non
le dispiace» dissi in tono
esageratamente plateale, alzandomi in piedi, ed afferrando la borsa,
«ho di
meglio da fare che trovarmi in mezzo a questa gente». E con
un sorriso
sprezzante raggiunsi il corridoio tra i banchi, ed oltrepassato
l’ometto uscii
chiudendo piano la porta alle mie spalle.
Non sapevo che cosa
provavo per il Marchio Nero, o
per quello che ero stato. Ma quella maniera infantile e sciocca che
avevano
acquisito gli altri nel giudicare, loro che non erano nessuno,
né per sangue né
per talento... quella era una cosa che non potevo accettare.
Mancavano cinque
minuti alla fine della lezione,
perciò presto gli altri sarebbero usciti. Marciai deciso
lungo il pianerottolo,
con le mani che mi prudevano per la voglia di pestare qualcuno. In quel
momento
sentii una voce chiamarmi. «Draco!». Era Mcnair,
che scendeva trafelato giù per
le scale. «Ti stavo... cercando» ansimò,
con il fiatone. «Ero... in un
corridoio... la McGranitt... mi ha detto... che ti vuole.... subito...
nel
suo.... ufficio» riuscì a dire, semi-soffocato.
Santo cielo. Qualcuno
Lassù voleva mettermi alla
prova. Lanciai bruscamente la mia borsa a McNair. «Portamela
in dormitorio»
brontolai, cominciando a salire le scale. «Buona
fortuna!» lo sentì dire, ma lo
ignorai. Ero troppo arrabbiato. Da una parte, certo, mi faceva sentire
realizzato far sentire quei poveri plebei uno schifo;
dall’altra, non avrei
voluto espormi in quel modo. Troppo teatrale.
Arrivai
all’ufficio, e mi fermai. Presi lunghi
respiri profondi. Che diavolo voleva da me quella strega? Forse,
dopotutto,
avevano deciso di mandarmi in gattabuia. “Scusa, Malfoy, ci
abbiamo provato, ma
non ha funzionato. Spero che resteremo comunque amici”. Manco
fossero
fidanzati, voleva scaricarmi?
Bussai piano, sperando
di non essere sentito.
insomma, quanti millenni doveva avere la McGranitt? Una quindicina?
Insomma, se
quando andava a scuola si insegnava ancora l’alfabeto
cuneiforme, quante
speranze c’erano che mi sentisse?
Il gargoyle alla mia
destra si voltò di scatto
verso di me, e mio malgrado cacciai un urletto assai poco signorile.
«Che
aspetti? Sali, no, signorino!» mi disse petulante.
«Ehm... non
vorrei disturbare» tentai io.
«Hai
bussato, no? ti ha sentito».
Grandioso. Imprecando
– senza il sonoro,
naturalmente – salii le scale pestando i piedi.
Così facendo rischiai di
inciampare sul penultimo gradino, ma riuscii ad attaccarmi al muro come
un
ragno gigante e a stare in piedi. Bussai di nuovo, questa volta
immaginando di
tirare un pugno alla faccia nodosa della Preside, ed udii la sua voce
invitarmi
ad entrare.
Entrai.
L’ufficio del Preside era identico a quando
era appartenuto a... beh, a Silente. Sembrava che la McGranitt non
avesse
toccato nulla; né gli oggettini argentati che facevano
venire voglia di
toccarli, né la teca contenente la spada che lo Sfregiato
aveva estratto al
secondo anno, né il Cappello parlante, né il
trespolo sul quale stava Fanny, la
fenice. La McGranitt stava seduta dietro alla scrivania, le mani
intrecciate
posate tra la miriade di oggetti posati sulla superficie di legno
intarsiato, e
mi fissava penetrante. Mi resi conto con un istante di ritardo che non
era
sola; accanto a lei c’era la Granger.
Dannazione! Quella
stupida Sangue Sporco doveva
aver detto alla McGranitt che le avevo chiesto di farmi i compiti.
Chissà,
magari le aveva detto anche dell’Eccezionale che avevo preso
grazie a lei. Ed io
che avevo quasi – quasi, naturalmente – provato una
punta di gratitudine per
lei!
Fulminai la Maledetta
Mudblood (M.M. per indignati
nemici traditi) con un’occhiataccia epica. La vidi arrossire
violentemente ed
abbassare gli occhi sulla punta delle proprie scarpe. Almeno aveva la
buona
creanza di fingere pentimento di fronte alla propria
meschinità.
«Allora,
Malfoy. Vieni qui, non stare sulla porta»
disse la Preside, seccamente. Controvoglia feci qualche passo verso la
cattedra,
fermandomi ad una distanza conveniente per essere fuori
dall’aura da Perdente Nata della Granger.
«Non essere
sciocco, ragazzo» disse la McGranitt, con
aria di rimprovero. «Siediti». E mi
indicò una delle tre sedie imbottite che le
stavano di fronte. Presi posto in quella di sinistra, cercando di
sembrare innocente
e a mio agio. «Anche tu, Granger» aggiunse la
donna, e la stupida ragazza
sedette nella sedia opposta alla mia. La professoressa seguì
tutta la manovra
con aria apparentemente scoraggiata.
«Dunque,
Malfoy. Sono certa che tu immagini la
ragione per cui sei stato convocato qui».
«No,
professoressa» dissi io in tono disinvolto.
«Non direi». Intanto ero occupato a maledire la
Granger con tutti gli epiteti
che mi venivano in mente. Entrambe mi lanciarono
un’occhiataccia.
«Andiamo,
Draco» disse lei, utilizzando il mio nome
proprio come un’offesa. “Per lei, illustre Mr
Malfoy” avrei voluto dirle, ma
lasciai perdere. «La signorina Granger
mi ha raccontato tutto».
«E quello
che la signorina Granger dice corrisponde
sempre a verità, vero?» dissi, senza guardare
l’interessata. La risposta
sincera era: “si”, purtroppo.
«Sono
assolutamente convinta della sincerità della
signorina Granger» disse lei, seccamente. «Su
questioni come queste non si
permetterebbe mai di scherzare». Stupida secchiona. Le
lanciai un’occhiata
tanto feroce che lei si mosse sulla sedia, a disagio.
«D’accordo,
allora» dissi io, acido. «Mi punisca
pure, se crede». Non mi importava. La guardai, spavaldo.
«Non essere
sciocco, Malfoy» disse la McGranitt,
allibita. «Non ti ho chiamato qui per punirti».
«Se ha
intenzione di espellermi...». Stavo per
concludere, “mio padre le metterà i bastoni tra le
ruote”, quando mi resi conto
che difficilmente mio padre avrebbe fatto una qualche impressione. Un
tale in
gattabuia che sgranocchia pane secco non risulta molto intimidatorio.
Né mi sembrava
il caso di dire, “il Signore Oscuro userà le
vostra interiora come cintura”
visto che al momento non era la persona che avrei chiamato, che so, per
la
giornata genitori-insegnanti.
«Perché
dovrei espellerti?». La McGranitt sembrava
infastidita.
«E allora
per quale motivo sono stato chiamato qui?»
chiesi, perplesso.
«Per
l’amor del Cielo, signor Malfoy, non credi che
il racconto della Granger meriti due o tre parole da parte mia? Cosa
credevi,
di poter venire a conoscenza di certe informazioni senza che
l’Ordine si mettesse
in moto?». Era sconcertata. «Parola mia, pensavo
che sette anni in questa
scuola ti avessero insegnato a pensare!».
«Informazioni...»
dissi, senza riuscire a
trattenermi, perplesso. Poi capii. Oh, merda. Ecco che cosa le aveva
detto la
Granger. Ero incredibilmente sollevato. Stupida vecchia, il mio
Eccezionale
restava tale. «Pensavo che avesse deciso di espellermi per
qualcosa che lei» indicai la
Granger, schifato, «le
aveva detto».
«Qui non si
tratta dei vostri battibecchi. Sono sette
anni che li sopportiamo» disse la McGranitt
in tono pratico. «La signorina Granger mi ha raccontato che
tu hai scoperto
alcune cose sul conto dell’Ordine, e che lei ha ritenuto
opportuno» le sue
labbra fremettero di disapprovazione, «di informarti su
alcune altre. Ora,
ritengo che sia appropriato da parte mia mettere alcune cose in
chiaro».
Rimasi in silenzio, in
attesa. Lei proseguì. «Non
so esattamente che cosa ti abbiano riferito, Malfoy, ma rimane il fatto
che la
nostra è una situazione delicata. Il Signore Oscuro rimane
estremamente
agguerrito, e poiché non conosciamo la sua
ubicazione» a queste parole sentii
un nodo allo stomaco, «non possiamo fare altro che aspettare,
impotenti, che
colpirà. Il fatto che tu sia venuto a conoscenza di
informazioni riservate è
una questione preoccupante. Non possiamo sapere che tu non le riferirai
al
nemico». Che diavolo stava dicendo? L’Incanto
Fidelis non mi lasciava nessuna
possibilità di spifferare alcunché. Rimasi zitto.
«Parliamo
chiaro» diceva nel frattempo la
McGranitt. «In questo momento, sono io a capo
dell’Ordine. La situazione non è
così terribile come lo era diciassette anni fa, tuttavia non
è rosea. Sono stata
costretta a prendere il posto di Silente» qui mi mossi
appena, a disagio, sulla
mia sedia, «nonostante non sia il mio compito farlo. Voglio
che tu sappia,
Malfoy, che nonostante tutti noi speriamo ardentemente nella tua
integrità,
dovremo prendere delle precauzioni per assicurarci che tu non ci
tradisca. In cambio
naturalmente, la protezione tua e della tua famiglia è
già stata presa in
carico dall’Ordine».
L’Ordine mi
proteggeva? Sorveglianza? Ero allibito.
«Professoressa...» dissi, in tono incerto.
«Che sia
chiaro, Draco» disse lei, appena addolcita
dalla mia espressione tormentata. «Non ti chiediamo di
prendere parte a questa
guerra. Ti chiediamo solo di restarne fuori. È stato molto
avventato da parte della
signorina Granger rivelarti certe informazioni». La Granger
chinò il capo,
contrita, tutta rossa in viso. «Tuttavia, questa è
la tua opportunità per
dimostrare la tua integrità». Non sapevo cosa
rispondere. Non sapevo cosa pensare.
La McGranitt mi
guardò con compassione. «Fin dall’anno
scorso era nostra viva speranza riuscire a proteggerti, Draco. Questo
è quello
che Silente avrebbe voluto. Dimostrati degno di questa
fiducia».
Annuii,
perché non sapevo cosa fare. Avrei dovuto
essere disgustato, o felice? Al diavolo, non lo sapevo.
«D’accordo.
Ora potete andare» disse la Preside,
con aria vagamente stanca. Annuimmo entrambi. «E niente
litigi» ci raccomandò,
mentre uscivamo – io per primo, e al diavolo il galateo.
Appena fummo fuori
dall’ufficio, io afferrai la
Granger per la manica. Ignorando le sue proteste, la trascinai oltre
l’angolo
in un corridoio deserto.
«Smettila di
tirarmi, Malfoy» esclamò la Granger,
adirata.
«Perché
non hai detto alla vecchia strega che mi
avete costretto a fare l’Incanto Fidelis?»
domandai, le tempie che mi pulsavano
rapidamente.
La Granger
arrossì, come sempre quando era a
disagio. La sua faccia da poker faceva schifo. «Io... io...
oh, e va bene»
disse, frustrata. «Pensavo che, se lo avessi fatto, gli altri
avrebbero pensato
che eri degno di fiducia perché non ci tradivi».
«Perché
mai avrebbero dovuto pensarlo?» trasecolai.
Lei non
sembrò incline a rispondermi. «Stupida
Mezzosangue, rispondimi. Se lo hai fatto per
pietà» rabbrividii al solo
pensiero, «se lo hai fatto per pietà, potevi anche
risparmiartela, sai».
«Perché
pensavo che forse ti sarebbe andato a genio
l’idea di non essere più
considerato un nemico da tutti» disse lei, con la voce
stridula di quando era
arrabbiata. «Scusami tanto se ho sbagliato». Dal
suo tono intuii che non
pensava affatto di avere sbagliato, e la cosa mi infastidiva,
perché aveva
ragione.
«Tu ed i
tuoi amici siete degli ingenui» dissi alla
fine, sprezzante.
«O, puoi
pure fare quell’aria schifata» disse la
Granger, con dignità. «Ma lo sai, Malfoy, il tuo
sollievo arriva fino a qui». Sollievo?
Quale sollievo? Io non ero affatto sollevato. Ok, ero sollevato, e
allora? Non erano
affari suoi. E non avevo motivo per esserle grato.
«Se ne sei
così convinta» dissi, alzando le spalle.
«Si, lo
sono» disse, tranquilla. Argh! L’avrei
picchiata. Rimasi in silenzio, a parte per uno sbuffo di scherno che mi
scappò
e che ebbe l’ottimo risultato di scocciarla.
«Tra
parentesi» disse allora la ragazza, facendo la
sostenuta, «che cosa intendi fare adesso?».
«Andare al
dormitorio e fare i compiti, visto che
non li ho ancora fatti» dissi io, nel mio tono più
irritante.
«Intendevo
dire a proposito di quello che ti
abbiamo detto!» esclamò la stupida mezzosangue.
Scrollai le spalle.
«Non c’è granché che posso
fare, no?» dissi, fingendomi scocciato. «Ma se
pensi che, con il Signore Oscuro
davanti, perorerei la vostra causa, vi sbagliate di grosso».
Lei
sospirò. «Malfoy, non lo pensi».
«Stupida
Sangue Sporco, nessuno ti ha chiesto di
interpretare i miei pensieri. Dubito che un cervello Mezzosangue ci
riuscirebbe».
Hermione Granger mi
guardò con enorme disgusto. Poi
mise la mano in borsa e io chiusi la mia attorno alla bacchetta. Non
volevo che
mi affatturasse di nuovo. Invece ne estrasse un foglio di pergamena
spiegazzato. «Tieni» disse, sdegnosa. «Ne
ho fatta una copia. Anche se, forse»e
fece un sorrisetto maligno, «non ti interessa quello che il
mio cervello
mezzosangue
può fare».
Detto questo,
girò i tacchi e si allontanò
impettita. Stupita, aprii il foglio. Erano i compiti che le avevo
chiesto.
Stupida Sangue Sporco.
ANGOLO
DELL’AUTRICE
Ebbene si, finalmente
sono riemersa dalle tenebre con un nuovo capitolo! Del resto, era ora!
Beh, che
dire? Draco si è ingolfato in un bel casino quando dovrebbe
stare dalla parte
opposta del confine... senza sapere che cosa vuole fare.
Diamo ora
un’occhiata
agli ultimi titoli dei capitoli. “Buried in a
dungeon” significa “sepolti in
una segreta, in una prigione”. Chiaro che si tratta sia di
Azkaban sia di
Grimmauld Place, dove qualcuno era stato relegato. “Dealing
with the deal”
gioca sui due termini “to deal” che significa
“gestire, occuparsi di (un
problema, qualcosa)”, e con “deal” che
significa patto, accordo. Chiaro che Draco
ha alcuni problemi a gestire il patto che lui stesso a stipulato.
Infine, “curiosity
killed the furret” deriva dal proverbio inglese
“curiosity killed the cat, but
satisfaction brought it back”, cioè “la
curiosità a ucciso il gatto, ma la
soddisfazione lo ha riportato indietro”, anche se neppure
Draco sa bene se è
contento o no di sapere...
Nel prossimo
capitolo vedremo Hermione e gli altri coinvolti in una disperata
ricerca, e
Draco in due, furiosissime liti. Tutto questo il giorno di Halloween,
che
potrebbe portare Draco a coltivare conoscenze prima schifate,
nonostante lui
non le voglia affatto!
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Capitolo 9 *** Pureblood prince charming - part one ***
Eravamo
nelle cucine di Hogwarts. Ci eravamo scesi perché volevamo
parlare con Kreacher, e nessuno di noi voleva chiamarlo nel dormitorio
e vederlo insudiciare il copriletto. Triste, ma vero. Non volevo
ammetterlo, ma ero felice che i due non potessero salire nel dormitorio
delle ragazze. Non avrei proprio voluto vederli sghignazzare e
scambiarsi occhiatine mentre, CREPA o non CREPA, chiedevo
all’elfo di scendere dalla mia trapunta immacolata.Kreacher
ci aveva accolto con una serie infinita di inchini – e
parecchie tortine di carne con cui Ron ed Harry si erano riempiti le
tasche – ed ora noi tre sorseggiavamo del thé
davvero ottimo mentre lui ci scrutava, in soggezione.
«Ehm... davvero, Kreacher, siediti» fece Harry per
l’ennesima volta, a disagio.
«Sci, ‘icher» biascicò Ron,
battendo la mano sullo sgabello accanto al suo.
L’elfo si limitò però a scuotere la
testina per l’ennesima volta, quasi spaventato
dall’offerta. «Non è bene, signor
padrone, non è bene» squittì,
inchinandosi per la trecentesima volta ed osservando Harry con gli
occhioni umidi. «Il padrone è molto buono, ma
Kreacher non può sedere con grandi maghi...» e mi
lanciò un’occhiata che non lasciava dubbi sul
fatto che io non fossi inclusa nella categoria che molto controvoglia.
Mi faceva pena, era così vecchio. Ron non sembrò
d’accordo, ed aprì la bocca per difendermi, ma per
quanto ne fossi lusingata gli cacciai una pedata sullo stinco che lo
mise a tacere.
«Allora, Kreacher» dissi io, sottovoce,
sorridendogli. «Hai trovato il medaglione?».
Kreacher mi guardò. «Il padrone è un
bravo ragazzo, tratta bene tutti gli inferiori»
gracchiò con la voce sommessa che aveva sempre quando non
sapeva di essere udito. «Anche reietti e Mezzosangue, oh, si,
anche Sangue Sporco... è amica del padrone, Kreacher non
vuole trattarla male, la Mezzosangue è molto gentile, anche
se indegna del nome di mago... oh, si...». avrebbe voluto
continuare nello stesso modo, ma Harry lo interruppe.
«Kreacher» disse, severamente. «Hermione
è una mia amica. Ti chiedo di non insultarla
più».
Gli lanciai un’occhiata raggiante, sia perché
voleva difendermi, sia perché aveva capito che Kreacher
andava trattato con gentilezza. Ron, imbronciato, borbottò
qualcosa del tipo: “anche io volevo difenderla,
prima” che mi ringalluzzì ancora di
più.
Kreacher cominciava già a borbottare qualche tipo di scuse,
quando si udirono dei passettini in avvicinamento. «Kreacher
non parla male degli amici del padrone, Harry Potter,
signore» si intromise Dobby, piantandosi di fianco al
collega. Notai sbigottita che indossava diversi di quelli che
ricordavano moltissimo i miei cappelli di lana, che al quarto anno
avevo sferruzzato per gli elfi. Era difficile esserne certi, visto che
erano consunti e bruciacchiati in più punti, ma erano
abbastanza simili da insospettirmi. Decisi che avrei indagato.
«Se Kreacher lo fa, Dobby gli darà una bella
lezione!».
«Ehm, grazie, Dobby, ma non sarà
necessario» fece Harry in fretta. Aveva sperimentato fin
troppe volte i rimedi di Dobby, che costituivano il classico esempio di
cura peggiore della malattia.
«Dobby non sa... Dobby vuole aiutare, Harry Potter
signore» squittì l’elfo, implorante.
«Ehm... ecco... d’accordo, Dobby. Aiuta pure
Kreacher» concesse Harry, nervosamente. «Ma non
litigate, d’accordo?».
«Dobby non litiga con Kreacher se Kreacher non fa cose
cattive» replicò l’elfo, annuendo sotto
lo sguardo torvo dell’altro elfo. «Beh, non
litigate e basta, d’accordo?» disse Harry,
seccamente. Entrambi si inchinarono – Kreacher non
così profondamente – poi Ron si schiarì
la voce. «Insomma» disse, impaziente.
«Avete trovato qualcosa, si o no?».
L’occhiata di Kreacher lasciò intendere che
avrebbe fatto volentieri molte cose, incluso sturare un gabinetto, pur
di non rispondergli, se non fosse stato amico di Harry. Tossicchiai
discretamente per dissuadere Ron dal soffocarlo, e lui
cominciò ad osservare gli elfi domestici che schizzavano qua
e là per la cucina.
«Kreacher ha trovato!» esclamò
l’elfo, non senza orgoglio, mentre stringeva il pugnetto
attorno al finto medaglione che gli pendeva dal collo. Nessuno di noi
era interessato alla bigiotteria, quindi avrebbe potuto anche stare
tranquillo.
«Checoss...» balbettò Ron, mentre Harry
quasi sputava il thè che stava per ingoiare.
«Davvero? Dov’è?» disse Harry,
appassionato.
Kreacher parve sgonfiarsi un pochino. «Kreacher ha trovato la
strega che ha comprato il medaglione di padron Regulus»
disse, con una vocina sottile. «Ma lei no parla con Kreacher,
no, e quindi Kreacher non sa a chi lo ha venduto».
Harry si raddrizzò appena, inclinandosi un po’
verso di lui, e l’elfo sobbalzò.
«Kreacher si punisce» squittì,
appassionato. «Kreacher non è degno...».
«Oh, ma sta’ un po’ zitto»
disse Ron, che gli era più vicino, afferrandolo per un
braccino prima che Kreacher potesse cominciare con
l’autolesionismo – ma aveva un tono molto
addolcito. «Si, Kreacher» si affrettò a
dire Harry. «Non voglio che tu ti punisca,
d’accordo?».
Kreacher annuì piano.
«Ora» disse Harry pacatamente, quando Ron lo ebbe
lasciato andare, «A chi è stato venduto il
medaglione?».
«Oh, Kreacher l’ha vista, oh, si» disse
l’elfo, con voce roca, gli occhi ridotti a due fessure mentre
si perdeva in quel ricordo. «Kreacher l’ha sentita
dire che la sua era una grande famiglia di maghi, oh, si,
l’ha sentita... ma Kreacher ha sentito parlare da lei dalla
signora Cissy, e sa che non è che una Mezzosangue come tutti
gli altri... ha rubato il medaglione di padron Regulus, ma Kreacher sa
che non è suo, lo sa...».
«Ehm, Kreacher.... chi è stato?»
ripeté Harry, paziente.
Kreacher sembrò riscuotersi dopo un lungo sogno. Lo
guardò coi suoi occhi bulbosi appena appannati.
«Kreacher non ricorda il suo nome»
gracchiò. «Ma è la strega che sembra un
rospo, Kreacher l’aveva già vista sul giornale,
quando il signorino Black» Harry si irrigidì
appena «leggeva il giornale, era ad Hogwarts».
«Intendi la Umbridge?» esclamai, orripilata.
Kreacher annuì controvoglia, senza guardarmi. Guardai Harry
e Ron, che ricambiarono con un’espressione identica alla mia.
Poteva davvero essere..?
«Quindi... quindi non ce l’ha
più?» aggiunsi, in un pigolio.
«Kreacher ha visto l’immagine del medaglione
assieme agli oggetti che hanno venduto. Kreacher ha sentito che la
Umbridge è ad Azkaban, Kreacher è contento, lui
è contento che finalmente smetta di inquinare il buon sangue
di mago con...».
«Grazie, Kreacher» tagliò corto Harry.
Era finalmente arrivato il giorno di Halloween, e perbacco, era proprio
vero che faceva paura. Per la precisione, temevo i miei compagni di
Casa e la loro folle idea di fare baldoria dopo il banchetto. Temevo
anche Zabini, che era ancora molto incazzato, e l’idea di
incontrare Nott non mi piaceva.
Che persona fortunata ero.
Ero seduto sotto un albero presso il lago, e come mi capitava di fare
in continuazione negli ultimi giorni, ripensavo tetramente a quello che
sapevo su Lord Voldemort – di recente noto come Strisciante
Scocciatura – e sul fatto che, mentre lui si godeva le sue
vacanze in città (magari aspettando il suo turno per un
thé con la regina) e Potter e i suoi amichetti vagavano per
l’Inghilterra in una perversa caccia al tesoro non
autorizzata, io marinavo nel silenzio e dimenticato da tutti. Perfino i
miei genitori non mi mandavano più lettere per posta, cosa
che giudicavo inaccettabile. Come diavolo occupavano il tempo, curando
la pelle con maschere di muffa? Mio padre soffriva di reumatismi; gli
auguravo un attacco di artrite.
Avevo stilato mentalmente una lista intera di possibilità su
come avrei potuto agire, che riporto così come
l’ho mentalmente preparata:
1. ANDARE A TROVARE LORD VOLDEMORT (a.k.a. Malefica Merda) con una
scatola di cioccolatini sottobraccio e – possibilmente
– la testa di Potter. Con il risultato di essere eletto
Impiegato del Mese, anche se il premio non è uno
scaldabrioches o una trapunta, ma la possibilità di
torturare e mutilare Babbani per tutta l’eternità
mentre lui si gode la scena sorseggiando limonata.
BOCCIATA. Ma se mi offrisse lo scaldabrioches, ci farei un pensierino.
2. ANDARE DA POTTER E COMPAGNIA e rivelare loro che Lord Voldemort
(S.B., Suprema Biscia, per emarginati incazzati) si trova
verisimilmente nella mia Jacuzzi di città nonostante il
Ministero degli Idioti (Ministero della Magia per chi ci crede ancora)
l’abbia magicamente sigillata. Con il risultato che
quell’idiota di Potter probabilmente riterrebbe che fare
irruzione nel mio salotto con la schiuma alla bocca e Schiantare
qualche Mangiamorte intento a leggere Trasfigurazione Oggi per poi
sfuggire per l’ennesima volta al Signore Oscuro (C.C., Cobra
Calvo per frustrati con i capelli) sia un successo.
BOCCIATA. Stiamo parlando di Potter.
3. ANDARE DALLA MCGRANNITT E SPIFFERARE TUTTO. Anche il colore delle
mutande del Signore Oscuro (P.P., Psicopatico Pitone per Serpeverde
reietti) e poi sperare che risolva tutto lei, con in risultato che
probabilmente lei morirebbe di vecchiaia prima di Smaterializzarsi alla
volta di Londra.
BOCCIATA. Non solo perché quella vecchia megera ha
più rughe che neuroni; ma anche perché sono
magicamente costretto dalla stupida Granger a stare zitto.
4. MANDARE AL SIGNORE OSCURO (Biforcuto Bastardo per ormai accertati
antipatizzanti) una foto di Weasley nudo, con il risultato di
provocargli un infarto.
BOCCIATA. Chi ha voglia di fotografare Weasley nudo, a parte forse
Potter? E non intendo certo chiederglielo.
5. RISOLVERE IO LA QUESTIONE grazie alla mia intelligenza superiore, al
mio carisma, al mio fascino, e al fatto che non ho altro da fare
altrimenti.
BOCCIATA. Insomma, non sono stupido.
6. SUICIDARMI. Con il risultato di evitare ogni problema, incluso il
compito di Trasfigurazione della settimana prossima.
BOCCIATA. Finché sono vivo e sano di mente (= non
appartenente né a quelli sciroccati della banda Potter
né ai Mangiamorte) c’è speranza.
Insomma, anche gente con un handicap come Potter riesce ad integrarsi
nella società, giusto? Dunque perché non potrei
riuscirci anche io?
7. ASPETTARE. Magari il Signore Oscuro prenderà un
raffreddore particolarmente violento e morirà.
Chissà, magari non ha mai avuto il morbillo. O magari si
taglierà mentre si fa la barba e morirà
dissanguato. O cadrà in un tombino mentre aiuta una vecchia
ad attraversare. O magari sarà Potter che lo
ammazzerà (naturalmente senza volerlo). Tutto quello che
devo fare è aspettare che uno dei due abbia la meglio. Se
anche vincesse Lord Vogliolatuamort non potrebbe comunque rompere
l’Incanto Fidelius. E poi sono un bravo Occlumante
– dico davvero, lo sono. Certo, il Signore Oscuro
è un Legilimens straordinario, ma ciò non
significa che sia infallibile. Me ne sono accorto l’anno
scorso, quando ero in sua presenza; non sempre capiva quello che stavo
pensando.
Inutile dire che propendevo per la settima opzione, con
l’unico difetto di avere sempre e costantemente un peso nel
cuore. Ma insomma, c’è gente che sta peggio.
Guardate Potter.
Sospirai, cercando di tornare a concentrarmi sull’Incanto
Proteus che – nonostante la mia ultima performance durante
Incantesimi – ancora non sapevo padroneggiare. Ero riuscito a
trasferire una intera frase («la McGranitt è una
vecchia megera») da un foglio all’altro, ma per
qualche ragione non riuscivo a replicare qualcosa a più di
venti centimetri di distanza. Così, nonostante nella mia
mente lampeggiasse ancora l’immagine di Lord Voldemort
– diciamocelo, non aiuta granché nella vita
quotidiana – cercavo disperatamente di capire se ad essere
sbagliato fosse il movimento o la mia pronuncia.
Fu allora che, con grande angoscia, vidi avvicinarsi a grandi passi il
mio trio preferito, Hermione Granger in testa. Decisi che, se avessi
finto di non vederli, si sarebbero allontanati; come i fantasmi o gli
incubi, con i quali mi sembrava avessero molto in comune. Che cosa mai
potevano volere da me, adesso?
Chinai il capo sul volume polveroso preso in biblioteca; Madama Pince
mi aveva guardato con intenso odio quando lo avevo preso dal Reparto
Proibito, mentre io le sorridevo con innocenza. Era un volume abnorme
dove si trattava di magie dubbie, e cercavo disperatamente di trovare
una scorciatoia per cavarmela nel prossimo test.
Mentre lo facevo, comunque, la mia mente lavorava intensamente. Avevo
già pronta una risposta salace. “Malfoy, dobbiamo
parlare con te” avrebbe detto la Granger in tono autoritario.
Io avrei battuto le palpebre un paio di volte, apparentemente
chiedendomi se davvero stessero osando parlare con me. Li avrei
guardati con una certa sorpresa indignata, inclinando il capo. In tono
annoiato e beffardo, allora, avrei risposto: “parlare con
voi, Granger? Cos’è, avete finalmente deciso di
fare un salto di qualità? Spiacente, purtroppo il sangue
puro non si può comprare” o qualcosa del genere.
Poi, assunta una posizione indubbiamente affascinante che avrebbe
sedotto tutti e tre – non dubitavo che sia Potter sia Weasley
avessero tendenze omosessuali nascoste – avrei aggiunto:
“ora andatevene. Mi coprite la luce”.
Nascosi a stento un sorriso soddisfatto mentre si avvicinavano, e
affettai un’aria intellettuale. A differenza loro, ero una
persona intelligente.
Poi li vidi deviare verso una vecchia quercia a qualche metro di
distanza. Non si erano neanche accorti di me.
Seriamente indispettito – e deluso – mi voltai di
scatto verso di loro. Erano immersi in una conversazione seria, ma
più che preoccupati sembravano stanchi. Era evidente che
stavano parlando di qualcosa che stava loro a cuore. Mi sentii
irrazionalmente scocciato; per quale motivo non avevano ritenuto
opportuno includermi nel discorso. Non che ci tenessi a farmi vedere
mentre parlavo con loro, intendiamoci, ma avrebbero dovuto chiedermelo.
E io avrei dovuto rifiutare, e allora mi avrebbero dovuto prendere da
parte dove nessuno poteva vederci e spiegarmi che cosa stavano
combinando...
Mi chiesi se sarei riuscito a scivolare alle spalle di Potter e
ascoltare, ma Weasley gli stava di fronte e per quanto stupido lo
ritenessi aveva degli occhi. Sentendomi un idiota per essere
così irritato,guardai altrove; ma per quanto mi sforzassi di
ripetere mentalmente la fluida stoccata dell’incantesimo da
studiare, le mie orecchie erano disperatamente tese nel vano tentativo
di ascoltare. Non mi giunsero all’orecchio che poche parole:
“medaglione” “Kreacher”
“ministero” “aiuto”. Abbastanza
per mandarmi fuori di testa, se proprio lo volete sapere.
Come ero arrivato al punto di desiderare una conversazione con loro?
Per quanto l’argomento “Horcrux e simili”
mi stesse a cuore, non avrei dovuto perdere le staffe perché
la Granger e i suoi amichetti non volevano parlare con me. Eppure
eccomi lì, seminascosto dietro a un albero, a pregare che mi
vedessero e decidessero di spiattellarmi ogni cosa. La cosa era
così inverosimile che mi persi in cupe meditazioni nel
tentativo di difendermi dall’accusa – che non
poteva essere che infondata – che il desiderio di parlare con
qualcuno, una conversazione vera, mi condizionasse così
tanto. Ma era impossibile non riconoscerlo, non per me. Odiavo quei
tre, ma volevo parlare con loro. Volevo scambiare insulti con la
Granger, o al massimo con Weasley, e detestare Potter per essere
così buonista. Rimanere ignorato anche da loro, beh, quello
era decisamente troppo per me.
«Assorto in cupi pensieri, eh, Draco?» fece una
voce fin troppo familiare alla mia destra. Io, che avevo ricominciato a
osservare di sottecchi il Tristissimo Trio, sobbalzai come colto sul
fatto. Theodore Nott era in piedi accanto a me, il suo solito sorriso
sarcastico sulle labbra, e una scintilla maliziosa negli occhi. mi
sentii raggelare senza volerlo; nel frattempo, con la coda
dell’occhio scorsi che quella frase, detta a voce alta, aveva
richiamato l’attenzione di Potter e compagnia.
Splendido.
«Che cosa stavi guardando?» aggiunse Nott,
sedendosi accanto a me con quell’aria di trasandata
noncuranza che gli era tipica, e che mandava le ragazze fuori di testa.
«Nulla» dissi io in tono svagato. «Nulla
di interessante».
«Capisco» fece lui, appoggiando il capo
sull’albero e sbadigliando impeccabilmente. «Ancora
preso da Incantesimi?».
«Già. Non c’era bisogno di caricarmi di
compiti, visto che in classe lo avevo eseguito correttamente,
no?» feci in un finto tono insofferente. Non guardavo
più i miei ex-nemici (e mai-alleati) sperando che se ne
andassero. Magari con del senso di colpa.
«immagino di si» fece lui facendo spallucce. Poi
tornò a guardarmi, e notai che la scintilla che gli avevo
notato negli occhi quando era arrivato c’era ancora. La
conoscevo, quella scintilla, e portava seri guai, di solito ai nemici,
talvolta agli alleati. Nel caso specifico, a me. «Ma la tua
performance finale deve averlo fatto desistere da qualunque buon
proposito nei tuoi confronti».
Mio malgrado, distolsi lo sguardo, e colsi un barlume di Granger. Era
una mia impressione, o era più vicina..?
«Quelli stupidi traditori del loro sangue devono imparare a
stare al loro posto» dissi, e se qualcuno coglieva il
messaggio, tanto meglio. e poi, come si permettevano di farsi gli
affari miei quando non potevo fare altrettanto?
«Mmh...» disse Nott pensieroso, sfregandosi il
mento, e guardando proprio nella direzione della Granger senza
però notarla, «E la McGranitt? Che cosa
voleva?» domandò.
Se avessi esitato, avrei destato sospetti, ma grazie a Dio la risposta
mi arrivò da sola, subito. «Discutere del mio
rendimento scolastico con lei. I miei voti sono migliorati».
Come faceva a sapere della McGranitt? Glielo aveva detto McNair?
«E ti ha convocato nel suo ufficio?». La voce di
Nott aveva una sfumatura incredula.
«Credeva che stessi copiando» inventai, anche se
non si trattava di cose molto lontane dalla verità. Ehm. Mi
stiracchiai, cercando di mantenere un’aria tranquilla e
annoiata.
«Capisco» disse Theodore, guardando lontano,
meditabondo. Quando si voltò verso di me, era impenetrabile.
«Ed è vero?».
In quel momento ebbi la sensazione che Nott potesse leggermi dentro, e
sapere con esattezza che cosa stessi macchinando dentro di me. Forse
anche meglio del sottoscritto. Avrei potuto dire una mezza
verità, e cioè che qualcuno me li stava facendo,
ma chi poteva volermi fare i compiti? A parte la Granger, certo, ma
questo era meglio che Nott non lo sapesse. Non sapevo
perché, ma era meglio così.
«No» dissi. «Quella vecchia
megera...» scossi il capo, esasperato.
Nott tacque per un po’, e io attesi. Chissà come
sapevo che qualcosa mi sfuggiva, e non era qualcosa che avrei voluto
sapere. Purtroppo.
«Corre voce» disse poi in tono quieto, troppo
quieto, e io sentii per la prima volta con esattezza che ero quasi
fottuto, «che anche la Granger sia stata
convocata».
Quello che provai in quel momento fu qualcosa di inspiegabile. Mi
sembrava – per quanto fosse irrazionale – che avrei
dovuto proteggere la Granger da tutto questo. Non perché ci
tenessi a lei. Neanche per una questione di giustizia. Semplicemente,
quella stupida Sangue Sporco, per quanto si meritasse di essere
disprezzata da sottoscritto, non doveva essere toccata da Nott.
Perché era lei, ed era qualcosa che nella mia mente
strideva. Non riesco tuttora a capire bene di cosa si trattasse,
perché non c’era dietro né affetto
né onore. Era un dato di fatto.
«Da dove viene questa voce?» chiesi, con
un’aria vagamente schifata, come a dire, ehi, ma ti sembra
possibile?
Nott alzò le spalle. «Qualcuno dei Tassorosso,
credo, per quanto non riesca a capire chi di noi possa avere contatti
con i Tassorosso. Facevano lezione con la Granger – Pozioni,
se non erro – quando è stata convocata. Quando
l’ho saputo» si interruppe, cercando le parole, e
intanto grattandosi il naso pensieroso, «quando
l’ho saputo mi sono chiesto che cazzo di affari poteste avere
in comune».
«Già. Vorrei saperlo anche io» dissi,
scoppiando a ridere. «probabilmente sarà andata
ore prima di me. Non l’ho neppure incrociata».
Nott alzò le spalle. «Lo immaginavo»
dichiarò, con un ghigno soddisfatto.
«Anche se lo ammetto» dissi, con una espressione
platealmente ferita, «aver perso un’occasione di
rimirare la Babbana Zannuta...». e finsi di asciugarmi le
lacrime. Scoppiammo entrambi a ridere, e io mi sentii meglio, molto
meglio. il mondo tornava al suo posto, almeno un po’.
La banda dei tre era sparita.
Io ci provavo a dare retta a Calì, ma il pensiero del
medaglione, di Malfoy e di altre disgrazie mi obnubilava la mente,
sicché ascoltavo una parola su tre. Era il favoloso
banchetto di Halloween, tutti pensavano solo a mangiare e a divertirsi,
ma io ero turbata. Avrei voluto approfittare di quella occasione per
preparare un piano per recuperare il medaglione, nonostante Kreacher
non lo avesse ancora trovato. Invece dopo il banchetto, e fino alle
undici e mezzo, avrei dovuto pattugliare una zona della scuola, come
tutti i caposcuola e i prefetti, per assicurarmi che nessuno di quelli
degli ultimi anni facesse stupidaggini. Ron ed Harry, che avrebbero
dovuto appoggiarmi, o sostituirmi, nelle mie macchinazioni, avevano
alzato gli occhi al cielo.
“Hermione” aveva detto Ron. “Sei una maga
straordinaria e tutto il resto, ma sei incapace di
divertirti”.
“Non è vero!” avevo strillato io,
indignata. “Harry, non pensi anche tu che gli Horcrux siano
molto più importanti di una stupida festa?”.
“Ehm...” aveva detto Harry poco convinto,
“beh, ecco... fino a quando Kreacher non torna, non credo che
sia un crimine fare altro, no?”.
E proprio mentre stavo per replicare, furiosa, che da lui non me lo
sarei mai aspettato, era arrivato Seamus che aveva reclutato lui e Ron
per allestire la Sala Comune. me n’ero andata, furibonda,
mentre Ron mi strillava che forse sarebbero arrivati un po’
in ritardo al banchetto. Ed infatti, nonostante fossero passati
più di venti minuti, di loro non c’era neppure
l’ombra.
E così eccomi lì, seduta da Calì e
Ginny che fissava tetra il suo piatto. Qualcosa mi diceva che fosse in
procinto di tornare single, ma non volevo certo essere io a
sottolinearlo. Aveva tutta la mia comprensione.
Calì mi stava appunto parlando di sua sorella Parvati, che
apparentemente aveva deciso di rimanere nel suo dormitorio e studiare,
e di come lei invece intendesse passare la serata – il tutto
condito da una serie infinita di risatine – quando Colin
Canon emerse dalle tenebre alle mie spalle, chiamandomi per nome con la
sua voce ormai piuttosto possente.
«Hermione!».
Sobbalzai, versandomi addosso il succo di zucca. Mi voltai verso di
lui, fulminandolo. «Colin... perché non avvisi,
prima di sbucare...».
«Scusami, Hermione!» fece lui, mortificato. La
macchinetta fotografica ballava avanti ed indietro mentre spostava il
peso da un piede all’altro, imbarazzato. «La
professoressa McGranitt vuole vedere i Prefetti e i Caposcuola. Sai,
per assegnare le zone da pattugliare».
«Oh. Perfetto» dissi, mentendo.
«Quando?».
«Non appena avrai finito di mangiare. Vuole vedervi
lì» ed indicò la sala dove,
più di due anni prima, Harry aveva raggiunto gli altri
campioni del Torneo Tremaghi. Io non ci ero mai stata. Scrollai le
spalle. «Ottimo» dissi. «Grazie,
Colin».
«Figurati» disse lui, con un gran sorriso.
«Ehi, senti, pensi che alla festa di stasera Harry si
farà fare una foto con...?».
«Ehm... credo di si» dissi, incerta. Poi, pensando
ai due che mi avevano piantata, aggiunsi: «Si, direi che ne
sarebbe felice».
«Forte» disse lui, soddisfatto. «Ehi...
allora ci si vede, eh?».
«Si, certo» feci io, già altrove con la
mente. I miei occhi si erano posati sul tavolo dei Serpeverde, e come
sempre in quegli ultimi tempi avevo fatto per cercare Malfoy. Quel
pomeriggio lo avevo sentito mentre parlava con Nott, e anche se non
avevo colto tutto, mi era sembrato che Malfoy fosse preoccupato.
Inoltre, mentre parlavo con Harry e Ron, non lo avevo notato. Mi chiesi
quanto avesse sentito, e se fosse il caso di preoccuparsi. Nonostante
il discorso che gli aveva fatto la McGranitt...
Ma lui non c’era.
Scossi la testa mentre Canon si allontanava, e mi versai del succo con
aria assente. Perché Malfoy non c’era? Pensai
distrattamente che era un bene che non fosse più Caposcuola,
altrimenti avrei dovuto incontrarlo a breve. Anche se non ero certa di
preferire Nott, anzi, mi dava decisamente sui brividi.
Incrociai lo sguardo di Calì, e mi resi conto che dovevo
averla ignorata per interi minuti.
«Scusami» dissi, mortificata. «Sono un
po’ distratta. Dicevamo?».
«Tu conosci bene C-Canon, vero?» domandò
Calì, senza preavviso.
«Ehm... beh, abbastanza. Era ossessionato da Harry, i primi
anni, no? E poi, ora che è Prefetto, ci parliamo
spesso» risposi, incerta.
«perché?».
La vidi arrossire, e rimasi basita. Spesso rimproveravo Ron ed Harry
per essere ciechi, ma mi resi conto di essermi persa qualcosa fino ad
allora.
«Lo trovi simpatico?» chiese ancora lei.
«Abbastanza. Un po’ pressante, forse»
dissi. «Calì, a te...».
Lei arrossì furiosamente. «lo chiedevo solo
così, per sapere» disse lei.
Certo.
Cambiai argomento, e fino a che non mi sentii piena come un uovo non mi
alzai dal tavolo. Poi salutai le altre (anche Ginny, che sembrava in
coma) e mi avviai verso la McGranitt, che stava parlando con il
professor Lumacorno nei pressi del luogo di ritrovo. Vedendomi, mi
salutò con un cenno severo del capo. Ricambiai, ed entrai
nella piccola stanzetta.
Colin mi aspettava già assieme ad Ernie Mcmillan, caposcuola
di Tassorosso. Naturalmente. Li salutai e mi sedetti con loro sul
divano scarlatto di fronte al fuoco. A breve i prefetti Corvonero
entrarono, seguiti a ruota da uno di quelli Serpeverde, da Romilda Vane
(l’altro prefetto dei Grifondoro, purtroppo) e dal caposcuola
Corvonero, Sophy Kinsman. Nott invece non c’era ancora quando
la McGranitt entrò.
Ci impartì una predica di mezz’ora su quello che
avremmo dovuto fare, prima di assegnare le aree che gli studenti
avrebbero dovuto controllare. L’altro prefetto Serpeverde,
arrivato in ritardo, fu assegnato alla zona dei sotterranei. Alla
ragazza invece quella dei corridoi del piano terra e della zona dove si
trovava il bagno di Mirtilla. Tra gli altri Prefetti la McGranitt
assegnò a coppie alcune zone (assai più liete)
della scuola. Le altre toccarono ai caposcuola.
«Signorina Granger, lei ed il signor Ernie avrete un compito
particolare. Dovrete sorvegliare assieme la zona attorno al castello,
per assicurarsi che nessuno sgattaioli fuori in piena notte.
È meglio che siate in due, vista l’ampiezza del
parco».
Ernie annuì più volte e così feci io.
Se solo avessi immaginato.
«Vaffanculo, vecchia pipistrella» fece Nott,
raggiungendomi. Ero nel mio dormitorio, rifiutandomi di prendere parte
al caos che sentivo provenire dalla sala comune. Non che avessi la
possibilità di parteciparvi.
«Di chi parli?» domandai, senza neanche voltarmi a
guardarlo. Ero stanco e depresso.
«Della McGranitt. Sono arrivato quando gli altri stavano
già andando, e mi sono perfino scusato. E quella vecchia
megera che cosa ha fatto? mi ha tolto dieci, luridi punti, e mi ha
assegnato i corridoi degli ultimi piani, che pullulano di
Grifondoro» si lamentò lui, scornato. «E
quel deficiente di Zabini e gli altri... li ho visti mentre sgusciavano
verso l’ingresso. Vogliono trovare un angolo tra gli alberi e
fare baldoria all’aperto».
«Zabini è un idiota».
«Certo che lo è» disse Nott, alzando gli
occhi al Cielo. «ma ancora di più lo sono Tiger,
Goyle e gli altri, se proprio vuoi saperlo. So per certo che hanno
portano nella scuola tre – tre –casse di Ogden
Stravecchio, Dio solo sa come, e che se lo staranno probabilmente
già scolando. Se qualcuno li scoprisse, non voglio neppure
sapere quanti punti la preside potrebbe toglierci».
«Più di quanti potremmo mai guadagnare in questi
cinque anni» dissi io pigramente, «e che dopo non
si dica che non fa favoritismi».
«Oh, i suoi amati Grifondoro hanno avuto gli incarichi
migliori, ovvio» disse Theodore, sprezzante. «I
prefetti devono pattugliare il terzo e quarto piano, figurarsi, e la
Granger... non ha che da fare un giretto per il parco assieme a
Mcmillan».
«Uuh...» ghignai io, «soli soletti, eh?
Chissà, magari Mcmillan si dichiarerà, ho sempre
pensato che avesse un debole per lei...».
«Mmh...» disse Nott, senza scomporsi, ma sorridendo
al pensiero.
«Chissà, magari approfitteranno degli alberi
per...».
Alberi. Zabini e gli altri erano tra gli alberi in quel preciso
istante. E la Granger, con quell’idiota Tassorosso, li
avrebbe sicuramente incontrati. Quel pensiero mi travolse
all’improvviso. Un flash della Granger che si azzuffava con
Tiger e Goyle, con Mcmillan che stava a guardare, come un idiota.
E nessuno ad immaginare che potesse succedere qualcosa a quei due
imbecilli, nonostante marciassero verso una ventina di Serpeverde
ubriachi.
Ma in fondo, era improbabile che accadesse qualcosa. La Granger era fin
troppo furba, e Tiger e Goyle troppo poco. Magari Ernie Mccoso avrebbe
strillato abbastanza forte da attirare l’attenzione di
qualcuno. Magari del semiumano Hagrid. Comunque, mica li avrebbero
uccisi. E se anche la spaventavano un po’, o le facevano
qualche scherzo idiota, non era affare mio, né poteva o
doveva importarmi.
Vidi la Granger appesa a testa in giù strillare improperi
senza poter fare nulla, agitando le braccia verso la bacchetta senza
arrivarci. Non mi diede soddisfazione, ma neppure un particolare
dispiacere. Si meritava una lezione.
La vidi ripiombare a terra, tutta rossa e tremante di rabbia. Gli occhi
che luccicavano.
Provai fastidio. Come quella mattina, avevo l’impressione che
qualcosa non quadrasse. Non aveva a che fare con i miei sentimenti, non
proprio, ma c’era qualcosa che sembrava sbagliato, fuori
posto in quella immagine. Come una zebra al polo nord.
No, no. Non potevo davvero pensare di... insomma, perché
avrei dovuto? D’accordo, forse era ingiusto. E allora?
L’ingiustizia era all’ordine del giorno. Non
sarebbe morta. Non dovevo immischiarmi.
Un’altra immagine, del tutto diversa, riemerse nella mia
mente. La sua faccia mentre mi diceva che non aveva detto alla
McGranitt dell’Incanto Fidelis.
Dannazione.
Visto quello che mi importava di lei, era una fortuna che fossi in
debito.
SPAZIO
DELL’AUTRICE
Ciao a tutti!
DUNQUE, come avete notato, questo capitolo è stato diviso in
due parti... diciamo che nel progettarlo avevo sopravvalutato la mia
capacità di sintesi... ed inoltre, così posso
tenervi in sospeso, eh eh.... la conclusione arriverà la
prossima settimana, ma se sperate in una scena di grande romanticismo,
state freschi. Draco è ben lungi dall’essere
innamorato di Hermione, come scoprirete, anche se non la detesta
più come prima. Spero di non avervi delusi, lo so bene che
può sembrare forzato che Draco decida per un eroico
salvataggio... aspettate e vedete, e ditemi cosa pensate!
A presto!
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Capitolo 10 *** Pureblood prince charming - part two ***
«Per
l’ennesima volta, Ernie» dissi, esasperata.
«Non ho sentito nulla».
«Andiamo,
Hermione!» disse il mio compagno di
disavventura, nervosamente, tenendo entrambe le mani strette a pugno
sulla
bacchetta che sembrava scomparire tra le mani
grassocce. Ernie non sembrava curarsi molto del suo fisico ma con tutto
quello che stava sudando dalla paura, prima di tornare al suo
Dormitorio si
sarebbe dimezzato. «Forse dovresti dare
un’occhiata». Dovresti, non dovremmo,
notai. In caso di vero pericolo Ernie poteva
pure essere affidabile, ma la prospettiva di sorprendere due ragazzi a
pomiciare dietro a quel cespuglio lo terrorizzava.
Sospirando, gettai uno
sguardo alla finestra
illuminata della Torre di Grifondoro. Tutti gli altri si stavano
divertendo,
mentre tutto quello che avevo io era Ernie Mcmillan. Mi sforzai di
essere il
più possibile positiva; dopotutto, la McGranitt ci aveva
affidato un compito
davvero importante. Avrei dovuto esserne felice, e lo ero, ma... era il
quarto
cespuglio che controllavo.
Mi avvicinai al punto
che Ernie mi indicava e –
sorpresa, sorpresa, non trovai nulla. «Qui non
c’è nulla» dissi, nello stesso
tono paziente che avrei potuto usare con Ron o Harry prima di dare loro
i
compiti. «Ehm... senti, Ernie, perché non ci
dividiamo? Così finiremo prima».
«Non credo
sia una buona idea» disse lui pomposo,
aggiustandosi la veste; scongiurato il pericolo, era tornato a parlare
con la
solita baldanza. «Maghi molto più potenti di noi
non oserebbero...». Avrei
potuto fargli notare che Hogwarts, con tutti i suoi difetti, non era
ancora
vittima del potere del Signore Oscuro, e che il pericolo maggiore che
potevi
aspettarti era probabilmente una fattura lanciata da un Serpeverde. Non
lo
feci. Avevo altro per la testa.
Prima di incontrare
Ernie all’ingresso ero andata
in bagno per sciacquarmi di dosso l’inchiostro che Pix mi
aveva spruzzato
addosso al terzo piano. Mentre ero al gabinetto, avevo udito la porta
aprirsi e
la voce squillante di Lavanda – che riconoscevo anche a
grandi distanze, e non
per motivi molto positivi – ridursi ad un tremulo bisbiglio.
«...capito...
fatto... Parkinson...». Mi ero sforzata di ascoltare, quasi
– quasi –
desiderando una delle Orecchie Oblunghe dei Weasley. Oh, ok,
rimpiangendo di
non averle portate con me dal dormitorio.
«Neville ha
capito..?» stava dicendo un’altra voce,
che somigliava in modo sospetto a quella di una delle amiche ridarelle
di Cho
Chang.
«No...
speravo che tu avessi capito... Padma...».
Avevano aperto uno dei rubinetti, e nello scroscio dell’acqua
il resto della
frase era andata perduta.
Avevo perso un altro
paio di battute, prima che
Gabriella – o come diavolo si chiamava – dicesse in
tono più alto: «Ma
Neville... il modo in cui ci ha detto quello che è
successo...» e aveva fatto
una pausa a effetto. «Ultimamente è
strano».
A quel punto avrei
pagato un centinaio di galeoni
per sapere esattamente che cosa era successo. Non solo sembrava che
Padma Patil
non avesse voluto stare nel suo dormitorio a studiare come la sorella
credeva;
ma Neville era davvero
strano negli
ultimi giorni e io non ci avevo neppure fatto caso.
A riportarmi al
presente fu Ernie, che da un po’
camminava in silenzio al mio fianco. Mi afferrò
improvvisamente il braccio, ma
non ci badai troppo, pensando che stesse facendo uno dei suoi drammi,
come
sempre.
«Hermione...»
sussurrò. Lo guardai senza mettere
davvero a fuoco. «Hermione, hai sentito?».
«Ernie...
non sento niente» lo assicurai
meccanicamente.
«Sst!
Ascolta!» fece lui, in tono insolitamente
brusco. Obbedii. Tesi l’orecchio, ed effettivamente, udii un
suono proveniente
da una zona fitta di alberi appena fuori dalla Foresta. Avrebbe potuto
essere
qualunque cosa.
«Sarà
un animale» dissi, a voce bassa mio malgrado.
«Oppure...».
«Dobbiamo
andare a vedere» disse lui. Sembrava
risoluto, e questo mi fece sospettare. Ascoltai ancora. Si udivano dei
fruscii,
più di uno, e persino...
Voci?
Lo trattenni per il
braccio e lo spinsi più vicino
alla foresta. «Ernie» dissi, risoluta.
«Ascoltami. Non sappiamo cosa ci
potrebbe essere lì. Vai dalla McGranitt ad avvertirla,
mentre io...».
«Da
sola?» disse Ernie, incredulo. «Hermione, non
credo che...».
«Non ho
bisogno di aiuto. La McGranitt...»
«Non ha
importanza» disse lui, in tono severo.
«Hermione, so bene che tu sei in grado di cavartela.
Però anche io facevo parte
dell’ES, no? voglio accompagnarti».
Lasciai perdere,
vagamente commossa. «Seguimi» gli
dissi, e facendo attenzione a dove mettere i piedi, percorremmo la
distanza che
ci separava dalla fonte del rumore con lentezza, costeggiando la
foresta.
Fu così che
li vedemmo. Erano una quindicina, tutti
Serpeverde, evidentemente intenzionati a fare baldoria tutta la notte.
Nascosta
con Ernie dietro un cespuglio, li osservai. Tra Zabini, Tiger e Goyle
prevedevo
più di una grana. Meditai sulla possibilità di
lasciarli a gozzovigliare e
tornarmene al castelli; lo avrei fatto, se non avessi temuto che
qualcuno di
loro si facesse male. I centauri non erano ancora molto amichevoli, e
non erano
certo l’unica cosa che potesse darci dei problemi.
Ernie accanto a me era
visibilmente terrorizzato. I
suoi occhi mi chiesero che cosa avremmo dovuto fare, e gli feci cenno
di
lasciarmi pensare.
«Ma insomma,
Zabini» sbuffò un Serpeverde tarchiato
e brutto, che ricordai di aver visto talvolta aggirarsi con Goyle.
«A noi puoi
dirlo».
«Te
l’ho detto. è stata la McGranitt a
trattenermi»
fece Zabini, annoiato. Affascinata, rimasi ad ascoltarli. Perbacco,
cominciavo
a capire perché Harry si metteva a spiare la gente senza
riserve.
«Non
è certo la prima volta che sparisci» disse
Goyle, evidentemente fiero della sua acutezza.
«Si, beh, a
differenza vostra, ho parecchi M.A.G.O.
a cui badare» disse Zabini indifferente.
«Blaise, te
l’ho detto, non avresti dovuto
scegliere così tante materie» cinguettò
quella vacca totale della Parkinson.
Ricordandomi che scenette simili erano state un tempo riservate a Draco
Malfoy,
pensai che forse era fortunato a essere un reietto.
«Si, beh,
non è nulla che non possa riuscire a
gestire» fece Zabini, improvvisamente borioso. «Non
come quell’idiota di
Nott... l’ho già battuto due volte,
quest’anno».
«Si, beh, ma
i professori non hanno molta voglia di
incoraggiare la maggior parte di noi, no?» fece un tizio
dall’aria consunta
che, ricordavo, era imparentato alla lontana con Avery e con i
Lestrange. «Dopo
l’attentato al Ministero, nessuno intende favorirci, neppure
Lumacorno. Almeno
non siamo finiti come Draco, ma gente come Nott, visto il suo legame
con il
Signore Oscuro...» e scrollò le spalle.
«Che cosa
vorrebbe dire questo, Dobbin?» fece
Zabini, irritato. «Che secondo te la mia bravura è
dovuta alla scarsa
partecipazione della mia famiglia agli affari dei
Mangiamorte?» e fece una
smorfia. «Ridicolo».
«Beh,
nessuno di voi ha rischiato nulla, non è
così?» interloquì un tizio con la
faccia scavata dall’acne, che non ricordavo
di aver mai notato. «Chi è il nuovo marito di tua
madre, un impiegato al Ministero,
no?».
La faccia terrea di
Zabini si irrigidì. Mi persi la
sua risposta, comunque, e quasi rischiai di tradirmi, quando sentii un
rumore
lieve alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e – sorpresa,
sorpresa – mi
ritrovai faccia a faccia con Malfoy, che veniva dritto verso di me.
Sfoderai la bacchetta.
Apparentemente
infastidito dal mio gesto, mi fece
cenno di abbassare la bacchetta e stare zitta. Sospettosa, abbassai la
mia
arma, ma solo un po’. Ernie, accanto a me, aveva
un’aria ostile.
Malfoy
passò qualche istante a scrutare le figure
al di là del cespuglio, l’aria tetra.
Probabilmente non essere stato invitato
gli rodeva più del previsto. Lo capivo, rodeva anche a me
non poterlo beccare
assieme agli altri. rimasi a guardarlo, corrucciata, finché
non tornò a
concentrarsi su di me.
«Granger»
sillabò, muto. «Ti conviene andartene di
qui».
«Cosa ci fai
tu qui?» risposi nello stesso
linguaggio, a braccia incrociate.
Lui alzò le
spalle, a sottintendere che non erano
affari miei e che si trovava lì per caso. Chissà,
forse era venuto per spiare i
suoi ex amici. Non erano, effettivamente, affari miei.
«Andatevene» aggiunse.
«Devo fare
qualcosa» obbiettai, scocciata.
«Che ti
importa, stupida?» domandò lui, disgustato.
«È
questione di sicurezza» dissi, petulante.
Malfoy mi
guardò, sprezzante. «Credi davvero che
riusciresti ad andare lì in mezzo e cavartela?» mi
domandò in un soffio di
puro, gelido disprezzo.
Alzai le spalle a mia
volta. Lui guardò altrove,
l’aria di chi sta per vomitare. Qualcosa sembrò
attirare la sua attenzione,
perché si irrigidì, e si incurvò di
più, come temendo di essere stato sorpreso.
«Astoria,
tutto bene?» disse qualcuno in
lontananza. «A cosa stai pensando?».
«Nulla di
particolare» disse una voce fredda di
ragazza. Io, temendo di aver perso dieci anni di vita per lo spavento,
aguzzai
le orecchie e feci cenno agli altri due sventurati di non farsi vedere.
Potevo
anche avere l’autorità di un Caposcuola, ma essere
scoperti dietro un cespuglio
non ci avrebbe sicuramente aiutati a spaventarli.
«Astoria
è sovrappensiero» disse la voce leziosa
della Parkinson, che sfumò in un risolino. «A chi
è che stai pensando?».
«A nessuno,
anche se non penso che la cosa vi
riguardi» disse la ragazza di nome Astoria, in un tono
dignitoso. Aveva una
voce fredda e severa, ma per nulla sgradevole, anche se non esprimeva
alcun
sentimento. Dava i brividi, ma tutto era meglio dello sbrodolio
sentimentale e
viscido di Pansy.
Nessuno
sembrò propenso a replicare, e Pansy lasciò
perdere, sconfitta.
«Mentre tu,
Pansy, a chi pensi esattamente?» fece
una ragazza dall’aria cavallina che ricordava in maniera
impressionante la zia
di Harry.
«Non ti
riguarda, Prince» scattò la Parkinson,
offesa dal tono provocatorio dell’inquisitrice. A quelle
parole, raddoppiai
ulteriormente i miei sforzi uditivi. Prince? Poteva essere che...
Uno starnuto
proveniente dalla mia destra mi fece
raggelare il sangue. Mi voltai, inorridita, consapevole del silenzio
improvviso
che era calato attorno a me. Ernie si teneva una mano sulla bocca,
decisamente
spaventato. Mi ero inavvertitamente sporta in avanti per cercare di
sentire, e
così facendo gli avevo spinto un ramoscello su per una
narice. Io ed Ernie ci
scambiammo un’occhiata inorridita.
«Che diavolo
è stato?» aveva intanto biascicato
Tiger nel suo consueto tono da troll, mentre Goyle si alzava, la
bacchetta alla
mano. Strinsi la presa attorno alla mia, cercando con gli occhi una via
di
fuga, mentre i passi del Serpeverde si avvicinavano...
In un unico istante,
accaddero diverse cose. Primo,
Ernie cercò di mettersi in ginocchio, e perse
l’equilibrio, urtando il
cespuglio e mostrando inequivocabilmente la nostra presenza. Secondo,
Draco
Malfoy si gettò dietro a un albero lì accanto.
Terzo, proprio mentre il Fottuto
Furetto – passatemi il termine – svaniva alla
vista, Goyle sbucò da dietro al
cespuglio, beccando la sottoscritta ed Ernie accucciati lì
dietro.
Immediatamente mi alzai, bacchetta alla mano, indecisa se usarla, ma
pronta
anche a questa eventualità.
«Granger!»
esclamarono alcune voci, tra cui quella
della Parkinson.
«Molto
grave» dissi io rapidamente, sperando che
anche Ernie riuscisse a darsi un contegno. «Studenti del MAGO
che organizzano
una festa clandestina di halloween. Quando la McGranitt lo
scoprirà...». il
cuore mi rimbalzava nel petto, ma apparivo impassibile. Pensai a che
cosa avrei
dovuto fare per salvare me ed Ernie in caso di necessità, e
mi tenni pronta.
Considerai Draco Malfoy; ci avrebbe aiutati? Improbabile, ma non
impossibile.
Chissà, magari con il giusto incoraggiamento...
«Inutile che
ci minacci» disse Zabini quieto, senza
neppure muoversi. «Siete due e siete stati colti sul
fatto».
«Questo non
significa che non possediamo assi nella
manica». Capito, Furetto? Un intervento sarebbe stato gradito.
«Tagliamo
corto» disse Ernie, che incapace di
sembrare minaccioso aveva ripreso il suo tono pomposo nel tentativo di
essere
intimidatorio. «Se tornate subito al castello, ci limiteremo
a togliervi dei
punti».
«E secondo
te daremmo ascolto a te, stupido
ciccione?» fece uno dei Serpeverde, scoppiando in una risata
che si diffuse a
macchia d’olio lungo il gruppetto.
«Vi
conviene» dissi io, parecchio arrabbiata.
«Siamo caposcuola».
«Se avessero
voluto dare autorità al ruolo, di
certo non avrebbero scelto di affidarlo a voi» disse Dobbin,
con un sorriso
maligno. La Parkinson rideva sguaiatamente.
«Molto
spiritoso, ma temo che le vostre
argomentazioni non abbiano alcun peso» dissi io freddamente.
«Tornate al
castello, ora».
Tiger e Goyle presero
a emettere piccoli sgrilletti
da donnette spaventate, agitando grottescamente i grossi pugni in aria,
nella
pantomima di un gruppo di donnette isteriche. Lanciai loro
un’occhiata truce
che li fece arrestare, nonostante tutto.
«Altrimenti?».
Lo sguardo di Zabini era
impenetrabile, e mi fece rabbrividire. Qualcosa non andava in quello
sguardo.
«Altrimenti
nulla» dissi io, gelidamente. «Non ci
sono alternative. Anche se voi ci affatturaste, non la passereste
liscia
comunque. perciò andatevene, e lasciate stare, e nessuno si
farà male,
d’accordo?». Era la tipica frase da film, ma
nessuno di loro ne aveva visti,
perciò speravo che fosse d’effetto. Naturalmente
mi sbagliavo.
«Io dico
invece che sarete voi ad andare, così
nessuno rischierà di beccarsi una fattura» disse
Zabini.
«Nessuna
fattura mi impedirà di cercare di scoprire
che cosa tu stia tramando, Zabini» dissi d’impulso.
Non so come mi uscì, ne
perché lo feci; volevo semplicemente provocarlo, suppongo,
ma l’effetto fu
inaspettato. Forse Zabini non si aspettava che sapessi, o che avessi
sentito.
Comunque impallidì vistosamente, e si alzò in
piedi. «Oblivion!» disse,
fulmineo, e l’incanto volò dritto verso di me. Lo
parai per un pelo, strillai,
“Ernie!” e poi scartai di lato per evitare un
secondo incantesimo di Oblio.
Senza guardare cosa Ernie stesse facendo, affatturai Dobbin che correva
verso
di me e lo lasciai a terra a mugolare, la faccia ricoperta di
tentacoli. Goyle
inciampò contro il suo corpo e quasi mi cadde addosso, ma lo
spinsi via e senza
volerlo lo feci rovesciare contro Ernie e la Parkinson, che caddero
come
birilli a loro volta.
Se Malfoy avesse
voluto aiutarci, saremmo forse
riusciti a cavarcela; solo Zabini era davvero all’altezza, e
al momento
sembrava incerto sul da farsi. Persa la grinta iniziale, mi guardava
cauto, la
bacchetta sollevata. Provai a scagliare una Fattura Gambemolli ma la
respinse e
mi indirizzò contro uno Schiantesimo. Mi mancò
perché Tiger lo urtò mentre
muoveva le braccia cercando di mantenere l’equilibrio, ma
l’Incantesimo
d’Ostacolo di Ernie non glielo consentì. Riuscii,
con mia grande soddisfazione,
a Disarmare la Parkinson, e con un incanto che avevo scoperto da poco
feci
eruttare zolle di terra sotto i piedi di un altro Serpeverde. Ernie era
impegnato contro la ragazza di nome Astoria, che si limitava a deviare
tutti i
suoi incantesimi, tesa. Due o tre Serpeverde erano in fuga verso il
castello,
ma disarmai anche loro. Alla fine Astoria, inciampando su Goyle, cadde
all’indietro. «Mi arrendo» disse, pacata,
e gettò la bacchetta verso di me. Io
mi affrettai a raccoglierla. Zabini scrollò le spalle, e
fece altrettanto.
Con le loro bacchette
nelle nostre mani, c’erano
poche cose che potevano fare. Seguirono me ed Ernie fino
all’ufficio della
McGranitt, imprecandoci contro a denti stretti; tutti tranne la ragazza
Astoria, che mi fissava in silenzio mentre marciavo impettita, e
Zabini, che
faceva lo stesso, ma con l’aria di un disperato.
In cuore mio,
ringraziavo che si era trattato di un
semplice battibecco tra studenti, eppure una parte di me non si dava
pace.
Pensavo a Malfoy, al fatto che sembrava essersi volatilizzato proprio
quando
entrambe le parti avrebbero potuto avere bisogno di lui.
Quella notte
quasi non dormii. Ero rimasto fermo nel mio nascondiglio fino a che i
due
caposcuola non erano svaniti assieme ai loro ostaggi, poi
silenziosamente ero
corso fino al portone ed ero entrato, scivolando non visto per i
corridoi fino
ad arrivare al mio dormitorio. Lì mi ero infilato a letto
ancora vestito e
incazzato, e ora fingevo di dormire per poter pensare.
Ero arrivato con
l’intenzione di aiutare la
Granger, con la quale avevo una specie di debito. Ma non lo avevo
fatto. ero
rimasto nascosto dietro al tronco nodoso di un pino mentre i miei
compagni e i
due caposcuola si lanciavano fatture, e non avevo mosso un dito. Avrei
almeno
potuto farmi vedere, provare a dire qualcosa. Avrei potuto aiutare la
Granger,
che avrebbe certamente finito più in fretta, e McMillan, che
avrebbe potuto
evitarsi un labbro gonfio e un sopracciglio quasi spaccato. Oppure,
ancora
meglio, avrei potuto aiutare gli altri Serpeverde. Sarebbe sicuramente
servito
a cambiare le cose.
Ma non lo avevo fatto.
non avevo fatto un bel
nulla.
Non era semplice paura
di farmi male. Non era
neppure vera paura. Era qualcosa di più sottile e senza
nome, ma se volete, provo
a parafrasarvelo.
Non sapevo da che
parte avrei dovuto stare.
Raccontai tutto alla
McGranitt, che ascoltò con
pazienza e credette a ogni parola. Del resto i Serpeverde non
avevano detto nulla, ed erano rimasti a
capo chino per tutto il tempo. Sorvolai sui discorsi che avevo sentito,
perché
pensavo che la loro situazione fosse già abbastanza grave
così, e specie su
quello che aveva detto Zabini. Omisi anche completamente la parte di
Malfoy,
anche se quello schifoso non se lo sarebbe meritato. Non sapevo neppure
perché
era lì. Notai che Ernie mi fissava, perplesso, ma senza
intervenire. Sveglio
Ernie.
Alla fine, la
McGranitt guardò il gruppo di
Serpeverde con aria truce. «E’ la
verità?» chiese, con l’aria di chi non
ha
affatto bisogno di una risposta. Qualcuno annuì, e Astoria
rimase ferma. Di lei
avevo sottolineato che non aveva fatto nulla per attaccarci,
limitandosi a
difendersi se qualcuno di noi provava ad attaccarla. Zabini disse di
si. Ci
avevo tenuto a dire che mi aveva quasi affatturata, anche se non avevo
detto
dell’Oblivion. Qualunque cosa stesse facendo, non toccava
alla vecchia strega
scoprirlo.
La Preside si sedette,
e sospirò. «Non credo che vi
rendiate conto della mia posizione» esordì.
Nessuno la interruppe, anche se più
di qualcuno la guardò inebetito (Dobbin no – i
tentacoli gli prudevano).
«Sapete anche voi che sono tutti molto spaventati. Fino a
questo momento, mi
ero illusa che aveste capito anche voi l’importanza della
collaborazione con le
altre Case, ma pare che si trattasse di
una semplice farsa. Tuttavia» e tirò su con il
naso, «tuttavia farò
personalmente in modo che tutto questo finisca. Intendo fare del mio
meglio per
assicurarmi che il conflitto tra le Case abbia un termine».
Guardò i Serpeverde
con espressione quasi addolorata. «Siamo tutti maghi di
prim’ordine, a
Hogwarts. Dovreste saperlo voi per primi. Non buttate tutto al vento
per una
pretesa superiorità». Tacque, come aspettandosi
qualche commento, ma tutti
guardavano a terra, notevolmente confusi. «A ognuno di voi
saranno sottratti
venti punti. Domattina scoprirete i provvedimenti disciplinari che
intendo
prendere. Nel frattempo, tornate ai vostri dormitori». Poi,
guardando me, «tu
no, Granger».
Così tutti
uscirono, anche Ernie, che mi lanciò
un’occhiata che era assieme perplessa e solidale.
«Allora,
signorina Granger» disse la McGranitt.
«Posso sapere che cosa ti preoccupa?».
«Niente»
mentii, cercando di sembrare disinvolta.
«Suvvia»
disse la donna, seccamente. «Voglio che
parli chiaro. Il professor Silente ha lasciato a te, Potter e Weasley
un
compito. Posso sapere se lo state portando a termine..?».
«Stiamo
facendo del nostro meglio» le dissi,
sicura, ed era la verità. «Stiamo...
indagando».
«E usate le
gite a Hogsmeade per indagare?» chiese
lei con un’occhiata penetrante. «Era questo che
stavate facendo, quando il
signor Malfoy vi ha scoperti?». Non ero certa di capire dove
volesse arrivare.
In fondo, quando ero andata a dirle di Malfoy, non aveva fatto certe
domande.
Annuii, a testa bassa.
«Ho
incontrato il signor Paciock, oggi» disse la
vecchia strega, di colpo. Sollevai il capo, stupefatta e sorpresa.
«Anche se
forse incontrare
non
è l’espressione
giusta. Ultimamente sono preoccupata per
lui; la fuga di sua nonna lo ha provato». Sospirò.
«Comunque, mi ha
riferito di avervi visti sparire chissà dove a
Hogsmeade, anche se naturalmente non può immaginarsi che
cosa vi spinga
a farlo... teme per voi, e io mi trovo d’accordo con lui.
Anche se ritenete di
non potermi riferire ciò che sapete, questo non toglie che
sia un motivo di
grave tensione tra di noi» e quel noi stava evidentemente per
l’Ordine, «sapere
che tutto sembra dipendere da voi tre».
«Professoressa»
attaccai, a quel punto decisamente
ansiosa. L’idea che avessimo rivelato tutto a Draco Malfoy, e
che non fossimo
arrivati a capo di nulla, mi dava una leggera nausea.
«Capisco perfettamente,
però...». esitai un attimo, ma quando ripresi,
avevo la voce ferma. «Se il
professor Silente ha deciso che toccasse a noi, deve esserci un motivo.
Noi
stiamo facendo del nostro meglio, ma davvero, non possiamo dirvi nulla.
E’....» mi bloccai, incerta. «Sono cose
che
nessuno di noi è pronto ad affrontare. Neppure
voi».
La McGranitt
sospirò. «Avreste dovuto comunque
dirmi che dovevate assentarvi da scuola» fece notare.
«Solo la consapevolezza
che nessuno sappia quello che è successo» e mi
lanciò un’occhiata obliqua, «mi
trattiene dal punirvi».
«Mi
dispiace» dissi, anche se sapevo che non avevo
avuto scelta.
«Quanto sa
Malfoy?» mi chiese lei all’improvviso.
Evidentemente non ero la sola a essere preoccupata per il nostro
viscido amico
strisciante. «In questi giorni l’ho visto
insolitamente preoccupato, e dubito
di essere stata io la responsabile. Mi hai già detto di
avergli spiegato
dell’Ordine, ma francamente, ritengo che sia stata una mossa
pericolosa...
adesso voglio sapere quanto».
La guardai. Avrei
potuto raccontarle tutto; per la
precisione, ero l’unica a poterlo fare. Tuttavia, non lo
feci. Malfoy poteva
anche essere schifoso, ma se la McGranitt avesse saputo quanto sapeva,
lo avrebbe
probabilmente fatto relegare da qualche parte – anche con
l’Incanto Fidelis,
Dio solo sapeva come avrebbe potuto utilizzare le informazioni in suo
possesso.
«Non ha
nulla che possa riferire» la informai
ambiguamente. «Ed è troppo codardo per fare
qualsiasi cosa».
«Può
anche darsi» disse lei, impassibile. «Ma credo
che prenderò provvedimenti».
Non indagai. Qualcosa
mi diceva che era molto
meglio non farlo.
Ero impegnatissimo a
cercare di non vomitare la mia
colazione, quando Astoria Greengrass si sedette accanto a me. La
ignorai, perso
nei miei pensieri. Poco prima, mentre mi avviavo in solitaria verso la
Sala
Grande, avevo intravisto la Granger, e ora, mentre facevo vorticare il
succo di
zucca nel mio calice, cercavo di ipnotizzarmi e convincermi che non
sentivo
nulla di simile al senso di colpa.
Mi sentivo in colpa,
d’accordo. Ma solo un pochino.
Alla fine, comunque,
Astoria si piegò verso di me e
sussurrò, con la sua voce pacata: «Che cosa facevi
ieri sera con Hermione
Granger e quel balordo Tassorosso?».
Mi si gelò
il sangue nelle vene, e sobbalzai, ma
quando mi voltai avevo un’espressione completamente neutra.
Smentire era la
prima regola. «Non so di che parli» la assicurai.
«Davvero?»
fece lei, a voce piuttosto alta. «Che ne
dici se lo chiedo a lei?».
«Innanzitutto,
abbassa la voce» dissi, con uno
sguardo truce che non le fece il benché minimo effetto.
«E in secondo luogo,
sono certo che tu ti stia sbagliando».
«Benissimo.
Visto che entrambi sembriamo esserci
sbagliati, sono certa che la Grifondoro saprà
aiutarci» replicai. Maledizione.
Dopo che mi ero eclissato la sera prima, dubitavo che la Mezzosangue mi
avrebbe
appoggiato. Così, scrollai le spalle. «Ero
lì per caso, quando ho visto lei e
quel Bernie, o come si chiama» dissi sottovoce. Mezze
verità, mezze verità. «Volevo
divertirmi un po’ a torturarli, ma quando vi ho visti ho
preferito non farmi
vedere. Non volevo che equivocassero».
«Tutto
qui?». Gli occhi le brillavano
sinistramente. Annuii, la gola secca, cercando di sembrare sicuro di me.
«Quando
siamo andati dalla McGranitt, la Granger ha
raccontato tutta la storia. Solamente, ha dimenticato di
menzionarti».
«Forse
pensava di non avere alcuna prova».
«Avrebbe
potuto addentrarsi tra i cespugli e
prendere anche te» osservò lei. «e
comunque, sa benissimo che la McGranitt le
crederebbe in ogni caso».
«Che diavolo
ne so?» chiesi, infastidito, sentendo
che il senso di colpa cresceva. «Magari è
innamorata di me, o magari
semplicemente le è sfuggito di mente».
Già. Certo.
«Può
darsi» concesse lei, con un cenno della mano.
«E può darsi di no».
«Insomma,
Astoria. Che cosa vuoi?» chiesi,
stremato.
«La
verità».
«Te
l’ho già detta. E comunque, che te ne
faresti?»
la provocai.
Astoria mosse i lunghi
capelli neri in un’unica
onda seducente. Era davvero carina, nonostante la principessa dei
ghiacci
accanto a lei sembrasse un forno. «Non credo sia giusto
quello che gli altri
stanno facendo» disse, nello stesso tono calmo che avrebbe
usato per qualunque
altra comunicazione. «Non credo che ultimamente ci sia
qualcosa di giusto, in
tutta la comunità magica».
Cielo! Una Serpeverde
idealista! Unica nel suo
genere. «Benvenuta nella realtà» dissi
tetro.
Lei scrollò
elegantemente le spalle. «Nessuno della
mia famiglia è stato un sostenitore di Lord Voldemort. Tutti
noi ci siamo
sempre tenuti alla larga dalla politica. Però io non sono
d’accordo». Mi
guardò. «E non credo lo sia nemmeno tu».
«Sei
pazza?» sibilai, guardandomi attorno. Qualcuno
ci lanciava occhiate occasionali, anche se nessuno sembrava origliare.
«Non
sono cose da dire a tavola».
«Però
sono vere» fece notare lei. «E lo sai».
«Senti»
dissi, con un’altra occhiata furtiva a
quello che succedeva attorno a noi. «Non so che cosa tu creda
o voglia fare, ma
io intendo restarne fuori. Sono un Malfoy, anche se questo non conta
più nulla,
non un attivista o qualcosa del genere».
«Lo hai
detto anche a Hermione Granger?» chiese
lei.
«Cosa
c’entra lei, ora» feci, nervoso.
«Stai
tramando qualcosa, l’ho visto» disse Astoria.
«E questa storia della Granger è
sospetta».
«Non intendo
discutere di queste stronzate»
dichiarai. Lei mi guardò, inespressiva. «Senti,
non sono una spia, o qualcosa
del genere. Penso solo che, se stai facendo qualcosa di utile, vorrei
aiutarti.
Vorrei essere tua amica».
Questa, poi!
«E perché mai?» chiesi, incredulo.
«Perché
mi stai simpatico» disse lei, calma,
versandosi dell’altro succo di zucca.
«Tu...»
cominciai io, ma proprio allora, la Preside
si alzò in piedi battendo più volte col coltello
sul suo calice semivuoto.
Immediatamente, calò il silenzio. piuttosto sorpresi, tutti
gli studenti si
rivolsero al tavolo dei docenti, dove nessuno, a parte la Preside,
sembrava
immaginare che cosa stesse per dire. Ninfa dora Tonks doveva essersi
spaventata
quando la Preside si era alzata di scatto con uno dei suoi movimenti
nervosi,
perché era impegnata a tamponare con il tovagliolo la
propria veste, dopo essersi
versata addosso metà della caraffa. Il professor Vitious
intervenne prontamente
con un “Gratta e Netta”, ripristinando
così la calma.
«Sono
consapevole che nessuno di voi si aspettasse
un annuncio da parte mia» cominciò la Preside.
«Ma posso rassicurare tutti voi
dicendo che si tratta di buone notizie». Ne dubitavo, ma non
feci commenti. «Tutti
voi sapete che i tempi sono bui, ma non è il caso di
abbattersi o di rinunciare
per questo ai benefici che solo la vicinanza ci offre. Ho deciso di
assicurare la
possibilità agli studenti di relazionarsi tra loro con
più facilità per aiutare
tutti voi a comprendere gli indubbi benefici che la cooperazione magica
ci
offre». Fece una breve pausa, mentre un mormorio lieve e
concitato si estendeva
per la sala. «Episodi recenti fanno supporre che questo
obiettivo non sia
ancora stato raggiunto, ed è per questo» e
sollevò la bacchetta che aveva estratto
dalle pieghe della veste ricamata, «che ho preso
provvedimenti». Agitò la
bacchetta, e quattro grossi scatoloni apparvero adagiandosi a terra con
un
tonfo attutito. «Per ogni alunno è stato estratto
a sorte il nome di un
coetaneo, che gli è stato abbinato. Il proprio partner
sarà un aiuto prezioso
sia per lo studio, sia per imparare l’importanza
dell’armonia tra le diverse
Case. Per il resto dell’anno, il vostro partner non
potrà essere cambiato,
salvo eccezioni» e il suo sguardo si fece severo.
«Perciò cominciare con il
piede giusto è essenziale». La Sala Grande era
tanto silenziosa che ero certo
di poter sentire i respiri dei Grifondoro dall’altro capo
della stanza.
«i
Caposcuola procederanno ora alla consegna dei
nomi agli alunni della propria casa» concluse la McGranitt,
facendo un cenno
per invitarli ad avvicinarsi.
Mille voci e
più esplosero simultaneamente mentre i
quattro trotterellavano verso la McGranitt per prendere uno scatolone
ciascuno
e lo portavano al loro tavolo. Metà di quelli del nostro
avevano un’espressione
da funerale.
Con in cuore un fosco
presentimento, mi voltai
verso Astoria, che mi guardò. «Suppongo di dover
ringraziare voialtri per
questo» dissi, senza rancore.
«Probabile.
La Preside è preoccupata quanto me».
Nott stava
già cominciando a estrarre i primi
rotoli di pergamena dalla scatola. Leggeva i nomi, e li lanciava
controvoglia
al Serpeverde indicato. Presto toccò a lui, e si mise in
tasca il rotolo senza
nemmeno aprirlo. Altri due o tre minuti e Astoria prese il suo al volo
con
grazia, aprendolo. La vidi aggrottare appena la fronte. «Chi
ti è toccato?»
chiesi, morbosamente curioso.
«Ginny
Weasley» disse lei, senza fare commenti.
Dunque era al sesto anno. Sembrava indubbiamente più grande.
All’idea che le
fosse toccata la ragazza Weasley sogghignai. «Volevi un
contatto con i buoni?»
chiesi, pronunciando l’ultima parola con un certo disprezzo.
«eccoti servita».
«Infatti»
disse lei senza scomporsi. Poi fece un
sorrisetto. «ma ti conviene aspettare prima di
ridere».
Quando alla fine Nott
mi chiamò, presi il mio
foglietto con apprensione. Aprii il sigillo, ma attesi qualche istante
prima di
aprirlo. «Che cosa aspetti?» domandò
Astoria.
«Cerco di
trovare il coraggio».
«Quanto la
fai lunga» commentò lei.
Così
srotolai il foglietto, dove troneggiavano
nella calligrafia della McGranitt, piccola ed elegante, le due parole
che
dovevano decidere il mio destino.
C’è
proprio bisogno di dirvi quali erano?
SPAZIO
DELL’AUTRICE
Tornata, come
sempre in ritardo (gli esami sono vicini, poi finalmente non
avrò più scuse),
con la seconda parte del capitolo.
Come avrete
notato, Draco non è esattamente un cavaliere senza macchia e
senza paura, mi
dispiace per chi ingenuamente ci sperava! Comunque non è
neanche senza
scrupoli, anzi, come spero di riuscire a mostrare nei prossimi
capitoli. Spero
che abbiate apprezzato, anche se ammetto che la figura che ci fa
è un po’ magra...
Spero vi
piaccia anche Astoria, che personalmente
è tra i miei personaggi preferiti. Forse avrete
notato che parecchi
personaggi nascondono qualcosa, e in futuro si aggiungeranno nuovi
colpi di
scena, anche se per svelarli ci si metterà un bel
po’. Attendete con fiducia!
Per chi di
voi è già proiettato in un futuro fatto di
ripetizioni tra Draco e Hermione che
sfociano in improbabili scene di sesso, mettetevela via: non
accadrà. Il fatto
che siano associati deriva principalmente dal fatto che la McGranitt
è davvero
preoccupata che Draco combini qualche cavolata, perciò
Hermione era
praticamente una scelta obbligata. Comunque è certo che la
ripetuta vicinanza
qualche effetto debba averlo per forza, e spero che non mi odierete!
Nel prossimo
capitolo Hermione e i suoi amici dovranno mettersi d’impegno
alla ricerca del
medaglione, mentre Draco mostrerà almeno un po’ di
non essere un abietto verme
strisciante. Alcuni rapporti verranno messi un po’ alla prova
e altri
cominceranno a consolidarsi... a presto!
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Capitolo 11 *** PLAYING THE UROBORO ***
«Non
posso crederci» disse Ron, strappandomi il
foglio di mano. Io non risposi. Ero troppo impegnata a metabolizzare la
mia
caduta negli inferi. «Non può esserti toccato
proprio lui! Con tutte le persone
che avrebbero potuto essere estratte...».
«Non credo
che sia stato un caso» disse Harry. «La
McGranitt avrà voluto...».
«Me ne frego
di quello che quella vecchia megera
vuole o non vuole!» disse Ron. «E’
semplicemente pazza se pensa che Hermione
voglia...».
«Però
sa troppo» fece notare Harry. «Vorrà che
venga tenuto d’occhio».
Io neppure li
ascoltai. Alzai lo sguardo verso il
tavolo dei Serpeverde. Feci appena in tempo a vedere Malfoy che,
pallido come
un cencio, osservava il pezzo di carta che aveva tra le mani. Accanto a
lui
c’era un ragazza mora – che riconobbi come Astoria,
quella della sera prima che
se l’era cavata con poco – che si chinò
su di lui per leggere il nome e,
incredibilmente (ma forse ero solamente cieca) sorrise.
Abbassai lo sguardo
prima che si accorgessero che
li guardavo. «La McGranitt è
preoccupata» dissi ai miei due amici, con voce
roca. E raccontai loro l’avventura della serie prima, che non
avevo ancora
fatto in tempo a riferire loro. Quando terminai, Ron era paonazzo di
rabbia, e
anche Harry fissava con sguardo ostile la tavolata verde e argento.
«Così
la McGranitt ha deciso che toccava a noi
controllarlo» dissi, mesta. «E ha ragione.
È tutta colpa nostra».
«Quel...»
e Ron si esibì in una lunga lista di
parolacce, fino a che non lo interruppi. «Si, ma non
è solo questo» dissi, e
visto che la consegna dei papiretti era terminata, e la Preside non
dava segno
di voler commentare ulteriormente la faccenda, mi alzai. Non restava
molto
tempo. «Neville» dissi più piano,
vedendolo poco più avanti. Nel pugno
stringeva il suo pezzetto di carta come se così avesse
potuto cancellarlo. Poco
lontano Dean commentava a voce fin troppo alta la sua fortuna
– a lui era
toccata Cho Chang – perciò era improbabile che ci
sentissero, ma la prudenza
non era mai troppa.
«E’
da un po’ che ci evita» disse Harry,
imbarazzato. Probabilmente era dispiaciuto all’idea di aver
sottovalutato la
questione. «Sta molto sulle sue, però non pensavo
fosse grave».
«Si,
pensavamo fosse per la media schifosa che ha
in Incantesimi, ora come ora» disse Ron.
Alzai gli occhi al
cielo. «In ogni caso» dissi
paziente, «non ho capito molto, ma da quello che ho
origliato, e da quello che
mi ha detto la McGranitt...» abbassai ulteriormente la voce,
«credo che abbia
combinato qualcosa. La McGranitt lo ha convocato nel suo
ufficio».
«La
clessidra mi sembrava un po’ vuota» concesse
Ron, indicando la torre di rubini scintillanti.
«Ma
perché?» chiesi, persa nei miei pensieri.
«Insomma, che cosa sta combinando? E non solo lui, anche
Padma Patil...» e
riferii loro quello che sapevo.
«Colpa dei
libri, ve lo dico io» disse Ron con
espressione saggia, e si sfiorò la massa spettinata di
capelli rossicci, «è un
po’ tocca».
«Non
è affatto
tocca, Ron» mi infiammai. «E non mi sembra giusto
che tu lo dica, solo perché
quella volta che ci sei uscito al Ballo lei ti ha piantato in
asso».
«Non
è vero» disse Ron, le cui orecchie si erano
comunque scurite parecchio. «E per tua informazione, non mi
ha piantato in
asso... l’ho lasciata volontariamente andare!».
«Si, beh,
questo dimostra che voleva andarsene,
no?» dissi con aria di superiorità.
«Solo
perché tu sei andata con Viki, non significa che tutti gli
altri debbano fare schifo, sai»
fece allora Ron, pungente. «Puoi anche smetterla di
vantartene».
«Non me ne
sto vantando!» strillai, piuttosto rossa
di rabbia. «E lascia che te lo dica, Ron, sono fiera di essere andata al ballo con
lui quella volta, altrimenti mi
sarebbe toccato andarci con te». e
con quelle parole me ne andai a passo di marcia, sentendo Ron dire a
bassa
voce: «Quella è tutta pazza».
Grazie a Dio avevo
già con me tutta la roba che mi
serviva per Aritmanzia. Superai un gruppetto di Serpeverde che
scendevano le
scale (tra cui Blaise Zabini che scendeva con la Parkinson, e che mi
fece un
gestaccio) e che ridacchiarono vedendo i miei occhi luccicare di
lacrime
trattenute. Per accompagnare gli altri due in sala comune, avevo salito
delle
rampe in più, perciò mi toccò presto
scendere a mia volta. In quella zona,
vicina alla Sala Tassorosso, i corridoi erano gremiti di gente,
perciò nessuno
fece caso a me – specie perché tutti erano
impegnati a commentare le ultime
novità. Dribblai Ernie che cercava di discutere con me del
suo partner
(“qualcuno dovrebbe dirlo alla McGranitt... siamo prefetti,
non possiamo badare
a certa gente... Goyle...”) e superai un gruppetto di ragazze
ridacchianti (tra
cui una raggiante Hannah Abbott, che sorrideva timidamente a un
Corvonero di
passaggio). Svoltai in un corridoio non così affollato, e
proprio allora sentii
una voce per me fin troppo sgradevole chiamare il mio nome.
«Granger!».
Lo ignorai, e marciai
lungo il corridoio. Per
fortuna nessuno badava a me, o a chi chiamava il mio nome. Svoltai a
destra e
presi a salire la scala.
«Ti vuoi
fermare, stupida?» fece una voce alle mie
spalle. Mi voltai, e dovevo essere davvero spaventosamente incavolata,
perché
Malfoy sgranò gli occhi stupito. Naturalmente si riprese
subito, ma io lo stavo
già attaccando. Non avevo pazienza per i traditori.
«Che diavolo
vuoi, Malfoy?» feci, incrociando le
braccia. «Mi pareva di capire che ignorare noi plebei
è il tuo sport
preferito».
Sorprendentemente
arrossì, il che significava che
molto probabilmente aveva anche qualcosa di vagamente umano, anche se
sotto
diversi strati di liquami tossici e disgustosamente puzzolenti.
Qualunque cosa
volesse dire, sembrava averla dimenticata, perché si
limitò a guardarmi.
«Non
rispondi? Benissimo. Allora direi che posso
andare. Non voglio certo sprecare il tuo prezioso tempo
Purosangue».
«Se non
volevi sprecarlo, potevi almeno evitare di
farti rincorrere per i corridoi, Me... stupida Granger» disse
lui, sprezzante –
o almeno, cercando di esserlo, anche se per una volta non era
così convinto.
Non mi insultò neanche, il che significava che sapeva
benissimo di avere torto.
«Non gradisco che qualcuno pensi che seguirti mi
interessi».
«Allora
avrei dovuto raccontare tutto alla
McGranitt, ieri notte» conclusi, iraconda.
«Così sarebbe stato chiaro a tutti».
«Non puoi
prendertela con me perché non ti ho
aiutata ad affatturare i miei compagni!» esclamò
lui, quasi scandalizzato.
«Posso, se
tanto loro non si interessano
minimamente a te. Sarebbe bastato avere
un minimo di decenza per farti decidere di aiutare me ed Ernie, ma non
lo hai
fatto» dissi io. «E questo perché sei disgustoso,
Malfoy». E così dicendo mi voltai e ripresi a
salire le scale. Lui imprecò
sottovoce, e poi – sorpresa! – mi seguì,
svogliatamente, fino ad affiancarmi. «Granger,
fa schifo anche a me l’idea, ma siamo stati...»
meditò alla ricerca di un
termine che non offendesse le sue delicate orecchie Purosangue,
«associati, e la McGranitt mi odia.
Quindi dovremmo cercare di...» nuova breve pausa
«...non dimostrare che ci
odiamo. D’accordo?». E, con la bocca contratta in
un’espressione nauseata,
arrivò perfino a tendere la mano verso di me.
Lo guardai, e sapevo
che la risposta possibile era
una sola.
«No».
Me ne andai senza
guardarlo, soprattutto perché non
volevo mi vedesse sorridere compiaciuta.
Quando arrivai a
lezione, scoprii con sorpresa che
Astoria non solo era già lì –
chissà come, immaginavo che fosse stata la prima
ad arrivare – ma che mi aveva tenuto il posto. Ero troppo
umiliato per non
accettare subito l’invito dimostrando di non essere così perdente come mi sentivo.
«Non
è andata bene» disse Astoria.
Mugugnai qualcosa,
imbronciandomi come un bambino
senza alcun ritegno.
«E’
arrabbiata con te» dedusse immediatamente lei.
«Beh, naturale».
Mi voltai per
lanciarle un’occhiata assassina. «Non
è assolutamente naturale» dissi, recuperata la mia
naturale flemma. «Quella
dannata Mezzosangue...».
«Non usare
questi termini» mi interruppe lei,
pacata. «Non sta bene».
«...la
stupida Granger, insomma, non può certo
aspettarsi che io e lei diventiamo amici». L’idea,
più che disgustarmi in sé,
mi sembrava impassibilmente illogica. La Granger era sciocca e Babbana,
perciò
io non potevo proprio pensare di farci amicizia. Punto. Insomma,
è come vedere
un ragno: nulla di davvero personale, ma se non ti voglio stringere
come un
peluche tra le coperte è perfettamente comprensibile. A
parte che con lei era
diventata una questione personale, visto che era l’antipatica
amica di Weasley
e, soprattutto, di Potter.
«Te lo ha
chiesto?».
«No»
ammisi.
«A me
continua a sembrare che tu abbia torto» disse
lei, estraendo una pergamena pulita dalla sua tracolla.
«Visto che nessuno di
quelli che erano presenti ti avrebbe degnato di uno sguardo, e che sei
fuggito
a gambe levate togliendoti dal pericolo mentre fino a un secondo prima
stavi
confabulando con lei... immagino che sia naturale seguire questo schema
di
pensiero».
«Può
darsi» dissi io. «Ma se lo avessi fatto, che
conseguenze avrei subito?».
«Immagino
che l’avrebbe considerata una
dimostrazione di lealtà, e che avrebbe fatto di tutto per
ammetterti tra i suoi
amici, o almeno conoscenti» disse Astoria. «Secondo
il suo punto di vista,
dunque, di certo non una perdita».
«Peccato che
io non abbia il suo punto di vista»
commentai, disgustato.
«Rimane
comunque il fatto che devi scusarti» disse
lei. «E’ così che funziona tra gente
civile. Non è un segno di amicizia, devi
semplicemente riconoscere che hai sbagliato nascondendoti come un
coniglio. In
fondo, se avessi aiutato noi, dubito che se la sarebbe presa
così a cuore».
E intinse la penna dell’inchiostro,
tracciando poi sull’angolo superiore del foglio la data
odierna.
D’accordo,
lo ammetto, se avessi avuto una stilla
di sangue puro in meno, avrei già considerato
l’idea... per il semplice fatto
che avrei
dovuto darle
man forte, per
quanto sembrasse illogico. Anche solo per saldare i debiti di
riconoscenza che
avevo nei suoi confronti. Diamine, l’avevo trovata proprio
per questo.
«Tu le
chiederesti scusa?».
«Si»
disse lei, semplicemente. «Nemico o amico che
sia, la verità prima di tutto. È da questo che si
riconosce la nobiltà».
Non sapendo cosa
rispondere, rimasi zitto per un
po’. La verità. Già, la
verità. Il problema era che da ieri sera, anzi, da
quando la stupida Granger mi aveva raccontato del loro stupido piano,
che cercavo
di capire quale fosse la verità. La Granger poteva
arrabbiarsi con me quanto
voleva, ma lei sentiva di essere nel
giusto. Io non ci riuscivo. Giusto per tenere la mente occupata, alla
fine le
chiesi: «E tu? hai già parlato con la piccola
Weasley?».
«Ginevra
Weasley?» chiese lei, alzando lo sguardo,
che per un istante rimase appannato. Quando capì la domanda,
scrollò le spalle.
«Si, ci ho parlato. Non l’ho mai trovata davvero
simpatica, mi è sempre
sembrata un po’... provinciale, ma le ho detto che mi sarebbe
piaciuto parlare
con lei più tardi».
Ero allibito.
«Non dici sul serio».
Mi guardò,
apparentemente perplessa. «E’ questo
l’incarico che ci è stato assegnato,
no?».
«Ma
è una Weasley!» dissi, a voce alta. Diversi
Corvonero si voltarono verso di noi, e anche un paio di Serpeverde, che
a
differenza degli altri però tornarono subito a farsi gli
affari propri quando
videro che li guardavo.
«E’
la mia partner» disse Astoria, passandosi una
mano tra i capelli folti e corvini. «Penso che tu faccia
troppa conclusione tra
la vita privata e il dovere pubblico. Parlare con Ginevra non mi
renderà certo
uguale a lei, ma potrebbe anche avere ripercussioni positive. Senza
contare che
è indubbiamente affascinante avere contatti con una persona
così diversa».
Scossi il capo,
incapace di accettare questa
verità. La chiamava Ginevra! Neanche lei si chiamava
Ginevra! Provai ad
immaginarmi chiamare Potter “Harry”, o la Granger
“Hermione”, ma era troppo
surreale. Anche se avessi deciso di
collaborare con loro, non lo avrei mai fatto.
La verità.
La verità era che me la stavo facendo sotto, se capite cosa
intendo, anche se
avevo sufficiente faccia tosta per dissimularlo. La verità
era – e mi colse
proprio mentre riflettevo su quello che Astoria mi aveva detto
– che sapevo perfettamente
qual’era la verità, ma non avevo il fegato
– o meglio, lo stomaco – per
ammetterlo, perché suonava sbagliato.
«Perché
sei finita a Serpeverde?» chiesi, senza
impedirmelo. Lei mi guardò, penetrante. «Non ti
sembro adeguata alla nostra Casa?».
sembrava vagamente offesa.
«Non dicevo
questo» dissi, alzando pigramente le
spalle. «E’ che... non saprei, sei
diversa».
«Potrebbero
essere gli altri a essere sbagliati»
argomentò lei, e proseguì, monocorde:
«Valuto la purezza di sangue e ho grandi
ambizioni, nonché grandi pretese, e ricorro sovente
all’astuzia. Questo non è
forse quello che contraddistingue un Serpeverde?».
Non risposi. Avrei
potuto baciarla.
La notizia dei partner
aveva davvero sconvolto la
scuola; ovunque si andasse, si era praticamente certi di che argomento
si
sarebbe discusso. C’era chi era evidentemente soddisfatto
– Seamus passò l’ora
di Incantesimi a enumerare le grandi qualità di una
Corvonero di nome Patricia
che già sembrava stregata dal suo fascino (“letteralmente
stregata” aveva borbottato Dean, prima che un paio di baffoni
a manubrio gli
crescessero misteriosamente sul viso); Colin Canon era deliziato
all’idea che
Marietta Enscombe (la cui acne stava, con mio grande disappunto,
migliorando)
fosse la sua partner, anche se non ero sicura che la cosa fosse
ricambiata (e a
giudicare dalle occhiate tetre di Calì, non era
l’unica). Altrettanti erano i
casi di insoddisfazione, specie visto che (misteriosamente) i peggiori
elementi
di Serpeverde erano finiti per essere associati a Grifondoro. Neville
tenne il
broncio durante tutta Erbologia perché gli era capitata
Pansy Parkinson, che
ogni volta che lo incrociava per i corridoi fingeva di essere scossa da
silenziosi conati; ma la cosa peggiore fu quando Harry mi raggiunse
dopo
Aritmanzia. Aveva tenuto il suo rotolo chiuso fino al dormitorio, per
evitare
di notare le reazioni della gente; a lui era capitato Blaise Zabini, e
se
qualcuno mi avesse detto che era un caso, non gli avrei creduto. A quel
punto
quasi mi aspettavo che a Ron fosse toccato Theodore Nott, ma Harry mi
informò
che per qualche motivo era finito con Luna Lovegood.
«Cosa?»
dissi, basita, mentre scendevamo le scale.
«Ma Luna ha un anno in meno di noi!».
«Già,
Ron lo ha fatto notare alla McGranitt» disse
Harry, cercando di rimanere neutro, anche se gli scappava da ridere.
«Credo che
avrebbe preferito gli fosse toccato Nott... è stato abbinato
a Marie
Bullstrode». La sorella minore – nonché
ancora più nerboruta – della mia amica
Millicent. Chissà se anche lei aveva dannati peli di gatto
sparsi per tutta
l’uniforme.
Fingendo che
l’abbinamento non mi desse
soddisfazione, tornai a concentrarmi sull’argomento
principale. «E la McGranitt
che cosa ha detto?» lo incalzai, curiosa.
«Questione
di numero. Non sono le uniche coppie
sfasate, dipende dagli iscritti per ogni anno» disse Harry.
«Povera
Luna» sospirai, mio malgrado dispiaciuta.
«Povero Nott»
disse Harry, in un (raro) momento d’arguzia. «Due o
tre giorni, e finirà
trascinato in Albania alla ricerca di qualche Ricciocorno
Schiattoso».
Più tardi
mi avrebbero raccontato che la prima cosa
che Luna aveva chiesto a Nott era come si sentisse all’idea
che la sua famiglia
facesse parte del famigerato progetto della Rivolta dei Goblin
Balbuzienti.
Avrei pagato qualsiasi somma per vedere la faccia di Nott.
«A proposito
di Ron» disse Harry con finta
indifferenza. «Intendi tenergli ancora il broncio?».
«Si»
annunciai con tutto il sussiego di cui ero
capace. «Finché non mi chiederà
scusa».
Lui
sospirò, ma non aggiunse nulla.
La lezione seguente
era Pozioni, che – con mio
grande disappunto – avevamo sempre in comune con i
Serpeverde. Grazie a Dio non
avevamo molte altre lezioni insieme, ma quelle nell’angusto
sotterraneo erano
le peggiori. Entrai in classe, e notai con un brivido gelato lungo la
schiena
che, anziché i soliti gruppetti, i presenti erano divisi a
coppie. Sospettosa,
mi volsi verso Lumacorno, che con la manica si stava asciugando la
fronte
madida di sudore a causa dei vapori che si sprigionavano da un piccolo
calderone
– contenente, se la vista non mi ingannava, niente di meno
che Pozione
Polisucco.
«Ah,
signorina Granger, signor Potter» esclamò nel
suo consueto tono drammatico il vecchio mago obeso, sorridendoci.
«No, non
siete in ritardo... stavo giusto notando che la maggior parte di voi ha
il
proprio partner in questa stanza, perciò avevo appena
proposto di dividerci a
coppie!». Poi, gioviale, chiese: «chi non ha il
compagno? Molto bene,
Abercombie, tu và pure con Stubbins... Mongomery,
c’è Weasley da solo... signor
Zabini? Ha il compagno? Molto bene, ragazzo. Sedetevi!».
Guardia nel calderone,
valutando se il contenuto
fosse abbastanza per affogarmici dentro, ma visto che Lumacorno ci
guardava
sorridendo, non ebbi altra scelta. Malfoy era in un angolo –
spettacolo non
nuovo, negli ultimi tempi – e teneva lo sguardo basso, come
in preda a una
leggera nausea. Beh, eravamo in due.
Mi trascinai accanto a
lui, buttando in malo modo
la roba a terra, ed evitando di notare la sua presenza per quanto mi
fosse
possibile. Il destino complottava già troppo
perché gli dessi anche una mano.
«Questo
trimestre» diceva Lumacorno, camminando
lentamente di fronte a noi, «ci occuperemo di una pozione
fondamentale, specie
per coloro di voi che desiderano intraprendere la carriera di Auror. Si
tratta,
ovviamente, della Pozione Polisucco». Si rivolse a noi.
«Naturalmente, già
l’anno precedente ne abbiamo parlato, anche se a livello
meramente teorico.
Qualcuno ricorda..?». la mia mano scattò
immediatamente in alto, seguita solo
in seguito da poche altre. Anche se Malfoy accanto a me ne aveva fatto
uso più
volte, l’anno prima, ritenne evidentemente più
prudente non muoversi. Mi lanciò
un’occhiata sprezzante e tornò a guardare il
tavolo di fronte a sé.
«Signorina
Granger» concesse il professore,
divertito dalla mia prontezza. «Pozione Polisucco.
Riconoscibile per la sua
consistenza densa che la rende simile al fango, consente a chi la
assume di
assumere, per un’ora, le sembianze di un altro. Oltre a un
pezzo della persona
in cui ci si vuole trasformare, sono necessari...».
«Basta
così, basta così...» mi interruppe lui
gentilmente, «...o non lascerai più nulla da dire
a me! Eccellente, signorina
Granger, come sempre. Quindici punti per Grifondoro, direi».
Arrossendo di
piacere, abbassai la mano che avevo tenuto inconsapevolmente alzata per
tutto
il tempo.
«Ebbene si,
la Pozione Polisucco consente di
assumere l’aspetto di qualcun altro» disse
Lumacorno gravemente. «Inutile,
penso, sottolineare le terribili implicazioni che ne possono derivare.
È un’arma
a doppio taglio, la Pozione Polisucco, ma è certamente uno
strumento molto
utile». Prese un piccolo mestolo d’argento e
rimestò il contenuto del piccolo
paiolo, guardando noi, e lasciando che alcune gocce cadessero nel
recipiente in
modo che tutti potessero osservare il liquido denso. « Nelle
prossime
settimane, ci dedicheremo alla preparazione di questa incredibile
Pozione. Come
sapete, il tempo di preparazione è piuttosto lungo,
perciò il progetto
assorbirà una porzione consistente del nostro lavoro di
quest’anno.
Naturalmente, visto che per la maggior parte del tempo la pozione non
richiede
cure intensive, ci dedicheremo anche ad altri progetti –
tuttavia, ci tengo a
sottolineare che una corretta preparazione della Polisucco
avrà un peso
decisivo nel voto di questo trimestre».
Lo ascoltai con
segreta soddisfazione. Avendola già
preparata, non sarebbe stato difficile.
«D’accordo.
Cominciamo senza ulteriori indugi. I
calderoni... uno ogni due sarà sufficiente... signorina
Parkinson, vada pure
con il signor Tilney... eccellente. Avete i vostri libri, si?
Magnifico.
Cominciate!».
Senza neanche guardare
Malfoy, accesi il fuoco
sotto il mio calderone con un colpo di bacchetta. Poi mi diressi verso
l’armadio, dove stavano alcuni degli ingredienti che gli
studenti solitamente
non avevano già in dotazione. Quando ritornai, le braccia
ricolme, notai che
sul fuoco non c’era più il mio calderone, ma
quello di Malfoy. Appoggiai con
malagrazia il mio bottino sul tavolo. «Che stai
facendo?» chiesi, acida, a
braccia conserte. «Come ti permetti
di agire senza consultarmi?»
«Stupida
Granger» disse Malfoy, con disprezzo
perfino superiore a quello da lui sfoggiato di solito. «Tu
invece mi avresti
consultato?».
Visto che con la
logica non potevo certo contestare
quella affermazione, mi limitai a prendere gli occhi di libellula e
cominciai a
triturarli con mano esperta. «Non pensare di poter fare tutto
da sola» disse il
Serpeverde, minacciosamente. «Se Lumacorno vede che non
partecipo...».
«Oh, ma tu
non partecipi mai, non è forse così?»
dissi io, con una risata mezza isterica, e non mi riferivo solo alla
notte
prima, ma a qualcosa di ben più grave. «Pensavo
che ti piacesse lasciar fare il
lavoro sporco agli altri». Continuai a sminuzzare, ma vidi
che era pallido come
un cencio. Naturalmente non poteva sapere che io sapevo, ma non aveva
importanza.
Mi aspettavo un
commento irato o almeno sprezzante.
Invece lui rimase in silenzio e trasse a sé altri occhi
essiccati, cominciando
a triturarli. Avrei voluto sgridarlo, ma stava facendo un buon lavoro
–
presumibilmente per non darmi soddisfazione –
perciò feci finta di non
accorgermene. Quando ebbi finito, spinse anche le sue verso di me. Le
presi
tutte assieme e le buttai nell’acqua che bolliva.
«Avrei dovuto
intervenire». Quando pronunciò quelle parole,
rimasi stupefatta. Lo guardai.
Non lo disse con vero pentimento, anzi, sembrava disgustato, ma non da
se
stesso – dal fatto che volessi fargliene una colpa.
Ciò nonostante, non me lo
aspettavo comunque. «Ma non l’ho fatto. Avevo le
mie buone ragioni, perciò
smettila di essere così fastidiosa». E detto
questo cominciò a sezionare
diverse radici, con l’aria di chi sta facendo del suo meglio
per mantenersi
puro in un letamaio.
Rimanemmo in silenzio
per oltre un’ora. Io di certo
non volevo parlargli, e non ero certa di riuscirci senza poi dovergli
mettere
le mani addosso. Per fortuna non era difficile lavorare con lui
– chiunque al
mondo era meglio di Ron, o anche di Harry – ragion per cui
non avevo bisogno di
comunicare nulla di che. Di tanto in tanto finivamo per intralciarci a
vicenda,
e ci occorreva un istante per riprogrammarci in modo da poterci
ignorare
efficacemente. Alla fine, comunque, Malfoy si bloccò con il
mestolo in mano.
Io, che stavo pestando alcuni scarabei (non essenziali per la ricetta
in sé, ma
per essere mischiati a un po’ di assenzio), me ne accorsi
perché gli unici
rumori che mi assicuravano che non fosse morto cessarono. Allora lo
guardai.
Sembrava cercare di ricordare qualcosa. Si sporse verso il manuale
– il suo manuale
– che però era macchiato proprio nella zona delle
istruzioni che seguivano.
Seguì una breve lotta interiore, che si concluse quando si
voltò verso di me.
«Immagino che tu sappia perfettamente quante volte occorra
girare in senso
orario» commentò, quasi fosse un’offesa.
«Sedici
volte» dissi, secca.
Senza ringraziare,
cominciò a eseguire. Lo
osservai. «Non è così» dissi,
senza potermi trattenere.
«Cosa?».
Sembrava troppo stupito all’idea che
avessi la presunzione di correggerlo per aggiungere altro. Gli strappai
il
mestolo di mano. «Se lo tieni diritto, non mescoli con la
stessa efficacia»
dissi, in tono saccente. «Devi inclinarlo
così». Glielo feci vedere.
«Sta’
zitta» disse lui, indignato, riprendendosi il
mestolo. «Non accetto consigli da una Mezzosangue».
Io sorrisi con
sufficienza. «Peccato che tu metta
in pratica questo comandamento solo quando ti fa comodo»
dissi. «Purosangue
solo a comando, eh, Furetto?».
Malfoy divenne
scarlatto di rabbia, ma non poté
protestare perché Lumacorno stava facendo il giro per i
banchi. Così terminò i
sedici giri (inclinando il mestolo nella maniera corretta) e il
professore,
dopo aver esaminato il nostro preparato, mi sorrise incoraggiante.
Quando
l’uomo si fu allontanato, Malfoy si inclinò
verso di me per rivolgermi un sussurro irato. «Fai la
spavalda, Granger»
sibilò. «ma ti ricordo che, grazie a te, so molte
cose».
«E io ti
ricordo» dissi io, soave, «che l’Ordine
ti
tiene d’occhio, Malfoy. O vuoi provare a vedere se riesci a
ingannare la
McGranitt?».
Si guardò
attorno. «Perfino il Signore Oscuro non
ha accesso a tutti i miei pensieri» disse spavaldo.
«Puoi
schermare i pensieri, ma non puoi nascondere
le tue azioni» dissi io, impassibile. «E non puoi
neppure restare con il piede
in due staffe. Prima o poi dovrai scegliere».
«E se io non
volessi?».
«Allora
entrambe le staffe ti faranno nero»
conclusi, alzandomi per andare a recuperare alcuni aculei di porcospino
dalla
credenza. Passai proprio dietro a Ronald che fissava imbronciato la
Bullstrode,
che non gli permetteva di avvicinarsi al calderone, e mi sentii
magnificamente
bene.
Quando ritornai al
posto, Malfoy sembrava in coma.
Teneva lo sguardo fisso sul fondo annerito del suo calderone, e
sembrava
assorto in meditazioni piuttosto grame. «Battiamo la
fiacca?» lo provocai.
«Non
c’è altro da fare» mi
informò, senza
raccogliere.
Alzai le spalle, e
trassi a me il mio Pozioni
Avanzate, sfogliandolo alla ricerca di qualcosa di interessante. Pensai
alla
copia di Harry – pardon, di Piton, che stava chiusa nella
Sala delle Necessità,
e mi chiesi perché i geni devono spesso essere cattivi.
Sospirai.
«Senti,
Granger» disse alla fine il mio tedioso
compagno.
«Che
c’è, Malfoy?».
Lui contrasse le
labbra, evidentemente preparandosi
allo sforzo supremo, e si assicurò che nessuno badasse a
lui, o potesse sentire
quello che aveva da dire. «Dopo la lezione» disse,
evidentemente detestando
ogni suono che stava articolando, «devo... parlare con
te». Stremato dalla
fatica, si lasciò andare contro lo schienale della sedia.
Lo osservai,
sospettosa.
«Per quanto
adori la sola idea di affatturarti, non
è quello il mio scopo» garantì, e non
feci fatica a credergli. Così annuii,
guardinga, e tornai a farmi i fatti miei.
La fine della lezione
arrivò abbastanza in fretta.
Cominciai lentamente, svogliatamente, a rimettere assieme la mia roba.
Harry si
avvicinò, guardando storto verso Malfoy, evidentemente per
chiedermi di
seguirlo. «Tu vai» mi affrettai a dire.
«Devo... sbrigare una cosa o due». Lui
non insistette, e se ne andò.
Io e Malfoy fummo gli
ultimi a uscire dall’aula. Nel
corridoio mi fermai e aspettai di sentire quello che aveva da dire.
«Allora?».
Si contrasse tutto in
uno spasmo di sofferenza
interiore, prima di guardarmi. «Non mi fa piacere
discuterne» disse, ed era
chiaro che era la pura verità, «ma...»
si bloccò. Sembrava prossimo a un
collasso isterico. Alla fine riprese il controllo. «Ci ho
riflettuto...» nuova
pausa «ed è la verità. Per quanto io
non sopporti te o i tuoi amichetti, la
verità dei fatti è che difendete il mio
interesse, più di chiunque altro».
Aveva un tono amaro, molto amaro. «Non posso
fare altrimenti». Anche se immaginavo di sapere dove sarebbe
andato a parare,
aspettai che si rendesse più comprensibile. Il suo unico
neurone doveva
essere epilettico. «La mia posizione non
è più quella di una volta, Granger. La mia
famiglia è disonorata, io sono
escluso. Tutto quello che posso fare è cercare di tirarmene
fuori». Il suo tono
freddo e diplomatico avrebbe fatto invidia a suo padre. Mi esponeva i
suoi
calcoli con freddezza, mettendo tutte le carte in tavola.
«Ieri notte ero
ancora indeciso, ma più ci penso, più ritengo che
sia l’unica scelta che ho. Purtroppo
è vero, devo prendere posizione. Mi schiero dalla vostra,
anche se l’idea mi
disgusta».
«Prima non
sembravi così convinto».
«Hai
l’indubbia capacità di mandarmi fuori dai
gangheri, Granger. Ma l’idea non mi è certo nata
nell’ultima mezz’ora, anche se
per infastidirti venderei l’anima al Diavolo».
Sospirai. Mio
malgrado, gli credevo.
«Ti
credo».
Malfoy
sembrò vagamente sorpreso. «Mi aspettavo di
doverti blandire per ore» disse.
«Neanche tu puoi essere così ingenua».
«Qual
è la tua alternativa?» chiesi, piuttosto
piccata. «Andare da Voldemort e chiedergli di leggerti una
favola?». Al nome di
Voldemort si contorse come un pesce, ma finse saggiamente di non aver
sentito.
«Ora devo andare» dissi allora, sentendomi
particolarmente vittoriosa. E me ne
andai davvero, segretamente soddisfatta.
Potevo anche odiare
Malfoy con tutta l’anima.
Ma avevamo un alleato,
uno di quelli che conosceva
le fogne dove avremmo dovuto addentrarci.
Era una bella giornata.
Mentre mi avvicinavo
al buco del ritratto, ne vidi
sbucare fuori Harry e Ron, incredibilmente concitati. Stavo giusto per
mettere
il muso a Ron, quando mi videro e mi corsero incontro strillando
assieme. «ma
insomma» dissi con sussiego. «Che diavolo
succede?».
«Hermione»
disse Ron, affannato, ma con un sorriso
che gli andava da un orecchio all’altro. «Sappiamo
dov’è il medaglione».
Incredibilmente, mi
sentivo leggero come l’aria. Non
avevo mai capito quanto l’idea di scegliere mi tormentasse
più di ogni altra
cosa. Invece lo avevo fatto, e avevo fatto la scelta giusta. Certo, non
era una
gran scelta, ma un Serpeverde deve sapersi accontentare con stile.
L’Ordine mi
avrebbe protetto; avrebbe protetto me e
la mia famiglia. A guerra finita – sempre che avessero vinto
– avrei avuto
tutti gli onori. Se anche così non fosse stato, che cosa
avrebbe potuto dirmi
il Signore Oscuro? Le informazioni che la Granger mi aveva dato erano
al sicuro
grazie al Fidelius, e avrei potuto tranquillamente fingere di aver
fatto il
doppiogioco. E tutto questo, senza muovere un dito.
Mi venne in mente,
senza un motivo particolare, un
vecchio arazzo che i miei tenevano appeso in uno dei salotti
più grandi del
nostro maniero. Su di uno sfondo verde argenteo, un serpente dorato e
nero
strisciava e dopo essersi avvolto su se stesso si mordeva la coda.
Naturalmente
conoscevo a menadito tutti i nostri simboli araldici, ma mo padre aveva
sempre
detto – con il suo tono gaiamente fiero di sé che
speravo tanto si fosse
estinto in gattabuia, visto quanto era provinciale
–
che quello era uno dei più
importanti. “L’uroboro è il simbolo
dell’eterno” aveva detto sentendosi
particolarmente sapiente, e io mi ero bevuto ogni parola.
Finchè non lo vedevi
frignare strisciando ai piedi del Cinereo Cobra (alias Signore Oscuro
per chi
sperava di vederlo terrorizzato, prima o poi) potevi anche illuderti
che fosse
un uomo con le palle. “Un serpente che si morde la coda, un
evento impossibile,
a rappresentare l’infinita continuità di tutte le
cose”. Ora, a ripensarci,
chissà su quale polveroso volume da babbioni doveva aver
letto quella frase. Io
credevo di capire con precisione assai maggiore che cosa stesse a
significare,
e che tenterò di riassumere per voi.
Attento, Patetico
Pitone. Sottovalutando un Malfoy,
finisce che ti azzanni il culo da solo.
NOTA
DELL’AUTRICE
Come promesso
– e in orario! Ha! Eccomi qua!
Malfoy si è
schierato contro il Signore Oscuro, ma non si è ancora reso
conto delle
implicazioni che può avere mettersi con la temibile Banda
Potter. Alcune delle
rivelazioni che progettavo per questo capitolo sono state posticipate
per
sottolineare questo evento chiave... tanto d’ora in poi per
Draco Malfoy sono
previste giornate piene e sfibranti...
Come sempre,
sottolineo che adorerei ricevere una qualche recensione per sapere che
ne
pensate. Lo sforzo di mantenere tutti i personaggi IC e non cadere nel
banale è
grande, e ho sempre paura di aver esagerato. Comunque sono soddisfatta
di come
la storia sta volgendo... a presto con un nuovo capitolo, e grazie come
sempre
a chi legge, recensisce, o pensa di farlo in futuro! (con un
particolare ringraziamento a Aki Ivanov, che mi ha
fatto il regalo più bello di tutti XD)
|
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Capitolo 12 *** NEVER say never ***
Fluttuavo
nell’aria, ma non per qualche strano tipo
di esperienza extracorporea. Stavo su un manico di scopa – un
ottimo manico di
scopa, anche se non come quello di Potter. Naturalmente.
L’aria era
piacevolmente fresca – nonostante fosse Novembre, non sentivo
ancora le mani
prossime al congelamento grazie a
qualche scaldino che McNair mi aveva procurato premurosamente. Visto
che non lo
vedevo sulle gradinate, probabilmente era tornato nella Sala Comune per
sferruzzarmi una sciarpa. Era particolarmente premuroso con me
nonostante lo
trattassi da schifo. Più del solito, intendo.
Una delle Cacciatrici,
la giovane Bullstrode, mi
saettò accanto lanciandomi un’occhiata bieca con
la cosa dell’occhio. Cogliendo
l’antifona, schizzai più in alto, là
dove le alte quote contribuivano in
effetti a congelarmi la brillantina nei capelli. Mentre scrutavo
l’aria alla
ricerca del Boccino, mi chiesi distrattamente se non convenisse
cominciare a
trattare i miei capelli con qualche tipo di lozione. Chissà,
magari potevo
farmene arrivare una da Hogsmeade...
Con la coda
dell’occhio scorsi una figuretta
minuscola che identificai immediatamente come McNair, intento a seguire
i miei
progressi aerei. Feci un’elegante capovolta in aria,
apparentemente per caso,
ma sorridendo nel vederlo agitarsi di ammirazione.
Alla fine McNair non
era entrato in squadra, ma
sospettavo che fosse più per antipatia generale che per
altro. Era troppo
mingherlino e sottomesso per misurarsi con Blaise Zabini, attuale
capitano
della mia squadra (C.C., capitano coglione, per giocatori ammessi
semplicemente
per carenza di altri bravi Cercatori). La mia ammissione era stata
difficoltosa. All’inizio avevano preso un tale del quarto
anno, tale Pukes,
convinti probabilmente di aver trovato un asso. il ragazzo doveva
pesare
suppergiù venti chili, ragion per cui non era difficile
capire che doveva
essere veloce – e visto che non poteva mangiare
più di una volta al mese, non
correva il rischio di vomitare negli spogliatoi per l’ansia.
Capitava più
spesso di quanto non pensiate.
Peccato che con le
prime forti folate di inizio
Novembre una particolarmente violenta non avesse colpito la sua
Scopalinda (una
delle Nimbus donate a suo tempo da mio padre si era rotta in mille
piccole
schegge affilate durante un provino quando un idiota del terzo anno si
era
schiantato contro le tribune) deviando la sua traiettoria di parecchi
metri e
mandandolo in rotta di collisione con il Platano Picchiatore.
Così alla
fine a denti stretti Zabini era venuto a
cercarmi di persona e mi aveva chiesto di entrare nella squadra.
«Basta che tu
non abbia una cattiva influenza sugli altri» mi aveva
minacciato.
«Con te come
capitano, ti preoccupi delle influenze esterne?» avevo
ghignato.
Lui mi aveva fatto il
dito medio, e l’accordo era
stato concluso.
Perciò,
Quidditch! La prima partita sarebbe stata
di lì a due settimane o poco più, e dovevo
allenarmi. Era da così tanto tempo che non salivo su di un manico
di
scopa, che in realtà non ero concentrato tanto sul Boccino,
quanto sulla
splendida sensazione di volare.
Zigzagavo per aria, e
nel frattempo osservavo i
giocatori sotto di me. Era un peccato che Nott non fosse interessato a
giocare
a Quidditch (e per studiare, poi!) perché sarebbe stato
bello averlo ancora
come Cacciatore. La Bullstrode era temibile, ovviamente, e Mulciber
piuttosto
passabile, ma per quanto odiassi dirlo la piccola Weasley era molto
meglio. il
terzo, tal Richards, era un idiota totale e l’unico motivo
per cui era in
squadra era che aveva un discreto talento nel fregare la palla agli
avversari.
Tiger e Goyle, naturalmente, erano i Battitori, e anche se professavano assoluta innocenza ero
convinto che avessero provato a
scagliarmi contro un Bolide o due.
Finalmente lo vidi.
Uno scintillio vivace vicino
alla testa di Zabini. Con tutta la velocità di cui ero
capace partii,
appiattendomi contro il manico liscio della scopa. Zabini dovette
osservarmi
perché si scostò appena per lasciarmi passare. Il
Boccino scese muovendosi
attorno al palo di uno degli anelli. Feci altrettanto, la testa che mi
girava,
il vento che fischiava, tesi la mano...
Mi sfuggì
per un soffio. Digrignando i denti,
inclinai il Manico di Scopa verso l’alto. Il Boccino filava
tra i giocatori
senza fretta eccessiva. Passando accanto a Goyle, lo urtai abbastanza
forte da
farlo vacillare sulla scopa. Mentre lo superavo, strillai:
“scusa!” e mi
allontanai con un sorriso soddisfatto, le sue imprecazioni ancora nelle
orecchie.
Era un Boccino
piuttosto veloce. Lo inseguii più a
lungo del previsto, nonostante fossi a un soffio dal prenderlo. Alla
fine però
riuscii ad agguantarlo e mi bloccai, a pochi metri da terra,
stringendolo tra
le dita. Alzando lo sguardo, mi resi conto che più di uno mi
stava osservando.
Risalii verso il resto della squadra, fingendo indifferenza, e tesi il
Boccino
a Zabini, che lo prese con malagrazia.
«Bene»
disse, in tono conclusivo, e capii che
avevano aspettato che finissi per dichiarare concluso
l’allenamento. «Okay,
ragazzi, ora ci conviene tornare. È quasi buio». E
in effetti il tramonto era
già tinto di scuro, e mi accorsi che faceva freddo. Senza
dire una parola
planai dolcemente verso le tribune, e mentre lo facevo notai una figura
flessuosa vestita di scuro che camminava lentamente giù
dagli spalti.
Riconoscendola, la
raggiunsi e toccai terra accanto
a lei. «Ciao» dissi laconico ad Astoria. La ragazza
era avvolta nella solita
divisa scolastica, senza il mantello, ma sembrava perfettamente a suo
agio
nonostante facesse ormai piuttosto fresco. In mano reggeva un libro
pesante dal
quale fuoriusciva uno spigolo di pergamena.
«Ciao»
rispose lei nel suo solito tono pratico. «Mi
dispiace disturbarti, ma ho una cosa per te». “Mi
dispiace disturbarti” era la
sua versione di un espansivo saluto. «Che cosa?»
feci, piantando la scopa
accanto a me come un bastone da sostegno. Scorsi in lontananza McNair
che ci
guardava, come chiedendomi il permesso di raggiungerlo.
La ragazza estrasse
con le sue lunghe dita pallide
il foglio, che si rivelò essere una lettera. La presi,
perplesso. «Non è
arrivata via gufo» spiegò lei semplicemente, in
risposta alla mia occhiata. «me
l’ha data la McGranitt».
Mi chiesi come facesse
la McGranitt a sapere del
mio legame con Astoria, ma lasciai correre. Osservai la calligrafia
sottile, e
aggrottai la fronte. Era di mia madre.
McNair aveva
evidentemente deciso che poteva
avvicinarsi, perché mi comparve di fianco mentre esaminavo
il mio nome scritto
in piccoli ghirigori precisi e eleganti. «Ehi, Draco. Hai
giocato bene» disse,
affannato.
«Grazie»
dissi, senza badargli.
«Ciao,
Greengrass» fece lui voltandosi verso
Astoria.
«Ciao,
David» disse lei tranquilla.
«Come va lo
studio? Hai completato il...» e attaccò
un interminabile discorso con Astoria, che io mi persi
perché stavo aprendo la
busta sigillata e meditando se leggerne subito il contenuto. Alla fine
decisi
di si, e spiegai il foglio candido dove c’erano scritte le
seguenti parole:
Draco,
ci sono state
comunicate buone notizie. Pare che qualcosa del nostro buon nome abbia
finalmente fatto presa sulla decisione della Corte Suprema. A Febbraio
sarò libera
di tornare a casa, anche se a condizioni molto dure. Pare che il
Ministero
abbia a cuore quella che definiscono la tua
“rieducazione”. Mi hanno
consigliato di farti restare a scuola fino al tuo diploma, e la giudico
anche
io una idea assennata. Non è il caso di provocare
risentimenti inutili nella
nostra posizione. Inoltre ho dovuto cedere la bacchetta, e questa
è la cosa che
a tuo padre è spiaciuta maggiormente, anche se
l’ho convinto a non rimostrare.
Di altre faccende discuteremo in privano non appena avremo il piacere
di
vederti. Tuo padre, in particolare, è ansioso di vederti.
Lui resterà ad
Azkaban, perché le autorità non si fidano a
donargli la libertà. Puoi
immaginare che la cosa lo distrugge, ma siamo persuasi che presto
verrà il
momento in cui potrà raggiungerci.
Non abbiamo
più avuto tue notizie e siamo oltremodo preoccupati, specie
perché quando ti
abbiamo visto l’ultima volta sembravi molto in ansia. Ti
raccomando di valutare
la tua salute. Ho scritto ai domestici perché ti mandino
tutto il necessario a
casa per le feste, visto che non manca poi molto a Dicembre. Questi
ultimi mesi
di separazione sono una dura prova per tutti noi ma dobbiamo andare
avanti a
testa alta.
Mamma e papà
Quando ebbi finito di
leggere la lettera rimasi
fermo, il cuore che mi martellava in petto. Mia madre, rilasciata? E
che cosa
avrebbe fatto, poi..? Senza bacchetta, senza mio padre, con la minaccia
del
Signore Oscuro che pendeva sulla sua testa... certo, l’Ordine
la proteggeva, ma
quanto sarebbero stati in brado di fare contro l’Oscuro
Signore?
Ero così
turbato che mi dimenticai anche di David e
Astoria che stavano a pochi passi da me. Quando tornai in me, e mi
voltai verso
di loro, notai che entrambi mi lanciavano qualche occhiata preoccupata.
Nessuno
dei due mi chiese nulla. McNair, evidentemente giudicando che sarei
stato di
umore più intrattabile del solito, mormorò un
“devo andare” e schizzò via,
veloce come un razzo. A questo punto rimasi lì come un
fesso, quasi
aspettandomi che Astoria mi chiedesse qualcosa. Invece lei
alzò le spalle
«D’accordo» disse, quieta. «Ti
lascio cambiare in pace, allora».
«Aspetta»
dissi io, a stento consapevole di me
stesso. Mi sembrava che, se fossi rimasto solo, mi sarei dimenticato di
esistere; in più, anche se non volevo dirlo, volevo un
consiglio.
Lei si
voltò, e alzò elegantemente un sopracciglio.
«Volevo lasciarti solo a meditare» mi disse, come
se non lo avessi capito, e
ogni tipo di tatto fosse ormai inutile. «Deve essere una cosa
importante, se è
stata la McGranitt a recapitartela». E quell’ultimo
commento aveva una nota
strana, che non riuscii a interpretare.
«Non mi
servono questi riguardi» dissi acido. Mi
urtava che qualcuno mi giudicasse ferito o vulnerabile,
perché non lo ero...
ufficialmente. «In effetti sono buone notizie».
«Davvero?»
disse lei nello stesso tono educatamente
sorpreso.
«Davvero»
dissi io con aria di sfida.
«Mi fa
piacere» disse allora lei.
Attesi un paio di
secondi, ma non mi sembrava
intenzionata a chiedermi nulla. «Per tua
informazione» dissi trionfante, «mia
madre...». Poi mi bloccai. Nel mio entusiasmo, non aveva
pensato a che
espressione usare. “è uscita di galera”
mi sembrava... beh... un’espressione
per criminali palestrati e tatuati. “verrà
rilasciata” sapeva di innocente
restituito ai suoi cari parenti. “tornerà a
casa” idem. «Mia madre ha risolto
le sue controversie con le forze dell’ordine» mi
uscì detto alla fine.
«Oh».
Qualche secondo di
silenzio. “oh?”.
«Uscirà
di prigione» dissi alla fine, come per
puntualizzare.
«Lo avevo
capito» disse Astoria, paziente. «Non
volevo turbare la tua sensibilità con manifestazioni di
entusiasmo fuori
luogo».
La guardai,
completamente disarmato, troppo per
fingere.
«Si,
insomma» sillabò lei, impassibile. Aveva
l’aria di una persona che tentava rispettosamente di farsi
capire da un
cretino, senza fargli sentire il divario di intelligenza tra di loro.
«Non
avevi un’aria felice».
«Io sono
molto felice» dissi sprezzante.
«Risparmiati
le tue arie per qualcun altro» disse
lei, mentre la sua bocca si trasformava in un sorrisetto. Maledetta.
«Non ti ho
chiesto di spiegarmi quale sia il
problema, ma ti ho semplicemente elencato i diversi scrupoli che mi
trattenevano».
Frustrato la guardai.
«Possibile che tu non sia
minimamente curiosa?».
«Sono solo
molto educata».
«E io
no?» mi accesi.
«Non molto,
no» disse lei.
«Sono un
Malfoy» dissi, con arroganza. «Innumerevoli
tradizioni...».
«Draco, come
ti ho già detto, la tua arroganza non
mi impressiona affatto» disse la ragazza, muovendo i capelli
con un colpo secco
della testa.
«Non si
tratta di arroganza, ma di coscienza della
propria posizione».
«Non sono
Potter, e la mia famiglia è pura quanto
la tua. Non accetto alcun tipo di pretesa
superiorità» mi informò.
Che potevo dire se
non... «Mmh».
«D’accordo,
allora. Tra quarantacinque... no,
quarantasette minuti» rettificò, guardando un
piccolo orologio d’argento che
teneva al polso, «si cena. A dopo».
«Non voglio
che mia madre esca di galera» le dissi,
ignorando quell’ultima uscita. Lei si bloccò,
meditò un istante su quell’ultima
affermazione, poi emise un respiro leggero che poteva essere uno sbuffo
o un
segno di concentrazione.
«Temi
Colui-che-non-deve-essere-nominato» disse
Astoria.
«Si»
dissi io. «Non credo sia contento di me, o di
lei».
Gli occhi le
brillarono, e in quel momento pensai
che ci fosse una domanda nei suoi occhi: “fino a che punto
non dovrebbe
esserlo?”. La guardai, sperando che si rispondesse da sola, e
lei non domandò
nulla. «Capisco. Tuttavia, considerati i fatti, ritengo che
difficilmente il
Ministero la lascerebbe andare senza sorveglianza. Inoltre, con tuo
padre
ancora in galera e tu qui, non hanno modo di minacciarla ricorrendo ai
suoi
affetti più cari. Ritengo che sia relativamente sicura,
benché il tuo affetto
per lei possa indursi a provare ancora un timore irrazionale per la sua
sicurezza» disse poi la ragazza, carezzandosi la guancia.
«Per ora, penso che
sia al sicuro».
Chissà
come, con quel suo discorso aveva centrato
tutti i punti fondamentali. Mi rilassai un pochino. «Parli in
maniera molto
diretta. La schiettezza è spesso rischiosa».
«Ma
estremamente utile, tutto sommato» rispose lei
senza fare una piega. Sogghignai, e lei dopo un paio di istanti mi
sorrise. Era
bello avere qualcuno con cui scherzare. Né con Tiger, o
Goyle, o Nott, o
chiunque altro lo avevo mai fatto. non senza malizia, almeno. Forse era
perché
era una ragazza, o forse semplicemente perché anche se
avessi fatto lo
spaccone, sarebbe stato assolutamente inutile.
«Vuoi fare
un giro?» le chiesi, indicando la scopa.
Lei tornò
seria. «Non ho familiarità con le scope».
«Strano»
commentai. Mi guardò senza capire. «Sei rigida
come un manico di scopa» dissi, molto soddisfatto della mia
caustica battuta.
Lei rimase impassibile. «Battuta grossolana». Feci
una smorfia offesa.
«Scusatemi, principessa».
«Di
nulla».
Tacqui un paio di
istanti. «Potresti provare».
«Potrei».
«Ma non lo
farai».
«No».
Nuova pausa.
«In ogni caso, ti ho visto volare. Sei
molto bravo» disse.
«Per questo
sono in squadra».
«Oh, tanta
gente entra in squadra senza esserlo»
disse lei.
«Come
Potter» commentai, sostenuto.
«Niente
affatto. Potter ha un immenso talento»
replicò lei.
Attesi un istante, ma
alla fine lo chiesi. «Più di
me?».
Lei attese un istante.
Lodevole scrupolo. «Si, più
di te» disse alla fine.
La guardai, molto
risentito stavolta. «Vado a
cambiarmi» le dissi, e me ne andai, inforcando la scopa, e
allontanandomi in
fretta. Come se con la velocità avessi potuto seminare il
pensiero che avesse
ragione.
Ero appena uscita
dall’ennesimo colloquio con la
McGranitt, la quale mi aveva voluto parlare per discutere con me di
“affari di
fondamentale importanza”. Il che significava, che voleva
spiegarmi il motivo
per cui a me era toccata la piaga-Malfoy. “Avrebbero
dovuto essere
estrazioni casuali” aveva detto, la fronte corrugata,
“e lo
sono state, nella maggior parte dei casi. Tuttavia ho ritenuto
opportuno
assegnare Malfoy a chi può tenerlo sotto controllo, visto
che temo azioni
sconsiderate da parte sua”. Quando aveva visto la mia faccia
perplessa aveva
aggiunto: “Sua madre verrà presto scarcerata, e
nonostante gli abbia offerto la
nostra protezione sono certa che sia molto preoccupato. Devo confessare
che le
sorti del giovane Malfoy mi hanno
causato più di un momento di preoccupazione, ultimamente. Mi
dispiace chiedervi
questo, ma...” e aveva scosso la testa.
Io l’avevo
rassicurata raccontandole della mia
conversazione con il cadetto Serpeverde. La vecchia strega non mi era
sembrata
così ottimista, ma indubbiamente si trattava di un fattore
promettente. A quel
punto le avevo spiegato che avevamo ottenuto informazioni fresche
sull’incarico
che dovevamo svolgere per conto del professor Silente, e che sarebbe
stato
necessario per noi assentarci uno dei giorni successivi.
Lei ci aveva promesso
carta bianca, mi aveva
aggiornato sugli scarsi successi ottenuti dall’Ordine, e poi
mi aveva lasciata andare.
Ero euforica. Kreacher
aveva localizzato Mundungus
Fletcher e lo aveva costretto, con
l’aiuto di Dobby, a confessare che ne avesse fatto del
medaglione. Il sangue mi
si era gelato nelle vene quando avevo
scoperto che era finito al mercato di Knockturn Alley,
perché... beh,
non era molto promettente, come informazione. Tuttavia era sempre una
traccia
concreta, e questo significava che avevo passato la giornata a
scervellarmi
sulle prossime mosse.
Fino a quando,
naturalmente, non mi era venuta
un’idea geniale. Idea che non avevo ancora esposto a Harry e
Ron, convinta
com’ero che non avrebbero affatto apprezzato. Comunque ero
decisa ad andare
fino in fondo, e fu così che mi decisi ad attendere la
lezione pomeridiana di
Incantesimi, una delle quattro lezioni pomeridiane che condividevo con
il mio
simpatico “partner”.
Quando entrai in aula,
piuttosto affannata, lo vidi
già seduto in una delle ultime file, imbronciato come
sempre. Tutta la sua roba
era posata sulla sedia accanto alla sua, al che ne dedussi che mi
stesse già
aspettando. Marciai decisa verso di lui, convinta che la cosa migliore
fosse di
dimostrarmi gentile e comunicativa con il mio nuovo alleato.
«Ehi,
Malfoy» dissi, con un sorriso che ricordava
più uno che soffriva di coliche. Lui si voltò
verso di me, mi guardò, e tornò a
guardare il libro. «Ciao, Granger» disse, laconico.
Ehm. «Grazie
per avermi tenuto il posto» dissi,
posando lo zaino sul banco.
Stavolta il suo
sguardo era vagamente vacuo, e ci
mise un po’ per capire quello che stavo dicendo.
«Tenerti il posto?» disse,
trasognato, e vagamente disgustato. «Io non ti stavo tenendo
il posto».
Sembrava assolutamente scandalizzato.
A quel punto mi
riservai il diritto di scagliargli
contro una occhiata assolutamente velenosa. «Avresti dovuto, considerando che sapevi
che avremmo avuto lezione assieme».
«E tu
avresti potuto
evitare di presentarti, sapendo quanto detesti
il suono
volgare della tua voce» mi rispose lui, con un sorriso
assolutamente malvagio.
A quel punto ero
davvero scocciata. «Sai una cosa,
Malfoy?» dissi, soave. Presi i suoi libri e glieli rovesciai
sui piedi con
estrema malagrazia, prima di appollaiarmi al mio posto con assoluta
nonchalance. «Continua pure in questo modo. In ogni caso,
dovrai ascoltare
quello che ho da dirti».
Lui mi
guardò inorridito, mentre i suoi occhi
correvano dai libri sparsi a terra alla mia espressione malefica, con
l’aria di
chi sta per vomitare. «Sei pazza, Granger? Vuoi finire ora i
tuoi pidocchiosi
giorni?».
«Sta’
zitto, Malfoy» dissi, senza scompormi. Avevo
io il coltello dalla parte del manico. «Tu stesso hai ammesso
che dovremmo
collaborare. I tuoi atti da sbruffone sono fuori luogo».
Divenne vagamente
violaceo, e parve in procinto di
inghiottire qualche melma nauseabonda. I secondi passarono velocemente,
mentre io
lo fissavo, in attesa. Aveva fatto una scelta, e doveva accettarlo.
Alla fine tutto il suo
corpo parve afflosciarsi.
Prese a raccogliere i libri, muto, senza più guardarmi.
Trionfante, mi voltai
verso Vitious che era appena entrato. Cominciò subito la
lezione, che era
incentrata su un Incantesimo che avrebbe permesso di trasportare
oggetti a
lunghe distanze.
Cominciai a prendere
appunti, e proseguii in questo
modo fino a quando, dieci minuti più tardi, qualcosa di
leggero mi sfiorò il
gomito. Era l’orlo di un pezzetto di pergamena. Dopo essermi
assicurata che
nessuno lo avesse notato, lo afferrai e lessi le seguenti parole,
scribacchiate
in una versione svogliata della pretenziosa calligrafia di Malfoy.
Forse era
fuori luogo.
Soffocando
l’impulso di guardarlo come se gli
fossero cresciute altre tre teste – poco saggio, considerato
che aveva
un’espressione decisamente infelice – mi sentii
tutto sommato raddolcita verso
di lui. Così presi la mia piuma d’oca, la intinsi
nell’inchiostro, e dopo
averci riflettuto un singolo istante buttai giù la seguente
breve risposta:
Togli pure il
forse, Malfoy. In ogni caso, ci sono cose più importanti di
cui dobbiamo
discutere.
Quando lesse la mia
risposta, la sua espressione si
fece impenetrabile. Per
esempio?
Scrisse in fretta prima di spingerle il foglio verso di me, bruscamente.
Per esempio, mi
affrettai a rispondere, forse sappiamo
dove trovare uno degli Horcrux. Quello di RAB.
Malfoy rimase a lungo
a fissare quelle poche parole
sul foglietto. Era molto pallido e dall’aria vagamente
malaticcia, tanto che mi
faceva quasi pena. Alla fine appallottolò il foglio, e molto
saggiamente lo
fece Evanescere con un colpetto della bacchetta. Alla fine prese un
altro pezzo
di pergamena e cominciò a scrivere in fretta.
D’accordo. Ma
questo che cosa c’entra con me, Granger?
Io ero basita. Cosa
c’entra? Malfoy, ci devi aiutare.
Questa volta non
trascorse neppure un secondo prima
che ricevessi la sua risposta. No.
La mia non
era una domanda, Malfoy. Abbiamo bisogno della tua collaborazione.
Perché mai
dovrei darvela?
Tu stesso hai
deciso di essere un nostro alleato. Devi aiutarci.
No, non devo,
stupida ragazzina. Non sono nella posizione adatta per rischiare.
Esitai, ma alla fine
scrissi: la
McGranitt mi ha detto di tua madre. L’Ordine intende
proteggerla,
Draco, così come intende proteggere te. Non ti sembra di
dovere qualcosa
all’Ordine?
Se non mi
sbaglio, fu
la risposta che ricevetti, lo
scopo di questo Ordine sarebbe di salvare tutti, non solo me, giusto?
Perché
dovrei essere l’unico a ricambiare?
Perché ce lo
devi, Malfoy. Devo forse ricordarti che quello che hai fatto
l’anno scorso
poteva costarti la libertà? Non sei stato neppure punito, perciò potresti
almeno fare del tuo meglio
per riparare a quello che hai già combinato.
Sembrò
costargli tutto l’autocontrollo in suo
possesso il rimanere calmo. Lo vidi chiudere gli occhi e rimanere
così per
diversi minuti. Alla fine sospirò, afferrò la
pergamena sgualcita dal
tira-e-molla continuo, e scrisse poche, concise parole: d’accordo. Dimmi che
devo fare.
Ero così
trionfante che mi ritrovai persino a
sorridergli – per una frazione di istante. Gesto che lui
scelse saggiamente di
ignorare continuando a fissare la lavagna lontana.
Dopo la prima
mezz’ora, il professor Vitious ci
assegnò gli esercizi da fare in coppia: ci diede delle piume
e ci chiese di
materializzarle sul banco del compagno. Non era così facile
come sembrava, ma
al secondo tentativo ci riuscii beccandomi così quindici
punti per Grifondoro.
Draco Malfoy non sembrava troppo concentrato, ma pur di ignorarmi era
disposto
a metterci molto più impegno del consueto.
Al sesto tentativo,
comunque, cominciò a imprecare
sottovoce.
«Il
movimento...» attaccai automaticamente.
«Sta’
zitta» mi interruppe, ma anche al tentativo
seguente neppure uno sbuffo di fumo gli uscì dalla bacchetta.
«Maledizione!»
sibilò lui. «Questa bacchetta deve
essere rotta».
«Non può essere
rotta» gli dissi, cercando di essere ragionevole.
«te ne accorgeresti».
Mi fulminò
con un’occhiataccia. «Non ha dato segni
di vita nell’ultima mezz’ora, e non è la
prima volta che succede. Questo, Granger, mi sembra una prova
sufficiente».
«Figurati»
dissi, sprezzante, e tesi la mano. «Te
lo dimostro, se vuoi».
La sola idea che una
Mezzosangue potesse voler
toccare la sua bacchetta era un duro colpo per lui; ma alla fine,
probabilmente, l’idea di sbugiardarmi parve essere
più forte, perché me la
tese, anche se sospettavo che avrebbe preferito vedermela toccare solo
con i
guanti. «Wingardium Leviosa» dissi, decisa, e
immediatamente la piuma si
sollevò, anche se con riluttanza maggiore di quella che
avrei potuto ottenere
con la mia. «E’ tutta questione di sicurezza,
vedi?» dissi acciuffando la
piuma.
Malfoy mi
strappò di mano la bacchetta. «Forza,
allora» disse, acido. «Come dovrei
fare?». Glielo spiegai, e non appena seguì
le mie istruzioni, la piuma apparve di fronte a me, anche se un
po’ di
pennacchi stavano ancora nella loro posizione originaria,
più in là. Vitious,
che passava lì vicino, ci fece un cenno di approvazione.
«In ogni
caso» mormorò Malfoy, dopo qualche
istante, «che cos’è che dovrei
fare?».
Ci riflettei su per un
istante. «E’ complicato» gli
dissi, nello stesso tono sommesso. «Più tardi,
prima di cena... troviamoci di
fronte alla Stanza delle Necessità. Anzi no»
dissi, ripensandoci, «facciamo dentro la stanza. Ti
spiegherò tutto.
Per adesso, sappi solo che dobbiamo recuperare
l’Horcrux».
«Sarà
una cosa rischiosa?» domandò alla fine.
«Non
credo» dissi io. «ma bisognerà essere
cauti».
Lui annuì,
e nessuno dei due disse più nulla. Alla
fine dell’ora schizzò via, dopo che gli ebbi dato
un orario per il nostro
ritrovo. Così mi unii ai miei due amici, entrambi molto
abbacchiati, e omisi
volontariamente di riferire loro del fatto che avrebbero incontrato
Malfoy.
«Terribile.
Terribile» ripeteva lugubre Ron, reduce
dall’ennesima ora in coppia con la Bullstrode. «Non
sono neanche riuscito a provare più di un paio di
volte, e
quella stupida vipera che sperava di
convincere Vitious di aver spostato la piuma con
l’incantesimo, e non
soffiandoci sopra...».
«Già»
disse Harry, ugualmente tetro. Zabini era
molto più bravo di lui e lo aveva ignorato come si ignora
un’anguilla schifosa,
guardando altrove a intervalli regolari affinché Harry
potesse provare, senza
riuscirci, a eseguire l’incanto.
«Non
capisco, perché proprio la Bullstrode? Non
poteva capitarmi qualcuno di più intelligente, oh, no. e la
Polisucco che dobbiamo
controllare ogni giorno, dopo che l’ha toccata lei
sembra...».
«Sentite»
dissi io, quieta. Ron proseguì per
qualche istante con la sua tiritera, mentre Harry si voltava a
guardarmi. «Questa
sera, alle sette meno un quarto, possiamo trovarci tutti nella Stanza
delle
necessità, perfavore?».
Harry mi
guardò, perplesso. «Se è per il libro
di
Piton...» disse, stupidamente.
«Non
è affatto questo» lo interruppi. «Non
posso
spiegarvi tutto ora, però... ho un piano».
Harry e Ron si
guardarono in modo eloquente.
«Sentite»
dissi, paziente. «Abbiamo un problema
molto grosso da risolvere, e sarebbe meglio che almeno cercaste di
interessarvene. Oh, e sarebbe carino se non deste già per
scontato che il mio
piano sia un autentico fallimento, prima ancora di sentirlo».
E detto questo mi
allontanai, in parte per non aggiungere altro dopo quella mia splendida
uscita,
un po’ anche perché non volevo altre domande.
Mentre camminavo in
tutta fretta verso Antiche
Rune, quasi mi scontrai con Luna, che scendeva canticchiando le scale.
«Ehi,
Hermione» mi salutò allegramente. Visto che era da
un po’ che non le parlavo,
le risposi con maggiore gentilezza del solito. «Ehm... ciao,
Luna. Come stai?».
«Oh,
piuttosto bene» fece lei allegra. Poi tese
impercettibilmente verso di me un mucchio di quelli che erano,
inequivocabilmente, vecchi numeri del Cavillo,
legati assieme da un cordoncino. «Sto portando questi a Theo.
Credo che ne
abbia bisogno: non mi sembra molto informato. Non aveva mai sentito
parlare di
Ricciocorni Schiattosi, né di Eliopodi» mi
informò, nello stesso tono allegro.
«The..?»
feci io, dubbiosa.
«Theodore
Nott» specificò lei, sistemando con una
mano un ciuffo di capelli argentati dietro l’orecchio, e
rischiando così di far
cadere a terra tutte le riviste. Sicura che comunque sarebbero state
presto
gettate via, mi schiarii la voce. «Ehm... sei sicura che
apprezzerebbe?».
«Ma
certo» fece lei, stupita. «Ha ottimi voti in
tutte le materie, sono certa che è molto dispiaciuto delle
sue lacune».
«Luna...»
dissi, cercando di suonare ragionevole e
convincente. «Nott non è tuo amico. È malvagio».
Normalmente non avrei voluto seminare discordia tra le case, ma mi
sembrava
giusto difendere Luna dalle grinfie di Nott.
«Ti
sbagli» mi corresse lei, serena, «ha perfino
punito Pansy Parkinson quando lei si è comportata male,
sai».
Questa informazione mi
sorprese. Naturalmente, tra
i Serpeverde c’erano sempre delle dispute. Il mio sangue
è più puro del tuo, i
miei amici sono più influenti dei tuoi, bla bla. ma punire
la Parkinson? «E
perché mai lo avrebbe fatto?» e poi, dopo un
attimo di ulteriore riflessione: «e
in ogni caso, che significa, comportata
male?».
«La sera di
Halloween, mentre voi facevate la ronda»
mi spiegò lei, senza scomporsi, «Pansy ha visto
Parvati tutta sola nel
corridoio e l’ha affatturata. O meglio, stava per farlo, ma
poi è arrivato
Neville e l’ha salvata. Nott se l’è
presa con Pansy, e anche quando è arrivata
la McGranitt le ha spiegato che era tutta colpa di lei».
Improvvisamente,
quello che avevo origliato nel
bagno sembrava avere acquisito un senso. Ma perché Parvati
era in giro per i
corridoi a quell’ora, specie con il rischio di incrociare
qualcuno? E Neville?
L’intera storia puzzava di bruciato, ma non
l’intervento di Nott.
«Probabilmente lo ha fatto perché Pansy
è la fan numero uno di Zabini» le
dissi. «In fondo, quei due si odiano da sempre».
«E allora
perché Zabini e la Parkinson non si
parlano neanche?».
Uhm. Quella era
senz’altro una buona domanda, ma la
risposta era semplice. «Beh, Zabini si sarà
stancato di averla sempre intorno,
no?».
Luna sorrise.
«Sono sicura che non è così
semplice».
Sospirai. Era inutile
ragionare con Luna. «Oh,
eccolo» disse proprio in quel momento, e la vidi salutare con
un ampio gesto
Nott, che avanzava corrucciato per il corridoio. Lui la vide,
impallidì, e
imboccò un corridoio laterale. «Non mi ha
vista» fece Luna, delusa. Non mi
sforzai neanche di replicare a quel commento. «In ogni
caso» soggiunse, tutta
felice, «avrò altre occasioni per
dargliele».
«Non faresti
meglio a tenerle tu?» le suggerii,
indicando il plico di giornali. «Puoi sempre spedirle a tuo
padre».
«Oh, no, non
penso che sia una buona idea» disse
Luna, con un sorriso generico, prima di partire
all’inseguimento di Nott.
Me ne stavo
appollaiato su una vecchia sedia –
l’unica che non mi si era sfaldata tra le dita – e
giocherellavo con un frisbee
zannuto che aveva smesso di mordere. Ero nascosto dietro a una
delle file di scaffali, perciò quando
qualcuno varcò la soglia della Stanza
delle necessità non mi videro.
«Insomma,
che ha per la testa Hermione? E dove si è
cacciata?» fece la voce irritante di Weasley, con uno sbuffo.
«Non
saprei» disse un’altra voce maschile che
apparteneva senz’ombra di dubbio a Potter. Parlava piano come
se avesse potuto
disturbare qualcuno. Mio malgrado, sbuffai, e mi alzai. I due
ammutolirono.
«Hermione? Sei tu?» fece Weasley, incerto.
«Ti sembro
la Granger?» feci, emergendo con grande
dignità dal mio nascondiglio, e sorridendo.
«Che co...
Malfoy!» ringhiò Pel-di-Carota, che
così
assomigliava senza ombra di dubbio a una
donnola con la rabbia. Harry Potter rimase in silenzio, ma con la mano
infilata
in tasca, probabilmente stretta attorno alla sua bacchetta.
«Sta’
calmo, stupido» dissi rivolto a Weasley, così
fuori di testa da sembrarmi il più pericoloso.
«Sono stato invitato».
«E da
chi?» fece l’altro, nonostante la risposta
possibile fosse solo una.
«Dalla
vostra amichetta, naturalmente» dissi io,
alzando gli occhi al cielo.
«Non ci
credo».
«Mi
dispiace. Succede molto di frequente, e
solitamente quando è la
verità».
«Malfoy»
disse Potter, le sopracciglia aggrottate.
«Puoi giurarlo?».
«Altrimenti
come ci sarei arrivato, qui?» feci
presente. «In fondo, ora sono un vostro alleato,
no?». dissi la parola
“alleato” con un chiaro atteggiamento di sfiducia e
disgusto.
«Chi ha
detto che se nostro alleato?» chiese
Potter.
Io lo guardai. Ma era
stupido? «La Granger ha
passato giorni a infastidirmi in proposito, e mi chiedi chi lo abbia
stabilito?».
Lo sguardo vacuo di
entrambi mi fece capire che la
Granger doveva aver omesso qualche particolare nel suo racconto.
«Meraviglioso.
Beh, non appena la stupida Granger sarà arrivata,
sarà in grado di chiarirvi la
faccenda» dissi, maligno.
Fu proprio allora che
la porta si aprì e la Granger
entrò, tutta trafelata. «Maledetta
stupida» la indirizzai prima ancora che
potesse salutare. «perché non hai detto nulla? Per
poco questi due imbecilli
non mi aggredivano!».
«Sta’
zitto» mi rimbeccò lei, rivolgendosi poi con
aria supplichevole ai suoi stucchevoli amici. «Scusatemi se
non ve l’ho detto»
disse, mortificata. «Pensavo che altrimenti non saremmo
riusciti ad avere una
discussione civile».
«Difficile
avere una discussione civile, anche
così» commentai, ma mi ignorarono.
«D’accordo»
disse Potter, cercando di prendere in
mano la situazione. «Hermione, l’importante
è che tu possa spiegarci...».
«...perché
diavolo lui è qui».
«Se tu
pensi di essere utile, Weasley» dissi, caustico,
«allora non dovresti stupirti
che la Granger voglia cercare anche qualcuno di utile».
«E saresti
tu?» disse il rosso, con disprezzo.
«Basta
così!» disse la Granger, in tono tanto secco
da farci tutti voltare verso di lei, muti. «Ehm...
ecco...» fece lei, un po’ più
insicura, «che ne direste di accomodarci da qualche
parte?».
«Se proprio
ci tieni» bofonchiò Potter.
Così si
sedettero a terra. io invece tornai sulla
mia sedia, poco distante. Nessuno mi invitò a unirmi a loro,
comunque.
«Dunque,
come dicevo» cominciò la Granger, in tono
solenne, «sappiamo dov’è il
medaglione».
«Lo
sappiamo» dissero i suoi due compari, mentre io
dicevo, «lo so».
Ronald Weasley mi
indicò. «Perché lui lo sa?»
ma fu
messa a tacere dall’occhiata assassina dell’amica.
Così la Granger poté proseguire
con il suo discorso. «E’ stato visto
l’ultima volta a Knockturn Alley, e
dobbiamo rintracciarlo al più presto. Per questo
motivo» e mi lanciò
un’occhiata furtiva, «ho pensato che sarebbe stato,
beh, utile se Malfoy ci avesse
accompagnati. Lui sa come muoversi, in
quell’ambiente, e forse riuscirebbe a scoprire cose che noi
non sappiamo».
«Vuoi farlo
partecipare?». Weasley sembrava in
procinto di soffocare.
La Mezzosangue
annuì. Potter sembrava in preda a un
conflitto interiore, ma alla fine si voltò verso di
me, con una certa ostilità. «E tu hai
acconsentito?».
«Così
pare» dissi, piuttosto tetro.
Potter pareva incapace
di accettarlo. «Perché?».
Era una buona domanda,
purtroppo. «Vorrei saperlo,
ma non lo so, contenti?» dissi, scontrosamente.
«Non avevo alcuna intenzione di
partecipare, mi ci sono trovato dentro senza neppure rendermene
conto».
«E vuoi
essere nostro alleato?». Potter era
sospettoso.
«Che altro
mi consiglieresti di fare?».
Anche la mia era una
buona domanda. Nel frattempo,
lenticchia aveva trovato un altro stupido motivo per aprire la sua
boccaccia.
«Hermione, non possiamo fidarci di lui. Voleva uccidere
Silente! Ha fatto
entrare i Mangiamorte nella scuola! è un
Mangiamorte!».
«Io non sono
un Mangiamorte» dissi, con una
smorfia. «No avevo molta scelta».
«Cos’è,
pensi che questo giustifichi tutto quello
che hai fatto?».
«No. penso
solo che nessuno di voi capisca nulla
della situazione».
Potter mi
scrutò. «Fatico a credere che tradiresti
Voldemort per noi» disse, e non potei fare a meno di pensare
che non avevo mai
menzionato un fatto di una certa rilevanza – che Lord
Voldemort era un assiduo
frequentatore della mia casa di città.
«Perché?
Credi che gli sia fedele?».
«No, ma
penso che tu abbia troppa paura di lui»
disse. Touché.
«L’Ordine
lo tiene d’occhio, Harry» disse in quel
momento la Granger. Era implorante. «Non potrebbe fare nulla
nemmeno volendo».
Potter
considerò la cosa per un paio di istanti,
poi si rilassò. «Ok,
d’accordo» disse, e il suo aspetto si fece...
docile. Si
alzò, spazzolandosi la polvere dai pantaloni, e si
avvicinò a me. Anche se non era entusiasta, mi
tese la mano.
Esattamente come avevo
fatto io sette anni prima.
La guardai, indeciso, ricordando il momento in cui me l’aveva
rifiutata. All’epoca
ero stato io a offrirgli il mio mondo. Alla fine la presi, e la strinsi.
All’epoca
ero stato io a offrirgli il mio mondo, e
ora mi offrivo volontario per distruggerlo. Ma la cosa più
paradossale – e
quando il pensiero mi attraversò la mente, scoppiai in una
gigantesca risata –
la cosa più paradossale, dicevo, era che quando Potter mi
tese la sua mano, io
fui felice che a quel tempo me l’avesse rifiutata, felice che
avesse deciso di
ignorare la mia offerta – felice di avere, adesso, una
alternativa.
Sapete come si dice,
no? – Mai dire mai.
SPAZIO
DELL’AUTRICE
Eccomi
ritornata a voi dopo una breve assenza passata a convincermi che, anche
se non
sto studiando per l’orale, io mi stia impegnando! Appena
sarà finita, spero di
postare un capitolo a settimana, ma il prossimo naturalmente non
arriverà prima
di due settimane (a tra due lunedì, quindi!)
Il prossimo
capitolo sarà in gran parte occupato dalla tanto attesa
missione alla ricerca
degli Horcrux, con tutti i problemi che ne possono derivare. Draco
sarò capace
di mostrare il proprio valore, o sarà solo una palla al
piede?
Alcuni dei
misteri che avvolgono gli altri personaggi rimangono insoluti, ma forse
comincia a esserci una maggiore chiarezza, anche se la soluzione non
è poi così
vicina! In ogni caso non sono certo gli unici ad avere segreti, a
Hogwarts...
ma ogni cosa a suo tempo.
Un paio di
rettifiche che devo fare, avendo riletto la trama: in uno dei primi
capitoli,
quando harry, Hermione e Ron vanno a Grimmaud Place, hanno una
chiacchierata
con Kreacher (vi rimando alla Rowling ^.^) ma lui non fa ancora il nome
della
Umbridge (che mi è scappato, visto che la sua vera
apparizione è nelle cucine
di Hogwarts). Un altro appunto riguarda Astoria, che in un capitolo
appare come
dello stesso anno del trio protagonista, mentre è di un anno
più piccola. Non è
invece sbagliato che frequenti alcuni corsi assieme a loro, nonostante
la sua
età: avevo pensato che, vista la mole dei suoi corsi, e non
possedendo un gira
tempo, frequentasse assieme a quelli del settimo alcuni corsi per poter
seguire
tutte le lezioni... avevo intenzione di spiegarlo più
avanti, e così sarà,
perché anche Astoria cela più di un segreto....
Breve
appunto, dopo una lunga assenza,
sui
titoli dei capitoli:
PUREBLOOD
PRINCE CHARMING (all’inizio da me denominato pureblood
prince) significa
“principe azzurro purosangue” con chiara allusione
al suo maldestramente
sfigato tentativo di salvare Hermione, e al principe mezzosangue.
PLAYING THE
UROBORO significa alquanto prevedibilmente “giocare
all’uroboro, recitare la
parte dell’uroboro”, ma può dare una
leggera sfumatura di “truffare, prendere
in giro”.
NEVER SAY
NEVER significa, ovviamente, mai dire mai, detto comune anche nei paesi
anglosassoni.
Detto questo,
a presto! Ringrazio come sempre i recensori e i lettori, che spero
diventeranno
sempre di più ^.^
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Capitolo 13 *** Unwanted initiation ***
UNWANTED INITIATION
«Non posso credere che io lo stia facendo»
commentai, mentre mi guardavo attorno. Il vicolo, buio nonostante fosse
pieno
pomeriggio, era squallidamente familiare con i muri muffiti che
trasudavano
umidume e quel vago odore di sporco e di pipì di gatto che
lo rendeva così
affascinante. Avevamo appena completato – evviva! –
una perfetta
Materializzazione assistita, e ci trovavamo a Knockturn Alley.
Gli altri tre mi rivolsero un’occhiata infelice,
che ricambiai. Potter aveva ingollato una discreta quantità
di Pozione
Polisucco, trasformandosi così in un tale alto e dinoccolato
che la Granger
aveva spiegato essere un suo zio. Sembrava che si fosse procurata
più di un
campione per la Polisucco prima di cominciare l’anno
scolastico. Weasley aveva
la barba, capelli un po’ più scuri, pelle
abbronzata e quel naso molto
Piton-esco che avevamo imparato a fare. La Granger aveva assunto a sua
volta la
Polisucco (era sua zia, al momento) e io... beh, pure. Non avevo voluto
trasformarmi in qualche assurdo parente babbano, ma avevo sottratto con
l’inganno un capello a un certo Abercrombie, che faceva il
mio anno ma era a
Corvonero e, ciononostante – un totale idiota.
«Sei sicuro di ricordare tutto?» chiese la Granger.
«Naturalmente» dissi, bluffando.
Lei sospirò. «D’accordo,
allora» pigolò, prima di
farmi un cenno di assenso. Tutti e quattro ci staccammo dal muro, e
loro
lasciarono che li precedessi, visto che non erano pratici di quelle
vie. Senza
esitare, li condussi attraverso un dedalo di stradine intricate verso
l’inevitabile meta – Magie Sinister.
Era stato un negozio florido, ma dal piccolo
incidente dell’Armadio Svanitore – nel quale, in effetti, la
responsabilità era soprattutto
mia – era finito evidentemente in rovina. La vetrina era
così sporca che a
stento si intravedeva l’interno, la porta sembrava pronta a
sfasciarsi e
l’insegna pendeva un po’ verso destra. Era
già qualcosa che non avesse dovuto
chiudere, comunque.
Arrivato alla porta esitai prima di aprirla,
sudicia come sembrava la maniglia. Alla fine però spinsi,
spalancandola.
L’ingresso era più buio del solito, e gli oggetti
niente affatto rassicuranti
contribuivano a deprimere l’atmosfera.
Mi voltai verso i miei sgradito accompagnatori;
Potter e Granger – no, Anthony e Patricia adesso –
cercavano di darsi un
contegno, mentre Weasley aveva un’aria molto stupida.
Avvedendosene, la Granger
gli pestò un piede.
Alzai gli occhi al Cielo e mi sistemai meglio la
veste che avevo trafugato dalla Stanza delle necessità, e
feci un passo in
avanti. «Non c’è nessuno?»
chiesi in tono nobile e infastidito. N
Una figura pallida, smunta e fragile emerse da una
pila informe di qualcosa coperta con un telo polveroso e lacero.
«Che cosa
volete?» abbaiò il signor Sinister, guardandoci a
turno con ostilità e
fissandosi poi su di me con un certo sospetto.
«Oh, non saprei» dissi, altezzoso. «Ha
forse
qualcosa di meglio da fare che servirci, Sinister?».
Ancora più sospettoso, ma anche più servile, il
mago fece un cenno di resa con il capo e disse: «Che cosa
desiderano i
signori?».
«I miei... zii» dissi, provando un sincero disgusto
all’idea, ma badando bene a essere impassibile, sono
ritornati da un soggiorno estremamente lungo
all’estero. Cercano
un manufatto che è stato loro sottratto».
«Che genere di manufatto?» chiese lui, gli occhi
che gli lucevano, e facendo un cenno affinché ci
avvicinassero. Si volse verso
di loro, come aspettandosi risposta. La Granger gli lanciò
un’occhiata
piuttosto ostile e vagamente offesa, che dovetti giudicare ben fatta.
«Non parlano bene inglese» mi affrettai a
precisare, annoiato. «Qualche sporco traditore del nostro
sangue ha profanato
la loro dimora e ha sottratto loro beni di valore
incommensurabile...» e
dall’occhiata vagamente cauta che lo vidi lanciarmi, non
avevo dubbi che
qualche suo amico si dedicasse
sovente a tale occupazione, «...tra i quali figura un antico
monile, un
medaglione, che era l’orgoglio della famiglia».
«E cercate solo quello?» chiese Sinister, in un
tono che non riuscii a comprendere. Si era avvicinato a uno scaffale, e
vi frugava
in mezzo come alla ricerca di qualcosa.
«Non dubitiamo di riuscire a recuperare i pezzi
più
grossi» dissi, con l’aria paziente di chi discorre
con un idiota. Ero fiero di
me e stupito di come stavo gestendo la situazione.
«Capisco» disse Sinister. Estrasse un piccolo
involto che conteneva una scatola laccata, di quelle che utilizzava per
custodire oggetti preziosi. «Capisco. Aprì la
scatola mostrando diversi oggetti
lucenti che scintillavano, e ne alzò uno. «I
signori lo riconoscono?».
A quel punto fui costretto a voltarmi verso di loro
nella speranza che mi illuminassero, perché non sapevo se il
medaglione
autentico somigliasse a quello falso che avevo visto in mano di Potter.
Lui
scosse la testa e Sinister ripose il gioiello.
«L’informazione secondo cui
l’oggetto sarebbe stato possibile da ritrovare a Knockturn
Alley» dissi allora,
«ci viene da un vile maguncolo di nome Mundungus
Fletcher». Ancora una volta,
era chiaro che lui e Fletcher si dovevano essere già visti,
e più volte. «pare
che lui lo abbia venduto a qualcuno da queste parti».
«E che cosa fa credere a lorsignori che lo abbia
acquistato io? Non sono certo l’unico della zona a
interessarmi a certi
...ah... manufatti» disse Sinister, con un sorrisetto
sgradevole.
«Conosco il suo buon gusto, Sinister» dissi
seccamente, ma nel tentativo di accattivarmelo. «Sono certo
che non avrebbe
mancato di notarlo, e di provare ad acquistarlo».
Lui fece un gesto simile a un inchino abbozzato.
«Capisco»
disse per l’ennesima volta, esaminandomi. «Non
credo di avere l’onore di avervi
ricevuto».
«Oh, sono già stato qui qualche volta»
dissi, in
tono casuale. «Tempo fa, naturalmente.
Adesso, come dire, i tempi non sono... propizi per certi
scambi». Poi mi
volsi verso la Granger, e con tono da bravo nipote, scandii,
«Zia, avresti la
copia del medaglione?».
Lei annuì, e cominciò a frugare nella sua borsa
alla ricerca dell’oggetto. «Dunque i signori
capiscono un pochino di inglese,
si?» disse Sinister, curioso.
«Oh, qualche parola qua e là» mi sforzai
di
rispondere con aria indifferente.
«E il signore?» domandò Sinister rivolto
a Weasley,
il quale aveva un’espressione vacua che non sembrava affatto
costruita – né pensavo
che lo fosse. Lui spostò lo sguardo da me a lui, come non
capendo. «Oh, no, lui
non capisce nulla» dissi, senza celare il mio disprezzo.
«E’ una sorta di
guardia del corpo, una cosa del genere, stupida e letale, comunque.
Vanno molto
di moda, da quelle parti, e vista la quantità di cose
preziose che trasportano,
è sempre meglio essere protetti».
La Granger mi tese il medaglione e lo presi. «Da
che zona vengono esattamente?».
Argh. Quello non era previsto. Mi sforzai di
elaborare una risposta intelligente. «Nonostante siano
inglesi di nascita,
hanno vissuto quasi tutto il tempo a Shanghai» buttai
lì, chiedendomi quali
fossero le possibilità che Sinister conoscesse una lingua
straniera.
«E la guardia del corpo...».
«Non so. Penso le addestrino i tibetani, ma non
saprei dire esattamente da dove venga» dissi. «In
ogni caso, questa è una copia
che riproduce le fattezze del medaglione».
Sinister gli lanciò un’occhiata prima di
afferrarlo
con mani nodose. «Capisco. Credo di potervi
aiutare».
«Non ne dubitavo».
«E’ rimasto in mio possesso solo per un paio di
giorni, ma...» mi lanciò un’occhiata
penetrante, «non avevo idea di che cosa
fosse. Né che appartenesse alla grande casata
di...» e rimase in attesa.
«Stornaway» buttai lì, a caso.
«Dall’Irlanda del
Nord».
«Ma certo. Se volete aspettare un istante...». e
scomparve. Allora vidi Potter tornare a respirare, e Weasley
apparentemente
euforico. La Granger mi lanciò un’occhiata di
approvazione, ma non riusciva a
inquietarmi come al solito, visto che la faccia non era la sua.
Quando tornò, tuttavia, vidi Sinister con la faccia
coperta da quella che, a primo acchito, sembrava essere una museruola
per gatti
troppo grande. Una museruola per tigri. Lo guardai, improvvisamente a
disagio.
«Duibuqi, wo
zhao le yi ge henyouyisi de dongxi. Zhaodao le. Shi bu shi hao de? Nin
men xiang
yao mai ma?».
Vaffanculo ai miei presentimenti.
La Granger e Potter si scambiarono un’occhiata
smarrita, poi si volsero a me. Io sudavo freddo. «Che
cos’è quella roba?»
domandai senza cerimonie.
Sinister mi sorrise al di là della griglia della
museruola. «Un traduttore, naturalmente. Ho chiesto loro se
sarebbero stati
interessati all’acquisto, ma pare che non mi abbiano
inteso». Che avesse
capito..? ma no, non era possibile.
«Che lingua sarebbe, quella?» chiesi,
condiscendente.
«Shi
pudonghua. È il cinese mandarino» mi
rispose lui, con quel sorriso
sgradevole.
Era il momento del tutto e per tutto. «Non parlano
mandarino» dissi, stancamente, «ma solo il dialetto
della zona».
Lui parve deluso oltre misura. «Sfortunatamente non
funziona con i dialetti».
«Peccato» dissi, non troppo dispiaciuto, e
recuperando gli anni di vita che avevo perduto per lo spavento.
«Il
medaglione..?».
«Venduto» rispose il vecchio, distrattamente,
mentre tornava a frugare tra il ciarpame. «Giorni
fa».
«Quanto tempo fa?». Cominciavo a spazientirmi
davvero.
«Era tre, quattro giorni fa al massimo».
«A chi?».
Lui mi guardò, e sorrise. «Non credo di essere
autorizzato a dirglielo».
«Perché no?» chiesi, soave.
«Perché» disse lui nello
stesso tono, «sfortunatamente per lei, il mio
Spioscopio è sufficientemente potente per fiutare
l’uso di Incantesimi di
Trasfigurazione».
Mi irrigidii. «Di che diavolo parla?».
«Oh, dovrebbe essere lei a dirmelo, signor... Windermere».
«Windermere è il nome dei miei zii. Il mio
è...».
«Ha poca importanza, temo» disse lui, e
sfoderò da
una piega del mantello consunto la bacchetta. «Ora,
andatevene. Fortunatamente
per voi, il Ministero mi tiene d’occhio, perciò
preferisco lasciarvi andare
piuttosto che ingaggiare battaglia».
«Temo che non ci sarà alcuna battaglia»
disse la
voce della Granger, che si accostò a me con aria minacciosa.
Levò la bacchetta
e senza emettere un suono la mosse. Il vecchio mago comunque fu tanto
lesto da
parare, e l’incantesimo venne deviato contro una vecchia
libreria che aveva
visto tempi migliori. Imprecando, Weasley mi superò per
darle man forte, mentre
Potter sembrava incerto sul da farsi. Il mio primo impulso invece fu di
gettarmi al riparo. Da dietro un grande quadro che raffigurava persone
– o
meglio, Babbani – che si inchinavano a un gruppo di
bellissime maghe, osservai
i re che finalmente Disarmavano il vecchio. Potter gli tappò
la bocca. «Non
vogliamo farle del male» disse, risoluto. «Ma
vogliamo sapere dov’è il
Medaglione».
«E se non volessi dirvelo?».
A quel punto ritenni che fosse sicuro uscire allo
scoperto, anche se emergere dal mio nascondiglio guastava un
po’ l’effetto.
«Chi stai proteggendo?».
Sinister mi guardò. «Nessuno, se non me stesso.
Qualunque cosa stiate cercando, non voglio pestare i piedi alle persone
sbagliate». Gli credetti all’istante.
«Allora penso che la cosa migliore sia
collaborare» dissi, con un sorriso malvagio. E in effetti
dovevo ammettere che
mi piaceva il ruolo
di interrogatore. «Perché,
che ci creda o no, non è affatto al sicuro,
vecchio».
Qualcosa nel mio tono parve convincerlo. «E’ venuta
una donna. una di quelle nobili, capite. Purosangue fin dalla notte dei
tempi.
Sosteneva che fosse suo» e sputò a terra, mancando
le scarpe di Weasley per un
soffio. Peccato. «ma io sono certo che mentisse».
Su quello nessuno aveva
dubbi. «Chi era?» chiesi, e gli puntai la bacchetta
al petto.
«Augusta Elton!» strillò Sinister.
A quel nome, mi sentii gelare, ma lo dissimulai
alla perfezione. «Ho capito» dissi, allontanandomi
di un passo. «D’accordo.
Ora, se non ti dispiace..» e prima che uno chiunque degli
altri potesse
fermarmi, avevo alzato la bacchetta e gridato, “oblivion!”.
Il mercante si afflosciò come svenuto contro la cassa.
«Che... perché lo hai fatto?» chiese
Lenticchia,
sbigottito.
«Non potevamo rischiare che rivelasse tutto»
commentai, mentre la Granger ripuliva ogni traccia del nostro passaggio
con un
ampio movimento della bacchetta.
Uscimmo in tutta fretta, sparendo in una stradina
laterale. «Muoviamoci» dissi, accelerando il passo
fino a che non ci trovammo
in un vicolo nascosto. Allora tesi in tutta fretta il braccio,
affinché la
stupida Granger lo afferrasse, e ci Smaterializzammo.
Quando atterrammo – per così dire – sul
dissestato
pavimento della Stamberga Strillante, mi lasciai cadere seduto a
riprendere
fiato. Il turbolento trio sembrava incline a fare lo stesso,
perciò per un
pezzo nessuno parlò. Alla fine, fu Potter a parlare.
«Ce l’abbiamo fatta»
disse, come incredulo, voltandosi prima verso la mezzosangue, poi verso
di me.
Non dissi nulla. una parte di me era fiera di
quello che aveva fatto, l’altra si odiava per averli
aiutati... e io stavo nel
mezzo,come al solito.
«Si» disse la Nata Babbana, e anche lei mi
guardò.
Sembrava euforica. «E’ andato tutto
liscio».
Annuii brevemente.
Breve silenzio.
«Beh, Malfoy» disse la Granger, evidentemente
imbarazzata. «Grazie».
Non risposi. Non sapevo che cosa avrei potuto dire.
«Dunque» disse Potter, per cambiare argomento,
«Augusta
Elton. Come facciamo a trovarla?».
«Forse» disse Weasley, lieto che il pericolo di
dovermi ringraziare fosse stato scampato, «potremmo chiedere
a mio padre...
magari al Ministero c’è qualcosa, che so, un
censimento...».
«O in biblioteca» aggiunse la sua stupida amica.
Potter non sembrava convinto. «magari basterebbe
chiedere a scuola...».
«O magari» cominciai io, e tutti e tre si voltarono
verso di me, sbalorditi. «basterebbe andare a Londra,
Grosvenor Square,
dodici».
Il primo a parlare fu Potter. «E perché dovremmo
andarci?».
«Perché è lì che abitano gli
Elton» risposi
impassibile.
Un lungo silenzio seguì; i tre stupidi fessi
assorbirono l’affermazione con una lentezza esasperante.
«E tu come lo sai?»
domandò alla fine la Granger, evidentemente ammirata.
Mi schiarii la voce. «Perché è mia
zia».
«Hermione? Hermione?».
Mi riscossi con un sussulto. «eh? Cosa?». Mi
voltai. Neville mi stava guardando, accigliato, un volume
dall’aria polverosa
sotto il braccio. «Neville» mormorai, guardandomi
attorno. Nessuno mi stava
guardando tra gli scaffali. «Che ci fai qui?».
«Cercavo un libro sugli innesti sulle Mandragole,
ma non è questo il punto» mi liquidò
lui. «Eri ferma come una statua a fissare
il vuoto, facevi paura».
«Ehm... sono piuttosto stanca, ultimamente»
farfugliai, incerta.
«A me sembri piuttosto preoccupata. E lo stesso
dice anche Luna» disse il mio amico, sedendosi accanto a me e
posando il
librone, la cui copertina di pelle recitava “evitare gli
innesti funesti”. «Senti,
Hermione... anche io sono nell’ES, no? puoi confidarti, se
qualcosa non va».
«Davvero, sto bene» mentii con un sorriso stanco.
«E’ solo che, sai, gli studi... la pressione... la
situazione» e scrollai le
spalle.
Lui strinse le labbra, scontento. «Luna mi ha detto
che sei in coppia con Malfoy. Non l’avevo notato, non ai
corsi che frequentiamo
assieme» mi disse, ansioso. «Ti sta trattando male?
Oppure...».
«No» dissi, questa volta più che
sincera. «Malfoy
non mi sta dando alcun problema. Anzi, è
insolitamente...» esitai. Non gentile.
«Collaborativo».
«Capisco» disse lui, e sembrò ritrarsi e
farsi
piccolo, come se lo avessi sgridato. Mi tornò allora in
mente quello che avevo
sentito dalla McGranitt, e decisi di indagare. «E –
e tu?» chiesi allora, in
tono delicato. «Mi hanno detto che hai affatturato Pansy
Parkinson».
«Mai decisione fu più saggia» disse
Neville, in
tono insolitamente sicuro. In effetti, da quando eravamo tornati a
Hogwarts,
sembrava molto più... beh, adulto. «Stava
importunando Padma».
«E’ una fortuna che tu fossi in giro a
quell’ora»
buttai lì innocentemente.
«Già, infatti» rispose lui, senza
raccogliere, o
forse senza capire.
«Non ti hanno tolto punti, vero?».
«Oh, no» disse Neville, con una smorfia.
«Ultimamente nei Serpeverde.... non so come spiegarlo, ma
sembra che siano
impegnati a lottare tra di loro. con i Corvonero e i Tassorosso
sembrano
quasi... cordiali. Quasi» soggiunse, ma pensai che fosse
strano. Non avevo
visto segni di particolare amicizia, anche se era vero che gli insulti
che
volavano un tempo sembravano essere finiti.
«Se lo dici tu» dissi io, senza nascondere la mia
perplessità.
Neville sembrava imbarazzato. «Beh, in ogni caso,
adesso devo andare» disse, dopo essersi schiarito la voce.
«Ho molto da
studiare, sai».
«Neville» dissi io, insospettita. «Sei
sicuro di
stare bene..?».
«Si, certo. Grazie per averlo chiesto. Ora scusami»
e fuggì a gambe levate, lasciandomi molto più che
perplessa. Ok, adesso era
assolutamente chiaro che Neville nascondesse qualcosa. Ma che cosa?
Presi
mentalmente nota di chiederlo a qualcuno il prima possibile;
l’ennesima nota
nel mio grande calendario degli appuntamenti, che comprendeva
“lavarsi i denti
tre volte al giorno”, “uccidere Lord
Voldemort”, “diplomarsi” e
“restare viva”.
Tra le altre cose.
Lo so, non avrei dovuto lamentarmi. Sapevamo
dov’era il medaglione, Draco Malfoy era nostro alleato, Pansy
Parkinson era
ancora in infermeria. Ma sapere che, nonostante tutto, non avevamo
ancora
combinato granché era piuttosto deprimente.
Ecco perché avevo detto a Malfoy di andare subito
dalla zia a riprenderlo. Lui però si era rifiutato, dicendo
che non avrebbe
fatto nulla senza un piano sensato, e da ieri mi evitava
perché non potessi
esporgliene uno. Ora, non mi importava di quanto fosse orrida la zia,
era
nostro compito prendere l’Horcrux e distruggerlo con
l’aiuto della spada che
Silente ci aveva lasciato, e che al momento faceva compagnia al
Cappello
Parlante su uno dei polverosi scaffali della Presidenza. Ci doveva
essere un
motivo se Silente aveva affidato il compito a noi, e non potevamo
deluderlo,
non importava quello che quell’orrida della Skeeter scriveva
su di lui.
Ci saremmo andati l’indomani, o il giorno dopo al
massimo, decisi. E se Malfoy voleva restare a scuola, tanto peggio per
lui.
Dopo aver preso quella risoluzione, decisi di
occuparmi di un altro dei punti della mia lista: indagare su Ginevra
Weasley,
che negli ultimi tempi era davvero di pessimo umore. Così,
dieci minuti più
tardi, uscivamo assieme dal buco del ritratto di Grifondoro –
essendomi offerta
di uscire a fare una passeggiata con lei per evitare Seamus che la
perseguitava.
«Siamo usciti assieme, d’accordo» fece
Ginny,
roteando gli occhi in un eccesso di disperazione, «e si,
è andata avanti per un
po’, ma... andiamo, Hermione, è uno
strambo!». Le assicurai con calore che non
ne dubitavo affatto, e così lei proseguì.
«E’ un inetto in metà delle materie,
e si vanta sempre della sua bravura nel resto, come se fosse un
fenomeno.
Baciasse almeno così bene» aggiunse in un
borbottio sordo.
«Beh» dissi, in tono leggero, «in fondo
non è che ti
aspettassi altro, giusto? Voglio dire» ed esitai, ma solo un
istante, «quello
che volevi era principalmente dimenticare Harry».
«Già» disse Ginny, tetra.
«Quel...».
«Si, si, ne abbiamo già parlato» mi
affrettai a
dire, perché se cominciava a insultare Harry poteva andare
avanti ore. «Però,
Ginny, continuo a pensare che dovresti fare qualcos’altro a
parte uscire con
Seamus. Qualcosa che ti tenga occupata, che ti faccia sentire... che
so, utile,
importante». Ginny non mi guardava. Teneva gli occhi fissi
sul sentiero. «Anche
se» aggiunsi, pensierosa, «in effetti tu hai
già qualcosa a cui dedicarti».
La vidi trasalire e mi bloccai, confusa. Sembrava
sbigottita. «Come?» fece lei.
«Hai – hai già qualcosa per tenerti
occupata»
ripetei, incerta. «Il Quidditch è una grande
distrazione, giusto?».
«Si» mormorò lei. «Immagino
che lo sia».
«A che cosa stavi pensando?».
«Io?». Ginny mi guardò, non del tutto
concentrata
su di me. «Beh, ecco... pensavo che ti riferissi allo
studio».
Era evidente che aveva ascoltato tutto il mio
discorso solo a metà, ma lasciai correre. «Ed
è vero che adesso esci con
Corner? Di nuovo?».
«Come hai fatto a scoprirlo?». Era preoccupata.
«Lavanda lo ha detto a Calì, che lo ha detto a
me»
dissi io, ricordando quell’ultima conversazione senza
entusiasmo. Calì mi aveva
abbordata con la scusa di chiedermi una conferma, ma poi aveva passato
una
buona mezz’ora a parlare cautamente di Colin Canon,
evidentemente sperando di
ricevere informazioni preziose da parte mia.
«E Lavanda come lo sa?». Adesso Ginny era
indignata.
«Vi ha visti dopo Erbologia, credo» dissi,
meccanicamente. «Allora
è vero?».
«Già» disse lei, alzando le spalle.
«E’ migliorato
durante l’estate, anche se non brilla certo per acume. Ma qualunque cosa» disse,
evidenziando le parole con cura speciale, «è
meglio di Seamus».
«Scommetto che sarà entusiasta di
sentirlo» dissi,
senza impedirmi di provare una punta di dispiacere per il poverino, che
stava
per essere piantato in asso. «Non ricordarmelo»
disse lei in tono drammatico.
«Sto cercando di non pensare a quando me lo
ritroverò tra i piedi, durante
tutti gli allenamenti..» e scoraggiata scosse la testa.
«Almeno terrà la bocca chiusa per un
po’»
commentai.
«Oh, non contarci troppo. Trova sempre qualcosa da
dire, possibilmente quello che è più
inopportuno» disse lei piccata. Poi,
guardandosi intorno, sbiancò. «Oh, no»
gemette.
«Che c’è?» chiesi, voltandomi
nella stessa
direzione. Notai una figuretta con lunghi, folti capelli neri che a
passo
fluido e calmo veniva verso di noi. «Chi
è?».
«Astoria Greengrass. La mia partner»
disse infelice. «Non capisco, è una ragazza
così strana...
essendo una Serpeverde ti aspetteresti che ti stia alla larga, ma no...
ha
preso molto alla lettera questa stupida idea degli
accoppiamenti».
Solo allora riconobbi la ragazza. «Perché
è
abbinata con te?» dissi. «Frequenta i corsi assieme
a me».
«Si, perché lei è un genio»
disse Ginny, alzando gli occhi al cielo. «Sai, voleva
frequentare tutte le lezioni, ma non aveva un Giratempo,
così le hanno concesso
di seguire alcune lezioni con altri gruppi, ma ha la mia
età». Sembrava in
procinto di vomitare.
Astoria se l’era presa comoda, ma finalmente
arrivò
a portata d’orecchi. «Ginevra» disse, con
voce pacata ma perfettamente udibile.
«Come stai?».
«Molto bene, Astoria, grazie» disse la mia amica,
con un sorriso tirato. «E – e tu?».
«Bene» disse lei, arrivandoci vicino. Si
voltò
verso di me. «Granger» disse, chinando il capo. Era
un saluto freddo, ma privo
di ostilità, disgusto, o qualunque altro sentimento.
Ricambiai il cenno, a
disagio. La ragazza mosse la lunga chioma fluente di scatto, muovendosi
verso
Ginny. «Mi chiedevo se ti andava di studiare assieme per
Difesa contro le Arti
Oscure, dopo pranzo».
«Ehm... mi piacerebbe» disse Ginny debolmente, alla
disperata ricerca di una via di fuga. «però...
purtroppo non posso».
Astoria la guardò, sollevando appena un
sopracciglio, poi prese a frugare nella borsa.
«Credevo...» disse, ed estrasse
un foglio che, nonostante la borse fosse ricolma, sembrava privo di una
singola
piega, «che dopo pranzo avessi un’ora
buca».
Ginny era allibita. «Tu... hai una copia del mio
orario?»
«Sono una persona organizzata. In questo modo è
più
facile gestire il mio tempo» disse lei, come se si fosse
trattata della cosa
più normale del mondo. «Non credevo di avere
sbagliato a segnare i tuoi orari,
ma posso facilmente correggere...».
«No» si affrettò a dire
l’altra. «Non... non ho
lezione, è solo che...» fece una pausa
microscopica, «...sai... ho un
appuntamento con il mio ragazzo».
«Con Michael Corner?» chiese Astoria.
«Capisco».
«Come sai che esco con lui?». Ginny era sempre più
esterrefatta.
«Vi ho visti assieme dietro la serra di Erbologia.
Non sembravate nascondervi, altrimenti non avrei certo fatto commenti
inopportuni» disse la Serpeverde, sbattendo le lunghe ciglia.
«Nessun problema» sospirò Ginny,
sconfitta.
«D’accordo, allora. Non ti trattengo oltre. Ci
vediamo comunque più tardi» disse Astoria.
Tornò a guardare me,
imperscrutabile. «Granger, era da un po’ che
speravo di incontrare anche te.
Volevo ringraziarti per aver parlato in mio favore con la Preside, il
giorno di
Halloween».
«Ehm... di nulla» balbettai io, arrossendo di
imbarazzo. «Non ho fatto che riportare la realtà
dei fatti».
«Oh, non direi che sia così semplice»
disse lei, la
bocca che si curvava impercettibilmente all’insù.
Senza la minima esitazione,
allora, capii che Astoria Greengrass sapeva qualcosa. Rimaneva solo da
appurare
quanto.
Non risposi nulla, e lei non sembrò prendersela.
«Arrivederci a entrambe» disse, prima di
allontanarsi con la stessa fredda
eleganza con cui era arrivata.
Io scambiai un’occhiata con Ginny. «Ma che razza di
ragazza è?» chiesi io alla fine.
Lei si limitò a scuotere il capo in silenzio.
Ero alla Guferia. Mi era arrivata un’altra lettera
di mia madre, piuttosto breve, che recitava così:
Draco,
ci saremmo
aspettati maggiore entusiasmo da parte tua alla notizia. Scrivi presto,
e
vienici a trovare.
Mamma e papà
Avevo subito scritto una risposta che non ero
riuscito a non far sembrare amara.
Madre,
che motivo
potrei mai avere per non essere felice? Semplicemente non ho molte
occasioni
per uscire dal castello, così come non le avete voi, se non
sbaglio. Non appena
potrò, verrò.
Draco
Oh, già mi immaginavo mio padre a sbiancare
leggendo quelle brevi frasi. Forse la mia era una rabbia
ingiustificata; appena
i vostri avranno assassinato qualche Babbano, non mancate di espormi le
vostre
idee al riguardo. Rimaneva comunque il fatto che ero nervoso e
irritato. A
questo, si era unito un pensiero che, per quanto possa sembrare
incoerente, mi
turbava. Avevo aiutato Potter e gli altri, non solo a parole; ne ero
soddisfatto. Eppure sapevo che i miei genitori non sarebbero stati
d’accordo. Probabilmente
avrebbero dato in escandescenze e si sarebbero messi a piangere.
Ebbene, ero
arrabbiato. Arrabbiato all’idea che, nonostante tutto quello
che era successo
gli anni prima, il mio mondo, la mia stessa natura, andassero contro le
mie
ultime azioni.
Legai la lettera alla zampa di un vecchio
barbagianni dall’aria vagamente malata. Magari sarebbe morto
prima di arrivare
al mittente. Magari si sarebbe perso. Sembrava anche un po’
cieco. L’uccello mi
guardò, emise un gesto stridulo e vagamente perplesso, e
inclinò appena la
testolina. «Muoviti» gli dissi, dandogli una
spintarella seccata. Volevo
allontanarmi in fretta dalla Guferia, che puzzava tremendamente. Ma
Gazza non
pensava mai di venire a dare una pulita?
L’uccello, indignato, mi beccò la mano con tanta
violenza da farmi sanguinare appena. «Brutto...»
imprecai, ma il barbagianni spiccò
il volo e si allontanò prima che potessi trasformarlo in un
arrosto. Esaminai
la ferita. Di sicuro non era preoccupante, ma sarei dovuto andare da
Madama
Chips. Mi infettavo con una facilità impressionante; e
quando mi infettavo
tendevo a gonfiarmi e a cambiare colore. Mi diressi dunque verso la
porta, che
si aprì in quell’istante facendomi quasi scontrare
con Blaise Zabini, che aveva
un’espressione di estrema sofferenza mentre entrava.
Ci bloccammo entrambi, scrutandoci in silenzio un
istante. Zabini era evidentemente imbarazzato all’idea di
essere stato colto
sul fatto. «Che ci fai tu qui?» mi chiese, nel suo
tono più malvagio. «Venuto a
cercare compagnia?».
«No, venuto a cercare tua madre» dissi, acido,
indicando il gufo più brutto che riuscii a vedere.
Il suo viso ritornò all’impassibilità.
«E’ un vero
peccato che le tue offese non abbiano alcuna efficacia»
commentò lui.
«Più o meno come i tuoi
tentativi di atteggiarti» risposi pronto.
Zabini si adombrò. «Adesso spostati,
Malfoy».
«E se io non volessi?». Oh, merda. Le parole mi
erano uscite prima che potessi impedirlo. Perché mai avrei
dovuto provocare
Zabini, e per di più in assenza di testimoni? E se avesse
voluto attaccare
briga?
Zabini si limitò a guardarmi per un paio di
istanti, come studiandomi. Alla fine del suo esame, parve sgonfiarsi
appena.
«Allora immagino che dovrò aspettare».
Mi sarei aspettato tutt’altro da lui, perciò non
sapevo bene che cosa rispondere. Mi feci da parte automaticamente,
stupendomi
della mia arrendevolezza, specie visto che fino a un istante prima lo
avevo
sfidato. Ma che mi stava succedendo?
«Ti ringrazio» disse lui senza alcuna
espressività.
Chinai appena il capo, prima che lui mi superasse. «Non
passare per il
corridoio del settimo piano, comunque» disse, mentre estraeva
una lettera dalla
tasca per legarla alla zampa del suo gufo. Mi voltai verso di lui,
stupito.
Stavo giusto per uscire dalla porta quando lui mi aveva bloccato.
«Perché non dovrei?» chiesi, cauto.
«E’ un consiglio amichevole» disse lui,
ancora
dandomi la schiena. «Penso che rischieresti di finire
affatturato».
Capitava di recente, specie ai Serpeverde. Da
quando avevano smesso di essere aggressivi, le altre Case stavano
saldando gli
arretrati. E diciamolo, io avevo un mucchio di arretrati che speravo
proprio di
non dover saldare. «Ti hanno affatturato?» non
potei non chiedergli.
«No» disse lui, mentre finiva di annodare la busta.
«Ma ci sono andati vicini».
Attesi un paio di istanti, alla ricerca di qualcosa
da dire, ma non mi venne in mente nulla. Così me ne andai in
silenzio, evitando
il corridoio incriminato, e arrivando sano e salvo da Madama Chips. Ero
stupito
dal comportamento di Zabini, ma mentre la vecchia Corvonero mi puliva
la ferita
ero troppo impegnato a piagnucolare per pensarci, e quando ebbe finito
l’intera
faccenda mi era sfuggita di mente.
Mentre attraversavo la Sala Grande per dirigermi
verso i sotterranei, sentii una mano calarmi sulla spalla. Mi voltai, e
vidi
Nott che, con una faccia da funerale, mi affiancava. «Qualche
problema?» gli
chiesi.
«Si, un grosso
problema» era da qualche giorno che non ci scambiavamo
più di un paio di
parole, impegnati come eravamo. In effetti, era più o meno
dalla sera di
Halloween, due settimane prima.
«Del tipo..?» lo incoraggiai.
«Quella schizzata della Lovegood.
Mi perseguita» disse lui rabbiosamente, guardandosi
attorno come se avesse temuto di vedersela spuntare accanto dal nulla.
«Mi
segue dopo le lezioni, e mi fa una quantità infinita di
domande su...
su...» sembrava
incapace di ripetere gli
argomenti in questione, «su quelle porcherie che suo padre
pubblica sul
giornale» concluse allora.
«Che giornale?» chiesi io, che della Lovegood
sapevo solo che era un’amica di Potter e compagnia.
«Il Cavillo»
sputò fuori Nott, e solo allora scoppiai in una sana risata.
«ma non mi dire!
Stai con la figlia di Xenophilius! Quel vecchio pazzo... non sapevo
quale fosse
il suo cognome...» e continuai a ridacchiare.
«Non so come tu faccia a considerarlo divertente»
sbottò il mio amico, velenoso. «Quando mia madre
ha scoperto con chi sarei
dovuto stare, ha scritto alla McGranitt, ma credi forse che quella
vecchia
megera mi abbia fatto fare cambio? NO!». e aprì le
braccia in una espressione
di vera sconfitta.
«E’ una vera megera» acconsentii,
serafico. «non la
inviterei al tuo matrimonio con la Lovegood, se fossi in te».
«Non scherzarci sopra!» esalò lui, come
in preda a
un attacco d’asma. «Preferirei di gran lunga essere
sposato con Zabini!».
«E a proposito di Zabini» dissi io, mentre la breve
scenetta di poco prima mi tornava alla mente. «L’ho
incontrato prima, e
sembrava turbato. Tu sai che cosa
stia
combinando?».
«Non ne ho idea» disse Nott, tornando alla sua
espressione fredda e acuta. «E’ furbo, non lascia
che la gente si
intrometta nei suoi affari
privati».
«E’ per questo che avete fatto a botte, a
Halloween?». Finalmente avevo l’occasione perfetta
per indagare.
«Si è messo contro la persona sbagliata»
tagliò
corto lui. Io lo guardai, infastidito. «Che cosa intendi
dire?» chiesi.
«Nulla di importante» disse Nott, estremamente
cauto. «E’...».
«Malfoy!». Entrambi ci voltammo, appena in tempo
per vedere la Granger che arrivava come una furia verso di noi. Mi
guardai
attorno, agghiacciato. La Sala era piena di gente, e non volevo che mi
vedessero assieme a lei.
«E non gridare, stupida!» le dissi seccato quando
ci raggiunse.
«Scusa se provvedo a gettare un’ombra sulla tua
aura di Purosangue, Malfoy» disse lei tranquilla senza
badarmi. «Ma avrei
alcune cose da chiederti». Sempre più inorridito,
ma cercando di dissimularlo,
la guardai con un sorrisetto di disprezzo e feci una risata.
«Non mi interessa
nulla dei tuoi progetti di studio, Granger» le dissi,
cercando con la mente di
inviarle il messaggio “ne parliamo
dopo,
imbecille”. Messaggio che lei ignorò o
non percepì proprio. «Oh, penso che
ti interessi eccome» disse la mezzosangue, soavemente.
«Devo già sopportare abbastanza la tua presenza a
lezione, senza che mi disturbi anche altrove, Granger» le
dissi. Meschino, io?
Avevo forse scelta?
La vidi colorarsi di scarlatto per la rabbia.
«Molto bene» disse comunque, con dignità
estrema. «Fai come vuoi». E si
allontanò, altrettanto in fretta di come era venuta, e
lasciandomi certo di
averla offesa. Probabilmente era venuta per dirmi di qualche suo piano
vaneggiante per introdursi a casa di mia zia e ottenere il medaglione.
Magari
non mi avrebbe neanche fatto partecipare. Sarebbe stato perfetto... o
almeno
così diceva una grande parte di me. In fondo, avevo
già fatto abbastanza per
loro.
«Non sono l’unico a essere perseguitato»
commentò
Theodore, mentre la stupida ragazza saliva le scale.
«E’ ossessionata dalla scuola, oltre a essere
insopportabile» dissi io.
Già. Oltre a essere la mia principale garanzia di
salvezza.
«Ne sono lieta» disse la McGranitt. Avevo appena
finito di spiegarle che la nostra missione era andata a buon fine.
«E per
quanto riguarda il giovane Malfoy..?».
«Ha contribuito molto» mi affrettai ad assicurarle.
«Anzi, senza di lui, adesso le informazione che abbiamo
ricevuto sarebbero
inutili. Può accompagnarci da... nei posti dove possiamo
proseguire con la
nostra ricerca»
La McGranitt sospirò. «E’ una buona
notizia» disse,
piano, «ma chi sa ancora per quanto potrà esserla?
Se la madre esce di
prigione...».
«C’è tempo» la assicurai.
«Lo convinceremo a farla
trasferire al quartier generale. Potrà restare protetta fino
alla fine della
guerra».
La McGranitt mi guardò con i suoi occhi penetranti,
e insolitamente tristi. Poi sospirò di nuovo, più
profondamente, e chiuse gli
occhi un istante. Quando li riaprì, erano ancora
più velati di malinconia.
«C’è
qualcosa di sbagliato in dei ragazzini che parlano di guerra»
mormorò. «E’ uno
spettacolo che nessun educatore vorrebbe mai vedere».
Io non potevo non essere d’accordo, ma non lo
dissi. «Questo compito è toccato a noi»
dissi invece, e sorrisi stancamente. «E’
bello sapere che possiamo fare in modo che non accada più,
professoressa».
La vecchia strega tirò su con il naso, secca. «Il
professor Silente ha sempre buoni motivi a giustificare le scelte che
fa» disse
nel suo solito tono spiccio. «Anche se la maggior parte delle
volte tali
ragioni risultano incomprensibili ai più».
«Su, su, Minerva» disse la voce di Silente,
proveniente dal suo ritratto poco distante, in tono allegro.
«Non è carino
farmi pesare la mia straordinaria intelligenza!».
NOTE DELL’AUTRICE
Eccomi tornata
a voi dopo aver terminato con relativo successo gli esami!
Muhuhuhuhahahaha!
Dunque, avevo detto che lo avrei postato lunedì, ma visto
che ho già pronto il
prossimo e sto per scrivere quello dopo, eccolo a voi! XD ho
anche deciso di cambiare font di scrittura perché
ultimamente questo mi piace di più... e anche per cambiare
un po'!
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Capitolo 14 *** SNEAKY snake ***
Era
la mattina della mia partita, e sentivo che entro breve avrei vomitato.
Anche
l’idea di ingoiare del succo di zucca mi nauseava, specie
perché tutto il mio
tavolo continuava a lanciarmi occhiatine più o meno furtive
che sapevano
vagamente di minaccia. Non era certo impossibile battere i Corvonero,
questo
era certo; ma neppure era facile, specie perché la nostra
squadra non era
esattamente.... beh, unita. Zabini, poco distante, si era immerso nella
lettura
del giornale per non far notare a nessuno il suo colorito cadaverico.
Mulciber
si ingozzava come un maiale, evidentemente sperando di togliersi dalla
testa la
partita imminente, Tiger e Goyle si scambiavano alcune brevi frasi con
espressione ugualmente ebete, e la Bullstrode lanciava a tutti occhiate
assassine. Roberts non si vedeva da nessuna parte –
probabilmente era in bagno
a vomitare. O a cercare di nascondersi. Forse sperava che, se non
avesse fatto
vedere la propria faccia in giro, in caso di fallimento nessuno lo
avrebbe
riconosciuto. Vana speranza.
McNair
mi guardava di sottecchi, poco distante. Quando, poco prima, mi aveva
augurato
buona fortuna, per poco non lo avevo mandato a quel paese. Aveva
riconosciuto
subito che non tirava una bella aria, perciò era svanito
prima che potessi
sfogare la mia ira ingiustificata su di lui. Nott – il quale,
sospettavo,
invidiava un po’ la gloria dell’essere giocatori
– non era neppure sceso a
colazione, sostenendo che aveva da fare, e che avrebbe
fregato da mangiare dalle cucine, più tardi.
Astoria
invece era seduta accanto a me, ma mi ignorava quietamente. Da quando
mi aveva
informato che Potter era meglio di me a giocare avevo fatto del mio
meglio per
recitare la parte dell’offeso, ma senza scalfirla
minimamente. Anziché offendersi
o fingere che non esistessi, si limitava a comportarsi come faceva
sempre – ma
senza rivolgermi spontaneamente la parola.
Cominciai
ad accoltellare il bacon, occupazione che mi permise di recuperare,
almeno in
parte, la mia consueta serenità d’animo. Se avessi
giocato bene – ma non potevo
sperarlo – non avrei dovuto sperarlo
– sarei riuscito a riacquistare un po’ di
popolarità tra i miei compagni?
Mentre
ci meditavo su, un enorme gufo grigio planò assieme a pochi
altri verso il
nostro tavolo, appesantito da un plico eccezionalmente voluminoso,
atterrando
davanti a me e tubando soddisfatto per il successo della sua impresa.
Non era
un gufo della scuola, ma quello del Profeta. Attese pazientemente che
slegassi
l’involto di carta che teneva attaccato alla zampina, e che
lo pagassi – poi
spiccò il volo in tutta fretta.
Sollevato
all’idea di avere qualcosa da fare, osservai il pacco.
Naturalmente avevo già
un’idea di che cosa contenesse, ma sarebbe stato
controproducente mostrarlo
davanti a tutti. Mi
limitai a leggere
l’indirizzo vergato in un’anonima scrittura
antiquata: “Signor Draco Malfoy –
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts” e, poco
più sotto, “La Gazzetta del
Profeta”.
Aprii
invece il giornale che vi era allegato, il numero odierno. Il titolo di
pagina,
riportato in caratteri di uno squillante color vermiglio, recitava: IL MINISTRO KINGSLEY VARA NUOVE RIFORME PER
LA TUTELA DEL MONDO MAGICO E BABBANO. Osservai la foto
allegata,
naturalmente a colori. Il ministro era raffigurato nell’atto
di stringere la
mano a dei rappresentanti delle forze di polizia babbane. Puah. Questo
era il
genere di cose nella quale la Granger e i suoi sarebbero sguazzati.
Solo poi mi
vennero in mente due cose: il primo, che Kingsley era effettivamente
uno dei
membri dell’Ordine. Secondo, che ufficialmente lo ero anche
io.
Mi
sentivo prossimo al collasso. Allungai la mano verso il succo di zucca,
ma mi
arrestai a metà del movimento quando lessi il secondo titolo
che, più in basso,
troneggiava sulla prima pagina. CONTINUANO
LE MISTERIOSE SPARIZIONI A LONDRA – sospetto coinvolgimento
di Colui – che –
non –deve – essere – Nominato.
Rimasi a fissare la pagina, interdetto,
diversi secondi.
Dunque,
dopo che aveva chiamato a sé i suoi seguaci, il Signore
oscuro aveva cominciato
a darsi da fare. E se avessero scoperto la sua ubicazione? Che cosa ne
sarebbe
stato di me, e della mia sicurezza? L’opinione pubblica si
sarebbe scagliata in
massa contro i Malfoy – era inevitabile – ma
l’Ordine? Mi avrebbe creduto se
avessi giurato loro di esserne all’oscuro? Mi avrebbero
protetto comunque?
Ero
terrorizzato. Mi resi conto, in ritardo, che la mia mano era ancora
sollevata a
mezz’aria. Afferrai il giornale con entrambe le mani tremanti
e lessi quello
che segue:
Non vi sono tracce
ancora dei
responsabili delle misteriose sparizioni che stanno terrorizzando la
Londra
magica e non solo. Si sospetta che si tratti degli stessi ignoti che,
mercoledì
scorso, hanno ucciso Eveline e Frances Rosier, lontane parenti del noto
ex
Mangiamorte, forse perché considerate
“traditrici” del loro sangue. Eveline, la
più giovane, si era diplomata alla Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts
solamente due anni fa come Corvonero, e si stava preparando per
sostenere
alcuni degli esami che l’avrebbero giudicata idonea a
insegnare Babbanologia.
«Era una ragazza perbene, si» racconta Dedalus Lux,
che era stato contattato
dalla Rosier per ragioni di studio qualche tempo prima, e aveva avuto
modo di
conoscerla. «Mai una parola fuori posto... mai una diverbio
con la sorella
Frances, nonostante fossero di Case diverse... più volte mi
aveva raccontato di
voler dimostrare che tra lei e il cugino Mangiamorte non esistevano
vincoli».
Questa ondata di
terrore,
notevolmente incoraggiato da questo ultimo omicidio, ha portato
l’opinione
pubblica a puntare il dito contro i Mangiamorte ancora latitanti, che
sembra
abbiano ripreso la loro attività nella capitale.
«L’invito che rivolgiamo alla
popolazione» ha detto Kingsley ieri, durante...
«Che
cosa leggi?». La domanda di Astoria mi fece sobbalzare. La
guardai, spaesato,
prima di capire il senso della sua domanda. «Nulla di
importante» dissi,
sforzandomi di sembrare indifferente, ma affrettandomi a piegare il
giornale
per riporlo sotto al piatto. Dovevo avere un aspetto di merda, ma forse
poteva
passare per il panico pre-partita.
«Sicuro?
Sembra che tu abbia ricevuto brutte notizie» fece lei,
impenetrabilmente
curiosa, fissandomi i suoi occhi neri addosso. Deglutii, ma non diedi
altro
segno di panico. «No, no» dissi, portando alla
bocca il calice pieno nel
tentativo di recuperare tempo. Merda. Merda. Merda. Dovevo fuggire.
Anzi, no,
dovevo parlare alla Granger. Era la cosa migliore; raccontarle tutto
quanto,
implorarla di credermi, strisciare se necessario... ma se fossero
andati a cercare
il Signore Oscuro e li avessero catturati? Se il Signore Oscuro li
avesse
beccati, e avesse visto che ero stato io a tradirlo? Sarei riuscito a
mentirgli, a dirgli che lo avevo fatto per mandarli dritti in una
trappola? Un
conto era nascondergli dei dettagli, ma mentire a una sua domanda
diretta?
Sarei riuscito a farlo? Avevo una tale faccia tosta, un tale coraggio?
«Draco?».
Ancora una volta mi ero perso nei miei pensieri. Notai che Astoria si
era
sporta appena verso di me, le sopracciglia elegantemente aggrottate.
«Non
sembri affatto stare
bene» disse,
sottolineando graziosamente l’”affatto”.
«Certamente.
È il nervosismo da partita» dissi, e sforandomi di
darmi un contegno infilzai
del bacon ormai freddo e me lo cacciai in bocca, pregando di non
vomitare
davanti a tutti. Con gli occhi cercai involontariamente la Granger, che
sembrava immersa in un fitto dialogo sottovoce con i suoi amici,
nessuno dei
quali faceva caso al sottoscritto. Avrei potuto raggiungerli mentre si
alzavano
per dirigersi agli stadi... o forse era meglio aspettare per non dare
nell’occhio? Era alquanto patetico considerare Potter e la
Granger come
un’ancora di salvezza, e mi turbava essere giunto a questo
punto, ma eh,
biasimatemi se potete. In fondo erano loro ad atteggiarsi a salvatori.
«Se
è così, allora non preoccuparti» disse
lei, flemmatica. «Il Cercatore è quella
Chang, non è forse così? È molto
veloce, magrolina com’è, ma guida una Comet
Centosessanta e oggi c’è un vento particolarmente
intenso. Tu avrai sicuramente
la possibilità di fare manovre più precise, e
poi, non è poi chissà quanto
brava».
«Non
avevo dubbi in proposito» dissi, cercando di essere freddo,
ma con l’unico
risultato di emettere uno sgradevole squittio che non aveva alcuna
connessione
con le mie prestazioni sportive, o quelle della Chang. Specie con
quelle della
Chang.
«D’accordo»
disse lei, tornando al suo riso soffiato con una scrollatina di spalle
particolarmente ben riuscita.
«Scusatemi»
disse allora una voce sognante alle nostre spalle. Mi voltai, e vidi
quella
pazza di Luna Lovegood in piedi di fronte a noi. indossava una sciarpa
con i
colori di Corvonero attorno al collo, ma dalle orecchie le pendevano
due enormi
orecchini. Uno dei due rappresentava un grande uccello nero, a dire la
verità
un po’ spennacchiato, che sembrava piuttosto affaticato da
una corona che
portava sul capo. L’altro era un Serpente che sembrava sotto
l’effetto di
droghe, a causa dei due grandi occhi formati da due pietrine
scintillanti di
colore verde.
«Che
c’è?» le chiesi, scorbutico.
«Voi
conoscete Nott, non è vero?» chiese la ragazzina,
guardandomi con i suoi occhi
sporgenti. Faceva venire i brividi, e non era quello di cui avevo
bisogno, al
momento. «Già» risposi io, cauto,
ricordando le parole del mio amico su di lei.
Nel frattempo più di un Serpeverde si era accorto della
ragazza, e ci guardava
facendosi scappare delle risatine. Ero sempre più irritato.
«Lo
avete visto, per caso? Volevo fargli gli auguri» disse la
Lovegood.
«E
per cosa?».
«Per
la partita» disse lei, e indicò i suoi orecchini
con un sorriso. «Volevo solo
assicurargli che anche nel caso in cui avessimo perso, noi Corvonero la
prenderemmo con Sportività».
«Non
penso nutrisse serie apprensioni al riguardo» dissi, con un
sorriso sprezzante.
Lei
mi guardò. «Oh, non saprei» disse lei.
«In ogni caso, volevo anche dargli
questo». E come dal nulla, estrasse una copia di quello che
era, senza dubbio
alcuno, il Cavillo.
Me
lo tese, ma io non feci il minimo accenno
di prenderlo. «Che cosa?».
«Papà
ha scovato un testimone molto interessante sulla rivolta dei Goblin di
cui gli
parlavo» disse lei, innocentemente. «Perso che sia
giusto che lo sappia, la sua
famiglia non ci fa una gran bella figura, anche se forse potrebbe
essere un
semplice fraintendimento».
«Se
è per questo» dissi in tono di scherno,
«Nott non userebbe il Cavillo neppure
come carta igienica». La Lovegood mi guardò con i
suoi occhi spropositati,
apparentemente indifferente. «E’ normale che tu
voglia osteggiare papà. Lui è
l’unico ad aver portato all’attenzione pubblica il
fatto che i Ricciocorni
Schiattosi siano una specie in via di estinzione grazie alle battute di
caccia
del diciottesimo secolo a cui molte famiglie, compresi i Malfoy,
partecipavano». E detto questo si allontanò
canticchiando tra sé.
«E’
completamente pazza!» dissi ad Astoria, i cui occhi erano
fissi laddove Luna
Lovegood era sparita.
«Xenophilius
Lovegood è un tipo strano» concesse Astoria,
meditabonda, la fronte corrugata.
«Sai, mio padre ha dovuto avere a che fare con lui una volta,
in seguito a una
delle sue pubblicazioni più deliranti». Vedendo la
mia espressione perplessa,
chiarì: «mio padre fa parte del Wizegamot, non lo
sapevi?». Io scossi la testa,
sorpreso, e lei fece un sorrisetto prima di continuare. «Beh,
oltre ad avere la
passione per le storie inverosimili, pare si dedichi a esperimenti
piuttosto
pericolosi. È così che è morta sua
moglie, mi è sembrato di capire; un qualche
incantesimo le deve essere andato male. Ho sentito che
si sta dedicando a ricreare il diadema
perduto di Corvonero» e non riuscì a evitare di
alzare gli occhi al Cielo,
scettica, «tanto che ha contattato un amico di mio padre
all’Ufficio Brevetti
Magici per fissare un incontro e mostrarglielo».
«Una
famiglia di pazzi» dissi, scuotendo la testa.
«Già.
La cosa peggiore è che sembra che lui appartenga a qualche
strana setta. I
soliti sciroccati che si credono illuminati, eccetera. Pare che la
setta sia
nata a Dumstrang, anche se non so altro». Astoria
sorseggiò il suo succo di
zucca con aria dignitosa, come a dire, “grazie a Dio non ci
sono dentro”. «La
piccola Lovegood è stata molto sfortunata a crescere in una
famiglia simile.
Come tutti i Corvonero, deve avere grandi
potenzialità».
«Ma
andiamo!» sbottai, esasperato. «E’
più scoppiata di uno Schiopodo Sparacoda!».
Lei
sorrise. «Spesso i geni sono quelli più
spostati».
«In
ogni caso non se ne fanno molto, della loro intelligenza»
dissi io
ragionevolmente, «se la utilizzano solamente per inventare
stupidi complotti
che coinvolgono Ricciorutti Spocchiosi, o qualche Goblin cucinato in
crosta,
o... o...».
«Credo
si chiamino “Ricciocorni Schiattosi”, ed
è normale che la leggenda sulla loro
esistenza si sia alimentata. Da lontano, le manticore...»
cominciò Astoria, ma
fu interrotta da Zabini, che sopraggiunse con la sua aria da funerale.
Non
sembrava felice. Mi sono sempre chiesto perché avesse deciso
di fare il
Portiere, anziché cominciare come Cacciatore. Ma visto le
risorse umane,
immagino fosse inevitabile.
Il
suo arrivo mi riportò a questioni più urgenti.
«Tra mezz’ora dobbiamo essere in
campo» mi annunciò Zabini, tetro. «Spero
che tu sia pronto».
«Naturalmente»
dissi, fingendo noncuranza.
«Ottimo,
perché lo sono anche i Corvonero» mi
annunciò. «Anche se Cho Chang sembra
nervosa, la loro squadra è fin troppo buona, mentre la
nostra...» e scosse il
capo.
«Cerca
solo di non farne passare troppe, Zabini» dissi con un
sogghigno.
«in
campo tra mezz’ora» disse lui acido, andandosene.
«Perché
lo provochi?» chiese Astoria quando Zabini non fu
più a portata d’orecchi. «In
fondo, se lo demoralizzi, farà male a tutta la
squadra».
«Zabini
deve imparare a stare al suo posto» dissi io, imbronciato.
«Non
mi sembrava particolarmente aggressivo».
«Mi
odia, d’accordo? Ci siamo sempre odiati, e sempre ci
odieremo. Fine della
storia».
«Ok»
disse lei indifferente.
Un
istante di silenzio. «Verrai alla partita?».
«In
realtà avrei voluto approfittarne per studiare»
disse lei, e io ci rimasi male.
Feci finta di nulla e alzai le spalle nel gesto di indifferenza per
antonomasia. «Se vuoi che assista, comunque,
verrò» soggiunse dopo avermi
osservato un istante.
«Fa
come credi» dissi io, facendo finta di nulla.
«Buona
fortuna» mi disse, prima di accodarsi per uscire dalla Sala.
Speravo che
sarebbe venuta. Avrei dimostrato a lei e agli altri che cosa
significasse
essere un Malfoy.
Il
che mi riportò a un’altra questione. Mi voltai
verso il tanto odiato tavolo di
Grifondoro. Potter e i suoi amici si stavano alzando proprio in quel
momento.
Non volevo avvicinarmi a loro davanti a tutti, ma speravo che avrebbero
guardato nella mia direzione visto che scrutavano con attenzione
l’ambiente
circostante. In effetti Potter finì per incontrare il mio
sguardo; io lo fissai
con aria eloquente. Lui si mosse, a disagio... e guardò
altrove.
Seguii
la folla che usciva, ma continuai a guardare i tre nella speranza che
mi
degnassero di un’occhiata. Alla fine, comunque, fui costretto
ad accelerare il
passo per non finire intrappolato tra la folla. Rischiavo di non
arrivare in
tempo. Corsi attraverso il parco superando la fila di persone che si
avviava
verso lo stadio; udii perfino qualche “buona
fortuna” appena accennato
provenire da dietro la sciarpa di qualche coraggioso Serpeverde.
Sfrecciai
nello spogliatoio dove i miei compagni già si stavano
infilando la divisa. Zabini
aprì la bocca, come per rimproverarmi, ma
rinunciò in partenza. Non sembrava
affatto ottimista. Fui molto lesto a indossare la mia strepitosa divisa
verde e
argento. Quando strinsi convulsamente le dita attorno al manico della
mia
scopa, attendendo pazientemente che Zabini pronunciasse il suo stupido
discorso
incoraggiante, mi sentii un po’ più sicuro. Non
c’era più molto tempo per
pensare.
«Ho
ricevuto conferma da Madama Bumb poco fa» disse il nostro
capitano alla fine. «Pare
che quell’idiota di Stubbins sia ancora in infermeria dopo
aver mangiato cacca
di Doxi. Lo hanno sostituito con Nickleby, e diciamocelo, non vale
granché,
nonostante tutta la sua stazza... Rogers e Dawlish non sono certo
battitori
fenomenali, nonostante se la cavino... Stevenson è piuttosto
bravo a segnare,
ma guida una sordida Scopalinda, e per quanto riguarda Wilkins, beh,
non l’ho
mai visto giocare, ma non sembra troppo sveglio per essere un
Corvonero. La
Chang è sotto pressione, ma resta una Cercatrice decente, e
anche Bradford se
la cava come portiere...».
«Abbiamo
già discusso tutte le strategie del caso» dissi io
in tono fintamente annoiato.
Lui
mi fulminò con lo sguardo. «Sempre meglio
ripassare» disse, e i suoi occhi
andarono automaticamente a Tiger e Goyle, non senza una certa sfiducia.
Era
chiaro che non avremmo potuto contare su grandi strategie con loro.
«Cerchiamo
di non esagerare con i colpi bassi» ci ammonì
Zabini, in tono autoritario.
«Ma
se riuscissimo a spaventare la Chang a dovere...»
cominciò Mulciber, poco convinto.
«Lasciatela
a Malfoy» disse il capitano, in tono appena acido.
«Non voglio cominciare il
campionato rendendomi impopolare a Madama Bumb, capito? Tiger e Goyle
sono più
che sufficienti a stordirli in maniera del tutto lecita. Tu, Mulciber,
concentrati sul novellino, Wilkins, come ti ho detto, e lascia a
lei» indicando
la Bullstrode che ci guardava arcigna, «il compito di
ostacolare Stevenson. In
ogni caso non può competere con una Nimbus».
Sembrò riprendere un po’di colore
a quel pensiero. «E per l’amor del Cielo, Roberts,
non fare più quella cosa con
la scopa... non ne saresti comunque in grado». Roberts
nemmeno rispose. Tutto
il suo esibizionismo esibito durante le prove, fatto di svolazzi
artistici e
battute da gradasso, era svanito.
Avevo
smesso di ascoltare. Pensavo a quello che mi aspettava. Certo, anche se
avessimo perso, non sarebbe stato tutto perduto. Ma io non volevo
perdere. Io
volevo vincere. Dovevo vincere.
Diciamocelo, il mio karma me lo doveva.
«E
tu, Malfoy...». Mi riscossi e guardai Zabini. Gli altri erano
già in piedi e
fissavano la porta dello spogliatoio. «Non fare
cazzate» mi disse alla fine.
«Non possiamo permettercele. Dimostrami che non ero sotto
l’influsso di un
litro di Ogden Stravecchio quando ti ho preso in squadra».
Io
lo guardai.
«Se
è così, dovresti essere ubriaco più
spesso, Zabini» gli risposi. E, con il
cuore a mille ma la faccia di bronzo più resistente che
fossi riuscito a
mettere assieme, mi parai davanti alla porta dello spogliatoio, accanto
a
Zabini.
La
porta si aprì.
Come
sempre, un oceano di facce esultanti (naturalmente non esultavano per
noi, ma
comunque) ci fissava. Un esercito di omini con i colori di Corvonero
– e un
quarto con quelli di Serpeverde – che vociava soddisfatto
mentre inforcavamo le
nostre scope e aspettavamo il segnale.
Madama
Bumb fischiò. E io partii.
L’aria
era gelida, ma questo non fece altro che risvegliarmi dal mio stato di
insensibilità parziale nel quale ero caduto. Sfrecciai in
alto, godendomi per
un attimo la sensazione meravigliosa dell’aria sulla pelle.
Stavo volando, di
nuovo, finalmente. Sorridendo, nonostante l’adrenalina in
circolo, sorvolai il
campo dall’alto e presi a guardarmi intorno, mentre nelle
orecchie risuonava la
telecronaca. A farla era un tizio particolarmente entusiasta la cui
voce mi era
sconosciuta.
«Partiti!
La palla passa subito
a Serpeverde con Mulciber, la punta dei Cacciatori dei Serpeverde...
almeno,
credo... beh, penso di si. Oh, che rischio! Ha evitato Rogers senza
problemi,con una finta... ammesso che si chiami così... in
ogni caso non è
riuscito a prendere la palla... Oh! Ehm... nel frattempo
l’intervento di
Dawlish ha permesso a Nickleby di prendere la palla... suppongo che
fosse
Dawlish, anche se non si legge molto bene il nome sulle divise... beh,
il
Battitore più grosso, insomma... Nickleby dribbla quel
tizio... come si
chiama... Bullstrode..?»
un istante di silenzio. «E’
una ragazza...? Sul
serio?». un coro di risate
dalla platea. Alcuni rumori più attutiti che il microfono
diffondeva facevano
sembrare che ci fosse una sorta di colluttazione tra il tizio e la
McGranitt
per il possesso del microfono. “La prego, lo lasci
continuare!” pregò qualcuno,
e la preside lasciò perdere. «Canon, smettila di
divagare!» si sentì strillare,
provocando l’ennesimo scoppio di risa.
«Mi
scusi... davvero non avevo
idea...» Colin Canon – ora sapevo chi era
– era costernato. «Ehm... ecco... nel
frattempo non è accaduto granché... credo che
Nickleby abbia perso la palla per
sbaglio.... in ogni caso, beh, adesso Wilkins si dirige verso gli
anelli...
fallito il tentativo di Goyle di fermarlo... si prepara...
FORZAAAA.....
Fallo!».
Un
boato di protesta. Distolsi lo sguardo dalla mia ricerca per fissarlo
sulla
scena più in basso. Madama Bumb aveva appena fischiato e ora
diceva qualcosa a
Goyle, che si stringeva nelle spalle. «CHE COSA VI HO
DETTO??? NON. FATE.
FALLI!» ululava Zabini inferocito. Wilkins era bianco come un
cencio,
afflosciato sul manico di scopa. La Bumb era china su di lui,
preoccupata.
«Non
è stato corretto!» diceva intanto Canon.
«Gli ha dato un colpo con la mazza, avete
visto? Ooh, è già qualcosa che non si sia fatto
male! Secondo voi la Chips
dovrà riattaccargli qualche dente?».
Pareva non si fosse accorto di avere
il microfono acceso.
«Canon!
Attieniti ai fatti!» lo rimbrottò la McGranitt.
«Ehm...
era acceso? Non sapev...
aspettate, stabilita la punizione a favore dei Corvonero. Wilkins
– ce li ha
ancora tutti, i denti...? – ehm, scusi, professoressa... come
dicevo, Wilkins
si prepara a tirare.... tira... E SEGNA!!! Vai così,
Wilkins! Yahoo!».
Zabini
era furibondo. La partita non cominciava bene. Alzai lo sguardo in
alto, alla
ricerca del Boccino, ma non vidi nessun baluginio rivelatore. La Chang,
poco
più in basso, si aggirava tra i giocatori come in un sogno.
«Siamo
dieci a zero per
Corvonero, gente... la palla è di nuovo in mano a
Nickleby... spero non la
faccia cadere di nuovo... no, la passa a Wilkins, che la passa a
Rogers, che...
se la fa rubare dalla Bullstrode... davvero, non avevo immaginato...
comunque
avanza... perbacco, come lo ha schivato! Piuttosto notevole visto la
sua
stazz... voglio dire, notevole. La passa a Mulciber, che la passa a
Roberts,
che... la prende in testa!»
Canon era esilarato. «La recupera
Rogers... io personalmente sarei stato troppo impegnato a ridere per...
ehm...
si, come dicevo, la palla è in mano a Rogers, che avanza...
COLPITO! Colpito
dal bolide di Tiger... No, Goyle... quale dei due è quello
grasso? Goyle? Bene,
Bolide piuttosto violento di Goyle... Rogers perde la palla,
naturalmente... la
prende Wilkins.... ottimo acquisto, i miei complimenti a Bradford per
averlo
scovato... E SEGNA! VAI COSI’, CORVONERO!».
Imprecai
sottovoce. La squadra dei Corvonero lavorava meglio del previsto. Scesi
di
quota mentre la partita veniva riavviata. Possibile che non si
trovassero
tracce del Boccino? Zabini mi aveva detto di aspettare fino a che non
avessimo
segnato almeno cinque volte prima di prenderlo; avevamo bisogno di
almeno 200
punti per cominciare bene la classifica.... ma prima o poi il Boccino
si
sarebbe visto.
«...
Mulciber... sempre
Mulciber... va verso gli anelli.... si avvicina... accidenti, nessuno
lo
ferma... vai, Bradford... noooooooo!». Mulciber tornò verso la porta,
trionfante. «Siamo venti a dieci
per Corvonero... accidenti,
spero che Bradford non ne faccia più passare...».
Purtroppo
per noi, infatti, dieci minuti più tardi i Corvonero
conducevano per 40 a 10.
Preoccupato volai verso Zabini. «Zabini! Ma che diavolo hai
in testa?» gli
gridai.
Zabini
mi guardò, livido. «Tu pensa al
Boccino!».
«Non
riusciremo mai a fare altri quaranta punti di questo passo!».
«Fa
come ti dico, maledizione! Chi è il capitano, tu o
io?».
«Non
sei concentrato! Dannazione, tu dovresti essere un Cacciatore, non un
Portiere,
perciò almeno dovresti stare concentrato!».
«Io
sono concentrato!»
sbraitò lui, ma
mentiva. Me ne ero accorto.
«Perché
non cerchi di segnare anche tu?».
«Non
posso lasciare la porta incustodita!».
«Non
lasciate che prendano la palla, allora!» replicai. E volai
via senza attendere
una risposta.
«...perso
la palla, che peccato,
Rogers! La recupera la Bullstrode, che la passa a Roberts, che la
ripassa alla
Bullstrode... che segna! Che sfortuna, Bradford!».
«Anita!»
gridai alla Bullstrode. «Non passarla più a
Roberts! Piuttosto tirala a
Mulciber!». La ragazza mi guardò, poi
annuì. Mi voltai verso Roberts, il quale
non aveva nemmeno reagito al mio commento.
«Sta’vicino alla porta e difendila,
capito?» gli intimai, e lui fu lieto di filarsela.
«Chi
cazzo pensi di essere, il Capitano?» mi disse Mulciber mentre gli volavo di
fianco.
«Almeno
io porterò a casa dei punti!» lo provocai, mentre
mi allontanavo.
«Siamo
40 a 20 per i Corvonero,
ma sfortunatamente sembra che i Serpeverde stiano ingranando. La palla
è in
mano alla Bullstrode... Roberts non sembra
propenso ad avvicinarsi... Mucilber... Bullstrode... ancora
Mulciiber...
Bullstrode... e segnano!»
disse Canon, mesto.
«CANON,
adesso basta! Se non sei capace di essere obbiettivo...».
«Mi
scusi, professoressa...».
«Non
voglio sentire commenti di parte...».
«Dicevo
solo che se quelli di
Serpeverde vincono...».
«Signorina
Patil! Le dispiacerebbe fare lei la cronaca?».
«Io...
non credo di...».
«Ma
professoressa, non è
giusto!».
«Su,
non sia sciocca, è una semplice cronaca...».
Tutto
il dialogo, perfettamente udibile, mi aveva distratto da cose
più importanti.
Intravidi di lontano un baluginio. Non ero sicuro fosse il Boccino,
comunque,
quindi mi avvicinai fingendo di osservare la partita e di cercare un
punto di
osservazione migliore.
«Buon
– buongiorno» balbettò una delle sorelle Patil
(difficile capire quale). «Dunque,
adesso... mmh... uno di Corvonero...»
«Rogers»
suggerì risentito Canon.
«Si,
grazie, Colin.... dunque,
ha la palla... no, aveva la palla... la recupera Malliber...».
«MULCIBER!».
Nel
frattempo mi ero elevato di diversi metri senza che la Chang mi
notasse. In
compenso il baluginio era svanito. Lo cercai con lo sguardo.
«...Mulciber...
ecco, la prende
la Bullstrode, che la ripassa a Mulciber... e... e... a Blaise
Zabini?».
«Che
diavolo sta facendo?» si sentì Canon dire, alle
spalle di lei.
«Zabini
prende la palla» disse
la Patil, alzando la voce.
«con una mossa assai azzardata... E
SEGNA! 30 a 40!».
«Oh,
ma andiamo, ma è consentito?».
«CANON!
La smetta di interferire con la cronaca!».
«Non
sto interferendo, solo...».
Esultante,
mi voltai verso Zabini. Incredibilmente, sembrava perfino
più infelice di
prima. La Bullstrode lo guardava come se fosse pazzo. Quando la Bumb
rilanciò
la palla, fu lesto a prenderla e a passarla alla Cacciatrice, che
prontamente
la prese. Trionfante, mi voltai verso Roberts, che volava attorno agli
anelli.
«....di
nuovo la Bullstrode...
Zabini la prende per un pelo, davvero... Mill... ehm... Mulciber...
INCREDIBILE!
SERVEPERDE HA PAREGGIATO!».
In
quell’istante di trionfo, notai finalmente il Boccino. Era
poco più in alto
della testa di Cho Chang. Se lo avesse visto...
In
un istante, decisi. Mi tuffai verso il basso, deciso a distrarla.
C’erano buone
probabilità di non vedere più il Boccino, una
volta risaliti... ma se non si
fosse mosso troppo, forse sarei riuscito a scartare verso
l’alto e seminare la
Chang. Così mi appiattii contro il manico di scopa, e sentii
la ragazza
seguirmi. Non sentivo più nulla della cronaca, né
mi importava.
Mancava
poco al terreno.... sempre meno.... sempre meno... tra un po’
sarebbe stato
davvero rischioso, senza contare che la Chang avrebbe potuto decidere
di
abbandonare la picchiata e sarebbe stata in vantaggio...
Improvvisamente
mi venne un’altra idea. All’improvviso puntai la
scopa verso l’alto. Visto che
la Chang ancora mi seguiva,rischiò seriamente di prender il
controllo, ma lo
recuperò. Filai velocemente a un metro da terra,
attraversando tutto il campo,
poi cominciai a salire. Non volevo che si accorgesse che avevo una
meta. Ero
certo che, se mi avesse seguito concentrandosi solo sulla mia figura,
non si
sarebbe pienamente resa conto del fatto che stavamo salendo in ampie
spirali.
Difatti continuò a seguirmi, e nonostante cominciassi a
sentire la nausea
continuai. Acquistai ancora velocità, e lei mi
seguì, mentre salivo...
salivo... salivo... mi muovevo in ampi cerchi, che si intersecavano di
tanto in
tanto tra di loro perché non se ne accorgesse. Finalmente
raggiungemmo il
livello dei Cacciatori.
Quando
ci avvicinammo a Wilkins, avevo raggiunto la velocità
massima che potevo
prendere nel freddo vento di novembre. Tesi la mano, come se avessi
potuto
afferrare qualcosa, in maniera tale che lei si concentrasse sul mio
gesto...
poi, sfruttando la superiorità di reazione della mia scopa,
scartai verso
l’alto. Finii per compiere una sorta di giro della morte,
così che la Chang,
improvvisamente confusa, si trovava sotto di me... e in rotta di
collisione con
Wilkins.
L’urto
fu piuttosto violento. Quando mi raddrizzai, vidi che lui era
aggrappato alla
scopa con una mano, mentre la Chang sembrava perdere la scopa sotto i
piedi a
causa dell’urto. Difatti la vidi scivolare in avanti, e
immediatamente intuii
che sarebbe caduta.
Sotto
di lei, uno scintillio dorato.
Non
so esattamente da dove presi i riflessi. Forse era la botta di
adrenalina
particolarmente forte al pensiero che qualcuno stesse precipitando a
causa mia.
Fatto sta che, nell’esatto momento in cui la vidi perdere
l’equilibrio,
schizzai verso il basso. Quando iniziò a cadere,
l’avevo ormai superata.
Tuttavia, non cercai di afferrarla. Qualcosa nella mia testa mi gridava
di
rischiare, mi diceva che ce la potevo fare. Un’immagine mi
attraversò la mente,
troppo veloce perché potessi esaminarla. Continuai la mia
discesa verso il
basso, sentendo che, cadendo, mi stava raggiungendo... allungai la
mano...
chiudendola attorno a qualcosa... dopodiché, feci appena in
tempo ad alzare lo
sguardo, che la ragazza mi piombò addosso a peso morto,
sbalzandomi via dalla
scopa.
Atterrammo
entrambi con una gran botta, cinque o sei metri più sotto.
Mi sentii soffocare
a causa dell’urto. Tutto il corpo fu attraversato da una
intensa fitta di
dolore. Stavo soffocando, più o meno come quando,
più di un mese prima, ero
caduto dalle scale. Qualcuno accorse, mentre cercavo di respirare.
Sentii
qualcosa colpirmi con forza lo sterno. Tossii, più volte, e
finalmente sentii
che ricominciavo a respirare. Aprii e chiusi gli occhi, inondati di
lacrime di
dolore. Non riuscivo a mettere a fuoco. Respirai ancora, semisoffocato.
«Innerva!»
disse qualcuno, ma naturalmente non servì a nulla. ero
cosciente, solo che non
ero esattamente nelle mie condizioni migliori. Riuscii, battendo le
palpebre
più e più volte, a mettere a fuoco la Bumb, che
era atterrata accanto a me e mi
stava soccorrendo. Mi accorsi solo allora di sentire un enorme peso
sulle
gambe; era Cho Chang, che scelse quel momento per puntellarsi con
entrambe le
mani sul mio corpo per alzarsi a sedere. Naturalmente avevo attutito io
la sua
caduta.
«Tutto
bene? Malfoy, mi senti?».
«Si
che la sento» riuscii a esalare. «Non lo vede che
sono sveglio?».
«Ti
sembra di avere qualcosa di rotto?».
«Mi
sembra di non avere più le gambe» commentai, con
voce roca. «E, più in
generale, non sento granché».
La
Bumb si accigliò. «Penso che sia meglio farti
vedere da Madama Chips» disse.
Io
mi misi faticosamente a sedere, e mentre lo facevo, mi ricordai del
boccino che
stringevo ancora nel pugno. Accidenti. Ero stato... beh, eroico! Vidi
Zabini e
la Bullstrode correre verso di me. «Draco? Sei ancora
vivo?» chiese Zabini, che
aveva gli occhi spalancati. Evidentemente il mio spettacolino gli era
piaciuto.
Per
tutta risposta, sollevai il Boccino. «Come dicevo»
dissi, dopo essermi
schiarito la voce, «ubriacati più spesso,
Zabini».
Per
tutta risposta, alzò gli occhi al Cielo.
«Va’ in infermeria» mi disse, prima di
voltarsi verso il resto della squadra, che si stava avvicinando. Cho
Chang era
già in piedi e attorniata da compagni volenterosi, ma per
me, già il fatto che
la Bullstrode mi stesse tendendo preoccupata la mano era un passo in
avanti. Mi
rialzai di scatto con il suo aiuto, sentendomi come carne macinata.
«Di
quanto abbiamo vinto?» osai chiedere solo allora.
Zabini
mi guardò, e fece una smorfia. Oddio, avevamo preso altri
gol. Era stato
inutile. «Duecentoventi a cinquanta».
Mi
ci volle un po’ per registrare l’informazione.
«Due..? quando avete segnato?»
trasecolai.
«Mentre
tu giravi in tondo come un pendolo» disse lui, ma il sarcasmo
non li riuscì
troppo bene. Guardò in alto un istante, poi tornò
a guardarci. «Abbiamo vinto».
«Te
lo avevo detto che dovevi fare il Cacciatore» dissi io in
tono saccente.
«Non
accetto arie saccenti da te, Malfoy» disse Zabini, soave,
«specie dopo che ti
sei fatto prendere in pieno dalla Cercatrice avversaria».
«Era
tutto calcolato» ribattei, ma ero troppo contento per
insistere. Con un sorriso
beffardo, mi voltai verso i Corvonero. Non avevo neppure voglia di
dileggiarli.
Bradford mi guardava, accigliato, ma non incollerito. Miracolo!
«Buona
partita» disse alla fine.
«Già»
dissi, con il mio sorriso più trionfante.
«Andiamo» disse allora Mulciber,
sopraggiungendo. Mi posò una mano sulla spalla.
«Ehi, Draco, muoviti! Andiamo a
festeggiare!».
Ero
sbigottito. Draco? Da quanto tempo
Mulciber non mi chiamava Draco?
Venni
sospinto da lui e Roberts – che mi era sinceramente grato per
averlo tolto
dalla zona d’attacco, anche se non voleva ammetterlo
– a bordocampo, dove ci
aspettavano i Serpeverde. Quando ci videro, scoppiò un boato
festante. Tutti ci
furono attorno, e finì che insistettero per portarci in
trionfo fino alla
scuola. Si, anche il sottoscritto. Anzi, dalla maniera in cui si
complimentarono con me, sembrava quasi... beh, di tornare indietro.
Mentre
avanzavo in trionfo, vidi Astoria venire verso di me. Mi sorrise con
approvazione, e ricambiai con un sorriso a dir poco glorioso. Ero stato
un eroe
per la seconda volta in pochi giorni. Era quello che avevo pensato
mentre mi
tendevo per prendere il Boccino, e ancora lo pensavo. Beh, che dire?
Avrei
potuto abituarmici, in fondo.
«Signor
Malfoy!» protestò Madama Bumb mentre ci
allontanavamo. «L’infermeria...».
«Oh,
non serve» la informai, sorridendo. «Non sono mai
stato meglio».
NOTA
DELL’AUTRICE
Eccomi tornata a
voi. Posto
subito per evitare di tenervi troppo in sospeso, visto che poi parto e
non so
in quale giorno della settimana posterò. Quindi, in
esclusiva per voi, un
capitolo interamente sportivo dove, per una volta, Draco fa esattamente
quello
che tutti sperano che faccia: una bella figura. Con inaspettate
conseguenze,
visto che sembra finalmente aver trovato il suo chackra. Per chi di voi
si
aspettava anche di avere il punto di vista di Hermione, aspettate
pazientemente: il prossimo capitolo sarà
nient’altro che la “gita” del trio
protagonista in Grosvenor Square, 12, in contemporanea alla partita di
Draco,
dove avranno modo di confrontarsi con la temibile Augusta Elton.
Come sempre, breve
nota con i
titoli dei capitoli. “UNWANTED INITIATION”
significa “iniziazione non voluta”,
mentre “SNEAKY SNAKE” significaletteralmente
“Serpente vile“, ed è un gioco di
parole che ricorda come Draco sia stato un Cercatore insidioso, visto
che to
sneak significa “entrare di soppiatto” e da qui
sneaky che significa “vile”... ricordandoci
come comunque come Draco non sia esattamente un cuor di leone!
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Capitolo 15 *** To dare into the lare ***
Il
numero dodici di Grosvenor Square, Londra, era un edificio in pieno
stile
vittoriano, piuttosto pretenzioso se si considerava il luogo. Non
dubitavo che
fosse infarcito di incantesimi e invisibile, o inaccessibile, a
chiunque non
fosse un mago. Io, Harry e Ron ci osservammo a lungo prima che Harry si
dirigesse verso il portone e si fermasse di fronte a esso.
«Harry...
che cosa aspetti?» gli sussurrai, come se avessi avuto paura
di essere
ascoltata.
«Non
c’è il campanello» disse lui, piuttosto
stupidamente. Alzando gli occhi al
Cielo, allungai la mano verso il battente sagomato come una serie di
foglie
elegantemente intrecciate tra loro, e bussai tre volte con decisione.
Aspettammo,
ma per almeno un minuto non accadde nulla. «Ehm,
Hermione» disse Ron alla fine,
incerto. «Forse dovremmo bussare di nuovo». Accanto
a lui, Harry si toccò
nervosamente la fronte liscia. Anche se non avevamo usato la Pozione
Polisucco,
avevamo ritenuto opportuno nasconderla, perché dubitavamo
che la zia di Draco
Malfoy potesse essere ben disposta verso di noi.
Stavo
per seguire il suo consiglio, quando la porta si spalancò
all’improvviso. Sulla
porta si stagliava un uomo in un completo elegante ma antiquato, con
tanto –
Ron e Harry si scambiarono un’occhiata – di
parrucca incipriata calcata sulla
fronte sudaticcia.
«Ehm...
salve» dissi io, visto che Harry non accennava a voler
parlare. «Vorremmo
vedere la signora Elton, se non le dispiace. Si tratta di affari molto
urgenti».
Lui
ci scrutò, impenetrabile. «La signora»
disse, in tono lento, masticando appena
le ultime sillabe della parola, «non riceve visite senza
appuntamento».
«E’
davvero una questione molto urgente» disse Harry, recuperando
l’uso della
parola. «Riguarda un oggetto del quale è entrata
in possesso da poco».
Lo
sguardo del maggiordomo – o presunto tale – si
affilò impercettibilmente.
«Capisco» disse solamente.
«Se
le dicessimo i nostri
nomi?» proposi io.
«Potrebbe annunciarci e chiederle di essere
ammessi?».
«Potrei»
disse lui, cauto. «Ma questo non significa che debba farlo.
La signora non è di
buonumore, e se anche lo fosse, non gradirebbe di ricevere una
richiesta
simile».
«Siamo
dei compagni di scuola di suo nipote Draco» disse allora
Harry, senza neanche
battere ciglio mentre lo chiamava così. Eccellente.
«Non siamo venditori porta
a porta, o gente pericolosa».
«E
perché vi interessate di quello che la signora
può o meno aver acquistato?» chiese
lui colmo di sospetto.
«E’
una faccenda che riguarda anche suo nipote, ma è molto
riservata».
«Abbastanza
perché lei abbia utilizzato un incanto di
camuffamento?» chiese il maggiordomo,
andando dritto al punto. «I nostri sistemi di sicurezza
ricalcano quelli della
Gringott. Siamo in grado di riconoscere chiunque cerchi di camuffare il
proprio
aspetto».
«Si,
è davvero una questione riservata» disse Harry,
tranquillo.
Il
maggiordomo parve stupito quando vide che non battevamo ciglio.
«I vostri nomi,
prego» disse. Mi chiesi se fosse normale che fosse
così facile. Mi sarei
aspettata che ci avesse sbattuto la porta in faccia; eppure non solo
non lo
faceva, ma non percepivo nessuna seria minaccia provenire da lui. Il
che mi
faceva pensare che forse Augusta Elton era di per sé
sufficientemente temibile.
«Ron
Weasley» dissi allora, indicando il mio amico dai capelli
rossicci. Ron mi
guardò con tanto d’occhi. avevamo stabilito di
usare nomi falsi. Lo ignorai. Il
maggiordomo lo fissò per un istante, piuttosto sorpreso.
«Io sono Hermione
Granger» dissi coraggiosamente. «E
lui...» guardando Harry, «beh, diciamo che
il suo nome dovrebbe preferibilmente restare segreto».
«Capisco»
disse il maggiordomo. «Attendete, prego» e richiuse
la porta.
«Ma
sei pazza?» mi disse allora Ron, voltandosi per fronteggiarmi
con uno sguardo a
dir poco allucinato. «Avevamo deciso...».
«Non
ci avrebbero fatti entrare» dissi io, con
semplicità. «Se noi raccontiamo la
verità fin dall’inizio, invece, la
curiosità potrebbe essere sufficiente per
lasciarci entrare».
«Ma
è una Malfoy» protestò lui.
«Di
questo ci occuperemo in seguito» stabilii. Harry, accanto a
me, annuì.
«Geniale».
Un
paio di minuti più tardi, la porta si spalancò di
nuovo. Il maggiordomo si
inchinò. «Prego, entrate» disse,
facendosi da parte. Noi entrammo in tutta
fretta. L’atrio era una stanza buia, arredata con mobili di
legno scuro e
massiccio, pieni di intarsi e di quadri – alcuni dei quali
non si muovevano.
«Seguitemi,
prego». E il maggiordomo si mosse rapidamente verso una porta
dall’altra parte
della stanza. Entrammo in un secondo atrio, dove troneggiava
un’enorme
scalinata di marmo bianco. Alcuni candelieri d’argento in
alcune nicchie delle
pareti irradiavano una debole luce. Il tappeto srotolato sulle scale
era di un
verde intenso. Il maggiordomo saliva le scale con agilità, e
noi dovevamo quasi
correre per tenere il passo. Giungemmo al secondo piano quasi senza
fiato.
L’uomo ci condusse attraverso un lungo corridoio
incredibilmente buio, ma non
inquietante come avrei potuto aspettarmi. Infine si fermò di
fronte ad una
porta dall’aria robusta, e la aprì.
«Dopo di voi» mormorò, e noi lo
superammo.
La
stanza doveva essere un salottino. C’erano tre ampie
finestre, oscurate però da
pesanti tende di broccato verde. Il pavimento era coperto da tappeti
vermigli,
e la stanza era dominata da un enorme caminetto niveo da cui proveniva
un fuoco
incredibilmente vivace. Su di un divanetto rossiccio stava semisdraiata
una
figura lunga e magra, avvolta in una vestaglia verde ricamata con
alamari
dorati. Era appena in ombra, ma i capelli di un nero vivo, mossi,
foltissimi e
lunghissimi, erano ben riconoscibili.
«Signora,
questi sono i tre ragazzi» disse rispettosamente il
maggiordomo.
«Ho
capito. va’ pure, Damian» disse una voce solenne e
melodiosa al tempo stesso.
Damian avanzò per appoggiare sul tavolino un candeliere
acceso, poi si dileguò
in silenzio.
«Salve»cominciai
io, in tono rispettoso.
«Umph». La donna si sporse appena in avanti per
osservarci in tutta tranquillità, così che avemmo
l’occasione per osservarla
meglio a nostra volta. Doveva avere sui quarantacinque anni, e aveva i
lineamenti caparbi che ci si sarebbe aspettati da una vera Malfoy.
Tuttavia non
somigliava affatto a qualcuno di loro, se non per gli occhi grigi e
penetranti,
dalle ciglia incredibilmente lunghe e provocanti. Era bella, anche se
un po’
sfiorita.
«Beh, sedetevi, no?» fece, indicandoci con un cenno
infastidito il divano di fronte al suo. Obbedimmo all’istante.
«Mi ha stupita sapere chi chiedeva di essere
ammessa nella mia casa» iniziò a dire la donna.
«Non credo che a memoria d’uomo
un Weasley abbia osato varcare questa soglia». Ron si fece
scarlatto, ma ebbe
abbastanza buon senso per stare zitto. La donna lo osservò
con un certo compiacimento.
«C’era una cosa di cui dovevamo
discutere» disse
allora Harry.
«E tu sei il mio ospite misterioso?»
domandò lei,
fissandolo. «Piuttosto ingenuo, da parte vostra, pensare di
poterlo far passare
sotto silenzio. naturalmente leggo
il
Profeta, anche se è spazzatura, e so fare due più
due. So bene che Ronald
Weasley, la cui famiglia si è da tempo macchiata agli occhi
della comunità
Purosangue, frequenta abitualmente Hermione Granger, nata babbana
nonché
migliore alunna del suo corso, e Harry Potter, la cui fama lo
precede». I suoi
occhi lampeggiarono pericolosamente.
«Ehm... bene» disse Harry, nervoso. «Ora
che ci
siamo presentati, penso che le interesserebbe sapere...». lei
lo zittì con un unico,
gelido sguardo.
«Si, la vostra fama vi precede» disse, in tono
soave. Ma era obbligatorio per essere un Malfoy, parlare sempre come un
cattivo
delle serie TV? Era irritante. «So della vostra avventura al
Ministero, e so
anche che sono stati i vostri compagni dell’Ordine ad
arrestare Draco dopo
l’attentato a Silente». Si fece pensosa.
«Ma mai mi sarei aspettata di vedervi
entrare in questa casa, e pretendere di ricevere udienza». E
fece una risata
roca. «Piuttosto avventato, ma naturalmente, le azioni
avventate sono il vostro
forte».
«Facciamo ciò che è
necessario» disse Harry.
«Davvero?» disse lei, interessata, giocherellando
con una ciocca dei suoi bellissimi capelli neri. «E in che
modo questo
coinvolgerebbe me, o i miei averi?».
«Vede, signora Elton...».
«Nessuno mi chiama più “signora
Elton”» mi corresse
lei, pigramente. «Signora Augusta è
sufficiente».
«D’accordo» dissi io, schiarendomi la
voce.
«Signora Augusta, siamo venuti perché un cimelio
della famiglia di Harry è
stato rubato, e venduto a lei»
«Che genere di cimelio posso aver sottratto alla
famiglia Potter?». Era evidente che mi stava stuzzicando.
Arrossii.
«Si tratta di un medaglione che Harry aveva
ereditato dal suo padrino, Sirius Black» spiegai in fretta.
«Era un ricordo
molto... molto importante per lui, e vorremmo riaverlo».
«Commovente» commentò Augusta Elton,
sbadigliando.
«Vorrei riaverlo» disse Harry, con voce atona.
«E’
molto importante per me».
La signora Elton si stiracchiò appena. «Ma dove
è
finito Damian?» mormorò tra sé,
infastidita. «Damian!» chiamò poi ad
alta voce,
facendo sobbalzare Ron, che non se lo aspettava. Bastarono quindici
secondi,
durante i quali ci guardammo, tesi, quasi aspettandoci di ricevere un
attacco a
sorpresa, e Damian riapparve, la parrucca un po’ storta.
«Si, signora?».
«Non avete ancora preparato il thé?»
chiese lei,
evidentemente irritata.
«Io... io ero impegnato con Rodolphus, signora, non
ho controllato».
«Beh, puoi controllare adesso, giusto?» fece lei,
insofferente. «L’ho ordinato da quasi dieci
minuti».
«Si signora». E svanì di nuovo.
«Terribile. È l’unica parola adatta a
descrivere la
servitù al giorno d’oggi. Spaventosa. Pigri,
indolenti» scosse
il capo, provocando un’onda nei suoi
capelli folti e lucenti. «Non li si punisce mai
abbastanza». Il pensiero di
elfi domestici torturati mi fece salire i fumi al cervello. Non riuscii
a
trattenermi dal chiedere: «Forse sono troppo pochi per quello
che devono fare».
«Cielo! Direi che sette sono più che
sufficienti»
fece lei, stupita e anche un po’ offesa. Sette?
Per una casa di città? Mi sentii soffocare. Non volevo certo
mettermela contro,
comunque, quindi studiai un modo per protestare garbatamente. Mentre
pensavo,
la porta si spalancò ancora una volta, ma meno gentilmente,
e fece capolino un
ragazzo vestito come Damian, e evidentemente poco a suo agio con il suo
abbigliamento. Si inchinò, mentre il vassoio oscillava
lievemente. Lo raddrizzò
goffamente, e si affrettò a posarli sul tavolino che ci
separava da Augusta, la
quale fece un cenno insofferente. Il ragazzo corse via.
«Come vedete, non hanno il minimo senso di
eleganza» proseguì la donna, ignorando
l’interruzione. «Mi sento sempre come se
stessi buttando via i miei soldi...».
La guardai, troppo sorpresa per mantenere un certo
contegno. «Lei... lei paga i suoi elfi domestici?».
Lei mi guardò con i suoi occhi penetranti, prima di
fare una smorfia di sufficienza. «Non sono mio cugino Lucius.
Non è nel mio stile,
tenere uno stuolo di elfi
domestici pronti a chiudersi la testa nel forno a richiesta...
no» e scosse la
testa. «Ho sette servitori, tutti e sette
Magonò». E sorseggiò il thé
come se
la questione non la riguardasse affatto.
Il suo discorso mi sorprese. Cominciai a capire
perché Draco Malfoy si trovasse in imbarazzo quando si
trattava della zia. Di
sicuro non era una compagnona, ma dal suo tono era evidente che non
doveva
intrattenere buoni rapporti con il resto della famiglia. Certo, questo
non
significava che dovesse intrattenerli con noi.
«In ogni caso...» fece Harry, riportandola
all’argomento precedente, «riguardo a
medaglione...».
«Si, il medaglione. Beh, quando l’ho trovato da Magie Sinister
ho subito capito di
che si trattasse. Naturalmente anche Sinister lo sapeva; lo aveva
riconosciuto.
Pare che gli fosse già capitato tra le mani in precedenza,
perciò sapeva molto
bene quanto valesse. Ma gli affari non gli vanno molto bene, in questo
periodo,
quindi me lo ha ceduto a un prezzo oserei dire vergognoso».
Ci guardò, attenta. «Voi non prendete il
thé?».
Mi affrettai a sollevare la tazza e a portarla alle
labbra, sperando che non fosse avvelenata. Era il thé
migliore che avessi mai
bevuto. Ron mi imitò senza pensarci, ma Harry si
portò la tazza alle labbra
solo dopo una lieve esitazione.
«Dunque, quel medaglione apparteneva senza dubbio a
Salazar Serpeverde. Impossibile sbagliarsi. Lo conservo in un luogo
sicuro, so
che farebbe gola a molti».
«Ci dispiace di essere venuti per chiederglielo»
disse Harry, in fretta. «Però, vede, quel
medaglione non dovrebbe essere stato
venduto, perciò...».
«Come sta Draco?» lo interruppe lei, come se non lo
avesse ascoltato affatto. ci guardò a turno, soffermandosi
poi su di me.
Immagino fosse perché a quel nome era seguita una subitanea
fitta di rabbia al
pensiero che quell’idiota stava giocando la sua stupida
partita di Quidditch
mentre noi mettevamo a repentaglio la nostra vita per lui.
«Io... beh, immagino che sia un po’ dura per lui,
ultimamente» dissi, incerta.
«Immagini?». La donna assunse un’aria
educatamente
sorpresa. «Credevo che foste venuti anche per mio
nipote».
«Si, beh, ecco...» mi agitai nervosamente tra i
cuscini imbottiti. «E’ un po’ complicato
da spiegare...».
«Sono certa di poter comprendere» disse lei,
puntandomi gli occhi addosso come se avesse potuto trivellarmi dentro.
Una
sensazione da incubo. Mi arresi.
«E’ un brutto periodo» ammisi alla fine.
«E’ stato
riammesso a scuola solo perché, beh, sono convinti che sia buono... in fondo. Ma
nessuno gli parla».
Augusta Elton sospirò, chiudendo gli occhi. Poi
alzò la bacchetta, per versarsi dell’altro
thé. «Quel ragazzo» disse, parlando
più tra sé e sé che assieme a noi,
«è uguale a suo padre».
Per qualche secondo attendemmo in silenzio. «Che...
che cosa intende dire, con questo?» chiesi alla fine.
«Cocciuto. Arrogante. Incredibilmente privo di
nerbo» chiarì la donna, evidenziando ogni difetto
con un colpo dato sul
tavolino con il dito. «Gente che disonora il nostro buon
nome».
Io guardai Harry, che ricambiò lo sguardo. Mi
metteva un po’ a disagio la piega che stava prendendo la
conversazione. «Vedete»
proseguì la strega, che sembrava invece averci preso gusto,
come se l’idea di
diffamare i propri familiari la divertisse, «anche Lucius
aveva cominciato
Hogwarts amato e riverito da tutti. Era pur sempre un Malfoy, e questo
conta
qualcosa» fece una piccola pausa mentre assaggiava il
thé arricchito con lo
zucchero, «ma in realtà non era altro che un
individuo insipido e inutile,come
la realtà dei fatti ha dimostrato. È ancora in
prigione, giusto?».
Assentimmo in silenzio.
«E adesso Draco. Beh, non posso dire di esserne
sorpresa. Sapete, è da molti anni che non ho contatti con
mio cugino, o con mio
nipote, ma naturalmente molte notizie mi hanno raggiunto lo
stesso». E fece di
nuovo una risata roca. «Di certo non mi aspettavo che sareste
arrivati voi!».
«Perciò... ci darà il
medaglione?» feci io,
speranzosa.
La signora Elton mi guardò. «E’
sicuramente un
gioiello di valore inestimabile».
Naturalmente. Mi scervellai su un modo per
convincerla del contrario. Magari Harry avrebbe potuto pagarla. O
offrirle
qualcosa in cambio. Sfortunatamente, il caveaux della mia famiglia non
era
ricco di preziosi cimeli magici.... senza contare il piccolo
particolare che i
miei erano in Australia.
La zia di Malfoy proseguì: «ma ancora non so che
cosa c’entra Draco».
«Ecco... noi e Malfoy abbiamo trovato un accordo,
ultimamente» dissi, parlando molto velocemente.
«E’ stato proprio lui ad
aiutarci a cercarlo... e a scoprire da Sinister che ce lo aveva
lei».
Per la prima volta dall’inizio del colloquio,
Augusta Elton parve davvero sorpresa. «Mio nipote?
Frequentare simili
compagnie?».
«Proprio così» dissi, con aria di sfida.
«Non...
non siamo amici, magari, ma ci ha
aiutati. Ha dimostrato di saper essere piuttosto affidabile».
Lei mi guardò, indagatrice, ma io sostenni lo
sguardo. Lei poteva anche pensare che fossimo cattive compagnie, ma io
di certo
non potevo pensarla allo stesso modo. Andassero a quel paese tutti i
Malfoy!
Compreso quello che ci aveva dato buca, anche se era meglio omettere
quell’ultimo piccolo particolare. Anche se si sarebbe
meritato di essere
rimproverato dalla zia.
Alla fine la donna si fece indecifrabile. «Perché
non è con voi, oggi?».
«Aveva una partita. È nella squadra di
Quidditch».
Malfoy aveva un grosso debito nei miei confronti, senza dubbio.
«Ma ci ha dato
il suo indirizzo».
«Capisco» fece la donna.
«Damian!». Di certo non
potevo sperare che volesse chiedergli il medaglione, ma mi sembrava che
stessimo vincendo. Anche se era difficile da dire. «Si,
signora?» fece l’uomo,
comparendo per l’ennesima volta alla porta. «Porta
via il thé. Poi portami il
libro che trovi sul mio comò».
«Subito, signora».
«Immagino di avere tutto il diritto di chiedervi
che cosa intendete fare se tornaste in possesso del
medaglione». Ron fece per
aprire bocca, ma lei alzò un dito per zittirlo.
«La storia del legame affettivo
non mi inganna. È chiaro che voi considerate il possesso del
medaglione come
qualcosa di grande importanza».
«Può darsi» disse Harry, impassibile.
«Ma di certo
non lo verremmo a dire a lei».
La donna fece un sorriso soddisfatto. Tornò Damian
che le tese il libro richiesto, prima di sparire. «Ho letto
il libro della
Skeeter» disse, sollevandolo in aria per mostrarci la
copertina. Harry accanto
a me si irrigidì. «Un libro piuttosto
interessante, senza dubbio, nonostante vi
siano dei punti che mancano di credibilità. Di certo la
figura di Silente è
stata fraintesa, di certo nascondeva dei segreti».
Fissò i suoi occhi grigi e
freddi su Harry, che si sforzò di rispondere con uguale
intensità. «Mi ha molto
colpito la parte che riguarda il suo rapporto con lei, signor Potter.
Presumo
che fosse a conoscenza di diverse cose riguardo al suo
Preside».
Harry rimase in silenzio. La donna proseguì. «La
Skeeter arriva a sostenere che la morte di Silente sia collegata a lei,
che lei
fosse presente quando successe. Beh, naturalmente potrebbe essere solo
una
voce» e uno scintillio gelido le attraversò le
iridi di ghiaccio, «ma forse non
è azzardato pensare che Silente l’abbia inclusa
nelle sue, ah, macchinazioni».
«Che cosa sta insinuando?» disse Harry, in tono di
sfida.
«Io non insinuo niente» disse dignitosamente la
signora Elton. «Tuttavia, signor Potter, tra le altre cose,
trovo peculiare che
mio nipote abbia scelto di fare amicizia con voi».
«Beh, lo è» borbottò Ron
senza contenersi.
«Questo non fa che confermare la mia ipotesi» disse
la donna, sorridente. «Che ci sia qualcosa in corso, qualcosa
di molto più
grande della nostalgia di un cimelio».
Harry la guardò. «Se pensa che sia la
verità,
allora forse dovrebbe anche dirci da che parte intende stare».
«Parte?». Sembrò molto divertita
all’idea. «Io non
ho parti. Non sono mio cugino, signor Potter. Lui ha scelto di
parteggiare per
il Signore Oscuro, convinto che egli avrebbe supplito alla sua mancanza
di
carattere dandogli potere, ma io vedo bene che non ha fatto altro che
finire in
rovina. Io sono l’unica Malfoy degna di questo nome,
abbastanza furba da sapere
che è molto meglio stare sola. Mio marito non era
d’accordo, e non posso certo
dire che mi sia spiaciuto liberarmene con il divorzio» e fece
un sorriso amaro,
molto umano. «Sono soltanto una vecchia pazza per il resto
della famiglia.
Nessuno, né il Signore Oscuro né
l’Ordine verrebbero mai a disturbarmi. E a me
sta bene così». Poi mi guardò.
«Ma a quanto pare, Draco ha fatto una scelta
interessante. Del tutto inaspettata, se devo dire la
verità». Tirò su con il
naso. «E una vera Malfoy sa sempre che cosa è
giusto fare».
Si alzò, e per la prima volta mi resi conto
pienamente di quanto alta e flessuosa fosse la sua figura. Si
avviò verso la
porta, e mi alzai per seguirla. Così fecero gli altri,
piuttosto intontiti. Ci
guidò attraverso un paio di stanze, fino a raggiungere la
sua camera da letto.
Allora ci intimò di girarci, e noi ubbidimmo. Quando ci
permise di guardare,
teneva tra le mani il medaglione. Era la prima volta che lo vedevo dal
vivo, ma
lo stesso modo in cui riluceva alla luce fioca delle candele sembrava
suggerire... malvagità. Anche la signora Elton – o
Malfoy che dir si voglia –
parve accorgersene. Lo posò sulla mano di Harry come se
improvvisamente fosse
stata lieta di liberarsene. Poi suonò furiosamente il
campanello. Cominciavo a
trovarla divertente, a dire il vero.
«Grazie» le disse Harry, sinceramente riconoscente.
Lei alzò le spalle, infastidita.
«Chissà, se un giorno
vi rivedrò, saprò se il mio gesto sia stata una
scelta saggia. Nel
frattempo...» e si volte verso di me, «mio nipote
ha ancora contatti con il
figlio dei Nott? So che quando era piccolo giocavano sempre
assieme».
«Lui e una certa Astoria Greengrass sono i suoi
unici contatti. Loro, e il giovane McNair» risposi.
«Non mi fido di Nott. La sua è una famiglia
nobile,
ma piuttosto sordida» e scosse il capo. «Tuttavia
conosco i Greengrass. La
nonna di Astoria era una mia cara amica, quando eravamo giovani.
Nonostante suo
figlio si sia imparentato con una poco di buono» e qui scosse
di nuovo la
testa, «le voci dicono che sia una ragazza eccellente. Degna
della sua
famiglia, senza dubbio. E anche il giovane McNair» e fece un
sorriso
indulgente, «sua madre è una sempliciotta. Dubito
che il figlio sia molto
diverso»
Annuii, e non solo per rispondere alla sua
supposizione su McNair. Non sapevo che i Nott godessero di una cattiva
fama tra
i Purosangue.
«Suppongo che sia antiquato da dire» disse la
donna, mentre il ragazzo di prima appariva in risposta al suono della
campanella, «ma spero vivamente che mio nipote si riveli
all’altezza».
«Sono certa di si» dissi, gentilmente, anche se non
ne ero affatto convinta.
«E ora sparite» disse stancamente, evidentemente
resa
esausta dalla conversazione.
Così ci avviammo dietro al ragazzo. Quando la porta
si chiuse alle nostre spalle, Ron proruppe in una muta esplosione di
entusiasmo. «Ce l’abbiamo fatta, Harry!»
disse, trionfante. Harry annuì, in
silenzio, con un sorriso larghissimo.
«Ma davvero lavori per quella strega?»
sussurrò poi il mio amico dai capelli rossi al valletto.
Questi annuì, guardandosi attorno intimidito.
«Già» disse alla fine,
rilassandosi. «Non è certo facile».
«Forse dovresti licenziarti» commentai.
Lui sembrò spaventato. Si fermò; eravamo
nell’atrio. «Licenziarmi? Oh, no, non potrei
mai» disse, spaventato all’idea.
«la signora...».
«Ti ucciderebbe?» tentò Ron.
Lui scosse il capo. «No, no. è molto severa,
certo,
però...» fece una pausa.
«Però, vedete, è difficile essere un
Magonò. Specie se
vieni da una famiglia come la mia. La signora Elton mi dà
vitto e alloggio, più
una paga. I miei mi terrebbero rinchiuso a pane e acqua».
Harry era sorpreso. «Quindi lei... lo fa per
aiutarvi?».
Lui alzò le spalle. «Dice che è un
peccato che del
vero sangue di mago debba soffrire. Noi lavoriamo per lei, e lei, in
cambio, ci
dà tutto quello che chiediamo. È una signora
molto... particolare».
Ci salutò, e noi uscimmo di nuovo nell’aria di
Novembre.
«Che tipa» commentò allora Ron,
scuotendo la testa.
«Sono davvero matti, questi signori, eh? E tutto quello che
ha detto su Lucius
Malfoy... se non ci considerasse traditori della peggior specie,
manderei papà
a prendere un thé da lei».
Mi misi a ridere. «Ogni famiglia ha la sua pecora
nera, giusto?».
«Pecora bianca, in questo caso» disse Harry, che
sorrideva ancora, raggiante. «O meglio ancora,
grigia».
«Che storia» disse ancora Ron.
«Però... abbiamo il
medaglione! Ora dobbiamo solo distruggerlo con la spada...».
«...e trovare gli altri Horcrux, ovviamente» dissi.
«Andiamo, Hermione, non rovinare il momento!».
«Ragazzi, ci conviene andare. Manca poco
alla fine della partita» fece Harry,
troncando sul nascere una possibile disputa. Si appese al collo il
medaglione,
nascondendolo sotto la divisa.
«Si, andiamo» dissi.
«Magari... un salto ai Tre Manici di Scopa...».
«Ron!». Ero troppo allegra per farci troppo caso,
comunque.
«Stavo solo...».
«Andiamo».
Comparimmo alla Stamberga Strillante, come sempre,
e corremmo lungo Hogsmeade fino al punto dove ci aspettava Tonks per
condurci
al cancello. «Avete..?».
«Fatto tutto? certo» completai.
«Bene» disse lei, con un sorriso tirato. Sapevo che
l’idea di lasciarci soli a combattere il male la spaventava.
Ci volle un po’ per arrivare al castello, e quando
lo facemmo, e arrivammo vicino al portone, fummo raggiunti da una folla
esultante che portava – impossibile sbagliarsi – i
colori di Serpeverde.
«Oh, magnifico!» disse Ron, sarcastico.
«Quello
stupido di Malfoy ha perfino vinto!».
«Lascia che esultino» dissi, mentre ci affrettavamo
a entrare per evitare di essere travolti dalla folla. «Oggi
abbiamo vinto
tutti».
NOTA
DELL’AUTRICE
Eccomi qua!
;) finalmente sono riuscita a postare, accidenti! È una cosa
difficile da fare,
in vacanza... dove in compenso riesci a scrivere in pace XD
Lo scorso
capitolo abbiamo visto Draco fare il figo sulla scopa; adesso invece
vediamo
che cosa stavano facendo intanto i nostri tre protagonisti, che lo
hanno
mollato per andare a trovare sua zia... un personaggio piuttosto
divertente il
cui nome deriva, al solito, da Jane Austen... così come
l’indirizzo di casa
sua.
A questo
proposito, al solito, nota sul titolo ;) “to dare”
significa “osare”, e “lare”
è il covo del cattivo di turno... quindi letteralmente
significa “osare penetrare
nel covo mavagio”, ma con un gioco di parole quantomeno
squallido tra “dare” e
“lare”
Nel prossimo
capitolo, come si può facilmente immaginare, vedremo Draco
alle prese con il
Turbolento Trio (o anche T.T. per alleati codardi che si sentono messi
da
parte) e la sua ritrovata popolarità, oltre che i problemi
del trio con l’Horcrux...
inoltre, per allietare le platee, vi saranno anche: una dichiarazione
(ma non
quella tanto sperata), una rivelazione (che potrebbe cominciare a dare qualche idea a chi si
interessa ai misteri
contingenti di Hogwarts), due litigi, e altri misteri... nel frattempo
vi lascio
in sospeso! Ahahahahaha
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Capitolo 16 *** Back to black ***
«Draco!» cinguettò Pansy Parkinson,
ghermendomi a
sorpresa mentre andavo a lezione. Ma forse, cercavo
di andare a lezione era il termine più esatto. Ero
attorniato da Serpeverde chioccianti che sembravano ritenersi fortunati
di
respirare la mia stessa aria – una routine ritrovata, in un
certo senso. Procedere
lungo i corridoi era piuttosto difficile, perché se da un
lato gli altri
studenti mi facevano ala mentre passavo con la mia consueta espressione
tronfia, dall’altra venivo rallentato dai miei stessi
tirapiedi. Grazie al
Cielo, nonostante fossi un po’ arrugginito, ci ero abituato.
«Più tardi sei
libero? Hai voglia di aiutarmi con Incantesimi?». E mi
sfiorò i capelli,
sorridente.
«Sono impegnato» dissi, in tono casuale, e non
era una bugia.
Dovevo bearmi della mia
ritrovata popolarità, e poi – se avanzava tempo
– anche studiare. Certo, avrei
sempre potuto chiedere alla Granger di farmi i compiti, ma avevo il
sospetto
che se la fosse un po’ presa per aver dato buca a lei e ai
suoi amichetti. Mi
sarei offerto di aiutarli con mia zia più tardi, e allora
forse si sarebbero
sciolti in lacrime di adorazione anche loro... e magari quel compito di
Trasfigurazione...
«Ehi, Draco». Mi voltai, annoiato, per ritrovarmi a
faccia a faccia con McNair. «Oh, sei tu» dissi,
arrestandomi pigramente, mentre
lui cercava di farsi strada tra i miei fan. «Come
stai?».
«Troppi compiti» disse lui, mesto.
«Grazie a Dio,
Astoria mi sta aiutando». Già, Astoria. Dalla
partita di ieri non ero riuscito
a incrociarla. Non ero riuscito a fare granché, in effetti.
Un po’ perché ero
piuttosto pesto e dolorante dopo la mia ultima caduta dalla scopa, un
po’
perché, semplicemente, non mi sentivo sullo stesso pianeta
del resto del mondo.
«Aspetta di arrivare al settimo» borbottai.
«In
ogni caso, mi cercavi per
qualcosa?».
«Oh, già. Volevo chiederti... non è che
più tardi
avresti un minuto? Dovrei parlarti di una cosa importante».
«Non so» dissi, fingendomi vagamente infastidito.
«Quando
posso te lo dico, ok? Sono molto impegnato».
Parve sgonfiarsi all’improvviso. «Oh. Certo,
capisco» disse, mestamente. E si allontanò senza
dire altro, facendomi sentire
una punta di rimorso. Rimorso che, comunque, svanì piuttosto
in fretta, non
appena Roberts scoppiò in una risatina. «Ti sta
sempre addosso, eh?».
«Già» dissi, con un sospiro da
ma-che-ci-vuoi-fare-sono-troppo-figo.
«Sai» disse, abbassando appena la voce, e
scoppiando in una nuova, significativa risatina, «comincio a
pensare che sia...
come dire... un po’ troppo ossessionato
da te». Un coro di latrati divertiti
seguì quella affermazione, e li
assecondai ridendo anche io. «Già... chi
può dirlo».
«Chissà cosa voleva dirti!»
esclamò Pansy piuttosto
scandalizzata, tirandomi per il braccio. «Draco, non credo
che faresti bene a
stare da solo con lui».
Ebbi cura di contrarre appena l’espressione del
viso alla sua stretta. Lei si fece preoccupata. «Che cosa c’è,
Draco?».
«Oh... no, niente» e minimizzai elegantemente con
un gesto rassegnato.
«Ti senti bene?» insistette lei, preoccupata come
non mai.
«Si... sto bene...» esitazione perfettamente a
tempo, «è che... dopo la partita, sai, non mi
sento bene. Nulla che non possa
sopportare, comunque».
«Avresti dovuto andare in infermeria, Draco» disse
lei, oscillante tra l’ammirazione cieca e la costernazione.
Più di qualcuno
mormorò il suo assenso a quella affermazione. «Non
hai bisogno di fare l’eroe,
Draco». Ne convenivo, però era fin troppo utile.
Trattenni a stento una risata.
Finalmente, sulla porta di Pozioni, riuscii a
scollarmi dalla mia scorta. Non dico che fossi felice di dover stare in
coppia
con la Granger, ma lei quantomeno non era sfinente. Ok, era sfinente,
ma era
una e non era un gruppo. Ero contento anche di essere in fondo,
così potevo
sottrarmi alle occhiatine adoranti di Pansy, che mi facevano
immancabilmente
ridere anziché sedurmi.
La Granger, comunque, non era ancora arrivata. Il
calderone pieno di Pozione Polisucco naturalmente bolliva; ogni
giorno,a turno,
io e la mia Babbanissima partner avevamo dovuto recarci nei sotterranei
per controllare
la pozione, che per il momento sembrava piuttosto promettente.
Il professor Lumacorno mi aveva perfino salutato;
l’euforia per la partita colpiva ancora. Soddisfatto, mi
sedetti al mio posto e
finsi di immergermi nella lettura di Pozioni Avanzate, giusto per darmi
un’aria
intellettuale. Quasi non mi accorsi, quindi, di quando la Granger si
sedette al
suo posto accanto a me. Mi aspettavo che mi salutasse come sempre con
quella
sorta di gentilezza vomitata fuori a forza che mi propinava di solito,
e alla
quale replicavo a malapena – e ci misi alcuni istanti per
rendermi conto che
non lo aveva fatto. Allora alzai gli occhi e li posai su di lei, come
in
attesa, ma la ragazza stava svuotando la borsa e sembrava troppo
concentrata
per notarmi. Probabilmente era così impegnata a pensare a
qualche compito da
dimenticarsi quello che mi era dovuto.
Naturalmente non avevo intenzione di salutare per
primo. Tornai al mio Pozioni Avanzate, ma se già prima non
mi stavo
concentrando su di esso, adesso anche solo il pensiero di farlo mi
risultava
come sacrilego. Giocherellai distrattamente con la mia piuma
d’oca, guardandomi
attorno. Chissà come, mi sentivo a disagio. La Granger aveva
terminato di
svuotare la borsa e scribacchiava qualcosa su di una pergamena. Forse
voleva
scrivermi qualcosa.
Finsi disinteresse mentre scriveva. Intanto il
professore, visto che tutti gli alunni erano arrivati, scrisse
velocemente alla
lavagna gli ingredienti per un Distillato che produceva effetti simili
a quelli
della Disillusione. Li scrissi su di un foglio con aria assente.
La Granger stava ancora scrivendo? Io non avevo
alcuna intenzione di leggere un tema.
Incuriosito, finsi di sporgermi verso la lavagna per leggere un
passaggio
particolarmente ostico, e sbirciai invece il suo foglio.
Ricordati la
Polisucco alle dieci!
Colloquio
McGranitt.
Animagus per
giovedì
Era una lista di impegni che proseguiva ancora a
lungo.
Solo in quel momento si fece strada nella mia mente
un’ipotesi prima impensata: mi stava ignorando? La guardai
apertamente, questa
volta, ma se la Granger se ne accorse non lo mostrò.
Mi stava davvero ignorando? Quella Balorda Babbana
(B.B. per ragazzi popolari snobbati senza motivo) stava davvero
fingendo che
non esistessi, o che fossi qualche cosa di oscuro... di abietto... come
un
fungo sulla pelle, o come Weasley?
Per poco non mi andò di traverso la saliva al pensiero che
qualcuno, fosse pure
un essere dall’intelligenza primordiale come la Granger
mezzosangue, mi
considerasse un individuo immeritevole di essere degnato di uno sguardo.
Quando il professore ci disse di cominciare, la
ragazza schizzò a prendere gli ingredienti. Io attesi
pazientemente che
tornasse e li posasse sul tavolo, poi esaminai la prima riga delle
istruzioni.
Apparentemente, dovevamo pestare degli scarabei. Allungai la mano per
prenderne
un po’, quando lei si voltò verso di me con
sguardo vacuo. «Che stai facendo?»
mi chiese.
«Secondo te?» la provocai, senza capire.
«Seguo le
istruzioni, no?».
«Ma perché stai prendendo i miei
ingredienti?» domandò
lei, impassibile. Brutta...
«Vai sempre tu a prenderli per entrambi, o
sbaglio?» le dissi, acido. Non potevo credere che stesse
facendo certi
giochetti con me. Sapeva benissimo che lo avrei fatto. Sentii il mio
odio per
lei crescere esponenzialmente. «Già»
disse lei, con un sorriso a dir poco
malvagio – che, temevo, aveva raffinato proprio grazie alla
mia compagnia – e i
suoi occhi scintillavano di rabbia. «Ma questo solo quando
pensavo che avremmo
collaborato».
Oh, signore, non di nuovo! Quanto poteva essere
sfibrante! Perché mai avevo accettato di aiutarla..? oh, si,
giusto. Il Signore
Oscuro. Beh, in ogni caso, non poteva davvero aspettarsi che io facessi
tutto
quello che mi diceva. L’avevo aiutata con Sinister, si o no?
era già un
contributo fondamentale, giusto? Certo, ora si trattava di mia zia, ma
avevo
tutto il diritto di prendermi una vacanza.
«Ti ho aiutata!» le sibilai, abbassando la voce per
non essere sentito. «Non è abbastanza, stupida
Mezzosangue?».
A posteriori, penso proprio che non fossi nella
posizione più adatta per chiamarla mezzosangue. Ma al
momento mi sentivo
potente per il mio riacquistato potere, dimenticando che non
c’era nessuno a
spalleggiarmi – e che, a differenza degli altri anni, non era
mio interesse
farlo.
«Ti senti potente, non è vero, Malfoy?»
disse lei,
con disprezzo infinito. e così dicendo, mi buttò
di fronte una manciata di
scarafaggi. «Ecco, tieni. E la prossima volta che stai per
dimenticarti di
essere un essere basso e disgustoso, mi sincererò di essere
presente, così che
tu possa ricordartelo».
E dopo quel
momento si trincerò in un silenzio ostinato. Non disse nulla
quando alla fine
trovai il coraggio di tendere la mano per prendere gli altri
ingredienti. Non
disse nulla quando rischiai di sbagliare le dosi. Non disse nulla
quando le
chiesi se poteva passarmi il coltello. Non disse nulla neppure quando,
dopo tre
quarti d’ora, stremato, le chiesi dove diavolo avrei dovuto
trovare il succo di
Bubotubero. Si limitò ad alzarsi bruscamente –
peraltro, provocandomi un mezzo
infarto – andandolo a recuperare di persona e schiaffandolo
nel calderone con
violenza assolutamente ostentata.
Beh, poteva andarsene a quel paese. Io ero un
Malfoy, perdinci bacco, non uno dei suoi amichetti. Che facesse pure il
broncio. Anzi, che aggiungesse pure “fare il broncio a Draco
Malfoy per
dimenticare quanto sia superiore a me” nella lista delle cose
da fare. Tra controllare se davvero sono una
femmina e
radersi le ascelle. O magari di
fianco a cercare la mia dignità
perduta.
Così sarebbe stato al primo posto.
Per dimostrarle che non mi importava di lei e di
quello che pensava, tossii rumorosamente. D’accordo, magari
non era proprio un
segnale rivelatore di indifferenza. Ok, era una reazione senza senso.
Magari
invece mi era venuta la polmonite su quella dannata scopa, e stavo
morendo. La
stupida ragazza non sarebbe sembrata tanto indifferente. soddisfatto,
la
osservai un istante prima di lanciarmi in un entusiastico accesso di
tosse, con
tanto di simulazione di catarro. Ottenni un’occhiata
preoccupata da Pansy – che
apparentemente riconosceva il mio timbro di voce, anzi di catarro,
anche quando
tossivo - e una
perplessa da qualche
banco vicino. Ma la Granger mi ignorò.
Alla fine, chissà come, cominciai a sentirmi davvero
a disagio. Era da un po’ che non
la chiamavo Mezzosangue; un po’ per evitare le sue
rappresaglie, e un po’
perché, beh, non ero nella pozione di potermelo permettere.
Intendiamoci, non
che avessi mutato posizione dalla mia linea
i-Purosangue-sono-meglio-dei-Mezzosangue; solo, era impossibile passare
del
tempo, per quanto forzatamente, con la Granger, senza sentire che
magari i Nati
Babbani erano persone... per quanto meno degne. Se poi quella Nata
Babbana mi
aveva aiutato per più di un mese, finivo per sentirmi in
colpa... un pochino. Abbastanza
per desiderare di rimangiarmi, non la frase, ma almeno
quell’insulto. Avrei
potuto usarne un altro.
Alla fine mi costrinsi, controvoglia, a chinarmi
verso di lei. «senti, Granger» mormorai, piano.
«Non ho mai detto che non avrei
collaborato. Se uno di questi giorni avete intenzione di andare da mia
zia...».
quanto ero magnanimo! Magari qualcuno mi avrebbe assegnato dei punti.
«Mi dispiace di interrompere un’offerta
così nobile»
disse lei, traboccante di un
entusiasmo selvaggio. «Ma mentre tu ti facevi bello sulla
scopa, incurante i
tutto e di tutti, come sempre ci abbiamo già pensato noi».
Non capii subito, ma quando lo feci, mi indignai.
«Voi... siete andati da mia zia?». E non avevano
neppure visto la mia
spettacolare partita? Oh, ma andiamo! Per quanto una persona possa
avere un
karma storto, ci sono dei limiti alle punizioni dell’universo!
«Non sono tenuta a rispondere, Malfoy».
La afferrai per un polso. Sentivo l’impulso quasi
folle di spaccarle la faccia. «Si, lo sei» sibilai.
«No, non lo sono» disse lei, con aria di sfida,
liberandosi. In quel momento suonò la campanella, e come
sempre, tutti si
alzarono in piedi all’unisono. «Hai avuto la tua
occasione, Malfoy. Tu hai
scelto di fare l’idiota, come sempre. Adesso, comunque, hai
di nuovo la tua
cricca di amichetti, no? Perciò non hai
più bisogno di parlarci. Non temere,
sopravviveremo». Mentre lo diceva,
aveva impilato tutti i suoi libri uno sull’altro, e ficcato
il resto nella sua
borsa già ricolma. «Oh, e non ti
preoccupare» disse, guardandomi come se fosse
stato uno Schiopodo Sparacoda particolarmente disgustoso, «ti
proteggeranno.
Per quanto tu sia bieco, Malfoy, non ti abbandoneremmo in ogni
caso». Frustò
l’aria con i suoi capelli crespi e scappò via alla
velocità della luce,
lasciandomi lì come un idiota.
Benissimo. Si erano arrangiati. Splendido. Era
proprio quello che volevo. Avevano preso l’Horcrux, e allora?
Io avevo preso il
Boccino, e non era stato facile. Non era la Granger quella che
metà delle
ragazze guardava con aria sognante, o sbaglio?
Quando Pansy e gli altri mi raggiunsero, più tardi,
io non riuscii a badare a loro come avrei dovuto. Certo, potevo
sorridere e
perfino fare qualche battuta, ma non riuscivo a concentrarmi su quello
che mi
stavano dicendo. Continuavo a pensare a quello che mi aveva detto la
Granger,e
non riuscivo a non sentire che avevo definitivamente, completamente
perso.
Anche se naturalmente era assurdo, perché avevo esattamente
quello che volevo,
no? i miei amici. La mia vita. protezione gratis e senza sforzo, e
possibilità
che il Signore Oscuro mi credesse nel caso in cui avesse vinto e io gli
avessi
raccontato che avevo fatto il doppio gioco per lui.
La verità era che, nonostante non mi piacesse di
certo l’idea di commistiarmi con certe persone, in ogni caso
sapevo che non ci
avevo fatto una bella figura. Mi ero giusto abituato all’idea
che anche io ero
uno dei grandi – che anche io ero un eroe, eccetera. E ora
ero di nuovo quello
di prima; un Serpeverde codardo che anziché mostrare coi
fatti di che pasta era
fatto un vero Malfoy, faceva semplicemente lo sbruffone. E credetemi,
ammetterlo a me stesso era davvero... beh... umiliante.
Ero comunque deciso a togliermi certi pensieri
dalla testa. per cominciare, quindi, decisi di squagliarmela dopo le
lezioni
del pomeriggio per fare qualche volo per il campo di Quidditch. Riuscii
abilmente a turlupinare Pansy dicendo che dovevo andare in biblioteca e studiare
– non c’era deterrente migliore per lei –
e a svicolare dalla Sala Comune.
Era abbastanza buio, quindi non dubitavo di
riuscire a passare completamente inosservato. E in effetti raggiunsi il
campo
senza che nessuno mi vedesse. Entrai dagli spogliatoi direttamente in
campo,
dirigendomi verso lo stanzino delle scope... e scorsi una figuretta,
avvolta
nel mantello di lana, seduta sugli spalti più bassi.
Mi bloccai. Vista la scarsità di luce, era
difficile distinguerne i lineamenti, ma era chiaro che era una ragazza.
Meditai
per un istante sulla possibilità di andarmene prima di
essere visto, ma la
sagoma non sembrava avermi scorto. Strizzando gli occhi, vidi che era
china su
qualcosa – presumibilmente un libro, o qualcosa del genere
– e che il viso era
coperto da folti capelli neri.
Una folata di vento particolarmente violenta spirò
verso di me, investendola in pieno. La vidi rabbrividire... in un modo
che era
particolarmente familiare. Mi avvicinai, e mi resi conto che avevo
indovinato.
Era proprio Astoria, imbacuccata nel mantello, una sciarpa attorno al
viso,
china, nonostante il buio, su un libro. Sembrava un Dissennatore
epilettico, ma
anche così aveva un che di dignitoso. Quando fui abbastanza
vicino dovette
sentirmi, perché si voltò, sorpresa.
«Ehi» dissi, dirigendomi verso di lei.
Senza scomporsi, la ragazza chiuse il libro al mio
approssimarsi, posandolo accanto a sé.
«Ciao» disse, mentre scavalcavo la
balaustra per raggiungerla. L’istante successivo, ero accanto
a lei. «Cosa ci
fai qui?» le chiesi, perplesso.
«Cercavo un po’ di silenzio. la Sala Comune
è
troppo caotica» disse lei, tranquilla, come se non fisse
stata interrotta.
«Siamo in due, allora» dissi, tetro, sedendomi
accanto a lei. Astoria prese il libro e lo mise nella borsa, per farmi
spazio,
così potei avvicinarmi. «Non vorrai dirmi che la
cosa ti sta stretta» disse
lei, vagamente incredula. Era la prima volta che qualcosa sembrava
sorprenderla, anche se moderatamente.
Io alzai le spalle, improvvisamente a disagio.
Beccato.
«Dopo solo un giorno, ti sei già stufato di essere
servito e riverito? Inusuale» commentò lei,
guardando di fronte a sé. Quello
non era un commento che mi sarei aspettato da lei. Con un istante di
ritardo,
pensai che magari invece lo era. Da quanto tempo ci conoscevamo?
Perfino Potter
non aveva segreti con me, in confronto. Oh, beh, in effetti non ne
aveva.
Avrebbe dovuto preoccuparmi che una delle persone che conoscevo meglio
fosse
Potter. Scacciai il pensiero prima che mi venisse la nausea.
«In realtà» dissi, cercando di
recuperare la mia
solita posizione, «sono contento di avere finalmente quello
che mi è dovuto.
Soltanto, ogni tanto vorrei avere qualcuno alla mia altezza...
perciò vengo qui
in solitaria» era uno scherzo, ma solo a metà. Chi
era alla mia altezza? Non
rispondete, perfavore.
Lei non sembrò comunque trovarlo divertente. Ti
pareva. «Sto aiutando McNair a fare i compiti»
disse.
«Me lo ha detto».
Lei si voltò e mi guardò, penetrante.
Perché avevo
la sensazione che mi stessi perdendo qualcosa? La sensazione non
svanì quando
lei tornò a guardare di fronte a sé, come se
nulla fosse successo. «In ogni
caso, mi sembri turbato» commentò lei. Oh,
accidenti. Perché con le ragazze –
perfino se sono come Astoria – si finiva sempre per dover
parlare di
sentimenti? Un Serpeverde non parlava di sentimenti, per
l’amor del cielo!
«Non è vero» mentii.
«D’accordo» accettò lei, rimanendo poi in silenzio.
«Cosa stavi leggendo?» chiesi alla fine, tanto per
chiederle qualcosa. E per sembrare intellettuale. Lei mi
guardò, poi tornò a
scrutare il campo. «Nulla di speciale» disse, e
capii che non avrebbe aggiunto
altro, a meno che non avessi insistito. Cosa che non mi andava di fare.
Avrebbe
anche potuto inventarsi un titolo, e probabilmente non me ne sarei
accorto.
L’anno prima avevo affatturato un tizio, tale Michaelson, o
Johnson – difficile
ricordare – perché mi aveva detto che non era
riuscito a portarmi un messaggio
perché intento a leggere Babbioni
e
Bietoloni – guida per goffi giardinieri in erba.
Avevo scoperto solo dopo
che non mi aveva giocato un brutto tiro – ma ci era voluto un
po’ perché
potessi riconoscere il mio errore. Disincastrare un possente paio di
corna
dalla porta dell’infermeria può richiedere un
tempo piuttosto lungo, e per
quando il Serpeverde era tornato a lezione, mi ero già
dimenticato dell’accaduto.
«Come mai proprio questo posto?» mi venne in mente
allora. «Anche la biblioteca è silenziosa a
sufficienza».
«Questo posto è deserto» disse lei,
alzando le
spalle.
Una parte di me avrebbe voluto scusarsi
dell’intrusione, ma la mia abitudine era fondata sul
principio di
un-Malfoy-non-deve-mai-chiedere-scusa-perché-ha-sempre-ragione,
perciò non mi
venne affatto spontaneo farlo. In compenso ebbi un’idea.
«Vieni» le dissi,
afferrandola per mano e tirandola in piedi. Lei mi lasciò
fare, molto più docilmente
di quanto mi aspettassi. Avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse
compagnia,
una compagnia degna di questo nome. La Granger non contava. Certo,
sembrava che
la cosa fosse reciproca, il che era esattamente il punto. Stupida
Babbana.
Solo quando vide che la portavo verso il campo,
parve irrigidirsi. «Che cosa vuoi che faccia?»
domandò, con sospetto.
«Mostrarti la mia scopa» dissi, pigramente. Poi,
con un ghigno, «niente doppi sensi, eh!».
«Che scherzo grossolano» commentò lei.
Alzai gli occhi al Cielo.
«E comunque» disse lei, mentre aprivo la porta e mi
immergevo alla ricerca della mia scopa, «so bene che scopa
possiedi. Una Nimbus
2001, uscita dopo breve dopo il modello 2000, nella speranza di
aumentare
ulteriormente le vendite rispetto al modello precedente. Purtroppo le
2001
hanno un piccolo spiraglio tra le setole...».
«Si, si, certo» troncai corto, estraendo la mia
Nimbus con un sorriso soddisfatto, nonostante odiassi il fatto che
mettesse in
risalto le disfunzionalità della mia scopa. «Ecco,
tienila un secondo, invece
di blaterare» dissi, in un finto tono brusco. Lei
obbedì. Estrassi un’altra
scopa, prima di chiudere la porta.
«No» disse lei, non appena mi voltai nella sua
direzione.
«No?» feci io sbigottito. «ma se io non
ho
ancora...».
«La richiesta che stai per farmi è comunque
sufficientemente chiara. Non intendo salire su una scopa»
disse lei, nel suo
consueto tono atono. Io la guardai, con una punta di sufficienza.
«Questa scopa
dovrebbe essere piuttosto facile da guidare, per una
principiante» dissi,
allungandole la Frecciastella. «E in ogni caso, sono un
Cercatore. Posso essere
abbastanza veloce da recuperarti, se dovessi cadere».
Astoria mi guardò, ed ebbi la certezza di averla
offesa. «Trovo piuttosto grossolano e superficiale da parte
tua sostenere che
io non sia in grado di salire su un manico di scopa» disse,
gelida. «Senza
contare che la Frecciastella, specie dopo alcuni anni dalla
fabbricazione,
tende a fare le bizze».
Questa volta ero sorpreso. «Dunque tu sai
la differenza tra due scope».
«Pensavo che fosse già chiaro. Perché,
non
dovrei?».
«E sai volare?».
«Discretamente» rispose.
«E allora...».
«Non ne ho voglia. Non è abbastanza per motivare
un
rifiuto?» fece lei, guardandomi.
Cominciavo a irritarmi. «Avevo solo voglia di
vederti volare. Non penso sia un reato».
«Oh, no. Come non lo è rifiutare»
rispose lei,
calma.
Ok, ora ero definitivamente irritato. Ma perché
tutte le ragazze con cui entravo in contatto – Purosangue o
Mezzosangue che
fossero – erano inevitabilmente, completamente fastidiose e
antipatiche? E
perché sembravano considerare come il loro hobby favorito
quello di umiliarmi?
«Fa come vuoi» dissi, sperando che il mio tono
fosse sufficientemente freddo da
indurla a ritornare sui suoi passi.
«Grazie. ci vediamo a cena» disse la ragazza.
Aprì
la porta dello sgabuzzino, di fronte al mio sguardo incredulo, vi
posò
accuratamente la scopa, lo richiuse, e si allontanò con la
sua solita andatura
flessuosa. Lasciandomi a fissarla con uno sguardo ebete e costernato. Si bloccò a
pochi metri dagli spalti, e si
voltò verso di me. «Ah, Draco» mi disse,
puntandomi contro gli occhi neri e
lucenti che non contenevano né ira, né
risentimento, né alcun sentimento
riconoscibile, «nonostante tutto, non credo che riuscirai a
ignorare per molto
il tuo turbamento».
E se ne andò, quella stronza. Incollerito, le diedi
le spalle e spiccai il volo, addentrandomi nell’aria scura,
per nascondervi la
mia irritazione.
«Assolutamente no, Potter» disse la professoressa
McGranitt, incrociando le braccia al petto, e scrutandolo come se una
testa in
più gli fosse appena sbucata dal collo. «A che
cosa dovrebbe servirti?».
Harry alzò le spalle, in un tono casuale assai poco
convincente. «Ecco... sa
com’è....».
«No, Potter. Temo di non saperlo».
«Vogliamo solo dare un’occhiata»
intervenne Ron, in
tono rassicurante. La McGranitt lo guardò, alzando un
sopracciglio. «Per fini
accademici» aggiunse allora, come pensando che
così tutto sarebbe stato chiaro.
La vecchia strega si voltò verso di me, le narici
così sottili che in quel momento non aveva nulla da
invidiare a Lord Voldemort
– che in compenso avrebbe invidiato i suoi capelli, immagino.
«Miss Granger» disse, fissandomi accigliata.
«Spero
che almeno lei sia in grado di fare un resoconto più
esauriente dei motivi che vi
spingono a farmi una simile richiesta».
«Ma non possiamo dirglielo, professoressa» la
blandii, compunta. «Si tratta della missione che il professor
Silente ci ha
chiesto di portare a termine».
Le sue labbra già sottili si serrarono tanto da
farle diventare nivee. La preside si voltò verso il muro,
dove un ritratto
dalla cornice argentata stava appeso assieme a molti, molti altri.
«E’ vero
quello che dicono, Albus?». L’uomo anziano che
aveva indirizzato aveva finto di
dormire fino a quel momento; ma ora alzò il suo sguardo di
cristallo verso di
noi, un sorrisetto enigmatico che gli incurvava le labbra.
Chissà come, avevo
il presentimento che non sarebbe stato d’aiuto. Non nel
chiarirci le cose,
almeno.
«Non sta a me chiarire queste faccende, Minerva»
disse, con la sua voce pacata, il ritratto di Albus Silente, mentre si
aggiustava gli occhiali a mezzaluna sul naso. «Sta a te
decidere se fidarti o
meno dei nostri giovani amici». Esasperata, la donna si
voltò verso di noi. «E
che cosa dovreste fare con questa spada, esattamente?» chiese.
«Nulla di pericoloso» si affrettò a dire
Harry, con
sincerità evidente. «Solo... un esame
breve».
La McGranitt rimase in silenzio un paio di istanti.
«Capisco» disse ancora alla fine.
«Sentite. La spada di Godric Grifondoro è un
inestimabile cimelio. Per quanto la scuola ti sia grata, Potter, per
averla
recuperata, non posso permetterti di andare a zonzo per i corridoi con
quella
alla cintura. Darò il mio consenso affinché la
utilizziate, purché questo sia
fatto in questo ufficio».
Io guardai i miei due amici, trionfante. Poco
importava dove fossimo; l’importante era distruggere
l’Horcrux. «Non si preoccupi,
professoressa. Ci vorranno solo cinque minuti» dissi, un
sorriso luminoso in
viso. La mia espressione sembrò rassicurarla un pochino,
perché la strega
sospirò, sconfitta. «E va bene. Quando rientro,
tra dieci minuti, voglio che la
spada sia tornata al suo posto».
«Certo» disse Harry, gli occhi verdi che
scintillavano.
Reclinato sul divano della mia Sala Comune, le
gambe in grembo a Pansy Parkinson, mi sentivo una sorta di pigro
faraone nel
suo giorno di riposo. Io, Draco Malfoy (D.D., Draco Dominante, per i
futuri
storici incaricati di stilare la mia biografia), da poco reintegrato
nel suo
ruolo di Star Serpeverde (S.S. se sulla copertina della mia biografia
non ci
fosse spazio a sufficienza), mi stavo godendo tutta quella attenzione.
Stavo
leggendo controvoglia Mille Erbe e Funghi Magici, nella speranza di
trovare
qualcosa sugli effetti taumaturgici della Belladonna, ma il fatto che
nessun
altro riuscisse a studiare perché troppo intento a
corteggiarmi mi riempiva di
segreta soddisfazione.
«Come sei studioso, Draco» cinguettò
Pansy
passandomi una mano tra i capelli. Preoccupato che la manovra potesse
avermi
scomposto i capelli, interruppi la mia nobile ricerca di studioso per
alzarmi
lievemente a sedere, alla ricerca di uno specchietto.
«Tranquillo, Draco» fece una voce divertita.
«Penso
che le dita di Pansy non siano neppure riuscite a penetrare lo strato
di gel
che protegge i tuoi capelli».
Mi voltai. Nott, alcuni libri sottobraccio,
sembrava divertito. Io alzai le spalle, casuale. «Mi stavo
solo stiracchiando»
mentii, riaprendo il noiosissimo volume. Non poteva certo non credere a
un
ragazzo ligio allo studio come me, giusto?
«Certo» disse lui, sedendosi nella poltrona
accanto. «E dimmi, hai già fatto il tema per la
tua cuginetta?». Era sempre
così che Nott chiamava la Tonks. Lievemente irritato, scossi
il capo. «Non ne
ho voglia» proclamai, con l’aria di chi
può permettersi di giudicare i libri
come qualcosa di superfluo. Anche se così non facevo che
rovinare la mia
immagine di studente tenebroso. Del resto, i geni non hanno bisogno di
studiare, o di fare stupidi temi per stupidi cugini insegnanti.
«E’ per domani» commentò lui,
alzando il
sopracciglio. Povero illuso. La cosa non aveva importanza. Potevo
farmelo fare
dalla G...
La consapevolezza che la Granger non mi parlasse
arrivò solo a metà del pensiero. Scornato, mi
resi conto che forse la mia
popolarità non avrebbe fatto presa su Tonks. Forse avrei
dovuto preoccuparmi
del tema.
«Ci penserò» proclamai, con uno
sbadiglio. «E come
procedono le tue altre materie?».
«Oh, naturalmente bene» disse lui, aristocratico.
«L’unico neo della mia altrimenti perfetta
esistenza è quell’idiota di Zabini.
I professori lo amano per via di quella sgualdrina di sua madre. Anche
Lumacorno, naturalmente». Sembrava nauseato.
«Che cosa ha fatto?» chiesi, interessato.
«Nulla di nuovo. Ma per via di quel suo dannato
club di “eletti”, ha sempre un trattamento
speciale». Nott sembrava prossimo a
commettere un omicidio. «L’ho visto che lo fermava
in corridoio, prima. Voleva
consegnargli personalmente l’invito per la sua
festicciola».
«Già, il Lumaclub» dissi io, con
disprezzo.
«Immagino che Potter abbia ancora il privilegio di ascendere
a quell’Olimpo di
gloria». Stupido Potter. Ok, ero invidioso, e allora?
«Oh, si. Lui e i suoi amichetti, Weasley escluso. E
il prossimo mese quell’ottuso panzone ricomincerà
a dare le sue feste private.
Patetico. Non che Zabini sia felice di parteciparvi. Penso abbia altri
progetti
per le sue serate». Un lampo nei suoi occhi.
«Che intendi dire?» domandò Pansy,
ansiosa,
spalancando gli occhi.
Nott sembrò rendersi veramente conto della sua
presenza solo in quel momento; confuso, ci mise un istante a
rispondere. «Non
so, non lo vedo mai in giro» disse, evasivo, e
quell’oca di Pansy naturalmente
gli credette. Aveva troppa soggezione per Nott per non farlo. Io invece
presi
nota mentalmente di indagare. Chissà come mai Nott era tanto
ossessionato da
Zabini.
«Chissà come passa le sue giornate. Anche se
immagino che essere un idiota sia già di per sé
un’attività stancante»
commentai, sbadigliando. Pansy accennò a una risatina,
piuttosto flebile però:
era a disagio all’idea di ridere della sua ultima fiamma.
«Già» fece eco Nott, improvvisamente
molto assorto
da uno dei suoi volumi. Il pensiero del tema tornò a
occuparmi la mente.
«Chissà dove ho messo il mio libro di Difesa
contro le Arti Oscure» mi lagnai,
intollerante. Stupida materia. A che cosa sarebbe dovuta servire? Se il
Signore
Oscuro mi fosse comparso davanti, probabilmente avrei potuto usare il
libro
come arma contundente, ma per il resto, era legna da ardere.
«Ti presto il mio, se vuoi» cinguettò
ancora Pansy,
tutta ringalluzzita, saltando in piedi. Le mie gambe atterrarono
pesantemente
sul divano di broccato verde. La ragazza corse via, prima ancora che
potessi
risponderle. Sospirai.
«Allora, dove va Zabini?» indagai, volgendomi a
Nott.
Lui alzò lo sguardo, e ci mise un attimo a
focalizzare l’argomento del discorso. «Ah, Zabini.
Beh, è la terza volta che lo
vedo tornare dalla Guferia, oggi – o fingere di andarci. O
corrisponde con
qualcuno, o sta preparando un qualche agguato a un Grifondoro,
immagino».
Chissà come, sentii che ometteva qualcosa, ma non indagai.
Ero troppo saggio
per farlo.
«E tu, come lo sai?».
«Oh, sto facendo diverse
ricerche in questo periodo», nuovo scintillio
negli occhi, «e non potevo non notarlo».
Ricerche. Io non avevo neppure il tempo di fare il
tema per Difesa, e Nott si dilettava a ficcanasare tra gli sporchi
segreti
degli altri. Piuttosto snervante. «Tra parentesi»
aggiunse in quel momento
Theodore, sfregandosi il mento, come se gli fosse venuto in mente
all’improvviso, «ho trovato un libro piuttosto
interessante sulle Arti Oscure.
C’erano informazioni piuttosto.. interessanti». E
mi guardò per un istante con
un sorriso significativo. Immaginai che si aspettasse che cogliessi
qualcosa,
ma non avevo idea di che cosa, così feci un sorriso non
compromettente. «Un
libro sulle Arti Oscure, eh?» dissi, fingendo entusiasmo.
«E dove accidenti lo
avresti trovato?».
L’espressione di Nott sembrò quasi perplessa
– il
che mi fece sospettare che mi stavo perdendo qualcosa – ma
dopo un paio di
istanti era già tornato alla consueta espressione
indifferente. «Sai che mi
piace frugare in biblioteca» disse, ma la sua risposta non mi
convinse. Silente
aveva tolto di mezzo tutti i libri proibiti. Lo sapevo per certo; li
avevo
cercati un mucchio di volte.
Pansy ritornò, tutta affannata, il volume tra le
braccia. «Ecco, Draco» disse, leziosa,
appollaiandosi il più vicino possibile
al sottoscritto. «Scusa se ci ho messo tanto, non riuscivo a
ricordarmi dove lo
avessi messo».
«Grazie, Pansy» le dissi, con un sorriso un
po’
cadente, ma abbastanza affascinante. Le sfiorai la mano con la mia,
mandandola
in iperventilazione. «Ora è meglio che mi dedichi
al mio dannato tema».
«Sei così fortunato. Hai a disposizione quella
sciacquetta della Granger per fare i compiti»
sospirò lei. Non so esattamente
quale fosse la mia faccia quando la guardai, ma fu qualcosa che la rese
incerta
e che la convinse a tornare sui suoi passi. «Non che tu abbia
bisogno di lei,
Draco. Ma si sa che tutti i professori la adorano».
«Io e la Granger non ci rivolgiamo la parola»
dissi, laconico, e notai che Nott si concentrava su di me, attento.
Usai la mia
migliore faccia da poker per evitare di compromettermi.
«Che cosa le hai fatto?» domandò lui.
«Non c’è necessariamente una ragione in
quello che
la Granger fa» dissi, alzando le spalle.
«Davvero!». Forse avevo sbagliato qualcosa con la
mia faccia da poker.
«Davvero» dissi, impassibile.
«Allora siamo in due» si intromise Pansy, cercando
di riportare su se stessa la mia attenzione.
«Quell’idiota di Paciock è un
impiastro. Non fa che farfugliare qualcosa se ci capita di doverci
parlare, e
svanisce per tutto il tempo».
«Ti evita?» dissi io, sprezzante.
«Tipico. Meglio
così, in ogni caso, no?».
«Non evita me»
ci tenne a precisare lei, storcendo il naso assai piatto.
«Non hai notato che
non viene più neppure a pranzo, ormai?».
«Eh?». Questa mi era nuova.
«Dice che ha un sacco da studiare, il che, visto
quanto è stupido, potrebbe essere vero» disse, con
il sorriso trionfante di chi
sa più degli altri, «ma ho sentito Calì
Patil dire a una sua amica che non è
mai in Sala Comune, e che passa moltissimo tempo con sua sorella
Parvati!».
Evidentemente appagata della sua sapienza, soggiunse con
l’aria da
cospiratrice: «penso che abbiano una storia, sai».
«Davvero?». L’attenzione di Nott era
davvero massima.
Aveva la bocca tirata in un sorriso assolutamente malvagio, gli occhi
gli
brillavano, e stava proteso verso Pansy come se gli stesse offrendo il
Santo
Graal. Nel complesso sembrava un invasato. Lo guardai, meravigliato.
«Parvati è troppo furba per Paciock»
provai a
obbiettare, ma Pansy, felice che Nott le dedicasse un po’ di
attenzione mentre
di solito la ignorava, si era già lanciata in una nuova
serie di particolari. «Ieri
li ho visti assieme mentre andavo verso Divinazione. Penso stessero
pomiciando
nei pressi della Guferia, quando hanno sentito gli studenti
arrivare».
Non potevo negare che l’idea di Paciock che
pomiciava con qualcuno fosse incredibilmente divertente. Ma la maniera
in cui
Nott accolse quelle informazioni, come se fosse appena giunto Natale in
anticipo, era oltremodo sospetta. Perché mai avrebbe dovuto
essere felice – no,
euforicamente esultante – per Paciock?
«Interessante» disse Nott. Qualcosa nella sua voce
mi suggerì che se ne fregasse della felicità di
Paciock. Il che era un sollievo,
naturalmente, perché quantomeno significava che era ancora
in sé. Eppure...
eppure... perché avevo l’impressione che ci
fossero guai in arrivo per
qualcuno?
Oh, beh. Finché non toccava a me, non mi importava
granché. Specie quando avevo due rotoli di pergamena da
consegnare l’indomani.
E una sola opzione per farli.
Sfrecciavo lungo i corridoi, a testa bassa per non
mostrare la mia espressione turbata. Ero appena scappata via dalla Sala
Comune,
alla ricerca di un po’di pace. Scendendo al sesto piano
passai via Luna e
Marietta Enscombe senza quasi accorgermi di loro. Al quinto piano
dribblai
abilmente Ernie McMillan che si avvicinava, per infilarmi dentro a uno
dei
bagni delle ragazze.
Quando mi fui rinchiusa in un cubicolo, tirai un
respiro di sollievo. Mi serviva qualche minuto, dovevo calmarmi. La
spada di
Grifondoro non aveva funzionato. Eravamo convinti che Silente avesse
deciso di
lasciarci la Spada per distruggere l’Horcrux, ma forse ci
sbagliavamo. Eppure
niente era stato peggio di sfilarsi dal collo l’Horcrux,
calare su di lui la
spada, e vederla addirittura scalfirsi
quando l’aveva colpita.
«Oh, perfetto»
aveva commentato Ron, sconfortato, osservando il medaglione intatto e
il
piccolo solco lasciato sulla spada. «E adesso, chi gliela
spiega alla
McGranitt?».
Osservai la catena d’oro che mi pendeva dal collo. Quando
indossavo l’Horcrux, mi sentivo strana. Come se qualcosa mi
sussurrasse agli
estremi della coscienza. Rabbrividii. Dovevo muovermi e andare in
biblioteca.
Lì avrei potuto esaminare con calma uno dei libri che avevo
preso in prestito –
o rubato, se preferite – dallo studio di Silente.
Sospirai, prima di uscire dal bagno. Cinque minuti
dopo, ero di fronte alla porta della biblioteca.
«Granger». Oh, Cristo! Non in quel momento. Il
Fastidioso Furetto (F.F. per chi tenta di ignorarlo) non poteva
capitare in un
momento peggiore. Facendo finta di non averlo sentito, decisi di fare
una
deviazione. Non volevo che mi seguisse in biblioteca. Virai verso la
scala.
«Granger!».
Ancora una volta lo ignorai. Al terzo piano c’era
una folla immane di studenti; non mi avrebbe certo parlato di fronte a
tutti
loro. «Granger! Maledizione, ascoltami!».
Mi arresi quando mi resi conto che non c’era modo
di liberarsi di lui. Così mi voltai per fronteggiarlo,
inviperita. «Che diavolo
vuoi?» gli chiesi, e devo ammettere che cominciavo a
prenderci gusto nel farmi
correre dietro da lui.
Lui si guardò attorno, come implorando alla folla
circostante di non badare a lui, anche se ovviamente non era
impossibile. Poi
tornò a guardare me, dimesso. «Granger»
disse. «Devi smetterla di ignorarmi».
Lo guardai in silenzio, sospettosa e soprattutto
arrabbiata.
«Siamo alleati, e tu lo sai» proseguì
lui
nervosamente, guardandosi attorno mentre mormorava rapidamente una
frase dopo
l’altra. «Perciò, solo perché
non corro ai tuoi comandi come se fossi un cane
non significa che sia un essere abietto».
«Commovente» dissi, gelida.
Lui strinse le labbra. «Sul serio, Granger» disse,
infastidito. «Ti offro per l’ennesima volta il mio
aiuto. Non basta?».
Lo guardai. «Non ti farò il tema di Difesa Contro
le Arti Oscure» dissi, determinata.
Malfoy arrossì lievemente. «Non capisco che cosa
c’entri» disse, cauto. Bingo. «Volevi
blandirmi perché te lo facessi, non è
vero?» sogghignai, malvagia. Decisamente, non stava avendo
una buona influenza
su di me. Inoltre l’Horcrux mi metteva di pessimo umore.
Probabilmente anche
Tom Riddle sarebbe scappato via se avesse potuto entrare nella mia
testa in
quel momento.
«Non cadrei mai così in basso da
chiedertelo»
affermò lui.
«Balle, Malfoy, e tu lo sai».
«Beh, Granger, siamo compagni di studio» disse
allora lui, cambiando tattica. «Se anche avessi
pensato...».
«La risposta rimane no. Sono occupata».
Malfoy mi guardò in cagnesco.
«D’accordo, Granger.
Del resto, del tuo aiuto non sapevo che farmene».
Sospirai. Ero troppo stanca per tenergli il
broncio. «Malfoy, i nostri sono gruppi
di
studio. Gruppi. Questo significa che si dovrebbe collaborare,
non che
dovresti rifilarmi i tuoi compiti. Ma so già che tu e la
collaborazione non
andate d’accordo».
Malfoy sembrava scontento. Che lo fosse. Io avevo
cose da fare. Mi voltai, diretta alla biblioteca, ma sentii qualcuno
trattenermi per la manica. «D’accordo,
d’accordo» disse Malfoy, apparentemente
indignato. Del resto, negli ultimi tempi si era trovato costretto a
dover
essere quasi cordiale con i suoi tre peggiori nemici, perciò
immaginai di non
poterlo biasimare. «Senti, Granger, d’ora in poi
collaborerò davvero, va
bene?».
Sorrisi, trionfante. «Perfetto, Malfoy. Perfetto».
«Mi dai i brividi, stupida» replicò lui,
teatrale.
Poi, tornando più serio, «e per il
tema...».
«Sarò lieta di aiutarti. Ma non di
fartelo» dissi,
amabile. La sua espressione era così dismessa che perfino
l’idea di aiutarlo ne
valeva la pena.
Dopo una breve lotta interiore, si arrese.
«D’accordo. Va bene. Tutto quello che vuoi,
Granger». Che dire? Nonostante
tutto, le soddisfazioni non mi mancavano. Certo, forse mi sarebbe
piaciuto
mantenere il broncio più a lungo per la storia
dell’Horcrux, ma in fondo mi
serviva aiuto.
«Allora andiamo» dissi.
«Dove?» chiese lui, allarmato.
Alzai gli occhi al Cielo. «In biblioteca, Malfoy.
Finito il tema, abbiamo un paio di cosette di cui discutere».
«Ma che bello». Ignorai il suo sarcasmo, e feci per
voltarmi, ma in quel momento una voce che chiamava Malfoy ci fece
voltare
entrambi. La Bullstrode corse verso di noi, affannata, fermandosi di
fronte a
Draco.
«Ehm... ciao» fece lui, poco convinto.
«Draco» disse la ragazza, seria,
«è vero?».
«Che cosa è vero?» fece Draco Malfoy,
evidentemente
perplesso.
«Che stai con lei» e con mio sommo orrore,
puntò un
dito grassoccio contro di me. Chissà come, sentivo che
avrebbe potuto
sbriciolarmi con una sola mano. Deglutii.
«Che... che cosa?» disse lui debolmente, troppo
sconcertato per fare di più che sgranare gli occhi. Guardai
entrambi come se
avessero una testa in più. Io... e Malfoy..? Questa era
bella. Quale mente
malata avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere?
«Passate molto tempo assieme. Anche fuori dalle
lezioni» disse lei, il faccione contratto nello sforzo di
spiegarsi, «perciò
qualcuno ha detto...». avrei tanto voluto conoscere questo
qualcuno, per vedere
quanti barili di idromele si fosse scolato prima di parlare con la
Bullstrode.
«Siamo partner di studio!» disse lui, ancora troppo
sbigottito per prendersela davvero. «Perché mai
qualcuno dovrebbe pensare...».
«Quindi... non state assieme?». Il suo tono
speranzoso mi fece sospettare come sarebbe andata a finire.
«Certo che no!» ora era indignato. Io assentii
silenziosamente, prossima a uno scoppio convulso di risa. Con tutto
quello che
avevo passato di recente, non riuscivo più a prendere queste
cose sul serio.
Malfoy, invece, sembrava soffocare. Per un momento valutai
l’idea di intubarlo.
La Bullstrode assentì, sospirando profondamente.
Poi, senza preavviso, scoppiò in lacrime, così
rumorosamente che metà del
corridoio finì per voltarsi verso di noi. Doveva essere uno
spettacolo piuttosto
pittoresco. Sul terzo gradino della scala, quindi piuttosto
soprelevata, stavo
io, la faccia ostentatamente seria. Anni e anni in compagnia di Harry
mi
avevano insegnato cosa significasse avere l’attenzione di
tutti e affrontare
crisi simili, perciò non ero molto turbata. Un gradino
più in basso, e prossimo
all’infarto, stava il Popolare Pitone Malfoy (P.P. per
alleati in vena di
ironia). E più in basso ancora – ma con la sua
mole, probabilmente era quella
più visibile – stava la Bullstrode, che
singhiozzava disperatamente.
«I-io sono felice» muggì la ragazza, a
volume
abbastanza alto perché tutti la udissero.
«Pensavo... pensavo...». Malfoy
avrebbe evidentemente voluto dire qualcosa, ma non sapeva che cosa.
Apriva e
chiudeva la bocca come un pesce rosso. La sua faccia era anche
più pallida del
solito, ma chiazzata di rosso. Sembrava malato di Spruzzolosi.
«Draco...». dopo un po’ la Bullstrode
sembrava aver
recuperato la parola. «Tu... sei sempre così
gentile con me. S-scommetto che
avevi già capito... quello che provo...». La
faccia di Malfoy diceva
chiaramente che no, non aveva capito nulla, ma la nerboruta Serpeverde
sembrò
non accorgersene. «Quando ieri mi hai detto quelle cose... io
ho pensato... che
forse .... potevo sperare...». Qualunque cosa la Bullstrode
avesse preso per
incoraggiamento, era evidente che Malfoy non se la ricordava.
«Anita» disse Malfoy, ritrovando l’uso
delle corde
vocali, «di che stai parlando?».
«E’ stato ieri» disse lei, tirando su con
il naso.
«Quando ti ho chiesto la tua copia di Mille Erbe e Funghi
Magici... mi hai
detto che avresti potuto aiutarmi con Pozioni. Pensavo fosse una
scusa... per
passare del tempo con me... e sei stato sempre così gentile
con me... come
quando hai affatturato Baggins dopo che lui mi aveva insultata il
giorno
prima...». Ancora una volta, poteva essere mera speculazione,
ma avevo
l’impressione che Malfoy avesse avuto altri motivi per
affatturare Baggins,
chiunque egli fosse. Ma sembrava che fosse incapace di reagire.
Guardava la
Bullstrode come se fosse stata un ragno gigante estremamente bavoso.
«Quindi,
quando P-pansy mi ha detto che eri andato a cercare la Granger... e che
trascorrevi così tanto tempo con lei... ho
pensato...». La voce le si spezzò.
Più di qualcuno di quelli che avevano assistito a
questa scenetta sembravano divertiti tanto quanto me, ma Malfoy non era
tra
questi. Anzi, era a metà tra l’oltraggiato e
l’allarmato. «Anita...» disse,
indeciso se essere gentile o essere sprezzante, e scegliendo come
compromesso
un tono neutro, «...perché non ne parliamo
più tardi..?».
«Voglio saperlo, Draco» disse lei, di scatto,
guardandolo. Lui sobbalzò. «Che cosa
provi?».
«Ehm...». Draco sembrava in cerca di una via di
uscita. «Al momento... non mi sento pronto per una
relazione...». Ammirai il
suo coraggio; Anita Bullstrode avrebbe potuto spezzarlo come uno
stuzzicadenti.
La ragazza chinò il capo, e per un attimo pensai
che fosse addolorata. Quando lo rialzò, però
notai che sorrideva. «Ho capito
tutto, Draco» disse. «Tra la famiglia e gli studi,
è chiaro che tu non ti senta
pronto. Ma voglio che tu sappia» e calò una delle
sue manone dritte sulla sua
spalla, facendolo barcollare, «che io ci sarò
sempre per te, Draco. Sempre».
«G-grazie» biascicò lui, incerto.
Lei gli fece un sorriso luminoso, si voltò a
incenerirmi, poi si allontanò tra la folla quasi danzando.
Mentre Malfoy la
osservava, ancora stordito, la folla cominciò a mormorare e
ridacchiare. Quando
il mio partner se ne accorse, improvvisamente il suo volto si accese di
rabbia.
Cominciò a marciare su per le scale, mentre lo osservavo,
divertita. A metà si
voltò, per fulminarmi.
«Che c’è, Malfoy?» chiesi,
soave.
«Non avevi fretta di studiare?» fece lui, gelido e
minaccioso. «E allora sbrigati».
Lo seguii, ridendo sotto i baffi.
NOTA
DELL’AUTRICE
Un capitolo
lungo offerto in sacrificio per il mio ritardo <3 scusate, ma il
ritorno
dalla vacanza (due giorni e mezzo di viaggio, e relativi preparativi)
mi hanno
impedito di postare. Ora sono tornata a Vicenza, perciò
sarò più puntuale!
Dunque,
subito una precisazione: mi è stato fatto notare che Cho
dovrebbe avere un anno
in più dei nostri protagonisti, ma visto che ero
inconsapevole di ciò (ah-ah) e
convinta che fosse di un anno più piccola, sappiate che
ormai si terrà l’età
che le ho assegnata! Perdonatemi, e grazie per la segnalazione.
Volevo un
capitolo più leggero prima che la ricerca degli Horcrux si
facesse più viva,
spero di esserci riuscita XD nel prossimo capitolo, Draco
dovrà pensare agli
affari di famiglia... con interessanti conseguenze ;P a presto!
|
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Capitolo 17 *** The snake stole the secret (S.S.S.) ***
«Non sono sicura di aver capito» fece mia madre
alquanto perplessa, osservandomi come se delirassi. Io alzai le spalle,
stiracchiandomi all’indietro sul vecchio divano consunto. Poi
ripetei, con
noncuranza: «che fine hanno fatto i nostri pavoni?».
Ero andato a visitare i miei con la prima gita a
Hogsmeade di Dicembre. Lo avevo fatto controvoglia, perciò
mi stavo impegnando
a rendere la visita poco produttiva. Non volevo che mi facessero strane
domande, e così evitavo di fare davvero conversazione.
«Draco» mia madre disse, col tono paziente che
riservava ai mocciosi o ai traditori della nostra razza – non
che le capitasse
di sovente di incontrarne, specie da quando era al fresco –
non capisco la tua
domanda.
«Beh, qualche giorno fa ho ripensato a casa, e mi
sono chiesto se il giardiniere si stesse ancora occupando del giardino.
In caso
contrario, suppongo che i pavoni siano morti di fame – non
hanno un’aria molto
sveglia – e meditavo sull’eventualità di
procurarsi un badile per spalarli via
dal vialetto» spiegai, in tono casuale, prima di sbadigliare
rumorosamente. Mio
padre era pallido e smunto come non mai, e incapace di recitare la
parte del
papino premuroso (chi si sente in grado di fare la predica quando
l’intera
comunità magica ha in mente di linciarti?) o del patriarca
incazzato (meglio
così, perché era sempre stato il suo forte). Mi
fissava con sguardo vacuo e
vagamente accusatorio, ma manteneva un silenzio cauto. A mia madre
invece stava
per esplodere la testa.
«Draco» disse, pronunciando il mio nome per
l’ennesima volta, «non capisco il tuo atteggiamento
provocatorio. Pensavo che
fossi felice che...».
«Sono felicissimo, madre» le dissi, con voce amena,
«e lo sarò ancora di più se mi
spedirete una cartolina di tanto in tanto».
Vidi nei suoi occhi che stava valutando l’ipotesi
di prendermi a ceffoni, ma lasciò correre. Saggia.
Calò un silenzio risentito
che non mi curai di interrompere. Invece osservai il corridoio esterno;
molti
volti, tutti piuttosto malridotti, mi fissarono di rimando.
Improvvisamente mi
sembrò che la cella fosse un luogo molto più
interessante.
Tornai a voltarmi verso mia madre, il cui viso era
tornato a comporsi in una espressione nobilmente risoluta.
«Ascoltami, Draco»
disse alla fine, e per un istante mi sembrò di ritornare ai
tempi in cui ero
solo un moccioso che si aggirava per il Maniero Malfoy (M.M., Maniero
Maligno,
per ex abitanti sfrattati da arcinemici squamosi). Bei tempi? Beh,
più o meno.
Non mi era mai dispiaciuto sapere che un giorno sarei stato io a
possedere ogni
centimetro di quel pavimento di marmo, degli arazzi e dei mobili
intarsiati. E
maltrattare gli elfi domestici era sempre sembrato un passatempo
accettabile.
Solitudine da figlio unico? Non quando si può pungolare
Dobby con un
attizzatoio perché non ti porta abbastanza biscotti.
Credetemi, diseducativo o
no, è divertente; in ogni bambino si cela un vero tiranno.
Certo, c’erano dei
lati negativi. Il fatto che tuo padre sia un avanzo di galera, ad
esempio, o
che finisca tutto lo shampoo per mantenere setosi i suoi capelli. Negli
ultimi
anni aveva provato perfino a rubarmi il gel, sicché avevo
dovuto trovare
nascondigli sempre più fantasiosi. Mai provato a nascondere
qualcosa a qualcuno
che può Appellarla senza neanche proferire parola? Ma questa
è un’altra storia.
Mia madre proseguì, con voce severa, eppure
lievemente nervosa. «E’ tempo che tu lasci da parte
tutto il tuo rancore. In
questo momento ci troviamo in una situazione delicata, e non possiamo
permetterci errori».
«Altri
errori, vorrai dire» la interruppi, beffardo.
Mia madre strinse ancora di più le labbra già
pallide, che diventarono completamente bianche. Mio padre le
lanciò uno sguardo
di avvertimento, della serie
tuo-figlio-è-entrato-nel-difficile-periodo-della-adolescenza-e-noi-dobbiamo-mostrarci-più-maturi-di-lui,
che la convinse a placarsi. In compenso la vidi gettargli
un’occhiata di
risposta, il cui significato era più o meno
parlagli-tu-prima-che-io-uccida-con-le-mie-mani-il-nostro-unico-erede.
Così mio
padre si schiarì solennemente la voce prima di cominciare
con un bel
discorsetto che, sospettavo, fosse stato imparato a memoria. Del resto,
che
altro avevano da fare tutto il giorno, se non preparare discorsi?
Chissà,
magari potevano prepararne uno per il Signore Oscuro, per quando
sarebbe
nuovamente salito al potere. Così magari ci avrebbe
risparmiati per
gratitudine. Presi nota mentalmente di proporre l’idea.
«Si, figlio mio, la situazione è drammatica.
Tuttavia, non dobbiamo perderci d’animo; essere un Malfoy
significa sempre
qualcosa, sia per i nostri amici del Ministero, sia
per...altri» disse, in tono
significativo, e uno spettro senza naso sembrò aleggiare su
di noi. Si, significa che se non passerai
almeno un
decennio in prigione sarà perché il tuo Pitonato
Padrone ti avrà ammazzato
prima, avrei voluto rispondergli, ma ritenni che fosse poco
educato
farglielo presente, e tacqui. Mio padre, evidentemente soddisfatto
della sua
intro, proseguì tutto d’un fiato. «Nel
frattempo, fino a che noi saremo
bloccati qui» e con un gesto tetro indicò
l’ambiente circostante, quasi ci
fosse finito per sbaglio, e fosse in attesa dei soccorsi,
«tocca a te occuparsi
degli affari di famiglia».
«Quindi tocca a me ripulire la tenuta dai pavoni
morti?» non riuscii a impedirmi di dire.
Mio padre arrossì, ma non si perse d’animo. Era un
fiume in piena. Immagino avesse in mente di strangolarmi più
tardi. «Quindi»
disse, con tutta la dignità che la situazione gli concedeva,
«significa che
dovrai svolgere un paio di... commissioni per noi».
«Se volevi dei Pallini Acidi potevi anche
chiedermelo» ribattei prontamente. «Te li avrei
presi prima di venire».
«Vogliamo che tu entri alla Gringott!»
sibilò lui,
piuttosto irato, guardandosi attorno subito dopo. Temeva che qualcuno
l’avesse
sentito? Beh, non era escluso che ci stessero spiando.
«Alla Gringott?». Questa volta, nonostante avessi
già la battuta pronta (“avete finalmente deciso di
aumentarmi la paghetta?”)
lasciai perdere. La curiosità aveva preso il sopravvento.
«I tuoi zii custodiscono molte cose nella loro
camera» disse mio padre, afferrandomi per il polso e
guardandomi, concitato. «E
temiamo che qualcuno possa decidere di sottrarle. Tua zia non
può certo entrare
alla Gringott... ma tu si».
Quella era la fine del suo discorso? Beh, magari
era meglio che non ne facessero uno per il Signore Oscuro. Certo,
magari ci
avrebbe risparmiati per pietà. Se c’era una cosa
che poteva suscitarla nel
Signore Oscuro (o in chiunque altro, se è per questo) era
l’eloquenza di Lucius
Malfoy.
Tornando a concentrarmi sul discorso, comunque,
notai una piccola falla nel loro ragionamento. «E come dovrei
fare a entrare,
sempre ammesso che volessi farlo? Non è la nostra
camera». I miei genitori si
scambiarono un’occhiata imbarazzata, prima di tornare a
voltarsi verso di me.
«E’... è fondamentale per la nostra
famiglia tutelare il nostro patrimonio»
disse mio padre, sulla difensiva.
«Avete una copia della chiave?» feci, incredulo.
Lui tossicchiò. Mia madre tirò sul col naso:
«era
meglio che qualcuno ce l’avesse, nel caso Bella...».
«Quando
l’avete fatta?».
«Molti anni fa».
«Avete rubato a Bellatrix Lestrange la chiave, e ne
avete fatto una copia?». Accidenti. Ogni tanto perfino loro
mi stupivano con un
atto di coraggio. Presi il loro silenzio per un assenso.
«E che cosa dovrei... ehm... prelevare dalla camera
in questione?». La mia voce era leggermente meno scettica.
«Un manufatto di una certa importanza» disse mia
madre, con voce fioca. «Molto tempo fa, il... il Signore
Oscuro» disse le
ultime parole con voce così bassa che quasi dovetti
indovinarle, «consegnò a
tuo padre un oggetto da tenere con cura. Ne consegnò uno
anche a mia sorella.
Tuo padre ha... ha smarrito il cimelio che gli era stato affidato, ma
Bella
custodisce ancora il proprio nella camera di famiglia». Fu
con il batticuore
che capii di che stavano parlando. Non poteva trattarsi che
dell’Horcrux, anche
se era evidente che mio padre non avesse avuto idea della sua reale
essenza. La
Granger mi aveva raccontato di come mio padre avesse
“smarrito” quello che gli
era stato consegnato, e anche se all’epoca non ne ero stato
cosciente, né avevo
saputo alcunché in proposito, immagino che mio padre fosse
stato punito per
bene per la sua colpa. Chissà che cosa i miei pensavano che
fosse, l’Horcrux.
Magari qualche oggettino di famiglia che il Possente Pitone (P.P. per
chi ne
maneggia pezzi di anima) progettava di vendere a un rigattiere per
comprarsi
qualcosa di carino.
«Ma perché prenderlo ora?» chiesi,
perplesso.
«Il Ministero è inquieto» disse mio
padre. «Non
vogliamo che si mettano a cercare dove non dovrebbero. Se decidessero
di
perquisire la camera...» e scrollò le spalle,
malinconico.
«Ma se noi lo salviamo» interloquì mia
madre,
lievemente eccitata, come al pensiero di fare una buona azione per il
suo
circolo di beneficienza, «allora siamo certi che il Signore
Oscuro ci
perdonerà... ci sarà grato... ci
eleverà al posto che ci spetta». E mi
sfiorò
la guancia, trionfante (e un po’ invasata, a dire il vero).
«Capisci, Draco?
Questa è la tua occasione per riscattare la tua
famiglia!».
Era un piano passabile, e avrebbe anche potuto
funzionare. In effetti, non era il primo piano che sembrava privo di
possibilità
di errore. Andare a prelevare, portarsi a casa l’Horcrux,
ricevere gloria e
onori in un futuro abbastanza prossimo. Aveva una sua logica. Del
resto, anche
i piani del Signore Oscuro erano sempre sembrati buoni.
Il problema? Beh, c’era sempre qualcosa che si
dimenticavano di considerare.
Come Potter e la sua sfacciata fortuna, ad esempio.
A loro discolpa, posso dire che fosse difficile ricordarsi
di lui. Sembrava piuttosto
insignificante.
Oppure come i suoi amici e alleati, che spuntavano
come funghi ovunque, e nel momento peggiore.
Oppure come Draco Malfoy, che al momento aveva
disdetto la sua tessera al Voldemort Fan Club, per entrare nei ranghi
dell’Ordine della Fenice.
Oh, e va bene. Ammetto che anche questo fosse
difficile da considerare.
Anche la ribellione adolescenziale, di solito, non
arriva a questi livelli.
«Allora, Malfoy, vuoi sputare il rospo, si o no?»
gli domandai, incrociando le braccia al petto. Ci trovavamo nella
Stanza delle
Necessità, magicamente trasformata in una pratica
– e silenziosa – aula studio.
Da più di due settimane mi ero volontariamente – e
valorosamente – sottoposta
alla amara tortura di sessioni quotidiane di studio con Malfoy. Mi
sembrava
l’unico modo per tenerlo d’occhio (e difatti la
McGranitt approvava) e allo
stesso tempo per inculcargli qualche nozione di civiltà e
etica riguardante
l’Ordine – nonché per discutere degli
Horcrux.
Riguardo quest’ultimo punto, incredibilmente,
Malfoy si era dimostrato utile. Non solo mi aveva elencato una mezza
dozzina di
nascondigli dove altri cimeli serpenteschi avrebbero potuto celarsi
(anche se
sospettavo ce ne fossero altri), ma mi aveva anche parlato di diversi
oggetti,
posseduti da svariati membri del Glorioso Casato Malfoy (G.C.M.,
Giullaresca
Cazzata Malfoy, per alleati che vengono a conoscenza di dettagli poco
piacevoli
in proposito), che avrebbero potuto essere utili e sostituire la spada.
Passare così tanto tempo con Malfoy era una
necessità; in presenza di Harry e Ron il nostro amico
furetto diventava ancora
più scontroso e intrattabile, e talvolta si rifiutava di
aprire bocca. Non che
fossi lusingata del fatto di essere passata da Maledetta Mezzosangue a
Male
Minore – ero più o meno una scelta obbligata. Per
Harry nutriva un’avversione
perfino peggiore di quella che
provava per quel sacrilegio liquido che era il mio sangue, e Ron...
beh... non
entrava neppure nel suo radar.
Era così che, da bravi partner di studio, passavamo
ore ogni settimana chini sui libri, o cercando di discutere civilmente
del
futuro dell’Inghilterra Magica mentre mentalmente ripassavamo
i nostri peggiori
insulti. Aiutare Malfoy nello studio, grazie a Dio, non era
un’impresa così
ardua, specie dopo anni di allenamento con Ron ed Harry. In alcune
materie non
era sicuramente un genio, ma era piuttosto sveglio, per quanto il suo
più
grande esercizio mentale fosse preparare frecciatine velenose.
Più arduo, per Malfoy, era decidere come
incontrarsi con me. Dopo la piazzata di Anita Bullstrode, sembrava
vivere nel
terrore che qualcun altro immaginasse che tra di noi ci fosse del
tenero. La
storia era volata di bocca in bocca, certo, ma quasi nessuno aveva
anche solo
pensato di prendere sul serio la faccenda. Tutti sapevano che quello
che c’era
tra noi (passatemi l’espressione) era semplicemente una
forzata sopportazione
(oltre alla faccenda dell’Ordine, naturalmente). Tuttavia lui
aveva insistito
affinché evitassimo i posti aperti (“meno ci
vedono assieme, meglio è,
Granger”) e le aule vuote (“e dar loro modo di
immaginare che ci appartiamo?
Scordatelo, Granger!”), sicché non ci erano
rimasti che la Biblioteca (“così
avrai un’occasione per stare zitta, no?”) e la
Stanza delle Necessità (“ottimo.
Potrei liberarmi del tuo cadavere, e nessuno se ne
accorgerebbe”).
Quel giorno, di ritorno da Hogsmeade, mi si era
avvicinato – con l’aria disgustata più
ostentata che riusciva a produrre – e mi
aveva detto, sottovoce, di avere grandi novità per me.
Così, dopo cena, ero
corsa nella Stanza delle Necessità e lo avevo atteso ben
venti minuti prima che
si degnasse di farsi vivo.
«E tra parentesi» aggiunsi, tanto per scocciarlo
(non ero felice di averlo aspettato), «non è una
buona idea incontrarsi a
quest’ora. Se qualche professore ti vede in
giro...».
«Mi evitano accuratamente» disse Malfoy, alzando le
spalle. «Fanno finta di non vedermi. Ma lascia perdere,
Granger. Ho cose più
importanti da discutere con te, adesso».
Il giorno prima si era lasciato sfuggire che
sarebbe andato in visita dai suoi genitori. Mi chiesi, distrattamente,
che cosa avrebbe
potuto dirmi che io o la McGranitt
non sapessimo già.
«Di che cosa si tratta?» chiesi, senza riuscire a
impedirmi di suonare curiosa.
«Tu e Potter mi avete raccontato di quello che lui
ha visto nel Pensatoio» disse, e non gli servì
precisare per farmi capire che
si trattava dei ricordi su Voldemort. «Riguardo a quando lui
fece visita a...
quella vecchia...». Si sforzò di ricordarne il
nome.
«Hepzibah Smith?» suggerii. Un brivido di
aspettativa mi percorse quando pronunciai quel nome.
Lui annuì una volta soltanto. «Oggi sono andato...
a
trovare i miei genitori» disse, e sembrava che volesse
illudersi di averli
incontrati a casa, «e ho ricevuto... una informazione
interessante».
«Cioè?» chiesi, in fretta. Malfoy
strinse le labbra
in un modo che mi ricordò la madre Narcissa, e chiuse gli
occhi. Quando lo
faceva, una parte della sua boria veniva spazzata via, e mi sembrava
molto più
umano. era evidente che stesse lottando con se stesso, ma quando
tornò a
guardarmi capii che avrebbe parlato, nonostante tutto.
«Mia madre vuole che io metta al sicuro un prezioso
manufatto. Manufatto che non
deve
assolutamente cadere nelle mani del Ministero, perché
estremamente importante
per il Signore Oscuro». Mi lanciò
un’occhiata significativa e penetrante, e io
mi sentii mancare. Possibile... «L’oggetto in
questione è stato affidato alle
cure di mia zia dal Signore Oscuro in persona, ed è ora
custodito nella camera
dei Lestrange» proseguì lui, con una smorfia che
avrebbe potuto essere un
sorriso o un conato di vomito, e alzò un braccio per
mostrare, appesa a un
cordino rosso, una vecchia chiave elaborata. «Una coppa molto
antica, con sopra
impressa l’effigie di Tassorosso».
Per parecchi secondi rimasi a guardarlo, troppo
stupita per parlare. Il mio sguardo si spostava dalla chiave, al suo
viso, per
poi ritornare alla chiave. «La coppa che custodiva
Hepzibah» mormorai,
incredula. Draco Malfoy stava per recuperare uno degli Horcrux
mancanti..?
«Precisamente. Almeno, ritengo probabile che sia
così» disse lui, questa volta indubbiamente
soddisfatto. «Mia madre è convinta
di attirare su di sé la gratitudine del Signore Oscuro se
riusciremo a mettere
le coppa in salvo».
Dopo un paio di istanti, riuscii ad elaborare tutte
le informazioni che mi erano state fornite. «E tu... tu ce
l’hai detto» dissi,
quasi troppo stupita per dirlo ad alta voce.
Quando Malfoy mi guardò, capii quanto doveva
essergli costato. «Ho scelto di stare dalla vostra parte,
no?» disse, sulla
difensiva, ma il suo viso parlava chiaro: “e non è
detto che sia la scelta più
conveniente”.
«Un Horcrux nella camera dei Lestrange» sussurrai,
troppo euforica per rendermi davvero conto di quello che significava.
Non
riuscivo a metabolizzarlo. Due Horcrux... stavamo per avere due
Horcrux... poi
sarebbe mancata Nagini, certo, e un altro oggetto misterioso, ma era
come
essere a metà strada!
Gli afferrai il polso della mano che stringeva la
chiave. «E che cosa aspetti?» chiesi, un
po’ irrazionalmente. «devi... dobbiamo
assolutamente recuperarlo! Dirò
alla McGranitt...».
«Calma e sangue freddo, Granger» disse lui, il
labbro arricciato in segno di scontento. «Non posso mica
presentarmi alla
Gringott quando dovrei essere a scuola. La gente si farebbe delle
domande... e
il Signore Oscuro anche».
Non ci avevo pensato. La mia espressione si
afflosciò, e io gli strinsi il polso con più
veemenza. Lo stesso fatto che non
mi avesse ancora mollato uno spintone testimoniava che, anche se solo
in fondo,
era contento anche lui. Almeno, così credevo. «Ma
allora che cosa conti di
fare?».
«Aspetterò le vacanze di Natale» disse
lui,
riflettendo velocemente. «Poi approfitterò di una
qualche gita, e andrò a
Diagon Alley...».
«....andremo» lo corressi, allegramente. Lui fece
finta di vomitare, ma io non gli badai. «...dirai che hai
bisogno di prelevare
denaro per fare compere, nel caso in cui ti chiedano qualcosa mentre
stiamo
andando...».
«...preleverò davvero, e poi dirò ai
folletti che
devo prelevare anche per conto di mia madre...»
proseguì lui, concitato.
«...nella sua camera di famiglia...».
«...la coppa deve essere piuttosto piccola, perciò
sarà facile trasportarla fuori senza che la gente la
veda...».
«...e basterà trovare qualcosa con cui
distruggerla!» conclusi io, esultante.
Lui annuì, ancora assorto nei suoi calcoli. Mentre
lo esaminavo, senza riuscire ad impedirmi di sorridere, pensai con un
certo
stupore che era tutto vero. L’Horcrux era stato rintracciato.
E sarebbe stato
Draco Malfoy a recuperarlo. Scossi appena la testa, e poi, ricordando
che
ancora gli stavo stritolando il polso, lo lasciai andare. Questo
bastò a riscuoterlo,
e si guardò attorno come per chiedersi che cosa stesse
facendo lì.
«Devo dirlo a Ron e Harry» dissi io, immaginando le
loro facce nell’apprendere la notizia. «E
così potremo cominciare a pensare...
a come trovare la spada. A dove
trovarla» sospirai. «o con cosa sostituirla,
ovviamente».
Malfoy scosse la testa. «Un problema alla volta,
Granger, accidenti. Abbiamo passato settimane
a pensare a quella dannata spada senza venirne a capo.
Perché non riesci a
essere contenta, ora che abbiamo trovato quella maledetta
coppa?». Sembrava vagamente
irritato.
«Beh, scusami tanto» ribattei, piccata.
«Ma non è
che io raccolga i pezzi dell’anima di Lord Voldemort per
collezione. Se non
possiamo distruggerli....».
Malfoy aveva fatto un salto al nome di Voldemort,
ma non appena si fu ricomposto, mi lanciò una occhiata
assassina. «Sei una
dannata guastafeste. Se solo potessimo usare
l’Ardemonio...».
«No» dissi io, risoluta, con un cipiglio tale da
farlo irrigidire di spavento. «Malfoy, ne abbiamo
già parlato, accidenti! L’Ardemonio
non è un gioco. La gente finisce per morire
perché non sa come controllarlo, e
dubito che qualcuno di noi ne sia in grado».
«Anche con V... il Signore Oscuro non stiamo
esattamente organizzando una partita a carte, sai»
ironizzò lui, con una
smorfia di superiorità.
«Non è la stessa cosa» gli feci notare.
«Abbiamo l’Ordine,
molti alleati. Abbiamo gli Horcrux. E abbiamo Harry».
Malfoy alzò gli occhi al Cielo, in un modo
assolutamente teatrale. «Oh, ma andiamo»
disse con enfasi. «Granger, non puoi davvero dirmi che
affideresti la tua vita
a Potter. Per quanto accecata dall’amicizia, non mi aspettavo
che fossi così
idiota».
Quel commento mi irritò così tanto che, senza
neppure
accorgermene, finii per agire d’impulso. gli diedi uno
spintone che, anche se
non lo fece cadere, lo fece barcollare. Mi guardò, allibito.
«Ma sei ammattita,
Gr...?» cominciò, ma prima che potesse finire, lo
stavo già aggredendo.
«Lo stupido sei tu!» sillabai, inviperita.
«Se non fosse
stato per Harry, non saremmo qui ora. Probabilmente saremmo tutti morti
sedici
anni fa, tanto per cominciare» e feci una smorfia,
«oppure sei anni fa, quando
Voldemort stava per prendere la Pietra Filosofale. O magari cinque anni
fa,
quando un gigantesco Basilisco mi ha pietrificata. O magari
l’anno scorso,
quando stava per prendere il controllo del Ministero, Silente eraa
morto, e tu
fuggivi mano nella mano con Piton che lo aveva appena
assassinato!». Mi resi
conto di urlare e abbassai il mio grido a un sussurro vibrante e
minaccioso,
mentre Malfoy mi guardava con gli occhi sbarrati. «Harry
è un mio amico,
Malfoy, ed è una persona perbene. È coraggioso e
leale, tanto per cominciare,
ed è buono. Merita più rispetto di quanto
chiunque gli stia dando, se proprio
vuoi saperlo. Puoi continuare con le tue scenette da piccolo Lord
offeso,
Malfoy, se la cosa ti fa stare meglio. Nessuno di noi mette in dubbio
che la
tua sia una situazione difficile. E allora? Lo è anche la
nostra. E tanto per
cominciare, potresti essere grato a chi ti ha salvato la pelle e ti
permette di
avere qualcosa che assolutamente non meriti: un’occasione».
Ero fiera del mio discorso. Tirai un paio di lunghi
respiri prima di soffocare. Poi fissai con astio Malfoy, che
ricambiò l’occhiata.
«Non mi piace per niente, Granger»
sbottò. Il suo tono non era tanto offeso, o
irritato, né propriamente arrabbiato. Sembrava tra lo
sconfitto e il rabbioso.
«Che cosa non ti piace, Malfoy?» risposi, nello
stesso tono.
«La maniera in cui finiscono le nostre discussioni
ultimamente» chiarì lui, piuttosto disgustato.
«Non mi piace la maniera in cui
mi trattate tutti come se fossi un bambino... e non mi piace che
sembriate
sempre avere ragione. Che abbiate sempre ragione».
Lo guardai, a bocca spalancata.
«E non guardarmi in quel modo» disse lui,
infastidito.
«Malfoy...» dissi, gli occhi ancora sgranati.
«Sicuramente Voldemort deve averti fatto qualcosa. Ti ha
forse maledetto...?O
forse, quando sei caduto dalle scale...». lo esaminai da
vicino, quasi
preoccupata.
«Sto benissimo» disse lui, doppiamente irritato.
«Stavo solo meditando ad alta voce».
«Fallo più spesso, allora».
«Già, così che possiate trovare qualche
altro modo
per insultarmi» disse, e allora capii. Il suo era il tono di
un ragazzo
sconfitto. Era il tono di chi si trova tra nemici, attorniato solo da
ostilità,
e privato di ogni arma. Era un tono molto umano.
«Noi non siamo tuoi nemici, Draco» dissi, usando
per la prima volta il suo nome, e gli posai esitante una mano sulla
spalla.
«Quando dicevo che vogliamo aiutarti, ero sincera. Stai...
stai facendo
molto per noi, no?
Sei un nostro alleato».
«Voi idolatrati tutti la gente come Potter» disse
lui con voce atona, scrollandosi via di dosso la mia mano.
«Non c’è posto per
gente come me, no? e io non ci tengo a farne parte».
«Nessuno di noi vuole escluderti» insistetti,
cocciuta. «Se ci dimostrassi di essere degno di
fiducia...».
«Mi invitereste a casa vostra a prendere il the?»
commentò lui, maligno.
Lasciai perdere, e sospirai. «Andiamo a dormire,
Malfoy».
«Ne hai bisogno, Granger. Hai delle occhiaie
spaventose» fu la risposta.
«Per tua informazione» mi infiammai, indignata,
«se
passo le serate in piedi fino a tardi è anche per recuperare
la mole di lavoro
che non faccio mentre aiuto te a...». mi bloccai,quando mi
resi conto dalla sua
espressione a metà tra il divertito e il beffardo, che stava
scherzando. Draco Malfoy stava
scherzando... quasi. Non dubitavo che davvero detestasse le mie
occhiaie, però
il suo era stato un tentativo di alleggerire l’atmosfera.
Quando si rese conto che lo avevo capito, e che lo
guardavo come inebetita, riprese il suo consueto aspetto disgustato
– e non era
affatto un’espressione costruita. Almeno, non lo era al
novantanove per cento,
il che non era molto consolante.
«Andiamo» dissi, e uscii di fretta dalla stanza,
senza accertarmi se lui mi avesse seguita.
La Sala Comune era vuota. La luce verdastra che
illuminava la stanza era sufficiente per non inciampare andando verso i
Dormitori, ma di certo non per studiare. Ecco perché di rado
qualcuno restava
alzato fino a quell’ora, se non aveva qualcosa di cui
discutere con qualcuno. Sbadigliai,
e mi levai le scarpe per non svegliare i miei compagni di stanza
rientrando. Nott
e gli altri potevano anche essere comprensivi con me, ma Zabini tendeva
ad
affatturare chiunque lo privasse del suo “dovuto”
riposo.
Ero giusto a metà strada, quando la porta alle mie
spalle si aprì, facendomi voltare di scatto. Sulla soglia,
pallido e
scarruffato, stava proprio Zabini. Non sapevo dove fosse stato,
né perché sembrasse
di ritorno da una intensa sessione di studio. Quello che vidi
chiaramente, nonostante
la luce fioca, era che aveva il viso chiazzato di rosso e stravolto.
Come se
avesse appena pianto.
Quando mi vide, si bloccò di colpo. Ci fissammo,
inorriditi, per parecchi istanti. Nessuno dei due sembrava intenzionato
a
parlare.
Alla fine lui richiuse dietro di sé la porta. Sembrava
deciso a fare finta di nulla. io, però, non ero certo di
poter fare
altrettanto.
«Che cosa è successo?» domandai, a bassa
voce perché
nessuno sentisse. Lui si era chinato a togliersi le scarpe, come avevo
già
fatto io, e si irrigidì a metà del gesto.
Alzò lo sguardo su di me, stupefatto.
«Come?».
Ricordai quella volta che lo avevo visto in
infermeria. Anche allora mi era sembrato agitato. Che cos’era
che poteva
commuovere tanto uno come lui? Che cosa nascondeva con tanta cura?
Ricordai anche
le parole di Nott. Che stesse tramando qualche cosa era evidente, ma
non mi
sembrava qualcosa di pericoloso. Di qualunque cosa si trattasse, era
chiaro che
lo riguardava da vicino, e non doveva essere qualcosa che voleva
condividere, o
usare a discapito di altri.
«Che cosa è successo?» ripetei.
Zabini fece un sorriso sforzato. «Non mi pare che
ti riguardi» mi disse, con aria di sfida.
«No, infatti, non mi riguarda» dissi, in tono
neutro.
«Allora, non chiedere» tagliò corto lui.
Fece un paio di passi verso di me, ma io non intendevo
mollare. «Nott ti sta tenendo
d’occhio»
dissi, e non appena ebbi pronunciato quelle parole, quasi me ne pentii.
Perché mai
avrei dovuto riferire a uno dei miei peggiori nemici (la classifica non
comprendeva il Calvo Cobra, naturalmente) che uno dei miei migliori
amici lo
stava sorvegliando? Che problemi avevo, di recente? Forse la Granger
aveva
ragione. Forse davvero la caduta dalle scale aveva interferito con il
mio
cervello...
«Come?» disse lui di nuovo, basito.
«Ho detto che Nott ti sta tenendo d’occhio. Vuole
scoprire
dove vai. A tutti i costi» chiarii, come se non mi
interessasse affatto. avrei
dovuto fregarmene, lo so. E allora perché non ci riuscivo?
OPZIONI:
·
La banda
Potter aveva una pessima influenza su di me. Il che, con tutta
probabilità, era
vero.
·
Ero un
mentecatto. Il che, visto il fatto che ero fuggito dalle braccia del
Signore
Oscuro solo per cadere in quelle altrettanto terrificanti della sovra
citata Banda
Potter, era sicuramente vero.
·
Ero
ubriaco. Il che non era vero, anche se avrei tanto voluto esserlo.
·
Una combinazione
delle tre precedenti. E chi ero io per dire di no?
Quella lista, nel suo piccolo, non era affatto
promettente. Mi ripromisi di completarla più tardi, e mi
concentrai sul mio
interlocutore.
«E perché mai dovresti dirmelo?» disse
infatti,
stupito. Buona domanda.
«Forse voglio metterti in guardia» risposi, senza
scompormi.
«Bella, questa. Riprova». Serpeverde. Piuttosto
seducenti
se ti piacciono le squame, letali spesso e volentieri (anche se spesso
non di
proposito). Deliziosamente sospettosi nei confronti di tutti, e devo
ammettere
che anche un fan verde-argento come me aveva qualche riserva
sull’effettiva
utilità della cosa. Per non parlare dei risvolti negativi.
Certo, ce ne erano
molti di positivi. Non fare parte della banda Potter, ad esempio. Anche
se, per
come stavano andando le cose, forse anche il mio sangue Serpeverde non
era
abbastanza. Involontariamente sospirai.
Zabini mi guardò con sospetto. «Senti,
Zabini»
dissi, improvvisamente desideroso di tirarla corta. «Se non
ti va di
raccontarmi gli affari tuoi, benone. Ma se non vuoi che tutti in giro
sappiano
che ti nascondi in qualche anfratto buio della scuola a singhiozzare,
forse ti
converrebbe guardarti le spalle».
Il mio Capitano di Quidditch arrossì appena. «Non
ho pianto».
«Certo, Zabini, naturalmente. Sei solo allergico
agli idioti, il che, vista la tua stupidità, ti impedisce di
evitare gli sfoghi
allergici al viso».
Il rossore si fece più evidente. «Che cosa ci
guadagneresti a mettermi in guardia contro Nott? Lui ti guarda sempre
le spalle».
Perché ogni cosa doveva sempre essere frutto di
premeditazione..? ah, giusto. Mentalità Serpeverde. Ecco,
questo era un lato
della nostro personalità che apprezzavo.
«Consideralo un atto di buon cuore, Zabini» mi
limitai a dirgli. Poi gli voltai le spalle e feci per allontanarmi. Lo
sentii
che mi afferrava per la divisa, e mi voltai di nuovo. Il suo volto era
teso,
stranamente preoccupato. «Ci sono cose nelle quali non
dovresti indagare. Per il
bene di tutti» disse, e quel tono mi insospettì.
«Che cosa
vuoi dire?».
«Non chiedere. In ogni caso, non potrei dirtelo,
né
potresti scoprirlo. Anche io...» si bloccò, scosse
la testa, e parve pentirsi
della propria loquacità. «In ogni caso,
Malfoy» riprese, dopo un attimo di
riflessione, «sta’ attento».
Il ricordo della Guferia tornò a farsi sentire.
«Perché
mai dovrei?».
«Anche tu hai i tuoi segreti da nascondere. Non
negarlo»
disse, con un sorriso sarcastico, vedendomi aprire bocca, «ma
sappi che anche
tu sei tenuto d’occhio».
Così dicendo, si allontanò di fretta verso il
Dormitorio, prima che potessi dire qualche cosa. Sorvegliato? Come? Da
chi? E che
cosa combinava, Zabini?
Oh, d’accordo. Scordatevi quello che ho detto. La
riservatezza Serpeverde è una vera merda.
NOTA DELL’AUTRICE
Ciao a tutti
;) capitolo di collegamento, e quindi un po’ più
breve, ma che vi dedico di
tutto cuore. Specie ad _Alene__ (penso di averlo scritto giusto, aha,
non sono
capace di scrivereeee) per la sua segnalazione <3 non ho molto
tempo, quindi
vado subito al sodo: il prossimo capitolo conterrà qualche
festeggiamento
pre-natalizio molto particolare ;) grazie a tutti coloro che seguono,
leggono e
soprattutto recensiscono ,) diventate sempre più e vi
ringrazio molto XD a
presto XD
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Capitolo 18 *** Cobras Crave Christmas (C.C.C.) ***
Ron mi fissava con un certo astio, cocciuto e
assolutamente immotivato. «Non ha alcun senso»
disse, mentre Harry, che aveva
già notato l’atmosfera litigiosa che andava
addensandosi, metteva in pratica la
tecnica che aveva affinato nel corso degli ultimi sette anni: farsi
piccolo
piccolo per non essere notato.
Io, però, non avevo nessuna intenzione di litigare.
Oh, e va bene, ce l’avevo eccome, ma non per questo. Il
giorno prima, ai Tre
Manici di Scopa, avevo assistito con disgusto alle patetiche avances di
Ron nei
confronti di Emily – la nipote di Rosmerta – e,
cosa ancora più sbalorditiva,
alla maniera compiacente con cui tali avances erano state accolte.
Avevamo
passato tutto il pomeriggio a bisticciare, ma ora che avevo saputo
dell’Horcrux, ero piuttosto incline a fingere che non mi
importasse. Almeno uno
dei due doveva essere maturo.
«Ron, te l’ho già detto. Non sarebbe una
buona
idea» sospirai.
«Oh, perché invece far andare te lo sarebbe,
vero?»
chiese lui, ironicamente.
«So badare a me stessa» dissi, con sussiego.
«Anche io!» protestò lui, vivamente
indignato, «e
Malfoy è un essere bieco, Hermione, perciò,
passare tutto quel tempo con
lui...».
«E’ questo il tuo vero problema, giusto?»
gli
chiesi, provocatoria. «Il fatto che sia io sia Malfoy
sembriamo preferire la
compagnia di qualcun altro!».
Le orecchie di Ron fornivano già un indizio più
che
evidente della risposta. «Io... lui... questo non
c’entra niente!».
«Eppure» dissi, con rabbia, pentendomi subito dopo
di quello che mi uscì di bocca, «ieri non mi
sembrava che ti importasse molto
della mia presenza, o di quella di Harry!». La faccia di
quest’ultimo lanciava
chiaro il segnale
non-mettermi-in-mezzo-perché-se-si-ricorda-della-mia-presenza-mi-chiamerà-in-causa-e-tu-sai-che-non-potrei-scegliere-da-che-parte-stare,
ma io lo ignorai bellamente.
Ron era ormai scarlatto. «Non so di che parli»
disse, la voce che gli tremolava appena.
«Ron Weasley che non sa qualcosa? Che strano»
dissi, non senza cattiveria. Poi ammutolii. Non era da me essere
così feroce.
Guardai Ron, un po’ sbigottita. Lui ricambiò con
sguardo vacuo. Che cosa mi
stava succedendo? Perché me la stavo prendendo
così a cuore... e perché ero
così velenosa?
Ron fece per replicare, ma sembrava che gliene
mancasse la forza. Fu allora che, provvidenzialmente, Harry decise
finalmente
di intervenire. «Lo faccio io» disse, non senza un
certo sforzo. Mi parve che
fosse un po’ irritato, e non ero sicura che non fosse colpa
mia.
«Come?» chiese Ronald, con voce flebile.
«Andrò io con Malfoy. Alla Gringott,
intendo»
disse, mesto.
«Harry» dissi io incerta, recuperando la mia solita
sensibilità, «non è necessario che tu lo
faccia. Tu e Malfoy...».
«Siamo alleati, no?» disse lui, stancamente.
«Non è
giusto che debba assumerti tu l’incarico di averci a che
fare, Hermione.
Nessuno di noi sta facendo nulla...».
«...appunto per questo avevo proposto...».
Harry alzò la voce per sovrastare quella di Ron.
«...ma
Malfoy è anche responsabilità nostra. Lascia che
ci pensi io. Io... voglio
essere presente». Non era solo per l’Horcrux, lo
vedevo bene, anche se era
naturale che volesse partecipare. Si sentiva davvero in colpa per
avermi
lasciata da sola a gestire il nostro amico squamoso.
«Ne sei sicuro..?» domandai.
«Non che l’idea mi faccia impazzire,
logicamente»
disse Harry, con una smorfia. «E’ probabile che non
riusciremo ad arrivare alla
Gringott senza affatturarci un paio di volte».
Sospirai di nuovo. Perché Malfoy riusciva sempre ad
essere un problema..?
«Nessuno di voi ha davvero considerato
l’ipotesi di mandare me, vero?» chiese Ron, acido.
Harry e io ci scambiammo un’occhiata.
«Ron...»
cominciò lui, esitante. «Penso... penso che sia
vero. Penso che Hermione abbia
ragione». Ron si adombrò. «Tu sei un
traditore del tuo sangue, no?» si affrettò
a dire Harry, anche se sapevo che non era quella la vera ragione.
«Per lui tu sei
quello della razza peggiore».
«Si, si, d’accordo» disse Ron, ancora con
un’espressione fosca. «lasciamo perdere».
«Io... io devo andare» dissi allora, avvertendo
l’atmosfera tesa. «Sono in ritardo...»
«Devi andare da Malfoy?» mi chiese Ron, maligno.
«No» dissi, semplicemente. «Devo fare
rapporto alla
McGranitt. E devo... fare una cosa... con Ginny» dissi,
incerta su chi dei due
dovessi guardare. Non volevo guardare Harry, a cui
l’esplicito riferimento a
Ginny era bastato per farlo arrossire, ma non volevo neppure dire a Ron
che
dovevamo andare da Lumacorno. Sospettavo infatti che la sua
“convocazione”
avesse qualcosa a che fare con il Lumaclub.
«Ah, Hermione. Un’altra cosa» disse
Harry. Mi
voltai a guardarlo.
«L’Horcrux. Dammelo» mi disse allora,
tendendo la
mano. Nell’istante in cui ricordai di averlo ancora appeso al
collo, pensai di
aver capito il motivo per cui ero stata tanto acida con Ron. Certo,
chissà
come, pensavo che ci fosse lo zampino di Draco Malfoy. Chi va con lo
zoppo...
Glielo consegnai con un brivido di disgusto,
alzandomi in piedi e spazzolandomi via l’erba dalla gonna.
Eravamo nel parco,
nel nostro solito angolino riservato, e nessuno badava a noi. Harry non
sembrava felice di indossarlo, ma dentro di me lo ringraziai.
Mormorai un saluto e mi allontanai a grandi passi,
rimuginando tra me. Ron era geloso di Draco Malfoy. Questo era evidente
almeno
quanto era assurdo. La cosa avrebbe dovuto farmi piacere – mi
faceva piacere,
purtroppo – ma allo stesso tempo mi innervosiva. Non volevo
ammettere che Ron
mi piaceva, ma cominciavo, seppur riluttante, a credere di non poterlo
più
negare.
Anche affrontare Voldemort non mi pareva poi così
brutto in confronto, se ci pensavo. E se una ragazza sogna un incontro
con il
Signore Oscuro pur di non innamorarsi del suo migliore amico, tutto
è
possibile.
Santo cielo, tanto valeva essere innamorata di uno
come Draco Malfoy.
«Che cos’hai oggi, Draco?»
protestò debolmente
Pansy, dopo che per tutto il giorno ero stato fin troppo giù
di tono.
Sbadigliando, valutai diverse possibili risposte.
Dopo un mese, l’incidente di Quidditch non sarebbe
più stato plausibile come
scusa, tanto più che gli allenamenti erano proseguiti con
costante regolarità.
Zabini sembrava un uomo nuovo; sempre concentrato, duro, risoluto,
specie negli
ultimi giorni. E dopo la sera prima, non mi sorprendeva
granché. Certo, avrei
tanto voluto sapere quale fosse il problema di Zabini, ma sembrava
proprio che
tutti avessero qualcosa da nascondere, ultimamente. Beh, a parte Pansy,
certo,
ma lei non contava.
Grazie a Dio, con Pansy esisteva una vasta gamma di
possibilità. Avrebbe creduto a qualsiasi cosa le avessi
detto, perciò non mi ci
volle più di un istante per elaborare una scusa plausibile.
«Sono gli studi...
sono stanco morto» dissi. Beh, la Granger era stancante, no?
quindi non era una
vera bugia.
«Quella stupida Granger» sospirò Pansy,
con un tono
di vaga invidia più che di partecipazione. «Ti fa
sudare, non è vero, Draco?».
«Mmh..? Si, quella stupida Nata Babbana» borbottai,
senza dover troppo recitare.
«Non sarebbe meglio se lasciassi perdere?»
suggerì
lei, esitante. «In fondo non è mica detto che devi
studiare con lei tutti i
giorni, se ti costa tanto. Io con Paciock non ho mai niente a che
fare». Evitai
di farle notare che questo era principalmente perché Paciock
era dato per
disperso. Pansy avrebbe certamente tratto giovamento da un
po’ di studio con
Paciock (e questa la dice lunga sulle sue capacità,
giusto?). Pansy Parkinson
(o P.P., Persistente Purosangue, per le adorabili vittime del suo
fanatismo)
non era un genio, no.
«Sarei benissimo in grado di cavarmela da solo»
acconsentii con un unico cenno del capo. «Ma devo tenermi
buoni i professori
come la McGranitt. Sai bene quanto me che mi tengono
d’occhio». Un’altra mezza
verità, anche se avrei voluto fosse tale. Almeno, credevo di
volerlo. Non
desideravo ammettere a me stesso che la compagnia di Hermione Granger
fosse
certamente migliore di quella di Pansy, anche se non era una
concessione chissà
quanto straordinaria. L’angosciante verità era
che, questioni
Lordvoldemortesche a parte, passare il tempo con il trio Potter non
faceva
abbastanza schifo per potermene lamentare – tranne quando
vedevo la faccia di
Weasley, naturalmente. Stavo sempre in silenzio, certo, quando non
studiavo con
la Babbana Zannuta o non prendevo in giro Weasley, ma talvolta il
silenzio non
mi faceva così schifo.
Grazie a Dio,
comunque, queste verità erano sepolte al sicuro nel mio
cassetto mentale non-vuoi-veramente-vedere-che-cosa-c’è-qui-dentro,
e mi sentivo libero di ignorarle.
«Quella vecchia megera» disse Pansy, con un sospiro
teatrale, posandomi una mano sulla gamba.
«Già» dissi, contento che si cambiasse
d’argomento.
Fui ancora più contento quando venni raggiunto da Nickleby,
Todds e Carnarvon, tutti
e tre del mio anno e tutti e tre perdutamente innamorati dello
scintillante
sottoscritto. Si piazzarono attorno a me e riprese la mia consueta
routine di
chiacchierii privi di senso dalla mia parte, e silenzio ammirato dalla
loro.
Vi starete chiedendo quale fosse il reale
motivo della mia insoddisfazione.
Beh, se proprio volete saperlo, era un momento drammatico per me, e
come spesso
accadeva di recente, era tutta colpa di Hermione Granger. Immagino la
dicesse
lunga il fatto stesso che lei e i suoi patetici amichetti assorbissero
una
parte tanto consistente della mia giornata.
Dunque, le cose stavano in questo modo. Ricordate
il dialogo che avevamo avuto la sera prima riguardo
all’Horcrux? Beh, forse vi
sarà sfuggito un piccolo dettaglio; non temete, era sfuggito
anche a me in un
primo momento. Lasciate che vi rinfreschi la memoria.
«Aspetterò
le vacanze di
Natale» disse lui, riflettendo velocemente. «Poi
approfitterò di una qualche
gita, e andrò a Diagon Alley...».
Beh, al momento non ci avevo davvero pensato –
sapete, l’eventualità di fregare al Sibilante
Signore un pezzo di anima mi
aveva assorbito – ma quando, nel mio letto, avevo ripensato
alla scena, mi ero
reso conto di un piccolo particolare.
Non avevo nessuno con cui passare le vacanze di
Natale.
Come il peggiore degli orfani sfigati – come Potter
– non avevo qualcuno con cui
festeggiare. Sarei dovuto rimanere a Hogwarts.
Lo so, lo so.
Un sacco di gente rimaneva a scuola durante le vacanze. Anche
cocco-di-mamma
Weasley o nata-babbana Granger. E io stesso ero rimasto a scuola per le
vacanze, un paio di volte. Beh, non era la stessa cosa, questa volta.
Un conto
era scegliere di non passare la
vacanza con i propri genitori – e credetemi, sarebbe stata la
mia prima opzione
– e un conto era apparire agli occhi della gente come
ragazzo-lasciato-a-se-stesso-che-bisogna-compatire. Nessuno, nessuno compatisce un Malfoy. Se non un
altro Malfoy, naturalmente.
Avevo passato ore a rimuginarci sopra. Avrei anche
potuto tornare a casa per le vacanze, ma a che pro? Non volevo davvero
passare
il tempo a raccattare pavoni morti dalla mia tenuta – ammesso
che ci fossero, o
che non fossero sepolti dalla neve. Inoltre avevo come
l’impressione che in
quel caso avrei rischiato grosso – che magari il Signore
Oscuro ne avrebbe
approfittato per farmi una visita. Ed ero certo che non avrebbe portato
un
cestino regalo con sé.
Alla fine mi ero addormentato, stizzito, cullato –
per così dire – dal lieve russare di Zabini che,
nonostante tutti i suoi
turbamenti interiori, quando dormiva sembrava essere entrato in coma. E
quando
mi ero svegliato, la mattina dopo, qualcuno aveva provveduto a rigirare
il
coltello nella piaga.
«Non ne ho la più pallida idea, David»
avevo
sbadigliato in faccia a Mcnair, il quale, tutto eccitato, mi aveva
chiesto a
colazione se sapevo dove fosse un qualcosa chiamato Disneybored
o qualcosa del genere. Era evidente che desiderava con
tutto il cuore che gli chiedessi maggiori informazioni, e vista la mia
carenza
di sonno non avevo la forza dideluderlo. Così gli avevo
chiesto,
assennatamente, che cosa diavolo fosse un Disneybored.
«E’ una specie di... non saprei...» aveva
detto
lui, cercando di comunicare con lo sguardo quello che non riusciva a
descrivere. «E’ negli Stati Uniti, dove andremo in
vacanza. Il surf è ottimo da
quelle parti, sai. Pare che i Babbani lo considerino un gran
divertimento,
comunque, e pensiamo di farci un salto». Il fratello di McNair aveva litigato
con la madre quando
lei si era resa conto delle sue inclinazioni troppo filobabbane. Andava
bene
non voler Cruciare ogni Babbano (più o meno), ma imparare i
loro sport (e
quando McNair mi aveva spiegato in che cosa consisteva questo surf,
avevo
cominciato a credere che avesse ragione) era un po’ troppo.
Così lui li aveva
piantati per trasferirsi in California, e per riconciliarsi con loro li
aveva
invitati a raggiungerlo per le vacanze.
Quello che mi interessava, comunque, non era
affatto Disney-coso o le vacanze di David. Quello che mi mise di
cattivo umore
fu la parola “vacanze”. Perfino McNair sarebbe
andato in vacanza. In sostanza,
non sapevo chi sarebbe rimasto, ma sapere di essere uno di questi aveva
messo
KO il mio buonumore.
A riscuotermi dalla mia rievocazione di quella
spiacevole mattina fu qualcosa che disse uno dei miei compagni, Todds.
«...ha invitato me, e penso che ci andrò, se non
altro per festeggiare decentemente. La cosa peggiore è stata
Astoria
Greengrass, però. Tutto mi aspettavo, tranne che scegliesse
quell’idiota di
Prewett. Un Corvonero!» e mostrò tutta la sua
disapprovazione alzando gli occhi
al Cielo. Senza accorgersi del mio cambio di espressione,
proseguì,
rivolgendosi a Pansy che ascoltava interessata – e invidiosa.
«Ho sentito dire
che doveva venire anche Gwenog Jones, pensate, ma all’ultimo
ha dato buca.
Diavolo, sapevo che Lumacorno la conosceva, ma invitarla addirittura
alla
festa! È un peccato che non sia potuta venire, avrei
potuto...».
La stupida festa di Natale del Lumaclub. Certo.
Come avevo fatto a dimenticarmene? Un’altra festa alla quale non sarei potuto andare in quanto
escluso dal prestigioso Lumaclub. Non solo sarei rimasto a scuola per
le
vacanze, ma sarei stato escluso dai festeggiamenti, mentre Astoria...
Ehi, un istante.
«Perché Astoria?» chiesi, perplesso.
«Non sapevo
che Prewett facesse parte del Lumaclub».
«Lui no» disse Todds, con una smorfia.
«E’ troppo
umile per queste cose, naturalmente. È timido.
Ma Astoria si».
Questo la diceva lunga su quanto prestassi
attenzione ad Astoria, ultimamente. Tra lo studio, il mio fan club, gli
allenamenti e le lezioni, non avevo molto tempo libero. Spesso sedevo
accanto a
lei nelle lezioni che condividevamo
– più
per sfuggire ai miei ammiratori e farmi desiderare che per stare con
lei, in
realtà – ma in quei casi, Astoria stava sempre
zitta e seguiva la lezione con
impegno. Anche a pranzo e a cena scambiavamo quattro chiacchiere, ma
non
riuscivo mai a dedicare attenzione a qualcuno in particolare. Mi
sentivo in
colpa, ma in realtà, la mia vita semplicemente mi lasciava
un passo indietro.
Non riuscivo a stare dietro a tutto.
«E lei lo ha invitato a uscire?» chiesi.
«Non so chi lo abbia chiesto a chi» disse lui,
scrollando le spalle. «Ma penso che si siano conosciuti in
biblioteca».
Sobbalzò quando sentì la porta della Sala Comune
aprirsi, ma era solo Zabini di
ritorno da Aritmanzia. Gli dedicai soltanto un’occhiata
fugace. «Insomma»
proseguì Todds, platealmente, «è un
Corvonero! Sempre meglio della feccia
Tassorosso, o Grifondoro, ma Cristo! Hanno un cugino
Magonò!».
«Di che state parlando?». ci voltammo tutti. Zabini
si era avvicinato con il suo passo da gatto, e ora posava una mano
sulla spalla
di Todds, che parve sbigottito. Zabini non lo aveva mai degnato di
tanta
attenzione.
«Astoria Greengrass e Matthew Prewett»
cantilenò Pansy
Parkinson, osservando Zabini con un sorrisetto.
«Stanno forse assieme?» chiese Zabini. Notai che mi
aveva lanciato un’occhiata, mentre si sedeva sul divano di
fronte a me. Perché
veniva a intrufolarsi nelle nostre conversazioni?
“Qualcuno ti tiene d’occhio”, aveva
detto. Magari
era proprio a se stesso che si riferiva.
«Così pare» disse Nickleby. Io non dissi
nulla.
avevo scelto la strada del silenzio imbronciato.
«Astoria è sempre stata una ragazza dai gusti
particolari» disse Carnarvon. «La conoscevo da
prima di venire qui, e vi dico
che anche suo padre è un uomo bizzarro».
«Lavora al Ministero, giusto?» chiese Zabini. Gli
lanciai un’occhiata irritata. I Serpeverde sono persone
territoriali. Astoria
era nel mio territorio, e lui non avrebbe dovuto impicciarsi.
«Lavora per il Wizegamot, o qualcosa del genere»
specificò Todds. «Ma circolano voci. Pare che sia
tra i sostenitori di quella
riforma di legge per pene più severe contro i detrattori dei
Babbani». Il padre
di Astoria era Babbanofilo? Questa mi era nuova.
«Non è poi così strano, allora, che la
Greengrass
scelga uno come Prewett» sghignazzò Pansy, alla
quale Astoria non era mai
piaciuta. Chissà perché.
Zabini aveva osservato tutto con un silenzio cupo.
Chissà che cosa pensava dentro di sé. Mi
guardò di nuovo, piuttosto attento,
fino a che io non sollevai un sopracciglio, interrogativo. Allora si
alzò,
stiracchiandosi. «Meglio che vada a prendere la mia
roba» mormorò, e si
allontanò lentamente come era venuto.
Mi alzai a mia volta. Avevo appena realizzato di
aver sprecato un’ora libera adatta allo studio in ciacchere
che mi avevano
ulteriormente depresso. «Credo tocchi anche a me fare lo
stesso» proclamai, con
aria indifferente, nella speranza di non farmi troppo notare. Attesi
pazientemente che esaurissero i saluti enfatici (poco ci mancava che
sventolassero un fazzoletto in segno di commiato) prima di imboccare le
stesse
scale che aveva fatto Zabini. Scesi fino a raggiungere il mio
dormitorio, ma mi
fermai di fronte alla porta. Sentivo delle voci familiari provenire da
dentro.
«....assurdo!» diceva la voce di Zabini, a voce
abbastanza alta da poter essere udita distintamente.
La voce di Nott disse qualcosa, un borbottio.
Imprecai mentalmente e frugai nelle tasche, fino a tirare fuori un
laccio color
carne. Lo so, lo so; anche a me era dispiaciuto pensare di pagare i
gemelli
Weasley per una qualunque cosa. Ma ne era valsa la pena. Le portavo
sempre con
me, e sapevo che ben pochi tra i miei conoscenti non facevano lo
stesso. Pansy
ne aveva comprate tre scatole, lo sapevo per certo, e ne aveva sempre
un paio
di scorta.
Srotolai l’Orecchia Oblunga, mentre sentivo Zabini
dire – o meglio gridare: «Perché mi stai
seguendo, ecco perché!».
L’Orecchio calò fino a terra e fece per infilarsi
sotto la porta... e si fermò a pochi centimetri da essa. Naturalmente l’avevano resa
Imperturbabile. Stupidi Sepeverde
previdenti.
Così premetti più a fondo l’orecchio
– quello vero
– contro la serratura, ma mi giunsero solo parole sconnesse.
«...benissimo... Paciock... evidente...»
sussurrò
Nott, cospiratore.
«Non so di cosa stai parlando» disse Zabini,
«e ti
consiglierei di essere più discreto, almeno fino a quando
non ci stupirai con
le tue doti da detective». Ora, non sapevo cosa fosse un
detective, ma il
significato era più che chiaro. Nott era stato beccato con
le mani nel sacco
mentre indagava.
Così come capitò a me, quando in
quell’istante
Zabini aprì la porta, e mi vide ancora fermo in ascolto. Mi
ricomposi in
fretta. Zabini mi lanciò un’occhiata, sorrise
– un sorriso trionfante – e se ne
andò, a grandi passi. Quando entrai, Nott era ancora
irritato.
«Quel figlio di...» vi risparmio le sue
imprecazioni. Sapete, nessuno può inventare insulti
più coloriti di un
Serpeverde. Lasciai che si sfogasse, fingendo di non sentirmi in colpa
per
avere messo in guardia Zabini. Anche se mi sentivo in colpa.
Nott calciò un baule. Quello di Zabini.
Beh, più o meno.
«Che cosa è successo?» chiesi poi,
mentre frugavo
nel mio baule alla ricerca dei miei libri.
«Mi ha minacciato!» esclamò, non sapendo
che avevo
ascoltato la conversazione, e che sapevo che non era andata proprio
così. Ma
comunque.
«Perché?».
Arrossì appena. «Lo sto sorvegliando»
ammise alla
fine. «E lui osa fingere che io sia un perfetto idiota,
quando le prove...».
«Le prove di cosa?».
Lui si arrestò di colpo. «Non è ancora
il momento»
disse, lo sguardo di fuoco. «Non è ancora venuto
il momento». E uscì di fretta,
i libri sottobraccio, sibilando insulti sottovoce.
Povero Zabini. Non avrei voluto Nott come nemico.
Certo, io avevo Lord Voldemort, ma quella era un’altra
storia. Ero un gradino
più in basso all’inferno, e non avevo neppure un
programma per le vacanze.
Due ore più tardi, usciti da Difesa Contro le Arti
Oscure, io e Astoria tornavamo verso la Sala Comune prima di andare a
cena. Ne
approfittai per spararle a tradimento una domanda.
«E così vai alla festa di Lumacorno con
Powerell»
dissi, in tono noncurante.
«Mmh?» chiese lei, distratta.
«Ho detto: e così vai alla festa di Lumacorno con
Prewett» dissi, e nell’irritazione di dover
ripetere la domanda, dimenticai di
sbagliare volutamente il nome.
«Si» disse lei, mentre apriva la borsa per cercarvi
qualcosa.
«Perché?» le domandai. Passato lo
stupore iniziale,
dovevo ammettere che mi ero aspettato che lo chiedesse a me. Eravamo
amici, o
no?
«Perché no?» chiese lei. «ma
dov’è la mia piuma?»
mormorò tra sé, concentrata, e si
bloccò di colpo, costringendomi a barcollare
per fare altrettanto, dopo qualche passo. Tornai indietro, e aspettai a
braccia
incrociate che terminasse la sua ricerca. La vidi scribacchiare sul
braccio:
“Michael, mercoledì”.
«E chi è Michael?» domandai.
«Come, non conosci Michael Corner?»
domandò lei,
stupita. «Pensavo fosse piuttosto conosciuto, ma forse era
solamente
un’impressione».
«E’ l’ex della ragazza
Weasley!» esclamai,
sconcertato.
«Già, me lo ha presentato lei»
confermò la ragazza,
chiudendo la borsa, e rimettendosi in marcia. La seguii, nonostante
avesse il
passo veloce.
«Tu esci con Michael Corner?» trasecolai.
«Certo che no. lo aiuto con i compiti» mi corresse
senza scomporsi.
«Perché?». Ero ormai allibito.
«Perché me lo ha chiesto».
«E questo ti sembra un buon motivo?» chiesi,
perplesso.
«Non mi sembra un pessimo motivo».
«Ma è uno spreco di tempo!».
Astoria si bloccò e mi guardò, imperscrutabile.
«Perché,
come dovrei impiegarlo altrimenti?».
Ci pensai su. «Beh... ecco...» ci pensai ancora su.
«Non saprei».
«Io si» disse lei tranquilla. «Non ho
molto da
fare, se non studiare. Non ho molti amici, non sono socievole. E se
qualcuno,
fosse anche Michael Corner, ha voglia di passare del tempo in mia
compagnia,
non voglio di certo impedirglielo. Quantomeno non lo fanno per i motivi
sbagliati». Se fosse stata una stoccata nei miei confronti,
perché non passavo
del tempo con lei, me ne sarei accorto. Probabilmente mi avrebbe anche
centrato
in pieno comunque. Ma Astoria non aveva parlato con rancore, mi aveva
espresso
candidamente una sua teoria. Il che era perfino peggio, specie in
quegli ultimi
giorni. Ero piuttosto ipersensibile.
«Non mi hai detto che saresti uscita con Prewett,
comunque».
«Vedo bene che hai la testa altrove» disse lei,
alzando le spalle. «Ho pensato che ti facesse piacere un
po’ di silenzio».
Altra stoccata, visto che io a lei non avevo pensato affatto. Arrossii,
per più
di un motivo. «Che cosa intendi dire?» feci, schivo.
«Esattamente quello che ho detto» fu la criptica
risposta.
Sospirai. Astoria era penetrante come sempre, ma io
avrei voluto essere impenetrabile. Alle preoccupazioni che avevo
sempre, poi,
si era aggiunta la delusione per le mie imminenti vacanze. Credere di
riuscire
a nascondere le mie debolezze sarebbe stata una bella consolazione.
«Sei giù di tono» osservò lei.
«Può darsi» risposi, vago.
«Perché sei giù di tono?».
Lasciai perdere il mio inutile dissimulare. «Niente
di particolare. Ma da quando fai parte del Lumaclub?».
«Da quando quest’anno mi hanno ammessa ai corsi
MAGO. Dovrei offendermi, visto il tono vagamente sorpreso e
tradito».
«Non me lo avevi detto».
«Quando avrei dovuto introdurre l’argomento,
esattamente?».
Un punto per lei.
«Ti da fastidio non esserci, non è
vero?» chiese
Astoria, con un sorriso da saputella.
«No, non direi. Quello stupido vecchio non mi
sembra abbastanza sveglio da individuare veri talenti».
«Già. Immagino sia per quello che aveva messo gli
occhi su Colui-che-non-deve-essere-nominato, a suo tempo»
disse lei, ironica.
Io la guardai, stupito, e non solo dalla sua ironia. «Come lo
sai?».
Naturalmente anche io lo sapevo, ma l’Enciclopedia Ambulante
Granger (EAG per
consultatori che fingevano di non essere tali) non poteva certo averne
parlato
con lei, no?
«Mio padre lavora al Wizegamot, no? Hanno
interrogato Lumacorno diverse volte». I suoi occhi si
affilarono. «E tu, come
lo sai?».
«Non lo sapevo» dissi, evitando il suo sguardo, con
una alzata di spalle.
«Mmh» disse lei, fingendo di credermi.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante. «Tuo
padre è un difensore dei Babbani?».
«Credo stia lavorando assieme al Comitato Scuse ai
Babbani, o qualcosa del genere. Pare ci sia un disegno di legge
nell’aria, ma
non vuole che racconti in giro i dettagli» disse lei, con
dignità, mentre
varcavamo la porta dei sotterranei. Io rabbrividii. In Dicembre era
sempre
meglio avere mutande di lana, se eri un Serpeverde e dovevi
attraversare i
sotterranei.
«Quindi è vero? Siete Babbanofili?»
chiesi, senza
lasciarmi ingannare dalle sue parole. Lei si mise a ridere.
«Perché ti
interessa?».
«Mera curiosità».
«Beh, è semplice» disse lei, scuotendo
la chioma
nera con un unico cenno del capo. «Non
c’è motivo per essere pro, o contro».
Non fui in grado di rispondere, perché in quel
momento apparve l’ingresso della Sala Comune... e la Granger,
che vi stava
appostata di fronte, corrucciata. Mi bloccai, orripilato. Astoria si
limitò a
sorridere. «Vedo che sei impegnato. Ci vediamo più
tardi, a cena». E se ne
andò, dopo aver rivolto uno sbrigativo cenno di saluto alla
mia Piaga Personale
(P.P. per nemici perseguitati).
«Che diavolo ci fai tu qui, Granger?».
«Chi altri sarebbe dovuto venire a chiamarti? La
McGranitt ci vuole nel suo ufficio, adesso» rispose lei,
secca.
«Comincio ad odiare il suono di questa stupida
frase» dissi, mentre mi incamminavo a grandi passi con lei
che mi sfilava di
fianco. «Lo sai, quasi quasi vorrei combinare qualcosa,
almeno avrei una
ragione per essere trattato come un criminale»..
«Ma quanto sei drammatico» commentò la
stupida
Granger, alzando gli occhi al Cielo. «Dovresti
esserle grata. Si preoccupa per te».
«Beh, non dovrebbe. Sono grande e vaccinato».
Superammo diversi gruppi di studenti, molti dei
quali appartenevano alla mia stessa Casa. Naturalmente la Granger aveva
scelto
l’ora di punta della serata, quando tutti tornavano ai loro
dormitori. Per
fortuna, altrimenti qualcuno avrebbe potuto evitare di vedermi
passeggiare con
lei per i corridoi. Ero troppo stremato per ironizzare ad alta voce, e
mi
accontentai di pensare quelle poche, caustiche parole.
«Signor Malfoy, sono sicura che tu abbia capito perfettamente» disse la Preside
in tono
molto amabile. Ero abbastanza sicura che tra le pieghe del volto,
seminascoste
dietro alle rughe, ci fosse un sorriso vagamente perfido.
«Mi sta dicendo» disse Malfoy (P.P.P., Piaga
Pitonata Permamente, per ragazze perseguitate), «che io
dovrei trascorrere con loro»
e indicò me, immagino a indicare
metaforicamente i miei amici e altra gente “di bassa
lega”, «le mie vacanze
estive? Perché?».
E mi guardò come se
fosse stata tutta colpa mia – o come se avessi potuto
– o voluto – aiutarlo.
Una parte di me era incredibilmente divertita.
Privare Malfoy delle sue vacanze mi sembrava un buon piano. Certo,
privare noi
delle nostre lo sembrava meno, ma
credevo di intuire quale fosse il piano della McGranitt.
«Non mi sembra tanto difficile da capire, Malfoy»
fecce la donna, paziente, incrociando le dita sulla scrivania.
«Forse tu non te
ne sei reso conto, ma tu sei una delle mie preoccupazioni minori. Ci
sono cose
più importanti alle quali badare e, francamente, sono
preoccupata».
«Li sto aiutando!» gemette lui, debolmente, sempre
indicandomi. «Glielo chieda, professoressa!».
«E’ vero» dissi, laconica, e Malfoy
annuì
trionfante.
«Non tutti nell’Ordine sono altrettanto tranquilli.
Non passerò a scuola tutto il tempo delle vacanze, e
preferirei che tu restassi
sorvegliato». La vecchia strega fece una smorfia.
«Vogliono accertarsi che tu
sia davvero inoffensivo. Mi sembra un prezzo minimo da pagare per la
tua
sicurezza, Draco».
«L’unica cosa di cui sono sicuro» disse
lui,
assumendo un’espressione scocciata, «è
che non solo sprecherò le mie vacanze,
ma la cosa non passerà certo inosservata! Che cosa pensate
che dirà...» fece
una pausa, cercando di trovare un compromesso tra i diversi epiteti che
gli
venivano in mente, «...Voi-sapete-chi, quando
scoprirà che mi diverto a sferruzzare
a maglia assieme ai membri dell’Ordine?».
Chissà come, non sembrava di umore
davvero battagliero, comunque, e me ne accorsi subito.
«Oh, quanto a questo puoi stare sicuro» disse la
preside,
con un sorriso sardonico, «che non avrai problemi».
«Che cosa intende dire?» chiese lui, con sospetto.
«Passerai tutte le vacanze in Infermeria. Malato.
Probabilmente a causa di un’indigestione di cacca di
Doxi» lo informò lei,
impassibile, e quasi mi scappò da ridere.
«Volete avvelenarmi!» strillò lui,
sbigottito.
«Non essere sciocco, ragazzo. Questo è quello che
faremo credere agli altri».
«Penso che se ne accorgerebbero se, con
l’Infermeria vuota, fingeste di avere me come
malato!».
«Draco Malfoy ci sarà» disse la
professoressa, gli
occhi che le scintillavano. Si stava divertendo davvero –
probabilmente stava
assaporando ogni istante. «Basterà che tu
collabori».
«Che – che cosa intendete..?».
«Pozione Polisucco. Prenderemo in prestito alcuni
tuoi capelli. Vari membri dell’Ordine di pattuglia faranno il
resto, a turno.
Sarà un ottimo modo per averli a disposizione, nel caso in
cui ci sia bisogno
di qualcuno di alleato nella scuola».
«Se ne accorgerebbero» disse Malfoy, poco convinto.
«Io non credo. Non se stai dormendo» intervenni,
incapace di tacere. «Russi forse in maniera
speciale?».
«Io non russo, stupida» sibilò lui verso
di me.
«E allora, qual è il problema?» chiese
la
McGranitt. «Come pensavi di trascorrere le tue vacanze,
Draco? Non avresti
potuto uscire dal castello, lo sai bene».
A questo punto avvenne la cosa più straordinaria.
vidi Malfoy arrossire, boccheggiare, e poi tacere, guardando per terra.
La voce della donna si addolcì. «Vedrai che
passerai delle bellissime vacanze, Malfoy». Poi, rivolta a
entrambi, aggiunse:
«potete andare».
Malfoy non se lo fece ripetere due volte. Schizzò
giù per le scale con l’agilità di un
furetto, e dovetti correre per stargli
dietro. Quando ci richiudemmo la porta alle spalle, riuscii ad
agguantarlo per
un lembo della divisa.
«Che vuoi?» chiese lui, troppo abbattuto per
mantenere
il suo solito tono scortese, e rimediando con un’occhiataccia.
«Volevo solo dirti che non immaginavo quali fossero
i piani della McGranitt» gli dissi, convinta che consolarlo
valesse come Atto
Caritatevole del Mese (in alternativa a regalare una lozione per
capelli a
Voldemort). «Mi dispiace per le tue vacanze».
«Già, sono sicuro che tu sia vivamente commossa,
Granger» disse Malfoy, storcendo il naso. «Ma
sfortunatamente non c’è molto che
puoi fare per migliorare la mia situazione, a meno che il Signore
Oscuro non
muoia strozzandosi con il suo pudding natalizio prima
dell’inizio delle
vacanze».
«Ah-ah» dissi, per nulla divertita. «E
comunque non
è detto che tu non ti diverta». Oh, e va bene,
quell’ultimo commento lo dissi
soffocando una risata. Ma certo che
era detto! era Draco Malfoy nel covo dell’Ordine della
Fenice, dopotutto.
Privato della possibilità di Cruciare Babbo Natale,
costringere Elfi domestici
con la frusta a preparargli biscotti, e... beh, qualunque altra cosa la
gente
come lui facesse durante le vacanze natalizie. Ammesso che i
Mangiamorte
fossero provvisti di spirito natalizio. Dubitavo che Bellatrix
Lestrange si
aggirasse per il nascondiglio di Voldemort intonando “Tu
scendi dalle stelle”,
e fui quasi tentata dal chiederlo a Malfoy.
«Oh, sono sicuro che mi divertirò un mondo,
Granger» ironizzò lui, con un ghigno beffardo.
«In fondo, Potter e Weasley sono
dei tali simpaticoni!».
«Perché, tu
lo sei?» lo rimbeccai serenamente. «Di che cosa
parli di solito con i tuoi
amichetti, a parte delle ultime fatture alla moda?».
«E Weasley? Degli ultimi maglioni atroci
confezionati dalla madre, immagino» commentò
l’altro, perfidamente.
«Non tutti hanno una bella pelliccia da Furetto per
tenersi al caldo, Malfoy» replicai, piccata, mentre
raggiungevamo l’Atrio. «E
tra parentesi, prima di andare a cena, volevo dirti una cosa».
«E che cosa, di grazia?» chiese Malfoy, ancora
imbronciato per non essere riuscito a trovare qualcosa di spiritoso per
ribattere alla mia ultima battuta.
«Dovremmo anticipare la missione» mormorai.
«Quella
alla Gringott, intendo».
«Come?».
«Beh, se andremo davvero a Londra per le vacanze...
insomma, sarai ancora più sorvegliato, no? Difficile che ti
lascino andare a
Diagon Alley, per di più da solo».
«Quindi ci andrò da solo?».
«Harry si nasconderà sotto il Mantello
dell’Invisibilità, naturalmente».
Draco Malfoy era inorridito. «Dovrei accedere alla
mia camera di famiglia assieme a Potter?».
«Proprio così. Come dicevo...».
«Frena un secondo, idiota» sibilò il
Serpeverde,
irritato. «Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Non
intendo portare
Potter a spasso con me, da nessuna parte, e specialmente non nella mia
camera
blindata. Per Salazar!» imprecò.
«È stato deciso così» dissi,
perentoria. «Avresti
preferito che venisse Ron assieme a te?».
«Nessuno dei due, per la miseria»
ringhiò lui. «Non
prenderla nel verso sbagliato, stupida Granger, ma tu non sei
minimamente così
repellente come i tuoi due amichetti! Un traditore
del proprio sangue o il mio nemico giurato,
nella mia camera? Non se ne parla!».
«Harry ha insistito per venire. Si sente in colpa
per aver lasciato a me l’onere di badare a te per tutto
questo tempo. E inoltre
tocca a lui trovare gli Horcrux, Malfoy. È lui che deve
affrontare Voldemort».
«Per me possono anche ballare il tango, non mi
importa. Ma non voglio Potter nella camera dei Black». Malfoy
era risoluto.
«Nessuno di noi ti ha dato la possibilità di
scegliere. Non puoi andare da solo, e né io né
Ron possiamo – o vogliamo –
accompagnarti. Fine della storia» dissi.
«Dunque è quello, il problema, giusto?»
disse lui,
sprezzante. «Cos’è, Lenticchia
è geloso?».
«Non – non sono affari tuoi, Malfoy!»
dissi, con
voce stridula, arrossendo. «E se anche fosse...».
«Che ti prenda quando vuole, Granger, purché tu e
Potter mi salviate la pelle» sogghignò Malfoy.
«E purché mi sia dato di evitare
di ricevere Potter nel mio territorio, naturalmente».
«Parlane con Harry» dissi io, esausta.
«Sbrigatevela tra di voi».
«Meraviglioso».
«Niente ironia, Malfoy. E per quanto riguarda la
missione...».
«Non possiamo farla prima» mi interruppe.
«Perché
no?» feci, sorpresa.
«Perché, stupida, curiosa
nullità» rispose, «pare
che qualcuno mi stia seguendo».
Alzai gli occhi al Cielo. «Lo sappiamo
che qualcuno ti segue, Malfoy» sospirai.
«L’Ordine ti protegge,
lo hai scordato?».
«Non parlo dell’Ordine, sciocca»
sbottò Malfoy.
«E allora che diavolo...».
«Ho incontrato Zabini nella sala comune, dopo che
ti ho spiegato dell’Horcrux. Non so da dove venisse, ma
è da un pezzo che si
comporta in maniera strana. Io e lui... beh, tra noi non corre
esattamente buon
sangue. Gli ho chiesto che cosa stesse combinando...».
«Furetto curiosetto» non potei evitare di dire, e
lui arrossì, ma fece finta di nulla.
«...e lui naturalmente si è rifiutato.
Così, per
farlo parlare» e disse quelle ultime parole con voce strana,
che non riuscii a
interpretare, «gli ho detto che Nott lo teneva
d’occhio. E lui – lui ha
risposto che non era l’unico ad essere sorvegliato. Qualcuno
si è accorto che
nascondo qualcosa, evidentemente».
«Non poteva essere solo un trucco di Zabini, come
quello che hai usato tu?».
Lui scosse il capo. «Mi ha messo in guardia, ha
detto di non fidarmi di nessuno. Sembrava quasi...
preoccupato». Era turbato.
E così qualcuno teneva d’occhio Malfoy. Riflettei
un paio di istanti, ma quelle parole, quel “non fidarsi di
nessuno”,
riportarono alla mente un ricordo apparentemente sconnesso, ma allo
stesso
tempo interessante. «Quando abbiamo incontrato tua zia, lei
ci ha messi in
guardia. Ha detto di dirti che – ecco – che non
dovevi fidarti di Nott».
Malfoy era stupito. «Ti ha detto..?». ci fu una
breve pausa, ma alla fine scrollò le spalle. «Nott
e Zabini si odiano, e Nott è
mio amico. Perché mai dovrebbe volermi male?».
«Beh, se devo proprio dire la verità, non mi pare
che
il concetto Serpeverde di “amicizia” sia poi
così altro. A me pare piuttosto
l’equivalente di “alleati con qualcuno e poi taglia
la corda al momento
giusto”» commentai.
«Se anche fosse?». Malfoy era sulla difensiva.
«Perché
mai dovrebbe osteggiarmi adesso?».
«Dovresti essere tu a dirmelo! Io non conosco i
tramacci che accadono nel magnifico Club Cobra, e ne sono felice,
grazie
tante!». Scossi il capo, poi lo guardai. «Sa
qualcosa che non dovrebbe
sapere?».
«Del tipo?». Sembrava nervoso.
«Sputa il rospo, Malfoy!». Non volevo ammetterlo,
ma ero nervosa.
Malfoy si schiarì la voce, a disagio. Pessimo
segno, davvero. «Sapeva che stavo indagando su di voi, prima
che scoprissi
quello che so. Poi non gli ho più detto nulla».
«Qualcosa puzza di balla» dissi, sospettosa.
«Tutto qui» chiarì, e anche se non ne
ero affatto
convinta, lasciai perdere.
«Ciò nonostante, lo faremo prima delle vacanze.
Prenderemo qualche precauzione, ma sono certa che tutto
andrà bene» dissi,
risoluta.
«Se lo dici tu». Malfoy era scettico, ma anche
rassegnato. Chiaro indizio che qualcosa come dei sensi di colpa, o il
sollievo
per non essere stato beccato, si agitavano dentro di lui. Tacque un
istante.
«Mia zia vi ha parlato di Nott».
Annuii.
«Che altro vi ha detto?». Ricordai
all’improvviso il
suo discorso. «Mi ha chiesto chi altro stessi frequentando.
Ho – ho nominato
McNair, e la Greengrass. La signora El – tua zia sembrava
soddisfatta. Ha detto
che McNair e la sua famiglia sono diversi, che sono persone oneste. E
su
Astoria ha detto...» mi interruppi, cercando di ricordare le
parole esatte.
«Ha detto?». Malfoy pendeva dalle mie labbra.
«Che conosce la sua famiglia. Ha detto qualcosa
riguardo alla madre... ha detto che era una poco di buono, qualcosa del
genere,
ma che Astoria doveva essere una ragazza molto dotata» dissi,
lentamente. Dalla
faccia di Malfoy, era chiaro che non era affatto al corrente di quei
particolari sulla sua amica.
«Capisco» disse lui alla fine, laconico,
strascicando le parole come faceva quando voleva sembrare indifferente
e
superiore, anche se così sembrava solamente un bambino
viziato.
«Allora è deciso» dissi, tanto per
riscuoterlo
dalle sue meditazioni. «Ora andiamo a cena».
«Non credo che verrò. Tutta questa storia mi ha
fatto venire la nausea» si lagnò lui.
«Dì la verità, Malfoy. Vuoi solo
evitare di fare il
tuo ingresso in Sala assieme a me» sogghignai.
«Affari miei».
Sospirai. «Le cucine non sono lontane dal tuo
dormitorio. Puoi sempre andare a chiedere qualcosa
lì».
«Bada ai tuoi affari» disse lui.
«Come vuoi» dissi, alzando le spalle.
«Ciao ciao,
Furetto!».
Mi salutò con un gestaccio. Attesi che se ne fosse
andato, poi aprii la porta e raggiunsi i miei amici al tavolo rosso e
dorato.
«E così, qualcuno ti segue» disse
Astoria, alla
quale avevo appena rivelato, nonostante tutto, i miei timori.
Due giorni dopo la mia personale Stunde Null – il
momento in cui avevo appreso che avrei passato le vacanze a bisticciare
col
Trio di Perdenti – stavamo attraversando i corridoi diretti
verso i
sotterranei. Era facile capire chi aveva lezione lì; poco
più avanti di me vidi
Zabini con guanti e mantello, e Parvati Patil, che lo superò
velocemente in
quel momento, indossava perfino la sciarpa. Io mi ero accontentato
della veste
di lana, e sotto avevo indossato dei pantaloni e un pullover.
«Già» risposi, malinconico.
«Ed è stato Blaise a dirtelo» disse
Astoria,
corrugando appena la fronte.
«Blaise» ripetei, stupito. «Da quando
siete così in
confidenza?».
«Talvolta io e lui ci parliamo. È un tipo strano,
ma piuttosto simpatico, specie negli ultimi tempi. Abbiamo molto in
comune».
«E questo non ti ha mai insospettita?».
«Blaise Zabini non è certo l’unico ad
avere dei
segreti» disse lei, guardandomi con un sorriso da vera
sfinge. Touché. «E a
proposito» disse, con finta ingenuità,
«perché mai pensi che qualcuno dovrebbe
seguirti?».
«Per ammirare la mia travolgente bellezza»
scherzai, per sdrammatizzare, e sviare la domanda.
«In questo caso, perché la cosa ti darebbe tanto
fastidio?».
Tacqui qualche istante, ma la verità era che avevo
un piano. Venire a sapere che perfino la Granger conosceva Astoria
meglio mi me
era degradante, e per dirla tutta, il mio bisogno di confidarmi in
qualcuno
aveva un’unica origine: convincerla a fare altrettanto.
«Ho un segreto» mormorai, guardando per terra.
Certo, piano a parte, era consolante parlarne con qualcuno. La Granger
di certo
non contava, né la McGranitt. Gap generazionale? Diciamo
pure un baratro.
«Lo so».
«No, non lo sai». Mi ero già dimenticato
del mio
piano. La mia priorità assoluta era: sfogarsi. Mi fermai,
dopo averla condotta
vicino alla parete, dietro alla statua di Baggins il Bifolco che teneva
uno dei
suoi occhi strabici e sporgenti su di noi. inquietante. Dovevo
consigliare al
Signore Oscuro di metterne una nella sua Sala del Trono, quando avesse
conquistato il mondo. Certo, era possibile che per allora io fossi
già morto.
Oh, beh, quantomeno avrebbe dovuto sorseggiare Burrobirra dalla
bottiglia,
perché stavo per fregargli la sua coppa preferita. Ha!
«E’ una cosa grossa».
«Si, lo so» disse ancora lei, calma. «Me
ne sono
accorta... e da quello che dici, non sono l’unica».
«Non posso dirti nulla. non mi è
concesso» dissi,
molto serio, cercando di comunicarle tutto con i miei occhi.
«Però...».
«Però» mi interruppe lei, «per
qualsiasi cosa, puoi
contare su di me».
Io la guardai. «Non sono sicuro che tu abbia
interpretato correttamente la mia occhiata di ammonimento...»
tentai, ma lei mi
fermò con una mano alzata. «Senti, Draco. Non
è la prima volta che ti infili in
situazioni pericolose, e se devo dire la verità, mi sono
sempre chiesta come
fosse possibile. Di qualunque cosa si tratti, però,
percepisco qualcosa nel
modo che hai di comportarti. L’anno scorso sembravi un cane
disperato messo in
un angolo. Questa volta, beh, sembra che tu non abbia poi
così tanta paura». Mi
sorrise. «Non deve essere qualcosa di molto comune, per gente
come noi. ma di
qualunque cosa si stia parlando, se hai bisogno di aiuto, puoi fidarti
di me».
«Lo so» dissi, ed ero sincero. «Bizzarro.
Non sono
molte le persone di cui ci si può fidare». Gente
come noi. noi Serpeverde non eravamo fatti per cose
così. Io ero mosso dal
desiderio di salvarmi, nulla di eroico, ma mi ero già
convinto, chissà come, di
essere diverso dagli altri. E Astoria, perché lo faceva?
«Forse è meglio così» disse
lei.
«Astoria» dissi, deciso a sfruttare quel momento di
gloriosa sintonia a mio vantaggio, «posso chiederti una
cosa?». Sapevo che la
combinazione della mia voce e di quel momento intenso mi avrebbe
aiutato a
oltrepassare qualsiasi muro.
«Che cosa vuoi sapere?» chiese lei, senza apparente
allarme. Come da manuale.
«Che ne è di tua» esitazione teatrale
perfettamente
naturale, «tua madre?».
Astoria mi fissò, improvvisamente impenetrabile.
«Prego?».
«Ecco, io... mi stavo chiedendo...» accidenti, che
bravo attore ero! «perché ho sentito dire che tua
madre era... ecco... una
persona poco rispettabile?».
«Dove l’avresti sentito?». I suoi occhi
scintillavano, pericolosamente.
«Una zia» dissi, in tono casuale.
Astoria tacque per un istante. «Ognuno ha i suoi
segreti» mi disse poi, quieta. Non chiedeva il mio perdono,
ma non voleva
offendermi. «E in questi segreti, è meglio non
indagare troppo».
Ecco, benvenuti nelle famiglie Serpeverde.
«Come non detto» dissi, sconfitto.
«Grazie» disse lei, tornando alla sua consueta
flemma. «In ogni caso...».
«Astoria, ragazza mia!». La voce gioviale di
Lumacorno ci raggiunse, e dopo qualche istante il suo proprietario fece
lo
stesso. Vedemmo comparire tra alcuni studenti prima il suo ingombrante
giro-vita, e poi il resto del professore di Pozioni, che sorrideva
benevolo
alla mia amica.
«Buongiorno, signore» disse lei rispettosa.
«Professore» dissi freddamente. Lumacorno mi
guardò, come sorpreso di trovarmi lì, poi il suo
viso si illuminò. «Draco, mio
caro ragazzo! È da un po’ che non ho occasione di
fare una bella chiacchierata
con te!».
Visto che dubitavo di aver mai sostenuto una bella
chiacchierata con lui, non sapevo bene che cosa avrei dovuto
rispondergli. In
ogni caso non dovetti pensarci a lungo, perché fu lui a
proseguire
autonomamente. «In effetti, questo è davvero un
caso fortunato» disse, giulivo,
grattandosi la pappagorgia con soddisfazione palese. «Stavo
appunto per
chiedere alla signorina Greengrass se avrebbe partecipato ad una mia
festicciola, la sera prima delle vacanze, e naturalmente mi farebbe
piacere se
tu venissi» e ammiccò nella mia direzione, con
aria complice, «c’è sempre posto
per qualche giovane di talento, naturalmente».
Non potei fare a meno di guardarlo intontito. Per
quanto non fossi un cattivo studente, non ero mai stato un vero talento
– anche
se ultimamente bisognava dire i miei voti erano migliorati, grazie
all’aiuto di
Hermione Granger. Del resto, non ero mai stato metodico nello studio.
C’era
solo una spiegazione – che la mia prodezza nel Quidditch lo
avesse convinto a
riconsiderarmi.
«Grazie, signore» riuscii a dire, mentre Astoria mi
guardava con un sorrisetto.
«Un vero peccato che alcuni dei miei ospiti non
possano venire» disse Lumacorno, teatrale, «ma
sapete, Barnaby Bale ha molto da
fare assieme al Comitato di Cancellazione della Magia Accidentale, e
Gwenog
Jones è piuttosto occupata con gli allenamenti...».
«Un vero peccato, signore» disse Astoria, con voce
atona.
«...e naturalmente c’è Hogg, ma tendo a
non
invitarlo a questi, ehm, piccoli eventi mondani... da quando ha
cominciato i
suoi studi di Antropologia assieme ai Sirenidi, tende a sapere uno
sgradevole
odore di pesce...».
Lasciammo che elencasse infaticabile tutti gli
altri invitati e che ci venisse più volte assicurato che
sarebbe stato un
evento indimenticabile. Alla fine proclamammo – con immenso
rammarico – che
avremmo fatto tardi a lezione, ma Lumacorno commentò ridendo
che non era un
problema, considerato che il professore era proprio lui. «E
del resto penso che
ogni tanto meritiate una piccola pausa, sapete» disse,
strizzandoci l’occhio.
«Ora, se volete scusarmi, devo recuperare alcuni strumenti...» e
si allontanò ballonzolando
verso il suo ufficio.
«Sbrighiamoci» dissi allora ad Astoria, e corremmo
verso i sotterranei, decisi a evitare di incrociare di nuovo il
professore
prima di raggiungere la nostra classe.
«Magnifico. Siamo in orario» commentai allora, e
sbirciando nella classe notai la Granger già seduta sulla
sedia accanto
alla mia.
«Buona fortuna» commentò Astoria con un
altro
sorrisetto, prima di precedermi nell’aula.
NOTA
DELL’AUTRICE
Sono certa
che tutti coloro che mi leggono mi stessero maledicendo con tutta
l’anima XD mi
scuso per il ritardo ma come avrete notato questo capitolo è
lungo quasi il
doppio di uno normale, perciò vale per due ;) avrei potuto
postare la prima
metà e poi continuare a scrivere la seconda, ma non volevo
altri capitoli a
frapporsi tra questo e il prossimo – che sarà
ricco di avvenimenti e
probabilmente altrettanto lungo :P spero che mi perdonerete!
Prima di
cominciare, una piccola puntualizzazione. Penso di non averlo detto in
precedenza, perciò ringrazio per la segnalazione. In
inglese, le sorelle Patil
si chiamano Parvati e Padma, e non Calì e Padma. In effetti,
non ho mai capito
perché lo avessero cambiato. Comunque, visto che i
traduttori si prendono le
loro libertà, me ne sono presa una anche io: ho lasciato
Calì e ho sostituito
Padma con Parvati, un nome che mi piace molto di più.
Perdonatemi per questa
mia libertà XD
Dunque, Draco
ha scoperto come gli toccherà passare le vacanze e non
è molto contento... ma
la verità è che si è troppo rassegnato
per protestare con sufficiente
convinzione. Hermione si è ormai abituata a lui e sa
perfettamente come
gestirlo, perciò l’eventualità di
averlo tra i piedi per due settimane non la
turba poi così tanto. In questo capitolo ci sono, ben
nascosti, parecchi indizi
sia su uno dei segreti di Zabini – ebbene si, questo ve lo
dico, tanto più che
la storia prosegue bene: ne ha due! ;P – e su quello di
Astoria, che sa eludere
con grazia tutte le domande e che mi era un po’ mancata.
Nel prossimo
capitolo: la missione di Draco e Harry alla Gringott, la festa di
Lumacorno, e
infine il fattaccio: l’arrivo a Grimmauld Place! Vi ho
incuriosito?? Ebbene, lo
spero! Ahahahahhhhhh (attacco di asma soddisfatta)
Nota sui
titoli dei capitoli!
BACK TO BLACK
– Ritorno al nero, letteralmente, gioca
sull’assonanza tra le parole “indietro”
e “nero” che in inglese, ve ne sarete accorti, sono
molto simili. E’ un gioco
di parole che non è certo nuovo... penso esista anche una
canzone di Amy
Winehouse con questo titolo? Bah... in ogni caso esprime bene come
Draco
abbia in parte,
anche se diversamente,
subito un ritorno alla sue malvagie origini.
THE SNAKE
STOLE THE SECRET (S.S.S.) – Naturalmente il titolo
è un’altra delle bislacche
sigle in stile Draco. Letteralmente significa “il Serpente
rubò il segreto” il
che mi sembra sia piuttosto azzeccato, no?
COBRAS CRAVE
CHRISTMAS (C.C.C.) – Ebbene si, un altro titolo in stile
sigla XD questa volta
il significato letterale è “i Cobra smaniano per
il Natale”, il tutto con
relativa assonanza delle C iniziali.
|
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Capitolo 19 *** M.U.D.B.L.O.O.D., or ***
MUDBLOOD
Percorrevo Diagon Alley in incognito – il che vale
a dire, imbottito di Pozione Polisucco – e a passo spedito. Doveva sembrare che
fossi ubriaco, perché di tanto in tanto, improvvisamente, facevo un passo di
lato; in realtà ero impegnato a cercare di urtare Potter che mi seguiva celato
dal suo prezioso Mantello. O per sfortuna, o per l’abilità di Potter
nell’essere sempre nel punto sbagliato rispetto ai miei progetti, non ci ero
ancora riuscito.
La chiave mi rimbalzava sul petto ad ogni passo. Era
snervante, gelida com’era. Impossibilitato a
sfogarmi sul mio sgradito compagno, comunque, non mi restava che fare
buon viso a cattivo gioco nonostante la sensazione che qualcosa sarebbe andato
inesorabilmente storto. Quando Potter programmava qualcosa solitamente
sbagliava, giusto? E la mia presenza non era quella più gradita alla Dea
Bendata.
«Ci siamo» mormorai, nervoso, quando la Gringott
apparve in tutta la sua magnificenza; Potter mi sfiorò la spalla, forse per
incoraggiamento, forse solo per dimostrarmi che le mie preghiere riguardo al
perderlo per strada non erano giunte a destinazione. Visto? La Fortuna non era
dalla mia, decisamente.
La Gringott era un edificio decisamente imponente,
e non è che casa mia fosse stata uno stanzino per le scope. Mio padre mi aveva
raccontato che la banca era stata costruita con l’ausilio di draghi, e di
qualche schiavo Babbano crudelmente sottopagato, ma a posteriori mi ero
convinto che il suo fosse stato un racconto di propaganda. Perché mai avremmo
dovuto avere bisogno di draghi, o di Babbani, quando potevamo fare qualunque
cosa con una semplice bacchetta?
Quando mi avvicinai alla soglia, notai due
guardiani con dei Sensori. Mi innervosii. Naturalmente, quando il giorno prima
avevamo pianificato la nostra strategia, l’avevamo previsto. Questo non
cambiava il fatto che affidarsi a Potter fosse decisamente sgradevole. Per
l’ennesima volta, mentre salivo i gradini di marmo bianco, mi ritrovai a
pensare quasi con rimpianto alla Granger. Non era certo un’amica da portare a
casa per il the, ma quantomeno potevo presumere che sarebbe stata in grado di
coprirmi le spalle. Ancora mi sfuggiva come del vero talento – e perfino io
avevo dovuto arrendermi e riconoscere che ne possedeva parecchio, con tutto
quello che era capace di fare – fosse stato destinato a una misera Babbana.
Forse, riflettei amaramente, mentre mi accostavo ad una delle guardie pregando
che Potter non fallisse, forse, dicevo, aveva preso il talento di Potter e
Weasley alla nascita. Avrebbe spiegato molte cose.
Tuttavia le guardie sussultarono proprio mentre
quella più vicina si accingeva a esaminarmi, cosicché Barry White, in missione
per il Ministero della Magia, passò indenne i controlli insieme al suo alleato
invisibile.
Attraversammo l’enorme atrio in silenzio. Potter
doveva essersi allenato per anni a intrufolarsi in giro dove era sgradito
(leggi: ovunque), perché non faceva quasi rumore. In effetti, il lieve fruscio
che udivo avrebbe potuto essere semplicemente l’eco dei miei passi sui rombi
bianchi e neri. La Banca sembrava vuota; perfino tra i folletti non c’era la
stessa agitazione febbrile. Alcuni stavano esaminando monete che non avevo mai
visto prima, altri scartabellavano assenti tra alcuni documenti, e tutti mi
lanciavano occhiate sospettose che mi sforzai di ignorare.
«Salve» dissi sbrigativo a un folletto
particolarmente imbronciato che sedeva accanto all’ingresso delle camere.
Questi si tolse un paio di occhialini con le lenti ingiallite e appannate per
esaminarmi. «Che cosa desidera?» gracchiò, sgarbatamente.
«Il mio nome è Barry White» dissi, in tono pratico.
«Sono qui per conto del Ministero della Magia. Ho l’incarico di esaminare una
delle vostre camere blindate».
I suoi occhi brillarono maligni. «Non so se il Ministero ne sia al corrente» disse, con
un ghigno, «ma i nostri già elevati standard di sicurezza sono stati rafforzati
tenendo conto dei recenti... disordini».
«E con ciò?» chiesi, tra l’annoiato e lo
sbrigativo. Se c’era una cosa che sapevo fare, era recitare, senza dubbio.
«E con ciò» fu la risposta melliflua, «temo che
neanche il Ministro in persona abbia il permesso – o le facoltà – per penetrare all’interno di una camera che non sia la
propria. Senza chiave...».
«Credo che lei sottovaluti l’influenza del
Ministro, o le capacità dei nostri Auror» feci, molto amabile, e mi sfilai da
attorno al collo la chiave, mostrandola al folletto con un certo trionfo. «Naturalmente
abbiamo provveduto ad avere la chiave, che ci è stata ceduta in maniera
perfettamente legale».
Il folletto fece la stessa faccia di chi ha appena
mangiato un piatto di Caccabombe. «Molto bene» disse, con riluttanza, e il suo
sguardo aveva una luce vendicativa a malapena tenuta a bada. «Posso vedere la
chiave..?». Gliela consegnai, fingendomi spazientito, e nel frattempo il mio
cuore aveva ormai raggiunto il pomo d’Adamo. Se quelli stupidi dell’Ordine
della Fenice avessero anche solo potuto immaginare quello che stavo facendo per
loro, avrebbero strisciato a terra baciandomi i piedi.
«Unci unci!» sbottò il folletto all’improvviso. Non
conoscevo il Goblinese, quindi lo guardai vacuo, quasi aspettandomi di ricevere
la traduzione di quella che aveva tutta l’aria di essere un’imprecazione. «Ehm,
come dice?».
Un altro folletto giunse trafelato, facendomi
capire che “Unci-unci” altro non era che un nome. «Eccomi» lo sentii borbottare
scontento.
«Accompagna i signori alla camera...» l’altro
folletto si interruppe per esaminare la chiave, alla ricerca di un numero.
«289» dissi, pacato.
«Certo» fece Unci-unci, chinando servilmente il
capo. Mi ripresi la chiave e lo seguii al di là di un massiccio portone di
legno, oltre il quale ci aspettava uno dei famigerati carrelli della Gringott.
Non il mio mezzo di trasporto preferito, e questa volta mia madre non mi aveva
praticato nessun incanto anti-nausea. Con una smorfia salii, scivolando a lato
affinché Potter potesse accomodarsi a sua volta. Unci unci mi guardò
interrogativo, ma non fece domande.
«Si tenga forte, prego» disse il folletto. Quando
il carrello partì, schizzando lungo uno degli innumerevoli binari, non riuscii
a soffocare un gemito. Il semiumano mi guardò, divertito. «Non vi abituate mai,
eh?» chiese.
«Già» dissi, laconico.
Dopo un minuto che a me parve interminabile, e
diversi cambi di binario, la velocità parve ridursi. «Fortunatamente per lei,
tendiamo a ridurre la velocità in questa zona» commentò infatti il folletto,
con aria giuliva. «I binari sono vecchi, anche se li curiamo regolarmente. Non
sono fatti per sostenere alte velocità. Del resto, questa è una zona piuttosto antica».
«Si, lo è» dissi, dissimulando a fatica una nota di
orgoglio. In fondo, era pur sempre la camera di famiglia, una camera antica
quanto il lignaggio dei Black. E dei Malfoy, naturalmente. Che poi fosse il
nascondiglio dell’anima di Lord Voldemort era un’altra faccenda, anche se non
tutti l’avrebbero vista allo stesso modo.
«Non sarà facile perquisire la Camera» commentò il
folletto con aria esperta. «Solitamente queste camere blindate appartengono a
famiglie molto influenti, che di sicuro avranno preparato qualche maleficio per
proteggere i loro tesori. Se loro si
possono chiamare» borbottò alla fine, scontento. Conoscevo il punto di
vista dei Goblin sui manufatti da loro creati e ceduti alla Comunità Magica.
Qualunque folletto fosse entrato a casa mia avrebbe probabilmente avuto una
sincope solo all’ingresso, di fronte a un bellissimo stemma di famiglia di
Adamante di manifattura folletta.
«Immagino» sospirai. La Granger aveva trascorso ore
a vessarci su possibili minacce e contro incantesimi. Aveva perfino scoperto di
alcuni sistemi standard della Gringott per la sicurezza dei depositi, e ci
aveva premuniti con cura. Salvo poi mandarmi in missione con Potter. Alzai gli occhi al Cielo al
pensiero.
«In ogni caso, sarò a sua disposizione per
qualsiasi cosa» aggiunse Unci-unci, «anche se immagino dovrò rimanere fuori,
mentre operate la vostra perquisizione».
«Si, se non le dispiace» risposi umilmente, «sa, il
Protocollo...».
«Nessun problema. La Gringott non intende
immischiarsi con gli affari del Ministero. Avete la chiave, avete il diritto di
entrare. Nessun motivo di immischiarsi». Se così non fosse stato, avremmo
probabilmente avuto un sacco di rogne. Del resto, si supponeva che la chiave
fosse custodita gelosamente dai loro proprietari; era difficile che qualcuno
gliela sottraesse con la forza o l’inganno.
«La ringrazio» mormorai. Avevo udito un fragore in
lontananza, e pur immaginando di che si trattasse, avevo sperato di non
imbattermici. Imprecai mentalmente, ma fui pronto a reagire. «Non... non mi sento
tanto bene» dissi con voce flebile, e non finsi l’espressione nauseata.
«Capita spesso».
Presi un respiro tremulo assolutamente credibile,
mentre mi sforzavo di impallidire. «Penso... che potrei vomitare» biascicai. Lo
pensavo davvero, ma speravo di non averne bisogno.
«Fuori dal carrello, perfavore» disse Unci-unci con
calma. Non era di sicuro la prima volta che qualcuno rischiava di rimettere sul
carrello. Evidentemente ai folletti non importava granché.
Ubbidii. Mi sporsi fuori dal carrello, dietro di
me, dando le spalle a Unci-unci. Finsi di respirare affannosamente, e mi
contrassi come per un conato. Il rumore della cascata era sempre più forte.
Solitamente veniva utilizzata solo quando si temeva la presenza di intrusi
mascherati, ma con i Signori Oscuri che correvano qua e là per la Gran Bretagna, non mi stupiva che
avessero deciso di mantenerla in funzione.
«Ha finito?».
«Non... saprei...» mugolai, fingendo di essere
scosso da un altro conato. In quel momento la cascata ci investì in pieno. Appena
fu passata, agii. Dentro la manica del cappotto avevo una piccola boccetta. Era
Pozione Polisucco. Ne ingoiai un sorso. Barry White aveva avuto i capelli del
mio stesso colore biondo, più o meno della mia stessa lunghezza, anche se
pettinati atrocemente. Dubitavo che passando per la cascata Unci Unci si fosse
accorto del cambio impercettibile della mia nuca. Finsi di essere squassato dal
conato peggiore, poi rimasi accasciato contro il bordo del carrello, sentendo
di essere tornato Barry White. Il trucco della Granger era semplice, ma
geniale. E sapete che non amo adularla.
Alla fine mi voltai, esausto. «Terribile» dissi,
con un filo di voce.
«Siamo quasi arrivati» chiese Unci-unci, che si era
rilassato quando aveva visto che Barry White era ancora Barry White.
«Grazie a Dio» dissi, con vera gioia. Fui il primo
a scendere da quel maledetto arnese. Unci-unci trotterellò verso la porta, e io
ebbi tutto il tempo di fissarla. Non ero mai stata della camera dei Black – ora
quella dei Lestrange.
«La chiave, prego» disse il folletto, tendendo una
mano. «E se fosse così gentile da prendere la lampada...».
«Certo. Nessun problema». Mentre guardavo per
terra, vidi che il pavimento era rovinato. Mi sforzai di capire che cosa
fossero, esattamente, quei solchi profondi nel terreno. Il mio cervello ci mise
un po’ per realizzare che si trattava di graffi. Lasciati da qualcosa di
enorme.
«Ehm... ci sono Draghi, qui?» chiesi, guardandomi
attorno con un certo nervosismo.
«Si, naturalmente. Questi sono i livelli più
profondi. Tuttavia hanno udito il rumore dei sonacci» e li indicò, appesi alla
cintura. Ecco che cos’era quel rumore. «Per qualche minuto staranno
tranquilli».
«Magnifico» commentai. Draghi. Me l’ero aspettato,
ma pregavo che i sonacci funzionassero.
«Prego, entri. Io resterò qui fuori, la porta
socchiusa».
«La ringrazio». Unci-unci spalancò la porta, e io
attesi un istante prima di varcarla, in attesa che Potter entrasse. Un fruscio
mi avvertì che così era, e con dignità feci lo stesso. Quando la porta si
socchiuse, lasciandomi solo, puntai la bacchetta verso di essa e scandii:
«Muffliato».
Quando lo ebbi fatto, Potter riapparve da sotto il
Mantello. Anche lui aveva preso la Pozione, così che ora non si trattava di
Potter, ma di Donald Northernand. «Ce l’abbiamo fatta» disse, risoluto. «Ora,
come procediamo?».
«Non hai ascoltato la Granger che ciarlava? Meno
male che io l’ho fatto» lo provocai. Potter era ottimo, come valvola di sfogo.
«Malfoy, non rompere» disse lui.
«E tu non toccare nulla. non sappiamo ancora se ci
sono maledizioni». Estrassi nuovamente la bacchetta. «Specialis Revelio!».
L’incantesimo non rivelò incanti, ma questo non significava nulla. alcuni
incanti non reagivano a questo genere di magia.
«Vedi la coppa da qualche parte?».
«No, non la vedo» dissi. «E tu?».
Potter non aveva un occhio di falco. Strizzò gli
occhi e si guardò attorno con aria perduta. «Non saprei» disse.
«Ok. Prova a prendere una di queste monete. E vedi
di non rubarla, Potter, anche se a Weasley farebbero comodo».
«Ah-ah» disse Potter, sprezzante. Però si chinò e
fece quello che avevo detto, la bacchetta pronta. «aargh!». La lasciò andare
subito dopo. Lo guardai. «Scotta» mi informò, massaggiandosi le dita doloranti.
«Magnifico. Quante belle notizie» borbottai.
«Ne vuoi un’altra?» mi chiese lui. Senza capire
guardai il punto a terra che aveva indicato. C’era una manciata di galeoni.
«Non capisco, Potter. Non hai mai visto un Gale...».
«Si è replicato» mi interruppe lui, inorridito.
«Come?».
«Si è replicato!» sibilò lui. «Guarda!». Ne prese
uno in mano, a fatica, e lo gettò in mezzo agli altri. questa volta vidi
chiaramente il Galeone dividersi a mezz’aria. «L’incantesimo Gemino» imprecai.
«Ottimo. Non toccare nulla, Potter. Non vorrei finire schiacciato dai gioielli
di famiglia, se non ti spiace»
«Che cosa facciamo, ora?» disse lui, meditabondo,
indietreggiando di un passo.
«Non possiamo frugare in mezzo a quella pila,
naturalmente» proseguì. «Ma forse, l’Incantesimo di Scudo potrebbe
proteggerci».
«Fino a un certo punto. Non potremmo comunque
toccare nulla».
«E allora
che cosa proponi?» chiese Potter.
«Che diavolo ne so? Dobbiamo trovare la Coppa, o mi
sbaglio?» dissi, acido. «Qualcosa ci inventeremo».
Potter sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
«E’ impossibile evitare di toccare qualcosa. L’unica soluzione sarebbe volare.
Non è che avete delle scope, qui dentro, vero?». Sbuffai. «Naturalmente. C’è
bisogno di tenere un manico di scopa in una delle camere più preziose della
Gringott».
«Quando si tratta di te, Malfoy, tutto diventa
sgradevolmente difficile».
«Sai, Potter, sarei ben lieto di stare davanti al
fuoco della mia Sala Comune, adesso, anziché uscire con te. magari non te ne
sei accorto, ma non sei il mio tipo» ironizzai, mentre mi guardavo attorno.
Potter sospirò di nuovo, vagamente esasperato.
Quando parlò, però, il tono era quasi pensoso. «Sai, Malfoy, ogni tanto mi
domando come faccia Hermione a sopportarti».
«Probabilmente è merito del mio fascino, Potter.
Non tutti hanno lo charme di una scimmia» replicai.
«Io mi sforzo di essere collaborativo, almeno»
replicò lui piccato.
Touchè.
Stavo per replicare, anche se non sapevo
esattamente che cosa dire, quando qualcosa riscosse la mia attenzione. Toccai
appena Potter sulla spalla, e indicai uno scaffale, dove qualcosa di particolarmente
lucente aveva attirato la mia attenzione. Era una coppa di dimensioni modeste,
apparentemente fatta tutta d’oro, che sembrava brillare di luce propria.
Improvvisamente sentii un brivido.
«la Coppa!» esclamò lui, confermando i miei
sospetti. Mancava soltanto una scritta lampeggiante che recitava “Malefico
Artefatto Mortale”. Al Signore Oscuro si potevano muovere diverse critiche, ma
di sicuro meritava il premio per la scenografia.
«Come accidenti la recuperiamo?» mormorò Harry
Potter, sconfortato, esaminando i cumuli di monete che ci distanziavano
dall’oggetto.
Buona domanda, purtroppo. Per una volta, quasi
pensai che sarebbe stato bello possedere la camera dei Weasley. Probabilmente a
frapporsi tra me e il tesoro ci sarebbero stati solamente una manciata di
Galeoni, e un paio di Zellini ammaccati. Era anche vero che probabilmente i
Weasley avrebbero già venduto la coppa da un pezzo per comprarsi da mangiare.
Sfortunatamente, ero ricco. Tutta la mia famiglia
lo era. Pensai, con una certa amarezza, che quella fortuna comprendeva tutti i
regali di Natale e compleanno che quei pidocchiosi dei miei zii non mi avevano
mai fatto, marcendo ad Azkaban. Se fosse finita bene, magari, gli avrei mandato
un cesto per le feste natalizie, con dentro un po’ di pane muffito. E un
cartello: CON I VOSTRI FOTTUTI SOLDI HO COMPRATO UN NUOVO STORMO DI PAVONI.
Sono certo che i miei avrebbero apprezzato, per quello che valeva. Chissà,
magari avrebbero potuto usarli come sostentamento, visto che probabilmente
neppure loro avrebbero avuto la faccia tosta di uscire in pubblico dopo la
sconfitta di Voi-sapete-chi.
Potter aveva davvero ragione. Avremmo dovuto
volare. Dubitavo di saper Evocare una scopa dal nulla, e non potevamo toccare
nessuno degli oggetti contenuti della camera. Maledetti Incanti Anti-Traditori.
Incanti Anti-Traditori.
Mi voltai verso Potter, e realizzai con un certo
sgomento (oh, e va bene, anche con una certa delusione) che doveva essere
arrivato alla mia medesima conclusione. «Il Levicorpus» mormorò lui, e quasi lo
affatturai. Avrei voluto essere io a dirlo.
«Mi hai letto nel pensiero» dissi, su di giri.
«Avanti, Malfoy» disse Potter. «Fallo».
In effetti sarebbe stato eccellente. Non solo
potevo appendere Potter per una caviglia, ma evitavo di essere investito in
pieno da una maledizione toccando il prezioso manufatto. «D’accordo» dissi, con
un ghigno. È proprio vero, la felicità si trova nelle piccole cose. Alzai la
bacchetta e la puntai verso di lui. «Levicorpus» dissi, solennemente.
Niente. E quando dico niente, è niente.
Io e Potter ci guardammo, e io entrai in panico.
Perché, perché proprio in quel momento..?
«Riprova» disse lui guardando l’orologio, ansioso.
«Levicorpus» ripetei.
Zero.
«Merda!» imprecai.
«Perché non funziona?» chiese Potter, perplesso.
«Lascia perdere» dissi io, rabbioso. Perché la mia
stupida bacchetta non funzionava? Aveva servito i Malfoy per generazioni. Era
stata la bacchetta di mio padre, e l’avevo ricevuta il primo giorno di scuola.
Era con me da anni, mi aveva scelto,
esattamente come aveva scelto a suo tempo decine di miei avi.
Che cosa
c’era di sbagliato in me?
Chiusi gli occhi, le tempie che pulsavano. Non
potevamo restare lì tutto il giorno. La Polisucco, inoltre, avrebbe terminato
il suo effetto entro una mezz’ora, e avrei dovuto affidarmi all’ultimo sorso.
Dovevo berlo solo passata la cascata, però, altrimenti sarebbe stato tutto
vano. Soprattutto, però, volevo una cosa: cancellare quella voce che sussurrava
maligna al mio orecchio.
«Vaffanculo» proclamai, e Potter mi guardò come se
non credesse alle proprie orecchie. Forse pensava che stessi insultando lui, ma
non era così. Per quello c’era tempo. «Potter, renditi utile. Fammi volare» gli
dissi, risoluto. Oh, e va bene, non ero affatto risoluto. Il rischio di
prendermi una maledizione in faccia era alto. Non che avessi molta scelta,
comunque. non potevo tornare indietro a mani vuote. Non quando il Signore
Oscuro non poteva essere sconfitto altrimenti. Me la stavo facendo addosso, ma
non ero affatto disposto a mostrarlo a Potter Perfettino (P.P. per Purosangue
Fallimentari) che aveva dalla sua una lunga lista di bravate eroiche con le
quali sotterrarmi.
«Cosa?».
«Mio Dio, oltre ad essere cieco sei anche sordo?»
sibilai. «Usa il Levicorpus!».
«Ma sei sicur...».
«Potter, eventuali obiezioni a dopo che ti sarai reso utile, grazie» sputai, il cuore in gola.
Speravo di arrabbiarmi. Così magari sarebbe passata la paura.
Quando Potter mi fece sollevare, strillai. Avevo
dimenticato quanto potesse essere
sgradevole quella atroce sensazione. Il sangue cominciò subito ad andarmi alla
testa, sicché con il mio colorito avrei potuto mimetizzarmi tra una banda di
Weasley.
«Avvicinami alla Coppa!» biascicai, guardando
Potter che mi fissava imbambolato.
«Ehm...». Potter sembrava in difficoltà. naturalmente
non ne era capace. Certo, non avrei dovuto essere io a dirlo, ma quando si è un
Serpeverde appeso a testa in giù e prossimo a tradire i propri ideali, o
presunti tali, ti pare di avere ogni diritto. «Prova a muovere la bacchetta!»
ordinai, la testa che pulsava dolorosamente. La vista si era fatta meno chiara.
Potter obbedì, e chissà come, finalmente mi mossi.
Goffamente, mi diresse verso lo scaffale con sopra la Coppa, mentre io avevo la
sensazione che la testa mi sarebbe esplosa. Ad una spanna dal raggiungerla con
le dita, tuttavia, mi arrestai. Senza capirne la ragione, mi guardai
confusamente intorno; la mia posizione, e il sangue che si concentrava sul
capo, mi stavano facendo perdere l’orientamento. Prima scorsi con difficoltà
Potter, che guardava inorridito verso la porta. Poi vidi Unci-unci, sulla
soglia, lo sguardo che correva da me a lui.
Il folletto parve indeciso per un istante, ma alla
fine parve decidersi. Si fermò per raccogliere la lampada che aveva lasciato
cadere e poi la scagliò verso Potter. Lui reagì senza pensarci con un
Incantesimo di Scudo, ma così facendo mi lasciò andare. Precipitai per un paio
di metri, grazie a Dio senza colpire l’oro con la testa. chiusi gli occhi,
aspettandomi il calore rovente e i Galeoni che mi sommergevano, ma tutto era
tranquillo.
Mi guardia attorno. Nulla si era moltiplicato.
Presi in mano un Galeone. Nulla. era una semplice moneta. Alzai gli occhi al
Cielo. Naturalmente. In fondo ero uno di famiglia. Perché non ci avevo pensato prima? In fondo mia madre lo avrebbe
saputo, se per me ci fosse stato pericolo.
Potter stava lottando a corpo a corpo con
Unci-unci. La sua bacchetta era a terra poco più in là. Sperando che riuscisse
a tenerlo a bada almeno per un po’, afferrai un disco di bronzo – ma da dove
diavolo l’avevano preso, i Lestrange? – e lo scagliai con forza verso la Coppa.
L’urto fu molto rumoroso, ma la Coppa traballò e come sperato finì per cadere.
Mi feci strada incespicando fino ad essa e la infilai nella tasca interna dei
pantaloni. Poi corsi verso i due litiganti.
Unci-unci era riuscito a liberarsi e aveva
giudicato, evidentemente, che fosse opportuno per lui correre ad avvisare le
autorità. Potter lo aveva rincorso e placcato, almeno a giudicare dal rumore di
corpi che colpivano fragorosamente l’atrio di fronte alla porta. I Sonacci
emisero un rumore fragoroso.
Raccolsi la bacchetta di quell’idiota di Potter,
poi mi precipitai fuori dalla porta. Nel farlo, colpii col piede i Sonacci
caduti dalla cintura del Goblin. Questi schizzarono in avanti, e caddero
nell’abisso sotto la ferrovia, ma non me ne curai, perché in quel momento
scivolai. Rotolai in avanti, e vidi il baratro avvicinarsi pericolosamente.
Riuscii a fermarmi cercando di conficcare le unghie sulle profonde incisioni
sul pavimento, che bastarono ad aiutarmi.
Mi rimisi in piedi a fatica, allontanandomi dal
vuoto, e corsi verso Unci-unci, che sembrava propenso a strangolare Potter. Se
la cosa fosse stata meno seria, probabilmente avrei considerato con un ghigno
la possibilità di dargli una mano.
«Stupeficium!» strillai, e l’Incantesimo,
pronunciato con la mia bacchetta senza neppure pensarci, ebbe successo.
sospirai di sollievo mentre il folletto si accasciava svenuto di fronte a
Potter, che respirava affannosamente.
Con mani tremanti, gli restituii la bacchetta,
osservando con il cuore in gola il corpo esanime del folletto.
«Pensi che ci abbiano sentiti?» mormorò Potter.
«Non penso. Siamo molto in profondità» risposi, la
voce traballante. Con un calcio girai Unci-unci a pancia in su, e lo guardai
con infinito disprezzo. «Feccia della peggior specie» commentai alla fine, e
sputai di fianco al Goblin con stizza.
«Non capisco» disse Potter, lo sguardo vacuo.
«Perché ci ha attaccati? Mi ha riconosciuto, di certo non poteva pensare che
aiutassi Voldemort, no?». Ero troppo scosso per fare caso più di tanto a quel
nome. Mi limitai a ridere.
«Forse tu e la tua amichetta Granger potete ancora
credere nell’uguaglianza delle creature magiche» dissi, con superiorità, «ma i
Goblin sono esseri della peggior specie. A loro non interessa la politica
umana, importa solamente l’oro. Per loro siamo tutti traditori che li hanno
privati della magia e dei loro tesori, e non sono disposti ad ascoltare
ragioni».
«Anche noi ci siamo comportati male con i Goblin»
obbiettò lui.
«Già. E quanto spesso appendevamo le loro teste ad
essiccare sulle picche?» chiesi, sarcastico. Il motivo per cui ero tanto
ferrato sulle rivolte Goblin? Una volta mio padre aveva dovuto tenere un
discorso in proposito, al Ministero. Si era esercitato in casa per settimane.
«In ogni caso» lo bloccai prima che continuasse,
«non c’è tempo per questo». Mi inginocchiai accanto alla creatura, alzando la
bacchetta, pronto a farlo rinvenire.
Tum.
Il pavimento tremò, facendomi perdere l’equilibrio.
Caddi addosso ad Unci-unci, e mi scostai in fretta e furia.
Tum.
Mi guardai attorno, mentre nella mente si
affollavano i peggiori sospetti.
Tum.
Tum.
«Drago!»
gridò Potter.
Oh, certo. Naturalmente.
Emerso dalle ombre buie di un buco oscuro lì
vicino, c’era il drago. Era un animale piuttosto vecchio, ma robusto e
evidentemente in forze. Gli occhi bianchi indicavano che era cieco; chissà da
quanto non vedeva la luce del sole. Tuttavia faceva impressione, con il muso
coperto di vecchi squarci ormai cicatrizzati, e quell’aspetto di animale in
trappola che riuscivo a riconoscere fin troppo bene.
Potter si mise in guardia, la bacchetta pronta. Io,
invece, strillai, indietreggiando. Si, lo so, coraggio, nobiltà, eccetera.
Tutte cose molto belle, niente da dire. E quanti di voi hanno avuto a che fare
con un drago incazzato, di recente?
Inutile dire che la mia mossa poco felice servì
unicamente ad attirare su di me l’attenzione dell’animale. Vidi il suo testone
enorme scattare nella mia direzione. «Eeek!» squittii, lasciando cadere la
bacchetta e indietreggiando. La bestia fece un paio di passi verso di me. Aveva
entrambe le zampe legate con pesanti e robuste catene, e segnate da piaghe – in
quel momento però non ero affatto simpatetico.
«Potter!» strillai, e l’altro, come risvegliatosi
dalla sua meditazione, lanciò un paio di Schiantesimi che lo raggiunsero
colpendolo sulla schiena. Il mostro neanche si voltò. Continuai a
indietreggiare, e inciampai sul corpo esanime di Unci-unci, cadendo di culo per
terra. Forse potevo fingermi morto, ma non mi andava di espormi a quelle fine
di denti aguzzi. Continuai a indietreggiare da terra, strisciando come un ragno
ubriaco. «Potter!» chiamai di nuovo, allarmato. Non era lui quello dei
salvataggi? Perché diavolo ci metteva tanto?
Le catene del drago non erano abbastanza lunghe da
permettergli di raggiungere l’estremità opposta del piazzale, ma questo non
significava granché. Quel dannato coso avrebbe potuto sputare fuoco per
centinaia di metri, e non era escluso che riuscisse a frustare tutto il
perimetro con la sua coda possente.
Potter corse nella mia direzione, continuando a
scagliare incantesimi. Uno colpì il muso del drago che per tutta risposta ruggì
e si concentrò finalmente su di lui. Mentre faceva per avvicinarsi al
Grifondoro, mi resi conto che continuando ad avanzare in quella direzione
avrebbe finito per schiacciare il folletto, che ancora non si era ripreso.
Riflettei un istante, incerto.
Un passo del drago.
Un altro passo.
Un altro ancora...
«Merda» mormorai, e strisciai in avanti, sperando
che il drago non badasse a me. Agguantai quel dannato folletto per il colletto
e tirai con tutte le mie forze. Si mosse, anche se meno di quanto speravo.
Pesava un accidente. Tirai di nuovo, e il corpo scivolò ancora sul pavimento.
Osai alzarmi in piedi, e puntellandomi a terra con i piedi tirai così forte che
quasi persi l’equilibrio mentre l’essere slittava finalmente via dalla
traiettoria del drago, irresistibilmente attratto da Potter. Quest’ultimo si
muoveva da un lato o da un altro, come aveva fatto quella volta, anni prima, al
Torneo Tremaghi. questa volta però non aveva una scopa, né Allevatori pronti ad
aiutarlo.
Con un calcio spinsi il folletto contro il carrello
della Gringott. Per un istante pensai di caricare il goblin su di esso,
azionare il congegno – sempre che ne fossi capace – e scappare. Il drago
probabilmente temeva quell’arnese, e non ci avrebbe comunque potuti seguire. Ma
a che sarebbe servito? Senza Potter, comunque, le nostre speranze si sarebbero
infrante, purtroppo.
Inoltre non potevo certo lasciarlo lì... oh,
d’accordo, ero seriamente tentato di farlo. Se Potter avesse fatto il gesto di
correre verso il vagone, probabilmente il drago sarebbe partito
all’inseguimento. In effetti non so che cosa mi trattenne lì, ma all’improvviso
ebbi un’idea. Sgusciai in silenzio vicino al corpo del mostro, che mi dava le spalle. Individuai la mia bacchetta e
cominciai ad aggirare il drago. Quando sia lui che Potter furono visibili, mi
rivolsi a lui, sperando che il drago non mi badasse.
«Potter» dissi, a voce alta, ma non troppo. «Quando
te lo dico io, indossa il Mantello, e corri verso il vagone».
Lui mi guardò solamente un istante, incerto. «Che
cosa vuoi fare?».
«Fallo e basta!» sibilai, esasperato. Mentre lui
continuava a scagliare incantesimi contro il drago, che tuttavia si avvicinava
progressivamente, io tesi la mano verso la bacchetta. «Ora!» urlai, quando
l’ebbi stretta in pugno. Potter, pronto, svanì. Come speravo, l’animale fissò
il punto dove fino ad un istante prima c’era stato il Grifondoro, confuso. Per diversi
istanti, parve incerto sul da farsi. Io intento indietreggiai prudentemente. Ero
giunto a pochi metri dal vagone, quando sfortunatamente il bestione decise di
guardarsi alle spalle. Potter intanto stava issando il folletto esanime sul
carrello.
Questa volta però ero pronto, o meglio, l’adrenalina
mi aveva reso tale. «Eructo!» declamai, puntando la bacchetta ai piedi del
drago. Mentre il terreno si gonfiava ed esplodeva
sotto di lui, schizzai verso il carrello e vi saltai dentro. «partipartiparti!»
implorai Potter, che prontamente premette una delle leve azionando il carrello,
partimmo a tutta velocità, inseguiti dalle urla impotenti del drago.
«Sta funzionando?» balbettai, quando fui in grado
di parlare, indicando il carrello. Avevamo appena superato la cascata. Presi la
boccetta di Pozione Polisucco, e nonostante temessi di vomitare, ne ingurgitai
il contenuto.
«Penso di si» mormorò Potter, provato.
Mi schiarii la voce. Tremavo da capo a piedi. Puntai
la bacchetta verso Unci-unci. «Innerva» dissi, con voce roca, e Unci-unci
sussultò, aprendo gli occhi. «Oblivion» dissi allora, con voce meno insicura
nonostante la nausea crescente. Gli occhi di Unci-unci, che avevano appena
ritrovato il fuoco, si fecero come opachi.
«Barry White stava uscendo dalla camera blindata,
sotto la tua supervisione, quando ti sono scivolati di mano i sonacci. Il drago
ci ha aggrediti, e per salvarci, ho utilizzato l’Incanto Eructo. Non era
presente nessun altro a parte noi, e non hai visto nulla di strano. Eri presente
per tutto il tempo della perquisizione, e non ti risulta che io mi sia
appropriato di un qualsivoglia oggetto, o che abbia mentito in alcun modo».
«No, naturalmente no» disse Unci-unci, meccanicamente.
Potter intanto si era rimesso il Mantello in
silenzio. conclusi l’incantesimo e Unci-unci si riscosse, come appena svegliato.
«Diceva?» disse, guardandomi come se si fosse perso l’ultima frase di un mio
discorso.
«Che spero che tu non abbia sbagliato strada»
biascicai, verde di nausea.
Unci-unci guardò fisso di fronte a sé, e scosse il
capo. «E’ la strada giusta» confermò. «Due minuti e saremo in superficie. Cerchi
di non vomitare, prego».
«Farò del mio meglio» mormorai, osservando verso l’alto.
Cominciava a intravedersi la luce.
Quando vidi Harry e Malfoy comparire nella Stanza,
mi alzai di scatto in piedi. Erano in ritardo di ore, sporchi e ammaccati, e per di più esausti. Era evidente che
non tutto era andato come previsto. Ron accanto a me stringeva nervosamente la
bacchetta, come se avesse avuto paura di un tranello.
Corsi loro incontro, e buttai le braccia al collo
di Harry. Malfoy ci guardò con una smorfia, senza commentare. Sembrava spossato,
aveva una guancia gonfia, e i vestiti insudiciati. «Dove diavolo eravate finiti?» domandai loro con voce stridula.
«Oh, sai, ci siamo fermati a fare un picnic nel
bosco» fu la risposta pungente di Malfoy, la cui voce tradiva una nota di
orgoglio.
«Va tutto bene, Hermione» disse Harry, sorridendo.
Dalla tasca estrasse un grosso oggetto lucente; la Coppa di Tosca Tassorosso,
nonché Horcrux, aveva un aspetto bello ma anche sinistro. «L’avete presa!»
esclamai, ricadendo a sedere sconvolta.
«Perché, avevi qualche dubbio?» fece Malfoy, ma il
modo in cui si accomodò sul divano (a debita distanza da Ronald e me,
naturalmente) rivelava che tutta la sua spavalderia non gli aveva risparmiato
qualche bel livido. Posò la testa sul bracciolo e sbadigliò.
«Non è stato facile» disse Harry, appollaiandosi
sul bracciolo accanto a Ron, e passandosi una mano tra i capelli neri e
scarruffati. Quelli di Malfoy avevano perso la loro consueta piega e stavano in
parte scomposti, in parte flosci davanti agli occhi, in parte ritti come dopo
la visita di un Gramo. Speravo che incontrasse qualcuno, mentre andava al
dormitorio.
Harry passò i dieci minuti successivi a raccontare
nel dettaglio la loro avventura. In effetti non era andata tanto male, specie
se erano riusciti a mantenere segreta la loro identità. Ron sembrava sospeso
tra l’invidia e l’ammirazione, ma le occhiate che lanciava a Malfoy mi facevano
intuire che stava cercando di prendersela con lui in qualche modo. «E se
Unci-unci ricordasse quello che è successo?» argomentò alla fine del loro
racconto.
«Ne dubito» disse Malfoy, senza degnarlo di uno
sguardo, gli occhi ancora chiusi. «Gli Incantesimi di memoria non sono facili
da superare, sapete».
«Voi-sapete-chi ci è riuscito però, no?» disse Ron,
poco convinto, guardando me come alla ricerca di un appoggio. «Insomma, Bertha
Jorkins gli ha detto tutto sul Torneo Tremaghi, giusto?».
«Si, ma dubito che Voi-sapete-chi decida di passare
le vacanze alla Gringott a torturare Goblin» ragionai io. «Insomma, Malfoy ha
ragione. Soltanto la Maledizione Cruciatus potrebbe riportare a galla i ricordi
– forse neppure quella – e non è che i Mangiamorte siano liberi di frequentare
la banca, di questi tempi, voi che ne dite?».
«Però Voi-sapete-chi potrebbe interrogarli con un
inganno» disse Ron, evidentemente nel suo umore più catastrofico. «E se anche
non scoprisse chi è stato, scommetto che ci arriverebbe, in fondo non sono in
molti ad avere la chiave di Bellatrix, giusto?».
«Mia zia non sa che mia madre ha una copia della
chiave. potrebbe pensare che sia stato qualcun altro. E poi, come farebbe a
sapere che hanno preso la coppa, se non possono controllare?». Malfoy suonava
molto ragionevole, e Ron non ne era contento. «Penso che per il momento siamo
al sicuro. Almeno fino a che il Signore Oscuro non riacquisterà potere».
«Tutto a posto, allora» borbottò Harry, e sia io
che Ron ci lasciammo sfuggire una risatina per scaricare la tensione.
«E che cosa mi dici del tuo sogno, Harry?» chiesi
poi, severamente.
Prima di partire, Harry aveva visto in sogno Voldemort
andare da Gregorovich. Era proprio per questo che avevamo deciso di sbrigarci e
di recuperare l’Horcrux. Anche se io ero convinta che tutta la storia della
bacchetta di Harry e di quello che era successo al suo compleanno, quando aveva
incontrato l’Horcrux, fossero solo idiozie. Insomma, se anche Voldemort voleva
cercarsi una nuova bacchetta, che importava, quando gli Horcrux sarebbero
presto andati distrutti? «Pensavo fossi d’accordo con me, dopo quello che – che
è successo con Sirius. Devi sforzarti, Harry. Devi diventare un buon
Occlumante».
«Non sono sicuro di riuscirci, Hermione» disse
Harry, scuotendo il capo. «Io... capita sempre quando non me lo aspetto».
«Appunto per questo, tu...».
«Qualcuno può spiegarmi di che diavolo state
parlando?» interloquì Malfoy. Aveva tenuto il broncio per tutto il racconto di
Harry, evidentemente deluso dall’attenzione che avevamo dedicato al nostro
amico, quando lui aveva partecipato attivamente. Ricordai imbarazzata che
nessuno aveva pensato di spiegargli del sogno di Harry.
«Harry sa che Voldemort – oh, Malfoy, per l’amor
del Cielo, è solo un nome! – è alla ricerca di Gregorovich, il fabbricante di
bacchette. Si è messo in testa che questo sia importante, per via di quello che
crede di aver visto la notte in cui è
partito da casa dei Dursley».
Lo guardai, sperando che almeno lui fosse
ragionevole, ma mi resi conto che era pensieroso, e niente affatto scettico. «La
bacchetta di Potter e quella del Signore Oscuro hanno un legame, questo è
chiaro» disse, pensoso. «Non è escluso che lui intenda liberarsene in qualche
modo. Potter, spiegami che cosa hai visto».
Harry, trionfante, gli raccontò nel dettaglio la
sua visione. Notai che Malfoy annuiva di tanto in tanto, intrigato. «... in
ogni caso, Gregorovich non è abbastanza. Voldemort vuole quel ragazzo
biondo...» e Harry scosse il capo. «Se Voldemort lo scova, sarà un problema».
«Dobbiamo distruggere gli Horcrux» dissi poi io.
«Non sappiamo cosa sta cercando. Sappiamo solo che, se distruggiamo gli Horcrux
prima che la trovi, siamo salvi».
«Grazie, Granger, per la tua preziosa osservazione»
commentò il Serpeverde dalla sua postazione. Afferrai un cuscino da dietro la
schiena e glielo scagliai in faccia, senza neanche guardarlo. «Ma, per quanto
Potter non sia certo un pozzo di scienza, il Signore Oscuro sa che cosa sta
facendo. Se lui pensa che sia importante, lo sarà di certo».
«E, Harry, c’è una cosa della quale dobbiamo discutere»
dissi io, ignorandolo platealmente. Fu il mio turbo di raccontare. Quel pomeriggio,
mentre mi dedicavo alla decifrazione del libro di Beda, avevo fatto una
scoperta interessante. Uno dei simboli che accompagnavano i titoli delle storie
era fatto a mano, e sembrava diverso dagli altri.
«Fammi vedere» disse Harry alla fine. Così presi il
libro di Beda, lo aprii e lo sfogliai fino a ritrovare la pagina incriminata.
Harry si chinò verso di esso e così fecero sia Ron che Malfoy – il quale
acconsentì ad accostarsi a noi per vedere di che si trattasse.
«Conosco questo simbolo» disse Harry, e io lo
guardai.
«Anche io» fu il commento che provenne dalla mia
sinistra. Malfoy aveva la fronte aggrottata, del tutto dimentico della
stanchezza o della nostra presenza. «Non riesco a ricordare dove l’ho visto»
mormorò.
«Krum me ne ha parlato» spiegò intanto Harry. «Al
matrimonio di Bill e Fleur. Ha detto che era un simbolo di Grindelward, che lo
aveva inciso a Durmstrang».
«E per quale motivo ne avreste parlato?» chiesi io,
stupita.
«Beh, ecco... il padre di Luna lo indossava. Dubito
che sapesse di che cosa si trattava, comunque, però...».
«Non è il simbolo di Grindelward». La voce di
Malfoy ci riscosse. Tutti lo guardammo, in attesa. «O meglio, non è lì che l’ho
visto».
«Beh, Krum...».
«E’ stato di recente. L’ho visto molto di recente»
insistette lui. «In un libro, forse, qualcosa del genere».
«Tu sai leggere?» borbottò Ron, ma nessuno gli
prestò attenzione. «Sforzati di ricordare!» strillai io, affannata. Malfoy fece
una faccia scontenta. «Difficile
riuscirci, Granger, quando mi tormenti ogni giorno con decine e decine di
volumi assolutamente inutili...».
«Beh, dovresti ringraziarmi, Malfoy, visto che è
solo grazie a me che sei riuscito ad avere voti decenti».
«Si, Granger, perché sei tu che mi dai in prestito
il cervello, vero? A meno che non sia quello di Weasley, spiegherebbe molte
cose».
«Senti un po’....» cominciò Ron, colorendosi.
«Sentite, possiamo concentrarsi su qualcosa di un
po’ più importante?» intervenne Harry, irritato, e io mi ricomposi. Ron e
Furetto si guardarono in cagnesco, ma tacquero. «Ad esempio: che diavolo ha a
che fare questo stupido segno con noi?».
«Silente deve avere un buon motivo per averlo
disegnato» disse Ron facendo spallucce, come se questo risolvesse ogni cosa.
«Sempre che sia stato lui a disegnarlo, certo» fece notare Malfoy, grattandosi
aristocraticamente la punta del naso.
«E’ chiaro che è stato lui, no? altrimenti perché
ci avrebbe lasciato il libro?» gli dissi io, pedante.
«Per un centinaio di possibili motivi, stupida oca»
rispose lui, inacidito.
«Sentite: ce l’ho!» esclamò Ron, teatrale, saltando
in piedi. Era così felice della propria idea, che non aveva neppure protestato
quando Malfoy mi aveva chiamata “stupida oca”. Mi ero fatta quindi giustizia da
sola, scagliandogli contro un altro cuscino piuttosto polveroso, così che lui
continuò a tossire per quasi un minuto. «Gridelward leggeva questo libro da
bambino... no, aspettate... ne è stato ispirato... ne ha tratto qualche spunto
per i suoi piani... e alla fine... Silente lo ha sconfitto e gli ha rubato il
libro».
«Così poteva leggere una favola prima di andare a
dormire» sogghignò Malfoy, in tono di scherno – ma ancora un po’ soffocato.
«Ci deve essere un codice!» esclamò Ron, convinto,
afferrando il volume e sfogliandolo febbrilmente (Malfoy: “Wow, Weasley, non
stai neppure tenendo il libro all’incontrario”) come per rintracciare una mappa
o un’iscrizione. Tornò alla pagina dove qualcuno aveva vergato il simbolo
misterioso... e si bloccò. «Beh» disse, in tono un po’ stupido, «che storia sarebbe,
esattamente?».
«Quella de “I tre fratelli”» dissi io. «Immagino
che tu la conosca».
«Perfino Weasley deve conoscerla, Granger»
cantilenò Malfoy.
«Beh, io non la conosco» interloquì Harry,
stizzito.
«Immagino tu stia ancora aspettando che ne scrivano
una su di te, Potter» sghignazzò il Serpeverde, ma nessuno gli
diede peso. «Perché non la leggi?» propose Ron.
«Lo farò» dissi, risoluta. E lessi tutta la storia.
Harry ascoltò attentamente, come aspettandosi di cogliere qualcosa di strano in
quella storia – che però avrebbe potuto benissimo essere stata scritta dai
fratelli Grimm, per quanto inusuale. Ron ascoltava a sua volta e talvolta
annuiva; e Malfoy, anche se non o dava a vedere, faceva altrettanto, pensoso.
«Che cosa pensate che significhi?» chiesi alla
fine.
«Beh, non saprei» disse Harry, incerto. «Voglio
dire... sembra solo una storia. Però...».
«E’ diversa dalle nostre» confermai, meditabonda,
«ma non mi sembra che contenga qualcosa di eccezionale... a meno che non sia
una mappa, un indovinello...».
«Quelle di Beda sono solo storie» disse Ron,
scuotendo il capo. «Penso ci sia più di qualcuno che le ha studiate.
Riferimenti storici, sapete, cose così, visto che sono vecchie. Probabilmente
Rüf potrebbe spiegarci esattamente qual è la realtà storica dietro a ogni
fiaba... ma nulla di più».
«Weasley ha ragione» disse Malfoy, lentamente.
«Però..?».
«Non c’è alcun però».
«Mi sembrava che non ne fossi tanto convinto».
«E’ per il simbolo. C’è qualcosa che mi sfugge,
qualcosa di familiare. Ma non riesco a ricordare».
«Che peccato. Non riesci a essere utile neppure
quando lo vuoi, Malfoy» commentò Ron, sprezzante.
«Ricordami, Weasley: chi ha recuperato un Horcrux,
di recente?».
«Basta così» disse Harry, risoluto. «Sentite, ecco
cosa faremo. Domani andremo da Luna, e le chiederemo se sa qualcosa al
riguardo, poi faremo lo stesso anche con il Professor Rüf – ecco, Hermione, ehm... magari potresti
occupartene tu – e poi penseremo al da farsi. Che ne dite?».
«Buon piano» commentai con uno sbadiglio.
Non si sentiva musica per i corridoi. Poteva essere
perché ero ancora molto distante, certo, ma probabilmente Lumacorno aveva
insonorizzato la sala con un qualche incantesimo. Camminavo verso la festa con
una certa riluttanza; anche se avevo desiderato essere invitato, non avevo
un’accompagnatrice. Avrei potuto chiedere a Pansy – anzi, era chiaro che lei lo
voleva ardentemente – ma non avevo voluto. Era assolutamente al di là delle mie
forze.
Ero in discreto ritardo. Astoria se n’era andata da
ore, o almeno così mi sembrava.
Zabini l’aveva seguita dopo una mezzoretta, per arrivare puntuale, ma non avevo
certo in programma di andarci con lui. Oh, e va bene, potevo essere in ritardo anche per via di qualche problema di
acconciatura. L’Incantesimo di rabbocco sul mio flacone di gel non aveva
funzionato egregiamente, ma non volendo chiedere aiuto a nessuno ci avevo messo
del tempo per risolvere il problema.
Non che non ne fosse valsa la pena, bisognava
dirlo. Passando per i corridoi avevo potuto ammirare il mio riflesso in
innumerevoli finestre un po’ opache, ed ero incredibilmente soddisfatto. Senza
contare che nessuno tra quelli che contano arriva mai puntuale, giusto?
Raggiunsi finalmente la porta. Fuori di essa
stavano due arcigni Gargoyle, che
qualcuno – presumibilmente Lumacorno, almeno a giudicare dal pessimo risultato
estetico – aveva provveduto a vestire con uno smoking e un cravattino dorato
(oltre che con un cappello natalizio di pessima fattura). Quello a destra mi
scrutò, attento. In mano aveva una pergamena.
«Nome, prego?» gracchiò.
Io mi schiarii la voce, giusto per darmi un po’ di
tono.
«Sbrigati, ragazzo, non abbiamo tutta la sera, sai»
fece l’altra statua, petulante.
«Draco Malfoy» dissi, risentito.
Il primo scorse la lista e sembrò piuttosto deluso
di trovarvi davvero il mio nome. «Puoi entrare» concesse, e nonostante il mio
desiderio di sembrare aristocratico, feci loro un gestaccio prima di varcare la
soglia.
Fui investito da un’ondata di rumore assordante,
oltre che da un piacevole calore. La sala – sospettosamente larga – era
riccamente addobbata (grazie a Dio con maggiore buon gusto) e ricolma di
persone, parecchie delle quali non ricordavo di avere mai visto. Un discreto
numero di invitati erano volti noti, personalità di spicco del Ministero o
gente famosa. Riconobbi diversi ex colleghi di mio padre, ma mi guardai bene
dal salutarli. Dubitavo che avrebbero ricambiato con cordialità.
Mi feci strada tra la folla di studenti. La musica
sembrava provenire dalle pareti stesse. Dribblai Goyle, vestito da cameriere e con un vassoio in mano, che mi
salutò goffamente. C’era Luna Lovegood, che era venuta con chissà chi, e che mi
salutò con un cenno sognante come se fossimo amici; c’era Padma Patil, che
pomiciava con un biondino non meglio identificato; c’era perfino la ragazza
Weasley, che parlava con... Astoria?
Quando fui abbastanza vicino, come se mi avesse
percepito, Astoria si voltò. Mi salutò con un cenno eloquente per invitarmi ad
avvicinarmi, e io obbedii. «Ciao» mi disse, tranquilla. «Sei in ritardo».
«Avevo alcune faccende da sbrigare» dissi,
casualmente.
«Conosci già Ginevra, naturalmente» disse Astoria,
senza scomporsi nel vedere l’occhiata ostile tra me e la Weasley. «E lui è
Matthew Prewett» aggiunse, accennando al ragazzo accanto a lei. Prewett era
basso e mingherlino, aveva capelli color mogano e una quantità infinita di
lentiggini sul volto diafano. Sembrava una ragazza carina, più che un ragazzo,
se volete la mia opinione. Aveva un’aria piuttosto intimorita, e mi sorprese
quindi il modo deciso in cui mi tese la mano. «Piacere, Malfoy. So chi sei, ovviamente».
Naturalmente. Soddisfatto, ricambiai la stretta. In
fondo era un Corvonero, non un Tassorosso.
«Sei un Corvonero, giusto?» chiesi allora, un po’
per Astoria, un po’ per ignorare palesemente la sua compagna di studi. «Di che
anno sei?». Vedete? Ero un ragazzo cordiale. In fondo bisogna sempre esserlo,
con i meno fortunati.
«Dei sesto, come Astoria» disse lui. Sembrava
vagamente a disagio all’idea di conversare con me, ma apprezzavo lo sforzo, per
quanto poco valesse. «Sai, sono il compagno di studio di Corner, perciò ci
siamo conosciuti grazie a Ginny. Abbiamo studiato assieme, alcune volte».
Svenevole. Assunsi un’aria vagamente interessata –
molto difficile da fare – e annuii. «Astoria è molto brava» concessi, tanto per
dire qualcosa. Mi ero già stufato di essere cordiale. Che individuo noioso.
«Beh, anche tu sei abbastanza fortunato» commentò Prewett.
«Sbaglio, o sei stato abbinato a Hermione Granger?».
«Non sbagli» dissi, senza sforzarmi di nascondere
la mia tetraggine.
«Immagino sia eccellente, studiare con lei».
«Non ne avrei davvero bisogno» dissi, fulminandolo
con lo sguardo.
Lui parve incredibilmente a disagio. Fu salvato in
corner da Corner (ah-ah...) che scelse quel momento per apparire. Mi guardò con
sospetto e poi fissò il suo compagno, evidentemente incerto se il suo
intervento fosse richiesto.
«Ciao, Michael» disse Astoria. La Weasley lo salutò
senza entusiasmo, ma il Grifondoro non parve accorgersene e le gettò uno
sguardo luminoso. Cominciavo a sospettare il motivo per cui la Weasley aveva
presentato i due ragazzi ad Astoria – evidentemente si voleva liberare di un
peso morto. Sogghignai al pensiero.
«Ciao, ragazze!» disse lui, esultante. Poi, a me,
«Malfoy».
Chinai solamente il capo, gelido.
«Di che cosa parlavate?» si inserì allora Corner,
rivolgendosi a Ginny Weasley.
«Ehm... stavamo parlando di compagni di studio»
disse lei, incerta.
«Malfoy è stato abbinato a Hermione Granger» disse
Prewett cauto, guardandomi di sbieco per valutare la mia reazione. «Ginny mi ha
parlato di lei. È la studentessa più brillante della scuola, e non è neppure
una Corvonero!».
«Beh, non è detto che dovesse esserlo, no?»
intervenne la Weasley, piccata, e Prewett arrossì. «E poi, Hermione ha un sacco di doti di Grifondoro» proseguì la
rossa, animata da un fervore quasi religioso – che, sospettai, serviva anche a
impedire a Corner di prendere la parola.
“Beh, le
zanne di un leone le ha” bisbigliai all’orecchio di Astoria, incapace di
trattenere una così splendida – a mio avviso – battuta. Per tutta risposta
incassai una poderosa gomitata nello stomaco, oltre a ricevere un’occhiata
tanto gelida da far rabbrividire anche il Signore Oscuro. Mi offesi, e misi il
broncio. Tutti mi ignorarono.
«In ogni caso» disse Corner, con un’occhiatina
preliminare alla ragazza Weasley, «io la trovo molto carina».
«Lo penso anche io» disse la Weasley, soddisfatta.
Io non riuscii a trattenere una smorfia, ma cercai di essere discreto, tanto
per evitare un’altra gomitata da Astoria.
«Sta con tuo fratello, giusto?» chiese Prewett,
timidamente.
Lentigginosa Lenticchia (L.L. per gli esseri umani)
sospirò. «Vorrei tanto che Ron si desse una mossa, ma per il momento no, non
stanno assieme». Beh, probabilmente era peggio per Weasley, e meglio per la
Granger. Nessuno poteva essere al livello di un simile idiota.
«Draco! Ragazzo mio!». La poderosa voce di
Lumacorno, proveniente da pochi centimetri di distanza, mi fece fare un salto
di mezzo metro. Mi voltai, una volta che mi fui rassicurato su di un possibile
infarto. «Ehm... salve, signore» dissi, ossequioso.
«Fai amicizia, vedo. Molto bene, ragazzo» disse,
mettendomi una mano sulla spalla. «Bisogna favorire l’amicizia tra Case, l’ho
sempre detto».
«Certo, signore» borbottai, senza troppa
convinzione.
«Avrei tanto voluto presentarti Gwenog ragazzo. Sei
piuttosto bravo sulla scopa, e se me ne sono accorto io, che sono troppo
vecchio per queste cose...» e qui fece una pausa drammatica, sorridendo ad
Astoria, che fece una smorfia curiosa, «...allora puoi scommettere che è la
pura verità! E a questo proposito...». Parve Smaterializzarsi nell’aria, e io
mi guardai attorno per diversi istanti senza individuarlo. Poi il professore
ricomparve, trascinando con sé un assai infelice Zabini, che teneva in mano un
calice il cui contenuto doveva essersi versato quando era stato ghermito da
Lumacorno. «Zabini, stavo giusto parlando con Draco della vostra prima partita.
Davvero eccellente, dico davvero!».
«La ringrazio molto, signore» disse Zabini con un
sorriso forzato.
«E’un vero peccato che le vostre capacità vadano
sprecate. Sarei lieto di aiutarvi nel caso in cui decidiate di intraprendere
una carriera sportiva, dopo la scuola» fece il professore, gioviale. «Due
paroline a qualcuno del settore... conoscono parecchie persone bene introdotte,
sapete... una raccomandazione della cara Gwenog, magari...».
«Signore» lo interruppe Zabini, e notai che era
notevolmente arrossito. Sembrava quasi colpevole, o meglio, timoroso. «Conosco
già Gwenog Jones, signore, e anche Barnaby Fletcher dei Magnifici Sette».
«Mio caro ragazzo, dimentico sempre che grazie a
tua madre hai davvero moltissimi agganci!» cinguettò Lumacorno. «Quanto a te,
Draco» mi disse, con aria complice, «io capisco che tu possa incontrare
maggiori difficoltà... la situazione...».
«La ringrazio molto, signore» intervenni,
desideroso di tagliare corto. «Ma sa, non sono certo di voler giocare a
Quidditch».
«Davvero?» chiese Lumacorno, interessato. «E che
cosa vorresti fare?».
Sopravvivere,
per esempio. Naturalmente non lo dissi, ma cercai una risposta migliore...
e non la trovai. Avevo sempre dato per scontato che avrei lavorato al Ministero
grazie agli agganci di mio padre, ma mi sembrava un’ipotesi ormai remota.
Certo, avrei anche potuto non lavorare affatto, ma chi poteva sapere che cosa
sarebbe potuto succedere?
Alzai le spalle, a disagio. «Ancora non lo so,
signore» ammisi.
«I tuoi voti sono molto buoni. Sono certo che
avresti comunque del potenziale» disse Lumacorno, ma non sembrava molto
convinto. «Ehm... scusatemi, ho appena visto...» e si defilò, scomparendo in
mezzo a uno sparuto gruppo di Tassorosso.
Improvvisamente solo con il gruppetto Granger Fan-Club
e Zabini, provai l’impulso di andarmene. Mi allontanai senza guardare nessuno,
alla ricerca di un posto tranquillo. In effetti, seminascosta vicino a una
tenda stava una sedia remota e tranquilla. Mi ci sedetti, molto grato.
La discussione con Lumacorno bruciava ancora. Per
non pensarmi, mi concentrai sulla strana reazione di Zabini all’argomento
Quidditch. Tuttavia non ne venni a capo e alla fine rinunciai, troppo irritato
all’idea di essere all’oscuro di tutto.
Più o meno allora scorsi, piuttosto distante, la
Granger. Stava parlando con Paciock, e mi chiesi che diavolo ci facesse, lì,
Paciock. Mi venne allora in mente della discussione di Corner sulla stupida
Granger, e ridacchiai. “Carina”. L’aveva chiamata carina! Chi mai poteva
chiamare carina la Granger? Tutti sapevano che era brutta, no? aveva....
Mmh.
La scrutai, ben sapendo che nessuno badava a me. In
effetti non ricordavo cosa fosse esattamente di lei a disgustarmi di più. Beh,
certo, aveva dei capelli tremendi. Già questo la diceva lunga. E la faccia...
Uhm.
Forse erano gli occhi, ma erano semplici occhi
scuri, passabili, magari, se a uno piaceva il genere.
Probabilmente era la bocca. Certo, si era fatta
sistemare la chiostra di zanne che aveva posseduto fino a qualche anno fa...
anzi, indirettamente, il responsabile ero stato io. La osservai, ma non aveva
nulla di troppo asimmetrico. In effetti, era una bocca simmetrica, abbastanza
simmetrica. Quasi ben disegnata, ma quello probabilmente era solamente il
trucco. Si sa che fa miracoli, no?
Ero quasi certo fosse il naso. Chissà come,
sembrava diritto, ma era difficile giudicare, sotto quelle luci. D’accordo,
magari aveva un naso diritto, ma questo non significava molto.
Vagamente nervoso, strizzai gli occhi nella sua
direzione. Insomma, io sapevo che la
Granger era bruttina. Era una verità universalmente riconosciuta. Non mi era
mai neanche passato per la mente di osservarla per capire perché. Del resto non
la guardavo mai davvero in faccia.
Una faccia che tuttavia sembrava non solo normale, ma anche... passabile.
Abbastanza passabile. Tollerabile. Decente, magari. Meglio di tante altre
facce. E allora? Aveva pur sempre i capelli crespi, giusto? Stava sempre
ingobbita sui libri, e faceva delle smorfie atroci. In fondo, qualunque faccia
avesse, era pur sempre una Mezzosangue. Fine del discorso.
Avevo appena accertato questo, con mia grande
soddisfazione, quando una voce mi fece sobbalzare per la seconda volta nel
corso della serata.
«Che stai guardando?».
Mi voltai di scatto. Zabini mi stava fissando, a
braccia incrociate.
«Nulla di particolare» dissi, neutro. «Non che
siano affari tuoi, ovvio».
Mi sorprese ridacchiando, anche se lo fece senza
allegria. Al contrario, aveva un’aria così infelice da farmi pena. Beh, quasi.
Insomma, nessun Serpeverde si fa muovere a compassione per il proprio nemico.
In effetti, neanche con un amico. «Si, si, naturalmente è vero» concesse. Io mi
misi naturalmente sulla difensiva. Lo squadrai con sospetto. Che diavolo
voleva, da me?
«Che diavolo vuoi, da me?». Stranamente, il suo
sorriso si allargò, facendosi ironico. Beh, di qualunque cosa sogghignasse, non
erano affari miei, e non volevo indagare. Oh, d’accordo, volevo indagare,
contenti? La stavo solo prendendo alla larga.
«Mi chiedevo solamente che cosa stessi facendo in
quest’angolo dimenticato da Dio. Pensavo volessi risplendere in tutta la tua
gloria» disse, recuperando una sedia da chissà dove e sedendosi accanto a me.
Scostai appena la sedia. Nessuno sa fare il disgustato come un Serpeverde.
«Sono stanco» dissi, e in quel momento, guardandolo
da vicino per la prima volta da molto tempo, notai che aveva occhiaie
mostruose. Gli avrei volentieri suggerito un incanto Rinvigorente, se non fosse
stato nel mio interesse imbruttirlo il più possibile. Non che temessi concorrenti,
in quanto ad aspetto fisico. Ma non si poteva mai dire.
«Si, anche io» ammise lui con un sonoro sbadiglio,
che mascherava un sospiro.
Al diavolo! Mi ero stufato di prendere le cose alla
larga, o per meglio dire, non amavo l’idea di continuare a conversare con
Zabini, specie perché temevo che, a furia di battutine, lo avrei fatto
scoppiare a piangere. Sembrava così depresso che forse avrebbe prima
considerato l’idea del suicidio, ma non volevo vedere nessuno singhiozzare,
neppure Zabini. «Perché hai reagito così quando Lumacorno ha parlato del
Quidditch?» sparai.
Zabini mi guardò, e fece una smorfia a metà tra il
divertito e il rassegnato. «“Perché sei depresso, Zabini? Quali profondi
segreti cela il tuo animo? Che dentifricio usi, la mattina?”. Per essere un
Serpeverde, ti impicci troppo, Malfoy».
«Dove c’è scritto che i Serpeverde debbano essere
riservati con i segreti altrui?»
«Un punto per te. in ogni caso, non sono affari
tuoi».
«Quali profondi segreti cela il tuo animo?» citai
allora, indagatore.
«Nulla che ti riguardi».
«Senti, Zabini. So perfettamente che hai dei
segreti. Quello che non capisco è, perché l’idea del Quidditch dovesse metterti
in imbarazzo».
«Mi spiace deluderti, Malfoy. Questo non è un mio
segreto».
Lo guardai, stupito. «E allora, di chi..?».
Zabini scoppiò a ridere, amaro. «Sai, ero venuto
qui alla ricerca di un po’ di pace» disse, la voce incrinata
dall’esasperazione. O almeno, così volevo credere.
«Ottima scelta, Zabini. Questo la dice lunga sulla
tua lungimiranza».
«Beh, la mia è
una scelta lungimirante. Perché non intendo dirti nulla, perciò immagino che
non vorrai sprecare oltre fiato».
«Come dicevo, la veggenza non è il tuo forte,
Zabini».
Zabini si stirò pigramente. «La cosa che più mi
sconcerta è il tuo candore. Ci siamo sempre detestati. Perché pensi che dovrei
confidarmi proprio con te?».
«Siamo Serpeverde, Zabini» sospirai. «I nostri
nemici sono quasi più affidabili degli amici».
«Non posso che darti ragione» mormorò lui senza
guardarmi, in un tono tanto tetro che sembrava irradiare pura negatività. Si
riscosse. «E tu? cosa contemplavi con quell’aria tormentata quando sono
arrivato?»
«Non contemplavo proprio un bel nulla» mugugnai,
risentito. «E non chiedere, se non vuoi dare. Non te l’ha insegnato la mamma,
Zabini?».
«Mia madre non ha nulla da dirmi, Malfoy» disse
lui, sardonico. «In ogni caso...».
«Ah, eccoti» disse la voce che popolava tutti i
miei incubi peggiori. Mi voltai, già rassegnato, e pronto a fronteggiare
Hermione Granger, che si avvicinava a passo di marcia nel suo vestito blu. Si
parò di fronte a noi, con aria colma di dignità. Io mascherai l’imbarazzo che
mi derivava dai miei più recenti monologhi interiori. «Non rompere, Granger».
Il suo sguardo si posò su di me, il sopracciglio
alzato. «Oh, ciao, Malfoy. Non ti avevo notato». Poi si rivolse a Zabini. «Tu
sei Zabini, giusto?». Io la guardai, con occhi sbarrati. Come osava salutarmi
con quell’aria casuale..?
Zabini si alzò, indecifrabile, il che era piuttosto
strano, visto che qualunque Serpeverde avrebbe fatto meglio a darsela a gambe
di fronte a lei. «E tu sei Hermione Granger».
«Si» rispose lei, impassibile. «Ho un messaggio per
te, da parte della Preside. Sapeva che ti avrei incontrato, e voleva che avessi
questo». Gli tese un rotolo di pergamena che lui quasi le strappò di mano,
infilandoselo in fretta e furia in tasca.
«Grazie» disse Zabini.
«Prego. Ah, un’altra cosa. Harry vuole che tu
sappia che durante le Vacanze non potrà partecipare al progetto di Pozioni,
visto che non starà a scuola».
«Potter non c’è stasera?». Zabini storse il naso.
Finalmente una reazione normale.
«No, non si sente bene» rispose la Grifondoro,
anche se vedevo bene che stava mentendo. Zabini, invece, non sembrò
accorgersene, e questo mi inquietò. Davvero ero diventato così avvezzo alla
Granger, da riuscire a decifrarla meglio di un qualunque Serpeverde? O ero
semplicemente più intelligente di Zabini?
Non rispondete, vi prego.
«Capisco. D’accordo. In ogni caso sarei rimasto a
scuola» disse Zabini.
«Bene. Lo dirò a Harry».
«Grazie. Ci vediamo, Malfoy». Zabini quasi schizzò
in piedi, allontanandosi come un razzo come se si fosse Smaterializzato. Anche
la Granger sembrava stupita.
«Hai preparato il tuo bagaglio?» mi chiese poi lei.
«Mmh?» le chiesi, assorto in varie, cupe meditazioni.
Per lo più riguardanti Zabini e la stessa stupida Mezzosangue. Il primo si
comportava in maniera fin troppo affabile per i miei gusti, e la seconda...
beh, che vi devo dire? Esisteva.
«Hai – preparato – il tuo – bagaglio?» scandì lei,
petulante.
«Certo che no. Sto ancora sperando che tutto questo
sia un brutto sogno» le risposi. Bugia. Avevo preparato tutto quel pomeriggio,
infilando come da istruzioni tutto lo stretto indispensabile dentro un
borsellino di pelle reso senza fondo da chissà quale magia. Non che avessi
bisogno di chissà quale spazio, comunque. Era necessario che il mio baule e
gran parte delle mie cose rimanessero nel mio dormitorio, visto che
ufficialmente non mi sarei mosso dal castello. Avevo solamente la mia
biancheria, qualche vestito, un paio di libri, la bacchetta, i miei soldi, e
quasi nient’altro.
«Beh, ti ricordo che domattina dovremmo svegliarci
presto, perciò non so quando potrai passare per il tuo dormitorio per farli,
contando che questa sera dormirai in infermeria!». La voce della Granger era
particolarmente irritante. Un’altra voce da aggiungere alla lista
M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E. (Motivi Esatti per Zittire gli Zotici che Osservano la
Sporca Antisociale Nata Granger con Ultraesagerata Emozione) anche conosciuta
come “Prova Assoluta Della Illogicità Di Una Certa Ammirazione Per
l’Abominevole Granger” che però, abbreviandosi in PADIDUCAPAG, peccava alquanto
dal punto di vista estetico.
«So quello che devo fare, grazie, Granger»
ribattei, acido. Aveva anche le caviglie troppo magre. Se avessimo dovuto
scappare correndo dall’Oscuro Signore (al momento conosciuto come O.S.,
Obbrobrioso Serpente) probabilmente si sarebbero spezzate come grissini. Visto?
Era un vicolo cieco evolutivo, come i Dinosauri. Che però, scommettevo, quantomeno
apprezzavano il silenzio.
«Come vuoi, Malfoy» disse lei, scuotendo il capo.
«In ogni caso, domattina saremo in infermeria. Non potresti almeno considerare
l’idea di far partire queste due settimane e mezzo con il piede giusto?».
«Cioè, facendo lo sgambetto a Weasley?».
«Certo che no!» disse la Granger, facendo finta di
scandalizzarsi, anche se sembrava vagamente tentata dalla mia proposta. «Quello
che voglio dire è che dovremmo pensare positivamente. Cooperazione Magica
Internazionale, sai».
«Questo non è un dannato Torneo Tremaghi, Granger,
a me non ne viene nulla in tasca. Lasciatemi semplicemente in pace» dissi,
ostile e ostinato.
«Come vuoi» disse lei, e si allontanò a grandi
passi. Aveva delle scarpe dorate piuttosto alte, e mi chiesi come facessero le
sue caviglie magre a non spezzarsi. Scocciato, guardai il retro del suo vestito
blu che ondeggiava. Era un vestito quasi carino.
La prova che l’abito non fa il monaco.
Malfoy,
per quanto io
detesti l’idea di accoglierti in questa casa, pare che non abbia altra scelta. Ora
guarda di fronte a te. Il quartiere dell’Ordine della Fenice è al numero 12 di
Grimmaud Place, Londra.
PS: Quando
arrivi con la seconda passaporta con Hermione e Tonks, ed entri nell’atrio, non
fare casino con i nostri bagagli. Sicuramente Tonks si dimenticherà di
avvertirti in tempo, ma può darsi che anche tu voglia evitare una riunione di
famiglia.
Harry Potter
M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E.
ovvero
Motivi
Esatti per Zittire gli Zotici che Osservano la Sporca Antisociale Nata Granger con Ultraesagerata
Emozione
·
Capelli crespi
che sarebbero l’orrore di ogni pettine. Penso che neanche il Signore Oscuro
scambierebbe la sua pelata con una zazzera simile. Certo, non che il Signore Oscuro
sceglierebbe di farsi un toupet proprio con i capelli di una sporca
Mezzosangue. Sono sempre stato convinto invece che abbia un debole per quelli
di mio padre. Scommetto che prima o poi gli avrebbe fatto la pelle solamente
per invidia. Del resto ho preso da lui. Modestamente parlando, non ho bisogno
di alcun tipo di prodotto specifico perché siano morbidi e lucenti. Scommetto che
il Signore Oscuro si rasa perché ha le doppie punte. Del resto, quando vieni
investito da un’Avada Kedravra, non ti puoi stupire se perdi i capelli. O forse
è solo lo stress di dover conquistare il mondo? Se mai dovessi vincere la
guerra, penso che glielo chiederò.
·
Portamento
rigido come un manico di scopa, quando non sta curva come un monaco amanuense
su qualche stupidissimo manuale di Incantesimi. Ma forse non è colpa sua. Può
darsi che quando qualcuno guarisce dallo sguardo di un Basilisco gli rimanga
sempre un che da stoccafisso. Sarei felice di approfondire la questione con un esperto.
·
Caviglie
secche come grissini. Ma di questo avevo già parlato, forse, vero?
·
E’
Hermione Granger, Cristo!
P.U.R.O.S.A.N.G.U.E.
Ovvero
Possibilità
Ufficiose Riguardanti l’Opinabile Salvabilità dell’Aspetto della Natababbana
Granger Ufficialmente Ebete
·
Occhi
passabi
·
Bocca passa
decen passab
·
Non ha poi un fisico atroce
·
La faccia non è da buttar
·
E’
intelligente
·
E’
gentil
Oh, ma dai. Davvero a qualcuno importa di questa lista?
NOTA DELL’AUTRICE
Salve! Come
già anticipato a chi ha avuto la sfortunata idea di scrivermi fiducioso nelle
recensioni, ho avuto qualche piccolo problema con il collegamento internet...
anzi, specifichiamo: non è che io abbia avuto problemi, è che una ragazza non
può essere costretta ad usare una chiavetta internet che si esaurisce sempre i
primi cinque giorni del mese portandomi ad odiarla -.-“””” Scelte parentali
purtroppo...
Comunque,
senza altri indugi... capitolo lungo (del resto, non potendo pubblicare, tanto
valeva che preparassi qualcosa di più, no??) che si conclude con Draco che
giunge a Grimmaud Place come promesso! Il prossimo capitolo sarà di
superconvivenza forzata, con tutto quello che questo significa...
Nel
frattempo, spazio significato del capitolo!
M.U.D.B.L.O.O.D.,
or “Mudbloods Usually Deemed Beautiful Legally Ought to be Objectively
Despised” significa letteralmente: M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E.,
ovvero “le Mezzosangue solitamente considerate carine dovrebbero essere
oggettivamente disprezzate per legge”
Il
significato è chiaro, no? ;)
Ringrazio
naturalmente le pie ragazze che recensiscono sempre e quelle che lo faranno in
futuro, oltre naturalmente a chi legge! XD a presto! (spero molto, molto
presto!)
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Capitolo 20 *** HOME, sweet home ***
Home sweet home
Mi svegliai perché qualcuno stava picchiando con
violenza alla porta. Per un istante non ritenni opportuno rispondere,
certo che
Zabini si sarebbe occupato di chiunque avesse avuto l’idea di
disturbare il mio
riposo. Tuttavia, mi resi conto con un istante di ritardo che qualcosa
non
andava; le mie lenzuola non avevano quel vago sentore di pino silvestre
e
muschio che impregnava il mio dormitorio, ma quello di bucato e di
cannella. E
Zabini non avrebbe mai atteso più di cinque secondi prima di
decapitare il
disturbatore, che invece ritentò per la terza volta.
Aprii gli occhi, e mi trovai a fissare Weasley che,
a pochi metri da me, era in una sorta di coma profondo, e russava a
bocca
spalancata. Potter invece era pietosamente impegnato alla ricerca dei
propri
occhiali, e stava mugugnando: «Un attimo, un
attimo!». Per un istante mi chiesi
se non fosse meglio andare ad aprire, ma poi decisi che era giusto che
toccasse
a Potter, e mi rannicchiai di nuovo sotto le lenzuola.
Grimmaud Place, 12, Londra mi metteva a disagio, ma
non per le ragioni che potreste pensare voi. Nonostante i segni della
presenza
di traditori della stirpe magica, infatti, ricordava una qualunque casa
di
Purosangue Serpeverde, e anzi, ne portava così tanto i segni
che rischiavo di
dimenticarmi dov’ero. In effetti, mi sentivo a mio agio tra
quelle mura, e
quello era il problema peggiore, considerato il fatto che ero destinato
a
vivere sotto lo stesso tetto dei miei incubi peggiori.
Avevo quasi sperato di ricevere una camera tutta
per me, certo che nessuno mi avrebbe voluto tra i piedi, considerato
anche il
gran numero di stanze disponibili. Eppure, appena arrivato –
dopo che Tonks
ebbe risvegliato le ire della Signora Black, e noi l’avemmo
placata, e tutti i
nostri bagagli furono stati trasportati nel grande atrio –
ero stato messo al
corrente del mio triste destino futuro. Potter e Weasley erano arrivati
pochi
secondi prima di me e della Granger, scortati da un tale Dedalus Lux.
La Signora
Weasley (o Pachidermica Peldicarota che dir si voglia) era arrivata
tutta
affannata e aveva quasi soffocato di abbracci i due figli e i loro
amici,
mentre io me ne stavo in disparte incerto se salutare o rimanere in un
silenzio
sostenuto. Dopo cinque minuti buoni di saluti a macchinetta da parte
sua e del
marito (che mi lanciava occhiate imbarazzati al di là degli
occhiali appannati)
si era voltata verso di me.
«Ciao, Draco» aveva detto, gentilmente, guardandomi
come si guardano gli adolescenti in crisi pronti ad esplodere
– o quelli che
hanno quasi ucciso il più grande mago di tutti i tempi
– e mi si era avvicinata
pericolosamente. «Hai fatto buon viaggio?».
Ci avevo messo un istante per elaborare una
risposta. «Si, grazie» avevo bofonchiato alla fine,
a disagio.
Lei mi aveva agguantato per le spalle, e per un
attimo avevo temuto che volesse divorarmi. Invece mi aveva scosso di
qua e di
là come se fossi stato un congegno Babbano dal dubbio uso,
per verificarne il
funzionamento. «Mi sembri un po’ pallido»
aveva detto, quasi preoccupata,
mentre io la guardavo allucinato. «Sei stato forse malato?
Hai preso freddo?».
«No, certo che no» risposi io, incapace di
formulare altro.
La donna aveva scrutato ancora il mio viso, poi
aveva guardato i miei capelli. «Forse hai bisogno di farti
una doccia» aveva
concluso. «Non vi preoccupate, potrete farvela a breve.
Arthur...» e la moglie
lo aveva guardato, minacciosa. L’uomo si era fatto goffamente
avanti, dopo aver
dato una sommaria pulita alle lenti degli occhiali sull’orlo
del gilet
sdrucito. Dopo un istante, impacciato, mi aveva teso la mano.
«E’ un piacere
averti qui, Draco» aveva detto a voce bassa, gli occhi che
correvano da me a
sua moglie in cerca di aiuto. «Fa come se fossi a casa
tua». Sebbene non
fossimo a casa loro, erano fin troppo gentili con me, e il mio istinto
Serpeverde strillava. Nessuno era così gentile con un
nemico, andiamo! Specie
con il bullo che da anni perseguitava i loro figli.
«Arthur ha ragione» si era intromessa la Signora
Weasley, determinata. «Sei nostro ospite, perciò
chiedi pure per qualunque cosa
ti serva».
«Grazie» ero riuscito ad articolare.
«Tu, Harry e Ron potete prendere la stanza al
secondo piano» aveva aggiunto allora la Madre Weasley, in
tono pratico. «Ho già
fatto portare un letto in più». Ronald Weasley
aveva assunto un colorito cereo.
«Noi tre..?».
«Già» aveva risposto la madre, in tono
leggero.
«Arthur, puoi occuparti tu dei bagagli? Forza, voi tre...
anche tu, Tonks...
venite». Sospinto cortesemente da Tonks, ero finito in una
cucina immensa. Sul
fuoco c’erano diverse padelle che sobbollivano.
«Quello è il pranzo,
naturalmente, ma è troppo presto per quello. immagino che
non abbiate fatto
colazione» e aveva gettato a Tonks un’occhiata di
rimprovero, come se fosse
stata tutta colpa sua.
«Non ce n’è stata
l’occasione» aveva acconsentito
in fretta Weasley, mentre sua madre schiaffava sul tavolo del pudding
caldo,
diversi biscotti, tortine di mele, e Burrobirra tiepida.
«Ecco qui» aveva
esclamato, soddisfatta. «Non è come a Hogwarts,
naturalmente, ma dove lo è? Oh,
Dedalus, prima che te ne vada...» ed aveva rincorso fuori
l’ometto, per
discutere sottovoce con lui nell’atrio. Mi resi conto che era
probabilmente a
causa mia che si erano ritirati a confabulare di là.
Era calato un silenzio tetro, e anche quello era
probabilmente a causa mia. La mia indecisione
sull’eventualità di mangiare o
meno era stata risolta dalla Granger che con un’occhiata di
ammonimento aveva
spinto verso di me il piatto di tortine. Così mi ero
concentrato sul cibo, che
era quasi passabile – e va bene, era buonissimo, contenti?
– fino a che non
avevamo sentito qualcun altro entrare.
«Deve esciere ‘inny» aveva biascicato
quell’idiota
di Weasley.
«Come mai arriva solo adesso?» aveva chiesto
Potter,
prima di arrossire e di dire in fretta: «tanto per
sapere».
«Mmh... vedi, hanno dovuto aspettare qualcun altro
che venisse a prenderla» aveva detto Tonks, dopo essere
riemersa da un lungo
sorso di Burrobirra che doveva essere stato, almeno a giudicare dalla
sua
espressione, decisamente soddisfacente. «Remus era
impegnato».
«A fare cosa?» aveva chiesto Weasley, dopo aver
inghiottito metà di un muffin alle more.
«Chissà» aveva risposto la donna,
sorniona, e lui
si era afflosciato sulla sedia, deluso.
Quando Ginny Weasley era arrivata, mi aveva
fulminato con lo sguardo, ma per il resto mi aveva ignorato, e io avevo
fatto
altrettanto. La signora Weasley, accorgendosene, aveva fatto due o tre
colpetti
di tosse. «I vostri bagagli sono nelle vostre
stanze» aveva detto, rivolgendosi
a noi. «Harry caro, Ron, mostrate a Draco la sua
stanza».
Per farvela breve, ero davvero finito in stanza con
loro, anche se avevo spostato il letto dalla parte opposta rispetto
alla loro.
Avevo dedicato tutto il tempo fino a pranzo a sistemare le mie poche
cose al
sicuro nell’armadio (avevo nascosto il borsellino, chi poteva
sapere che
Weasley non volesse approfittarne?). Avevamo pranzato e cenato tra noi,
in
silenzio, mentre i coniugi Weasley andavano e venivano e sembravano
molto
impegnati a sistemare la casa per l’arrivo di altri ospiti.
La sera era stata drammatica. Ero andato a dormire
alle otto, ma ero rimasto sveglio fino a che anche Weasley e Potter non
si
erano addormentati, troppo a disagio all’idea di farmi
trovare addormentato.
Ora qualcuno picchiava alla porta. Finalmente
Potter trovò i suoi stramaledettissimi occhiali, e dopo
averli inforcati
inciampò nel tappeto prima di arrivare alla porta.
«’mione» mormorò, rivolto
alla figura sulla soglia, già vestita. «Avete
dormito parecchio. La signora Weasley
dice che è pronta la colazione».
«E non potevi aprire la porta e dircelo?» aveva
protestato Harry.
«Non sarebbe stato carino» affermò lei,
ma mi
lanciò un’occhiatina prima di allontanarsi in
tutta fretta. Ah-ah. Qualcuno
voleva evitare di svegliarmi.
«Chesciuccedd??» aveva intanto biascicato Weasley,
assonnato.
«Hermione» disse il suo amico tetramente per tutta
risposta. «E’ venuta a chiamarci per
colazione».
«Al diavolo. Mi lasci dormire».
«Malfoy» mi chiamò Potter allora,
chinandosi su di
me. Aprii gli occhi e lo guardai. «Potter, mi dispiace di
ferire i tuoi
sentimenti, ma pare che il mio orientamento sessuale sia diverso dal
tuo. Nulla
di personale».
«E’ pronta la colazione. Ma se vuoi saltarla, fa
pure».
Imprecando sottovoce mi alzai e mi vestii, prendendo
di tanto intanto a calci il suo baule, per sbaglio. Potter del resto
riuscì a
pestarmi due volte il piede, anche se sospettavo che non lo avesse affatto fatto apposta. Alla fine
scendemmo – anche Weasley, che aveva
infilato le pantofole al contrario. Io seguii gli altri
due con
riluttanza, e tuttavia li seguii; per quanto mi dolesse ammetterlo, mi
risultava impossibile rifiutare un invito della signora Weasley. Mi
metteva a
disagio.
Mi ero aspettato di consumare il solito pasto
ignorato dalla banda Potter, ma quando arrivai nei pressi della cucina
mi resi
conto, non senza un certo raccapriccio, che le voci provenienti dalla
stanza
erano fin troppo numerose per appartenere alla Granger e alla signora
Weasley.
Mi fermai, incapace di muovermi, e tesi l’orecchio. Non mi
sbagliavo. Dovevano
esserci una decina di persone, lì dentro.
Davvero dovevo entrare? Decisi immediatamente di
no, e feci dietrofront. Potter se ne avvide mentre ruotava la maniglia,
e mi
gridò dietro, “dove stai andando?” ma
non gli badai. A passo svelto salii le
scale e mi rifugiai nella prima stanza che trovai. Quando ebbi chiuso
la porta
alle mie spalle, mi guardai attorno. Era una stanza da letto, che
doveva essere
disabitata da un po’. C’erano segni indubbi,
tuttavia, che era stata abitata. Le
pareti erano
coperte di strani poster di donne piuttosto discinte e di congegni
dall’aspetto
vagamente Babbano – tutte immobili, il che mi
inquietò.
Mi avvicinai a una delle immagini. Una donna
piuttosto provocante e indubbiamente svestita mi guardava, ma senza
muovere un
dito. La fissai di rimando, a disagio, ma neppure mi fece
l’occhiolino.
Rabbrividii, inquieto. Spostai lo sguardo all’arredamento, e
mi resi conto per
la prima volta di due cose: la prima era che era completamente
addobbata in oro
e rosso, i colori di Grifondoro. L’altra, che c’era
puzza di cavallo.
Sospirai. Non era esattamente la stanza che avrei
adottato come nascondiglio, e non avrei gradito che qualcuno mi avesse
trovato
lì a dondolarmi avanti e indietro come uno scemo.
Così mi alzai, spazzolando
via dai pantaloni quelle che parevano piume brune e argentee. Mi chiesi
che ci
facessero lì. Ne stavo esaminando una, quando la porta si
aprì.
Sobbalzai e mi voltai verso l’intruso, che si
rivelò essere nessun’altro che Hermione Granger,
ritta sulla soglia, che mi
guardava con una certa impazienza. «Beh? Non vieni a
colazione? La signora
Weasley ti sta aspettando».
«Non ho fame» dichiarai, mentendo spudoratamente.
«Beh, perché sei sceso fino in cucina,
allora?».
«Mi sono ricordato di avere alcune cose da sbrigare
e sono tornato indietro».
«Nella stanza di Sirius?». La Granger
alzò un
sopracciglio, scettica.
Scrollai le spalle. «Mi sono perso».
«Bel tentativo, Malfoy. Sai benissimo
dov’è la tua
stanza».
«Dimmi cosa vuoi che ti dica, Granger, così poi mi
lascerai in pace».
«Soltanto ricordarti che la signora Weasley ha preparato da mangiare
anche per te. ti sta
aspettando».
Feci una smorfia. «Dovrei entrare in una cucina
affollata di traditori? Francamente, Granger, mi aspettavo di
più dalle tue
facoltà mentali».
«Felice di sapere che mi stimi così tanto, Malfoy,
ma posso rassicurarti in proposito. Ci sono soltanto i Weasley, e un
paio di
persone che conosci».
«Soltanto i
Weasley? In che modo questo dovrebbe rassicurarmi?».
La Granger mi fissò, disgustata. «Sai, pensavo che
saresti stato più riconoscente. In fondo la signora Weasley
ti sta facendo
sentire parte della famiglia». Mio malgrado arrossii alla
giustezza di quel
rimprovero, e poi arrossii di essere arrossito. «Sono fuori
posto» dissi con
voce strascicata.
«Non fare il prezioso. Scendi giù e
basta» commentò
lei. «Ah, e non ti conviene stare troppo qui dentro. Te ne
sarai accorto da
solo, ma da quando Fierobecco è stato qui, è una
stanza abbastanza sporca».
Io sgranai gli occhi, indignato. «Fierobecco?»
ripetei, certo di non aver
sentito bene. «Ma certo. Sirius lo ha tenuto qui a
lungo» fu la risposta della
Granger, vagamente divertita. «Dunque è
vero!» strillai, puntandole contro un
dito accusatore. «Siete stati voi a fare fuggire quella
bestia atroce!».
«Fierobecco non era una bestia atroce. Ha salvato
la vita di Sirius».
«Mi ha quasi staccato un braccio! E in che modo
salvare un detenuto condannato a morte dovrebbe provare la sua
probità?»
replicai, nello stesso tono teatrale.
«Quella volta te l’eri cercata, no? Inoltre Sirius
era innocente, te lo abbiamo già spiegato».
«Beh, considerato il fatto che voleva freddare
Minus, non era del tutto privo di istinti omicidi» commentai.
Quel commento
parve colpire la Granger molto più di quanto non mi
aspettassi. Prima la vidi
diventare tutta rossa, poi le spuntarono le lacrime. Una vista
raggelante.
D’accordo, magari avevo
esagerato. In
fondo era pur sempre un mio parente, e freddato da mia zia per giunta.
Ora che
ci pensavo, Black era stato un mio zio di secondo o terzo grado. In
fondo, da
un certo punto di vista, quella era anche casa mia. Interessante.
«D’accordo, Granger» dissi, vedendola
immobile con
gli occhi fissi sul pavimento. «Non avrei dovuto».
Quanto erano suscettibili,
però, questi Mezzosangue!
Lei si limitò a guardarmi con freddezza. «Se non
ti
va di scendere, lo dirò alla signora Weasley». Se
ne andò sbattendo la porta, e
lasciandomi un po’ in colpa. D’accordo, molto in
colpa. Ma non era solo questo.
Ecco, avevo la sensazione che non mi piacesse affatto ferire Hermione
Granger.
Alla fine decisi che non sarebbe stato strategico
lasciarla scendere e riferire a tutti come mi aveva trovato. Le corsi
dietro e
la raggiunsi a metà della scala. «Ho cambiato
idea» dissi, aristocratico, anche
se incespicarle dietro correndo non trasmetteva grande
dignità. «Penso che
pranzerò».
«Buon per te» si limitò a concludere lei.
Fu lei a spalancare la porta della cucina. Io la
seguii, spavaldo. In fondo non potevo certo avere paura di un gruppo di
Tristi
Traditori (T.T. per ospiti sgraditi). Entrai, e vidi così
tante teste rosse che
fu un colpo in un occhio. Oltre ai due piccoli Weasley che mi
perseguitavano a
scuola, e ai suoi fin troppo cordiali genitori, c’erano anche
gli
insopportabili gemelli, e altri due giovani pel di carota che non
ricordavo di
avere mai visto. Uno dei due aveva la faccia segnata da atroci
cicatrici. Oltre
a loro c’erano Potter, Remus Lupin, Tonks, un mago tarchiato
che potevo aver
visto talvolta a Knockturn Alley e una ragazza bionda il cui viso era
momentaneamente nascosto da una cascata di capelli biondi. Quelle
tredici teste
si voltarono verso di noi, e calò un silenzio gelido e
assoluto. Di fronte a
tale ostilità, c’era solo una cosa che un Malfoy
puro poteva fare.
Mi voltai per fuggire.
La Granger mi acchiappò per la collottola e
nonostante il mio sguardo assassino mi diede una spintarella verso il
gruppo
seduto a tavola. Mio malgrado, feci un passo in avanti.
«Ciao, Draco» fece
allora la signora Weasley, avanzando con minacciosa gentilezza verso di
me.
«Avanti, siediti. È pronta la
colazione». E mi indicò il posto libero che
c’era
accanto al ragazzo col volto sfigurato. Dall’altra parte
c’era un altro posto
libero, che probabilmente era destinato alla Granger.
La ragazza mi diede un altro colpetto e fui
sospinto verso il mio posto. tutti i presenti guardavano il tavolo,
molto
imbarazzati, mentre Molly Weasley mi scaricava sul piatto una serie di
pancakes
dall’odore invit – passabile.
Per qualche secondo non seppi bene cosa fare, non
osando neanche allungare la mano verso la salsa al cioccolato che stava
al
centro della tavola. Avevo l’impressione che fosse meglio
fingere di essere
morto, così che gli sguardi passassero oltre. Solo dopo un
po’ mi resi conto
che la signora Weasley mi fissava, in attesa. Mi affrettai a cacciarmi
in bocca
un pezzo di dolce, e la vidi rilassarsi. Come se fosse stato un
segnale, tutti
ripresero a mangiare.
«Ehm ehm» fece allora il signor Weasley, che
sembrava giudicare doveroso il fatto di intervenire. «Allora,
Mal... Draco,
come trovi, qui?». Non so se a sbigottirmi di più
fu la domanda o le occhiatine
di sbieco che mi arrivarono da diversi commensali.
«Bene, la ringrazio» dissi, badando bene a
mantenere un tono gelido e formale. Giusto per vanificare i miei
ringraziamenti.
«Ne sono lieto» borbottò lui, con
l’aria molto poco
lieta, ricevendo per tutta risposta un’occhiata di
ammonimento dalla moglie,
che aggiunse, «un po’ di sciroppo
d’acero, caro?». Ci misi un istante per
capire a chi era destinato quel “caro”. Notai che
Ronald Weasley sembrava in
procinto di vomitare. «Ehm... grazie» dissi, in
tono un po’ meno glaciale.
«Come vanno gli studi, Draco?» chiese Lupin,
guardandomi bonario. Sedeva di fronte a me, accanto a Tonks.
«Ho sentito dire
che tu ed Hermione studiate assieme». Avvertendo un calore
spiacevole sul collo
e sul viso, mi schiarii la voce. «Molto bene» mi
limitai a dire, sentendo di
essere su di un terreno minato. Poi, rendendomi conto che la frase
poteva
essere male interpretata, e assai restio a dare del merito alla
Granger,
aggiunsi, «i miei voti, intendo».
«Draco è molto bravo nella mia materia»
precisò
Tonks, e non ero sicuro se fosse fiera di me o di se stessa. Parve in imbarazzo quando
si rese conto,
dalle occhiate che volarono per la tavola, di una certa
incredulità generale.
Del resto ero figlio di due Mangiamorte, per quanto attualmente
disoccupati.
«Che cosa fate quest’anno?»
domandò il ragazzo
accanto a me, voltandosi a fissarmi. Poi, dopo un istante di
riflessione,
scoppiò a ridere. «Ma che stupido, non mi sono
neanche presentato. Io sono Bill
Weasley» e tese la mano verso di me. Senza neanche
riflettere, la presi e
la strinsi. Per essere un Weasley, sembrava
normodotato.
«Giusto» commentò l’altro
ragazzo Weasley, alla
sinistra di Lupin. «Io sono Charlie Weasley, tanto
piacere». Mentre mi faceva
un cenno di saluto, notai che aveva mani insolitamente rosse e callose,
come se
se le scottasse di continuo. Forse faceva il cuoco. Naturalmente
conoscevo la
fama di entrambi; uno era stato Caposcuola, e l’altro un
bravissimo Cercatore.
Probabilmente gli unici onori che qualcuno avesse mai tributato ad un
Weasley
da tempo immemorabile. «E lui» aggiunse Charlie,
indicando con un dito il mago
dall’aria losca, «è Mundungus
Fletcher». Quest’ultimo si riscosse e
sembrò
spaventato all’idea di essere preso in causa. Notai che la
signora Weasley lo
guardava con ostilità manifesta.
«Piacere» dissi, senza troppa convinzione.
«E io» disse una voce melodiosa, appartenente alla
ragazza bionda accanto a Bill, «Sono Fleur. Ma nous
sci siamo sgià visti, a Hogvarts». Mi trovai a
fissare la
Delacour da vicino per la prima volta, e mi sentii la lingua felpata.
L’avevo
sempre vista dagli spalti, o di sfuggita nei corridoi, ma erano passati
anni.
In ogni caso, era così bella che per un attimo mi sentii
come intontito. Ma che
diavolo ci faceva lì..?
«Si» dissi, anche se come risposta suonava
piuttosto debole.
«Quasi dimenticavo» annuì Bill,
prendendole la
mano, e baciandola con tenerezza quasi disarmante. Davvero quello
splendore
stava assieme a quello..?
Avvertii una gomitata nel fianco, che la Granger
aveva provveduto a sferrarmi di nascosto. La guardai, vacuo, prima di
capire
che avevo passato quasi un minuto a fissare la giovane donna
imbambolato. Mi
ripresi.
«Ti stavo chiedendo che cosa state studiando»
riprese poi Bill, come ricordando all’improvviso della nostra
conversazione.
«Ooh, un sacco di cose» intervenne la Granger, gli
occhi che le scintillavano, prima che potessi aprire la bocca.
Cominciò un
monologo lunghissimo e particolareggiato; io mi limitai a mangiare in
silenzio,
e quando mi accorgevo che lei o Bill mi fissavano come alla ricerca di
conferma, annuivo stancamente.
Dopo aver parlato di Incantesimi, Erbologia,
Pozioni e Storia della Magia, finalmente la Granger concluse anche con
la
descrizione del programma di Difesa – così
accurato che perfino Tonks pareva
aver scordato la metà di quei dettagli.
«Maledizioni... capisco. Più o meno quello che ho
studiato anche io, all’epoca» disse Bill Weasley
(soprannominato Z.Z., Zanna e
Zazzera, per chi come me si era incantato a guardare il suo strano
abbigliamento), accarezzandosi il mento. «Certo, ormai le
maledizioni per me
sono il pane quotidiano, ma penso che possano essere utili a
tutti». Dovette
leggere la mia perplessità, perché mi
spiegò: «Lavoro per la Gringott... spezza
incantesimi. Un lavoro piuttosto interessante, se non hai paura del
brivido».
Ron Weasley finse di soffocarsi con il suo pudding, scettico.
«Capisco» replicai, neutro.
«Certo, è pericoloso» aggiunse Z.Z.,
annuendo più
volte. «Ci sono volte in cui davvero rischi grosso... prendi
Billie Stubbins,
ad esempio. È da mesi che è al Mungo, e persi che
qualcuno sia riuscito a
liberarlo di quelle corna?».
Dunque ecco spiegato il mistero di quelle brutte
cicatrici.
«Incidenti del mestiere» rise Charlie, sollevando
le mani bruciacchiate. «Vedete questa scottatura? Come
pensate che me la sia
fatta?» attese un istante prima di dire, gaiamente,
«Norberto!».
«E come sta?» chiese Potter, piuttosto interessato,
mentre lui e la Granger mi scoccavano un’occhiata stranamente
ostile.
«Ormai ha finito di crescere da un pezzo. Per
essere un Dorsorugoso, è piuttosto grosso. Mi sono sempre
chiesto se non fosse
stato qualcosa che gli aveva dato Hagrid quando era appena nato... non
è
normale». E mentre proseguiva con il suo racconto, capii che
stava parlando di
draghi. Draghi! Dunque era questo che faceva C.C., (Carbonizzato
Charlie per
chi non invidia la sua professione). Mi resi conto che Norberto doveva
essere quello
stupido drago che aveva avuto Hagrid al primo anno. Il ricordo della
punizione
nella foresta era ancora piuttosto nitido. Del resto, almeno avevo
fatto
perdere 150 punti per Grifondoro, anche se tanto, grazie a quello
stupido di
Silente – che in quei momenti desideravo aver accoppato
davvero – li avevano
recuperati proprio quando la Coppa era già nostra.
«In ogni caso, è da un po’ che non
abbiamo altri
Allevatori. Non sono in molti ad interessarsi a queste cose»
e Charlie sospirò.
«Anzi, Draco, il tuo nome promette bene. Che ne dici di
entrare nei nostri?»
scherzò.
«Non credo che questo lavoro faccia per me»
minimizzai, orripilato.
«Già. Se un drago gli bruciasse i capelli potrebbe
tentare il suicidio» commentò Ronald Weasley,
mentre più di qualcuno sogghignava.
«Beh, io invece non ti consiglio affatto
un posto alla Gringott» commentò
tetro Bill, tormentandosi la zanna di drago appesa
all’orecchio. «Dopo l’ultimo
incarico ho avuto difficoltà a sedermi per una
settimana».
«Forse sono quei pantaloni in pelle che continui a
mettere, caro» intervenne la signora Weasley, prontamente,
con l’aria di chi
combatte contro i mulini al vento. «Sembrano piuttosto
scomodi. Se solo mi
lasciassi...».
«Madre, ti prego» rantolò il figlio,
esasperato.
«Non vorrai mica costringermi ad affatturarti, vero?
L’incantesimo Infrangivoce
che ho visto in Perù il mese scorso mi pare molto
allettante».
«Io non sa, signoora Visley» intervenne Fleur,
«io
lo trovo molto attraonte».
«Beh, è davvero un bel ragazzo»
commentò la signora
Weasley, compiaciuta, osservando il figlio con un misto di
soddisfazione e
commozione. «A proposito, Bill... quell’opuscolo
del San Mungo che ti ho
portato...».
«Per l’ultima volta, mamma» disse il
ragazzo,
alzando gli occhi al Cielo. «Il mio Guaritore ha
già fatto meraviglie. E poi,
non mi dispiace proprio questo aspetto, sai. Mi dà
un’aria vissuta».
«Si, mamma, lascialo in pace» commentò
uno dei
gemelli Weasley, al quale – mi resi conto solo in quel
momento – mancava un
orecchio. Aveva un tono molto drammatico. «E poi diciamocelo,
non è poi
peggiorato granché. Mi stupisce che nessuno si lamenti per
la mia bellezza perduta».
«Magari l’hanno fatto, e tu non hai prestato
orecchio» suggerì l’altro gemello,
sogghignando.
La signora Weasley sembrava scandalizzata. «Scherzare
su certe cose»la sentii borbottare, scuotendo il capo.
«E così siete tutti immuni al mio
fascino» sospirò
Bill. «Beh, George, potresti spedirmi un paio di quelle
vostre bacchette finte,
tanto per ripagare».
«L’unico che deve pagare qualcuno sei tu, se vuoi farci un ordine»
commentò
George, in tono ameno. «E poi che diavolo vuoi farci con una
cosa del genere?».
«Ho un paio di persone con cui ho un conto in
sospeso» sogghignò il fratello maggiore, in tono
diabolico.
«Poveri noi, quanta aggressività! Che la luna
piena
sia vicina?» esclamò Fred, ridendo a crepapelle,
ma attento a non farsi sentire
dalla madre. «Scusa, Remus!» aggiunse, e
l’ex professore fece spallucce. Bill
ridacchiò, ma io ebbi la sensazione di perdermi qualcosa. Mi
voltai in cerca di
spiegazione verso Grangerpedia, che però aveva gli occhi
lucidi nell’osservare
la scena.
In quel momento la signora Weasley cominciò a
sparecchiare, e io fui costretto ad aiutare dall’occhiata
della Granger, che
fece altrettanto. Potter e Weasley fecero la loro parte parlottando tra
loro.
Poi la donna invitò il trio Potter a farmi fare un tour
completo della casa,
visto che il giorno prima nessuno ci aveva pensato.
Mentre uscivamo, gettai un occhio sulla pendola che
stava nell’ingresso. Segnava le dieci e quaranta. Eravamo
stati a tavola per
un’ora e mezza, ma a me erano sembrati dieci minuti.
«Eeeek!». Una voce nasale interruppe le mie
meditazioni. Sapevo benissimo a chi appartenesse, ma mi voltai comunque
verso la
fonte del rumore con il sopracciglio già inarcato. Malfoy
era pallido come un
cencio e mi guardava atterrito, come alla ricerca di aiuto.
«Mi ha morso!»
squittì, tendendo verso di me la sua mano, che andava
tingendosi di un delicato
colore violetto.
«Non è colpa mia se sei troppo lento»
dissi, sbrigativa,
nascondendo un sorrisetto. «Appena escono dalle tende devi
innaffiarli per
bene». Continuava a fissarmi, come allucinato, la mano tesa.
«Insomma, Malfoy,
che dovrei farci, io?».
«Beh, considerato il fatto che ti atteggi a
sapientona, immaginavo che avessi qualche rimedio alla mano!»
rispose lui,
offeso.
«Malfoy, rifletti. Hai mai sentito un qualunque
professore menzionare un antidoto per i Doxi anche solo di
sfuggita?».
«Immaginavo lo avessi trovato in qualche polveroso
volume come “101 morsi e i loro effetti”, o
“Il libro dei Doxi: come amarli,
curarli, debellarli”».
«Ma fammi il piacere» dissi, alzando gli occhi al
Cielo. Anche se in realtà avevo dato una sbirciatina ad
entrambi i volumi, al
quinto anno, quando temevo che Fred e George volessero utilizzare
quelle
Creature per le loro Merendine Marinare.
«Vai e prendi un po’ di Purvincolo, se lo trovi.
Magari ti dà sollievo».
«Oh, il Purvincolo»
disse Malfoy, storcendo la faccia in modo teatrale, e battendosi la
fronte con
la mano sana. «Perché non ci ho pensato? Aspetta,
vado a recuperarne un paio di
chili dalla borsa».
«Meno sarcasmo, Malfoy. Chiedilo alla signora
Weasley».
Malfoy non sembrava entusiasta. «Sono gravemente
infortunato, stupida. Perché non andate tu o Potter? Del
resto le buone azioni
sono la nostra specialità».
«L’ultima nostra buona azione si è
rivelata un
pessimo investimento» commentò Harry, di malumore,
terminando di spolverare un’altra
mensola. «Perciò grazie, penso che
passeremo».
Malfoy rimase zitto per qualche minuto, molto
irritato. Buttai l’ennesimo frac ammuffito nel sacco delle
cose da gettare, e
ne presi con cautela un altro (ricordavo ancora bene quando un completo
adirato
aveva attentato alla vita di Ron); nel frattempo lo osservai. Con la
mano buona
teneva un bastone con il quale pungolava le tende, senza troppa
convinzione.
Intanto si dimenava sconfortato, gettando occhiate alla mano destra,
sempre più
gonfia. Quando un altro Doxi apparve, fece un salto di mezzo metro e
anziché
spruzzargli contro il Doxicida gli tirò contro la bomboletta
semivuota.
«Pietrificus» dissi, tranquilla, rivolta
all’esserino, appena in tempo perché Malfoy non si
beccasse un morso sul naso.
Naturalmente lui si guardò bene dal ringraziarmi, e dopo
aver spruzzato metà
del Doxicida rimasto in faccia alla creatura, la buttò in un
altro sacco.
«Il Doxicida sta finendo» gli fece notare Harry,
che si stava sforzando non poco per essere cordiale con lui. Inutile
dire che
gli sforzi non erano minimamente ricambiati. «Grazie, Potter.
Acuta
osservazione» ribatté l’altro,
scostandosi con la mano alcuni ciuffi di
capelli. Era diventato una specie di tic, visto che aveva scordato ad
Hogwarts
il gel, e non aveva trovato ancora il modo di procurarsene altro. Avevo
scoperto con un certo divertimento che i suoi capelli, quando non erano
incollati al capo da chili di brillantina, tendevano a scompigliarsi
facilmente
e gli davano moltissimo fastidio.
Nessuno di noi si era offerto di ordinare altro gel
per corrispondenza.
Alla fine utilizzò l’incantesimo di rabbocco,
utilizzando la mano sinistra per compiere una goffa stoccata. La
bomboletta non
si riempì completamente, ma abbastanza perché
potesse riprendersela. Tuttavia
non lo fece; la sua mano era ormai tanto gonfia che lui si mise a
guardarla con
orrore.
Questo lo convinse a capitolare. «Vado a cercare
una cosa» mormorò, e schizzò fuori
dalla stanza, agitato. Io ed Harry ci
guardammo, e quando la porta si chiuse scoppiammo a ridere di gusto.
«Devo ammettere che mi diverte un po’»
ammise il
ragazzo, asciugandosi una lacrima di ilarità.
«Povero Malfoy, però».
«Non dispiacerti troppo» gli dissi, «in
fondo se lo
merita».
«E’ un peccato che Ron si sia perso la
scena»
commentò lui. «Si getterà dalla
finestra quando lo scoprirà».
«Avremmo dovuto fargli una foto».
«Forse non è troppo tardi. Magari
c’è ancora
qualche Doxi rimasto...» fece, speranzoso, toccando
l’orlo della tenda con la
punta del piede.
«Dubito che si avvicinerà ancora a quelle
tende» fu
la mia risposta.
«O a delle tende in generale».
Ridacchiando, ci rimettemmo al lavoro. Era il
nostro terzo giorno a Grimmaud Place, il 23 Dicembre. Non erano state
le
vacanze terribili che ci eravamo aspettati. Eravamo assieme, come
sempre, e la
presenza di Malfoy non era poi così invadente. Passava la
maggior parte del
tempo in silenzio, e perfino i suoi commenti acidi si erano fatti
sempre meno
frequenti. Come io ed Harry avevamo constatato, in parte sembrava
essere anche
la presenza della Signora Weasley a trattenerlo. Era evidente che con
lei si
sentiva a disagio, ma non riusciva a sembrare sgarbato con lei
– nonostante
tutti i suoi discorsi sull’incredibile sciatteria e sulla
volgarità di quella
famiglia di traditori di sangue. Si sentiva un intruso, ma la
gentilezza di
tutti lo spiazzava.
Perfino con me ed Harry, comunque, Malfoy sembrava
molto meno crudele del solito. Anche quando litigavamo – il
che naturalmente
avveniva spesso – e lui ci lanciava insulti più o
meno azzeccati, lo faceva più
per abitudine che con
reale rabbia o astio.
Non sapevo se fosse un bene che il quotidiano lo avesse annoiato
abbastanza da
mitigare il suo disgusto, ma speravo che lo fosse.
Con Ron, invece, la faccenda era molto più
semplice. Il diagramma temporale di Malfoy prevedeva solamente sette o
otto
minuti giornalieri del suo tempo da dedicargli, da distribuire in
piccole
scaglie di battute perfide molto ben mirate. Per le restante
ventitré ore e
cinquantadue minuti, non c’era differenza per lui tra Ron e
uno qualsiasi dei
soprammobili. Anche se Ron non lo avrebbe mai ammesso, gli bruciava la
totale
indifferenza che Malfoy gli destinava, quando perfino con il mio sangue
sporco
venivo considerata (quasi) un’avversaria alla pari.
Malfoy a parte, c’erano ben altri problemi
all’orizzonte. Harry aveva continuato a rimuginare sulla
storia del simbolo di
Grindelward, e sul libro. Quando avevamo interpellato Luna, tuttavia,
non era
stata molto d’aiuto. «Certo che lo
conosco» aveva affermato, quando glielo
avevamo mostrato. «E’ lo stemma di un gruppo
segreto molto speciale,
ha detto papà. Anche lui ne fa
parte, anche se non mi ha mai spiegato nel dettaglio di che si
occupa».
«E non puoi chiederglielo?» aveva chiesto Ron in
tono piuttosto sgarbato. A sua discolpa, dovevo ammettere che Luna
sapeva
essere esacerbante.
«Non ha mai voluto dirmelo» aveva detto Luna, nel
consueto tono sognante, anche se i suoi occhi sporgenti erano apparsi
un po’
troppo lucenti, almeno secondo Harry. Purtroppo non ero stata presente per cercare di estorcerle
altro, e i due
l’avevano vista allontanarsi canticchiando. Nei giorni
seguenti, non avevano
avuto modo di parlarle in privato. Del resto Luna non apparteneva alla
nostra
casa, e capire come passasse il suo tempo era un mistero. Quando la
vedevano a
lezione o nei corridoi, comunque, o stava assillando Nott –
che ogni giorno pareva
più incline all’omicidio – o stava
inseguendo qualche Gorgosprizzo.
Con il professor Rüf le cose erano andate assieme
meglio, e peggio.
Naturalmente il fantasma era lieto di discutere di
storia, sebbene l’argomento fiaba non fosse esattamente il
suo preferito.
«I tre
fratelli» aveva detto, nel suo tono piatto,
guardandomi fisso con i suoi
occhi semitrasparenti. «Si, è stata soggetto di
studio tra alcuni miei
colleghi... evidentemente correlata alle persecuzioni del Seicento...
è
possibile che abbia un fondo di verità, naturalmente...
c’è chi ha cercato di
vedere nei tre fratelli i cugini di secondo grado di Guendalina la
Guercia, che
come tu sai, visse...».
«Ehm, naturalmente» mi ero affrettata a
interromperlo, prima che diventasse un fiume in piena e smettesse
completamente
di ascoltare. «Quello che mi stavo chiedendo era... esistono
alcune
informazioni certe sull’autenticità della
storia?».
Il professor Rüf mi aveva guardato, vagamente
sconcertato. «Beh, signorina Ganger» aveva detto,
con una leggera vena di
indignazione, quasi azzeccando il mio nome, «spero che tu non
intenda supporre
che esistano davvero gli oggetti descritti nella storia!».
Quell’ipotesi non mi era neppure venuta in mente,
ma mi aveva fatto venire i brividi. «Oh, no,
professore» l’avevo blandito, e lo
avevo visto rasserenarsi, «ma sa, mi sembrava che fosse
diversa dalle altre. Mi
chiedevo se non fosse stata costruita a partire da qualcosa di
più concreto
della semplice immaginazione».
«Ci sono diverse teorie» aveva convenuto lui,
pensoso.
«Anche se è possibile che si tratti di una
semplice storia. Come la Camera dei
Segreti...».
«La Camera dei Segreti è esistita,
professore» gli
avevo ricordato.
Lui aveva tossicchiato, mentre il volto si faceva
più opaco. «Già, ma fino a che non si
trova il modo di provare altrimenti, una
storia va considerata tale. Certo è che vi sono alcuni che
considerano in
maniera letterale la storia
–
naturalmente un’assurdità – e altri che
sono in favore di una base storica su
cui si è innescata la leggenda».
«E cioè... signore?».
«Oh, beh» aveva fatto spallucce lui.
«Pare che
alcune famiglie fossero in lizza per essere identificate come quella
dei tre
fratelli. Quella più accreditata era senza dubbio quella dei
Peverell... ma il
nome si è estinto da molte generazioni, e in ogni caso, che
senso avrebbe
riconoscere che sono proprio loro i tre fratelli della
storia?».
Quella stessa sera ero andata alla festa di
Lumacorno, subito dopo aver parlato con Harry e Ron. Avevo sperato di
parlare
con Draco della faccenda, ma poi mi aveva dato sui nervi e me ne ero
scordata.
Da quando eravamo a Grimmauld Place non avevamo ancora avuto modo di
discuterne
assieme, considerato il fatto che la signora Weasley era sempre in
agguato.
Harry tuttavia aveva passato tutto il tempo a rimuginare.
Ormai lo conoscevo così bene che riuscivo a vedere le
sinapsi dei suoi neuroni
agire. Mi spaventava enormemente, perché sapevo che poteva
avere risultati
devastanti.
Mentre riflettevo su questi argomenti, tetra, la
porta tornò a spalancarsi e Malfoy si affacciò,
affannato dalle tre rampe di
scale che doveva avere appena salito. La mano era tornata quasi
normale, ed era
fasciata, sicché il gonfiore si intravedeva appena al di
sotto delle bende
spesse. «Allora?» dissi, fingendo grande
preoccupazione, «che ti hanno detto?
Perderai la mano..?».
«Ah-ah» disse Malfoy tra i denti, fulminando Harry
che sogghignava alla mia battuta. «Potter, anziché
ridere, renditi utile. Pare
che la signora Weasley abbia bisogno di te, anche se la cosa pare
logicamente
impossibile».
«Immagino che lo sia, quando si ha a disposizione
un unico neurone» commentò Harry tranquillo,
allontanandosi. Accidenti, stava
diventando arguto. Se ne andò, lasciandoci soli. Ci fu
qualche istante di
silenzio, prima che il mio compagno dicesse, con una certa apprensione:
«ce ne
sono altre, di quelle bestiacce?» indicando le tende.
«Penso di no» gli dissi, impietosita
dall’occhiata
terrorizzata che lanciava alla stanza.
«Ottimo» bofonchiò, andando a sedersi su
una
poltrona consunta che stava in un angolo – opposto alla
finestra.
«Beh.? Batti la fiacca?» gli dissi, mentre
scrollavo un vestito da donna dall’aria innocua, che tuttavia
squittì con
indignazione. Mi affrettai a gettarlo tra la spazzatura.
«Penso di avere la febbre» si lagnò lui.
«Certo»
commentai, scettica.
«Dico sul serio!» protestò Malfoy.
«Fino a che non potremmo cuocere le uova sulla tua
fronte, non sarai autorizzato a battere la fiacca» proclamai,
senza pietà.
«Ma io ho davvero la febbre» lo sentii obbiettare.
Non gli badai, afferrai due o tre bracciate di vestiti e gliele gettai
addosso.
Una nuvola di polvere si sollevò dalla stoffa consunta e
lisa dalle tarme e dal
tempo. Malfoy tossì ripetutamente, spingendoli per terra.
«Tu vuoi uccidermi!».
Emisi un verso seccato. «Nessuno vuole ucciderti,
Malfoy».
Malfoy tacque un istante. «Quasi
nessuno» rettificò, macabro.
«Oh, scusa. Perché noi invece siamo i compagnoni
di
Voldemort e dei Mangiamorte».
«Si, ma voi siete degli idioti. Io con la mia
intelligenza non ho scuse per non aggregarmi a loro». E
sospirò.
«Già che ci sei, realizza anche di non avere scuse
per evitare di lavorare ora» borbottai.
«Come vuoi. Se muoio mi avrai sulla coscienza».
«Perché devi sempre essere così
drammatico? Il
mondo non gira attorno a te, accidenti!» scattai, seccata.
«Beh, senti chi parla» commentò lui,
risentito. «Io
ti dico di stare male, e tu che fai? Ti irriti. Forse non sono io a
desiderare
l’attenzione, dopotutto; io
non passo
il tempo in classe con la mano per aria per mostrare di essere una
insopportabile
Sotutto».
Arrossii. Quelle parole, insopportabile
Sotutto, mi erano familiari. Era vero, volevo che
gli altri vedessero che ero brava. Del resto, io ero una Nata Babbana.
Avevo
sempre pensato che la scuola fosse l’unico sistema per
dimostrare finalmente il
mio valore. Prima di arrivare ad Hogwarts ero stata semplicemente una
ragazzina
timida e studiosa, ma Hogwarts era il mio posto. e tuttavia mi
vergognavo di
pensare che Malfoy potesse aver capito qualcosa di ciò.
Mio malgrado mi addolcii un pochino. «Davvero stai
male?» gli chiesi.
«Certo che si, per Merlino!» fu la risposta.
«Ci
sei arrivata, finalmente!».
Mi avvicinai a lui, scrutandolo attenta. In effetti
era un po’ pallido. E sudato. E aveva le borse sotto gli
occhi. «Che cosa ti
senti, esattamente?» chiesi, in tono clinico.
«Ho caldo. La
mano mi fa male. E ho la nausea».
Gli schiaffai sgarbatamente una mano sulla fronte.
In effetti avrebbe potuto scottare un pochino. Ok, magari scottava. Ma
non così
tanto. Probabilmente era solo più sensibile alle tossine
Doxi. Forse avevo
scoperto la ricetta dei Torroni Febbricitanti o come
si chiamavano. «Sei a sangue caldo,
vero?»
ironizzai.
«Ah-ah» fece Malfoy, con l’aria nauseata.
«Magari hai qualche linea di febbre» concessi, di
malavoglia. Malfoy alzò gli occhi al Cielo.
«Grazie, Granger, per essere
arrivata alla diagnosi corretta con appena una mezz’ora di
ritardo».
«Beh, è così che funziona. Come con
Pierino e il
lupo» sbuffai, ricordando il disastroso episodio della nostra
recita in tema,
anni prima. Barnie Burns era il lupo, e a me era toccato essere la
pecorella
che veniva sbranata. Venuto il momento di rapirmi e divorarmi, mi aveva
fatto
lo sgambetto non appena avevamo raggiunto il retro delle quinte,
approfittando
dell’assenza delle insegnanti. Non era un bel ricordo.
«Che diavolo sarebbe?».
Alzai le spalle. Improvvisamente persi la
voglia di
spiegarglielo. Se lo avessi
fatto, probabilmente lui mi avrebbe ascoltata in silenzio per poi dire
alla
fine, con aria indifferente, “che razza di storia pietosa o
magari “tutte così
le storie Babbane, Granger? Immagino che il problema
dell’insonnia sia stato
definitivamente debellato dalle vostre parti” o ancora,
“Cristo Santo, Granger,
se avessi voluto sentire qualcosa di agghiacciante avrei graffiato una
lavagna,
anziché starti a sentire!”. A quel punto avrei
dovuto replicare con qualcosa di
pungente o magari rimanere in un dignitoso e disgustato silenzio,
mentre la
storia di Pierino e il lupo sarebbe scomparsa
come se non fosse mai esistita.
«Nulla di importante» dissi, stancamente.
«La
signora Weasley non ti ha dato nulla da prendere per i
sintomi?».
«Non ha nulla in casa. Ha detto che, se più tardi
starò ancora male, uscirà a prendermi
qualcosa» disse Malfoy. Pareva vagamente
a disagio a pensare alla signora Weasley, ma soprattutto mi fissava
perplesso,
come se non riuscisse a capire che cosa passava per la mia sudicia
mente
Babbana. «Ok»
mi limitai a dire,
ritraendo la mano ancora premuta contro la sua fronte.
Non sapevo che cos’altro dirgli. Calò un silenzio
meditabondo, mentre io riprendevo a lavorare in silenzio. Pierino e il lupo aveva riportato a galla
dei ricordi che
sembravano distanti ormai decenni. Quel mondo mi sembrava ormai
sbiadito come
un ricordo, e quasi mi veniva da ridere al pensiero di spiegarne una
parte a Malfoy. Sarebbe stato bello
esserne
capaci, ma la gente come lui era cieca e sorda – e in fondo
si trattava di un
mondo che un po’ aveva cominciato a sfuggire anche a me.
Malfoy nel frattempo rimase immobile a fissarsi le
ginocchia, dimentico della mia presenza.
Il silenzio fu rotto da una serie di strilli
inconfondibili provenienti dall’atrio. Mi voltai verso la
direzione da cui
provenivano le urla, e Malfoy alzò il capo, come appena
svegliato. In quel
momento la signora Weasley irruppe nella stanza. Feci un salto alto
mezzo
metro, spaventata da quella apparizione. «Draco
caro» disse la donna,
trafelata, piombando addosso al ragazzo biondo e ghermendolo sulla
spalla. «Ehm
– ti spiacerebbe darci una mano con tua zia? Pare che sia di
pessimo umore».
Malfoy la seguì senza dire una parola.
La presenza di Draco Malfoy a Grimmauld Place si
era dimostrata insolitamente utile per quanto riguardava il temibile
ritratto
della mamma di Sirius. La prima volta che aveva ripreso a strillare da
dietro
le tende – ed era capitato quasi subito dopo il nostro
arrivo, grazie a Tonks
che aveva fatto cadere nell’atrio un vassoio colmo di tazze
di cioccolata calda
– aveva finito per posare il suo sguardo su Malfoy ed era
come ammutolita di
stupore.
«Tu hai un’aria familiare, ragazzo» aveva
detto, in
tono stridulo ma interessato, gli occhi iniettati di sangue che non lo
mollavano un attimo. Pareva un pitbull inferocito che ringhiava al
padrone
senza troppa convinzione. «Chi sei, e perché osi
mettere piede in questa casa?».
«Sono Draco Malfoy» aveva replicato lui, piuttosto
sbigottito dall’insolenza di quel ritratto consunto e
grottesco.
«Malfoy?» era stata l’esclamazione di
puro stupore
della vecchia. «Tu sei il figlio di Narcissa!».
Malfoy aveva cautamente
assentito. «Un Black mette di nuovo piede in questa casa,
dunque!» aveva
strillato la donna, trionfante, battendo il pugno sulla poltrona
imbottita
sulla quale era adagiata. «Dopo tutti questi anni, finalmente
i legittimi eredi
sono ritornati!».
«La casa è di proprietà di
Harry» aveva commentato
freddamente Lupin, accorso ai primi insulti volati verso Tonks.
«Gli è stata
lasciata da vostro
figlio».
«Sirius non è più mio figlio»
aveva sibilato la
vecchia. Poi, tornando a rivolgersi al pronipote, «ma
perché ti trovi qui, ora?
E in compagnia di questa feccia, per di più».
«Sono circostanze complicate» aveva detto Malfoy,
mesto.
«Non sei qui per
scacciare questi... questi individui dalla mia
casa?» aveva chiesto lei,
stupita.
«Sono venuto su invito» era stata
l’evasiva risposta.
I due si erano squadrati per diversi istanti. E
poi... «come sta Narcissa?».
Apparentemente la vecchia era stata così a lungo
senza nessuno a lei affine con cui parlare, che la compagnia di Draco
le
sembrava deliziosa. Avevano chiacchierato per oltre un’ora, e quando finalmente lui era
riuscito a scappare
via, l’aveva lasciata di così buon umore che non
aveva strillato contro nessuno
per due giorni, limitandosi agli insulti sputati tra i denti.
Gli strilli si placarono presto. Nel frattempo io
avevo concluso con i vestiti. Afferrai un pensate sacco della
spazzatura in
ciascuna mano e li trascinai fino alla porta, mollandoli poi nel
corridoio. Così
vidi correre verso di me Ron ed Harry, trionfanti. «Finito,
finalmente» sospirò
Ron, rosso di fatica e con i capelli scarruffati. Era piuttosto carino,
così.
«Visto che mamma è andata a cercare
quell’idiota di Malfoy ho usato la magia
per lucidare gli ultimi piatti».
«Io ho finito da un po’» disse invece
Harry,
stiracchiandosi. «Ma Mundungus proprio non ne voleva sapere
di lasciarmi... ha
continuato a chiedermi se poteva vendere qualcuno dei cimeli di
famiglia che
volevo buttare». Era scuro in volto.
«Gli hai detto di no, vero?».
«Certo. Ma Lupin concorda con me quando dico che
bisognerà tenerlo d’occhio».
«Mmh» dissi, ascoltandolo solo a metà.
Presi di
nuovo i sacchi e cominciai a scendere le scale; solo dopo qualche
istante mi
resi conto che nessuno mi aveva seguita. Mi voltai; Harry e Ron mi
guardavano.
«Ehm... Hermione» fece Harry.
«Perché non usi la magia per portare
quelli?».
«Oh» feci, colorendomi appena.
«Giusto». Mossi appena
la bacchetta e i due sacchi neri volarono giù per le scale,
un volo perfetto. L’atterraggio
fu un po’ goffo, ma non aveva importanza.
«Mi sembri strana» disse di nuovo Harry, mentre
scendeva un paio di gradini verso di me, seguito a ruota da Ron.
«Tutto bene?».
Lo guardai, incerta. «Certo» dissi, perplessa.
«Hai una faccia sbattuta» confermò Ron,
come sempre
privo di tatto.
Improvvisamente nervosa, dissimulai la cosa con un’alzata
casuale delle spalle. «Forse sono un po’ stanca.
Avanti, scendiamo. Devo cominciare
a studiare».
Le undici, e non avevo sonno. Mi ero rannicchiato
in un angolo tranquillo della stanza che era appartenuta a Black
– cioè, Sirius
Black. Visto che non avevo nulla da fare, ero andato avanti con la
biografia di
Silente di Rita Skeeter. Era quello il contenuto del misterioso
pacchetto che
mi era arrivato tempo prima a scuola, ma avevo pensato di nasconderlo
perché non
ero certo di quelle che sarebbero state le reazioni se qualcuno me lo
avesse
messo in mano.
Quando la Granger aveva nominato Grindelward a
proposito del simbolo, la prima cosa che mi era venuta in mente era
stata che
Grindelward, secondo la Skeeter, era stato l’amico intimo di
Silente per
diversi anni. Così avevo deciso di proseguire con la lettura
e avevo concluso
il capitolo, iniziato la settimana precedente.
Alla fine del capitolo trovai tre fotografie a
colori. La prima ritraeva Silente alla scrivania, da giovane, intento a
scrivere qualcosa con l’aria corrucciata. La seconda era una
foto di lui e
Grindelward – sullo sfondo si vedeva anche il fratello
Aberforth,
apparentemente scontento, che fissava la scena. La terza era invece una
foto
del giovane Grindelward, che rideva mentre si passava la mano tra i
capelli
biondi...
Capelli
biondi.
Mi sentii pervadere da una scossa elettrica. Fissai
la foto. Silente era amico di Grindelward, un ragazzo biondo. Quello
che aveva
ricordato Gregorovich. Quello che Voldemort cercava. Fissai la pagina
per un
istante, prima che la seconda illuminazione arrivasse. Il simbolo.
Tornai indietro di qualche pagina.
Su di un’intera facciata albergava la
riproduzione di una lettera di Silente. E lì, in piccolo,
incastrato della “A”
di Albus, c’era la piccola copia di quello stesso simbolo.
Non era il simbolo solo di Grindelward.
Era anche quello di Silente.
Riflettei rapidamente, euforico. Se quello che Rita
scriveva era corretto, Silente in gioventù non era certo
stato un santo. Al contrario,
per un certo periodo, fino alla morte della sorella, lui e Grindelward
avevano
covato grandi progetti.
Poi la sorella era morta misteriosamente, e Silente
non aveva più voluto saperne del suo amico. Silente poteva
averla uccisa,
certo, ma ne dubitavo. Avevo conosciuto Silente. Ricordavo la notte
sulla
torre. Non avrebbe mai potuto farlo.
Forse era stato Grindelward ad ucciderla, ma questo
non aveva importanza. Quello che importava era invece che Silente aveva
voluto attirare
la nostra attenzione su di un simbolo che aveva segnato il progetto
della sua
giovinezza – e lo aveva fatto collegandolo a una fiaba.
La Granger non ci aveva detto quello che Rüf le
aveva spiegato sulla fiaba, e Potter e Weasley non avevano cavato nulla
di
bocca a Luna Lovegood per quanto riguardava suo padre. Ma era chiaro
che c’era
qualcosa di più di una semplice storia nel racconto dei tre
fratelli.
Mi alzai. Dovevo assolutamente trovare la Granger. Ero
certo che lei avrebbe saputo fare qualche altro collegamento. Presi il
libro e,
il più silenziosamente possibile, uscii dalla stanza. Il
cuore mi martellava
nel petto. Eravamo vicini, molto vicini. Nel pianerottolo, esitai.
Dovevo andare
a svegliarla? E se avessi svegliato la Weasley? Quello che era certo
era che
non potevo aspettare l’indomani. Dovevo parlarne con
qualcuno. Dovevo capire. Feci
per salire le scale che conducevano alla sua stanza, ma mi bloccai.
C’era una
luce che proveniva dal piano inferiore.
Dubitavo fosse la signora Weasley. Certo, avevo
lasciato la mia stanza quando né Potter né
Weasley dormivano. Potevano essere
loro, ma in tal caso era improbabile che la Granger non ci fosse. E
ovviamente non
era il massimo discutere con i due idioti presenti, ma poteva andare.
Lentamente,
cautamente, presi a scendere le scale.
Giunsi nell’atrio. Tesi le orecchie; se non era la
Granger, non avevo intenzione di manifestarmi.
Speravo di cogliere un rumore rivelatore, come lo
sfogliarsi di un libro. Invece, con mia grande sorpresa, oltre al
crepitare del
caminetto mi giunse all’orecchio la voce della Granger, a
malapena un sussurro,
ma pur sempre udibile.
«...cosa fare. È evidente che la storia dei Tre
Fratelli
lo sta ossessionando, Ron».
Mi gelai. La Granger stava parlando con Weasley. Per
un istante mi chiesi se intervenire, ma poi il mio istinto ebbe la
meglio.
Trattenni il fiato, accostandomi appena di più alla porta.
«Beh, non è che abbia tutti i torni,
no?» fece
Weasley, incerto. «Voglio dire, gli Horcrux sono importanti e
tutto il resto,
però... Silente vuole che capiamo, giusto?».
«Giusto» concesse lei, «però
gli Horcrux hanno la
priorità. Francamente, Ron, talvolta penso che Harry sia...
non lo so... un po’
fissato con l’idea di scoprire cose che non ci sono. Non mi
pare che abbia
voglia di ascoltarmi».
«Già» fu la risposta mesta.
«Ma tu che cosa pensi
della storia, sinceramente?».
«Io... io
non lo so. La Pietra della Resurrezione... la Bacchetta di
Sambuco...
sono tutte leggende. Non possono essere vere».
«Ma il Mantello... devi averci pensato,
Hermione...»
«Lo so. Però il Mantello di Harry non è
unico».
«Tu non capisci. I Mantelli
dell’Invisibilità
normali sbiadiscono, perdono di efficacia. Quello di Harry, beh...era
di suo
padre, no? Quindi l’incantesimo è molto
resistente, no?».
«E quindi secondo te esisterebbero questi... questi
oggetti? Ron...».
«Senti, Hermione, lo so anche io che è assurdo. Ma
la
Pietra mi ricorda – beh, la Pietra Filosofale, e per quanto
riguarda la
Bacchetta...». Si bloccò. «Hermione, ci
sono tante leggende che parlano di
bacchette invincibili. Immagino che la maggior parte sia una leggenda,
però...
la Stecca della Morte... la Bacchetta di Sambuco... sono tutte
conosciute».
«Vuoi dire – vuoi dire che esistono storie su
bacchette del genere?» pigolò lei, e io mi
irrigidii. Per una volta, Weasley sembrava
avere ragione.
«Non solo. Tutte quelle cose del tipo, “bacchetta di Sambuco, non ne cavi un ragno
dal buco”... magari c’è un
fondo di verità in queste cose. Forse Silente
vuole dirci...».
«...che Voldemort le sta cercando»
sussurrò la
ragazza, inorridita.
Beh, non sarebbe stata l’ultima brutta notizia
della nottata. Mi morsi un labbro, riflettendo. Poi decisi di aspettare
ancora.
Volevo sentire. Volevo aspettare...
«Gli Horcrux sono la cosa più
importante» disse Ronald
Weasley. «Hai ragione».
«Vorrei che lo capisse anche Harry».
Un istante di silenzio.
«E Malfoy?». Il tono di Weasley era colmo di
ostilità.
«Malfoy non è un problema, Ron».
«Questo lo dici tu».
«Infatti, e ho ragione!» disse lei, con veemenza.
Sorrisi
tra i baffi. Draco 1, Weasley 0. «Ascolta, Ron, lo so che
Malfoy è un idiota. Non
possiamo farci nulla. Però non penso che possa crearci dei
problemi. Ultimamente...
ultimamente si è dato una calmata. Possiamo
controllarlo».
«E se non ne fossimo capaci? Vuoi davvero parlare
con lui di tutto questo?».
«Io – io non lo so. Penso che sarebbe giusto
farlo».
«Non sono d’accordo».
«Insomma, Ron, di che hai paura? Draco Malfoy è un
codardo. Penso davvero che sarebbe in grado di andare dal suo prezioso
Signore
Oscuro solo per fare la spia? O forse pensi che si darebbe alla
macchia».
«Non lo so» mugugnò lui.
«Però, Hermione, non mi
piace».
«Che cosa?».
«Il modo in cui ti parla. O ti guarda. Mi sembra
strano. E non mi fido di lui».
«Oh, Ron» disse lei, esasperata. «Quanto
a questo,
beh... a me non importa un bel nulla di Malfoy. Lui è un
idiota, e in fondo sono
pur sempre una Mezzosangue».
Sentendo la testa vuota, riuscii a sporgermi appena
dallo stipite. Vidi che i due si stavano guardando, imbarazzati. E poi,
stranamente, vidi Weasley fare un impercettibile movimento verso
l’amica. La Granger
fece altrettanto.
Ritraendomi appena verso la mia posizione, colpii
il pavimento con un tacco.
«Che cosa è stato?» sussurrò
lui. «Io – non lo so»
mormorò la Granger.
Sorrisi. Qualcuno aveva perso il momento. Girai sui
tacchi e mi avviai silenziosamente verso la mia stanza. Forse avevo un
nuovo
segreto tra le mani.
NOTA DELL’AUTRICE
Ecco a voi...
il primo di quattro capitoli dedicati alle vacanze in casa
Potter-Black! Spero che
vi piaccia questo,abbastanza lungo, che funge un po’ da intro
per i prossimi,
durante i quali avremo: apparizioni mistiche (più o meno),
altre illuminazioni,
una gita alla Crocodile Dundee, un po’ di studio e di
litigi... nulla di nuovo,
insomma XD
Delucidazione
consueta sul titolo dei capitoli: HOME SWEET HOME è
semplicemente l’equivalente
italiano di “casa dolce casa”, affermazione che
può essere più o meno vera... a
seconda della persona!
Fatemi sapere
che cosa ne pensate... un bacio come sempre a tutti i lettori e alle
mie
fedelissime recensitrici, che scrivono papiri egizi solamente per
incoraggiarmi! <3
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Capitolo 21 *** Nightmare before christmas ***
NIGHTMARE
Non mi piaceva affatto tornare alla Gringott dopo
così breve tempo, anche se ero davvero a secco. Non mi piaceva neppure doverci
andare in compagnia di metà dell’Ordine, anche se naturalmente era necessario.
La cosa che mi piaceva meno in assoluto, comunque, era doverci andare con un
travestimento squallidamente Babbano, anche se naturalmente non potevo farci
granché.
Era una gran stupidaggine. Insomma, in fondo
sarebbe bastata dell’altra Pozione Polisucco, no? proprio come io e Potter avevamo
fatto l’ultima volta. Peccato dunque che quella stronza della Granger avesse
fatto notare a Potter – fino a quel momento d’accordo con me – che non avremmo
certo potuto dire a quelli dell’Ordine che io e Potter ci allontanavamo dalla
scuola per truffare i folletti della Gringott e lanciare loro Maledizioni Senza
Perdono. Per di più quelli dell’Ordine della Fenice (O.F, Ordine dei Farlocchi,
per Malfoy trasformati in pagliacci) erano contrari all’uso della Pozione
Polisucco quando avevamo a disposizione “un’alternativa molto più semplice e
meno rischiosa”.
Molto più semplice?
«Che cosa dovrei fare?» chiesi alla signora
Weasley, sospettoso, e indietreggiai involontariamente di un paio di passi.
«Oh, nulla di che» minimizzò il signor Weasley
sorridendo.
Dieci minuti dopo avevo ceduto, ma solamente dopo
che i gemelli Weasley mi avevano proposto sottovoce di sperimentare sulla mia
pelle alcune delle loro ultime invenzioni.
Mi misero a sedere e mi schiaffarono un asciugamano
dietro al collo. Poi mi colarono sui capelli un liquido chiaro e schiumoso che
puzzava di acido e che cominciò a bruciare dopo pochi, drammatici minuti. Nel
frattempo la signora Weasley aveva estratto una serie di cosmetici e aveva
preso a picchiettarmi sul viso diversi prodotti. Il signor Weasley sopraggiunse
proprio quando il mio cuoio capelluto cominciava a pizzicare e mi spalancò un
occhio. Improvvisamente convinto che volessero torturarmi, strillai mentre lui
mi schiacciava un tondino trasparente sull’occhio. Rassicurato sul fatto che
non volesse strapparmi i bulbi oculari, gli permisi tuttavia di ripetere
l’operazione sull’altro.
Dopo avermi sciacquato i capelli, la signora
Weasley mi passò una veste logora. Io, gli occhi che lacrimavano, non capii
subito che volevano che la indossassi. Fu solo dopo che l’ebbi utilizzata per
tamponare gli occhi che lei chiarì l’equivoco, imbarazzata, e mi aiutò a
indossarla. Fui costretto a permetterglielo – non vedevo abbastanza bene per
fuggire.
Alla fine mi spinse gentilmente fuori dalla porta
della stanza, conducendomi nell’atrio. Lì era radunata una piccola folla di
persone. Tutte ammutolirono quando mi videro.
Il boato di risate che scoppiò quasi mi ferì le
orecchie.
Sconcertato, guardai la signora Weasley che
sembrava lottare per mantenere una certa serietà. «Draco caro... ehm... penso
che tu possa vederti allo specchio, adesso» mi comunicò. Inorridito, corsi
verso Tonks che teneva uno specchietto nella mano – ancora tremante di ilarità
repressa – e glielo strappai di mano.
A ricambiare lo sguardo era un ragazzo con il
colorito roseo, il viso cosparso di una quantità mostruosa di lentiggini che
arrivavano quasi fino al colletto di una veste lisa. Il ragazzo aveva occhi
marroni – non grigi – e capelli dello stesso colore pel-di-carota di un Weasley.
«I miei... i miei capelli» rantolai, sentendomi
venir meno.
«Sarai il cugino Barry» mi informò allegramente
Molly Weasley, mentre mi rimirava compiaciuta. «Nessuno potrebbe mai sospettare
il contrario!».
“E dovrei rallegrarmene?” avrei voluto strillare, ma
ero incapace di pronunciare anche solo una sillaba. La guardai, inerme, quasi
supplichevole, ma la donna non parve cogliere la mia disperazione. «Perché non
prendi le tue cose, adesso?» mi propose invece, raggiante.
La Granger e Potter sembrarono comprendere che non
ero in grado neppure di fare un passo, perché si scambiarono un’occhiata
consapevole e mi agguantarono, trascinandomi su per le scale fino alla stanza.
Quando fummo al riparo dalle orecchie dei Weasley senior, mi contorsi come
un’anguilla per liberarmi.
«Non uscirò mai conciato in questo modo!» strillai,
recuperato l’uso delle mie corde vocali.
«E’ un semplice travestimento» disse la Granger,
cercando di suonare ragionevole, e non la pazza furiosa che era.
«E’ un omicidio.! I miei capelli non torneranno più
quelli di prima! E tutto perché quelli sciattoni dei Weasley non si possono
permettere una scorta di Polisucco!».
Potter arrossì. «Bada a come parli».
«Potter» dissi, stralunato, afferrando una ciocca
di capelli – ancora puzzolenti di tintura – e sollevandola come una prova verso
il soffitto. «Tu non hai appena subito una seduta di tortura».
«Neanche tu!» interloquì la Granger. La ignorai.
Non avevo comunque voglia di parlarle. «Credete davvero che qualcuno potrebbe
mai scambiarmi per un Weasley?».
«Si» dissero i due in coro.
«Beh, chiedetelo a uno dei nostri compagni di
classe. Se mai dovessimo incrociarli...».
«Senti, Malfoy, sei stato tu a chiedere di venire
alla Gringott. Il piano originale era di lasciarti qui a marcire con Tonks come
balia, mentre noi guardavamo i negozi».
«Quindi è una specie di punizione?» dissi,
trionfante. «Ecco la dimostrazione: siete matti da legare!».
«Volete fare più piano?» sibilò Ron Weasley,
piombando nella stanza. «Gli strilli arrivano al piano di sotto, dannazione».
«Oh, magnifico. Un altro spostato» dissi. «Tu,
piccolo...» disse Weasley, colorendosi, e avvicinandosi minacciosamente. «Non
muoverti o ti affatturo, stupido Magonò» lo avvertii, portando la mano alla
tasca che custodiva la bacchetta.
«Bada a come parli, Malfoy» ripeté Potter, con
ostilità crescente.
«Altrimenti cosa fai?» lo sfidai.
«Basta!» strillò la Granger. Tutti ci voltammo
verso di lei.
«Tu» disse lei, la fronte aggrottata, puntando
verso Potter, «rimani calmo, e sii più comprensivo. «Ron, metti giù la
bacchetta...».
«Lui mi stava minacciando. Penso che sia ora che
riceva una lezione...».
«Nessuno affatturerà nessuno, accidenti! Quanto a
te, Draco Malfoy» e la ragazza mi fissò con gli occhi lampeggianti, simile a
uno Schiopodo Sparacoda particolarmente di cattivo umore, e pronto ad
esplodere, «tu piantala di lamentarti. La signora Weasley stava semplicemente
cercando di accontentare un tuo capriccio senza metterci tutti in pericolo, il
che, se non te ne sei accorto, è un’impresa piuttosto difficile. Se sei un
ingrato, quantomeno abbi la buona creanza di non darlo troppo a vedere. Se ti
vedo un’altra volta cercare di affatturare qualcuno, dovrai passare il Natale
con un braccio in più che ti spunta dalla testa. tutto chiaro?».
La guardai in silenzio. «Io me ne vado» dichiarai,
e presa la mia roba uscii. Odiavo tutti loro. Scesi le scale. I coniugi Weasley
mi guardavano, incerti. «Tutto bene, caro?» mi chiese lei, preoccupata.
«Tutto bene» mormorai.
Un’ora più tardi rischiavo di finire schiacciato tra
la folla di Diagon Alley. Più di qualcuno mi aveva pestato il piede, e chissà
come ero convinto che se avessi avuto il mio normale aspetto nessuno ci avrebbe
anche solo pensato. E non solo perché probabilmente ero considerato da gran
parte della comunità magica come un pazzo furioso e deviato (o P.P., Parente di
Potter, per chi aveva un po’ più di giudizio). I Weasley erano... poveri. Tutto trasudava povertà nel loro
aspetto. Ed io mi strascicavo dietro di loro con espressione inevitabilmente
disgustata, fantasticando di un cedimento nel sottosuolo che li inghiottisse
tutti.
Certo, i privilegi erano diversi. La signora
Weasley, ad esempio, che mi guardava come una mamma chioccia e sembrava
convinta di dovermi trattare con un particolare occhio di riguardo. Quando
avevo “accidentalmente” pestato il mantello di uno dei gemelli facendolo quasi
cadere a terra, era stato Fred (o George) a essere rimproverato perché, a detta
della madre, “camminava in modo ingombrante”. Avevo urtato la Granger con la
borsa ben tre volte, senza che nessuno me lo facesse notare. Eh eh.
Un altro privilegio era Mundungus Fletcher, che
chiudeva la fila ingombro di libri, scatole e cianfrusaglie che avevamo
recuperato qua e là, sbuffando affaticato. Per me una piacevole routine che tornava
a ripetersi dopo un luungo intervallo di tempo.
Infine, naturalmente, non ero da solo. Sapete,
talvolta, quando si è ricercati dal mago più potente e crudele del mondo che
vuole vendetta – o almeno sangue – può fare piacere sapere che un idiota quattrocchi
nascosto sotto un mantello invisibile non è la tua sola garanzia di
sopravvivenza in un posto insidioso come Diagon Alley.
«Se volete , possiamo andare noi al Serraglio
Stregato» si offrì il Signor Weasley, una volta che fummo usciti da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch.
«Così potete approfittarne per andare all’Emporio di Pozioni, e da Madama
McClan».
«Buona idea» convenne Weasley, evidentemente lieto
di sbarazzarsi dei genitori. Io, che mi sentivo decisamente meno euforico
all’idea di passare altro tempo solo con il Trio Potter – specie considerati i
miei recenti origliamenti – guardai invece l’uomo come a scongiurarlo di
tenermi con sé. In fondo, ero in incognito, giusto? Perciò non c’era ragione di
lasciarmi solo con quei tre, rischiando di mandare a monte la mia copertura.
Capì al volo, ma parve indeciso sul da farsi, e mi
scrutò, a disagio.
C’era un motivo se mi ero guadagnato
quell’occhiata. Non appena avevamo messo il piede a Diagon Alley, avevamo
puntato dritti verso la Gringott. Ci eravamo quindi separati – eravamo troppi
per un solo carrello – e ad accompagnarmi alla mia Camera era stato proprio il
Signor Weasley, che aveva il compito di prelevare anche per sé, mentre la
moglie accompagnava Potter e i gemelli Weasley, che custodivano i propri
guadagni in una camera a parte.
Avevamo fatto la prima sosta alla camera dei
Weasley. Quando il pesante portone si era spalancato sotto le dita di Sgrinfia
– il folletto che ci accompagnava – avevo impiegato alcuni istanti per
localizzare il piccolo mucchio di Galeoni che stava sul pavimento, impilato in
piccole torri ordinate. Il signor Weasley si era schiarito la voce. «Molto
bene» aveva commentato, a disagio, infilandosi in tasca un paio di manciate di
monete e uscendo poi in tutta fretta. «Così dovrebbe andare».
Ero rimasto muto. Sapevo bene che i Weasley erano
poveri – in fondo avevo passato anni a deriderli per questo – ma in fondo erano
pur sempre una famiglia Purosangue. Erano così vergognosamente, assurdamente
ospitali che pur non dando l’idea di ricchezza non sembravano... poveri. Quando
sostammo davanti alla porta della mia camera, e il folletto tese la mano verso
di me, provai un vago senso di... colpa? Disagio? Pena?
Il folletto aveva spalancato la porta, senza che il
senso di colpa si fosse mitigato. La mia Camera era zeppa d’oro, e la cosa era
sempre stata motivo di orgoglio, ma in quel momento mi fece sentire quasi
sporco. Il signor Weasley aveva guardato, gli occhi sbarrati, mentre io
riempivo frettolosamente il borsellino con manciate di falci e galeoni. Più del
doppio di quanto non avesse prelevato lui per la sua famiglia.
Da quel momento in poi avevo visto nel suo sguardo
una luce vagamente diversa, che era assieme di soggezione, e di qualcosa che
somigliava alla pietà. Il che, naturalmente, era assurdo, e che tuttavia non
contribuiva a mettere a tacere quel lieve sentore di colpevolezza che avvertivo
sul fondo dello stomaco.
«Sai, Drac---, ehm, volevo dire, Barry...» cominciò
alla fine Arthur Weasley.
«Barry caro, dovresti andare con loro» mi consigliò
tutta premurosa sua moglie, interrompendolo.
Sospirai, e obbedii. Seguii i miei compagni di
scuola con passo strascicato, per sottolineare il mio disappunto. Nell’Emporio
delle Pozioni, poi, me la squagliai verso la zona dove, come sapevo, erano
venduti gli ingredienti più interessanti.
Acquistai Pelle di Girilacco, Occhi di Coleottero,
Verbena e Belladonna, ma anche molte altre cose interessanti; tra di esse
c’erano denti di drago, un etto di corno di unicorno in polvere e diversi tipi
di erbe. Avevo intenzione di darmi alla pazza gioia, e di prepararmi alcune
Pozioni per conto mio. Sicuramente non sarei più uscito senza Polisucco.
Pagai senza battere ciglio, nonostante fosse una
spesa non da poco, e non mi persi l’occhiataccia di Weasley nel vedere tutti
quei Galeoni lucenti rotolare sul bancone polveroso.
«Che diavolo te ne fai, di tutta quella roba?».
«Ho dei progetti» mi limitai a dire, alzando le
spalle.
Andando in direzione della sartoria di Madama
McLan, passammo di fronte alla gelateria di Florian Fortebraccio, chiusa da
oltre un anno. Potter la osservò, cupamente. «Chissà se Florian sta bene»
mormorò poi, nello stesso tono.
Lo fissai, indecifrabile. «e’ vivo, se è questo che
intendi» dissi, a voce estremamente bassa.
Potter ci mise un attimo a riprendersi. Si fermò.
«Tu... lo hai visto?» mi chiese, come folgorato da una rivelazione. Fui quasi
felice del mio trucco sul viso, perche non mostrava che stavo arrossendo. «E’
stato mesi fa» specificai, chinando il capo.
«Lui... Voldemort lo ha torturato?» chiese l’altro.
«Non posso saperlo» dissi, irritato dalla lieve
accusa che percepivo nella sua voce. «Io l’ho solamente intravisto un paio di
volte».
«Ma perché lui?» chiese Weasley, sottovoce,
guardandosi attorno prima di intervenire. «Era solo un gelataio».
«I Fortebraccio sono maghi potenti e rispettati, e
il Signore Oscuro non perdona chi si oppone a lui» mi limitai a dire, stupito
per primo della tranquillità con cui discutevo al riguardo. «Non lo ha ucciso,
e questo è il massimo che possiamo aspettarci, suppongo. Come è successo con
Olivander».
Potter si morse il labbro. La Granger gli posò una
mano sul braccio, come per riscuoterlo, ma in realtà era ugualmente spaventata.
«Harry, non ci pensare adesso» gli disse, piano. «Andiamo». E mi scoccò
un’occhiata di rimprovero, probabilmente perché avevo riportato a galla brutti
ricordi. Io la fissai con un gelo così assoluto che la vidi indietreggiare
impercettibilmente. Ripresi a camminare, fingendo che nessuno dei tre
esistesse.
Ancora non si fidavano di me? Bene. Nonostante il
loro supposto acume, erano evidentemente degli idioti. Il fatto che non li
sopportassi rendeva ancora più palese che solo una convinzione autentica mi
avrebbe spinto ad appoggiarli. Ebbene, io sapevo più di loro.
Ci avevo già pensato quando ero tornato a letto, la
sera precedente. Mentre mi rigiravo tra le lenzuola, avevo sentito una sorta di
fastidio ripensando alla scena a cui avevo assistito. Probabilmente per via
della totale mancanza di fiducia che mi era dimostrata, avevo dedotto.
Come se solo
loro fossero detentori della verità. Come se solo loro potessero salvare il
mondo.
Allora avevo sentito come una sorta di
illuminazione. E se fossi stato io, l’eroe glorioso? Se li avessi piantati in
asso, fregandoli miseramente, utilizzando io stesso le informazioni che avevo
ricevuto?
Era stata una visione celestiale, quella che mi
aveva assalito.
Stavo in
piedi, sporco di sangue non mio, la bacchetta sguainata ancora puntata su di un
cadavere immobile. Un cadavere che non sembrava umano, pallido, glabro, dai
lineamenti distorti che conoscevo così bene. Lo avevo distrutto con le mie
stesse mani, soddisfando una sete di
vendetta che non sapevo di avere fino a che non l’avevo placata.
Ero di fronte
al portone di Hogwarts, attorniato da alunni, professori, Auror, tutti con gli
occhi puntati su di me. Esultavano, gridavano, si abbracciavano, saltavano.
C’erano i Serpeverde, che emergevano dalle finestre con l’aria del coniglio che
ritorna alla luce dopo il pericolo. C’erano tutti, perfino Nott, la Lovegood,
Hagrid e chissà chi altri. C’era Potter, lì vicino, con l’aria di un morto
resuscitato, che si teneva il braccio destro, apparentemente inerte e
sanguinante. E più indietro c’era quell’idiota di Weasley, che stringeva tra le
braccia la Granger, che guardava verso di me piangendo di sollievo, o...
Beh, comunque, dicevamo. Per qualche minuto mi ero
crogiolato in quella fantasticheria, salvo poi ricordarmi di un piccolo
particolare, anzi, di una catena di particolari.
A: Era il Trio Potter ad avere gli Horcrux.
B: Se avessi dovuto fare l’eroe, avrei dovuto farlo
da solo
C: Se avessi lasciato fare agli altri, seguendoli,
avrei beccato il merito senza fare troppa fatica e comunque avendo una
scappatoia (Mio-Signore-non-sono-davvero-dalla-loro-parte-lo-facevo-solo-per-Voi)
D: Beh, rischiare la vita aveva i suoi svantaggi
già così.
Alla fine avevo deciso semplicemente per il caro
vecchio piano “dà le informazioni agli idioti che sbrighino queste faccende per
conto tuo”, ma giusto per dispetto verso di loro avevo deciso di attendere un
po’ prima di rivelare ciò che sapevo. Eh eh.
Da Madama McLan, però, Potter si arrestò. Sembrò
scrutare in lontananza, e stupirsi di ciò che vedeva. «Io non ho nulla da fare,
qui dentro» annunciò, in fretta e furia. «Vi aspetto facendo un giro nei
dintorni, d’accordo?». E detto questo, senza aspettare una risposta, scappò
via.
«Harry!» chiamò la Granger, tesa. Tentennò un
istante. «Ron, io seguo Harry. Tu fa quello che devi fare» disse poi, e partì
all’inseguimento, prima ancora che Weasley potesse reagire. Quando la ragazza
sparì oltre l’angolo, io e lui ci scambiammo uno sguardo impotente prima di
entrare nella bottega.
Madama McLan era libera. ci fece accomodare sui
soliti sgabelli e cominciò a frugare in armadi piedi di stoffe, mentre i metri
ci misuravano. Ago e filo stavano già rattoppando il Mantello Invernale di
Weasley, che avrebbe dovuto essere allungato di quindici centimetri buoni prima
di andargli giusto.
«Hogwarts, giusto? Questo è il vostro ultimo
anno?».
«Già» dissi, parlando con voce un’ottava più bassa
per sembrare meno riconoscibile. Ma la donna non mi badava affatto, assorta
nelle sue chiacchiere. «Ogni anno arrivano sempre studenti come voi... e ogni
volta mi sembra di essere ancora a scuola anche io!» e rise, leziosa. Io
trattenni una risata. Quella doveva aver preso il diploma da cent’anni, se le
rughe attorno agli occhi non mi ingannavano.
«Già» disse Weasley, evidentemente attraversato da
un pensiero simile.
La donna mi fece un sorriso radioso. «Scommetto che
non indovineresti mai da quanto tempo ho terminato gli studi».
«Dubito che ci sia qualche testimone in giro ancora
vivo» bofonchiai, mentre Weasley, parecchio rosso e a disagio, si schiariva la
voce. «Ehm... già, molto difficile».
Lei ridacchiò e si voltò ad afferrare un rotolo di
stoffa su di un tavolo poco distante. «Prova a contarle le zampe di gallina. Magari
funziona come con i cerchi degli alberi» suggerii, a tradimento, approfittando
di quell’istante di impunità. Weasley quasi si strozzò con la propria saliva
cercando di non ridere – sia per evitare le ire della sarta, sia per non darmi
soddisfazione. La McLan lo guardò, sconcertata. «Tutto bene?».
«M-ma certo» rantolò lui.
Sogghignando, alzai le braccia per facilitare il
lavoro del metro che fluttuava attorno alle mie spalle per misurarmi.
«Beh, a occhio e croce, comunque, penso ti costerebbe
molto meno comprare una veste nuova» disse lei secca, rivolta a lui,
evidentemente sospettando che stessimo ridendo di lei. «Questa qui ormai è così
consumata che si deve buttare.
Weasley arrossì fino alla punta delle orecchie, e
mi scoccò un’occhiata di sottecchi mentre diceva, «era di mio fratello
maggiore».
«Oh, se vuoi conservarla per ricordo, fa pure»
disse la sarta, evidentemente incerta se considerare quello straccio come un
tesoro affettivo. «ma temo che tu non possa ripararla».
«Ehm... certo» pigolò il ragazzo coi capelli rossi,
percorrendo l’interno della vetrina con una certa ansia – presumibilmente alla
ricerca del prezzo di una veste. «Una – una divisa ordinaria, allora».
«D’accordo» disse lei, forse un po’ contrariata,
facendo per andare verso il retrobottega. Si fermò per voltarsi verso il
sottoscritto. «E tu, caro?».
Avrei voluto acquistare un nuovo abito da
cerimonia, a dirla tutta, per evitare di presentarmi in uniforme come all’ultima
festa di Lumacorno. Ne avevo adocchiata una nella vetrina, decorata con alamari
d’argento, ma – non ditelo in giro, ve ne prego – all’idea di spendere ventitré
Galeoni sul muso di Weasley non mi pareva più un’idea così succulenta. Tacqui un
istante, diviso tra due passioni opposte. «Un paio anche per me, e un Mantello
invernale» dissi alla fine, sputando fuori le sillabe con una certa
contrarietà.
«Molto bene» disse lei, con un altro sospiro, e
finalmente scomparve nel retro, da dove si sentirono arrivare rumori e tonfi
sommessi.
Calò un silenzio imbarazzato. Non mi curai di
interromperlo – avevo già fatto il mio atto di carità, tutto sommato, giusto? –
ma fu L.L. (Lacera Lenticchia per antagonisti impietositi) a parlare per primo.
«Allora» disse, con uno sforzo sovrumano che traspariva da ogni, agghiacciante
lentiggine, «come... come ti trovi a Grimmauld Place?».
Era evidente che quello sforzo non proveniva dalla
sua coscienza, e sospettavo ci fosse lo zampino della Granger, con le sue
stupide parole del giorno prima. «In modo tollerabile» dissi, dignitosamente.
«Bene» disse lui, già pentitosi della sua cortesia,
ripiombando nel silenzio. Si mise a fissare la vetrina.
«Ma dove diavolo sono finiti?» borbottò.
«E chi lo sa? Lo scopriremo presto» dissi.
Fui profetico. Proprio mentre pagavamo le nostre
vesti, qualcuno bussò sul vetro e vedemmo i due idioti salutarci con la mano
come se niente fosse. Io alzai gli occhi al Cielo, e Weasley non lo fece solo perché
intento a non mostrarmi il suo borsellino semivuoto mentre gettava poche,
polverose monete sul bancone.
Uscimmo. «Ma si può sapere che cosa è successo?» disse
subito Weasley verso la Granger, scocciatissimo.
«Ve lo spiegherà Harry» disse lei, concitata, «o
devo entrare dalla McLan un secondo».
Potter agguantò l’amico e lo tirò in disparte. Mentre
bisbigliava qualcosa al rosso, io fermai la stupida ragazza e le indicai, muto,
il vestito che volevo tanto. Lei mi guardò, perplessa. Io le allungai il
borsellino, in un gesto eloquente. Lei affilò per un istante lo sguardo, ma poi
lo prese senza chiedere nulla e sparì nel negozio. Soddisfatto, mi schiarii la
voce per interrompere il dialogo in corso.
«Scusate» dissi, fingendomi annoiato. «Posso sapere
esattamente che cosa è successo?».
Potter sospirò. Weasley si fece attento. «Ho visto
Neville».
Io lo guardai, scandalizzato. «Che cosa?» dissi.
«Tu hai sollevato tutto questo polverone per Paciock?».
«E’ a Diagon Alley».
«Già, Potter, proprio come noi quattro».
«No» mi corresse lui, «come te».
Assunsi un’aria perplessa. «Eh?».
«Neville avrebbe dovuto passare le vacanze ad
Hogwarts. Ho sentito distintamente che lo diceva a Seamus, l’altro giorno».
Calò un silenzio sorpreso. Paciock era a Diagon
Alley di nascosto..?
«Magari non era lui» suggerì incerto Weasley.
Potter scosse il capo. «L’ho seguito, ricordi? Lui non
ha notato me e Hermione, era troppo assorto, e poi abbiamo indossato il
Mantello. Esattamente quando lo abbiamo visto sparire a Knockturn Alley».
«Neville
a Knockturn Alley?». Weasley sembrava prossimo all’infarto, la mascella che
quasi toccava terra.
«Da Magie Sinister» confermò lui, tetro. «E in un
paio di altri posti, prima che si dileguasse».
«Ma non è possibile! Neville non frequenterebbe mai
quei posti. È roba da maghi oscuri!» fu l’obiezione di Weasley, che parve
dimenticare la mia presenza mentre lo diceva. O forse semplicemente non gli
importava. «Voglio dire, lui è innocuo... lui è buono!».
«Lui è pieno di segreti» interloquii, ed entrambi
si voltarono, stupiti.
«Paciock ha un comportamento strano da mesi» dissi,
cercando di simulare un comportamento da Nott – vale a dire, da stronzo supponente
e sempre ben informato. Troppo bene informato.
«Che intendi dire?» chiese subito Potter.
«A sentire Pansy, non si fa più vedere molto, né a
cena, né per i corridoi. Ufficialmente è molto impegnato con lo studio, ma so
per certo che non è così. Sta architettando qualcosa».
«Già, sta controllando da Sinister com’è la
provvista di Armadi Svanitori» ironizzò Weasley, ma io lo zittii con un’occhiataccia
formidabile. Mi ero già pentito dei miei riguardi di poco prima. «Pare che
passi del tempo a confabulare con alcuni amichetti, agli ultimi piani».
«E chi ti avrebbe dato questa informazione?».
«Più di una persona, ma questo non ti riguarda,
Weasley».
«Perciò Neville sta progettando qualcosa» disse
Potter, con l’aria di chi si sente un imbecille. «Ma che cosa?».
«Beh, immagino che dovreste essere voi a dirlo a
me» dissi, insofferente.
«Ma perché non ce lo hai detto prima?».
«Paciock non è certo una mia priorità, Potter».
Ma lui era già perso in altri pensieri. «Hermione
aveva detto qualcosa su Neville. È stata la sera di Halloween, se non erro». Ricordavo
quella sera per una serie di motivi spiacevoli, ma nulla che potesse riguardare
Paciock. «La McGranitt le ha raccontato qualcosa... aspettate». In quel
momento, infatti, la Granger usciva con qualche pacchetto sottobraccio,
ingombra. «Hermione, è importante» disse Potter, prima ancora che lei potesse
fiatare. «Ricordi cosa ha detto la McGranitt su Neville, dopo Halloween?».
«Ha detto che era preoccupata» rispose lei
immediatamente, come se fosse stata un’interrogazione. «La sera di Halloween ha
affatturato Pansy perché lei e qualcuno stavano affatturando Parvati, o
qualcosa del genere. non ne sono sicura. Non prestavo troppa attenzione»
confessò, ma in realtà aveva detto a sufficienza.
«Neville era in giro quasi a mezzanotte per la
scuola» disse Potter, riflettendo in fretta, una luce negli occhi. «E “casualmente”
dove si trovavano altri studenti. Non può essere un caso».
«Ma insomma, probabilmente era solo in bagno»
protestò la Granger. «Che altro avrebbe dovuto fare, nel corridoio?».
«Che corridoio?».
«Non ricordo» disse lei, spazientita, «perché?».
«Chiedilo a Malfoy» sbottò Weasley, forse
infastidito all’idea che come al solito non riuscisse a combinare nulla.
Lei si voltò verso di me, ma fu Potter a parlare.
«Neville combina qualcosa. Ultimamente scompare spesso, e pare che alcuni
Serpeverde lo abbiano visto in più di un’occasione a parlare con della gente
agli ultimi piani».
Lei mi guardò, alla ricerca di una conferma. Annuii
brevemente.
Lei si morse il labbro, pensosa. «Avevo notato che
qualcosa non andava, ma pensavo fosse per sua nonna... per lo studio... oh,
Harry!». Si voltò verso di lui, angosciata. «Non abbiamo neppure fatto caso
a...».
«Beh, non è che noi non avessimo altro da fare,
no?» puntualizzò Ron.
«Ma non può essere un caso, se Neville va a spasso
a Knockturn Alley. È chiaro che ha qualcosa in mente, e dubito si tratti di
sessioni di studio straordinario». La puntualizzazione di Potter mise ancora
più in agitazione la Granger. «Dobbiamo informare la McGranitt. Oggi stesso. Appena
torniamo a casa» disse, risoluta.
«Ottima idea. Mettiamo nei guai Paciock. Quando mai
un Grifondoro ha collaborato con il corpo insegnanti, quando c’era la
possibilità di fare qualche stupidaggine non autorizzata?» commentai,
sarcastico, ma tutto quello che ricevetti fu un pestone sull’alluce che mi mise
a tacere qualche secondo.
«Ha ragione» disse Potter inaspettatamente,
prendendo le mie difese, mentre io cercavo di riavermi. «Sicuramente Neville
non parlerebbe, però renderebbe più difficile scoprire che cosa sta
architettando».
«Oh, e va bene. Ma se non troviamo nulla, avvisiamo
la McGranitt».
Avvistammo i signori Weasley in lontananza, che ci
chiamavano. «Ne parliamo dopo» disse Potter, rassegnato, seguendo Weasley verso
i coniugi Weasley. Io intanto mi volsi alla stupida Granger. «la mia roba?» le
domandai, secco.
Mi tese uno dei pacchetti, che misi sottobraccio
senza ringraziare. Quando mi tese il borsellino meditai sulla possibilità di
fare un commento caustico, come “ehi, Granger, quanti dei miei spicci ti sei
intascata?” ma ero ancora troppo irritato con lei per parlarle volontariamente.
«Perché mi hai chiesto di comprarlo?» domandò la
ragazza.
«Non sono affari tuoi» ribattei.
Lei tirò indietro il braccio che teneva il
borsellino, determinata ad avere una risposta. «E’ per via di Ron?».
Arrossendo appena, le strappai il mio borsellino di
mano. «Affari miei» sibilai, marciando via indispettito, ma sentendo di non
aver ottenuto l’effetto desiderato – leggi, un’aura di gelido distacco.
Fu con violenza eccessiva che misi l’ultimo punto
al mio saggio sull’utilizzo della Belladonna nelle pozioni soporifere. Lo
arrotolai con movimenti deliberatamente bruschi, scoccando tuttavia qualche
occhiata in direzione di Harry, che si era appisolato sul divano. Non volevo
svegliarlo.
Malfoy fece finta di non avvedersi di alcunché.
Senza una particolare motivazione, era da tutta la giornata che mi ignorava o
mi trattava con particolare acidità. Beh, non mi importava affatto, se non per
il fatto che avrei voluto saperne il motivo. Ma in fondo, quando si trattava di
Draco Malfoy, non c’era mai un motivo.
Gli scoccai un’occhiataccia. Era seduto di fronte a
me, chino su di un volume di Difesa contro le Arti Oscure che aveva pescato
chissà dove. La fronte aggrottata, non dava segno di accorgersi di niente e di
nessuno, e specialmente di me. I suoi capelli, nonostante i numerosi lavaggi ai
quali li aveva sottoposti durante le ultime ore, avevano ancora una tinta
rossiccia, ed essendo stati troppo bistrattati non avevano un bell’aspetto ma
piovevano flosci e disordinati sulla sua fronte. Per il resto, comunque, era
tornato quello di sempre.
Mi morsi il labbro. Erano le nove. Presto la
signora Weasley ci avrebbe imposto di andare a dormire, e naturalmente avrei
dovuto obbedire. O fingere di farlo. Era tutto il giorno che meditavo su di un
piano assolutamente folle – uno di quelli che avrei osteggiato, se a proporlo
fosse stato Harry.
Sospirai, e trassi a me il libro di Incantesimi.
Era una cosa stupida. Aprii il volume, cercando la pagina dove venivano
elencati i movimenti necessari a produrre un Incanto di Disillusione. Lessi
qualche riga, distrattamente, ma ero troppo concentrata altrove per capire
davvero l’argomento di cui si trattava.
Alla fine mi decisi. Scoccai un’altra occhiata a
Harry, prima di schiarirmi la voce. «Malfoy» dissi, a bassa voce.
Lui mi ignorò.
Scocciata, gli tirai un calcio nello stinco che lo
fece mugolare. «Che diav...» sibilò, ma io lo interruppi, impaziente. «C’è una
cosa che devo dirti».
«Non mi interessa» disse lui, ostile,
massaggiandosi lo stinco dolorante. Che drammatico.
«Beh, mi dispiace, ma dovrai ascoltarmi comunque»
dissi, implacabile. Malfoy mi scrutò, sospettoso. «Sentiamo, allora. Quale
piano balordo hai escogitato, questa volta? O si tratta semplicemente
dell’invito al tuo matrimonio con Weasley? Perché in quel caso, non devi
proprio prenderti il distur...».
Questa volta il calcio che lo raggiunse lo lasciò
quasi senza fiato. Non sempre la violenza è sbagliata, credetemi. Talvolta una
ragazza può solo ricorrere a rimedi estremi.
«Piantala! E parla piano, non voglio che Harry si
svegli!». Il ragazzo mi fissò, senza più dire nulla. il suo sguardo esprimeva
cautela, ma soprattutto riluttanza. Perfino maggiore del solito.
«Ho bisogno di fare una cosa» gli spiegai,
guardando verso la porta. Qualcuno avrebbe potuto entrare da un momento
all’altro. Ron si era dileguato quando aveva capito che avremmo trascorso il
pomeriggio a studiare, rifugiandosi da Fred e George, ma Ginny o la signora
Weasley avevano un certo talento per le apparizioni improvvise e inopportune.
«Ma per farla ho bisogno di assentarmi per un po’».
«Che cosa stai macchinando, Granger?».
«Nulla che vi riguardi, sono affari miei» tagliai
corto, arrossendo lievemente. «Ma naturalmente Ron ed Harry insisterebbero per
venire con me, e io non voglio. E neanche vorrei informarne l’Ordine – non mi
lascerebbero andare».
«Ma perché devi dirlo a qualcuno?» obbiettò lui,
come infastidito.
«Se mi succedesse qualcosa, allora potresti
spiegare loro quello che è successo».
«Beh, manda loro una lettera, allora».
«Già, buon piano. Peccato che così la riceverebbero
solamente domani».
Malfoy incrociò le braccia, scontrosamente. «Dovrei
restare sveglio ad aspettarti?».
«”restare sveglio” implica la rinuncia al sonno. Ti
chiedo solo di aspettare mezz’ora prima di darmi per dispersa».
Malfoy fece uno strano verso scocciato. «Dammi un
buon motivo per farti questo favore, Granger».
«Primo: sono il Custode Segreto. Sono l’unica che
potrebbe cantare come un uccellino nel caso in cui venissi catturata, e a
quanto mi risulta conosco un paio di cosette anche su di te. Secondo: sei
l’unico che può farlo. Terzo: perché non c’è alcun buon motivo per fare i
capricci e dirmi di no. Basta?»
Il ragazzo era diventato quasi violetto in viso.
«Considerate le tue buone ragioni, non sono sicuro di poterti lasciare andare.
È un rischio anche per noi».
«Già, e tu non ci hai mai fatto rischiare grosso,
vero?».
«I tuoi colpi bassi non vanno a segno, Granger.
Sono solo la dimostrazione del fatto che di te non ci si può fidare».
Lo guardai, basita. «E quando mai lo avresti
capito, questo?».
«Sono affari miei. Non mi fido e basta. Che diavolo
devi fare di così significativo?».
Esitai, ma alla fine scrollai le spalle. «Voglio –
voglio vedere i miei genitori» ammisi, arrossendo.
«Tutto questo per una visita natalizia? Scordatelo.
Manda loro una lettera piena di bacetti melensi».
«Un po’ difficile farlo, sai, quando loro non sanno
chi sono» sbottai, ironica.
«Sapevo che eri un tipo interessante, ma non
immaginavo che perfino i tuoi genitori si scordassero di te» sghignazzò il
ragazzo. Si bloccò comunque dopo pochi istanti, cogliendo la mia espressione. O
magari semplicemente realizzando quello che avevo detto. «Che cosa vuoi dire?»
mi chiese, vagamente incerto.
«Significa che sono in Australia, e che ho
modificato le loro memorie» dissi, spavalda, e lo guardai con aria di sfida.
«Se le cose dovessero andare storte – con Voldemort, intendo dire – io non
voglio che loro soffrano. Ora come ora, non ricordano nulla né di me né delle
loro vite passate. Sono al sicuro».
Malfoy tacque definitivamente. In un primo momento
mi ritenni soddisfatta, ma poi il silenzio cominciò a pesare. «Allora, lo
farai?». Chissà che cosa pensava. Forse gli mancavano i suoi.
«Va bene, ma smettila di asfissiarmi» sbottò lui,
sgarbatamente.
Sorrisi, trionfante. «Grazie».
Lui mi guardò, sempre con quell’aria gelida che
teneva da quella mattina. Alzai gli occhi al Cielo. «Insomma, Malfoy, si può
sapere che cos’hai? Cos’è, è ancora peri tuoi capelli?».
«Intanto per cominciare, i miei capelli non sono
certo una questione secondaria» disse lui, con ostilità sempre crescente, «e
comunque no, non è per questo. In effetti, non c’è una ragione particolare per
cui non dovrei essere sgarbato,
considerato il fatto che sono migliore di te».
«Si, si, d’accordo» commentai io, alzando le
spalle.
Silenzio. l’orologio ticchettò per cinque minuti,
mentre tornavo all’Incanto di Disillusione. La signora Weasley arrivò dopo
altri dieci minuti, svegliando Harry e facendo prendere un colpo a Malfoy. Io sogghignai
mentre gli passavo davanti, ma con le labbra mimai “alle undici e mezzo” mentre
lo superavo.
L’orologio in salotto segnava mezzanotte meno sette
minuti. Lì accanto stava un altro orologio, che avevo già osservato con
attenzione in precedenza. Mostrava una lancetta per ognuno dei Weasley, e al posto delle ore una serie di indicazioni
come “casa” o “lavoro”. Delle nove lancette, otto erano puntate su “pericolo
mortale”. L’altra, quella che portava il nome di Percy Weasley, era fissa su
“in viaggio”.
Mentre fissavo il teschio stilizzato sul quadrante,
avvertii un leggero senso di nausea.
Distolsi lo sguardo, e lo puntai invece sull’enorme arazzo che
rappresentava il Casato Black.
Quei nomi erano naturalmente conosciuti. C’era
Phineas Nigellus, un mio pro-pro zio o roba simile. Il Preside meno amato di
Hogwarts, dicevano alcuni, ma in fondo non c’era nessuno di ancora vivo che
potesse testimoniarlo.
Il primo Cygnus Black, orgoglio della nostra
famiglia e celebrato inventore. A lui si dovevano, tra le altre cose, lo
sviluppo della fotografia magica, del calderone pieghevole, e delle pinze
schiacciapollici.
Sua sorella Belvina, autrici di Fatture e Controfatture dell’Est Europeo –
tuttora considerato uno dei migliori testi accademici sull’argomento – nonché
ideatrice della Fattura Orcovolante. Tragicamente morta senza eredi quando un
rivale geloso l’aveva sfidata a duello, contrastando la sua Fattura Brachicardica
con tale maestria da provocarle un infarto.
Mia nonna, Druella Rosier, che aveva amministrato
il denaro di famiglia con tale oculatezza che suo marito – il secondo, meno
popolare Cygnus Black – aveva finito per morire di fame. Ma questo,
naturalmente, era solo un racconto senza fondamento. Tutti sapevano che era
stato avvelenato da sua zia Irma, che non voleva lasciargli nulla in eredità.
A quel punto, sentii uno spiacevole calore allo
stomaco. Irma era stata cognata di Dorea Black, che aveva a sua volta sposato
Charlus Potter, padre di James Potter. Il che naturalmente rendeva Harry Potter
una sorta di zio di secondo o terzo grado, visto che James Potter era
tecnicamente il cugino di mio nonno. Naturalmente erano cose che succedevano –
in fondo, tutti i purosangue erano tecnicamente imparentati.
Cedrella Black, nipote del primo Cygnus, si era
sposata con un Weasley. La pronipote di Elladora Black, Gwendolyn, si era
sposata con Rodolphus Greengrass.
Certo, questo non toglieva che fosse spiacevole. E
che a ripensarci io potevo essere il suo parente più stretto ancora in vita,
assieme a Tonks.
Osservai il mio viso. Chissà cosa provava Potter
nel vedere che io ero, in effetti, l’ultimo discendente di quel ramo dei Black.
L’ultimo a portare effettivamente quel cognome era stato Sirius – ed il suo
nome era stato cancellato, così come il suo viso, perché aveva tradito la
famiglia.
Tornai a guardare il mio volto sull’arazzo. Anche
io sarei stato cancellato, quando i miei genitori avessero compreso quello che
avevo fatto? Così come zia Andromeda, o come Tonks?
Mi venne da ridere quando vidi il nome “Prewett”
comparire in un angolo dell’arazzo. Negli annali che possedevo, nella mia
villa, non c’era. Notai che la linea dei Prewett si era quasi estinta vent’anni
prima, e mi chiesi che cosa fosse accaduto al fidanzatino di Astoria. Ma non
c’era granché sul muro su cui basarsi.
Chiusi gli occhi. Ero nella dimora dei miei avi,
rinchiuso lì assieme a miei consanguinei, eppure qualunque posto mi sembrava
più adatto a me di quello. Del resto – ed era dire molto – l’unica persona con
cui avessi qualche punto di contatto era la Granger, cioè l’unica che avrebbe dovuto sentirsi completamente
fuori posto. E che invece vi si trovava molto meglio di me.
Il che mi riportò all’orologio. Mezzanotte e tre
minuti. Il tempo era scaduto da otto minuti, e la stupida ragazza non era
ancora tornata.
Non diedi l’allarme. Non volevo spiegare alla
signora Weasley e agli altri che l’avevo lasciata andare in Australia senza
dire nulla e che così facendo li avevo messi tutti in pericolo. Avrei potuto
anche accompagnarla, ma sapevo bene perché non l’avevo fatto. Ero ancora offeso
e per di più non volevo fare nulla per aiutarla.
Tuttavia ci stava mettendo troppo tempo. Mi
mordicchiai il mignolo, nervoso. Andare a cercarla era fuori discussione,
naturalmente. In fondo era la stupida Granger, era sparita chissà dove in un
altro continente e poi faceva un freddo boia. Avvertire la signora Weasley per
qualche minuto di ritardo era eccessivo. L’unica cosa che potevo fare era aspettare e maledirla di
cuore.
Mi sedetti di fronte al fuoco, scocciato. Era
mezzanotte e sei minuti.
E sette.
E otto.
Mi alzai di scatto, ma poi tornai a sedermi. Era
inutile fare mosse avventate.
E nove.
Avvertii un fruscio e mi voltai, (quasi)
speranzoso. Proveniva indubbiamente dall’atrio. Era mezzanotte e dodici, e
avevo quasi pensato di avvertire gli altri abitanti della casa. scivolai
silenziosamente verso l’atrio, impaziente di insultare l’idiota che mi aveva
fatto perdere sonno prezioso proprio la vigilia di Natale... anzi, no, proprio
a natale. Era Natale da dodici minuti.
Intravidi un bagliore argenteo, e mi bloccai, il
cuore che improvvisamente accelerava.
Di fronte a me stava un essere d’argento. Non
riuscivo a vederlo bene, vista la mia leggera miopia e la penombra, ma sembrava
un cavallo o qualcosa del genere. Era troppo lontana per scorgere i dettagli
della figura tremolante, ma la vidi voltarsi a scrutarmi e indietreggiai, trattenendo
un urlo.
La vidi fare un passo verso di me, e mi sentii
gelare. Non ebbi neppure la forza di prendere in mano la bacchetta, o di
respirare. Pensavo di morire d’infarto da un momento all’altro.
La creatura mi guardò ancora qualche istante,
solenne, poi si avviò lentamente su per le scale. Capii che voleva essere
seguita. Ero troppo spaventato per rimanere solo nell’atrio buio, o per opporre
resistenza. Mi affrettai a salire a mia volta, in silenzio, tremando come un
bambino. Senza apparente bisogno di riflettere, la cavalla – o quello che era –
si avviò verso la stanza che dividevo con i due stolti, la cui porta era
socchiusa. Deglutii. La vidi entrare, mentre la porta si apriva ancora di
qualche millimetro. Si fermò di fronte a Potter, che dormiva ignaro, e poi si
voltò verso di me.
«Così come
sei stato scelto, dovrai scegliere» disse, e la sua voce era un sussurro
vagamente familiare, tremolante. Weasley si mosse appena nel sonno, ma non
reagì in altro modo. La creatura si voltò, e saltò nel quadro vuoto che stava
sulla parete, scomparendo alla vista.
Rimasi in piedi diversi minuti, inebetito e
tremante. Mi sembrava di essere sotto shock. Un fantasma mi aveva appena
parlato. Un fantasma a forma di cavalla, o quello che era, e per di più
vagamente familiare. Era venuto a cercare me, o più probabilmente Potter, e mi
aveva lasciato un messaggio.
Maledizione. Ecco perché non bisognerebbe mai
immischiarsi negli affari dell’Ordine.
A riscuotermi fu un altro rumore al piano di sotto.
Questa volta doveva essere la Granger. Schizzai fuori dalla stanza, il cuore
che martellava sempre con vigore, e scesi a tre a tre i gradini di marmo.
Piombai nell’atrio e quasi la feci strillare, mentre si chiudeva la porta alle
spalle. Per fortuna si limitò a sobbalzare.
«Malfoy!» sussurrò, guardandomi con gli occhi
spalancati. «Hai avvisato qualcuno..?».
Io scossi il capo, muto. Chissà se avevo ingoiato
le corde vocali.
«E’ successo qualcosa?» domandò poi, allarmata.
Io mi morsi il labbro. Perspicace. La agguantai e
la trascinai via dall’atrio, tremando così violentemente che dovette prendermi
per matto. Quando socchiudemmo la porta alle nostre spalle, lei puntò la
bacchetta verso di essa e mormorò, «Muffliato».
Poi si tolse la sciarpa, con un sospiro, e a
malapena notai che aveva il viso arrossato dal freddo. «Che cosa è successo?
perché non hai avvisato gli altri?».
«C’era...». mi bloccai, deglutii, e riprovai.
«C’era... un... un fantasma».
La Granger mi guardò, stordita. «Cosa?».
«Nell’atrio. Un essere argenteo è apparso» balbettai,
sconvolto. «Lui – lei – quella cosa è
andata nella mia camera da letto. Ha detto...». Tacqui. Il ricordo era tanto
atroce da impedirmi di pronunciare un’altra parola.
«Per l’amor del Cielo, Malfoy!» esclamò la Granger,
a metà tra l’esasperato e l’ansioso. Mi spintonò senza troppi complimenti fino
al divano e mi fece sedere, poi fece altrettanto. «Calmati. Calmati e spiegami
che cosa è successo».
«Ha – ha detto che ero stato scelto. Che avrei
dovuto – che avrei dovuto scegliere così come ero stato scelto» dissi, con
una vocetta stridula e innaturale. «Ha
guardato Potter, ed è scomparso».
«Ma che cos’era? Da dove veniva?».
«Non – non lo so! È comparsa dal nulla...».
«Quando?».
«Una decina di minuti fa, suppongo».
Guardò la pendola. «Circa a mezzanotte e un
quarto?».
«E dodici» pigolai, con un nuovo brivido.
«Ed è salita su per le scale?». Annuii. «L’hai
seguita?». Annuii di nuovo. «Ti ha riconosciuto?».
«Penso di si».
«Era un Patronus?».
La domanda mi colse alla sprovvista, ma effettivamente avrebbe potuto
esserlo. Il che rendeva tutto un po’ meno spaventoso. «Penso di si» dissi. «Non
ne sono sicuro».
La Granger si mordicchiò il labbro, mentre
giocherellava con la manica del suo cappotto.
«”dovrai scegliere così come hai scelto”. È questo,
quello che ha detto?».
«Si».
La Granger era angosciata. «Penso che dovremmo
avvisare la signora Weasley».
Riuscii a trovare un po’ di forza in più e a
riprendermi. «No» dissi, scuotendo il capo. «Non è una buona idea. È chiaro...
è evidente che quella – quella cosa non lo voleva».
«E chi ti dice che sia giusto rispettare i suoi
desideri?».
«E’ una percezione. Sembrava volesse darci un
messaggio, non nuocerci».
«Tutto a posto, allora».
«Dico sul serio, Granger. Io – quella cosa non è
stata fatta da uno dei Mangiamorte. È qualcosa di diverso, capisci?».
«No, non capisco».
«Ha a che fare con quello che stiamo facendo»
dissi, convinto. Passato l’attacco di panico, avevo un mucchio di adrenalina
ancora in circolo e pronta a favorire le mie sinapsi. «E’ un messaggio che
riguarda gli Horcrux, ne sono certo. Non possiamo, e non dobbiamo, informare
nessuno».
La Granger sospirò e mi guardò, come in attesa. Poi
annuì. «Ed io che mi aspettavo di vedere l’intera casa ad attendere il mio
ritorno» disse poi, rassegnata. «Perché non hai chiamato gli altri?».
«Era ancora troppo presto. Era probabile che fossi
solo in ritardo» dissi, tornando indifferente.
La ragazza pausò un istante. «Hai fatto bene»
ammise poi, guardando verso il basso. «Io... io ho solo voluto aspettare».
«Aspettare cosa? Non sapevi che ti aspettavo?».
La vidi arrossire. «Aspettavo... la mezzanotte.
Così che fosse Natale». Mi guardò, quasi implorante.
«Si, lo so, è stata una sciocchezza immane. È solo... quando festeggio il
Natale, i miei genitori sono sempre con me, oppure posso sempre scrivere loro
qualcosa. Quest’anno... anche se loro non mi riconoscono... volevo solo essere
loro vicina». Qualcosa, nel tono in cui loro disse, mi fece pensare che il suo
viso non fosse rosso a causa del
freddo.
Io non dissi nulla, e lei parve fraintendere. «Non
avrei dovuto farlo. A posteriori lo so, è stata una sciocchezza. Ti chiedo
scusa» disse, a testa bassa, e poi cominciò a sbottonarsi il cappotto. In
realtà, il motivo per cui tacevo era un altro. Anche io non avrei contattato i
miei genitori, quest’anno. Anche io ero solo, forse anche più di Potter, che
quantomeno si era lasciato volente o nolente gli altri legami alle spalle più
di sedici anni prima. Per un istante avevo sentito come un moto di comprensione
per la Granger, e volevo assicurarmi che neppure una vibrazione che la tradisse
uscisse con la mia voce.
«Non fa nulla» dissi alla fine. «Ora posso andare a
dormire, Granger?».
La ragazza mi guardò, come stupita, poi scrollò le
spalle, vagamente imbarazzata. «Si, immagino di si» disse, incerta. «E per
quanto riguarda il Patronus...».
«Rimarrà tra noi» dissi, in tono fermo.
«A Ron e Harry però dovremo dirlo. Dovremmo
discuterne seriamente».
«Come ti pare» dissi, insofferente.
«Non domani, però» disse lei. «Domani è Natale, e
dovremmo pensare soltanto a stare sereni. Altrimenti Voldemort ci avrà già
sconfitti, o almeno, sono convinta che Silente ci avrebbe detto così». Parlava
come tra sé, però mi fissava.
«In realtà, è già
Natale» dissi, perché non sapevo come altro commentare quello che aveva appena
detto.
La Granger si riscosse. «Si, è già Natale» ripeté,
e la cosa parve farle un certo effetto. Meditò un mezzo istante, ed io attesi,
certo che se ne sarebbe uscita con qualche altra affermazione balorda, e chissà
come incapace di tagliarla a metà.
Così lei fece un passo verso di me, e mi afferrò
la mano tra le dita guantate,
stringendomela come per salutarmi. «A Natale non si dovrebbe mai avere nemici»
mi disse, in tono pratico che ricordava quello della professoressa McGranitt.
Chissà come, intuii che serviva soprattutto a celare una punta di imbarazzo.
«Perciò, Malfoy, sforziamoci. Cooperazione Magica Internazionale».
Oh, beh, era Natale anche per me. Ricambiai la
stretta. Perfino la mia irritazione per lei sembrava stupida, in quel momento...
perfino il fatto che fosse una Mezzosangue, o che io fossi un reietto.
«Buon Natale, Malfoy».
«Buon Natale» replicai, la mia voce appena
impastata a causa del mio palese sforzo nel pronunciare quelle parole. Che però
erano più o meno sentite.
Lei sospirò e guardò verso la finestra,
evidentemente ripensando a qualcosa di sgradevole. «Andiamo a dormire» disse.
NOTA DELL’AUTRICE
Questa volta
è, al cento per cento, colpa mia! XD si, perché ho cominciato l’università, e
fino alle nove di sera sono stata sempre via XD però dai, in realtà non sono
così in ritardo!
Mi scuso
anche con chi ha recensito in questi giorni se non ho ancora risposto,
provvederò al più presto, quando potrò usare internet con calma! Nel frattempo,
unico breve appuntino sul nome del capitolo.
NIGHTMARE
BEFORE CHRISTMAS significa letteralmente “Incubo prima di Natale” anche se
naturalmente è anche una citazione dell’omonimo film di Burton. L’ho scelto,
tuttavia, per un altro piccolo gioco di parole: “Nightmare” non significa solo
incubo – come quello che Draco vive alla vigilia – ma è una parola composta da “night
= notte” e “mare = cavalla” con le conseguenti implicazioni XD
Questo era un
breve capitolo di collegamento per introdurre al prossimo, molto Natalizio...
non sarà un granchè, ma ve lo regalo volentieri XD a presto ;)
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Capitolo 22 *** A Christmas Carol ***
A Christmas Carol
A CHRISTMAS CAROL
Era il Natale
del mio terzo anno ad Hogwarts. In realtà avrebbe dovuto
essere il secondo, ma
avevo cominciato a frequentare la scuola poco dopo aver compiuto i miei
dieci
anni. A tutt’oggi sono una decina al massimo, credo, quelli
che lo sanno – i
più non si sono mai chiesti nulla, perciò non ho
ritenuto opportuno informarli
di nulla.
Quell’anno
rimasi a scuola per le vacanze, non che la cosa mi dispiacesse
particolarmente.
Casa mia sembrava sempre in bilico tra due mondi opposti; da una parte
eravamo
Serpeverde, e questo conta più di quanto si possa pensare
– dall’altra, c’era
la consapevolezza che in qualche modo eravamo diversi, consapevolezza
che
diventava particolarmente acuta quando Daphne aveva uno dei consueti
contrasti
con mio padre.
C’era un
motivo preciso per cui intendevo rimanere a scuola, e cioè
che quell’anno era
in pieno svolgimento il Torneo Tremaghi. Mi dispiaceva moltissimo non
essermi
candidata, ma naturalmente la sapevo più lunga dei gemelli
Weasley, e non avevo
neppure pensato di tentare di varcare la Linea
dell’Età. Così i campioni erano
stati scelti, con una particolarità: Potter.
Potter era
risultato essere il secondo campione di Hogwarts, e i commenti maligni
che
erano cominciati a circolare nel nostro dormitorio sottolineavano come,
di due
campioni scelti per la nostra scuola, neppure uno avesse la
dignità che
sembrava necessaria a quel ruolo. Molti dicevano anche che Harry Potter
aveva
tramato per inserire volontariamente il proprio nome nel Calice, ma
ancora una
volta la sapevo più lunga. Per riuscirci il ragazzo avrebbe
dovuto chiedere
l’aiuto di un mago potente, come un insegnante, mentre era
chiaro che nessuno
di loro voleva che il Ragazzo Sopravvissuto rischiasse il collo per
affrontare
un Unga Spinato, non potendolo evitare.
Non ero
stupida, no, ed era chiaro che se qualcuno tramava per uccidere Potter
non
doveva essere un pesce piccolo, probabilmente neppure Sirius Black. Ero
curiosa, ed ero rimasta.
Quel Natale
era naturalmente in programma il Ballo del Ceppo, e io non avrei potuto
partecipare, essendo una misera studentessa del terzo anno. Ma la
fortuna – se
così vogliamo chiamarla – fece si che quel giorno
avessi un’opportunità.
Ero nel
Dormitorio, davanti al caminetto, l’unico luogo veramente
caldo di tutta la
casa dei Serpeverde. Non avevo voglia di uscire all’aperto e
giocare a palle di
neve, perché... beh... non sono mai stata molto socievole.
Invece mi stavo
concentrando sugli studi, sperando di prendermi avanti per poter poi
godermi le
feste.
Entrò Blaise
Zabini, stanco e ricoperto di neve. Vedendomi, si diresse verso di me e
io
chiusi il manuale di Incantesimi. Conoscevo Blaise da anni, da quando
cioè ci
eravamo trasferiti nel suo stesso villaggio, a causa di –
beh, è una storia
lunga. Era un ragazzo piuttosto strano, scontroso, presuntuoso e
aristocratico,
ma provavo lo stesso una grande simpatia per lui: era un ragazzo
intelligente,
e quando gli permettevi di parlare senza costringerlo a ricorrere ai
virtuosismi Serpeverde, molto migliore di quanto non sembrasse.
«Ehi, ciao»
mi disse, sedendosi accanto a me sul divano dopo aver abbandonato la
giacca
sulla poltrona lì accanto. «Studi?».
«Si. Non
voglio certo perdermi le feste per affannarmi all’ultimo
minuto» risposi,
sorridendogli.
«Beh, non
credo che tu ne abbia bisogno. Sei una delle migliori del terzo anno,
giusto?»
chiese lui.
«Può darsi,
ma è solamente perché ho uno studio costante ed
organizzato» risposi.
«Dovrei fare
lo stesso, immagino sia questo il significato sottinteso. Ma
quest’anno non mi va
molto» disse il ragazzo, scrollando tetro le spalle. Mi
guardai bene
dall’indagare, sapendo che comunque non avrei avuto risposta.
«Sei stato
fuori? Hai visto mia sorella?» domandai allora.
Lui fece un
sorrisetto di scherno. «Già, in compagnia di quel
carlino di Pansy e le sue
amichette. Pare che lei non abbia il tuo stesso gusto sopraffino, in
fatto di
amicizie».
«No, pare
proprio di no» dissi, con una sfumatura malinconica. I miei
pensieri
viaggiavano verso mio padre, e la sua consueta abitudine di rimarcare
quanto
Daphne somigliasse a nostra madre, a differenza di me. Blaise
capì al volo
quello che stavo pensando, e si fece serio. «A proposito di
Daphne e dei suoi
gusti... pare che andrà al ballo con Flitt» disse.
«L’ho
sentito» dissi, in tono incolore.
«E immagino
che la cosa non ti piaccia».
«No, affatto.
Ma lei deve fare le sue scelte, naturalmente» mi limitai a
dire.
«Già» disse
Blaise, di nuovo pensieroso. «E tu? Con chi ci
andrai?».
«Io?». Scossi
il capo. «Sono al terzo anno, ricordi? Non posso venire al
ballo, a meno che
qualcuno non mi inviti».
«Ah, già»
fece lui, sorpreso. Poi si illuminò. «Allora vieni
con me» disse, trionfante.
Lo guardai,
sorpresa a mia volta. «Ma come, non hai ancora trovato
un’accompagnatrice?» non
potei fare a meno di domandare, perche sapevo che Blaise riscuoteva un
discreto
successo con le ragazze.
«Non ho
trovato nessuna che mi piacesse» affermò lui, con
un sorriso enigmatico che
poteva voler dire tutto o niente. «E’ perfetto, no?
io evito di dover invitare
qualche obbrobrio con solo il sangue a raccomandarla, e tu puoi venire
al Ballo
del Ceppo».
«Mi pare un
buon compromesso» dissi allora, con un’alzata di
spalle.
Magari vi
starete chiedendo come mai vi sto raccontando tutto questo.
È tutto molto
semplice. Vedete, in questo momento sto commettendo un’azione
estremamente
avventata, pericolosa, e fuori luogo, e lo sto facendo per seguire una
persona.
Forse, se non l’avessi conosciuta così bene, non
sarebbe finita in questo modo,
io sarei fuggita con tutti gli altri Serpeverde, e lui sarebbe qui,
certo, ma
dall’altro lato del campo. Ma vedete, quella sera, che io
ricordo così bene,
quando feci il mio ingresso a braccetto con Blaise Zabini, non avevo
idea che
sarebbe successo. Quando Blaise sparì, per andare
chissà dove a rincorrere
chissà chi o cosa, io non avevo idea di che cosa sarebbe
scattato.
Uscii, quella
sera, e mentre scivolavo silenziosa per il prato, oltrepassando non
vista
Davies che pomiciava con una ragazza di Beaubatons, vidi delle figure
davanti a
me. Nascosti dietro a una statua c’erano Potter e Weasley,
evidentemente a
disagio, cercando di passare inosservati mentre il guardiacaccia Hagrid
parlottava con Madame Maxime. Mi allontanai, e poco più
avanti distinsi Pansy
Parkinson che si sollevava sulla punta dei piedi per baciare un ragazzo
biondo.
Rimasi
immobile, per non disturbare il loro momento, seminascosta dietro un
albero; ma
il ragazzo biondo respinse Pansy con un certo nervosismo.
«Che hai,
Draco?» tubò lei.
«Non ora,
Pansy» disse il ragazzo, spingendola via con un certo
fastidio. Lo riconobbi
come Draco Malfoy, Cercatore. Era entrato nella squadra di Serpeverde
proprio
l’anno in cui avevo cominciato la scuola, ma lo conoscevo
già dai racconti di
mia sorella, che era amica di Pansy Parkinson. Non mi era mai capitato
di
vederlo, se non all’orario dei pasti o alle partite,
perciò lo osservai con
interesse clinico.
«Perché no?».
La ragazza sembrava ferita. Naturalmente era la sera del Ballo, e si
doveva
essere aspettata chissà che cosa. Non ero affatto una fan di
Pansy, anzi,
provavo per lei una vera e propria antipatia, e tuttavia sentii per lei
un moto
di pietà. Tutti sapevano che Malfoy non provava nulla di
serio per lei; lo
sapevo perfino io, che non li vedevo praticamente mai.
Percepivo che
il ragazzo doveva essere infastidito, quasi irato, e attesi che la
liquidasse
bruscamente, in pieno stile Serpeverde. Invece, con mia grande
sorpresa, lui
esitò. «Scusami. E’ solo... vorrei
rimanere un pochino da solo, se non ti
spiace. Ti raggiungo dopo». La sua voce era molto
più gentile di quanto mi
aspettassi.
Lei sembrò
rilassarsi. «Certo, Draco» disse, rasserenata.
«Ci vediamo
dopo, allora» disse lui, in tono distante, abbozzando un
sorriso poco convinto.
Quell’attimo
di gentilezza mi stupì, specie perché non
coincideva con quanto avevo
sperimentato di persona. Draco Malfoy
aveva un’alta opinione di sé, era
risaputo, principalmente per via del
suo sangue puro e del suo talento a Quidditch. Si muoveva sempre
circondato da
quelli idioti di Tiger e Goyle, bullizzava i più piccoli, ed
era sempre in
guerra con Zabini. Eppure in quel momento, con nessuno ad ascoltarlo,
non
pareva affatto la stessa persona.
Pansy si
allontanò, con passo baldanzoso, ma io attesi. Ero curiosa,
e non avevo affatto
voglia di essere scoperta. Vidi Malfoy voltarsi verso la direzione di
Potter e
Weasley, e il suo volto altrimenti carino storcersi in una smorfia. Non era tuttavia disprezzo
come quello che
ostentava quando li passava nei corridoi. Li vide allontanarsi in
silenzio, non
visti... e ci fu un guizzo di qualcosa di simile all’invidia
e all’odio.
Quando i due
furono spariti, il ragazzo emise uno sbuffo, evidentemente scocciato da
se
stesso, e si allontanò a grandi passi, diretto nuovamente
alla festa. Quando
rientrò, proseguii la mia passeggiata. Vidi Piton che
passeggiava con
Karkaroff, vidi Madame Maxime allontanarsi verso la carrozza a grandi
passi.
Vidi perfino Zabini, che parlava nell’ombra con... beh,
questo non è un segreto
mio.
Tuttavia
ripensai più volte a Draco Malfoy, sia quella sera sia le
sere successive. Non
avevo mai visto sul viso di nessun Serpeverde quello sguardo di
invidia, se non
forse sul viso di Zabini. E non lo rividi più per diverso
tempo, né quando lo
oltrepassavo per i corridoi, né quando aveva uno dei suoi
diverbi pubblici con
i Grifondoro.
Insomma, la
verità è che quella sera c’era qualcosa
di strano in lui. Qualcosa che di
Serpeverde non aveva nulla. La verità è che non
so neppure come feci a
percepirlo in quei pochi istanti, piuttosto banali, ma lo feci. La
verità è che
senza quel momento non mi troverei qui, adesso, a rischiare la vita, e
magari
sarei in fuga assieme agli altri, o chissà dove. Senza quel
momento non avrei
mai cercato di diventare sua amica.
Però quella
sera, senza motivo né razionalità, io, Astoria
Greengrass, mi innamorai di
Draco Malfoy.
Mi aggiravo
per i corridoi senza un perché. Ok, d’accordo, un
perché c’era, ma non vorrei
che mi consideraste un ingrato. È che la Sala Comune mi
stava troppo stretta da
un po’ di tempo.
Lo so, lo so,
forse sono io che interpreto tutto male. Probabilmente ero io ad avere
torto.
Ma l’emozione del combattimento era sparita già da
un po’, sostituita dai
ricordi del funerale a cui avevo assistito. Silente era stato
inghiottito dal
marmo bianco e io non avevo neppure pianto. In molti ci erano riusciti;
come
Harry, ad esempio, ma lui forse non conta. In fondo con Silente aveva
sempre
avuto un rapporto profondo.
La verità era
che avrei voluto piangere. Silente era stato qualcosa di grande, un
simbolo che
era morto. Non sono bravo con l’autoanalisi perciò
non avrei saputo spiegarlo,
ma sentivo che ero morto anche io, che tutti noi eravamo morti, quando
il
nostro più grande amico si era spezzato.
Eppure non mi
sentivo... abbastanza triste. Mi aggiravo per i corridoi e
l’idea di parlare
con qualcuno mi dava la nausea. Mi sembrava che tutti fossero estranei,
ecco.
Come se non fossi appartenuto a quel posto.
Avevo
combattuto anche io, perciò avrei dovuto sentirmi
orgoglioso. Invece mi sentivo
semplicemente inutile. No, non inutile... superfluo. Una pedina non
sacrificabile, magari, ma semplicemente per la bontà del re.
Non ero che
qualcosa di molto piccolo, e a giocare erano i grandi.
Con l’ES mi
ero in qualche modo convinto che sarebbe stato diverso. Avevo imparato
a
duellare, avevo combattuto al Ministero, avevo vinto. Eppure, anche
allora,
l’atto finale non era stato il mio. Io ero stato soltanto un
aiuto, ma a
vincere non sarei mai stato io.
Da una delle
grandi vetrate, mentre passavo, vidi Harry, Ron e Hermione che
passavano poco
distante attraverso il prato, confabulando.
Non sapevo
che cosa volessero fare, anche se era chiaro che stavano architettando
qualcosa.
Però, in quel
momento, sentì qualcosa di me tendersi e schioccare. Non
rotto, certo, ma
qualcosa che mi aveva pizzicato l’anima.
Non sapevo
cosa volessero fare. Io non ero parte del loro progetto. Io ero
solamente una
pedina sullo sfondo, inutile. Sapevo che Harry aveva ragione, sapevo
che era
suo diritto avere vendetta, ma sapevo anche che non era il solo. Anche
io
volevo vendetta, anche gli altri avevano paura, eppure eravamo come una
decorazione natalizia: accessori, non fondamentali.
Mi voltai, e
presi a salire le scale.
«Harry, sveglia!». Mi riscossi, anche se quella
frase non era diretta a me. Mugugnai qualcosa di indistinto,
sforzandomi di
ripiombare nell’incoscienza, ma qualcuno mi
agguantò per la spalla e mi
scrollò, sgarbatamente. «Malfoy!».
Socchiusi gli occhi, e vedendo la faccia di Weasley
istintivamente sobbalzai. «Ma sei scemo?» quasi
strillai, mentre lui
indietreggiava con una smorfia. «Che
c’è?».
«Cos’è, preferiresti passare il Natale a
letto?»
chiese Weasley, troppo raggiante per prendersela, e tornò a
voltarsi verso
Harry. «Buon Natale!» esclamò alla fine,
rivolto a entrambi. Bofonchiai
qualcosa. Muoviamoci, i regali sono dabbasso, e non voglio che Fred e
George
facciano strani scherzi» incalzò Weasley.
«Del tipo?» fece Potter, mentre inforcava gli
occhiali in fretta, ficcandosi così un’asta
nell’occhio.
«Del tipo, scambiare delle Cioccorane con delle
Caccabombe» disse l’altro, cupamente, e
chissà come immaginai che non fosse un
semplice esempio. Mi raffigurai per un attimo le facce sogghignanti dei
due
gemelli, mentre una scatola apparentemente innocua di gelatine
esplodeva tra le
mani di un malcapitato parente.
Mentre mi infilavo i calzini, la porta si spalancò
di botto. La Granger entrò, con un sorriso smagliante.
«Buon Natale!» disse,
mentre correva ad abbracciare gli amici. Io terminai di mettere la
vestaglia.
«Buon Natale, ‘mione» disse Weasley, le
orecchie vagamente rosse mentre si
staccava dal suo abbraccio stritolatore.
«Buon Natale» disse Potter, quando ebbe ripreso
fiato.
«Buon Natale, Malfoy!» fece allora
la ragazza, allegramente, rivolta a me.
«’atale» fu la mia laconica risposta.
«Vogliamo scendere?» chiese lei, già
rivolta agli
altri due.
«Andiamo!» disse Weasley, balzando in piedi come un
grillo e sparendo al di là della porta. Gli amici lo
seguirono, e così feci io,
con minore entusiasmo, nonostante fossi di buon’umore. In
fondo era sempre
Natale, anche se non era tra i migliori che avessi mai festeggiato.
Quando varcai la porta del salotto rimasi quindi
favorevolmente sorpreso dall’aspetto natalizio della grande
sala. C’era un
enorme albero addobbato e luccicante in un albero, ricolmo di palline e
fiocchi
rossi e oro, e di candele accese. Speravo che l’albero fosse
ignifugo. C’erano
festoni dorati ovunque, il fuoco era acceso in tutti i caminetti, e
nell’aria
c’era un buon odore dolce. Non era molto diverso da casa mia,
in effetti,
sebbene forse fosse meno imponente. Dubitavo che i fiocchi di neve
appesi ai
rami dell’albero fossero di Adamante, o che la musica leggera
che si udiva in
sottofondo provenisse da un coro di ninfe... ma poteva andare.
«Buongiorno a tutti!». La signora Weasley, vestita
con un vecchio e pratico abito di velluto rosso, ci venne incontro con
aria
gaia. Aveva appena terminato di imbandire un’enorme tavolata
già carica di una
miriade di dolci. Il mio stomaco brontolò, e io diedi un
colpo di tosse per
dissimulare. Non volevo certo sembrare troppo entusiasta.
«Buongiorno, signora Weasley!» esclamarono Potter e
la Granger, e io mi unii a loro sottovoce. Lei si avvicinò
per scoccare a
ciascuno dei ragazzi due baci sulla guancia, e mi irrigidii di stupore
quando
li diede anche a me. Arrossii, imbarazzato, mentre la Granger e Potter
sogghignavano – ma non riuscii a protestare in nessun modo.
«Buon Natale!» disse Tonks, apparendo dal nulla.
per l’occasione aveva indossato un cappello da Babbo Natale
su dei capelli di
un rosso acceso, mentre gli occhi erano verdi come gli aghi di pino.
Sembrava
molto rilassata e felice, e quasi carina per giunta, ma forse era per
via del
cappello.
Accanto a lei c’era Remus Lupin, che sembrava un
profugo accolto per carità il giorno di Natale nonostante
anche lui portasse un
cappello come quello di Tonks. Era tutto avvolto in un vecchio pastrano
con gli
orli sbrindellati e costellato da fiocchi di neve che si stavano
rapidamente
sciogliendo, ma sembrava rilassato anche lui mentre augurava a tutti
buone
feste. «Non ti aspettavamo così presto,
Remus» disse la signora Weasley.
«Ho finito prima» disse, e voltandosi verso di me,
stranamente, mi feci l’occhiolino. Finsi di non essermene
accorto e mi voltai
verso gli altri presenti. Charlie e Bill Weasley erano sprofondati su
di un
divano liso ma apparentemente comodo, e ci salutarono cordialmente.
Fleur era
in cucina, perciò al momento non era presente – me
ne dispiacqui.
I gemelli Weasley scesero proprio allora, e Ginny
li seguì, apparentemente con un diavolo per capello. Da
quello che capii, era
stata svegliata da uno dei loro scherzi in quanto “troppo
pigra per meritarsi
il Natale”. Vidi che si toglieva delle piume dai capelli
scompigliati, e
sogghignai.
«Io finisco di là» disse la signora
Weasley, con un
sospiro rivolto ai gemelli. «Voi, se volete, potete aprire i
regali».
«Non chiediamo altro!» esclamò Fred
– che
identificai grazie al maglione che indossava, con sopra la sua
iniziale. Lui,
il gemello e Ronald Weasley si gettarono a capofitto sotto
l’albero, per
cominciare a distribuire i doni. Io sedetti sul divano accanto a
Charlie. Più
in là stavano anche Ginny e la Granger.
«Questo sembra per Harry!» annunciò
Fred, emergendo
da sotto l’abete con aria vagamente contrariata.
«Ecco, amico» e gli gettò il
pacchetto.
«Da parte di Luna» disse Harry, evidentemente
incerto sul da farsi.
«Non so se ti convenga aprirlo» convenne Ron.
«Non
senza una squadra di artificieri a portata di mano, almeno».
«Questo è per Ron, da parte di mamma»
disse George
in quel momento, gettandogli il pacco sformato tra le braccia.
«Magnifico»
commentò il ragazzo, senza entusiasmo.
«Questi sono nostri... ma questo è di
Hermione!»
esclamò George.
Fred fischiò. «”Da Viktor”.
Accidenti, bel colpo.
Potrebbe essere costoso!». La Granger, rossa in viso, gli
strappò il pacco di
mano.
«Un altro per Harry... e un altro» disse Fred,
ammirato. «Però, amico, sei piuttosto
popolare!».
«Già. Chissà
perché» sogghignò George,
«non mi pare
poi questo granché, non ti pare, fratello?».
«Probabilmente se li è comprati da solo per
impressionarci» disse Fred, maligno, spingendo i doni verso
l’amico, il quale
si esibì in un gestaccio che li fece divertire ancora di
più. «Attento, Harry.
I cattivi bambini non prendono regali» chiarì
George.
«Ginny, questi sono per te» disse Fred intanto, e
Ginny si allontanò con dei pacchi sottobraccio.
«Tutti ammiratori, eh?»
sogghignò l’altro gemello. «Attento,
Harry!». Sia Potter che la Weasley si
fecero piuttosto rossi.
«Mentre questo è per...» Fred si
chinò sul
pacchetto, simulando incredulità,
«...Malfoy?».
Io sgranai gli occhi, prima di rendermi conto che
doveva trattarsi di uno scherzo. Insomma, chi poteva regalare qualcosa
a me? Lì?
«”Da Pansy”» lesse George,
evidentemente divertito,
e fischiò di nuovo. «Hai la ragazza, eh,
Malfoy?». Arrossii a mia volta, e mi
presi il pacchetto, ancora stupito. Come poteva Pansy avermi spedito un
regalo
fin lì.?
«Sono tornato da poco da Hogwarts» disse Lupin, a
mo di spiegazione, vedendo la mia faccia stupita. «In
Infermeria ti hanno
lasciato un bel numero di pacchi. Sono quelli nella cesta,
lì in fondo». E
indicò qualcosa di chiaro sotto i rami dell’albero.
«Un bel numero di pacchi.? Saranno una ventina!»
protestò Fred, come indignato, estraendo la cesta e
soppesando uno dei
pacchettini che vi erano riposti. «”Per Draco, da
Anita”» recitò ad alta voce,
«e c’è anche un cuoricino!».
Recuperai la cesta, ormai violaceo in volto, prima
di ricevere altri commenti sgradevoli. Tuttavia ero segretamente
soddisfatto –
cominciavo a ritenere penoso l’essere chiuso per le feste in
quel posto, senza
neppure un regalino.
«Ron... Hermione... Fred...» continuarono i
gemelli, mentre la pila di regali andava sfoltendosi a vista
d’occhio.
«...aspetta un attimo... qui dice di nuovo Malfoy»
disse Fred.
«E’ un maglione della mamma» intervenne
George, con
una smorfia tradita.
Incredulo, afferrai al volo il pacchetto. Sulla
superficie c’era scritto il mio nome, e sotto, più
in piccolo, Molly. Lo guardai,
instupidito. La
signora Weasley aveva fatto un maglione a me?
Nel frattempo, diversi altri regali furono distribuiti, non solo ai
ragazzi, ma
anche agli altri presenti, ma io neanche me ne accorsi. Ero troppo
imbarazzato
anche solo per capire che cosa avrei dovuto provare. Disprezzo?
Gratitudine?
«Malfoy!». Questa volta Fred e George sembravano
quasi esasperati.
Mi voltai, ancora stordito. Ricevetti l’ennesimo
pacchetto in silenzio, e cercai il mittente. Quando lo trovai, sbattei
più
volte le palpebre.
H, H, R.
Oh, no, non poteva essere vero. Doveva certamente
essere un incubo. Lanciai al trio Potter un’occhiata incerta,
ma nessuno di
loro mi guardava. Anzi, evitavano accuratamente di farlo. Posai il
pacco sul
bracciolo, incapace di tenerlo ancora in mano. Mi avevano davvero.?
Oh, merda.
Neppure nei miei incubi peggiori avevo immaginato
di fare un regalo a quei tre, o a chiunque altro di loro, se era per
quello.
perché avrei dovuto? Li odiavo. E loro odiavano me. E allora
perché, perché avevano
dovuto farmi un regalo?
Forse ero ancora in tempo. Magari potevo gettarlo nel caminetto e
fingere di
non averlo ricevuto. O magari potevo infilarlo sotto il divano e dire
che non
l’avevo notato, che mi era caduto, che...
«Non li apri, i tuoi regali?» chiese Charlie,
facendomi sobbalzare. Mi voltai verso di lui, che stava esaminando
affascinato
un paio di guanti nuovi con lo stemma dei Magnifici Sette.
«Wow, grazie Fred,
George» disse, ammirato.
«Non fa nulla. Magari riuscirai a tenerti tutte le
dita attaccate, quest’anno». Charlie
ridacchiò, e io mi affrettai a scartare il
pacchetto contenente il famigerato maglione. Ne uscì un
pesante indumento di
lana verde bottiglia, con su ricamata una “D”
argentea. Lo fissai, mordendomi
il labbro.
«Carino, eh?» commentò Charlie.
«Ne fa uno ogni
anno, a ciascuno di noi».
Deglutii. «Un... un bel pensiero» dissi.
«Già. E ti conviene indossarlo spontaneamente,
prima di finire così» disse Charlie, indicando
Ronald che veniva costretto a
indossare il suo, di un brutto color melanzana. Mi affrettai a
obbedire, per
quanto non lo facessi volentieri. Insomma, era un maglione da... da...
Weasley!
Mi sentivo in difficoltà. Decisi di dedicarmi ai
regali dei miei amici, per dimenticare il resto del mondo. Presi il
primo,
quello di Pansy. C’era anche un bigliettino.
Caro Draco,
perché non
puoi ricevere visite? In ogni caso, aspetto con impazienza che tu
guarisca,
Pansy
PS: Riguarda
il tuo stomaco
Il regalo era un sacchetto di tela ricamato, che
conteneva quello che sembrava un poutpurri di foglie aromatiche. Lo
guardai,
perplesso. Che roba era? E perché mai avrei dovuto
riguardare il mio stomaco.?
Il seguente era quello di Anita, inconfondibile per
via della carta fucsia nel quale era avvolto. Lo scartai, avvertendo un
vago
malessere, ignorando il bigliettino (un
modo per dimostrare che ti penso – baci, Anita). Mi
trovai di fronte a un
medaglione d’argento, piuttosto pacchiano, che si
rivelò contenere una mia foto
e una di Anita. C’era anche un altro biglietto: ne ho uno uguale. Rabbrividendo, lo
seppellii in fondo alla cesta
in attesa di bruciarlo nel caminetto alla prima occasione.
Qualche zelante ammiratore mi aveva lasciato pacchi
di dolci, e tra di essi c’era anche McNair. Anche lui, come
tutti gli altri,
aveva lasciato un biglietto:
Auguri di
pronta guarigione. Quando ti sarai rimesso, devo parlarti. È
molto importante.
David
PS: Se pensi
che i Topoghiacci possano peggiorare la tua dissenteria, non mangiarli.
Ero ancora inorridito quando presi in mano un
grosso pacco che portava il nome di Astoria. Lo aprii, incuriosito.
Dentro
c’era la stessa veste che avevo mandato la Granger a
prendermi da Madama McLan,
con gli stessi ricami d’argento, ma di colore verde. Assieme
c’era anche un
biglietto:
Visto che sei
costretto a letto, ho provveduto io a sistemarti il guardaroba, prima
che
Lumacorno abbia un infarto nel vederti arrivare alla sua prossima
festa. Spero
che ti piaccia, era l’ultimo rimasto.
Alla fine
sono tornata a casa per le vacanze, perciò se ti rimetterai
prima di Gennaio
non avrò modo di salutarti. Quando ritorno, però,
conto di avere i dettagli sul
tuo subitaneo crollo di salute.
Nel frattempo,
rimango
La tua
affezionata amica,
Astoria
Greengrass.
PS: Daphne ti
saluta, e così anche mio padre, che ha molto insistito per
mandarti i suoi
auguri per una pronta e rapida guarigione – auguri ai quali
mi associo, per
quanto poco possano valere.
Qualcosa nel tono del biglietto, e nel fatto che
esso fosse dentro il pacchetto, mi
fece intuire che con tutta probabilità Astoria non avesse
bevuto la storia
della dissenteria – e come darle torto? Anche io non riuscivo
a credere che
avessero inventato una scusa tanto idiota.
Provai un vago senso di colpa. In fondo, io a lei
non avevo comprato un bel nulla, anche se suppongo che il mio alibi
sull’Infermeria bastasse a giustificarmi. Scrollando le
spalle, scartai anche
l’ultimo pacco, che proveniva da Nott (Dissenteria?
Spero che tu stia scherzando!! Nott) e che conteneva un paio
di guanti, e
lo misi da parte. Trovai in fondo alla cesta anche altre due lettere.
Una era
dei miei genitori.
Caro Draco,
è con
dispiacere che io e tuo padre apprendiamo che sei troppo malato anche
solo per
scrivere, e per giunta il giorno di Natale. Non che sia una sorpresa,
hanno
sempre troppa poca attenzione per il riscaldamento nei sotterranei,
prevedibilmente.
Spero
comunque che tu sia accudito decentemente – non farti
scrupoli a pagare per
avere qualche cosa in più, si rendesse necessario. Spero
che, dopo le nostre
raccomandazioni, tu abbia provveduto a rifornirti di denaro. Siamo
molto in
ansia per te, non ci hai più dato notizie che ci
confermassero che stai bene e
che hai provveduto a sistemare gli affari di famiglia e le incombenze
basilari.
Facci sapere al più presto.
Ormai mancano
poche settimane alla mia scarcerazione. Una tua visita sarebbe bene
accolta,
specie per informarti delle ultime novità in proposito.
Nel
frattempo, figlio mio, io e tuo padre ci uniamo
nell’augurarti un felice Natale
e delle buone feste.
Mamma e papà
PS: Forse la
dissenteria è dovuta anche alla tua dieta. Sicuro di non
mangiare troppo dolci,
Draco?
PPS: Come va
la scuola? i voti? Non siamo sicuri che essere abbinato ad Hermione
Granger
possa aiutarti nella maniera migliore, specie nel caso in cui tu sia
rimasto
indietro con lo studio.
Ignorai volutamente le allusioni, perché comunque
non avrei potuto rispondere, e nemmeno mi andava di farlo. Invece aprii
l’altra, che era senza mittente, e sembrava essere stata
dettata, perché la
calligrafia era simile a quella di una penna prendi appunti.
Hai attirato
sospetti su di te. Il mio consiglio è: agisci normalmente, e
non attirarne
altri. non sei l’unico a complottare, e potrebbe venire il
momento per te in
cui scegliere da che parte stare.
La appallottolai in fretta, ficcandomela in tasca.
Per un istante chiusi gli occhi, aspettando che il battito del mio
cuore
accelerasse, che la mia fronte si coprisse di sudore freddo, che una
botta di
adrenalina mi investisse... ma invece non sentii nulla, solamente uno
sgradevole senso di frustrazione. La verità era che la mia
vita era fin troppo
complicata, e che era mai una stupida, banale lettera minatoria?
Specie perche avevo problemi più urgenti da
risolvere.
Mi guardai attorno, fingendo di esaminare la
confezione di Topoghiacci che avevo ancora in mano, e cercando di
capire che
atmosfera tirasse.
Sulla tavola addobbata un piccolo modellino di
Gwenog Jones, la scopa in mano, schizzava tra le posate e i tovaglioli
inseguita dai gemelli Weasley che sembravano decisi ad usarla per
qualche
esperimento. Ginny urlava loro di smetterla, mentre Bill cercava di
fare da
paciere, senza però intervenire a bloccare i diabolici
fratelli.
Charlie era impegnato a discutere con Lupin di una
partita di uova di drago di contrabbando che avevano sequestrato; la
Granger
stava ad ascoltare, interessata, e tutti e tre lanciavano sporadiche
occhiate
verso la porta, forse temendo che quel villico di Hagrid si facesse
vivo
proprio in quel momento per reclamarne qualcuna.
Tonks non c’era, ma alcuni rumori provenienti
dall’atrio, qualche secondo prima, confermavano il sospetto
che avesse tentato
di aiutare la signora Weasley a trasportare qualcosa in cucina. Altri
rumori,
più discreti, di padelle e chiacchiere, testimoniavano che
né Molly Weasley né
Fleur avevano pensato di accorrere, forse perché mia zia
Walburga non aveva
ricominciato a strillare attirando l’attenzione.
Potter e Weasley stavano cercando di incantare un
libro che ricordava fin troppo il Libro Mostro dei Mostri, e sembravano
quindi
molto occupati. Weasley ci si era seduto sopra, ma lanciava
all’amico occhiate
preoccupate, temendo per il suo fondoschiena, mentre questi trafficava
tra le
cartacce che avevano avvolto i regali alla ricerca di un nastro robusto
che
fungesse da museruola.
Così, fulmineo come pochi, feci scivolare
l’imbarazzante pacchetto di Potter e compagnia a terra, e con
un colpo di tacco
assolutamente perfetto lo mandai sotto il mobile. Rassicurato
all’idea di essere
al sicuro, scartai una Cioccorana e la addentai.
Un’esplosione proveniente dalla tavola mi fece
sobbalzare e mi fece andare il boccone di traverso. Charlie fu tanto
caritatevole da soccorrermi, e mi ripresi proprio mentre la signora
Weasley
accorreva e cominciava, indignata, a strillare verso i due figli
gemelli, che
ridacchiavano occhieggiando un mucchietto ancora fumante di cenere dal
quale
spuntava ancora un manico di scopa in miniatura mezzo annerito. Ginny
aveva le
lacrime agli occhi, e la zia Walburga si era riscossa e strillava
dall’atrio.
«...regalo migliore che avessi ricevuto da un
mucchio di tempo...».
«...IRRESPONSABILI, E PER DI PIU’ CON IL REGALO DI
VOSTRA SORELLA...».
«...colpa nostra, ci provocava, stava cercando di
scappare...».
«...LA CASA DEI MIEI ANTENATI COME UN PETARDO,
SUDICI PICCOLI...».
«...la mia giocatrice preferita in assoluto...».
«...biasimarci per aver tentato di riacciuffare il
regalo della nostra sorellina...».
«...L’ONOREVOLE CASATA DEI BLACK SOLO PER I VOSTRI
PASSATEMPI DA SPORCHI...».
«...ORE ED ORE PER PREPARARE TUTTO, ADESSO PER
SMACCHIARE LA TOVAGLIA...».
«...con tutte quelle piume, e solamente perché non
riuscivo a trovare la vestaglia...».
Fu Bill a intervenire, alla fine, prostrato da
quella discussione a più voci che rendeva impossibile avere
un po’ di pace. «Mamma,
calmati» disse, con un sorriso da
bravo-ragazzo-che-ha-il.pieno-controllo-della-situazione, cercando di
sovrastare le grida che ancora provenivano dal ritratto
nell’atrio, verso il
quale si stava dirigendo Lupin. «Và in cucina ad
aiutare Fleur, penserò io alla
tovaglia e a tutto il resto».
La signora Weasley strinse la labbra in un modo che
ricordò tremendamente la McGranitt, ma alla fine si
dileguò borbottando tra sé
mentre i gemelli si scambiavano un’occhiata
d’intesa e uno dei due bloccava,
con un pigro colpo di bacchetta, la Fattura Orcovolante per la quale la
sorella
era tristemente famosa – e lo dico per esperienza personale.
Mentre Bill e i gemelli sistemavano il tavolo e il
pupazzetto, Ginny si soffiava il naso, e Lupin estingueva le grida del
ritratto, Charlie tornò a voltarsi verso di me e sorrise
alla mia espressione
frastornata. «Quando sono fuori casa mi manca molto, questo
fracasso» disse,
con naturalezza.
Lo guardai, evidentemente incredulo. Casa sua era
un guazzabuglio di esplosioni impreviste e spesso devastanti, disordine
che
sembrava autocrearsi, un viavai continuo e incessante di persone di
ogni genere
che sembravano fare come se fosse casa loro, e per di più
senza neppure il
conforto di denaro. Perché mai avrebbe dovuto piacergli?
«Si, lo so» si affrettò a precisare lui,
infatti,
ridendo e grattandosi la punta del naso con aria quasi imbarazzata,
«è un caos
perpetuo. Immagino che sia dura per te, abituato a tutt’altro
stile di vita.
sai, mamma e Ron mi hanno parlato di te».
«Ma davvero?» dissi, a disagio, evitando il suo
sguardo e scartando un pacchetto di Scarafaggi a Grappolo, giusto per
tenermi
occupato.
«Già. Tu e gli altri non siete molto amici,
vero?».
Aveva un’aria curiosa, e allo stesso tempo gentile, che mi
confondeva ancora di
più. Per non darlo a vedere, scelsi la consueta tattica da
Malfoy: mostra le
piume come un pavone e il nemico indietreggerà».
«Come hai detto tu» dissi, curvando le labbra in un
sorrisetto gelido, «sono abituato a tutt’altro
stile di vita».
Tuttavia, Charlie non si scompose minimamente, e
annuì. «Ricordo bene com’era, a scuola.
Ci sono sempre stati contrasti, specie
tra Serpeverde e Grifondoro. Non corre mai buon sangue tra i ragazzi
delle due
Case, ed è normale,considerando che sono agli opposti. Ma
poi la scuola
finisce» proseguì, semplicemente, «e
riguardandosi indietro ci si chiede che
cosa ci fosse di tanto importante da litigare».
Scrollai le spalle, incerto. In fondo, forse,
avrebbe dovuto essere così, ma naturalmente Charlie non
poteva rendersi conto
che c’era una frattura insanabile alla base di tutto: loro
erano traditori
della loro specie.
«Dubito che io e Potter saremo mai amici» mi
limitai a dire.
«Eppure tu sei qui» mi fece notare
l’altro, con un’occhiata
luccicante che mi fece sentire ad un tratto in una posizione inferiore,
come se
lui fosse stato molto più saggio di me. Scacciai quel
pensiero, infastidito, e
anche il Weasley parve accorgersi dei miei sentimenti,
perché si alzò, e disse,
in tono pacato, «vado a vedere se mia madre ha bisogno in
cucina».
Se da una parte fui lieto di vederlo andare via,
dall’altro questo mi
mise in una
posizione di potenziale imbarazzo, privandomi di un baluardo con cui
difendermi
dagli occhi indiscreti. Afferrai in tutta fretta un libro che uno dei
miei
ammiratori aveva provveduto a spedirmi, “Incantesimi
e Magie della Transilvania Sud-Orientale” e
sprofondai nella lettura, salvo
qualche sporadica interruzione per ingozzarmi di dolci, fino a che un
passo
lieve mi annunciò che Fleur era comparsa.
Alzai gli occhi di scatto. La vidi che teneva un
pesante vassoio fumante in mano, che Bill si stava affrettando a
levarle di
mano con premura, e per l’ennesima volta pensai che una come
lei avrebbe
meritato di meglio. in fondo, che cosa poteva darle uno stupido Weasley
(o
T.T., Tonto Traditore, per ammiratori indignati), sebbene quasi
decente?
D’accordo, era un avventuriero, e allora? Chi aveva passato
qualche mese ad
aggirarsi per casa con lo sguardo fisso per terra, per evitare di
pestare per
sbaglio Nagini? Chi aveva visto quella stupida professoressa di
Babbanologia
stramazzare morta sul suo tavolo da pranzo?
Quei pensieri tetri si diradarono tuttavia con
l’avvicinarsi degli altri vassoi, comandati magicamente dalla
signora Weasley
che li seguiva, ancora con l’aria fosca. Dietro di lei
c’era anche la figlia,
che era sparita poco prima per mettere al sicuro il pupazzetto della
Jones, di
nuovo integro.
Mi avvicinai alla tavola, con un certo appetito
nonostante le Cioccorane e le gelatine Tuttigusti +1 che avevo
mangiato.
L’odore era davvero buono. Per un istante mi chiesi,
stupidamente, dove avrei
dovuto sedermi, ma poi vidi che c’erano dei piccoli
segnaposti rosso e oro
accanto ad ogni calice scintillante. Più di qualcuno stava
già prendendo posto,
e non fu difficile trovare il mio posto, tra Potter e la Granger. Non
protestai
neppure, e mi sedetti in silenzio, soddisfatto almeno parzialmente
dalla
lontananza di Fred e George, e dal fatto che nessuno aveva pensato di
collocarmi
accanto al terzo, indesiderato elemento del trio Potter, che stava
all’altro
lato di Harry Potter.
«Molly, come sempre sei stata impeccabile» si
complimentò Lupin, non appena avemmo cominciato a mangiare.
«Ti ringrazio, Remus» disse la donna, un
po’ raddolcita
dal suo stratagemma. «Un po’ di patate? Ti vedo
piuttosto smagrito».
«Si, beh, devo dire che era
da un pezzo che non mangiavo un pranzo come
si deve» commentò l’ex insegnante di
Difesa Contro le Arti Oscure, con un
sorrisetto stropicciato. «Anche se Dora insiste che avrei
potuto...».
«Beh, non è che i Lupi Mannari stiano a misurare
se
hai effettivamente preso peso, giusto?» ribatté
subito Tonks, scoccandogli
un’occhiata colma di biasimo. io li guardai, interessato, in
parte perché non
mi ero ancora ripreso dall’informazione avuta poco dopo il
mio arrivo sul fatto
che i due stessero assieme.
Dall’altra parte... lupi mannari?
«Affamarsi forse non è stata la soluzione
migliore»
ammise lui, controvoglia, sotto lo sguardo incrociato di Tonks e della
signora
Weasley. «Specie considerato il fatto che è stato
piuttosto inutile».
«Allora... non frequenti più i lupi
mannari?»
chiese cauta la Granger.
Lupin scosse la testa, tranquillo. «La mia
copertura è saltata dopo il tentato colpo al Ministero. Pare
che Greyback mi
abbia visto parlare con Kingsley, e mi abbia riconosciuto».
«Remus, non a tavola» protestò Molly
Weasley
debolmente, e per un istante pensai che volesse evitare che potessi
sentire.
Poi mi resi conto che non guardava solo me ma anche tutti gli altri
ragazzi, a
turno.
«Non sto dicendo nulla di compromettente» disse
l’uomo, senza scomporsi.
«Già, mamma, e poi in fondo non puoi
più
escluderci. Siamo tutti maggiorenni
da un pezzo, e indipendenti» disse George, con un sorriso
furbesco. «Tutti
tranne una, in effetti» fece Fred, soave, sogghignando
all’indirizzo di Ginny,
che arrossì di rabbia ma tacque sotto l’occhiata
ammonitrice della madre.
«E’ Natale»
disse allora la signora Weasley.
«Ma questa è una storia interessante» si
affrettò a
dire Bill, interpretando correttamente le occhiate attorno la tavola.
«Forza,
Remus, racconta. Anche io mi sono perso qualche dettaglio, in questi
ultimi
mesi».
«In sostanza, è scoppiato il putiferio.
Naturalmente tutti gli altri lupi lo hanno saputo... È stato
piuttosto
problematico sfuggirgli. Sono piuttosto irritabili quando si sentono
traditi. È
una questione di territorio» disse Lupin, servendosi una
seconda porzione di
patate al burro.
«Ma davvero?» sghignazzò George.
«Ecco perché Bill
mi ha quasi affatturato, quando ieri ho cercato di prendere in prestito
la sua
cravatta».
«Quella cravatta è un regalo del signor Delacour.
Se l’avessi rovinata ti avrei appeso a testa in
giù proprio come Gazza, lupo o
meno» disse Bill, lanciandogli uno sguardo di fuoco, e
l’altro alzò le mani in
segno di scusa. Io, però, li guardai sconcertato. Bill
Weasley... era un Lupo
Mannaro?
Bill tornò al suo arrosto, e la conversazione
riprese da più parti spostandosi su argomenti più
lieti; ma quando fece per
prendere la brocca dell’acqua vide la mia
perplessità, e sorrise. «So a cosa
stai pensando, ma non devi temere uno scontro tra me e Remus per il
territorio.
Io non sono un Lupo Mannaro». Bevve un sorso
d’acqua, pensieroso. «Almeno, non
esattamente».
Lo guardai, incapace di formulare una domanda, o
una frase qualsiasi, perplesso com’ero. «Vedi, ho
avuto... un piccolo diverbio
con Greyback, l’anno scorso» disse lui, sempre
sorridendo, e tamponandosi la
bocca con il tovagliolo. «Ci sono stati alcuni effetti
collaterali, anche se
non è nulla di serio». e sorridendo,
indicò con il coltello prima il proprio
viso, e poi la bistecca al sangue nel suo piatto.
L’anno scorso..?
«Quando è successo?» chiesi, a bassa
voce, anche se
nessuno ci stava ascoltando, a parte Potter e la Granger, che comunque
fingevano
discretamente di essere assorti nella loro purea.
«Oh, sai» disse lui, in tono più cauto,
valutando
le mie reazioni ad ogni parola pronunciata, «quando i
Mangiamorte hanno
ingaggiato battaglia ad Hogwarts».
Non potei impedirmi di sbiancare, anche se cercai
di restare impassibile. Quindi, se Bill Weasley era sfigurato, la colpa
era...
«Sai, a questo proposito» continuò
però il giovane,
tranquillamente, «non stare troppo a preoccuparti. Immagino
che non avessi
molta scelta, considerata la posizione della tua famiglia, e comunque
sei stato
bravo con l’Armadio Svanitore. Non deve essere stato facile,
tutto da solo».
Non risposi, e ripresi a mangiare, anche se avevo
una leggera nausea. Bill si voltò a parlare con Fleur, che
si rivolgeva a lui
come facendo le fusa.
La Granger, mossa da qualche distorta sensazione di
compassione, si rivolse a me tra un boccone e l’altro, con
affettata cortesia.
«Ehm... allora, Malfoy. Ti – ti sono piaciuti i
regali?». Oh, no. era il
momento che tanto avevo temuto. Mi bloccai con la forchetta a
mezz’aria,
assolutamente nel panico, prima di riprendermi. «Non
male» sbottai
sgarbatamente, consapevole tuttavia di indossare un maglione fatto a mano dalla signora
Weasley. E, per
scongiurare il pericolo di un’altra frase potenzialmente
pericolosa, mi voltai
verso Molly Weasley per chiederle di passarmi la salsa.
Questo espediente modestamente geniale sembrò
funzionare, e io tornai alle gioie del tacchino arrosto con la salsa di
mele,
particolarmente ben riuscito, e ad ascoltare Charlie che stava parlando
con
Fleur. «Naturalmente sono tutti molto preoccupati anche
all’estero. Uno dei
miei colleghi, Velibor, beh, lui ha frequentato Durmstrang, e la morte
di
Karkaroff lo ha spaventato a morte... adesso è un
po’ paranoico, vede complotti
ovunque, anche se neppure all’apice del suo potere Tu-sai-chi
si è mai spinto davvero
fuori dal Regno, no?».
«Ma lui potrebe, non?»
chiese la ragazza, con un gesto della mano. «Moi
non pensa che nessun posto sia
sicuro, neonche la
Franscia». E
scosse drammaticamente il capo, in un movimento aggraziato e
affascinante che
rischiò di farmi andare il tacchino di traverso.
«Già, ma non è che la cosa sia
così immediata.
Occorre molto più potere per espandersi oltre i confini, e
comunque gli altri
capi di Stato sono già all’erta, pronti ad
intervenire. Per il momento, non c’è
alcun pericolo immediato» disse il ragazzo, acutamente.
«Velibor sembra
convinto che ogni tenda possa celare un Mangiamorte, e la sai
l’ultima? Si è
convinto che dietro la morte di Grindelward si nasconda la mano di
Tu-sai-chi».
Mi sentii involontariamente arrossire a quelle
parole, e non ebbi il coraggio di guardare uno dei miei compagni, per
non
rischiare di essere scoperto. «Grindelwald?» disse
intanto Bill, con una
risata. «Perché mai avrebbe dovuto ucciderlo?
Dopotutto era nemico giurato di
Silente, no?».
«Ed era vecchio» puntualizzò uno dei
gemelli
Weasley – non potei determinare quale, perché
avevo ancora gli occhi verso il
basso – con la voce di chi sta alzando gli occhi al Cielo.
«Ma la cara vecchia
ipotesi di una morte naturale non è più da
considerare?».
«Già disse l’altro gemello, fingendosi
indignato.
«Insomma, possiamo accettare che le possibilità di
morire nel proprio letto si
siano un tantino ridotte...».
«...specie se la cara Bellatrix è nei dintorni per
accoltellarti...» rincarò l’altro
gemello.
«...per non parlare di quell’enorme serpente che si
porta sempre dietro...».
«...e della sua schiera di seguaci malvagi e
ributtanti...». perché mi sentivo preso in causa?
«...e del suo naso...».
«...si, un nasino greco, proprio come quello di
Ginny...».
«Fred! George!».
«Scusami, mamma».
«Si, mamma, non volevamo insinuare che Ginny avesse
lo stesso profilo di un troll di montagna».
«Assolutamente no... anche se Dean Thomas, quando
stavano insieme, spergiurava che gli avesse infilato il naso in un
occhio per
sbaglio».
«Una menzogna, senza dubbio».
«Una calunnia abominevole, ovvio».
Rialzai gli occhi solo quando il rumore di una
Fattura Orcovolante finalmente andata a segno non raggiunse le mie
orecchie, e
si può dire che questo contribuì a far ritornare
la calma. Dopo di questo i
gemelli furono costretti dalla madre a sparecchiare, il dolce fu
servito, e i
petardi magici si rivelarono contenere svariati altri piccoli regalini
magici.
Io, ad esempio, ricevetti tra le altre cose: un cappello verde che
cantava
carole natalizie se veniva indossato; una piuma nuova, argentata, con
tanto di
inchiostro che si poteva leggere anche al buio; un pupazzetto a forma
di
Lepricano, dall’aria arcigna, che se premuto strillava
antiche maledizioni
irlandesi con accento dello Yorkshire; e una delle bacchette finte dei
Tiri
Vispi Weasley, e che tentò di azzannarmi il naso –
quest’ultimo, comunque, non
sembrava essere opera della signora Weasley.
I miei non furono gli unici regali interessanti.
Weasley trovò tra i suoi una coccarda dei Cannoni di
Chudley, la Granger un
flacone maxi di Tricopozione Lisciariccio, e Charlie scoppiò
in una risata
ruggente quando si vide comparire davanti una damigiana di Whisky
Incendiario.
Io stavo seduto, instupidito dalla quantità di cibo
che mi era stata propinata, e facevo vagare pigramente lo sguardo tra i
commensali che, del tutto dimentichi della mia presenza,
chiacchieravano
allegramente. La stanza era calda, e chissà come mi sentivo
insonnolito, ma
anche piacevolmente rilassato. Certo, questo non lo avrei mai ammesso,
ma ero
troppo intontito dall’Idromele Barricato e dalla cucina di
Molly Weasley per
abbandonarmi alle mie solite riflessioni malinconiche su
come-la-mia-vita-di-Serpeverde-perfetto-si-trovasse-ad-essere-negativamente-sconvolta-da-parte-dei-brutti-e-cattivi-Weasley.
In fondo, era davvero così sbagliato passare una serata
normale, senza
spaccarsi la testa con malvagi signori oscuri, indovinelli, lettere
minatorie,
pavoni morti, gente squartata e esseri squamosi?
Quando ci alzammo da tavola, era ormai pomeriggio
inoltrato, e dubitavo che qualcuno intendesse cenare. Del resto,
neppure io mi
sentivo psicologicamente pronto, anzi, il mio stomaco stava protestando
per lo
sforzo mostruoso al quale lo avevo sottoposto.
Mi lasciai sprofondare di nuovo nel mio posticino e
chiusi gli occhi, segretamente soddisfatto. Mi assopii senza volerlo, e
mi
svegliai solamente quando sentii un tocco leggero sulla spalla. Quasi
aspettandomi di vedere Weasley, e senza essere consapevole di essermi
addormentato, spalancai gli occhi e li fissai sulla Granger, che mi
fissava
divertita. «Ehi, Malfoy, sei ancora tra noi?».
Sentii come un brontolio nello stomaco, ma non ci
badai troppo, impegnato com’ero a riacquistare conoscenza.
«Che cosa succede,
Granger?» biascicai, scollando la guancia dal cuscino del
divano e asciugandomi
imbarazzato un rivolo di saliva che mi scorreva dalla bocca.
«Ti eri addormentato» disse lei, a mo’ di
scusa, «e
la signora Weasley mi ha consigliato di svegliarti, visto che non vuole
che
passi la nottata in salotto». Mi guardai attorno. Seduti poco
distanti c’erano
Bill, Fleur e Tonks che parlavano e ridevano, ma non c’era
nessun altro.
«Non stavo dormendo. Riflettevo» dissi, rialzandomi
di scatto. Il mio stomaco protestò, questa volta con maggior
violenza, e io mi
morsi il labbro. Avevo una leggera nausea.
«Certo». La ragazza alzò gli occhi al
Cielo.
«Senti, avevo una cosa da dirti».
«Granger, quando lo dici è il preludio di una
catastrofe imminente» dissi, ignorando lo stomaco ballerino.
«Non è nulla di brutto. Dopotutto, è
Natale».
Tacque un istante,
riflettendo. «Senti,
Malfoy, volevo – volevo parlarti del regalo. Quello che ti ha
fatto Harry».
Oh, merda. «Di quale regalo parli?».
«Di quello che Charlie ti ha visto infilare sotto
il divano» disse lei, saccente. Però. Occhi di
falco, il ragazzo. O forse ero
io meno bravo di quanto pensassi. «E’ uno
stemma» continuò lei, mentre estraeva
da sotto il mobile il pacchetto ancora integro. «E’
lo stemma della famiglia
Black».
La guardai, al di là della mia sofferenza fisica in
aumento. «Lo stemma..? E perché
darmelo?».
«Perché sei uno dei nostri, e perché
sei l’ultimo
del Black. Harry lo avrebbe gettato comunque, ma ha pensato che ti
avrebbe
fatto piacere averlo, visto che... beh, sei un Black anche tu,
no?».
«Già» dissi, laconico.
«Beh, quello di Harry è stato un bel
gesto» disse
lei, imperterrita.
«Già. Come tutti i vostri gesti».
«E..?».
Mi arresi, sia a lei che al mal di pancia. «Lo – lo
ringrazierò più tardi» mormorai.
Lei mi guardò con interesse nuovo, quasi
scientifico. «Che cos’hai?».
«Devo andare». E, scattato in piedi, corsi a
capofitto al bagno, qualche stanza più in là,
chiudendo la porta alle mie
spalle. Qui intendo calare per qualche minuto un elegante sipario
Malfoy, e
sintetizzare i successivi quindici minuti in un’unica parola:
nausea.
Alla fine, mentre mi stavo sciacquando il viso
madido di sudore, qualcuno bussò. «Che vuoi,
Granger?».
Breve pausa. «Come sapevi che ero io?». Pareva
vagamente impressionata.
Sospirai. «Solo tu e Potter sapete essere così
insistenti».
«Hai avuto un blocco digestivo, immagino. Vuoi che
chieda alla signora Weasley qualcosa?». Sospirando di nuovo,
in silenzio, mi
avviai verso la porta e la aprii, mentre con l’altra mano mi
asciugavo il viso.
«No, no. ora sto bene» dissi, nel mio tono
più eroico, nonostante avessi ancora
un certo malessere.
«Sai, penso che dopotutto potrebbe non essere stato
un incidente» commentò lei, scrutandomi con occhio
clinico. «Per caso Fred o
George ti hanno dato da bere?».
«Non ricordo» dissi, ma in quel momento
un’immagine
piuttosto nitida del sottoscritto che annaspava dopo un boccone di
curry
piccante, e riceveva da una mano ignota dell’acqua vagamente
aspra, mi tornò in
mente. «Maledetti...». lascio a voi terminare la
frase; non pretendo il
monopolio sul turpiloquio.
«Come immaginavo, ti avranno dato qualcosa, magari
una Pasticca Vomitosa» disse la ragazza, con un sorrisetto
vagamente divertito
poco adatto di fronte a un ragazzo sofferente come il sottoscritto.
«Aspetta che li prendo» sibilai, cacciando la mano
in tasca per afferrare la bacchetta. Le mie dita si chiusero attorno di
essa e
la estrassero... ma il bastoncino vibrò, squittì,
e trasformatosi in un topo mi
morse e zampettò via verso le scale. Le mie imprecazioni si
fecero più
fantasiose. «Non temere, te la ridaranno, la tua bacchetta.
Probabilmente
quando saranno sicuri che la tua rabbia sia sbollita».
«Allora non la riavrò un bel pezzo,
perché li ammazzerò»
ringhiai, succhiandomi il pollice.
«Bleah, che schifo! Lavati le mani, non vorrai
mettere la bocca dove ti ha morso il topo!»
esclamò lei, sussiegosa.
Quel pensiero provocò un nuovo attacco di nausea
che mi fece schizzare verso il gabinetto. Per diversi istanti fui
troppo
impegnato per replicare. Alla fine tesi una mano, e la Granger mi
consegnò un
asciugamano, con il quale mi tamponai la bocca.
«Penso che ti convenga bere qualcosa. Se non mi
sbaglio, la Burrobirra potrebbe lenire gli effetti di...».
«NO!» strillai, respingendo con decisione il
pensiero del cibo che si stava affacciando. «Non...
pronunciare... cibo...».
«D’accordo, come vuoi» si arrese lei,
scontenta
perché il suo suggerimento era stato ignorato. E
uscì, sbattendo la porta con
malagrazia, e lasciandomi di sasso. Va bene, le avevo risposto male, ma
piantarmi così, in quel modo, solo per una Burrobirr...
Urgh.
«Ecco» fece la Granger, a sorpresa, rientrando
proprio mentre sollevavo il viso dalla tazza del gabinetto, sfinito. In
una
mano reggeva un bicchiere d’acqua, e nell’altro una
pastiglia colorata
dall’aria familiare. «Tieni» disse, e me
la ficcò in bocca mentre la aprivo per
parlare, porgendomi poi il bicchiere d’acqua. Ingoiai
docilmente, e la nausea
si placò quasi istantaneamente.
«Come immaginavo, era una Pasticca Vomitosa» disse
lei, annuendo con aria saggia. «Va meglio, adesso,
giusto?».
«Si» dissi, mio malgrado, sedendomi
sull’orlo della
vasca da bagno. Vomitare mi lasciava sempre spossato e senza fiato, e
quando
ero più piccolo mi capitava spesso. Un Medimago aveva detto
ai miei genitori
che ero di costituzione fragile perché non avevo mai fatto
molta attività
fisica e non avevo alcuna resistenza, ma mio padre mi aveva assicurato
che la
purezza del mio sangue non si sarebbe mai fatta contaminare da stupidi
batteri
o bacilli – e ogni volta che mi ammalavo sosteneva che fosse
una maledizione
scagliata da qualche suo collega invidioso.
Cominciavo ad avere qualche dubbio, in proposito.
«Perfetto. E non preoccuparti per Fred e George –
probabilmente ti restituiranno la Bacchetta subito dopo averla cosparsa
di
Polvere pruriginosa, o qualcosa di simile». E alzò
di nuovo gli occhi al Cielo,
con quell’aria insopportabile da
vivo-assieme-ad-un-branco-di-mocciosi-e-sono-stufa-di-fare-da-babysitter.
Io la osservai, sospettoso. «Perché sei
così
gentile con me?».
«Insomma, Malfoy, che noia» affermò la
Granger, con
un verso esasperato. «Pensavo che avessimo discusso a
sufficienza l’argomento
“siamo alleati e quindi evitiamo di torturarci
con...”».
«Granger, la tua idiozia non ha davvero limiti» la
interruppi, spazientito. «Intendevo dire che né
Potter né Weasley si prendono
il disturbo di preoccuparsi per la mia salute, perciò non
vedo perché dovresti
farlo tu».
«Nel caso in cui non te ne fossi accorto, Malfoy»
disse la ragazza, con dignità, «posseggo una
sensibilità un tantino più elevata
di quella di quei due, e penso che dovresti esserne contento, visto che
altrimenti non staresti neppure qui,
adesso».
«Su, Granger, dì la verità»
dissi io, con scherno,
«neppure tu credi veramente che io stia dalla tua parte, no?
La tua è una
recita per dimostrare che sei di ampie vedute, o qualcosa del genere.
Ti ho
sentita, sai, mentre parlavi con Weasley».
La vidi arrossire, lievemente, ma non per il senso
di colpa. «Beh, Malfoy, allora sei molto più
stupido del previsto» mi rimbeccò,
acida, colorendosi, «perché chiunque avrebbe
capito che ti stavo difendendo
visto che Ron ha
l’intelligenza emotiva di un fermaporta...».
«Tu mi stavi difendendo?». La guardai, certo di non
aver capito bene.
«Già, ma immagino che avrei fatto meglio a non
prendermi il disturbo» commentò lei, alzando il
mento con fare aristocratico.
«La prossima volta lascerò che Ron pensi quello
che vuole, e magari mi lascerò
convincere. In fondo sono stupida, no?».
Sbuffai, frustrato. «D’accordo,
d’accordo, Granger,
come vuoi. Mi dispiace se ho
ferito i
tuoi Scadenti Sentimenti dimenticando che tu sei al sopra di qualcosa
di così
meschino come la vendetta».
«Accetto le tue scuse» disse lei, senza scomporsi,
ma questa volta mi morsi il labbro per evitare di insultarla di nuovo.
«E tra parentesi, il maglione è sporco di
sugo»
rincarò lei la dose, intuendo di aver riportato
l’ennesima vittoria. So a che
cosa state pensando, ma era difficile per me vincere, quando
a)Indossavo un maglione Weasley sporco di ragù
b)Dipendevo da loro per la mia salvezza
c)Stavo esaurendo gli argomenti per detestarli, e
quelli vecchi stavano diventando ripetitivi.
Ah, beh, e naturalmente,
d)L’alternativa era essere Cruciato a morte dal
malefico Signore Oscuro, Lord Nonancoramort (L.L., Livido Lord, per
nemici che
possono permettersi di farsi vedere per la strada e comprare un
autoabbronzante).
«Tanto, non appena farò ritorno ad Hogwarts, lo
getterò
nel fuoco» dissi, ma ammetto che si percepiva che stavo
mentendo. Non è che mi piacesse
quel maglione, naturalmente.
È che si sposava così bene con il colore dei miei
occhi, che pensavo di passare
sopra al disgusto che mi provocava.
Beh, e poi nei Sotterranei faceva freddo,
accidenti.
La Granger ridacchiò. «Povero Malfoy, ti stai
Weasleyzzando».
«Niente affatto!» esclamai, scandalizzato. Insomma,
i miei capelli erano scompigliati come quelli di Potter e avevano
ancora una
sfumatura rossiccia e indossavo un maglione sferruzzato a mano da Molly
Weasley, ma questo non significava certo che ero come loro. era solo il
risultato di una serie di sfortunati eventi.
«D’accordo, d’accordo, Malfoy. Mi
dispiace se ho
ferito i tuoi Sibilanti Sentimenti dimenticando che tu sei al di sotto
dello
standard di umanità minimo richiesto alle brave
persone». Poi, dopo un istante
di riflessione, aggiunse, «prima
che me
ne scordi, domattina dobbiamo parlare. Dobbiamo organizzare un piano
d’azione».
Il che riportò la mia attenzione non solo al
Signore Oscuro (R.R., Regale Rettile per membri nolentemente onorari
dell’Ordine) ma anche a quanto avevo scoperto autonomamente.
Me lo tenni per
me, tuttavia, perché avevo in mente un piano migliore su che
cosa farne. Invece,
le raccontai della lettera anonima che avevo ricevuto.
«Beh, la cosa non mi sorprende» disse la ragazza,
scrollando le spalle. «Prima di andare a trovare i miei
genitori sono andata da
Magie Sinister, e ho scoperto...».
«Sei andata da Magie Sinister?». Ero indignato.
«Per questo eri in ritardo, accidenti! E tu che frignavi di
un commovente addio
dato ai tuoi genitori...».
«Beh, certo che sono andata dai miei genitori, era
la notte di Natale! Ma si dà il caso che difficilmente avrei
fatto una cosa
tanto stupida quanto andarmene a zonzo, senza aver avuto le mie ottime
ragioni
per farlo». Ragionare con la Granger non serviva a nulla,
perciò le feci cenno
di proseguire.
«Come dicevo, sono andata da Magie Sinister per
capire che cosa aveva combinato Neville, e ho scoperto alcune cose
interessanti».
«Del tipo..?».
«Del tipo» disse lei, paziente, «che
anche Neville
è stato lì per il mio stesso motivo. Sembra che
volesse fare alcune domande su
di un ragazzo che era stato lì pochi giorni prima».
«Pochi giorni prima..? Ma è impossibile. Ci siamo
andati il giorno dopo l’inizio delle vacanze, o
sbaglio?».
«Appunto!» disse lei, raggiante. «Quindi
è chiaro
che qualcuno sta cercando di procurarsi qualcosa di pericoloso, e
Neville
chissà come lo ha scoperto».
«Già, ma vorrei farti notare un paio di
cose»
dissi, per essere ragionevole. «Prima di tutto, è
impossibile portare qualcosa
di pericoloso dentro Hogwarts». Esperienza personale.
«Secondo, è impossibile
uscire dalla scuola e recarsi in un negozio di magia oscura durante
l’orario
delle lezioni». Esperienza personale. «Terzo, se
anche fosse, non è così facile
essere spiati mentre si fanno affari da Sinister». Esperienza
personale.
«Ultimo, ma non meno importante, se è
così è chiaro che Paciock utilizza
qualche sistema innovativo, e
non mi
sembra così furbo». Definiamo anche questa
esperienza personale, considerate
tutte le volte in cui lo avevo impastoiato / affatturato / preso in
giro
impunemente.
«Chissà. Comunque è chiaro che occorre
essere
prudenti, ed io intendo scoprire che cosa c’è
sotto».
«prego, se hai voglia di perdere tempo dietro a
Paciock»
«E’ esattamente quello che voglio fare»
disse lei,
con sussiego. «E per quanto riguarda l’apparizione
di ieri, può darsi che le
due cose siano collegate».
«Già» dissi io, ma nessuno dei due
sembrava
convinto.
La Granger sospirò. «Ne riparleremo domani,
comunque» disse, stancamente.
«Già» dissi io, ma stavo pensando ad
altro, e alla
fine diedi voce ai miei pensieri. «Granger. Tu sai fare un
Patronus?».
«Si, certo» disse lei, stupita.
«Insegnamelo» dissi, solennemente.
«Perché?». Mi guardò,
sbattendo le palpebre. «Non è
neppure nel programma d’esame, anche se immagino ce ne
parleranno...».
Alzai le spalle, schivo. «Me lo puoi insegnare, o
non ne sei capace?».
Lei mi guardò, e in quell’istante la somiglianza
con la McGranitt era stupefacente. «Ma certo che
posso» disse, secca.
«Il fatto
è... ma non devi prendertela con lui... che papà
non capisce sempre. È un po’ a
causa dell’età, credo» spiegai, con voce
quieta e comprensiva, sorridendo. «Non
che siate vecchi, capisci. Però è un
po’ diverso. Cambia sempre qualcosa, sai,
da un’età a un’altra».
Sospirai
appena, ma sorridendo, affinché non sembrasse che covassi
amarezza. «Però io non
posso proprio stare a casa. Papà lo capirà
presto, naturalmente. Voldemort è
abbastanza cattivo da meritare che gli diamo una lezione, anche se
papà
sostiene che non tocchi a me farlo. Lo sai bene quanto me che
papà predica
bene, e razzola male». Sbadigliai. Avevo sonno.
«E’ parecchio giù, ora. Non
capisce cosa significhi sapere che qualcosa di importante è
stato assegnato a
te. E’ preoccupato». Toccai appena la cornice della
fotografia, dove la mia
mamma sorrideva dondolandosi appena al ritmo delle mie parole, come se
le
stessi cullando una ninnananna. «Sono contenta, comunque, di
vedere i miei
amici. Non mi era mai capitato di averne, prima. Sai» e
assunsi un’espressione
saggia, «pare che io sia un po’ strana».
Sbadigliai di nuovo. «Comunque è meglio
che vada a letto. Domani c’è la scuola, e il treno
è infestato di Gorgosprizzi.
Papà ha chiamato la manutenzione magica affinché
provvedesse a mandarli via, ma
non sono sembrati molto convinti. Però se ho sonno e uno di
loro mi colpisce
comincio a soffrire di
un po’ di
nausea».
Mi voltai
verso i disegni che avevo fatto sul muro. I miei amici ricambiarono lo
sguardo
dalle pareti, e io mandai loro un bacio scherzoso. «Sai,
mamma. Se muoio, spero
che papà non sarà così arrabbiato da
cancellare questi disegni» dissi,
preoccupata. «Non tornerò , per Natale,
perciò spero che li conserverà».
Poi crollai
addormentata. La mattina dopo – papà ancora
dormiva, grazie al sonnifero nel
suo the – ero sull’Espresso di Hogwarts.
Non ho
affatto bisogno di fare un lungo preambolo su di me. Sono Blaise
Zabini. Ho
detto tutto, no? Sangue puro, grande casato, eccetera eccetera.
Vorrei farla
breve, per quanto mi è possibile. Non è questo
che dovrei raccontare. Dovrei
avere onore, come si conviene ad un Serpeverde, e non buttarlo per...
beh,
comunque, avrei altro che potrei raccontarvi. Avventure, roba del
genere, o la
cronistoria della mia famiglia. Qualcosa di Serpentesco, o magari una
vittoria
a Quidditch.
Come dicevo,
comunque, vorrei farla breve. Via il cerotto via il dolore, no? Non
voglio
sembrare patetico, anche se sono sulla buona strada per esserlo. Vorrei
raccontarvi che cosa mi sta succedendo ultimamente, e farla finita
così. Non
penso capireste, purtroppo, e poi a nessuno frega qualcosa.
Mi sono già
reso abbastanza ridicolo, non è vero? Beh, è solo
l’inizio. Perché devo
cominciare a raccontare da un secolo fa se voglio fare le cose per
bene. E
cercare, in qualche modo, una giustificazione... qualcosa che ci
somigli,
almeno... qualunque cosa che mi faccia mettere almeno un po’
l’anima in pace,
capite?
Beh, forse
no. Forse nessuno mi può capire. Diavolo, non mi capisco
nemmeno io.
Quindi, se
avete fazzolettini di carta sottomano, teneteli pronti.
Credo
serviranno anche a me, se non vi spiace.
Prima di
tutto, però, un’occhiatina al presente. Devo
ammetterlo, non è una scena così
edificante, e immagino sia per questo che mi sto ritirando nei miei
foschi
ricordi. Manco dovessi fare testamento.
Ci sono
vicino, per la precisione. Sono in piedi, certo, e se guardo questo qui
che sta
ai miei piedi e sul quale temo di inciampare da un momento
all’altro direi che
è una fortuna. Questo sembra essere sangue, e...
Santiddio,
che diavolo è questo?
Meglio non
guardarlo troppo a lungo. Non voglio accorgermi che non sta respirando.
Non sta
respirando.
Faccio un
passo di lato. Sono sporco, ammaccato, mi si è scheggiato un
dente, mi si è
bruciato un sopracciglio, sono sudato, puzzo, mi sono pure sbucciato un
ginocchio, e sono coperto di sangue di provenienza varia ed eventuale.
Del mio
consueto bell’aspetto non è rimasto
granché e teniamo presente che, anche se
c’è qualcosa di figo in un eroe stremato dalla
battaglia, finché ansimi come un
cane asmatico perdi tutto il terreno che hai faticosamente guadagnato.
C’è gente che
sfreccia per i corridoi strillando e agitando scompostamente le
braccia. Lampi
di luce. Casino. Roba che salta in aria, e questa è
architettura antica,
Cristo, in via di estinzione, non torroncino da sbriciolare per scherzo.
Il mio
(nuovo) migliore amico e poco lontano e sta affatturando un tizio alto
con un
occhio storto da spavento. Uno con un occhio così dovrebbe
essere sbattuto ad
Azkaban semplicemente per inquinamento visivo. A differenza del mio
nuovo
migliore amico, io di Filobabbano non ho un bel niente. La sola idea
che in
questo momento mi sto tuffando dietro a una colonna per difendermi da
un tizio
che dovrei chiamare alleato, e che il motivo per cui ce l’ho
tanto con lui è
che ho aiutato uno degli
amichetti del
mio BFF mi riempie
di segreto sdegno.
Ma continuo a
lanciare incantesimi e grida, perché in fondo questa
battaglia non è mica uno
scherzo. E voi direte, che diavolo sta succedendo? Potrei anche
spiegarvelo, ma
sarebbe una storia davvero lunga. Se fossi quell’idiota di
Nott, probabilmente
ci scriverei su una tragedia e assolderei i migliori attori sulla
piazza per
recitarla e raggiungere così la celebrità. Se
fossi Malfoy, probabilmente,
comincerei una storia interminabile e al ventesimo capitolo sarei
ancora a metà
– sa essere davvero prolisso.
Astoria mi
sfreccia davanti, chinandosi senza esitare per schivare uno
Schiantesimo, e
svolta l’angolo sparendo in un altro corridoio. Astoria
è sempre stata una
ragazza molto razionale, e se toccasse a lei spiegare
l’origine della sua
presenza qui, probabilmente si limiterebbe a spiegare la causa prima e
scatenante. Il che, probabilmente, è la cosa migliore da
fare.
Il che mi
riporta nuovamente a quel giorno di Natale, quando avevo sette anni, i
miei
poteri non si erano ancora fatti vivi e mio padre era gravemente
malato. Ora,
immagino che siate informati sulle storie che circolano su mia madre e
i suoi
numerosi mariti, e non cercherò di discolparla;
semplicemente perché non so se
siano vere.
Però so che a
mio padre ci teneva davvero, sebbene fossero sempre e costantemente
impegnati a
litigare. Mia madre era di una famiglia di sangue purissimo, molto
più di mio
padre che comunque non era mezzosangue. Lei era bellissima, una delle
donne più
belle d’Inghilterra, ed era orgogliosa sia del suo aspetto
sia del suo
retaggio, sebbene non fosse una strega particolarmente dotata. Mio
padre invece
era un genio, il primo della classe, ma a differenza di molti altri
geni aveva
la testa sulle spalle e non esprimeva mai nulla – fossero
sentimenti, o
semplici opinioni.
Fin da quando
ero molto piccolo mi avevano sempre considerato come il degno
discendente di
entrambi i miei genitori, perché ero bello e intelligente,
ma in un certo senso
ho sempre avuto, come mio padre, una certa coscienza di me. Ero di
bell’aspetto,
è vero, ma non quanto mia madre. Ero intelligente,
è vero, ma non quanto mio
padre. Però ero Blaise Zabini, e il solo fatto di avere il
loro stesso sangue
mi faceva sentire orgoglioso. Non sarei mai voluto appartenere a una
famiglia
Babbana.
Lo so, lo so,
non spiega in nessun modo il perché mi stia trovando al
centro di una
sanguinosa battaglia che probabilmente deciderà le sorti del
mondo magico, e
non a favore della gente come me. Vedete, il punto è che mio
padre si ammalò, e
la cosa strana fu che nessun medico fu in grado di guarirlo. Immagino
che
questo abbia contribuito a creare il mito della Vedova Nera, come
più di
qualcuno chiama mia madre – ma non fu lei ad avvelenarlo, lo
so per certo. Più di
qualcuno disse che si trattava di consunzione, e mio padre non
lasciò mai che
lo curassero a dovere fino a che non fu troppo tardi.
Nevicava, la
vigilia di Natale. Io ero da solo con mio padre, mia madre era di sotto
a
strillare istericamente contro qualche incompetente domestico. Mio
padre mi
aveva appena mandato a chiamare, e dopo aver atteso pazientemente una
pausa tra
uno strillo e l’altro, si rivolse a me con voce flebile.
«Non il modo
in cui ti aspettavi di passare il Natale, eh?» chiese, con un
pallido sorriso.
«Mi dispiace».
«Non
dispiacerti, papà» mormorai io, che lottavo contro
un nodo in gola.
Lui sorrise.
«Sai, il tempo è sempre una fregatura»
mi disse, sempre sottovoce, ed io, che
non ero abituato a sentirlo fare discorsi profondi, mi inquietai. Ero
incapace
tuttavia di interromperlo, perciò attesi in silenzio che
terminasse il suo
discorso. «E’ sempre uguale, preciso, scientifico,
eppure sembra che si
distorca per farti un dispetto. Anche ora... mi sembra ieri che mi
sentivo
bene».
Io deglutii.
«Papà...» cominciai, ma lui mi
interruppe. «Ascolta, Blaise» disse, scandendo
stranamente le parole, come se avesse paura di non essere sentito.
«Io non ho
bisogno della sfera di cristallo per sapere come andranno le cose. So
bene che
tu diventerai un ottimo mago, e so anche che sarai Serpeverde come me e
tua
madre. L’unica cosa che ti posso dire, però,
è che la gente come me e te
finisce fregata dal tempo che passa e che ti impedisce di fare quello
che
avresti dovuto». Sospirò, quietamente.
«So che ti sembra solamente un discorso
astratto, ma devi stare attento alle abitudini; che si tratti di
pensieri,
oppure di idee, o di sentimenti, ti fanno perdere tempo
prezioso».
«Papà, questi
discorsi mi spaventano» sussurrai io.
«A proposito,
ho un regalo per te» disse mio padre, ignorando la mia ultima
frase. «E’ il
pacchettino argento dentro il tuo armadio. Lo puoi aprire solamente
domani,
però. E dovrai restituirmelo, quando sarai grande».
Io annuii.
«Ora va giù,
e dì a tua madre che mi lasci dormire per almeno
un’ora» borbottò lui. Io
obbedii, e uscii in fretta.
Lo so, non è
una scena piuttosto interessante, piuttosto è drammatica e
anche un po’
scontata, del genere che si legge sempre nei libri. E continua a non
delucidarvi sul perché tutto questo stia accadendo,
nonostante sia
principalmente colpa mia.
Ehi, ho detto
che vi avrei raccontato la causa. Non ho mai parlato del resto.
NOTA DELL’AUTRICE
Ce l’ho
fatta, e con un capitolo lunghetto... ma semplicemente
perché ci sono alcuni
pezzi che avevo pronti da un po’, ovvero quelli
all’inizio e alla fine del
capitolo. So bene che hanno uno stile molto diverso dal solito, e
probabilmente
non sono all’altezza del resto, ma ho pensato che alcuni
ricordi legati da un
unico filo conduttore potessero fungere assieme da indizi che possono
chiarire
alcuni aspetti della trama, e per invogliare al resto ;) tanto non ne
ho in
progetto altri, quindi l’esperimento non è
destinato a ripetersi, salvo idee
geniali – anche se devo ammettere che anche il prossimo
capitolo ha in serbo
alcuni ricordi, anche se narrati mooolto diversamente.
Ma passiamo
al contenuto del capitolo, prima di esaminare i
“ricordi”. Avevo voglia di un
bel capitolo divertente, e funzionale... in fondo è servito
parecchio ad
ammorbidire Draco, ed il prossimo capitolo sarà
l’ultimo di Grimmaud Place, il
che lo rende potenzialmente interessante... eh eh eh... Ok basta.
Serietà.
In effetti
può sembrare che la trama non sia progredita
granché, ed invece è stato
veramente fondamentale. E poi avevo voglia di Natale, come dimostra il
fatto
che a mezzanotte, finito di scrivere, mi metto a sferruzzare sciarpe
sbilenche
come neanche Hermione col CREPA (e questa era una citazione da Nerd
– N.N.,
Nicole Nerd, per fans sfregatate della Rowling in questo momento
morbosamente
intente a cercare per tutta la città una libreria che venda The
Casual
Vacancy in versione originale O.O).
Comunque,
dicevo. Draco si ammorbidisce, Hermione si ammorbidisce, Harry si
ammorbidisce,
Ron non si ammorbidisce – anche perché povero, in
questo capitolo non compare
praticamente mai... mi sa che sono un po’ cattiva con lui
– e insomma sono una
grande famiglia felice.
Per quanto
riguarda i ricordi... su quello di Astoria no comment, si spiega una
cosa
self-evident che penso aveste capito già per conto vostro.
Quello assai breve
di Neville non spiega praticamente niente ma delucida sul suo stato
d’animo,
con conseguenti spiegazioni da trarre. Quello di Luna è
importante perché solo
con il senno di poi avreste potuto capire che lei era praticamente
scappata di
casa. Quello di Zabini è importante per via di un indizi
etto su uno dei suoi
segreti, ma diciamo che più di altro prepara il terreno ad
alcuni indizi. In effetti,
non so se lo abbiate capito, ma Zabini ha un ruolo piuttosto centrale e
quindi
siete destinati a non sapere un tubo per molto, molto tempo...
Ecco, poi
vorrei far notare le allusioni al presente, e cioè
all’esatto momento in cui
vengono raccontati non solo i ricordi secondari, ma la stessa storia di
Draco. Beh,
insomma, il primo vero indizio sul presente. Che poi non è
un indizio ma un
manifesto XD mi sembrava interessante metterlo XD
Beh, comunque
in effetti ho messo troppi indizi... vabbè, quantomeno
è un capitolo lungo,
perciò godetevelo. Come sempre, grazie alle mie
recensitrici, i love you guys!
A CHRISTMAS
CAROL = è il canto di Natale di Dickens, per chi magari non
lo sapesse. Perché ho
scelto questo titolo? Beh, non è evidente, perciò
delucidation... prima di
tutto, anche questa è una storia di
Natale, in fondo. In secondo luogo, perché come
nel Canto di Natale
avviene una cosa particolare: più voci parlano di passato,
presente e futuro.
Citazioni colte,
eh?
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