The Slytherin Lion

di Leenadarkprincess
(/viewuser.php?uid=137064)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Me, myself and I ***
Capitolo 2: *** Hide(ous) and sick ***
Capitolo 3: *** Cunning as a Ferret ***
Capitolo 4: *** Where the snake lies, why and when to tell lies ***
Capitolo 5: *** Soaring across humiliation ***
Capitolo 6: *** Buried secrets ***
Capitolo 7: *** DEALING WITH THE DEAL ***
Capitolo 8: *** Curiosity killed the ferret ***
Capitolo 9: *** Pureblood prince charming - part one ***
Capitolo 10: *** Pureblood prince charming - part two ***
Capitolo 11: *** PLAYING THE UROBORO ***
Capitolo 12: *** NEVER say never ***
Capitolo 13: *** Unwanted initiation ***
Capitolo 14: *** SNEAKY snake ***
Capitolo 15: *** To dare into the lare ***
Capitolo 16: *** Back to black ***
Capitolo 17: *** The snake stole the secret (S.S.S.) ***
Capitolo 18: *** Cobras Crave Christmas (C.C.C.) ***
Capitolo 19: *** M.U.D.B.L.O.O.D., or ***
Capitolo 20: *** HOME, sweet home ***
Capitolo 21: *** Nightmare before christmas ***
Capitolo 22: *** A Christmas Carol ***



Capitolo 1
*** Me, myself and I ***


Ok, d’accordo, ammetto che i Malfoy, grandissimo casato, con eminentissimi antenati, eccetera, non hanno sangue di indovino nelle loro vene. E devo dire che la cosa non mi ha mai disturbato granché. Tuttavia, devo anche ammettere che anche un cretino avrebbe potuto immaginare che cosa sarebbe successo, ad  ubriacarsi di Acquaviola.
Si, ero stato un vile a persuadermi ad uscire ad ubriacarmi, ma in fondo, i Serpeverde non brillavano certo per coraggio, no? Era il settimo anno, la mia vita andava a rotoli, e mi sentivo autorizzato a lenire le mie sofferenze in uno dei luridi calici della Testa di Porco.
La Testa di Porco. Posticino piuttosto squallido, ne convengo, e non avrei certo desiderato che i miei genitori venissero a conoscenza delle mie frequenti uscite in quel luogo. Ma i Tre Manici di Scopa traboccava di gente indegna, Mezzosangue e traditori della loro stirpe, e non volevo mischiarmi a loro.
Oh, e va bene. Nemmeno loro volevano avere nulla a che fare con me, d’accordo.
Draco Malfoy. Ultimo discendente del grande Casato Senza Indovini Malfoy, erede di una vasta tenuta – e visto come andavano le cose, di un sacco di grane – nonché autore di un piano geniale che aveva concesso ai seguaci del Signore Oscuro di penetrare ad Hogwarts, l’anno prima, assassinando così quel babbione barbuto di Silente. Oh, e va bene, sarei dovuto essere io a farlo fuori, contenti? Peccato che non ci fossi riuscito affatto, e che del lavoro sporco si fossero occupati i miei compagni – se così vogliamo definirli.
Peccato che ora l’ultimo erede dei Malfoy fosse disprezzato da tutti. Grazie a Potter gran parte dei Mangiamorte erano stati catturati, il Signore Oscuro era fuggito, Kingsley era Ministro della Magia, e tutti – nessuno escluso – erano passati dalla parte dei buoni.
Tutti tranne me.
Anche i Serpeverde si erano convertiti in massa, ed ora facevano i bravi bambini a braccetto con le altre case. Ma io non potevo farlo, i sospetti – mai verificati – sul mio conto erano troppi. La mia famiglia era ad Azkaban, ma nonostante il mio Marchio Nero, che tutti si erano convinti essermi stato imposto con la forza, io ero rimasto ad Hogwarts.
Dove ora ero un reietto.
Quindi, Testa di Porco. Era un ambiente malfamato, e quindi poco frequentato dai nuovi Serpeverde buonisti. Ciò nonostante sapevo bene che i rapporti col locale erano interrotti solo in superficie, perché ingenti quantità di Ogden Stravecchio circolavano ancora per i dormitori.
Era Ottobre, e già faceva un freddo cane. Se anche avessi voluto, dove sarei potuto andare? Io non avevo mantelli dell’Invisibilità, come Potter, e nemmeno amici devoti e tirapiedi pronti ad osannarmi. Non più, almeno. Intendiamoci, non sentivo la mancanza di Tiger e Goyle, anzi; insomma, adesso soltanto i miei compagni di dormitorio mi rivolgevano la parola, ma soltanto in privato, prima di dormire, ed in quelle occasioni non è che perdessi il sonno se loro non mi davano la buonanotte.
In effetti l’unico che davvero mi spalleggiava era McNair, il nipote dell’omonimo boia che aveva tentato di accoppare l’indegna bestia che mi aveva quasi strappato un braccio ad unghiate. McNair – David per gli amici, tra i quali chissà perché mi annoverava – non era come suo zio, sua madre si era staccata dal ramo principale della famiglia da anni ormai. Era un bravo ragazzo, uno di quelli veri, intendo, non che avesse carisma, o coraggio, ma era sensibile, tutto sommato. Per quanto possa esserlo un Serpeverde, immagino, secondo la definizione della banda Potter.
Tutto solo in quell’orribile bettola, sentivo per le strade il vociare degli studenti di ritorno da Mielandia e dagli altri negozi. Era prevista un’altra uscita a breve, per Halloween. Nonostante i problemi di sicurezza nessuno tentava di impedire agli alunni di frequentare il villaggio, nel tentativo di mantenere alti gli spiriti. Beh, non il mio, quello era garantito.
E così, un’acquaviola dopo l’altra, mi ero accompagnato per oltre un’ora, sfogliando nel frattempo un noiosissimo libro che il Professor Vitious ci aveva assegnato. Ma lo misi presto da parte, e bevvi così tanto che mi sentii girare la testa. non ero ubriaco, però, non ancora. Ero sobrio abbastanza da uscire dalla Testa di Porco senza barcollare, con la tasca del mantello che tintinnava a causa di una scorta personale di Acquaviola particolarmente forte che avevo persuaso il barista a vendermi.
Fui il primo a rientrare al castello, credo. In ogni caso, per tutto il tragitto fui solo. Dalla temperatura e dall’aria umida intuivo che non mancava molto al primo periodo delle nevicate. Ne fui contento. Si sarebbero tutti occupati della neve e non avrebbero badato a me.
Scesi nei sotterranei – incredibilmente freddi, inutile dirlo – e pronunciai la parola d’ordine. Entrai nella Sala Comune quasi deserta, eccezione fatta per i marmocchi dei primi anni che mi guardavano con occhi grandi come padelle mentre li ignoravo per andare verso il dormitorio.
Quando mi chiusi la porta alle spalle fu un vero sollievo.
A questo punto potreste domandarmi che cosa c’entra tutto questo con le conseguenze della mia sbornia. Beh, è molto semplice. Tracannai una buona metà della bottiglia in mio possesso e finii con l’essere ubriaco marcio. A quel punto dormire era impossibile – mi girava troppo la testa – e, per farla breve, decisi che avevo proprio bisogno di una boccata d’aria. Ero convinto che non fosse passato molto tempo da quando ero arrivato, mentre doveva essere già sera, perché anche ai piani superiori non c’era luce.
I corridoi erano quasi deserti, e per un istante pensai che avrei potuto anche uscire nel parco, ma non ne avevo voglia. Approfittai invece della desolazione del castello per barcollare verso la Torre Nord. Purtroppo, visto lo stato di totale confusione in cui mi trovavo, finii per dovermi appoggiare al corrimano alla quarta rampa di scale.
Salii ancora un po’, ma arrivato davanti alla biblioteca mi fermai, colpito dalla nausea. Giudicai più prudente fermarmi. Presto capii che era meglio cercare un bagno, al più presto, e mi voltai per farlo. Scesi addirittura qualche gradino, senza ricordare che il settimo a partire  dall’alto tendeva a scomparire se non lo si calpestava fischiettando. Il gradino scomparve, io persi l’equilibrio, e rovinai verso il basso travolgendo una malcapitata ragazza che saliva la scalinata nello stesso momento.
Nonostante l’avessi colpita, comunque, ebbe la prontezza di riflessi di aggrapparsi alla balaustra evitando di precipitare come feci io. Colpii il pavimento con la testa e sentii un dolore lancinante – peggio di quella volta in cui quello psicopatico di Crouch Jr., dimenticando di essere il mio alleato, mi trasformò in un furetto e mi sbatacchiò qua e là per tutte le segrete.
Per un po’ non capii più nulla. il mondo era soltanto una spirale di dolore. Poi sentii una voce chiamarmi, ma non potevo risponderle – non avevo fiato.
Ci misi parecchio per mettere a fuoco l’immagine di fronte a me, ma quando lo feci, pensai che sarebbe stato meglio non farlo affatto. Perché ad aver assistito alla rovinosa caduta dell’ultimo Malfoy ubriaco come una spugna, c’era la Granger. China su di me, con uno sguardo un po’ preoccupato, ma decisamente non abbastanza, visto che con ogni probabilità dovevo essermi fratturato la testa.
Anche voci decisamente più delicate di quella della Granger mi sarebbero sembrate terribilmente insopportabili, in quel momento, e se mai avessi potuto trovare un’attrattiva nella Sporca Mezzosangue (S.M. per i nemici stretti), non sarebbe certo stata la sua voce.
«Malfoy? Malfoy?» la sentii chiamare, e mi sentii scuotere. Avrei voluto risponderle per gridarle di andare a quel paese o di prendermi un rimedio contro il dolore atroce alla testa, ma anche se non avessi battuto la testa, ero pur sempre ubriaco, e lei era sempre una Sangue Sporco (S.S. per i nemici stretti). Inoltre, come spesso succede quando si prova un dolore forte, sentivo una rabbia feroce dentro di me. Avrei voluto picchiarla anche solo per non sentire le punte dei suoi capelli crespi toccarmi fastidiosamente il viso.
«Malfoy?».
Deficiente, pensai, non vedi che non riesco a respirare?
Parte della sbornia si dissolse in quei momenti drammatici, e quando mi resi conto che davvero, non riuscivo a respirare. Aprii la bocca ma la richiusi senza aver concluso niente. Forse stavo morendo. Bene. Male. Boh. Stavo troppo male per giudicare.
In quel momento il suo schiaffo da putrida S.M. mi colpì in pieno viso. Boccheggiai, gli occhi ancora colmi delle lacrime dovute alla mia caduta.
«C-che...» mugugnai. S.S. si raddrizzò appena sentendo quel verso uscire dalla mia bocca. «Che.. cazzo... fai... Granger?» sibilai, alzando appena il capo. Un attacco di vertigine assurdo mi attraversò, ma lo ignorai. La rabbia c’era ancora, e non è bene essere arrabbiati quando non si è sobri, specie per le Sporche Mezzosangue che sono sempre state tue nemiche, e che ti hanno appena visto precipitare da una rampa di scale perché non reggi la sbornia. E che ti hanno schiaffeggiato, magari.
Lei non sembrò sorpresa. se lo aspettava. Forse anche una SM come lei capiva che il dolore rende aggressivi. Beh, sarei stato aggressivo comunque con lei, se ve lo stavate chiedendo, ma magari con più contegno.
«Volevo solo verificare che non ti fossi rotto la testa» replicò freddamente, fissandomi con disprezzo. «E se adesso riuscissi a darti una calmata, e mi permettessi di accompagnarti in infermeria...».
«Bada agli affari tuoi» replicai.
«Beh, visto che mi hai travolta in pieno, non sono esattamente estranea alla vicenda» disse lei. «Allora, lo vuoi il mio aiuto, oppure no?».
«No» riuscii a dire, secco. «Vattene».
«Ok» disse lei senza scomporsi. Si voltò di scatto e si allontanò, senza fretta, verso la mia destra. Nel frattempo cercavo di non vomitare e di alzarmi in piedi. Dio, che dolore. E che nausea. Ma nessun Malfoy vomitava a pochi metri dalla biblioteca, decisi, e per distrarmi mentre cercavo di stare in piedi aggrappandomi al muro pensai con soddisfazione che la dannata Granger non era poi così dannatamente buona da aiutare il suo nemico in punto di morte se lui la insultava.
Sarebbe stato piacevole, se non avessi rischiato di vomitare il cervello sulle scale.
Non so per quanto rimasi lì, ma dopo un certo lasso di tempo sentii passi concitati di qualcuno in avvicinamento. Non mi voltai perché davvero, la testa mi girava troppo perché potessi farlo impunemente; tuttavia capii che si trattava di Madama Chips quando la udii gracchiare al mio orecchio una serie di frasi sconnesse. «Ma ragazzo... ragazzo... scale... odore... bere... senza ritegno... avvertita...». O magari ero io che non capivo più niente? In effetti ero tanto confuso che  non sentii granché di tutto il suo discorso, mentre una vocina dentro di me si chiedeva come mai Madama Chips fosse lì. Non l’avevo mai vista fuori da scuola, a parte, talvolta, al banchetto in Sala Grande. Chissà cosa faceva quella vecchia strega Corvonero per il resto della sua giornata. Naturalmente, me ne fregavo, ero solo stordito.
Mentre mi passava un braccio attorno alla vita e mi induceva a proseguire lungo il corridoio, realizzai con uno sprazzo di lucidità che quando avevo travolto la Granger, lei era diretta verso  la biblioteca. Invece alla fine se n’era andata lungo lo stesso corridoio che percorrevo io ora e che, senza dubbio, conduceva all’infermeria.
Non ci si può più fidare nemmeno dei nemici, al giorno d’oggi?
 
Non vidi Harry e Ron fino all’ora di cena, e fino ad allora passai tutto il tempo a tormentarmi un lembo della veste mentre leggevo l’ultimo tomo recuperato in biblioteca. C’erano moltissime buone ragioni per sentirmi agitata, riguardo a quel rifiuto di Malfoy. Non che non avessimo notato in precedenza che era strano – vista la sua situazione, che cosa si poteva aspettare? – ma ubriaco... accidenti, Malfoy ubriaco!
Mi faceva – ci faceva – un po’ pena, Malfoy, specie dopo che si era rifiutato di uccidere Silente. Nessuno era al corrente di quanto era accaduto davvero quel giorno orribile, a parte quelli dell’Ordine. Per tutto il resto del mondo Malfoy era il dannato, infido figlio di Mangiamorte, che forse aveva collaborato per  uccidere Silente, ma che rimaneva una sorta di succube sgherro, un colpevole marginale da compatire ma anche condannare. Per l’Ordine, e per noi in particolare, era un idiota e certamente responsabile, ma se non fosse stato lui a far entrare i Mangiamorte, Voldemort avrebbe cercato un altro modo, e per Dio, magari avrebbe trovato qualcuno di peggio come Goyle. Aveva esitato prima di uccidere Silente e lo sapevamo, e per questo ci dispiaceva. Anche se Malfoy ne era all’oscuro, la decisione di Kingsley di farlo restare nella scuola, sebbene sorvegliato, era dovuta in parte alle insistenze di Harry.
Altre ragioni per cui mi sentivo agitata? Il fatto era che non solo mi faceva pena, non solo lo avevo visto ubriaco, ma avrei voluto aiutarlo. Se c’era davvero del buono in lui come sembrava che fosse, forse avremmo dovuto fare qualcosa. Naturalmente non sapevo bene che cosa, specie perché difficilmente ce lo avrebbe permesso.
Non fraintendetemi, ok? Non sentivo niente di più che un po’ di pietà per lui e per una situazione dove si era trovato ad agire in qualche modo per forza. Era stato un vile, un codardo ed un debole, ma ehi, era pur sempre un Serpeverde. Nulla di nuovo sotto il sole, giusto?
Così scesi in Sala Grande e mi accomodai al mio posto quando la metà degli studenti ancora doveva arrivare. Dopo Hogsmeade, la maggior parte si attardava per ripulirsi e vestirsi, perciò generalmente si cenava un po’ più tardi. Ero andata ad Hogsmeade ma me n’ero andata via quasi subito; il tempo di comprare qualcosa da Mielandia, mandare un Gufo espresso al Ghirigoro che doveva ancora spedirmi un libro, e fare scorta di alcuni ingredienti per  pozioni in una piccola bottega del luogo.
Neville era lì, a sorseggiare un po’ di succo di zucca con aria pensierosa. Sua nonna si era data alla macchia in estate, convinta che per quanto i Mangiamorte fossero per il momento sotto controllo, qualcuno la sarebbe andata a cercare. Con qualcuno intendeva probabilmente la cara Bellatrix, una degli unici sei Mangiamorte ancora in libertà. Eh si, il Signore Oscuro non se la passava tanto bene, la battaglia di giugno era stata estremamente sanguinosa e grazie a Kingsley, che ci aveva inviato i rinforzi, e che ancora cacciava le reclute Mangiamorte sparse per il paese, si era evitato il peggio. Avevano tentato di impossessarsi del Ministero proprio il giorno delle nozze di Bill – che erano state posticipate – ma non ci erano riusciti. Un numero incredibile di maghi e streghe si erano precipitati sul posto salvando il governo magico, e catturando un centinaio di nemici.
Harry era diventato, naturalmente, una sorta di guida per la comunità di Maghi e Streghe. Era una sorta di ragazzo immagine,quello che non aveva voluto essere per Caramell, ma che non aveva esitato ad essere per Kingsley. Appariva nei giornali, si faceva intervistare, incoraggiava la popolazione a stare in guardia e a combattere. Certo la situazione non era il massimo, ma era ancora  tutto sotto controllo.
E naturalmente cercava gli Horcrux. Di tanto in tanto saltavamo le lezioni per andare alla ricerca di quei dannati cosi, alle spalle del Signore Oscuro il quale, se si preoccupava di reclutare nuovi seguaci, non temeva certo che stessimo cercando di infilzare i pezzi della sua anima in una sorta di spiedino magico. Harry passava metà della sua giornata a zonzo per il castello, apparentemente convinto che l’Horcrux che vi era nascosto sarebbe apparso dallo sgabuzzino delle scope, o qualcosa di simile. Non provava nemmeno a chiedere informazioni a quelli delle altre case, convinto com’era che avrebbero capito che cosa aveva in mente.
«Si, beh, non è che tutta questa gente sappia degli Horcrux» faceva notare Ron di solito, quando nessuno sentiva. «Non credo che chiedere loro di un manufatto antico equivalga a strillare “ehi, sapete dov’è l’anima di Voldemort?”». Ma quando Harry si impuntava su qualcosa non c’era modo di distoglierlo, né di fargli ammettere che forse poteva avere torto. Ok, lo ammetto, spesso non aveva torto, ma accidenti, altrettanto spesso non aveva ragione!
Questa ricerca rendeva difficile seguire le lezioni, anche se Harry e Ron ghignavano sempre quando facevo cenno alla cosa. Di fatto però non potevano negare che i loro voti – già piuttosto bassi – precipitavano sempre più verso un abisso.
Io facevo del mio meglio per stare al passo, ma ci riuscivo solo faticando un sacco. Quel giorno, quando Malfoy mi aveva scambiata per un birillo da abbattere, mi stavo dirigendo come al solito alla biblioteca alla ricerca di un aiuto nei compiti. Ma non ci ero mai arrivata.
Mentre riflettevo su tutto questo osservai il posto di solito occupato da Malfoy, in un angolo impietoso accanto a McNair, che era vuoto. Sicuramente Madama Chips avrebbe insistito per farlo restare lì la notte. Chissà se si era accorta che era ubriaco; ne dubitavo, ma chissà. Magari gli avrebbero tolto dei punti. Magari.
«Ehi. Her – mio – ne» scandì Neville.
«Mmh?» feci io, voltandomi  verso di lui.
«Che cosa osservi?» fece lui, la fronte aggrottata.
«Beh» dissi io, precipitosamente. «Sai, volevo sapere se era vero quello che avevo sentito nel bagno delle ragazze, sul fatto che Pansy Parkinson abbia pianto in bagno per oltre un’ora perché non le riusciva la pozione che avrebbe dovuto preparare». Balla, ma Neville non se ne accorse, e tutto eccitato – odiava la Parkinson molto più di me – si mise a scrutare la tavolata verde e argento con un luccichio negli occhi.
«In effetti ha gli occhi un po’ rossi, credo» disse trionfante.
Probabilmente era allergica al gatto di qualcuno, pensai, ma mi dedicai al succo di zucca mentre Neville sorrideva con soddisfazione.
Alla fine Harry e Ron arrivarono. Erano piuttosto affannati. Harry prese posto accanto a me e Ron alla sua destra. Avevo sperato che si sarebbero messi entrambi accanto a me, ma lasciai perdere. Era troppo importante quello che avevo loro da dire.
«Che. Stanchezza» si lagnò Ron servendosi di tre tipi diversi di carne ed ignorando il pasticcio di cavolo. Anche Harry riempì il piatto di roba. «Abbiamo dovuto fare venti minuti di coda, Hermione, capisci? VENTI. Solo per avere il dannato torroncino di Fred e George» sottolineò, inghiottendo un pezzo di carne grande quanto lui. «Fe favolo vogli’no, a ffarmi veri’fi’are che la loro deglutì «Stupida merce venga venduta al giusto prezzo a Mielandia? Che idiozia».
«Lascia perdere lo stupido torrone sanguinolento, e ascolta. Ho cose da dirvi» esclamai.
«Anche noi» dissero i due in coro. «Rosmerta è tornata. Pare che la maledizione Imperius non le abbia provocato danni gravi» disse Harry.
Lanciai un’altra occhiata al tavolo Serpeverde – imitata dagli altri – mentre Ron aggiungeva, scharendosi la voce con una smorfia, «Ma è ancora scossa. Voglio dire, non serve nessuno se non vede le bacchette sul tavolo dove non si possono toccare, e anche così, si volta sempre di scatto come se temesse che qualcuno la stesse stregando». Scosse il capo. «non vi pare esagerato? Insomma, per la maggior parte del tempo faceva quello che voleva, non era proprio una marionetta, no? non è certo colpa sua se...».
Come al solito Ron non mostrava alcun tatto. Sospirai. «Discuteremo più tardi della tua assoluta carenza di delicatezza, Ron» dissi, parlando in fretta. «Oh, quello che ho da dirvi è davvero importante».
Poi abbassai la voce, così che nessuno a parte loro mi sentisse. «Malfoy è in infermeria».
Ron finse platealmente di strozzarsi con il succo di zucca. Però era sorpreso davvero. «Cos’è gli hai fatto una fattura, o cosa?».
«Non è stata colpa mia» dissi, cercando di tirargli una pedata e centrando lo stinco di Harry, i cui occhi si riempirono di vere lacrime. Raccontai loro tutto l’accaduto, mentre loro mi guardavano a bocca aperta.
«Però» disse Ron con un fischio. «E così, Malfoy ha fatto colpo, eh?».
«Letteralmente, però» risposi.
Harry era pensieroso. Non era mai positivo quando pensava. «Vorrei fare qualcosa per aiutarlo. Non lo so, mi mette a disagio vederlo così, lui, che è sempre stato amato e riverito da tutti» disse mentre Ronald borbottava qualcosa che ricordava molto un “se l’è cercata”.
«Che cosa vuoi fare?» replicai io, rassegnata. «Credi davvero che accetterebbe il nostro aiuto? E poi, cosa potremmo fare noi per lui? Diventare i suoi nuovi migliori amici?».
Harry alzò le spalle abbandonando il terreno senza più combattere. «In fondo anche noi ne abbiamo passate parecchie, no? Harry ha passato anni lasciato da parte, credo che  possa sopravvivere anche lui» disse Ron, che non aveva un briciolo di pietà verso Malfoy. Mentre lo diceva fissava il proprio piatto, come se la discussione gli interessasse marginalmente. Sapevo che quando era in quello stato stava elaborando qualcosa, spesso non troppo intelligente.
Tuttavia, devo dirlo, vederlo così noncurante mi faceva stare male. Io, provare qualcosa per lui? No di certo. Insomma, che cosa mi importava di lui? Non più di quanto mi importasse di Malfoy. O di uno Schiopodo Sparacoda. Ok, Ron era mio amico, ma era tutto qui. Lo ripetei a me stessa più volte ed intanto salutai Ginny la quale giungeva proprio in quel momento. Lei mi vide e ricambiò il saluto ma girò al largo. Harry l’aveva piantata in asso dicendole che lo faceva per il suo bene, e di certo non era quello che una qualunque donna innamorata amava sentirsi dire. Insomma, di fronte ad il ragazzo amato che soffre e ti dice di lasciarlo in pace, che cosa avrebbe dovuto provare? Del resto, ero certa che Ginny non si fosse affatto arresa, e che passasse il suo tempo a preparare qualcosa alle nostre spalle. Ed intanto usciva con Seamus (si, Finnigan, l’amico di Dean Thomas) con il quale, stando agli odiosi racconti di lui, si era spinta piuttosto oltre.
La maggior parte della sala ormai era piena. Vidi la Parkinson alzarsi da tavola per correre incontro a due Serpeverde e confabulare con loro tutta concitata. Qualcuno doveva averle detto qualche cosa, e di certo non avevo problemi ad immaginare che cosa.
«...trovarlo» disse una delle due Serpreverde. La sua voce era tanto squillante che, mentre si avvicinavano all’uscita e quindi al nostro tavolo, riuscii a cogliere qualche frammento della loro conversazione. Erano tutte e tre molto concitate e all’apparenza tormentate.
Tesi l’orecchio ad di sopra del masticare rumoroso di Ron, ma colsi solo qualche parola, non molto rivelatrice. “Chips”, “testa”, “notte”, “pozione” fu tutto quello che udii, ma sentii perfettamente la risposta di Pansy, pronunciata con voce insolitamente acuta, nervosa.
«Povero Draco... sono davvero dispiaciuta... però, sai, ho cinquanta centimetri di pergamena da consegnare per domani, e non posso proprio... magari domani pomeriggio andrò a trovarlo».
Così Pansy si allontanò in fretta e furia e, almeno così speravo, oppressa dai sensi di colpa. Ron si voltò finalmente verso di noi, con aria eccitata. «Ah-ah!» disse sornione. «La Parkinson non ha  nemmeno il coraggio di farsi vedere in infermeria a visitarlo!».
«Beh, davvero orribile da parte sua, considerato il fatto che fino all’anno scorso avrebbe venduto anche le mutande pur di toccarlo!» replicai, piccata.
«Donne» disse Ron con un sospiro drammatico, e aggiunse sottovoce qualcosa di simile a “soprattutto le mutande”. Finsi di non sentirlo, accalorata per quell’unica parola che aveva pronunciato, ma prima che potessi lanciarmi in un rimprovero contro di lui ed i suoi rimproveri sessisti – Harry si era già fatto piccolo piccolo – quando Seamus in persona sbucò dal nulla e gli batté la mano sulla spalla.
«Donne, eh? Non ti chiederò il motivo della tua esclamazione» disse il nuovo arrivato.
Ron lo vide e si adombrò appena. dopo che l’anno prima aveva snobbato Harry, e dopo le storie che circolavano su lui e Ginny, non era molto ben disposto verso di lui. Harry faceva del suo meglio per sembrare impassibile ma non ci riusciva affatto. sferrò comunque un calcio a Ron per richiamarlo alla compostezza, e lui gemette impercettibilmente.
«Ciao, Seamus» disse Harry sforzandosi di essere cordiale. Era il più grande incapace del mondo a fingere, ma Seamus parve apprezzare il suo sforzo e gli diede un’occhiata compassionevole prima di tornare a voltarsi verso Ron. «Vuoi ripetere l’impre sa, eh? Dopo la Brown...».
Ero molto consapevole di avere la faccia rovente, ma mai quanto le orecchie di Ron. Era imbarazzato e confuso, ma aveva una punta di compiacimento sulla faccia. Mi lanciò un’occhiata fulminea che finsi di non cogliere, mentre mi concentravo nel bere il mio succo di zucca.
«Oh, ma stai zitto» bofonchiò Ron.
«Ti piace proprio la barista, eh?». Quasi mi soffocai, ma nessuno se ne accorse. Rosmerta? Sapevo che Ron aveva un debole per lei, ma davvero le aveva fatto gli occhi dolci?
«Non mi piace» negò lui, ma troppo in fretta.
Persi il resto della loro discussione – improntata su Seamus ed i suoi consigli amorosi - intenta com’ero tutto d’un tratto a tagliare le mie patate e a cospargerle di salsa, e concentrandomi sulla discussione che Neville stava avendo con un tizio a proposito di Incantesimi.
Alla fine Seamus se ne andò, ed io mi voltai verso  di loro. «Di che stavate parlando?» chiesi, impassibile. Ron non rispose, ancora rosso.
Harry sospirò. «Rosmerta ha assunto la nipote per aiutarla, e “guardarle le spalle”. È una ragazza piuttosto giovane».
«Lo immagino» dissi, senza più guardarli.
«Ehm... si è diplomata da poco. Ha  studiato all’estero, mi pare» disse Harry, evidentemente cercando di trascinare l’argomento per mostrare che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
«Lo immagino» fu tutto quello che mi degnai di dire. Inghiottii qualche boccone di patate, poi mi alzai. «Scusatemi. Ho da studiare» dissi poi, e li piantai lì come due idioti. Una volta arrivata nella Sala Comune, scansai un gruppo di mocciosi del secondo anno e mi rifugiai nel mio dormitorio, dove mi infilai sotto le coperte quasi subito e mi addormentai.
Sognai di essere un’allevatrice di furetti biondi che affittavo alle ragazze dal cuore spezzato. Erano furetti da combattimento, e aggredivano gli innamorati fedifraghi, i fidanzati, ed uno squallido barbone coi capelli rossicci che beveva idromele barricato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hide(ous) and sick ***


Quando mi risvegliai la mattina seguente al mio incidente sentii qualcosa smuoversi all’interno del mio essere – soltanto, si trattava di nausea e non di qualcosa di più poetico. Vomitai bile e poco altro nel catino che la Chips mi aveva caritatevolmente lasciato di fianco, la testa lacerata da fitte che girava vorticosamente.
Dio, se stavo male. Nessuna posizione mi dava sollievo, non potevo fare altro che cercare di pensare a qualcosa che non fosse la stanza che si rifiutava di smettere di girare. Gesù, non poteva essere la sbronza. Magari mi ero davvero spaccato la testa.
Quando l’infermiera arrivò dovevo avere un aspetto davvero di merda perché mi lanciò uno sguardo pietoso che non poteva essere frainteso. Borbottò qualcosa che somigliava assieme ad un rimprovero e ad un discorso pietoso, mentre mi tastava la testa.
Se si fosse trattato di un osso rotto, la Chips l’avrebbe curato. Perdio, non era stata una Corvonero per nulla. Tuttavia non poteva vedere dentro alla mia testa, se capite cosa intendo, perciò non era proprio sicura di che cosa non andasse. Mormorò un paio di incantesimi che avrebbero risaldato le ossa craniche ma oltre ad un bel po’ di dolore in più non ebbero altro effetto che quello di farmi strillare come una donnetta. Mai detto di sapere sopportare il dolore. Mi somministrò anche un tonico ed un intruglio che sapeva di vomito ma che servì ad acquietare le vertigini. Dopodiché si allontanò con aria preoccupata.
Sembrava strano che la donna incaricata di curare ragazzini colpiti in piena fronte da Bolidi vaganti non fosse in grado di fare altro, ma sapevo che non era così semplice. Anche in quel caso teneva dentro l’infortunato per una settimana e lo incantava più volte fino a sistemare il danno. Il guaio con la testa era che il danno era invisibile.
Quindi mi rassegnai ad aspettare di sentirmi meglio, e sapete, non è che fossi esattamente distrutto dal dolore. Si, insomma, tranquillità, nessuno sguardo minaccioso o al massimo compassionevole, e l’esenzione dai compiti. Se fosse accaduto l’anno prima, avrei già avuto un centinaio di persone al mio capezzale disposti non soltanto a darmi le indicazioni per i compiti, ma anche a farmeli. Sospettavo invece che nessuno sarebbe stato così entusiasta all’idea di venirmi a trovare, ora. Non quando qualcuno poteva vederli.
Così, mi godetti qualche ora di solitudine. La Chips mi chiese se desideravo qualcosa da leggere e quasi le risposi di no, perché non ero un accanito lettore. Però, accidenti, non avevo altro da fare, perciò acconsentii con una certa riluttanza. Mi portò le Fiabe di Beda il Bardo – che ignorai –, un libro di incantesimi ed uno di Storia, poi se ne andò.
A quel punto presi la bacchetta dal comodino e decisi di occupare il tempo a provare qualche incantesimo. Ce n’era uno piuttosto promettente che doveva servire a trasformare in un uccellino una teiera, e mi sforzai diligentemente per una decina di minuti, senza il minimo risultato. La cosa mi irritò perché, anche se non sempre gli incantesimi mi riuscivano al primo colpo, quantomeno di solito provocavano un qualcosa sull’oggetto interessato. Tentai con un altro incantesimo, corrucciato, senza migliore esito. A quel punto, un po’ in apprensione, puntai la mia bacchetta verso il cucchiaino posato accanto alla teiera sul comodino.
«Wingardium Leviosa» dissi con voce roca.
Il cucchiaio non si mosse. Non accadde nulla.
A quel punto, lo ammetto, entrai in panico. Ammetto che, nelle occasioni di tensione, mi capita di pensare sempre alla peggiore delle ipotesi, e mi lascio un po’ sovreccitare. Comunque, pensai che la botta in testa avesse compromesso qualcosa di vitale per la magia. Per qualche minuto la testa ricominciò a girarmi un po’, e questo contribuì ad agitarmi ancora di più.
Alla fine decisi che forse il fatto che stessi male mi avesse portato a pronunciare l’incantesimo con insicurezza. Ancora una volta, puntai la bacchetta verso il cucchiaio. «Wingardium Leviosa» scandii con l’aria più autoritaria che la mia nausea mi consentisse di assumere.
Il cucchiaio si mosse, si sollevò un pochino, poi ricadde a terra.
Immensamente sollevato, decisi immediatamente che solo il mio sangue di Malfoy, dove la magia era incredibilmente pura, mi aveva consentito di superare il mio grave trauma cranico. Mi esercitai ancora per un po’ fino a che il cucchiaio non rispose pienamente ai miei comandi, poi lasciai stare. Prima di riporta al suo posto la lucidai per bene; mio padre lo aveva sempre fatto quando la bacchetta era sua, sostenendo che non sarebbe stato dignitoso averla sporca e malmessa come il ramoscello di una siepe Babbana.
Allora presi il volume di Storia e cominciai a sfogliarlo. era la biografia di un mago di qualche secolo prima, un tale Ignotus Peverell, sfuggito alle persecuzioni. Era una biografia piuttosto lacunosa ma si sforzava di ricostruire l’intera esistenza di Ignotus. Il cognome Peverell era abbastanza conosciuto, era una famiglia Purosangue il cui nome era ormai andato perduto, ma come tutti i Purosangue era probabile che fossimo stati imparentati con almeno uno dei Peverell. Del resto pochi avevano il sangue altrettanto puro come i Malfoy.
Mi appassionò. Lessi di tutta la sua infanzia, e della sua adolescenza, ma lì mi interruppi perché in quel momento entrò McNair tutto trafelato e con quell’aria indignata che aveva sempre quando tentava di riparare ad una ingiustizia. Cristo.
«Sono venuto appena ho saputo» dichiarò piombando a sedere sulla sedia più vicina, le gote arrossate. Ogni tanto, quando aveva un’espressione così, sembrava un bambino e non un adulto Serpeverde. Tacque un istante. «In realtà l’ho sentito ieri sera» aggiunse alla fine, con aria colpevole, «ma ero così stanco che... beh, in fondo non era orario di visita». Si schiarì la voce. «Ti ho portato i compiti» disse alla fine, schiaffando alcuni fogli ed un paio di libri sul tavolo.
Io alzai gli occhi al Cielo. «McNair...» dissi, con un sospiro. «Sei un idiota. Non volevo avere la possibilità di fare i compiti».
«Oh» commentò lui, compunto. «Non immaginavo... sei al settimo anno, pensavo... i MAGO...».
«Lascia perdere» dissi io tagliando corto di fronte alla sua mortificazione. Ma perché non era un Tassorosso?
Rianimatosi, mi sorrise. «Senti, ma... che cosa è successo esattamente?».
Per dargli qualcosa su cui occupare i pensieri, gli feci un breve resoconto di quanto era accaduto da quanto, la mattina precedente, ci eravamo salutati. McNair non andava spesso ad Hogsmeade se non era accompagnato da tante persone, perché temeva che qualche Mangiamorte se la prendesse con lui. Essere nel ramo ribelle della famiglia talvolta è quasi peggio di essere un Mezzosangue od un SS.
Lui ascoltò annuendo. «Granger» disse alla fine, pensieroso. «Il nome mi è familiare. È carina?».
«No» dissi senza nemmeno pensarci. «E’ l’amica di Potter».
«La rossa? Quella del mio anno?» domandò McNair sfregandosi il mento, pensieroso. «E’ una Purosangue, no?». Se c’era una cosa su cui davvero McNair era un Serpeverde, erano le questioni di sangue. L’unica cosa era, che anziché provare disgusto per i Sangue Sporco, li chiamava Nati Babbani e li considerava come persone meno fortunate. Poteva anche parlarci, ma mai avrebbe voluto imparentarsi con loro.
«Chi, pel di carota Weasley? No, non quella, quella è l’ex di Potterino, e si, è una Purosangue, ma è come se fossero Babbani. Naturalmente non li consideriamo parenti. L’altra, quella coi capelli crespi».
«Oh, quella con quel nome da Shakespeare?» chiese lui emozionato. Era un amante di Shakespeare. Probabilmente era quello che lo portava ad avere tanta stima dei Babbani, il fatto di Shakespeare. Anche se non era ancora certificato il fatto che non fosse in realtà il mago. «Aspetta... Ofelia? No, non Ofelia».
«Hermione» lo corressi, storcendo il naso. Probabilmente era la prima volta che pronunciavo anche il suo nome. Cuore mio, trattieniti.
«E’ la migliore del vostro anno, giusto? È carina» disse lui.
«I suoi genitori sono Babbani» dissi con voce atona.
«Oh. Poverina» disse, con aria compassionevole. «Ma è davvero possibile che sia la migliore del corso? Una Babbana?».
«Così pare».
«Deve avere qualche parente mago» disse lui pensieroso. Non ce l’aveva granché con i Mezzosangue. Del resto anche io ammettevo che c’era una bella differenza tra mudblood e halfblood; anche tra i Serpeverde c’erano dei Mezzosangue, anche se si trattava sempre di gente con un grande ascendente magico, mentre non ce n’era nessuno di Sangue Sporco. In fondo anche il Signore Oscuro era stato un mezzosangue, così come Potter, eppure al primo anno non avevo avuto problemi all’idea di stringere un legame con lui. Era stato lui a scegliere la strada sbagliata.
«No, non ne ha» lo informai. «nessuno fin dai tempi di Merlino».
«Bizzarro» commentò allora lui. «Eppure, con un nome simile... non è un nome da San... da Nato Babbano. Continuo a credere che sia una Mezzosangue. Che cosa fanno i suoi?».
«perdio, McNair, ti pare che sia mai andato a chiederglielo? È Babbana e amica di Potter, anche solo l’idea di toccarla mi ripulsa. Se ti piace tanto invitata ad uscire come ha fatto quell’idiota, quel McLaggen, l’anno scorso, o almeno così pare».
«E’ uscita con McLaggen?». Strabuzzò gli occhi. «E tu come lo sai?».
«Pansy. Credo che un po’ fosse attratta da quel tizio. Personalmente, lo trovo un idiota. Specie se vuole la Granger».
«Mmh...». McNair rimase in silenzio qualche minuto. «Non ho mai approfondito l’argomento, ma... perché ce l’hai tanto con Potter? Si, insomma, vi odiate da sempre, non a causa di Lord... del Signore Oscuro».
«Potter è un idiota».
«Però...» sembrò voler dire qualcosa ma si interruppe. Potter era pur sempre un Grifondoro, ed un nemico del Signore Oscuro. Nonché mio. «Per quale motivo la Granger ti ha aiutato, allora?» chiese invece.
Cominciavo ad essere stufo di McNair, delle sue presa di coscienza per Potter e per la Granger.
«Perché non ha il fegato per essere una stronza» proclamai con aria stanca. «Ma se vuoi, domani cercala e chiediglielo di persona. Se hai voglia di parlare con una Sangue Sporco».
«Detto dal tizio che viene ignorato anche dagli altri Serpeverde» disse una voce squillante, «mi sembra un po’ improprio, non credi?».
Hermione Granger, SM, SS, nonché persona inopportuna, stava sulla soglia e ci guardava, corrucciata. Doveva aver assistito al nostro ultimo scambio di battute. Accidenti. Sia io che McNair arrossimmo appena, ma per ragioni diverse; lui per l’imbarazzo di essere stato sorpreso ad insultare qualcuno, fosse anche una Sangue Sporco, io perché non volevo che pensasse che parlavo di lei in sua assenza. Lo giuro, solo per quello. Oh, d’accordo, anche perché aveva centrato il punto. A parte questo, però, non c’era altro. Davvero.
«E tu che diavolo ci fai qui, Granger?» dissi, con aria spavalda. «Ti è dispiaciuto che sia sopravvissuto e sei venuta a terminare il lavoro?».
Lei fece un sorriso amabile e quindi inquietante, specie se rivolto a me. «Vorrei che fosse così. Purtroppo sono solo venuta per conto della professoressa McGranitt per darti i suoi compiti, che nessuno ha voluto portarti, e che ho dovuto prendere io perché la McGranitt mi ha pregata di farlo. Oh, e dovevo anche darti un messaggio da parte sua, e cioè, che ha saputo che  eri ubriaco e che ha provveduto personalmente a togliere venticinque punti per Serpeverde. Ma forse nella vostra casa basta che imprechiate contro un Grifondoro per riguadagnarli».
Avrei voluto rispondere qualcosa di molto arguto, ma  avevo mal di testa, e poi, che cosa avrei potuto dire? Non che gliela volessi dare vinta, ma proprio non sapevo cosa dire.
«Ehm... senti» disse McNair, titubante, «non te la sei presa, vero?».
«Figurati» disse lei altezzosa tirando su con il naso. «Non per certa feccia. Specie se questa feccia deve ubriacarsi per dimenticarsi di essere feccia». E detto questo alzò il mento, mi schiaffò i libri sulle ginocchia badando bene a non sfiorare nemmeno la coperta, si voltò su se stessa frustando l’aria con i suoi capelli crespi, e si allontanò a passo di marcia. Rosso di collera le urlai dietro di andare in un certo posto, ma lei fece finta di nulla o forse non mi sentì.
Invece mi sentì Madama Chips che, forse pensando che mi stessi riferendo a McNair, fece capolino da un’altra porta e puntandogli il dito contro lo cacciò, minacciandolo di morte se avesse fatto agitare ancora il paziente (che sarei stato io).
Così rimasi da solo – di nuovo – con un mucchio di compiti da fare,ed il mio mal di testa. feci tutto quello che avevo da fare, ma la mia testa era altrove, e cioè a quanto fosse umiliante essere dileggiato da una Mezzosangue, e a come mostrare al mondo che il cadetto Malfoy aveva ancora un bel po’ di dignità da vendere.
Anche se al momento, lo stesso cadetto Malfoy era impegnato a vomitare l’anima in un catino.
 
McNair non tornò a trovarmi.  Glielo avevo proibito per alcuni ottimi motivi. Il primo, che talvolta risultava spossante. Il secondo, che così avevo una scusa per non avere i compiti – visto che la Granger mi aveva portato solo quelli di Trasfigurazione. Il terzo, che vedendo che nessuno mi veniva a trovare, forse quei figli di puttana che un tempo avrebbero sbandierato con orgoglio la propria essenza Serpeverde, e che ora imploravano Potter di avere un’istantanea del suo culo, si sarebbero sentiti in colpa.
Ero davvero incazzato, e non solo perché stavo male, anche se ammetto di non essere tollerante quando sto male. Perché non avrei dovuto essere intollerante, visto quello che mi era sempre stato dovuto, e che adesso tutti si dimenticavano di darmi?
Sapevo che la viltà era il tratto più famoso dei Serpeverde, ma di vili era pieno il mondo. Quello che spesso si dimenticavano di ricordare nel menzionare gli attributi che facevano tale un Serpeverde, era che per essere tali bisognava possedere anche molti pregi. Oltre alla purezza di sangue, intendo. Anche se molti Serpeverde erano degli idioti – non erano certo Corvonero – l’astuzia, la furbizia, erano ammirate, così come una certa abilità a risolvere situazioni complicate. A questo si aggiungeva l’orgoglio, una certa regalità. Cosa che in molti avevano dimenticato.
Ok, d’accordo, la maggior parte dei Serpeverde non erano svegli. Sapevo anche che ormai finire a Serpeverde significava solamente sentire il fascino di quella parte della vita, che tutti si ostinavano a considerare oscura. Tuttavia tutti noi ci ostinavamo a considerare la casa di Serpeverde la migliore; accidenti, era quello che avrebbe dovuto essere. Eravamo i più puri, i più eletti, avremmo dovuto essere maghi dotati e capaci. Invece, e l’atteggiamento patetico dei miei compagni lo dimostrava, non era più così da molto tempo.
Non avevo il diritto di essere arrabbiato? La mia casa era disprezzata. Tutte le altre venivano considerate come case di uguale dignità, sebbene Tassorosso fosse per alcuni un gradino più in basso. Nessuno era disposto ad accettare che avessimo ragione noi. ma dovevamo averla. Ne ero certo. Fin da bambino mi era stata insegnata l’importanza del sangue puro, dell’orgoglio, del talento usato per ribadire la propria superiorità, ed ora, con il loro comportamento, quegli idioti facevano sembrare che Potter e la gente di quella risma avesse ragione.
Perciò si, ero arrabbiato, e stanco. Insomma, non valevano più niente i Serpeverde, quelli autentici? E soprattutto, perché nessuno riusciva a capire che cosa significasse esserlo? L’orgoglio, la nobiltà, l’intelligenza, perché nulla di tutto questo poteva essere valutato, soltanto perché tendevano verso una direzione differente?
Intendiamoci, non che non fossi contento di non essere più costretto a convivere con il Signore Oscuro. Non era molto carino da guardare in faccia e non era piacevole una conversazione che anziché sulle barzellette verteva su piani di conquista e stragi, né un cameratismo distorto e servile, né un ambiente malsano dove le maledizioni che venivano lanciate tra i compagni erano più numerose dei saluti.
Ehi, mai detto di essere stato contento nel vedere Babbani morenti penzolare a testa in giù dal soffitto della mia sala da pranzo. Il mio appetito non ne era granché stimolato, se proprio volete saperlo, né lo era nel vedere Nagini soddisfare il suo con i resti di quegli stessi Babbani.
Si, non potevo non gioire sapendo che io ero al sicuro – relativamente, si intende – e che la mia famiglia lo era, seppur dietro le sbarre. Le notti di paura che avevo passato l’anno precedente, nella mia dimora, sentendo i Mangiamorte al piano di sotto gozzovigliare tra le antiche mura della mia casa, loro, molti dei quali non avrebbero nemmeno potuto osare pensare di ricevere un invito in una situazione differente... sapendo di avere un compito da svolgere, uccidere, io che non avevo mai ucciso nessuno, che avevo sognato soltanto una vita di gloria e di agio come il mio sangue esigeva, io, che non avevo mai fatto nulla di peggio di torturare Potter – e quella, ammettiamolo, non era nemmeno tortura.
Uccidere Silente. Non ce l’avevo fatta. Anche tra le mura di Hogwarts mi era sembrato di sentire la risata tetra e vuota del Signore Oscuro che risaliva gli scaloni di marmo – non sbronzo come me, di sicuro, ma trionfante e scortato dai suoi folli adepti -, lo strisciare di Nagini che reclamava un suo spuntino, mentre la Sua voce mi intimava, fallo, fallo, fallo. E avevo tramato e tramato e tramato, sapendo che la vita di mio padre era in pericolo, quella di mia madre era in pericolo, così come lo era la mia; maledicendo la mia sorte che mi portava lontano dal mio cammino, tremando, piangendo talvolta in segreto, come la volta in cui Potter mi aveva scoperto.
Si, ero stato sollevato, ma non abbastanza, perché il Signore Oscuro ci voleva, né era scomparso, e ancora tremavo. E nel frattempo ero odiato da tutti, commiserato da molti, e solo. Meglio soli che male accompagnati, non è vero?
Eppure mi bruciava terribilmente nel mio piccolo orgoglio di Malfoy, lo stesso che mi impediva adesso di strisciare dai buoni – veri o presunti – e da quelli che tenevano la foto di Silente sul comodino per implorare perdono e comprensione. Non mi era mai piaciuto sapere che mio padre era riuscito così a ricostruirsi una vita, quando il Signore Oscuro era stato costretto a soccombere di fronte alla brutta faccia di baby Potter, come se per tutto il tempo il Signore Oscuro lo avesse ingannato. E poi, andiamo, come avevano fatto a bersela? “Lo giuro, mi aveva detto di voler aprire una associazione di beneficienza per Babbani infreddoliti, non sapevo che li torturasse, pensavo facesse loro il solletico! ....dare loro fuoco? Oh, ma io volevo solo scaldarli, davvero!”. Che diavolo!
Volevo parlare con qualcuno, anche con Potter, solo per insultarlo. Un legame d’odio era meglio di nessun legame. Perfino un elfo domestico sarebbe andato bene, se mi avesse permesso di sfogare quello che avevo dentro... le parole che avevo dentro.
Queste meditazioni cupe mi occuparono la giornata, perché soltanto nel pomeriggio mi decisi ad aprire il libro su Ignotus. Prima avevo delle vertigini troppo violente, che Madama Chips non mi aiutò a combattere mentre mi lanciava incantesimi piuttosto dolorosi e senza altro esito che quello di farmi strillare ancora. Per fortuna ero l’unico paziente dell’infermeria.
Il secondo ed il terzo giorno proseguirono allo stesso modo. Mi sentivo stanco e svogliato, perché non avevo nulla da fare se non pensare al mio mal di testa o alle mie condizioni pietose. Il terzo giorno in particolare prometteva di essere particolarmente spiacevole, visto che era il giorno delle selezioni per il Quidditch. Non che avessi intenzione di parteciparvi, visto che nessuno mi parlava, ma comunque, la sensazione di giocare era qualcosa che non provavo da tempo.
Sentivo le urla venire dal campo di gioco, il vociare di tanti studenti in fila. Dopo una buona mezz’ora, stufo di stare a letto, calciai via le coperte con disgusto e mi alzai, barcollante, per avvicinarmi alla finestra. La testa girava un po’ meno di prima, ma mi appoggiai comunque al davanzale.
I colori delle divise erano quelle di Corvonero, impossibili da confondere nonostante il campo fosse piuttosto lontano. Si vedevano tante piccole figure danzare nell’aria, e sospirai, desiderando di essere lì fuori.
Mi mancavano i tempi di spensieratezza. Quelli in cui tutti mi volevano e mi seguivano, quelli in cui tutti invidiavano la mia scopa, il mio ruolo, i miei voti perfino, il mio viso caparbio e bello. Si, diavolo, sapevo di essere bello, ricco ed invidiato, perfino da quelli delle altre case. Eppure, dannazione, anche se la mia anima Serpeverde vomitava – metaforicamente – a quella confessione, perfino essere uno di quei Tassorosso vocianti sugli spalti sembrava attraente. Loro erano liberi, amati, senza un oscuro signore serpentesco a strisciare nei loro incubi – almeno, non come succedeva a me. Loro non avevano mai neppure visto in faccia – se faccia era – il Signore Oscuro. Per questo potevano ancora scherzare e preoccuparsi di perdere dieci punti per la loro casa, chiedersi come fosse andato il compito di Trasfigurazioni, se quella strega della Cooman avesse ragione ad informarli che si sarebbero rotti una gamba, e così via.
Mentre pensavo a tutto questo, la porta alle mie spalle si aprì, ed io mi voltai di scatto. Pessima idea. Feci appena in tempo a notare un cespuglio di merdosi capelli crespi, prima di cadere carponi per terra, e cercare di non vomitare ancora. Ero davvero stufo di farlo. La Chips mi aveva rimpinzato di dolci perché riuscissi ad assimilare nutrimento, visto tutto quello che avevo perso rimettendo. Beh,qualcuno di loro sarebbe tornato alla luce.
«Malfoy...». Cristo, quella voce mi aumentava la nausea in maniera esponenziale. Forse, se avessi vomitato sul paio di scarpe di vernice nera che mi stavano di fronte agli occhi, avrei almeno avuto la soddisfazione di far credere alla Granger che la sua presenza bastava a provocarmi i conati. Inoltre.... vernice nera? Eravamo tornati indietro di tre secoli, o cosa?
Purtroppo, la nausea era scomparsa già dal giorno prima quasi del tutto, a differenza delle vertigini. Perciò no, non vomitai. Sentii qualcosa toccare terra con un tonfo, poi vidi le ginocchia ossute della Granger posarsi sul pavimento, ed una mano toccarmi la spalla con dolcezza nauseante.
«Draco Malfoy» disse il mio nuovo incubo, piano. «Mi senti?».
«Si» dissi, ingoiando le offese, perché le avevo perse nel vortice della realtà che non voleva fermarsi. Potevo sempre mandarla a quel paese più tardi.
Non disse altro, forse perché capì che la mia risposta laconica derivava dalla mia totale afasia momentanea dovuta alla nausea. Mi tirò su senza complimenti né gentilezza, ed in qualche modo mi sostenne fino al letto. Mi ci fece stendere, piano, e dopo un minuto o giù di lì mi sentii meglio (leggi: meno di merda). A quel punto la guardai. Mi scrutava in silenzio, le labbra premute l’una contro l’altra come avrebbe fatto quella becera della McGranitt, e non certo con timore.
«Ti senti meglio?».
Volevo fare un cenno di assenso, ma era un’idea davvero pessima. «Si» dissi di nuovo. Ehi, due frasi senza insultarla. Dovevo muovermi a recuperare, prima che le offese mi andassero di traverso soffocandomi. Stupida Babbana poteva andare come inizio, ma poi avrei dovuto proseguire con più elegante sdegno.
Sporca Mezzosangue? Sporca Mudblood era meglio.
SM mi guardava ancora, con insistenza quantomeno fastidiosa, ma non riuscivo ad infastidirmi perché non vedevo l’ora di insultarla. Il contatto umano, che cosa meravigliosa.
«D’accordo» disse lei altezzosa. «Dovevo solo portarti i compiti. Non volevo farlo, ma la persona incaricata» e fece un sorrisetto malvagio, «ha improvvisamente ricordato altri impegni».
«Stupida Babbana, non mi interessa» dissi, ma non appena la frase mi uscì di bocca, mi accorsi che era esteticamente schifosa. Decisi di migliorarla con una nuova frase più articolata. «Le parole di una Sporca Mudblood come te sono fastidiose di per sé, ma il fatto che tu possa anche solo pensare di parlarmi con una tale insolenza, dimostra che al di là di quei capelli stopposi non nascondi una grande intelligenza». Questa frase era troppo pomposa, ma ehi, chi se ne fregava? In fondo, l’importante era insultare qualcuno (leggi: parlare con qualcuno, ma non ditelo in giro).
La Granger non si scompose, anzi, mi guardò con una sorta di compassione. COMPASSIONE, per me! Sentii di nuovo una grande rabbia, ma era una rabbia impotente, perché anche insultarla non avrebbe portato a nulla. dannazione!
Nel frattempo la sporca mezzosangue si era alzata e aveva raccolto dal pavimento il plico di compiti che vi aveva posato per aiutarmi. Magnifico. Quindi allontanare McNair era stato inutile. Me li lasciò cadere sulle gambe con forza, anche se feci finta di non accorgermene. «Questi sono di Trasfigurazione, Pozioni, e Difesa Contro le Arti Oscure» mi informò, con voce piatta. «Quello di Pozioni è per domani, gli altri due per Giovedì. Ah, a proposito... i compiti di Trasfigurazione, quelli che ti ho dato la volta scorsa, dove sono?».
Indicai con aria aristocratica il comodino. La stupida Babbana prese le pergamene e le sfogliò.
«Non li hai fatti» constatò, stupita.
«Si, beh, ti informo che non sono affari tuoi, Granger. Comunque sono esentato dai compiti».
«E questo chi lo ha deciso?» chiese lei, disgustata. Quando si trattava di compiti se la prendeva sul personale, più di quanto non accadesse se la offendevi. Idiota.
«Io» dissi io osservandomi le unghie, annoiato.
«E che cosa pensi che dirà la McGranitt? Domani devi consegnarglielo».
«Non ne saprà nulla, Granger» dissi con aria da saputello, e voce nasale. «I compiti saranno fatti».
Lei spalancò la bocca, insopportabilmente, e mi guardò. «Vuoi farteli fare?».
«Fatti i cazzi tuoi,  Granger» ripetei, come in una litania.
«Beh, non sfrutterai qualcuno solo perché vuoi fare il povero malato» disse lei con decisione, ficcandosi le pergamene nella borsa, e scrutandomi come se fossi stato un grumo viscido di spazzatura. «Lo sai, Malfoy, questa volta nessuno fingerà di crederti mentre fingi di agonizzare».
Finsi di non ascoltarla. Non mi importava nemmeno che prendesse i compiti. Se la McGranitt avesse protestato, avrei sempre potuto dirle che la Granger me li aveva presi, e così l’avrei messa nei guai. La prospettiva mi riempiva di maliziosa contentezza, che espressi stiracchiandomi pigramente tra le lenzuola candide.
A quel punto vidi che faceva retrofront, diretta verso la porta. Mi dispiacque, mi stavo divertendo ad insultarla, ed inoltre non volevo lasciare che se ne andasse avendola vinta. «Dove sono Potter e Lenticchia, Granger? Stanno ancora cercando di salire sulla scopa?» chiesi, con un sorriso perfido, che vide non appena si voltò.
«Naturalmente. Imitano te, che non sai nemmeno salire le scale» replicò, e ancora una volta se ne andò sbattendo la porta, e svegliando Madama Chips, che avevo sentito russare nel suo ufficio. Arrivò tutta agitata e questa volta non trovò nessuno. Allora borbottò qualcosa e richiuse la porta, lasciandomi solo di nuovo a sbollire la rabbia.
Passò almeno un’ora, durante la quale ebbi modo di pensare a ogni insulto contro l’impurità di sangue che riuscii ad elaborare, e che annotai mentalmente per ripeterli alla Granger quando ne fosse giunta l’occasione. Poi la Chips ritornò, una pergamena in mano, informandomi  che un tizio dal San Mungo sarebbe arrivato domani per visitarmi e stabilire se le cure da lei prestate fossero state efficaci o meno. «Non sono un’esperta di testa, ragazzo» mi disse intanto, mentre mi tendeva un calice colmo di pozione soporifera ed un vassoio con la cena. «Ma se c’è una cosa che mi consola è sapere che con quella avevi qualche problema anche prima di venire qui».
Non replicai. Mentre mangiavo, McNair salì all’infermeria per cinque minuti, giusto il tempo per salutarmi mettendo a tacere i sensi di colpa – nonostante fossi stato io a dirgli di non venire – e per comunicarmi che la mia avventura era conosciuta ormai in tutta la scuola, e che tutti i Grifondoro erano rimasti deliziati sapendo che mi ero ubriacato.
«Splendido» commentai, cercando di sembrare disinteressato. Non che fosse difficile dissimulare, con McNair. «Suppongo che la Granger non abbia resistito all’idea di gettare fango sul mio buon nome».
«In realtà» disse il mio interlocutore, evidentemente incerto sull’opportunità di difendere una Sangue Sporco, «è stata la professoressa McGranitt. Ha detto a Pansy quello che era successo per invitarla a portarti i compiti, e la voce si è sparsa a macchia d’olio».
Meraviglioso. Non potevo neppure incriminare la sporca Nata Babbana per le mie disgrazie. Era decisamente una pessima giornata.
«A proposito, McNair, non venire domani. Mi sto già rimettendo».
«D’accordo. In ogni caso» arrossì appena, «ci sono i provini di Quidditch, domani». Quel povero diavolo avrebbe voluto fare il Cacciatore, nonostante sembrasse goffo. Dubitavo che ne fosse in grado, ma ehi, non avevo nessuna motivazione seria per dire che facesse schifo. E poi, inutile dirlo, non sempre a passare erano i migliori. Voglio dire, guardate Weasley!
«Che diavolo dici? Non erano oggi?».
«Dovevano. Solo, dopo i Corvonero è venuta la volta dei Tassorosso. Praticamente metà della Casa si è presentata, ed erano tutti... beh, pietosi». Se lo diceva lui, ci credevo. «Sono andati avanti ore. Così, domani tocca a quelli di Grifondoro e di Serpeverde, perché non siamo riusciti a combinare nulla col buio».
«Capisco» dissi. «Quindi Potter non ha ancora dato il meglio di sé».
Lui scosse il capo.
«D’accordo» dissi, alzando le spalle. «Beh, McNair, sono parecchio stanco adesso. Se non ti dispiace...».
Così lo congedai senza troppi complimenti, e lo vidi uscire dalla porta di corsa per non arrivare  tardi.
Sospirai, certo che il giorno seguente sarebbe stata un’altra luunga giornata. Tuttavia, se c’era una cosa che avevo imparato sulle giornate di merda, era che bastava tirare l’acqua alla fine di ogni giornata, sperando che quella successiva sarebbe andata meglio. che diavolo, ero un vero Serpeverde, un vero Malfoy, e dovevo dimostrarlo a tutta la feccia che c’era lì fuori. Era come uno squallido nascondino di emozioni, dovevo solo inghiottire tutto quanto di più doloroso provavo, e fotterli tutti. Anche se avevo un aspetto di merda e mi sentivo come tale, sarei stato meglio, sarei andato lì fuori, e Cristo, gliela avrei fatta vedere.
Sempre che fossi riuscito a reggermi sulle mie gambe, naturalmente.
 
Non sarei dovuta essere io a portare di nuovo i compiti a Malfoy. La prima volta la McGranitt me lo aveva chiesto ritenendomi abbastanza matura da affrontare un Malfoy malato senza ucciderlo; la lezione seguente tuttavia aveva pizzicato Ron a discutere con Harry – a cui io non avevo partecipato, in parte perché non ero stata invitata (probabilmente si trattava della nuova barista, o forse di Ginny), in parte perché era il settimo anno, e cavolo davvero  dovevo concentrarmi – e per punizione lo aveva incaricato di portare al nostro adorabile ex furetto appunti e compiti da fare.
Inutile dire che Ron se  n’era completamente dimenticato. Aveva passato l’intero pomeriggio come inebetito, seduto sulla poltrona, sgridando di quando in quando uno di quelli del primo o del secondo anno che avevo deciso di avvicinarsi. Quando gli avevo chiesto se aveva portato i compiti a Malfoy, aveva battuto appena le palpebre e poi aveva borbottato qualcosa su “numerosi impegni”, ma le sue orecchie erano parecchio rosse ed anche il suo viso, e di certo non era per colpa del fuoco.
Allora gli avevo strappato la borsa dalle ginocchia, avevo estratto i fogli incriminati, e dopo avergli lanciato un’occhiata velenosa che non invidiava certo quella di un Basilisco, me n’ero andata stupidamente arrabbiata, e stupidamente disgustata da me stessa all’idea di esserlo.
Non avevo pensato a Ron mentre discutevo con Malfoy, perché lui mi aveva fatto pena. Se avessi potuto aiutarlo, lo avrei fatto, ma avevo la netta convinzione che Malfoy fosse molto al di là di qualunque aiuto. Le offese che gli avevo lanciato erano dovute principalmente all’abitudine che avevo, di non lasciare che nessuno l’avesse vinta in un colloquio verbale.
Tuttavia, mentre scendevo le scale verso la Sala Grande, la mia mente era ben lungi dal soffermarsi su cose infime come Malfoy. Era Ron quello a cui pensavo. Oh, d’accordo, l’anno precedente avevo più volte dovuto riflettere su quello che provavo per lui, quando avevamo passato quei lunghi mesi divisi a causa di quell’orrida di Lavanda Brown, eppure... anche se avevo temuto di avere una cotta per lui, avevo deciso che lo consideravo solamente un amico, altrimenti perché mi sarei dovuta accontentare di sentirlo sussurrare il mio nome nell’incoscienza?
Quindi, dopo quella volta in cui lui era stato avvelenato, ed avevo temuto per la sua vita, e lo avevo sentito invocare il suo nome, avevo deciso che era stata una sorta di gelosia da amica, la voglia di non condividerlo per una persona immeritevole della quale a lui non importava davvero.
Doveva essere così anche questa volta. Mi seccava semplicemente che lui potesse passare tutto il suo tempo pensando ad una tizia della quale sapeva poco o niente, solo per via della sua bellezza. Eravamo amici, davvero amici, ed eravamo coinvolti in cose molto rischiose ed essenziali, e lui che faceva? Perdeva tempo dietro a qualche sciacquetta che comunque avrebbe potuto vedere appena una volta ogni tanto.
Era così, senza dubbio.
Arrivai nella mia Sala Comune, e scorsi i miei due amici chini su pergamene e libri. Mi avvicinai, cercando di essere di buon umore, sapendo di non riuscirci, ma anche che loro avrebbero probabilmente mancato di accorgersene. Benedetto spirito di osservazione maschile. Perfino Malfoy era più acuto di loro, talvolta.
Harry aveva la fronte aggrottata e gli occhi fissi su un unico punto di Pozioni Avanzate. Il mio pozioni avanzate, visto che la sua copia era nell’armadio di Pozioni, e quella con cui l’aveva scambiata nascosta in qualche meandro oscuro della Stanza della Necessità. Non che avessi da ridire, su questo punto. Non impazziva nessuno, ormai, all’idea di sfruttare le impressionanti conoscenze del Principe Mezzosangue. Non da quando eravamo  venuti a conoscenza del fatto, che il Principe era quello stesso Piton che aveva ammazzato Silente. Del resto, anche prima, non era stato quel libro a far rischiare ad Harry di ammazzare Malfoy? Scommetto che gli era rimasta qualche cicatrice.
Oh, d’accordo, ero anche un po’ gelosa dei risultati che Harry era riuscito ad ottenere da quel dannato libro. E irritata, perché non avevo saputo fare altrettanto.
Ron invece aveva apparentemente rinunciato a consultare il libro di testo e scribacchiava freneticamente.
«Ciao. Come procedono i vostri compiti?» chiesi, sedendomi di fronte a loro. Inutile dire che io li avevo già fatti, i compiti. Non potevo certo permettermi di restare indietro.
«Male» risposero loro in coro. Io scossi il capo.
«Ve l’ho detto. Anziché perdere tempo con certe cavolate» e scoccai un’occhiata di traverso a Ron che lui non percepì e che Harry ignorò, «dovreste mettervi d’impegno nello studio».
«Oh, andiamo, Hermione» protestò Harry, disperato. «Lo sai che la scuola non è al primo posto quest’anno, nei miei pensieri. Gli Horcrux» aveva abbassato la voce ad un sussurro da cospiratore, «non ne abbiamo trovato nemmeno uno».
«Non intendo dire quello» dichiarai altezzosamente. «Ma Harry, sul serio, non ci stiamo mettendo davvero tutto l’impegno che dovremmo metterci, in nessuna di queste cose, e...».
«Si, forse hai ragione» disse lui frettolosamente. «Però, Hermione... anche se vuoi farci la ramanzina... sul serio, abbiamo bisogno di aiuto».
«Si, Hermione» si affrettò ad aggiungere Ronald. «Ci stavamo scervellando», - calcando sulla parola con tono teatrale -, «per finire questo dannato tema per Lumacorno».
«Avreste dovuto farlo già ieri» dichiarai, ma senza durezza, mentre tiravo verso di me la pergamena di Harry, già riempita per metà (anche se sul contenuto avevo qualcosa da ridire).
«Scusami» dissero entrambi, molto contriti.
Cominciai stancamente a leggere le righe buttate giù da Harry, ma in tutta sincerità, facevano schifo. Corressi un paio di cose qua e là, sapendo che in nessun caso ne avrebbe ricavato qualcosa di meglio di “accettabile”, e chiedendomi nel frattempo come fosse possibile che un ragazzo che, come Harry, era tutto meno che stupido, fosse un tale inetto.
Tuttavia era una domanda che mi ponevo da un secolo, perciò non cercai nemmeno di rispondere. Invece pensai che, se anche Harry aveva avuto da fare – tra Horcrux, compiti, il Ministero e anche il suo ruolo di capitano di Quidditch, benché a mio parere non fosse qualcosa che meritava di interferire con lo studio – lo stesso non si poteva dire di Ron. Mi sentii irritata.
Misi da parte il tema di Harry, anche se non avevo finito di correggerlo. «E tu, Ron? Che cosa hai fatto finora?». Ron arrossì appena, ma spinse verso di me la sua pergamena. La lessi a mente, il sopracciglio alzato.
«LA SECONDA LEGGE DI GOLPAROTT ED I SUOI EFFETTI NELLA CORRETTA PREPARAZIONE DEI DISTILLATI
La seconda legge di Golparott è una delle leggi fondamentali tra quelle che influenzano la preparazione di una pozione. Nel caso dei distillati, essa si applica, perché...» qui si interrompeva.
Tacqui, brevemente, prima di alzare gli occhi a fissarlo.
«Tutto qui?».
Lui alzò le spalle, imbarazzato. «Non sono bravo in queste cose, ‘mione, lo sai, no?».
Il mio sopracciglio si arcuò nuovamente. «Non hai neppure scritto una riga».
«Una si» tentò di scherzare lui, ma fu freddato dalla mia espressione omicida. Si schiarì la voce. «Beh, speravo che tu potessi... aiutarmi, ecco».
Sdegnata, sbuffai. «Non si tratta di aiutarti, Ronald. Si tratta di farti i compiti» puntualizzai, picchiettando con il dito sopra a quello che osava definire “il suo tema”. «Se ci avessi almeno provato...».
«Senti, mi dispiace, ok? Ho avuto da fare, sono stanco...».
«Avuto da fare? A fare cosa?» domandai, sprezzante. Le sue orecchie si colorirono, e farfugliò qualcosa di incomprensibile, mentre Harry si schiariva timidamente la voce. «Ehm... Hermione...».
«La verità, Ronald Weasley» dissi a voce alta, consapevole di essere  sempre più arrabbiata, «è che tu non fai un bel niente. Ti limiti a rimanere chiuso in quei due pensieri che costituiscono la tua giornata: il Quidditch, ed il cibo. Oh, non importa quanto io sia stanca, lui non può fare il tema...».
«Hermione...» riprovò Harry, guardandosi attorno allarmato. La Sala era quasi vuota, in molti erano già scesi a cenare, ma quelli presenti cominciavano a lanciare occhiate via via più frequenti nella nostra direzione.
«...anche se io sono riuscita a trovare il tempo, lui no, lui deve passare il proprio tempo a giocare a Gobbiglie, o... o...».
Ron era sempre più rosso, ma si accalorava, boccheggiando, come per rispondermi. Harry ripeté di nuovo il mio nome.
«... a pensare a qualche stupida barista che probabilmente non sa neppure come ti chiami...». Ron era ormai quasi violaceo in volto.
«...lui è troppo al di sopra di noi per ridursi a...».
«Basta così!» ululò lui, indignato, anche se qualcosa nella sua espressione gridava colpevolezza. «Hermione, tu... come ti permetti... come....».
Naturalmente avrei potuto ascoltarlo sproloquiare, ma sarebbe stato inutile.
«Vado a cenare» dissi, senza ascoltarlo. Girai sui tacchi e uscii attraverso il buco nel ritratto, cercando di non piangere non strillare, ignorando Ron che ancora cercava di elaborare qualcosa di intelligente da dire.
A cena mi sedetti vicino a Ginny, e parlammo del più e del meno, evitando misteriosamente di accennare – o di salutare – i due che poco dopo si unirono al tavolo, uno rosso, arrabbiato e assieme stupido, l’altro confuso e timoroso. Mangiai in fretta, ignorando tutti tranne Ginny, e salii al Dormitorio prima ancora che lei finisse la seconda portata. Quando mi sedetti sul letto, ed aprii la borsa alla ricerca di un libro, vi trovai, appena spiegazzati, i fogli dei compiti di Malfoy. Aprendoli, vidi che aveva cominciato a farli, interrompendosi a metà della descrizione di come il naso si potesse tramutare in un becco.
Aveva una calligrafia antiquata, da snob, ed un linguaggio pedante. Però ci aveva provato, e non faceva poi così schifo. Chissà, forse ci avrebbe provato davvero, nonostante tutto, se non gli avessi sottratto i fogli per stizza.
Fu così che, un po’ per dispetto verso Ronald Weasley e le sue debolezze,un po’ per compassione e senso di colpa verso un Malfoy piuttosto brutto e malato, mi apprestai a buttare giù qualcosa per quest’ultimo,da consegnare alla McGranitt per l’indomani. Si, lo so, difficile da credere.
Del resto, non era la prima cosa impossibile che vedevo.
 
Ciao! Sono tornata! Innanzitutto volevo ringraziare anche LadySerpeNera, nefastia, riketta, silvj per aver messo la storia tra le seguite, e a flors99, nefastia (ancora!), e teya (ancora!) per aver recensito. Detto questo (dovuto!), volevo inserite un paio di note personali, la prima dei quali è sul nome dei capitoli, per tutti coloro (capita, gli altri non si offendano!) che non sanno così bene l’inglese. “Me, myself and I” è una frase fatta inglese per dire “solo soletto”, e mi sembrava adatta per il primo capitolo in assoluto. “Hide(ous) and sick” ricorda l’inglese “hide and seek” che significa nascondino; “hideous and sick” significa però letteralmente “repellente e malato”.
Infine, un paio di cose sulla trama... il prossimo capitolo sarà l’ultimo ambientato in infermeria (promessa di scout!) e sarà piuttosto importante per la trama futura... si sta finalmente ingranando il racconto,quindi pazientate solo un po’!
Un grazie sentito ancora a tutti quelli che leggono la mia FF, sperando di non lasciarli delusi, e a tutti coloro che seguono e recensiscono! Grazie mille! A presto!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cunning as a Ferret ***


«E qui?» chiese l’insopportabile individuo che avevo di fronte, tastandomi l’ennesimo punto della testa con le sue dita fredde e sottili. Premeva con forza sufficiente da farmi male anche dove non avevo alcun trauma, figurarsi dove mi ero spaccato la testa. Glielo avevo detto già la prima volta, ma non
 sembrava affatto ascoltarmi, e continuava a tastarmi senza ritegno la testa, chiedendomi man mano se sentivo dolore.
Di tanto in tanto, ricacciava verso l’alto le maniche del suo camice violetto, in una sorta di tic nervoso, che finiva per innervosire anche me. Specie sentendo in continuazione quelle manacce gelide tastarmi la testa, scostandomi i capelli in un modo che faceva venire i brividi.
«Per la dannata, ennesima volta» ringhiai, scostandomi dal suo tocco ed osservandolo con alterigia. Quel dannato sbarbatello mi dava sui nervi. Ricordavo che, all’epoca in cui ero stato al primo anno, lui era al settimo di Tassorosso, e si chiamava William Larkins. Era troppo giovane, troppo inesperto, e troppo Tassorosso per potermi visitare. «L’intera testa mi fa male, anche se ho battuto qui» ed indicai un punto vicino alla nuca.
«Capisco» disse lui placidamente, con l’aria di chi accoglie  un particolare interessante ma già sospettato, fissandomi sorridente. «Beh, non credo ci sia nulla di rotto, se capite cosa intendo, ma credo che abbia un trauma di scarso rilievo nella regione...» e cominciò a sciorinare una lista infinita di termini tecnici che la Chips ascoltò con interesse, commentandoli con l’aria esperta.
Larkins assicurò la Chips che aveva fatto esattamente quello che andava fatto, che la testa era una questione delicata e serviva uno specialista, come lui appunto, ma che le cure che mi aveva prestato andavano più che bene, e che avevo soltanto bisogno di riposo. Concluse con la frase più patetica e scontata che avessi mai sentito, che rivolse a me con il suo sorriso irritantemente cortese e gentile. «...soltanto un po’ di riposo... in fondo, il corpo è la magia più grande di tutte, e sono certo che il tuo organismo saprà rispondere in maniera efficace, se lo lasci tranquillo».
Scoppiai a ridere in faccia a William Larkins, con un certo disprezzo, che tuttavia lui non colse. Si limitò a sorridere e a guardarmi come  se avessi colto nella sua frase qualcosa di innocentemente spiritoso, e volesse ringraziarmi per aver riso.
«Non credo ci fosse bisogno di lei per arrivare ad una diagnosi del genere» dissi sprezzante, incrociando le braccia al petto, e scrutando la sua  uniforme troppo grande per la sua corporatura da sbarbatello che gli cadeva male addosso.
«No, forse no. Siete molto fortunati, qui, ad avere una infermiera competente come Madama Chips. È molto più competente di molti Medimagi che si trovano oggi in circolazione» disse chinando appena il capo con cortesia.
«Già. Se non mi sbaglio anche tu hai avuto modo di verificarlo, quella volta in cui hai mangiato cacca di Doxi, vero?». Era un classico, quello di mangiare le uova di Doxi per scommessa, ma ricordavo il Caposcuola di Serpeverde anni prima sogghignare mentre un suo camerata gli raccontava di averle scambiate, nel caso di William Larkins, con cacca dello stesso animale, senza togliergli un solo punto per comportamento irrispettoso. Larkins era stato quasi due settimane in infermeria, perché la cacca di Doxi era molto tossica, e lo aveva molto indebolito.
William Larkins arrossì, finalmente imbarazzato, e tossicchiò coprendosi la bocca con una mano. Le maniche scivolarono lungo il braccio per l’ennesima volta, ma questa volta non le ricacciò indietro. Invece mi guardò, con qualcosa di indefinito nei suoi occhi di un comune marrone nocciola.
Perché me la prendevo tanto con William Larkins? Non poteva essere solamente perché era un Tassorosso, o un medico troppo giovane e goffo. Forse era perché era troppo, dannatamente gentile, o forse perché semplicemente volevo sfogare la mia rabbia su qualcuno che non poteva replicare, e che in ogni caso non avrei più rivisto. In verità non lo sapevo proprio, ma anche se forse avevo esagerato, non ritrattai né minimizzai le mie parole di fronte alla sua espressione mortificata.
Si, era una cosa da stronzo. E quindi? Ero un Malfoy, ed un Malfoy aveva ogni diritto di trattare da inferiore un essere come Larkins, che aveva qualche parentela Purosangue ma nemmeno poi così tante, e nient’altro che la sua licenza da Medimago a raccomandarlo.
«Si fanno molte cose stupide quando si è giovani» disse alla fine William Larkins in tono sommesso, sforzandosi di sorridere ancora. «Ma sarei felice se potessi aiutare quelli che come te fanno le stesse stupidaggini che facevo io allora, proprio come Madama Chips ha aiutato me».
Avrei voluto mandare a quel paese quel Medimago da strapazzo, ma non ci riuscii. A dire la verità, non riuscii a fare un bel niente. Provai addirittura – ma non ditelo in giro – una punta di qualcosa che somigliava in maniera sospetta a rimorso, se non a vergogna, totalmente illogico. Voglio dire, era pur sempre William Larkins. Che però mi guardava con tranquillità assoluta, ed una punta di compassione, senza più sorridere.
Così lo guardai, e poi abbassai lo sguardo, cercando di mantenere un contegno offeso, ma senza riuscirci bene come avrei voluto, mentre la Chips mi scoccava un’occhiata di fuoco ed intanto, con mille ringraziamenti, spingeva il giovane verso la porta.
Larkins si lasciò trascinare placidamente, arrestandosi soltanto sulla porta. Allora si voltò verso di me, scrutandomi per un paio di istanti. «I miei auguri per una pronta guarigione» mormorò, prima di uscire.
Fu così che mi sentii una vera merda, e mi ritrovai per una buona mezz’ora a ruminare dentro di me i ricordi dell’accaduto, cercando il più possibile di dimostrare la colpevolezza di William Larkins, e trovando invece più di un punto sul quale biasimarmi. A quel punto non potevo più ignorare di essermi comportato in maniera incresciosa, perciò cercai di convincermi che i punti sul quale avevo sbagliato erano altri, e non poi così gravi.
Decisi che William Larkins era giovane e Tassorosso eccetera, e dunque indegno di visitare me, ma forse, in virtù di qualche parentela Purosangue, non così indegno di essere un Medimago. In fondo si sapeva che i Tassorosso erano degli sgobboni e doveva essersi preparato adeguatamente per curare la gente comune; che comunque un Malfoy avrebbe dovuto mostrare la propria superiorità semplicemente con la propria superiore presenza e con il suo comportamento ineccepibile, mentre io avevo forse un po’ esagerato nell’esprimere il mio disprezzo verbalmente. Conclusi la mia apologia mentale ricordando a me stesso che William Larkins era un idiota, e che con tutta probabilità si era già dimenticato dell’accaduto. A quel punto accantonai la questione, soddisfatto, e non ci pensai più.
Mi dedicai invece alla lettura del libro su Peverell. Da quanto avevo letto fino a quel momento, si trattava di un personaggio singolare. Era nato da una famiglia nobile, e anche se non si sapeva se fosse di stirpe di mago, potevo ben immaginarlo io, perché aveva con le sue doti dimostrato di avere sangue puro. Aveva due fratelli maggiori e due sorelle, la maggiore della quale era la figlia più anziana, la minore la più piccola. Tutti, eccezione fatta per la minore, avevano dimostrato un certo talento nella magia, talento tuttavia che poteva rappresentare un rischio in un’epoca di persecuzioni come quella. Nessun mago adulto che avesse più intelligenza di un Weasley si sarebbe fatto fregare da un Babbano intenzionato ad ucciderlo, ma un bambino si. Anche per questo mandare i propri figli ad Hogwarts era sempre stata considerata un’ottima idea, visto che li teneva al sicuro.
Il secondogenito, Rodolphus, ed Ignotus, si erano sempre considerati rivali. Entrambi erano brillanti e a scuola avevano esibito il loro talento. Entrambi avevano finito la scuola con il massimo dei voti e avevano messo a punto incantesimi prima sconosciuti.
Si sapeva che i tre fratelli maggiori avevano deciso di viaggiare quando Ignotus aveva terminato la scuola. L’itinerario non era conosciuto, ma si sapeva che ne erano tornati più divisi di prima. Il fratello primogenito era morto molto giovane, di morte violenta, mentre quello di mezzo aveva perso, sembrava, la donna amata, per poi suicidarsi.
A quel punto ero arrivato il giorno prima, e per distrarmi ripresi la lettura quando finalmente la storia aveva raggiunto risvolti interessanti. All’epoca in Irlanda c’erano state alcune rivolte magiche, che erano state sedate solo con un grande spargimento di sangue. Pare che Ignotus avesse combattuto con valore, riportando diverse ferite, ma dalla parte degli Irlandesi, poiché era innamorato della figlia di un nobile del posto.
Ero appunto arrivato alla tregua concessa dagli inglesi, con il conseguente ritorno di gloria di Ignotus a casa con l’amata, quando la porta dell’infermeria si spalancò senza preavviso, facendomi sobbalzare, e Madama Chips trotterellò dentro la stanza, seguita da due ragazzi pallidi che reggevano un terzo, semisvenuto.
Uno dei due aveva al collo una sciarpa Grifondoro, mentre l’altro indossava la divisa della loro squadra. Mentre si avvicinavano ad un letto vuoto, vidi con chiarezza che quello che reggevano era Potter.
In quel momento entrarono affannati anche la Granger e quello sporco traditore dei proprio sangue che andava sotto il nome di Weasley. Furono accanto a Madama Chips mentre questa lisciava il lenzuolo per fare spazio al corpo dello Sfregiato. I due ragazzi lo adagiarono con – a mio parere – fin troppa cautela sul letto. Avrei potuto immaginare che si fosse trattato di un semplice incidente a Quidditch – del resto Potter era sufficientemente imbecille per ingoiare il Boccino, figuriamoci se non era in grado di farsi centrare da un Bolide – se non fosse stato per un particolare che nessuno notò, tranne me. Vidi la Sporca Mudblood, pallida e sconvolta, afferrare Lenticchia per un braccio e fissarlo con sguardo spaventato. La vidi sussurrargli qualcosa all’orecchio, con un’emozione che andava al di là della semplice preoccupazione. Sentii la Chips chiedere qualcosa di indistinto ad uno dei soccorritori, e sentii questi risponderle che “non era colpa di nessuno, non lo avevano colpito”.
Posseggo uno straordinario intuito per queste cose, perciò non ci volle molto perché capissi che c’era qualcosa sotto. Potter era chiaramente illeso, era solo svenuto – come una di quelle donnette che piombano in terra per un calo di zuccheri, anche se vista la melensaggine del gruppo Potter dubitavo che si trattasse di un calo di pressione.
Perciò, che cosa poteva essere? Dubitavo che Potter fosse incinto, anche se era abbastanza donna per rendere l’ipotesi plausibile. Non sembrava nemmeno malato, o almeno, non lo era fino a qualche giorno prima, o qualcuno si sarebbe accorto di una sua malattia.
Che diavolo stava combinando, Potter?
Sapevo che pasticciava con l’Ordine della Fenice, e che faceva da ragazzo immagine per il Ministero – anche se non sapevo che immagine poteva offrire con la sua brutta faccia, ma comunque. Ora che il Signore Oscuro si era dovuto ritirare a causa delle notizie rese pubbliche sul suo tentato colpo di Stato – non sarebbe riuscito a prendere il controllo del Ministero senza che l’intera popolazione lo sapesse e si ribellasse – la situazione era diventata decisamente più gestibile.
Eppure non c’era da sbagliarsi. Se avesse pensato al fatto che qualcuno la osservava, forse S.S. sarebbe riuscita a controllare la sua espressione; invece aveva espresso tutta la sua ansia per qualcosa che non concerneva tanto la salute di Potter, quanto piuttosto la causa del suo malessere. Non potevo sbagliarmi, ero certo che ci fosse qualcosa sotto.
Decisi all’istante che avrei dovuto indagare; una parte di me però si chiedeva per quale motivo Potter ed i suoi nauseanti amichetti fossero sempre invischiati in affari pericolosi.
Intanto Madama Chips osservava Harry e, sollevandogli le palpebre, verificava che fosse effettivamente incosciente, e nel frattempo scacciava con gesti bruschi i due volenterosi barellieri improvvisati, nonostante questi meritassero una generosa ricompensa per aver avuto il coraggio di toccare Potter. I due indietreggiarono intimoriti, avvicinandosi a Weasley e alla Sangue Sporco, che si ricomposero lasciando trapelare solo una generica preoccupazione. La Granger distolse lo sguardo dall’amico e lasciò che lo sguardo vagasse attorno, immersa in chissà che Babbanici pensieri. Quando il suo sguardo si posò su di me, parve ricordarsi della mia presenza, e i suoi occhi tornarono a Potter e poi a Weasley.
Questi si voltò verso di lei con aria interrogativa, e per la prima volta mi vide. Strinse le labbra e abbassò gli occhi a terra.
Mentre battagliavo con quei due idioti con lo sguardo, Madama Chips era corsa a prendere la sua bacchetta ed era appena tornata. La puntò sul Fesso Che Purtroppo Era Sopravvissuto e scandì: “Innerva”. Il Fesso Sopravvissuto sussultò, e socchiuse gli occhi, tirando un sospiro tremante.
Si guardò attorno, con lo sguardo annebbiato. Più annebbiato del solito, intendo. I suoi amichetti furono immediatamente al suo fianco, lei con occhi lucidi e sgranati, lui con un’aria stupida. Più stupida del solito, intendo.
«Harry!».
«Che...». Lui parve acquistare improvvisamente consapevolezza. «Ah...». Si rizzò a sedere, nonostante il borbottio di protesta di Madama Chips, che lo fissava pensierosa ed insieme lievemente preoccupata. Ronald Weasley stava per dire qualcosa, ma lei lo interruppe con autorevolezza. «No, no» disse con decisione. Mentre si voltava verso Weasley, vidi la Granger sussurrare qualcosa all’orecchio di Potter, per poi ritrarsi quando lo sguardo inquisitore della vecchia strega si posò su di lei. «Mi dispiace, ma non mi sembra il caso di restare così affollati attorno... no... via, via... adesso tutti fuori, lasciate che si riposi.... vedete che sta bene... signorina Granger... e tutti voi... fuori» e nel frattempo li spintonava fuori con malagrazia.
Fu così che, nonostante le proteste del Potter fan club, la porta si richiuse lasciando soli me e Potter. Ci guardammo con una certa ostilità – soprattutto da parte mia – mentre il gelo scivolava espandendosi nella stanza con una velocità incredibile.
Sarebbe stata una lunga ripresa.
Almeno avevo un buon motivo per riprendermi, adesso.
 
Avevo avvertito Ron di stare pronto alle undici e mezzo, sapendo che con tutta probabilità sarebbero stati tutti a letto per quell’ora. Così, cinque minuti in anticipo, scivolai giù dal letto in silenzio senza essere notata. Forse non era un bene che fossi diventata così brava a camminare furtiva nel buio. Ero andata a letto vestita quindi non dovetti perdere altro tempo se non quello di infilare in fretta le scarpe ed afferrare da sotto il cuscino il Mantello dell’invisibilità che avevo preso dal baule di Harry quel pomeriggio.
La sala comune era effettivamente deserta; purtroppo per me, nemmeno Ron si vedeva da nessuna parte. Inveendo mentalmente contro gli idioti dai capelli rossi feci il giro della sala per controllare che non si fosse assopito su di una poltrona. Non c’era.
A quel punto decisi che, se non fosse arrivato entro cinque minuti, sarei andata da sola. Mi sedetti presso il fuoco, rigirandomi il Mantello tra le mani. Era liscio come seta. D’improvviso pensai a quante volte avevo già fatto cose simili, come passeggiare di notte per la scuola sotto quello stesso Mantello, o andare da Hagrid.
Quante cose erano cambiate da quando avevo seguito Harry e Ron per convincerli a non sfidare Malfoy a duello? Non erano nemmeno miei amici, allora, ed io... beh, ero solo una ragazzina petulante. Ancora non avevo sperimentato la vera paura, non avevo mai sfidato cani a tre teste, né lupi mannari aggressivi, né un Signore Oscuro sempre più forte (e più brutto) intenzionato ad ucciderci. Erano passati quasi sette anni da allora, e questo sarebbe stato l’ultimo anno che passavo ad Hogwarts.
Mi sentii invadere dalla tristezza. Ora non si trattava più di scoprire chi avesse tentato di far cadere Harry dalla scopa durante una stupida partita di Quidditch, o di insegnargli ad appellare gli oggetti per il Torneo Tremaghi. Ogni volta che dovevo affrontare qualcosa mi sembrava più spaventosa, eppure era quello che dovevamo fare.
Sospirai piano, guardando il fuoco, senza più nemmeno ricordare che cosa stavo facendo lì. Guardavo il fuoco, desiderando quasi che Sirius o qualcun altro dell’Ordine ne facesse capolino per rassicurarmi e dirmi che ci avrebbe pensato lui. E dire che la missione di quella sera non era nemmeno così rischiosa. Ero semplicemente stanca, e di cattivo umore.
«Hermione?». Quel sussurro mi riscosse bruscamente. Mi voltai e vidi Ron, nervoso, guardarmi.
«Ron!» sibilai, alzandomi di scatto. «Sei in ritardo!».
«Scusa» replicò lui, un po’ risentito. «Ma non trovo il Mantello, e sono diventato pazzo per cercarlo».
Lo sollevai, un sopracciglio rialzato in un gesto di biasimo che non poteva essere frainteso. «Oh» fece lui, con aria molto stupida. «Ne avevamo discusso, ricordi? Mentre tu saresti andato dalla McGranitt per spiegarle l’accaduto» e feci una pausa per osservarlo, ed assicurarmi che lo avesse fatto, prima di proseguire, «io sarei corsa a prendere il Mantello nel vostro dormitorio».
«Lo avevo scordato» bofonchiò lui. Sospirai. Sembrava impossibile che potesse scordarsi del mio incarico quando aveva portato a termine il suo, ma naturalmente, visto che aveva quella in testa, io passavo in secondo piano. Ma in fondo non mi importava.
«Andiamo» tagliai corto, e lui mi seguì senza più dire nulla. naturalmente il Mantello era troppo corto, ormai, per tenerci entrambi sotto senza che le nostre caviglie sporgessero. Colpa di Ron, che era sempre più alto. Comunque era buio, ed eravamo pronti a rannicchiarci in caso di bisogno.
Non incontrammo nessuno, nemmeno gli insegnanti di pattuglia, nonostante non avessimo con noi la mappa del Malandrino. Alla porta dell’infermeria esitai, ma alla fine la aprii con un incantesimo e scivolammo nella stanza.
Non era buio come nei corridoi, perché le grandi finestre lasciavano filtrare la luce della luna piena. Pensai confusamente che Lupin doveva essersi trasformato, e mi chiesi se fosse Tonks a preparargli la pozione antilupo, (anche se visti i suoi attuali impegni era piuttosto improbabile) ed in caso contrario, chi se ne occupasse. Il pensiero di Lupin mi diede una nuova fitta di nostalgia, e mi sfuggì un altro sospiro mentre percorrevamo il corridoio tra le file di letti. Ron mi lanciò un’occhiata perplessa, ma non indagò. Naturalmente. Che idiota.
Raggiungemmo il letto di Harry e ci accostammo alla figura che vi giaceva, immobile a parte per un ritmico alternarsi di inspirazione d espirazione, così realistico da sembrare vero. Naturalmente, visto che si trattava di Harry, c’erano buona probabilità che fosse vero e che si fosse dimenticato di restare sveglio per aspettarci. Perché, perché dovevo essere amica di due tali idioti?
Mentre Ron estraeva piano una mano dal Mantello per posarla sul rigonfiamento che, apparentemente, doveva celare la spalla di Harry, io mi voltai guardinga verso il letto di Malfoy. Non volevo rischiare che si svegliasse ed origliasse la nostra piccola conversazione.
Le tendine attorno al suo letto erano chiuse, perciò non avrei potuto stabilire se dormisse  o meno. Puntai la bacchetta in quella direzione e sussurrai: «Muffliato». Feci la stessa cosa verso l’ufficio di madama Chips. Avevo da tempo messo da parte la mia antipatia per l’incantesimo, disarmata dalla sua utilità, e poi... beh, ogni cosa era lecita su quell’antipatico di Draco Malfoy, no?
Intanto Ron aveva scrollato Harry senza troppi complimenti, chiamando il suo nome, e questi aveva mugugnato qualcosa di incomprensibile. Quando Ron mi sentì usare il Muffliato, lo chiamò a voce più alta e gli diede un pizzicotto sul collo, abbastanza forte perché lui trasalisse e alzasse di scatto la testa, fissandoci con occhi bulbosi a causa del sonno e quasi ciechi. Uhm, c’erano delle volte in cui mi chiedevo che cosa in Harry attirasse tanto Ginny... voglio dire, non era certo brutto, né stupido, ma quando era sveglio da poco... e talvolta anche durante il giorno... insomma, aveva una faccia da ebete.
«Checcoss...» farfugliò, mulinando il braccio in direzione del comodino alla disperata ricerca dei suoi occhiali, a pochi centimetri dalle sue dita. Ecco, era uno di quei momenti dove non era al suo massimo.  Trovatoli, li inforcò rischiando di infilarsi una stanghetta nell’occhio, e fissandoci stordito.
«Santo Cielo, Harry» dissi io, esasperata. «Ti avevo detto che saremmo venuti, no?». Lui si fece imbarazzato, e stringendosi nelle spalle, tossicchiò, e si volse verso la tenda che celava Draco Malfoy (Slavato Serpeverde per i nemici stretti) con aria preoccupata.
«Muffliato» disse Ron, come sempre incapace di formulare una frase intera ne non costretto – e  talvolta anche allora.
Harry si rilassò. «Mi dispiace di essermi addormentato» confessò con un certo rammarico. «E’ che... non lo so, mi sentivo spossato. Madama Chips deve avermi dato qualche tipo di sonnifero...».
«Si, si, non importa» tagliai corto, piuttosto ansiosa, gettando il Mantello dell’Invisibilità ai piedi del suo letto e sedendo mici sopra. Ron si adombrò per qualche motivo, ma lo ignorai. «Oh, Harry, si può sapere che diavolo ti è successo?».
Lui si dimenò nervosamente tra le lenzuola. Se non voleva dirmelo, poteva esserci solo una spiegazione.
«Hai visto Voldemort, non è vero?» sussurrai, angosciata. Ron sgranò gli occhi.
Harry non poté negarlo. «Ho visto... cose»..
«Che genere di cose, per l’amor del Cielo?».
«Io...». Harry esitò, mentre tornava con la mente alla visione del giorno prima. Buon Dio, come dimenticare quel momento? Lo avevo visto afflosciarsi sul manico di scopa come una marionetta e precipitare al suolo senza tanti complimenti, mentre Ron e Ginny sfrecciavano verso di lui, e uno degli aspiranti Battitori lo afferrava... sapevo che non era la prima volta che Harry sveniva – diavolo, era più difficile vederlo sano – ma stavolta non c’erano Dissennatori, né maledizioni in corso, e sapevo che la cosa aveva destato il solito scalpore in tutta la scuola.
«Ho visto Voldemort» iniziò in un sussurro atono. «Lui... lui era in un luogo che non conoscevo. Era una stanza buia, e nera, con... broccato nero sulle pareti, ricamato in argento. C’era una tavola enorme, e c’erano loro... i Mangiamorte rimasti».
«Quanti erano?» chiesi, preoccupata.
«Tredici» disse Harry. Dunque Voldemort stava ancora reclutando seguaci. Naturalmente ne avrebbe trovati, oh, si, ne avrebbe trovati. La popolazione era avvertita e le forze di Voldemort abbastanza piccole per non costituire ancora una minaccia, ma sapevo che uno come lui sarebbe sempre stato capace di blandire nuovi seguaci...
«C’erano Avery, e Mcnair, e Bellatrix». A quest’ultimo nome Harry strinse i pugni. «Lui era arrabbiato, molto arrabbiato, non capivo perché. E poi...».
«Poi?» chiese Ron, terrorizzato.
«...poi è arrivato lui» sibilò Harry, la voce ricolma di amarezza. Non ebbi difficoltà a capire di chi stava parlando. Severus Piton, ex insegnante di Pozioni e di Difesa contro le Arti Oscure, ex alleato dell’Ordine... e più grande delusione di tutti.
«Lui chi?» chiese Ron. Possibile che fosse un tale idiota? Avrei voluto tirargli una gomitata ma era troppo distante. Così gli lanciai un’occhiata colma di disprezzo. «Piton» disse Harry, senza sentimento, guardando la coperta.
«Oh» fu tutto quello che a Ron riuscì di esclamare. Buon per lui che fosse al di là della mia portata di tirargli  un pugno. Si, ok, ammetto che Ron mi rendeva un tantino nervosa, visto gli ultimi avvenimenti. E allora? Eravamo solo amici.
«Piton era nervoso. Voldemort era molto arrabbiato con lui. Ha fallito due volte, Hermione, e Voldemort non perdona».
«Qual’era la sua missione?».
Gli occhi di Harry si riempirono di collera, come di rado succedeva. Era un ragazzo davvero mite, lo era sempre stato. Mi chiesi se sarebbe mai giunto ad un limite, prima che l’odio ed il dolore trasformassero anche lui, come era accaduto con Voldemort.
«Lui... avrebbe dovuto entrare a Grimmauld Place» proseguì, parlando in fretta come per togliere un doloroso cerotto. «Doveva cercare... qualcosa... ma non gli aveva spiegato esattamente che cosa fosse».
«E come avrebbe dovuto fare a trovarlo, scusa?» obiettò Ron.
«Non lo so» disse Harry, stancamente.
Ma la mia mente era volata ad altre conclusioni. «Potrebbe essere semplicemente una scusa. Per punire Piton per qualcosa che ha fatto. Oppure...». Esitai. «Spera di trovare qualcosa per incastrare te, Harry».
Harry annuì, stancamente, gli occhi verdi socchiusi. Si toccò la cicatrice, piano. «Non sono riuscito a capire esattamente che cosa si stessero dicendo» disse poi, in tono sommesso. «Perfino questa connessione è inutile, ormai».
Sentii un colpo al cuore. Se non fossi stata abituata ormai allo sconforto, forse avrei pianto. Ma non lo feci. Invece gli posai una mano sulla spalla, con gentilezza. «Harry. Non ha importanza quello che Voldemort vuole, o non vuole, o quello che non riusciamo a fare. Ce la faremo, dobbiamo riuscirci. Troveremo quei dannati Horcrux, dobbiamo solo... riuscire a cambiare prospettiva».
Harry si toccò di nuovo la fronte, poi mi fece un sorrisetto. «Pensavo che ti saresti arrabbiata, visto che non ho continuato ad esercitarmi con l’Occlumanzia» mi disse.
Io mi strinsi nelle spalle. «In amore ed in guerra tutto è lecito, ormai» dissi, anche se mi odiavo per quello. «Non sono d’accordo con tutto questo, eppure... ormai ogni cosa che può esserci utile va accettata. Sempre che tu voglia farlo».
«Non voglio» replicò lui. «Ma devo, credo».
Sospirai. Soltanto l’assoluta mancanza di passi in avanti nella ricerca degli Horcrux poteva avermi portata a quel punto. Ma non vedevo più altre soluzioni. I regali di Silente erano ancora un mistero per noi, e non c’era nulla che potesse avvicinarci agli altri Horcrux. Non ancora.
«Quindi ora, che cosa facciamo?» chiese Ron, che sembrava improvvisamente ansioso dopo questa notizia. «Andremo a Grimmauld Place, Harry?».
«Temo» disse lui, «che sia l’unica traccia che abbiamo».
«Una traccia è meglio di nulla» commentò l’altro, emozionato.
«Dipende da dove ci porterà» commentai io, sforzandomi di prendere un tono acido, senza minimamente riuscirci. Perché era vero, una traccia era meglio di nulla, specie in un momento come questo, quando tutto sembrava perduto.
Nel frattempo Ron, alla ricerca di qualcosa per alleggerire l’atmosfera, aveva concentrato la propria attenzione su tutt’altro. Lo vidi fissare il letto di Malfoy con un mezzo sorriso.
«Cambiando per un istante argomento» disse alla fine. «Come è andato il resto della giornata, con Malfoy?».
«In realtà» disse Harry, arrossendo appena, «Madama Chips mi ha dato il sonnifero dopo appena mezz’ora, quindi, in pratica, non ho dovuto sopportarlo granché».
«Beh, meglio così, no?» disse lui, allegramente. «In un certo senso mi aspettavo di trovarvi ancora svegli a scambiarvi fatture orticanti».
«Credo che Malfoy abbia altro per la testa che riempire me di fatture» commentò Harry. «Voglio dire, ormai è un emarginato. Nonostante tutto, i sospetti nei suoi confronti non spariranno in un colpo solo, no? E la sua famiglia è caduta in disgrazia».
«Credi che siano al sicuro? Ad Azkaban, intendo» gli chiese Ron.
«Kingsley ci ha detto di aver triplicato le sentinelle, e scacciato i Dissennatori» gli ricordai io, senza più durezza. «Credo che non ci saranno problemi, in questo senso»
«Già, ma dubito che questo basti a rassicurarlo» fece notare Harry.
«Probabile» ammisi io, scoccando un’occhiata pietosa al Furetto Fesso (F.F. per i nemici stretti) nascosto dalle tende. «E mi dispiace un po’ per lui».
«Si, beh, c’è chi sta peggio» borbottò Ron, per nulla convinto.
«Ma anche chi sta meglio» lo rimbeccai.
«Sapete, a volte mi sento in colpa» disse Harry, in tono pensoso. Lo guardammo entrambi, interrogativi. «Se avessi detto in giro quello che ho visto quella sera, sulla Torre...» si rabbuiò, mentre nel suo sguardo danzavano immagini terribili e troppo recenti per non fare male, «...forse qualcosa sarebbe potuto cambiare».
«E come spiegheresti il motivo per cui eri lì con Silente, allora?» lo interruppi io, spazientita. «Harry, non avresti potuto farlo. Chiunque capirebbe che non puoi farlo. Ci sono cose, a volte, che la gente non può capire e basta. Questa è una di quelle. Se si spargesse la voce, e Voldemort riuscisse ad intuire quello che stiamo facendo... tutto sarebbe perduto, lo capisci?».
«Lo so» mormorò Harry, mentre Ron mi guardava con una espressione confusa e assieme indecifrabile. «E’ un’altra di quelle cose di tutto questo che non potrò mai dimenticare».
Rimanemmo tutti e tre in silenzio per un po’. Sapevamo che c’erano tante cose da fare, alcune tanto pericolose che avremmo voluto scappare via gridando e andare a piangere tra le sottane di mammina. Naturalmente, nessuno di noi aveva i genitori a portata di mano, nemmeno Ron, che li evitava temendo che sarebbero riusciti a capire che cosa stavamo tramando.
La sorte dell’intero mondo magico, in mano a tre adolescenti problematici? Uno dei quali era orfano e complessato, l’altro semplicemente un’idiota, mentre la terza, beh... la lista era lunga. Questa era esattamente una di quelle cose che il Mondo Magico avrebbe fatto meglio ad ignorare fino a che non fosse finito tutto, in un modo, o nell’altro.
«Diavolo» fece Harry alla fine.
«Eh?» fece Ron, mentre io dicevo, «Cosa?».
«Quella dannata, vecchia pipistrella della Cooman» fece Harry, in tono lamentoso. «perché, di tutte le profezie che ha fatto, doveva avverarsi proprio la mia?».
«Perché» disse Ron, molto seriamente, «se fosse toccato a Malfoy, sarebbe stato troppo facile». Lo guardammo. «Il Signore Oscuro è allergico ai furetti, non lo sapevate?» fece allora lui, sgranando gli occhi.
Sia io che Harry ci abbandonammo ad una breve risata. Mi fece – quasi – dimenticare che ero arrabbiata con lui.
Alla fine era venuta l’ora di andare. Mi alzai, e presi il Mantello.
«Dobbiamo andare, Harry» dissi, con un certo rammarico. «Credo che la Chips ti dimetterà domattina, quindi ci vediamo a pranzo».
«Certo».
«A domani, Harry» disse Ron. Poi ci infilammo entrambi sotto al Mantello e ci allontanammo in silenzio.
Ero molto presa dalla conversazione che avevamo avuto. Dovevo meditare, e capire cosa, in tutto quello che era stato detto, risvegliava in me l’intuito... lo stesso che mi intimava di stare in guardia e di aspettare, perché molte cose sarebbero venute a galla.
Ero molto presa dalla conversazione. Se non lo fossi stata forse mi sarei resa conto che non si era udito nemmeno un rumore provenire dal letto di Malfoy, durante l’intera durata della nostra visita. O che le tende chiuse attorno al letto potevano anche celare un letto vuoto.
O che dietro delle altre tende, quelle della finestra, qualcuno aveva ascoltato l’intera conversazione.
Si, lo so, forse dovrei affinare il mio spirito di osservazione.
 
Dal mio nascondiglio li vidi svanire sotto il Mantello e sentii i loro passi allontanarsi, proprio come avevo sentito la loro intera conversazione.
Avevo immaginato che sarebbero venuti quando avevo visto la Granger sussurrare nell’orecchio di Potter, e avevo piazzato un semplice incantesimo nel corridoio, che mi avvertisse se qualcuno si avvicinava. Quando era scattato, mi ero quasi meravigliato – non mi sembrava possibile che fossero così stupidi da caderci – ed ero scivolato dietro la tenda proprio mentre sentivo qualcuno aprire la porta con un incantesimo.
Avevo sentito tutto, ed ora stavo lì, in attesa che Potter dormisse – non ci avrebbe messo tanto, immaginavo, specie visto che la Chips non gli aveva somministrato alcun sonnifero – ed il mio cuore batteva all’impazzata.
Non solo perché avevo finalmente ricevuto la conferma che Potter ed i suoi amichetti tramavano qualcosa, e qualcosa di grosso.
Non solo perché c’era davvero una profezia, ed un qualche complotto.
Non solo perché, apparentemente, Potter era connesso all’Oscuro Signore.
Non solo per quello che avevano detto su di me.
Era per tutto questo, e perché la stanza descritta da Potter nel suo sonno era una stanza vera, ed io la conoscevo.
Era la mia casa di città, a Londra.
 
Ciao a tutti! Come sempre ringrazio tutti i recensori, ma anche tutti i lettori. Dunque, la storia sta ingranando, questo era l’ultimo capitolo prima che Draco fosse (finalmente!) dimesso. Ammetto che la mia sensibilità romantica avrebbe apprezzato una Hermione teneramente prodiga di attenzioni per un Draco figo e moribondo, ma andiamo, siamo realistici! -.-“ abbandonate le fantasticherie romantiche, passiamo a illustrare il titolo del capitolo. “Cunning as a furret” significa “furbo come un furetto”. Del resto Draco anche in versione non pelosa è abilissimo a non farsi notare. Ora che ha scoperto gran parte della verità, come reagirà? Nel prossimo capitolo...
Un ultimo appunto sui nomi dei personaggi. Utilizzo spesso nomi provenienti dai miei romanzi preferiti, perciò se qualcuno vi sembra familiare, non stupitevi. William Larkins, ad esempio – poverino! – deve il  suo nome alla mia scrittrice preferita in assoluto... la soluzione nel prossimo spazio XD indovinatelo se ci riuscite!
Recensite, mi raccomando. Vi aspetto!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Where the snake lies, why and when to tell lies ***


IL SIGNORE Oscuro era seduto sulla poltrona migliore, di seta verde con alamari argentati, e dava le spalle al fuoco. Un’ottima cosa per chiunque gli stesse di fronte, oserei dire, visto che nessuno, nemmeno Bellatrix, avrebbe potuto definirlo un bell’uomo. Non che sembrasse cosciente del fatto di non essere un ragazzo da copertina, comunque; per qualche perversa ragione, sembrava molto soddisfatto del suo aspetto. Ehi, contento lui.
Dalla sua posizione era più che altro una sagoma scura ed indistinta, e per quanto nessuno protestasse visto che i suoi lineamenti serpenteschi erano celati, l’ignoto poteva risultare perfino peggio. Con una mano pallida e sottile accarezzava il serpente al suo fianco. Ognuno ha il proprio peluche, anche se un serpente gigante, personalmente, non mi ispirava alcuna tenerezza. Dall’altro lato stava Codaliscia, gli occhietti acquosi posati sul suo Oscuro Signore, mentre con la mano sana si accarezzava quella d’argento.
I suoi seguaci erano per lo più in piedi a cerchio tutto attorno al tappeto. Solo Bellatrix, Avery e Piton sedevano su comode poltrone. Mio padre e mia madre stavano in piedi dietro all’oscuro seggio del Serpentesco Signore (S.S. per seguaci spaventati stretti), sollevati per essere in una posizione da dove S.S. non poteva vederli, e allo stesso tempo piuttosto accaldati per la vicinanza con il caminetto.
Ed io, io stavo vicino a mia zia Bellatrix, e al diavolo l’amore tra parenti, avrei voluto essere altrove. Ogni volta che vedevo Bellatrix accanto al Tenebroso Tiranno (T.T. per i fedeli schiavetti), pensavo che davvero Dio li fa e poi li accoppia. Lei lo fissava senza mai distogliere lo sguardo, senza preoccuparsi dell’eccessiva adorazione che trasudava dal suo sguardo, nonostante il marito Rodolphus non potesse esserne contento. Povero zio Rodolphus. Per carità, non un compagnone, ma sempre meglio di sua moglie, se volete saperlo. C’era un motivo se alle cene di famiglia preferivamo quelle con i colleghi di mio padre. Alcuni potevano essere più filobabbani di quanto fosse a nostro parere dignitoso, ma almeno non rischiavamo di essere Cruciati perché non volevamo passare loro il sale.
In realtà, non è che Bellatrix avesse mai Cruciato nessuno in famiglia – a parte Rodolphus. Ma era abbastanza squilibrata perché potesse anche accadere, in futuro.
Il Signore Oscuro smise di accarezzare Nagini quando un Mangiamorte, un giovane dall’aria scialba ed un po’ malata, con corse verso di lui buttandosi ai suoi piedi in ginocchio. Chinò la testa in un umile saluto. «Mio Signore... sono qui» esclamò, prima di trovare il coraggio di guardare il Signore Oscuro.
«Eccellente. Portateli dentro».
Corpi che levitavano a due metri ed oltre da terra. Occhi rovesciati o che schizzavano veloci da un viso all’altro, alla ricerca di una via di fuga. Capelli che dondolavano in modo innaturale, arti che penzolavano scomposti, visi pallidi e deformati dalla paura, o flaccidi per l’incoscienza. Sette Babbani galleggiavano pigramente sopra di noi come mosche spaventate ed impotenti.
«Crucio» pigolò la voce di Bellatrix, mentre la sua bacchetta si puntava verso le figure fluttuanti, come tutti gli sguardi dei presenti, mentre i visi dei Mangiamorte si stendevano in sorrisi soddisfatti o in smorfie rigide di paura.
Grida e corpi che si contorcevano. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, mentre strida sempre più acute si spandevano per la stanza e rimbombavano per le sale, quelle stesse sale dove talvolta – magari non così spesso, ma pur sempre talvolta – avevo riso o almeno sorriso, quelle sale che mi avevano visto bambino e poi adolescente, che contenevano ricordi amari ma miei, ricordi che ora venivano tutti risucchiati da grida disumane.
E poi finì, finì, ma nella maniera peggiore. Un lampo verde.
 
Tornai cosciente di colpo, e mi accorsi di aver urlato solo allora. Il cuore mi martellava nel petto ed ero sudato come se mi fossi trovato davvero lì, di nuovo, in quella stanza colma di morte. Avvertii il braccio sinistro bruciare e lo afferrai con la mano destra dove, sotto la manica, il Marchio Nero bruciava.
«Malfoy». Era la voce di Madama Chips, ma  ci volle un po’ perché riuscissi a rimanere calmo, a non dibatterti tra le coperte odoranti di pulito dell’infermeria. La donna mi prese per le spalle e mi spinse contro il materasso per calmarmi.
«Ragazzo, respira profondamente» disse Madama Chips con voce rassicurante, e io obbedii. «Hai solo avuto un incubo». Tentai di dimenticare la mia visione, ma se potevo ignorarla, non potevo cancellarla. Quei corpi... il rumore che facevano le loro carni, dilaniate dai denti di Nagini, che ne aveva fatto uno spuntino... il tappeto antico che si macchiava di sangue sporco eppure, in un certo senso, innocente.
Ed il Marchio Nero che bruciava, avvertendomi che Lui stava chiamando.
Tuttavia riuscii a calmarmi. Spalancai gli occhi e mi guardai attorno. Il mio sguardo si posò infine su Potter, che mi fissava attonito. Lo vidi guardare il mio viso, e poi, la mia mano stretta sul braccio. Un lampo passò nei suoi occhi verdi, ed io ritrassi la mano, automaticamente.
«Che hai da guardare, Potter?» chiesi, alquanto acido. Potter esitò, incerto, poi guardò altrove. Un tempo avrebbe risposto a tono, ma anche Potter era diverso, ultimamente. Naturalmente, visto quello che avevo udito la sera prima, mi pareva comprensibile.
Madama Chips, che si era allontanata, tornò trotterellando con un calice fumante. Me lo ficcò tra le mani intimandomi di berlo. Era un ricostituente e sapeva di zuppa di cavolo andata a male, ma la inghiottii comunque tanto per avere qualcosa da fare. Mi sentii effettivamente un pochino meglio, ed era un bene; incubi ricorrenti ed un Oscuro Signore che ti chiama a sé tendono a farti sentire di merda.
Madama Chips sparì di nuovo dopo avermi strappato il calice vuoto di mano, e ricomparve solo per darne uno di simile allo Sfregiato, il quale lo guardò poco convinto ma fu costretto dallo sguardo di lei ad inghiottirlo senza fare storie.
«Dopo pranzo sarai libero di andare» mi disse Madama Chips con aria torva quando ebbe recuperato anche l’altro calice. «Mentre tu» e si rivolse al mio insopportabile compagno di degenza, «tu aspetterai fino a stasera». E detto questo se ne andò, tirando su con il naso.
Così io e Potter restammo soli. Lui stava apparentemente ancora riflettendo sul mio risveglio brusco, perché mi lanciava frequenti occhiate di nascosto, mentre io pensavo alle scoperte che su di lui avevo fatto la sera precedente.
Imbarazzante? Voi che ne dite? Non era piacevole, no, specie se mi ero appena svegliato strillando come una donnetta, anche se avevo avuto ottime ragioni per farlo. Potter era svenuto per molto meno, giusto? Giusto. Quindi non avevo motivo per sentirmi imbarazzato. Lo ripetei a me stesso fino a quando non cominciai a crederci.
Passò anche quella mattinata, grazie a Dio. Un’ora prima che Madama Chips mi chiamasse avevo posato il libro su Ignotus Peverell sul comò, dopo averlo terminato. Ne ero rimasto soddisfatto. Ma soprattutto mi aveva aiutato a distrarmi da quella che era la realtà, nella quale purtroppo ero costretto a ritornare.
La domanda più urgente era: che cosa fare, visto che sapevo dove si trovava il Signore Oscuro?
La seconda era: che diavolo era, esattamente, un Horcrux? E perché la Banda Balorda (B.B. per i Purosangue schizzinosi) li stavano cercando? Era un’arma, forse? O un segreto importante?
Dovevo pensare, ed agire con mente lucida.
Il momento in cui la Chips, dopo avermi tastato il cranio e avermi  - evviva... – somministrato dell’altro intruglio disgustoso, mi disse che ero libero di andare, fu un momento incredibilmente felice.
Quando tornai al dormitorio, per la prima volta da parecchi mesi mi furono tutti attorno. Quello che l’amicizia, l’orgoglio, ed un briciolo di senso del dovere non erano riusciti a fare, lo fece il senso di colpa che aveva portato tutti ad ignorarmi mentre ero in infermeria. Nel dormitorio, dove nessuno degli “altri” poteva vederci, ero tornato per un attimo Draco Malfoy, uno dei grandi, da rispettare, magari temere, ma sempre considerare una sorta di idolo o di modello.
Pansy Parkinson mi fu accanto in un attimo e, a dispetto di tutti coloro che la vedevano fare il filo ad un certo McDonald di Corvonero, fu tutta occhi dolci e voce gentile. Naturalmente non la filai di striscio, e alle sue domande preoccupate risposi con monosillabi ed un cipiglio arrabbiato e dignitoso. Riservai naturalmente lo stesso trattamento a Zabini.
Agli altri mi rivolsi con più tranquillità, ma con risposte esaurienti e brevi. Avevo bisogno di tutt’altro. Li piantai tutti in asso, anche se con un sorriso di circostanza, non appena individuai Nott. Lo raggiunsi, gli posai una mano sulla spalla, e sillabai, muto: “ti devo parlare”. Lui mostrò di aver capito solamente con un guizzo nello sguardo. Poi se ne andò. Non era il luogo, né il momento. Quando vidi che il gesto non era sfuggito a Blaise Zabini, dovetti trattenermi per non fargli il dito medio.
Theodore Nott era stato – ed in un certo senso restava – il mio migliore amico. Per quanto tra Serpeverde esistano amicizie. Un vero Serpeverde è un individualista, come il Signore Oscuro. I legami si basano sulla stima reciproca, non sulle svenevolezze, né sulle richieste di aiuto.  La debolezza non va mostrata mai, e va celata sotto un’apparenza di forza. Funziona così.
Comunque funzionasse, era un amico. Con la storia di Silente... beh, diciamo che ero convinto ce l’avesse con me per quella storia. Si, forse avrei potuto accennargli qualcosa, del tipo, “ehi, sto complottando con il Signore Oscuro per assassinare quell’obsoleto pisquano di Silente, per far entrare il mondo magico sotto il regime di terrore del Supremo Serpente (S.S. per bracci destri... anzi no, sinistri). Si era offeso, o almeno così pensavo. Naturalmente non ne avevamo mai parlato, ma ne ero convinto. Erano tutti Serpeverde in famiglia, ma nessuno che fosse Mangiamorte. Non sapevo nemmeno bene quale fosse la sua posizione al riguardo.
Al sesto anno avevo avuto da fare con l’Armadio Svanitore, e tutto il resto, e se n’era risentito. Lui era sempre riuscito a superarmi, specie negli ultimi anni, in tutte le competizioni scolastiche e sportive, invece, e quello aveva offeso me, ma solo un pochino. Infantile? Già.
Insomma, per farla breve non è che mi evitasse per la storia dell’attentato a Silente, o meglio, non perché non voleva sfigurare standomi accanto. Ufficialmente eravamo ancora veri amici, quindi avevo tutto il diritto di avere bisogno di parlargli. Di che cosa esattamente volessi parlargli, ehm, non lo sapevo. Rivelargli tutta la verità... no, era escluso. In effetti, non avrei dovuto dirgli nulla.
Sospirando per la mia boccaccia larga, salii a prendere della roba. Non sarei andato ad Incantesimi. Volevo ripulirmi e sistemarmi, prima di tornare tra i comuni mortali. Specie se questi comuni mortali non vedevano l’ora di puntare i loro dannati occhi su di me e sogghignare perché per una volta avevo fatto un errore. Perché diavolo mi ero ubriacato? Non era da me, accidenti.
Pensai di usare il bagno dei Prefetti che a quell’ora doveva essere deserto, ma non volevo attraversare mezza scuola. Decisi di usare quelli di Serpeverde e basta, per quanto li odiassi. C’era sempre qualche spiffero gelido a rovinarmi la festa, e anche se quelli del quinto, sesto e settimo anno avevo addirittura una vasca da bagno come quella dei Prefetti, nessuno la usava perché nessuno voleva starsene nudo a mollo ad osservare come un idiota i propri compagni infilarsi nelle docce. Né farsi il bagno con qualcuno.
Così usai la doccia, imprecando contro l’acqua fredda – possibile che i dannati elfi domestici non capissero che qualcuno poteva aver bisogno di acqua calda il pomeriggio? – e nel frattempo, essendomi ricordato che la McGranitt mi aveva assegnato dei compiti, e che dopo che quella stolida della Granger me li aveva presi non avevo chiesto a nessuno di farli, imprecai anche contro quella vecchiaccia e la Limacciosa Lecchina che era Hermione Granger.
Uscii dal bagno a torso nudo, ben consapevole delle occhiate che avrei attirato in questo modo. Chi ha un bel fisico dovrebbe mostrarlo, non nasconderlo sotto le palandrane sformate della divisa. Pansy Parkinson, con la quale l’anno prima avevo pomiciato più volte, mi lanciò uno sguardo di fuoco che non si poteva equivocare ma che ignorai. Salii al dormitorio, invece. Aveva sperato la sua occasione.
Mi vestii con calma e meticolosità, cercando in quel rituale consueto una sicurezza che mi mancava. Dannato Potter con i suoi segreti, dannata Granger che mi aveva fottuto i compiti, dannato Weasley perché era uno sgorbio lentigginoso – non volevo certo lasciarlo solo – e dannato pure il Signore Oscuro a causa del quale la mia famiglia marciva in una cella umida ed io tremavo la notte, consapevole ora del fatto che qualcuno stava complottando qualcosa, e che io potevo solo stare a guardare.
Ogni volta che il mio pensiero andava allo Squamoso Signore, mi sentivo accapponare la pelle. Sapevo dov’era, dannazione. Ma  a che cosa sarebbe servito dirlo? Sicuramente la zona era ben protetta. Forse avrei anche potuto avvicinarmi ad essa io, che ero ufficialmente ancora un alleato, ma degli Auror? E se il Signore Oscuro avesse scoperto che ero stato io a fare la soffiata, che cosa sarebbe successo a me, e alla mia famiglia?
Eppure stare a guardare... beh, erano decenni che il Signore Oscuro passeggiava indisturbato per le brughiere inglesi senza che uno straccio di nessuno lo scovasse, nonostante non fosse esattamente un uomo dall’aspetto ordinario. Forse agli Auror sarebbe effettivamente servito a qualcosa, e magari se un intero esercito si fosse precipitato sul posto... dannazione, era inutile, il Pitonato Padrone poteva sempre svanire con uno schiocco delle dita ed un po’ di fumo colorato – anche senza il fumo, in verità – lasciando tutti a bocca asciutta e mettendo me in una posizione ancora peggiore.
Quando fui vestito ero ormai deciso a non spifferare nulla a nessuno. Afferrai la borsa dei libri, la bacchetta, e dopo aver tratto un sospiro profondo mi avventurai nella Sala Comune. non c’era quasi nessuno, a parte quelli che avevano l’ora buca. Pansy era svanita e così anche Nott. Pansy era troppo scema per aver passato Trasfigurazione, ma Theodore frequentava il corso con me. In effetti, Nott frequentava un mucchio di corsi. Oltre a Difesa Contro le Arti Oscure – materia inutile, come dimostrava il mio dannato caso – frequentava Erbologia, Incantesimi, Trasfigurazione e Pozioni, naturalmente, ma anche Antiche Rune, Astronomia e, sorpresa sorpresa, Storia della Magia. Quando mi aveva confermato di volerla portare avanti anche dopo il Gufo, avevo alzato il sopracciglio, ma lui aveva fatto spallucce. “Mi piace la storia” aveva detto a mo’ di scusa. Avrebbe voluto fare anche Aritmanzia, ma aveva rinunciato al quarto anno – e non mi aveva mai voluto dire perché, anche se avevo sempre sospettato che ci fosse qualcosa sotto. A pensarci, aveva anche ottimi voti in tutte le materie. Non come la Geniale Granger, naturalmente, ma meglio di me. Studiava davvero, se non altro.
La Parkinson invece non aveva mai brillato a scuola. Se la cavava piuttosto bene in Trasfigurazione, e non era malaccio in Incantesimi ed in Difesa, ma nel resto era un disastro. Aveva ripreso Cura delle Creature Magiche, anche se quelli del nostro anno a farlo erano pochissimi, e poi Erbologia, Astronomia e Divinazione. Contenta lei.
Ed io? Beh, avevo optato per le stesse materie di Nott, a parte per Antiche Rune, Astronomia e Storia della Magia. Quello che bastava, insomma, per avere una buona preparazione di base, e per permettermi di avanzare in qualunque professione degna di questo nome. Non me la stavo cavando male. Pozioni era una vera agonia, anche se in un modo o nell’altro me l’ero cavata fino a quel momento, tra diversi “ACCETTABILE” ed anche qualche “OLTRE OGNI PREVISIONE”. L’unica mia consolazione era stata che, se io colavo rapidamente a picco tra mestoli e calderoni, gli altri attorno a me annaspavano con fatica – anche la Granger, ah, ah. Potter, dopo l’excursus dell’anno precedente, era tornato ai suoi votacci.
Nelle altre materie me la cavavo discretamente. Trasfigurazione era difficile ma non impossibile, Erbologia decisamente fattibile, e Difesa Contro le Arti Oscure nulla che non potessi affrontare. Stesso discorso, Incantesimi. Il mio problema non era la pratica, almeno non quanto lo era la teoria. Tra gli allenamenti di Quidditch – si, ero in squadra, anche se era una fortuna che fossi Cercatore visto che altrimenti nessuno avrebbe osato passarmi la palla – e lo  studio, ero già esausto.
Comunque non era certo lo studio il mio problema principale. Camminavo lungo il corridoio rasente al muro, un macigno sul cuore, e la sgradevole sensazione che avessi scritto sulla fronte “traditore”. Più del solito, intendo. Tutti quelli che passavo mi fissavano, ed anche se sapevo che era per la storia dell’ubriacatura, mi sembrava di essere trasparente.
A testa alta, fingevo indifferenza, e camminavo a passo spedito, ma non troppo. Ero lieto, comunque, che i corridoio fossero illuminati solamente da fiaccole. Non si sarebbe notato il lieve rossore che invadeva le mie guance altrimenti pallide.
Giunsi alla porta dell’aula, che era socchiusa; segno che l’insegnante non era ancora arrivata. Sentivo alle mie spalle un chiocciare lontano che indicava un gruppo di studenti in avvicinamento. Dall’aula comunque proveniva il vociare gaio di parecchi alunni. Trassi un sospiro profondo. Entrai.
Un gran numero di teste si voltò nella mia direzione. Tutti tacquero. Avevo messo un piede in avanti ma esitai, per un istante, colpito da un interesse così palese. Ma andiamo. Una volta non era di moda avere un giornale con due buchi per gli occhi? un po’ di ritegno, accidenti.
Non volevo mostrarmi impaurito, perciò alzai ancora di più il capo, e percorsi il corridoio tra le due file di banchi diretto verso il terz’ultimo, dove c’era Zabini ed un altro Serpeverde che fissavano i loro libri con discrezione. Durante il mio breve tragitto, si alzò un brusio di voci.
«Ehi, Malfoy» disse Ernie McMillan, uno dei pochi Tassorosso ammessi alla Trasfigurazione avanzata, che evidentemente intendeva vendicarsi per qualunque angheria subita in passato, «com’è che oggi riesci a camminare in linea retta?».
Coro di risatine. Mi voltai, rosso, verso il Tassorosso. “Perché non ho il tuo sedere ciccione a distrarmi, davanti a me” avrei potuto rispondergli. Oppure: “Perché sono finalmente riuscito a scordare la faccia di tua madre, che mi aveva quasi procurato un infarto”. Una cosa così. Ma non ce la feci, e per una ragione molto semplice.
La mia colpa che gravava su di me. Mi derideva perché avevo tentato di uccidere Silente, o perché sospettava che lo avessi fatto, e voleva farmela pagare perché ero un nemico. ed era così. Ero colpevole. Cosa potevo dire, se non che ripensavo allo sguardo di quel vecchio mentre abbassavo piano la bacchetta, mentre fissava me, poi Piton, mentre quest’ultimo lo spegneva in un lampo verde?
Mi sembrava di tornare a quel giorno, in quel momento, alla mia fuga trascinato da Piton. E a quando Bellatrix mi aveva trascinato fuori dal cancello di Hogwarts ed io, con il cuore pesante ed il nodo in gola, non pensavo a nulla. A quando Kingsley era arrivato e l’aveva aggredita, e lei mi aveva lasciato. A quando l’avevano costretta alla fuga, ma avevano preso me, portandomi con loro. A quando, avvicinandomi alle mura della scuola tirato per una manica da Dawlish, ed avevo visto il corpo sotto la Torre di Astronomia.
Ed ero colpevole, una volta ancora, perché sapevo dove il suo incubo si celava, e non lo avrei rivelato a nessuno. Che cosa potevo dirgli? In quel momento, la consapevolezza era immensa. Mi limitai a fissarlo in silenzio, per un istante, spegnendo la sua risata. Poi raggiunsi il mio posto in fretta – di fianco a Zabini, urgh – e mi sedetti, cercando di sembrare nobile e distaccato, ma sembrando soltanto sperduto.
Era in momenti come quelli che desideravo avere al mio fianco McNair. Lui si sarebbe messo a parlarmi, il volto acceso dalla rabbia. Mi sentivo in colpa, a considerarlo inferiore, ma non potevo farci nulla. per me era una spalla, ma non sarebbe stato mai come con Nott. Anche se questi, tetro e spento, mi ignorava.
Mi voltai in avanti quando un nuovo gruppo di alunni entrò nell’aula, ma questi non potevano riservarmi le stesse occhiate, perché ero seminascosto dietro ad un nerboruto Corvonero. Si avviarono ai loro posti, emozionati, allungando il collo verso di me. Uno degli ultimi sobbalzò quando la porta alle sue spalle si spalancò, e la McGranitt entrò.
Tutti si chetarono, e corsero a sedere. La vecchia strega posò le proprie cose sulla cattedra e, dopo aver detto due o tre parole sulla gita di Hogsmeade che si sarebbe tenuta di lì a pochi giorni, e sulle misure di sicurezza da tenere, cominciò senza indugio la lezione. Un po’ più sollevato – avrebbe consegnato i compiti alla fine della lezione, quantomeno – mi concentrai sul modo migliore di realizzare un perfetto naso ad uncino a partire da uno all’insù. Una spiegazione di almeno mezz’ora, anche se sembrava semplice.
«Mi ricorda quello di qualcuno» sentii Weasley borbottare, dalla fila accanto, mentre la McGranitt puntava la bacchetta su McDonald donandogli un enorme, Pitonesco naso. Vidi Potter fare una smorfia divertita, che cambiò subito in una espressione depressa. Lo osservavo per capire che cosa stava succedendo, ma sembrava che fosse stato solo il nome di Piton a fargli quell’effetto.
Intanto McDonald implorava lamentosamente la professoressa di ridargli il suo bel naso diritto. Divertito, chinai il viso sulla pergamena che avevo di fronte, scrissi un paio di righe per ricordarmi il procedimento, poi puntai di nascosto la bacchetta contro McMilann due file avanti e sussurrai l’incantesimo. Come immaginavo il risultato non fu perfetto, ma vidi il suo naso gonfiarsi e lo vidi trasalire inorridito.
La McGranitt lo rimbrottò perché non bisognava mai tenere la bacchetta in mano in quel modo mentre si pensava ad un incantesimo, perché il rischio di produrne uno non verbale e di incantarsi da sé era alto. Qualcuno sogghignò, specie tra i Serpeverde, e un calcetto sulla gamba sinistra mi avvertì che Zabini sapeva chi era il responsabile. Ne era divertito? Difficile dirlo. Era impassibile.
Fu il nostro turno di esercitarci, ma visto che le file di banchi erano da tre, e l’esercizio era da fare in coppie, i due più interni di ciascuna fila furono costretti a lavorare assieme. Con mio grande dispiacere, che sottolineai con un gemito, finii in coppia con la Granger.
Ecco perché non sceglievo mai il banco della fila interna.
Ci alzammo tutti e aspettai che la Sporca Mezzosangue mi raggiungesse, mantenendo la mia espressione più tipicamente disgustata sul viso. «Che bello, Granger, finalmente avrai un naso che si abbina ai tuoi denti» la presi in giro con una certa crudeltà. Sentivo il bisogno di sfogarmi un qualche modo.
Lei non batté ciglio. «Mi sono fatta sistemare i denti parecchio tempo fa, Malfoy. Anzi, in realtà sei stato proprio tu a permettermelo, quando mi hai lanciato quella fattura al quarto anno» mi disse, soave. «Ma forse mentre eri un Furetto non ci facevi caso».
Arrossii, ma non mi scomposi. «Scusami, Granger. Sembri così tanto un castoro, anche così, che non riesco a notare la differenza».
«Capita di non riuscire a capire più niente, quando si è ubriachi» replicò lei, ed alzò la bacchetta. E prima che potessi replicare disse, «Ora...» e senza pronunciare l’incantesimo la puntò verso di me. Sentii subito il mio naso mutare. Era una sensazione tremenda.
«Molto bene, Granger» si udì la McGranitt dire da lontano. «Quasi perfetto». La Granger parve soddisfatta, io decisamente non lo ero.
«Chi ti ha dato il permesso di stregarmi, Granger?».
«La professoressa McGranitt».
«Risistemami il naso, adesso» intimai, minaccioso.
«Quando ti comporterai più civilmente» disse lei, amabile. «Dunque, Malfoy, sai solo offendere quelli più bravi di te, o sai brandire la bacchetta come si deve?».
Colmo di rabbia, le lanciai l’incantesimo dicendolo sottovoce. Non accadde un bel niente. «Stupefacente» disse lei con un sorriso soddisfatto. «E, Malfoy, si tratta di incantesimi non-verbali».
«Sta’ zitta» dissi, freddo. «Sangue Sporco». Lei si irrigidì ma finse di non aver sentito.
«Riprova» disse, come se stesse parlando con un ritardato. Vaffanculo. Non ero dell’umore adatto.
«Non darmi ordini» sibilai. Puntai la bacchetta contro di lei. «E sistemami il naso, invece».
«Non lo farò» disse lei, risoluta. «Non sei nella posizione per minacciare o insultare qualcuno, Malfoy. Credevo che lo avessi capito. ora fai il tuo dannato dovere».
«Che cosa complottate, tu ed i tuoi amici, eh?» dissi sottovoce. Mi accorsi che Potter e Lenticchia, troppo lontani per origliare, ci guardavano preoccupati dal mio aspetto aggressivo. Per non dare nell’occhio abbassai la bacchetta, quel tanto che bastava.
«Di che parli?» non capiva, o fingeva di non capire?
«So che Potter ha le visioni. E so che c’è qualcosa che state facendo, qualcosa di segreto». Il mio tono era quello beffardo di sempre. Perché nessuno se la prendesse con me perché non facevo nulla, riprovai con l’incantesimo, ma il naso della Granger non si allungò affatto, e si limitò a arricciarsi un po’ verso il basso.
Lei puntò la bacchetta contro il proprio viso. «Non so di che parli» dichiarò, mentre il naso tornava normale. Dannazione. «Non è nulla che possa interessarti, Malfoy». Dal suo tono capivo che non voleva e che non intendeva dirmelo.
Ritentai, e questa volta si allungò un po’, ma senza tendere verso il basso. Un terzo tentativo lo ingrossò solamente. La Granger annullò i due incantesimi con un silenzioso colpo di bacchetta. «E se lo chiedessimo assieme a qualcuno? Alla McGranitt, ad esempio. Ora che è il Preside, sono certo che avrà i mezzi necessari per indagare.
La Granger trasalì, poi il suo sguardo divenne duro. «Non è con le minacce che otterrai qualcosa, Malfoy» disse, pacata. «Ora, scandisci l’incantesimo in tre sillabe, e muovi il polso in senso orario, non anti-orario. Lo feci, tanto non avevo nulla da perdere, e finalmente un Piton con ricci capelli fulvi mi fissava. La Granger si voltò verso la McGranitt che annuì brevemente. Poi sistemò il proprio naso per la terza volta. Si avvicinò a me, e pensai che volesse schiaffeggiarmi. In effetti era una paura stupida, visto il numero di testimoni, ma comunque. ricordavo quello che mi aveva tirato al terzo anno. Cavolo, faceva male.
Mi toccò con la bacchetta la punta del naso. Quando la ritirò, sapevo già che il mio naso era tornato come prima. Il punto in cui la sua bacchetta mi aveva toccato formicolava.
«Lascia perdere, Malfoy» sussurrò poi la Mezzosangue, rivolta a me, i pugni stretti. Qualcosa nel suo sguardo mi diceva che la sua non era affatto una minaccia. «Non c’è nulla di degno per un Malfoy in cui tu debba indagare». Mentiva, lo sapevo. Avevo origliato tutto. Ma qualcosa nei suoi occhi mostrava pietà, e non risentimento, e la cosa mi faceva arrabbiare.
 Non ebbi il tempo né la possibilità di protestare. La McGranitt si schiarì la voce e dichiarò che la lezione era quasi terminata. Gli studenti cominciarono a raccogliere la loro roba e andare verso la cattedra, il fila, per ricevere il proprio lavoro. Io mi preparai con tutta calma. Non avevo un bel niente.
Quando passai vicino la cattedra, la professoressa mi fissò con occhio penetrante. Un esame che si concluse con lei che si ritraeva, pensosa, ed io con un certo sollievo. «Malfoy. Il suo lavoro...».
Aprii la bocca, pronto ad incolpare la Granger. Ma lei completò la frase prima che potessi iniziare io la mia. «...è davvero buono. Oserei dire, fin troppo buono». E mi tese una pergamena, la mia pergamena, non più vuota, ma riempita da una calligrafia sottile. «Ha per caso ricevuto... qualche aiuto esterno?».
«No, professoressa» dissi io, che mi ero ripreso dallo shock abbastanza per reggere il mio gioco. «Ma ho avuto molto tempo, sa, in infermeria...».
La McGranitt non era convinta, e strinse le labbra insoddisfatta. Però, dopo avermi lanciato un ultimo sguardo sospettoso, mi fece cenno di andare. Ed io corsi via, con il mio prezioso tema con su scritto “ECCEZIONALE”, che spiegai non appena fui nel corridoio. La scrittura somigliava indubbiamente alla mia, anzi, sembrava proprio che lo fosse. Era forse più sottile, e più sinuosa, ma avrebbe potuto essere la mia scrittura svogliata.
Perché avevo un tema con su scritto “ECCEZIONALE”, quando non avevo fatto alcun tema?
Ci pensai su un istante, ma mentre lo facevo, rallentai. Tre studenti mi separavano. Erano Potter, Lenticchia, e la Granger, e quest’ultima teneva lo sguardo fin troppo fisso di fronte a sé, ed era – ma poteva essere la luce delle torce – un po’ troppo rossa.
Hermione Granger aveva fatto il mio tema.
Il mio tema.
Lo cacciai in borsa, e mi avviai intontito verso Incantesimi. Ero nervoso e perfino arrabbiato. Quale diavolo di nemico ti fa i compiti per casa?
Un nemico assolutamente melenso, pensai. Un nemico melenso, e fin troppo buono, tanto da farsi prendere dai sensi di  colpa perché il suo avversario numero uno non poteva fare i compiti a causa sua.
Badai bene a fare finta di nulla e a non lasciare capire alla Granger che mi ero accorto della verità.
Il cadetto Malfoy sapeva bene come umiliare i propri nemici.
Ma come ringraziarli? Beh, no davvero.
 
Una serie di problemi non da poco.
Voldemort, malvagio Signore Oscuro, che ci voleva tutti morti, e era sempre sulla buona strada per riuscirci.
Pezzi di anima che potevano essere ficcati ovunque, e che dovevamo trovare Dio solo sapeva dove.
Un amico che, incidentalmente, leggeva nei pensieri di Voldemort. Radio Serpente, in pratica.
L’altro, che era un idiota, troppo preso dalla barista, e dai suoi stupidi ed inutili pensieri. E che non mi piaceva – davvero, non poteva piacermi!
E Draco Malfoy che sapeva, ed io non sapevo che cosa sapeva.
Piccolo arrogante bastardo, aveva provato a minacciarmi. Ed era un pericolo. Eppure se pensavo a lui non provavo altro che compassione.
Oh, già ed il compito di Trasfigurazione. Avevo preso Oltre Ogni Previsione. Ma la cosa migliore era che Malfoy aveva preso Eccezionale. Ed il merito era mio.
 
 
NOTE DELL’AUTORE
Ciao a tutti! Come sempre, grazie a tutti coloro che seguono le mie storie e le inseriscono nei preferiti, in particolare a:
Mi scuso se il capitolo è parso corto o insoddisfacente, ma non volevo continuarlo più di così, per non spezzare male la trama.
Finalmente Draco è uscito dall’infermeria, anche se si può dire che non ne sia uscito indenne. Ha seri problemi con cui dover convivere, e scelte che deve fare. Comunque  ha già bisticciato con Hermione e non ne è uscito rabbonito nei suoi confronti, anzi.
So che alcune cose, come il modo in cui è stato catturato Malfoy dopo l’attentato a Silente, o il fatto che la McGranitt sia Preside, non sono stati menzionati nei capitoli precedenti. Ho pensato che fosse più interessante venire a sapere questo genere di cose poco per volta, ecco. Per quanto riguarda altri accenni a vari personaggi, come ad esempio Nott, o Zabini, sappiate che quanto non viene spiegato non è mai messo a caso. Prima o poi ogni cosa guadagnerà un senso.
A proposito di William Larkins, apparso nello scorso capitolo, il suo nome viene da “Emma”, uno dei favolosi romanzi di Jane Austen, mio unico amore.
Un piccolo cenno sul titolo del capitolo: “Where the snake lies” significa “dove sta il serpente”; “why and when to tell lies” significa invece “quando e perché dire bugie”. Sono i due grandi problemi di questo capitolo, il cui titolo gioca sul termine “lie” che significa mentire, ma anche giacere, trovarsi.
Un’ultima cosa: recensite, anche negativamente, per sapere cosa ne pensate della trama e del modo in cui ho sviluppato i personaggi. Mi farebbe davvero piacere!
Ok, scusate l’enorme parentesi! XD
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Soaring across humiliation ***


NE’ RON né Harry parvero dare peso quanto me alle dichiarazioni di Malfoy. Raccontai loro per filo e per segno ogni particolare della nostra conversazione, ma Ron si limitò a scuotere il capo e a commentare: “sono solo spacconate, Hermione. Come avrebbe fatto a scoprire la verità?”.

«Vorrei ricordarti» gli dissi allora, «che quando Harry ci aveva raccontato dei suoi sospetti su Malfoy, le avevi liquidate allo stesso modo. E chi è che ha provato ad assassinare Silente sulla Torre di Astronomia?».

«Se non mi sbaglio, nemmeno tu eri sembrata troppo convinta» aveva ribattuto lui, ed ero arrossita mio malgrado. Mi voltai verso Harry, ignorando il mio amico dai capelli rossi, ma lui si strinse nelle spalle.

«Ron ha ragione... voglio dire» si affrettò a precisare vedendola mia espressione tutt’altro che lieta, «deve aver immaginato che stiamo tramando qualcosa, non è stupido, ma non può certo immaginare... gli Horcrux...».

«Sei tu quello che è sempre convinto che tutti quanti stiano cercando di scoprire il nostro segreto» ribattei piccata. «Perché Malfoy non dovrebbe esserci riuscito?».

«E come avrebbe fatto?» fece notare lui, poco convinto.

«Potrebbe aver origliato qualche nostra conversazione... magari con la Pozione Polisucco, o... con un Mantello dell’Invisibilità» dissi io in fretta, passando mentalmente in rassegna diverse possibilità».

«Impossibile» disse Ron, «usiamo sempre il Muffliato, no? E per quanto riguarda la Pozione Polisucco, non sono certo che sia capace di prepararla, e non può averne rubata così tanta a Lumacorno, giusto?».

«Può essersela procurata in un altro modo, Ron. Prendi Fred e George, ad esempio, con il loro servizio di consegna di Filtri d’Amore...».

«Fred e George non venderebbero mai nulla a Malfoy, nemmeno un’unghia incarnita» protestò Ron, infiammandosi.

«...e per quanto riguarda il Muffliato» lo ignorai, «potrebbe essersi preparato qualche contro sortilegio in anticipo, o qualcosa del genere. Non possiamo saperlo».

«E’ un’ipotesi un po’... azzardata, Hermione» disse Harry arricciando il naso. Sospirai, sconfitta. Cominciavo a credere di aver fatto più di un torto ad Harry quando non gli avevo creduto, le innumerevoli volte in cui si era lanciato nelle sue strampalate ipotesi; era estenuante non essere presa sul serio. In ogni caso, ero decisa a tenere Malfoy d’occhio.

Harry aveva problemi più pressanti al momento che Draco Malfoy. Dopo la sua ultima visione, non faceva che ripetere la necessità di andare a visitare Grimmauld Place. Io ero d’accordo con lui, sebbene il pericolo non fosse indifferente.

Discutemmo per due giorni per definire i dettagli. Alla fine stabilimmo che avremmo approfittato della gita ad Hogsmeade – Ron emise un alto gemito quando io ed Harry convenimmo sul fatto che fosse la cosa migliore da fare – per andare al villaggio e Smaterializzarci senza farci notare. Avremmo visitato Grimmauld Place sotto il Mantello fino ad assicurarci che fosse sicuro, cercando di capire che attrattiva quel posto suscitasse in Voldemort. Poi saremmo tornati a Hogsmeade per fermarci da Mielandia e comprare qualcosa. Sarebbe stato strano se ad Hogsmeade non avessimo preso nulla.

«Magari anche una puntatina ai Tre Manici di Scopa...» avevo sentito Ron mormorare a Harry, e quando lo avevo fulminato con un’occhiata disgustata, si erra fatto molto rosso e molto sciocco.

Nel frattempo le stupide selezioni delle stupido Quidditch si erano concluse. Ron era riuscito – miracolosamente – ad essere riammesso in squadra e sospettavo che Harry avesse replicato l’impresa da me portata a termine l’anno precedente, quando avevo confuso McLaggen,  perché Cormac si allontanò dal campo un po’ barcollante. Anche Ginny era tornata in squadra, anche se tra lei ed Harry l’aria si sarebbe potuta tagliare a fette. In un certo senso ero contenta, perché così (forse) sarebbero riusciti a chiarirsi.

«Non mi parla» mi disse Harry sospirando, il manico di scopa in spalla, mentre attraversavamo il prato verso il campo da Quidditch. Ron era rimasto indietro per finire di copiare il tema per Pozioni che Calì aveva acconsentito a prestargli. Mi ero rifiutata di farglielo vedere perché ero stufa di vederlo così svogliato e distratto, anche le la coscienza mi rimordeva, visto che avevo perfino fatto i compiti per Malfoy. Dall’altra parte... vendetta, che diamine! «Non quando non è strettamente necessario, comunque».

«Beh, che pretendevi?» replicai, tenendo alzata la veste fino alle ginocchia per evitare che si impigliasse nell’erba. Le calze si impregnarono presto di acqua e brina, e feci una smorfia. «Voglio dire, l’hai piantata in asso dicendole che non eravate fatti l’uno per l’altra...».

«Non avevo scelta» protestò lui.

«Non so» dissi io, con la mia migliore aria di disapprovazione. «Sai come la penso al riguardo... ma in ogni caso» interrompendolo prima che potesse cominciare a parlare, «Harry, anche se sa benissimo che non è vero, che l’hai fatto per lei, non può esserne sicura».

Harry era estremamente sconfortato. Fissava lo spogliatoio in avvicinamento in silenzio.

«Avresti dovuto accettare che stesse con te, Harry» conclusi, in tono esitante, per assicurarmi che la prendesse bene.

«Non che importi granché, ormai, no?» fece lui, tetro, arrestandosi di fronte alla porta dello spogliatoio. «Si sta consolando bene». Lo fissai con uno sguardo che era puro disprezzo. «Tu e Ron siete proprio uguali» dissi, sprezzante. «Non vedete ad un palmo dal vostro naso». E mi voltai per andarmene.

«Non resti ad assistere agli allenamenti?» chiese Harry speranzoso. Forse sperava che la mia presenza avrebbe ammansito Ginny, o forse sperava che un pubblico parziale come me avrebbe incoraggiato Ron, che era piuttosto instabile nelle sue prestazioni, come sapevano tutti.

«Non so» dissi io, esitante. La conversazione appena avuta mi aveva buttata nell’incertezza. Voglio dire, dovevo studiare, ma la storia di Ginny preoccupava anche me. Temevo che qualcuno si accorgesse di quello che era successo tra lei e Harry... e forse volevo anche vedere Ron giocare, d’accordo.

«Dai, Hermione» mi implorò Harry. «So che hai molte cose da fare, ma forse... una pausa...».

«Ok, d’accordo» dissi, fingendomi seccata.

«Potresti fare da arbitro».

«No, grazie». Le mie prestazioni sulla scopa erano atroci, peggio di quelle di McLaggen confuso, il che era tutto dire. Le scope mi terrorizzavano. Ogni volta che alla Tana avevamo giocato, mi ero dimostrata la zavorra del gruppo. Umiliante, ma vero.

Harry mi guardò. «Siamo soltanto noi, Hermione. E non devi neppure giocare». A quel punto ero certa che mi volesse con sé per scongiurare il pericolo Ginny. Se fosse stato Ron il suo principale problema, la mia presenza sugli spalti sarebbe stata più che sufficiente. «Mi... ehm... ci faresti un favore». Ok, definitivamente.

«E va bene». Questa volta ero davvero seccata, accidenti.

Così mandò Romilda Vane – una delle riserve – a recuperare una scopa affidabile nello stanzino delle scope, mentre io aspettavo che i membri della squadra si cambiassero. Ron sembrava ringalluzzito dalla mia presenza, e Ginny mi lanciò un’occhiata inequivocabile che significava: “poi parleremo”. Annuii appena, mentre mi oltrepassava.

Insomma, meno di dieci minuti dopo fluttuavo con aria insicura a mezz’aria, dopo aver liberato il Boccino ed i Bolidi (questi ultimi due con difficoltà non indifferenti), e con la Pluffa in mano. Questo voleva dire che avevo solo una mano sul manico, con il risultato che sembravo molto poco stabile. Uno dei Battitori, Hendricsson, mi fissava con uno sguardo pietoso. Lo ignorai.

«Ehm... d’accordo» dissi. «Quando... quando volete cominciare...».

«Beh, difficile farlo, se non ci dai la Pluffa, no?» sentii Romilda dire, e Ginny si schiarì la voce – se per l’imbarazzo o per zittire Romilda, difficile dirlo. Quell’anno Harry aveva deciso di ammettere in squadra anche i primi tra i non-classificati, in maniera da avere sempre un sostituto a disposizione nel caso uno della squadra avesse avuto dei problemi. Così, allenandosi tutto l’anno, erano destinati a migliorare, e per di più permetteva alla  squadra di allenarsi come se fosse stata una partita. Avevo ammirato la sua decisione, molto prudente, ma in quel momento pensai che l’unica cosa positiva delle riserve era la possibilità che Romilda – o McLaggen, magari – si beccassero un Bolide in faccia.

«Al mio via» dissi, ignorandola. «Uno... due... tre...». diedi il segnale, scagliando la Pluffa in alto. Fu un lancio misero ma Ginny recuperò la palla al volo. I giocatori sfrecciarono in posizione e Harry filò alla ricerca del Boccino, tallonato dal sostituto Cercatore che faceva schifo.

Io rimasi a mezz’aria, sentendomi inutile, e tanto per fare qualcosa salii verso l’alto per avere una visuale migliore. Vidi Ginny fare un’evoluzione ammirevole a mezz’aria per salvare la Pluffa, ed Harry che si voltava a guardarla e senza accorgersene deviava la scopa verso sinistra. Quando se ne accorse si era spostato di parecchio dalla traiettoria originale e, vedendo che avevo seguito la manovra, assunse un’espressione molto stupida.

Ron era un po’ grigio ma mi lanciava occhiate speranzose, verosimilmente sperando che lo avrei incoraggiato, ma ero l’arbitro e non mi dovevo sbilanciare. Spostai lo sguardo verso McLaggen che sollevò il petto con orgoglio malcelato. Non capivo se volesse farmi vedere che cosa mi ero persa, o se fosse tanto scemo da essersi dimenticato che eravamo usciti assieme.

Mi sarebbe piaciuto scordarlo.

Seguii la partita per un altro quarto d’ora. Harry aveva preso il Boccino e lo aveva lasciato di nuovo libero, questa volta però perché si esercitasse l’altro Cercatore. Lui restò invece ad osservare i Cacciatori – o meglio, Ginny – ed i Battitori, dando loro sporadici consigli.

Erano settanta a venti per la squadra titolare, ma il merito non andava certo a Ronald, quanto piuttosto alla differenza di bravura tra i veri Cacciatori e le riserve. Harry non sembrava entusiasta, anche se si sforzava di dissimularlo. «Vai così, Hericcson... soltanto un po’ più a sinistra, Demelza... così... molto bene» ripeteva, a tratti regolari, evitando accuratamente di criticare Ginny, perfino quando questa sbandò a causa di un moscerino entratole nell’occhio finendo addosso ad uno dei Battitori.

Altri cinque minuti mi persuasero che era inutile che stesi a bordo della scopa, visto che potevo seguire la partita da terra. Piano piano (odiavo le picchiate) planai verso terra disegnando in aria ampie spirali.

«Oh, brava, Granger. Ti conviene cercare di scendere dalla scopa prima che questa si stufi di trascinarti come un peso morto» disse una voce melliflua non lontano.

Vidi Malfoy, accompagnato da due tizi Serpeverde. Uno lo riconobbi subito. Era quel viscido di Nott, e sapevo che non era una cosa positiva, perché aveva un’anima così nera che probabilmente non riusciva a trovarsi al buio. L’altro era il McNair che avevo visto una volta in infermeria con lui, e che sembrava il più pericoloso perché sembrava falso. Stavano sulla parte più bassa delle gradinate, a pochi metri dal campo. Soltanto Malfoy era sorridente e beffardo, gli altri due erano mortalmente seri.

Lo ignorai. Probabilmente era venuto apposta per sfogare la sua collera sulla squadra Grifondoro. Gli allenamenti Serpeverde non sarebbero cominciati per almeno altri tre quarti d’ora. Invece mi avvicinai con più decisione a terra.

«Ricorda, Granger, che per toccare a terra devi scendere» proseguì l’altro, maligno. «Ma se vuoi puoi anche buttarti giù, sono sicuro che cadere di faccia ti aiuterebbe molto, se non altro a migliorare l’aspetto».

Rimasi zitta senza guardarlo. Puntai il manico verso terra e riuscii ad avvicinarmi al suolo con una certa eleganza, anche se l’impatto con il terreno umido mi fece barcollare. Incespicai, ma mi raddrizzai con dignità e mi diressi verso lo stanzino delle scope, anche se così dovevo sfilare davanti ai tre Serpeverde. Malfoy fece un altro paio di commenti, ma non reagii. Invece guardai gli altri. nessuno si era ancora accorto di loro, ma era questione di poco. Mi infilai nello sgabuzzino, misi a posto la scopa, e tirai un sospiro. Potevo farcela. Dannazione, potevo farcela.

Uscii. Proprio in quel momento, sentii qualcuno litigare. Apparentemente Peaks – o  come si chiamava il dannato Battitore – aveva accidentalmente colpito Ginny in testa con la mazza, e questa si era afflosciata sul manico di scopa, ansimante. Harry strillava contro il responsabile, che era assieme contrito ed amareggiato, come se accusasse Harry di qualcosa.

«Potter difende la sua amichetta... che carino». La voce era più vicina del previsto. Trasalii, mi voltai, e vidi a pochi metri quel deficiente di Malfoy che mi fissava arrogante. «Tutti sanno che fa dei favoritismi, ma non mi aspettavo che fosse così palese».

Mi avvicinai a lui senza proferire parola. Qualcosa nella mia espressione doveva parlare, perché d’improvviso fece un passo indietro. Ha! Stupido Furetto Fifone! Mcnair rimase immobile, ma Zabini apparve risoluto. Me ne fregavo. Poteva anche picchiarmi, non me ne importava un accidente.

Puntai il dito verso di lui. «Malfoy» dissi, zuccherosa. «Vaffanculo». Non usavo mai parole volgari, ma ci stava proprio bene. «Sei un arrogante presuntuoso. Proprio tu, che non hai uno straccio di persona che ti voglia, hai il coraggio di sbeffeggiare gli altri? mi fai ridere».

Malfoy impallidì, sinceramente oltraggiato. Accidenti, com’era liberatorio. Potevo capire perché gli piacesse tanto, sfottermi. «Sarò una sangue sporco, e tutto quello che vuoi, ma sono comunque migliore di te. Tutti noi lo siamo. Del tuo sangue puro, tu, non sai cosa fartene» proseguii, crogiolandomi selvaggiamente in quella magnifica sensazione.

Malfoy era a quel punto decisamente arrabbiato, e lo vidi mettere la mano in tasca per estrarre la bacchetta. Naturalmente io fui più veloce e lo Disarmai senza nemmeno pronunciare l’incantesimo. Vide semplicemente la bacchetta schizzare via prima ancora di averla stretta tra le dita e volare dritta nella mia mano.

Sentii un brivido di piacere assoluto, una sensazione di potere. Beccati questa, Malfoy! «Se provi un’altra volta ad incantarmi, ti rimando di filato all’infermeria» sibilai decisa, e dal mio tono si presagiva che facevo sul serio. non mi importava nemmeno di far perdere o meno punti a Grifondoro. Lui era una minaccia, per quello che era, e sapeva.

Nott mi fissava, indecifrabile. Mcnair era terrorizzato, nemmeno fossi una assassina. Ehi, volevo dire loro, lo sapete che quelli dalla parte dei cattivi siete voi, vero? «Puoi crederti superiore quanto ti pare, Granger» disse lentamente Draco Malfoy, in tono saccente ma circospetto. «Eppure sono io, quello con il coltello dalla parte del manico».

«Oh, no» dissi io, tranquilla. «Ti sbagli, Malfoy. Ostacolarci non è avere il coltello dalla parte del manico. È scavarsi la fossa da soli». Mi sentivo un po’ un cattivo da telefilm, ma chi se ne importava? Era importante che Malfoy fosse abbastanza spaventato da lasciarci in pace. Detto questo gli lanciai la bacchetta, senza esitare, e lui la prese. Mi guardò, e sentii che cercava di scoprire qualcosa dalla mia espressione, ma sapevo di essere impassibile.

«Tornate al vostro fetido sotterraneo» dissi. E me ne andai, così, verso il castello, senza nemmeno voltarmi.

 

Mancava davvero poco alla gita ad Hogsmeade, e la cosa aveva per me un duplice significato. Ne ero felice, visto che potevo allontanarmi un po’ dal castello. Mi sentivo in trappola in quella fortezza. I castelli sono fatti per tenere fuori il nemico, ma avevo bisogno di un muro per proteggermi dal mio stesso castello.

Dall’altra parte, però era deprimente sapere che la gita ad Hogsmeade non avrebbe portato alcun miglioramento nella mia situazione, visto e considerato che molto probabilmente nessuno mi avrebbe accompagnato, ed io non volevo ubriacarmi di nuovo.

In sostanza, avevo deciso di andare a visitare i miei, e nemmeno quella era una gita piacevole. Certo, niente Dissennatori che cercano di succhiarti come una bibita, ma era pur sempre una squallida segreta quella dove il sangue Malfoy marciva. Okay, niente umidi pagliericci muffiti – il denaro, come avevo scoperto con un certo stupore, serviva pur sempre a qualcosa – ma da lì a definirlo un villaggio vacanze ne passava di acqua sotto i ponti.

Eppure dovevo parlare con i miei genitori. Dovevo farlo. C’erano cose da dire, cose da capire, anche se non volevo rivelare loro che Potter, la Granger e quell’idiota di Weasley stavano progettando, ne ero certo, la morte dell’Oscuro Signore. E mi sentivo... solo.

No, cancellate quest’ultima parte, è troppo da sfigato. Da Potter, se capite cosa intendo dire.

Nel frattempo intorno a me tutti fremevano per l’imminente partita contro Corvonero, che aveva una squadra apparentemente di tutto rispetto, per una volta. Eravamo tesi, ma nessuno voleva ammetterlo; ufficialmente l’unica squadra Purosangue avrebbe dovuto vincere, no? Razza pura, eccetera. Come cavalli di razza, roba così. In ogni caso era da un pezzo che non vincevamo il Campionato. Quest’anno era il mio ultimo anno, e volevo vincere.

Mcnair mi evitava. Chissà perché sospettavo che c’entrasse qualcosa anche la Granger, o la nostra piccola lite nel campo di Quidditch. Era troppo tenero, lo dicevo io. Cristo santo, chi poteva mai prendersela per la Granger? Soltanto lui. Ma a chi importava di lui? Era solo un marmocchio, e non c’era ragione per prendersela se voleva incorniciare una foto della faccia della Granger ed immaginare di baciare la sua bocca zannuta.

Non avevo ancora parlato con Theodore di... beh, qualunque cosa volessi rivelargli. L’occasione propizia – non che fossi così ansioso di fare una bella chiacchierata con lui – si presentò il giovedì, di ritorno da Erbologia.

«Mi chiedo per quale dannato motivo non possiamo usare la magia per concimare le Mandragole» commentai rivolto a Nott tetro, mentre marciavamo verso il castello. «Suppongo che la vecchia megera pensi che faccia bene alla pelle» dissi. «Gratta e netta». Il fango (e non solo) svanì dal mio mantello. Naturalmente, quello di Theodore era impeccabile. Dannato bastardo. «Cosa abbiamo adesso?».

«Non so. Credo che tocchi ad Antiche Rune». Grande. Ora buca. Ha ha ha. Alla faccia tua, Nott. Lui frugò nella tasca ed estrasse il foglio degli orari. «No, abbiamo Difesa contro le Arti Oscure». Pronunciò quel nome come se fosse stata una porcheria. Ero d’accordo.

«Fantastico» dissi, tetro. Avevo saltato l’ultima lezione con una scusa, ma non c’era modo per saltare anche questa. Dannazione.

«Già. Ora» disse lui pigramente, come se non gli fosse interessato affatto, «ho come l’impressione che avessi qualcosa da dirmi». Rimasi zitto per un po’, lieto di essere un buon Occlumante, anche se di certo Nott non stava usando la Legilimanzia. Dovevo essere imperscrutabile.

Sbuffai, per minimizzare. Regola numero uno di un bravo Serpeverde: mai mostrare quanto una determinata cosa ti abbia fatto a pezzi. Così eviti che qualcuno balli il tango sui cocci del tuo cuore – metaforicamente – e ti dai un contegno, il che non è male, specie con le ragazze.

“Potter ed i suoi stanno tramando qualcosa” sarebbe stata la cosa migliore da dire. Ma non la dissi. Forse perché sapevo che, riguardo al Signore Oscuro, le nostre opinioni divergevano. Insomma, nemmeno lui aveva la foto del Venerabile Voldemort nel portafogli, ma in confronto a lui io ed i Sangue Sporco eravamo grandi amici. Chissà perché, ero convinto che lui non avesse interesse a vedere il Signore Oscuro destituito. Quindi, meglio arrivare al punto per gradi. «Hai mai sentito parlare di Horcrux?» chiesi.

Lui sembrò riflettere per qualche istante. «Non so. Forse... mi ricorda qualcosa» disse. Beh, devo dire che avevo sperato che il termine gli fosse nuovo. Se c’era una cosa nella quale eccelleva, erano gli incantesimi oscuri. Perché diavolo Potter andava alla ricerca di roba oscura? Cristo.

Il mondo andava alla rovescia. «Perché me lo chiedi?».

Perché Potter, quel demente di Potter, scortato da due tirapiedi stupidi come caproni, progetta probabilmente di scotennare il Signore Oscuro grazie a qualche malefica, potente arma, che probabilmente non sarebbe neanche capace di utilizzare. «Ho sentito due mocciosi ciarlare di qualcosa, prima a Erbologia. Il termine mi era nuovo, perciò mi chiedevo di che diavolo stessero parlando».

Theodore mi fissò, sorridendo. «Davvero? Parli del piccolo Corner e del suo amichetto?». Diavolo, Theodore, come facevo a saperlo? Me l’ero inventato. «Uhm... forse. Credi che abbia il tempo di prestare attenzione a plebei di altre case?». Visto, Nott? Nulla di nuovo. Ero sempre io, Serpeverde doc, che non stava coprendo Potter ed i suoi progetti di assassinare il Signore Oscuro.

Nott mi fissò, con l’aria saccente. «Già. Comunque, questo non può avere a che fare con quello che dovevi dirmi, no? Visto che è da un pezzo che vuoi parlarmene».

Maledizione a Nott e alla  sua intelligenza. «Mi avevano distratto. Mi sentivo frustrato all’idea che sapessero qualcosa che io, un Malfoy, non avevo mai sentito nominare.. ma probabilmente è solo qualche porcheria filo – Babbana».

«E hai pensato che io ne fossi a conoscenza?» disse lui con un sorrisetto sardonico.

«Diavolo, Nott, che ne so? Mi è solo venuto in mente di chiedertelo, nel caso in cui mi sbagliassi». Visto? Una perfetta interpretazione di Serpeverde – annoiato – e – ferito – nell’orgoglio. Perfetta, a parte per lo stridore di unghie mentre mi arrampicavo sugli specchi. Comunque Theodore si rilassò. «Siamo nervosetti, eh? Insomma, Draco, qual è il problema? La Granger ti ha di nuovo accarezzato in contropelo?». Trovavo molto irritante che fosse così divertito dalle mie schermaglie verbali con la Granger. O meglio, dal fatto che – ehm – non le vincessi.

«Lascia stare la Babbana Zannuta» replicai seccamente, con un gesto della mano, che significava più o meno: perché dovrebbe importarmi della Granger? Quando mai mi ha umiliato, o battuto? Già. «Nott, è una questione seria».

Nott si fece attento, senza perdere il sorriso. Aveva sempre un’aria condiscendente, come tutti noi Serpeverde. Non condiscendente con me, se capite, ma con il mondo. «Che cosa succede?».

Gli misi una mano sul braccio. Lui si fermò, e fissò la mia mano stretta attorno al gomito, con il suo sorriso sufficiente. Non gli piaceva essere toccato. Ritrassi la mano, non tanto per rispetto, ma per averlo concentrato. Di mio, nemmeno io lo avrei toccato. Rapporto platonico, capite?

«Nott... il Signore Oscuro è a Londra».

Nott affilò subito lo sguardo, ma tacque. Così, mi costrinse ad aggiungere qualcosa. «Credo... suppongo abbia qualche piano concernente il Ministero». Avrei potuto aggiungere: è a casa mia, ma non volevo dare troppe informazioni (o spiegazioni). Mai troppo prudenti, è un motto che tengo sempre a mente.

«Come lo sai?». Potter ha le visioni. «Non importa come lo so. Ho sentito il suo richiamo». Toccai il punto dove, sotto la manica, il mio Marchio Nero spiccava nero contro la cute pallida del mio avambraccio. Nemmeno vi dico quanto faccia male, riceverlo. Né quanto abbia dovuto sforzarmi per non strillare in faccia al Signore Oscuro, rovinando la solenne cerimonia di iniziazione.

«E?». Anche Nott non intendeva sbilanciarsi. Mi studiava. Forse pensava che il Signore Oscuro mi avesse chiesto di metterlo alla prova. Niente di quelle stronzate del tipo: “oh, amico, non dubiterei mai di te!”. Sveglia, ragazzi. La gente si tradisce tutti i giorni. Fatevene una ragione.

«Se fossimo sorvegliati? Se il Ministero ci controllasse? Non posso raggiungerli». Nott non era un Mangiamorte, ma suo padre si. Ed era riuscito anche a sfuggire alla cattura. Era un mago abile, come il figlio. C’era una ragione se lo consideravo un pari, al contrario di gente come la Parkinson, o come quel rifiuto di Zabini.

Nott era pallido. Sapere dov’era Voldemort (Colui che non deve essere nemmeno immaginato) significava sapere dov’era Nott Senior. E di certo, non era stato prodigo di informazioni con il figlio, nell’ultimo periodo. Mandare una cartolina avrebbe, probabilmente, soltanto suggerito agli Auror a che putrido rifugio andare a bussare. E diciamocelo, dubito che i posti prescelti da Colui che è quasi sempre incazzato , alias l’Ossessionato Signore, vendano cartoline.

Comunque, manteneva intatto un perfetto autocontrollo. Anzi, sorrideva, senza la minima esitazione. Meditava sulle mie parole. «Hai ragione. Non possiamo... non puoi permetterti di fare passi falsi, Draco. Anzi, quelli dell’Ordine probabilmente ci staranno addosso. Cautela» e scandì quelle ultime parole mentre i suoi occhi vagavano per il prato, specie nella zona alle mie spalle, «è necessaria» disse, con voce pacata.

Mi voltai sentendo qualcuno avvicinarsi. Zabini, accompagnato da due idioti del quinto anno, la scopa sottobraccio, si avvicinava a noi. Probabilmente era uscito dal castello. Che strano, eppure frequentava Erbologia assieme a noi. saltava anche le lezioni, adesso?

Ci osservava, un’espressione curiosa dipinta sul volto. «Ma guardateli. Non riuscite ad attendere nemmeno la sera per dichiararvi il vostro amore» disse in tono di scherno. Alle sue spalle i due ridacchiavano come due ragazzine. Ehm. Davano i brividi.

«Zabini, perché non...» e la sequela di insulti, che Theodore sciorinò senza battere ciglio, ve la risparmio. Troppo colorita, e buon Dio, non sono una verginella impaurita.

«Volentieri. Con tua madre» ci gridò dietro lui, che non aveva rallentato e andava verso il campo da Quidditch. Evidentemente aveva deciso di saltare tutte le lezioni del giorno. Comunque, ci fissava ancora con intensità, tanto da farmi venire i brividi.

Nott lo ignorò, e assieme entrammo al castello. Dovetti mollare Nott, allora, per andare a recuperare la borsa al dormitorio. Avevo smesso di portarla ad Erbologia quando qualche idiota Tassorosso, una lezione, era inciampato finendo addosso ad una specie di cactus colmo di vescicole, che era esploso inondando tutte le mie cose di pus. Naturalmente, lo avevo conciato per le feste.

Così, arrivai in deciso ritardo alla lezione successiva. Ovviamente, visto che mi ero anche attardato a parlare con Nott. Spalancai la porta, e mi ritrovai  con una quarantina di studenti a fissarmi. Ninfa dora Tonks scosse i capelli rosa cicca e mi lanciò uno sguardo di rimprovero arricciando il naso all’insù. «Sei in ritardo, Draco».

Era mia cugina, eppure mi trattava sempre come se fossimo stati estranei. Non che fosse una parentela di cui vantarsi. Era di talento, abbastanza carina, ed era una Metamorfomaga, ma insomma, era una traditrice, e sposata con Remus Lupin!

«Mi scusi, professoressa» dissi, sarcastico, suscitando qualche debole accenno di risata dalla zona Serpeverde.

«Prego, accomodati» disse lei, ignorandomi come se fossi stato un Vermicolo, ed indicando, orrore degli orrori, un posto vuoto in terzo banco... accanto a Ron Weasley.

«Professoressa» dissi allora, con un ghigno. «Non posso sedermi accanto a Weasley. Non sta mai attento, mi distrarrebbe».

Il motivo per cui usavo quel tono poco rispettoso era che sentivo ancora gli occhi di tutti addosso, e volevo mostrare che non mi importava, che ero ancora quello di un tempo, quello che non aveva ragione di preoccuparsi, perché era ricco e influente, nonché ammirato. Ah, e non volevo stare accanto a Weasley, che alla sua sinistra aveva Potter e la Granger.

Altre risatine, un po’ più decise, si levarono dalle file in fondo. Weasley era scarlatto, soprattutto sulle orecchie, i pugni maldestri pallidi per la stretta con cui li teneva chiusi. Percepii i suoi due amichetti guardarmi, l’una con disprezzo, l’altro con... beh, meglio non definire il suo sguardo. Non era quello che sarebbe stato un paio di anni prima, ecco.

«Molto bene, Draco» disse Tonks, amabile. «Apprezzo molto il tuo interesse per le mie lezioni». Mi sorrise, e sentii un velo di inquietudine. «Hermione, fa’ cambio di posto con Weasley. Soddisfatto, Draco?». La Granger ubbidì in silenzio, ma con una smorfia di disgusto, tale e quale a quella che avevo io stampata in faccia.

Fulminai la donna con uno sguardo sdegnoso, mentre altri ridacchiavano – stavolta di me, non con me – e sbattei senza ritegno i libri contro il tavolo. Mi accomodai, rumorosamente, cercando di occupare più spazio possibile sul tavolo, senza toccare la sangue sporco (Rivoltante Reietta per i nemici stretti) che comunque fingeva di non essersi affatto accorta di me.

«D’accordo, riprendiamo la lezione. Come stavo dicendo, i Maghi Oscuri molto spesso non si limitano a lanciare fatture – alcune delle quali abbiamo già imparato a contrastare, benché su questo fronte abbiamo ancora molto da imparare – ma talvolta, se il talento lo consente loro, ne creano di nuove...».

Sfogliai il manuale senza troppa convinzione mentre Tonks pronunciava quelle parole, cercando inutilmente la pagina, e di sembrare indifferente alla sangue sporco. Anatemi... fatture... dove diavolo era?

«Spesso tali incantesimi diventano il marchio, la firma del mago oscuro, sicché la usano solo in determinate, speciali circostanze, e di conseguenza, essendo ignote ai più, sono difficili da contrastare...».

Sapete cosa era quasi incontrastabile? La mia noia.

Ancora non ero in grado di trovare la pagina. Lasciai perdere.

«Per alcune lezioni, ci focalizzeremo sulla maniera migliore per difendersi da tali sortilegi. Alla fine, benché non mi aspetto che siate in grado di...».

«Pagina 493» sentii qualcuno sussurrare. Mi voltai. La Mezzosangue mi guardava, con l’aria un po’ saccente e un po’ sprezzante. Tornai a voltarmi verso il libro, come se non la avessi sentita, ma feci come aveva detto. sottolineai due volte il titolo con la mia piuma d’oca.

«...insomma, ragazzi» disse Tonks, con l’aria stremata, «avete capito, no?».

Qualche mormorio di assenso.

«Benissimo! Allora, uhm...». Le poche lezioni che avevamo seguito avevano mostrato chiaramente che la professoressa Tonks non era brava nelle spiegazioni teoriche, che spesso si limitavano ad un breve discorsetto introduttivo imparato a memoria o composto prima delle lezioni. Preferiva la pratica, o degli esempi. «Qualcuno sa dirmi un esempio di incantesimo offensivo ideato da...».

Successe qualcosa di strano. La mano destra della Granger ebbe un mezzo scatto verso l’alto, tanto improvviso da spaventarmi. Mi voltai verso di lei, aprendo la bocca per protestare, ma la vidi esitare e lanciare un’occhiata veloce a Potter. Poi si voltò anche verso di me, condotta da chissà che pensieri, poi la stupida mezzosangue arrossì appena, e alzò la mano.

«Si, Hermione?» chiese Tonks, come sempre ringalluzzita. La deprimeva vedere che nessuno voleva rispondere alle sue dannate domande.

«Ehm...». La Mezzosangue si schiarì la vocetta stridula, prima di sussurrare: «Levi... levicorpus».

Potter si voltò a guardarla, e strinse i pugni, abbassando poi lo sguardo sul suo testo. Weasley si agitò sulla sedia, imbarazzato. La Granger sembrava a disagio. «Corretto!» disse invece Tonks, lo sguardo scintillante. «Molto bene, Hermione. Si, il levicorpus fu un incantesimo inventato da alcuni Mangiamorte, venti o trent’anni fa, e fu spesso usato da loro nel perseguitare i Babbani. Chi di voi è stato all’ultima Coppa del Mondo...» ma non la ascoltavo.  Alla parola “Mangiamorte”, quasi tutti mi avevano lanciato almeno un’occhiata.

Strinsi le dita contro il bordo del banco. Se solo avessero saputo... quello che era stato... cosa significasse... e quello che sapevo...

Percepii lo sguardo della Granger puntato su di me, e mi voltai di scatto a guardarla, con un’espressione feroce. Mi stava guardando con pietà, lei, una Mezzosangue, una sciocca, un’amica di Potter? Come osava?

«Bada agli affari tuoi, Granger» sibilai, minaccioso.

Lei arrossì di rabbia. «Com’è sentire parlare della tua ordinaria amministrazione, Malfoy?» sussurrò allora.

Arrossii anche io, e feci per replicare, quando la voce di Tonks  si levò tra le teste degli studenti.

«Chi di voi sarebbe disponibile come cavia?».

Un brusio sempre più forte si spanse per la classe. la donna sembrò quasi sperduta. «Io... naturalmente non siete obbligati» disse, e notai che i suoi capelli si facevano un po’ più scuri, forse per l’imbarazzo, o la delusione. «Mi chiedevo solo se qualcuno sarebbe disponibile, in maniera tale da mostrare ai suoi compagni in che cosa consista l’incantesimo».

«Lo faccio io».

Oh, merda. Non potevo averlo detto. Chi sei tu? che ne hai fatto di Draco Malfoy?

«Lo faccio io» dissi di nuovo, pigramente, come se mi fossi offerto di andarmene via. Mi alzai, senza pensare a niente, la mente vuota, il sangue che ancora ribolliva. Tonks spalancò gli occhi, e diversi pensieri scivolavano nei suoi occhi violetti. A che stava pensando?

Il brusio aumentò. Sentii la Mezzosangue sussultare appena mentre mi ergevo in tutta la mia  - non così imponente – statura. «Io... sei proprio sicuro, Draco?» fece Tonks, incerta.

Senza rispondere, mi avviai con passo ciondolante verso la cattedra, e mi voltai verso gli altri con tono di sfida e, forse, di scherno. Notai Nott osservarmi con aria circospetta, un sorriso leggero che significava pericolo. Fingeva che non gli interessasse e da lì si poteva capire che era guardingo, e attento. Poco dietro di lui un gruppo di Serpeverde, tra cui la Parkinson e Zabini, sussurravano tra di loro. Ernie come diavolo si chiamava, quello di Tassorosso, sembrava aver preso una botta in testa.

«Ehm... d’accordo. Molto bene, Draco» fece Ninfadora, incerta, nel tentativo di essere incoraggiante. «Vieni, spostati qui... bene... così che tutti possano vedere... eccellente. Ora...». levò la bacchetta. Tutti erano concentrati sulla bacchetta, o sul mio volto beffardo, compreso quello – irritantemente sconcertato – della stupida Mezzosangue Granger. Il silenzio che era calato era tombale.

«Levicorpus» scandì la professoressa, e senza preavviso, mi sentii afferrare per una caviglia e tirare di scatto verso l’alto. Non gridai solo perché nel battere i denti a causa dello strattone mi ero morso la lingua. In breve, mi ritrovai appeso a testa in giù di fronte a tutti quanti, e ringraziai che da qualche anno sotto alla veste si portassero i pantaloni, se richiesto. Sentii un coro di “ooh” o “aah” di stupore e interesse.

Inutile dire che non avevo capito, preso com’ero dalla rabbia, in che cosa consistesse l’incantesimo, fino a che non mi ero trovato a oscillare a testa in giù davanti a quaranta o più ragazzi che mi fissavano a bocca aperta. Cercai di ricompormi. Avevo visto di peggio. Avevo...

Visto. Già, avevo già visto corpi ciondolanti sul soffitto, come me, o galleggianti come morti sull’acqua. Avevo visto babbani torturati in quella stessa posizione, prima di... beh... morire. Le immagini del mio sogno di pochi giorni prima  affiorarono, ma le scacciai subito. Era solo un gioco. Nessuno poteva ammazzare qualcuno solo perché... era Purosangue.

«Come potete vedere» diceva intanto Tonks, «con il Levicorpus il mago si trova ad avere nelle sue mani la vittima, costringendola con un laccio invisibile in una posizione umiliante e di impotenza». Cominciavo a sentire il sangue andare alla testa, perciò non potevo non essere d’accordo. «Può sembrare inoffensivo, ma non dobbiamo dimenticare, che anche la tortura psicologica è una tortura. Umiliare, ferire le persone, non è meglio di ferirle fisicamente o Cruciarle. Accanirsi, isolare, odiare, disprezzare, discriminare... sono forse le armi più potenti che può avere il nostro nemico».

Non riuscivo a concentrarmi, perché sentivo la testa esplodere.

«Liberacorpus» disse solo allora Tonks, e ricaddi a terra, non molto dolcemente.

C’era ancora silenzio. Tonks mi permise di andare a posto e mi assegnò addirittura quindici punti per il “coraggio” da me dimostrato. Quando tornai a sedermi, tutti mi fissavano. Bene, bene. Nessun Malfoy si sarebbe fatto appendere volontariamente in aria come un prosciutto, ma a mia discolpa, faccio presente che non avevo saputo in che cosa mi andavo a cacciare. Del resto, non sapevo cosa mi avesse spinto ad offrirmi per un qualsivoglia esperimento.

Né volevo saperlo. Negazione e fuga da sé erano le prime regole sentimentali di un Serpeverde per bene, notoriamente.

Mentre Tonks spiegava l’esatta composizione dell’incantesimo, pensai alle parole da lei pronunciate. Mi chiesi se non le avesse per caso dette, riferendosi al comportamento degli altri nei miei confronti, ma non volevo pensarci. Non volevo sentirmi in debito con una Traditrice.

La Granger continuava a lanciarmi occhiatine di sbieco, ma feci finta di non accorgermene. Forse – ma non voglio dirlo. Non avrei mai ammesso, mai e poi mai, che forse non ero proprio l’unica vittima.

 

SPAZIO DELL’AUTRICE

Mi devo scusare per la poca regolarità. Di solito posto ogni domenica, o al massimo ogni due, ma Colei che non deve essere nominata (leggi: maturità) è viva e avvelena la mia esistenza. -.-“ comunque, ho postato con tre giorni di ritardo, ma perdonatemi!

Sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, visto che i personaggi cominciano a muoversi. Il prossimo, attualmente in fase di preparazione (già, non scrivo mai nulla in anticipo, ah ah ah -.-“) sarà ricco di avvenimenti legati alle avventure dei nostri protagonisti. Nel frattempo vediamo Draco che, non rassegnatosi ancora alla sua realtà di misero reietto, da una parte si rende odioso come al solito, dall’altro viene preso da un raptus folle, trasformandosi in salame ciondolante...

Hermione, che non ha avuto granché da dire questo capitolo, rimane furiosamente preoccupata, e ne ha tutte le ragioni! E forse, in un prossimo futuro, avrà anche da scontrarsi direttamente con le sue gelosie!

Un breve cenno, come sempre, sul titolo del capitolo. “Soaring across humiliation” significa, più o meno, “Planare attraverso l’umiliazione”, con chiaro riferimento agli episodi imbarazzanti del capitolo.

Infine, voglio far presente che eventuali incongruenze non sono casuali, ma verranno spiegate più avanti. Spero anche che abbiate apprezzato il fatto che, ad insegnare Difesa Contro le Arti Oscure, sia capitata Tonks, anche se sappiamo che non potrà durare più di un anno...

Ho anche cambiato un paio di cose nel capitolo precedente... incapacità di ricordare o di distinguere i nomi, ah ah ah -.-“

Per il resto, vi invito a Recensire, se volete, per aiutarmi a migliorare e farmi sapere se giudicare realistica / bella /passabile / disgustosa /indifferente la mia storia. Grazie a chi lo ha già fatto, a chi segue, inserisce tra le preferite e le ricordate le mie storie – anche se non riesco più a ringraziare singolarmente – e anche a chi legge almeno un po’ distrattamente queste pagine! Sto provvedendo a cambiare il layout di pagina per rendervi la lettura più agevole!

Grazie ancora a tutti. Ciao ^.^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Buried secrets ***


«D’accordo. Ripassiamo ancora una volta» dissi, rigirandomi tra le mani il mantello pesante. «Tanto per essere sicuri, ok?».
«Andiamo, Hermione. Non siamo stupidi. Cosa vuoi che ci sfugga?» mi chiese Ron, con una smorfia sofferente, rigirandosi tra le mani un Freesbee Zannuto che aveva rubato ad uno del secondo anno. Glielo strappai di mano, sdegnata.
«Allora comincia tu, Ron» lo incoraggiai, con disdegno.
«Certo» disse lui, annuendo. «Usciamo dal castello, ridendo e ciarlando come normali studenti dell’ultimo anno alla ricerca di una distrazione dallo studio...» un attimo di pausa, durante il quale mi fissò, forse sperando di intuire dal mio viso impassibile se stesse dicendo qualche scempiaggine. «...facciamo un giro da Mondomago, e non appena vediamo che la via è libera, ci infiliamo sotto il mantello...». nuova pausa, altra – vana – occhiata. «Andiamo alla Stamberga, ci Materializziamo a Grimmauld Place, facciamo quella che dobbiamo fare, e in men che non si dica torniamo al villaggio». Sospirò, soddisfatto di sé.
«Hai dimenticato un particolare importante, Ron» dissi, sprezzante.
«Che sarebbe?» fece lui, scocciato.
«Che cosa pensi che dirà la gente quando non ci vedrà da nessuna parte?» dissi, alzando gli occhi al cielo.
«Mmh... un bel niente, suppongo. Non è che prestino tanta attenzione ai dettagli, no?».
«Ronald Weasley, sei un idiota. Solo perché tu non ti accorgi che...».
«Hermione, ti prego» fece Harry, piuttosto di malumore.
«Oh, d’accordo». Sbuffai, incrociando le braccia al petto con superiorità. «All’ultimo minuto ci inventeremo che la  professoressa McGranitt vuole vederci, così tutti crederanno che torniamo al castello. Soltanto allora potremmo filarcela».
Ron borbottò qualcosa che somigliava terribilmente ad un “paranoica”, ma sapevo di avere ragione. Non che sperassi di avere qualche tipo di sostegno da parte di Harry, che dal momento in cui ci eravamo preparati a partire era caduto in un silenzio meditabondo. Sospirai. «Andiamo, prima che si faccia tardi».
Scivolammo fuori dal buco del ritratto, e pochi minuti dopo eravamo in fila dinnanzi al portone, aspettando il nostro turno perché Gazza ci perquisisse con la sua celebre Sonda Sensitiva. Ron, memore dell’ultima volta in cui aveva osato fare commenti in proposito, rimase coscienziosamente in silenzio mentre veniva minuziosamente controllato dall’arcigno custode. Harry a malapena si accorse di subire lo stesso trattamento. Io mi sottomisi senza protestare, e ci allontanammo in silenzio, superando un gruppetto di ridacchianti Serpeverde, una delle quali sussurrava qualcosa all’orecchio di Blaise Zabini.
Oh, insomma. Neanche l’attuale stato di amici dei Grifondoro – al quale, comunque, nessuno credeva – impediva loro di spettegolarci alle spalle. Ci osservavano con curiosità quasi morbosa e rimpiansi di non avere già indosso il Mantello.
Subito davanti a me c’era Padma Patil. Mentre stavo ancora voltata all’indietro, le pestai accidentalmente un calcagno. Lei si voltò, aprì la bocca per protestare, fissandomi – e vidi la sua pelle dorata assumere una tinta più scura. Improvvisamente in imbarazzo, scoccò un’occhiata veloce al mio volto, ed una feroce a Ron – memore, probabilmente, della sua pessima esperienza al Ballo del cenno. Poi accelerò il passo e si allontanò, a braccetto con la sua amica Corvonero dai capelli a caschetto neri.
Accidenti. Com’è che tutti avevano reazioni bizzarre, oggi?
Varcammo i cancelli di Hogwarts a breve, e percorremmo il tragitto che conduceva al villaggio chiacchierando svagatamente – principalmente grazie a me, visto che Ron era più goffo del solito, e Harry quasi incapace di parlare. Sapevo che quelli attorno cercavano di origliare, quindi parlavo in un tono di voce normale, quello di chi non ha nulla da nascondere.
«Oh, Harry, ricordami di prendere quella penna d’oca,quando arriviamo da Mondomago» dissi, a voce appena più alta, quando Nott ci sorpassò velocemente senza degnarci di un’occhiata. Lo vidi, parecchio più avanti, parlare con un ragazzo dall’aria meschina che non avevo mai visto.
«Ho proprio voglia di una Burrobirra» esclamai, nonostante niente mi fosse più sgradito dell’idea di condurre Ron ai Tre manici di scopa, quando vidi Lavanda e Calì due file davanti, ridacchianti e giulive. E lo ripetei una seconda volta nello scorgere poco lontano McLaggen.
«Hermione» sospirò Ron. «Sei una pessima attrice».
«Oh, ma sta’ zitto» dissi, arrossendo. «Non è che tu stia facendo granché per aiutarmi, sai, e per quanto riguarda Harry...».
«Eh? Cos..?» fece quest’ultimo, con l’aria di chi stava dormendo.
Sospirai di nuovo. A volte mi sentivo una baby sitter, più che un’amica. E se proprio volete saperlo, ero anche stufa di essere l’unico barlume di sensibilità e buonsenso femminile nei dintorni. Insomma, passavo tutto il mio tempo tra i libri, o assieme a loro. Perfino Ron aveva frequentato Lavanda, mentre io... beh, non conoscevo nemmeno molta gente, a dire il vero.
«In ogni caso» dissi, pensierosa, «spero di aver portato soldi a sufficienza. Devo davvero fare rifornimento a Mondomago».
«Mondomago?» sentimmo alle nostre spalle. Ci voltammo, e scorgemmo Neville accostarci, il viso rubicondo e paffuto disteso in un sorriso. Se la passava bene, nonostante fosse preoccupato per la nonna latitante. Insomma, dopo la battaglia di Hogwarts, tutti lo guardavano con un rispetto anche maggiore rispetto a quando aveva partecipato alla nostra – ehm – diciamo, spedizione al Ministero, più di un anno prima.
«Già» dissi con cautela.
«Sapete, anche io devo fare degli acquisti da Mondomago» ci informò allegramente, affiancando Harry, e sfregandosi le mani intirizzite con aria gioviale. «Non vi dispiace se mi unisco a voi, eh? Sapete, ci sono un paio di Cesoie che...».
«Ehm, ecco...» pigolai, nello sforzo di elaborare una scusa geniale che gli impedisse di seguirci. Naturalmente potevamo farlo venire con voi, ma c’era il rischio che, nel dichiarare che dovevamo tornare al castello, decidesse di ritornare a sua volta.... scambiai con Ronald una occhiata angosciata.
Mentre cercavo di partorire un’idea geniale che ci salvasse da quell’inconveniente, udimmo in lontananza un frastuono di voci concitate. Allarmata, alzai lo sguardo. C’era una piccola folla radunatasi all’estremità del villaggio, e parecchi studenti osservavano qualcosa, scambiandosi sguardi colmi di disagio o sussurrando qualcosa. Qualcuno parlava ad alta voce. A sovrastare il frastuono, delle grida.
«Per l’amor del cielo» esclamò Ron, perplesso. «Che diavolo..?».
«Venite» disse Harry la mano infilata sotto il Mantello dove, probabilmente, teneva la bacchetta. Quando fummo sufficientemente vicini, scorgemmo qualcosa di inaspettato. Nott e Zabini stavano al centro dell’anello formato dagli studenti, e se le davano di santa ragione. Nessuno delle altre Case sembrava sicuro sul da farsi. Qualche Serpeverde, tra cui anche Pansy Parkinson, assistevano alla scena, turbati, senza però intervenire. Naturalmente. Stupidi Serpeverde. Tra questi c’era anche Malfoy, che però sembrava essere appena arrivato assieme a Mcnair, e che dalle ultime file sembrava non credere ai propri occhi. si riscosse, e si fece largo a gomitate tra la folla.
«Nott» chiamò, afferrando l’amico per il braccio. L’altro si liberò con uno strattone. «Stanne – fuori!» ruggì questi, alterato. «Voglio mettere a tacere questo vile – una volta per tutte».
«Non puoi fare a botte in un luogo del genere, idiota!» ringhiò Malfoy, facendo un nuovo tentativo per trascinarlo via. Una gomitata sullo sterno lo lasciò senza fiato. «Ho detto – STANNE FUORI!» ruggì Nott, con rabbia, eppure mai tanta come quella dimostrata da Zabini. Questi schiumava rabbia, e nonostante non sembrasse essere in vantaggio, lottava come una furia.
Nel frattempo Malfoy si era trascinato al bordo della folla, che come per magia si dischiuse per lasciarlo passare. Con una sequela di improperi irripetibili tornò da McNair, ma dal suo viso intuivo che avrebbe indagato. Diavolo, lo avrei fatto anche io.
Neville sembrava terrorizzato, ed incerto se fosse il caso o meno di fare qualcosa. Alla fine scosse il capo. «Vado a chiamare Dean e Seamus» disse alla fine, verosimilmente perché assistessero allo spettacolo. In fondo, chi non avrebbe voluto assistere alla lotta tra due Serpeverde inviperiti?
Così sfrecciò via, e decisi che quella sarebbe senza dubbio stata l’occasione migliore per filarcela a nostra volta. Sussurrai “andiamo” a Harry e questi fece un cenno a Ron, e tutti e tre sgattaiolammo via prima che qualcuno potesse accorgersi della nostra assenza.
Dietro l’angolo, in un vicolo deserto, Harry estrasse il Mantello. Dovevamo camminare ingobbiti affinché i piedi non sporgessero, ma scegliemmo contrade poco frequentate e nessuno ci notò, o almeno così speravo.
Dieci minuti più tardi eravamo al sicuro nella Stamberga Strillante. Devo ammettere che non si tratta del posto più confortevole del mondo, almeno a mio parere, e non posso dire di avere ricordi piacevoli connessi a questo luogo. In ogni caso, era più che sufficiente per Smaterializzarci senza che nessuno ci vedesse, o udisse. Era per quello che non avevamo voluto farlo in strada.
Harry si guardò attorno con aria estremamente cupa. Lo capivo. Era qui che, più di tre anni prima, avevamo incontrato Sirius per la prima volta. Era qui che aveva creduto, per un istante, di aver ritrovato una famiglia. Ricordavo di aver aggredito Piton quando questi aveva minacciato Sirius e Remus con la bacchetta. Riuscivo ancora a sentirmi, strillare, “Abbiamo aggredito un professore, abbiamo aggredito un professore!”. Com’era, che tutto questo sembrava così lontano?
Forse tutto questo cominciava ad essere troppo.
Beh, in ogni caso, non avevo scelta. No?
«Harry?» sussurrai, posandogli la mano sulla spalla. «Io... credo che dovremmo andare».
Lui annuì, stancamente. Gli sorrisi, e lui fece una smorfia di rimando. Presi a braccetto sia lui sia Ron (“Non farmi spaccare, eh!”), e , chiudendo gli occhi, e ricordando le tre D, eseguii per la prima volta una Smaterializzazione Assistita.
Quando arrivammo a destinazione. Ron si tastò il petto, incredulo. «Whoah! Hermione, sono tutto intero! Sei una forza». Arrossii, mio malgrado, mentre Harry si spazzolava via la polvere dal vestito. La casa era lì, di fronte a noi, con il suo stile Vittoriano che mi ricordava l’omonima regina della quale la mia bisnonna, quando era ancora viva, mi aveva raccontato qualche volta.
Harry si avviò risoluto verso la porta, girò la maniglia – che cedette senza problemi sotto le sue dita – e entrammo, nel più assoluto silenzio. Senza proferire parola puntai la bacchetta verso il ritratto coperto dalle tende che stava nell’ingresso, scavalcando mentre lo facevo il portaombrelli ricavato da una zampa di troll, e usai il Muffliato.
«Da che parte cominciamo?» chiesi poi agli altri due. Ron sobbalzò e fece un mezzo strillo, poi si voltò ansiosi verso l’incantevole mamma Black, che però stava sempre dietro le tende, in silenzio. lo guardò, perplesso. Emisi un verso frustrato, gli occhi al soffitto. «Ho usato il Muffliato».
«Giusto» borbottò lui, le orecchie rosse.
«Non perdiamo tempo» ci esortò Harry. Assieme, procedemmo verso la porta del salotto. Mentre lo facevamo, mi chiesi se qualcuno dell’Ordine, o magari Kreacher, venisse mai a riordinare. Lo sporco e la polvere che vedevo sui pochi oggetti del corridoio non sembrava di due anni.
Dopo un paio di passi, comunque, ci arrestammo, sentendo un fruscio... beh, semplicemente inquietante. Estrassi la bacchetta e la puntai davanti a me. La polvere e lo sporco sembrarono sollevarsi, e turbinare al centro dello spazio angusto che ci stava di fronte. Ron, accanto a me, imprecò. Harry era pronto a lanciare un qualche incantesimo.
All’improvviso sentii un freddo glaciale accarezzarmi come una mano lasciva, e la lingua attorcigliarsi come per rifiutarsi di farmi emettere un suono.
«Severus Piton?» sussurrò una voce... familiare. Una voce calda, che non avremmo dovuto sentire più. Provai a pronunciare il suo nome, ma era difficile perfino pensare di parlare. Accanto a me sembrava che Ron fosse in preda a conati di vomito. Infine, il turbine di sporco si dissolse... e davanti a noi stava, come se fosse spuntato dalla moquette consunta, la figura polverosa e lacera di Albus Silente, i cui occhi vitrei erano fissi su di noi senza vederci.
«Pro...» balbettò Harry. «Sciledde!» biascicò Ron, terrorizzato. Io avevo il cuore in gola, rischiavo di sentirmi male, e sentivo, cosa assurda a dire il vero, le lacrime agli occhi. la figura levò una mano putrida, come per toccare Harry, che teneva gli occhi sgranati, ed indietreggiò di un passo.
«No!» strillai, con forza. «Professore, non lo faccia!». Fare cosa, con esattezza? Non lo sapevo, ma era una di quelle frasi che dicono tutti, quando vedono qualcosa fare qualcosa a qualcuno. Certo, non tutti vedono il proprio Preside morto che cerca di... beh, fare qualcosa. Non ve lo auguro.
Questo riscosse Harry, quale che fosse stato il motivo della sua reticenza. «professor Silente...».
«Severus Piton?» sussurrò la cosa, che di certo non era Silente.
«Professore,non non siamo Severus Piton! Nessuno di noi è Severus Piton!».
Ma la cosa tentava ancora di toccare Harry, le sue dita avvizzite protese verso il suo collo. Vidi Harry deglutire. «Stupeficium!» gridai, verso l’immagine atroce che cercava di imitare Silente. L’incantesimo lo oltrepassò, come se fosse stato un fantasma. La cosa si voltò verso di me.
Sapevo di che cosa si trattava. Era l’incantesimo di Moody contro Piton. Solo che, qualunque cosa fosse l’incantesimo, Piton lo aveva oltrepassato indenne. Fantastico, morire per mano di un fantasma che il tuo untuoso nemico ha schivato senza battere ciglio.
Tremavo. Non che volessi propriamente scappare – non lo avevo fatto in situazioni peggiori – ma che diavolo, concedete un po’ di sana paura ad una ragazza! La cosa era sempre più vicina. Sentii Ron dire il mio nome, anche se non riuscivo a vederlo, perché era proprio dietro all’essere che mi stava di fronte, e che faceva per toccarmi...
«Pro...professor Silente...» mormorai. «Lei... non siamo noi, quelli che deve combattere. È Piton... quello che l’ha uccisa...».
A quella parola, la cosa sussultò, ed infine esplose in una nuova di fumo e polvere. Tossii, stropicciandomi gli occhi con le mani tremanti, cercando di recuperare la vista. Sentivo una gran voglia di piangere. Mi lasciai cadere a terra, sentendo il cuore ancora troppo veloce nel petto, ed una improvvisa  stanchezza, come se avessi appena smesso di correre.
«Tutto... tutto bene?» fece Harry, dall’altra parte del corridoio.
Annuii. Non sapevo se avevo o meno voce.
«Dannazione. Che diavolo era, quella cosa?» disse Ron, alterato.
«Una trappola per Piton». Dissi io. «Hominum Revelio!». Non accadde nulla. eravamo soli.
«Ordinaria amministrazione, quella di inventare trappole che tentano di fare fuori i propri alleati!» commentò lui, con un certo disprezzoo.
«Non sapevano che sarebbero venuti. Malocchio ce lo avrebbe spiegato» dissi io, paziente.
«Venite» disse Harry. Lo seguimmo su per le scale fino all’ingresso del salotto. Harry sospirò, poi agì, spingendo piano la porta con una mano, la bacchetta pronta nell’altro. Con cautela, si sporse nella stanza. Lo vidi irrigidirsi. «Cosa... cosa c’è?» chiesi, esitante. Per tutta risposta lui aprì del tutto la porta ed entrò. Lo seguimmo, trovandoci di fronte ad uno spettacolo desolante.
Ogni cosa era fuori posto. I rivestimenti dei divani erano stati squarciati e l’imbottitura pendeva in più punti. Da uno dei cuscini proveniva un ronzio che somigliava in maniera sospetta a quello di un nido di Doxi, che doveva aver approfittato della nuova, comoda tana a disposizione non appena possibile. Degli oggetti che erano stati nelle vetrine e sui mobili, rimaneva ben poco. Molti si erano infranti sul pavimento, a fare compagnia ad alcuni piatti e a qualche bicchiere di cristallo, i libri erano stati accatastati in malo modo sul pesante tavolo intarsiato, mezzi aperti, alcuni con le pagine piegate a causa del volume soprastante. Una sedia era sovesciata a terra.
«Che diavolo..?» fece Ron, allibito. Fece un passo verso il tappeto che copriva gran parte del pavimento. «E’ stato Piton a..?».
«Si» disse Harry, laconico. «E probabilmente, se c’era qualcosa qui dentro, l’ha trovata».
«Non credo che si sia limitato a frugare in questa stanza» obiettai io. In quell’istante, il mio sguardo fu attirato da un particolare inquietante. «Che cosa c’è, Hermione?» fece lui. Scossi il capo, e senza rispondere mi avvicinai al grande arazzo dove era rappresentata la grande casata Black. Dove avrebbe dovuto esserci Sirius c’era un buco, bruciatura che sua madre aveva fatto anni prima, quando Sirius le si era ribellato. La bruciatura, però, che prima si limitava a deturpare fino a rendere illeggibile la sagoma di Sirius, adesso mostrava un cerchio completamente carbonizzato. Lo sfiorai con un dito.
Harry, accanto a me, strinse il pugno. «Piton» sputò, come se già il nome fosse stato un’offesa.
«Si» mormorai, il cuore gonfio di tristezza. «Piton». Severus Piton aveva cancellato completamente Sirius Black dalla sua Casata. Il suo ultimo atto di disprezzo per il suo antico nemico morto.
Esaminai ancora un’altra volta gli altri nomi, sfocati per via delle lacrime che mi appannavano la vista e che mi affrettai ad eliminare. Tutti quei volti erano... beh, così seri. Sotto ad un’altra bruciatura lessi “Andromeda”, la cugina di Sirius. Le altre cugine, Bellatrix e Narcissa Black, stavano tronfie ed orgogliose come sempre. Già, avevo scordato che Sirius era stato imparentato con loro... pensare che era cugino di Bellatrix, e che era stato lei ad ucciderlo, mi fece stare male. Avrebbero dovuto essere una famiglia, no? I Black, i Lestrange, i Malfoy...
Mi voltai appena verso Ron. Anche lui, anche se aveva scelto un’altra via, era imparentato con loro. Anche Harry, visto che i Potter erano Purosangue. Era chiaro che non ci avevano mai nemmeno pensato, ma quella sarebbe dovuta essere quasi una sorta di famiglia, anche per loro...
Ed invece non lo erano. Pensai a Malfoy, alla maniera in cui si indirizzava verso di loro, come se fossero stati spazzatura. Si, d’accordo, magari era una parentela di quarto, o di quinto grado, ma proprio loro, quelli che al sangue davano importanza fino all’ossessione, come potevano non essere consapevoli della enorme follia dell’ignorare quel legame?
Guardai il fratello di Sirius. Era stato un Mangiamorte perfino lui. Chissà se lui e Sirius avevano mai litigato per questo? Probabilmente, anzi, sicuramente si, altrimenti Sirius non si sarebbe sentito così solo.
Regulus Arcturus Black...
Reg...
Oh, cavolo.
«Harry» dissi, con voce stridula.
«Che c’è?» mi chiese lui. Si stava avviando verso la porta.
«RAB» sussurrai.
 
Certo che avevo visto la stupida Banda Potter. Difficile NON vederla, mentre, furtiva quanto un drago alto dodici metri, si avviava verso una strada laterale. Dimenticati per un istante i due Serpeverde che lottavano, avevo persino provato a seguire i tre imbecilli, ma quando avevo girato l’angolo dovevano già essersi infilati sotto a quel loro Mantello dell’Invisibilità.
Non avevo dubbi su quello che stavano facendo. Sicuro come l’oro, c’entrava con Potter e con la sua visione. Avrei dato qualunque cosa – perfino scambiarmi con la Granger per un paio d’ore – per sapere la verità su di loro. Non finiva  qui, decisi.
Così fui costretto a tornare sui miei passi, e scorsi da lontano Zabini che, seguito dalla Parkinson Piagniucolante (P.P. per ex ... beh, frequentanti) e da un paio di altri viscidi Traditori del loro sangue, si allontanavano. Zabini zoppicava appena. Nott era sparito.
Per quanto riguardava me, pensai che era un’ottima cosa. Non avevo digerito come mi aveva trattato, e non volevo vedere nessuno, anticipando come facevo le occhiate di scherno che ne sarebbero seguite. Ne approfittai quindi per dare una gomitata a Mcnair, che non mi aveva visto e sembrava cercarmi con lo sguardo.
«Io vado» borbottai, e lui annuì appena, apparentemente ancora scosso. Cristo santo. Orgoglio ed ambizione erano le cose che, mi risultava, erano tipiche di un Serpeverde. La codardia era solo un effetto collaterale del quale quasi tutti soffrivano. Perché diavolo era Serpeverde, Mcnair?
Si, lo so, ve l’ho già chiesto. Non ditemi che non avete anche voi qualche perplessità. In certi casi, le scelte del Cappello Parlante mi risultavano – e risultano – incomprensibili.
Comunque mi avviai nuovamente verso un luogo tranquillo. Quando lo trovai, senza esitare mi Smaterializzai.
Il vento era freddo ed il mare sembrava anche nell’aria. Vi sembra poetico? Certo, se non vi trovate come me fradici e congelati. Cristo. Mi trovavo sul margine della riva spigolosa, una ventina di metri di strapiombo prima del mare, e qualche scoglio aguzzo che in questi casi non può mancare. E dovevo ringraziare che i Dissennatori fossero stati liquidati dopo che quelli del Ministero avevano “scoperto” che preferivano la compagnia dell’Oscuro Signore alla loro. Già, chi mai avrebbe potuto sospettare che viscide creature che si nutrivano di disperazione non preferissero i buonisti mollaccioni del Ministero ad un ombroso Signore Oscuro che torturava e umiliava i suoi stessi seguaci e progettava di sottomettere l’Inghilterra – ed il Mondo – alla sua volontà?
Idioti.
Fingendo di non essere congelato fino al coccige, mi avviai impettito verso la porta della enorme fortezza che vedevo di fronte a me. Non si vedeva nessuno, verosimilmente perché gli esseri  umani, a differenza dei Dannati Dissennatori (D.D. per tutti coloro che sono lieti di sfotterli non essendo sotto le loro grinfie) non amano gelarsi anche le orbite nella assai remota eventualità che qualcuno si presenti per far evadere qualcuno.
Esitai per un istante prima di bussare, mentre cercavo di ricomporre i miei lineamenti congelati ad una maschera impassibile. Ero certo che, una volta che l’avessi assunta, non avrei più dovuto preoccuparmi. Non credevo di riuscire a muovere qualunque parte del mio viso, dopo. Mi chiesi se l’interno della fortezza disse più caldo, e sperai di si. Mia madre è sempre stata delicata di salute, sapete. Per un periodo, quando era bambina, avevano addirittura pensato di non mandarla a scuola.
Insomma, alla fine bussai sperando che la mia mano ormai ridotta ad una palla di neve non si sbriciolasse sulla pesante porta rinforzata da acciaio ed incantesimi. Attesi qualche secondo, impaziente. Infine uno spiraglio, come una finestrella, si aprì. Un paio di occhi neri facevano capolino. «Nome, e motivo della visita» disse, in tono gelido. Ehi, a qualcuno si erano gelate le palle, eh?
«Il mio nome è Draco Malfoy» dissi, aristocratico. «Sono qui per vedere Lucius e Narcissa Malfoy». Se non mi fossi gelato prima. Non potevano controllarmi dentro la dannata fortezza? Il tizio, chiunque fosse, tacque. Richiuse lo sportellino, e per un attimo temetti che fosse andato chissà dove, a cercare conferma della mia idoneità, lasciandomi a morire assiderato fuori. Trascorse effettivamente quasi un minuto, prima che il portone si spalancasse – nel più completo silenzio, nonostante la sua mole e l’età. Scivolai nello spiraglio che mi era stato lasciato, e sentii la porta richiudersi.
Mi trovavo in una saletta piccola e assolutamente fuori luogo. Una sorta di sala d’attesa, incredibilmente calda – le mani prima congelate bruciavano – e piena di poltroncine rosse. Di fronte a me stava una porta spalancata, e sulla soglia l’uomo che mi aveva fatto entrare mi aspettava. Mi fece cenno di seguirlo ed entrai in quello che doveva essere l’ufficio di controllo, una stanza piccola e molto organizzata, ricolma di scaffali e schedari.
«Ci scusi» disse l’uomo. «Controlli di routine. Da quando non ci sono i Dissennatori, la nostra sicurezza è dovuta aumentare». Notai che mi fissava, piuttosto inquieto. Doveva aver sentito parlare di me, o almeno dei miei. Magnifico.
«Capisco» dissi, sforzandomi di essere gelido come il vento che mi ero appena lasciato alle spalle.
«Desidera qualche cosa di caldo? Abbiamo del Whisky Incendiario per i visitatori» disse lui, con l’aria di chi non avrebbe affatto voluto chiederlo. A quelle parole, mi sentii una grande nausea addosso. Dopo la mia stupida ubriacatura, anche solo sentirne parlare mi provocava dei conati. «No, la ringrazio» dissi, estraendo la bacchetta. Con la coda dell’occhio lo vidi irrigidirsi, ma mi limitai ad asciugarmi i vestiti con un semplice incantesimo (non-verbale, cosa che mi rese molto orgoglioso di me, e contribuì a farmi sembrare un uomo di mondo).
«La bacchetta... non può portarla nella zona riservata ai prigionieri» mi disse, teso, con un colpo di tosse educato.
Mi voltai a fissarlo, indignato. «Sono consapevole delle norme relative alla sicurezza. Non vorrà insinuare che io voglia compiere un anno illegale».
«certo che no!» si affrettò a ribattere l’altro. Alla faccia sua. Dopo averla richiusa nel suo fodero di velluto, consegnai la mia bacchetta all’insopportabile Auror, e mi sentii subito nudo ed indifeso, possibile vittima di qualsiasi schermaglia venisse loro in mente di portare avanti.
L’uomo (leggi: l’idiota) sistemò la bacchetta in un apposito vano numerato e mi consegnò una targhetta con il numero corrispondente. Infine mi fece cenno di precederlo lungo un corridoio, dove la temperatura era abbastanza bassa per rimpiangere di aver lasciato il Mantello nell’altra stanza.
Mi condusse lungo diversi passaggi, e sfilai davanti a numerose celle. In più di una vidi facce a me familiari, quelle dei mangia morte, che non più tenuti a freno dalla presenza di Dissennatori tenevano il viso premuto contro le sbarre e mi fissavano con rabbia, o con una sorta di avido desiderio – di cosa, non lo volevo sapere – ma io finsi di non curarmene nonostante il mio cuore battesse all’impazzata. Più di qualcuno mi gridò dietro qualcosa, ed io accelerai il passo, deciso a non prestare loro alcuna attenzione. Qualcuno aveva un’aria supplichevole; molti erano solo ragazzi della mia età, che avevo visto ben poche volte, perché erano stati reclutati da poco quando il Signore Oscuro era stato respinto.
Chissà come, mi tornò in mente quando, un paio di giorni prima, mi ero offerto come cavia per il levicorpus. Qualcuno di loro lo aveva praticato, qualcuno aveva anche ucciso le proprie vittime dopo averci giocato. Traditori. Babbani. A quella parola, naturalmente, l’immagine della Granger seguì.
Ricordai, chissà come, quella volta che alla Coppa del Mondo li avevo incontrati mentre fuggivano dagli Incappucciati che, sciocchi com’erano, avevano stregato dei Babbani. La Granger mi aveva chiesto se anche mio padre era tra loro, ed io l’avevo sbeffeggiata. Naturalmente, ancora non avevo saputo che cosa significasse tutto quello. Un’altra immagine, quella della Granger fluttuante in aria, come quella professoressa di Babbanologia che avevo visto morire implorando Severus Piton di salvarla. Non mi diede piacere, anzi, mi fece sentire.... insicuro.
Mi sforzai di non pensare. Mi sforzai di pensare che comunque, finché era la Granger, era tanto di guadagnato. Però non ci riuscii. Perché vedendo tutti quei volti consumati e distorti in smorfie grottesche, pensavo alla sua sciocca espressione mentre penzolavo a testa in giù come cavia, un volto qualunque vagamente inorridito, vagamente spaventato, e pensavo che perfino lei, che mi disgustava tanto, sembrava più umana. Argh. Qualunque confessione relativa alla Granger – e diciamocelo, considerarla un po’ più umana di uno di quegli avanzi di galera non era dire poi molto, in verità – faceva male.
«Ci siamo» fece all’improvviso l’Auror, facendomi sobbalzare. Ci stavamo avvicinando alla cella dove erano richiusi i miei genitori.
Senza più prestargli attenzione accelerai ancora il passo, fino a portarmi presso le sbarre, attorno le quali strinsi le mie mani pallide. All’interno c’era un letto con pesanti tende a baldacchino, due poltrone, due bauli contenenti degli effetti personali, uno specchio contro una parete, e una pila di libri accatastati contro la parete, che a giudicare dallo strato di polvere dal quale erano ricoperti non erano stati adoperati granché per riempire la solitudine.
Ah, si. C’erano anche i miei genitori. Mia madre era stesa sul sofà, languidamente sonnecchiante. Mio padre teneva in mano un libro – dunque qualcuno veniva davvero usato! – e lo sfogliava svogliatamente sulla poltroncina (che aveva l’aria di provenire dalla sala d’attesa). Era un ambiente piuttosto tetro, e squallido, per quanto fosse una reggia in paragone alle altre. Del resto, i Malfoy non erano ancora feccia. O forse si?
«Madre! Padre!» esclamai, in tono appena patetico, sforzandomi di contenere la voce.
Mia madre si riscosse a quelle parole. Si voltò verso di me, e vidi i suoi occhi un tempo splendenti, ed ora incorniciate da occhiaie pesanti, posarsi su di me. Arrossì appena, forse dalla gioia e forse anche per vergogna, e si alzò in piedi. Mio padre chiuse di scatto il libro.«Draco!».
Si avvicinarono. Entrambi cercavano di mantenere un contegno, a causa dell’Auror che stava alle mie spalle. «I suoi servigi non sono più necessari» lo informai, glaciale. «Si, la prego» aggiunse mio padre... in tono molto umile.
«Desidera entrare?» mi chiese l’Auror, senza accorgersene. Quantomeno non sembrava uno di quelli, che non vedevano l’ora di vedere un Malfoy prostrarsi, come se quello avesse potuto purgarli del loro sangue impuro. Annuii. Lui lo fece, obbediente. «Tornerò tra mezz’ora, se è d’accordo» disse, richiudendo in fretta il cancello.
Chinai il capo. Aspettai che si allontanasse, poi mi voltai verso i miei genitori. Mia madre mi toccò appena il viso, come per assicurarsi che fosse proprio il mio, mentre mio padre mi toccava una spalla. «Draco... sei troppo magro» mi disse mia madre.
«Niente affatto, madre. Ad Hogwarts, anche volendo, non si soffre la fame» risposi, pacato.
Lei scosse il capo, e tirò su con il naso, ergendosi in tutta la sua altezza. «Draco» disse. «Ci sono giunte voci... sul tuo comportamento...».
«Che genere di voci?» chiesi con cautela.
«Draco». Questa volta fu mio padre a parlare. «ci è arrivata una lettera...». ricevevano altre lettere oltre che le mie? Notevole. «...lettere» continuò mio padre, spazientito, forse temendo di non avere la mia attenzione,  «dove, in breve...».
«Ti sei ubriacato, Draco?». Oh, merda. Chi diavolo poteva inviare notizie del genere ai miei? «Hai davvero disonorato il buon nome del nostro casato?». Okay, quella frase mi mandò in bestia. Disonorare, io.?
«Perdonatemi, madre» dissi, con aria di scherno, sottraendomi alle sue mani scarne, eppure ancora curate. «Non sapevo ci fosse ancora, un buon nome da disonorare. Quale che sia stato in mio comportamento...».
«Draco!» disse mio padre a voce alta, indignato. Lo ignorai. «...che cosa può essere peggio di vedere due Malfoy dietro le sbarre di Azkaban, e senza avere una qualche giustificazione? Foste almeno servi convinti del Signore Oscuro» sibilai, «potreste passare per martiri». Ero arrabbiato, e teso, anche se non avrei dovuto sbottare così, forse. Beh, non che non avessi ragione.
Mia madre sgranò gli occhi, inorridita. Mio padre sibilò un, “come osi?”, senza fiato. «Draco! Simili frasi... in un luogo come questo...» sussurrò mia madre, pallida come una morta, stringendo il mio polso con forza inaspettata, e facendo del suo meglio per trarmi a sé.
«Mi dispiace,madre» dissi io. «Ma non intendo farmi trattare da stupido. Sono venuto fin qui solo per riguardo a voi. Ma qualunque cosa io abbia fatto...».
«Allora è vero?» fece Lucius Malfoy, severo. Mio padre era bravissimo a tirare fuori il fegato, quando non c’erano pericoli a minacciarlo. «Ti sei ubriacato, Draco?».
A dirvela tutta, ero stufo. Stufo di sentire “non è da te”. Stufo di parole di scherno, o di rimprovero. È vero, cavolo, non lo avrei mai dovuto fare, e fino all’anno prima forse non lo avrei fatto. e allora? Essere un Malfoy, essere Serpeverde, non contava più nulla. contava solo per me. Ero in bilico tra due voragini,e non sapevo dove avrei dovuto cadere. Scusatemi tanto se avevo provato a dimenticare.
«No» mentii, fissando mio padre dritto negli occhi. Apparentemente, mentire era l’unico modo in cui potevo trovare un po’ di pace tra quegli sguardi. «Avevo bevuto a malapena una Burrobirra. Ho semplicemente avuto un mancamento,sono inciampato, e naturalmente la storia è stata ingigantita. Essere Malfoy di certo non aiuta... padre. Non adesso».
Mio padre era pallido d’angoscia. «Mi...» si riprese prima di dire “mi dispiace”. Naturalmente. «verranno tempi migliori, Draco. Il Signore Oscuro è stato costretto a ritirarsi, ma anche se la popolazione è stata avvertita... non appena avrà raccolto abbastanza seguaci...».
Forse Potter lo prenderà a calci nel culo, nonostante sia un idiota, pensai, ma non lo dissi. Avrei potuto dire tante cose, ma mio padre... beh, avrebbe potuto trasmetterle al Signore oscuro. Beh, non sapevo che posizione assumere rispetto al Serpentesco Signore, al momento, e mio padre.... diciamo solo che come Occlumante fa schifo quasi come Potter, e mi hanno detto che è davvero una merda. Non come mia madre, che invece era ad un buon livello.
«Come sai che ti vorrà con sé, e che non ti scarterà come una scarpa vecchia?» dissi.
«Draco... come puoi...» disse lui, turbato.
«Padre, hai fallito troppe volte» dissi io, gelido. «Il Signore Oscuro è molte cose, ma non è uno sciocco».
«I Malfoy» disse mio padre dopo una pausa, ma la voce gli tremava, «I Malfoy sono una famiglia... estremamente rispettata. Sono certo che il Signore Oscuro...». la sua voce si spense.
«Madre» dissi. «Io... voglio parlare con voi». Lei annuì, senza che mio padre facesse una piega. Sembrava perso in pensieri foschi e tristi. Non potevo biasimarlo. Condussi mia madre dove lui non poteva sentirci. «Madre» sussurrai. «Madre, il Signore Oscuro è vicino». Lei sembrò spaventata. «Che cosa...» disse, in un pigolio. Io scossi il capo, e mi accostai al suo orecchio, osservando di sottecchi mio padre che non si era mosso. «E’ vicino, madre. Ha chiamato».
Vidi le sue labbra già pallide sbiancare mentre le premeva assieme, ansiosa e spaventata da quella notizia. Forse ad Azkaban il richiamo non arrivava, o forse lo aveva ignorato. «Draco...» disse, piano, prendendo la mia mano tra le sue.
«Madre» dissi, nello stesso tono basso e vibrante. «Devo rispondere?».
Lei rifletté un istante, poi la sua espressone si affilò. «Sono certa...» disse, e deglutì, «che il Signore Oscuro capirà se tu...».
Scossi il capo. «Non è quello che intendevo» dissi. Finalmente lei capì. Non chiedevo se c’era una via d’uscita. Le chiedevo che cosa lei avrebbe voluto. La vidi come afflosciarsi, e le mani che tenevano la mia smisero di tremare. Quando rialzò lo sguardo, vidi che era quello di un vinto. Era il suo sguardo a parlare, e capii che non avrei ricevuto altra risposta che quella, eppure... eppure, non ero certo di averla compresa fino in fondo.
«Vieni a parlare con tuo padre» disse poi, come se non fosse accaduto niente. La seguii. Per il resto della mezz’ora a noi concessa discutemmo del più o del meno, o meglio, li informai nel dettaglio a proposito della scuola, e delle nostre conoscenze. L’atmosfera restava tesa, ma tesa di tristezza e non di astio.
Alla fine, udii in lontananza i passi dell’Auror che veniva a riprendermi, e mi alzai dal divano consunto. Non potevo credere che fosse passato così poco tempo.
Ben presto sarei tornato a scuola, e... e cosa, dannazione?
Sapevo che di fronte a me c’era una scelta, per quanto nebulosa. Ero nella zona grigia, ma avrei dovuto scegliere, forse anche troppo presto. Potevo strisciare al seguito del Signore Oscuro, baciargli le squame, e probabilmente vincere la guerra. Oppure potevo – cosa? Diventare un Auror, un membro del Potter Fan Club, e sperare che la sua mente poco brillante risolvesse il problema che mi opprimeva?
Mentre mio padre mi metteva una mano sulla spalla in cenno di saluto, lo fissai. Lui non aveva scelto affatto... e guardate come era finito. Non sapeva neppure se era vittima o torturatore.
«Padre» dissi all’improvviso, mentre l’Auror si avvicinava. «Voglio che tu mi dica una cosa».
Lui mi guardò, interrogativo. «Alla Coppa del Mondo di Quidditch... c’eri anche tu tra gli Incappucciati?». Si, lo so, domanda bizzarra. Non chiedetemi cosa mi passasse per la testa. ero abbastanza sicuro della risposta, ma volevo la conferma.
Lucius Malfoy impallidì ancora. «Che cosa intendi dire?».
«Lo sai benissimo, padre» dissi, freddamente. «Eri tra quelli che torturavano i Babbani?».
«Non subirono alcun tipo di tortura, soltanto un leggero spavento» replicò lui, sulla difensiva.
«Rispondimi!» sibilai.
Lui tacque, ma l’espressione era più che eloquente. Salutai sia lui sia mia madre, così che quando l’Auror giunse alla porta della cella ero pronto ad andarmene. «Andiamo?» disse questi. «Si» risposi io, gelido.
Non mi voltai indietro. Chissà come, l’idea di mio padre che faceva levitare la gente si sovrapponeva nella mia testa al ricordo della lezione di Tonks.
Era una brutta giornata.
Un’ora dopo, ero alla Testa di Porco, anche se ci andavo piano. Avevo fatto un giro da Mielandia, da Mondomago, e perfino da Zonko, e alla fine avevo sentito il bisogno di un rifugio. Sorseggiavo un’acquaviola, piuttosto depresso, sotto l’occhio fastidiosamente vigile del proprietario, i cui penetranti occhi azzurri mi irritavano, fissi com’erano su di me. Dov’era finito il solito barista? Dannazione.
Di tanto in tanto l’uomo, che stava lustrando senza convinzione il bancone o uno dei bicchieri, fissava accigliato la strada, l’espressione arcigna che accartocciava i suoi lineamenti già datati. Chissà come, mi sentito assai poco a mio agio.
Infine lo vidi irrigidirsi, come se qualcosa di importante fosse arrivato. Mi voltai senza nemmeno accorgermene e al di là dei vetri appannati scorsi Potter, Weasley e la Granger provenire dalla direzione della Stamberga Strillante. Weasley e Potter parlottavano concitati. Prima che potessi interrogarmi sulle ragioni che potevano spingere il barista a comportarsi in quel modo, la porta si aprì, ed i tre idioti, incredibilmente, entrarono. Il mio tavolo era accanto alla porta, che aperta lo nascondeva, perciò non si accorsero subito di me.
«...on punto, non trovi?» diceva Ronald Weasley. «E comunque, Harry, perché diavolo non possiamo andare ai Tre Manici di scopa?». Lo disse piano, però, e la Granger si voltò a fulminarlo con un’occhiata di fuoco. «Oh, Harry, se riusciamo a trovare quella strega della Umbridge...».
Fu soltanto allora che la Banda dei fessi mi vide. Ronald Weasley sobbalzò. Harry Potter impallidì. Ma la Granger, che sapeva che io sapevo, mi fissò con qualcosa di duro nello sguardo.

«D’accordo. Ripassiamo ancora una volta» dissi, rigirandomi tra le mani il mantello pesante. «Tanto per essere sicuri, ok?».

«Andiamo, Hermione. Non siamo stupidi. Cosa vuoi che ci sfugga?» mi chiese Ron, con una smorfia sofferente, rigirandosi tra le mani un Freesbee Zannuto che aveva rubato ad uno del secondo anno. Glielo strappai di mano, sdegnata.

«Allora comincia tu, Ron» lo incoraggiai, con disdegno.

«Certo» disse lui, annuendo. «Usciamo dal castello, ridendo e ciarlando come normali studenti dell’ultimo anno alla ricerca di una distrazione dallo studio...» un attimo di pausa, durante il quale mi fissò, forse sperando di intuire dal mio viso impassibile se stesse dicendo qualche scempiaggine. «...facciamo un giro da Mondomago, e non appena vediamo che la via è libera, ci infiliamo sotto il mantello...». nuova pausa, altra – vana – occhiata. «Andiamo alla Stamberga, ci Materializziamo a Grimmauld Place, facciamo quella che dobbiamo fare, e in men che non si dica torniamo al villaggio». Sospirò, soddisfatto di sé.

«Hai dimenticato un particolare importante, Ron» dissi, sprezzante.

«Che sarebbe?» fece lui, scocciato.

«Che cosa pensi che dirà la gente quando non ci vedrà da nessuna parte?» dissi, alzando gli occhi al cielo.

«Mmh... un bel niente, suppongo. Non è che prestino tanta attenzione ai dettagli, no?».

«Ronald Weasley, sei un idiota. Solo perché tu non ti accorgi che...».

«Hermione, ti prego» fece Harry, piuttosto di malumore.

«Oh, d’accordo». Sbuffai, incrociando le braccia al petto con superiorità. «All’ultimo minuto ci inventeremo che la  professoressa McGranitt vuole vederci, così tutti crederanno che torniamo al castello. Soltanto allora potremmo filarcela».

Ron borbottò qualcosa che somigliava terribilmente ad un “paranoica”, ma sapevo di avere ragione. Non che sperassi di avere qualche tipo di sostegno da parte di Harry, che dal momento in cui ci eravamo preparati a partire era caduto in un silenzio meditabondo. Sospirai. «Andiamo, prima che si faccia tardi».

Scivolammo fuori dal buco del ritratto, e pochi minuti dopo eravamo in fila dinnanzi al portone, aspettando il nostro turno perché Gazza ci perquisisse con la sua celebre Sonda Sensitiva. Ron, memore dell’ultima volta in cui aveva osato fare commenti in proposito, rimase coscienziosamente in silenzio mentre veniva minuziosamente controllato dall’arcigno custode. Harry a malapena si accorse di subire lo stesso trattamento. Io mi sottomisi senza protestare, e ci allontanammo in silenzio, superando un gruppetto di ridacchianti Serpeverde, una delle quali sussurrava qualcosa all’orecchio di Blaise Zabini.

Oh, insomma. Neanche l’attuale stato di amici dei Grifondoro – al quale, comunque, nessuno credeva – impediva loro di spettegolarci alle spalle. Ci osservavano con curiosità quasi morbosa e rimpiansi di non avere già indosso il Mantello.

Subito davanti a me c’era Padma Patil. Mentre stavo ancora voltata all’indietro, le pestai accidentalmente un calcagno. Lei si voltò, aprì la bocca per protestare, fissandomi – e vidi la sua pelle dorata assumere una tinta più scura. Improvvisamente in imbarazzo, scoccò un’occhiata veloce al mio volto, ed una feroce a Ron – memore, probabilmente, della sua pessima esperienza al Ballo del cenno. Poi accelerò il passo e si allontanò, a braccetto con la sua amica Corvonero dai capelli a caschetto neri.

Accidenti. Com’è che tutti avevano reazioni bizzarre, oggi?

Varcammo i cancelli di Hogwarts a breve, e percorremmo il tragitto che conduceva al villaggio chiacchierando svagatamente – principalmente grazie a me, visto che Ron era più goffo del solito, e Harry quasi incapace di parlare. Sapevo che quelli attorno cercavano di origliare, quindi parlavo in un tono di voce normale, quello di chi non ha nulla da nascondere.

«Oh, Harry, ricordami di prendere quella penna d’oca,quando arriviamo da Mondomago» dissi, a voce appena più alta, quando Nott ci sorpassò velocemente senza degnarci di un’occhiata. Lo vidi, parecchio più avanti, parlare con un ragazzo dall’aria meschina che non avevo mai visto.

«Ho proprio voglia di una Burrobirra» esclamai, nonostante niente mi fosse più sgradito dell’idea di condurre Ron ai Tre manici di scopa, quando vidi Lavanda e Calì due file davanti, ridacchianti e giulive. E lo ripetei una seconda volta nello scorgere poco lontano McLaggen.

«Hermione» sospirò Ron. «Sei una pessima attrice».

«Oh, ma sta’ zitto» dissi, arrossendo. «Non è che tu stia facendo granché per aiutarmi, sai, e per quanto riguarda Harry...».

«Eh? Cos..?» fece quest’ultimo, con l’aria di chi stava dormendo.

Sospirai di nuovo. A volte mi sentivo una baby sitter, più che un’amica. E se proprio volete saperlo, ero anche stufa di essere l’unico barlume di sensibilità e buonsenso femminile nei dintorni. Insomma, passavo tutto il mio tempo tra i libri, o assieme a loro. Perfino Ron aveva frequentato Lavanda, mentre io... beh, non conoscevo nemmeno molta gente, a dire il vero.

«In ogni caso» dissi, pensierosa, «spero di aver portato soldi a sufficienza. Devo davvero fare rifornimento a Mondomago».

«Mondomago?» sentimmo alle nostre spalle. Ci voltammo, e scorgemmo Neville accostarci, il viso rubicondo e paffuto disteso in un sorriso. Se la passava bene, nonostante fosse preoccupato per la nonna latitante. Insomma, dopo la battaglia di Hogwarts, tutti lo guardavano con un rispetto anche maggiore rispetto a quando aveva partecipato alla nostra – ehm – diciamo, spedizione al Ministero, più di un anno prima.

«Già» dissi con cautela.

«Sapete, anche io devo fare degli acquisti da Mondomago» ci informò allegramente, affiancando Harry, e sfregandosi le mani intirizzite con aria gioviale. «Non vi dispiace se mi unisco a voi, eh? Sapete, ci sono un paio di Cesoie che...».

«Ehm, ecco...» pigolai, nello sforzo di elaborare una scusa geniale che gli impedisse di seguirci. Naturalmente potevamo farlo venire con voi, ma c’era il rischio che, nel dichiarare che dovevamo tornare al castello, decidesse di ritornare a sua volta.... scambiai con Ronald una occhiata angosciata.

Mentre cercavo di partorire un’idea geniale che ci salvasse da quell’inconveniente, udimmo in lontananza un frastuono di voci concitate. Allarmata, alzai lo sguardo. C’era una piccola folla radunatasi all’estremità del villaggio, e parecchi studenti osservavano qualcosa, scambiandosi sguardi colmi di disagio o sussurrando qualcosa. Qualcuno parlava ad alta voce. A sovrastare il frastuono, delle grida.

«Per l’amor del cielo» esclamò Ron, perplesso. «Che diavolo..?».

«Venite» disse Harry la mano infilata sotto il Mantello dove, probabilmente, teneva la bacchetta. Quando fummo sufficientemente vicini, scorgemmo qualcosa di inaspettato. Nott e Zabini stavano al centro dell’anello formato dagli studenti, e se le davano di santa ragione. Nessuno delle altre Case sembrava sicuro sul da farsi. Qualche Serpeverde, tra cui anche Pansy Parkinson, assistevano alla scena, turbati, senza però intervenire. Naturalmente. Stupidi Serpeverde. Tra questi c’era anche Malfoy, che però sembrava essere appena arrivato assieme a Mcnair, e che dalle ultime file sembrava non credere ai propri occhi. si riscosse, e si fece largo a gomitate tra la folla.

«Nott» chiamò, afferrando l’amico per il braccio. L’altro si liberò con uno strattone. «Stanne – fuori!» ruggì questi, alterato. «Voglio mettere a tacere questo vile – una volta per tutte».

«Non puoi fare a botte in un luogo del genere, idiota!» ringhiò Malfoy, facendo un nuovo tentativo per trascinarlo via. Una gomitata sullo sterno lo lasciò senza fiato. «Ho detto – STANNE FUORI!» ruggì Nott, con rabbia, eppure mai tanta come quella dimostrata da Zabini. Questi schiumava rabbia, e nonostante non sembrasse essere in vantaggio, lottava come una furia.

Nel frattempo Malfoy si era trascinato al bordo della folla, che come per magia si dischiuse per lasciarlo passare. Con una sequela di improperi irripetibili tornò da McNair, ma dal suo viso intuivo che avrebbe indagato. Diavolo, lo avrei fatto anche io.

Neville sembrava terrorizzato, ed incerto se fosse il caso o meno di fare qualcosa. Alla fine scosse il capo. «Vado a chiamare Dean e Seamus» disse alla fine, verosimilmente perché assistessero allo spettacolo. In fondo, chi non avrebbe voluto assistere alla lotta tra due Serpeverde inviperiti?

Così sfrecciò via, e decisi che quella sarebbe senza dubbio stata l’occasione migliore per filarcela a nostra volta. Sussurrai “andiamo” a Harry e questi fece un cenno a Ron, e tutti e tre sgattaiolammo via prima che qualcuno potesse accorgersi della nostra assenza.

Dietro l’angolo, in un vicolo deserto, Harry estrasse il Mantello. Dovevamo camminare ingobbiti affinché i piedi non sporgessero, ma scegliemmo contrade poco frequentate e nessuno ci notò, o almeno così speravo.

Dieci minuti più tardi eravamo al sicuro nella Stamberga Strillante. Devo ammettere che non si tratta del posto più confortevole del mondo, almeno a mio parere, e non posso dire di avere ricordi piacevoli connessi a questo luogo. In ogni caso, era più che sufficiente per Smaterializzarci senza che nessuno ci vedesse, o udisse. Era per quello che non avevamo voluto farlo in strada.

Harry si guardò attorno con aria estremamente cupa. Lo capivo. Era qui che, più di tre anni prima, avevamo incontrato Sirius per la prima volta. Era qui che aveva creduto, per un istante, di aver ritrovato una famiglia. Ricordavo di aver aggredito Piton quando questi aveva minacciato Sirius e Remus con la bacchetta. Riuscivo ancora a sentirmi, strillare, “Abbiamo aggredito un professore, abbiamo aggredito un professore!”. Com’era, che tutto questo sembrava così lontano?

Forse tutto questo cominciava ad essere troppo.

Beh, in ogni caso, non avevo scelta. No?

«Harry?» sussurrai, posandogli la mano sulla spalla. «Io... credo che dovremmo andare».

Lui annuì, stancamente. Gli sorrisi, e lui fece una smorfia di rimando. Presi a braccetto sia lui sia Ron (“Non farmi spaccare, eh!”), e , chiudendo gli occhi, e ricordando le tre D, eseguii per la prima volta una Smaterializzazione Assistita.

Quando arrivammo a destinazione. Ron si tastò il petto, incredulo. «Whoah! Hermione, sono tutto intero! Sei una forza». Arrossii, mio malgrado, mentre Harry si spazzolava via la polvere dal vestito. La casa era lì, di fronte a noi, con il suo stile Vittoriano che mi ricordava l’omonima regina della quale la mia bisnonna, quando era ancora viva, mi aveva raccontato qualche volta.

Harry si avviò risoluto verso la porta, girò la maniglia – che cedette senza problemi sotto le sue dita – e entrammo, nel più assoluto silenzio. Senza proferire parola puntai la bacchetta verso il ritratto coperto dalle tende che stava nell’ingresso, scavalcando mentre lo facevo il portaombrelli ricavato da una zampa di troll, e usai il Muffliato.

«Da che parte cominciamo?» chiesi poi agli altri due. Ron sobbalzò e fece un mezzo strillo, poi si voltò ansiosi verso l’incantevole mamma Black, che però stava sempre dietro le tende, in silenzio. lo guardò, perplesso. Emisi un verso frustrato, gli occhi al soffitto. «Ho usato il Muffliato».

«Giusto» borbottò lui, le orecchie rosse.

«Non perdiamo tempo» ci esortò Harry. Assieme, procedemmo verso la porta del salotto. Mentre lo facevamo, mi chiesi se qualcuno dell’Ordine, o magari Kreacher, venisse mai a riordinare. Lo sporco e la polvere che vedevo sui pochi oggetti del corridoio non sembrava di due anni.

Dopo un paio di passi, comunque, ci arrestammo, sentendo un fruscio... beh, semplicemente inquietante. Estrassi la bacchetta e la puntai davanti a me. La polvere e lo sporco sembrarono sollevarsi, e turbinare al centro dello spazio angusto che ci stava di fronte. Ron, accanto a me, imprecò. Harry era pronto a lanciare un qualche incantesimo.

All’improvviso sentii un freddo glaciale accarezzarmi come una mano lasciva, e la lingua attorcigliarsi come per rifiutarsi di farmi emettere un suono.

«Severus Piton?» sussurrò una voce... familiare. Una voce calda, che non avremmo dovuto sentire più. Provai a pronunciare il suo nome, ma era difficile perfino pensare di parlare. Accanto a me sembrava che Ron fosse in preda a conati di vomito. Infine, il turbine di sporco si dissolse... e davanti a noi stava, come se fosse spuntato dalla moquette consunta, la figura polverosa e lacera di Albus Silente, i cui occhi vitrei erano fissi su di noi senza vederci.

«Pro...» balbettò Harry. «Sciledde!» biascicò Ron, terrorizzato. Io avevo il cuore in gola, rischiavo di sentirmi male, e sentivo, cosa assurda a dire il vero, le lacrime agli occhi. la figura levò una mano putrida, come per toccare Harry, che teneva gli occhi sgranati, ed indietreggiò di un passo.

«No!» strillai, con forza. «Professore, non lo faccia!». Fare cosa, con esattezza? Non lo sapevo, ma era una di quelle frasi che dicono tutti, quando vedono qualcosa fare qualcosa a qualcuno. Certo, non tutti vedono il proprio Preside morto che cerca di... beh, fare qualcosa. Non ve lo auguro.

Questo riscosse Harry, quale che fosse stato il motivo della sua reticenza. «professor Silente...».

«Severus Piton?» sussurrò la cosa, che di certo non era Silente.

«Professore,non non siamo Severus Piton! Nessuno di noi è Severus Piton!».

Ma la cosa tentava ancora di toccare Harry, le sue dita avvizzite protese verso il suo collo. Vidi Harry deglutire. «Stupeficium!» gridai, verso l’immagine atroce che cercava di imitare Silente. L’incantesimo lo oltrepassò, come se fosse stato un fantasma. La cosa si voltò verso di me.

Sapevo di che cosa si trattava. Era l’incantesimo di Moody contro Piton. Solo che, qualunque cosa fosse l’incantesimo, Piton lo aveva oltrepassato indenne. Fantastico, morire per mano di un fantasma che il tuo untuoso nemico ha schivato senza battere ciglio.

Tremavo. Non che volessi propriamente scappare – non lo avevo fatto in situazioni peggiori – ma che diavolo, concedete un po’ di sana paura ad una ragazza! La cosa era sempre più vicina. Sentii Ron dire il mio nome, anche se non riuscivo a vederlo, perché era proprio dietro all’essere che mi stava di fronte, e che faceva per toccarmi...

«Pro...professor Silente...» mormorai. «Lei... non siamo noi, quelli che deve combattere. È Piton... quello che l’ha uccisa...».

A quella parola, la cosa sussultò, ed infine esplose in una nuova di fumo e polvere. Tossii, stropicciandomi gli occhi con le mani tremanti, cercando di recuperare la vista. Sentivo una gran voglia di piangere. Mi lasciai cadere a terra, sentendo il cuore ancora troppo veloce nel petto, ed una improvvisa  stanchezza, come se avessi appena smesso di correre.

«Tutto... tutto bene?» fece Harry, dall’altra parte del corridoio.

Annuii. Non sapevo se avevo o meno voce.

«Dannazione. Che diavolo era, quella cosa?» disse Ron, alterato.

«Una trappola per Piton». Dissi io. «Hominum Revelio!». Non accadde nulla. eravamo soli.

«Ordinaria amministrazione, quella di inventare trappole che tentano di fare fuori i propri alleati!» commentò lui, con un certo disprezzoo.

«Non sapevano che sarebbero venuti. Malocchio ce lo avrebbe spiegato» dissi io, paziente.

«Venite» disse Harry. Lo seguimmo su per le scale fino all’ingresso del salotto. Harry sospirò, poi agì, spingendo piano la porta con una mano, la bacchetta pronta nell’altro. Con cautela, si sporse nella stanza. Lo vidi irrigidirsi. «Cosa... cosa c’è?» chiesi, esitante. Per tutta risposta lui aprì del tutto la porta ed entrò. Lo seguimmo, trovandoci di fronte ad uno spettacolo desolante.

Ogni cosa era fuori posto. I rivestimenti dei divani erano stati squarciati e l’imbottitura pendeva in più punti. Da uno dei cuscini proveniva un ronzio che somigliava in maniera sospetta a quello di un nido di Doxi, che doveva aver approfittato della nuova, comoda tana a disposizione non appena possibile. Degli oggetti che erano stati nelle vetrine e sui mobili, rimaneva ben poco. Molti si erano infranti sul pavimento, a fare compagnia ad alcuni piatti e a qualche bicchiere di cristallo, i libri erano stati accatastati in malo modo sul pesante tavolo intarsiato, mezzi aperti, alcuni con le pagine piegate a causa del volume soprastante. Una sedia era sovesciata a terra.

«Che diavolo..?» fece Ron, allibito. Fece un passo verso il tappeto che copriva gran parte del pavimento. «E’ stato Piton a..?».

«Si» disse Harry, laconico. «E probabilmente, se c’era qualcosa qui dentro, l’ha trovata».

«Non credo che si sia limitato a frugare in questa stanza» obiettai io. In quell’istante, il mio sguardo fu attirato da un particolare inquietante. «Che cosa c’è, Hermione?» fece lui. Scossi il capo, e senza rispondere mi avvicinai al grande arazzo dove era rappresentata la grande casata Black. Dove avrebbe dovuto esserci Sirius c’era un buco, bruciatura che sua madre aveva fatto anni prima, quando Sirius le si era ribellato. La bruciatura, però, che prima si limitava a deturpare fino a rendere illeggibile la sagoma di Sirius, adesso mostrava un cerchio completamente carbonizzato. Lo sfiorai con un dito.

Harry, accanto a me, strinse il pugno. «Piton» sputò, come se già il nome fosse stato un’offesa.

«Si» mormorai, il cuore gonfio di tristezza. «Piton». Severus Piton aveva cancellato completamente Sirius Black dalla sua Casata. Il suo ultimo atto di disprezzo per il suo antico nemico morto.

Esaminai ancora un’altra volta gli altri nomi, sfocati per via delle lacrime che mi appannavano la vista e che mi affrettai ad eliminare. Tutti quei volti erano... beh, così seri. Sotto ad un’altra bruciatura lessi “Andromeda”, la cugina di Sirius. Le altre cugine, Bellatrix e Narcissa Black, stavano tronfie ed orgogliose come sempre. Già, avevo scordato che Sirius era stato imparentato con loro... pensare che era cugino di Bellatrix, e che era stato lei ad ucciderlo, mi fece stare male. Avrebbero dovuto essere una famiglia, no? I Black, i Lestrange, i Malfoy...

Mi voltai appena verso Ron. Anche lui, anche se aveva scelto un’altra via, era imparentato con loro. Anche Harry, visto che i Potter erano Purosangue. Era chiaro che non ci avevano mai nemmeno pensato, ma quella sarebbe dovuta essere quasi una sorta di famiglia, anche per loro...

Ed invece non lo erano. Pensai a Malfoy, alla maniera in cui si indirizzava verso di loro, come se fossero stati spazzatura. Si, d’accordo, magari era una parentela di quarto, o di quinto grado, ma proprio loro, quelli che al sangue davano importanza fino all’ossessione, come potevano non essere consapevoli della enorme follia dell’ignorare quel legame?

Guardai il fratello di Sirius. Era stato un Mangiamorte perfino lui. Chissà se lui e Sirius avevano mai litigato per questo? Probabilmente, anzi, sicuramente si, altrimenti Sirius non si sarebbe sentito così solo.

Regulus Arcturus Black...

Reg...

Oh, cavolo.

«Harry» dissi, con voce stridula.

«Che c’è?» mi chiese lui. Si stava avviando verso la porta.

«RAB» sussurrai.

 

Certo che avevo visto la stupida Banda Potter. Difficile NON vederla, mentre, furtiva quanto un drago alto dodici metri, si avviava verso una strada laterale. Dimenticati per un istante i due Serpeverde che lottavano, avevo persino provato a seguire i tre imbecilli, ma quando avevo girato l’angolo dovevano già essersi infilati sotto a quel loro Mantello dell’Invisibilità.

Non avevo dubbi su quello che stavano facendo. Sicuro come l’oro, c’entrava con Potter e con la sua visione. Avrei dato qualunque cosa – perfino scambiarmi con la Granger per un paio d’ore – per sapere la verità su di loro. Non finiva  qui, decisi.

Così fui costretto a tornare sui miei passi, e scorsi da lontano Zabini che, seguito dalla Parkinson Piagniucolante (P.P. per ex ... beh, frequentanti) e da un paio di altri viscidi Traditori del loro sangue, si allontanavano. Zabini zoppicava appena. Nott era sparito.

Per quanto riguardava me, pensai che era un’ottima cosa. Non avevo digerito come mi aveva trattato, e non volevo vedere nessuno, anticipando come facevo le occhiate di scherno che ne sarebbero seguite. Ne approfittai quindi per dare una gomitata a Mcnair, che non mi aveva visto e sembrava cercarmi con lo sguardo.

«Io vado» borbottai, e lui annuì appena, apparentemente ancora scosso. Cristo santo. Orgoglio ed ambizione erano le cose che, mi risultava, erano tipiche di un Serpeverde. La codardia era solo un effetto collaterale del quale quasi tutti soffrivano. Perché diavolo era Serpeverde, Mcnair?

Si, lo so, ve l’ho già chiesto. Non ditemi che non avete anche voi qualche perplessità. In certi casi, le scelte del Cappello Parlante mi risultavano – e risultano – incomprensibili.

Comunque mi avviai nuovamente verso un luogo tranquillo. Quando lo trovai, senza esitare mi Smaterializzai.

Il vento era freddo ed il mare sembrava anche nell’aria. Vi sembra poetico? Certo, se non vi trovate come me fradici e congelati. Cristo. Mi trovavo sul margine della riva spigolosa, una ventina di metri di strapiombo prima del mare, e qualche scoglio aguzzo che in questi casi non può mancare. E dovevo ringraziare che i Dissennatori fossero stati liquidati dopo che quelli del Ministero avevano “scoperto” che preferivano la compagnia dell’Oscuro Signore alla loro. Già, chi mai avrebbe potuto sospettare che viscide creature che si nutrivano di disperazione non preferissero i buonisti mollaccioni del Ministero ad un ombroso Signore Oscuro che torturava e umiliava i suoi stessi seguaci e progettava di sottomettere l’Inghilterra – ed il Mondo – alla sua volontà?

Idioti.

Fingendo di non essere congelato fino al coccige, mi avviai impettito verso la porta della enorme fortezza che vedevo di fronte a me. Non si vedeva nessuno, verosimilmente perché gli esseri  umani, a differenza dei Dannati Dissennatori (D.D. per tutti coloro che sono lieti di sfotterli non essendo sotto le loro grinfie) non amano gelarsi anche le orbite nella assai remota eventualità che qualcuno si presenti per far evadere qualcuno.

Esitai per un istante prima di bussare, mentre cercavo di ricomporre i miei lineamenti congelati ad una maschera impassibile. Ero certo che, una volta che l’avessi assunta, non avrei più dovuto preoccuparmi. Non credevo di riuscire a muovere qualunque parte del mio viso, dopo. Mi chiesi se l’interno della fortezza disse più caldo, e sperai di si. Mia madre è sempre stata delicata di salute, sapete. Per un periodo, quando era bambina, avevano addirittura pensato di non mandarla a scuola.

Insomma, alla fine bussai sperando che la mia mano ormai ridotta ad una palla di neve non si sbriciolasse sulla pesante porta rinforzata da acciaio ed incantesimi. Attesi qualche secondo, impaziente. Infine uno spiraglio, come una finestrella, si aprì. Un paio di occhi neri facevano capolino. «Nome, e motivo della visita» disse, in tono gelido. Ehi, a qualcuno si erano gelate le palle, eh?

«Il mio nome è Draco Malfoy» dissi, aristocratico. «Sono qui per vedere Lucius e Narcissa Malfoy». Se non mi fossi gelato prima. Non potevano controllarmi dentro la dannata fortezza? Il tizio, chiunque fosse, tacque. Richiuse lo sportellino, e per un attimo temetti che fosse andato chissà dove, a cercare conferma della mia idoneità, lasciandomi a morire assiderato fuori. Trascorse effettivamente quasi un minuto, prima che il portone si spalancasse – nel più completo silenzio, nonostante la sua mole e l’età. Scivolai nello spiraglio che mi era stato lasciato, e sentii la porta richiudersi.

Mi trovavo in una saletta piccola e assolutamente fuori luogo. Una sorta di sala d’attesa, incredibilmente calda – le mani prima congelate bruciavano – e piena di poltroncine rosse. Di fronte a me stava una porta spalancata, e sulla soglia l’uomo che mi aveva fatto entrare mi aspettava. Mi fece cenno di seguirlo ed entrai in quello che doveva essere l’ufficio di controllo, una stanza piccola e molto organizzata, ricolma di scaffali e schedari.

«Ci scusi» disse l’uomo. «Controlli di routine. Da quando non ci sono i Dissennatori, la nostra sicurezza è dovuta aumentare». Notai che mi fissava, piuttosto inquieto. Doveva aver sentito parlare di me, o almeno dei miei. Magnifico.

«Capisco» dissi, sforzandomi di essere gelido come il vento che mi ero appena lasciato alle spalle.

«Desidera qualche cosa di caldo? Abbiamo del Whisky Incendiario per i visitatori» disse lui, con l’aria di chi non avrebbe affatto voluto chiederlo. A quelle parole, mi sentii una grande nausea addosso. Dopo la mia stupida ubriacatura, anche solo sentirne parlare mi provocava dei conati. «No, la ringrazio» dissi, estraendo la bacchetta. Con la coda dell’occhio lo vidi irrigidirsi, ma mi limitai ad asciugarmi i vestiti con un semplice incantesimo (non-verbale, cosa che mi rese molto orgoglioso di me, e contribuì a farmi sembrare un uomo di mondo).

«La bacchetta... non può portarla nella zona riservata ai prigionieri» mi disse, teso, con un colpo di tosse educato.

Mi voltai a fissarlo, indignato. «Sono consapevole delle norme relative alla sicurezza. Non vorrà insinuare che io voglia compiere un anno illegale».

«certo che no!» si affrettò a ribattere l’altro. Alla faccia sua. Dopo averla richiusa nel suo fodero di velluto, consegnai la mia bacchetta all’insopportabile Auror, e mi sentii subito nudo ed indifeso, possibile vittima di qualsiasi schermaglia venisse loro in mente di portare avanti.

L’uomo (leggi: l’idiota) sistemò la bacchetta in un apposito vano numerato e mi consegnò una targhetta con il numero corrispondente. Infine mi fece cenno di precederlo lungo un corridoio, dove la temperatura era abbastanza bassa per rimpiangere di aver lasciato il Mantello nell’altra stanza.

Mi condusse lungo diversi passaggi, e sfilai davanti a numerose celle. In più di una vidi facce a me familiari, quelle dei mangia morte, che non più tenuti a freno dalla presenza di Dissennatori tenevano il viso premuto contro le sbarre e mi fissavano con rabbia, o con una sorta di avido desiderio – di cosa, non lo volevo sapere – ma io finsi di non curarmene nonostante il mio cuore battesse all’impazzata. Più di qualcuno mi gridò dietro qualcosa, ed io accelerai il passo, deciso a non prestare loro alcuna attenzione. Qualcuno aveva un’aria supplichevole; molti erano solo ragazzi della mia età, che avevo visto ben poche volte, perché erano stati reclutati da poco quando il Signore Oscuro era stato respinto.

Chissà come, mi tornò in mente quando, un paio di giorni prima, mi ero offerto come cavia per il levicorpus. Qualcuno di loro lo aveva praticato, qualcuno aveva anche ucciso le proprie vittime dopo averci giocato. Traditori. Babbani. A quella parola, naturalmente, l’immagine della Granger seguì.

Ricordai, chissà come, quella volta che alla Coppa del Mondo li avevo incontrati mentre fuggivano dagli Incappucciati che, sciocchi com’erano, avevano stregato dei Babbani. La Granger mi aveva chiesto se anche mio padre era tra loro, ed io l’avevo sbeffeggiata. Naturalmente, ancora non avevo saputo che cosa significasse tutto quello. Un’altra immagine, quella della Granger fluttuante in aria, come quella professoressa di Babbanologia che avevo visto morire implorando Severus Piton di salvarla. Non mi diede piacere, anzi, mi fece sentire.... insicuro.

Mi sforzai di non pensare. Mi sforzai di pensare che comunque, finché era la Granger, era tanto di guadagnato. Però non ci riuscii. Perché vedendo tutti quei volti consumati e distorti in smorfie grottesche, pensavo alla sua sciocca espressione mentre penzolavo a testa in giù come cavia, un volto qualunque vagamente inorridito, vagamente spaventato, e pensavo che perfino lei, che mi disgustava tanto, sembrava più umana. Argh. Qualunque confessione relativa alla Granger – e diciamocelo, considerarla un po’ più umana di uno di quegli avanzi di galera non era dire poi molto, in verità – faceva male.

«Ci siamo» fece all’improvviso l’Auror, facendomi sobbalzare. Ci stavamo avvicinando alla cella dove erano richiusi i miei genitori.

Senza più prestargli attenzione accelerai ancora il passo, fino a portarmi presso le sbarre, attorno le quali strinsi le mie mani pallide. All’interno c’era un letto con pesanti tende a baldacchino, due poltrone, due bauli contenenti degli effetti personali, uno specchio contro una parete, e una pila di libri accatastati contro la parete, che a giudicare dallo strato di polvere dal quale erano ricoperti non erano stati adoperati granché per riempire la solitudine.

Ah, si. C’erano anche i miei genitori. Mia madre era stesa sul sofà, languidamente sonnecchiante. Mio padre teneva in mano un libro – dunque qualcuno veniva davvero usato! – e lo sfogliava svogliatamente sulla poltroncina (che aveva l’aria di provenire dalla sala d’attesa). Era un ambiente piuttosto tetro, e squallido, per quanto fosse una reggia in paragone alle altre. Del resto, i Malfoy non erano ancora feccia. O forse si?

«Madre! Padre!» esclamai, in tono appena patetico, sforzandomi di contenere la voce.

Mia madre si riscosse a quelle parole. Si voltò verso di me, e vidi i suoi occhi un tempo splendenti, ed ora incorniciate da occhiaie pesanti, posarsi su di me. Arrossì appena, forse dalla gioia e forse anche per vergogna, e si alzò in piedi. Mio padre chiuse di scatto il libro.«Draco!».

Si avvicinarono. Entrambi cercavano di mantenere un contegno, a causa dell’Auror che stava alle mie spalle. «I suoi servigi non sono più necessari» lo informai, glaciale. «Si, la prego» aggiunse mio padre... in tono molto umile.

«Desidera entrare?» mi chiese l’Auror, senza accorgersene. Quantomeno non sembrava uno di quelli, che non vedevano l’ora di vedere un Malfoy prostrarsi, come se quello avesse potuto purgarli del loro sangue impuro. Annuii. Lui lo fece, obbediente. «Tornerò tra mezz’ora, se è d’accordo» disse, richiudendo in fretta il cancello.

Chinai il capo. Aspettai che si allontanasse, poi mi voltai verso i miei genitori. Mia madre mi toccò appena il viso, come per assicurarsi che fosse proprio il mio, mentre mio padre mi toccava una spalla. «Draco... sei troppo magro» mi disse mia madre.

«Niente affatto, madre. Ad Hogwarts, anche volendo, non si soffre la fame» risposi, pacato.

Lei scosse il capo, e tirò su con il naso, ergendosi in tutta la sua altezza. «Draco» disse. «Ci sono giunte voci... sul tuo comportamento...».

«Che genere di voci?» chiesi con cautela.

«Draco». Questa volta fu mio padre a parlare. «ci è arrivata una lettera...». ricevevano altre lettere oltre che le mie? Notevole. «...lettere» continuò mio padre, spazientito, forse temendo di non avere la mia attenzione,  «dove, in breve...».

«Ti sei ubriacato, Draco?». Oh, merda. Chi diavolo poteva inviare notizie del genere ai miei? «Hai davvero disonorato il buon nome del nostro casato?». Okay, quella frase mi mandò in bestia. Disonorare, io.?

«Perdonatemi, madre» dissi, con aria di scherno, sottraendomi alle sue mani scarne, eppure ancora curate. «Non sapevo ci fosse ancora, un buon nome da disonorare. Quale che sia stato in mio comportamento...».

«Draco!» disse mio padre a voce alta, indignato. Lo ignorai. «...che cosa può essere peggio di vedere due Malfoy dietro le sbarre di Azkaban, e senza avere una qualche giustificazione? Foste almeno servi convinti del Signore Oscuro» sibilai, «potreste passare per martiri». Ero arrabbiato, e teso, anche se non avrei dovuto sbottare così, forse. Beh, non che non avessi ragione.

Mia madre sgranò gli occhi, inorridita. Mio padre sibilò un, “come osi?”, senza fiato. «Draco! Simili frasi... in un luogo come questo...» sussurrò mia madre, pallida come una morta, stringendo il mio polso con forza inaspettata, e facendo del suo meglio per trarmi a sé.

«Mi dispiace,madre» dissi io. «Ma non intendo farmi trattare da stupido. Sono venuto fin qui solo per riguardo a voi. Ma qualunque cosa io abbia fatto...».

«Allora è vero?» fece Lucius Malfoy, severo. Mio padre era bravissimo a tirare fuori il fegato, quando non c’erano pericoli a minacciarlo. «Ti sei ubriacato, Draco?».

A dirvela tutta, ero stufo. Stufo di sentire “non è da te”. Stufo di parole di scherno, o di rimprovero. È vero, cavolo, non lo avrei mai dovuto fare, e fino all’anno prima forse non lo avrei fatto. e allora? Essere un Malfoy, essere Serpeverde, non contava più nulla. contava solo per me. Ero in bilico tra due voragini,e non sapevo dove avrei dovuto cadere. Scusatemi tanto se avevo provato a dimenticare.

«No» mentii, fissando mio padre dritto negli occhi. Apparentemente, mentire era l’unico modo in cui potevo trovare un po’ di pace tra quegli sguardi. «Avevo bevuto a malapena una Burrobirra. Ho semplicemente avuto un mancamento,sono inciampato, e naturalmente la storia è stata ingigantita. Essere Malfoy di certo non aiuta... padre. Non adesso».

Mio padre era pallido d’angoscia. «Mi...» si riprese prima di dire “mi dispiace”. Naturalmente. «verranno tempi migliori, Draco. Il Signore Oscuro è stato costretto a ritirarsi, ma anche se la popolazione è stata avvertita... non appena avrà raccolto abbastanza seguaci...».

Forse Potter lo prenderà a calci nel culo, nonostante sia un idiota, pensai, ma non lo dissi. Avrei potuto dire tante cose, ma mio padre... beh, avrebbe potuto trasmetterle al Signore oscuro. Beh, non sapevo che posizione assumere rispetto al Serpentesco Signore, al momento, e mio padre.... diciamo solo che come Occlumante fa schifo quasi come Potter, e mi hanno detto che è davvero una merda. Non come mia madre, che invece era ad un buon livello.

«Come sai che ti vorrà con sé, e che non ti scarterà come una scarpa vecchia?» dissi.

«Draco... come puoi...» disse lui, turbato.

«Padre, hai fallito troppe volte» dissi io, gelido. «Il Signore Oscuro è molte cose, ma non è uno sciocco».

«I Malfoy» disse mio padre dopo una pausa, ma la voce gli tremava, «I Malfoy sono una famiglia... estremamente rispettata. Sono certo che il Signore Oscuro...». la sua voce si spense.

«Madre» dissi. «Io... voglio parlare con voi». Lei annuì, senza che mio padre facesse una piega. Sembrava perso in pensieri foschi e tristi. Non potevo biasimarlo. Condussi mia madre dove lui non poteva sentirci. «Madre» sussurrai. «Madre, il Signore Oscuro è vicino». Lei sembrò spaventata. «Che cosa...» disse, in un pigolio. Io scossi il capo, e mi accostai al suo orecchio, osservando di sottecchi mio padre che non si era mosso. «E’ vicino, madre. Ha chiamato».

Vidi le sue labbra già pallide sbiancare mentre le premeva assieme, ansiosa e spaventata da quella notizia. Forse ad Azkaban il richiamo non arrivava, o forse lo aveva ignorato. «Draco...» disse, piano, prendendo la mia mano tra le sue.

«Madre» dissi, nello stesso tono basso e vibrante. «Devo rispondere?».

Lei rifletté un istante, poi la sua espressone si affilò. «Sono certa...» disse, e deglutì, «che il Signore Oscuro capirà se tu...».

Scossi il capo. «Non è quello che intendevo» dissi. Finalmente lei capì. Non chiedevo se c’era una via d’uscita. Le chiedevo che cosa lei avrebbe voluto. La vidi come afflosciarsi, e le mani che tenevano la mia smisero di tremare. Quando rialzò lo sguardo, vidi che era quello di un vinto. Era il suo sguardo a parlare, e capii che non avrei ricevuto altra risposta che quella, eppure... eppure, non ero certo di averla compresa fino in fondo.

«Vieni a parlare con tuo padre» disse poi, come se non fosse accaduto niente. La seguii. Per il resto della mezz’ora a noi concessa discutemmo del più o del meno, o meglio, li informai nel dettaglio a proposito della scuola, e delle nostre conoscenze. L’atmosfera restava tesa, ma tesa di tristezza e non di astio.

Alla fine, udii in lontananza i passi dell’Auror che veniva a riprendermi, e mi alzai dal divano consunto. Non potevo credere che fosse passato così poco tempo.

Ben presto sarei tornato a scuola, e... e cosa, dannazione?

Sapevo che di fronte a me c’era una scelta, per quanto nebulosa. Ero nella zona grigia, ma avrei dovuto scegliere, forse anche troppo presto. Potevo strisciare al seguito del Signore Oscuro, baciargli le squame, e probabilmente vincere la guerra. Oppure potevo – cosa? Diventare un Auror, un membro del Potter Fan Club, e sperare che la sua mente poco brillante risolvesse il problema che mi opprimeva?

Mentre mio padre mi metteva una mano sulla spalla in cenno di saluto, lo fissai. Lui non aveva scelto affatto... e guardate come era finito. Non sapeva neppure se era vittima o torturatore.

«Padre» dissi all’improvviso, mentre l’Auror si avvicinava. «Voglio che tu mi dica una cosa».

Lui mi guardò, interrogativo. «Alla Coppa del Mondo di Quidditch... c’eri anche tu tra gli Incappucciati?». Si, lo so, domanda bizzarra. Non chiedetemi cosa mi passasse per la testa. ero abbastanza sicuro della risposta, ma volevo la conferma.

Lucius Malfoy impallidì ancora. «Che cosa intendi dire?».

«Lo sai benissimo, padre» dissi, freddamente. «Eri tra quelli che torturavano i Babbani?».

«Non subirono alcun tipo di tortura, soltanto un leggero spavento» replicò lui, sulla difensiva.

«Rispondimi!» sibilai.

Lui tacque, ma l’espressione era più che eloquente. Salutai sia lui sia mia madre, così che quando l’Auror giunse alla porta della cella ero pronto ad andarmene. «Andiamo?» disse questi. «Si» risposi io, gelido.

Non mi voltai indietro. Chissà come, l’idea di mio padre che faceva levitare la gente si sovrapponeva nella mia testa al ricordo della lezione di Tonks.

Era una brutta giornata.

Un’ora dopo, ero alla Testa di Porco, anche se ci andavo piano. Avevo fatto un giro da Mielandia, da Mondomago, e perfino da Zonko, e alla fine avevo sentito il bisogno di un rifugio. Sorseggiavo un’acquaviola, piuttosto depresso, sotto l’occhio fastidiosamente vigile del proprietario, i cui penetranti occhi azzurri mi irritavano, fissi com’erano su di me. Dov’era finito il solito barista? Dannazione.

Di tanto in tanto l’uomo, che stava lustrando senza convinzione il bancone o uno dei bicchieri, fissava accigliato la strada, l’espressione arcigna che accartocciava i suoi lineamenti già datati. Chissà come, mi sentito assai poco a mio agio.

Infine lo vidi irrigidirsi, come se qualcosa di importante fosse arrivato. Mi voltai senza nemmeno accorgermene e al di là dei vetri appannati scorsi Potter, Weasley e la Granger provenire dalla direzione della Stamberga Strillante. Weasley e Potter parlottavano concitati. Prima che potessi interrogarmi sulle ragioni che potevano spingere il barista a comportarsi in quel modo, la porta si aprì, ed i tre idioti, incredibilmente, entrarono. Il mio tavolo era accanto alla porta, che aperta lo nascondeva, perciò non si accorsero subito di me.

«...on punto, non trovi?» diceva Ronald Weasley. «E comunque, Harry, perché diavolo non possiamo andare ai Tre Manici di scopa?». Lo disse piano, però, e la Granger si voltò a fulminarlo con un’occhiata di fuoco. «Oh, Harry, se riusciamo a trovare quella strega della Umbridge...».

Fu soltanto allora che la Banda dei fessi mi vide. Ronald Weasley sobbalzò. Harry Potter impallidì. Ma la Granger, che sapeva che io sapevo, mi fissò con qualcosa di duro nello sguardo.

«Malfoy....» ringhiò Weasley. Io mi alzai, tranquillo, il cuore che batteva a mille, la mano nella tasca dove custodivo la bacchetta.

«Bene» dissi, tranquillamente. «Ora sputate il rospo».

 

 

 

SPAZIO DELL’ AUTRICE

Finalmente, il turning point. Nel prossimo episodio, il mondo dei nostri protagonisti finirà per rovesciarsi, e non solo a causa di Draco. Come sempre non sono molto regolare nello scrivere, ma ce la farò! Giuro che ce la farò!

Come sempre ringrazio tutti i lettori, specie quelli che vorranno recensire...  ricordatevi che, qualunque cosa ne pensiate di una storia, questa non può migliorare se non grazie ai commenti dei lettori che lo aiutano a crescere ^^ in ogni caso, grazie a tutti!

A presto XD


«Malfoy....» ringhiò Weasley. Io mi alzai, tranquillo, il cuore che batteva a mille, la mano nella tasca dove custodivo la bacchetta.
«Bene» dissi, tranquillamente. «Ora sputate il rospo».
 
 
 
SPAZIO DELL’ AUTRICE
Finalmente, il turning point. Nel prossimo episodio, il mondo dei nostri protagonisti finirà per rovesciarsi, e non solo a causa di Draco. Come sempre non sono molto regolare nello scrivere, ma ce la farò! Giuro che ce la farò!
Come sempre ringrazio tutti i lettori, specie quelli che vorranno recensire...  ricordatevi che, qualunque cosa ne pensiate di una storia, questa non può migliorare se non grazie ai commenti dei lettori che lo aiutano a crescere ^^ in ogni caso, grazie a tutti!
A presto XD

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** DEALING WITH THE DEAL ***


Non si può spiegare l’indicibile trionfo che provai quando sentii quel nome, “Umbridge”. Non saprei spiegare perché. Probabilmente soltanto perché era l’ennesima prova che c’era davvero qualcosa sotto, qualcosa di concreto da trovare. Certo, magari i tre fessi non volevano dirmi che cosa fosse esattamente, ma avevo i miei mezzi, e sapevo che con loro, o senza di loro, avrei scoperto la verità.
All’inizio Potter e Lenticchia mi avevano guardato con un misto tra rabbia e disprezzo. Quando avevo detto loro, in tono suadente, che sapevo che stavano architettando qualcosa, Weasley aveva sbuffato con disprezzo. Con un ghigno, li avevo invitati a sedersi, e loro avevano obbedito.
«Credi  davvero che ci cascheremmo?» aveva esclamato Rosso, con disprezzo.
«Oh, non c’è nulla in cui cascare, vi assicuro. Ho soltanto sentito la vostra interessante discussione in infermeria. Ah, e, Potter» avevo detto, quando lui aveva mosso appena una delle mani verso il mantello, «non ti conviene provarci. Sono ore che ti punto la bacchetta contro, e tu non sei abbastanza veloce. E per inciso, ho preso le dovute precauzioni, nel caso avessi provato ad Incantarmi... non che ti ritenga in grado di farlo, beninteso». Balla. Ma naturalmente Potter era troppo stupido da capire il bluff. Anche la Granger, che sembrava scettica, non poteva sapere se fosse stata o meno la verità.
«Come sai che volevo incantarti?».
«Potter, come Occlumante fai davvero pena» lo avevo schernito. «Anche a nascondere le conversazioni private, se è per quello».
«Pensavamo dormissi» aveva detto lo Sfregiato, con un’aria indignata.
«Cristo, Potter, siete stati voi tanto imbecilli da non controllare dove fossi» avevo commentato, gli occhi al Cielo. «E non vedo perché non avrei dovuto origliare, se siete stati tanto idioti da farmi intuire il vostro piano».
«Che diavolo vuoi, Malfoy?» aveva chiesto la Granger, disgustata.
«Solo sapere che cosa state macchinando, sporca Mezzosangue».
«Non chiamarla così» aveva sbottato Weasley.
«Mi spiace, Weasley, non sapevo aveste dei sentimenti da ferire».
«Insomma, Malfoy, credi davvero che ti diremmo quello che abbiamo in mente?» aveva proseguito la Granger, ignorando il più recente scambio di battute. Avevo notato che il barista, poco lontano, ci osservava con interesse. Grazie a Dio non poteva sentirci, ma per precauzione avevo abbassato la voce, cercando di non fargli intuire la minaccia nelle mie parole. «Beh, Granger... se non ci penserete voi, vorrà dire che dovrò cercare altre... fonti. Questi Horcrux, per esempio...» ed i tre erano impalliditi, «sono certo che sono – estremamente interessanti». Oh, quanto me l’ero goduta!
«Lascia perdere, Malfoy. Lo diciamo per te» aveva detto Potter, stancamente, appiattendosi il ciuffo di capelli neri che celavano la cicatrice con un gesto automatico.
«Non ho intenzione di farlo».
«E che cosa te ne faresti, di una simile informazione?» aveva chiesto la Babbana Zannuta, con un gesto di stizza del capo. «Andresti a raccontarla al tuo Regio Rettile, in attesa di una ricompensa?».
Io l’aveva guardata, poi mi ero voltato verso Potter. «Chi lo sa. Prima di tutto, voglio sapere».
«NO» aveva detto Ronald Weasley, battendo la mano sul tavolo con veemenza. «Malfoy, stanne fuori, hai capito? altrimenti...».
«Altrimenti cosa, Weasley?» avevo sussurrato, gli occhi che lampeggiavano.
«Basta così» aveva detto la Granger. Ero tornato a guardare la sua brutta faccia da mezzosangue, e avevo visto qualcosa agitarsi in quello sguardo scuro. Sembrava anche vicina alle lacrime. Cristo, queste femmine Babbane. Come piangono facilmente. «Senti, Malfoy. Quello che stiamo facendo è un segreto. Un segreto fondamentale, lo capisci? Non possiamo lasciare che finisca nelle mani sbagliate». aveva appoggiato entrambe le mani sul tavolo, vigorosamente, fissandomi. «Tuttavia... tuttavia, credo che potremmo farlo. Ad una condizione».
L’avevo guardata, senza capire. La Sangue Sporco era sufficientemente furba. Non esisteva che volesse dirmelo. Forse voleva mentire. O forse aveva in mente qualche contorto piano, ma di sicuro, non uno che mi sarebbe potuto piacere.
«Hermione! Che diavolo...» aveva detto il suo amico lentigginoso, spaventato, lo sguardo che saettava tra noi due. Alla fine la sua espressione si era fatta di granito. «Tu» aveva detto, puntandomi contro un dito pallido e molliccio. «L’hai incantata, non è vero? Hermione...» e aveva cominciato ad agitare grottescamente una mano di fronte al suo viso... come se questo fosse servito a qualcosa, nel caso in cui l’avessi messa sotto il controllo della Maledizione Imperius.
«Smettila, Ron, sto benissimo» aveva detto lei, infastidita.
«Balle! Hermione, ascoltami...».
«Ron» aveva mormorato Harry Potter, posandogli una mano sulla spalla. Sembrava che i tre si fossero dimenticati della mia presenza. «Aspetta». Poi si era voltato verso la sua amichetta babbana. «Hermione» aveva detto, cautamente. «Che cosa proponi?».
Lei si era alzata, lo sguardo lucente di soddisfazione, e aveva guardato prima loro, e poi il sottoscritto, che si sentiva particolarmente teso. «Useremo l’Incanto Fidelius» aveva esclamato, trionfante.
Oh, magnifico.
 
Meno di mezz’ora dopo, eravamo di nuovo nella Stamberga Strillante, anche se arrivarci senza farci notare non era stato facile, visto che in quattro era praticamente impossibile passare inosservati, specie perché il Mantello non poteva coprirci – e dubito che Malfoy avrebbe voluto provarci. Alla fine ci eravamo Disillusi – Ron si era contorto come un pesce quando aveva sentito qualcosa di freddo scendere per la sua schiena – e lentamente, con cautela, eravamo arrivati a destinazione.
Non ci avevo messo molto a convincere Harry e Ron. In effetti, era da tempo che meditavo sulla possibilità di usarlo. Se Harry fosse stato il Custode Segreto, neppure sotto tortura o con la lettura della mente sarebbero riusciti ad estrarci il segreto. Finchè Harry restava vivo, il segreto sarebbe rimasto intatto.. e diciamocelo, morto Harry, neppure i miei M.A.G.O. sarebbero serviti a qualcosa contro Voldemort.
In questo modo, ci saremmo sbarazzati di un problema pericoloso: Malfoy, e la sua curiosità. Neppure Voldemort in persona avrebbe potuto estorcergli il nostro piano. E lo avremmo potuto tenere sotto controllo. Harry era convinto che in fondo ci fosse qualcosa di buono in lui, ed ero disposta a credergli, visto che... beh, per quanto Malfoy fosse odioso, non era Voldemort. Se non fosse stato educato in un certo modo, avrebbe potuto essere una brava persona.
Insomma, convincere Ron fu più difficile, ma visto che io ed Harry eravamo decisi, lui dovette arrendersi. Malfoy ci aveva imprecato dietro, ed ero anche certa che avesse provato ad incantarci – difficile dirlo, visto che avevo evocato uno scudo per precauzione, visto che non avrei voluto sperimentare una fattura lanciata da Malfoy. Alla fine però aveva acconsentito – per chissà quale motivo, che non volevo davvero sapere – e ci aveva seguiti.
«D’accordo, allora. Prima ci stringeremo le mani...» dissi, ed ignorai Draco Malfoy che fingeva di vomitare. «...poi, ognuno di noi pronuncerà la frase, confiteri nolo, secretum unum protegere oportet... poi tu, Harry, che sarai il Custode, dovrai dire, fidelius... ed il gioco è fatto, credo».
«Perché conosci l’Incanto Fidelis?» si lagnò Ron. «Accidenti a te, Hermione, con tutto quello che abbiamo da studiare, tu...».
«Oh, ma sta’ zitto» dissi, ma arrossii, lusingata.
«Hermione». Harry parlò, ed era molto serio. Mi voltai verso di lui, paziente. «Si, Harry?».
«Io... credo che dovresti essere tu».
«Prego?» chiesi, confusa.
«Credo che dovresti essere tu... il Custode Segreto, intendo». Sia io che Ron assumemmo una espressione piuttosto sciocca. «Che... Harry, io non credo che...» balbettai, incerta, ed anche un po’ spaventata.
«Davvero, Hermione. Io parlo sul serio».
«Ma... Harry...» la mia voce salì di diverse ottave mentre lo dicevo, «Tu... questo è qualcosa che riguarda te, Harry. È il tuo destino, non il mio. È giusto che sia tu a custodire questo segreto».
Lui scosse il capo. «Se io dovessi morire» cominciò, e vedendo che io e Ron volevamo interromperlo, ci fece cenno di lasciarlo finire, ed alzò la voce. «Se io dovessi morire, Hermione, l’Incanto si spezzerebbe. Inoltre, come ha detto anche Malfoy, io sono un pessimo Occlumante, no? qualcuno potrebbe riuscire a... leggere nella mia testa, e allora sarebbe tutto vano. Sono certo che tu saresti molto più brava, Hermione».
«Ma io... Harry, davvero....» dissi, commossa mio malgrado, le lacrime agli occhi.
«Come hai detto tu, Hermione, è il mio segreto, giusto? La scelta spetta a me» disse lui, con decisione. Quando faceva così, era inutile insistere.
«Io... oh, d’accordo» dissi, in tono incerto e rassegnato. «Ora... mettete le mani l’uno sull’altro... così... sopra la mia».
Harry obbedì subito, e mi fece un sorriso incoraggiante che non ricambiai. Ron emise un verso di totale esasperazione, ma fece lo stesso. Alla fine rimase solo Malfoy, che sembrava sul punto di vomitare, ma naturalmente, non poteva essere la verità. Gli lanciammo un’occhiataccia, tutti e tre, e lui scrollò le spalle. «Ti sei lavato le mani, vero, Weasley?» disse, provocatorio, prima di posare la sua mano appena sopra a quella di lui. Entrambi rabbrividirono.
«Fuori la bacchetta.... e Malfoy, non provare nemmeno a fare qualcosa di strano, siamo uno contro tre, ti batteremmo» dissi, cercando di assumere un tono sicuro e professionale. Già, come no. Calò il silenzio – ma solo dopo che Malfoy, vagamente deluso, abbassasse appena la bacchetta. Era un silenzio più pesante di una scatola intera di Pallini Acidi da ingoiare, e vi assicuro che è tutto dire.
«Harry... comincia tu» sussurrai, appena un po’ inquieta.
«Confiteri nolo» disse lui, prontamente, abbassando la bacchetta verso la mano di Malfoy. Qualcosa brillò sulla punta, e nessuno di noi se lo aspettava. Era un globo di luce, grande come una mela, di un bel colore oro pulsante che ricordava un sole in miniatura. «Secretum unum protegere oportet» concluse, scrutando con occhi vacui la luce. Questa tremolò appena, poi rimase sospesa qualche centimetro al di sopra delle nostre mani.
«Hermione» disse Ron, incerto, «che cos’è quello? È...?».
«...normale?» lo aiutai io, scrutando la luce cautamente. «Io... credo che sia una proiezione». Era chiaro che voleva chiedere ancora qualcos’altro, ma il mio sguardo gli suggerì di rimandare le domande a dopo. Così anche lui puntò la bacchetta verso la propria mano, e dopo aver deglutito rumorosamente disse, con voce sufficientemente chiara: «Confiteri nolo, secretum unum protegere oportet». Riuscì a pronunciarlo correttamente, ed ancora una volta vidi qualcosa emanare dalla bacchetta di uno dei miei amici. Una sottile nebbiolina scivolò fuori dalla punta, aleggiando attorno al sole di Harry. Era una nebbiolina incerta e lucente, e ne fui sorpresa.
Toccava a Malfoy, ora. Non ne sembrava entusiasta, anzi, sembrava più prossimo che mai a battere in ritirata. «Forza, Malfoy. Non abbiamo tutto il giorno» dissi, acida, e lo vide storcere il naso con aria aristocratica.
« Confiteri nolo» disse, con voce altera. Qualcosa ondeggiò. Qualcosa sembrò tremolare sulla sua pelle, come se fosse stata sotto di essa. Come se un’altra pelle, più setosa, più morbida, stesse avvolgendo la sua pelle. «Secretum unum protegere oportet» concluse lui. Quella membrana di fumo e niente si staccò, piovendo come una miriade di petali verso le loro mani giunte. In quel momento qualcosa tremò, una vibrazione che non proveniva da nessuna parte, e per un istante temetti che le nostre mani si stessero fondendo assieme. Anche nei loro volti lessi un identico sconcerto, prima che finisse.
Le luci si dissolsero, ed allora compresi che ci ero riuscita.
«Ce l’hai fatta..?» gracchiò Ron.
«Già».
I tre ritrassero le mani, come schifati. Draco Malfoy se la pulì sui pantaloni, altezzoso. «Ok, Granger, ora che hai dato prova delle tue formidabili virtù, che ne dici di raccontarmi che cosa state combinando?».
Io lo guardai, amabile. «Non così in fretta, Fulmineo Furetto» cinguettai.
«Che c’è?» sbottò allora lui, esasperato. «Devo fare un patto di sangue? Immolare un caprone a San Potter, patrono degli sfigati?».
«Non posso essere certa che abbia funzionato, capisci?» gli feci notare.
«E come pensi di scoprirlo?» domandò lui.
«Semplice. Ti dirò una piccola, fondamentale parte del segreto. Dopodiché noi» e gli inclusi tutti con un ampio cenno della mano, «andremo alla Testa di Porco, dove tu» lo indicai, «cercherai di riferirla a qualcuno. Se ci riesci, ti Schianteremo, o ripeteremo l’incantesimo. Altrimenti, ti diremo tutto».
Malfoy alzò gli occhi al cielo, ma vidi un angolo della sua bocca contrarsi all’insù, soddisfatto. Credeva di aver intravisto una falla nel mio piano, ma purtroppo per lui, era solo una buca che avevo scavato per farcelo precipitare dentro come un allocco.
Così, Testa di Porco, dieci minuti – ancora – più tardi. Al barista, il cui sguardo azzurro era piuttosto sospetto (lo vidi scrutarci senza ritegno mentre tornavamo al tavolo) chiedemmo quattro Burrobirre, che estrasse da sotto il bancone, naturalmente così sporche che, una volta seduti, mormorai un “Gratta e Netta” nella speranza di pulirle. Inutilmente. Ok, sono una di quelle, come Tonks, che non sa utilizzare gli incantesimi domestici.
«Perfetto» dissi io. «Ora, Malfoy, tocca a te. Ecco la prima informazione; la storia di Harry – quella della profezia – è vera» dissi mentre stappavo una delle Burrobirre.
«Quello lo sapevo da me, oca giuliva» disse lui, acido, e Ron fece una smorfia. «Mio padre è anche stato arrestato, no?». Ron fece sbattere la propria bottiglia sul tavolo, trionfante. «Ha!» disse. Gli altri due avventori del locale,che pure erano troppo lontani per sentire il resto, si voltarono allarmati. Lui non li badò, gli occhi gli ardevano. «Dunque ammetti che tuo padre c’era!».
«In un’altra occasione certo che non lo farei, zotico» disse Malfoy, con l’aria di chi annusa letame. «Ma visto che tutti e tre eravate presenti... che senso avrebbe negare?». Io ed Harry ci guardammo. Sapevamo che Lucius era stato punito duramente per aver fatto infrangere la profezia.
«So che lo sai» dissi, paziente. «Ma non hai mai saputo che cosa dicesse quella famosa profezia, no?».
Lo sguardo di Malfoy lampeggiò. «Mio padre mi ha spiegato che il Signore Oscuro ne udì una parte» disse, cauto. «Fu Piton a riferirgliela».
«Beh» dissi, sporgendomi in avanti. «Noi la sappiamo per intero». Lo sguardo di lui si accese di segreta curiosità, ma a parte questo rimase impassibile. «Immagino che tu non ne conosca il contenuto» lo incalzai.
«Come lo sapete? Chi vi ha rivelato la profezia?» domandò Draco, versandosi della Burrobirra dopo un’occhiata colma di sospetto al bicchiere.
«Silente» sussurrai io. «L’ha detta ad Harry».
Lui assentì appena.
«La profezia dice» dissi, giocherellando con il tappo della Burrobirra, incerta. «Che... che lui ed Harry dovranno scontrarsi, prima o poi». Lanciai un’occhiata all’interessato, che sembrava molto preso dai nodi del legno. «E soltanto... uno dei due...». Avrei voluto chiedere aiuto, ma ora che ero la Custode, non avrebbero potuto. Mi schiarii la voce. «Sopravviverà» pigolai.
Malfoy alzò lo sguardo, gli occhi sbarrati. Spostò lo sguardo tra me ed Harry, che continuava a guardare il tavolo. Credo che Malfoy avrebbe voluto fare una battuta sarcastica, ma un conto era malignare a scuola, un conto era scherzare su Voldemort; doveva averne una paura cieca. Insomma, immagino che conviverci non fosse grandioso.
Alla fine si alzò. «Vado?» mi chiese. Io annuii. Si alzò ed uscì di corsa dal pub, mentre io me ne stavo tranquilla ad aspettare. «Eh, Hermione» disse Ron, come colto da un’idea improvvisa. «E... e se il tuo incantesimo non funziona? Potrebbe anche dirti una balla».
«No, non lo farà» dissi, raggiante, ficcando la mano in tasca ed estraendone una fiala colma di liquido trasparente. «Perché metteremo questa nella sua Burrobirra».
«Quello è Veritaserum» disse Harry.
«Orca!» esclamò Ron. «Hermione, come...».
Io arrossii lievemente. «Potrei averne fregato un po’ dall’ufficio di Lumacorno» ammisi infine, riluttante.
«Come diavolo hai fatto?» trasecolò Ron. «Ma soprattutto... perché ce lo avevi dietro?».
E sorridendo ancora gli mostrai la borsetta di perline che avevo indossato quando eravamo stati invitati al matrimonio di Bill. Beh, il quasi matrimonio. «Pensavo che avremmo potuto avere bisogno di prendere qualcosa» mi scusai. «E prima, mentre andavate a prendere le ordinazioni, ne ho Appellata una fiala».
«Geniale» proclamò Ronald. «assolutamente... completamente... geniale». Nel frattempo io, molto rossa, versai qualche goccia del siero nella Burrobirra di Draco Malfoy.
Questi fu di ritorno, sufficientemente deluso da farmi intuire l’esito della sua spedizione. Si lasciò cadere sulla sedia. «L’incantesimo funziona» disse, laconico, prima che potessimo chiedergli qualcosa.
«Capisco» dissi, quieta, bevendo dal mio boccale nella speranza che lui facesse lo stesso. Ed infatti, alla fine Malfoy bevve. Rabbrividì appena.
«Dunque» cominciai allora, «non ha funzionato».
«No, e credimi, ci ho provato» disse Malfoy. Soddisfatta, annuii.
«E dimmi» saltò su Ron all’improvviso. «Hai mai dubitato della tua eterosessualità?».
Malfoy fece un’espressione di puro disprezzo, non privo di un certo sconcerto. «Che cazzo dici, Weasley?» domandò, piuttosto oltraggiato.
«Lascialo perdere» dissi, estremamente soddisfatta, e lanciando a Ron un’occhiata inteneritrice.
«Allora, Granger. Adesso, finalmente, mi racconterai la verità?» chiese Malfoy, impaziente.
«Certo che te la racconterò» dissi io, tranquilla. «ma non qui».
Lui alzò gli occhi al cielo. «Per l’amor di Dio, Granger, farei prima a morire di vecchiaia che a stare qui ad aspettare».
«Non ti pare un luogo troppo scoperto per queste cose?» feci io, non poco irritata.
Fu costretto a darmi ragione. Mi sporsi verso di lui, sorridente, e lui fece per scostarsi. Lo ignorai. «Stanotte, a mezzanotte, nella Stanza delle Necessità. Non farti beccare, stupido Serpeverde» sussurrai. Irato lui si ritrasse, ma annuì, lo sguardo cupo.
Ron, piuttosto seccato per quel confabulare – o da Malfoy in generale – si alzò di scatto. «Credo che pagherò» affermò in tono tetro, avviandosi verso il bancone. Harry esitò, evidentemente incerto sul da farsi, ma si alzò a sua volta. Ero sicura che non volesse lasciare da solo Ron; quando metteva in moto il cervello dopo un periodo di inerzia rischiava di indursi pensieri poco lusinghieri. Probabilmente, comunque, l’idea di stare troppo con Malfoy lo atterriva.
Così, io e Malfoy si scrutammo, con grande ostilità. Allo stesso tempo, dai movimenti rapidi delle sue dita che giocherellavano con il boccale, dedussi che era molto più eccitato di quanto non mostrasse. «Hai paura?» gli domandai.  «Si» non poté fare a meno di rispondere, e subito dopo sbarrò gli occhi. Dentro di me sogghignavo. «Preferiresti essere rimasto all’oscuro?».
«No» disse lui.
Ne fui stupita, in un certo senso. «Perché?».
Ancora una volta forse avrebbe mentito, ed invece dalla sua bocca, mentre ci provava, uscì la verità. «Avevo paura anche quando ero all’oscuro. Vivo nella paura, ormai. Perciò, tanto vale». Serrò la bocca, estremamente scosso dalle proprie parole. Mi guardò, lo sguardo assassino. «Perché lo sto dicendo?».
«Veritaserum, Malfoy» dissi io, impassibile.
Mi aspettavo che mi mandasse a quel paese. «Astuto» disse invece, e doveva pensarlo.
«Lusingata» commentai, guardando Ron ed Harry che aspettavano che il barista, intento a pulire – per così dire – li degnasse di uno sguardo. Stavano sussurrando qualcosa.
«Dovresti esserlo» sibilò l’altro. «E’ la qualità principale di un Serpeverde. Astuzia, nobiltà, orgoglio, ambizione».
«Pensavo fosse codardia» dissi io, sprezzante.
«Difficile non pensarlo». Ci misi un po’ a collegare quello che aveva detto. quando ci riuscì lo guardai, stupita. Avevo lo sguardo fisso sul legno nodoso del tavolo, lo sguardo disgustato. Verosimilmente dai suoi compagni, e da quello che aveva detto.
«Dovrei usarlo più spesso, il Veritaserum» dissi allora.
«Non dubito che ti piacerebbe, non stupida Mezzosangue». Naturalmente non poteva lanciarmi insulti ai quali non credeva. Divertente. Sogghignai, e lui mi incenerì con un’occhiataccia. A quel punto mi venne in mente una domanda, che poteva sembrare stupida, ma che mi sorse spontaneamente. «Se fossi finito a Grifondoro, che cosa avresti fatto?».
«Non sarebbe potuto accadere. Il Cappello mi ha assegnato senza battere ciglio». Era vero. A stento lo aveva toccato. «Il Cappello sa quello che è richiesto a chi è erede Purosangue». Diventava bravo ad eludere le domande ed il Veritaserum, ma non poteva eludere una domanda diretta. «Ma, ipoteticamente, se fosse accaduto?».
«La mia famiglia ne sarebbe stata disgustata, sebbene fosse meglio di Tassorosso, ed io avrei provato vergogna, suppongo».
«Perché?» chiesi. Lui mi guardò, e mi resi conto che non capiva la mia domanda. Per lui era una cosa assolutamente normale pensare che il mondo di Serpeverde fosse quello giusto. Non importava che, razionalmente, un Grifondoro possedesse buone qualità. Era così, punto. La cosa mi diede la pelle d’oca, pur non sapendo bene perché. Forse perché era un mondo così chiuso.
«Perché è così, Mezzosangue» disse lui, imitando la mia voce più saccente. Fastidioso.
«Sei chiuso, Malfoy».
«E tu sei un’ingenua» disse lui, pigramente.
Risi. Non potevo farne a meno. «Si, si, lo siamo tutti» dissi. «Quando saprai, Malfoy, capirai».
«Non credo che potrei capire le vostre idee, Granger» commentò Malfoy, non senza superiorità. «Voi siete una razza a parte».
«Per fortuna» dissi, con tutto lo snobismo che avevo in corpo. Lui sbuffò, sprezzante.
«Avete un’altra opinione di voi stessi, vero? Granger, solo perché sei furba, onorevole, eccetera, non puoi pensare che tutti finiscano per sbavarvi dietro».
«Sai, Malfoy» dissi io, scocciata. «Dovresti prendere esempio dal tuo stesso consiglio».
Malfoy fece una smorfia disgustata e fece spallucce. Nel Ron ed Harry tornarono al tavolo. «Hermione» fece Harry, ignorando Malfoy come se fosse stato una lumaca bavosa, «dobbiamo andare». Mi alzai, e tutta impettita andai al bancone, dove buttai una manciata di monete. Harry, al mio fianco, sembrava impaziente. Ron stava in disparte con l’aria offesa.
Mentre Malfoy pagava, io mi voltai verso di lui. «Non dimenticare, Malfoy». Dissi il suo cognome come se fosse stata una parolaccia. Poi io, Ron ed Harry uscimmo nel freddo ottobrino. Una volta liberi da Malfoy, ci sentivamo tutti molto più tranquilli.
«Andiamo» dissi, prendendo entrambi a braccetto. Il pomeriggio scuriva in sera, ed eravamo nei guai. Chiusi gli occhi, e sorrisi. Era in momenti come questi che ero felice che Ron ed Harry fossero lì, con me. Assieme, in silenzio, tornammo al castello.
 
Hermione cominciò dal principio. Raccontò della pietra filosofale e di Raptor, del Basilisco e del diario di Riddle, di Sirius e del Torneo Tremaghi. spiegò di Silente, di quello che mi aveva sempre detto, di quello che pensavamo. Raccontammo del Ministero, di come Sirius fosse morto, di come Silente avesse scacciato Voldemort che aveva tentato di possedermi. E raccontò di quando Silente mi aveva finalmente svelato la verità sulla Profezia. Infine parlò anche dell’anno prima, dei miei incontri con Silente, di quello che sapevamo, e sospettavamo, e Malfoy non riuscì a nascondere la paura che provava. Del resto, era stato un anno atroce anche per lui. E raccontammo di RAB, e di come quel pomeriggio avessimo scoperto di Regulus Black. Avevamo parlato con Kreacher e lo avevamo sorprendentemente convinto a collaborare; anzi, chissà come, dopo che gli avevamo regalato il medaglione si era decisamente ammorbidito.
Quando Hermione finì di raccontare, erano passate quasi due ore. Ron cadeva dal sonno, e a dire il vero anche io. Malfoy invece era livido e assolutamente sveglio, gli occhi di un animale in gabbia, seduto davanti a noi come un accusato. Non aveva spiccicato parola. Hermione era tesa, e anche un po’ compassionevole.
Alla fine Hermione si schiarì la voce. «Ecco... ora sai tutto» disse, fin troppo timidamente considerato il fatto che si trattava pur sempre di Malfoy.
Malfoy era chiaramente in bilico tra la tendenza ad odiarci e la tendenza a non scherzare con il fuoco. Ci guardò, ed era uno sguardo indecifrabile, non perché nascondesse qualcosa ma perché c’erano troppe cose tutte assieme. «Merda» disse infine, convinto probabilmente che riassumesse abbastanza bene non solo il nostro racconto, ma anche il suo pensiero. Beh, probabilmente aveva ragione.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Curiosity killed the ferret ***


Theodore Nott mi fissava al di sopra del libro di Aritmanzia. Io lo ignorai, cosa perfettamente giustificabile se contiamo il fatto che avevo tre rotoli di pergamena per la McGranitt e due per Lumacorno per l’indomani, e due occhiaie pesanti a sottolineare la mia carenza di sonno. Per quest’ultima, naturalmente, non avevo modo di giustificarmi. “Ehi, Nott, sai che Potter ed i suoi amichetti mi hanno appena messo al corrente del loro diabolico piano per distruggere il Signore Oscuro eliminando ad uno ad uno i pezzi della sua oscura anima? Tra parentesi, il Signore Oscuro si nasconde al momento proprio a casa mia, a contemplare magari la mia cameretta, accarezzando un orripilante serpente lungo dieci metri che con tutta probabilità nasconde il più inaccessibile di tutti i suoi segreti”. Avrei pagato per vedere la sua faccia.
E poi, ero ancora arrabbiato con lui, anche se a malapena lo ricordavo. La maniera in cui mi aveva trattato nella sua zuffa con Zabini era oltremodo irritante. Sbirciai l’atro interessato mentre fingevo di stiracchiarmi. Aveva un labbro spaccato ma Pansy o qualche altra stupida oca doveva averlo aiutato a liberarsi dei lividi.
Tornai a concentrarmi sulla mia copia di Trasfigurazione avanzata. Ma l’immagine della Banda Potter era in agguato. Ah, avere la Granger ad aiutarmi nei compiti! Sospirai drammatico, salvo poi ricordarmi che stavo dialogando con la mia testa. senza osare guardare Nott, mi stuzzicai la punta del naso con la piuma. Poi scrissi un paio di frasi, senza alcuna convinzione. Se solo Nott, che era seduto di fronte a me. Se solo avesse sentito il bisogno urgente di andare in bagno, avrei potuto sporgermi con assoluta noncuranza e scribacchiare un paio di espressioni che aveva annotato con la sua orribile calligrafia troppo piccola e stretta.
Non c’era nessun altro nelle vicinanze, naturalmente. Chi si sarebbe seduto accanto a me? Magari avrei potuto fregare il compito a Zabini. Perché non avevo comperato una di quelle Piume Ricopianti, o come si chiamavano? Da Zonko ne avevano in abbondanza. Peccato che fossi stato troppo preso dalla mia ricerca di Polvere Pruriginosa per Zabini – tra parentesi, l’avevo trovata, e lo avevo sentito rigirarsi nel letto per ore.
E c’erano ancora tutte le lezioni del pomeriggio. Disgustato, voltai pagina nella speranza che Trasfigurazione Avanzata mi illuminasse. Nulla da fare.
Oh, andiamo! Come potevo anche solo pensare di concentrarmi dopo quello che mi avevano detto? Senza contare che non sapevo come agire. Voglio dire, una persona non può ricevere una informazione del genere senza scomporsi, no? Ma cosa potevo sperare di fare? Che cosa volevo fare?
Stupido Potter. Stupido Weasley. Stupida Granger.
Granger.... quel nome mi fece venire un’idea. Potevo costringerla a farmi i compiti, no? era così stupidamente buonista da accettare – me li aveva anche già fatti – me li avrebbe fatti di nuovo. Bastava che le dicessi che per colpa della loro stupida esistenza e dei loro stupidi problemi non avevo chiuso occhio e non ero stato in grado di studiare, o pensare.
Soddisfatto, accartocciai la pergamena e la gettai in malo modo nel cestino. Raccolsi la mia roba, la ficcai velocemente nella borsa, e feci per andarmene. «Malfoy» fece una voce alle mie spalle. Mi voltai. Zabini mi guardava, giocherellando con la sua piuma d’oca con aria pigra. La teneva in equilibrio sul naso, poi la riacciuffava se rischiava di cadere. Era troppo lontano per centrarlo con la mia copia del libro di Pozioni? Valutai in silenzio, impassibile.
«Che cosa combinavi, ieri notte?». Il guaio di dormire con Zabini è che è sempre attento. Credo che perfino dalla nostra biancheria sia in grado di capire dettagli della tua vita che preferiresti restassero un segreto. Naturalmente, quello che voleva sapere sarebbe rimasto un segreto, ma non grazie a me, purtroppo.
«Cercavo il tuo neurone, Zabini. Quello che si è perso anni fa» replicai, con un ghigno. Avevo notato, però, che Nott mi fissava con aria indagatrice. Lui dormiva, grazie a Dio, quando ero scivolato giù dal letto. Aquila di giorno, ghiro di notte.
«Molto spiritoso. Perché non lo raccontiamo a Lumacorno?». Come se Lumacorno avesse voluto saperne, di me! Lo spaventavo a morte, non mi rivolgeva la parola, ed evitava accuratamente di vedere se facevo qualcosa di giusto, o di sbagliato. Zabini lo sapeva, ma voleva mettere in evidenza il fatto che mi aveva beccato.
«Giusto. E gli raccontiamo anche di tutte le volte che marini le lezioni per giocare a Quidditch, che ne dici?» dissi, tranquillamente. I suoi occhi luccicarono. «Non ho mai perso una lezione» disse, con un sorriso misurato. «Sono molto attento nel praticare i miei interessi, a differenza di te». Magari i professori erano convinti che non valesse la pena di perseguitare Zabini, ma io si.
«Almeno io non faccio la parte del cocco del professore, Zabini» dissi io, sorridendo. Poi, senza aspettare risposta, mi allontanai. Camminavo con lo sguardo basso, non per vergogna ma perché ero pensieroso. Notai però un gruppetto di ragazze che mi fissavano. Naturalmente, anche se tutti avevano troppa paura per avvicinarsi a me, più di qualcuna sembrava interessarsi a me e guardarmi come una specie di esiliato volontario, un ragazzo dannato ed interessante. Me n’ero reso conto già da un po’, ma dell’istinto da crocerossina non sapevo che farmene.
Erano in cinque e mi guardavano, ammaliate e spaventate. Una di loro, invece, sembrava più che altro essere incuriosita da me. La conoscevo, si chiamava Astoria. Era del mio anno, era una ragazza che tutti definivano un ghiacciolo umano, visto l’aspetto austero. Non ci avevo mai parlato granché, comunque.
Ricambiai lo sguardo, senza ostilità ne freddezza. Uno sguardo, e basta. Poi mi allontanai; avevo già scordato di averla vista.
Decisi che, se la Granger aveva un’ora buca, probabilmente la stava passando a studiare. Speravo anche che Halloween ormai imminente avesse trasformato la sala di Grifondoro in una baraonda come era accaduta a quella di Serpeverde. In quel caso, se fossi stata una stupida secchiona, dove mi sarei diretta?
In biblioteca, ovvio. In tutta fretta salii rampe e rampe le scale – le stesse che tempo prima avevo percorso da sbronzo, anche se non è il caso di ritirare fuori quella vecchia storia – fino ad arrivare alla porta della biblioteca. Scivolai dentro, in silenzio. non c’era molta gente, naturalmente; soltanto la Granger e qualche sgobbone Tassorosso si sarebbero presi la briga di studiare tutto il pomeriggio a due giorni da Halloween.
Mi aggirai tra gli scaffali, ma senza alcun esito. Le uniche facce anche solo vagamente note erano Calì e Parvati Pati, le quali erano nascoste in una sezione poco frequentata. La Grifondoro sembrava arrabbiata e parlava alla gemella con un’aria corrucciata, mentre l’altra, lo sguardo cupo fisso a terra, non rispondeva. La scena non mi avrebbe interessato granché, se non avessi riconosciuto, tra gli incomprensibili bisbigli, la parola “Hermione”. Cercai di capire che cosa stessero dicendo senza farmi notare, ma era difficile, perché parlavano a bassa voce.
«Vista... tempo... osservo...nascondendo qualcosa...». Avevo l’orecchio incollato allo scaffale, ormai.
«Senti, Calì, lasciami in pace». Parvati evidentemente era troppo arrabbiata per abbassare davvero la voce.
«Lavinia... qual è il problema» sibilò impaziente l’altra. «....osa sia.... occupata.... i vedo mai...».
«Calì, lasciami in pace» strillò Parvati. «Io sto benissimo». Si alzò, evidentemente, perché un paio di istanti dopo la vidi sfrecciare via verso l’uscita senza badarmi. Uhm. Beh, non sapevo ancora dov’era la Granger, ma pareva che ci fosse qualcosa di interessante riguardo alle Patil.
Il giro in biblioteca rimase infruttuoso. Così decisi che la mia ultima spiaggia era il parco. Tuttavia, la stupida Mezzosangue non si fece vedere. Così alla fine, scornato, mi apprestai a rientrare nel castello... quando vidi la suddetta Mezzosangue (S.M., Secchiona Mezzosangue, per gli amici) attraversare a falcate decise l’ingresso. Le corsi dietro, sperando che nessuno mi facesse caso. La seguii a questo scopo per una rampa o due di scale, ed ebbi perfino la soddisfazione di fare una Fattura Inciampante a Zabini quando lo superai – cosa della quale ero estremamente grato – mentre quegli si dirigeva in biblioteca.
«Granger!» chiamai infine. La vidi irrigidirsi, e poi voltarsi verso di me. Dalla sua espressione, dedussi che ero in ritardo, e l’avrei fatta indispettire volentieri trattenendola, se non fosse stata nel mio interesse di rabbonirla.
«Malfoy» disse lei, disgustata. Ehi! «Sono in ritardo».
«Anche io» ribattei, incapace di tacere. «Ma devo chiederti una cosa».
La sua espressione sospettosa mi diceva che temeva il peggio. «Cioè?».
«Ieri per colpa della tua narrazione mirabolante non sono riuscito a dormire, né a fare i compiti per la McGranitt. Perciò dovresti considerare come un dovere morale...».
«No» e si voltò, riprendendo a salire le scale. Merda! Indispettito la rincorsi. «Stupida Mezzosangue, la mia non era una domanda!». D’accordo, non la mia strategia migliore.
«Purtroppo la mia rimane una risposta». Tornò a voltarsi verso le scale.
«Spiffererò tutto in giro!» esclamai allora, prima di rendermi conto che, in effetti, non avrei potuto. Cavolo.
Lei sogghignò divertita. «Malfoy... sei un essere abietto». A quel punto la Mezzosangue aveva rinunciato ad ogni seria pretesa sulla propria incolumità. Purtroppo per lei, ero un Malfoy, conoscevo potenti incantesimi oscuri, e altri fastidiosi, che non vedevo l’ora di sperimentare. Alzai la bacchetta.
Senza neppure battere ciglio, lei mi disarmò. Prima che potessi fare altro, mi rifilò anche una Fattura Gambemolli che mi fece precipitare a terra in maniera poco signorile.
Ehm. D’accordo, magari ero un mago oscuro un po’ arrugginito. E allora? Compensavo col carisma. E, rispetto al Signore Oscuro, con molti più capelli.
«Malfoy, sei un vero idiota» disse lei con un sorriso serafico, prima di girare sui tacchi ed allontanarsi, mentre io le strillavo improperi e strisciavo verso la bacchetta. Quando la presi, se n’era già andata. Peccato, altrimenti avrebbe potuto assaggiare la mia furia.
In quel momento passò, caso voleva, Mcnair. Vedendomi afferrare la bacchetta sgranò gli occhi. «Ehm... Draco?» chiese, incredulo.
Lo guardai. Lui mi guardò. «Cristo, David, so di essere bello, ma tirami su!» sbottai.
«Che cosa è successo?» mi chiese lui, dopo che si fu affrettato ad obbedire.
«Storia lunga» borbottai io. «Andiamo». Barcollando sulle gambe malferme, mi avviai verso il dormitorio, mentre McNair mi seguiva trotterellando ansioso. Sembrava una docile capretta che segue il suo pastore – ed io un pastore ubriaco.
«Sicuro di stare bene?» domandò lui perplesso.
«Benissimo» affermai io in tono distratto. Cercavo di ricordare la contro fattura per la Fattura Gambemolli. Non mi venne nulla in mente. Grazie a Dio riuscivo a camminare – più o meno.
Quando ritornai al dormitorio, era quasi vuoto; tutti si erano già diretti a lezione. Imprecando afferrai i libri e, sforzandomi di camminare normalmente, mi diressi a lezione. Stupidissima Granger. Avrei dovuto chiedere una contro fattura a Nott, ma non mi andava di parlargli. Ero ancora offeso. Così mi diressi verso Incantesimi, ed arrivai ad Incantesimi in ritardo ed ansimando. Mi beccai dieci punti in meno e diverse occhiatacce, ma almeno ero tornato a camminare normalmente.
L’unico posto libero era nella penultima fila, accanto – argh! – a Zabini. Nott era in primo banco assieme alla ragazza che avevo visto quella mattina, Astoria o come si chiamava. Gli sguardi di entrambi mi perforavano la schiena mentre mi avviavo controvoglia verso il mio banco. Buttai la mia roba sulla panca, tra me e Zabini, che mi ignorò. Il professor Vitious proseguì con la sua vocetta stridula: «...ehm... si, come stavo dicendo... oggi cominceremo con un Incantesimo fondamentale; l’incanto Proteus». Diversi sussurri seguirono, piuttosto concitati. Avevamo lezione con i Corvonero, e molti di loro già annuivano, felici.
«Sapete dirmi di che cosa si tratta..?».
Un paio di istanti di esitazione, ed un paio di mani si sollevarono, seguite da altre tre o quattro. Tra di esse non c’era alcun Serpeverde; neppure Nott o Zabini, che comunque sembravano piuttosto sicuri di sé. Io avevo una vaga idea di che cosa si trattasse, ma rimasi zitto e con lo sguardo basso. Stavo ancora rimuginando sui compiti che, a causa della scarsa collaborazione della Granger, mi sarebbe toccato fare, e pensai quando vidi le mani sollevarsi che con tutta probabilità la sporca Secchiona Sangue Sporco (S.S.S. per amareggiati nemici) l’avrebbe alzata prima ancora che Vitious avesse finito di parlare. Maledetta.
Cercai di concentrarmi su Zabini che, tutto rigido ed impettito, sembrava teso ad ascoltare ogni singola parola pronunciata da Parvati Patil, che era stata scelta per rispondere. Quasi invidiavo Zabini per il suo rendimento scolastico; una ragione in più per odiarlo.
«Benissimo, signorina Patil, benissimo» esclamò Vitious, battendo le manine assieme. «D’accordo, ragazzi. Il movimento necessario non consiste che in una semplice stoccata, che tutti voi siete perfettamente capaci di eseguire... dovete pronunciare “proteus” senza alcuna esitazione, proprio mentre eseguite il movimento... ora, signorina Patil, se non le dispiace, distribuirebbe questi papiri alla classe..? La ringrazio... altri dieci punti per Corvonero... molto bene, dividetevi a coppie ora. Dovete incantare entrambi i fogli, naturalmente... dopodiché verificate che l’incantesimo vada a buon fine, d’accordo?».
In coppia con Zabini... meraviglioso. Ci lanciammo un’occhiata ostile, in silenzio. lo sguardo di lui si posava in continuazione sulla ragazza che distribuiva le pergamene, come implorandola di fare presto, per liberarlo da questo supplizio. Su questo, non potevamo essere più d’accordo.
Zabini frugò nella pesante borsa per estrarre la bacchetta. Chissà come, mi venne in mente che non l’avevo notata quando l’avevo affatturato mentre si dirigeva in biblioteca. Incantesimi era al primo piano, la biblioteca al quarto. Quando era andato a riprenderla..?
Lo fissai, curioso. Zabini se ne accorse, e assunse un’aria strana, quasi nervosa. «Qualcosa non va, Malfoy?» cantilenò con aria di scherno.
«Niente, Zabini...» dissi io, con un sorriso assolutamente malvagio. «Pensavo solo a che cosa stai nascondendo».
Impallidì impercettibilmente, ma la sua espressione non mutò. «Di che parli, Malfoy?» disse, la voce vibrante di minaccia.
«Oh, sappiamo entrambi a che cosa mi riferisco». Ok, io non lo sapevo, ma questo era un dettaglio irrilevante. Mi venne in mente che  aveva negato di aver saltato delle lezioni, quella mattina, nonostante lo avessi visto con i miei occhi. dove andava, Zabini, quando marinava le lezioni..?
Parvati arrivò in quel momento. Sembrava turbata; probabilmente per via della litigata a cui avevo assistito. Uhm. Un sacco di gente aveva dei segreti, ultimamente. Certo, i miei non li batteva nessuno. Ripensarci mi turbò. Era da tutto il giorno che cercavo di evitare di pensarci. Merda.
Parvati afferrò due rotolini di papiro piuttosto spesso. Sia io che Zabini ci voltammo verso di lei, e dovevamo ancora avere delle espressioni feroci, perché mentre il suo sguardo si posava prima su Zabini, poi su di me, e poi di nuovo su Zabini, parve spaventata. Buttò i due rotoli sul tavolo e si allontanò in fretta, mentre Zabini, perplesso – non si era reso conto di avere un’espressione così rabbiosa – esaminava me e lei come se fossi stato io a spaventarla. Magnifico. Così ora tutti i Corvonero avrebbero saputo che litigavo con gli altri della mia Casa.
Afferrai in fretta un rotolo, desiderando di ficcarlo su per una narice al mio compagno, e lo dispiegai. Feci lo stesso con l’altro. Alzai la bacchetta, pronto ad eseguire l’incantesimo, ma l’altro mi bloccò. «Strappane un pezzo» disse, scrutandomi come se mi vedesse per la prima volta. «Devo provare anche io. Ubbidii in silenzio, staccai due pezzi di papiro, e li posai l’uno sull’altro. «Proteus» scandii eseguendo una stoccata forse troppo violenta. Così violenta che qualche scintilla sprizzò sul foglietto bruciacchiandolo appena. oh, beh. Ero nervoso.
Furibondo afferrai la mia piuma e feci una crocetta sul primo foglio. L’altro foglio rimase intonso.
Zabini ancora mi esaminava.«Anziché guardarmi come un fesso» sbottai, «perché non ci provi?».
Zabini aveva un’espressione curiosa che non riuscivo a capire. «Il movimento era giusto» disse, con voce calma, «e anche l’incantesimo».
«Commovente da parte tua dirmi che non sono un’idiota» dissi io rabbiosamente. Però ricordai la volta in cui, in infermeria, avevo provato ad eseguire un “Wingardium Leviosa” senza riuscirci. Mi turbò.
Senza smettere di guardarmi, Zabini alzò la bacchetta e picchiò con decisione sul foglio. «Proteus» scandì, e sul foglietto prima bianco apparve una macchia indistinta. «Non male come primo tentativo» fece il professor Vitious. Entrambi sobbalzammo. Eravamo concentrati su di noi.
«Ora prova tu, Malfoy» mi incoraggiò. Vitious era l’unico professore che riusciva a comportarsi con me come se nulla fosse successo, assieme alla McGranitt. Gli altri erano tutti o troppo spaventati, o risentiti, o troppo gentili.
A quel punto mi concentrai. Ero un Malfoy. Un Malfoy non poteva fallire, giusto? Sollevai la bacchetta e colpii la rimanente pergamena. «Proteus!». Poi presi la piuma e, dopo averla intinta nell’inchiostro, scrissi “Malfoy” sul foglio. Sull’altro foglio, tremolante, apparve una M seguita da una L.
«Ottimo, tutti e due!» disse Vitious. «Cinque punti a ciascuno di voi!».
Più di qualcuno sembrava indispettito da questa preferenza nei miei confronti. Gli unici ad esserci riusciti erano, oltre a Nott e a Parvati Patil, altri tre Corvonero. Tutti avevamo ricevuto dei punti.
Marietta Enscombe, la faccia annerita – Parvati aveva dato fuoco accidentalmente al suo papiro prima di riuscire a completare l’incantesimo – alzò la mano. Parlò attraverso la sciarpa che teneva sempre su per il naso, a coprire l’acne che era quasi scomparsa, ma dove “spia” si riusciva ancora ad intravedere.
«Professor Vitious..?» domandò, incerta.
«Si, mia cara?» rispose lui, amabile.
«Ehm... per quale motivo l’Incanto Proteus non si utilizza per le comunicazioni private?». A quelle parole arrossì appena. Più di qualcuno dei Corvonero, non ultima Cho Chang, le lanciò un’occhiataccia. Cosa mi sfuggiva?
«Eccellente domanda, signorina Enscombe!» trillò Vitious, soddisfatto. «In effetti, il motivo è che gran parte dei maghi e delle streghe diplomati hanno ancora difficoltà con l’incantesimo, che è estremamente difficile. Inoltre, se anche ci riuscissero, dovrebbero incantare ogni volta una nuova pergamena dopo averne consumata un’altra. L’incantesimo non è fatto per trasferire frasi scritte ma per messaggi brevi ed incisivi, ed inoltre, è un sistema di comunicazione poco adatto alle notizie segrete perché non è connesso ad una persona, ma ad una cosa».
«Oh» disse più di qualcuno, evidentemente deluso.
«Solitamente l’incanto Proteus viene usato come segnale» proseguì Vitious, sorridendo alla delusione comune. «Un segnale stabilito, come un pericolo, un avvertimento, o un segnale d’avvio. Un sistema simile» e qui la sua voce si fece impercettibilmente più cauta, «è stato utilizzato da Colui-che-non-deve-essere-nominato, che imprimeva nei suoi seguaci il cosiddetto “Marchio Nero”».
Dovetti fare uno sforzo per non toccarmi il braccio sinistro, dove un esempio di Marchio Nero dardeggiava la sua lingua verde-nerastra con scherno. Deglutii. Tutti, notai, si voltarono nella mia direzione; perfino Zabini, non senza una punta di malignità, mi fissava apertamente. Il professor Vitious sembrava appena essersi reso conto della gaffe che aveva commesso.
A quel punto sentii una rabbia convulsa salirmi dentro. Insomma, con tutto quello che stavo passando... quello che sapevo.... quello che avevo visto... che diritto avevano quei patetici plebei di squadrarmi a quel modo?
«Ehm, ragazzi...» pigolò Vitious, molto a disagio.
«Oh, no, professore» dissi io pigramente nel mio miglior tono mellifluo. «Lasci pure che facciano. Del resto, non è certo una novità, dico bene? La metà di loro ha sempre pensato che lo fossi, e l’altra metà lo ha sempre saputo». Il silenzio era tombale. Sentivo il sangue pulsarmi nelle vene ma, nonostante il calore che mi aveva invaso, sapevo di traspirare un’aura di gelo.
«Ora, se non le dispiace» dissi in tono esageratamente plateale, alzandomi in piedi, ed afferrando la borsa, «ho di meglio da fare che trovarmi in mezzo a questa gente». E con un sorriso sprezzante raggiunsi il corridoio tra i banchi, ed oltrepassato l’ometto uscii chiudendo piano la porta alle mie spalle.
Non sapevo che cosa provavo per il Marchio Nero, o per quello che ero stato. Ma quella maniera infantile e sciocca che avevano acquisito gli altri nel giudicare, loro che non erano nessuno, né per sangue né per talento... quella era una cosa che non potevo accettare.
Mancavano cinque minuti alla fine della lezione, perciò presto gli altri sarebbero usciti. Marciai deciso lungo il pianerottolo, con le mani che mi prudevano per la voglia di pestare qualcuno. In quel momento sentii una voce chiamarmi. «Draco!». Era Mcnair, che scendeva trafelato giù per le scale. «Ti stavo... cercando» ansimò, con il fiatone. «Ero... in un corridoio... la McGranitt... mi ha detto... che ti vuole.... subito... nel suo.... ufficio» riuscì a dire, semi-soffocato.
Santo cielo. Qualcuno Lassù voleva mettermi alla prova. Lanciai bruscamente la mia borsa a McNair. «Portamela in dormitorio» brontolai, cominciando a salire le scale. «Buona fortuna!» lo sentì dire, ma lo ignorai. Ero troppo arrabbiato. Da una parte, certo, mi faceva sentire realizzato far sentire quei poveri plebei uno schifo; dall’altra, non avrei voluto espormi in quel modo. Troppo teatrale.
Arrivai all’ufficio, e mi fermai. Presi lunghi respiri profondi. Che diavolo voleva da me quella strega? Forse, dopotutto, avevano deciso di mandarmi in gattabuia. “Scusa, Malfoy, ci abbiamo provato, ma non ha funzionato. Spero che resteremo comunque amici”. Manco fossero fidanzati, voleva scaricarmi?
Bussai piano, sperando di non essere sentito. insomma, quanti millenni doveva avere la McGranitt? Una quindicina? Insomma, se quando andava a scuola si insegnava ancora l’alfabeto cuneiforme, quante speranze c’erano che mi sentisse?
Il gargoyle alla mia destra si voltò di scatto verso di me, e mio malgrado cacciai un urletto assai poco signorile. «Che aspetti? Sali, no, signorino!» mi disse petulante.
«Ehm... non vorrei disturbare» tentai io.
«Hai bussato, no? ti ha sentito».
Grandioso. Imprecando – senza il sonoro, naturalmente – salii le scale pestando i piedi. Così facendo rischiai di inciampare sul penultimo gradino, ma riuscii ad attaccarmi al muro come un ragno gigante e a stare in piedi. Bussai di nuovo, questa volta immaginando di tirare un pugno alla faccia nodosa della Preside, ed udii la sua voce invitarmi ad entrare.
Entrai. L’ufficio del Preside era identico a quando era appartenuto a... beh, a Silente. Sembrava che la McGranitt non avesse toccato nulla; né gli oggettini argentati che facevano venire voglia di toccarli, né la teca contenente la spada che lo Sfregiato aveva estratto al secondo anno, né il Cappello parlante, né il trespolo sul quale stava Fanny, la fenice. La McGranitt stava seduta dietro alla scrivania, le mani intrecciate posate tra la miriade di oggetti posati sulla superficie di legno intarsiato, e mi fissava penetrante. Mi resi conto con un istante di ritardo che non era sola; accanto a lei c’era la Granger.
Dannazione! Quella stupida Sangue Sporco doveva aver detto alla McGranitt che le avevo chiesto di farmi i compiti. Chissà, magari le aveva detto anche dell’Eccezionale che avevo preso grazie a lei. Ed io che avevo quasi – quasi, naturalmente – provato una punta di gratitudine per lei!
Fulminai la Maledetta Mudblood (M.M. per indignati nemici traditi) con un’occhiataccia epica. La vidi arrossire violentemente ed abbassare gli occhi sulla punta delle proprie scarpe. Almeno aveva la buona creanza di fingere pentimento di fronte alla propria meschinità.
«Allora, Malfoy. Vieni qui, non stare sulla porta» disse la Preside, seccamente. Controvoglia feci qualche passo verso la cattedra, fermandomi ad una distanza conveniente per essere fuori  dall’aura da Perdente Nata della Granger.
«Non essere sciocco, ragazzo» disse la McGranitt, con aria di rimprovero. «Siediti». E mi indicò una delle tre sedie imbottite che le stavano di fronte. Presi posto in quella di sinistra, cercando di sembrare innocente e a mio agio. «Anche tu, Granger» aggiunse la donna, e la stupida ragazza sedette nella sedia opposta alla mia. La professoressa seguì tutta la manovra con aria apparentemente scoraggiata.
«Dunque, Malfoy. Sono certa che tu immagini la ragione per cui sei stato convocato qui».
«No, professoressa» dissi io in tono disinvolto. «Non direi». Intanto ero occupato a maledire la Granger con tutti gli epiteti che mi venivano in mente. Entrambe mi lanciarono un’occhiataccia.
«Andiamo, Draco» disse lei, utilizzando il mio nome proprio come un’offesa. “Per lei, illustre Mr Malfoy” avrei voluto dirle, ma lasciai perdere. «La signorina Granger  mi ha raccontato tutto».
«E quello che la signorina Granger dice corrisponde sempre a verità, vero?» dissi, senza guardare l’interessata. La risposta sincera era: “si”, purtroppo.
«Sono assolutamente convinta della sincerità della signorina Granger» disse lei, seccamente. «Su questioni come queste non si permetterebbe mai di scherzare». Stupida secchiona. Le lanciai un’occhiata tanto feroce che lei si mosse sulla sedia, a disagio.
«D’accordo, allora» dissi io, acido. «Mi punisca pure, se crede». Non mi importava. La guardai, spavaldo.
«Non essere sciocco, Malfoy» disse la McGranitt, allibita. «Non ti ho chiamato qui per punirti».
«Se ha intenzione di espellermi...». Stavo per concludere, “mio padre le metterà i bastoni tra le ruote”, quando mi resi conto che difficilmente mio padre avrebbe fatto una qualche impressione. Un tale in gattabuia che sgranocchia pane secco non risulta molto intimidatorio. Né mi sembrava il caso di dire, “il Signore Oscuro userà le vostra interiora come cintura” visto che al momento non era la persona che avrei chiamato, che so, per la giornata genitori-insegnanti.
«Perché dovrei espellerti?». La McGranitt sembrava infastidita.
«E allora per quale motivo sono stato chiamato qui?» chiesi, perplesso.
«Per l’amor del Cielo, signor Malfoy, non credi che il racconto della Granger meriti due o tre parole da parte mia? Cosa credevi, di poter venire a conoscenza di certe informazioni senza che l’Ordine si mettesse in moto?». Era sconcertata. «Parola mia, pensavo che sette anni in questa scuola ti avessero insegnato a pensare!».
«Informazioni...» dissi, senza riuscire a trattenermi, perplesso. Poi capii. Oh, merda. Ecco che cosa le aveva detto la Granger. Ero incredibilmente sollevato. Stupida vecchia, il mio Eccezionale restava tale. «Pensavo che avesse deciso di espellermi per qualcosa che lei» indicai la Granger, schifato, «le aveva detto».
«Qui non si tratta dei vostri battibecchi. Sono sette anni  che li sopportiamo» disse la McGranitt in tono pratico. «La signorina Granger mi ha raccontato che tu hai scoperto alcune cose sul conto dell’Ordine, e che lei ha ritenuto opportuno» le sue labbra fremettero di disapprovazione, «di informarti su alcune altre. Ora, ritengo che sia appropriato da parte mia mettere alcune cose in chiaro».
Rimasi in silenzio, in attesa. Lei proseguì. «Non so esattamente che cosa ti abbiano riferito, Malfoy, ma rimane il fatto che la nostra è una situazione delicata. Il Signore Oscuro rimane estremamente agguerrito, e poiché non conosciamo la sua ubicazione» a queste parole sentii un nodo allo stomaco, «non possiamo fare altro che aspettare, impotenti, che colpirà. Il fatto che tu sia venuto a conoscenza di informazioni riservate è una questione preoccupante. Non possiamo sapere che tu non le riferirai al nemico». Che diavolo stava dicendo? L’Incanto Fidelis non mi lasciava nessuna possibilità di spifferare alcunché. Rimasi zitto.
«Parliamo chiaro» diceva nel frattempo la McGranitt. «In questo momento, sono io a capo dell’Ordine. La situazione non è così terribile come lo era diciassette anni fa, tuttavia non è rosea. Sono stata costretta a prendere il posto di Silente» qui mi mossi appena, a disagio, sulla mia sedia, «nonostante non sia il mio compito farlo. Voglio che tu sappia, Malfoy, che nonostante tutti noi speriamo ardentemente nella tua integrità, dovremo prendere delle precauzioni per assicurarci che tu non ci tradisca. In cambio naturalmente, la protezione tua e della tua famiglia è già stata presa in carico dall’Ordine».
L’Ordine mi proteggeva? Sorveglianza? Ero allibito. «Professoressa...» dissi, in tono incerto.
«Che sia chiaro, Draco» disse lei, appena addolcita dalla mia espressione tormentata. «Non ti chiediamo di prendere parte a questa guerra. Ti chiediamo solo di restarne fuori. È stato molto avventato da parte della signorina Granger rivelarti certe informazioni». La Granger chinò il capo, contrita, tutta rossa in viso. «Tuttavia, questa è la tua opportunità per dimostrare la tua integrità». Non sapevo cosa  rispondere. Non sapevo cosa pensare.
La McGranitt mi guardò con compassione. «Fin dall’anno scorso era nostra viva speranza riuscire a proteggerti, Draco. Questo è quello che Silente avrebbe voluto. Dimostrati degno di questa fiducia».
Annuii, perché non sapevo cosa fare. Avrei dovuto essere disgustato, o felice? Al diavolo, non lo sapevo.
«D’accordo. Ora potete andare» disse la Preside, con aria vagamente stanca. Annuimmo entrambi. «E niente litigi» ci raccomandò, mentre uscivamo – io per primo, e al diavolo il galateo.
Appena fummo fuori dall’ufficio, io afferrai la Granger per la manica. Ignorando le sue proteste, la trascinai oltre l’angolo in un corridoio deserto.
«Smettila di tirarmi, Malfoy» esclamò la Granger, adirata.
«Perché non hai detto alla vecchia strega che mi avete costretto a fare l’Incanto Fidelis?» domandai, le tempie che mi pulsavano rapidamente.
La Granger arrossì, come sempre quando era a disagio. La sua faccia da poker faceva schifo. «Io... io... oh, e va bene» disse, frustrata. «Pensavo che, se lo avessi fatto, gli altri avrebbero pensato che eri degno di fiducia perché non ci tradivi».
«Perché mai avrebbero dovuto pensarlo?» trasecolai.
Lei non sembrò incline a rispondermi. «Stupida Mezzosangue, rispondimi. Se lo hai fatto per pietà» rabbrividii al solo pensiero, «se lo hai fatto per pietà, potevi anche risparmiartela, sai».
«Perché pensavo che forse ti sarebbe andato a genio l’idea di non essere più considerato un nemico da tutti» disse lei, con la voce stridula di quando era arrabbiata. «Scusami tanto se ho sbagliato». Dal suo tono intuii che non pensava affatto di avere sbagliato, e la cosa mi infastidiva, perché aveva ragione.
«Tu ed i tuoi amici siete degli ingenui» dissi alla fine, sprezzante.
«O, puoi pure fare quell’aria schifata» disse la Granger, con dignità. «Ma lo sai, Malfoy, il tuo sollievo arriva fino a qui». Sollievo? Quale sollievo? Io non ero affatto sollevato. Ok, ero sollevato, e allora? Non erano affari suoi. E non avevo motivo per esserle grato.
«Se ne sei così convinta» dissi, alzando le spalle.
«Si, lo sono» disse, tranquilla. Argh! L’avrei picchiata. Rimasi in silenzio, a parte per uno sbuffo di scherno che mi scappò e che ebbe l’ottimo risultato di scocciarla.
«Tra parentesi» disse allora la ragazza, facendo la sostenuta, «che cosa intendi fare adesso?».
«Andare al dormitorio e fare i compiti, visto che non li ho ancora fatti» dissi io, nel mio tono più irritante.
«Intendevo dire a proposito di quello che ti abbiamo detto!» esclamò la stupida mezzosangue.
Scrollai le spalle. «Non c’è granché che posso fare, no?» dissi, fingendomi scocciato. «Ma se pensi che, con il Signore Oscuro davanti, perorerei la vostra causa, vi sbagliate di grosso».
Lei sospirò. «Malfoy, non lo pensi».
«Stupida Sangue Sporco, nessuno ti ha chiesto di interpretare i miei pensieri. Dubito che un cervello Mezzosangue ci riuscirebbe».
Hermione Granger mi guardò con enorme disgusto. Poi mise la mano in borsa e io chiusi la mia attorno alla bacchetta. Non volevo che mi affatturasse di nuovo. Invece ne estrasse un foglio di pergamena spiegazzato. «Tieni» disse, sdegnosa. «Ne ho fatta una copia. Anche se, forse»e fece un sorrisetto maligno, «non ti interessa quello che il mio cervello mezzosangue può fare».
Detto questo, girò i tacchi e si allontanò impettita. Stupita, aprii il foglio. Erano i compiti che le avevo chiesto.
Stupida Sangue Sporco.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ebbene si, finalmente sono riemersa dalle tenebre con un nuovo capitolo! Del resto, era ora!
Beh, che dire? Draco si è ingolfato in un bel casino quando dovrebbe stare dalla parte opposta del confine... senza sapere che cosa vuole fare.
Diamo ora un’occhiata agli ultimi titoli dei capitoli. “Buried in a dungeon” significa “sepolti in una segreta, in una prigione”. Chiaro che si tratta sia di Azkaban sia di Grimmauld Place, dove qualcuno era stato relegato. “Dealing with the deal” gioca sui due termini “to deal” che significa “gestire, occuparsi di (un problema, qualcosa)”, e con “deal” che significa patto, accordo. Chiaro che Draco ha alcuni problemi a gestire il patto che lui stesso a stipulato. Infine, “curiosity killed the furret” deriva dal proverbio inglese “curiosity killed the cat, but satisfaction brought it back”, cioè “la curiosità a ucciso il gatto, ma la soddisfazione lo ha riportato indietro”, anche se neppure Draco sa bene se è contento o no di sapere...
Nel prossimo capitolo vedremo Hermione e gli altri coinvolti in una disperata ricerca, e Draco in due, furiosissime liti. Tutto questo il giorno di Halloween, che potrebbe portare Draco a coltivare conoscenze prima schifate, nonostante lui non le voglia affatto!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Pureblood prince charming - part one ***


Eravamo nelle cucine di Hogwarts. Ci eravamo scesi perché volevamo parlare con Kreacher, e nessuno di noi voleva chiamarlo nel dormitorio e vederlo insudiciare il copriletto. Triste, ma vero. Non volevo ammetterlo, ma ero felice che i due non potessero salire nel dormitorio delle ragazze. Non avrei proprio voluto vederli sghignazzare e scambiarsi occhiatine mentre, CREPA o non CREPA, chiedevo all’elfo di scendere dalla mia trapunta immacolata.Kreacher ci aveva accolto con una serie infinita di inchini – e parecchie tortine di carne con cui Ron ed Harry si erano riempiti le tasche – ed ora noi tre sorseggiavamo del thé davvero ottimo mentre lui ci scrutava, in soggezione. «Ehm... davvero, Kreacher, siediti» fece Harry per l’ennesima volta, a disagio. «Sci, ‘icher» biascicò Ron, battendo la mano sullo sgabello accanto al suo. L’elfo si limitò però a scuotere la testina per l’ennesima volta, quasi spaventato dall’offerta. «Non è bene, signor padrone, non è bene» squittì, inchinandosi per la trecentesima volta ed osservando Harry con gli occhioni umidi. «Il padrone è molto buono, ma Kreacher non può sedere con grandi maghi...» e mi lanciò un’occhiata che non lasciava dubbi sul fatto che io non fossi inclusa nella categoria che molto controvoglia. Mi faceva pena, era così vecchio. Ron non sembrò d’accordo, ed aprì la bocca per difendermi, ma per quanto ne fossi lusingata gli cacciai una pedata sullo stinco che lo mise a tacere. «Allora, Kreacher» dissi io, sottovoce, sorridendogli. «Hai trovato il medaglione?». Kreacher mi guardò. «Il padrone è un bravo ragazzo, tratta bene tutti gli inferiori» gracchiò con la voce sommessa che aveva sempre quando non sapeva di essere udito. «Anche reietti e Mezzosangue, oh, si, anche Sangue Sporco... è amica del padrone, Kreacher non vuole trattarla male, la Mezzosangue è molto gentile, anche se indegna del nome di mago... oh, si...». avrebbe voluto continuare nello stesso modo, ma Harry lo interruppe. «Kreacher» disse, severamente. «Hermione è una mia amica. Ti chiedo di non insultarla più». Gli lanciai un’occhiata raggiante, sia perché voleva difendermi, sia perché aveva capito che Kreacher andava trattato con gentilezza. Ron, imbronciato, borbottò qualcosa del tipo: “anche io volevo difenderla, prima” che mi ringalluzzì ancora di più. Kreacher cominciava già a borbottare qualche tipo di scuse, quando si udirono dei passettini in avvicinamento. «Kreacher non parla male degli amici del padrone, Harry Potter, signore» si intromise Dobby, piantandosi di fianco al collega. Notai sbigottita che indossava diversi di quelli che ricordavano moltissimo i miei cappelli di lana, che al quarto anno avevo sferruzzato per gli elfi. Era difficile esserne certi, visto che erano consunti e bruciacchiati in più punti, ma erano abbastanza simili da insospettirmi. Decisi che avrei indagato. «Se Kreacher lo fa, Dobby gli darà una bella lezione!». «Ehm, grazie, Dobby, ma non sarà necessario» fece Harry in fretta. Aveva sperimentato fin troppe volte i rimedi di Dobby, che costituivano il classico esempio di cura peggiore della malattia. «Dobby non sa... Dobby vuole aiutare, Harry Potter signore» squittì l’elfo, implorante. «Ehm... ecco... d’accordo, Dobby. Aiuta pure Kreacher» concesse Harry, nervosamente. «Ma non litigate, d’accordo?». «Dobby non litiga con Kreacher se Kreacher non fa cose cattive» replicò l’elfo, annuendo sotto lo sguardo torvo dell’altro elfo. «Beh, non litigate e basta, d’accordo?» disse Harry, seccamente. Entrambi si inchinarono – Kreacher non così profondamente – poi Ron si schiarì la voce. «Insomma» disse, impaziente. «Avete trovato qualcosa, si o no?». L’occhiata di Kreacher lasciò intendere che avrebbe fatto volentieri molte cose, incluso sturare un gabinetto, pur di non rispondergli, se non fosse stato amico di Harry. Tossicchiai discretamente per dissuadere Ron dal soffocarlo, e lui cominciò ad osservare gli elfi domestici che schizzavano qua e là per la cucina. «Kreacher ha trovato!» esclamò l’elfo, non senza orgoglio, mentre stringeva il pugnetto attorno al finto medaglione che gli pendeva dal collo. Nessuno di noi era interessato alla bigiotteria, quindi avrebbe potuto anche stare tranquillo. «Checoss...» balbettò Ron, mentre Harry quasi sputava il thè che stava per ingoiare. «Davvero? Dov’è?» disse Harry, appassionato. Kreacher parve sgonfiarsi un pochino. «Kreacher ha trovato la strega che ha comprato il medaglione di padron Regulus» disse, con una vocina sottile. «Ma lei no parla con Kreacher, no, e quindi Kreacher non sa a chi lo ha venduto». Harry si raddrizzò appena, inclinandosi un po’ verso di lui, e l’elfo sobbalzò. «Kreacher si punisce» squittì, appassionato. «Kreacher non è degno...». «Oh, ma sta’ un po’ zitto» disse Ron, che gli era più vicino, afferrandolo per un braccino prima che Kreacher potesse cominciare con l’autolesionismo – ma aveva un tono molto addolcito. «Si, Kreacher» si affrettò a dire Harry. «Non voglio che tu ti punisca, d’accordo?». Kreacher annuì piano. «Ora» disse Harry pacatamente, quando Ron lo ebbe lasciato andare, «A chi è stato venduto il medaglione?». «Oh, Kreacher l’ha vista, oh, si» disse l’elfo, con voce roca, gli occhi ridotti a due fessure mentre si perdeva in quel ricordo. «Kreacher l’ha sentita dire che la sua era una grande famiglia di maghi, oh, si, l’ha sentita... ma Kreacher ha sentito parlare da lei dalla signora Cissy, e sa che non è che una Mezzosangue come tutti gli altri... ha rubato il medaglione di padron Regulus, ma Kreacher sa che non è suo, lo sa...». «Ehm, Kreacher.... chi è stato?» ripeté Harry, paziente. Kreacher sembrò riscuotersi dopo un lungo sogno. Lo guardò coi suoi occhi bulbosi appena appannati. «Kreacher non ricorda il suo nome» gracchiò. «Ma è la strega che sembra un rospo, Kreacher l’aveva già vista sul giornale, quando il signorino Black» Harry si irrigidì appena «leggeva il giornale, era ad Hogwarts». «Intendi la Umbridge?» esclamai, orripilata. Kreacher annuì controvoglia, senza guardarmi. Guardai Harry e Ron, che ricambiarono con un’espressione identica alla mia. Poteva davvero essere..? «Quindi... quindi non ce l’ha più?» aggiunsi, in un pigolio. «Kreacher ha visto l’immagine del medaglione assieme agli oggetti che hanno venduto. Kreacher ha sentito che la Umbridge è ad Azkaban, Kreacher è contento, lui è contento che finalmente smetta di inquinare il buon sangue di mago con...». «Grazie, Kreacher» tagliò corto Harry. Era finalmente arrivato il giorno di Halloween, e perbacco, era proprio vero che faceva paura. Per la precisione, temevo i miei compagni di Casa e la loro folle idea di fare baldoria dopo il banchetto. Temevo anche Zabini, che era ancora molto incazzato, e l’idea di incontrare Nott non mi piaceva. Che persona fortunata ero. Ero seduto sotto un albero presso il lago, e come mi capitava di fare in continuazione negli ultimi giorni, ripensavo tetramente a quello che sapevo su Lord Voldemort – di recente noto come Strisciante Scocciatura – e sul fatto che, mentre lui si godeva le sue vacanze in città (magari aspettando il suo turno per un thé con la regina) e Potter e i suoi amichetti vagavano per l’Inghilterra in una perversa caccia al tesoro non autorizzata, io marinavo nel silenzio e dimenticato da tutti. Perfino i miei genitori non mi mandavano più lettere per posta, cosa che giudicavo inaccettabile. Come diavolo occupavano il tempo, curando la pelle con maschere di muffa? Mio padre soffriva di reumatismi; gli auguravo un attacco di artrite. Avevo stilato mentalmente una lista intera di possibilità su come avrei potuto agire, che riporto così come l’ho mentalmente preparata: 1. ANDARE A TROVARE LORD VOLDEMORT (a.k.a. Malefica Merda) con una scatola di cioccolatini sottobraccio e – possibilmente – la testa di Potter. Con il risultato di essere eletto Impiegato del Mese, anche se il premio non è uno scaldabrioches o una trapunta, ma la possibilità di torturare e mutilare Babbani per tutta l’eternità mentre lui si gode la scena sorseggiando limonata. BOCCIATA. Ma se mi offrisse lo scaldabrioches, ci farei un pensierino. 2. ANDARE DA POTTER E COMPAGNIA e rivelare loro che Lord Voldemort (S.B., Suprema Biscia, per emarginati incazzati) si trova verisimilmente nella mia Jacuzzi di città nonostante il Ministero degli Idioti (Ministero della Magia per chi ci crede ancora) l’abbia magicamente sigillata. Con il risultato che quell’idiota di Potter probabilmente riterrebbe che fare irruzione nel mio salotto con la schiuma alla bocca e Schiantare qualche Mangiamorte intento a leggere Trasfigurazione Oggi per poi sfuggire per l’ennesima volta al Signore Oscuro (C.C., Cobra Calvo per frustrati con i capelli) sia un successo. BOCCIATA. Stiamo parlando di Potter. 3. ANDARE DALLA MCGRANNITT E SPIFFERARE TUTTO. Anche il colore delle mutande del Signore Oscuro (P.P., Psicopatico Pitone per Serpeverde reietti) e poi sperare che risolva tutto lei, con in risultato che probabilmente lei morirebbe di vecchiaia prima di Smaterializzarsi alla volta di Londra. BOCCIATA. Non solo perché quella vecchia megera ha più rughe che neuroni; ma anche perché sono magicamente costretto dalla stupida Granger a stare zitto. 4. MANDARE AL SIGNORE OSCURO (Biforcuto Bastardo per ormai accertati antipatizzanti) una foto di Weasley nudo, con il risultato di provocargli un infarto. BOCCIATA. Chi ha voglia di fotografare Weasley nudo, a parte forse Potter? E non intendo certo chiederglielo. 5. RISOLVERE IO LA QUESTIONE grazie alla mia intelligenza superiore, al mio carisma, al mio fascino, e al fatto che non ho altro da fare altrimenti. BOCCIATA. Insomma, non sono stupido. 6. SUICIDARMI. Con il risultato di evitare ogni problema, incluso il compito di Trasfigurazione della settimana prossima. BOCCIATA. Finché sono vivo e sano di mente (= non appartenente né a quelli sciroccati della banda Potter né ai Mangiamorte) c’è speranza. Insomma, anche gente con un handicap come Potter riesce ad integrarsi nella società, giusto? Dunque perché non potrei riuscirci anche io? 7. ASPETTARE. Magari il Signore Oscuro prenderà un raffreddore particolarmente violento e morirà. Chissà, magari non ha mai avuto il morbillo. O magari si taglierà mentre si fa la barba e morirà dissanguato. O cadrà in un tombino mentre aiuta una vecchia ad attraversare. O magari sarà Potter che lo ammazzerà (naturalmente senza volerlo). Tutto quello che devo fare è aspettare che uno dei due abbia la meglio. Se anche vincesse Lord Vogliolatuamort non potrebbe comunque rompere l’Incanto Fidelius. E poi sono un bravo Occlumante – dico davvero, lo sono. Certo, il Signore Oscuro è un Legilimens straordinario, ma ciò non significa che sia infallibile. Me ne sono accorto l’anno scorso, quando ero in sua presenza; non sempre capiva quello che stavo pensando. Inutile dire che propendevo per la settima opzione, con l’unico difetto di avere sempre e costantemente un peso nel cuore. Ma insomma, c’è gente che sta peggio. Guardate Potter. Sospirai, cercando di tornare a concentrarmi sull’Incanto Proteus che – nonostante la mia ultima performance durante Incantesimi – ancora non sapevo padroneggiare. Ero riuscito a trasferire una intera frase («la McGranitt è una vecchia megera») da un foglio all’altro, ma per qualche ragione non riuscivo a replicare qualcosa a più di venti centimetri di distanza. Così, nonostante nella mia mente lampeggiasse ancora l’immagine di Lord Voldemort – diciamocelo, non aiuta granché nella vita quotidiana – cercavo disperatamente di capire se ad essere sbagliato fosse il movimento o la mia pronuncia. Fu allora che, con grande angoscia, vidi avvicinarsi a grandi passi il mio trio preferito, Hermione Granger in testa. Decisi che, se avessi finto di non vederli, si sarebbero allontanati; come i fantasmi o gli incubi, con i quali mi sembrava avessero molto in comune. Che cosa mai potevano volere da me, adesso? Chinai il capo sul volume polveroso preso in biblioteca; Madama Pince mi aveva guardato con intenso odio quando lo avevo preso dal Reparto Proibito, mentre io le sorridevo con innocenza. Era un volume abnorme dove si trattava di magie dubbie, e cercavo disperatamente di trovare una scorciatoia per cavarmela nel prossimo test. Mentre lo facevo, comunque, la mia mente lavorava intensamente. Avevo già pronta una risposta salace. “Malfoy, dobbiamo parlare con te” avrebbe detto la Granger in tono autoritario. Io avrei battuto le palpebre un paio di volte, apparentemente chiedendomi se davvero stessero osando parlare con me. Li avrei guardati con una certa sorpresa indignata, inclinando il capo. In tono annoiato e beffardo, allora, avrei risposto: “parlare con voi, Granger? Cos’è, avete finalmente deciso di fare un salto di qualità? Spiacente, purtroppo il sangue puro non si può comprare” o qualcosa del genere. Poi, assunta una posizione indubbiamente affascinante che avrebbe sedotto tutti e tre – non dubitavo che sia Potter sia Weasley avessero tendenze omosessuali nascoste – avrei aggiunto: “ora andatevene. Mi coprite la luce”. Nascosi a stento un sorriso soddisfatto mentre si avvicinavano, e affettai un’aria intellettuale. A differenza loro, ero una persona intelligente. Poi li vidi deviare verso una vecchia quercia a qualche metro di distanza. Non si erano neanche accorti di me. Seriamente indispettito – e deluso – mi voltai di scatto verso di loro. Erano immersi in una conversazione seria, ma più che preoccupati sembravano stanchi. Era evidente che stavano parlando di qualcosa che stava loro a cuore. Mi sentii irrazionalmente scocciato; per quale motivo non avevano ritenuto opportuno includermi nel discorso. Non che ci tenessi a farmi vedere mentre parlavo con loro, intendiamoci, ma avrebbero dovuto chiedermelo. E io avrei dovuto rifiutare, e allora mi avrebbero dovuto prendere da parte dove nessuno poteva vederci e spiegarmi che cosa stavano combinando... Mi chiesi se sarei riuscito a scivolare alle spalle di Potter e ascoltare, ma Weasley gli stava di fronte e per quanto stupido lo ritenessi aveva degli occhi. Sentendomi un idiota per essere così irritato,guardai altrove; ma per quanto mi sforzassi di ripetere mentalmente la fluida stoccata dell’incantesimo da studiare, le mie orecchie erano disperatamente tese nel vano tentativo di ascoltare. Non mi giunsero all’orecchio che poche parole: “medaglione” “Kreacher” “ministero” “aiuto”. Abbastanza per mandarmi fuori di testa, se proprio lo volete sapere. Come ero arrivato al punto di desiderare una conversazione con loro? Per quanto l’argomento “Horcrux e simili” mi stesse a cuore, non avrei dovuto perdere le staffe perché la Granger e i suoi amichetti non volevano parlare con me. Eppure eccomi lì, seminascosto dietro a un albero, a pregare che mi vedessero e decidessero di spiattellarmi ogni cosa. La cosa era così inverosimile che mi persi in cupe meditazioni nel tentativo di difendermi dall’accusa – che non poteva essere che infondata – che il desiderio di parlare con qualcuno, una conversazione vera, mi condizionasse così tanto. Ma era impossibile non riconoscerlo, non per me. Odiavo quei tre, ma volevo parlare con loro. Volevo scambiare insulti con la Granger, o al massimo con Weasley, e detestare Potter per essere così buonista. Rimanere ignorato anche da loro, beh, quello era decisamente troppo per me. «Assorto in cupi pensieri, eh, Draco?» fece una voce fin troppo familiare alla mia destra. Io, che avevo ricominciato a osservare di sottecchi il Tristissimo Trio, sobbalzai come colto sul fatto. Theodore Nott era in piedi accanto a me, il suo solito sorriso sarcastico sulle labbra, e una scintilla maliziosa negli occhi. mi sentii raggelare senza volerlo; nel frattempo, con la coda dell’occhio scorsi che quella frase, detta a voce alta, aveva richiamato l’attenzione di Potter e compagnia. Splendido. «Che cosa stavi guardando?» aggiunse Nott, sedendosi accanto a me con quell’aria di trasandata noncuranza che gli era tipica, e che mandava le ragazze fuori di testa. «Nulla» dissi io in tono svagato. «Nulla di interessante». «Capisco» fece lui, appoggiando il capo sull’albero e sbadigliando impeccabilmente. «Ancora preso da Incantesimi?». «Già. Non c’era bisogno di caricarmi di compiti, visto che in classe lo avevo eseguito correttamente, no?» feci in un finto tono insofferente. Non guardavo più i miei ex-nemici (e mai-alleati) sperando che se ne andassero. Magari con del senso di colpa. «immagino di si» fece lui facendo spallucce. Poi tornò a guardarmi, e notai che la scintilla che gli avevo notato negli occhi quando era arrivato c’era ancora. La conoscevo, quella scintilla, e portava seri guai, di solito ai nemici, talvolta agli alleati. Nel caso specifico, a me. «Ma la tua performance finale deve averlo fatto desistere da qualunque buon proposito nei tuoi confronti». Mio malgrado, distolsi lo sguardo, e colsi un barlume di Granger. Era una mia impressione, o era più vicina..? «Quelli stupidi traditori del loro sangue devono imparare a stare al loro posto» dissi, e se qualcuno coglieva il messaggio, tanto meglio. e poi, come si permettevano di farsi gli affari miei quando non potevo fare altrettanto? «Mmh...» disse Nott pensieroso, sfregandosi il mento, e guardando proprio nella direzione della Granger senza però notarla, «E la McGranitt? Che cosa voleva?» domandò. Se avessi esitato, avrei destato sospetti, ma grazie a Dio la risposta mi arrivò da sola, subito. «Discutere del mio rendimento scolastico con lei. I miei voti sono migliorati». Come faceva a sapere della McGranitt? Glielo aveva detto McNair? «E ti ha convocato nel suo ufficio?». La voce di Nott aveva una sfumatura incredula. «Credeva che stessi copiando» inventai, anche se non si trattava di cose molto lontane dalla verità. Ehm. Mi stiracchiai, cercando di mantenere un’aria tranquilla e annoiata. «Capisco» disse Theodore, guardando lontano, meditabondo. Quando si voltò verso di me, era impenetrabile. «Ed è vero?». In quel momento ebbi la sensazione che Nott potesse leggermi dentro, e sapere con esattezza che cosa stessi macchinando dentro di me. Forse anche meglio del sottoscritto. Avrei potuto dire una mezza verità, e cioè che qualcuno me li stava facendo, ma chi poteva volermi fare i compiti? A parte la Granger, certo, ma questo era meglio che Nott non lo sapesse. Non sapevo perché, ma era meglio così. «No» dissi. «Quella vecchia megera...» scossi il capo, esasperato. Nott tacque per un po’, e io attesi. Chissà come sapevo che qualcosa mi sfuggiva, e non era qualcosa che avrei voluto sapere. Purtroppo. «Corre voce» disse poi in tono quieto, troppo quieto, e io sentii per la prima volta con esattezza che ero quasi fottuto, «che anche la Granger sia stata convocata». Quello che provai in quel momento fu qualcosa di inspiegabile. Mi sembrava – per quanto fosse irrazionale – che avrei dovuto proteggere la Granger da tutto questo. Non perché ci tenessi a lei. Neanche per una questione di giustizia. Semplicemente, quella stupida Sangue Sporco, per quanto si meritasse di essere disprezzata da sottoscritto, non doveva essere toccata da Nott. Perché era lei, ed era qualcosa che nella mia mente strideva. Non riesco tuttora a capire bene di cosa si trattasse, perché non c’era dietro né affetto né onore. Era un dato di fatto. «Da dove viene questa voce?» chiesi, con un’aria vagamente schifata, come a dire, ehi, ma ti sembra possibile? Nott alzò le spalle. «Qualcuno dei Tassorosso, credo, per quanto non riesca a capire chi di noi possa avere contatti con i Tassorosso. Facevano lezione con la Granger – Pozioni, se non erro – quando è stata convocata. Quando l’ho saputo» si interruppe, cercando le parole, e intanto grattandosi il naso pensieroso, «quando l’ho saputo mi sono chiesto che cazzo di affari poteste avere in comune». «Già. Vorrei saperlo anche io» dissi, scoppiando a ridere. «probabilmente sarà andata ore prima di me. Non l’ho neppure incrociata». Nott alzò le spalle. «Lo immaginavo» dichiarò, con un ghigno soddisfatto. «Anche se lo ammetto» dissi, con una espressione platealmente ferita, «aver perso un’occasione di rimirare la Babbana Zannuta...». e finsi di asciugarmi le lacrime. Scoppiammo entrambi a ridere, e io mi sentii meglio, molto meglio. il mondo tornava al suo posto, almeno un po’. La banda dei tre era sparita. Io ci provavo a dare retta a Calì, ma il pensiero del medaglione, di Malfoy e di altre disgrazie mi obnubilava la mente, sicché ascoltavo una parola su tre. Era il favoloso banchetto di Halloween, tutti pensavano solo a mangiare e a divertirsi, ma io ero turbata. Avrei voluto approfittare di quella occasione per preparare un piano per recuperare il medaglione, nonostante Kreacher non lo avesse ancora trovato. Invece dopo il banchetto, e fino alle undici e mezzo, avrei dovuto pattugliare una zona della scuola, come tutti i caposcuola e i prefetti, per assicurarmi che nessuno di quelli degli ultimi anni facesse stupidaggini. Ron ed Harry, che avrebbero dovuto appoggiarmi, o sostituirmi, nelle mie macchinazioni, avevano alzato gli occhi al cielo. “Hermione” aveva detto Ron. “Sei una maga straordinaria e tutto il resto, ma sei incapace di divertirti”. “Non è vero!” avevo strillato io, indignata. “Harry, non pensi anche tu che gli Horcrux siano molto più importanti di una stupida festa?”. “Ehm...” aveva detto Harry poco convinto, “beh, ecco... fino a quando Kreacher non torna, non credo che sia un crimine fare altro, no?”. E proprio mentre stavo per replicare, furiosa, che da lui non me lo sarei mai aspettato, era arrivato Seamus che aveva reclutato lui e Ron per allestire la Sala Comune. me n’ero andata, furibonda, mentre Ron mi strillava che forse sarebbero arrivati un po’ in ritardo al banchetto. Ed infatti, nonostante fossero passati più di venti minuti, di loro non c’era neppure l’ombra. E così eccomi lì, seduta da Calì e Ginny che fissava tetra il suo piatto. Qualcosa mi diceva che fosse in procinto di tornare single, ma non volevo certo essere io a sottolinearlo. Aveva tutta la mia comprensione. Calì mi stava appunto parlando di sua sorella Parvati, che apparentemente aveva deciso di rimanere nel suo dormitorio e studiare, e di come lei invece intendesse passare la serata – il tutto condito da una serie infinita di risatine – quando Colin Canon emerse dalle tenebre alle mie spalle, chiamandomi per nome con la sua voce ormai piuttosto possente. «Hermione!». Sobbalzai, versandomi addosso il succo di zucca. Mi voltai verso di lui, fulminandolo. «Colin... perché non avvisi, prima di sbucare...». «Scusami, Hermione!» fece lui, mortificato. La macchinetta fotografica ballava avanti ed indietro mentre spostava il peso da un piede all’altro, imbarazzato. «La professoressa McGranitt vuole vedere i Prefetti e i Caposcuola. Sai, per assegnare le zone da pattugliare». «Oh. Perfetto» dissi, mentendo. «Quando?». «Non appena avrai finito di mangiare. Vuole vedervi lì» ed indicò la sala dove, più di due anni prima, Harry aveva raggiunto gli altri campioni del Torneo Tremaghi. Io non ci ero mai stata. Scrollai le spalle. «Ottimo» dissi. «Grazie, Colin». «Figurati» disse lui, con un gran sorriso. «Ehi, senti, pensi che alla festa di stasera Harry si farà fare una foto con...?». «Ehm... credo di si» dissi, incerta. Poi, pensando ai due che mi avevano piantata, aggiunsi: «Si, direi che ne sarebbe felice». «Forte» disse lui, soddisfatto. «Ehi... allora ci si vede, eh?». «Si, certo» feci io, già altrove con la mente. I miei occhi si erano posati sul tavolo dei Serpeverde, e come sempre in quegli ultimi tempi avevo fatto per cercare Malfoy. Quel pomeriggio lo avevo sentito mentre parlava con Nott, e anche se non avevo colto tutto, mi era sembrato che Malfoy fosse preoccupato. Inoltre, mentre parlavo con Harry e Ron, non lo avevo notato. Mi chiesi quanto avesse sentito, e se fosse il caso di preoccuparsi. Nonostante il discorso che gli aveva fatto la McGranitt... Ma lui non c’era. Scossi la testa mentre Canon si allontanava, e mi versai del succo con aria assente. Perché Malfoy non c’era? Pensai distrattamente che era un bene che non fosse più Caposcuola, altrimenti avrei dovuto incontrarlo a breve. Anche se non ero certa di preferire Nott, anzi, mi dava decisamente sui brividi. Incrociai lo sguardo di Calì, e mi resi conto che dovevo averla ignorata per interi minuti. «Scusami» dissi, mortificata. «Sono un po’ distratta. Dicevamo?». «Tu conosci bene C-Canon, vero?» domandò Calì, senza preavviso. «Ehm... beh, abbastanza. Era ossessionato da Harry, i primi anni, no? E poi, ora che è Prefetto, ci parliamo spesso» risposi, incerta. «perché?». La vidi arrossire, e rimasi basita. Spesso rimproveravo Ron ed Harry per essere ciechi, ma mi resi conto di essermi persa qualcosa fino ad allora. «Lo trovi simpatico?» chiese ancora lei. «Abbastanza. Un po’ pressante, forse» dissi. «Calì, a te...». Lei arrossì furiosamente. «lo chiedevo solo così, per sapere» disse lei. Certo. Cambiai argomento, e fino a che non mi sentii piena come un uovo non mi alzai dal tavolo. Poi salutai le altre (anche Ginny, che sembrava in coma) e mi avviai verso la McGranitt, che stava parlando con il professor Lumacorno nei pressi del luogo di ritrovo. Vedendomi, mi salutò con un cenno severo del capo. Ricambiai, ed entrai nella piccola stanzetta. Colin mi aspettava già assieme ad Ernie Mcmillan, caposcuola di Tassorosso. Naturalmente. Li salutai e mi sedetti con loro sul divano scarlatto di fronte al fuoco. A breve i prefetti Corvonero entrarono, seguiti a ruota da uno di quelli Serpeverde, da Romilda Vane (l’altro prefetto dei Grifondoro, purtroppo) e dal caposcuola Corvonero, Sophy Kinsman. Nott invece non c’era ancora quando la McGranitt entrò. Ci impartì una predica di mezz’ora su quello che avremmo dovuto fare, prima di assegnare le aree che gli studenti avrebbero dovuto controllare. L’altro prefetto Serpeverde, arrivato in ritardo, fu assegnato alla zona dei sotterranei. Alla ragazza invece quella dei corridoi del piano terra e della zona dove si trovava il bagno di Mirtilla. Tra gli altri Prefetti la McGranitt assegnò a coppie alcune zone (assai più liete) della scuola. Le altre toccarono ai caposcuola. «Signorina Granger, lei ed il signor Ernie avrete un compito particolare. Dovrete sorvegliare assieme la zona attorno al castello, per assicurarsi che nessuno sgattaioli fuori in piena notte. È meglio che siate in due, vista l’ampiezza del parco». Ernie annuì più volte e così feci io. Se solo avessi immaginato. «Vaffanculo, vecchia pipistrella» fece Nott, raggiungendomi. Ero nel mio dormitorio, rifiutandomi di prendere parte al caos che sentivo provenire dalla sala comune. Non che avessi la possibilità di parteciparvi. «Di chi parli?» domandai, senza neanche voltarmi a guardarlo. Ero stanco e depresso. «Della McGranitt. Sono arrivato quando gli altri stavano già andando, e mi sono perfino scusato. E quella vecchia megera che cosa ha fatto? mi ha tolto dieci, luridi punti, e mi ha assegnato i corridoi degli ultimi piani, che pullulano di Grifondoro» si lamentò lui, scornato. «E quel deficiente di Zabini e gli altri... li ho visti mentre sgusciavano verso l’ingresso. Vogliono trovare un angolo tra gli alberi e fare baldoria all’aperto». «Zabini è un idiota». «Certo che lo è» disse Nott, alzando gli occhi al Cielo. «ma ancora di più lo sono Tiger, Goyle e gli altri, se proprio vuoi saperlo. So per certo che hanno portano nella scuola tre – tre –casse di Ogden Stravecchio, Dio solo sa come, e che se lo staranno probabilmente già scolando. Se qualcuno li scoprisse, non voglio neppure sapere quanti punti la preside potrebbe toglierci». «Più di quanti potremmo mai guadagnare in questi cinque anni» dissi io pigramente, «e che dopo non si dica che non fa favoritismi». «Oh, i suoi amati Grifondoro hanno avuto gli incarichi migliori, ovvio» disse Theodore, sprezzante. «I prefetti devono pattugliare il terzo e quarto piano, figurarsi, e la Granger... non ha che da fare un giretto per il parco assieme a Mcmillan». «Uuh...» ghignai io, «soli soletti, eh? Chissà, magari Mcmillan si dichiarerà, ho sempre pensato che avesse un debole per lei...». «Mmh...» disse Nott, senza scomporsi, ma sorridendo al pensiero. «Chissà, magari approfitteranno degli alberi per...». Alberi. Zabini e gli altri erano tra gli alberi in quel preciso istante. E la Granger, con quell’idiota Tassorosso, li avrebbe sicuramente incontrati. Quel pensiero mi travolse all’improvviso. Un flash della Granger che si azzuffava con Tiger e Goyle, con Mcmillan che stava a guardare, come un idiota. E nessuno ad immaginare che potesse succedere qualcosa a quei due imbecilli, nonostante marciassero verso una ventina di Serpeverde ubriachi. Ma in fondo, era improbabile che accadesse qualcosa. La Granger era fin troppo furba, e Tiger e Goyle troppo poco. Magari Ernie Mccoso avrebbe strillato abbastanza forte da attirare l’attenzione di qualcuno. Magari del semiumano Hagrid. Comunque, mica li avrebbero uccisi. E se anche la spaventavano un po’, o le facevano qualche scherzo idiota, non era affare mio, né poteva o doveva importarmi. Vidi la Granger appesa a testa in giù strillare improperi senza poter fare nulla, agitando le braccia verso la bacchetta senza arrivarci. Non mi diede soddisfazione, ma neppure un particolare dispiacere. Si meritava una lezione. La vidi ripiombare a terra, tutta rossa e tremante di rabbia. Gli occhi che luccicavano. Provai fastidio. Come quella mattina, avevo l’impressione che qualcosa non quadrasse. Non aveva a che fare con i miei sentimenti, non proprio, ma c’era qualcosa che sembrava sbagliato, fuori posto in quella immagine. Come una zebra al polo nord. No, no. Non potevo davvero pensare di... insomma, perché avrei dovuto? D’accordo, forse era ingiusto. E allora? L’ingiustizia era all’ordine del giorno. Non sarebbe morta. Non dovevo immischiarmi. Un’altra immagine, del tutto diversa, riemerse nella mia mente. La sua faccia mentre mi diceva che non aveva detto alla McGranitt dell’Incanto Fidelis. Dannazione. Visto quello che mi importava di lei, era una fortuna che fossi in debito.

SPAZIO DELL’AUTRICE Ciao a tutti! DUNQUE, come avete notato, questo capitolo è stato diviso in due parti... diciamo che nel progettarlo avevo sopravvalutato la mia capacità di sintesi... ed inoltre, così posso tenervi in sospeso, eh eh.... la conclusione arriverà la prossima settimana, ma se sperate in una scena di grande romanticismo, state freschi. Draco è ben lungi dall’essere innamorato di Hermione, come scoprirete, anche se non la detesta più come prima. Spero di non avervi delusi, lo so bene che può sembrare forzato che Draco decida per un eroico salvataggio... aspettate e vedete, e ditemi cosa pensate! A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Pureblood prince charming - part two ***


«Per l’ennesima volta, Ernie» dissi, esasperata. «Non ho sentito nulla».
«Andiamo, Hermione!» disse il mio compagno di disavventura, nervosamente, tenendo entrambe le mani strette a pugno sulla bacchetta che sembrava scomparire tra le mani  grassocce. Ernie non sembrava curarsi molto del suo fisico ma con tutto quello che stava sudando dalla paura, prima di tornare al suo Dormitorio si sarebbe dimezzato. «Forse dovresti dare un’occhiata». Dovresti, non dovremmo, notai. In caso di vero pericolo Ernie poteva  pure essere affidabile, ma la prospettiva di sorprendere due ragazzi a pomiciare dietro a quel cespuglio lo terrorizzava.
Sospirando, gettai uno sguardo alla finestra illuminata della Torre di Grifondoro. Tutti gli altri si stavano divertendo, mentre tutto quello che avevo io era Ernie Mcmillan. Mi sforzai di essere il più possibile positiva; dopotutto, la McGranitt ci aveva affidato un compito davvero importante. Avrei dovuto esserne felice, e lo ero, ma... era il quarto cespuglio che controllavo.
Mi avvicinai al punto che Ernie mi indicava e – sorpresa, sorpresa, non trovai nulla. «Qui non c’è nulla» dissi, nello stesso tono paziente che avrei potuto usare con Ron o Harry prima di dare loro i compiti. «Ehm... senti, Ernie, perché non ci dividiamo? Così finiremo prima».
«Non credo sia una buona idea» disse lui pomposo, aggiustandosi la veste; scongiurato il pericolo, era tornato a parlare con la solita baldanza. «Maghi molto più potenti di noi non oserebbero...». Avrei potuto fargli notare che Hogwarts, con tutti i suoi difetti, non era ancora vittima del potere del Signore Oscuro, e che il pericolo maggiore che potevi aspettarti era probabilmente una fattura lanciata da un Serpeverde. Non lo feci. Avevo altro per la testa.
Prima di incontrare Ernie all’ingresso ero andata in bagno per sciacquarmi di dosso l’inchiostro che Pix mi aveva spruzzato addosso al terzo piano. Mentre ero al gabinetto, avevo udito la porta aprirsi e la voce squillante di Lavanda – che riconoscevo anche a grandi distanze, e non per motivi molto positivi – ridursi ad un tremulo bisbiglio. «...capito... fatto... Parkinson...». Mi ero sforzata di ascoltare, quasi – quasi – desiderando una delle Orecchie Oblunghe dei Weasley. Oh, ok, rimpiangendo di non averle portate con me dal dormitorio.
«Neville ha capito..?» stava dicendo un’altra voce, che somigliava in modo sospetto a quella di una delle amiche ridarelle di Cho Chang.
«No... speravo che tu avessi capito... Padma...». Avevano aperto uno dei rubinetti, e nello scroscio dell’acqua il resto della frase era andata perduta.
Avevo perso un altro paio di battute, prima che Gabriella – o come diavolo si chiamava – dicesse in tono più alto: «Ma Neville... il modo in cui ci ha detto quello che è successo...» e aveva fatto una pausa a effetto. «Ultimamente è strano».
A quel punto avrei pagato un centinaio di galeoni per sapere esattamente che cosa era successo. Non solo sembrava che Padma Patil non avesse voluto stare nel suo dormitorio a studiare come la sorella credeva; ma Neville era davvero strano negli ultimi giorni e io non ci avevo neppure fatto caso.
A riportarmi al presente fu Ernie, che da un po’ camminava in silenzio al mio fianco. Mi afferrò improvvisamente il braccio, ma non ci badai troppo, pensando che stesse facendo uno dei suoi drammi, come sempre.
«Hermione...» sussurrò. Lo guardai senza mettere davvero a fuoco. «Hermione, hai sentito?».
«Ernie... non sento niente» lo assicurai meccanicamente.
«Sst! Ascolta!» fece lui, in tono insolitamente brusco. Obbedii. Tesi l’orecchio, ed effettivamente, udii un suono proveniente da una zona fitta di alberi appena fuori dalla Foresta. Avrebbe potuto essere qualunque cosa.
«Sarà un animale» dissi, a voce bassa mio malgrado. «Oppure...».
«Dobbiamo andare a vedere» disse lui. Sembrava risoluto, e questo mi fece sospettare. Ascoltai ancora. Si udivano dei fruscii, più di uno, e persino...
Voci?
Lo trattenni per il braccio e lo spinsi più vicino alla foresta. «Ernie» dissi, risoluta. «Ascoltami. Non sappiamo cosa ci potrebbe essere lì. Vai dalla McGranitt ad avvertirla, mentre io...».
«Da sola?» disse Ernie, incredulo. «Hermione, non credo che...».
«Non ho bisogno di aiuto. La McGranitt...»
«Non ha importanza» disse lui, in tono severo. «Hermione, so bene che tu sei in grado di cavartela. Però anche io facevo parte dell’ES, no? voglio accompagnarti».
Lasciai perdere, vagamente commossa. «Seguimi» gli dissi, e facendo attenzione a dove mettere i piedi, percorremmo la distanza che ci separava dalla fonte del rumore con lentezza, costeggiando la foresta.
Fu così che li vedemmo. Erano una quindicina, tutti Serpeverde, evidentemente intenzionati a fare baldoria tutta la notte. Nascosta con Ernie dietro un cespuglio, li osservai. Tra Zabini, Tiger e Goyle prevedevo più di una grana. Meditai sulla possibilità di lasciarli a gozzovigliare e tornarmene al castelli; lo avrei fatto, se non avessi temuto che qualcuno di loro si facesse male. I centauri non erano ancora molto amichevoli, e non erano certo l’unica cosa che potesse darci dei problemi.
Ernie accanto a me era visibilmente terrorizzato. I suoi occhi mi chiesero che cosa avremmo dovuto fare, e gli feci cenno di lasciarmi pensare.
«Ma insomma, Zabini» sbuffò un Serpeverde tarchiato e brutto, che ricordai di aver visto talvolta aggirarsi con Goyle. «A noi puoi dirlo».
«Te l’ho detto. è stata la McGranitt a trattenermi» fece Zabini, annoiato. Affascinata, rimasi ad ascoltarli. Perbacco, cominciavo a capire perché Harry si metteva a spiare la gente senza riserve.
«Non è certo la prima volta che sparisci» disse Goyle, evidentemente fiero della sua acutezza.
«Si, beh, a differenza vostra, ho parecchi M.A.G.O. a cui badare» disse Zabini indifferente.
«Blaise, te l’ho detto, non avresti dovuto scegliere così tante materie» cinguettò quella vacca totale della Parkinson. Ricordandomi che scenette simili erano state un tempo riservate a Draco Malfoy, pensai che forse era fortunato a essere un reietto.
«Si, beh, non è nulla che non possa riuscire a gestire» fece Zabini, improvvisamente borioso. «Non come quell’idiota di Nott... l’ho già battuto due volte, quest’anno».
«Si, beh, ma i professori non hanno molta voglia di incoraggiare la maggior parte di noi, no?» fece un tizio dall’aria consunta che, ricordavo, era imparentato alla lontana con Avery e con i Lestrange. «Dopo l’attentato al Ministero, nessuno intende favorirci, neppure Lumacorno. Almeno non siamo finiti come Draco, ma gente come Nott, visto il suo legame con il Signore Oscuro...» e scrollò le spalle.
«Che cosa vorrebbe dire questo, Dobbin?» fece Zabini, irritato. «Che secondo te la mia bravura è dovuta alla scarsa partecipazione della mia famiglia agli affari dei Mangiamorte?» e fece una smorfia. «Ridicolo».
«Beh, nessuno di voi ha rischiato nulla, non è così?» interloquì un tizio con la faccia scavata dall’acne, che non ricordavo di aver mai notato. «Chi è il nuovo marito di tua madre, un impiegato al Ministero, no?».
La faccia terrea di Zabini si irrigidì. Mi persi la sua risposta, comunque, e quasi rischiai di tradirmi, quando sentii un rumore lieve alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e – sorpresa, sorpresa – mi ritrovai faccia a faccia con Malfoy, che veniva dritto verso di me.
Sfoderai la bacchetta.
Apparentemente infastidito dal mio gesto, mi fece cenno di abbassare la bacchetta e stare zitta. Sospettosa, abbassai la mia arma, ma solo un po’. Ernie, accanto a me, aveva un’aria ostile.
Malfoy passò qualche istante a scrutare le figure al di là del cespuglio, l’aria tetra. Probabilmente non essere stato invitato gli rodeva più del previsto. Lo capivo, rodeva anche a me non poterlo beccare assieme agli altri. rimasi a guardarlo, corrucciata, finché non tornò a concentrarsi su di me.
«Granger» sillabò, muto. «Ti conviene andartene di qui».
«Cosa ci fai tu qui?» risposi nello stesso linguaggio, a braccia incrociate.
Lui alzò le spalle, a sottintendere che non erano affari miei e che si trovava lì per caso. Chissà, forse era venuto per spiare i suoi ex amici. Non erano, effettivamente, affari miei. «Andatevene» aggiunse.
«Devo fare qualcosa» obbiettai, scocciata.
«Che ti importa, stupida?» domandò lui, disgustato.
«È questione di sicurezza» dissi, petulante.
Malfoy mi guardò, sprezzante. «Credi davvero che riusciresti ad andare lì in mezzo e cavartela?» mi domandò in un soffio di puro, gelido disprezzo.
Alzai le spalle a mia volta. Lui guardò altrove, l’aria di chi sta per vomitare. Qualcosa sembrò attirare la sua attenzione, perché si irrigidì, e si incurvò di più, come temendo di essere stato sorpreso.
«Astoria, tutto bene?» disse qualcuno in lontananza. «A cosa stai pensando?».
«Nulla di particolare» disse una voce fredda di ragazza. Io, temendo di aver perso dieci anni di vita per lo spavento, aguzzai le orecchie e feci cenno agli altri due sventurati di non farsi vedere. Potevo anche avere l’autorità di un Caposcuola, ma essere scoperti dietro un cespuglio non ci avrebbe sicuramente aiutati a spaventarli.
«Astoria è sovrappensiero» disse la voce leziosa della Parkinson, che sfumò in un risolino. «A chi è che stai pensando?».
«A nessuno, anche se non penso che la cosa vi riguardi» disse la ragazza di nome Astoria, in un tono dignitoso. Aveva una voce fredda e severa, ma per nulla sgradevole, anche se non esprimeva alcun sentimento. Dava i brividi, ma tutto era meglio dello sbrodolio sentimentale e viscido di Pansy.
Nessuno sembrò propenso a replicare, e Pansy lasciò perdere, sconfitta.
«Mentre tu, Pansy, a chi pensi esattamente?» fece una ragazza dall’aria cavallina che ricordava in maniera impressionante la zia di Harry.
«Non ti riguarda, Prince» scattò la Parkinson, offesa dal tono provocatorio dell’inquisitrice. A quelle parole, raddoppiai ulteriormente i miei sforzi uditivi. Prince? Poteva essere che...
Uno starnuto proveniente dalla mia destra mi fece raggelare il sangue. Mi voltai, inorridita, consapevole del silenzio improvviso che era calato attorno a me. Ernie si teneva una mano sulla bocca, decisamente spaventato. Mi ero inavvertitamente sporta in avanti per cercare di sentire, e così facendo gli avevo spinto un ramoscello su per una narice. Io ed Ernie ci scambiammo un’occhiata inorridita.
«Che diavolo è stato?» aveva intanto biascicato Tiger nel suo consueto tono da troll, mentre Goyle si alzava, la bacchetta alla mano. Strinsi la presa attorno alla mia, cercando con gli occhi una via di fuga, mentre i passi del Serpeverde si avvicinavano...
In un unico istante, accaddero diverse cose. Primo, Ernie cercò di mettersi in ginocchio, e perse l’equilibrio, urtando il cespuglio e mostrando inequivocabilmente la nostra presenza. Secondo, Draco Malfoy si gettò dietro a un albero lì accanto. Terzo, proprio mentre il Fottuto Furetto – passatemi il termine – svaniva alla vista, Goyle sbucò da dietro al cespuglio, beccando la sottoscritta ed Ernie accucciati lì dietro. Immediatamente mi alzai, bacchetta alla mano, indecisa se usarla, ma pronta anche a questa eventualità.
«Granger!» esclamarono alcune voci, tra cui quella della Parkinson.
«Molto grave» dissi io rapidamente, sperando che anche Ernie riuscisse a darsi un contegno. «Studenti del MAGO che organizzano una festa clandestina di halloween. Quando la McGranitt lo scoprirà...». il cuore mi rimbalzava nel petto, ma apparivo impassibile. Pensai a che cosa avrei dovuto fare per salvare me ed Ernie in caso di necessità, e mi tenni pronta. Considerai Draco Malfoy; ci avrebbe aiutati? Improbabile, ma non impossibile. Chissà, magari con il giusto incoraggiamento...
«Inutile che ci minacci» disse Zabini quieto, senza neppure muoversi. «Siete due e siete stati colti sul fatto».
«Questo non significa che non possediamo assi nella manica». Capito, Furetto? Un intervento sarebbe stato gradito.
«Tagliamo corto» disse Ernie, che incapace di sembrare minaccioso aveva ripreso il suo tono pomposo nel tentativo di essere intimidatorio. «Se tornate subito al castello, ci limiteremo a togliervi dei punti».
«E secondo te daremmo ascolto a te, stupido ciccione?» fece uno dei Serpeverde, scoppiando in una risata che si diffuse a macchia d’olio lungo il gruppetto.
«Vi conviene» dissi io, parecchio arrabbiata. «Siamo caposcuola».
«Se avessero voluto dare autorità al ruolo, di certo non avrebbero scelto di affidarlo a voi» disse Dobbin, con un sorriso maligno. La Parkinson rideva sguaiatamente.
«Molto spiritoso, ma temo che le vostre argomentazioni non abbiano alcun peso» dissi io freddamente. «Tornate al castello, ora».
Tiger e Goyle presero a emettere piccoli sgrilletti da donnette spaventate, agitando grottescamente i grossi pugni in aria, nella pantomima di un gruppo di donnette isteriche. Lanciai loro un’occhiata truce che li fece arrestare, nonostante tutto.
«Altrimenti?». Lo sguardo di Zabini era impenetrabile, e mi fece rabbrividire. Qualcosa non andava in quello sguardo.
«Altrimenti nulla» dissi io, gelidamente. «Non ci sono alternative. Anche se voi ci affatturaste, non la passereste liscia comunque. perciò andatevene, e lasciate stare, e nessuno si farà male, d’accordo?». Era la tipica frase da film, ma nessuno di loro ne aveva visti, perciò speravo che fosse d’effetto. Naturalmente mi sbagliavo.
«Io dico invece che sarete voi ad andare, così nessuno rischierà di beccarsi una fattura» disse Zabini.
«Nessuna fattura mi impedirà di cercare di scoprire che cosa tu stia tramando, Zabini» dissi d’impulso. Non so come mi uscì, ne perché lo feci; volevo semplicemente provocarlo, suppongo, ma l’effetto fu inaspettato. Forse Zabini non si aspettava che sapessi, o che avessi sentito. Comunque impallidì vistosamente, e si alzò in piedi. «Oblivion!» disse, fulmineo, e l’incanto volò dritto verso di me. Lo parai per un pelo, strillai, “Ernie!” e poi scartai di lato per evitare un secondo incantesimo di Oblio. Senza guardare cosa Ernie stesse facendo, affatturai Dobbin che correva verso di me e lo lasciai a terra a mugolare, la faccia ricoperta di tentacoli. Goyle inciampò contro il suo corpo e quasi mi cadde addosso, ma lo spinsi via e senza volerlo lo feci rovesciare contro Ernie e la Parkinson, che caddero come birilli a loro volta.
Se Malfoy avesse voluto aiutarci, saremmo forse riusciti a cavarcela; solo Zabini era davvero all’altezza, e al momento sembrava incerto sul da farsi. Persa la grinta iniziale, mi guardava cauto, la bacchetta sollevata. Provai a scagliare una Fattura Gambemolli ma la respinse e mi indirizzò contro uno Schiantesimo. Mi mancò perché Tiger lo urtò mentre muoveva le braccia cercando di mantenere l’equilibrio, ma l’Incantesimo d’Ostacolo di Ernie non glielo consentì. Riuscii, con mia grande soddisfazione, a Disarmare la Parkinson, e con un incanto che avevo scoperto da poco feci eruttare zolle di terra sotto i piedi di un altro Serpeverde. Ernie era impegnato contro la ragazza di nome Astoria, che si limitava a deviare tutti i suoi incantesimi, tesa. Due o tre Serpeverde erano in fuga verso il castello, ma disarmai anche loro. Alla fine Astoria, inciampando su Goyle, cadde all’indietro. «Mi arrendo» disse, pacata, e gettò la bacchetta verso di me. Io mi affrettai a raccoglierla. Zabini scrollò le spalle, e fece altrettanto.
Con le loro bacchette nelle nostre mani, c’erano poche cose che potevano fare. Seguirono me ed Ernie fino all’ufficio della McGranitt, imprecandoci contro a denti stretti; tutti tranne la ragazza Astoria, che mi fissava in silenzio mentre marciavo impettita, e Zabini, che faceva lo stesso, ma con l’aria di un disperato.
In cuore mio, ringraziavo che si era trattato di un semplice battibecco tra studenti, eppure una parte di me non si dava pace. Pensavo a Malfoy, al fatto che sembrava essersi volatilizzato proprio quando entrambe le parti avrebbero potuto avere bisogno di lui.
 
Quella  notte quasi non dormii. Ero rimasto fermo nel mio nascondiglio fino a che i due caposcuola non erano svaniti assieme ai loro ostaggi, poi silenziosamente ero corso fino al portone ed ero entrato, scivolando non visto per i corridoi fino ad arrivare al mio dormitorio. Lì mi ero infilato a letto ancora vestito e incazzato, e ora fingevo di dormire per poter pensare.
Ero arrivato con l’intenzione di aiutare la Granger, con la quale avevo una specie di debito. Ma non lo avevo fatto. ero rimasto nascosto dietro al tronco nodoso di un pino mentre i miei compagni e i due caposcuola si lanciavano fatture, e non avevo mosso un dito. Avrei almeno potuto farmi vedere, provare a dire qualcosa. Avrei potuto aiutare la Granger, che avrebbe certamente finito più in fretta, e McMillan, che avrebbe potuto evitarsi un labbro gonfio e un sopracciglio quasi spaccato. Oppure, ancora meglio, avrei potuto aiutare gli altri Serpeverde. Sarebbe sicuramente servito a cambiare le cose.
Ma non lo avevo fatto. non avevo fatto un bel nulla.
Non era semplice paura di farmi male. Non era neppure vera paura. Era qualcosa di più sottile e senza nome, ma se volete, provo a parafrasarvelo.
Non sapevo da che parte avrei dovuto stare.
 
Raccontai tutto alla McGranitt, che ascoltò con pazienza e credette a ogni parola. Del resto i Serpeverde  non avevano detto nulla, ed erano rimasti a capo chino per tutto il tempo. Sorvolai sui discorsi che avevo sentito, perché pensavo che la loro situazione fosse già abbastanza grave così, e specie su quello che aveva detto Zabini. Omisi anche completamente la parte di Malfoy, anche se quello schifoso non se lo sarebbe meritato. Non sapevo neppure perché era lì. Notai che Ernie mi fissava, perplesso, ma senza intervenire. Sveglio Ernie.
Alla fine, la McGranitt guardò il gruppo di Serpeverde con aria truce. «E’ la verità?» chiese, con l’aria di chi non ha affatto bisogno di una risposta. Qualcuno annuì, e Astoria rimase ferma. Di lei avevo sottolineato che non aveva fatto nulla per attaccarci, limitandosi a difendersi se qualcuno di noi provava ad attaccarla. Zabini disse di si. Ci avevo tenuto a dire che mi aveva quasi affatturata, anche se non avevo detto dell’Oblivion. Qualunque cosa stesse facendo, non toccava alla vecchia strega scoprirlo.
La Preside si sedette, e sospirò. «Non credo che vi rendiate conto della mia posizione» esordì. Nessuno la interruppe, anche se più di qualcuno la guardò inebetito (Dobbin no – i tentacoli gli prudevano). «Sapete anche voi che sono tutti molto spaventati. Fino a questo momento, mi ero illusa che aveste capito anche voi l’importanza della collaborazione con le altre Case, ma pare che si trattasse  di una semplice farsa. Tuttavia» e tirò su con il naso, «tuttavia farò personalmente in modo che tutto questo finisca. Intendo fare del mio meglio per assicurarmi che il conflitto tra le Case abbia un termine». Guardò i Serpeverde con espressione quasi addolorata. «Siamo tutti maghi di prim’ordine, a Hogwarts. Dovreste saperlo voi per primi. Non buttate tutto al vento per una pretesa superiorità». Tacque, come aspettandosi qualche commento, ma tutti guardavano a terra, notevolmente confusi. «A ognuno di voi saranno sottratti venti punti. Domattina scoprirete i provvedimenti disciplinari che intendo prendere. Nel frattempo, tornate ai vostri dormitori». Poi, guardando me, «tu no, Granger».
Così tutti uscirono, anche Ernie, che mi lanciò un’occhiata che era assieme perplessa e solidale.
«Allora, signorina Granger» disse la McGranitt. «Posso sapere che cosa ti preoccupa?».
«Niente» mentii, cercando di sembrare disinvolta.
«Suvvia» disse la donna, seccamente. «Voglio che parli chiaro. Il professor Silente ha lasciato a te, Potter e Weasley un compito. Posso sapere se lo state portando a termine..?».
«Stiamo facendo del nostro meglio» le dissi, sicura, ed era la verità. «Stiamo... indagando».
«E usate le gite a Hogsmeade per indagare?» chiese lei con un’occhiata penetrante. «Era questo che stavate facendo, quando il signor Malfoy vi ha scoperti?». Non ero certa di capire dove volesse arrivare. In fondo, quando ero andata a dirle di Malfoy, non aveva fatto certe domande.
Annuii, a testa bassa.
«Ho incontrato il signor Paciock, oggi» disse la vecchia strega, di colpo. Sollevai il capo, stupefatta e sorpresa. «Anche se forse incontrare non è l’espressione giusta. Ultimamente sono preoccupata per  lui; la fuga di sua nonna lo ha provato». Sospirò. «Comunque, mi ha riferito di avervi visti sparire chissà dove a  Hogsmeade, anche se naturalmente non può immaginarsi che cosa vi spinga a farlo... teme per voi, e io mi trovo d’accordo con lui. Anche se ritenete di non potermi riferire ciò che sapete, questo non toglie che sia un motivo di grave tensione tra di noi» e quel noi stava evidentemente per l’Ordine, «sapere che tutto sembra dipendere da voi tre».
«Professoressa» attaccai, a quel punto decisamente ansiosa. L’idea che avessimo rivelato tutto a Draco Malfoy, e che non fossimo arrivati a capo di nulla, mi dava una leggera nausea. «Capisco perfettamente, però...». esitai un attimo, ma quando ripresi, avevo la voce ferma. «Se il professor Silente ha deciso che toccasse a noi, deve esserci un motivo. Noi stiamo facendo del nostro meglio, ma davvero, non possiamo dirvi nulla. E’....» mi bloccai, incerta. «Sono cose che nessuno di noi è pronto ad affrontare. Neppure voi».
La McGranitt sospirò. «Avreste dovuto comunque dirmi che dovevate assentarvi da scuola» fece notare. «Solo la consapevolezza che nessuno sappia quello che è successo» e mi lanciò un’occhiata obliqua, «mi trattiene dal punirvi».
«Mi dispiace» dissi, anche se sapevo che non avevo avuto scelta.
«Quanto sa Malfoy?» mi chiese lei all’improvviso. Evidentemente non ero la sola a essere preoccupata per il nostro viscido amico strisciante. «In questi giorni l’ho visto insolitamente preoccupato, e dubito di essere stata io la responsabile. Mi hai già detto di avergli spiegato dell’Ordine, ma francamente, ritengo che sia stata una mossa pericolosa... adesso voglio sapere quanto».
La guardai. Avrei potuto raccontarle tutto; per la precisione, ero l’unica a poterlo fare. Tuttavia, non lo feci. Malfoy poteva anche essere schifoso, ma se la McGranitt avesse saputo quanto sapeva, lo avrebbe probabilmente fatto relegare da qualche parte – anche con l’Incanto Fidelis, Dio solo sapeva come avrebbe potuto utilizzare le informazioni in suo possesso.
«Non ha nulla che possa riferire» la informai ambiguamente. «Ed è troppo codardo per fare qualsiasi cosa».
«Può anche darsi» disse lei, impassibile. «Ma credo che prenderò provvedimenti».
Non indagai. Qualcosa mi diceva che era molto meglio non farlo.
 
Ero impegnatissimo a cercare di non vomitare la mia colazione, quando Astoria Greengrass si sedette accanto a me. La ignorai, perso nei miei pensieri. Poco prima, mentre mi avviavo in solitaria verso la Sala Grande, avevo intravisto la Granger, e ora, mentre facevo vorticare il succo di zucca nel mio calice, cercavo di ipnotizzarmi e convincermi che non sentivo nulla di simile al senso di colpa.
Mi sentivo in colpa, d’accordo. Ma solo un pochino.
Alla fine, comunque, Astoria si piegò verso di me e sussurrò, con la sua voce pacata: «Che cosa facevi ieri sera con Hermione Granger e quel balordo Tassorosso?».
Mi si gelò il sangue nelle vene, e sobbalzai, ma quando mi voltai avevo un’espressione completamente neutra. Smentire era la prima regola. «Non so di che parli» la assicurai.
«Davvero?» fece lei, a voce piuttosto alta. «Che ne dici se lo chiedo a lei?».
«Innanzitutto, abbassa la voce» dissi, con uno sguardo truce che non le fece il benché minimo effetto. «E in secondo luogo, sono certo che tu ti stia sbagliando».
«Benissimo. Visto che entrambi sembriamo esserci sbagliati, sono certa che la Grifondoro saprà aiutarci» replicai. Maledizione. Dopo che mi ero eclissato la sera prima, dubitavo che la Mezzosangue mi avrebbe appoggiato. Così, scrollai le spalle. «Ero lì per caso, quando ho visto lei e quel Bernie, o come si chiama» dissi sottovoce. Mezze verità, mezze verità. «Volevo divertirmi un po’ a torturarli, ma quando vi ho visti ho preferito non farmi vedere. Non volevo che equivocassero».
«Tutto qui?». Gli occhi le brillavano sinistramente. Annuii, la gola secca, cercando di sembrare sicuro di me.
«Quando siamo andati dalla McGranitt, la Granger ha raccontato tutta la storia. Solamente, ha dimenticato di menzionarti».
«Forse pensava di non avere alcuna prova».
«Avrebbe potuto addentrarsi tra i cespugli e prendere anche te» osservò lei. «e comunque, sa benissimo che la McGranitt le crederebbe in ogni caso».
«Che diavolo ne so?» chiesi, infastidito, sentendo che il senso di colpa cresceva. «Magari è innamorata di me, o magari semplicemente le è sfuggito di mente». Già. Certo.
«Può darsi» concesse lei, con un cenno della mano. «E può darsi di no».
«Insomma, Astoria. Che cosa vuoi?» chiesi, stremato.
«La verità».
«Te l’ho già detta. E comunque, che te ne faresti?» la provocai.
Astoria mosse i lunghi capelli neri in un’unica onda seducente. Era davvero carina, nonostante la principessa dei ghiacci accanto a lei sembrasse un forno. «Non credo sia giusto quello che gli altri stanno facendo» disse, nello stesso tono calmo che avrebbe usato per qualunque altra comunicazione. «Non credo che ultimamente ci sia qualcosa di giusto, in tutta la comunità magica».
Cielo! Una Serpeverde idealista! Unica nel suo genere. «Benvenuta nella realtà» dissi tetro.
Lei scrollò elegantemente le spalle. «Nessuno della mia famiglia è stato un sostenitore di Lord Voldemort. Tutti noi ci siamo sempre tenuti alla larga dalla politica. Però io non sono d’accordo». Mi guardò. «E non credo lo sia nemmeno tu».
«Sei pazza?» sibilai, guardandomi attorno. Qualcuno ci lanciava occhiate occasionali, anche se nessuno sembrava origliare. «Non sono cose da dire a tavola».
«Però sono vere» fece notare lei. «E lo sai».
«Senti» dissi, con un’altra occhiata furtiva a quello che succedeva attorno a noi. «Non so che cosa tu creda o voglia fare, ma io intendo restarne fuori. Sono un Malfoy, anche se questo non conta più nulla, non un attivista o qualcosa del genere».
«Lo hai detto anche a Hermione Granger?» chiese lei.
«Cosa c’entra lei, ora» feci, nervoso.
«Stai tramando qualcosa, l’ho visto» disse Astoria. «E questa storia della Granger è sospetta».
«Non intendo discutere di queste stronzate» dichiarai. Lei mi guardò, inespressiva. «Senti, non sono una spia, o qualcosa del genere. Penso solo che, se stai facendo qualcosa di utile, vorrei aiutarti. Vorrei essere tua amica».
Questa, poi! «E perché mai?» chiesi, incredulo.
«Perché mi stai simpatico» disse lei, calma, versandosi dell’altro succo di zucca.
«Tu...» cominciai io, ma proprio allora, la Preside si alzò in piedi battendo più volte col coltello sul suo calice semivuoto. Immediatamente, calò il silenzio. piuttosto sorpresi, tutti gli studenti si rivolsero al tavolo dei docenti, dove nessuno, a parte la Preside, sembrava immaginare che cosa stesse per dire. Ninfa dora Tonks doveva essersi spaventata quando la Preside si era alzata di scatto con uno dei suoi movimenti nervosi, perché era impegnata a tamponare con il tovagliolo la propria veste, dopo essersi versata addosso metà della caraffa. Il professor Vitious intervenne prontamente con un “Gratta e Netta”, ripristinando così la calma.
«Sono consapevole che nessuno di voi si aspettasse un annuncio da parte mia» cominciò la Preside. «Ma posso rassicurare tutti voi dicendo che si tratta di buone notizie». Ne dubitavo, ma non feci commenti. «Tutti voi sapete che i tempi sono bui, ma non è il caso di abbattersi o di rinunciare per questo ai benefici che solo la vicinanza ci offre. Ho deciso di assicurare la possibilità agli studenti di relazionarsi tra loro con più facilità per aiutare tutti voi a comprendere gli indubbi benefici che la cooperazione magica ci offre». Fece una breve pausa, mentre un mormorio lieve e concitato si estendeva per la sala. «Episodi recenti fanno supporre che questo obiettivo non sia ancora stato raggiunto, ed è per questo» e sollevò la bacchetta che aveva estratto dalle pieghe della veste ricamata, «che ho preso provvedimenti». Agitò la bacchetta, e quattro grossi scatoloni apparvero adagiandosi a terra con un tonfo attutito. «Per ogni alunno è stato estratto a sorte il nome di un coetaneo, che gli è stato abbinato. Il proprio partner sarà un aiuto prezioso sia per lo studio, sia per imparare l’importanza dell’armonia tra le diverse Case. Per il resto dell’anno, il vostro partner non potrà essere cambiato, salvo eccezioni» e il suo sguardo si fece severo. «Perciò cominciare con il piede giusto è essenziale». La Sala Grande era tanto silenziosa che ero certo di poter sentire i respiri dei Grifondoro dall’altro capo della stanza.
«i Caposcuola procederanno ora alla consegna dei nomi agli alunni della propria casa» concluse la McGranitt, facendo un cenno per invitarli ad avvicinarsi.
Mille voci e più esplosero simultaneamente mentre i quattro trotterellavano verso la McGranitt per prendere uno scatolone ciascuno e lo portavano al loro tavolo. Metà di quelli del nostro avevano un’espressione da funerale.
Con in cuore un fosco presentimento, mi voltai verso Astoria, che mi guardò. «Suppongo di dover ringraziare voialtri per questo» dissi, senza rancore.
«Probabile. La Preside è preoccupata quanto me».
Nott stava già cominciando a estrarre i primi rotoli di pergamena dalla scatola. Leggeva i nomi, e li lanciava controvoglia al Serpeverde indicato. Presto toccò a lui, e si mise in tasca il rotolo senza nemmeno aprirlo. Altri due o tre minuti e Astoria prese il suo al volo con grazia, aprendolo. La vidi aggrottare appena la fronte. «Chi ti è toccato?» chiesi, morbosamente curioso.
«Ginny Weasley» disse lei, senza fare commenti. Dunque era al sesto anno. Sembrava indubbiamente più grande. All’idea che le fosse toccata la ragazza Weasley sogghignai. «Volevi un contatto con i buoni?» chiesi, pronunciando l’ultima parola con un certo disprezzo. «eccoti servita».
«Infatti» disse lei senza scomporsi. Poi fece un sorrisetto. «ma ti conviene aspettare prima di ridere».
Quando alla fine Nott mi chiamò, presi il mio foglietto con apprensione. Aprii il sigillo, ma attesi qualche istante prima di aprirlo. «Che cosa aspetti?» domandò Astoria.
«Cerco di trovare il coraggio».
«Quanto la fai lunga» commentò lei.
Così srotolai il foglietto, dove troneggiavano nella calligrafia della McGranitt, piccola ed elegante, le due parole che dovevano decidere il mio destino.
C’è proprio bisogno di dirvi quali erano?
 
SPAZIO DELL’AUTRICE
Tornata, come sempre in ritardo (gli esami sono vicini, poi finalmente non avrò più scuse), con la seconda parte del capitolo.
Come avrete notato, Draco non è esattamente un cavaliere senza macchia e senza paura, mi dispiace per chi ingenuamente ci sperava! Comunque non è neanche senza scrupoli, anzi, come spero di riuscire a mostrare nei prossimi capitoli. Spero che abbiate apprezzato, anche se ammetto che la figura che ci fa è un po’ magra...
Spero vi piaccia anche Astoria, che personalmente  è tra i miei personaggi preferiti. Forse avrete notato che parecchi personaggi nascondono qualcosa, e in futuro si aggiungeranno nuovi colpi di scena, anche se per svelarli ci si metterà un bel po’. Attendete con fiducia!
Per chi di voi è già proiettato in un futuro fatto di ripetizioni tra Draco e Hermione che sfociano in improbabili scene di sesso, mettetevela via: non accadrà. Il fatto che siano associati deriva principalmente dal fatto che la McGranitt è davvero preoccupata che Draco combini qualche cavolata, perciò Hermione era praticamente una scelta obbligata. Comunque è certo che la ripetuta vicinanza qualche effetto debba averlo per forza, e spero che non mi odierete!
Nel prossimo capitolo Hermione e i suoi amici dovranno mettersi d’impegno alla ricerca del medaglione, mentre Draco mostrerà almeno un po’ di non essere un abietto verme strisciante. Alcuni rapporti verranno messi un po’ alla prova e altri cominceranno a consolidarsi... a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** PLAYING THE UROBORO ***


«Non posso crederci» disse Ron, strappandomi il foglio di mano. Io non risposi. Ero troppo impegnata a metabolizzare la mia caduta negli inferi. «Non può esserti toccato proprio lui! Con tutte le persone che avrebbero potuto essere estratte...».
«Non credo che sia stato un caso» disse Harry. «La McGranitt avrà voluto...».
«Me ne frego di quello che quella vecchia megera vuole o non vuole!» disse Ron. «E’ semplicemente pazza se pensa che Hermione voglia...».
«Però sa troppo» fece notare Harry. «Vorrà che venga tenuto d’occhio».
Io neppure li ascoltai. Alzai lo sguardo verso il tavolo dei Serpeverde. Feci appena in tempo a vedere Malfoy che, pallido come un cencio, osservava il pezzo di carta che aveva tra le mani. Accanto a lui c’era un ragazza mora – che riconobbi come Astoria, quella della sera prima che se l’era cavata con poco – che si chinò su di lui per leggere il nome e, incredibilmente (ma forse ero solamente cieca) sorrise.
Abbassai lo sguardo prima che si accorgessero che li guardavo. «La McGranitt è preoccupata» dissi ai miei due amici, con voce roca. E raccontai loro l’avventura della serie prima, che non avevo ancora fatto in tempo a riferire loro. Quando terminai, Ron era paonazzo di rabbia, e anche Harry fissava con sguardo ostile la tavolata verde e argento.
«Così la McGranitt ha deciso che toccava a noi controllarlo» dissi, mesta. «E ha ragione. È tutta colpa nostra».
«Quel...» e Ron si esibì in una lunga lista di parolacce, fino a che non lo interruppi. «Si, ma non è solo questo» dissi, e visto che la consegna dei papiretti era terminata, e la Preside non dava segno di voler commentare ulteriormente la faccenda, mi alzai. Non restava molto tempo. «Neville» dissi più piano, vedendolo poco più avanti. Nel pugno stringeva il suo pezzetto di carta come se così avesse potuto cancellarlo. Poco lontano Dean commentava a voce fin troppo alta la sua fortuna – a lui era toccata Cho Chang – perciò era improbabile che ci sentissero, ma la prudenza non era mai troppa.
«E’ da un po’ che ci evita» disse Harry, imbarazzato. Probabilmente era dispiaciuto all’idea di aver sottovalutato la questione. «Sta molto sulle sue, però non pensavo fosse grave».
«Si, pensavamo fosse per la media schifosa che ha in Incantesimi, ora come ora» disse Ron.
Alzai gli occhi al cielo. «In ogni caso» dissi paziente, «non ho capito molto, ma da quello che ho origliato, e da quello che mi ha detto la McGranitt...» abbassai ulteriormente la voce, «credo che abbia combinato qualcosa. La McGranitt lo ha convocato nel suo ufficio».
«La clessidra mi sembrava un po’ vuota» concesse Ron, indicando la torre di rubini scintillanti.
«Ma perché?» chiesi, persa nei miei pensieri. «Insomma, che cosa sta combinando? E non solo lui, anche Padma Patil...» e riferii loro quello che sapevo.
«Colpa dei libri, ve lo dico io» disse Ron con espressione saggia, e si sfiorò la massa spettinata di capelli rossicci, «è un po’ tocca».
«Non è affatto tocca, Ron» mi infiammai. «E non mi sembra giusto che tu lo dica, solo perché quella volta che ci sei uscito al Ballo lei ti ha piantato in asso».
«Non è vero» disse Ron, le cui orecchie si erano comunque scurite parecchio. «E per tua informazione, non mi ha piantato in asso... l’ho lasciata volontariamente andare!».
«Si, beh, questo dimostra che voleva andarsene, no?» dissi con aria di superiorità.
«Solo perché tu sei andata con Viki, non significa che tutti gli altri debbano fare schifo, sai» fece allora Ron, pungente. «Puoi anche smetterla di vantartene».
«Non me ne sto vantando!» strillai, piuttosto rossa di rabbia. «E lascia che te lo dica, Ron, sono fiera di essere andata al ballo con lui quella volta, altrimenti mi sarebbe toccato andarci con te». e con quelle parole me ne andai a passo di marcia, sentendo Ron dire a bassa voce: «Quella è tutta pazza».
Grazie a Dio avevo già con me tutta la roba che mi serviva per Aritmanzia. Superai un gruppetto di Serpeverde che scendevano le scale (tra cui Blaise Zabini che scendeva con la Parkinson, e che mi fece un gestaccio) e che ridacchiarono vedendo i miei occhi luccicare di lacrime trattenute. Per accompagnare gli altri due in sala comune, avevo salito delle rampe in più, perciò mi toccò presto scendere a mia volta. In quella zona, vicina alla Sala Tassorosso, i corridoi erano gremiti di gente, perciò nessuno fece caso a me – specie perché tutti erano impegnati a commentare le ultime novità. Dribblai Ernie che cercava di discutere con me del suo partner (“qualcuno dovrebbe dirlo alla McGranitt... siamo prefetti, non possiamo badare a certa gente... Goyle...”) e superai un gruppetto di ragazze ridacchianti (tra cui una raggiante Hannah Abbott, che sorrideva timidamente a un Corvonero di passaggio). Svoltai in un corridoio non così affollato, e proprio allora sentii una voce per me fin troppo sgradevole chiamare il mio nome. «Granger!».
Lo ignorai, e marciai lungo il corridoio. Per fortuna nessuno badava a me, o a chi chiamava il mio nome. Svoltai a destra e presi a salire la  scala.
«Ti vuoi fermare, stupida?» fece una voce alle mie spalle. Mi voltai, e dovevo essere davvero spaventosamente incavolata, perché Malfoy sgranò gli occhi stupito. Naturalmente si riprese subito, ma io lo stavo già attaccando. Non avevo pazienza per i traditori.
«Che diavolo vuoi, Malfoy?» feci, incrociando le braccia. «Mi pareva di capire che ignorare noi plebei è il tuo sport preferito».
Sorprendentemente arrossì, il che significava che molto probabilmente aveva anche qualcosa di vagamente umano, anche se sotto diversi strati di liquami tossici e disgustosamente puzzolenti. Qualunque cosa volesse dire, sembrava averla dimenticata, perché si limitò a guardarmi.
«Non rispondi? Benissimo. Allora direi che posso andare. Non voglio certo sprecare il tuo prezioso tempo Purosangue».
«Se non volevi sprecarlo, potevi almeno evitare di farti rincorrere per i corridoi, Me... stupida Granger» disse lui, sprezzante – o almeno, cercando di esserlo, anche se per una volta non era così convinto. Non mi insultò neanche, il che significava che sapeva benissimo di avere torto. «Non gradisco che qualcuno pensi che seguirti mi interessi».
«Allora avrei dovuto raccontare tutto alla McGranitt, ieri notte» conclusi, iraconda. «Così sarebbe stato chiaro a tutti».
«Non puoi prendertela con me perché non ti ho aiutata ad affatturare i miei compagni!» esclamò lui, quasi scandalizzato.
«Posso, se tanto loro non si interessano minimamente a  te. Sarebbe bastato avere un minimo di decenza per farti decidere di aiutare me ed Ernie, ma non lo hai fatto» dissi io. «E questo perché sei disgustoso, Malfoy». E così dicendo mi voltai e ripresi a salire le scale. Lui imprecò sottovoce, e poi – sorpresa! – mi seguì, svogliatamente, fino ad affiancarmi. «Granger, fa schifo anche a me l’idea, ma siamo stati...» meditò alla ricerca di un termine che non offendesse le sue delicate orecchie Purosangue, «associati, e la McGranitt mi odia. Quindi dovremmo cercare di...» nuova breve pausa «...non dimostrare che ci odiamo. D’accordo?». E, con la bocca contratta in un’espressione nauseata, arrivò perfino a tendere la mano verso di me.
Lo guardai, e sapevo che la risposta possibile era una sola.
«No».
Me ne andai senza guardarlo, soprattutto perché non volevo mi vedesse sorridere compiaciuta.
 
Quando arrivai a lezione, scoprii con sorpresa che Astoria non solo era già lì – chissà come, immaginavo che fosse stata la prima ad arrivare – ma che mi aveva tenuto il posto. Ero troppo umiliato per non accettare subito l’invito dimostrando di non essere così perdente come mi sentivo.
«Non è andata bene» disse Astoria.
Mugugnai qualcosa, imbronciandomi come un bambino senza alcun ritegno.
«E’ arrabbiata con te» dedusse immediatamente lei. «Beh, naturale».
Mi voltai per lanciarle un’occhiata assassina. «Non è assolutamente naturale» dissi, recuperata la mia naturale flemma. «Quella dannata Mezzosangue...».
«Non usare questi termini» mi interruppe lei, pacata. «Non sta bene».
«...la stupida Granger, insomma, non può certo aspettarsi che io e lei diventiamo amici». L’idea, più che disgustarmi in sé, mi sembrava impassibilmente illogica. La Granger era sciocca e Babbana, perciò io non potevo proprio pensare di farci amicizia. Punto. Insomma, è come vedere un ragno: nulla di davvero personale, ma se non ti voglio stringere come un peluche tra le coperte è perfettamente comprensibile. A parte che con lei era diventata una questione personale, visto che era l’antipatica amica di Weasley e, soprattutto, di Potter.
«Te lo ha chiesto?».
«No» ammisi.
«A me continua a sembrare che tu abbia torto» disse lei, estraendo una pergamena pulita dalla sua tracolla. «Visto che nessuno di quelli che erano presenti ti avrebbe degnato di uno sguardo, e che sei fuggito a gambe levate togliendoti dal pericolo mentre fino a un secondo prima stavi confabulando con lei... immagino che sia naturale seguire questo schema di pensiero».
«Può darsi» dissi io. «Ma se lo avessi fatto, che conseguenze avrei subito?».
«Immagino che l’avrebbe considerata una dimostrazione di lealtà, e che avrebbe fatto di tutto per ammetterti tra i suoi amici, o almeno conoscenti» disse Astoria. «Secondo il suo punto di vista, dunque, di certo non una perdita».
«Peccato che io non abbia il suo punto di vista» commentai, disgustato.
«Rimane comunque il fatto che devi scusarti» disse lei. «E’ così che funziona tra gente civile. Non è un segno di amicizia, devi semplicemente riconoscere che hai sbagliato nascondendoti come un coniglio. In fondo, se avessi aiutato noi, dubito che se la sarebbe presa così a cuore». E  intinse la penna dell’inchiostro, tracciando poi sull’angolo superiore del foglio la data odierna.
D’accordo, lo ammetto, se avessi avuto una stilla di sangue puro in meno, avrei già considerato l’idea... per il semplice fatto che avrei dovuto darle man forte, per quanto sembrasse illogico. Anche solo per saldare i debiti di riconoscenza che avevo nei suoi confronti. Diamine, l’avevo trovata proprio per questo.
«Tu le chiederesti scusa?».
«Si» disse lei, semplicemente. «Nemico o amico che sia, la verità prima di tutto. È da questo che si riconosce la nobiltà».
Non sapendo cosa rispondere, rimasi zitto per un po’. La verità. Già, la verità. Il problema era che da ieri sera, anzi, da quando la stupida Granger mi aveva raccontato del loro stupido piano, che cercavo di capire quale fosse la verità. La Granger poteva arrabbiarsi con me quanto voleva, ma lei sentiva di essere nel giusto. Io non ci riuscivo. Giusto per tenere la mente occupata, alla fine le chiesi: «E tu? hai già parlato con la piccola Weasley?».
«Ginevra Weasley?» chiese lei, alzando lo sguardo, che per un istante rimase appannato. Quando capì la domanda, scrollò le spalle. «Si, ci ho parlato. Non l’ho mai trovata davvero simpatica, mi è sempre sembrata un po’... provinciale, ma le ho detto che mi sarebbe piaciuto parlare con lei più tardi».
Ero allibito. «Non dici sul serio».
Mi guardò, apparentemente perplessa. «E’ questo l’incarico che ci è stato assegnato, no?».
«Ma è una Weasley!» dissi, a voce alta. Diversi Corvonero si voltarono verso di noi, e anche un paio di Serpeverde, che a differenza degli altri però tornarono subito a farsi gli affari propri quando videro che li guardavo.
«E’ la mia partner» disse Astoria, passandosi una mano tra i capelli folti e corvini. «Penso che tu faccia troppa conclusione tra la vita privata e il dovere pubblico. Parlare con Ginevra non mi renderà certo uguale a lei, ma potrebbe anche avere ripercussioni positive. Senza contare che è indubbiamente affascinante avere contatti con una persona così diversa».
Scossi il capo, incapace di accettare questa verità. La chiamava Ginevra! Neanche lei si chiamava Ginevra! Provai ad immaginarmi chiamare Potter “Harry”, o la Granger “Hermione”, ma era troppo surreale. Anche se avessi deciso di collaborare con loro, non lo avrei mai fatto.
La verità. La verità era che me la stavo facendo sotto, se capite cosa intendo, anche se avevo sufficiente faccia tosta per dissimularlo. La verità era – e mi colse proprio mentre riflettevo su quello che Astoria mi aveva detto – che sapevo perfettamente qual’era la verità, ma non avevo il fegato – o meglio, lo stomaco – per ammetterlo, perché suonava sbagliato.
«Perché sei finita a Serpeverde?» chiesi, senza impedirmelo. Lei mi guardò, penetrante. «Non ti sembro adeguata alla nostra Casa?». sembrava vagamente offesa.
«Non dicevo questo» dissi, alzando pigramente le spalle. «E’ che... non saprei, sei diversa».
«Potrebbero essere gli altri a essere sbagliati» argomentò lei, e proseguì, monocorde: «Valuto la purezza di sangue e ho grandi ambizioni, nonché grandi pretese, e ricorro sovente all’astuzia. Questo non è forse quello che contraddistingue un Serpeverde?».
Non risposi. Avrei potuto baciarla.
 
La notizia dei partner aveva davvero sconvolto la scuola; ovunque si andasse, si era praticamente certi di che argomento si sarebbe discusso. C’era chi era evidentemente soddisfatto – Seamus passò l’ora di Incantesimi a enumerare le grandi qualità di una Corvonero di nome Patricia che già sembrava stregata dal suo fascino (“letteralmente stregata” aveva borbottato Dean, prima che un paio di baffoni a manubrio gli crescessero misteriosamente sul viso); Colin Canon era deliziato all’idea che Marietta Enscombe (la cui acne stava, con mio grande disappunto, migliorando) fosse la sua partner, anche se non ero sicura che la cosa fosse ricambiata (e a giudicare dalle occhiate tetre di Calì, non era l’unica). Altrettanti erano i casi di insoddisfazione, specie visto che (misteriosamente) i peggiori elementi di Serpeverde erano finiti per essere associati a Grifondoro. Neville tenne il broncio durante tutta Erbologia perché gli era capitata Pansy Parkinson, che ogni volta che lo incrociava per i corridoi fingeva di essere scossa da silenziosi conati; ma la cosa peggiore fu quando Harry mi raggiunse dopo Aritmanzia. Aveva tenuto il suo rotolo chiuso fino al dormitorio, per evitare di notare le reazioni della gente; a lui era capitato Blaise Zabini, e se qualcuno mi avesse detto che era un caso, non gli avrei creduto. A quel punto quasi mi aspettavo che a Ron fosse toccato Theodore Nott, ma Harry mi informò che per qualche motivo era finito con Luna Lovegood.
«Cosa?» dissi, basita, mentre scendevamo le scale. «Ma Luna ha un anno in meno di noi!».
«Già, Ron lo ha fatto notare alla McGranitt» disse Harry, cercando di rimanere neutro, anche se gli scappava da ridere. «Credo che avrebbe preferito gli fosse toccato Nott... è stato abbinato a Marie Bullstrode». La sorella minore – nonché ancora più nerboruta – della mia amica Millicent. Chissà se anche lei aveva dannati peli di gatto sparsi per tutta l’uniforme.
Fingendo che l’abbinamento non mi desse soddisfazione, tornai a concentrarmi sull’argomento principale. «E la McGranitt che cosa ha detto?» lo incalzai, curiosa.
«Questione di numero. Non sono le uniche coppie sfasate, dipende dagli iscritti per ogni anno» disse Harry.
«Povera Luna» sospirai, mio malgrado dispiaciuta.
«Povero Nott» disse Harry, in un (raro) momento d’arguzia. «Due o tre giorni, e finirà trascinato in Albania alla ricerca di qualche Ricciocorno Schiattoso».
Più tardi mi avrebbero raccontato che la prima cosa che Luna aveva chiesto a Nott era come si sentisse all’idea che la sua famiglia facesse parte del famigerato progetto della Rivolta dei Goblin Balbuzienti. Avrei pagato qualsiasi somma per vedere la faccia di Nott.
«A proposito di Ron» disse Harry con finta indifferenza. «Intendi tenergli ancora il broncio?».
«Si» annunciai con tutto il sussiego di cui ero capace. «Finché non mi chiederà scusa».
Lui sospirò, ma non aggiunse nulla.
La lezione seguente era Pozioni, che – con mio grande disappunto – avevamo sempre in comune con i Serpeverde. Grazie a Dio non avevamo molte altre lezioni insieme, ma quelle nell’angusto sotterraneo erano le peggiori. Entrai in classe, e notai con un brivido gelato lungo la schiena che, anziché i soliti gruppetti, i presenti erano divisi a coppie. Sospettosa, mi volsi verso Lumacorno, che con la manica si stava asciugando la fronte madida di sudore a causa dei vapori che si sprigionavano da un piccolo calderone – contenente, se la vista non mi ingannava, niente di meno che Pozione Polisucco.
«Ah, signorina Granger, signor Potter» esclamò nel suo consueto tono drammatico il vecchio mago obeso, sorridendoci. «No, non siete in ritardo... stavo giusto notando che la maggior parte di voi ha il proprio partner in questa stanza, perciò avevo appena proposto di dividerci a coppie!». Poi, gioviale, chiese: «chi non ha il compagno? Molto bene, Abercombie, tu và pure con Stubbins... Mongomery, c’è Weasley da solo... signor Zabini? Ha il compagno? Molto bene, ragazzo. Sedetevi!».
Guardia nel calderone, valutando se il contenuto fosse abbastanza per affogarmici dentro, ma visto che Lumacorno ci guardava sorridendo, non ebbi altra scelta. Malfoy era in un angolo – spettacolo non nuovo, negli ultimi tempi – e teneva lo sguardo basso, come in preda a una leggera nausea. Beh, eravamo in due.
Mi trascinai accanto a lui, buttando in malo modo la roba a terra, ed evitando di notare la sua presenza per quanto mi fosse possibile. Il destino complottava già troppo perché gli dessi anche una mano.
«Questo trimestre» diceva Lumacorno, camminando lentamente di fronte a noi, «ci occuperemo di una pozione fondamentale, specie per coloro di voi che desiderano intraprendere la carriera di Auror. Si tratta, ovviamente, della Pozione Polisucco». Si rivolse a noi. «Naturalmente, già l’anno precedente ne abbiamo parlato, anche se a livello meramente teorico. Qualcuno ricorda..?». la mia mano scattò immediatamente in alto, seguita solo in seguito da poche altre. Anche se Malfoy accanto a me ne aveva fatto uso più volte, l’anno prima, ritenne evidentemente più prudente non muoversi. Mi lanciò un’occhiata sprezzante e tornò a guardare il tavolo di fronte a sé.
«Signorina Granger» concesse il professore, divertito dalla mia prontezza. «Pozione Polisucco. Riconoscibile per la sua consistenza densa che la rende simile al fango, consente a chi la assume di assumere, per un’ora, le sembianze di un altro. Oltre a un pezzo della persona in cui ci si vuole trasformare, sono necessari...».
«Basta così, basta così...» mi interruppe lui gentilmente, «...o non lascerai più nulla da dire a me! Eccellente, signorina Granger, come sempre. Quindici punti per Grifondoro, direi». Arrossendo di piacere, abbassai la mano che avevo tenuto inconsapevolmente alzata per tutto il tempo.
«Ebbene si, la Pozione Polisucco consente di assumere l’aspetto di qualcun altro» disse Lumacorno gravemente. «Inutile, penso, sottolineare le terribili implicazioni che ne possono derivare. È un’arma a doppio taglio, la Pozione Polisucco, ma è certamente uno strumento molto utile». Prese un piccolo mestolo d’argento e rimestò il contenuto del piccolo paiolo, guardando noi, e lasciando che alcune gocce cadessero nel recipiente in modo che tutti potessero osservare il liquido denso. « Nelle prossime settimane, ci dedicheremo alla preparazione di questa incredibile Pozione. Come sapete, il tempo di preparazione è piuttosto lungo, perciò il progetto assorbirà una porzione consistente del nostro lavoro di quest’anno. Naturalmente, visto che per la maggior parte del tempo la pozione non richiede cure intensive, ci dedicheremo anche ad altri progetti – tuttavia, ci tengo a sottolineare che una corretta preparazione della Polisucco avrà un peso decisivo nel voto di questo trimestre».
Lo ascoltai con segreta soddisfazione. Avendola già preparata, non sarebbe stato difficile.
«D’accordo. Cominciamo senza ulteriori indugi. I calderoni... uno ogni due sarà sufficiente... signorina Parkinson, vada pure con il signor Tilney... eccellente. Avete i vostri libri, si? Magnifico. Cominciate!».
Senza neanche guardare Malfoy, accesi il fuoco sotto il mio calderone con un colpo di bacchetta. Poi mi diressi verso l’armadio, dove stavano alcuni degli ingredienti che gli studenti solitamente non avevano già in dotazione. Quando ritornai, le braccia ricolme, notai che sul fuoco non c’era più il mio calderone, ma quello di Malfoy. Appoggiai con malagrazia il mio bottino sul tavolo. «Che stai facendo?» chiesi, acida, a braccia conserte. «Come ti permetti di agire senza consultarmi?»
«Stupida Granger» disse Malfoy, con disprezzo perfino superiore a quello da lui sfoggiato di solito. «Tu invece mi avresti consultato?».
Visto che con la logica non potevo certo contestare quella affermazione, mi limitai a prendere gli occhi di libellula e cominciai a triturarli con mano esperta. «Non pensare di poter fare tutto da sola» disse il Serpeverde, minacciosamente. «Se Lumacorno vede che non partecipo...».
«Oh, ma tu non partecipi mai, non è forse così?» dissi io, con una risata mezza isterica, e non mi riferivo solo alla notte prima, ma a qualcosa di ben più grave. «Pensavo che ti piacesse lasciar fare il lavoro sporco agli altri». Continuai a sminuzzare, ma vidi che era pallido come un cencio. Naturalmente non poteva sapere che io sapevo, ma non aveva importanza.
Mi aspettavo un commento irato o almeno sprezzante. Invece lui rimase in silenzio e trasse a sé altri occhi essiccati, cominciando a triturarli. Avrei voluto sgridarlo, ma stava facendo un buon lavoro – presumibilmente per non darmi soddisfazione – perciò feci finta di non accorgermene. Quando ebbi finito, spinse anche le sue verso di me. Le presi tutte assieme e le buttai nell’acqua che bolliva.
«Avrei dovuto intervenire». Quando pronunciò quelle parole, rimasi stupefatta. Lo guardai. Non lo disse con vero pentimento, anzi, sembrava disgustato, ma non da se stesso – dal fatto che volessi fargliene una colpa. Ciò nonostante, non me lo aspettavo comunque. «Ma non l’ho fatto. Avevo le mie buone ragioni, perciò smettila di essere così fastidiosa». E detto questo cominciò a sezionare diverse radici, con l’aria di chi sta facendo del suo meglio per mantenersi puro in un letamaio.
Rimanemmo in silenzio per oltre un’ora. Io di certo non volevo parlargli, e non ero certa di riuscirci senza poi dovergli mettere le mani addosso. Per fortuna non era difficile lavorare con lui – chiunque al mondo era meglio di Ron, o anche di Harry – ragion per cui non avevo bisogno di comunicare nulla di che. Di tanto in tanto finivamo per intralciarci a vicenda, e ci occorreva un istante per riprogrammarci in modo da poterci ignorare efficacemente. Alla fine, comunque, Malfoy si bloccò con il mestolo in mano. Io, che stavo pestando alcuni scarabei (non essenziali per la ricetta in sé, ma per essere mischiati a un po’ di assenzio), me ne accorsi perché gli unici rumori che mi assicuravano che non fosse morto cessarono. Allora lo guardai. Sembrava cercare di ricordare qualcosa. Si sporse verso il manuale – il suo manuale – che però era macchiato proprio nella zona delle istruzioni che seguivano. Seguì una breve lotta interiore, che si concluse quando si voltò verso di me. «Immagino che tu sappia perfettamente quante volte occorra girare in senso orario» commentò, quasi fosse un’offesa.
«Sedici volte» dissi, secca.
Senza ringraziare, cominciò a eseguire. Lo osservai. «Non è così» dissi, senza potermi trattenere.
«Cosa?». Sembrava troppo stupito all’idea che avessi la presunzione di correggerlo per aggiungere altro. Gli strappai il mestolo di mano. «Se lo tieni diritto, non mescoli con la stessa efficacia» dissi, in tono saccente. «Devi inclinarlo così». Glielo feci vedere.
«Sta’ zitta» disse lui, indignato, riprendendosi il mestolo. «Non accetto consigli da una Mezzosangue».
Io sorrisi con sufficienza. «Peccato che tu metta in pratica questo comandamento solo quando ti fa comodo» dissi. «Purosangue solo a comando, eh, Furetto?».
Malfoy divenne scarlatto di rabbia, ma non poté protestare perché Lumacorno stava facendo il giro per i banchi. Così terminò i sedici giri (inclinando il mestolo nella maniera corretta) e il professore, dopo aver esaminato il nostro preparato, mi sorrise incoraggiante.
Quando l’uomo si fu allontanato, Malfoy si inclinò verso di me per rivolgermi un sussurro irato. «Fai la spavalda, Granger» sibilò. «ma ti ricordo che, grazie a te, so molte cose».
«E io ti ricordo» dissi io, soave, «che l’Ordine ti tiene d’occhio, Malfoy. O vuoi provare a vedere se riesci a ingannare la McGranitt?».
Si guardò attorno. «Perfino il Signore Oscuro non ha accesso a tutti i miei pensieri» disse spavaldo.
«Puoi schermare i pensieri, ma non puoi nascondere le tue azioni» dissi io, impassibile. «E non puoi neppure restare con il piede in due staffe. Prima o poi dovrai scegliere».
«E se io non volessi?».
«Allora entrambe le staffe ti faranno nero» conclusi, alzandomi per andare a recuperare alcuni aculei di porcospino dalla credenza. Passai proprio dietro a Ronald che fissava imbronciato la Bullstrode, che non gli permetteva di avvicinarsi al calderone, e mi sentii magnificamente bene.
Quando ritornai al posto, Malfoy sembrava in coma. Teneva lo sguardo fisso sul fondo annerito del suo calderone, e sembrava assorto in meditazioni piuttosto grame. «Battiamo la fiacca?» lo provocai.
«Non c’è altro da fare» mi informò, senza raccogliere.
Alzai le spalle, e trassi a me il mio Pozioni Avanzate, sfogliandolo alla ricerca di qualcosa di interessante. Pensai alla copia di Harry – pardon, di Piton, che stava chiusa nella Sala delle Necessità, e mi chiesi perché i geni devono spesso essere cattivi. Sospirai.
«Senti, Granger» disse alla fine il mio tedioso compagno.
«Che c’è, Malfoy?».
Lui contrasse le labbra, evidentemente preparandosi allo sforzo supremo, e si assicurò che nessuno badasse a lui, o potesse sentire quello che aveva da dire. «Dopo la lezione» disse, evidentemente detestando ogni suono che stava articolando, «devo... parlare con te». Stremato dalla fatica, si lasciò andare contro lo schienale della sedia.
Lo osservai, sospettosa.
«Per quanto adori la sola idea di affatturarti, non è quello il mio scopo» garantì, e non feci fatica a credergli. Così annuii, guardinga, e tornai a farmi i fatti miei.
La fine della lezione arrivò abbastanza in fretta. Cominciai lentamente, svogliatamente, a rimettere assieme la mia roba. Harry si avvicinò, guardando storto verso Malfoy, evidentemente per chiedermi di seguirlo. «Tu vai» mi affrettai a dire. «Devo... sbrigare una cosa o due». Lui non insistette, e se ne andò.
Io e Malfoy fummo gli ultimi a uscire dall’aula. Nel corridoio mi fermai e aspettai di sentire quello che aveva da dire.
«Allora?».
Si contrasse tutto in uno spasmo di sofferenza interiore, prima di guardarmi. «Non mi fa piacere discuterne» disse, ed era chiaro che era la pura verità, «ma...» si bloccò. Sembrava prossimo a un collasso isterico. Alla fine riprese il controllo. «Ci ho riflettuto...» nuova pausa «ed è la verità. Per quanto io non sopporti te o i tuoi amichetti, la verità dei fatti è che difendete il mio interesse, più di chiunque altro». Aveva un tono amaro, molto amaro. «Non posso fare altrimenti». Anche se immaginavo di sapere dove sarebbe andato a parare, aspettai che si rendesse più comprensibile. Il suo unico neurone doveva essere  epilettico. «La mia posizione non è più quella di una volta, Granger. La mia famiglia è disonorata, io sono escluso. Tutto quello che posso fare è cercare di tirarmene fuori». Il suo tono freddo e diplomatico avrebbe fatto invidia a suo padre. Mi esponeva i suoi calcoli con freddezza, mettendo tutte le carte in tavola. «Ieri notte ero ancora indeciso, ma più ci penso, più ritengo che sia l’unica scelta che ho. Purtroppo è vero, devo prendere posizione. Mi schiero dalla vostra, anche se l’idea mi disgusta».
«Prima non sembravi così convinto».
«Hai l’indubbia capacità di mandarmi fuori dai gangheri, Granger. Ma l’idea non mi è certo nata nell’ultima mezz’ora, anche se per infastidirti venderei l’anima al Diavolo».
Sospirai. Mio malgrado, gli credevo.
«Ti credo».
Malfoy sembrò vagamente sorpreso. «Mi aspettavo di doverti blandire per ore» disse. «Neanche tu puoi essere così ingenua».
«Qual è la tua alternativa?» chiesi, piuttosto piccata. «Andare da Voldemort e chiedergli di leggerti una favola?». Al nome di Voldemort si contorse come un pesce, ma finse saggiamente di non aver sentito. «Ora devo andare» dissi allora, sentendomi particolarmente vittoriosa. E me ne andai davvero, segretamente soddisfatta.
Potevo anche odiare Malfoy con tutta l’anima.
Ma avevamo un alleato, uno di quelli che conosceva le fogne dove avremmo dovuto addentrarci.
Era una bella giornata.
Mentre mi avvicinavo al buco del ritratto, ne vidi sbucare fuori Harry e Ron, incredibilmente concitati. Stavo giusto per mettere il muso a Ron, quando mi videro e mi corsero incontro strillando assieme. «ma insomma» dissi con sussiego. «Che diavolo succede?».
«Hermione» disse Ron, affannato, ma con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro. «Sappiamo dov’è il medaglione».
 
Incredibilmente, mi sentivo leggero come l’aria. Non avevo mai capito quanto l’idea di scegliere mi tormentasse più di ogni altra cosa. Invece lo avevo fatto, e avevo fatto la scelta giusta. Certo, non era una gran scelta, ma un Serpeverde deve sapersi accontentare con stile.
L’Ordine mi avrebbe protetto; avrebbe protetto me e la mia famiglia. A guerra finita – sempre che avessero vinto – avrei avuto tutti gli onori. Se anche così non fosse stato, che cosa avrebbe potuto dirmi il Signore Oscuro? Le informazioni che la Granger mi aveva dato erano al sicuro grazie al Fidelius, e avrei potuto tranquillamente fingere di aver fatto il doppiogioco. E tutto questo, senza muovere un dito.
Mi venne in mente, senza un motivo particolare, un vecchio arazzo che i miei tenevano appeso in uno dei salotti più grandi del nostro maniero. Su di uno sfondo verde argenteo, un serpente dorato e nero strisciava e dopo essersi avvolto su se stesso si mordeva la coda. Naturalmente conoscevo a menadito tutti i nostri simboli araldici, ma mo padre aveva sempre detto – con il suo tono gaiamente fiero di sé che speravo tanto si fosse estinto in gattabuia, visto quanto era provinciale  – che quello era uno dei più importanti. “L’uroboro è il simbolo dell’eterno” aveva detto sentendosi particolarmente sapiente, e io mi ero bevuto ogni parola. Finchè non lo vedevi frignare strisciando ai piedi del Cinereo Cobra (alias Signore Oscuro per chi sperava di vederlo terrorizzato, prima o poi) potevi anche illuderti che fosse un uomo con le palle. “Un serpente che si morde la coda, un evento impossibile, a rappresentare l’infinita continuità di tutte le cose”. Ora, a ripensarci, chissà su quale polveroso volume da babbioni doveva aver letto quella frase. Io credevo di capire con precisione assai maggiore che cosa stesse a significare, e che tenterò di riassumere per voi.
Attento, Patetico Pitone. Sottovalutando un Malfoy, finisce che ti azzanni il culo da solo.
 
NOTA DELL’AUTRICE
Come promesso – e in orario! Ha! Eccomi qua!
Malfoy si è schierato contro il Signore Oscuro, ma non si è ancora reso conto delle implicazioni che può avere mettersi con la temibile Banda Potter. Alcune delle rivelazioni che progettavo per questo capitolo sono state posticipate per sottolineare questo evento chiave... tanto d’ora in poi per Draco Malfoy sono previste giornate piene e sfibranti...
Come sempre, sottolineo che adorerei ricevere una qualche recensione per sapere che ne pensate. Lo sforzo di mantenere tutti i personaggi IC e non cadere nel banale è grande, e ho sempre paura di aver esagerato. Comunque sono soddisfatta di come la storia sta volgendo... a presto con un nuovo capitolo, e grazie come sempre a chi legge, recensisce, o pensa di farlo in futuro! (con un particolare ringraziamento  a  Aki Ivanov, che mi ha fatto il regalo più bello di tutti XD)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** NEVER say never ***


Fluttuavo nell’aria, ma non per qualche strano tipo di esperienza extracorporea. Stavo su un manico di scopa – un ottimo manico di scopa, anche se non come quello di Potter. Naturalmente. L’aria era piacevolmente fresca – nonostante fosse Novembre, non sentivo ancora le mani prossime al congelamento  grazie a qualche scaldino che McNair mi aveva procurato premurosamente. Visto che non lo vedevo sulle gradinate, probabilmente era tornato nella Sala Comune per sferruzzarmi una sciarpa. Era particolarmente premuroso con me nonostante lo trattassi da schifo. Più del solito, intendo.
Una delle Cacciatrici, la giovane Bullstrode, mi saettò accanto lanciandomi un’occhiata bieca con la cosa dell’occhio. Cogliendo l’antifona, schizzai più in alto, là dove le alte quote contribuivano in effetti a congelarmi la brillantina nei capelli. Mentre scrutavo l’aria alla ricerca del Boccino, mi chiesi distrattamente se non convenisse cominciare a trattare i miei capelli con qualche tipo di lozione. Chissà, magari potevo farmene arrivare una da Hogsmeade...
Con la coda dell’occhio scorsi una figuretta minuscola che identificai immediatamente come McNair, intento a seguire i miei progressi aerei. Feci un’elegante capovolta in aria, apparentemente per caso, ma sorridendo nel vederlo agitarsi di ammirazione.
Alla fine McNair non era entrato in squadra, ma sospettavo che fosse più per antipatia generale che per altro. Era troppo mingherlino e sottomesso per misurarsi con Blaise Zabini, attuale capitano della mia squadra (C.C., capitano coglione, per giocatori ammessi semplicemente per carenza di altri bravi Cercatori). La mia ammissione era stata difficoltosa. All’inizio avevano preso un tale del quarto anno, tale Pukes, convinti probabilmente di aver trovato un asso. il ragazzo doveva pesare suppergiù venti chili, ragion per cui non era difficile capire che doveva essere veloce – e visto che non poteva mangiare più di una volta al mese, non correva il rischio di vomitare negli spogliatoi per l’ansia. Capitava più spesso di quanto non pensiate.
Peccato che con le prime forti folate di inizio Novembre una particolarmente violenta non avesse colpito la sua Scopalinda (una delle Nimbus donate a suo tempo da mio padre si era rotta in mille piccole schegge affilate durante un provino quando un idiota del terzo anno si era schiantato contro le tribune) deviando la sua traiettoria di parecchi metri e mandandolo in rotta di collisione con il Platano Picchiatore.
Così alla fine a denti stretti Zabini era venuto a cercarmi di persona e mi aveva chiesto di entrare nella squadra. «Basta che tu non abbia una cattiva influenza sugli altri» mi aveva minacciato.
«Con te come capitano, ti preoccupi delle influenze esterne?» avevo ghignato.
Lui mi aveva fatto il dito medio, e l’accordo era stato concluso.
Perciò, Quidditch! La prima partita sarebbe stata di lì a due settimane o poco più, e dovevo allenarmi. Era da così tanto tempo che non salivo su di un manico di scopa, che in realtà non ero concentrato tanto sul Boccino, quanto sulla splendida sensazione di volare.
Zigzagavo per aria, e nel frattempo osservavo i giocatori sotto di me. Era un peccato che Nott non fosse interessato a giocare a Quidditch (e per studiare, poi!) perché sarebbe stato bello averlo ancora come Cacciatore. La Bullstrode era temibile, ovviamente, e Mulciber piuttosto passabile, ma per quanto odiassi dirlo la piccola Weasley era molto meglio. il terzo, tal Richards, era un idiota totale e l’unico motivo per cui era in squadra era che aveva un discreto talento nel fregare la palla agli avversari. Tiger e Goyle, naturalmente, erano i Battitori, e anche se professavano assoluta innocenza ero convinto che avessero provato a scagliarmi contro un Bolide o due.
Finalmente lo vidi. Uno scintillio vivace vicino alla testa di Zabini. Con tutta la velocità di cui ero capace partii, appiattendomi contro il manico liscio della scopa. Zabini dovette osservarmi perché si scostò appena per lasciarmi passare. Il Boccino scese muovendosi attorno al palo di uno degli anelli. Feci altrettanto, la testa che mi girava, il vento che fischiava, tesi la mano...
Mi sfuggì per un soffio. Digrignando i denti, inclinai il Manico di Scopa verso l’alto. Il Boccino filava tra i giocatori senza fretta eccessiva. Passando accanto a Goyle, lo urtai abbastanza forte da farlo vacillare sulla scopa. Mentre lo superavo, strillai: “scusa!” e mi allontanai con un sorriso soddisfatto, le sue imprecazioni ancora nelle orecchie.
Era un Boccino piuttosto veloce. Lo inseguii più a lungo del previsto, nonostante fossi a un soffio dal prenderlo. Alla fine però riuscii ad agguantarlo e mi bloccai, a pochi metri da terra, stringendolo tra le dita. Alzando lo sguardo, mi resi conto che più di uno mi stava osservando. Risalii verso il resto della squadra, fingendo indifferenza, e tesi il Boccino a Zabini, che lo prese con malagrazia.
«Bene» disse, in tono conclusivo, e capii che avevano aspettato che finissi per dichiarare concluso l’allenamento. «Okay, ragazzi, ora ci conviene tornare. È quasi buio». E in effetti il tramonto era già tinto di scuro, e mi accorsi che faceva freddo. Senza dire una parola planai dolcemente verso le tribune, e mentre lo facevo notai una figura flessuosa vestita di scuro che camminava lentamente giù dagli spalti.
Riconoscendola, la raggiunsi e toccai terra accanto a lei. «Ciao» dissi laconico ad Astoria. La ragazza era avvolta nella solita divisa scolastica, senza il mantello, ma sembrava perfettamente a suo agio nonostante facesse ormai piuttosto fresco. In mano reggeva un libro pesante dal quale fuoriusciva uno spigolo di pergamena.
«Ciao» rispose lei nel suo solito tono pratico. «Mi dispiace disturbarti, ma ho una cosa per te». “Mi dispiace disturbarti” era la sua versione di un espansivo saluto. «Che cosa?» feci, piantando la scopa accanto a me come un bastone da sostegno. Scorsi in lontananza McNair che ci guardava, come chiedendomi il permesso di raggiungerlo.
La ragazza estrasse con le sue lunghe dita pallide il foglio, che si rivelò essere una lettera. La presi, perplesso. «Non è arrivata via gufo» spiegò lei semplicemente, in risposta alla mia occhiata. «me l’ha data la McGranitt».
Mi chiesi come facesse la McGranitt a sapere del mio legame con Astoria, ma lasciai correre. Osservai la calligrafia sottile, e aggrottai la fronte. Era di mia madre.
McNair aveva evidentemente deciso che poteva avvicinarsi, perché mi comparve di fianco mentre esaminavo il mio nome scritto in piccoli ghirigori precisi e eleganti. «Ehi, Draco. Hai giocato bene» disse, affannato.
«Grazie» dissi, senza badargli.
«Ciao, Greengrass» fece lui voltandosi verso Astoria.
«Ciao, David» disse lei tranquilla.
«Come va lo studio? Hai completato il...» e attaccò un interminabile discorso con Astoria, che io mi persi perché stavo aprendo la busta sigillata e meditando se leggerne subito il contenuto. Alla fine decisi di si, e spiegai il foglio candido dove c’erano scritte le seguenti parole:
 
Draco,
ci sono state comunicate buone notizie. Pare che qualcosa del nostro buon nome abbia finalmente fatto presa sulla decisione della Corte Suprema. A Febbraio sarò libera di tornare a casa, anche se a condizioni molto dure. Pare che il Ministero abbia a cuore quella che definiscono la tua “rieducazione”. Mi hanno consigliato di farti restare a scuola fino al tuo diploma, e la giudico anche io una idea assennata. Non è il caso di provocare risentimenti inutili nella nostra posizione. Inoltre ho dovuto cedere la bacchetta, e questa è la cosa che a tuo padre è spiaciuta maggiormente, anche se l’ho convinto a non rimostrare. Di altre faccende discuteremo in privano non appena avremo il piacere di vederti. Tuo padre, in particolare, è ansioso di vederti. Lui resterà ad Azkaban, perché le autorità non si fidano a donargli la libertà. Puoi immaginare che la cosa lo distrugge, ma siamo persuasi che presto verrà il momento in cui potrà raggiungerci.
Non abbiamo più avuto tue notizie e siamo oltremodo preoccupati, specie perché quando ti abbiamo visto l’ultima volta sembravi molto in ansia. Ti raccomando di valutare la tua salute. Ho scritto ai domestici perché ti mandino tutto il necessario a casa per le feste, visto che non manca poi molto a Dicembre. Questi ultimi mesi di separazione sono una dura prova per tutti noi ma dobbiamo andare avanti a testa alta.
Mamma e papà
 
Quando ebbi finito di leggere la lettera rimasi fermo, il cuore che mi martellava in petto. Mia madre, rilasciata? E che cosa avrebbe fatto, poi..? Senza bacchetta, senza mio padre, con la minaccia del Signore Oscuro che pendeva sulla sua testa... certo, l’Ordine la proteggeva, ma quanto sarebbero stati in brado di fare contro l’Oscuro Signore?
Ero così turbato che mi dimenticai anche di David e Astoria che stavano a pochi passi da me. Quando tornai in me, e mi voltai verso di loro, notai che entrambi mi lanciavano qualche occhiata preoccupata. Nessuno dei due mi chiese nulla. McNair, evidentemente giudicando che sarei stato di umore più intrattabile del solito, mormorò un “devo andare” e schizzò via, veloce come un razzo. A questo punto rimasi lì come un fesso, quasi aspettandomi che Astoria mi chiedesse qualcosa. Invece lei alzò le spalle «D’accordo» disse, quieta. «Ti lascio cambiare in pace, allora».
«Aspetta» dissi io, a stento consapevole di me stesso. Mi sembrava che, se fossi rimasto solo, mi sarei dimenticato di esistere; in più, anche se non volevo dirlo, volevo un consiglio.
Lei si voltò, e alzò elegantemente un sopracciglio. «Volevo lasciarti solo a meditare» mi disse, come se non lo avessi capito, e ogni tipo di tatto fosse ormai inutile. «Deve essere una cosa importante, se è stata la McGranitt a recapitartela». E quell’ultimo commento aveva una nota strana, che non riuscii a interpretare.
«Non mi servono questi riguardi» dissi acido. Mi urtava che qualcuno mi giudicasse ferito o vulnerabile, perché non lo ero... ufficialmente. «In effetti sono buone notizie».
«Davvero?» disse lei nello stesso tono educatamente sorpreso.
«Davvero» dissi io con aria di sfida.
«Mi fa piacere» disse allora lei.
Attesi un paio di secondi, ma non mi sembrava intenzionata a chiedermi nulla. «Per tua informazione» dissi trionfante, «mia madre...». Poi mi bloccai. Nel mio entusiasmo, non aveva pensato a che espressione usare. “è uscita di galera” mi sembrava... beh... un’espressione per criminali palestrati e tatuati. “verrà rilasciata” sapeva di innocente restituito ai suoi cari parenti. “tornerà a casa” idem. «Mia madre ha risolto le sue controversie con le forze dell’ordine» mi uscì detto alla fine.
«Oh».
Qualche secondo di silenzio. “oh?”.
«Uscirà di prigione» dissi alla fine, come per puntualizzare.
«Lo avevo capito» disse Astoria, paziente. «Non volevo turbare la tua sensibilità con manifestazioni di entusiasmo fuori luogo».
La guardai, completamente disarmato, troppo per fingere.
«Si, insomma» sillabò lei, impassibile. Aveva l’aria di una persona che tentava rispettosamente di farsi capire da un cretino, senza fargli sentire il divario di intelligenza tra di loro. «Non avevi un’aria felice».
«Io sono molto felice» dissi sprezzante.
«Risparmiati le tue arie per qualcun altro» disse lei, mentre la sua bocca si trasformava in un sorrisetto. Maledetta. «Non ti ho chiesto di spiegarmi quale sia il problema, ma ti ho semplicemente elencato i diversi scrupoli che mi trattenevano».
Frustrato la guardai. «Possibile che tu non sia minimamente curiosa?».
«Sono solo molto educata».
«E io no?» mi accesi.
«Non molto, no» disse lei.
«Sono un Malfoy» dissi, con arroganza. «Innumerevoli tradizioni...».
«Draco, come ti ho già detto, la tua arroganza non mi impressiona affatto» disse la ragazza, muovendo i capelli con un colpo secco della testa.
«Non si tratta di arroganza, ma di coscienza della propria posizione».
«Non sono Potter, e la mia famiglia è pura quanto la tua. Non accetto alcun tipo di pretesa superiorità» mi informò.
Che potevo dire se non...  «Mmh».
«D’accordo, allora. Tra quarantacinque... no, quarantasette minuti» rettificò, guardando un piccolo orologio d’argento che teneva al polso, «si cena. A dopo».
«Non voglio che mia madre esca di galera» le dissi, ignorando quell’ultima uscita. Lei si bloccò, meditò un istante su quell’ultima affermazione, poi emise un respiro leggero che poteva essere uno sbuffo o un segno di concentrazione.
«Temi Colui-che-non-deve-essere-nominato» disse Astoria.
«Si» dissi io. «Non credo sia contento di me, o di lei».
Gli occhi le brillarono, e in quel momento pensai che ci fosse una domanda nei suoi occhi: “fino a che punto non dovrebbe esserlo?”. La guardai, sperando che si rispondesse da sola, e lei non domandò nulla. «Capisco. Tuttavia, considerati i fatti, ritengo che difficilmente il Ministero la lascerebbe andare senza sorveglianza. Inoltre, con tuo padre ancora in galera e tu qui, non hanno modo di minacciarla ricorrendo ai suoi affetti più cari. Ritengo che sia relativamente sicura, benché il tuo affetto per lei possa indursi a provare ancora un timore irrazionale per la sua sicurezza» disse poi la ragazza, carezzandosi la guancia. «Per ora, penso che sia al sicuro».
Chissà come, con quel suo discorso aveva centrato tutti i punti fondamentali. Mi rilassai un pochino. «Parli in maniera molto diretta. La schiettezza è spesso rischiosa».
«Ma estremamente utile, tutto sommato» rispose lei senza fare una piega. Sogghignai, e lei dopo un paio di istanti mi sorrise. Era bello avere qualcuno con cui scherzare. Né con Tiger, o Goyle, o Nott, o chiunque altro lo avevo mai fatto. non senza malizia, almeno. Forse era perché era una ragazza, o forse semplicemente perché anche se avessi fatto lo spaccone, sarebbe stato assolutamente inutile.
«Vuoi fare un giro?» le chiesi, indicando la scopa.
Lei tornò seria. «Non ho familiarità con le scope».
«Strano» commentai. Mi guardò senza capire. «Sei rigida come un manico di scopa» dissi, molto soddisfatto della mia caustica battuta. Lei rimase impassibile. «Battuta grossolana». Feci una smorfia offesa. «Scusatemi, principessa».
«Di nulla».
Tacqui un paio di istanti. «Potresti provare».
«Potrei».
«Ma non lo farai».
«No».
Nuova pausa. «In ogni caso, ti ho visto volare. Sei molto bravo» disse.
«Per questo sono in squadra».
«Oh, tanta gente entra in squadra senza esserlo» disse lei.
«Come Potter» commentai, sostenuto.
«Niente affatto. Potter ha un immenso talento» replicò lei.
Attesi un istante, ma alla fine lo chiesi. «Più di me?».
Lei attese un istante. Lodevole scrupolo. «Si, più di te» disse alla fine.
La guardai, molto risentito stavolta. «Vado a cambiarmi» le dissi, e me ne andai, inforcando la scopa, e allontanandomi in fretta. Come se con la velocità avessi potuto seminare il pensiero che avesse ragione.
 
Ero appena uscita dall’ennesimo colloquio con la McGranitt, la quale mi aveva voluto parlare per discutere con me di “affari di fondamentale importanza”. Il che significava, che voleva spiegarmi il motivo per cui a me era toccata la piaga-Malfoy. “Avrebbero dovuto essere estrazioni casuali” aveva detto, la fronte corrugata, “e lo sono state, nella maggior parte dei casi. Tuttavia ho ritenuto opportuno assegnare Malfoy a chi può tenerlo sotto controllo, visto che temo azioni sconsiderate da parte sua”. Quando aveva visto la mia faccia perplessa aveva aggiunto: “Sua madre verrà presto scarcerata, e nonostante gli abbia offerto la nostra protezione sono certa che sia molto preoccupato. Devo confessare che le sorti del giovane Malfoy mi  hanno causato più di un momento di preoccupazione, ultimamente. Mi dispiace chiedervi questo, ma...” e aveva scosso la testa.
Io l’avevo rassicurata raccontandole della mia conversazione con il cadetto Serpeverde. La vecchia strega non mi era sembrata così ottimista, ma indubbiamente si trattava di un fattore promettente. A quel punto le avevo spiegato che avevamo ottenuto informazioni fresche sull’incarico che dovevamo svolgere per conto del professor Silente, e che sarebbe stato necessario per noi assentarci uno dei giorni successivi.
Lei ci aveva promesso carta bianca, mi aveva aggiornato sugli scarsi successi ottenuti dall’Ordine, e poi mi  aveva lasciata andare.
Ero euforica. Kreacher aveva localizzato Mundungus Fletcher  e lo aveva costretto, con l’aiuto di Dobby, a confessare che ne avesse fatto del medaglione. Il sangue mi si era gelato nelle vene quando avevo  scoperto che era finito al mercato di Knockturn Alley, perché... beh, non era molto promettente, come informazione. Tuttavia era sempre una traccia concreta, e questo significava che avevo passato la giornata a scervellarmi sulle prossime mosse.
Fino a quando, naturalmente, non mi era venuta un’idea geniale. Idea che non avevo ancora esposto a Harry e Ron, convinta com’ero che non avrebbero affatto apprezzato. Comunque ero decisa ad andare fino in fondo, e fu così che mi decisi ad attendere la lezione pomeridiana di Incantesimi, una delle quattro lezioni pomeridiane che condividevo con il mio simpatico “partner”.
Quando entrai in aula, piuttosto affannata, lo vidi già seduto in una delle ultime file, imbronciato come sempre. Tutta la sua roba era posata sulla sedia accanto alla sua, al che ne dedussi che mi stesse già aspettando. Marciai decisa verso di lui, convinta che la cosa migliore fosse di dimostrarmi gentile e comunicativa con il mio nuovo alleato.
«Ehi, Malfoy» dissi, con un sorriso che ricordava più uno che soffriva di coliche. Lui si voltò verso di me, mi guardò, e tornò a guardare il libro. «Ciao, Granger» disse, laconico.
Ehm. «Grazie per avermi tenuto il posto» dissi, posando lo zaino sul banco.
Stavolta il suo sguardo era vagamente vacuo, e ci mise un po’ per capire quello che stavo dicendo. «Tenerti il posto?» disse, trasognato, e vagamente disgustato. «Io non ti stavo tenendo il posto». Sembrava assolutamente scandalizzato.
A quel punto mi riservai il diritto di scagliargli contro una occhiata assolutamente velenosa. «Avresti dovuto, considerando che sapevi che avremmo avuto lezione assieme».
«E tu avresti potuto evitare di presentarti, sapendo quanto detesti il suono volgare della tua voce» mi rispose lui, con un sorriso assolutamente malvagio.
A quel punto ero davvero scocciata. «Sai una cosa, Malfoy?» dissi, soave. Presi i suoi libri e glieli rovesciai sui piedi con estrema malagrazia, prima di appollaiarmi al mio posto con assoluta nonchalance. «Continua pure in questo modo. In ogni caso, dovrai ascoltare quello che ho da dirti».
Lui mi guardò inorridito, mentre i suoi occhi correvano dai libri sparsi a terra alla mia espressione malefica, con l’aria di chi sta per vomitare. «Sei pazza, Granger? Vuoi finire ora i tuoi pidocchiosi giorni?».
«Sta’ zitto, Malfoy» dissi, senza scompormi. Avevo io il coltello dalla parte del manico. «Tu stesso hai ammesso che dovremmo collaborare. I tuoi atti da sbruffone sono fuori luogo».
Divenne vagamente violaceo, e parve in procinto di inghiottire qualche melma nauseabonda. I secondi passarono velocemente, mentre io lo fissavo, in attesa. Aveva fatto una scelta, e doveva accettarlo.
Alla fine tutto il suo corpo parve afflosciarsi. Prese a raccogliere i libri, muto, senza più guardarmi. Trionfante, mi voltai verso Vitious che era appena entrato. Cominciò subito la lezione, che era incentrata su un Incantesimo che avrebbe permesso di trasportare oggetti a lunghe distanze.
Cominciai a prendere appunti, e proseguii in questo modo fino a quando, dieci minuti più tardi, qualcosa di leggero mi sfiorò il gomito. Era l’orlo di un pezzetto di pergamena. Dopo essermi assicurata che nessuno lo avesse notato, lo afferrai e lessi le seguenti parole, scribacchiate in una versione svogliata della pretenziosa calligrafia di Malfoy.
Forse era fuori luogo.
Soffocando l’impulso di guardarlo come se gli fossero cresciute altre tre teste – poco saggio, considerato che aveva un’espressione decisamente infelice – mi sentii tutto sommato raddolcita verso di lui. Così presi la mia piuma d’oca, la intinsi nell’inchiostro, e dopo averci riflettuto un singolo istante buttai giù la seguente breve risposta:
Togli pure il forse, Malfoy. In ogni caso, ci sono cose più importanti di cui dobbiamo discutere.
Quando lesse la mia risposta, la sua espressione si fece impenetrabile. Per esempio? Scrisse in fretta prima di spingerle il foglio verso di me, bruscamente.
Per esempio, mi affrettai a rispondere, forse sappiamo dove trovare uno degli Horcrux. Quello di RAB.
Malfoy rimase a lungo a fissare quelle poche parole sul foglietto. Era molto pallido e dall’aria vagamente malaticcia, tanto che mi faceva quasi pena. Alla fine appallottolò il foglio, e molto saggiamente lo fece Evanescere con un colpetto della bacchetta. Alla fine prese un altro pezzo di pergamena e cominciò a scrivere in fretta.
D’accordo. Ma questo che cosa c’entra con me, Granger?
Io ero basita. Cosa c’entra? Malfoy, ci devi aiutare.
Questa volta non trascorse neppure un secondo prima che ricevessi la sua risposta. No.
La mia non era una domanda, Malfoy. Abbiamo bisogno della tua collaborazione.
Perché mai dovrei darvela?
Tu stesso hai deciso di essere un nostro alleato. Devi aiutarci.
No, non devo, stupida ragazzina. Non sono nella posizione adatta per rischiare.
Esitai, ma alla fine scrissi: la McGranitt mi ha detto di tua madre. L’Ordine intende proteggerla, Draco, così come intende proteggere te. Non ti sembra di dovere qualcosa all’Ordine?
Se non mi sbaglio, fu la risposta che ricevetti, lo scopo di questo Ordine sarebbe di salvare tutti, non solo me, giusto? Perché dovrei essere l’unico a ricambiare?
Perché ce lo devi, Malfoy. Devo forse ricordarti che quello che hai fatto l’anno scorso poteva costarti la libertà? Non sei stato neppure punito, perciò potresti almeno fare del tuo meglio per riparare a quello che hai già combinato.
Sembrò costargli tutto l’autocontrollo in suo possesso il rimanere calmo. Lo vidi chiudere gli occhi e rimanere così per diversi minuti. Alla fine sospirò, afferrò la pergamena sgualcita dal tira-e-molla continuo, e scrisse poche, concise parole: d’accordo. Dimmi che devo fare.
Ero così trionfante che mi ritrovai persino a sorridergli – per una frazione di istante. Gesto che lui scelse saggiamente di ignorare continuando a fissare la lavagna lontana.
Dopo la prima mezz’ora, il professor Vitious ci assegnò gli esercizi da fare in coppia: ci diede delle piume e ci chiese di materializzarle sul banco del compagno. Non era così facile come sembrava, ma al secondo tentativo ci riuscii beccandomi così quindici punti per Grifondoro. Draco Malfoy non sembrava troppo concentrato, ma pur di ignorarmi era disposto a metterci molto più impegno del consueto.
Al sesto tentativo, comunque, cominciò a imprecare sottovoce.
«Il movimento...» attaccai automaticamente.
«Sta’ zitta» mi interruppe, ma anche al tentativo seguente neppure uno sbuffo di fumo gli uscì dalla bacchetta.
«Maledizione!» sibilò lui. «Questa bacchetta deve essere rotta».
«Non può essere rotta» gli dissi, cercando di essere ragionevole. «te ne accorgeresti».
Mi fulminò con un’occhiataccia. «Non ha dato segni di vita nell’ultima mezz’ora, e non è la prima volta che succede. Questo, Granger, mi sembra una prova sufficiente».
«Figurati» dissi, sprezzante, e tesi la mano. «Te lo dimostro, se vuoi».
La sola idea che una Mezzosangue potesse voler toccare la sua bacchetta era un duro colpo per lui; ma alla fine, probabilmente, l’idea di sbugiardarmi parve essere più forte, perché me la tese, anche se sospettavo che avrebbe preferito vedermela toccare solo con i guanti. «Wingardium Leviosa» dissi, decisa, e immediatamente la piuma si sollevò, anche se con riluttanza maggiore di quella che avrei potuto ottenere con la mia. «E’ tutta questione di sicurezza, vedi?» dissi acciuffando la piuma.
Malfoy mi strappò di mano la bacchetta. «Forza, allora» disse, acido. «Come dovrei fare?». Glielo spiegai, e non appena seguì le mie istruzioni, la piuma apparve di fronte a me, anche se un po’ di pennacchi stavano ancora nella loro posizione originaria, più in là. Vitious, che passava lì vicino, ci fece un cenno di approvazione.
«In ogni caso» mormorò Malfoy, dopo qualche istante, «che cos’è che dovrei fare?».
Ci riflettei su per un istante. «E’ complicato» gli dissi, nello stesso tono sommesso. «Più tardi, prima di cena... troviamoci di fronte alla Stanza delle Necessità. Anzi no» dissi, ripensandoci, «facciamo dentro la stanza. Ti spiegherò tutto. Per adesso, sappi solo che dobbiamo recuperare l’Horcrux».
«Sarà una cosa rischiosa?» domandò alla fine.
«Non credo» dissi io. «ma bisognerà essere cauti».
Lui annuì, e nessuno dei due disse più nulla. Alla fine dell’ora schizzò via, dopo che gli ebbi dato un orario per il nostro ritrovo. Così mi unii ai miei due amici, entrambi molto abbacchiati, e omisi volontariamente di riferire loro del fatto che avrebbero incontrato Malfoy.
«Terribile. Terribile» ripeteva lugubre Ron, reduce dall’ennesima ora in coppia con la Bullstrode. «Non sono neanche riuscito a provare più di un paio di volte, e quella stupida vipera che sperava di convincere Vitious di aver spostato la piuma con l’incantesimo, e non soffiandoci sopra...».
«Già» disse Harry, ugualmente tetro. Zabini era molto più bravo di lui e lo aveva ignorato come si ignora un’anguilla schifosa, guardando altrove a intervalli regolari affinché Harry potesse provare, senza riuscirci, a eseguire l’incanto.
«Non capisco, perché proprio la Bullstrode? Non poteva capitarmi qualcuno di più intelligente, oh, no. e la Polisucco che dobbiamo controllare ogni giorno, dopo che l’ha toccata lei sembra...».
«Sentite» dissi io, quieta. Ron proseguì per qualche istante con la sua tiritera, mentre Harry si voltava a guardarmi. «Questa sera, alle sette meno un quarto, possiamo trovarci tutti nella Stanza delle necessità, perfavore?».
Harry mi guardò, perplesso. «Se è per il libro di Piton...» disse, stupidamente.
«Non è affatto questo» lo interruppi. «Non posso spiegarvi tutto ora, però... ho un piano».
Harry e Ron si guardarono in modo eloquente.
«Sentite» dissi, paziente. «Abbiamo un problema molto grosso da risolvere, e sarebbe meglio che almeno cercaste di interessarvene. Oh, e sarebbe carino se non deste già per scontato che il mio piano sia un autentico fallimento, prima ancora di sentirlo». E detto questo mi allontanai, in parte per non aggiungere altro dopo quella mia splendida uscita, un po’ anche perché non volevo altre domande.
Mentre camminavo in tutta fretta verso Antiche Rune, quasi mi scontrai con Luna, che scendeva canticchiando le scale. «Ehi, Hermione» mi salutò allegramente. Visto che era da un po’ che non le parlavo, le risposi con maggiore gentilezza del solito. «Ehm... ciao, Luna. Come stai?».
«Oh, piuttosto bene» fece lei allegra. Poi tese impercettibilmente verso di me un mucchio di quelli che erano, inequivocabilmente, vecchi numeri del Cavillo, legati assieme da un cordoncino. «Sto portando questi a Theo. Credo che ne abbia bisogno: non mi sembra molto informato. Non aveva mai sentito parlare di Ricciocorni Schiattosi, né di Eliopodi» mi informò, nello stesso tono allegro.
«The..?» feci io, dubbiosa.
«Theodore Nott» specificò lei, sistemando con una mano un ciuffo di capelli argentati dietro l’orecchio, e rischiando così di far cadere a terra tutte le riviste. Sicura che comunque sarebbero state presto gettate via, mi schiarii la voce. «Ehm... sei sicura che apprezzerebbe?».
«Ma certo» fece lei, stupita. «Ha ottimi voti in tutte le materie, sono certa che è molto dispiaciuto delle sue lacune».
«Luna...» dissi, cercando di suonare ragionevole e convincente. «Nott non è tuo amico. È malvagio». Normalmente non avrei voluto seminare discordia tra le case, ma mi sembrava giusto difendere Luna dalle grinfie di Nott.
«Ti sbagli» mi corresse lei, serena, «ha perfino punito Pansy Parkinson quando lei si è comportata male, sai».
Questa informazione mi sorprese. Naturalmente, tra i Serpeverde c’erano sempre delle dispute. Il mio sangue è più puro del tuo, i miei amici sono più influenti dei tuoi, bla bla. ma punire la Parkinson? «E perché mai lo avrebbe fatto?» e poi, dopo un attimo di ulteriore riflessione: «e in ogni caso, che significa, comportata male?».
«La sera di Halloween, mentre voi facevate la ronda» mi spiegò lei, senza scomporsi, «Pansy ha visto Parvati tutta sola nel corridoio e l’ha affatturata. O meglio, stava per farlo, ma poi è arrivato Neville e l’ha salvata. Nott se l’è presa con Pansy, e anche quando è arrivata la McGranitt le ha spiegato che era tutta colpa di lei».
Improvvisamente, quello che avevo origliato nel bagno sembrava avere acquisito un senso. Ma perché Parvati era in giro per i corridoi a quell’ora, specie con il rischio di incrociare qualcuno? E Neville? L’intera storia puzzava di bruciato, ma non l’intervento di Nott. «Probabilmente lo ha fatto perché Pansy è la fan numero uno di Zabini» le dissi. «In fondo, quei due si odiano da sempre».
«E allora perché Zabini e la Parkinson non si parlano neanche?».
Uhm. Quella era senz’altro una buona domanda, ma la risposta era semplice. «Beh, Zabini si sarà stancato di averla sempre intorno, no?».
Luna sorrise. «Sono sicura che non è così semplice».
Sospirai. Era inutile ragionare con Luna. «Oh, eccolo» disse proprio in quel momento, e la vidi salutare con un ampio gesto Nott, che avanzava corrucciato per il corridoio. Lui la vide, impallidì, e imboccò un corridoio laterale. «Non mi ha vista» fece Luna, delusa. Non mi sforzai neanche di replicare a quel commento. «In ogni caso» soggiunse, tutta felice, «avrò altre occasioni per dargliele».
«Non faresti meglio a tenerle tu?» le suggerii, indicando il plico di giornali. «Puoi sempre spedirle a tuo padre».
«Oh, no, non penso che sia una buona idea» disse Luna, con un sorriso generico, prima di partire all’inseguimento di Nott.
 
Me ne stavo appollaiato su una vecchia sedia – l’unica che non mi si era sfaldata tra le dita – e giocherellavo con un frisbee zannuto che aveva smesso di mordere. Ero nascosto dietro a una  delle file di scaffali, perciò quando qualcuno varcò  la soglia della Stanza delle necessità non mi videro.
«Insomma, che ha per la testa Hermione? E dove si è cacciata?» fece la voce irritante di Weasley, con uno sbuffo.
«Non saprei» disse un’altra voce maschile che apparteneva senz’ombra di dubbio a Potter. Parlava piano come se avesse potuto disturbare qualcuno. Mio malgrado, sbuffai, e mi alzai. I due ammutolirono. «Hermione? Sei tu?» fece Weasley, incerto.
«Ti sembro la Granger?» feci, emergendo con grande dignità dal mio nascondiglio, e sorridendo.
«Che co... Malfoy!» ringhiò Pel-di-Carota, che così assomigliava senza ombra di dubbio  a una donnola con la rabbia. Harry Potter rimase in silenzio, ma con la mano infilata in tasca, probabilmente stretta attorno alla sua bacchetta.
«Sta’ calmo, stupido» dissi rivolto a Weasley, così fuori di testa da sembrarmi il più pericoloso. «Sono stato invitato».
«E da chi?» fece l’altro, nonostante la risposta possibile fosse solo una.
«Dalla vostra amichetta, naturalmente» dissi io, alzando gli occhi al cielo.
«Non ci credo».
«Mi dispiace. Succede molto di frequente, e solitamente quando è la verità».
«Malfoy» disse Potter, le sopracciglia aggrottate. «Puoi giurarlo?».
«Altrimenti come ci sarei arrivato, qui?» feci presente. «In fondo, ora sono un vostro alleato, no?». dissi la parola “alleato” con un chiaro atteggiamento di sfiducia e disgusto.
«Chi ha detto che se nostro alleato?» chiese Potter.
Io lo guardai. Ma era stupido? «La Granger ha passato giorni a infastidirmi in proposito, e mi chiedi chi lo abbia stabilito?».
Lo sguardo vacuo di entrambi mi fece capire che la Granger doveva aver omesso qualche particolare nel suo racconto. «Meraviglioso. Beh, non appena la stupida Granger sarà arrivata, sarà in grado di chiarirvi la faccenda» dissi, maligno.
Fu proprio allora che la porta si aprì e la Granger entrò, tutta trafelata. «Maledetta stupida» la indirizzai prima ancora che potesse salutare. «perché non hai detto nulla? Per poco questi due imbecilli non mi aggredivano!».
«Sta’ zitto» mi rimbeccò lei, rivolgendosi poi con aria supplichevole ai suoi stucchevoli amici. «Scusatemi se non ve l’ho detto» disse, mortificata. «Pensavo che altrimenti non saremmo riusciti ad avere una discussione civile».
«Difficile avere una discussione civile, anche così» commentai, ma mi ignorarono.
«D’accordo» disse Potter, cercando di prendere in mano la situazione. «Hermione, l’importante è che tu possa spiegarci...».
«...perché diavolo lui è qui».
«Se tu pensi di essere utile, Weasley» dissi, caustico, «allora non dovresti stupirti che la Granger voglia cercare anche qualcuno di utile».
«E saresti tu?» disse il rosso, con disprezzo.
«Basta così!» disse la Granger, in tono tanto secco da farci tutti voltare verso di lei, muti. «Ehm... ecco...» fece lei, un po’ più insicura, «che ne direste di accomodarci da qualche parte?».
«Se proprio ci tieni» bofonchiò Potter.
Così si sedettero a terra. io invece tornai sulla mia sedia, poco distante. Nessuno mi invitò a unirmi a loro, comunque.
«Dunque, come dicevo» cominciò la Granger, in tono solenne, «sappiamo dov’è il medaglione».
«Lo sappiamo» dissero i suoi due compari, mentre io dicevo, «lo so».
Ronald Weasley mi indicò. «Perché lui lo sa?» ma fu messa a tacere dall’occhiata assassina dell’amica. Così la Granger poté proseguire con il suo discorso. «E’ stato visto l’ultima volta a Knockturn Alley, e dobbiamo rintracciarlo al più presto. Per questo motivo» e mi lanciò un’occhiata furtiva, «ho pensato che sarebbe stato, beh, utile se Malfoy ci avesse accompagnati. Lui sa come muoversi, in quell’ambiente, e forse riuscirebbe a scoprire cose che noi non sappiamo».
«Vuoi farlo partecipare?». Weasley sembrava in procinto di soffocare.
La Mezzosangue annuì. Potter sembrava in preda a un conflitto interiore, ma alla fine si voltò verso di  me, con una certa ostilità. «E tu hai acconsentito?».
«Così pare» dissi, piuttosto tetro.
Potter pareva incapace di accettarlo. «Perché?».
Era una buona domanda, purtroppo. «Vorrei saperlo, ma non lo so, contenti?» dissi, scontrosamente. «Non avevo alcuna intenzione di partecipare, mi ci sono trovato dentro senza neppure rendermene conto».
«E vuoi essere nostro alleato?». Potter era sospettoso.
«Che altro mi consiglieresti di fare?».
Anche la mia era una buona domanda. Nel frattempo, lenticchia aveva trovato un altro stupido motivo per aprire la sua boccaccia. «Hermione, non possiamo fidarci di lui. Voleva uccidere Silente! Ha fatto entrare i Mangiamorte nella scuola! è un Mangiamorte!».
«Io non sono un Mangiamorte» dissi, con una smorfia. «No avevo molta scelta».
«Cos’è, pensi che questo giustifichi tutto quello che hai fatto?».
«No. penso solo che nessuno di voi capisca nulla della situazione».
Potter mi scrutò. «Fatico a credere che tradiresti Voldemort per noi» disse, e non potei fare a meno di pensare che non avevo mai menzionato un fatto di una certa rilevanza – che Lord Voldemort era un assiduo frequentatore della mia casa di città.
«Perché? Credi che gli sia fedele?».
«No, ma penso che tu abbia troppa paura di lui» disse. Touché.
«L’Ordine lo tiene d’occhio, Harry» disse in quel momento la Granger. Era implorante. «Non potrebbe fare nulla nemmeno volendo».
Potter considerò la cosa per un paio di istanti, poi si rilassò. «Ok, d’accordo» disse, e il suo aspetto si fece... docile. Si alzò, spazzolandosi la polvere dai pantaloni, e si avvicinò a me. Anche  se non era entusiasta, mi tese la mano.
Esattamente come avevo fatto io sette anni prima. La guardai, indeciso, ricordando il momento in cui me l’aveva rifiutata. All’epoca ero stato io a offrirgli il mio mondo. Alla fine la presi, e la strinsi.
All’epoca ero stato io a offrirgli il mio mondo, e ora mi offrivo volontario per distruggerlo. Ma la cosa più paradossale – e quando il pensiero mi attraversò la mente, scoppiai in una gigantesca risata – la cosa più paradossale, dicevo, era che quando Potter mi tese la sua mano, io fui felice che a quel tempo me l’avesse rifiutata, felice che avesse deciso di ignorare la mia offerta – felice di avere, adesso, una alternativa.
Sapete come si dice, no? – Mai dire mai.
 
 
SPAZIO DELL’AUTRICE
Eccomi ritornata a voi dopo una breve assenza passata a convincermi che, anche se non sto studiando per l’orale, io mi stia impegnando! Appena sarà finita, spero di postare un capitolo a settimana, ma il prossimo naturalmente non arriverà prima di due settimane (a tra due lunedì, quindi!)
Il prossimo capitolo sarà in gran parte occupato dalla tanto attesa missione alla ricerca degli Horcrux, con tutti i problemi che ne possono derivare. Draco sarò capace di mostrare il proprio valore, o sarà solo una palla al piede?
Alcuni dei misteri che avvolgono gli altri personaggi rimangono insoluti, ma forse comincia a esserci una maggiore chiarezza, anche se la soluzione non è poi così vicina! In ogni caso non sono certo gli unici ad avere segreti, a Hogwarts... ma ogni cosa a suo tempo.
Un paio di rettifiche che devo fare, avendo riletto la trama: in uno dei primi capitoli, quando harry, Hermione e Ron vanno a Grimmaud Place, hanno una chiacchierata con Kreacher (vi rimando alla Rowling ^.^) ma lui non fa ancora il nome della Umbridge (che mi è scappato, visto che la sua vera apparizione è nelle cucine di Hogwarts). Un altro appunto riguarda Astoria, che in un capitolo appare come dello stesso anno del trio protagonista, mentre è di un anno più piccola. Non è invece sbagliato che frequenti alcuni corsi assieme a loro, nonostante la sua età: avevo pensato che, vista la mole dei suoi corsi, e non possedendo un gira tempo, frequentasse assieme a quelli del settimo alcuni corsi per poter seguire tutte le lezioni... avevo intenzione di spiegarlo più avanti, e così sarà, perché anche Astoria cela più di un segreto....
Breve appunto, dopo una lunga  assenza, sui titoli dei capitoli:
PUREBLOOD PRINCE CHARMING (all’inizio da me denominato pureblood prince) significa “principe azzurro purosangue” con chiara allusione al suo maldestramente sfigato tentativo di salvare Hermione, e al principe mezzosangue.
PLAYING THE UROBORO significa alquanto prevedibilmente “giocare all’uroboro, recitare la parte dell’uroboro”, ma può dare una leggera sfumatura di “truffare, prendere in giro”.
NEVER SAY NEVER significa, ovviamente, mai dire mai, detto comune anche nei paesi anglosassoni.
Detto questo, a presto! Ringrazio come sempre i recensori e i lettori, che spero diventeranno sempre di più ^.^
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Unwanted initiation ***


UNWANTED INITIATION
«Non posso credere che io lo stia facendo» commentai, mentre mi guardavo attorno. Il vicolo, buio nonostante fosse pieno pomeriggio, era squallidamente familiare con i muri muffiti che trasudavano umidume e quel vago odore di sporco e di pipì di gatto che lo rendeva così affascinante. Avevamo appena completato – evviva! – una perfetta Materializzazione assistita, e ci trovavamo a Knockturn Alley.
Gli altri tre mi rivolsero un’occhiata infelice, che ricambiai. Potter aveva ingollato una discreta quantità di Pozione Polisucco, trasformandosi così in un tale alto e dinoccolato che la Granger aveva spiegato essere un suo zio. Sembrava che si fosse procurata più di un campione per la Polisucco prima di cominciare l’anno scolastico. Weasley aveva la barba, capelli un po’ più scuri, pelle abbronzata e quel naso molto Piton-esco che avevamo imparato a fare. La Granger aveva assunto a sua volta la Polisucco (era sua zia, al momento) e io... beh, pure. Non avevo voluto trasformarmi in qualche assurdo parente babbano, ma avevo sottratto con l’inganno un capello a un certo Abercrombie, che faceva il mio anno ma era a Corvonero e, ciononostante – un totale idiota.
«Sei sicuro di ricordare tutto?» chiese la Granger.
«Naturalmente» dissi, bluffando.
Lei sospirò. «D’accordo, allora» pigolò, prima di farmi un cenno di assenso. Tutti e quattro ci staccammo dal muro, e loro lasciarono che li precedessi, visto che non erano pratici di quelle vie. Senza esitare, li condussi attraverso un dedalo di stradine intricate verso l’inevitabile meta – Magie Sinister.
Era stato un negozio florido, ma dal piccolo incidente dell’Armadio Svanitore – nel quale, in  effetti, la responsabilità era soprattutto mia – era finito evidentemente in rovina. La vetrina era così sporca che a stento si intravedeva l’interno, la porta sembrava pronta a sfasciarsi e l’insegna pendeva un po’ verso destra. Era già qualcosa che non avesse dovuto chiudere, comunque.
Arrivato alla porta esitai prima di aprirla, sudicia come sembrava la maniglia. Alla fine però spinsi, spalancandola. L’ingresso era più buio del solito, e gli oggetti niente affatto rassicuranti contribuivano a deprimere l’atmosfera.
Mi voltai verso i miei sgradito accompagnatori; Potter e Granger – no, Anthony e Patricia adesso – cercavano di darsi un contegno, mentre Weasley aveva un’aria molto stupida. Avvedendosene, la Granger gli pestò un piede.
Alzai gli occhi al Cielo e mi sistemai meglio la veste che avevo trafugato dalla Stanza delle necessità, e feci un passo in avanti. «Non c’è nessuno?» chiesi in tono nobile e infastidito. N
Una figura pallida, smunta e fragile emerse da una pila informe di qualcosa coperta con un telo polveroso e lacero. «Che cosa volete?» abbaiò il signor Sinister, guardandoci a turno con ostilità e fissandosi poi su di me con un certo sospetto.
«Oh, non saprei» dissi, altezzoso. «Ha forse qualcosa di meglio da fare che servirci, Sinister?».
Ancora più sospettoso, ma anche più servile, il mago fece un cenno di resa con il capo e disse: «Che cosa desiderano i signori?».
«I miei... zii» dissi, provando un sincero disgusto all’idea, ma badando bene a essere impassibile, sono ritornati da un soggiorno estremamente lungo all’estero. Cercano un manufatto che è stato loro sottratto».
«Che genere di manufatto?» chiese lui, gli occhi che gli lucevano, e facendo un cenno affinché ci avvicinassero. Si volse verso di loro, come aspettandosi risposta. La Granger gli lanciò un’occhiata piuttosto ostile e vagamente offesa, che dovetti giudicare ben fatta.
«Non parlano bene inglese» mi affrettai a precisare, annoiato. «Qualche sporco traditore del nostro sangue ha profanato la loro dimora e ha sottratto loro beni di valore incommensurabile...» e dall’occhiata vagamente cauta che lo vidi lanciarmi, non avevo dubbi che qualche suo amico si dedicasse sovente a tale occupazione, «...tra i quali figura un antico monile, un medaglione, che era l’orgoglio della famiglia».
«E cercate solo quello?» chiese Sinister, in un tono che non riuscii a comprendere. Si era avvicinato a uno scaffale, e vi frugava in mezzo come alla ricerca di qualcosa.
«Non dubitiamo di riuscire a recuperare i pezzi più grossi» dissi, con l’aria paziente di chi discorre con un idiota. Ero fiero di me e stupito di come stavo gestendo la situazione.
«Capisco» disse Sinister. Estrasse un piccolo involto che conteneva una scatola laccata, di quelle che utilizzava per custodire oggetti preziosi. «Capisco. Aprì la scatola mostrando diversi oggetti lucenti che scintillavano, e ne alzò uno. «I signori lo riconoscono?».
A quel punto fui costretto a voltarmi verso di loro nella speranza che mi illuminassero, perché non sapevo se il medaglione autentico somigliasse a quello falso che avevo visto in mano di Potter. Lui scosse la testa e Sinister ripose il gioiello. «L’informazione secondo cui l’oggetto sarebbe stato possibile da ritrovare a Knockturn Alley» dissi allora, «ci viene da un vile maguncolo di nome Mundungus Fletcher». Ancora una volta, era chiaro che lui e Fletcher si dovevano essere già visti, e più volte. «pare che lui lo abbia venduto a qualcuno da queste parti».
«E che cosa fa credere a lorsignori che lo abbia acquistato io? Non sono certo l’unico della zona a interessarmi a certi ...ah... manufatti» disse Sinister, con un sorrisetto sgradevole.
«Conosco il suo buon gusto, Sinister» dissi seccamente, ma nel tentativo di accattivarmelo. «Sono certo che non avrebbe mancato di notarlo, e di provare ad acquistarlo».
Lui fece un gesto simile a un inchino abbozzato. «Capisco» disse per l’ennesima volta, esaminandomi. «Non credo di avere l’onore di avervi ricevuto».
«Oh, sono già stato qui qualche volta» dissi, in tono casuale. «Tempo fa, naturalmente.  Adesso, come dire, i tempi non sono... propizi per certi scambi». Poi mi volsi verso la Granger, e con tono da bravo nipote, scandii, «Zia, avresti la copia del medaglione?».
Lei annuì, e cominciò a frugare nella sua borsa alla ricerca dell’oggetto. «Dunque i signori capiscono un pochino di inglese, si?» disse Sinister, curioso.
«Oh, qualche parola qua e là» mi sforzai di rispondere con aria indifferente.
«E il signore?» domandò Sinister rivolto a Weasley, il quale aveva un’espressione vacua che non sembrava affatto costruita – né pensavo che lo fosse. Lui spostò lo sguardo da me a lui, come non capendo. «Oh, no, lui non capisce nulla» dissi, senza celare il mio disprezzo. «E’ una sorta di guardia del corpo, una cosa del genere, stupida e letale, comunque. Vanno molto di moda, da quelle parti, e vista la quantità di cose preziose che trasportano, è sempre meglio essere protetti».
La Granger mi tese il medaglione e lo presi. «Da che zona vengono esattamente?».
Argh. Quello non era previsto. Mi sforzai di elaborare una risposta intelligente. «Nonostante siano inglesi di nascita, hanno vissuto quasi tutto il tempo a Shanghai» buttai lì, chiedendomi quali fossero le possibilità che Sinister conoscesse una lingua straniera.
«E la guardia del corpo...».
«Non so. Penso le addestrino i tibetani, ma non saprei dire esattamente da dove venga» dissi. «In ogni caso, questa è una copia che riproduce le fattezze del medaglione».
Sinister gli lanciò un’occhiata prima di afferrarlo con mani nodose. «Capisco. Credo di potervi aiutare».
«Non ne dubitavo».
«E’ rimasto in mio possesso solo per un paio di giorni, ma...» mi lanciò un’occhiata penetrante, «non avevo idea di che cosa fosse. Né che appartenesse alla grande casata di...» e rimase in attesa.
«Stornaway» buttai lì, a caso. «Dall’Irlanda del Nord».
«Ma certo. Se volete aspettare un istante...». e scomparve. Allora vidi Potter tornare a respirare, e Weasley apparentemente euforico. La Granger mi lanciò un’occhiata di approvazione, ma non riusciva a inquietarmi come al solito, visto che la faccia non era la sua.
Quando tornò, tuttavia, vidi Sinister con la faccia coperta da quella che, a primo acchito, sembrava essere una museruola per gatti troppo grande. Una museruola per tigri. Lo guardai, improvvisamente a disagio.
«Duibuqi, wo zhao le yi ge henyouyisi de dongxi. Zhaodao le. Shi bu shi hao de? Nin men xiang yao mai ma?».
Vaffanculo ai miei presentimenti.
La Granger e Potter si scambiarono un’occhiata smarrita, poi si volsero a me. Io sudavo freddo. «Che cos’è quella roba?» domandai senza cerimonie.
Sinister mi sorrise al di là della griglia della museruola. «Un traduttore, naturalmente. Ho chiesto loro se sarebbero stati interessati all’acquisto, ma pare che non mi abbiano inteso». Che avesse capito..? ma no, non era possibile.
«Che lingua sarebbe, quella?» chiesi, condiscendente.
«Shi pudonghua. È il cinese mandarino» mi rispose lui, con quel sorriso sgradevole.
Era il momento del tutto e per tutto. «Non parlano mandarino» dissi, stancamente, «ma solo il dialetto della zona».
Lui parve deluso oltre misura. «Sfortunatamente non funziona con i dialetti».
«Peccato» dissi, non troppo dispiaciuto, e recuperando gli anni di vita che avevo perduto per lo spavento. «Il medaglione..?».
«Venduto» rispose il vecchio, distrattamente, mentre tornava a frugare tra il ciarpame. «Giorni fa».
«Quanto tempo fa?». Cominciavo a spazientirmi davvero.
«Era tre, quattro giorni fa al massimo».
«A chi?».
Lui mi guardò, e sorrise. «Non credo di essere autorizzato a dirglielo».
«Perché no?» chiesi, soave.
«Perché» disse lui nello  stesso tono, «sfortunatamente per lei, il mio Spioscopio è sufficientemente potente per fiutare l’uso di Incantesimi di Trasfigurazione».
Mi irrigidii. «Di che diavolo parla?».
«Oh, dovrebbe essere lei a dirmelo, signor... Windermere».
«Windermere è il nome dei miei zii. Il mio è...».
«Ha poca importanza, temo» disse lui, e sfoderò da una piega del mantello consunto la bacchetta. «Ora, andatevene. Fortunatamente per voi, il Ministero mi tiene d’occhio, perciò preferisco lasciarvi andare piuttosto che ingaggiare battaglia».
«Temo che non ci sarà alcuna battaglia» disse la voce della Granger, che si accostò a me con aria minacciosa. Levò la bacchetta e senza emettere un suono la mosse. Il vecchio mago comunque fu tanto lesto da parare, e l’incantesimo venne deviato contro una vecchia libreria che aveva visto tempi migliori. Imprecando, Weasley mi superò per darle man forte, mentre Potter sembrava incerto sul da farsi. Il mio primo impulso invece fu di gettarmi al riparo. Da dietro un grande quadro che raffigurava persone – o meglio, Babbani – che si inchinavano a un gruppo di bellissime maghe, osservai i re che finalmente Disarmavano il vecchio. Potter gli tappò la bocca. «Non vogliamo farle del male» disse, risoluto. «Ma vogliamo sapere dov’è il Medaglione».
«E se non volessi dirvelo?».
A quel punto ritenni che fosse sicuro uscire allo scoperto, anche se emergere dal mio nascondiglio guastava un po’ l’effetto. «Chi stai proteggendo?».
Sinister mi guardò. «Nessuno, se non me stesso. Qualunque cosa stiate cercando, non voglio pestare i piedi alle persone sbagliate». Gli credetti all’istante. «Allora penso che la cosa migliore sia collaborare» dissi, con un sorriso malvagio. E in effetti dovevo ammettere che mi  piaceva il ruolo di interrogatore. «Perché, che ci creda o no, non è affatto al sicuro, vecchio».
Qualcosa nel mio tono parve convincerlo. «E’ venuta una donna. una di quelle nobili, capite. Purosangue fin dalla notte dei tempi. Sosteneva che fosse suo» e sputò a terra, mancando le scarpe di Weasley per un soffio. Peccato. «ma io sono certo che mentisse». Su quello nessuno aveva dubbi. «Chi era?» chiesi, e gli puntai la bacchetta al petto.
«Augusta Elton!» strillò Sinister.
A quel nome, mi sentii gelare, ma lo dissimulai alla perfezione. «Ho capito» dissi, allontanandomi di un passo. «D’accordo. Ora, se non ti dispiace..» e prima che uno chiunque degli altri potesse fermarmi, avevo alzato la bacchetta e gridato, “oblivion!”. Il mercante si afflosciò come svenuto contro la cassa.
«Che... perché lo hai fatto?» chiese Lenticchia, sbigottito.
«Non potevamo rischiare che rivelasse tutto» commentai, mentre la Granger ripuliva ogni traccia del nostro passaggio con un ampio movimento della bacchetta.
Uscimmo in tutta fretta, sparendo in una stradina laterale. «Muoviamoci» dissi, accelerando il passo fino a che non ci trovammo in un vicolo nascosto. Allora tesi in tutta fretta il braccio, affinché la stupida Granger lo afferrasse, e ci Smaterializzammo.
Quando atterrammo – per così dire – sul dissestato pavimento della Stamberga Strillante, mi lasciai cadere seduto a riprendere fiato. Il turbolento trio sembrava incline a fare lo stesso, perciò per un pezzo nessuno parlò. Alla fine, fu Potter a parlare. «Ce l’abbiamo fatta» disse, come incredulo, voltandosi prima verso la mezzosangue, poi verso di me.
Non dissi nulla. una parte di me era fiera di quello che aveva fatto, l’altra si odiava per averli aiutati... e io stavo nel mezzo,come al solito.
«Si» disse la Nata Babbana, e anche lei mi guardò. Sembrava euforica. «E’ andato tutto liscio».
Annuii brevemente.
Breve silenzio.
«Beh, Malfoy» disse la Granger, evidentemente imbarazzata. «Grazie».
Non risposi. Non sapevo che cosa avrei potuto dire.
«Dunque» disse Potter, per cambiare argomento, «Augusta Elton. Come facciamo a trovarla?».
«Forse» disse Weasley, lieto che il pericolo di dovermi ringraziare fosse stato scampato, «potremmo chiedere a mio padre... magari al Ministero c’è qualcosa, che so, un censimento...».
«O in biblioteca» aggiunse la sua stupida amica.
Potter non sembrava convinto. «magari basterebbe chiedere a scuola...».
«O magari» cominciai io, e tutti e tre si voltarono verso di me, sbalorditi. «basterebbe andare a Londra, Grosvenor Square, dodici».
Il primo a parlare fu Potter. «E perché dovremmo andarci?».
«Perché è lì che abitano gli Elton» risposi impassibile.
Un lungo silenzio seguì; i tre stupidi fessi assorbirono l’affermazione con una lentezza esasperante. «E tu come lo sai?» domandò alla fine la Granger, evidentemente ammirata.
Mi schiarii la voce. «Perché è mia zia».
 
«Hermione? Hermione?».
Mi riscossi con un sussulto. «eh? Cosa?». Mi voltai. Neville mi stava guardando, accigliato, un volume dall’aria polverosa sotto il braccio. «Neville» mormorai, guardandomi attorno. Nessuno mi stava guardando tra gli scaffali. «Che ci fai qui?».
«Cercavo un libro sugli innesti sulle Mandragole, ma non è questo il punto» mi liquidò lui. «Eri ferma come una statua a fissare il vuoto, facevi paura».
«Ehm... sono piuttosto stanca, ultimamente» farfugliai, incerta.
«A me sembri piuttosto preoccupata. E lo stesso dice anche Luna» disse il mio amico, sedendosi accanto a me e posando il librone, la cui copertina di pelle recitava “evitare gli innesti funesti”. «Senti, Hermione... anche io sono nell’ES, no? puoi confidarti, se qualcosa non va».
«Davvero, sto bene» mentii con un sorriso stanco. «E’ solo che, sai, gli studi... la pressione... la situazione» e scrollai le spalle.
Lui strinse le labbra, scontento. «Luna mi ha detto che sei in coppia con Malfoy. Non l’avevo notato, non ai corsi che frequentiamo assieme» mi disse, ansioso. «Ti sta trattando male? Oppure...».
«No» dissi, questa volta più che sincera. «Malfoy non mi sta dando alcun problema. Anzi, è insolitamente...» esitai. Non gentile. «Collaborativo».
«Capisco» disse lui, e sembrò ritrarsi e farsi piccolo, come se lo avessi sgridato. Mi tornò allora in mente quello che avevo sentito dalla McGranitt, e decisi di indagare. «E – e tu?» chiesi allora, in tono delicato. «Mi hanno detto che hai affatturato Pansy Parkinson».
«Mai decisione fu più saggia» disse Neville, in tono insolitamente sicuro. In effetti, da quando eravamo tornati a Hogwarts, sembrava molto più... beh, adulto. «Stava importunando Padma».
«E’ una fortuna che tu fossi in giro a quell’ora» buttai lì innocentemente.
«Già, infatti» rispose lui, senza raccogliere, o forse senza capire.
«Non ti hanno tolto punti, vero?».
«Oh, no» disse Neville, con una smorfia. «Ultimamente nei Serpeverde.... non so come spiegarlo, ma sembra che siano impegnati a lottare tra di loro. con i Corvonero e i Tassorosso sembrano quasi... cordiali. Quasi» soggiunse, ma pensai che fosse strano. Non avevo visto segni di particolare amicizia, anche se era vero che gli insulti che volavano un tempo sembravano essere finiti.
«Se lo dici tu» dissi io, senza nascondere la mia perplessità.
Neville sembrava imbarazzato. «Beh, in ogni caso, adesso devo andare» disse, dopo essersi schiarito la voce. «Ho molto da studiare, sai».
«Neville» dissi io, insospettita. «Sei sicuro di stare bene..?».
«Si, certo. Grazie per averlo chiesto. Ora scusami» e fuggì a gambe levate, lasciandomi molto più che perplessa. Ok, adesso era assolutamente chiaro che Neville nascondesse qualcosa. Ma che cosa? Presi mentalmente nota di chiederlo a qualcuno il prima possibile; l’ennesima nota nel mio grande calendario degli appuntamenti, che comprendeva “lavarsi i denti tre volte al giorno”, “uccidere Lord Voldemort”, “diplomarsi” e “restare viva”. Tra le altre cose.
Lo so, non avrei dovuto lamentarmi. Sapevamo dov’era il medaglione, Draco Malfoy era nostro alleato, Pansy Parkinson era ancora in infermeria. Ma sapere che, nonostante tutto, non avevamo ancora combinato granché era piuttosto deprimente.
Ecco perché avevo detto a Malfoy di andare subito dalla zia a riprenderlo. Lui però si era rifiutato, dicendo che non avrebbe fatto nulla senza un piano sensato, e da ieri mi evitava perché non potessi esporgliene uno. Ora, non mi importava di quanto fosse orrida la zia, era nostro compito prendere l’Horcrux e distruggerlo con l’aiuto della spada che Silente ci aveva lasciato, e che al momento faceva compagnia al Cappello Parlante su uno dei polverosi scaffali della Presidenza. Ci doveva essere un motivo se Silente aveva affidato il compito a noi, e non potevamo deluderlo, non importava quello che quell’orrida della Skeeter scriveva su di lui.
Ci saremmo andati l’indomani, o il giorno dopo al massimo, decisi. E se Malfoy voleva restare a scuola, tanto peggio per lui.
Dopo aver preso quella risoluzione, decisi di occuparmi di un altro dei punti della mia lista: indagare su Ginevra Weasley, che negli ultimi tempi era davvero di pessimo umore. Così, dieci minuti più tardi, uscivamo assieme dal buco del ritratto di Grifondoro – essendomi offerta di uscire a fare una passeggiata con lei per evitare Seamus che la perseguitava.
«Siamo usciti assieme, d’accordo» fece Ginny, roteando gli occhi in un eccesso di disperazione, «e si, è andata avanti per un po’, ma... andiamo, Hermione, è uno strambo!». Le assicurai con calore che non ne dubitavo affatto, e così lei proseguì. «E’ un inetto in metà delle materie, e si vanta sempre della sua bravura nel resto, come se fosse un fenomeno. Baciasse almeno così bene» aggiunse in un borbottio sordo.
«Beh» dissi, in tono leggero, «in fondo non è che ti aspettassi altro, giusto? Voglio dire» ed esitai, ma solo un istante, «quello che volevi era principalmente dimenticare Harry».
«Già» disse Ginny, tetra. «Quel...».
«Si, si, ne abbiamo già parlato» mi affrettai a dire, perché se cominciava a insultare Harry poteva andare avanti ore. «Però, Ginny, continuo a pensare che dovresti fare qualcos’altro a parte uscire con Seamus. Qualcosa che ti tenga occupata, che ti faccia sentire... che so, utile, importante». Ginny non mi guardava. Teneva gli occhi fissi sul sentiero. «Anche se» aggiunsi, pensierosa, «in effetti tu hai già qualcosa a cui dedicarti».
La vidi trasalire e mi bloccai, confusa. Sembrava sbigottita. «Come?» fece lei.
«Hai – hai già qualcosa per tenerti occupata» ripetei, incerta. «Il Quidditch è una grande distrazione, giusto?».
«Si» mormorò lei. «Immagino che lo sia».
«A che cosa stavi pensando?».
«Io?». Ginny mi guardò, non del tutto concentrata su di me. «Beh, ecco... pensavo che ti riferissi allo studio».
Era evidente che aveva ascoltato tutto il mio discorso solo a metà, ma lasciai correre. «Ed è vero che adesso esci con Corner? Di nuovo?».
«Come hai fatto a scoprirlo?». Era preoccupata.
«Lavanda lo ha detto a Calì, che lo ha detto a me» dissi io, ricordando quell’ultima conversazione senza entusiasmo. Calì mi aveva abbordata con la scusa di chiedermi una conferma, ma poi aveva passato una buona mezz’ora a parlare cautamente di Colin Canon, evidentemente sperando di ricevere informazioni preziose da parte mia.
«E Lavanda come lo sa?». Adesso Ginny era indignata.
«Vi ha visti dopo Erbologia, credo» dissi, meccanicamente.  «Allora è vero?».
«Già» disse lei, alzando le spalle. «E’ migliorato durante l’estate, anche se non brilla certo per acume. Ma qualunque cosa» disse, evidenziando le parole con cura speciale, «è meglio di Seamus».
«Scommetto che sarà entusiasta di sentirlo» dissi, senza impedirmi di provare una punta di dispiacere per il poverino, che stava per essere piantato in asso. «Non ricordarmelo» disse lei in tono drammatico. «Sto cercando di non pensare a quando me lo ritroverò tra i piedi, durante tutti gli allenamenti..» e scoraggiata scosse la testa.
«Almeno terrà la bocca chiusa per un po’» commentai.
«Oh, non contarci troppo. Trova sempre qualcosa da dire, possibilmente quello che è più inopportuno» disse lei piccata. Poi, guardandosi intorno, sbiancò. «Oh, no» gemette.
«Che c’è?» chiesi, voltandomi nella stessa direzione. Notai una figuretta con lunghi, folti capelli neri che a passo fluido e calmo veniva verso di noi. «Chi è?».
«Astoria Greengrass. La mia partner» disse infelice. «Non capisco, è una ragazza così strana... essendo una Serpeverde ti aspetteresti che ti stia alla larga, ma no... ha preso molto alla lettera questa stupida idea degli accoppiamenti».
Solo allora riconobbi la ragazza. «Perché è abbinata con te?» dissi. «Frequenta i corsi assieme a me».
«Si, perché lei è un genio» disse Ginny, alzando gli occhi al cielo. «Sai, voleva frequentare tutte le lezioni, ma non aveva un Giratempo, così le hanno concesso di seguire alcune lezioni con altri gruppi, ma ha la mia età». Sembrava in procinto di vomitare.
Astoria se l’era presa comoda, ma finalmente arrivò a portata d’orecchi. «Ginevra» disse, con voce pacata ma perfettamente udibile. «Come stai?».
«Molto bene, Astoria, grazie» disse la mia amica, con un sorriso tirato. «E – e tu?».
«Bene» disse lei, arrivandoci vicino. Si voltò verso di me. «Granger» disse, chinando il capo. Era un saluto freddo, ma privo di ostilità, disgusto, o qualunque altro sentimento. Ricambiai il cenno, a disagio. La ragazza mosse la lunga chioma fluente di scatto, muovendosi verso Ginny. «Mi chiedevo se ti andava di studiare assieme per Difesa contro le Arti Oscure, dopo pranzo».
«Ehm... mi piacerebbe» disse Ginny debolmente, alla disperata ricerca di una via di fuga. «però... purtroppo non posso».
Astoria la guardò, sollevando appena un sopracciglio, poi prese a frugare nella borsa. «Credevo...» disse, ed estrasse un foglio che, nonostante la borse fosse ricolma, sembrava privo di una singola piega, «che dopo pranzo avessi un’ora buca».
Ginny era allibita. «Tu... hai una copia del mio orario?»
«Sono una persona organizzata. In questo modo è più facile gestire il mio tempo» disse lei, come se si fosse trattata della cosa più normale del mondo. «Non credevo di avere sbagliato a segnare i tuoi orari, ma posso facilmente correggere...».
«No» si affrettò a dire l’altra. «Non... non ho lezione, è solo che...» fece una pausa microscopica, «...sai... ho un appuntamento con il mio ragazzo».
«Con Michael Corner?» chiese Astoria. «Capisco».
«Come sai che esco con lui?». Ginny era  sempre più esterrefatta.
«Vi ho visti assieme dietro la serra di Erbologia. Non sembravate nascondervi, altrimenti non avrei certo fatto commenti inopportuni» disse la Serpeverde, sbattendo le lunghe ciglia.
«Nessun problema» sospirò Ginny, sconfitta.
«D’accordo, allora. Non ti trattengo oltre. Ci vediamo comunque più tardi» disse Astoria. Tornò a guardare me, imperscrutabile. «Granger, era da un po’ che speravo di incontrare anche te. Volevo ringraziarti per aver parlato in mio favore con la Preside, il giorno di Halloween».
«Ehm... di nulla» balbettai io, arrossendo di imbarazzo. «Non ho fatto che riportare la realtà dei fatti».
«Oh, non direi che sia così semplice» disse lei, la bocca che si curvava impercettibilmente all’insù. Senza la minima esitazione, allora, capii che Astoria Greengrass sapeva qualcosa. Rimaneva solo da appurare quanto.
Non risposi nulla, e lei non sembrò prendersela. «Arrivederci a entrambe» disse, prima di allontanarsi con la stessa fredda eleganza con cui era arrivata.
Io scambiai un’occhiata con Ginny. «Ma che razza di ragazza è?» chiesi io alla fine.
Lei si limitò a scuotere il capo in silenzio.
 
Ero alla Guferia. Mi era arrivata un’altra lettera di mia madre, piuttosto breve, che recitava così:
Draco,
ci saremmo aspettati maggiore entusiasmo da parte tua alla notizia. Scrivi presto, e vienici a trovare.
Mamma e papà
Avevo subito scritto una risposta che non ero riuscito a non far sembrare amara.
Madre,
che motivo potrei mai avere per non essere felice? Semplicemente non ho molte occasioni per uscire dal castello, così come non le avete voi, se non sbaglio. Non appena potrò, verrò.
Draco
Oh, già mi immaginavo mio padre a sbiancare leggendo quelle brevi frasi. Forse la mia era una rabbia ingiustificata; appena i vostri avranno assassinato qualche Babbano, non mancate di espormi le vostre idee al riguardo. Rimaneva comunque il fatto che ero nervoso e irritato. A questo, si era unito un pensiero che, per quanto possa sembrare incoerente, mi turbava. Avevo aiutato Potter e gli altri, non solo a parole; ne ero soddisfatto. Eppure sapevo che i miei genitori non sarebbero stati d’accordo. Probabilmente avrebbero dato in escandescenze e si sarebbero messi a piangere. Ebbene, ero arrabbiato. Arrabbiato all’idea che, nonostante tutto quello che era successo gli anni prima, il mio mondo, la mia stessa natura, andassero contro le mie ultime azioni.
Legai la lettera alla zampa di un vecchio barbagianni dall’aria vagamente malata. Magari sarebbe morto prima di arrivare al mittente. Magari si sarebbe perso. Sembrava anche un po’ cieco. L’uccello mi guardò, emise un gesto stridulo e vagamente perplesso, e inclinò appena la testolina. «Muoviti» gli dissi, dandogli una spintarella seccata. Volevo allontanarmi in fretta dalla Guferia, che puzzava tremendamente. Ma Gazza non pensava mai di venire a dare una pulita?
L’uccello, indignato, mi beccò la mano con tanta violenza da farmi sanguinare appena. «Brutto...» imprecai, ma il barbagianni spiccò il volo e si allontanò prima che potessi trasformarlo in un arrosto. Esaminai la ferita. Di sicuro non era preoccupante, ma sarei dovuto andare da Madama Chips. Mi infettavo con una facilità impressionante; e quando mi infettavo tendevo a gonfiarmi e a cambiare colore. Mi diressi dunque verso la porta, che si aprì in quell’istante facendomi quasi scontrare con Blaise Zabini, che aveva un’espressione di estrema sofferenza mentre entrava.
Ci bloccammo entrambi, scrutandoci in silenzio un istante. Zabini era evidentemente imbarazzato all’idea di essere stato colto sul fatto. «Che ci fai tu qui?» mi chiese, nel suo tono più malvagio. «Venuto a cercare compagnia?».
«No, venuto a cercare tua madre» dissi, acido, indicando il gufo più brutto che riuscii a vedere.
Il suo viso ritornò all’impassibilità. «E’ un vero peccato che le tue offese non abbiano alcuna efficacia» commentò lui.
«Più o meno come i tuoi  tentativi di atteggiarti» risposi pronto.
Zabini si adombrò. «Adesso spostati, Malfoy».
«E se io non volessi?». Oh, merda. Le parole mi erano uscite prima che potessi impedirlo. Perché mai avrei dovuto provocare Zabini, e per di più in assenza di testimoni? E se avesse voluto attaccare briga?
Zabini si limitò a guardarmi per un paio di istanti, come studiandomi. Alla fine del suo esame, parve sgonfiarsi appena. «Allora immagino che dovrò aspettare».
Mi sarei aspettato tutt’altro da lui, perciò non sapevo bene che cosa rispondere. Mi feci da parte automaticamente, stupendomi della mia arrendevolezza, specie visto che fino a un istante prima lo avevo sfidato. Ma che mi stava succedendo?
«Ti ringrazio» disse lui senza alcuna espressività. Chinai appena il capo, prima che lui mi superasse. «Non passare per il corridoio del settimo piano, comunque» disse, mentre estraeva una lettera dalla tasca per legarla alla zampa del suo gufo. Mi voltai verso di lui, stupito. Stavo giusto per uscire dalla porta quando lui mi aveva bloccato.
«Perché non dovrei?» chiesi, cauto.
«E’ un consiglio amichevole» disse lui, ancora dandomi la schiena. «Penso che rischieresti di finire affatturato».
Capitava di recente, specie ai Serpeverde. Da quando avevano smesso di essere aggressivi, le altre Case stavano saldando gli arretrati. E diciamolo, io avevo un mucchio di arretrati che speravo proprio di non dover saldare. «Ti hanno affatturato?» non potei non chiedergli.
«No» disse lui, mentre finiva di annodare la busta. «Ma ci sono andati vicini».
Attesi un paio di istanti, alla ricerca di qualcosa da dire, ma non mi venne in mente nulla. Così me ne andai in silenzio, evitando il corridoio incriminato, e arrivando sano e salvo da Madama Chips. Ero stupito dal comportamento di Zabini, ma mentre la vecchia Corvonero mi puliva la ferita ero troppo impegnato a piagnucolare per pensarci, e quando ebbe finito l’intera faccenda mi era sfuggita di mente.
Mentre attraversavo la Sala Grande per dirigermi verso i sotterranei, sentii una mano calarmi sulla spalla. Mi voltai, e vidi Nott che, con una faccia da funerale, mi affiancava. «Qualche problema?» gli chiesi.
«Si, un grosso problema» era da qualche giorno che non ci scambiavamo più di un paio di parole, impegnati come eravamo. In effetti, era più o meno dalla sera di Halloween, due settimane prima.
«Del tipo..?» lo incoraggiai.
«Quella schizzata della Lovegood. Mi perseguita» disse lui rabbiosamente, guardandosi attorno come se avesse temuto di vedersela spuntare accanto dal nulla. «Mi segue dopo le lezioni, e mi fa una quantità infinita di domande su... su...»  sembrava incapace di ripetere gli argomenti in questione, «su quelle porcherie che suo padre pubblica sul giornale» concluse allora.
«Che giornale?» chiesi io, che della Lovegood sapevo solo che era un’amica di Potter e compagnia.
«Il Cavillo» sputò fuori Nott, e solo allora scoppiai in una sana risata. «ma non mi dire! Stai con la figlia di Xenophilius! Quel vecchio pazzo... non sapevo quale fosse il suo cognome...» e continuai a ridacchiare.
«Non so come tu faccia a considerarlo divertente» sbottò il mio amico, velenoso. «Quando mia madre ha scoperto con chi sarei dovuto stare, ha scritto alla McGranitt, ma credi forse che quella vecchia megera mi abbia fatto fare cambio? NO!». e aprì le braccia in una espressione di vera sconfitta.
«E’ una vera megera» acconsentii, serafico. «non la inviterei al tuo matrimonio con la Lovegood, se fossi in te».
«Non scherzarci sopra!» esalò lui, come in preda a un attacco d’asma. «Preferirei di gran lunga essere sposato con Zabini!».
«E a proposito di Zabini» dissi io, mentre la breve scenetta di poco prima mi tornava alla mente. «L’ho incontrato prima, e sembrava turbato. Tu sai che  cosa stia combinando?».
«Non ne ho idea» disse Nott, tornando alla sua espressione fredda e acuta. «E’ furbo, non lascia che  la gente si intrometta nei suoi affari privati».
«E’ per questo che avete fatto a botte, a Halloween?». Finalmente avevo l’occasione perfetta per indagare.
«Si è messo contro la persona sbagliata» tagliò corto lui. Io lo guardai, infastidito. «Che cosa intendi dire?» chiesi.
«Nulla di importante» disse Nott, estremamente cauto. «E’...».
«Malfoy!». Entrambi ci voltammo, appena in tempo per vedere la Granger che arrivava come una furia verso di noi. Mi guardai attorno, agghiacciato. La Sala era piena di gente, e non volevo che mi vedessero assieme a lei.
«E non gridare, stupida!» le dissi seccato quando ci raggiunse.
«Scusa se provvedo a gettare un’ombra sulla tua aura di Purosangue, Malfoy» disse lei tranquilla senza badarmi. «Ma avrei alcune cose da chiederti». Sempre più inorridito, ma cercando di dissimularlo, la guardai con un sorrisetto di disprezzo e feci una risata. «Non mi interessa nulla dei tuoi progetti di studio, Granger» le dissi, cercando con la mente di inviarle il messaggio “ne parliamo dopo, imbecille”. Messaggio che lei ignorò o non percepì proprio. «Oh, penso che ti interessi eccome» disse la mezzosangue, soavemente.
«Devo già sopportare abbastanza la tua presenza a lezione, senza che mi disturbi anche altrove, Granger» le dissi. Meschino, io? Avevo forse scelta?
La vidi colorarsi di scarlatto per la rabbia. «Molto bene» disse comunque, con dignità estrema. «Fai come vuoi». E si allontanò, altrettanto in fretta di come era venuta, e lasciandomi certo di averla offesa. Probabilmente era venuta per dirmi di qualche suo piano vaneggiante per introdursi a casa di mia zia e ottenere il medaglione. Magari non mi avrebbe neanche fatto partecipare. Sarebbe stato perfetto... o almeno così diceva una grande parte di me. In fondo, avevo già fatto abbastanza per loro.
«Non sono l’unico a essere perseguitato» commentò Theodore, mentre la stupida ragazza saliva le scale.
«E’ ossessionata dalla scuola, oltre a essere insopportabile» dissi io.
Già. Oltre a essere la mia principale garanzia di salvezza.
 
«Ne sono lieta» disse la McGranitt. Avevo appena finito di spiegarle che la nostra missione era andata a buon fine. «E per quanto riguarda il giovane Malfoy..?».
«Ha contribuito molto» mi affrettai ad assicurarle. «Anzi, senza di lui, adesso le informazione che abbiamo ricevuto sarebbero inutili. Può accompagnarci da... nei posti dove possiamo proseguire con la nostra ricerca»
La McGranitt sospirò. «E’ una buona notizia» disse, piano, «ma chi sa ancora per quanto potrà esserla? Se la madre esce di prigione...».
«C’è tempo» la assicurai. «Lo convinceremo a farla trasferire al quartier generale. Potrà restare protetta fino alla fine della guerra».
La McGranitt mi guardò con i suoi occhi penetranti, e insolitamente tristi. Poi sospirò di nuovo, più profondamente, e chiuse gli occhi un istante. Quando li riaprì, erano ancora più velati di malinconia. «C’è qualcosa di sbagliato in dei ragazzini che parlano di guerra» mormorò. «E’ uno spettacolo che nessun educatore vorrebbe mai vedere».
Io non potevo non essere d’accordo, ma non lo dissi. «Questo compito è toccato a noi» dissi invece, e sorrisi stancamente. «E’ bello sapere che possiamo fare in modo che non accada più, professoressa».
La vecchia strega tirò su con il naso, secca. «Il professor Silente ha sempre buoni motivi a giustificare le scelte che fa» disse nel suo solito tono spiccio. «Anche se la maggior parte delle volte tali ragioni risultano incomprensibili ai più».
«Su, su, Minerva» disse la voce di Silente, proveniente dal suo ritratto poco distante, in tono allegro. «Non è carino farmi pesare la mia straordinaria intelligenza!».
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
Eccomi tornata a voi dopo aver terminato con relativo successo gli esami! Muhuhuhuhahahaha! Dunque, avevo detto che lo avrei postato lunedì, ma visto che ho già pronto il prossimo e sto per scrivere quello dopo, eccolo a voi! XD  ho anche deciso di  cambiare font di scrittura perché ultimamente questo mi piace di più... e anche per cambiare un po'!
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** SNEAKY snake ***


Era la mattina della mia partita, e sentivo che entro breve avrei vomitato. Anche l’idea di ingoiare del succo di zucca mi nauseava, specie perché tutto il mio tavolo continuava a lanciarmi occhiatine più o meno furtive che sapevano vagamente di minaccia. Non era certo impossibile battere i Corvonero, questo era certo; ma neppure era facile, specie perché la nostra squadra non era esattamente.... beh, unita. Zabini, poco distante, si era immerso nella lettura del giornale per non far notare a nessuno il suo colorito cadaverico. Mulciber si ingozzava come un maiale, evidentemente sperando di togliersi dalla testa la partita imminente, Tiger e Goyle si scambiavano alcune brevi frasi con espressione ugualmente ebete, e la Bullstrode lanciava a tutti occhiate assassine. Roberts non si vedeva da nessuna parte – probabilmente era in bagno a vomitare. O a cercare di nascondersi. Forse sperava che, se non avesse fatto vedere la propria faccia in giro, in caso di fallimento nessuno lo avrebbe riconosciuto. Vana speranza.
McNair mi guardava di sottecchi, poco distante. Quando, poco prima, mi aveva augurato buona fortuna, per poco non lo avevo mandato a quel paese. Aveva riconosciuto subito che non tirava una bella aria, perciò era svanito prima che potessi sfogare la mia ira ingiustificata su di lui. Nott – il quale, sospettavo, invidiava un po’ la gloria dell’essere giocatori – non era neppure sceso a colazione, sostenendo che aveva da fare, e che avrebbe  fregato da mangiare dalle cucine, più tardi.
Astoria invece era seduta accanto a me, ma mi ignorava quietamente. Da quando mi aveva informato che Potter era meglio di me a giocare avevo fatto del mio meglio per recitare la parte dell’offeso, ma senza scalfirla minimamente. Anziché offendersi o fingere che non esistessi, si limitava a comportarsi come faceva sempre – ma senza rivolgermi spontaneamente la parola.
Cominciai ad accoltellare il bacon, occupazione che mi permise di recuperare, almeno in parte, la mia consueta serenità d’animo. Se avessi giocato bene – ma non potevo sperarlo – non avrei dovuto sperarlo – sarei riuscito a riacquistare un po’ di popolarità tra i miei compagni?
Mentre ci meditavo su, un enorme gufo grigio planò assieme a pochi altri verso il nostro tavolo, appesantito da un plico eccezionalmente voluminoso, atterrando davanti a me e tubando soddisfatto per il successo della sua impresa. Non era un gufo della scuola, ma quello del Profeta. Attese pazientemente che slegassi l’involto di carta che teneva attaccato alla zampina, e che lo pagassi – poi spiccò il volo in tutta fretta.
Sollevato all’idea di avere qualcosa da fare, osservai il pacco. Naturalmente avevo già un’idea di che cosa contenesse, ma sarebbe stato controproducente mostrarlo davanti  a tutti. Mi limitai a leggere l’indirizzo vergato in un’anonima scrittura antiquata: “Signor Draco Malfoy – Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts” e, poco più sotto, “La Gazzetta del Profeta”.
Aprii invece il giornale che vi era allegato, il numero odierno. Il titolo di pagina, riportato in caratteri di uno squillante color vermiglio, recitava: IL MINISTRO KINGSLEY VARA NUOVE RIFORME PER LA TUTELA DEL MONDO MAGICO E BABBANO. Osservai la foto allegata, naturalmente a colori. Il ministro era raffigurato nell’atto di stringere la mano a dei rappresentanti delle forze di polizia babbane. Puah. Questo era il genere di cose nella quale la Granger e i suoi sarebbero sguazzati. Solo poi mi vennero in mente due cose: il primo, che Kingsley era effettivamente uno dei membri dell’Ordine. Secondo, che ufficialmente lo ero anche io.
Mi sentivo prossimo al collasso. Allungai la mano verso il succo di zucca, ma mi arrestai a metà del movimento quando lessi il secondo titolo che, più in basso, troneggiava sulla prima pagina. CONTINUANO LE MISTERIOSE SPARIZIONI A LONDRA – sospetto coinvolgimento di Colui – che – non –deve – essere – Nominato. Rimasi a fissare la pagina, interdetto, diversi secondi.
Dunque, dopo che aveva chiamato a sé i suoi seguaci, il Signore oscuro aveva cominciato a darsi da fare. E se avessero scoperto la sua ubicazione? Che cosa ne sarebbe stato di me, e della mia sicurezza? L’opinione pubblica si sarebbe scagliata in massa contro i Malfoy – era inevitabile – ma l’Ordine? Mi avrebbe creduto se avessi giurato loro di esserne all’oscuro? Mi avrebbero protetto comunque?
Ero terrorizzato. Mi resi conto, in ritardo, che la mia mano era ancora sollevata a mezz’aria. Afferrai il giornale con entrambe le mani tremanti e lessi quello che segue:
 
Non vi sono tracce ancora dei responsabili delle misteriose sparizioni che stanno terrorizzando la Londra magica e non solo. Si sospetta che si tratti degli stessi ignoti che, mercoledì scorso, hanno ucciso Eveline e Frances Rosier, lontane parenti del noto ex Mangiamorte, forse perché considerate “traditrici” del loro sangue. Eveline, la più giovane, si era diplomata alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts solamente due anni fa come Corvonero, e si stava preparando per sostenere alcuni degli esami che l’avrebbero giudicata idonea a insegnare Babbanologia. «Era una ragazza perbene, si» racconta Dedalus Lux, che era stato contattato dalla Rosier per ragioni di studio qualche tempo prima, e aveva avuto modo di conoscerla. «Mai una parola fuori posto... mai una diverbio con la sorella Frances, nonostante fossero di Case diverse... più volte mi aveva raccontato di voler dimostrare che tra lei e il cugino Mangiamorte non esistevano vincoli».
Questa ondata di terrore, notevolmente incoraggiato da questo ultimo omicidio, ha portato l’opinione pubblica a puntare il dito contro i Mangiamorte ancora latitanti, che sembra abbiano ripreso la loro attività nella capitale. «L’invito che rivolgiamo alla popolazione» ha detto Kingsley ieri, durante...
 
«Che cosa leggi?». La domanda di Astoria mi fece sobbalzare. La guardai, spaesato, prima di capire il senso della sua domanda. «Nulla di importante» dissi, sforzandomi di sembrare indifferente, ma affrettandomi a piegare il giornale per riporlo sotto al piatto. Dovevo avere un aspetto di merda, ma forse poteva passare per il panico pre-partita.
«Sicuro? Sembra che tu abbia ricevuto brutte notizie» fece lei, impenetrabilmente curiosa, fissandomi i suoi occhi neri addosso. Deglutii, ma non diedi altro segno di panico. «No, no» dissi, portando alla bocca il calice pieno nel tentativo di recuperare tempo. Merda. Merda. Merda. Dovevo fuggire. Anzi, no, dovevo parlare alla Granger. Era la cosa migliore; raccontarle tutto quanto, implorarla di credermi, strisciare se necessario... ma se fossero andati a cercare il Signore Oscuro e li avessero catturati? Se il Signore Oscuro li avesse beccati, e avesse visto che ero stato io a tradirlo? Sarei riuscito a mentirgli, a dirgli che lo avevo fatto per mandarli dritti in una trappola? Un conto era nascondergli dei dettagli, ma mentire a una sua domanda diretta? Sarei riuscito a farlo? Avevo una tale faccia tosta, un tale coraggio?
«Draco?». Ancora una volta mi ero perso nei miei pensieri. Notai che Astoria si era sporta appena verso di me, le sopracciglia elegantemente aggrottate. «Non sembri affatto stare bene» disse, sottolineando graziosamente l’”affatto”.
«Certamente. È il nervosismo da partita» dissi, e sforandomi di darmi un contegno infilzai del bacon ormai freddo e me lo cacciai in bocca, pregando di non vomitare davanti a tutti. Con gli occhi cercai involontariamente la Granger, che sembrava immersa in un fitto dialogo sottovoce con i suoi amici, nessuno dei quali faceva caso al sottoscritto. Avrei potuto raggiungerli mentre si alzavano per dirigersi agli stadi... o forse era meglio aspettare per non dare nell’occhio? Era alquanto patetico considerare Potter e la Granger come un’ancora di salvezza, e mi turbava essere giunto a questo punto, ma eh, biasimatemi se potete. In fondo erano loro ad atteggiarsi a salvatori.
«Se è così, allora non preoccuparti» disse lei, flemmatica. «Il Cercatore è quella Chang, non è forse così? È molto veloce, magrolina com’è, ma guida una Comet Centosessanta e oggi c’è un vento particolarmente intenso. Tu avrai sicuramente la possibilità di fare manovre più precise, e poi, non è poi chissà quanto brava».
«Non avevo dubbi in proposito» dissi, cercando di essere freddo, ma con l’unico risultato di emettere uno sgradevole squittio che non aveva alcuna connessione con le mie prestazioni sportive, o quelle della Chang. Specie con quelle della Chang.
«D’accordo» disse lei, tornando al suo riso soffiato con una scrollatina di spalle particolarmente ben riuscita.
«Scusatemi» disse allora una voce sognante alle nostre spalle. Mi voltai, e vidi quella pazza di Luna Lovegood in piedi di fronte a noi. indossava una sciarpa con i colori di Corvonero attorno al collo, ma dalle orecchie le pendevano due enormi orecchini. Uno dei due rappresentava un grande uccello nero, a dire la verità un po’ spennacchiato, che sembrava piuttosto affaticato da una corona che portava sul capo. L’altro era un Serpente che sembrava sotto l’effetto di droghe, a causa dei due grandi occhi formati da due pietrine scintillanti di colore verde.
«Che c’è?» le chiesi, scorbutico.
«Voi conoscete Nott, non è vero?» chiese la ragazzina, guardandomi con i suoi occhi sporgenti. Faceva venire i brividi, e non era quello di cui avevo bisogno, al momento. «Già» risposi io, cauto, ricordando le parole del mio amico su di lei. Nel frattempo più di un Serpeverde si era accorto della ragazza, e ci guardava facendosi scappare delle risatine. Ero sempre più irritato.
«Lo avete visto, per caso? Volevo fargli gli auguri» disse la Lovegood.
«E per cosa?».
«Per la partita» disse lei, e indicò i suoi orecchini con un sorriso. «Volevo solo assicurargli che anche nel caso in cui avessimo perso, noi Corvonero la prenderemmo con Sportività».
«Non penso nutrisse serie apprensioni al riguardo» dissi, con un sorriso sprezzante.
Lei mi guardò. «Oh, non saprei» disse lei. «In ogni caso, volevo anche dargli questo». E come dal nulla, estrasse una copia di quello che era, senza dubbio alcuno, il Cavillo.
 Me lo tese, ma io non feci il minimo accenno di prenderlo. «Che cosa?».
«Papà ha scovato un testimone molto interessante sulla rivolta dei Goblin di cui gli parlavo» disse lei, innocentemente. «Perso che sia giusto che lo sappia, la sua famiglia non ci fa una gran bella figura, anche se forse potrebbe essere un semplice fraintendimento».
«Se è per questo» dissi in tono di scherno, «Nott non userebbe il Cavillo neppure come carta igienica». La Lovegood mi guardò con i suoi occhi spropositati, apparentemente indifferente. «E’ normale che tu voglia osteggiare papà. Lui è l’unico ad aver portato all’attenzione pubblica il fatto che i Ricciocorni Schiattosi siano una specie in via di estinzione grazie alle battute di caccia del diciottesimo secolo a cui molte famiglie, compresi i Malfoy, partecipavano». E detto questo si allontanò canticchiando tra sé.
«E’ completamente pazza!» dissi ad Astoria, i cui occhi erano fissi laddove Luna Lovegood era sparita.
«Xenophilius Lovegood è un tipo strano» concesse Astoria, meditabonda, la fronte corrugata. «Sai, mio padre ha dovuto avere a che fare con lui una volta, in seguito a una delle sue pubblicazioni più deliranti». Vedendo la mia espressione perplessa, chiarì: «mio padre fa parte del Wizegamot, non lo sapevi?». Io scossi la testa, sorpreso, e lei fece un sorrisetto prima di continuare. «Beh, oltre ad avere la passione per le storie inverosimili, pare si dedichi a esperimenti piuttosto pericolosi. È così che è morta sua moglie, mi è sembrato di capire; un qualche incantesimo le deve essere andato male. Ho sentito che  si sta dedicando a ricreare il diadema perduto di Corvonero» e non riuscì a evitare di alzare gli occhi al Cielo, scettica, «tanto che ha contattato un amico di mio padre all’Ufficio Brevetti Magici per fissare un incontro e mostrarglielo».
«Una  famiglia di pazzi» dissi, scuotendo la testa.
«Già. La cosa peggiore è che sembra che lui appartenga a qualche strana setta. I soliti sciroccati che si credono illuminati, eccetera. Pare che la setta sia nata a Dumstrang, anche se non so altro». Astoria sorseggiò il suo succo di zucca con aria dignitosa, come a dire, “grazie a Dio non ci sono dentro”. «La piccola Lovegood è stata molto sfortunata a crescere in una famiglia simile. Come tutti i Corvonero, deve avere grandi potenzialità».
«Ma andiamo!» sbottai, esasperato. «E’ più scoppiata di uno Schiopodo Sparacoda!».
Lei sorrise. «Spesso i geni sono quelli più spostati».
«In ogni caso non se ne fanno molto, della loro intelligenza» dissi io ragionevolmente, «se la utilizzano solamente per inventare stupidi complotti che coinvolgono Ricciorutti Spocchiosi, o qualche Goblin cucinato in crosta, o... o...».
«Credo si chiamino “Ricciocorni Schiattosi”, ed è normale che la leggenda sulla loro esistenza si sia alimentata. Da lontano, le manticore...» cominciò Astoria, ma fu interrotta da Zabini, che sopraggiunse con la sua aria da funerale. Non sembrava felice. Mi sono sempre chiesto perché avesse deciso di fare il Portiere, anziché cominciare come Cacciatore. Ma visto le risorse umane, immagino fosse inevitabile.
Il suo arrivo mi riportò a questioni più urgenti. «Tra mezz’ora dobbiamo essere in campo» mi annunciò Zabini, tetro. «Spero che tu sia pronto».
«Naturalmente» dissi, fingendo noncuranza.
«Ottimo, perché lo sono anche i Corvonero» mi annunciò. «Anche se Cho Chang sembra nervosa, la loro squadra è fin troppo buona, mentre la nostra...» e scosse il capo.
«Cerca solo di non farne passare troppe, Zabini» dissi con un sogghigno.
«in campo tra mezz’ora» disse lui acido, andandosene.
«Perché lo provochi?» chiese Astoria quando Zabini non fu più a portata d’orecchi. «In fondo, se lo demoralizzi, farà male a tutta la squadra».
«Zabini deve imparare a stare al suo posto» dissi io, imbronciato.
«Non mi sembrava particolarmente aggressivo».
«Mi odia, d’accordo? Ci siamo sempre odiati, e sempre ci odieremo. Fine della storia».
«Ok» disse lei indifferente.
Un istante di silenzio. «Verrai alla partita?».
«In realtà avrei voluto approfittarne per studiare» disse lei, e io ci rimasi male. Feci finta di nulla e alzai le spalle nel gesto di indifferenza per antonomasia. «Se vuoi che assista, comunque, verrò» soggiunse dopo avermi osservato un istante.
«Fa come credi» dissi io, facendo finta di nulla.
«Buona fortuna» mi disse, prima di accodarsi per uscire dalla Sala. Speravo che sarebbe venuta. Avrei dimostrato a lei e agli altri che cosa significasse essere un Malfoy.
Il che mi riportò a un’altra questione. Mi voltai verso il tanto odiato tavolo di Grifondoro. Potter e i suoi amici si stavano alzando proprio in quel momento. Non volevo avvicinarmi a loro davanti a tutti, ma speravo che avrebbero guardato nella mia direzione visto che scrutavano con attenzione l’ambiente circostante. In effetti Potter finì per incontrare il mio sguardo; io lo fissai con aria eloquente. Lui si mosse, a disagio... e guardò altrove.
Seguii la folla che usciva, ma continuai a guardare i tre nella speranza che mi degnassero di un’occhiata. Alla fine, comunque, fui costretto ad accelerare il passo per non finire intrappolato tra la folla. Rischiavo di non arrivare in tempo. Corsi attraverso il parco superando la fila di persone che si avviava verso lo stadio; udii perfino qualche “buona fortuna” appena accennato provenire da dietro la sciarpa di qualche coraggioso Serpeverde. Sfrecciai nello spogliatoio dove i miei compagni già si stavano infilando la divisa. Zabini aprì la bocca, come per rimproverarmi, ma rinunciò in partenza. Non sembrava affatto ottimista. Fui molto lesto a indossare la mia strepitosa divisa verde e argento. Quando strinsi convulsamente le dita attorno al manico della mia scopa, attendendo pazientemente che Zabini pronunciasse il suo stupido discorso incoraggiante, mi sentii un po’ più sicuro. Non c’era più molto tempo per pensare.
«Ho ricevuto conferma da Madama Bumb poco fa» disse il nostro capitano alla fine. «Pare che quell’idiota di Stubbins sia ancora in infermeria dopo aver mangiato cacca di Doxi. Lo hanno sostituito con Nickleby, e diciamocelo, non vale granché, nonostante tutta la sua stazza... Rogers e Dawlish non sono certo battitori fenomenali, nonostante se la cavino... Stevenson è piuttosto bravo a segnare, ma guida una sordida Scopalinda, e per quanto riguarda Wilkins, beh, non l’ho mai visto giocare, ma non sembra troppo sveglio per essere un Corvonero. La Chang è sotto pressione, ma resta una Cercatrice decente, e anche Bradford se la cava come portiere...».
«Abbiamo già discusso tutte le strategie del caso» dissi io in tono fintamente annoiato.
Lui mi fulminò con lo sguardo. «Sempre meglio ripassare» disse, e i suoi occhi andarono automaticamente a Tiger e Goyle, non senza una certa sfiducia. Era chiaro che non avremmo potuto contare su grandi strategie con loro.
«Cerchiamo di non esagerare con i colpi bassi» ci ammonì Zabini, in tono autoritario.
«Ma se riuscissimo a spaventare la Chang a dovere...» cominciò Mulciber, poco convinto.
«Lasciatela a Malfoy» disse il capitano, in tono appena acido. «Non voglio cominciare il campionato rendendomi impopolare a Madama Bumb, capito? Tiger e Goyle sono più che sufficienti a stordirli in maniera del tutto lecita. Tu, Mulciber, concentrati sul novellino, Wilkins, come ti ho detto, e lascia a lei» indicando la Bullstrode che ci guardava arcigna, «il compito di ostacolare Stevenson. In ogni caso non può competere con una Nimbus». Sembrò riprendere un po’di colore a quel pensiero. «E per l’amor del Cielo, Roberts, non fare più quella cosa con la scopa... non ne saresti comunque in grado». Roberts nemmeno rispose. Tutto il suo esibizionismo esibito durante le prove, fatto di svolazzi artistici e battute da gradasso, era svanito.
Avevo smesso di ascoltare. Pensavo a quello che mi aspettava. Certo, anche se avessimo perso, non sarebbe stato tutto perduto. Ma io non volevo perdere. Io volevo vincere. Dovevo vincere. Diciamocelo, il mio karma me lo doveva.
«E tu, Malfoy...». Mi riscossi e guardai Zabini. Gli altri erano già in piedi e fissavano la porta dello spogliatoio. «Non fare cazzate» mi disse alla fine. «Non possiamo permettercele. Dimostrami che non ero sotto l’influsso di un litro di Ogden Stravecchio quando ti ho preso in squadra».
Io lo guardai.
«Se è così, dovresti essere ubriaco più spesso, Zabini» gli risposi. E, con il cuore a mille ma la faccia di bronzo più resistente che fossi riuscito a mettere assieme, mi parai davanti alla porta dello spogliatoio, accanto a Zabini.
La porta si aprì.
Come sempre, un oceano di facce esultanti (naturalmente non esultavano per noi, ma comunque) ci fissava. Un esercito di omini con i colori di Corvonero – e un quarto con quelli di Serpeverde – che vociava soddisfatto mentre inforcavamo le nostre scope e aspettavamo il segnale.
Madama Bumb fischiò. E io partii.
L’aria era gelida, ma questo non fece altro che risvegliarmi dal mio stato di insensibilità parziale nel quale ero caduto. Sfrecciai in alto, godendomi per un attimo la sensazione meravigliosa dell’aria sulla pelle. Stavo volando, di nuovo, finalmente. Sorridendo, nonostante l’adrenalina in circolo, sorvolai il campo dall’alto e presi a guardarmi intorno, mentre nelle orecchie risuonava la telecronaca. A farla era un tizio particolarmente entusiasta la cui voce mi era sconosciuta.
«Partiti! La palla passa subito a Serpeverde con Mulciber, la punta dei Cacciatori dei Serpeverde... almeno, credo... beh, penso di si. Oh, che rischio! Ha evitato Rogers senza problemi,con una finta... ammesso che si chiami così... in ogni caso non è riuscito a prendere la palla... Oh! Ehm... nel frattempo l’intervento di Dawlish ha permesso a Nickleby di prendere la palla... suppongo che fosse Dawlish, anche se non si legge molto bene il nome sulle divise... beh, il Battitore più grosso, insomma... Nickleby dribbla quel tizio... come si chiama... Bullstrode..?» un istante di silenzio. «E’ una ragazza...? Sul serio?». un coro di risate dalla platea. Alcuni rumori più attutiti che il microfono diffondeva facevano sembrare che ci fosse una sorta di colluttazione tra il tizio e la McGranitt per il possesso del microfono. “La prego, lo lasci continuare!” pregò qualcuno, e la preside lasciò perdere. «Canon, smettila di divagare!» si sentì strillare, provocando l’ennesimo scoppio di risa.
«Mi scusi... davvero non avevo idea...» Colin Canon – ora sapevo chi era – era costernato. «Ehm... ecco... nel frattempo non è accaduto granché... credo che Nickleby abbia perso la palla per sbaglio.... in ogni caso, beh, adesso Wilkins si dirige verso gli anelli... fallito il tentativo di Goyle di fermarlo... si prepara... FORZAAAA..... Fallo!».
Un boato di protesta. Distolsi lo sguardo dalla mia ricerca per fissarlo sulla scena più in basso. Madama Bumb aveva appena fischiato e ora diceva qualcosa a Goyle, che si stringeva nelle spalle. «CHE COSA VI HO DETTO??? NON. FATE. FALLI!» ululava Zabini inferocito. Wilkins era bianco come un cencio, afflosciato sul manico di scopa. La Bumb era china su di lui, preoccupata.
«Non è stato corretto!» diceva intanto Canon. «Gli ha dato un colpo con la mazza, avete visto? Ooh, è già qualcosa che non si sia fatto male! Secondo voi la Chips dovrà riattaccargli qualche dente?». Pareva non si fosse accorto di avere il microfono acceso.
«Canon! Attieniti ai fatti!» lo rimbrottò la McGranitt.
«Ehm... era acceso? Non sapev... aspettate, stabilita la punizione a favore dei Corvonero. Wilkins – ce li ha ancora tutti, i denti...? – ehm, scusi, professoressa... come dicevo, Wilkins si prepara a tirare.... tira... E SEGNA!!! Vai così, Wilkins! Yahoo!».
Zabini era furibondo. La partita non cominciava bene. Alzai lo sguardo in alto, alla ricerca del Boccino, ma non vidi nessun baluginio rivelatore. La Chang, poco più in basso, si aggirava tra i giocatori come in un sogno.
«Siamo dieci a zero per Corvonero, gente... la palla è di nuovo in mano a Nickleby... spero non la faccia cadere di nuovo... no, la passa a Wilkins, che la passa a Rogers, che... se la fa rubare dalla Bullstrode... davvero, non avevo immaginato... comunque avanza... perbacco, come lo ha schivato! Piuttosto notevole visto la sua stazz... voglio dire, notevole. La passa a Mulciber, che la passa a Roberts, che... la prende in testa!» Canon era esilarato. «La recupera Rogers... io personalmente sarei stato troppo impegnato a ridere per... ehm... si, come dicevo, la palla è in mano a Rogers, che avanza... COLPITO! Colpito dal bolide di Tiger... No, Goyle... quale dei due è quello grasso? Goyle? Bene, Bolide piuttosto violento di Goyle... Rogers perde la palla, naturalmente... la prende Wilkins.... ottimo acquisto, i miei complimenti a Bradford per averlo scovato... E SEGNA! VAI COSI’, CORVONERO!».
Imprecai sottovoce. La squadra dei Corvonero lavorava meglio del previsto. Scesi di quota mentre la partita veniva riavviata. Possibile che non si trovassero tracce del Boccino? Zabini mi aveva detto di aspettare fino a che non avessimo segnato almeno cinque volte prima di prenderlo; avevamo bisogno di almeno 200 punti per cominciare bene la classifica.... ma prima o poi il Boccino si sarebbe visto.
«... Mulciber... sempre Mulciber... va verso gli anelli.... si avvicina... accidenti, nessuno lo ferma... vai, Bradford... noooooooo!». Mulciber tornò verso la porta, trionfante. «Siamo venti a dieci per Corvonero... accidenti, spero che Bradford non ne faccia più passare...».
Purtroppo per noi, infatti, dieci minuti più tardi i Corvonero conducevano per 40 a 10. Preoccupato volai verso Zabini. «Zabini! Ma che diavolo hai in testa?» gli gridai.
Zabini mi guardò, livido. «Tu pensa al Boccino!».
«Non riusciremo mai a fare altri quaranta punti di questo passo!».
«Fa come ti dico, maledizione! Chi è il capitano, tu o io?».
«Non sei concentrato! Dannazione, tu dovresti essere un Cacciatore, non un Portiere, perciò almeno dovresti stare concentrato!».
«Io sono concentrato!» sbraitò lui, ma mentiva. Me ne ero accorto.
«Perché non cerchi di segnare anche tu?».
«Non posso lasciare la porta incustodita!».
«Non lasciate che prendano la palla, allora!» replicai. E volai via senza attendere una risposta.
«...perso la palla, che peccato, Rogers! La recupera la Bullstrode, che la passa a Roberts, che la ripassa alla Bullstrode... che segna! Che sfortuna, Bradford!».
«Anita!» gridai alla Bullstrode. «Non passarla più a Roberts! Piuttosto tirala a Mulciber!». La ragazza mi guardò, poi annuì. Mi voltai verso Roberts, il quale non aveva nemmeno reagito al mio commento. «Sta’vicino alla porta e difendila, capito?» gli intimai, e lui fu lieto di filarsela.
«Chi cazzo pensi di essere, il Capitano?» mi disse Mulciber  mentre gli volavo di fianco.
«Almeno io porterò a casa dei punti!» lo provocai, mentre mi allontanavo.
«Siamo 40 a 20 per i Corvonero, ma sfortunatamente sembra che i Serpeverde stiano ingranando. La palla è  in mano alla Bullstrode... Roberts non sembra propenso ad avvicinarsi... Mucilber... Bullstrode... ancora Mulciiber... Bullstrode... e segnano!» disse Canon, mesto.
«CANON, adesso basta! Se non sei capace di essere obbiettivo...».
«Mi scusi, professoressa...».
«Non voglio sentire commenti di parte...».
«Dicevo solo che se quelli di Serpeverde vincono...».
«Signorina Patil! Le dispiacerebbe fare lei la cronaca?».
«Io... non credo di...».
«Ma professoressa, non è giusto!».
«Su, non sia sciocca, è una semplice cronaca...».
Tutto il dialogo, perfettamente udibile, mi aveva distratto da cose più importanti. Intravidi di lontano un baluginio. Non ero sicuro fosse il Boccino, comunque, quindi mi avvicinai fingendo di osservare la partita e di cercare un punto di osservazione migliore.
«Buon – buongiorno» balbettò una delle sorelle Patil (difficile capire quale). «Dunque, adesso... mmh... uno di Corvonero...»
«Rogers» suggerì risentito Canon.
«Si, grazie, Colin.... dunque, ha la palla... no, aveva la palla... la recupera Malliber...».
«MULCIBER!».
Nel frattempo mi ero elevato di diversi metri senza che la Chang mi notasse. In compenso il baluginio era svanito. Lo cercai con lo sguardo.
«...Mulciber... ecco, la prende la Bullstrode, che la ripassa a Mulciber... e... e... a Blaise Zabini?».
«Che diavolo sta facendo?» si sentì Canon dire, alle spalle di lei.
«Zabini prende la palla» disse la Patil, alzando la voce. «con una mossa assai azzardata... E SEGNA! 30 a 40!».
«Oh, ma andiamo, ma è consentito?».
«CANON! La smetta di interferire con la cronaca!».
«Non sto interferendo, solo...».
Esultante, mi voltai verso Zabini. Incredibilmente, sembrava perfino più infelice di prima. La Bullstrode lo guardava come se fosse pazzo. Quando la Bumb rilanciò la palla, fu lesto a prenderla e a passarla alla Cacciatrice, che prontamente la prese. Trionfante, mi voltai verso Roberts, che volava attorno agli anelli.
«....di nuovo la Bullstrode... Zabini la prende per un pelo, davvero... Mill... ehm... Mulciber... INCREDIBILE! SERVEPERDE HA PAREGGIATO!».
In quell’istante di trionfo, notai finalmente il Boccino. Era poco più in alto della testa di Cho Chang. Se lo avesse visto...
In un istante, decisi. Mi tuffai verso il basso, deciso a distrarla. C’erano buone probabilità di non vedere più il Boccino, una volta risaliti... ma se non si fosse mosso troppo, forse sarei riuscito a scartare verso l’alto e seminare la Chang. Così mi appiattii contro il manico di scopa, e sentii la ragazza seguirmi. Non sentivo più nulla della cronaca, né mi importava.
Mancava poco al terreno.... sempre meno.... sempre meno... tra un po’ sarebbe stato davvero rischioso, senza contare che la Chang avrebbe potuto decidere di abbandonare la picchiata e sarebbe stata in vantaggio...
Improvvisamente mi venne un’altra idea. All’improvviso puntai la scopa verso l’alto. Visto che la Chang ancora mi seguiva,rischiò seriamente di prender il controllo, ma lo recuperò. Filai velocemente a un metro da terra, attraversando tutto il campo, poi cominciai a salire. Non volevo che si accorgesse che avevo una meta. Ero certo che, se mi avesse seguito concentrandosi solo sulla mia figura, non si sarebbe pienamente resa conto del fatto che stavamo salendo in ampie spirali. Difatti continuò a seguirmi, e nonostante cominciassi a sentire la nausea continuai. Acquistai ancora velocità, e lei mi seguì, mentre salivo... salivo... salivo... mi muovevo in ampi cerchi, che si intersecavano di tanto in tanto tra di loro perché non se ne accorgesse. Finalmente raggiungemmo il livello dei Cacciatori.
Quando ci avvicinammo a Wilkins, avevo raggiunto la velocità massima che potevo prendere nel freddo vento di novembre. Tesi la mano, come se avessi potuto afferrare qualcosa, in maniera tale che lei si concentrasse sul mio gesto... poi, sfruttando la superiorità di reazione della mia scopa, scartai verso l’alto. Finii per compiere una sorta di giro della morte, così che la Chang, improvvisamente confusa, si trovava sotto di me... e in rotta di collisione con Wilkins.
L’urto fu piuttosto violento. Quando mi raddrizzai, vidi che lui era aggrappato alla scopa con una mano, mentre la Chang sembrava perdere la scopa sotto i piedi a causa dell’urto. Difatti la vidi scivolare in avanti, e immediatamente intuii che sarebbe caduta.
Sotto di lei, uno scintillio dorato.
Non so esattamente da dove presi i riflessi. Forse era la botta di adrenalina particolarmente forte al pensiero che qualcuno stesse precipitando a causa mia. Fatto sta che, nell’esatto momento in cui la vidi perdere l’equilibrio, schizzai verso il basso. Quando iniziò a cadere, l’avevo ormai superata. Tuttavia, non cercai di afferrarla. Qualcosa nella mia testa mi gridava di rischiare, mi diceva che ce la potevo fare. Un’immagine mi attraversò la mente, troppo veloce perché potessi esaminarla. Continuai la mia discesa verso il basso, sentendo che, cadendo, mi stava raggiungendo... allungai la mano... chiudendola attorno a qualcosa... dopodiché, feci appena in tempo ad alzare lo sguardo, che la ragazza mi piombò addosso a peso morto, sbalzandomi via dalla scopa.
Atterrammo entrambi con una gran botta, cinque o sei metri più sotto. Mi sentii soffocare a causa dell’urto. Tutto il corpo fu attraversato da una intensa fitta di dolore. Stavo soffocando, più o meno come quando, più di un mese prima, ero caduto dalle scale. Qualcuno accorse, mentre cercavo di respirare.
Sentii qualcosa colpirmi con forza lo sterno. Tossii, più volte, e finalmente sentii che ricominciavo a respirare. Aprii e chiusi gli occhi, inondati di lacrime di dolore. Non riuscivo a mettere a fuoco. Respirai ancora, semisoffocato.
«Innerva!» disse qualcuno, ma naturalmente non servì a nulla. ero cosciente, solo che non ero esattamente nelle mie condizioni migliori. Riuscii, battendo le palpebre più e più volte, a mettere a fuoco la Bumb, che era atterrata accanto a me e mi stava soccorrendo. Mi accorsi solo allora di sentire un enorme peso sulle gambe; era Cho Chang, che scelse quel momento per puntellarsi con entrambe le mani sul mio corpo per alzarsi a sedere. Naturalmente avevo attutito io la sua caduta.
«Tutto bene? Malfoy, mi senti?».
«Si che la sento» riuscii a esalare. «Non lo vede che sono sveglio?».
«Ti sembra di avere qualcosa di rotto?».
«Mi sembra di non avere più le gambe» commentai, con voce roca. «E, più in generale, non sento granché».
La Bumb si accigliò. «Penso che sia meglio farti vedere da Madama Chips» disse.
Io mi misi faticosamente a sedere, e mentre lo facevo, mi ricordai del boccino che stringevo ancora nel pugno. Accidenti. Ero stato... beh, eroico! Vidi Zabini e la Bullstrode correre verso di me. «Draco? Sei ancora vivo?» chiese Zabini, che aveva gli occhi spalancati. Evidentemente il mio spettacolino gli era piaciuto.
Per tutta risposta, sollevai il Boccino. «Come dicevo» dissi, dopo essermi schiarito la voce, «ubriacati più spesso, Zabini».
Per tutta risposta, alzò gli occhi al Cielo. «Va’ in infermeria» mi disse, prima di voltarsi verso il resto della squadra, che si stava avvicinando. Cho Chang era già in piedi e attorniata da compagni volenterosi, ma per me, già il fatto che la Bullstrode mi stesse tendendo preoccupata la mano era un passo in avanti. Mi rialzai di scatto con il suo aiuto, sentendomi come carne macinata.
«Di quanto abbiamo vinto?» osai chiedere solo allora.
Zabini mi guardò, e fece una smorfia. Oddio, avevamo preso altri gol. Era stato inutile. «Duecentoventi a cinquanta».
Mi ci volle un po’ per registrare l’informazione. «Due..? quando avete segnato?» trasecolai.
«Mentre tu giravi in tondo come un pendolo» disse lui, ma il sarcasmo non li riuscì troppo bene. Guardò in alto un istante, poi tornò a guardarci. «Abbiamo vinto».
«Te lo avevo detto che dovevi fare il Cacciatore» dissi io in tono saccente.
«Non accetto arie saccenti da te, Malfoy» disse Zabini, soave, «specie dopo che ti sei fatto prendere in pieno dalla Cercatrice avversaria».
«Era tutto calcolato» ribattei, ma ero troppo contento per insistere. Con un sorriso beffardo, mi voltai verso i Corvonero. Non avevo neppure voglia di dileggiarli. Bradford mi guardava, accigliato, ma non incollerito. Miracolo!
«Buona partita» disse alla fine.
«Già» dissi, con il mio sorriso più trionfante. «Andiamo» disse allora Mulciber, sopraggiungendo. Mi posò una mano sulla spalla. «Ehi, Draco, muoviti! Andiamo a festeggiare!».
Ero sbigottito. Draco? Da quanto tempo Mulciber non mi chiamava Draco?
Venni sospinto da lui e Roberts – che mi era sinceramente grato per averlo tolto dalla zona d’attacco, anche se non voleva ammetterlo – a bordocampo, dove ci aspettavano i Serpeverde. Quando ci videro, scoppiò un boato festante. Tutti ci furono attorno, e finì che insistettero per portarci in trionfo fino alla scuola. Si, anche il sottoscritto. Anzi, dalla maniera in cui si complimentarono con me, sembrava quasi... beh, di tornare indietro.
Mentre avanzavo in trionfo, vidi Astoria venire verso di me. Mi sorrise con approvazione, e ricambiai con un sorriso a dir poco glorioso. Ero stato un eroe per la seconda volta in pochi giorni. Era quello che avevo pensato mentre mi tendevo per prendere il Boccino, e ancora lo pensavo. Beh, che dire? Avrei potuto abituarmici, in fondo.
«Signor Malfoy!» protestò Madama Bumb mentre ci allontanavamo. «L’infermeria...».
«Oh, non serve» la informai, sorridendo. «Non sono mai stato meglio».
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Eccomi tornata a voi. Posto subito per evitare di tenervi troppo in sospeso, visto che poi parto e non so in quale giorno della settimana posterò. Quindi, in esclusiva per voi, un capitolo interamente sportivo dove, per una volta, Draco fa esattamente quello che tutti sperano che faccia: una bella figura. Con inaspettate conseguenze, visto che sembra finalmente aver trovato il suo chackra. Per chi di voi si aspettava anche di avere il punto di vista di Hermione, aspettate pazientemente: il prossimo capitolo sarà nient’altro che la “gita” del trio protagonista in Grosvenor Square, 12, in contemporanea alla partita di Draco, dove avranno modo di confrontarsi con la temibile Augusta Elton.
Come sempre, breve nota con i titoli dei capitoli. “UNWANTED INITIATION” significa “iniziazione non voluta”, mentre “SNEAKY SNAKE” significaletteralmente “Serpente vile“, ed è un gioco di parole che ricorda come Draco sia stato un Cercatore insidioso, visto che to sneak significa “entrare di soppiatto” e da qui sneaky che significa “vile”... ricordandoci come comunque come Draco non sia esattamente un cuor di leone!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** To dare into the lare ***


Il numero dodici di Grosvenor Square, Londra, era un edificio in pieno stile vittoriano, piuttosto pretenzioso se si considerava il luogo. Non dubitavo che fosse infarcito di incantesimi e invisibile, o inaccessibile, a chiunque non fosse un mago. Io, Harry e Ron ci osservammo a lungo prima che Harry si dirigesse verso il portone e si fermasse di fronte a esso.
«Harry... che cosa aspetti?» gli sussurrai, come se avessi avuto paura di essere ascoltata.
«Non c’è il campanello» disse lui, piuttosto stupidamente. Alzando gli occhi al Cielo, allungai la mano verso il battente sagomato come una serie di foglie elegantemente intrecciate tra loro, e bussai tre volte con decisione.
Aspettammo, ma per almeno un minuto non accadde nulla. «Ehm, Hermione» disse Ron alla fine, incerto. «Forse dovremmo bussare di nuovo». Accanto a lui, Harry si toccò nervosamente la fronte liscia. Anche se non avevamo usato la Pozione Polisucco, avevamo ritenuto opportuno nasconderla, perché dubitavamo che la zia di Draco Malfoy potesse essere ben disposta verso di noi.
Stavo per seguire il suo consiglio, quando la porta si spalancò all’improvviso. Sulla porta si stagliava un uomo in un completo elegante ma antiquato, con tanto – Ron e Harry si scambiarono un’occhiata – di parrucca incipriata calcata sulla fronte sudaticcia.
«Ehm... salve» dissi io, visto che Harry non accennava a voler parlare. «Vorremmo vedere la signora Elton, se non le dispiace. Si tratta di affari molto urgenti».
Lui ci scrutò, impenetrabile. «La signora» disse, in tono lento, masticando appena le ultime sillabe della parola, «non riceve visite senza appuntamento».
«E’ davvero una questione molto urgente» disse Harry, recuperando l’uso della parola. «Riguarda un oggetto del quale è entrata in possesso da poco».
Lo sguardo del maggiordomo – o presunto tale – si affilò impercettibilmente. «Capisco» disse solamente.
«Se le dicessimo i  nostri nomi?» proposi io. «Potrebbe annunciarci e chiederle di essere ammessi?».
«Potrei» disse lui, cauto. «Ma questo non significa che debba farlo. La signora non è di buonumore, e se anche lo fosse, non gradirebbe di ricevere una richiesta simile».
«Siamo dei compagni di scuola di suo nipote Draco» disse allora Harry, senza neanche battere ciglio mentre lo chiamava così. Eccellente. «Non siamo venditori porta a porta, o gente pericolosa».
«E perché vi interessate di quello che la signora può o meno aver acquistato?» chiese lui colmo di sospetto.
«E’ una faccenda che riguarda anche suo nipote, ma è molto riservata».
«Abbastanza perché lei abbia utilizzato un incanto di camuffamento?» chiese il maggiordomo, andando dritto al punto. «I nostri sistemi di sicurezza ricalcano quelli della Gringott. Siamo in grado di riconoscere chiunque cerchi di camuffare il proprio aspetto».
«Si, è davvero una questione riservata» disse Harry, tranquillo.
Il maggiordomo parve stupito quando vide che non battevamo ciglio. «I vostri nomi, prego» disse. Mi chiesi se fosse normale che fosse così facile. Mi sarei aspettata che ci avesse sbattuto la porta in faccia; eppure non solo non lo faceva, ma non percepivo nessuna seria minaccia provenire da lui. Il che mi faceva pensare che forse Augusta Elton era di per sé sufficientemente temibile.
«Ron Weasley» dissi allora, indicando il mio amico dai capelli rossicci. Ron mi guardò con tanto d’occhi. avevamo stabilito di usare nomi falsi. Lo ignorai. Il maggiordomo lo fissò per un istante, piuttosto sorpreso. «Io sono Hermione Granger» dissi coraggiosamente. «E lui...» guardando Harry, «beh, diciamo che il suo nome dovrebbe preferibilmente restare segreto».
«Capisco» disse il maggiordomo. «Attendete, prego» e richiuse la porta.
«Ma sei pazza?» mi disse allora Ron, voltandosi per fronteggiarmi con uno sguardo a dir poco allucinato. «Avevamo deciso...».
«Non ci avrebbero fatti entrare» dissi io, con semplicità. «Se noi raccontiamo la verità fin dall’inizio, invece, la curiosità potrebbe essere sufficiente per lasciarci entrare».
«Ma è una Malfoy» protestò lui.
«Di questo ci occuperemo in seguito» stabilii. Harry, accanto a me, annuì. «Geniale».
Un paio di minuti più tardi, la porta si spalancò di nuovo. Il maggiordomo si inchinò. «Prego, entrate» disse, facendosi da parte. Noi entrammo in tutta fretta. L’atrio era una stanza buia, arredata con mobili di legno scuro e massiccio, pieni di intarsi e di quadri – alcuni dei quali non si muovevano.
«Seguitemi, prego». E il maggiordomo si mosse rapidamente verso una porta dall’altra parte della stanza. Entrammo in un secondo atrio, dove troneggiava un’enorme scalinata di marmo bianco. Alcuni candelieri d’argento in alcune nicchie delle pareti irradiavano una debole luce. Il tappeto srotolato sulle scale era di un verde intenso. Il maggiordomo saliva le scale con agilità, e noi dovevamo quasi correre per tenere il passo. Giungemmo al secondo piano quasi senza fiato. L’uomo ci condusse attraverso un lungo corridoio incredibilmente buio, ma non inquietante come avrei potuto aspettarmi. Infine si fermò di fronte ad una porta dall’aria robusta, e la aprì. «Dopo di voi» mormorò, e noi lo superammo.
La stanza doveva essere un salottino. C’erano tre ampie finestre, oscurate però da pesanti tende di broccato verde. Il pavimento era coperto da tappeti vermigli, e la stanza era dominata da un enorme caminetto niveo da cui proveniva un fuoco incredibilmente vivace. Su di un divanetto rossiccio stava semisdraiata una figura lunga e magra, avvolta in una vestaglia verde ricamata con alamari dorati. Era appena in ombra, ma i capelli di un nero vivo, mossi, foltissimi e lunghissimi, erano ben riconoscibili.
«Signora, questi sono i tre ragazzi» disse rispettosamente il maggiordomo.
«Ho capito. va’ pure, Damian» disse una voce solenne e melodiosa al tempo stesso. Damian avanzò per appoggiare sul tavolino un candeliere acceso, poi si dileguò in silenzio.
«Salve»cominciai io, in tono rispettoso.
«Umph». La donna si sporse appena in avanti per osservarci in tutta tranquillità, così che avemmo l’occasione per osservarla meglio a nostra volta. Doveva avere sui quarantacinque anni, e aveva i lineamenti caparbi che ci si sarebbe aspettati da una vera Malfoy. Tuttavia non somigliava affatto a qualcuno di loro, se non per gli occhi grigi e penetranti, dalle ciglia incredibilmente lunghe e provocanti. Era bella, anche se un po’ sfiorita.
«Beh, sedetevi, no?» fece, indicandoci con un cenno infastidito il divano di fronte al suo. Obbedimmo all’istante.
«Mi ha stupita sapere chi chiedeva di essere ammessa nella mia casa» iniziò a dire la donna. «Non credo che a memoria d’uomo un Weasley abbia osato varcare questa soglia». Ron si fece scarlatto, ma ebbe abbastanza buon senso per stare zitto. La donna lo osservò con un certo compiacimento.
«C’era una cosa di cui dovevamo discutere» disse allora Harry.
«E tu sei il mio ospite misterioso?» domandò lei, fissandolo. «Piuttosto ingenuo, da parte vostra, pensare di poterlo far passare sotto silenzio. naturalmente  leggo il Profeta, anche se è spazzatura, e so fare due più due. So bene che Ronald Weasley, la cui famiglia si è da tempo macchiata agli occhi della comunità Purosangue, frequenta abitualmente Hermione Granger, nata babbana nonché migliore alunna del suo corso, e Harry Potter, la cui fama lo precede». I suoi occhi lampeggiarono pericolosamente.
«Ehm... bene» disse Harry, nervoso. «Ora che ci siamo presentati, penso che le interesserebbe sapere...». lei lo zittì con un unico, gelido sguardo.
«Si, la vostra fama vi precede» disse, in tono soave. Ma era obbligatorio per essere un Malfoy, parlare sempre come un cattivo delle serie TV? Era irritante. «So della vostra avventura al Ministero, e so anche che sono stati i vostri compagni dell’Ordine ad arrestare Draco dopo l’attentato a Silente». Si fece pensosa. «Ma mai mi sarei aspettata di vedervi entrare in questa casa, e pretendere di ricevere udienza». E fece una risata roca. «Piuttosto avventato, ma naturalmente, le azioni avventate sono il vostro forte».
«Facciamo ciò che è necessario» disse Harry.
«Davvero?» disse lei, interessata, giocherellando con una ciocca dei suoi bellissimi capelli neri. «E in che modo questo coinvolgerebbe me, o i miei averi?».
«Vede, signora Elton...».
«Nessuno mi chiama più “signora Elton”» mi corresse lei, pigramente. «Signora Augusta è sufficiente».
«D’accordo» dissi io, schiarendomi la voce. «Signora Augusta, siamo venuti perché un cimelio della famiglia di Harry è stato rubato, e venduto a lei»
«Che genere di cimelio posso aver sottratto alla famiglia Potter?». Era evidente che mi stava stuzzicando. Arrossii.
«Si tratta di un medaglione che Harry aveva ereditato dal suo padrino, Sirius Black» spiegai in fretta. «Era un ricordo molto... molto importante per lui, e vorremmo riaverlo».
«Commovente» commentò Augusta Elton, sbadigliando.
«Vorrei riaverlo» disse Harry, con voce atona. «E’ molto importante per me».
La signora Elton si stiracchiò appena. «Ma dove è finito Damian?» mormorò tra sé, infastidita. «Damian!» chiamò poi ad alta voce, facendo sobbalzare Ron, che non se lo aspettava. Bastarono quindici secondi, durante i quali ci guardammo, tesi, quasi aspettandoci di ricevere un attacco a sorpresa, e Damian riapparve, la parrucca un po’ storta. «Si, signora?».
«Non avete ancora preparato il thé?» chiese lei, evidentemente irritata.
«Io... io ero impegnato con Rodolphus, signora, non ho controllato».
«Beh, puoi controllare adesso, giusto?» fece lei, insofferente. «L’ho ordinato da quasi dieci minuti».
«Si signora». E svanì di nuovo.
«Terribile. È l’unica parola adatta a descrivere la servitù al giorno d’oggi. Spaventosa. Pigri, indolenti»  scosse il capo, provocando un’onda nei suoi capelli folti e lucenti. «Non li si punisce mai abbastanza». Il pensiero di elfi domestici torturati mi fece salire i fumi al cervello. Non riuscii a trattenermi dal chiedere: «Forse sono troppo pochi per quello che devono fare».
«Cielo! Direi che sette sono più che sufficienti» fece lei, stupita e anche un po’ offesa. Sette? Per una casa di città? Mi sentii soffocare. Non volevo certo mettermela contro, comunque, quindi studiai un modo per protestare garbatamente. Mentre pensavo, la porta si spalancò ancora una volta, ma meno gentilmente, e fece capolino un ragazzo vestito come Damian, e evidentemente poco a suo agio con il suo abbigliamento. Si inchinò, mentre il vassoio oscillava lievemente. Lo raddrizzò goffamente, e si affrettò a posarli sul tavolino che ci separava da Augusta, la quale fece un cenno insofferente. Il ragazzo corse via.
«Come vedete, non hanno il minimo senso di eleganza» proseguì la donna, ignorando l’interruzione. «Mi sento sempre come se stessi buttando via i miei soldi...».
La guardai, troppo sorpresa per mantenere un certo contegno. «Lei... lei paga i suoi elfi domestici?».
Lei mi guardò con i suoi occhi penetranti, prima di fare una smorfia di sufficienza. «Non sono mio cugino Lucius. Non è nel mio stile, tenere uno stuolo di elfi domestici pronti a chiudersi la testa nel forno a richiesta... no» e scosse la testa. «Ho sette servitori, tutti e sette Magonò». E sorseggiò il thé come se la questione non la riguardasse affatto.
Il suo discorso mi sorprese. Cominciai a capire perché Draco Malfoy si trovasse in imbarazzo quando si trattava della zia. Di sicuro non era una compagnona, ma dal suo tono era evidente che non doveva intrattenere buoni rapporti con il resto della famiglia. Certo, questo non significava che dovesse intrattenerli con noi.
«In ogni caso...» fece Harry, riportandola all’argomento precedente, «riguardo a medaglione...».
«Si, il medaglione. Beh, quando l’ho  trovato da Magie Sinister ho subito capito di che si trattasse. Naturalmente anche Sinister lo sapeva; lo aveva riconosciuto. Pare che gli fosse già capitato tra le mani in precedenza, perciò sapeva molto bene quanto valesse. Ma gli affari non gli vanno molto bene, in questo periodo, quindi me lo ha ceduto a un prezzo oserei dire vergognoso». Ci guardò, attenta. «Voi non prendete il thé?».
Mi affrettai a sollevare la tazza e a portarla alle labbra, sperando che non fosse avvelenata. Era il thé migliore che avessi mai bevuto. Ron mi imitò senza pensarci, ma Harry si portò la tazza alle labbra solo dopo una lieve esitazione.
«Dunque, quel medaglione apparteneva senza dubbio a Salazar Serpeverde. Impossibile sbagliarsi. Lo conservo in un luogo sicuro, so che farebbe gola a molti».
«Ci dispiace di essere venuti per chiederglielo» disse Harry, in fretta. «Però, vede, quel medaglione non dovrebbe essere stato venduto, perciò...».
«Come sta Draco?» lo interruppe lei, come se non lo avesse ascoltato affatto. ci guardò a turno, soffermandosi poi su di me. Immagino fosse perché a quel nome era seguita una subitanea fitta di rabbia al pensiero che quell’idiota stava giocando la sua stupida partita di Quidditch mentre noi mettevamo a repentaglio la nostra vita per lui.
«Io... beh, immagino che sia un po’ dura per lui, ultimamente» dissi, incerta.
«Immagini?». La donna assunse un’aria educatamente sorpresa. «Credevo che foste venuti anche per mio nipote».
«Si, beh, ecco...» mi agitai nervosamente tra i cuscini imbottiti. «E’ un po’ complicato da spiegare...».
«Sono certa di poter comprendere» disse lei, puntandomi gli occhi addosso come se avesse potuto trivellarmi dentro. Una sensazione da incubo. Mi arresi.
«E’ un brutto periodo» ammisi alla fine. «E’ stato riammesso a scuola solo perché, beh, sono convinti che  sia buono... in fondo. Ma nessuno gli parla».
Augusta Elton sospirò, chiudendo gli occhi. Poi alzò la bacchetta, per versarsi dell’altro thé. «Quel ragazzo» disse, parlando più tra sé e sé che assieme a noi, «è uguale a suo padre».
Per qualche secondo attendemmo in silenzio. «Che... che cosa intende dire, con questo?» chiesi alla fine.
«Cocciuto. Arrogante. Incredibilmente privo di nerbo» chiarì la donna, evidenziando ogni difetto con un colpo dato sul tavolino con il dito. «Gente che disonora il nostro buon nome».
Io guardai Harry, che ricambiò lo sguardo. Mi metteva un po’ a disagio la piega che stava prendendo la conversazione. «Vedete» proseguì la strega, che sembrava invece averci preso gusto, come se l’idea di diffamare i propri familiari la divertisse, «anche Lucius aveva cominciato Hogwarts amato e riverito da tutti. Era pur sempre un Malfoy, e questo conta qualcosa» fece una piccola pausa mentre assaggiava il thé arricchito con lo zucchero, «ma in realtà non era altro che un individuo insipido e inutile,come la realtà dei fatti ha dimostrato. È ancora in prigione, giusto?».
Assentimmo in silenzio.
«E adesso Draco. Beh, non posso dire di esserne sorpresa. Sapete, è da molti anni che non ho contatti con mio cugino, o con mio nipote, ma naturalmente molte notizie mi hanno raggiunto lo stesso». E fece di nuovo una risata roca. «Di certo non mi aspettavo che sareste arrivati voi!».
«Perciò... ci darà il medaglione?» feci io, speranzosa.
La signora Elton mi guardò. «E’ sicuramente un gioiello di valore inestimabile».
Naturalmente. Mi scervellai su un modo per convincerla del contrario. Magari Harry avrebbe potuto pagarla. O offrirle qualcosa in cambio. Sfortunatamente, il caveaux della mia famiglia non era ricco di preziosi cimeli magici.... senza contare il piccolo particolare che i miei erano in Australia.
La zia di Malfoy proseguì: «ma ancora non so che cosa c’entra Draco».
«Ecco... noi e Malfoy abbiamo trovato un accordo, ultimamente» dissi, parlando molto velocemente. «E’ stato proprio lui ad aiutarci a cercarlo... e a scoprire da Sinister che ce lo aveva lei».
Per la prima volta dall’inizio del colloquio, Augusta Elton parve davvero sorpresa. «Mio nipote? Frequentare simili compagnie?».
«Proprio così» dissi, con aria di sfida. «Non... non siamo amici, magari, ma ci ha aiutati. Ha dimostrato di saper essere piuttosto affidabile».
Lei mi guardò, indagatrice, ma io sostenni lo sguardo. Lei poteva anche pensare che fossimo cattive compagnie, ma io di certo non potevo pensarla allo stesso modo. Andassero a quel paese tutti i Malfoy! Compreso quello che ci aveva dato buca, anche se era meglio omettere quell’ultimo piccolo particolare. Anche se si sarebbe meritato di essere rimproverato dalla zia.
Alla fine la donna si fece indecifrabile. «Perché non è con voi, oggi?».
«Aveva una partita. È nella squadra di Quidditch». Malfoy aveva un grosso debito nei miei confronti, senza dubbio. «Ma ci ha dato il suo indirizzo».
«Capisco» fece la donna. «Damian!». Di certo non potevo sperare che volesse chiedergli il medaglione, ma mi sembrava che stessimo vincendo. Anche se era difficile da dire. «Si, signora?» fece l’uomo, comparendo per l’ennesima volta alla porta. «Porta via il thé. Poi portami il libro che trovi sul mio comò».
«Subito, signora».
«Immagino di avere tutto il diritto di chiedervi che cosa intendete fare se tornaste in possesso del medaglione». Ron fece per aprire bocca, ma lei alzò un dito per zittirlo. «La storia del legame affettivo non mi inganna. È chiaro che voi considerate il possesso del medaglione come qualcosa di grande importanza».
«Può darsi» disse Harry, impassibile. «Ma di certo non lo verremmo a dire a lei».
La donna fece un sorriso soddisfatto. Tornò Damian che le tese il libro richiesto, prima di sparire. «Ho letto il libro della Skeeter» disse, sollevandolo in aria per mostrarci la copertina. Harry accanto a me si irrigidì. «Un libro piuttosto interessante, senza dubbio, nonostante vi siano dei punti che mancano di credibilità. Di certo la figura di Silente è stata fraintesa, di certo nascondeva dei segreti». Fissò i suoi occhi grigi e freddi su Harry, che si sforzò di rispondere con uguale intensità. «Mi ha molto colpito la parte che riguarda il suo rapporto con lei, signor Potter. Presumo che fosse a conoscenza di diverse cose riguardo al suo Preside».
Harry rimase in silenzio. La donna proseguì. «La Skeeter arriva a sostenere che la morte di Silente sia collegata a lei, che lei fosse presente quando successe. Beh, naturalmente potrebbe essere solo una voce» e uno scintillio gelido le attraversò le iridi di ghiaccio, «ma forse non è azzardato pensare che Silente l’abbia inclusa nelle sue, ah, macchinazioni».
«Che cosa sta insinuando?» disse Harry, in tono di sfida.
«Io non insinuo niente» disse dignitosamente la signora Elton. «Tuttavia, signor Potter, tra le altre cose, trovo peculiare che mio nipote abbia scelto di fare amicizia con voi».
«Beh, lo è» borbottò Ron senza contenersi.
«Questo non fa che confermare la mia ipotesi» disse la donna, sorridente. «Che ci sia qualcosa in corso, qualcosa di molto più grande della nostalgia di un cimelio».
Harry la guardò. «Se pensa che sia la verità, allora forse dovrebbe anche dirci da che parte intende stare».
«Parte?». Sembrò molto divertita all’idea. «Io non ho parti. Non sono mio cugino, signor Potter. Lui ha scelto di parteggiare per il Signore Oscuro, convinto che egli avrebbe supplito alla sua mancanza di carattere dandogli potere, ma io vedo bene che non ha fatto altro che finire in rovina. Io sono l’unica Malfoy degna di questo nome, abbastanza furba da sapere che è molto meglio stare sola. Mio marito non era d’accordo, e non posso certo dire che mi sia spiaciuto liberarmene con il divorzio» e fece un sorriso amaro, molto umano. «Sono soltanto una vecchia pazza per il resto della famiglia. Nessuno, né il Signore Oscuro né l’Ordine verrebbero mai a disturbarmi. E a me sta bene così». Poi mi guardò. «Ma a quanto pare, Draco ha fatto una scelta interessante. Del tutto inaspettata, se devo dire la verità». Tirò su con il naso. «E una vera Malfoy sa sempre che cosa è giusto fare».
Si alzò, e per la prima volta mi resi conto pienamente di quanto alta e flessuosa fosse la sua figura. Si avviò verso la porta, e mi alzai per seguirla. Così fecero gli altri, piuttosto intontiti. Ci guidò attraverso un paio di stanze, fino a raggiungere la sua camera da letto. Allora ci intimò di girarci, e noi ubbidimmo. Quando ci permise di guardare, teneva tra le mani il medaglione. Era la prima volta che lo vedevo dal vivo, ma lo stesso modo in cui riluceva alla luce fioca delle candele sembrava suggerire... malvagità. Anche la signora Elton – o Malfoy che dir si voglia – parve accorgersene. Lo posò sulla mano di Harry come se improvvisamente fosse stata lieta di liberarsene. Poi suonò furiosamente il campanello. Cominciavo a trovarla divertente, a dire il vero.
«Grazie» le disse Harry, sinceramente riconoscente.
Lei alzò le spalle, infastidita. «Chissà, se un giorno vi rivedrò, saprò se il mio gesto sia stata una scelta saggia. Nel frattempo...» e si volte verso di me, «mio nipote ha ancora contatti con il figlio dei Nott? So che quando era piccolo giocavano sempre assieme».
«Lui e una certa Astoria Greengrass sono i suoi unici contatti. Loro, e il giovane McNair» risposi.
«Non mi fido di Nott. La sua è una famiglia nobile, ma piuttosto sordida» e scosse il capo. «Tuttavia conosco i Greengrass. La nonna di Astoria era una mia cara amica, quando eravamo giovani. Nonostante suo figlio si sia imparentato con una poco di buono» e qui scosse di nuovo la testa, «le voci dicono che sia una ragazza eccellente. Degna della sua famiglia, senza dubbio. E anche il giovane McNair» e fece un sorriso indulgente, «sua madre è una sempliciotta. Dubito che il figlio sia molto diverso»
Annuii, e non solo per rispondere alla sua supposizione su McNair. Non sapevo che i Nott godessero di una cattiva fama tra i Purosangue.
«Suppongo che sia antiquato da dire» disse la donna, mentre il ragazzo di prima appariva in risposta al suono della campanella, «ma spero vivamente che mio nipote si riveli all’altezza».
«Sono certa di si» dissi, gentilmente, anche se non ne ero affatto convinta.
«E ora sparite» disse stancamente, evidentemente resa esausta dalla conversazione.
Così ci avviammo dietro al ragazzo. Quando la porta si chiuse alle nostre spalle, Ron proruppe in una muta esplosione di entusiasmo. «Ce l’abbiamo fatta, Harry!» disse, trionfante. Harry annuì, in silenzio, con un sorriso larghissimo.
«Ma davvero lavori per quella strega?» sussurrò poi il mio amico dai capelli rossi al valletto. Questi annuì, guardandosi attorno intimidito. «Già» disse alla fine, rilassandosi. «Non è certo facile».
«Forse dovresti licenziarti» commentai.
Lui sembrò spaventato. Si fermò; eravamo nell’atrio. «Licenziarmi? Oh, no, non potrei mai» disse, spaventato all’idea. «la signora...».
«Ti ucciderebbe?» tentò Ron.
Lui scosse il capo. «No, no. è molto severa, certo, però...» fece una pausa. «Però, vedete, è difficile essere un Magonò. Specie se vieni da una famiglia come la mia. La signora Elton mi dà vitto e alloggio, più una paga. I miei mi terrebbero rinchiuso a pane e acqua».
Harry era sorpreso. «Quindi lei... lo fa per aiutarvi?».
Lui alzò le spalle. «Dice che è un peccato che del vero sangue di mago debba soffrire. Noi lavoriamo per lei, e lei, in cambio, ci dà tutto quello che chiediamo. È una signora molto... particolare».
Ci salutò, e noi uscimmo di nuovo nell’aria di Novembre.
«Che tipa» commentò allora Ron, scuotendo la testa. «Sono davvero matti, questi signori, eh? E tutto quello che ha detto su Lucius Malfoy... se non ci considerasse traditori della peggior specie, manderei papà a prendere un thé da lei».
Mi misi a ridere. «Ogni famiglia ha la sua pecora nera, giusto?».
«Pecora bianca, in questo caso» disse Harry, che sorrideva ancora, raggiante. «O meglio ancora, grigia».
«Che storia» disse ancora Ron. «Però... abbiamo il medaglione! Ora dobbiamo solo distruggerlo con la spada...».
«...e trovare gli altri Horcrux, ovviamente» dissi.
«Andiamo, Hermione, non rovinare il momento!».
«Ragazzi, ci conviene andare. Manca poco  alla fine della partita» fece Harry, troncando sul nascere una possibile disputa. Si appese al collo il medaglione, nascondendolo sotto la divisa.
«Si, andiamo» dissi.
«Magari... un salto ai Tre Manici di Scopa...».
«Ron!». Ero troppo allegra per farci troppo caso, comunque.
«Stavo solo...».
«Andiamo».
Comparimmo alla Stamberga Strillante, come sempre, e corremmo lungo Hogsmeade fino al punto dove ci aspettava Tonks per condurci al cancello. «Avete..?».
«Fatto tutto? certo» completai.
«Bene» disse lei, con un sorriso tirato. Sapevo che l’idea di lasciarci soli a combattere il male la spaventava.
Ci volle un po’ per arrivare al castello, e quando lo facemmo, e arrivammo vicino al portone, fummo raggiunti da una folla esultante che portava – impossibile sbagliarsi – i colori di Serpeverde.
«Oh, magnifico!» disse Ron, sarcastico. «Quello stupido di Malfoy ha perfino vinto!».
«Lascia che esultino» dissi, mentre ci affrettavamo a entrare per evitare di essere travolti dalla folla. «Oggi abbiamo vinto tutti».
 
NOTA DELL’AUTRICE
Eccomi qua! ;) finalmente sono riuscita a postare, accidenti! È una cosa difficile da fare, in vacanza... dove in compenso riesci a scrivere in pace XD
Lo scorso capitolo abbiamo visto Draco fare il figo sulla scopa; adesso invece vediamo che cosa stavano facendo intanto i nostri tre protagonisti, che lo hanno mollato per andare a trovare sua zia... un personaggio piuttosto divertente il cui nome deriva, al solito, da Jane Austen... così come l’indirizzo di casa sua.
A questo proposito, al solito, nota sul titolo ;) “to dare” significa “osare”, e “lare” è il covo del cattivo di turno... quindi letteralmente significa “osare penetrare nel covo mavagio”, ma con un gioco di parole quantomeno squallido tra “dare” e “lare”
Nel prossimo capitolo, come si può facilmente immaginare, vedremo Draco alle prese con il Turbolento Trio (o anche T.T. per alleati codardi che si sentono messi da parte) e la sua ritrovata popolarità, oltre che i problemi del trio con l’Horcrux... inoltre, per allietare le platee, vi saranno anche: una dichiarazione (ma non quella tanto sperata), una rivelazione (che potrebbe cominciare a dare  qualche idea a chi si interessa ai misteri contingenti di Hogwarts), due litigi, e altri misteri... nel frattempo vi lascio in sospeso! Ahahahahaha

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Back to black ***


«Draco!» cinguettò Pansy Parkinson, ghermendomi a sorpresa mentre andavo a lezione. Ma forse, cercavo di andare a lezione era il termine più esatto. Ero attorniato da Serpeverde chioccianti che sembravano ritenersi fortunati di respirare la mia stessa aria – una routine ritrovata, in un certo senso. Procedere lungo i corridoi era piuttosto difficile, perché se da un lato gli altri studenti mi facevano ala mentre passavo con la mia consueta espressione tronfia, dall’altra venivo rallentato dai miei stessi tirapiedi. Grazie al Cielo, nonostante fossi un po’ arrugginito, ci ero abituato. «Più tardi sei libero? Hai voglia di aiutarmi con Incantesimi?». E mi sfiorò i capelli, sorridente.
«Sono impegnato» dissi, in tono casuale, e non era  una bugia. Dovevo bearmi della mia ritrovata popolarità, e poi – se avanzava tempo – anche studiare. Certo, avrei sempre potuto chiedere alla Granger di farmi i compiti, ma avevo il sospetto che se la fosse un po’ presa per aver dato buca a lei e ai suoi amichetti. Mi sarei offerto di aiutarli con mia zia più tardi, e allora forse si sarebbero sciolti in lacrime di adorazione anche loro... e magari quel compito di Trasfigurazione...
«Ehi, Draco». Mi voltai, annoiato, per ritrovarmi a faccia a faccia con McNair. «Oh, sei tu» dissi, arrestandomi pigramente, mentre lui cercava di farsi strada tra i miei fan. «Come stai?».
«Troppi compiti» disse lui, mesto. «Grazie a Dio, Astoria mi sta aiutando». Già, Astoria. Dalla partita di ieri non ero riuscito a incrociarla. Non ero riuscito a fare granché, in effetti. Un po’ perché ero piuttosto pesto e dolorante dopo la mia ultima caduta dalla scopa, un po’ perché, semplicemente, non mi sentivo sullo stesso pianeta del resto del mondo.
«Aspetta di arrivare al settimo» borbottai. «In ogni caso, mi cercavi  per qualcosa?».
«Oh, già. Volevo chiederti... non è che più tardi avresti un minuto? Dovrei parlarti di una cosa importante».
«Non so» dissi, fingendomi vagamente infastidito. «Quando posso te lo dico, ok? Sono molto impegnato».
Parve sgonfiarsi all’improvviso. «Oh. Certo, capisco» disse, mestamente. E si allontanò senza dire altro, facendomi sentire una punta di rimorso. Rimorso che, comunque, svanì piuttosto in fretta, non appena Roberts scoppiò in una risatina. «Ti sta sempre addosso, eh?».
«Già» dissi, con un sospiro da ma-che-ci-vuoi-fare-sono-troppo-figo.
«Sai» disse, abbassando appena la voce, e scoppiando in una nuova, significativa risatina, «comincio a pensare che sia... come dire... un po’ troppo ossessionato da te». Un coro di latrati divertiti seguì quella affermazione, e li assecondai ridendo anche io. «Già... chi può dirlo».
«Chissà cosa voleva dirti!» esclamò Pansy piuttosto scandalizzata, tirandomi per il braccio. «Draco, non credo che faresti bene a stare da solo con lui».
Ebbi cura di contrarre appena l’espressione del viso alla sua stretta. Lei si fece preoccupata. «Che cosa  c’è, Draco?».
«Oh... no, niente» e minimizzai elegantemente con un gesto rassegnato.
«Ti senti bene?» insistette lei, preoccupata come non mai.
«Si... sto bene...» esitazione perfettamente a tempo, «è che... dopo la partita, sai, non mi sento bene. Nulla che non possa sopportare, comunque».
«Avresti dovuto andare in infermeria, Draco» disse lei, oscillante tra l’ammirazione cieca e la costernazione. Più di qualcuno mormorò il suo assenso a quella affermazione. «Non hai bisogno di fare l’eroe, Draco». Ne convenivo, però era fin troppo utile. Trattenni a stento una risata.
Finalmente, sulla porta di Pozioni, riuscii a scollarmi dalla mia scorta. Non dico che fossi felice di dover stare in coppia con la Granger, ma lei quantomeno non era sfinente. Ok, era sfinente, ma era una e non era un gruppo. Ero contento anche di essere in fondo, così potevo sottrarmi alle occhiatine adoranti di Pansy, che mi facevano immancabilmente ridere anziché sedurmi.
La Granger, comunque, non era ancora arrivata. Il calderone pieno di Pozione Polisucco naturalmente bolliva; ogni giorno,a turno, io e la mia Babbanissima partner avevamo dovuto recarci nei sotterranei per controllare la pozione, che per il momento sembrava piuttosto promettente.
Il professor Lumacorno mi aveva perfino salutato; l’euforia per la partita colpiva ancora. Soddisfatto, mi sedetti al mio posto e finsi di immergermi nella lettura di Pozioni Avanzate, giusto per darmi un’aria intellettuale. Quasi non mi accorsi, quindi, di quando la Granger si sedette al suo posto accanto a me. Mi aspettavo che mi salutasse come sempre con quella sorta di gentilezza vomitata fuori a forza che mi propinava di solito, e alla quale replicavo a malapena – e ci misi alcuni istanti per rendermi conto che non lo aveva fatto. Allora alzai gli occhi e li posai su di lei, come in attesa, ma la ragazza stava svuotando la borsa e sembrava troppo concentrata per notarmi. Probabilmente era così impegnata a pensare a qualche compito da dimenticarsi quello che mi era dovuto.
Naturalmente non avevo intenzione di salutare per primo. Tornai al mio Pozioni Avanzate, ma se già prima non mi stavo concentrando su di esso, adesso anche solo il pensiero di farlo mi risultava come sacrilego. Giocherellai distrattamente con la mia piuma d’oca, guardandomi attorno. Chissà come, mi sentivo a disagio. La Granger aveva terminato di svuotare la borsa e scribacchiava qualcosa su di una pergamena. Forse voleva scrivermi qualcosa.
Finsi disinteresse mentre scriveva. Intanto il professore, visto che tutti gli alunni erano arrivati, scrisse velocemente alla lavagna gli ingredienti per un Distillato che produceva effetti simili a quelli della Disillusione. Li scrissi su di un foglio con aria assente.
La Granger stava ancora scrivendo? Io non avevo alcuna intenzione di leggere un tema. Incuriosito, finsi di sporgermi verso la lavagna per leggere un passaggio particolarmente ostico, e sbirciai invece il suo foglio.
Ricordati la Polisucco alle dieci!
Colloquio McGranitt.
Animagus per giovedì
Era una lista di impegni che proseguiva ancora a lungo.
Solo in quel momento si fece strada nella mia mente un’ipotesi prima impensata: mi stava ignorando? La guardai apertamente, questa volta, ma se la Granger se ne accorse non lo mostrò.
Mi stava davvero ignorando? Quella Balorda Babbana (B.B. per ragazzi popolari snobbati senza motivo) stava davvero fingendo che non esistessi, o che fossi qualche cosa di oscuro... di abietto... come un fungo sulla pelle, o come Weasley? Per poco non mi andò di traverso la saliva al pensiero che qualcuno, fosse pure un essere dall’intelligenza primordiale come la Granger mezzosangue, mi considerasse un individuo immeritevole di essere degnato di uno sguardo.
Quando il professore ci disse di cominciare, la ragazza schizzò a prendere gli ingredienti. Io attesi pazientemente che tornasse e li posasse sul tavolo, poi esaminai la prima riga delle istruzioni. Apparentemente, dovevamo pestare degli scarabei. Allungai la mano per prenderne un po’, quando lei si voltò verso di me con sguardo vacuo. «Che stai facendo?» mi chiese.
«Secondo te?» la provocai, senza capire. «Seguo le istruzioni, no?».
«Ma perché stai prendendo i miei ingredienti?» domandò lei, impassibile. Brutta...
«Vai sempre tu a prenderli per entrambi, o sbaglio?» le dissi, acido. Non potevo credere che stesse facendo certi giochetti con me. Sapeva benissimo che lo avrei fatto. Sentii il mio odio per lei crescere esponenzialmente. «Già» disse lei, con un sorriso a dir poco malvagio – che, temevo, aveva raffinato proprio grazie alla mia compagnia – e i suoi occhi scintillavano di rabbia. «Ma questo solo quando pensavo che avremmo collaborato».
Oh, signore, non di nuovo! Quanto poteva essere sfibrante! Perché mai avevo accettato di aiutarla..? oh, si, giusto. Il Signore Oscuro. Beh, in ogni caso, non poteva davvero aspettarsi che io facessi tutto quello che mi diceva. L’avevo aiutata con Sinister, si o no? era già un contributo fondamentale, giusto? Certo, ora si trattava di mia zia, ma avevo tutto il diritto di prendermi una vacanza.
«Ti ho aiutata!» le sibilai, abbassando la voce per non essere sentito. «Non è abbastanza, stupida Mezzosangue?».
A posteriori, penso proprio che non fossi nella posizione più adatta per chiamarla mezzosangue. Ma al momento mi sentivo potente per il mio riacquistato potere, dimenticando che non c’era nessuno a spalleggiarmi – e che, a differenza degli altri anni, non era mio interesse farlo.
«Ti senti potente, non è vero, Malfoy?» disse lei, con disprezzo infinito. e così dicendo, mi buttò di fronte una manciata di scarafaggi. «Ecco, tieni. E la prossima volta che stai per dimenticarti di essere un essere basso e disgustoso, mi sincererò di essere presente, così che tu possa ricordartelo».  E dopo quel momento si trincerò in un silenzio ostinato. Non disse nulla quando alla fine trovai il coraggio di tendere la mano per prendere gli altri ingredienti. Non disse nulla quando rischiai di sbagliare le dosi. Non disse nulla quando le chiesi se poteva passarmi il coltello. Non disse nulla neppure quando, dopo tre quarti d’ora, stremato, le chiesi dove diavolo avrei dovuto trovare il succo di Bubotubero. Si limitò ad alzarsi bruscamente – peraltro, provocandomi un mezzo infarto – andandolo a recuperare di persona e schiaffandolo nel calderone con violenza assolutamente ostentata.
Beh, poteva andarsene a quel paese. Io ero un Malfoy, perdinci bacco, non uno dei suoi amichetti. Che facesse pure il broncio. Anzi, che aggiungesse pure “fare il broncio a Draco Malfoy per dimenticare quanto sia superiore a me” nella lista delle cose da fare. Tra controllare se davvero sono una femmina e radersi le ascelle. O magari di fianco a cercare la mia dignità perduta. Così sarebbe stato al primo posto.
Per dimostrarle che non mi importava di lei e di quello che pensava, tossii rumorosamente. D’accordo, magari non era proprio un segnale rivelatore di indifferenza. Ok, era una reazione senza senso. Magari invece mi era venuta la polmonite su quella dannata scopa, e stavo morendo. La stupida ragazza non sarebbe sembrata tanto indifferente. soddisfatto, la osservai un istante prima di lanciarmi in un entusiastico accesso di tosse, con tanto di simulazione di catarro. Ottenni un’occhiata preoccupata da Pansy – che apparentemente riconosceva il mio timbro di voce, anzi di catarro, anche quando tossivo -  e una perplessa da qualche banco vicino. Ma la Granger mi ignorò.
Alla fine, chissà come, cominciai a sentirmi davvero a disagio. Era da un po’ che non la chiamavo Mezzosangue; un po’ per evitare le sue rappresaglie, e un po’ perché, beh, non ero nella pozione di potermelo permettere. Intendiamoci, non che avessi mutato posizione dalla mia linea i-Purosangue-sono-meglio-dei-Mezzosangue; solo, era impossibile passare del tempo, per quanto forzatamente, con la Granger, senza sentire che magari i Nati Babbani erano persone... per quanto meno degne. Se poi quella Nata Babbana mi aveva aiutato per più di un mese, finivo per sentirmi in colpa... un pochino. Abbastanza per desiderare di rimangiarmi, non la frase, ma almeno quell’insulto. Avrei potuto usarne un altro.
Alla fine mi costrinsi, controvoglia, a chinarmi verso di lei. «senti, Granger» mormorai, piano. «Non ho mai detto che non avrei collaborato. Se uno di questi giorni avete intenzione di andare da mia zia...». quanto ero magnanimo! Magari qualcuno mi avrebbe assegnato dei punti.
«Mi dispiace di interrompere un’offerta così nobile» disse lei, traboccante di un entusiasmo selvaggio. «Ma mentre tu ti facevi bello sulla scopa, incurante i tutto e di tutti, come sempre ci abbiamo già pensato noi».
Non capii subito, ma quando lo feci, mi indignai. «Voi... siete andati da mia zia?». E non avevano neppure visto la mia spettacolare partita? Oh, ma andiamo! Per quanto una persona possa avere un karma storto, ci sono dei limiti alle punizioni dell’universo!
«Non sono tenuta a rispondere, Malfoy».
La afferrai per un polso. Sentivo l’impulso quasi folle di spaccarle la faccia. «Si, lo sei» sibilai.
«No, non lo sono» disse lei, con aria di sfida, liberandosi. In quel momento suonò la campanella, e come sempre, tutti si alzarono in piedi all’unisono. «Hai avuto la tua occasione, Malfoy. Tu hai scelto di fare l’idiota, come sempre. Adesso, comunque, hai di nuovo la tua cricca di amichetti, no? Perciò non hai  più bisogno di parlarci. Non temere, sopravviveremo». Mentre lo diceva, aveva impilato tutti i suoi libri uno sull’altro, e ficcato il resto nella sua borsa già ricolma. «Oh, e non ti preoccupare» disse, guardandomi come se fosse stato uno Schiopodo Sparacoda particolarmente disgustoso, «ti proteggeranno. Per quanto tu sia bieco, Malfoy, non ti abbandoneremmo in ogni caso». Frustò l’aria con i suoi capelli crespi e scappò via alla velocità della luce, lasciandomi lì come un idiota.
Benissimo. Si erano arrangiati. Splendido. Era proprio quello che volevo. Avevano preso l’Horcrux, e allora? Io avevo preso il Boccino, e non era stato facile. Non era la Granger quella che metà delle ragazze guardava con aria sognante, o sbaglio?
Quando Pansy e gli altri mi raggiunsero, più tardi, io non riuscii a badare a loro come avrei dovuto. Certo, potevo sorridere e perfino fare qualche battuta, ma non riuscivo a concentrarmi su quello che mi stavano dicendo. Continuavo a pensare a quello che mi aveva detto la Granger,e non riuscivo a non sentire che avevo definitivamente, completamente perso. Anche se naturalmente era assurdo, perché avevo esattamente quello che volevo, no? i miei amici. La mia vita. protezione gratis e senza sforzo, e possibilità che il Signore Oscuro mi credesse nel caso in cui avesse vinto e io gli avessi raccontato che avevo fatto il doppio gioco per lui.
La verità era che, nonostante non mi piacesse di certo l’idea di commistiarmi con certe persone, in ogni caso sapevo che non ci avevo fatto una bella figura. Mi ero giusto abituato all’idea che anche io ero uno dei grandi – che anche io ero un eroe, eccetera. E ora ero di nuovo quello di prima; un Serpeverde codardo che anziché mostrare coi fatti di che pasta era fatto un vero Malfoy, faceva semplicemente lo sbruffone. E credetemi, ammetterlo a me stesso era davvero... beh... umiliante.
Ero comunque deciso a togliermi certi pensieri dalla testa. per cominciare, quindi, decisi di squagliarmela dopo le lezioni del pomeriggio per fare qualche volo per il campo di Quidditch. Riuscii abilmente a turlupinare Pansy dicendo che dovevo andare in biblioteca e  studiare – non c’era deterrente migliore per lei – e a svicolare dalla Sala Comune.
Era abbastanza buio, quindi non dubitavo di riuscire a passare completamente inosservato. E in effetti raggiunsi il campo senza che nessuno mi vedesse. Entrai dagli spogliatoi direttamente in campo, dirigendomi verso lo stanzino delle scope... e scorsi una figuretta, avvolta nel mantello di lana, seduta sugli spalti più bassi.
Mi bloccai. Vista la scarsità di luce, era difficile distinguerne i lineamenti, ma era chiaro che era una ragazza. Meditai per un istante sulla possibilità di andarmene prima di essere visto, ma la sagoma non sembrava avermi scorto. Strizzando gli occhi, vidi che era china su qualcosa – presumibilmente un libro, o qualcosa del genere – e che il viso era coperto da folti capelli neri.
Una folata di vento particolarmente violenta spirò verso di me, investendola in pieno. La vidi rabbrividire... in un modo che era particolarmente familiare. Mi avvicinai, e mi resi conto che avevo indovinato. Era proprio Astoria, imbacuccata nel mantello, una sciarpa attorno al viso, china, nonostante il buio, su un libro. Sembrava un Dissennatore epilettico, ma anche così aveva un che di dignitoso. Quando fui abbastanza vicino dovette sentirmi, perché si voltò, sorpresa. «Ehi» dissi, dirigendomi verso di lei.
Senza scomporsi, la ragazza chiuse il libro al mio approssimarsi, posandolo accanto a sé. «Ciao» disse, mentre scavalcavo la balaustra per raggiungerla. L’istante successivo, ero accanto a lei. «Cosa ci fai qui?» le chiesi, perplesso.
«Cercavo un po’ di silenzio. la Sala Comune è troppo caotica» disse lei, tranquilla, come se non fisse stata interrotta.
«Siamo in due, allora» dissi, tetro, sedendomi accanto a lei. Astoria prese il libro e lo mise nella borsa, per farmi spazio, così potei avvicinarmi. «Non vorrai dirmi che la cosa ti sta stretta» disse lei, vagamente incredula. Era la prima volta che qualcosa sembrava sorprenderla, anche se moderatamente.
Io alzai le spalle, improvvisamente a disagio. Beccato.
«Dopo solo un giorno, ti sei già stufato di essere servito e riverito? Inusuale» commentò lei, guardando di fronte a sé. Quello non era un commento che mi sarei aspettato da lei. Con un istante di ritardo, pensai che magari invece lo era. Da quanto tempo ci conoscevamo? Perfino Potter non aveva segreti con me, in confronto. Oh, beh, in effetti non ne aveva. Avrebbe dovuto preoccuparmi che una delle persone che conoscevo meglio fosse Potter. Scacciai il pensiero prima che mi venisse la nausea.
«In realtà» dissi, cercando di recuperare la mia solita posizione, «sono contento di avere finalmente quello che mi è dovuto. Soltanto, ogni tanto vorrei avere qualcuno alla mia altezza... perciò vengo qui in solitaria» era uno scherzo, ma solo a metà. Chi era alla mia altezza? Non rispondete, perfavore.
Lei non sembrò comunque trovarlo divertente. Ti pareva. «Sto aiutando McNair a fare i compiti» disse.
«Me lo ha detto».
Lei si voltò e mi guardò, penetrante. Perché avevo la sensazione che mi stessi perdendo qualcosa? La sensazione non svanì quando lei tornò a guardare di fronte a sé, come se nulla fosse successo. «In ogni caso, mi sembri turbato» commentò lei. Oh, accidenti. Perché con le ragazze – perfino se sono come Astoria – si finiva sempre per dover parlare di sentimenti? Un Serpeverde non parlava di sentimenti, per l’amor del cielo!
«Non è vero» mentii.
«D’accordo» accettò lei,  rimanendo poi in silenzio.
«Cosa stavi leggendo?» chiesi alla fine, tanto per chiederle qualcosa. E per sembrare intellettuale. Lei mi guardò, poi tornò a scrutare il campo. «Nulla di speciale» disse, e capii che non avrebbe aggiunto altro, a meno che non avessi insistito. Cosa che non mi andava di fare. Avrebbe anche potuto inventarsi un titolo, e probabilmente non me ne sarei accorto. L’anno prima avevo affatturato un tizio, tale Michaelson, o Johnson – difficile ricordare – perché mi aveva detto che non era riuscito a portarmi un messaggio perché intento a leggere Babbioni e Bietoloni – guida per goffi giardinieri in erba. Avevo scoperto solo dopo che non mi aveva giocato un brutto tiro – ma ci era voluto un po’ perché potessi riconoscere il mio errore. Disincastrare un possente paio di corna dalla porta dell’infermeria può richiedere un tempo piuttosto lungo, e per quando il Serpeverde era tornato a lezione, mi ero già dimenticato dell’accaduto.
«Come mai proprio questo posto?» mi venne in mente allora. «Anche la biblioteca è silenziosa a sufficienza».
«Questo posto è deserto» disse lei, alzando le spalle.
Una parte di me avrebbe voluto scusarsi dell’intrusione, ma la mia abitudine era fondata sul principio di un-Malfoy-non-deve-mai-chiedere-scusa-perché-ha-sempre-ragione, perciò non mi venne affatto spontaneo farlo. In compenso ebbi un’idea. «Vieni» le dissi, afferrandola per mano e tirandola in piedi. Lei mi lasciò fare, molto più docilmente di quanto mi aspettassi. Avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse compagnia, una compagnia degna di questo nome. La Granger non contava. Certo, sembrava che la cosa fosse reciproca, il che era esattamente il punto. Stupida Babbana.
Solo quando vide che la portavo verso il campo, parve irrigidirsi. «Che cosa vuoi che faccia?» domandò, con sospetto.
«Mostrarti la mia scopa» dissi, pigramente. Poi, con un ghigno, «niente doppi sensi, eh!».
«Che scherzo grossolano» commentò lei.
Alzai gli occhi al Cielo.
«E comunque» disse lei, mentre aprivo la porta e mi immergevo alla ricerca della mia scopa, «so bene che scopa possiedi. Una Nimbus 2001, uscita dopo breve dopo il modello 2000, nella speranza di aumentare ulteriormente le vendite rispetto al modello precedente. Purtroppo le 2001 hanno un piccolo spiraglio tra le setole...».
«Si, si, certo» troncai corto, estraendo la mia Nimbus con un sorriso soddisfatto, nonostante odiassi il fatto che mettesse in risalto le disfunzionalità della mia scopa. «Ecco, tienila un secondo, invece di blaterare» dissi, in un finto tono brusco. Lei obbedì. Estrassi un’altra scopa, prima di chiudere la porta.
«No» disse lei, non appena mi voltai nella sua direzione.
«No?» feci io sbigottito. «ma se io non ho ancora...».
«La richiesta che stai per farmi è comunque sufficientemente chiara. Non intendo salire su una scopa» disse lei, nel suo consueto tono atono. Io la guardai, con una punta di sufficienza. «Questa scopa dovrebbe essere piuttosto facile da guidare, per una principiante» dissi, allungandole la Frecciastella. «E in ogni caso, sono un Cercatore. Posso essere abbastanza veloce da recuperarti, se dovessi cadere».
Astoria mi guardò, ed ebbi la certezza di averla offesa. «Trovo piuttosto grossolano e superficiale da parte tua sostenere che io non sia in grado di salire su un manico di scopa» disse, gelida. «Senza contare che la Frecciastella, specie dopo alcuni anni dalla fabbricazione, tende a fare le bizze».
Questa volta ero sorpreso. «Dunque tu sai la differenza tra due scope».
«Pensavo che fosse già chiaro. Perché, non dovrei?».
«E sai volare?».
«Discretamente» rispose.
«E allora...».
«Non ne ho voglia. Non è abbastanza per motivare un rifiuto?» fece lei, guardandomi.
Cominciavo a irritarmi. «Avevo solo voglia di vederti volare. Non penso sia un reato».
«Oh, no. Come non lo è rifiutare» rispose lei, calma.
Ok, ora ero definitivamente irritato. Ma perché tutte le ragazze con cui entravo in contatto – Purosangue o Mezzosangue che fossero – erano inevitabilmente, completamente fastidiose e antipatiche? E perché sembravano considerare come il loro hobby favorito quello di umiliarmi? «Fa come vuoi» dissi, sperando che il mio tono fosse sufficientemente freddo da indurla a ritornare sui suoi passi.
«Grazie. ci vediamo a cena» disse la ragazza. Aprì la porta dello sgabuzzino, di fronte al mio sguardo incredulo, vi posò accuratamente la scopa, lo richiuse, e si allontanò con la sua solita andatura flessuosa. Lasciandomi a fissarla con uno sguardo ebete e costernato.  Si bloccò a pochi metri dagli spalti, e si voltò verso di me. «Ah, Draco» mi disse, puntandomi contro gli occhi neri e lucenti che non contenevano né ira, né risentimento, né alcun sentimento riconoscibile, «nonostante tutto, non credo che riuscirai a ignorare per molto il tuo turbamento».
E se ne andò, quella stronza. Incollerito, le diedi le spalle e spiccai il volo, addentrandomi nell’aria scura, per nascondervi la mia irritazione.
 
«Assolutamente no, Potter» disse la professoressa McGranitt, incrociando le braccia al petto, e scrutandolo come se una testa in più gli fosse appena sbucata dal collo. «A che cosa dovrebbe servirti?».
Harry alzò le spalle, in un tono casuale assai poco convincente. «Ecco... sa com’è....».
«No, Potter. Temo di non saperlo».
«Vogliamo solo dare un’occhiata» intervenne Ron, in tono rassicurante. La McGranitt lo guardò, alzando un sopracciglio. «Per fini accademici» aggiunse allora, come pensando che così tutto sarebbe stato chiaro.
La vecchia strega si voltò verso di me, le narici così sottili che in quel momento non aveva nulla da invidiare a Lord Voldemort – che in compenso avrebbe invidiato i suoi capelli, immagino.
«Miss Granger» disse, fissandomi accigliata. «Spero che almeno lei sia in grado di fare un resoconto più esauriente dei motivi che vi spingono a farmi una simile richiesta».
«Ma non possiamo dirglielo, professoressa» la blandii, compunta. «Si tratta della missione che il professor Silente ci ha chiesto di portare a termine».
Le sue labbra già sottili si serrarono tanto da farle diventare nivee. La preside si voltò verso il muro, dove un ritratto dalla cornice argentata stava appeso assieme a molti, molti altri. «E’ vero quello che dicono, Albus?». L’uomo anziano che aveva indirizzato aveva finto di dormire fino a quel momento; ma ora alzò il suo sguardo di cristallo verso di noi, un sorrisetto enigmatico che gli incurvava le labbra. Chissà come, avevo il presentimento che non sarebbe stato d’aiuto. Non nel chiarirci le cose, almeno.
«Non sta a me chiarire queste faccende, Minerva» disse, con la sua voce pacata, il ritratto di Albus Silente, mentre si aggiustava gli occhiali a mezzaluna sul naso. «Sta a te decidere se fidarti o meno dei nostri giovani amici». Esasperata, la donna si voltò verso di noi. «E che cosa dovreste fare con questa spada, esattamente?» chiese.
«Nulla di pericoloso» si affrettò a dire Harry, con sincerità evidente. «Solo... un esame breve».
La McGranitt rimase in silenzio un paio di istanti. «Capisco» disse ancora alla fine. «Sentite. La spada di Godric Grifondoro è un inestimabile cimelio. Per quanto la scuola ti sia grata, Potter, per averla recuperata, non posso permetterti di andare a zonzo per i corridoi con quella alla cintura. Darò il mio consenso affinché la utilizziate, purché questo sia fatto in questo ufficio».
Io guardai i miei due amici, trionfante. Poco importava dove fossimo; l’importante era distruggere l’Horcrux. «Non si preoccupi, professoressa. Ci vorranno solo cinque minuti» dissi, un sorriso luminoso in viso. La mia espressione sembrò rassicurarla un pochino, perché la strega sospirò, sconfitta. «E va bene. Quando rientro, tra dieci minuti, voglio che la spada sia tornata al suo posto».
«Certo» disse Harry, gli occhi verdi che scintillavano.
 
Reclinato sul divano della mia Sala Comune, le gambe in grembo a Pansy Parkinson, mi sentivo una sorta di pigro faraone nel suo giorno di riposo. Io, Draco Malfoy (D.D., Draco Dominante, per i futuri storici incaricati di stilare la mia biografia), da poco reintegrato nel suo ruolo di Star Serpeverde (S.S. se sulla copertina della mia biografia non ci fosse spazio a sufficienza), mi stavo godendo tutta quella attenzione. Stavo leggendo controvoglia Mille Erbe e Funghi Magici, nella speranza di trovare qualcosa sugli effetti taumaturgici della Belladonna, ma il fatto che nessun altro riuscisse a studiare perché troppo intento a corteggiarmi mi riempiva di segreta soddisfazione.
«Come sei studioso, Draco» cinguettò Pansy passandomi una mano tra i capelli. Preoccupato che la manovra potesse avermi scomposto i capelli, interruppi la mia nobile ricerca di studioso per alzarmi lievemente a sedere, alla ricerca di uno specchietto.
«Tranquillo, Draco» fece una voce divertita. «Penso che le dita di Pansy non siano neppure riuscite a penetrare lo strato di gel che protegge i tuoi capelli».
Mi voltai. Nott, alcuni libri sottobraccio, sembrava divertito. Io alzai le spalle, casuale. «Mi stavo solo stiracchiando» mentii, riaprendo il noiosissimo volume. Non poteva certo non credere a un ragazzo ligio allo studio come me, giusto?
«Certo» disse lui, sedendosi nella poltrona accanto. «E dimmi, hai già fatto il tema per la tua cuginetta?». Era sempre così che Nott chiamava la Tonks. Lievemente irritato, scossi il capo. «Non ne ho voglia» proclamai, con l’aria di chi può permettersi di giudicare i libri come qualcosa di superfluo. Anche se così non facevo che rovinare la mia immagine di studente tenebroso. Del resto, i geni non hanno bisogno di studiare, o di fare stupidi temi per stupidi cugini insegnanti.
«E’ per domani» commentò lui, alzando il sopracciglio. Povero illuso. La cosa non aveva importanza. Potevo farmelo fare dalla G...
La consapevolezza che la Granger non mi parlasse arrivò solo a metà del pensiero. Scornato, mi resi conto che forse la mia popolarità non avrebbe fatto presa su Tonks. Forse avrei dovuto preoccuparmi del tema.
«Ci penserò» proclamai, con uno sbadiglio. «E come procedono le tue altre materie?».
«Oh, naturalmente bene» disse lui, aristocratico. «L’unico neo della mia altrimenti perfetta esistenza è quell’idiota di Zabini. I professori lo amano per via di quella sgualdrina di sua madre. Anche Lumacorno, naturalmente». Sembrava nauseato.
«Che cosa ha fatto?» chiesi, interessato.
«Nulla di nuovo. Ma per via di quel suo dannato club di “eletti”, ha sempre un trattamento speciale». Nott sembrava prossimo a commettere un omicidio. «L’ho visto che lo fermava in corridoio, prima. Voleva consegnargli personalmente l’invito per la sua festicciola».
«Già, il Lumaclub» dissi io, con disprezzo. «Immagino che Potter abbia ancora il privilegio di ascendere a quell’Olimpo di gloria». Stupido Potter. Ok, ero invidioso, e allora?
«Oh, si. Lui e i suoi amichetti, Weasley escluso. E il prossimo mese quell’ottuso panzone ricomincerà a dare le sue feste private. Patetico. Non che Zabini sia felice di parteciparvi. Penso abbia altri progetti per le sue serate». Un lampo nei suoi occhi.
«Che intendi dire?» domandò Pansy, ansiosa, spalancando gli occhi.
Nott sembrò rendersi veramente conto della sua presenza solo in quel momento; confuso, ci mise un istante a rispondere. «Non so, non lo vedo mai in giro» disse, evasivo, e quell’oca di Pansy naturalmente gli credette. Aveva troppa soggezione per Nott per non farlo. Io invece presi nota mentalmente di indagare. Chissà come mai Nott era tanto ossessionato da Zabini.
«Chissà come passa le sue giornate. Anche se immagino che essere un idiota sia già di per sé un’attività stancante» commentai, sbadigliando. Pansy accennò a una risatina, piuttosto flebile però: era a disagio all’idea di ridere della sua ultima fiamma.
«Già» fece eco Nott, improvvisamente molto assorto da uno dei suoi volumi. Il pensiero del tema tornò a occuparmi la mente. «Chissà dove ho messo il mio libro di Difesa contro le Arti Oscure» mi lagnai, intollerante. Stupida materia. A che cosa sarebbe dovuta servire? Se il Signore Oscuro mi fosse comparso davanti, probabilmente avrei potuto usare il libro come arma contundente, ma per il resto, era legna da ardere.
«Ti presto il mio, se vuoi» cinguettò ancora Pansy, tutta ringalluzzita, saltando in piedi. Le mie gambe atterrarono pesantemente sul divano di broccato verde. La ragazza corse via, prima ancora che potessi risponderle. Sospirai.
«Allora, dove va Zabini?» indagai, volgendomi a Nott.
Lui alzò lo sguardo, e ci mise un attimo a focalizzare l’argomento del discorso. «Ah, Zabini. Beh, è la terza volta che lo vedo tornare dalla Guferia, oggi – o fingere di andarci. O corrisponde con qualcuno, o sta preparando un qualche agguato a un Grifondoro, immagino». Chissà come, sentii che ometteva qualcosa, ma non indagai. Ero troppo saggio per farlo.
«E tu, come lo sai?».
«Oh, sto facendo diverse  ricerche in questo periodo», nuovo scintillio negli occhi, «e non potevo non notarlo».
Ricerche. Io non avevo neppure il tempo di fare il tema per Difesa, e Nott si dilettava a ficcanasare tra gli sporchi segreti degli altri. Piuttosto snervante. «Tra parentesi» aggiunse in quel momento Theodore, sfregandosi il mento, come se gli fosse venuto in mente all’improvviso, «ho trovato un libro piuttosto interessante sulle Arti Oscure. C’erano informazioni piuttosto.. interessanti». E mi guardò per un istante con un sorriso significativo. Immaginai che si aspettasse che cogliessi qualcosa, ma non avevo idea di che cosa, così feci un sorriso non compromettente. «Un libro sulle Arti Oscure, eh?» dissi, fingendo entusiasmo. «E dove accidenti lo avresti trovato?».
L’espressione di Nott sembrò quasi perplessa – il che mi fece sospettare che mi stavo perdendo qualcosa – ma dopo un paio di istanti era già tornato alla consueta espressione indifferente. «Sai che mi piace frugare in biblioteca» disse, ma la sua risposta non mi convinse. Silente aveva tolto di mezzo tutti i libri proibiti. Lo sapevo per certo; li avevo cercati un mucchio di volte.
Pansy ritornò, tutta affannata, il volume tra le braccia. «Ecco, Draco» disse, leziosa, appollaiandosi il più vicino possibile al sottoscritto. «Scusa se ci ho messo tanto, non riuscivo a ricordarmi dove lo avessi messo».
«Grazie, Pansy» le dissi, con un sorriso un po’ cadente, ma abbastanza affascinante. Le sfiorai la mano con la mia, mandandola in iperventilazione. «Ora è meglio che mi dedichi al mio dannato tema».
«Sei così fortunato. Hai a disposizione quella sciacquetta della Granger per fare i compiti» sospirò lei. Non so esattamente quale fosse la mia faccia quando la guardai, ma fu qualcosa che la rese incerta e che la convinse a tornare sui suoi passi. «Non che tu abbia bisogno di lei, Draco. Ma si sa che tutti i professori la adorano».
«Io e la Granger non ci rivolgiamo la parola» dissi, laconico, e notai che Nott si concentrava su di me, attento. Usai la mia migliore faccia da poker per evitare di compromettermi.
«Che cosa le hai fatto?» domandò lui.
«Non c’è necessariamente una ragione in quello che la Granger fa» dissi, alzando le spalle.
«Davvero!». Forse avevo sbagliato qualcosa con la mia faccia da poker.
«Davvero» dissi, impassibile.
«Allora siamo in due» si intromise Pansy, cercando di riportare su se stessa la mia attenzione. «Quell’idiota di Paciock è un impiastro. Non fa che farfugliare qualcosa se ci capita di doverci parlare, e svanisce per tutto il tempo».
«Ti evita?» dissi io, sprezzante. «Tipico. Meglio così, in ogni caso, no?».
«Non evita me» ci tenne a precisare lei, storcendo il naso assai piatto. «Non hai notato che non viene più neppure a pranzo, ormai?».
«Eh?». Questa mi era nuova.
«Dice che ha un sacco da studiare, il che, visto quanto è stupido, potrebbe essere vero» disse, con il sorriso trionfante di chi sa più degli altri, «ma ho sentito Calì Patil dire a una sua amica che non è mai in Sala Comune, e che passa moltissimo tempo con sua sorella Parvati!». Evidentemente appagata della sua sapienza, soggiunse con l’aria da cospiratrice: «penso che abbiano una storia, sai».
«Davvero?». L’attenzione di Nott era davvero massima. Aveva la bocca tirata in un sorriso assolutamente malvagio, gli occhi gli brillavano, e stava proteso verso Pansy come se gli stesse offrendo il Santo Graal. Nel complesso sembrava un invasato. Lo guardai, meravigliato.
«Parvati è troppo furba per Paciock» provai a obbiettare, ma Pansy, felice che Nott le dedicasse un po’ di attenzione mentre di solito la ignorava, si era già lanciata in una nuova serie di particolari. «Ieri li ho visti assieme mentre andavo verso Divinazione. Penso stessero pomiciando nei pressi della Guferia, quando hanno sentito gli studenti arrivare».
Non potevo negare che l’idea di Paciock che pomiciava con qualcuno fosse incredibilmente divertente. Ma la maniera in cui Nott accolse quelle informazioni, come se fosse appena giunto Natale in anticipo, era oltremodo sospetta. Perché mai avrebbe dovuto essere felice – no, euforicamente esultante – per Paciock?
«Interessante» disse Nott. Qualcosa nella sua voce mi suggerì che se ne fregasse della felicità di Paciock. Il che era un sollievo, naturalmente, perché quantomeno significava che era ancora in sé. Eppure... eppure... perché avevo l’impressione che ci fossero guai in arrivo per qualcuno?
Oh, beh. Finché non toccava a me, non mi importava granché. Specie quando avevo due rotoli di pergamena da consegnare l’indomani. E una sola opzione per farli.
 
Sfrecciavo lungo i corridoi, a testa bassa per non mostrare la mia espressione turbata. Ero appena scappata via dalla Sala Comune, alla ricerca di un po’di pace. Scendendo al sesto piano passai via Luna e Marietta Enscombe senza quasi accorgermi di loro. Al quinto piano dribblai abilmente Ernie McMillan che si avvicinava, per infilarmi dentro a uno dei bagni delle ragazze.
Quando mi fui rinchiusa in un cubicolo, tirai un respiro di sollievo. Mi serviva qualche minuto, dovevo calmarmi. La spada di Grifondoro non aveva funzionato. Eravamo convinti che Silente avesse deciso di lasciarci la Spada per distruggere l’Horcrux, ma forse ci sbagliavamo. Eppure niente era stato peggio di sfilarsi dal collo l’Horcrux, calare su di lui la spada, e vederla addirittura scalfirsi quando l’aveva colpita.
«Oh, perfetto» aveva commentato Ron, sconfortato, osservando il medaglione intatto e il piccolo solco lasciato sulla spada. «E adesso, chi gliela spiega alla McGranitt?».
Osservai la catena d’oro che mi pendeva dal collo. Quando indossavo l’Horcrux, mi sentivo strana. Come se qualcosa mi sussurrasse agli estremi della coscienza. Rabbrividii. Dovevo muovermi e andare in biblioteca. Lì avrei potuto esaminare con calma uno dei libri che avevo preso in prestito – o rubato, se preferite – dallo studio di Silente.
Sospirai, prima di uscire dal bagno. Cinque minuti dopo, ero di fronte alla porta della biblioteca.
«Granger». Oh, Cristo! Non in quel momento. Il Fastidioso Furetto (F.F. per chi tenta di ignorarlo) non poteva capitare in un momento peggiore. Facendo finta di non averlo sentito, decisi di fare una deviazione. Non volevo che mi seguisse in biblioteca. Virai verso la scala.
«Granger!».
Ancora una volta lo ignorai. Al terzo piano c’era una folla immane di studenti; non mi avrebbe certo parlato di fronte a tutti loro. «Granger! Maledizione, ascoltami!».
Mi arresi quando mi resi conto che non c’era modo di liberarsi di lui. Così mi voltai per fronteggiarlo, inviperita. «Che diavolo vuoi?» gli chiesi, e devo ammettere che cominciavo a prenderci gusto nel farmi correre dietro da lui.
Lui si guardò attorno, come implorando alla folla circostante di non badare a lui, anche se ovviamente non era impossibile. Poi tornò a guardare me, dimesso. «Granger» disse. «Devi smetterla di ignorarmi».
Lo guardai in silenzio, sospettosa e soprattutto arrabbiata.
«Siamo alleati, e tu lo sai» proseguì lui nervosamente, guardandosi attorno mentre mormorava rapidamente una frase dopo l’altra. «Perciò, solo perché non corro ai tuoi comandi come se fossi un cane non significa che sia un essere abietto».
«Commovente» dissi, gelida.
Lui strinse le labbra. «Sul serio, Granger» disse, infastidito. «Ti offro per l’ennesima volta il mio aiuto. Non basta?».
Lo guardai. «Non ti farò il tema di Difesa Contro le Arti Oscure» dissi, determinata.
Malfoy arrossì lievemente. «Non capisco che cosa c’entri» disse, cauto. Bingo. «Volevi blandirmi perché te lo facessi, non è vero?» sogghignai, malvagia. Decisamente, non stava avendo una buona influenza su di me. Inoltre l’Horcrux mi metteva di pessimo umore. Probabilmente anche Tom Riddle sarebbe scappato via se avesse potuto entrare nella mia testa in quel momento.
«Non cadrei mai così in basso da chiedertelo» affermò lui.
«Balle, Malfoy, e tu lo sai».
«Beh, Granger, siamo compagni di studio» disse allora lui, cambiando tattica. «Se anche avessi pensato...».
«La risposta rimane no. Sono occupata».
Malfoy mi guardò in cagnesco. «D’accordo, Granger. Del resto, del tuo aiuto non sapevo che farmene».
Sospirai. Ero troppo stanca per tenergli il broncio. «Malfoy, i nostri sono gruppi di studio. Gruppi. Questo significa che si dovrebbe collaborare, non che dovresti rifilarmi i tuoi compiti. Ma so già che tu e la collaborazione non andate d’accordo».
Malfoy sembrava scontento. Che lo fosse. Io avevo cose da fare. Mi voltai, diretta alla biblioteca, ma sentii qualcuno trattenermi per la manica. «D’accordo, d’accordo» disse Malfoy, apparentemente indignato. Del resto, negli ultimi tempi si era trovato costretto a dover essere quasi cordiale con i suoi tre peggiori nemici, perciò immaginai di non poterlo biasimare. «Senti, Granger, d’ora in poi collaborerò davvero, va bene?».
Sorrisi, trionfante. «Perfetto, Malfoy. Perfetto».
«Mi dai i brividi, stupida» replicò lui, teatrale. Poi, tornando più serio, «e per il tema...».
«Sarò lieta di aiutarti. Ma non di fartelo» dissi, amabile. La sua espressione era così dismessa che perfino l’idea di aiutarlo ne valeva la pena.
Dopo una breve lotta interiore, si arrese. «D’accordo. Va bene. Tutto quello che vuoi, Granger». Che dire? Nonostante tutto, le soddisfazioni non mi mancavano. Certo, forse mi sarebbe piaciuto mantenere il broncio più a lungo per la storia dell’Horcrux, ma in fondo mi serviva aiuto.
«Allora andiamo» dissi.
«Dove?» chiese lui, allarmato.
Alzai gli occhi al Cielo. «In biblioteca, Malfoy. Finito il tema, abbiamo un paio di cosette di cui discutere».
«Ma che bello». Ignorai il suo sarcasmo, e feci per voltarmi, ma in quel momento una voce che chiamava Malfoy ci fece voltare entrambi. La Bullstrode corse verso di noi, affannata, fermandosi di fronte a Draco.
«Ehm... ciao» fece lui, poco convinto.
«Draco» disse la ragazza, seria, «è vero?».
«Che cosa è vero?» fece Draco Malfoy, evidentemente perplesso.
«Che stai con lei» e con mio sommo orrore, puntò un dito grassoccio contro di me. Chissà come, sentivo che avrebbe potuto sbriciolarmi con una sola mano. Deglutii.
«Che... che cosa?» disse lui debolmente, troppo sconcertato per fare di più che sgranare gli occhi. Guardai entrambi come se avessero una testa in più. Io... e Malfoy..? Questa era bella. Quale mente malata avrebbe mai potuto pensare a una cosa del genere?
«Passate molto tempo assieme. Anche fuori dalle lezioni» disse lei, il faccione contratto nello sforzo di spiegarsi, «perciò qualcuno ha detto...». avrei tanto voluto conoscere questo qualcuno, per vedere quanti barili di idromele si fosse scolato prima di parlare con la Bullstrode.
«Siamo partner di studio!» disse lui, ancora troppo sbigottito per prendersela davvero. «Perché mai qualcuno dovrebbe pensare...».
«Quindi... non state assieme?». Il suo tono speranzoso mi fece sospettare come sarebbe andata a finire.
«Certo che no!» ora era indignato. Io assentii silenziosamente, prossima a uno scoppio convulso di risa. Con tutto quello che avevo passato di recente, non riuscivo più a prendere queste cose sul serio. Malfoy, invece, sembrava soffocare. Per un momento valutai l’idea di intubarlo.
La Bullstrode assentì, sospirando profondamente. Poi, senza preavviso, scoppiò in lacrime, così rumorosamente che metà del corridoio finì per voltarsi verso di noi. Doveva essere uno spettacolo piuttosto pittoresco. Sul terzo gradino della scala, quindi piuttosto soprelevata, stavo io, la faccia ostentatamente seria. Anni e anni in compagnia di Harry mi avevano insegnato cosa significasse avere l’attenzione di tutti e affrontare crisi simili, perciò non ero molto turbata. Un gradino più in basso, e prossimo all’infarto, stava il Popolare Pitone Malfoy (P.P. per alleati in vena di ironia). E più in basso ancora – ma con la sua mole, probabilmente era quella più visibile – stava la Bullstrode, che singhiozzava disperatamente.
«I-io sono felice» muggì la ragazza, a volume abbastanza alto perché tutti la udissero. «Pensavo... pensavo...». Malfoy avrebbe evidentemente voluto dire qualcosa, ma non sapeva che cosa. Apriva e chiudeva la bocca come un pesce rosso. La sua faccia era anche più pallida del solito, ma chiazzata di rosso. Sembrava malato di Spruzzolosi.
«Draco...». dopo un po’ la Bullstrode sembrava aver recuperato la parola. «Tu... sei sempre così gentile con me. S-scommetto che avevi già capito... quello che provo...». La faccia di Malfoy diceva chiaramente che no, non aveva capito nulla, ma la nerboruta Serpeverde sembrò non accorgersene. «Quando ieri mi hai detto quelle cose... io ho pensato... che forse .... potevo sperare...». Qualunque cosa la Bullstrode avesse preso per incoraggiamento, era evidente che Malfoy non se la ricordava.
«Anita» disse Malfoy, ritrovando l’uso delle corde vocali, «di che stai parlando?».
«E’ stato ieri» disse lei, tirando su con il naso. «Quando ti ho chiesto la tua copia di Mille Erbe e Funghi Magici... mi hai detto che avresti potuto aiutarmi con Pozioni. Pensavo fosse una scusa... per passare del tempo con me... e sei stato sempre così gentile con me... come quando hai affatturato Baggins dopo che lui mi aveva insultata il giorno prima...». Ancora una volta, poteva essere mera speculazione, ma avevo l’impressione che Malfoy avesse avuto altri motivi per affatturare Baggins, chiunque egli fosse. Ma sembrava che fosse incapace di reagire. Guardava la Bullstrode come se fosse stata un ragno gigante estremamente bavoso. «Quindi, quando P-pansy mi ha detto che eri andato a cercare la Granger... e che trascorrevi così tanto tempo con lei... ho pensato...». La voce le si spezzò.
Più di qualcuno di quelli che avevano assistito a questa scenetta sembravano divertiti tanto quanto me, ma Malfoy non era tra questi. Anzi, era a metà tra l’oltraggiato e l’allarmato. «Anita...» disse, indeciso se essere gentile o essere sprezzante, e scegliendo come compromesso un tono neutro, «...perché non ne parliamo più tardi..?».
«Voglio saperlo, Draco» disse lei, di scatto, guardandolo. Lui sobbalzò. «Che cosa provi?».
«Ehm...». Draco sembrava in cerca di una via di uscita. «Al momento... non mi sento pronto per una relazione...». Ammirai il suo coraggio; Anita Bullstrode avrebbe potuto spezzarlo come uno stuzzicadenti.
La ragazza chinò il capo, e per un attimo pensai che fosse addolorata. Quando lo rialzò, però notai che sorrideva. «Ho capito tutto, Draco» disse. «Tra la famiglia e gli studi, è chiaro che tu non ti senta pronto. Ma voglio che tu sappia» e calò una delle sue manone dritte sulla sua spalla, facendolo barcollare, «che io ci sarò sempre per te, Draco. Sempre».
«G-grazie» biascicò lui, incerto.
Lei gli fece un sorriso luminoso, si voltò a incenerirmi, poi si allontanò tra la folla quasi danzando. Mentre Malfoy la osservava, ancora stordito, la folla cominciò a mormorare e ridacchiare. Quando il mio partner se ne accorse, improvvisamente il suo volto si accese di rabbia. Cominciò a marciare su per le scale, mentre lo osservavo, divertita. A metà si voltò, per fulminarmi.
«Che c’è, Malfoy?» chiesi, soave.
«Non avevi fretta di studiare?» fece lui, gelido e minaccioso. «E allora sbrigati».
Lo seguii, ridendo sotto i baffi.
 
NOTA DELL’AUTRICE
Un capitolo lungo offerto in sacrificio per il mio ritardo <3 scusate, ma il ritorno dalla vacanza (due giorni e mezzo di viaggio, e relativi preparativi) mi hanno impedito di postare. Ora sono tornata a Vicenza, perciò sarò più puntuale!
Dunque, subito una precisazione: mi è stato fatto notare che Cho dovrebbe avere un anno in più dei nostri protagonisti, ma visto che ero inconsapevole di ciò (ah-ah) e convinta che fosse di un anno più piccola, sappiate che ormai si terrà l’età che le ho assegnata! Perdonatemi, e grazie per la segnalazione.
Volevo un capitolo più leggero prima che la ricerca degli Horcrux si facesse più viva, spero di esserci riuscita XD nel prossimo capitolo, Draco dovrà pensare agli affari di famiglia... con interessanti conseguenze ;P a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** The snake stole the secret (S.S.S.) ***


«Non sono sicura di aver capito» fece mia madre alquanto perplessa, osservandomi come se delirassi. Io alzai le spalle, stiracchiandomi all’indietro sul vecchio divano consunto. Poi ripetei, con noncuranza: «che fine hanno fatto i nostri pavoni?».
Ero andato a visitare i miei con la prima gita a Hogsmeade di Dicembre. Lo avevo fatto controvoglia, perciò mi stavo impegnando a rendere la visita poco produttiva. Non volevo che mi facessero strane domande, e così evitavo di fare davvero conversazione.
«Draco» mia madre disse, col tono paziente che riservava ai mocciosi o ai traditori della nostra razza – non che le capitasse di sovente di incontrarne, specie da quando era al fresco – non capisco la tua domanda.
«Beh, qualche giorno fa ho ripensato a casa, e mi sono chiesto se il giardiniere si stesse ancora occupando del giardino. In caso contrario, suppongo che i pavoni siano morti di fame – non hanno un’aria molto sveglia – e meditavo sull’eventualità di procurarsi un badile per spalarli via dal vialetto» spiegai, in tono casuale, prima di sbadigliare rumorosamente. Mio padre era pallido e smunto come non mai, e incapace di recitare la parte del papino premuroso (chi si sente in grado di fare la predica quando l’intera comunità magica ha in mente di linciarti?) o del patriarca incazzato (meglio così, perché era sempre stato il suo forte). Mi fissava con sguardo vacuo e vagamente accusatorio, ma manteneva un silenzio cauto. A mia madre invece stava per esplodere la testa.
«Draco» disse, pronunciando il mio nome per l’ennesima volta, «non capisco il tuo atteggiamento provocatorio. Pensavo che fossi felice che...».
«Sono felicissimo, madre» le dissi, con voce amena, «e lo sarò ancora di più se mi spedirete una cartolina di tanto in tanto».
Vidi nei suoi occhi che stava valutando l’ipotesi di prendermi a ceffoni, ma lasciò correre. Saggia. Calò un silenzio risentito che non mi curai di interrompere. Invece osservai il corridoio esterno; molti volti, tutti piuttosto malridotti, mi fissarono di rimando. Improvvisamente mi sembrò che la cella fosse un luogo molto più interessante.
Tornai a voltarmi verso mia madre, il cui viso era tornato a comporsi in una espressione nobilmente risoluta. «Ascoltami, Draco» disse alla fine, e per un istante mi sembrò di ritornare ai tempi in cui ero solo un moccioso che si aggirava per il Maniero Malfoy (M.M., Maniero Maligno, per ex abitanti sfrattati da arcinemici squamosi). Bei tempi? Beh, più o meno. Non mi era mai dispiaciuto sapere che un giorno sarei stato io a possedere ogni centimetro di quel pavimento di marmo, degli arazzi e dei mobili intarsiati. E maltrattare gli elfi domestici era sempre sembrato un passatempo accettabile. Solitudine da figlio unico? Non quando si può pungolare Dobby con un attizzatoio perché non ti porta abbastanza biscotti. Credetemi, diseducativo o no, è divertente; in ogni bambino si cela un vero tiranno. Certo, c’erano dei lati negativi. Il fatto che tuo padre sia un avanzo di galera, ad esempio, o che finisca tutto lo shampoo per mantenere setosi i suoi capelli. Negli ultimi anni aveva provato perfino a rubarmi il gel, sicché avevo dovuto trovare nascondigli sempre più fantasiosi. Mai provato a nascondere qualcosa a qualcuno che può Appellarla senza neanche proferire parola? Ma questa è un’altra storia.
Mia madre proseguì, con voce severa, eppure lievemente nervosa. «E’ tempo che tu lasci da parte tutto il tuo rancore. In questo momento ci troviamo in una situazione delicata, e non possiamo permetterci errori».
«Altri errori, vorrai dire» la interruppi, beffardo.
Mia madre strinse ancora di più le labbra già pallide, che diventarono completamente bianche. Mio padre le lanciò uno sguardo di avvertimento, della serie tuo-figlio-è-entrato-nel-difficile-periodo-della-adolescenza-e-noi-dobbiamo-mostrarci-più-maturi-di-lui, che la convinse a placarsi. In compenso la vidi gettargli un’occhiata di risposta, il cui significato era più o meno parlagli-tu-prima-che-io-uccida-con-le-mie-mani-il-nostro-unico-erede. Così mio padre si schiarì solennemente la voce prima di cominciare con un bel discorsetto che, sospettavo, fosse stato imparato a memoria. Del resto, che altro avevano da fare tutto il giorno, se non preparare discorsi? Chissà, magari potevano prepararne uno per il Signore Oscuro, per quando sarebbe nuovamente salito al potere. Così magari ci avrebbe risparmiati per gratitudine. Presi nota mentalmente di proporre l’idea.
«Si, figlio mio, la situazione è drammatica. Tuttavia, non dobbiamo perderci d’animo; essere un Malfoy significa sempre qualcosa, sia per i nostri amici del Ministero, sia per...altri» disse, in tono significativo, e uno spettro senza naso sembrò aleggiare su di noi. Si, significa che se non passerai almeno un decennio in prigione sarà perché il tuo Pitonato Padrone ti avrà ammazzato prima, avrei voluto rispondergli, ma ritenni che fosse poco educato farglielo presente, e tacqui. Mio padre, evidentemente soddisfatto della sua intro, proseguì tutto d’un fiato. «Nel frattempo, fino a che noi saremo bloccati qui» e con un gesto tetro indicò l’ambiente circostante, quasi ci fosse finito per sbaglio, e fosse in attesa dei soccorsi, «tocca a te occuparsi degli affari di famiglia».
«Quindi tocca a me ripulire la tenuta dai pavoni morti?» non riuscii a impedirmi di dire.
Mio padre arrossì, ma non si perse d’animo. Era un fiume in piena. Immagino avesse in mente di strangolarmi più tardi. «Quindi» disse, con tutta la dignità che la situazione gli concedeva, «significa che dovrai svolgere un paio di... commissioni per noi».
«Se volevi dei Pallini Acidi potevi anche chiedermelo» ribattei prontamente. «Te li avrei presi prima di venire».
«Vogliamo che tu entri alla Gringott!» sibilò lui, piuttosto irato, guardandosi attorno subito dopo. Temeva che qualcuno l’avesse sentito? Beh, non era escluso che ci stessero spiando.
«Alla Gringott?». Questa volta, nonostante avessi già la battuta pronta (“avete finalmente deciso di aumentarmi la paghetta?”) lasciai perdere. La curiosità aveva preso il sopravvento.
«I tuoi zii custodiscono molte cose nella loro camera» disse mio padre, afferrandomi per il polso e guardandomi, concitato. «E temiamo che qualcuno possa decidere di sottrarle. Tua zia non può certo entrare alla Gringott... ma tu si».
Quella era la fine del suo discorso? Beh, magari era meglio che non ne facessero uno per il Signore Oscuro. Certo, magari ci avrebbe risparmiati per pietà. Se c’era una cosa che poteva suscitarla nel Signore Oscuro (o in chiunque altro, se è per questo) era l’eloquenza di Lucius Malfoy.
Tornando a concentrarmi sul discorso, comunque, notai una piccola falla nel loro ragionamento. «E come dovrei fare a entrare, sempre ammesso che volessi farlo? Non è la nostra camera». I miei genitori si scambiarono un’occhiata imbarazzata, prima di tornare a voltarsi verso di me. «E’... è fondamentale per la nostra famiglia tutelare il nostro patrimonio» disse mio padre, sulla difensiva.
«Avete una copia della chiave?» feci, incredulo.
Lui tossicchiò. Mia madre tirò sul col naso: «era meglio che qualcuno ce l’avesse, nel caso Bella...».
«Quando l’avete fatta?».
«Molti anni fa».
«Avete rubato a Bellatrix Lestrange la chiave, e ne avete fatto una copia?». Accidenti. Ogni tanto perfino loro mi stupivano con un atto di coraggio. Presi il loro silenzio per un assenso.
«E che cosa dovrei... ehm... prelevare dalla camera in questione?». La mia voce era leggermente meno scettica.
«Un manufatto di una certa importanza» disse mia madre, con voce fioca. «Molto tempo fa, il... il Signore Oscuro» disse le ultime parole con voce così bassa che quasi dovetti indovinarle, «consegnò a tuo padre un oggetto da tenere con cura. Ne consegnò uno anche a mia sorella. Tuo padre ha... ha smarrito il cimelio che gli era stato affidato, ma Bella custodisce ancora il proprio nella camera di famiglia». Fu con il batticuore che capii di che stavano parlando. Non poteva trattarsi che dell’Horcrux, anche se era evidente che mio padre non avesse avuto idea della sua reale essenza. La Granger mi aveva raccontato di come mio padre avesse “smarrito” quello che gli era stato consegnato, e anche se all’epoca non ne ero stato cosciente, né avevo saputo alcunché in proposito, immagino che mio padre fosse stato punito per bene per la sua colpa. Chissà che cosa i miei pensavano che fosse, l’Horcrux. Magari qualche oggettino di famiglia che il Possente Pitone (P.P. per chi ne maneggia pezzi di anima) progettava di vendere a un rigattiere per comprarsi qualcosa di carino.
«Ma perché prenderlo ora?» chiesi, perplesso.
«Il Ministero è inquieto» disse mio padre. «Non vogliamo che si mettano a cercare dove non dovrebbero. Se decidessero di perquisire la camera...» e scrollò le spalle, malinconico.
«Ma se noi lo salviamo» interloquì mia madre, lievemente eccitata, come al pensiero di fare una buona azione per il suo circolo di beneficienza, «allora siamo certi che il Signore Oscuro ci perdonerà... ci sarà grato... ci eleverà al posto che ci spetta». E mi sfiorò la guancia, trionfante (e un po’ invasata, a dire il vero). «Capisci, Draco? Questa è la tua occasione per riscattare la tua famiglia!».
Era un piano passabile, e avrebbe anche potuto funzionare. In effetti, non era il primo piano che sembrava privo di possibilità di errore. Andare a prelevare, portarsi a casa l’Horcrux, ricevere gloria e onori in un futuro abbastanza prossimo. Aveva una sua logica. Del resto, anche i piani del Signore Oscuro erano sempre sembrati buoni.
Il problema? Beh, c’era sempre qualcosa che si dimenticavano di considerare.
Come Potter e la sua sfacciata fortuna, ad esempio. A loro discolpa, posso dire che fosse difficile  ricordarsi di lui. Sembrava piuttosto insignificante.
Oppure come i suoi amici e alleati, che spuntavano come funghi ovunque, e nel momento peggiore.
Oppure come Draco Malfoy, che al momento aveva disdetto la sua tessera al Voldemort Fan Club, per entrare nei ranghi dell’Ordine della Fenice.
Oh, e va bene. Ammetto che anche questo fosse difficile da considerare.
Anche la ribellione adolescenziale, di solito, non arriva a questi livelli.
 
«Allora, Malfoy, vuoi sputare il rospo, si o no?» gli domandai, incrociando le braccia al petto. Ci trovavamo nella Stanza delle Necessità, magicamente trasformata in una pratica – e silenziosa – aula studio. Da più di due settimane mi ero volontariamente – e valorosamente – sottoposta alla amara tortura di sessioni quotidiane di studio con Malfoy. Mi sembrava l’unico modo per tenerlo d’occhio (e difatti la McGranitt approvava) e allo stesso tempo per inculcargli qualche nozione di civiltà e etica riguardante l’Ordine – nonché per discutere degli Horcrux.
Riguardo quest’ultimo punto, incredibilmente, Malfoy si era dimostrato utile. Non solo mi aveva elencato una mezza dozzina di nascondigli dove altri cimeli serpenteschi avrebbero potuto celarsi (anche se sospettavo ce ne fossero altri), ma mi aveva anche parlato di diversi oggetti, posseduti da svariati membri del Glorioso Casato Malfoy (G.C.M., Giullaresca Cazzata Malfoy, per alleati che vengono a conoscenza di dettagli poco piacevoli in proposito), che avrebbero potuto essere utili e sostituire la spada.
Passare così tanto tempo con Malfoy era una necessità; in presenza di Harry e Ron il nostro amico furetto diventava ancora più scontroso e intrattabile, e talvolta si rifiutava di aprire bocca. Non che fossi lusingata del fatto di essere passata da Maledetta Mezzosangue a Male Minore – ero più o meno una scelta obbligata. Per Harry nutriva  un’avversione perfino peggiore di quella che provava per quel sacrilegio liquido che era il mio sangue, e Ron... beh... non entrava neppure nel suo radar.
Era così che, da bravi partner di studio, passavamo ore ogni settimana chini sui libri, o cercando di discutere civilmente del futuro dell’Inghilterra Magica mentre mentalmente ripassavamo i nostri peggiori insulti. Aiutare Malfoy nello studio, grazie a Dio, non era un’impresa così ardua, specie dopo anni di allenamento con Ron ed Harry. In alcune materie non era sicuramente un genio, ma era piuttosto sveglio, per quanto il suo più grande esercizio mentale fosse preparare frecciatine velenose.
Più arduo, per Malfoy, era decidere come incontrarsi con me. Dopo la piazzata di Anita Bullstrode, sembrava vivere nel terrore che qualcun altro immaginasse che tra di noi ci fosse del tenero. La storia era volata di bocca in bocca, certo, ma quasi nessuno aveva anche solo pensato di prendere sul serio la faccenda. Tutti sapevano che quello che c’era tra noi (passatemi l’espressione) era semplicemente una forzata sopportazione (oltre alla faccenda dell’Ordine, naturalmente). Tuttavia lui aveva insistito affinché evitassimo i posti aperti (“meno ci vedono assieme, meglio è, Granger”) e le aule vuote (“e dar loro modo di immaginare che ci appartiamo? Scordatelo, Granger!”), sicché non ci erano rimasti che la Biblioteca (“così avrai un’occasione per stare zitta, no?”) e la Stanza delle Necessità (“ottimo. Potrei liberarmi del tuo cadavere, e nessuno se ne accorgerebbe”).
Quel giorno, di ritorno da Hogsmeade, mi si era avvicinato – con l’aria disgustata più ostentata che riusciva a produrre – e mi aveva detto, sottovoce, di avere grandi novità per me. Così, dopo cena, ero corsa nella Stanza delle Necessità e lo avevo atteso ben venti minuti prima che si degnasse di farsi vivo.
«E tra parentesi» aggiunsi, tanto per scocciarlo (non ero felice di averlo aspettato), «non è una buona idea incontrarsi a quest’ora. Se qualche professore ti vede in giro...».
«Mi evitano accuratamente» disse Malfoy, alzando le spalle. «Fanno finta di non vedermi. Ma lascia perdere, Granger. Ho cose più importanti da discutere con te, adesso».
Il giorno prima si era lasciato sfuggire che sarebbe andato in visita dai suoi genitori. Mi chiesi, distrattamente, che  cosa avrebbe potuto dirmi che io o la McGranitt non sapessimo già.
«Di che cosa si tratta?» chiesi, senza riuscire a impedirmi di suonare curiosa.
«Tu e Potter mi avete raccontato di quello che lui ha visto nel Pensatoio» disse, e non gli servì precisare per farmi capire che si trattava dei ricordi su Voldemort. «Riguardo a quando lui fece visita a... quella vecchia...». Si sforzò di ricordarne il nome.
«Hepzibah Smith?» suggerii. Un brivido di aspettativa mi percorse quando pronunciai quel nome.
Lui annuì una volta soltanto. «Oggi sono andato... a trovare i miei genitori» disse, e sembrava che volesse illudersi di averli incontrati a casa, «e ho ricevuto... una informazione interessante».
«Cioè?» chiesi, in fretta. Malfoy strinse le labbra in un modo che mi ricordò la madre Narcissa, e chiuse gli occhi. Quando lo faceva, una parte della sua boria veniva spazzata via, e mi sembrava molto più umano. era evidente che stesse lottando con se stesso, ma quando tornò a guardarmi capii che avrebbe parlato, nonostante tutto.
«Mia madre vuole che io metta al sicuro un prezioso manufatto. Manufatto che  non deve assolutamente cadere nelle mani del Ministero, perché estremamente importante per il Signore Oscuro». Mi lanciò un’occhiata significativa e penetrante, e io mi sentii mancare. Possibile... «L’oggetto in questione è stato affidato alle cure di mia zia dal Signore Oscuro in persona, ed è ora custodito nella camera dei Lestrange» proseguì lui, con una smorfia che avrebbe potuto essere un sorriso o un conato di vomito, e alzò un braccio per mostrare, appesa a un cordino rosso, una vecchia chiave elaborata. «Una coppa molto antica, con sopra impressa l’effigie di Tassorosso».
Per parecchi secondi rimasi a guardarlo, troppo stupita per parlare. Il mio sguardo si spostava dalla chiave, al suo viso, per poi ritornare alla chiave. «La coppa che custodiva Hepzibah» mormorai, incredula. Draco Malfoy stava per recuperare uno degli Horcrux mancanti..?
«Precisamente. Almeno, ritengo probabile che sia così» disse lui, questa volta indubbiamente soddisfatto. «Mia madre è convinta di attirare su di sé la gratitudine del Signore Oscuro se riusciremo a mettere le coppa in salvo».
Dopo un paio di istanti, riuscii ad elaborare tutte le informazioni che mi erano state fornite. «E tu... tu ce l’hai detto» dissi, quasi troppo stupita per dirlo ad alta voce.
Quando Malfoy mi guardò, capii quanto doveva essergli costato. «Ho scelto di stare dalla vostra parte, no?» disse, sulla difensiva, ma il suo viso parlava chiaro: “e non è detto che sia la scelta più conveniente”.
«Un Horcrux nella camera dei Lestrange» sussurrai, troppo euforica per rendermi davvero conto di quello che significava. Non riuscivo a metabolizzarlo. Due Horcrux... stavamo per avere due Horcrux... poi sarebbe mancata Nagini, certo, e un altro oggetto misterioso, ma era come essere a metà strada!
Gli afferrai il polso della mano che stringeva la chiave. «E che cosa aspetti?» chiesi, un po’ irrazionalmente. «devi... dobbiamo assolutamente recuperarlo! Dirò alla McGranitt...».
«Calma e sangue freddo, Granger» disse lui, il labbro arricciato in segno di scontento. «Non posso mica presentarmi alla Gringott quando dovrei essere a scuola. La gente si farebbe delle domande... e il Signore Oscuro anche».
Non ci avevo pensato. La mia espressione si afflosciò, e io gli strinsi il polso con più veemenza. Lo stesso fatto che non mi avesse ancora mollato uno spintone testimoniava che, anche se solo in fondo, era contento anche lui. Almeno, così credevo. «Ma allora che cosa conti di fare?».
«Aspetterò le vacanze di Natale» disse lui, riflettendo velocemente. «Poi approfitterò di una qualche gita, e andrò a Diagon Alley...».
«....andremo» lo corressi, allegramente. Lui fece finta di vomitare, ma io non gli badai. «...dirai che hai bisogno di prelevare denaro per fare compere, nel caso in cui ti chiedano qualcosa mentre stiamo andando...».
«...preleverò davvero, e poi dirò ai folletti che devo prelevare anche per conto di mia madre...» proseguì lui, concitato.
«...nella sua camera di famiglia...».
«...la coppa deve essere piuttosto piccola, perciò sarà facile trasportarla fuori senza che la gente la veda...».
«...e basterà trovare qualcosa con cui distruggerla!» conclusi io, esultante.
Lui annuì, ancora assorto nei suoi calcoli. Mentre lo esaminavo, senza riuscire ad impedirmi di sorridere, pensai con un certo stupore che era tutto vero. L’Horcrux era stato rintracciato. E sarebbe stato Draco Malfoy a recuperarlo. Scossi appena la testa, e poi, ricordando che ancora gli stavo stritolando il polso, lo lasciai andare. Questo bastò a riscuoterlo, e si guardò attorno come per chiedersi che cosa stesse facendo lì.
«Devo dirlo a Ron e Harry» dissi io, immaginando le loro facce nell’apprendere la notizia. «E così potremo cominciare a pensare... a come trovare la spada. A dove trovarla» sospirai. «o con cosa sostituirla, ovviamente».
Malfoy scosse la testa. «Un problema alla volta, Granger, accidenti. Abbiamo passato settimane a pensare a quella dannata spada senza venirne a capo. Perché non riesci a essere contenta, ora che abbiamo trovato quella maledetta coppa?». Sembrava vagamente irritato.
«Beh, scusami tanto» ribattei, piccata. «Ma non è che io raccolga i pezzi dell’anima di Lord Voldemort per collezione. Se non possiamo distruggerli....».
Malfoy aveva fatto un salto al nome di Voldemort, ma non appena si fu ricomposto, mi lanciò una occhiata assassina. «Sei una dannata guastafeste. Se solo potessimo usare l’Ardemonio...».
«No» dissi io, risoluta, con un cipiglio tale da farlo irrigidire di spavento. «Malfoy, ne abbiamo già parlato, accidenti! L’Ardemonio non è un gioco. La gente finisce per morire perché non sa come controllarlo, e dubito che qualcuno di noi ne sia in grado».
«Anche con V... il Signore Oscuro non stiamo esattamente organizzando una partita a carte, sai» ironizzò lui, con una smorfia di superiorità.
«Non è la stessa cosa» gli feci notare. «Abbiamo l’Ordine, molti alleati. Abbiamo gli Horcrux. E abbiamo Harry».
Malfoy alzò gli occhi al Cielo, in un modo assolutamente teatrale. «Oh, ma andiamo» disse con enfasi. «Granger, non puoi davvero dirmi che affideresti la tua vita a Potter. Per quanto accecata dall’amicizia, non mi aspettavo che fossi così idiota».
Quel commento mi irritò così tanto che, senza neppure accorgermene, finii per agire d’impulso. gli diedi uno spintone che, anche se non lo fece cadere, lo fece barcollare. Mi guardò, allibito. «Ma sei ammattita, Gr...?» cominciò, ma prima che potesse finire, lo stavo già aggredendo.
«Lo stupido sei tu!» sillabai, inviperita. «Se non fosse stato per Harry, non saremmo qui ora. Probabilmente saremmo tutti morti sedici anni fa, tanto per cominciare» e feci una smorfia, «oppure sei anni fa, quando Voldemort stava per prendere la Pietra Filosofale. O magari cinque anni fa, quando un gigantesco Basilisco mi ha pietrificata. O magari l’anno scorso, quando stava per prendere il controllo del Ministero, Silente eraa morto, e tu fuggivi mano nella mano con Piton che lo aveva appena assassinato!». Mi resi conto di urlare e abbassai il mio grido a un sussurro vibrante e minaccioso, mentre Malfoy mi guardava con gli occhi sbarrati. «Harry è un mio amico, Malfoy, ed è una persona perbene. È coraggioso e leale, tanto per cominciare, ed è buono. Merita più rispetto di quanto chiunque gli stia dando, se proprio vuoi saperlo. Puoi continuare con le tue scenette da piccolo Lord offeso, Malfoy, se la cosa ti fa stare meglio. Nessuno di noi mette in dubbio che la tua sia una situazione difficile. E allora? Lo è anche la nostra. E tanto per cominciare, potresti essere grato a chi ti ha salvato la pelle e ti permette di avere qualcosa che assolutamente non meriti: un’occasione».
Ero fiera del mio discorso. Tirai un paio di lunghi respiri prima di soffocare. Poi fissai con astio Malfoy, che ricambiò l’occhiata. «Non mi piace per niente, Granger» sbottò. Il suo tono non era tanto offeso, o irritato, né propriamente arrabbiato. Sembrava tra lo sconfitto e il rabbioso.
«Che cosa non ti piace, Malfoy?» risposi, nello stesso tono.
«La maniera in cui finiscono le nostre discussioni ultimamente» chiarì lui, piuttosto disgustato. «Non mi piace la maniera in cui mi trattate tutti come se fossi un bambino... e non mi piace che sembriate sempre avere ragione. Che abbiate sempre ragione».
Lo guardai, a bocca spalancata.
«E non guardarmi in quel modo» disse lui, infastidito.
«Malfoy...» dissi, gli occhi ancora sgranati. «Sicuramente Voldemort deve averti fatto qualcosa. Ti ha forse maledetto...?O forse, quando sei caduto dalle scale...». lo esaminai da vicino, quasi preoccupata.
«Sto benissimo» disse lui, doppiamente irritato. «Stavo solo meditando ad alta voce».
«Fallo più spesso, allora».
«Già, così che possiate trovare qualche altro modo per insultarmi» disse, e allora capii. Il suo era il tono di un ragazzo sconfitto. Era il tono di chi si trova tra nemici, attorniato solo da ostilità, e privato di ogni arma. Era un tono molto umano.
«Noi non siamo tuoi nemici, Draco» dissi, usando per la prima volta il suo nome, e gli posai esitante una mano sulla spalla. «Quando dicevo che vogliamo aiutarti, ero sincera. Stai... stai facendo molto  per noi, no? Sei un nostro alleato».
«Voi idolatrati tutti la gente come Potter» disse lui con voce atona, scrollandosi via di dosso la mia mano. «Non c’è posto per gente come me, no? e io non ci tengo a farne parte».
«Nessuno di noi vuole escluderti» insistetti, cocciuta. «Se ci dimostrassi di essere degno di fiducia...».
«Mi invitereste a casa vostra a prendere il the?» commentò lui, maligno.
Lasciai perdere, e sospirai. «Andiamo a dormire, Malfoy».
«Ne hai bisogno, Granger. Hai delle occhiaie spaventose» fu la risposta.
«Per tua informazione» mi infiammai, indignata, «se passo le serate in piedi fino a tardi è anche per recuperare la mole di lavoro che non faccio mentre aiuto te a...». mi bloccai,quando mi resi conto dalla sua espressione a metà tra il divertito e il beffardo, che stava scherzando. Draco Malfoy stava scherzando... quasi. Non dubitavo che davvero detestasse le mie occhiaie, però il suo era stato un tentativo di alleggerire l’atmosfera.
Quando si rese conto che lo avevo capito, e che lo guardavo come inebetita, riprese il suo consueto aspetto disgustato – e non era affatto un’espressione costruita. Almeno, non lo era al novantanove per cento, il che non era molto consolante.
«Andiamo» dissi, e uscii di fretta dalla stanza, senza accertarmi se lui mi avesse seguita.
 
La Sala Comune era vuota. La luce verdastra che illuminava la stanza era sufficiente per non inciampare andando verso i Dormitori, ma di certo non per studiare. Ecco perché di rado qualcuno restava alzato fino a quell’ora, se non aveva qualcosa di cui discutere con qualcuno. Sbadigliai, e mi levai le scarpe per non svegliare i miei compagni di stanza rientrando. Nott e gli altri potevano anche essere comprensivi con me, ma Zabini tendeva ad affatturare chiunque lo privasse del suo “dovuto” riposo.
Ero giusto a metà strada, quando la porta alle mie spalle si aprì, facendomi voltare di scatto. Sulla soglia, pallido e scarruffato, stava proprio Zabini. Non sapevo dove fosse stato, né perché sembrasse di ritorno da una intensa sessione di studio. Quello che vidi chiaramente, nonostante la luce fioca, era che aveva il viso chiazzato di rosso e stravolto. Come se avesse appena pianto.
Quando mi vide, si bloccò di colpo. Ci fissammo, inorriditi, per parecchi istanti. Nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare.
Alla fine lui richiuse dietro di sé la porta. Sembrava deciso a fare finta di nulla. io, però, non ero certo di poter fare altrettanto.
«Che cosa è successo?» domandai, a bassa voce perché nessuno sentisse. Lui si era chinato a togliersi le scarpe, come avevo già fatto io, e si irrigidì a metà del gesto. Alzò lo sguardo su di me, stupefatto. «Come?».
Ricordai quella volta che lo avevo visto in infermeria. Anche allora mi era sembrato agitato. Che cos’era che poteva commuovere tanto uno come lui? Che cosa nascondeva con tanta cura? Ricordai anche le parole di Nott. Che stesse tramando qualche cosa era evidente, ma non mi sembrava qualcosa di pericoloso. Di qualunque cosa si trattasse, era chiaro che lo riguardava da vicino, e non doveva essere qualcosa che voleva condividere, o usare a discapito di altri.
«Che cosa è successo?» ripetei.
Zabini fece un sorriso sforzato. «Non mi pare che ti riguardi» mi disse, con aria di sfida.
«No, infatti, non mi riguarda» dissi, in tono neutro.
«Allora, non chiedere» tagliò corto lui.
Fece un paio di passi verso di me, ma io non intendevo mollare. «Nott ti sta tenendo  d’occhio» dissi, e non appena ebbi pronunciato quelle parole, quasi me ne pentii. Perché mai avrei dovuto riferire a uno dei miei peggiori nemici (la classifica non comprendeva il Calvo Cobra, naturalmente) che uno dei miei migliori amici lo stava sorvegliando? Che problemi avevo, di recente? Forse la Granger aveva ragione. Forse davvero la caduta dalle scale aveva interferito con il mio cervello...
«Come?» disse lui di nuovo, basito.
«Ho detto che Nott ti sta tenendo d’occhio. Vuole scoprire dove vai. A tutti i costi» chiarii, come se non mi interessasse affatto. avrei dovuto fregarmene, lo so. E allora perché non ci riuscivo?
OPZIONI:
·         La banda Potter aveva una pessima influenza su di me. Il che, con tutta probabilità, era vero.
·         Ero un mentecatto. Il che, visto il fatto che ero fuggito dalle braccia del Signore Oscuro solo per cadere in quelle altrettanto terrificanti della sovra citata Banda Potter, era sicuramente vero.
·         Ero ubriaco. Il che non era vero, anche se avrei tanto voluto esserlo.
·         Una combinazione delle tre precedenti. E chi ero io per dire di no?
Quella lista, nel suo piccolo, non era affatto promettente. Mi ripromisi di completarla più tardi, e mi concentrai sul mio interlocutore.
«E perché mai dovresti dirmelo?» disse infatti, stupito. Buona domanda.
«Forse voglio metterti in guardia» risposi, senza scompormi.
«Bella, questa. Riprova». Serpeverde. Piuttosto seducenti se ti piacciono le squame, letali spesso e volentieri (anche se spesso non di proposito). Deliziosamente sospettosi nei confronti di tutti, e devo ammettere che anche un fan verde-argento come me aveva qualche riserva sull’effettiva utilità della cosa. Per non parlare dei risvolti negativi. Certo, ce ne erano molti di positivi. Non fare parte della banda Potter, ad esempio. Anche se, per come stavano andando le cose, forse anche il mio sangue Serpeverde non era abbastanza. Involontariamente sospirai.
Zabini mi guardò con sospetto. «Senti, Zabini» dissi, improvvisamente desideroso di tirarla corta. «Se non ti va di raccontarmi gli affari tuoi, benone. Ma se non vuoi che tutti in giro sappiano che ti nascondi in qualche anfratto buio della scuola a singhiozzare, forse ti converrebbe guardarti le spalle».
Il mio Capitano di Quidditch arrossì appena. «Non ho pianto».
«Certo, Zabini, naturalmente. Sei solo allergico agli idioti, il che, vista la tua stupidità, ti impedisce di evitare gli sfoghi allergici al viso».
Il rossore si fece più evidente. «Che cosa ci guadagneresti a mettermi in guardia contro Nott? Lui ti guarda sempre le spalle».
Perché ogni cosa doveva sempre essere frutto di premeditazione..? ah, giusto. Mentalità Serpeverde. Ecco, questo era un lato della nostro personalità che apprezzavo.
«Consideralo un atto di buon cuore, Zabini» mi limitai a dirgli. Poi gli voltai le spalle e feci per allontanarmi. Lo sentii che mi afferrava per la divisa, e mi voltai di nuovo. Il suo volto era teso, stranamente preoccupato. «Ci sono cose nelle quali non dovresti indagare. Per il bene di tutti» disse, e quel tono mi insospettì.
«Che  cosa vuoi dire?».
«Non chiedere. In ogni caso, non potrei dirtelo, né potresti scoprirlo. Anche io...» si bloccò, scosse la testa, e parve pentirsi della propria loquacità. «In ogni caso, Malfoy» riprese, dopo un attimo di riflessione, «sta’ attento».
Il ricordo della Guferia tornò a farsi sentire. «Perché mai dovrei?».
«Anche tu hai i tuoi segreti da nascondere. Non negarlo» disse, con un sorriso sarcastico, vedendomi aprire bocca, «ma sappi che anche tu sei tenuto d’occhio».
Così dicendo, si allontanò di fretta verso il Dormitorio, prima che potessi dire qualche cosa. Sorvegliato? Come? Da chi? E che cosa combinava, Zabini?
Oh, d’accordo. Scordatevi quello che ho detto. La riservatezza Serpeverde è una vera merda.
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Ciao a tutti ;) capitolo di collegamento, e quindi un po’ più breve, ma che vi dedico di tutto cuore. Specie ad _Alene__ (penso di averlo scritto giusto, aha, non sono capace di scrivereeee) per la sua segnalazione <3 non ho molto tempo, quindi vado subito al sodo: il prossimo capitolo conterrà qualche festeggiamento pre-natalizio molto particolare ;) grazie a tutti coloro che seguono, leggono e soprattutto recensiscono ,) diventate sempre più e vi ringrazio molto XD a presto XD

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Cobras Crave Christmas (C.C.C.) ***


Ron mi fissava con un certo astio, cocciuto e assolutamente immotivato. «Non ha alcun senso» disse, mentre Harry, che aveva già notato l’atmosfera litigiosa che andava addensandosi, metteva in pratica la tecnica che aveva affinato nel corso degli ultimi sette anni: farsi piccolo piccolo per non essere notato.
Io, però, non avevo nessuna intenzione di litigare. Oh, e va bene, ce l’avevo eccome, ma non per questo. Il giorno prima, ai Tre Manici di Scopa, avevo assistito con disgusto alle patetiche avances di Ron nei confronti di Emily – la nipote di Rosmerta – e, cosa ancora più sbalorditiva, alla maniera compiacente con cui tali avances erano state accolte. Avevamo passato tutto il pomeriggio a bisticciare, ma ora che avevo saputo dell’Horcrux, ero piuttosto incline a fingere che non mi importasse. Almeno uno dei due doveva essere maturo.
«Ron, te l’ho già detto. Non sarebbe una buona idea» sospirai.
«Oh, perché invece far andare te lo sarebbe, vero?» chiese lui, ironicamente.
«So badare a me stessa» dissi, con sussiego.
«Anche io!» protestò lui, vivamente indignato, «e Malfoy è un essere bieco, Hermione, perciò, passare tutto quel tempo con lui...».
«E’ questo il tuo vero problema, giusto?» gli chiesi, provocatoria. «Il fatto che sia io sia Malfoy sembriamo preferire la compagnia di qualcun altro!».
Le orecchie di Ron fornivano già un indizio più che evidente della risposta. «Io... lui... questo non c’entra niente!».
«Eppure» dissi, con rabbia, pentendomi subito dopo di quello che mi uscì di bocca, «ieri non mi sembrava che ti importasse molto della mia presenza, o di quella di Harry!». La faccia di quest’ultimo lanciava chiaro il segnale non-mettermi-in-mezzo-perché-se-si-ricorda-della-mia-presenza-mi-chiamerà-in-causa-e-tu-sai-che-non-potrei-scegliere-da-che-parte-stare, ma io lo ignorai bellamente.
Ron era ormai scarlatto. «Non so di che parli» disse, la voce che gli tremolava appena.
«Ron Weasley che non sa qualcosa? Che strano» dissi, non senza cattiveria. Poi ammutolii. Non era da me essere così feroce. Guardai Ron, un po’ sbigottita. Lui ricambiò con sguardo vacuo. Che cosa mi stava succedendo? Perché me la stavo prendendo così a cuore... e perché ero così velenosa?
Ron fece per replicare, ma sembrava che gliene mancasse la forza. Fu allora che, provvidenzialmente, Harry decise finalmente di intervenire. «Lo faccio io» disse, non senza un certo sforzo. Mi parve che fosse un po’ irritato, e non ero sicura che non fosse colpa mia.
«Come?» chiese Ronald, con voce flebile.
«Andrò io con Malfoy. Alla Gringott, intendo» disse, mesto.
«Harry» dissi io incerta, recuperando la mia solita sensibilità, «non è necessario che tu lo  faccia. Tu e Malfoy...».
«Siamo alleati, no?» disse lui, stancamente. «Non è giusto che debba assumerti tu l’incarico di averci a che fare, Hermione. Nessuno di noi sta facendo nulla...».
«...appunto per questo avevo proposto...».
Harry alzò la voce per sovrastare quella di Ron. «...ma Malfoy è anche responsabilità nostra. Lascia che ci pensi io. Io... voglio essere presente». Non era solo per l’Horcrux, lo vedevo bene, anche se era naturale che volesse partecipare. Si sentiva davvero in colpa per avermi lasciata da sola a gestire il nostro amico squamoso.
«Ne sei sicuro..?» domandai.
«Non che l’idea mi faccia impazzire, logicamente» disse Harry, con una smorfia. «E’ probabile che non riusciremo ad arrivare alla Gringott senza affatturarci un paio di volte».
Sospirai di nuovo. Perché Malfoy riusciva sempre ad essere un problema..?
«Nessuno di voi ha davvero considerato l’ipotesi di mandare me, vero?» chiese Ron, acido.
Harry e io ci scambiammo un’occhiata. «Ron...» cominciò lui, esitante. «Penso... penso che sia vero. Penso che Hermione abbia ragione». Ron si adombrò. «Tu sei un traditore del tuo sangue, no?» si affrettò a dire Harry, anche se sapevo che non era quella la vera ragione. «Per lui tu sei quello della razza peggiore».
«Si, si, d’accordo» disse Ron, ancora con un’espressione fosca. «lasciamo perdere».
«Io... io devo andare» dissi allora, avvertendo l’atmosfera tesa. «Sono in ritardo...»
«Devi andare da Malfoy?» mi chiese Ron, maligno.
«No» dissi, semplicemente. «Devo fare rapporto alla McGranitt. E devo... fare una cosa... con Ginny» dissi, incerta su chi dei due dovessi guardare. Non volevo guardare Harry, a cui l’esplicito riferimento a Ginny era bastato per farlo arrossire, ma non volevo neppure dire a Ron che dovevamo andare da Lumacorno. Sospettavo infatti che la sua “convocazione” avesse qualcosa a che fare con il Lumaclub.
«Ah, Hermione. Un’altra cosa» disse Harry. Mi voltai a guardarlo.
«L’Horcrux. Dammelo» mi disse allora, tendendo la mano. Nell’istante in cui ricordai di averlo ancora appeso al collo, pensai di aver capito il motivo per cui ero stata tanto acida con Ron. Certo, chissà come, pensavo che ci fosse lo zampino di Draco Malfoy. Chi va con lo zoppo...
Glielo consegnai con un brivido di disgusto, alzandomi in piedi e spazzolandomi via l’erba dalla gonna. Eravamo nel parco, nel nostro solito angolino riservato, e nessuno badava a noi. Harry non sembrava felice di indossarlo, ma dentro di me lo ringraziai.
Mormorai un saluto e mi allontanai a grandi passi, rimuginando tra me. Ron era geloso di Draco Malfoy. Questo era evidente almeno quanto era assurdo. La cosa avrebbe dovuto farmi piacere – mi faceva piacere, purtroppo – ma allo stesso tempo mi innervosiva. Non volevo ammettere che Ron mi piaceva, ma cominciavo, seppur riluttante, a credere di non poterlo più negare.
Anche affrontare Voldemort non mi pareva poi così brutto in confronto, se ci pensavo. E se una ragazza sogna un incontro con il Signore Oscuro pur di non innamorarsi del suo migliore amico, tutto è possibile.
Santo cielo, tanto valeva essere innamorata di uno come Draco Malfoy.
 
«Che cos’hai oggi, Draco?» protestò debolmente Pansy, dopo che per tutto il giorno ero stato fin troppo giù di tono.
Sbadigliando, valutai diverse possibili risposte. Dopo un mese, l’incidente di Quidditch non sarebbe più stato plausibile come scusa, tanto più che gli allenamenti erano proseguiti con costante regolarità. Zabini sembrava un uomo nuovo; sempre concentrato, duro, risoluto, specie negli ultimi giorni. E dopo la sera prima, non mi sorprendeva granché. Certo, avrei tanto voluto sapere quale fosse il problema di Zabini, ma sembrava proprio che tutti avessero qualcosa da nascondere, ultimamente. Beh, a parte Pansy, certo, ma lei non contava.
Grazie a Dio, con Pansy esisteva una vasta gamma di possibilità. Avrebbe creduto a qualsiasi cosa le avessi detto, perciò non mi ci volle più di un istante per elaborare una scusa plausibile. «Sono gli studi... sono stanco morto» dissi. Beh, la Granger era stancante, no? quindi non era una vera bugia.
«Quella stupida Granger» sospirò Pansy, con un tono di vaga invidia più che di partecipazione. «Ti fa sudare, non è vero, Draco?».
«Mmh..? Si, quella stupida Nata Babbana» borbottai, senza dover troppo recitare.
«Non sarebbe meglio se lasciassi perdere?» suggerì lei, esitante. «In fondo non è mica detto che devi studiare con lei tutti i giorni, se ti costa tanto. Io con Paciock non ho mai niente a che fare». Evitai di farle notare che questo era principalmente perché Paciock era dato per disperso. Pansy avrebbe certamente tratto giovamento da un po’ di studio con Paciock (e questa la dice lunga sulle sue capacità, giusto?). Pansy Parkinson (o P.P., Persistente Purosangue, per le adorabili vittime del suo fanatismo) non era un genio, no.
«Sarei benissimo in grado di cavarmela da solo» acconsentii con un unico cenno del capo. «Ma devo tenermi buoni i professori come la McGranitt. Sai bene quanto me che mi tengono d’occhio». Un’altra mezza verità, anche se avrei voluto fosse tale. Almeno, credevo di volerlo. Non desideravo ammettere a me stesso che la compagnia di Hermione Granger fosse certamente migliore di quella di Pansy, anche se non era una concessione chissà quanto straordinaria. L’angosciante verità era che, questioni Lordvoldemortesche a parte, passare il tempo con il trio Potter non faceva abbastanza schifo per potermene lamentare – tranne quando vedevo la faccia di Weasley, naturalmente. Stavo sempre in silenzio, certo, quando non studiavo con la Babbana Zannuta o non prendevo in giro Weasley, ma talvolta il silenzio non mi faceva così schifo.  Grazie a Dio, comunque, queste verità erano sepolte al sicuro nel mio cassetto mentale non-vuoi-veramente-vedere-che-cosa-c’è-qui-dentro, e mi sentivo libero di ignorarle.
«Quella vecchia megera» disse Pansy, con un sospiro teatrale, posandomi una mano sulla gamba.
«Già» dissi, contento che si cambiasse d’argomento. Fui ancora più contento quando venni raggiunto da Nickleby, Todds e Carnarvon, tutti e tre del mio anno e tutti e tre perdutamente innamorati dello scintillante sottoscritto. Si piazzarono attorno a me e riprese la mia consueta routine di chiacchierii privi di senso dalla mia parte, e silenzio ammirato dalla loro.
Vi starete chiedendo quale fosse il reale motivo della mia insoddisfazione. Beh, se proprio volete saperlo, era un momento drammatico per me, e come spesso accadeva di recente, era tutta colpa di Hermione Granger. Immagino la dicesse lunga il fatto stesso che lei e i suoi patetici amichetti assorbissero una parte tanto consistente della mia giornata.
Dunque, le cose stavano in questo modo. Ricordate il dialogo che avevamo avuto la sera prima riguardo all’Horcrux? Beh, forse vi sarà sfuggito un piccolo dettaglio; non temete, era sfuggito anche a me in un primo momento. Lasciate che vi rinfreschi la memoria.
«Aspetterò le vacanze di Natale» disse lui, riflettendo velocemente. «Poi approfitterò di una qualche gita, e andrò a Diagon Alley...».
Beh, al momento non ci avevo davvero pensato – sapete, l’eventualità di fregare al Sibilante Signore un pezzo di anima mi aveva assorbito – ma quando, nel mio letto, avevo ripensato alla scena, mi ero reso conto di un piccolo particolare.
Non avevo nessuno con cui passare le vacanze di Natale.
Come il peggiore degli orfani sfigati – come Potter – non avevo qualcuno con cui festeggiare. Sarei dovuto rimanere a Hogwarts.
Lo so, lo so. Un sacco di gente rimaneva a scuola durante le vacanze. Anche cocco-di-mamma Weasley o nata-babbana Granger. E io stesso ero rimasto a scuola per le vacanze, un paio di volte. Beh, non era la stessa cosa, questa volta. Un conto era scegliere di non passare la vacanza con i propri genitori – e credetemi, sarebbe stata la mia prima opzione – e un conto era apparire agli occhi della gente come ragazzo-lasciato-a-se-stesso-che-bisogna-compatire. Nessuno, nessuno compatisce un Malfoy. Se non un altro Malfoy, naturalmente.
Avevo passato ore a rimuginarci sopra. Avrei anche potuto tornare a casa per le vacanze, ma a che pro? Non volevo davvero passare il tempo a raccattare pavoni morti dalla mia tenuta – ammesso che ci fossero, o che non fossero sepolti dalla neve. Inoltre avevo come l’impressione che in quel caso avrei rischiato grosso – che magari il Signore Oscuro ne avrebbe approfittato per farmi una visita. Ed ero certo che non avrebbe portato un cestino regalo con sé.
Alla fine mi ero addormentato, stizzito, cullato – per così dire – dal lieve russare di Zabini che, nonostante tutti i suoi turbamenti interiori, quando dormiva sembrava essere entrato in coma. E quando mi ero svegliato, la mattina dopo, qualcuno aveva provveduto a rigirare il coltello nella piaga.
«Non ne ho la più pallida idea, David» avevo sbadigliato in faccia a Mcnair, il quale, tutto eccitato, mi aveva chiesto a colazione se sapevo dove fosse un qualcosa chiamato Disneybored o qualcosa del genere. Era evidente che desiderava con tutto il cuore che gli chiedessi maggiori informazioni, e vista la mia carenza di sonno non avevo la forza dideluderlo. Così gli avevo chiesto, assennatamente, che cosa diavolo fosse un Disneybored.
«E’ una specie di... non saprei...» aveva detto lui, cercando di comunicare con lo sguardo quello che non riusciva a descrivere. «E’ negli Stati Uniti, dove andremo in vacanza. Il surf è ottimo da quelle parti, sai. Pare che i Babbani lo considerino un gran divertimento, comunque, e pensiamo di farci un salto». Il fratello  di McNair aveva litigato con la madre quando lei si era resa conto delle sue inclinazioni troppo filobabbane. Andava bene non voler Cruciare ogni Babbano (più o meno), ma imparare i loro sport (e quando McNair mi aveva spiegato in che cosa consisteva questo surf, avevo cominciato a credere che avesse ragione) era un po’ troppo. Così lui li aveva piantati per trasferirsi in California, e per riconciliarsi con loro li aveva invitati a raggiungerlo per le vacanze.
Quello che mi interessava, comunque, non era affatto Disney-coso o le vacanze di David. Quello che mi mise di cattivo umore fu la parola “vacanze”. Perfino McNair sarebbe andato in vacanza. In sostanza, non sapevo chi sarebbe rimasto, ma sapere di essere uno di questi aveva messo KO il mio buonumore.
A riscuotermi dalla mia rievocazione di quella spiacevole mattina fu qualcosa che disse uno dei miei compagni, Todds.
«...ha invitato me, e penso che ci andrò, se non altro per festeggiare decentemente. La cosa peggiore è stata Astoria Greengrass, però. Tutto mi aspettavo, tranne che scegliesse quell’idiota di Prewett. Un Corvonero!» e mostrò tutta la sua disapprovazione alzando gli occhi al Cielo. Senza accorgersi del mio cambio di espressione, proseguì, rivolgendosi a Pansy che ascoltava interessata – e invidiosa. «Ho sentito dire che doveva venire anche Gwenog Jones, pensate, ma all’ultimo ha dato buca. Diavolo, sapevo che Lumacorno la conosceva, ma invitarla addirittura alla festa! È un peccato che non sia potuta venire, avrei potuto...».
La stupida festa di Natale del Lumaclub. Certo. Come avevo fatto a dimenticarmene? Un’altra festa alla quale non sarei potuto andare in quanto escluso dal prestigioso Lumaclub. Non solo sarei rimasto a scuola per le vacanze, ma sarei stato escluso dai festeggiamenti, mentre Astoria...
Ehi, un istante.
«Perché Astoria?» chiesi, perplesso. «Non sapevo che Prewett facesse parte del Lumaclub».
«Lui no» disse Todds, con una smorfia. «E’ troppo umile per queste cose, naturalmente. È timido. Ma Astoria si».
Questo la diceva lunga su quanto prestassi attenzione ad Astoria, ultimamente. Tra lo studio, il mio fan club, gli allenamenti e le lezioni, non avevo molto tempo libero. Spesso sedevo accanto a lei nelle lezioni che  condividevamo – più per sfuggire ai miei ammiratori e farmi desiderare che per stare con lei, in realtà – ma in quei casi, Astoria stava sempre zitta e seguiva la lezione con impegno. Anche a pranzo e a cena scambiavamo quattro chiacchiere, ma non riuscivo mai a dedicare attenzione a qualcuno in particolare. Mi sentivo in colpa, ma in realtà, la mia vita semplicemente mi lasciava un passo indietro. Non riuscivo a stare dietro a tutto.
«E lei lo ha invitato a uscire?» chiesi.
«Non so chi lo abbia chiesto a chi» disse lui, scrollando le spalle. «Ma penso che si siano conosciuti in biblioteca». Sobbalzò quando sentì la porta della Sala Comune aprirsi, ma era solo Zabini di ritorno da Aritmanzia. Gli dedicai soltanto un’occhiata fugace. «Insomma» proseguì Todds, platealmente, «è un Corvonero! Sempre meglio della feccia Tassorosso, o Grifondoro, ma Cristo! Hanno un cugino Magonò!».
«Di che state parlando?». ci voltammo tutti. Zabini si era avvicinato con il suo passo da gatto, e ora posava una mano sulla spalla di Todds, che parve sbigottito. Zabini non lo aveva mai degnato di tanta attenzione.
«Astoria Greengrass e Matthew Prewett» cantilenò Pansy Parkinson, osservando Zabini con un sorrisetto.
«Stanno forse assieme?» chiese Zabini. Notai che mi aveva lanciato un’occhiata, mentre si sedeva sul divano di fronte a me. Perché veniva a intrufolarsi nelle nostre conversazioni?
“Qualcuno ti tiene d’occhio”, aveva detto. Magari era proprio a se stesso che si riferiva.
«Così pare» disse Nickleby. Io non dissi nulla. avevo scelto la strada del silenzio imbronciato.
«Astoria è sempre stata una ragazza dai gusti particolari» disse Carnarvon. «La conoscevo da prima di venire qui, e vi dico che anche suo padre è un uomo bizzarro».
«Lavora al Ministero, giusto?» chiese Zabini. Gli lanciai un’occhiata irritata. I Serpeverde sono persone territoriali. Astoria era nel mio territorio, e lui non avrebbe dovuto impicciarsi.
«Lavora per il Wizegamot, o qualcosa del genere» specificò Todds. «Ma circolano voci. Pare che sia tra i sostenitori di quella riforma di legge per pene più severe contro i detrattori dei Babbani». Il padre di Astoria era Babbanofilo? Questa mi era nuova.
«Non è poi così strano, allora, che la Greengrass scelga uno come Prewett» sghignazzò Pansy, alla quale Astoria non era mai piaciuta. Chissà perché.
Zabini aveva osservato tutto con un silenzio cupo. Chissà che cosa pensava dentro di sé. Mi guardò di nuovo, piuttosto attento, fino a che io non sollevai un sopracciglio, interrogativo. Allora si alzò, stiracchiandosi. «Meglio che vada a prendere la mia roba» mormorò, e si allontanò lentamente come era venuto.
Mi alzai a mia volta. Avevo appena realizzato di aver sprecato un’ora libera adatta allo studio in ciacchere che mi avevano ulteriormente depresso. «Credo tocchi anche a me fare lo stesso» proclamai, con aria indifferente, nella speranza di non farmi troppo notare. Attesi pazientemente che esaurissero i saluti enfatici (poco ci mancava che sventolassero un fazzoletto in segno di commiato) prima di imboccare le stesse scale che aveva fatto Zabini. Scesi fino a raggiungere il mio dormitorio, ma mi fermai di fronte alla porta. Sentivo delle voci familiari provenire da dentro.
«....assurdo!» diceva la voce di Zabini, a voce abbastanza alta da poter essere udita distintamente.
La voce di Nott disse qualcosa, un borbottio. Imprecai mentalmente e frugai nelle tasche, fino a tirare fuori un laccio color carne. Lo so, lo so; anche a me era dispiaciuto pensare di pagare i gemelli Weasley per una qualunque cosa. Ma ne era valsa la pena. Le portavo sempre con me, e sapevo che ben pochi tra i miei conoscenti non facevano lo stesso. Pansy ne aveva comprate tre scatole, lo sapevo per certo, e ne aveva sempre un paio di scorta.
Srotolai l’Orecchia Oblunga, mentre sentivo Zabini dire – o meglio gridare: «Perché mi stai seguendo, ecco perché!».
L’Orecchio calò fino a terra e fece per infilarsi sotto la porta... e si fermò a pochi centimetri da essa. Naturalmente l’avevano resa Imperturbabile. Stupidi Sepeverde previdenti.
Così premetti più a fondo l’orecchio – quello vero – contro la serratura, ma mi giunsero solo parole sconnesse.
«...benissimo... Paciock... evidente...» sussurrò Nott, cospiratore.
«Non so di cosa stai parlando» disse Zabini, «e ti consiglierei di essere più discreto, almeno fino a quando non ci stupirai con le tue doti da detective». Ora, non sapevo cosa fosse un detective, ma il significato era più che chiaro. Nott era stato beccato con le mani nel sacco mentre indagava.
Così come capitò a me, quando in quell’istante Zabini aprì la porta, e mi vide ancora fermo in ascolto. Mi ricomposi in fretta. Zabini mi lanciò un’occhiata, sorrise – un sorriso trionfante – e se ne andò, a grandi passi. Quando entrai, Nott era ancora irritato.
«Quel figlio di...» vi risparmio le sue imprecazioni. Sapete, nessuno può inventare insulti più coloriti di un Serpeverde. Lasciai che si sfogasse, fingendo di non sentirmi in colpa per avere messo in guardia Zabini. Anche se mi sentivo in colpa.
Nott calciò un baule. Quello di Zabini.
Beh, più o meno.
«Che cosa è successo?» chiesi poi, mentre frugavo nel mio baule alla ricerca dei miei libri.
«Mi ha minacciato!» esclamò, non sapendo che avevo ascoltato la conversazione, e che sapevo che non era andata proprio così. Ma comunque.
«Perché?».
Arrossì appena. «Lo sto sorvegliando» ammise alla fine. «E lui osa fingere che io sia un perfetto idiota, quando le prove...».
«Le prove di cosa?».
Lui si arrestò di colpo. «Non è ancora il momento» disse, lo sguardo di fuoco. «Non è ancora venuto il momento». E uscì di fretta, i libri sottobraccio, sibilando insulti sottovoce.
Povero Zabini. Non avrei voluto Nott come nemico. Certo, io avevo Lord Voldemort, ma quella era un’altra storia. Ero un gradino più in basso all’inferno, e non avevo neppure un programma per le vacanze.
Due ore più tardi, usciti da Difesa Contro le Arti Oscure, io e Astoria tornavamo verso la Sala Comune prima di andare a cena. Ne approfittai per spararle a tradimento una domanda.
«E così vai alla festa di Lumacorno con Powerell» dissi, in tono noncurante.
«Mmh?» chiese lei, distratta.
«Ho detto: e così vai alla festa di Lumacorno con Prewett» dissi, e nell’irritazione di dover ripetere la domanda, dimenticai di sbagliare volutamente il nome.
«Si» disse lei, mentre apriva la borsa per cercarvi qualcosa.
«Perché?» le domandai. Passato lo stupore iniziale, dovevo ammettere che mi ero aspettato che lo chiedesse a me. Eravamo amici, o no?
«Perché no?» chiese lei. «ma dov’è la mia piuma?» mormorò tra sé, concentrata, e si bloccò di colpo, costringendomi a barcollare per fare altrettanto, dopo qualche passo. Tornai indietro, e aspettai a braccia incrociate che terminasse la sua ricerca. La vidi scribacchiare sul braccio: “Michael, mercoledì”.
«E chi è Michael?» domandai.
«Come, non conosci Michael Corner?» domandò lei, stupita. «Pensavo fosse piuttosto conosciuto, ma forse era solamente un’impressione».
«E’ l’ex della ragazza Weasley!» esclamai, sconcertato.
«Già, me lo ha presentato lei» confermò la ragazza, chiudendo la borsa, e rimettendosi in marcia. La seguii, nonostante avesse il passo veloce.
«Tu esci con Michael Corner?» trasecolai.
«Certo che no. lo aiuto con i compiti» mi corresse senza scomporsi.
«Perché?». Ero ormai allibito.
«Perché me lo ha chiesto».
«E questo ti sembra un buon motivo?» chiesi, perplesso.
«Non mi sembra un pessimo motivo».
«Ma è uno spreco di tempo!».
Astoria si bloccò e mi guardò, imperscrutabile. «Perché, come dovrei impiegarlo altrimenti?».
Ci pensai su. «Beh... ecco...» ci pensai ancora su. «Non saprei».
«Io si» disse lei tranquilla. «Non ho molto da fare, se non studiare. Non ho molti amici, non sono socievole. E se qualcuno, fosse anche Michael Corner, ha voglia di passare del tempo in mia compagnia, non voglio di certo impedirglielo. Quantomeno non lo fanno per i motivi sbagliati». Se fosse stata una stoccata nei miei confronti, perché non passavo del tempo con lei, me ne sarei accorto. Probabilmente mi avrebbe anche centrato in pieno comunque. Ma Astoria non aveva parlato con rancore, mi aveva espresso candidamente una sua teoria. Il che era perfino peggio, specie in quegli ultimi giorni. Ero piuttosto ipersensibile.
«Non mi hai detto che saresti uscita con Prewett, comunque».
«Vedo bene che hai la testa altrove» disse lei, alzando le spalle. «Ho pensato che ti facesse piacere un po’ di silenzio». Altra stoccata, visto che io a lei non avevo pensato affatto. Arrossii, per più di un motivo. «Che cosa intendi dire?» feci, schivo.
«Esattamente quello che ho detto» fu la criptica risposta.
Sospirai. Astoria era penetrante come sempre, ma io avrei voluto essere impenetrabile. Alle preoccupazioni che avevo sempre, poi, si era aggiunta la delusione per le mie imminenti vacanze. Credere di riuscire a nascondere le mie debolezze sarebbe stata una bella consolazione.
«Sei giù di tono» osservò lei.
«Può darsi» risposi, vago.
«Perché sei giù di tono?».
Lasciai perdere il mio inutile dissimulare. «Niente di particolare. Ma da quando fai parte del Lumaclub?».
«Da quando quest’anno mi hanno ammessa ai corsi MAGO. Dovrei offendermi, visto il tono vagamente sorpreso e tradito».
«Non me lo avevi detto».
«Quando avrei dovuto introdurre l’argomento, esattamente?».
Un punto per lei.
«Ti da fastidio non esserci, non è vero?» chiese Astoria, con un sorriso da saputella.
«No, non direi. Quello stupido vecchio non mi sembra abbastanza sveglio da individuare veri talenti».
«Già. Immagino sia per quello che aveva messo gli occhi su Colui-che-non-deve-essere-nominato, a suo tempo» disse lei, ironica. Io la guardai, stupito, e non solo dalla sua ironia. «Come lo sai?». Naturalmente anche io lo sapevo, ma l’Enciclopedia Ambulante Granger (EAG per consultatori che fingevano di non essere tali) non poteva certo averne parlato con lei, no?
«Mio padre lavora al Wizegamot, no? Hanno interrogato Lumacorno diverse volte». I suoi occhi si affilarono. «E tu, come lo sai?».
«Non lo sapevo» dissi, evitando il suo sguardo, con una alzata di spalle.
«Mmh» disse lei, fingendo di credermi.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante. «Tuo padre è un difensore dei Babbani?».
«Credo stia lavorando assieme al Comitato Scuse ai Babbani, o qualcosa del genere. Pare ci sia un disegno di legge nell’aria, ma non vuole che racconti in giro i dettagli» disse lei, con dignità, mentre varcavamo la porta dei sotterranei. Io rabbrividii. In Dicembre era sempre meglio avere mutande di lana, se eri un Serpeverde e dovevi attraversare i sotterranei.
«Quindi è vero? Siete Babbanofili?» chiesi, senza lasciarmi ingannare dalle sue parole. Lei si mise a ridere. «Perché ti interessa?».
«Mera curiosità».
«Beh, è semplice» disse lei, scuotendo la chioma nera con un unico cenno del capo. «Non c’è motivo per essere pro, o contro».
Non fui in grado di rispondere, perché in quel momento apparve l’ingresso della Sala Comune... e la Granger, che vi stava appostata di fronte, corrucciata. Mi bloccai, orripilato. Astoria si limitò a sorridere. «Vedo che sei impegnato. Ci vediamo più tardi, a cena». E se ne andò, dopo aver rivolto uno sbrigativo cenno di saluto alla mia Piaga Personale (P.P. per nemici perseguitati).
«Che diavolo ci fai tu qui, Granger?».
«Chi altri sarebbe dovuto venire a chiamarti? La McGranitt ci vuole nel suo ufficio, adesso» rispose lei, secca.
«Comincio ad odiare il suono di questa stupida frase» dissi, mentre mi incamminavo a grandi passi con lei che mi sfilava di fianco. «Lo sai, quasi quasi vorrei combinare qualcosa, almeno avrei una ragione per essere trattato come un criminale»..
«Ma quanto sei drammatico» commentò la stupida Granger, alzando gli occhi al Cielo. «Dovresti  esserle grata. Si preoccupa per te».
«Beh, non dovrebbe. Sono grande e vaccinato».
Superammo diversi gruppi di studenti, molti dei quali appartenevano alla mia stessa Casa. Naturalmente la Granger aveva scelto l’ora di punta della serata, quando tutti tornavano ai loro dormitori. Per fortuna, altrimenti qualcuno avrebbe potuto evitare di vedermi passeggiare con lei per i corridoi. Ero troppo stremato per ironizzare ad alta voce, e mi accontentai di pensare quelle poche, caustiche parole.
 
«Signor Malfoy, sono sicura che tu abbia capito perfettamente» disse la Preside in tono molto amabile. Ero abbastanza sicura che tra le pieghe del volto, seminascoste dietro alle rughe, ci fosse un sorriso vagamente perfido.
«Mi sta dicendo» disse Malfoy (P.P.P., Piaga Pitonata Permamente, per ragazze perseguitate), «che io dovrei trascorrere con loro» e indicò me, immagino a indicare metaforicamente i miei amici e altra gente “di bassa lega”, «le mie vacanze estive? Perché?». E mi guardò come se fosse stata tutta colpa mia – o come se avessi potuto – o voluto – aiutarlo.
Una parte di me era incredibilmente divertita. Privare Malfoy delle sue vacanze mi sembrava un buon piano. Certo, privare noi delle nostre lo sembrava meno, ma credevo di intuire quale fosse il piano della McGranitt.
«Non mi sembra tanto difficile da capire, Malfoy» fecce la donna, paziente, incrociando le dita sulla scrivania. «Forse tu non te ne sei reso conto, ma tu sei una delle mie preoccupazioni minori. Ci sono cose più importanti alle quali badare e, francamente, sono preoccupata».
«Li sto aiutando!» gemette lui, debolmente, sempre indicandomi. «Glielo chieda, professoressa!».
«E’ vero» dissi, laconica, e Malfoy annuì trionfante.
«Non tutti nell’Ordine sono altrettanto tranquilli. Non passerò a scuola tutto il tempo delle vacanze, e preferirei che tu restassi sorvegliato». La vecchia strega fece una smorfia. «Vogliono accertarsi che tu sia davvero inoffensivo. Mi sembra un prezzo minimo da pagare per la tua sicurezza, Draco».
«L’unica cosa di cui sono sicuro» disse lui, assumendo un’espressione scocciata, «è che non solo sprecherò le mie vacanze, ma la cosa non passerà certo inosservata! Che cosa pensate che dirà...» fece una pausa, cercando di trovare un compromesso tra i diversi epiteti che gli venivano in mente, «...Voi-sapete-chi, quando scoprirà che mi diverto a sferruzzare a maglia assieme ai membri dell’Ordine?». Chissà come, non sembrava di umore davvero battagliero, comunque, e me ne accorsi subito.
«Oh, quanto a questo puoi stare sicuro» disse la preside, con un sorriso sardonico, «che non avrai problemi».
«Che cosa intende dire?» chiese lui, con sospetto.
«Passerai tutte le vacanze in Infermeria. Malato. Probabilmente a causa di un’indigestione di cacca di Doxi» lo informò lei, impassibile, e quasi mi scappò da ridere.
«Volete avvelenarmi!» strillò lui, sbigottito.
«Non essere sciocco, ragazzo. Questo è quello che faremo credere agli altri».
«Penso che se ne accorgerebbero se, con l’Infermeria vuota, fingeste di avere me come malato!».
«Draco Malfoy ci sarà» disse la professoressa, gli occhi che le scintillavano. Si stava divertendo davvero – probabilmente stava assaporando ogni istante. «Basterà che tu collabori».
«Che – che cosa intendete..?».
«Pozione Polisucco. Prenderemo in prestito alcuni tuoi capelli. Vari membri dell’Ordine di pattuglia faranno il resto, a turno. Sarà un ottimo modo per averli a disposizione, nel caso in cui ci sia bisogno di qualcuno di alleato nella scuola».
«Se ne accorgerebbero» disse Malfoy, poco convinto.
«Io non credo. Non se stai dormendo» intervenni, incapace di tacere. «Russi forse in maniera speciale?».
«Io non russo, stupida» sibilò lui verso di me.
«E allora, qual è il problema?» chiese la McGranitt. «Come pensavi di trascorrere le tue vacanze, Draco? Non avresti potuto uscire dal castello, lo sai bene».
A questo punto avvenne la cosa più straordinaria. vidi Malfoy arrossire, boccheggiare, e poi tacere, guardando per terra.
La voce della donna si addolcì. «Vedrai che passerai delle bellissime vacanze, Malfoy». Poi, rivolta a entrambi, aggiunse: «potete andare».
Malfoy non se lo fece ripetere due volte. Schizzò giù per le scale con l’agilità di un furetto, e dovetti correre per stargli dietro. Quando ci richiudemmo la porta alle spalle, riuscii ad agguantarlo per un lembo della divisa.
«Che vuoi?» chiese lui, troppo abbattuto per mantenere il suo solito tono scortese, e rimediando con un’occhiataccia.
«Volevo solo dirti che non immaginavo quali fossero i piani della McGranitt» gli dissi, convinta che consolarlo valesse come Atto Caritatevole del Mese (in alternativa a regalare una lozione per capelli a Voldemort). «Mi dispiace per le tue vacanze».
«Già, sono sicuro che tu sia vivamente commossa, Granger» disse Malfoy, storcendo il naso. «Ma sfortunatamente non c’è molto che puoi fare per migliorare la mia situazione, a meno che il Signore Oscuro non muoia strozzandosi con il suo pudding natalizio prima dell’inizio delle vacanze».
«Ah-ah» dissi, per nulla divertita. «E comunque non è detto che tu non ti diverta». Oh, e va bene, quell’ultimo commento lo dissi soffocando una risata. Ma certo che era detto! era Draco Malfoy nel covo dell’Ordine della Fenice, dopotutto. Privato della possibilità di Cruciare Babbo Natale, costringere Elfi domestici con la frusta a preparargli biscotti, e... beh, qualunque altra cosa la gente come lui facesse durante le vacanze natalizie. Ammesso che i Mangiamorte fossero provvisti di spirito natalizio. Dubitavo che Bellatrix Lestrange si aggirasse per il nascondiglio di Voldemort intonando “Tu scendi dalle stelle”, e fui quasi tentata dal chiederlo a Malfoy.
«Oh, sono sicuro che mi divertirò un mondo, Granger» ironizzò lui, con un ghigno beffardo. «In fondo, Potter e Weasley sono dei tali simpaticoni!».
«Perché, tu lo sei?» lo rimbeccai serenamente. «Di che cosa parli di solito con i tuoi amichetti, a parte delle ultime fatture alla moda?».
«E Weasley? Degli ultimi maglioni atroci confezionati dalla madre, immagino» commentò l’altro, perfidamente.
«Non tutti hanno una bella pelliccia da Furetto per tenersi al caldo, Malfoy» replicai, piccata, mentre raggiungevamo l’Atrio. «E tra parentesi, prima di andare a cena, volevo dirti una cosa».
«E che cosa, di grazia?» chiese Malfoy, ancora imbronciato per non essere riuscito a trovare qualcosa di spiritoso per ribattere alla mia ultima battuta.
«Dovremmo anticipare la missione» mormorai. «Quella alla Gringott, intendo».
«Come?».
«Beh, se andremo davvero a Londra per le vacanze... insomma, sarai ancora più sorvegliato, no? Difficile che ti lascino andare a Diagon Alley, per di più da solo».
«Quindi ci andrò da solo?».
«Harry si nasconderà sotto il Mantello dell’Invisibilità, naturalmente».
Draco Malfoy era inorridito. «Dovrei accedere alla mia camera di famiglia assieme a Potter?».
«Proprio così. Come dicevo...».
«Frena un secondo, idiota» sibilò il Serpeverde, irritato. «Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Non intendo portare Potter a spasso con me, da nessuna parte, e specialmente non nella mia camera blindata. Per Salazar!» imprecò.
«È stato deciso così» dissi, perentoria. «Avresti preferito che venisse Ron assieme a te?».
«Nessuno dei due, per la miseria» ringhiò lui. «Non prenderla nel verso sbagliato, stupida Granger, ma tu non sei minimamente così repellente come i tuoi due amichetti! Un traditore  del proprio sangue o il mio nemico giurato, nella mia camera? Non se ne parla!».
«Harry ha insistito per venire. Si sente in colpa per aver lasciato a me l’onere di badare a te per tutto questo tempo. E inoltre tocca a lui trovare gli Horcrux, Malfoy. È lui che deve affrontare Voldemort».
«Per me possono anche ballare il tango, non mi importa. Ma non voglio Potter nella camera dei Black». Malfoy era risoluto.
«Nessuno di noi ti ha dato la possibilità di scegliere. Non puoi andare da solo, e né io né Ron possiamo – o vogliamo – accompagnarti. Fine della storia» dissi.
«Dunque è quello, il problema, giusto?» disse lui, sprezzante. «Cos’è, Lenticchia è geloso?».
«Non – non sono affari tuoi, Malfoy!» dissi, con voce stridula, arrossendo. «E se anche fosse...».
«Che ti prenda quando vuole, Granger, purché tu e Potter mi salviate la pelle» sogghignò Malfoy. «E purché mi sia dato di evitare di ricevere Potter nel mio territorio, naturalmente».
«Parlane con Harry» dissi io, esausta. «Sbrigatevela tra di voi».
«Meraviglioso».
«Niente ironia, Malfoy. E per quanto riguarda la missione...».
«Non possiamo farla prima» mi interruppe. «Perché no?» feci, sorpresa.
«Perché, stupida, curiosa nullità» rispose, «pare che qualcuno mi stia seguendo».
Alzai gli occhi al Cielo. «Lo sappiamo che qualcuno ti segue, Malfoy» sospirai. «L’Ordine ti protegge, lo hai scordato?».
«Non parlo dell’Ordine, sciocca» sbottò Malfoy.
«E allora che diavolo...».
«Ho incontrato Zabini nella sala comune, dopo che ti ho spiegato dell’Horcrux. Non so da dove venisse, ma è da un pezzo che si comporta in maniera strana. Io e lui... beh, tra noi non corre esattamente buon sangue. Gli ho chiesto che cosa stesse combinando...».
«Furetto curiosetto» non potei evitare di dire, e lui arrossì, ma fece finta di nulla.
«...e lui naturalmente si è rifiutato. Così, per farlo parlare» e disse quelle ultime parole con voce strana, che non riuscii a interpretare, «gli ho detto che Nott lo teneva d’occhio. E lui – lui ha risposto che non era l’unico ad essere sorvegliato. Qualcuno si è accorto che nascondo qualcosa, evidentemente».
«Non poteva essere solo un trucco di Zabini, come quello che hai usato tu?».
Lui scosse il capo. «Mi ha messo in guardia, ha detto di non fidarmi di nessuno. Sembrava quasi... preoccupato». Era turbato.
E così qualcuno teneva d’occhio Malfoy. Riflettei un paio di istanti, ma quelle parole, quel “non fidarsi di nessuno”, riportarono alla mente un ricordo apparentemente sconnesso, ma allo stesso tempo interessante. «Quando abbiamo incontrato tua zia, lei ci ha messi in guardia. Ha detto di dirti che – ecco – che non dovevi fidarti di Nott».
Malfoy era stupito. «Ti ha detto..?». ci fu una breve pausa, ma alla fine scrollò le spalle. «Nott e Zabini si odiano, e Nott è mio amico. Perché mai dovrebbe volermi male?».
«Beh, se devo proprio dire la verità, non mi pare che il concetto Serpeverde di “amicizia” sia poi così altro. A me pare piuttosto l’equivalente di “alleati con qualcuno e poi taglia la corda al momento giusto”» commentai.
«Se anche fosse?». Malfoy era sulla difensiva. «Perché mai dovrebbe osteggiarmi adesso?».
«Dovresti essere tu a dirmelo! Io non conosco i tramacci che accadono nel magnifico Club Cobra, e ne sono felice, grazie tante!». Scossi il capo, poi lo guardai. «Sa qualcosa che non dovrebbe sapere?».
«Del tipo?». Sembrava nervoso.
«Sputa il rospo, Malfoy!». Non volevo ammetterlo, ma ero nervosa.
Malfoy si schiarì la voce, a disagio. Pessimo segno, davvero. «Sapeva che stavo indagando su di voi, prima che scoprissi quello che so. Poi non gli ho più detto nulla».
«Qualcosa puzza di balla» dissi, sospettosa.
«Tutto qui» chiarì, e anche se non ne ero affatto convinta, lasciai perdere.
«Ciò nonostante, lo faremo prima delle vacanze. Prenderemo qualche precauzione, ma sono certa che tutto andrà bene» dissi, risoluta.
«Se lo dici tu». Malfoy era scettico, ma anche rassegnato. Chiaro indizio che qualcosa come dei sensi di colpa, o il sollievo per non essere stato beccato, si agitavano dentro di lui. Tacque un istante. «Mia zia vi ha parlato di Nott».
Annuii.
«Che altro vi ha detto?». Ricordai all’improvviso il suo discorso. «Mi ha chiesto chi altro stessi frequentando. Ho – ho nominato McNair, e la Greengrass. La signora El – tua zia sembrava soddisfatta. Ha detto che McNair e la sua famiglia sono diversi, che sono persone oneste. E su Astoria ha detto...» mi interruppi, cercando di ricordare le parole esatte.
«Ha detto?». Malfoy pendeva dalle mie labbra.
«Che conosce la sua famiglia. Ha detto qualcosa riguardo alla madre... ha detto che era una poco di buono, qualcosa del genere, ma che Astoria doveva essere una ragazza molto dotata» dissi, lentamente. Dalla faccia di Malfoy, era chiaro che non era affatto al corrente di quei particolari sulla sua amica.
«Capisco» disse lui alla fine, laconico, strascicando le parole come faceva quando voleva sembrare indifferente e superiore, anche se così sembrava solamente un bambino viziato.
«Allora è deciso» dissi, tanto per riscuoterlo dalle sue meditazioni. «Ora andiamo a cena».
«Non credo che verrò. Tutta questa storia mi ha fatto venire la nausea» si lagnò lui.
«Dì la verità, Malfoy. Vuoi solo evitare di fare il tuo ingresso in Sala assieme a me» sogghignai.
«Affari miei».
Sospirai. «Le cucine non sono lontane dal tuo dormitorio. Puoi sempre andare a chiedere qualcosa lì».
«Bada ai tuoi affari» disse lui.
«Come vuoi» dissi, alzando le spalle. «Ciao ciao, Furetto!».
Mi salutò con un gestaccio. Attesi che se ne fosse andato, poi aprii la porta e raggiunsi i miei amici al tavolo rosso e dorato.
 
«E così, qualcuno ti segue» disse Astoria, alla quale avevo appena rivelato, nonostante tutto, i miei timori.
Due giorni dopo la mia personale Stunde Null – il momento in cui avevo appreso che avrei passato le vacanze a bisticciare col Trio di Perdenti – stavamo attraversando i corridoi diretti verso i sotterranei. Era facile capire chi aveva lezione lì; poco più avanti di me vidi Zabini con guanti e mantello, e Parvati Patil, che lo superò velocemente in quel momento, indossava perfino la sciarpa. Io mi ero accontentato della veste di lana, e sotto avevo indossato dei pantaloni e un pullover.
«Già» risposi, malinconico.
«Ed è stato Blaise a dirtelo» disse Astoria, corrugando appena la fronte.
«Blaise» ripetei, stupito. «Da quando siete così in confidenza?».
«Talvolta io e lui ci parliamo. È un tipo strano, ma piuttosto simpatico, specie negli ultimi tempi. Abbiamo molto in comune».
«E questo non ti ha mai insospettita?».
«Blaise Zabini non è certo l’unico ad avere dei segreti» disse lei, guardandomi con un sorriso da vera sfinge. Touché. «E a proposito» disse, con finta ingenuità, «perché mai pensi che qualcuno dovrebbe seguirti?».
«Per ammirare la mia travolgente bellezza» scherzai, per sdrammatizzare, e sviare la domanda.
«In questo caso, perché la cosa ti darebbe tanto fastidio?».
Tacqui qualche istante, ma la verità era che avevo un piano. Venire a sapere che perfino la Granger conosceva Astoria meglio mi me era degradante, e per dirla tutta, il mio bisogno di confidarmi in qualcuno aveva un’unica origine: convincerla a fare altrettanto.
«Ho un segreto» mormorai, guardando per terra. Certo, piano a parte, era consolante parlarne con qualcuno. La Granger di certo non contava, né la McGranitt. Gap generazionale? Diciamo pure un baratro.
«Lo so».
«No, non lo sai». Mi ero già dimenticato del mio piano. La mia priorità assoluta era: sfogarsi. Mi fermai, dopo averla condotta vicino alla parete, dietro alla statua di Baggins il Bifolco che teneva uno dei suoi occhi strabici e sporgenti su di noi. inquietante. Dovevo consigliare al Signore Oscuro di metterne una nella sua Sala del Trono, quando avesse conquistato il mondo. Certo, era possibile che per allora io fossi già morto. Oh, beh, quantomeno avrebbe dovuto sorseggiare Burrobirra dalla bottiglia, perché stavo per fregargli la sua coppa preferita. Ha!
«E’ una cosa grossa».
«Si, lo so» disse ancora lei, calma. «Me ne sono accorta... e da quello che dici, non sono l’unica».
«Non posso dirti nulla. non mi è concesso» dissi, molto serio, cercando di comunicarle tutto con i miei occhi. «Però...».
«Però» mi interruppe lei, «per qualsiasi cosa, puoi contare su di me».
Io la guardai. «Non sono sicuro che tu abbia interpretato correttamente la mia occhiata di ammonimento...» tentai, ma lei mi fermò con una mano alzata. «Senti, Draco. Non è la prima volta che ti infili in situazioni pericolose, e se devo dire la verità, mi sono sempre chiesta come fosse possibile. Di qualunque cosa si tratti, però, percepisco qualcosa nel modo che hai di comportarti. L’anno scorso sembravi un cane disperato messo in un angolo. Questa volta, beh, sembra che tu non abbia poi così tanta paura». Mi sorrise. «Non deve essere qualcosa di molto comune, per gente come noi. ma di qualunque cosa si stia parlando, se hai bisogno di aiuto, puoi fidarti di me».
«Lo so» dissi, ed ero sincero. «Bizzarro. Non sono molte le persone di cui ci si può fidare». Gente come noi. noi Serpeverde non eravamo fatti per cose così. Io ero mosso dal desiderio di salvarmi, nulla di eroico, ma mi ero già convinto, chissà come, di essere diverso dagli altri. E Astoria, perché lo faceva?
«Forse è meglio così» disse lei.
«Astoria» dissi, deciso a sfruttare quel momento di gloriosa sintonia a mio vantaggio, «posso chiederti una cosa?». Sapevo che la combinazione della mia voce e di quel momento intenso mi avrebbe aiutato a oltrepassare qualsiasi muro.
«Che cosa vuoi sapere?» chiese lei, senza apparente allarme. Come da manuale.
«Che ne è di tua» esitazione teatrale perfettamente naturale, «tua madre?».
Astoria mi fissò, improvvisamente impenetrabile. «Prego?».
«Ecco, io... mi stavo chiedendo...» accidenti, che bravo attore ero! «perché ho sentito dire che tua madre era... ecco... una persona poco rispettabile?».
«Dove l’avresti sentito?». I suoi occhi scintillavano, pericolosamente.
«Una zia» dissi, in tono casuale.
Astoria tacque per un istante. «Ognuno ha i suoi segreti» mi disse poi, quieta. Non chiedeva il mio perdono, ma non voleva offendermi. «E in questi segreti, è meglio non indagare troppo».
Ecco, benvenuti nelle famiglie Serpeverde.
«Come non detto» dissi, sconfitto.
«Grazie» disse lei, tornando alla sua consueta flemma. «In ogni caso...».
«Astoria, ragazza mia!». La voce gioviale di Lumacorno ci raggiunse, e dopo qualche istante il suo proprietario fece lo stesso. Vedemmo comparire tra alcuni studenti prima il suo ingombrante giro-vita, e poi il resto del professore di Pozioni, che sorrideva benevolo alla mia amica.
«Buongiorno, signore» disse lei rispettosa.
«Professore» dissi freddamente. Lumacorno mi guardò, come sorpreso di trovarmi lì, poi il suo viso si illuminò. «Draco, mio caro ragazzo! È da un po’ che non ho occasione di fare una bella chiacchierata con te!».
Visto che dubitavo di aver mai sostenuto una bella chiacchierata con lui, non sapevo bene che cosa avrei dovuto rispondergli. In ogni caso non dovetti pensarci a lungo, perché fu lui a proseguire autonomamente. «In effetti, questo è davvero un caso fortunato» disse, giulivo, grattandosi la pappagorgia con soddisfazione palese. «Stavo appunto per chiedere alla signorina Greengrass se avrebbe partecipato ad una mia festicciola, la sera prima delle vacanze, e naturalmente mi farebbe piacere se tu venissi» e ammiccò nella mia direzione, con aria complice, «c’è sempre posto per qualche giovane di talento, naturalmente».
Non potei fare a meno di guardarlo intontito. Per quanto non fossi un cattivo studente, non ero mai stato un vero talento – anche se ultimamente bisognava dire i miei voti erano migliorati, grazie all’aiuto di Hermione Granger. Del resto, non ero mai stato metodico nello studio. C’era solo una spiegazione – che la mia prodezza nel Quidditch lo avesse convinto a riconsiderarmi.
«Grazie, signore» riuscii a dire, mentre Astoria mi guardava con un sorrisetto.
«Un vero peccato che alcuni dei miei ospiti non possano venire» disse Lumacorno, teatrale, «ma sapete, Barnaby Bale ha molto da fare assieme al Comitato di Cancellazione della Magia Accidentale, e Gwenog Jones è piuttosto occupata con gli allenamenti...».
«Un vero peccato, signore» disse Astoria, con voce atona.
«...e naturalmente c’è Hogg, ma tendo a non invitarlo a questi, ehm, piccoli eventi mondani... da quando ha cominciato i suoi studi di Antropologia assieme ai Sirenidi, tende a sapere uno sgradevole odore di pesce...».
Lasciammo che elencasse infaticabile tutti gli altri invitati e che ci venisse più volte assicurato che sarebbe stato un evento indimenticabile. Alla fine proclamammo – con immenso rammarico – che avremmo fatto tardi a lezione, ma Lumacorno commentò ridendo che non era un problema, considerato che il professore era proprio lui. «E del resto penso che ogni tanto meritiate una piccola pausa, sapete» disse, strizzandoci l’occhio. «Ora, se volete scusarmi, devo recuperare alcuni  strumenti...» e si allontanò ballonzolando verso il suo ufficio.
«Sbrighiamoci» dissi allora ad Astoria, e corremmo verso i sotterranei, decisi a evitare di incrociare di nuovo il professore prima di raggiungere la nostra classe.
«Magnifico. Siamo in orario» commentai allora, e sbirciando nella classe notai la Granger già seduta sulla sedia accanto alla  mia.
«Buona fortuna» commentò Astoria con un altro sorrisetto, prima di precedermi nell’aula.
 
NOTA DELL’AUTRICE
Sono certa che tutti coloro che mi leggono mi stessero maledicendo con tutta l’anima XD mi scuso per il ritardo ma come avrete notato questo capitolo è lungo quasi il doppio di uno normale, perciò vale per due ;) avrei potuto postare la prima metà e poi continuare a scrivere la seconda, ma non volevo altri capitoli a frapporsi tra questo e il prossimo – che sarà ricco di avvenimenti e probabilmente altrettanto lungo :P spero che mi perdonerete!
Prima di cominciare, una piccola puntualizzazione. Penso di non averlo detto in precedenza, perciò ringrazio per la segnalazione. In inglese, le sorelle Patil si chiamano Parvati e Padma, e non Calì e Padma. In effetti, non ho mai capito perché lo avessero cambiato. Comunque, visto che i traduttori si prendono le loro libertà, me ne sono presa una anche io: ho lasciato Calì e ho sostituito Padma con Parvati, un nome che mi piace molto di più. Perdonatemi per questa mia libertà XD
Dunque, Draco ha scoperto come gli toccherà passare le vacanze e non è molto contento... ma la verità è che si è troppo rassegnato per protestare con sufficiente convinzione. Hermione si è ormai abituata a lui e sa perfettamente come gestirlo, perciò l’eventualità di averlo tra i piedi per due settimane non la turba poi così tanto. In questo capitolo ci sono, ben nascosti, parecchi indizi sia su uno dei segreti di Zabini – ebbene si, questo ve lo dico, tanto più che la storia prosegue bene: ne ha due! ;P – e su quello di Astoria, che sa eludere con grazia tutte le domande e che mi era un po’ mancata.
Nel prossimo capitolo: la missione di Draco e Harry alla Gringott, la festa di Lumacorno, e infine il fattaccio: l’arrivo a Grimmauld Place! Vi ho incuriosito?? Ebbene, lo spero! Ahahahahhhhhh (attacco di asma soddisfatta)
 
Nota sui titoli dei capitoli!
BACK TO BLACK – Ritorno al nero, letteralmente, gioca sull’assonanza tra le parole “indietro” e “nero” che in inglese, ve ne sarete accorti, sono molto simili. E’ un gioco di parole che non è certo nuovo... penso esista anche una canzone di Amy Winehouse con questo titolo? Bah... in ogni caso esprime bene come Draco abbia  in parte, anche se diversamente, subito un ritorno alla sue malvagie origini.
THE SNAKE STOLE THE SECRET (S.S.S.) – Naturalmente il titolo è un’altra delle bislacche sigle in stile Draco. Letteralmente significa “il Serpente rubò il segreto” il che mi sembra sia piuttosto azzeccato, no?
COBRAS CRAVE CHRISTMAS (C.C.C.) – Ebbene si, un altro titolo in stile sigla XD questa volta il significato letterale è “i Cobra smaniano per il Natale”, il tutto con relativa assonanza delle C iniziali.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** M.U.D.B.L.O.O.D., or ***


MUDBLOOD Percorrevo Diagon Alley in incognito – il che vale a dire, imbottito di Pozione Polisucco – e a passo spedito. Doveva sembrare che fossi ubriaco, perché di tanto in tanto, improvvisamente, facevo un passo di lato; in realtà ero impegnato a cercare di urtare Potter che mi seguiva celato dal suo prezioso Mantello. O per sfortuna, o per l’abilità di Potter nell’essere sempre nel punto sbagliato rispetto ai miei progetti, non ci ero ancora riuscito.
La chiave mi rimbalzava sul petto ad ogni passo. Era snervante, gelida com’era. Impossibilitato a  sfogarmi sul mio sgradito compagno, comunque, non mi restava che fare buon viso a cattivo gioco nonostante la sensazione che qualcosa sarebbe andato inesorabilmente storto. Quando Potter programmava qualcosa solitamente sbagliava, giusto? E la mia presenza non era quella più gradita alla Dea Bendata.
«Ci siamo» mormorai, nervoso, quando la Gringott apparve in tutta la sua magnificenza; Potter mi sfiorò la spalla, forse per incoraggiamento, forse solo per dimostrarmi che le mie preghiere riguardo al perderlo per strada non erano giunte a destinazione. Visto? La Fortuna non era dalla mia, decisamente.
La Gringott era un edificio decisamente imponente, e non è che casa mia fosse stata uno stanzino per le scope. Mio padre mi aveva raccontato che la banca era stata costruita con l’ausilio di draghi, e di qualche schiavo Babbano crudelmente sottopagato, ma a posteriori mi ero convinto che il suo fosse stato un racconto di propaganda. Perché mai avremmo dovuto avere bisogno di draghi, o di Babbani, quando potevamo fare qualunque cosa con una semplice bacchetta?
Quando mi avvicinai alla soglia, notai due guardiani con dei Sensori. Mi innervosii. Naturalmente, quando il giorno prima avevamo pianificato la nostra strategia, l’avevamo previsto. Questo non cambiava il fatto che affidarsi a Potter fosse decisamente sgradevole. Per l’ennesima volta, mentre salivo i gradini di marmo bianco, mi ritrovai a pensare quasi con rimpianto alla Granger. Non era certo un’amica da portare a casa per il the, ma quantomeno potevo presumere che sarebbe stata in grado di coprirmi le spalle. Ancora mi sfuggiva come del vero talento – e perfino io avevo dovuto arrendermi e riconoscere che ne possedeva parecchio, con tutto quello che era capace di fare – fosse stato destinato a una misera Babbana. Forse, riflettei amaramente, mentre mi accostavo ad una delle guardie pregando che Potter non fallisse, forse, dicevo, aveva preso il talento di Potter e Weasley alla nascita. Avrebbe spiegato molte cose.
Tuttavia le guardie sussultarono proprio mentre quella più vicina si accingeva a esaminarmi, cosicché Barry White, in missione per il Ministero della Magia, passò indenne i controlli insieme al suo alleato invisibile.
Attraversammo l’enorme atrio in silenzio. Potter doveva essersi allenato per anni a intrufolarsi in giro dove era sgradito (leggi: ovunque), perché non faceva quasi rumore. In effetti, il lieve fruscio che udivo avrebbe potuto essere semplicemente l’eco dei miei passi sui rombi bianchi e neri. La Banca sembrava vuota; perfino tra i folletti non c’era la stessa agitazione febbrile. Alcuni stavano esaminando monete che non avevo mai visto prima, altri scartabellavano assenti tra alcuni documenti, e tutti mi lanciavano occhiate sospettose che mi sforzai di ignorare.
«Salve» dissi sbrigativo a un folletto particolarmente imbronciato che sedeva accanto all’ingresso delle camere. Questi si tolse un paio di occhialini con le lenti ingiallite e appannate per esaminarmi. «Che cosa desidera?» gracchiò, sgarbatamente.
«Il mio nome è Barry White» dissi, in tono pratico. «Sono qui per conto del Ministero della Magia. Ho l’incarico di esaminare una delle vostre camere blindate».
I suoi occhi brillarono maligni. «Non so se il Ministero ne sia al corrente» disse, con un ghigno, «ma i nostri già elevati standard di sicurezza sono stati rafforzati tenendo conto dei recenti... disordini».
«E con ciò?» chiesi, tra l’annoiato e lo sbrigativo. Se c’era una cosa che sapevo fare, era recitare, senza dubbio.
«E con ciò» fu la risposta melliflua, «temo che neanche il Ministro in persona abbia il permesso – o le facoltà – per penetrare all’interno di una camera che non sia la propria. Senza chiave...».
«Credo che lei sottovaluti l’influenza del Ministro, o le capacità dei nostri Auror» feci, molto amabile, e mi sfilai da attorno al collo la chiave, mostrandola al folletto con un certo trionfo. «Naturalmente abbiamo provveduto ad avere la chiave, che ci è stata ceduta in maniera perfettamente legale».
Il folletto fece la stessa faccia di chi ha appena mangiato un piatto di Caccabombe. «Molto bene» disse, con riluttanza, e il suo sguardo aveva una luce vendicativa a malapena tenuta a bada. «Posso vedere la chiave..?». Gliela consegnai, fingendomi spazientito, e nel frattempo il mio cuore aveva ormai raggiunto il pomo d’Adamo. Se quelli stupidi dell’Ordine della Fenice avessero anche solo potuto immaginare quello che stavo facendo per loro, avrebbero strisciato a terra baciandomi i piedi.
«Unci unci!» sbottò il folletto all’improvviso. Non conoscevo il Goblinese, quindi lo guardai vacuo, quasi aspettandomi di ricevere la traduzione di quella che aveva tutta l’aria di essere un’imprecazione. «Ehm, come dice?».
Un altro folletto giunse trafelato, facendomi capire che “Unci-unci” altro non era che un nome. «Eccomi» lo sentii borbottare scontento.
«Accompagna i signori alla camera...» l’altro folletto si interruppe per esaminare la chiave, alla ricerca di un numero.
«289» dissi, pacato.
«Certo» fece Unci-unci, chinando servilmente il capo. Mi ripresi la chiave e lo seguii al di là di un massiccio portone di legno, oltre il quale ci aspettava uno dei famigerati carrelli della Gringott. Non il mio mezzo di trasporto preferito, e questa volta mia madre non mi aveva praticato nessun incanto anti-nausea. Con una smorfia salii, scivolando a lato affinché Potter potesse accomodarsi a sua volta. Unci unci mi guardò interrogativo, ma non fece domande.
«Si tenga forte, prego» disse il folletto. Quando il carrello partì, schizzando lungo uno degli innumerevoli binari, non riuscii a soffocare un gemito. Il semiumano mi guardò, divertito. «Non vi abituate mai, eh?» chiese.
«Già» dissi, laconico.
Dopo un minuto che a me parve interminabile, e diversi cambi di binario, la velocità parve ridursi. «Fortunatamente per lei, tendiamo a ridurre la velocità in questa zona» commentò infatti il folletto, con aria giuliva. «I binari sono vecchi, anche se li curiamo regolarmente. Non sono fatti per sostenere alte velocità. Del resto, questa è una zona piuttosto antica».
«Si, lo è» dissi, dissimulando a fatica una nota di orgoglio. In fondo, era pur sempre la camera di famiglia, una camera antica quanto il lignaggio dei Black. E dei Malfoy, naturalmente. Che poi fosse il nascondiglio dell’anima di Lord Voldemort era un’altra faccenda, anche se non tutti l’avrebbero vista allo stesso modo.
«Non sarà facile perquisire la Camera» commentò il folletto con aria esperta. «Solitamente queste camere blindate appartengono a famiglie molto influenti, che di sicuro avranno preparato qualche maleficio per proteggere i loro tesori. Se loro si possono chiamare» borbottò alla fine, scontento. Conoscevo il punto di vista dei Goblin sui manufatti da loro creati e ceduti alla Comunità Magica. Qualunque folletto fosse entrato a casa mia avrebbe probabilmente avuto una sincope solo all’ingresso, di fronte a un bellissimo stemma di famiglia di Adamante di manifattura folletta.
«Immagino» sospirai. La Granger aveva trascorso ore a vessarci su possibili minacce e contro incantesimi. Aveva perfino scoperto di alcuni sistemi standard della Gringott per la sicurezza dei depositi, e ci aveva premuniti con cura. Salvo poi mandarmi in missione con Potter. Alzai gli occhi al Cielo al pensiero.
«In ogni caso, sarò a sua disposizione per qualsiasi cosa» aggiunse Unci-unci, «anche se immagino dovrò rimanere fuori, mentre operate la vostra perquisizione».
«Si, se non le dispiace» risposi umilmente, «sa, il Protocollo...».
«Nessun problema. La Gringott non intende immischiarsi con gli affari del Ministero. Avete la chiave, avete il diritto di entrare. Nessun motivo di immischiarsi». Se così non fosse stato, avremmo probabilmente avuto un sacco di rogne. Del resto, si supponeva che la chiave fosse custodita gelosamente dai loro proprietari; era difficile che qualcuno gliela sottraesse con la forza o l’inganno.
«La ringrazio» mormorai. Avevo udito un fragore in lontananza, e pur immaginando di che si trattasse, avevo sperato di non imbattermici. Imprecai mentalmente, ma fui pronto a reagire. «Non... non mi sento tanto bene» dissi con voce flebile, e non finsi l’espressione nauseata.
«Capita spesso».
Presi un respiro tremulo assolutamente credibile, mentre mi sforzavo di impallidire. «Penso... che potrei vomitare» biascicai. Lo pensavo davvero, ma speravo di non averne bisogno.
«Fuori dal carrello, perfavore» disse Unci-unci con calma. Non era di sicuro la prima volta che qualcuno rischiava di rimettere sul carrello. Evidentemente ai folletti non importava granché.
Ubbidii. Mi sporsi fuori dal carrello, dietro di me, dando le spalle a Unci-unci. Finsi di respirare affannosamente, e mi contrassi come per un conato. Il rumore della cascata era sempre più forte. Solitamente veniva utilizzata solo quando si temeva la presenza di intrusi mascherati, ma con i Signori Oscuri che correvano qua e  là per la Gran Bretagna, non mi stupiva che avessero deciso di mantenerla in funzione.
«Ha finito?».
«Non... saprei...» mugolai, fingendo di essere scosso da un altro conato. In quel momento la cascata ci investì in pieno. Appena fu passata, agii. Dentro la manica del cappotto avevo una piccola boccetta. Era Pozione Polisucco. Ne ingoiai un sorso. Barry White aveva avuto i capelli del mio stesso colore biondo, più o meno della mia stessa lunghezza, anche se pettinati atrocemente. Dubitavo che passando per la cascata Unci Unci si fosse accorto del cambio impercettibile della mia nuca. Finsi di essere squassato dal conato peggiore, poi rimasi accasciato contro il bordo del carrello, sentendo di essere tornato Barry White. Il trucco della Granger era semplice, ma geniale. E sapete che non amo adularla.
Alla fine mi voltai, esausto. «Terribile» dissi, con un filo di voce.
«Siamo quasi arrivati» chiese Unci-unci, che si era rilassato quando aveva visto che Barry White era ancora Barry White.
«Grazie a Dio» dissi, con vera gioia. Fui il primo a scendere da quel maledetto arnese. Unci-unci trotterellò verso la porta, e io ebbi tutto il tempo di fissarla. Non ero mai stata della camera dei Black – ora quella dei Lestrange.
«La chiave, prego» disse il folletto, tendendo una mano. «E se fosse così gentile da prendere la lampada...».
«Certo. Nessun problema». Mentre guardavo per terra, vidi che il pavimento era rovinato. Mi sforzai di capire che cosa fossero, esattamente, quei solchi profondi nel terreno. Il mio cervello ci mise un po’ per realizzare che si trattava di graffi. Lasciati da qualcosa di enorme.
«Ehm... ci sono Draghi, qui?» chiesi, guardandomi attorno con un certo nervosismo.
«Si, naturalmente. Questi sono i livelli più profondi. Tuttavia hanno udito il rumore dei sonacci» e li indicò, appesi alla cintura. Ecco che cos’era quel rumore. «Per qualche minuto staranno tranquilli».
«Magnifico» commentai. Draghi. Me l’ero aspettato, ma pregavo che i sonacci funzionassero.
«Prego, entri. Io resterò qui fuori, la porta socchiusa».
«La ringrazio». Unci-unci spalancò la porta, e io attesi un istante prima di varcarla, in attesa che Potter entrasse. Un fruscio mi avvertì che così era, e con dignità feci lo stesso. Quando la porta si socchiuse, lasciandomi solo, puntai la bacchetta verso di essa e scandii: «Muffliato».
Quando lo ebbi fatto, Potter riapparve da sotto il Mantello. Anche lui aveva preso la Pozione, così che ora non si trattava di Potter, ma di Donald Northernand. «Ce l’abbiamo fatta» disse, risoluto. «Ora, come procediamo?».
«Non hai ascoltato la Granger che ciarlava? Meno male che io l’ho fatto» lo provocai. Potter era ottimo, come valvola di sfogo.
«Malfoy, non rompere» disse lui.
«E tu non toccare nulla. non sappiamo ancora se ci sono maledizioni». Estrassi nuovamente la bacchetta. «Specialis Revelio!». L’incantesimo non rivelò incanti, ma questo non significava nulla. alcuni incanti non reagivano a questo genere di magia.
«Vedi la coppa da qualche parte?».
«No, non la vedo» dissi. «E tu?».
Potter non aveva un occhio di falco. Strizzò gli occhi e si guardò attorno con aria perduta. «Non saprei» disse.
«Ok. Prova a prendere una di queste monete. E vedi di non rubarla, Potter, anche se a Weasley farebbero comodo».
«Ah-ah» disse Potter, sprezzante. Però si chinò e fece quello che avevo detto, la bacchetta pronta. «aargh!». La lasciò andare subito dopo. Lo guardai. «Scotta» mi informò, massaggiandosi le dita doloranti.
«Magnifico. Quante belle notizie» borbottai.
«Ne vuoi un’altra?» mi chiese lui. Senza capire guardai il punto a terra che aveva indicato. C’era una manciata di galeoni. «Non capisco, Potter. Non hai mai visto un Gale...».
«Si è replicato» mi interruppe lui, inorridito.
«Come?».
«Si è replicato!» sibilò lui. «Guarda!». Ne prese uno in mano, a fatica, e lo gettò in mezzo agli altri. questa volta vidi chiaramente il Galeone dividersi a mezz’aria. «L’incantesimo Gemino» imprecai. «Ottimo. Non toccare nulla, Potter. Non vorrei finire schiacciato dai gioielli di famiglia, se non ti spiace»
«Che cosa facciamo, ora?» disse lui, meditabondo, indietreggiando di un passo.
«Non possiamo frugare in mezzo a quella pila, naturalmente» proseguì. «Ma forse, l’Incantesimo di Scudo potrebbe proteggerci».
«Fino a un certo punto. Non potremmo comunque toccare nulla».
«E allora  che cosa proponi?» chiese Potter.
«Che diavolo ne so? Dobbiamo trovare la Coppa, o mi sbaglio?» dissi, acido. «Qualcosa ci inventeremo».
Potter sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «E’ impossibile evitare di toccare qualcosa. L’unica soluzione sarebbe volare. Non è che avete delle scope, qui dentro, vero?». Sbuffai. «Naturalmente. C’è bisogno di tenere un manico di scopa in una delle camere più preziose della Gringott».
«Quando si tratta di te, Malfoy, tutto diventa sgradevolmente difficile».
«Sai, Potter, sarei ben lieto di stare davanti al fuoco della mia Sala Comune, adesso, anziché uscire con te. magari non te ne sei accorto, ma non sei il mio tipo» ironizzai, mentre mi guardavo attorno.
Potter sospirò di nuovo, vagamente esasperato. Quando parlò, però, il tono era quasi pensoso. «Sai, Malfoy, ogni tanto mi domando come faccia Hermione a sopportarti».
«Probabilmente è merito del mio fascino, Potter. Non tutti hanno lo charme di una scimmia» replicai.
«Io mi sforzo di essere collaborativo, almeno» replicò lui piccato.
Touchè.
Stavo per replicare, anche se non sapevo esattamente che cosa dire, quando qualcosa riscosse la mia attenzione. Toccai appena Potter sulla spalla, e indicai uno scaffale, dove qualcosa di particolarmente lucente aveva attirato la mia attenzione. Era una coppa di dimensioni modeste, apparentemente fatta tutta d’oro, che sembrava brillare di luce propria. Improvvisamente sentii un brivido.
«la Coppa!» esclamò lui, confermando i miei sospetti. Mancava soltanto una scritta lampeggiante che recitava “Malefico Artefatto Mortale”. Al Signore Oscuro si potevano muovere diverse critiche, ma di sicuro meritava il premio per la scenografia.
«Come accidenti la recuperiamo?» mormorò Harry Potter, sconfortato, esaminando i cumuli di monete che ci distanziavano dall’oggetto.
Buona domanda, purtroppo. Per una volta, quasi pensai che sarebbe stato bello possedere la camera dei Weasley. Probabilmente a frapporsi tra me e il tesoro ci sarebbero stati solamente una manciata di Galeoni, e un paio di Zellini ammaccati. Era anche vero che probabilmente i Weasley avrebbero già venduto la coppa da un pezzo per comprarsi da mangiare.
Sfortunatamente, ero ricco. Tutta la mia famiglia lo era. Pensai, con una certa amarezza, che quella fortuna comprendeva tutti i regali di Natale e compleanno che quei pidocchiosi dei miei zii non mi avevano mai fatto, marcendo ad Azkaban. Se fosse finita bene, magari, gli avrei mandato un cesto per le feste natalizie, con dentro un po’ di pane muffito. E un cartello: CON I VOSTRI FOTTUTI SOLDI HO COMPRATO UN NUOVO STORMO DI PAVONI. Sono certo che i miei avrebbero apprezzato, per quello che valeva. Chissà, magari avrebbero potuto usarli come sostentamento, visto che probabilmente neppure loro avrebbero avuto la faccia tosta di uscire in pubblico dopo la sconfitta di Voi-sapete-chi.
Potter aveva davvero ragione. Avremmo dovuto volare. Dubitavo di saper Evocare una scopa dal nulla, e non potevamo toccare nessuno degli oggetti contenuti della camera. Maledetti Incanti Anti-Traditori.
Incanti Anti-Traditori.
Mi voltai verso Potter, e realizzai con un certo sgomento (oh, e va bene, anche con una certa delusione) che doveva essere arrivato alla mia medesima conclusione. «Il Levicorpus» mormorò lui, e quasi lo affatturai. Avrei voluto essere io a dirlo.
«Mi hai letto nel pensiero» dissi, su di giri.
«Avanti, Malfoy» disse Potter. «Fallo».
In effetti sarebbe stato eccellente. Non solo potevo appendere Potter per una caviglia, ma evitavo di essere investito in pieno da una maledizione toccando il prezioso manufatto. «D’accordo» dissi, con un ghigno. È proprio vero, la felicità si trova nelle piccole cose. Alzai la bacchetta e la puntai verso di lui. «Levicorpus» dissi, solennemente.
Niente. E quando dico niente, è niente.
Io e Potter ci guardammo, e io entrai in panico. Perché, perché proprio in quel momento..?
«Riprova» disse lui guardando l’orologio, ansioso.
«Levicorpus» ripetei.
Zero.
«Merda!» imprecai.
«Perché non funziona?» chiese Potter, perplesso.
«Lascia perdere» dissi io, rabbioso. Perché la mia stupida bacchetta non funzionava? Aveva servito i Malfoy per generazioni. Era stata la bacchetta di mio padre, e l’avevo ricevuta il primo giorno di scuola. Era con me da anni, mi aveva scelto, esattamente come aveva scelto a suo tempo decine di miei avi.
Che cosa c’era di sbagliato in me?
Chiusi gli occhi, le tempie che pulsavano. Non potevamo restare lì tutto il giorno. La Polisucco, inoltre, avrebbe terminato il suo effetto entro una mezz’ora, e avrei dovuto affidarmi all’ultimo sorso. Dovevo berlo solo passata la cascata, però, altrimenti sarebbe stato tutto vano. Soprattutto, però, volevo una cosa: cancellare quella voce che sussurrava maligna al mio orecchio.
«Vaffanculo» proclamai, e Potter mi guardò come se non credesse alle proprie orecchie. Forse pensava che stessi insultando lui, ma non era così. Per quello c’era tempo. «Potter, renditi utile. Fammi volare» gli dissi, risoluto. Oh, e va bene, non ero affatto risoluto. Il rischio di prendermi una maledizione in faccia era alto. Non che avessi molta scelta, comunque. non potevo tornare indietro a mani vuote. Non quando il Signore Oscuro non poteva essere sconfitto altrimenti. Me la stavo facendo addosso, ma non ero affatto disposto a mostrarlo a Potter Perfettino (P.P. per Purosangue Fallimentari) che aveva dalla sua una lunga lista di bravate eroiche con le quali sotterrarmi.
«Cosa?».
«Mio Dio, oltre ad essere cieco sei anche sordo?» sibilai. «Usa il Levicorpus!».
«Ma sei sicur...».
«Potter, eventuali obiezioni a dopo che ti sarai reso utile, grazie» sputai, il cuore in gola. Speravo di arrabbiarmi. Così magari sarebbe passata la paura.
Quando Potter mi fece sollevare, strillai. Avevo dimenticato quanto potesse essere sgradevole quella atroce sensazione. Il sangue cominciò subito ad andarmi alla testa, sicché con il mio colorito avrei potuto mimetizzarmi tra una banda di Weasley.
«Avvicinami alla Coppa!» biascicai, guardando Potter che mi fissava imbambolato.
«Ehm...». Potter sembrava in difficoltà. naturalmente non ne era capace. Certo, non avrei dovuto essere io a dirlo, ma quando si è un Serpeverde appeso a testa in giù e prossimo a tradire i propri ideali, o presunti tali, ti pare di avere ogni diritto. «Prova a muovere la bacchetta!» ordinai, la testa che pulsava dolorosamente. La vista si era fatta meno chiara.
Potter obbedì, e chissà come, finalmente mi mossi. Goffamente, mi diresse verso lo scaffale con sopra la Coppa, mentre io avevo la sensazione che la testa mi sarebbe esplosa. Ad una spanna dal raggiungerla con le dita, tuttavia, mi arrestai. Senza capirne la ragione, mi guardai confusamente intorno; la mia posizione, e il sangue che si concentrava sul capo, mi stavano facendo perdere l’orientamento. Prima scorsi con difficoltà Potter, che guardava inorridito verso la porta. Poi vidi Unci-unci, sulla soglia, lo sguardo che correva da me a lui.
Il folletto parve indeciso per un istante, ma alla fine parve decidersi. Si fermò per raccogliere la lampada che aveva lasciato cadere e poi la scagliò verso Potter. Lui reagì senza pensarci con un Incantesimo di Scudo, ma così facendo mi lasciò andare. Precipitai per un paio di metri, grazie a Dio senza colpire l’oro con la testa. chiusi gli occhi, aspettandomi il calore rovente e i Galeoni che mi sommergevano, ma tutto era tranquillo.
Mi guardia attorno. Nulla si era moltiplicato. Presi in mano un Galeone. Nulla. era una semplice moneta. Alzai gli occhi al Cielo. Naturalmente. In fondo ero uno di famiglia. Perché non ci avevo pensato prima? In fondo mia madre lo avrebbe saputo, se per me ci fosse stato pericolo.
Potter stava lottando a corpo a corpo con Unci-unci. La sua bacchetta era a terra poco più in là. Sperando che riuscisse a tenerlo a bada almeno per un po’, afferrai un disco di bronzo – ma da dove diavolo l’avevano preso, i Lestrange? – e lo scagliai con forza verso la Coppa. L’urto fu molto rumoroso, ma la Coppa traballò e come sperato finì per cadere. Mi feci strada incespicando fino ad essa e la infilai nella tasca interna dei pantaloni. Poi corsi verso i due litiganti.
Unci-unci era riuscito a liberarsi e aveva giudicato, evidentemente, che fosse opportuno per lui correre ad avvisare le autorità. Potter lo aveva rincorso e placcato, almeno a giudicare dal rumore di corpi che colpivano fragorosamente l’atrio di fronte alla porta. I Sonacci emisero un rumore fragoroso.
Raccolsi la bacchetta di quell’idiota di Potter, poi mi precipitai fuori dalla porta. Nel farlo, colpii col piede i Sonacci caduti dalla cintura del Goblin. Questi schizzarono in avanti, e caddero nell’abisso sotto la ferrovia, ma non me ne curai, perché in quel momento scivolai. Rotolai in avanti, e vidi il baratro avvicinarsi pericolosamente. Riuscii a fermarmi cercando di conficcare le unghie sulle profonde incisioni sul pavimento, che bastarono ad aiutarmi.
Mi rimisi in piedi a fatica, allontanandomi dal vuoto, e corsi verso Unci-unci, che sembrava propenso a strangolare Potter. Se la cosa fosse stata meno seria, probabilmente avrei considerato con un ghigno la possibilità di dargli una mano.
«Stupeficium!» strillai, e l’Incantesimo, pronunciato con la mia bacchetta senza neppure pensarci, ebbe successo. sospirai di sollievo mentre il folletto si accasciava svenuto di fronte a Potter, che respirava affannosamente.
Con mani tremanti, gli restituii la bacchetta, osservando con il cuore in gola il corpo esanime del folletto.
«Pensi che ci abbiano sentiti?» mormorò Potter.
«Non penso. Siamo molto in profondità» risposi, la voce traballante. Con un calcio girai Unci-unci a pancia in su, e lo guardai con infinito disprezzo. «Feccia della peggior specie» commentai alla fine, e sputai di fianco al Goblin con stizza.
«Non capisco» disse Potter, lo sguardo vacuo. «Perché ci ha attaccati? Mi ha riconosciuto, di certo non poteva pensare che aiutassi Voldemort, no?». Ero troppo scosso per fare caso più di tanto a quel nome. Mi limitai a ridere.
«Forse tu e la tua amichetta Granger potete ancora credere nell’uguaglianza delle creature magiche» dissi, con superiorità, «ma i Goblin sono esseri della peggior specie. A loro non interessa la politica umana, importa solamente l’oro. Per loro siamo tutti traditori che li hanno privati della magia e dei loro tesori, e non sono disposti ad ascoltare ragioni».
«Anche noi ci siamo comportati male con i Goblin» obbiettò lui.
«Già. E quanto spesso appendevamo le loro teste ad essiccare sulle picche?» chiesi, sarcastico. Il motivo per cui ero tanto ferrato sulle rivolte Goblin? Una volta mio padre aveva dovuto tenere un discorso in proposito, al Ministero. Si era esercitato in casa per settimane.
«In ogni caso» lo bloccai prima che continuasse, «non c’è tempo per questo». Mi inginocchiai accanto alla creatura, alzando la bacchetta, pronto a farlo rinvenire.
Tum.
Il pavimento tremò, facendomi perdere l’equilibrio. Caddi addosso ad Unci-unci, e mi scostai in fretta e furia.
Tum.
Mi guardai attorno, mentre nella mente si affollavano i peggiori sospetti.
Tum.
Tum.
«Drago!» gridò Potter.
Oh, certo. Naturalmente.
Emerso dalle ombre buie di un buco oscuro lì vicino, c’era il drago. Era un animale piuttosto vecchio, ma robusto e evidentemente in forze. Gli occhi bianchi indicavano che era cieco; chissà da quanto non vedeva la luce del sole. Tuttavia faceva impressione, con il muso coperto di vecchi squarci ormai cicatrizzati, e quell’aspetto di animale in trappola che riuscivo a riconoscere fin troppo bene.
Potter si mise in guardia, la bacchetta pronta. Io, invece, strillai, indietreggiando. Si, lo so, coraggio, nobiltà, eccetera. Tutte cose molto belle, niente da dire. E quanti di voi hanno avuto a che fare con un drago incazzato, di recente?
Inutile dire che la mia mossa poco felice servì unicamente ad attirare su di me l’attenzione dell’animale. Vidi il suo testone enorme scattare nella mia direzione. «Eeek!» squittii, lasciando cadere la bacchetta e indietreggiando. La bestia fece un paio di passi verso di me. Aveva entrambe le zampe legate con pesanti e robuste catene, e segnate da piaghe – in quel momento però non ero affatto simpatetico.
«Potter!» strillai, e l’altro, come risvegliatosi dalla sua meditazione, lanciò un paio di Schiantesimi che lo raggiunsero colpendolo sulla schiena. Il mostro neanche si voltò. Continuai a indietreggiare, e inciampai sul corpo esanime di Unci-unci, cadendo di culo per terra. Forse potevo fingermi morto, ma non mi andava di espormi a quelle fine di denti aguzzi. Continuai a indietreggiare da terra, strisciando come un ragno ubriaco. «Potter!» chiamai di nuovo, allarmato. Non era lui quello dei salvataggi? Perché diavolo ci metteva tanto?
Le catene del drago non erano abbastanza lunghe da permettergli di raggiungere l’estremità opposta del piazzale, ma questo non significava granché. Quel dannato coso avrebbe potuto sputare fuoco per centinaia di metri, e non era escluso che riuscisse a frustare tutto il perimetro con la sua coda possente.
Potter corse nella mia direzione, continuando a scagliare incantesimi. Uno colpì il muso del drago che per tutta risposta ruggì e si concentrò finalmente su di lui. Mentre faceva per avvicinarsi al Grifondoro, mi resi conto che continuando ad avanzare in quella direzione avrebbe finito per schiacciare il folletto, che ancora non si era ripreso.
Riflettei un istante, incerto.
Un passo del drago.
Un altro passo.
Un altro ancora...
«Merda» mormorai, e strisciai in avanti, sperando che il drago non badasse a me. Agguantai quel dannato folletto per il colletto e tirai con tutte le mie forze. Si mosse, anche se meno di quanto speravo. Pesava un accidente. Tirai di nuovo, e il corpo scivolò ancora sul pavimento. Osai alzarmi in piedi, e puntellandomi a terra con i piedi tirai così forte che quasi persi l’equilibrio mentre l’essere slittava finalmente via dalla traiettoria del drago, irresistibilmente attratto da Potter. Quest’ultimo si muoveva da un lato o da un altro, come aveva fatto quella volta, anni prima, al Torneo Tremaghi. questa volta però non aveva una scopa, né Allevatori pronti ad aiutarlo.
Con un calcio spinsi il folletto contro il carrello della Gringott. Per un istante pensai di caricare il goblin su di esso, azionare il congegno – sempre che ne fossi capace – e scappare. Il drago probabilmente temeva quell’arnese, e non ci avrebbe comunque potuti seguire. Ma a che sarebbe servito? Senza Potter, comunque, le nostre speranze si sarebbero infrante, purtroppo.
Inoltre non potevo certo lasciarlo lì... oh, d’accordo, ero seriamente tentato di farlo. Se Potter avesse fatto il gesto di correre verso il vagone, probabilmente il drago sarebbe partito all’inseguimento. In effetti non so che cosa mi trattenne lì, ma all’improvviso ebbi un’idea. Sgusciai in silenzio vicino al corpo del mostro, che mi dava  le spalle. Individuai la mia bacchetta e cominciai ad aggirare il drago. Quando sia lui che Potter furono visibili, mi rivolsi a lui, sperando che il drago non mi badasse.
«Potter» dissi, a voce alta, ma non troppo. «Quando te lo dico io, indossa il Mantello, e corri verso il vagone».
Lui mi guardò solamente un istante, incerto. «Che cosa vuoi fare?».
«Fallo e basta!» sibilai, esasperato. Mentre lui continuava a scagliare incantesimi contro il drago, che tuttavia si avvicinava progressivamente, io tesi la mano verso la bacchetta. «Ora!» urlai, quando l’ebbi stretta in pugno. Potter, pronto, svanì. Come speravo, l’animale fissò il punto dove fino ad un istante prima c’era stato il Grifondoro, confuso. Per diversi istanti, parve incerto sul da farsi. Io intento indietreggiai prudentemente. Ero giunto a pochi metri dal vagone, quando sfortunatamente il bestione decise di guardarsi alle spalle. Potter intanto stava issando il folletto esanime sul carrello.
Questa volta però ero pronto, o meglio, l’adrenalina mi aveva reso tale. «Eructo!» declamai, puntando la bacchetta ai piedi del drago. Mentre il terreno si gonfiava  ed esplodeva sotto di lui, schizzai verso il carrello e vi saltai dentro. «partipartiparti!» implorai Potter, che prontamente premette una delle leve azionando il carrello, partimmo a tutta velocità, inseguiti dalle urla impotenti del drago.
«Sta funzionando?» balbettai, quando fui in grado di parlare, indicando il carrello. Avevamo appena superato la cascata. Presi la boccetta di Pozione Polisucco, e nonostante temessi di vomitare, ne ingurgitai il contenuto.
«Penso di si» mormorò Potter, provato.
Mi schiarii la voce. Tremavo da capo a piedi. Puntai la bacchetta verso Unci-unci. «Innerva» dissi, con voce roca, e Unci-unci sussultò, aprendo gli occhi. «Oblivion» dissi allora, con voce meno insicura nonostante la nausea crescente. Gli occhi di Unci-unci, che avevano appena ritrovato il fuoco, si fecero come opachi.
«Barry White stava uscendo dalla camera blindata, sotto la tua supervisione, quando ti sono scivolati di mano i sonacci. Il drago ci ha aggrediti, e per salvarci, ho utilizzato l’Incanto Eructo. Non era presente nessun altro a parte noi, e non hai visto nulla di strano. Eri presente per tutto il tempo della perquisizione, e non ti risulta che io mi sia appropriato di un qualsivoglia oggetto, o che abbia mentito in alcun modo».
«No, naturalmente no» disse Unci-unci, meccanicamente.
Potter intanto si era rimesso il Mantello in silenzio. conclusi l’incantesimo e Unci-unci si riscosse, come appena svegliato. «Diceva?» disse, guardandomi come se si fosse perso l’ultima frase di un mio discorso.
«Che spero che tu non abbia sbagliato strada» biascicai, verde di nausea.
Unci-unci guardò fisso di fronte a sé, e scosse il capo. «E’ la strada giusta» confermò. «Due minuti e saremo in superficie. Cerchi di non vomitare, prego».
«Farò del mio meglio» mormorai, osservando verso l’alto. Cominciava a intravedersi la luce.
 
Quando vidi Harry e Malfoy comparire nella Stanza, mi alzai di scatto in piedi. Erano in ritardo di ore, sporchi e ammaccati, e per di più esausti. Era evidente che non tutto era andato come previsto. Ron accanto a me stringeva nervosamente la bacchetta, come se avesse avuto paura di un tranello.
Corsi loro incontro, e buttai le braccia al collo di Harry. Malfoy ci guardò con una smorfia, senza commentare. Sembrava spossato, aveva una guancia gonfia, e i vestiti insudiciati. «Dove diavolo eravate finiti?» domandai loro con voce stridula.
«Oh, sai, ci siamo fermati a fare un picnic nel bosco» fu la risposta pungente di Malfoy, la cui voce tradiva una nota di orgoglio.
«Va tutto bene, Hermione» disse Harry, sorridendo. Dalla tasca estrasse un grosso oggetto lucente; la Coppa di Tosca Tassorosso, nonché Horcrux, aveva un aspetto bello ma anche sinistro. «L’avete presa!» esclamai, ricadendo a sedere sconvolta.
«Perché, avevi qualche dubbio?» fece Malfoy, ma il modo in cui si accomodò sul divano (a debita distanza da Ronald e me, naturalmente) rivelava che tutta la sua spavalderia non gli aveva risparmiato qualche bel livido. Posò la testa sul bracciolo e sbadigliò.
«Non è stato facile» disse Harry, appollaiandosi sul bracciolo accanto a Ron, e passandosi una mano tra i capelli neri e scarruffati. Quelli di Malfoy avevano perso la loro consueta piega e stavano in parte scomposti, in parte flosci davanti agli occhi, in parte ritti come dopo la visita di un Gramo. Speravo che incontrasse qualcuno, mentre andava al dormitorio.
Harry passò i dieci minuti successivi a raccontare nel dettaglio la loro avventura. In effetti non era andata tanto male, specie se erano riusciti a mantenere segreta la loro identità. Ron sembrava sospeso tra l’invidia e l’ammirazione, ma le occhiate che lanciava a Malfoy mi facevano intuire che stava cercando di prendersela con lui in qualche modo. «E se Unci-unci ricordasse quello che è successo?» argomentò alla fine del loro racconto.
«Ne dubito» disse Malfoy, senza degnarlo di uno sguardo, gli occhi ancora chiusi. «Gli Incantesimi di memoria non sono facili da superare, sapete».
«Voi-sapete-chi ci è riuscito però, no?» disse Ron, poco convinto, guardando me come alla ricerca di un appoggio. «Insomma, Bertha Jorkins gli ha detto tutto sul Torneo Tremaghi, giusto?».
«Si, ma dubito che Voi-sapete-chi decida di passare le vacanze alla Gringott a torturare Goblin» ragionai io. «Insomma, Malfoy ha ragione. Soltanto la Maledizione Cruciatus potrebbe riportare a galla i ricordi – forse neppure quella – e non è che i Mangiamorte siano liberi di frequentare la banca, di questi tempi, voi che ne dite?».
«Però Voi-sapete-chi potrebbe interrogarli con un inganno» disse Ron, evidentemente nel suo umore più catastrofico. «E se anche non scoprisse chi è stato, scommetto che ci arriverebbe, in fondo non sono in molti ad avere la chiave di Bellatrix, giusto?».
«Mia zia non sa che mia madre ha una copia della chiave. potrebbe pensare che sia stato qualcun altro. E poi, come farebbe a sapere che hanno preso la coppa, se non possono controllare?». Malfoy suonava molto ragionevole, e Ron non ne era contento. «Penso che per il momento siamo al sicuro. Almeno fino a che il Signore Oscuro non riacquisterà potere».
«Tutto a posto, allora» borbottò Harry, e sia io che Ron ci lasciammo sfuggire una risatina per scaricare la tensione.
«E che cosa mi dici del tuo sogno, Harry?» chiesi poi, severamente.
Prima di partire, Harry aveva visto in sogno Voldemort andare da Gregorovich. Era proprio per questo che avevamo deciso di sbrigarci e di recuperare l’Horcrux. Anche se io ero convinta che tutta la storia della bacchetta di Harry e di quello che era successo al suo compleanno, quando aveva incontrato l’Horcrux, fossero solo idiozie. Insomma, se anche Voldemort voleva cercarsi una nuova bacchetta, che importava, quando gli Horcrux sarebbero presto andati distrutti? «Pensavo fossi d’accordo con me, dopo quello che – che è successo con Sirius. Devi sforzarti, Harry. Devi diventare un buon Occlumante».
«Non sono sicuro di riuscirci, Hermione» disse Harry, scuotendo il capo. «Io... capita sempre quando non me lo aspetto».
«Appunto per questo, tu...».
«Qualcuno può spiegarmi di che diavolo state parlando?» interloquì Malfoy. Aveva tenuto il broncio per tutto il racconto di Harry, evidentemente deluso dall’attenzione che avevamo dedicato al nostro amico, quando lui aveva partecipato attivamente. Ricordai imbarazzata che nessuno aveva pensato di spiegargli del sogno di Harry.
«Harry sa che Voldemort – oh, Malfoy, per l’amor del Cielo, è solo un nome! – è alla ricerca di Gregorovich, il fabbricante di bacchette. Si è messo in testa che questo sia importante, per via di quello che crede di aver visto la notte in cui è partito da casa dei Dursley».
Lo guardai, sperando che almeno lui fosse ragionevole, ma mi resi conto che era pensieroso, e niente affatto scettico. «La bacchetta di Potter e quella del Signore Oscuro hanno un legame, questo è chiaro» disse, pensoso. «Non è escluso che lui intenda liberarsene in qualche modo. Potter, spiegami che cosa hai visto».
Harry, trionfante, gli raccontò nel dettaglio la sua visione. Notai che Malfoy annuiva di tanto in tanto, intrigato. «... in ogni caso, Gregorovich non è abbastanza. Voldemort vuole quel ragazzo biondo...» e Harry scosse il capo. «Se Voldemort lo scova, sarà un problema».
«Dobbiamo distruggere gli Horcrux» dissi poi io. «Non sappiamo cosa sta cercando. Sappiamo solo che, se distruggiamo gli Horcrux prima che la trovi, siamo salvi».
«Grazie, Granger, per la tua preziosa osservazione» commentò il Serpeverde dalla sua postazione. Afferrai un cuscino da dietro la schiena e glielo scagliai in faccia, senza neanche guardarlo. «Ma, per quanto Potter non sia certo un pozzo di scienza, il Signore Oscuro sa che cosa sta facendo. Se lui pensa che sia importante, lo sarà di certo».
«E, Harry, c’è una cosa della quale dobbiamo discutere» dissi io, ignorandolo platealmente. Fu il mio turbo di raccontare. Quel pomeriggio, mentre mi dedicavo alla decifrazione del libro di Beda, avevo fatto una scoperta interessante. Uno dei simboli che accompagnavano i titoli delle storie era fatto a mano, e sembrava diverso dagli altri.
«Fammi vedere» disse Harry alla fine. Così presi il libro di Beda, lo aprii e lo sfogliai fino a ritrovare la pagina incriminata. Harry si chinò verso di esso e così fecero sia Ron che Malfoy – il quale acconsentì ad accostarsi a noi per vedere di che si trattasse.
«Conosco questo simbolo» disse Harry, e io lo guardai.
«Anche io» fu il commento che provenne dalla mia sinistra. Malfoy aveva la fronte aggrottata, del tutto dimentico della stanchezza o della nostra presenza. «Non riesco a ricordare dove l’ho visto» mormorò.
«Krum me ne ha parlato» spiegò intanto Harry. «Al matrimonio di Bill e Fleur. Ha detto che era un simbolo di Grindelward, che lo aveva inciso a Durmstrang».
«E per quale motivo ne avreste parlato?» chiesi io, stupita.
«Beh, ecco... il padre di Luna lo indossava. Dubito che sapesse di che cosa si trattava, comunque, però...».
«Non è il simbolo di Grindelward». La voce di Malfoy ci riscosse. Tutti lo guardammo, in attesa. «O meglio, non è lì che l’ho visto».
«Beh, Krum...».
«E’ stato di recente. L’ho visto molto di recente» insistette lui. «In un libro, forse, qualcosa del genere».
«Tu sai leggere?» borbottò Ron, ma nessuno gli prestò attenzione. «Sforzati di ricordare!» strillai io, affannata. Malfoy fece una faccia scontenta. «Difficile riuscirci, Granger, quando mi tormenti ogni giorno con decine e decine di volumi assolutamente inutili...».
«Beh, dovresti ringraziarmi, Malfoy, visto che è solo grazie a me che sei riuscito ad avere voti decenti».
«Si, Granger, perché sei tu che mi dai in prestito il cervello, vero? A meno che non sia quello di Weasley, spiegherebbe molte cose».
«Senti un po’....» cominciò Ron, colorendosi.
«Sentite, possiamo concentrarsi su qualcosa di un po’ più importante?» intervenne Harry, irritato, e io mi ricomposi. Ron e Furetto si guardarono in cagnesco, ma tacquero. «Ad esempio: che diavolo ha a che fare questo stupido segno con noi?».
«Silente deve avere un buon motivo per averlo disegnato» disse Ron facendo spallucce, come se questo risolvesse ogni cosa. «Sempre che sia stato lui a disegnarlo, certo» fece notare Malfoy, grattandosi aristocraticamente la punta del naso.
«E’ chiaro che è stato lui, no? altrimenti perché ci avrebbe lasciato il libro?» gli dissi io, pedante.
«Per un centinaio di possibili motivi, stupida oca» rispose lui, inacidito.
«Sentite: ce l’ho!» esclamò Ron, teatrale, saltando in piedi. Era così felice della propria idea, che non aveva neppure protestato quando Malfoy mi aveva chiamata “stupida oca”. Mi ero fatta quindi giustizia da sola, scagliandogli contro un altro cuscino piuttosto polveroso, così che lui continuò a tossire per quasi un minuto. «Gridelward leggeva questo libro da bambino... no, aspettate... ne è stato ispirato... ne ha tratto qualche spunto per i suoi piani... e alla fine... Silente lo ha sconfitto e gli ha rubato il libro».
«Così poteva leggere una favola prima di andare a dormire» sogghignò Malfoy, in tono di scherno – ma ancora un po’ soffocato.
«Ci deve essere un codice!» esclamò Ron, convinto, afferrando il volume e sfogliandolo febbrilmente (Malfoy: “Wow, Weasley, non stai neppure tenendo il libro all’incontrario”) come per rintracciare una mappa o un’iscrizione. Tornò alla pagina dove qualcuno aveva vergato il simbolo misterioso... e si bloccò. «Beh» disse, in tono un po’ stupido, «che storia sarebbe, esattamente?».
«Quella de “I tre fratelli”» dissi io. «Immagino che tu la conosca».
«Perfino Weasley deve conoscerla, Granger» cantilenò Malfoy.
«Beh, io non la conosco» interloquì Harry, stizzito.
«Immagino tu stia ancora aspettando che ne scrivano una su di te, Potter»  sghignazzò il Serpeverde, ma nessuno gli diede peso. «Perché non la leggi?» propose Ron.
«Lo farò» dissi, risoluta. E lessi tutta la storia. Harry ascoltò attentamente, come aspettandosi di cogliere qualcosa di strano in quella storia – che però avrebbe potuto benissimo essere stata scritta dai fratelli Grimm, per quanto inusuale. Ron ascoltava a sua volta e talvolta annuiva; e Malfoy, anche se non o dava a vedere, faceva altrettanto, pensoso.
«Che cosa pensate che significhi?» chiesi alla fine.
«Beh, non saprei» disse Harry, incerto. «Voglio dire... sembra solo una storia. Però...».
«E’ diversa dalle nostre» confermai, meditabonda, «ma non mi sembra che contenga qualcosa di eccezionale... a meno che non sia una mappa, un indovinello...».
«Quelle di Beda sono solo storie» disse Ron, scuotendo il capo. «Penso ci sia più di qualcuno che le ha studiate. Riferimenti storici, sapete, cose così, visto che sono vecchie. Probabilmente Rüf potrebbe spiegarci esattamente qual è la realtà storica dietro a ogni fiaba... ma nulla di più».
«Weasley ha ragione» disse Malfoy, lentamente.
«Però..?».
«Non c’è alcun però».
«Mi sembrava che non ne fossi tanto convinto».
«E’ per il simbolo. C’è qualcosa che mi sfugge, qualcosa di familiare. Ma non riesco a ricordare».
«Che peccato. Non riesci a essere utile neppure quando lo vuoi, Malfoy» commentò Ron, sprezzante.
«Ricordami, Weasley: chi ha recuperato un Horcrux, di recente?».
«Basta così» disse Harry, risoluto. «Sentite, ecco cosa faremo. Domani andremo da Luna, e le chiederemo se sa qualcosa al riguardo, poi faremo lo stesso anche con il Professor Rüf –  ecco, Hermione, ehm... magari potresti occupartene tu – e poi penseremo al da farsi. Che ne dite?».
«Buon piano» commentai con uno sbadiglio.
 
Non si sentiva musica per i corridoi. Poteva essere perché ero ancora molto distante, certo, ma probabilmente Lumacorno aveva insonorizzato la sala con un qualche incantesimo. Camminavo verso la festa con una certa riluttanza; anche se avevo desiderato essere invitato, non avevo un’accompagnatrice. Avrei potuto chiedere a Pansy – anzi, era chiaro che lei lo voleva ardentemente – ma non avevo voluto. Era assolutamente al di là delle mie forze.
Ero in discreto ritardo. Astoria se n’era andata da ore, o almeno così mi sembrava. Zabini l’aveva seguita dopo una mezzoretta, per arrivare puntuale, ma non avevo certo in programma di andarci con lui. Oh, e va bene, potevo essere in ritardo anche per via di qualche problema di acconciatura. L’Incantesimo di rabbocco sul mio flacone di gel non aveva funzionato egregiamente, ma non volendo chiedere aiuto a nessuno ci avevo messo del tempo per risolvere il problema.
Non che non ne fosse valsa la pena, bisognava dirlo. Passando per i corridoi avevo potuto ammirare il mio riflesso in innumerevoli finestre un po’ opache, ed ero incredibilmente soddisfatto. Senza contare che nessuno tra quelli che contano arriva mai puntuale, giusto?
Raggiunsi finalmente la porta. Fuori di essa stavano due arcigni Gargoyle,  che qualcuno – presumibilmente Lumacorno, almeno a giudicare dal pessimo risultato estetico – aveva provveduto a vestire con uno smoking e un cravattino dorato (oltre che con un cappello natalizio di pessima fattura). Quello a destra mi scrutò, attento. In mano aveva una pergamena.
«Nome, prego?» gracchiò.
Io mi schiarii la voce, giusto per darmi un po’ di tono.
«Sbrigati, ragazzo, non abbiamo tutta la sera, sai» fece l’altra statua, petulante.
«Draco Malfoy» dissi, risentito.
Il primo scorse la lista e sembrò piuttosto deluso di trovarvi davvero il mio nome. «Puoi entrare» concesse, e nonostante il mio desiderio di sembrare aristocratico, feci loro un gestaccio prima di varcare la soglia.
Fui investito da un’ondata di rumore assordante, oltre che da un piacevole calore. La sala – sospettosamente larga – era riccamente addobbata (grazie a Dio con maggiore buon gusto) e ricolma di persone, parecchie delle quali non ricordavo di avere mai visto. Un discreto numero di invitati erano volti noti, personalità di spicco del Ministero o gente famosa. Riconobbi diversi ex colleghi di mio padre, ma mi guardai bene dal salutarli. Dubitavo che avrebbero ricambiato con cordialità.
Mi feci strada tra la folla di studenti. La musica sembrava provenire dalle pareti stesse. Dribblai Goyle, vestito da  cameriere e con un vassoio in mano, che mi salutò goffamente. C’era Luna Lovegood, che era venuta con chissà chi, e che mi salutò con un cenno sognante come se fossimo amici; c’era Padma Patil, che pomiciava con un biondino non meglio identificato; c’era perfino la ragazza Weasley, che parlava con... Astoria?
Quando fui abbastanza vicino, come se mi avesse percepito, Astoria si voltò. Mi salutò con un cenno eloquente per invitarmi ad avvicinarmi, e io obbedii. «Ciao» mi disse, tranquilla. «Sei in ritardo».
«Avevo alcune faccende da sbrigare» dissi, casualmente.
«Conosci già Ginevra, naturalmente» disse Astoria, senza scomporsi nel vedere l’occhiata ostile tra me e la Weasley. «E lui è Matthew Prewett» aggiunse, accennando al ragazzo accanto a lei. Prewett era basso e mingherlino, aveva capelli color mogano e una quantità infinita di lentiggini sul volto diafano. Sembrava una ragazza carina, più che un ragazzo, se volete la mia opinione. Aveva un’aria piuttosto intimorita, e mi sorprese quindi il modo deciso in cui mi tese la mano. «Piacere, Malfoy. So chi sei, ovviamente».
Naturalmente. Soddisfatto, ricambiai la stretta. In fondo era un Corvonero, non un Tassorosso.
«Sei un Corvonero, giusto?» chiesi allora, un po’ per Astoria, un po’ per ignorare palesemente la sua compagna di studi. «Di che anno sei?». Vedete? Ero un ragazzo cordiale. In fondo bisogna sempre esserlo, con i meno fortunati.
«Dei sesto, come Astoria» disse lui. Sembrava vagamente a disagio all’idea di conversare con me, ma apprezzavo lo sforzo, per quanto poco valesse. «Sai, sono il compagno di studio di Corner, perciò ci siamo conosciuti grazie a Ginny. Abbiamo studiato assieme, alcune volte».
Svenevole. Assunsi un’aria vagamente interessata – molto difficile da fare – e annuii. «Astoria è molto brava» concessi, tanto per dire qualcosa. Mi ero già stufato di essere cordiale. Che individuo noioso.
«Beh, anche tu sei abbastanza fortunato» commentò Prewett. «Sbaglio, o sei stato abbinato a Hermione Granger?».
«Non sbagli» dissi, senza sforzarmi di nascondere la mia tetraggine.
«Immagino sia eccellente, studiare con lei».
«Non ne avrei davvero bisogno» dissi, fulminandolo con lo sguardo.
Lui parve incredibilmente a disagio. Fu salvato in corner da Corner (ah-ah...) che scelse quel momento per apparire. Mi guardò con sospetto e poi fissò il suo compagno, evidentemente incerto se il suo intervento fosse richiesto.
«Ciao, Michael» disse Astoria. La Weasley lo salutò senza entusiasmo, ma il Grifondoro non parve accorgersene e le gettò uno sguardo luminoso. Cominciavo a sospettare il motivo per cui la Weasley aveva presentato i due ragazzi ad Astoria – evidentemente si voleva liberare di un peso morto. Sogghignai al pensiero.
«Ciao, ragazze!» disse lui, esultante. Poi, a me, «Malfoy».
Chinai solamente il capo, gelido.
«Di che cosa parlavate?» si inserì allora Corner, rivolgendosi a Ginny Weasley.
«Ehm... stavamo parlando di compagni di studio» disse lei, incerta.
«Malfoy è stato abbinato a Hermione Granger» disse Prewett cauto, guardandomi di sbieco per valutare la mia reazione. «Ginny mi ha parlato di lei. È la studentessa più brillante della scuola, e non è neppure una Corvonero!».
«Beh, non è detto che dovesse esserlo, no?» intervenne la Weasley, piccata, e Prewett arrossì. «E poi, Hermione ha  un sacco di doti di Grifondoro» proseguì la rossa, animata da un fervore quasi religioso – che, sospettai, serviva anche a impedire a Corner di prendere la parola.
Beh, le zanne di un leone le ha” bisbigliai all’orecchio di Astoria, incapace di trattenere una così splendida – a mio avviso – battuta. Per tutta risposta incassai una poderosa gomitata nello stomaco, oltre a ricevere un’occhiata tanto gelida da far rabbrividire anche il Signore Oscuro. Mi offesi, e misi il broncio. Tutti mi ignorarono.
«In ogni caso» disse Corner, con un’occhiatina preliminare alla ragazza Weasley, «io la trovo molto carina».
«Lo penso anche io» disse la Weasley, soddisfatta. Io non riuscii a trattenere una smorfia, ma cercai di essere discreto, tanto per evitare un’altra gomitata da Astoria.
«Sta con tuo fratello, giusto?» chiese Prewett, timidamente.
Lentigginosa Lenticchia (L.L. per gli esseri umani) sospirò. «Vorrei tanto che Ron si desse una mossa, ma per il momento no, non stanno assieme». Beh, probabilmente era peggio per Weasley, e meglio per la Granger. Nessuno poteva essere al livello di un simile idiota.
«Draco! Ragazzo mio!». La poderosa voce di Lumacorno, proveniente da pochi centimetri di distanza, mi fece fare un salto di mezzo metro. Mi voltai, una volta che mi fui rassicurato su di un possibile infarto. «Ehm... salve, signore» dissi, ossequioso.
«Fai amicizia, vedo. Molto bene, ragazzo» disse, mettendomi una mano sulla spalla. «Bisogna favorire l’amicizia tra Case, l’ho sempre detto».
«Certo, signore» borbottai, senza troppa convinzione.
«Avrei tanto voluto presentarti Gwenog ragazzo. Sei piuttosto bravo sulla scopa, e se me ne sono accorto io, che sono troppo vecchio per queste cose...» e qui fece una pausa drammatica, sorridendo ad Astoria, che fece una smorfia curiosa, «...allora puoi scommettere che è la pura verità! E a questo proposito...». Parve Smaterializzarsi nell’aria, e io mi guardai attorno per diversi istanti senza individuarlo. Poi il professore ricomparve, trascinando con sé un assai infelice Zabini, che teneva in mano un calice il cui contenuto doveva essersi versato quando era stato ghermito da Lumacorno. «Zabini, stavo giusto parlando con Draco della vostra prima partita. Davvero eccellente, dico davvero!».
«La ringrazio molto, signore» disse Zabini con un sorriso forzato.
«E’un vero peccato che le vostre capacità vadano sprecate. Sarei lieto di aiutarvi nel caso in cui decidiate di intraprendere una carriera sportiva, dopo la scuola» fece il professore, gioviale. «Due paroline a qualcuno del settore... conoscono parecchie persone bene introdotte, sapete... una raccomandazione della cara Gwenog, magari...».
«Signore» lo interruppe Zabini, e notai che era notevolmente arrossito. Sembrava quasi colpevole, o meglio, timoroso. «Conosco già Gwenog Jones, signore, e anche Barnaby Fletcher dei Magnifici Sette».
«Mio caro ragazzo, dimentico sempre che grazie a tua madre hai davvero moltissimi agganci!» cinguettò Lumacorno. «Quanto a te, Draco» mi disse, con aria complice, «io capisco che tu possa incontrare maggiori difficoltà... la situazione...».
«La ringrazio molto, signore» intervenni, desideroso di tagliare corto. «Ma sa, non sono certo di voler giocare a Quidditch».
«Davvero?» chiese Lumacorno, interessato. «E che cosa vorresti fare?».
Sopravvivere, per esempio. Naturalmente non lo dissi, ma cercai una risposta migliore... e non la trovai. Avevo sempre dato per scontato che avrei lavorato al Ministero grazie agli agganci di mio padre, ma mi sembrava un’ipotesi ormai remota. Certo, avrei anche potuto non lavorare affatto, ma chi poteva sapere che cosa sarebbe potuto succedere?
Alzai le spalle, a disagio. «Ancora non lo so, signore» ammisi.
«I tuoi voti sono molto buoni. Sono certo che avresti comunque del potenziale» disse Lumacorno, ma non sembrava molto convinto. «Ehm... scusatemi, ho appena visto...» e si defilò, scomparendo in mezzo a uno sparuto gruppo di Tassorosso.
Improvvisamente solo con il gruppetto Granger Fan-Club e Zabini, provai l’impulso di andarmene. Mi allontanai senza guardare nessuno, alla ricerca di un posto tranquillo. In effetti, seminascosta vicino a una tenda stava una sedia remota e tranquilla. Mi ci sedetti, molto grato.
La discussione con Lumacorno bruciava ancora. Per non pensarmi, mi concentrai sulla strana reazione di Zabini all’argomento Quidditch. Tuttavia non ne venni a capo e alla fine rinunciai, troppo irritato all’idea di essere all’oscuro di tutto.
Più o meno allora scorsi, piuttosto distante, la Granger. Stava parlando con Paciock, e mi chiesi che diavolo ci facesse, lì, Paciock. Mi venne allora in mente della discussione di Corner sulla stupida Granger, e ridacchiai. “Carina”. L’aveva chiamata carina! Chi mai poteva chiamare carina la Granger? Tutti sapevano che era brutta, no? aveva....
Mmh.
La scrutai, ben sapendo che nessuno badava a me. In effetti non ricordavo cosa fosse esattamente di lei a disgustarmi di più. Beh, certo, aveva dei capelli tremendi. Già questo la diceva lunga. E la faccia...
Uhm.
Forse erano gli occhi, ma erano semplici occhi scuri, passabili, magari, se a uno piaceva il genere.
Probabilmente era la bocca. Certo, si era fatta sistemare la chiostra di zanne che aveva posseduto fino a qualche anno fa... anzi, indirettamente, il responsabile ero stato io. La osservai, ma non aveva nulla di troppo asimmetrico. In effetti, era una bocca simmetrica, abbastanza simmetrica. Quasi ben disegnata, ma quello probabilmente era solamente il trucco. Si sa che fa miracoli, no?
Ero quasi certo fosse il naso. Chissà come, sembrava diritto, ma era difficile giudicare, sotto quelle luci. D’accordo, magari aveva un naso diritto, ma questo non significava molto.
Vagamente nervoso, strizzai gli occhi nella sua direzione. Insomma, io sapevo che la Granger era bruttina. Era una verità universalmente riconosciuta. Non mi era mai neanche passato per la mente di osservarla per capire perché. Del resto non la guardavo mai davvero in faccia. Una faccia che tuttavia sembrava non solo normale, ma anche... passabile. Abbastanza passabile. Tollerabile. Decente, magari. Meglio di tante altre facce. E allora? Aveva pur sempre i capelli crespi, giusto? Stava sempre ingobbita sui libri, e faceva delle smorfie atroci. In fondo, qualunque faccia avesse, era pur sempre una Mezzosangue. Fine del discorso.
Avevo appena accertato questo, con mia grande soddisfazione, quando una voce mi fece sobbalzare per la seconda volta nel corso della serata.
«Che stai guardando?».
Mi voltai di scatto. Zabini mi stava fissando, a braccia incrociate.
«Nulla di particolare» dissi, neutro. «Non che siano affari tuoi, ovvio».
Mi sorprese ridacchiando, anche se lo fece senza allegria. Al contrario, aveva un’aria così infelice da farmi pena. Beh, quasi. Insomma, nessun Serpeverde si fa muovere a compassione per il proprio nemico. In effetti, neanche con un amico. «Si, si, naturalmente è vero» concesse. Io mi misi naturalmente sulla difensiva. Lo squadrai con sospetto. Che diavolo voleva, da me?
«Che diavolo vuoi, da me?». Stranamente, il suo sorriso si allargò, facendosi ironico. Beh, di qualunque cosa sogghignasse, non erano affari miei, e non volevo indagare. Oh, d’accordo, volevo indagare, contenti? La stavo solo prendendo alla larga.
«Mi chiedevo solamente che cosa stessi facendo in quest’angolo dimenticato da Dio. Pensavo volessi risplendere in tutta la tua gloria» disse, recuperando una sedia da chissà dove e sedendosi accanto a me. Scostai appena la sedia. Nessuno sa fare il disgustato come un Serpeverde.
«Sono stanco» dissi, e in quel momento, guardandolo da vicino per la prima volta da molto tempo, notai che aveva occhiaie mostruose. Gli avrei volentieri suggerito un incanto Rinvigorente, se non fosse stato nel mio interesse imbruttirlo il più possibile. Non che temessi concorrenti, in quanto ad aspetto fisico. Ma non si poteva mai dire.
«Si, anche io» ammise lui con un sonoro sbadiglio, che mascherava un sospiro.
Al diavolo! Mi ero stufato di prendere le cose alla larga, o per meglio dire, non amavo l’idea di continuare a conversare con Zabini, specie perché temevo che, a furia di battutine, lo avrei fatto scoppiare a piangere. Sembrava così depresso che forse avrebbe prima considerato l’idea del suicidio, ma non volevo vedere nessuno singhiozzare, neppure Zabini. «Perché hai reagito così quando Lumacorno ha parlato del Quidditch?» sparai.
Zabini mi guardò, e fece una smorfia a metà tra il divertito e il rassegnato. «“Perché sei depresso, Zabini? Quali profondi segreti cela il tuo animo? Che dentifricio usi, la mattina?”. Per essere un Serpeverde, ti impicci troppo, Malfoy».
«Dove c’è scritto che i Serpeverde debbano essere riservati con i segreti altrui?»
«Un punto per te. in ogni caso, non sono affari tuoi».
«Quali profondi segreti cela il tuo animo?» citai allora, indagatore.
«Nulla che ti riguardi».
«Senti, Zabini. So perfettamente che hai dei segreti. Quello che non capisco è, perché l’idea del Quidditch dovesse metterti in imbarazzo».
«Mi spiace deluderti, Malfoy. Questo non è un mio segreto».
Lo guardai, stupito. «E allora, di chi..?».
Zabini scoppiò a ridere, amaro. «Sai, ero venuto qui alla ricerca di un po’ di pace» disse, la voce incrinata dall’esasperazione. O almeno, così volevo credere.
«Ottima scelta, Zabini. Questo la dice lunga sulla tua lungimiranza».
«Beh, la mia è una scelta lungimirante. Perché non intendo dirti nulla, perciò immagino che non vorrai sprecare oltre fiato».
«Come dicevo, la veggenza non è il tuo forte, Zabini».
Zabini si stirò pigramente. «La cosa che più mi sconcerta è il tuo candore. Ci siamo sempre detestati. Perché pensi che dovrei confidarmi proprio con te?».
«Siamo Serpeverde, Zabini» sospirai. «I nostri nemici sono quasi più affidabili degli amici».
«Non posso che darti ragione» mormorò lui senza guardarmi, in un tono tanto tetro che sembrava irradiare pura negatività. Si riscosse. «E tu? cosa contemplavi con quell’aria tormentata quando sono arrivato?»
«Non contemplavo proprio un bel nulla» mugugnai, risentito. «E non chiedere, se non vuoi dare. Non te l’ha insegnato la mamma, Zabini?».
«Mia madre non ha nulla da dirmi, Malfoy» disse lui, sardonico. «In ogni caso...».
«Ah, eccoti» disse la voce che popolava tutti i miei incubi peggiori. Mi voltai, già rassegnato, e pronto a fronteggiare Hermione Granger, che si avvicinava a passo di marcia nel suo vestito blu. Si parò di fronte a noi, con aria colma di dignità. Io mascherai l’imbarazzo che mi derivava dai miei più recenti monologhi interiori. «Non rompere, Granger».
Il suo sguardo si posò su di me, il sopracciglio alzato. «Oh, ciao, Malfoy. Non ti avevo notato». Poi si rivolse a Zabini. «Tu sei Zabini, giusto?». Io la guardai, con occhi sbarrati. Come osava salutarmi con quell’aria casuale..?
Zabini si alzò, indecifrabile, il che era piuttosto strano, visto che qualunque Serpeverde avrebbe fatto meglio a darsela a gambe di fronte a lei. «E tu sei Hermione Granger».
«Si» rispose lei, impassibile. «Ho un messaggio per te, da parte della Preside. Sapeva che ti avrei incontrato, e voleva che avessi questo». Gli tese un rotolo di pergamena che lui quasi le strappò di mano, infilandoselo in fretta e furia in tasca.
«Grazie» disse Zabini.
«Prego. Ah, un’altra cosa. Harry vuole che tu sappia che durante le Vacanze non potrà partecipare al progetto di Pozioni, visto che non starà a scuola».
«Potter non c’è stasera?». Zabini storse il naso. Finalmente una reazione normale.
«No, non si sente bene» rispose la Grifondoro, anche se vedevo bene che stava mentendo. Zabini, invece, non sembrò accorgersene, e questo mi inquietò. Davvero ero diventato così avvezzo alla Granger, da riuscire a decifrarla meglio di un qualunque Serpeverde? O ero semplicemente più intelligente di Zabini?
Non rispondete, vi prego.
«Capisco. D’accordo. In ogni caso sarei rimasto a scuola» disse Zabini.
«Bene. Lo dirò a Harry».
«Grazie. Ci vediamo, Malfoy». Zabini quasi schizzò in piedi, allontanandosi come un razzo come se si fosse Smaterializzato. Anche la Granger sembrava stupita.
«Hai preparato il tuo bagaglio?» mi chiese poi lei.
«Mmh?» le chiesi, assorto in varie, cupe meditazioni. Per lo più riguardanti Zabini e la stessa stupida Mezzosangue. Il primo si comportava in maniera fin troppo affabile per i miei gusti, e la seconda... beh, che vi devo dire? Esisteva.
«Hai – preparato – il tuo – bagaglio?» scandì lei, petulante.
«Certo che no. Sto ancora sperando che tutto questo sia un brutto sogno» le risposi. Bugia. Avevo preparato tutto quel pomeriggio, infilando come da istruzioni tutto lo stretto indispensabile dentro un borsellino di pelle reso senza fondo da chissà quale magia. Non che avessi bisogno di chissà quale spazio, comunque. Era necessario che il mio baule e gran parte delle mie cose rimanessero nel mio dormitorio, visto che ufficialmente non mi sarei mosso dal castello. Avevo solamente la mia biancheria, qualche vestito, un paio di libri, la bacchetta, i miei soldi, e quasi nient’altro.
«Beh, ti ricordo che domattina dovremmo svegliarci presto, perciò non so quando potrai passare per il tuo dormitorio per farli, contando che questa sera dormirai in infermeria!». La voce della Granger era particolarmente irritante. Un’altra voce da aggiungere alla lista M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E. (Motivi Esatti per Zittire gli Zotici che Osservano la Sporca Antisociale Nata Granger con Ultraesagerata Emozione) anche conosciuta come “Prova Assoluta Della Illogicità Di Una Certa Ammirazione Per l’Abominevole Granger” che però, abbreviandosi in PADIDUCAPAG, peccava alquanto dal punto di vista estetico.
«So quello che devo fare, grazie, Granger» ribattei, acido. Aveva anche le caviglie troppo magre. Se avessimo dovuto scappare correndo dall’Oscuro Signore (al momento conosciuto come O.S., Obbrobrioso Serpente) probabilmente si sarebbero spezzate come grissini. Visto? Era un vicolo cieco evolutivo, come i Dinosauri. Che però, scommettevo, quantomeno apprezzavano il silenzio.
«Come vuoi, Malfoy» disse lei, scuotendo il capo. «In ogni caso, domattina saremo in infermeria. Non potresti almeno considerare l’idea di far partire queste due settimane e mezzo con il piede giusto?».
«Cioè, facendo lo sgambetto a Weasley?».
«Certo che no!» disse la Granger, facendo finta di scandalizzarsi, anche se sembrava vagamente tentata dalla mia proposta. «Quello che voglio dire è che dovremmo pensare positivamente. Cooperazione Magica Internazionale, sai».
«Questo non è un dannato Torneo Tremaghi, Granger, a me non ne viene nulla in tasca. Lasciatemi semplicemente in pace» dissi, ostile e ostinato.
«Come vuoi» disse lei, e si allontanò a grandi passi. Aveva delle scarpe dorate piuttosto alte, e mi chiesi come facessero le sue caviglie magre a non spezzarsi. Scocciato, guardai il retro del suo vestito blu che ondeggiava. Era un vestito quasi carino.
La prova che l’abito non fa il monaco.
 
Malfoy,
per quanto io detesti l’idea di accoglierti in questa casa, pare che non abbia altra scelta. Ora guarda di fronte a te. Il quartiere dell’Ordine della Fenice è al numero 12 di Grimmaud Place, Londra.
PS: Quando arrivi con la seconda passaporta con Hermione e Tonks, ed entri nell’atrio, non fare casino con i nostri bagagli. Sicuramente Tonks si dimenticherà di avvertirti in tempo, ma può darsi che anche tu voglia evitare una riunione di famiglia.
Harry Potter
 
M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E.
ovvero
Motivi Esatti per Zittire gli Zotici che Osservano la Sporca Antisociale Nata Granger con Ultraesagerata Emozione
·         Capelli crespi che sarebbero l’orrore di ogni pettine. Penso che neanche il Signore Oscuro scambierebbe la sua pelata con una zazzera simile. Certo, non che il Signore Oscuro sceglierebbe di farsi un toupet proprio con i capelli di una sporca Mezzosangue. Sono sempre stato convinto invece che abbia un debole per quelli di mio padre. Scommetto che prima o poi gli avrebbe fatto la pelle solamente per invidia. Del resto ho preso da lui. Modestamente parlando, non ho bisogno di alcun tipo di prodotto specifico perché siano morbidi e lucenti. Scommetto che il Signore Oscuro si rasa perché ha le doppie punte. Del resto, quando vieni investito da un’Avada Kedravra, non ti puoi stupire se perdi i capelli. O forse è solo lo stress di dover conquistare il mondo? Se mai dovessi vincere la guerra, penso che glielo chiederò.
·         Portamento rigido come un manico di scopa, quando non sta curva come un monaco amanuense su qualche stupidissimo manuale di Incantesimi. Ma forse non è colpa sua. Può darsi che quando qualcuno guarisce dallo sguardo di un Basilisco gli rimanga sempre un che da stoccafisso. Sarei felice di approfondire la questione con un esperto.
·         Caviglie secche come grissini. Ma di questo avevo già parlato, forse, vero?
·         E’ Hermione Granger, Cristo!
 
P.U.R.O.S.A.N.G.U.E.
Ovvero
Possibilità Ufficiose Riguardanti l’Opinabile Salvabilità dell’Aspetto della Natababbana Granger Ufficialmente Ebete
·         Occhi passabi
·         Bocca passa decen passab
·         Non ha poi un fisico atroce
·         La faccia non è da buttar
·         E’ intelligente
·         E’ gentil
Oh, ma dai. Davvero a qualcuno importa di questa lista?
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Salve! Come già anticipato a chi ha avuto la sfortunata idea di scrivermi fiducioso nelle recensioni, ho avuto qualche piccolo problema con il collegamento internet... anzi, specifichiamo: non è che io abbia avuto problemi, è che una ragazza non può essere costretta ad usare una chiavetta internet che si esaurisce sempre i primi cinque giorni del mese portandomi ad odiarla -.-“””” Scelte parentali purtroppo...
Comunque, senza altri indugi... capitolo lungo (del resto, non potendo pubblicare, tanto valeva che preparassi qualcosa di più, no??) che si conclude con Draco che giunge a Grimmaud Place come promesso! Il prossimo capitolo sarà di superconvivenza forzata, con tutto quello che questo significa...
Nel frattempo, spazio significato del capitolo!
M.U.D.B.L.O.O.D., or “Mudbloods Usually Deemed Beautiful Legally Ought to be Objectively Despised” significa letteralmente: M.E.Z.Z.O.S.A.N.G.U.E., ovvero “le Mezzosangue solitamente considerate carine dovrebbero essere oggettivamente disprezzate per legge”
Il significato è chiaro, no? ;)
Ringrazio naturalmente le pie ragazze che recensiscono sempre e quelle che lo faranno in futuro, oltre naturalmente a chi legge! XD a presto! (spero molto, molto presto!)

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** HOME, sweet home ***


Home sweet home Mi svegliai perché qualcuno stava picchiando con violenza alla porta. Per un istante non ritenni opportuno rispondere, certo che Zabini si sarebbe occupato di chiunque avesse avuto l’idea di disturbare il mio riposo. Tuttavia, mi resi conto con un istante di ritardo che qualcosa non andava; le mie lenzuola non avevano quel vago sentore di pino silvestre e muschio che impregnava il mio dormitorio, ma quello di bucato e di cannella. E Zabini non avrebbe mai atteso più di cinque secondi prima di decapitare il disturbatore, che invece ritentò per la terza volta.
Aprii gli occhi, e mi trovai a fissare Weasley che, a pochi metri da me, era in una sorta di coma profondo, e russava a bocca spalancata. Potter invece era pietosamente impegnato alla ricerca dei propri occhiali, e stava mugugnando: «Un attimo, un attimo!». Per un istante mi chiesi se non fosse meglio andare ad aprire, ma poi decisi che era giusto che toccasse a Potter, e mi rannicchiai di nuovo sotto le lenzuola.
Grimmaud Place, 12, Londra mi metteva a disagio, ma non per le ragioni che potreste pensare voi. Nonostante i segni della presenza di traditori della stirpe magica, infatti, ricordava una qualunque casa di Purosangue Serpeverde, e anzi, ne portava così tanto i segni che rischiavo di dimenticarmi dov’ero. In effetti, mi sentivo a mio agio tra quelle mura, e quello era il problema peggiore, considerato il fatto che ero destinato a vivere sotto lo stesso tetto dei miei incubi peggiori.
Avevo quasi sperato di ricevere una camera tutta per me, certo che nessuno mi avrebbe voluto tra i piedi, considerato anche il gran numero di stanze disponibili. Eppure, appena arrivato – dopo che Tonks ebbe risvegliato le ire della Signora Black, e noi l’avemmo placata, e tutti i nostri bagagli furono stati trasportati nel grande atrio – ero stato messo al corrente del mio triste destino futuro. Potter e Weasley erano arrivati pochi secondi prima di me e della Granger, scortati da un tale Dedalus Lux. La Signora Weasley (o Pachidermica Peldicarota che dir si voglia) era arrivata tutta affannata e aveva quasi soffocato di abbracci i due figli e i loro amici, mentre io me ne stavo in disparte incerto se salutare o rimanere in un silenzio sostenuto. Dopo cinque minuti buoni di saluti a macchinetta da parte sua e del marito (che mi lanciava occhiate imbarazzati al di là degli occhiali appannati) si era voltata verso di me.
«Ciao, Draco» aveva detto, gentilmente, guardandomi come si guardano gli adolescenti in crisi pronti ad esplodere – o quelli che hanno quasi ucciso il più grande mago di tutti i tempi – e mi si era avvicinata pericolosamente. «Hai fatto buon viaggio?».
Ci avevo messo un istante per elaborare una risposta. «Si, grazie» avevo bofonchiato alla fine, a disagio.
Lei mi aveva agguantato per le spalle, e per un attimo avevo temuto che volesse divorarmi. Invece mi aveva scosso di qua e di là come se fossi stato un congegno Babbano dal dubbio uso, per verificarne il funzionamento. «Mi sembri un po’ pallido» aveva detto, quasi preoccupata, mentre io la guardavo allucinato. «Sei stato forse malato? Hai preso freddo?».
«No, certo che no» risposi io, incapace di formulare altro.
La donna aveva scrutato ancora il mio viso, poi aveva guardato i miei capelli. «Forse hai bisogno di farti una doccia» aveva concluso. «Non vi preoccupate, potrete farvela a breve. Arthur...» e la moglie lo aveva guardato, minacciosa. L’uomo si era fatto goffamente avanti, dopo aver dato una sommaria pulita alle lenti degli occhiali sull’orlo del gilet sdrucito. Dopo un istante, impacciato, mi aveva teso la mano. «E’ un piacere averti qui, Draco» aveva detto a voce bassa, gli occhi che correvano da me a sua moglie in cerca di aiuto. «Fa come se fossi a casa tua». Sebbene non fossimo a casa loro, erano fin troppo gentili con me, e il mio istinto Serpeverde strillava. Nessuno era così gentile con un nemico, andiamo! Specie con il bullo che da anni perseguitava i loro figli.
«Arthur ha ragione» si era intromessa la Signora Weasley, determinata. «Sei nostro ospite, perciò chiedi pure per qualunque cosa ti serva».
«Grazie» ero riuscito ad articolare.
«Tu, Harry e Ron potete prendere la stanza al secondo piano» aveva aggiunto allora la Madre Weasley, in tono pratico. «Ho già fatto portare un letto in più». Ronald Weasley aveva assunto un colorito cereo. «Noi tre..?».
«Già» aveva risposto la madre, in tono leggero. «Arthur, puoi occuparti tu dei bagagli? Forza, voi tre... anche tu, Tonks... venite». Sospinto cortesemente da Tonks, ero finito in una cucina immensa. Sul fuoco c’erano diverse padelle che sobbollivano. «Quello è il pranzo, naturalmente, ma è troppo presto per quello. immagino che non abbiate fatto colazione» e aveva gettato a Tonks un’occhiata di rimprovero, come se fosse stata tutta colpa sua.
«Non ce n’è stata l’occasione» aveva acconsentito in fretta Weasley, mentre sua madre schiaffava sul tavolo del pudding caldo, diversi biscotti, tortine di mele, e Burrobirra tiepida. «Ecco qui» aveva esclamato, soddisfatta. «Non è come a Hogwarts, naturalmente, ma dove lo è? Oh, Dedalus, prima che te ne vada...» ed aveva rincorso fuori l’ometto, per discutere sottovoce con lui nell’atrio. Mi resi conto che era probabilmente a causa mia che si erano ritirati a confabulare di là.
Era calato un silenzio tetro, e anche quello era probabilmente a causa mia. La mia indecisione sull’eventualità di mangiare o meno era stata risolta dalla Granger che con un’occhiata di ammonimento aveva spinto verso di me il piatto di tortine. Così mi ero concentrato sul cibo, che era quasi passabile – e va bene, era buonissimo, contenti? – fino a che non avevamo sentito qualcun altro entrare.
«Deve esciere ‘inny» aveva biascicato quell’idiota di Weasley.
«Come mai arriva solo adesso?» aveva chiesto Potter, prima di arrossire e di dire in fretta: «tanto per sapere».
«Mmh... vedi, hanno dovuto aspettare qualcun altro che venisse a prenderla» aveva detto Tonks, dopo essere riemersa da un lungo sorso di Burrobirra che doveva essere stato, almeno a giudicare dalla sua espressione, decisamente soddisfacente. «Remus era impegnato».
«A fare cosa?» aveva chiesto Weasley, dopo aver inghiottito metà di un muffin alle more.
«Chissà» aveva risposto la donna, sorniona, e lui si era afflosciato sulla sedia, deluso.
Quando Ginny Weasley era arrivata, mi aveva fulminato con lo sguardo, ma per il resto mi aveva ignorato, e io avevo fatto altrettanto. La signora Weasley, accorgendosene, aveva fatto due o tre colpetti di tosse. «I vostri bagagli sono nelle vostre stanze» aveva detto, rivolgendosi a noi. «Harry caro, Ron, mostrate a Draco la sua stanza».
Per farvela breve, ero davvero finito in stanza con loro, anche se avevo spostato il letto dalla parte opposta rispetto alla loro. Avevo dedicato tutto il tempo fino a pranzo a sistemare le mie poche cose al sicuro nell’armadio (avevo nascosto il borsellino, chi poteva sapere che Weasley non volesse approfittarne?). Avevamo pranzato e cenato tra noi, in silenzio, mentre i coniugi Weasley andavano e venivano e sembravano molto impegnati a sistemare la casa per l’arrivo di altri ospiti.
La sera era stata drammatica. Ero andato a dormire alle otto, ma ero rimasto sveglio fino a che anche Weasley e Potter non si erano addormentati, troppo a disagio all’idea di farmi trovare addormentato.
Ora qualcuno picchiava alla porta. Finalmente Potter trovò i suoi stramaledettissimi occhiali, e dopo averli inforcati inciampò nel tappeto prima di arrivare alla porta. «’mione» mormorò, rivolto alla figura sulla soglia, già vestita. «Avete dormito parecchio. La signora Weasley dice che è pronta la colazione».
«E non potevi aprire la porta e dircelo?» aveva protestato Harry.
«Non sarebbe stato carino» affermò lei, ma mi lanciò un’occhiatina prima di allontanarsi in tutta fretta. Ah-ah. Qualcuno voleva evitare di svegliarmi.
«Chesciuccedd??» aveva intanto biascicato Weasley, assonnato.
«Hermione» disse il suo amico tetramente per tutta risposta. «E’ venuta a chiamarci per colazione».
«Al diavolo. Mi lasci dormire».
«Malfoy» mi chiamò Potter allora, chinandosi su di me. Aprii gli occhi e lo guardai. «Potter, mi dispiace di ferire i tuoi sentimenti, ma pare che il mio orientamento sessuale sia diverso dal tuo. Nulla di personale».
«E’ pronta la colazione. Ma se vuoi saltarla, fa pure».
Imprecando sottovoce mi alzai e mi vestii, prendendo di tanto intanto a calci il suo baule, per sbaglio. Potter del resto riuscì a pestarmi due volte il piede, anche se sospettavo che non lo avesse affatto fatto apposta. Alla fine scendemmo – anche Weasley, che aveva  infilato le pantofole al contrario. Io seguii gli altri due con riluttanza, e tuttavia li seguii; per quanto mi dolesse ammetterlo, mi risultava impossibile rifiutare un invito della signora Weasley. Mi metteva a disagio.
Mi ero aspettato di consumare il solito pasto ignorato dalla banda Potter, ma quando arrivai nei pressi della cucina mi resi conto, non senza un certo raccapriccio, che le voci provenienti dalla stanza erano fin troppo numerose per appartenere alla Granger e alla signora Weasley. Mi fermai, incapace di muovermi, e tesi l’orecchio. Non mi sbagliavo. Dovevano esserci una decina di persone, lì dentro.
Davvero dovevo entrare? Decisi immediatamente di no, e feci dietrofront. Potter se ne avvide mentre ruotava la maniglia, e mi gridò dietro, “dove stai andando?” ma non gli badai. A passo svelto salii le scale e mi rifugiai nella prima stanza che trovai. Quando ebbi chiuso la porta alle mie spalle, mi guardai attorno. Era una stanza da letto, che doveva essere disabitata da un po’. C’erano segni indubbi, tuttavia, che era stata abitata. Le pareti erano coperte di strani poster di donne piuttosto discinte e di congegni dall’aspetto vagamente Babbano – tutte immobili, il che mi inquietò.
Mi avvicinai a una delle immagini. Una donna piuttosto provocante e indubbiamente svestita mi guardava, ma senza muovere un dito. La fissai di rimando, a disagio, ma neppure mi fece l’occhiolino. Rabbrividii, inquieto. Spostai lo sguardo all’arredamento, e mi resi conto per la prima volta di due cose: la prima era che era completamente addobbata in oro e rosso, i colori di Grifondoro. L’altra, che c’era puzza di cavallo.
Sospirai. Non era esattamente la stanza che avrei adottato come nascondiglio, e non avrei gradito che qualcuno mi avesse trovato lì a dondolarmi avanti e indietro come uno scemo. Così mi alzai, spazzolando via dai pantaloni quelle che parevano piume brune e argentee. Mi chiesi che ci facessero lì. Ne stavo esaminando una, quando la porta si aprì.
Sobbalzai e mi voltai verso l’intruso, che si rivelò essere nessun’altro che Hermione Granger, ritta sulla soglia, che mi guardava con una certa impazienza. «Beh? Non vieni a colazione? La signora Weasley ti sta aspettando».
«Non ho fame» dichiarai, mentendo spudoratamente.
«Beh, perché sei sceso fino in cucina, allora?».
«Mi sono ricordato di avere alcune cose da sbrigare e sono tornato indietro».
«Nella stanza di Sirius?». La Granger alzò un sopracciglio, scettica.
Scrollai le spalle. «Mi sono perso».
«Bel tentativo, Malfoy. Sai benissimo dov’è la tua stanza».
«Dimmi cosa vuoi che ti dica, Granger, così poi mi lascerai in pace».
«Soltanto ricordarti che la signora Weasley ha  preparato da mangiare anche per te. ti sta aspettando».
Feci una smorfia. «Dovrei entrare in una cucina affollata di traditori? Francamente, Granger, mi aspettavo di più dalle tue facoltà mentali».
«Felice di sapere che mi stimi così tanto, Malfoy, ma posso rassicurarti in proposito. Ci sono soltanto i Weasley, e un paio di persone che conosci».
«Soltanto i Weasley? In che modo questo dovrebbe rassicurarmi?».
La Granger mi fissò, disgustata. «Sai, pensavo che saresti stato più riconoscente. In fondo la signora Weasley ti sta facendo sentire parte della famiglia». Mio malgrado arrossii alla giustezza di quel rimprovero, e poi arrossii di essere arrossito. «Sono fuori posto» dissi con voce strascicata.
«Non fare il prezioso. Scendi giù e basta» commentò lei. «Ah, e non ti conviene stare troppo qui dentro. Te ne sarai accorto da solo, ma da quando Fierobecco è stato qui, è una stanza abbastanza sporca».
Io sgranai gli occhi, indignato. «Fierobecco?» ripetei, certo di non aver sentito bene. «Ma certo. Sirius lo ha tenuto qui a lungo» fu la risposta della Granger, vagamente divertita. «Dunque è vero!» strillai, puntandole contro un dito accusatore. «Siete stati voi a fare fuggire quella bestia atroce!».
«Fierobecco non era una bestia atroce. Ha salvato la vita di Sirius».
«Mi ha quasi staccato un braccio! E in che modo salvare un detenuto condannato a morte dovrebbe provare la sua probità?» replicai, nello stesso tono teatrale.
«Quella volta te l’eri cercata, no? Inoltre Sirius era innocente, te lo abbiamo già spiegato».
«Beh, considerato il fatto che voleva freddare Minus, non era del tutto privo di istinti omicidi» commentai. Quel commento parve colpire la Granger molto più di quanto non mi aspettassi. Prima la vidi diventare tutta rossa, poi le spuntarono le lacrime. Una vista raggelante. D’accordo, magari avevo esagerato. In fondo era pur sempre un mio parente, e freddato da mia zia per giunta. Ora che ci pensavo, Black era stato un mio zio di secondo o terzo grado. In fondo, da un certo punto di vista, quella era anche casa mia. Interessante.
«D’accordo, Granger» dissi, vedendola immobile con gli occhi fissi sul pavimento. «Non avrei dovuto». Quanto erano suscettibili, però, questi Mezzosangue!
Lei si limitò a guardarmi con freddezza. «Se non ti va di scendere, lo dirò alla signora Weasley». Se ne andò sbattendo la porta, e lasciandomi un po’ in colpa. D’accordo, molto in colpa. Ma non era solo questo. Ecco, avevo la sensazione che non mi piacesse affatto ferire Hermione Granger.
Alla fine decisi che non sarebbe stato strategico lasciarla scendere e riferire a tutti come mi aveva trovato. Le corsi dietro e la raggiunsi a metà della scala. «Ho cambiato idea» dissi, aristocratico, anche se incespicarle dietro correndo non trasmetteva grande dignità. «Penso che pranzerò».
«Buon per te» si limitò a concludere lei.
Fu lei a spalancare la porta della cucina. Io la seguii, spavaldo. In fondo non potevo certo avere paura di un gruppo di Tristi Traditori (T.T. per ospiti sgraditi). Entrai, e vidi così tante teste rosse che fu un colpo in un occhio. Oltre ai due piccoli Weasley che mi perseguitavano a scuola, e ai suoi fin troppo cordiali genitori, c’erano anche gli insopportabili gemelli, e altri due giovani pel di carota che non ricordavo di avere mai visto. Uno dei due aveva la faccia segnata da atroci cicatrici. Oltre a loro c’erano Potter, Remus Lupin, Tonks, un mago tarchiato che potevo aver visto talvolta a Knockturn Alley e una ragazza bionda il cui viso era momentaneamente nascosto da una cascata di capelli biondi. Quelle tredici teste si voltarono verso di noi, e calò un silenzio gelido e assoluto. Di fronte a tale ostilità, c’era solo una cosa che un Malfoy puro poteva fare.
Mi voltai per fuggire.
La Granger mi acchiappò per la collottola e nonostante il mio sguardo assassino mi diede una spintarella verso il gruppo seduto a tavola. Mio malgrado, feci un passo in avanti. «Ciao, Draco» fece allora la signora Weasley, avanzando con minacciosa gentilezza verso di me. «Avanti, siediti. È pronta la colazione». E mi indicò il posto libero che c’era accanto al ragazzo col volto sfigurato. Dall’altra parte c’era un altro posto libero, che probabilmente era destinato alla Granger.
La ragazza mi diede un altro colpetto e fui sospinto verso il mio posto. tutti i presenti guardavano il tavolo, molto imbarazzati, mentre Molly Weasley mi scaricava sul piatto una serie di pancakes dall’odore invit – passabile.
Per qualche secondo non seppi bene cosa fare, non osando neanche allungare la mano verso la salsa al cioccolato che stava al centro della tavola. Avevo l’impressione che fosse meglio fingere di essere morto, così che gli sguardi passassero oltre. Solo dopo un po’ mi resi conto che la signora Weasley mi fissava, in attesa. Mi affrettai a cacciarmi in bocca un pezzo di dolce, e la vidi rilassarsi. Come se fosse stato un segnale, tutti ripresero a mangiare.
«Ehm ehm» fece allora il signor Weasley, che sembrava giudicare doveroso il fatto di intervenire. «Allora, Mal... Draco, come trovi, qui?». Non so se a sbigottirmi di più fu la domanda o le occhiatine di sbieco che mi arrivarono da diversi commensali.
«Bene, la ringrazio» dissi, badando bene a mantenere un tono gelido e formale. Giusto per vanificare i miei ringraziamenti.
«Ne sono lieto» borbottò lui, con l’aria molto poco lieta, ricevendo per tutta risposta un’occhiata di ammonimento dalla moglie, che aggiunse, «un po’ di sciroppo d’acero, caro?». Ci misi un istante per capire a chi era destinato quel “caro”. Notai che Ronald Weasley sembrava in procinto di vomitare. «Ehm... grazie» dissi, in tono un po’ meno glaciale.
«Come vanno gli studi, Draco?» chiese Lupin, guardandomi bonario. Sedeva di fronte a me, accanto a Tonks. «Ho sentito dire che tu ed Hermione studiate assieme». Avvertendo un calore spiacevole sul collo e sul viso, mi schiarii la voce. «Molto bene» mi limitai a dire, sentendo di essere su di un terreno minato. Poi, rendendomi conto che la frase poteva essere male interpretata, e assai restio a dare del merito alla Granger, aggiunsi, «i miei voti, intendo».
«Draco è molto bravo nella mia materia» precisò Tonks, e non ero sicuro se fosse fiera di me o di se stessa.  Parve in imbarazzo quando si rese conto, dalle occhiate che volarono per la tavola, di una certa incredulità generale. Del resto ero figlio di due Mangiamorte, per quanto attualmente disoccupati.
«Che cosa fate quest’anno?» domandò il ragazzo accanto a me, voltandosi a fissarmi. Poi, dopo un istante di riflessione, scoppiò a ridere. «Ma che stupido, non mi sono neanche presentato. Io sono Bill Weasley» e tese la mano verso di me. Senza neanche riflettere, la presi  e la strinsi. Per essere un Weasley, sembrava normodotato.
«Giusto» commentò l’altro ragazzo Weasley, alla sinistra di Lupin. «Io sono Charlie Weasley, tanto piacere». Mentre mi faceva un cenno di saluto, notai che aveva mani insolitamente rosse e callose, come se se le scottasse di continuo. Forse faceva il cuoco. Naturalmente conoscevo la fama di entrambi; uno era stato Caposcuola, e l’altro un bravissimo Cercatore. Probabilmente gli unici onori che qualcuno avesse mai tributato ad un Weasley da tempo immemorabile. «E lui» aggiunse Charlie, indicando con un dito il mago dall’aria losca, «è Mundungus Fletcher». Quest’ultimo si riscosse e sembrò spaventato all’idea di essere preso in causa. Notai che la signora Weasley lo guardava con ostilità manifesta.
«Piacere» dissi, senza troppa convinzione.
«E io» disse una voce melodiosa, appartenente alla ragazza bionda accanto a Bill, «Sono Fleur. Ma nous sci siamo sgià visti, a Hogvarts». Mi trovai a fissare la Delacour da vicino per la prima volta, e mi sentii la lingua felpata. L’avevo sempre vista dagli spalti, o di sfuggita nei corridoi, ma erano passati anni. In ogni caso, era così bella che per un attimo mi sentii come intontito. Ma che diavolo ci faceva lì..?
«Si» dissi, anche se come risposta suonava piuttosto debole.
«Quasi dimenticavo» annuì Bill, prendendole la mano, e baciandola con tenerezza quasi disarmante. Davvero quello splendore stava assieme a quello..?
Avvertii una gomitata nel fianco, che la Granger aveva provveduto a sferrarmi di nascosto. La guardai, vacuo, prima di capire che avevo passato quasi un minuto a fissare la giovane donna imbambolato. Mi ripresi.
«Ti stavo chiedendo che cosa state studiando» riprese poi Bill, come ricordando all’improvviso della nostra conversazione.
«Ooh, un sacco di cose» intervenne la Granger, gli occhi che le scintillavano, prima che potessi aprire la bocca. Cominciò un monologo lunghissimo e particolareggiato; io mi limitai a mangiare in silenzio, e quando mi accorgevo che lei o Bill mi fissavano come alla ricerca di conferma, annuivo stancamente.
Dopo aver parlato di Incantesimi, Erbologia, Pozioni e Storia della Magia, finalmente la Granger concluse anche con la descrizione del programma di Difesa – così accurato che perfino Tonks pareva aver scordato la metà di quei dettagli.
«Maledizioni... capisco. Più o meno quello che ho studiato anche io, all’epoca» disse Bill Weasley (soprannominato Z.Z., Zanna e Zazzera, per chi come me si era incantato a guardare il suo strano abbigliamento), accarezzandosi il mento. «Certo, ormai le maledizioni per me sono il pane quotidiano, ma penso che possano essere utili a tutti». Dovette leggere la mia perplessità, perché mi spiegò: «Lavoro per la Gringott... spezza incantesimi. Un lavoro piuttosto interessante, se non hai paura del brivido». Ron Weasley finse di soffocarsi con il suo pudding, scettico.
«Capisco» replicai, neutro.
«Certo, è pericoloso» aggiunse Z.Z., annuendo più volte. «Ci sono volte in cui davvero rischi grosso... prendi Billie Stubbins, ad esempio. È da mesi che è al Mungo, e persi che qualcuno sia riuscito a liberarlo di quelle corna?».
Dunque ecco spiegato il mistero di quelle brutte cicatrici.
«Incidenti del mestiere» rise Charlie, sollevando le mani bruciacchiate. «Vedete questa scottatura? Come pensate che me la sia fatta?» attese un istante prima di dire, gaiamente, «Norberto!».
«E come sta?» chiese Potter, piuttosto interessato, mentre lui e la Granger mi scoccavano un’occhiata stranamente ostile.
«Ormai ha finito di crescere da un pezzo. Per essere un Dorsorugoso, è piuttosto grosso. Mi sono sempre chiesto se non fosse stato qualcosa che gli aveva dato Hagrid quando era appena nato... non è normale». E mentre proseguiva con il suo racconto, capii che stava parlando di draghi. Draghi! Dunque era questo che faceva C.C., (Carbonizzato Charlie per chi non invidia la sua professione). Mi resi conto che Norberto doveva essere quello stupido drago che aveva avuto Hagrid al primo anno. Il ricordo della punizione nella foresta era ancora piuttosto nitido. Del resto, almeno avevo fatto perdere 150 punti per Grifondoro, anche se tanto, grazie a quello stupido di Silente – che in quei momenti desideravo aver accoppato davvero – li avevano recuperati proprio quando la Coppa era già nostra.
«In ogni caso, è da un po’ che non abbiamo altri Allevatori. Non sono in molti ad interessarsi a queste cose» e Charlie sospirò. «Anzi, Draco, il tuo nome promette bene. Che ne dici di entrare nei nostri?» scherzò.
«Non credo che questo lavoro faccia per me» minimizzai, orripilato.
«Già. Se un drago gli bruciasse i capelli potrebbe tentare il suicidio» commentò Ronald Weasley, mentre più di qualcuno sogghignava.
«Beh, io invece non ti consiglio affatto un posto alla Gringott» commentò tetro Bill, tormentandosi la zanna di drago appesa all’orecchio. «Dopo l’ultimo incarico ho avuto difficoltà a sedermi per una settimana».
«Forse sono quei pantaloni in pelle che continui a mettere, caro» intervenne la signora Weasley, prontamente, con l’aria di chi combatte contro i mulini al vento. «Sembrano piuttosto scomodi. Se solo mi lasciassi...».
«Madre, ti prego» rantolò il figlio, esasperato. «Non vorrai mica costringermi ad affatturarti, vero? L’incantesimo Infrangivoce che ho visto in Perù il mese scorso mi pare molto allettante».
«Io non sa, signoora Visley» intervenne Fleur, «io lo trovo molto attraonte».
«Beh, è davvero un bel ragazzo» commentò la signora Weasley, compiaciuta, osservando il figlio con un misto di soddisfazione e commozione. «A proposito, Bill... quell’opuscolo del San Mungo che ti ho portato...».
«Per l’ultima volta, mamma» disse il ragazzo, alzando gli occhi al Cielo. «Il mio Guaritore ha già fatto meraviglie. E poi, non mi dispiace proprio questo aspetto, sai. Mi dà un’aria vissuta».
«Si, mamma, lascialo in pace» commentò uno dei gemelli Weasley, al quale – mi resi conto solo in quel momento – mancava un orecchio. Aveva un tono molto drammatico. «E poi diciamocelo, non è poi peggiorato granché. Mi stupisce che nessuno si lamenti per la mia bellezza perduta».
«Magari l’hanno fatto, e tu non hai prestato orecchio» suggerì l’altro gemello, sogghignando.
La signora Weasley sembrava scandalizzata. «Scherzare su certe cose»la sentii borbottare, scuotendo il capo.
«E così siete tutti immuni al mio fascino» sospirò Bill. «Beh, George, potresti spedirmi un paio di quelle vostre bacchette finte, tanto per ripagare».
«L’unico che deve pagare qualcuno sei tu, se vuoi farci un ordine» commentò George, in tono ameno. «E poi che diavolo vuoi farci con una cosa del genere?».
«Ho un paio di persone con cui ho un conto in sospeso» sogghignò il fratello maggiore, in tono diabolico.
«Poveri noi, quanta aggressività! Che la luna piena sia vicina?» esclamò Fred, ridendo a crepapelle, ma attento a non farsi sentire dalla madre. «Scusa, Remus!» aggiunse, e l’ex professore fece spallucce. Bill ridacchiò, ma io ebbi la sensazione di perdermi qualcosa. Mi voltai in cerca di spiegazione verso Grangerpedia, che però aveva gli occhi lucidi nell’osservare la scena.
In quel momento la signora Weasley cominciò a sparecchiare, e io fui costretto ad aiutare dall’occhiata della Granger, che fece altrettanto. Potter e Weasley fecero la loro parte parlottando tra loro. Poi la donna invitò il trio Potter a farmi fare un tour completo della casa, visto che il giorno prima nessuno ci aveva pensato.
Mentre uscivamo, gettai un occhio sulla pendola che stava nell’ingresso. Segnava le dieci e quaranta. Eravamo stati a tavola per un’ora e mezza, ma a me erano sembrati dieci minuti.
 
«Eeeek!». Una voce nasale interruppe le mie meditazioni. Sapevo benissimo a chi appartenesse, ma mi voltai comunque verso la fonte del rumore con il sopracciglio già inarcato. Malfoy era pallido come un cencio e mi guardava atterrito, come alla ricerca di aiuto. «Mi ha morso!» squittì, tendendo verso di me la sua mano, che andava tingendosi di un delicato colore violetto.
«Non è colpa mia se sei troppo lento» dissi, sbrigativa, nascondendo un sorrisetto. «Appena escono dalle tende devi innaffiarli per bene». Continuava a fissarmi, come allucinato, la mano tesa. «Insomma, Malfoy, che dovrei farci, io?».
«Beh, considerato il fatto che ti atteggi a sapientona, immaginavo che avessi qualche rimedio alla mano!» rispose lui, offeso.
«Malfoy, rifletti. Hai mai sentito un qualunque professore menzionare un antidoto per i Doxi anche solo di sfuggita?».
«Immaginavo lo avessi trovato in qualche polveroso volume come “101 morsi e i loro effetti”, o “Il libro dei Doxi: come amarli, curarli, debellarli”».
«Ma fammi il piacere» dissi, alzando gli occhi al Cielo. Anche se in realtà avevo dato una sbirciatina ad entrambi i volumi, al quinto anno, quando temevo che Fred e George volessero utilizzare quelle Creature per le loro Merendine  Marinare. «Vai e prendi un po’ di Purvincolo, se lo trovi. Magari ti dà sollievo».
«Oh, il Purvincolo» disse Malfoy, storcendo la faccia in modo teatrale, e battendosi la fronte con la mano sana. «Perché non ci ho pensato? Aspetta, vado a recuperarne un paio di chili dalla borsa».
«Meno sarcasmo, Malfoy. Chiedilo alla signora Weasley».
Malfoy non sembrava entusiasta. «Sono gravemente infortunato, stupida. Perché non andate tu o Potter? Del resto le buone azioni sono la nostra specialità».
«L’ultima nostra buona azione si è rivelata un pessimo investimento» commentò Harry, di malumore, terminando di spolverare un’altra mensola. «Perciò grazie, penso che passeremo».
Malfoy rimase zitto per qualche minuto, molto irritato. Buttai l’ennesimo frac ammuffito nel sacco delle cose da gettare, e ne presi con cautela un altro (ricordavo ancora bene quando un completo adirato aveva attentato alla vita di Ron); nel frattempo lo osservai. Con la mano buona teneva un bastone con il quale pungolava le tende, senza troppa convinzione. Intanto si dimenava sconfortato, gettando occhiate alla mano destra, sempre più gonfia. Quando un altro Doxi apparve, fece un salto di mezzo metro e anziché spruzzargli contro il Doxicida gli tirò contro la bomboletta semivuota.
«Pietrificus» dissi, tranquilla, rivolta all’esserino, appena in tempo perché Malfoy non si beccasse un morso sul naso. Naturalmente lui si guardò bene dal ringraziarmi, e dopo aver spruzzato metà del Doxicida rimasto in faccia alla creatura, la buttò in un altro sacco.
«Il Doxicida sta finendo» gli fece notare Harry, che si stava sforzando non poco per essere cordiale con lui. Inutile dire che gli sforzi non erano minimamente ricambiati. «Grazie, Potter. Acuta osservazione» ribatté l’altro, scostandosi con la mano alcuni ciuffi di capelli. Era diventato una specie di tic, visto che aveva scordato ad Hogwarts il gel, e non aveva trovato ancora il modo di procurarsene altro. Avevo scoperto con un certo divertimento che i suoi capelli, quando non erano incollati al capo da chili di brillantina, tendevano a scompigliarsi facilmente e gli davano moltissimo fastidio.
Nessuno di noi si era offerto di ordinare altro gel per corrispondenza.
Alla fine utilizzò l’incantesimo di rabbocco, utilizzando la mano sinistra per compiere una goffa stoccata. La bomboletta non si riempì completamente, ma abbastanza perché potesse riprendersela. Tuttavia non lo fece; la sua mano era ormai tanto gonfia che lui si mise a guardarla con orrore.
Questo lo convinse a capitolare. «Vado a cercare una cosa» mormorò, e schizzò fuori dalla stanza, agitato. Io ed Harry ci guardammo, e quando la porta si chiuse scoppiammo a ridere di gusto.
«Devo ammettere che mi diverte un po’» ammise il ragazzo, asciugandosi una lacrima di ilarità. «Povero Malfoy, però».
«Non dispiacerti troppo» gli dissi, «in fondo se lo merita».
«E’ un peccato che Ron si sia perso la scena» commentò lui. «Si getterà dalla finestra quando lo scoprirà».
«Avremmo dovuto fargli una foto».
«Forse non è troppo tardi. Magari c’è ancora qualche Doxi rimasto...» fece, speranzoso, toccando l’orlo della tenda con la punta del piede.
«Dubito che si avvicinerà ancora a quelle tende» fu la mia risposta.
«O a delle tende in generale».
Ridacchiando, ci rimettemmo al lavoro. Era il nostro terzo giorno a Grimmaud Place, il 23 Dicembre. Non erano state le vacanze terribili che ci eravamo aspettati. Eravamo assieme, come sempre, e la presenza di Malfoy non era poi così invadente. Passava la maggior parte del tempo in silenzio, e perfino i suoi commenti acidi si erano fatti sempre meno frequenti. Come io ed Harry avevamo constatato, in parte sembrava essere anche la presenza della Signora Weasley a trattenerlo. Era evidente che con lei si sentiva a disagio, ma non riusciva a sembrare sgarbato con lei – nonostante tutti i suoi discorsi sull’incredibile sciatteria e sulla volgarità di quella famiglia di traditori di sangue. Si sentiva un intruso, ma la gentilezza di tutti lo spiazzava.
Perfino con me ed Harry, comunque, Malfoy sembrava molto meno crudele del solito. Anche quando litigavamo – il che naturalmente avveniva spesso – e lui ci lanciava insulti più o meno azzeccati, lo faceva più per abitudine che  con reale rabbia o astio. Non sapevo se fosse un bene che il quotidiano lo avesse annoiato abbastanza da mitigare il suo disgusto, ma speravo che lo fosse.
Con Ron, invece, la faccenda era molto più semplice. Il diagramma temporale di Malfoy prevedeva solamente sette o otto minuti giornalieri del suo tempo da dedicargli, da distribuire in piccole scaglie di battute perfide molto ben mirate. Per le restante ventitré ore e cinquantadue minuti, non c’era differenza per lui tra Ron e uno qualsiasi dei soprammobili. Anche se Ron non lo avrebbe mai ammesso, gli bruciava la totale indifferenza che Malfoy gli destinava, quando perfino con il mio sangue sporco venivo considerata (quasi) un’avversaria alla pari.
Malfoy a parte, c’erano ben altri problemi all’orizzonte. Harry aveva continuato a rimuginare sulla storia del simbolo di Grindelward, e sul libro. Quando avevamo interpellato Luna, tuttavia, non era stata molto d’aiuto. «Certo che lo conosco» aveva affermato, quando glielo avevamo mostrato. «E’ lo stemma di un gruppo segreto molto  speciale, ha detto papà. Anche lui ne fa parte, anche se non mi ha mai spiegato nel dettaglio di che si occupa».
«E non puoi chiederglielo?» aveva chiesto Ron in tono piuttosto sgarbato. A sua discolpa, dovevo ammettere che Luna sapeva essere esacerbante.
«Non ha mai voluto dirmelo» aveva detto Luna, nel consueto tono sognante, anche se i suoi occhi sporgenti erano apparsi un po’ troppo lucenti, almeno secondo Harry. Purtroppo non ero stata presente  per cercare di estorcerle altro, e i due l’avevano vista allontanarsi canticchiando. Nei giorni seguenti, non avevano avuto modo di parlarle in privato. Del resto Luna non apparteneva alla nostra casa, e capire come passasse il suo tempo era un mistero. Quando la vedevano a lezione o nei corridoi, comunque, o stava assillando Nott – che ogni giorno pareva più incline all’omicidio – o stava inseguendo qualche Gorgosprizzo.
Con il professor Rüf le cose erano andate assieme meglio, e peggio.
Naturalmente il fantasma era lieto di discutere di storia, sebbene l’argomento fiaba non fosse esattamente il suo preferito.
«I tre fratelli» aveva detto, nel suo tono piatto, guardandomi fisso con i suoi occhi semitrasparenti. «Si, è stata soggetto di studio tra alcuni miei colleghi... evidentemente correlata alle persecuzioni del Seicento... è possibile che abbia un fondo di verità, naturalmente... c’è chi ha cercato di vedere nei tre fratelli i cugini di secondo grado di Guendalina la Guercia, che come tu sai, visse...».
«Ehm, naturalmente» mi ero affrettata a interromperlo, prima che diventasse un fiume in piena e smettesse completamente di ascoltare. «Quello che mi stavo chiedendo era... esistono alcune informazioni certe sull’autenticità della storia?».
Il professor Rüf mi aveva guardato, vagamente sconcertato. «Beh, signorina Ganger» aveva detto, con una leggera vena di indignazione, quasi azzeccando il mio nome, «spero che tu non intenda supporre che esistano davvero gli oggetti descritti nella storia!».
Quell’ipotesi non mi era neppure venuta in mente, ma mi aveva fatto venire i brividi. «Oh, no, professore» l’avevo blandito, e lo avevo visto rasserenarsi, «ma sa, mi sembrava che fosse diversa dalle altre. Mi chiedevo se non fosse stata costruita a partire da qualcosa di più concreto della semplice immaginazione».
«Ci sono diverse teorie» aveva convenuto lui, pensoso. «Anche se è possibile che si tratti di una semplice storia. Come la Camera dei Segreti...».
«La Camera dei Segreti è esistita, professore» gli avevo ricordato.
Lui aveva tossicchiato, mentre il volto si faceva più opaco. «Già, ma fino a che non si trova il modo di provare altrimenti, una storia va considerata tale. Certo è che vi sono alcuni che considerano in maniera letterale la storia – naturalmente un’assurdità – e altri che sono in favore di una base storica su cui si è innescata la leggenda».
«E cioè... signore?».
«Oh, beh» aveva fatto spallucce lui. «Pare che alcune famiglie fossero in lizza per essere identificate come quella dei tre fratelli. Quella più accreditata era senza dubbio quella dei Peverell... ma il nome si è estinto da molte generazioni, e in ogni caso, che senso avrebbe riconoscere che sono proprio loro i tre fratelli della storia?».
Quella stessa sera ero andata alla festa di Lumacorno, subito dopo aver parlato con Harry e Ron. Avevo sperato di parlare con Draco della faccenda, ma poi mi aveva dato sui nervi e me ne ero scordata. Da quando eravamo a Grimmauld Place non avevamo ancora avuto modo di discuterne assieme, considerato il fatto che la signora Weasley era sempre in agguato.
Harry tuttavia aveva passato tutto il tempo a rimuginare. Ormai lo conoscevo così bene che riuscivo a vedere le sinapsi dei suoi neuroni agire. Mi spaventava enormemente, perché sapevo che poteva avere risultati devastanti.
Mentre riflettevo su questi argomenti, tetra, la porta tornò a spalancarsi e Malfoy si affacciò, affannato dalle tre rampe di scale che doveva avere appena salito. La mano era tornata quasi normale, ed era fasciata, sicché il gonfiore si intravedeva appena al di sotto delle bende spesse. «Allora?» dissi, fingendo grande preoccupazione, «che ti hanno detto? Perderai la mano..?».
«Ah-ah» disse Malfoy tra i denti, fulminando Harry che sogghignava alla mia battuta. «Potter, anziché ridere, renditi utile. Pare che la signora Weasley abbia bisogno di te, anche se la cosa pare logicamente impossibile».
«Immagino che lo sia, quando si ha a disposizione un unico neurone» commentò Harry tranquillo, allontanandosi. Accidenti, stava diventando arguto. Se ne andò, lasciandoci soli. Ci fu qualche istante di silenzio, prima che il mio compagno dicesse, con una certa apprensione: «ce ne sono altre, di quelle bestiacce?» indicando le tende.
«Penso di no» gli dissi, impietosita dall’occhiata terrorizzata che lanciava alla stanza.
«Ottimo» bofonchiò, andando a sedersi su una poltrona consunta che stava in un angolo – opposto alla finestra.
«Beh.? Batti la fiacca?» gli dissi, mentre scrollavo un vestito da donna dall’aria innocua, che tuttavia squittì con indignazione. Mi affrettai a gettarlo tra la spazzatura.
«Penso di avere la febbre» si lagnò lui.
«Certo» commentai, scettica.
«Dico sul serio!» protestò Malfoy.
«Fino a che non potremmo cuocere le uova sulla tua fronte, non sarai autorizzato a battere la fiacca» proclamai, senza pietà.
«Ma io ho davvero la febbre» lo sentii obbiettare. Non gli badai, afferrai due o tre bracciate di vestiti e gliele gettai addosso. Una nuvola di polvere si sollevò dalla stoffa consunta e lisa dalle tarme e dal tempo. Malfoy tossì ripetutamente, spingendoli per terra. «Tu vuoi uccidermi!».
Emisi un verso seccato. «Nessuno vuole ucciderti, Malfoy».
Malfoy tacque un istante. «Quasi nessuno» rettificò, macabro.
«Oh, scusa. Perché noi invece siamo i compagnoni di Voldemort e dei Mangiamorte».
«Si, ma voi siete degli idioti. Io con la mia intelligenza non ho scuse per non aggregarmi a loro». E sospirò.
«Già che ci sei, realizza anche di non avere scuse per evitare di lavorare ora» borbottai.
«Come vuoi. Se muoio mi avrai sulla coscienza».
«Perché devi sempre essere così drammatico? Il mondo non gira attorno a te, accidenti!» scattai, seccata.
«Beh, senti chi parla» commentò lui, risentito. «Io ti dico di stare male, e tu che fai? Ti irriti. Forse non sono io a desiderare l’attenzione, dopotutto; io non passo il tempo in classe con la mano per aria per mostrare di essere una insopportabile Sotutto».
Arrossii. Quelle parole, insopportabile Sotutto, mi erano familiari. Era vero, volevo che gli altri vedessero che ero brava. Del resto, io ero una Nata Babbana. Avevo sempre pensato che la scuola fosse l’unico sistema per dimostrare finalmente il mio valore. Prima di arrivare ad Hogwarts ero stata semplicemente una ragazzina timida e studiosa, ma Hogwarts era il mio posto. e tuttavia mi vergognavo di pensare che Malfoy potesse aver capito qualcosa di ciò.
Mio malgrado mi addolcii un pochino. «Davvero stai male?» gli chiesi.
«Certo che si, per Merlino!» fu la risposta. «Ci sei arrivata, finalmente!».
Mi avvicinai a lui, scrutandolo attenta. In effetti era un po’ pallido. E sudato. E aveva le borse sotto gli occhi. «Che cosa ti senti, esattamente?» chiesi, in tono clinico.
«Ho caldo. La  mano mi fa male. E ho la nausea».
Gli schiaffai sgarbatamente una mano sulla fronte. In effetti avrebbe potuto scottare un pochino. Ok, magari scottava. Ma non così tanto. Probabilmente era solo più sensibile alle tossine Doxi. Forse avevo scoperto la ricetta dei Torroni Febbricitanti o come  si chiamavano. «Sei a sangue caldo, vero?» ironizzai.
«Ah-ah» fece Malfoy, con l’aria nauseata.
«Magari hai qualche linea di febbre» concessi, di malavoglia. Malfoy alzò gli occhi al Cielo. «Grazie, Granger, per essere arrivata alla diagnosi corretta con appena una mezz’ora di ritardo».
«Beh, è così che funziona. Come con Pierino e il lupo» sbuffai, ricordando il disastroso episodio della nostra recita in tema, anni prima. Barnie Burns era il lupo, e a me era toccato essere la pecorella che veniva sbranata. Venuto il momento di rapirmi e divorarmi, mi aveva fatto lo sgambetto non appena avevamo raggiunto il retro delle quinte, approfittando dell’assenza delle insegnanti. Non era un bel ricordo.
«Che diavolo sarebbe?».
Alzai le spalle. Improvvisamente persi la voglia  di spiegarglielo. Se lo avessi fatto, probabilmente lui mi avrebbe ascoltata in silenzio per poi dire alla fine, con aria indifferente, “che razza di storia pietosa o magari “tutte così le storie Babbane, Granger? Immagino che il problema dell’insonnia sia stato definitivamente debellato dalle vostre parti” o ancora, “Cristo Santo, Granger, se avessi voluto sentire qualcosa di agghiacciante avrei graffiato una lavagna, anziché starti a sentire!”. A quel punto avrei dovuto replicare con qualcosa di pungente o magari rimanere in un dignitoso e disgustato silenzio, mentre la storia di Pierino e il lupo sarebbe scomparsa  come se non fosse mai esistita.
«Nulla di importante» dissi, stancamente. «La signora Weasley non ti ha dato nulla da prendere per i sintomi?».
«Non ha nulla in casa. Ha detto che, se più tardi starò ancora male, uscirà a prendermi qualcosa» disse Malfoy. Pareva vagamente a disagio a pensare alla signora Weasley, ma soprattutto mi fissava perplesso, come se non riuscisse a capire che cosa passava per la mia sudicia mente Babbana.  «Ok» mi limitai a dire, ritraendo la mano ancora premuta contro la sua fronte.
Non sapevo che cos’altro dirgli. Calò un silenzio meditabondo, mentre io riprendevo a lavorare in silenzio. Pierino e il lupo aveva riportato a galla dei ricordi che sembravano distanti ormai decenni. Quel mondo mi sembrava ormai sbiadito come un ricordo, e quasi mi veniva da ridere al pensiero di spiegarne una parte a Malfoy. Sarebbe stato bello esserne capaci, ma la gente come lui era cieca e sorda – e in fondo si trattava di un mondo che un po’ aveva cominciato a sfuggire anche a me.
Malfoy nel frattempo rimase immobile a fissarsi le ginocchia, dimentico della mia presenza.
Il silenzio fu rotto da una serie di strilli inconfondibili provenienti dall’atrio. Mi voltai verso la direzione da cui provenivano le urla, e Malfoy alzò il capo, come appena svegliato. In quel momento la signora Weasley irruppe nella stanza. Feci un salto alto mezzo metro, spaventata da quella apparizione. «Draco caro» disse la donna, trafelata, piombando addosso al ragazzo biondo e ghermendolo sulla spalla. «Ehm – ti spiacerebbe darci una mano con tua zia? Pare che sia di pessimo umore».
Malfoy la seguì senza dire una parola.
La presenza di Draco Malfoy a Grimmauld Place si era dimostrata insolitamente utile per quanto riguardava il temibile ritratto della mamma di Sirius. La prima volta che aveva ripreso a strillare da dietro le tende – ed era capitato quasi subito dopo il nostro arrivo, grazie a Tonks che aveva fatto cadere nell’atrio un vassoio colmo di tazze di cioccolata calda – aveva finito per posare il suo sguardo su Malfoy ed era come ammutolita di stupore.
«Tu hai un’aria familiare, ragazzo» aveva detto, in tono stridulo ma interessato, gli occhi iniettati di sangue che non lo mollavano un attimo. Pareva un pitbull inferocito che ringhiava al padrone senza troppa convinzione. «Chi sei, e perché osi mettere piede in questa casa?».
«Sono Draco Malfoy» aveva replicato lui, piuttosto sbigottito dall’insolenza di quel ritratto consunto e grottesco.
«Malfoy?» era stata l’esclamazione di puro stupore della vecchia. «Tu sei il figlio di Narcissa!». Malfoy aveva cautamente assentito. «Un Black mette di nuovo piede in questa casa, dunque!» aveva strillato la donna, trionfante, battendo il pugno sulla poltrona imbottita sulla quale era adagiata. «Dopo tutti questi anni, finalmente i legittimi eredi sono ritornati!».
«La casa è di proprietà di Harry» aveva commentato freddamente Lupin, accorso ai primi insulti volati verso Tonks. «Gli è stata lasciata da  vostro figlio».
«Sirius non è più mio figlio» aveva sibilato la vecchia. Poi, tornando a rivolgersi al pronipote, «ma perché ti trovi qui, ora? E in compagnia di questa feccia, per di più».
«Sono circostanze complicate» aveva detto Malfoy, mesto.
«Non sei qui per  scacciare questi... questi individui dalla mia casa?» aveva chiesto lei, stupita.
«Sono venuto su invito» era stata l’evasiva risposta.
I due si erano squadrati per diversi istanti. E poi... «come sta Narcissa?».
Apparentemente la vecchia era stata così a lungo senza nessuno a lei affine con cui parlare, che la compagnia di Draco le sembrava deliziosa. Avevano chiacchierato per oltre un’ora, e  quando finalmente lui era riuscito a scappare via, l’aveva lasciata di così buon umore che non aveva strillato contro nessuno per due giorni, limitandosi agli insulti sputati tra i denti.
Gli strilli si placarono presto. Nel frattempo io avevo concluso con i vestiti. Afferrai un pensate sacco della spazzatura in ciascuna mano e li trascinai fino alla porta, mollandoli poi nel corridoio. Così vidi correre verso di me Ron ed Harry, trionfanti. «Finito, finalmente» sospirò Ron, rosso di fatica e con i capelli scarruffati. Era piuttosto carino, così. «Visto che mamma è andata a cercare quell’idiota di Malfoy ho usato la magia per lucidare gli ultimi piatti».
«Io ho finito da un po’» disse invece Harry, stiracchiandosi. «Ma Mundungus proprio non ne voleva sapere di lasciarmi... ha continuato a chiedermi se poteva vendere qualcuno dei cimeli di famiglia che volevo buttare». Era scuro in volto.
«Gli hai detto di no, vero?».
«Certo. Ma Lupin concorda con me quando dico che bisognerà tenerlo d’occhio».
«Mmh» dissi, ascoltandolo solo a metà. Presi di nuovo i sacchi e cominciai a scendere le scale; solo dopo qualche istante mi resi conto che nessuno mi aveva seguita. Mi voltai; Harry e Ron mi guardavano. «Ehm... Hermione» fece Harry. «Perché non usi la magia per portare quelli?».
«Oh» feci, colorendomi appena. «Giusto». Mossi appena la bacchetta e i due sacchi neri volarono giù per le scale, un volo perfetto. L’atterraggio fu un po’ goffo, ma non aveva importanza.
«Mi sembri strana» disse di nuovo Harry, mentre scendeva un paio di gradini verso di me, seguito a ruota da Ron. «Tutto bene?».
Lo guardai, incerta. «Certo» dissi, perplessa.
«Hai una faccia sbattuta» confermò Ron, come sempre privo di tatto.
Improvvisamente nervosa, dissimulai la cosa con un’alzata casuale delle spalle. «Forse sono un po’ stanca. Avanti, scendiamo. Devo cominciare a studiare».
 
Le undici, e non avevo sonno. Mi ero rannicchiato in un angolo tranquillo della stanza che era appartenuta a Black – cioè, Sirius Black. Visto che non avevo nulla da fare, ero andato avanti con la biografia di Silente di Rita Skeeter. Era quello il contenuto del misterioso pacchetto che mi era arrivato tempo prima a scuola, ma avevo pensato di nasconderlo perché non ero certo di quelle che sarebbero state le reazioni se qualcuno me lo avesse messo in mano.
Quando la Granger aveva nominato Grindelward a proposito del simbolo, la prima cosa che mi era venuta in mente era stata che Grindelward, secondo la Skeeter, era stato l’amico intimo di Silente per diversi anni. Così avevo deciso di proseguire con la lettura e avevo concluso il capitolo, iniziato la settimana precedente.
Alla fine del capitolo trovai tre fotografie a colori. La prima ritraeva Silente alla scrivania, da giovane, intento a scrivere qualcosa con l’aria corrucciata. La seconda era una foto di lui e Grindelward – sullo sfondo si vedeva anche il fratello Aberforth, apparentemente scontento, che fissava la scena. La terza era invece una foto del giovane Grindelward, che rideva mentre si passava la mano tra i capelli biondi...
Capelli biondi.
Mi sentii pervadere da una scossa elettrica. Fissai la foto. Silente era amico di Grindelward, un ragazzo biondo. Quello che aveva ricordato Gregorovich. Quello che Voldemort cercava. Fissai la pagina per un istante, prima che la seconda illuminazione arrivasse. Il simbolo.
Tornai indietro di qualche  pagina. Su di un’intera facciata albergava la riproduzione di una lettera di Silente. E lì, in piccolo, incastrato della “A” di Albus, c’era la piccola copia di quello stesso simbolo.
Non era il simbolo solo di Grindelward.
Era anche quello di Silente.
Riflettei rapidamente, euforico. Se quello che Rita scriveva era corretto, Silente in gioventù non era certo stato un santo. Al contrario, per un certo periodo, fino alla morte della sorella, lui e Grindelward avevano covato grandi progetti.
Poi la sorella era morta misteriosamente, e Silente non aveva più voluto saperne del suo amico. Silente poteva averla uccisa, certo, ma ne dubitavo. Avevo conosciuto Silente. Ricordavo la notte sulla torre. Non avrebbe mai potuto farlo.
Forse era stato Grindelward ad ucciderla, ma questo non aveva importanza. Quello che importava era invece che Silente aveva voluto attirare la nostra attenzione su di un simbolo che aveva segnato il progetto della sua giovinezza – e lo aveva fatto collegandolo a una fiaba.
La Granger non ci aveva detto quello che Rüf le aveva spiegato sulla fiaba, e Potter e Weasley non avevano cavato nulla di bocca a Luna Lovegood per quanto riguardava suo padre. Ma era chiaro che c’era qualcosa di più di una semplice storia nel racconto dei tre fratelli.
Mi alzai. Dovevo assolutamente trovare la Granger. Ero certo che lei avrebbe saputo fare qualche altro collegamento. Presi il libro e, il più silenziosamente possibile, uscii dalla stanza. Il cuore mi martellava nel petto. Eravamo vicini, molto vicini. Nel pianerottolo, esitai. Dovevo andare a svegliarla? E se avessi svegliato la Weasley? Quello che era certo era che non potevo aspettare l’indomani. Dovevo parlarne con qualcuno. Dovevo capire. Feci per salire le scale che conducevano alla sua stanza, ma mi bloccai. C’era una luce che proveniva dal piano inferiore.
Dubitavo fosse la signora Weasley. Certo, avevo lasciato la mia stanza quando né Potter né Weasley dormivano. Potevano essere loro, ma in tal caso era improbabile che la Granger non ci fosse. E ovviamente non era il massimo discutere con i due idioti presenti, ma poteva andare. Lentamente, cautamente, presi a scendere le scale.
Giunsi nell’atrio. Tesi le orecchie; se non era la Granger, non avevo intenzione di manifestarmi.
Speravo di cogliere un rumore rivelatore, come lo sfogliarsi di un libro. Invece, con mia grande sorpresa, oltre al crepitare del caminetto mi giunse all’orecchio la voce della Granger, a malapena un sussurro, ma pur sempre udibile.
«...cosa fare. È evidente che la storia dei Tre Fratelli lo sta ossessionando, Ron».
Mi gelai. La Granger stava parlando con Weasley. Per un istante mi chiesi se intervenire, ma poi il mio istinto ebbe la meglio. Trattenni il fiato, accostandomi appena di più alla porta.
«Beh, non è che abbia tutti i torni, no?» fece Weasley, incerto. «Voglio dire, gli Horcrux sono importanti e tutto il resto, però... Silente vuole che capiamo, giusto?».
«Giusto» concesse lei, «però gli Horcrux hanno la priorità. Francamente, Ron, talvolta penso che Harry sia... non lo so... un po’ fissato con l’idea di scoprire cose che non ci sono. Non mi pare che abbia voglia di ascoltarmi».
«Già» fu la risposta mesta. «Ma tu che cosa pensi della storia, sinceramente?».
«Io... io  non lo so. La Pietra della Resurrezione... la Bacchetta di Sambuco... sono tutte leggende. Non possono essere vere».
«Ma il Mantello... devi averci pensato, Hermione...»
«Lo so. Però il Mantello di Harry non è unico».
«Tu non capisci. I Mantelli dell’Invisibilità normali sbiadiscono, perdono di efficacia. Quello di Harry, beh...era di suo padre, no? Quindi l’incantesimo è molto resistente, no?».
«E quindi secondo te esisterebbero questi... questi oggetti? Ron...».
«Senti, Hermione, lo so anche io che è assurdo. Ma la Pietra mi ricorda – beh, la Pietra Filosofale, e per quanto riguarda la Bacchetta...». Si bloccò. «Hermione, ci sono tante leggende che parlano di bacchette invincibili. Immagino che la maggior parte sia una leggenda, però... la Stecca della Morte... la Bacchetta di Sambuco... sono tutte conosciute».
«Vuoi dire – vuoi dire che esistono storie su bacchette del genere?» pigolò lei, e io mi irrigidii. Per una volta, Weasley sembrava avere ragione.
«Non solo. Tutte quelle cose del tipo, “bacchetta di Sambuco, non ne cavi un ragno dal buco”... magari c’è un fondo di verità in queste cose. Forse Silente vuole dirci...».
«...che Voldemort le sta cercando» sussurrò la ragazza, inorridita.
Beh, non sarebbe stata l’ultima brutta notizia della nottata. Mi morsi un labbro, riflettendo. Poi decisi di aspettare ancora. Volevo sentire. Volevo aspettare...
«Gli Horcrux sono la cosa più importante» disse Ronald Weasley. «Hai ragione».
«Vorrei che lo capisse anche Harry».
Un istante di silenzio.
«E Malfoy?». Il tono di Weasley era colmo di ostilità.
«Malfoy non è un problema, Ron».
«Questo lo dici tu».
«Infatti, e ho ragione!» disse lei, con veemenza. Sorrisi tra i baffi. Draco 1, Weasley 0. «Ascolta, Ron, lo so che Malfoy è un idiota. Non possiamo farci nulla. Però non penso che possa crearci dei problemi. Ultimamente... ultimamente si è dato una calmata. Possiamo controllarlo».
«E se non ne fossimo capaci? Vuoi davvero parlare con lui di tutto questo?».
«Io – io non lo so. Penso che sarebbe giusto farlo».
«Non sono d’accordo».
«Insomma, Ron, di che hai paura? Draco Malfoy è un codardo. Penso davvero che sarebbe in grado di andare dal suo prezioso Signore Oscuro solo per fare la spia? O forse pensi che si darebbe alla macchia».
«Non lo so» mugugnò lui. «Però, Hermione, non mi piace».
«Che cosa?».
«Il modo in cui ti parla. O ti guarda. Mi sembra strano. E non mi fido di lui».
«Oh, Ron» disse lei, esasperata. «Quanto a questo, beh... a me non importa un bel nulla di Malfoy. Lui è un idiota, e in fondo sono pur sempre una Mezzosangue».
Sentendo la testa vuota, riuscii a sporgermi appena dallo stipite. Vidi che i due si stavano guardando, imbarazzati. E poi, stranamente, vidi Weasley fare un impercettibile movimento verso l’amica. La Granger fece altrettanto.
Ritraendomi appena verso la mia posizione, colpii il pavimento con un tacco.
«Che cosa è stato?» sussurrò lui. «Io – non lo so» mormorò la Granger.
Sorrisi. Qualcuno aveva perso il momento. Girai sui tacchi e mi avviai silenziosamente verso la mia stanza. Forse avevo un nuovo segreto tra le mani.
 
NOTA DELL’AUTRICE
Ecco a voi... il primo di quattro capitoli dedicati alle vacanze in casa Potter-Black! Spero che vi piaccia questo,abbastanza lungo, che funge un po’ da intro per i prossimi, durante i quali avremo: apparizioni mistiche (più o meno), altre illuminazioni, una gita alla Crocodile Dundee, un po’ di studio e di litigi... nulla di nuovo, insomma XD
Delucidazione consueta sul titolo dei capitoli: HOME SWEET HOME è semplicemente l’equivalente italiano di “casa dolce casa”, affermazione che può essere più o meno vera... a seconda della persona!
Fatemi sapere che cosa ne pensate... un bacio come sempre a tutti i lettori e alle mie fedelissime recensitrici, che scrivono papiri egizi solamente per incoraggiarmi! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Nightmare before christmas ***


NIGHTMARE Non mi piaceva affatto tornare alla Gringott dopo così breve tempo, anche se ero davvero a secco. Non mi piaceva neppure doverci andare in compagnia di metà dell’Ordine, anche se naturalmente era necessario. La cosa che mi piaceva meno in assoluto, comunque, era doverci andare con un travestimento squallidamente Babbano, anche se naturalmente non potevo farci granché.
Era una gran stupidaggine. Insomma, in fondo sarebbe bastata dell’altra Pozione Polisucco, no? proprio come io e Potter avevamo fatto l’ultima volta. Peccato dunque che quella stronza della Granger avesse fatto notare a Potter – fino a quel momento d’accordo con me – che non avremmo certo potuto dire a quelli dell’Ordine che io e Potter ci allontanavamo dalla scuola per truffare i folletti della Gringott e lanciare loro Maledizioni Senza Perdono. Per di più quelli dell’Ordine della Fenice (O.F, Ordine dei Farlocchi, per Malfoy trasformati in pagliacci) erano contrari all’uso della Pozione Polisucco quando avevamo a disposizione “un’alternativa molto più semplice e meno rischiosa”.
Molto più semplice?
«Che cosa dovrei fare?» chiesi alla signora Weasley, sospettoso, e indietreggiai involontariamente di un paio di passi.
«Oh, nulla di che» minimizzò il signor Weasley sorridendo.
Dieci minuti dopo avevo ceduto, ma solamente dopo che i gemelli Weasley mi avevano proposto sottovoce di sperimentare sulla mia pelle alcune delle loro ultime invenzioni.
Mi misero a sedere e mi schiaffarono un asciugamano dietro al collo. Poi mi colarono sui capelli un liquido chiaro e schiumoso che puzzava di acido e che cominciò a bruciare dopo pochi, drammatici minuti. Nel frattempo la signora Weasley aveva estratto una serie di cosmetici e aveva preso a picchiettarmi sul viso diversi prodotti. Il signor Weasley sopraggiunse proprio quando il mio cuoio capelluto cominciava a pizzicare e mi spalancò un occhio. Improvvisamente convinto che volessero torturarmi, strillai mentre lui mi schiacciava un tondino trasparente sull’occhio. Rassicurato sul fatto che non volesse strapparmi i bulbi oculari, gli permisi tuttavia di ripetere l’operazione sull’altro.
Dopo avermi sciacquato i capelli, la signora Weasley mi passò una veste logora. Io, gli occhi che lacrimavano, non capii subito che volevano che la indossassi. Fu solo dopo che l’ebbi utilizzata per tamponare gli occhi che lei chiarì l’equivoco, imbarazzata, e mi aiutò a indossarla. Fui costretto a permetterglielo – non vedevo abbastanza bene per fuggire.
Alla fine mi spinse gentilmente fuori dalla porta della stanza, conducendomi nell’atrio. Lì era radunata una piccola folla di persone. Tutte ammutolirono quando mi videro.
Il boato di risate che scoppiò quasi mi ferì le orecchie.
Sconcertato, guardai la signora Weasley che sembrava lottare per mantenere una certa serietà. «Draco caro... ehm... penso che tu possa vederti allo specchio, adesso» mi comunicò. Inorridito, corsi verso Tonks che teneva uno specchietto nella mano – ancora tremante di ilarità repressa – e glielo strappai di mano.
A ricambiare lo sguardo era un ragazzo con il colorito roseo, il viso cosparso di una quantità mostruosa di lentiggini che arrivavano quasi fino al colletto di una veste lisa. Il ragazzo aveva occhi marroni – non grigi – e capelli dello stesso colore pel-di-carota di un Weasley.
«I miei... i miei capelli» rantolai, sentendomi venir meno.
«Sarai il cugino Barry» mi informò allegramente Molly Weasley, mentre mi rimirava compiaciuta. «Nessuno potrebbe mai sospettare il contrario!».
“E dovrei rallegrarmene?” avrei voluto strillare, ma ero incapace di pronunciare anche solo una sillaba. La guardai, inerme, quasi supplichevole, ma la donna non parve cogliere la mia disperazione. «Perché non prendi le tue cose, adesso?» mi propose invece, raggiante.
La Granger e Potter sembrarono comprendere che non ero in grado neppure di fare un passo, perché si scambiarono un’occhiata consapevole e mi agguantarono, trascinandomi su per le scale fino alla stanza. Quando fummo al riparo dalle orecchie dei Weasley senior, mi contorsi come un’anguilla per liberarmi.
«Non uscirò mai conciato in questo modo!» strillai, recuperato l’uso delle mie corde vocali.
«E’ un semplice travestimento» disse la Granger, cercando di suonare ragionevole, e non la pazza furiosa che era.
«E’ un omicidio.! I miei capelli non torneranno più quelli di prima! E tutto perché quelli sciattoni dei Weasley non si possono permettere una scorta di Polisucco!».
Potter arrossì. «Bada a come parli».
«Potter» dissi, stralunato, afferrando una ciocca di capelli – ancora puzzolenti di tintura – e sollevandola come una prova verso il soffitto. «Tu non hai appena subito una seduta di tortura».
«Neanche tu!» interloquì la Granger. La ignorai. Non avevo comunque voglia di parlarle. «Credete davvero che qualcuno potrebbe mai scambiarmi per un Weasley?».
«Si» dissero i due in coro.
«Beh, chiedetelo a uno dei nostri compagni di classe. Se mai dovessimo incrociarli...».
«Senti, Malfoy, sei stato tu a chiedere di venire alla Gringott. Il piano originale era di lasciarti qui a marcire con Tonks come balia, mentre noi guardavamo i negozi».
«Quindi è una specie di punizione?» dissi, trionfante. «Ecco la dimostrazione: siete matti da legare!».
«Volete fare più piano?» sibilò Ron Weasley, piombando nella stanza. «Gli strilli arrivano al piano di sotto, dannazione».
«Oh, magnifico. Un altro spostato» dissi. «Tu, piccolo...» disse Weasley, colorendosi, e avvicinandosi minacciosamente. «Non muoverti o ti affatturo, stupido Magonò» lo avvertii, portando la mano alla tasca che custodiva la bacchetta.
«Bada a come parli, Malfoy» ripeté Potter, con ostilità crescente.
«Altrimenti cosa fai?» lo sfidai.
«Basta!» strillò la Granger. Tutti ci voltammo verso di lei.
«Tu» disse lei, la fronte aggrottata, puntando verso Potter, «rimani calmo, e sii più comprensivo. «Ron, metti giù la bacchetta...».
«Lui mi stava minacciando. Penso che sia ora che riceva una lezione...».
«Nessuno affatturerà nessuno, accidenti! Quanto a te, Draco Malfoy» e la ragazza mi fissò con gli occhi lampeggianti, simile a uno Schiopodo Sparacoda particolarmente di cattivo umore, e pronto ad esplodere, «tu piantala di lamentarti. La signora Weasley stava semplicemente cercando di accontentare un tuo capriccio senza metterci tutti in pericolo, il che, se non te ne sei accorto, è un’impresa piuttosto difficile. Se sei un ingrato, quantomeno abbi la buona creanza di non darlo troppo a vedere. Se ti vedo un’altra volta cercare di affatturare qualcuno, dovrai passare il Natale con un braccio in più che ti spunta dalla testa. tutto chiaro?».
La guardai in silenzio. «Io me ne vado» dichiarai, e presa la mia roba uscii. Odiavo tutti loro. Scesi le scale. I coniugi Weasley mi guardavano, incerti. «Tutto bene, caro?» mi chiese lei, preoccupata.
«Tutto bene» mormorai.
Un’ora più tardi rischiavo di finire schiacciato tra la folla di Diagon Alley. Più di qualcuno mi aveva pestato il piede, e chissà come ero convinto che se avessi avuto il mio normale aspetto nessuno ci avrebbe anche solo pensato. E non solo perché probabilmente ero considerato da gran parte della comunità magica come un pazzo furioso e deviato (o P.P., Parente di Potter, per chi aveva un po’ più di giudizio). I Weasley erano... poveri. Tutto trasudava povertà nel loro aspetto. Ed io mi strascicavo dietro di loro con espressione inevitabilmente disgustata, fantasticando di un cedimento nel sottosuolo che li inghiottisse tutti.
Certo, i privilegi erano diversi. La signora Weasley, ad esempio, che mi guardava come una mamma chioccia e sembrava convinta di dovermi trattare con un particolare occhio di riguardo. Quando avevo “accidentalmente” pestato il mantello di uno dei gemelli facendolo quasi cadere a terra, era stato Fred (o George) a essere rimproverato perché, a detta della madre, “camminava in modo ingombrante”. Avevo urtato la Granger con la borsa ben tre volte, senza che nessuno me lo facesse notare. Eh eh.
Un altro privilegio era Mundungus Fletcher, che chiudeva la fila ingombro di libri, scatole e cianfrusaglie che avevamo recuperato qua e là, sbuffando affaticato. Per me una piacevole routine che tornava a ripetersi dopo un luungo intervallo di tempo.
Infine, naturalmente, non ero da solo. Sapete, talvolta, quando si è ricercati dal mago più potente e crudele del mondo che vuole vendetta – o almeno sangue – può fare piacere sapere che un idiota quattrocchi nascosto sotto un mantello invisibile non è la tua sola garanzia di sopravvivenza in un posto insidioso come Diagon Alley.
«Se volete , possiamo andare noi al Serraglio Stregato» si offrì il Signor Weasley, una volta che fummo usciti da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch. «Così potete approfittarne per andare all’Emporio di Pozioni, e da Madama McClan».
«Buona idea» convenne Weasley, evidentemente lieto di sbarazzarsi dei genitori. Io, che mi sentivo decisamente meno euforico all’idea di passare altro tempo solo con il Trio Potter – specie considerati i miei recenti origliamenti – guardai invece l’uomo come a scongiurarlo di tenermi con sé. In fondo, ero in incognito, giusto? Perciò non c’era ragione di lasciarmi solo con quei tre, rischiando di mandare a monte la mia copertura.
Capì al volo, ma parve indeciso sul da farsi, e mi scrutò, a disagio.
C’era un motivo se mi ero guadagnato quell’occhiata. Non appena avevamo messo il piede a Diagon Alley, avevamo puntato dritti verso la Gringott. Ci eravamo quindi separati – eravamo troppi per un solo carrello – e ad accompagnarmi alla mia Camera era stato proprio il Signor Weasley, che aveva il compito di prelevare anche per sé, mentre la moglie accompagnava Potter e i gemelli Weasley, che custodivano i propri guadagni in una camera a parte.
Avevamo fatto la prima sosta alla camera dei Weasley. Quando il pesante portone si era spalancato sotto le dita di Sgrinfia – il folletto che ci accompagnava – avevo impiegato alcuni istanti per localizzare il piccolo mucchio di Galeoni che stava sul pavimento, impilato in piccole torri ordinate. Il signor Weasley si era schiarito la voce. «Molto bene» aveva commentato, a disagio, infilandosi in tasca un paio di manciate di monete e uscendo poi in tutta fretta. «Così dovrebbe andare».
Ero rimasto muto. Sapevo bene che i Weasley erano poveri – in fondo avevo passato anni a deriderli per questo – ma in fondo erano pur sempre una famiglia Purosangue. Erano così vergognosamente, assurdamente ospitali che pur non dando l’idea di ricchezza non sembravano... poveri. Quando sostammo davanti alla porta della mia camera, e il folletto tese la mano verso di me, provai un vago senso di... colpa? Disagio? Pena?
Il folletto aveva spalancato la porta, senza che il senso di colpa si fosse mitigato. La mia Camera era zeppa d’oro, e la cosa era sempre stata motivo di orgoglio, ma in quel momento mi fece sentire quasi sporco. Il signor Weasley aveva guardato, gli occhi sbarrati, mentre io riempivo frettolosamente il borsellino con manciate di falci e galeoni. Più del doppio di quanto non avesse prelevato lui per la sua famiglia.
Da quel momento in poi avevo visto nel suo sguardo una luce vagamente diversa, che era assieme di soggezione, e di qualcosa che somigliava alla pietà. Il che, naturalmente, era assurdo, e che tuttavia non contribuiva a mettere a tacere quel lieve sentore di colpevolezza che avvertivo sul fondo dello stomaco.
«Sai, Drac---, ehm, volevo dire, Barry...» cominciò alla fine Arthur Weasley.
«Barry caro, dovresti andare con loro» mi consigliò tutta premurosa sua moglie, interrompendolo.
Sospirai, e obbedii. Seguii i miei compagni di scuola con passo strascicato, per sottolineare il mio disappunto. Nell’Emporio delle Pozioni, poi, me la squagliai verso la zona dove, come sapevo, erano venduti gli ingredienti più interessanti.
Acquistai Pelle di Girilacco, Occhi di Coleottero, Verbena e Belladonna, ma anche molte altre cose interessanti; tra di esse c’erano denti di drago, un etto di corno di unicorno in polvere e diversi tipi di erbe. Avevo intenzione di darmi alla pazza gioia, e di prepararmi alcune Pozioni per conto mio. Sicuramente non sarei più uscito senza Polisucco.
Pagai senza battere ciglio, nonostante fosse una spesa non da poco, e non mi persi l’occhiataccia di Weasley nel vedere tutti quei Galeoni lucenti rotolare sul bancone polveroso.
«Che diavolo te ne fai, di tutta quella roba?».
«Ho dei progetti» mi limitai a dire, alzando le spalle.
Andando in direzione della sartoria di Madama McLan, passammo di fronte alla gelateria di Florian Fortebraccio, chiusa da oltre un anno. Potter la osservò, cupamente. «Chissà se Florian sta bene» mormorò poi, nello stesso tono.
Lo fissai, indecifrabile. «e’ vivo, se è questo che intendi» dissi, a voce estremamente bassa.
Potter ci mise un attimo a riprendersi. Si fermò. «Tu... lo hai visto?» mi chiese, come folgorato da una rivelazione. Fui quasi felice del mio trucco sul viso, perche non mostrava che stavo arrossendo. «E’ stato mesi fa» specificai, chinando il capo.
«Lui... Voldemort lo ha torturato?» chiese l’altro.
«Non posso saperlo» dissi, irritato dalla lieve accusa che percepivo nella sua voce. «Io l’ho solamente intravisto un paio di volte».
«Ma perché lui?» chiese Weasley, sottovoce, guardandosi attorno prima di intervenire. «Era solo un gelataio».
«I Fortebraccio sono maghi potenti e rispettati, e il Signore Oscuro non perdona chi si oppone a lui» mi limitai a dire, stupito per primo della tranquillità con cui discutevo al riguardo. «Non lo ha ucciso, e questo è il massimo che possiamo aspettarci, suppongo. Come è successo con Olivander».
Potter si morse il labbro. La Granger gli posò una mano sul braccio, come per riscuoterlo, ma in realtà era ugualmente spaventata. «Harry, non ci pensare adesso» gli disse, piano. «Andiamo». E mi scoccò un’occhiata di rimprovero, probabilmente perché avevo riportato a galla brutti ricordi. Io la fissai con un gelo così assoluto che la vidi indietreggiare impercettibilmente. Ripresi a camminare, fingendo che nessuno dei tre esistesse.
Ancora non si fidavano di me? Bene. Nonostante il loro supposto acume, erano evidentemente degli idioti. Il fatto che non li sopportassi rendeva ancora più palese che solo una convinzione autentica mi avrebbe spinto ad appoggiarli. Ebbene, io sapevo più di loro.
Ci avevo già pensato quando ero tornato a letto, la sera precedente. Mentre mi rigiravo tra le lenzuola, avevo sentito una sorta di fastidio ripensando alla scena a cui avevo assistito. Probabilmente per via della totale mancanza di fiducia che mi era dimostrata, avevo dedotto.
Come se solo loro fossero detentori della verità. Come se solo loro potessero salvare il mondo.
Allora avevo sentito come una sorta di illuminazione. E se fossi stato io, l’eroe glorioso? Se li avessi piantati in asso, fregandoli miseramente, utilizzando io stesso le informazioni che avevo ricevuto?
Era stata una visione celestiale, quella che mi aveva assalito.
Stavo in piedi, sporco di sangue non mio, la bacchetta sguainata ancora puntata su di un cadavere immobile. Un cadavere che non sembrava umano, pallido, glabro, dai lineamenti distorti che conoscevo così bene. Lo avevo distrutto con le mie stesse  mani, soddisfando una sete di vendetta che non sapevo di avere fino a che non l’avevo placata.
Ero di fronte al portone di Hogwarts, attorniato da alunni, professori, Auror, tutti con gli occhi puntati su di me. Esultavano, gridavano, si abbracciavano, saltavano. C’erano i Serpeverde, che emergevano dalle finestre con l’aria del coniglio che ritorna alla luce dopo il pericolo. C’erano tutti, perfino Nott, la Lovegood, Hagrid e chissà chi altri. C’era Potter, lì vicino, con l’aria di un morto resuscitato, che si teneva il braccio destro, apparentemente inerte e sanguinante. E più indietro c’era quell’idiota di Weasley, che stringeva tra le braccia la Granger, che guardava verso di me piangendo di sollievo, o...
Beh, comunque, dicevamo. Per qualche minuto mi ero crogiolato in quella fantasticheria, salvo poi ricordarmi di un piccolo particolare, anzi, di una catena di particolari.
A: Era il Trio Potter ad avere gli Horcrux.
B: Se avessi dovuto fare l’eroe, avrei dovuto farlo da solo
C: Se avessi lasciato fare agli altri, seguendoli, avrei beccato il merito senza fare troppa fatica e comunque avendo una scappatoia (Mio-Signore-non-sono-davvero-dalla-loro-parte-lo-facevo-solo-per-Voi)
D: Beh, rischiare la vita aveva i suoi svantaggi già così.
Alla fine avevo deciso semplicemente per il caro vecchio piano “dà le informazioni agli idioti che sbrighino queste faccende per conto tuo”, ma giusto per dispetto verso di loro avevo deciso di attendere un po’ prima di rivelare ciò che sapevo. Eh eh.
Da Madama McLan, però, Potter si arrestò. Sembrò scrutare in lontananza, e stupirsi di ciò che vedeva. «Io non ho nulla da fare, qui dentro» annunciò, in fretta e furia. «Vi aspetto facendo un giro nei dintorni, d’accordo?». E detto questo, senza aspettare una risposta, scappò via.
«Harry!» chiamò la Granger, tesa. Tentennò un istante. «Ron, io seguo Harry. Tu fa quello che devi fare» disse poi, e partì all’inseguimento, prima ancora che Weasley potesse reagire. Quando la ragazza sparì oltre l’angolo, io e lui ci scambiammo uno sguardo impotente prima di entrare nella bottega.
Madama McLan era libera. ci fece accomodare sui soliti sgabelli e cominciò a frugare in armadi piedi di stoffe, mentre i metri ci misuravano. Ago e filo stavano già rattoppando il Mantello Invernale di Weasley, che avrebbe dovuto essere allungato di quindici centimetri buoni prima di andargli giusto.
«Hogwarts, giusto? Questo è il vostro ultimo anno?».
«Già» dissi, parlando con voce un’ottava più bassa per sembrare meno riconoscibile. Ma la donna non mi badava affatto, assorta nelle sue chiacchiere. «Ogni anno arrivano sempre studenti come voi... e ogni volta mi sembra di essere ancora a scuola anche io!» e rise, leziosa. Io trattenni una risata. Quella doveva aver preso il diploma da cent’anni, se le rughe attorno agli occhi non mi ingannavano.
«Già» disse Weasley, evidentemente attraversato da un pensiero simile.
La donna mi fece un sorriso radioso. «Scommetto che non indovineresti mai da quanto tempo ho terminato gli studi».
«Dubito che ci sia qualche testimone in giro ancora vivo» bofonchiai, mentre Weasley, parecchio rosso e a disagio, si schiariva la voce. «Ehm... già, molto difficile».
Lei ridacchiò e si voltò ad afferrare un rotolo di stoffa su di un tavolo poco distante. «Prova a contarle le zampe di gallina. Magari funziona come con i cerchi degli alberi» suggerii, a tradimento, approfittando di quell’istante di impunità. Weasley quasi si strozzò con la propria saliva cercando di non ridere – sia per evitare le ire della sarta, sia per non darmi soddisfazione. La McLan lo guardò, sconcertata. «Tutto bene?».
«M-ma certo» rantolò lui.
Sogghignando, alzai le braccia per facilitare il lavoro del metro che fluttuava attorno alle mie spalle per misurarmi.
«Beh, a occhio e croce, comunque, penso ti costerebbe molto meno comprare una veste nuova» disse lei secca, rivolta a lui, evidentemente sospettando che stessimo ridendo di lei. «Questa qui ormai è così consumata che si deve buttare.
Weasley arrossì fino alla punta delle orecchie, e mi scoccò un’occhiata di sottecchi mentre diceva, «era di mio fratello maggiore».
«Oh, se vuoi conservarla per ricordo, fa pure» disse la sarta, evidentemente incerta se considerare quello straccio come un tesoro affettivo. «ma temo che tu non possa ripararla».
«Ehm... certo» pigolò il ragazzo coi capelli rossi, percorrendo l’interno della vetrina con una certa ansia – presumibilmente alla ricerca del prezzo di una veste. «Una – una divisa ordinaria, allora».
«D’accordo» disse lei, forse un po’ contrariata, facendo per andare verso il retrobottega. Si fermò per voltarsi verso il sottoscritto. «E tu, caro?».
Avrei voluto acquistare un nuovo abito da cerimonia, a dirla tutta, per evitare di presentarmi in uniforme come all’ultima festa di Lumacorno. Ne avevo adocchiata una nella vetrina, decorata con alamari d’argento, ma – non ditelo in giro, ve ne prego – all’idea di spendere ventitré Galeoni sul muso di Weasley non mi pareva più un’idea così succulenta. Tacqui un istante, diviso tra due passioni opposte. «Un paio anche per me, e un Mantello invernale» dissi alla fine, sputando fuori le sillabe con una certa contrarietà.
«Molto bene» disse lei, con un altro sospiro, e finalmente scomparve nel retro, da dove si sentirono arrivare rumori e tonfi sommessi.
Calò un silenzio imbarazzato. Non mi curai di interromperlo – avevo già fatto il mio atto di carità, tutto sommato, giusto? – ma fu L.L. (Lacera Lenticchia per antagonisti impietositi) a parlare per primo. «Allora» disse, con uno sforzo sovrumano che traspariva da ogni, agghiacciante lentiggine, «come... come ti trovi a Grimmauld Place?».
Era evidente che quello sforzo non proveniva dalla sua coscienza, e sospettavo ci fosse lo zampino della Granger, con le sue stupide parole del giorno prima. «In modo tollerabile» dissi, dignitosamente.
«Bene» disse lui, già pentitosi della sua cortesia, ripiombando nel silenzio. Si mise a fissare la vetrina.
«Ma dove diavolo sono finiti?» borbottò.
«E chi lo sa? Lo scopriremo presto» dissi.
Fui profetico. Proprio mentre pagavamo le nostre vesti, qualcuno bussò sul vetro e vedemmo i due idioti salutarci con la mano come se niente fosse. Io alzai gli occhi al Cielo, e Weasley non lo fece solo perché intento a non mostrarmi il suo borsellino semivuoto mentre gettava poche, polverose monete sul bancone.
Uscimmo. «Ma si può sapere che cosa è successo?» disse subito Weasley verso la Granger, scocciatissimo.
«Ve lo spiegherà Harry» disse lei, concitata, «o devo entrare dalla McLan un secondo».
Potter agguantò l’amico e lo tirò in disparte. Mentre bisbigliava qualcosa al rosso, io fermai la stupida ragazza e le indicai, muto, il vestito che volevo tanto. Lei mi guardò, perplessa. Io le allungai il borsellino, in un gesto eloquente. Lei affilò per un istante lo sguardo, ma poi lo prese senza chiedere nulla e sparì nel negozio. Soddisfatto, mi schiarii la voce per interrompere il dialogo in corso.
«Scusate» dissi, fingendomi annoiato. «Posso sapere esattamente che cosa  è successo?».
Potter sospirò. Weasley si fece attento. «Ho visto Neville».
Io lo guardai, scandalizzato. «Che cosa?» dissi. «Tu hai sollevato tutto questo polverone per Paciock?».
«E’ a Diagon Alley».
«Già, Potter, proprio come noi quattro».
«No» mi corresse lui, «come te».
Assunsi un’aria perplessa. «Eh?».
«Neville avrebbe dovuto passare le vacanze ad Hogwarts. Ho sentito distintamente che lo diceva a Seamus, l’altro giorno».
Calò un silenzio sorpreso. Paciock era a Diagon Alley di nascosto..?
«Magari non era lui» suggerì incerto Weasley.
Potter scosse il capo. «L’ho seguito, ricordi? Lui non ha notato me e Hermione, era troppo assorto, e poi abbiamo indossato il Mantello. Esattamente quando lo abbiamo visto sparire a Knockturn Alley».
«Neville a Knockturn Alley?». Weasley sembrava prossimo all’infarto, la mascella che quasi toccava terra.
«Da Magie Sinister» confermò lui, tetro. «E in un paio di altri posti, prima che si dileguasse».
«Ma non è possibile! Neville non frequenterebbe mai quei posti. È roba da maghi oscuri!» fu l’obiezione di Weasley, che parve dimenticare la mia presenza mentre lo diceva. O forse semplicemente non gli importava. «Voglio dire, lui è innocuo... lui è buono!».
«Lui è pieno di segreti» interloquii, ed entrambi si voltarono, stupiti.
«Paciock ha un comportamento strano da mesi» dissi, cercando di simulare un comportamento da Nott – vale a dire, da stronzo supponente e sempre ben informato. Troppo bene informato.
«Che intendi dire?» chiese subito Potter.
«A sentire Pansy, non si fa più vedere molto, né a cena, né per i corridoi. Ufficialmente è molto impegnato con lo studio, ma so per certo che non è così. Sta architettando qualcosa».
«Già, sta controllando da Sinister com’è la provvista di Armadi Svanitori» ironizzò Weasley, ma io lo zittii con un’occhiataccia formidabile. Mi ero già pentito dei miei riguardi di poco prima. «Pare che passi del tempo a confabulare con alcuni amichetti, agli ultimi piani».
«E chi ti avrebbe dato questa informazione?».
«Più di una persona, ma questo non ti riguarda, Weasley».
«Perciò Neville sta progettando qualcosa» disse Potter, con l’aria di chi si sente un imbecille. «Ma che cosa?».
«Beh, immagino che dovreste essere voi a dirlo a me» dissi, insofferente.
«Ma perché non ce lo hai detto prima?».
«Paciock non è certo una mia priorità, Potter».
Ma lui era già perso in altri pensieri. «Hermione aveva detto qualcosa su Neville. È stata la sera di Halloween, se non erro». Ricordavo quella sera per una serie di motivi spiacevoli, ma nulla che potesse riguardare Paciock. «La McGranitt le ha raccontato qualcosa... aspettate». In quel momento, infatti, la Granger usciva con qualche pacchetto sottobraccio, ingombra. «Hermione, è importante» disse Potter, prima ancora che lei potesse fiatare. «Ricordi cosa ha detto la McGranitt su Neville, dopo Halloween?».
«Ha detto che era preoccupata» rispose lei immediatamente, come se fosse stata un’interrogazione. «La sera di Halloween ha affatturato Pansy perché lei e qualcuno stavano affatturando Parvati, o qualcosa del genere. non ne sono sicura. Non prestavo troppa attenzione» confessò, ma in realtà aveva detto a sufficienza.
«Neville era in giro quasi a mezzanotte per la scuola» disse Potter, riflettendo in fretta, una luce negli occhi. «E “casualmente” dove si trovavano altri studenti. Non può essere un caso».
«Ma insomma, probabilmente era solo in bagno» protestò la Granger. «Che altro avrebbe dovuto fare, nel corridoio?».
«Che corridoio?».
«Non ricordo» disse lei, spazientita, «perché?».
«Chiedilo a Malfoy» sbottò Weasley, forse infastidito all’idea che come al solito non riuscisse a combinare nulla.
Lei si voltò verso di me, ma fu Potter a parlare. «Neville combina qualcosa. Ultimamente scompare spesso, e pare che alcuni Serpeverde lo abbiano visto in più di un’occasione a parlare con della gente agli ultimi piani».
Lei mi guardò, alla ricerca di una conferma. Annuii brevemente.
Lei si morse il labbro, pensosa. «Avevo notato che qualcosa non andava, ma pensavo fosse per sua nonna... per lo studio... oh, Harry!». Si voltò verso di lui, angosciata. «Non abbiamo neppure fatto caso a...».
«Beh, non è che noi non avessimo altro da fare, no?» puntualizzò Ron.
«Ma non può essere un caso, se Neville va a spasso a Knockturn Alley. È chiaro che ha qualcosa in mente, e dubito si tratti di sessioni di studio straordinario». La puntualizzazione di Potter mise ancora più in agitazione la Granger. «Dobbiamo informare la McGranitt. Oggi stesso. Appena torniamo a casa» disse, risoluta.
«Ottima idea. Mettiamo nei guai Paciock. Quando mai un Grifondoro ha collaborato con il corpo insegnanti, quando c’era la possibilità di fare qualche stupidaggine non autorizzata?» commentai, sarcastico, ma tutto quello che ricevetti fu un pestone sull’alluce che mi mise a tacere qualche secondo.
«Ha ragione» disse Potter inaspettatamente, prendendo le mie difese, mentre io cercavo di riavermi. «Sicuramente Neville non parlerebbe, però renderebbe più difficile scoprire che cosa sta architettando».
«Oh, e va bene. Ma se non troviamo nulla, avvisiamo la McGranitt».
Avvistammo i signori Weasley in lontananza, che ci chiamavano. «Ne parliamo dopo» disse Potter, rassegnato, seguendo Weasley verso i coniugi Weasley. Io intanto mi volsi alla stupida Granger. «la mia roba?» le domandai, secco.
Mi tese uno dei pacchetti, che misi sottobraccio senza ringraziare. Quando mi tese il borsellino meditai sulla possibilità di fare un commento caustico, come “ehi, Granger, quanti dei miei spicci ti sei intascata?” ma ero ancora troppo irritato con lei per parlarle volontariamente.
«Perché mi hai chiesto di comprarlo?» domandò la ragazza.
«Non sono affari tuoi» ribattei.
Lei tirò indietro il braccio che teneva il borsellino, determinata ad avere una risposta. «E’ per via di Ron?».
Arrossendo appena, le strappai il mio borsellino di mano. «Affari miei» sibilai, marciando via indispettito, ma sentendo di non aver ottenuto l’effetto desiderato – leggi, un’aura di gelido distacco.
 
Fu con violenza eccessiva che misi l’ultimo punto al mio saggio sull’utilizzo della Belladonna nelle pozioni soporifere. Lo arrotolai con movimenti deliberatamente bruschi, scoccando tuttavia qualche occhiata in direzione di Harry, che si era appisolato sul divano. Non volevo svegliarlo.
Malfoy fece finta di non avvedersi di alcunché. Senza una particolare motivazione, era da tutta la giornata che mi ignorava o mi trattava con particolare acidità. Beh, non mi importava affatto, se non per il fatto che avrei voluto saperne il motivo. Ma in fondo, quando si trattava di Draco Malfoy, non c’era mai un motivo.
Gli scoccai un’occhiataccia. Era seduto di fronte a me, chino su di un volume di Difesa contro le Arti Oscure che aveva pescato chissà dove. La fronte aggrottata, non dava segno di accorgersi di niente e di nessuno, e specialmente di me. I suoi capelli, nonostante i numerosi lavaggi ai quali li aveva sottoposti durante le ultime ore, avevano ancora una tinta rossiccia, ed essendo stati troppo bistrattati non avevano un bell’aspetto ma piovevano flosci e disordinati sulla sua fronte. Per il resto, comunque, era tornato quello di sempre.
Mi morsi il labbro. Erano le nove. Presto la signora Weasley ci avrebbe imposto di andare a dormire, e naturalmente avrei dovuto obbedire. O fingere di farlo. Era tutto il giorno che meditavo su di un piano assolutamente folle – uno di quelli che avrei osteggiato, se a proporlo fosse stato Harry.
Sospirai, e trassi a me il libro di Incantesimi. Era una cosa stupida. Aprii il volume, cercando la pagina dove venivano elencati i movimenti necessari a produrre un Incanto di Disillusione. Lessi qualche riga, distrattamente, ma ero troppo concentrata altrove per capire davvero l’argomento di cui si trattava.
Alla fine mi decisi. Scoccai un’altra occhiata a Harry, prima di schiarirmi la voce. «Malfoy» dissi, a bassa voce.
Lui mi ignorò.
Scocciata, gli tirai un calcio nello stinco che lo fece mugolare. «Che diav...» sibilò, ma io lo interruppi, impaziente. «C’è una cosa che devo dirti».
«Non mi interessa» disse lui, ostile, massaggiandosi lo stinco dolorante. Che drammatico.
«Beh, mi dispiace, ma dovrai ascoltarmi comunque» dissi, implacabile. Malfoy mi scrutò, sospettoso. «Sentiamo, allora. Quale piano balordo hai escogitato, questa volta? O si tratta semplicemente dell’invito al tuo matrimonio con Weasley? Perché in quel caso, non devi proprio prenderti il distur...».
Questa volta il calcio che lo raggiunse lo lasciò quasi senza fiato. Non sempre la violenza è sbagliata, credetemi. Talvolta una ragazza può solo ricorrere a rimedi estremi.
«Piantala! E parla piano, non voglio che Harry si svegli!». Il ragazzo mi fissò, senza più dire nulla. il suo sguardo esprimeva cautela, ma soprattutto riluttanza. Perfino maggiore del solito.
«Ho bisogno di fare una cosa» gli spiegai, guardando verso la porta. Qualcuno avrebbe potuto entrare da un momento all’altro. Ron si era dileguato quando aveva capito che avremmo trascorso il pomeriggio a studiare, rifugiandosi da Fred e George, ma Ginny o la signora Weasley avevano un certo talento per le apparizioni improvvise e inopportune. «Ma per farla ho bisogno di assentarmi per un po’».
«Che cosa stai macchinando, Granger?».
«Nulla che vi riguardi, sono affari miei» tagliai corto, arrossendo lievemente. «Ma naturalmente Ron ed Harry insisterebbero per venire con me, e io non voglio. E neanche vorrei informarne l’Ordine – non mi lascerebbero andare».
«Ma perché devi dirlo a qualcuno?» obbiettò lui, come infastidito.
«Se mi succedesse qualcosa, allora potresti spiegare loro quello che è successo».
«Beh, manda loro una lettera, allora».
«Già, buon piano. Peccato che così la riceverebbero solamente domani».
Malfoy incrociò le braccia, scontrosamente. «Dovrei restare sveglio ad aspettarti?».
«”restare sveglio” implica la rinuncia al sonno. Ti chiedo solo di aspettare mezz’ora prima di darmi per dispersa».
Malfoy fece uno strano verso scocciato. «Dammi un buon motivo per farti questo favore, Granger».
«Primo: sono il Custode Segreto. Sono l’unica che potrebbe cantare come un uccellino nel caso in cui venissi catturata, e a quanto mi risulta conosco un paio di cosette anche su di te. Secondo: sei l’unico che può farlo. Terzo: perché non c’è alcun buon motivo per fare i capricci e dirmi di no. Basta?»
Il ragazzo era diventato quasi violetto in viso. «Considerate le tue buone ragioni, non sono sicuro di poterti lasciare andare. È un rischio anche per noi».
«Già, e tu non ci hai mai fatto rischiare grosso, vero?».
«I tuoi colpi bassi non vanno a segno, Granger. Sono solo la dimostrazione del fatto che di te non ci si può fidare».
Lo guardai, basita. «E quando mai lo avresti capito, questo?».
«Sono affari miei. Non mi fido e basta. Che diavolo devi fare di così significativo?».
Esitai, ma alla fine scrollai le spalle. «Voglio – voglio vedere i miei genitori» ammisi, arrossendo.
«Tutto questo per una visita natalizia? Scordatelo. Manda loro una lettera piena di bacetti melensi».
«Un po’ difficile farlo, sai, quando loro non sanno chi sono» sbottai, ironica.
«Sapevo che eri un tipo interessante, ma non immaginavo che perfino i tuoi genitori si scordassero di te» sghignazzò il ragazzo. Si bloccò comunque dopo pochi istanti, cogliendo la mia espressione. O magari semplicemente realizzando quello che avevo detto. «Che cosa vuoi dire?» mi chiese, vagamente incerto.
«Significa che sono in Australia, e che ho modificato le loro memorie» dissi, spavalda, e lo guardai con aria di sfida. «Se le cose dovessero andare storte – con Voldemort, intendo dire – io non voglio che loro soffrano. Ora come ora, non ricordano nulla né di me né delle loro vite passate. Sono al sicuro».
Malfoy tacque definitivamente. In un primo momento mi ritenni soddisfatta, ma poi il silenzio cominciò a pesare. «Allora, lo farai?». Chissà che cosa pensava. Forse gli mancavano i suoi.
«Va bene, ma smettila di asfissiarmi» sbottò lui, sgarbatamente.
Sorrisi, trionfante. «Grazie».
Lui mi guardò, sempre con quell’aria gelida che teneva da quella mattina. Alzai gli occhi al Cielo. «Insomma, Malfoy, si può sapere che cos’hai? Cos’è, è ancora peri tuoi capelli?».
«Intanto per cominciare, i miei capelli non sono certo una questione secondaria» disse lui, con ostilità sempre crescente, «e comunque no, non è per questo. In effetti, non c’è una ragione particolare per cui non dovrei essere sgarbato, considerato il fatto che sono migliore di te».
«Si, si, d’accordo» commentai io, alzando le spalle.
Silenzio. l’orologio ticchettò per cinque minuti, mentre tornavo all’Incanto di Disillusione. La signora Weasley arrivò dopo altri dieci minuti, svegliando Harry e facendo prendere un colpo a Malfoy. Io sogghignai mentre gli passavo davanti, ma con le labbra mimai “alle undici e mezzo” mentre lo superavo.
 
L’orologio in salotto segnava mezzanotte meno sette minuti. Lì accanto stava un altro orologio, che avevo già osservato con attenzione in precedenza. Mostrava una lancetta per ognuno dei Weasley, e  al posto delle ore una serie di indicazioni come “casa” o “lavoro”. Delle nove lancette, otto erano puntate su “pericolo mortale”. L’altra, quella che portava il nome di Percy Weasley, era fissa su “in viaggio”.
Mentre fissavo il teschio stilizzato sul quadrante, avvertii un leggero senso di nausea.  Distolsi lo sguardo, e lo puntai invece sull’enorme arazzo che rappresentava il Casato Black.
Quei nomi erano naturalmente conosciuti. C’era Phineas Nigellus, un mio pro-pro zio o roba simile. Il Preside meno amato di Hogwarts, dicevano alcuni, ma in fondo non c’era nessuno di ancora vivo che potesse testimoniarlo.
Il primo Cygnus Black, orgoglio della nostra famiglia e celebrato inventore. A lui si dovevano, tra le altre cose, lo sviluppo della fotografia magica, del calderone pieghevole, e delle pinze schiacciapollici.
Sua sorella Belvina, autrici di Fatture e Controfatture dell’Est Europeo – tuttora considerato uno dei migliori testi accademici sull’argomento – nonché ideatrice della Fattura Orcovolante. Tragicamente morta senza eredi quando un rivale geloso l’aveva sfidata a duello, contrastando la sua Fattura Brachicardica con tale maestria da provocarle un infarto.
Mia nonna, Druella Rosier, che aveva amministrato il denaro di famiglia con tale oculatezza che suo marito – il secondo, meno popolare Cygnus Black – aveva finito per morire di fame. Ma questo, naturalmente, era solo un racconto senza fondamento. Tutti sapevano che era stato avvelenato da sua zia Irma, che non voleva lasciargli nulla in eredità.
A quel punto, sentii uno spiacevole calore allo stomaco. Irma era stata cognata di Dorea Black, che aveva a sua volta sposato Charlus Potter, padre di James Potter. Il che naturalmente rendeva Harry Potter una sorta di zio di secondo o terzo grado, visto che James Potter era tecnicamente il cugino di mio nonno. Naturalmente erano cose che succedevano – in fondo, tutti i purosangue erano tecnicamente imparentati.
Cedrella Black, nipote del primo Cygnus, si era sposata con un Weasley. La pronipote di Elladora Black, Gwendolyn, si era sposata con Rodolphus Greengrass.
Certo, questo non toglieva che fosse spiacevole. E che a ripensarci io potevo essere il suo parente più stretto ancora in vita, assieme a Tonks.
Osservai il mio viso. Chissà cosa provava Potter nel vedere che io ero, in effetti, l’ultimo discendente di quel ramo dei Black. L’ultimo a portare effettivamente quel cognome era stato Sirius – ed il suo nome era stato cancellato, così come il suo viso, perché aveva tradito la famiglia.
Tornai a guardare il mio volto sull’arazzo. Anche io sarei stato cancellato, quando i miei genitori avessero compreso quello che avevo fatto? Così come zia Andromeda, o come Tonks?
Mi venne da ridere quando vidi il nome “Prewett” comparire in un angolo dell’arazzo. Negli annali che possedevo, nella mia villa, non c’era. Notai che la linea dei Prewett si era quasi estinta vent’anni prima, e mi chiesi che cosa fosse accaduto al fidanzatino di Astoria. Ma non c’era granché sul muro su cui basarsi.
Chiusi gli occhi. Ero nella dimora dei miei avi, rinchiuso lì assieme a miei consanguinei, eppure qualunque posto mi sembrava più adatto a me di quello. Del resto – ed era dire molto – l’unica persona con cui avessi qualche punto di contatto era la Granger, cioè l’unica che avrebbe dovuto sentirsi completamente fuori posto. E che invece vi si trovava molto meglio di me.
Il che mi riportò all’orologio. Mezzanotte e tre minuti. Il tempo era scaduto da otto minuti, e la stupida ragazza non era ancora tornata.
Non diedi l’allarme. Non volevo spiegare alla signora Weasley e agli altri che l’avevo lasciata andare in Australia senza dire nulla e che così facendo li avevo messi tutti in pericolo. Avrei potuto anche accompagnarla, ma sapevo bene perché non l’avevo fatto. Ero ancora offeso e per di più non volevo fare nulla per aiutarla.
Tuttavia ci stava mettendo troppo tempo. Mi mordicchiai il mignolo, nervoso. Andare a cercarla era fuori discussione, naturalmente. In fondo era la stupida Granger, era sparita chissà dove in un altro continente e poi faceva un freddo boia. Avvertire la signora Weasley per qualche minuto di ritardo era eccessivo. L’unica cosa  che potevo fare era aspettare e maledirla di cuore.
Mi sedetti di fronte al fuoco, scocciato. Era mezzanotte e sei minuti.
E sette.
E otto.
Mi alzai di scatto, ma poi tornai a sedermi. Era inutile fare mosse avventate.
E nove.
Avvertii un fruscio e mi voltai, (quasi) speranzoso. Proveniva indubbiamente dall’atrio. Era mezzanotte e dodici, e avevo quasi pensato di avvertire gli altri abitanti della casa. scivolai silenziosamente verso l’atrio, impaziente di insultare l’idiota che mi aveva fatto perdere sonno prezioso proprio la vigilia di Natale... anzi, no, proprio a natale. Era Natale da dodici minuti.
Intravidi un bagliore argenteo, e mi bloccai, il cuore che improvvisamente accelerava.
Di fronte a me stava un essere d’argento. Non riuscivo a vederlo bene, vista la mia leggera miopia e la penombra, ma sembrava un cavallo o qualcosa del genere. Era troppo lontana per scorgere i dettagli della figura tremolante, ma la vidi voltarsi a scrutarmi e indietreggiai, trattenendo un urlo.
La vidi fare un passo verso di me, e mi sentii gelare. Non ebbi neppure la forza di prendere in mano la bacchetta, o di respirare. Pensavo di morire d’infarto da un momento all’altro.
La creatura mi guardò ancora qualche istante, solenne, poi si avviò lentamente su per le scale. Capii che voleva essere seguita. Ero troppo spaventato per rimanere solo nell’atrio buio, o per opporre resistenza. Mi affrettai a salire a mia volta, in silenzio, tremando come un bambino. Senza apparente bisogno di riflettere, la cavalla – o quello che era – si avviò verso la stanza che dividevo con i due stolti, la cui porta era socchiusa. Deglutii. La vidi entrare, mentre la porta si apriva ancora di qualche millimetro. Si fermò di fronte a Potter, che dormiva ignaro, e poi si voltò verso di me.
«Così come sei stato scelto, dovrai scegliere» disse, e la sua voce era un sussurro vagamente familiare, tremolante. Weasley si mosse appena nel sonno, ma non reagì in altro modo. La creatura si voltò, e saltò nel quadro vuoto che stava sulla parete, scomparendo alla vista.
Rimasi in piedi diversi minuti, inebetito e tremante. Mi sembrava di essere sotto shock. Un fantasma mi aveva appena parlato. Un fantasma a forma di cavalla, o quello che era, e per di più vagamente familiare. Era venuto a cercare me, o più probabilmente Potter, e mi aveva lasciato un messaggio.
Maledizione. Ecco perché non bisognerebbe mai immischiarsi negli affari dell’Ordine.
A riscuotermi fu un altro rumore al piano di sotto. Questa volta doveva essere la Granger. Schizzai fuori dalla stanza, il cuore che martellava sempre con vigore, e scesi a tre a tre i gradini di marmo. Piombai nell’atrio e quasi la feci strillare, mentre si chiudeva la porta alle spalle. Per fortuna si limitò a sobbalzare.
«Malfoy!» sussurrò, guardandomi con gli occhi spalancati. «Hai avvisato qualcuno..?».
Io scossi il capo, muto. Chissà se avevo ingoiato le corde vocali.
«E’ successo qualcosa?» domandò poi, allarmata.
Io mi morsi il labbro. Perspicace. La agguantai e la trascinai via dall’atrio, tremando così violentemente che dovette prendermi per matto. Quando socchiudemmo la porta alle nostre spalle, lei puntò la bacchetta verso di essa e mormorò, «Muffliato».
Poi si tolse la sciarpa, con un sospiro, e a malapena notai che aveva il viso arrossato dal freddo. «Che cosa è successo? perché non hai avvisato gli altri?».
«C’era...». mi bloccai, deglutii, e riprovai. «C’era... un... un fantasma».
La Granger mi guardò, stordita. «Cosa?».
«Nell’atrio. Un essere argenteo è apparso» balbettai, sconvolto. «Lui – lei – quella cosa è andata nella mia camera da letto. Ha detto...». Tacqui. Il ricordo era tanto atroce da impedirmi di pronunciare un’altra parola.
«Per l’amor del Cielo, Malfoy!» esclamò la Granger, a metà tra l’esasperato e l’ansioso. Mi spintonò senza troppi complimenti fino al divano e mi fece sedere, poi fece altrettanto. «Calmati. Calmati e spiegami che cosa è successo».
«Ha – ha detto che ero stato scelto. Che avrei dovuto – che avrei dovuto scegliere così come ero stato scelto» dissi, con una  vocetta stridula e innaturale. «Ha guardato Potter, ed è scomparso».
«Ma che cos’era? Da dove veniva?».
«Non – non lo so! È comparsa dal nulla...».
«Quando?».
«Una decina di minuti fa, suppongo».
Guardò la pendola. «Circa a mezzanotte e un quarto?».
«E dodici» pigolai, con un nuovo brivido.
«Ed è salita su per le scale?». Annuii. «L’hai seguita?». Annuii di nuovo. «Ti ha riconosciuto?».
«Penso di si».
«Era un Patronus?».
La domanda mi colse alla  sprovvista, ma effettivamente avrebbe potuto esserlo. Il che rendeva tutto un po’ meno spaventoso. «Penso di si» dissi. «Non ne sono sicuro».
La Granger si mordicchiò il labbro, mentre giocherellava con la manica del suo cappotto.
«”dovrai scegliere così come hai scelto”. È questo, quello che ha detto?».
«Si».
La Granger era angosciata. «Penso che dovremmo avvisare la signora Weasley».
Riuscii a trovare un po’ di forza in più e a riprendermi. «No» dissi, scuotendo il capo. «Non è una buona idea. È chiaro... è evidente che quella – quella cosa non lo voleva».
«E chi ti dice che sia giusto rispettare i suoi desideri?».
«E’ una percezione. Sembrava volesse darci un messaggio, non nuocerci».
«Tutto a posto, allora».
«Dico sul serio, Granger. Io – quella cosa non è stata fatta da uno dei Mangiamorte. È qualcosa di diverso, capisci?».
«No, non capisco».
«Ha a che fare con quello che stiamo facendo» dissi, convinto. Passato l’attacco di panico, avevo un mucchio di adrenalina ancora in circolo e pronta a favorire le mie sinapsi. «E’ un messaggio che riguarda gli Horcrux, ne sono certo. Non possiamo, e non dobbiamo, informare nessuno».
La Granger sospirò e mi guardò, come in attesa. Poi annuì. «Ed io che mi aspettavo di vedere l’intera casa ad attendere il mio ritorno» disse poi, rassegnata. «Perché non hai chiamato gli altri?».
«Era ancora troppo presto. Era probabile che fossi solo in ritardo» dissi, tornando indifferente.
La ragazza pausò un istante. «Hai fatto bene» ammise poi, guardando verso il basso. «Io... io ho solo voluto aspettare».
«Aspettare cosa? Non sapevi che ti aspettavo?».
La vidi arrossire. «Aspettavo... la mezzanotte. Così che fosse Natale». Mi guardò, quasi implorante. «Si, lo so, è stata una sciocchezza immane. È solo... quando festeggio il Natale, i miei genitori sono sempre con me, oppure posso sempre scrivere loro qualcosa. Quest’anno... anche se loro non mi riconoscono... volevo solo essere loro vicina». Qualcosa, nel tono in cui loro disse, mi fece pensare che il suo viso non fosse rosso a causa del freddo.
Io non dissi nulla, e lei parve fraintendere. «Non avrei dovuto farlo. A posteriori lo so, è stata una sciocchezza. Ti chiedo scusa» disse, a testa bassa, e poi cominciò a sbottonarsi il cappotto. In realtà, il motivo per cui tacevo era un altro. Anche io non avrei contattato i miei genitori, quest’anno. Anche io ero solo, forse anche più di Potter, che quantomeno si era lasciato volente o nolente gli altri legami alle spalle più di sedici anni prima. Per un istante avevo sentito come un moto di comprensione per la Granger, e volevo assicurarmi che neppure una vibrazione che la tradisse uscisse con la mia voce.
«Non fa nulla» dissi alla fine. «Ora posso andare a dormire, Granger?».
La ragazza mi guardò, come stupita, poi scrollò le spalle, vagamente imbarazzata. «Si, immagino di si» disse, incerta. «E per quanto riguarda il Patronus...».
«Rimarrà tra noi» dissi, in tono fermo.
«A Ron e Harry però dovremo dirlo. Dovremmo discuterne seriamente».
«Come ti pare» dissi, insofferente.
«Non domani, però» disse lei. «Domani è Natale, e dovremmo pensare soltanto a stare sereni. Altrimenti Voldemort ci avrà già sconfitti, o almeno, sono convinta che Silente ci avrebbe detto così». Parlava come tra sé, però mi fissava.
«In realtà, è già Natale» dissi, perché non sapevo come altro commentare quello che aveva appena detto.
La Granger si riscosse. «Si, è già Natale» ripeté, e la cosa parve farle un certo effetto. Meditò un mezzo istante, ed io attesi, certo che se ne sarebbe uscita con qualche altra affermazione balorda, e chissà come incapace di tagliarla a metà.
Così lei fece un passo verso di me, e mi afferrò la  mano tra le dita guantate, stringendomela come per salutarmi. «A Natale non si dovrebbe mai avere nemici» mi disse, in tono pratico che ricordava quello della professoressa McGranitt. Chissà come, intuii che serviva soprattutto a celare una punta di imbarazzo. «Perciò, Malfoy, sforziamoci. Cooperazione Magica Internazionale».
Oh, beh, era Natale anche per me. Ricambiai la stretta. Perfino la mia irritazione per lei sembrava stupida, in quel momento... perfino il fatto che fosse una Mezzosangue, o che io fossi un reietto.
«Buon Natale, Malfoy».
«Buon Natale» replicai, la mia voce appena impastata a causa del mio palese sforzo nel pronunciare quelle parole. Che però erano più o meno sentite.
Lei sospirò e guardò verso la finestra, evidentemente ripensando a qualcosa di sgradevole. «Andiamo a dormire» disse.
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Questa volta è, al cento per cento, colpa mia! XD si, perché ho cominciato l’università, e fino alle nove di sera sono stata sempre via XD però dai, in realtà non sono così in ritardo!
Mi scuso anche con chi ha recensito in questi giorni se non ho ancora risposto, provvederò al più presto, quando potrò usare internet con calma! Nel frattempo, unico breve appuntino sul nome del capitolo.
NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS significa letteralmente “Incubo prima di Natale” anche se naturalmente è anche una citazione dell’omonimo film di Burton. L’ho scelto, tuttavia, per un altro piccolo gioco di parole: “Nightmare” non significa solo incubo – come quello che Draco vive alla vigilia – ma è una parola composta da “night = notte” e “mare = cavalla” con le conseguenti implicazioni XD
Questo era un breve capitolo di collegamento per introdurre al prossimo, molto Natalizio... non sarà un granchè, ma ve lo regalo volentieri XD a presto ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** A Christmas Carol ***


A Christmas Carol A CHRISTMAS CAROL
 
Era il Natale del mio terzo anno ad Hogwarts. In realtà avrebbe dovuto essere il secondo, ma avevo cominciato a frequentare la scuola poco dopo aver compiuto i miei dieci anni. A tutt’oggi sono una decina al massimo, credo, quelli che lo sanno – i più non si sono mai chiesti nulla, perciò non ho ritenuto opportuno informarli di nulla.
Quell’anno rimasi a scuola per le vacanze, non che la cosa mi dispiacesse particolarmente. Casa mia sembrava sempre in bilico tra due mondi opposti; da una parte eravamo Serpeverde, e questo conta più di quanto si possa pensare – dall’altra, c’era la consapevolezza che in qualche modo eravamo diversi, consapevolezza che diventava particolarmente acuta quando Daphne aveva uno dei consueti contrasti con mio padre.
C’era un motivo preciso per cui intendevo rimanere a scuola, e cioè che quell’anno era in pieno svolgimento il Torneo Tremaghi. Mi dispiaceva moltissimo non essermi candidata, ma naturalmente la sapevo più lunga dei gemelli Weasley, e non avevo neppure pensato di tentare di varcare la Linea dell’Età. Così i campioni erano stati scelti, con una particolarità: Potter.
Potter era risultato essere il secondo campione di Hogwarts, e i commenti maligni che erano cominciati a circolare nel nostro dormitorio sottolineavano come, di due campioni scelti per la nostra scuola, neppure uno avesse la dignità che sembrava necessaria a quel ruolo. Molti dicevano anche che Harry Potter aveva tramato per inserire volontariamente il proprio nome nel Calice, ma ancora una volta la sapevo più lunga. Per riuscirci il ragazzo avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di un mago potente, come un insegnante, mentre era chiaro che nessuno di loro voleva che il Ragazzo Sopravvissuto rischiasse il collo per affrontare un Unga Spinato, non potendolo evitare.
Non ero stupida, no, ed era chiaro che se qualcuno tramava per uccidere Potter non doveva essere un pesce piccolo, probabilmente neppure Sirius Black. Ero curiosa, ed ero rimasta.
Quel Natale era naturalmente in programma il Ballo del Ceppo, e io non avrei potuto partecipare, essendo una misera studentessa del terzo anno. Ma la fortuna – se così vogliamo chiamarla – fece si che quel giorno avessi un’opportunità.
Ero nel Dormitorio, davanti al caminetto, l’unico luogo veramente caldo di tutta la casa dei Serpeverde. Non avevo voglia di uscire all’aperto e giocare a palle di neve, perché... beh... non sono mai stata molto socievole. Invece mi stavo concentrando sugli studi, sperando di prendermi avanti per poter poi godermi le feste.
Entrò Blaise Zabini, stanco e ricoperto di neve. Vedendomi, si diresse verso di me e io chiusi il manuale di Incantesimi. Conoscevo Blaise da anni, da quando cioè ci eravamo trasferiti nel suo stesso villaggio, a causa di – beh, è una storia lunga. Era un ragazzo piuttosto strano, scontroso, presuntuoso e aristocratico, ma provavo lo stesso una grande simpatia per lui: era un ragazzo intelligente, e quando gli permettevi di parlare senza costringerlo a ricorrere ai virtuosismi Serpeverde, molto migliore di quanto non sembrasse.
«Ehi, ciao» mi disse, sedendosi accanto a me sul divano dopo aver abbandonato la giacca sulla poltrona lì accanto. «Studi?».
«Si. Non voglio certo perdermi le feste per affannarmi all’ultimo minuto» risposi, sorridendogli.
«Beh, non credo che tu ne abbia bisogno. Sei una delle migliori del terzo anno, giusto?» chiese lui.
«Può darsi, ma è solamente perché ho uno studio costante ed organizzato» risposi.
«Dovrei fare lo stesso, immagino sia questo il significato sottinteso. Ma quest’anno non mi va molto» disse il ragazzo, scrollando tetro le spalle. Mi guardai bene dall’indagare, sapendo che comunque non avrei avuto risposta.
«Sei stato fuori? Hai visto mia sorella?» domandai allora.
Lui fece un sorrisetto di scherno. «Già, in compagnia di quel carlino di Pansy e le sue amichette. Pare che lei non abbia il tuo stesso gusto sopraffino, in fatto di amicizie».
«No, pare proprio di no» dissi, con una sfumatura malinconica. I miei pensieri viaggiavano verso mio padre, e la sua consueta abitudine di rimarcare quanto Daphne somigliasse a nostra madre, a differenza di me. Blaise capì al volo quello che stavo pensando, e si fece serio. «A proposito di Daphne e dei suoi gusti... pare che andrà al ballo con Flitt» disse.
«L’ho sentito» dissi, in tono incolore.
«E immagino che la cosa non ti piaccia».
«No, affatto. Ma lei deve fare le sue scelte, naturalmente» mi limitai a dire.
«Già» disse Blaise, di nuovo pensieroso. «E tu? Con chi ci andrai?».
«Io?». Scossi il capo. «Sono al terzo anno, ricordi? Non posso venire al ballo, a meno che qualcuno non mi inviti».
«Ah, già» fece lui, sorpreso. Poi si illuminò. «Allora vieni con me» disse, trionfante.
Lo guardai, sorpresa a mia volta. «Ma come, non hai ancora trovato un’accompagnatrice?» non potei fare a meno di domandare, perche sapevo che Blaise riscuoteva un discreto successo con le ragazze.
«Non ho trovato nessuna che mi piacesse» affermò lui, con un sorriso enigmatico che poteva voler dire tutto o niente. «E’ perfetto, no? io evito di dover invitare qualche obbrobrio con solo il sangue a raccomandarla, e tu puoi venire al Ballo del Ceppo».
«Mi pare un buon compromesso» dissi allora, con un’alzata di spalle.
Magari vi starete chiedendo come mai vi sto raccontando tutto questo. È tutto molto semplice. Vedete, in questo momento sto commettendo un’azione estremamente avventata, pericolosa, e fuori luogo, e lo sto facendo per seguire una persona. Forse, se non l’avessi conosciuta così bene, non sarebbe finita in questo modo, io sarei fuggita con tutti gli altri Serpeverde, e lui sarebbe qui, certo, ma dall’altro lato del campo. Ma vedete, quella sera, che io ricordo così bene, quando feci il mio ingresso a braccetto con Blaise Zabini, non avevo idea che sarebbe successo. Quando Blaise sparì, per andare chissà dove a rincorrere chissà chi o cosa, io non avevo idea di che cosa sarebbe scattato.
Uscii, quella sera, e mentre scivolavo silenziosa per il prato, oltrepassando non vista Davies che pomiciava con una ragazza di Beaubatons, vidi delle figure davanti a me. Nascosti dietro a una statua c’erano Potter e Weasley, evidentemente a disagio, cercando di passare inosservati mentre il guardiacaccia Hagrid parlottava con Madame Maxime. Mi allontanai, e poco più avanti distinsi Pansy Parkinson che si sollevava sulla punta dei piedi per baciare un ragazzo biondo.
Rimasi immobile, per non disturbare il loro momento, seminascosta dietro un albero; ma il ragazzo biondo respinse Pansy con un certo nervosismo.
«Che hai, Draco?» tubò lei.
«Non ora, Pansy» disse il ragazzo, spingendola via con un certo fastidio. Lo riconobbi come Draco Malfoy, Cercatore. Era entrato nella squadra di Serpeverde proprio l’anno in cui avevo cominciato la scuola, ma lo conoscevo già dai racconti di mia sorella, che era amica di Pansy Parkinson. Non mi era mai capitato di vederlo, se non all’orario dei pasti o alle partite, perciò lo osservai con interesse clinico.
«Perché no?». La ragazza sembrava ferita. Naturalmente era la sera del Ballo, e si doveva essere aspettata chissà che cosa. Non ero affatto una fan di Pansy, anzi, provavo per lei una vera e propria antipatia, e tuttavia sentii per lei un moto di pietà. Tutti sapevano che Malfoy non provava nulla di serio per lei; lo sapevo perfino io, che non li vedevo praticamente mai.
Percepivo che il ragazzo doveva essere infastidito, quasi irato, e attesi che la liquidasse bruscamente, in pieno stile Serpeverde. Invece, con mia grande sorpresa, lui esitò. «Scusami. E’ solo... vorrei rimanere un pochino da solo, se non ti spiace. Ti raggiungo dopo». La sua voce era molto più gentile di quanto mi aspettassi.
Lei sembrò rilassarsi. «Certo, Draco» disse, rasserenata.
«Ci vediamo dopo, allora» disse lui, in tono distante, abbozzando un sorriso poco convinto.
Quell’attimo di gentilezza mi stupì, specie perché non coincideva con quanto avevo sperimentato di persona. Draco Malfoy  aveva un’alta opinione di sé, era risaputo, principalmente per via del suo sangue puro e del suo talento a Quidditch. Si muoveva sempre circondato da quelli idioti di Tiger e Goyle, bullizzava i più piccoli, ed era sempre in guerra con Zabini. Eppure in quel momento, con nessuno ad ascoltarlo, non pareva affatto la stessa persona.
Pansy si allontanò, con passo baldanzoso, ma io attesi. Ero curiosa, e non avevo affatto voglia di essere scoperta. Vidi Malfoy voltarsi verso la direzione di Potter e Weasley, e il suo volto altrimenti carino storcersi in una smorfia.  Non era tuttavia disprezzo come quello che ostentava quando li passava nei corridoi. Li vide allontanarsi in silenzio, non visti... e ci fu un guizzo di qualcosa di simile all’invidia e all’odio.
Quando i due furono spariti, il ragazzo emise uno sbuffo, evidentemente scocciato da se stesso, e si allontanò a grandi passi, diretto nuovamente alla festa. Quando rientrò, proseguii la mia passeggiata. Vidi Piton che passeggiava con Karkaroff, vidi Madame Maxime allontanarsi verso la carrozza a grandi passi. Vidi perfino Zabini, che parlava nell’ombra con... beh, questo non è un segreto mio.
Tuttavia ripensai più volte a Draco Malfoy, sia quella sera sia le sere successive. Non avevo mai visto sul viso di nessun Serpeverde quello sguardo di invidia, se non forse sul viso di Zabini. E non lo rividi più per diverso tempo, né quando lo oltrepassavo per i corridoi, né quando aveva uno dei suoi diverbi pubblici con i Grifondoro.
Insomma, la verità è che quella sera c’era qualcosa di strano in lui. Qualcosa che di Serpeverde non aveva nulla. La verità è che non so neppure come feci a percepirlo in quei pochi istanti, piuttosto banali, ma lo feci. La verità è che senza quel momento non mi troverei qui, adesso, a rischiare la vita, e magari sarei in fuga assieme agli altri, o chissà dove. Senza quel momento non avrei mai cercato di diventare sua amica.
Però quella sera, senza motivo né razionalità, io, Astoria Greengrass, mi innamorai di Draco Malfoy.
 
Mi aggiravo per i corridoi senza un perché. Ok, d’accordo, un perché c’era, ma non vorrei che mi consideraste un ingrato. È che la Sala Comune mi stava troppo stretta da un po’ di tempo.
Lo so, lo so, forse sono io che interpreto tutto male. Probabilmente ero io ad avere torto. Ma l’emozione del combattimento era sparita già da un po’, sostituita dai ricordi del funerale a cui avevo assistito. Silente era stato inghiottito dal marmo bianco e io non avevo neppure pianto. In molti ci erano riusciti; come Harry, ad esempio, ma lui forse non conta. In fondo con Silente aveva sempre avuto un rapporto profondo.
La verità era che avrei voluto piangere. Silente era stato qualcosa di grande, un simbolo che era morto. Non sono bravo con l’autoanalisi perciò non avrei saputo spiegarlo, ma sentivo che ero morto anche io, che tutti noi eravamo morti, quando il nostro più grande amico si era spezzato.
Eppure non mi sentivo... abbastanza triste. Mi aggiravo per i corridoi e l’idea di parlare con qualcuno mi dava la nausea. Mi sembrava che tutti fossero estranei, ecco. Come se non fossi appartenuto a quel posto.
Avevo combattuto anche io, perciò avrei dovuto sentirmi orgoglioso. Invece mi sentivo semplicemente inutile. No, non inutile... superfluo. Una pedina non sacrificabile, magari, ma semplicemente per la bontà del re. Non ero che qualcosa di molto piccolo, e a giocare erano i grandi.
Con l’ES mi ero in qualche modo convinto che sarebbe stato diverso. Avevo imparato a duellare, avevo combattuto al Ministero, avevo vinto. Eppure, anche allora, l’atto finale non era stato il mio. Io ero stato soltanto un aiuto, ma a vincere non sarei mai stato io.
Da una delle grandi vetrate, mentre passavo, vidi Harry, Ron e Hermione che passavano poco distante attraverso il prato, confabulando.
Non sapevo che cosa volessero fare, anche se era chiaro che stavano architettando qualcosa.
Però, in quel momento, sentì qualcosa di me tendersi e schioccare. Non rotto, certo, ma qualcosa che mi aveva pizzicato l’anima.
Non sapevo cosa volessero fare. Io non ero parte del loro progetto. Io ero solamente una pedina sullo sfondo, inutile. Sapevo che Harry aveva ragione, sapevo che era suo diritto avere vendetta, ma sapevo anche che non era il solo. Anche io volevo vendetta, anche gli altri avevano paura, eppure eravamo come una decorazione natalizia: accessori, non fondamentali.
Mi voltai, e presi a salire le scale.
 
«Harry, sveglia!». Mi riscossi, anche se quella frase non era diretta a me. Mugugnai qualcosa di indistinto, sforzandomi di ripiombare nell’incoscienza, ma qualcuno mi agguantò per la spalla e mi scrollò, sgarbatamente. «Malfoy!».
Socchiusi gli occhi, e vedendo la faccia di Weasley istintivamente sobbalzai. «Ma sei scemo?» quasi strillai, mentre lui indietreggiava con una smorfia. «Che c’è?».
«Cos’è, preferiresti passare il Natale a letto?» chiese Weasley, troppo raggiante per prendersela, e tornò a voltarsi verso Harry. «Buon Natale!» esclamò alla fine, rivolto a entrambi. Bofonchiai qualcosa. Muoviamoci, i regali sono dabbasso, e non voglio che Fred e George facciano strani scherzi» incalzò Weasley.
«Del tipo?» fece Potter, mentre inforcava gli occhiali in fretta, ficcandosi così un’asta nell’occhio.
«Del tipo, scambiare delle Cioccorane con delle Caccabombe» disse l’altro, cupamente, e chissà come immaginai che non fosse un semplice esempio. Mi raffigurai per un attimo le facce sogghignanti dei due gemelli, mentre una scatola apparentemente innocua di gelatine esplodeva tra le mani di un malcapitato parente.
Mentre mi infilavo i calzini, la porta si spalancò di botto. La Granger entrò, con un sorriso smagliante. «Buon Natale!» disse, mentre correva ad abbracciare gli amici. Io terminai di mettere la vestaglia. «Buon Natale, ‘mione» disse Weasley, le orecchie vagamente rosse mentre si staccava dal suo abbraccio stritolatore.
«Buon Natale» disse Potter, quando ebbe ripreso fiato.
«Buon Natale, Malfoy!» fece allora  la ragazza, allegramente, rivolta a me.
«’atale» fu la mia laconica risposta.
«Vogliamo scendere?» chiese lei, già rivolta agli altri due.
«Andiamo!» disse Weasley, balzando in piedi come un grillo e sparendo al di là della porta. Gli amici lo seguirono, e così feci io, con minore entusiasmo, nonostante fossi di buon’umore. In fondo era sempre Natale, anche se non era tra i migliori che avessi mai festeggiato.
Quando varcai la porta del salotto rimasi quindi favorevolmente sorpreso dall’aspetto natalizio della grande sala. C’era un enorme albero addobbato e luccicante in un albero, ricolmo di palline e fiocchi rossi e oro, e di candele accese. Speravo che l’albero fosse ignifugo. C’erano festoni dorati ovunque, il fuoco era acceso in tutti i caminetti, e nell’aria c’era un buon odore dolce. Non era molto diverso da casa mia, in effetti, sebbene forse fosse meno imponente. Dubitavo che i fiocchi di neve appesi ai rami dell’albero fossero di Adamante, o che la musica leggera che si udiva in sottofondo provenisse da un coro di ninfe... ma poteva andare.
«Buongiorno a tutti!». La signora Weasley, vestita con un vecchio e pratico abito di velluto rosso, ci venne incontro con aria gaia. Aveva appena terminato di imbandire un’enorme tavolata già carica di una miriade di dolci. Il mio stomaco brontolò, e io diedi un colpo di tosse per dissimulare. Non volevo certo sembrare troppo entusiasta.
«Buongiorno, signora Weasley!» esclamarono Potter e la Granger, e io mi unii a loro sottovoce. Lei si avvicinò per scoccare a ciascuno dei ragazzi due baci sulla guancia, e mi irrigidii di stupore quando li diede anche a me. Arrossii, imbarazzato, mentre la Granger e Potter sogghignavano – ma non riuscii a protestare in nessun modo.
«Buon Natale!» disse Tonks, apparendo dal nulla. per l’occasione aveva indossato un cappello da Babbo Natale su dei capelli di un rosso acceso, mentre gli occhi erano verdi come gli aghi di pino. Sembrava molto rilassata e felice, e quasi carina per giunta, ma forse era per via del cappello.
Accanto a lei c’era Remus Lupin, che sembrava un profugo accolto per carità il giorno di Natale nonostante anche lui portasse un cappello come quello di Tonks. Era tutto avvolto in un vecchio pastrano con gli orli sbrindellati e costellato da fiocchi di neve che si stavano rapidamente sciogliendo, ma sembrava rilassato anche lui mentre augurava a tutti buone feste. «Non ti aspettavamo così presto, Remus» disse la signora Weasley.
«Ho finito prima» disse, e voltandosi verso di me, stranamente, mi feci l’occhiolino. Finsi di non essermene accorto e mi voltai verso gli altri presenti. Charlie e Bill Weasley erano sprofondati su di un divano liso ma apparentemente comodo, e ci salutarono cordialmente. Fleur era in cucina, perciò al momento non era presente – me ne dispiacqui.
I gemelli Weasley scesero proprio allora, e Ginny li seguì, apparentemente con un diavolo per capello. Da quello che capii, era stata svegliata da uno dei loro scherzi in quanto “troppo pigra per meritarsi il Natale”. Vidi che si toglieva delle piume dai capelli scompigliati, e sogghignai.
«Io finisco di là» disse la signora Weasley, con un sospiro rivolto ai gemelli. «Voi, se volete, potete aprire i regali».
«Non chiediamo altro!» esclamò Fred – che identificai grazie al maglione che indossava, con sopra la sua iniziale. Lui, il gemello e Ronald Weasley si gettarono a capofitto sotto l’albero, per cominciare a distribuire i doni. Io sedetti sul divano accanto a Charlie. Più in là stavano anche Ginny e la Granger.
«Questo sembra per Harry!» annunciò Fred, emergendo da sotto l’abete con aria vagamente contrariata. «Ecco, amico» e gli gettò il pacchetto.
«Da parte di Luna» disse Harry, evidentemente incerto sul da farsi.
«Non so se ti convenga aprirlo» convenne Ron. «Non senza una squadra di artificieri a portata di mano, almeno».
«Questo è per Ron, da parte di mamma» disse George in quel momento, gettandogli il pacco sformato tra le braccia. «Magnifico» commentò il ragazzo, senza entusiasmo.
«Questi sono nostri... ma questo è di Hermione!» esclamò George.
Fred fischiò. «”Da Viktor”. Accidenti, bel colpo. Potrebbe essere costoso!». La Granger, rossa in viso, gli strappò il pacco di mano.
«Un altro per Harry... e un altro» disse Fred, ammirato. «Però, amico, sei piuttosto popolare!».
«Già. Chissà perché» sogghignò George, «non mi pare poi questo granché, non ti pare, fratello?».
«Probabilmente se li è comprati da solo per impressionarci» disse Fred, maligno, spingendo i doni verso l’amico, il quale si esibì in un gestaccio che li fece divertire ancora di più. «Attento, Harry. I cattivi bambini non prendono regali» chiarì George.
«Ginny, questi sono per te» disse Fred intanto, e Ginny si allontanò con dei pacchi sottobraccio. «Tutti ammiratori, eh?» sogghignò l’altro gemello. «Attento, Harry!». Sia Potter che la Weasley si fecero piuttosto rossi.
«Mentre questo è per...» Fred si chinò sul pacchetto, simulando incredulità, «...Malfoy?».
Io sgranai gli occhi, prima di rendermi conto che doveva trattarsi di uno scherzo. Insomma, chi poteva regalare qualcosa a me? Lì?
«”Da Pansy”» lesse George, evidentemente divertito, e fischiò di nuovo. «Hai la ragazza, eh, Malfoy?». Arrossii a mia volta, e mi presi il pacchetto, ancora stupito. Come poteva Pansy avermi spedito un regalo fin lì.?
«Sono tornato da poco da Hogwarts» disse Lupin, a mo di spiegazione, vedendo la mia faccia stupita. «In Infermeria ti hanno lasciato un bel numero di pacchi. Sono quelli nella cesta, lì in fondo». E indicò qualcosa di chiaro sotto i rami dell’albero.
«Un bel numero di pacchi.? Saranno una ventina!» protestò Fred, come indignato, estraendo la cesta e soppesando uno dei pacchettini che vi erano riposti. «”Per Draco, da Anita”» recitò ad alta voce, «e c’è anche un cuoricino!».
Recuperai la cesta, ormai violaceo in volto, prima di ricevere altri commenti sgradevoli. Tuttavia ero segretamente soddisfatto – cominciavo a ritenere penoso l’essere chiuso per le feste in quel posto, senza neppure un regalino.
«Ron... Hermione... Fred...» continuarono i gemelli, mentre la pila di regali andava sfoltendosi a vista d’occhio. «...aspetta un attimo... qui dice di nuovo Malfoy» disse Fred.
«E’ un maglione della mamma» intervenne George, con una smorfia tradita.
Incredulo, afferrai al volo il pacchetto. Sulla superficie c’era scritto il mio nome, e sotto, più in piccolo, Molly. Lo guardai, instupidito. La signora Weasley aveva fatto un maglione a me? Nel frattempo, diversi altri regali furono distribuiti, non solo ai ragazzi, ma anche agli altri presenti, ma io neanche me ne accorsi. Ero troppo imbarazzato anche solo per capire che cosa avrei dovuto provare. Disprezzo? Gratitudine?
«Malfoy!». Questa volta Fred e George sembravano quasi esasperati.
Mi voltai, ancora stordito. Ricevetti l’ennesimo pacchetto in silenzio, e cercai il mittente. Quando lo trovai, sbattei più volte le palpebre.
H, H, R.
Oh, no, non poteva essere vero. Doveva certamente essere un incubo. Lanciai al trio Potter un’occhiata incerta, ma nessuno di loro mi guardava. Anzi, evitavano accuratamente di farlo. Posai il pacco sul bracciolo, incapace di tenerlo ancora in mano. Mi avevano davvero.?
Oh, merda.
Neppure nei miei incubi peggiori avevo immaginato di fare un regalo a quei tre, o a chiunque altro di loro, se era per quello. perché avrei dovuto? Li odiavo. E loro odiavano me. E allora perché, perché avevano dovuto farmi un regalo? Forse ero ancora in tempo. Magari potevo gettarlo nel caminetto e fingere di non averlo ricevuto. O magari potevo infilarlo sotto il divano e dire che non l’avevo notato, che mi era caduto, che...
«Non li apri, i tuoi regali?» chiese Charlie, facendomi sobbalzare. Mi voltai verso di lui, che stava esaminando affascinato un paio di guanti nuovi con lo stemma dei Magnifici Sette. «Wow, grazie Fred, George» disse, ammirato.
«Non fa nulla. Magari riuscirai a tenerti tutte le dita attaccate, quest’anno». Charlie ridacchiò, e io mi affrettai a scartare il pacchetto contenente il famigerato maglione. Ne uscì un pesante indumento di lana verde bottiglia, con su ricamata una “D” argentea. Lo fissai, mordendomi il labbro.
«Carino, eh?» commentò Charlie. «Ne fa uno ogni anno, a ciascuno di noi».
Deglutii. «Un... un bel pensiero» dissi.
«Già. E ti conviene indossarlo spontaneamente, prima di finire così» disse Charlie, indicando Ronald che veniva costretto a indossare il suo, di un brutto color melanzana. Mi affrettai a obbedire, per quanto non lo facessi volentieri. Insomma, era un maglione da... da... Weasley!
Mi sentivo in difficoltà. Decisi di dedicarmi ai regali dei miei amici, per dimenticare il resto del mondo. Presi il primo, quello di Pansy. C’era anche un bigliettino.
 
Caro Draco,
perché non puoi ricevere visite? In ogni caso, aspetto con impazienza che tu guarisca,
Pansy
PS: Riguarda il tuo stomaco
 
Il regalo era un sacchetto di tela ricamato, che conteneva quello che sembrava un poutpurri di foglie aromatiche. Lo guardai, perplesso. Che roba era? E perché mai avrei dovuto riguardare il mio stomaco.?
Il seguente era quello di Anita, inconfondibile per via della carta fucsia nel quale era avvolto. Lo scartai, avvertendo un vago malessere, ignorando il bigliettino (un modo per dimostrare che ti penso – baci, Anita). Mi trovai di fronte a un medaglione d’argento, piuttosto pacchiano, che si rivelò contenere una mia foto e una di Anita. C’era anche un altro biglietto: ne ho uno uguale. Rabbrividendo, lo seppellii in fondo alla cesta in attesa di bruciarlo nel caminetto alla prima occasione.
Qualche zelante ammiratore mi aveva lasciato pacchi di dolci, e tra di essi c’era anche McNair. Anche lui, come tutti gli altri, aveva lasciato un biglietto:
 
Auguri di pronta guarigione. Quando ti sarai rimesso, devo parlarti. È molto importante.
David
PS: Se pensi che i Topoghiacci possano peggiorare la tua dissenteria, non mangiarli.
 
Ero ancora inorridito quando presi in mano un grosso pacco che portava il nome di Astoria. Lo aprii, incuriosito. Dentro c’era la stessa veste che avevo mandato la Granger a prendermi da Madama McLan, con gli stessi ricami d’argento, ma di colore verde. Assieme c’era anche un biglietto:
 
Visto che sei costretto a letto, ho provveduto io a sistemarti il guardaroba, prima che Lumacorno abbia un infarto nel vederti arrivare alla sua prossima festa. Spero che ti piaccia, era l’ultimo rimasto.
Alla fine sono tornata a casa per le vacanze, perciò se ti rimetterai prima di Gennaio non avrò modo di salutarti. Quando ritorno, però, conto di avere i dettagli sul tuo subitaneo crollo di salute.
Nel frattempo, rimango
La tua affezionata amica,
Astoria Greengrass.
PS: Daphne ti saluta, e così anche mio padre, che ha molto insistito per mandarti i suoi auguri per una pronta e rapida guarigione – auguri ai quali mi associo, per quanto poco possano valere.
 
Qualcosa nel tono del biglietto, e nel fatto che esso fosse dentro il pacchetto, mi fece intuire che con tutta probabilità Astoria non avesse bevuto la storia della dissenteria – e come darle torto? Anche io non riuscivo a credere che avessero inventato una scusa tanto idiota.
Provai un vago senso di colpa. In fondo, io a lei non avevo comprato un bel nulla, anche se suppongo che il mio alibi sull’Infermeria bastasse a giustificarmi. Scrollando le spalle, scartai anche l’ultimo pacco, che proveniva da Nott (Dissenteria? Spero che tu stia scherzando!! Nott) e che conteneva un paio di guanti, e lo misi da parte. Trovai in fondo alla cesta anche altre due lettere. Una era dei miei genitori.
 
Caro Draco,
è con dispiacere che io e tuo padre apprendiamo che sei troppo malato anche solo per scrivere, e per giunta il giorno di Natale. Non che sia una sorpresa, hanno sempre troppa poca attenzione per il riscaldamento nei sotterranei, prevedibilmente.
Spero comunque che tu sia accudito decentemente – non farti scrupoli a pagare per avere qualche cosa in più, si rendesse necessario. Spero che, dopo le nostre raccomandazioni, tu abbia provveduto a rifornirti di denaro. Siamo molto in ansia per te, non ci hai più dato notizie che ci confermassero che stai bene e che hai provveduto a sistemare gli affari di famiglia e le incombenze basilari. Facci sapere al più presto.
Ormai mancano poche settimane alla mia scarcerazione. Una tua visita sarebbe bene accolta, specie per informarti delle ultime novità in proposito.
Nel frattempo, figlio mio, io e tuo padre ci uniamo nell’augurarti un felice Natale e delle buone feste.
Mamma e papà
PS: Forse la dissenteria è dovuta anche alla tua dieta. Sicuro di non mangiare troppo dolci, Draco?
PPS: Come va la scuola? i voti? Non siamo sicuri che essere abbinato ad Hermione Granger possa aiutarti nella maniera migliore, specie nel caso in cui tu sia rimasto indietro con lo studio.
 
Ignorai volutamente le allusioni, perché comunque non avrei potuto rispondere, e nemmeno mi andava di farlo. Invece aprii l’altra, che era senza mittente, e sembrava essere stata dettata, perché la calligrafia era simile a quella di una penna prendi appunti.
 
Hai attirato sospetti su di te. Il mio consiglio è: agisci normalmente, e non attirarne altri. non sei l’unico a complottare, e potrebbe venire il momento per te in cui scegliere da che parte stare.
 
La appallottolai in fretta, ficcandomela in tasca. Per un istante chiusi gli occhi, aspettando che il battito del mio cuore accelerasse, che la mia fronte si coprisse di sudore freddo, che una botta di adrenalina mi investisse... ma invece non sentii nulla, solamente uno sgradevole senso di frustrazione. La verità era che la mia vita era fin troppo complicata, e che era mai una stupida, banale lettera minatoria?
Specie perche avevo problemi più urgenti da risolvere.
Mi guardai attorno, fingendo di esaminare la confezione di Topoghiacci che avevo ancora in mano, e cercando di capire che atmosfera tirasse.
Sulla tavola addobbata un piccolo modellino di Gwenog Jones, la scopa in mano, schizzava tra le posate e i tovaglioli inseguita dai gemelli Weasley che sembravano decisi ad usarla per qualche esperimento. Ginny urlava loro di smetterla, mentre Bill cercava di fare da paciere, senza però intervenire a bloccare i diabolici fratelli.
Charlie era impegnato a discutere con Lupin di una partita di uova di drago di contrabbando che avevano sequestrato; la Granger stava ad ascoltare, interessata, e tutti e tre lanciavano sporadiche occhiate verso la porta, forse temendo che quel villico di Hagrid si facesse vivo proprio in quel momento per reclamarne qualcuna.
Tonks non c’era, ma alcuni rumori provenienti dall’atrio, qualche secondo prima, confermavano il sospetto che avesse tentato di aiutare la signora Weasley a trasportare qualcosa in cucina. Altri rumori, più discreti, di padelle e chiacchiere, testimoniavano che né Molly Weasley né Fleur avevano pensato di accorrere, forse perché mia zia Walburga non aveva ricominciato a strillare attirando l’attenzione.
Potter e Weasley stavano cercando di incantare un libro che ricordava fin troppo il Libro Mostro dei Mostri, e sembravano quindi molto occupati. Weasley ci si era seduto sopra, ma lanciava all’amico occhiate preoccupate, temendo per il suo fondoschiena, mentre questi trafficava tra le cartacce che avevano avvolto i regali alla ricerca di un nastro robusto che fungesse da museruola.
Così, fulmineo come pochi, feci scivolare l’imbarazzante pacchetto di Potter e compagnia a terra, e con un colpo di tacco assolutamente perfetto lo mandai sotto il mobile. Rassicurato all’idea di essere al sicuro, scartai una Cioccorana e la addentai.
Un’esplosione proveniente dalla tavola mi fece sobbalzare e mi fece andare il boccone di traverso. Charlie fu tanto caritatevole da soccorrermi, e mi ripresi proprio mentre la signora Weasley accorreva e cominciava, indignata, a strillare verso i due figli gemelli, che ridacchiavano occhieggiando un mucchietto ancora fumante di cenere dal quale spuntava ancora un manico di scopa in miniatura mezzo annerito. Ginny aveva le lacrime agli occhi, e la zia Walburga si era riscossa e strillava dall’atrio.
«...regalo migliore che avessi ricevuto da un mucchio di tempo...».
«...IRRESPONSABILI, E PER DI PIU’ CON IL REGALO DI VOSTRA SORELLA...».
«...colpa nostra, ci provocava, stava cercando di scappare...».
«...LA CASA DEI MIEI ANTENATI COME UN PETARDO, SUDICI PICCOLI...».
«...la mia giocatrice preferita in assoluto...».
«...biasimarci per aver tentato di riacciuffare il regalo della nostra sorellina...».
«...L’ONOREVOLE CASATA DEI BLACK SOLO PER I VOSTRI PASSATEMPI DA SPORCHI...».
«...ORE ED ORE PER PREPARARE TUTTO, ADESSO PER SMACCHIARE LA TOVAGLIA...».
«...con tutte quelle piume, e solamente perché non riuscivo a trovare la vestaglia...».
Fu Bill a intervenire, alla fine, prostrato da quella discussione a più voci che rendeva impossibile avere un po’ di pace. «Mamma, calmati» disse, con un sorriso da bravo-ragazzo-che-ha-il.pieno-controllo-della-situazione, cercando di sovrastare le grida che ancora provenivano dal ritratto nell’atrio, verso il quale si stava dirigendo Lupin. «Và in cucina ad aiutare Fleur, penserò io alla tovaglia e a tutto il resto».
La signora Weasley strinse la labbra in un modo che ricordò tremendamente la McGranitt, ma alla fine si dileguò borbottando tra sé mentre i gemelli si scambiavano un’occhiata d’intesa e uno dei due bloccava, con un pigro colpo di bacchetta, la Fattura Orcovolante per la quale la sorella era tristemente famosa – e lo dico per esperienza personale.
Mentre Bill e i gemelli sistemavano il tavolo e il pupazzetto, Ginny si soffiava il naso, e Lupin estingueva le grida del ritratto, Charlie tornò a voltarsi verso di me e sorrise alla mia espressione frastornata. «Quando sono fuori casa mi manca molto, questo fracasso» disse, con naturalezza.
Lo guardai, evidentemente incredulo. Casa sua era un guazzabuglio di esplosioni impreviste e spesso devastanti, disordine che sembrava autocrearsi, un viavai continuo e incessante di persone di ogni genere che sembravano fare come se fosse casa loro, e per di più senza neppure il conforto di denaro. Perché mai avrebbe dovuto piacergli?
«Si, lo so» si affrettò a precisare lui, infatti, ridendo e grattandosi la punta del naso con aria quasi imbarazzata, «è un caos perpetuo. Immagino che sia dura per te, abituato a tutt’altro stile di vita. sai, mamma e Ron mi hanno parlato di te».
«Ma davvero?» dissi, a disagio, evitando il suo sguardo e scartando un pacchetto di Scarafaggi a Grappolo, giusto per tenermi occupato.
«Già. Tu e gli altri non siete molto amici, vero?». Aveva un’aria curiosa, e allo stesso tempo gentile, che mi confondeva ancora di più. Per non darlo a vedere, scelsi la consueta tattica da Malfoy: mostra le piume come un pavone e il nemico indietreggerà».
«Come hai detto tu» dissi, curvando le labbra in un sorrisetto gelido, «sono abituato a tutt’altro stile di vita».
Tuttavia, Charlie non si scompose minimamente, e annuì. «Ricordo bene com’era, a scuola. Ci sono sempre stati contrasti, specie tra Serpeverde e Grifondoro. Non corre mai buon sangue tra i ragazzi delle due Case, ed è normale,considerando che sono agli opposti. Ma poi la scuola finisce» proseguì, semplicemente, «e riguardandosi indietro ci si chiede che cosa ci fosse di tanto importante da litigare».
Scrollai le spalle, incerto. In fondo, forse, avrebbe dovuto essere così, ma naturalmente Charlie non poteva rendersi conto che c’era una frattura insanabile alla base di tutto: loro erano traditori della loro specie.
«Dubito che io e Potter saremo mai amici» mi limitai a dire.
«Eppure tu sei qui» mi fece notare l’altro, con un’occhiata luccicante che mi fece sentire ad un tratto in una posizione inferiore, come se lui fosse stato molto più saggio di me. Scacciai quel pensiero, infastidito, e anche il Weasley parve accorgersi dei miei sentimenti, perché si alzò, e disse, in tono pacato, «vado a vedere se mia madre ha bisogno in cucina».
Se da una parte fui lieto di vederlo andare via, dall’altro questo  mi mise in una posizione di potenziale imbarazzo, privandomi di un baluardo con cui difendermi dagli occhi indiscreti. Afferrai in tutta fretta un libro che uno dei miei ammiratori aveva provveduto a spedirmi, “Incantesimi e Magie della Transilvania Sud-Orientale” e sprofondai nella lettura, salvo qualche sporadica interruzione per ingozzarmi di dolci, fino a che un passo lieve mi annunciò che Fleur era comparsa.
Alzai gli occhi di scatto. La vidi che teneva un pesante vassoio fumante in mano, che Bill si stava affrettando a levarle di mano con premura, e per l’ennesima volta pensai che una come lei avrebbe meritato di meglio. in fondo, che cosa poteva darle uno stupido Weasley (o T.T., Tonto Traditore, per ammiratori indignati), sebbene quasi decente? D’accordo, era un avventuriero, e allora? Chi aveva passato qualche mese ad aggirarsi per casa con lo sguardo fisso per terra, per evitare di pestare per sbaglio Nagini? Chi aveva visto quella stupida professoressa di Babbanologia stramazzare morta sul suo tavolo da pranzo?
Quei pensieri tetri si diradarono tuttavia con l’avvicinarsi degli altri vassoi, comandati magicamente dalla signora Weasley che li seguiva, ancora con l’aria fosca. Dietro di lei c’era anche la figlia, che era sparita poco prima per mettere al sicuro il pupazzetto della Jones, di nuovo integro.
Mi avvicinai alla tavola, con un certo appetito nonostante le Cioccorane e le gelatine Tuttigusti +1 che avevo mangiato. L’odore era davvero buono. Per un istante mi chiesi, stupidamente, dove avrei dovuto sedermi, ma poi vidi che c’erano dei piccoli segnaposti rosso e oro accanto ad ogni calice scintillante. Più di qualcuno stava già prendendo posto, e non fu difficile trovare il mio posto, tra Potter e la Granger. Non protestai neppure, e mi sedetti in silenzio, soddisfatto almeno parzialmente dalla lontananza di Fred e George, e dal fatto che nessuno aveva pensato di collocarmi accanto al terzo, indesiderato elemento del trio Potter, che stava all’altro lato di Harry Potter.
«Molly, come sempre sei stata impeccabile» si complimentò Lupin, non appena avemmo cominciato a mangiare.
«Ti ringrazio, Remus» disse la donna, un po’ raddolcita dal suo stratagemma. «Un po’ di patate? Ti vedo piuttosto smagrito».
«Si, beh, devo dire che era  da un pezzo che non mangiavo un pranzo come si deve» commentò l’ex insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, con un sorrisetto stropicciato. «Anche se Dora insiste che avrei potuto...».
«Beh, non è che i Lupi Mannari stiano a misurare se hai effettivamente preso peso, giusto?» ribatté subito Tonks, scoccandogli un’occhiata colma di biasimo. io li guardai, interessato, in parte perché non mi ero ancora ripreso dall’informazione avuta poco dopo il mio arrivo sul fatto che i due stessero assieme.
Dall’altra parte... lupi mannari?
«Affamarsi forse non è stata la soluzione migliore» ammise lui, controvoglia, sotto lo sguardo incrociato di Tonks e della signora Weasley. «Specie considerato il fatto che è stato piuttosto inutile».
«Allora... non frequenti più i lupi mannari?» chiese cauta la Granger.
Lupin scosse la testa, tranquillo. «La mia copertura è saltata dopo il tentato colpo al Ministero. Pare che Greyback mi abbia visto parlare con Kingsley, e mi abbia riconosciuto».
«Remus, non a tavola» protestò Molly Weasley debolmente, e per un istante pensai che volesse evitare che potessi sentire. Poi mi resi conto che non guardava solo me ma anche tutti gli altri ragazzi, a turno.
«Non sto dicendo nulla di compromettente» disse l’uomo, senza scomporsi.
«Già, mamma, e poi in fondo non puoi più escluderci. Siamo tutti maggiorenni da un pezzo, e indipendenti» disse George, con un sorriso furbesco. «Tutti tranne una, in effetti» fece Fred, soave, sogghignando all’indirizzo di Ginny, che arrossì di rabbia ma tacque sotto l’occhiata ammonitrice della madre.
«E’ Natale» disse allora la signora Weasley.
«Ma questa è una storia interessante» si affrettò a dire Bill, interpretando correttamente le occhiate attorno la tavola. «Forza, Remus, racconta. Anche io mi sono perso qualche dettaglio, in questi ultimi mesi».
«In sostanza, è scoppiato il putiferio. Naturalmente tutti gli altri lupi lo hanno saputo... È stato piuttosto problematico sfuggirgli. Sono piuttosto irritabili quando si sentono traditi. È una questione di territorio» disse Lupin, servendosi una seconda porzione di patate al burro.
«Ma davvero?» sghignazzò George. «Ecco perché Bill mi ha quasi affatturato, quando ieri ho cercato di prendere in prestito la sua cravatta».
«Quella cravatta è un regalo del signor Delacour. Se l’avessi rovinata ti avrei appeso a testa in giù proprio come Gazza, lupo o meno» disse Bill, lanciandogli uno sguardo di fuoco, e l’altro alzò le mani in segno di scusa. Io, però, li guardai sconcertato. Bill Weasley... era un Lupo Mannaro?
Bill tornò al suo arrosto, e la conversazione riprese da più parti spostandosi su argomenti più lieti; ma quando fece per prendere la brocca dell’acqua vide la mia perplessità, e sorrise. «So a cosa stai pensando, ma non devi temere uno scontro tra me e Remus per il territorio. Io non sono un Lupo Mannaro». Bevve un sorso d’acqua, pensieroso. «Almeno, non esattamente».
Lo guardai, incapace di formulare una domanda, o una frase qualsiasi, perplesso com’ero. «Vedi, ho avuto... un piccolo diverbio con Greyback, l’anno scorso» disse lui, sempre sorridendo, e tamponandosi la bocca con il tovagliolo. «Ci sono stati alcuni effetti collaterali, anche se non è nulla di serio». e sorridendo, indicò con il coltello prima il proprio viso, e poi la bistecca al sangue nel suo piatto.
L’anno scorso..?
«Quando è successo?» chiesi, a bassa voce, anche se nessuno ci stava ascoltando, a parte Potter e la Granger, che comunque fingevano discretamente di essere assorti nella loro purea.
«Oh, sai» disse lui, in tono più cauto, valutando le mie reazioni ad ogni parola pronunciata, «quando i Mangiamorte hanno ingaggiato battaglia ad Hogwarts».
Non potei impedirmi di sbiancare, anche se cercai di restare impassibile. Quindi, se Bill Weasley era sfigurato, la colpa era...
«Sai, a questo proposito» continuò però il giovane, tranquillamente, «non stare troppo a preoccuparti. Immagino che non avessi molta scelta, considerata la posizione della tua famiglia, e comunque sei stato bravo con l’Armadio Svanitore. Non deve essere stato facile, tutto da solo».
Non risposi, e ripresi a mangiare, anche se avevo una leggera nausea. Bill si voltò a parlare con Fleur, che si rivolgeva a lui come facendo le fusa.
La Granger, mossa da qualche distorta sensazione di compassione, si rivolse a me tra un boccone e l’altro, con affettata cortesia. «Ehm... allora, Malfoy. Ti – ti sono piaciuti i regali?». Oh, no. era il momento che tanto avevo temuto. Mi bloccai con la forchetta a mezz’aria, assolutamente nel panico, prima di riprendermi. «Non male» sbottai sgarbatamente, consapevole tuttavia di indossare un maglione  fatto a mano dalla signora Weasley. E, per scongiurare il pericolo di un’altra frase potenzialmente pericolosa, mi voltai verso Molly Weasley per chiederle di passarmi la salsa.
Questo espediente modestamente geniale sembrò funzionare, e io tornai alle gioie del tacchino arrosto con la salsa di mele, particolarmente ben riuscito, e ad ascoltare Charlie che stava parlando con Fleur. «Naturalmente sono tutti molto preoccupati anche all’estero. Uno dei miei colleghi, Velibor, beh, lui ha frequentato Durmstrang, e la morte di Karkaroff lo ha spaventato a morte... adesso è un po’ paranoico, vede complotti ovunque, anche se neppure all’apice del suo potere Tu-sai-chi si è mai spinto davvero fuori dal Regno, no?».
«Ma lui potrebe, non?» chiese la ragazza, con un gesto della mano. «Moi non pensa che nessun posto sia sicuro, neonche la Franscia». E scosse drammaticamente il capo, in un movimento aggraziato e affascinante che rischiò di farmi andare il tacchino di traverso.
«Già, ma non è che la cosa sia così immediata. Occorre molto più potere per espandersi oltre i confini, e comunque gli altri capi di Stato sono già all’erta, pronti ad intervenire. Per il momento, non c’è alcun pericolo immediato» disse il ragazzo, acutamente. «Velibor sembra convinto che ogni tenda possa celare un Mangiamorte, e la sai l’ultima? Si è convinto che dietro la morte di Grindelward si nasconda la mano di Tu-sai-chi».
Mi sentii involontariamente arrossire a quelle parole, e non ebbi il coraggio di guardare uno dei miei compagni, per non rischiare di essere scoperto. «Grindelwald?» disse intanto Bill, con una risata. «Perché mai avrebbe dovuto ucciderlo? Dopotutto era nemico giurato di Silente, no?».
«Ed era vecchio» puntualizzò uno dei gemelli Weasley – non potei determinare quale, perché avevo ancora gli occhi verso il basso – con la voce di chi sta alzando gli occhi al Cielo. «Ma la cara vecchia ipotesi di una morte naturale non è più da considerare?».
«Già disse l’altro gemello, fingendosi indignato. «Insomma, possiamo accettare che le possibilità di morire nel proprio letto si siano un tantino ridotte...».
«...specie se la cara Bellatrix è nei dintorni per accoltellarti...» rincarò l’altro gemello.
«...per non parlare di quell’enorme serpente che si porta sempre dietro...».
«...e della sua schiera di seguaci malvagi e ributtanti...». perché mi sentivo preso in causa?
«...e del suo naso...».
«...si, un nasino greco, proprio come quello di Ginny...».
«Fred! George!».
«Scusami, mamma».
«Si, mamma, non volevamo insinuare che Ginny avesse lo stesso profilo di un troll di montagna».
«Assolutamente no... anche se Dean Thomas, quando stavano insieme, spergiurava che gli avesse infilato il naso in un occhio per sbaglio».
«Una menzogna, senza dubbio».
«Una calunnia abominevole, ovvio».
Rialzai gli occhi solo quando il rumore di una Fattura Orcovolante finalmente andata a segno non raggiunse le mie orecchie, e si può dire che questo contribuì a far ritornare la calma. Dopo di questo i gemelli furono costretti dalla madre a sparecchiare, il dolce fu servito, e i petardi magici si rivelarono contenere svariati altri piccoli regalini magici. Io, ad esempio, ricevetti tra le altre cose: un cappello verde che cantava carole natalizie se veniva indossato; una piuma nuova, argentata, con tanto di inchiostro che si poteva leggere anche al buio; un pupazzetto a forma di Lepricano, dall’aria arcigna, che se premuto strillava antiche maledizioni irlandesi con accento dello Yorkshire; e una delle bacchette finte dei Tiri Vispi Weasley, e che tentò di azzannarmi il naso – quest’ultimo, comunque, non sembrava essere opera della signora Weasley.
I miei non furono gli unici regali interessanti. Weasley trovò tra i suoi una coccarda dei Cannoni di Chudley, la Granger un flacone maxi di Tricopozione Lisciariccio, e Charlie scoppiò in una risata ruggente quando si vide comparire davanti una damigiana di Whisky Incendiario.
Io stavo seduto, instupidito dalla quantità di cibo che mi era stata propinata, e facevo vagare pigramente lo sguardo tra i commensali che, del tutto dimentichi della mia presenza, chiacchieravano allegramente. La stanza era calda, e chissà come mi sentivo insonnolito, ma anche piacevolmente rilassato. Certo, questo non lo avrei mai ammesso, ma ero troppo intontito dall’Idromele Barricato e dalla cucina di Molly Weasley per abbandonarmi alle mie solite riflessioni malinconiche su come-la-mia-vita-di-Serpeverde-perfetto-si-trovasse-ad-essere-negativamente-sconvolta-da-parte-dei-brutti-e-cattivi-Weasley. In fondo, era davvero così sbagliato passare una serata normale, senza spaccarsi la testa con malvagi signori oscuri, indovinelli, lettere minatorie, pavoni morti, gente squartata e esseri squamosi?
Quando ci alzammo da tavola, era ormai pomeriggio inoltrato, e dubitavo che qualcuno intendesse cenare. Del resto, neppure io mi sentivo psicologicamente pronto, anzi, il mio stomaco stava protestando per lo sforzo mostruoso al quale lo avevo sottoposto.
Mi lasciai sprofondare di nuovo nel mio posticino e chiusi gli occhi, segretamente soddisfatto. Mi assopii senza volerlo, e mi svegliai solamente quando sentii un tocco leggero sulla spalla. Quasi aspettandomi di vedere Weasley, e senza essere consapevole di essermi addormentato, spalancai gli occhi e li fissai sulla Granger, che mi fissava divertita. «Ehi, Malfoy, sei ancora tra noi?».
Sentii come un brontolio nello stomaco, ma non ci badai troppo, impegnato com’ero a riacquistare conoscenza. «Che cosa succede, Granger?» biascicai, scollando la guancia dal cuscino del divano e asciugandomi imbarazzato un rivolo di saliva che mi scorreva dalla bocca.
«Ti eri addormentato» disse lei, a mo’ di scusa, «e la signora Weasley mi ha consigliato di svegliarti, visto che non vuole che passi la nottata in salotto». Mi guardai attorno. Seduti poco distanti c’erano Bill, Fleur e Tonks che parlavano e ridevano, ma non c’era nessun altro.
«Non stavo dormendo. Riflettevo» dissi, rialzandomi di scatto. Il mio stomaco protestò, questa volta con maggior violenza, e io mi morsi il labbro. Avevo una leggera nausea.
«Certo». La ragazza alzò gli occhi al Cielo. «Senti, avevo una cosa da dirti».
«Granger, quando lo dici è il preludio di una catastrofe imminente» dissi, ignorando lo stomaco ballerino.
«Non è nulla di brutto. Dopotutto, è Natale». Tacque un  istante, riflettendo. «Senti, Malfoy, volevo – volevo parlarti del regalo. Quello che ti ha fatto Harry».
Oh, merda. «Di quale regalo parli?».
«Di quello che Charlie ti ha visto infilare sotto il divano» disse lei, saccente. Però. Occhi di falco, il ragazzo. O forse ero io meno bravo di quanto pensassi. «E’ uno stemma» continuò lei, mentre estraeva da sotto il mobile il pacchetto ancora integro. «E’ lo stemma della famiglia Black».
La guardai, al di là della mia sofferenza fisica in aumento. «Lo stemma..? E perché darmelo?».
«Perché sei uno dei nostri, e perché sei l’ultimo del Black. Harry lo avrebbe gettato comunque, ma ha pensato che ti avrebbe fatto piacere averlo, visto che... beh, sei un Black anche tu, no?».
«Già» dissi, laconico.
«Beh, quello di Harry è stato un bel gesto» disse lei, imperterrita.
«Già. Come tutti i vostri gesti».
«E..?».
Mi arresi, sia a lei che al mal di pancia. «Lo – lo ringrazierò più tardi» mormorai.
Lei mi guardò con interesse nuovo, quasi scientifico. «Che cos’hai?».
«Devo andare». E, scattato in piedi, corsi a capofitto al bagno, qualche stanza più in là, chiudendo la porta alle mie spalle. Qui intendo calare per qualche minuto un elegante sipario Malfoy, e sintetizzare i successivi quindici minuti in un’unica parola: nausea.
Alla fine, mentre mi stavo sciacquando il viso madido di sudore, qualcuno bussò. «Che vuoi, Granger?».
Breve pausa. «Come sapevi che ero io?». Pareva vagamente impressionata.
Sospirai. «Solo tu e Potter sapete essere così insistenti».
«Hai avuto un blocco digestivo, immagino. Vuoi che chieda alla signora Weasley qualcosa?». Sospirando di nuovo, in silenzio, mi avviai verso la porta e la aprii, mentre con l’altra mano mi asciugavo il viso. «No, no. ora sto bene» dissi, nel mio tono più eroico, nonostante avessi ancora un certo malessere.
«Sai, penso che dopotutto potrebbe non essere stato un incidente» commentò lei, scrutandomi con occhio clinico. «Per caso Fred o George ti hanno dato da bere?».
«Non ricordo» dissi, ma in quel momento un’immagine piuttosto nitida del sottoscritto che annaspava dopo un boccone di curry piccante, e riceveva da una mano ignota dell’acqua vagamente aspra, mi tornò in mente. «Maledetti...». lascio a voi terminare la frase; non pretendo il monopolio sul turpiloquio.
«Come immaginavo, ti avranno dato qualcosa, magari una Pasticca Vomitosa» disse la ragazza, con un sorrisetto vagamente divertito poco adatto di fronte a un ragazzo sofferente come il sottoscritto.
«Aspetta che li prendo» sibilai, cacciando la mano in tasca per afferrare la bacchetta. Le mie dita si chiusero attorno di essa e la estrassero... ma il bastoncino vibrò, squittì, e trasformatosi in un topo mi morse e zampettò via verso le scale. Le mie imprecazioni si fecero più fantasiose. «Non temere, te la ridaranno, la tua bacchetta. Probabilmente quando saranno sicuri che la tua rabbia sia sbollita».
«Allora non la riavrò un bel pezzo, perché li ammazzerò» ringhiai, succhiandomi il pollice.
«Bleah, che schifo! Lavati le mani, non vorrai mettere la bocca dove ti ha morso il topo!» esclamò lei, sussiegosa.
Quel pensiero provocò un nuovo attacco di nausea che mi fece schizzare verso il gabinetto. Per diversi istanti fui troppo impegnato per replicare. Alla fine tesi una mano, e la Granger mi consegnò un asciugamano, con il quale mi tamponai la bocca.
«Penso che ti convenga bere qualcosa. Se non mi sbaglio, la Burrobirra potrebbe lenire gli effetti di...».
«NO!» strillai, respingendo con decisione il pensiero del cibo che si stava affacciando. «Non... pronunciare... cibo...».
«D’accordo, come vuoi» si arrese lei, scontenta perché il suo suggerimento era stato ignorato. E uscì, sbattendo la porta con malagrazia, e lasciandomi di sasso. Va bene, le avevo risposto male, ma piantarmi così, in quel modo, solo per una Burrobirr...
Urgh.
«Ecco» fece la Granger, a sorpresa, rientrando proprio mentre sollevavo il viso dalla tazza del gabinetto, sfinito. In una mano reggeva un bicchiere d’acqua, e nell’altro una pastiglia colorata dall’aria familiare. «Tieni» disse, e me la ficcò in bocca mentre la aprivo per parlare, porgendomi poi il bicchiere d’acqua. Ingoiai docilmente, e la nausea si placò quasi istantaneamente.
«Come immaginavo, era una Pasticca Vomitosa» disse lei, annuendo con aria saggia. «Va meglio, adesso, giusto?».
«Si» dissi, mio malgrado, sedendomi sull’orlo della vasca da bagno. Vomitare mi lasciava sempre spossato e senza fiato, e quando ero più piccolo mi capitava spesso. Un Medimago aveva detto ai miei genitori che ero di costituzione fragile perché non avevo mai fatto molta attività fisica e non avevo alcuna resistenza, ma mio padre mi aveva assicurato che la purezza del mio sangue non si sarebbe mai fatta contaminare da stupidi batteri o bacilli – e ogni volta che mi ammalavo sosteneva che fosse una maledizione scagliata da qualche suo collega invidioso.
Cominciavo ad avere qualche dubbio, in proposito.
«Perfetto. E non preoccuparti per Fred e George – probabilmente ti restituiranno la Bacchetta subito dopo averla cosparsa di Polvere pruriginosa, o qualcosa di simile». E alzò di nuovo gli occhi al Cielo, con quell’aria insopportabile da vivo-assieme-ad-un-branco-di-mocciosi-e-sono-stufa-di-fare-da-babysitter.
Io la osservai, sospettoso. «Perché sei così gentile con me?».
«Insomma, Malfoy, che noia» affermò la Granger, con un verso esasperato. «Pensavo che avessimo discusso a sufficienza l’argomento “siamo alleati e quindi evitiamo di torturarci con...”».
«Granger, la tua idiozia non ha davvero limiti» la interruppi, spazientito. «Intendevo dire che né Potter né Weasley si prendono il disturbo di preoccuparsi per la mia salute, perciò non vedo perché dovresti farlo tu».
«Nel caso in cui non te ne fossi accorto, Malfoy» disse la ragazza, con dignità, «posseggo una sensibilità un tantino più elevata di quella di quei due, e penso che dovresti esserne contento, visto che altrimenti non staresti neppure qui, adesso».
«Su, Granger, dì la verità» dissi io, con scherno, «neppure tu credi veramente che io stia dalla tua parte, no? La tua è una recita per dimostrare che sei di ampie vedute, o qualcosa del genere. Ti ho sentita, sai, mentre parlavi con Weasley».
La vidi arrossire, lievemente, ma non per il senso di colpa. «Beh, Malfoy, allora sei molto più stupido del previsto» mi rimbeccò, acida, colorendosi, «perché chiunque avrebbe capito che ti stavo difendendo visto che Ron ha l’intelligenza emotiva di un fermaporta...».
«Tu mi stavi difendendo?». La guardai, certo di non aver capito bene.
«Già, ma immagino che avrei fatto meglio a non prendermi il disturbo» commentò lei, alzando il mento con fare aristocratico. «La prossima volta lascerò che Ron pensi quello che vuole, e magari mi lascerò convincere. In fondo sono stupida, no?».
Sbuffai, frustrato. «D’accordo, d’accordo, Granger, come vuoi. Mi dispiace se ho ferito i tuoi Scadenti Sentimenti dimenticando che tu sei al sopra di qualcosa di così meschino come la vendetta».
«Accetto le tue scuse» disse lei, senza scomporsi, ma questa volta mi morsi il labbro per evitare di insultarla di nuovo.
«E tra parentesi, il maglione è sporco di sugo» rincarò lei la dose, intuendo di aver riportato l’ennesima vittoria. So a che cosa state pensando, ma era difficile per me vincere, quando
a)Indossavo un maglione Weasley sporco di ragù
b)Dipendevo da loro per la mia salvezza
c)Stavo esaurendo gli argomenti per detestarli, e quelli vecchi stavano diventando ripetitivi.
Ah, beh, e naturalmente,
d)L’alternativa era essere Cruciato a morte dal malefico Signore Oscuro, Lord Nonancoramort (L.L., Livido Lord, per nemici che possono permettersi di farsi vedere per la strada e comprare un autoabbronzante).
«Tanto, non appena farò ritorno ad Hogwarts, lo getterò nel fuoco» dissi, ma ammetto che si percepiva che stavo mentendo. Non è che mi piacesse quel maglione, naturalmente. È che si sposava così bene con il colore dei miei occhi, che pensavo di passare sopra al disgusto che mi provocava.
Beh, e poi nei Sotterranei faceva freddo, accidenti.
La Granger ridacchiò. «Povero Malfoy, ti stai Weasleyzzando».
«Niente affatto!» esclamai, scandalizzato. Insomma, i miei capelli erano scompigliati come quelli di Potter e avevano ancora una sfumatura rossiccia e indossavo un maglione sferruzzato a mano da Molly Weasley, ma questo non significava certo che ero come loro. era solo il risultato di una serie di sfortunati eventi.
«D’accordo, d’accordo, Malfoy. Mi dispiace se ho ferito i tuoi Sibilanti Sentimenti dimenticando che tu sei al di sotto dello standard di umanità minimo richiesto alle brave persone». Poi, dopo un istante di riflessione, aggiunse, «prima  che me ne scordi, domattina dobbiamo parlare. Dobbiamo organizzare un piano d’azione».
Il che riportò la mia attenzione non solo al Signore Oscuro (R.R., Regale Rettile per membri nolentemente onorari dell’Ordine) ma anche a quanto avevo scoperto autonomamente. Me lo tenni per me, tuttavia, perché avevo in mente un piano migliore su che cosa farne. Invece, le raccontai della lettera anonima che avevo ricevuto.
«Beh, la cosa non mi sorprende» disse la ragazza, scrollando le spalle. «Prima di andare a trovare i miei genitori sono andata da Magie Sinister, e ho scoperto...».
«Sei andata da Magie Sinister?». Ero indignato. «Per questo eri in ritardo, accidenti! E tu che frignavi di un commovente addio dato ai tuoi genitori...».
«Beh, certo che sono andata dai miei genitori, era la notte di Natale! Ma si dà il caso che difficilmente avrei fatto una cosa tanto stupida quanto andarmene a zonzo, senza aver avuto le mie ottime ragioni per farlo». Ragionare con la Granger non serviva a nulla, perciò le feci cenno di proseguire.
«Come dicevo, sono andata da Magie Sinister per capire che cosa aveva combinato Neville, e ho scoperto alcune cose interessanti».
«Del tipo..?».
«Del tipo» disse lei, paziente, «che anche Neville è stato lì per il mio stesso motivo. Sembra che volesse fare alcune domande su di un ragazzo che era stato lì pochi giorni prima».
«Pochi giorni prima..? Ma è impossibile. Ci siamo andati il giorno dopo l’inizio delle vacanze, o sbaglio?».
«Appunto!» disse lei, raggiante. «Quindi è chiaro che qualcuno sta cercando di procurarsi qualcosa di pericoloso, e Neville chissà come lo ha scoperto».
«Già, ma vorrei farti notare un paio di cose» dissi, per essere ragionevole. «Prima di tutto, è impossibile portare qualcosa di pericoloso dentro Hogwarts». Esperienza personale. «Secondo, è impossibile uscire dalla scuola e recarsi in un negozio di magia oscura durante l’orario delle lezioni». Esperienza personale. «Terzo, se anche fosse, non è così facile essere spiati mentre si fanno affari da Sinister». Esperienza personale. «Ultimo, ma non meno importante, se è così è chiaro che Paciock utilizza qualche sistema innovativo,  e non mi sembra così furbo». Definiamo anche questa esperienza personale, considerate tutte le volte in cui lo avevo impastoiato / affatturato / preso in giro impunemente.
«Chissà. Comunque è chiaro che occorre essere prudenti, ed io intendo scoprire che cosa c’è sotto».
«prego, se hai voglia di perdere tempo dietro a Paciock»
«E’ esattamente quello che voglio fare» disse lei, con sussiego. «E per quanto riguarda l’apparizione di ieri, può darsi che le due cose siano collegate».
«Già» dissi io, ma nessuno dei due sembrava convinto.
La Granger sospirò. «Ne riparleremo domani, comunque» disse, stancamente.
«Già» dissi io, ma stavo pensando ad altro, e alla fine diedi voce ai miei pensieri. «Granger. Tu sai fare un Patronus?».
«Si, certo» disse lei, stupita.
«Insegnamelo» dissi, solennemente.
«Perché?». Mi guardò, sbattendo le palpebre. «Non è neppure nel programma d’esame, anche se immagino ce ne parleranno...».
Alzai le spalle, schivo. «Me lo puoi insegnare, o non ne sei capace?».
Lei mi guardò, e in quell’istante la somiglianza con la McGranitt era stupefacente. «Ma certo che posso» disse, secca.
 
«Il fatto è... ma non devi prendertela con lui... che papà non capisce sempre. È un po’ a causa dell’età, credo» spiegai, con voce quieta e comprensiva, sorridendo. «Non che siate vecchi, capisci. Però è un po’ diverso. Cambia sempre qualcosa, sai, da un’età a un’altra».
Sospirai appena, ma sorridendo, affinché non sembrasse che covassi amarezza. «Però io non posso proprio stare a casa. Papà lo capirà presto, naturalmente. Voldemort è abbastanza cattivo da meritare che gli diamo una lezione, anche se papà sostiene che non tocchi a me farlo. Lo sai bene quanto me che papà predica bene, e razzola male». Sbadigliai. Avevo sonno. «E’ parecchio giù, ora. Non capisce cosa significhi sapere che qualcosa di importante è stato assegnato a te. E’ preoccupato». Toccai appena la cornice della fotografia, dove la mia mamma sorrideva dondolandosi appena al ritmo delle mie parole, come se le stessi cullando una ninnananna. «Sono contenta, comunque, di vedere i miei amici. Non mi era mai capitato di averne, prima. Sai» e assunsi un’espressione saggia, «pare che io sia un po’ strana». Sbadigliai di nuovo. «Comunque è meglio che vada a letto. Domani c’è la scuola, e il treno è infestato di Gorgosprizzi. Papà ha chiamato la manutenzione magica affinché provvedesse a mandarli via, ma non sono sembrati molto convinti. Però se ho sonno e uno di loro mi colpisce comincio a soffrire  di un po’ di nausea».
Mi voltai verso i disegni che avevo fatto sul muro. I miei amici ricambiarono lo sguardo dalle pareti, e io mandai loro un bacio scherzoso. «Sai, mamma. Se muoio, spero che papà non sarà così arrabbiato da cancellare questi disegni» dissi, preoccupata. «Non tornerò , per Natale, perciò spero che li conserverà».
Poi crollai addormentata. La mattina dopo – papà ancora dormiva, grazie al sonnifero nel suo the – ero sull’Espresso di Hogwarts.
 
Non ho affatto bisogno di fare un lungo preambolo su di me. Sono Blaise Zabini. Ho detto tutto, no? Sangue puro, grande casato, eccetera eccetera.
Vorrei farla breve, per quanto mi è possibile. Non è questo che dovrei raccontare. Dovrei avere onore, come si conviene ad un Serpeverde, e non buttarlo per... beh, comunque, avrei altro che potrei raccontarvi. Avventure, roba del genere, o la cronistoria della mia famiglia. Qualcosa di Serpentesco, o magari una vittoria a Quidditch.
Come dicevo, comunque, vorrei farla breve. Via il cerotto via il dolore, no? Non voglio sembrare patetico, anche se sono sulla buona strada per esserlo. Vorrei raccontarvi che cosa mi sta succedendo ultimamente, e farla finita così. Non penso capireste, purtroppo, e poi a nessuno frega qualcosa.
Mi sono già reso abbastanza ridicolo, non è vero? Beh, è solo l’inizio. Perché devo cominciare a raccontare da un secolo fa se voglio fare le cose per bene. E cercare, in qualche modo, una giustificazione... qualcosa che ci somigli, almeno... qualunque cosa che mi faccia mettere almeno un po’ l’anima in pace, capite?
Beh, forse no. Forse nessuno mi può capire. Diavolo, non mi capisco nemmeno io.
Quindi, se avete fazzolettini di carta sottomano, teneteli pronti.
Credo serviranno anche a me, se non vi spiace.
Prima di tutto, però, un’occhiatina al presente. Devo ammetterlo, non è una scena così edificante, e immagino sia per questo che mi sto ritirando nei miei foschi ricordi. Manco dovessi fare testamento.
Ci sono vicino, per la precisione. Sono in piedi, certo, e se guardo questo qui che sta ai miei piedi e sul quale temo di inciampare da un momento all’altro direi che è una fortuna. Questo sembra essere sangue, e...
Santiddio, che diavolo è questo?
Meglio non guardarlo troppo a lungo. Non voglio accorgermi che non sta respirando.
Non sta respirando.
Faccio un passo di lato. Sono sporco, ammaccato, mi si è scheggiato un dente, mi si è bruciato un sopracciglio, sono sudato, puzzo, mi sono pure sbucciato un ginocchio, e sono coperto di sangue di provenienza varia ed eventuale. Del mio consueto bell’aspetto non è rimasto granché e teniamo presente che, anche se c’è qualcosa di figo in un eroe stremato dalla battaglia, finché ansimi come un cane asmatico perdi tutto il terreno che hai faticosamente guadagnato.
C’è gente che sfreccia per i corridoi strillando e agitando scompostamente le braccia. Lampi di luce. Casino. Roba che salta in aria, e questa è architettura antica, Cristo, in via di estinzione, non torroncino da sbriciolare per scherzo.
Il mio (nuovo) migliore amico e poco lontano e sta affatturando un tizio alto con un occhio storto da spavento. Uno con un occhio così dovrebbe essere sbattuto ad Azkaban semplicemente per inquinamento visivo. A differenza del mio nuovo migliore amico, io di Filobabbano non ho un bel niente. La sola idea che in questo momento mi sto tuffando dietro a una colonna per difendermi da un tizio che dovrei chiamare alleato, e che il motivo per cui ce l’ho tanto con lui è che ho aiutato uno  degli amichetti del mio BFF mi  riempie di segreto sdegno.
Ma continuo a lanciare incantesimi e grida, perché in fondo questa battaglia non è mica uno scherzo. E voi direte, che diavolo sta succedendo? Potrei anche spiegarvelo, ma sarebbe una storia davvero lunga. Se fossi quell’idiota di Nott, probabilmente ci scriverei su una tragedia e assolderei i migliori attori sulla piazza per recitarla e raggiungere così la celebrità. Se fossi Malfoy, probabilmente, comincerei una storia interminabile e al ventesimo capitolo sarei ancora a metà – sa essere davvero prolisso.
Astoria mi sfreccia davanti, chinandosi senza esitare per schivare uno Schiantesimo, e svolta l’angolo sparendo in un altro corridoio. Astoria è sempre stata una ragazza molto razionale, e se toccasse a lei spiegare l’origine della sua presenza qui, probabilmente si limiterebbe a spiegare la causa prima e scatenante. Il che, probabilmente, è la cosa migliore da fare.
Il che mi riporta nuovamente a quel giorno di Natale, quando avevo sette anni, i miei poteri non si erano ancora fatti vivi e mio padre era gravemente malato. Ora, immagino che siate informati sulle storie che circolano su mia madre e i suoi numerosi mariti, e non cercherò di discolparla; semplicemente perché non so se siano vere.
Però so che a mio padre ci teneva davvero, sebbene fossero sempre e costantemente impegnati a litigare. Mia madre era di una famiglia di sangue purissimo, molto più di mio padre che comunque non era mezzosangue. Lei era bellissima, una delle donne più belle d’Inghilterra, ed era orgogliosa sia del suo aspetto sia del suo retaggio, sebbene non fosse una strega particolarmente dotata. Mio padre invece era un genio, il primo della classe, ma a differenza di molti altri geni aveva la testa sulle spalle e non esprimeva mai nulla – fossero sentimenti, o semplici opinioni.
Fin da quando ero molto piccolo mi avevano sempre considerato come il degno discendente di entrambi i miei genitori, perché ero bello e intelligente, ma in un certo senso ho sempre avuto, come mio padre, una certa coscienza di me. Ero di bell’aspetto, è vero, ma non quanto mia madre. Ero intelligente, è vero, ma non quanto mio padre. Però ero Blaise Zabini, e il solo fatto di avere il loro stesso sangue mi faceva sentire orgoglioso. Non sarei mai voluto appartenere a una famiglia Babbana.
Lo so, lo so, non spiega in nessun modo il perché mi stia trovando al centro di una sanguinosa battaglia che probabilmente deciderà le sorti del mondo magico, e non a favore della gente come me. Vedete, il punto è che mio padre si ammalò, e la cosa strana fu che nessun medico fu in grado di guarirlo. Immagino che questo abbia contribuito a creare il mito della Vedova Nera, come più di qualcuno chiama mia madre – ma non fu lei ad avvelenarlo, lo so per certo. Più di qualcuno disse che si trattava di consunzione, e mio padre non lasciò mai che lo curassero a dovere fino a che non fu troppo tardi.
Nevicava, la vigilia di Natale. Io ero da solo con mio padre, mia madre era di sotto a strillare istericamente contro qualche incompetente domestico. Mio padre mi aveva appena mandato a chiamare, e dopo aver atteso pazientemente una pausa tra uno strillo e l’altro, si rivolse a me con voce flebile.
«Non il modo in cui ti aspettavi di passare il Natale, eh?» chiese, con un pallido sorriso. «Mi dispiace».
«Non dispiacerti, papà» mormorai io, che lottavo contro un nodo in gola.
Lui sorrise. «Sai, il tempo è sempre una fregatura» mi disse, sempre sottovoce, ed io, che non ero abituato a sentirlo fare discorsi profondi, mi inquietai. Ero incapace tuttavia di interromperlo, perciò attesi in silenzio che terminasse il suo discorso. «E’ sempre uguale, preciso, scientifico, eppure sembra che si distorca per farti un dispetto. Anche ora... mi sembra ieri che mi sentivo bene».
Io deglutii. «Papà...» cominciai, ma lui mi interruppe. «Ascolta, Blaise» disse, scandendo stranamente le parole, come se avesse paura di non essere sentito. «Io non ho bisogno della sfera di cristallo per sapere come andranno le cose. So bene che tu diventerai un ottimo mago, e so anche che sarai Serpeverde come me e tua madre. L’unica cosa che ti posso dire, però, è che la gente come me e te finisce fregata dal tempo che passa e che ti impedisce di fare quello che avresti dovuto». Sospirò, quietamente. «So che ti sembra solamente un discorso astratto, ma devi stare attento alle abitudini; che si tratti di pensieri, oppure di idee, o di sentimenti, ti fanno perdere tempo prezioso».
«Papà, questi discorsi mi spaventano» sussurrai io.
«A proposito, ho un regalo per te» disse mio padre, ignorando la mia ultima frase. «E’ il pacchettino argento dentro il tuo armadio. Lo puoi aprire solamente domani, però. E dovrai restituirmelo, quando sarai grande».
Io annuii.
«Ora va giù, e dì a tua madre che mi lasci dormire per almeno un’ora» borbottò lui. Io obbedii, e uscii in fretta.
Lo so, non è una scena piuttosto interessante, piuttosto è drammatica e anche un po’ scontata, del genere che si legge sempre nei libri. E continua a non delucidarvi sul perché tutto questo stia accadendo, nonostante sia principalmente colpa mia.
Ehi, ho detto che vi avrei raccontato la causa. Non ho mai parlato del resto.
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Ce l’ho fatta, e con un capitolo lunghetto... ma semplicemente perché ci sono alcuni pezzi che avevo pronti da un po’, ovvero quelli all’inizio e alla fine del capitolo. So bene che hanno uno stile molto diverso dal solito, e probabilmente non sono all’altezza del resto, ma ho pensato che alcuni ricordi legati da un unico filo conduttore potessero fungere assieme da indizi che possono chiarire alcuni aspetti della trama, e per invogliare al resto ;) tanto non ne ho in progetto altri, quindi l’esperimento non è destinato a ripetersi, salvo idee geniali – anche se devo ammettere che anche il prossimo capitolo ha in serbo alcuni ricordi, anche se narrati mooolto diversamente.
Ma passiamo al contenuto del capitolo, prima di esaminare i “ricordi”. Avevo voglia di un bel capitolo divertente, e funzionale... in fondo è servito parecchio ad ammorbidire Draco, ed il prossimo capitolo sarà l’ultimo di Grimmaud Place, il che lo rende potenzialmente interessante... eh eh eh... Ok basta. Serietà.
In effetti può sembrare che la trama non sia progredita granché, ed invece è stato veramente fondamentale. E poi avevo voglia di Natale, come dimostra il fatto che a mezzanotte, finito di scrivere, mi metto a sferruzzare sciarpe sbilenche come neanche Hermione col CREPA (e questa era una citazione da Nerd – N.N., Nicole Nerd, per fans sfregatate della Rowling in questo momento morbosamente intente a cercare per tutta la città una libreria che venda The Casual Vacancy in versione originale O.O).
Comunque, dicevo. Draco si ammorbidisce, Hermione si ammorbidisce, Harry si ammorbidisce, Ron non si ammorbidisce – anche perché povero, in questo capitolo non compare praticamente mai... mi sa che sono un po’ cattiva con lui – e insomma sono una grande famiglia felice.
Per quanto riguarda i ricordi... su quello di Astoria no comment, si spiega una cosa self-evident che penso aveste capito già per conto vostro. Quello assai breve di Neville non spiega praticamente niente ma delucida sul suo stato d’animo, con conseguenti spiegazioni da trarre. Quello di Luna è importante perché solo con il senno di poi avreste potuto capire che lei era praticamente scappata di casa. Quello di Zabini è importante per via di un indizi etto su uno dei suoi segreti, ma diciamo che più di altro prepara il terreno ad alcuni indizi. In effetti, non so se lo abbiate capito, ma Zabini ha un ruolo piuttosto centrale e quindi siete destinati a non sapere un tubo per molto, molto tempo...
Ecco, poi vorrei far notare le allusioni al presente, e cioè all’esatto momento in cui vengono raccontati non solo i ricordi secondari, ma la stessa storia di Draco. Beh, insomma, il primo vero indizio sul presente. Che poi non è un indizio ma un manifesto XD mi sembrava interessante metterlo XD
Beh, comunque in effetti ho messo troppi indizi... vabbè, quantomeno è un capitolo lungo, perciò godetevelo. Come sempre, grazie alle mie recensitrici, i love you guys!
 
A CHRISTMAS CAROL = è il canto di Natale di Dickens, per chi magari non lo sapesse. Perché ho scelto questo titolo? Beh, non è evidente, perciò delucidation... prima di tutto, anche questa è una storia di  Natale, in fondo. In secondo luogo, perché come nel Canto di Natale avviene una cosa particolare: più voci parlano di passato, presente e futuro.
Citazioni colte, eh?

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=894497