Castle's Godfather di _diana87 (/viewuser.php?uid=13963)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trailer ***
Capitolo 2: *** Family comes first ***
Capitolo 3: *** I'm gonna make him an offer he can't refuse. ***
Capitolo 4: *** Watch your back ***
Capitolo 5: *** Redemption ***
Capitolo 6: *** Honour thy father and thy mother ***
Capitolo 7: *** Thou shall not kill ***
Capitolo 8: *** Before the devil knows you're dead. ***
Capitolo 9: *** A family stays together. ***
Capitolo 10: *** Calvary (part 1) ***
Capitolo 11: *** Calvary (part II) ***
Capitolo 12: *** Blood ties. ***
Capitolo 13: *** Rise. ***
Capitolo 14: *** The Godfather. ***
Capitolo 1 *** Trailer ***
Nuova pagina 1
Volevo
scrivere una storia diversa, ma ho pensato, quale cosa migliore di un continuo
di "Gangasta's Paradise"?
Era nell'aria da parecchio, ed ora ecco qui
la storia.
Ovviamente non ricalcherà tutto il film, sennò facciamo il 2020,
quindi diciamo che è solo ispirato XD
Un
primo assaggio lo trovate con questo teaser, il resto della fanfic attenderà
invece! XD
Leggete
(ma sopratutto guardate) e fatemi sapere che ne pensate... buona lettura!! :)
The
Godfather
Teaser.
http://www.youtube.com/watch?v=XlhR1WJjfGA
Alexander
Castle.
Katherine
Castle Beckett.
Javier
Esposito.
Kevin
Ryan.
Martha
Rodgers.
Alexis
Castle.
Lanie
Parish.
Stavolta
Castle incontrerà suo padre, Don Vito Provenzano.
E
dovrà prendere delle decisioni che non potrà rifiutare.
"La
famiglia al primo posto."
"Onora tuo padre e tua madre."
Prossimamente
su EFP.
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Capitolo 2 *** Family comes first ***
Family comes first
Family
comes first
INCIPIT.
"Io
credo nell'America.
L'America fece la mia fortuna.
E io crescevo mia figghia
comu n'americana,
e ci detti libertà,
ma ci insegnavano puro a non disonorare
la famiglia."
["Il
Padrino"]
La
nebbia della sera iniziava ad addensarsi sulla New York del 1940.
La
gente era frenetica; la borsa era alle stelle, gli economisti urlavano a
squarciagola "Compro, vendo", quasi come se volessero dimenticare il
crollo finanziario di quel terribile 1929. Perchè l'America facilmente
dimenticava le proprie ferite, però si cercava di andare avanti.
Come
quando un americano sentiva le notizie alla radio a proposito della guerra.
Oppure
una mamma che, tenendo in mano una catenina con un crocefisso, pregava e
ascoltava trepidante la lista dei caduti in guerra, sperando che non ci fosse il
proprio figlio incluso.
Altrove,
i bambini ascoltavano la radio solo perchè era l'unica fonte di
intrattenimento, oltre i giocattoli: un cavalluccio a dondolo di legno, un
pallone mal ridotto, o un piccolo flauto in legno.
Ma
per ogni newyorkese la sera era il momento per rilassarsi nella propria casa,
dopo una dura giornata di lavoro, e riabbracciare la famiglia con prole al
seguito.
"Sono
a casa!!" l'uomo dal sorriso sgargiante superò la soglia di casa,
chiudendo la porta alle sue spalle.
Velocemente
posò il cappello color sabbia sull'attaccapanni, e a rispondere al suo saluto
arrivò una ragazzina di sei anni circa, con un buffo cappellino con una piuma
che le andava decisamente troppo grande.
L'uomo
sorrise e prese in braccio la figlia.
"Ecco
la mia piccola detective... come sta la mia Johanna?" le sistemò il
cappello per vedere meglio il suo bel viso.
Occhi
azzurri come suo padre e capelli lunghi e ondulati come sua madre.
"Beneee
oggi io e la mamma abbiamo fatto una torta di ciliege!"
"Uhmm la mia preferita!"
"Su questo non c'erano dubbi, Alexander Castle." la donna prima
nominata si avvicinò al marito, sguardo seducente e braccia conserte,
aspettandosi un bacio.
Alexander
sorrise, scrutando la dea che aveva davanti, poi lasciò andare la piccola
Johanna, che corse in cucina seguendo l'odore della cena che la nonna Martha
stava preparando.
"Signora
Castle... vi trovo bene... avete comprato un nuovo vestito?" disse
avvicinandosi a sua moglie, che indossava un bel vestito nuovo, in effetti, un
grigio perla a maniche corte, stretto ai fianchi e che le calzava fino al
ginocchio. Per completare il tutto, delle perle intorno al collo che le
scendevano incastrandosi a formare una specie di fiocco sopra il seno.
"Sì,
gli affari vanno bene, signor Castle, e vostra moglie ne approfitta per fare
spese!"
"E fate bene!"
Ormai
erano vicini, lui la prese per la vita, le fece fare un casquette, causandole
una risata per il solletico, poi la riportò sopra e la baciò
appassionatamente.
Lei
allungò le braccia intorno al collo del marito, assaporando il suo dolce
profumo, mentre gli toccava quel capelli sempre un po' sbarazzini.
"Se
avete finito, c'è la cena pronta!" Alexis, la figlia naturale di Castle,
fece capolino dalla cucina con una smorfia, e fece staccare i due.
"V-veniamo."
rispose Alexander, che ancora doveva riprendersi dal bacio.
Kate
si limitava a tossire trattenendo una risatina.
La
tavola era imbandita a nozze: un primo piatto di spaghetti con i gamberi,
insalata russa, polpette di carne e un dessert di dolci assortiti che Martha
tirò fuori dal frigo, canticchiando tra sé.
Gli
altri iniziarono a sedersi.
Alexander
osservava le donne della sua vita tutte sedute intorno: fino a dieci anni fa non
si sarebbe immaginato una scena del genere. Ora aveva una famiglia al completo,
tutta intorno a lui.
"Non
avevi la cena coi tuoi agenti al distretto?" gli chiese Kate, iniziando a
servire ai tavoli.
"Sì ma ho detto che dovevo ritornare a casa per stare con voi."
"Tesoro, come sei dolce." gli toccò la guancia, facendogli un
pizzicotto, che fece sorridere Martha e ridere le altre due figlie.
Castle sorrise prima a sua moglie, poi al resto delle donne.
"La famiglia al primo posto."
Tutti si voltarono di scatto quando sentirono un rumore di piatti rotti. Martha
aveva fatto cadere l'insalatiera e tutta la verdura era caduta a terra.
Impassibile, la donna continuava a guardare il figlio e boccheggiare... era
inutile, le parole non le uscivano.
"Nonna,
stai bene?"
Kate
fece segno ad Alexis di andare ad aiutare Martha, che al momento non riusciva a
staccare gli occhi di dosso dal figlio. Lo guardava: Alexander aveva i capelli
tirati indietro, e per un attimo le era sembrato che portasse uno smoking nero
con le strisce grigie, e un fazzoletto rosso sulla tasca esterna della giacca.
Sotto al vestito una camicia. Quell'immagine non riusciva a togliersela dalla
testa... malediva se stessa e si chiedeva, perchè proprio ora?
Velocemente,
Kate ed Alexis pulirono a terra, raccogliendo i cocci rotti, e poi aiutarono
Martha a sedersi pian piano.
La
donna stava tremando, e Castle era davvero preoccupato.
La
piccola Johanna, ingenuamente, offrì alla nonna un fazzoletto per pulirsi il
viso, che Martha accettò, riprendendo fiato.
"Madre, cosa ti turba?"
"Oh, niente, Alexander... solo che... quella frase che hai detto... l'ho
già sentita da qualcun altro."
"...qualcuno che ti turba?" azzardò Kate, guardando prima Alexander e
poi Martha.
La donna sospirò e cambiò subito argomento.
"Perchè non iniziate a sedervi? C'è una tavola imbandita solo per
voi!" disse sorridendo e indicando i piatti a tavola.
Kate
ed Alexander continuavano a scambiarsi sguardi: c'era qualcosa che non andava in
Martha.
La
cena fu deliziosa. Johanna aveva mangiato così tanto che si era addormentata
sul foglio dei disegni che stava colorando; Alexis aveva portata sua sorella in
camera e alla fine si era addormentata anche lei.
Martha
se ne stava seduta sul divano col bicchiere di vino rosso tra le mani. Scrutava
il bicchiere alla ricerca di un perchè, di un segno, di una risposta dal
destino.
Kate
la osservava dalla cucina e chiedeva ad Alexander di indagare.
"Tua
madre mi preoccupa... non l'ho mai vista così... cosa le sarà successo?"
"Ripercorriamo la scena..."
Alexander
mise la mano sotto al mento, col segno di pensare. Questo gesto faceva sempre
ridere Katherine. Ma in quel momento non c'era così tanto da ridere.
"Cosa
ho detto che l'ha fatta immobilizzare?"
"Stavi dicendo che questa sera c'era la cena con gli altri agenti al
distretto, ma che preferivi tornare a casa e stare con noi."
"Giusto. Poi ho detto... la famiglia al primo posto..."
"La famiglia al primo posto..." ripetè Katherine a manetta.
"Tesoro, vai a parlare con tua madre... lei saprà dirti qualcosa... forse
abbiamo mosso in lei qualche ricordo che pensava di aver dimenticato..."
L'uomo
sospirò.
"Il
guaio Katherine è dopo anni a fare la spia e poi l'attrice, molto spesso mia
madre non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia."
"Madre,
tutto okay?"
Martha si voltò di soprassalto, e per poco non fece cadere anche il bicchiere a
terra.
"Oh,
Alexander! Mi hai spaventata..."
"Eri soprapensiero?" azzardò lui, quasi timoroso, quasi per paura di
una sua risposta, scrutandolo nei occhi che mai prima di allora gli erano parsi
così spenti.
"No,
no, carooo... mi sento beniiiiiissiiiiimo!"
Quelle
vocali così stonate... quella voce così stridula.. Alexander Castle iniziò a
temere per la salute mentale di sua madre.
Del
resto, Martha non era più agile come quando aveva 40 anni... Martha si
avvicinava ai 65. Dolcemente, sua madre lo prese per mano, rassicurandolo.
"Tesoro,
guardami... è solo stanchezza, okay? Non aver paura dei miei mancamenti..."
"Allora
perchè hai reagito in quel modo a quella mia frase? La famiglia al primo
posto..."
"Alexander,
quelle parole mi hanno ricordato tuo padre."
Gli
occhi di Castle s'illuminarono e gli tornò alla memoria un evento risalente a
trent'anni prima.
"Me
ne vado di casa, Martha..."
"Come te ne vai? E che ne sarà di me, di tuo figlio Richard??"
"Voi
siete la ragione per la quale i miei sogni sono andati a fottersi, Martha!! Mi
avete rovinato la vita!!"
"No, tesoro, ti prego non andare via... ti prego..."
I
ricordi erano troppo sbiaditi... Alexander Castle all'epoca era ancora Richard
Castiel, il suo passato che aveva dimenticato, o almeno così pensava, ma che
puntualmente sembrava tornare a bussare alle porte del suo cuore.
Ormai
tutti si erano abituati a chiamarlo 'Alexander', perfino sua madre.
"Ma
madre... tu mi hai sempre detto che... mio padre se ne è andato per seguire una
band di suonatori di blues..."
"E così è stato, tesoro... ma abbiamo perso ogni contatto con lui, come
sai.."
"Se la famiglia era così importante per lui, perchè se ne è
andato?"
Martha indugiò, roteò gli occhi, come se cercasse un segno dal cielo. Invece
aprì solo un fulmine a ciel sereno.
"Era
importante, Alexander... lo era."
Ora fu il turno dell'uomo prendere la mano di sua madre e stringerla forte.
"Madre,
ti giuro che mai e poi mai diventerò come mio padre. Un uomo bugiardo come lui,
non merita il mio rispetto. Anzi, sono contento che se ne sia andato... spero
sia morto!"
"Alexander Castle! Non parlare così di tuo padre!"
"Mio
padre è morto per quel che mi riguarda."
Martha
fece una strana espressione, che il figlio per fortuna non notò. Da un lato
accennò un sorriso, poi si voltò a 34, trattenendo una lacrima, infine si
alzò dal divano e con passo deciso, andò a prendere la sua borsa, tirando
fuori un foglio, che porse ad Alexander.
Il
foglio era fatto di una filigrana particolare. Quando Alexander lo aprì, lesse
un invito a quello che apparentemente era un matrimonio, scritte con caratteri
delicati, tutti ricamati.
"Santina
Provenzano? E chi sarebbe?"
"E' la figlia di un mio ex collega di teatro... si sposa questa domenica e
siamo invitati... oh, Alexander, almeno evadiamo da questa vita e per un attimo
facciamo i mondani!"
"Non è che mi cacciano perchè sono della polizia? Sai questi nomi
italiani... mi ricordano una sola cosa: si chiama mafia."
Martha
rise di gran gusto. Anzi, a dire il vero sembrava piuttosto imbarazzata dalla
'perspicacia' del figlio.
"Non
essere sciocco... non tutti gli italiani sono dei mafiosi! Forza, è ora di
andare a dormire che si è fatto tardi. Domani si va a cercare il vestito per la
cerimonia!"
"Ma io non---"
La
donna allegramente si alzò dal divano, spalancando le braccia: era partita
nella fase di recitazione.
"Ci
penserai domani, tesoro, dopo tutto domani è un altro giorno!" disse in
lontananza, essendosi già avvicinata alla sua stanza.
Alexander
sorrise, guardando l'invito di matrimonio e pensò ai cambi d'umore di sua
madre.
Quella
donna non cambiava mai. Forse, anzi, stava peggiorando con l'età.
"E
ti pare che non mi citava Via col vento..."
Angoletto
dell'autrice poco sana di mente:
allora
che ve ne pare?
Ho
abbastanza attirato la vostra attenzione, curiosità??
Se
volete sapere altro, chiedete pure e sarà fatto :D
Ah
ringrazio beside_real per il poster che purtroppo non mi carica qui, quindi
potete vederlo a questo link: http://angrylittleprincess.tumblr.com/post/15770753092/heres-the-link-of-my-fanfic-castles-godfather
*-*
Hasta la vista!
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Capitolo 3 *** I'm gonna make him an offer he can't refuse. ***
I'm gonna make him an offer he can't refuse
Vorrei
scusarmi per l'enoooooorme ritardo! XD
ho
avuto dei problemi e non riuscivo a scrivere... ora sono tornata e non mi ferma
più nessuno! XD
spero
che il capitolo sia di vostro gradimento :)
I'm
gonna make him an offer he can't refuse.
"Perchè
un uomo che sta troppo poco con la famiglia
non
sarà mai un vero uomo."
Il
tipico matrimonio all'italiana si componeva di un ricevimento della durata di 12
ore.
Sopratutto
se la famiglia interessata era ricca e aveva molti contatti.
Alexander
Castle era sempre stato un tipo solitario, e giurava di non aver mai presenziato
ad un ricevimento di nozze... il primo ed unico al quale era stato presente fu
il suo.
Vestita
corredato a sua moglie. Lui in un completo nero gessato con cravatta viola e un
fazzoletto grigio sul taschino destro della giacca. Katherine indossava un
vestito di seta leggero color viola, che scendeva morbido sul suo corpo, poco
scollato, capelli tirati in su da un chiffon, e cappello grande dello stesso
colore del vestito.
Passeggiavano
sotto braccio tra quella folla di persone, tutte sconosciute per loro. Essi poi
stavano zitti quando li vedevano, si facevano certi sguardi tra di loro... poi
però tornavano ai loro discorsi, generalmente basati sui soldi e sugli affari.
Al
contrario, Martha si aggirava tra la folla sfarzosa come non mai. Sembrava in
qualche modo a suo agio tra quella gente. Si era seduta ad un tavolo insieme ad
altre quattro persone, due donne e due uomini, e se la rideva allegramente.
Probabilmente erano suoi vecchi amici di teatro.
"Tesoro,
sei troppo rigido..." Katherine stringeva il braccio di Alexander, cercando
di riportarlo coi piedi per terra. "Lascia il tuo istinto da poliziotto
fuori, almeno per oggi." e finiva per sorridergli come sempre, rassicurando
il freddo istinto di Castle.
L'uomo
guardò la sua donna: si ricordò di essere fortunato ad averla. Era la sua
dolce metà, il suo opposto che riusciva sempre a tranquillizzarlo in certe
situazioni.
Alexis
era rimasta a casa a badare a Johanna. Alexander le aveva spiegato come
accendere la radio e come cambiare canale... se si sarebbero annoiate con i
giochi e con i libri, avrebbero potuto utilizzare quegli apparecchi tecnologici
che Martha tanto odiava perchè "distraevano le persone dai rapporti
umani."
Poco
lontano, in una stanza in penombra, un uomo stava seduto sulla sua comoda
poltrona di pino con rifiniture dorate, ad osservare fuori dalla sua finestra.
Vicino
a lui, quello che sembrava il suo braccio destro: un uomo alto, forse di
nazionalità dell'Europa dell'est.
Davanti
a lui, altri due uomini più giovani italo-americani, che apparentemente si somigliavano tra
loro, avendo simili lineamenti del viso, occhi chiari e capelli scuri.
L'uomo
seduto sulla poltrona si voltò e giocherellava con le mani, scrutando un quinto
uomo sconosciuto agli altri presenti nella stanza.
"Demmings...
Demmings... cosa devo fare con te, eh?" parlò finalmente l'uomo, con un
accento siciliano.
Tom
Demmings, giovane americano, era intimorito al cospetto di questa figura
paternale. Sudava. Gli sudavano le mani.
Gli
altri squadravano il giovane e intanto facevano a pugni con le mani tra di loro.
Uno degli italo-americani sputò una cicca di sigaretta a terra. Demmings si
voltò verso quel tizio; spaventato, poteva sentire un odore acre... se la stava
facendo addosso.
Come
era arrivato a fare patti con la mafia? Come aveva fatto a cacciarsi in quella
situazione?
La
colpa era la sua. La polizia non l'aveva voluto, e lui era stato costretto a
scendere a patti con degli strozzini per avere dei soldi. E ora questi lo
minacciavano. Rivolgersi ad una famiglia potente come quella dei Provenzano, era
pericoloso di quei tempi. Ma lui non aveva altra scelta.
"Non
lo so, signore... non lo so..."
"Ma io sono un uomo generoso e paziente, come sai, caro Demmings..."
il patriarca si alzò avvicinandosi a lui.
Gli
posò le mani sulle spalle, costringendolo a guardarlo negli occhi. Il patriarca
poi corrugò la fronte, confrontandolo, e gli diede un finto schiaffo sulla
faccia.
"Il
mio motto è: la famiglia al primo posto. Tu mi sembri un uomo apposto, Demmings,
perciò voglio fare un accordo con te."
Demmings
deglutì.
"Mio
figlio Sonny qui presente" e lo indicò "dice che sei un buon
tiratore...peccato che la polizia non ti abbia voluto...ma io riconosco i
piccoli talenti, e voglio darti questa possibilità." fece qualche pausa,
camminando per la stanza, mentre si sistemava quel fiore rosso che aveva nel
taschino della giacca. "C'è un tale che mi disturba... uno di quegli
italo-americani che pensa di essere meglio di me... quello mi deve dei soldi, ma
non intende farlo. Ebbene, figliolo, voglio che te ne sbarazzi, capito mi hai?
Tre, quattro colpi di pistola... bang bang e... morto!" rise, costringendo
anche gli altri presenti a fare lo stesso.
Circondendo,
Demmings rideva nervosamente.
"E
per quanto riguarda il mio debito con quello della 34esima?"
Il
patriarca prese il sigaro che aveva abbandonato sul tavolo, invitò il suo
braccio destro ad accenderlo, e poi lo guardò.
"Gli
farò un'offerta che non potrà rifiutare."
La
musica impazziva, e Katherine non sapeva resistere. Così aveva coinvolto anche
il suo scontroso marito a ballare.
Alexander
sembrava un tronco; troppo ansioso e sotto pressione.
Non
si capiva se perchè ballava di fronte a tante persone, oppure perchè era in
presenza di una dea come sua moglie.
Poco
distante, Martha chiacchierava allegramente con delle persone, ex attori di
teatro, poi notò la giovane sposa, Santina Provenzano, e attirò la sua
attenzione, sventolando la mano.
Solo
che si girarono tutti verso la sua direzione. Decisamente se voleva attirare
l'attenzione, c'era riuscita.
"Santina,
Santina!"
La
giovane donna sui 25, alta, mora e viso ben panciuto e scuro, tipico dei
meridionali del Sud Italia, si rivolse raggiante verso Martha.
In
principio non la riconobbe, per educazione ricambiò il saluto, poi appena mise
a fuoco, identificò quel viso che non vedeva da troppo tempo.
"Martha!
Martha Rodgers! Oh mio Dio è passato tanto di quel tempo!"
"Eh sì, tu eri una bambina, tesoro... invece guardati ora! Auguri per il
tuo matrimonio!"
Si abbracciarono con calore e questo fu un particolare che non sfuggì a Castle.
Katherine
tornò ad attirare l'attenzione del suo consorte, voltandogli il viso.
"Signor
Castle... vorrei precisarvi che è tutto oggi che guardate solo vostra madre...
mentre la vostra sexy moglie viene ignorata... e non sapete cosa si
perde..." gli sussurrò nell'orecchio e con un tocco di eleganza, scostò
di poco la gamba, lasciando intravedere la caviglia e poi mezza gamba, che
strusciò verso di lui facendo rabbrividire.
La
folla di gente, specialmente le persone anziane, si scandalizzarono da quella
scena... guai se una donna mostrava troppo parti del suo corpo nude! Qualcuna
addirittura si faceva il segno della croce, tornando a mettersi il velo sulla
testa e prendendo un crocefisso in mano.
"Ho
sentito dire che le donne del Sud Italia tengono molto alle tradizioni..."
gli sussurrò Castle, e Katherine dovette rimettersi composta per poi sorridere
al suo uomo.
"Fortunatamente
tua moglie non è di quel genere! E ora vai a prendermi qualcosa da bere!"
e gli diede una pacca sul sedere, facendo di nuovo disgustare quelle vecchiette!
Katherine
era divertita. Quando c'era qualcosa di diverso, di originale, Katherine era
incuriosita e interessata, mantenendo sempre una certa discrezione. Ma quel
mondo troppo perfetto a cui stava assistendo non le piaceva, anzi, le puzzava di
marcio.
Alexander
Castle si diresse verso il buffet e fece riempire due bicchieri del miglior vino
bianco dal cameriere. Mentre teneva in mano i bicchieri, andò ad urtare contro
due tipi, gli stessi italo-americani che si trovavano nella stanza del patriarca
della famiglia.
"Ehi,
sta' attento dove vai... rincoglionito!"
"Sta'
tranquillo, Sonny... non lo vedi? Puzza di sbirro!"
Castle
si mantenne tranquillo, non doveva dargli corda. Non capiva precisamente cosa
dicessero perchè il loro dialetto si mischiava con la lingua corrente, ma non
gli piacevano quelle parole rozze che sentiva.
Chiese
permesso, ma quei due non si muovevano.
"Vuole
fare l'eroe, n'é vero, Sasà?"
"Ma
noi non vogliamo la gente che fa l'eroe, Sonny..."
I
due si posizionarono davanti a Castle facendogli muro.
La
situazione era un tantino tesa.
Cortesemente,
chiese di nuovo permesso, ma ricevette un pugno come risposta, che lo fece
cadere contro il tavolo, trasportandosi addosso tovaglia, bicchieri e cameriere.
La
musica si interruppe, gli invitati smisero di ballare, così come gli sposi, che
si precipitarono in prima fila per vedere cos'era successo.
Katherine
e Martha furono sorprese nel vedere Alexander coinvolto nella rissa.
"Torna
a casa, sporco poliziotto..."
Sonny
gli sputò addosso, prima di andarsene seguito da Sasà.
Castle
non resse più. Si rialzò da terra, e preso da uno scatto di ira, li chiamò,
mise le mani sulle loro spalle, e tirò un pugno prima ad uno, poi all'altro.
"Alexander!!"
Katherine accorse per fermarlo, prima che lui potesse continuare a fare
violenza.
"Hanno
iniziato loro!"
"Smettila,
non mi pare il caso adesso..." lo teneva fermo per la giacca, mentre lui
continuava a fare la faccia arrabbiata.
Anche
la sposa accorse verso i fratelli.
"Che
succede qui? Sonny, Sasà... se papà sapesse costa state combinando..."
I
due però se la ridevano e fecero segno ad Alexander che l'avrebbero tenuto
d'occhio.
"Che
avete da guardare? Forza, è un matrimonio... la festa continua!" lo sposo,
Michael, fischiò e l'orchestra riprese a suonare, come se nulla fosse successo.
Da
lontano, il patriarca dei Provenzano, aveva assistito alla scena circospetto.
Avvicinò il suo braccio destro con un cenno della mano.
"Chi
è quel tizio che ha fatto a pugni con Sonny e Sasà? Lo conosco?"
"E' il figlio di Martha Rodgers, signor Provenzano. Si chiama Alexander
Castle."
"Castle. Alexander Castle..."
Ripeteva
quel nome più volte, guardando Alexander e pensando che forse era giunto il
momento di farsi avanti e di rivelargli chi era veramente.
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Capitolo 4 *** Watch your back ***
Watch your back
Watch
your back
"In
vita mia non ho fatto che prevedere ogni pericolo.
Le
donne possono essere imprudenti,
ma
l'uomo no."
Sigaretta
nella mano destra e wisky nella mano sinistra.
Erano
passati tre giorni da quel "piccolo" incidente al matrimonio dei
Provenzano.
Alexander
Castle era subito tornato al lavoro, ferreo e più severo che mai.
Si
era messo in testa di scoprire qualcosa di più su quella famiglia
italo-americana, perchè non doveva sottovalutare il detto "tutti gli
italiani non sono mafiosi."
Stava
seduto, poi si alzava dalla sedia della sua scrivania, in un movimento meccanico
che ormai conosceva a memoria.
I
suoi agenti, Kevin Ryan e Javier Esposito, entrarono nel suo ufficio.
"Ehi,
capo, abbiamo trovato qualcosa... questi documenti, carte d'identità e diversi
passaporti."
Il
cubano glieli porse, poi Alexander li fece accomodare davanti a lui. Il rapporto
tra lui e i suoi agenti era cambiato. Se qualche anno fa lui preferiva
controllare quelle prove da solo, nel buio della sua stanza, ora una mano gli
era più che utile. Sopratutto se si trattava dei suoi due uomini più fidati.
Anche
i due si erano rifatti una vita, una volta aver fatto la loro parte nella lotta
contro il crimine organizzato.
Esposito
aveva sposato Lanie, la segretaria del distretto, poco dopo il matrimonio di
Alexander e Katherine. La coppia aveva poi avuto una bambina, Roxanne, e avevano
facilmente trovato un appartamento più confortevole per la piccola famigliola,
situato a pochi metri dal centro città.
Ryan
fu l'ultimo a sistemarsi. Circa un anno fa, conobbe Jennifer, una bionda
cameriera che si guadagnava da vivere servendo i ricchi di un ristorante di
lusso. Fu amore a prima vista, e nel giro di pochi mesi, i due si sposarono.
La
nascita dell'FBI, il bureau federale degli Stati Uniti, aiutò la polizia
nazionale a mobilitarsi. Tuttavia, il potere restava nelle mani dei più ricchi
e di quelli più insospettabili.
"Vito
Provenzano, di anni 65, da circa un trentennio gestisce il crimine organizzato
di Little Italy." Esposito leggeva i documenti che aveva sotto mano, mentre
Castle e Ryan ascoltavano attentamente. "Ha ereditato la fortuna dal padre,
e si fa chiamare tra i suoi seguaci Il Padrino, proprio per il suo modo di
essere sempre presente con chi lo rispetta, di garantire protezione, e fare
regali a chi ne è degno. Il suo potere non è basato tanto sui soldi, quanto
sulla violenza e sull'amicizia che elargisce a chi gli chiede favori, ma
pretende che sia ricambiata in maniera assoluta. E' questo che gli ha permesso
di allargare il suo territorio e di rimanere intoccabile con una grande rete di
conoscenze potenti."
"Uhmmm..."
Alexander era perso tra i suoi pensieri.
Osservava
la foto di questo individuo e non poteva fare a meno di delineare il suo
profilo. Zigomi alti, stempiato, occhi chiari e azzurri, proprio come i suoi.
Avrebbe tanto voluto un incontro con questo Vito Provenzano, per capire la sua
mentalità. Era come se in quella foto, "Il Padrino" lo stesse
osservando...
"A
cosa pensi, capo?" chiese Ryan, interrompendo i suoi pensieri.
L'irlandese,
sempre un po' timoroso nel rivolgere parola al suo superiore, cercò di
sventolare un foglio davanti a lui, attirando la sua attenzione.
"Sei
ancora tra noi?"
"Sì scusate, stavo pensando... Voi sapete che un paio di giorni fa ero al
matrimonio di sua figlia, vero? Ebbene, mia madre conosce Provenzano e la sua
famiglia. Se riuscissi a trovare qualche informazione da lei, forse potrei
capire i punti deboli del boss... Sì, farò proprio così."
Si
alzò dalla sua sedia, prese l'impermeabile color sabbia, il cappello e uscì
dal suo ufficio, senza dir niente ai suoi due agenti, che si guardarono in
faccia un po' sorpresi.
"Ci
vediamo domani, capo!!" urlò Ryan salutando con la mano verso quella
sagoma che usciva dal distretto.
Alexander
sapeva che doveva confrontarsi con sua madre. Prima o poi sapeva che sarebbe
arrivato quel giorno. Ma del resto, che cosa sapeva esattamente di lei? Solo
ricordi di quando lui era un bambino, quasi adolescente, ma non era mai in casa,
quindi non poteva dire per certo come si comportava Martha nei suoi confronti.
Sapeva che suo padre li aveva abbandonati, e che Martha si era rimboccata le
maniche, lavorando nelle piantagioni insieme alle altre donne, lavorando in
teatro, per portare almeno la sera, il pane in tavola.
Poi
era sparita e anche lui era sparito. Si erano ritrovati 8 anni fa, nel bel mezzo
di un'indagine e lei, nel frattempo, era diventata una spia del governo. Cosa
fosse successo in quell'arco di tempo, lui non lo aveva ben capito.
"Sono
a casa!" entrò e venne travolta dall'entusiasmo della piccola Johanna, che
gli saltò addosso.
"Papà,
papà!! Sei tornato!!"
Johanna
era eccitata e mostrò a suo padre un giradischi che Katherine aveva comprato.
"Wow,
è bellissimo, tesoro!"
"Siiiiii adesso posso ascoltare tutto quello che vogliooooo!!" la
bambina continuava a saltellare tra le braccia del padre che l'avvolgevano, non
accorgendosi che quell'abbraccio ora stava diventando sempre più rigido...
Alexander aveva davanti a sé sua madre.
Lui
con lo sguardo gelido, mollò la presa di sua figlia, mentre Martha sentiva di
essere in colpa, ma da brava attrice, negò l'apparenza, posando il bicchiere di
liquore che aveva in mano.
"Tesoro,
finalmente sei tornato a casa! Diventerai vecchio sempre chiuso in
quell'ufficio..." gli si avvicinò per togliergli l'impermeabile, ma lui la
bloccò.
"Madre
dobbiamo parlare."
Tra
madre e figlio era sceso un gelo e chiunque fosse stato là poteva intuire che
facesse più freddo. Martha indicò al figlio i due divanetti dove potevano
sedersi e parlare, senza che il resto della famiglia potesse sentire.
"Va
bene.."
Nel
frattempo, Katherine era uscita dalla cucina, dove tutta orgogliosa, aveva
preparato uno stufato da sola. Dirigendosi verso l'ingresso, convinta di trovare
suo marito, si sorprese nel vedere il suo impermeabile e il cappello, mentre di
Alexander non c'era nessuna traccia. Vide Johanna che giocherellava col
giradischi e le chiese dov'era suo padre. La piccola indicò silenziosamente il
papà e la nonna, seduti sui divanetti.
I
due erano molto seri e questo non poteva significare nulla di buono..
"Tu
sapevi chi erano i Provenzano prima di andare al matrimonio, vero? Perchè mi
hai mentito? Chi è Vito Provenzano?"
"Mi stai tempestando di domande, concedi un po' di tregua a una povera
vecchia..."
Castle
e Martha erano uno di fronte l'altra. Lui con l'aspetto interrogatorio, lei con
una mano sulla fronte e l'altra lasciata a penzoloni. Era stressata.
"Ho
aspettato trent'anni, non posso più attendere! Non è un vecchio attore di
teatro, vero...?"
"Alexander, quell'uomo è tuo padre!..."
Finchè
esplose. La bomba fu sganciata. E proseguì senza dare tregua al detective.
Sull'uscio
della stanza, Katherine ascoltava e stava zitta, trattenendosi dal non urlare
con una mano sulla bocca.
Martha
prese le mani del figlio, che non riusciva a parlare... non riusciva ancora a
realizzare la cosa.
"Ti ho detto che tuo padre se ne era
andato per seguire la musica, la sua passione... ma non era così..."
Castle
boccheggiava. Gli uscirono parole senza senso, finché le collegò e sembrarono
frasi sensate. Discostò le mani della madre.
Quello
di cui aveva bisogno ora non era un conforto, ma delle spiegazioni.
"Come
hai potuto... mentirmi?... Tenermi nascosta una cosa simile?"
Dall'uscio
della porta, Johanna raggiunse Katherine, tirando la gonna lunga della mamma per
avere attenzione.
"Mamma,
che fanno papà e la nonna?"
Katherine
dolcemente le sorrise e quando si sentì osservata dal marito, prese la mano
della figlia e la condusse in cucina.
"Andiamo
dillà, Johanna... il papà e la nonna devono parlare..."
Martha
stava per scoppiare in lacrime.
"L'ho
fatto per proteggere la famiglia! Per proteggere te! Non volevo che tu avessi la
stessa vita sua!! Non potevo certo dirti che lui invece era diventato uno dei
boss malavitosi più potenti del paese! E io ho fatto la spia, nascondendomi,
per scovare anche lui! Ti prego, Alexander, cerca di capirmi..."
"No,
non posso più..."
Non
riconosceva più sua madre.
Non
voleva avere più nulla che fare con lei.
Il
sol pensiero di stare seduto vicino a lei lo faceva infuriare.
Perciò
si alzò, passeggiando nervosamente.
"Sono
tua madre, non puoi farmi questo!"
Di nuovo quello sguardo gelido, di nuovo il vecchio Alexander Castle.
"Io...non so più chi sono ora."
La
cena si era ormai raffreddata. Castle non aveva voluto mangiare, si era
rinchiuso nel suo silenzio a contemplare.
Ci
voleva il delicato tocco di Katherine per calmarlo.
Quando
gli si avvicinò, Alexander era seduto sul bordo del letto a guardare vecchie
fotografie. Katherine salì sul letto, si mise a cavalcioni dietro di lui. Gli
passò le mani sulle spalle per massaggiarle, poi lo baciò sul collo.
"Ehi,
Alex... tutto okay?"
"Ti sembra che vada tutto okay?"
Quella risposta fredda la bloccarono. Alexander si scostò anche da lei. Non era
in vena di dolcezza quella sera.
Il
suo mondo era stato sconvolto nel giro di pochi giorni.
Guardò
Katherine che aveva il volto abbassato, chiusa tra sé, quasi vergognandosi di
essere lì. Da sotto la vestaglia poteva notare che aveva un completo intimo,
uno di quelli nuovi provenienti da Parigi che solo le donne francesi indossano.
Capendo che lei voleva solo starle vicino, sì scusò.
"Scusami,
Kate..."
"No,
scusami tu... è che... sei stato abbastanza duro con tua madre."
"Non avevo ragione?"
"Certo,
ma anche lei aveva le sue ragioni."
"La
stai proteggendo??"
Ecco
che si ricominciava da capo.
Forse
quello fu il primo litigio tra di loro.
E
a entrambi non piaceva.
"Non
sto dalla parte di nessuno, Alex! Cerco di capire la situazione e aiutare!"
"Non puoi aiutarmi, nessuno può. Dovrò indagare per conto mio, come
sempre. E confrontarmi con quest'uomo..."
Alexander
era diventato freddo e cinico. Aveva le sue ragioni, le stesse che il cuore non
poteva comprendere.
Neanche
l'amore della sua donna potevano aiutarlo ad affrontare una simile confessione
sulla sua vita.
In
tutta la sua vita si era sempre guardato le spalle da chiunque, impedendo agli
altri di avvicinarsi a lui.
Era
questo sistema che lo aveva mandato avanti; lui da solo contro il mondo.
Un
mondo la qual speranza la vedeva solo nel diventare un gangster.
E
se avesse sbagliato tutto nella sua vita finora?
Doveva
prendere una boccata d'aria, quindi uscì in fretta dalla stanza per avvicinarsi
alla porta d'ingresso.
Era
mezzanotte passata, ma a lui non importava.
"Sta'
attento... Ti amo." Kate riuscì a sussurrare, ma quelle parole non
arrivarono mai alle orecchie di Alexander, ormai troppo lontano per ascoltare
romanticherie e dolcezze.
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Capitolo 5 *** Redemption ***
Watch your back
Salve!!
Volevo scusarmi per l'enorme ritardo, ma causa uni e altri impegni, non ho
potuto aggiornare...
Spero
che almeno il capitolo sia di vostro gradimento!! :)
Enjoy
:)
Redemption
"Il
legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,
ma
quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.
Di
rado gli appartenenti ad una stessa famiglia
crescono
sotto lo stesso tetto."
[Richard
Bach]
Giocare
con il fuoco gli era piaciuto, ma era troppo tempo che non osava farlo.
Quando
era più giovane, sapeva di avere a che fare con una tela di bugie, partendo da
sua madre, ma non ci aveva mai fatto caso.
Era
sempre andato dritto e convinto per la sua strada, convinto che nella vita fosse
importante solo fare soldi, stare con le donne ed essere importanti.
Il
paradiso dei gangster.
Gli
piaceva l'idea.
Poi
qualcosa era cambiata dal giorno in cui Katherine Bellefleur era lentamente
entrata nella sua vita, facendo capolino, pian pianino, come una piccola formica
laboriosa, si stava insinuando nel suo piccolo nido, che Alexander Castle
riteneva sicuro.
Quella
donna lo aveva cambiato e lo aveva aperto ad una nuova prospettiva.
Era
un bravo poliziotto e poteva essere il migliore.
Allora
perchè sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in ciò che stava facendo?
Quell'uomo,
quel "Padrino", lo aveva incuriosito.
Non
era più un fatto di cronaca, no.
Stavolta
la faccenda era diventata personale.
Ricordava
dove abitava la famiglia Provenzano.
Attraversata
Little Italy, nella parte meridionale di Manhattan, si percorreva una lunga
strada statale, piena di macchine e piuttosto affollata, per poi andare ad un
altro quartiere, denominato SoHo.
Non
era decisamente la parte più ricca di New York, ma neanche quella più povera.
Alexander
aveva preso un taxi, una grande rivoluzione iniziata proprio in quegli anni.
Queste macchine potevano comunicare con altre autovetture grazie a dei sistemi
radio interni, e aiutavano così la clientela a raggiungere la destinazione
desiderata. La velocità era modesta, così Alexander si era concesso il lusso
di osservare le distese pianure di verde che circondavano la campagna della
piccola cittadina. Fermò il taxista dicendo che era arrivato a destinazione.
Gli lasciò soldi più mancia, poi scese.
Tempo
per un'ultima sigaretta che gli permise di osservare l'enorme cancellata di
ferro con delle punte, che ricordava un po' quelle cancellate dei castelli
gotici. Spense il sigaro, osservò qualche statua di marmo vicino l'entrata
della villa.
Dopo
qualche attimo di esitazione, decide di bussare dal cancello.
"Guadda
qua, Sonny... il tizio co l'impermeabile..."
Sasà,
giovane rampollo con capelli tirati tutti indietro, completo grigio e fiore
all'occhiello, guardava Alexander dalla barricata della villa. Salvatore,
chiamato Sasà da amici e parenti, era il viziato figlio minore di Vito
Provenzano. A scuola non era mai andato bene, così Provenzano dovette
prendergli un maestro privato. Tuttavia, era più attratto dal gioco d'azzardo
che dalla matematica, così ben presto rinunciò anche ai libri.
Accanto
a lui, il quasi coetaneo Sonny, più stempiato di lui, occhi azzurri anche lui e pelle
maculata, gli rubò un sigaro. Sonny era di qualche anno più grande di Sasà.
Aveva un gusto per la lettura, al contrario del fratello, e s'interessava
sopratutto ai gialli. Era un po' l'orgoglio della famiglia. Tuttavia, aveva un
carattere irascibile e non sopportava gli uomini in divisa.
"Che
dici, lo facciamo entrare o lo pigliamo direttamente a botte?"
"Sonny,
Sonny... perchè devi sempre fare così?" il colosso nero si posizionò
dietro i due, facendoli sobbalzare.
Era
il braccio destro di Vito Provenzano. La sua storia era abbastanza semplice.
Dwight Conan era un ex schiavo che fuggì dai campi di New Orleans ribellandosi
al suo padrone e uccidendolo. Fu portato in carcere, ma riuscì ad uscirne
grazie a Provenzano. Il Padrino infatti, aveva notato del potenziale in Dwight e
sapeva che prima o poi gli sarebbe stato d'aiuto. Parlava la lingua dei neri del
Bronx e di New Orleans, perchè era vissuto a cavallo tra quelle due città, ma
Provenzano l'aveva accolto e "addestrato" a dovere. Sapeva che con lui
al suo fianco, come guardia del corpo, non poteva correre rischi.
Sonny
e Sasà si immobilizzarono un attimo, poi quando videro Dwight passare in mezzo
a loro e dirigersi verso la cancellata.
Stava
andando ad accogliere Castle.
Il
detective, dall'altra parte, lo guardava accigliato. Quella montagna nera
davanti a lui con quel viso apparentemente tranquillo, gli sorrideva e nel
frattempo apriva il cancello.
"Benvenuto
nella tenuta dei Provenzano, detective."
Sonny
e Sasà erano già rientrati in casa per avvisare il loro padre, il quale, non
sembrava minimamente preoccuparsi della presenza - di nuovo - di quello
"sporco sbirro" nel loro territorio.
Dwight
invece accompagnò Castle, che intanto si stava godendo la tenuta Provenzano. Un
lungo corridoio separava l'entrata dalla sala ricevimenti del Padrino. Per
quell'arco di spazio, il detective osservava quadri e statue che si alternavano
rispettivamente, dando un'atmosfera tetra. Come a voler negare l'evidenza,
ironicamente, il muro era dipinto di rosso con dei motivi dorici-stile-greco, e
per concludere un lungo tappeto persiano sul pavimento. Alexander strabuzzò gli
occhi: quel tessuto doveva esser costato un occhio della testa.
"Il
signor Provenzano vi stava aspettando..." il nero aprì la porta rivelando
quel salone in penombra, con Vito Provenzano seduto su una poltrona vecchia
d'epoca, coi margini dorati, davanti ad un tavolo, d'epoca e in legno pregiato.
Il
patriarca alzò lo sguardo e Castle incrociò il suo. Ci fu uno scambio d'intesa
tra Provenzano e Dwight, che chiuse la porta, lasciando i due faccia a faccia.
L'anziano giocherellava con le mani.
"Finalmente
ci incontriamo, detective... accomodatevi." gli indicò una sedia davanti a
sé.
Castle
non se lo fece ripetere due volte.
Quell'aria
così cupa però gli creava uno strano effetto che non gli provocava da quando
era più giovane: lo... intrigava.
Storse
la bocca, disgustato da quel pensiero.
Provenzano
gli offrì un sigaro cubano, preso dal suo cassetto, ma Alexander rifiutò anche
se a malincuore.
Il
vizio di fumare non se l'era ancora tolto, ma quello non era il momento di
lasciarsi andare.
"In
cosa posso esservi utile, detective Castle?"
Si
schiarì la voce. Cercò di aprire bocca, ma sembrava come se le parole
venissero fuori da sole.
"Sappiamo
bene perchè sono qui... mia madre vi conosce, e voi conoscete mia madre.
Altrimenti un ricco Padrino come voi non l'avrebbe mai invitata al suo
matrimonio."
Voleva
arrivare alla questione con calma.
Non
serviva a nulla arrivare direttamente al sodo.
Vito
lo squadrò: avevano gli stessi occhi azzurri e profondi come l'oceano. Poi
notò la cicatrice che aveva sulla guancia destra.
Alexander
si sentì osservato e quasi scostò il suo cappello e si alzò il bavero
dell'impermeabile, nel tentativo di coprire quella cicatrice orrenda di un
passato che non gli apparteneva più.
Un
passato che non era più suo.
Si
alzò dalla sua poltrona, passeggiando per la stanza, e colse l'occasione per
soffermarsi su uno dei quadri che gli piaceva di più: l'omicidio di Giulio
Cesare per mano di suo figlio Bruto.
"E'
vero, come posso mentirvi, figliolo? Siete un detective molto stimato, Alexander
Castle. O devo chiamarvi anche... Richard Castiel?"
Quel
nome...
Alexander
sentiva il sangue raggelarsi.
Quanto
tempo era passato da quando non lo usava più?
Troppo.
La
sua vecchia identità.
E
Vito Provenzano come faceva a conoscerla?
Doveva
andarci piano e senza farsi prendere dal panico.
Cinico,
freddo, distaccato.
"E
voi come fate a sapere queste cose?!"
"Io
so molto più di quanto TU possiate immaginare... io sono tuo padre, Richard...
ma credo che tu questo lo sappia già." posò il sigaro, e si girò verso
il detective vestito di color sabbia.
Questo
non era un film dove sua madre recitava, questa era la realtà.
"Non
vuoi chiedermi nulla, Richard?"
"Non
mi chiamo più così."
Strinse
i pugni. Li strinse sempre più forte fino quasi a farsi uscire il sangue per la
rabbia.
"Ma
è ciò che sei, che tu lo voglia o no... Ascoltami," si avvicinò a SUO
figlio "mi dispiace di avervi abbandonato... ma ero nel giro della mafia.
Quelli che seguivano Al Capone mi volevano morto, è complicata la storia... ma
sono riuscito a fuggire. Dovevo mentire a tua madre e a te, figliolo. Crearmi
una nuova vita e una nuova famiglia, proprio come te. Ma cambiare vita, non
cambia ciò che sei veramente..."
"Io
non sono come te..." ora Castle digrignò anche i denti, e si alzò in uno
scatto d'ira.
"Io
ti sto chiedendo scusa e ti sto offrendo l'opportunità di conoscermi. Di
conoscere la tua famiglia. Sapevo che il tuo destino sarebbe stato quello di
essere un gangster... lo sognavi da piccolo, e ora hai l'occasione per
redimerti... per metterti alla prova."
Adesso
padre e figlio erano uno davanti all'altro.
"Io
non lo voglio!! Ho già una famiglia, e mia madre, nonché tua ex moglie, si è
scusata con me per avermi mentito---"
"Ti
ha abbandonato, Richard! E ti ha mentito! E' tornato, è vero... ma poi ha
mentito di nuovo... su di me! Come puoi continuare a vivere nella bugia?"
Alexander
si fermò per un attimo.
Forse
quel ragionamento non faceva una piega.
Forse
dopo tutto poteva approfittare di questa situazione.
Forse...
"Richard...
tu sei mio figlio. Il figlio di un gangster. E tu sei un poliziotto. C'è
qualcosa che non va, non credi? Potresti avere quello che hai sempre voluto...
ricchezza, donne... basta che tu accetti la mia offerta."
"Non
lo farò mai. Ho già la mia famiglia."
"Una
famiglia che continua a mentirti."
"Arrivederci,
padre."
Se
ne andò, guardando quell'uomo così sconosciuto ma così improvvisamente
familiare, e scoprì quella cicatrice che prima aveva coperto.
Provenzano
lo guardò dalla sua finestra, mentre si allontanava con quell'impermeabile al
vento.
Una
cicatrice quella di Alexander, o Richard, che apparteneva ad un passato che non
gli apparteneva più.
O
quasi.
TO
BE CONTINUED...
La
grande scelta di Castle: onorare suo padre o sua madre?
Al
prossimo capitolo!
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Capitolo 6 *** Honour thy father and thy mother ***
Watch your back
Il
capitolo della svolta...
Dico
solo "buona lettura", poi si commenta alla fine XD
Honour
thy father and thy mother
"Onora
tuo padre e tua madre,
come
il Signore Dio tuo ti ha comandato,
perchè
la tua vita sia lunga
e
tu sii felice nel paese
che
il Signore tuo Dio ti dà."
[Deuteronomio
5,6-21]
Qualche
giorno più tardi, il sole a New York non era mai stato così caldo quanto i
cuori dei più indecisi, troppo presi dalle scelte.
L'atmosfera
in casa Castle non era delle migliori.
Martha
e suo figlio Alexander non si parlavano più.
Katherine
invece cercava di fare da tramite tra loro due.
Alexis,
la più matura, aveva lasciato per qualche periodo i suoi studi per stare in
casa con la sua famiglia e prendersi cura della piccola Johanna, ignara di ciò
che stava succedendo intorno a lei.
Alexander
aveva chiesto ai suoi colleghi e amici, Kevin e Javier, di aiutarlo ancora con
le ricerche di Vito Provenzano. Loro avevano acconsentito, silenziosi, senza
voler sapere nulla in cambio, e sempre fiduciosi che prima o poi, Alexander si
sarebbe confidato.
Il
trio non aveva trovato molto; qualche traffico illegale di alcool avvenuto
qualche ventennio prima, qualche elezione a Sindaco fatta vincere a persone
potenti, gioco d'azzardo... tutte attività che avevano permesso al clan
italo-americano di guadagnarsi tutta la fiducia e il rispetto che avevano ora.
Quella
mattina, tutto sembrava tranquillo a New York.
Era
una soleggiata giornata di maggio; il cielo era limpido e c'era solo qualche
automobile che circolava, nonostante fosse quasi ora di pranzo.
La
grande Mela stava ancora dormendo, quando ad un tratto...
Uno
sparo.
Due
spari.
Due
corpi a terra.
Uno
vicino all'altro.
Uno
più insanguinato dell'altro.
A
giudicare dalle posizioni dei due corpi e dall'auto nera vicino a loro, i due
erano appena usciti dal mezzo, visto che lo sportello del guidatore e quello
posteriore erano ancora aperti.
La
gente accorreva in massa per vedere "lo spettacolo". Qualche
giornalista occasionale cominciava a scattare qualche foto, contento di trovare
finalmente uno scoop per l'edizione serale del proprio giornale.
L'uomo
di carnagione scusa era sfregiato in volto. Una pallottola gli aveva trapassato
il cranio da una parte all'altra; la seconda pallottola gli aveva sfondato il
petto. Praticamente era morto sul corpo. Gli occhi ancora sbarrati... i suoi
grandi occhi bianchi.
L'altro
uomo, più anziano, giaceva a fianco del suo "compare": era più
anziano, stempiato, giacca e cravatta color grigia, fiore all'occhiello
rigorosamente rosso. La pallottola gli aveva perforato un polmone... o almeno
così sembrava. Respirava appena... era agonizzante, in un lago di sangue anche
lui. Provò ad alzare un braccio, ma lo vedeva tutto rosso.
Qualcuno
urlò "Chiamate qualcuno! E' ancora vivo!" e un alto "Deve essere
portato in ospedale!"
"Non
ti farà male stare sempre a sentire quella roba là... quella scatola
meccanica... com'è che si chiama?"
"E' una radio, nonna!"
Alexis
sorrise mentre spiegava a Martha la tecnologia moderna. La signora poi
rispondeva che ai suoi tempi non c'erano tutte quelle cose. La ragazza allora
sorrideva di nuovo, mostrando uno sguardo genuino e sincero.
Johanna
si divertiva a guardarle bisticciare.
Erano
una famiglia, che lo volevano oppure no, c'erano dei legami di sangue tra loro.
Siamo
una famiglia, si ripeteva mentalmente Katherine, osservando la scenetta
appoggiata alla porta della cucina.
Col
sorriso aperto, caldo e genuino, capelli tirati in su da una coda, grembiule
sopra il vestito color sabbia, che le arrivava sempre sotto le ginocchia, anche
lei poteva dire di farne parte.
Dopo
tutto era la signora Castle.
Stava
rientrando a casa in quella fredda serata. Cielo limpido, manco una nuvola. Era
strano come New York fosse calda durante la giornata e poi bruscamente fredda a
partire dalla sera.
Si
guardava intorno; c'erano poche persone in giro, nonostante avesse deciso di
fare una passeggiata a piedi dal distretto a casa sua.
Una
buona sigaretta lo avrebbe riscaldato, pensò. Si fermò con mano ferma sulla
sigaretta, mentre con l'altra si aiutava ad accenderla con l'ultimo fiammifero
che aveva in tasca.
Fu
allora che ne ebbe la conferma: qualcuno lo stava seguendo.
Con
passo deciso, da buon detective, aumentò la sua velocità, ma discretamente.
Al
momento opportuno avrebbe voltato quell'angolo dritto davanti a sé, li avrebbe
seminati, e poi sarebbe ricomparso dietro le loro spalle puntando la pistola.
Avrebbe
fatto esattamente così.
Invece
i due uomini dietro di lui lo chiamarono.
"Ehi
sbirro...cioè volevo dire... Castle!"
Si
bloccò sentendo degli schiamazzi. Uno si lamentava perchè l'altro gli aveva
dato un colpo alla spalla.
Erano
due persone che conosceva fin troppo bene.
"Ma
si scem, Sasà? M'hai fatto male!"
"Porta
rispetto, Sonny, in fin dei conti è nostro fratellastro!"
Alexander
si avvicinò lentamente ai due, spegnendo la sigaretta a terra. Al buio, sotto
un lampione, si vedeva solo metà del suo volto.
"Sonny.
Sasà. Perchè mi stavate seguendo?"
I
due si davano delle spinte, uno per convincere l'altro a parlare.
Castle
ci stava capendo sempre di meno, era sospettoso, e stava per prendere la sua
pistola ben nascosta sotto l'impermeabile...
"Oh
fermo, amico!" a mo' di difesa, Sasà mise avanti le braccia, mentre
l'altro le alzò in aria.
"Mi
dite che sta succedendo, allora?!"
"Nostro
padre è in ospedale." iniziò Sonny, il più bravo con le parole, visto
che leggeva molti libri.
Castle
scosse la testa.
"Un
attentato, stamattina. Dwight, il suo braccio destro è morto. Due pallottole,
una alla testa, l'altra al petto... brutto colpo... Nostro padre se l'è cavata,
per modo di dire, bene... il colpo gli ha perforato la carne vicino al polmone.
I medici l'hanno salvato per miracolo."
Con
tutte le amicizie che doveva avere Vito Provenzano, Alexander di certo non si
meravigliava se ora stava meglio e non era morto. Al contrario del suo uomo
forzuto che invece era morto sul colpo. Sicuramente l'aveva protetto e si era
beccato le pallottole peggiori.
"E
questo perchè dovrebbe interessarmi...?"
"In
fin dei conti anche lui è tuo padre..."
Sasà
aveva ragione.
"Beh
noi te l'abbiamo detto, poi... fai come ti pare..."
I
due si congedarono lasciandogli un biglietto. Vi era scritto il nome
dell'ospedale dove Provenzano era ricoverato e il numero della stanza. Castle
fermò i due fratellastri.
"Indagherò
su chi ha tentato di uccidere..." si bloccò un attimo. Quella parolina
proprio non gli usciva di bocca. I due italo-americani lo guardavano
incitandolo, un po' per malizia, un po' per sfida. Poi finalmente il detective
si maledì da solo e riuscì a terminare la frase, stringendo in mano quel
foglietto.
"...papà."
Finalmente
a casa, era felice di avere con sé una moglie stupenda che si migliorava giorno
dopo giorno con le sue delizie da tavola. Katherine era stata sempre abituata ad
essere servita e riverita, ma da quando era diventata la signora Castle, si era
messa in testa che avrebbe fatto la moglie e la mamma a tempo pieno, e questo
implicava anche il cucinare.
Un
bel piatto di pasta con pesce di ogni tipo, non era roba che si vedeva tutti i
giorni. Si sedette a tavola, mentre lei gli passò la mano da una spalla
all'altra per sistemargli il tovagliolo. Ad ogni parola che pronunciava, gli
lasciava dei baci su una guancia e sull'altra, facendolo arrossire.
"Al
marito... più bravo... e bello... del... mondo."
"E'
il mio compleanno per caso?"
Katherine
rise.
"Sono
solo contenta che la sera tu rientri a casa. Mi manchi durante il giorno."
gli sorrise posandole una mano sulla sua.
I
due vennero interrotti da Martha che fece capolino dalla porta. Katherine e sua
suocera si scambiarono degli sguardi d'intesa, poi la donna si congedò,
lasciando il marito con sua madre.
Non
si parlavano molto spesso ultimamente. Forse quella sera sarebbe stata
l'occasione per smuovere le acque.
Senza
dire nulla, Alexander le porse il foglietto dell'ospedale. Martha lesse il nome
di Vito Provenzano e collegò tutto.
"Cosa
intendi fare, tesoro?"
"Perchè
dovrei preoccuparmi di un uomo che è scomparso per 30 anni e che è ricomparso
solo ora per dirmi poi che ora è un boss della mafia?"
Aveva
tutte le ragioni possibili per non andare a trovarlo.
Iniziò
ad inforchettare quegli spaghetti avidamente, ancora troppo iracondo per
accettare la cosa.
Martha
sospirò.
"Tu
devi andarci, invece. Sei suo figlio, il suo maggiore e come tale ne hai
diritto... Non guardarmi così. Almeno vai a informarti sulle sue condizioni. Io
non verrò. Non credo voglia vedermi, Alexander..."
Anche
Martha aveva le sue buone ragioni. Lei e Vito non erano mai andati d'amore e
d'accordo fin dalla nascita di AlexanderRichard. Era sempre così quando si era
giovani e una ragazza restava incinta. Si era costretti a sposarsi per non
disonorare la famiglia, e poi questa finiva che si sfasciava.
L'indomani,
Alexander si decise a varcare la soglia dell'ospedale. Chiese all'infermiera
dove si trovasse la suddetta stanza di Provenzano, e la raggiunse. Sasà e Sonny
erano già al suo capezzale. Ad Alexander faceva pena vedere il più grande Capo
dei Capi disteso su quel letto, inerme, con occhi chiusi e un tubo che gli dava
ossigeno dalla bocca. Quell'anziano lì non sembrava manco un boss mafioso.
Istintivamente,
si tolse il cappello per rispetto, si sedette vicino a lui, e gli prese la mano.
Chissà
a cosa pensava. Forse che un contatto esterno lo risvegliasse?
Poi
i due fratellastri, lo presero in disparte, uscendo dalla stanza.
"La
situazione qui è critica, tu hai già iniziato ad indagare su chi lo voleva
morto?" disse il più giovane, Sasà, agguerrito nel voler fare a pezzi chi
aveva ridotto così il padre.
"Calmati,
Sasà... credo che Alexander ora sappia cosa fare... n'è vero??"
Lo
guardarono mettendolo alle strette.
"Aiutaci
a vendicarlo e onorarlo... fratello."
Sonny
gli posò una mano sulla spalla destra. Il detective aveva studiato i
significati tra i boss. Quello indicava che gli stavano proponendo un affare. E
che non poteva rifiutare.
Castle
impallidì. Poi non seppe perchè, ma il suo sguardo si posò in alto, su un
crocefisso che era appeso sulla porta della stanza di suo padre.
Si
ricordò uno dei comandamenti che gli imponeva di onorare il padre e la madre.
Quel
gesto, quelle parole di devozione e di rispetto...
Qualcosa
in lui scattò...
nb:
Esposito e Ryan non hanno molte scene in questi primi capitoli, ma non
disperate, avranno un ruolo molto importante più avanti!u.u
vi fidate di me, vero? XD
alla
prossima!!
|
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Capitolo 7 *** Thou shall not kill ***
Watch your back
Thou
shall not kill
"Il
vero potere non è poter uccidere,
ma
avere tutti i diritti di farlo,
e
trattenersi!"
[Schindler's
list]
La
radio del distretto annunciava che Hitler stava avanzando in Europa per
allargare di più la sua idea di Germania.
La
notizia aveva fermato tutti i poliziotti e le segretarie dal proprio lavoro.
Lanie
stringeva Javier mentre ascoltavano attentamente ogni parola del giornalista, un
corrispondente che da New York si era trasferito a Berlino per lavoro.
Kevin
invece aggiornava sua moglie Jenny per telefono. Per fortuna la nuova modernità
aveva permesso loro di potersi sentire, visto che il poliziotto passava molto
tempo in centrale, sopratutto negli ultimi tempi.
Terminata
la notizia, improvvisamente tutto si trasformava: gli agenti di polizia
riprendevano il loro posto, e così facevano le segretarie, che tornavano a
battere a macchina. Accadde come se niente fosse successo.
Lanie
fece un gran sospiro.
"Dobbiamo
fare qualcosa tutti insieme questa sera... che ne dite?" propose sottovoce
a suo marito e al suo collega.
Sembrava
che l'ombra invisibile della guerra o di qualsiasi minaccia, tenesse le persone
improvvisamente vicine.
"Sono
d'accordo. Cenetta romantica tra coppie? Dovremo dirlo al capo!" rispose
Esposito entusiasta, battendo il cinque con Ryan, anche lui consenziente
all'idea.
Già
il detective Castle. Chissà se lui e sua moglie Kate erano disponibili per
quella serata?
Il
detective entrò in ritardo al distretto, coprendosi il viso con il cappello...
per il ritardo sembrava non volersi far riconoscere.
Esposito
e Ryan lo notarono e uno fece segno all'altro di andare a proporgli l'idea.
Alla
fine toccò a Ryan.
L'irlandese
entrò silenzioso nell'ufficio di Castle, bussando alla porta che era già
aperta.
Alexander
alzò lo sguardo.
"Ehi
Ryan, novità?" poi gli fece segno di entrare e accomodarsi.
"Ehm
veramente no... in realtà io e Esposito pensavamo di cenare insieme stasera con
le nostre mogli, e ci chiedevamo se tu e la tua potevate raggiungerci... è da
tanto che non ce ne stiamo tranquilli..." concluse la frase con un tono di
malinconia quando poi guardò il detective immerso nelle solite scartoffie.
Se
anni addietro si era buttato troppo in quel caso di omicidio di quella donna, in
realtà madre di Katherine, quest'anno era troppo preso dal risolvere il suo
problema con "il Padrino".
Lui
e Javier non avevano mai posto domande finora sul suo interessamento al caso del
boss, però qualcosa avevano iniziato a sospettare...
Sicuramente
c'era di mezzo una questione personale. Ma Castle quando era preso tra i suoi
affari, raramente lasciava intravedere di essere coinvolto, peggio ancora se
c'erano di mezzo i suoi sentimenti!
Aveva
tutte le carte in regola per essere un vero detective: freddo e cinico di fronte
il pericolo. Ma quando si trattava di confidarsi con qualcuno... in quel campo
era il peggiore.
"Stasera?
Non credo proprio, Ryan... mi spiace. Ho del lavoro da fare..."
Gli
dispiaceva in fondo rinunciare ad una serata normale. E Ryan, al contrario di
Castle, lasciava intravedere le sue emozioni.
Abbassò
lo sguardo come un cucciolo abbandonato.
"Capisco...
beh, sarà per un'altra volta."
Chiuse
la porta dietro di sé e uscì.
Quando
si assicurò di essere da solo, Castle chiuse le tapparelle del suo ufficio, in
modo che aveva il silenzio assoluto, ed era lontano da sguardi indiscreti.
Tirò
fuori un biglietto bianco dalla sua giacca; c'era un numero di telefono e un
indirizzo. Compose nervosamente quel numero; dall'altra parte del cavo, quel
continuo fare "tu tu" lo agitava ancora di più.
Perchè
stava componendo quel numero? Perchè stava chiamando proprio loro?
Finalmente
qualcuno rispose...
"Hai
accettato la nostra proposta, caro fratello?" diceva la voce dall'altra
parte, in quell'inconfondibile accento del sud-Italia.
Castle
digrignò i denti, parlando a stento.
"Fate
poco gli spiritosi...ho accettato la vostra proposta solo perchè sono un uomo
di legge, e voglio scoprire la verità... scoprire chi ha attentato alla vita di
nostro padre... ditemi dove ci incontriamo e se sapete qualcosa..."
Le
parole gli uscivano fluide, semplici, leggere.
Come
leggere un fumetto della Walt Disney.
Solo
che quella era la vita reale.
Quello
dall'altro capo del telefono lo faceva attendere e si scambiava sguardi d'intesa
con l'altro presente, suo fratello, il quale gli faceva segno con la mano di
sganciare dei soldi, poiché aveva vinto la scommessa... ovvero, la scommessa
che l'indomani Alexander Castle avrebbe accettato l'offerta dei fratelli
Provenzano di vendicare il loro padre.
Tom
Demmings, capo criminale nemico dei clan di Little Italy.
Si
era presentato al matrimonio dell'unica figlia femmina di Vito Provenzano, tale
Santina, chiedendogli di fargli fuori gli strozzini che gli chiedevano
soldi.
Ma
scendere a patti con Provenzano costava sempre caro; lui in cambio chiedeva
fedeltà e rispetto assoluto.
Qualcosa
che Demmings non poteva completamente dargli.
Così
aveva pensato che tendergli un agguato in tarda mattinata, assumendo qualche
buon cecchino, e assicurandosi che ci fosse stampa e gente al posto giusto e al
momento giusto, lo avrebbe in qualche modo scagionato da ogni accusa di omicidio
verso Provenzano.
Tuttavia,
Demmings non aveva fatto i conti con Alexander Castle, uno dei migliori
detective della New York anni '40.
Castle
sapeva che lui era il maggior indiziato per l'attentato al Padrino, quindi si
era deciso ad incontrarlo insieme a Sonny e Sasà e cercare di stabilire un
accordo, un patto... o almeno parlargli per capire le sue ragioni.
I
tre "fratelli" aspettavano con ansia il disgraziato, sedendosi in un
locale deserto, poiché ormai erano le undici di sera, e nessuno cenava a
quell'ora.
Finalmente
Tom Demmings varcò la soglia. Atteggiamento da furbo, si sistemò la giacca di
pelle e sputò la gomma che aveva in bocca. Era seguito da altri due scagnozzi.
"Ci
incontriamo, Alexander Castle."
"Siediti
Demmings, e non farmi perdere tempo."
I
due erano uno di fronte l'altro. Sonny e Sasà erano in piedi, dietro Castle,
mani strette avanti, ogni tanto sfioravano la fondina, giusto per far capire
agli altri con chi avevano a che fare.
Castle
invece era vestito sobrio, niente impermeabile e niente cappello; non voleva
sembrare troppo "sbirro".
"Neanche
stasera è rientrato a casa, vero?"
Martha
osservava Katherine che controllava da due ore quell'orologio a pendolo
pulsante.
Quel
pendolo si muoveva a ritmo del suo cuore.
Pulsava
anche lui d'amore, un amore disperato e incondizionato per Alexander Castle!
"No..."
rispose Katherine a malincuore.
La
donna più anziana si sedette accanto a sua nuora, prendendole la mano.
"E'
il caso di suo padre, lo conosci poi... quando si mette in testa una
cosa..."
"Già..."
Era
monosillabica, e si asciugava le lacrime che lentamente le scendevano sul volto.
Martha
osservava quel tavolo imbandito: Katherine aveva preparato una cenetta coi
fiocchi solo per suo marito, ma lui non si era presentato.
"Sono
preoccupata per lui..."
"Lo
so, tesoro... ma siamo una famiglia! Supereremo questa cosa insieme!"
"Vuoi
dire... noi due supereremo questa cosa, nonna..."
Le
due guardarono Alexis dall'altro in basso.
La
giovane era irrotta nella stanza con mani e gambe incrociate, ed era piuttosto
contrariata.
"Katherine
non fa parte della famiglia... è soltanto la moglie di mio padre!"
continuò.
Martha
si alzò di scatto.
"Alexis
Castle... come ti permetti di parlare così nei suoi confronti??"
"Nonna!
Da quando lei è qui, non ha portato che guai... papà si è allontanato sempre
di più... e io sono stanca! Ne soffro io e ne soffre Johanna!"
Martha
stava per parlare, ma la diretta interessata, ovvero Katherine, la fermò.
"No,
ha ragione... e mi spiace, ma credo che tuo padre non si sia allontanato dalla
famiglia per causa mia!"
Poi
guardò Martha, incerta se rivelare anche ad Alexis cosa stava realmente
accadendo a Castle...
"Perchè
volevi uccidere nostro padre?? Non ti bastava quello che ti stava offrendo?? Ma
voi criminali siete tutti uguali... tutti a cercare il potere e i soldi..."
"Come
voi mafiosi, del resto!"
"Noi almeno pensiamo alla famiglia, voi non la risparmiate..."
Era
un duello verbale quello che si stava svolgendo tra Castle e Demmings.
L'unico
barman presente, si nascondeva sotto il tavolo vicino alla sua cassa...
asciugava i bicchieri silenziosamente, e di tanto in tanto deglutiva. Capì che
forse sarebbe dovuto andarsene, prima che la situazione degenerasse.
"Detective
Castle, come potete dire che ho teso l'imboscata a Provenzano? Non avete
prove..."
"Non
l'hai ucciso, è vero, ma i tuoi cecchini sì. Senti, voglio solo una
confessione, e puoi cavartela con un massimo di sei anni al fresco, poi potrai
uscire..."
"Sei
anni?! Ma sentitelo... sei anni!!" se la rideva e più rideva forte e più
Sasà e Sonny reprimevano il desiderio di ucciderlo.
Intuendo
le loro intenzioni, alzò una mano per farli star calmi, mantenendo sempre lo
sguardo fisso sul malvivente davanti a sé.
"Ascoltami
bene, Castle... tu sei un brav'uomo, che te ne frega della mafia? Questi
italo-americani vogliono solo fregarci. E io, francamente me ne infischio. Non
me ne importa niente... anzi, mi spiace che Vito Provenzano non sia morto."
A
quelle parole, il detective non ci vide più.
Tirò
fuori la pistola dalla sua fondina, e sparò un colpo dritto... in mezzo alla
fronte di Tom Demmings, che cadde all'indietro dalla sedia.
Quello
che accadde dopo, fu una cosa immediata e repentina.
Castle
dal principio alzò le mani e gettò la sua pistola a terra... non poteva
credere di aver ucciso un uomo così a sangue freddo. Che fosse colpevole, poco
importava.
Lo
aveva fatto fuori.
Sonny
e Sasà risposero con le loro pistole, e furono più veloci dei due scagnozzi di
Demmings... spararono e uccisero anche loro, proteggendo Castle, che intanto si
era accasciato a terra sul cadavere del loro capo.
Boccheggiava
e respirava affannato.
"Andiamo
via, prima che arrivi la polizia! Forza, Alexander!!"
I
due lo alzarono da terra a forza, ancora troppo scosso da ciò che aveva appena
fatto...
Aveva
appena compiuto la prima cosa che un buon poliziotto non dovrebbe mai fare.
Okay
non uccidetemi... so che qualcuna di voi ha già pronto il bazooka... XD
Vi
ricordo che è una AU e che i personaggi sono OOC! XD
Ergo,
se volete continuate a leggere, sennò aspettate che finisca la storia per
recensire... chi mi conosce sa che deve fidarsi di me u.u
xoxo
|
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Capitolo 8 *** Before the devil knows you're dead. ***
Watch your back
Ho
previsto 13 capitoli per questa storia...quindi sappiatelo così non me lo
chiedete più!u.u
Ricordate
che vi voglio bene, quindi occhio ai vostri armamenti... XD
Non
fatevi ingannare dal titolo del cap, che so può sembrare inquietante XD
xoxo
Before
the devil knows you're dead
"Che
tu possa arrivare in Paradiso
mezz'ora
prima che il Diavolo
si
accorga che sei morto."
L'anziano
reggente si alzò lentamente dal suo lettino, dopo una settimana di
convalescenza in ospedale. I tempi erano abbastanza lunghi, quindi si doveva
passare del tempo in osservazione prima di ritornare alla vita di tutti i giorni
tranquillamente. Ora era nella sua tenuta.
Fece
segno al suo maggiordomo di portargli il completo nero con camicia bianca... e
poi gli disse di porgergli il giornale... voleva leggere le ultime notizie,
vedere cosa si era perso.
Mancare
per quei sette giorni lo aveva tenuto lontano dal mondo.
Stupito
dal leggere sul "The New York Times", il suo quotidiano preferito, che
l'altro giorno era stata compiuta una sparatoria in un bar.
Qualcuno
parlava di mafia, che c'entrava sempre in queste faccende, e visto l'orario
serale, poteva essere. Magari stava compiendo un traffico illegale ed era stata
scoperta.
Qualcun
altro rispondeva che ciò poteva sembrare un cliché fin troppo facile... quindi
poteva esserci dietro un poliziotto corrotto.
Lui
era troppo scaltro per farsi ingannare da una simile scemenza. Chi lo conosceva,
gli diceva spesso che era così cattivo e furbo che neanche il diavolo lo
voleva. Ecco perchè era ancora vivo.
Non
accontentandosi, grazie alla sua innumerevole rete di conoscenza, l'uomo si fece
portare il telefono e compose un numero.
Chiamò
i suoi due figli.
"Riprendo
il comando della famiglia. Venite subito qui, c'è qualcosa di cui dobbiamo
parlare.."
Quel
"dobbiamo parlare" inquietava sempre timore.
Dopo
mezz'ora, Sonny e Sasà erano già alla tenuta. Entrarono e seguirono il lungo
corridoio verso la sala grande, quella dove il Padrino era solito fare riunioni
con i suoi fidati.
Intorno
al grande tavolone c'erano inoltre una decina di persone... qualche altro
capo-mafia, degli avvocati, qualche poliziotto corrotto, altra gente importante,
tutti intorno al capotavola, dove Vito Provenzano mostrava un sorriso smagliante
e apriva le braccia in segno di accoglienza verso i suoi due figli.
"Venite
ragazzi, entrate e sedetevi!"
Quello
era il circolo della mafia gestito dai Provenzano. Tutti fecero silenzio, e
toccò a Provenzano proferire parola. Mostrò la copia del "The New York
Times" che stava leggendo.
"Allora,
cosa mi dite di questa cosa, eh? Chi è che ha combinato questo casino?"
In
prima pagina si leggeva:
"Omicidio
a sangue freddo: New York trema ancora."
E
come sottotitolo:
"Dopo
l'attentato a Provenzano, di chi è adesso la colpa?"
Gli
altri iniziarono a tossire; qualcuno abbassò lo sguardo. Provenzano li
osservava uno ad uno; se non fosse che loro elargivano dei servizi a lui, il
boss li avrebbe uccisi seduta stante.
"Siete
una mandria di pecore." sbottò, poi si alzò, iniziando a camminare lungo
la stanza. "Vi piace ricevere favori, eh? Cosa pensate che ci guadagni io??
Voglio rispetto. E voglio essere informato quando succedono casini come
questo."
"M-ma
noi non sappiamo nulla..." disse uno sottovoce, al che Provenzano gli urlò
contro chiedendo di ripetere ma stavolta a voce più alta.
"E
allora chi cazzo è stato?!"
E
poi vide i suoi figli alzare timidamente lo sguardo.
"Noi
sappiamo chi è il colpevole." disse Sonny.
Bastava
uno sguardo, uno schiocco delle dita per far zittire la folla intorno a lui, e
Provenzano guardò dritto negli occhi suo figlio maggiore, il quale iniziò a
sudare e a deglutire forzatamente.
"Parla,
Sonny."
Qualche
secondo di silenzio, e quando constatò che gli uomini si erano zittiti, Sonny
parlò.
"E'
stato Alexander Castle, papà."
"Magari
è un po' di stanchezza, tesoro... rilassati! Tuo marito soffre troppo lo
stress... va bene che è un gran bel pezzo di uomo, che ha fisico e può
permettersi di girare tutta New York, ma... deve riposarsi!"
Katherine
sorrise nel sentir parlare Lanie, la moglie di Esposito.
Erano
diventate amiche da alcuni anni, dopo che anche Javier si era sposato e aveva
messo su famiglia.
Sicuramente
la mora signora Esposito aveva una lingua lunga e non sapeva contenersi con le
parole! Katherine vedeva in lei un'ottima amica e confidente. Tre volte la
settimana, lavoro permettendo, Lanie raggiungeva Katherine al parco e lasciavano
giocare le loro bambine, che si divertivano a creare e rincorrere aquiloni. Loro
due invece si sedevano su di un telo che stendevano a terra, e restavano a
guardare Johanna e Roxanne, e chiacchieravano per ore.
Sembrava
di vedere un quadro impressionista: colori vivaci, come i loro vestiti, bambini
che giocavano e sedevano sulle rive di un fiume, sfumato anch'esso da quelle
tinte a semi-acquerello tipiche di quella pittura.
Katherine
sospirò mentre guardava il paesaggio intorno a sé.
"Si
forse hai ragione... Solo non capisco perchè non voglia parlare con me, o
confidarsi... non vorrei avesse rialzato di nuovo un muro..."
"Prima o poi parlerà... lui ti ama, Kate... anche se non te lo dice molto
spesso, da quello che ho capito..." le posò una mano sulla spalla,
rassicurandola.
E
Lanie aveva ragione. Alexander non era mai stato un tipo chiacchierone,
difficile per lui esprimere ciò che provava. Ma Kate era riuscita a fargli fare
grandi passi in avanti.
Sorrise.
Sì, era fiduciosa.
"Mi
parlerà, ne sono sicura. Sono sua moglie."
La
decisione sarebbe stata presa. Non ne aveva più dubbi.
Vito
Provenzano prese il suo testamento e lo modificò.
Ne
sapeva sempre una più del diavolo. Una semplice firma, un semplice cambiamento
di nome, e voilà.
Non
lo aveva ancora inviato al suo avvocato di fiducia, e aveva fatto bene.
Dopo
l'ultimo attentato alla sua vita, il boss si rendeva conto di essere sempre più
accerchiato dalla polizia... ben presto lo avrebbero preso.
Doveva
quindi provvedere e pensare al futuro. Cosa sarebbe successo alla sua morte?
Poco gli importava se per lui c'era il Paradiso o l'Inferno.
E
chi avrebbe potuto sostituirlo quando sarebbe finita per lui? Pensava ai suoi
due figli; ora che l'unica femmina della famiglia si era sistemata, toccava ai
suoi figli. Sonny e Sasà erano bravi; chi nel gioco d'azzardo, chi nella truffa
illegale.
Ma
nessuno sapeva maneggiare una pistola e uccidere a sangue freddo come il suo
primogenito, Alexander Castle.
Sonny
e Sasà gli avevano raccontato che aveva ucciso Tom Demmings a mano ferma. Un
colpo e bang! Morto stecchito. A terra.
Lesse
la dicitura in grassetto che indicava la successione dell'eredità di famiglia.
Aggiunse
una clausola e vi scrisse "Alexander Castle, primo erede."
Il
detective Castle era nel suo ufficio. Si rigirava i pollici, poi si alzava e
guardava fuori dalla finestra. Si sentiva stringere al colletto, quindi cercò
di sbottonarsi un altro bottone della camicia. Sentì confusione in centrale e
sbirciò dalla porta.
Esposito
e Ryan stavano strattonando due tipi loschi, probabilmente italo-americani e
molto probabilmente anche mafiosi. Li stavano conducendo nella stanza
dell'interrogatorio.
Castle
si decise ad uscire dal suo ufficio per seguirli. Nella centrale ci fu un certo
sgomento. Gli altri agenti parlavano sottovoce.
Alexander
spiava l'interrogatorio dall'altra parte della stanza. Conosceva quei due
mafiosi? Forse sì, forse no. Ne aveva visti troppi in vita sua per poterlo
dire.
"Signor
Valentino, mi sa dire dov'era lunedì sera dalle 22,30 alle 23,30?"
L'altro
uomo davanti a lui masticava la gomma nervosamente.
"Ero
con mia moglie... no aspetti, con l'altra mia moglie... la mia seconda!"
"Faccia
poco lo spiritoso..." Esposito si manteneva calmo e rilassato, nonostante
l'interrogatorio fosse delicato.
Poi
arrivò Ryan che fece entrare l'altro uomo e lo fece sedere accanto all'altro
mafioso.
Per
farla breve, la conversazione durò mezz'ora. Alla fine, dopo un giro di
telefonate, il loro alibi cadde, e i due confessarono di aver ucciso Tom
Demmings. Motivo? Denaro che Demmings doveva loro e che non aveva ancora
restituito. Sapevano la fama dell'ex mafioso, che chiedeva prestiti e poi aveva
difficoltà a risarcire. Quindi non si stupirono più di tanto.
Chi
rimase stupito invece fu Alexander.
Lui
aveva ucciso Demmings, e ora questi due confessavano di essere loro i colpevoli.
Che
ci fossero i Provenzano dietro a tutto ciò e gli avessero fornito un alibi?
Si
sentiva colpevole. Quei due mafiosi, seppur con una fedina penale sporca,
finivano in cella per colpa sua.
Tuttavia,
Esposito e Ryan constatarono che c'era qualcosa che non andava. Due confessioni
ottenute così facilmente non era da tutti. Forse qualcuno poteva averli
incastrati. La domanda era: ma chi?
Tornando
a casa, Kate preferì farsi un bel bagno caldo. Aiutò anche Johanna a svestirsi
e farle una bella doccia. Si erano divertite al parco, e Johanna aveva espresso
più volte la voglia di rivedere la sua amica Roxanne.
Mise
a letto la piccola, raccontandole prima una fiaba, poi andò nella sua stanza.
Seduta
davanti al comodino, iniziò a pettinarsi i lunghi capelli ondulati, guardandosi
allo specchio... le prime rughe iniziavano a farsi vedere, ma a lei poco
importava. Anzi, erano segni che stava maturando, che era una donna forte.
Qualcuno
le tolse delicatamente la spazzola di mano.
"Posso
continuare io?" dallo specchio vide apparire dietro di lei suo marito.
Lei
sorrise e Castle iniziò a pettinarla. Era una scena molto dolce e intima, che
le faceva ricordare quanto suo marito fosse un uomo meraviglioso e che lei lo
amava incondizionatamente.
Sì,
era ancora fiduciosa che prima o poi lui si sarebbe confidato con lei riguardo i
suoi problemi. Lei non doveva chiederglielo, lo sapeva e basta. E così fu.
Poi,
Castle si sedette sul letto, iniziando a togliersi scarpe e giacca.
"Kate,
devo dirti una cosa... è qualcosa che tengo dentro da molto tempo... scusami se
non sono stato sincero prima... non sapevo come comportarmi..."
La
donna si bloccò e rivolse lo sguardo verso il marito.
"Ascoltami,
Alexander... qualsiasi cosa sia, sappi che io ti sono e ti sarò sempre vicina.
Lo sai questo, vero?"
"E' per questo che ti amo." le rispose invitandola a raggiungerlo sul
bordo del letto. Poi continuò a parlarle, prendendole le mani. "Sai, Kate,
ho deciso di conoscere meglio mio padre."
Katherine
cambiò espressione. Si meravigliò da tale confessione. Si aspettava di tutto,
tranne questo. E fu allora che pensò che suo marito non era tornato ad essere
quello di una volta, no... era comprensivo.
"Vederlo
rilegato in quel letto d'ospedale, mi ha fatto riflettere. E' vero, mi sono
infuriato con te, con mia madre, e me ne mento. Ho capito l'importanza della
famiglia, e voglio rimediare. Possiamo farlo insieme?"
Sembrava
una bella dichiarazione. La donna si commosse e lo baciò dolcemente sulle
labbra come risposta.
"Ma
certo che possiamo. Insieme supereremo tutto. Sempre."
Stettero
insieme quella notte, abbracciandosi, baciandosi... avevano bisogno di
quell'intimità che avevano perso da alcune settimane.
Eppure,
svegliandosi la mattina, Castle era tutto sudato.
Aveva
sempre quelle fitte allo stomaco... era normale, era un uomo di giustizia, e
aveva fatto mettere in cella due persone che non c'entravano nulla.
Avrebbe
parlato oppure avrebbe fatto la fine di un poliziotto corrotto nella New York
degli anni '40?
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Capitolo 9 *** A family stays together. ***
Watch your back
A
family stays together
"C'è
un vecchio proverbio che dice
che
non puoi scegliere la tua famiglia,
è
il destino che decide per te,
anche
se non ti piace."
Nei
giorni successivi, le indagini sull'omicidio di Tom Demmings proseguirono.
Esposito
e Ryan avevano controllato ogni possibile posto, verificato ogni possibile
alibi, senza però riuscire a venirne a capo.
Quei
due mafiosi che avevano sbattuto in cella si erano dichiarati colpevoli.
Sembrava
troppo bello per essere vero!
La
svolta cruciale si ebbe in quel pomeriggio del '40.
Alexander
Castle lo riconobbe appena mise piede al distretto.
Alto,
moro, attraente, un bell'uomo, viso spaurito e spaesato. Si diresse verso gli
altri due detective, disse qualche parola, dopo di che, un segno, un assenso, e
si diressero da un'altra parte.
Era
Josh, il barista di quel locale dove era avvenuta la sparatoria. C'era lui
dietro quel bancone, indeciso se continuare ad asciugare le posate e i
bicchieri.
Il
detective si coprì la faccia col cappello, poi sgattaiolò nella stanza degli
interrogatori: avrebbe assistito silenzioso, senza essere visto.
"Lei
è... Josh Davidson?" Esposito aprì la cartella col suo file. "Cosa
mi sa dire di quella sparatoria? E' in grado di identificare il colpevole?"
Josh
sembrava un uomo che aveva molto da perdere. Si guardò intorno, ancora più
spaurito, e si rivolse ai due guardandoli dritti negli occhi.
"Vi
spiace se ne parliamo in privato? C'è quell'uomo lì, quello grande e grosso
che mi fissa e io non riesco a fissare lui... mi mette paura, capite?"
Capendo
che si stava rivolgendo a lui, Castle decise di allontanarsi.
Quel
Josh l'avrebbe potuto incastrare.
E
ora più che mai, Castle non poteva permettersi di finire al fresco.
Come
avrebbe fatto? Sarebbe ritornato ai suoi vecchi metodi di quando era giovane?
No,
lui era cambiato. Non si sarebbe abbassato a così tanto.
Esposito
e Ryan si scambiarono sguardi d'intesa.
"Magari
può dirci chi è il vero colpevole, fraté..." disse il primo all'altro.
Vito
Provenzano aveva sistemato il suo testamento.
Lo
guardava, gli dava una spolverata, stringeva l'occhio e poi lo rimetteva
apposto.
Si
sistemò il fiore all'occhiello, la giacca e con uno schiocco di dita fece
entrare i suoi figli nel suo ufficio.
"Papà
ti senti bene, tutto bene?" fece Sonny con accento siciliano marcato. Poi
si prese un sigaro dalla confezione nuova del padre.
"Eravamo
preoccupati." fece Sasà avvicinandosi al padre.
Il
boss non batteva ciglio ma si limitava a prendere anche lui un sigaro, che però
gli venne negato dal figlio maggiore.
"Sei
stato in ospedale, non vorrai tornarci di nuovo, eh?"
Si
guardarono storto per un po' e il Padrino parve quasi un cucciolo viziato a cui
avevano tolto fumo e alcool. Ma per una volta i suoi figli avevano ragione. Si
sistemò di nuovo la giacca e prese un bel fiato prima di parlare.
"Oggi
siete qui perchè ho deciso di ritirarmi a vita privata. Non guardatemi così...
l'età avanza e dopo il mio ultimo attentato, non posso più rischiare. Lascio
il comando a voi."
Sonny
e Sasà restarono esterrefatti. Subito posarono l'occhio sulla stanza del padre
e vedevano davanti tanti soldi... soldi, potere e donne.
Il
sogno di ogni persona.
Facendo
un calcolo mentale, non faceva una piega il loro ragionamento: i soldi portavano
potere... e il potere attraeva le donne.
Erano
giovani, erano sognatori.
E
avere un padre nel grande circolo della mafia non poteva che far bene ai loro
affari...
"Pensateci
voi a contattare vostro fratello, Alexander..."
Ma
quei sogni improvvisamente si spezzavano sotto i loro occhi!
L'idea
di condividere tutta quella roba con un fratello estraneo, non li attirava per
niente.
Ma
la famiglia era la famiglia.
I
due fratelli si allinearono uno vicino all'altro. Sonny fece cadere il sigaro a
terra.
"Alexander?"
Ci
sperava Vito che sotto sotto, prima o poi, Castle avrebbe smesso di fare il
detective per ritornare alle sue origini...
"Perchè
siete così interessati ad un barista? Magari non si ricorda neanche delle
persone presenti alla sparatoria!"
Il
detective Castle si era concesso un pomeriggio di pausa a bere qualcosa insieme
ai colleghi Esposito e Ryan.
Questo
gesto era qualcosa che li sorprese poiché era da tempo che non passavano del
tempo insieme solo tra uomini.
Ryan
sputò quel sorso che aveva in bocca.
"Davvero?
Usciamo tra amici e vuoi parlare del caso? Con tutto il rispetto, capo, ma...si
tratta di un boss della mafia! Se ne fanno fuori uno, non è il finimondo!"
Guardando
l'espressione sgomenta di Castle, Esposito gli diede una gomitata.
"C'è
qualcosa di cui vuoi parlarci, capo?"
Castle
aveva terminato il suo whisky e con passava le dita sul bordo del bicchiere.
Guardava intensamente quel fondale così vuoto senza il liquido dentro...
immerso nei suoi pensieri...
"Sapete
perchè nella mia vita mi sono sentito così tanto vuoto come questo bicchiere?
Mi è sempre mancata una famiglia. E ora che l'ho trovata, mi sta ponendo di
fronte a tante scelte sulla strada che ho intrapreso!" rise ironicamente...
spezzato da una verità così... fragile... "Mio padre è un boss della
mafia e io sono un detective... non trovate che la vita sia strana??" rise
ancora più forte, soffocando la sua disperazione.
La
vita gli stava ponendo troppe decisioni.
E
lui aveva commesso dei passi falsi.
Aveva
ucciso un uomo a sangue freddo!
Ma
nessuno doveva saperlo... no, si sarebbero fatti del male anche loro!
I
suoi colleghi lo guardarono strani, poi realizzarono tutto... Vito Provenzano
era il padre di Alexander Castle!
Ma
il fiuto da poliziotti non mancava loro...
Esposito
tornò serio, abbassò la testa parlando sottovoce.
"Castle,
dov'eri la notte della sparatoria a Tom Demmings?"
Il
detective davanti a loro tornò serio, fermo. Prese il suo immancabile cappello,
se lo mise in testa e con l'intento di andar via, lo freddò più con lo sguardo
che con le parole.
"Non
mi starete mica accusando di averlo ucciso? Io, il vostro capo??"
Ryan
alzò le mani.
"Scusaci...
è che... ad essere sinceri, potevi avere un movente valido visto che Demmings
aveva attentato alla vita di tuo padre---"
Castle
gli saltò quasi addosso, spaventando la gente tranquilla intorno a loro. Posò
le mani sul tavolo e si allungò verso l'irlandese per guardarlo dritto negli
occhi.
"Io
non c'entro niente con questa faccenda... non ho ucciso nessuno! Non dubitate
più di me, chiaro?!"
Rendendosi
conto che era calato il silenzio accanto a loro, Castle si ricompose e si
allontanò.
La
domanda che aveva in testa era: il suo impermeabile l'avrebbe coperto abbastanza
da quel vento che si era improvvisamente alzato? La risposta fu negativa. Come
negativo fu il suo dubbio su quanto la sua bugia - che non chiamò mai
"alibi" - tenesse ancora duro.
E
infatti, Esposito si avvicinò ad una cabina telefonica nelle vicinanze, inserì
un gettone e compose un numero.
Ryan
guardava impassibile.
"Salve,
sono il detective Esposito. Vorrei parlare col signor Davidson se è
possibile."
Stava
tranquillamente sistemando la loro camera matrimoniale. Ogni tanto cambiare le
lenzuola e far prendere un po' d'aria era salutale.
Rimase
a fissare la loro foto del matrimonio. Lei indossava un abito bianco sobrio,
senza pizzi, né merletti. Era il suo matrimonio, ma se doveva farsi bella,
preferiva qualcosa di semplice, di puro. E anche suo marito era d'accordo. Il
bianco esprimeva Katherine per come era veramente: una donna acqua e sapone, dai
gusti semplici, al di là del passato tragico che aveva trascorso.
Sistemando
quelle scartoffie nei suoi cassetti, decise di dare una spolverata anche nel
cassettone di suo marito.
Fogli,
foto, e stracci di giornali.
Scosse
la testa. Quanto era disordinato!
Rimase
colpita da una foto in bianco e nero: c'era il Padrino e dietro di lui i suoi
figli. Lui sedeva su una regale poltrona, i suoi figli invece stavano dietro.
Postura composta, sorriso accennato. Era una di quelle classiche foto che ogni
famiglia si fa.
Si
chiese come mai Castle ne possedesse una, quando venne interrotta da un bussare
alla porta.
Si
voltò.
"Alexis?
Vieni!"
La
ragazza si avvicinò quatta quatta, quasi timorosa, con lo sguardo abbassato e
mani tenute strette e avanti la sua gonnellina scozzese.
"Volevo
scusarmi per come mi sono comportata in questi giorni. I-io non ne avevo il
diritto. Ho visto quanto ami mio padre e come gli sei vicino e... non è giusto
che ti abbia accusato di quelle cose..."
Balbettava
cercando le parole, ma nello stesso tempo era come se avesse preparato quel
discorso.
Katherine
sorrise e le posò le mani su entrambe le spalle, costringendola ad alzare lo
sguardo.
"Non
devi scusarti, okay? E' un periodo un po' così... e siamo tutti preoccupati per
tuo padre. Siamo una famiglia, e come tale dobbiamo stare insieme."
Le
parole della donna, così tranquille e ragionevoli, avevano sciolto il cuore
della ragazza in un abbraccio stretto nei confronti di Katherine, la quale si
commosse.
Per
fortuna, in un mondo di uomini crudeli e meschini, c'era ancora la forza della
parola che risolveva i problemi.
"Ehi,
amico... perchè hai contattato Josh? Ci ha già detto quello che
sapeva..."
"Non
che non mi fidi di Castle, ma... c'è qualcosa che non torna..."
Esposito
e Ryan erano davanti la porta di casa di Josh Davidson. Si erano fatti dare il
suo indirizzo perchè volevano parlare con lui in privato, non in centrale.
Bussarono
un paio di volte e lo chiamarono. Ma da dentro l'appartamento non si udì nulla.
"Signor
Davidson???"
Il
portoricano bloccò l'irlandese e gli fece segno con la testa, mostrando la
pistola puntata.
Quando
ti davi appuntamento con qualcuno a casa sua, e dopo un'ora questo non
rispondeva, c'era un unico modo per risolvere la questione.
I
due si fecero forza e buttarono giù la porta, poi puntarono la pistola,
muovendosi cautamente all'interno dell'appartamento.
Lo
trovarono scomposto, disordinato, e... c'erano tracce di sangue.
Seguirono
quella scia di sangue, per poi trovare, a pancia a terra e con una grossa
macchia di sangue, lo sfortunato barista.
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
Ho
deciso di mostrarvi delle foto dei nostri altri co-protagonisti (eh sì mi sono
ricordata presto XD), ad eccezione del Padrino che sapete chi è dal poster
promozionale, così vi fate un'idea: (le foto non mi si vedono, ho dovuto
mettere il link >.<)
Sonny
Provenzano
http://mr.comingsoon.it/imgdb/SerieTV/news/1/11547_pp.jpg
Salvatore
"Sasà" Provenzano
http://image.com.com/tv/images/processed/default/d8/8f/329546.jpg
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Capitolo 10 *** Calvary (part 1) ***
Watch your back
Calvary
(part 1)
"Siamo
due facce della stessa ipocrisia.
Ma
non le permetto di tirare in ballo
la
mia famiglia."
[Il
Padrino - Parte II]
"La
balistica ha rivelato che lo sfortunato Josh Davidson, di anni 37, è morto per
due colpi di arma da fuoco. Due proiettili sparati al centro del suo torace, gli
hanno provocato lesioni interne, e quindi il conseguente dissanguamento. La
balistica forense sta analizzando le possibili direzioni dei proiettili. La
polizia locale pensa che ci sia qualche legale con la criminalità organizzata.
Ulteriori aggiornamenti in serata. Ora passiamo ad altre notizie..."
Alexander
spense la radio.
Il
fumo inondava la sua stanza.
Lanie
entrò per portare delle notizie riguardo l'omicidio, e fu costretta a tapparsi
la bocca e fare una faccia disgustata a causa di tutto quel fumo.
Lui
la guardò impassibile, ma Lanie con un gesto furtivo, gli tolse il sigaro di
mano.
Castle
la guardò ammutolendo.
"Non
sarebbe ora di smettere di fumare, capo? Comunque, questi sono notizie di prima
pagina sull'omicidio Davidson."
"Grazie,
Lanie... puoi andare."
La
donna spalancò gli occhi.
"In
realtà volevo dirti... non importa se sei il mio capo... fai soffrire la mia
amica Katherine, e questo braccio è pronto a sferrare un destro
infallibile."
Detto
ciò, gli fece uno sguardo d'intesa prima di lasciare l'ufficio.
Castle
sentiva il colletto della camicia stringerlo sempre di più. Gestire due
famiglie non era esattamente ciò che aveva programmato.
Cominciò
a leggere le notizie, cercando di capirci qualcosa. Poi fece qualche chiamata
alla balistica, nel tentativo di vedere i proiettili estratti dal corpo di
Davidson.
Si
recò quindi sul posto per vederci chiaro sulla vicenda... quella pistola
calibro 39 la conosceva abbastanza bene. Ricordava che Sonny o Sasà, ne avevano
una uguale la notte che Demmings venne ucciso... uno di loro la voleva usare per
far star zitto quel criminale, ma Alexander glielo aveva impedito. Ripensò
quindi a quella notte...
Passeggiando
per quell'edificio dove la scienza stava facendo passi da gigante con la
balistica e la criminologia, Castle si bloccò un attimo. Non che fosse stato
colpito da qualcosa, solo aveva avuto dei flash.
Il
suo "alibi" era salvo. Qualcuno gli aveva parata il culo. Già, ma
chi?
I
suoi fratellastri?
Tornò
indietro, dirigendosi di nuovo al reparto balistica. Senza farsi notare, con
molta calma, prese quella pistola. Se la ficcò nella tasca interna del
giaccone.
Sarebbe
stata una buona idea?
Con
passo furbo, ma non avventato, tranquillo, testa alta, salutò l'usciere e se ne
andò.
Sonny
sentiva quell'apparecchio squillare da diversi minuti. Quel trillo insistente
gli stava facendo venire mal di testa.
Però
lui non si scomodava a rispondere, troppo tranquillo seduto sulla sedia di suo
padre, piedi sul tavolo e sigaro in bocca.
Era
già proiettato al futuro con la mente. S'immaginava di essere
"padrino".
Sasà
entrò nella stanza come una furia.
"Minchia,
vuoi rispondere al telefono?? Devo farlo io??" alzò la cornetta sbuffando
"Pronto??"
"Sonny,
sono il detective Castle..." non si azzardava ancora a dire sono vostro
fratello.
"Miii,
Castel... che minchia vuoi?"
Non
solo ogni tanto sbagliava anche nome... ma non aveva un linguaggio proprio
forbito.
Sonny
guardava il fratello meno colto e sghignazzava.
"Dobbiamo
parlare... devo parlare con te e tuo fratello. Si tratta di affari di famiglia.
E chiamate i vostri amici mafiosi."
"Alla
famiglia non si dice mai di no!" rispose l'altro con un sorriso beffardo.
Attaccarono
entrambi la cornetta, senza neanche salutarsi.
"Che
succede?"
"Fratello,
abbiamo affari di famiglia in ballo."
Castle
aveva la testa tosta. Era un caparbio. Se si metteva in testa qualcosa, doveva
farlo per conto proprio.
Entrare
in affari con la mafia era un campo minato.
Era
pericoloso, ma l'unico modo per scoprire la verità era quello.
Più
tardi, verso sera, si trovava circondato da quei mafiosi che aveva tanto amato e
poi odiato.
Tutti
coi loro petti in fuori, fieri, convinti di essere intoccabili.
Castle
era disgustato.
Più
che fumare, stava letteralmente mangiucchiando il tabacco.
"Signori,
un po' di silenzio..." Sonny si alzò attirando l'attenzione dei presenti
seduti "Quest'uomo qui fa parte della famiglia Provenzano, la nostra. E
stasera vuole parlarci." indicò Castle che si ritrovò con gli occhi di
una ventina di persone tutti puntati verso di lui.
Lo
guardavano dalla testa ai piedi... no, quell'uomo vestito distintamente aveva la
faccia da sbirro. E a loro non piaceva.
Sonny
scosse la testa.
"Sì,
lo so, è un poliziotto. Ma non è questo il punto. Alexander, perchè non ti
alzi e parli, eh?"
Castle
si schiarì la voce.
Lentamente
si mise in piedi. Poteva sentire le sue gambe tremare leggermente... ma quel
tremolio venne sostituito da una strana sensazione di potere. Un piacere che gli
stuzzicava la vista. Vedersi in una posizione alzata rispetto gli altri...
"Non
vi piaccio e voi non piacete a me. Ma qui si tratta di difendere l'onore della
famiglia. L'onore di mio padre, Vito Provenzano. Non vedetemi come un detective,
ma come un uomo..." ebbe un attimo di esitazione, poi si immaginò
Katherine davanti a sé che lo incitava a proseguire, ad andare avanti, col suo
splendido sorriso, "...la polizia vi darà la caccia e lo farà perchè io
come uno di loro, so chi ha sparato e ucciso Josh Davidson. Arriveranno a voi. E
se volete tenere salda la vostra amicizia con me, dovete smetterla di tentare di
uccidere mio padre."
Queste
parole spiazzarono completamente tutti i presenti.
Quello
che Alexander stava chiedendo era un accordo.
Un
accordo era un affare pericoloso.
"Cosa
ci stai chiedendo? Chi ti credi di essere? Parlare di famiglia...un poliziotto
che fa il doppio gioco e tradisce due famiglie... tiè guardate sto
picciotto..." fece uno dei gangster con sfrontataggine.
"Siamo
due facce della stessa ipocrisia, signore. Ma non le permetto di tirare in ballo
la mia famiglia."
Subito
l'animo di quegli uomini sicuri di sé, venne abbassato.
L'ipocrisia
era una brutta bestia.
"Quello
che vi sto chiedendo è di lasciare in pace entrambe le mie famiglie...
sbarazzatevi di coloro che hanno avuto legami con Tom Demmings perchè sono gli
stessi che ci stanno braccando... fateli fuori, uccideteli, strozzateli, non
m'interessa."
E
così ciò che disse Castle accadde.
Gli
omicidi a New York aumentarono. La polizia continuava a brancolare nel buio.
Tutto veniva di nuovo messo in discussione.
La
stampa parlava di una guerra tra il crimine organizzato.
Si
era creato il panico. Era iniziato un vero Calvario non solo in città, ma anche
nel cuore burrascoso di Castle.
Katherine
leggeva il giornale del mattino e sospirava.
Non
ricordava che la sua New York fosse mai stata così sanguinosa.
Si
affacciò alla finestra e quasi le sembrava che il cielo gridasse aiuto, come
quel quadro di Edvard Munch, con l'omino al centro che aveva le
mani
sul volto e il la bocca allungata. Intorno, un cielo color rosso sangue e
qualche schizzo di arancione.
Tornò
alla realtà e voltandosi ebbe un sussulto.
"Alexander!
Mi hai messo paura..."
L'uomo
stava appoggiato alla porta con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, pronto
per andare al lavoro.
"Non
intendevo farlo.. cos'è successo? Cos'è quella faccia?"
Lei
gli porse la prima pagina del New York Times.
"Scia
di sangue nella Grande Mela? Tutto qui? E' coinvolta la mafia, a noi non
interessa..."
"Tutto
qui??" Katherine sbottò "E la polizia che fa? Ve ne fregate??"
"Non
sono affari nostri!!"
La
donna si fermò sbarrando gli occhi. Quello sguardo che aveva suo marito...
c'era qualcosa di diverso. Leggeva dell'odio dentro.
"Non
ti riconosco più, Alex... Sto quasi pensando che..." le parole le si
strozzavano. Non riusciva a pensare ad una cosa così orribile.
"Cosa?"
"...pensavo
che tu c'entrassi qualcosa con questi omicidi."
L'uomo
rise.
"Mi
vedi davvero così? Con una pistola in mano ad uccidere le persone? Forse una
volta mi sarebbe piaciuto, ma ora... andiamo..."
"Dimentica
quello che ho detto."
Lo
baciò delicatamente sulle labbra, poi si staccò sorridendogli.
A
lui non stava bene quel distacco. Quello sguardo e quel bacio così freddo.
Quando
Katherine gli passò vicino, la prese per il braccio e violentemente la rivoltò
davanti a sé baciandola appassionatamente.
Nonostante
i suoi dubbi, nonostante iniziasse a pensare sia alla sua famiglia sia a quella
dei Provenzano, Alexander era sicuro di una cosa: amava
sua
moglie.
Seppur
confusa all'inizio, Katherine ricambiò quel bacio avidamente. Le loro lingue si
intrecciarono, e iniziarono a togliersi i vestiti di dosso,
restando
con la biancheria.
Alexander
poi prese sua moglie in braccio, lei con le braccia intorno al suo collo, e la
portò sopra il tavolo della cucina, continuando a baciarsi e
ben
presto a consumare quella passione improvvisa, che forse avevano perso da un po'
negli ultimi tempi.
La
sera ci fu una sorpresa in casa Castle.
Martha
aveva già preparato la tavola per cinque persone. Katherine si avvicinò ad
Alexander sorridendogli e porgendogli un calice di vino rosso.
Poi
sopraggiunsero Alexis e Johanna, che Alexander prese in braccio.
La
matriarca della famiglia chiamò tutti membri a rapporto: la cena era pronta...
ma suonò un campanello.
Alexander
si offrì per andare ad aprire... la persona che si trovò davanti fu una
sorpresa, ma non tanto.
Sorrise.
Era
suo padre, Vito Provenzano.
Aveva
un mazzo di fiori in mano, e guardava le altre donne della casa, Martha fra
tutte. Si tolse il cappello e chiese se poteva entrare.
Consenso
che venne accolto da Martha, sorpresa quanto le altre.
"Signore,
vi presento Vito Provenzano. Mio padre."
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
Allora...
Castle ha iniziato a fare il gioco dei gangster... forse ha qualcos'altro in
mente? Fatto sta che la famiglia resta uno dei capisaldi del nostro detective e
intende proteggerle a costo di scendere a patti con la criminalità organizzata.
Katherine inizia ad essere sospettosa di suo marito... e come potrebbe non
esserlo?
Avevo
detto 13 capitoli ma li allungherò a 14 XD
Il
fatto è che sta uscendo più lunga del previsto questa storia O.o
Poi
ieri sera ho pure vista "Il Padrino parte 2", quindi sono ispirata e
ho cambiato un po' di cose nella storia XD
Non
odiatemi e continuate a leggere se volete altri colpi di scena u.u
xoxo
D.
|
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Capitolo 11 *** Calvary (part II) ***
Calvary
Calvary
(part II)
"L'ultima
tentazione è il tradimento più grande:
fare
la cosa giusta per la ragione sbagliata."
[Thomas
Stearns Eliot]
La
cena della "nuova famiglia" si svolse tra un velo di imbarazzo e un
velo di stranezza. Tuttavia, dopo questi sentimenti iniziali, fu grazie
sopratutto alla piccola Johanna se Martha e Katherine iniziarono a conversare
con Vito Provenzano.
Johanna,
infatti, rideva di fronte quell'anziano che aveva una faccia così buffa, a suo
parere. Martha temeva che Vito potesse risponderle male, o peggio ancora, tirar
fuori qualche arma. Invece lui sorprese tutti, rise insieme alla sua nipotina
chiedendole se la sua faccia le facesse tanto ridere e perché.
"Hai
degli occhi grandi! Proprio come il lupo di Cappuccetto Rosso!!"
"Allora
questo ti rende Cappuccetto Rosso, mia cara!"
Poi
Johanna metteva i gomiti sul tavolo, Katherine la rimproverava dicendole che non
era buona educazione e che sopratutto avevano un ospite a tavola. Invece il
Padrino diceva alla donna di lasciar stare, "E' una piccirella così
carina!"
Insomma,
l'anziano boss aveva conquistato le donne di casa Castle. Ed era una cosa che
non si vedeva tutti i giorni. Ma del resto era un mezzo italiano, emigrato nel
lontano 1890 o su per giù... ci sapeva fare con le donne grazie al suo charme.
Eppure
quella calma e quella gioia non sarebbero durate ancora a lungo.
I
due agenti di polizia continuavano ad indagare sul loro capo, e amico, Alexander
Castle.
Sebbene
Esposito non poteva credere ad un possibile coinvolgimento di Castle, visto il
suo passato e il suo legame col Padrino, non aveva altra scelta che tornare ogni
volta sulla scena del crimine e poi consultare la balistica.
Ryan,
invece, era un po' scoraggiato da questa situazione. Forse ancora incredulo.
Ultimamente era sempre giù di morale e accigliato. Mangiava anche poco mentre
era al distretto!
Dopo
ore di attesa davanti al coroner, giunsero ad una conclusione sorprendente: un
capello di Alexander Castle era stato rinvenuto dalla scena del crimine... in
quel bar dove Tom Demmings era stato ucciso.
Ryan
scosse la testa; pensò ad una coincidenza, del resto chiunque poteva trovarsi
lì; eppure non tutti. Secondo alcuni frequentatori poco raccomandabili, quel
locale era famoso per traffici illegali e clandestini di alcool. La malavita
organizzata si riuniva la sera tardi per effettuare scambi.
Inoltre,
iniziarono ad uscire fuori i primi pentiti dalla mafia. Un italiano parlò,
disperato con la polizia. Esposito lo interrogò. Serio, ascoltava per bene la
confessione di quel malvivente, che non volle mai rivelare il suo nome.
Raccontò di come il circolo di Provenzano gli uccise moglie e figlia perchè
non aveva rispettato il sacrosanto patto di rispetto reciproco. La mafia non
perdonava, e quelli erano sicuramente gli anni di piombo dove furono più
attivi.
Esposito
sospirò e lasciò cadere le braccia a terra... e pensare che Al Capone era in
prigione adesso... credevano davvero che avrebbero risolto un bel problema? No,
i guai erano appena cominciati.
Un
riluttante Ryan mostrò al loro interrogato la foto di Castle. Gli occhi
dell'uomo si accesero come una lampadina. Riconosceva quell'uomo. Lo aveva visto
parlare di famiglia e di rispetto in una delle ultime riunioni dai Provenzano!
Esposito
e Ryan si guardarono in faccia increduli. I nodi stavano iniziando a venire al
pettine. Qualcuno si sarebbe fatto del male.
"Fa
male sapere queste cose, bro..." disse Javier, arrivato insieme all'amico e
collega Kevin davanti la porta di casa Castle, "ma dobbiamo farlo e stare
dalla parte della giustizia... capito?"
L'irlandese
annuì, poi bussò alla porta.
Ad
aprire fu Katherine, la quale si vide smorzare il suo sorriso all'ingresso dei
due detective. Le facce di Esposito e Ryan, infatti, non presagivano nulla di
buono.
La
donna li fece entrare, facendoli accomodare in salotto. Poi chiese se volevano
qualcosa da bere, e portò loro dei caffè. Poco dopo, Alexander li raggiunse,
sedendosi con loro.
"Ehi,
ragazzi... tutto okay? Avete delle facce... parlatemi pure, vi ascolto..."
I
due si guardarono e titubarono un po'. Era davvero giusto indagare ancora sul
loro capo? Esposito, quello più deciso, non aveva altra scelta.
"Dobbiamo
interrogarti di nuovo."
Castle
sospirò, poi si allungò gambe e braccia, per stare più comodo. Gli fece segno
di iniziare.
"Se
proprio dovete."
Ryan
prese il blocco notes e iniziò ad appuntare.
"Dov'eri
la sera che Josh Davidson è stato ucciso?"
"Ah
bene, almeno avete cambiato disco, non mi chiedete di Demmings... Josh Davidson
non so neanche chi è... comunque non ero sul luogo del delitto. Non c'entro
nulla ragazzi. Io ero con mia moglie. Chiedetelo a lei."
La
donna infatti confermò l'alibi.
"Sì,
ci ha raggiunto per cena. Era tardi, se non sbaglio, detective Esposito, era
proprio l'orario in cui Josh è stato ucciso?" socchiuse un occhio, facendo
finta di ricordare qualcosa. Stavolta li aveva fregati. "Eh già, mi pare
fossero le 11!"
Castle
accennò un sorriso.
"Okay..."
rispose il portoricano, incerto. "E come lo spieghi questo... è un capello
trovato sulla scena del crimine."
Alexander
sospirò.
"Dannazione,
Esposito! Ci sono entrato per puro caso... sai che ho due fratellastri nel clan
dei Provenzano? Beh, li stavo incontrando... non si può manco più fare
questo?"
I
due detective restarono senza parole. Katherine mise le mani sulle spalle di
Alexander, per rilassarlo, poiché sentiva che i suoi muscoli erano in tensione.
"Sentite,
mio marito ne ha passate tante... sta cercando di aprirsi a questa famiglia che
pensava di aver perso da tempo... non stressatelo ancora!"
"Allora
spiegaci perchè un ex del clan mafioso è venuto in centrale, pentito,
dicendoci di averti visto in una di queste riunioni coi mafiosi..."
Castle
rimase scioccato. Maledizione, chi poteva essere? Chi aveva tradito il clan?
Sicuramente uno di quelli più deboli che non avevano niente di meglio da fare
che spifferare tutto alla polizia...
Anche
Katherine rimase senza parole. Aveva difeso così tanto suo marito, e adesso?
Non aveva più parole.
Castle
aveva un misto di sentimenti e sensazioni. Poi tornò serio.
"E
va bene, se proprio ve lo devo dire... vi confesserò tutto." Castle
sospirò, mise una mano sulla faccia, e iniziò a parlare lentamente e
sottovoce, "Sto indagando su quei mafiosi e lo sto facendo sotto copertura.
Ecco perchè non potevo rivelarvi nulla! Mi sono finto loro amico così da
entrare nella loro cerchia!"
I
presenti erano senza parole.
Questo
era un colpo di scena che non si aspettavano.
Il
loro amico e collega era un genio del male!
"Cavolo,
boss.... non ci aspettavamo una cosa simile!"
"Sei un genio!!" disse Ryan sul punto di dare il cinque al capo, ma
Esposito lo bloccò. Forse non era proprio il caso di esultare.
Katherine,
invece, restava fissa, impalata, guardando un punto imprecisato del vuoto.
Tutto
questo tempo... e lui non le aveva detto nulla? Non le aveva accennato un bel
niente!
"Bene,
non abbiamo altro da aggiungere. Ci vediamo al lavoro, capo." disse Ryan.
"Un'ultima
cosa... ti spiace se diamo un'occhiata in giro?" Esposito aveva sempre
l'ultima parola.
"Fate
pure!" rispose Alexander aprendo le braccia e mostrandosi completamente a
suo agio.
I
due detective controllarono le stanze una per una, senza mettere a soqquadro...
controllarono anche quei cassetti dove Katherine in precedenza aveva notato la
foto di suo marito e Provenzano. Castle deglutì quando Ryan andò a scavare in
un cassetto... ma tornò normale quando l'agente non trovò nulla.
Alla
fine, Ryan chiuse il blocco notes, Esposito si arrese e salutò il suo boss. Non
c'entrava nulla a quanto pare. Forse quel capello trovato dalla balistica era
lì per puro caso. Scosse la testa. Non ci avrebbe più pensato. Avrebbe
archiviato il caso l'indomani.
Alexander
poi abbracciò sua moglie.
Aveva
capito che di lei ci si poteva fidare. Sarebbe stato il momento giusto per dirle
tutta la verità? Ma sentiva che nell'abbraccio della donna c'era qualcosa che
non andava... il suo battito era irregolare... Katherine, in realtà, si sentiva
tradita da suo marito.
Poco
lontano da casa Castle, due losche figure avevano appena portato a termini una
truffa ai danni di un casinò.
I
due uomini, fieri, nascondevano per bene la refurtiva nel portabagagli
dell'auto. Si poteva notare che stavano nascondendo anche un'arma... una pistola
calibro 39...
"Ehi,
Sonny, che ce ne facciamo di questa?" Sasà prese l'arma per mostrargliela.
Il fratello subito corse per tappargli la bocca.
"Ma
sei scemo?? Grida un altro po' e ci ritroviamo la polizia alle calcagna!! Per
fortuna Alexander ce l'ha restituita proprio prima che entrassero quei detective
a far piazza pulita!"
"Non
glielo diciamo che abbiamo fatto fuori noi quel Josh Davidson?"
Sonny
storse la bocca divertito.
"Nah...
è pur sempre un detective, ricordalo! Lasciamo brancolare la polizia ancora nel
buio. Tanto ormai avranno capito che lui non c'entra niente con questo omicidio,
e non hanno neanche prove per collegarlo a noi. Papà sarà contento di come sta
procedendo la cosa."
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
State
iniziando a capirci qualcosa su questa storia?
Arrivati a questo punto possiamo dire che la trama
s'infittisce: Castle ha ottenuto ciò che voleva, l'accordo di cui si parlava
nel capitolo precedente era questo. Con la polizia che può archiviare il caso,
Castle si stringe sempre di più nella rete mafiosa, ottenendo anche una vasta
gamma di protezione dalla criminalità organizzata - infatti sono stati i suoi
fratellastri a salvargli il suo alibi. Che il nostro protagonista
stia diventando uno di loro? Al di là di questo, c'è Katherine, una donna che
ama tanto suo marito, che lo proteggerebbe ad ogni costo. E che ora si scopre
però tradita. Arriverà ad un
punto in cui scoprirà tutta la verità?
Tutte
le risposte nei prossimi capitoli! XD
xoxo
D.
|
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Capitolo 12 *** Blood ties. ***
Calvary
Blood
ties
"O
muori da eroe,
o
vivi tanto a lungo
da
diventare il cattivo."
[Batman
Il cavaliere oscuro]
La
domenica mattina era il momento ideale per riunirsi con la famiglia e stare
sereni.
Vito
Provenzano ormai era parte integrante di quell'agglomerato, e tutti i suoi
membri avevano accettato la sua presenza.
La
piccola Johanna specialmente.
Quel
giorno, la bimba invitò l'anziano signore a giocare con lei a nascondino.
La
piccola lo invitò a rincorrerla nel cortile, tra i panni stesi sullo stendino.
Lenzuola
bianche, pantaloni, vestiti.
Provenzano
stava leggendo ma vedendo quello sguardo limpido nel volto di Johanna, non
resistette.
Mollò
tutto e la rincorse, dicendole che l'avrebbe presa prima o poi.
Johanna
correva e rideva, sfidava il nonno a raggiungerla.
Provenzan
correva e rideva anche lui, ma si sentì stanco improvvisamente.
Gli
occhi si aprirono... erano sbarrati. Si toccò il petto. Si sentiva una voragine
nel corpo. Qualcosa che lo stava risucchiando da dentro.
Cercò
di parlare, di chiamare la nipote, ma niente.
Allungò
una mano cercando aiuto, cercando di aggrapparsi a qualcosa, ma invano.
Cadde
all'indietro e fu un tonfo sonoro.
Rimase
in quella posizione supina per un bel po'.
Quando
Johanna chiamò il nonno poiché non lo vedeva più, lanciò un urlo trovandolo
a terra. Dapprima pensò che lui stesse giocando, quindi lo chiamò a gran voce.
Ma quando vide che non batteva ciglio e che gli occhi restavano aperti... la
piccola chiamò sua madre.
Il
rintocco delle campane la domenica pomeriggio.
La
gente della città alzava lo sguardo al cielo, poi guardava l'ora.
Non
era ora per la messa o per il rosario, era troppo tardi.
Dalla
chiesa si erse una folla di persone tutte vestite di nero. Davanti, quattro
uomini trasportavano una bara color marrone. Tra questi vi era: Alexander, Sasà
e Sonny.
Sguardo
cupo rivolto verso il basso.
Dietro
seguivano Katherine, Martha, Alexis e Johanna, la quale non capiva come mai
tutta la gente fosse così triste e continuava a domandare dove fosse andato il
nonno.
La
morte di Vito Provenzano era un fatto accaduto all'improvviso, senza nessun
preavviso.
Se
n'era andato nella stessa maniera in cui era arrivato in quel mondo: da solo.
Dopo
il funerale, ognuno si separò andando per la sua strada.
Castle
era cupo, chiuso in sé stesso.
Strinse
i pugni, incapace di darsi una spiegazione all'evento.
Aveva
appena ritrovato suo padre, e ora lo aveva appena perso.
Strana
la vita, eh?
"Alex...
cos'hai?"
Katherine
lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla per rassicurarlo. Lui pose la
sua mano su quella calda della donna e una sensazione di piacere e
rassicurazione lo invase.
Quel
sentimento venne presto sostituito dal senso di colpa.
"Hanno
vinto, Katherine. La mafia ha vinto. Tutto ciò per cui ho combattuto in questi
anni è stato spazzato via."
La
donna scosse la testa non capendo.
"La
gente perderà la speranza. La morte ha preso anche mio padre."
"No,
Alexander, ascoltami..." gli prese la mani, ponendosi davanti a lui.
Lo
guardò intensamente in quegli occhi in cui poteva perdersi facilmente.
"Nessuno
perderà la speranza. Tu stai facendo qualcosa di buono, invece. E hai dei
colleghi che ti aiuteranno!"
Ma
Katherine non sapeva che Alexander sapeva come stavano realmente le cose.
Quegli
occhi blu erano ormai spenti.
Si
alzò, deciso, dirigendosi lontano da quella casa, lontano da tutti.
Fece
una passeggiata per il viale, fumandosi una sigaretta e guardando in un punto
imprecisato dell'orizzonte.
Passo
dopo passo, immerso nei suoi pensieri, camminava ormai da un'infinità di tempo,
finché giunse davanti al suo distretto di polizia.
Spense
la sigaretta al suolo, con un piede, poi entrò.
Esposito
e Ryan erano ai loro posti a concedersi un attimo di pausa. Quando videro il
loro capo avanzare verso di loro, si bloccarono in quelle posizioni statuarie.
Vedendolo vestito di nero, con quell'aria morta e quello sguardo spento, non
sapevano come reagire.
"Castle...
tutto okay, bro?" il portoricano gli tese la mano per accoglierlo,
ma quella mano di Alexander era troppo fredda e sudava allo stesso tempo.
Il
detective guardò prima uno e poi l'altro.
"Devo
dirvi una cosa. In privato. Nel mio ufficio."
Di
solito quelle parole non promettevano mai nulla di buono.
I
tre, chiusi in quella stanza, si sedettero, uno di fronte l'altro.
Alexander
era ansioso, ma deciso. Iniziò a raccontare loro tutta la verità sulla sua
famiglia, quella dei Provenzano. Di aver partecipato a tutte riunioni con i capi
mafia. E sopratutto, di essere stato lui ad uccidere Tom Demmings quella sera al
locale. Confessò di averlo ucciso per sbaglio. Era stato un istinto incontrollabile.
Demmings aveva superato il limite sparlando di suo padre, e Castle aveva
imparato che la famiglia non si tocca, che va sempre al primo posto.
I
due agenti si guardarono l'un l'altro, dispiaciuti per la vicenda. Poi
osservarono Alexander: quell'uomo davanti a loro era sincero, stava parlando con
il cuore in mano, e sembrava davvero convinto di ciò che diceva. Si dichiarava
lui stesso colpevole.
Poi
allungò le mani verso di loro, stringendole a pugni.
"Fate
quello che dovete fare."
Non
c'era altra scelta per Alexander Castle di passare qualche giorno in prigione.
"Attenzione,
gente! Arrestato noto detective di polizia, Alexander Castle, famoso per le sue
lotte contro la mafia. In prigione da ieri sera per, ironia della sorte,
l'accusa di aver sparato ad un capo mafia che agiva contro la famiglia
Provenzano!"
"Colpo
grosso per la polizia di New York, la più rinomata degli ultimi anni..."
Martha
spense la radio.
Sbuffò
nervosamente. Quella notizia era su tutti i giornali. Per radio e ovunque!
"Non
lo lasciano in pace... questi media sono dei cani assassini!"
"Si
chiamano watch dogs, nonna!" disse Alexis sorridendo, cercando di riportare
un po' di serenità che evidentemente si era persa.
Passarono
due giorni, e Castle era sempre più cupo, chiuso nel buio della sua cella e non
volendo vedere nessuno. Finchè una guardia si avvicinò per aprire e fu allora
che lui alzò la testa. Aveva uno sguardo vuoto, barba incolta ed era mal
ridotto. Forse anche dimagrito.
"Sei
fuori, Castle. Qualcuno ha pagato la cauzione."
Si
alzò lentamente, non capendo perchè qualcuno lo voleva fuori visto che era
accusato di omicidio.
Quando
però si presentarono i suoi fratellastri davanti a lui, capì tutto.
"Dobbiamo
sempre salvarti noi, eh?"
"Dovresti
essere tu il fratello maggiore!"
Sonny
e Sasà si tolsero il cappello per rispetto, poi porsero ad un sempre più
confuso Alexander dei panni nuovi e puliti.
"Non
capisco... cosa..."
"Hanno
arrestato qualcun altro... o meglio... lo abbiamo fatto arrestare..." Sonny
sghignazzava con Sasà.
Invitarono
Alexander a sbrigarsi per uscire.
Contemporaneamente
alla loro uscita, Castle vide passarsi accanto il presunto colpevole, un povero
uomo di mezza strada, pagato sicuramente profumatamente per passare dalla parte
del torto. Dietro a lui, due guardie carcerarie lo facevano camminare a
spintoni.
Il
detective tornò a guardare in avanti.
"...un
detective, accusato ingiustamente... ecco chi è Alexander Castle! Un eroe
nostrano, che si è infiltrato nella criminalità organizzata col solo scopo di
proteggere la sua famiglia e sconfiggere il male. E' con grande onore che
concedo al signor Castle le chiavi della città di New York.
Congratulazioni."
"Grazie,
signor Sindaco."
Giornalisti
si accalcarono per immortalare quell'immagine: Castle che stringeva le mani al
Sindaco, mentre questi gli dava le chiavi.
Katherine,
Martha e Alexis gioivano e battevano le mani.
Mai
come allora erano state così fiere di lui.
Alexander
sorrideva loro.
Se
solo la sua famiglia sapesse cosa avevano fatto i figli Provenzano...
La
folla batteva le mani chiamandolo "Eroe", mentre lui dentro sentiva
quella sensazione di potere e di fama che aveva tanto sognato.
Sì,
ma a quale prezzo?
Un
altro uomo innocente era stato messo in prigione. Ma a quell'uomo andava bene
così.
New
York aveva bisogno del suo vero eroe. Che fosse stato davvero Castle allora?
Più
che eroe, lui si sentiva un cavaliere oscuro che aveva agito nell'oscurità,
lontano dai riflettori...
Quella
sera, la famiglia Castle aveva festeggiato la ritrovata armonia.
Con
le figlie al letto e la nonna rintanata a leggere, Katherine era rimasta da sola
con suo marito.
C'era
sempre qualcosa di diverso in lui e lei stessa non riusciva a capire cosa.
Che
la morte di suo padre l'avesse segnato, questo era poco ma sicuro.
"Alexander...
c'è qualcosa che vuoi dirmi?" dolcemente la donna lo toccò in viso,
sfiorandogli la cicatrice sulla guancia. "Ti sento strano..."
Lui
abbozzò un sorriso.
"Certo...
mio padre è morto, la mafia si è fatta da parte... mi riprenderò e non
vi trascurerò più!" disse guardando foto delle sue due figlie e di sua madre.
"Ora va, raggiungi Alexis e Johanna... sicuro la piccola vorrà sentire una
storia... io ho da discutere delle cose sul
testamento..."
Tolse
la mano della moglie sul volto e le diede le spalle, per dirigersi verso il gran
salone dove il padre era solito tenere le sue riunioni.
Katherine
sentiva ancora che c'era qualcosa che non sapeva.
Qualcosa
che Castle aveva paura di dire o di rivelare.
Qualcosa
che Castle le stava nascondendo.
L'espressione
del marito, appena diede le spalle alla consorte, cambiò radicalmente da
sorridente a seria.
Si
sistemò il cappello sulla testa, poi entrò nella stanza e si sedette al
centro, circondato da altre persone, tra cui i suoi fratellastri.
Katherine
era intenta a sistemare dei fiori dentro i vasi con l'acqua, quando la sua
attenzione si rivolse a quella stanza. Sentiva un vociare confusionario, una
parlata mezza americana e mezza italiana. Volse lo sguardo verso la porta della
stanza che non era stata chiusa, ma lasciava intravedere giusto Alexander seduto
e intorno a lui le persone gli baciavano la mano.
"...baciamo
le mani al nuovo... padrino."
Katherine
spalancò la bocca di fronte a quella scena.
Quello
era il tipico gesto con il quale si accoglieva un capo mafia.
Lei
lo sapeva benissimo, lo aveva imparato.
Rick
guardò i suoi e sorrise compiaciuto.
"La
famiglia al primo posto."
Katherine
guardava e continuava a fissare quella scena, che si chiuse quando il
maggiordomo della famiglia Provenzano chiuse la porta della stanza e questo le
impedì di osservare altro.
Ma
ciò che aveva visto le sembrava abbastanza...
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
Ebbene
sì... qualcuna di voi aveva ragione dicendo che il detective voleva entrare nel
circolo mafioso per smascherarli, e quindi alla fine viene anche premiato per il
suo operato.
Ma...
c'è un "ma"... ed è il colpo finale che non vi aspettavate (o forse
sì? XD)... infatti, Castle
prende il posto del padre alla guida della sua famiglia.
Katherine come la prenderà?
Ma
sopratutto perchè questo cambiamento? E' sempre stato dalla parte dei cattivi?
xoxo
D.
*se
ve lo state chiedendo, sì... l'incipit e una frase nella storia l'ho ripresa da
"Il cavaliere oscuro" XD
|
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Capitolo 13 *** Rise. ***
Calvary
Rise
"Ho
tradito mia moglie.
Ho tradito me stesso.
Ho
ucciso uomini.
E
di altri ne ho ordinato la morte..."
Katherine
aveva tenuto ben nascosto ciò che aveva visto in quella stanza tra suo marito e
i capi mafia.
Si
teneva quel segreto stretto stretto al cuore, aspettando momento migliore per
parlarne col diretto interessato.
Ma
Alexander era sfuggente in quei giorni, troppo occupato a gestire la sua
"doppia vita" tra la polizia e la criminalità, tra la famiglia Castle
e la famiglia Provenzano.
Di
giorno si comportava come se non fosse successo nulla. Lui andava al distretto
con l'impermeabile color sabbia e l'immancabile cappello. Poi lo vedeva
rientrare la sera, nascosta tra le tende della finestra della sua camera, e
indossava un abito griffato color nero, fiore all'occhiello... e l'auto...
quell'auto non era la sua!
Un
uomo lo faceva uscire dalla vettura, aprendogli la portiera e poi lo congedava
col baciamano.
Katherine
doveva prendere una decisione. E doveva agire in fretta!
"Vado
al distretto, ci vediamo stasera!"
"Papà,
papà!"
La
voce di Johanna lo fermò, e in men che non si dica si ritrovò sua figlia tra
le sue braccia, ad avvolgerlo con tutto il suo affetto.
"Ehi,
piccolina... non dimentico il tuo regalo... il regalo per la mamma!" le
disse sottovoce guardandola negli occhi.
Johanna
rise e fece star zitto suo padre mettendogli un dito davanti la bocca.
Era
il giorno del compleanno di Katherine, e Castle le avrebbe preparato una
sorpresa.
La
famiglia era sempre al primo posto.
"Ora
devo andare. Salutami la mamma e la nonna che stanno ancora dormendo!"
Detto
ciò, uscì di casa e si diresse fuori la strada, aspettando cautamente che la
sua auto blu che lo passava a prendere si fermasse al suo solito posto. Si
guardava intorno circospetto.
Katherine
però non stava dormendo. Salutò velocemente Martha e Alexis, ancora immerse
nel sonno, e diede un bacio alla piccola di casa, per poi coprirsi il volto con
degli occhiali da sole enorme, un cappello e una giacca che non indossava mai, e
si precipitò per strada, nascondendosi nei viali.
Stava
seguendo suo marito.
Appena
l'auto blu partì, lei aspettò qualche minuto poi chiamò un taxi.
"Segua
quell'auto blu." disse al taxista cautamente, senza togliersi il
"travestimento" perfetto che aveva indosso.
Qualche
ora più tardi, disse al taxista di fermarsi: erano arrivati ad un hotel di
lusso, dove entravano e uscivano persone in giacca e cravatta e donne con
vestiti lunghi da sera. Tutti comunque erano elegantissimi.
Approfittò
per intrufolarsi, mescolandosi tra la folla, ma l'usciere la fermò.
"Lei
signora, dove va? Mi dica il suo nome."
Una
rapida occhiata alla lista dei prestigiosi nomi e Katherine finse.
Si
strinse nel suo giaccone e alzò lo sguardo verso l'uomo.
"Non
mi ha riconosciuta? Sono la contessa McSoul."
"Certo...
prego contessa." gentilmente le aprì la porta.
Katherine
venne subito colpita da alcuni boss che si incontravano scambiandosi regali e
baciandosi le mani, ma di suo marito non c'era ancora l'ombra. Decise di seguire
il gruppo vestito di nero con cappello e bastone, solo per trovarsi in un grande
salone, stile casinò, dove si giocava alla roulette, si beveva cocktail e si
barava al poker. Una sorta di mini Las Vegas.
Si
mescolò tra gli invitati, sciolse i lunghi capelli mossi e mise il rossetto per
sembrare più a contatto con quella gentaglia. Tenne il suo cappello ampio color
viola, intonato col lungo vestito. Prese un bicchiere di champagne dal vassoio
del cameriere per confondersi e sembrare una degli invitati. Cercò suo marito con l'occhio, ma fu lui il
primo a notarla.
Alexander
era seduto a chiacchierare e ridere con due signori quando incrociò lo sguardo
con questa misteriosa donna che se ne stava in un angolo a bere elegantemente.
Si bloccò nel guardarla. Quella donna gli ricordava troppo sua moglie... scosse
la testa, dicendo tra sé che era impossibile. Non doveva pensare una cosa del
genere...
E
poi perchè doveva seguirlo?
Beh
forse lei aveva le sue ragioni...
Eppure
non smetteva di fissarla.
Uno
dei boss gli chiese sottovoce cosa c'era che lo turbava, e lui mentì dicendo
che gli era sembrato di conoscere quella donna, e la indicò con un'alzata di
testa.
Poi
lo stesso boss gli porse una bustina: dentro c'erano dei soldi e una fondina per
pistola.
"Il
tizio, Larry il Basso, l'abbiamo fatto fuori. Intralciava Sonny e Sasà nelle
partite di poker. E poi non si faceva mai gli affari suoi."
Castle
sorrise, nascondendo la bustina nella giacca interna.
"Avete
fatto bene. Procuratemi al più presto la lista delle altre persone mafiose che
ci stanno tradendo o che fanno il doppio gioco. Poi me ne occuperò io
personalmente."
"Va
bene, Padrino."
Di
corsa, Katherine corse fuori dall'edificio, ma nella fretta fece cadere a terra
un fermaglio a forma di farfalla blu, che lei non notò.
Una
figura con una sigaretta in bocca notò l'uscita della donna e la seguì,
raccogliendo poi quell'oggettino caduto a terra.
La
donna seguì il marito per tutto il giorno.
Dopo
gli affari con i boss, Castle si recava al lavoro. Cambiava la sua
"divisa" e tornava ad essere un onesto cittadino. Sguinzagliava i suoi
cani, Esposito e Ryan, in giro per la città a indagare e risolvere quegli
stessi omicidi che lui ordinava.
E
la donna non riusciva a credere con che facilità suo marito cambiasse
espressione. Aveva una doppia vita.
"Katherine,
darling, dove sei andata di corsa?"
"Volevo
una conferma... so cosa ha fatto Alexander! Martha, dobbiamo agire, senza
coinvolgere l'FBI però! E' una cosa grossa!"
Katherine
parlava senza fare una pausa, talmente agitata com'era in quel momento. Martha
non capiva.
"Siediti
cara, ti faccio del thé.."
"No,
non c'è tempo! Martha, siediti tu."
L'espressione
seria della nuora la colpì e capì che non c'era tempo per ribadire qualcosa.
"Tuo
figlio, è dentro la criminalità organizzata. Ci ha preso tutti per i fondelli.
Me, te e la polizia di New York! L'hanno dichiarato un eroe, invece non lo è
affatto! La mattina si incontra con i boss e organizza omicidi, fa affari... il
pomeriggio si reca in polizia per risolvere gli stessi omicidi che anche lui ha
fatto!"
Anche
Alexis e Johanna intervennero, sentendo le due donne chiacchierare.
"Cosa
sta succedendo qui?" chiese la più grande, stringendo la piccola tra le
braccia.
Katherine
e Martha si voltarono, guardandosi prima negli occhi, poi esalando dei respiri
profondi.
Da
quegli sguardi, Alexis capì che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa che
riguardava suo padre.
Era
una questione complicata. Alexis era intelligente e qualcosa aveva intuito.
"No,
no, no! Non può essere vero!" lasciò andare Johanna, la quale non
comprendeva a pieno quella situazione di sgomento.
Katherine
si toccò i capelli e fu allora che si rese conto di non avere più il suo
fermaglio...
"Cercai
questo, tesoro?"
La
donna e le altre si voltarono e furono sorprese nel trovare Alexander Castle
fermo davanti a loro, con in mano il fermaglio a forma di farfalla blu.
Katherine
si morse il labbro, guardando le altre donne della famiglia Castle.
La
situazione era giunta alla resa dei conti.
"Mi
hai seguita... non mentirmi!"
L'uomo si avvicinò a passo deciso, sbattendo per terra l'oggettino blu.
"Alexander, la tua attività, la tua doppia vita sta rovinando la nostra
famiglia!!"
"Di che stai parlando?!"
"Guarda
che ci sta succedendo!! Guarda le tue figlie, tua madre... guarda noi
due!!"
"Che
cosa c'entra adesso tutto questo?? Sono i miei affari, non i tuoi!! Non ti ho
chiesto di farne parte!"
"Non
ti ho chiesto neanche di mentirmi!!"
"Perchè
stai alzando la voce???"
"Perchè la stai alzando anche tu!!!"
Johanna
pianse, stringendo la gonna della nonna Martha.
Questo
bloccò i due amanti dal loro litigio.
"Nonna,
che succede tra la mamma e il papà?"
"Niente
tesoro, vieni qui..."
La
matriarca comprese che lei e le nipoti dovevano farsi da parte.
Johanna
non poteva vedere queste cose.
Il
mondo era già un posto cattivo per conto suo. Non poteva permettere che tutto
il male del mondo entrasse nella sua famiglia... dentro le mura della sua casa!
Katherine
tratteneva le lacrime guardando le sue figlie allontanarsi.
"Ma
non pensi al nostro futuro?"
Ma
Alexander era serio.
"Non
voglio più sentirti dire questo, Katherine... tu non sai come stanno le cose!
Io mi sto ammazzando per portare avanti due famiglie... e lo sai quando la
famiglia mi sia cara! Tu non capisci! E' finita tra noi!"
"Per
me puoi anche uscire da questa porta e non tornare mai più, Richard Alexander
Castle."
Cadde
un silenzio tombale tra i due. Si era raggiunto il punto di rottura massimo.
Katherine
aveva tentato di proteggere il marito, di stargli vicino e di ascoltarlo. Ma
adesso i suoi occhi urlavano disperazione.
Strazio.
Non ce la faceva più.
Era
una donna a pezzi, ne aveva sopportate fin troppe.
Alexander
la guardò e non ci fu neanche un segno di risentimento.
Prese
cappello e giacca e se ne andò di casa sbattendo forte la porta.
Martha
e le due nipoti se ne stavano nascoste, spaventate da quella violenta reazione e
da quella voragine che si era creata tra i due.
Katherine
si morse il labbro e strinse i pugni.
No,
non avrebbe mollato.
Si
mise a correre per raggiungerlo fin fuori casa e si fermò quando sentì che era
abbastanza vicina.
"Rimpiangerai
quello che stai facendo!!" gli urlò contro con tutta l'aria che aveva nei
polmoni.
L'auto
blu parcheggiò davanti a casa. Alexander fece per salire, quando si voltò
verso sua moglie.
Sguardo
gelido che raffreddò anche il cuore di lei.
"D'ora
in poi sono Richard Alexander Provenzano per te."
Chiuse
la portiera della macchina e diede segno all'autista di andare via.
Katherine
lasciò che il suo corpo parlò per lei, abbandonando le ginocchia a terra,
braccia sul viso e si lasciò andare ad un urlo disperato contro il cielo.
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
La
nostra Katherine badass che conosciamo bene si è messa all'opera e ha tirato
fuori "le palle"; tuttavia questo non è bastato.
Alexander
Castle
ormai sembra aver preso la decisione di passare dalla parte cattiva e di
lasciare la strada nuova che aveva intrapreso.
L'ascesa
del Padrino è quindi iniziata.
Ma
siamo sicuri che durerà?
Per
scoprirlo, vi aspetto nell'ultimo capitolo XD
xoxo
D.
|
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Capitolo 14 *** The Godfather. ***
Calvary
Arriviamo
finalmente all'ultimo capitolo e quindi all'epilogo di questa storia.
Spero
che vi sia piaciuta e che non vi abbia fatto soffrire troppo XD
Tutte le carte verranno messe in tavola.
Non
ci sarà più tempo per mentire.
Il
momento della verità è arrivato.
E
nessuno sarà più al sicuro!
Buona
lettura, ci commentiamo alla fine, aspetto le vostre recensioni XD
The
Godfather
"Richard
Alexander Castle
è
a capo di una grande famiglia mafiosa
che sta espandendo il
suo potere su questo paese."
Un
telefono squillava insistentemente.
Da
una stanza lunga, si sentivano passi di mocassini avvicinarsi con tranquillità
all'apparecchio.
Un
uomo occhialuto alzò la cornetta esordendo.
"Federal
Bureau of Investigation. Chi è che parla e come ci avete trovato?"
"Contenta
di sentirti, caro Frederick! Pensavo che il buon Dio avrebbe portato via prima
te!"
L'uomo
sorrise sistemandosi gli occhiali.
"Martha
Rodgers! Che sorpresa! A cosa devo questa chiamata?"
"Ho
bisogno che tu aiuti mio figlio ad uscire fuori da un giro di
criminalità."
La
notte sembrava calma e serena a Villa Provenzano.
Alexander
si era trasferito là da circa una settimana, da quando aveva lasciato la sua
famiglia.
Tutti
dormivano.
I
fratelli Provenzano stavano ognuno in una stanza diversa.
Fuori
dalla casa si udivano solo qualche rana o qualche civetta far rumore.
La
quiete durò poco.
Un
lampo, un rumore di sirena e poi un sobbalzo da parte dei tre fratellastri, che
li costrinse ad obbedire quando gli uomini vestiti di nero puntavano le loro
armi contro di loro e urlavano "Mani bene in vista, questo è l'FBI!"
Costretti
a scendere dai loro letti, a vestirsi e seguire il gruppo di militanti nei loro
furgoncini, Alexander, Sonny e Sasà non preferivano parlare, guardandosi in
faccia annientati.
Sapevano
che quella sera sarebbe finito il loro gioco alle spalle della giustizia.
In
cuor suo, Alexander sapeva che c'era stata una soffiata da parte dell'unico
membro della famiglia che odiava la criminalità e aveva contatti con
l'organizzazione federale: sua madre Martha.
"Blitz
in casa dei Provenzano. L'FBI si è intrufolato in piena notte per costringere i
tre fratelli ad uscire e seguirli in prigione. Questa segna la seconda volta che
Richard Alexander Castle, che si riteneva uno stimato eroe della città, viene
messo in cella. L'FBI ha dichiarato che stavolta non ci saranno più dubbi:
farà ammettere a Castle che fa parte di una grande famiglia mafiosa e che ha
lavorato solo in copertura nella polizia."
"Per
favore, spegnete questa radio? Non ci basta andare in tribunale per assistere al
processo, devo pure subire i giornalisti!"
Lanie
era irritata, ma in un certo senso cercava anche di risollevare il morale di
Javier e del suo amico Kevin, accompagnato da sua moglie Jenny.
I
tre erano gli ultimi che entravano in tribunale quella mattina.
Erano
le 10:50, e tra dieci minuti sarebbe cominciato il processo: lo stato di New
York contro Richard Castle.
"Mi
sembri tranquillo, fratello... cos'è quel ghigno adesso?"
Alexander
guardò Sonny e Sasà.
In
effetti si era vestito sobrio quella mattina; abito nero con cravatta rossa e
l'immancabile cappello, stavolta intonato al vestito.
Era
un misto tra perfetto gentiluomo e gangster.
"Sonny,
mi fa paura... che ha in mente? Mica vorrà uccidere la giuria??"
"Zitto,
Sasà! Anche se fosse, ti pare il caso di urlarlo a mezzo mondo??"
Alexander
diede uno schiaffo ai due.
"Stupidi
che non siete altro. Per fortuna ho imparato molte cose da nostro padre. Vedete
il nostro avvocato, quel Edwards? Beh, l'ho assunto io. E' uno del clan vecchio
di Capone, ci tirerà fuori e saremo assolti... mani pulite!" disse e
mostrò le mani ai due.
Castle
sembrava molto sicuro del suo agire. Anzi, quasi non vedeva l'ora che il
processo finisse.
"Tutti
in piedi, presiede il giudice Jackson. Lo stato di New York contro Richard
Alexander Castle. Fate entrare il giurato."
Il
giudice e Alexander entrarono quasi nello stesso istante nell'aula. Uno si
presentò uscendo da una porta al lato sinistro della corte, l'altro dalla parte
opposta, mani strette in manette, e trasportato da due guardie, che lo fecero
sedere nell'apposita sedia vicino alla corte, pronto per essere giudicato.
Osservava
la folla e il suo sguardo si fermò sulla sua famiglia: Katherine vestiva come
se andasse ad un funerale, con quell'abito nero e quel velo di pizzo che da
davanti il viso, portò all'indietro appena ricambiò lo sguardo del marito.
Martha stringeva le mani delle sue due nipoti e con fierezza guardava suo
figlio, in compenso lui rispondeva con occhi di sfida.
Mai
avevano visto Alexander comportarsi in quel modo. Martha sapeva di avergli fatto
del male, di non averlo difeso, ma qui si trattava di una cosa seria: giustizia
contro amore materno? Per lei che aveva passato anni in copertura, sapeva che la
giustizia doveva compiere il suo corso. Anche se questo significava condannare
sangue del suo sangue alla forca.
"Signor Castle, è vero che ha il controllo della famiglia Provenzano, la
più potente famiglia italo-americano mafiosa?" l'avvocato Edwards
procedette con calma, cercando di non tradire i suoi sguardi, affinché lui
risultasse più imparziale possibile agli occhi della giuria e del giudice
stesso.
Stretto
nel suo completo griffato, che gli mostrava le ampie spalle, più grandi
rispetto alla testa minuta, ogni tanto Edwards si dava una pulita agli occhiali
da vista, tra una domanda e l'altra.
"Sì,
è vero." rispose Castle senza neanche esitare.
"E
da quanto tempo gestisce gli affari di famiglia?"
"Dalla
morte di mio padre."
"Quindi
si è sempre comportato da onesto cittadino fino alla morte di suo padre, Vito
Provenzano?"
"Sì,
la mia fedina penale è pulita."
Kate
si mordeva il labbro, trattenendosi dallo sbatterlo al muro e prenderlo a
schiaffi.
"Quindi
lei non ha niente a che vedere con gli ultimi omicidi ai capi mafia, signor
Castle?"
"Sono
assolutamente pulito."
"Quindi
perchè è stato messo in prigione per ben due volte?"
"Mi
hanno incastrato. Io cercavo solo di mantenere due famiglie, la mia dei Castle e
quella dei Provenzano, che come sapete tutti gestisce i traffici illeciti. Se
sono stato accusato, se mi sono trovato in certi posti è stato solo per puro
caso."
Edwards
e Alexander si scambiarono uno sguardo d'intesa. Poi l'avvocato tornò a
rivolgersi al giudice.
"Non
ho altro da aggiungere."
Toccò
quindi ad una sfilza di altri sette avvocati, tutti seduti davanti all'imputato
Castle, che fecero una domanda ciascuno. Essi rappresentavano gli Stati Uniti, e
ognuno gli fece domande inerenti ai rapporti tra Alexander e la mafia.
"Stiamo
scherzando, vero? Odiarli?? Gli
italo-americani sono le persone più oneste e laboriose di questo paese, signor
avvocato! Senza la loro immigrazione, il loro lavoro, non avrebbero portato
l'America a diventare la grande nazione che è adesso!"
Man mano che il processo andava avanti, il giudice era sempre più perplesso,
diviso tra il senso di nazionalismo gridato da Castle, e la giustizia.
"Signor
giudice, rendiamoci conto che Richard
Alexander Castle è a capo di una grande famiglia mafiosa che sta espandendo il
suo potere su questo paese! Anche se ha ritenuto di non avere avuto nulla a che
fare con gli omicidi ai danni dei capi mafia, resta comunque un pericoloso
soggetto!"
"Obbiezione,
vostro onore! L'avvocato sta offendendo il mio cliente. Nessuno l'ha definito
pericoloso soggetto!" Edwards scattò in piedi.
"Obbiezione
accolta, avvocato Edwards. Il processo è chiuso."
La
tensione era alle stelle. Kate incontrò Alexander tra i corridori e gli diede
un bel pugno in faccia, lasciandogli il segno.
Dovettero
intervenire Martha e Alexis per tenerla ferma, mentre due guardie trattennero
Alexander.
"Non
credere di farla franca, brutto bastardo!!"
"Mi
piaci quando ti arrabbi, lo sai, tesoro?"
Quel
ghigno beffardo sul suo volto.
Ancora.
Katherine
provava nient'altro che disprezzo per quell'uomo che credeva di amare un tempo.
Sapeva
come sarebbe andata a finire.
Quell'avvocato
e forse pure il giudice, come la giuria, erano stati comprati da lui stesso!
E
infatti la sentenza fu irrevocabile.
Il
giudice dichiarò Alexander Castle innocente, e ben presto, anche Sonny e Sasà
scontarono la pena, ridotta con arresti domiciliari.
Di
nuovo la criminalità organizzata aveva vinto, e si sarebbe estesa per tutto il
paese e forse anche oltre.
Non
c'era davvero niente da fare?
Quello
che non sapeva Alexander era che Katherine si era allenata di nascosto a
sparare, grazie alla complicità dell'amica Lanie, che le aveva dato un
lascia-passare per la stanza dove i poliziotti si allenavano.
Katherine
era una tosta. Quando si metteva in testa qualcosa, poi doveva raggiungerla e
farla.
Quella
fredda sera, si era decisa a contattare suo marito e a fissare un appuntamento
fuori la loro villa.
Alexander
era nel bel mezzo di un grosso affare, e aveva allargato il suo clan ad un'altra
famiglia italo-americana, mentre discuteva con loro sugli effetti del processo.
"Quell'Edwards
è stato bravo, vero? Chissà che fine ha fatto poi... dopo la ricompensa che
gli abbiamo dato, è come..svanito come Houdini!" Sonny rideva contando le
mazzette guadagnate quella sera.
"L'ho
fatto far fuori. Sapeva troppe cose della famiglia." Alexander era sereno
mentre pronunciava quelle cose.
Come
se ormai far uccidere qualcuno fosse una cosa all'ordine del giorno.
Dallo
sgomento iniziale, Sonny e Sasà si misero a ridere.
"Sei
proprio come papà! Ci aveva visto bene, eh!"
"Che dici, Sonny, facciamo vedere al fratellone i cassetti segreti della
famiglia Provenzano?"
Castle
scosse la testa, non capendo.
"Quali
segreti?"
"Nostro
padre stava progettando in grande, guarda qua..."
Sasà
gli porse una specie di cassaforte e al suo interno c'erano dei veri e propri
progetti segreti che miravano alla sicurezza nazionale, perfino alla Casa
Bianca. Era un complotto per far diventare un grosso mafioso il prossimo
Presidente degli Stati Uniti.
Alexander
spalancò gli occhi, incredulo di quanti passi era riuscito a fare e quanti ne
aveva fatti il suo vecchio padre.
"Sei
senza parole, eh?! Ti riprenderai!!"
Sonny
gli diede delle pacche sulla schiena, poi si fermò notando che c'era una donna
alla porta, seguita dal cameriere.
"Guarda
un po' chi ti è venuta a trovare, fratello..."
Alexander
si voltò seguendo lo sguardo di suo fratello.
"Katherine?
Che ci fai qui?"
"Solo
parlare. Possiamo farlo fuori?"
"Certo,
per te ho sempre tempo."
Uscirono
dalla villa, non sapendo che sarebbero stati raggiunti da Sonny e Sasà,
sospettosi delle intenzioni della donna.
"Katherine,
se sei qui per parlare del divorzio, okay, io---"
"Mani
in alto, tesoro!"
La
donna gli stava puntando una pistola addosso.
Questa
lui non se l'aspettava.
Fece
come le aveva ordinato, e in fondo all'anima era orgoglioso che finalmente la
sua donna si era fatta sentire.
Ora
sapeva cosa doveva fare.
"Sei
pur sempre una donna, Kate. E io sono più veloce e più furbo."
Lei
non realizzò fino a quando si ritrovò lui che le puntava una pistola.
Katherine
era sicura. Oltre ad avere un'arma in mano, c'era una squadra dell'FBI e della
polizia pronta a intervenire, nel caso la situazione sarebbe degenerata. Tra
loro, Esposito e Ryan, che osservavano la scena con ansia, nascosti come gli
altri, nelle loro auto, parcheggiate fuori la villa.
Katherine
e Alexander erano
uno di fronte l'altro, a qualche metro di distanza, poiché avevano fatto
qualche passo indietro, pronti e decisi per prendere la mira e sparare.
Si
guardavano intensamente, senza mai staccare l'occhio l'uno dall'altra. Sembrava
di assistere ad un duello del far west, tutto era giocato sugli sguardi, in
attesa che uno di loro due facesse un passo falso per poter, poi, rispondere e
premere il grilletto...
Bang!
Bang!
La
donna chiuse gli occhi per un attimo, incapace di riaprirli a causa di quel
frastuono a cui non era abituata.
Li
riaprì pian piano per accorgersi che suo marito davanti a lei aveva la pistola
a terra, braccia tese e volto sconvolto.
Alexander
stava respirando a fatica.
Seguì
il suo sguardo e quando lui le indicò di voltarsi lei gli osservò il labiale
"Stai attenta..."
Katherine
si voltò e non riusciva a credere ai suoi occhi.
Spalancò
la bocca appena identificò i due corpi a terra, colpiti uno al torace e l'altro
vicino al cuore.
Erano
morti stecchiti e a fianco a loro c'erano le loro pistole.
Erano
Sasà e Sonny.
Castle
aveva ucciso i suoi fratelli.
Katherine
guardò prima loro e poi suo marito.
L'FBI
e la polizia con calma, uscì dalla loro copertura, avvicinandosi alla scena.
"Ho---ho
ucciso i miei fratelli, Kate. H-ho ucciso carne della mia carne... io--"
Katherine
si avvicinò posandogli le mani sul volto e poi un dito sulle labbra.
"Sssh
è tutto finito."
Intanto
la polizia si era avvicinata e analizzava i due corpi inermi sul terreno.
Appena
identificati i corpi, partirono blitz all'interno della villa dei Provenzano, e
in breve tempo, riuscirono a catturare i boss che fuggivano con pacchi di soldi
nelle tasche.
"Li
ho uccisi per salvarti, Kate... loro stavano per spararti..." le prese le
mani e in quel momento la donna fu colta da un misto di sentimenti.
Quegli
occhi di ghiaccio che aveva visto ultimamente nell'uomo che amava, non c'erano
più.
Ora
erano velati di tristezza ma anche di amore.
Tristezza
perchè aveva ucciso i suoi fratellastri.
Amore
perchè aveva salvato la vita della donna che amava.
"Io
non capisco, Alexander... perchè hai finto? Perchè..."
In
quel momento, le forze dell'ordine si avvicinarono ai due, poi vennero raggiunti
da Martha, Johanna e Alexis che corsero ad abbracciare Alexander, non curandosi
dei corpi a terra, che vennero subito rimossi, non curandosi del fatto che lui
fosse o poteva essere un "soggetto pericoloso".
Katherine
se ne stava lì in piedi ancora sconvolta, non sapendo se gioire o meno.
"Tutto
questo tempo, Alexander... "
Fu
allora che lui la raggiunse, l'abbracciò forte e lei pianse.
Forse
aveva bisogno di una scossa del genere per farla sciogliere.
"Non
sono mai cambiato, Kate. Sono sempre io, Alexander Richard Castle." la
baciò sulla testa, accarezzandola, poi si rivolse al resto della sua famiglia.
"Vi
avevo detto che avrei fatto di tutto per proteggere la mia famiglia. E siete voi
la mia sola e unica famiglia. Ho capito, madre, che non è la famiglia a
scegliere a chi appartenere. Ma il destino lo fa per te. E io ritornerò sempre
dalle persone che mi hanno sostenuto in questi anni."
"E
dei Provenzano, tesoro?" chiese Martha, guardando i corpi freddi dei
fratelli su delle barelle vicino la polizia.
"Dovevo
chiudere con il mio passato una volta per tutte. Mi stava trascinando dentro...
e l'unico modo era finirci di nuovo dentro. Dovevo agire da solo, da
infiltrato. E per convincere la mafia che ero un poliziotto corrotto, dovevo
prima convincere voi che lo ero."
"Richard
Castle... sei... un genio! Tutto da sua madre!!"
Martha
si gongolò davanti la polizia e Alexander arrossì.
Finalmente
Katherine sapeva la verità.
Alexis
e Johanna abbracciarono più volte il padre, e la piccola espresse il desiderio
di voler diventare detective proprio come lui.
Esposito
e Ryan si congratularono con lui, dicendogli che gli avevano fatto prendere un
colpo quando lo credevano un criminale.
L'irlandese
si vantava dicendo che era sicuro che il suo capo fosse innocente, al contrario
di Javier, che si difendeva prendendolo in giro perchè stava piangendo per la
commozione.
"Signor
Castle... mi spiace interrompervi... sono Edgar Hoover, si ricorda di me?"
l'uomo gli porse la mano e allora Alexander ricordò quando anni fa aveva
collaborato con lui...
"Certo,
come dimenticare!"
"Prenderemo
atto della sua azione, si è comportato da vero infiltrato. Nessuno meglio di
lei avrebbe potuto fermare interi clan in quel modo. Ora i Provenzano sono
finiti. Gli altri boss, perchè ce ne saranno sempre, verranno catturati, ma non
è questo il punto. Proprio per la sua tenacia sarebbe un onore se lei entrasse
a far parte dell'FBI."
Alexander
si guardò intorno: questo sarebbe stato un gran passo avanti per lui.
Non
sarebbe più stato il solito detective.
Però
poi vide il sorriso stampato sui volti delle donne della sua famiglia, che non
aveva mai visto così serena, e non ebbe dubbi sulla risposta da dare.
"Sono
onorato ma... credo che Esposito e Ryan farebbero un bel lavoro al posto
mio."
I
due poliziotti citati si indicarono col dito, increduli di ciò che il detective
aveva appena detto.
Il
presidente dell'FBI Hoover guardò i due: non ispiravano poi tanta tenacia, ma
col tempo si sarebbero abituati a indossare gli abiti dell'organizzazione
federale più potente degli Stati Uniti.
Alexander
poi prese il suo distintivo, che Martha gli aveva porto, ma... lui se lo rimise
addosso.
Lo
diede a Esposito e Ryan dicendo "Fatene buon uso!"
Stava
rinunciando agli onori e alla gloria per stare con la sua famiglia e vivere
felice.
Lui
era il Padrino... ma della famiglia dei Castle.
Ecco
chi era realmente Richard Alexander Castle.
Alexander
sorrise a Hoover, il quale ricambiò avendo capito tutto sul genere di persona.
Poi prese Johanna in braccio, Martha e Katherine sotto braccio a lui, e si
incamminarono verso l'uscita da quella villa che non avrebbero rivisto mai più.
Dietro
di loro, lasciarono una scia di sangue che finalmente aveva avuto il suo
epilogo.
La
villa sarebbe stata messa all'asta e comprata da qualche miliardario.
Ben
presto, l'FBI avrebbe scoperto anche l'affare del far entrare un mafioso alla
Casa Bianca che avrebbe compromesso l'intero sistema americano.
La
famiglia Provenzano sarebbe stata solo un brutto ricordo del passato di Castle.
"Hai
rinunciato a tutto, anche alla tua carriera... perchè?" chiese Katherine,
prendendo stavolta lei Johanna in braccio.
Lui
sorrise guardando per l'ultima volta la sua famiglia di nuovo riunita.
"La
famiglia al primo posto. Always."
FINE.
Angoletto
dell'autrice (poco sana di mente):
Ebbene
spero che il gran finale vi sia piaciuto.
Ricordate
la frase che non è la famiglia a scegliere, ma il destino lo fa per te?
Beh,
Richard Alexander Castle era destinato a stare con la sua vera famiglia... non
con quella mafiosa, ovviamente.
E'
un uomo cambiato e deve questo sopratutto all'amore che ha riscoperto stando con
Katherine, sua madre e le sue figlie.
Per
lui si è concluso un ciclo uccidendo i suoi due fratellastri, perciò ha
rinunciato al suo distintivo come risposta alla preghiera che aveva fatto.
Una
vita normale è quella che ci vuole dopo tutto, invecchiando con le persone che
ama.
Ci
si legge nella mia prossima FF, a partire da maggio ;)
xoxo
D.
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