Castle's Godfather

di _diana87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trailer ***
Capitolo 2: *** Family comes first ***
Capitolo 3: *** I'm gonna make him an offer he can't refuse. ***
Capitolo 4: *** Watch your back ***
Capitolo 5: *** Redemption ***
Capitolo 6: *** Honour thy father and thy mother ***
Capitolo 7: *** Thou shall not kill ***
Capitolo 8: *** Before the devil knows you're dead. ***
Capitolo 9: *** A family stays together. ***
Capitolo 10: *** Calvary (part 1) ***
Capitolo 11: *** Calvary (part II) ***
Capitolo 12: *** Blood ties. ***
Capitolo 13: *** Rise. ***
Capitolo 14: *** The Godfather. ***



Capitolo 1
*** Trailer ***


Nuova pagina 1

Volevo scrivere una storia diversa, ma ho pensato, quale cosa migliore di un continuo di "Gangasta's Paradise"?

Era nell'aria da parecchio, ed ora ecco qui la storia.

Ovviamente non ricalcherà tutto il film, sennò facciamo il 2020, quindi diciamo che è solo ispirato XD

Un primo assaggio lo trovate con questo teaser, il resto della fanfic attenderà invece! XD

Leggete (ma sopratutto guardate) e fatemi sapere che ne pensate... buona lettura!! :)

 

 

 

The Godfather

 

 

 

Teaser.

 

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=XlhR1WJjfGA

 

 

 

Alexander Castle.

Katherine Castle Beckett.

Javier Esposito.

Kevin Ryan.

Martha Rodgers.

Alexis Castle.

Lanie Parish.

 

Stavolta Castle incontrerà suo padre, Don Vito Provenzano.

E dovrà prendere delle decisioni che non potrà rifiutare.

"La famiglia al primo posto."
"Onora tuo padre e tua madre."

 

Prossimamente su EFP.

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Capitolo 2
*** Family comes first ***


Family comes first

Family comes first

 

 

INCIPIT.

 

"Io credo nell'America.

L'America fece la mia fortuna.

E io crescevo mia figghia comu n'americana,

e ci detti libertà,

ma ci insegnavano puro a non disonorare la famiglia."

["Il Padrino"]

 

 

 

La nebbia della sera iniziava ad addensarsi sulla New York del 1940.

La gente era frenetica; la borsa era alle stelle, gli economisti urlavano a squarciagola "Compro, vendo", quasi come se volessero dimenticare il crollo finanziario di quel terribile 1929. Perchè l'America facilmente dimenticava le proprie ferite, però si cercava di andare avanti.

Come quando un americano sentiva le notizie alla radio a proposito della guerra.

Oppure una mamma che, tenendo in mano una catenina con un crocefisso, pregava e ascoltava trepidante la lista dei caduti in guerra, sperando che non ci fosse il proprio figlio incluso.

Altrove, i bambini ascoltavano la radio solo perchè era l'unica fonte di intrattenimento, oltre i giocattoli: un cavalluccio a dondolo di legno, un pallone mal ridotto, o un piccolo flauto in legno.

Ma per ogni newyorkese la sera era il momento per rilassarsi nella propria casa, dopo una dura giornata di lavoro, e riabbracciare la famiglia con prole al seguito.

 

"Sono a casa!!" l'uomo dal sorriso sgargiante superò la soglia di casa, chiudendo la porta alle sue spalle.

Velocemente posò il cappello color sabbia sull'attaccapanni, e a rispondere al suo saluto arrivò una ragazzina di sei anni circa, con un buffo cappellino con una piuma che le andava decisamente troppo grande.

L'uomo sorrise e prese in braccio la figlia.

"Ecco la mia piccola detective... come sta la mia Johanna?" le sistemò il cappello per vedere meglio il suo bel viso.

Occhi azzurri come suo padre e capelli lunghi e ondulati come sua madre.

"Beneee oggi io e la mamma abbiamo fatto una torta di ciliege!"
"Uhmm la mia preferita!"
"Su questo non c'erano dubbi, Alexander Castle." la donna prima nominata si avvicinò al marito, sguardo seducente e braccia conserte, aspettandosi un bacio.

Alexander sorrise, scrutando la dea che aveva davanti, poi lasciò andare la piccola Johanna, che corse in cucina seguendo l'odore della cena che la nonna Martha stava preparando.

"Signora Castle... vi trovo bene... avete comprato un nuovo vestito?" disse avvicinandosi a sua moglie, che indossava un bel vestito nuovo, in effetti, un grigio perla a maniche corte, stretto ai fianchi e che le calzava fino al ginocchio. Per completare il tutto, delle perle intorno al collo che le scendevano incastrandosi a formare una specie di fiocco sopra il seno.

"Sì, gli affari vanno bene, signor Castle, e vostra moglie ne approfitta per fare spese!"
"E fate bene!"

Ormai erano vicini, lui la prese per la vita, le fece fare un casquette, causandole una risata per il solletico, poi la riportò sopra e la baciò appassionatamente.

Lei allungò le braccia intorno al collo del marito, assaporando il suo dolce profumo, mentre gli toccava quel capelli sempre un po' sbarazzini.

"Se avete finito, c'è la cena pronta!" Alexis, la figlia naturale di Castle, fece capolino dalla cucina con una smorfia, e fece staccare i due.

"V-veniamo." rispose Alexander, che ancora doveva riprendersi dal bacio.

Kate si limitava a tossire trattenendo una risatina.

La tavola era imbandita a nozze: un primo piatto di spaghetti con i gamberi, insalata russa, polpette di carne e un dessert di dolci assortiti che Martha tirò fuori dal frigo, canticchiando tra sé.

Gli altri iniziarono a sedersi.

Alexander osservava le donne della sua vita tutte sedute intorno: fino a dieci anni fa non si sarebbe immaginato una scena del genere. Ora aveva una famiglia al completo, tutta intorno a lui.

"Non avevi la cena coi tuoi agenti al distretto?" gli chiese Kate, iniziando a servire ai tavoli.
"Sì ma ho detto che dovevo ritornare a casa per stare con voi."
"Tesoro, come sei dolce." gli toccò la guancia, facendogli un pizzicotto, che fece sorridere Martha e ridere le altre due figlie.
Castle sorrise prima a sua moglie, poi al resto delle donne.

"La famiglia al primo posto."
Tutti si voltarono di scatto quando sentirono un rumore di piatti rotti. Martha aveva fatto cadere l'insalatiera e tutta la verdura era caduta a terra. Impassibile, la donna continuava a guardare il figlio e boccheggiare... era inutile, le parole non le uscivano.

"Nonna, stai bene?"

Kate fece segno ad Alexis di andare ad aiutare Martha, che al momento non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal figlio. Lo guardava: Alexander aveva i capelli tirati indietro, e per un attimo le era sembrato che portasse uno smoking nero con le strisce grigie, e un fazzoletto rosso sulla tasca esterna della giacca. Sotto al vestito una camicia. Quell'immagine non riusciva a togliersela dalla testa... malediva se stessa e si chiedeva, perchè proprio ora?

Velocemente, Kate ed Alexis pulirono a terra, raccogliendo i cocci rotti, e poi aiutarono Martha a sedersi pian piano.

La donna stava tremando, e Castle era davvero preoccupato.

La piccola Johanna, ingenuamente, offrì alla nonna un fazzoletto per pulirsi il viso, che Martha accettò, riprendendo fiato.

"Madre, cosa ti turba?"
"Oh, niente, Alexander... solo che... quella frase che hai detto... l'ho già sentita da qualcun altro."
"...qualcuno che ti turba?" azzardò Kate, guardando prima Alexander e poi Martha.
La donna sospirò e cambiò subito argomento.

"Perchè non iniziate a sedervi? C'è una tavola imbandita solo per voi!" disse sorridendo e indicando i piatti a tavola.

Kate ed Alexander continuavano a scambiarsi sguardi: c'era qualcosa che non andava in Martha.

 

La cena fu deliziosa. Johanna aveva mangiato così tanto che si era addormentata sul foglio dei disegni che stava colorando; Alexis aveva portata sua sorella in camera e alla fine si era addormentata anche lei.

Martha se ne stava seduta sul divano col bicchiere di vino rosso tra le mani. Scrutava il bicchiere alla ricerca di un perchè, di un segno, di una risposta dal destino.

Kate la osservava dalla cucina e chiedeva ad Alexander di indagare.

"Tua madre mi preoccupa... non l'ho mai vista così... cosa le sarà successo?"
"Ripercorriamo la scena..."

Alexander mise la mano sotto al mento, col segno di pensare. Questo gesto faceva sempre ridere Katherine. Ma in quel momento non c'era così tanto da ridere.

"Cosa ho detto che l'ha fatta immobilizzare?"
"Stavi dicendo che questa sera c'era la cena con gli altri agenti al distretto, ma che preferivi tornare a casa e stare con noi."
"Giusto. Poi ho detto... la famiglia al primo posto..."
"La famiglia al primo posto..." ripetè Katherine a manetta. "Tesoro, vai a parlare con tua madre... lei saprà dirti qualcosa... forse abbiamo mosso in lei qualche ricordo che pensava di aver dimenticato..."

L'uomo sospirò.

"Il guaio Katherine è dopo anni a fare la spia e poi l'attrice, molto spesso mia madre non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia."


"Madre, tutto okay?"
Martha si voltò di soprassalto, e per poco non fece cadere anche il bicchiere a terra.

"Oh, Alexander! Mi hai spaventata..."
"Eri soprapensiero?" azzardò lui, quasi timoroso, quasi per paura di una sua risposta, scrutandolo nei occhi che mai prima di allora gli erano parsi così spenti.

"No, no, carooo... mi sento beniiiiiissiiiiimo!"

Quelle vocali così stonate... quella voce così stridula.. Alexander Castle iniziò a temere per la salute mentale di sua madre.

Del resto, Martha non era più agile come quando aveva 40 anni... Martha si avvicinava ai 65. Dolcemente, sua madre lo prese per mano, rassicurandolo.

"Tesoro, guardami... è solo stanchezza, okay? Non aver paura dei miei mancamenti..."

"Allora perchè hai reagito in quel modo a quella mia frase? La famiglia al primo posto..."

"Alexander, quelle parole mi hanno ricordato tuo padre."

Gli occhi di Castle s'illuminarono e gli tornò alla memoria un evento risalente a trent'anni prima.

 

"Me ne vado di casa, Martha..."
"Come te ne vai? E che ne sarà di me, di tuo figlio Richard??"

"Voi siete la ragione per la quale i miei sogni sono andati a fottersi, Martha!! Mi avete rovinato la vita!!"
"No, tesoro, ti prego non andare via... ti prego..."

 

I ricordi erano troppo sbiaditi... Alexander Castle all'epoca era ancora Richard Castiel, il suo passato che aveva dimenticato, o almeno così pensava, ma che puntualmente sembrava tornare a bussare alle porte del suo cuore.

Ormai tutti si erano abituati a chiamarlo 'Alexander', perfino sua madre.

"Ma madre... tu mi hai sempre detto che... mio padre se ne è andato per seguire una band di suonatori di blues..."
"E così è stato, tesoro... ma abbiamo perso ogni contatto con lui, come sai.."
"Se la famiglia era così importante per lui, perchè se ne è andato?"
Martha indugiò, roteò gli occhi, come se cercasse un segno dal cielo. Invece aprì solo un fulmine a ciel sereno.

"Era importante, Alexander... lo era."
Ora fu il turno dell'uomo prendere la mano di sua madre e stringerla forte.

"Madre, ti giuro che mai e poi mai diventerò come mio padre. Un uomo bugiardo come lui, non merita il mio rispetto. Anzi, sono contento che se ne sia andato... spero sia morto!"
"Alexander Castle! Non parlare così di tuo padre!"

"Mio padre è morto per quel che mi riguarda."

Martha fece una strana espressione, che il figlio per fortuna non notò. Da un lato accennò un sorriso, poi si voltò a 34, trattenendo una lacrima, infine si alzò dal divano e con passo deciso, andò a prendere la sua borsa, tirando fuori un foglio, che porse ad Alexander.

Il foglio era fatto di una filigrana particolare. Quando Alexander lo aprì, lesse un invito a quello che apparentemente era un matrimonio, scritte con caratteri delicati, tutti ricamati.

"Santina Provenzano? E chi sarebbe?"
"E' la figlia di un mio ex collega di teatro... si sposa questa domenica e siamo invitati... oh, Alexander, almeno evadiamo da questa vita e per un attimo facciamo i mondani!"
"Non è che mi cacciano perchè sono della polizia? Sai questi nomi italiani... mi ricordano una sola cosa: si chiama mafia."

Martha rise di gran gusto. Anzi, a dire il vero sembrava piuttosto imbarazzata dalla 'perspicacia' del figlio.

"Non essere sciocco... non tutti gli italiani sono dei mafiosi! Forza, è ora di andare a dormire che si è fatto tardi. Domani si va a cercare il vestito per la cerimonia!"
"Ma io non---"

La donna allegramente si alzò dal divano, spalancando le braccia: era partita nella fase di recitazione.

"Ci penserai domani, tesoro, dopo tutto domani è un altro giorno!" disse in lontananza, essendosi già avvicinata alla sua stanza.

Alexander sorrise, guardando l'invito di matrimonio e pensò ai cambi d'umore di sua madre.

Quella donna non cambiava mai. Forse, anzi, stava peggiorando con l'età.

"E ti pare che non mi citava Via col vento..."

 

 

 

Angoletto dell'autrice poco sana di mente:

allora che ve ne pare?

Ho abbastanza attirato la vostra attenzione, curiosità??

Se volete sapere altro, chiedete pure e sarà fatto :D

Ah ringrazio beside_real per il poster che purtroppo non mi carica qui, quindi potete vederlo a questo link: http://angrylittleprincess.tumblr.com/post/15770753092/heres-the-link-of-my-fanfic-castles-godfather

*-*
Hasta la vista!

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Capitolo 3
*** I'm gonna make him an offer he can't refuse. ***


I'm gonna make him an offer he can't refuse

Vorrei scusarmi per l'enoooooorme ritardo! XD

ho avuto dei problemi e non riuscivo a scrivere... ora sono tornata e non mi ferma più nessuno! XD

spero che il capitolo sia di vostro gradimento :)

 

 

 

I'm gonna make him an offer he can't refuse.

 

 

 

 

"Perchè un uomo che sta troppo poco con la famiglia

non sarà mai un vero uomo."

 

 

 

Il tipico matrimonio all'italiana si componeva di un ricevimento della durata di 12 ore.

Sopratutto se la famiglia interessata era ricca e aveva molti contatti.

Alexander Castle era sempre stato un tipo solitario, e giurava di non aver mai presenziato ad un ricevimento di nozze... il primo ed unico al quale era stato presente fu il suo.

Vestita corredato a sua moglie. Lui in un completo nero gessato con cravatta viola e un fazzoletto grigio sul taschino destro della giacca. Katherine indossava un vestito di seta leggero color viola, che scendeva morbido sul suo corpo, poco scollato, capelli tirati in su da un chiffon, e cappello grande dello stesso colore del vestito.

Passeggiavano sotto braccio tra quella folla di persone, tutte sconosciute per loro. Essi poi stavano zitti quando li vedevano, si facevano certi sguardi tra di loro... poi però tornavano ai loro discorsi, generalmente basati sui soldi e sugli affari.

Al contrario, Martha si aggirava tra la folla sfarzosa come non mai. Sembrava in qualche modo a suo agio tra quella gente. Si era seduta ad un tavolo insieme ad altre quattro persone, due donne e due uomini, e se la rideva allegramente. Probabilmente erano suoi vecchi amici di teatro.

"Tesoro, sei troppo rigido..." Katherine stringeva il braccio di Alexander, cercando di riportarlo coi piedi per terra. "Lascia il tuo istinto da poliziotto fuori, almeno per oggi." e finiva per sorridergli come sempre, rassicurando il freddo istinto di Castle.

L'uomo guardò la sua donna: si ricordò di essere fortunato ad averla. Era la sua dolce metà, il suo opposto che riusciva sempre a tranquillizzarlo in certe situazioni.

Alexis era rimasta a casa a badare a Johanna. Alexander le aveva spiegato come accendere la radio e come cambiare canale... se si sarebbero annoiate con i giochi e con i libri, avrebbero potuto utilizzare quegli apparecchi tecnologici che Martha tanto odiava perchè "distraevano le persone dai rapporti umani."

 

Poco lontano, in una stanza in penombra, un uomo stava seduto sulla sua comoda poltrona di pino con rifiniture dorate, ad osservare fuori dalla sua finestra.

Vicino a lui, quello che sembrava il suo braccio destro: un uomo alto, forse di nazionalità dell'Europa dell'est.

Davanti a lui, altri due uomini più giovani italo-americani, che apparentemente si somigliavano tra loro, avendo simili lineamenti del viso, occhi chiari e capelli scuri.

L'uomo seduto sulla poltrona si voltò e giocherellava con le mani, scrutando un quinto uomo sconosciuto agli altri presenti nella stanza.

"Demmings... Demmings... cosa devo fare con te, eh?" parlò finalmente l'uomo, con un accento siciliano.

Tom Demmings, giovane americano, era intimorito al cospetto di questa figura paternale. Sudava. Gli sudavano le mani.

Gli altri squadravano il giovane e intanto facevano a pugni con le mani tra di loro. Uno degli italo-americani sputò una cicca di sigaretta a terra. Demmings si voltò verso quel tizio; spaventato, poteva sentire un odore acre... se la stava facendo addosso.

Come era arrivato a fare patti con la mafia? Come aveva fatto a cacciarsi in quella situazione?

La colpa era la sua. La polizia non l'aveva voluto, e lui era stato costretto a scendere a patti con degli strozzini per avere dei soldi. E ora questi lo minacciavano. Rivolgersi ad una famiglia potente come quella dei Provenzano, era pericoloso di quei tempi. Ma lui non aveva altra scelta.

"Non lo so, signore... non lo so..."
"Ma io sono un uomo generoso e paziente, come sai, caro Demmings..." il patriarca si alzò avvicinandosi a lui.

Gli posò le mani sulle spalle, costringendolo a guardarlo negli occhi. Il patriarca poi corrugò la fronte, confrontandolo, e gli diede un finto schiaffo sulla faccia.

"Il mio motto è: la famiglia al primo posto. Tu mi sembri un uomo apposto, Demmings, perciò voglio fare un accordo con te."

Demmings deglutì.

"Mio figlio Sonny qui presente" e lo indicò "dice che sei un buon tiratore...peccato che la polizia non ti abbia voluto...ma io riconosco i piccoli talenti, e voglio darti questa possibilità." fece qualche pausa, camminando per la stanza, mentre si sistemava quel fiore rosso che aveva nel taschino della giacca. "C'è un tale che mi disturba... uno di quegli italo-americani che pensa di essere meglio di me... quello mi deve dei soldi, ma non intende farlo. Ebbene, figliolo, voglio che te ne sbarazzi, capito mi hai? Tre, quattro colpi di pistola... bang bang e... morto!" rise, costringendo anche gli altri presenti a fare lo stesso.

Circondendo, Demmings rideva nervosamente.

"E per quanto riguarda il mio debito con quello della 34esima?"

Il patriarca prese il sigaro che aveva abbandonato sul tavolo, invitò il suo braccio destro ad accenderlo, e poi lo guardò.

"Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare."

 

La musica impazziva, e Katherine non sapeva resistere. Così aveva coinvolto anche il suo scontroso marito a ballare.

Alexander sembrava un tronco; troppo ansioso e sotto pressione.

Non si capiva se perchè ballava di fronte a tante persone, oppure perchè era in presenza di una dea come sua moglie.

Poco distante, Martha chiacchierava allegramente con delle persone, ex attori di teatro, poi notò la giovane sposa, Santina Provenzano, e attirò la sua attenzione, sventolando la mano.

Solo che si girarono tutti verso la sua direzione. Decisamente se voleva attirare l'attenzione, c'era riuscita.

"Santina, Santina!"

La giovane donna sui 25, alta, mora e viso ben panciuto e scuro, tipico dei meridionali del Sud Italia, si rivolse raggiante verso Martha.

In principio non la riconobbe, per educazione ricambiò il saluto, poi appena mise a fuoco, identificò quel viso che non vedeva da troppo tempo.

"Martha! Martha Rodgers! Oh mio Dio è passato tanto di quel tempo!"
"Eh sì, tu eri una bambina, tesoro... invece guardati ora! Auguri per il tuo matrimonio!"
Si abbracciarono con calore e questo fu un particolare che non sfuggì a Castle.

Katherine tornò ad attirare l'attenzione del suo consorte, voltandogli il viso.

"Signor Castle... vorrei precisarvi che è tutto oggi che guardate solo vostra madre... mentre la vostra sexy moglie viene ignorata... e non sapete cosa si perde..." gli sussurrò nell'orecchio e con un tocco di eleganza, scostò di poco la gamba, lasciando intravedere la caviglia e poi mezza gamba, che strusciò verso di lui facendo rabbrividire.

La folla di gente, specialmente le persone anziane, si scandalizzarono da quella scena... guai se una donna mostrava troppo parti del suo corpo nude! Qualcuna addirittura si faceva il segno della croce, tornando a mettersi il velo sulla testa e prendendo un crocefisso in mano.

"Ho sentito dire che le donne del Sud Italia tengono molto alle tradizioni..." gli sussurrò Castle, e Katherine dovette rimettersi composta per poi sorridere al suo uomo.

"Fortunatamente tua moglie non è di quel genere! E ora vai a prendermi qualcosa da bere!" e gli diede una pacca sul sedere, facendo di nuovo disgustare quelle vecchiette!

Katherine era divertita. Quando c'era qualcosa di diverso, di originale, Katherine era incuriosita e interessata, mantenendo sempre una certa discrezione. Ma quel mondo troppo perfetto a cui stava assistendo non le piaceva, anzi, le puzzava di marcio.

 

Alexander Castle si diresse verso il buffet e fece riempire due bicchieri del miglior vino bianco dal cameriere. Mentre teneva in mano i bicchieri, andò ad urtare contro due tipi, gli stessi italo-americani che si trovavano nella stanza del patriarca della famiglia.

"Ehi, sta' attento dove vai... rincoglionito!"

"Sta' tranquillo, Sonny... non lo vedi? Puzza di sbirro!"

Castle si mantenne tranquillo, non doveva dargli corda. Non capiva precisamente cosa dicessero perchè il loro dialetto si mischiava con la lingua corrente, ma non gli piacevano quelle parole rozze che sentiva.

Chiese permesso, ma quei due non si muovevano.

"Vuole fare l'eroe, n'é vero, Sasà?"

"Ma noi non vogliamo la gente che fa l'eroe, Sonny..."

I due si posizionarono davanti a Castle facendogli muro.

La situazione era un tantino tesa.

Cortesemente, chiese di nuovo permesso, ma ricevette un pugno come risposta, che lo fece cadere contro il tavolo, trasportandosi addosso tovaglia, bicchieri e cameriere.

La musica si interruppe, gli invitati smisero di ballare, così come gli sposi, che si precipitarono in prima fila per vedere cos'era successo.

Katherine e Martha furono sorprese nel vedere Alexander coinvolto nella rissa.

"Torna a casa, sporco poliziotto..."

Sonny gli sputò addosso, prima di andarsene seguito da Sasà.

Castle non resse più. Si rialzò da terra, e preso da uno scatto di ira, li chiamò, mise le mani sulle loro spalle, e tirò un pugno prima ad uno, poi all'altro.

"Alexander!!" Katherine accorse per fermarlo, prima che lui potesse continuare a fare violenza.

"Hanno iniziato loro!"

"Smettila, non mi pare il caso adesso..." lo teneva fermo per la giacca, mentre lui continuava a fare la faccia arrabbiata.

Anche la sposa accorse verso i fratelli.

"Che succede qui? Sonny, Sasà... se papà sapesse costa state combinando..."

I due però se la ridevano e fecero segno ad Alexander che l'avrebbero tenuto d'occhio.

"Che avete da guardare? Forza, è un matrimonio... la festa continua!" lo sposo, Michael, fischiò e l'orchestra riprese a suonare, come se nulla fosse successo.

 

Da lontano, il patriarca dei Provenzano, aveva assistito alla scena circospetto. Avvicinò il suo braccio destro con un cenno della mano.

"Chi è quel tizio che ha fatto a pugni con Sonny e Sasà? Lo conosco?"
"E' il figlio di Martha Rodgers, signor Provenzano. Si chiama Alexander Castle."
"Castle. Alexander Castle..."

Ripeteva quel nome più volte, guardando Alexander e pensando che forse era giunto il momento di farsi avanti e di rivelargli chi era veramente.

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Capitolo 4
*** Watch your back ***


Watch your back

Watch your back

 

 

 

"In vita mia non ho fatto che prevedere ogni pericolo.

Le donne possono essere imprudenti,

ma l'uomo no."

 

 

 

Sigaretta nella mano destra e wisky nella mano sinistra.

Erano passati tre giorni da quel "piccolo" incidente al matrimonio dei Provenzano.

Alexander Castle era subito tornato al lavoro, ferreo e più severo che mai.

Si era messo in testa di scoprire qualcosa di più su quella famiglia italo-americana, perchè non doveva sottovalutare il detto "tutti gli italiani non sono mafiosi."

Stava seduto, poi si alzava dalla sedia della sua scrivania, in un movimento meccanico che ormai conosceva a memoria.

I suoi agenti, Kevin Ryan e Javier Esposito, entrarono nel suo ufficio.

"Ehi, capo, abbiamo trovato qualcosa... questi documenti, carte d'identità e diversi passaporti."

Il cubano glieli porse, poi Alexander li fece accomodare davanti a lui. Il rapporto tra lui e i suoi agenti era cambiato. Se qualche anno fa lui preferiva controllare quelle prove da solo, nel buio della sua stanza, ora una mano gli era più che utile. Sopratutto se si trattava dei suoi due uomini più fidati.

Anche i due si erano rifatti una vita, una volta aver fatto la loro parte nella lotta contro il crimine organizzato.

Esposito aveva sposato Lanie, la segretaria del distretto, poco dopo il matrimonio di Alexander e Katherine. La coppia aveva poi avuto una bambina, Roxanne, e avevano facilmente trovato un appartamento più confortevole per la piccola famigliola, situato a pochi metri dal centro città.

Ryan fu l'ultimo a sistemarsi. Circa un anno fa, conobbe Jennifer, una bionda cameriera che si guadagnava da vivere servendo i ricchi di un ristorante di lusso. Fu amore a prima vista, e nel giro di pochi mesi, i due si sposarono.

La nascita dell'FBI, il bureau federale degli Stati Uniti, aiutò la polizia nazionale a mobilitarsi. Tuttavia, il potere restava nelle mani dei più ricchi e di quelli più insospettabili.

"Vito Provenzano, di anni 65, da circa un trentennio gestisce il crimine organizzato di Little Italy." Esposito leggeva i documenti che aveva sotto mano, mentre Castle e Ryan ascoltavano attentamente. "Ha ereditato la fortuna dal padre, e si fa chiamare tra i suoi seguaci Il Padrino, proprio per il suo modo di essere sempre presente con chi lo rispetta, di garantire protezione, e fare regali a chi ne è degno. Il suo potere non è basato tanto sui soldi, quanto sulla violenza e sull'amicizia che elargisce a chi gli chiede favori, ma pretende che sia ricambiata in maniera assoluta. E' questo che gli ha permesso di allargare il suo territorio e di rimanere intoccabile con una grande rete di conoscenze potenti."

"Uhmmm..." Alexander era perso tra i suoi pensieri.

Osservava la foto di questo individuo e non poteva fare a meno di delineare il suo profilo. Zigomi alti, stempiato, occhi chiari e azzurri, proprio come i suoi. Avrebbe tanto voluto un incontro con questo Vito Provenzano, per capire la sua mentalità. Era come se in quella foto, "Il Padrino" lo stesse osservando...

"A cosa pensi, capo?" chiese Ryan, interrompendo i suoi pensieri.

L'irlandese, sempre un po' timoroso nel rivolgere parola al suo superiore, cercò di sventolare un foglio davanti a lui, attirando la sua attenzione.

"Sei ancora tra noi?"
"Sì scusate, stavo pensando... Voi sapete che un paio di giorni fa ero al matrimonio di sua figlia, vero? Ebbene, mia madre conosce Provenzano e la sua famiglia. Se riuscissi a trovare qualche informazione da lei, forse potrei capire i punti deboli del boss... Sì, farò proprio così."

Si alzò dalla sua sedia, prese l'impermeabile color sabbia, il cappello e uscì dal suo ufficio, senza dir niente ai suoi due agenti, che si guardarono in faccia un po' sorpresi.

"Ci vediamo domani, capo!!" urlò Ryan salutando con la mano verso quella sagoma che usciva dal distretto.

 

Alexander sapeva che doveva confrontarsi con sua madre. Prima o poi sapeva che sarebbe arrivato quel giorno. Ma del resto, che cosa sapeva esattamente di lei? Solo ricordi di quando lui era un bambino, quasi adolescente, ma non era mai in casa, quindi non poteva dire per certo come si comportava Martha nei suoi confronti. Sapeva che suo padre li aveva abbandonati, e che Martha si era rimboccata le maniche, lavorando nelle piantagioni insieme alle altre donne, lavorando in teatro, per portare almeno la sera, il pane in tavola.

Poi era sparita e anche lui era sparito. Si erano ritrovati 8 anni fa, nel bel mezzo di un'indagine e lei, nel frattempo, era diventata una spia del governo. Cosa fosse successo in quell'arco di tempo, lui non lo aveva ben capito.

"Sono a casa!" entrò e venne travolta dall'entusiasmo della piccola Johanna, che gli saltò addosso.

"Papà, papà!! Sei tornato!!"

Johanna era eccitata e mostrò a suo padre un giradischi che Katherine aveva comprato.

"Wow, è bellissimo, tesoro!"
"Siiiiii adesso posso ascoltare tutto quello che vogliooooo!!" la bambina continuava a saltellare tra le braccia del padre che l'avvolgevano, non accorgendosi che quell'abbraccio ora stava diventando sempre più rigido... Alexander aveva davanti a sé sua madre.

Lui con lo sguardo gelido, mollò la presa di sua figlia, mentre Martha sentiva di essere in colpa, ma da brava attrice, negò l'apparenza, posando il bicchiere di liquore che aveva in mano.

"Tesoro, finalmente sei tornato a casa! Diventerai vecchio sempre chiuso in quell'ufficio..." gli si avvicinò per togliergli l'impermeabile, ma lui la bloccò.

"Madre dobbiamo parlare."

Tra madre e figlio era sceso un gelo e chiunque fosse stato là poteva intuire che facesse più freddo. Martha indicò al figlio i due divanetti dove potevano sedersi e parlare, senza che il resto della famiglia potesse sentire.

"Va bene.."

Nel frattempo, Katherine era uscita dalla cucina, dove tutta orgogliosa, aveva preparato uno stufato da sola. Dirigendosi verso l'ingresso, convinta di trovare suo marito, si sorprese nel vedere il suo impermeabile e il cappello, mentre di Alexander non c'era nessuna traccia. Vide Johanna che giocherellava col giradischi e le chiese dov'era suo padre. La piccola indicò silenziosamente il papà e la nonna, seduti sui divanetti.

I due erano molto seri e questo non poteva significare nulla di buono..

 

"Tu sapevi chi erano i Provenzano prima di andare al matrimonio, vero? Perchè mi hai mentito? Chi è Vito Provenzano?"
"Mi stai tempestando di domande, concedi un po' di tregua a una povera vecchia..."

Castle e Martha erano uno di fronte l'altra. Lui con l'aspetto interrogatorio, lei con una mano sulla fronte e l'altra lasciata a penzoloni. Era stressata.

"Ho aspettato trent'anni, non posso più attendere! Non è un vecchio attore di teatro, vero...?"
"Alexander, quell'uomo è tuo padre!..."

Finchè esplose. La bomba fu sganciata. E proseguì senza dare tregua al detective.

Sull'uscio della stanza, Katherine ascoltava e stava zitta, trattenendosi dal non urlare con una mano sulla bocca.

Martha prese le mani del figlio, che non riusciva a parlare... non riusciva ancora a realizzare la cosa.

"Ti ho detto che tuo padre se ne era andato per seguire la musica, la sua passione... ma non era così..."

Castle boccheggiava. Gli uscirono parole senza senso, finché le collegò e sembrarono frasi sensate. Discostò le mani della madre.

Quello di cui aveva bisogno ora non era un conforto, ma delle spiegazioni.

"Come hai potuto... mentirmi?... Tenermi nascosta una cosa simile?"

Dall'uscio della porta, Johanna raggiunse Katherine, tirando la gonna lunga della mamma per avere attenzione.

"Mamma, che fanno papà e la nonna?"

Katherine dolcemente le sorrise e quando si sentì osservata dal marito, prese la mano della figlia e la condusse in cucina.

"Andiamo dillà, Johanna... il papà e la nonna devono parlare..."

Martha stava per scoppiare in lacrime.

"L'ho fatto per proteggere la famiglia! Per proteggere te! Non volevo che tu avessi la stessa vita sua!! Non potevo certo dirti che lui invece era diventato uno dei boss malavitosi più potenti del paese! E io ho fatto la spia, nascondendomi, per scovare anche lui! Ti prego, Alexander, cerca di capirmi..."

"No, non posso più..."

Non riconosceva più sua madre.

Non voleva avere più nulla che fare con lei.

Il sol pensiero di stare seduto vicino a lei lo faceva infuriare.

Perciò si alzò, passeggiando nervosamente.

"Sono tua madre, non puoi farmi questo!"
Di nuovo quello sguardo gelido, di nuovo il vecchio Alexander Castle.

"Io...non so più chi sono ora."

 

La cena si era ormai raffreddata. Castle non aveva voluto mangiare, si era rinchiuso nel suo silenzio a contemplare.

Ci voleva il delicato tocco di Katherine per calmarlo.

Quando gli si avvicinò, Alexander era seduto sul bordo del letto a guardare vecchie fotografie. Katherine salì sul letto, si mise a cavalcioni dietro di lui. Gli passò le mani sulle spalle per massaggiarle, poi lo baciò sul collo.

"Ehi, Alex... tutto okay?"
"Ti sembra che vada tutto okay?"
Quella risposta fredda la bloccarono. Alexander si scostò anche da lei. Non era in vena di dolcezza quella sera.

Il suo mondo era stato sconvolto nel giro di pochi giorni.

Guardò Katherine che aveva il volto abbassato, chiusa tra sé, quasi vergognandosi di essere lì. Da sotto la vestaglia poteva notare che aveva un completo intimo, uno di quelli nuovi provenienti da Parigi che solo le donne francesi indossano. Capendo che lei voleva solo starle vicino, sì scusò.

"Scusami, Kate..."

"No, scusami tu... è che... sei stato abbastanza duro con tua madre."
"Non avevo ragione?"

"Certo, ma anche lei aveva le sue ragioni."

"La stai proteggendo??"

Ecco che si ricominciava da capo.

Forse quello fu il primo litigio tra di loro.

E a entrambi non piaceva.

"Non sto dalla parte di nessuno, Alex! Cerco di capire la situazione e aiutare!"
"Non puoi aiutarmi, nessuno può. Dovrò indagare per conto mio, come sempre. E confrontarmi con quest'uomo..."

Alexander era diventato freddo e cinico. Aveva le sue ragioni, le stesse che il cuore non poteva comprendere.

Neanche l'amore della sua donna potevano aiutarlo ad affrontare una simile confessione sulla sua vita.

In tutta la sua vita si era sempre guardato le spalle da chiunque, impedendo agli altri di avvicinarsi a lui.

Era questo sistema che lo aveva mandato avanti; lui da solo contro il mondo.

Un mondo la qual speranza la vedeva solo nel diventare un gangster.

E se avesse sbagliato tutto nella sua vita finora?

Doveva prendere una boccata d'aria, quindi uscì in fretta dalla stanza per avvicinarsi alla porta d'ingresso.

Era mezzanotte passata, ma a lui non importava.

"Sta' attento... Ti amo." Kate riuscì a sussurrare, ma quelle parole non arrivarono mai alle orecchie di Alexander, ormai troppo lontano per ascoltare romanticherie e dolcezze.

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Capitolo 5
*** Redemption ***


Watch your back

Salve!! Volevo scusarmi per l'enorme ritardo, ma causa uni e altri impegni, non ho potuto aggiornare...

Spero che almeno il capitolo sia di vostro gradimento!! :)

Enjoy :)

 

 

 

Redemption

 

 

 

"Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,

ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.

Di rado gli appartenenti ad una stessa famiglia

crescono sotto lo stesso tetto."

[Richard Bach]

 

 

 

Giocare con il fuoco gli era piaciuto, ma era troppo tempo che non osava farlo.

Quando era più giovane, sapeva di avere a che fare con una tela di bugie, partendo da sua madre, ma non ci aveva mai fatto caso.

Era sempre andato dritto e convinto per la sua strada, convinto che nella vita fosse importante solo fare soldi, stare con le donne ed essere importanti.

Il paradiso dei gangster.

Gli piaceva l'idea.

Poi qualcosa era cambiata dal giorno in cui Katherine Bellefleur era lentamente entrata nella sua vita, facendo capolino, pian pianino, come una piccola formica laboriosa, si stava insinuando nel suo piccolo nido, che Alexander Castle riteneva sicuro.

Quella donna lo aveva cambiato e lo aveva aperto ad una nuova prospettiva.

Era un bravo poliziotto e poteva essere il migliore.

Allora perchè sentiva che c'era qualcosa di sbagliato in ciò che stava facendo?

Quell'uomo, quel "Padrino", lo aveva incuriosito.

Non era più un fatto di cronaca, no.

Stavolta la faccenda era diventata personale.

 

Ricordava dove abitava la famiglia Provenzano.

Attraversata Little Italy, nella parte meridionale di Manhattan, si percorreva una lunga strada statale, piena di macchine e piuttosto affollata, per poi andare ad un altro quartiere, denominato SoHo.

Non era decisamente la parte più ricca di New York, ma neanche quella più povera.

Alexander aveva preso un taxi, una grande rivoluzione iniziata proprio in quegli anni. Queste macchine potevano comunicare con altre autovetture grazie a dei sistemi radio interni, e aiutavano così la clientela a raggiungere la destinazione desiderata. La velocità era modesta, così Alexander si era concesso il lusso di osservare le distese pianure di verde che circondavano la campagna della piccola cittadina. Fermò il taxista dicendo che era arrivato a destinazione. Gli lasciò soldi più mancia, poi scese.

Tempo per un'ultima sigaretta che gli permise di osservare l'enorme cancellata di ferro con delle punte, che ricordava un po' quelle cancellate dei castelli gotici. Spense il sigaro, osservò qualche statua di marmo vicino l'entrata della villa.

Dopo qualche attimo di esitazione, decide di bussare dal cancello.

 

"Guadda qua, Sonny... il tizio co l'impermeabile..."

Sasà, giovane rampollo con capelli tirati tutti indietro, completo grigio e fiore all'occhiello, guardava Alexander dalla barricata della villa. Salvatore, chiamato Sasà da amici e parenti, era il viziato figlio minore di Vito Provenzano. A scuola non era mai andato bene, così Provenzano dovette prendergli un maestro privato. Tuttavia, era più attratto dal gioco d'azzardo che dalla matematica, così ben presto rinunciò anche ai libri.

Accanto a lui, il quasi coetaneo Sonny, più stempiato di lui, occhi azzurri anche lui e pelle maculata, gli rubò un sigaro. Sonny era di qualche anno più grande di Sasà. Aveva un gusto per la lettura, al contrario del fratello, e s'interessava sopratutto ai gialli. Era un po' l'orgoglio della famiglia. Tuttavia, aveva un carattere irascibile e non sopportava gli uomini in divisa.

"Che dici, lo facciamo entrare o lo pigliamo direttamente a botte?"

"Sonny, Sonny... perchè devi sempre fare così?" il colosso nero si posizionò dietro i due, facendoli sobbalzare.

Era il braccio destro di Vito Provenzano. La sua storia era abbastanza semplice. Dwight Conan era un ex schiavo che fuggì dai campi di New Orleans ribellandosi al suo padrone e uccidendolo. Fu portato in carcere, ma riuscì ad uscirne grazie a Provenzano. Il Padrino infatti, aveva notato del potenziale in Dwight e sapeva che prima o poi gli sarebbe stato d'aiuto. Parlava la lingua dei neri del Bronx e di New Orleans, perchè era vissuto a cavallo tra quelle due città, ma Provenzano l'aveva accolto e "addestrato" a dovere. Sapeva che con lui al suo fianco, come guardia del corpo, non poteva correre rischi.

Sonny e Sasà si immobilizzarono un attimo, poi quando videro Dwight passare in mezzo a loro e dirigersi verso la cancellata.

Stava andando ad accogliere Castle.

Il detective, dall'altra parte, lo guardava accigliato. Quella montagna nera davanti a lui con quel viso apparentemente tranquillo, gli sorrideva e nel frattempo apriva il cancello.

"Benvenuto nella tenuta dei Provenzano, detective."

 

Sonny e Sasà erano già rientrati in casa per avvisare il loro padre, il quale, non sembrava minimamente preoccuparsi della presenza - di nuovo - di quello "sporco sbirro" nel loro territorio.

Dwight invece accompagnò Castle, che intanto si stava godendo la tenuta Provenzano. Un lungo corridoio separava l'entrata dalla sala ricevimenti del Padrino. Per quell'arco di spazio, il detective osservava quadri e statue che si alternavano rispettivamente, dando un'atmosfera tetra. Come a voler negare l'evidenza, ironicamente, il muro era dipinto di rosso con dei motivi dorici-stile-greco, e per concludere un lungo tappeto persiano sul pavimento. Alexander strabuzzò gli occhi: quel tessuto doveva esser costato un occhio della testa.

"Il signor Provenzano vi stava aspettando..." il nero aprì la porta rivelando quel salone in penombra, con Vito Provenzano seduto su una poltrona vecchia d'epoca, coi margini dorati, davanti ad un tavolo, d'epoca e in legno pregiato.

Il patriarca alzò lo sguardo e Castle incrociò il suo. Ci fu uno scambio d'intesa tra Provenzano e Dwight, che chiuse la porta, lasciando i due faccia a faccia. L'anziano giocherellava con le mani.

"Finalmente ci incontriamo, detective... accomodatevi." gli indicò una sedia davanti a sé.

Castle non se lo fece ripetere due volte.

Quell'aria così cupa però gli creava uno strano effetto che non gli provocava da quando era più giovane: lo... intrigava.

Storse la bocca, disgustato da quel pensiero.

Provenzano gli offrì un sigaro cubano, preso dal suo cassetto, ma Alexander rifiutò anche se a malincuore.

Il vizio di fumare non se l'era ancora tolto, ma quello non era il momento di lasciarsi andare.

"In cosa posso esservi utile, detective Castle?"

Si schiarì la voce. Cercò di aprire bocca, ma sembrava come se le parole venissero fuori da sole.

"Sappiamo bene perchè sono qui... mia madre vi conosce, e voi conoscete mia madre. Altrimenti un ricco Padrino come voi non l'avrebbe mai invitata al suo matrimonio."

Voleva arrivare alla questione con calma.

Non serviva a nulla arrivare direttamente al sodo.

Vito lo squadrò: avevano gli stessi occhi azzurri e profondi come l'oceano. Poi notò la cicatrice che aveva sulla guancia destra.

Alexander si sentì osservato e quasi scostò il suo cappello e si alzò il bavero dell'impermeabile, nel tentativo di coprire quella cicatrice orrenda di un passato che non gli apparteneva più.

Un passato che non era più suo.

Si alzò dalla sua poltrona, passeggiando per la stanza, e colse l'occasione per soffermarsi su uno dei quadri che gli piaceva di più: l'omicidio di Giulio Cesare per mano di suo figlio Bruto.

"E' vero, come posso mentirvi, figliolo? Siete un detective molto stimato, Alexander Castle. O devo chiamarvi anche... Richard Castiel?"

Quel nome...

Alexander sentiva il sangue raggelarsi.

Quanto tempo era passato da quando non lo usava più?

Troppo.

La sua vecchia identità.

E Vito Provenzano come faceva a conoscerla?

Doveva andarci piano e senza farsi prendere dal panico.

Cinico, freddo, distaccato.

"E voi come fate a sapere queste cose?!"

"Io so molto più di quanto TU possiate immaginare... io sono tuo padre, Richard... ma credo che tu questo lo sappia già." posò il sigaro, e si girò verso il detective vestito di color sabbia.

Questo non era un film dove sua madre recitava, questa era la realtà.

"Non vuoi chiedermi nulla, Richard?"

"Non mi chiamo più così."

Strinse i pugni. Li strinse sempre più forte fino quasi a farsi uscire il sangue per la rabbia.

"Ma è ciò che sei, che tu lo voglia o no... Ascoltami," si avvicinò a SUO figlio "mi dispiace di avervi abbandonato... ma ero nel giro della mafia. Quelli che seguivano Al Capone mi volevano morto, è complicata la storia... ma sono riuscito a fuggire. Dovevo mentire a tua madre e a te, figliolo. Crearmi una nuova vita e una nuova famiglia, proprio come te. Ma cambiare vita, non cambia ciò che sei veramente..."

"Io non sono come te..." ora Castle digrignò anche i denti, e si alzò in uno scatto d'ira.

"Io ti sto chiedendo scusa e ti sto offrendo l'opportunità di conoscermi. Di conoscere la tua famiglia. Sapevo che il tuo destino sarebbe stato quello di essere un gangster... lo sognavi da piccolo, e ora hai l'occasione per redimerti... per metterti alla prova."

Adesso padre e figlio erano uno davanti all'altro.

"Io non lo voglio!! Ho già una famiglia, e mia madre, nonché tua ex moglie, si è scusata con me per avermi mentito---"

"Ti ha abbandonato, Richard! E ti ha mentito! E' tornato, è vero... ma poi ha mentito di nuovo... su di me! Come puoi continuare a vivere nella bugia?"

Alexander si fermò per un attimo.

Forse quel ragionamento non faceva una piega.

Forse dopo tutto poteva approfittare di questa situazione.

Forse...

"Richard... tu sei mio figlio. Il figlio di un gangster. E tu sei un poliziotto. C'è qualcosa che non va, non credi? Potresti avere quello che hai sempre voluto... ricchezza, donne... basta che tu accetti la mia offerta."

"Non lo farò mai. Ho già la mia famiglia."

"Una famiglia che continua a mentirti."

"Arrivederci, padre."

Se ne andò, guardando quell'uomo così sconosciuto ma così improvvisamente familiare, e scoprì quella cicatrice che prima aveva coperto.

Provenzano lo guardò dalla sua finestra, mentre si allontanava con quell'impermeabile al vento.

Una cicatrice quella di Alexander, o Richard, che apparteneva ad un passato che non gli apparteneva più.

O quasi.

 

 

TO BE CONTINUED...

 

 

La grande scelta di Castle: onorare suo padre o sua madre?

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Honour thy father and thy mother ***


Watch your back

Il capitolo della svolta... 

Dico solo "buona lettura", poi si commenta alla fine XD

 

 

 

Honour thy father and thy mother

 

 

 

"Onora tuo padre e tua madre,

come il Signore Dio tuo ti ha comandato,

perchè la tua vita sia lunga

e tu sii felice nel paese

che il Signore tuo Dio ti dà."

[Deuteronomio 5,6-21]

 

 

 

Qualche giorno più tardi, il sole a New York non era mai stato così caldo quanto i cuori dei più indecisi, troppo presi dalle scelte.

L'atmosfera in casa Castle non era delle migliori.

Martha e suo figlio Alexander non si parlavano più.

Katherine invece cercava di fare da tramite tra loro due.

Alexis, la più matura, aveva lasciato per qualche periodo i suoi studi per stare in casa con la sua famiglia e prendersi cura della piccola Johanna, ignara di ciò che stava succedendo intorno a lei.

Alexander aveva chiesto ai suoi colleghi e amici, Kevin e Javier, di aiutarlo ancora con le ricerche di Vito Provenzano. Loro avevano acconsentito, silenziosi, senza voler sapere nulla in cambio, e sempre fiduciosi che prima o poi, Alexander si sarebbe confidato.

Il trio non aveva trovato molto; qualche traffico illegale di alcool avvenuto qualche ventennio prima, qualche elezione a Sindaco fatta vincere a persone potenti, gioco d'azzardo... tutte attività che avevano permesso al clan italo-americano di guadagnarsi tutta la fiducia e il rispetto che avevano ora.

 

Quella mattina, tutto sembrava tranquillo a New York.

Era una soleggiata giornata di maggio; il cielo era limpido e c'era solo qualche automobile che circolava, nonostante fosse quasi ora di pranzo.

La grande Mela stava ancora dormendo, quando ad un tratto...

Uno sparo.

Due spari.

Due corpi a terra.

Uno vicino all'altro.

Uno più insanguinato dell'altro.

A giudicare dalle posizioni dei due corpi e dall'auto nera vicino a loro, i due erano appena usciti dal mezzo, visto che lo sportello del guidatore e quello posteriore erano ancora aperti.

La gente accorreva in massa per vedere "lo spettacolo". Qualche giornalista occasionale cominciava a scattare qualche foto, contento di trovare finalmente uno scoop per l'edizione serale del proprio giornale. 

L'uomo di carnagione scusa era sfregiato in volto. Una pallottola gli aveva trapassato il cranio da una parte all'altra; la seconda pallottola gli aveva sfondato il petto. Praticamente era morto sul corpo. Gli occhi ancora sbarrati... i suoi grandi occhi bianchi.

L'altro uomo, più anziano, giaceva a fianco del suo "compare": era più anziano, stempiato, giacca e cravatta color grigia, fiore all'occhiello rigorosamente rosso. La pallottola gli aveva perforato un polmone... o almeno così sembrava. Respirava appena... era agonizzante, in un lago di sangue anche lui. Provò ad alzare un braccio, ma lo vedeva tutto rosso.

Qualcuno urlò "Chiamate qualcuno! E' ancora vivo!" e un alto "Deve essere portato in ospedale!"

 

"Non ti farà male stare sempre a sentire quella roba là... quella scatola meccanica... com'è che si chiama?"
"E' una radio, nonna!"

Alexis sorrise mentre spiegava a Martha la tecnologia moderna. La signora poi rispondeva che ai suoi tempi non c'erano tutte quelle cose. La ragazza allora sorrideva di nuovo, mostrando uno sguardo genuino e sincero.

Johanna si divertiva a guardarle bisticciare.

Erano una famiglia, che lo volevano oppure no, c'erano dei legami di sangue tra loro.

Siamo una famiglia, si ripeteva mentalmente Katherine, osservando la scenetta appoggiata alla porta della cucina.

Col sorriso aperto, caldo e genuino, capelli tirati in su da una coda, grembiule sopra il vestito color sabbia, che le arrivava sempre sotto le ginocchia, anche lei poteva dire di farne parte.

Dopo tutto era la signora Castle.

 

Stava rientrando a casa in quella fredda serata. Cielo limpido, manco una nuvola. Era strano come New York fosse calda durante la giornata e poi bruscamente fredda a partire dalla sera.

Si guardava intorno; c'erano poche persone in giro, nonostante avesse deciso di fare una passeggiata a piedi dal distretto a casa sua.

Una buona sigaretta lo avrebbe riscaldato, pensò. Si fermò con mano ferma sulla sigaretta, mentre con l'altra si aiutava ad accenderla con l'ultimo fiammifero che aveva in tasca.

Fu allora che ne ebbe la conferma: qualcuno lo stava seguendo.

Con passo deciso, da buon detective, aumentò la sua velocità, ma discretamente.

Al momento opportuno avrebbe voltato quell'angolo dritto davanti a sé, li avrebbe seminati, e poi sarebbe ricomparso dietro le loro spalle puntando la pistola.

Avrebbe fatto esattamente così.

Invece i due uomini dietro di lui lo chiamarono.

"Ehi sbirro...cioè volevo dire... Castle!"

Si bloccò sentendo degli schiamazzi. Uno si lamentava perchè l'altro gli aveva dato un colpo alla spalla.

Erano due persone che conosceva fin troppo bene.

"Ma si scem, Sasà? M'hai fatto male!"

"Porta rispetto, Sonny, in fin dei conti è nostro fratellastro!"

Alexander si avvicinò lentamente ai due, spegnendo la sigaretta a terra. Al buio, sotto un lampione, si vedeva solo metà del suo volto.

"Sonny. Sasà. Perchè mi stavate seguendo?"

I due si davano delle spinte, uno per convincere l'altro a parlare.

Castle ci stava capendo sempre di meno, era sospettoso, e stava per prendere la sua pistola ben nascosta sotto l'impermeabile...

"Oh fermo, amico!" a mo' di difesa, Sasà mise avanti le braccia, mentre l'altro le alzò in aria.

"Mi dite che sta succedendo, allora?!"

"Nostro padre è in ospedale." iniziò Sonny, il più bravo con le parole, visto che leggeva molti libri.

Castle scosse la testa.

"Un attentato, stamattina. Dwight, il suo braccio destro è morto. Due pallottole, una alla testa, l'altra al petto... brutto colpo... Nostro padre se l'è cavata, per modo di dire, bene... il colpo gli ha perforato la carne vicino al polmone. I medici l'hanno salvato per miracolo."

Con tutte le amicizie che doveva avere Vito Provenzano, Alexander di certo non si meravigliava se ora stava meglio e non era morto. Al contrario del suo uomo forzuto che invece era morto sul colpo. Sicuramente l'aveva protetto e si era beccato le pallottole peggiori.

"E questo perchè dovrebbe interessarmi...?"

"In fin dei conti anche lui è tuo padre..."

Sasà aveva ragione.

"Beh noi te l'abbiamo detto, poi... fai come ti pare..."

I due si congedarono lasciandogli un biglietto. Vi era scritto il nome dell'ospedale dove Provenzano era ricoverato e il numero della stanza. Castle fermò i due fratellastri.

"Indagherò su chi ha tentato di uccidere..." si bloccò un attimo. Quella parolina proprio non gli usciva di bocca. I due italo-americani lo guardavano incitandolo, un po' per malizia, un po' per sfida. Poi finalmente il detective si maledì da solo e riuscì a terminare la frase, stringendo in mano quel foglietto.

"...papà." 

 

 

Finalmente a casa, era felice di avere con sé una moglie stupenda che si migliorava giorno dopo giorno con le sue delizie da tavola. Katherine era stata sempre abituata ad essere servita e riverita, ma da quando era diventata la signora Castle, si era messa in testa che avrebbe fatto la moglie e la mamma a tempo pieno, e questo implicava anche il cucinare.

Un bel piatto di pasta con pesce di ogni tipo, non era roba che si vedeva tutti i giorni. Si sedette a tavola, mentre lei gli passò la mano da una spalla all'altra per sistemargli il tovagliolo. Ad ogni parola che pronunciava, gli lasciava dei baci su una guancia e sull'altra, facendolo arrossire.

"Al marito... più bravo... e bello... del... mondo."

"E' il mio compleanno per caso?"

Katherine rise.

"Sono solo contenta che la sera tu rientri a casa. Mi manchi durante il giorno." gli sorrise posandole una mano sulla sua.

I due vennero interrotti da Martha che fece capolino dalla porta. Katherine e sua suocera si scambiarono degli sguardi d'intesa, poi la donna si congedò, lasciando il marito con sua madre.

Non si parlavano molto spesso ultimamente. Forse quella sera sarebbe stata l'occasione per smuovere le acque.

Senza dire nulla, Alexander le porse il foglietto dell'ospedale. Martha lesse il nome di Vito Provenzano e collegò tutto.

"Cosa intendi fare, tesoro?"

"Perchè dovrei preoccuparmi di un uomo che è scomparso per 30 anni e che è ricomparso solo ora per dirmi poi che ora è un boss della mafia?"

Aveva tutte le ragioni possibili per non andare a trovarlo.

Iniziò ad inforchettare quegli spaghetti avidamente, ancora troppo iracondo per accettare la cosa.

Martha sospirò.

"Tu devi andarci, invece. Sei suo figlio, il suo maggiore e come tale ne hai diritto... Non guardarmi così. Almeno vai a informarti sulle sue condizioni. Io non verrò. Non credo voglia vedermi, Alexander..."

Anche Martha aveva le sue buone ragioni. Lei e Vito non erano mai andati d'amore e d'accordo fin dalla nascita di AlexanderRichard. Era sempre così quando si era giovani e una ragazza restava incinta. Si era costretti a sposarsi per non disonorare la famiglia, e poi questa finiva che si sfasciava.

 

L'indomani, Alexander si decise a varcare la soglia dell'ospedale. Chiese all'infermiera dove si trovasse la suddetta stanza di Provenzano, e la raggiunse. Sasà e Sonny erano già al suo capezzale. Ad Alexander faceva pena vedere il più grande Capo dei Capi disteso su quel letto, inerme, con occhi chiusi e un tubo che gli dava ossigeno dalla bocca. Quell'anziano lì non sembrava manco un boss mafioso.

Istintivamente, si tolse il cappello per rispetto, si sedette vicino a lui, e gli prese la mano.

Chissà a cosa pensava. Forse che un contatto esterno lo risvegliasse?

Poi i due fratellastri, lo presero in disparte, uscendo dalla stanza.

"La situazione qui è critica, tu hai già iniziato ad indagare su chi lo voleva morto?" disse il più giovane, Sasà, agguerrito nel voler fare a pezzi chi aveva ridotto così il padre.

"Calmati, Sasà... credo che Alexander ora sappia cosa fare... n'è vero??"

Lo guardarono mettendolo alle strette.

"Aiutaci a vendicarlo e onorarlo... fratello."

Sonny gli posò una mano sulla spalla destra. Il detective aveva studiato i significati tra i boss. Quello indicava che gli stavano proponendo un affare. E che non poteva rifiutare.

Castle impallidì. Poi non seppe perchè, ma il suo sguardo si posò in alto, su un crocefisso che era appeso sulla porta della stanza di suo padre.

Si ricordò uno dei comandamenti che gli imponeva di onorare il padre e la madre.

Quel gesto, quelle parole di devozione e di rispetto...

Qualcosa in lui scattò...

 

 

nb: Esposito e Ryan non hanno molte scene in questi primi capitoli, ma non disperate, avranno un ruolo molto importante più avanti!u.u
vi fidate di me, vero? XD

alla prossima!!

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Capitolo 7
*** Thou shall not kill ***


Watch your back

Thou shall not kill

 

 

 

"Il vero potere non è poter uccidere,

ma avere tutti i diritti di farlo,

e trattenersi!"

[Schindler's list]

 

 

 

La radio del distretto annunciava che Hitler stava avanzando in Europa per allargare di più la sua idea di Germania.

La notizia aveva fermato tutti i poliziotti e le segretarie dal proprio lavoro.

Lanie stringeva Javier mentre ascoltavano attentamente ogni parola del giornalista, un corrispondente che da New York si era trasferito a Berlino per lavoro.

Kevin invece aggiornava sua moglie Jenny per telefono. Per fortuna la nuova modernità aveva permesso loro di potersi sentire, visto che il poliziotto passava molto tempo in centrale, sopratutto negli ultimi tempi.

Terminata la notizia, improvvisamente tutto si trasformava: gli agenti di polizia riprendevano il loro posto, e così facevano le segretarie, che tornavano a battere a macchina. Accadde come se niente fosse successo.

Lanie fece un gran sospiro.

"Dobbiamo fare qualcosa tutti insieme questa sera... che ne dite?" propose sottovoce a suo marito e al suo collega.

Sembrava che l'ombra invisibile della guerra o di qualsiasi minaccia, tenesse le persone improvvisamente vicine.

"Sono d'accordo. Cenetta romantica tra coppie? Dovremo dirlo al capo!" rispose Esposito entusiasta, battendo il cinque con Ryan, anche lui consenziente all'idea.

Già il detective Castle. Chissà se lui e sua moglie Kate erano disponibili per quella serata?

Il detective entrò in ritardo al distretto, coprendosi il viso con il cappello... per il ritardo sembrava non volersi far riconoscere.

Esposito e Ryan lo notarono e uno fece segno all'altro di andare a proporgli l'idea.

Alla fine toccò a Ryan.

L'irlandese entrò silenzioso nell'ufficio di Castle, bussando alla porta che era già aperta.

Alexander alzò lo sguardo.

"Ehi Ryan, novità?" poi gli fece segno di entrare e accomodarsi.

"Ehm veramente no... in realtà io e Esposito pensavamo di cenare insieme stasera con le nostre mogli, e ci chiedevamo se tu e la tua potevate raggiungerci... è da tanto che non ce ne stiamo tranquilli..." concluse la frase con un tono di malinconia quando poi guardò il detective immerso nelle solite scartoffie.

Se anni addietro si era buttato troppo in quel caso di omicidio di quella donna, in realtà madre di Katherine, quest'anno era troppo preso dal risolvere il suo problema con "il Padrino".

Lui e Javier non avevano mai posto domande finora sul suo interessamento al caso del boss, però qualcosa avevano iniziato a sospettare...

Sicuramente c'era di mezzo una questione personale. Ma Castle quando era preso tra i suoi affari, raramente lasciava intravedere di essere coinvolto, peggio ancora se c'erano di mezzo i suoi sentimenti!

Aveva tutte le carte in regola per essere un vero detective: freddo e cinico di fronte il pericolo. Ma quando si trattava di confidarsi con qualcuno... in quel campo era il peggiore.

"Stasera? Non credo proprio, Ryan... mi spiace. Ho del lavoro da fare..."

Gli dispiaceva in fondo rinunciare ad una serata normale. E Ryan, al contrario di Castle, lasciava intravedere le sue emozioni.

Abbassò lo sguardo come un cucciolo abbandonato.

"Capisco... beh, sarà per un'altra volta."

Chiuse la porta dietro di sé e uscì.

 

Quando si assicurò di essere da solo, Castle chiuse le tapparelle del suo ufficio, in modo che aveva il silenzio assoluto, ed era lontano da sguardi indiscreti.

Tirò fuori un biglietto bianco dalla sua giacca; c'era un numero di telefono e un indirizzo. Compose nervosamente quel numero; dall'altra parte del cavo, quel continuo fare "tu tu" lo agitava ancora di più.

Perchè stava componendo quel numero? Perchè stava chiamando proprio loro?

Finalmente qualcuno rispose...

"Hai accettato la nostra proposta, caro fratello?" diceva la voce dall'altra parte, in quell'inconfondibile accento del sud-Italia.

Castle digrignò i denti, parlando a stento.

"Fate poco gli spiritosi...ho accettato la vostra proposta solo perchè sono un uomo di legge, e voglio scoprire la verità... scoprire chi ha attentato alla vita di nostro padre... ditemi dove ci incontriamo e se sapete qualcosa..."

Le parole gli uscivano fluide, semplici, leggere.

Come leggere un fumetto della Walt Disney.

Solo che quella era la vita reale.

Quello dall'altro capo del telefono lo faceva attendere e si scambiava sguardi d'intesa con l'altro presente, suo fratello, il quale gli faceva segno con la mano di sganciare dei soldi, poiché aveva vinto la scommessa... ovvero, la scommessa che l'indomani Alexander Castle avrebbe accettato l'offerta dei fratelli Provenzano di vendicare il loro padre.

 

Tom Demmings, capo criminale nemico dei clan di Little Italy.

Si era presentato al matrimonio dell'unica figlia femmina di Vito Provenzano, tale Santina, chiedendogli di fargli fuori gli strozzini che gli chiedevano soldi. 

Ma scendere a patti con Provenzano costava sempre caro; lui in cambio chiedeva fedeltà e rispetto assoluto.

Qualcosa che Demmings non poteva completamente dargli.

Così aveva pensato che tendergli un agguato in tarda mattinata, assumendo qualche buon cecchino, e assicurandosi che ci fosse stampa e gente al posto giusto e al momento giusto, lo avrebbe in qualche modo scagionato da ogni accusa di omicidio verso Provenzano.

Tuttavia, Demmings non aveva fatto i conti con Alexander Castle, uno dei migliori detective della New York anni '40.

Castle sapeva che lui era il maggior indiziato per l'attentato al Padrino, quindi si era deciso ad incontrarlo insieme a Sonny e Sasà e cercare di stabilire un accordo, un patto... o almeno parlargli per capire le sue ragioni.

I tre "fratelli" aspettavano con ansia il disgraziato, sedendosi in un locale deserto, poiché ormai erano le undici di sera, e nessuno cenava a quell'ora.

Finalmente Tom Demmings varcò la soglia. Atteggiamento da furbo, si sistemò la giacca di pelle e sputò la gomma che aveva in bocca. Era seguito da altri due scagnozzi.

"Ci incontriamo, Alexander Castle."

"Siediti Demmings, e non farmi perdere tempo."

I due erano uno di fronte l'altro. Sonny e Sasà erano in piedi, dietro Castle, mani strette avanti, ogni tanto sfioravano la fondina, giusto per far capire agli altri con chi avevano a che fare.

Castle invece era vestito sobrio, niente impermeabile e niente cappello; non voleva sembrare troppo "sbirro".

 

"Neanche stasera è rientrato a casa, vero?"

Martha osservava Katherine che controllava da due ore quell'orologio a pendolo pulsante.

Quel pendolo si muoveva a ritmo del suo cuore.

Pulsava anche lui d'amore, un amore disperato e incondizionato per Alexander Castle!

"No..." rispose Katherine a malincuore.

La donna più anziana si sedette accanto a sua nuora, prendendole la mano.

"E' il caso di suo padre, lo conosci poi... quando si mette in testa una cosa..."

"Già..."

Era monosillabica, e si asciugava le lacrime che lentamente le scendevano sul volto.

Martha osservava quel tavolo imbandito: Katherine aveva preparato una cenetta coi fiocchi solo per suo marito, ma lui non si era presentato.

"Sono preoccupata per lui..."

"Lo so, tesoro... ma siamo una famiglia! Supereremo questa cosa insieme!"

"Vuoi dire... noi due supereremo questa cosa, nonna..."

Le due guardarono Alexis dall'altro in basso.

La giovane era irrotta nella stanza con mani e gambe incrociate, ed era piuttosto contrariata.

"Katherine non fa parte della famiglia... è soltanto la moglie di mio padre!" continuò.

Martha si alzò di scatto.

"Alexis Castle... come ti permetti di parlare così nei suoi confronti??"

"Nonna! Da quando lei è qui, non ha portato che guai... papà si è allontanato sempre di più... e io sono stanca! Ne soffro io e ne soffre Johanna!"

Martha stava per parlare, ma la diretta interessata, ovvero Katherine, la fermò.

"No, ha ragione... e mi spiace, ma credo che tuo padre non si sia allontanato dalla famiglia per causa mia!"

Poi guardò Martha, incerta se rivelare anche ad Alexis cosa stava realmente accadendo a Castle...

 

"Perchè volevi uccidere nostro padre?? Non ti bastava quello che ti stava offrendo?? Ma voi criminali siete tutti uguali... tutti a cercare il potere e i soldi..."

"Come voi mafiosi, del resto!"
"Noi almeno pensiamo alla famiglia, voi non la risparmiate..."

Era un duello verbale quello che si stava svolgendo tra Castle e Demmings.

L'unico barman presente, si nascondeva sotto il tavolo vicino alla sua cassa... asciugava i bicchieri silenziosamente, e di tanto in tanto deglutiva. Capì che forse sarebbe dovuto andarsene, prima che la situazione degenerasse.

"Detective Castle, come potete dire che ho teso l'imboscata a Provenzano? Non avete prove..."

"Non l'hai ucciso, è vero, ma i tuoi cecchini sì. Senti, voglio solo una confessione, e puoi cavartela con un massimo di sei anni al fresco, poi potrai uscire..."

"Sei anni?! Ma sentitelo... sei anni!!" se la rideva e più rideva forte e più Sasà e Sonny reprimevano il desiderio di ucciderlo.

Intuendo le loro intenzioni, alzò una mano per farli star calmi, mantenendo sempre lo sguardo fisso sul malvivente davanti a sé.

"Ascoltami bene, Castle... tu sei un brav'uomo, che te ne frega della mafia? Questi italo-americani vogliono solo fregarci. E io, francamente me ne infischio. Non me ne importa niente... anzi, mi spiace che Vito Provenzano non sia morto."

A quelle parole, il detective non ci vide più.

Tirò fuori la pistola dalla sua fondina, e sparò un colpo dritto... in mezzo alla fronte di Tom Demmings, che cadde all'indietro dalla sedia.

Quello che accadde dopo, fu una cosa immediata e repentina.

Castle dal principio alzò le mani e gettò la sua pistola a terra... non poteva credere di aver ucciso un uomo così a sangue freddo. Che fosse colpevole, poco importava.

Lo aveva fatto fuori.

Sonny e Sasà risposero con le loro pistole, e furono più veloci dei due scagnozzi di Demmings... spararono e uccisero anche loro, proteggendo Castle, che intanto si era accasciato a terra sul cadavere del loro capo.

Boccheggiava e respirava affannato.

"Andiamo via, prima che arrivi la polizia! Forza, Alexander!!"

I due lo alzarono da terra a forza, ancora troppo scosso da ciò che aveva appena fatto...

Aveva appena compiuto la prima cosa che un buon poliziotto non dovrebbe mai fare.

 

 

 

Okay non uccidetemi... so che qualcuna di voi ha già pronto il bazooka... XD

Vi ricordo che è una AU e che i personaggi sono OOC! XD

Ergo, se volete continuate a leggere, sennò aspettate che finisca la storia per recensire... chi mi conosce sa che deve fidarsi di me u.u

xoxo

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Capitolo 8
*** Before the devil knows you're dead. ***


Watch your back

Ho previsto 13 capitoli per questa storia...quindi sappiatelo così non me lo chiedete più!u.u

Ricordate che vi voglio bene, quindi occhio ai vostri armamenti... XD

Non fatevi ingannare dal titolo del cap, che so può sembrare inquietante XD

xoxo

 

 

 

Before the devil knows you're dead

 

 

 

"Che tu possa arrivare in Paradiso

mezz'ora prima che il Diavolo

si accorga che sei morto."

 

 

 

L'anziano reggente si alzò lentamente dal suo lettino, dopo una settimana di convalescenza in ospedale. I tempi erano abbastanza lunghi, quindi si doveva passare del tempo in osservazione prima di ritornare alla vita di tutti i giorni tranquillamente. Ora era nella sua tenuta.

Fece segno al suo maggiordomo di portargli il completo nero con camicia bianca... e poi gli disse di porgergli il giornale... voleva leggere le ultime notizie, vedere cosa si era perso.

Mancare per quei sette giorni lo aveva tenuto lontano dal mondo.

Stupito dal leggere sul "The New York Times", il suo quotidiano preferito, che l'altro giorno era stata compiuta una sparatoria in un bar.

Qualcuno parlava di mafia, che c'entrava sempre in queste faccende, e visto l'orario serale, poteva essere. Magari stava compiendo un traffico illegale ed era stata scoperta.

Qualcun altro rispondeva che ciò poteva sembrare un cliché fin troppo facile... quindi poteva esserci dietro un poliziotto corrotto.

Lui era troppo scaltro per farsi ingannare da una simile scemenza. Chi lo conosceva, gli diceva spesso che era così cattivo e furbo che neanche il diavolo lo voleva. Ecco perchè era ancora vivo.

Non accontentandosi, grazie alla sua innumerevole rete di conoscenza, l'uomo si fece portare il telefono e compose un numero.

Chiamò i suoi due figli.

"Riprendo il comando della famiglia. Venite subito qui, c'è qualcosa di cui dobbiamo parlare.."

Quel "dobbiamo parlare" inquietava sempre timore.

 

Dopo mezz'ora, Sonny e Sasà erano già alla tenuta. Entrarono e seguirono il lungo corridoio verso la sala grande, quella dove il Padrino era solito fare riunioni con i suoi fidati.

Intorno al grande tavolone c'erano inoltre una decina di persone... qualche altro capo-mafia, degli avvocati, qualche poliziotto corrotto, altra gente importante, tutti intorno al capotavola, dove Vito Provenzano mostrava un sorriso smagliante e apriva le braccia in segno di accoglienza verso i suoi due figli.

"Venite ragazzi, entrate e sedetevi!"

Quello era il circolo della mafia gestito dai Provenzano. Tutti fecero silenzio, e toccò a Provenzano proferire parola. Mostrò la copia del "The New York Times" che stava leggendo.

"Allora, cosa mi dite di questa cosa, eh? Chi è che ha combinato questo casino?"

In prima pagina si leggeva:

"Omicidio a sangue freddo: New York trema ancora."

E come sottotitolo:

"Dopo l'attentato a Provenzano, di chi è adesso la colpa?"

Gli altri iniziarono a tossire; qualcuno abbassò lo sguardo. Provenzano li osservava uno ad uno; se non fosse che loro elargivano dei servizi a lui, il boss li avrebbe uccisi seduta stante.

"Siete una mandria di pecore." sbottò, poi si alzò, iniziando a camminare lungo la stanza. "Vi piace ricevere favori, eh? Cosa pensate che ci guadagni io?? Voglio rispetto. E voglio essere informato quando succedono casini come questo."

"M-ma noi non sappiamo nulla..." disse uno sottovoce, al che Provenzano gli urlò contro chiedendo di ripetere ma stavolta a voce più alta.

"E allora chi cazzo è stato?!"

E poi vide i suoi figli alzare timidamente lo sguardo.

"Noi sappiamo chi è il colpevole." disse Sonny.

Bastava uno sguardo, uno schiocco delle dita per far zittire la folla intorno a lui, e Provenzano guardò dritto negli occhi suo figlio maggiore, il quale iniziò a sudare e a deglutire forzatamente.

"Parla, Sonny."

Qualche secondo di silenzio, e quando constatò che gli uomini si erano zittiti, Sonny parlò.

"E' stato Alexander Castle, papà."

 

"Magari è un po' di stanchezza, tesoro... rilassati! Tuo marito soffre troppo lo stress... va bene che è un gran bel pezzo di uomo, che ha fisico e può permettersi di girare tutta New York, ma... deve riposarsi!"

Katherine sorrise nel sentir parlare Lanie, la moglie di Esposito.

Erano diventate amiche da alcuni anni, dopo che anche Javier si era sposato e aveva messo su famiglia.

Sicuramente la mora signora Esposito aveva una lingua lunga e non sapeva contenersi con le parole! Katherine vedeva in lei un'ottima amica e confidente. Tre volte la settimana, lavoro permettendo, Lanie raggiungeva Katherine al parco e lasciavano giocare le loro bambine, che si divertivano a creare e rincorrere aquiloni. Loro due invece si sedevano su di un telo che stendevano a terra, e restavano a guardare Johanna e Roxanne, e chiacchieravano per ore.

Sembrava di vedere un quadro impressionista: colori vivaci, come i loro vestiti, bambini che giocavano e sedevano sulle rive di un fiume, sfumato anch'esso da quelle tinte a semi-acquerello tipiche di quella pittura.

Katherine sospirò mentre guardava il paesaggio intorno a sé.

"Si forse hai ragione... Solo non capisco perchè non voglia parlare con me, o confidarsi... non vorrei avesse rialzato di nuovo un muro..."
"Prima o poi parlerà... lui ti ama, Kate... anche se non te lo dice molto spesso, da quello che ho capito..." le posò una mano sulla spalla, rassicurandola.

E Lanie aveva ragione. Alexander non era mai stato un tipo chiacchierone, difficile per lui esprimere ciò che provava. Ma Kate era riuscita a fargli fare grandi passi in avanti.

Sorrise. Sì, era fiduciosa.

"Mi parlerà, ne sono sicura. Sono sua moglie."

 

La decisione sarebbe stata presa. Non ne aveva più dubbi.

Vito Provenzano prese il suo testamento e lo modificò.

Ne sapeva sempre una più del diavolo. Una semplice firma, un semplice cambiamento di nome, e voilà.

Non lo aveva ancora inviato al suo avvocato di fiducia, e aveva fatto bene.

Dopo l'ultimo attentato alla sua vita, il boss si rendeva conto di essere sempre più accerchiato dalla polizia... ben presto lo avrebbero preso.

Doveva quindi provvedere e pensare al futuro. Cosa sarebbe successo alla sua morte? Poco gli importava se per lui c'era il Paradiso o l'Inferno.

E chi avrebbe potuto sostituirlo quando sarebbe finita per lui? Pensava ai suoi due figli; ora che l'unica femmina della famiglia si era sistemata, toccava ai suoi figli. Sonny e Sasà erano bravi; chi nel gioco d'azzardo, chi nella truffa illegale.

Ma nessuno sapeva maneggiare una pistola e uccidere a sangue freddo come il suo primogenito, Alexander Castle.

Sonny e Sasà gli avevano raccontato che aveva ucciso Tom Demmings a mano ferma. Un colpo e bang! Morto stecchito. A terra.

Lesse la dicitura in grassetto che indicava la successione dell'eredità di famiglia.

Aggiunse una clausola e vi scrisse "Alexander Castle, primo erede."

 

Il detective Castle era nel suo ufficio. Si rigirava i pollici, poi si alzava e guardava fuori dalla finestra. Si sentiva stringere al colletto, quindi cercò di sbottonarsi un altro bottone della camicia. Sentì confusione in centrale e sbirciò dalla porta.

Esposito e Ryan stavano strattonando due tipi loschi, probabilmente italo-americani e molto probabilmente anche mafiosi. Li stavano conducendo nella stanza dell'interrogatorio.

Castle si decise ad uscire dal suo ufficio per seguirli. Nella centrale ci fu un certo sgomento. Gli altri agenti parlavano sottovoce.

Alexander spiava l'interrogatorio dall'altra parte della stanza. Conosceva quei due mafiosi? Forse sì, forse no. Ne aveva visti troppi in vita sua per poterlo dire.

"Signor Valentino, mi sa dire dov'era lunedì sera dalle 22,30 alle 23,30?"

L'altro uomo davanti a lui masticava la gomma nervosamente.

"Ero con mia moglie... no aspetti, con l'altra mia moglie... la mia seconda!"

"Faccia poco lo spiritoso..." Esposito si manteneva calmo e rilassato, nonostante l'interrogatorio fosse delicato.

Poi arrivò Ryan che fece entrare l'altro uomo e lo fece sedere accanto all'altro mafioso.

Per farla breve, la conversazione durò mezz'ora. Alla fine, dopo un giro di telefonate, il loro alibi cadde, e i due confessarono di aver ucciso Tom Demmings. Motivo? Denaro che Demmings doveva loro e che non aveva ancora restituito. Sapevano la fama dell'ex mafioso, che chiedeva prestiti e poi aveva difficoltà a risarcire. Quindi non si stupirono più di tanto.

Chi rimase stupito invece fu Alexander.

Lui aveva ucciso Demmings, e ora questi due confessavano di essere loro i colpevoli.

Che ci fossero i Provenzano dietro a tutto ciò e gli avessero fornito un alibi?

Si sentiva colpevole. Quei due mafiosi, seppur con una fedina penale sporca, finivano in cella per colpa sua.

Tuttavia, Esposito e Ryan constatarono che c'era qualcosa che non andava. Due confessioni ottenute così facilmente non era da tutti. Forse qualcuno poteva averli incastrati. La domanda era: ma chi?

 

Tornando a casa, Kate preferì farsi un bel bagno caldo. Aiutò anche Johanna a svestirsi e farle una bella doccia. Si erano divertite al parco, e Johanna aveva espresso più volte la voglia di rivedere la sua amica Roxanne.

Mise a letto la piccola, raccontandole prima una fiaba, poi andò nella sua stanza.

Seduta davanti al comodino, iniziò a pettinarsi i lunghi capelli ondulati, guardandosi allo specchio... le prime rughe iniziavano a farsi vedere, ma a lei poco importava. Anzi, erano segni che stava maturando, che era una donna forte.

Qualcuno le tolse delicatamente la spazzola di mano.

"Posso continuare io?" dallo specchio vide apparire dietro di lei suo marito.

Lei sorrise e Castle iniziò a pettinarla. Era una scena molto dolce e intima, che le faceva ricordare quanto suo marito fosse un uomo meraviglioso e che lei lo amava incondizionatamente.

Sì, era ancora fiduciosa che prima o poi lui si sarebbe confidato con lei riguardo i suoi problemi. Lei non doveva chiederglielo, lo sapeva e basta. E così fu.

Poi, Castle si sedette sul letto, iniziando a togliersi scarpe e giacca.

"Kate, devo dirti una cosa... è qualcosa che tengo dentro da molto tempo... scusami se non sono stato sincero prima... non sapevo come comportarmi..."

La donna si bloccò e rivolse lo sguardo verso il marito.

"Ascoltami, Alexander... qualsiasi cosa sia, sappi che io ti sono e ti sarò sempre vicina. Lo sai questo, vero?"
"E' per questo che ti amo." le rispose invitandola a raggiungerlo sul bordo del letto. Poi continuò a parlarle, prendendole le mani. "Sai, Kate, ho deciso di conoscere meglio mio padre."

Katherine cambiò espressione. Si meravigliò da tale confessione. Si aspettava di tutto, tranne questo. E fu allora che pensò che suo marito non era tornato ad essere quello di una volta, no... era comprensivo.

"Vederlo rilegato in quel letto d'ospedale, mi ha fatto riflettere. E' vero, mi sono infuriato con te, con mia madre, e me ne mento. Ho capito l'importanza della famiglia, e voglio rimediare. Possiamo farlo insieme?"

Sembrava una bella dichiarazione. La donna si commosse e lo baciò dolcemente sulle labbra come risposta.

"Ma certo che possiamo. Insieme supereremo tutto. Sempre."

Stettero insieme quella notte, abbracciandosi, baciandosi... avevano bisogno di quell'intimità che avevano perso da alcune settimane.

Eppure, svegliandosi la mattina, Castle era tutto sudato.

Aveva sempre quelle fitte allo stomaco... era normale, era un uomo di giustizia, e aveva fatto mettere in cella due persone che non c'entravano nulla.

Avrebbe parlato oppure avrebbe fatto la fine di un poliziotto corrotto nella New York degli anni '40?

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Capitolo 9
*** A family stays together. ***


Watch your back

A family stays together

 

 

 

 

"C'è un vecchio proverbio che dice

che non puoi scegliere la tua famiglia,

è il destino che decide per te,

anche se non ti piace."

 

 

 

Nei giorni successivi, le indagini sull'omicidio di Tom Demmings proseguirono.

Esposito e Ryan avevano controllato ogni possibile posto, verificato ogni possibile alibi, senza però riuscire a venirne a capo.

Quei due mafiosi che avevano sbattuto in cella si erano dichiarati colpevoli.

Sembrava troppo bello per essere vero!

La svolta cruciale si ebbe in quel pomeriggio del '40.

Alexander Castle lo riconobbe appena mise piede al distretto.

Alto, moro, attraente, un bell'uomo, viso spaurito e spaesato. Si diresse verso gli altri due detective, disse qualche parola, dopo di che, un segno, un assenso, e si diressero da un'altra parte.

Era Josh, il barista di quel locale dove era avvenuta la sparatoria. C'era lui dietro quel bancone, indeciso se continuare ad asciugare le posate e i bicchieri.

Il detective si coprì la faccia col cappello, poi sgattaiolò nella stanza degli interrogatori: avrebbe assistito silenzioso, senza essere visto.

"Lei è... Josh Davidson?" Esposito aprì la cartella col suo file. "Cosa mi sa dire di quella sparatoria? E' in grado di identificare il colpevole?"

Josh sembrava un uomo che aveva molto da perdere. Si guardò intorno, ancora più spaurito, e si rivolse ai due guardandoli dritti negli occhi.

"Vi spiace se ne parliamo in privato? C'è quell'uomo lì, quello grande e grosso che mi fissa e io non riesco a fissare lui... mi mette paura, capite?"

Capendo che si stava rivolgendo a lui, Castle decise di allontanarsi.

Quel Josh l'avrebbe potuto incastrare.

E ora più che mai, Castle non poteva permettersi di finire al fresco.

Come avrebbe fatto? Sarebbe ritornato ai suoi vecchi metodi di quando era giovane?

No, lui era cambiato. Non si sarebbe abbassato a così tanto.

Esposito e Ryan si scambiarono sguardi d'intesa.

"Magari può dirci chi è il vero colpevole, fraté..." disse il primo all'altro.

 

Vito Provenzano aveva sistemato il suo testamento.

Lo guardava, gli dava una spolverata, stringeva l'occhio e poi lo rimetteva apposto.

Si sistemò il fiore all'occhiello, la giacca e con uno schiocco di dita fece entrare i suoi figli nel suo ufficio.

"Papà ti senti bene, tutto bene?" fece Sonny con accento siciliano marcato. Poi si prese un sigaro dalla confezione nuova del padre.

"Eravamo preoccupati." fece Sasà avvicinandosi al padre.

Il boss non batteva ciglio ma si limitava a prendere anche lui un sigaro, che però gli venne negato dal figlio maggiore.

"Sei stato in ospedale, non vorrai tornarci di nuovo, eh?"

Si guardarono storto per un po' e il Padrino parve quasi un cucciolo viziato a cui avevano tolto fumo e alcool. Ma per una volta i suoi figli avevano ragione. Si sistemò di nuovo la giacca e prese un bel fiato prima di parlare.

"Oggi siete qui perchè ho deciso di ritirarmi a vita privata. Non guardatemi così... l'età avanza e dopo il mio ultimo attentato, non posso più rischiare. Lascio il comando a voi."

Sonny e Sasà restarono esterrefatti. Subito posarono l'occhio sulla stanza del padre e vedevano davanti tanti soldi... soldi, potere e donne.

Il sogno di ogni persona.

Facendo un calcolo mentale, non faceva una piega il loro ragionamento: i soldi portavano potere... e il potere attraeva le donne.

Erano giovani, erano sognatori.

E avere un padre nel grande circolo della mafia non poteva che far bene ai loro affari...

"Pensateci voi a contattare vostro fratello, Alexander..."

Ma quei sogni improvvisamente si spezzavano sotto i loro occhi!

L'idea di condividere tutta quella roba con un fratello estraneo, non li attirava per niente.

Ma la famiglia era la famiglia.

I due fratelli si allinearono uno vicino all'altro. Sonny fece cadere il sigaro a terra.

"Alexander?"

Ci sperava Vito che sotto sotto, prima o poi, Castle avrebbe smesso di fare il detective per ritornare alle sue origini...

 

"Perchè siete così interessati ad un barista? Magari non si ricorda neanche delle persone presenti alla sparatoria!"

Il detective Castle si era concesso un pomeriggio di pausa a bere qualcosa insieme ai colleghi Esposito e Ryan.

Questo gesto era qualcosa che li sorprese poiché era da tempo che non passavano del tempo insieme solo tra uomini.

Ryan sputò quel sorso che aveva in bocca.

"Davvero? Usciamo tra amici e vuoi parlare del caso? Con tutto il rispetto, capo, ma...si tratta di un boss della mafia! Se ne fanno fuori uno, non è il finimondo!"

Guardando l'espressione sgomenta di Castle, Esposito gli diede una gomitata.

"C'è qualcosa di cui vuoi parlarci, capo?"

Castle aveva terminato il suo whisky e con passava le dita sul bordo del bicchiere. Guardava intensamente quel fondale così vuoto senza il liquido dentro... immerso nei suoi pensieri...

"Sapete perchè nella mia vita mi sono sentito così tanto vuoto come questo bicchiere? Mi è sempre mancata una famiglia. E ora che l'ho trovata, mi sta ponendo di fronte a tante scelte sulla strada che ho intrapreso!" rise ironicamente... spezzato da una verità così... fragile... "Mio padre è un boss della mafia e io sono un detective... non trovate che la vita sia strana??" rise ancora più forte, soffocando la sua disperazione.

La vita gli stava ponendo troppe decisioni.

E lui aveva commesso dei passi falsi.

Aveva ucciso un uomo a sangue freddo!

Ma nessuno doveva saperlo... no, si sarebbero fatti del male anche loro!

I suoi colleghi lo guardarono strani, poi realizzarono tutto... Vito Provenzano era il padre di Alexander Castle!

Ma il fiuto da poliziotti non mancava loro...

Esposito tornò serio, abbassò la testa parlando sottovoce.

"Castle, dov'eri la notte della sparatoria a Tom Demmings?"

Il detective davanti a loro tornò serio, fermo. Prese il suo immancabile cappello, se lo mise in testa e con l'intento di andar via, lo freddò più con lo sguardo che con le parole.

"Non mi starete mica accusando di averlo ucciso? Io, il vostro capo??"

Ryan alzò le mani.

"Scusaci... è che... ad essere sinceri, potevi avere un movente valido visto che Demmings aveva attentato alla vita di tuo padre---"

Castle gli saltò quasi addosso, spaventando la gente tranquilla intorno a loro. Posò le mani sul tavolo e si allungò verso l'irlandese per guardarlo dritto negli occhi.

"Io non c'entro niente con questa faccenda... non ho ucciso nessuno! Non dubitate più di me, chiaro?!"

Rendendosi conto che era calato il silenzio accanto a loro, Castle si ricompose e si allontanò.

La domanda che aveva in testa era: il suo impermeabile l'avrebbe coperto abbastanza da quel vento che si era improvvisamente alzato? La risposta fu negativa. Come negativo fu il suo dubbio su quanto la sua bugia - che non chiamò mai "alibi" - tenesse ancora duro.

E infatti, Esposito si avvicinò ad una cabina telefonica nelle vicinanze, inserì un gettone e compose un numero.

Ryan guardava impassibile.

"Salve, sono il detective Esposito. Vorrei parlare col signor Davidson se è possibile."

 

Stava tranquillamente sistemando la loro camera matrimoniale. Ogni tanto cambiare le lenzuola e far prendere un po' d'aria era salutale.

Rimase a fissare la loro foto del matrimonio. Lei indossava un abito bianco sobrio, senza pizzi, né merletti. Era il suo matrimonio, ma se doveva farsi bella, preferiva qualcosa di semplice, di puro. E anche suo marito era d'accordo. Il bianco esprimeva Katherine per come era veramente: una donna acqua e sapone, dai gusti semplici, al di là del passato tragico che aveva trascorso.

Sistemando quelle scartoffie nei suoi cassetti, decise di dare una spolverata anche nel cassettone di suo marito.

Fogli, foto, e stracci di giornali.

Scosse la testa. Quanto era disordinato!

Rimase colpita da una foto in bianco e nero: c'era il Padrino e dietro di lui i suoi figli. Lui sedeva su una regale poltrona, i suoi figli invece stavano dietro. Postura composta, sorriso accennato. Era una di quelle classiche foto che ogni famiglia si fa.

Si chiese come mai Castle ne possedesse una, quando venne interrotta da un bussare alla porta.

Si voltò.

"Alexis? Vieni!"

La ragazza si avvicinò quatta quatta, quasi timorosa, con lo sguardo abbassato e mani tenute strette e avanti la sua gonnellina scozzese.

"Volevo scusarmi per come mi sono comportata in questi giorni. I-io non ne avevo il diritto. Ho visto quanto ami mio padre e come gli sei vicino e... non è giusto che ti abbia accusato di quelle cose..."

Balbettava cercando le parole, ma nello stesso tempo era come se avesse preparato quel discorso.

Katherine sorrise e le posò le mani su entrambe le spalle, costringendola ad alzare lo sguardo.

"Non devi scusarti, okay? E' un periodo un po' così... e siamo tutti preoccupati per tuo padre. Siamo una famiglia, e come tale dobbiamo stare insieme."

Le parole della donna, così tranquille e ragionevoli, avevano sciolto il cuore della ragazza in un abbraccio stretto nei confronti di Katherine, la quale si commosse.

Per fortuna, in un mondo di uomini crudeli e meschini, c'era ancora la forza della parola che risolveva i problemi.

 

"Ehi, amico... perchè hai contattato Josh? Ci ha già detto quello che sapeva..."

"Non che non mi fidi di Castle, ma... c'è qualcosa che non torna..."

Esposito e Ryan erano davanti la porta di casa di Josh Davidson. Si erano fatti dare il suo indirizzo perchè volevano parlare con lui in privato, non in centrale.

Bussarono un paio di volte e lo chiamarono. Ma da dentro l'appartamento non si udì nulla.

"Signor Davidson???"

Il portoricano bloccò l'irlandese e gli fece segno con la testa, mostrando la pistola puntata.

Quando ti davi appuntamento con qualcuno a casa sua, e dopo un'ora questo non rispondeva, c'era un unico modo per risolvere la questione.

I due si fecero forza e buttarono giù la porta, poi puntarono la pistola, muovendosi cautamente all'interno dell'appartamento.

Lo trovarono scomposto, disordinato, e... c'erano tracce di sangue.

Seguirono quella scia di sangue, per poi trovare, a pancia a terra e con una grossa macchia di sangue, lo sfortunato barista.

 

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

Ho deciso di mostrarvi delle foto dei nostri altri co-protagonisti (eh sì mi sono ricordata presto XD), ad eccezione del Padrino che sapete chi è dal poster promozionale, così vi fate un'idea: (le foto non mi si vedono, ho dovuto mettere il link >.<)

 

Sonny Provenzano

http://mr.comingsoon.it/imgdb/SerieTV/news/1/11547_pp.jpg

Salvatore "Sasà" Provenzano

http://image.com.com/tv/images/processed/default/d8/8f/329546.jpg

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Capitolo 10
*** Calvary (part 1) ***


Watch your back

Calvary (part 1)

 

 

 

 

"Siamo due facce della stessa ipocrisia.

Ma non le permetto di tirare in ballo

la mia famiglia."

[Il Padrino - Parte II]

 

 

 

 

"La balistica ha rivelato che lo sfortunato Josh Davidson, di anni 37, è morto per due colpi di arma da fuoco. Due proiettili sparati al centro del suo torace, gli hanno provocato lesioni interne, e quindi il conseguente dissanguamento. La balistica forense sta analizzando le possibili direzioni dei proiettili. La polizia locale pensa che ci sia qualche legale con la criminalità organizzata. Ulteriori aggiornamenti in serata. Ora passiamo ad altre notizie..."

 

Alexander spense la radio.

Il fumo inondava la sua stanza.

Lanie entrò per portare delle notizie riguardo l'omicidio, e fu costretta a tapparsi la bocca e fare una faccia disgustata a causa di tutto quel fumo.

Lui la guardò impassibile, ma Lanie con un gesto furtivo, gli tolse il sigaro di mano.

Castle la guardò ammutolendo.

"Non sarebbe ora di smettere di fumare, capo? Comunque, questi sono notizie di prima pagina sull'omicidio Davidson."

"Grazie, Lanie... puoi andare."

La donna spalancò gli occhi.

"In realtà volevo dirti... non importa se sei il mio capo... fai soffrire la mia amica Katherine, e questo braccio è pronto a sferrare un destro infallibile."

Detto ciò, gli fece uno sguardo d'intesa prima di lasciare l'ufficio.

Castle sentiva il colletto della camicia stringerlo sempre di più. Gestire due famiglie non era esattamente ciò che aveva programmato.

Cominciò a leggere le notizie, cercando di capirci qualcosa. Poi fece qualche chiamata alla balistica, nel tentativo di vedere i proiettili estratti dal corpo di Davidson.

 

Si recò quindi sul posto per vederci chiaro sulla vicenda... quella pistola calibro 39 la conosceva abbastanza bene. Ricordava che Sonny o Sasà, ne avevano una uguale la notte che Demmings venne ucciso... uno di loro la voleva usare per far star zitto quel criminale, ma Alexander glielo aveva impedito. Ripensò quindi a quella notte...

Passeggiando per quell'edificio dove la scienza stava facendo passi da gigante con la balistica e la criminologia, Castle si bloccò un attimo. Non che fosse stato colpito da qualcosa, solo aveva avuto dei flash.

Il suo "alibi" era salvo. Qualcuno gli aveva parata il culo. Già, ma chi?

I suoi fratellastri?

Tornò indietro, dirigendosi di nuovo al reparto balistica. Senza farsi notare, con molta calma, prese quella pistola. Se la ficcò nella tasca interna del giaccone.

Sarebbe stata una buona idea?

Con passo furbo, ma non avventato, tranquillo, testa alta, salutò l'usciere e se ne andò.

 

Sonny sentiva quell'apparecchio squillare da diversi minuti. Quel trillo insistente gli stava facendo venire mal di testa.

Però lui non si scomodava a rispondere, troppo tranquillo seduto sulla sedia di suo padre, piedi sul tavolo e sigaro in bocca.

Era già proiettato al futuro con la mente. S'immaginava di essere "padrino".

Sasà entrò nella stanza come una furia.

"Minchia, vuoi rispondere al telefono?? Devo farlo io??" alzò la cornetta sbuffando "Pronto??"

"Sonny, sono il detective Castle..." non si azzardava ancora a dire sono vostro fratello.

"Miii, Castel... che minchia vuoi?"

Non solo ogni tanto sbagliava anche nome... ma non aveva un linguaggio proprio forbito.

Sonny guardava il fratello meno colto e sghignazzava.

"Dobbiamo parlare... devo parlare con te e tuo fratello. Si tratta di affari di famiglia. E chiamate i vostri amici mafiosi."

"Alla famiglia non si dice mai di no!" rispose l'altro con un sorriso beffardo.

Attaccarono entrambi la cornetta, senza neanche salutarsi.

"Che succede?"

"Fratello, abbiamo affari di famiglia in ballo."

 

Castle aveva la testa tosta. Era un caparbio. Se si metteva in testa qualcosa, doveva farlo per conto proprio.

Entrare in affari con la mafia era un campo minato.

Era pericoloso, ma l'unico modo per scoprire la verità era quello.

Più tardi, verso sera, si trovava circondato da quei mafiosi che aveva tanto amato e poi odiato.

Tutti coi loro petti in fuori, fieri, convinti di essere intoccabili.

Castle era disgustato.

Più che fumare, stava letteralmente mangiucchiando il tabacco.

"Signori, un po' di silenzio..." Sonny si alzò attirando l'attenzione dei presenti seduti "Quest'uomo qui fa parte della famiglia Provenzano, la nostra. E stasera vuole parlarci." indicò Castle che si ritrovò con gli occhi di una ventina di persone tutti puntati verso di lui.

Lo guardavano dalla testa ai piedi... no, quell'uomo vestito distintamente aveva la faccia da sbirro. E a loro non piaceva.

Sonny scosse la testa.

"Sì, lo so, è un poliziotto. Ma non è questo il punto. Alexander, perchè non ti alzi e parli, eh?"

Castle si schiarì la voce.

Lentamente si mise in piedi. Poteva sentire le sue gambe tremare leggermente... ma quel tremolio venne sostituito da una strana sensazione di potere. Un piacere che gli stuzzicava la vista. Vedersi in una posizione alzata rispetto gli altri...

"Non vi piaccio e voi non piacete a me. Ma qui si tratta di difendere l'onore della famiglia. L'onore di mio padre, Vito Provenzano. Non vedetemi come un detective, ma come un uomo..." ebbe un attimo di esitazione, poi si immaginò Katherine davanti a sé che lo incitava a proseguire, ad andare avanti, col suo splendido sorriso, "...la polizia vi darà la caccia e lo farà perchè io come uno di loro, so chi ha sparato e ucciso Josh Davidson. Arriveranno a voi. E se volete tenere salda la vostra amicizia con me, dovete smetterla di tentare di uccidere mio padre."

Queste parole spiazzarono completamente tutti i presenti.

Quello che Alexander stava chiedendo era un accordo.

Un accordo era un affare pericoloso.

"Cosa ci stai chiedendo? Chi ti credi di essere? Parlare di famiglia...un poliziotto che fa il doppio gioco e tradisce due famiglie... tiè guardate sto picciotto..." fece uno dei gangster con sfrontataggine.

"Siamo due facce della stessa ipocrisia, signore. Ma non le permetto di tirare in ballo la mia famiglia."

Subito l'animo di quegli uomini sicuri di sé, venne abbassato.

L'ipocrisia era una brutta bestia.

"Quello che vi sto chiedendo è di lasciare in pace entrambe le mie famiglie... sbarazzatevi di coloro che hanno avuto legami con Tom Demmings perchè sono gli stessi che ci stanno braccando... fateli fuori, uccideteli, strozzateli, non m'interessa."

 

E così ciò che disse Castle accadde.

Gli omicidi a New York aumentarono. La polizia continuava a brancolare nel buio. Tutto veniva di nuovo messo in discussione.

La stampa parlava di una guerra tra il crimine organizzato.

Si era creato il panico. Era iniziato un vero Calvario non solo in città, ma anche nel cuore burrascoso di Castle.

Katherine leggeva il giornale del mattino e sospirava.

Non ricordava che la sua New York fosse mai stata così sanguinosa.

Si affacciò alla finestra e quasi le sembrava che il cielo gridasse aiuto, come quel quadro di Edvard Munch, con l'omino al centro che aveva le 

mani sul volto e il la bocca allungata. Intorno, un cielo color rosso sangue e qualche schizzo di arancione.

Tornò alla realtà e voltandosi ebbe un sussulto.

"Alexander! Mi hai messo paura..."

L'uomo stava appoggiato alla porta con le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, pronto per andare al lavoro.

"Non intendevo farlo.. cos'è successo? Cos'è quella faccia?"

Lei gli porse la prima pagina del New York Times.

"Scia di sangue nella Grande Mela? Tutto qui? E' coinvolta la mafia, a noi non interessa..."

"Tutto qui??" Katherine sbottò "E la polizia che fa? Ve ne fregate??"

"Non sono affari nostri!!"

La donna si fermò sbarrando gli occhi. Quello sguardo che aveva suo marito... c'era qualcosa di diverso. Leggeva dell'odio dentro.

"Non ti riconosco più, Alex... Sto quasi pensando che..." le parole le si strozzavano. Non riusciva a pensare ad una cosa così orribile.

"Cosa?"

"...pensavo che tu c'entrassi qualcosa con questi omicidi."

L'uomo rise.

"Mi vedi davvero così? Con una pistola in mano ad uccidere le persone? Forse una volta mi sarebbe piaciuto, ma ora... andiamo..."

"Dimentica quello che ho detto."

Lo baciò delicatamente sulle labbra, poi si staccò sorridendogli.

A lui non stava bene quel distacco. Quello sguardo e quel bacio così freddo.

Quando Katherine gli passò vicino, la prese per il braccio e violentemente la rivoltò davanti a sé baciandola appassionatamente.

Nonostante i suoi dubbi, nonostante iniziasse a pensare sia alla sua famiglia sia a quella dei Provenzano, Alexander era sicuro di una cosa: amava 

sua moglie.

Seppur confusa all'inizio, Katherine ricambiò quel bacio avidamente. Le loro lingue si intrecciarono, e iniziarono a togliersi i vestiti di dosso, 

restando con la biancheria.

Alexander poi prese sua moglie in braccio, lei con le braccia intorno al suo collo, e la portò sopra il tavolo della cucina, continuando a baciarsi e 

ben presto a consumare quella passione improvvisa, che forse avevano perso da un po' negli ultimi tempi.

 

La sera ci fu una sorpresa in casa Castle.

Martha aveva già preparato la tavola per cinque persone. Katherine si avvicinò ad Alexander sorridendogli e porgendogli un calice di vino rosso.

Poi sopraggiunsero Alexis e Johanna, che Alexander prese in braccio.

La matriarca della famiglia chiamò tutti membri a rapporto: la cena era pronta... ma suonò un campanello.

Alexander si offrì per andare ad aprire... la persona che si trovò davanti fu una sorpresa, ma non tanto.

Sorrise.

Era suo padre, Vito Provenzano.

Aveva un mazzo di fiori in mano, e guardava le altre donne della casa, Martha fra tutte. Si tolse il cappello e chiese se poteva entrare.

Consenso che venne accolto da Martha, sorpresa quanto le altre.

"Signore, vi presento Vito Provenzano. Mio padre."

 

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

Allora... Castle ha iniziato a fare il gioco dei gangster... forse ha qualcos'altro in mente? Fatto sta che la famiglia resta uno dei capisaldi del nostro detective e intende proteggerle a costo di scendere a patti con la criminalità organizzata. Katherine inizia ad essere sospettosa di suo marito... e come potrebbe non esserlo?

Avevo detto 13 capitoli ma li allungherò a 14 XD

Il fatto è che sta uscendo più lunga del previsto questa storia O.o

Poi ieri sera ho pure vista "Il Padrino parte 2", quindi sono ispirata e ho cambiato un po' di cose nella storia XD

Non odiatemi e continuate a leggere se volete altri colpi di scena u.u

xoxo

D.

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Capitolo 11
*** Calvary (part II) ***


Calvary

Calvary (part II)

 

 

 

 

"L'ultima tentazione è il tradimento più grande:

fare la cosa giusta per la ragione sbagliata."

[Thomas Stearns Eliot]

 

 

 

La cena della "nuova famiglia" si svolse tra un velo di imbarazzo e un velo di stranezza. Tuttavia, dopo questi sentimenti iniziali, fu grazie sopratutto alla piccola Johanna se Martha e Katherine iniziarono a conversare con Vito Provenzano.

Johanna, infatti, rideva di fronte quell'anziano che aveva una faccia così buffa, a suo parere. Martha temeva che Vito potesse risponderle male, o peggio ancora, tirar fuori qualche arma. Invece lui sorprese tutti, rise insieme alla sua nipotina chiedendole se la sua faccia le facesse tanto ridere e perché.

"Hai degli occhi grandi! Proprio come il lupo di Cappuccetto Rosso!!"

"Allora questo ti rende Cappuccetto Rosso, mia cara!"

Poi Johanna metteva i gomiti sul tavolo, Katherine la rimproverava dicendole che non era buona educazione e che sopratutto avevano un ospite a tavola. Invece il Padrino diceva alla donna di lasciar stare, "E' una piccirella così carina!"

Insomma, l'anziano boss aveva conquistato le donne di casa Castle. Ed era una cosa che non si vedeva tutti i giorni. Ma del resto era un mezzo italiano, emigrato nel lontano 1890 o su per giù... ci sapeva fare con le donne grazie al suo charme.

Eppure quella calma e quella gioia non sarebbero durate ancora a lungo.

 

I due agenti di polizia continuavano ad indagare sul loro capo, e amico, Alexander Castle.

Sebbene Esposito non poteva credere ad un possibile coinvolgimento di Castle, visto il suo passato e il suo legame col Padrino, non aveva altra scelta che tornare ogni volta sulla scena del crimine e poi consultare la balistica.

Ryan, invece, era un po' scoraggiato da questa situazione. Forse ancora incredulo. Ultimamente era sempre giù di morale e accigliato. Mangiava anche poco mentre era al distretto!

Dopo ore di attesa davanti al coroner, giunsero ad una conclusione sorprendente: un capello di Alexander Castle era stato rinvenuto dalla scena del crimine... in quel bar dove Tom Demmings era stato ucciso.

Ryan scosse la testa; pensò ad una coincidenza, del resto chiunque poteva trovarsi lì; eppure non tutti. Secondo alcuni frequentatori poco raccomandabili, quel locale era famoso per traffici illegali e clandestini di alcool. La malavita organizzata si riuniva la sera tardi per effettuare scambi.

Inoltre, iniziarono ad uscire fuori i primi pentiti dalla mafia. Un italiano parlò, disperato con la polizia. Esposito lo interrogò. Serio, ascoltava per bene la confessione di quel malvivente, che non volle mai rivelare il suo nome. Raccontò di come il circolo di Provenzano gli uccise moglie e figlia perchè non aveva rispettato il sacrosanto patto di rispetto reciproco. La mafia non perdonava, e quelli erano sicuramente gli anni di piombo dove furono più attivi.

Esposito sospirò e lasciò cadere le braccia a terra... e pensare che Al Capone era in prigione adesso... credevano davvero che avrebbero risolto un bel problema? No, i guai erano appena cominciati.

Un riluttante Ryan mostrò al loro interrogato la foto di Castle. Gli occhi dell'uomo si accesero come una lampadina. Riconosceva quell'uomo. Lo aveva visto parlare di famiglia e di rispetto in una delle ultime riunioni dai Provenzano!

Esposito e Ryan si guardarono in faccia increduli. I nodi stavano iniziando a venire al pettine. Qualcuno si sarebbe fatto del male.

 

"Fa male sapere queste cose, bro..." disse Javier, arrivato insieme all'amico e collega Kevin davanti la porta di casa Castle, "ma dobbiamo farlo e stare dalla parte della giustizia... capito?"

L'irlandese annuì, poi bussò alla porta.

Ad aprire fu Katherine, la quale si vide smorzare il suo sorriso all'ingresso dei due detective. Le facce di Esposito e Ryan, infatti, non presagivano nulla di buono.

La donna li fece entrare, facendoli accomodare in salotto. Poi chiese se volevano qualcosa da bere, e portò loro dei caffè. Poco dopo, Alexander li raggiunse, sedendosi con loro.

"Ehi, ragazzi... tutto okay? Avete delle facce... parlatemi pure, vi ascolto..."

I due si guardarono e titubarono un po'. Era davvero giusto indagare ancora sul loro capo? Esposito, quello più deciso, non aveva altra scelta.

"Dobbiamo interrogarti di nuovo."

Castle sospirò, poi si allungò gambe e braccia, per stare più comodo. Gli fece segno di iniziare.

"Se proprio dovete."

Ryan prese il blocco notes e iniziò ad appuntare.

"Dov'eri la sera che Josh Davidson è stato ucciso?"

"Ah bene, almeno avete cambiato disco, non mi chiedete di Demmings... Josh Davidson non so neanche chi è... comunque non ero sul luogo del delitto. Non c'entro nulla ragazzi. Io ero con mia moglie. Chiedetelo a lei."

La donna infatti confermò l'alibi.

"Sì, ci ha raggiunto per cena. Era tardi, se non sbaglio, detective Esposito, era proprio l'orario in cui Josh è stato ucciso?" socchiuse un occhio, facendo finta di ricordare qualcosa. Stavolta li aveva fregati. "Eh già, mi pare fossero le 11!"

Castle accennò un sorriso.

"Okay..." rispose il portoricano, incerto. "E come lo spieghi questo... è un capello trovato sulla scena del crimine."

Alexander sospirò.

"Dannazione, Esposito! Ci sono entrato per puro caso... sai che ho due fratellastri nel clan dei Provenzano? Beh, li stavo incontrando... non si può manco più fare questo?"

I due detective restarono senza parole. Katherine mise le mani sulle spalle di Alexander, per rilassarlo, poiché sentiva che i suoi muscoli erano in tensione.

"Sentite, mio marito ne ha passate tante... sta cercando di aprirsi a questa famiglia che pensava di aver perso da tempo... non stressatelo ancora!"

"Allora spiegaci perchè un ex del clan mafioso è venuto in centrale, pentito, dicendoci di averti visto in una di queste riunioni coi mafiosi..."

Castle rimase scioccato. Maledizione, chi poteva essere? Chi aveva tradito il clan? Sicuramente uno di quelli più deboli che non avevano niente di meglio da fare che spifferare tutto alla polizia...

Anche Katherine rimase senza parole. Aveva difeso così tanto suo marito, e adesso? Non aveva più parole.

Castle aveva un misto di sentimenti e sensazioni. Poi tornò serio.

"E va bene, se proprio ve lo devo dire... vi confesserò tutto." Castle sospirò, mise una mano sulla faccia, e iniziò a parlare lentamente e sottovoce, "Sto indagando su quei mafiosi e lo sto facendo sotto copertura. Ecco perchè non potevo rivelarvi nulla! Mi sono finto loro amico così da entrare nella loro cerchia!"

I presenti erano senza parole.

Questo era un colpo di scena che non si aspettavano.

Il loro amico e collega era un genio del male!

"Cavolo, boss.... non ci aspettavamo una cosa simile!"
"Sei un genio!!" disse Ryan sul punto di dare il cinque al capo, ma Esposito lo bloccò. Forse non era proprio il caso di esultare.

Katherine, invece, restava fissa, impalata, guardando un punto imprecisato del vuoto.

Tutto questo tempo... e lui non le aveva detto nulla? Non le aveva accennato un bel niente!

"Bene, non abbiamo altro da aggiungere. Ci vediamo al lavoro, capo." disse Ryan.

"Un'ultima cosa... ti spiace se diamo un'occhiata in giro?" Esposito aveva sempre l'ultima parola.

"Fate pure!" rispose Alexander aprendo le braccia e mostrandosi completamente a suo agio.

I due detective controllarono le stanze una per una, senza mettere a soqquadro... controllarono anche quei cassetti dove Katherine in precedenza aveva notato la foto di suo marito e Provenzano. Castle deglutì quando Ryan andò a scavare in un cassetto... ma tornò normale quando l'agente non trovò nulla.

Alla fine, Ryan chiuse il blocco notes, Esposito si arrese e salutò il suo boss. Non c'entrava nulla a quanto pare. Forse quel capello trovato dalla balistica era lì per puro caso. Scosse la testa. Non ci avrebbe più pensato. Avrebbe archiviato il caso l'indomani.

Alexander poi abbracciò sua moglie.

Aveva capito che di lei ci si poteva fidare. Sarebbe stato il momento giusto per dirle tutta la verità? Ma sentiva che nell'abbraccio della donna c'era qualcosa che non andava... il suo battito era irregolare... Katherine, in realtà, si sentiva tradita da suo marito.

 

Poco lontano da casa Castle, due losche figure avevano appena portato a termini una truffa ai danni di un casinò.

I due uomini, fieri, nascondevano per bene la refurtiva nel portabagagli dell'auto. Si poteva notare che stavano nascondendo anche un'arma... una pistola calibro 39...

"Ehi, Sonny, che ce ne facciamo di questa?" Sasà prese l'arma per mostrargliela. Il fratello subito corse per tappargli la bocca.

"Ma sei scemo?? Grida un altro po' e ci ritroviamo la polizia alle calcagna!! Per fortuna Alexander ce l'ha restituita proprio prima che entrassero quei detective a far piazza pulita!"

"Non glielo diciamo che abbiamo fatto fuori noi quel Josh Davidson?"

Sonny storse la bocca divertito.

"Nah... è pur sempre un detective, ricordalo! Lasciamo brancolare la polizia ancora nel buio. Tanto ormai avranno capito che lui non c'entra niente con questo omicidio, e non hanno neanche prove per collegarlo a noi. Papà sarà contento di come sta procedendo la cosa."

 

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

State iniziando a capirci qualcosa su questa storia?

Arrivati a questo punto possiamo dire che la trama s'infittisce: Castle ha ottenuto ciò che voleva, l'accordo di cui si parlava nel capitolo precedente era questo. Con la polizia che può archiviare il caso, Castle si stringe sempre di più nella rete mafiosa, ottenendo anche una vasta gamma di protezione dalla criminalità organizzata - infatti sono stati i suoi fratellastri a salvargli il suo alibi. Che il nostro protagonista stia diventando uno di loro? Al di là di questo, c'è Katherine, una donna che ama tanto suo marito, che lo proteggerebbe ad ogni costo. E che ora si scopre però tradita. Arriverà ad un punto in cui scoprirà tutta la verità?

Tutte le risposte nei prossimi capitoli! XD

xoxo

D.

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Capitolo 12
*** Blood ties. ***


Calvary

Blood ties

 

 

 

"O muori da eroe,

o vivi tanto a lungo

da diventare il cattivo."

[Batman Il cavaliere oscuro]

 

 

 

La domenica mattina era il momento ideale per riunirsi con la famiglia e stare sereni.

Vito Provenzano ormai era parte integrante di quell'agglomerato, e tutti i suoi membri avevano accettato la sua presenza.

La piccola Johanna specialmente.

Quel giorno, la bimba invitò l'anziano signore a giocare con lei a nascondino.

La piccola lo invitò a rincorrerla nel cortile, tra i panni stesi sullo stendino.

Lenzuola bianche, pantaloni, vestiti.

Provenzano stava leggendo ma vedendo quello sguardo limpido nel volto di Johanna, non resistette.

Mollò tutto e la rincorse, dicendole che l'avrebbe presa prima o poi.

Johanna correva e rideva, sfidava il nonno a raggiungerla.

Provenzan correva e rideva anche lui, ma si sentì stanco improvvisamente.

Gli occhi si aprirono... erano sbarrati. Si toccò il petto. Si sentiva una voragine nel corpo. Qualcosa che lo stava risucchiando da dentro.

Cercò di parlare, di chiamare la nipote, ma niente.

Allungò una mano cercando aiuto, cercando di aggrapparsi a qualcosa, ma invano.

Cadde all'indietro e fu un tonfo sonoro.

Rimase in quella posizione supina per un bel po'.

Quando Johanna chiamò il nonno poiché non lo vedeva più, lanciò un urlo trovandolo a terra. Dapprima pensò che lui stesse giocando, quindi lo chiamò a gran voce. Ma quando vide che non batteva ciglio e che gli occhi restavano aperti... la piccola chiamò sua madre.

 

Il rintocco delle campane la domenica pomeriggio.

La gente della città alzava lo sguardo al cielo, poi guardava l'ora.

Non era ora per la messa o per il rosario, era troppo tardi.

Dalla chiesa si erse una folla di persone tutte vestite di nero. Davanti, quattro uomini trasportavano una bara color marrone. Tra questi vi era: Alexander, Sasà e Sonny.

Sguardo cupo rivolto verso il basso.

Dietro seguivano Katherine, Martha, Alexis e Johanna, la quale non capiva come mai tutta la gente fosse così triste e continuava a domandare dove fosse andato il nonno.

La morte di Vito Provenzano era un fatto accaduto all'improvviso, senza nessun preavviso.

Se n'era andato nella stessa maniera in cui era arrivato in quel mondo: da solo.

 

Dopo il funerale, ognuno si separò andando per la sua strada.

Castle era cupo, chiuso in sé stesso.

Strinse i pugni, incapace di darsi una spiegazione all'evento.

Aveva appena ritrovato suo padre, e ora lo aveva appena perso.

Strana la vita, eh?

"Alex... cos'hai?"

Katherine lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla per rassicurarlo. Lui pose la sua mano su quella calda della donna e una sensazione di piacere e rassicurazione lo invase.

Quel sentimento venne presto sostituito dal senso di colpa.

"Hanno vinto, Katherine. La mafia ha vinto. Tutto ciò per cui ho combattuto in questi anni è stato spazzato via."

La donna scosse la testa non capendo.

"La gente perderà la speranza. La morte ha preso anche mio padre."

"No, Alexander, ascoltami..." gli prese la mani, ponendosi davanti a lui. 

Lo guardò intensamente in quegli occhi in cui poteva perdersi facilmente.

"Nessuno perderà la speranza. Tu stai facendo qualcosa di buono, invece. E hai dei colleghi che ti aiuteranno!"

Ma Katherine non sapeva che Alexander sapeva come stavano realmente le cose.

Quegli occhi blu erano ormai spenti.

Si alzò, deciso, dirigendosi lontano da quella casa, lontano da tutti.

Fece una passeggiata per il viale, fumandosi una sigaretta e guardando in un punto imprecisato dell'orizzonte.

Passo dopo passo, immerso nei suoi pensieri, camminava ormai da un'infinità di tempo, finché giunse davanti al suo distretto di polizia.

Spense la sigaretta al suolo, con un piede, poi entrò.

Esposito e Ryan erano ai loro posti a concedersi un attimo di pausa. Quando videro il loro capo avanzare verso di loro, si bloccarono in quelle posizioni statuarie. Vedendolo vestito di nero, con quell'aria morta e quello sguardo spento, non sapevano come reagire.

"Castle... tutto okay, bro?" il portoricano gli tese la mano per accoglierlo, ma quella mano di Alexander era troppo fredda e sudava allo stesso tempo.

Il detective guardò prima uno e poi l'altro.

"Devo dirvi una cosa. In privato. Nel mio ufficio."

Di solito quelle parole non promettevano mai nulla di buono.

I tre, chiusi in quella stanza, si sedettero, uno di fronte l'altro.

Alexander era ansioso, ma deciso. Iniziò a raccontare loro tutta la verità sulla sua famiglia, quella dei Provenzano. Di aver partecipato a tutte riunioni con i capi mafia. E sopratutto, di essere stato lui ad uccidere Tom Demmings quella sera al locale. Confessò di averlo ucciso per sbaglio. Era stato un istinto incontrollabile. Demmings aveva superato il limite sparlando di suo padre, e Castle aveva imparato che la famiglia non si tocca, che va sempre al primo posto.

I due agenti si guardarono l'un l'altro, dispiaciuti per la vicenda. Poi osservarono Alexander: quell'uomo davanti a loro era sincero, stava parlando con il cuore in mano, e sembrava davvero convinto di ciò che diceva. Si dichiarava lui stesso colpevole.

Poi allungò le mani verso di loro, stringendole a pugni.

"Fate quello che dovete fare."

Non c'era altra scelta per Alexander Castle di passare qualche giorno in prigione.

 

"Attenzione, gente! Arrestato noto detective di polizia, Alexander Castle, famoso per le sue lotte contro la mafia. In prigione da ieri sera per, ironia della sorte, l'accusa di aver sparato ad un capo mafia che agiva contro la famiglia Provenzano!"

"Colpo grosso per la polizia di New York, la più rinomata degli ultimi anni..."

 

Martha spense la radio.

Sbuffò nervosamente. Quella notizia era su tutti i giornali. Per radio e ovunque!

"Non lo lasciano in pace... questi media sono dei cani assassini!"

"Si chiamano watch dogs, nonna!" disse Alexis sorridendo, cercando di riportare un po' di serenità che evidentemente si era persa.

 

Passarono due giorni, e Castle era sempre più cupo, chiuso nel buio della sua cella e non volendo vedere nessuno. Finchè una guardia si avvicinò per aprire e fu allora che lui alzò la testa. Aveva uno sguardo vuoto, barba incolta ed era mal ridotto. Forse anche dimagrito.

"Sei fuori, Castle. Qualcuno ha pagato la cauzione."

Si alzò lentamente, non capendo perchè qualcuno lo voleva fuori visto che era accusato di omicidio.

Quando però si presentarono i suoi fratellastri davanti a lui, capì tutto.

"Dobbiamo sempre salvarti noi, eh?"

"Dovresti essere tu il fratello maggiore!"

Sonny e Sasà si tolsero il cappello per rispetto, poi porsero ad un sempre più confuso Alexander dei panni nuovi e puliti.

"Non capisco... cosa..."

"Hanno arrestato qualcun altro... o meglio... lo abbiamo fatto arrestare..." Sonny sghignazzava con Sasà.

Invitarono Alexander a sbrigarsi per uscire.

Contemporaneamente alla loro uscita, Castle vide passarsi accanto il presunto colpevole, un povero uomo di mezza strada, pagato sicuramente profumatamente per passare dalla parte del torto. Dietro a lui, due guardie carcerarie lo facevano camminare a spintoni.

Il detective tornò a guardare in avanti.

 

"...un detective, accusato ingiustamente... ecco chi è Alexander Castle! Un eroe nostrano, che si è infiltrato nella criminalità organizzata col solo scopo di proteggere la sua famiglia e sconfiggere il male. E' con grande onore che concedo al signor Castle le chiavi della città di New York. Congratulazioni."

"Grazie, signor Sindaco."

Giornalisti si accalcarono per immortalare quell'immagine: Castle che stringeva le mani al Sindaco, mentre questi gli dava le chiavi.

Katherine, Martha e Alexis gioivano e battevano le mani.

Mai come allora erano state così fiere di lui.

Alexander sorrideva loro.

Se solo la sua famiglia sapesse cosa avevano fatto i figli Provenzano...

La folla batteva le mani chiamandolo "Eroe", mentre lui dentro sentiva quella sensazione di potere e di fama che aveva tanto sognato.

Sì, ma a quale prezzo?

Un altro uomo innocente era stato messo in prigione. Ma a quell'uomo andava bene così.

New York aveva bisogno del suo vero eroe. Che fosse stato davvero Castle allora?

Più che eroe, lui si sentiva un cavaliere oscuro che aveva agito nell'oscurità, lontano dai riflettori...

 

Quella sera, la famiglia Castle aveva festeggiato la ritrovata armonia.

Con le figlie al letto e la nonna rintanata a leggere, Katherine era rimasta da sola con suo marito.

C'era sempre qualcosa di diverso in lui e lei stessa non riusciva a capire cosa.

Che la morte di suo padre l'avesse segnato, questo era poco ma sicuro.

"Alexander... c'è qualcosa che vuoi dirmi?" dolcemente la donna lo toccò in viso, sfiorandogli la cicatrice sulla guancia. "Ti sento strano..."

Lui abbozzò un sorriso.

"Certo... mio padre è morto, la mafia  si è fatta da parte... mi riprenderò e non vi trascurerò più!" disse guardando foto delle sue due figlie e di sua madre. "Ora va, raggiungi Alexis e Johanna... sicuro la piccola vorrà sentire una storia... io ho da discutere delle cose sul testamento..."

Tolse la mano della moglie sul volto e le diede le spalle, per dirigersi verso il gran salone dove il padre era solito tenere le sue riunioni.

Katherine sentiva ancora che c'era qualcosa che non sapeva.

Qualcosa che Castle aveva paura di dire o di rivelare.

Qualcosa che Castle le stava nascondendo.

L'espressione del marito, appena diede le spalle alla consorte, cambiò radicalmente da sorridente a seria.

Si sistemò il cappello sulla testa, poi entrò nella stanza e si sedette al centro, circondato da altre persone, tra cui i suoi fratellastri.

Katherine era intenta a sistemare dei fiori dentro i vasi con l'acqua, quando la sua attenzione si rivolse a quella stanza. Sentiva un vociare confusionario, una parlata mezza americana e mezza italiana. Volse lo sguardo verso la porta della stanza che non era stata chiusa, ma lasciava intravedere giusto Alexander seduto e intorno a lui le persone gli baciavano la mano.

"...baciamo le mani al nuovo... padrino."

Katherine spalancò la bocca di fronte a quella scena.

Quello era il tipico gesto con il quale si accoglieva un capo mafia.

Lei lo sapeva benissimo, lo aveva imparato.

Rick guardò i suoi e sorrise compiaciuto.

"La famiglia al primo posto."

Katherine guardava e continuava a fissare quella scena, che si chiuse quando il maggiordomo della famiglia Provenzano chiuse la porta della stanza e questo le impedì di osservare altro.

Ma ciò che aveva visto le sembrava abbastanza...

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

Ebbene sì... qualcuna di voi aveva ragione dicendo che il detective voleva entrare nel circolo mafioso per smascherarli, e quindi alla fine viene anche premiato per il suo operato.

Ma... c'è un "ma"... ed è il colpo finale che non vi aspettavate (o forse sì? XD)... infatti, Castle prende il posto del padre alla guida della sua famiglia.

Katherine come la prenderà?

Ma sopratutto perchè questo cambiamento? E' sempre stato dalla parte dei cattivi?

xoxo

D.

 

*se ve lo state chiedendo, sì... l'incipit e una frase nella storia l'ho ripresa da "Il cavaliere oscuro" XD

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Capitolo 13
*** Rise. ***


Calvary

Rise

 

 

 

 

"Ho tradito mia moglie.
Ho tradito me stesso.

Ho ucciso uomini.

E di altri ne ho ordinato la morte..."

 

 

 

Katherine aveva tenuto ben nascosto ciò che aveva visto in quella stanza tra suo marito e i capi mafia.

Si teneva quel segreto stretto stretto al cuore, aspettando momento migliore per parlarne col diretto interessato.

Ma Alexander era sfuggente in quei giorni, troppo occupato a gestire la sua "doppia vita" tra la polizia e la criminalità, tra la famiglia Castle e la famiglia Provenzano.

Di giorno si comportava come se non fosse successo nulla. Lui andava al distretto con l'impermeabile color sabbia e l'immancabile cappello. Poi lo vedeva rientrare la sera, nascosta tra le tende della finestra della sua camera, e indossava un abito griffato color nero, fiore all'occhiello... e l'auto... quell'auto non era la sua!

Un uomo lo faceva uscire dalla vettura, aprendogli la portiera e poi lo congedava col baciamano.

Katherine doveva prendere una decisione. E doveva agire in fretta!

 

"Vado al distretto, ci vediamo stasera!"

"Papà, papà!"

La voce di Johanna lo fermò, e in men che non si dica si ritrovò sua figlia tra le sue braccia, ad avvolgerlo con tutto il suo affetto.

"Ehi, piccolina... non dimentico il tuo regalo... il regalo per la mamma!" le disse sottovoce guardandola negli occhi.

Johanna rise e fece star zitto suo padre mettendogli un dito davanti la bocca.

Era il giorno del compleanno di Katherine, e Castle le avrebbe preparato una sorpresa.

La famiglia era sempre al primo posto.

"Ora devo andare. Salutami la mamma e la nonna che stanno ancora dormendo!"

Detto ciò, uscì di casa e si diresse fuori la strada, aspettando cautamente che la sua auto blu che lo passava a prendere si fermasse al suo solito posto. Si guardava intorno circospetto.

Katherine però non stava dormendo. Salutò velocemente Martha e Alexis, ancora immerse nel sonno, e diede un bacio alla piccola di casa, per poi coprirsi il volto con degli occhiali da sole enorme, un cappello e una giacca che non indossava mai, e si precipitò per strada, nascondendosi nei viali.

Stava seguendo suo marito.

Appena l'auto blu partì, lei aspettò qualche minuto poi chiamò un taxi.

"Segua quell'auto blu." disse al taxista cautamente, senza togliersi il "travestimento" perfetto che aveva indosso.

 

Qualche ora più tardi, disse al taxista di fermarsi: erano arrivati ad un hotel di lusso, dove entravano e uscivano persone in giacca e cravatta e donne con vestiti lunghi da sera. Tutti comunque erano elegantissimi.

Approfittò per intrufolarsi, mescolandosi tra la folla, ma l'usciere la fermò.

"Lei signora, dove va? Mi dica il suo nome."

Una rapida occhiata alla lista dei prestigiosi nomi e Katherine finse.

Si strinse nel suo giaccone e alzò lo sguardo verso l'uomo.

"Non mi ha riconosciuta? Sono la contessa McSoul."

"Certo... prego contessa." gentilmente le aprì la porta.

Katherine venne subito colpita da alcuni boss che si incontravano scambiandosi regali e baciandosi le mani, ma di suo marito non c'era ancora l'ombra. Decise di seguire il gruppo vestito di nero con cappello e bastone, solo per trovarsi in un grande salone, stile casinò, dove si giocava alla roulette, si beveva cocktail e si barava al poker. Una sorta di mini Las Vegas.

Si mescolò tra gli invitati, sciolse i lunghi capelli mossi e mise il rossetto per sembrare più a contatto con quella gentaglia. Tenne il suo cappello ampio color viola, intonato col lungo vestito. Prese un bicchiere di champagne dal vassoio del cameriere per confondersi e sembrare una degli invitati. Cercò suo marito con l'occhio, ma fu lui il primo a notarla.

 

Alexander era seduto a chiacchierare e ridere con due signori quando incrociò lo sguardo con questa misteriosa donna che se ne stava in un angolo a bere elegantemente. Si bloccò nel guardarla. Quella donna gli ricordava troppo sua moglie... scosse la testa, dicendo tra sé che era impossibile. Non doveva pensare una cosa del genere...

E poi perchè doveva seguirlo?

Beh forse lei aveva le sue ragioni...

Eppure non smetteva di fissarla.

Uno dei boss gli chiese sottovoce cosa c'era che lo turbava, e lui mentì dicendo che gli era sembrato di conoscere quella donna, e la indicò con un'alzata di testa.

Poi lo stesso boss gli porse una bustina: dentro c'erano dei soldi e una fondina per pistola.

"Il tizio, Larry il Basso, l'abbiamo fatto fuori. Intralciava Sonny e Sasà nelle partite di poker. E poi non si faceva mai gli affari suoi."

Castle sorrise, nascondendo la bustina nella giacca interna.

"Avete fatto bene. Procuratemi al più presto la lista delle altre persone mafiose che ci stanno tradendo o che fanno il doppio gioco. Poi me ne occuperò io personalmente."

"Va bene, Padrino."

 

Di corsa, Katherine corse fuori dall'edificio, ma nella fretta fece cadere a terra un fermaglio a forma di farfalla blu, che lei non notò.

Una figura con una sigaretta in bocca notò l'uscita della donna e la seguì, raccogliendo poi quell'oggettino caduto a terra.

La donna seguì il marito per tutto il giorno.

Dopo gli affari con i boss, Castle si recava al lavoro. Cambiava la sua "divisa" e tornava ad essere un onesto cittadino. Sguinzagliava i suoi cani, Esposito e Ryan, in giro per la città a indagare e risolvere quegli stessi omicidi che lui ordinava.

E la donna non riusciva a credere con che facilità suo marito cambiasse espressione. Aveva una doppia vita.

 

"Katherine, darling, dove sei andata di corsa?"

"Volevo una conferma... so cosa ha fatto Alexander! Martha, dobbiamo agire, senza coinvolgere l'FBI però! E' una cosa grossa!"

Katherine parlava senza fare una pausa, talmente agitata com'era in quel momento. Martha non capiva.

"Siediti cara, ti faccio del thé.."

"No, non c'è tempo! Martha, siediti tu."

L'espressione seria della nuora la colpì e capì che non c'era tempo per ribadire qualcosa.

"Tuo figlio, è dentro la criminalità organizzata. Ci ha preso tutti per i fondelli. Me, te e la polizia di New York! L'hanno dichiarato un eroe, invece non lo è affatto! La mattina si incontra con i boss e organizza omicidi, fa affari... il pomeriggio si reca in polizia per risolvere gli stessi omicidi che anche lui ha fatto!"

Anche Alexis e Johanna intervennero, sentendo le due donne chiacchierare.

"Cosa sta succedendo qui?" chiese la più grande, stringendo la piccola tra le braccia.

Katherine e Martha si voltarono, guardandosi prima negli occhi, poi esalando dei respiri profondi.

Da quegli sguardi, Alexis capì che c'era qualcosa che non andava. Qualcosa che riguardava suo padre.

Era una questione complicata. Alexis era intelligente e qualcosa aveva intuito.

"No, no, no! Non può essere vero!" lasciò andare Johanna, la quale non comprendeva a pieno quella situazione di sgomento.

Katherine si toccò i capelli e fu allora che si rese conto di non avere più il suo fermaglio...

"Cercai questo, tesoro?"

La donna e le altre si voltarono e furono sorprese nel trovare Alexander Castle fermo davanti a loro, con in mano il fermaglio a forma di farfalla blu.

Katherine si morse il labbro, guardando le altre donne della famiglia Castle.

La situazione era giunta alla resa dei conti.

 

"Mi hai seguita... non mentirmi!"
L'uomo si avvicinò a passo deciso, sbattendo per terra l'oggettino blu.

"Alexander, la tua attività, la tua doppia vita sta rovinando la nostra famiglia!!"
"Di che stai parlando?!"

"Guarda che ci sta succedendo!! Guarda le tue figlie, tua madre... guarda noi due!!"

"Che cosa c'entra adesso tutto questo?? Sono i miei affari, non i tuoi!! Non ti ho chiesto di farne parte!"

"Non ti ho chiesto neanche di mentirmi!!"

"Perchè stai alzando la voce???"
"Perchè la stai alzando anche tu!!!"

Johanna pianse, stringendo la gonna della nonna Martha.

Questo bloccò i due amanti dal loro litigio.

"Nonna, che succede tra la mamma e il papà?"

"Niente tesoro, vieni qui..."

La matriarca comprese che lei e le nipoti dovevano farsi da parte.

Johanna non poteva vedere queste cose.

Il mondo era già un posto cattivo per conto suo. Non poteva permettere che tutto il male del mondo entrasse nella sua famiglia... dentro le mura della sua casa!

Katherine tratteneva le lacrime guardando le sue figlie allontanarsi.

"Ma non pensi al nostro futuro?"

Ma Alexander era serio.

"Non voglio più sentirti dire questo, Katherine... tu non sai come stanno le cose! Io mi sto ammazzando per portare avanti due famiglie... e lo sai quando la famiglia mi sia cara! Tu non capisci! E' finita tra noi!"

"Per me puoi anche uscire da questa porta e non tornare mai più, Richard Alexander Castle."

Cadde un silenzio tombale tra i due. Si era raggiunto il punto di rottura massimo.

Katherine aveva tentato di proteggere il marito, di stargli vicino e di ascoltarlo. Ma adesso i suoi occhi urlavano disperazione.

Strazio. Non ce la faceva più.

Era una donna a pezzi, ne aveva sopportate fin troppe.

Alexander la guardò e non ci fu neanche un segno di risentimento.

Prese cappello e giacca e se ne andò di casa sbattendo forte la porta.

Martha e le due nipoti se ne stavano nascoste, spaventate da quella violenta reazione e da quella voragine che si era creata tra i due.

Katherine si morse il labbro e strinse i pugni.

No, non avrebbe mollato.

Si mise a correre per raggiungerlo fin fuori casa e si fermò quando sentì che era abbastanza vicina.

"Rimpiangerai quello che stai facendo!!" gli urlò contro con tutta l'aria che aveva nei polmoni.

L'auto blu parcheggiò davanti a casa. Alexander fece per salire, quando si voltò verso sua moglie.

Sguardo gelido che raffreddò anche il cuore di lei.

"D'ora in poi sono Richard Alexander Provenzano per te."

Chiuse la portiera della macchina e diede segno all'autista di andare via.

Katherine lasciò che il suo corpo parlò per lei, abbandonando le ginocchia a terra, braccia sul viso e si lasciò andare ad un urlo disperato contro il cielo.

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

La nostra Katherine badass che conosciamo bene si è messa all'opera e ha tirato fuori "le palle"; tuttavia questo non è bastato.

Alexander Castle ormai sembra aver preso la decisione di passare dalla parte cattiva e di lasciare la strada nuova che aveva intrapreso.

L'ascesa del Padrino è quindi iniziata.

Ma siamo sicuri che durerà?

Per scoprirlo, vi aspetto nell'ultimo capitolo XD

xoxo

D.

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Capitolo 14
*** The Godfather. ***


Calvary

Arriviamo finalmente all'ultimo capitolo e quindi all'epilogo di questa storia.

Spero che vi sia piaciuta e che non vi abbia fatto soffrire troppo XD

Tutte le carte verranno messe in tavola.

Non ci sarà più tempo per mentire.

Il momento della verità è arrivato.

E nessuno sarà più al sicuro!

Buona lettura, ci commentiamo alla fine, aspetto le vostre recensioni XD

 

 

 

The Godfather

 

 

 

 

"Richard Alexander Castle

è a capo di una grande famiglia mafiosa

che sta espandendo il suo potere su questo paese."

 

 

 

Un telefono squillava insistentemente.

Da una stanza lunga, si sentivano passi di mocassini avvicinarsi con tranquillità all'apparecchio.

Un uomo occhialuto alzò la cornetta esordendo.

"Federal Bureau of Investigation. Chi è che parla e come ci avete trovato?"

"Contenta di sentirti, caro Frederick! Pensavo che il buon Dio avrebbe portato via prima te!"

L'uomo sorrise sistemandosi gli occhiali.

"Martha Rodgers! Che sorpresa! A cosa devo questa chiamata?"

"Ho bisogno che tu aiuti mio figlio ad uscire fuori da un giro di criminalità."

 

La notte sembrava calma e serena a Villa Provenzano.

Alexander si era trasferito là da circa una settimana, da quando aveva lasciato la sua famiglia.

Tutti dormivano.

I fratelli Provenzano stavano ognuno in una stanza diversa.

Fuori dalla casa si udivano solo qualche rana o qualche civetta far rumore.

La quiete durò poco.

Un lampo, un rumore di sirena e poi un sobbalzo da parte dei tre fratellastri, che li costrinse ad obbedire quando gli uomini vestiti di nero puntavano le loro armi contro di loro e urlavano "Mani bene in vista, questo è l'FBI!"

Costretti a scendere dai loro letti, a vestirsi e seguire il gruppo di militanti nei loro furgoncini, Alexander, Sonny e Sasà non preferivano parlare, guardandosi in faccia annientati.

Sapevano che quella sera sarebbe finito il loro gioco alle spalle della giustizia.

In cuor suo, Alexander sapeva che c'era stata una soffiata da parte dell'unico membro della famiglia che odiava la criminalità e aveva contatti con l'organizzazione federale: sua madre Martha.

 

"Blitz in casa dei Provenzano. L'FBI si è intrufolato in piena notte per costringere i tre fratelli ad uscire e seguirli in prigione. Questa segna la seconda volta che Richard Alexander Castle, che si riteneva uno stimato eroe della città, viene messo in cella. L'FBI ha dichiarato che stavolta non ci saranno più dubbi: farà ammettere a Castle che fa parte di una grande famiglia mafiosa e che ha lavorato solo in copertura nella polizia."

"Per favore, spegnete questa radio? Non ci basta andare in tribunale per assistere al processo, devo pure subire i giornalisti!"

Lanie era irritata, ma in un certo senso cercava anche di risollevare il morale di Javier e del suo amico Kevin, accompagnato da sua moglie Jenny.

I tre erano gli ultimi che entravano in tribunale quella mattina.

Erano le 10:50, e tra dieci minuti sarebbe cominciato il processo: lo stato di New York contro Richard Castle.

 

"Mi sembri tranquillo, fratello... cos'è quel ghigno adesso?"

Alexander guardò Sonny e Sasà.

In effetti si era vestito sobrio quella mattina; abito nero con cravatta rossa e l'immancabile cappello, stavolta intonato al vestito.

Era un misto tra perfetto gentiluomo e gangster.

"Sonny, mi fa paura... che ha in mente? Mica vorrà uccidere la giuria??"

"Zitto, Sasà! Anche se fosse, ti pare il caso di urlarlo a mezzo mondo??"

Alexander diede uno schiaffo ai due.

"Stupidi che non siete altro. Per fortuna ho imparato molte cose da nostro padre. Vedete il nostro avvocato, quel Edwards? Beh, l'ho assunto io. E' uno del clan vecchio di Capone, ci tirerà fuori e saremo assolti... mani pulite!" disse e mostrò le mani ai due.

Castle sembrava molto sicuro del suo agire. Anzi, quasi non vedeva l'ora che il processo finisse.

 

"Tutti in piedi, presiede il giudice Jackson. Lo stato di New York contro Richard Alexander Castle. Fate entrare il giurato."

Il giudice e Alexander entrarono quasi nello stesso istante nell'aula. Uno si presentò uscendo da una porta al lato sinistro della corte, l'altro dalla parte opposta, mani strette in manette, e trasportato da due guardie, che lo fecero sedere nell'apposita sedia vicino alla corte, pronto per essere giudicato.

Osservava la folla e il suo sguardo si fermò sulla sua famiglia: Katherine vestiva come se andasse ad un funerale, con quell'abito nero e quel velo di pizzo che da davanti il viso, portò all'indietro appena ricambiò lo sguardo del marito. Martha stringeva le mani delle sue due nipoti e con fierezza guardava suo figlio, in compenso lui rispondeva con occhi di sfida.

Mai avevano visto Alexander comportarsi in quel modo. Martha sapeva di avergli fatto del male, di non averlo difeso, ma qui si trattava di una cosa seria: giustizia contro amore materno? Per lei che aveva passato anni in copertura, sapeva che la giustizia doveva compiere il suo corso. Anche se questo significava condannare sangue del suo sangue alla forca.

"Signor Castle, è vero che ha il controllo della famiglia Provenzano, la più potente famiglia italo-americano mafiosa?" l'avvocato Edwards procedette con calma, cercando di non tradire i suoi sguardi, affinché lui risultasse più imparziale possibile agli occhi della giuria e del giudice stesso.

Stretto nel suo completo griffato, che gli mostrava le ampie spalle, più grandi rispetto alla testa minuta, ogni tanto Edwards si dava una pulita agli occhiali da vista, tra una domanda e l'altra.

"Sì, è vero." rispose Castle senza neanche esitare.

"E da quanto tempo gestisce gli affari di famiglia?"

"Dalla morte di mio padre."

"Quindi si è sempre comportato da onesto cittadino fino alla morte di suo padre, Vito Provenzano?"

"Sì, la mia fedina penale è pulita."

Kate si mordeva il labbro, trattenendosi dallo sbatterlo al muro e prenderlo a schiaffi.

"Quindi lei non ha niente a che vedere con gli ultimi omicidi ai capi mafia, signor Castle?"

"Sono assolutamente pulito."

"Quindi perchè è stato messo in prigione per ben due volte?"

"Mi hanno incastrato. Io cercavo solo di mantenere due famiglie, la mia dei Castle e quella dei Provenzano, che come sapete tutti gestisce i traffici illeciti. Se sono stato accusato, se mi sono trovato in certi posti è stato solo per puro caso."

Edwards e Alexander si scambiarono uno sguardo d'intesa. Poi l'avvocato tornò a rivolgersi al giudice.

"Non ho altro da aggiungere."

Toccò quindi ad una sfilza di altri sette avvocati, tutti seduti davanti all'imputato Castle, che fecero una domanda ciascuno. Essi rappresentavano gli Stati Uniti, e ognuno gli fece domande inerenti ai rapporti tra Alexander e la mafia.

"Stiamo scherzando, vero? Odiarli?? Gli italo-americani sono le persone più oneste e laboriose di questo paese, signor avvocato! Senza la loro immigrazione, il loro lavoro, non avrebbero portato l'America a diventare la grande nazione che è adesso!"
Man mano che il processo andava avanti, il giudice era sempre più perplesso, diviso tra il senso di nazionalismo gridato da Castle, e la giustizia.

"Signor giudice, rendiamoci conto che Richard Alexander Castle è a capo di una grande famiglia mafiosa che sta espandendo il suo potere su questo paese! Anche se ha ritenuto di non avere avuto nulla a che fare con gli omicidi ai danni dei capi mafia, resta comunque un pericoloso soggetto!"

"Obbiezione, vostro onore! L'avvocato sta offendendo il mio cliente. Nessuno l'ha definito pericoloso soggetto!" Edwards scattò in piedi.

"Obbiezione accolta, avvocato Edwards. Il processo è chiuso."

 

La tensione era alle stelle. Kate incontrò Alexander tra i corridori e gli diede un bel pugno in faccia, lasciandogli il segno.

Dovettero intervenire Martha e Alexis per tenerla ferma, mentre due guardie trattennero Alexander.

"Non credere di farla franca, brutto bastardo!!"

"Mi piaci quando ti arrabbi, lo sai, tesoro?"

Quel ghigno beffardo sul suo volto.

Ancora.

Katherine provava nient'altro che disprezzo per quell'uomo che credeva di amare un tempo.

Sapeva come sarebbe andata a finire.

Quell'avvocato e forse pure il giudice, come la giuria, erano stati comprati da lui stesso!

E infatti la sentenza fu irrevocabile.

Il giudice dichiarò Alexander Castle innocente, e ben presto, anche Sonny e Sasà scontarono la pena, ridotta con arresti domiciliari.

Di nuovo la criminalità organizzata aveva vinto, e si sarebbe estesa per tutto il paese e forse anche oltre.

Non c'era davvero niente da fare?

Quello che non sapeva Alexander era che Katherine si era allenata di nascosto a sparare, grazie alla complicità dell'amica Lanie, che le aveva dato un lascia-passare per la stanza dove i poliziotti si allenavano.

Katherine era una tosta. Quando si metteva in testa qualcosa, poi doveva raggiungerla e farla.

 

Quella fredda sera, si era decisa a contattare suo marito e a fissare un appuntamento fuori la loro villa.

Alexander era nel bel mezzo di un grosso affare, e aveva allargato il suo clan ad un'altra famiglia italo-americana, mentre discuteva con loro sugli effetti del processo.

"Quell'Edwards è stato bravo, vero? Chissà che fine ha fatto poi... dopo la ricompensa che gli abbiamo dato, è come..svanito come Houdini!" Sonny rideva contando le mazzette guadagnate quella sera.

"L'ho fatto far fuori. Sapeva troppe cose della famiglia." Alexander era sereno mentre pronunciava quelle cose.

Come se ormai far uccidere qualcuno fosse una cosa all'ordine del giorno.

Dallo sgomento iniziale, Sonny e Sasà si misero a ridere.

"Sei proprio come papà! Ci aveva visto bene, eh!"
"Che dici, Sonny, facciamo vedere al fratellone i cassetti segreti della famiglia Provenzano?"

Castle scosse la testa, non capendo.

"Quali segreti?"

"Nostro padre stava progettando in grande, guarda qua..."

Sasà gli porse una specie di cassaforte e al suo interno c'erano dei veri e propri progetti segreti che miravano alla sicurezza nazionale, perfino alla Casa Bianca. Era un complotto per far diventare un grosso mafioso il prossimo Presidente degli Stati Uniti.

Alexander spalancò gli occhi, incredulo di quanti passi era riuscito a fare e quanti ne aveva fatti il suo vecchio padre.

"Sei senza parole, eh?! Ti riprenderai!!"

Sonny gli diede delle pacche sulla schiena, poi si fermò notando che c'era una donna alla porta, seguita dal cameriere.

"Guarda un po' chi ti è venuta a trovare, fratello..."

Alexander si voltò seguendo lo sguardo di suo fratello.

"Katherine? Che ci fai qui?"

"Solo parlare. Possiamo farlo fuori?"

"Certo, per te ho sempre tempo."

Uscirono dalla villa, non sapendo che sarebbero stati raggiunti da Sonny e Sasà, sospettosi delle intenzioni della donna.

 

"Katherine, se sei qui per parlare del divorzio, okay, io---"

"Mani in alto, tesoro!"

La donna gli stava puntando una pistola addosso.

Questa lui non se l'aspettava.

Fece come le aveva ordinato, e in fondo all'anima era orgoglioso che finalmente la sua donna si era fatta sentire.

Ora sapeva cosa doveva fare.

"Sei pur sempre una donna, Kate. E io sono più veloce e più furbo."

Lei non realizzò fino a quando si ritrovò lui che le puntava una pistola.

Katherine era sicura. Oltre ad avere un'arma in mano, c'era una squadra dell'FBI e della polizia pronta a intervenire, nel caso la situazione sarebbe degenerata. Tra loro, Esposito e Ryan, che osservavano la scena con ansia, nascosti come gli altri, nelle loro auto, parcheggiate fuori la villa.

Katherine e Alexander erano uno di fronte l'altro, a qualche metro di distanza, poiché avevano fatto qualche passo indietro, pronti e decisi per prendere la mira e sparare.

Si guardavano intensamente, senza mai staccare l'occhio l'uno dall'altra. Sembrava di assistere ad un duello del far west, tutto era giocato sugli sguardi, in attesa che uno di loro due facesse un passo falso per poter, poi, rispondere e premere il grilletto...

 

Bang! Bang!

 

La donna chiuse gli occhi per un attimo, incapace di riaprirli a causa di quel frastuono a cui non era abituata.

Li riaprì pian piano per accorgersi che suo marito davanti a lei aveva la pistola a terra, braccia tese e volto sconvolto.

Alexander stava respirando a fatica.

Seguì il suo sguardo e quando lui le indicò di voltarsi lei gli osservò il labiale "Stai attenta..."

Katherine si voltò e non riusciva a credere ai suoi occhi. 

Spalancò la bocca appena identificò i due corpi a terra, colpiti uno al torace e l'altro vicino al cuore.

Erano morti stecchiti e a fianco a loro c'erano le loro pistole.

Erano Sasà e Sonny.

Castle aveva ucciso i suoi fratelli.

 

Katherine guardò prima loro e poi suo marito.

L'FBI e la polizia con calma, uscì dalla loro copertura, avvicinandosi alla scena.

"Ho---ho ucciso i miei fratelli, Kate. H-ho ucciso carne della mia carne... io--"

Katherine si avvicinò posandogli le mani sul volto e poi un dito sulle labbra.

"Sssh è tutto finito."

Intanto la polizia si era avvicinata e analizzava i due corpi inermi sul terreno.

Appena identificati i corpi, partirono blitz all'interno della villa dei Provenzano, e in breve tempo, riuscirono a catturare i boss che fuggivano con pacchi di soldi nelle tasche.

"Li ho uccisi per salvarti, Kate... loro stavano per spararti..." le prese le mani e in quel momento la donna fu colta da un misto di sentimenti.

Quegli occhi di ghiaccio che aveva visto ultimamente nell'uomo che amava, non c'erano più.

Ora erano velati di tristezza ma anche di amore.

Tristezza perchè aveva ucciso i suoi fratellastri.

Amore perchè aveva salvato la vita della donna che amava.

"Io non capisco, Alexander... perchè hai finto? Perchè..."

In quel momento, le forze dell'ordine si avvicinarono ai due, poi vennero raggiunti da Martha, Johanna e Alexis che corsero ad abbracciare Alexander, non curandosi dei corpi a terra, che vennero subito rimossi, non curandosi del fatto che lui fosse o poteva essere un "soggetto pericoloso".

Katherine se ne stava lì in piedi ancora sconvolta, non sapendo se gioire o meno.

"Tutto questo tempo, Alexander... "

Fu allora che lui la raggiunse, l'abbracciò forte e lei pianse.

Forse aveva bisogno di una scossa del genere per farla sciogliere.

"Non sono mai cambiato, Kate. Sono sempre io, Alexander Richard Castle." la baciò sulla testa, accarezzandola, poi si rivolse al resto della sua famiglia.

"Vi avevo detto che avrei fatto di tutto per proteggere la mia famiglia. E siete voi la mia sola e unica famiglia. Ho capito, madre, che non è la famiglia a scegliere a chi appartenere. Ma il destino lo fa per te. E io ritornerò sempre dalle persone che mi hanno sostenuto in questi anni."

"E dei Provenzano, tesoro?" chiese Martha, guardando i corpi freddi dei fratelli su delle barelle vicino la polizia.

"Dovevo chiudere con il mio passato una volta per tutte. Mi stava trascinando dentro... e l'unico modo era finirci di nuovo dentro. Dovevo agire da solo, da infiltrato. E per convincere la mafia che ero un poliziotto corrotto, dovevo prima convincere voi che lo ero."

"Richard Castle... sei... un genio! Tutto da sua madre!!"

Martha si gongolò davanti la polizia e Alexander arrossì.

Finalmente Katherine sapeva la verità.

Alexis e Johanna abbracciarono più volte il padre, e la piccola espresse il desiderio di voler diventare detective proprio come lui.

Esposito e Ryan si congratularono con lui, dicendogli che gli avevano fatto prendere un colpo quando lo credevano un criminale.

L'irlandese si vantava dicendo che era sicuro che il suo capo fosse innocente, al contrario di Javier, che si difendeva prendendolo in giro perchè stava piangendo per la commozione.

"Signor Castle... mi spiace interrompervi... sono Edgar Hoover, si ricorda di me?" l'uomo gli porse la mano e allora Alexander ricordò quando anni fa aveva collaborato con lui...

"Certo, come dimenticare!"

"Prenderemo atto della sua azione, si è comportato da vero infiltrato. Nessuno meglio di lei avrebbe potuto fermare interi clan in quel modo. Ora i Provenzano sono finiti. Gli altri boss, perchè ce ne saranno sempre, verranno catturati, ma non è questo il punto. Proprio per la sua tenacia sarebbe un onore se lei entrasse a far parte dell'FBI."

Alexander si guardò intorno: questo sarebbe stato un gran passo avanti per lui.

Non sarebbe più stato il solito detective.

Però poi vide il sorriso stampato sui volti delle donne della sua famiglia, che non aveva mai visto così serena, e non ebbe dubbi sulla risposta da dare.

"Sono onorato ma... credo che Esposito e Ryan farebbero un bel lavoro al posto mio."

I due poliziotti citati si indicarono col dito, increduli di ciò che il detective aveva appena detto.

Il presidente dell'FBI Hoover guardò i due: non ispiravano poi tanta tenacia, ma col tempo si sarebbero abituati a indossare gli abiti dell'organizzazione federale più potente degli Stati Uniti.

Alexander poi prese il suo distintivo, che Martha gli aveva porto, ma... lui se lo rimise addosso.

Lo diede a Esposito e Ryan dicendo "Fatene buon uso!"

Stava rinunciando agli onori e alla gloria per stare con la sua famiglia e vivere felice.

Lui era il Padrino... ma della famiglia dei Castle.

Ecco chi era realmente Richard Alexander Castle.

Alexander sorrise a Hoover, il quale ricambiò avendo capito tutto sul genere di persona. Poi prese Johanna in braccio, Martha e Katherine sotto braccio a lui, e si incamminarono verso l'uscita da quella villa che non avrebbero rivisto mai più.

Dietro di loro, lasciarono una scia di sangue che finalmente aveva avuto il suo epilogo.

La villa sarebbe stata messa all'asta e comprata da qualche miliardario.

Ben presto, l'FBI avrebbe scoperto anche l'affare del far entrare un mafioso alla Casa Bianca che avrebbe compromesso l'intero sistema americano.

La famiglia Provenzano sarebbe stata solo un brutto ricordo del passato di Castle.

"Hai rinunciato a tutto, anche alla tua carriera... perchè?" chiese Katherine, prendendo stavolta lei Johanna in braccio.

Lui sorrise guardando per l'ultima volta la sua famiglia di nuovo riunita.

"La famiglia al primo posto. Always."

 

 

 

FINE.

 

 

 

Angoletto dell'autrice (poco sana di mente):

Ebbene spero che il gran finale vi sia piaciuto.

Ricordate la frase che non è la famiglia a scegliere, ma il destino lo fa per te?

Beh, Richard Alexander Castle era destinato a stare con la sua vera famiglia... non con quella mafiosa, ovviamente.

E' un uomo cambiato e deve questo sopratutto all'amore che ha riscoperto stando con Katherine, sua madre e le sue figlie.

Per lui si è concluso un ciclo uccidendo i suoi due fratellastri, perciò ha rinunciato al suo distintivo come risposta alla preghiera che aveva fatto.

Una vita normale è quella che ci vuole dopo tutto, invecchiando con le persone che ama.

Ci si legge nella mia prossima FF, a partire da maggio ;)

xoxo

D.

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