la danza del vento

di rospina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 6° capitolo ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


L’odore forte del cloro le penetrava le nari. Tirava avanti e indietro il tira acqua lasciando scivolare il liquido incolore nella piccola grata di plastica. La piscina si era appena svuotata. E le donne erano tutte sotto le docce che ridevano e si criticavano con sottigliezza. Giulietta Paso con il suo camice bordò puliva il bordo piscina mentre lacrime cristalline le solcavano il volto. Le donne uscirono e non la salutarono.

“sono solo una cameriera. Come sempre” mormorò tra se la giovane.

Un giovane cameriere, che alle volte si prestava a fare il bagnino per le giovani borghesi di Roma si era appena finito di cambiare, e prima di uscire notò la giovane, che aveva lunghi capelli neri, trattenuti in una coda di cavallo. Lui bussò leggermente sul vetro trasparente che divideva il corridoio dalla piscina, lei sollevò i suoi grandi occhi neri arrossati. Lui gli fece un piccolo cenno di saluto con la mano. Lei sorrise debolmente. Credette fosse uscito. E invece lo vide arrivare di fronte a lei. Si presentò:

“Piacere, io sono Federico Sepúlveda” le sorrise tendendole la mano.

Lei rimase con le mani incollate al suo bastone e disse:

“Io sono Giulietta Paso”

“Sei nuova?”

Lei annuì con la testa e poi disse:

“si! Inizio oggi. Sei spagnolo?”

“No!”

“scusa … credevo lo fossi per via del cognome e la cadenza …” infatti la voce di quel giovane dai grandi occhi neri era dolce e calda. Avvolgente, come solo la lingua latina sa essere e lui rispose:

“Sono Argentino”

“Argentino? Che bello amo lo spagnolo” rispose lei spalancando i suoi grandi occhi neri

Que bien! Allora possiamo parlarlo insieme”

“mi piacerebbe moltissimo, però non è che io lo parlo bene, anzi la realtà è che lo sto ancora imparando”

“non è un problema! Fidati di me chica!”

Allargò le sue labbra sottili e finalmente Giulietta sorrise. Lui la salutò con la mano, prese il borsone e la lasciò sola. La giovane ricadde nella sua malinconia. Un volta terminato il lavoro raggiunse una stanzetta dove si tolse il camice e infilò gli stivali neri. Si chiuse in cappotto rosso e sciolse i suoi lunghi capelli sulle spalle. Pochi passi e fu nell’immenso giardino dell’albergo. Non aveva la bicicletta e si diresse a piedi verso casa. Stava piovendo ed aprì l’ombrello. Era pieno di piccoli ricci pieni di aculei. A volte si sentiva come quell’animale, piena di spine fuori, ma con un’anima da scoprire dentro. E si chiese: se fossi un riccio, qualcuno si accorgerebbe che sotto le mie spoglie vive un cuore in cerca d’amore?. Una domanda che in lei era sempre più ricorrente, ma anche la risposta era sempre la medesima: no a me non capiterà mai!

La pioggia battente aveva allagato le strade di Roma. Le strade erano inondate, e Giulietta cercava di non farsi bagnare troppo dalle macchine che prendevano le pozzanghere;fra le auto in fila riconobbe una vettura. Un giovane dalla testa rasata la salutò. Lei ricambiò. Ma tristi ricordi le affollarono la mente. Aveva lavorato come collaboratrice domestica in una casa per alcuni anni. Poi improvvisamente senza spiegazioni era stata licenziata. In quell’occasione si era sentita umiliata, come se valesse meno di niente. Era stata trattata peggio di una serva. Come se non fosse abbastanza intelligente che era stata sostituita da una donna più anziana che costava meno in manodopera. Cose che succedono. Si disse. Ma quando accadono fanno male. Pensava che per lei in quella casa provassero dell’affetto. E invece a nessuno importava di lei. Tranne che a quel ragazzo che aveva appena salutato. Tornò a casa stanca. Non mangiò e si tuffò nel letto. Non ebbe il tempo di finire neppure le sue solite preghiere serali, che gli occhi le si chiusero stancamente. Il mattino seguente si alzò. Spalancò la finestra della sua stanza. Un pallido sole si stava affacciando sulla città, un sole tiepido, che poteva scaldare solo i cuori e non la pelle. Si affacciò al balcone e inspirò la fredda aria nei suoi polmoni. Sua madre la chiamò:

“muoviti Giulietta! Tua cugina è già di sotto che ti aspetta!” la ragazza si cambiò in un attimo, trangugiò un succo di frutta e fu già sotto.  Sabrina era lì che la aspettava. Aveva grandi occhi azzurri e labbra sottili, posate su una pelle chiarissima. Le cugine erano pressappoco uguali se non fosse stato per i loro colori differenti, occhi azzurri l’una, corvini l’altra.

“Dai Giulietta, che Alessandro piange e lo devo ancora lasciare a scuola”

Sabrina era sposata da qualche anno e aveva un bambino meravigliosamente bello come lei. Grandi occhi azzurri e faccia tosta da vendere. Piangeva ininterrottamente per qualche piccolo capriccio, ma non appena vide Giulietta salì in macchina smise di piangere sfoderando un sorriso a due denti.

La ragazza si voltò per baciarlo e fargli un po’ di solletico e lui rise divertito ma la mamma disse:

“Uffa! Non lo sopporto più! È tutta la mattina che piange” mentre continuava a guardare la strada chiese:

“Com’è andato il tuo primo giorno di lavoro?”

“normale” rispose laconica Giulietta

“Che vuol dire normale? Ti piace? Si! No! Insomma puoi darmi una risposta decente?” gridò la cugina

“che ti devo dire? Pulizie. Non è niente di particolare. Sempre le stesse cose”

Sabrina stava fermando l’auto per farla scendere; quando un ragazzo bruno salutò proprio Giulietta. Lei rispose con un semplice cenno del capo.

“E quello chi è?” chiese Sabrina sgranando gli occhi

“un cameriere dell’albergo credo”

“corteggialo!” sentenziò seria

“ma che dici? Stai scherzando vero? ti ha dato di volta il cervello?”

“va va! Vattene che è tardi! E poi non capisci nulla, arriverà il giorno in cui saremo noi donne a corteggiare l’uomo che amiamo” concluse Sabrina facendola scendere dall’auto.

Sabrina era fatta così. Piena di vita, allegra, sempre sotto stress, era come se tutto il mondo gravitasse attorno a lei. Era moderna, credeva che non era obbligatorio che fosse l’uomo a fare il primo passo verso una ragazza. Amava smaltarsi le unghie di rosso e usare gonne più corte del normale. Ma a lei non importava di ciò che diceva la gente. Erano gli anni quaranta e qualcosa doveva pur cambiare, il mondo non poteva rimanere sempre lo stesso e le donne non dovevano fermarsi ad essere delle semplici pedine nelle mani degli uomini. No lei credeva che un mondo nuovo si dovesse affacciare da un momento all’altro. A differenza di Giulietta lei aveva trovato un buon lavoro, lavorava come segretaria per il vice ministro degli esteri italiano. Aveva avuto più volte la possibilità di vedere il Duce in persona. Niente di chè, diceva lei, un uomo piccolo con una testa calva, e vederlo di persona alle volte dava l’impressione che tutto questo potere fosse troppo per un uomo così piccolo. il suo capo invece, era scostante tirchio e altezzoso ma nonostante tutto si trovava bene. Lasciò il piccolo all’asilo e corse in ufficio. Dopo essersi tolta il giubbotto si mise subito a cercare fascicoli nell’archivio. La sua collega non era ancora arrivata. Come si sedette sulla sedia e arrivò il suo capo.

Fabio Paris.

Elegantissimo nel suo completo grigio. Non aveva la cravatta e questo gli dava un’aria sportiva. Sabrina lo salutò, e lui senza neppure salutare le disse:

“Preparami subito tutto per chiudere la pratica Maretti” e scomparve nel suo ufficio

Sabrina ormai non ci faceva più caso, era abituata ai suoi mancati saluti e alla sua mancanza di tatto. Ma alla fine per lei l’importante era che alla fine del mese il suo stipendio arrivasse puntuale. Arrivò anche la collega di Sabrina che aveva appena assistito alla scena e chiese sottovoce:

“Ma si può sapere perché è sempre così scontroso?”

Sabrina alzò le spalle e disse con fare da vecchia pettegola portinaia di paese:

“Che vuoi che ti dica, posso anche compatirlo, mi pare che la sua fidanzata, una certa Serena, lo ha lasciato all’altare per un giovane medico!”

Nel frattempo che parlava stava sistemando la sua scrivania di noce nazionale. Una pila di documenti erano sul lato destro, mentre sulla sinistra accanto ad una lampada spoglia teneva una foto di Alessandro che sorridente stringeva suo padre. Si avvicinò allo schedario che era poggiato alla parete aprì un cassetto e iniziò a cercare i documenti che le erano stati richiesti qualche istante prima.

“No!” sbottò stupita la collega. Sentirono la maniglia muoversi e velocemente ognuna tornò alle sue solite mansioni nel silenzio più totale. Il lavoro procedette veloce e frenetico fino alla sera. Come sempre vi era un gran via vai di gente, che andava e veniva senza fermarsi. Era come se tutti eseguissero sempre degli ordini. Il solo angolo di pace era per Sabrina una finestra che dava sul cortile, dove un prato verde faceva da cornice. A sera, Sabrina stanca andò a riprendersi il suo piccolo pargolo a scuola. Lo trovò seduto in un angolo che piangeva:

“Voglio la mia mamma!” erano le sue uniche parole. La giovane donna ebbe una stretta al cuore, e provò una fitta d’odio per il suo datore di lavoro Fabio Paris. Per colpa sua non aveva potuto usufruire di un orario flessibile“O così, o resti a casa” erano state le sue parole, fredde e distaccate, lei gli disse che aveva un bambino piccolo a cui badare ed un marito, ma lui dal gelo dei suoi grandi occhi verdi gli rispose:

“avevi solo da non sposarti e non mettere su famiglia”

Per Sabrina Paso, era un essere senza cuore. Non provava pena per nessuno. Si chiedeva se avesse mai sofferto in vita sua, o se perlomeno avesse desiderato tanto una cosa, e poi non poterla avere. Si disse che no. Lui non poteva provare questi sentimenti. Era fatto di ghiaccio.

Quando arrivò davanti l’albergo, Sabrina era ancora avvilita e attendeva che sua cugina si decidesse ad uscire. Quando Giulietta salì in macchina notò subito che qualcosa non andava e chiese:

“che succede?”

“Nulla!” rispose secca

“Non è vero che non c’è niente! Sei silenziosa come non lo sei mai”

“Vuoi davvero sapere cosa mi succede? Mi succede che sono arrabbiata! Avvilita, amareggiata, e chi più ne ha ne metta”

“Se forse ti spieghi capisco anche io”

“Odio Fabio Paris! Oggi per colpa sua ho fatto tardi a lavoro, e quindi Alessandro è rimasto da solo all’asilo con la maestra, e l’ho trovato che piangeva. Non puoi capire come mi sono sentita! Poi gli dici a quell’essere squallido che non ti puoi fermare perché hai famiglia e lui ti dice, che non può rinnovare il contratto! Tutto per una ripicca! Non è un essere umano!”

“Su dai non fare così, vedrai che tutto si calmerà, d’altronde è meglio avere un capo con cui litigare che stare a casa giusto?”

Sabrina la guardò. Sua cugina sapeva sempre come calmarla. Erano così simili e così diverse allo stesso tempo. Lei si riteneva molto più vitale di Giulietta, era sanguigna, impulsiva, e tante volte se non fosse stato per lei avrebbe fatto degli errori enormi. Ma lo stesso valeva per Giulietta, che era accomodante, sempre pronta a giustificare il mondo interno, e pensierosa. Non prendeva decisioni avventate, diceva che era meglio ponderare bene le proprie scelte. Due cugine così uguali e diverse. Sempre insieme, quasi come se fossero sorelle, ed alle volte lo parevano sul serio.

Quella sera Giulietta quando tornò a casa, trovò la madre che pelava delle patate e stava iniziando a cucinare una minestra e chiese:

“mamma, papà non è ancora rientrato?”

“No, lo sai com’è fatto tuo padre, finché c’è luce non lascia il suo orto” poi mentre metteva le verdure nella pentola disse: “accendi la radio tesoro, che dovrebbe iniziare il radio giornale”

Giulietta non rispose, si accostò all’enorme apparecchio marrone e girò la manopola. Dopo un brusio di sottofondo riuscì ad individuare la musica del notiziario. Era sempre la stessa voce che si ascoltava tutte le sere, che con professionalità apriva le notizie dicendo: “comunicato” oggi il Duce ha …

La ragazza non si mise ad ascoltarlo. La madre se ne accorse e disse:

“dovresti ascoltare, è importante, sembra che la Germania voglia l’aiuto del Duce per affrontare la guerra in Russia”

“oh mamma! Lasciami in pace, non ho proprio voglia di ascoltare brutte notizie”

“Ma non è una brutta notizia, anche il re lo crede. Lascia stare tu sei ancora troppo piccola per capire queste cose, prima o poi lo capirai. Ora vai a cambiarti, così dopo mi aiuti a cucire il vestito per la signora Marinetto …”

Poco dopo era già nella cucina che cuciva l’orlo a quella gonna di stoffa pregiata. La luce fioca scendeva dal lampadario appena arrangiato. La casa spoglia ma pulita era sempre accogliente per chiunque vi entrasse. pochi  oggetti erano poggiati sui mobili, perché poche erano le cose che avevano. Mentre la giovane cuciva, Ammirava quel modello e quella stoffa, ma non invidiava sicuramente le persone che se le potevano permettere. Quando la madre arrivò a completare il lavoro la figlia le disse:

“Mamma ho già finito”

“Grazie!”

Gracias, si dice così in spagnolo”

“Smettila con queste sciocchezze! Sapere tutte queste cose non ti porterà mai da nessuna parte”

Giulietta abbassò gli occhi. Forse sua madre aveva ragione, ma a lei non importava. Voleva conoscere lo stesso quella lingua meravigliosa. Si era innamorata di quel suono tanto tempo indietro, quando aveva avuto al possibilità di sentirlo parlare a due giovani marinai che erano di passaggio in città, da allora aveva cercato avidamente di apprendere tutto quello che poteva su quella lingua.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Il giorno seguente il sole si affacciava tranquillo e sereno, coprendo d’oro i tetti delle case.

Tutto era come sempre. Sabrina portò prima Giulietta a lavoro  e poi il suo cucciolo all’asilo.

Ormai Giulietta si era addentrata bene nel suo lavoro, non le dava neppure fastidio che facesse nuovamente la cameriera. Ormai la delusione iniziale era passata. I suoi piccoli sogni erano quelli di trovare un lavoro come quello di sua cugina. Ma non valeva la pena piangersi addosso. Sapeva bene che tutto era così, perché con il tempo tutto si dissolve e sciama, quasi a diventare un nonnulla. Stava finendo di passare lo straccio in una suite, quando una voce maschile richiamò la sua attenzione:

Chica!”

Lei si voltò e vide Federico Sepùlveda, era appoggiato sulla soglia della porta che la guardava sorridente:

“allora parliamo un po’?” chiese in spagnolo

“Ora?  Io sto lavorando, e poi mi vergogno”

“ma figurati, non ti devi vergognare, guarda che sbagliando si impara! Se non ti butti nelle cose, non potrai mai sapere se saresti riuscito a farle”

“Hai ragione” rispose lei, questa volta in castellano“ma se sbaglio mi correggi?”

“Naturale che lo farò”.

Lei puliva e lui la seguiva. Parlavano come due vecchi amici, e spesso lui le riprendeva l’accento o le suggeriva la parola esatta. Senza presunzione e senza superbia le faceva notare gli errori per aiutarla a migliorare. Ridevano di gusto come alla giovane non capitava da tempo. Quel giovane riusciva a trasmettere a Giulietta delle sensazioni nuove. Stava bene con lui. non aveva paura del suo giudizio, e ogni qual volta che lo vedeva sentiva in lei una gioia pervaderle il cuore. E fu così che Federico le disse:

“Domenica pomeriggio ti va di mangiare un gelato insieme a me?”

Il suo ovale si illuminò, lui non dovette attendere la risposta, perché poté leggerla sul volto di Giulietta, che divenne radiosa e ancora più bella di quello che era. Le prese una mano, gliela baciò e sentenziò:

“Allora domenica ti aspetto di fronte alla gelateria che c’è di fronte in piazza di Spagna”

Sabrina era appena giunta a casa. Accese la luce e si illuminò un piccolo lampadario che aveva la forma di un piattino di porcellana. La luce dorata si posò sulle pareti, che pareva avessero fiori marroni e avorio che stavano per cadere sul pavimento, ma che invece rimanevano li, fermi. Alessandro corse verso il suo cavallino a dondolo in legno, ed iniziò a cavalcarlo come se fosse un cow-boy autentico. La giovane mamma, appese il suo cappotto marrone, bordato d’antilope dello stesso colore, nel piccolo guardaroba a muro che stava poggiato alla parete. Un tavolo ovale in legno scuro era al centro della sala da pranzo, e sopra vi era una ciotola in argento che conteneva cioccolatini; il suo sguardo venne attirato da un piccolo foglio di carta posato sul tavolo. Lo prese e lo lesse:

“non aspettarmi, stasera tornerò tardi, tuo Gabriele”

Sbuffò leggermente, ma non lo diede a vedere, capitava che alle volte il marito facesse tardi. Alle volte in ufficio avevano bisogno di lui. andò in cucina e dal cassetto estrasse un grembiule, se lo legò in vita. Era bianco, e aveva le sue iniziali ricamate sopra, era un regalo che le aveva fatto Giulietta. Mise su un fornello una padellina ci mise un pezzetto di burro, e quando questo si sciolse fece scivolare dentro due uova. E quella sera cenò così. Con il suo adorato Alessandro che con i suoi occhioni azzurri le diceva tutte le parole belle che sanno dire i bambini ad una mamma, anche se le loro labbra non sanno pronunciarle.

Finalmente il pomeriggio tanto atteso da Giulietta era giunto. La mattina era corsa da Sabrina che le aveva prestato una giacchetta panna e gonna dello stesso colore, sotto aveva una camicia nera che spezzava, in vita una cintura della stello colore della camicia risaltava la sua linea snella e slanciata. Le piccole scarpe con un po’ di tacco facevano il resto. Lasciò il cappotto a casa, perché la brezza primaverile stava iniziando a farsi sentire. Aveva sciolto i suoi lunghi capelli neri sulle spalle, che facevano risaltare il suo volto pallido ma con un ovale perfetto. Sopra i capelli aveva messo un cappellino alla moda con un fiore di panno rosso, pareva quasi un uccellino, delicato e soave allo stesso tempo. Era ferma davanti la gelateria, e non dovette aspettare, perché ad attenderla c’era già Federico. Anche lui elegante. Un paio di pantaloni chiari con camicia in tinta ed un maglione poggiato sulle spalle. Lui le andò incontro e le baciò la mano, poi prendendola sottobraccio andarono a cercare posto. I tavoli rotondo coperti da tovagliette chiare erano predisposti largamente, e sopra ognuno di essi vi era un vaso con un fiore. Si sedettero ed un giovane cameriere si presentò di fronte a loro per prendere le ordinazioni.

Un te per entrambi.

“Ma non dovevamo prenderci un gelato?” chiese lui ridendo

Giulietta lo guardò dritto negli occhi e rispose seriamente:

“alle volte la vita ci sorprende talmente tanto, che in realtà non facciamo quello che ci eravamo prefissati, oppure troviamo quello che non stavamo cercando”

Federico fu colpito da quelle parole pronunciate in tono greve e rispose:

“Già! E io sono felice di poter dire che tu sia giunta nella mia vita”

La ragazza arrossì lievemente e si sentì imbarazzata, cercò di tenere nascosta la sua emozione. Perché sentì in quel momento il petto gonfiarsi per l’emozione, ed il cuore accelerare i suoi battiti violentemente. Abbassò lo sguardo sul suo te caldo, lui si accorse dei suoi gesti e le disse:

“non te ne vergognare ti prego! Non devi, è così bello vederti arrossire, essere così sensibile e sincera. Credo di non aver mai conosciuto una persona più limpida di te” era sincero credeva davvero che quella giovane fosse delicata come una rosa nel vento.

Una signora dai lineamenti marcati si accostò al loro tavolo. Aveva capelli castani e occhi dello stesso colore. Una bocca larga e piccole rughe intorno agli occhi. Era vestita elegantemente e appena vide Giulietta disse con voce un po’ beffarda:

“guarda chi si vede, da quando ti puoi permettere di frequentare questo genere di locali?”

Giulietta abbassò nuovamente i suoi grandi occhi e cercò di trattenere tra le ciglia delle piccole lacrime cristalline. Era Adelina, la donna per la quale aveva lavorato precedentemente. Con orgoglio lei la guardò negli occhi e sostenne lo sguardo, e senza rispondere alla sua domanda disse:

“Come sta signora?”

“Io bene, grazie. E questo giovane chi sarebbe?”

“Non credo che la cosa la debba interessare, come non le deve interessare da quando la signorina qui presente si possa permettere certi locali. Con permesso e senza offesa vorrei dirle, che se fanno accomodare gente come lei, non vedo il motivo perché una rosa come Giulietta non potrebbe stare qui!”intervenne Federico irridente.

Donna Adelina si sentì umiliata e rispose:

“lei è proprio impertinente!” e se ne andò impettita tenendo stretto il suo cappello calcato sui capelli.

Federico iniziò a ridere, e Giulietta le chiese:

“perché stai ridendo?”

“perché la gente ricca è assurda! E alle volte può essere tanto cattiva!”

“Tu che ne sai?”

“Lo so, perché stando in albergo e guardando le signore annoiate ho scoperto che sono frivole e superflue, e possono anche essere cattive e scostanti … soprattutto se da povere diventano ricche, quella è la fine!”

“Basta così per favore, non voglio sentire altre cattiverie”

“Ma non sono cattiveria, è realtà pura. Oh Giulietta come sei tenera”

Lasciò qualche centesimo sul piatto che aveva lasciato il cameriere, e se ne andarono insieme per le strade a passeggiare.

Giulietta lo guardò dritto negli occhi per qualche istante e sentì perdersi in quel mare nero petrolio. Lui le infilò un braccio nel braccio, e lo strinse a se passeggiando per le vie di Roma, quella città che non smetteva mai di stupire per la sua bellezza.

Una vita lenta che scorreva sempre uguale. Ogni giorno era uguale all’altro. Ma questo non voleva dire che fosse noiosa. Era un giorno qualunque. E Giulietta vedendo il ritardo della cugina, si incamminò a piedi verso l’asilo di Alessandro. Una giovane maestra con un grembiule nero e il colletto bianco le diede il bambino tra le braccia. La conoscevano bene, e sapevano che era autorizzata a prendere il bambino. Fatto ciò lentamente i due si incamminarono verso l’ufficio di Sabrina. un palazzo imponente lungo la strada principale, Un portone alto e in legno massiccio con una anta già aperta, luccicava grazie ai riverberi di sole che stava per tuffarsi dietro le nuvole. Un aquila di profilo sovrastava sopra lo stabile, e una scritta in latino dava il benvenuto a coloro che entravano. Entrarono.  E subito fu conquistata dalla bellezza di quel posto, una distesa di marmo ricopriva il pavimento luccicante, un enorme lampadario stava appeso al soffitto. Era già acceso. Una scala che girava era in mezzo al grande atrio. Giulietta la salì e dopo pochi gradini si ritrovò di fronte l’ufficio della cugina. Una grande parete in legno chiaro era posta all’interno, tutta piena di libri e fascicoli. La finestra che stava di fianco la scrivania di Sabrina era appena socchiusa. La donna era accanto al telegrafo e  quando Alessandro vide la mamma, impazzì per la gioia e corse verso le braccia della mamma.

“che ci fate qui?” chiese Sabrina sorpresa

“Tu stavi facendo tardi, ed allora abbiamo deciso di farti una piccola sorpresa”

“Oh è una sorpresa ben più grande di quello che immaginate!” affermò lei. Poi posando il piccolo sul pavimento si allontanò per prendere alcuni fascicoli nella stanza accanto. Giulietta fece alcuni passi indietro per vedere meglio dove fosse finito il piccolo Alessandro.

Pochi istanti.

E poi sbatté contro qualcosa. Si rese conto ben presto da un’imprecazione, che era qualcuno. Si voltò di scatto e i suoi occhi incrociarono un paio d’occhi grigi. Chiese scusa, ma lui vedendola ammorbidì i tratti del suo viso e prontamente disse:

“scusi lei – tese la sua mano e aggiunse – Fabio Paris” lei gliela strinse debolmente, evidentemente imbarazzata, perché le sue gote si colorarono vistosamente di rosso, e rispose:

“no, è lei che deve scusare me!la prego mi perdoni”

Sbucò fuori Alessandro, che con i suoi occhi azzurri chiamò:

“zia”

Lei si voltò e lo raccolse. Fabio carezzò il volto del bimbo. Le disse che era davvero stupendo. Arrivò Sabrina che vide la scena e subito disse:

“Mi scusi signor Paris, lei è mia cugina e il piccolo è mio figlio, ho fatto tardi e quindi hanno pensato di venire loro fin qua …”

“Paso, non preoccuparti, mi fai passare come uno schiavista! Anzi per favore lascia stare tutto quello che stai facendo, è davvero molto tardi. Ci vediamo domani mattina”

Congedò le due ragazze e disparve nel suo ufficio lasciando le giovani senza parole.

Non appena furono fuori, e salirono nella rumorosa macchina di Sabrina, Giulietta chiese:

“Questo sarebbe lo schiavista della quale mi stavi parlando? A me non sembra proprio! Anzi devo dire che è davvero gentile e carino”

“Guarda che sono rimasta basita anche io, non lo mai visto così gentile. Deve essergli successo qualcosa –poi cambiando discorso –stasera ti fermi a cena da me?”

Non c’era bisogno di una risposta. Era ovvio che si sarebbe fermata con lei. Quando entrarono in casa, la casa era nuovamente buia. Sabrina accese le luci e si avvicinò al tavolo. Nuovamente sul tavolo vi era un biglietto. L’ennesimo biglietto di Gabriele che l’avvisava che non sarebbe rientrato per cena. Sabrina storse il naso. Era già parecchie sere che suo marito non rientrava per l’ora di cena. Una volta lavate le stoviglie e messo a dormire Alessandro, le due cugine si sedettero una accanto all’altra a scambiarsi le loro chiacchiere. E fu in quel momento che Sabrina aprì il suo cuore:

“Sono davvero preoccupata. Gabriele è da parecchio tempo che ci vediamo solo al mattino quando mi alzo per preparagli un po’ di caffè. Non mi parla per niente, e quando gli chiedo spiegazioni, è sempre vago. Sono davvero preoccupata”

“ma no, lo sai che ti vuole bene, lui non farebbe niente che ti faccia stare male”

“ma in questi periodi ho davvero paura!”

“Paura di cosa?”

“Della guerra! Ma lo ascolti il radio giornale?”

Giulietta non seppe cosa rispondere.

La guerra.

ascoltava il radio giornale,e  leggeva i giornali. Ma non si era mai soffermata al pensiero della guerra. La sentiva come una cosa lontanissima. Quasi come se non le appartenesse. Mentre adesso si affacciava fortemente e prepotentemente nella sua vita e in Italia.

Giulietta non ebbe il tempo di rispondere, che Gabriele apparve. Sabrina si alzò di scatto e gli corse incontro. Lui l’abbracciò velocemente e scomparve.

“Lo vedi? È sempre così e io non lo riconosco più” disse Sabrina lanciandosi sulla sedia sconsolata.

“non preoccuparti, se vuoi ti aiuto io a scoprire cosa sta succedendo”

“lo faresti sul serio?”

Giulietta annuì con la testa. E si abbracciarono.

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Il sole era alto nel cielo quando Fabio Paris comparve nel suo ufficio, e si avvicinò alla scrivania di Sabrina.

“Paso, puoi venire nel mio ufficio un momento?”

La giovane donna si alzò e raggiunse immediatamente il suo capo. Aveva nuovamente la stessa aria fredda e scostante di sempre. “Forse ieri sera si sentiva male” pensò; una volta dentro, lui le chiese di accomodarsi in una delle sedie che stavano accanto alla scrivania.

Una scrivania vuota.

Solo un telefono nero e una lampada vi erano poggiati sopra.  Un piccolo portafoto in argento e una penna che pareva buttata li per caso.

 Sabrina obbedì e prontamente si sedette.

Gambe strette e taccuino sulle ginocchia. attendeva che lui parlasse.

“volevo chiederti di parlarmi un po’ di tua cugina”

“mia cugina?” ripeté afona, non capì il motivo della richiesta, e lui incalzò

“Si, quella che è stata qui ieri con tuo figlio”

“Beh, che posso dire? È una ragazza molto dolce, tranquilla …”

“non è questo quello che mi interessa. Voglio sapere, ha un fidanzato? Interessi?”

Sabrina rimase in silenzio, non le piacevano tutte quelle domande su Giulietta, era titubante, non sapeva cosa fare. Rispondere sinceramente o rimanere sul vago? Ma lui la distolse dal suo dilemma:

“Paso, se vuoi mantenere il tuo posto, cerca di rispondere” il suo tono di voce era pacato, ma secco

“beh, che io sappia non è fidanzata e al momento non è interessata a nessuno. I suoi interessi, sono le piccole cose di ogni giorno. Ama leggere, ballare, cose che piacciono a tutte le ragazze insomma” tacque. Sperò che quello che aveva appena detto fosse sufficiente.

E lo fu.

La congedò rimandandola al suo lavoro mentre lui rimase in silenzio a fissare il vuoto nel suo ufficio spazioso .

Giulietta entrò in un enorme salone adornato da tendaggi rossi sopra le finestre, e con i tavoli ricoperti da tovaglie candide. Indossava la sua divisa bordeaux. Due braccia forti la presero da dietro le spalle. La fecero girare, e si ritrovò tra le braccia di Federico Sepulvèda. Dapprima rigida, come vide il volto del ragazzo si sciolse abbandonandosi a quella stretta. Inspirò il profumo di Federico e si inebriò di esso. Era un profumo fresco e frizzante. Proprio come lui. danzarono, come se fossero ballerini di un film muto, e lei chiese quando si fermarono:

“Perché tanta felicità?”

“Bisogna essere felici nel presente, perché non sappiamo cosa ci riserverà il futuro!”

La guardava e sorrideva. I suoi occhi erano scintillanti. Giulietta rimase incollata a loro. Il suo cuore sembrava prendesse vita ogni qual volta udiva la sua voce. Ne rimaneva ammaliata. Lui riusciva a renderla importante come nessuno mai aveva fatto, e tanto bastava per rendersi conto che il suo cuore aveva i palpiti vitali dell’amore.

Furono interrotti da due persone che entrarono nell’immenso salone. Un uomo e una donna. Lei era sconosciuta, ma lui Giulietta lo conosceva bene.

Era Gabriele.

Il marito di Sabrina, camminava al fianco di quella donna e parlavano a voce bassa. Chi era quella donna? Gabriele perché era con lei? Allora aveva ragione Sabrina! Lui la stava tradendo. Mille domande le accavallarono la mente. Ma non ebbe il coraggio di formularne alcuna. Rimase di pietra. Ferma in un angolo. E si risvegliò solo quando Federico le chiese:

“che ti prende?”

Lei gli raccontò tutto d’un fiato con le lacrime agli occhi. Lui le passò una mano sul volto; raccolse quella lacrima che le era rimasta incastrata tra le ciglia e le disse:

“come può un uomo dirsi innamorato e tradire? Oh Giulietta!” se la strinse al petto e lei restò così.

Immota fra le sue braccia, sperando che quel momento non avesse mai fine.

Quando Sabrina andò a prendere Giulietta a lavoro, trovò la cugina, triste e silenziosa, e chiese:

“che ti prende? Qualcosa non va?”

Giulietta non rispose.

Come dirle che aveva visto suo marito in compagnia di un’altra donna? Il coraggio le venne meno. Non trovava la forza per dirle che Gabriele la stava tradendo. Ed allora Sabrina la incalzò:

“ho capito tutto! È inutile che cerchi di nascondermelo. Si tratta di Federico”

Giulietta si voltò di scatto e con lo sguardo chiese cosa volesse dire e lei prontamente e con voce trionfale sentenziò:

“ti sei innamorata di Federico, quel tipo argentino! Confessalo!”

La sua mente si annebbiò. E per un attimo Giulietta dimenticò Gabriele e la giovane donna.

“Cosa c’entra Federico?” balbettò

“centra, guarda che ti conosco bene, e ho visto che quel ragazzo ti piace più di quanto voglia ammettere a te stessa”

L’aveva messa alle strette. Non poteva certamente mentire a Sabrina e ammise:

“si credo proprio di essermi perdutamente innamorata di lui”

“E lui?”

“non lo so! Non ne ho proprio la più pallida idea, è davvero difficile capirlo, alle volte mi pare che lui ricambi i miei stessi sentimenti, ma altre mi pare lontano anni luce. Non so cosa pensare!”

“E tu cerca di capire bene cosa prova lui per te, è importante. Mi piace davvero tanto questo ragazzo, è così carino, poi è tanto allegro, vivace solare …” tanti aggettivi buoni ci furono per lui, che si interruppero solo quando arrivò a casa. Le luci erano già accese, silenziosamente entrarono in casa. Sul tavolo vi era un mazzo di fiori, e accanto a loro una piccola scatoletta scura. Gabriele era poggiato alla parete con le braccia conserte. Quando si accorse che Giulietta teneva in braccio Alessandro dormiente, corse nella stanza del piccolo ad aprire il lettino. I due non proferirono parola. Giulietta quando tornò in cucina salutò Sabrina e se ne andò. Corse in strada per lasciare i due soli.

Sabrina finse di non notare la scatola sul tavolo e appendendo il suo cappotto d’antilope disse:

“Finalmente stasera ceni con me?”

“ti sono mancato?” chiese l’uomo avvolgendole i fianchi con le braccia

“più di quanto tu possa immaginare, allora cosa mi vuoi dire?”

“Solo che ti amo”

“Davvero? Io non ne sarei tanto sicura” rispose lei piccata

“Cosa vorresti dire?” si staccò da lei e andò a prendere quella piccola confezione. Fece scattare un piccolo marchingegno e magicamente si aprì, rivelando un anello d’oro bianco, con un diamante incastonato nel centro che emanava riverberi di luce quasi accecanti, e Gabriele disse:

“questo è per te.  Per l’ultimo Natale non ho potuto regalarti nulla, ed io volevo donarti qualcosa di speciale, qualcosa che desideravi da tanto, ed allora ho trovato un secondo lavoro, che mi ha permesso di darti questo …”

Sabrina non disse nulla. Due lacrime pure e cristalline le solcarono il volto. Erano lacrime di gioia e fra i singhiozzi  disse:

“che stupida! Sono solo una stupida. Tu hai lavorato tanto solo per me, ed io credevo che mi tradissi! Mi puoi perdonare amore mio?”

“ti perdonerei tutto. L’amore che provo per te è infinito, e tu non devi mai, dico mai dubitare del mio amore per te” e la baciò. Un bacio d’amore. Che come tutte le volte non era un semplice bacio, ma il sigillo dei loro sentimenti.

Il vento forte imperversava nelle strade, spazzando via ogni traccia. Alzando la polvere  e scompigliando i capelli. Giulietta camminava adagio. Non aveva neppure la bicicletta, e quella mattina sapeva che Sabrina non sarebbe andata a prenderla. Il vento le si infilava tra i capelli e le gelava le mani, che teneva strette l’una nell’altra. Il volto fiero e pallido. Il clacson di una vettura la fece voltare. Riconobbe l’uomo, che fermò  l’auto e scese.

Era Fabio Paris. I capelli erano coperti da un cappello scuro, e lui indossava un bell’abito pressoché dello stesso colore. Le prese la mano, gliela baciò e le disse:

“Posso accompagnarla dove desidera?” chiese galantemente

“No grazie, sono quasi arrivata” rispose lei secca

“Mi faccia la cortesia di aiutarla, io vorrei poterle essere utile in qualche modo”

“Se davvero mi vuole essere utile, tratti meglio mia cugina!” le disse lei guardandolo dritto negli occhi

“Ha ragione, ho davvero sbagliato con lei, ma per me non è un periodo facile! E quando l’altro giorno l’ho vista nel mio ufficio, come non dirle cosa ho provato, una sensazione indescrivibile, io non credevo di poter tornare ad accendere il mio cuore”

Giulietta lo guardò basita e disse:

“Ma cosa sta dicendo! Basta mi faccia andare via, mi sta solo facendo perdere un sacco di tempo” e se ne andò. Ma lui la rincorse e afferrandole un braccio le disse:

“le giuro che è tutto vero, è stato un vero colpo di fulmine. Quando l’ho vista è stato come se la stanza si fosse riempita di luce. Il mio cuore era fermo da tanto tempo e invece grazie a lei ha ripreso a battere”

“per favore la smetta di dire sciocchezze. Io non credo a queste fesserie” questa volta allungò il passo decisa. Il passo era svelto, ma non perdeva eleganza. E lui continuò a fissarla finché non disparve. Giulietta era rossa in volto, cosa le era passato per la testa a quell’uomo che conosceva appena di dirle tutte quelle cose; aveva infilato il suo camice e legato la crestina sui capelli legati. Incontrò Federico che ormai era una presenza che non poteva mancare nella sua mattinata, e ogni qual volta lo vedeva per lei era come salutare il giorno. Come dire “oggi sarà un giorno bellissimo”.  Lui la salutò con il suo solito sorriso, ma non appena la vide si accorse che vi era qualcosa che non andava e glielo chiese:

“Giulietta mia, che ti succede?”

E la giovane le raccontò tutto. Federico sentì un leggero fastidio, ma lo ignorò completamente e le chiese:

“E tu?”

“io cosa?”

“Tu cosa hai provato?”

“Niente! Solo fastidio,non lo conosco neppure! L’ho visto solo una volta”

Tirò un sospiro di sollievo, e Giulietta se ne avvide e non poté nascondere un leggero sorriso che le nacque dal cuore. Capì che lui era in qualche modo geloso e questo le fece un immenso piacere. Ma Federico vedendo proprio quel sorriso dolce ebbe paura che lei potesse vedere più di quello che lui stesso voleva far capire e con la scusa di avere del lavoro arretrato sparì.

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Arrivò presto la sera.

La pioggia cadeva battente, Giulietta cercò un ombrello ma non ne aveva, fece qualche passo sotto la pioggia, ma una voce la chiamò, era nuovamente Fabio Paris, che accostandosi a lei le disse:

“è tutto il giorno che l’aspetto”

“Non ne capisco il motivo!” rispose secca la giovane incurante della pioggia

“mi pareva di essere già stato chiaro stamane, la prego mi permetta almeno di accompagnarla a casa!”

“Guardi non ce n’è bisogno”

“ma come! È già tutta bagnata! Rischia di prendere un malanno ed io non me lo perdonerei mai!”

Era tutto bagnato,e la pioggia gli aveva reso il viso dolce e bagnato, i suoi occhi erano pressoché imploranti, ma lei era ferma sulla sua decisione. Federico poco distante si accostò e guardando Giulietta le disse porgendole l’ombrello:

“Tieni l’avevi dimenticato dentro”

Lei gli sorrise e aprendolo guardò Fabio Paris dicendogli:

“come vede non c’è ragione perché lei si preoccupi per la mia salute, ora non mi bagnerò più” e se ne andò. lasciò li i due uomini. Federico non disse nulla a Fabio PAris, che era ormai evidentemente seccato del nuovo rifiuto di Giulietta e a denti stretti, con voce abbastanza alta perché il suo evidente rivale potesse sentire disse:

“Non finirà qui! La corteggerò ancora e ancora, non lascerò che stavolta qualcuno mi porti via il mio angelo” così dicendo risalì sulla sua balilla rumorosa e si allontanò.

Un’altra sera come tante per Giulietta. Passate a cucire e ascoltare la vecchia radio che trasmetteva sempre le solite canzoni, ma non l’annoiavano, anzi le canticchiava sottovoce e le tenevano compagnia. Ma quella sera più che le canzoni ad animarle la mente e il cuore, era Federico. Non si dava pace, e si chiedeva se lui fosse geloso. Si era intromesso tra lei e Paris in quel modo … e sperò che lui fosse tanto geloso di lei. Ed il solo pensarlo la faceva arrossire visibilmente. Un colpo di tosse la richiamò alla realtà e accorse accanto alla madre:

“mamma che hai? Questa tosse non mi piace per niente! Ti conviene rimanere al caldo e chiamare il dottore”

“Oh tesoro, il medico no, ci vogliono soldi e non ne abbiamo molti” rispose mesta la donna

“di questo non ti devi preoccupare, possiamo chiedere a Sabrina, poi glieli restituirò”

“No amore mio, questo no”

“Ma perché? Lo sai che lo farebbe con cuore”

“lo so ma non voglio arrecare disturbo a nessuno, e a lei ne diamo già troppo”

La giovane si accostò alla madre e l’abbracciò, le doleva il cuore vederla stare così male, e si sentiva doppiamente impotente perché sapeva di non poter  fare nulla per lei. Le accarezzò il capo. Che aveva tanti capelli grigi e sottili. I suoi genitori erano anziani. Lei era arrivata quando ormai non speravano più di poter gioire nell’avere un figlio. E invece eccola li la loro Giulietta.

Mite.

Buona.

Dolce.

E bella.

Tanto bella, come non avevano neppure immaginato. E tutti sacrifici fatti per lei, erano stati tutti restituiti. Era una creatura devota.

Quella sera Giulietta pianse stretta nel suo piccolo letto. Pianse in segreto, non voleva che la vedessero triste. Non poteva e non voleva permettersi il lusso che potessero vedere le sue debolezze.

I giorni passavano lentamente, tutto andava avanti chetamente. Un giorno come un altro una cartolina era giunta per il padre di Giulietta. Lacrime scesero dagli occhi della moglie e della figlia. La Madre Patria richiamava in servizio tutti i soldati in buona salute, e lui era uno di quelli, e doveva sentirsi onorato di servire il re e il duce, alla conquista del mondo. Era anziano ma poteva ancora dare molto, e fu costretto a partire con il dolore nel cuore.

La madre di Giulietta pianse e chiese alla figlia:

“come faremo noi sole?”

“oh mamma, non siamo sole, lavoreremo e aspetteremo il ritorno di papà”.

Era scoppiata la guerra che incendiava e insanguinava tutta l’Europa. Per la prima volta Giulietta si scontrò con la dura realtà che invece cercava di allontanare. Credeva di proteggersi sfuggendo alla verità, alla realtà di ciò che accadeva intorno, e invece ora tutto le era caduto sul capo, come una tempesta improvvisa. Il suo cuore si angosciò ma decise di rimanere forte e non cedere alla disperazione. Doveva farlo per sua madre. E così decise di fare, ma era dura camminare per le strade e vedere giovani donne che urlavano straziate dal dolore per la perdita dei figli, o vedere correre bambini scalzi vestiti di stracci.ma come soleva ripetersi di volta in volta: la vita va avanti e io con lei.

Sabrina e Giulietta, camminavano per le strade e ammiravano le vetrine. una cosa le angosciò, vedere che in alcuni negozi tenevano esposto un cartello:

QUI GLI EBREI NON POSSONO ENTRARE.

Le due a leggere quella frase rimasero come paralizzate, ma non era certo il momento di rendersi paladine della giustizia e andarono avanti. le vetrate erano spoglie, ma tutto quello che vi era dentro per loro era come un sogno irraggiungibile. Alessandro scoppiò in lacrime vedendo tanti barattoli di caramelle che non poteva toccare, che Sabrina decise di entrare a prendergliene un po’.

“Giulietta!”

Era Federico, che le si accostò e le baciò le guance.

“Buongiorno Federico!”

“Che ci fai da queste parti?”

“Niente di che, ammiro i negozi”

“E lo fai tutta sola?”

“certo che no. Sto aspettando mia cugina che è entrata a prendere due caramelle ad Alessandro”

“E tu?” chiese lui

“Io? Niente, anche volendo non posso comprarle, devo conservare tutto per me e la mamma” non si vergognava a parlare liberamente con lui, sapeva di potersi fidare ciecamente,e  soprattutto intuiva che non le faceva compassione. E non si sbagliava, perché lui l’ammirava. Ammirava il suo modo di fronteggiare la vita a viso aperto, senza piegarsi alle avversità. Non era come lui e glielo disse:

“Vorrei essere come te”

“Non dirlo mai, io non sono niente di speciale”

“Lascialo dire agli se sei speciale, tu non puoi giudicarti!” con queste parole se ne andò.

Era giunto il tramonto, Sabrina lasciò Giulietta a casa:

“Sicura che non avete bisogno di qualcosa?”

“No grazie” abbracciò Sabrina. Aspettò che si allontanasse rumorosamente con la macchina. Stava per entrare quando un uomo le si presentò di fronte:

“Giulietta, aspetti” nuovamente Fabio Paris

“Come fa a sapere dove vivo?” chiese lei

“lo ammetto l’ho seguita. Ma avevo il desiderio di vederla”

“senta, io non so proprio cosa dirle, io davvero non posso ricambiare queste sue attenzioni, che mi mettono molto in imbarazzo, glielo assicuro”

Da dietro la schiena fece sbucare un fiore, una rosa bianca e le disse:

“Questo è per lei, un fiore per un fiore”

Giulietta tenne le braccia lungo il corpo e lui insisté:

“La prego lo accetti. E mi dia un’opportunità”

“La ringrazio, accetterò il suo fiore”

“Grazie” le baciò la mano e aggiunse “Mi creda che non mi arrenderò tanto facilmente, lotterò per poter  avere l’occasione di farmi conoscere”.

“Ora si è fatto davvero tardi, io devo rientrare” senza attendere oltre entrò nella sua piccola casa, che mai prima di allora le parve così accogliente. Lanciò la rosa sul tavolo, e si andò a cambiare indispettita. Quell’uomo stava diventando sempre più invadente, e tutta questa attenzione nei suoi confronti da parte di uno sconosciuto le provocava un vero e proprio risentimento. Quell’uomo non le piaceva, c’era qualcosa in lui che non le dava delle belle sensazioni. Le incuteva timore, e poi c’era in lei un campanellino d’allarme che rimaneva sempre attivo. Decise di scordarsi di quell’uomo sperando vivamente di non doverlo vedere più.

Aveva appena finito di lavorare. Giulietta andò nella sua stanzetta per cambiarsi, aprì il suo mobiletto e dentro vi trovò un pacchetto fatto di carta ingiallita. Ne fu sorpresa e lo scartò velocemente, era curiosa di sapere cosa contenesse. E lo stupore raggiunse l’apice quando tra le mani ritrovò un fermaglio a forma di camelia. Aveva delle piccole sfumature rosate.

“Questa è per te” era Federico. Indossava un semplice pantalone e un maglione, anche lui stava per uscire, e l’unica cosa che la giovane riuscì a dire fu:

“Grazie … ma perché?”

“Perché? Ieri quando ti ho incontrata, ho pensato che avrei voluto regalarti qualcosa, e quasi stavo per comprarti delle caramelle, ma volevo darti qualcosa che ti sarebbe rimasto per tutta la vita. Finché non ho trovato questo. È un semplice fermaglio per capelli lo so, però almeno ogni volta che lo indosserai potrai pensarmi, e poi perché questo fiore è come te. Nasce in inverno, quando le intemperie sono incessanti. E lei non si sciupa, non si piega, conserva la sua bellezza e affronta tutto a viso aperto, senza perdere il suo splendore. Sono certo che tutto questo sei tu”

Giulietta rimase senza parole. Lui le stava dicendo tutto questo. Non era possibile. Sentì il cuore battere violentemente nel petto. Pareva che volesse uscire, lo vide accostarsi a lei. Lui le sfiorò le mani, e lei sentì un brivido salirle la schiena. Le prese il fermaglio dalle mani, e sollevandole una ciocca di capelli glielo appuntò scoprendo un orecchio. Le stava benissimo e glielo disse. La vide arrossire. Fra di loro si era creato un momento magico.

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Capitolo 5
*** 6° capitolo ***


 

 

 

 

Giulietta il giorno seguente si alzò pallida in volto, si preparò per recarsi a lavoro. Come al solito Sabrina passò a prenderla, e vedendola così le chiese:

“Cosa ti è successo?”

Triste e laconica la cugina iniziò il racconto della sera precedente.

“Che villano” esclamò Sabrina

“Per giunta tra qualche minuto lo vedrò”

“Tu sei forte, ignoralo mi raccomando” e con la raccomandazione della cugina scese dall’auto.

Entrò nello stanzino per cambiarsi. E un attimo dopo fu fuori. Una collega si avvicinò a lei e le disse:

“Sai oggi è venuto Sepùlveda, ha lasciato il lavoro, torna in Argentina” sebbene la giovane fosse a conoscenza  del fatto che lui sarebbe tornato presto in patria la cosa la lasciò di stucco. Sentì le lacrime salirle agli occhi, ma le ricacciò indietro. Gli altri non dovevano sapere che lei stava soffrendo. Nella tasca del suo grembiule sfiorò la camelia che lui le aveva regalato. Non sapeva perché, non riusciva a staccarsi da quel piccolo oggetto. Così insignificante, ma tanto importante per il suo cuore.

Quando si ritrovò al suo posto di lavoro Giulietta trovò un mormorio insolito e subito una collega le si avvicinò e le disse:

“Hai saputo la novità?”

Giulietta non rispose e guardò l’amica interdetta, e questa partì subito col racconto:

“Federico Sepùlveda, l’argentino se ne è andato … pare che si debba sposare con una ragazza che le ha trovato il padre”

Giulietta rimase in silenzio, non riuscì neppure a deglutire e sentì il suo cuore perdere un colpo per poi riprendere a battere più velocemente. Non poteva crederci, lui si sarebbe sposato? Ormai era troppo tardi per avere delle risposte o delle certezze. Si maledì per essersi innamorata tanto facilmente di chi in realtà non meritava il suo cuore. Di chi l’aveva presa in giro, e trattata come un passatempo. ringraziò il cielo che fra loro ci fu stato solo un bacio, ma per lei era stato molto di più. In quel gesto aveva dato la chiave per arrivare al suo cuore, un cuore giovane e acerbo, ma che aveva già provato le spine che può dare l’amore.

Un rumore sordo echeggiò in tutto il locale. Tutti iniziarono a correre e a gridare. Anche Giulietta venne prese dal panico. Era in arrivo un bombardamento. Era la prima volta che la ragazza sentì quel ronzio. Un rumore sordo e penetrante allo stesso tempo. Tutti corsero fuori. Grida.

Fuoco e polvere.

Sembrò un’eternità ed invece non furono che istanti. Schegge di cemento e mattoni miste con vetro erano ovunque. In ogni dove si potevano vedere detriti. Una colonna di fumo grigio si alzò verso il cielo, ma Giulietta non se ne avvide, si era riversata nella strada correndo, con il cuore che batteva talmente forte che credeva volesse uscirle dal petto. Corse con tutta la forza che aveva, e non si fermò finché non vide la casa di sua madre. Si voltò indietro e l’edificio alto e imponente dell’albergo non vi era più. Era stato ridotto a un cumulo di cenere. Per la prima volta la ragazza sentì nelle sue vene scorrere il sapore della guerra. La paura di toccare con mano il dolore che possono provocare spari e bombe. Non ebbe il coraggio di tornare indietro. Con il volto rigato dalle lacrime incessanti entrò in casa. era tutto un tremore. Si sedette sulla sedia attorno al tavolo e si rasserenò un poco quando vide sua madre. Ma il portone di casa si spalancò nuovamente, era la vicina di casa, un volto pulito e bello, ma segnato dalle fatiche di dover allevare cinque figli tutti da sola, indossava una camicia, grigia per lo sporco e una gonna al ginocchio coperta da un grembiule scarlatto. Paonazza in volto gridava:

“Giulietta, Giulietta è morta! L’albergo è distrutto, l’ho vista cadere con gli occhi miei

“Giulietta è qui” rispose invece la madre calma e felice di sapere che la sua bambina era salva.

“Sia lodato il Signore!” rispose la vicina che abbassò il tono della sua voce di parecchi decibel, ci fu un attimo di quiete, che venne subito interrotto da tre dei figli della donna che entrarono in quella casa sbattendo sedie e piedi perché avevano fame.

Fame.

Era la parola che più sentiva. Tutti avevano fame, il popolo aveva fame, i vecchi avevano fame, ma anche i giovani e i bambini. Ma chi soffriva di più era il cuore delle mamme, che era colmo d’amore, ma l’amore non sazia il corpo di un bambino, e loro lo sapevano, allora andavano in cerca di un po’ di pane da condire con i loro baci, e le loro carezze, che ,mai si sarebbero stancate di elargire.

Lento e impassibile era passato il tempo, le giornate tristi e uguali se ne andavano. Quante cose erano cambiate. Rimpiangeva i tempi in cui lavorava in quell’albergo. Ed ogni volta che ripensava a come le bombe lo avevano buttato giù il suo cuore si contorceva dal dolore. Morte e distruzione. Questo era quello che la circondava. Giulietta era in fila con la tessera per prendere il pane. Una pagnotta da cinquecento grammi. Era questo il tanto che spettava a lei e la sua famiglia ogni giorno. Suo padre era partito da tempo, e ormai erano rimaste lei e sua madre. Le strade diventavano sempre più polverose e tristi. La guerra aveva danneggiato tutto quanto. Passò un giovane militare in divisa e il suo pensiero volò a Federico Sepùlveda. Ormai erano mesi che non aveva più sue notizie. Da quando era tornato nella sua Argentina non aveva più avuto modo di sentirlo. Ed il suo cuore soffriva, perché sentiva di amarlo anche se l’aveva fatta soffrire. Ricordò con malinconia quel bacio che lui le aveva dato un giorno, che ora pareva lontanissimo. Per lei era stato un bacio d’amore, anche se per lui non era stato lo stesso.

L’Italia stava combattendo al fianco della Germania, che aveva ormai imposto a tutta l’Europa le sue leggi razziali, e tutto era ormai invaso da un velo di tristezza e malinconia. Giulietta strinse il bavero del cappotto rosso. Era sempre lo stesso. Una folata di vento le scompigliò i lunghi capelli neri, facendole volare via il piccolo berretto che aveva in testa. Nonostante la sua vita, come quella di tanti altri, fosse di stenti, manteneva sempre la sua dignità e la sua eleganza.

Un volto conosciuto le si parò davanti. Fiero deciso. Indossava un abito gessato, e nonostante il freddo aveva solo una sciarpa bianca attorno al collo. Lei lo riconobbe subito, ma non osò dirgli niente. Fu lui che la fermò per un braccio:

“Giulietta!” la chiamò per nome e poi le chiese:

“Ti ricordi di me vero?”

Come poteva dimenticarlo? Era Fabio Paris, il datore di lavoro di Sabrina. Annuì. E lui proseguì:

“Possiamo passeggiare?”lei annuì lievemente, e iniziarono a camminare fianco a fianco, senza sfiorarsi.

“so di non esserti mai andato molto a genio, però vorrei lo stesso che tu mi dessi la possibilità di conoscermi meglio

“non ne vedo il bisogno signor Paris

“Ti prego non chiamarmi signor Paris, è così freddo e distante” parlava guardandola negli occhi. Era sincero e aggiunse “posso fare qualcosa per aiutarti?”

“no davvero. La ringrazio infinitamente”

“Vedi continui a farlo!”

“Cosa?” chiese lei

“Continui a rifiutarmi, io voglio solo aiutarti, ho saputo che i tuoi genitori non stanno bene, e io vorrei sapere se posso fare qualcosa per loro”

“chi le ha detto tutte queste cose?”

“Sabrina! Che cara quella ragazza! Le ho detto io di dirmi se c’era qualcosa che non andava

Giulietta rimase colpita dalle sue parole. Lui voleva davvero aiutarla? Ma era orgogliosa e non voleva certo il suo aiuto. Lo aveva sentito molto chiaramente, un giorno non poi così distante, lui aveva detto di appoggiare le idee del Fuhrer Tedesco. Questo lei non poteva ammetterlo. E decisa come sempre le disse:

“no la ringrazio! Riesco a fare tutto senza molti problemi”

Lo lasciò solo, e lei si allontanò a passi decisi verso la sua casa. L’uomo rimase in piedi a fissarla finché la sua sagoma scomparve.

Entrò in casa. Ma ciò che vide non le rasserenò l’animo. Sua madre era ancora sdraiata nel letto. La chiamò e lei le si avvicinò:

“mamma, eccomi qui. Ho preso il pane, e ho fatto prima che ho potuto …

La donna le mise una mano sulla bocca e la fece tacere. Con un rantolo di voce le disse:

“siediti qui, accanto a me” il suo volto era pallido come un cencio

Giulietta obbedì tremante. Era come se nell’anima avvertisse delle vibrazioni malinconiche e senza saperne il motivo piccole lacrime cristalline iniziarono a sgorgarle dagli occhi, incessanti:

“mio tesoro, sei stata la gioia della mia vita, senza di te tutto sarebbe stato più difficile. Dimmi come avrei potuto affrontare la guerra? La partenza di tuo padre tutto da sola? Il Signore invece ha dimostrato grande misericordia per una vecchia come me, e mi ha mandato il mio angelo. Questo angelo sei tu figlia mia. E quello che voglio dirti, è se cadi, ricordati che puoi sempre rialzarti, non farti abbattere dalle angherie della vita, va avanti per la tua strada, non lottare contro il vento, danza nel vento e sii felice bambina mia, e portami nel tuo cuore, cerca sempre di lasciare un piccolo spazio per me!” le strinse le mani fortemente e poi mollò la presa. Giulietta sentì la mano di sua madre perdere vitalità. Le ci volle qualche istante prima di riuscire a capire cosa stesse succedendo. Delicatamente posò una mano sul volto della mamma, e la chiamò:

“Mamma …”

Silenzio.

Provò a scuoterla con veemenza.

Nulla. Ormai la donna aveva perso ogni anelito di vita. Ed allora. Solo in quel momento dalla gola della giovane uscì un urlo secco, e poi un pianto accorato. Era come se una lama profonda le avesse trafitto il cuore. Senza rendersi conto dei suoi gesti, carezzava il volto della madre dandole lievi baci ovunque. Tutto attorno a lei taceva.

Era sola.

Tremendamente sola, come non lo era mai stata in vita sua. La porta si spalancò di colpo. Era Sabrina, e lei teneva ancora fra le sue una mano della madre, che era ancora calda. Non ci furono domande. La giovane capì all’istante cosa fosse accaduto. Si accasciò sulla cugina e la strinse forte al cuore. Poté vedere nei suoi occhi scuri lo smarrimento totale, ed in quel silenzio doloroso le disse:

“ci sono io con te”.

Il vento fuori pareva voler spazzare via tutto. Danzava sulla città imperversando ovunque.

Lenti e tristi, colmi di lacrime passarono quei giorni difficili per Giulietta.

Seduta nella piccola cucina della sua povera casa, piangeva. Il fuoco non scoppiettava e nessuna pentola ribolliva in cucina. Tutto era fermo, anche se apparentemente nulla era cambiato. Tutto era uguale a sempre, avvolto in un silenzio assordante. Udì bussare alla porta, non si alzò per andare ad aprire e questa si aprì da sola. Apparve il piccolo Alessandro, che corse verso di lei con le braccia larghe e gridando:

“Zia! Zia, il tuo Ale è qui”

Giulietta lo prese sulle sue ginocchia e iniziò a carezzargli i capelli biondi. Sabrina era poco distante che osservava la scena. Le parve di vedere una vecchia con un bambino. Si spaventò di quella scena e disse:

“Giulietta, vai a prenderti la roba, vieni a dormire da me

La cugina alzò lo sguardo senza capire, poi farfugliò qualcosa di incomprensibile, ma Sabrina incalzò:

“la mia non è una domanda, è un ordine. Da stasera non resterai più qui da sola”

Poi dolcemente si accovacciò di fronte  a lei e aggiunse dolcemente: “So che per te è un momento difficile. Ma devi reagire …”

“Per chi dovrei reagire? Sono sola” rispose piatta

“Fallo per me, per Alessandro, e poi lo devi fare per te stessa. Tu sei giovane, hai tutta la vita davanti

“Vita? Che vita mi aspetta? Sai dirmelo? C’è la guerra, e mi chiedo finirà? Proprio non lo so, mi pare che tutto questo sia un incubo interminabile

“No Giulietta, tutto questo passerà prima che tu te ne accorga”.

La baciò sulla fronte e l’aiutò ad alzarsi. Alessandro giocava in un angolo con un piccolo pezzo di stoffa colorata che aveva trovato. E lentamente Giulietta si trascinò nella sua stanza, aprì il cassetto e tirò fuori le sue poche cose. Non aveva nulla di valore, solo pochi abiti e una catenina d’oro di sua madre. Poi alzò lo sguardo e sopra il comò vide una camelia. Una camelia finta. La guardò ed il suo cuore ebbe un palpito e poi tanta pace. I ricordi le invasero la mente. E velocemente tornò a Federico, al momento in cui lui le aveva donato quel fiore. Se lo appuntò sui capelli. Sullo specchiò lasciò incastrata una foto che ritraeva lei e Federico. Pareva vecchia, ed invece era stata scattata pochi mesi prima, quando tutto era diverso. Quando tutto era ancora felice, e le cose tristi non erano che labili bazzecole.

 

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Capitolo 6
*** 5 ***


. Ma venne interrotto bruscamente.

“Giulietta, un signore ti cerca!”

Si voltarono entrambi di scatto. E Giulietta calma rispose:

“vengo subito” si passò una mano fra i capelli, e fermando meglio la sua camelia uscì dallo stanzino.

Vide Fabio Paris e non riuscì a trattenersi:

“che ci fa qui?”

“Mi sembra ovvio, ti cercavo.”

Giulietta non si stupì della risposta, e chiese:

“Posso saperne la ragione?”

“Per favore, non fare finta di non saperlo, era per vederti”

“Da quando siamo entrati in confidenza tanto da darci del tu?”

“lo so, che forse sto esagerando ma ti prego, concedimi una sola opportunità” mormorò incurante degli occhi che lo fissavano. Ma Federico, stanco di fare da spettatore si intromise:

“Mi pare che la signorina sia stata chiara, non vuole darle confidenza” la sua voce era come sempre armoniosa e forse anche un poco irridente

“E lei chi sarebbe?” chiese invece Paris

“Federico Sepùlveda, e ribadisco, lasci in pace Giulietta”

I due uomini si stavano fissando negli occhi, l’altezza era la stessa, e anche la corporatura era pressoché simile, ma i loro volti, i loro sguardi erano totalmente diversi.

Lineamenti dolci e grandi occhi neri, appartenevano a Federico, mentre occhi verdi e volto marcato distinguevano Fabio Paris. Fu proprio quest’ultimo con tono irridente a chiedere:

“e tu chi saresti, il suo avvocato?”

“No, spero di poter valere molto di più di un avvocato per lei”

Fabio Paris rimase senza parole, non seppe cosa rispondere, Federico prese la giacca, la pose sulle spalle di Giulietta e la sospinse fino all’uscita , lasciandolo solo uscirono.

 Federico prese la mano della giovane che tremava e le chiese:

“Perché tremi? Quell’uomo ti da tanto fastidio?”

Ma lei non rispose allora lui chiese:

“Sei preoccupata perché ha visto che eravamo insieme? Se è questo che ti preoccupa, torno indietro e chiarisco tutto” ma lei ancora non disse nulla e lui allora la pregò:

“Ti prego dimmi qualcosa, non lasciarmi sulle spine, non mi piace vederti così …”

Ma Giulietta non poteva rispondere. Non poteva dirgli che tremava per la gioia. La gioia di aver ricevuto un dono da lui. e poi le parole che le aveva detto le erano entrate dritte nel cuore e nella mente. Ormai era certa che lo amava con tutta se stessa. Ma non voleva assolutamente che lui scoprisse i suoi sentimenti. Solo dopo alcuni istanti disse:

“Non preoccuparti, è solo che ho un po’ di freddo”

Lui la guardò dritto negli occhi e senza proferire parola l’abbracciò. Se la tenne stretta al petto come se fosse la cosa più preziosa e importante del mondo. Con lei provava emozioni mai provate, e un semplice abbraccio era in grado di provocargli brividi mai sentiti prima, e in quel momento non gli importava più di nulla. Fu un abbraccio dolce e intenso.

Le luci della sera erano accese, e tutto era illuminato e vivo. La musica si diffondeva nell’aria. Musica allegra che invitava a ballare. E così facevano i giovani del posto. Era la festa della Madonna e tutta le gente era per le strade intenta a festeggiare, persino il prete con il suo abito lungo e nero, aveva lasciato la chiesa aperta per chi volesse pregare ancora un po’, era in giro per le strade ad assaporare le risate che si alzavano verso il cielo. Sabrina passeggiava con il piccolo Alessandro e Gabriele. Lentamente assaporavano il dolce sapore della sera che calava dolcemente, mentre mille odori di cibi diversi fra loro si mescolavano, mentre un gruppo di uomini ormai ubriachi, continuavano a bere in allegria. Giulietta era seduta su una sedia vicino ad una pista da ballo improvvisata. Indossava un abito rosa confetto, che le stringeva in vita e si allargava nei fianchi, facendo risaltare la sua figura snella. Le braccia erano coperte da un lembo di stoffa rosa. Fra i capelli la camelia che aveva ricevuto pochi giorni prima, spiccava dando al volto una luce nuova, chiara e fresca.

Dietro di se udì la voce di uomo conosciuto. Non si voltò per paura di essere vista, ma poté udire chiaramente le sue parole:

“la guerra sta arrivando anche qui, e io ho già deciso da che parte stare, dillo pure al tuo generale, che io servirò fedelmente la  Germania, così avremo una razza pura” poi quella stessa voce smise di parlare. Solo allora Giulietta si voltò di scatto. Quelle parole erano davvero dure, e i suoi incrociarono per un attimo quelli di Fabio Paris. Lui la vide. Si accostò a lei e chiese:

“eravate qui da molto?”

“non vedo cosa vi importi”

“La prego mi risponda io devo sapere …” implorò lui

“Sono qui da abbastanza tempo per aver udito le sue parole terribili”

Lui la guardò e senza esitare:

“Non sempre tutto quello che viene sentito o visto corrisponde a verità”

Detto ciò l’uomo disparve nel buio senza dare spiegazioni e lasciando attorno a se un alone di mistero.

La giovane non ebbe il tempo di pensare ulteriormente a quell’uomo che vide arrivare lui. colui che era in grado di dissipare tutti i suoi pensieri più tristi.

Federico Sepùlveda.

Con il  volto contratto, Ma limpido, si avvicinò a Giulietta. Lei le sorrise e lui le chiese di ballare. La musica ripartì, e senza che lei le rispondesse iniziò a farla volteggiare sulla pista da ballo. La teneva stretta a se e inspirava il suo profumo, e i suoi occhi godevano della sua giovane bellezza. Quando smisero di ballare lui la prese sottobraccio e iniziarono a passeggiare. Si imbatterono in un fotografo:

“Una foto per una lira” disse l’uomo

Federico non batté ciglio, dalla tasca dei pantaloni estrasse la moneta e la diede all’uomo.

Strinse Giulietta ai fianchi. La vide sorridere e sorrise anche lui. mentre la foto veniva scattata, una folata di vento scompigliò i capelli della giovane. E la macchina fotografica li fermò così. Felici, sorridenti e bellissimi.

Si allontanarono con quella foto fra le mani, e mentre Giulietta la guardava disse:

“mi piacerebbe essere come la macchina fotografica e fermare il tempo”

“Perché?” gli chiese lui

“Perché qui siamo sorridenti, e soprattutto perché sono al tuo fianco …”

Giulietta aveva deciso di aprire il suo cuore. Ma lui la fermò.

“non aggiungere altro …” la pregò lui con gli occhi imploranti

“Ma io …” replicò

Lui non volle sentire ulteriori parole. Si chinò su di lei, e le baciò le labbra. Dolcemente e intensamente allo stesso tempo. Sentì il cuore scoppiargli, perché in quel momento capì tutto l’amore che Giulietta provava per lui. un amore profondo e sconfinato. Lei fioriva in quel bacio, mentre lui moriva un poco. Si staccò da lei, e la vide rossa in volto. Un rossore di felicità assoluta. L’aveva ancora tra le braccia, quando la sua mente ebbe un lapsus. Infilò una mano in tasca e tastò la lettera che gli era arrivata qualche ora prima. E cercando di riprendere il controllo di se stesso disse:

“Scusami Giulietta, ti chiedo di perdonarmi, io, non volevo assolutamente che accadesse tutto ciò, io volevo salutarti perché devo partire, devo tornare in Argentina”

La giovane sbiancò. Sentì arrivargli una coltellata al cuore, non era questo che aveva sognato, provò a dire qualcosa ma non vi riuscì. Il suo cuore era avvolto dal dolore, un dolore che la stava invadendo ogni secondo di più, era come se fosse stata morsa dal veleno di un serpente e lentamente questo entrasse in circolo. Dai suoi grandi occhi neri scesero due lacrime cristalline. Federico gli carezzò le gote per asciugargliele, ma lei si ritrasse. E con foga chiese:

“perché l’hai fatto? Dimmi solo perché!”

Perché ti ho amato dal primo momento che ti ho vista, perché vorrei portarti via con me, perché avrei voluto conoscerti prima, o in un altro momento, perché vorrei che tu non mi dimenticassi mai e mi portassi sempre con te, nel tuo cuore.

Ma al posto di dire tutto quello che il suo cuore dettava le disse semplicemente la versione che la sua mente aveva già elaborato:

“è stato un semplice impulso, sei una ragazza carina,e non ho saputo resistere”

Quelle parole la uccisero.

Alzò in aria una mano e la stampò sul volto di Federico con fermezza. E con rabbia, gli disse:

“avrei preferito sentirti dire altre mille cose, ma questo proprio no!”

Girò su se stessa e se ne andò lasciando la scia della sua acqua di colonia. Mentre camminava illuminata da uno spicchio di luna, i suoi occhi versavano tristi lacrime. Lacrime di un cuore infranto. aveva sperato. Amato e sognato che lui l’amasse, ma ora tutte le sue speranze, i suoi sogni non furono che lacrime cristalline che lavavano le illusioni del suo cuore e della sua anima, lasciandola sola con tutto il suo dolore.

Federico si lasciò cadere su una panchina poco distante. Distrutto. Non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere. Cosa gli era saltato in mente? Baciare Giulietta? Avrebbe dovuto saperlo che lei avrebbe finito con l’odiarlo, e questo fu per lui ancor più doloroso. Non avrebbe mai voluto che lei lo odiasse. Ma la lettera che gli aveva mandato suo padre dall’Argentina parlava chiaro: doveva rimpatriare immediatamente. E in tutto questo non poteva far rientrare lei. Il viaggio era lungo, la distanza immensa. E poi la guerra. Quando ebbe la forza di rialzarsi per raggiungere la sua casa, si disse che se solo il destino lo avesse voluto si sarebbero forse rincontrati.

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


 

 

 

 

 

 

Il viaggio era stato lungo e stancante. Più di quaranta giorni per mare, senza mai poter vedere terra all’orizzonte. Federico si ritrovò di fronte la casa del padre. Le strade erano deserte. era appena giunta l’alba, e il vento spadroneggiava per le strade di Buenos Aires. Fece pochi gradini e si ritrovò di fronte l’immenso portone. Sbatté la grande maniglia posta al centro. Pochi istanti di attesa e un giovane maggiordomo accorse ad aprirgli la porta e ossequiosamente gli disse:

“Buon giorno, signorino, suo padre la stava aspettando

Il ragazzo abbandonò il piccolo borsone di tela sul pavimento e a passo deciso raggiunse lo studio di suo padre. Prima di arrivarvi dovette attraversare un atrio immenso, un enorme tappeto, importato dall’oriente era steso sul pavimento, mentre su di esso fermo e immobile vi era un lampadario con mille pezzi di cristallo che scendevano, formavano quasi una pioggia d’arcobaleno grazie alla luce del sole che filtrava dalle enormi tende che coprivano le finestre. Bussò lievemente, non attese risposta ed entrò. Vide suo padre. Un uomo dai capelli ancora folti e neri. Lunghi baffi coprivano il labbro superiore, ma aveva gli stessi occhi del figlio. Alto e imponente. Ben vestito. Andò incontro al figlio e lo abbracciò e gli disse:

“Che bello vederti tornare a casa”

Federico non rispose, e quando l’uomo ebbe finito di stringerlo lui aprì la lettera che stringeva tra le mani e duramente chiese:

“Voglio sapere cosa significa questa lettera che mi hai mandato

Il padre si accomodò nuovamente sulla sua immensa poltrona. E iniziò a spiegare:

“sei l’unico figlio che ho, e non voglio certo rischiare di perderti in questa stupida guerra che ha voluto la Germania, l’Italia è divenuto un posto troppo pericoloso dove perdere tempo. E siccome il nostro ministro sta reclutando alcuni giovani valorosi da arruolare in questa guerra, non voglio certo che tu sia richiamato, e se tu sei in patria posso agire molto più facilmente”

“papà ti ho già detto che io non voglio avere favori da parte tua, voglio vivere la mia vita senza troppi problemi, devi smetterla di trattarmi come un bambino, ormai sono cresciuto e pretendo rispetto da te!”

“ma io ti rispetto, infatti ti ho fatto andare in Italia per divertirti, ma ora è tempo che tu inizi a pensare alle cose serie”

“E quali sarebbero queste cose? Scappare da tutto?”

“Figliolo, io non voglio farti scappare, voglio solo proteggerti da una guerra assurda, e come ti ho appena detto, rimanendo lontano da casa avresti corso rischi troppo alti …”

Cosa stai cercando di dirmi?”

“Sto solo cercando di dirti che voglio che tu sparisca un po’ dalla circolazione, il figlio di un ministro non può non dare l’esempio, se tu rimanessi esposto alla vita pubblica, dovresti essere fra i primi a partire in battaglia, e io non voglio. Purtroppo la Germania ultimamente ci sta chiedendo molto più di prima, non vuole più solo il nostro argento o le nostre armi, ma inizia a richiedere soldati. E noi come buoni alleati glieli forniremo

“Tu sei pazzo, io non servirò mai la Germania e la sua follia!” tuonò Federico

“A noi non interessa la sua idea politica, o la sua guerra, a noi interessano i suoi soldi”

“Mi stai dicendo che per soldi stai vendendo migliaia di vite umane?”

“Vedi Federico, la politica è una cosa complessa, le persone sono numeri, e se noi ci interessassimo del singolo caso, non saremmo qui … ormai sei un uomo e dovresti iniziare a capire

Il giovane batté i pugni sulla maestosa scrivania e disse:

“Io non capisco,e non voglio capire! Mi rifiuto di capirti”

“Visto non sei altro che un ragazzino viziato, che vuole giocare a fare il ribelle” si lisciò i baffi neri e poi aggiunse:

“Ora va a lavarti, hai ancora addosso la puzza del viaggio”

Federico abbassò i suoi grandi occhi neri che presero a fissare un enorme tappeto persiano. Ferito nell’orgoglio e in silenzio uscì da quella stanza. Iniziò a percorrere le immense scale che portavano al piano superiore. Fece un caldo bagno ristoratore, e solo allora sentì tutto il peso del viaggio. Si lanciò sul letto e la stanchezza del corpo e dell’anima presero il sopravvento su di esso.

Si svegliò che era già tardo pomeriggio. Un cameriere bussò e gli riferì che era già pronta la cena. Si cambiò velocemente, e con il volto ben rasato scese di sotto. Nel salotto, seduta su una poltrona  dai manici dorati, vide una donna dai lunghi capelli color miele, raccolti in una crocchia semplice. Il ragazzo fece le scale di corsa e lanciandogli le mani al collo gridò:

“Mamma”

La strinse forte a se,e la donna felice ricambiava quella stretta riempiendo il volto del figlio di caldi baci.

Federico la fece sedere sulla poltrona dove stava poco prima, e lui le si inginocchiò ai piedi. Le teneva le mani e la guardava con adorazione. Non aveva dimenticato neppure il più piccolo lineamento di quella donna. Le era mancata tremendamente quando era lontano da lei, ma ora tutto era passato perché poteva stringerla. Gli occhi della madre scintillavano di felicità nel vederlo, e lentamente con dolcezza carezzava in capelli neri del figlio. Ci mise un secondo a capire che negli occhi del ragazzo c’era un velo di tristezza.             

“Sono felice di essere di nuovo tra le tue braccia mamma”mormorò il giovane e la donna disse:

Ma?”

“come fai a sapere che esiste un ma?”

“Sono la tua mamma! Dovresti saperlo, noi mamme sappiamo sempre tutto. Dimmi cos’hai lasciato in Italia?”

Non sapeva come, ma sua madre era riuscita a fargli, come sempre, la domanda giusta, e lui aveva proprio bisogno di spassionarsi il cuore e disse:

“Ho lasciato qualcosa di meraviglioso! Oh mamma se solo tu la vedessi, capiresti perché l’amo così tanto. Ma questo amore che porto nel cuore mi fa terribilmente soffrire. Non ho mai sofferto così”

“Come fa lei a non accorgersi di te? Se così fosse, non ti merita, non è degna di te!

“Non dire così, lei mi ama, ne sono certo, gliel’ho letto negli occhi

“e dov’è il problema se vi amate?”

“Io non le ho detto di quello che provo per lei, e per come ci siamo lasciati, immagino che lei mi odi con tutte le sue forze …

“no tesoro mio! Questo non potrà succedere mai, se solo ti ama un briciolo di quanto ti amo io, se solo conosce di te una millesima parte di quello che conosco io di te, non potrà mai scordarti”

“E come faccio io a sopravvivere? Come faccio se papà mi costringe a stare qua?

“Amore mio, non è ribellandoti che otterrai qualcosa, con le buone si ottengono sempre i risultati migliori, ricordalo sempre!”

Cosa vorresti dirmi?”

“Niente di importante tesoro mio. Lo sai che non voglio dirti cosa devi fare, la tua strada devi sceglierla da solo … però sai anche come è fatto tuo padre, finché punterai i piedi non otterrai niente da lui”

“Credo che non mi voglia bene, che mi reputi una sventura

“Non dire questo, sai benissimo che non è vero, è fatto a modo suo, ma ti vuole bene, come ne vuole a me

Il giovane si levò un poco e baciò la madre con affetto profondo. Con amore puro. Come faceva da bambino.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Colgo l’occasione di ringraziare tutti voi che mi seguite, il vostro affetto mi riempie di gioia, spero con tutto il cuore che vi stiate affezionando ai miei personaggi, perché io li amo follemente.

Grazie a Giulina, le tue parole sono sempre meravigliose, e sono immensamente felice che la mia storia ti sia entrata nel cuore. È quello che più desidero fare ogni volta che scrivo una parola.

Grazie a Flori186, i tuoi complimenti mi riempiono sempre di gioia, e non immagini quanto tutto questo sia per me straordinariamente bello!

Grazie a Serena1989, i tuoi giudizi puntigliosi mi aiutano a migliorare (almeno spero) io ce la metto tutta! E i tuoi consigli mi aiutano a scrivere sempre meglio!

Grazie a Sweet_Uke, che bello leggere con che entusiasmo segui le mie storie … per me è davvero importante!

Grazie a Lights, per il suo sostegno incondizionato! Ora per te inizierà il nulla! Ahaha non saprai più in anticipo cosa succederà, e soprattutto grazie per i meravigliosi Banner che mi fornisci!!

Un bacio Rospina!

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Capitolo 8
*** 8 ***


 

 

 

La pioggia cadeva battente su Roma e Giulietta teneva per mano il piccolo Alessandro. Era andata a riprenderlo all’asilo, e lentamente si dirigeva verso la casa di Sabrina. Il suo volto era pallido e smagrito, lo sguardo triste, e fu in quel momento che il piccolo chiese:

“Zia perché sei triste?”

Lei lo guardò . quei grandi occhi azzurri e limpidi sapevano leggerle l’anima e di fronte a quella richiesta non seppe cosa rispondere. Si chinò sul bambino, lo prese in braccio e se lo strinse al petto, e dopo averlo riempito di baci gli sussurrò:

“Finché avrò te, non sarò mai triste, tutto parrà nulla con te vicino, stammi accanto e avrò sempre la forza di andare avanti sorridendo” Alessandro non capì il significato di quelle parole, ma strinse ancor più la presa, e così mentre la pioggia cadeva su di  loro, si perse nei suoi pensieri grevi. Il recente passato le era di fronte. La partenza di suo padre per il fronte; poi la morte di sua madre. Quanto dolore per quel giovane cuore. Dolori che si erano sovrapposti l’un l’altro. Suo padre era da un po’ di tempo che non mandava notizie, ed era in pena. L’ultima lettera che le era giunta era straziante per lei. Poche righe malferme, avevano trasmesso tutto il suo dolore, la sua pena e la sua angoscia per la morte della moglie. Nulla di più. Solo questo diceva alla sua Giulietta, diceva che l’amava sopra ogni altra cosa. Una piccola firma e la missiva si chiudeva. Aveva imparato tardi a leggere e scrivere, e lo faceva stentatamente, ogni volta che udiva sua figlia parlare addirittura due lingue era per lui motivo di grande orgoglio. A Giulietta pareva che fosse passato un tempo infinito da allora.

Sabrina era seduta alla sua scrivania intenta a battere sulla macchina da scrivere. Fabio Paris entrò senza salutare alcuno. Aveva tra le mani una cartelletta colorata. Entrò nel suo ufficio e sbatté la porta. dopo pochi istanti uscì e chiamò:

“Paso”

Lei si alzò e senza battere ciglio lo raggiunse nel suo ufficio. Rimase in piedi di fronte a lui. lui sollevò il suo sguardo gelido, e le chiese di sedersi. In quel momento Sabrina si accorse che gli occhi dell’uomo si erano addolciti, e con voce morbida chiese:

“Sabrina, la prego mi dia notizie di Giulietta, ho provato a fermarla un po’ di tempo fa ma non mi ha dato ascolto”

Lei lo guardava e non riconosceva l’uomo che le stava di fronte. Era differente da ciò che era abituata a vedere. La sua era una richiesta accorata d’aiuto. Era sempre stata restia a dare spiegazioni su Giulietta, ma stavolta in lui vi era qualcosa di diverso che lei stessa non riuscì a decifrare e rispose:

“Cosa le posso dire? Purtroppo poco tempo fa mia zia è morta ed è rimasta completamente sola. Non ha nessuno al mondo oltre che me, suo padre è partito per la guerra e Dio solo sa se tornerà! Lo credo difficile che possa accadere, ormai ogni giorno non si ricevono null’altro che tristi notizie, che non portano altro che lacrime nelle case delle giovani madri, e delle mogli … che Dio lo protegga, solo questo posso dire, ma lo dico a lei, non a Giulietta che già soffre abbastanza, si sente sola e crede di essere un peso da quando l’albergo nella quale lavorava come cameriera e venuto giù sotto le bombe del nemico.”

“ma tutto questo è davvero terribile Sabrina!” esclamò Fabio Paris levandosi in piedi e facendo il giro della scrivania, diminuendo la distanza che vi era fra lui e la segretaria. Si passò una mano fra i capelli e aggiunse “io devo, anzi voglio assolutamente aiutarla, in ogni modo”

Sabrina gli disse sinceramente:

“Non credo che lei possa fare qualcosa, mi ha parlato di lei, e so perfettamente ciò che lei ha detto a mia cugina, e purtroppo lei non credendo alle sue parole sarebbe un po’ restia ad accettare il suo aiuto”

“Ed è per questo che io ho bisogno del aiuto, io l’amo, amo davvero sua cugina, potrò sembrare un povero idiota ad esporre in questo modo i miei sentimenti, ma non mi importa, è idiota colui che rinnega l’evidenza che detta il suo cuore”

“No non sembra affatto idiota mi creda, è semplicemente un uomo innamorato, mi dica come posso aiutarla e farò il possibile” Sabrina guardava con tenerezza a Fabio Paris, e guardandolo capiva che lui avrebbe potuto rendere felice la sua amata Giulietta che era per lei come una sorella. Se solo lei avesse potuto perlomeno volergli bene, ah come sarebbe stato tutto più semplice. Ma i suoi pensieri vennero interrotti da Fabio che le disse:

“La convinca a venire qui in ufficio da me, l’assumerò come sua aiutante, finga di essere stanca, così potrò darle un lavoro e così almeno potrò alleviarle un po’ di pensieri ed essere ben voluto da lei, non chiedo che mi ami, ma che perlomeno mi veda come una buona persona. Chiedo forse troppo?”

Non era chiedere troppo, e anche Sabrina lo sapeva bene. Guardandolo in quel momento aveva potuto capire tutta l’immensità di quell’amore che nulla chiedeva, ma si donava.

Totalmente.

Pensò non poco alle parole Fabio Paris.

Quella sera tornando a casa, trovò, come sempre accadeva, il suo piccolo angelo biondo, col pigiama che l’attendeva sveglio per il bacio della buona notte; la cena era pronta sul tavolo mentre Gabriele tornava ogni sera di più tardi, il lavoro non poteva attendere. Prese Alessandro tra le braccia e lo accompagnò nel suo lettino, gli diede un bacio e lo aiutò a recitare le sue preghiere serali. Lo vide addormentarsi, e poi tornò in cucina. Seduta su una sedia, con lo sguardo perso nel vuoto, intenta a guardare fuori dalla finestra, stava Giulietta. La temperatura era cambiata. L’aria era calda, quasi afosa; Sabrina si accorse che la cugina tra le mani teneva una piccola camelia. Un fermaglio. Sedendosi di fronte a lei le disse duramente:

“sei ancora che pensi a lui?”

Giulietta sospirò ed allora continuò:

“Dovresti reagire. Dimenticarlo! In fondo lui ti ha preso in giro! È sparito senza dirti niente, e per giunta pare che lui sia tornato in Argentina per sposarsi! Ti fai solo del male se continui a rimanere legata ai ricordi, ricordi che non fanno bene ad alcuno! Io non voglio più vederti così, mi fai stare male, ti rendi conto che così non fai altro che soffrire? Per chi poi? Per uno che non ti merita”

“Forse hai ragione tu … ma non ci riesco”

“perché domani non vieni a lavorare con me? Paris, il mio capo sta cercando un’altra segretaria da affiancarmi! Oh come sarei felice se prendesse te”

“non me la sento, e poi sai cosa penso di lui”

“Anch’io lo credevo, pensavo che fosse una persona spregevole, ma conoscendolo meglio mi sono dovuta ricredere, in fondo lui è buono, solo che preferisce farsi veder duro per farsi rispettare! Ti prego Giulietta, ascoltami, dammi retta una buona volta!”.

Erano da poco arrivate nell’ufficio del vice ministro degli esteri italiano. Sabrina aveva già sistemato le sue cose, mentre Giulietta era in piedi accanto alla finestra che dava su un piccolo cortile deserto.

“Buongiorno Paso”

“Giorno a lei, signor Paris” salutò Sabrina. In quel momento la cugina si voltò e si trovò di fronte Fabio, che la guardò e le disse:

“Giulietta …”

Sabrina si alzò di scatto e spiegò:

“E’ venuta qui per quel posto di lavoro”

All’uomo gli si illuminarono gli occhi e rispose:

“Bene, allora seguimi nel mio ufficio”

Lui si sedette dietro la sua scrivania in legno scuro. Posò le mani sul piccolo portadocumenti in pelle verde. Per la prima volta si rese conto di quanto fosse spoglia. Un portapenne con alcune matite dentro e qualche foglio svolazzante.

Nulla di personale.

Anche il portaritratti in argento che aveva accanto ad una lampada era vuota. Nulla che potesse riportare a qualcosa della sua vita. Guardò lo sfondo blu del portafoto, che una volta aveva tenuto con se la sua foto con una donna che aveva amato. Amato in modo assoluto, tanto da togliergli il fiato. Un amore totale, che quando si infranse prima di convolare a nozze, chiuse il suo cuore in una scatola di gelido marmo. Nessuno era riuscito a penetrarlo.

Ma lei.

Quella giovane ragazza che aveva di fronte aveva fatto il miracolo.

Amava Giulietta con tutte le sue forze, eppure lei lo respingeva, ma poco gli importava, sentiva di amarla, e sapeva che lei, e solo lei avrebbe potuto portare calore al suo cuore ormai congelato.

Dopo alcuni attimi di silenzio dove lui si perse in mille pensieri disse:

“Giulietta, sai quanto mi rende felice vederti qui”

“sono qui solo per il lavoro” ribatté lei secca

“Lo so, ma poco importa!, sono talmente felice di vederti che non riesco a controllarmi!”

Lei rimase in silenzio. lo guardò severamente senza rispondere, allora lui:

“D’accordo, prometto che non farò mai accenno ai miei sentimenti per te. Ma ti prego, accetta questo lavoro, te lo sto offrendo, non per farti la carità. Ma perché ho sinceramente bisogno di un’aiutante qui in ufficio”

“E cosa dovrei fare?”

“Tua cugina ti insegnerà tutto, non temere”

Finalmente la ragazza le sorrise. Sapere che sarebbe rimasta fianco a fianco con Sabrina le fece alleggerire il cuore. Le diede la mano, e si alzò.

Fabio non poté fare a meno di ammirare la sua straordinaria bellezza ed eleganza di movimenti; il suo cuore patì nel vederla con lo sguardo così triste, ma egoisticamente pensò a se, e alla sua felicità, nel sapere che ora avrebbe potuto vederla ogni istante.

Giulietta era una ragazza intelligente e si diede da fare. Imparò velocemente tutto quello che le era stato insegnato, e se sbagliava non si perdeva d’animo e ricominciava da capo. I mesi erano passati velocemente, il suo cuore era più leggero. Tutto si stava finalmente appianando. Finalmente dopo tanto tempo sul suo volto faceva capolino un tenue sorriso. Ora non si sentiva più di peso per Sabrina, aveva imparato a convivere con il dolore della perdita della sua mamma. Ogni giorno restava in attesa di una notizia di suo padre, e qualche volta questa arrivava. Si era abituata anche agli spari e alle bombe. Viveva i giorni tranquillamente, eppure il suo cuore era in balia delle onde. Era triste e si lacerava ogni qual volta pensava a quel nome a lei tanto caro: Federico.

Conservava in un cassetto, fra le sue cose, una camelia rosa. E in fondo al cuore e la mente, il ricordo di quel giorno restava indelebile e immutato. Conservava tutti i suoi colori più vivi. E poi ancor quel giorno in cui per la prima volta le sue labbra avevano conosciuto il sapore di un bacio.

“Giulietta!” sentì chiamare il suo nome e si destò dai suoi pensieri. Era accanto ad uno schedario e faceva finta di cercare un documento, ma si voltò e guardando Fabio Paris gli disse:

“preferirei che mi chiamasse Paso”

“lo so –rispose lui –il fatto è che preferisco chiamarti per nome per non trarre in inganno anche tua cugina, e anche volendo non potrei mai chiamare lei per nome, è davvero troppo tempo che lavora per me, e non riuscirei a fare diversamente”

Giulietta, non seppe cosa rispondere, questa volta lui aveva ragione, e non obiettò. Giorno dopo giorno lentamente, si stava ricredendo su di lui. era davvero una persona differente da quella che aveva conosciuto tempo prima.

“vorrei parlare con il signor Paris

Un giovane ragazzo, dalla testa rasata, si era presentato in quell’ufficio una mattina. La sua carnagione era chiara, e anche i suoi occhi erano di un celeste limpido. Era giovane ed indossava una divisa. Verde. Sul capo un berretto, ed il suo italiano era stentato:

“Ha preso un appuntamento?” chiese Sabrina guardando sulla sua agenda.

“no ma sono certo che non appena gli dirà il mio nome mi farà passare”

Giulietta osservava la scena dall’altra parte della stanza. Era intenta a catalogare l’archivio di quell’anno. Aveva avuto ragione il giovane soldato. Dopo pochi istanti passò a colloquio con Paris. Mentre passava le ragazze si accorsero che sul suo braccio sinistro, sopra la giacca vi era una fascia rossa con una svastica nera.

Le due cugine si guardarono in silenzio. non ebbero neppure il coraggio di parlare. Conoscevano bene quelle divise, e ogni qual volta che ne vedevano una le loro gambe tremavano. Era un soldato nazista. Fedele ad Hitler e alla Germania. In molti negavano le atrocità che portavano nelle case e nelle famiglie degli ebrei, ma molti altri, parlavano, raccontavano storie di gente scomparsa nel nulla, con la scusa di accompagnarli in campi di lavoro, o collegi per giovani studenti non si avevano più loro notizie. Cosa accadeva una volta preso il treno nessuno lo sapeva.

 

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


 

 

 

Il giovane soldato non si fermò a lungo. E così come era arrivato era andato via. Il silenzio regnava ancora in tutto l’ufficio. Sabrina aveva smesso di battere sulla sua macchina da scrivere e Giulietta aveva ormai chiuso tutti gli schedari che doveva controllare. Attendevano entrambe che Paris le chiamasse, o perlomeno dicesse loro cosa dovevano fare. La sua voce non tardò molto ad arrivare. Chiamò Sabrina. Dolcemente le disse di tornare a casa. Anche Giulietta si preparò, ma sulla soglia della porta, pallido in volto Fabio Paris la fermò:

“Aspetta Giulietta! Ti prego, vorrei parlare un momento con te da solo”

L’uomo lesse negli occhi della ragazza la paura e il disprezzo che provava per lui. Giulietta guardò Sabrina, che tacitamente le disse di restare.

“Vorrei spiegarti come stanno le cose” disse l’uomo

“lei non mi deve spiegare proprio nulla” ribatté secca

Lui si sedette sulla sua poltrona di pelle marrone. Chinò il capo e coprì il volto con le sue mani enormi. Le sue spalle erano scosse da un leggero fremito. E così col viso coperto iniziò:

“Oh Giulietta, come vorrei poter tornare indietro nel tempo e avere il potere di cambiare le cose, i gesti, le mie parole … ma non posso. L’incoscienza e la gioventù porta a fare sbagli irrimediabili, cose della quale ti penti, ma poi è troppo tardi –alzò lo sguardo e le chiese di sedersi –ho conosciuto tanta gente che mi ha travolto con le sue idee di libertà, di purezza, perché parlavano di tutto ciò come se fosse stato ricreare un paradiso. Se solo avessi immaginato che cosa succedeva in quei campi … sono stato in quei luoghi solo una volta e mi è bastato. Mi mostravano quelle persone smagrite e sofferenti, costrette a lavorare come se fossero dei trofei. Le donne private dei loro capelli per farne cuscini per la notte … mi costringevano a sorridere, e io lo feci. Ma quando uscii da quel posto. Pregai di morire, cento volte, mille volte! Ancora oggi preferirei morire piuttosto che continuare a respirare. Per fortuna non sono più tornato in quel posto orrendo, ma ancora mi perseguitano, mi chiedono aiuto. Sostegno economico e logistico, e quel che è peggio è che non posso dire no. Sono obbligato ad ubbidire, è come se fossi un soldato senza divisa, come se avessi promesso di aiutarli senza giurare. Lo stato mi obbliga a servirli, ma non è solo questo, forse potrei ribellarmi, ma la cosa della quale mi vergogno è che anche io ho creduto nelle loro idee, ma adesso non più. La mia esistenza è divenuta uno strazio. Poi ho incontrato te; è bastato un solo sguardo, e ho capito che

forse qualcosa poteva cambiare, che forse non tutto è perduto, che se solo tu mi aiutassi, tendessi la tua mano verso di me, potrei vedere un’alba nuova, di speranza, io voglio cambiare e sono già cambiato, ma ho bisogno d’aiuto per lasciarmi tutto alle spalle. Voglio che queste brutture mi abbandonino e mi lascino un alito di speranza e di vita migliore” tacque parve che tutto gli scese sulle spalle come un macigno, Giulietta era ancora li che lo osservava in silenzio.

Finalmente aveva liberato tutto quello che si era portato dentro per tanto tempo, i suoi errori e le sue speranze disilluse. Guardò la giovane e la vide con le lacrime che le bagnavano il volto e chiese:

“Piangi per me?”

Lei non rispose, in realtà non sapeva bene per cosa stesse piangendo, sapeva solo che aveva un enorme dolore nel petto, un dolore fisico che la stava facendo soffrire, e lui con voce strozzata proseguì:

“No! Ti prego, non piangere per colpa mia! Le mie colpe sono solo mie e non voglio che tu le pianga, o versi una sola lacrima per me! Dimmi la verità, credi che io sia un essere spregevole?”

Ancora una volta Giulietta non rispose. Non sapeva cosa pensare.

Cosa dire.

Fabio Paris, era un nazista, un nazista pentito! Che desolazione, anche se questa rivelazione non l’ aveva

colta di sorpresa, perché queste cose le aveva immaginate, ma non credeva che potessero essere vere. Adesso un solo dubbio le restava: era davvero pentito? Il suo volto smagrito e pallido indicava che lo era. Non ci furono altre parole. Tutto era stato detto. Giulietta voleva carezzargli il capo, ma quel gesto rimase sospeso nell’aria. Perché non compì mai quell’atto, per quanto la sua mente gli dicesse che era giusto consolarlo, per aiutarlo a togliersi questo immenso dolore, non vi riuscì. E nel silenzio se ne andò. Lasciando Fabio Paris, completamente solo nel suo immenso strazio.

I giorni si susseguirono cupi e tristi, come le sere d’autunno che stavano arrivando. Giulietta abbandonò il suo lavoro nell’ufficio finanziario, e passava le sue giornate a cucire e badare al piccolo Alessandro.

Il rosso dei raggi del sole che stavano abbandonando il cielo penetrava dalla finestra che era ancora aperta. Sabrina era in cucina che stava rassettando, mentre Gabriele stava leggendo il giornale. Lei si voltò, gli passò accanto e gli lasciò un bacio sulla fronte, e disse:

“Ti amo amore mio, oggi più di ieri, ma meno di domani …”

Lui la guardò e le sorrise. L’amava. Come non aveva mai amato. Le guardò la mano e notò che indossava l’anello che le aveva regalato da poco, era felice del fatto che lei lo tenesse sempre con se. Gli pareva di starle accanto in ogni istante. Mentre lei si muoveva, lui rimase incantato a guardarla, come se la stesse vedendo per la prima volta. In quel momento percepì chiaramente cosa volesse dire per lui la felicità. Aveva capito che non era possedere ricchezze o potere, ma era avere accanto lei. Averla accanto e scoprire che il suo cuore batteva con il suo, averla accanto e vederla sorridere non appena i loro sguardi si incrociavano. La felicità era per Gabriele, essere sposato con Sabrina Paso e sapere che dal loro amore era nato un piccolo angelo biondo, con gli stessi occhi della mamma e il sorriso del papà.

Udirono la porta aprirsi e Sabrina disse:

“Sicuramente è Giulietta con Alessandro”

La porta si spalancò. Rumori di passi decisi che battevano sul pavimento. E poi quello di ferraglia. Si voltarono insieme i due coniugi e quello che videro non fu una zia con il proprio nipote, ma dei soldati in divisa verde, con un cappello dello stesso colore e una fascia rossa ad adornarlo. Alcune urla in una lingua sconosciuta, ma Sabrina capì repentinamente che si trattava del tedesco. Un brivido le salì lungo la schiena ed il panico si impossessò di lei. Strinse le sue labbra sottili. Cercò lo sguardo di Gabriele, che in quel momento stava urlando contro i soldati. Erano urla disperate, angoscianti, che chiedevano pietà, ma tutto pareva che rimanesse sospeso nell’aria, era come se non udissero nessuno, perché con violenza li strattonavano senza alcun ritegno, Gabriele ormai allo stremo disse:

“Vi prego, lasciate stare Sabrina, prendete me, ma lei, lei no!”  un calcio in mezzo alle gambe ed uno sputo in faccia fu la risposta che gli diedero, mentre gli altri risero. Presero Sabrina con violenza, il suo giovane corpo veniva strattonato dai soldati e deriso. Uno di loro le accarezzò il viso maliziosamente e lei iniziò a versare lacrime, era impaurita, ma subito si fermò e in un italiano stentato le disse:

“Non ti toccherei mai, sei una sporca ebrea” e sorrise.

Li trascinarono giù per le scale e fu in quel momento che incrociarono Giulietta, che teneva in braccio il piccolo Alessandro, che non appena vide la mamma la chiamò:

“Mamma … mamma …” in un attimo intuì che qualcosa di brutto stava accadendo e iniziò a piangere in maniera convulsa e con forza si dimenava per allontanarsi dal collo di Giulietta. Ma la voce calda e soave di Sabrina lo raggiunse e lo implorava tra le lacrime calde:

“Amore, smettila di chiamarmi mamma, io sono zia, lo sai che la mamma poi ci rimane male” i giovani soldati per un momento mollarono la presa e la giovane madre che stava tentando il tutto per tutto per salvare il suo bambino riuscì a sfiorargli le labbra per l’ultima volta. Stava sacrificando se stessa per lui, e bisbigliò alla cugina:

“fa come fosse tuo figlio, non permettere che nessuno lo porti via, io posso morire ma lui no!” con un gesto veloce riuscì a sfilarsi l’anello che teneva al dito.

L’ultimo regalo di Gabriele.

Lo fece cadere a terra senza che nessuno se ne avvedesse. Solo Giulietta non aveva perso neppure un secondo dei suoi movimenti. Parve un’eternità ma il tutto accadde in un soffio di vento. Giulietta si chinò a prendere quel piccolo anello e poi strinse ancor più Alessandro a se. Lui piangeva e chiamava:

“MAMMA”

Quel piccolo nome che racchiudeva l’amore perfetto, era l’unica parola che Alessandro sapeva dire bene, e mai come in quel momento quella parola acquistava profondità.

Giulietta percorse le scale velocemente, quando salì trovò la porta di casa spalancata. Udì voci sconosciute. Non poté entrare in quella casa. Sconvolta scese di corsa. Iniziò a girare per città. Anche Alessandro aveva smesso di piangere e si era addormentato fra le sue braccia ormai sfinito. Non sapeva dove andare. Era completamente sola. Sua madre era morta. Suo padre in chissà quale angolo di mondo a combattere. Fra i capelli aveva la camelia rosa e pensò che non vi era neppure lui. Federico era dall’altra parte del mondo a vivere la sua vita. Ed ora il suo unico e grande sostegno non c’era più.

Sabrina era stata portata via.

I soldati l’aveva presa credendola una ebrea, e lei non aveva potuto fare nulla per aiutarla. Era una nullità. Non aveva neppure lottato per salvare sua cugina. Non una sola parola. Iniziò a piangere silenziosamente.

La pioggia iniziò a cadere incessante su Roma. Le strade si erano infangate, e lei cadde a terra. Le lacrime non avevano smesso di cadere e le braccia non smettevano di stringere al suo cuore il piccolo. Così in ginocchio si accorse che era arrivata la notte. E lei era li. In quella strada dove i pochi passanti la guardavano con aria sprezzante. Una donna con dei bambini si fermò un attimo a guardarla, e alla richiesta del figlio:

“Mamma aiutiamola!” lei rispose

“Come facciamo! Quello che abbiamo non basta neppure per noi, mi spiace, ma non possiamo fare nulla, e ora corri verso casa”. Forse Giulietta li udì ma non lo diede a vedere. Si sentiva morta. Inutile. E così rimase per un tempo indefinito.

Uscì fuori. Indossava una camicia bianca e teneva i pantaloni con le bretelle . Fabio Paris vide Giulietta inzuppata, con la pioggia che continuava a caderle sui lunghi capelli neri. Prese il piccolo Alessandro dalle sue braccia e se lo strinse al petto. Anche i boccoli biondi del bambino erano bagnati. Tese una mano a Giulietta e l’aiutò a rialzarsi. La pioggia cadeva su tutti e tre, ma Fabio pareva non accorgersene. E senza dire nulla l’accompagnò dentro casa. Gli occhi di Giulietta furono colmi di disperazione e gratitudine, ma le sue labbra rimasero serrate. Non ci furono parole, i silenzi erano già abbastanza rumorosi.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Per problemi tecnici, ho dovuto cambiare l’immagine di Fabio Paris, e dato che questo attore impersonava a pennello la situazione l’ho assunto!! ^____^

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Capitolo 10
*** 10 ***


La mattina seguente Giulietta si svegliò di soprassalto, si mise seduta sul letto e si guardò attorno spaesata, non ricordava dove fosse. Sentì scorrerle addosso le fresche lenzuola di seta avorio, rimase a fissare per qualche istante. Non ne aveva mai viste prima d’ora. Accanto a lei dormiente vi era Alessandro,e si ricordò di quanto accadde il giorno prima. Udì bussare. Si voltò e notò che una grande porta candida era proprio al suo fianco disse:

“Avanti” una giovane ragazza entrò e chinando la testa chiese sommessamente:

“Il signore vuole sapere se ha bisogno di qualcosa, e se desidera la colazione in camera”

“No, grazie, verrò io non appena si sveglia Alessandro” rispose con dolcezza. Le sembrava così strano dover parlare ad una cameriera, fino a poco tempo prima, la parti erano inverse.

Il piccolo si svegliò presto. Non sorrise quella mattina, ma si fece lavare e vestire senza storie,e silenziosamente si diressero verso la sala da pranzo.

Fabio era li. Stava leggendo un giornale. Le gambe accavallate sfioravano appena il tavolo ovale di legno chiaro e lucido. Dietro di lui il fuoco acceso scoppiettava emanando calore in tutta la stanza. Come vide apparire la ragazza lasciò tutto sul tavolo che era già apparecchiato per tre, e la raggiunse. Le strinse le mani e guardandola dolcemente le disse:

“Buongiorno Giulietta. Vi stavo aspettando” e poi guardando il bimbo lo prese in braccio e lo sollevò in aria e con voce più gioiosa aggiunse: “E tu piccolo birbante hai dormito bene con la zia?”

Il piccolo gli sorrise, ma un velo di tristezza copriva i suoi occhioni azzurri.

Sul tavolo vi era già della spremuta d’arancia con pane tostato,burro e marmellata. La ragazza allungò una mano verso il pane dorato e affondò i denti. Subito lui chiese:

“se preferisci qualcos’altro non hai che da chiedere”

“Ti ringrazio, ma hai già fatto abbastanza, non preoccuparti più tardi vado via”

Lui balzò sulla sedia. Come se avesse preso la scossa elettrica e si affrettò:

“No, per favore, non dirlo, tu non mi disturbi per niente, anzi mi fa piacere vederti qui, e poi tu non dai alcun fastidio, anzi … e poi non permetterò mai che tu vada via, te lo assicuro!”

“Signor Paris davvero la ringrazio ma non posso accettare”

“Non chiamarmi Paris, ma semplicemente Fabio …” guardò Alessandro e lo vide intento ad ascoltare e gli chiese:

“Alessandro, di un po’ allo zio Fabio, ti piace l’aranciata?”

“No!”

“No? Davvero? Allora dimmi un po’ cosa vuoi da mangiare?”

“La mamma mi preparava sempre il latte con il cioccolato”

L’uomo si alzò, scomparve alcuni istanti e poco dopo giunse una giovane cameriera con una tazza di latte al cioccolato. Come Alessandro la vide finalmente si aprì in un sorriso, e sottovoce Fabio disse a Giulietta:

“Più tardi, continuiamo il nostro discorso”. La ragazza accettò con labile sorriso.

Più tardi si ritrovò in un salotto, dove ardeva un altro caminetto, sopra di esso non vi erano soprammobili, ma attaccate alle pareti accanto vi erano quadri che ritraevano colline fiorite e case in lontananza. Il colore rosso la faceva da padrone, che anche le sedie e i divani erano rivestiti di stoffa di quello stesso colore. Giulietta era seduta, le gambe immobili una accanto all’altra e gli occhi fissi sul pavimento. Fabio PAris entrò silenziosamente, e solo quando la raggiunse le disse:

“Visto che Alessandro è tranquillo nella stanza che riposa è arrivato il momento di riprendere il nostro discorso, che te ne pare?”

Giulietta scosse la testa e pregò:

“No guardi, io vorrei solo poter andare via!”

“E dove andresti?”

Non ricevette risposta, e lui incalzò:

“Giulietta ti prego, permettimi di aiutarti, so che non hai più nessuno, e io non potrei sopportare che tu debba finire in mezzo alla strada con un bambino alla quale badare … non potrei più guardarmi allo specchio se sapessi aver permesso una cosa simile!” le prese le mani e se le portò alle labbra “cara dolce Giulietta … accetta ciò che ti offro”

“Non posso accettare, davvero, io non avrei nulla da offrire in cambio! Cosa posso darle?”

“io non ti chiedo nulla, solo un po’ d’affetto per questo povero uomo”

“io non merito tanta bontà!” disse lei con le lacrime agli occhi

“Oh lascialo dire a me, cosa meriti, tu non sei un buon giudice per te stessa, ma potresti esserlo per me”

Come poteva lui darle tanto? E soprattutto la sua domanda fu: come posso rifiutarlo? Lui le stava offrendo di poter concedere ad Alessandro un tetto sulla testa e un pasto caldo, se fosse stato solo per lei avrebbe rifiutato, non poteva permettere che qualcuno si caricasse di un peso simile, ma Alessandro era il suo punto debole, era il suo cuore, era la sua vita. Non rispose, permise alle lacrime di scendere e solcare il suo volto pallido e smunto segnato dal dolore. In quel momento Fabio non resistette e l’abbraccio e implorò:

“Non piangere Giulietta, non piangere, ti imploro di non farlo, se tu piangi mi sento morire, vorrei solo poter donare un sorriso al tuo magnifico volto … come ben sai ho perso la speranza di essere una persona migliore da un po’ , ma io chiedo a te la possibilità di rimediare, aiutami, aiutami! Dimmi cosa posso fare”

Dalla bocca della ragazza uscì un solo nome:

“Sabrina …”

“Certo, che stupido sono stato, farò il possibile per scoprire dove si trova! Grazie alle mie conoscenze la troveremo, non preoccuparti e non piangere! Non piangere” le asciugò le lacrime agli occhi e lei disse:

“Dimmi cosa posso fare per ripagarti!”

“Stai qui! In questa casa! Diventa la regina della mia casa”

Al suono di quelle parole Giulietta si ritrasse e si irrigidì:

“No! Non fraintendere le mie parole, ti ho chiesto di diventare la regina di questa casa perché sei già la regina del mio cuore … e se un giorno tu dovessi ricambiare una parte di ciò che provo per te, io sarò l’uomo più felice della terra, ma non voglio niente che tu non voglia, dammi la tua felicità e io sarò un uomo felice”

Giulietta assorbì le sue parole, che lentamente le entravano nella mente per scenderle nel cuore. Lui aveva ragione. Era sola, e la sua priorità era ritrovare Sabrina, che in quel momento si trovava chissà dove, e poi doveva pensare ad Alessandro. Tacitamente accettò. Accettò tutto ciò che l’uomo che le stava di fronte le stava offrendo.

E Fabio Paris non perse tempo.

La mattina seguente in casa sua arrivarono due sarte, che presero le misure di Giulietta mostrando alla giovane gli ultimi modelli che andavano per la maggiore in quel periodo. Scelsero per lei ciò che le stava bene. Perché lei era troppo timida e impacciata per poter scegliere da sola, e poi fu il turno del suo piccolo angelo biondo. I primi capi non ci misero molto ad arrivare. In due giorni tutto il guardaroba fu riempito, nulla mancava, dagli abiti per la colazione a quelli per il pomeriggio, persino tre abiti da sera, che una delle due sarte, un po’ attempate aveva detto: “Per iniziare tre abiti dovrebbero bastare” senza tener conto che per lei persino uno era di troppo. Arrivarono anche dei capelli dall’Inghilterra e borse dalla Francia. Tutto per lei che veniva trattata come una regina. E tutto c’era per il suo piccolo principe. Persino un’acconciatrice arrivò in quei due giorni, che dopo aver fatto sedere Giulietta su una sedia le tagliò i lunghi capelli in corto caschetto modaiolo. Quando la giovane poté guardarsi allo specchio rimase scioccata. Non si riconobbe. Accarezzò ciò che rimase dei suoi lunghi capelli. Non era più lei. Sembrava un’altra persona. Più sicura. Più disinvolta. Adesso pareva una vera donna di classe. Ebbe paura del suo stesso riflesso, e il pensiero volò alla sua mamma

“non mi riconoscerebbe”

E subito tirò fuori da un cassetto l’unica cosa che le apparteneva della sua vita passata. La camelia rosa. Se l’appuntò sui capelli, e solo in quel momento si rivide. Nel cassetto un altro luccichio attirò la sua attenzione. L’anello di diamanti che le aveva dato Sabrina, lo infilò nella mano sinistra, ora finalmente provava un po’ di pace. Nel riflesso della nuova Giulietta, poteva ammirare ciò che era, e sarebbe sempre stata.

 

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Capitolo 11
*** 11 ***


 

 

 

 

Udì bussare alla porta della sua camera. Andò ad aprire la grande porta di legno chiaro e di fronte a lei si presentò una ragazzina, avrà avuto più o meno diciassette anni, corporatura esile, lunghi capelli biondi raccolti in una crocchia e grandi occhi azzurri incastrati in un piccolo volto ceruleo. Chinò la sua testa, e solo allora Giulietta si accorse che indossava una crestina bianca sulla testa, e aveva la stessa divisa bianca e nera del resto della servitù:

“Buongiorno, io sono Diletta, il signor Paris vuole che lei disponga di me, come meglio crede” la sua voce era sottile e impaurita. Quelle due ragazze erano l’opposto, una bionda e l’altra mora. Gli occhi scintillanti della giovane cameriera contrastavano con quelli neri e spenti di Giulietta. E fu proprio lei che la fece entrare nella sua stanza e guardandola le disse:

“io non ho bisogno di aiuto, lo dirò subito a Fabio”

La ragazza che già era pallida, sbiancò ulteriormente e scattò:

“No la prego! Mi faccia fare qualunque cosa … se io non servo a lei io … io …” non riuscì a terminare la frase e Giulietta la sospinse:

“Tu cosa?”

“io sarò licenziata” ultimò infine

“Non lo permetterò stai tranquilla, mi aiuterai a fare tutto ciò che tu voglia fare”

La giovane cameriera le si inginocchiò ai piedi, ma lei si chinò e l’aiutò a rialzarsi e disse:

“no, ti prego non fare così … ti prometto che ti aiuterò, ma non trattarmi come se fossi un Santo, sono solo una povera ragazza come te”.

I volti di Fabio e Giulietta erano colorati dai riverberi del fuoco. Erano seduti davanti al fuoco acceso in un caminetto, in una delle stanze di quella casa immensa. La grande radio che stava in fondo alla stanza taceva. La giovane sulle sue ginocchia teneva un libro. Un libro di un autrice inglese dell’ottocento, parlava di una grande storia d’amore, lui però era andato via, e forse lei aspettava il suo ritorno, oppure si voleva persuadere di non amarlo più. Il silenzio rotto dal suono dello scoppiettio del fuoco li avvolgeva caldamente, e fu lui a parlare:

“Giulietta, ti trovi bene con Diletta?”

Lei stette in silenzio. fu sul punto di dirle che in realtà non ne aveva bisogno. Ma le vennero in mente le parole della ragazza si limitò a dire:

“Oh si! È davvero una cara ragazza. Ti ringrazio!”

“poi stavo pensando ad Alessandro, vuoi che chiamiamo già un insegnante per lui?”

“oh no. Per favore è ancora piccolo” obiettò lei

“Ma tu non ti stancherai troppo a stargli sempre accanto come fai?”

“Non mi stanca assolutamente. Io adoro stare con lui. è tutta la mia vita”

Fabio rimase in silenzio a guardare il suo profilo. I capelli più corti le davano un’aria computa, e l’avevano trasformata in una donna. In un fil di voce chiese:

“Ami qualcun altro oltre ad Alessandro?”

Quella domanda inaspettata colpì la ragazza che sollevò di colpo la sua testa e si costrinse a guardarlo:

“perché mi fai questa domanda?”

“prima vorrei che tu mi rispondessi”

“No …” dovette far forza su se stessa per mentire. Ma era la sua unica via d’uscita. Disse quel no, per convincere più se stessa che Fabio. Voleva con tutte le sue forze non amare nessuno. O perlomeno, voleva smettere di amare Federico Sepùlveda. Improvvisamente la sua mente si mise a girare vorticosamente. Fabio si inginocchiò di fronte a lei e prendendole una mano disse sommessamente:

“Allora perché? Perché non puoi amarmi? So che ti avevo promesso di non toccare mai più questo argomento, ma il mio amore per te è sempre vivo,  mi basterebbe che tu mi volessi bene, giuro che non ti chiedo nulla di più”

Giulietta abbassò lo sguardo. E restava in silenzio ed allora Fabio concluse stringendole le mani:

“Perdonami! Ancora una volta ho rovinato tutto. Ma adesso ascoltami, io devo partire, questioni di lavoro, e ne approfitto per cercare delle novità su Sabrina”

Quel nome tanto caro alla giovane le provocò un sussulto di speranza e chiese:

“Davvero? Davvero vai a cercare dove si trova?”

“Te lo avevo promesso ricordi? Con la scusa di questo viaggio ne approfitterò per ottenere delle maggiori informazioni, ho molte amicizie influenti, così magari riuscirò a sapere dove sono Sabrina e Gabriele”

“Davvero lo farai?” ripeté incredula; ebbe un sussulto e lui si animò

“ certo che lo farò, perché voglio che il tuo, e adesso anche un po’ mio Alessandro, possa gioire rivedendo la sua mamma e il suo papà, e poi con un po’ di egoismo, posso affermare con assoluta certezza, che porterà un sorriso anche a te” e fu proprio quest’ultima che sorrise flebilmente.

Lui incastonò i suoi occhi verdi nel mare nero degli occhi di lei e le disse:

“Io mi fido ciecamente di te, so anche quello che fai per Diletta …”

Lei sgranò gli occhi, aprì la bocca per dire qualcosa, ebbe paura:ricordava bene le parole della giovane cameriera: se lei non ha bisogno di me, finirò in mezzo alla strada. Ma Fabio Paris proseguì:

“Non immagini quanto mi dia gioia sapere che tu continui ad aiutare gli altri. Tieni Diletta al tuo fianco. Fanne la tua amica, fa ciò che vuoi, e nel frattempo che io starò via, fa come se tu fossi la padrona. Disponi. Comanda. Guida questa casa come se fosse tua e poi forse un giorno potrai guidare me verso una strada migliore. Io che sono già tuo … voglio solo essere guidato”

Giulietta lo guardava con una grande pace. I suoi occhi erano così limpidi e tristi … gli fece una carezza sui capelli e mormorò:

“Oh Fabio … grazie. Grazie per tutto quello che fai per me, penserò ogni giorno a quello che mi hai detto, e spero con tutta me stessa, di poter ricambiare il tuo immenso amore”.

Giulietta e Diletta, stavano camminando per le strade di Roma. Vi erano soldati quasi ovunque, e le persone camminavano frettolosamente. Tutto era cambiato. Persino l’aria era diventata pesante, pareva che si facesse fatica a respirare. Alessandro come al solito era attaccato alla gonna della zia. Non si staccava mai, perfino nel sonno la teneva stretta, quasi come se temesse che qualcuno potesse portargliela via. Da dietro un muro spuntò fuori un giovane.

I capelli corti, quasi rasati, grandi occhi scuri. Dalla sua altezza sovrastava le due giovani. Diletta gli si buttò tra le braccia.

Anche Giulietta lo riconobbe, nonostante Tommaso Fanti avesse tutti gli abiti usurati dal tempo. Il giovane si guardò attorno con circospezione e Diletta prontamente lo rassicurò:

“Stai tranquillo, lei è con noi” poche parole che spalancarono il sorriso sulla bocca del ragazzo, che silenziosamente fece cenno di seguirlo.

Pochi passi e Giulietta si ritrovò in un palazzo che ben conosceva. I vetri rotti e il disordine di quello stabile era per lei una novità. Perfino le piante, una volta verdi e rigogliose, ora erano secche e morenti. Giulietta inspirò a fondo prima di oltrepassare il portone; era la casa dove aveva lavorato per tanti anni, prima di essere licenziata. Tommaso Fanti era il figlio di Donna Adelina. Quella casa era rimasta pressoché invariata. La carta da parati che rivestiva le pareti era però divenuta cadente. Tutto aveva assunto aria triste e stanca. Pareva una casa disabitata, tutto questo portò dolore al cuore di Giulietta che aveva visto quella casa nel suo sfarzo più totale. Nel silenzio raggiunsero un salotto, un’enorme libreria copriva la parete. Quante volte si era soffermata a leggere i titoli di quei libri, ad ammirare quella collezione. Tommaso spostò un libro, e facendo un po’ di forza aprì un varco in quella libreria. Diletta e Giulietta, che continuava a tenere Alessandro stretto a se, non potevano credere ai loro occhi. Dietro la libreria si nascondeva un passaggio segreto. Passarono. E solo quando tutto fu richiuso Tommaso Fanti parlò:

“Scusate se non ho parlato, ma qui ci dobbiamo muovere come se fossimo fantasmi. Nessuno deve sapere che siamo qui! Già una volta sono passati i tedeschi, e vi assicuro che non sono per nulla piacevoli”

Diletta nuovamente gli si gettò tra le braccia e sussurrò:

“Ho avuto tanta paura …”

“Anche io” sussurrò lui carezzandole i biondi capelli.

Poco distante da loro, seduta in una seggiolina stava donna Adelina, che guardava la scena pietrificata. I suoi capelli tendevano a diventare bianchi. I suoi abiti sempre impeccabili erano adesso puliti ma lisi. Ma il suo sguardo non aveva perso fierezza e durezza. E non appena vide Giulietta disse amara:

“Tommaso, non abbiamo bisogno di altre bocche da sfamare … un bambino poi …”

Giulietta non rispose. La guardava in silenzio; non sapeva se sorridere della sua arroganza o piangerne. Fu invece Tommaso che parlo prendendole le mani:

“Oh Giulietta, so che tu ci puoi aiutare! Aiutaci ti prego”

“Non saprei che fare”

“Cosa vuoi che faccia per noi? Non vedi che è una miserabile come noi?”

Giulietta si stupì di se stessa, e sentì crescere un sorriso sul suo volto, e inaspettatamente, senza che lei lo volesse sentì crescere in lei un certo senso di superiorità verso quella donna che non smetteva di ferirla nonostante il suo stato di necessità:

“Non darle retta! Sai com’è fatta mia madre” intervenne Tommaso; e quelle parole per lei non furono altro che un calmante, perché tutta la sua rabbia svanì all’istante. Tommaso era sempre stato in grado di farla sorridere; lo aveva sempre appezzato per la sua solarità, il suo modo di ridere e scherzare, in quella casa non l’aveva mai fatta sentire una cameriera, ma un’amica. Un dolce tepore le avvolse il cuore ricordare i tempi passati; ma la realtà era differente. Tutto era cambiato, anche i ruoli si erano invertiti, chi poteva dettare legge in questo momento era lei. E Tommaso continuò:

“Abbiamo bisogno di te, come ben sai mio padre ha origini ebree, di conseguenza noi siamo ricercati. Adesso ci siamo nascosti in questa stanza nascosta, ma non so se potremo resistere ancora a lungo, e Diletta mi ha detto che tu ci avresti aiutato”

La giovane lo guardava, e rispose:

“Ancora non capisco cosa potrei fare”

“So che vivi a casa del vice ministro degli esteri … non so potresti chiedergli di aiutarci”

Giulietta sapeva bene che avrebbe potuto chiedere tutto ciò che voleva a Fabio Paris, ma sapeva anche che non voleva chiedergli ulteriori favori, stava già facendo abbastanza per ritrovare Sabrina, e concluse:

“Io non posso aiutarvi, mi spiace”

“No Giulietta, io lo so che tu sei buona! Aiutali ti prego” Diletta la stava implorando, dai suoi occhi azzurri cadde una lacrima cristallina. Il vedere la sua amica così straziata le fece venire in mente l’ultima discussione avuto con Fabio, lei poteva essere la regina di quella casa; ed disse guardando prima Diletta e poi Tommaso:

“Ascolta, io l’unica cosa che posso fare, è farvi lavorare a casa mia” dire “casa mia” le parve strano chiamare così la casa di Paris, ma poteva benissimo affermare che adesso era così.

“Davvero lo farai?” chiese Tommaso

“Certo, è ben poco ma di più non posso”

“Grazie Giulietta, lo sapevo che avrei potuto contare su di te” la baciò; le guance e le mani. Era davvero felice, lo stava salvando, finalmente avrebbe potuto rivedere la luce del sole ogni giorno.

“No, io non merito niente di tutto questo” mormorò la giovane

“Si lasciala perdere!” disse acidamente Adelina dalla sua sedia. Ma il figlio non le badò, e mentre le riapriva il passaggio per farla tornare a casa Giulietta le disse:

“Vieni oggi stesso, e non preoccuparti di nient’altro”.

Poi più nulla.

Di li a poco si sarebbero certamente rivisti.

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


 

 

 

 

 

 

Non appena mise piede sulla terraferma, gli parve di ritornare indietro nel tempo.  Un ragazzino che seguiva la sua libertà, per scappare da un padre che imponeva la sua volontà sopra ogni cosa. Credeva che trovarsi dall’altra parte del mondo lo avrebbe protetto da tutto questo, ed invece … era dovuto tornare nella sua Argentina e ricevere gli ordini di suo padre, ma soprattutto li aveva dovuti eseguire senza ribattere. 

Federico Sepùlveda inspirò a  fondo. E guardandosi attorno poté vedere con grande tristezza, che non era più la stessa Italia. Non era più la Roma che aveva lasciato. E anche lui non era più lo stesso, era stresso in abito nero, un cravattino al collo e un cappello in testa. Un cameriere lo precedette con le valige, che vennero caricate su di una macchina. Lui avanzò lentamente con una giovane donna al suo fianco. Braccio nel braccio. Aveva lunghi capelli mielati e grandi occhi azzurri e tristi. Il volto pallido e smunto:

Inès qualcosa non va?” chiese lui preoccupato

“Non preoccuparti, deve essere stato il viaggio, un po’ di riposo mi farà bene” anche la sua voce era sottile come il suo corpo. Lui non rispose. L’aiutò a salire in macchina, e poco dopo furono davanti all’hotel che li avrebbe ospitati. Fece sistemare Inès in una camera lussuosa e distinta, lui alloggiava in una stanza adiacente e comunicante. Un cameriere gli si accostò e chiese:

“posso fare ancora qualcosa per lei ambasciatore?”

“No grazie …” rispose Federico entrando nella sua camera.

Era divenuto ambasciatore dell’Argentina. Aveva seguito il consiglio di suo padre, si era buttato in politica, e come era ovvio, tutti acclamarono la sua candidatura come ambasciatore. Si era buttato sul letto. Mise le mani tra i capelli. La mente vuota. Socchiuse gli occhi; ma non fu che per pochi istanti. Decise di uscire. Camminava per le strade che non aveva mai dimenticato. E senza volerlo si ritrovò di fronte la casa di Giulietta. La porta sbarrata. Bussò. Non ricevette nessuna risposta, forzò la porta, e si accorse che l’abitazione era disabitata; con lo sguardo cercò qualcosa che parlasse di lei, ma tutto ormai era in rovina. Una tremenda angoscia lo assalì. Dove era finita? Cosa le era successo? Entrò nella stanzetta e appeso allo specchio trovò la foto ingiallita che li ritraeva. L’accarezzò . gli rimase tra le mani e la prese, se la mise nell’interno della giacca. Si sedette sul lettino. Calcò le mani sul volto. Cos’era accaduto? Aveva seguito il consiglio di sua madre, aveva deciso di fare tutto ciò che diceva suo padre, solo per poter tornare da lei, e lei adesso non c’era. Che dolore per il suo cuore.

Quante volte l’aveva sognata?

Non lo ricordava, forse tutte le notti, e le volte che non riusciva a prendere sonno, perché il suo ricordo era troppo forte, la vedeva aleggiare nella stanza, come se fosse un fantasma! Era dunque morta? Se non era nella sua piccola casa, se sua madre non c’era che fine poteva aver fatto?

Perché non se l’era portata con se? Perché l’aveva lasciata nell’inferno della guerra europea, dove tutti ormai erano impazziti? Una sola domanda:

PERCHE’?

Non aveva delle risposte, ma solo sensi di colpa. La vita non era come leggere le pagine di un romanzo, dove alla fine si ha sempre una spiegazione a tutto; la vita era una cosa differente, era reale, e le scelte non sempre sono quelle giuste. E quasi mai puoi sapere in anticipo se si fa la cosa giusta. E lui  in quel momento aveva deciso che la sola cosa giusta da fare era quella di andare via, affrontare suo padre per poi tornare da lei. Lei cose non erano andate come aveva previsto. Aveva invece dovuto eseguire gli ordini, come sempre. Aveva dovuto fare come voleva suo padre,per l’ennesima volta. E  tutto quello che lui voleva in quel momento tornare indietro e cambiare il passato. Ma non poteva. Lentamente si rialzò. Raggiunse il suo hotel. Inès lo attendeva in una saletta. Lui entrò, e la salutò baciandole le mani:

dove sei stato?” chiese nella loro lingua

a fare un giro, non preoccuparti”

ma il tuo volto mi dice il contrario”

“No, ho solo mille pensieri, tornare in questa città mi riempie di ricordi”

“Tristi?”

“No …” mentì, non poteva dirle la verità.

Ines Gomez era la sua fidanzata ufficiale, avevano fatto la festa poco prima di partire, anche lei era stata una scelta di suo padre. Non aveva saputo dirle di no, quando l’aveva incontrata per la prima volta era pallida e magra,ma il suo volto tanto dolce e bisognoso d’affetto. Ricordò quel giorno come se fosse accaduto qualche istante prima: con suo padre volarono parole grosse. Ci fu una discussione. Lui si era rifiutato categoricamente di sposarla, ma in quell’istante entrò la madre della ragazza piangendo, e implorante chiedeva:

no, per favore, non rifiutarla, lei è malata di cuore … e ti ama tanto! Dal primo momento in cui ti ha visto si è innamorata a tal punto di te, che mi ha detto: sarei pronta a morire per lui. non darle questo dolore,non sopravivrebbe!”

Non furono che poche parole, ma entrarono dritte nell’animo di Federico che non riuscì a negare la sua disponibilità. Si sentiva un fallito. Che non riusciva ad imporre la propria volontà. Solo durante il loro viaggio in Italia scoprì che in realtà Inès non lo amava. Era tutta un messinscena che aveva orchestrato per poter

“devi perdonarmi Federico, ti ho mentito, ma non volevo farti del male, e neppure essere cattiva … devi sapere che la mia vita è divenuta un inferno da quando ho scoperto che il mio cuore, nonostante la mia giovane età, sia già vecchio e malandato. Avrei preferito non scoprirlo mai e lasciare che qualcuno mi trovasse morta da qualche parte … un giorno o l’altro! Ma da quando tutto questo è venuto fuori … che angoscia e che tristezza, sono costretta a vivere sotto una campana di vetro, una bolla di sapone che ha creato mia madre per proteggermi dal mondo, posso capire che il suo sia un atto d’amore, ma io voglio vivere. Invece lei non si rende conto che io è come se fossi sepolta viva! Ma quando ti ho visto, quella sera, così bello ed elegante, ho capito che tu eri fatto per me, i tuoi occhi mi parlarono da subito, perché sono così, parlano nel silenzio, e arrivano all’anima. Lessi che la tua bontà non mi avrebbe mai lasciato morire da sola a Buenos Aires, ma che mi avresti salvata. E così ho finto di essere malata d’amore per te! Non so

o se potrai mai perdonarmi … ma adesso che ho la possibilità di viaggiare, di vedere l’Italia … ah tutto mi pare così leggero e bello … e non mi importa se li vi è la guerra … non mi importa di nulla, perché tu mi proteggerai”

aveva parlato come un fiume in piena, senza fermarsi, e senza staccare gli occhi da quelli di lui, che un po’ spaventati dissero:

Inès  …”

“no! –esclamò la giovane –questo non doveva accadere, tu non dovevi innamorarti di me” piccole lacrime cristalline le scesero dai grandi occhi verdi

no! Io non ti amo, ti voglio un gran bene; il fatto è che non posso far altro che ammirare il tuo grande coraggio, il coraggio che manca a me”

La guardava e tendendole una mano le disse:

“Aiutami Inès …”

“Lo farò, e non credere di non essere coraggioso, perché codardo è colui che non lotta per i propri ideali”

La voce di Inès lo riportò alla realtà:

Federico, prima è arrivata questa per te”

Le porse una lettera avorio, la scartò:

 

siamo lieti di invitare sua signoria, ambasciatore della nostra sempre amica Argentina, alla festa che daremo domani sera, in occasione del suo arrivo in città.

                                                                                                                            DISTINTI SALUTI

                                                                                                                             Il segretario di stato

 

che noia, si inizia con gli impegni ufficiali!”esclamò guardando la fidanzata. Sapeva bene che non poteva mancare. Era li per curare i rapporti internazionali con gli altri stati. Doveva far si che l’Europa si accorgesse di quella terra tanto lontana. Almeno questo era quello che gli aveva detto suo padre.

 

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Capitolo 13
*** 13 ***


 

 

 

 

 

 

 

La sera seguente villa Paris era già colma di ospiti. Giulietta si era appena finita di preparare per quella festa. Un abito sobrio. Blu notte ; che le arrivava fino ai piedi avvolgendola delicatamente, perché non mostrava le sue forme in maniera evidente, le accennava appena, facendo si che molto restasse all’immaginazione. Una spilla di pietre bianche era sulla bretella sinistra. Non mise altri gioielli. Non ne aveva, e nonostante Fabio Paris avesse insisto per regalargliene di diversi, lei li aveva sempre rifiutati. Fra i capelli mise solo la sua inseparabile camelia rosa.

Fabio era tornato quella mattina a casa, e si accorse subito che vi erano stati dei cambiamenti. Quando si recò in cucina vide che una signora di mezza età armeggiava con delle patate. E fu in quel momento che comparve Giulietta che disse:

“Scusami se mi sono permessa di far venire Adelina ad aiutarci, ma la cuoca aveva bisogno di una aiutante e come sai Diletta la voglio tutta per me, poi c’è anche Tommaso, che in questi giorni mi ha fatto da autista, ti prego di non lasciarlo andare via, è tanto buono!”

“Per te farei tutto! Tutto quello che mi chiedi è un ordine per me! Non scordarlo mai” le baciò le mani con devozione. Quella creatura per lui era tutto, e se solo avesse potuto si sarebbe aperto il petto per mostraglielo.

Giulietta si guardò allo specchio. E Diletta prontamente le disse:

“Sei davvero bellissima!” era vero. anche la giovane cameriera indossava un abito da sera, Giulietta voleva che lei le fosse accanto, e così insieme scesero nel salone da ballo. Giulietta lentamente scendeva i gradini della scala e al di sotto vi era Fabio Paris ad attenderla. Non le staccava gli occhi di dosso, le parve di vedere una dea. Non appena gli fu possibile, le prese una mano e la attirò a sé. Col suo sguardo triste le disse:

“Avrei voluto darti una bella notizia, ma purtroppo non ne ho! Non ho nessuna notizia, ma ti giuro … giuro su tutto quello che ho farò il possibile per trovare Sabrina, e te la riporterò. Lo farò per te e Alessandro” deglutì, vide le lacrime salirle agli occhi; con un geto impercettibile le asciugò le lacrime e quasi implorante chiese:

“Posso chiederti di sorridere? Fingi … questa sera fallo per me, fa vedere a questi ospiti il tuo lato migliore, il tuo meraviglioso sorriso, nessuno di loro capirà mai cosa ti sta succedendo, e non voglio che nessuno di loro provi anche solo per un attimo ad avvicinarsi a te per poi farti soffrire”

La giovane sorrise. Non disse nulla. Solo strinse un po’ di più la mano di lui prima di far scivolare il suo braccio nel suo, e far sorgere sulle sue labbra un sorriso.

Un sorriso stanco.

Fatto di cera.

Finto.

Gli invitati erano già arrivati e Giulietta e Fabio li accoglievano. Tranquilli e con gentilezza, ognuno di loro aveva ricevuto il loro caloroso saluto. Ma l’attenzione di Giulietta venne catturata in un attimo. Non era ancora entrato nella stanza che già gli era parso di riconoscerlo. Non poteva crederci, Federico stava avanzando verso di lei. Il suo cuore palpitò di gioia. Da quanto tempo non le accadeva? Non se lo ricordava. Tutto era così lontano e sbiadito nella sua mente, l’unico ricordo intatto nel suo cuore, erano le fresche risate fatte con lui. ma non fu che un battito di ciglia. Un battito d’ali prima di cadere in un baratro infinito. Felicità e tristezza si fusero insieme, diventando un’unica cosa. Il suo Federico stava avanzando verso di lei, ma cingeva le spalle ad un’altra donna. Fabio si accorse del fremito che percorse il corpo di Giulietta, e la strinse a se.

Finalmente dopo mesi e mesi, erano nuovamente uno di fronte all’altra. Giulietta riconobbe gli stessi occhi scuri di un tempo. Ma tutto il resto era cambiato. I suoi lineamenti erano diventati più duri. Tutto in lui era differente. Il suo sorriso parve più spento. Vestito in quel modo, con un completo gessato pareva quasi irriconoscibile.

Non era possibile. Giulietta era viva, era di fronte a lui. La guardò stranito. Non capiva più nulla. Cos’era successo in quel lasso di tempo? I capelli corti e la pelle chiara la rendevano algida e spenta allo stesso tempo. Ma i suoi occhi gli rivelarono all’istante l’infinita tristezza che racchiudeva nel cuore. Dopo aver salutato PAris, allungò una mano verso di lei. Sapeva bene che il galateo imponeva solo di far finta di donare un bacio alla donna che porgeva la mano, ma lui volle sfiorarla con le labbra. E bacio quella mano guardandola dritta negli occhi. Non avrebbe mai pensato di rincontrarla al fianco di quell’uomo. Inès si accorse del cambiamento d’umore del fidanzato. Lo strinse a se e si allontanò con lui disperdendosi tra gli altri invitati.

“Giulietta, non ti senti bene?” chiese Fabio notando il volto contratto della giovane

“No grazie, va tutto bene, ho solo un po’ di mal di testa”

Lui le sorrise, e con lei continuò ad accogliere gli invitati, poi arrivò quella domanda di Giulietta:

“Perché Federico Sepùlveda è qui?”

I grandi occhi verdi di Fabio si fissarono in lei. La sua bocca si increspò leggermente. Non amava dover dare notizie tristi alla donna che amava, ma sapeva che più di tutto ella detestava la menzogna:

“Lui è ambasciatore dell’Argentina, uno dei più ricchi alleati della Germania. È arrivato qui proprio ieri e non potevamo non dare una festa in suo onore”

Gli occhi di Giulietta si inumidirono. Da quelle perle nere stavano per traboccare le lacrime;ma lui continuò:

“non piangere –le mise le mani sulle guance –so che lo conoscevi bene, e so anche che per te era un buon amico, ma ti giuro che neppure io sospettavo che potesse essere un personaggio tanto in vista, io sono un semplice burattino nelle mani dei tedeschi, ma lui … lui sovvenziona senza vergogna questo scempio” tacque.

Gli ci volle qualche istante per riprendersi e continuare:

“Se fossi in lui avrei agito diversamente, ma ti giuro che ti proteggerò, fosse anche l’ultima cosa che faccio”

Un labile sorriso nacque sulle labbra rosee di Giulietta Paso. E lui vi poggiò per la prima volta le sue labbra. Dolcemente. Come un petalo delicato che sfiora un prato.

Nonostante fosse al centro della sala Federico vide tutta la scena. E si sentì morire. Un altro uomo stava baciando Giulietta. Ma non era un uomo qualunque ...

Fabio PAris.

Federico sapeva bene chi fosse quell’uomo, e vedere che la sua Giulietta si era stretta a lui, e si era innamorata di quell’uomo, quale dolore provasse il suo cuore non seppe descriverlo. Avrebbe voluto urlare. Correrle incontro e strappagliela dalle braccia per portarsela via, ma vedere che era proprio lei a volerle stare accanto … Si irrigidì. Nuovamente la sua fidanzata sentì Federico cambiare e chiese:

“che succede?”

“Nulla, sai che non amo queste serate”

E nuovamente i suoi occhi si posarono su Giulietta. E non solo i suoi, perché adesso anche Inès la stava fissando. L’orchestra in sala iniziò a suonare una ballata latina, proprio in onore di Federico Sepùlveda e della sua fidanzata. Inès le chiese timidamente:

Balliamo?”

Ma lui parve non ricordarsi neppure di essere accompagnato, che con passo decise oltrepassò la sala, e prendendo Giulietta per un braccio, la obbligò a seguirlo. E fu così che divennero una coppia di ballerini. Senza capire come Giulietta si ritrovò tra le sue braccia. Socchiuse gli occhi e poté rivivere un pezzo del passato. Inspirò il suo profumo. Era uguale ad allora, fece nascere un sorriso sulle sue labbra. Solo Federico aveva questa capacità. Farla sorridere benché non ne avesse voglia. Danzò con lui dimentica di tutto. Non le importava se lui era con un’altra donna, se l’aveva lasciata da sola ingannandola. Ora voleva solo poter vivere un po’ di felicità, quella felicità che da troppo tempo le era mancata.

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Capitolo 14
*** 14 ***


 

 

 

 

 

 

 

. Inès e Fabio erano immobili che li guardavano volteggiare tra gli invitati. Persi l’uno nelle braccia dell’altra. Fabio sentì nascere la gelosia nel suo cuore. Ma strinse i pugni e rimase al suo posto. Inès provò un fastidio incredibile, non poteva sopportare che Federico l’avesse lasciata a fare da tappezzeria per una sconosciuta.

La musica terminò. E quando le note svanirono, finì anche l’incanto tra i due giovani che ripiombarono alla realtà. Fra i due durante il ballo non ci fu neppure una parola. Cheta e dolce Giulietta tornò a Fabio che la stava aspettando, e l’uomo le disse:

“Scusami, non ho potuto evitare che lui ti portasse via”

Lei gli prese la mano e se la portò al volto:

“Non preoccuparti …”

Lui le baciò quella mano, ma furono interrotti da Diletta che rincorreva il piccolo Alessandro, che piangendo aveva sceso le scale cercando la zia. Giulietta si curvò sul piccolo e lo prese in braccio:

“Amore mio, non preoccuparti, la zia è con te!”

Solo in quel momento il bambino placò il suo pianto. Baciò Giulietta tanto forte da lasciarle il segno sulla guancia mentre Diletta si giustificava:

“Scusatemi, ma non sono riuscita a trattenerlo, vi chiedo scusa …”

“Non preoccuparti; è da capire anche io farei la stessa cosa se mi tenessero lontano da Giulietta” poi guardando Alessandro gli disse:

“Che ne dici, vieni a fare la nanna con lo zio Fabio? Così lasciamo la zia con Diletta!”

Il piccolo allungò le braccia verso l’uomo e dandogli un bacio gli saltò al collo, e contento si strinse a lui, che lo prese in braccio e giocando lo accompagnò nella stanza, e quando lo rimise nel suo lettino restò con lui, stringendogli la mano e facendogli sentire che lui era li, e non doveva avere paura.

“Che ti succede Giulietta?” chiese Diletta

“questa festa è stata organizzata per Federico Sepùlveda” disse d’un fiato, e prontamente la giovane capì, le aveva già parlato di Federico. Capì il suo stato d’animo, e l’abbracciò:

“Vuoi che resti qui con te?”

“No, vai pure, io devo fare la padrona di casa … non preoccuparti per me”

E così Diletta poté uscire fuori nell’immenso giardino. Le stelle brillavano nel cielo limpido, privo di luna mostrava tutta la sua bellezza. Lentamente camminava ammirando i fiori notturni che si erano aperti al chiarore dei piccoli astri celesti. Tommaso la chiamò:

“Diletta!”

Era seduto su di una panchina nella penombra. Il suo volto era appena riconoscibile. La giovane si sedette accanto a lui facendo frusciare il suo abito bianco plissettato; e fu in quel momento che lui le disse:

“Diletta, io ti devo ringraziare …”

La ragazza si voltò verso di lui senza parlare, e lui proseguì:

“Se non fosse per te non saprei davvero sarei adesso, io non ho parole per poter dire quanto io ti sia grato per tutto quello che hai fatto per me e la mia famiglia nonostante non lo meritassi, mia madre non è una persona che si fa volere bene, ma tu non hai battuto ciglio, hai deciso lo stesso di aiutarci, di salvarci …”

Diletta lo interruppe:

“Io non ho fatto nulla!”

“Oh, invece hai fatto molto più di quello che credi, il solo fatto di esporti con Giulietta e parlagli, so che per te era pericoloso”

“Ed è qui che ti sbagli, sono io che mi sono fidata ciecamente di te e delle tue parole, della tua descrizione di Giulietta, avevi ragione a dire che è una persona speciale, una di quelle che non ne esistono più sulla terra, soprattutto in questo periodo tanto scuro, dove oramai non ci si può più fidare di nessuno, dove tutto è melmoso, e la luce è sempre più lontana … sono io che ti ringrazio per avermi fatto conoscere una persona tanto speciale … dopo che avuto modo di conoscerla, non ho avuto dubbi che ti avrebbe aiutato”

“Anche io non avevo dubbi, ma dopo il male che le aveva fatto mia madre, avevo paura, temuto … quanto è vero, il bene vince sempre sul male –tacque un istante e poi –ma se solo potessi immaginare quanto male mi fa vedere che io non posso aiutarti, o almeno non come vorrei, ti avevo promesso una vita da principessa, ed invece … quante delusioni, non sei che una semplice cameriera, vorrei poter fare molto di più, ma mi ritrovo ad essere un misero autista” concluse

“Ma tu per me sei molto più che un semplice autista, sei la persona migliore di questo mondo!”

“E potrai continuare ad amarmi anche così? Anche se ho disilluso tutte le tue speranze e sono venuto meno alle mie promesse?”

“In cosa mi avresti deluso? E in cosa saresti venuto meno? Non mi ami più? Non vuoi più che diventi tua moglie e possa renderti felice?”

“Smettila, non parlare più … certo che ti amo! E solo Dio sa quanto ti amo, la mia paura più grande è sempre stata quella di perderti, di stare lontano da te”

“E allora taci! Taci e non parlare più se non per dirmi che mi ami … perché un giorno ci sarà un posto migliore anche noi”

Lui la strinse a se e la baciò sulle labbra. Amava perdutamente Diletta.

Era divenuta la Diletta del suo cuore da subito, non appena aveva visto i suoi grandi occhi azzurri e i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Non si erano scambiati che poche parole, e subito avevano capito che per loro sarebbe stato impossibile lasciarsi. E sotto quel manto, blu, che a tratti pareva nero, confermavano il loro amore.

Giulietta stancamente si muoveva per il salone, elargendo stanchi sorrisi agli ospiti. Si sedette su di una poltrona scarlatta dai braccioli dorati; fu in quel momento che Federico si accostò a lei e notò il brillante che le adornava la mano:

“Devo dire che hai fatto passi da gigante. Da semplice cameriera d’albergo a moglie di un nazista!” la sua voce era sferzante e irrisoria. Giulietta fissò le sue iridi nere in quelle del giovane:

“Smettila! Non hai il diritto di trattarmi così!”

“Io non ho il diritto?”

“No! Tu sei l’ultima persona che può parlare, non sono io che sono scomparsa senza dare spiegazioni! Non sono io che ti ho preso in giro, facendoti credere di amarti per poi andare a fidanzarsi dall’altra parte del mondo! Non sono io che ti ho fatto credere di essere una semplice cameriera e poi in realtà sono ambasciatore di uno stato …” aveva parlato velocemente, ansando un poco. Tante volte aveva immaginato di poter rivedere Federico, e mille volte aveva immaginato una loro conversazione, ma tutto questo non lo aveva mai immaginato; dalle sue labbra uscì tutto quello che non avrebbe mai immaginato di dire, era sconvolta! Credeva che non lo avrebbe mai più rivisto. E invece adesso era di fronte a lei:

“Perdonami! Io non volevo … non so perché non ti ho portata con me! Hai ragione a dire che ti ho mentito sul mio stato sociale, sono figlio di un ministro argentino, ma non ti ho mai ingannata! Io ti amo davvero! E non sono tornato a casa perché dovevo fidanzarmi … le cose non sempre vanno come credi …” tacque un istante, gli occhi della ragazza luccicavano, non per la gioia, ma perché le lacrime le erano salite agli occhi. Stavano per scendere, ma lui le passò una mano sul viso, quasi a voler trattenere quel liquido puro e salato. Giulietta si era fermata al suo “ti amo”.

Arrivava troppo tardi.

Lei ora aveva degli obblighi.

Fabio le era stato accanto. Non l’aveva lasciata sola neppure per un istante, si era preso cura di lei e del piccolo Alessandro. Stava cercando sua cugina con tutte le sue forze e lavorava segretamente contro la guerra nazista, perché non appoggiava più quelle idee terrificanti.

Cuore e mente divisi.

Aveva amato da subito Federico, ma adesso tutte le sue sicurezze erano cadute. Cos’era l’amore?

Era la passione o era la costanza?

Perché di fronte a lei aveva la passione. Il palpito del cuore, ma nella stanza a far dormire l’unica cosa per la quale valesse la pena vivere in un mondo ormai divenuto un inferno vi era Fabio. Che con costanza l’aveva consolata, accudita e sostenuta. Non seppe darsi una risposta, e Federico le disse:

“Sono tornato troppo tardi da te … e questo non me lo perdonerò mai … ma sappi che ti amerò per sempre” le baciò la mano, proprio quella in cui lei teneva il brillante di Sabrina, fugacemente la guardò e vide la camelia che in un giorno, ormai troppo lontano lui le aveva regalato. Avrebbe voluto stringerla a se, ma si limitò a guardarla con la morte nel cuore.

 

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Capitolo 15
*** 15 ***


 

 

 

 

 

 

 

Dall’altra parte della sala, anch’essa seduta, vi era Inès. Aveva potuto vedere la scena, e poco prima aveva assistito a come Fabio si era preso il bambino e aveva abbandonato la sala. Da subito aveva notato il modo in cui la guardava, era lo stesso con cui la guardava Federico.

Ne fu gelosa. Gelosa e adirata! Cos’aveva questa misera ragazza? Lei non aveva notato niente di speciale in lei, eppure tutti la volevano e l’ammiravano;  quando il suo fidanzato le si avvicinò disse:

“Sono stanca, voglio andare a casa” per la prima volta l’uomo sentì un tono di voce nuovo in lei. Non era più dolce e sottomesso. Ma deciso e perentorio.

Quella stessa notte Giulietta non riusciva a prendere sonno. seduta sul bordo del letto guardava Alessandro dormire sereno. Da quanto non dormiva così? Non se lo ricordava neppure. Si alzò e si affacciò alla finestra, la luna grande e bianca come il latte, rischiarava il cielo, e milioni di piccole stelle le facevano da cornice. Il vento forte e impetuoso si riversava sulle strade, una folata le arrivò addosso facendole alzare la camicia da notte di seta che le copriva appena le ginocchia e lasciava scoperte le braccia rivelando la sua infinita bellezza. La donna socchiusegli occhi, e di fronte a lei apparve duro e deciso Federico. Lo amava. Con tutta se stessa e senza esitazioni, ma non era l’uomo che credeva, era un amore fatto di illusioni e fantasie. Nella sua testa si era creata un’immagine differente dalla realtà, mentre in lontananza, una figura sagomata, non definita, ma sempre presente, costante, lui era la realtà:

Fabio Paris.

Colui che aveva ammesso di aver sbagliato, ma che si era pentito. Colui che voleva fare della sua vita qualcosa di bellissimo. Colui che l’aveva sorretta mille volte nel momento del bisogno, senza mai chiedere nulla in cambio se non un sorriso o una semplice speranza che anche lei avrebbe potuto ricambiare il suo sentimento. E che tenerezza vedere come lui si occupava di Alessandro. Il più delle volte pareva il più dolce dei padri. Il più affettuoso degli zii. Mai un rimprovero severo. Con dolcezza spiegava al piccolo tutto, e lui quando lo vedeva gli correva gettandogli le braccia al collo.

Sospirando Giulietta si disse che lui e nessun altro sarebbe potuto essere l’uomo della sua vita.

Pochi passi al buio. Un corto corridoio separava le due stanze da letto. La ragazza bussò leggermente. Nessuna risposta. Forse l’uomo stava dormendo, stava quasi per andarsene, quando la porta si aprì:

“Che succede? Alessandro non si sente bene?” chiese Fabio Paris passandosi una mano fra i capelli mossi. Lei scosse la testa sorridendo. Ancora una volta lui gli dimostrava con un piccolo gesto il suo grande amore. Non disse nulla ed entrò in quella stanza. Moquette Blu copriva il pavimento, un maestoso letto in noce nazionale stava al centro della stanza, tutto l’arredamento era in penombra. Lei continuava a restare in silenzio e con un gesto fugace della mano sciolse il fiocco della sua vestaglia che scivolò repentina a terra. Rimase con la sua camicia da notte. Lui la guardò esterrefatto, non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Sentì il suo cuore battere violentemente. Non aveva mai visto una donna più bella, la sua pelle chiara, era luminosa, gli si avvicinò lentamente, quasi tremendamente. Non poteva credere che Giulietta fosse li, la gola secca non gli permetteva di parlare, ma con un filo di voce mormorò il suo nome:

“Giulietta”

Lei continuava a fissarlo e gli disse:

“Voglio essere tua! Voglio amare solo te tutta la vita”

Che gioia per il cuore di Fabio, le prese il volto tra le mani e la baciò sulle labbra. Non fu dolce e lieve, ma molto più intenso e passionale, la strinse a se con forza. Giulietta assorbiva passiva quei baci, due lacrime cristalline le scesero sulle guance, non era riuscita a trattenerle. L’uomo se ne accorse subito, gliele asciugò col palmo della mano. Non ebbe bisogno di fare domande. Capì cosa stesse passando nella mente e nel cuore di Giulietta, e gli parve di sentire in fondo al cuore una coltellata. Secca e decisa. Si staccò da lei, e anche se dentro moriva col sorriso sulle labbra le disse:

“No Giulietta! Non è così che ti voglio! Ti voglio per amore e non per gratitudine” le diede un bacio sulla fronte; raccolse la vestaglia e posandogliela sulle spalle la riaccompagnò nella sua stanza.

Fu una notte interminabile, nessuno riuscì a prendere sonno.

Bella come la sera precedente Inès era arrivata a casa Paris con Federico Sepùlveda. Li accolse donna Adelina, che aveva sul volto un sorriso perfido come sempre. Faticosamente fece una leggera riverenza, doversi piegare agli altri era per lei un sacrificio incomparabile, soprattutto se questi erano ospiti di Giulietta. Li fece accomodare in un salotto e disparve per cercare i padroni di casa. Poco dopo tornò nel salotto dove gli ospiti attendevano in silenzio, la donna dalla testa canuta con voce dolce e sottomessa disse:

“Vi chiedo di perdonare il ritardo dei miei signori, ma sapete bene cosa succede quando due persone si amano come si amano loro, passano notti insonni” curvandosi ancora di più se ne andò definitivamente. Federico si irrigidì, strinse le mascelle e serrò i pugni. In quel modo gli parve di poter placare l’ira del suo cuore.

Ma fu invano.

Dopo pochi istanti vide entrare proprio loro due, le loro braccia si sfioravano appena e i loro sguardi carichi d’imbarazzo facevano immaginare ciò che non era realmente successo. Fabio scostò una sedia per far accomodare la “sua” donna e solo dopo lui si sedette insieme a Federico. I visi di tutti erano pallidi e crucciati, e i loro sorrisi erano solo di convenienza. I due uomini guardavano l’esile figura di Giulietta, avvolta in abito color panna che le ricopriva leggermente le ginocchia, un lungo tavolo ovale spadroneggiava nella stanza, su di esso dei fiori freschi e null’altro. Nessuno osava parlare, e solo quando riapparve la cameriera con il vassoio carico di tazze da te Giulietta chiese ad Inès:

“Come ti trovi in Italia?”

“E’ un paese meraviglioso …” fu la risposta in un italiano viziato dall’accento argentino

“Mi piacerebbe portarti a visitare qualcosa” continuò lei accondiscendente

“Mi farebbe piacere, ma credo che il mio Federico non abbia molto tempo libero per dedicarsi alle gite” Giulietta capì che stava declinando l’invito e percepì che nelle sue parole vi era molto più astio di quello che lasciava intravedere. Che fosse gelosa di Federico? Forse nei suoi occhi riusciva a leggere tutti i sentimenti che cercava di tenere nascosti? Possibile che si vedesse così tanto? Giulietta non poteva immaginare che Inès in realtà fosse gelosa del fatto che i due uomini presenti nella stanza stessero lottando per lei.

 

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Capitolo 16
*** 16 ***


Federico e Fabio lasciarono le due donne da sole, entrarono nel piccolo ufficio della quale si serviva quest’ultimo per gli incontri informali, dove comunque parlava sempre e solo di questioni lavorative e politiche. Finalmente soli si mostrarono senza maschera l’uno di fronte all’altro, e fu Federico che svanito il suo sorriso di convenienza disse:

“Alla fine hai ottenuto ciò che volevi! Giulietta è tua!” la sua voce era piena di astio, e Fabio con un ghigno sul volto si limitò ad annuire, non voleva di certo far capire al suo rivale che aveva equivocato, che Giulietta non lo voleva ma era piena di gratitudine, no questo mai, non lo avrebbe mai detto a Federico Sepùlveda, che se ne andasse al diavolo una volta per tutte quell’argentino invadente che non voleva far altro che rubarle la donna. Non rispose ma si limitò a sorridere diabolicamente. E vide negli occhi dell’uomo che le stava di fronte, calare un velo di infinita tristezza, e fu proprio con la morte nel cuore che Federico cambiò discorso:

“Allora, io sono venuto fin qui per parlare di affari, non certo di donne da quattro soldi!”

Ma nessuno seppe comprendere, o immaginare il dolore che provò l’ambasciatore argentino al solo pronunciare quelle parole, che servivano più ad allontanare il suo sogno d’amore che altro.

Fabio Paris, senza perdere il suo ghigno di soddisfazione non rispose alla provocazione, e disse mettendosi le mani sul panciotto grigio che indossava:

“Era ora che parlassi da uomo d’affari, noi vogliamo ancora tanto argento, la nostra causa e quella tedesca ha bisogno di finanziamento, adesso più che mai … siamo molto vicini alla conquista del mondo, e credo proprio che l’Argentina, l’Italia  e la Germania combattano su un fronte comune …”

Altre parole uscirono dalle loro labbra, ignari che fuori dalla porta una Giulietta, scossa e sconvolta aveva udito le loro parole.

Donna da quattro soldi, era stata definita dall’uomo che amava più della sua vita.

E poi Fabio … definiva ancora una giusta causa quella guerra senza fine. Le gambe di Giulietta parvero paralizzarsi. Aver udito quelle parole era stato per lei uno shock. Che fare? Non lo sapeva minimamente, era stata colta impreparata a tutto questo. Credette di piangere. Ma non una sola lacrima cadde dai suoi occhi. Tante il volte il destino si era preso gioco di lei in quegli ultimi anni, ma stavolta era differente, a prendersi gioco di lei, del suo cuore erano Fabio e Federico, i due uomini che avevano condizionato gli avvenimenti della sua vita. La porta si aprì, e di fronte si ritrovò proprio loro, non appena la videro si accostarono a lei. Federico rimase indietro, lasciò Fabio Paris accanto a lei, ormai lui non aveva più diritti su quella meravigliosa creatura, forse non ne aveva mai avuti. Giulietta li guardò schifata, non voleva neppure farsi sfiorare, ma alle insistenti domande dell’uomo che chiedeva se si sentisse male, dato il pallore del volto lei rispose tranquillamente:

“Nulla, solo un capogiro …”

Chiamò Diletta, che era poco distante da lei, la prese per un braccio e insieme si diressero verso la stanza di Giulietta. Donna Adelina, che in quel momento passò di li, lanciò l’ennesima battuta al veleno:

“Ah, povera Giulietta, non credo si renda conto di quello che le succede … ma tra qualche mese tutti vedranno i suoi cambiamenti”

Federico già pallido in volto assorbì il colpo allontanandosi.

Inès  era ancora nel salotto ad attendere l’arrivo che suo fidanzato. Stava sorseggiando una tazza di tè nel silenzio totale. Vide comparire Fabio Paris. Delicatamente posò la tazzina sul tavolino e si alzò in piedi. Il suo cuore iniziò a battere velocemente, ma con calma apparente chiese:

“Che succede?”

Silenzio.

“Posso aiutarla in qualche modo?”

Mentre parlava si preoccupava di guardare la porta, per assicurarsi che nessuno entrasse. Come sospinta da qualcosa che neppure lei conosceva sollevò una mano e carezzò i capelli scompigliati dell’uomo, sentì il suo cuore scapitare nel petto. Non le era mai capitato prima, a dire il vero, le era già successo una volta, qualche sera prima, quando lo vide per la prima volta. I suoi occhi erano stati catturati da lui, che  come sempre guardavano solo Giulietta e null’altro.

Una fitta al cuore.

Una fitta di dolore.

Forte.

Questo provò Inès, che subito intuì che non era un male fisico reale, capì che il suo dolore non veniva dal cuore come organo involontario, ma veniva dal quel nuovo sentimento che stava nascendo in lei. Un sentimento che non aveva mai provato prima. Guardava Fabio Paris, non riusciva a pensare ad altro che a lui, non poteva staccare i suoi occhi da lui. lo scrutava in ogni singolo tratto, era così diverso da Federico. I suoi lineamenti rivelavano durezza e concretezza. Il suo sguardo sicuro e deciso;nelle poche volte che Inès aveva potuto incontrarlo, aveva visto in lui note di dolcezza solo quando guardava Giulietta Paso, o parlava di lei. Sentì la rabbia impossessarsi di lei, ma si placò udendo la voce dell’uomo che aveva accanto:

“Vuole davvero sapere cosa mi sta accadendo?” non attese risposta e proseguì

“Vorrei che Giulietta fosse come lei!”

“Si sbaglia … sono io che vorrei essere al posto di Giulietta” lo disse tutta d’un fiato

“Ma non lo è … credo che mai nessuno potrà prendere il suo posto … la amo da morirne, la guardo e lei non mi vede, l’aiuto e lei … mi è solo riconoscente. Tutto questo mi fa morire dal dolore!”

Sarebbe potuto morire per amore di Giulietta Paso!

Questa volta un colpo forte arrivò al cuore di Inès che divenendo prontamente pallida, cadde fra le braccia dell’uomo.

 Svenuta.

Paris vedendola così, provò paura e pena. La poggiò sul divano, e corse a chiamare aiuto. Comparve Adelina che prontamente le procurò dei Sali per farla rinvenire. Una volta che riaprì gli occhi, mandò a cercare Sepùlveda.

Era un Federico disperato quello che batteva incessantemente alla porta. Dietro vi era Giulietta. Seduta sulla sedia di fronte alla sua specchiera pareva assente. Con lo sguardo perso nel vuoto, sperava che le cadessero lacrime, i suoi occhi rimasero asciutti. Dopo qualche istante andò ad aprire.

“Oh Giulietta!” l’uomo si avventò su di lei, le prese le mani e le baciò ardentemente. Gli occhi fissi su di lei, da quanto tempo aveva desiderato rivederla e stringerla? Adesso era li di fronte a lui; alta e fiera, i capelli più corti la rendevano altera, ma il suo sguardo la tradiva. Era sempre la stessa. Poco distante sul pavimento vi era la sua camelia rosa. Federico la notò subito, e capì che era stata buttata proprio da lei, si accostò a lei disperato e chiese:

“Dimmi che non è vero …”

Lei non rispose e lui proseguì :

“Dimmi che non è vero quello che dice Donna Adelina, dimmi che non aspetti un figlio da quell’uomo orribile”

Lei rise. Un riso amaro e beffardo:

“Cosa ti interessa?”

“ti amo! Te l’ho gia detto ricordi? Non appena ti ho rivista ti  ho detto che il mio cuore non ha mai smesso di amarti, e mai potrà farlo, oggi lo confermo. Ti amo! Ti amo … so di aver sbagliato andandomene, non voglio sbagliare ancora … se solo potessi tornare indietro ti giuro che non rifarei tutto quello che ho fatto,  sono mille e mille le cose che cambierei, ho sbagliato tutto in questi ultimi anni, tranne una cosa : amare te! –vide lo sguardo diffidente di Giulietta ma proseguì –sono tornato in patria senza dirti nulla, perché non sapevo cosa sarebbe successo, non sapevo se dovevo partire per combattere questa stupida guerra, e poi sarei voluto tornare molto tempo prima, ma mio padre me lo ha impedito, ti avrei scritto, ma cosa? Non avevo nulla da raccontare se non che stavo soffrendo … e non trovavo via d’uscita!”

“Complimenti! Devo dire che come giustificazione non è niente male, diciamo che io credo che le cose siano andate un po’ diversamente, vediamo un po’ se riesco a spiegartele, dovevi tornare a casa tua, perché c’era una donna ad aspettarti, infatti torni con Inès. Poi non mi scrivi per non farmi soffrire? Per cosa avrei dovuto soffrire? Per te? Ho sofferto lo stesso! Grazie! Devo dire che te la sei passata davvero male, cene, feste, sbaglio o sei un ambasciatore? Non siete voi che giocate  a fare la guerra solo sulla carta? Tanto non siete voi che andate a morire! Aveva ragione Sabrina a dirmi di dimenticarti, di lasciarti perdere e dare un’occasione a quel poveraccio che mi ha tolto dalla strada quando ormai non avevo più nulla da perdere …”

La porta si aprì di scatto e il silenzio calò fra loro. Apparve Diletta con il piccolo Alessandro fra le braccia, che non appena vide la zia scese di corsa e le andò incontro:

“Zia! Voglio uscire, ma Diletta non ha voglia, ti prego vieni con me! Chiedi anche a zio Fabio se viene”

Giulietta lo guardò con dolcezza, e passandole una mano fra i capelli biondi si accasciò per poterlo guardare negli occhi:

“Amore, adesso non è possibile, però ti prometto che più tardi giocherò con te tutta la sera!”

“Davvero? Me lo giuri?”

La donna annuì, e fu allora che Alessandro scappò via correndo per andare a cercare un gioco da fare con la zia.

“Devo dire che è davvero cresciuto …” affermò Federico

“Si è un vero ometto, è tutta la mia vita”

E tu sei la mia … pensò Federico ma tacque e chiese:

“Perché gli permetti di chiamare Fabio zio? E Sabrina? Gabriele? Dove sono?” quante domande tutte assieme, domande alla quale Giulietta doveva e voleva dare una risposta, e con voce più calma e dolce spiegò:

“Non pensare che lo chiami zio perché io e lui stiamo insieme, no! Lo chiama zio perché in questi ultimi tre anni si è preso cura di lui, senza remore o scontenti, lo tratta come se fosse suo figlio, Sabrina e Gabriele sono stati fatti prigionieri dai tedeschi –la sua voce tremò –è solo un miracolo se non hanno preso anche Alessandro, e così me lo sono portato con me, è stata proprio Sabrina a chiedermi di crescerlo, poi per fortuna ho trovato Fabio, che non era scomparso, ma anzi è riapparso ad aiutarmi, mi chiedo anche cosa veda in me per amarmi così tanto da non volere nulla in cambio, vorrebbe solo il mio cuore … e io voglio darglielo, mi sto impegnando per farlo! Voglio poter restituire a lui un poco di ciò che ha fatto per me”

Federico la guardò incredulo; davvero la sua Giulietta era pronta a vendersi per gratitudine? Per la prima volta non la riconobbe. Poi un lampo invase la sua mente: e se lei avesse già iniziato ad amarlo? Non poteva permetterlo, sapeva che non poteva avanzare diritti, ma il cuore ha ragioni che la mente non conosce, e per questo non voleva che proprio lei si legasse a Fabio Paris , fu per questo che chiese:

“E cosa avrebbe fatto lui per te?”

“Davvero non si vede? Guardami … non sono più la stessa! Mi ha vestito, mi ha dato una casa … alleva Alessandro come se fosse suo e cosa più importante : sta cercando Sabrina, cosa per niente facile! Lui è a contatto con i tedeschi perché è obbligato, lo capisci questo?”

“Questa è davvero bella! Lui non ha fatto nulla di straordinario, è talmente pieno di soldi … io avrei fatto lo stesso per te, se solo ci fossi stato”

“Ma non c’eri!” gli urlò in faccia

Lui fece un passo verso di lei e prendendola per i polsi:

“io non c’ero, hai ragione, ho commesso un piccolo errore, ma ti assicuro che sto facendo di tutto per rimediare …”

“E come vorresti rimediare? Tornando in doppio petto , essere fedeli ad una causa che avevi sempre definito abominevole e infine definirmi una donna da quattro soldi?”

“Tu non puoi capire a cosa mi serve questo dannato vestito!  Vuoi davvero sapere cosa faccio vestendomi da gran signore? Serve ad ingannare che vuole portare avanti questo inutile massacro di vite umane, sono tornato per far si che il mio paese smetta di sporcarsi aiutando e finanziando questo scempio, e se voglio farlo devo ingannare chi mi sta di fronte, perché non posso sapere chi mi è nemico o viceversa … sono persino riuscito ad ingannare mio padre, facendogli credere di essere divenuto ciò che lui ha sempre voluto e sperato … perché non voglio essere ricordato come il boia! E se ti ho definito donna da quattro soldi … è stato solo per gelosia! Pura gelosia, perché questo sentimento fa dire cose che non pensi … perdonami”

Giulietta tacque. In quell’istante riconobbe Federico.

L’uomo giusto.

Idealista.

La persona che aveva conosciuto  qualche anno prima, poté rivedere la persona che l’aveva fatta innamorare perdutamente, fino ad abbattere le barriere della distanza e del tempo. Iniziarono a scenderle piccole lacrime, proprio quelle che aveva perduto ormai da tempo, quando lo sentì dire:

“appena ho rimesso piede in questa meravigliosa terra ho pensato a te, non ho mai smesso di farlo, anche quando ero all’altro capo del mondo, ma finalmente avevo la possibilità di cercarti, proprio li, nella tua vecchia casa, dove non è rimasto quasi nulla, ma ho trovato questa …”

da una tasca interna della sua giacca sfilò una foto ingiallita: un sorriso e i capelli scompigliati dal vento.  Erano passati diversi anni da allora, ma Giulietta ricordava perfettamente quando l’avevano scattata, per la prima volta si accorse che Federico in quella foto, non guardava dritto di fronte a se, ma  lei. La stringeva e le sorrideva: ammirandola. Non credette  ai suoi occhi, tremante la prese in mano.

Ora gli credeva!

Credeva che lui, non appena tornato dall’argentina era andato a cercarla, adesso aveva visto che lui l’amava già prima di partire; lo abbracciò … quanto desiderava farlo da tempo … il suo profumo la inebriava, il suo cuore palpitava come allora e anche di più, in quel momento si rese conto di quanto fosse grande l loro amore.

Federico le scostò i capelli dalla fronte, le passò una mano sulle guance arrossate, i grandi occhi neri erano pieni di lacrime non cadute, con il dito le ripercorse le linee perfette delle labbra e la baciò. In quel momento quelle piccole perle salate le percorsero il volto, copiose. Era da troppo tempo che tratteneva il suo  pianto. Federico pensò che in quel momento gli sarebbe scoppiato il cuore per la gioia, lei lo amava ancora.

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Capitolo 17
*** 17 ***


Ma questa immensa felicità non fu che un attimo, così come era arrivata si infranse come un muro di cristallo:

“Oh Federico, quanto vorrei che il tempo si fermasse in questo momento. Ma non è possibile! Troppe cose sono cambiate in questi anni, tu al tuo fianco hai una donna, io ho degli obblighi …”

“Ma io non la amo, e Inès non ama me!”

“Come fai ad esserne certo?”

Lui raccontò del loro patto, della malattia di Inès e tutto il resto …

“Non puoi essere certo che per lei sia rimasto tutto come allora …”

Il cuore dell’uomo si gelò, non aveva pensato a questa eventualità. Pensò che quello sarebbe stato uno scherzo del destino per fargli pagare i suoi errori, le sue scelte così sbagliate, socchiuse gli occhi e subitamente gli vennero in mente alcune situazioni in cui l’atteggiamento della sua fidanzata era cambiato nei suoi riguardi: che fosse realmente innamorata di lui?

Passò oltre la figura di Giulietta, dal pavimento rivestito di legno raccolse la camelia e con dolcezza l’appuntò sui capelli di lei, proprio come fece qualche anno prima; ma questa volta all’orecchio le sussurrò:

“Perdonami … se solo potessi tornare indietro lo farei … ma non posso, ed allora ti chiedo solo di ricordarmi come qualche anno fa … non ciò che sono adesso”

Giulietta Paso non ebbe il tempo di rispondere, la voce stridula di donna Adelina le entrò nelle orecchie:

“Oh ma che bella coppietta, la sua fidanzata sta per morire e lei …” guardava con cattiveria Federico, e poi girandosi verso Giulietta proseguì “ho sempre saputo che eri una sgualdrina da quattro soldi … è per questo che a suo tempo ti ho cacciato dalla mia casa, saresti stata capace di ingannare mio figlio con le tue stupide moine” il piccolo corpo di quella donna era in grado di contenere una cattiveria infinita.

“Paris mi aiuti …” mormorò Inès ormai steso sul divanetto

“stia tranquilla farò tutto ciò che desidera” la donna si appese alla cravatta dell’uomo che le stava a lato, avvicinò il suo volto a quello di lui e a fior di labbra sussurrò:

“mi aiuti ad ottenere ciò che voglio …” in quell’istante entrarono Federico e Giulietta. Vennero osservati in silenzio, Federico si accostò alla fidanzata e chiese piegandosi su di lei:

“che ti succede?”

“Ho tanto male qui …” si portò una mano sul petto, e con gli occhi cercava Fabio, che ormai era distante e aveva preso posto accanto a Giulietta cingendole le spalle con un braccio, quella scena le provocò un'altra fitta, forte come quella che avuto pochi minuti prima, e stavolta guardando Federico Inès  farfugliò: “Non sapevo dove fossi, e io mi sono sentita morire …” Federico Sepúlveda sbiancò. Questa volta fu lui ad avere una fitta al cuore. Giulietta guardò Fabio e si strinse a lui. Guardò fuori dalla finestra e poté vedere il vento.  Vedeva il vento danzare.

Vedeva ciò che era impossibile vedere e toccare.

Il vento.

 E lui faceva la sua danza.

Incurante di ciò che accadeva nelle stanze di quelle case. Due lacrime le scesero dai grandi occhi neri, capì che tutto era finito, tutto era svanito. Lei non era più una ragazzina che viveva di sogni ed illusioni, non era più la Giulietta che era rimasta legata ai ricordi di un amore dolce era una donna che aveva fatto i conti con la realtà, una vita che mai avrebbe immaginato vivere. Fatta di ricchezza e tristezza allo stesso tempo. In quel delirio della sua anima torturata da tanti dolori, oltre a vedere l’invisibile tristezza del suo cuore e quella di Federico , udì il vento, che mentre ballava rideva.

Un riso cinico.

Ironico.

Ancora una volta incurante e crudele

Si spalancò la finestra, che provocò un forte trambusto, ed il vento entrò: violento, a schiaffeggiare il volto di Giulietta. La giovane donna abbassò gli occhi, infilò il suo braccio in quello di Fabio e senza guardarlo negli occhi disse:

“andiamo … hanno bisogno di stare soli …”.

Non appena i due passarono la porta del salotto, corse loro incontro Tommaso, il figlio di Adelina , che ansante disse:

“Ci sono i soldati tedeschi …” aveva occhi pieni di paura, sapeva di essere un obbiettivo per i soldati, sapeva che rischiava di essere preso ed essere portato via. Giulietta capì il suo terrore, con sguardo d’intesa concordò con Fabio una tacita richiesta. Prese il ragazzo e lo accompagnò nella sua stanza, dove vi era ancora  Diletta che giocava con Alessandro:

“Zia! Avevi promesso di  giocare con me”

La donna si chinò su di lui e baciandolo le disse:

“No amore, ascoltami bene, tu adesso stai qui buono buono, stai qui con Diletta e Tommaso, in silenzio.”

Il bambino, che era ormai divenuto un ometto annuì. Senza fare domande, si sedette sulla sedia che usava sempre la zia per pettinarsi. Sapeva che era inutile fare domande.

Nessuno aveva le risposte che cercava.

Dieci giovani ragazzi in divisa verde, e due ufficiali in alta uniforme erano entrati in casa Paris battendo i piedi e facendo sentire la loro presenza.

Con voce squillante si rivolsero a Paris, che l’era andato incontro tendendogli la mano.

L’alto ufficiale, con forte accento alemanno disse:

“Io non volere stringere la mano a traditore …”

Fabio cadde dalle nuvole, non riuscì a capire cosa stesse accadendo, tutto il frastuono richiamò l’attenzione di Federico, che si recò nell’atrio.

Vide il volto di Fabio bianco come un cencio, e Giulietta poco distante che guardava la scena. Con fermezza e senza esitazione raggiunse l’atrio, dove un enorme lampadario in cristallo sovrastava immobile le loro teste. Allungando una mano si presentò:

“Sono l’ambasciatore Sepúlveda”

Gli uomini di fronte a lui rimasero in silenzio. Si guardarono per un istante, poi allargando un sorriso sulle loro labbra strinsero quella mano sospesa a mezz’aria:

“Ci scusi ambasciatore, noi siamo qui per Paris, non per lei, però ci fa molto piacere incontrarla, il nostro Führer ha una grande reputazione della sua nazione, e pensa che suo figlio sarà un grande uomo …”

“Mio padre sarà orgoglioso di sapere cosa pensate di me” rispose lui secco. Lo avevano scambiato per suo padre, gli aveva dato fastidio quell’accostamento, perché lui non condivideva le idee politiche di suo padre. Un padre padrone, che aveva scelto per lui sempre, fino all’ultimo, per questo si ritrovava a dover stringere mani a uomini viscidi, che avrebbe volentieri portato alla forca piuttosto che sorridergli falsamente; ma gli rimbombavano ancora nelle orecchie le parole di sua madre, quando le aveva consigliato di non fare il ribelle, fu così che decise di gabbare quell’uomo che aveva sempre deciso anche per lui. Aveva deciso di seguire passo passo le sue regole, le sue leggi, perché suo padre non sarebbe mai potuto entrare nella sua mente, scoprire i suoi pensieri, e così quando era ripartito per l’Italia il padre gli aveva detto:

“Sono felice che tu abbia capito cosa conta davvero nella vita:soldi e potere, tutto il resto non ti porterà mai a nulla … va’ e fa’ si che Italia e Germania spendano il più possibile in armi e argento … noi gliene daremo quanto ne vorranno …”  gli aveva sorriso stringendolo,mentre sua madre da lontano lo accarezzava con lo sguardo, le parlava con lo sguardo, con i suoi meravigliosi occhi le diceva quanto lo amava e quanto lo sosteneva, lei che le leggeva l’anima e il pensiero, sapeva che suo figlio non si era fatto corrompere, e quando lo salutò le disse solo:

va’ fai risplendere ciò che il tuo cuore ti detta, e se per caso un giorno ti troverai in difficoltà su quale strada seguire … segui sempre la più difficile, solo così saprai che è quella giusta” si asciugò le lacrime e lo vide scomparire.

Adesso per Federico era giunto il momento di seguire quel consiglio, in quel momento non sapeva che fare, ma ebbe paura che accadesse qualcosa a Giulietta, e sapere che i nazisti erano sulle tracce di Paris, voleva dire che lui realmente si era pentito! Nonostante tutto questo lo facesse morire dentro, doveva difenderlo! A gran voce chiamò Donna Adelina, che in un istante comparve:

“Portaci del tè nel salotto dove è la mia fidanzata”  la donna annuì e disparve, mentre Federico si giustificò:

“Vogliate scusarmi, ma la mia Inès si sente poco bene”

I volti contratti di tutti i presenti si sciolsero, e una volta raggiunta la stanza Paris chiese:

“Posso sapere a cosa devo la vostra visita?”

“Certamente, stiamo cercando un giovane, si chiama Tommaso Conti, figlio di un insegnate ebreo, e ci hanno detto che lavora qui”

“Si sta sbagliando di grosso, perlomeno, qui è da tempo che non ho più aiutanti, se escludiamo la povera Adelina, che di sangue ebreo non ha traccia” rise. Ma quella risata venne interrotta dalla voce debole di Inès che in spagnolo chiese:

ma siete sicuri che il giovane autista non sia proprio il ragazzo che cercano?”

Calò il silenzio.

Federico incenerì la donna con lo sguardo. Forse i soldati non avevano capito. La situazione venne smorzata da Paris che raccontò una barzelletta anti-ebrea, tutti risero .

Giulietta si alzò di scatto, e disse:

“Scusatemi, mi sono appena ricordata che devo preparare la merenda ad Alessandro”

“Chi è Alessandro?” chiese un ufficiale mentre posava la sua tazza di te

“E’ il figlio di Giulietta” disse con slancio Fabio.

Dopo qualche istante che Giulietta non era più tra gli invitati Federico si alzò con una scusa e disparve.

Raggiunse Giulietta nella sua stanza:

“Perdonala … non so perché Inès si stia comportando in questo modo!”

“Non è di lei che mi importa, ma di Tommaso e Diletta, sono nascosti nella mia stanza” entrarono, e li videro che stavano giocando con Alessandro, Giulietta disse:

“Tommaso i tedeschi sono qui per te! Devi scappare!”

Diletta si sentì morire.

Il suo Tommaso era in pericolo, che poteva fare? Dove poteva andare? Iniziarono a scenderle delle grosse lacrime, mentre Alessandro chiese:

“Perché piangi? Vogliono portare il tuo Tommaso dove c’è anche la mia mamma e il mio papà? Non piangere, se si incontrano poi tornano tutti assieme” a Giulietta le si gelò il sangue nelle vene. Nonostante avesse fatto l’impossibile per farlo vivere in un modo fatto di  ovatta, lui aveva capito tutto, e allungando le sue mani, che ormai arrivavano chiaramente al volto di Diletta, le asciugò le lacrime. Diletta lo abbracciò e lo mise fra le braccia della zia, non voleva farsi sentire piangere in quel modo. La tristezza si era impadronita di loro, e la paura regnava incontrastata.

“Tommaso, ascoltami – Federico si rivolse al giovane uomo che le stava di fronte –ho degli amici fidati alla frontiera, potresti partire e raggiungere l’Argentina. Ma devi essere pronto a lasciare tutto, lì ti daranno un nome nuovo, una nuova identità, non sarai più Tommaso Conti, sei disposto a farlo?” erano occhi negli occhi, gli stava offrendo un biglietto di sola andata in una terra lontana, ma il prezzo da pagare era alto, doveva annullare il suo passato. Guardò Diletta, che avvicinandosi le disse tra le lacrime:

“Vai, non pensare a me … preferisco pensarti lontano da me, che morto!” lo abbracciò e lui le baciò le labbra.

“Giulietta, tu scendi in cucina col bambino e preparagli in fretta un pezzo di pane e marmellata, quelli non sono stupidi, se ti chiedono di me, di che mi hai visto entrare in bagno!”

Giulietta seguì le sue istruzioni; infatti si stavano già chiedendo dove fossero finiti, e vedendo Alessandro tutto sporco di marmellata sorrisero.

Tommaso doveva decidere subito.

Annuì. Era pronto a fare quell’immenso sacrificio. Federico lo abbracciò:

“Sapevo che avresti preso una saggia decisione – poi all’orecchio gli sussurrò –non fare il mio stesso errore portala con te!” solo in quel momento sulle labbra di Tommaso si formò un sorriso,largo e disteso, e chiese a Diletta:

“Vieni con me?”

“Si! Si! Si! Mille volte si!” le rispose la giovane.

“Bene, ora che è tutto sistemato ascoltami bene, non potete portarvi  nulla, stanotte alle tre vi incontrerete con un uomo che ho conosciuto al porto, è un giovane sardo, si chiama Giovanni Peroni, mi pare una persona di polso e ha grandi idee, con lui vi imbarcherete e inizierete una nuova vita. Sappiate che non dovrete mai voltarvi indietro, non scrivete, non tornate … dimenticatevi questa patria, e cercate di essere felici”.

Arrivò l’ora della cena. Fino ad allora nessuno aveva più parlato del giovane Tommaso.

“Paris, noi dobbiamo cercare Conti, ci hanno detto chiaramente che era qui!”

“Ma è tardi! Lo cercheremo domattina …”

“No! Voi italiani siete abituati a rimandare il lavoro, noi no!”

Iniziarono le loro ricerche, controllarono ovunque, dopo ore di ricerche gli ufficiali si congedarono:

“Le dobbiamo delle scuse … aveva ragione lei”.

Finalmente disparvero.

 

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Capitolo 18
*** 18 ***


Donna Adelina, seduta sulla sua sedia nella grande cucina, dove ormai abitava, fissava il vuoto. Prima la paura per il figlio, ed ora non sapeva neppure dove fosse, il vuoto …

Giulietta era poggiata alla soglia della porta in castagno scuro;nel silenzio quasi perfetto la osservava. Provò pena per quella donna. Non le importava se era stata cattiva con lei, non le importava se proprio quel giorno le aveva vomitato addosso del veleno, forse in fondo aveva anche ragione, lei nonostante tutto ciò che Fabio Paris avesse fatto per lei, continuava ad amare solo e sempre Federico. Si accostò a lei, le prese le mani che teneva in grembo, ed accasciandosi accanto a lei le disse:

“Non pianga … le assicuro che suo figlio sta bene! Non sia in pena per lui, le giuro che andrà tutto bene, lei deve solo pregare, pregare e ancora pregare!”

Stancamente la donna le passò una mano sui capelli. Per la prima volta ebbe un gesto dolce nei suoi confronti. Giulietta alzò lo sguardo e le parve di scorgere nella donna gli occhi lucidi.

Fabio Paris era chiuso nel suo ufficio. Non poteva smettere di pensare a ciò che era successo. Lui che sempre era stato in grado di gestire le situazioni, le era venuto meno il sangue freddo, a dirigere tutto era stato Federico Sepúlveda, questo era ciò che più lo ripugnava, non poteva sopportare di essere soppiantato dal suo peggior nemico, ed in più era stato costretto a vedere come gli occhi di Giulietta lo guardavano: con amore, passione e gratitudine. Sapeva per certo che era stato lui a far sparire Tommaso Conte, anche se non sapeva bene che fine avesse fatto, e Giulietta sapeva tutto, per questo lo ringraziava. Lo ringraziava per il suo cuore, per  il suo essere impavido! E lui? Possibile che nonostante tutto ciò che aveva fatto non era riuscito ad entrare nel cuore di Giulietta? Con questi pensieri tormentati passò la notte insonne.

I fidanzati, Inès e Federico stavano per lasciare casa Paris per raggiungere il loro albergo. Giulietta aveva chiesto a Federico di rimanere lì quella notte, ma la risposta fu stata:

“Non facciamoci altro male, non lo meritiamo”.

Inès sulla porta fu soccorsa da donna Adelina, che l’aiutò a sistemarsi la pelliccia mentre Federico l’aspettava seduto su di una sedia poco distante, ma tanto immerso nei suoi pensieri, da non sentire nulla e nessuno.

“Signorina, lei merita di essere trattata come una regina!” disse donna Adelina, con la sua voce infida

“Gracias …” mormorò Inès

“Parlo seriamente, qui tutti sembrano non accorgersi di lei, per dar adito a quella –fece una smorfia col volto raggrinzito dalle rughe –Giulietta! Mi spiace ammetterlo, ma proprio non la sopporto! È colpa sua se mio figlio Tommaso è scomparso, chissà dov’è finito! Non mi ha neppure salutato! Ma la colpa è tutta sua, prima è persino venuta a dirmi di non piangere … ma con quale coraggio!”

Inès la guardava, condivideva tutti i suoi pensieri; tutti erano troppo presi da Giulietta per accorgersi di lei. Non rispose alla cameriera, ma il suo sguardo fu più loquace  di mille parole, ed allora la donna riprese per lei:

“Gliela faremo pagare!”.

 Il suo volto era smagrito, dei vecchi lineamenti  rimaneva poco o nulla, i capelli rasati, erano appena accennati sulla nuca bianca. Sabrina Paso, indossava una divisa a righe, azzurra e grigia, l’azzurro si vedeva appena, oramai era talmente sporca e consumata che il colore, era pallido come la sua pelle. Ciò che rimaneva della Sabrina che era un tempo, erano i suoi grandi occhi azzurri. Ai piedi aveva una scarpa troppo larga, ed una troppo stretta. Era sdraiata su di una panca di legno consumata, con lei nella stessa posizione e nella stessa panca vi erano altre quattro donne. Inizialmente si era chiesta come avrebbe fatto a dormire li, con il passare degli anni vi aveva fatto l’abitudine. La notte era già alta nel cielo, nel campo regnava un silenzio surreale, persino in quella che pareva una casetta di legno stretta e lunga dove erano in più di cento donne vi era silenzio. Ebbe voglia di muoversi, ma non lo fece, rischiava di svegliare le compagne, anche se il più delle volte nutriva dei seri dubbi che stessero dormendo. Il pavimento non c’era, vi era solo sterrato, e quando pioveva passava l’acqua dal tetto, e tutto diveniva fango. Mangiava poco e raramente, ricordava chiaramente che appena fu arrivata in quel posto rifiutò di mangiare, ma una donna che era già lì da un po’ le disse:

“Non rifiutare quello che ti danno, arriverà il giorno in cui desidererai avere anche la metà di questo …”  ed aveva ragione.

Quanto freddo.

Quanta fame.

Quanto dolore.

Quante lacrime.

Stare in quel campo di lavoro, come lo chiamavano “Loro” era come vivere l’inferno sulla terra. Non ricordava più neppure il suo nome, lei oramai non era altro che un codice.

Un codice sulla divisa.

Un codice sulla pelle.

Un marchio in un braccio, l’aveva ormai contrassegnata. Un marchio indelebile che aveva scavato la sua carne per lasciare dei numeri. Ma quel solco era arrivato fino all’anima; ora mai più nessuno avrebbe potuto portarle via quei ricordi, cancellare dalla sua mente e dal suo cuore quei momenti.

Attimi eterni di paura.

Stenti .

Fame e dolore.

Oramai la sua vita non aveva più senso. Desiderava la morte ogni giorno che passava, poi come un tiepido raggio di sole in un giorno d’inverno, il suo cuore volava al suo angelo biondo.

Alessandro.

Ed allora tutto riprendeva senso. Allora trovava la ragione per lottare, il motivo per non farsi abbattere dalle avversità. Non vi era ora, in cui Sabrina non pensasse al suo bambino. Si chiedeva come fosse diventato. Se la pensava. Cosa le era successo. Ma mai le sfiorava il dubbio che Giulietta non si sarebbe preso cura di lui. Sapeva bene, che lo avrebbe amato come se fosse stato il suo. Piccole lacrime di disperazione le scesero dagli occhi. Taglienti come lame. E bruciavano come l’aceto sulle ferite.

Pensava Sabrina, immersa nel suo dolore pregava in silenzio per Gabriele. Un dolce sorriso le nacque sulle labbra ripensando alla sera in cui lui le aveva regalato l’anello di diamanti. Poi la sera che furono stati presi, che angoscia vederlo gridare il suo nome a gran voce. Aveva gridato a lei tutto il suo amore. Poi non si erano più rivisti. Più volte aveva creduto che fosse stato ucciso, fino a quando un giorno, mentre era in fila per i lavori forzati gli parve di riconoscerlo. Anche lui la stessa divisa, anche lui smagrito. Come se fossero stati richiamati da un qualcosa di soprannaturale i loro sguardi si incrociarono. Entrambi scapparono dalle loro fila, fra di loro una rete spinata. Ansanti si guardarono. Felici di sapersi entrambi vivi; lui passò una mano attraverso il filo, graffiandosi tutto agganciò le dita di lei; non fu che un gesto rapido, un lieve tocco, che per loro più travolgente di mille baci e cento carezze, avevano anelato di rivedersi, ed ora che lo avevano fatto godevano di quel piccolo momento. Un istante che venne bruscamente interrotto dai richiami dei tedeschi, che puntando i loro fucili li fecero tornare ai loro posti. Alcuni spari li fecero sobbalzare, ma ringraziando Dio, quegli spari non erano per loro. Vivendo  di quei momenti, Sabrina si appisolò.

Un grammofono emetteva una musica allegra e gracchiante allo stesso tempo, i commensali seduti attorno al tavolo parevano non accorgersene. Gabriele stava servendo dell’insalata. Indossava la sua uniforme a righe, uguale per tutti. Nessuno in quella stanza lo prendeva in considerazione, per tutti non era altro che misero ebreo da sfruttare, e non appena sarebbe arrivato il momento giusto: farlo entrare in una di quelle comode camere a gas. Un enorme lampadario illuminava tutti volti, e fra questi, ne riconobbe uno. Incrociò lo sguardo della donna che riconobbe, ma subitamente abbassò lo sguardo, non seppe neppure lui il perché, forse paura. La donna lo ignorò. Gabriele rimase impassibile, anche se dentro soffriva.

Il ricevimento era finito, aveva la mano poggiata sulla maniglia della porta che portava all’esterno, dal vetro posto sulla parte superiore vedeva scendere dei grandi fiocchi di neve. Sapeva già che avrebbe patito ancora una volta il freddo. Aveva mani e piedi spaccati per il freddo, veniva trattato da schiavo quando entrava nelle cucine, ma si riteneva fortunato perché poteva usufruire di un tiepido calore, inspirò e aprì la porta:

“Gabriele!” una voce di donna lo fermò.

Si voltò di scatto. Non poteva credere ai suoi occhi la signora Ada era andata da lui. Dalle sue labbra non uscì alcun suono e fu la donna che proseguì:

“Che ci fai qui? Tu non sei ebreo!”

La sua voce era davvero stupida e dispiaciuta. Era la stessa donna che Giulietta e Federico avevano visto con lui passeggiare nell’albergo; Gabriele non aveva neppure la forza di rispondere, ma violentando la sua volontà disse, rimanendo dove si trovava:

“Non lo so neppure io! Un giorno sono arrivati, ci hanno preso, a me e mia moglie, ci hanno trattato come bestie, da quel giorno abbiamo smesso di essere persone, non vi è giorno in cui non pensi a mia moglie”

“E tuo figlio?” chiese lei

“Alessandro per fortuna è con una cugina, non sappiamo più nulla di lui, prego ogni giorno che stia bene, chissà se il Signore accoglie le mie preghiere!” concluse

“Vorrei poter fare qualcosa per te, mi hai aiutato tanto, se non fosse stato per te, l’azienda di mio marito sarebbe fallita! Vedrò se posso farti uscire da questo inferno”

Gli occhi dell’uomo brillarono per un istante, poi con un filo di voce rispose:

“Grazie, mi basterebbe sapere che può salvare la mia Sabrina!”

La donna rimase impietrita da quelle parole. Gabriele amava Sabrina più della sua stessa vita.

Annuì e rispose:

“farò il possibile”.

Proprio in quel momento entrarono delle persone in cucina, ed una di queste dando un calcio a Gabriele lo sbatté fuori facendolo cadere nella coltre di neve che si era formata in pochi minuti. Quando richiuse la porta in tedesco disse:

“Fa freddo, meglio chiudere la porta!” poi guardando fuori si accorsero che l’uomo faceva fatica a rialzarsi e ridendo:

“Guardate! Questi ebrei non servono a nulla! Non riescono neppure  a camminare!”.

 

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Capitolo 19
*** 19 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La neve scese su Auschiwz incessante per tutta la notte. Il freddo mattutino era ancora più pungente. Sabrina non appena fu fuori dalla sua baracca,scorse in lontananza un albero, i cui verdi germogli avevano resistito al gelo, quello era un segno, la primavera era vicina. Un tepore le scese nel cuore, da tanto non aveva più la percezione del tempo e per la prima volta dopo tanto sentiva che la primavera era vicina; pianse nel vedere quell’albero, pensò che lei avrebbe resistito a tutto, per poter vedere un giorno il suo germoglio:

Alessandro.

 Un soldato le si parò di fronte:

“Paso”

Da quanto tempo non veniva chiamata col suo cognome? Le pareva un dolce suono quel nome, piccolo e corto. Trasalì. Questi la strattonò con veemenza, fu in quel momento, mentre camminava che avvertì nel suo cuore nascere la paura. Dove la stavano portando? Stancamente camminava ricurva sulle sue spalle. Passò un piccolo corridoio, stretto e buio, quattro porte, tutte chiuse. Poi una si aprì di colpo. Il soldato la spinse all’interno e richiuse la porta.

Si  guardò attorno. Non era simili all’ufficio dove lavorava lei, era molto più piccolo, appeso al muro solo foto di Hitler. Una scrivania e una lampada beige, una pila di scartoffie e un telefono grande. Un uomo dai capelli brizzolati e un forte accento tedesco, le disse:

“Paso … lei non mi conosce, conosco molto bene suo marito, ha aiutato me e mia moglie a rimettere in piedi la mia azienda, devo molto a Gabriele. Ieri sera l’ha rivisto Ada, e ci ha chiesto un favore”

Sabrina lo interruppe

“Gabriele è vivo?”

“Si … sta bene, se così si può dire, vede, noi gli abbiamo chiesto cosa potevamo fare per lui, e ci ha detto che la sua unica gioia sarebbe sapere che lei è libera!”

Sabrina si sentì mancare e dovette ricorrere alle sue ultime forze per non lasciarsi cadere sul pavimento

“Ho fatto alcune ricerche, per sapere come voi, siete finiti qui, eppure c’è stata una segnalazione precisa, per questo credo che Gabriele abbia mentito, voi siete ebrei, questo è fuori di dubbio, perché la comunicazione è stata fatta da un segretario del governo italiano!”

La donna strizzò gli occhi.

Intuì il nome.

Fabio Paris!

Solo lui la conosceva. Ma perché aveva detto che lei era ebrea? Non lo era. Perché farla finire in quell’inferno? Ed ora che voleva liberarsi nessuno le credeva.

L’uomo che le stava di fronte continuava a parlare e aggiunse:

“Vede, l’unica cosa che posso fare per lei, è farla lavorare qua dentro, dove in inverno potrà avere un po’ di tepore … niente di più, mi spiace, ma è davvero un brutto periodo”

Sabrina non rispose. Non le importava nulla. Mentre tornava all’esterno la sua mente pensava, che se forse avesse giurato e spergiurato avrebbe avuta salva la vita, e con lei suo marito. Ma in fondo che differenza faceva? Lei dormiva con persone di altre nazionalità, italiani, olandesi, francesi, l’unica differenza fra loro era la lingua, erano tutte persone. Tutte innocenti! Non avevano commesso alcun male, eppure erano li, succubi, maltrattati, schiavizzati ed uccisi. In nome di cosa? Di nulla … tutto questo avveniva per mente perversa e demoniaca di una sola persona, e mentre un raggio di sole le accarezzò il volto pensò:

“Forse la vera ingiustizia sarebbe quella di salvarmi solo perché sono una religione differente …”.

Fabio Paris aveva annunciato di dover partire per un viaggio di lavoro;gli ultimi avvenimenti lo avevano stravolto. Lui che era sempre stato fedele alla causa della Germania! Anche ora che l’Italia si era unita all’alleanza americana, non aveva mai tradito! Come potevano trattarlo in quel modo? Doveva difendere la sua dignità, la sua autorità! In fondo se avevano ripulito Roma dagli ebrei lo dovevano anche lui! Doveva pur contare qualcosa! Preparò una misera valigia. Tutto era pronto, Giulietta, ignara era sulla porta a salutarlo:

“Resterò qui ad aspettarti … cerca di portarmi buone notizie di mia cugina! Ho un solo desiderio rivederla al più presto …”

Proprio in quel momento una macchina nera e lucida si fermò di fronte a loro, dalla macchina scese Inès e subito dopo Federico Sepúlveda. Inès quando vide Paris si fermò all’istante, sbiancò nel vederlo con la valigia, e chiese di scatto:

“Dove andate? State partendo?”

“Ho un impegno di lavoro” rispose lui vago poi per educazione “Però un caffè con voi lo bevo volentieri …” e tutti insieme si avviarono nella sala dove solitamente veniva servito loro il tè. In quel momento Inès riprese un leggero rossore sulle sue guance e affrettò il suo passo con lui. Giulietta e Federico rimasero indietro, silenziosi, erano stupiti dalla reazione della donna. Perché si comportava in quel modo se era innamorata del suo fidanzato? Federico approfittando della loro semi-solitudine la prese per un braccio:

“Aspetta … ho notizie di Sabrina”

Lo sguardo della donna che le stava di fronte si illuminò e ritornò per un istante all’antico scintillio;le parve di rivederla felice come nell’unica foto scattata insieme, e proseguì:

“Ho sfruttato alcune amicizie, è in un campo in Polonia, smagrita e sofferente … però è viva! Questo è importante!”

“Posso vederla?”

“Credo di si! Sto aspettando una risposta …”

“E quando? Quando arriverà?”

“Non lo so! Ogni momento potrebbe essere buono, non sapevo come fare per dirtelo, poi Inès ha insistito tanto per venire … io non sarei venuto?”

“Perché?” la voce di Giulietta tremava un poco

“Perché mi fa male vederti e non poterti stringere, perché soffro nel vederti nel braccio di un altro! Perché ogni giorno muoio dentro se penso che non sarai mai mia!”

“oh Federico! Anche io soffro dentro, ma non possiamo farci nulla” questa volta una lacrima scappò via dai suoi occhi, una lacrima che l’uomo le asciugò prontamente col palmo della sua mano, dove lei tuffò il suo ovale, facendolo stare declinato per qualche istante; lui si scusò:

“Perdonami se non posso fare di più per te … sono arrivato tardi, ed ora posso solo aiutarti a trovare Sabrina …”

“Tu fai per me molto di più di quello che pensi … anche se non potremo mai vivere come vorremmo sapere che non mi hai mai preso in giro ha fatto si che il mio cuore smettesse di soffrire in quel modo così lancinante, adesso è un altro tipo di dolore, che ahimè mi tocca condividere con te … ma porterò con me sempre questa camelia, sarà per me il giuramento del nostro amore che non è mai morto, che vivrà in eterno …”

Federico si chinò per sfiorarle le labbra, un ultimo bacio, un bacio d’addio. Che non avvenne. A cosa sarebbe servito? A soffrire ulteriormente, niente di più.

 

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Capitolo 20
*** 20 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inès sola con Fabio, era tutto ciò che desiderava. Le bastava anche solo vederlo un istante e già gioiva. Adelina era appena andata via allora la donna si alzò e avvicinandosi all’uomo disse:

“Io devo parlarvi …”

Fabio fu sorpreso dall’atteggiamento che Inès ebbe in quel momento e rispose:

“Mi dica …”

Passandosi una mano fra i capelli, sciolti e biondi iniziò:

“Ecco, io non so come dirlo, però se non lo faccio credo che il mio corazòn potrebbe scoppiare, quando la vedo io sento qualcosa qui – si passò una mano sul petto –è stato un verdadero colpo di fulmine, no se quando mi pasò questo –il suo italiano peggiorò di colpo per colpa dell’emozione, e su di lei sopra valeva la lingua madre –però oramai lei mi fa tutto questo”

“Mi dispiace, io non voglio farle del male …”

“Lei mi fa male stando con Giulietta! Io … io … ti amo” disse infine

L’uomo impietrito la fissò negli occhi. Non aveva parole da dire, sospirò e guardandola le disse:

“Posso dire che lei è una donna meravigliosa, e le assicuro che se non ci fosse Giulietta io …” non poté terminare la frase perché la donna che le stava di fronte posò le sue labbra su quelle di lui serrandogliele in un bacio. Un bacio corrisposto, lui la baciò con passione. Socchiuse gli occhi e vide l’immagine di Giulietta, non l’aveva mai potuta baciare in quel modo, benché non desiderasse altro al mondo … quando riaprì gli occhi si rese conto di ciò che era successo, fece un passo indietro,e si scusò:

“ credo che tutto questo non sia giusto …”

“Non voglio fare la cosa giusta, voglio solo seguire il mio cuore” rispose la donna 

“Perdonami, se solo non ci fosse Giulietta io .”

Giulietta! Sempre lei, era per colpa sua se non poteva avere Fabio Paris, si lanciò su di lui.

Per la prima volta amava!

Amava perdutamente quell’uomo che le era di fronte, lo amava con tutta se stessa, nuovamente provò odio per Giulietta Paso, ma con tristezza si rese conto di essere impotente, lui non l’avrebbe mai dimenticata.

Provò vergogna per se stessa e per il suo comportamento.

Fabio Paris pensò che forse sì, poteva anche dare un’illusione d’amore ad Inès, non tanto per consolare il suo cuore, tanto quanto poter vedere soffrire il suo rivale Sepúlveda. Ma quando Federico e Giulietta entrarono nella stanza quel pensiero svanì. Mancava poco a conquistare Giulietta, non poteva perderla per una donna qualunque, si passò una mano fra i capelli leggermente scompigliati.  Fra i quattro si era creato un clima teso e dopo qualche istante, mentre tutti erano seduti, lui si alzò e si congedò. Era proprio giunto il momento di partire e disse:

“Ora devo proprio andare” accostandosi a Giulietta chiese “ti troverò qui ad aspettarmi?”

“Certamente” fu la risposta

“Sono certo che stavolta potrò darti notizie di Sabrina … e spero che anche tu possa darmi una bella notizia”

Giulietta capì subito a cosa alludeva Fabio, e non poté biasimarlo. L’aveva accolta e sostenuta per tutto quel tempo, senza chiedere nulla in cambio, con la sola speranza che lei un giorno avesse contraccambiato il suo amore. Forse era giunto il momento che Paris ricevesse la sua giusta ricompensa.  Solo quando udì la macchina ormai lontana Federico la raggiunse sul portone:

“Giulietta preparati, dobbiamo partire subito!”

Anche Inès era presente e con lo sguardo chiese che stesse succedendo e Federico spiegò:

“Dobbiamo portare Giulietta da sua cugina, l’ho trovata” la donna parve impassibile, in realtà non le importava di nulla, il suo desiderio più grande era quello che lei sparisse dalla sua vista e dalla sua vita il prima possibile, il solo pensiero che lei potesse provare felicità le arrecava sofferenza, il suo unico desiderio era quello di vederla soffrire in ogni istante, non meritava quello che aveva; al suo fianco aveva un uomo come Paris e lei non faceva altro che prendere a calci il suo amore, se solo ci fosse stata lei al suo posto, tutto sarebbe stato diverso, e poi Federico, la guardava come se fosse la cosa più bella del mondo, come se fosse una stella caduta accanto a lui, come se fosse stato il tesoro più prezioso del mondo. Per Federico Sepúlveda Giulietta era tutto, un insieme di gioia e dolore, amore e sofferenza; l’amava tanto da non desiderare altro che la sua felicità.

Dalla scala di villa Paris, scese Giulietta con Alessandro; aveva ormai perso quel colore biondo chiaro dai suoi capelli, al suo posto vi era un castano chiaro, ma gli occhi erano sempre grandi e azzurri:

“Dove andiamo zia?”

“Oh lo vedrai …” fu la risposta.

Un viaggio lungo ed estenuante. La Polonia era fredda, ad accoglierli vi era neve, neve e ancora neve. Il freddo era pungente, ma in una locanda li stavano aspettando, assegnarono subito le stanze. Giulietta si cambiò e si pettinò. Poi si sdraiò sul letto con il nipote. Lui la guardò e chiese:

“Zia cosa c’è che ti preoccupa?”

Mille cose le affollavano la mente, era in agitazione, di lì a poco forse avrebbe potuto riabbracciare la sua Sabrina, ma rispose:

“stavo pensando, che forse potrei dire a Fabio che voglio diventare la sua fidanzata, così ci sposeremo!”

Il ragazzino si rizzò sulla schiena, e fissandola negli occhi disse:

“Ne sei davvero sicura?”

“Certo …”

“Ma lo ami?”

La donna tacque qualche istante poi rispose:

“Sai per certe cose non c’è bisogno dell’amore … con gli anni l’amore finisce, rimane solo il bene, e lui mi ha fatto tanto bene … e non solo a me”

“Ma non lo ami!”

“Sei piccolo per capire queste cose .”

“No zia! Ti sbagli. Io non sono troppo piccolo, so bene che la mamma e il papà si amavano e si amano ancora tanto, perché per te non può essere così?”

“Non lo so … alle volte la vita può sembrare ingiusta, ma credo che non posso essere ingrata con colui che ci ha dato tutto senza chiedere nulla in cambio …”

“Sì ma Federico ti ama!”

Giulietta sgranò gli occhi e chiese:

“E tu che ne sai?”

“Ti guarda come la mamma guardava papà! È tanto semplice, vi volete tanto bene …”

“Ma lui ha già Inès …”

Non riuscì a proseguire, la vita con lei era stata crudele, aspettava paziente sperando che qualcosa di buono arrivasse e puntualmente, ogni qual volta stava per raggiungere ciò che aveva tanto atteso questo spariva, si allontanava da lei, senza speranza che potesse tornare. Una lacrima le rigò il volto. La loro conversazione era finita, si abbracciarono e così rimasero per ore.

Inès ferma nella sua poltrona guardava fuori dalla finestra, il paesaggio candido le dava pace all’anima, sentì bussare e senza esitazione disse:

“Avanti”

Entrò Federico Sepúlveda, che vedendola così pallida le chiese:

“C’è qualcosa che non va?” il suo sguardo era preoccupato,  ma in un attimo la donna si irrigidì e guardandolo negli occhi chiese nella sua lingua:

“cos’ha lei che io non ho?”

Federico la guardò attonito e chiese:

“lei chi?”

“Giulietta!” si alzò di scatto e proseguì “Voglio sapere cosa c’è in lei di tanto speciale” per l’uomo fu impossibile ribattere, non poteva dire che per lui non avesse nulla di speciale, ed allora fu la sua fidanzata che come un fiume in piena proseguì:

“Voglio sapere perché tu e Paris la guardiate allo stesso modo, voglio sapere perché non guardate me così!” si portò una mano sul cuore e iniziò a piangere. Sepulveda si avvicinò a lei e tentò di asciugarle le lacrime, ma fu inutile:

“lasciami stare! Voglio solo stare sola!”

Federico ubbidì e la lasciò. Una cameriera della locanda lo chiamò e le disse che era atteso da una comunicazione telefonica. Era la chiamata che stava aspettando. Dimenticò Inès e corse da Giulietta. Bussò animosamente alla sua porta, e non appena le fu aperto le disse:

“Andiamo, ci stanno aspettando”.

 

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Capitolo 21
*** 21 ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sabrina Paso stava camminando lentamente fra la neve, era stremata, il freddo le aveva spaccato tutte le mani, le guance scarne e incavate, erano rosse e secche, per coprirsi non aveva nulla, se non addosso quella misera tuta di cotone a righe. Un soldato le intimò di fermarsi. Tremante, un po’ per il freddo e un po’ per la paura si fermò. Lentamente verso di lei vide arrivare un uomo in giacca e cravatta, il cappello in testa, fece un po’ di fatica a riconoscerlo, ma quando le fu vicino non ebbe dubbi.

Era Fabio Paris!

Un impeto di rabbia la invase, ma non aveva forze per ribellarsi e rimase cheta, nello stesso punto dove si trovava da quando l’aveva accompagnata il soldato.

“Ciao Sabrina! Finalmente ti vedo …” disse l’uomo tenendo le mani nelle tasche

La donna deglutì.

“Mi spiace di vederti così, non mi ero raccomandato altro che ti trattassero bene …”

“Cosa vuol dire?” chiese lei

“Vuol dire, che quando ti ho fatta prendere con tuo marito, non volevo certo che ti trattassero in questo modo, io volevo solo allontanarti un po’ da Giulietta …”

“Ma perché lo hai fatto! Perché? Io non ti ho mai fatto nulla di male …”

L’uomo rise.

“Perché volevo che Giulietta non avesse più nessuno su cui appoggiarsi! Se era sola, non poteva far altro che correre da me!” rivelò l’uomo

“spero con tutto il cuore che non sia andata così!”

“Ed è qui che ti sbagli! – fece un passo lasciando l’orma sulla neve bianca –lei è corsa subito da me, mi è grata, infinitamente grata, che non ha neppure il coraggio di tornare dal suo grande amore … dovresti vederla, così innamorata di lui, ma così legata a me, è davvero speciale, ho avuto la conferma, che potrà stare con me tutta la vita, ma adesso vista la sua premura nei miei confronti voglio farle un regalo, ti riporto a casa, così si deciderà a sposarmi … e poi dovresti vedere com’è dolce il tuo bambino … mi chiama zio … mi adora” una risata cinica

Sabrina lanciò un urlo:

“NO! Mio figlio, non può essere, tu non puoi …”

“Certo che posso, ha vissuto con me in questi ultimi anni … l’ho cresciuto, l’ho vestito, gli ho dato da mangiare, l’ho messo a dormire …”

Un dolore al petto per Sabrina.

Una fitta lancinante e insopportabile.

Cadde a terra in ginocchio dicendo:

“Tu le hai tolto l’amore di sua madre …”

Piangendo cadde sdraiata a terra. Un riverbero di sole le accarezzò il volto per posarsi sulla lacrima che le stava incastonata fra le ciglia.

Chiese perdono.

Perdono a Dio, se in quel momento il suo cuore era pieno d’odio.

Chiese perdono.

Perdono alla Mamma Celeste, che era sopravvissuta al dolore della morte di suo figlio, mentre lei non riusciva a vivere, sapendo che le era stato tolto l’affetto del suo bambino da un essere indegno.

Poco distante Giulietta aveva assistito alla scena, arrivò correndo. Nella corsa perse il suo cappello rosso, che pareva una chiazza di sangue fra il candore della neve. Il silenzio regnava. Surreale. Si accasciò su Sabrina. Doveva essere uno dei giorni più belli della sua vita, ed invece si era trasformato in un incubo. Fabio era la causa di tutto il suo dolore, aveva sentito abbastanza per capire tutto. Le sue lacrime cadevano copiose, bagnando il volto della cugina.

“Non lasciarmi. Non ora che ti ho ritrovata” disse Giulietta singhiozzando

La cugina poté solo guardarla e nulla più. Il suo cuore era ormai spezzato dal dolore.  Riuscì solo a donarle un’ultima carezza sul volto per poi far ricadere la mano inerme sul suo corpo smunto.

“no … non può essere, non lasciarmi, ho bisogno di te, ho fatto tanto per ritrovarti ed ora tu mi lasci così” ondeggiava avanti e indietro, in un moto perpetuo, come se fosse fuori dal mondo, estranea a tutto ciò che stesse accadendo:

“Non è come pensi !” disse Paris toccandole una spalla

“Non toccarmi! Assassino” l’uomo indietreggiò a quelle parole, per la prima volta in vita sua sentì il suo cuore palpitare e stringersi dal dolore.

Alessandro arrivò lì, e vide Giulietta piangere. Nonostante sua madre fosse irriconoscibile la guardò, e disse alla zia:

“Così farai male alla mamma”

Guardandolo non seppe che dire, e Federico disse:

“La mamma ha smesso di soffrire …” lo prese in braccio e se lo strinse al petto mentre Giulietta piangeva. Accarezzava la cugina e la copriva, si tolse il giubbotto rosso e lo mise su di lei mentre con l’alito cercava di scaldarle la pelle e sussurrava:

“Quanto freddo hai patito? Quanto? Non preoccuparti, adesso andremo a casa … ti accendo il fuoco e ti scaldi” con la mano le accarezzò anche la nuca priva dei suoi capelli e proseguì:

“Oh cresceranno i capelli, ti darò uno dei miei cappelli …” era divenuto un pianto laconico. Poco distante Inès li guardava; Federico con Alessandro in braccio, Giulietta seduta sulla neve, incurante dei suoi abiti che si stavano inzuppando, e in piedi a guardarli vi era Fabio, che silenzioso li guardava. Una guardia in divisa verde era al fianco della donna argentina, fece alcuni passi in avanti e disse :

“è lei!”

Corse da Giulietta e la strattonò, tirandola per un braccio per farla alzare, ma lei rimaneva avvinghiata al corpo di Sabrina, fu Fabio che chiese:

“Cosa cercate da lei? Lasciatela stare!”

“Quella donna, ci ha detto che è un’ebrea  …”

“Non lo è!” rispose secco l’uomo  e si voltò verso di lei, e le disse:

“Hai ragione tu! Forse io e te siamo fatti della stessa pasta, potremmo stare insieme, peccato che il mio cuore abbia deciso di battere per un’altra”

A quelle parole Giulietta sollevò il capo e disse:

“Perché mi fai questo?”

“Perché tu non meriti l’amore di questi due uomini! E io voglio che tu sparisca per sempre”

“Visto? Abbiamo usato gli stessi mezzi per raggiungere il nostro scopo!” la voce di Paris era carica di amarezza, ma Giulietta disse stanca:

“No Inès, tu sei diversa, ne sono certa, l’amore non è questo! L’amore non è togliere, ma è dare, incondizionatamente, guarda Fabio, mi ha tolto tutto, mi ha lasciata sola per far si che avessi bisogno di lui … oh cosa credi che io possa provare per lui? Gratitudine, provavo solo gratitudine, ma l’amore è un’altra cosa … salvati se puoi …” smise di parlare, non ne aveva più voglia. Aveva solo voglia di piangere, non le importava più di nulla; il soldato incredulo guardò Paris e poi l’ambasciatore Argentino, fu quest’ultimo che disse:

“Vai c’è stato un errore”.

Inès con gli occhi pieni di lacrime scappò via.

Fabio si accasciò su Giulietta:

“Perdonami, non doveva succedere tutto questo …”

“Va via …” riuscì a bisbigliare

“Ma  …” tentò di obbiettare

“Ti ha detto di andartene … ed è ancora buona, se fosse stato per me …” non completò la frase, Alessandro stringendosi a lui gli chiese di smetterla.

I suoi grandi occhi neri erano stati chiari e decisi. Non era tempo per recriminare. Lentamente si allontanò da loro, senza poter staccare gli occhi da Giulietta che piangeva stringeva la cugina oramai priva di vita, con il corpo segnato da atroci sofferenze.  Fabio Paris per la prima volta in vita sua sentì nascere un senso di vuoto e smarrimento nel petto. Una gran voglia di piangere si impadronì di lui, ma non una lacrima scese dai suoi grandi occhi verdi. Desiderò la morte, ma anche questa forse era fin troppo poco per lui. Guardando Giulietta piangere capì tutto il male che le aveva fatto in quegli anni. Capì che aveva sbagliato tutto nella sua vita. A testa china si scontrò per un istante con Inès che era rimasta lì impalata, non la guardò che per un attimo. Prima di sparire nel nulla.

La mano piccola e fredda di Alessandro  accarezzò i neri capelli della zia e disse:

“La mamma non sarebbe contenta di vederti piangere …”

La donna non rispose, si morse il labbro e si asciugò le lacrime col dorso della mano, fu allora Federico che disse:

“Mi spiace … se solo fossi arrivato prima …”

“Già, se solo fossi arrivato prima … chissà, forse sarebbe ancora viva, oppure no, non lo sapremo mai” rispose Giulietta senza sollevare lo sguardo, poi aggiunse, parlando come se Sabrina potesse sentirla “avrei solo voluto poterti parlare ancora una volta, avrei voluto farti vedere Alessandro, sei tu che dovresti crescerlo! Io non sono la mamma … tu hai scelto me come mamma di tuo figlio … perché? Perché? Mi manchi Sabrina, torna da me … ti prego … io che faccio adesso da sola? Sola capisci?” tutte quelle domande salirono al cielo plumbeo, e Alessandro, stringendola le disse:

“Ha scelto te, come mia seconda mamma, perché sapeva che non avrebbe potuto scegliere di meglio, ha scelto te come mia seconda mamma perché sapeva che mi avresti amato tanto quanto lei, poi non ti ha lasciato sola, ci sono io …”

Quelle parole le scaldarono il cuore, ma non le spensero il dolore che aveva dentro, e fu sempre il piccolo che disse:

“Zia, non piangere più … non possiamo fare più niente per lei, ha smesso di soffrire, è andata in cielo, da Gesù! Non ti ricordi? Tu stessa mi hai detto che tutte le persone buone quando muoiono vanno da lui …

Andiamo, non piangere …”

Aveva ragione . non c’era più niente da fare. Federico le passò un fazzoletto bianco e l’aiuto ad asciugarsi le lacrime. Inès guardandoli provò dolore e pena per se stessa. Mai nessuna l’aveva amata in quel modo, e mai lei aveva amato con quella stessa intensità. Con un gesto della mano chiamò due soldati e li mandò da loro:

“Sono la futura moglie dell’ambasciatore, andate e aiutate quella ragazza, deve seppellire il corpo della sorella, voglio che sia dignitoso” sapeva bene che era la cugina, ma per il legame che avevano parevano due sorelle; fatto questo tornò nella pensione dove alloggiava.

Le ciminiere emettevano fumo grigio ed un forte odore acre; Paris, era in piedi accanto ad una delle capanne dove probabilmente aveva dormito Sabrina, e osservava ciò che accadeva. Aveva sentito tanti racconti, ma mai aveva visto cosa accadeva realmente. Grazie al suo tedesco capì che i militari gridavano:

“Tutti a fare la doccia”

Ma dopo non vedeva uscire nessuno. In quel momento capì cosa accadeva davvero, quello  doveva essere una delle docce a gas, dove venivano gasati i prigionieri, e successivamente venivano bruciati. Al pensiero gli salì la nausea.

Vomitò.

Un altro plotone in arrivo.

Si presentò:

“Sono Fabio Paris, mi hanno appena comunicato che questi ebrei devono essere portati nell’altra doccia!” la sua voce era dura come un tempo. Inflessibile.

“Noi non ne sappiamo nulla” contestarono i soldati di fronte a lui

“Per non incorrere in sbagli e punizioni io vi consiglio di andare a chiedere”

I giovani militanti si consultarono. Ed effettivamente aveva ragione lui. Si allontanarono. Fu in quel momento che Paris diede un’occhiata a quanti erano.

Solo un centinaio.

Ma poco gli importava, per quanto poco facesse tutto serviva, anche una goccia nel mare serve a riempirlo, pensò:

“Seguitemi” urlò

Abituati com’erano ad eseguire gli ordini, ubbidirono senza farsi domande.

A mani nude cercò di aprire il filo spinato che avvolgeva l’intero campo. Non poté far altro che aprire un piccolo buco, si mise in mezzo, tenendolo aperto tra le gambe e la schiena. Velocemente li vide passare uno dietro l’altro, con un’energia che credevano di aver perso, era forza della speranza, la speranza, che potessero davvero scampare a quel posto orribile; fra di essi Fabio riconobbe un volto.

Era Gabriele, il marito di Sabrina.

Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.

Né lo fermò.

Lo vide andare via.

Non gli disse nulla, vide nell’uomo il luccichio della felicità, e non volle togliergliela.

Era l’ultimo della fila.

I soldati tornarono. Li videro scappare e iniziarono a mitragliare all’impazzata. Fabio si voltò un istante e vide cadere a terra proprio lui. In quel momento i suoi occhi piansero tutte le lacrime che non aveva versato in vita sua.

“Traditore!” gli gridarono i militari

Paris si alzò in piedi.

Alto e fiero, come mai lo fu in vita sua.

Molte erano le persone che aveva affossato, e che per colpa sua erano morte. Finalmente aveva capito di aver sbagliato. Finalmente si era pentito di tutto quello che aveva fatto nella sua vita. Aveva fallito in tutto,aveva pensato di poter ottenere anche l’amore con i soldi ed il potere, ma non era stato così. Ad insegnarglielo era stata lei:

GIULIETTA.

Il suo pensiero volò a lei.

Non avrebbe mai saputo che alla fine si era pentito sul serio.

Non avrebbe mai saputo che l’aveva amata sul serio.

I colpi di mitragliatrice lo raggiunsero nel petto. Freddi e taglienti lo trapassarono. Lasciandolo privo di vita. Pareva una macchia sul candore della neve che avvolgeva quel luogo.

Fra risa e sputi, dei tedeschi finì la vita di Paris.

Giulietta era tornata nella casa dove viveva con sua madre. Le ci volle poco per risistemarla e farla tornare calda e avvolgente.

La primavera era appena iniziata. La neve polacca sembrava un lontano ricordo, eppure nel suo cuore era forte il dolore per gli avvenimenti appena passati.

Avevano seppellito Sabrina nello stesso cimitero di sua madre. Così avrebbe potuto andarla a trovare facilmente. Ad accompagnarla a Roma erano stati Federico ed Inès; proprio quest’ultima prima di lasciarla la strinse a se, priva di rancore e rabbia, e le sussurrò all’orecchio:

“Perdonami se sono stata cattiva con te … se posso fare qualcosa per rimediare …”

Effettivamente una cosa c’era …

Le chiese di portare con se Donna Adelina, non le importava di quanto male le avesse fatto, ma sapeva con assoluta certezza che nessuna donna meritava di vivere senza il figlio accanto.

Fu esaudita.

Il saluto più doloroso lo diede a Federico.

Sapeva che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe visto in vita sua. Lo strinse forte a se inspirando il suo profumo più forte che poté, quasi come a volerne fare scorta. Lui le baciò le mani, e con il labbiale le disse:

“ti amo e ti amerò sempre … sarai la mia camelia”

Giulietta rispose con gli occhi. Per loro non era più tempo. Avevano perso la loro occasione, con la morte nel cuore si dissero addio.

Quella mattina il fuoco era acceso, come sempre. Sulla cucina vi era una pentola dove ribolliva lo stufato per il pranzo. Giulietta cuciva. Aveva imparato quando era ragazzina, ed adesso manteneva lei e Alessandro con quei lavori di sartoria; il nipotino le diceva sempre:

“Diventerai una grande sarta! Ne sono certo” e lei poteva sorridere di cuore. La radio stava trasmettendo notizie importanti, si parlava ancora della guerra:

GLI AMERICANI SONO ARRIVATI NEL CAMPO DÌ CONCENTRAMENTO DÌ  AUSCHIWZT …

Poi non poté udire più nulla, un enorme frastuono veniva dalla strada; grida di gioia e di motori, si affacciò alla finestra e vide i carri armati sfilare per le vie della città.

La guerra era davvero finita. Erano gli americani che erano arrivati a liberare l’Italia. Un pianto di gioia e liberazione. Era come se un senso di pace si infondesse in Giulietta che aveva vissuto pienamente quella guerra. La porta di casa si spalancò:

“Zia! Zia! Guarda!” era Alessandro che festante mostrava qualcosa di nuovo, e pieno di entusiasmo disse:

“Me lo ha dato un soldato americano! Ha la pelle come l’ebano, ma un sorriso bianco … come la tua pelle! Mi ha dato questo, mi ha fatto vedere che lo devo mettere in bocca e lo devo masticare … l’ho fatto! Sa di caramella! Solo che non finisce … mi ripeteva solo chewingum!”

Giulietta lo guardava felice. Vederlo così le faceva passare tutta la tristezza che aveva nel cuore, poi il nipote le disse:

“Dai zia, vai a farti bella, vieni fuori, ci sono tutti i miei amici …”

Con un sorriso disparve e fu nella sua stanza; indossò un abito a fiori. Erano delle camelie rosa che volteggiavano su un drappo di stoffa bianco.  Aveva visto la stoffa al mercato e non aveva saputo resistere, si era fatta un vestito, cosa che accadeva raramente, ma sapeva che prima o poi sarebbe capitata un’occasione speciale. Si guardò allo specchio e fra i capelli, ormai cresciuti, mise il suo immancabile fermaglio.

Aprì la porta della stanza e vide la cucina invasa di fiori, rose, gerbere, dalie e altre infinite varietà:

“Questa consegna è per lei!” disse un garzone

“Ci deve essere stato un errore” ribatté lei stupita

Ma il ragazzo non attese risposta e se ne andò.

“Alessandro … perché hai fatto entrare quel ragazzo?” chiese al nipote

“perché ho promesso, che avrei fatto di tutto per farti sorridere almeno una volta al giorno, perché ho promesso che avrei fatto tutto quello che lui mi avrebbe chiesto!”

“Ma hai promesso cosa? E a chi?” chiese Giulietta senza capire più nulla

“A me!” quella voce … era la sua! Non poteva sbagliarsi, ne era certa, alzò gli occhi e lo vide sulla soglia della porta

Federico Sepúlveda.

Aveva un pantalone marrone e una camicia bianca, la giacca la teneva con due dita. Era bellissimo come sempre, forse quella volta anche di più. La guardava sorridente, ma prima di avvicinarsi a lei si accostò ad Alessandro e gli disse:

“Sapevo che avrei potuto contare su di te! Sapevo che non mi avresti deluso … e ora va a divertirti” il bimbo gli diede un bacio e rispose:

“E io sapevo che non mi avresti deluso … che avresti mantenuto le tue promesse …” detto ciò andò fuori a far festa.

Federico si fece spazio tra i fiori che lui stesso aveva fatto portare in quella casa e  raggiunse Giulietta che lo guardava come se avesse visto un fantasma, le disse:

“Non guardarmi così …”

“Pensavo che non ti avrei più rivisto!”

“Io no … non sono così idiota da commettere lo stesso errore due volte”

“E Inès?”

“Inès … beh io le ho detto che ti amavo … e che non avrei mai potuto amare nessun’altra che te …”

“E adesso soffre per colpa mia!” rispose Giulietta

“no, di questo stanne certa …  mi ha chiesto di riaccompagnarla in argentina e così ho fatto, si è chiusa in convento, dice che vuole pensare e trovare l’amore più grande che si possa provare, era così felice quando è entrata che credo proprio che con l’aiuto del Signore lo troverà. E con lei c’è anche Donna Adelina, chissà magari si addolcisce un po’ … anche se non credo!” rise, oramai tutto era lontano. Aveva salutato per l’ultima volta la sua terra. Suo padre era ancora arrabbiato con lui. Pareva lo odiasse per ciò che aveva fatto, ma sapeva bene che avrebbe capito.

Prima o poi.

Sua madre lo aveva baciato e benedetto, da sempre ciò che le stava a cuore era la felicità del figlio, e sapere che dentro era rimasto sempre lo stesso la riempiva d’orgoglio.

“e tu sei tornato per me?” chiese Giulietta

“Vuoi davvero una risposta?”

“Io … non …”

“Ti amo Giulietta! Ti ho sempre amata, dal primo momento che ti ho vista, e non voglio certo correre il rischio di perderti sul serio …”

Le baciò le labbra.

Un bacio d’amore. Il primo bacio che finalmente racchiudeva la felicità di entrambi. Il primo bacio che finalmente dopo tanto dolore li avrebbe condotti verso la speranza di un mondo migliore.

Perché il loro amore era stato messo a dura prova. La danza del vento, freddo e ostile aveva provato a separarli, ma dopo il vento c’è sempre il sereno, basta saper aspettare e credere. E così avevano fatto Federico e Giulietta, avevano aspettato e creduto nel loro amore fino all’ultimo, cosicché anche il destino avverso si era dovuto arrendere a quella forza infinita e misteriosa quale è l’amore.

 

 

 

 

                                                                                    FINE

 

 

ANGOLO AUTRICE

Grazie a tutti quelli che hanno seguito questa storia. È con tristezza che pubblico questo ultimo capitolo, mi dispiace lasciare tutti voi che siete stati tanti e soprattutto affettuosi.

Spero di ritrovarvi al più presto!

Un abbraccio e Felice Natale e Anno Nuovo, con affetto

Rospina.

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