Don't play with fire

di Miyuki chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Going under ***
Capitolo 2: *** Oh, would you talk to me? ***
Capitolo 3: *** I'm strong on the surface, not all the way through ***
Capitolo 4: *** I don't understand ***
Capitolo 5: *** Only one word is left for me to say... Why? ***
Capitolo 6: *** Get out of my way ***
Capitolo 7: *** Crave the sun, but I can't get out of bed ***
Capitolo 8: *** You make me violate you, no matter who you are ***
Capitolo 9: *** ...And so I cry sometimes ***
Capitolo 10: *** It doesn't hurt me ***
Capitolo 11: *** I love the way you undress, now baby begin! ***
Capitolo 12: *** Can't break free until I let it go ***
Capitolo 13: *** Call me when you're sober ***
Capitolo 14: *** Don't bother! ***
Capitolo 15: *** Then I see you standing there ***
Capitolo 16: *** You look like a fool to me! ***
Capitolo 17: *** But I ain't got a thing to lose, nothing to defend ***
Capitolo 18: *** I wish I could take the pain for you ***
Capitolo 19: *** Are you giving me only half of a chance? ***
Capitolo 20: *** And sometimes, we'll swallow discomfort to be happy ***
Capitolo 21: *** Think of me long enough to make a memory ***
Capitolo 22: *** I found a way to let you in ***
Capitolo 23: *** Think of me, only me ***
Capitolo 24: *** Hell is open to heaven ***



Capitolo 1
*** Going under ***


Premessa:

Ladies and gentleman, buonasera e benvenuti ^^
Chiarisco subito due cose e vi lascio alla storia: ho scelto di non seguire passo a passo la trama originale, quindi non stupitevi troppo per quello che di volta in volta farò o non farò accadere.
Detto questo, per il primo capitolo mi sono ispirata all'incontro di Ace e Smoker ad Alabasta (ve ne accorgerete anche leggendo il loro scambio di battute), diciamo che è una mia interpretazione di come avrebbero potuto incontrarsi.
I personaggi non mi appartengono ( purtroppo ç_ç) tranne la  new entry che spero avrete voglia di conoscere, non scrivo a scopo di lucro, etc etc...

Si insomma, buona lettura!

Going under

 
“E anche Crocodile è sistemato”
Annunciò Smoker.
Si lasciò andare contro lo schienale della sedia , sbuffando una nuvola di fumo bianco nell’aria satura dell’ufficio mentre incrociava le braccia dietro la nuca.
Trattenni il fiato: odiavo l’odore dei sigari.
Dopo qualche secondo, quando non riuscii più a stare in apnea, mi rassegnai a respirare con la bocca: almeno così riuscivo a non sentire l’odore acre e pungente di quelle schifezze.
L’uomo sogghignò alla mia abituale reazione, socchiuse gli occhi e ispirò profondamente un’altra boccata di fumo.
“Chi è il prossimo?”
Chiesi.
Smoker rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse pensando, e sbuffò un’altra spirale di fumo.
Stringendo i due sigari tra i denti si piegò in avanti, poggiando pesantemente i gomiti sulla scrivania e guardandomi negli occhi: ricambiai lo sguardo, notando nel suo una luce quasi inquietante.
“Monkey D. Rufy”
Disse soltanto, mentre la sua espressione già torva diventava ancora più cupa e minacciosa.

 
*

 
Con un mugolio mi allontanai dal parapetto in legno scuro e lucido: osservare le onde che si infrangevano sui fianchi della nave mi dava un senso di vertigine tutt’altro che piacevole.
Irrequieta, strusciai i piedi sulle assi del pavimento, pensando che non c’era cosa che odiassi di più dell’andare per mare.
Il mio sguardo cupo incontrò volti e uniformi di diverse decine di Marines, prima di incrociarsi con quello di Smoker.
Dava le spalle all’oceano, i gomiti contro il parapetto della nave e , tanto per cambiare, fumava: rimase impassibile davanti alla mia espressione afflitta.
Sospirai rassegnata, chiedendomi come facesse ad essere a suo agio.
Dopotutto anche lui aveva mangiato un frutto del diavolo, motivo che , almeno a me, sembrava più che sufficiente per temere il mare: sarebbe bastato un secondo, un solo attimo di distrazione, e se fossimo caduti in acqua saremmo entrambi colati a picco come sassi.
Il solo pensiero mi fece rabbrividire, perciò mi portai verso il centro della nave dove ero un po’ più lontana dalle onde spumeggianti e mi sentivo un po’ più al sicuro.
“E’ proprio necessario?”
Gridai a Smoker con fare tragico, rimanendo ferma vicino all’albero maestro.
“Non fare domandi inutili – mi rimproverò accigliato – sai che lo è”.
Chinai il capo sospirando sconfitta, capendo che il momento per scherzare era terminato.
Non che non avessi realmente paura del mare, tutt’altro, ma mi sarei controllata come avevo sempre fatto.
“Rilassati”
Buttò lì Smoker un po’ più amichevole capendo che avevo recepito il messaggio, mentre l’ennesima spirale di fumo veniva dissolta dal vento salato, che gli spettinava i capelli corti e gli accarezzava il petto.
“Mmh”
Mugugnai in risposta, ben sapendo che eravamo troppo lontani perché potesse udirmi.
I miei occhi si alzarono al cielo azzurrissimo, sporcato soltanto da qualche strascico di nuvola bianca, mentre appoggiavo la schiena contro il grande albero maestro e lasciavo che il sole mi scaldasse il viso.
Lo scalpiccio lieve dei Marines indaffarati a svolgere i propri compiti, unito al lieve dondolare della nave, fece in modo che ben presto le palpebre mi sembrassero estremamente pesanti.
Stiracchiandomi, attraversai il ponte, diretta sottocoperta dove si trovava la mia cabina, decisa a recuperare le ore di sonno arretrate.

*

 
Fui svegliata bruscamente da un rumore improvviso che scosse come un terremoto il letto su cui ero stesa.
Spalancai gli occhi sorpresa e spaventata e, dopo i primi secondi di smarrimento, balzai in piedi improvvisamente sveglia e schizzai fuori dalla piccola cabina, allarmata dal vociare concitato dei Marines.
Arrivai sul ponte: gli uomini correvano indaffarati per tutta la nave mentre Smoker impartiva ordini a qualche metro da me, avvolto dalla nebbia densa e umida che era scesa sull’oceano.
“Cosa succede?”
Chiesi preoccupata correndo da lui.
L’uomo distolse l’attenzione dal soldato che aveva davanti e la portò su di me, gli occhi grigi più cupi che mai:
“Dove diavolo eri? I pirati ci attaccano e siamo appena stati colpiti da un colpo di cannone, e tutto perché questo idiota si è addormentato”.
Ringhiò minaccioso e arrabbiato mentre il Marine incriminato, che avrebbe dovuto stare di vedetta, continuava a scusarsi chinando il capo, più spaventato che mai.
“Sappiamo chi sono?”
Domandai con urgenza, ignorando il brivido che mi era corso lungo la schiena nell’udire che una palla di cannone aveva aperto un bel buco nella nostra nave e che, con tutta probabilità, da quel bel buco stavano entrando litri e litri di acqua marina.
“E’ una delle navi di Barbabianca”.
Rispose cupo.
“Quale flotta?”
Domandai titubante.
“Ragazzina, come diavolo credi che io possa saperlo?”
Rispose irritato.
Deglutii sussurrando uno “scusa”, mentre i battiti del mio cuore acceleravano vertiginosamente.
In quello stesso momento la sagoma di una grossa nave emerse dalla nebbia, ad appena un centinaio di metri dalla nostra.
Il vento freddo soffiava sulle sue vele mentre il teschio della bandiera pirata si gonfiava fiero,  stagliandosi nei cielo nuvoloso.
Nel giro di una manciata di secondi le due imbarcazioni arrivarono ad essere così vicine che il fianco della nave pirata urtò quello della nostra, squassata dall’ennesimo scossone.
In piedi sul parapetto nemico, a nemmeno una decina di metri da noi, un ragazzo a dorso nudo si stava calcando un cappello arancione sul capo corvino, mentre nell’aria densa le voci dei Marines si andavano mischiando al vociare indistinto dei pirati che fremevano alle sue spalle.
“Portgas D. Ace…”
Dissi con un filo di voce, identificando il ragazzo.
“Anche tu qui eh, vecchio? Che coincidenza!”
Esordì il pirata allegro in un tono che, se non fossi stata sufficientemente vicina da scorgere il sorriso minaccioso sul suo volto, avrei potuto benissimo definire amichevole.
“Le coincidenze non esistono, Portgas”.
Rispose burbero Smoker, senza scomporsi davanti ai modi affabili del ragazzo.
“Non sei tu il pirata a cui sto dando la caccia al momento, ma ora che siamo entrambi qui non posso certo lasciarti andare”
Ringhiò, mentre il suo pugno destro perdeva consistenza e si mutava in una spirale di fumo bianco.
“…e voi, non statevene lì impalati.”
Rimproverò me e la vedetta pigra subito dopo, minaccioso.
Trasalii notando che gli altri uomini avevano già assunto i propri posti di combattimento, ricordandomi soltanto in quell’istante che il mio era dalla parte opposta del ponte.
“Sì!”
Esclamai dando le spalle a Smoker e ad una decina di uomini fidati, schierati e pronti a combattere con lui fianco a fianco, raggiungendo la mia postazione.
“E’ ora di divertirsi!”
Sentii Portgas dire, mentre le urla selvagge dei pirati che si lanciavano all’attacco segnavano l’inizio della battaglia.
 

*



Il combattimento andava avanti ormai da parecchi minuti, e per la nave erano già abbondantemente disseminati i cadaveri dei soldati, mentre i pirati erano in netto vantaggio.
Avevo subito capito che non avevamo nemmeno mezza possibilità di uscire vittoriosi da quello scontro: gli uomini di Barbabianca erano troppo forti, niente a vedere coi pirati ordinari che andavano al tappeto con un paio di colpi.
L’unico modo per evitare una disfatta totale era ritirarci.
Certo era più facile a dirsi che a farsi, i pirati erano tanto numerosi sulla nave quanto stupide formiche in un formicaio.
Capii che dovevo parlare con Smoker, in qualità di mio superiore nonché unico Marine abbastanza esperto da poter trovare una soluzione.
Schivai con un paio di rapidi balzi il pirata che si stava dirigendo verso di me con la sciabola sguainata, attraversando di corsa il ponte affollato, diretta al punto in cui avevo visto Smoker per l’ultima volta.
Mi augurai di cuore che lui e i suoi uomini se la stessero cavando meglio di quando non stessimo facendo noi, mentre i Marines intorno a me continuavano a cadere inesorabilmente sotto i colpi nemici.
Tra le urla dei pirati e quelle dei soldati che si accavallavano nella nebbia fitta, percorsi parte della distanza che mi separava dalla mia meta.
Mi arrestai bruscamente: la parte anteriore del ponte era completamente avvolta da fiamme crepitanti.
Mi guardai attorno atterrita, cercando disperatamente di distinguere la figura di Smoker tra la nebbia, il fumo, le fiamme e il groviglio di uomini.
Un grido strozzato uscì dalle mie labbra mentre un’improvvisa vampata di calore mi investiva in pieno.
Con un singhiozzo indietreggiai barcollando, momentaneamente accecata dal bagliore e dalla temperatura elevata, mentre un dolore acuto si impossessava del mio corpo ferito dalle fiamme. 
Inciampai nelle mie stesse gambe e, cadendo all’indietro, precipitai: capii cosa stava succedendo soltanto nel momento in cui la mia schiena colpì violentemente l’acqua gelida dell’oceano.
All’iniziale senso di sollievo per l’acqua fredda che leniva le mie scottature, si sostituì ben presto il terrore più cieco.
Iniziai ad agitarmi dimenando braccia e gambe, come se così facendo potessi riacquistare la capacità di nuotare che avevo perso mangiando il frutto del diavolo.
Pensai che, stavolta, ero davvero morta, mentre l’acqua salata mi bruciava gli occhi e la gola, si insinuava nella mia bocca e mi riempiva i polmoni.
Mi sentivo debole, stanca, pesante, non c’era una singola fibra in tutto il mio corpo che non mi facesse un male terribile e così, ben presto, mi arresi: smisi di lottare lasciando che la corrente mi trascinasse verso il fondo, ormai priva di sensi.

Spazio autrice:

Bè a dire il vero sul primo capitolo non ho molto da dire °_°
A parte che, ovviamente, visto che ci sarà un secondo capitolo  qualcuno o qualcosa interverrà per salvare il mio povero personaggio (o forse no? Mwahahaha come sono cattiva!).

Spero soltanto che sia piaciuto e che qualche anima pia abbia voglia di esternare la propria opinione, positiva o negativa che sia **
E.. beh si ecco io…
Buona serata!
*fugge*

 

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Capitolo 2
*** Oh, would you talk to me? ***


Oh, would you talk to me?


Appoggiato al parapetto, osservai la nave che ci stavamo lasciando alle spalle: lingue di fuoco squarciavano le vele con l’effige del gabbiano mentre le fiamme ne divoravano il ponte, ruggendo vittoriose.
Ammirato, osservai l’oceano riflettere quello stesso spettacolo e colorarsi di rosso, la superficie agitata dalle onde che iniziavano a diventare più violente con l’avvicinarsi della tempesta.
Sospirai soddisfatto, sistemandomi sul capo il cappello che era scivolato sulla schiena durante la lotta con Smoker.
“Il Cacciatore Bianco della Marina : che nome altisonante.”
Pensai tra me e me, dando le spalle alla nave in fiamme e dirigendomi verso la parte posteriore del ponte.
Non mi illudevo che fosse così facile eliminare Smoker, ma la cosa non mi preoccupava particolarmente: del resto l’unico motivo per cui avevo ordinato di attaccare la sua nave era perché ero sicuro che stesse cercando noi, quindi tra attaccare ed essere attaccato avevo scelto di fare la prima mossa.
Certo pareva che mi fossi sbagliato, il vecchio sosteneva che non ero io quello a cui stava dando la caccia, ma poco male: almeno così ero riuscito a levarmi di dosso la noia che si era impossessata di me nell’ultima mortalmente tranquilla settimana.
E si, una sana lotta era proprio quello che mi ci voleva.
Dovevo ammettere che togliere le tende era stato un po’ più difficile del previsto: mi ero stancato in fretta di azzuffarmi con Smoker (considerando poi che a causa delle nostre abilità i colpi di entrambi continuavano ad andare a vuoto), ma il Marine aveva gradito la mia compagnia a tal punto che quando avevo fatto per tornarmene sulla mia nave mi aveva urlato qualcosa come “Dove diavolo credi di andare Portgas!” ed era passato alle maniere forti cercando di affettarmi con quella sua maledetta spada.
Perciò, non avevo trovato modo migliore per persuaderlo a lasciarmi in pace che dare fuoco alla nave intera.
Convengo che non era stato proprio carino da parte mia e utilizzare simili colpi bassi non era certo la mia strategia preferita, ma cosa ci potevo fare se si era messo in testa che non mi avrebbe lasciato andare?
Immerso in questi piacevoli pensieri giunsi sul ponte, un sorriso sornione che faceva bella mostra di sé sul mio volto.
Inarcai le sopracciglia in un espressione lievemente stupita quando vidi Axel venirmi in contro agitato.
“E’ meglio se vieni subito a vedere”
Disse soltanto il pirata, concitato, facendo immediatamente dietro-front e correndo nella direzione da cui era venuto.
Ancora perplesso, lo seguii: al centro della nave almeno la metà dei miei uomini erano ammassati in un piccolo cerchio, mentre Axel mi faceva rapidi cenni con la mano perché mi avvicinassi.
Al mio arrivo molti di loro puntarono gli occhi su di me, parlottando piano e facendosi da parte per lasciarmi passare.
Quello che vidi mi lasciò ancora più perplesso: una ragazza era rannicchiata sulle assi del ponte, bagnata fradicia, scossa da violenti colpi di tosse.
E vidi anche un'altra cosa, un particolare che non mi piacque molto: indossava la divisa della marina.
“Beh?”
Chiesi guardandomi intorno, leggermente accigliato.
“Stavamo cercando Kobi come ci avevi ordinato, e l’abbiamo ripescata mentre colava a picco come un sasso”
Mi rispose Tai facendosi avanti.
Tornai a guardare il marine che ancora lottava per liberarsi dall’acqua che le era finita nei polmoni, tremante come una foglia, col capo chino.
“Capisco ...Ebbene signori, abbiamo un ospite!”
Decretai infine, mentre un sorriso impertinente tornava ad illuminare il mio viso: non ero certo uno santo ma nemmeno un assassino, non avrei ributtato in acqua, condannandolo a morte certa, proprio nessuno.
Nemmeno se era un inutile marine.
Alcuni degli uomini intorno a me si scambiarono occhiate perplesse, finché Axel decise di esternarmi le loro preoccupazioni parlando a nome di tutti:
“Ecco, Ace, non è che non rispettiamo la tua decisione ma… Ci viene in mente un solo motivo per cui un marine non sia in grado di nuotare”
Ammise alla fine tutto d’un fiato.
 “ Eh già”
Dissi soltanto, mentre un ghigno furbo si faceva strada sul mio volto: un frutto del diavolo.
Il ghigno si ampliò, mentre provavo ad immaginare i risvolti interessanti che avrebbe potuto assumere una tale situazione.
Una cosa era certa: per un po’ proprio non mi sarei più annoiato.
I pirati vedendo la mia sicurezza si tranquillizzarono, riprendendo a parlare tra di loro e commentando la situazione.
Solo Axel mi sembrava ancora timoroso.
“Dai
Axy, non ti preoccupare, qui c’è il tuo comandante che ti proteggerà da questa ragazzina cattiva”
Dissi con un enorme sorriso irriverente, circondando con fare protettivo le spalle dell’uomo di almeno una decina d’anni più vecchio di me.
Questo s’imbronciò, arrossendo, soffiando tra i denti un “Io non ho paura delle ragazzine”, mentre le risate sguainate degli altri uomini riempivano l’aria.
Risi anch’io, mentre il povero Axel iniziava a rilassarsi e a vedere la situazione con un po’ più di ottimismo, contagiato dall’atmosfera allegra che si era venuta a creare.
La mia attenzione fu nuovamente catturata dalla ragazza che, in un goffo tentativo di rimettersi in piedi, aveva finito con l’accasciarsi con un gemito sul pavimento.
Mi avvicinai tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi, mentre lei ancora tremava e tossiva, il respiro affannoso.
Il mio sorriso scomparve per un secondo quando puntò i suoi occhi nei miei come due lance gelide, investendomi con un disprezzo tale che per un momento mi fece desiderare di averla ributtata in acqua.
La studiai: la frangia bagnata le ricadeva davanti agli enormi occhi azzurro-grigi che mi guardavano minacciosi mentre serrava le labbra, innaturalmente tinte di un colore violastro a causa dell’acqua gelida dell’oceano.
Gocce salate continuavano a scivolare dai suoi capelli lunghi e castani al ponte della nave, mentre il corpo snello e sinuoso tremava, avvolto dall’uniforme bianca come da una seconda pelle.
Era pallidissima, il viso morbido e leggermente ovale dai tratti quasi infantili: doveva essere di un paio d’anni più giovane di me.
Ritrassi la mano, riprendendo a sorridere:
“Bè, bel ringraziamento, in perfetto stile della marina!”
Esclamai puntando le mani sui fianchi, un po’ indignato ma non particolarmente sorpreso: che i marines fossero più rudi di molti pirati non era per me un gran novità.
Alle mie spalle alcuni uomini sghignazzarono, lasciandosi andare a commenti spassionati sulla marina e sui suoi membri.
Gli occhi della ragazza si fecero ancora più torvi e aggressivi: se uno sguardo avesse potuto uccidere probabilmente saremmo tutti morti in una frazione di secondo.
Per sua sfortuna però non possedeva questa abilità, e la sua reazione non fece che causare l’aumento delle risate dei pirati.
“Ad ogni modo, benvenuta nella seconda flotta di Barbabianca.”
Esordii cercando di nascondere un sorriso divertito.
“…ma immagino che tu sappia già dove ti trovi.”
Aggiunsi gonfiando il petto d’orgoglio, certo che la nostra fama ci avesse preceduti.
“E tu sei…?”
Domandai cercando di apparire gentile.
“Non ti riguarda”
Mi rispose secca mentre un altro colpo di tosse tornava a scuoterla, cercando di trafiggermi con gli occhi.
Sospirai, lasciando che un sorriso aggressivo comparisse sul mio volto: poteva anche comportarsi da dura, ma nel groviglio di minacce del suo sguardo l’unica cosa che mi trasmetteva con chiarezza era la paura.
“E va bene…”
Sussurrai, senza lasciarmi sfuggire che un brivido più violento degli altri l’aveva scossa davanti al mutamento della mia espressione.
Le diedi le spalle, voltandomi verso i miei uomini che assistevano alla scena divertiti.
“Jugo, ultima cabina a sinistra, sottocoperta.”
Dissi ad un uomo grande e grosso che pacifico stava parlottando con Tai.
“E’ li che rimarrà fino a nuovo ordine.”
Continuai, riferendomi ovviamente alla poco simpatica nuova arrivata.
“Che aspetti? Portacela.”
Conclusi con un sorriso soddisfatto, mentre sistemandomi meglio il cappello davanti agli occhi lasciavo il ponte diretto al mio alloggio, certo che la ragazza fosse troppo debole per causare problemi.
Il mio sorriso divenne due volte più ampio mentre, chiudendomi la porta della cabina alle spalle, mi giungevano alle orecchie le urla furiose della ragazza.
Mi sembrava quasi di vedere la scena: quel colosso di Jugo che con tutta calma se la caricava in spalla mentre lei si dimenava come un anguilla, urlando insulti che avrebbero fatto impallidire anche il più rozzo lupo di mare.
Mi lasciai sfuggire una risata bassa e melodiosa, mentre mi sdraiavo sul letto concedendomi finalmente un po’ di meritato riposo.
 

 
Spazio autrice:
Ed ecco svelata l’identità del misterioso salvatore!
A dire il vero temo che sia una scelta un po’ ovvia la mia, ma non ho potuto resistere XD
E lo so, lo so, anche qui non ho fornito nessuna informazione sul nuovo personaggio, aspetto fisico escluso, ma cosa ci volete fare, mi piace svelare le cose un po’ per volta!
Se avrete la voglia di leggere, arriverà il momento per tutto ;)
Un ringraziamento speciale a  
Lenhara e valepassion che hanno recensito il primo capitolo e a Killy che ha messo la storia nelle seguite! :*
Al prossimo aggiornamento ^^

 

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Capitolo 3
*** I'm strong on the surface, not all the way through ***


I'm strong on the surface, not all the way through


Urlai tutti gli insulti e le imprecazioni che conoscevo, e non smisi nemmeno quando la porta si chiuse con un tonfo davanti ai miei occhi.
Mi accorsi di essere senza fiato: la gola mi bruciava da morire per l’acqua salta e sporadici colpi di tosse continuavano a scuotermi di tanto in tanto.
Per non parlare di come mi sentivo a livello psicologico: avrei ucciso quel dannato pirata, che andassero all’inferno lui e la sua schifosa ciurma!
Odiavo con tutta me stessa quel sorrisino del cavolo su quel viso lentigginoso da marmocchio, mentre con la massima tranquillità rideva di me insieme ai suoi amichetti.
Odiavo come mi ero sentita, debole e inerme mentre quei vermi si prendevano gioco di me.
Avevo sentito la rabbia crescere sempre di più fin quasi a farmi esplodere, e quando mi ero decisa ad attaccarlo – pur sapendo che avrei potuto fare ben poco – non ero nemmeno riuscita a portare a termine il mio proposito: il senso di pericolo che mi trasmetteva il suo odioso sorriso mi aveva gelato il sangue nelle vene.
Avevo sentito un brivido scuotermi come una scarica elettrica, paralizzandomi, mentre mi sembrava di sentire ancora sulla pelle il dolore delle scottature, e le voci che avevo sentito in accademia sul comandante della seconda flotta di Barbabianca tornavano a torturarmi le orecchie.
Affondai le dita tra le lenzuola, furibonda, mentre il groppo che avevo in gola si scioglieva in singhiozzi che non ero più in grado di contenere.
Era tutto così dannatamente sbagliato!
Mi rannicchiai stringendomi le gambe al petto, mentre la rabbia e la frustrazione rigavano il mio viso in lacrime salate.
Avrei voluto alzarmi, imboccare la porta attraverso la quale quello schifoso pirata mi aveva trascinata a forza e…
Non lo so, non so nemmeno io cosa avrei voluto fare dopo.
Avrei voluto sterminare Portgas D. Ace e tutta la sua ciurma, avrei voluto fuggire dalla sua dannata nave, qualunque cosa andava bene!
Solo non volevo rimanere lì, docile e passiva...
Volevo reagire!
Un singhiozzo più forte degli altri riecheggiò nella penombra della cabina, mentre mi rendevo conto non solo che non avevo alcuna possibilità di sconfiggere proprio nessuno, ma che ero in mezzo all’oceano e che in nessun modo me ne sarei quindi potuta andare.
Mi rannicchiai contro il muro tremando per il pianto e per il freddo dell’acqua gelida che mi si era infilata fin nelle ossa, rinunciando definitivamente a trattenermi e lasciando che singhiozzi sempre più forti riempissero lo spazio angusto della cabina.
 

*

 
Con un fremito, aprii gli occhi; mi guardai intorno, stordita e indolenzita, mentre il freddo tornava ad aggredirmi.
Mi rannicchiai maggiormente su me stessa, sentendo la disperazione del giorno precedente assalirmi di nuovo mentre improvvisamente ricordavo dove mi trovavo e perché.
Ispirai profondamente sentendo già le lacrime salire a bruciarmi gli occhi, i primi singhiozzi nascere nella mia gola.
Mi schiacciai con la schiena contro le assi fredde del muro, deglutendo mentre mi imponevo di calmarmi.
“Piantala di fare la bambina impaurita” ripetei più e più volte nella mia mente, concentrandomi sul mio respiro mentre cercavo di tenere sotto controllo il mio lato più fragile.
 Qualche minuto dopo, mi sentivo finalmente più calma e lucida.
Analizzai la situazione: ero bloccata su una nave pirata, sola, e non avevo idea di dove fosse Smoker.
Avvertii il mio cuore agitarsi nel petto, mentre per la prima volta da quando ero caduta in acqua mi rendevo conto che non avevo idea di cosa fosse capitato a lui e al resto dell’equipaggio.
Deglutii: il fatto che Portgas e i suoi fossero tutti interi non era certo un buon segno, Smoker non li avrebbe mai lasciati andare senza un valido motivo.
Sentii un buco scuro aprirsi nel mio petto simile ad una voragine, mentre la mia mente andava considerando tutto ciò che poteva aver impedito al marine di trattenere il pirata: e nessuna di queste opzioni mi piaceva.
Rimasi immobile, i miei pensieri come congelati sulle supposizioni peggiori: dovevo assolutamente sapere cosa era realmente accaduto.
Realizzai soltanto dopo diversi minuti che, sicuramente, Portgas sapeva la risposta alla domanda che mi tormentava.
Improvvisamente decisa su come agire, mi misi seduta sul ciglio del letto.
L’uniforme ancora umida e impregnata di sale sfregò la mia pelle, ma ignorai il fastidio: dovevo trovare quel dannato pirata ed avere la mia risposta.
Mi alzai persino in piedi avvicinandomi alla porta, prima di fermarmi a pensare a ciò che stavo per fare: il viso beffardo del pirata tornò ad occupare la mia mente insieme alle risate di scherno dei suoi uomini e alla paura, in ricordi così chiari e vividi che mi mozzarono il fiato.
Mi ritrassi istintivamente:  davvero volevo affrontarli di nuovo?
Magari mi avrebbero uccisa.
Questo pensiero mi scosse come una secchiata d’acqua gelida.
Per la prima volta mi resi conto che, incredibilmente, ero ancora viva, che incredibilmente quei pirati non sembravano intenzionati ad uccidermi.
Voglio dire, se avessero voluto lo avrebbero fatto quando ero così debole per l’acqua di mare da non reggermi nemmeno in piedi giusto? O mi avrebbero direttamente lasciata affogare giusto?
Sì, per la prima volta realizzai che, incredibilmente, i pirati non sembravano volermi fare del male.
Questa nuova consapevolezza comunque non cambiava ciò che provavo per loro, luridi bastardi.
In fondo non ero stata io a chiedergli di non uccidermi e non gli avevo nemmeno chiesto di salvarmi, si sbagliavano di grosso se si aspettavano che gli avrei mostrato gratitudine.
La questione però rimaneva: era abbastanza importante per me Smoker da spingermi ad affrontare di nuovo la ciurma?
Non ebbi bisogno di pensarci su a lungo: si.
Mentre cercavo di racimolare coraggio a sufficienza per affrontare la mia piccola impresa, sentii dei passi echeggiare appena fuori dalla porta del mio alloggio.
Rimasi paralizzata, trattenendo il fiato: erano sempre più vicini.
Arretrai bruscamente verso il fondo della cabina mentre la porta di legno massiccio veniva spalancata con un lieve cigolio, ritrovandomi a fissare gli occhi scuri e lievemente sorpresi di Portgas in persona.
Un brivido mi scosse mentre schiacciavo la schiena contro il muro, in un disperato tentativo di allontanarmi dal pirata.
Questo si riprese subito dalla sorpresa:
 “Buongiorno”
Disse tranquillo, mentre un sorriso irriverente si apriva sul suo volto.
Non risposi, osando appena respirare, mentre mi chiedevo come avrei dovuto comportarmi: avrei voluto saltargli addosso e cancellare quel sorriso con le mie stesse mani, sebbene la sola idea di avvicinarmi a lui mi faceva letteralmente tremare le gambe.
Ma, d’altra parte, era più facile che mi dicesse ciò che volevo sapere se mi fossi dimostrata un po’ più docile e accondiscendente.
 “Ti ho persino portato la colazione”
Disse con una leggera nota di ironia nella voce voltandomi le spalle, appoggiando il vassoio che reggeva in mano sul tavolino vicino alla porta, con una calma ed una lentezza che mi parvero innaturali.
Mi rilassai impercettibilmente, approfittando di quei momenti in cui non si curava di me per osservarlo: era piuttosto alto con un fisico asciutto e atletico, i capelli neri appena ondulati che arrivavano a solleticargli la nuca, imprigionati da un improbabile cappello arancione da cowboy.
Sentii un altro brivido quando tornò a voltarsi verso di me, i pozzi neri dei suoi occhi che inghiottivano i miei.
Mi sentii trafitta dal suo sguardo, e ciò mi spinse ad assumere un espressione ostile ed aggressiva nel vano tentativo di impedirgli di leggere ciò che provavo.
“Stupido pirata” era tutto ciò che riuscivo a pensare.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?”
Chiese beffardo e per nulla intimorito, mentre un sogghigno accentuava la sua espressione da marmocchio ribelle suggerita già dalle lentiggini e dalla capigliatura disordinata e un po’ arruffata.
Cercai di trattenere il ringhio che sentivo nascermi in gola, mentre l’odio nei suoi confronti tornava a bruciare più forte che mai.
“Come ti pare allora”
Concluse con un alzata di spalle e un espressione serena sul viso.
Si voltò, facendo per uscire e chiudersi la porta alle spalle.
“Aspetta!”
Esclamai all’improvviso, quasi senza rendermene conto.
Portgas si fermò, continuando a darmi le spalle.
Lo sentii ridere, una risata bassa e breve, mentre con un sorriso compiaciuto si voltava finalmente verso di me, in attesa che parlassi di nuovo.
“Devo chiederti una cosa”
Dissi ringhiando appena, frustrata dall’essere costretta a rivolgergli la parola.
“Deve essere davvero importante per spingerti a parlare”
Commentò corrugando appena le sopracciglia scure senza smettere di sorridere.
“Infatti.”
Ammisi brusca.
Presi fiato, cercando di formulare la mia domanda nel modo più breve e chiaro possibile, ma Portgas mi precedette:
“Una domanda per uno, risponderò alla tua se tu risponderai alla mia”
Disse guardandomi con superiorità.
Mi irrigidii, alla consapevolezza che non avevo altra scelta se non stare alle sue regole: annuii, scura in viso.
“Molto bene. Il tuo nome?”
Chiese, l’imperturbabile sorriso arrogante sul volto.
“Mikami”
Risposi tagliando corto, e senza dargli il tempo di ribattere gli posi la mia domanda:
“Smoker… Cosa è successo?”
Mi uscii a fatica.
Le sue sopracciglia si incurvarono maggiormente: era evidente che non si aspettasse una domanda del genere.
“Non ne voleva sapere di lasciarmi andare, quando ci siamo lasciati la nave alle spalle era avvolta dalle fiamme”
Rispose atono, studiando attentamente la mia reazione.
Accusai il colpo, sentendo come se una lancia di ghiaccio si fosse appena conficcata nel mio petto.
Ero decisa a non dargli nessuna soddisfazione, quindi mi limitai a ringhiare un “capisco” nel tono più brusco che mi riusciva, cercando di dissimulare il tremito della mia voce.
Socchiusi gli occhi con fare aggressivo, sperando che nella penombra non notasse che in realtà erano colmi di lacrime.
Mi studiò ancora per qualche istante poi, girandosi, uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasi immobile.
Quando fui certa che si fosse allontanato, quando l’eco dei suoi passi si perse nel corridoio, mi lasciai cadere a terra, mentre i miei singhiozzi tornavano a soffocarmi e a vibrare nell’aria pesante della piccola cabina per la seconda volta in appena due giorni.
 

 
Spazio autrice:
Terzo capitolo servito!
Un po' tragico, ma cosa ci volete fare, capita anche questo ù_ù
Spero di aver soddisfatto una piccola parte delle vostre curiosità: adesso sapete il nome del mio personaggio e potete farvi un idea un po’ più chiara del carattere della signorina, che era invece parecchio nebuloso nelle parti precedenti ^^
Ringrazio tutti quelli che stanno leggendo i capitoli, in particolare Hariken che ha aggiunto la storia tra le seguite e Killy, valepassion e Lenhara che continuano a seguire la storia e a recensire, grazie davvero :*
Al prossimo aggiornamento ;)
 

 
 

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Capitolo 4
*** I don't understand ***


I don't understand


Arrivato sul ponte sentii l’aria frizzante sferzarmi il viso, mentre una leggera pioggerellina mi bagnava le guance ed il petto e picchiettava di nero il ponte della nave.
Con passo rapido, tenendo il cappello con una mano per impedire al vento di portarselo via, mi diressi nuovamente verso la cucina, salutando con un cenno della mano gli uomini che indaffarati si occupavano delle vele.
Mikami eh? Certo tra tante domande non mi aspettavo che mi chiedesse di Smoker.
Mi era sembrato di averla vista vacillare nell’udire la mia risposta, ma poteva anche essere stata solo un impressione.
Del resto non si poteva dire che mi fosse sembrata molto informa, così pallida e sbattuta.
Corrugai le sopracciglia, rivedendo per un attimo il suo sguardo ferito e minaccioso, che mi aveva ricordato tanto quello di un animale rinchiuso in gabbia.
Quando finalmente raggiunsi la cucina calda e accogliente mi rasserenai, mentre gli odori invitanti che provenivano dalle pentole che con un borbottio sommesso si scaldavano sui fornelli disegnavano un ampio sorriso sul mio volto.
“Non ti darò più una sola briciola fino ad ora di pranzo”
Disse secco il cuoco senza smettere di mescolare il contenuto fumante di una grossa pentola, identificando la mia figura con la coda dell’occhio mentre mi chiudevo la porta alle spalle.
“E non venirmi a raccontare che è per quella ragazzina, perché stavolta proprio non ti credo!”
Continuò imperterrito l’uomo senza voltarsi.
Sogghignai mentre mi sedevo scompostamente sulla panca contro la parete, appoggiando il cappello sul tavolo al mio fianco:
“Mi conosci bene, eh vecchio?”
Chiesi divertito.
L’uomo non rispose, ma riuscii a scorgere un sorriso che si allargava sotto la barba bianca ed ispida.
Dopo qualche minuto si staccò dai fornelli, sedendosi pesantemente davanti a me, scrutandomi:
“Cosa pensi di fare con il marine?”
Mi chiese con un tono simile a quello che potrebbe usare un genitore mentre, con pazienza infinita, spiega al figlio che non può tenere con sé il gattino abbandonato che ha trovato lungo la strada tornando da scuola.
 “Non vedo molte opzioni: la molliamo sulla prima isola abitata in cui ci imbattiamo, così ce la leviamo dai piedi senza sporcarci le mani o essere assaliti dai sensi di colpa.”
Risposi appoggiando pigramente il viso sul dorso della mano, mettendo bene in chiaro le cose.
Il vecchio annuì, un tenue sorriso di approvazione mista a sollievo sul volto rugoso.
 

*

 
Soffocai con la mano uno sbadiglio, mentre i miei occhi mettevano stancamente a fuoco la cartina sulla scrivania.
Il pranzo si era appena concluso ed io mi ero ritirato nella mia cabina per studiare il tratto di mare in cui ci trovavamo, alla ricerca dell’isola più vicina su cui poter mollare la ragazza.
Tuttavia non riuscivo a concentrarmi, ogni volta che chinavo il capo sulla carta raggrinzita sentivo gli occhi chiudersi, mentre il bisogno di schiacciare un pisolino si faceva sempre più forte.
“Forse ho esagerato un po’ a pranzo…” stavo pensando placidamente, quando sentii bussare alla porta.
Sbadigliai rumorosamente, e grattandomi la nuca assonnato andai ad aprire.
Il primo viso che incontrai fu quello titubante e ansioso di Sam: sollevai un sopracciglio, lievemente sorpreso.
Il secondo fu quello scontroso e torvo di Mikami: entrambe le mie sopracciglia si sollevarono, ulteriormente.
Il terzo fu quello di Leo che come un cane da guardia teneva gli occhi verdi puntati sul marine, da cui vennero distolti soltanto per la frazione di secondo necessaria ad incontrare fugacemente i miei: a quel punto il solito sorriso impertinente fece la sua comparsa sul mio viso, esplodendo in una risata rumorosa subito dopo.
Sam mi sorrise timidamente di rimando, mentre lo sguardo degli altri due si incupiva.
“Ragazzi, cosa sono quelle facce scure?”
Domandai sornione, guardando prima l’uno e poi l’altra.
“Stavamo per ritirarci nelle nostre cabine dopo il turno di guardia, e l’abbiamo pescata a gironzolare per la nave come se niente fosse”
Mi rispose in un sibilo Leo, puntando gli occhi rapaci e minacciosi in quelli azzurri della ragazza, che sostenne il suo sguardo e lo ricambiò con altrettanta ferocia.
“…e quando abbiamo fatto per ricacciarla da dove era venuta e dove sarebbe dovuta restare si è impuntata, dicendo che doveva parlare con te”
Concluse con un altro sguardo ben poco amichevole rivolto al marine.
“Oh-oh”
Commentai interessato:
“Prima non mi rivolgi nemmeno la parola e ora addirittura mi vieni a cercare?”
Il mio sorriso non vacillò quando non ottenni alcuna risposta: mi sarei stupito del contrario.
“Va bene ragazzi, sentiamo cosa vuole. Grazie”
Li congedai con un cenno del capo.
Sam sgusciò via riconoscente mentre Leo mi guardava, esitante.
“Non ti preoccupare, credo me la caverò”
Scherzai, dandogli un energica pacca sulla spalla come ulteriore invito a levare le tende.
Il biondino mi lanciò un ultima occhiata, prima di sospirare e di dirigersi nuovamente sottocoperta dove lo aspettava la sua branda.
Diressi quindi lo sguardo su Mikami, che davanti alla mia curiosità rispose con il muro di ghiaccio dei suoi occhi.
Con un sorriso irriverente mi feci da parte, indicando con una mano l’interno della cabina.
Mi guardò minacciosa e diffidente, mentre varcava cauta la soglia cercando di passare il più lontano possibile da me.
Il mio sorriso si allargò, mentre mi impegnavo a non cedere alla tentazione di allungare un braccio e mandare in fumo tutti i suoi propositi di non sfiorarmi nemmeno con un dito.
Richiusi la porta alle sue spalle, appoggiandovi contro la schiena, attendendo che la mia ospite mi degnasse delle sue parole.
La luce del sole, che ancora lottava contro le nuvole dell’acquazzone appena passato, filtrava tenue dall’oblò, illuminandone la figura.
Non potei fare a meno di notare che mi sembrava ancora più pallida di quella mattina e che occhiaie scure cerchiavano gli occhi grandi.
L’uniforme stropicciata e logora le dava un aspetto ancora più sofferente, e per un momento provai dispiacere per lei.
Questo sentimento comunque non fece in tempo a fare presa in me: lo sguardo del marine si fece più affilato mentre prendeva fiato:
“E ora?”
Disse soltanto.
La guardai nuovamente perplesso.
Ma che diavolo di domanda era?
“Guarda che se anche dici più di due parole in un'unica frase non succede nulla di brutto, sai?”
La canzonai con un largo sorriso, stanco di sentirla parlare a monosillabi o con frasi spezzate e sconnesse come quella che le era appena uscita dalle labbra.
Si schiarì la voce senza nascondere uno sguardo notevolmente scocciato e infastidito, ma sembrò decidere che la mia era una richiesta che avrebbe anche potuto esaudire:
“Intendo dire, cosa volete fare con me?”
Sillabò scandendo bene le parole, come se parlasse ad un bambino o ad un imbecille.
Decisi di ignorare il suo atteggiamento:
“Il piano prevede di lasciarti andare non appena toccheremo terra”
Le risposi invece, mentre il sorriso sul mio viso si faceva un po’ più gentile.
Vidi qualcosa tremare nel suo sguardo ma Mikami lo nascose subito, distogliendo i suoi occhi dai miei.
La vidi aprire la bocca come per dire qualcosa, ma richiuderla subito dopo.
Tornò a guardarmi ostile corrugando le sopracciglia, riabbassando lo sguardo subito dopo sui suoi piedi.
Mi accigliai a mia volta: mi sarei aspettato di vedere almeno un barlume di felicità, di speranza o cose simili nell’udire che da lì a qualche giorno sarebbe potuta tornare a fare allegramente il cagnetto della marina.
Rimasi pazientemente in attesa, un po’ per curiosità e un po’ perché in quel momento mi sembrava davvero fragile, a dispetto dello sguardo minaccioso.
Così fragile, che mi domandai se non mi fossi sbagliato sul frutto del diavolo.
La cosa più facile sarebbe stata chiederlo, porle direttamente la domanda che tanto mi incuriosiva.
Tuttavia non lo feci: in parte perché ero quasi certo che non mi avrebbe risposto, in parte perché non volevo rovinarmi la sorpresa.
Dopotutto non poteva essere tanto pericolosa, se lo fosse stata avrebbe fatto ben più che fulminarci con lo sguardo.
“Capisco”
Disse infine con un filo di voce, rispondendo nello stesso modo in cui aveva accolto le notizie su Smoker.
Fece un passo verso di me, guardandomi fisso.
Di nuovo ebbi l’impressione di avere a che fare con un animale selvatico, mentre capivo che il significato di quel gesto era che semplicemente non aveva più nulla da dire e voleva andarsene.
Perché non si limitava ad aprire la bocca e parlare?
Ad ogni modo mi feci da parte, aprendo la porta.
La osservai uscire: si irrigidì passandomi di fianco, per accelerare il passo verso la sottocoperta non appena ebbe varcato la soglia.
La lasciai andare senza aggiungere nulla.
I miei occhi si persero tra le onde grigie dell’oceano mentre richiamavo alla mente il mio primo, spiacevole, soggiorno sulla Moby Dick: mi scoprii a provare una spiacevole sensazione che, se avessi dovuto descrivere con un unico aggettivo, non avrei esitato a definire amara.
La lotta tra pirati e marines non è poi così diversa nè meno serrata di quella tra due pirati rivali, e mi resi conto solo in quell’istante di sapere bene come si doveva sentire Mikami.
Per un attimo, uno soltanto, rimpiansi di non averle mostrato più gentilezza.
 

 Spazio autrice:
E anche il quarto capitolo è andato!
Ringrazio chi continua a seguire e recensire la storia, mi fa sempre tanto tanto piacere leggere cosa ne pensate ^o^
Oh, quasi dimenticavo: buon Natale a tuttiiiiii **

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Capitolo 5
*** Only one word is left for me to say... Why? ***


Only one word is left for me to say... Why?

Appoggiai la schiena alle assi ruvide della parete, turbata.

Perché?
Ero stata sul punto di chiederglielo, di aprire la bocca e dar fiato al fiume di emozioni contrastanti che provavo e che lui stesso aveva reso più impetuoso con quella risposta detta così, quasi che gli fosse sfuggita dalle labbra per caso.
Mi sentivo combattuta, come spaccata in due.
“Ti rendi conto di quello che dici? Hai ben presente cosa fa un marine e cosa fa un pirata? Hai chiaro che lo scopo principale della marina è quello di eliminare la pirateria? C’è bisogno che te lo spieghi?”
Una parte di me avrebbe voluto ringhiargli in faccia questo, stizzita dal suo comportamento illogico e irrazionale, fiera e orgogliosa fino all’inverosimile.

Ma, l’altra parte, si era sentita immensamente sollevata sentendo dire a Portgas “ti lasciamo andare”, con voce bassa e calma, gentile quasi.
Un brivido mi corse lungo la schiena mentre mi rendevo conto di essermi addirittura sentita riconoscente, e che rimanere impassibile fingendo disinteressate era stato molto difficile.
Addirittura c’era una piccolissima, e ripeto piccolissima, parte di me che iniziava quasi a sentirsi in colpa, per comportarsi in modo tanto insopportabile con chi in fin dei conti mi aveva salvata.
Mi coprii il volto con una mano, insinuando le dita tra i capelli.
E pensare che appena quella mattina mi ero detta che non avevo nessun motivo per dimostrare gratitudine ad una stupida banda di pirati…
Lasciai che la mia schiena scivolasse mollemente contro il muro freddo fino ad accasciarmi a terra, le ginocchia strette al petto, mentre le mie dita torturavano impietose le ciocche scomposte della frangia.
Cosa dovevo fare?
A quale delle due parti di me avrei dovuto dar retta?
Sentii l’ansia attanagliarmi il petto in una morsa gelida, mentre il groppo che avevo in gola trasformava in un singhiozzo strozzato il mio respiro.
Perché nessuno mi aveva mai detto che sarei potuta finire in una situazione del genere?
Perché durante l’addestramento nessuno mi aveva mai spiegato come mi sarei dovuta comportare se fossi finita prigioniera di un pirata?
Certo l’avevano fatta facile loro: dare per scontato che un pirata avrebbe ucciso un marine all’istante eliminava la possibilità della prigionia.
E quindi?
Si erano sbagliati?
Su tutto?!
Mi lasciai sfuggire un singhiozzo esasperato mentre domande su domande sia accavallavano nella mia mente e mi rendevo conto che per ognuna di esse non avevo una sola risposta, ma ne avevo due, tre, quattro!
Ogni piccola parte di me rispondeva in modo diverso a domande che, fino a quel momento, non mi ero mai nemmeno posta.
Marina uguale buoni e pirati uguale cattivi: era sempre stato così semplice e lineare!
Ma se i pirati alla fine non erano così cattivi, allora come cambiavano i ruoli?
Era la marina il cattivo?
No, no, non poteva essere, non si era mai sentito.
Ogni tanto poteva essere accaduto che non fosse riuscita a fare giustizia nel modo adeguato e questo era okay, in fondo niente è perfetto, ma che fossimo noi i cattivi era fuori discussione.
Chi era che si spostava di isola in isola tra razzie e scorribande depredando, rubando e uccidendo? Certo quelli non eravamo noi.
E allora?
Allora come stavano davvero le cose?
Come un cane che si morde la coda mi sembrava che i miei ragionamenti non portassero da nessuna parte, ogni volta che credevo di aver trovato una soluzione mi rendevo conto che ero invece giunta soltanto all’ennesima contraddizione.
Semplicemente, al momento sembravo non essere in grado di affrontare la situazione.
Mi sentivo troppo fragile, stanca, debole…
Che cosa avrebbe fatto Smoker al mio posto?
“Un pirata rimane pur sempre un pirata” sentii la sua voce riecheggiarmi nella mente, calma e assolutamente sicura di sé.
Inspirai profondamente cercando di calmarmi, sforzandomi di buttare fuori dalla mia mente tutto quel groviglio di dubbi e risposte indesiderate.
Allora non era poi così difficile.
“Un pirata è sempre un pirata” è un modo come un altro per affermare che tutti i pirati, indipendentemente da cosa possano fare o da come possano comportarsi, sono nemici giusto?
Espirai piano: si.
Il mio respiro lentamente tornò regolare mentre, ancora sul pavimento, la mia presa convulsa sulle ginocchia si allentava appena.
Allora, se le cose stavano così, sapevo cosa fare.
Ignorai con forza la vocina flebile che nella mia mente mi chiedeva se ero proprio sicura che fosse giusto giudicare una persona per una sua scelta di vita anziché per i propri comportamenti, mentre cautamente mi rialzavo in piedi.
Ignorai quella voce perché nonostante tutta la confusione che avevo in testa, paradossalmente, c’era una cosa mi era parsa chiara: non potevo concedermi il lusso del dubbio.
Non potevo permettermi di dubitare di quello in cui credevo, se lo avessi fatto allora sì che sarei stata davvero persa.
Mi era bastato un sorriso gentile ed io avevo iniziato a pensare e farmi delle domande, e all’improvviso non ero più stata certa di nulla: ero persino arrivata vicina a schierarmi dalla parte dei pirati.
Non importava come la pensavo io alla fine: la legge era legge, i pirati erano i cattivi e i marines i buoni.
Misi a tacere con rabbia la parte di me che si opponeva a questo ragionamento che io stessa mi rendevo conto essere rigido e forzato: un profondo respirò mi gonfiò il petto mentre il mio sguardo tornava limpido e fiero, nella mente ancora l’eco flebile della voce di Smoker.
“Dopotutto, un pirata rimane sempre un pirata.”
 

*

 
Lancia il cuscino per terra con tutta la forza che avevo, mentre un gemito frustrato mi usciva dalle labbra.
Mi sembrava di impazzire a stare chiusa in quella stanza: non c’era assolutamente nulla che potessi fare, ogni minuto sembrava durare un’eternità e, per quanto continuassi a fare finta di nulla, la mia coscienza mi urlava che la conclusione a cui ero giunta – quando? Un ora, forse due, o tre, o anche quattro prima – era sbagliata.
Non era da me non affrontare un problema, come non era da me non usare la mia testa per decidere ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
…solo non volevo che i dubbi mi assalissero di nuovo, o temevo che debole e confusa come mi sentivo avrei finito con lo schierarmi dalla parte dei pirati per semplice istinto di conservazione.

Non me lo sarei mai perdonata, tradire tutto quello che ero sempre stata per paura o fragilità.
E, soprattutto, non potevo tradire Smoker.
Tutto quello che mi aveva insegnato, quello che mi aveva detto, i suoi ordini…
Sentii un brivido gelido scuotermi, mi sembrava quasi di vederlo: il suo sguardo freddo e carico di disprezzo che riservava ai pirati puntato invece su di me.
Mi opposi con forza a questa immagine: no, non sarebbe mai accaduto, non lo avrei mai permesso.
Sentii la tristezza scendere improvvisamente su di me come nebbia umida e appiccicosa in una sera d’inverno, mentre di nuovo tornavo a chiedermi dove fosse Smoker in quel momento.
Non credevo che Portgas mi avesse mentito al riguardo, probabilmente davvero non sapeva più di quel poco che mi aveva detto.
E questo, se possibile, faceva ancora più male: significava che non avevo più nessun modo per sapere cosa gli fosse accaduto dopo che i pirati avevano lasciato la nave in fiamme.

Non poteva essere morto.
Non per così poco.
Mi aggrappai disperatamente a questo pensiero impedendomi di tornare a prendere in considerazione altre opzioni.
Dovevo farlo, anche questo era un punto su cui non mi potevo permettere incertezze.
Alzandomi in piedi, interruppi bruscamente il corso dei miei pensieri.
Rimanere ferma in quella dannata cabina buia e silenziosa significava necessariamente essere assalita da dubbi e paure, sensi di colpa e confusione.
Dovevo uscire.
Affrontare la ciurma e la faccia insolente di Portgas mi sembrò improvvisamente la cosa migliore che potessi fare per conservare un briciolo di lucidità: senza esitazioni (perché se mi fossi messa ad analizzare attentamente la questione ci avrei certamente ripensato), aprii la porta infilandomi nel corridoio lungo e silenzioso senza tuttavia avere nemmeno la più pallida idea di dove fossi diretta.
Mi sarebbe andata bene qualunque cosa, qualunque situazione in cui mi fossi imbattuta: tutto, pur di non rimanere da sola con la mia coscienza.
 

*

 
Ero sgattaiolata fin sul ponte principale, e solo in quel momento riuscii a spiegarmi perché non avevo incontrato nessuno: la ciurma al completo sembrava essersi radunata lì.
Esitai per un secondo, intimorita, ma il pensiero di tornare nella cabina buia sbriciolò ogni mio dubbio.
Mi avvicinai cauta e silenziosa alla banda di pirati che mi davano le spalle: la loro attenzione era tutta concentrata sul brigantino che si era affiancato alla nave di Barbabianca, della cui presenza mi accorsi solo in quell’istante.
Aguzzai lo sguardo, incuriosita mio malgrado.
Caso volle che proprio in quell’istante uno dei pirati davanti a me facesse un passo indietro, urtandomi.
Indietreggiai allarmata, mentre l’uomo si voltava: riconobbi in lui l’energumeno che mi aveva trascinato nella cabina solo il giorno prima, anche se a me sembrava essere passato un secolo.
Mi incupii all’istante, sentendo i muscoli tendersi sotto l’uniforme logora.
Il pirata mi guardò sorpreso:
“Non credo che tu dovresti essere qui”
Commentò in un tono calmo e pacato che strideva terribilmente con il suo aspetto rozzo.
Valutai rapidamente ciò che avrei potuto rispondere, mentre anche i suoi vicini si accorgevano della mia presenza e si voltavano verso di me.
In pochi secondi mi trovai al centro dell’attenzione.
Mi pentii di non essermene rimasta buona nel mio angolo, mentre i miei occhi spalancati incontravano gli sguardi – sorpresi, irritati e alcuni addirittura divertiti- dell’intera ciurma.
Ben presto incontrai anche quelli del comandante, le sopracciglia corrugate in un espressione contrariata e perplessa.
“Jugo”
Chiamò semplicemente, irritato.
Il colosso rispose con un cenno del capo, mentre il ragazzo che aveva al fianco (che riconobbi essere lo stesso che mi aveva portata da Portgas quello stesso giorno) sibilava fissandomi un “Ace perché non ti decidi a metterla sottochiave una buona volta?”
In un'altra situazione gli avrei probabilmente risposto per le rime, ma i miei polsi vennero saldamente afferrati dall’enorme pirata che si apprestava ad ubbidire all’ordine implicito nel richiamo di Portgas.
“Lasciami subito!”
Sbottai furiosa, cercando di divincolarmi con tutta la forza che avevo dalla sua presa ferrea.
“Che mi venga un colpo se quello non è il cucciolo di Smoker…”
Sentii una voce che non riconobbi dire all’improvviso, in tono saccente e mellifluo.
Smisi all’istante di agitarmi, sforzandomi di capire chi aveva parlato.
Cosa diavolo stava succedendo?
 

Spazio autrice:
Non credevo avrei avuto tempo, ma ieri sera dopo aver letto e risposto alle recensioni di Killy e Lenhara ero un sacco motivata a procedere con la storia che ho scritto il nuovo capitolo praticamente tutto d'un fiato!
E quindi eccoci qui, la prima parte del quinto capitolo ^^
L'ho spezzato a metà perchè se no sarebbe davvero diventato troppo lungo (e anche perchè sono un po' sadica e mi piace creare -o almeno cercare di creare- suspance) XD
Che dire, oltre a ringraziare Killy e Lenhara per le recensioni e  l'incoraggiamento vorrei anche ringraziare lyu89, Hariken e valepassion95, grazie a tuttiii **
Vi rifaccio anche gli auguri di Natale, a presto! :*

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Capitolo 6
*** Get out of my way ***


Get out of my way


Scrutai sospettoso l’uomo che avevo davanti:
“Cos’è che vuoi dirmi?”
Domandai senza tante cerimonie.
“Ad appena un giorno da qui, sulle coste di Micqueot, è ancorata un’intera flotta della marina. Se è là che siete diretti, fareste meglio ad invertire la rotta”.
Mi rispose con voce melliflua.
Corrugai appena le sopracciglia, infastidito.
“Tsk, non sarà qualche stupido marine a fermarci, se è la che vogliamo andare è là che andremo. Non siamo dei vigliacchi schiavisti, noi”
Gli risposi calcando le ultime parole con un sorriso minaccioso sul volto.
Dopotutto il mio odio per quei bastardi, che avevano addirittura la faccia tosta di farsi chiamare pirati, era tutto tranne che un segreto.
Gli occhi dell’uomo si accesero per un attimo, mentre un sorriso di falsa premura si stirava sul suo volto.
“…Certo, non metto in dubbio le capacità del secondo comandante di Barbabianca, ma se fossi in te ci penserei due volte prima di affrontare Monkey D. Garp così a cuor leggero.”
Continuò.
Strinsi appena gli occhi guardandolo con astio: maledetto lui e la sua banda di vermi schiavisti.
Tuttavia prendermela con quel bastardo sarebbe stato inutile.
Anzi, tutto sommato concedergli udienza era stata una buona idea, non avevo la benché minima intenzione di affrontare il vecchio Garp.
Ero disposto ad affrontare chiunque, ma non lui.
Rimasi per qualche secondo in silenzio, pensieroso, fissando gli occhi dello schiavista con astio.
Cosa ci faceva il vecchio a Micqueot?
Che qualcuno lo avesse informato della mia presenza?
L’unica cosa certa era che questo mi costringeva a cambiare i miei piani: avrei dovuto trovare un'altra isola su cui attraccare per liberarmi del marine.
“…e per quale motivo sei stato così gentile da avvertirmi?”
Mi informai senza cambiare espressione, deciso a non dare allo schiavista la soddisfazione di sapere che eravamo effettivamente diretti a Micqueot e che avremmo quindi dovuto cambiare rotta.
“Credo che sia sempre piacevole aiutarsi tra colleghi”
Mi rispose questo con un sorriso subdolo e smielato.
Il fatto che non cercasse di ottenere nulla in cambio di queste informazioni mi apparve alquanto strano, ma sul momento non me ne preoccupai troppo; stavo invece per rispondergli a tono, ma i mormori che sentivo alle mie spalle crebbero velocemente d’intensità fino a diventare un vociare così fastidioso che fui costretto a voltarmi, cercando di capire perché tutto d’un tratto gli uomini fossero così agitati.
Il mio umore peggiorò notevolmente mentre i pirati si scostavano e i miei occhi incontravano quelli minacciosi e spaesati di Mikami: quella ragazza aveva davvero un pessimo, pessimo tempismo.
“Jugo”
Chiamai visibilmente seccato, distinguendo l’imponente figura dell’uomo al fianco di quella più piccola ed esile del marine.
Tornai quindi a fronteggiare il mio sgradito ospite senza prestare ulteriori attenzioni alla ragazza, ignorando le sue grida, sperando che anche l’uomo facesse lo stesso.
Tuttavia, come era prevedibile, ottenni l’effetto contrario: sentii la mia irritazione crescere esponenzialmente, mentre quello sporco schiavista spostava i suoi occhi neri e avidi da me a Mikami, che alle mie spalle lottava con Jugo.
“Che mi venga un colpo se quello non è il cucciolo di Smoker…”
Vidi quegli occhi piccoli e spiritati illuminarsi mentre, con un che di smielato nella voce roca, pronunciava quelle parole.
“Hey.”
Lo ammonii ostile, spostandomi in modo da impedirgli di vedere la ragazza: era già tanto se tolleravo la sua presenza sulla mia nave, non gli avrei certo permesso di comportarsi come se fosse stato a casa sua.
“Cosa sai di Smoker?!”
Sentii Mikami urlare.
Cercai la sua figura con la coda dell’occhio, stupito nell’udire una nota acuta di disperazione nella sua voce solitamente bassa e cupa: aveva smesso di lottare contro Jugo, e fissava intensamente l’uomo di fronte a me.
Lo osservai a mia volta: sembrava stupito della domanda della ragazza.
Tuttavia si riprese presto, mentre un sorrisino compiaciuto si andava insinuando sul volto sfregiato.
“E così hai separato l’animaletto dal suo padrone… Bella mossa”
Disse rivolto a me.
Il mio sguardo si fece più affilato, mentre continuavo a non capire dove quel bastardo volesse andare a parare.
Sentivo Mikami agitarsi sempre più alle mie spalle, mentre Jugo cercava inutilmente di calmarla con voce pacata e gentile.
“Io credo che avrei scelto una ragazza un po’ più docile come animaletto da compagnia, ma ognuno ha i suoi gusti”
Continuò con un sorriso sempre più osceno sul volto.
Mi sforzai di rimanere impassibile per non fare il suo gioco: ecco una dimostrazione di tutta la considerazione che quella sottospecie di pirata aveva della vita umana.
“Rispondimi!”
Sentii Mikami ringhiare: dal suo tono non era difficile capire che la disperazione aveva tutto d’un tratto lasciato il posto alla rabbia.
“Mi spiace piccola, proprio non ne ho idea di cosa sia successo al tuo amato padroncino”
Disse l’uomo inclinando la testa di lato per tornare a guardarla, con un espressione di falso e patetico dispiacere.
“Certo il vecchio deve aver perso qualche colpo, si preoccupa così tanto per i suoi sottoposti, anche quelli più insulsi e inutili, e poi lascia che tu venga catturata da questi pirati cattivi?”
Lo schiavista continuò imperterrito, un sorriso malevolo che stirava le labbra grinzose.
“Oppure semplicemente si è reso conto che sei più inutile anche del più stupido tra i marines, e a deciso di abbandonarti come il cacciatore fa con il cane troppo vecchio per andare a caccia.
Avanti, avresti dovuto aspettartelo: il tuo bel musino non poteva continuare a fargli pena per sempre non credi? A quest’ora avrà già-
Accadde tutto in un lampo: improvvisamente Mikami comparve al mio fianco, di fronte allo schiavista, la mano destra sollevata come se stesse brandendo un arma, pronta a calarla sull’uomo.
Istintivamente le afferrai il polso, tirandola indietro.
Notai appena lo sguardo furibondo con cui essa mi investii ed il modo in cui lo schiavista era sbiancato, totalmente preso ad osservare l’arto che stringevo saldamente tra le dita.
Le unghie – che ora erano decisamente più simili ad artigli, a dire il vero - erano nere e ricurve, affilate come rasoi, e linee nere e frastagliate striavano la pelle candida.
“Lasciami!”
Ringhiò con voce talmente bassa e carica d’ira che staccai gli occhi dalla sua mano e li abbassai per cercare i suoi.
Tuttavia Mikami era già tornata a guardare truce lo schiavista che, ripresosi dallo spavento di poco prima e capendo che avrei trattenuto la ragazza, aveva ripreso colore mentre un sorriso cattivo ma decisamente nervoso compariva sul suo volto.
La vidi sollevare anche l’altra mano, gli artigli che splendevano minacciosi alla luce del sole calante, e la bloccai nuovamente afferrandole anche quell’arto.
“Limale le unghie e mettile una museruola se non sei in grado di farla stare a cuccia”
Sibilò lo schiavista con quella che probabilmente avrebbe voluto essere sprezzante cattiveria, ma che invece suonò alle mie orecchie come malcelata paura.
Senza dire una parola lo osservai tornare sul brigantino ormeggiato di fianco alla nave con una gran fretta, seguito da un paio di uomini che avrebbero dovuto fargli da scorta durante il nostro breve colloquio e che si erano invece rivelati essere alquanto inutili e paurosi come conigli.
“Se aiutarsi tra colleghi è tanto piacevole, allora forse dovrei iniziare a farlo anche io…
Eccoti qua il mio consiglio quindi: fai in modo che la tua nave non capiti mai più sulla mia rotta.”
Gli dissi con un ampio sorriso carico di minacce, mentre l’uomo ordinava con urgenza ai suoi uomini di levare l’ancora e spiegare le vele.
Quando il brigantino si scostò finalmente dalla nostra nave, allontanandosi a gran velocità, abbassai lo sguardo su Mikami: aveva smesso di dimenarsi e le sue mani erano tornate ad assumere la loro forma originaria.
Lentamente, le lasciai andare i polsi, pronto a fermarla di nuovo se avesse dato segno di voler attaccare me o uno dei miei uomini.
Lasciò cadere le braccia, inermi lungo i fianchi.
Teneva il capo chinato e non riuscivo a scorgere i suoi occhi, nascosti dalla frangia troppo lunga, ma sembrava essersi improvvisamente calmata.
Senza rivolgermi una parola o uno sguardo, mi diede le spalle, incamminandosi verso la sottocoperta.
I miei uomini si scostarono al suo passaggio, nervosi e perplessi.
“Ace…?”
Guardai Jugo, che confuso cercava di capire se l’ordine di prima di portarla nella sua cabina era ancora valido.
Scossi il capo in silenzio.
“Ma Ace-“
Il mio sguardo poco amichevole stroncò sul nascere le proteste di Leo, e fece desistere il resto della ciurma dall’esprimere la propria opinione in merito a ciò che era appena accaduto.
Quel dannato schiavista mi aveva proprio rovinato la giornata.
“Non preoccupatevi di lei, tornate a ciò che stavate facendo prima dell’arrivo di quei bastardi”
Ordinai sforzandomi di apparire un po’ più sereno.
Mi coprii gli occhi con la falda del cappello, dando le spalle alla ciurma per ritirarmi nel mio alloggio.
Mi sedetti alla scrivania, massaggiandomi le tempie con le dita.
Dunque non mi ero sbagliato, la ragazza aveva davvero mangiato un frutto del diavolo.
Quale però? Non ne avevo riconosciuto gli effetti.
Un paramisha forse, i più comuni e quelli che conferivano le capacità più disparate…
No, uno zoo-zoo più probabilmente: avrebbe spiegato gli artigli e il perché lo schiavista continuasse a chiamarla “animaletto”, “cucciolo”… Sembrava saperne ben più di me, sia riguardo a lei che riguardo a Smoker.
Sospirando, mi lasciai andare contro lo schienale della sedia.
Normalmente sarei stato ben felice della scoperta appena fatta e mi sarei impegnato a scoprire che frutto avesse mangiato e i suoi effetti, ma al momento mi sembrava solo un ulteriore scocciatura.
E, oltretutto, anche se sul momento l’avevo ignorato, Leo non aveva tutti i torti: non potevo fidarmi a lasciarla andare in giro liberamente.
Fino ad ora si era limitata a guardare chiunque in cagnesco, ma come potevo sapere che non le sarebbe venuta voglia di andare in giro a tagliare la gola a qualcuno dei miei uomini con quegli artigli?
Non che non mi fidassi di loro o li ritenessi deboli, ma in quanto comandante era mio dovere assicurarmi che non rischiassero la pelle per nulla.
Dopotutto avevo visto di cosa era capace: un secondo prima si dimenava frignando nella presa di Jugo e quello dopo era di fianco a me, e avrebbe ucciso senza pensarci due volte quel verme se io non la avessi fermata.
Questo mi metteva di fronte all’ennesimo problema: tenere prigioniero qualcuno che utilizza i poteri di un frutto del diavolo non è mai facile.
Si era dimostrata in grado di modificare il proprio corpo, e quindi non avrebbe avuto alcun problema a liberarsi se l’avessi legata.
Avrei potuto chiuderla a chiave nella sua cabina, ma anche così temevo non ci avrebbe messo molto a liberarsi; se avesse deciso di uscire non si sarebbe fatta tanti problemi a sfarmi giù mezza nave.
Corrugai le sopracciglia, richiamando di nuovo alla mente la prima volta che ero stato sulla Moby Dick: Barbabianca sembrava non aver mai preso in considerazione nemmeno per un secondo l’idea di chiudermi da qualche parte o di legarmi, mi aveva lasciato completamente libero.
Questo significava che non temeva i miei attacchi, ma come aveva fatto a sapere che non me la sarei presa con il resto della ciurma?
Incrociai le braccia sul petto, pensieroso.
Il mio obiettivo allora era Barbabianca, per me attaccare la sua ciurma sarebbe stato del tutto inutile,  illogico e sleale, oltre che probabilmente significare morte certa.
Anche Mikami non avrebbe ottenuto nulla attaccando i miei uomini, considerando anche che sapeva che l’avremmo lasciata andare il prima possibile, tuttavia…
Mi alzai, andando a stendermi sul letto, lo sguardo rivolto al soffitto.
No, era tutto okay.
Il fatto che per liberarsi dalla sua presa non avesse piantato gli artigli nel collo di Jugo era per me  sufficiente per poter dire che non avrebbe attaccato briga proprio con nessuno.
Nel peggiore dei casi avrebbe continuato a fulminare chiunque le passasse davanti con gli occhi, e a questo saremmo certo sopravvissuti senza problemi.
Mi sentii decisamente più sereno, ora che la faccia dello schiavista sbiadiva nella mia memoria e che ero arrivato alla conclusione che Mikami non rappresentasse una vera minaccia per la ciurma.
Sentii i muscoli rilassarsi, mentre lasciavo finalmente che un sorriso tenue si disegnasse sulle mie labbra.
“Io e quella ragazza dovremo parlare” pensai tra me e me, mentre il sorriso di faceva più ampio e insolente.
 
 

 
Spazio autrice:
Fiuuu, stavolta tra le feste e tutto il resto ci ho messo un po' ad aggiornare, anche perchè sebbene avessi chiarissimo in mente come la scena si sarebbe svolta, ogni volta che iniziavo a scrivere mi accorgevo che non era così che la volevo, e mi toccava rifare da capo ò_ò
Insomma alla fine ne è uscito questo, che tutto sommato si avvicina abbastanza a come volevo che fosse il capitolo ^^
Grazie per aver letto, a presto con il prossimo aggiornamento! :*

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Crave the sun, but I can't get out of bed ***


Crave the sun, but I can't get out of bed


Mi svegliai di soprassalto: qualcuno bussava alla porta.
Mi stupii: avevo sempre avuto il sonno leggero, soprattutto da quando avevo mangiato il frutto del diavolo, ed in condizioni normali mi sarebbe bastato sentire l’eco di passi nel corridoio per svegliarmi all’istante…
I miei nervi dovevano essere davvero in pessime condizioni.
Mi sentivo frastornata e stordita, oltre che terribilmente depressa, e raggomitolandomi nelle coperte ignorai il picchiare insistente sulla vecchia porta: già stare tra i pirati non era certo il mio passatempo preferito, figuriamoci se li invitavo anche ad entrare!
Una manciata di secondi dopo la maniglia si abbassò comunque e, per nulla sorpresa, mi ritrovai per l’ennesima volta faccia a faccia con Portgas: il cappello arancione gli poggiava sulla schiena lasciando in mostra i capelli nerissimi che, completamente liberi, sembravano ancora più mossi e ribelli del solito, in netto contrasto con le perle di un rosso corallino che tintinnavano appena al suo collo mentre entrava nella cabina con un vassoio tra le mani.
“Lo sapevo che non stavi dormendo!”
Esclamò soddisfatto il pirata con un ampio sorriso beffardo.
Preferii non replicare, non riuscendo ancora ad accettare il fatto che avesse dovuto fare un tale baccano per svegliarmi.
Mi misi a sedere sul ciglio del letto per alzarmi in piedi subito dopo, squadrandolo ostile: mi sentivo terribilmente indifesa a rimanere accucciata tra le lenzuola.
“Ciao anche a te”
Mugugnai contrariata.
Il sorriso sul viso del pirata si accentuò, mentre posava sul tavolo l’ennesimo vassoio.
“Ma tu non magi mai?”
Domandò perplesso dopo qualche secondo, notando che tutto quello che mi aveva portato era ancora al proprio posto.
Voltai la testa di lato, in un chiaro segno di rifiuto: figurarsi se avevo bisogno che quel pirata da strapazzo mi facesse da mammina.
“Proprio non ti capisco”
Lo sentii dire dopo un rumoroso sospiro, e sbirciandolo con la cosa dell’occhio vidi che un sorriso divertito era di nuovo comparso sul suo volto.
“Ma parliamo di cose serie”
Tornai a guardarlo apertamente, ancora più ostile, sulla difensiva.
La cosa ironica che notai era che, mentre diceva “serie”, un enorme sorriso impertinente gli aveva riempito il viso lentigginoso, dandogli un espressione da ragazzino che si appresta a combinarne un’altra delle sue: sembrava tutt’altro che serio, dunque.
Mi rilassai mentre il mio sguardo si faceva un po’ meno duro: mi pareva incredibile come quel ragazzo di poco più grande di me con quell’ espressione tanto birichina, quasi da bambino, fosse considerato uno dei pirati più pericolosi in circolazione al momento.
Allontanai con un fremito questi pensieri, ricordandomi all’improvviso come il suo sorriso si fosse fatto minaccioso e aggressivo la prima volta che lo avevo incontrato: no, decisamente non era un bambino, e la marina aveva tutte le buone ragioni del mondo per considerarlo pericoloso.
Vedendo che non parlavo, mi incalzò:
“Avanti, non hai niente da dire?”
Incrociai le braccia sul petto, tra lo stupito e l’arrabbiato.
Ma che diavolo voleva ora? Era stato lui a dire che doveva parlare di “cose serie”, mica io!
Avrei voluto farglielo notare, ma preferii rispondere con un secco e stizzito “no”: stavo iniziando a farci l’abitudine, ma parlare con i pirati continuava a non piacermi per nulla.
“Oh”
Disse soltanto Portgas, tra lo stupito e il deluso.
Non riuscii a trattenermi oltre:
“Si può sapere cosa ti aspetti che ti dica?”
Domandai alla fine, nervosa e allibita.
Un sorriso sornione tornò sul viso del pirata mentre mi rispondeva con noncuranza, quasi come se stesse parlando di un argomento banale e comune come il tempo atmosferico:
“Bè, sarebbe carino da parte tua se volessi iniziare col dirmi che frutto hai mangiato, continuassi con l’assicurarmi che te ne starai buona qui senza fare disastri, per poi magari concludere spiegandomi anche perché sei tanto interessata a Smoker”
“Sai cos’altro sarebbe carino? Che tu mi lasciassi in pace”
Ringhiai, sentendo un ondata di rabbia invadermi nell'udirlo pronunciare il nome di Smoker.
Portgas non sembrò particolarmente colpito dal mio sguardo ora decisamente minaccioso, e continuò con la massima calma:
“Possiamo accordarci, tu accontenta me ed io accontento te”
Concluse, mentre quel dannato sorriso si allargava, allungandosi da un orecchio all’altro.
“No.”
Ringhiai di nuovo.
“Sei ripetitiva sai?”
Mi canzonò.
Se prima mi ero quasi lasciata intenerire dalla sua aria infantile, ora tutto ciò che volevo era cancellargli a suon di pugni quell’espressione da marmocchio compiaciuto.
“E va bene, avevo previsto che tu non fossi molto aperta al dialogo. Ora passiamo davvero alle cose importanti”
Stavolta la sua espressione si fece effettivamente un pochino più seria, pur conservando il sorriso impertinente e lo sguardo fastidiosamente sicuro di sè.
Il mio sguardo si fece, in risposta, meno minaccioso e più altezzoso, mentre mi chiedevo che cosa volesse ancora da me.
Rimase in silenzio per qualche istante, distogliendo i suoi occhi neri come la pece dai miei per esaminarmi attentamente, dalla punta dei capelli alle punte dei piedi.
Arrossii violentemente abbassando a mia volta lo sguardo, stringendo maggiormente le braccia al petto come a volermi nascondere dai suoi occhi.
Rendendomi improvvisamente conto che mi stavo facendo mettere in imbarazzo da uno stupido pirata, ripresi immediatamente il controllo di me stessa e lo fissai prendendo fiato, pronta a ordinargli di guardare da un'altra parte.
Lui però mi precedette:
“Quella è una cosa che non voglio più vedere sulla mia nave”
Disse con un enorme, sproporzionato, sorriso, indicandomi con la mano.
“Sii più preciso”
Risposi brusca, confusa e ancora rossa in viso.
Solo in quel momento tornò a guardarmi negli occhi e solo in quel momento dovette accorgersi del mio imbarazzo perché, se possibile, il suo sorriso si fece ancora più ampio e irriverente.
“Quell’uniforme”
Disse calmo e soddisfatto.
Lo guardai tra l’esasperato e l’ostile:
“E per te questa sarebbe la cosa importante?!”
“Non è piacevole dover vedere tutti i giorni il gabbiano della marina sulla mia nave”
Si giustificò senza scomporsi.
“E poi non voglio che si verifichino altri incidenti sul genere di quello di ieri”
Aggiunse, stavolta più serio.
“No.”
Replicai decisa, per la terza volta in pochi minuti.
Portgas a questo punto scoppiò rumorosamente a ridere, aumentando il mio nervosismo:
“No, non hai capito Mikami: questa non era una richiesta amichevole, questo era un ordine”
Mi ribeccò.
Rabbrividii: un po’ perché sentire il mio nome uscire dalle sue labbra faceva decisamente un brutto effetto e un po’ perché il sorriso che aveva sul viso era determinato in un modo decisamente preoccupante.
“No”
Ripetei di nuovo muovendo un passo indietro, senza però che nella mia voce ci fosse nemmeno la metà della convinzione delle volte precedenti.
Un sorriso più gentile addolcì appena il volto di Portgas:
“Scommetto che l’acqua del mare che hai ancora addosso e che impregna i vestiti ti dà molto fastidio. Ho ragione?”
La sua voce bassa e calda mi diede per un attimo l’illusione che fosse davvero preoccupato per me e, anche se la mia parte più razionale e fedele alla marina infranse subito questa illusione bisbigliandomi che stava solo cercando di convincermi a fare ciò che voleva, quell’attimo fu sufficiente a farmi vacillare, e sentii per l’ennesima volta tutte le mie certezze crollare come un castello di carte mentre di nuovo tornavo a pensare che, per quanto lo trovassi irritante e a tratti decisamente odioso, non potevo dire che Ace fosse cattivo.
A salvarmi dall’ennesima crisi di pianto fu soltanto il mio orgoglio, che mi impedii di farmi vedere in uno stato così patetico da un pirata.
Da quel pirata, in particolare.
Del resto, era sempre stato così con me: sopportavo senza fare una piega gli insulti, le offese, l’odio e la rabbia, ma davanti ad un sorriso gentile crollavo, finendo in mille pezzi come un vaso di porcellana.
Quindi non avevo problemi a dimostrarmi minacciosa e ostile di fronte ai sorrisi beffardi di Portgas ed ai suoi commenti, ma appena mi mostrava un po’ di gentilezza il mio orgoglio si chetava ed io crollavo, e mi sentivo improvvisamente fragile e docile come un agnellino.
Era stato per questo che non avevo fatto nulla a quel colosso che mi aveva afferrato i polsi il giorno prima, davanti all’uomo che si era messo ad insultare me e Smoker: nonostante fossi accecata dalla rabbia non ero riuscita a fargli del male perché era stato gentile.
Eppure era un pirata…
Interruppi improvvisamente i miei pensieri, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi: non. dovevo. piangere.
“Vieni”
Disse Portgas, ancora calmo e gentile, indicandomi la porta.
Esitai, senza capire bene cosa avesse intenzione di fare e dove volesse portarmi.
Vedendo che non mi muovevo, mi si avvicinò.
Mi ritrassi istintivamente quando vidi che allungava una mano verso di me, evitando tuttavia accuratamente di guardarlo negli occhi, temendo che non sarei riuscita a trattenermi e sarei scoppiata a piangere.
Allora si fece da parte, indicandomi la porta aperta con la mano:
“Andiamo”
Disse di nuovo, calmo e paziente.
Alzai un secondo gli occhi e, incontrando i suoi che mi scrutavano, neri come abissi, riabbassai subito i miei, deglutendo mentre ricacciavo nuovamente indietro le lacrime.
Capendo che non se ne sarebbe andato e che non mi avrebbe lasciata in pace finché non avessi fatto ciò che mi chiedeva, sgusciai oltre l’uscio, quatta e silenziosa come un ombra.
Portgas uscii a sua volta con un sorriso sul volto, e mi fece cenno di seguirlo mentre iniziava a percorrere il lungo corridoio.
Ancora non avevo capito dove fossimo diretti, ma non me ne preoccupai troppo: la mia concentrazione era tutta focalizzata nel trattenere le lacrime e, di fronte alla prospettiva di crollare davanti al pirata, ogni altra cosa perdeva di importanza.
Quindi, sentendo che non c’era altro che potessi fare, lo seguii docilmente.
 

 
 
 
Spazio autrice:
E un altro capitolo è finito ^^
...e già, le spiegazioni riguardo al frutto, al passato di Mikami o a Smoker sono ancora assenti, adesso vedrò come giocarmele, ma non temete che presto arriveranno ^^
Grazie a tutti quelli che seguono la storia e la aggiungono tra le seguite, le ricordate e anche le preferite!
Io ve la butto lì: sapere cosa pensate anche voi lettrici silenziose mi farebbe molto piacere ^^
E se non volete dire nulla... e vabbè, vi ringrazio lo stesso :D
Grazie di cuore soprattutto a Killy e Lenhara che recensiscono sempre: è talmente bello e incoraggiante leggere e rispondervi! :*
Un abbraccio a tutti, al prossimo aggiornamento ;)

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Capitolo 8
*** You make me violate you, no matter who you are ***


You make me violate you, no matter who you are


Sentendo la sua voce tremare mentre pronunciava l’ennesimo “no” mi ero sentito un pochino in colpa, e mi era tornato in mente di come mi fossi ripromesso di essere un po’ più gentile con lei ricordandomi della mia prima esperienza sulla Moby Dick.
Ero rimasto stupito di fronte al cambiamento di Mikami: da aggressiva e ostile si era improvvisamente fatta docile e accondiscendente.
Camminando per il corridoio che portava alla mia cabina, voltai appena il capo per sbirciarla: due grandi occhi azzurri incontrarono per un secondo i miei per abbassarsi subito dopo, non capii bene se imbarazzati o intimoriti.
Camminava dietro di me senza fare rumore, quasi in punta di piedi.
Distolsi lo sguardo a mia volta, tornando a guardare avanti: davvero incredibile quel cambiamento.
Nessuno dei due parlò e, giunti davanti alla mia cabina, aprii la porta facendole cenno di entrare con un sorriso.
Mikami sgusciò oltre l’uscio rivolgendomi un'altra occhiata fugace e diffidente; entrai a mia volta, chiudendomi la porta alle spalle.
“Allora”
Esordii sorridendo:
“Per tua fortuna tra tanti pirati grandi grossi e minacciosi ce n’è anche qualcuno piccolo e timido, quindi quelli dovrebbero essere più o meno della tua misura”
Le indicai una pila di vestiti ordinatamente piegati sulla sedia che Sam aveva gentilmente acconsentito a prestarle.
Il suo sguardo si spostò rapido da me agli indumenti, tornando subito dopo a scrutarmi: i suoi occhi erano grandi e lucidi, molto lucidi, di un azzurro così limpido da sembrare quasi fatti di vetro, appena oscurati dalle ciocche della frangia disordinata e arruffata.
Teneva le labbra serrate, appena sporte in avanti, che accentuavano la sua aria da bambina impaurita.
Mi sentii improvvisamente in imbarazzo, rendendomi conto che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
“No dai…”
Iniziai a dire grattandomi la nuca, perplesso e a disagio: Makino non sarebbe certo stata felice se avesse scoperto che facevo un così cattivo uso dei suoi insegnamenti…
Con mio grande sollievo, proprio in quel momento qualcuno si mise insistentemente a bussare alla porta, salvandomi da quella terribile situazione.
Diedi le spalle a Mikami con un sospiro di sollievo:
“Avanti!”
Esclamai, curioso di sapere chi fosse il mio inaspettato salvatore.
“Ace, brutta notizia: la sentinella ha appena-
Leo si interruppe bruscamente, spostando gli occhi verdi da me ad un punto imprecisato alle mie spalle.
Da come la sua espressione in principio preoccupata si fece aggressiva e minacciosa, non faticai ad indovinare che si fosse accorto della presenza di Mikami.
Sospirai di nuovo: forse avevo cantato vittoria troppo presto, la situazione sembrava prendere un’ancora più sgradevole piega.
“Quella è ancora qui?”
Mi chiese senza staccare gli occhi dalla ragazza, visibilmente irritato.
“Già, nel caso non te ne fossi accorto non siamo ancora sbarcati su nessuna isola”
Replicai abbattuto, senza tuttavia riuscire ad impedire alla mia voce una nota di ironia.
Andiamo, che domanda era? Ovvio che fosse ancora qui, di certo non le erano spuntate le ali e altrettanto certamente non aveva nemmeno imparato a nuotare.
“Si può sapere che problema hai con lei?!”
Il suo sguardo fiammeggiante si spostò nuovamente su di me mentre pronunciava quelle parole.
“Veramente, sei tu quello che sembra avere dei problemi con lei”
Gli feci notare, un po’ perplesso dalla piega curiosa che stava assumendo il nostro discorso.
Il ragazzo soffocò un ringhio esasperato, stringendo le dita in due pugni serrati, evidentemente sul punto di perdere la pazienza.
“Sei tu quello che ha dei problemi! Ti sembra normale che un pirata si prenda cura di un marine?! Eppure sei addirittura un comandante! Sei impazzito o cosa?!”
Pur sapendo che non era molto educato da parte mia, non riuscii a trattenermi dallo scoppiare a ridere: proprio non capivo perché se la prendesse tanto! E vederlo vittima di una crisi di nervi come una casalinga isterica era qualcosa che non capitava tutti i giorni.
Il ragazzo ammutolii per un secondo, spiazzato dalla mia reazione, per tornare a parlare ancora più infuriato:
“Se avessi voluto stare tra i marines sarei andato in marina anziché andare a presentarmi al Babbo non credi? Anche lui si vergognerebbe del tuo comportamento!”
Smisi di ridere all’istante, incupendomi: quel novellino se le stava proprio andando a cercare.
Un lampo di soddisfazione balenò negli occhi del ragazzo notando che aveva ottenuto di farmi smettere di ridere, ed era riuscito a fare in modo che lo prendessi sul serio.
Avevo tutte le intenzioni di rispondergli per le rime, ma Leo fu più veloce di me:
“Se volevi una ragazza non potevi semplicemente andare in un bordello?! Perché dovevi proprio tirarti dietro quella?!”
Sentii che, stavolta, mi stavo arrabbiando davvero: non avrei tollerato ulteriori offese.
Tuttavia non ebbi il tempo di pensare a come mettere fine a quello sproloquio: un ringhio – stavolta un ringhio vero e proprio, come quello di un lupo o di un leone – riempii la stanza in quell’istante di silenzio.
Mi voltai, pur immaginando già la situazione: le mie aspettative non vennero infatti deluse, mentre i miei occhi incontravano quelli grigio-azzurri e feroci di una grossa tigre bianca.
Non feci in tempo a dire nulla, che il grosso felino si lanciò all’attacco con un balzo.
Capii subito che il suo obiettivo non ero io, ma quell’avventato di Leo.
Senza pensarci due volte, mi misi in mezzo: certo zanne e artigli non mi spaventavano, e quel ragazzo, per quanto stupido, era pur sempre un membro della mia ciurma.
Il felino, già lanciato all’attacco, non fece in tempo a deviare il suo balzo: mi finì contro, ed io mi trovai lungo disteso per terra con le grosse zampe bianche piantate ai lati del volto.
Gli occhi di ghiaccio si conficcarono nei miei con un intensità tale da farmi per un attimo trattenere il respiro, tale da non farmi pestare la minima attenzione né agli artigli neri e affilati né ai grossi canini immacolati, che minacciosi splendevano a pochi centimetri dal mio collo.
Il felino alzò il grosso muso dopo appena una frazione di secondo, piegando gli arti possenti in un rapido balzo: capii che non aveva abbandonato l’idea di attaccare Leo.
Mi misi subito in piedi lanciandomi a mia volta in avanti: la situazione stava prendendo davvero una pessima piega.
Il grido di dolore di Leo, che mentre io finivo a terra aveva pensato bene di sfoderare la sciabola e di lanciarsi a sua volta contro la tigre, riempì l’aria, mentre l’animale affondava i denti nel braccio armato del pirata.
Il ragazzo lasciò la presa sull’arma, che cadde con un tintinnio metallico sul legno del pavimento.
“Basta.”
Ordinai serio mentre afferravo quel gatto troppo cresciuto per la collottola e lo strattonavo.
Mi sorpresi di quanta poca resistenza oppose il felino, ubbidendo addirittura al mio ordine ed indietreggiando, negli occhi un espressione che non riuscii a decifrare.
Mi avvicinai a Leo che gemendo si teneva il braccio offeso, pallido come un fantasma.
Gli spostai la mano, studiando la ferita: il sangue zampillava dai buchi che avevano fatto i denti di Mikami, ma non sembrava grave.
Un gruppetto di una decina di uomini, sentendo dei rumori insoliti provenire dalla mia cabina, ci si era radunato davanti osservando la scena che si era appena svolta, mentre altri ancora arrivavano allarmati dal grido di Leo.
“Portatelo da Igor”
Dissi ad un paio di loro.
La ferita non sembrava profonda ed io ero intervenuto a separarli immediatamente, ma che lo vedesse un medico era di certo la scelta migliore da fare.
Il ragazzo fu quindi portato verso l’infermeria, sostenuto da due dei suo compagni.
Mi voltai: la tigre era arretrata fino a poggiare la schiena striata contro il muro di fondo della mia cabina.
Mi avvicinai, scuro in volto:
“Non provare a muoverti da lì fino al mio ritorno”
Ordinai serio fissandola negli occhi: sembravano essere l’unica caratteristica umana che aveva conservato, ma ora erano cupi e ben diversi da come li avevo visti appena qualche minuto prima, quando avevo creduto che fosse sull’orlo delle lacrime.
Mikami rimase immobile, ed io interpretai il suo comportamento come un segno di muta obbedienza.
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle.
Diversi componenti della ciurma spostarono il loro sguardo, fino a quel momento diretto alla tigre, su di me.
“C’era da aspettarselo”
Sentenziò Tai per nulla impressionato dall’accaduto, scrollando le spalle.
“Evidentemente le botte che ha già preso da noi per quella sua linguaccia troppo lunga non gli sono bastate! Magari l’essere assaggiato da una tigre gli farà entrare qualcosa in quella zucca vuota”
Concordò John con una risatina.
“Dai ragazzi non dite così…”
Protestò debolmente Sam prendendo le difese di Leo.
“Beh, basta che quella non si metta ad assaggiare me!”
Commentò con poco interesse Axel.
Scrollai la testa, divertito mio malgrado dai commenti della ciurma.
“Pensatela come volete, andrò a vedere come sta quello scemo”
Proclamai infine con un sospiro, dirigendomi verso l’infermeria.
Sentii gli uomini proseguire coi loro commenti animati alle mie spalle, che diventavano sempre più sbiaditi ed indistinti man mano che mi allontanavo.
Entrato nell’infermeria, trovai Igor già intento a pulire la ferita dell’impulsivo pirata.
Leo, pallidissimo, distolse subito gli occhi da me, imbarazzato.
“Non è nulla di grave, un paio di punti e qualche giorno di riposo e torna come nuovo”
Mi rassicurò la voce cavernosa e roca del vecchio medico, prima ancora che potessi chiedergli le condizioni in cui si trovava il ragazzo.
Sorrisi, incrociando le braccia sul petto:
“Sei fortunato Leo, se non ci avesse già pensato lei te l’avrei dato io una bella lezione”
Il pirata ebbe un fremito, ma non ribatté.
Rimasi per qualche minuto in silenzio osservando l’operato del vecchio medico, per poi tornare verso la mia cabina: ora che mi ero assicurato che le ferite di Leo non erano gravi e che aveva imparato la lezione, c’erano un paio di cose di cui avrei dovuto discutere con Mikami.
E, stavolta, certo non le avrei permesso di nascondersi dietro ai suoi soliti silenzi e agli sguardi minacciosi.
 

 
 Spazio autrice:
E siamo al settimo!
Alla fine ho deciso che la cosa migliore da fare era seguire il consiglio di Lenhara (grazie mille <3 ) e ho deciso di movimentare un po' un capitolo altrimenti pacato e pacifico, spero il risultato sia di vostro gradimento ^^
Killy, come finalmente puoi leggere ci avevi preso
riguardo il felino ^^
Grazie a tutte le lettrici, silenziose e non ^^
A presto :*

 
 

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Capitolo 9
*** ...And so I cry sometimes ***


...And so I cry sometimes


Me ne pentii.
Subito, immediatamente, non appena sentii il gusto sgradevole e ferroso del sangue tra le labbra.
Non opposi resistenza quando Portgas mi strattonò, e senza ribellarmi indietreggiai fino a trovarmi con la schiena contro il fondo della cabina.
Vidi il pirata soccorrere il ragazzo che avevo morso, mentre parte della ciurma si radunava davanti alla cabina.
Stavolta, temevo proprio di averla combinata grossa.
Avevano sopportato che non rispondessi alle loro domande, che inveissi contro di loro, che li sfidassi con lo sguardo… ma temevo di aver tirato troppo la corda.
E questa terribile sensazione fu confermata dal tono in cui Portgas mi ordinò di non muovermi, e dallo sguardo cupo che aveva sul volto.
Rabbrividii: stavolta non si sarebbero fatti tanti scrupoli di coscienza a farmi fuori.
Rimasi immobile, osservando il pirata darmi le spalle.
Il mio sguardo si fissò sul teschio ghignante che occupava tutta la sua schiena, dalle spalle larghe e muscolose ai fianchi stretti.
Rabbrividii, di nuovo: se c’era una cosa che chiunque in tutti e quattro i mari sapeva, era proprio questa: mai attaccare un pirata della ciurma di Barbabianca se non si voleva andare incontro alla vendetta di uno dei suoi comandanti o del capitano in persona.
 Di certo per me non avrebbero scomodato Barbabianca, ma non avevo una singola speranza nemmeno contro Ace.
Rimasi immobile contro il muro anche dopo che la porta fu chiusa con un leggero tonfo.
Udii distrattamente il vociare dei pirati fuori dalla cabina, troppo spaventata per prestarvi attenzione.
Dopo un periodo di tempo che mi parve non finire mai, in cui non riuscii a mettere insieme un solo pensiero coerente, la porta si aprii di nuovo.
Portgas entrò, incrociando le braccia sul petto.
“Adesso è davvero il caso di parlare”
Proclamò solennemente, parandosi davanti a me.
Rabbrividii nuovamente, sentendo il panico assalirmi.
“Prima di tutto, se non ti dispiace, gradirei parlare con una persona anziché con una tigre”
Disse serio, gli occhi neri duri e impenetrabili.
Deglutii: come semplice ragazza mi sarei sentita ancora più vulnerabile di fronte a lui e questa era l’ultima cosa che volevo, ma dargli motivo di arrabbiarsi ulteriormente era, se possibile, una prospettiva ancora più sgradevole.
Ubbidii.
Mi sentii ancora più spaventata, piccola e indifesa: ero passata dall’essere un felino di trecento chili, dotato di zanne e artigli micidiali, ad una ragazza disarmata di appena cinquanta chili.
Schiacciai la schiena contro il muro ben sapendo di non avere nessuna via di fuga, mentre le lacrime rigavano silenziose le mie guance.
L’espressione del pirata cambiò completamente: sospirò mesto, piegandosi sulle ginocchia per arrivare a guardarmi negli occhi .
“No, non piangere…”
Disse con un’insolita espressione sul volto, le sopracciglia corrugate.
Senza capire, lo guardai in silenzio, confusa e ancora più terrorizzata da quell’improvvisa vicinanza.
“Non ti faccio nulla”
Aggiunse cercando di tranquillizzarmi, quella strana espressione ancora sul suo volto a dargli un aria quasi imbarazzata.
Iniziai a calmarmi, impegnandomi perché il mio respiro tornasse regolare, sempre più confusa da quell’assurda situazione.
Vedendo che le sue parole avevano l’effetto sperato, un sorriso sollevato gli illuminò il volto.
Ero talmente spaventata, stordita, perplessa, che mandai a quel paese il poco che rimaneva del mio orgoglio:
“Perché… sorridi?”
Chiesi cauta, la voce bassa e tremante nell’aria tesa della cabina, chiedendomi se quella non fosse soltanto la calma prima della tempesta.
“Perché non dovrei? Sei tu che non lo fai mai, e che invece dovresti”
Rispose con un sorriso ancora più ampio, inclinando appena la testa di lato in un lieve tintinnio di perline.
“Credevo fossi arrabbiato…”
Gli risposi in un sussurro, trattenendo il fiato, aspettandomi da un momento all’altro di vedergli cambiare espressione e di essere attaccata.
“Oh beh…”
Iniziò grattandosi la nuca con fare disinvolto:
“Un pochino lo sono… Ma nulla per cui valga la pena essere tanto preoccupata”
Si affrettò ad aggiungere, temendo evidentemente che ricominciassi a piangere.
Un lungo sospirò di sollievo vibrò nel silenzio della stanza, mentre sentivo i miei muscoli rilassarsi improvvisamente sotto l’uniforme logora.
Ringraziai di essere già seduta sul pavimento o, venuta meno l’ansia che mi attanagliava, sarei crollata, visto quanto le mie gambe si erano fatte molli e tremanti.
Socchiusi gli occhi e appoggiai la testa all’indietro contro la parete, permettendo finalmente a me stessa di respirare liberamente.
Non mi curai troppo del fatto che Ace fosse presente, di cosa avrebbe potuto pensare e di come dovessi sembrargli debole in quel momento: tanto ormai se n’era accorto anche da solo che non ero forte come volevo sembrare.
“Perché non sei arrabbiato?”
Chiesi continuando a tenere gli occhi socchiusi, senza guardarlo.
Mi sentii un pochino più calma: almeno la mia voce non suonava più così incrinata.
“Non gli hai fatto nulla di grave”
Lo sbirciai mentre mi rispondeva, vedendogli scrollare le spalle con semplicità:
“E poi le risse tra pirati, qui, sono all’ordine del giorno”
Concluse guardandomi a sua volta, mentre il familiare sorriso irriverente tornava a stirargli le labbra.
Corrugai appena le sopracciglia:
“Io non sono un pirata”
Gli feci notare debolmente.
“Oh”
Sembrò stupito, come se solo allora si fosse ricordato che, ma tu guarda un po’, ero effettivamente un marine.
“No, certo che non lo sei”
Disse con un sorriso vispo e birbante, che tuttavia sembrava voler dire proprio l’opposto di quanto aveva appena affermato, come se mi stesse solo compiacendo.
“…Ma hai capito cosa volevo dire”
Concluse allegramente.
Tornò improvvisamente serio notando il mio sguardo poco convinto:
“Questo comunque non ti autorizza a farlo di nuovo, ti avverto”
Aggiunse severo, ed io di nuovo sentii un brivido violento percorrermi la schiena.
Annuii immediatamente, desiderosa di fargli capire che avevo recepito il messaggio.
Soddisfatto, si rizzò sulle gambe, un grande sorriso di nuovo sul viso.
Lo guardai dal basso all’alto, timorosa: tutto qui?
Alla fine ero stata solo io a chiedere, si accontentava di questo?
Mi porse una mano, invitandomi in silenzio ad alzarmi.
Titubante, allungai cauta la mia, non essendo molto convinta di voler recuperare la posizione eretta ma non volendo nemmeno contrariarlo.
Ace dal canto suo invece non ebbe esitazioni: prima ancora che le mie dita lo potessero sfiorare, mi afferrò la mano facendomi alzare.
Barcollai appena, le gambe ancora deboli, ritirando immediatamente la mano e nascondendola dietro la schiena, spiazzata e imbarazzata.
“Vediamo… Ora so che frutto hai mangiato e le capacità che hai acquisito, mi hai assicurato che non creerai problemi, manca solo un ultimo punto su cui voglio dei chiarimenti: Smoker.”
Pronunciando il suo nome fissò gli occhi neri nei miei, intensi e carichi di curiosità.
Abbassai lo sguardo, sentendomi come se fossi stata messa con le spalle al muro: data la situazione in cui ci trovavamo, non potevo rifiutargli una risposta.
“…”
Presi fiato, ma non riuscii a dire nulla.
C’erano tante cose che avrei potuto dire…
“E’ stato il mio insegnante nonché il mio attuale superiore”
Dissi infine guardandolo di nuovo in faccia, scegliendo di parlargli solo della parte più…ufficiale dell’intera faccenda.
Mi guardò spalancando gli occhi neri come la pece, assumendo subito dopo un contegno più pacato: sembrava aver capito che mi stava chiedendo di un argomento delicato, e con una delle sue solite reazioni esagerate avrei smesso di parlare all’istante.
“Si, okay, ma… “
Corrugò le sopracciglia scure, in un evidente sforzo di formulare al meglio e nel modo più delicato possibile la frase che, sapevo già, mi sarebbe risultata tutt’altro che gradita.
“Voglio dire, di solito i marines non si preoccupano troppo per i loro superiori”
Disse in fine, cauto, studiandomi attentamente e pronto a rimediare ad un eventuale passo falso che avesse commesso nel pronunciare quella frase.
“Hai presente cosa provi tu per Barbabianca? Ecco”
Dissi un po’ irritata, certa che quel paragone sarebbe servito a far capire quello che intendevo a quello zuccone di un pirata.
Mi guardò ancora più sorpreso e di nuovo mi ritrovai a paragonarlo ad un bambino, gli occhi spalancati per la sorpresa di aver scoperto qualcosa di nuovo che non avrebbe mai immaginato possibile.
Tuttavia quella semplice risposta sembrò soddisfarlo, perché annuì convinto con un grande sorriso sul volto.
Sospirai, sollevata dal fatto che non intendesse farmi altre domande in proposito: per il momento l’argomento era archiviato.
Ignorai la fitta che provai ricordandomi improvvisamente che ancora non sapevo cosa fosse accaduto a Smoker da quando ci eravamo separati: non poteva essere morto, non dovevo preoccuparmi inutilmente per lui.
In quel momento il mio stomaco emise un rumoroso brontolio sommesso, ed io mi accorsi che stavo letteralmente morendo di fame.
Arrossii violentemente, udendo la risata allegra e rumorosa del pirata ad appena un metro da me.
Sollevai lo sguardo, al colmo dell’imbarazzo, incontrando il sogghigno divertito e irriverente sul volto di Portgas:
“Lo sapevo che prima o poi ti sarebbe venuta fame!”
Esclamò, ridendo sommessamente.
Sospirai, mentre anche l’ultima briciola del mio orgoglio veniva spazzata via dall’ennesimo brontolio del mio povero stomaco.
“Bene, direi che è il momento di andare a fare un salutino a quel vecchio brontolone di Gary”
Proclamò all’improvviso, con una determinazione tale che mi fece pensare ad un eroe che si appresta ad una delle sue epiche gesta.
Corrugai le sopracciglia perplessa: immaginavo che Gary fosse il cuoco, ma era un impresa così avventurosa farsi un giro in cucina?
Tuttavia lo seguii di buon grado quando imboccò l’uscio, rendendomi improvvisamente conto di come i crampi allo stomaco fossero diventati dolorosi, impaziente di mettere qualcosa – possibilmente che non fosse il braccio di uno sventurato pirata – sotto i denti.
“Prego”
Mi invitò Ace ad entrare, spalancando con un gesto deciso la porta di quella che avevo capito essere la cucina.
Sgattaiolai oltre l’uscio immediatamente imitata dal pirata, che aveva sul viso un espressione simile a quella che immaginavo avesse un gatto quando sta per mettere finalmente gli artigli su uno sventurato topolino.
Un uomo grande e grosso, il volto rugoso coperto da una corta barbetta bianca e ispida, si voltò portando le mani sui fianchi con fare minaccioso.
Strabuzzò i piccoli occhi neri notandomi, guardando poi perplesso Ace.
“Visto chi ti ho portato?”
Disse lui per tutta risposta con un sorriso smagliante.
L’espressione di quello che immaginavo fosse Gary si fece improvvisamente cupa e preoccupata:
“Ragazzo! Che diavolo stai facendo qui?!”
Agitò in aria il coltello con cui poco prima stava affettando delle carote, con fare goffo e minaccioso.
Deglutii indietreggiando di un passo, andando ad urtare appena il petto di Ace.
Mi voltai a sbirciarlo: aveva un espressione perplessa sul viso lentigginoso, gli occhi di nuovo spalancati:
“Eh? Non sono venuto a chiederti uno spuntino, davvero! E’ lei che-
Il vecchio Gary piantò con un gesto decisamente poco rassicurante la punta del coltello nel legno del tagliere che stava utilizzando, facendo rabbrividire persino Ace.
A quel punto, iniziai davvero a spaventarmi: ma che diavolo di nave pirata era?! Il comandante, che altri non era che Portgas D. Ace Pugno di Fuoco in persona, che si metteva a tremare come un bambino davanti al vecchio cuoco di bordo?
“Non te lo ha detto Leo?”
Domandò allora il vecchio Gary, cupo in volto.
Solo allora Ace sembrò ricordarsi di qualcosa che fino a quel momento aveva dimenticato, illuminandosi.
“Oh già, Leo… Bè ecco, il ragazzo ha avuto un piccolo incidente prima che potesse parlare…”
Disse innocentemente grattandosi la nuca mentre io abbassavo all’istante lo sguardo sui miei piedi, terribilmente imbarazzata.
Iniziavo a sentirmi anche terribilmente in colpa, quell’uomo sembrava davvero arrabbiato: se non fossi saltata addosso a quell’idiota, Ace avrebbe potuto ascoltare il suo messaggio.
“Abbiamo una flotta della marina alle calcagna, muoviti!”
Tuonò allora il cuoco.
Ace si irrigidii alle mie spalle: osai appena voltarmi a sbirciarlo, temendo che da un momento all’altro mi avrebbe davvero trasformata in un cumulo di cenere fumante.
Mi stupii nel vedere che invece aveva un ampio sorriso furbo che gli occupava il viso, da un orecchio all’altro, mentre con disinvoltura si sistemava l’ampio cappello arancione sul capo corvino:
“In questo caso, credo sia mio dovere come comandante andare a dare a quei marines il caloroso benvenuto che si meritano”
Rabbrividii, avvertendo la sua voce abbassarsi appena per calcare la parola “caloroso”.
“Oh! Senza offesa”
Aggiunse con un ampio sorriso accorgendosi della mia reazione.
Lo vidi aprire con decisione la porta della cucina, radunando a gran voce i suoi uomini.
Rimasi immobile, confusa, mentre un unico pensiero mi occupava la mente:…Smoker?
 

 
 
 
 
 Spazio autrice:
Ultimamente mi sento più ispirata del solito e la mia fantasia galoppa più che mai (sai che novità XD) quindi eccovi qui l'aggiornamento!
Mi è particolarmente piaciuto scrivere questo capitolo, soprattutto l'ultima sparte, e spero che voi gradiate ^^
Concludo dicendo che all'idea della battaglia imminente mi sento esaltata quanto Ace, non vedo l'ora! **
Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono e in particolare Killy e Lenhara, grascie ragasse *si commuove per l'ennesima volta* ç_ç
A presto ^^
 
 

 
 

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Capitolo 10
*** It doesn't hurt me ***


It doesn't hurt me


Al mio richiamo gli uomini accorsero sul ponte, rapidi ed efficienti.
“Signori, mi dicono che abbiamo ospiti”
Proclamai con un ampio sorriso: tre navi solcavano il mare limpido e luccicante sotto i raggi del sole, le vele bianche con il gabbiano che contrastavano con il verde dello scafo.
Una palla di cannone fendette l’aria con un sibilo, mancando di qualche metro la nostra nave ed inabissandosi nell’oceano con un tonfo sordo.
Una seconda ed una terza palla la seguirono subito dopo, destinate anch’esse a perdersi nelle profondità del mare.
“Rispondiamo al fuoco!”
Ordinai, impaziente di entrare in azione.
Il boato dei cannoni al mio fianco non si fece attendere, riempiendo l’aria con l’odore acre della polvere da sparo.
“Tai, avviciniamoci: prepararsi all’abbordaggio! Rick, altre navi all’orizzonte?”
Chiesi alla vedetta sulla coffa, dopo aver informato il timoniere e l’intera ciurma delle mie intenzioni.
“Nessuna!”
Mi urlò di rimando l’uomo, impegnato a scrutare l’orizzonte con un lungo cannocchiale.
Rimasi un po’ perplesso: tutto qui, tre misere navi?
Mi augurai che stessero scherzando se pensavano di affrontarci in quelle condizioni.
Oh bè, peggio per loro.
“Li faremo pentire di aver sottovalutato così la seconda flotta di Barbabianca”
Affermai, un ampio sorriso furbo dipinto in volto.
Mi risposero le urla di battaglia dell’intera ciurma insieme al sibilo metallico delle spade e delle sciabole, estratte dai foderi e sollevate al sole, le lame lucenti e minacciose.
“ALL’ATTACCO!”
Urlai finalmente, ora che grazie ad un abile manovra di Tai eravamo sufficientemente vicini alla prima delle tre navi.
Un urlo selvaggio e minaccioso riempì l’aria portato dalla leggera brezza che spirava sul mare, mentre gli uomini si lanciavano all’arrembaggio.
Con un balzo, saltai a mia volta sulla nave nemica.
Atterrai in mezzo ad un gruppo di marines che, senza timore, mi assalirono all’istante con le spade sguainate.
Un velo di fiammelle crepitanti avvolse il mio corpo: le fiamme crebbero improvvisamente con un ruggito, ed i marines furono inghiottiti dal mio fuoco scarlatto prima ancora che le loro lame potessero sfiorarmi.
Senza nemmeno voltarmi a guardarlo, sferrai una gomitata al marine che furtivo si era portato alle mie spalle:
“Questo è terribilmente sleale da parte tua”
Lo rimproverai con un enorme sorriso minaccioso, prima di finirlo con l’ennesimo pugno che lo colpì dritto sul naso.
Un paio di proiettili mi attraversarono il petto, fischiando nell’aria, andando a conficcarsi nel legno della nave.
Mi voltai, mentre i fori nel mio corpo si richiudevano tra le fiamme crepitanti.
I miei occhi incontrarono quelli spalancati di un soldato che, tremante, mi puntava contro una pistola.
“Ma non l’avete ancora capita l’antifona? Siete proprio testardi”
Commentai con leggerezza:
“Kagerō!”
La mia voce sovrastò per un istante la foga della battaglia, mentre un onda di fuoco inghiottiva l’uomo.
L’ennesima vampata divorò con un ruggito altri quattro marines che avevano formato un cerchio attorno ad Axel, mettendolo con le spalle al muro.
Il pirata mi urlò un grazie, prima di puntare il proprio fucile contro un altro nemico ed abbatterlo con un unico, preciso colpo.
Risposi con un sogghigno ed un cenno del capo, senza badare al marine che mi si era accostato e che si apprestava a calare la sua spada su di me.
La lama si abbatté sul mio braccio senza causarmi, come era prevedibile, il minimo danno o fastidio; lo stesso non si poté dire del mio assalitore, che un secondo dopo cadde a terra urlante, avvolto dalle fiamme.
Mi guardai intorno soddisfatto, notando che in pochi minuti il numero dei marines era già visibilmente diminuito.
Red mi si accostò trafelato, urlandomi nelle orecchie per sovrastare le grida degli uomini:
“Ace stanno fuggendo!”
Alzai gli occhi verso l’orizzonte accorgendomi che, se la seconda nave era accorsa in soccorso della prima, la terza si stava invece allontanando, filando veloce sul mare cristallino.
“Stupidi conigli…”
Sussurrai tra me e me, un po’ scocciato.
Se credevano che li avrei lasciati andare così facilmente, si sbagliavano di grosso.
“Ci penso io.”
Dissi con un sorriso determinato, avviandomi verso la poppa a passi lunghi e decisi.
Scrutai la nave: era riuscita ad allontanarsi discretamente, ma non abbastanza da sfuggirmi.
Sogghignando, portai il braccio destro indietro, vicino al fianco, le dita serrate in un pugno: era arrivato il momento di ricordare a quei conigli che non mi chiamavano “Pugno di Fuoco” per nulla.
“Hiken!”
Urlai stendendo il braccio, scaricando il colpo in una potente fiammata.
La colonna di fuoco che si generò trapassò da parte a parte lo scafo della nave spaccandola in due metà identiche, colorando il mare di rosso.
Soddisfatto, puntai le mani sui fianchi, rimanendo a guardare: la nave iniziò ad affondare all’istante, le fiamme che in un crepitio gorgogliante divoravano le vele e bruciavano il legno resistente.
I marines che non erano stati colpiti direttamente dal fuoco, che visti da tale distanza sembravano ancora più piccoli ed insignificanti di quanto già non mi apparissero di solito, iniziarono a gettarsi in acqua, sperando di trovare salvezza nel gelido oceano.
Diedi le spalle alla nave in fiamme, controllando come procedesse la battaglia.
Un sorriso compiaciuto si allungò sul mio viso da un orecchio all’altro: avevamo ottenuto una vittoria schiacciante.
Osservai la ciurma che eliminava gli ultimi marines superstiti, mentre le loro urla di vittoria riempivano già l’aria.
“Stasera si festeggia!”
Proclamai con un urlo perché tutti potessero sentirmi, soddisfatto.
Mi godetti ridendo le acclamazioni degli uomini, il cui morale già alto per la vittoria era arrivato alle stelle alla prospettiva di una serata di baldoria.
Passò ancora qualche minuto prima che tornassimo sulla nostra nave lasciando le due della marina prive di equipaggio, danneggiate ed in balia dell’oceano.
Le ultime risate e le ultime grida vittoriose si persero nell’aria limpida, mentre gli uomini tornavano allegri ai proprio doveri o verso le rispettive cabine.
Un paio di loro si diressero in infermeria, uno ferito di striscio da un proiettile e l’altro con un vistoso taglio sul petto, ma tutto sommato ce l’eravamo cavata egregiamente.
Del resto l’esito della battaglia non avrebbe potuto essere diverso visto l’enorme divario di forze tra noi e quei marines, che era parso chiaro fin dai primi istanti.
Rimasi per qualche minuto sul ponte pervaso da un lieve  e piacevole senso di calma, simile a ciò che si prova quando finalmente ci si libera delle energie in eccesso.
Non ero un fanatico delle battaglie, ma rimanere inattivo troppo a lungo mi stancava e mi annoiava.
E poi era stata una bella battaglia: mare calmo, cielo limpido, nessun ferito grave.
Spalancai gli occhi, mentre improvvisamente mi veniva in mente cosa stavo facendo prima di assalire quelle navi.
Anche il mio stomaco sembrò ricordarsene, perché protestò rumorosamente: combattere mi metteva sempre un sacco di fame.
Si, cioè, ancora più di quella che avevo normalmente.
Sorridendo mi diressi verso la cucina, certo che quel vecchio brontolone non mi avrebbe rifiutato un po’ di cibo ora che avevo un valido motivo per ritrovarmi con la pancia vuota.
Spalancai la porta senza tanti complimenti:
“Vecchio, altro che flotta! Erano solo tre misere navi.”
Esclamai, lasciando che tutta la mia allegria trapelasse dalla mia voce.
Il cuoco, seduto al tavolo, si voltò verso di me con un espressione di muto rimprovero.
Mi stupii: ma che voleva ora, cosa avevo fatto di male? Non gli avevo nemmeno chiesto di darmi da mangiare! Non ancora almeno…
Le cose mi furono decisamente più chiare quando i miei occhi incontrarono il viso di Mikami.
Tutto il mio entusiasmo scivolò via, mentre notavo di nuovo i suoi occhi troppo lucidi e le labbra tremanti.
“Cosa hai combinato?”
Chiesi, improvvisamente abbattuto, al vecchio Gary: era più forte di me, proprio non riuscivo a vederla piangere.
L’uomo si batté una mano sulla fronte con un grugnito, in quello che mi sembrò un atto di estremo compatimento e rassegnazione.
Scosse la testa, alzandosi in piedi e dandomi le spalle, tornando ad occuparsi dei fornelli.
Incredulo, guardai ora il vecchio cuoco ora la ragazza, confuso e completamente spiazzato.
Mikami sobbalzò appena quando mi sedetti pesantemente sulla panca, di fronte a lei, lasciando andare un lungo sospiro.
Mi allungai sul tavolo, appoggiando stancamente il volto sulle braccia incrociate.
Lei si ritrasse bruscamente.
Sospirai di nuovo: perché c’era bisogno di spegnere così la mia esaltazione e la mia allegria per la battaglia appena conclusa?
“Parla”
Dissi soltanto.
Avrei voluto ordinarglielo, ma la mia voce suonò decisamente troppo supplichevole perché quella parola potesse sembrare anche vagamente un ordine.
La vidi fremere, lo sguardo ferito che indugiava su di me.
Cosa, cosa?! Ditemelo, cosa avevo fatto di male per ritrovarmi in quella situazione?
Avrei preferito aver imbarcato un marine grasso vecchio e burbero: almeno di sicuro non mi sarebbe toccato consolarlo.
…Quasi quasi la preferivo quando cercava di uccidermi con lo sguardo o quando si era messa a sgranocchiare Leo…
Vidi Mikami aprire e chiudere la bocca un paio di volte, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole.
“...Quanti?”
Domandò infine in un sussurro.
“Cosa?”
Chiesi docile, rassegnato a subire la crisi di pianto che da un momento all’altro si sarebbe certamente abbattuta su di me.
“Quanti. Ne. Hai. Bruciati. Vivi. “
Completò la frase.
Drizzai il capo: la sua voce sembrava improvvisamente essere tornata quella fredda e tagliente a cui ero abituato, e negli occhi gelidi aveva uno sguardo che non riuscii a decifrare, ma che non mi piacque per niente.
Capii finalmente dove voleva andare a parare, mentre il mio sguardo si spostava inevitabilmente alla divisa bianca che non ero ancora riuscito a farle togliere.
“Dovresti essere abituata a certe cose”
Commentai più serio ed un po’ irritato, mettendomi a sedere composto per fronteggiarla.
Un ombra passò nei suoi occhi, mentre il suo sguardo assumeva un'altra sfumatura: non era certo amichevole ma non era proprio nemmeno definirlo minaccioso, c’era qualcosa di più che non riuscivo ad afferrare.
Rimase in silenzio, chinando il capo.
Non pensavo ci fosse altro da aggiungere: avevo ragione, lo sapevamo entrambi.
Se era così sensibile, avrebbe fatto meglio a scegliersi un mestiere diverso da quello del marine.
Mikami sospirò piano, rialzando il viso: continuava a non guardarmi, ma vedevo nei suoi occhi lo stesso sguardo docile e malinconico che aveva assunto prima della battaglia nella mia cabina, subito dopo l’incidente con Leo.
Mi addolcii appena, sospirando a mia volta: non sapevo bene come, ma avevo appena schivato quella che sarebbe senz’altro stata una spossante crisi di pianto in piena regola.
“Andiamo”
Dissi alzandomi in piedi, notando il piatto vuoto che aveva davanti e intuendo che invece io avrei dovuto aspettare ancora un bel po’ per pranzare.
Ubbidiente, fece come le avevo chiesto seguendomi sull’uscio della cucina.
“A dopo Gary”
Sospirai, dicendo addio al mio spuntino fuori pasto.
Il cuoco mi lanciò un ultima burbera occhiata, che si addolcì posandosi sulla schiena di Mikami: e per fortuna che lui sembrava l’uomo più felice del mondo quando lo avevo informato che volevo liberarmi di lei eh?
Mi chiusi la porta alle spalle, sistemandomi meglio il cappello sul capo.
Un leggero sorriso spuntò sulle mie labbra mentre mi rilassavo sotto le carezze della brezza leggera: nah, infondo non c’era nessun motivo per cui prendersela tanto…
 

 
Spazio autrice:
Ho poco da dire, spero solo di essermela cavata con la sufficienza nella descrizione della battaglia ^^'
Per un paio di giorni sarò assente, ma se tutto va bene avrete il prossimo aggiornamento per lunedì sera o martedì al massimo ^^
Come al solito grazie a tutti, a presto :*

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Capitolo 11
*** I love the way you undress, now baby begin! ***


I love the way you undress, now baby begin!


“Commodoro Smoker!”
Mi voltai, guardando accigliato il marine che era arrivato di corsa alle mie spalle urlando il mio nome.
“Li hanno trovati!”
Continuò il soldato, in un evidente stato di agitazione.
Strinsi con più forza i denti attorno al filtro dei due sigari, mentre il mio sguardo si faceva più tagliente: maledetto bastardo, stavolta non mi sarebbe fuggito.
“Dove si trovano?”
Domandai brusco.
“Direzione sud-ovest, ad un centinaio di nodi da qui”
Rispose l’uomo, teso, tormentando nervosamente con le dita l’orlo della divisa.
“C’è… solo un problema, signore”
Disse titubante, mentre i suoi movimenti si facevano ancora più ansiosi.
Repressi il ringhio che sentivo nascermi in gola, sforzandomi di rimanere calmo: lo sapevo, sarebbe stato troppo bello trovare Portgas senza incappare in nessuna difficoltà.
Mi limitai a fissarlo minaccioso, intimandogli con lo sguardo di sbrigarsi a parlare, di tempo da perdere proprio non ne avevo.
“Ecco… Le tre navi che erano in ricognizione… Beh ecco… Loro… Lui… Pugno di Fuoco e i suoi pirati le hanno distrutte.”
Riuscì a dire in fine, trattenendo il respiro in attesa della mia reazione.
Le mie dita stritolarono il legno del parapetto su cui poggiavo la mano, mentre mi sforzavo di nascondere la rabbia che sentivo montarmi dentro.
Tuttavia non dovetti riuscirci molto bene: vidi l’espressione del marine farsi più preoccupata e spaventata:
“Ci hanno contattato per informarci della loro posizione e che avevano trovato la nave di Pugno di Fuoco ma che non avevano visto Mikami-san e che stavano combattendo ma che si metteva male e che si sarebbero ritirati ma poi il collegamento si è interrotto e-
Alzai una mano, intimandogli con quel gesto di fare silenzio.
L’uomo ammutolì all’istante, interrompendo finalmente il fiume di informazioni scoordinate che mi stava riversando addosso, riprendendo fiato.
…Quel bastardo! Aveva affondato la mia nave ed eliminato praticamente per intero il mio equipaggio, ed ora non contento aveva dato alle fiamme altre tre navi con tutti gli uomini che avevano a bordo.
Monkey D. Rufy avrebbe aspettato, la mia priorità era diventata, nell’istante stesso in cui ci eravamo scontrati, Portgas D. Ace.
Riascoltai nella mia mente le informazioni che mi aveva appena riferito il marine:
“Non l’hanno vista?”
“N-no signore”
Rispose l’uomo timoroso.
Inspirai intensamente il fumo dei sigari, imponendomi di calmarmi.
Soffiai una nuvola bianca nell’aria limpida, cercando di ordinare le idee.
Congedai il marine davanti a me con un cenno della mano e rimasi a guardarlo pensieroso mentre, ben felice di allontanarsi da me, spariva veloce dietro l’angolo.
Mi voltai a mia volta, scuro in viso; mi incamminai verso l’ala della nave in cui erano situate le celle: qualcuno avrebbe fatto meglio a dire la verità, e in fretta anche.
Risposi al saluto della sentinella con un cenno del capo, avvicinandomi alle sbarre massicce della prima cella.
I pirati imprigionati si alzarono in piedi, guardandomi con astio misto a timore, imprecando e ringhiando come animali in gabbia.
I miei occhi impassibili e carichi di disprezzo li scrutarono uno ad uno, fino ad incontrare il volto del loro capitano.
“Farai meglio a parlare, pirata.”
Ordinai, minaccioso e secco, soffiando una nuvola di fumo tra le sbarre.
Il vecchio schiavista, catturato appena il giorno prima, fece tacere i suoi uomini con uno sguardo, rivolgendosi infine a me con un sorriso carico di falsa gentilezza:
“Ma io ho già parlato, Commodoro. Ora sta solo a voi rispettare la vostra parte dell’accordo.”
Ringhiai serrando le labbra sui sigari: maledetto pirata, osava anche venire a dire a me cosa dovevo fare?
“Ho acconsentito a risparmiarti la vita perché dicevi di avere delle informazioni che avrebbero potuto interessarmi, non perché potessi prenderti gioco di me”
Risposi minaccioso.
Il pirata dovette accorgersi che non ero dell’umore giusto per i suoi giochetti, perché sbiancò all’improvviso e riprese a parlare immediatamente, concitato:
“Ma io non ho mentito! Vi ho detto ogni cosa che sapevo! Dovete credermi! Quando ho incontrato i pirati di Barbabianca erano diretti a Micqueot, ma io gli ho detto che vicino all’isola c’era la flotta del Viceammiraglio Garp! Hanno cambiato rotta, ma non so dove si siano diretti! E’ tutto quello che so! ”
La ruga sulla mia fronte si accentuò mentre chiedevo cupamente:
“Il Viceammiraglio Garp?”
“Si, si! Ma ve l’ho già detto, su questo gli ho mentito! Volevo solo che stessero lontani dall’isola!”
“Già, nemmeno la flotta di Barbabianca approverebbe i tuoi traffici”
Commentai con poco interesse, disgustato dall’uomo: tra tutte le specie di pirati, gli schiavisti erano senza dubbio i peggiori.
Digrignai i denti, abbassando la voce:
“Tre delle nostre navi si sono appena scontrate con Portgas, e non hanno trovato traccia della ragazza”
L’uomo si fece ancora più pallido, gettandosi contro le sbarre ed avvinghiandosi ad esse:
“Ma è la verità! Quella per poco non mi ammazza! E’ vero, dovete credermi, tutti i miei uomini possono confermarlo! Mi ha quasi staccato la testa dal collo! E’ la verità!”
Capii che da lui non avrei ottenuto altro: sempre la stessa versione, che avevo già sentito più e più volte anche il giorno prima cercando di capire se stesse mentendo.
Voltai le spalle alla cella, ripercorrendo le scale che mi avrebbero portato sul ponte.
Ignorai le suppliche e le imprecazioni che i pirati continuavano ad urlarmi contro, chiudendomi con un tonfo la pesante porta della prigione alle spalle.
Non potevo fidarmi ciecamente di quel pirata – non esisteva un pirata di cui ci si potesse fidare – , ma forse aveva davvero detto la verità: forse le tre navi non avevano visto Mikami soltanto perché in quel momento non era sul ponte.
Mi appoggiai al parapetto scrutando il mare, come se da un momento all’altro la nave di Portgas dovesse comparire all’orizzonte.
Quasi non avevo creduto alle mie orecchie quando quel vecchio schiavista aveva detto di aver visto Mikami sulla nave di quel moccioso: era stata innegabilmente un’ottima notizia.
Dell’intero equipaggio, soltanto in cinque eravamo riusciti a resistere, in balia dell’oceano e delle fiamme, abbastanza a lungo perché la nave della Marina più vicina arrivasse a soccorrerci.
La mia era stata quindi, innegabilmente, felicità, quando avevo scoperto che quella ragazzina era assieme al moccioso anziché sul fondo dell’oceano o ridotta in cenere.
Questo comunque non cambiava i fatti: avrei arrestato Portgas con le mie stesse mani e l’avrei sbattuto ad Impel Down senza tanti complimenti.
Anzi, quel moccioso avrebbe fatto meglio a stare attento a ciò che faceva e non osare torcere un solo capello a Mikami, o glielo avrei fatto rimpiangere amaramente.
“Cambiamo rotta, dobbiamo raggiungere la seconda flotta di Barbabianca il prima possibile”
Ordinai avvicinandomi al timoniere, mentre l’ennesima spirale di fumo sporcava l’aria tersa.
 

*

 
Ero stanca: dei pirati, dei marines, delle lotte…
Ero stanca.
Ed Ace aveva ragione: avrei dovuto essere abituata a certe cose.
Solo che…
Deglutii, mentre mi tornava in mente l’odore di bruciato che mi aveva colpita con l’intensità di un pugno in faccia quando il pirata era entrato nella cucina, arrivando a sovrastare persino il profumo della zuppa e quello ancora più forte di pesce fresco e spezie.
Avevo represso un conato di vomito, mentre un brivido violento mi scuoteva.
Eppure aveva ragione, avrei dovuto esserci abituata.
Ma cosa significava il fatto che non lo fossi?
Forse avevo sbagliato tutto: forse non avrei mai dovuto seguire Smoker ed entrare in Marina, forse avrei dovuto continuare a rimanere in quel villaggio sperduto, sola ma quanto meno tranquilla.
I miei pensieri vennero bruscamente interrotti da Ace, che aveva aperto la porta della sua cabina per l’ennesima volta e stava aspettando che entrassi, guardandomi un po’ perplesso.
Mestamente, varcai la soglia.
“Allora”
Esordì il ragazzo con un sorriso lieve.
Lo osservai: aveva uno sguardo appena dubbioso negli occhi neri, ma non sembrava minimamente turbato dalla mia reazione di poco prima.
“Lì ci sono i vestiti e lì c’è il bagno.”
Spiegò indicando gli abiti sulla sedia e una porta che prima di allora non avevo notato.
Abbassai lo sguardo rendendomi conto all’improvviso, con un certo disappunto, di come togliermi la divisa non mi risultasse poi così sgradevole, di come l’idea di levarmi di dosso il simbolo della Marina fosse un’inaspettata fonte di sollievo.
“Quindi?”
Domandò vivacemente tutto d’un tratto, interrompendomi proprio mentre ricominciavo a sprofondare nei miei pensieri tra battaglie, pirati e marines.
Sollevai mestamente lo sguardo, incontrando gli occhi vispi e neri di Ace che mi fissavano curiosi, mentre il loro proprietario si chinava ad osservarmi.
Mi sottrassi subito a quell’improvvisa vicinanza, arrossendo:
“Cosa quindi?!”
Domandai imbarazzata.
“Vuoi levarti quella roba si o no?”
Continuò imperterrito il pirata inclinando appena la testa di lato.
“Non con te qui!”
Esclamai avvampando ulteriormente, muovendo un ulteriore passo indietro.
Ace rimase immobile un secondo, scoppiando subito dopo in una rumorosa risata.
“Ahah, ma no, io- ahah!”
Cercò di replicare qualcosa, ma venne di nuovo vinto dalle risate.
Mi imbronciai: cosa c’era da ridere tanto?! L’intera situazione era… imbarazzante.
Dopo qualche secondo sembrò finalmente calmarsi, conservando comunque sul volto un enorme sorriso malandrino:
“Ma per chi mi hai preso? Non sono mica uno stupratore!”
Sogghignò, enormemente divertito.
“La tua espressione non è molto rassicurante…”
Sbuffai cercando di giustificarmi, ancora rossa in viso.
“Ti faccio presente che è da quando sei arrivata che sei alla mia mercé, non ti pare un po’ tardi per preoccuparti di queste cose?”
Mi fece notare, con l’aria furba di uno che la sa lunga.
Sentii il mio viso infiammarsi di nuovo, ancora di più: probabilmente ormai ero dello stesso colore delle perline attorno al suo collo.
Boccheggiai al colmo dell’imbarazzo, non sapendo bene – anzi, non sapendolo affatto – come rispondere alla sua ultima frase.
“Esci e basta!”
Esclamai infine, la voce resa acuta dalla vergogna.
Ace rise di nuovo, scuotendo la testa e guardandomi divertito:
“Vado vado, tranquilla”
Mi prese in giro, voltandosi ed avviandosi verso l’uscio della sua cabina.
Si fermò all’improvviso, come se gli fosse venuto in mente qualcosa di molto importante:
“Oh. Fai in fretta però, tra un ora si pranza”
Mi disse voltando la testa a guardarmi, stranamente serio e con gli occhi che brillavano impazienti.
Bè, se c’era una cosa che avevo capito, era proprio il rapporto d’ amore tra il temuto pirata Portgas D. Ace e qualunque tipo di alimento.
Me ne aveva parlato anche Gary, cercando di distrarmi quando Ace si era precipitato fuori dalla cucina impaziente di dare battaglia: dovevo ammettere che certi aneddoti che mi aveva raccontato erano proprio buffi.
“Si”
Annuii, trattenendo un sorriso al ricordo delle parole del vecchio cuoco.
Ace annuì a sua volta, deciso, pregustando già probabilmente l’abbondante pasto.
La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo leggero mentre io rivolgevo finalmente la mia attenzione al bagno, impaziente di lasciare che l’acqua bollente della doccia lavasse via la salsedine che ancora mi rendeva salata la pelle.

 
 Spazio autrice:
Domenica ero a casa, quindi ho potuto aggiornare prima del previsto ^^
Che dire, ecco che torna in scena il nostro (o almeno, il mio) marine preferito! Ho sfruttato l'occasione per chiarire un po' la situazione, dando un briciolo di strategia a questi poveri e disgraziati soldati XD
Visto? Ho rimesso in scena anche una nostra vecchia conoscenza, l'amico (oddio, si fa per dire) schiavista! Poveretto che sfiga, prima lo butto tra le grinfie di Ace e Mikami e ora Smoker XD
Evabbè, la prossima volta si trova un lavoro più onesto :D
Finalmente Ace è riuscito nel suo intento di levarsi l'uniforme di Mikami dai piedi, tra le altre cose ^^
Ringrazio tutte le lettrici, in particolare Killy, Lenhara e tre 88 per le splendide recensioni, grazie mille :*

Piccolo piccolo spoiler: se vi state chiedendo perchè tra i personaggi presenti nella storia ho messo Marco, entro un paio di capitoli dovreste scoprirlo! ;)
A presto :)


 

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Capitolo 12
*** Can't break free until I let it go ***


Can't break free until I let it go

 

Da non credere, la testa di quella ragazza era più bacata di quanto non avessi pensato.
Sogghignai: certo ci sarei potuto arrivare, per entrare nella Marina bisognava per forza non essere completamente sani di mente…
Il mio ghigno si accentuò, mentre ripensavo allo strambo scambio di battute che si era appena concluso e a quanto fosse diventata rossa in volto.
Però il mio sorriso non tardò a spegnersi, mentre mi rendevo conto di essere appena stato buttato fuori dalla mia stessa cabina.
Da una ragazza poi!
Se Marco e gli altri lo fossero venuti a sapere, non avrebbero più smesso di prendermi in giro.
Con un sospiro, mi sistemai il cappello in modo che la falda arancione mi coprisse gli occhi, mentre svogliatamente camminavo lungo il ponte.
Sentii una fitta di nostalgia: era da un paio di mesi ormai che non vedevo né il Babbo né gli altri ragazzi, ed iniziavo a sentirne la mancanza.
Appoggiai i gomiti sul parapetto ammirando il mare piatto e lucente, avvertendo sulla schiena nuda il calore del sole e la brezza salata che mi soffiava dolce sulle guance. Inspirai profondamente: amavo l’oceano.
E avevo deciso: era il momento di dirigersi verso la Moby Dick, così avrei potuto raccont-
Zzzzzzzzzzzzz

*


“-pido pirata! Ace! Ace! Hey! Aceeeeee!”
Aprii lentamente gli occhi, guardandomi intorno spaesato: ero accasciato sul ponte, la schiena contro il parapetto, e Mikami mi scuoteva fissandomi con gli occhi spalancati.
Mi misi in piedi sistemandomi, disinvolto ma ancora un po’ stordito, il cappello:
“Ohi. Ciao”
Vidi gli occhi della ragazza farsi ancora più grandi:
“Ciao? Come sarebbe a dire «Ohi ciao»?!”
Mi stiracchiai allungando le braccia sopra la testa, mentre un sorriso sornione e rilassato mi stirava le labbra:
“Devo essermi addormentato”
“Addormentato?! Ma se sembravi morto!”
Sogghignai davanti alla sua espressione shoccata:
“No no, stavo proprio dormendo”
I suoi occhi si fecero più sospettosi mentre mi studiava appena imbronciata: immaginai si stesse chiedendo se non la prendessi in giro.
Sospirai con un ampio sorriso:
“E’ vero! Sono narcolettico”
“Oh”
Rispose soltanto, mentre mi guardava sorpresa.
Notai con piacere che, finalmente, la divisa era sparita: indossava la camicia blu e le braghe nere, lunghe fino alle ginocchia, che le avevo lasciato sulla sedia.
Il sole faceva splendere fili d’oro tra i capelli castani, lisci e lunghi fino alla vita, e la frangia ora ordinata non arrivava più a coprirle gli occhi, limpidi e chiarissimi sotto il sole caldo di mezzogiorno.
Sembrava anche essere meno pallida e provata: lo sapevo che una volta lavato via il sale sarebbe stata meglio.
“Hem… Cosa c’è?”
Chiese imbarazzata notando il mio sguardo, mentre un lieve rossore le colorava le guancie.
“Nulla”
Scossi la testa con un sorriso.
“Hey ma… Il pranzo! E’ ora di pranzo!”
Esclamai preoccupato, spalancando gli occhi e rendendomi tutto d’un tratto conto del ritardo che avevo accumulato.
Schizzai verso la sala mensa, veloce, sentendo il mio stomaco protestare rumorosamente.
Mi voltai però all’improvviso dopo pochi passi, notando che Mikami non si era mossa di un centimetro:
“Non vieni?”
Chiesi con una certa urgenza, impaziente.
Scosse il capo, facendo oscillare appena i capelli chiari.
“Come vuoi”
Scrollai le spalle, fiondandomi verso la mensa e spalancando la porta con la delicatezza di un tornado: fatti suoi se non aveva fame, perché io invece ne avevo eccome!


*



Dopo aver abbondantemente pranzato, mi ero ritirato nella mia cabina per schiacciare un sonnellino: non so bene se fosse a causa della narcolessia o perché tendevo ad esagerare “un pochino” con il cibo, fatto sta che dopo i pasti non di rado capitava che mi venisse un gran sonno.
Comunque, una volta svegliato, mi ero diretto verso la cabina di Mikami per informarla che avevo deciso di andare a fare un salutino al Babbo; a pranzo avevo colto l’occasione, tra un boccone e l’altro, di discutere della faccenda anche con Jake e Tai, rispettivamente navigatore e timoniere, arrivando a concludere che, dal momento che la Moby Dick non era molto distante da noi, se avessimo trovato il vento favorevole saremmo arrivati nei suoi pressi già il giorno dopo.
Il problema a questo punto era stato che, entrato nella cabina di Mikami, l’avevo trovata vuota.
Avevo guardato sotto il letto e sotto il tavolo senza alcun risultato e, rendendomi conto che non c’erano altri angoli in cui si sarebbe potuta nascondere, era da un quarto d’ora buono che andavo su e giù per la nave cercandola, preoccupato dei guai che avrebbe potuto combinare.
“Mikami? Mikami? Qui micio micio..!”
Provai per l’ennesima volta appoggiandomi pesantemente su un barile, sbuffando.
Non accadde nulla, esattamente come non era accaduto nulla le altre dieci volte che avevo già provato a chiamarla.
“Problemi?”
Sollevai lo sguardo, incontrando un sorridente Rick che si sporgeva dalla coffa.
“Ma ci credi? Ho perso la ragazza”
Ammisi, alzando appena la falda del cappello con la punta dell’indice per incontrare gli occhi del pirata.
“Forse posso aiutarti, Ace”
Rispose con un ampio sorriso allegro.
Mi raddrizzai improvvisamente: perché non ci avevo pensato prima? Ovvio che potesse aiutarmi, essendo la vedetta non poteva non notare chi gli passava sotto il naso no?
…A meno che Mikami non fosse rimasta sottocoperta, ma c’erano solo i dormitori e dubitavo si fosse infilata nella camera di qualcuno dei ragazzi.
Sogghignai: peccato però, sarebbe certamente stata una situazione divertente.
“Un oretta fa si è infilata in cucina”
Mi informò Rick, non troppo sorpreso dal ghigno che apparentemente senza motivo faceva bella mostra di sé sul mio volto.
“Cucina eh? In fondo potremmo andare d’accordo se il primo posto in cui pensa di andare appena la lascio sola è la cucina!”
Constatai con un altro sogghigno, ringraziando il pirata ed andando per l’ennesima volta (e in realtà molto volentieri, c’era sempre spazio per uno spuntino) dal vecchio Gary.
Rimasi letteralmente di sasso davanti alla scena che si presentò ai miei occhi come aprii la porta: Mikami era comodamente accoccolata sulla panca sgranocchiando biscotti e rideva sonoramente alle parole del vecchio Gary che, seduto di fronte a lei a sbellicarsi dalle risate, aveva  tutta l’aria di star raccontando qualcosa di molto divertente.
Al mio ingresso entrambi si girarono di scatto: Mikami arrossì e quasi si strozzò con il biscotto a cui stava dando un morso, mentre il vecchio Gary tornava ad assumere all’istante la sua solita aria burbera, cercando senza successo di nascondere uno sguardo imbarazzato.
“Hem… Continuate pure, non volevo interrompere”
Dissi incerto, ancora esterrefatto.
“Ragazzino, cosa ci fai nella mia cucina?”
Chiese Gary alzandosi, con il suo solito modo di fare brusco e la solita voce tonante, ma ancora con un filo di imbarazzo sul volto rugoso.
“Lei”
Dissi indicando Mikami con il dito, riprendendomi dalla sorpresa.
Forse era affetta da schizofrenia dopotutto: qualche ora prima era riuscita a gelarmi tutto il sangue che mi scorreva nelle vene con un solo sguardo, e ora come niente fosse successo rideva e mangiava biscotti.
La diretta interessata, ancora rossa in volto, a quelle parole sgusciò subito fuori dalla cucina, sussurrando un timido “Ciao Gary”.
Lo sguardo del cuoco si addolcì subito, mentre la sua voce roca rispondeva un:
“Ciao piccola”
Lo guardai perplesso: dove diavolo era finito il mio cuoco di bordo rude e rozzo?
“Vedi di non farla piangere, ragazzo”
Mi apostrofò tornando immediatamente burbero e minaccioso, esattamente come lo ricordavo: oh, eccolo dove era finito.
Mi chiusi rapidamente la porta alle spalle, preferendo non rispondere: ogni tanto mi veniva da chiedermi chi tra noi due fosse in realtà il comandante, ma l’unica volta che gli avevo fatto notare che ero io e che per questo avrebbe dovuto mostrarmi rispetto, mi aveva tenuto a stecchetto per un giorno intero.
Inutile dire che una tale idea non mi era mai più neanche passata per la mente.
Rabbrividendo al solo ricordo, sospirai abbassando gli occhi su Mikami:
“Mi fa piacere che tra tutti i pirati che ci sono sulla nave tu ne abbia trovato almeno uno che ti piace”
Commentai con un sorriso sornione, soltanto per vederla arrossire di nuovo.
Avanti, non le avevo fatto nulla nonostante tutte le scocciature che mia aveva causato, avevo il diritto di divertirmi un po’ no?
“Comunque non avevo bisogno di te, mi stavo solo chiedendo dove fossi”
Affermai, scordandomi completamente del mio buon proposito di riferirle le mie intenzioni riguardo la Moby Dick.
“Io invece si”
Ribatté lei cogliendomi di sorpresa.
Rimasi in silenzio, le sopracciglia arcuate dallo stupore, in attesa che continuasse.
“Non voglio più essere un marine”
Disse improvvisamente tutto d’un fiato, fissandomi intensamente.
Rimasi, per la seconda volta in pochi minuti, di sasso.
Mikami s’imbronciò appena, sporgendo il labbro inferiore in avanti e incrociando le braccia sul petto.
“Oh… Okay… Si, bene!”
Esclamai con decisione, rendendomi improvvisamente conto della bellezza di quell’affermazione.
“Si! Un’altra figlia di Barbabianca! Vecchio 1 e Marina 0! Stasera dopp-”
“No!”
Sbottò all’ istante, mentre i suoi occhi si schiantavano nei miei spegnendo il mio entusiasmo come una secchiata d’acqua fresca.
Rimasi di nuovo in silenzio, stordito da quel rifiuto così deciso.
“Non. Diventerò. Un. Pirata.”
Disse dura.
Fece una pausa, espirando in un sibilo:
“Non voglio più combattere. E non voglio più prendere ordini! Da nessuno. Voglio solo fare ciò che mi va e quando mi va. E non voglio più combattere…”
Ripeté mentre chinava lo sguardo e la sua voce si faceva più flebile.
Vedendo i primi segni di un imminente cedimento, preferii non comunicarle che, se quello che voleva era essere libera e fare ciò che voleva, bè allora era proprio sulla buona strada per diventare un pirata.
“Perfetto, un civile a bordo non è un problema”
Affermai invece con un sorriso sicuro, sperando vivamente che bastasse per non farla piangere: davvero, era qualcosa che non potevo sopportare di vedere.
Inoltre, Gary mi avrebbe tenuto a dieta per almeno una settimana se lo fosse venuto a sapere…
Tornò a sollevare gli occhi, sbirciando timidamente i miei, mentre un sorriso forzato le stirava le labbra.
“Stasera si festeggia, ti unirai a noi?”
Chiesi con un ampio sorriso cercando di rallegrarla, glissando sul motivo di tale festa: non mi sembrava proprio il caso di uscirmene con un “Facciamo una festa perché abbiamo sterminato qualche decina di tuoi ex-compagni senza farci neanche un graffio, ti va di venire?”.
No, proprio non era il caso di ricordarle il recente scontro.
Scosse la testa con forza, facendo oscillare la frangia davanti agli occhi.
“Dai, non vuoi inaugurare la tua nuova vita? Con un bel brindisi magari?”
Cercai di persuaderla con un sorriso complice, mentre mi chiedevo se davvero poteva essere definito “brindisi” il rumoroso cozzare dei boccali di birra o delle coppe per il sakè.
Scosse la testa castana con ancor più vigore riprendendo a guardarmi, sospettosa.
Ahhhhh, e un'altra crisi di pianto era stata scongiurata.
“Sicura?”
Feci un ultimo tentativo.
Annuii con forza, senza dire una parola.
“E va bene, non posso mica obbligarti in fondo.”
Rimasi un attimo in silenzio, senza avere più nulla da dire.
“Okay, ho un paio di faccende da sbrigare, ci vediamo dopo”
Conclusi.
Mi voltai iniziando a camminare, alzando la mano in un muto cenno di saluto.
“Ace!”
Mi arrestai, sorpreso da quel richiamo.
“Grazie”
Feci appena in temo a voltarmi per incontrare con i miei due grandi occhi azzurri, limpidi e trasparenti come il mare quando si fa meno fondo vicino alla riva, prima che scomparisse sottocoperta.
Ripresi a camminare, scuotendo appena la testa con un sorriso: probabilmente non sarei mai riuscito a capirla, ma un “grazie” per me era già più che sufficiente.


Spazio autrice:
Tadaaaaan! Nuovo capitolo come promesso! ^^
Mhh, non ho molto da dire al riguardo...

Ma qualche giorno fa mi annoiavo, ed ecco cosa accade quando mi annoio: Mikami A presto gente ;)

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Capitolo 13
*** Call me when you're sober ***


Call me when you're sober


Non sapevo, proprio non sapevo, come alla fine mi ero lasciata convincere: sarà stata colpa dei miei poveri nervi, che ormai non riuscivano più a sopportare il fatto di passare praticamente tutto il giorno sola, senza avere assolutamente nulla da fare.
Mi agitai sulla panca, estremamente a disagio.
“Smettila di dimenarti e rilassati”
Esclamò con leggerezza Ace al mio fianco, dandomi un colpetto giocoso sulla spalla.
Mugugnai contrariata: dovevo essere impazzita, senza dubbio, o mai mi sarei unita a una ciurma di pirati nel pieno dei festeggiamenti per la vittoria ottenuta.
Ad essere sincera, Ace non mi aveva spiegato il motivo della festa, ma non ero tanto stupida da non arrivare a capirlo.
Mi incupii, mentre il discorso di quella mattina tra me ed Ace, sul fatto che non volevo più essere un marine, mi tornava alla mente: no, non ci volevo più pensare, la questione era chiusa.
Non volevo più combattere e di conseguenza non potevo più essere un marine: il resto non importava.
Non mi importava più della Marina.
Solo che… Smoker… Di lui mi importava, e non avrebbe potuto essere altrimenti.
Ma non potevo.
No, no e ancora no: non ci riuscivo più.
E non riuscivo nemmeno a capire come facesse lui.
Era da così tanti anni che lavorava per la Marina, che era impossibile non si fosse accorto che le cose non andavano davvero come volevano che pensassimo, che non tutti i pirati erano quel branco di spietati farabutti che ci volevano far credere.
Era semplicemente impossibile.
E allora… Perché? Perché non mi aveva mai detto nulla? E perché continuava ad essere un marine?!
Non ci capivo più niente.
Ero solo certa che non volevo più combattere.
E che avevo chiuso con la Marina, per sempre.
Dovevo smettere di pensarci, perché tanto l’unico modo per risolvere i miei dubbi era parlare con Smoker; cosa che, era evidente, al momento non-
Sobbalzai quando i miei pensieri furono interrotti bruscamente da Ace, che con un gran sorriso mi aveva appena posato davanti, con ben poca delicatezza, un enorme boccale.
Mi sporsi sul tavolo, annusando sospettosa il liquido bruno: birra.
Storsi il naso tornando a rannicchiarmi sulla panca, imbronciata.
“Meglio il sakè?”
Mi domando Ace sornione, lanciandomi uno sguardo complice.
Scossi la testa con forza: figurarsi se mi sarei messa a bere con un branco di stupidi pirati!
Era vero che, ora che avevo abbandonato la Marina, teoricamente non avrei più dovuto avere nulla di particolare contro di loro ma… Boh, sarà stato a causa della forza dell’abitudine ma i pirati continuavano a non essere proprio la mia compagnia preferita.
“Mikami, stai deprimendo persino me con l’alone di negatività che emani!”
Commentò con un sogghigno il pirata moro, portandosi il proprio boccale alle labbra.
“Appunto, levo subito il disturbo allora”
Gli risposi imbronciata.
Mi alzai facendo per andarmene, ma mi trovai improvvisamente davanti il vecchio Gary:
“Piccola, cos’è quell’aria triste? Hai bisogno di qualcosa?”
Sentendo la voce profonda del cuoco di bordo mi rilassai un poco, mentre un lieve sorriso mi incurvava le labbra: almeno tra tanti energumeni c’era anche qualche pirata gentile e premuroso.
Ed effettivamente, una cosa di cui iniziavo a sentire la mancanza c’era…
Mi alzai in punta di piedi, avvicinandomi all’orecchio di Gary e cercando di farmi udire sopra il baccano dei pirati.
“Davvero?”
Chiese guardandomi stranito, le guance seminascoste dalla barba e appena arrossate dall’alcool.
Annuii decisa.
“Come vuoi allora, piccola. Torno subito”
Lo seguii con lo sguardo mentre usciva dalla sala mensa, tornando a sedermi al fianco di Ace.
“Hai cambiato idea?”
Annuii, sorridendo appena.
“Sei troppo silenziosa, te lo faccio vedere io qual è lo spirito giusto per festeggiare”
Si alzò in piedi sulla panca con un sorriso sicuro, richiamando con una rumorosa esclamazione l’attenzione della ciurma.
In qualche secondo i pirati si zittirono, voltandosi a guardarlo:
“Al Babbo!”
Esclamò con impeto sollevando il boccale sopra la testa, imitato subito dai suoi uomini che ripeterono quelle due parole in un tanto rumoroso quanto entusiasta coro.
“Visto?”
Chiese Ace, tornando a sedersi scompostamente: le ciocche ribelli dei suoi capelli neri gli lasciavano scoperta la fronte e cadevano leggere ai lati del viso, libere dal cappello che dal capo gli era scivolato sulla schiena, mentre gli occhi scuri come la notte brillavano furbescamente e un grande sorriso gli incurvava gli angoli delle labbra verso l’altro.
Distolsi immediatamente lo sguardo mordicchiandomi il labbro, imbarazzata, mentre mi scoprivo a pensare che, nonostante fosse lo stupido comandate di un altrettanto stupida flotta, era innegabilmente...carino.
Imbarazzata e contrariata dai miei stessi pensieri, gli diedi le spalle: dovevo proprio essere impazzita, non c’era altra spiegazione.
In quel momento ricomparve Gary, poggiandomi davanti un grosso boccale e distogliendomi dalle mie riflessioni.
Mi illuminai: finalmente si iniziava a ragionare.
“Grazie Gary, sei il migliore!”
Esclamai improvvisamente felice, mentre il cuoco mimava un inchino e tornava ad unirsi ad un gruppo di pirati che stavano ridendo rumorosamente a qualche metro da noi.


*


Per me continuava ad essere un mistero come il vecchio Gary fosse scorbutico e burbero con me e gentile e servizievole con lei.
O bè, almeno questo l’aveva fatta sorridere.
Mikami afferrò il boccale portandoselo alla bocca senza esitazione; sogghignai divertito: non sapevo cosa l’avesse all’improvviso convinta a bere ma, per lo meno, da ubriaca sarebbe stata un po’ più allegra no?
Dopo qualche secondo poggiò il boccale sul tavolo con un sospiro soddisfatto, un leggero alone bianco che seguiva il contorno delle sue labbra.
Corrugai le sopracciglia: ma che diavolo…?
“Fammi capire… Tu stai bevendo… LATTE?!”
Domandai incredulo.
Mi regalò un ampio sorriso, il primo vero sorriso che mi avesse mai rivolto:
“Si. Qualcosa in contrario?”
Ero talmente stupito che non riuscii a trovare nulla da ribattere e mi limitai a scuotere appena la testa, guardandola attonito.
Era su una nave pirata, attorniata da una ciurma quanto mai ubriaca ed allegra, e lei beveva latte come se stesse facendo colazione nella cucina di casa sua.
E in più fino alla mattina prima era stata un marine.
Scoppiai a ridere senza ritegno: era davvero una situazione assurda.
Mikami mi guardò un po’ perplessa, non capendo il motivo delle mie risate, senza tuttavia che il suo sorriso si incrinasse.
Si passò la lingua sulle labbra, leccando via il latte: a quel gesto Len e Ryu si diedero di gomito, ridacchiando maliziosi.
Sogghignai a mia volta, vuotando con un unico lungo sorso il contenuto del mio boccale, ignorando il  giovane pirata che si stavano avvicinando.
“Posso suggerire una correzione al latte?”
Esordii Len rivolto a Mikami con un grande sorriso, facendo per versare nel suo boccale del sakè.
La ragazza strinse a sé il latte, con fare possessivo, imbronciandosi:
“No”
Gli rispose secca.
“Garantisco che sarà buonissimo”
Continuò il pirata cercando di persuaderla, strizzandole l’occhio.
“No-o”
Ripeté lei più brusca, iniziando ad irritarsi.
Sospirai: lo sapevo che non avrebbe continuato a sorridere ancora per molto.
 “Non riuscirai mai a convincerla, è una battaglia persa in partenza”
Lo avvertii sogghignando, sistemandomi il cappello.
“Ma no, scommetto che- Hey, aspetta!”
Esclamò Len accorgendosi che, mentre lui rivolgeva a me la sua attenzione, Mikami ne approfittava per schizzare via dalla panca e sgusciare rapida tra i tavoli, sparendo in qualche secondo oltre l’uscio della mensa.
Non potei fare a meno di ridere, notando l’espressione ebete che si era dipinta sul volto del ragazzo:
“Scommetto che non sei mai stato scaricato così in fretta”
Commentai con un sogghigno.
“Puoi dirlo forte”
Replicò contrariato e deluso il pirata tornando verso Ryu che, avendo assistito alla scena da lontano, se la rideva a crepapelle.
“Non siamo stati molto fortunati oggi col vento”
Disse Jake, che sembrava essere uno dei pochi uomini ancora sobri nell’intera nave, sedendosi al mio fianco con un profondo sospiro.
“Già”
Mi limitai a commentare, contrariato.
“Se domani saremo più fortunati, riusciremo ad arrivare alla Moby Dick prima che cali il sole”
Continuò il pirata, passandosi pensieroso una mano sul mento glabro.
“Lo spero”
“Vedrai che sarà così, il vento sta cambiando”
Mi rassicurò sorridente.
“Sei tu l’esperto di meteo, mi fido”
Risposi ricambiando il sorriso, sollevato.
Quel ragazzo era incredibile e molto raramente sbagliava le sue previsioni: non stavo più nella pelle all'idea che il giorno dopo, a quell'ora, sarei stato molto probabilmente a ridere e scherzare con Marco e gli altri comandanti.
"Al Babbo e a tutti noi!"
Esclamai con energia chiamando l'ennesimo brindisi, impaziente di arrivare alla Moby Dick.
 

Spazio autrice:
Mi scuso per quello che è solo un capitoletto di transizione, ma prometto che il prossimo sarà più movimentato (con, finalmente, l'entrata in scena di una certa ciurma).
Piccolo appunto: lo so che Smoker non è proprio il bravo cagnolino ubbidiente che descrive Mikami, ma non preoccupatevi che non è una mia svista, più avanti chiarirò anche questo.
Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e, soprattutto, che recensiscono e che mi fanno sempre tanto felice :*
A presto! ^^


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Capitolo 14
*** Don't bother! ***


Don't bother!


“No!”
Esclamai allarmata, spalancando gli occhi nel sentire ciò che il pirata, appena entrato nella mia cabina come nulla fosse, esigeva che facessi.
“Eeeeh? Si invece! Andiamo, forza”
“No-oo! Non puoi dirmelo ora, così come se niente fosse!”
Ribadii con più forza schiacciandomi contro il muro, cercando di far entrare ben in testa a quello stupido pirata che non mi sarei mossa di lì.
“Insomma mi sono scordato! Ho anche altre cose da fare io! An-dia-mo!”
Cantilenò imperterrito il moro, avvicinandosi.
“Ti ho detto di no!”
Ringhiai arrabbiata, più che mai decisa ad averla vinta.
Ace sbuffò, afferrandomi per un braccio ed iniziando a tirarmi, con l’intenzione di farmi uscire dalla mia confortevole cabina con le buone o con le cattive: mi opposi con tutte le mie forze, puntando con decisione i talloni a terra.
Il pirata mi guardò sorridendo impertinente, divertito dall’espressione sgomentata che dovevo aver assunto nel constatare che, nonostante la mia strenua resistenza, non aveva alcun problema a trascinarmi verso l’uscio.
“E’ inutile, sono troppo forte per te”
Commentò sornione, non senza una certa nota di orgoglio a gonfiargli il petto.
Stupido pirata, approfittare in quel modo del fatto che fossi così leggera e lui così muscoloso!
Ma non riuscii a trattenere un sorriso di sfida: glielo avrei fatto vedere io chi era il più forte dei due…
“Ma co-“
Fu costretto a lasciarmi il braccio, che per la verità ora era mutato in una grossa zampa bianca.
“Non vale!”
Protestò corrugando le sopracciglia, rendendosi conto che trascinare a forza una tigre di trecento chili sarebbe stato impossibile anche per lui.
Ruggii vittoriosa, sedendomi comodamente sul pavimento e guardandolo compiaciuta: che provasse a spostarmi ora!
“Aspetta, non fare così! Che problema hai? Mica ti mangia!”
Chiusi gli occhi sollevando il mento con fare altezzoso, la coda che spazzava il pavimento: proprio non se ne parlava che io andassi di mia spontanea volontà tra le fauci di Barbabianca!
“Vieni! Andiamo!”
Lo ignorai deliberatamente, fiera e compiaciuta della mia vittoria.
Ace sbuffò, e rimase per qualche secondo pensieroso.
“E va bene…”
Sussurrò, la voce calda e bassa, un enorme ghigno sul volto lentigginoso, gli occhi che brillavano.
Quello. Non. Era. Un. Buon. Segno.
Cercai di rimanere impassibile, troppo orgogliosa per mostrare alcun cedimento; la mia coda però mi tradì, improvvisamente scossa da un tremito.
“Lo capisci anche da sola che non è il caso di farmi arrabbiare. Allora, ti do un ultima possibilità: andiamo?”
Sogghignò, enormemente compiaciuto.
Gli risposi con un ringhio profondo e minaccioso: non mi facevo mettere nel sacco così facilmente, con uno stupido bluff: tanto, cosa avrebbe potuto farmi?
Se non mi aveva carbonizzata quando avevo attaccato quell’idiota dagli occhi verdi, certo non lo avrebbe fatto ora per un innocuo rifiuto.
Non si scompose davanti al mio atteggiamento altezzoso, continuando a ghignare come uno stupido marmocchio.
Stupido pirata…
Ma perché diavolo continuava ad insistere?!
Ormai non avevo più nulla contro di lui, vero, ma questo non significava che mi fidassi ciecamente: e, in particolare, non significava che mi sarei lasciata coinvolgere in una riunione di famiglia!
Soprattutto se l’amorevole padre altri non era che l’uomo più forte del mondo, nonché il pirata più temuto dei quattro mari.
 Anche se non ero più un marine, non credevo che per Barbabianca avrebbe fatto qualche differenza: infondo era solo da un giorno che avevo tolto la divisa.
La mia coda fremette di nuovo, frustando l’aria con un sibilo: col cavolo che andavo ad incontrare l’amorevole paparino.
“Quindi rifiuti? E va bene. Se il Babbo ha voglia di fare due passi te lo porto qui, altrimenti recluterò qualche comandante: Jaws sarebbe perfetto, riuscirebbe a trascinarti fuori a forza anche in quella forma senza rovinarmi la nave”
Commentò con un sorriso sicuro.
Guardai Ace frustrata: bastardo di un pirata, scommetto che si stava divertendo un sacco ad innervosirmi, o davvero non si spiegava perché continuasse ad insistere.
Rimasi immobile mentre usciva dalla cabina, lento e sicuro.
Ascoltai i suoi passi allontanarsi: forse per una volta sarebbe stato meglio dargli retta, l’idea che tornasse coi rinforzi era tutt’altro che allettante.
Con un ringhio esasperato, scivolai veloce oltre l’uscio,  raggiungendo Ace in pochi secondi.
“Ti ho convinta?”
Chiese sornione e soddisfatto sbirciandomi, udendo i miei passi leggeri ed il pelo striato che gli solleticava la pelle mentre camminava.
Lo zittii con un ringhio, le orecchie appiattite sulla testa e la coda che nervosa frustava l’aria, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
“Credo che preferirebbero conoscerti in forma umana, sai?”
Ringhiai più forte fulminandolo con lo sguardo, irata: ma com’è che non me ne andava dritta una?
Barbabianca mi avrebbe scuoiata viva e si sarebbe fatto una bella pelliccia con il mio manto tigrato, potevo scommetterci.
Ace rise, incurante del mio pessimo umore:
“Lo dicevo per te!”
Si giustificò.
L’ennesimo ringhio: va bene che farlo arrabbiare avrebbe solo peggiorato la mia situazione, ma di certo non mi avrebbe convinto a tornare umana nemmeno minacciandomi di spedirmi sul fondo dell’oceano.


*



Qualche minuto dopo, eravamo sulla Moby Dick: un enorme, immensa nave,  la cui parte anteriore era in tutto e per tutto simile al muso di una balena.
L’equipaggio ci aspettava sul ponte principale, e in un paio di secondi io ed Ace fummo circondati dai pirati, impegnati a dare il ben tornato al ragazzo e ad osservare incuriositi me.
Notai con una punta di piacere che gli uomini sembravano però un po’ a disagio: non si fidavano, e mantenevano una distanza di un paio di metri da me che, al fianco del moro comandante della seconda, li osservavo minacciosa.
Ad un tratto un uomo si fece avanti, circondando con un braccio le spalle di Ace e dandomi la schiena con disinvoltura, proprio come se io non esistessi: aveva curiosi capelli biondi ed un espressione rilassata e amichevole sul volto ovale, incorniciato da una corta barbetta ispida; portava una camicia color prugna, aperta a mostrare l’addome muscoloso e un tatuaggio molto simile a quello di Ace.
Mi ci vollero appena due secondi per riconoscerlo: Marco la Fenice, comandante della prima flotta di Barbabianca.
Balzai indietro bruscamente, contrariata e ulteriormente innervosita dall’improvvisa vicinanza del suddetto pirata.
Lo vidi scambiare qualche parola con Ace, prima di voltarsi a guardarmi come se solo in quel momento si fosse accorto di me.
Sotto il suo sguardo mi appiattii sulle zampe, frustando l’aria con la coda, mentre socchiudevo le labbra nere mettendo in mostra le zanne e un ringhio basso e cupo mi usciva dalla gola.
I pirati attorno a me si agitarono capendo che la situazione si stava facendo tesa, allontanandosi ulteriormente e più velocemente che potevano.
Solo Marco ed Ace sembravano non essere minimamente preoccupati, tanto è vero che quest’ultimo disse, con il suo solito sorriso beffardo e una scrollata di spalle:
“Oggi è particolarmente di cattivo umore, non c’è stato verso di farla ragionare”
Vidi il sorriso della Fenice allungarsi impercettibilmente, mentre lasciava il ragazzo e si dirigeva verso di me.
Gettai rapida un occhiata alle mie spalle: no, non sarei certo riuscita a fuggire, c’erano troppi pirati a bloccare la strada.
Repentinamente tornai a rivolgermi verso il pirata: lo osservai avvicinarsi rimanendo immobile, tesa come una corda di violino, le unghie affondate nel lego del ponte, pronta a difendermi.
 “Marco”
Si presentò semplicemente, socchiudendo gli occhi e tendendomi la mano.
Drizzai le orecchie orientandole verso la Fenice, spiazzata dal tono calmo e pacato della sua voce.
Lentamente sentii i miei muscoli rilassarsi, mentre mi raddrizzavo sulle zampe e lo studiavo attentamente.
Era… strano.
Nel senso, strano per me, che ero abituata ad avere a che fare con Ace: quello che Marco aveva in viso era un vero e proprio sorriso tranquillo e … caldo, non un ghigno.
E poi la sicurezza che trasmetteva era ben diversa da quella, molto vicina all’arroganza, di Ace: sembrava essere il genere di persona che ha sempre la situazione sotto controllo e sa sempre cosa fare, il genere di persona di cui potersi fidare ciecamente.
Non mi stupiva che Barbabianca avesse scelto lui come suo braccio destro.
Quasi prima che me ne potessi rendere conto mi ero rilassata a tal punto da tornare ad assumere la forma umana:
“Mikami”
Risposi in un sussurro, stringendo debolmente la mano della Fenice che continuava a guardarmi sorridente.
In quel momento l’atteggiamento dell’intera ciurma mutò: fu come se tutti insieme avessero lasciato uscire il fiato che stavano trattenendo in attesa della mia mossa.
Ripresero a chiacchierare tra loro e tornarono ad avvicinarsi, studiandomi incuriositi.
Sentii addirittura uno di loro esclamare:
 “Ace, non ci sai proprio fare con le donne! Prendi esempio dal Comandante Marco!”
Ritirai la mano da quella della Fenice arrossendo violentemente, mentre Ace rispondeva a tono e con un gran sorriso a quella provocazione:
“Roy, devo ricordarti cosa è successo l’ultima volta che sei uscito con una donna o chiudi da solo quella fogna?”
Tutta la ciurma rise sonoramente a quello scambio di battute: mah, cameratismo tra uomini, una di quelle cose che sicuramente non avrei mai capito.
Marco mi rivolse un ultimo sguardo, prima di tornare verso Ace.
Sgattaiolai a mia volta al fianco del ragazzo, che rimaneva comunque l’unico pirata che conoscessi e vicino al quale mi sentivo decisamente più mio agio che con tutto il resto della ciurma messo insieme, realizzando di essere tornata solo una povera ragazza indifesa in mezzo a non-so-quanti brutti ceffi.
Il ragazzo in questione mi rivolse uno sguardo sornione e compiaciuto: alla fine, aveva ottenuto che tornassi al mio aspetto abituale, dopotutto.
“Bene ora che hai conosciuto Marco, rimane solo il Babbo. Sei fortunata, gli altri comandanti sono tutti occupati in altre faccende, e non sono sulla nave”
Sentendogli dire “Babbo” mi incupii all’istante: e va bene, incontrare la Fenice si era rivelato essere molto meno fastidiosi di quanto non mi fossi aspettata, ma Barbabianca era tutta un'altra storia.
Tuttavia oramai ero sulla Moby Dick, e non mi veniva in mente nessun modo in cui mi sarei potuta sottrarre dall’imminente incontro: seguii docilmente Ace che, preceduto da Marco, con passi rapidi e decisi si stava già dirigendo verso un’altra zona della nave.
Camminai dietro di lui per una ventina di metri, rassegnata e con lo sguardo basso; quando si fermò all’improvviso non me ne accorsi, andando a sbattere il naso contro il teschio ghignante che fiero svettava sulla schiena del ragazzo.
Questo non fece nessun commento in proposito, dicendo invece, allegro:
“Buongiorno Babbo!”
Sentii un brivido scuotermi a quelle parole: rimasi nascosta dietro la figura massiccia di Ace, gli occhi puntati sulla sua schiena abbronzata, incassando la testa tra le spalle nel disperato tentativo di svanire nel nulla e di non dover affrontare l’Imperatore Bianco.
“Buongiorno, figliolo”
Rispose una voce cavernosa e profonda, che mi procurò un altro brivido.
Nonostante la paura, non riuscii a reprimere la mia curiosità e sporsi appena la testa: ero davanti all’uomo più grosso che avessi mai visto e – ero pronta a giurarlo – all’ uomo più grosso che fosse mai esistito in tutto il mondo.
Sentii l’ennesimo brivido violento scuotermi, mentre trattenendo il respiro osservavo l’enorme petto coperto di cicatrici, la bandana nera e gli inconfondibili baffi bianchi a mezza luna che gli nascondevano la bocca.
Non osando guardarlo negli occhi, non riuscii proprio a capire che espressione avesse in volto.
Barbabianca sedeva su un enorme trono a cui la Fenice era tranquillamente appoggiata, mentre assisteva alla scena con un sorriso pacato.
“Allora, Ace, cosa hai fatto in questi mesi?”
Mi rilassai appena tornando a nascondermi dietro il pirata moro, enormemente sollevata nel constatare che Barbabianca, anche se era impossibile che non si fosse accorto della mia presenza, mi ignorava deliberatamente e sembrava fortemente intenzionato a continuare a farlo.
“Nulla di particolare, a parte l’aver imbarcato un marine…”
Rispose invece, proprio in quel momento, quel bastardo di Ace scansandosi all’improvviso.
Mi trovai quindi tutto d’un tratto di fronte all’immenso e temibile capitano, mentre i suoi occhi gialli e affilati smettevano di ignorarmi e mi fissavano penetranti.
Smisi di respirare fissandolo a mia volta, gli occhi spalancati dalla paura, incapace di muovere un solo muscolo.
“Un marine? Questa mocciosa?”
Domandò con una leggera nota di curiosità nella voce profonda.
Il mio cuore mancò un battito, mentre mi rendevo conto che quello che avrebbe fatto il Capitano di lì a qualche secondo avrebbe deciso la mia sorte.
“GURARARARARARARARA!”
La risata improvvisa e tonante dell’Imperatore scosse l’intera nave facendomi quasi esplodere il cuore nel petto per lo spavento: sobbalzai terrorizzata, indietreggiando, mentre un unico pensiero mi lampeggiava nella mente: fuga.
Ma non riuscii nemmeno a tentare di scappare, perché la mia schiena si scontrò immediatamente con il petto di Ace appena dietro di me.
Capendo che non sarei potuta andare da nessuna parte rimasi immobile contro di lui, osando appena respirare, terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto entro pochi secondi.
 “Babbo, credo che tu le abbia fatto paura”
Commentò in un sussurro Marco, rivolgendomi uno sguardo comprensivo.
Lo guardai disperata sperando che venisse in mio aiuto, magari con una frase del tipo “E’ meglio se la lasciamo tornare nella sua cabina”; frase che, purtroppo, non arrivò mai.
“…Da quando sei così affettuosa?”
Sussurrò d’un tratto Ace sfiorandomi l’orecchio con le labbra, con voce calda e seducente.
Spalancai gli occhi e balzai in avanti avvampando violentemente, voltandomi a guardarlo incredula.
Di nuovo la risata assurdamente potente di Barbabianca scosse la Moby Dick, alla quale si unirono anche quella sonora di quello stupido pirata lentigginoso e quella più contenuta della Fenice.
“Non riprovarci mai più!”
Avrei voluto ringhiarglielo ma la mia voce suonò terribilmente stridula mentre ancora shoccata  lo fissavo negli occhi neri, il viso in fiamme, scordandomi all’improvviso di tutta la paura che avevo appena provato tanto era l’imbarazzo.
“Sei tu che ti sei strusciata contro di me, io mi stavo solo informando su cosa ti passasse per la testa”
Si giustificò tra le risate, per nulla turbato.
“Io mi stavo strusciando?! Ma tu non… Ahhhh!”
Rinunciai con un gemito esasperato a spiegargli il motivo del mio comportamento: tanto non avrei ammesso nemmeno sotto tortura che ero quasi morta di paura per una stupida risata.
“E come mai hai imbarcato un marine?”
La voce cavernosa di Barbabianca mi fece improvvisamente ricordare che il pirata più temibile del mondo se ne stava tranquillamente seduto alle mie spalle: la paura tornò ad assalirmi.
Mi voltai di scatto verso di lui, deglutendo, il cuore che mi batteva all’impazzata nel petto.
“E’ una storia lunga, Babbo”
Rispose Ace senza smettere di sorridere.
“Anzi, in realtà ora è un ex-marine…”
Si corresse, affondando con un gesto sicuro le mani nelle tasche delle braghe nere.
“Come ti chiami, ragazzina?”
Mi domandò il capitano con la sua voce profonda, spostando gli occhi severi e penetranti dal pirata a me.
Mi trovai a pensare che riferirsi a lui con un l’appellativo di “Imperatore” era certamente una scelta molto saggia: non si sarebbe potuto definirlo altrimenti una volta che il suo sguardo maestoso e al contempo feroce si posava su di te, ghiacciandoti il sangue nelle vene.
“Mikami”
Risposi spaventata in un sussurro e respirando piano piano, non osando fare alcun rumore.
“Gurarararara”
Rise ancora: una risata, stavolta più bassa, simile ad un borbottio.
Deglutii di nuovo: se c’era una cosa che avevo imparato con Ace, mi sembrava che questa cosa fosse proprio che la risata di un pirata non è mai un buon segno.
Questa volta, invece, la frase che uscì da sotto i baffi del Capitano fu per me la più bella che avessi mai sentito, una frase che mi avrebbe permesso di allontanarmi da lui e, se conoscevo almeno un pochino Ace, di allontanarmi anche molto in fretta:
“Parleremo dopo, figlioli. La cena ci aspetta”



Spazio autrice:
Ohhhhhhh finalmente c'è anche Marcooooooo *ç*
Okay, la smetto subito XD
Rileggendo questo capitolo mi sono resa conto che non è proprio un capitolo lusinghiero per il povero Ace ò_ò
Ma non temete, avrà anche lui i suoi  momenti di gloria ;)
Che altro dire! Come al solito ringrazio tutti quelli che leggono e, in particolare, chi recensisce **
A presto gente! :*




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Capitolo 15
*** Then I see you standing there ***


Then I see you standing there


Con la pancia piena, sopirai soddisfatto.
Mi guadagnai un occhiataccia da Mikami che, seduta al mio fianco, non ne voleva proprio sapere di smetterla di tenermi il muso.
In tutta la cena non aveva mangiato praticamente nulla, tenendo costantemente d’occhio il Babbo, e solo in questi ultimi minuti aveva iniziato a “rilassarsi”, smettendo di controllare ansiosamente il Vecchio che, ormai era palese persino per lei, non aveva al momento altro interesse che mangiare e bere in compagnia.
Le rivolsi un ampio sorriso a cui rispose voltandosi dalla parte opposta, imbronciata.
Sospirai di nuovo, ridacchiando sotto i baffi e decidendo di ignorarla: le sarebbe passata presto.
“Allora, Marco, cosa avete combinato ultimamente?”
Chiesi rivolgendomi al comandante della prima, che osservava la ragazza con un sorrisetto divertito.
Portò gli occhi azzurri su di me, scrollando le spalle:
“Niente di che: abbiamo dato il ben servito a qualche banda di pirati che non aveva ancora capito quale fosse il proprio posto, controllato la situazione su un paio di isole… Le solite cose insomma.”
Sospirò socchiudendo gli occhi, mentre incrociava con disinvoltura le braccia sul petto.
“Credo che tu, invece, avrai cose più interessanti da raccontarmi”
Aggiunse con un sorriso più ampio, rivolgendo un eloquente sguardo a Mikami che ancora mi dava le spalle.
Approfittando che non mi vedesse, scrollai le spalle e scossi la testa con un altrettanto eloquente espressione perplessa sul volto, picchiandomi con l’indice sulla tempia ad indicare che quella era tutta matta.
“Mh?”
Marco inclinò la testa di lato, corrugando le sopracciglia bionde e fissandomi stranito.
Incrociai le braccia sul petto a mia volta, facendo su e giù con la testa con l’espressione di uno che la sapeva lunga.
Le sopracciglia del comandante biondo si corrugarono ulteriormente, per distendersi un secondo dopo mentre spostava lo sguardo su Mikami.
Mi voltai a mia volta, incontrando due grandi occhi azzurri che mi fissavano intensamente.
“Oh. Ciao Mikami”
Ridacchiai grattandomi la nuca, chiedendomi da quanto tempo mi stesse osservando e quanto avesse inteso della muta conversazione che si era svolta tra me e Marco.
“Sei peggio di un bambino”
Commentò sospirando sconsolata, senza tuttavia mostrare particolare irritazione: ormai doveva aver iniziato a farci l’abitudine.
Incrociò le braccia sul tavolo appoggiandovi sopra il mento, gli occhi socchiusi fissi su un punto imprecisato di fronte a sé, mentre nascondeva con la mano uno sbadiglio.
Inclinò il viso per guardarmi, le iridi azzurre velate dalle ciglia dorate:
“Ho sonno…”
Annuii pensieroso:
“Dove la mettiamo?”
Domandai rivolgendomi a Marco.
“Non sono un oggetto dà spostare di qua o di là, stupido pirata…”
Mugugnò la ragazza tornando a fissare davanti a sé, parlando probabilmente più con se stessa che con noi.
“Dormitorio delle infermiere”
Affermò Marco con la solita espressione rilassata, indicando con un cenno della mano una donna vestita di rosa che parlava animatamente col Babbo: l’ennesima ramanzina per il sakè, immaginai.
A quelle parole Mikami drizzò la testa di scatto, gli occhi spalancati.
“C’è qualche problema?”
Le chiesi osservandola curioso.
Emise un breve mugugno tornando ad appoggiare il capo sulle braccia, gli occhi di nuovo socchiusi: decisi di interpretarlo come un no.
“Ogni tanto mi fa venire il dubbio che non sia in grado di parlare”
Mi lamentai con Marco con un sorrisetto impertinente, sbirciandola di sottecchi.
La reazione non tardò ad arrivare:
“Guarda che sono ancora qui…”
Protestò stancamente.
“Non me ne ero accorto, sei così silenziosa! Basterebbe che tu ogni tanto dicessi qualcosa, anziché continuare a ringhiare, mugugnare, sospirare…”
Credo che decise di ignorare il mio suggerimento perché si limitò a sbuffare sonoramente, chiudendo gli occhi.
Mi alzai, afferrando il cappello dalla tavola e sistemandomelo in testa:
“Ho capito, ho capito. Vieni, ti faccio vedere la tua nuova cabina. Credo che sarai felice di avere un po’ di compagnia femminile, no?”
Ignorandomi per l’ennesima volta, allungò le braccia sul tavolo, stiracchiandosi mentre nascondeva un altro sbadiglio, per poi alzarsi e seguirmi docilmente.
“Dammi cinque minuti”
Dissi lanciando un breve sguardo a Marco che rispose con un sorriso e un cenno del campo, mentre ci apprestavamo ad uscire dalla sala mensa.


*



Da diversi minuti correvo a perdifiato per la sottocoperta, infilandomi a casaccio in un corridoio dopo l’altro nella speranza di imboccare quello che mi avrebbe portato sul ponte dove, speravo, avrei trovato qualcuno disposto ad aiutarmi.
“Aspetta!”
Sentii quel mostro urlare isterico alle mie spalle.
Presi rapida il corridoio alla mia sinistra, senza avere il coraggio di voltarmi a guardare indietro: col cavolo che avrei lasciato che mi mettesse addosso i suoi orribili artigli!
Alla fine del corridoio, finalmente, vidi una scala che saliva e da cui entrava un caldo e rassicurante raggio di sole: accelerai, dando fondo a tutte le mie energie.
Mi precipitai sul ponte praticamente alla cieca, abbagliata dall’intensa luce improvvisa ma decisa più che mai a non fermarmi per nessuna ragione al mondo, mentre mi imponevo di non ascoltare la cosa che continuava a strillare irata alle mie spalle.
Mi lasciai sfuggire un guaito di dolore, quando andai improvvisamente a sbattere il naso contro qualcosa e fui costretta a fermarmi.
Mi allontanai bruscamente, atterrita, sentendo già il panico assalirmi.
I miei occhi ci misero un paio di secondi a mettere a fuoco la figura contro cui ero andata a sbattere ma, una volta che l’ebbi riconosciuta, sgusciai rapida alle sue spalle, pregando che la mia prima impressione sul suo conto si rivelasse corretta.
La Fenice si voltò a guardarmi perplessa mentre mi rannicchiavo contro la sua schiena, ansante.
“Comandante Marco – anfh – grazie al cielo!”
Esclamò con il respiro pesante il mostro travestito da infermiera che mi stava dando la caccia, arrivando a sua volta sul ponte.
“Non la lasci fuggire!”
Urlò di nuovo la donna, riferendosi ovviamente a me.
Strinsi spasmodicamente i lembi violacei della camicia del comandante della prima flotta, mentre ricambiavo il suo sguardo perplesso con uno spaventato e supplichevole.
Il pirata rivolse gli occhi azzurri all’infermiera, confuso:
“Milly, cosa succede?”


*



Di cose strambe sulla nave del Babbo ne avevo viste parecchie, ma questa le batteva tutte: mi ero ritrovato all’improvviso a fare da mediatore tra la capoinfermiera furibonda e la ragazza terrorizzata che Ace aveva portato a bordo.
“Milly, cosa succede?”
Domandai perplesso alla donna fasciata da un abitino rosa con corti capelli lisci e neri, occhiali dalla montatura spessa e rossetto rosso fuoco sulle labbra sottili, che al momento erano ridotte ad una linea scarlatta dalla rabbia.
“Non riusciamo a tenerla ferma, ha distrutto mezza infermeria!”
Abbaiò Milly, livida di rabbia.
“Tenerla ferma?”
Chiesi pacatamente, sentendo Mikami tremare contro la mia schiena.
“Non riusciamo a visitarla!”
Specificò esasperata la donna mentre altre due infermiere, anch’esse col fiatone, si precipitavano sul ponte.
Tornai a voltarmi verso Mikami vendendo immediatamente investito dai suoi enormi occhi azzurri e lucidi che mi guardavano supplichevoli mentre la loro proprietaria, bianca come un lenzuolo, tremava come una foglia scossa dal vento.
Le rivolsi un sorriso rassicurante, tornando a guardare Milly:
“A me sembra che stia bene”
Affermai, sorridendo placidamente.
La capoinfermiera mi fulminò con lo sguardo da dietro le spesse lenti degli occhiali, prima di rispondermi per le rime:
“Lei è un comandante, non un medico! Ma non lo vede com’è pallida? E le occhiaie? E dovrebbe sentire che mani fredde! Come capo infermiera, è mio dovere assicurarmi che tutto l’equipaggio sia in perfetta salute!”
Affermò decisa, muovendo un passo in avanti.
“No no no no!”
Sentii Mikami gemere mentre si avvinghiava al mio braccio, le unghie che mi pizzicavano la pelle anche attraverso le maniche della camicia.
“Mikami, non ti fa nulla”
Dissi con calma tornando a rivolgermi alla ragazza nel tentativo di farla ragionare, decidendo saggiamente di non mettermi contro Milly e la sua squadra di infermiere a meno che non fosse strettamente necessario.
“Non voglio fare la puntura”
Rispose lei con un filo di voce, tremando ancora più forte, mentre un'unica lacrima silenziosa le rigava la guancia.
“Hai paura?”
Le chiesi dolcemente: annuì con forza lasciandosi sfuggire un singhiozzo, le pupille rese enormi dallo spavento.
Sospirai: era già capitato che qualcuno della ciurma avesse il terrore degli aghi, ma di solito bastava un sorriso amorevole da parte di una delle infermiere e la paura, misteriosamente, svaniva all’improvviso.
Immaginai che per Mikami, invece, la bellezza delle infermiere o la generosa scollatura non rappresentassero un motivo sufficiente per lasciarsi visitare.
“Non ti preoccupare Milly, è solo un po’ stanca”
Rassicurai quindi la capoinfermiera, non sentendomela di consegnarle la ragazza tremante che si era disperatamente aggrappata al mio braccio.
“Ma... E l’infermeria?!”
Replicò la donna, incredula di fronte al mio rifiuto.
“Non ti preoccupare nemmeno di questo, ti manderò subito un paio di ragazzi che rimetteranno a posto tutto”
Le assicurai, certo che avrei trovato ben più di un pirata disposto a passare qualche ora tra le belle infermiere del Babbo.
Milly mi lanciò uno sguardo minaccioso, prima di sistemarsi gli occhiali sul naso con la punta dell’indice e girare sui tacchi, ritirandosi, subito seguita dalle altre due donne.
Mikami si rilassò all’istante, allentando la pressione sul mio braccio e lasciando andare un tremante sospiro.
“Grazie…”
Sussurrò guardandomi negli occhi riconoscente, mentre il suo respiro iniziava piano piano a regolarizzarsi.
Le sorrisi rassicurante:
“Non c’è problema”
Mikami lasciò andare all’improvviso il mio braccio, come se solo allora si fosse accorta che era praticamente dalla comparsa delle infermiere che lo stringeva, arrossendo appena.
Le sorrisi di nuovo: non mi sembrava affatto di aver davanti la stessa ragazza aggressiva e imbronciata di cui la sera prima mi aveva raccontato Ace.
“Che ne dici di, almeno per il momento, cambiare cabina?”
Le chiesi conciliante immaginando che, se non avessi fatto qualcosa, tra lei e le infermiere sarebbe presto scoppiata una vera e propria guerra che sarebbe toccato a me sedare: quelle donne tendevano ad essere un po’ troppo autoritarie, e certo Milly non le avrebbe fatto passare liscia né la storia dell’infermeria disastrata né l’essersi sottratta alle sue amorevoli (e un po’ maniacali) cure.
Mi guardò stupita, mentre i suoi occhi si illuminavano: scosse la testa su e giù con decisione.
“Bene, allora…”
Incrociai le braccia sul petto, pensieroso.
“…Vista. Al momento non è sulla nave, e non credo che avrebbe nulla da obiettare se tu occupassi la sua cabina per qualche giorno. Vieni, ti faccio strada.”
Conclusi con un sorriso rassicurante, mentre Mikami si affrettava a seguirmi sollevata sussurrando l’ennesimo “grazie”.


*



Bussai: nessuna risposta.
“Mikami? “
Chiamai, aprendo la porta cautamente: vuota.
Mi spostai alla cabina a fianco, bussando di nuovo: ancora nessuna risposta, e ancora nulla quando sbirciai all’interno.
Aprii l’ennesima porta, già stanco di bussare, trovandomi ancora davanti ad una cabina vuota.
Richiusi l’uscio grattandomi la nuca, lasciando che il cappello mi scivolasse sulla schiena, un po’ scocciato: ma dove si era cacciata stavolta?
Intorno a mezzogiorno l’avevo incrociata che gironzolava per i corridoi della nave con aria spaesata e confusa: avevo creduto che si fosse persa e le avevo detto che l’avrei aiutata a tornare dalle infermiere, ma a quelle parole aveva spalancato gli occhi ed era schizzata via, urlandomi qualcosa sul fatto che adesso stava nella cabina di uno dei comandanti.
Al momento non ci avevo fatto troppa attenzione e mi ero limitato a scrollare le spalle, perplesso (ma nemmeno troppo, iniziavo ad abituarmi ai suoi comportamenti privi di una qualunque logica), ma ora mi rendevo conto che c’era un piccolo dettaglio a cui non avevo pensato: nella flotta del Babbo c’erano la bellezza di ben sedici comandanti, quattordici se si escludevano me e Marco.
Quindi… in quale cabina si era andata a cacciare?
Ne avevo controllate solo tre, e mi ero già stancato: temo che la pazienza non fosse il mio forte.
E poi, insomma, chi era che le aveva dato il permesso di occupare la cabina di uno dei comandanti?
Io per esempio mi sarei arrabbiato, se qualcuno approfittando della mia assenza si fosse appropriato della mia stanza.
“Incredibile…”
Borbottai sbuffando, rimettendomi alla ricerca di Mikami.
Cabina numero quattro: nulla.
Cabina numero cinque: nulla.
Cabina numero sei: ancora nulla.
Cabina numero sette: lo stesso, desolate, nulla.
Cabina numero otto: di nuovo vuota, iniziavo a spazientirmi davvero.
Cabina numero nove: anco-
Oh.
Rimasi immobile, la mano ancora sulla maniglia della porta: Mikami era seduta sul letto, con indosso soltanto le braghe nere ed un reggiseno dello stesso colore, intenta a pettinarsi i capelli umidi.
Le braghe le coprivano le gambe snelle fino alle ginocchia mentre l’assenza della camicia lasciava in mostra il ventre piatto e la linea sinuosa dei fianchi, le curve morbide dei seni che spiccavano sulla stoffa nera.
Rimanemmo a fissarci in silenzio per qualche secondo, entrambi perfettamente immobili.
Con un balzo fulmineo Mikami scattò in piedi, rossa come un papavero:
“ESCI!”
Mi ordinò, la voce così acuta da risultare fastidiosa per i miei poveri timpani.
Sbattei le palpebre più volte, imponendomi di guardarla solo in viso.
“MA SEI SCEMO O COSA?!? ESCI HO DETTO!”
“Si, si! Calmati ho capito, non c’è bisogno di urlare! Scusa! Però tu-“
Mi interruppi, irrigidendomi, capendo che le scuse erano inutili nell’istante in cui un ruggito più che mai minaccioso scuoteva l’intera cabina, ed io mi ritrovavo per l’ennesima volta di fronte ad una tigre furiosa, gli occhi color del ghiaccio che mandavano lampi d’ira: decisi che era il caso di darmela a gambe.
Feci un rapido passo indietro e le chiusi la porta in faccia, nell’istante preciso in cui spiccava un balzo nella mia direzione.
Mi schiacciai con la schiena contro l’uscio sperando di riuscire ad impedirle di uscire, mentre con un tonfo sordo il felino si abbatteva sull’unico ostacolo che la separava dall’affondarmi i denti nel collo.
Sotto il suo peso il legno pesante si lamentò con un lungo scricchiolio, ma sembrò reggere: tirai un sospiro di sollievo, rilassandomi.
La sentii tornare all’attacco, mentre una decina di grossi artigli ricurvi si abbattevano nuovamente sulla porta: udii un altro, sinistro, scricchiolio.
…Non sapevo per quanto la porta avrebbe tenuto.
Uno…due…tre!
Iniziai a correre a più non posso, con l’intenzione di infilarmi nella mia cabina e rimanerci per un bel po’.
Certo che ero messo male se me la davo a gambe così di fronte ad una ragazzina, mezza nuda per di più…
Senza smettere di correre, scoppiai a ridere: davvero, credo non mi fosse mai capitato nulla di così assurdo!


Spazio autrice:
E' ufficiale, ormai Mikami mi odia XD
E va bè, me ne farò una ragione ^^
Grazie a tutte le lettrici e soprattutto alle recensitrici! **
A presto :*

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Capitolo 16
*** You look like a fool to me! ***


You look like a fool to me!


Erano passate un paio d’ore da quando quello STUPIDO PIRATA aveva molto poco galantemente fatto irruzione nella mia cabina, ed era proprio arrivato il momento che si rendesse conto che tra i tanti lati negativi del mio carattere ce n’era uno particolarmente spiccato: la tendenza all’essere vendicativa.
Ma che diavolo credeva di fare?
Gliel’avrei fatta vedere io… se solo fossi riuscita a trovarlo!
Per l’ennesima volta, ero riuscita a perdermi.
Insomma, non era nemmeno tutta colpa mia: okay che il mio senso dell’orientamento era pressoché inesistente, ma quella nave era davvero troppo, troppo grande.
Mi arresi: qualcuno doveva aiutarmi, o non sarei mai riuscita a trovare Ace.
“Scusa”
Esordii poco convinta, rivolgendomi ad un ragazzo che mi fissava perplesso dopo la quarta volta nel giro di dieci minuti che gli passavo davanti, costretta a tornare indietro per aver imboccato il corridoio sbagliato.
“Ti sei persa?”
Domandò inarcando un sopracciglio biondo, puntando gli occhi castani nei miei.
“Già”
Ammisi con un leggero imbarazzato: ma perché avevo un così pessimo senso dell’orientamento?
“Dovrei andare da Ace, sai dov’è?”
Chiesi titubante.
“Il Comandante Ace?”
Annuii.
“L’ultima volta che l’ho visto, mezz’ora fa, era nella sala mensa a discutere con il Comandante Marco”
Rispose, continuando a guardarmi un po’ confuso.
Soffocai un ringhio: e ti pareva, dove altro avrebbe potuto essere?
L’unico problema era che non avevo nemmeno il più vago ricordo di come arrivarci.
“Puoi dirmi come ci si arriva?”
Domandai, sforzandomi di apparire gentile.
Mi lanciò uno sguardo diffidente, ma decise di rispondermi:
“Devi salire queste scale e prendere il primo corridoio a destra. Poi vai dritta, a sinistra e poi ancora a-“
“Hem… Mi accompagni?”
Domandai interrompendolo, sforzandomi di non arrossire, capendo che anche con quelle indicazioni mi sarei persa comunque.
Il pirata mi guardò incredulo, mentre un espressione ancora più confusa gli inarcava le sopracciglia.
Oh, ma insomma, si può sapere che problema aveva quello!?
Stupidi, stupidi pirati!
Tuttavia non lasciai che le mie opinioni sulla sua intelligenza trasparissero sul mio viso, e anzi mi dipinsi in faccia la miglior espressione da cucciolo che mi riuscisse sperando di intenerirlo e convincerlo a portarmi da Ace:
“…Per favore?”
“…Va bene…”
Accettò in fine, anche se con poca convinzione.
“Grazie!”
Esclamai, sollevata di aver ottenuto ciò che volevo.
Seguii il pirata biondo lungo svariati corridoi, finché finalmente non si arrestò davanti ad una porta aperta:
“Eccoci qui”
Sbirciai all’interno, riconoscendo subito la schiena nuda e tatuata di Ace.
Il mio sguardo si incupì mentre mi tornavano alla mente i miei propositi di vendetta, momentaneamente messi da parte durante il breve dialogo tra me ed il biondo.
“Grazie”
Lo liquidai in fretta, dimenticandomi completamente della gentilezza ora che non avevo più bisogno del suo aiuto.
Ero un po’ approfittatrice? Andiamo, era un pirata, non si sarebbe offeso per così poco.
Entrai a passi decisi nella sala mensa.
L’ora di pranzo era già passata da un pezzo, ed i pirati seduti ai tavoli stavano ammazzando il tempo giocando a carte o dadi, ridendo sguaiatamente ogni qualvolta gli capitava un gran colpo di fortuna ed imprecando a gran voce quando invece la dea bendata gli voltava le spalle.
Poi c’erano Marco ed Ace, seduti appena in disparte, che chiacchieravano animatamente.
O meglio, Ace chiacchierava e la Fenice lo ascoltava tranquilla, il gomito poggiato sul tavolo, il mento sulla mano e un sorriso rilassato sulle labbra.
Mi avvicinai, preparando una cospicua serie di insulti e imprecazioni da rivolgere a quello stupido pirata che, dandomi le spalle, era completamente ignaro della mia presenza.
Gli occhi di Marco, che essendo di fronte ad Ace era invece in grado di vedermi chiaramente, si sollevarono rapidi su di me.
Tuttavia li riabbassò subito sull’amico, come se non mi avesse vista, mentre gli angoli delle sue labbra si incurvavano impercettibilmente verso l’alto: dalla mia espressione doveva aver capito che la mia ira si sarebbe presto abbattuta su Ace e, pregustando la scena che avrebbe senz’altro trovato divertente, sembrava aver deciso di non avvertire il comandante in seconda.
Appunto mentale: ricordarmi di ringraziare Marco.
Ma lo avrei fatto più tardi, prima c’era un’altra cosa che dovevo assolutamente fare.
La mia mano destra si abbatté con uno schianto secco sulla nuca del pirata moro che, totalmente preso alla sprovvista, sbatté la fronte contro il legno duro del tavolo.
Rimase immobile in quella posizione: gli altri pirati smisero di schiamazzare e ci fissarono ammutoliti e attoniti, mentre Marco tratteneva a stento una risata.
Ace piantò con un tofo sordo le mani sul tavolo, sollevando la testa ed alzandosi in piedi così bruscamente che la sedia su cui era seduto finì a terra.
Vidi i muscoli delle sue spalle contrarsi mentre gonfiava il petto ed irrigidiva le braccia, apparendo ancora più grosso di quanto non fosse in realtà.
Rimasi impassibile, le mani piantate sui fianchi.
“Chi è l’idiota che ha osato…”
Iniziò a dire, la voce bassa e minacciosa, mentre piccole fiamme crepitanti si accendevano sulla sua pelle abbronzata.
Si voltò di scatto, fronteggiandomi.
Trovandosi davanti a me, però, rimase senza parole: i suoi occhi si spalancarono, mentre le fiamme si estinguevano con un leggero sibilo e lasciava cadere le braccia lungo i fianchi.
Senza pensarci due volte, gli rifilai un altro schiaffo che lo colpì dritto sulla guancia, facendogli voltare viso.
Dovevo averlo colto di sorpresa anche con quel secondo colpo perché quando tornò a guardarmi, massaggiandosi la guancia, aveva un espressione ancora più incredula.
“Così impari.”
Proclamai soddisfatta.
Un po’ infantile, lo ammetto, ma… Insomma, speravo davvero che così avrebbe imparato.
Come se niente fosse successo, rialzai la sedia che aveva fatto cadere e mi ci accomodai, sorridendo allegramente alla Fenice che, dopo aver assistito alla scena, era scoppiata in una rumorosa risata.
Risi anche io, più che mai soddisfatta di essermi presa una piccola rivincita su Ace, mentre tutta la tensione che avevo accumulato svaniva.
“Sei impazzita?!”
Esclamò all’improvviso il moro, riprendendosi dallo stupore.
Mi voltai a guardarlo, senza riuscire a reprimere un sogghigno compiaciuto, scrollando le spalle con fare innocente.
Gli altri pirati ci fissavano ancora, indecisi se unirsi alle risate del comandante in prima o se rimanere muti per rispetto e timore di Ace, ma le prime risatine soffocate iniziavano già scappare e a riecheggiare per la sala.
“Ma non ti ho fatto nulla!”
Protestò nuovamente il pirata moro.
Smisi di sorridere, fulminandolo con uno sguardo tagliente:
“Ah no?”
“Non ho mica fatto apposta!”
“Ma l’hai fatto.”
“E allora?! Le persone civili non si prendono a schiaffi!”
“Parli tu che volevi darmi fuoco!”
“Ma non è vero!”
“E invece si! Ti sei acceso come un fiammifero!”
“Perché tu mi hai colpito!”
“Te la sei cercata, la prossima volta farai meglio a bussare.”
“Ma quante storie non eri neanche completamente nuda!”
“E t-“
Ero già pronta a rispondergli con un bell’insulto ma sentirgli dire quella frase mi fece quasi strozzare con la mia stessa saliva, mentre le risate sguainate degli altri pirati riempivano l’aria.
Tossicchiai, rossa fino alla punta delle orecchie.
…Brutto bastardo, un vero colpo basso uscirsene con una frase del genere davanti a tutti… Stupido pirata!
“Ti meriteresti un altro schiaffo”
Ringhiai senza guardarlo negli occhi ancora rossa, sentendo di essere stata sconfitta così per l’ennesima volta.
“Mai sentito dire che la pena dovrebbe essere proporzionale alla colpa?”
Disse con leggerezza, smettendo tutto d’un tratto di guardarmi incredulo e anzi sorridendo compiaciuto, come chi è consapevole di aver appena ottenuto una vittoria schiacciante e di avere il pieno controllo della situazione.
“Tu sei l’ultima persona da cui mi aspettavo di sentire una cosa del genere”
Commentai sarcastica, riprendendomi dall’imbarazzo e decidendo che non gliel’avrei data vinta così facilmente.
“Mi sottovaluti”
Replicò sogghignando.
“E, sentiamo allora, quale sarebbe secondo te la giusta pena? Secondo me sono stata fin troppo buona a non staccarti la testa dal collo.”
Chiesi imbronciata, squadrandolo con fare altezzoso.
“Occhio per occhio e dente per dente, no? Quindi io direi ch-”
“Fa lo stesso, non lo voglio più sapere!”
Mi affrettai a dire sentendo per l’ennesima volta il mio viso avvampare ed evitando accuratamente che i miei occhi incontrassero i suoi, mentre lo sguardo intenso e il sorriso malizioso che gli increspava le labbra concludevano quella frase per lui.
 “Davvero? Sicura di non volerlo sapere?”
Ignorai la sua voce calda e carezzevole, mentre cercavo con tutte le mie forze di imbrigliare la mia fantasia per impedirle di immaginare a cosa stesse esattamente alludendo quello stupido pirata.
Mi mordicchiai il labbro inferiore, arrossendo ulteriormente:
“Si…”
Sussurrai, ma senza che nella mia voce ci fosse nemmeno la metà della convinzione che avrei invece voluto metterci.
Ace scrollò le spalle e socchiuse gli occhi, continuando però a sbirciarmi, soffiando tra le labbra un lieve “Peggio per te”, accompagnato da un sorriso sicuro.
Stupido pirata, tanto bello quanto stupido… Ma soprattutto stupido!
La sua mano mi sfiorò il viso mentre raccoglieva dal tavolo il cappello che gli avevo fatto cadere con il primo schiaffo, e con passo tranquillo si diresse verso la porta della sala mensa scomparendo oltre l’uscio, accompagnato dalle risate e dalle occhiate degli altri pirati.
Mugugnai contrariata, lasciando cadere la testa sulle braccia incrociate sul tavolo: e anche oggi ero riuscita a fare la mia figuraccia quotidiana.
Sbirciai appena oltre il mio braccio, incrociando lo sguardo divertito di Marco.
“Cosa c’è?”
Gli domandai debolmente.
“Nulla”
Rispose scuotendo il capo con fare tranquillo, il solito sorriso rilassato sul volto ovale.
Perché Ace non poteva essere come lui?
Sarebbe stato molto più facile così: io avrei smesso di fare figuracce su figuracce e di imbarazzarmi continuamente e lui non si sarebbe preso nemmeno uno schiaffo.
Ci avremmo guadagnato tutti no?
E invece no, quello stupido doveva essere… se stesso.
Non avrei nemmeno saputo come descriverlo: stupido, irritante, imbarazzante…
Sospirai tristemente: di tutti gli aggettivi che mi venivano in mente, nemmeno uno andava veramente bene per descriverlo.
Marco tornò a guardarmi con un sorriso conciliante e comprensivo:
“Ace ti dà del filo da torcere, eh?”
“Mphf…”
Mugugnai con un sospiro.
“All’inizio, ne ha dato anche a noi”
Lo guardai appena stupita, senza riuscire ad afferrare ciò a cui si stava riferendo.
Per tutta risposta la Fenice poggiò la schiena contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia sul petto all’altezza del tatuaggio e guardandomi sorridente.
Ammetto che mi avesse piuttosto incuriosita, ma resistetti alla tentazione di chiedergli spiegazioni.
Tanto, cosa me ne importava di quello che aveva combinato in passato quello stupido pirata?
Ne avevo già abbastanza con quello che combinava nel presente.
Affondai di nuovo il viso tra le braccia, sospirando rassegnata.
Ma cosa avevo fatto di male per finire in una tale situazione?
Basta, avevo bisogno di una fetta di torta per tirarmi su di morale.
O di un biscotto.
O cioccolato magari… Si insomma, avevo bisogno di zuccheri!
Decisi che era il momento per una visitina a Gary, che immaginavo si fosse trasferito nella cucina della Moby Dick.
Certo, sempre se fossi riuscita a non perdermi…
“Marco, dov’è la cucina?”
Domandai, alzandomi in piedi e guardandolo negli occhi azzurri.
Sembrò appena sorpreso dalla mia domanda:
“E’ proprio qui a fianco”
“Molto bene, forse allora riuscirò a non perdermi… A dopo!”
Lo salutai velocemente allontanandomi dal tavolo, scivolando rapida oltre l’uscio tra le risatine e le occhiate degli altri pirati, che avevano nuovamente interrotto i loro giochi al mio passaggio: stupidi pirati…


 

*


Era pomeriggio inoltrato quando decisi di tornare nella mia cabina: mi stupii non poco quando, arrivato di fronte all’uscio, vi trovai ad aspettarmi Marco e Mikami.
Il comandante biondo era mollemente seduto su un barile mentre la grossa tigre era accucciata ai suoi piedi, la testa appoggiata tra le massicce zampe anteriori.
Al mio arrivò sollevò il muso, si alzò in piedi e si stiracchiò, inarcando la schiena ed allungando gli arti sulle assi del ponte, mentre Marco scendeva dal barile con un agile colpo di reni.
Rivolsi un ampio sorriso ad entrambi, ottenendo in risposta un rumoroso sbuffo da Mikami: il mio sorriso si allargò, mentre riflettevo sul fatto che, se fosse stata umana, sarebbe senz’altro arrossita ricordando il discorso nella sala mensa.
Invece, come tigre, rimase praticamente impassibile.
Sospirai appena, deluso, rivolgendo la mia attenzione a Marco:
“E’ successo qualcosa?”
Il pirata scrollò le spalle, con il suo solito modo di fare pacato e rilassato:
“Il Babbo ci vuole vedere, pare la vedetta abbia scorto delle navi della Marina nei paraggi”
“Oh… Mi ci vorrebbe un po’ di movimento”
Affermai con un eloquente ghigno sul volto, facendo scrocchiare le nocche delle mani.
Appena quelle parole mi uscirono dalle labbra mi ricordai della presenza di Mikami e mi voltai subito verso di lei mentre il mio sorriso svaniva, già psicologicamente pronto a dover affrontare un’altra sua crisi.
Mi stupii nel vedere che invece la tigre spostava lo sguardo da me a Marco, impassibile, senza mostrare particolare interesse per le nostre parole.
Forse la mia impressione che non fosse turbata era dovuta al fatto che non ero bravo a capire le sue espressioni quando era in quella forma; eppure anche la sua coda, che mi ero accorto spesso tradisse le sue emozioni, era perfettamente immobile, pigramente abbandonata tra le zampe posteriori.
…Forse si era finalmente arresa all’evidenza che le cose non sarebbero mai potute andare diversamente, tra pirati e marines.
Marco allungò una mano sfiorandole il dorso striato, catturando così la sua attenzione:
“Ora sai tornare alla tua cabina, no?”
Mikami emise un breve mugolio affermativo: diede un lieve colpetto con il naso alla sua mano e gli  passò a fianco, scomparendo silenziosa dietro l’angolo non prima di avermi rivolto uno fugace sguardo che non riuscii ad interpretare.
“Andiamo?”
Chiese Marco, scuotendomi dai miei pensieri.
“Si.”
Risposi con un cenno del capo, mentre ci incamminavamo verso la stanza del Babbo.
“Non credevo foste diventati così amici”
Dissi ad un tratto osservando attentamente la sua reazione, stupito dall’averli trovati insieme.
“Te l’ho detto, stamattina l’ho salvata da Milly, e poi poco dopo che tu te ne sei andato dalla mensa ho cercato di spiegarle come orientarsi sulla nave.”
Rispose con un sorriso tranquillo, scrollando le spalle con noncuranza.
“Mh… Io l’ho salvata dall’affogare, eppure li hai visti i risultati”
“Cosa vuoi che ti dica… Potresti provare con lo smettere di metterla in imbarazzo ogni volta che ne hai l’occasione”
Mi suggerì lanciandomi uno sguardo divertito tra le palpebre socchiuse.
“Ahh? Ma hai visto come arrossisce? Non puoi togliermi questo divertimento!”
Protestai sogghignando.
“Se lo dici tu”
Concluse il discorso Marco con una lieve risata.
Bussò alla porta del Babbo, davanti alla quale eravamo nel frattempo arrivati:
“Siamo noi, Babbo”
Attendemmo un paio di secondi, finché la voce profonda del Vecchio rispose un “Entrate pure, figlioli”.

 

*



Appena due minuti dopo, eravamo di nuovo fuori dalla sua cabina: quella flotta andava eliminata.



Spazio autrice:
Ebbene, siamo giunti ad una svolta signore e signori (ma mi sa che siamo tutte donne... comunque): arriva la Marina!
Inutile dire che il prossimo capitolo per me sarà alquanto arduo, e questo unito al fatto che pare mi toccherà frequentare corsi serali (la mia scuola è inagibile causa terremoto) potrebbe causare qualche ritardo nell'aggiornamento... ma non temiate, non credo dovrei tardare più di una settimana!
Detto questo vi lascio ^^
A presto ragazze :*

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Capitolo 17
*** But I ain't got a thing to lose, nothing to defend ***


But I ain't got a thing to lose, nothing to defend


Mi svegliai all’improvviso: voci concitate provenivano dal ponte appena fuori la mia cabina, assieme a rapidi e rumorosi passi e tonfi come di oggetti spostati.
Balzai in piedi allarmata, infilandomi al volo braghe e camicia e precipitandomi fuori dalla mia stanza: nella tenue e chiara luce del sole appena sorto sul mare i pirati di fronte a me correvano da una parte all’altra portando armi e barili, mentre un vociare concitato faceva loro da sottofondo.
I miei occhi incontrarono la figura di Ace che, in piedi sul parapetto, osservava gli uomini con un largo sorriso compiaciuto, le mani puntate sui fianchi.
Gli corsi incontro:
“Cosa succede?”
Domandai con urgenza, mentre uno spiacevole presentimento mi faceva contorcere lo stomaco.
Il suo sorriso si affievolì mentre mi rispondeva, guardandomi intensamente:
“Ricordi? Abbiamo una flotta della Marina ormeggiata qui dietro l’angolo: ci stiamo preparando allo scontro”
Deglutii, grattandomi nervosamente il dorso della mano sinistra, abbassando gli occhi sui miei piedi.
Ma che bisogno c’era di dare battaglia?
Quei marines non sarebbero certo stati così stupidi da attaccare Barbabianca in persona, perché non potevano semplicemente ignorarli?
Grattai la mano con maggior forza fin quasi a farmi male, nervosa e frustrata: sapevo che tanto esprimere ad Ace il mio parere in proposito sarebbe stato inutile.
“Hey voi! Non dimenticate la polvere da sparo!”
Urlò il comandante facendomi sussultare, rivolto ad alcuni uomini che alle mie spalle erano intenti a trasportare delle palle di cannone dalla Moby Dick alla sua nave.
Quindi era così?
Intendevano combatterli mettendo in campo solo la seconda flotta?
In effetti non era poi così strano, Barbabianca non si sarebbe certo scomodato per qualche semplice marines.
Rialzando lo sguardo incontrai gli occhi neri di Ace che mi fissavano intensamente, dubbiosi quasi.
Gli risposi con un occhiata ostile: era inutile che mi guardasse così, tanto glielo avevo già detto in faccia, chiaro e tondo, come la pensavo riguardo le battaglie.
“C’è una cosa che dovresti sapere…”
Iniziò titubante, senza smettere di studiarmi.
Corrugai le sopracciglia, senza che la mia espressione si addolcisse: ma che voleva ora?
“E’ Smoker”


*



La osservai preoccupato, chiedendomi se avessi fatto la cosa giusta nel rivelarle che la nostra vedetta aveva scorto, sulla vela della nave che capitanava la flotta, il nome del marine a chiare lettere nere.
Mikami rimase qualche secondo a fissarmi in silenzio, la bocca socchiusa per lo stupore.
I suoi occhi spalancati si illuminarono un istante, per incupirsi subito dopo mentre il suo sguardo si faceva serio ed affilato.
“Vengo anch’ io allora”
Disse solo con un tono di voce freddo e duro, lo stesso che usava durante i nostri primi dialoghi.
“Non credo sia una buona idea. Rischieresti solo di farti male”
Commentai, serio a mia volta.
Assottigliò il suo sguardo che si fece ancora più affilato, conficcando i suoi occhi nei miei come lame di ghiaccio:
“Io. Vengo.”
Scandì lentamente.
Esitai: lo sapevo che non era una buona idea, che non avrei dovuto acconsentire.
“Non puoi decidere per me, non ne hai nessun diritto.”
Mi ringhiò minacciosa, scoprendo mentre parlava i denti come avrebbe fatto un animale feroce.
A quel punto anche il mio sguardo si fece più duro:
“Credevo che avessi chiuso con la Marina.”
“E quindi? Voglio venire.”
Mi rispose, meno aggressiva questa volta, recuperando parte del proprio contegno freddo e distaccato.
“Come vuoi allora”
Risposi atono, scendendo con un balzo dal parapetto e incamminandomi verso la mia nave, dandole le spalle.
In fondo aveva ragione: non era affar mio ciò che decideva di fare.


*



“ALL’ATTACCO!”
Subito le grida di battaglia dei pirati coprirono la mia voce, mentre senza esitare si lanciavano all’arrembaggio.
Le prime baionette ed i primi fucili iniziarono a tuonare, riempiendo l’aria fredda dalla mattina con l’odore acre della polvere da sparo, nello stesso istante in cui anche le prime spade e sciabole iniziavano a scontrarsi con sibili metallici.
Vidi Smoker fermo sul ponte principale, gli occhi fissi su di me, mentre digrignava minaccioso i denti attorno ai suoi sigari.
Appena lo scorsi puntai dritto su di lui, spiccando un balzo ed atterrandogli proprio di fronte, un grosso ghigno stampato sul viso:
“Vecchio, ci si rivede!”
“Portgas…”
Ringhiò minaccioso in risposta.
Senza darmi il tempo per altri convenevoli, tramutò in fumo il proprio braccio destro e lo scagliò nella mia direzione.
Non mi feci trovare impreparato: fiamme scarlatte scaturirono dal mio palmo aperto e si gettarono tra le spire di fumo con un ruggito sordo, ingaggiando con esse una feroce lotta che si concluse in qualche secondo con l’annientamento in un sibilo di entrambi gli elementi.
Sogghignai, per nulla preoccupato: certo che, se continuavamo così, lo scontro sarebbe andato per le lunghe!
Il marine non aspettò un secondo di più, e ben presto il suo intero corpo divenne fumo che mi avvolse e mi oscurò la vista.
Ma cosa credeva di fare?
Lui sarà anche potuto essere fumo, ma io ero fuoco: avrebbe dovuto saperlo che certi trucchetti con me non avrebbero mai funzionato.
Rimasi immobile, attendendo paziente la sua mossa, mentre lingue di fuoco danzavano sul mio corpo pervaso dall’adrenalina.
D’un tratto sentii la sua presenza alle mie spalle e, prima che potessi voltarmi, qualcosa di freddo e duro premette sulla mia gola.
Le fiamme sulla mia pelle si spensero all’istante, ed io non ci misi molto a capire il materiale con cui quell’arma era stata forgiata: agalmatolite.
…E quindi era così che cercava di fregarmi?
“Vecchio, giochiamo sporco, eh?”
Andiamo, ci sarebbe voluto ben altro per mettermi in difficoltà.
Mentre cercavo faticosamente di allontanare la jitte dal mio collo la sua mano mi bloccò il polso sinistro in una stretta ferrea: aumentai la forza che stavo esercitando sull’arma, riuscendo a liberarmi con un repentino scatto di lato ed un brusco strattone, tornando a fronteggiarlo.
Tuttavia la sensazione di avere qualcosa che mi stringeva il polso non mi abbandonò: abbassai lo sguardo sul mio arto, perplesso e un po’ confuso.
Mi feci serio tutto d’un tratto, rendendomi conto che ciò che si era serrato attorno al mio polso non erano state le dita di Smoker: era una manetta di agalmatolite.
Riportai repentinamente lo sguardo su Smoker appena in tempo per vedere la sua mano guantata impugnare saldamente la jitte, colpendomi allo stomaco con un brusco affondo.
Accusai il colpo, sulle labbra il sapore ferroso del sangue ed il respiro che improvvisamente mi veniva a mancare.
Indietreggiai di qualche passo, boccheggiando e premendomi la mano sullo stomaco, digrignando i denti: che bastardo, utilizzare uno sporco trucchetto del genere…
Avevo abbassato la guardia credendomi invulnerabile grazie al potere del frutto Foco-Foco e non avevo calcolato che Smoker lottasse usando l’agalmatolite, che a lui non aveva causato problemi perché l’aveva maneggiata coi guanti, senza entrarne mai in contatto diretto.
Pessimo, pessimo errore il mio.
…Ma non mi sarei arreso per così poco.


*



“White Snake!”
Anche con le manette serrate su un polso riuscì a schivare il serpente di fumo ma, prima che potesse reagire in alcun modo, gli fui addosso colpendolo di nuovo con la jitte.
Il mio secondo attacco, portato alle costole, lo costrinse in ginocchio mentre soffocava un gemito di dolore tra i denti: stava diventando più debole e lento ogni secondo che passava, l’agalmatolite stava facendo effetto assorbendo velocemente tutte le sue energie.
Sollevò gli occhi su di me, in uno sguardo misto di astio e serietà, provato e ansante.
Lo liquidai con uno sguardo sprezzante:
“Portatelo via.”
Ordinai ad una coppia di soldati fidati che, anziché unirsi alla battaglia che infuriava tutto intorno a noi, erano rimasti in disparte in attesa dei miei ordini.
Soffiai nell’aria tersa una nuvola di fumo: potevo dirmi soddisfatto.
Portgas in quello stato era innocuo, l’avrei chiuso nella prigione della nave e, una volta messi al fresco anche i suoi uomini, avrei preso in consegna la sua imbarcazione; e, allora, sarebbe stato meglio per lui che Mikami stesse bene.
I due imponenti marines afferrarono il pirata per le spalle e lo fecero alzare a forza, decisi a trascinarlo in cella, mentre io li osservavo soddisfatto.
Vidi lo sguardo di Portgas farsi all’improvviso freddo e affilato, ma non feci in tempo ad intervenire: liberò il braccio che uno dei due uomini stava tenendo con uno strattone e gli sferrò una gomitata alla bocca dello stomaco.
Questo si piegò in avanti boccheggiando, colto alla sprovvista, ed il pirata ne approfittò colpendolo dritto sul naso con le nocche della propria mano serrata in un pugno.
Liberatosi quindi del primo uomo si rivolse al secondo: il soldato però era riuscito ad estrarre la propria spada e, rendendosi conto di essere appena diventato il bersaglio di un poderoso pugno, menò un fendente riuscendo a ferirlo alla spalla.
Sentii Portgas gemere, un secondo prima che le spire del mio White Snake si avvolgessero attorno al suo corpo e lo immobilizzassero.
Strinse i denti per impedirsi di emettere alcun suono indice di dolore, mentre il suo cappello finiva a terra e la mia presa su di lui si faceva più stretta e forte.  
Dopo qualche secondo, quando ritenni che ne avesse avuto abbastanza, lo lasciai andare: cadde con un gemito rumoroso sulle travi del ponte, ansimando vistosamente.
“Portatelo via, ora non darà più problemi”
Ordinai nuovamente e con rinnovata freddezza ai due uomini, uno dei quali aveva ora il viso e la divisa macchiati di rosso: quel pirata doveva avergli rotto il naso.
Nessuno dei due marines comunque diede alcun segno di esitazione, ed entrambi sollevarono di peso il moccioso ormai esausto.
Alle sue spalle sentii alcuni pirati urlare il suo nome, ma le loro voci furono presto coperte dal clangore delle spade e dal tuonare delle armi da fuoco mentre i marines si frapponevano tra loro ed il comandante, impedendogli di avvicinarsi.
Con un cenno della mano e un ringhio, invitai i due uomini a fare in fretta, e portare Portgas nella cella che lo avrebbe ospitato fino all’arrivo ad Impel Down, mentre io gli voltavo le spalle preparandomi ad affrontare il resto della sua ciurma.
All’improvviso però, un ruggito violento riempì l’aria, sovrastando persino i rumori della battaglia.
Drizzai il capo, sorpreso, e scrutando attentamente il ponte della nave non tardai a vedere ciò che avevo già immaginato: una grossa tigre bianca aveva fatto la sua comparsa sul campo di combattimento.
Avanzò veloce e rapida tra i pirati ed i marines, arrivando in pochi secondi di fronte a me.
I sigari mi caddero quasi di bocca: anziché fermarsi, si avventò con un ringhio sinistro su uno degli uomini che stavano portando via Portgas, atterrandolo con il proprio peso ed affondando le zanne affilate nella sua spalla.
L’urlò di dolore e sorpresa dell’uomo riempì l’aria, ed il felino si voltò verso l’altro marine con uno scatto repentino.
Il fatto che il soldato avesse nel frattempo lasciato andare il pirata ed estratto la propria arma non gli giovò minimamente, e si ritrovò con il petto squarciato dai grossi artigli ricurvi prima ancora di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
“Mikami”
Chiamai agghiacciato.
Si voltò, immobile davanti al pirata, con la coda che frustava minacciosa l’aria, e lasciò per la prima volta da quando era comparsa che i suoi occhi gelidi incontrassero i miei.
I soldati le puntarono contro i fucili ma non osarono sparare, confusi e storditi quanto me dal suo comportamento.
“Che diavolo credi di fare…”
Dissi più minaccioso che mai, la voce così bassa da essere ridotta ad un ringhio appena udibile, mentre sentivo la rabbia montarmi dentro.
Il suo corpo rimpicciolì, assumendo una forma ibrida tra umano ed animale che mi era molto familiare: ora potevo vedere chiaramente il tremito delle sue gambe e sentire il suo respiro tremante ed affannoso, il viso solcato da strisce nere e le labbra dello stesso colore serrate in una smorfia che non riuscii a capire se di rabbia o di terrore.
Portgas… doveva averle fatto qualcosa, la ragazzina che conoscevo io non mi si sarebbe mai rivoltata contro.
“Spostati”
Le ordinai rabbioso avanzando verso di lei, decidendo che la mia priorità al momento era il pirata e che con Mikami avrei fatto i conti più tardi.
“Mi hai mentito”
Ringhiò tra i denti, tremante e con gli occhi lucidi.
Le mie sopracciglia si corrugarono maggiormente, scavando una ruga profonda nel mezzo della mia fronte:
“Ragazzina, ti rendi conto della tua situazione? Non sei nella posizione di accusare nessuno, tanto meno me.”
Le risposi a mia volta, la voce bassa e minacciosa:
“Levati di torno.”
“Perché non mi hai detto che non è vero quello che mi hanno insegnato sui pirati? Lo so che sai di cosa sto parlando! Perché continui a dare la caccia ai pirati? Perché anche tu mi hai mentito!?”
Mi arrestai, colto alla sprovvista dalle insinuazioni che Mikami aveva pronunciato con voce sempre più stridula e gli occhi sempre più lucidi.
…Sapevo che prima o poi sarebbe successo, che se ne sarebbe accorta…
Ma così presto… Non potevo affrontare quell’argomento ora, davanti a tutti gli altri soldati.
Mentre riflettevo sul da farsi, i sigari nervosamente stretti tra i denti, un ombra oscurò il sole.
Un secondo dopo venni sbalzato in aria a diversi metri d’altezza, ricadendo pesantemente sul legno del ponte fracassando alcuni barili.
Mi rialzai in piedi con un ringhio rabbioso, i muscoli sotto la giacca aperta tesi e pronti all’azione, trovandomi a fronteggiare il primo Comandante della flotta di Barbabianca, le ali di fenice che tornavano ad essere braccia umane mentre atterrava sul ponte.
Maledizione, le cose andavano di male in peggio…


*



Ero rimasta immobile, con un senso di vuoto che mi dilaniava il petto: avevo appena tradito Smoker e mi ero messa contro tutta la Marina.
Non sapevo nemmeno io il vero perché di quel gesto, sapevo solo che non potevano portare Ace ad Impel Down, perché se fosse accaduto… non ci volevo pensare.
Dovevo salvare Ace, perché ero in debito con lui.
E dovevo affrontare Smoker.
Lo sapevo che fine faceva chi tradiva la Marina però… non mi importava.
Avevo solo bisogno di risposte, non mi interessava quanto mi sarebbero costate.
Quando vidi una scia di fuoco blu sfrecciarmi al fianco per avventarsi su Smoker, e riconobbi Marco in quelle fiamme, sentii un enorme stanchezza mista a disperazione assalirmi: se lui ed i suoi si immischiavano, Smoker non mi avrebbe mai detto ciò che volevo sapere.
E il motivo per cui avevo così disperatamente bisogno di risposte, anche a costo di rischiare la vita, era semplicemente questo: da quando avevo aperto gli occhi sulla Marina non avevo più uno scopo.
Sogno, motivo di vivere, desiderio da realizzare… chiamatelo come volete.
Non avevo più uno scopo.
…E, Dio, mi sentivo così vuota…
Queste sensazioni vennero alleviate nel vedere un gruppo di pirati che si precipitava verso Ace soccorendolo ma…
Io dovevo sapere! Soltanto quando fossi riuscita a sapere la verità sarei riuscita a capire cosa volevo davvero.
Un grosso uomo con un cilindro nero in testa si parò davanti a me, dandomi le spalle e fronteggiando anch’esso Smoker.
“Ci pensiamo noi qui, signorina”
Disse mentre con un lieve sibilo estraeva dai foderi due spade identiche.
“Andiamo Mikami”
Sentii Marco dire mentre mi si avvicinava con passo veloce, lasciando che fosse il pirata dal cilindro a vedersela con Smoker.
Mi sentivo così debole, stordita, confusa, triste… che non mi mossi.
“Andiamo!”
Ripeté la Fenice con una nota di impazienza nella voce, afferrandomi per un braccio ed iniziando a trascinarmi.
Mi lasciai guidare docilmente, la testa vuota e leggera come un palloncino; davanti a noi alcuni pirati della seconda flotta stavano portando via Ace, mentre i loro compagni gli coprivano le spalle gettandosi con urla selvagge contro i marines.
Mentre Marco mi trascinava osservai distrattamente la battaglia che infuriava attorno a noi; scoprii che non potevo fare a meno di invidiarli, sia i pirati che i marines: loro, almeno, avevano qualcosa in cui credere e per cui lottare.  



Spazio autrice:
Contro ogni previsione, riesco ad essere puntuale con l'aggiornamento!
Inutile dirvi che questo capitolo mi ha fatto parecchio sudare: non avete idea di quanto io mi sia maledetta per aver scelto, tra tanti marines stupidi e balordi, uno coi controcaz*i come Smoker...
Ad essere sincera non sono pienamente soddisfatta di come è uscito il capitolo... ma cosa volete farci, mi sa che descrivere le lotte non è proprio il mio forte!
Ma da qualche parte bisognerà pur iniziare no?
Va bene, chiudiamo subito questo breve sfogo.
Come avrete notato(?) stavolta ho dato un titolo al capitolo, e credo che ne darò uno anche a quelli che ho già pubblicato mano  a mano che mi verranno in mente, perchè così mi sembrano un po'... tristi!
Povero Ace, gli ho fatto prendere un sacco di legnate...
Ahhhhh, a presto col prossimo aggiornamento ragazze! :*

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Capitolo 18
*** I wish I could take the pain for you ***


I wish I could take the pain for you


Lasciai che fosse Vista ad occuparsi del marine, mentre io pensavo ad Ace e Mikami.
Non era stato difficile intuire che qualcosa non fosse andato per il verso giusto: dopo una piccola fiammata iniziale non avevamo più visto il fuoco di Ace nemmeno una volta, senza contare che per eliminare una flotta di quelle dimensioni ci stava mettendo davvero troppo, troppo tempo.
Avevo quindi deciso di intervenire con i miei ragazzi, seguito subito da Vista e dai suoi che proprio in quel momento stavano facendo ritorno alla Moby Dick.
Ora, finalmente al sicuro sulla nave del Babbo, lasciai andare Mikami, guardandola accigliato: non avevo capito cosa stesse facendo là, immobile nel mezzo del campo di battaglia davanti al marine, ma l’indifferenza con cui si era lasciata trascinare via e lo sguardo vacuo che aveva in viso non mi piacquero affatto:
“Stai bene?”
Domandai studiandola attentamente, senza tuttavia riuscire a scorgere nessuna ferita che giustificasse quello stato.
Fece un cenno d’assenso distratto, senza guardarmi.
“Hey Mikami…”
La chiamai preoccupato.
Sbatté le palpebre, spostando finalmente i suoi occhi su di me.
Mi ricordò Ace: aveva lo stesso sguardo demotivato e sofferente che avevo visto sul viso del ragazzo quando, anni prima, gli avevo per la prima volta rivolto la parola, quando aveva ormai capito che non sarebbe mai riuscito a prendere la testa del Babbo.
“Sicura di stare bene?”
“Non lo so…”
Rispose con un filo di voce mentre iniziava a tremare e, perso l’aspetto ibrido in favore di quello umano, i suoi occhi si inumidivano.
Ace mi aveva accennato qualcosa riguardo a Smoker quando la prima sera che erano arrivati mi aveva parlato di lei, ma non ero sicuro di avere afferrato il rapporto esistente tra i due; di conseguenza, non sapevo nemmeno come consolarla.
“Va tutto bene”
La rassicurai con un lieve sorriso, scostandole delicatamente da davanti gli occhi una ciocca di capelli chiari.
Le sue labbra tremarono in un sospiro, mentre una lacrima silenziosa le rigava la guancia:
“Ace…?”
Pigolò piano asciugandosi quella goccia salata con il dorso della mano, lottando perché altre non sfuggissero ai suoi occhi.
“Vieni”
Acconsentii cingendole delicatamente le spalle e spingendola davanti a me, verso l’infermeria, pensando che esaudire la sua richiesta fosse l’unica cosa che al momento potessi fare per lei.


 

 

*



Entrai in infermeria trattenendo il respiro: Ace era sdraiato su un letto, circondato da diverse infermiere.
Il suo petto si alzava e si abbassava veloce ed irregolare, e macchie cremisi spiccavano sulle lenzuola candide; teneva gli occhi serrati, i capelli si erano appiccicati alla fronte; ansimava.
Deglutii, mentre un devastante senso di vuoto mi artigliava il cuore in una morsa dolorosa.
Rimasi muta, quasi senza osare respirare, mentre la capo infermiera iniziava a ricucirgli una lunga ferita che si apriva sulla sua spalla.
Ace non reagì.
Rimasi a guardare, paralizzata ed immobile.
Il ragazzo dovette infine accorgesi della presenza mia e di Marco, perché inclinò appena il viso socchiudendo gli occhi.
Avvertii un’altra fitta al petto, mentre il suo sguardo nero e affilato mi inchiodava sulla soglia dell’infermeria: non aveva assolutamente più nulla che ricordasse un ragazzino, era come se fosse cresciuto tutto d’un tratto.
Mi lasciai sfuggire un singhiozzo, rendendomi conto che non mi ero mai sentita tanto intimorita da lui come in quel momento, nemmeno la prima volta che l’avevo visto: non mi era mai sembrato tanto minaccioso e pericoloso come ora.
Non riuscii a farmene una ragione: una persona ferita sarebbe dovuta apparire più fragile e debole di una nel pieno delle forze no?
Eppure con lui era l’esatto opposto.
Il mio stomaco si contorse dolorosamente mentre un infermiera che iniziava a pulire un'altra ferita sul suo braccio gli strappava un gemito, che lui soffocò come meglio poté serrando i denti.
Facevo fatica a respirare e sentivo che la morsa attorno al mio cuore si faceva sempre più stretta e dolorosa, mentre non potevo fare a meno di pensare che se Ace era in quella condizione la colpa era solamente mia.
Non potevo rimanere lì immobile, e vederlo così…
Da una parte avrei voluto precipitarmi da lui, chiamare il suo nome, abbracciarlo, dirgli che mi dispiaceva per tutte le volte che gli avevo dato dello stupido, che non lo pensavo davvero, che mi dispiaceva per gli schiaffi, e che mi dispiaceva per averlo coinvolto nel confronto tra me e Smoker…
Dall’altra parte invece sarei voluta scappare via, il più lontano possibile, e mettermi a piangere più forte che potevo finché non sarei stata così stanca da non riuscire a mettere insieme un solo pensiero coerente.
Boccheggiai, mentre il groppo che avevo in gola si faceva sempre più ingombrante e mi impediva di respirare.
Mi voltai verso Marco con il bisogno disperato di sentire la voce di qualcuno, non riuscendo più a sopportare il silenzio in cui lavoravano le infermiere interrotto soltanto dal respiro affannoso di Ace.
La Fenice osservava il fratello seria e silenziosa, le mani sui fianchi, e sentendo il mio sguardo su di sé abbassò appena il volto nella mia direzione: si sciolse in un sorriso dolce, socchiudendo gli occhi.
Sentii la gola stringersi sempre di più, finchè non riuscii più a trattenermi e scoppiai in un rumoroso pianto.
Crollai, nascondendo il viso contro il suo petto ed artigliando disperatamente i lembi della sua camicia.
“Shh, shh, va tutto bene”
Sussurrò lui, accarezzandomi piano i capelli.
Io non capivo, come poteva essere così calmo?! Come poteva dire una cosa del genere?! Non capivo!
Come presi fiato per chiederglielo un violento singhiozzo mi strappò via quell’aria, e l’unico suono che riuscii ad emettere fu un gemito acuto e stridulo, in cui nemmeno io riuscii a riconoscere la mia voce.
Vagamente, sentii un’infermiera dire qualcosa in un tono piuttosto scocciato, mentre puntini colorati mi danzavano davanti agli occhi serrati, disperatamente serrati per impedirmi di vedere Ace.
Marco indietreggiò di qualche passo, trascinandomi con sé.
Ancora una volta mi lasciai guidare da lui, incurante, desiderando soltanto che quel momento finisse il più in fretta possibile.
“Su, su! Non è successo nulla”
Affondai involontariamente le unghie nella sua pelle, sentendo anche rabbia e frustrazione che si andavano ad unire alla tristezza e al vuoto che provavo.
Un forte senso di nausea mi attanagliò, costringendomi a piegarmi su me stessa con un guaito sofferente, mentre lottavo inutilmente per regolarizzare il mio respiro e per ricacciare indietro le lacrime quel tanto che bastava per permettermi di mettere insieme una frase di senso compiuto.
“N-non… Non è vero!”
Riuscii infine ad ansimare tra il pianto.
Le sue mani mi afferrarono per le spalle, costringendomi gentilmente a scostarmi da lui.
Non riuscii ad oppormi a quel gesto e, non potendo più nascondere il viso contro di lui, chinai la testa coprendo gli occhi con le mani, non trovando il coraggio per guardarlo in faccia.
“Guardami”
Ordinò con calma, la voce bassa e rassicurante, mentre le sue dita sotto il mio mento mi costringevano ad obbedirgli.
Mi scostò la mano ma io continuai a nascondergli il mio sguardo, piangendo forte e con gli occhi serrati.
“Hey”
Mi richiamò di nuovo ed allora, sentendo tutta la sua autorità e la sua sicurezza trapelare dalla sua voce, non riuscii più ad ignorarlo: sbirciai i suoi lineamenti seri ma sereni, attraverso gli occhi socchiusi appannati dalle lacrime.
“Sono un comandante, non dico bugie. Se ti dico che va tutto bene, è perché va tutto bene. No, aspetta – disse scuotendo la testa vedendo che prendevo fiato per ribattere, prima ancora che potessi pronunciare una sola sillaba – Anche Ace è un comandante: è forte, non sarà qualche graffietto come quelli di oggi a fermarlo. Fidati, non sono niente quelle ferite. E poi, appena il nostro carpentiere riuscirà ad aprire quelle manette starà subito meglio.”
Abbassai gli occhi, non riuscendo a mantenere oltre il contatto visivo.
“Ti fidi di me?”
Chiese chinando il capo per cercare il mio sguardo.
Deglutii, mentre riuscivo piano a riprendere il controllo sul mio respiro e il mio pianto sia andava calmando: annuii piano.
“Si o no?”
Continuò insistente, ma con voce morbida e rassicurante.
“Si…”
Riuscii a sussurrare, mentre il pianto si trasformava in deboli singhiozzi.
“Bene.”
Affermò con un sorriso dolce, mentre il dorso ruvido della sua mano mi sfiorava la guancia portando via una lacrima.
 “Torna nella tua cabina, ora, hai bisogno di riposarti. Quando ti sveglierai sono sicuro che Ace starà già molto meglio.”
Annuii.
Mi diede una lieve pacca sulla spalla, voltandosi e sparendo dietro la porta dell’infermeria con un ultimo sorriso.
Rimasi immobile, fissando il legno di quell’uscio, mentre piano piano anche i singhiozzi si spegnevano.
Mi sentivo vuota.
Ma stavolta era un vuoto diverso, meno doloroso e più sereno.
Mi fidavo di Marco: se lui diceva che andava bene… allora andava bene davvero, per quanto strano potesse sembrarmi.
Mi fidavo, e volevo fidarmi con tutta me stessa.
Voltai le spalle alla porta, trascinandomi verso la cabina.
Mi sentivo… sì, vuota, vuota ed esausta.
Marco aveva ragione anche su questo punto: avevo bisogno di dormire.
E, volevo fidarmi di lui, quando mi sarei svegliata Ace sarebbe stato meglio.



*



Bussai alla porta, col cuore in gola, dopo almeno cinque minuti interi che rimanevo immobile a fissare quel legno scuro, dilaniata dall’incertezza: trattenni il fiato in attesa.
Nei secondi che passarono mi pentii di essere andata a cercarlo: se avessi avuto un po’ meno di amor proprio sarei senz’altro fuggita con la coda tra le gambe prima che lui avesse il tempo di rispondere.
Ma, ovviamente, non lo feci, e rimasi immobile con le orecchie tese, udendo tuttavia solo i battiti violenti del mio cuore.
“Avanti”
Rispose infine Ace, dopo un tempo che mi parve infinito.
Inspirai profondamente, facendomi coraggio: aprii la porta, entrando nella sua cabina.
Un intenso e fastidioso odore di disinfettante mi colpì le narici, mentre scorgevo la figura del pirata sdraiato sul letto.
“Ciao”
Esordì mentre con un lieve mugolio si metteva a sedere: sembrava stupito di vedermi.
“Ciao…”
Sussurrai a mia volta, mentre il mio sguardo si andava inevitabilmente a posare sulle bende bianchissime che gli circondavano l’avambraccio destro e parte della stessa spalla.
Serrai le labbra, non riuscendo ad impedire che si piegassero verso il basso.
Distolsi lo sguardo da lui, sentendomi terribilmente in imbarazzo.
Ma cosa ero venuta a fare?
Si, va bene, a vedere come stava.
Ma cosa potevo dirgli ora che ce l’avevo davanti? Cosa?!
Mi guardai intorno, cercando di farmi venire in mente qualcosa.
Il mio sguardo fu attratto da una grossa bandiera pirata che occupava quasi tutta la parte superiore della parete alle spalle di Ace: il teschio spiccava su un picche rosso ed indossava un cappello fiammeggiante con due smiley, uno con un enorme ghigno e uno con un altrettanto ampia smorfia di tristezza.
Mi sentivo terribilmente stupida, a rimanere lì immobile a guardarmi intorno.
“Come stai?”
Domandai timidamente, riuscendo però soltanto a sentirmi ancora più stupida.
“Non c’è male”
Rispose, stirando pigramente le braccia come a provarmelo, mentre un sorriso rilassato sostituiva la sua espressione sorpresa.
Annuii, sentendomi appena un po’ sollevata… ma ancora terribilmente in imbarazzo.
Mi sentivo tesa e a disagio, senza riuscire a capirne il motivo.
Avevo creduto di avere molte cose da dirgli ma… beh, forse mi ero sbagliata, visto il vuoto assoluto che regnava in quel momento nella mia mente.
O meglio, le cose da dire ci sarebbero anche effettivamente state: io avrei potuto dirgli che mi dispiaceva per averlo coinvolto e scusarmi, dirgli che mi dispiaceva davvero, e lui del resto avrebbe potuto chiedermi perché ero intervenuta.
Sussultai, mentre mi rendevo conto che di nuovo non sapevo cosa fosse successo a Smoker.
Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime mentre la consapevolezza che, dopo il modo in cui mi ero comportata, non sarei davvero più potuta tornare indietro, mi investiva con una potenza inaudita.
Mi morsi il labbro: non volevo piangere di nuovo, non davanti ad Ace poi.
Pensai che la cosa migliore fosse fare dietro front, recuperare un contegno dignitoso e precipitarmi da Marco per farmi dire l’esito della battaglia.
Presi fiato per congedarmi, ma Ace mi precedette:
“Tutto bene?”
Di nuovo quel tono, caldo e gentile.
Raddoppiai i miei sforzi per ricacciare indietro le lacrime, mentre alzavo gli occhi su di lui intenzionata a rispondere un “si” e scappare fuori dalla cabina il più velocemente possibile.
Vedendo il suo sguardo intenso e le sue sopracciglia corrugate in un espressione preoccupata, i capelli corvini arruffati e quelle bende così bianche sulla sua pelle abbronzata, le parole mi morirono sulle labbra.
Ammutolii, mordendomi il labbro con più forza fino a farmi male.
Ace posò la mano sul letto, facendomi segno di andare a sedermi accanto a lui.
Io… non volevo.
Ma non riuscii a dire di no ai suoi occhi neri e brucianti, alla sua espressione dispiaciuta.
Mi sedetti sul bordo del letto, tenendomi attentamente abbastanza lontana da non sfiorarlo nemmeno, mentre la tensione e l’imbarazzo che provavo aumentavano.
Lo sapevo, stava per arrivare il momento dei chiarimenti.
Un brivido mi fece accapponare la pelle: ma cosa avrei potuto rispondere quando mi avrebbe chiesto perché ero intervenuta?
Cosa avrei potuto dire quando mi avrebbe chiesto cosa volevo fare ora, ora che ormai era chiaramente impossibile che continuassi ad essere un civile dopo la mia presa di posizione contro la Marina?
Non avevo nemmeno una risposta per me stessa, figurarsi se sarei stata in grado di darne a lui.
“Non lo so”
Me ne uscii, prima ancora che potesse dire qualunque cosa.
Le mie mani, poggiate sulle ginocchia, serrarono spasmodiche il tessuto nero delle braghe, così forte che le nocche diventarono bianche e le dita iniziarono a farmi male.
Tenni con institenza lo sguardo basso, i denti serrati per essere certa che non mi sfuggisse neanche un singhiozzo.
Attesi, aspettando che dicesse qualcosa.
Passarono dieci, poi quindici, e poi venti secondi: silenzio assoluto, nemmeno un piccolo fruscio.
Mi decisi a sollevare gli occhi su di lui, sentendo che ad ogni istante di silenzio la mia tensione ed il mio essere irrequieta andavano crescendo: lo trovai a fissarmi, in silenzio ed immobile, serio.
Gli occhi neri come la pece erano intensi e magnetici, profondi come abissi.
Non riuscii a sostenere il suo sguardo, e abbassai il mio sulle guancie spruzzate di lentiggini e poi ancora più giù, sulla linea retta che disegnavano le sue labbra.
Tornai a fissare le mie mani, imbarazzata, mentre sentivo il mio stomaco contorcersi quasi dolorosamente.
Ma perché con me doveva sempre essere tutto così complicato?
“Dì qualcosa, Ace…”
Sussurrai, indugiando sul suo nome, alla disperata ricerca di un modo per abbassare la tensione che sentivo nell’aria.
“Puoi rimanere qui, finché non decidi cosa fare”
Mi rispose piano, mentre i miei occhi tornavano ad incontrare i suoi.
Mi sentii sopraffatta: da quegli occhi ardenti, da quella voce così morbida e calda, da… non lo so, non lo sapevo nemmeno io esattamente.
Le mie difese crollarono, tutte insieme e tutte nello stesso istante, ed io non riuscii ad impedirmelo: mi avvicinai bruscamente, sfiorando appena le sue labbra con le mie.


Spazio autrice:
Signore.... colpo di scenaaaaaaaaa XD
Ma tanto lo so che non aspettavate altro XD
Va bè, non mi perdo in commenti inutili che non ho molto tempo.
Vi informo solo che sono molto impegnata con la scuola, e temo i miei aggiornamenti diventeranno un po' irregolari...  ma non temiate che non fuggo! XD
Ah, c'è una piccola cosa su cui sono indecisa, quindi vi chiedo un cosiglio: meglio una giornata primaverile o una nevicata invernale?
Ditemi ditemi, più avanti vedrete ^^
A presto allora ragasse :*

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Capitolo 19
*** Are you giving me only half of a chance? ***


Are you giving me only half of a chance?
 

Uno…
Due…
Tre.
Quattro.
Cinque, sei, sette: Ace non dava segno di voler reagire.
Rimasi immobile contando i secondi, ad appena una spanna da lui, mentre quel silenzio mi pesava addosso come un macigno.
Non osavo quasi respirare, assordata dal battito rapido e violento del mio cuore, mentre una dolorosa sensazione di gelo strisciava silenziosa dentro il mio cuore.
Ma cosa mi era venuto in mente?
Ma perché?!
Lo sapevo che sarei dovuta stargli alla larga, avevo ignorato quella consapevolezza, e guarda com’era andata a finire!
Sarei dovuta andarmene proprio come avevo progettato all’inizio.
Non rimanere con lui, non andarmi a sedere vicino a lui… Non baciarlo!
Avrei dato qualunque cosa per poter far scorrere all’indietro l’orologio del tempo di un paio di minuti, ed impedirmi di fare la stupidaggine che invece avevo appena fatto…
Ma perché dovevo sempre complicarmi la vita?
Non ne avevo già abbastanza prima di problemi con quello stupido pirata?
Ma perché!
E ora avrei anche dovuto fare i conti con il risultato delle mie stupide azioni.
Se già prima non sapevo che spiegazioni dargli per come mi ero comportata, adesso ci sarebbe proprio stato d-
Le sue labbra si poggiarono sulle mie, morbide e lievi.
Il mio cuore mancò un battito e riprese a correre più veloce, mentre una sensazione rassicurante e calda come il fuoco scioglieva in un secondo tutto il gelo nel mio petto.
Quel contatto si fece più deciso, mentre le sue dita mi sfioravano la guancia e scivolavano sulla nuca andando ad intrecciarsi tra i miei capelli, e lui mi attirava a sé.
Schiusi le labbra in risposta al suo bacio che si faceva via via più intenso e travolgente, assecondandolo docilmente.
Prima ancora che potessi rendermene conto finii sdraiata sul suo letto, le sue dita che ora mi sfioravano il fianco e i suoi capelli corvini che mi sfioravano le guance.
Quando le sue labbra si allontanarono dalle mie  inspirai profondamente, rendendomi conto solo allora di essere praticamente senza fiato.
Arrossendo e con il volto in fiamme, alzai timidamente lo sguardo: Ace mi fissava intensamente, gli occhi neri come la notte profondi e brucianti, le labbra socchiuse; era serio.
Serio e attento, quasi come se stesse aspettando qualcosa da me, cercando di mascherare l’impazienza che tuttavia trapelava dal suo sguardo di fuoco; sembrava quasi di poter vedere i suoi muscoli fremere, in tensione sotto la pelle abbronzata.
A quel pensiero non potei fare a meno di spostare lo sguardo un po’ più giù, sul suo petto nudo: non riuscii a trattenermi ed allungai una mano, sfiorandolo, incantata dal suo alzarsi ed abbassarsi regolare e dal profilo netto dei pettorali nella luce fioca della lampada.
Lo sentii fremere, un secondo prima che la sua mano si posasse sul mio viso e le sue labbra mi coinvolgessero in un secondo bacio in cui, vista l’intensità, dovette sfogare tutta la propria impazienza.
Tentennai: forse farmi mettere sotto – metaforicamente e letteralmente – da quello stupido pirata, non era una buona idea.
Anzi, sicuramente, non era affatto una buona idea.
Eppure non riuscivo ad oppormi, non adesso che mi era così vicino, e anche se mi rendevo conto che con tutto quello che era successo avrei dovuto avere ben altre cose a cui pensare… oh, al diavolo.
Tutto il resto avrebbe aspettato, non c’era assolutamente niente al momento – escluso il calore di Ace, le sue mani, la sua bocca…. – che mi interessasse.
Avrebbe potuto farmi qualunque cosa, anche bruciarmi viva, ed io probabilmente l’avrei lasciato fare; magari l’avrei anche assecondato.
Interruppe il bacio, riprendendo fiato, ed anche io mi trovai a boccheggiare alla ricerca d’aria, il cuore che batteva fortissimo nel petto che si alzava e si abbassava irregolare.
Non riuscii a trattenere un gemito quando la sua bocca scese sul mio collo, mentre la sua mano bollente scivolava sotto la mia camicia e mi accarezzava il ventre.
Dio, quello stupido pirata…!
 
 

*

 
 
Mi concessi di sbirciare il suo viso: si torturava le labbra socchiuse, affondandovi i canini senza pietà, gli occhi cristallini liquidi e lucidi ed il respiro irregolare, tradito dai movimenti bruschi del suo petto.
Soffocai una lieve risata soddisfatta sulle sue labbra, tornando a baciarla impaziente.
A dire il vero, quel suo cambiamento repentino mi aveva completamente spiazzato: mi sarei aspettato che scoppiasse a piangere, che fuggisse, che si arrabbiasse con me… Ma non che mi baciasse.
Proprio non me lo aspettavo: da quando ci eravamo conosciuti non aveva fatto altro che ringhiarmi contro, e ora…
Decisi di rimandare a dopo tutte le mie domande, mentre il suo braccio esile mi passava attorno al collo e Mikami mi tirava verso di sé, ricambiando il bacio in modo quasi selvatico.
Fino ad allora era stata timida e titubante e quell’ennesimo, nuovo, cambiamento mi stupì piacevolmente: mi lasciai accarezzare, mentre le sue mani si spostavano sulla mia schiena, le braccia e le spalle, fremendo sotto le unghie sottili che mi solleticavano la pelle.
Dal suo viso, la mia mano scivolò sul collo: ne seguì la curva delicata, scendendo sulle clavicole, sul seno, seguendo il profilo del suo corpo che si stringeva in vita e si allargava sui fianchi , e poi giù sulle gambe.
Sentivo i suoi sospiri e i suoi gemiti scaldarmi le labbra, le sue unghie che mi pizzicavano la pelle.
Ma toccò a me sussultare, quando la sua gamba si strusciò senza preavviso contro la mia coscia, in modo lento e sensuale, procurandomi un brivido che mi attraversò violentemente tutto il corpo come una scarica elettrica.
“Non provocarmi troppo, a giocare col fuoco ci si scotta”
Sussurrai, non riuscendo a trattenermi dall’affondare i denti nel suo collo, frustrato.
La sentii gemere ed inarcare la schiena sotto di me, le unghie che ora mi pungevano le spalle come una decina di piccoli spilli.
Si agitò finché non riuscì ad intrappolare le mie labbra tra le sue, baciandole ora in modo decisamente selvatico.
Non dovette attendere a lungo perché ricambiassi quel bacio allo stesso modo, mentre i suoi canini mi solleticavano le labbra e a tratti le mordevano, e la mia mano s-
Un rumore improvviso mi fermò, mentre perplesso mi voltavo verso la fonte di quel suono:
“Allora Ace, come s-“
Marco, entrato in quell’istante, strabuzzò gli occhi azzurri, spalancandoli fino a fargli assumere la forma di due ovali perfetti.
Mikami, sotto di me, divenne rigida come un pezzo di marmo, smettendo di respirare mentre le su unghie si conficcavano nella mia schiena ora in modo decisamente doloroso: repressi un gemito infastidito.
“Scusate, non credevo di interrompere qualcosa”
Disse la Fenice mentre i suoi occhi tornavano a socchiudersi e riprendeva rapidamente la propria aria tranquilla e imperturbabile.
Il suo sguardo vagò per qualche istante su di noi, prima che Marco riprendesse totalmente il proprio autocontrollo e puntasse i suoi occhi nei miei:
“Ero solo venuto a vedere come stavi, ed è evidente che tu stia meglio, quindi levo subito il disturbo… Continuate pure”
Aggiunse con nonchalance indirizzandomi un sorrisetto furbo, appena prima di sparire oltre la porta come era comparso qualche secondo prima: nonostante fossi un po’ irritato dalla sua interruzione, di fronte al suo gesto non riuscii a reprimere un sogghigno complice.
Quando la porta si chiuse con un leggero tonfo, tornai a rivolgere la mia attenzione a Mikami: si era rannicchiata su un fianco, i capelli che le coprivano il viso.
Esitai: quello non era un buon segno.
Provai a scostarle da davanti agli occhi una ciocca della frangia, ma non appena la sfiorai si voltò bruscamente, nascondendo il viso contro le lenzuola.
Sentii qualcosa annodarsi all’altezza dello stomaco: io. Non. Capivo.
In un'altra situazione, di fronte ad un voltafaccia del genere, non sarei sicuramente rimasto zitto: non ero diventato un pirata per farmi mettere i piedi in testa, non avrei mai permesso a nessuno di cercarmi e poi ignorarmi come lei stava facendo.
Tuttavia, questa volta era diverso: la ragazza rannicchiata di fronte a me, più che intenzionata a piegarmi al suo volere, sembrava solo terribilmente confusa.
Mi sentii in colpa, temendo di aver calcato un po’ troppo la mano.
Trattenendo un rumoroso sospiro mi allontanai da Mikami mettendomi a sedere a gambe incrociate, lasciandola libera di muoversi, con la netta sensazione che un velo ghiacciato fosse appena calato su di me, opprimendomi.
Si mise a sua volta seduta e, dopo qualche istante, si decise a mostrarmi il suo sguardo.
I suoi occhi, vedendo la mia espressione abbattuta, passarono dal titubante e imbarazzato allo stupito e dispiaciuto.
Si allungò verso di me, appoggiano la fronte contro il mio petto e sospirando mestamente, mentre i suoi polpastrelli sfioravano le bende che mi avvolgevano il braccio.
Rimasi immobile, sentendomi a mia volta confuso e troppo stanco per cercare di capire.
“Ace…”
Soffiò contro il mio petto.
“Io non ti capisco.”
Ammisi infine, non riuscendo proprio più a trattenermi.
Alzò il viso guardandomi negli occhi, arrossendo ed abbassando i suoi.
“Lo so, scusa. E’ che non capisco più nulla nemmeno io…”
La sua voce era lieve e triste, le labbra piegate verso il basso.
“Stanno succedendo così tante cose… Non lo so”
Disse, ripetendo la frase che mi aveva rivolto appena entrata.
Sospirai nuovamente, iniziando però a rilassarmi: almeno non era arrabbiata con me.
Osservai lo sguardo intenso e mesto con cui fissava le mie bende, sfiorandole di tanto in tanto con la punta delle dita, come se avesse paura di farmi male.
Le afferrai il polso: non era il caso che mi trattasse come un pulcino ferito visto che stavo già guarendo e comunque, anche così, rimanevo molto più forte di lei.
“Se vuoi coccolarmi mi va più che bene, ma allora passiamo a cose più serie e lascia stare quelle garze”
Mi giustificai con un sogghigno rompendo l’atmosfera pesante e sgradevole che si era creata, distogliendo la sua attenzione dai lembi di stoffa bianca.
La vidi arrossire, mentre un espressione sgomentata le faceva spalancare gli occhi azzurri.
“E’ inutile che fai l’innocente con me, ormai non attacca più”
Rincarai la dose, assicurandomi di mandare definitivamente in frantumi l’aria opprimente che mi pesava addosso.
“Cosa?! Tu…Taci!”
Esclamò subito Mikami, la voce resa acuta dall’imbarazzo, rossa fino alla punta delle orecchie.
Scoppiai a ridere rumorosamente: ora andava molto, molto meglio.
“Ma cos’hai da ridere, razza di pirata stupido e scostumato che non sei altro…”
Sbuffò gonfiando le guance e sporgendo il labbro come una bambina imbronciata.
Risi più forte sentendo quegli insulti, tenendomi la pancia con una mano e tornando improvvisamente a sentirmi allegro.
Quando finalmente riuscii a calmare le mie risate sollevai gli occhi su di lei, sorprendendola a soffocare un sorriso.
“Io lo so cosa fare.”
Affermai senza preavviso guardandola intensamente, un sorriso sicuro a stirarmi le labbra.
Mikami ricambiò lo sguardo, stupita e curiosa:
“Diventa parte della ciurma.”
Vidi la sua espressione rimanere immutata per qualche secondo, come congelata, per poi diventare cupa e fredda.
Abbassò lo sguardo accigliandosi, le sopracciglia corrugate che gettavano ombra scure sui suoi occhi, le labbra serrate in una linea dura.
Il mio entusiasmo si spense all’istante, mentre diventava evidente l’errore che avevo compiuto pronunciando quella frase.
“Non voglio passare la mia vita a combattere i marines o altri pirati.”
Disse fredda, irrigidendosi e senza guardarmi.
“E allora diventa un infermiera! No, anzi, un medico: diventa un medico e unisciti alla mia flotta. Non ti farò vedere il campo di battaglia nemmeno con il binocolo. Te lo prometto.”
Affermai serio.
La linea disegnata dalle sue labbra si fece ancora più sottile, ma non rispose.
Le posai una mano sulla spalla, cercando di farla reagire:
“Perché non vuoi darmi nemmeno una possibilità? Puoi fidarti, io mantengo sempre le prom-“
“No!”
Sbottò d’un tratto, mentre allontanava malamente da sé la mia mano e i suoi occhi si conficcavano dolorosamente nei miei.
“Come credi che potrei riuscirci, eh?! Come credi che potrei fare!
Non ce la farei a vedere le persone a cui voglio bene venire da me coperte da capo a piedi del loro stesso sangue! Non potrei mai rimanere buona ad aspettare sapendo che tu e qualche decina di altri stupidi pirati state rischiando la vita, per poi magari veder tornare indietro solo la metà di voi!
Ma come potrei?
Il mio unico scopo sarebbe aspettare che voi torniate da me moribondi, ti rendi conto?!”
Quelle frasi mi colpirono come pugnalate al cuore, mentre mi rendevo conto all’improvviso di come, dopo le sue parole, la mia proposta sembrasse mostruosa.
Eppure, non l’avevo mai vista sotto quella luce…
Nonostante le sue urla e il suo sguardo furente, mi imposi di mantenere la calma, non mi sarei lasciato abbattere facilmente:
“Se non vuoi vedere quelle persone soffrire, allora le vuoi proteggere. E se le vuoi proteggere, allora vuoi combattere.”
Dissi fissandola intensamente, aspettandomi che da un momento all’altro esplodesse in nuove urla.
Invece rimase muta, gli occhi fiammeggianti e furiosi che si stagliavano sul viso livido e pallidissimo, cercando forse di intimidirmi ed indurmi a troncare quella conversazione.
Tuttavia, se si aspettava davvero che mi sarei ritirato da quel confronto, si sbagliava di grosso:
“Non siamo né bambini né cuccioli indifesi: siamo i Pirati di Barbabianca.
Non devi proteggere nessuno.
E, quindi, non c’è bisogno che tu combatta: siamo forti.”
Le dissi, cercando di trasmetterle con la voce e con lo sguardo tutta la forza con cui credevo in ciò che avevo appena affermato.
Vidi il suo petto tremare mentre inspirava profondamente:
“…Davvero non capisci?”
Chiese con la voce tremante di rabbia, in un ringhio così basso che subito credetti di aver udito male.
Rimasi interdetto, non capendo in effetti cosa volesse dire.
Dovette leggere nei miei occhi che aveva ragione, che non capivo, e per un secondo il suo sguardo divenne così feroce che pensai fosse in procinto di attaccarmi.
Invece con un ringhio distolse lo sguardo, alzandosi ed avviandosi verso la porta.
I suoi movimenti erano rigidi, tesissimi, potevo vederla tremare.
Rimase con la mano sulla maniglia qualche secondo, soltanto il suo respirare affannoso che rompeva il silenzio.
“…sei un idiota”
Sussurrò, la voce improvvisamente incrinata, prima di correre fuori e chiudersi la porta alle spalle con un tonfo sordo.
Ascoltai i suoi passi veloci ed irregolari allontanarsi, in silenzio, gli occhi ancora fissi sull’uscio, stordito.
Poggiai la nuca contro il muro coprendomi il volto con la mano, massaggiandomi le tempie, mentre una smorfia sofferente mi piegava le labbra verso il basso: perché non ne combinavo mai una giusta con lei?
 
 

Spazio autrice:
Hem... Ora temo che anche Ace mi odi ç_ç
Cercherò almeno di tenermi buona la nostra amata Fenicetta ç_ç
E riguardo al capitolo...
Killy, per fortuna che avevo già scritto questo chap quando ho letto la tua one shot, altrimenti era la volta buona che facevo vedere ad Ace i sorci verdi *nasconde fischiettando innocentemente un paio di manette* XD
Scherzi a parte, ho fatto una bella faticata anche con questo capitolo, si vede molto che non è mia abitudine descrivere scene del genere?
Ma come dicevo, bisognerà pur iniziare ù_ù
Dai, fatemi sapere cosa ne pensate, così vedo anche io come regolarmi: magari potrei concedere il bis di coccole, levando dai piedi Marco stavolta! :P
Vedremo, và.
Buona notte a tutte, a presto :*

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Capitolo 20
*** And sometimes, we'll swallow discomfort to be happy ***


And sometimes, we'll swallow discomfort to be happy


Ero di pessimo umore.
Staccai con un morso feroce un grosso boccone dal pezzo di pane che avevo in mano, masticando nervosamente: davvero di pessimo umore.
Marco mi osservava silente, le braccia incrociate: non mi aveva chiesto nulla riguardo la sera prima, e del resto non ci voleva un genio per comprendere che le cose non fossero andate per il verso giusto.
Anche Vista e Jaws, giunto alla Moby Dick quella stessa mattina, preferivano non fare domande: il pirata col cilindro si lisciava i lunghi baffi neri con aria assorta, mentre l’uomo di diamante consumava in silenzio la propria colazione, sul viso la solita aria burbera.
 “Neh, Ace!”
Un braccio si strinse attorno al mio collo mentre il viso di Satch compariva improvvisamente a pochi centimetri dal mio, un enorme sorriso sul volto abbronzato.
“Gira a largo, Satch”
Borbottai cupo: spiacente per lui, ma non avevo proprio voglia di chiacchierare.
Soprattutto considerato che, conoscendolo, non avrebbe tardato molto a ch-
“Cos’è quel muso lungo? Daiiiii, racconta cosa hai combinato al tuo vecchio amico Satch ~♥”
…Appunto: non avrebbe tardato molto ad immischiarsi nei fatti miei.
Sbuffai, decidendo di ignorarlo.
“Mi dicono che il Capitano di Picche colpisce ancora, eh? ~♥”
Il boccone che stavo ingoiando quasi mi andò di traverso: ma di cosa mi stupivo ancora?
Che i Pirati di Barbabianca fossero proprio come una grande famiglia lo sapevo molto bene, come sapevo bene che, proprio in qualità di fratelli, non gli si poteva nascondere nulla: erano pettegoli come ragazzine.
Anche di più, forse.
E, in aggiunta a ciò, Satch non aveva ancora smesso di prendermi per il culo a causa del nome della mia prima ciurma, i Pirati di Picche: sosteneva che, in quanto capitano, sarei stato destinato a ricevere un due di picche dopo l’altro.
O, al contrario, era fermamente convinto che avessi scelto quel nome perché c’ero abituato, ai due di picche.
Insomma non lo so cosa pensasse esattamente al riguardo, ne tirava fuori una nuova ogni volta: maledizione a me, non potevo scegliere il nome di un altro seme? Cuori, magari.
Mi augurai che quella mattina non fosse in vena di inventare l’ennesima storia sul nome della mia prima ciurma, anche perché col fatto che stavolta ero davvero stato piantato in asso avrei anche potuto reagire violentemente.
“Neh, tutto bene? Come va? E’ da tanto che non ci vediamo”
Satch sembrava aver recuperato un poco di serietà, rivolgendomi uno lieve sorriso affettuoso e premuroso: un sorriso da fratello maggiore, insomma.
Gli fui grato per aver saggiamente deciso di risparmiarmi le sue chiacchiere e frecciatine, e mi rilassai con un sospiro:
“Va”
Risposi scrollando le spalle, preferendo non scendere nei dettagli, ben sapendo tuttavia che Satch non si sarebbe accontentato di una semplice risposta monosillabica.
“Ah, a proposito, stiamo per sbarcare.”
Intervenne Marco interrompendo quell’imbarazzante dialogo, gli occhi chiusi e la schiena appoggiata allo schienale della sedia, dondolandosi pigramente:
“Dobbiamo fare rifornimenti.”
“Tra quanto toccheremo terra?”
Chiesi, stupito di non essere a conoscenza dei programmi per la giornata.
“Tra un paio d’ore, ormai. Avrei dovuto dirtelo ieri sera ma…”
Si interruppe appena in tempo, mentre io incassavo la testa tra le spalle tornando ad incupirmi.
“Vado a fare un giro”
Annunciai, alzandomi e dirigendomi verso il ponte.
Non feci in tempo ad allontanarmi di qualche passo che sentii la voce petulante di Satch alle mie spalle:
“Avanti Marco non fare così il misterioso, racconta la scena di ieri sera!”
Affrettai il passo, sgusciando oltre l’uscio della mensa con uno sbuffo atterrito: Satch non sarebbe mai cambiato.
 
 

*

 
 
Forse, avevo esagerato.
Un pochino soltanto, ma ammettevo di aver esagerato.
Il problema era… come diavolo facevo ora?
La sera prima, dopo essere letteralmente fuggita da Ace, mi ero rifugiata nella mia cabina in lacrime: mi ero chiusa in bagno aprendo al massimo il getto dell’acqua, gettandomi sotto la doccia e lasciando che l’acqua bollente mi consolasse e nascondesse le mie lacrime.
Dopo essermi sfogata, esausta, mi ero addormentata, come svuotata per le lacrime versate.
E ora, ora che il sole filtrando dagli oblò mi aveva svegliata, ora che mi ero infilata il cambio di abiti che avevo trovato ordinatamente piegato sul mio letto, ora tornava a ripresentarsi quel maledetto dilemma: come avrei dovuto comportarmi?
C’erano troppe domande a cui avrei dovuto rispondere.
Essere o non essere, agire o non agire?
Li odiavo, i chiarimenti; odiavo dovermi esporre.
Eppure non sarebbe stato da me tirarmi indietro: insomma, una cosa era stata non voler parlare con Ace quando ero stata costretta sulla sua nave, ma non volergli parlare ora sarebbe stata tutta un'altra cosa.
 Sentivo di dovergli dare delle spiegazioni, era una questione di lealtà e rispetto, principalmente.
…Okay, glielo dovevo anche perché, ripensandoci, mi sentivo in colpa per averlo piantato così, dandogli dell’idiota e senza nemmeno una parola di spiegazione.
Tornai col pensiero alla sera prima: sì, anche baciarlo era stata proprio una gran bella mossa; e intelligente, soprattutto.
Soffocai un ringhio: dannazione a me e alla mia impulsività.

Però, forse, non era neanche stato così stupido no?
Voglio dire… dopotutto lui aveva risposto al bacio, no?
Arrossii: eccome se aveva risposto.
Sentii il mio stomaco contorcersi, mentre un forte senso di vertigine mi toglieva il fiato e tutte le sensazione della sera prima tornavano ad investirmi; erano così forti, che mi sembrava quasi di avere davanti a me proprio in quell’istante gli occhi di Ace che mi fissavano, le sue mani bollenti sulla pelle, il suo corpo che premeva contro il mio e-
No: Mikami, ricomponiti.
Cercai di recuperare il mio solito autocontrollo (di cui a dire il vero iniziavano a non essere più tanto certa), scacciando quei ricordi decisamente troppo vividi.
Inspirai profondamente, imponendomi la calma: calma e sangue freddo, erano i segreti per uscire da qualunque situazione.
Infine, decisi di uscire a cercarlo: avanti, non poteva essere così terribile parlare con Ace, quando me lo fossi trovato davanti avrei saputo cosa dire.
O, perlomeno, era ciò che mi auguravo…
Così, tutt’altro che certa di ciò che gli avrei detto ma decisa a non rimanermene con le mani in mano, uscii dalla mia cabina.
Appena aprii la porta, però, andai a sbattere il naso contro un pirata che passava di lì in quel momento: mormorai un debole “scusa”, quasi senza guardarlo, facendo per sgusciare via:
“Ohi ohi, aspetta!”
Mi sentii invece richiamare da una voce squillante e affabile.
Mi voltai titubante: i miei occhi incontrarono la figura di un pirata dai capelli marrone rossicci, incurvati verso l’alto in uno strano ciuffo, con una sorta di pizzetto nero e una cicatrice sul volto gioviale solcato da qualche lieve ruga.
Era interamente vestito di un azzurro così chiaro da sembrare bianco, un foulard giallo canarino attorno al collo.
“Tu devi essere Mikami”
Annuii, diffidente: ormai era da almeno un paio di settimane che avevo a che fare quotidianamente con i pirati eppure, esclusi Ace, Marco e Gary, non avevo mai rivolto la parola a nessuno di loro.
Oh già, c’era stato anche il tizio che mi aveva scortato in mensa e Barbabianca: comunque, poca roba.
E, del resto, nemmeno i pirati sembravano particolarmente interessati a parlare con me: a parte qualche occhiatina fugace, qualche risata o qualche commentino, non mi avevano degnata di attenzione.
Meglio così: vivi e lascia vivere.
Ad ogni modo, non capivo cosa volesse da me quell’uomo, ma il fatto che avesse attaccato bottone chiamandomi addirittura per nome non mi piacque affatto.
“Io sono Satch, comandante della quarta flotta.”
Si presentò con un ampio sorriso smagliante.
Mi stupii perché, assolutamente, tra i comandanti di Barbabianca, non ricordavo ci fosse uno come lui: ricordavo, oltre Ace, Marco e il tizio col cilindro, che ci fossero un uomo pesce, uno con un enorme martello, un uomo vestito da geisha, una donna vestita da uomo e qualche altro energumeno; ma lui, questo Satch, proprio non me lo ricordavo.
Oh, bè, non potevo mica ricordare ogni singolo pirata sulla cui testa pendesse una taglia, no?
Rimasi a fissare l’uomo, continuando a chiedermi cosa volesse.
“Sei di poche parole, eh?”
Si chinò, portando il viso alla mia altezza per guardarmi negli occhi mentre io, contrariata, indietreggiavo di qualche passo prendendo le distanze e lo guardavo cupa.
Parve rimanere un attimo interdetto dalla mia reazione ma non sembrò prestarvi molto caso, perché continuò allegramente:
“Mi ricordi qualcuno! Hai la stessa aria imbronciata e vagamente omicida che aveva Ace quando è arrivato qui”
Sussultai, aspettandomi tutto tranne che un affermazione del genere.
Io che assomigliavo ad Ace? Ace imbronciato?
Quell’uomo doveva essere già ubriaco di prima mattina, era chiaro.
Mi incupii maggiormente.
“Neh, non è il caso di guardare così male uno dei tuoi fratelli!”
Continuò, un espressione di comico dispiacere a increspargli le sopracciglia.
Ma cosa diavolo…?
Fratelli?
Io non avevo fratelli né sorelle, figurasi s-
Oh.
Capii a cosa si stesse riferendo:
“No, guarda che non hai capito: non sono parte della ciurma.”
Risposi parecchio infastidita, ricordandomi della sera prima con Ace.
Satch non si scompose, ma anzi mi sorrise allegro e conciliante:
“Non ancora, vorrai dire”
Soffocai un ringhio: ma che diavolo voleva da me?
Io non lo conoscevo nemmeno quell’uomo!
E adesso anche lui iniziava ad assillarmi con quella storia.
“No. Volevo dire esattamente ciò che ho detto: non lo sono, punto.”
Risposi scocciata e aggressiva.
“Wow, che caratterino. Ma ho ragione, vedrai!”
“Appunto, vedremo chi avrà ragione.”
Ringhiai nuovamente.
Rise, sistemandosi con una mano quegli strambi capelli:
“Bene, il dovere mi chiama. E’ stato un piacere conoscerti”
Mi tese la mano con un sorriso gioviale.
I miei occhi si abbassarono sull’arto teso verso di me, per poi tornare a fissarsi sul suo volto, minacciosi.
Capì che non avevo nessuna intenzione di stringergli la mano, ma nemmeno questo turbò il suo buon umore:
“Cielo, che caratterino… Ohi ohi, ne vedremo delle belle! Ciao ciao ~♥”
Si allontanò fischiettando allegramente, mentre io perplessa e nervosa rimanevo a fissare la sua figura bianco vestita allontanarsi.
Ma perché Barbabianca non si era scelto un solo comandante normale?
Mi venne in mente Marco: lui, effettivamente, era una delle poche persone normali che sembravano abitare la nave.
Mi tornò improvvisamente in mente la sera precedente, ed il mio proposito di chiedere al comandante biondo dell’esito della battaglia.
Sentii una morsa al petto, rendendomi conto che presa com’ero dal sistemare la situazione con Ace, mi ero completamente dimenticata di Smoker.
Sentii il mio cuore venire come stritolato da quella morsa: io… come avevo potuto?
Era inaccettabile.
Mi rifiutavo di credere che, nella mia scala delle priorità, Ace venisse prima si Smoker.
No, era semplicemente inaccettabile.
Ripresi a camminare, attraversando il ponte a passi veloci alla ricerca di Marco.
 
 

*

 
 
Ero sul ponte con alcuni degli altri comandanti, quando vidi Mikami corrermi incontro: sembrava piuttosto agitata.
“Marco, ho bisogno di parlarti”
Disse nervosamente, senza degnare di uno sguardo Ace e Vista alle mie spalle.
Con la coda dell’occhio vidi il comandante in seconda accigliarsi ed irrigidirsi, mentre lo spadaccino si toglieva il cilindro in segno di saluto.
 Lo sguardo della ragazza saettò rapido su di loro, esitante, ma in un paio di secondi tornò a rivolgersi a me:
“Per favore”
Sembrava volermi parlare in privato e, immaginando volesse parlare di Ace, acconsentii con un cenno del capo.
Ci allontanammo dagli altri e, appena le nostre voci furono fuori dalla portata dei due comandanti, si voltò bruscamente verso di me:
“Ieri, com’è andata a finire la battaglia?”
Mi stupii per quella domanda, non capendo nemmeno perché non avesse voluto chiedermelo davanti a tutti; forse, voleva solo evitare Ace.
Incrociai le braccia sul petto, apprestandomi a risponderle:
“La Marina si è dovuta ritirare. Vista ha detto che lui e i suoi hanno affondato un paio di navi ma poi, vedendo che si ritiravano, hanno lasciato andare il resto della flotta.”
A quelle parole, sembrò calmarsi appena, sospirando ed abbassando lo sguardo.
Rimasi ad osservarla in silenzio per qualche secondo, aspettando che chiedesse di Ace: e invece nulla.
Mi appoggiai coi gomiti al parapetto della Moby Dick, continuando a guardarla.
Mikami, sollevando lo sguardo ed incontrando i miei occhi, arrossì all’improvviso, probabilmente ricordando il piccolo incidente della sera prima.
Io non feci una piega: non mi ero certo scandalizzato per così poco, ma piuttosto mi sarebbe piaciuto sapere cosa era successo dopo, visto che né lei né Ace sembravano in gran forma, anzi.
Tuttavia a differenza di Satch, non ero il tipo di persona a cui piace farsi gli affari degli altri: se gli altri avevano bisogno di parlare io li ascoltavo volentieri, ma in caso contrario non era mia abitudine fare domande.
“Stiamo per approdare su un isola, vieni a terra con noi?”
La vidi tentennare, grattarsi nervosamente il dorso di una mano e mordicchiarsi il labbro inferiore:
“Mh… non lo so”
Pigolò piano, lo sguardo basso.
Sorrisi appena, di fronte a quell’espressione confusa che aveva un qualcosa di dolce.
“TERRA!”
Proprio in quell’istante, l’urlo della vedetta riempì l’aria, che si stava facendo più fredda in prossimità della costa.
Mi allontanai dal parapetto:
“Hai ancora una decina di minuti per decidere, se scegli di venire sai dove trovarmi”
Le dissi con un ultimo sorriso, prima di tornare verso i comandanti e prepararmi allo sbarco.



Spazio autrice:
Mi complimento con me stessa, stavolta sono addirittura in anticipo rispetto a quando credevo di postare! XD
Bene, era ora di popolare un po' la storia, quindi ho fatto entrare in scena anche qualche altro comandante... anche Satch! Vi confesso che non credevo proprio di includerlo nella storia, ma mi sembrava si prestasse tanto bene per rompere un po' le scatole ad Ace... ! XP
Ehehe, a presto ^^

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Capitolo 21
*** Think of me long enough to make a memory ***


Think of me long enough to make a memory


Fiocchi di neve vorticavano nell’aria fredda, fitti e numerosi, e già iniziavano a coprire la Moby Dick con un velo bianco e impalpabile.
Mi sporsi appena oltre il parapetto, osservando l’equipaggio che arrancando nella neve si dirigeva verso il paese: i miei occhi indugiarono sulla schiena di Ace, nuda nonostante il termometro fosse sceso di diversi gradi sotto lo zero.
Tornai a nascondermi dietro la sponda di legno laccato di bianco, rannicchiandomi con le ginocchia contro il petto, tremando appena sotto il pesante mantello che mi avvolgeva: ero terribilmente combattuta.
Da una parte, era un sollievo vedere Ace che si allontanava, perché ciò mi dava più tempo per sistemare le idee prima di parargli.
Ma, dall’altra, volevo –anzi, dovevo – sistemare la questione al più presto.
Però, dopotutto, non era colpa mia se lui era sceso a terra quando io invece non avevo alcuna intenzione di muovermi dalla nave no?
No, così non andava affatto bene: stavo solo cercando delle scuse, dei pretesti per rimandare il più possibile il momento delle spiegazioni.
E nemmeno ciò andava affatto bene, perché se avessi ritardato quel momento che temevo tanto anche una sola volta, sarei poi finita col rimandarlo ancora, ancora e ancora: e, infine, mi sarei detta che non era così indispensabile chiarirsi, che non dovevo rendere conto a nessuno di ciò che facevo, che erano solo affari miei, etc etc…
E non volevo che finisse così.
Non volevo comportarmi da codarda.
Tornai a sbirciare i pirati, che ormai si erano considerevolmente allontanati dalla nave: avrei affrontato Ace, il prima possibile.

*



Anche sfruttando i poteri del frutto Felis Felis per aiutarmi ad avanzare nella neve soffice e farinosa che mi arrivava alle ginocchia, non ero riuscita a raggiungere l’equipaggio della Moby Dick.
Maledizione a me e alla mia indecisione, quando Marco mi aveva chiesto se volevo scendere con loro non potevo semplicemente accettare subito?
Ormai giunta al villaggio tornai al mio aspetto originario, decidendo saggiamente che una tigre avrebbe destato decisamente troppe attenzioni, il che, considerato che quelli con cui stavo viaggiando non erano altro che i temuti pirati di Barbabianca, era tutt’altro che desiderabile.
Era un villaggio di medie dimensioni, con numerose e basse casette in mattoni attaccate le une alle altre, tutte coperte da uno spesso strato di neve, con massicci camini da cui uscivano spirali di fumo grigio che si mischiavano ai cristalli che scendendo imbiancavano l’aria; una larga strada lo attraversava da parte a parte, lungo la quale facevano bella mostra di sé locande e negozi di ogni genere; soltanto un paio di persone osavano sfidare le ostili condizioni atmosferiche, avvolte in pesanti mantelli con cappucci che ne nascondevano il viso.
Mi strinsi addosso il mantello, sospirando stancamente, chiedendomi come avrei fatto a trovare Ace: non conoscevo praticamente nessun membro della ciurma, e non potevo certo andare dalla prima persona che incontravo e chiederle se, per caso, fosse uno dei figli di Barbabianca e se, altrettanto casualmente, avesse mica idea di dove fosse il comandante della seconda flotta.
Ma uffa, perché capitavano tutte a me?
Forse sarei dovuta davvero rimanere sulla nave e, solo per una volta, rimandare il momento dei chiarimenti.
E se ora mi perdevo?!
Lanciai un occhiata atterrita alla strada che avevo percorso: la Moby Dick era stata ormeggiata in una grossa insenatura, al riparo da sguardi indiscreti, ed ovviamente non era visibile dal villaggio.
Mi lasciai sfuggire un gemito di disappunto, sentendo già la mia calma venir meno: ma cosa mi era saltato in mente di andarmene in giro da sola?!
Sicuramente mi sarei persa!
Sobbalzai lasciandomi sfuggire un gemito acuto, bruscamente riscossa dai miei pensieri da una mano che si posava pesantemente sulla mia spalla: mi ricomposi immediatamente, girandomi, mentre il mio cervello iniziava già a lavorare più velocemente che poteva per mettere insieme una frase di senso compiuto da rivolgere alla persona alle mie spalle che, avrei potuto giurarci, si sarebbe rivelata essere Ace.
Non riuscii a muovere un solo muscolo mentre i miei occhi sbarrati, anziché quelli neri e ardenti del pirata, ne incontravano due grigi e familiari, sottili e minacciosi:
“Ragazzina.”
Sentii distintamente il mio cuore mancare un battito e una miriade di sensazioni contrastanti e prepotenti travolgermi, riconoscendo in quella voce ed in quei tratti duri la figura di Smoker.

*



Non mi aspettavo che trovarla da sola sarebbe stato così facile, ma meglio così: all’inizio, dallo sguardo tra il sorpreso e il terrorizzato che aveva in faccia, avevo creduto che avrebbe tentato la fuga; invece poi sembrava aver recuperato un po’ dell’autocontrollo che con tanta fatica le avevo insegnato, e anche se molto titubante aveva accettato di seguirmi.
Era nervosa, respirava velocemente e continuava a guardarsi intorno con fare colpevole.
“Aspetti qualcuno?”
Fu la mia inevitabile domanda.
Trasalì, scuotendo energicamente la testa, senza guardarmi in faccia.
Sbuffai una nuvola di fumo nell’aria densa di odori della locanda: era una pessima bugiarda.
Ma decisi di lasciar correre, c’erano cose più importanti di cui volevo parlare:
“Allora, da quando combatti la Marina?”
Ringhiai, senza fare nulla per nascondere la rabbia nel mio sguardo e la nemmeno tanto velata minaccia nella mia voce.
Il suo sguardo si indurì all’improvviso, mentre puntava i suoi occhi nei miei:
“Io non ho intenzione di combattere proprio nessuno.”
Mi rispose aggressiva a sua volta, perdendo quell’aria da cucciolo smarrito che portava stampata in viso da quando poco prima i suoi occhi avevano incontrato la mia figura: l’avevo vista reagire in quel modo feroce diverse volte ma mai, dico mai, rivolgersi in quel modo a me; certo, esclusa l’ultima volta quando c’era stato di mezzo Portgas.
Digrignai i denti attorno ai miei sigari: quella che mi aveva appena ringhiato contro non era la risposta che volevo sentire; anzi, quella non era nemmeno la risposta alla domanda che avevo appena posto.
E poi, anche se avessi voluto prendere per buona quell’affermazione, c’erano diversi punti su cui avrei avuto da ridire: innanzitutto, non si era mai tirata indietro di fronte ad una battaglia.
Anzi, lei era il tipo di persona che, se infastidita, prima attaccava e poi, forse, faceva domande: maledettamente impulsiva.
E, ad ogni modo, non poteva assolutamente negare di aver letteralmente assalito i miei uomini: se per lei quello non era combattere…
Dannazione, era per questo che odiavo maledettamente parlare: troppo difficile e troppe incomprensioni, le lunghe discussioni mi facevano solo uscire dai gangheri.
“Intendi dire che non hai attaccato i miei uomini?”
Ringhiai, scoccandole un occhiata minacciosa.
“Non sto dicendo questo, sto dicendo che se non fosse stato strettamente necessario non l’avrei fatto. E che non ho nessuna intenzione di combattere proprio nessuno.”
“Ah no? Allora hai un modo curioso per dimostrare le tue intenzioni. E da quando sei diventata un’amante della pace?”
Non riuscivo a capire, quella che avevo davanti ora non sembrava proprio la ragazza che avevo addestrato e che conoscevo ormai da anni.
“Non è questione di amare o meno la pace, è questione che se tu mi dici che i pirati sono cattivi, allora io non mi faccio nessun problema ad eliminarli! Ma se poi scopro che non è così…
Perché dovrei combatterli?”
La guardai minaccioso, digrignando i denti:
“Hai idea di quanti marines abbia ucciso da solo quel moccioso?”
Domandai, certo che avrebbe capito a chi mi stavo riferendo.
“Si, ma non è stato lui a cercarsele! Siete voi che non gli date tregua.”
“Voi? Non noi? Non sei anche tu un marine?”
La vidi assottigliare lo sguardo, minacciosa, ma sembrò non reggere il confronto con i miei occhi ed abbassò ben presto i suoi.
Quindi, era così.
Non che non lo immaginassi già, volevo solo averne la conferma: e quell’aria colpevole era certamente una stramaledetta conferma.
Inspirai profondamente, il fumo dei sigari che mi bruciava la gola, imponendomi la calma mentre lottavo contro il mio istinto di trascinarla a forza a casa:
“Un marine in meno e un pirata in più.”
Mentre pronunciavo quella frase i suoi occhi scattarono nuovamente nei miei: aprì la bocca come per ribattere e, per un attimo, sperai mi avrebbe contraddetto.
Invece poi tornò a serrare le labbra, fissandomi con un misto di astio e un altro sentimento che non riuscii bene ad identificare – dolore? Paura, forse – .
Di fronte alla sua reazione una sensazione di impotenza mi travolse, mentre mi rendevo conto che, se le cose stavano esattamente così, ormai non c’era più molto che potessi fare.
Del resto, una parte di me sapeva che ciò che mi stava dicendo non era del tutto sbagliato: anche io più volte mi ero ritrovato a disubbidire agli ordini dei miei superiori per non andare contro ai miei principi.
Solo che… Ogni volta che era capitato ero riuscito, in un modo o in un altro, a non coinvolgerla: con quel mio comportamento mi ero fatto ben più di un nemico tra i pezzi grossi della Marina, e non avevo voluto che anche a lei accadesse lo stesso.
Mettersi contro la Marina non era qualcosa da fare alla leggera, e finché mi era stato possibile l’avevo tenuta fuori dalle spiacevoli situazioni in cui mi ero andato a cacciare.
Solo ora mi rendevo conto della portata dello sbaglio che avevo commesso tenendola all’oscuro di ciò che realmente pensavo; forse, se mi fossi comportato in maniera diversa, non saremmo arrivati a questo punto.
Espirai lentamente in una nuvola di fumo: ormai era tardi per i ripensamenti.
Presi fiato:
“Quindi, questo è un addio?”

*



Stavamo attraversando la piazza del paese, tornando alla nave, quando qualcosa aveva attirato la mia attenzione.
Ace aveva notato il mio sguardo perplesso e, rivolgendo il suo nella stessa direzione, aveva sbarrato gli occhi irrigidendosi.
Aveva attraversato la strada a passi rapidi e sicuri, infilandosi nella locanda, ed io e Satch non avevamo potuto fare altro che accelerare il passo e andargli dietro.
“Neh Marco, si mette male”
Commentò il comandante in quarta al mio orecchio, una ruga di preoccupazione che gli solcava la fronte mentre osservava l’atteggiamento aggressivo del pirata corvino, adesso alle spalle di Mikami che, ignara della sua presenza, era totalmente presa da Smoker, seduto di fronte a lei.
“Vecchio.”
Sibilò Ace, probabilmente memore dell’esito del loro ultimo scontro: il suo sguardo era tagliente e affilato, le sopracciglia corrugate che gettavano ombre scure sugli occhi ardenti e minacciosi, le labbra serrate in una linea netta e dura; brutto segno, era difficile vedere Portgas D. Ace arrabbiato.
Il marine ricambiò l’occhiata con un ringhio, serrando i denti attorno ai sigari, gli occhi grigi ridotti a due fessure in cui si rifletteva lo stesso sentimento d’odio che bruciava in quelli del pirata.
Mikami si voltò sorpresa sentendo la voce del comandante in seconda: impallidì, sbarrando gli occhi azzurri e drizzandosi di scatto sulla sedia, rigida e tesa.
Per qualche secondo, nessuno parlò.
“Ace…”
Chiamò infine timidamente la ragazza, gli occhi enormi e chiarissimi che sembravano quasi bucare la pelle bianca tanto erano grandi e intensi.
Il Comandante in seconda spostò lo sguardo su di lei, irrigidendosi, mentre i suoi occhi si facevano più scuri ed impenetrabili; se vederlo arrabbiato era difficile, era ancora più difficile vedere Portgas D. Ace ferito.
L’aria era così tesa, che persino Satch aveva completamente perso il proprio buonumore e la sua parlantina allegra, ed era immobile al mio fianco.
Rimasi a mia volta in silenzio, le braccia rigide lungo i fianchi, rendendomi conto che, per una volta, nemmeno io sapevo come comportarmi.
Gettai una rapida occhiata ad Ace: sapevo che non sarebbe stato così avventato da scatenare una battaglia in quel luogo così ricolmo di persone eppure… il calore che emanava la sua pelle era tutt’altro che rassicurante.
Al mio fianco, lo sentii irrigidirsi maggiormente mentre la temperatura continuava a salire: gli avventori della locanda avevano ormai tutti smesso di mangiare, bere e chiacchierare, ed assistevano alla scena col fiato sospeso: alcuni di loro, riconoscendo l’effige di Barbabianca e Smoker, avevano ritenuto saggio darsela a gambe, mentre altri, membri dell’equipaggio della Moby, avevano già messo mano alle armi, attendendo solo un segnale da Ace per scagliarsi all’attacco.
Non andava affatto bene.
Mikami dovette rendersi conto di come la situazione stesse velocemente degenerando:
“No, Ace, aspetta un attimo…”
Forse il suo avrebbe voluto essere un ordine, ma la voce tremula e lo sguardo preoccupato resero quella frase molto più simile ad una supplica.
Gli occhi di Ace saettarono su di lei, facendosi più affilati ed impenetrabili: serrò la mascella, come ad impedire che le parole gli sfuggissero di bocca, un secondo prima di voltarle le spalle e marciare fuori dalla locanda sbattendosi malamente la porta alle spalle sotto lo sguardo timoroso dell’oste, immediatamente seguito da Satch.
I figli di Barbabianca che assistevano alla scena spostarono i loro sguardi su di me, confusi: scossi appena la testa in segno di diniego, non ci sarebbe stata nessuna battaglia.
Serio, lanciai un ultima occhiata a Mikami: era rimasta immobile, gli occhi così chiari da ricordare vetro trasparente che minacciavano di andare in frantumi e sciogliersi in lacrime da un momento all’altro, le labbra che nonostante fossero tenute serrate in una linea rigida continuavano inevitabilmente a curvarsi verso il basso.
Preferii non dire nulla, mentre mi voltavo verso la porta e uscivo dalla locanda per raggiungere Satch e Ace: nonostante tutto, non mi sarei immischiato.

*



Quando vidi che anche Marco se ne andava senza dire una parola, un senso di vuoto e smarrimento mi travolse lasciandomi senza fiato.
Spinsi bruscamente indietro la sedia, facendo per alzarmi e inseguire i tre comandanti, ma il ringhiare sordo di Smoker mi trattenne: mi bloccai, costringendomi a rimanere seduta, gli occhi bassi e fissi sulle mie unghie disperatamente conficcate nel legno vecchio e consunto del tavolo; mi accorsi di stare tremando.
Dopo tanto tempo, era tornato: quel sentimento di solitudine che una volta mi era tanto familiare, adesso era tornato e mi stava inghiottendo, lentamente ed inesorabilmente.
Serrai i denti, trattenendo i singhiozzi, non riuscendo però ad impedire che una prima lacrima scendesse lungo la mia guancia in una scia salata.
“E’ per lui che stai facendo questo?”
La voce rude di Smoker che all’improvviso tornava a farsi udire mi fece sobbalzare.
Inspirai cercando di calmarmi, gli occhi che bruciavano e un nodo in gola che si faceva sempre più stretto.
“No”
Risposi, sforzandomi inutilmente di modulare la mia voce perché non suonasse così incrinata.
I suoi occhi si indurirono, mentre la ruga sulla sua fronte si faceva più profonda conferendogli un aria ancora più cupa:
“Non sai mentire.”
Quella frase suonò molto come uno dei rimproveri che mi rivolgeva durante i primi allenamenti, quando ci eravamo appena conosciuti, e per un attimo mi illusi che le cose tra noi potessero tornare così, come erano state fino a qualche settimana prima: lui ordinava ed io obbedivo, lui insegnava ed io imparavo.
Ma mi diedi subito della stupida: era ovvio che non saremmo potuti tornare indietro.
Sentendo la sua sedia sfregare bruscamente contro il vecchio pavimento di pietra, alzai finalmente gli occhi: lo vidi sistemarsi la giacca, mentre con calma apparente si accendeva due nuovi sigari che andavano a sostituire quelli vecchi, ormai consumati e abbandonati nel posacenere in ceramica.
Lo guardai, confusa, lottando ancora contro il pianto.
“Se è così, questo è un addio.”
Stavolta, la sua era un’affermazione.
Rimasi immobile, ferita, mentre un'altra lacrima mio malgrado mi sfuggiva; osservai i tratti del suo viso rilassarsi e la ruga tra le sopracciglia appianarsi, mentre chiudeva gli occhi e tirava la prima boccata dai sigari appena accesi.
Socchiuse gli occhi e mi rivolse uno sguardo stanco ma, incredibilmente, rilassato; un tenue bagliore di sollievo iniziò ad illuminare e riempire il vuoto che sentivo nel petto, quando un sorriso appena accennato gli increspò le labbra.
Smisi di respirare: questo significava che…
Mi alzai in piedi a mia volta, stordita, il cuore che martellava nel petto, sentendomi come se il peso che mi opprimeva e mi pesava sulle spalle si fosse improvvisamente dissolto.
Rimasi in silenzio, mentre il significato della parola “addio” si imprimeva a fondo nel mio cuore ferendomi come una coltellata, mentre sentivo gli angoli delle mie labbra scivolare inevitabilmente ed inesorabilmente verso il basso, come se la terra sotto i piedi mi fosse improvvisamente venuta a mancare.
“Ragazzina, non fare quella faccia”
Mi rimproverò, con un tono di voce calmo ed in un certo senso caldo che ben poche volte gli avevo sentito usare.
Mi morsi il labbro, trovando quel timbro terribilmente doloroso, mentre nel mio petto la sofferenza per l’imminente separazione si mischiava con un crescente senso di sollievo mentre realizzavo che, ora, avevo davvero chiuso con la Marina: ero libera.
Prima che potesse fermarmi, lo abbracciai.
Lo sentii sussultare ed irrigidirsi, non ricambiò la stretta ma nemmeno vi si sottrasse: non era il tipo da lasciarsi andare a dimostrazioni d’affetto e a me, in fondo, andava benissimo così.
Dopo qualche secondo mi ritrassi, un timido sorriso tirato che faceva capolino sulle labbra.
“Cosa fai ancora qui? Sparisci, prima che cambi idea e ti arresti.”
Sbottò rompendo il silenzio: la sua voce era tornata al solito timbro rude e burbero e le sue labbra erano tornate a serrarsi attorno ai sigari, ma nei suoi occhi grigi potevo ancora vedere qualcosa di molto simile all’affetto.
Finalmente, mi lasciai andare ad un vero sorriso:
“Ciao, allora”
Sussurrai, lanciandogli un ultimo sguardo riconoscente prima di voltarmi: “addio” era una parola che, in vita mia, non avevo mai usato con nessuno, e che volevo a tutti i costi continuare a non usare.
E poi, avrei potuto giurarci: quella non sarebbe certo stata l’ultima volta che l’avrei visto.
Smoker non rispose, ma non vi feci caso: andava benissimo così.
Accelerai il passo, precipitandomi fuori dalla locanda alla ricerca di Ace e Marco: adesso sì che sapevo cosa avrei dovuto fare.


Spazio autrice:
Sigh... Fumosooooo ç_ç
Mi sento un po’ triste ad essere sincera, Smoker mi piace e sono un po’ dispiaciuta di averlo strapazzato così!
Perché, in fondo, fa il duro ma ce l’ha pure lui un cuore no?
Spero solo di essere riuscita a tenerlo IC, perché fargli affrontare un discorso del genere non è stato molto facile (anche considerato che, come ho scritto, lui è più un uomo d’azione, non certo il tipo che si siede a tavolino e si mette a discutere) è_é
E spero anche di non essere risultata troppo sdolcinata o melodrammatica è_é
Oltre a ciò… lo so che ho praticamente snobbato Ace, mi rifarò nel prossimo capitolo!
A prestooo :*

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Capitolo 22
*** I found a way to let you in ***


I found a way to let you in


“Ohi ohi! Aspetta Ace!”
Il pirata corvino però non sembrava minimamente intenzionato a prestare ascolto a Satch, e anzi continuava ad avanzare a grandi passi nelle neve che, a contatto con la sua pelle bollente, si scioglieva ed evaporava con lievi sibili.
Allora Satch lo rincorse, portandosi al suo fianco:
“Eddai, non fare così, aspetta un attimo! Sono certo che non è come sembra!”
Ace gli gettò un occhiataccia, incenerendolo con i suoi occhi neri, senza degnarlo di una risposta.
Satch tentennò, fermandosi, mentre il moro continuava ad avanzare imperterrito e lo superava:
“Neh Marco, fa qualcosa!”
Protestò il comandate in quarta rivolgendosi a me, le sopracciglia corrugate e sul viso un aria offesa ed imbronciata che aveva un che di infantile.
Sospirai: forse era davvero il momento di fare qualcosa, dopotutto.
Raggiunsi a mia volta Ace, afferrandolo per un braccio e costringendolo a voltarsi:
“Ace.”
La sua pelle era incandescente, le labbra serrate e gli occhi duri ed impenetrabili; era in momenti come quello che il suo potere rispecchiava in pieno il suo carattere: fiero, indomito e pericoloso, proprio come il fuoco.
Rivolse anche a me un occhiata minacciosa e diede un brusco strattone per liberarsi dalla mia presa: fu inutile, non gli avrei permesso di andare proprio da nessuna parte, le mie fiamme blu non avevano nessun problema a contrastare il calore delle sue.
“Ma si può sapere cosa volete da me tutti e due? Lasciatemi in pace.”
Sbottò infine, capendo che non avevo intenzione di lasciare il suo polso.
“Non mi piace quando uno dei miei fratellini si fa del male da solo.”
Si fece avanti Satch per entrambi, le mani puntate sui fianchi ed in volto un espressione saggia e matura, una nota d’affetto nella voce.
“Non mi faccio del male da solo e non sono io il problema qui.”
Rispose torvo Ace:
“E’ un altro, il mio problema.”
Satch inclinò la testa di lato, osservando il ragazzo, le sopracciglia corrugate in un espressione dispiaciuta:
“Su su! Non essere così tragico!”
Quell’esortazione gli fece guadagnare un'altra occhiata di fuoco, tutt’altro che amichevole.
Ma Satch non fece una piega:
“Calmati! Torniamo indietro, facciamo due chiacchiere con la ragazza e sistemiamo tutto. Ti va?”
“No.”
Fu la lapidaria risposta di Ace.
Satch sbuffò, imbronciandosi: eppure c’era un qualcosa nella sua espressione che gli dava un aspetto vagamente comico, si vedeva lontano un miglio che riteneva quel comportamento da parte del comandate in seconda altamente superfluo.
“Che faccia quello che vuole.”
Continuò Ace, guardando insistentemente un punto imprecisato vicino ai suoi piedi.
“Oh, ma lo vedi? Ti fai del male da solo! Ammettilo che in realtà ti importa ciò che vuole fare Mikami”
“Anche se mi importasse, cosa cambierebbe? Non ho nessun diritto di dirle cosa fare.”
“Potresti parlarle!”
Satch non sembrava minimamente intenzionato a concedere nemmeno un secondo di tregua al ragazzo e, per una volta, mi ritrovai a pensare che con un pirata così cocciuto come Ace i suo modi un po’… invasivi, invasivi ed insistenti potevano rappresentare un mezzo efficace per convincerlo a ragionare un po’ di più ed agire un po’ meno di impulso.
Come se avesse indovinato i miei pensieri, il comandante dal pizzetto mi sferrò una gomitata nelle costole, facendomi sussultare:
“Supportami! Digli qualcosa anche tu!”
Mi esortò in un sussurrò, lanciandomi uno sguardo severo.
Corrugai le sopracciglia, serio, incrociando le braccia sul petto e rivolgendomi ad Ace:
“Credo che se avesse voluto tornare in Marina, ne avrebbe approfittato quando tu ti sei scontrato con Smoker.
Il fatto che invece si sia schierata dalla nostra parte mi sembra sia un chiaro indizio delle sue intenzioni.”
Riflettei, guadagnandomi un lampo di approvazione dagli occhietti scuri e scintillanti di Satch.
“Neh Ace, lo dice anche Marco! E ascolta il tuo vecchio amico Satch una buona volta: il fatto che stesse parlando con quel marine non significa nulla, praticamente è già parte della famiglia.
E poi, se persino tu sei diventato uno dei nostri…!”
Satch aveva in viso un’espressione trionfate, un lieve sorriso sulle labbra: quel breve discorso era stato pronunciato in modo così convincente che sembrava quasi impossibile che Mikami non si sarebbe infine unita ai pirati di Barbabianca.
Per diversi secondi nessuno parlò: Ace era immobile con il capo chino, il nero intenso dei suoi capelli sporcato dal bianco candido della neve, mentre io ancora mi chiedevo cosa fosse accaduto la sera prima e Satch lo guardava con gli occhi carichi di aspettativa, impaziente di vederlo reagire alle sue parole.
Poi il ragazzo alzò lo sguardo e prese la parola, mentre l’eco della voce di Satch ancora risuonava nelle mie orecchie:
“Ha detto di no, Satch.
Volevi sapere che cosa ho combinato? Semplicemente questo: le ho chiesto di unirsi alla ciurma e lei si è infuriata, se n’è andata sbattendo la porta e non mi ha più rivolto la parola.
Contento? Ora sai cosa ho combinato.”
La voce di Ace era bassa e cupa, amareggiata, mentre finalmente ci raccontava cosa era successo la sera prima di così spiacevole da incrinare a quel punto il loro rapporto.
“Le ho proposto di entrare a far parte della mia flotta e lei è andata su tutte le furie, ha detto che non voleva combattere e allora io le ho proposto di fare il medico! E lei si è arrabbiata ancora di più, dicendo che non voleva rimanere con le mani in mano mentre noi rischiavamo la vita; io ho risposto che allora voleva proteggerci ma che non era assolutamente necessario, che eravamo forti, lei si è ulteriormente arrabbiata e se n’è andata dandomi dell’idiota, del cretino, o una cosa del genere, dicendo che non capivo.
Ma cos’è che devo capire?!?
Per voi è logico?!
Prima si comporta come se mi detestasse, poi come se mi compatisse, poi diventa triste e mi bacia!
Ma poi cambia ancora idea e si arrabbia e mi molla come un cretino: vi sembra logico?!
E’ ovvio che io non capisca!
…E poi dice che non vuole fare il medico perché le farebbe male vederci feriti, ma non mi sembra che le abbia causato molti problemi il trattarmi così!
E come si giustifica quando le dico che non la capisco?
Dice che non capisce nulla nemmeno lei!
E cos’è quindi che devo capire se nemmeno lei ci capisce nulla?!
Ditemelo, perché io davvero non lo so!”
Ace esplose, lasciando uscire con la potenza di un fiume in piena tutti i dubbi e gli interrogativi che si portava dietro dalla sera prima: i suoi occhi neri erano spalancati, fiammeggianti e feriti allo stesso tempo, mentre saettavano da me a Satch alla ricerca di risposte.
Sentii una fitta al petto, riconoscendo nel suo sguardo l’esasperazione e la frustrazione che vi avevo scorto la prima volta che i nostri occhi si erano incontrati.
Chinai il capo, sforzandomi di unire quelle frasi sconclusionate e ingarbugliate in un discorso più chiaro e coerente: ormai era palese che non potessi più continuare a tenermi fuori da quella storia, era solo da una mattina che Ace non mostrava più il suo sorriso spensierato e malandrino e già iniziavo a sentirne la mancanza.
Anche Satch, udendo quelle parole, perse tutto ciò che di comico aveva, assumendo ora un espressione triste e dispiaciuta: scommetto che avrebbe voluto aver tenuto la bocca chiusa, e non essersi dichiarato così sicuro della scelta che avrebbe fatto Mikami.
Io, ormai, non sapevo più a cosa pensare: se le cose stavano come diceva Ace…
Corrugai ancora le sopracciglia: eppure, il giorno prima nell’infermeria, mi era sembrata una certezza che si sarebbe unita alla ciurma.
Mi tornarono alla mente i suoi singhiozzi, il suo sguardo sofferente, il modo in cui si era disperatamente aggrappata a me…Allora ne ero stato certo che sarebbe diventata una dei nostri.
E anche se vederla con Smoker mi aveva confuso e, lo ammetto, un po’ infastidito, non avevo davvero creduto che ci stesse voltando le spalle.
...
Però, ora che mi fermavo a pensarci, che il marine fosse improvvisamente comparso sulla stessa isola su cui eravamo appena approdati era una coincidenza curiosa: forse davvero Mikami aveva cambiato idea e aveva deciso di tornare in Marina, riuscendo a contattarlo in un qualche modo.
“Neh Ace, magari vi siete solo capiti male…”
Tentò timidamente Satch, ma la sua voce era così titubante che era chiaro che nemmeno lui credesse realmente in ciò che stava dicendo; Ace, infatti, non si scomodò neppure di rispondergli.
Di nuovo, nessuno parlò.
“… Ma tu gli piaci.”
Se ne uscì ancora dopo svariati secondi di imbarazzante silenzio il comandante in quarta.
“Questo lo dici tu.”
Ribattè secco Ace, incenerendolo con l’ennesimo sguardo.
“Marco…!”
Satch si girò verso di me, sentendosi ormai messo alle strette, chiedendomi con uno sguardo supplicante di intervenire nuovamente.
Mi irrigidii: stavolta proprio non sapevo cosa dire.
Era vero, la sera prima quando ero entrato nella stanza di Ace sembrava fossero… piuttosto intimi, lui e Mikami, ma cosa ne potevo sapere io infondo?
Il poco che credevo di sapere era appena stato demolito dal suo sfogo, che altro potevo dirgli ora?
“Gli piaci sicuramente, una donna non bacia un uomo senza motivo.”
S’intromise una voce profonda alle mie spalle.
Tutti e tre ci voltammo trovandoci faccia a faccia con Vista che, con un gran sorriso e l’aria di uno che la sa lunga, si lisciava i baffi neri, un velo bianco di neve che gli copriva la cima del cilindro e le spalle larghe.
“Ohi Vista!”
Si illuminò Satch, evidentemente sollevato per l’aver trovato qualcuno che gli desse man forte nel sostenere le proprie teorie e risollevare il morale di Ace.
Lo spadaccino proruppe in una breve e profonda risata, ampliando il suo sorriso mentre si rivolgeva al comandante in seconda:
“Le donne sono diverse dagli uomini: tornerà.”
Ace aprì la bocca e fece per ribattere, ma qualcosa attirò la sua attenzione e lo fece ammutolire.
Rivolsi il mio sguardo in quella stessa direzione: qualcuno correva verso di noi.
Socchiusi gli occhi, mettendo meglio a fuoco quella figura: Mikami.

*



Mi irrigidii, faccia a faccia con Mikami che si era appena fermata di fronte a me: ansimava, piccole nuvolette di fumo si condensavano attorno al suo viso mentre puntava i suoi occhi enormi nei miei.
I fiocchi di neve volteggiavano lenti nell’aria, si impigliavano tra i suoi capelli, si posavano sulle sue guance, ed immergevano il villaggio in un silenzio quasi irreale, ora che anche i comandanti avevano smesso di parlare.
Non dissi nulla.

Era tornata per dirmi che restava con noi, o era soltanto venuta a dirmi addio prima di tornare tra i marines?
Non riuscivo a capirlo, gli occhi lucidi e spalancati avrebbero potuto significare entrambe le cose, e la sua bocca sembrava troppo impegnata a rifornire d’aria i polmoni dopo la corsa per riuscire ad esprimere una qualunque emozione.
“Ace, io…”
Si interruppe, riprendendo ad ansimare forte.
Continuai a non dire nulla, il suono del mio stesso nome che pronunciato dalla sua voce mi feriva le orecchie, sforzandomi di non pensare a niente: non volevo illudermi che sarebbe rimasta, non dopo la nostra ultima discussione almeno.
Socchiuse gli occhi, abbassandoli, sospirando.
Serrai i denti, sentendo qualcosa annodarsi all’altezza dello stomaco: quell’atteggiamento non era un buon segno.
Strinsi i denti perché l’orgoglio mi impediva di chiederle cosa avesse deciso, sebbene tutto ciò che volessi in quel momento fosse porre fine il prima possibile alla tortura causata dal non sapere.
E poi, forse, il sapere sarebbe stato ancora peggio.
Assottigliai le labbra in una linea stretta, perché quella fatidica domanda non mi sfuggisse di bocca: potevo dare la colpa all’orgoglio, ma la verità era che, ancora di più, era la paura a trattenermi.
Voltò appena la testa, i suoi occhi azzurri saettarono su Marco: la Fenice ricambiò lo sguardo, seria, le braccia ancora incrociate sul petto, senza dire una parola.
Mikami tornò a guardami, esitante.
Sostenni il suo sguardo, freddo, mentre continuavo a cercare di impedire alla mia mente di riempirsi di ipotesi, supposizioni e illusioni.
Eppure, per ogni secondo di silenzio che passava, mi sembrava che le probabilità che fosse tornata per restare diminuissero terribilmente…
Da quando ero diventato così codardo da non riuscire più nemmeno a parlare, a porre una semplice domanda?
Non mi riconoscevo più, non mi sembrava nemmeno di essere lo stesso pirata che ero stato fino al giorno prima.
Altri lunghi, interminabili, momenti di silenzio, durante i quali avrei dato qualunque cosa per sapere a cosa stesse pensando, per riuscire ad indovinare – e perché no, a modificare! – il flusso dei suoi pensieri, che mi sembra sempre più inesorabilmente andare nella direzione opposta rispetto a quella che avrei voluto.
Ancora silenzio: non avevo mai fatto caso a come il silenzio potesse essere doloroso…
Basta, non ci stavo a farmi trattare così:
“Hai finalmente deciso di smettere di ignorarmi? Ne sono felice.
Allora, già che ci sei, potresti anche spiegarmi qual è il tuo problema perché no, evidentemente da solo non riesco a capirlo, a quanto pare sono solo uno stupido pirata.”
La vidi esitare, piegando appena la testa con fare atterrito.
Non mi lasciai intenerire: volevo proprio vedere cosa mi avrebbe risposto ora.
Dopo qualche secondo si scosse con un fremito, alzando lo sguardo e tornando ad affrontarmi faccia a faccia:
“Sono dei vostri”
Disse infine, all’improvviso, tutto d’un fiato, fissandomi intensamente.
Smisi di respirare, mentre le sue parole affondavano nella mia mente: …aveva appena detto che era dei nostri.
Sentii la rabbia svanire, sostituita da una strana sensazione di calma mista a qualcos’altro che sul momento non riuscii a riconoscere, mentre i miei muscoli si rilassavano all’improvviso ed i miei occhi si spalancavano.
Rimasi immobile, senza riuscire a dire nulla, mentre riascoltavo l’eco delle sue parole che rimbombavano nella mia mente, ancora e ancora.
“Che ti dicevo? Lo sapevo che sarebbe tornata! Che bravo micetto ~♥”
Satch ruppe all’improvviso il silenzio, con la sua voce allegra e rumorosa, facendosi avanti ed assestando una forte pacca sulla schiena a Mikami.
La ragazza perse l’equilibrio barcollando in avanti, finendo contro il mio petto: avvertii con un brivido le sue mani fredde sulla pelle nuda.
Quel contatto ebbe l’effetto di risvegliarmi dallo stato di torpore ed immobilità in cui ero caduto, e feci ciò che sapevo fare meglio: misi da parte tutti i pensieri che mi affollavano la mente e assecondai l’irresistibile istinto di abbracciarla, cingendole forte la vita con le braccia.
Dopo un primo istante di esitazione, Mikami si strinse contro di me, sollevandosi in punta di piedi per arrivare a circondarmi il collo con le braccia: solo allora riuscii a rilassarmi completamente, mentre un prepotente senso di calore scioglieva all’istante tutto il gelo che mi attanagliava dalla sera precedente.
“Sei bollente…”
Mi sussurrò piano, il viso nascosto nell’incavo del mio collo: socchiusi gli occhi, sereno, avvolgendole la schiena con le braccia e stringendola più forte.
“Ba-cio! Ba-cio! Ba-cio! ~♥!”
Iniziò a cantilenare Satch e, per una volta, trovai che la sua fosse una buona idea: chinai il viso, appoggiando le mie labbra su quelle di Mikami in un bacio lieve ma sincero.
Rimanemmo immobili in quella posizione per diversi secondi, le nostre labbra che combaciavano perfettamente sotto la neve che cadeva lieve e delicata, avvolgendoci in un silenzio che ora appariva decisamente più piacevole e sereno.
Mikami si ritrasse timidamente, scostandosi appena, gli occhi che grandi e liquidi scintillavano come faceva il mare sotto il sole, le guance arrossate dal freddo e dall’imbarazzo.
Sul mio viso si aprii un grande sorriso, mentre finalmente mi rendevo pienamente conto delle sue parole: sarebbe rimasta, sarebbe diventata una di noi!
Mi lasciai andare ad una fragorosa ed allegra risata: ora si che mi sentivo di nuovo me stesso.


Spazio autrice:
Cosa dite, glielo devo fare un monumento a Satch che si è premurosamente preoccupato di fare da Cupido? XD
E se vi state chiedendo il perchè dell'uscita di Vista... è semplice: sarà per il cilindro che gli conferisce un che di elegante o perchè se ne va in giro a spargere petali di rosa, ma ce lo vedo a fare il galante XD
Non dico che lo vedo tipo don Giovanni fallito come Sanji, diciamo solo che ha qualcosa che mi fa pensare ad un gentleman ù_ù
Magari gli darò un pochino di spazio, prima o poi, per esporre le sue idee sull'amore XD
Dite che sono pazza per vedere così un omaccione grande e grosso come lui, nonchè pirata e spadaccino coi controcaz*i? Bè, forse XD
E si, Ace e Mikami hanno ancora diverse cose di cui parlare, ma questo intanto è un inizio :)
A presto! ^^

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Capitolo 23
*** Think of me, only me ***


Think of me, only me


“Neh Ace, il gatto ti ha mangiato la lingua? Dì qualcosa! No, anzi… non una cosa qualunque: ringrazia il tuo vecchio amico Satch!~♥”
Risi forte, un po’ per la velata allusione alla natura felina di Mikami e un po’ perché… bè, perché ero semplicemente felice.
“Benvenuta, allora”
Si fece avanti anche Marco, poggiando una mano sulla spalla della ragazza con un ampio sorriso.
Mikami si voltò verso di lui e, con mia grande sorpresa, gli gettò le braccia al collo ridendo forte a sua volta.
“Hey!”
Protestai corrugando le sopracciglia perplesso, incontrando lo sguardo divertito di Marco che, anziché ricambiare l’abbraccio, alzò le mani mostrandomi i palmi, come a dichiarare che lui non aveva colpa per quel gesto.
Mikami si ritrasse, tornando ad abbracciarmi con slancio, le sue risate che mi solleticavano il collo.
“Ah ecco, ora va meglio”
Sogghignai, ricambiando la stretta.
“Congratulazioni e benvenuta”
Intervenne Vista con la sua voce profonda, chinando appena il capo e portandosi una mano al cappello a cilindro, un largo sorriso che spuntava tra i folti baffi e faceva capolino sul volto abbronzato.
Mikami sciolse l’abbraccio, voltandosi verso lo spadaccino con un ampio sorriso luminoso e mimando a sua volta un cenno col capo.
Per alcuni istanti nessuno parlò, e ancora una volta il silenzio della neve sembrò avvolgerci in un morbido e delicato abbraccio, in un atmosfera da fiaba.
Fu Marco a rompere per primo quel silenzio che Mikami, a giudicare da come spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra, doveva aver iniziato a trovare imbarazzante.
 “Andiamo, ci sono ancora diverse cose che dobbiamo fare”
Sorrise il comandante biondo, appoggiando una mano sulla spalla di Satch e voltandoci le spalle subito imitato da Vista che, lisciandosi i baffi, se la rideva soddisfatto.
“Coooosa?! Ohi Marco, scherzi? Adesso viene il bello!”
Protestò il comandante in quarta imbronciato, lanciando alla Fenice uno sguardo contrariato, le sopracciglia corrugate che gli conferivano un aria da cucciolo.
Marco sogghignò divertito, afferrando il pirata per il foulard e facendo per trascinarlo via:
“Andiamo Satch, ho come l’impressione che abbiano molto da dirsi”
“Appunto, voglio sentire! Insomma, se non fosse stato per me sarebbero ancora a fissarsi immobili con le facce da triglia, ho il diritto di sapere se i miei sforzi sono andati a buon fine no?!”
Sentii Mikami irrigidirsi al mio fianco, mentre un lieve ringhio sommesso le vibrava in gola: risi, io ormai ero abituato all’invadente e logorroico Satch, ma lei non sembrava affatto disposta a tollerarlo.
“Ohi, che hai da ridere?! Sto ancora aspettando che mi ringrazi!”
Protestò il comandante agitando in aria un pugno con fare comicamente minaccioso, lasciando perdere Marco e rivolgendosi a me, mentre la Fenice lo trascinava via scuotendo divertita il ciuffo biondo.
“Grazie Satch!”
Esclamai tra le risate agitando la mano destra in segno di saluto, mentre sul suo volto il broncio lasciava velocemente spazio ad un sorriso affettuoso:
“Di niente, fratellino”
Rispose lanciandomi un ultimo sguardo mentre smetteva di fare resistenza a Marco e, voltateci anch'esso le spalle, iniziava a camminare al suo fianco, tra lui e Vista.
Li guardai allontanarsi sulla strada principale, accarezzati dai fiocchi di neve, sentendomi quasi sopraffare dall’affetto: ma dove li trovavo degli amici così?
No, anzi, amici era troppo poco per loro: erano i miei fratelli e, insieme a Rufy, la mia unica famiglia.
L’affetto lasciò il posto alla malinconia, mentre mi tornavano alla mente i ricordi della mia infanzia: Rufy, Sabo…
Già, Sabo.
Istintivamente sfiorai con le dita il mio tatuaggio, quella S sbarrata che mi bruciava la pelle da quella che ormai sembrava un eternità: ma quanto tempo era passato?
Quei ricordi parevano così distanti che sembravano quasi appartenere ad un'altra vita, ad un'altra persona; mi riusciva ancora difficile credere che Sabo se ne fosse andato.
Un attimo prima era lì, e un attimo dopo semplicemente non c’era più.
Quel giorno, il giorno della sua morte, avevo creduto che non sarei più stato in grado di considerare come “fratello” nessun altro, che oltre a Rufy non mi sarei più legato a nessuno.
Forse, era stato anche per questo che avevo odiato così tanto Barbabianca quando mi aveva proposto di diventare suo figlio: che quel pirata sconosciuto di cui avevo intenzione di prendere la testa mi chiedesse con quella disinvoltura, senza nemmeno conoscermi, di diventare suo figlio, mi era sembrato un affronto verso ciò che ritenevo dovesse essere una famiglia ed, indirettamente, un affronto a ciò che c’era stato tra me, Rufy e Sabo.
Mi scossi da quei pensieri: Sabo era una ferita ancora aperta in me e, temevo, non si sarebbe mai richiusa.
Ma, in fondo, andava bene così: il dolore mi avrebbe impedito di dimenticarlo, e insieme a quella S sul mio braccio mi avrebbe ricordato che il mio primo dovere era proteggere le persone a cui volevo bene, la mia famiglia.
Abbassai lo sguardo su Mikami che fissava ancora le figure ormai lontane dei tre comandanti: famiglia che, da quel giorno, contava un membro in più.
Sentendosi osservata si voltò verso di me, mentre il suo sorriso lasciava il posto ad un espressione titubante e confusa davanti alla mia aria malinconica.
Le sorrisi, riponendo quei vecchi ricordi nell’angolo della mia mente a cui appartenevano e da cui io invece avevo scelto di recuperarli, mentre realizzavo che c’era una cosa importane che avrei voluto chiarire con lei.
Mi portai una mano alla nuca, grattandomi nervosamente il collo, mentre i miei occhi affondavano in quelli chiari e cristallini come l’acqua dell’oceano di Mikami:
“Senti, riguardo al combattere, forse mi hai frainteso: io n-“
“No, va bene.”
Mi interruppe con un sorriso sereno.
Spalancai gli occhi, confuso:
“Va… Bene?”
“Si. Se ho un motivo per farlo, allora va bene.”
 La osservai attentamente: gli occhi erano velati dalle lunghe ciglia dorate, le labbra erano rilassate in un sorriso lieve e delicato.
Per l’ennesima volta, mi sembrava di non capire: come era possibile che, così all’improvviso, ciò che l’aveva prima spinta ad abbandonare la Marina e poi a rifiutare di diventare un pirata, ora non le importasse più?
Provai a chiederglielo, cauto, calibrando attentamente ogni parola che usciva dalle mie labbra:
“Come mai hai cambiato idea, così all’improvviso?”
Socchiuse gli occhi, le sopracciglia appena corrugate, come se si stesse sforzando di pensare ad una risposta:
“E’ che… all’inizio, quando ti ho detto che non volevo più essere un marine, ero davvero convinta che non avrei mai più combattuto: avevo appena scoperto che voi pirati non eravate quei bastardi che vi dipinge la marina e quindi ritenevo di non avere più nessun motivo per darvi la caccia ma, dall’altra parte, non ritenevo nemmeno i marine i cattivi della situazione…
Quindi non avevo più nessun nemico contro cui lottare.
Solo che poi…
No, alla fine è stato sempre per questo motivo che ho attaccato gli uomini di Smoker quando stavano per arrestarti: sapevo che non sarebbe stato giusto, che non avevi fatto nulla.”
Fece una pausa: aveva sempre tenuto gli occhi bassi, come se il parlare le costasse molta fatica.
Rimasi in silenzio: solo per questo si era rivoltata contro Smoker, per rispettare il suo ideale personale di giustizia?
“Quindi, l’hai fatto perché non lo ritenevi corretto?”
Chiesi gentilmente, cercando di impedire ai miei sentimenti di trapelare dalla mia voce.
Mikami sollevò subito i suoi occhi nei miei:
“No!”
Esclamò, quasi allarmata:
“Cioè, voglio dire…”
Tornò a chinare lo sguardo, abbassando la voce, prendendo tempo:
“L’ho fatto senza pensarci, sapevo solo che non volevo che ti portassero ad Impel Down e che tanto, visto come stavano le cose, mi interessava ben poco di cosa sarebbe successo a me.
Quindi… L’ho fatto perché vederti così ferito faceva star male anche me, e quando ho provato a pensare a cosa sarebbe successo se qualcuno non avesse fermato Smoker sono stata ancora peggio.
Ho agito d’istinto, perché ero troppo confusa per riuscire a fare qualunque altra cosa.”
Per la verità non ero ancora totalmente soddisfatto di quelle spiegazioni, avevo la netta impressione che ci fosse ancora dell’altro dietro, ma di questo avremmo parlato dopo:
“E ora, cos’è cambiato?”
“Mh… Bè, innanzitutto ho parlato con Smoker.”
“E lui ti ha detto « Vai e unisciti ai pirati »?”
Sbuffò:
“Ma no, no, Ace! Però… E’ diverso da come tu credi che sia.
Ovviamente non mi ha detto di diventare un pirata, però non mi ha nemmeno detto di non farlo: mi ha dato una conferma che non mi stavo ingannando sul vostro conto.
E poi…”
Si interruppe, arrossendo.
“Cosa?”
Sbuffò, gonfiando le guance come una bambina che fa i capricci:
“E poi mi sono affezionata a voi! Va bene ora?”
Lo disse tutto d’un fiato, parlando velocemente, fissandomi negli occhi.
Esultai:
“Finalmente! Era così difficile dirlo?”
Non feci nulla per contenere il sorriso spudorato che si allargava sul mio viso:
“Era solo questo che volevo sentirti dire”
Arrossì:
“Mi hai lasciato parlare per mezz’ora quando volevi solo sentirti dire quattro parole?!”
Sogghignai, divertito dalla sua reazione:
“Non è colpa mia, sei tu che l’hai presa molto alla lontana”
Sbuffò, abbassando timidamente lo sguardo:
“Stupido pirata, mi sembrava che fosse logico…”
Feci spallucce senza smettere di sorridere, replicando tranquillamente:
“Non è che non lo sapessi, volevo solo che tu lo ammettessi.”
“Non sono brava con le parole. Preferisco i fatti…”
Si giustificò inclinando appena la testa per sbirciarmi, in viso un espressione tra il dispiaciuto e il timido.
“Me ne sono accorto…”
Commentai soprapensiero, osservando come sembrasse piccola ed indifesa con quegli occhi così grandi, mentre lei arrossiva alle mie parole ma, stavolta, non abbassava lo sguardo.
 
 

*

 
 
“Quindi, il tuo motivo per combattere siamo noi?”
Annuii, senza aggiungere una sola parola: avevo già parlato anche troppo per i miei gusti.
“Noi o io?”
Chiese Ace con un sogghigno seducente avvicinando il viso la mio: avvampai, arretrando di un passo:
“Egocentrico.”
Mugugnai, rossa fino alla punta delle orecchie, lasciando che i miei occhi sprofondassero nella stessa neve in cui affondavano i miei piedi.
Lo sentii sospirare rumorosamente:
“Io non nego che tu mi piaccia, perché tu continui a farlo?”
Smisi di respirare, sgranando gli occhi ed incrociando i suoi: mi guardava come se avesse appena detto la cosa più naturale del mondo.
Sbatté le palpebre, come confuso dalla mia reazione, inclinando appena la testa di lato:
“Cosa c’è?”
“N-niente”
Balbettai, le guance in fiamme, sentendo i suoi occhi neri e profondi bruciare i miei.
Io… sapevo che avrei dovuto dire qualcosa, ora che finalmente avevo le idee chiare, ma…
Oh, non sapevo cosa dire!
Impedii al mio sguardo di continuare a vagare da Ace ai miei piedi, sforzandomi di fissarlo negli occhi e di dire cosa pensavo:
“…”
Ma perché era così bello?
I capelli nerissimi ricadevano ribelli e ondulati ai lati degli occhi dal taglio affilato, anch’essi neri come l’ebano e ardenti come carboni, e incorniciavano il viso abbronzato e spruzzato di lentiggini fino alla linea morbida della labbra; faceva uno strano effetto vederlo così, a dorso nudo anche sotto la neve, con la collana rosso corallo che spiccava sui pettorali e gli addominali perfettamente definiti che facevano bella mostra di sé.
Deglutii: mi ero quasi scordata quello che volevo dire.
O meglio, quello che volevo dire lo sapevo, quello che non sapevo era come dirlo.
Eppure arrivati a quel punto non sarebbe dovuto essere difficile no?!
“Hey…?”
Mi richiamò, perplesso.
Sussultai, accorgendomi che il mio sguardo era di nuovo scivolato a nascondersi tra la neve caduta, tornando a fissarlo negli occhi:
“Io…”
Mi arresi, scegliendo per l’ennesima volta la via più facile, intrecciando le braccia al suo collo ed abbracciandolo forte.
Rise piano, ricambiando l’abbraccio:
“E’ il tuo modo per dire che mi vuoi bene?”
“Si.”
Mugugnai nascondendo il viso contro il suo collo, intrecciando le dita tra i suoi capelli corvini.
“Ace, mi sono innamorata di te”
Ammisi infine, scostando appena il viso per incontrare il suo sguardo, trattenendo il respiro.
Vidi le fiamme nei suoi occhi iniziare ad ardere con più forza, un secondo prima che le sue labbra si poggiassero sulle mie.
Mi rilassai, baciandolo a mia volta: era così caldo, che mi dimenticai completamente di essere su un isola invernale, in mezzo alla neve.
 

 Spazio autrice:
Signore mie, ce l'abbiamo fattaaaaaaaaaaaaaaaaaa XD
Sono stata cattiva e ve l'ho fatto sudare questo momento, spero solo di non aver deluso le vostre aspettative :)

E ora, passiamo alle cose serie: ormai, questa storia è alla fine!
Nel senso, io ho ancora un paio di scene in mente, ma ormai in 2-3 capitoli saremo alla fine...
A dire il vero sto pensando già ad un seguito (ma ancora ho le idee moooolto confuse), mentre ho avuto oggi la folgorazione per una fic comico demenziale, sempre con il nostro Ace come protagonista (ma ci sarà anche Mikami, anche se soltanto come pg secondario)...
Ah, ho fatto un account su deviantart: se cliccate sulla sfera vicino al mio nick andrete direttamente alla mia pagina.
Questo è solo per dire che siccome amo disegnare, non ho potuto fare a meno di fare qualche disegno sulla storia e che se volete lo trovate lì :)
A prestooo a tutteeee :*

 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Hell is open to heaven ***



L'ultimissima parte del capitolo è stata leggermente modificata! So che non è il massimo modificarla in questo modo, ma proprio non ho resistito.
ATTENZIONE! Preparatevi psicologicamente donne, questo è l'ultimo capitolo.
Lo so che avevo detto almeno altri 2: ma questo vale come 2 capitoli condensati in uno.
Ci sentiamo in fondo alla storia!


Hell is open to heaven


Mi allontanai appena dalle sue labbra, guardandolo in quegli occhi nerissimi e brucianti:
“Ace…”
“Si?”
Scossi la testa sorridendo:
“Mphf, nulla: mi piace il tuo nome.”
Scrollò le spalle con un sorriso luminoso:
“Anche a me”
Rispose con semplicità, mentre il suo sguardo saettava per un secondo sul tatuaggio sul suo braccio prima di tornare a fissarsi su di me.
Osservai a mia volta le lettere nere:
“E allora, perché c’è anche una S sbarrata?”
Domandai, curiosa.
In realtà mi stavo chiedendo se, quando si era fatto quel tatuaggio, non fosse stato così ubriaco da sbagliare persino il proprio nome (o se invece quello ubriaco fradicio fosse stato il tatuatore), ma mi trattenni dal canzonarlo: dopotutto quei segni neri sarebbero rimasti incisi sulla sua pelle per sempre, e quella S poteva anche non essere un errore.
“…
Non mi va di parlarne ora.”
Mentre lo diceva distolse lo sguardo che si era improvvisamente fatto triste e cupo, ferito e afflitto.
Non avevo mai visto Ace triste.
Mi morsi il labbro, pentendomi di aver posto quella domanda, abbassando gli occhi a mia volta; oltre che dispiaciuta, ero anche sorpresa: di solito dei due ero io quella che non voleva parlare mentre lui faceva di tutto per convincermi a sostenere una vera conversazione, continuando a fare domande finchè non mi ritrovavo costretta a dirgli tutto quello che voleva sapere.
Era… decisamente strano invertire all’improvviso i ruoli.
Fu proprio questo suo rifiuto al parlare che mi fece rendere conto che io, di lui, non sapevo proprio nulla: non sapevo dove fosse nato, chi fossero i suoi genitori, perché fosse diventato un pirata… non sapevo nemmeno quanti anni avesse!
Per la prima volta conscia di quanto poco lo conoscessi, mi sentii improvvisamente in imbarazzo:
“Ace, quanti anni hai?”
Chiesi tutto d'un tratto.
Il ragazzo spalancò gli occhi colto alla sprovvista, mentre una smorfia di stupore faceva capolino tra le lentiggini e sostituiva la tristezza:
“… Ventuno… Perché?”
Mh, ventuno.
Scossi la testa:
“Così, mi sono accorta che non lo sapevo.”
Risposi semplicemente.
In realtà, avrei voluto aggiungere che mi ero accorta di non sapere molte altre, troppe, cose di lui, ma mi trattenni: dopotutto, mi aveva appena detto chiaramente che non voleva parlare di sé o rischiava di perdere il buonumore, e nemmeno io volevo rovinare quel momento di felicità.
“Tu?”
“Eh? Ah si, gli anni: diciannove”
Ma Ace non mi stava già più ascoltando: i suoi occhi si erano improvvisamente fatti grandi e lucenti, scintillanti, e un enorme sorriso si allargava sul suo viso abbronzato da un orecchio all’altro:
“Il Babbo! Dobbiamo dire al Babbo che farai parte della ciurma!”
Sussultai: mi ero completamente scordata del Capitano.
Tremai, al pensiero di presentarmi al cospetto di Barbabianca: iniziavo ad abituarmi alla sua maestosa ed ingombrante presenza, ma una cosa era osservarlo da lontano quando era troppo intento a bere sakè per accorgersi di me, e tutt’altra cosa era andarci a parlare faccia a faccia!
 “…Sei sicuro che lui sia d’accordo? Dopotutto sono sempre un ex-marine.
E poi mi guarda sempre così male…”
Ace mi fissò per un attimo in silenzio, gli occhi grandi spalancati, perplesso: dopo un paio di secondi, scoppiò a ridere fragorosamente.
Lo guardai allibita e un pochino offesa: ma cosa c’era da ridere?
E c’era poco da prendermi in giro, mi sembrava decisamente normale avere almeno un briciolo di paura considerando che, in fondo, stavamo “solo” parlando dell’uomo più forte del mondo!
“Ahaha ma non ti guarda male, è solo il suo modo di osservare le persone!
E sì, sono certo che sarà d’accordo.
E poi, lui ti considera già come una figlia dalla prima sera che hai passato sulla Moby Dick, come noi del resto è da un bel po’ che ti consideriamo come parte della ciurma”
Concluse con un ampio sorriso.
Rimasi muta, senza sapere cosa dire, mentre sentivo un senso di calore espandersi nel mio petto: … come una figlia?
Che il vecchio Newgate considerasse come figli i suoi uomini lo sapevo già, ma sentire da Ace che considerava anche me come figlia era… strano.
Strano, ma uno strano molto vicino all’essere piacevole.
“Anche io la prima volta che ho realizzato cosa significasse essere figli di Barbabianca ho fatto quella faccia!”
Rise Ace, indovinando i miei pensieri.
“Mh si, è… strano.”
Affermai, pensierosa e appena confusa da quella sensazione.
“…E non dimenticare che da oggi in poi avrai anche un sacco di fratelli!”
Spalancai gli occhi:
“Fratelli… è ancora più strano.
Ma quindi… anche tu saresti mio fratello?”
“Certamente!”
“Mhh… no, non riesco a vederti come un fratello.”
Ace sgranò gli occhi, assumendo un espressione contrariata e imbronciata che lo fece assomigliare ad un bambino:
“Come no!?!”
“Ma dai, non posso pensare di baciare mio fratello!”
Ace sembrò colpito da quell’affermazione, distogliendo gli occhi dai miei e fissando il cielo, come se fosse immerso in profonde riflessioni.
Scoppiò improvvisamente a ridere, rumorosamente ed allegramente.
“E adesso cosa c’è?”
Domandai perplessa.
“Ahahah! Ho appena immaginato di-Ahahha! Mi immaginavo come sarebbe baciare Rufy!”
“Rufy?”
Chiesi ancora più confusa, inclinando la testa di lato: Rufy, tra l’altro, non sembrava nemmeno un nome femminile.
Rufy era un ragazzo?
Ma di cosa stava parlando!
L’unico Rufy che conoscevo io era Cappello di Paglia, ma non mi risultava affatto che i due si conoscessero: era probabile che Ace stesse parlando di un’altra persona, un omonimo.
Ace continuò a ridere forte, tenendosi la pancia con le mani, senza dar segno di volermi rispondere.
“Dai Ace, dimmi chi è Rufy!”
“Ahahah! E’ mio fratello no?”
Corrugai le sopracciglia, sempre più perplessa: ma fratello fratello, o fratello come Marco e Vista?
Ma non feci in tempo a chiederglielo:
“Te lo spiego un'altra volta: adesso torniamo alla Moby Dick e andiamo a parlare col Babbo!”
Disse afferrandomi un polso e mettendosi in cammino, continuando a ridacchiare.
“Dai, raccontami di Rufy! E’ nella tua flotta?”
Domandai, più curiosa che mai, mentre iniziavamo a camminare tra la neve verso la Moby Dick.
 
 

*

 
 
“Non sapeva chi era Rufy? Eppure la sua taglia è piuttosto alta”
“Alla fine, quando raccontandole di lui le ho detto che la Marina gli aveva affibbiato il soprannome di Cappello di Paglia, è venuto fuori che lo sapeva eccome chi era!
Anzi, sui suoi ultimi spostamenti era persino più informata di me: pare che quel vecchio Marine gli stesse dando la caccia la prima volta che ci siamo scontrati.”
Risposi, incupendomi mentre il mio pensiero andava a Smoker: ancora non mi andava giù l’essermi fatto battere in quel modo come un novellino, se non ci avesse pensato Rufy a dargli una  bella lezione l’avrei sicuramente fatto io, non appena le nostre rotte si fossero nuovamente incrociate.
“Sei preoccupato per lui?”
Interruppe i miei pensieri la Fenice che, dopo aver passato la giornata a terra, era rientrata alla Moby Dick.
“Ahh? No, scherzi? Rufy lo prenderà a calci nel culo senza tante cerimonie.”
Risposi sogghignando, certo che Smoker avrebbe trovato in quella piccola peste pane per i suoi denti.
Marco scosse la testa divertito, un sorriso rilassato ad increspargli le labbra:
“Ah, a proposito: tu e Mikami siete già stati a parlare col Babbo, no?”
Il mio ghigno si ampliò ulteriormente:
“Eccome se ci siamo stati! Ma dovrei portare più spesso Mikami dal Vecchio: dovevi vedere come era diventata docile e tranquilla!”
Marco rise:
“Non cambi mai, eh?”
Ridacchiai, pensando a come Mikami mi avesse chiesto, quando eravamo arrivati davanti alla cabina del Babbo, se dovevamo per forza entrare, guardandomi supplicante dal basso all’alto con un espressione che non aveva nulla da invidiare a quella dei condannati a morte che marciano verso il patibolo.
Per sua sfortuna, adoravo metterla in difficoltà: non aveva ancora finito di parlare infatti che le mie nocche stavano già picchiando contro la porta della cabina del Babbo.
 “Credo che il Babbo sia stato felice: in fondo, di figlie ne ha ben poche.
Ah, a proposito: stasera festeggiamo!”
Aggiunsi allegramente.
Del resto, ogni pirata che fosse degno di questo nome lo sapeva: ogni occasione era buona per fare festa.
 “Sì, Vista mi ha già informato”
Annuì Marco sorridendo, mentre ormai eravamo giunti alla sala mensa per cenare.
“Ace! Marco!”
Sia io che la Fenice smettemmo di camminare e ci voltammo, al suono della voce squillante e allegra di Mikami:
“Finalmente vi ho trovati, è da dieci minuti che vi cerco!”
Esclamò, fermandosi davanti a noi col fiatone:
“Dove credevi che fossimo a quest’ora? Fammi indovinare: ti sei persa.”
La canzonai con un sogghigno.
“Può essere…”
Rispose lei, quasi distrattamente, muovendo con noncuranza una mano come se stesse scacciando una mosca.
Un sorriso si dipinse sul suo viso:
“Guardate.”
Chinò il capo, iniziando a slacciare il primo bottone della camicetta nera.
I miei occhi si spalancarono: ma che diavolo…?
“Cosa stai facendo? Sappi che sono fortemente contrario ad una cosa a tre!”
Protestai confuso: sia lei che la Fenice scoppiarono a ridere, ma Mikami non sembrò darmi minimamente ascolto passando anzi al secondo bottone, mentre al mio fianco lo sguardo di Marco passava continuamente da lei a me, un sopracciglio sollevato e l’altro corrugato a conferirgli un espressione divertita ma perplessa.
Slacciato anche quel bottone, Mikami scostò i lembi della camicia, scoprendo la pelle chiara del petto tra le clavicole:
“Allora?”
Rimasi in silenzio, la bocca socchiusa per la sorpresa, mentre la osservavo: due ossa incrociate sovrastante dal teschio coi baffi a mezzaluna si stagliavano sulla pelle chiarissima.
“La Jolly Roger…”
 
 

*

 
 
“Noi siamo pirati ci piace perche la vita è fatta per noi yo ho yo ho!
la spada il corvo il mare, i veri amici di noi pirati yo ho yo ho!~ ♫”
 
La voce di Satch era la più udibile tra tutte mentre, ormai a sera inoltrata, la ciurma si esibiva in un tipico canto piratesco: ed erano anche incredibilmente intonati per essere così brilli!
E di certo, ancor più che intonati, erano terribilmente buffi: mi unii alle risate generali, mentre osservavo Satch che caracollava per la grande mensa continuando a cantare a squarciagola, alla ricerca dell’ennesimo boccale di rhum.
La risata tonante di Barbabianca (chiamarlo Babbo mi riusciva difficile, ci sarebbe voluto un po’ perché ci facessi l’abitudine) riecheggiava nella stanza tra un sorso di sakè e l’altro, sovrastando a tratti persino il coro dei pirati e le risate, e andando a contribuire alla confusione generale che ormai la faceva da padrona.
“Allora, com’è essere un pirata?”
Urlò Ace per farsi udire sopra quel gran chiasso, sistemandosi ancor più scompostamente di quanto già non stesse sulla panca al mio fianco.
“Divertente!”
Urlai a mia volta, ridendo, osservando Satch che dava il via ad un nuovo canto.
I comandanti – quello in quarta  escluso – sembravano essere gli unici ad aver conservato la propria lucidità: Vista si lisciava i lunghi baffi e sorrideva seraficamente di fronte a quello spettacolo che aveva definito “usuale”; Jaws (che avevo conosciuto soltanto qualche ora prima, e che mi metteva addosso una certa inquietudine a causa della sua imponente stazza e dell’aria burbera) continuava appunto a mantenere la sua solita espressione, scolando un boccale di rhum dopo l’altro senza tuttavia che l’alcool avesse su di lui il benché minimo effetto, mentre Marco si dondolava pigramente sulla sua sedia, sorridente e tranquillo.
Ace era più agitato del solito, ma dubitavo la sua agitazione avesse qualcosa a che fare con gli alcolici: più semplicemente tutta quella confusione e quell’allegria erano estremamente contagiose e anche io mi sentivo particolarmente euforica, tanto che era tutta la sera che Satch sperava (inutilmente) di riuscire a convincermi a cantare e ballare sui i tavoli assieme al suo gruppo di ubriachi.
 
“Cosa faremo con un marinaio ubriaco?
Cosa faremo con un marinaio ubriaco?
Lo metteremo a letto con la figlia del capitano!
Lo metteremo a letto con la figlia del capitano!~ ♫”
 
Risi nuovamente, mentre Satch si avvicinava a Marco cantandogli a squarciagola nell’orecchio e lui, colta alla sprovvista e sobbalzando per quell’improvviso attentato ai suoi timpani, perdeva l’equilibrio e rischiava di finire a terra.
 
“Questo è quello che facciamo ad un marinaio ubriaco! ~♥”
 
Continuò a cantare Satch canzonando l’amico, cercando di coinvolgerlo nei suoi folli festeggiamenti.
“Se riesce a tirare in mezzo Marco, avrai l’onore di assistere ad uno spettacolo più unico che raro!”
Disse Ace, osservando la scena con un enorme sogghigno che si allargava su tutto il viso e che, assieme alle lentiggini e i capelli ribelli, gli conferiva un aria ancor più malandrina del solito.
“Cioè?”
Domandai terribilmente incuriosita.
Il comandante in seconda mi sbirciò, una scintilla di furbizia che ardeva negli occhi neri:
“Marco ubriaco!”
Rimasi così stupita da quella risposta, che scoppiai a ridere fragorosamente:
“Ace, non prendermi in giro!”
“Ma non ti sto prendendo in giro! Però è uno spettacolo raro, io stesso ne sono stato spettatore soltanto un paio di volte… Ma è stato terribilmente divertente!”
Concluse sogghignando.
“Perché? Cosa ha fatto?”
Chiesi sempre più curiosa, per quanto la Fenice ubriaca continuasse a sembrarmi una visione estremamente improbabile.
“Non è stato tanto divertente quello che ha fatto lui, quanto quello che noi abbiamo fatto a lui!”
Rispose con quello che adesso era diventato un ghigno decisamente preoccupante:
“Hem… non sono più sicura di volerlo sapere”
Affermai: ero curiosa, sì, ma l’espressione malefica di Ace mi aveva convinta che non fosse il caso di indagare più da vicino.
Marco comunque, quella sera, sembrava deciso a non dare alcun tipo di spettacolo, e a Satch non rimase altro da fare che andare ad importunare qualcun altro.
“Peccato, ci eravamo andati vicini…”
Commentò Ace corrugando le sopracciglia dispiaciuto.
“Povero Marco…”
Risposi scuotendo la testa: doveva avere una pazienza davvero infinita per riuscire a sopportare quella banda di scalmanati.
“…ti assicuro che ne vale la pe-“
Ace non finì di parlare che crollò, finendo con la faccia nel proprio piatto.
“Ace? Ace?! ACE!”
“Niente di grave, soltanto uno dei suoi soliti attacchi narcolettici”
Sentenziò Vista senza scomporsi minimamente, sedando all’istante il panico che già iniziava a farmi battere forte il cuore:
“Ah… già, è vero….”
Sussurrai, rilassandomi: me ne ero completamente scordata che fosse narcolettico.
“E… come lo sveglio?”
“Di solito si sveglia da solo dopo qualche minuto”
Mi informò il pirata col cilindro.
“Hum… Capisco.”
Risposi non troppo convinta.
“Io conosco un metodo efficace per svegliarlo! ~♥”
Cantilenò Satch, comparendo all’improvviso alle mie spalle e facendomi sussultare.
Prima che io avessi il tempo di fare o dire qualunque cosa, vuotò sulla testa di Ace il proprio boccale di birra ghiacciata.
Rimanemmo immobili a fissare il moro: io troppo incredula per parlare e Satch in attesa di vedere i risultati del suo gesto, mentre gli altri comandati e alcuni membri della ciurma sghignazzavano assistendo a quella scena.
Dopo un paio di secondi Ace si rizzò a sedere all’improvviso, più sveglio che mai: si guardò intorno spaesato e, vedendo Satch con un enorme sorriso e un boccale vuoto, accorgendosi di essere fradicio d’alcool, fece due più due:
“Satch! Ti avevo detto di non farlo più! Questa è la volta buona che ti carbonizzo quel dannato ciuffo che ti ritrovi!”
Protestò a gran voce, iniziando a far scrocchiare le nocche delle mani.
“Ohi ohi calma Bella Addormentata! Prenditela con il tuo Principe, che non sembrava affatto intenzionato a svegliarti a suon di baci!”
Rise questo indicandomi, un attimo prima di dileguarsi tra la massa degli altri pirati nel momento esatto in cui pensavo di unirmi ad Ace e pestarlo come si deve.
“Con lui farò i conti domani mattina”
Sentenziò Ace in un borbottio:
“Che schifo, sono tutto appiccicoso. Ho bisogno di cambiarmi: vieni con me?”
Annuii, anche perché l’idea di rimanere da sola in balia di Satch e della sua banda di squinternati non era affatto allettante.
“La notte è ancora giovane: ci vediamo più tardi ragazzi.”
Disse Ace rivolto ai comandanti, alzandosi ed avviandosi verso la propria stanza subito seguito da me.
Un paio di minuti dopo, stavamo entrando nella sua cabina.
Mi resi conto che, ora che ero da sola con lui, iniziavo a sentirmi un po’ agitata: i ricordi di come era andata a finire la prima e unica volta che avevo messo piede in quella stanza, uniti al fatto che fosse notte inoltrata, certo non contribuivano a calmarmi.
“E quella?”
Chiesi indicando la bandiera pirata col picche, cercando di apparire disinvolta e contemporaneamente di distogliere la mia attenzione da quei pensieri.
“Ahh? Oh, sì, era la Jolly Roger della mia prima ciurma: prima di unirmi a Barbabianca, ero il capitano dei Pirati di Picche.”
“Pirati di Picche?”
“Già.
Altro che cambio d’abiti, ho bisogno di una doccia.”
Sentenziò con noncuranza, iniziando a slacciarsi la cintura.
Sussultai, arrossendo fino alla punta delle orecchie, mentre il mio livello di agitazione schizzava alle stelle.
“Stai bene?”
Domandò lui innocente, notando la mia reazione, evitando incredibilmente di punzecchiarmi.
“S-sì ma…Ora?”
Boccheggiai, senza sapere cosa dire, e rendendomi anzi conto che ciò che avevo appena detto non aveva un briciolo di senso.
Non si fece trovare impreparato, rispondendomi a tono con un sorriso affilato:
 “Se vuoi fare altro, basta chiedere”
Tossicchiai distogliendo lo sguardo, mentre le sue braghe finivano a terra e rimaneva in boxer:
“Non mi ci vorrà molto”
Asserì.
Non risposi, e non mi azzardai a sollevare lo sguardo fino a che non sentii scorrere il getto dell’acqua.
Solo allora sbirciai oltre i ciuffi della frangia che mi cadevano davanti agli occhi: Ace doveva essere entrato in bagno, lasciando la porta appena socchiusa.
Lasciai andare il respiro che stavo trattenendo, rilassandomi: quello stupido pirata proprio il pudore non sapeva cosa fosse.
Mi andai a sedere sul letto, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli, sospirando: forse affrontare Satch sarebbe stato più facile.
Mi era parso strano che Ace non avesse insistito a stuzzicarmi, filando immediatamente sotto la doccia: sussultai, rendendomi conto che ero quasi… delusa.
Il rumore del getto dell’acqua che si infrangeva contro le piastrelle del bagno attrasse la mia attenzione e involontariamente rivolsi lo sguardo alla porta appena sfessurata, attraverso la quale si intravedeva una piccola fetta della parete bianca.
In silenzio, trattenni di nuovo il fiato, concentrandomi sui rumori che da lì provenivano.
Rimasi in ascolto qualche istante, prima di scuotermi con un battito di ciglia dandomi della stupida: ma cosa mi aspettavo di sentire?
Sospirai: la stupidità di quel pirata mi stava evidentemente contagiando.
Mi sforzai di ignorare la porta socchiusa, che sembrava quasi invitarmi a sbirciare l’interno del bagno, tornando ad alzarmi in piedi con uno sbadiglio: mi ero appena accorta di esser stanca, gli occhi mi bruciavano, forse avrei potuto approfittare che Ace fosse impegnato per tornare nella mia cabina (che Vista si era gentilmente offerto di lasciarmi utilizzare finchè non avessi trovato una sistemazione definitiva) ed infilarmi a letto.
Mi girai, rivolgendomi verso la porta e facendo per andarmene, ma un rumore attrasse la mia attenzione: secco e brusco, seppur in parte coperto dallo scrosciare dell’acqua, ma ero certa di averlo sentito.
Tornai a guardare il dorso scuro della porta del bagno: ma che diavolo combinava Ace?
L’essermi posta quella domanda provocò una spiacevole conseguenza: nel provare ad immaginare cosa stesse combinando quel pirata, la mia fantasia si era
casualmente concentrata sull’immagine di lui nudo accarezzato dall’acqua bollente, proponendomi la scena in modo così chiaro e realistico che un forte senso di vertigine mi fece vacillare, mentre sentivo il viso andarmi in fiamme.
Cercai di scacciare quell’immagine fuori dalla mia mente, avventandomi sulla maniglia della porta e proponendomi di fuggire da quel maledetto pirata il più velocemente possibile.
Il contatto con il metallo freddo mi fece rabbrividire e mi portò a pensare che, se sotto le dita avessi avuto la pelle di Ace anziché la maniglia, l’avrei trovata bollente come il fuoco.
Scossi con forza la testa cercando di allontanare anche quel pensiero: stavo proprio delirando, qualunque corpo umano e ancora più in generale qualunque essere vivente sarebbe stato più caldo del metallo, Ace non centrava proprio un bel niente.
Anche se, in effetti, la sua temperatura corporea era sempre più elevata di quella di una persona normale, e questo avrebbe potuto giustificare il fatto che m- no!
Lo stavo facendo di nuovo!
Mi lasciai sfuggire un gemito esasperato, portandomi una mano alla fronte e stropicciandomi le tempie, spettinandomi i capelli: era inutile, non riuscivo a non pensarci.
Allontanai la mano dalla porta, voltandomi lentamente verso lo spicchio di bagno che riuscivo ad intravedere dalla mia posizione: eppure non avrei dovuto.
Non ero uno stupido spirata scostumato e senza il minimo senso del pudore, io.
Ignorai al vocina che nella mia mente si divertiva a farmi notare che, a volerla dire tutta, oltre che ad essere diventata un pirata mi ero anche piuttosto instupidita, a giudicare da ciò che mi ritrovavo a pensare.
E, sempre a causa dei miei pensieri, era anche facilmente deducibile che pure la mia innocenza avesse fatto le valige e fosse partita per una luuuuunga vacanza, da cui chissà se sarebbe mai tornata.
Scacciai malamente quella stupida vocina e tutti i pensieri che si era portata con sé: ma tu guarda un po’ se adesso dovevo anche mettermi a discutere con me stessa!
E poi io ero solo curiosa, l’essere o meno innocenti non centrava proprio nulla – o, almeno, questo era ciò di cui cercai di convincermi – .
Esitai: insomma, non avrei dovuto e lo sapevo.
Però… Oh insomma, non poteva chiuderla quella dannata porta?!
Almeno così sarebbe stato più facile convincermi che sbirciare non era una cosa carina da farsi.
Invece lasciata in quel modo, mezza aperta, con il vapore che uscendo si condensava in impalpabili volute… Dio, sembrava terribilmente un invito.
E in fondo… forse era ciò che voleva essere?
In punta di piedi, mi avvicinai alla porta, trattenendo il respiro.
Appoggiai le dita sul legno ruvido, facendo piano piano pressione:
“Ace?”
Chiamai titubante, per nulla sicura di ciò che stavo facendo.
“Iniziavo a temere che te ne saresti rimasta di là ad aspettare”
La sua voce mi fece sussultare, ma fu anche ciò di cui avevo bisogno per convincermi a farmi avanti, dando all’uscio una spinta più decisa.
I miei occhi incontrarono quelli scuri e fiammeggianti di Ace ma non feci in tempo a fare o dire niente: in un secondo mi ritrovai con la schiena contro le mattonelle fredde di marmo ed il suo petto bollente contro il mio, le sue mani che mi bloccavano i polsi sopra la testa e l’acqua calda che mi bagnava i capelli e scendeva lungo le guance.
Rimasi immobile, senza fiato, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui.
“Tutto bene?”
Domandò con un lieve sorriso, notando la mia reazione, mentre le sue labbra mi sfioravano l’orecchio e scendevano seguendo il profilo del mio viso fino ad arrivare ad accarezzare il collo.
Reclinai docilmente il capo facendo spazio alla sua bocca, mentre le sue mani mi lasciavano i polsi e si insinuavano sotto la maglia bagnata, lambendomi piano la schiena.
“Credo che lo prenderò come un sì”
Si rispose da solo con una lieve risata, un attimo prima che le sue labbra si appoggiassero sulle mie coinvolgendomi in un bacio lento e sensuale a cui mi abbandonai completamente.
Dopo quella che mi parve un eternità allontanò appena il suo viso dal mio, fissandomi con quegli occhi così intensi e caldi, afferrando i lembi della maglia e facendomi scostare dal muro per sfilarmela: lo lasciai fare, ipnotizzata dal suo sguardo e dal calore delle sue carezze che si andavano a mescolare con quelle dell’acqua bollente.
Le sue dita ricalcarono il profilo della mia gola, scendendo sul petto e tracciando il contorno della Jolly Roger, scendendo poi oltre il bordo scuro del reggiseno fino all’ombelico.
Socchiusi gli occhi, e per la prima volta da quando ero entrata nel bagno lo osservai davvero: i capelli bagnati erano di un nero ancora più intenso del solito e, appesantiti dall’acqua, ricadevano perfettamente lisci ai lati del viso e sul collo, incorniciando gli occhi scurissimi e bollenti; l’acqua scorreva sul suo viso, rigandogli le guance spruzzate di lentiggini ed insinuandosi tra le sue labbra socchiuse, scivolando giù lungo il collo e poi sul petto muscoloso, rendendo lucida la sue pelle abbronzata.
Trattenni il fiato, osservando incantata come quella cascata di piccole gocce corresse lungo i suoi pettorali, scivolasse lungo gli addominali tesi e definiti, gli accarezzasse il bacino e le lunghe gambe muscolose.
Notò il mio sguardo e, perdendo la calma che aveva mantenuto fino ad allora, mi spinse nuovamente contro il muro, mentre le sue labbra cercavano le mie in un bacio decisamente più selvatico ed impaziente del precedente.
Mi lasciai sfuggire un gemito contro la sua bocca e gli circondai il collo con le braccia, stringendomi a lui, avvertendo chiaramente un brivido d’eccitazione scuotermi mentre il suo petto aderiva al mio, pelle contro pelle.
La sua mano scivolò sui glutei, passando ad accarezzandomi una coscia e sollevandomi appena la gamba, le sue dita che premevano sulla pelle e si insinuavano nell’incavo del ginocchio, strappandomi l’ennesimo gemito.
“Stavolta ti scotti davvero, sai?”
Sussurrò di nuovo al mio orecchio, con voce calda, carica e sensuale.
Decisi che, a quella frase, stavolta non potevo non rispondere:
“Lo so, me l’hai detto anche l’altra volta che a giocare col fuoco ci si scotta…”
Ansimai, mentre mi mordeva il collo procurandomi altri brividi:
“Sai che detto conosco io invece?
« La bambina che si è scottata ama il fuoco »”
 
 
Spazio autrice:
Signore, 24esimo e ultimo capitolo!
Lo so che questo, come finale, sembra un po’ lasciato in sospeso, ma cosa ci volete fare a me piacciono i finali aperti :)
Poi proprio un finale non è, mi sto già scervellando sul seguito!
Giusto per essere precisi, questo è l’unico chap che non ha come titolo la frase di una canzone, ma è una frase di Blake.
E l’ultima battuta di Mikami è invece un aforisma di Oscar Wilde (lo amo dal profondo del cuore!).
Ah, lo so che in realtà nell’anime Ace ne aveva 20 di anni, ma non mi piacciono i numeri pari nell’età (lo so, devo farmi curare XP), e quindi li ho fatti diventare 21: tanto non ho mai seguito la linea cronologica di One Piece nella storia, un anno in più o uno in meno non fa la differenza.
Detto questo… ringrazio tutte voi fantastiche ragazze che avete seguito, ricordato, preferito nonché recensito o solo letto: grazie a tutte ç_ç
Un bacione,
Miyuki
P.S.: sto scrivendo anche il seguito della storia se siete interessate, il titolo è "When the moon rises", la trovate tranquillamente nel mio profilo (vi metterei il link, ma sono troppo imbranata, perdonatemi ^^')
 

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