More than a feeling.

di CinderNella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10. ***
Capitolo 12: *** 11. ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 16: *** 15. ***
Capitolo 17: *** 16. ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** 19. ***
Capitolo 21: *** 20. ***
Capitolo 22: *** 22. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
La musica natalizia risuonava per le affollate strade londinesi, colme di persone affaticate che tornavano da lavoro, o che si dilettavano con le compere natalizie dell'ultimo o primissimo minuto.
Era il periodo migliore per i commercianti della capitale, in cui bastava poco a convincere la gente che quello era il regalo giusto.
Il campanello della libreria suonò un'altra volta: quei giorni era così usuale.
Anche se generalmente trillava ben poco, e si poteva passare tranquillamente la mattinata a sonnecchiare.
«Buon pomeriggio, desidera qualcos—a? Oh, salve.» non si aspettava clienti famosi, però era anche vero che pure loro necessitavano di compere natalizie.
Ed era stata davvero poco professionale a far notare che aveva riconosciuto chi fosse il prestante ragazzo dai fluenti capelli castani, e non avrebbe dovuto.
Anche se quello avesse dovuto significare evitare di ammettere di aver servito Ben Barnes al lato di se stessa che lo adorava.
«Ehm, sì, un libro.»
«Bé, siamo in una libreria...» l'emozione la stava facendo anche riferire ovvietà al perfetto -o quasi- sconosciuto?
L'attore ridacchiò: «E anche su questo hai ragione. Un libro del '93, di Sebastian...»
«Faulks? Birdsong, quello del tuo spettacolo in scena?» Dio, stava facendo la figura della perfetta idiota.
«Sì! Grazie!» Ben parve sinceramente sorpreso.
«Di cosa? Io non ti ho ancora preso il libro.» ribatté accigliata la ragazza.
«Bé... sono certo che lo farai!» le sorrise «E poi è perché lo sai. E mi hai riconosciuto... Mi sembra strano ecco.»
«Bé, sei una star parecchio famosa, difficile non riconoscerti, eh. E poi... sono una tua ammiratrice. E amo profondamente le Cronache di Narnia.»
«Anche io. Anche se sono rimasto un po' deluso dal finale, a dire il vero» Ben fece spallucce.
«Io no, assolutamente! Era così che doveva andare a finire. E anche se triste...» non ci poteva credere.
Era di fronte ad uno dei suoi attori preferiti e stava piangendo per la fine di una delle sue saghe preferite davanti a lui.
«Ehi... ehi! Facciamo una cosa, compro anche una copia delle Cronache.»
«Come?» la ragazza tirò su col naso, ritornando perlomeno presentabile.
«Sì. Hai una penna?»
«Eccola» gliela porse «Se vuoi ho anche un biglietto regalo, te lo compro io, questa scena è stata parecchio incresciosa...»
«Assolutamente, niente biglietto» le sorrise «A... qual è il tuo nome?»
«Elena.»
«Ad Elena, profonda estimatrice della saga, che sarebbe stata adorata da C. S. Lewis se solo lui l'avesse conosciuta. Con affetto, Ben.» il ragazzo terminò di scrivere e le diede indietro la penna.
«Ma... cosa?...»
«Questo è il mio regalo di Natale per te. Il minimo che possa fare!»
«Ma nemmeno mi conosci... E non posso accettare una cosa del genere, insomma...»
«Ehi» la guardò negli occhi, posando una mano sulla sua mentre quella si agitava in tutti i modi «Semplicemente grazie, anche del tuo supporto “a distanza”. Io devo solo ringraziare i miei fan. Pensa che sei una persona fortunata, tutto qui.»
«Okay.» si sarebbe stata zitta pur di serbare quel momento come ricordo in lei per il resto della sua vita «Trentanove sterline in tutto. Vuoi la versione economica, vero?»
«Delle Cronache non penso lo sia, quella dove ho scritto.» le sorrise, porgendogliela.
«Bé, comunque non ce ne sarebbero state altre, di quella saga. Abbiamo solo una versione qui.»
«Meglio così, non avresti potuto fare storie» la prese in giro, sorridendole nuovamente.
Elena non sarebbe arrivata viva a fine giornata, assolutamente no.
«Trentanove sterline, arrivederci e grazie!» gli porse lo scontrino e ricevette i soldi «Ah giusto, pacco regalo?»
«No grazie. Bé no, per le Cronache sì.»
«Vedi che lo faccio io. Mi faccio il pacco regalo per poi scartarlo stasera?»
«Perché no? È una cosa inusuale. Sì, desidero il pacco regalo.»
«Okay.» la ragazza fece spallucce ed eseguì, porgendogli poi il libro «A lei.»
«Oh, grazie.» il ragazzo fece per andarsene e poi tornò davanti a lei «Grazie per essere mia fan. E grazie per la piacevole chiacchierata e per avermi servito impeccabilmente. Questo è per ripagarti.»
La ragazza scoppiò a ridere, di gusto: «Grazie a te!»
«Buon Natale, Elena!» ora gli rimaneva solo da tornare a casa da suo fratello.
«Ben?»
Si voltò, vedendo la commessa aver lasciato la cassa.
«Sì?» Elena corse ad abbracciarlo: «Quando mi ricapita di incontrare uno dei miei idoli, poi. Buon Natale!»
Il ragazzo arrossì: «Grazie ancora, davvero!» ed uscì.
Era dannatamente sincero quando diceva di sentire quelle attenzioni dalle fan immeritate, lui non se le aspettava... davvero.

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Capitolo 2
*** 1. ***


1.
Non era propriamente solita amare il Natale.
Generalmente, la considerava solo una festa consumistica.
Ma in quel periodo, quel Natale... avrebbe volentieri fatto a meno di qualsiasi impegno, di ogni tipo.
Avrebbe solo voluto prendere una confezione gigante di biscotti, una coperta, un buon film e passare le vacanze a piangere a dirotto.
Magari anche  un film pessimo, con una regia pessima e degli attori pessimi.
Bastava che la lasciassero piangere in pace.
«Sono due sterline e sessanta, signorina.» Dove diavolo erano quei cinque penny?
«Ehm, un attimo...» la commessa la squadrò spazientita, mentre cercava nella borsa il porta-spiccioli.
«Signorina... sta bloccando la fila...» Dio, quant'erano scorbutici i camerieri in periodo natalizio! Anche se le piaceva non poco Starbucks, doveva ripromettersi di non andare più sotto Natale.
In quel periodo, ogni luogo pubblico era invivibile, erano tutti troppo impegnati a preoccuparsi di fare più soldi e guadagnarsi più clienti, anche tramite la smania della gente di andare in giro e fare compere per i regali.
«Dove diavolo—
Fu interrotta dal colpo di tosse della commessa, che era arrivata a guardarla in cagnesco.
«Senta, io sono buon—
«Pago io per la ragazza!» Keira si voltò, stupita, verso la calma voce tipicamente inglese che aveva sentito dietro di lei.
Il ragazzo che doveva pagare solo un caffè americano –o almeno pensava fosse quello, anche se da Starbucks non era mai solo quello– non era propriamente sconosciuto.
Non che lei lo fosse, anche se cercava di mimetizzarsi al suo meglio, con il cappuccio, gli occhiali e le converse.
Lui invece si riconosceva perfettamente da lontano: Ben Barnes le stava offrendo un muffin al cioccolato.
Non cercava di nascondersi nemmeno un po'? Gli piaceva essere riconosciuto e paparazzato, per caso?
«Mmh, grazie.» rispose lei, aggiustandosi gli occhiali sul naso e prendendo il suo muffin.
Non aveva particolarmente voglia di intrattenere nuove relazioni sociali, ma le aveva offerto del cibo e senza nemmeno conoscerla.
Stava approcciando?
Magari era semplicemente gentile. Con gli sconosciuti. Con le ragazze sconosciute.
Alzò gli occhi al cielo: ogni tanto la sua mente doveva stare davvero zitta.
«Ho trovato i cinque penny» li tirò fuori dalla borsa: Ben scoppiò a ridere.
«Hai soldi sparsi per la borsa di Mary Poppins?»
«Ehi, insinui forse che è troppo grande?!» stava scherzando con un perfetto quasi-sconosciuto?
«Noo, davvero. Ci andrebbe solo una casa dentro.» rispose lui, mascherando una risatina con un colpo di tosse.
Keira lo guardò male, sedendosi ad un tavolino.
«Credevo fosse d'asporto. Il tuo muffin intendo. Non hai propriamente la faccia di una filantropa, devo dire.» continuò Ben, affiancandola al tavolino.
«No, infatti. Però voglio ancora deliziare la commessa della mia presenza» guardò la ragazza alla cassa –che li stava squadrando senza alcun ritegno– e le sorrise acida.
Ben rise di nuovo: «Immagino»
«Tieni.» gli porse i penny.
«Non ti preoccupare.» Keira lo guardò con un sopracciglio alzato: non ci stava provando, vero?
Perché era appena uscita da una relazione di cinque anni, era stata mollata, non aveva la minima intenzione di...
«Ho già preso le due sterline e cinquantacinque.» spiegò lui, facendo spallucce.
Non aveva alcun doppio fine; lo guardò allibita, poteva davvero essere così tirchio? Aprì la bocca in un sorriso, che non poté evitare di estendersi a risatina nervosa e poi a grassa risata.
«Cosa c'è?»
«Nulla.» rispose lei, facendo spallucce «Sei semplicemente spilorcio.» aggiunse a voce più bassa.
«Come?! Ti ho offerto la colazione e mi ripaghi così?!» ribatté lui, con la bocca aperta.
Aveva davvero un'espressione ebete.
«Ma dai, mi hai offerto cinque penny!»
«I cinque penny della discordia, quella commessa ti avrebbe mangiato!»
«O scusa, messere, tieni anche il mio muffin, mi hai offerto cinque penny!» esclamò lei, con il suo stesso tono: gli piantò metà muffin davanti al viso, e quegli ebbe il coraggio di morderlo.
«Sei assurdo.» scosse la testa, sorridendo.
«È buono!»
«Starbucks.» rispose lei, come se quel nome avesse dovuto spiegare tutto.
«Comunque sono Ben.» le porse la mano da sopra il suo caffè.
«Keira.» la prese e la strinse.
«Piacere di conoscerti!»
«Tutto mio» morse di nuovo il muffin: era davvero buono.
Forse Ben Barnes le stava facendo rivalutare la compagnia umana di Natale.
«Sai, sei la prima persona tranquilla con cui parlo, nel periodo natalizio.»
«Perché sono calmo, pacato, e ho già comprato tutti i regali da un pezzo.» spiegò lui con nonchalance.
«Come?! Io nemmeno uno. Non so nemmeno se li farò.»
«Perché? Rinneghi il Natale?»
«Semplicemente non è un bel periodo per me e non voglio festeggiarlo.» fece spallucce «Ma penso che almeno con la mia famiglia dovrò.»
«A me piace il Natale in famiglia.» aggiunse lui dopo qualche secondo: era rimasto solo per farle compagnia, il caffè era già finito da un po'.
«È bello finché sai che Babbo Natale esiste. Poi è uno sfascio.»
Ben scoppiò a ridere: «Non credi più nella magia del Natale?»
«Non la sento, come faccio a crederci? È come quando ti fermano per strada i testimoni di Geova e cercano di convincerti al loro credo: puoi metterci tutta la buona volontà che vuoi, ma se non senti la fede non ci crederai mai.»
«Oddio, discorsi filosofico - religiosi delle nove di mattina?!» Ben si alzò non appena lo fece anche Keira, che raggiunse la porta.
«Perché no» fece spallucce nuovamente «giorno o notte, non mi importa. Tanto non lavoro fino a Gennaio comunque.»
«A-ha, io finisco il quindici.»
«Gennaio?»
«Sì, non so quando continuerò.»
«A teatro vero?»
Ben annuì: sembrava tanto schivo a parlare del suo lavoro.
Aveva per caso trovato qualcuno che voleva essere considerato come una persona normale, quando faceva nuove conoscenze?
«Sigaretta?» gli porse il pacchetto.
Prima che Rupert la lasciasse stava cercando di smettere... c'era quasi riuscita, ma quando se n'era andato di casa aveva fatto fuori tre pacchetti in tre ore.
«No, grazie. Ho smesso da qualche anno, non vorrei ricominciare.» rifiutò, sorridendole.
«O, quanta forza di volontà.»
«Ho visto gente morire di cancro ai polmoni per il fumo, fidati, è denaro sprecato.»
«Ed ecco lo spilorcio che ritorna all'attacco...» si accese la sigaretta, aspirando «Comunque lo so. Se stessi meglio non avrei neanche il pacchetto in borsa. Mi riprenderò e ritornerò a fumarne una a domenica.»
«Lo spero per te.»
«Vai verso Mayfair?»
«No, a casa. Mi ha fatto piacere conoscerti, Keira.» le porse la mano nuovamente.
«Anche a me... ci si vede!» la strinse e si allontanò dalla parte opposta, fumando la sua sigaretta e pensando al fatto che molto probabilmente non l'avrebbe rivisto mai più.
Ma forse, per quel tempo, era meglio così.
 
Tornò a casa e gettò le chiavi nella ciotola che si trovava sullo scrittoio appena a destra della porta.
Nizza era troppo lontana, di certo non avrebbe voluto lasciare il suo paese per andare a vivere lì definitivamente.
Prese il cellulare e compose un numero che, per quante volte l'aveva digitato, oramai l'aveva imparato a memoria. Selezionò l'opzione viva-voce, lo posò sullo scrittoio e attese una qualche risposta.
«Ehi, Keira! Non mi aspettavo proprio una tua chiamata!...» udì una voce femminile di sottofondo: sperò davvero per lui che fosse solo una scappatella, perché se era l'amore della sua vita –o almeno, lo trattava da tale– lo avrebbe ammazzato.
«Senti, io ho intenzione di traslocare. Devi prendere alcune cose di qua? Io da domani inizio a cercare casa, ma a breve vado da mia mamma. Se hai bisogno, conosci il mio numero, e se devi prendere qualche mobile, puoi mandare la ditta. Arrivederci, Rupert.»
«Buona giornata...» chiuse la chiamata, guardandosi intorno e legando i capelli.
«Casetta, a noi!» riprese le chiavi ed aprì la porta: era certa che nella cantinola del palazzo ci dovessero essere dei cartoni inutilizzati, ed era proprio quello di cui aveva bisogno in una giornata piena di nulla come quella.
Avrebbe passato tutto il tempo da lì a Natale a raccogliere tutte le sue cose negli scatoloni e sistemarle in auto, per iniziarle a portare a casa dei genitori: almeno finché non avesse trovato un'altra sistemazione.
Dopotutto si suol dire “Anno nuovo, vita nuova”... lei l'avrebbe cominciata con una nuova casa!
 
«Sei ancora a casa?» lasciò cadere le chiavi sul mobiletto accanto alla porta, ricevendo un mugugno come risposta «Mattiniero.»
«Mh... Non hai le prove?» il viso paffuto del fratello sbucò dalla porta della cucina, e la sua presentazione non smentiva l'ipotesi di Ben: s'era davvero appena svegliato.
«Infatti sto per andarci. Volevo giusto passare a salutarti.»
«Che amabile fratellino!» lo punzecchiò lui, alzando un sopracciglio e tornando sui fogli che stava leggendo prima che arrivasse.
«Che cos'è?» Ben si mise a leggere prima che potesse ricevere il permesso: «Ehi! Giù le zampe, lo leggi dopo, ora vai a lavoro che è l'ultima prova oggi!»
«Sissignore!» alzò gli occhi al cielo, prendendo un biscotto e scuotendo la testa: si riappropriò delle chiavi ed uscì di casa, dirigendosi verso le scale.
Aveva fatto fuori tutte le pentole, posate, i piatti, le coppette e le tazze. Strofinacci, presine e tovaglie non erano più nel loro posto, gli apribottiglie nemmeno ricordava dove li avesse lasciati.
Si asciugò il sudore della fronte con la manica della sottile maglietta di cotone che indossava: doveva avere il termosifone a mille, oppure si stava semplicemente muovendo troppo per sudare così tanto a dicembre.
Chiuse tutti gli scatoloni che occupavano il centro della stanza e li lasciò nel mezzo, iniziando a dedicarsi alla camera da letto: avrebbe lasciato nell'armadio due o tre abiti da portare all'ultimo momento nella nuova casa, quando sarebbe stata sicura che era tutta sua e poteva farci quel che voleva.
Era stata impietosa nei confronti della maggior parte dei suoi vestiti, li aveva gettati tutti in grandi scatoloni alla rinfusa: sua madre, vedendoli, si sarebbe prima messa le mani tra i capelli e poi le avrebbe urlato contro così forte che tutti i vicini si sarebbero spaventati; accese lo stereo e prese un CD dei Cranberries che aveva trovato sul comodino.
Voleva solo alzare il volume al massimo, mettere in ordine e cantare a squarciagola.
Ma dopotutto, era quello che faceva da qualche settimana a quella parte.
Contemporaneamente metteva in diversi scatoloni soprammobili, CD e vestiti. Solo lei avrebbe capito con quale ordine li stesse “catalogando” — sempre che ve ne fosse uno.
Il telefonino squillò e non tardò a rispondere: era Sienna.
«Tesoro, come stai?»
Sentì in sottofondo qualcuno che tirava su col naso: «Keira? Tu stai bene?»
«Sì, perché? Un attimo, stai piangendo?»
«Ci siamo lasciati di nuovo, e definitivamente. Gesù, volevo solo che lo sapessi prima di tutto il mondo dai giornali...»
Keira lasciò tutte le cose che aveva in mano all'istante: «Oddio, come stai? Dove sei, che stai facendo?»
«Sono in aereo, sto tornando in Inghilterra. Hai un posto per me a casa tua?»
Keira emise un sonoro segno di scherno: «Puoi scommetterci. Solo che sto impacchettando tutto per andare a stare dai miei, ti va bene comunque?»
«Stare in famiglia? Non hai idea di quanto ne avrei bisogno. Sono sull'aereo, sto per decollare, devo spegnere. Ci sentiamo quando atterro, vengo direttamente a casa tua!»
«D'accordo, stammi bene! Non ascoltare musica depressiva...» ma aveva chiuso ancor prima che l'amica terminasse la frase.
Erano un bel problema, i maschi.

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Capitolo 3
*** 2. ***


Questo capitolo è tutto per musicsavedme che vuole sempre che aggiorni <3

2.
Era distrutta. Forse l’aveva vista così male soltanto dopo la prima volta che s’erano lasciati, perché aveva subito un pesante tradimento da qualcuno che aveva davvero amato con tutta se stessa, qualcuno che aveva accettato con il pacchetto famiglia, figli di un’altra moglie compresi. E aveva cercato di voler loro bene come se fossero suoi. Ma in cuor loro, entrambe le amiche sapevano che il legame dei due, dopo quell’avvenimento, si era inevitabilmente incrinato. Fino a rompersi definitivamente alla comparsa del più piccolo problema di coppia.
Con i drammi dell’amica non aveva proprio pensato ai suoi, e di questo ne era grata: avrebbe preferito soffrire da sola, senza che dovesse farlo anche Sienna con lei.
Inoltre il Natale era ampiamente dimenticato da un po’ di giorni, e l’atmosfera festosa che nessuna delle due poteva condividere non le infastidiva più: anzi, la utilizzarono non per fare compere natalizie, ma per cercare una casa accettabilmente lontana da Hyde Park per Keira.
E la trovarono: una meravigliosa struttura del diciottesimo secolo, a due piani, nella zona est di Londra. Molto elegante, antica, e costosa; si poteva però permettere quello sfizio, e contrattare un prezzo accettabile per una maestosa casa in mattoni rossi con cortile che dava sul retro, nel quale avrebbe potuto gustarsi adorabili tè pomeridiani estivi.
Sienna l’aveva aiutata con l’arredamento d’epoca –perché, a detta sua, “Una casa del genere non poteva che essere arredata secondo i dettami dell’epoca” e Keira non avrebbe dovuto “azzardarsi a portare quei suoi marci mobili moderni che occupavano l’altra casa in una struttura imponente come quella”– ricordandosi però che si trovavano nel ventunesimo secolo, e che quindi lampade ad olio erano fortemente sconsigliate, a meno che non venissero prese in considerazione come pezzo d’arredamento e non nella loro prima funzione di qualche secolo addietro.
Probabilmente la vecchia Keira avrebbe considerato una scelta del genere azzardata, una spesa troppo elevata… ma non si concedeva mai piaceri del genere. E quella casa le piaceva sul serio, soprattutto aveva necessità di allontanarsi dal caos della città e dal luogo che aveva abitato per i precedenti quattro anni.
E tra la promozione di film e spettacoli teatrali a cui avrebbe preso parte a breve, la compagnia dell’amica che aveva ripreso a lavorare in modo costante in città e la nuova casa, la sua vita non sarebbe potuta andare meglio.
La madre era contenta della svolta che aveva deciso di dare alla sua vita, e lei non poteva che essere felice della sua approvazione: si sarebbe risollevata nel migliore dei modi.
Volteggiando beatamente tra i mobili d’epoca della cucina, si diresse verso il telefono: molto poco settecentesco, ma comunque antico. Compose il numero dell’amica, attendendo una sua risposta «Sienna? Vieni con me a teatro, stasera?»
«Ehi Keira! Sì, volentieri, non ho spettacoli stasera! Dove?»
«Comedy Theatre, uno spettacolo tratto dal romanzo ‘Birdsong’ di Sebastian Faulks. Dev’essere interessante, mi hanno regalato i biglietti dei vicini che ancora non erano venuti a farmi visita. Non capisco perché si presentino in tanti.»
«Forse – ed è solo la mia umile ipotesi – perché sei Keira Knightley? Comunque che gentili, ci sarò! Passo da te alle otto! Ciao tesoro!»
«Au revoir, cara!» chiuse la chiamata ed oltrepassò quella saletta che aveva adibito a cinema –di nascosto dall’amica, che pensava ancora fosse un deposito– per arrivare al piano superiore. Probabilmente, far scegliere a Sienna l’intero arredamento della casa non era stata un’ottima idea: non nella sua camera. I mobili che la occupavano erano troppo scuri per i suoi gusti... ma almeno la cabina armadio –in realtà era una stanza vera e propria accanto alla sua camera da notte–  l’aveva arredata a suo piacimento.
Si sedette su uno sgabello dopo aver aperto l’armadio degli abiti eleganti ed averli osservati per un po’: sapeva chi avrebbe visto sulla scena quella sera. E se avesse voluto essere sincera con se stessa avrebbe anche ammesso che le faceva piacere, perché voleva vedere come recitava e soprattutto le interessava rincontrarlo.
Squadrò il contenuto dell’altissimo armadio dal primo all’ultimo abito: poi guardò il suo stesso colorito ed optò per un semplice tubino nero, che non avrebbe dato troppo nell’occhio, e sarebbe anche stata comoda. Poi, come se non si fosse fatta tutti quei problemi per scegliere uno stupido vestito, scese al piano inferiore a guardare un po’ di tv e mangiare dei popcorn.

Sentì bussare alla porta e, pronta ad uscire, prese chiavi, borsa e lasciò la casa: «Non ci credo, non ci hai fatto aspettare mezz’ora!» udì la voce di Sienna da dentro l’auto, e sorrise tra sé e sé, per poi entrarvi, salutare l’autista del taxi e risponderle faccia a faccia: «Semplicemente ero già pronta!»
«Incontro galante che mi nascondi, Knightley?» l’amica alzò maliziosamente un sopracciglio, arrotolando il boa piumato attorno al collo.
«Io?! Ma ti sei vista? Tu sembri scesa da un palco anni venti! Ti manca solo la retina del cappello sul viso e sei di altri tempi!»
«Mi adeguo alla situazione, donna!» ribatté quella, sistemandosi più comoda sul sedile ed osservandola con uno sguardo di superiorità.
«Cosa c’è?!»
«Mi nascondi qualcosa.»
«Nulla!»
«Sì, certo!»
Keira evitò di ribattere, per non far sì che l’amica continuasse a battere ferro su quell’argomento, iniziando a parlare con l’autista che da qualche tempo a quella parte le accompagnava nei loro giri in città: non aveva mai capito la mania dell’amica di farsi accompagnare da un autista.
«Non vorrei essere cattiva con Todd, ma... come mai sei fissata con l’avere un autista? Non ti piace guidare?»
Sienna alzò gli occhi al cielo: «Gesù, Keira, non ti ricordi che fino a due anni fa non ero riuscita a prendere la patente?!»
«Oh, è vero! Scusami!» fece per abbracciarla, ma l’amica scosse la testa, facendo l’offesa: «Sei insensibile!»
Anche l’autista scosse la testa, sorridendo, e Sienna prese a tirarlo in questione: «Di’, Todd, cosa volevi dire?»
«Nulla, signore!» sorrise lui, lasciandole davanti al teatro in perfetto orario «Mi mandate un messaggio quando posso tornare a prendervi?» lo chiese direttamente a Sienna, che assentì con calore: «Todd se mi dai un’altra volta del voi ti mangio!»
«L’importante è che mi paghi!» ribatté lui, azzardandosi a risponderle per le rime.
«Ah! Scherzi anche! Cominciamo bene.» gli rivolse uno sguardo malizioso e lo salutò con una mano. Poi raggiunse l’amica che cercava i biglietti nella borsa.
«S, flirti con l’autista?»
«Cosa?!» la ragazza cadde dalle nuvole, e la seguì nel teatro: poco dopo scoprirono che sarebbero spettati loro dei posti nel primo palco, in galleria, e si sarebbero trovate il palcoscenico immediatamente a destra: il torcicollo era assicurato.
Keira camminò a passo sicuro verso il suo posto: conosceva benissimo quel teatro, ci aveva recitato qualche mese prima e non solo, era come una seconda casa per lei. Sienna, nel frattempo, le trotterellava dietro: «Ma dove stai andando? Perché ci comportiamo come delle asociali e ci sediamo subito ai nostri posti?! Ma poi chi ti ha dato questi biglietti, manca poco e vediamo anche il dietro le quinte! Si sono sprecati a comprarteli...»
«S! Ferma la radiolina!» esclamò l’amica, posandole una mano sulla spalla «E ti piace Todd!»
«Non è vero!» la ragazza arrossì immediatamente, iniziando ad inventare tantissime scuse sul perché si comportava così sfacciatamente con il ragazzo.
«Ma non devi giustificarti, è un bel ragazzo! Solo che ha un po’ una fidanzata.»
«Quando si parla di fidanzate di troppo.» sbuffò Sienna, posandosi con i gomiti sul muretto del palco.
Keira sorrise: «Farò finta di non aver sentito nulla.»
Non poterono continuare il discorso, poiché tutta la gente aveva preso posto e le luci iniziavano a calare. Chissà se avrebbe apprezzato lo spettacolo tanto quanto il libro.

Non appena il sipario si chiuse sull’ultima scena, cercò un fazzoletto per asciugarsi le lacrime: se le avessero anticipato che avrebbe pianto per la messa in scena di quel libro non ci avrebbe creduto. Ma la sceneggiatura era stata ottima, le musiche altrettanto, la recitazione superba. Quando Elizabeth diede il nome di John al figlio aveva iniziato a piangere indegnamente, non riusciva nemmeno lei a capire perché, ma le dava una sensazione di giustizia. Tristezza, perché Isabelle e Stephen non avevano avuto la loro felicità, ma contentezza dopo che Elizabeth ebbe saputo tutta la verità.
«Keira, tutto bene? Come mai questa reazione?» Sienna aveva gli occhi sgranati e la mano al cellulare: doveva già aver avvisato Todd.
«Non lo so! Però prima di andare devo salutare una persona!» prese per mano l’amica e scese nell’atrio, presentando ad un bodyguard il tesserino che le avevano dato qualche giorno prima per passare tranquillamente dall’altra parte della scena: cosa che avrebbe dovuto fare a giorni.
Sentiva che gli applausi non diminuivano,erano meritati, sarebbe stata volentieri lì ad applaudire con il resto del pubblico, ma aveva bisogno di congratularsi con lui di persona: «Keira, non vorrei sembrare inutilmente impaurita dalle autorità, ma non è un tuo spettacolo e non puoi arrivare dietro le quinte come ti pare e piace...»
«Oh, sì che posso!» si posizionò in un punto dal quale gli attori sarebbero dovuti passare necessariamente, nel momento in cui avrebbero dovuto lasciare il palcoscenico.
«Ma chi diavolo conosci che ti sei cacciata in questa pazzia?!» ma ottenne la risposta notando lo sguardo contento del personaggio principale dell’opera appena messa in scena, che si avvicinava a grandi falcate a loro.
«Ah, ecco chi dovevi salutare.» disse più a se stessa che all’amica, facendo di proposito un passo indietro, fingendo di guardarsi intorno.
«Ti avevo vista al momento degli applausi. Sarei venuto io da te, se fossi rimasta nell’atrio per... un po’. Come mai sei qui? Hai deciso di fare un salto in quello strano mondo sconosciuto che è il teatro?» la punzecchiò di proposito.
«Ma sta’ zitto, che occupo questo teatro da prima di te!»
Ben scoppiò a ridere: «Sapevo che avresti avuto questa reazione. Ti è piaciuto?»
«Lo spettacolo è stato fantastico, mi è molto piaciuta la sceneggiatura, l’adattamento che hanno fatto del libro... e ti dirò, mi sarei anche potuta innamorare di Wraysford. Sei stato bravissimo, hai messo in scena quello che la mia mente aveva immaginando leggendo il libro. Complimenti!» doveva davvero aver usato le parole giuste, perché Ben ne era a corto in quel momento.
«Wow. Grazie! Ma non vedo i fiori, però!» riacquistò in qualche secondo la capacità di scherzare.
«Che fiori?» Keira si manifestò nella sua espressione più perplessa.
«Quelli che i fan portano agli attori quando apprezzano il loro spettacolo, no?» Sienna, che faceva di tutto per mascherare il suo interesse, guardando la struttura del teatro e i costumi di scena, soppresse una risata «Ho ragione?» Ben le chiese consiglio.
Keira si voltò verso l’amica, che dovette smettere di guardarsi intorno per far parte della discussione: «Bé, K, saresti potuta essere più gentile...»
«Può esserlo!» si voltò verso la diretta interessata «Mi devi ancora due sterline. Puoi offrirmi due palline di gelato.» facendo quella proposta, Ben non batté ciglio: Sienna scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con una mano: «Keira, io vado. Todd aspetta fuori... buone palline di gelato!» li salutò con una mano e si diresse verso l’uscita.
«Sei un tirchio schifoso, rinfacciarmi due sterline!..»
«Tu non vuoi saldare i tuoi debiti.» le dedicò un adorabile sorriso sbruffone, iniziando a liberarsi degli abiti di scena «Aspetti il mio ritorno dall’uscita secondaria?»
La ragazza conservò un po’ della sua capacità di rispondere prontamente alle battute: «E come faccio a sapere che verrai?»
«Vuoi una certezza più salda del mio voler riavere i miei soldi?»
Keira alzò gli occhi al cielo, sospirando: «Giusto, perché dubitavo?»
Gli lanciò un ultimo sguardo ed infilò la giacca, allontanandosi verso l’uscita: Ben le si rivolse nuovamente «Venti minuti. Non uno di più, né uno di meno.»
«D’accordo, tirchio ladro di palchi.» il ragazzo si allontanò con un sorriso e la lasciò ad attenderlo.
Cosa che lei fece di buon grado, intrattenendosi rispondendo agli sms piccanti della sua migliore amica, che già proponeva ipotesi improbabili a motivare l’invito del ragazzo ad uscire con lei.

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Capitolo 4
*** 3. ***


Ho visto che le visite ai capitoli precedenti sono abbastanza... se leggete potreste commentare? :) perché così so davvero cosa pensate, sia in positivo che in negativo... grazie in anticipo!

3.
«Sono stato abbastanza veloce?» sobbalzò, non aspettandosi il suo quasi immediato ritorno. Lo guardò attentamente, notando i capelli semi-bagnati: «Ma sei scemo?! Fuori saranno meno di dieci gradi, e tu vuoi andare in giro con i capelli fradici…»
Ben alzò un sopracciglio, utilizzando la sciarpa come turbante: «La tarda ora ti fa essere più sfacciata?»
«Potrebbe essere. Sto morendo di freddo, andiamo.»
«Hai già pensato in che gelateria portarmi?» il ragazzo ritornò all’attacco, arrivando in poco tempo all’auto.
«No, non ti meriti più che due sterline in monete.» rispose Keira decisa, occupando il posto alla sua sinistra «E l’unica cosa a cui posso pensare ora è Starbucks.»
Il ragazzo scosse la testa: «Davvero rilassante!» il tono sembrava suggerire tutt’altro.
«Non saprei dov’altro impiegare solo due sterline! E non penso ci riuscirei nemmeno lì!»
«Fidati, okay?»
«Facile a dirsi, hai tu il cambio in mano!» ribatté la ragazza, a braccia incrociate per il freddo.
«Non tutti possono averne l’onore!» ingranò la retromarcia e si diresse verso l’uscita del parcheggio.
Il ragazzo accese la radio e si rilassò come se nulla fosse, e non ci fosse nessun’altro eccetto lui nella macchina.
«Ancora mi chiedo cosa ci faccio qui.»
«Saldare un debito!» rispose prontamente lui, immettendosi nel traffico londinese: «Che musica preferisci?»
«Fai tu, è la tua auto!»
«Non do’ quasi mai a nessuno il permesso di maneggiare i miei CD, sfrutta quest’occasione!» la ragazza gli sorrise, aprendo il cruscotto e dedicandosi alla ricerca di gusti musicali simili.
Alla fine si arrese, facendo partire il CD che era inserito nel lettore: «Così non devo fare troppe ricerche!»
Il ragazzo scosse la testa, con un sorriso: svoltò in una via, cercò un parcheggio e si fermò.
«Ma dimmi, vuoi andare in giro con quei capelli così?» chiese la ragazza, quando lui fu tanto gentile da aprirle la portiera e prestarle un braccio.
«Ho un utile basco che mi copre il capo.»
«Ti prenderai un accidente.»
«Non vivo più con mia mamma per evitare questi battibecchi.»
«Io ti voglio solo evitare una cefalea a causa del freddo. O meglio ancora, futuri problemi alla cervicale…» il ragazzo non rispose, ma la guardò male e fece il simbolo di un paio di corna con una mano «Molto gentile da parte tua!»
«Sarò anche poco fine, ma tu mi hai appena augurato mali che si perpetrano per il resto della vita…»
«Mi baso su quello che vedo, Barnes.» Keira fece spallucce ed entrò nell’unico bar dell’isolato: caldo e accogliente, le ricordava le rappresentazioni d’interni dei quadri di Manet «Che bel posticino!» lasciò il braccio del ragazzo per gettarsi su un divanetto accanto ad un camino, ma venne bloccata da un cameriere pronto ad informarla che quel posto era riservato.
«Oh…» sembrò rimanerci male.
«Su’, Knightley, da brava, andiamo come due poveri sprovveduti al bancone, perché non credo ci saranno altri posti liberi…»
«Veramente si è appena liberato un divanetto… però è nell’altra sala.» li contraddisse lo stesso cameriere che li aveva precedentemente bloccati «È un po’ lontano, ma è un bel posticino.» li accompagnò su per le scale, facendoli trovare su una specie di soppalco pieno di tavolini e divanetti, quasi tutti vuoti.
«E tu che volevi farmi sedere al bancone!»
«Avresti respirato in miglior modo l’atmosfera del Fólies Bergerés!» ribatté Ben, sfilandole il cappotto e posandolo su un appendiabiti insieme al suo. Poi le si sedette accanto e prese il menu: «Se fossimo andati al bancone non avresti speso il coperto. Ora ti toccherà pagare più di due sterline!»
«Smettila di fare il tirchio e offrimi da bere! Non ti pago le tue due sterline, nossignore!»
«Donne, polemiche!» borbottò lui, continuando a sfogliare il menu «Cosa desideri? Dolci, drink, alcol forte, gelato, droghe endovena, vino…?»
Keira emise una risata sommessa per poi scegliere l’ultima proposta: «Vino? Rosso, magari?»
«Perché no.» fece pausa per un istante, per poi tornare all’attacco «Come sei fine!» sottolineò il complimento con fare canzonatorio, puntando il libricino che aveva in mano: «Io voglio la torta della casa! Devo rifocillarmi dopo le forze sprecate!»
«Non mangi a casa?»
«Poi! Dopo.»
La ragazza sgranò gli occhi: «Prima i dolci e poi tutto il resto?»
«Non ho problemi di stomaco.» fece spallucce «E poi, sicuramente James mi avrà lasciato degli spaghetti gelati nel forno.»
«O che schifo, perché gelati?!»
«Perché per quando li ha cucinati saranno diventati un ammasso deforme di lunghi fili giallastri viscidi come vermi. Non so come ho il coraggio di mangiarli, mi stupisco ogni sera. Mio fratello fa pena in cucina, eppure mi accontento!»
Arrivò il cameriere e ordinarono, mentre entrambi si godevano il meritato riposo seduti sul divanetto.
Ad un certo punto, Ben iniziò a sproloquiare indicando un trio in fondo alla sala: «Vedi quelli lì? Secondo me lui è innamorato della bionda, ma ha paura di rivelarle i suoi sentimenti perché sennò la bruna, fidanzata, sarebbe gelosa. Perché se il brizzolato e la bionda si mettessero insieme, l’equilibrio del trio sarebbe rotto, e lei ne rimarrebbe fuori.»
Keira, sorseggiando il suo vino, prestò attenzione alle parole dei tre: «Così sembrerebbe. E perché la bruna si lamenta del suo fidanzato con loro, quando entrambi sono infelicemente single? Insomma, si vede lontano un miglio che la bionda cerca le attenzioni del brizzolato.»
«Infelicemente? Come sei rude. Non per forza si è single infelicemente
La ragazza sembrò partire all’attacco dopo quell’affermazione: «Attento, non sto dicendo che tutti i single siano infelici, io lo sono felicemente. Ma quei due non me la contano giusta, sembrano due stupidi idioti che non sanno trovare cose belle nella loro vita, mentre ci riuscirebbero se permettessero a loro stessi di scoprirsi come più che amici.»
«Secondo me è un triangolo. Non capisco cos’abbia di affascinante quell’uomo, ma la bruna è interessata da lui. Come la bionda del resto. La bruna sta elencando tutte le pessime qualità dell’ex-fidanzato per permettere al brizzolato di farsi un esame di coscienza nel quale inevitabilmente si metterà a paragone con lui. E il brizzolato ne uscirà vincente, con maggiore autostima e forse un possibile avvicinamento alla bruna.»
«E la bionda?!» chiese Keira, interessata, prendendo una nocciolina dalla coppetta che si trovava a centro tavola.
«Rimarrebbe fregata. La bruna è scaltra, e sarà la rovina del trio. Guarda, ne è arrivato un altro!» un ragazzo e due ragazze si sedettero ad un tavolo poco lontano da loro: «Ma va di moda ora?»
«Secondo me, il ragazzo viene ricompensato in qualche modo. Pensa solo come deve essere uscire con due donne, magari in periodo di saldi!»
Keira scoppiò a ridere: «Ipotizzi un pagamento in natura?»
«Chi lo sa? Io non escludo nulla. Tutto è possibile, al tempo d’oggi.»
«Parli come se fossi un ottantenne con i reumatismi!»
«Mi sento vecchio mentalmente… e tu non sei così tanto lontana da me. Ordini vino di due annate fa invece di ubriacarti come fanno i venticinquenni normali. Ammettilo, non siamo poi così differenti.»
La ragazza alzò il calice, come se gli stesse dando ragione: «È vero. Ma non mi sento vecchia, mi piace la mia vita così com’è.»
Terminò la torta e bevve un bicchiere d’acqua: «L’esser mentalmente più grandi non implica che non ci piaccia la nostra monotona vita.»
«Se la metti sotto questa luce sembra brutto! Semplicemente non reputo adatto finire sui tabloid per essermi spaccata di alcol in un locale!»
«Wow, gergo quasi giovanile!»
«Smettila di darmi dell’attempata!» ribatté lei, con fare offeso: poi gli sorrise, dissipando ogni possibile dubbio che sarebbe potuto venire circa un suo possibile mutamento dello stato d’animo.
«D’accordo. Tu sui tabloid ci finisci per le cause ai giornali!» riprese poco dopo, scoppiando a riderle in faccia.
«Eri più gentiluomo, un mese fa!»
«Era prima mattina, non fine giornata.» spiegò lui, come se quello che stesse dicendo seguisse una logica perfetta.
«Ah, bé.» decise di non lasciare vuoto il fondo del calice, poiché non avrebbe voluto arrivare a quel punto dove smettere di bere sarebbe stato difficile «Voglio anche io la torta.» dichiarò, prima di rendersi di averlo davvero detto.
Ben la ordinò subito, senza chiederle quale volesse: «Comunque, a me piace Stevie Wonder.»
«E il Jazz.»
«E il Jazz…»
«E poi sarei io, la vecchia?»
«Descrivendoti in tal modo ho per caso dichiarato di non esserlo?»
«I giochi di parole risparmiateli per quando sono a mente fresca!» si sentiva un po’ brilla, ma avrebbe retto. Aveva solo bisogno di mangiare un po’.
«Non voglio portati ubriaca a casa, ti avviso.»
«Sono solo un po’… ebbra!»
«E rimani così solo per quel po’» concluse Ben, prendendosi anche lui un bicchiere di vino.
Si mise ad osservare il locale, a guardarsi intorno e non perdere nessun minimo particolare: Keira, nel frattempo, tra un boccone e l’altro, constatò che era l’una di notte passata.
«Ehi Ben, pensi che forse sarebbe meglio tornare a casa?» gli chiese con una tempistica perfetta, non appena lui terminò uno sbadiglio: «Decisamente. Ora come ora voglio solo dedicarmi ad uno sport…»
Keira, allibita dalla forza di volontà che dimostrava il ragazzo, apparve visibilmente sconvolta: «Come, prego?»
«Il salto nel letto con ricorsa. Di questi tempi, è quello che preferisco. Potrei essere il campione olimpico!» la ragazza scoppiò a ridere, non terminando finché non fu costretta ad alzarsi dopo aver pagato il conto.
«Ho saldato il debito, ora come ora non puoi più rompermi l’anima!»
«Ma non credo proprio! Hai da ricevere ancora tre sterline! Vada per la prossima volta»
Ben era decisamente più lucido di lei, e la lasciò interdetta con la sua dichiarazione: anche se lo comprese dopo più del tempo necessario, la sua dichiarazione presupponeva che si sarebbero rivisti.
Il ragazzo le porse il cappotto e si rivestì, prima di scendere le scale a braccetto: «Ehi, Wraysford, ma come sapevi che pensavo a Manet quando hai accennato al Fólies Bergerés?» era una cosa che le era rimasta in mente e non aveva potuto dirgli, quando lui menzionò il famoso bar francese della Belle Epóque.
Il ragazzo aveva dipinto in viso il sorriso da mascalzone di qualcuno che la sapeva lunga: «Perché è la stessa cosa che ho pensato io quando sono entrato in questo posto.» la ragazza rimase basita, per poco non avrebbe aperto la bocca dallo stupore «E poi perché ci sono riproduzioni di quadri impressionisti in tutto il bar, se non te ne sei resa conto!»
Keira lo guardò offesa, sentendosi presa in contropiede: «Potresti esserti inventato la prima frase, ben sapendo che il bar era… “impressionista”!»
«E a che pro?» il ragazzo fece spallucce, bloccandosi sulla soglia poiché una coppia di persone gli impediva il passaggio.
«Bé, cosa ne posso sapere, magari sei un maniaco che vuole ammazzarmi e che desidererebbe farlo circondato da opere impressioniste…» Keira rise delle sue stesse ipotesi pazze, che formulava apertamente solo quando era brilla: fu costretta a fermarsi anche lei, ma la sorpresa che le si parò davanti non fu tanto felice.
«Keira! Che sorpresa!» Rupert si stagliava davanti a loro in tutta la sua altezza – e non nascondendo la mano intrecciata con un’altra ragazza.
«Oh. ‘Sera. Tutto bene?»
«Sì… sì. Tu?» Perché per lui era così facile?
«Mh.» la ragazza annuì, ricordandosi di Ben solo perché quegli mosse l’avambraccio come a ricordarle che sarebbero potuti uscire non appena lo avessero voluto, dato che la porta era libera «Bé, ci vediamo!» non lo guardò nemmeno in faccia, e si gettò nella fredda aria londinese di Gennaio.
Ben interruppe il silenzio dopo che si erano entrambi accomodati nella sua auto: «Non sapevo vi foste lasciati.»
«Mi inquieta venire a conoscenza che eri informato del nostro stare insieme, piuttosto! Stalker!» cercò di buttarla sul ridere, ma sapeva che ci avrebbe messo più di un mese e mezzo per archiviare tutto e stare meglio.
«Non sono uno stalker!» ribatté lui, difendendosi «Sai, occupatrice del Comedy Theatre, vi ho visti più di una volta uscire di là, quando provavo!»
«La prossima volta trovati una scusa migliore, stalker!»
«Non ribatto più di una volta, signorina. Non è proprio nel mio…» sbadigliò «interesse.»
«L’ho notato.» rise, sbadigliando anch’ella «Maledetto tu e il tuo sbadiglio contagioso!»
«Vuoi davvero che ti lasci a piedi? Piuttosto, qual è la tua fermata?»
Keira si morse un labbro, temendo la sua reazione non appena l’avesse saputo: «Whitton Avenue.»
«Come?! Dio, la prossima volta prendiamo la metro.» portò la mano di fronte alla bocca, per non sbadigliare di nuovo troppo apertamente.
«Generalmente non mi faccio accompagnare dall’autista, mi dedico alle passeggiate solitarie! Oppure ai tour de force in auto. È stata colpa di Sienna se sono rimasta a terra.»
«Veramente, è colpa tua che hai accettato il mio invito.»
«Se dobbiamo dirla tutta, tu mi hai sequestrato!»
Ben la squadrò con un cipiglio incredulo: «Vai a raccontarla a qualcun altro, questa baggianata!»
La ragazza scoppiò a ridere, cambiando stazione radio finché non trovò un successo degli anni passati  che prese immediatamente a cantare: «Sei stonata!»
«Infatti è per questo che mi vergogno a cantare sul set! L’ho fatto una volta, non lo rifarò mai più! E tu sei sempre molto gentile!»
«Io scherzavo, tu prendi sempre tutto sul serio!» si difese, fermandosi ad un semaforo ed iniziando a canticchiare anche lui «Non era male questa canzone. Metteva allegria.»
Trascorsero il tragitto in auto canticchiando le canzoni che la radio mandava incessantemente, una dopo l’altra visto che non c’erano molti programmi radio parlati a quell’ora di notte. Non appena arrivarono, Keira aspettò un po’ prima di aprire la portiera: «Mi sono divertita, Barnes. Non lo credevo pensabile.»
«Neanche possibile, ma pensabile addirittura! Hai molta fiducia nel tuo spacciatore di caffè, vero?» le guardò negli occhi, sorridendole.
«Uhm… potrei averne di più, dopo stasera!»
«Grazie! Gentile!»
«Programmi per domani?»
«Oh, bella domanda! Dormire fino a quando non mi sveglierà James. Tu?»
«Uhm… non lo so. Spero solo che questo senso di poca sobrietà non mi porti a del mal di testa domattina.»
«Abbiamo capito.» Ben alzò gli occhi al cielo, prima di scendere dalla macchina, fare il giro ed arrivare ad aprirle la portiera: «Non avresti dovuto!»
«Prendi le chiavi, zitta, cammina!» ordinò lui, con una nota divertita nella voce. Arrivarono alla porta e si posò allo stipite: «Buonanotte, Knightley.»
«’Notte a te, Barnes.»
L’ultima cosa che vide prima di chiudere la porta, fu la sua grande mano che la salutava ad un palmo dal naso.

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Capitolo 5
*** 4. ***


4.
Non aveva bevuto assai, ne era conscia. Solo due miseri bicchieri di vino… e forse un sorso da quello di Ben. Un bel sorso, a dirla tutta.
Ma non era stato così generoso da poter farle credere che quella mattina ci sarebbe stato un dopo-sbornia… anche perché quel pomeriggio aveva un meeting per ‘The Children’s Hour’, e non poteva non presenziarvi o arrivarci con quel mal di testa.
Raggiunse la cucina con un po’ di difficoltà – era la prima volta che trafficava in quella casa durante un dopo-sbornia – e prese un antidolorifico e un po’ d’acqua. Non aveva propriamente voglia di mangiare, ogni stimolo che le ricordava che il suo stomaco era vuoto era succeduto dalla visione dell’ex-ragazzo con la tipa nuova.
Non che fosse gelosa… ma era stato ingiusto e scorretto nei suoi confronti. Non era passato nemmeno un mese, e già si vedeva con un’altra…
Stronzo. Ecco cos’era.
Sentì suonare il telefono: guardò l’orologio. Dieci e mezzo di mattina, un orario ragionevole per chiamare a casa.
Ma dopo il terzo squillo non le andava di rispondere… eppure il telefono continuava a suonare.
Decise di prenderlo e portarlo all’orecchio: «Chi è?»
«Avresti dovuto dire “Casa Knightley, sono Keira. Con chi parlo?” …Come sei scorbutica.» quella voce…?
«Ben?!» perché diavolo chiamava a quell’ora.
«Eh già! Dovresti controllare i fiori fuori dalla finestra della cucina, sono davvero appassiti…»
«Ma io non ho…» alzò un sopracciglio, e chiuse la chiamata, avvicinandosi alla finestra. Oltre quella Ben la guardava, salutandola con la mano.
La ragazza scosse la testa e andò ad aprirgli la porta: «Cosa diavolo ci fai qui?» era ben conscia di essere ancora in un pigiama striminzito, che un tempo era stata una tuta estiva ma ora era così logoro da fare schifo anche ai poveri… e non voleva buttarlo via.
Incrociò le braccia, cercando di assumere un cipiglio contrariato: il massimo che le riuscì fu un’espressione stranita, seguita da un sorriso bell’e buono.
«Fa anche a me piacere di vederti, grazie! Sono venuto a prendere la colazione!» rispose lui, gioviale, andando in cucina.
«Ehi, ma—
Come diavolo faceva a sapere dove fosse?
E si era appena auto-invitato a fare colazione da lei?
«Benjamin, non voglio essere scortese, ma… cosa diavolo ci fai a casa mia? E come sapevi il mio numero.» era un’affermazione, non una domanda: a braccia incrociate sotto l’arco tra corridoio e porta lo squadrava con aria interrogativa.
Il ragazzo, che fino a quel momento aveva cercato qualcosa tra frigorifero e credenze, si voltò finalmente a guardarla: «Semplice, mi ricordavo l’indirizzo e l’ho cercato sull’elenco. L’ho trovato e ho chiamato. Anche se il cognome sull’elenco non è il tuo… presumo sia per dissuadere gli impiccioni?»
«A quanto pare uno è proprio ora nella mia cucina.» commentò lei, con un sopracciglio alzato, avvicinandosi cautamente ai fornelli, dove quegli sembrava voler macchinare.
«…Grazie.» rispose Ben, facendo spallucce e gettando tuorlo e albume delle uova che aveva appena spaccato in una padella contenente olio.
«Scusa. In questi giorni la concentrazione degli ioni idrogeno in me medesima varia da uno a tre.» disse Keira in un tono arrendevole, posando la testa ad una credenza e decidendosi ad aiutare il ragazzo prendendo due bicchieri e il succo d’arancia.
Sentì Ben ridere: «Autoironia sottile e sofisticata… mi piace! Per aver bevuto un po’ ieri sera, sei perfettamente a posto.»
«Così a posto che faccio dichiarazioni che nella vita normale non farei. Come faccio a sapere cosa sia il pH, non lo so.» sgranò gli occhi e versò un po’ di succo d’arancia nel suo bicchiere, venendo quasi sgridata dal ragazzo: «Quella roba fa schifo! Non hai arance vere?»
Keira spalancò nuovamente gli occhi, posandosi contro un bancone della cucina e squadrandolo con aria stupita: «Ti sembro una che conosce un buon fruttivendolo da cui prendere delle arance vere?!»
Ben alzò gli occhi al cielo: «Non c’è bisogno di un buon fruttivendolo, ne basta uno! Insomma, non ne conosci nessuno da queste parti? Ora che sei qui, dovresti. Hai il latte?»
«Ehm… penso di sì. Vedo in frigo.» eseguì e prese il cartone del latte, guardandolo poi con attenzione «Oh, no! È scaduto!»
Il ragazzo, occupato ai fornelli, si batté una mano sulla fronte, sconsolato: «Non puoi neanche fartelo portare fresco a casa? Se non vuoi andare a comprarlo ci sono i servizi a pagamento del genere… che sicuramente ti puoi permettere!»
«Non voglio quei tizi che poi ti richiedono le bottiglie di vetro del giorno prima! Poi mi dimentico di finire il latte e lo devo svuotare nei bicchieri e riempire il frigo di bicchieri di latte non bevuti!»
«Sembra descritto come uno scenario vissuto.» insinuò Ben, alzando un sopracciglio e guardandola di proposito: ma colse solo un movimento della testa della ragazza verso un altro punto della camera, e lasciò perdere «Ehi, hai del bacon?»
«Sì, ma non ne mangio.» lo andò a prendere e glielo pose.
«E no, tu oggi lo mangi. Sono ancora col cappotto e ti sto cucinando gli occhi di bue e la pancetta, ora te la mangi. Cioè, sono anche per me, ovviamente.» spiegò quello, più a se stesso che a lei, intenta a sorseggiare ancora il suo succo d’arancia «Ti piace proprio tanto quell’intruglio?»
«No, ma mi convinco che sia sano e lo butto giù.»
«Non è sano e fa schifo. Buttalo nella pattumiera, piuttosto. Se avessi saputo che stessi così messa male sarei passato da una caffetteria.»
«Grazie!» fu il turno suo di ribattere in tono lievemente offesa, decidendo di lasciare la cucina per riappropriarsi della sua vestaglia in ciniglia che si trovava al piano superiore.
«Uh, che bella veste rosa!»
«Sfotti di meno.» tornando da Ben si era resa conto che uova e bacon erano già nei piatti, e il ragazzo stava preparando una salsiccia arrosto «Ma quella di chi è? Non per me spero.»
«No, infatti. È mia.» il ragazzo si liberò del cappotto e si prese posto, iniziando a mangiare senza aspettarla «Non ti siedi?» Keira continuava ad osservarlo posata all’angolo che formavano i banconi.
«Mh… sì. Il succo fa davvero schifo.»
Ben sorrise tra sé, incrociando poi il suo sguardo: era imperscrutabile. Non capiva davvero cosa stesse pensando, quasi fosse una persona diversa da quella della sera prima. Più simile a quella che era diventata dopo che avevano incontrato Rupert.
«Devo dire che è tutto buono. Mi ha quasi fatto venire voglia di pane… già, è vecchio. Buono per farne del pangrattato.» dichiarò lei, dopo aver terminato tutto, eccetto il succo d’arancia.
«Te la prendi se dico che sei un mostro in cucina?» rispose lui, sinceramente, posando le mani sulla sua pancia.
«No, è vero.» Keira fece spallucce «Lavi tu i piatti, visto che tu hai avuto la brillante idea di cucinare?»
«Sì, signor generale!» accennò un saluto militare e portò i piatti nel lavabo, mentre la ragazza lo osservava pensierosa.
«Che fine hanno fatto i tuoi piani pigri?» chiese, dopo un po’.
«Sono andati in frantumi dopo che James mi ha svegliato urlando alle sette e mezzo. Mi chiedeva se avessi preso la sua penna portafortuna, quella che utilizza per scrivere… e l’ho mandato a fanculo e sono venuto qui.»
«Come mai?»
«Perché in qualsiasi altro posto avrei dato fastidio a quest’ora.»
Non voleva sembrare scortese, solo sincera: «Ma qui ne dai.»
«Sì, lo so, ma mi fa piacere dartene!» rispose quello, sorridendo amabilmente.
«Sono tentata di urlarti contro come tuo fratello, ma non ne ho la forza, e nemmeno la voglia. Specialmente se fai l’uomo di casa…» rimase seduta al tavolo, osservandolo mentre sgrassava le padelle con le maniche della camicia e del pullover arrotolate sui suoi gomiti.
«E lo sto facendo proprio perché… hai un posto letto? Anche divano. Voglio solo dormire un po’, ho sonno disperatamente e non posso tornare a casa, e dai miei ci sarebbero troppe domande, e—
«D’accordo! Hai vinto tu, ferma la macchinetta!» rispose la ragazza, esasperata: scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.
«Grazie! Gentile da parte tua!»
«Dopotutto ti dovevo due sterline.»
«E la colazione, e il lavaggio dei piatti. Te la caverai con più che un posto letto.» ribatté quello, prendendo il cappotto e dirigendosi nel corridoio.
«Ma… ehi, mi fai pena se ti copri con il cappotto. Dallo a me, ti porto una coperta!» gliene lanciò una che si trovava sull’altro divano, accanto a quello sul quale si era steso, e portò il suo cappotto sull’appendiabiti.
«Notte, grazie, Knightley…» non aveva nemmeno terminato, che già stava profondamente dormendo.

Aveva appena terminato il pranzo – che consisteva in qualche pezzo di pizza portatole dal fattorino della pizzeria in fondo alla strada – e si stava godendo un programma insulso ed inutile sul canale 4, quando suonò la porta.
Era in pigiama e vestaglia e Ben dormiva ancora sul divano beatamente, ma decise comunque di andare ad aprire. Si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino: era Sienna.
Aprì la porta e la ragazza si gettò in casa come se fosse un uragano, parlando a macchinetta e camminando di qua e di là freneticamente.
Keira salutò Todd con la mano, e chiuse la porta di casa: «Sienna…»
«E dai, dimmi, dimmi, dimmiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii»
«Sienna…»
«Buon… giorno?» la TV non l’aveva svegliato ma la parlantina dell’amica sì: Ben si ergeva in tutta la sua altezza sulla porta a vetri del salotto, con due occhi rossi di sonno e la presenza non propriamente elegante.
Sienna, però, di lui aveva notato solo i capelli scompigliati ed era già partita con i film mentali.
«Oh!» squittì, sorridendo «Non volevo disturbarvi! Chissà cosa…»
«S. Nulla. Lui sta dormendo qui perché non ha un posto dove andare per oggi, e io vedevo canale 4.»
«Mhmh» rispose Ben, grattandosi la testa «Ho fame?»
«Se non lo sai tu!» rispose Keira, alzando gli occhi al cielo «Di là c’è una pizza fredda, è il massimo che c’è e se cucini ancora dovrai anche lavare i piatti.»
«Mh…» rispondeva a versi come lei, quando era assonnato: non poté evitare di pensarlo. Sorrise tra sé e sé e raggiunse il divano libero dalla coperta assieme all’amica.
«Keira, dimmi la verità! È rimasto qui anche la notte? Avete replicato qualcosa che è successo stanotte!?» Sienna era davvero esaltata.
«Tesoro, l’unica cosa che è successa sono state battute acide. Mi sta simpatico, sì, è una bella persona, ma non farti voli pindarici esagerati, d’accordo?» troncò ogni speranza dell’amica sul nascere, che la guardò con un po’ di risentimento.
«Okay, ma sei davvero acida. Cos’è successo ieri con lui?» indicò con la testa la cucina.
«Oh, con lui niente… anzi, a dirla tutta ci siamo divertiti. Però poi ho incontrato Rupert…»
«Bastardo!»
«…Con la nuova ragazza.»
«Puttano!»
«Ma non è per quello che sto così, insomma, può farsi chi vuole, non mi interessa… però è stato scorretto nei miei confronti. Nemmeno ci lasciamo e già mi ha rimpiazzata.»
«Tesoro, quella non sarà mai come te, fidati. Sicuramente è una troia stupida e oca.» dichiarò convinta Sienna, abbracciando l’amica che non poté evitare di ridere: «I tuoi commenti sono sempre molto fini ma soprattutto mi tirano su, grazie!»
«Ehi, vi devo lasciare sole? Momento tra donne?» la testa di Ben spuntò dal corridoio, e sembrava lievemente più aggiustato.
Peccato, era più carino con i capelli scompigliati.
«Fa’ come vuoi, Barnes.» rispose Keira, facendo spallucce.
«Semmai io vi lascio soli!…» iniziò Sienna, facendo per andarsene.
«O magari io.» la padrona di casa stupì tutti «Tra un’ora ho un appuntamento dall’altra parte della città e sono ancora qui in vestaglia. Mi ci vuole un miracolo per arrivare in tempo.»
«Oddio! Per ‘The Children’s Hour’?» chiese l’amica, saltando su «Se vuoi ti faccio accompagnare da Todd!»
«Ehi, lo sai che vuole passare del tempo con te, no?»
Sienna arrossì, iniziando ad avvicinarsi alla porta: «Bé…»
«Sì, vai.» Keira le sorrise, accompagnandola all’uscita «Ci sentiamo stasera?»
«Dopo il teatro.»
«D’accordo!» baciò una guancia dell’amica e chiuse la porta di casa. Poi guardò Ben che si grattava la testa «Vuoi trasferirti a casa mia, per caso?»
«Super Ben alla riscossa?» rispose lui, accigliato.
«E cosa vorresti fare?» Keira alzò un sopracciglio, sospettosa.
«Accompagnarti dall’altra parte di Londra?» propose quegli, sbadigliando.
La ragazza sembrò pensarci su, poi sorrise – cosa rara di quei tempi, a meno che non si fosse Sienna Miller – «D’accordo! Arrivo in venti minuti!» corse sulle scale e si diresse dritta in bagno.

Avevano solo mezz’ora per essere considerati in tempo, e avere una guida sportiva per le strade di Londra delle tre del pomeriggio non era molto raccomandabile, specialmente nel momento in cui non volevano assolutamente investire qualcuno.
«Feeeeermoooooo!»
Ben frenò all’ultimo momento, accostando al marciapiede vicino: «Hai la cintura?»
«Eh?! Sì, ma puoi anche lasciarmi qu—
Non riuscì nemmeno a terminare la frase, che il ragazzo accelerò facendo il giro dell’isolato e lasciandola davanti al teatro.
«Oddio. Vomiterò. Ma sono in tempo, grazie.»
«Prego! Guido male?» il ragazzo sembrò rimanerci male.
«No!» si affrettò a dire Keira, slacciando la cintura di sicurezza «Semplicemente sembrava una corsa. Non fatta male eh, ma avevo pranzato da poco e…»
«Vero. Anche io. Ma guidando non me ne sono reso conto…» il ragazzo si toccò lo stomaco ed entrambi lo sentirono produrre strani rumori.
«Stammi bene.» disse la ragazza, più al suo stomaco che a lui stesso «E grazie, davvero. Ci sentiamo!» gli baciò una guancia ed uscì dall’automobile.
Doveva solo avere un colloquio di lavoro ora.

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Capitolo 6
*** 5. ***


5.
A parte il fatto che finì per sbattere la testa contro una mensola che sembrò esser uscita dal nulla, il colloquio era andato abbastanza bene: le prove ci sarebbero state sempre. Non aveva neanche guardato tutto il calendario, non voleva che le girasse la testa. Ma ne prese una copia, la piegò e la infilò in borsa; salutò gli altri attori e per le sei riuscì ad uscire di lì.
Avrebbe voluto sentirsi con Sienna, ma sapeva che probabilmente era già a teatro. Così fece una deviazione – molto poco breve – per Oxford Circus: uscita dalla fermata della metro doveva solo scegliere se prendere Oxford Street o Regent Street. Optò per quest’ultima, dopo essersi sistemata meglio il cappello di lana nero in testa.
Aveva una voglia sconsiderata di passare da Hamleys a guardare gli scaffali di tutti e cinque i piani, come se avesse bisogno di rivivere alcuni momenti che durante l’infanzia aveva passato e ripassato. Camminò fino a destinazione, sospirando contenta come molti anni prima non appena vide la facciata del negozio: giocosa e spensierata, come sempre.
«Desidera qualcosa, signorina?» una commessa in divisa e dal sorriso stampato si piazzò davanti a lei: come doveva fare per evitarla? Un qualche gioco di piedi che si utilizzava a calcio?
«Ehm, no grazie. Sto solo dando un’occhiata.» rispose Keira, guardando dall’entrata l’immenso negozio che le si stagliava davanti: le scale mobili che portavano fino al quinto piano pieno zeppo di giochi di ogni tipo.
Senza pensarci prese a cercare il reparto dei giochi per bambine, come faceva quand’era piccola: dovevano averla presa per pazza, le commesse.
Aveva di nuovo il sorriso sulle labbra, lo stesso che aveva da bimba.

Fortunatamente quando era tornato a casa, James non c’era. Era tranquillo, libero di buttarsi nel suo letto e dormire fino alla sera dopo. Era davvero tutto quello a cui auspicava… finché non suonò il campanello.
«Chi diavolo è.»
Si liberò della giacca e si trascinò fino alla porta.
«Buonasera!» l’unica cosa che vide furono una massa di lunghi capelli biondi e poi sentì un bacio umido su una guancia.
«Che diavolo?!... Tamsin!» abbracciò la ragazza che si trovò alla porta, accogliendola dopo poco «Che ci fai qui?»
«Di passaggio. Mi dispiace non essere venuta all’ultima! Com’è andata?» la ragazza si chiuse dietro la porta e si sedette sul divano, ignorando il fatto che fosse appena tornato a casa.
«Mh, bene. Tutto sommato mi sono divertito in tutto questo tempo a teatro. Poi sono uscito con un’amica…» forse la stanchezza gli giocava brutti scherzi, ma credeva di aver davvero visto l’amica sobbalzare nel momento in cui pronunciò la parola “amica”.
«Amica? Chi è, Barnes? Qualcuna che mi devi presentare?» iniziò a tirargli leggere gomitate su un braccio, con un’espressione vispa: come faceva spesso, ma aveva qualcosa di diverso, sembrava minacciata. O forse era solo il poco riposo.
«Una ragazza… l’ho conosciuta in un bar.»
«Proprio dal nulla, dunque. Vi ha fatti conoscere il fato! Lo sai che vorrò incontrarla, vero?»
Ben annuì: «E la vedrai, prima o poi. Vediamo come va’, potremo uscire insieme, magari… Tu come stai?»
«Stanca. Talvolta mi chiedo perché ho fatto l’attrice. Comunque ora ho un impegno da queste parti, devo lasciarti… dormire. Hai fatto le ore piccole, dalla tua amica?» alzò un sopracciglio, con un’espressione gioviale ma… contrariata.
«No, però sono andato a trovarla stamattina… È una lunga storia.» si grattò la nuca, ridacchiando tra sé e sé. Poi si accorse dello sguardo perplesso di Tamsin e la riaccompagnò alla porta «Sei davvero entrata in casa per così poco?»
«Mi è arrivato un messaggio, è la persona che aspettavo. Ci si vede, Barnes!» gli sorrise, baciò una guancia e scomparve nell’ascensore.

Aveva girato in lungo e in largo su tutti e cinque i piani, era quasi orario di chiusura e le commesse la guardavano già troppo male. Arrivò alla cassa del pianoterra con un orsacchiotto di peluche e un grande fiocco rosso al collo e un vassoio di dolcetti da tè giocattolo in mano.
«Salve! Devo fare dei pacchi regalo?»
«No, no, grazie. Li metta semplicemente in busta.»
Per quegli adorabili momenti di pazzia durante i quali si rigettava nell’infanzia passata troppo velocemente, si ritrovava a comprare le cose più assurde: il doppio vassoio con i dolcetti finti ne era la prova.
E la commessa era abbastanza stupita, probabilmente lo sconvolgimento lo nascondeva bene: si liberò degli occhiali da sole per indossare quelli da vista, mentre la donna le faceva lo scontrino.
Aveva davvero speso cinquanta sterline per quei due giocattoli? Nell’indecisione della risposta – che già conosceva – si allontanò dal negozio, salendo per Regent Street e raggiungere Oxford Circus.
Poco prima di entrare nella stazione della metropolitana per tornare a casa sentì suonare il cellulare: «Pronto? Alexa?» disse, con voce incerta.
«Keira! Da quanto!»
«Ehm…» sarebbe stata tentata di chiederle perché, ma si limitò a convenire con lei «Davvero! Qual buon vento ti porta a comporre il mio numero?»
«C’è una festa tra due settimane a cui vorrei che partecipassi. Ci sarai?»
«Quando, dove, come, perché?» chiese l’altra, prima di azzardarsi a dare una qualsiasi altra risposta.
«Il quando te l’ho detto, il dove a casa mia, il come… bé, come vuoi, e il perché… c’è qualcuno che potrei presentarti.»
«Fidati, non sono alla ricerca ora come ora. Anzi, meglio evitare gli uomini.»
«No, cercali così ti stanno alla larga! Ci sentiamo, ti mando un messaggio per ulteriori informazioni!»
«Ciao!..» terminò la chiamata, per poi iniziare a scendere nella stazione «…Mah.»
Lasciò il cellulare in borsa, tornando a pensare ai giochi che aveva in busta… chissà dove gli avrebbe sistemati.

In quel pomeriggio di pura libertà, dopo il sonnellino aveva deciso che sarebbe ritornato nella parte Est di Londra. Giusto per far imbestialire o ridacchiare una certa persona.
Ma siccome non riceveva alcun cenno di vita, pensò fosse ancora fuori: e tornò in piena Londra, a consolarsi con un frappuccino e una pizza… non necessariamente in quell’ordine.
Quando ritornò a casa, trovò il fratello al telefono con una faccia stranita: «James?»
«Oh, è arrivato!»

Tornata a casa e soddisfatta delle sue compere, infilò la chiave nella toppa e la aprì: sorrise al suo nuovo ingresso e lasciò la borsa per terra. Liberandosi del cappotto per cederlo all’appendiabiti, notò dei fogli bianchi lasciati per terra, fatti passare attraverso la porta.
Alzò un sopracciglio, li prese tutti: partì da quello che si trovava più sotto; c’era scritto un numero di telefono e una “B. B.” come firma.
Scosse la testa e passò all’altro foglio: “Sarebbe carino e gentile che mi chiamassi, eh.” E ancora “Oooops, anche se lo facessi, non sono a casa. Ciao!” e un altro numero, con sotto scritto “Il cellulare, nel caso non lo sia. Ora dovresti davvero chiamarmi. B. B.”. Scoppiò a ridere sulla porta: aveva sprecato cinque fogli per scrivere quelle idiozie?!
Prese il telefono portatile dalla sua base e compose il numero di casa, senza pensarci due volte: voleva davvero prenderlo in giro, se lo meritava.
«’Sera, parla James! Chi sei?» una voce sconosciuta rispose al telefono: era tentata di chiudergli il telefono in faccia.
«Ehm… casa Barnes? C’è Ben?»
«Chi sei?!» chiese l’altro ragazzo, che doveva essere il fratello «Bé, comunque ancora non c’è…»
«Oh!...»
«Oh, è arrivato!» sentì dei rumori, una voce conosciuta dire “Ma che diavolo…?!” e poi una frase pronunciata più vicina al ricevitore: «Con chi parlo?»
«Con la tua vittima di stalking.» Keira udì ridere dall’altra parte del ricevitore, e continuò «Sei tornato ora a casa, eh, mascalzone?!»
«Sì, ho mangiato fuori. Solo. Perché qualcuna non mi richiamava e non mi offriva una cena, come in realtà avrebbe dovuto, visto che è in perenne debito con me.» si liberò del cappotto e lo lasciò sul divano, iniziando a spogliarsi in giro per la casa.
«Io non avrei dovuto chiamarti! Al massimo avrei potuto volerlo!»
«E no, avresti dovuto! Perché sei in deeebitoooo…»
«Sta’ zitto, non avrei proprio dovuto chiamarti appena tornata.» si morse un labbro, togliendosi sciarpa e cappello per salire in camera.
«Bla bla bla, saresti stata ineducata.»
«Come lo sei tu ora, del resto. Bebè.»
«Non lo sono!» ribatté lui, oramai nudo in bagno, aprendo il rubinetto della vasca e mettendoci un dito dentro per vedere quando sarebbe arrivata la temperatura giusta: poi si alzò e andò a chiudere a chiave la porta.
«Cosa… stai facendo?» fortuna che i telefoni di casa non avessero le videocamere, perché sennò sarebbe stata ben poco presentabile in pantofole e pigiama di pile che aveva appena indossato da sopra alla canotta di cotone e la biancheria.
«Sto per farmi il bagno.»
La ragazza per poco non sobbalzò: «Al telefono?!»
«Che c’è di male? Di certo non mi farò fermare da una come te nella mia routine quotidiana.»
«Routine! Come se piazzarti a casa delle persone per dormire perché non lo puoi fare a casa tua è “routine”!»
«Cosa ne sai tu? E poi, tu cosa stai facendo di così meno compromettente, Knightley?» alzò un sopracciglio, ben conscio del fatto che non potesse vederlo: mise la chiamata in vivavoce e si infilò nella vasca, sistemandosi il più comodamente possibile.
«Mi… sono messa il pigiama.»
«E anche senza lavarti. Sporcacciona!»
La ragazza arrossì: chi gliela dava tutta questa confidenza?! «Ho sonno, non so nemmeno se ceno.»
«Poi ti vengono i calcoli alla colecisti, ti fanno l’operazione ma ti recidono il coledoco e diventi gialla come un Simpson.»
Keira ridacchiò, tornando di sotto a portare in camera le sue compere: «Non avevo mai sentito un ammonimento del genere!»
«Sono originale, lo so!»
«Lo sai che ho comprato e dove sono andata?!»
«Noo. Vestiti?»
«No!» ribatté la ragazza, compiaciuta, sistemando l’orsacchiotto sulla sua toeletta e il doppio vassoio sul cassettone «Dei giochi! Sono passata da Hamleys!»
«Sto parlando con una venticinquenne, o hai dimenticato due decine della tua età?»
«Stupido! Hamleys lo ami anche tu, ammettilo!»
Ben non rispose per un po’, come riflettendoci su: «Infatti mi hai comprato un trenino di legno, vero?»
«A te nulla! Tu sei il bambino pestifero che tutte le bimbe non sopportano.»
«Proprio no! E semmai, quello è anche il più amato!»
«Fa’ quel che vuoi, la bambina che ero io lo avrebbe evitato! Altro che trenini regalo!»
«Chi disprezza, compra!» rispose quello, muovendo le gambe nell’acqua, facendo alzare le bolle di sapone dalla superficie.
«Sì, certo. Tu che hai fatto?» chiese lei, accendendo il lumino e posando il cellulare sui fogli che aveva trovato a terra nell’ingresso.
«Uhm, tornato a casa, dormito, tornato in ricognizione dalle parti di casa tua, mangiato frappuccino e pizza, non in quest’ordine e ora bagno. E poi sonno. Voglio solo fare quello.»
«Anche io. Sono nel letto, buonanotte.»
«Miss Simpatia! Buonanotte, Knightley!» chiuse la chiamata, godendosi il resto del caldo bagno pieno di schiuma.

La luce filtrava dalle imposte della finestra, che non aveva nemmeno aperto la sera prima non appena fu tornata da casa: “dritta a letto” era un’espressione che le si poteva decisamente affibbiare.
Per prima cosa cercò il cellulare a tentoni sul suo comodino e, dopo averlo trovato, notò una ventina di chiamate senza risposta della migliore amica: la richiamò subito.
«Buon Dio, sei viva! Perché non ci siamo sentite?!» Sienna era già così arzilla a prima mattina?
«Mmh. Appena sono tornata a casa sono crollata nel letto. Buongiorno.»
«E non potevi avvisarmi con un SMS?!»
«Ero nel letto al telefono…» biascicò la ragazza, voltandosi nelle coperte.
«Con chi?!» la voce di Sienna era più alta di un’ottava.
«Mmh… Ben…»
«Ah. E non c’è nulla tra di voi, vero?»
«Nisba. Ho trovato il suo numero sotto la porta e volevo sfotterlo, tutto qui.»
«Ragionamento logico, amica. Ti sembra tale perché stai ancora dormendo, vero?» Sienna aveva davvero capito tutto.
«Ti adoro. Buonanotte.»
«Sei un ghiro, mamma mia. Buongiorno, piuttosto!» chiuse la chiamata e Keira tornò a muoversi lentamente nel letto, pronta a riaddormentarsi.

Quello scambio altalenante tra fasi di sonno e fasi di dormiveglia si bloccò verso le dieci, quando si rese conto dell’orario e decise che era meglio prepararsi per le prove: non aveva ancora ricevuto il copione, ma sarebbe stata questione di ore.
Avrebbe avuto circa due settimane per imparare tutto e andare in scena: nel frattempo doveva guardare la sceneggiatura di un film su Freud… per quel che ne sapeva l’unica cosa che era certa era che avrebbe interpretato il ruolo di una certa Sabina.
Mah.
Si diresse in cucina, ma prima di prendere il succo di arancia controllò che alla finestra non vi fossero sorprese: non essendocene, si sedette tranquillamente al tavolo dopo aver preso una scatola di cereali da una dispensa.
Sorseggiando il succo, decise di sedersi accanto al tavolo: posò il bicchiere e sospirò. Anche se involontariamente, si trovò a pensare a qualche sera prima... due sere prima. Le bruciava il fatto che stesse già con un’altra... ma alla fine, non importava. Sentiva davvero di non provare nostalgia dei tempi passati, giusto un po’ di rancore nei suoi confronti, dovuto al fatto che si sentiva mancata di rispetto.
Giocava facendo le bolle nel succo senza polpa, particolarmente insapore. Perché mai l’aveva comprato? Cosa le era passato per la testa quella volta più unica che rara che era andata a fare la spesa?!
Scosse la testa tra sé e sé, sobbalzando non appena udì il telefono squillare: avvicinò il fisso rosso a sé, sollevando la cornetta antica con cautela: «Pronto?»
«Sei davvero ineducata a non lasciarmi il tuo numero. Io il mio te l’ho lasciato.» percepì una voce seriosa dall’altro capo del filo, per poi riconoscerla dopo qualche secondo: «Il bambino monello!»
«Dov’è il mio treno?»
«Arrangiati!» esclamò Keira, sorridendo mentre guardava oltre la finestra della cucina.
«Cattiva.»
«Ti sei appena svegliato?»
«Sì! Anche tu?»
«Mhmh. Sto mangiando. O meglio, bevendo... anche se ho fame.»
«Knightley, fai pace con il tuo stomaco!» sentì il ragazzo ingurgitare qualcosa «Vuoi il ragazzo tuttofare pronto a prepararti la colazione?»
«Chi sarebbe?»
«Intendevo me. Quanto sei perspicace a prima mattina.»
«Non preoccuparti, tanto ora devo uscire. Ho le prove.»
Ben alzò gli occhi al cielo: «Quando dovrai impararle a memoria, ci sono. Sarò tutte le altre parti.»
«Anche quella della lesbica?»
«Se proprio devo!» rispose lui, come se usasse un tono quasi sconsolato.
«Povero, piccolo attore! Povero, piccolo B.B.!»
«Smettila di prendermi in giro, o vengo a prenderti io fisicamente, e buttarti nel Tamigi, assieme alle zoccole di fogna.»
«Quali zoccole? Metafora o significato proprio?»
«Entrambe! E buona giornata!» terminò quello, chiudendo il telefono e lasciando la ragazza dall’altro capo del filo spensierata e contenta.

E siamo arrivate al quinto capitolo. Ringrazio di cuore le mie recensitrici, perché mi fa davvero piacere che leggano la storia e la seguano con piacere. Per il resto... l'Alexa di cui parlo nel capitolo è Alexa Chung, davvero amica di Keira nella realtà. Buona lettura (se non l'avete già fatta!) XD

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Capitolo 7
*** 6. ***


6.
Fino ai dieci giorni successivi aveva intrattenuto quella sottospecie di relazione amichevole e virtuale con Ben, perché gli impegni di entrambi impedivano loro di incontrarsi dal vivo. Il sabato si avvicinava e non sapeva chi portare alla festa, Sienna era impegnata e di certo non poteva il tecnico carino del Comedy Theatre.
Rispose all’ennesima chiamata di Alexa, che sembrava particolarmente interessata alla sua presenza a quella festa: «Alex?»
«Ehi, Keira! Allora, porti qualcuno?»
Aveva il terrore di passare l’intera serata con qualcuno che non conosceva e che l’amica voleva presentarle: «Sì!»
«E chi sarà? Così aggiungo il suo nome in lista!»
«Sorpresa! Aggiungi un “più uno” accanto al mio nome!»
«Okay.» la ragazza sembrava un po’ scontenta «Ci vediamo domani allora! Ciao tesoro, non vedo l’ora di vederti!»
«Ciao!» rispose quella e chiuse la chiamata.
Aveva all’incirca venti ore per trovare un accompagnatore che la tirasse su di morale in un mare di gente che conosceva ben poco: chiamò il primo numero che le venne in mente subito dopo quello di Sienna.
«Ehi ciao James... mi passi Ben? Sì, non importa se si sta facendo il bagno...»
Quel ragazzo a casa o dormiva o si lavava?!
«Chi sei?»
«Tua madre. Secondo te?!»
«Uh, Knightley! Come mai disturbi la mia routine?» di sottofondo udiva l’acqua scorrere.
«Mi puoi fare un favore?» chiese, titubante.
«Oh - oh! Un favore? E di che si tratta?» assunse un tono interessato.
«No. Non così... Vieni con me ad una festa domani? È di una mia amica, Alexa Chung. La modella fidanzata del cantante degli Arctic Monkeys.»
Il ragazzo sbarrò gli occhi dalla sorpresa: «Davvero?!»
«Per Alexa o per la festa?» Keira sembrava tranquillissima.
«Mi stai davvero invitando ad uscire? Senza che io debba pagarti nulla?!» il tono era nuovamente scherzoso.
«Ah - ah, simpatico! Sì, ad uscire con me e ad essere il mio “più uno” a sorpresa.» ribadì quella, giocando col filo del telefono.
«Ci sto! A che ora passo?»
«Otto e mezzo?»
«Così arriviamo almeno per le dieci. A domani, Knightley!» chiuse il telefono con un’espressione interessata.
«Ehi fratello, che voleva Keira?»
«Invitarmi ad una festa, domani.»
«Wow!»
«Dici bene. Chissà perché. Bé, lo scoprirò domani per certo!» e riprese a giocherellare con l’acqua della vasca.

Era pronta. Aveva passato tutta la giornata a pensare a cosa mettere, oppure in giro per negozi a cercare qualcosa di nuovo e alla fine aveva optato per un comodo vestito stampato a base nera e un paio di decolleté dal tacco medio.
Erano le otto meno venti e giocherellava nervosamente con la pochette rigida che avrebbe dovuto portare alla serata: ed era ansiosa non per l’accompagnatore o per l’abito, quanto per la presentazione che voleva farle l’amica e il fatto che quelle foto sarebbero facilmente potute arrivare a Rupert o qualcuno della sua famiglia. E detestava il fatto che già la giudicassero quando stavano insieme... in quel momento per un giudizio negativo li avrebbe ammazzati.
Sentì il cellulare emettere un ‘bip’ e lo prese immediatamente: “So di essere un tantino in anticipo, ma sto gelando fuori di casa. Mi apriresti? B.B.” sorrise immediatamente e si diresse alla porta.
«Buonasera!» esclamò, aprendola: una ventata gelida entrò assieme al ragazzo.
«Brrr. La neve è pericolosa per la macchina e mi gela tutto. Forse avrei dovuto evitare il papillon.»
La ragazza lo guardò e scoppiò a ridere: «Forse. Ti manca solo la coda dello smoking!»
«Ehi! Ho anche i jeans!» ribatté il ragazzo, squadrandola da capo a piedi «E tu sei vestita come una vecchia!»
«La gonna è a ruota!»
«Appunto, direttamente dal guardaroba di tua nonna!»
«E tu lèvati quel papillon!»
Il ragazzo, con fare quasi scocciato, si liberò dell’accessorio e lo posò su un tavolino: «Contenta ora?»
«Mamma mia quanto sei rabbioso!»
«Ehi nonna, è pronta la zuppa? Fa freddo e fuori c’è la neve...» prese a dire lui, lasciando la giacca sulla spalliera di un divano e rimanendo in camicia e jeans «Brrr.»
«Dici che va bene una stola?»
«Se vuoi congelarti sì!»
«Vada per il cappottone?»
Il ragazzo sembrò totalmente d’accordo: «Assolutamente!!!»
Keira salì in camera e quando tornò Ben si era volatilizzato: lasciò il cappotto accanto alla sua giacca e andò a cercarlo in cucina. Era esattamente davanti ai fornelli, e stava cucinando... bé, non sapeva cosa.
«Cosa mi prepara oggi lo chef?»
«Il brodino. Con la pastina. Ho trovato questo!»
La ragazza gli lanciò uno strofinaccio addosso: «Non ci credo!»
«Non è colpa mia se il tuo frigorifero è sprovvisto di qualsiasi cosa commestibile!» ribatté lui, voltandosi a guardarla.
«’Mpf.»
«Sbuffa quanto vuoi, ma è vero. Come sono andati gli spettacoli?»
«Bene! Abbiamo ricevuto parecchi applausi. È bello il teatro. Meglio del cinema.»
«Lo so. Quando sarà l’ultima verrò a vederti, sai?» volendo vedere la sua reazione, si voltò a guardarla: la ragazza sorrise, contenta «Non vedrò l’ora! Vorrò i tuoi commenti critici!»
«E così sarà.» dichiarò lui, ritornando a porre la sua attenzione al brodino.
Una ventina di minuti dopo la tavola era imbandita e la cena pronta: senza quel ragazzo sarebbe vissuta solo di succo d’arancia e pizza dell’isolato più avanti.
«E dopo questo parco pasto vuoi mica portarmi ad una mensa dei poveri?» chiese Ben, immediatamente dopo essersi pulito la bocca con un tovagliolo: Keira ridacchiò, rischiando di soffocare con l’acqua.
«Può darsi. Però tu rispetta la via che ti scrivo.» senza sparecchiare si diresse in salotto, scrisse qualcosa su un foglietto e si infilò il cappotto: «Otto e mezza precise. Andiamo?»
Ben prese il foglietto e lo esaminò: «Okay, conosco la zona. Andiamo?»
«Ti sto aspettando!»  rispose lei, aprendo la porta.
«Brrr. Freddo. Neve.»
«In auto e metti in moto!» gli ordinò, ridacchiando e chiudendosi dietro la porta d’ingresso a quattro mandate.
Il ragazzo la guardò male ed entrò in auto, dopo averla accompagnata alla portiera sinistra: «Maledetto buon comportamento. Persino la portella ti ho aperto!»
«Portella? Mio nonno la chiamava così.»
«Ohh! Zitta e mosca!»
Keira gli fece una pernacchia ed accese la radio, cambiando stazione a suo piacimento finché non furono arrivati.
Salirono fino all’attico del palazzo, ma all’entrata ci fu un problema.
«Signorina Knightley, lui non può entrare. Il suo “più uno” è già entrato.» l’omone alla porta si ostinava a non far passare Ben.
«Ehi, è lui il mio “più uno”, non avevo fatto nessun nome e avevo detto ad Alexa che era una sorpresa e sarebbe venuto con me. Quindi ora o me la chiama o ce ne andiamo, io ed il mio “più uno”.»
Ben la osservò quasi estasiato: «Però. Ti fai valere.»
«Non entrerei lì senza di te. Non ce la farei, non conosco nessuno a parte Alexa ed il ragazzo. E non voglio fare il terzo incomodo.» la voce per poco non tremò e lui la abbracciò istintivamente: nello stesso momento l’amica di Keira si presentò alla porta fasciata da un tubino che lasciava ben poco all’immaginazione.
«Alex, perché l’energumeno diceva che il mio “più uno” era già dentro? È lui il mio “più uno”. Ben, Alexa. Alexa, Ben.» dopo le dovute presentazioni, cercò di comprendere l’espressione che l’amica faceva nei momenti di imbarazzo.
«Forse... ho cancellato un nome dalla lista e l’ho fatto diventare il tuo “più uno”. Piacere di conoscerti, Ben.»
Il ragazzo sorrise, guardando la faccia di Keira non appena aveva smascherato l’inganno «Tutto mio! Allora, dov’è il cibo?» la buttò sullo scherzo, mentre le due ragazze ancora non dicevano nulla.
«Alex! Ti avevo detto che non me la sentivo, che venivo solo per te... Lo sapevi!»
«Bé... ma devo davvero presentarti qualcuno!» ribatté quella, sulla difensiva.
«D’accordo.» Keira storse impercettibilmente il naso «Mangio qualcosa con Ben, ci becchiamo dopo in giro.»
Si avvicinarono al tavolo del misero buffet e per poco Keira non ruppe qualche piatto: Ben posò un braccio attorno alla sua spalla «Knightley? Cosa ti turba?»
«I piani matrimoniali di Alexa.» rispose quella, dopo aver ingurgitato qualche tramezzino.
«Rabiosa, rabiosa...» canticchiò il ragazzo, mangiando qualcosa.
«Cosa?!» Keira lo guardò quasi male.
«Oh. Cantavo la canzone, ma ti si addice. Vieni, cara.» senza spiegarle nulla la trascinò sulla pista da ballo ad improvvisare quel latino-americano che nessuno sapeva ballare lì dentro.
«Non ci credo! Anche ballerino?»
«Non proprio. Però le lezioni di ballo dei miei genitori a qualcosa sono servite!» la fece volteggiare e ritornò a stringerla a sé, trovandola dopo un po’ sorridente.
«Mi gira la testa!»
«E non hai bevuto! Oh, le mie giravolte spaziali...»
«Che?» chiese quella, con un sorriso stampato in faccia.
«Nulla.» rispose quello, ricambiando il sorriso «Quando non ci sarà rumore ti spiegherò!»
«Okay!»
Continuarono a ballare diversi generi musicali, principalmente scherzando e facendo gli stupidi, fin quando Alexa non la trascinò via con sé e Ben le seguì.
«Dov’eri finita?!»
«Ballavo!» rispose semplicemente quella, sorridendo al suo accompagnatore, che rispondeva con una faccia buffa.
«La presentazione!»
«Come?!» esclamò Keira, trovandosi davanti un ragazzo che le ricordava Matt Damon, ma con le labbra più grosse.
«Lui è James!» fece Alexa, a voce più alta.
«Ed io sono Keira!» rispose quella, lanciando un’occhiata a Ben: «Giusto! Io sono Ben!» s’inserì nella discussione abbracciando l’amica: Alexa sbatté le palpebre, basita. Quel James sembrava stupito.
«Knightley, torniamo a ballare?» le urlò in un orecchio e come risposta ricevette un assenso: «Ciao!» salutò gli astanti e li lasciò lì impalati.
«Il nuovo CD di Katy Perry!» esclamò dopo un po’, ballando come un robot.
«Tu stai male!» ribatté lui, imitandola.
Non si sarebbero fermati lì, nossignore.

Tornò a casa per le dodici del mattino dopo, e quando aprì la porta trovò il fratello quasi in preda al panico: «Sei rimasto a dormire da lei?!»
«Eh? Sì. Cioè, siamo arrivati a casa sua alle sei, e davvero non ce la facevo a ritornare qui... mi ha offerto il divano. Ed era il bene supremo, in quel momento.»
«Cosa avete fatto tutta la notte?!» chiese, stupito.
«Vuoi davvero saperlo?» c’era quasi una nota di mistero nella sua voce.
«Dio, sì!»
«Ballato.» il fratello scoppiò in una risata fragorosa.
«E ti sei divertito?»
«Tantissimo! Non facevo così il cretino da anni, forse.»
«Devi dormire ora? Comunque mi fa piacere. Ah, Tamsin ha tipo lasciato sei messaggi in segreteria.»
«Merda!»
«Perché?»
«Dovevamo vederci ieri sera! Me ne sono completamente scordato!» passò una mano tra i capelli, terrorizzato «Mi ammazzerà. Lo so.»
«Su, su, dovrai solo chiederle scusa!»
«Non è facile, è una donna!» alzò gli occhi al cielo «Ci penserò dopo la doccia.»
Fu il turno del fratello di alzare gli occhi al cielo per poi tornare al suo lavoro.

Era ricaduta in un sonno alquanto profondo quando Sienna l’aveva svegliata chiamandola: «Com’è andata? Chi era il tuo “più uno”?»
«Ben. Ed Alexa mi ha quasi ingannata per lasciarlo fuori e farmi stare con un tale James Righton.»
«Non sembra essere andata molto bene, la serata.» immaginò l’amica storcere il labbro inferiore.
«Veramente alla fine è andata bene! Mi sono divertita un mondo e Ben non l’avrei mai detto uno stupido ballerino!»
«Alla fine l’hanno fatto entrare?»
«O tutti e due, o nessuno.» Keira fece spallucce.
«Caspita. Brava Keira!»
«Per cosa?» chiese quella, curiosa.
«Ti sei fatta valere e hai conservato la dignità da single. Vero?»
«Sì! L’ho portato come amico—
«E null’altro?»
«Assolutamente no.»
«Oh. Torna a dormire, va’! Buonanotte!» la salutò e la ragazza chiuse il telefono, tornando nel mondo dei sogni.

Ho postato in anticipo come promesso a musicsavedmylife <3 buona lettura!!!

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Capitolo 8
*** 7. ***


7.
Era inaccettabile. Lo reputava inaccettabile.
Aveva già messo da parte tutta la faccenda riguardante Alexa e quel Righton, dopotutto volevano entrambi farle del bene... in modo sbagliato. Ma quello era davvero inaccettabile.
Prese immediatamente il telefono e compose il numero di Sienna: irraggiungibile. Ma lei e Todd andavano a fare cose sporche in galleria?!
Chiuse la chiamata e compose un altro numero: «Pronto?»
«È totalmente inaccettabile. Scorretto e maleducato. Cattivo ed irrispettoso.»
«Keira?» la voce di Ben era atona, come se dovesse nascondere qualcosa: ma aveva da sfogarsi con qualcuno e la sua prima scelta era occupata.
«È ufficiale! ‘Sta assieme a quella troia ufficialmente!»
«Rupert?» ipotizzò il ragazzo, lievemente più interessato.
«Sì! Non sono passati nemmeno due mesi! ‘Sto bastardo!»
«Gelosa?»
«NO! È semplicemente la persona più meschina, anticonformista per il galateo e tutte quelle cazzate lì—
«Ehi, K? Sai di starti contraddicendo da sola?»
«Sì!» crollò seduta su una sedia «Non voglio nemmeno pensare a quando faranno domande, e vorrei potermi teletrasportare da casa al palco del Comedy Theatre e viceversa!»
Il ragazzo ridacchiò: «Sarebbe la risoluzione dei problemi di molti!»
«Cosa stavi facendo?»
«Ehm...»
«Non è che verresti qui? Ho bisogno di parlare a voce, faccia a faccia...»
«Ehm, verrei volentieri...»
«Ma anche no! Tu mi hai piantata in asso sabato scorso e ora “andresti volentieri”? Stronzo!» una voce si intromise nella loro discussione e Keira per poco non lanciò la cornetta dall’altra parte della stanza.
«Chi diavolo è?!»
«...Scusa.» sentì Ben imprecare a bassa voce «Posso richiamarti dopo?»
«Ma ti ho disturbato? Dio, avrei dovuto chiedertelo prima...» iniziò ad innalzare la barriera che aveva frapposto tra lei e Ben inizialmente, quando si erano conosciuti.
«No! Non devi chiedertelo, non ce n’è bisogno.»
«Sì che deve! Non è la tua fidanzata!» la voce da oca che si era udita precedentemente, fece nuovamente capolino.
«Keira... scusami. Ti richiamo tra due minuti, davvero.»
«...D’accordo.» chiuse la chiamata con gli occhi sbarrati, decidendo di andare a controllare se il frigorifero fosse meno che semi-vuoto come sempre.
Era meno che vuoto e sarebbe stata costretta a fare la spesa: salì in camera, dimentica di quello che le aveva detto poco prima l’amico; anche nel momento in cui se lo fosse ricordato avrebbe comunque pensato che non l’avrebbe richiamata, tant’era impegnato a litigare con quella ragazza.

Chiudendo la chiamata per poco non sbatté il cordless sul tavolo: «Mi dici cosa diavolo ti prende, Tamsin?»
«A me? Da quando ti senti con quella sei tutto preso da lei e ti dimentichi di me!»
«A me pare tanto che tu stia facendo la fidanzata gelosa. Cosa che propriamente non sei. O almeno, non sicuramente la prima.» non seppe da dove tirò fuori quella durezza, però l’aveva davvero innervosito.
La ragazza tratteneva a stento le lacrime, ma riuscì a mantenere la calma e la tranquillità, avendo ancora la dignità di alzarsi, prendere la borsa e allontanarsi «Quella ragazza ti fa male, Ben. Non sei mai stato così acido e... stronzo con me. Mai.»
«Hai ragione, non sono mai stato così acido. Ma tu non ti sei nemmeno comportata mai come un’oca del genere prima d’ora.»
«Mi stai insultando?!» le si incrinò la voce, ma si erano presentate anche alcune sfumature di rabbia.
«No. Sto solo facendoti presente che il tuo comportamento è stato tale. Non sto dicendo che tu lo sia.»
«’Fanculo.» gli rivolse un’occhiata arrabbiata e se ne andò, sbattendo la porta.
Non aveva ancora sbollito la rabbia che il fratello già si presentò: «Perché i toni erano alti? Mi sono perso una scenata epica?»
«Non ora, James.»
«Posso fungerti da sacco di boxe?» Ben rise: il fratello era riuscito ad allentare un po’ la tensione.
«No, meglio di no. Mi passeresti il telefono?»
«Eccolo!» gli lanciò il cordless, che prese al volo «Però! I nervi tesi aumentano le tue capacità di ricezione!»
Ben scosse la testa, alzando un sopracciglio e componendo il numero di casa di Keira: ma rispose la segreteria telefonica.
Non se la sentiva di chiamarla al cellulare, l’avrebbe richiamato lei se avesse voluto.
«Mamma mia, B.B., che brutta cera che hai.» commentò il fratello, facendolo nuovamente sorridere «Stavolta non ho fatto nessuna battuta!»
«Mi hai chiamato B.B.»
«E quindi?!» chiese James, mangiucchiando dei biscotti.
«Mi firmo sempre così con...»
«Fammi indovinare: Keira?» propose lui, sorridendo malizioso.
«James... cosa vai pensando?»
«Nulla! A dopo!» aveva risposto troppo velocemente ed altrettanto celermente era scappato via in camera sua.
Dannato James, tramava qualcosa.

Aveva scoperto che la delusione era facilmente superabile con lo shopping, anche nel supermarket. E dopo questa novità, non poteva che comprare tutto ciò di cui la sua cucina aveva bisogno, o almeno, tutto ciò di cui credeva quella avesse bisogno.
Cereali al cioccolato – il cioccolato era un toccasana per la tristezza, ma questo lo sapeva bene – barrette di cioccolato, uova di cioccolato e mousse al cioccolato, ma anche pizze surgelate di vario tipo – così che non dovesse chiamare la pizzeria dietro l’angolo per farsi portare a casa qualche loro creazione e spendere così soldi per la consegna a casa e quegli scempi gastronomici – riso nero, parboiled e “allungato” – che non sapeva cucinare, ma questi erano solo dettagli – pasta integrale e non, succhi di frutta di tutti i tipi, ma non di arancia; e ancora uova, latte, carne di pollo, maiale e vitello, frutta e verdura... aveva riempito almeno sei borse di shopping “gastronomico”.
Non avrebbe mai consumato quella caterva di roba.
Così tornò a casa, lasciò ciò che davvero le serviva e quindi i beni di prima necessità e caricò le restanti buste – esattamente la metà di ciò che aveva comprato – in auto: ebbene sì, ne aveva una anche lei nascosta in garage.
Aveva in mente qualcuno che avrebbe saputo che farsene di pasta integrale, normale e di vari tipi di riso.

Per trovare quel palazzo aveva cercato su tutti gli elenchi telefonici la via corrispondente al numero di telefono, e in un’ora ce l’aveva fatta, anche a trovare parcheggio.
Pagò il ticket e citofonò: «Chi è?»
«Ehm... Keira. Ma non dirlo a Ben.» sentì il fratello dell’amico sussultare: «D’accordo.»
Le aprì il portone e la ragazza riuscì a prendere l’ascensore in tempo, pur correndo piena di borse: James le aprì subito la porta, senza permetterle di bussare, e si ritrovò in casa Barnes per la prima volta, carica di buste e ancora col cappotto addosso, a guardarsi intorno.
Sentì una musica provenire da una stanza chiusa, e una voce cantare abbastanza distintamente: aprì cautamente la porta, trovando Ben che strimpellava ad una chitarra e cantava.
«Free from all you’re meant to be... come on baby, jump right in. ‘Cause tonight we can, right here... where we want to be.»
Se avesse continuato ad ascoltarlo, lei sarebbe scoppiata a piangere, per davvero. La porta si era lentamente aperta da sola e non se ne era nemmeno accorta: «Keira? Cosa ci fai qui?!»
Non appena la vide smise immediatamente di suonare e si alzò per liberarle le mani dalle borse: «Cosa diavolo hai portato? I rifornimenti per la RAF?!»
La ragazza ridacchiò, asciugando delle lacrime che si erano fatte largo agli angoli dei suoi occhi: James se n’era andato non appena aveva visto che non lo stavano calcolando minimamente, erano troppo presi l’uno dall’altro.
«Ehi... ehi!» la abbracciò, notando che aveva iniziato a piangere a dirotto «Che succede?»
«Ho fatto un po’ di shopping terapeutico.» indicò le buste della spesa, strofinandosi gli occhi per quel che poteva, stretta tra le sue braccia.
«E magari vorrai anche toglierti il cappotto visto che il caldo che sta qui è paragonabile a quello delle Hawaii d’estate?»
Keira scoppiò a ridere tra le lacrime, annuendo: «Sarebbe meglio!» strofinò nuovamente gli occhi e lasciò il cappotto sul divano che si trovava quasi in prossimità dell’ingresso «Ho preso troppa roba. Mi sono lasciata prendere dalla mania di comprare e ho speso tanto... per nulla.»
Ben iniziò a frugare per le buste, tirandone fuori il materiale alla rinfusa: «Riso nero, riso parboiled, riso allungato, pasta integrale... Keira. Sei affetta da qualche mania che non conosco? Ma le sai cucinare almeno, queste cose?!»
La ragazza scosse la testa, guardandolo con gli occhi colpevoli di un cane bastonato che aveva appena infastidito immotivatamente e troppo un gatto; Ben scoppiò a ridere, portando le buste integre in cucina e raccogliendo i pacchi di riso e pasta sfusi dopo «Vieni con me, istruisco il tuo palato.»
Keira alzò un sopracciglio «Ti credi forte!»
«Lo sono! E cucino sicuramente meglio di te e della pizzeria in fondo alla strada!» ribatté lui, trascinandola in cucina «Ehi James, hai fame?»
«Ma se abbiamo finito di mangiare tre ore fa!»
«Ripeto la domanda, Barnes secondo: hai fame?» continuò il ragazzo, iniziando a macchinare con le pentole sul ripiano dei fornelli: dopo qualche secondo sbucò la testa del fratello «In realtà, sì.»
«Ti conosco troppo bene!» esclamò Ben, lanciandogli un’occhiata furba «Comunque lei è Keira, lui è James. O vi siete già presentati prima?»
«Non l’abbiamo fatto. Eravamo impegnati a non farti sapere che era qui!» si strinsero vicendevolmente le mani e poi James sparì nuovamente in camera sua.
«Cosa suonavi prima?» chiese dopo un po’ Keira, troppo impegnata a guardarsi intorno e tacere per parlargli.
«Oh, una canzone della colonna sonora di un film... quello sulla storia degli U2 raccontato dalla band rivale.»
«Killing Bono? Ne avevo sentito parlare...» poi ci rifletté su «Ma non ci sei tu in quel film?»
Il ragazzo le lanciò uno sguardo e annuì «Sì, perciò conosco tutte le parole.»
«Sei bravo. Anche a cantare, hai una bella voce. E suoni bene.»
«Grazie!» rispose lui, sinceramente.
Passò il resto del pomeriggio così, finché non dovette lasciare casa Barnes per andare al teatro: non aveva proprio voglia di affrontare la conversazione “Rupert”, aveva solo bisogno di svagare un po’ la mente; e con quei due ci era riuscita benissimo, senza pensare a qualunque argomento greve.

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Capitolo 9
*** 8. ***


8.
Aveva riordinato la posta e controllato le sceneggiature che le erano state mandate: sapeva che a breve avrebbe dovuto partecipare alla ripresa di una commedia il cui nome era “Seeking a friend for the end of the world”. Che nome lungo per un titolo.
Sbuffò e sprofondò nel divano: sentiva la necessità di reagire e rifarsi una vita.
Barcollò fino ad una libreria, prendendo un librone impolverato pieno di tragedie euripidee e se lo trascinò in salotto assieme al telefono cordless.
Aveva iniziato a leggere le battute dell’Ifigenia in Tauride quando quello suonò, e lei non esitò a rispondere: «Lo sai cosa sto facendo? Leggo Euripide. Euripide! Se mi ammazzo alla fine chiami tu l’1111?» era certa fosse Ben, Sienna non si faceva sentire da un po’.
«Ehm, probabilmente mi hai scambiato per qualcun altro.» rispose la voce al telefono... che non era quella di Ben.
«Sicuramente!» ribatté la ragazza, piccata «Con chi sto parlando?»
«James, ti ricordi?»
«Eppure non sembravi tu... perché il mio telefono non ha riconosciuto il tuo numero?» Keira riprese con la sua parlantina «Dimenticavo, Ben è in casa? Stavo proprio pensando di chiamarlo...»
«Righton. James Righton, il ragazzo che Alexa ti ha presentato alla festa di Sabato scorso...» percepì qualcosa simile ad una nota di rassegnazione nella sua voce.
«Ah, certo! Scusa, ti avevo scambiato con un’altra persona...»
«Avevo notato.» rispose lui, secco.
Ma cosa pretendeva, un saluto gioviale? Era il pretendente affibbiatole da un’amica che non sentiva da una vita e non capiva cosa lei volesse in quel momento.
«E come mai hai chiamato?»
«Per chiederti di uscire.» Keira per poco non urlò un “Eh?” che gli avrebbe trapanato i timpani.
«Bé, e cosa ti fa pensare che io ti risponderei di sì?»
«Il fatto che saresti propensa al suicidio leggendo quell’Euripide che manco conosco?» era persistente, avrebbe ceduto solo per chiudere la conversazione.
«E cosa ti fa pensare che mi piacerebbe passare del tempo con te?» continuò lei: già non ne poteva più di quel tizio.
«Il beneficio del dubbio: non mi conosci, potrei piacerti come potrei non piacerti. Concedimelo ed esci con me.» aveva la battuta pronta, doveva ammetterlo.
«...Forse. E se decidessi di sì, dove dovrei raggiungerti?»
«London Eye, stasera alle sette, ci sarà un taxi ad aspettarti.»
«Suona come un rapimento.»
«Ti vedo molto ben disposta nei miei confronti! D’accordo, a stasera.»
«Ehi, io non ho ancora deciso per il sì, brutto sbruffone che non sei altro!» ma non aveva nemmeno atteso la sua risposta che già aveva chiuso la telefonata.
Irritata, fece un’altra chiamata: rispose proprio la persona da lei desiderata: «Keira? Sei quasi puntuale negli orari.»
Poté giurare che stesse sorridendo, dall’altra parte del telefono: «Ogni due ore, come la poppata ai bambini?»
«Quella è ogni tre, ignorante! E comunque non lo so... l’ora del tè però non la manchi mai.»
La ragazza ridacchiò: «Sarà che ho voglia di tè e in casa non ce n’è.»
«Lo devo prendere come un gioco di parole?!»
«NO!!!» rispose la ragazza, quasi urlando e battendo i piedi per terra.
«Perché sei così... infervorata?» chiese dopo un po’ lui, presumibilmente stendendosi sul letto ed osservando il soffitto.
«Mi ha chiamato James Righton per invitarmi a cena. Il mio giorno libero dal teatro per stare con lui, assurdo. E dà per certo che io ci vada!»
La risposta fu immediata: «E ci vai?»
Scoprì provare compiacimento per quell’interesse da parte sua: «Non ne sarei intenzionata, ma... hai da fare stasera? Potremmo uscire insieme... non sopporterei rimanere qui a leggere davvero Euripide.»
«Dio, stavi facendo quello?! Vuoi diventare un’Ifigenia?!»
«Ehi, frena con le parole, stavo leggendo proprio l’Ifigenia in Tauride!»
«Visto? Ti leggo nel pensiero!» smise di ridere, per assumere un tono dispiaciuto «Comunque mi piacerebbe tanto essere la tua alternativa al tragediografo greco, ma stasera non posso, mi dispiace.»
Keira ci rimase un po’ male: «Ah... come mai?» cercò di mascherare la delusione.
«Mi vedo con Tamsin. Ha accettato di poter considerare l’idea di perdonarmi... mi dispiace davvero tanto, soprattutto perché eri libera! Domani?»
Non appena sentì il nome dell’oca s’irrigidì: «Domani ho il teatro.»
«Mattina?»
«Forse. Bé, ci vediamo.»
«Ehi, K, sicuro che è tutto a... posto?» l’ultima parola la pronunciò a vuoto, gli aveva attaccato in faccia.
Cosa diavolo le era preso?
Erano le sei e mezzo e stava finendo di truccarsi: non voleva vedere Righton sul serio, però uscire anche senza l’accompagnamento di Ben le avrebbe fatto bene... ed era quasi certa che il rockettaro gli desse fastidio.
Ritoccò il mascara e prese la borsetta: aveva addirittura deciso di farsi bella, non tanto per il ragazzo in questione ma nella speranza di incontrare un qualche paparazzo, venir fotografata e sbattuta su una qualche testata giornalistica di giornaletti spazzatura per esser vista da Ben; e non concepiva assolutamente quel senso di sfida nei suoi confronti che si faceva sempre più vivo in lei.
Aveva deliberatamente mancato tutte le chiamate dell’amico ed evitato i suoi messaggi: non aveva risposto a nessuno e dopo un po’ quello aveva smesso di contattarla. Il taxi che aveva chiamato la aspettava fuori di casa e lei non tardò ad entrarvi.
«Centro... London Eye.»
«D’accordo.» il cinquantenne pakistano non la guardò nemmeno in faccia e iniziò a guidare il cab.
Sapeva in cuor suo di non volerlo incontrare, non le diceva davvero nulla. Non avrebbe accettato se non per ripicca... nei confronti di chi e cosa, poi?
Quella Tamsin non la conosceva nemmeno, sarebbero potute essere amiche, potevano essere un terzetto... baggianate. Era una stupida oca gelosa ingiustamente del suo amico e non voleva avere a che fare con delle oche.
Pensarci le stava dando il voltastomaco.
Il tragitto fino alla destinazione prestabilita proseguì tranquillo e non poteva giurare di aver sentito il suo telefono squillare. Ma non le interessava: uscì dal taxi a testa alta, scorgendo un altro taxi vicino alla biglietteria della ruota panoramica.
Pagò il tassista che l’aveva accompagnata fin lì e raggiunse l’altro cab: non fece in tempo a sedersi nei sedili posteriori che il conducente uscì dall’auto per aprirle la portiera del posto accanto al suo. Non poté crederci: era James!
«Cosa diavolo ci fai lì?!» sorrise non appena lo vide, era buffo.
«Vedi, l’inclinazione delle tue labbra mi fa presumere che quello sia un sorriso» la ragazza annuì «Non devo essere così male, allora.» le fece un occhiolino, come per convincerla.
«Non ho detto questo!» affermò Keira immediatamente, sulla difensiva «Buonasera, comunque!» si avvicinò per baciargli le guance convenzionalmente e poi salì nell’auto.
«Non volevi l’usciere?»
«No, so fare da sola.» rispose lei, con un sorriso di circostanza.
«Sei ritornata dietro il tuo scudo di sorrisi di circostanza? E dove l’hai lasciato Ben stasera? Avrei giurato di vederlo accompagnarti qui.» James alzò un sopracciglio, maliziosamente.
La ragazza si irrigidì, forzandosi per non guardarlo gelidamente: «Aveva da fare.»
Cadde il silenzio nella macchina, che Keira ruppe chiedendo dove stessero andando.
«Sorpresa!»
«Odio le sorprese, dagli sconosciuti soprattutto.» commentò lei, piccata.
«Ribadisco il fatto che tu sia davvero ben disposta» ribatté James, sarcasticamente; il telefono di Keira emise un altro bip «Ma che diavolo è questo rumore?! Sei un centralino?»
La ragazza si trattenne dal guardarlo male e prese il telefono: altri cinque sms di Ben.
“Ma sei a casa, lontano dal telefono?”
“Non sei a casa, non rispondi. Hai lasciato il cellulare a casa?”
“K, mi stai facendo preoccupare...”
“Ma ti sei arrabbiata per qualche motivo con me?”
“Ti prego! Non anche tu!”
Rispondendogli si sarebbe calmato, e per qualche secondo avrebbe potuto evitare James: “Scusami, non volevo deliberatamente rispondere a nessuno perché sono nervosa, non ce l’ho con te. Come va?”
Ricevette una risposta dopo qualche secondo: “Menomale! Bene, sto andando a prendere Tamsin... tu non sei a casa, vero?”
«No.» rispose gelidamente.
«Come?» chiese James, distogliendo lo sguardo dalla strada per guardarla in faccia: non aveva un aspetto propenso ad uno scambio cortese di opinioni «Oh, non c’entravo nulla!»
“No, non sono rimasta a casa!” digitò velocemente la risposta.
“Sei da Sienna?”
“No...”
«Potevi uscire con il tuo cellulare, se volevi!»
Dio, gli avrebbe tirato un pugno in faccia. Ma si limitò a guardarlo malissimo.
Non ricevette un ulteriore sms, presuppose Ben avesse capito.
«Allora, che stai facendo di questi tempi?»
«”The Children’s Hour” al teatro e sono in procinto di lavorare ad un film su Freud e Jung.»
«Io suono!»
«Lo so, me l’ha detto Alexa.» non voleva fare conversazione, uscire quella sera era stato il più grande errore della settimana. Voleva semplicemente rintanarsi nel suo letto a guardare un qualche film degli anni trenta.
«The Claxons... Ci conosci?»
«Veramente no.» rispose quella, sinceramente.
«Oh!» il ragazzo mostrò una lieve delusione.
Rimasero nel traffico londinese per oltre un’ora e in tutto parlarono a stento quindici minuti: non appena trovarono parcheggio in pieno Soho vicino al locale scelto dal ragazzo, Keira si catapultò fuori dall’auto.
«Non vuoi l’usciere.»
«No.»
«Era una constatazione.» affermò il ragazzo, seguendola nell’attraversare la strada.
Keira aprì la pesante porta e scese abbastanza facilmente i gradini che avrebbero portato alla sala: in realtà era un locale molto carino, le ricordava uno di quelli degli anni trenta. Guardò il suo vestiario e lo trovò consono: mancava solo la veletta. Sorrise tra sé e sé e si guardò intorno mentre attendeva che James scendesse.
Sebbene la compagnia non fosse delle migliori, almeno il posto era carino.
Non appena vide il giradischi penso immediatamente a Ben: sarebbe dovuto essere lui lì con lei. Era la serata perfetta per due estimatori degli anni venti e trenta.
Guardandosi intorno decise di soffermare la sua attenzione su una ragazza la cui presenza cozzava irrimediabilmente con quella degli altri invitati: era esuberante, bionda platino e aveva un vestito argentato davvero orribile. Notando il suo accompagnatore raggelò, si irrigidì e poi avvampò: Ben le rivolse un ampio sorriso, che svanì non appena vide James.
Immediatamente si girò verso il ragazzo, quasi implorandolo di cambiare ristorante: ma quello notò Ben e l’accompagnatrice e quella visione lo spronò a rimanere lì, magari al loro stesso tavolo.
«Io mi ricordavo mettessero musica indie, però, oggi.»
Keira alzò gli occhi al cielo, ringraziando qualcuno lassù che aveva evitato la presenza di un qualche chitarrista drogato con gli skinny jeans addosso e le converse rovinate appositamente in quel locale, quella sera.
Il maître chiese dove volessero sedersi: Keira si gettò dalla parte opposta della sala, ma James fu più veloce e chiese di unirsi al tavolo di Ben, che ancora li guardava incuriosito. Tamsin si voltò nella loro direzione e raggelò nello stesso modo di Keira, lei stessa lo poté percepire.
E ora avrebbero dovuto passare tutta la serata insieme.
«Buonasera!» James salutò per primo, prendendosi la confidenza di scambiare un abbraccio “maschile” con Ben, che ricambiò riluttante.
Keira non emetteva alcun suono, passando lo sguardo da Ben, a James, a Tamsin; quest’ultima, invece, riprese subito parola e falsità: «Tu devi essere Keira! Ben mi parla sempre di te!»
Dio, l’aveva abbracciata. Quella perfetta sconosciuta oca l’aveva abbracciata.
«Su, risistemiamoci!» esclamò Tamsin, correndo a sedersi accanto a Ben: avrebbe voluto strozzarla seduta stante.
James si sedette accanto al muro e a Keira toccò, fortunatamente, il posto più vicino all’uscita – metaforicamente, visto che per scappare via avrebbe comunque dovuto attraversare dieci metri di tavoli con tacchi bassi ma a spillo... maledetta commessa che spacciò quelle scarpe per tipiche degli anni trenta.
«Ciao.» mormorò Ben, non distogliendo lo sguardo da lei.
«Ciao.» rispose quella, volendo invece evitarlo.
«Bé? Come mai siete qui? Per la serata anni trenta?» chiese James, quasi contrariato «Se avessi saputo ci fosse questa roba avrei cambiato posto.»
«L’ho portato io qui! Ma perché il locale era carino... non credevo passassero questo schifo!» rispose Tamsin, mentre Ben e Keira rimasero in silenzio, almeno finché il primo non scoppiò a ridere notando la smorfia dell’amica.
«Spiegate anche a me?» chiese James, notando lo scambio di occhiate dei due ragazzi.
«Ecco!» incalzò Tamsin, acida.
Keira sorrise, venendo intercettata da Ben, che rispose anche per lei: «Nulla, nulla! Comunque non sapevo ci fosse questa serata... sennò sarei corso qui a prescindere da tutto e tutti!» lanciò un’occhiata all’amica, che lo comprese immediatamente, annuendo.
Il maître venne a prendere le ordinazioni e lasciò le due “coppie” a degustare il vino.
«Keira, tu sapevi della serata?» chiese Ben, guardandola.
«In realtà, no. Ma tanto l’avresti saputo, in caso.» fece spallucce, iniziando a sentire una musica che conosceva, mentre invece il suo accompagnatore e Tamsin conversavano placidamente.
«If you want the rainbow, you must have the rain...» Keira iniziò a canticchiare involontariamente, ma fu affiancata da Ben: «Happiness comes double after a little pain…»
«If you want the rainbow, you must have the rain.» conclusero insieme la frase, guardandosi poi con complicità e sorridendosi vicendevolmente.
Tamsin e James li osservavano basiti.
«Oh, ehm... io vado un attimo fuori a prendere un po’ d’aria.»
«Vengo con te!» si propose James, ma Keira lo zittì in due parole: «Vado a fumare.»
«Oh... okay.»
Aveva già preso il soprabito ed era arrivata alla base delle scale, quando Ben si alzò: «Scusatemi, la seguo.» Tamsin lo incenerì con lo sguardo ma non disse nulla. Prese anch’egli la giacca e raggiunse la ragazza fuori dalla porta esterna.
«Hola.»
La ragazza espirò il fumo e lo salutò: «Ciao.»
«Ne hai una anche per me?» chiese Ben, guardando la sua sigaretta.
«Aspetta.» Keira gli porse la sua e cercò in borsa «Questa è l’ultima. La smezziamo?»
Il ragazzo annuì, ispirando ed espirando profondamente.
«Ma non avevi smesso?» chiese lei, facendo il tiro che le toccava.
«E tu non avevi detto che non lo sopportavi?» Ben indicò con un cenno del capo la porta del locale.
La ragazza per poco non lasciò cadere la sigaretta, scioccata non tanto dalla frase, quanto dal fatto che l’avesse davvero pronunciata.
«Sì, l’ho detto.» fece un altro tiro, guardandolo storto e cedendola poi a lui.
«Allora non è molto coerente da parte tua uscirci.»
«Non volevo rimanere a casa.»
«C’era Sienna.»
«Non so dove sia.»
«E non ti preoccupi?» chiese lui, trattenendo la sigaretta un po’ troppo per sé.
«Non vedo perché debba, sarà con Todd. E non capisco che problema ci sia nel fatto che sia uscita con James... sei per caso geloso?»
Il ragazzo tossì il fumo, come se gli fosse andata qualcosa di traverso: «Assolutamente no, tu puoi uscire con chi ti pare e piace, magari mi piacerebbe saperlo, giusto questo.»
«Tu ti sei visto con Tamsin.» gli tirò la sigaretta via dalle mani.
«Ma lei è mia amica!»
«Oca presuntuosa, possessiva egocentrica.» mentre lo diceva credeva di star solo pensandolo «Oddio. L’ho detto sul serio.»
«Sì... ma puoi pensare quel che vuoi di lei, non mi offendo. Tu sei con quel despota autocratico, cretino so-tutto-io.»
La ragazza scoppiò a ridere: «Al massimo “faccio-tutto-io”!» anche Ben sorrise, lasciandole l’ultimo tiro della sigaretta, affiancandola in silenzio.
«Non mi sarei visto con Tamsin se non avessi dovuto farmi perdonare. Non oggi.» la guardò negli occhi, come se con quello sguardo profondo avesse voluto far intendere molto altro.
«La verità è che ci saremmo dovuti essere solo io e te a questa serata! Sarebbe stata perfetta per noi! Ci mancavano solo cilindro e veletta!» si lamentò lei, dopo aver distolto lo sguardo da quello del ragazzo, che scoppiò a ridere nell’immediato momento successivo alla sua frase.
«Forse è meglio se scendiamo, o ci daranno per dispersi.» aprì la porta, la fece passare e la prese sottobraccio.

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Capitolo 10
*** 9. ***


9.
Fortunatamente, piccolo screzio riguardante i loro accompagnatori la sera prima a parte, ripresero a parlare come prima: Ben non si sarebbe assolutamente perdonato un ritorno di Keira nel guscio nel quale era rinchiusa da quando l’aveva conosciuta, a maggior ragione se questo fosse accaduto per colpa sua e di Tamsin.
Keira prese una patatina dal pacchetto, buttandola giù in un istante «Hai visto la faccia di Tamsin quando hai detto “Okay”?»
Ben scoppiò a ridere: «Bé, aveva rifiutato di ballare, e lei stessa aveva proposto di chiederlo a te! Non c’era nulla di male.» fece spallucce «Tu però hai mancato la faccia di Righton quando hai accettato e ti sei alzata. Era sconvolto. Non so se più per il fatto che avessi accettato o perché stessimo per ballare una canzone di Fred Astaire in un ristorante.»
 Keira si unì nella risata: «”Puttin’ on the Ritz” è fatta per ballare, ne avevo proprio bisogno.»
«Sai cosa dovremmo fare?» chiese Ben, con uno sguardo birichino che Keira, stando al telefono, non poté cogliere «Trovare una qualche serata dove si balla musica anni trenta in zona. Magari insegnano anche a ballare come si faceva all’epoca!» ne sembrava estasiato solo all’idea!
«Non è una cattiva idea.» convenne lei «Però mi sorge spontanea una domanda: in quale zona?»
«La mia, ovvio! È più centrale della tua e sicuramente c’è più scelta. E poi potrei accompagnarti al teatro o potresti rimanere a cena da me!» propose, nascondendo un po’ di titubanza «Tu non avresti di che offrirmi, nemmeno se volessi cucinare. E soprattutto, non ti sporcherei i piatti...»
«Okay, bandiera bianca! Hai vinto!» si arrese lei, sorridendo: carino modo per invitarla ad uscire spesso.
Tacquero per un po’ di tempo, mentre Keira sfogliava il libro “Anna Karenina” di Tolstoj e Ben navigava su internet: «Ho trovato!!!»
«Cosa?» chiese Keira, alzando il capo dal libro, come se potesse guardarlo.
«Vieni da me, ora! C’è proprio in una traversa qui vicino un bel posticino! Dai, dai, dai!»
«Ben! Sono le tre del pomeriggio!» ribatté lei, ancora in pigiama e sul divano a leggere.
«Devi stare alle sette al Comedy? Ti ci porto io. Ma dalle cinque alle sei c’è una lezione di Charleston! Ti prego!»
«Ben! Hai organizzato tutto ora!» la ragazza osservò sconvolta la cornetta dell’amato telefono rosso, il cui cavo aveva allungato dalla cucina ed attraversava tutto l’ingresso e il salotto.
«E che fa! Daiiii!» era come se fosse tornato bambino, contento come un bambino.
«D’accordo!» esclamò lei, alzandosi dal divano e lasciando il libro su un tavolino «Mi cambio e arrivo!»
«E non ti lavi? Puzzona!»
«Mi sono lavata mezz’ora fa.» gli rispose, acida.
«Scusa, K... ma che orari hai?»
«I miei! Ci vediamo tra mezz’ora, se i mezzi mi accompagnano!»
«Macchina no?»
«Ci vedremmo tra un’ora e mezza.»
«Okay! Ciao, chiquitita!»
«Vedi che è charleston, non cha cha cha!»
«Volevo chiamarti in modo diverso!» le fece una pernacchia «A dopo!» chiusero la chiamata e lei scosse la testa, ridacchiando: quando si metteva in testa qualcosa, la faceva sempre.
Salì al piano di sopra ed infilò una maglia a righe – Sienna la definiva da carcerata – i jeans e un paio di stivaletti. Stava per lasciare la camera, quando le venne in mente che per ballare le sarebbero servite almeno delle scarpe simili a quelle che si utilizzavano a quel tempo: le prese da terra e le infilò in borsa, correndo al piano di sotto.
Prese il libro che stava leggendo, il cellulare e le chiavi ed uscì di casa.

Chiuse la chiamata ed iniziò a informarsi meglio sul corso di ballo: come si andava vestiti, di cosa si avesse bisogno, chi fossero gli istruttori... aveva sempre desiderato imparare cose del genere!
«Non vorrei che la prendessi male, ma da quando frequenti Keira sei... diverso.»
Ben si voltò, terrorizzato: «Me l’ha detto anche Tamsin. Sono davvero più stronzo?»
James sorrise, scuotendo la testa: «No! Meno orso e tedioso, più aperto al mondo e solare! Dai, fratello, a me lo puoi dire, ti sei innamorato?!» chiese maliziosamente, ma non vi fu tentennamento o dubbio nello sguardo dell’altro ragazzo, che però non rispose subito.
«Non penso. Cioè, mi piace stare con lei, passare il tempo insieme... ci sono molti punti in comune. E poi tira fuori la parte di me più giocosa, bambinesca. Era una sensazione che non provavo da parecchio.»
«Ma ti piace?»
Il ragazzo annuì: «È davvero una bellissima persona. Una brava ragazza, buona, anche se un po’ schiva e talvolta acida...»
James annuì, con un sopracciglio alzato: «Io ho i miei parametri di valutazione ed ora ho abbastanza informazioni per poter giudicare. Okay, sei libero!» fece per andarsene in camera, ma il fratello lo bloccò: «L’esito è positivo o negativo?»
«Segreto, caro! Dovrai scoprirlo tu cosa provi!» James gli sorrise e lo lasciò in salotto da solo.
Lasciò il computer – con il quale non aveva un buon rapporto, infatti era stato un puro caso che avesse trovato qualcosa su internet – e si gettò sul divano per leggere una rivista: suonò il citofono e si precipitò a rispondere «Keira!»
«No. Sono Tamsin. Aspettavi qualcun altro?» la voce era tagliente quanto una lastra di ghiaccio siberiano.
«In realtà sì... ma sali!» le aprì il portone e aspettò che arrivasse per aprire la porta.

Arrivò sotto casa Barnes in tempo e citofonò: rispose James.
«Potresti non essere contenta della sorpresa» disse il ragazzo, a bassa voce.
«C’è Tamsin?»
«Quanta gioia nella tua voce! Sì, comunque. Sali!» le aprì il portone e lei prese l’ascensore sconfortata: non voleva proprio vedere la sua brutta faccia.
Non appena arrivò vide la ragazza avvinghiata con fare possessivo a Ben, il quale guardò prima lei, poi Tamsin attaccata a lui come un mitile, e poi alzò gli occhi al cielo: Keira si portò una mano alla bocca e ridacchiò, lui le sorrise; l’altra intercettò i loro sguardi ed alzò un sopracciglio.
«Keira! Ma che piacere! Dove hai lasciato James?»
«Non so dove sia... sai, non stiamo insieme, siamo giusto usciti ieri.» la ragazza fece spallucce, sedendosi sul divano accanto a quello dov’erano gli altri due: James, dopo averle aperto la porta, si era nuovamente dileguato in camera sua, con un pacco di biscotti in aggiunta.
«Diventerà chiatto come un dirigibile se continua così.» Ben scosse la testa, osservando la camera del fratello.
«Povero! È tenero, devi ammetterlo.» rispose Keira, guardandolo da sopra la sua copia di “Anna Karenina”, di cui si era prontamente armata per non affrontare lo sguardo cattivo di Tamsin... o almeno, cattivo nei suoi confronti.
«Hai davvero una passione per i James, vero, Keira?» fece quella, melliflua.
«Invece a te i Ben non dispiacciono per nulla, vero?» ribatté quella, con il medesimo sorriso, per poi ritornare a leggere.
Stette un po’ così, ma non appena Tamsin fuggì in bagno vide Ben sedersi accanto a lei: «Sai tirare fuori gli artigli anche tu, eh?»
«Quando ci vuole, ci vuole.» la ragazza fece spallucce, lanciandogli un’occhiata.
Lui la abbracciò e strattonò da una parte all’altra, facendo sì che si lamentasse non poco: «Hai la leggiadria di un elefante ballerino! Voglio proprio vedere cosa faremo tra un po’!» ribatté quella, mentre Tamsin usciva dal bagno e guardava male entrambi «Dove dovete andare? Posso venire anch’io?»
«Temo di no, Tam! Andiamo a scuola di ballo, a meno che tu non abbia un accompagnatore...»
«Ti sei dato al ballo, mh?» alzò un sopracciglio e prese la borsa «Devo andare, mi vedo con un amico. Ciao!» fu più veloce della luce: i due ragazzi la salutarono quasi con lo stesso “ciao” atono e ripresero con le loro faccende. Ossia per Keira leggere, per Ben darle fastidio.
«Hai portato le scarpette da ballo? Eh, eh, eh?» la smuoveva di nuovo.
«Ben se vomito è colpa tua. E comunque sì, scommetto che tu non sai cosa mettere!» gli rivolse uno sguardo di sfida.
«Le ho!» rispose al suo sguardo, fiondandosi sulla sua spalla per vedere cosa stesse leggendo «Che fai?»
«Leggo ciò da cui sarà fatta la mia prossima sceneggiatura... cioè la sceneggiatura di un film che mi è stato proposto di fare.»
«Credevo fossi l’unico a farlo!»
«Decisamente no!» rispose lei, lanciandogli un’altra occhiata oltre il libro: le piaceva stare accanto a lui, anche senza far nulla.
Era rilassante, riusciva a farle pensare a tutto e nulla.

Erano appena usciti dalla scuola di ballo, stanchissimi.
«Secondo me ti addormenterai sul palco.» azzardò il ragazzo, prendendola sottobraccio.
«Ma proprio no! Anche se potrei dimenticare le battute, me lo sento.»
«Ti vengo a svegliare io!»
«Ti improvvisi attore durante la messa in scena di stasera?» Keira lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Io sono un attore! Osi sfidarmi?» Ben si fermò in mezzo al marciapiede. La ragazza lo guardò con fare riflessivo, come se stesse per dare una risposta di importanza fondamentale: «Sì. Ogni venerdì sera, partendo da domani, vedremo uno dei nostri film preferiti, a turno. E reinterpreteremo alcune scene, per vedere chi è il migliore. Ci stai?»
Vide un lampo guizzare negli occhi del ragazzo, che annuì immediatamente: «Assolutamente sì. Da domani. Facciamo a tocco per chi deve scegliere per primo?»
«Puoi iniziare tu, non mi faccio problemi.» rispose quella, spavalda, riprendendolo sottobraccio e continuando a camminare.
«Io andrei sui classici...»
«Classici come “Casablanca” oppure “A colazione da Tiffany”? Ma anche “Titanic”...» vide di nuovo un guizzo nei suoi occhi, e subito dopo le prese la vita.
«Dammi le mani e chiudi gli occhi... ti fidi di me?»
Keira diventò bordeaux dalla vergogna, notando gli sguardi sconvolti delle persone più vicine «Ben!»
«Daii! Non interrompere il nostro gioco e la nostra sfida!»
Keira chiuse gli occhi con fare rassegnato: «Sì, mi fido.»
«Apri gli occhi.» le sussurrò in un orecchio Ben, con fare canzonatorio.
«Vaffanculo!» iniziò a schiaffeggiargli le braccia non appena si rese contro di stare “volando” sul ciglio del marciapiede, con il pericolo di finire su una strada a traffico veloce.
«La battuta successiva sarebbe dovuta essere “Sto volando, Jack! Sto volando!”... Ma te la concedo!» fece lui, con l’aria da sapientone.
Si ritrovò a picchiarlo e sorridere come un’ebete contemporaneamente, cercando di simulare un’espressione offesa, ma non riuscendoci perché in procinto di ridere apertamente.
«K, stiamo camminando come due ubriachi. Giusto per avvisarti, sai che non mi faccio problemi.»
«Sarebbe troppo presto per esserlo!»
«La stampa non lo sa. Anzi, tanto meglio se si è ubriachi alle sei di pomeriggio, per loro.» rispose lui, facendo spallucce.
«Riprendo il contegno, allora.» rispose quella, sorridendogli: non ricordava qualcuno che la facesse stare bene facendola ridere così tanto.
Non sapeva nemmeno se qualcuno del genere ci fosse mai stato nella sua vita.

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Capitolo 11
*** 10. ***


Ho idea che questo capitolo vi piacerà ;) o almeno, lo spero! Buona lettura!

10.
Il film era terminato da qualche decina di secondi, ma ancora Keira non aveva staccato gli occhi dallo schermo del televisore ultrasottile: lo fissava con un’espressione imperscrutabile.
«Ehi? Terra chiama Keira?» Ben le sventolò una mano davanti al naso e la ragazza si voltò a guardarlo, con gli occhi rossi ed in procinto di piangere. Di tutta risposta l’altro incominciò a ridere spropositatamente: «Tu sei un’inguaribile romantica, ecco cosa sei! E non lo ammetti nemmeno a te stessa!»
Keira tirò su col naso ed iniziò a mugolare: «Non è vero!» poi continuò «È che Rick sarebbe dovuto stare con Ilsa.»
Fu il momento per l’amico di gongolare: «Ecco! Lo sei!»
«La loro era una passione genuina, di quelle inimitabili, insostituibili che possono provare solo alcuni fortunati! E l’hanno gettata al vento!» ribatté quella, a voce più alta. Ben scosse la testa,  contrariato: «Non puoi affermare che quella di Victor con Ilsa non lo fosse. O meglio, sicuramente non era una passione, era amore. Era quello il vero amore, non una passione passeggera.»
«Ma ciò che c’era tra Ilsa e Rick era forte!» continuò la ragazza, alzandosi dal divano e seguendo l’amico in cucina, che replicava con pacatezza a tutte le sue affermazioni: «E si sarebbe estinta in quanto? Due mesi? Tre?»
«Ma era amore nato in periodo di guerra, dove sapevi di poter morire da un momento all’—
«Passione, la loro non era amore. L’aveva capito anche Rick.»
Keira sbuffò: «Non sono d’accordo!»
Ben distolse lo sguardo dalla padella davanti a sé per voltarsi e sorriderle: «L’avevo capito.»
Quella lo guardò male, dondolando i piedi dallo sgabello dov’era seduta e posando i gomiti sulla penisola dove avrebbero mangiato; l’altro, cucinando, prese parola: «D’accordo, non vado oltre, sennò mi cucini tu. E poi mi mangi.» la guardò nuovamente, con un sopracciglio alzato.
«Suona la nostra canzone, Sam. Come a quel tempo.» recitò dopo un po’ la ragazza, guardando Ben: che le rispose qualche secondo dopo «Non conosco cosa dite, signora.»
«Suonala, Sam. Suona... “Mentre il tempo passa”.»
«Non ricordo signora, Mia testa un poco stanca.»
Continuarono finché non fu pronta la cena, preparata ovviamente dal ragazzo: l’altra si limitò ad apparecchiare la tavola e sedersi poco prima che Ben versasse vino nei loro bicchieri e servisse il roastbeef con le patate.
«No, ma l’accostamento con il vino mi piace molto!» commentò quella, pronta a prendere il bicchiere.
«Alla tua salute, bambina!» fece il ragazzo, guardandola negli occhi.
«Time out per la sfida, ho fame e voglio mangiare.»
«Accetti la sconfitta, quindi?»
La ragazza gli rivolse uno sguardo superiore: «No! Al massimo un pareggio!» mangiò un pezzo di carne «Mi rifarò venerdì prossimo.» affermò, sicura.
«Certo!» l’esclamazione di Ben sembrava tutto fuorché sincera: passarono il resto della cena a battibeccare quasi come sempre.
Quando toccò a Keira sparecchiare lo fece così in fretta che sembrò un fulmine non appena corse via per occupare il divano: «Telecomando mio!»
«Prego!» ribatté qualche minuto dopo Ben, raggiungendola dopo aver riempito la lavastoviglie di ciò che avevano utilizzato circa una mezz’ora prima «Questa TV ci farà diventare delle amebe.»
«Mi suoni qualcosa, allora?» chiese l’altra senza pensarci, voltandosi verso di lui con fare sbarazzino.
«...Forse.» rispose quello, con lo sguardo ugualmente furbo.
Keira non si arrese ed iniziò a pregarlo e dargli appositamente fastidio, al ché il ragazzo non poté far altro che alzare gli occhi al cielo e trascinarla in camera sua: l’altra non comprese «Perché qui?» non appena vide un pianoforte a muro nell’angolo comprese «Ah. E la chitarra?»
«Non sono bravo, so giusto suonare qualcosa... pianoforte e batteria invece li trovo più... facili.»
«Il piano più facile?!»
Ben fece spallucce: «Sarà perché lo suono da quand’ero piccolo.»
Prese posto e Keira lo seguì prima con lo sguardo, poi lo raggiunse: lui aveva iniziato a suonare qualcosa, ma non riconosceva ancora quale canzone fosse.
«Come up to meet you, tell you I’m sorry, you don’t know how lovely you are… I have to find you, tell you I need you…» cantava con la sua voce profonda, ma diversa da quella del cantante-leader dei Coldplay.
Lo osservava attentamente, presa tanto dalla triste canzone che... da lui. Era ancora più affascinante come musicista che come attore e riusciva senza dubbio a reinterpretare canzoni famose nel suo modo.
Posò le mani sulle sue spalle, osservando invece le sue che si muovevano abili sulla tastiera del pianoforte: il ragazzo sobbalzò, voltandosi per guardarla. Era così preso dalla musica che s’era quasi dimenticato ci fosse qualcun altro nella camera.
Quando il ragazzo s’interruppe per rivolgerle lo sguardo lei lo trattenne per qualche secondo, per poi distoglierlo velocemente, non appena si accorse di quanto fosse intenso... così intenso che si era sentita come se il suo stesso animo fosse stato visto completamente nudo da Ben, e quella sensazione era contemporaneamente bella e spaventosa.
«La bella e la bestia» disse Keira, dopo un po’, ritornando a guardarlo negli occhi.
«Quale?» chiese immediatamente lui, sovrappensiero: l’altra iniziò a cantare quello che si ricordava, e Ben la seguì con la musica.
«Ti prego, non far cantare me! Sono terribilmente stonata!» ribatté quella non appena si rese conto del fatto che l’altro avesse ben inteso a quale canzone si stesse riferendo.
«Mi dispiace, cara, è un duetto.»
«Ma lo rovino!» Ben la guardò male e continuò a suonare, convincendola in qualche modo a cantare: aveva decisamente un qualche potere su di lei. Non aveva ancora capito come e perché così fosse, ma lo aveva.

«Non hai portato Tolstoj con te?» chiese Ben dopo interminabili minuti passati in silenzio davanti alla televisione, quasi rapiti dallo stupido programma che stavano trasmettendo: Keira sobbalzò, voltandosi verso di lui «Sì, ma non ho bisogno di prenderlo. Tanto fino a Novembre lo finirò!»
«Inizi a Novembre le riprese?»
«Sì, tra Russia e Inghilterra!»
«Intelligenti.»
«Chi?» chiese la ragazza, tornando a guardarlo negli occhi.
«Chi ha deciso la data. Girare a Russia a Novembre significa farvi morire di freddo, se dovete stare fuori, in abiti d’epoca!»
«Ce la faremo!» Keira fece spallucce «Sai, ci sarà anche Jude.»
«L’ex di Sienna?» chiese lui retoricamente, spostando la sua mano dalla spalliera del divano alla spalla della ragazza.
«Sì! Non ti chiedo più come lo sai, devi essere uno di quei malati di gossip che hanno scomparti nascosti degli armadi pieni di vecchie copie di “OK!” e similari!» rispose quella, lanciandogli un’occhiata maliziosa che lui non colse, o meglio, a  cui preferì non ricambiare «E non gliel’ho ancora detto.»
«Forse sarebbe meglio se lo facessi.»
«Lo so. Sono anche sua moglie.»
«Sienna non ti ammazza, vero?» si accertò lui, con un’espressione fintamente preoccupata.
«Spero di no!» rispose quella, sprofondando la testa tra il divano e la spalla del ragazzo. La discussione cadde nuovamente, come spesso succedeva tra i due, ma senza suscitare alcun tipo di imbarazzo: Ben disegnava ghirigori immaginari alla base del suo collo e lei respirava il suo profumo come se fossero le cose più normali del mondo.
«Ehi Ben, che ore sono?»
«Mezzanotte e mezza.»
«Mi secca tornare a casa, è tardi e non voglio prendere i mezzi...»
«Rimani qua.» propose lui, calmo «James non so se rincasa e avremmo comunque una camera degli ospiti... e se proprio non vuoi c’è il divano.»
Keira lo guardò negli occhi, trovandolo “più” comodo del solito e anche più tranquillo: «Okay. Voglio una coperta, però.»
«No, dormirai sulla nuda terra!» ribatté quegli, sorridendole «Sì, sì, avrai una coperta! Sicura che vuoi rimanere sul divano?»
Keira annuì, guardandolo negli occhi: «È un divano davvero comodo.»
«Il letto degli ospiti lo è anche di più.»
«D’accordo.» cedette quella, rivolgendogli un’occhiata e tornando a fissare lo schermo della TV.
«Ehi K?»
«Sono sveglia.»
«Questo programma ci sta rintronando.» Ben spense con certezza la televisione e nascose il telecomando dietro la sua schiena e Keira cercava in tutti i modi di prenderlo.
«No cara, non te lo permetterò! Diventiamo dei vegetali presi dalla TV! Basta!» le bloccò le mani con le sue e prese a solleticarle il collo con il naso.
«Nooo!» esclamò quella, ridendo a crepapelle e cercando di chiudersi a riccio su se stessa: ma Ben lasciò perdere il telecomando da proteggere e le si avvicinò con tutta l’intenzione di darle più fastidio e farla morire dalle risate, solleticandole la pancia in ginocchio davanti a lei, con le sue gambe intorno al tronco «Sei uno stronzo! Basta!» gli tirò uno schiaffo su una spalla, facendosi lei stessa male «Ahio!»
Tenendosi la mano dolorante con l’altra, notò che Ben si era fermato, non era più giocoso come prima: lo sguardo era indecifrabile, ma l’espressione era sicuramente seria e profonda.
Lei tacque, pensando a qualcosa che sarebbe potuta accadere e contemporaneamente temerla e desiderarla; Ben passò una mano dalla sua pancia al collo, mentre l’altra mano giocava con i suoi capelli e i loro visi distavano pochi centimetri.
L’aria sembrava essersi immobilizzata, sospesa, come se tutto fosse fermo in quel momento: Keira passò cautamente una mano sul suo torace, come se non fosse sicura, mentre l’altra si posava sul fianco del ragazzo; aveva quasi paura di compiere atti avventati che avrebbero rovinato il momento, ma avrebbe anche voluto bloccarlo perché non lo reputava giusto. Testa e cuore non erano sulla stessa linea d’onda.
Ben si avvicinava circospetto, ma sicuro; e lei teneva gli occhi puntati nei suoi. Li chiuse non appena fu certa di quello che stava per accadere: il contatto con le sue labbra era diverso da come se l’era aspettato. Era più umido, più dolce e nettamente migliore.
Riaprì gli occhi per guardarlo e notò che si scrutavano a vicenda: riprese a baciarlo lei, ma con più passione; e con la stessa veemenza si bloccò: «Ben... non possiamo.»
Lui la osservò attentamente, come per scegliere le parole giuste: «Potremmo. Se te la senti.»
Keira scosse la testa velocemente, con un’espressione mortificata: «Non ci riesco, non ancora.» affondò la testa nella sua spalla, triste.
«Vieni qui.» fece lui, sistemandosi meglio sul divano e tirandola a sé in un abbraccio: che l’altra non disdegnò in nessun modo.

In tarda mattinata era già a casa sua, l’aveva riaccompagnata l’amico. Non appena rientrò sospirò pesantemente: aveva fatto la cosa giusta, o no? Sapeva che razionalmente lo fosse, ma... forse anche emotivamente. Cioè, l’aveva desiderato quel momento e le era anche piaciuto. Ma cosa significava, nel quadro generale? Aveva bisogno di riflettere: Ben era troppo importante per essere perso per un bacio dato senza sentimento, o nel momento sbagliato.
Senza rifletterci prese il telefono cordless e digitò un numero: «Pronto?»
«Ehi James!»
«Keira?!» il tono era abbastanza sconvolto da essere frainteso.
«Sì! Hai da fare domani a pranzo?»
«No.» rispose lui, guardingo «Perché?»
«Pranziamo insieme?» chiese quella, con fare eccessivamente gioviale, che non le era mai appartenuto.
«... Okay.»
«Ti mando un messaggio per dirti dove! Ci vediamo!» non appena chiuse la chiamata sprofondò nel divano: cosa diavolo aveva fatto, in cosa si era immischiata?

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Capitolo 12
*** 11. ***


11.
Si svegliò di soprassalto, sbarrando gli occhi e saltando subito su: di risposta, le girò la testa e si sentiva debole; non era ancora successo nulla di particolarmente importante con James, ma si sentiva in colpa di non aver detto nulla a Ben. E si sentiva maggiormente in colpa dopo quello che era successo tra loro e che l’aveva portata a quell’insensata telefonata al tastierista del gruppo indie che stava frequentando.
Non poteva continuare così, non poteva assolutamente. Andò in bagno a sciacquarsi il viso e titubante si avvicinò al cellulare: compose un numero tanto conosciuto e dopo qualche squillo rispose una voce altrettanto conosciuta.
«Keira? Buongiorno!» la voce di Ben era solare come ogni volta che rispondeva alle sue chiamate.
«Ehi! Anche a te!» non sapeva più cosa dire, non era un silenzio piacevole «Ben... ci vediamo stamattina?»
«D’accordo. Hyde Park?»
«Mhmh» rispose la ragazza, annuendo «Ci vediamo dopo, il tempo di vestirmi e vengo.»
Quella faccenda aveva la priorità su qualsiasi cosa, aveva bisogno di dirgli la verità e anche subito: si infilò nella doccia, doveva fare il più in fretta possibile.

Oramai conosceva i tempi della ragazza ed era in perfetto orario non appena si sedette ad una panchina vicino al Serpentine: era certo che lei l’avrebbe trovato. Infatti, dopo nemmeno cinque minuti la vide arrivare tutta trafelata nella sua direzione: posò il giornale e la salutò con la mano; Keira gli rispose con un sorriso e si sedette accanto a lui non appena arrivò: «Buongiorno!» gli baciò una guancia «Scusa il ritardo.»
«Solo qualche minuto, siamo stati quasi telepatici.» gli sorrise: preferiva quella Keira. Quella che si mascherava e andava in giro con gli occhiali e il cappuccio a quadri sulla testa, o uno di quei cappelli “a fagiolo”.
Il caso voleva che proprio quel giorno lo indossasse, insieme ad un paio di jeans ed una giacca normalissima: «Brrr.»
«È tutto normalissimo, a fine febbraio.» commentò lui, riprendendo il giornale e guardandola da sopra quello.
«Sì ma... l’avessi saputo sarei rimasta a casa!» si strinse nelle spalle, posando la testa sulla spalla del ragazzo e circondando le gambe con le braccia.
«Su! Come va?» chiese lui, guardandola negli occhi. Forse voleva un altro tipo di risposta.
«Ti devo dire una cosa.» Keira non era più tanto gioviale.
«Dimmi.» fece lui, cauto.
«Mi sto vedendo con Righton.» buttò tutto fuori in un fiato, sentendosi immediatamente libera da un peso: ma non fu lo stesso per Ben.
Il ragazzo sembrò essere colpito in pieno dalla notizia e tacque per un po’. Poi, dopo aver scrutato la gente che passeggiava, decise che forse avrebbe dovuto dire qualcosa: «Oh. Come mai?»
Non l’aveva presa bene, lo sapeva, l’aveva capito. Lei non sapeva perché lo stesse facendo e lui non l’aveva presa bene. Si voleva davvero tagliare le mani, ripensando a quando l’aveva contattato una settimana prima.
«Non lo so... volevo concedergli una seconda possibilità, forse. Non è poi così tanto male, se si evita di guardare alcuni difetti e sue personali chiusure mentali... lo si può frequentare tranquillamente.»
«Da quanto?»
Le sembrava un interrogatorio: «Circa una settimana.»
«Circa di più o di meno?»
«Un poco di più... forse due giorni in più.» voleva scomparire dalla faccia della terra in quel momento... Venere o Marte sarebbero state delle mete abbastanza allettanti.
«Capisco.» commentò semplicemente lui, non guardandola negli occhi: Keira abbassò lo sguardo sui suoi stivali, non sapendo se ringraziarlo o temerlo perché non la guardava più in viso.
«Sei arrabbiato?» chiese istintivamente, volendosi tappare la bocca e non volendo sapere la risposta.
Ben scosse la testa: «No, perché dovrei?»
«Geloso? Deluso?» si sarebbe voluta davvero sotterrare, ora.
Il ragazzo aspettò qualche secondo per scuotere la testa: «Ti va qualcosa da mangiare?» chiese lui, alzandosi per avvicinarsi ad un chioschetto: si vedeva lontano miglia che era diverso, che non era rimasto positivamente colpito dalla notizia.
“Ma era anche ovvio.” Keira zittì la vocina nella sua testa e lo seguì, senza proferir parola: presero dei muffin e si sedettero su un’altra panchina, assaporandoli senza dire nulla.
«Non posso fartene una colpa se vuoi frequentarlo. Bé... così sia, allora.» Ben parlò per prima, facendo poi spallucce: Keira sospirò, sollevata «Temevo mi avresti messo una grossa “x” rossa in fronte!»
Il ragazzo l’abbracciò, scoppiando a ridere: «In effetti ci stavo pensando... ma no, non lo farò!»
Lei gli sorrise, contenta: non era cambiato nulla tra di loro.
Vero?
«Ingrasserai.» commentò lei dopo un po’, indicando il muffin del ragazzo.
«Anche tu.» rispose quello, indicando con un cenno quello ai mirtilli e con la glassa di limone che aveva preso all’amica.
«Non è vero! Non fanno mica ingrassare mirtilli e limone!»
«L’impasto di un muffin grande quanto la tua testa sì, però.» convenne lui, sicuro, addentando il suo dolcetto con soddisfazione.
«Anche tu, di più, perché è al cioccolato.»
«No, sono maschio e ho un metabolismo veloce!»
«Ma cosa dici!»
«E almeno, nel farmi male, godo. Meglio il cioccolato dei mirtilli, la cura di ogni male!» non fece in tempo a finire la frase che la ragazza si gettò sul suo muffin e mangiò l’ultimo boccone, lasciandolo con nulla in mano.
Quegli la guardò sconvolto: «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Cioè, te ne rendi conto?»
Lei annuì, soddisfatta: «E hai ragione: il cioccolato è cento volte meglio dei mirtilli.»
Un lampo omicida attraversò lo sguardo di Ben, che in pochi secondi si caricò Keira sulla spalla, trascinandola verso il lago a testa in giù.
«Ben! Che vuoi fare! BEN!!!» la ragazza non sapeva se urlare o ridere, ma notava, anche se vedendo il mondo al contrario, che la gente li guardava.
«Tu la pagherai. Ancora non so come, ma la pagherai.» il ragazzo la trasportava tranquillamente così in giro per Hyde Park, senza farsi alcun problema su chi potesse vederli e riconoscerli.
«Barnes, ho il sangue alla testa.»
«Tutti ce l’abbiamo, sennò, povero cervello, come sopravvivrebbe?» rispose lui, passeggiando lungo un viale.
«Nel senso che mi dà fastidio stare così!»
«Ci rimani, non ho ancora trovato la tua punizione!» Keira iniziò a tirargli dei pugni sulla schiena e sul sedere, mentre lui la bloccava per le cosce «Se ti ribelli ti appendo più in alto.»
«Barnes... COSA VUOI FARE?!» non appena si sentì sollevata verso un ramo iniziò ad urlare e dimenarsi, ma il ragazzo non la posò davvero là sopra e la lasciò cadere sulle gambe «Ti odio!» gli schiaffeggiò una spalla, posando la schiena contro l’albero.
«Mi hai rubato l’ultimo pezzo del muffin, del mio muffin al cioccolato!..»
«Te lo meritavi.» rispose quella, guardandolo male e riprendendo fiato «E siamo finiti fuori da un sentiero!»
«Meglio, non c’è nessuno!»
«Come ritorniamo nel mondo abitato?» chiese quella, contro l’albero.
«Potremmo rimanere qui, nutrirci di foglie e diventare dei nuovi selvaggi.» si sedette sulla nuda e fredda terra, fregando il muffin alla ragazza e mangiandoselo in un boccone.
«Ehi!»
«Non osare ribattere, ladra!» la guardò dal basso, mentre quella cercava dove fosse il sentiero che poco prima stavano percorrendo: era troppo carina quando si imbestialiva, sembrava tornare ad essere una ragazzina e non una ragazza di quasi ventisei anni.
Istintivamente le prese una mano, bloccandola: quella si voltò, guardandolo come per sgridarlo; poi si accorse dell’espressione seria e dolce che aveva in viso... ma era stata abbastanza chiara riguardo la loro relazione.
Lui cercò di eliminare quei pensieri dalla sua testa e cambiare espressione: «Mi aiuti a tirarmi su?»
«Io? A te?» chiese quella, prendendolo per entrambe le mani ed iniziando a tirare: dopo un po’ si alzò quello da solo.
«Sei un bastardo, potevi evitarmi tutta quella fatica!» ribatté quella, iniziando a camminare in una direzione.
«Non è di là.»
«Vuoi dirmi dov’è, allora?»
Ben alzò gli occhi al cielo, la prese per mano e la riportò su un sentiero poco dopo: «Ora dovresti ringraziarmi, come minimo.»
«Mpf, mai.» iniziò a dirigersi verso il Serpentine, voleva guardarlo un’altra volta.
Lui la seguì, osservando più lei che la strada: aveva quasi il bisogno di prenderla in giro. Oltre a quello di sentirla spesso, molto spesso. La raggiunse, bloccandole gli avambracci in un abbraccio e posando il mento su una sua spalla: «Cosa guardi?»
«Il molo.»
«Perché?»
«Ad aprile voglio venire qui a prendere una barca a remi. Voglio farlo sul serio. O magari appena fa caldo.»
«E tu speri che sia aprile? Penso aspetteremo almeno maggio... se non giugno.» le baciò una guancia e si staccò «Vuoi un passaggio a casa?»
Keira scosse la testa, guardandolo in viso: «Mi vedo con James qui vicino. Allo Speakers’ Corner mi sa.»
Ben spostò lo sguardo altrove: «Okay. Ci sentiamo, K.» le baciò una guancia e si allontanò lungo il Serpentine.
Arrivata al punto d’incontro, si sedette su una panchina e continuò a leggere “Anna Karenina”, combattendo il freddo della capitale: «Chi ci fai qui?»
Keira saltò su, notando James che si avvicinava e si sedeva accanto a lei: il loro rapporto, per quanto positivo, non poteva mai essere considerato nemmeno lontanamente simile a quello che aveva con Ben. Gli baciò una guancia e chiuse il libro: «Ti aspettavo!»
«Io credevo saresti arrivata quel quarto d’ora di ritardo, assieme ad un taxi!»
«Ero già nei dintorni»
«Come mai?»
«Mi sono vista con Ben.»
James la guardò con fare circospetto: «Perché?»
«Avevo voglia di vederlo! Cos’è questo, un interrogatorio?» ribatté lei, guardandolo negli occhi severa.
«No, assolutamente!» il ragazzo circondò le sue spalle con un braccio «Non hai freddo?»
«No.» Sì, ma non lo avrebbe ammesso.
James tolse il braccio da attorno le spalle della ragazza: «Dove mangiamo?»
«Non lo so... da Nando?»
«Hai voglia di pollo?» chiese quello, ridacchiando.
«Sì, penso. O Wagamama?»
«Nando.» fece l’altro, sbarrando gli occhi non appena udì il nome del noto ristorante giapponese.
«D’accordo.» si alzò, porgendogli la mano inguantata: che il ragazzo non si fece assolutamente sfuggire.

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Capitolo 13
*** 12. ***


Penso che amerete Sienna in questo capitolo. Anche perché in realtà l'ho amata anche io, forse la amo più di Keira e Ben LOL Buona lettura!

12.
Non sentiva Sienna da un po’ e sinceramente le mancava: fece partire la chiamata rapida dal cellulare e dopo poco udì la voce dell’amica, che parlava con qualcun altro.
«Sì, verrò sicuro! Non ti ha risposto? KEIRA!»
L’amica sobbalzò: «Cosa vuoi?!»
«Ben mi ha detto che ti ha mandato un messaggio per invitarti alla festa a casa sua e tu non gli hai risposto!»
«Veramente io non ho ricevuto null—ah. Ecco.» rispose con un “Sì, porto anche James” e riavvicinò il telefono all’orecchio «Ma Ben ti ha chiamato?»
«Sì! Non so come abbia avuto il mio numero, però!»
«L’avrà preso da me. Stai ancora al telefono con lui?»
«Come farei? Ho solo due orecchie... e troppi telefoni. Prima o poi li abolirò tutti e quattro e mi prenderò un dual-sim. Come va, cara?»
«A te, più che altro! Non ti sento da una vita!»
«Sono impegnatissima... però possiamo vederci stasera!»
«Ehm... no.»
«Manda Ben affanculo ed esci con me, no? O usciamo tutti insieme!»
«Non esco con Ben.» pronunciò la ragazza in un mormorio.
Sienna parve rimanere interdetta: «E con chi?»
«James... Me l’ha presentato Alexa. Se vuoi possiamo uscire insieme noi tre e tu porti Todd!»
«Oh! Sì! Ma vedi che io e Todd non stiamo insieme. Cioè, stiamo insieme più e più volte, nella sua macchina, a casa mia... ma non ci frequentiamo!»
«L’avevo capito!» Keira scosse la testa, alzando gli occhi al cielo «Allora, ti va?»
«Sì... Ma Ben lo sa?»
«Che usciamo? Glielo direi dopo...»
«Di te. E questo James.»
«Sì.» implorava tutte le divinità esistenti e non che non le facesse una determinata domanda.
«E come l’ha presa?» Le divinità non l’avevano ascoltata, per nulla.
«Male.»
«E quindi?!» la voce di Sienna era quasi stridula.
«Quindi cosa?»
«Mollalo e corri da Ben!»
«NO!» esclamò Keira, contrariata.
«Perché?»
«Perché ci siamo baciati.» buttò fuori la ragazza in un sospiro.
«Bene, una ragione in più per correre da Ben, Miss Knightley.»
«Non lo voglio in quel frangente! Sennò finisce male e un’amicizia importante è andata persa!»
«Tesoro, io non credo tu sia stupida, ma ragiona un attimino: se continuate a frequentarvi come amici, le cose non andranno peggio?» Sienna sembrava avere la voce tipica che si rivolge ai bambini quando fanno i monelli e sragionano «Insomma, se vi siete anche baciati... non penso tu non abbia ricambiato. Ci si bacia in due, sai...»
«Sì, ho ricambiato e l’ho ribaciato...»
«Pure!» il tono ora era esasperato.
«S, non posso! Con James non è nulla di importante, mi piace e basta! Ben... Ben è Ben. Non posso mandare tutto a quel paese per uno stupido bacio!»
«No, ma lo stai facendo.» la adorava anche per la sua schiettezza, ma in quel caso faceva male «Capirei che non sei pronta... ma perché ti stai buttando nelle braccia di quel James, allora?»
«Perché lui non sarà mai così importante per me, non quanto lo è Ben.»
«Keira...» sembrava in procinto di dire qualcosa, ma tacque «Mi mandi un messaggio di conferma per stasera?»
L’amica annuì, aggiungendo poi a voce bassissima un “Sì”. «Ci vediamo stasera.» chiuse la chiamata e si gettò sul letto, chiudendo istintivamente gli occhi. Dopo qualche secondo le squillò nuovamente il cellulare: «Pronto?»
«Ti ho mandato un messaggio perché non rispondevi né a casa né al cellulare. Successo qualcosa?» era appunto Ben. Quanto avrebbe voluto un suo abbraccio in quel momento, era l’unica cosa di cui aveva davvero bisogno.
«Parlavo con Sienna al cellulare» rispose semplicemente, mormorando.
«Vuoi che vengo lì?» chiese istintivamente lui, sentendola strana. La ragazza annuì, contraddicendosi con le parole: «Non ti preoccupare, dovrai sicuramente organizzarti per la festa.»
«Keira... cosa c’è?»
«Non lo so!» scoppiò a piangere, singhiozzando: dall’altro capo del telefono sentì diversi rumori, tra cui una porta che si chiudeva; dopo qualche secondo di silenzio, udì la voce di Ben «Sei in viva voce, sto guidando, perciò non posso tenere il telefono attaccato all’orecchio... ma non preoccuparti, siamo soli. Dimmi tutto quello che ti viene in mente.»
«Sto sbagliando!»
«In cosa?» sperava davvero dicesse “James”, gli bastava solo quello.
«In tutto! Ho sbagliato tutto con Rupert, con... James» era duro ammetterlo con Ben, ma ancora di più omettergli la verità: che aveva sbagliato anche con lui.
«E manda tutto a quel paese.» le parole gli uscirono prima che potesse rendersi conto di averle pensate.
«Non posso svegliarmi una mattina e dire “Ciao, James, in realtà non me ne importa nulla di te, mi ha fatto piacere vederti, addio.”!»
«Vero, puoi omettere la penultima frase.» rispose Ben, con una sicurezza che la fece sorridere: «Lo sai che non posso.»
«Se volessi, potresti. Nelle relazioni interpersonali non c’è nessun senso di dovere.»
Aveva dannatamente ragione, e lei lo sapeva: «Non sono così.»
«Ne sei certa?» la nota di sospetto nella sua voce le diede quasi fastidio: dubitava del fatto che le conoscesse se stessa?
«Sì.»
«D’accordo. Allora, per cambiare discorso ed evitarti queste elucubrazioni mentali, che fai stasera?»
«Esco con James, Sienna e Todd.»
«Uscita a quattro?»
«Non proprio, perché Sienna si fa Todd, non sono una coppia.»
Ben ridacchiò: «Allora che cos’è?»
«Un modo per vedere Sienna e non lasciare scontento James.»
«Lo sai che non puoi andare avanti così. Non ti farà felice.»
«No, ma magari contenta sì.»
«E hai davvero bisogno di lui per essere contenta?»
La risposta era no e lo sapevano entrambi: ma Keira non diede voce a quel pensiero.
«Ehi, ma come mai la festa di domani sera?»
«Nessun motivo particolare, a James è venuta l’idea e io mi sono dato da fare. Ci sono anche alcuni amici suoi e c’è Tamsin.»
«Ah, ecco.» non aggiunse altro: come Ben taceva il suo sentimento non positivo nei confronti di James o quasi, così lei avrebbe dovuto fare con la sua amica.
Sempre che lei volesse essere solo quello, ma Keira era certa che non fosse così.
«Ma dove stai andando?»
«Segreto professionale.» rispose lui, sorridendo.
«Su un set che non vuoi che io sappia dove sia? A proposito, quando ricominci a lavorare?»
«Ora che mi tocca fare il giro per il mondo per promuovere “Killing Bono”.»
«Oh. Quindi ora dove sei?»
«Non lo saprai mai, ma devo chiudere. Au revoir, mon ami!»
«Muori!» chiuse il telefono e seppellì la testa nel cuscino: solo lui e Sienna riuscivano a mettergli il buon umore con solo una telefonata.
Stava seriamente pensando di rimettersi a dormire, quando suonò il campanello: andò ad aprire, trovandosi davanti una persona che non si sarebbe mai aspettata e che aveva appena sentito al telefono: «Barnes!» gli saltò addosso, abbracciandolo.
«Tu sei un po’ scema, lo sai? Dopo il “muori” me ne sarei volentieri tornato a casa!» entrò e si sedette sul divano, con Keira che chiedeva venia standogli attaccata.

Arrivarono davanti al locale a Soho scelto da Sienna per l’occasione in anticipo e aspettarono i due amici: o almeno, così li poteva definire Keira.
«Sai, in realtà speravo fossimo soli stasera.» iniziò James, giocando con una ciocca dei suoi capelli.
«Non vuoi conoscere la mia migliore amica?»
«Non era Alexa?»
«Non ho mai detto che lo fosse, Sienna lo è.»
«Avrei giusto preferito un tête a tête, tutto qui! Sei acida, certe volte!»
«E tu indisponente. E non vuoi mai fare quello che voglio io.» rispose lei secca: nel discutere con lui non c’era davvero nulla di buono.
«Ehilà?» Keira s’illuminò, sentendo la voce dell’amica: si voltò e l’abbracciò, dimentica addirittura di salutare Todd.
Che non era presente. Al suo posto c’era Ben.
Non appena lo vide gli rivolse un ampio sorriso, con tranquillità e senza scomporsi: «Ben... cosa ci fai qui?»
Quegli fece spallucce, mentre l’amica rispondeva per lui: «Fa le veci del mio trombamico, senza il prefisso “tromb-”.» con tanta naturalezza, Sienna sconvolse la metà maschile dei presenti.
Più verso Ben che a James disse: «È normale che faccia così, oramai ci sono abituata.» guardò Ben negli occhi, voltando poi lo sguardo ad una Sienna sorridente e poi a James, che osservava i tre scettico: «Avevate pianificato tutto per isolarmi?»
L’aveva detto scherzando, ma la nota severa nel tono era facilmente rintracciabile.
«Ma non scherzare!» esclamò Sienna, piantandogli una mano sulla spalla «Io sono Sienna, piacere di conoscerti! Li altri due li conosci sicuramente!»
«Che fine ha fatto Todd?» chiese James, dopo essersi presentato e aver preso la mano di Keira, che spostava lo sguardo da Sienna a Ben.
«Non poteva venire! Di cosa ti occupi nella vita, James? Keira mi ha parlato di te, ma ha sorvolato questo particolare.» aveva l’aria civettuola, ma contemporaneamente tagliente; infatti il ragazzo strabuzzò gli occhi: «Suono. Sono il tastierista dei The Klaxsons.»
«Mi sfuggono proprio dalla mente!» fece quella, battendo le mani tra di loro ed esibendo un ampio sorriso falso «Che musica fate?»
«Indie-rock.» James sembrava leggermente spazientito, Ben e Keira volevano scoppiare a ridere ma si trattenevano.
«Eppure come genere l’Indie non mi dispiace... Boh! E riesci a campare con quello che guadagni?!» chiese lei, con il sorriso più largo che potesse fare: Keira tossì per mascherare una risata e James ne approfittò per terminare la conversazione: «Tutto a posto, tesoro? Ti sei raffreddata?»
«Tesoro?!» esclamò la stessa Keira, sorpresa: furono Sienna e Ben a tossire per non ridere «No, non sono raffreddata, avevo il pizzico.»
James sperava fosse finito l’interrogatorio, ma Sienna tornò subito all’attacco: «Allora! Riesci a mantenerti con quello che guadagni?» nel frattempo entravano nel locale.
«Sì, siamo abbastanza famosi.»
«E allora perché non siete in tour?» lo stava torturando, gli altri due poterono vedere comparire una vena piccolissima pulsare su una sua tempia: sembrava un personaggio di un cartone animato. Ben scoppiò a ridere e Keira assieme a lui.
«Cosa c’è da ridere?» James fulminò entrambi e la sua accompagnatrice prese la parola «Ho pensato ad una cosa buffa che è successa ieri durante il photo-shoot.»
«Ho letto un messaggio che mi ha fatto ridere!» si giustificò Ben e poi incrociò lo sguardo di Keira, che aveva l’espressione furba di qualcuno che aveva appena mentito per salvarsi in corner.
Se la serata fosse stata tutta così, James sarebbe scappato prima.


No ok, adoro anche Ben *-* E anche se un po' la capisco, mi sta sulle palle Keira che non fa la decisione giusta u_u Ma povera, sono certa che si riprenderà e riacquisterà la mia stima u_u
Fatemi sapere cosa ne pensate <3

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Capitolo 14
*** 13. ***


Vi prego non odiatemi Keira ç_ç Ah e si, ho postato in anticipo perché mi andava, così, dal nulla XD!

13.
Ancora si chiedeva come avesse fatto ad organizzare in un giorno una festa: probabilmente c’era poca gente... sennò l’avrebbe lei stessa soprannominato “mago”. Arrivò a casa sua assieme a James, Sienna le aveva detto per messaggio di essere già lì e di starsi scocciando.
«Mi secca stare con i tuoi amici, scusa la sincerità.»
«La sincerità non fa mai male... ma magari c’è qualcuno che conosci anche tu!»
«Spero non Sienna!» James le faceva un po’ pena, ripensando a come l’amica l’avesse torturato la sera prima: Keira lo baciò, staccandosi da lui non appena l’ascensore si fermò al piano dell’appartamento dei Barnes. Uscirono e la porta si aprì immediatamente: Ben salutò James e abbracciò Keira «Buonasera e benvenuti!»
«Come se vedessi questa casa per la prima volta!» ribatté Keira, alzando gli occhi al cielo, per poi finire addosso a Sienna: «Menomale che sei arrivata!» le si buttò addosso.
«Buonasera!» fece Keira, ricambiando l’abbraccio e notando James che scappava via non appena vide la sua amica.
«Keira Knightley? Il mondo è davvero così piccolo?» riconobbe una voce, ma che non seppe associare ad un volto: non appena si voltò, si staccò da Sienna e, con Ben alle calcagna, si avvicinò alla persona che l’aveva chiamata.
La guardò in viso con attenzione, mettendo a fuoco i folti capelli ricci, il naso un po’ grosso e la larga bocca dai denti immacolati: «Talulah!»
«Credevo non mi avresti riconosciuta! Vieni qui!» la ragazza la strinse in un abbraccio, da cui non si ritrasse: «Che fine hai fatto?»
«Mi sono sposata!» Talulah le mostrò una fede sull’anulare sinistro «E vivo negli States. Tu cosa mi dici? Come mai sei qui?»
«Ben.» Keira indicò con un cenno del capo l’amico «Ti sei sposata?!»
«Ebbene sì, da appena cinque mesi. Ma non c’è oggi mio marito, sono a Londra giusto per un salto... e Tamsin mi ha invitata qui.»
«Ah! Come ti trovi lì?»
Dopo qualche secondo sentirono qualcuno attirare l’attenzione schiarendosi la voce: le due ragazze si voltarono verso Tamsin, che le guardava quasi in cagnesco «Vi siete ricordate degli altri! Ciao, Keira!» non le baciò una guancia, né niente.
Sienna ne approfittò per prendere parola: «L’acidità è nell’aria! Comunque piacere di conoscervi, Talulah e...»
«Tamsin.» disse la ragazza, guardandola male.
«Ebbene, tu!» le porse la mano, che quella non prese.
Keira si voltò verso Ben, che le rivolse un sorriso birichino: «Tu lo sapevi!»
«Che sarebbe venuta Talulah? Sì.»
«Che ci conoscevamo!»
Il ragazzo annuì, con il sorriso ancora stampato in volto: «Sorpresa!»
Quella si limitò a guardarlo con un sorriso riconoscente, non c’erano bisogno di parole: Tamsin si sentiva la padrona di casa e propose a tutti di prendere da mangiare.
«Per me no, devo andare a salutare l’altro padrone di casa!» Keira si voltò e trovò James con lo sguardo: gli si avvicinò, seguita da Ben «Buonasera e bella festa!»
«Ehi! Perché non l’hai detto anche a me?!» ribatté l’amico, lamentandosi con lei e tirandole amichevolmente un pugno sulla spalla.
«Perché tu... tu non te lo meriti!» fece lei, guardandolo dritto negli occhi.
«Devo prenderti in braccio qui davanti a tutti?»
«No! Ho la gonna!»
«Non faccio vedere nulla, non preoccuparti!» evitò di caricarla sulla schiena ma la prese comunque in braccio, trascinandola in cucina: tutto sotto gli occhi di James da un angolo della stanza e Tamsin da un altro.

«Buonasera! Ti sei ricordata della mia esistenza?» James le sorrise, ma era pungente.
«James!» lo baciò sulle labbra e trascinò tra i divani a ballare.
«Dov’eri finita?» chiese lui, immobile.
«Con Ben, in cucina.»
«A fare che?»
«Mangiare, cosa vuoi che si faccia in cucina?!»
«Ah, non lo so, si possono fare tante cose diverse in cucina!» rispose quegli, con un tono malizioso e anche un po’ innervosito.
«Cosa stai insinuando?» si fermò all’istante, alzando un sopracciglio.
«Sei brilla»
«Ho anche bevuto un po’, ma non sono andata oltre. Se non ti fidi di me è un altro paio di maniche.» incrociò le braccia, guardandolo male.
James la osservò attentamente, poi cedette: si fidava. «Lasciamo perdere, hai ragione tu. Sono solo geloso.»
«Ah bé, l’hai ammesso finalmente. Ora balliamo?» omise il vero perché fosse così gioviale e ben disposta nei suoi confronti anche a lei stessa: voleva solo passare un po’ di tempo con lui.
«Lo sai che non ballo...»
«Farlo per me no, eh?» Keira mise il broncio, alzando gli occhi al cielo «Devi solo muoverti un po’! Vuoi qualcosa da bere per scioglierti?»
«Forse sarebbe meglio.» le sorrise, prendendola per mano e seguendola.
«Santo alcol.»
«Prega per noi.» aggiunse James, e scoppiarono a ridere insieme.
«Stupido!» lo lasciò fuori dalla cucina, dove si diresse per prendere una bottiglia di vodka liscia.
«Fa come se fosse a casa sua, proprio!» Tamsin, lì vicino, osservava con Ben la ragazza che entrava in cucina.
«Può, è come se lo fosse.» rispose quello, osservando James attentamente; non gli piaceva, e non voleva che Keira lo frequentasse: non lo nascondeva a se stesso, solo al resto del mondo.
E non aveva il coraggio di dirlo alla diretta interessata. E aveva anche alzato un po’ il gomito in cucina con l’amica.
Prese un altro sorso dalla bottiglia che aveva in mano: Tamsin scattò come una molla, lamentandosi del fatto che non le piaceva che si bevesse troppo. Il ragazzo non rispose, ma vide Keira riaffiorare dalla cucina con una bottiglia in mano e comportarsi in modo complice con James; Tamsin continuava a parlare a ruota libera, la sua voce risuonava nelle sue orecchie come se avesse un megafono:  allora la bloccò baciandola appassionatamente. Solo così la ragazza tacque, ma non fu l’unica.
Keira, con tanto di bottiglia in mano, li osservava a bocca aperta: come reazione uguale e contraria, prese James per il colletto e baciandolo se lo trascinò in bagno.
«Ma stanno impazzendo tutti?» posata sulla spalliera del divano, Talulah osservava la scena assieme a Sienna, la quale ogni volta doveva concordare alzava il bicchiere in segno di assenso «No, giocano a vendicarsi.»
«Fammi capire: a Ben piace Keira, a Keira piace Ben, ma Keira si frequenta con James... e Tamsin? Ah, già, a lei piace Ben.»
«Più o meno.» si bloccò solo per prendere un altro sorso di vino «A Ben piace Keira, e non si vergogna di mostrare il suo interesse per lei: al contrario, Keira pensa che lui per lei sia solo un amico, ma è cotta di lui. James è il povero cristo a cui spezzerà il cuore, perché a lui non ci tiene e lo sa, ma preferisce lui a Ben perché Ben, siccome ci sarà sempre, non vuole “rovinarlo” standoci insieme... o meglio, non vuole rovinare il loro rapporto. Tamsin è un po’ più furba di James, forse non rimarrà fregata come lui. E poi non mi sembra uno che usa le persone, Ben.»
«Neanche a me, ma... l’hai osservato tutta la serata?»
Sienna annuì, alzando gli occhi al cielo: «Dannata Keira! Anzi, se mi mantieni il bicchiere vado a salvare la situazione!»
«Assolutamente!» Talulah fece cin-cin con il bicchiere di Sienna e poi lo prese, osservando la ragazza che si dirigeva al bagno con fare sicuro.
Iniziò a bussare: «Vi prego! Mi scappa la pipìììì!» fece finta di essere ubriaca, ma Keira dovette averla riconosciuta perché non si mosse ad aprire la porta «Devo sboccare! Ho bevuto troppo!» nessun passo – non che con quel rumore potesse sentirne, di passi – ma solo rumori sommessi «Keira Christina Knightley, osate fare sesso insieme là dentro e vi sterilizzo!» alzò così tanto la voce che lo stesso Ben, impegnato com’era con Tamsin lì vicino, si voltò sconvolto.
«Scusa, mi serve il bagno!» Sienna si mise una mano davanti alla bocca e non appena sentì aprire la porta vi si fiondò subito, bloccando l’amica dentro «Tu mi servi, tu vai fuori!» cacciò James fuori dal bagno con uno spintone.
«Sienna, cosa diavolo t’è preso?» anche Keira era brilla, quindi.
«Ti salvavo dal compiere l’errore madornale di farlo sulla lavatrice funzionante di Ben senza di lui.»
«SIENNA!»
«Che c’è?» chiese quella, tranquilla, rifacendosi il trucco allo specchio.
«E perché mi hai bloccata in bagno?»
«Perché l’ultima frase l’ho urlata e Ben, sconvolto, l’ha sentita. Volevo evitare ad entrambi la sua espressione delusa nel momento in cui avrebbe compreso che quelli in procinto di trombare eravate tu e James.»
«Lui baciava Tamsin.» ribatté lei, piccata.
«E tu di risposta ti fai James? Logico.»
«Ha una sua logica...»
«Vuoi sapere quale?» Sienna si voltò verso di lei, brandendo il rossetto aperto come arma «Farti avere un dopo sbornia schifoso domani, rimpiangendo il tuo errore, rimpiangendo di non aver detto a Ben “Fammi tua!”, visto che è quello che vuoi!»
«Smettila!!! Non è vero!»
«Ascoltami bene, glielo direi io e non sono innamorata di lui, perché di fatto è un bel ragazzo: vuoi farmi credere che tu, cotta di lui, non glielo diresti?»
«No! E te lo dico da brilla!»
«Perché “in vino veritas”, vero? Allora ti devo fare ubriacare.»
«No!»
«Hai paura di ammetterlo a me o a te stessa?» con quella frase la zittì: Keira si sedette sulla lavatrice, posando la testa contro il mobiletto bianco che sovrastava anche il lavabo e in cui Sienna si stava specchiando.
Dopo un po’ sentirono bussare: aprirono la porta ed entrò Talulah.
«Cosa ci fai qui?» chiese Keira, stupita.
La ragazza era col fiatone: «Ti salvo il culo.» si voltò verso Sienna «Quando sei sparita nel bagno, sono sparita anche io: Ben non mi ha vista nascondermi, ma sta aspettando chi esce da questa porta. Possiamo uscire noi due e far scappare lei da qualche altra parte. L’importante è che non la vede...» guardò Keira «sennò la tua relazione con lui, di qualsiasi tipo sia, è finita.»
«Mi dovrei anche preoccupare della sua gelosia ora?!» colei che non era stata quasi per nulla interpellata nel piano ma che era al centro di tutta la discussione emise suoni abbastanza striduli.
«Sì, e ora facciamo come ha suggerito Talulah.» Sienna la nascose dietro l’altra ragazza e uscirono dal bagno spegnendo la luce: gettarono Keira nella sala piena di gente – letteralmente – e si diressero verso Ben e Tamsin.
«C’eri tu con lui?» Ben era basito.
«C’è stato un inconveniente: non avevo chiuso a chiave la porta del bagno per rifarmi il trucco ed è entrato lui... non è successo nulla! Ciao tesoro!» salutò James con una mano, riponendo il rossetto di Sienna in borsa e seguendo la ragazza sul divano.
Poi scoppiarono a ridere: «Performance impeccabile, anche il “Ciao tesoro!” è stato fantastico!»
«Se lo sapesse mio marito... mi ammazzerebbe. Il bello è che con quel bamboccio non è manco successo nulla!» Talulah rise nuovamente, abbracciando Sienna «Felice di averti conosciuta!»
«Qualcosa di buono l’ha fatta, questa festa!» rispose quella, prendendo un nuovo bicchiere colmo di vino.


Non me la ammazzateeeee ç_ç E' un po' stupida però ecco è tutto dettato dalla gelosia ç_ç

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Capitolo 15
*** 14. ***


14.
Era stanchissima e la testa le doleva: la sera prima aveva fatto schifo sotto qualsiasi punto di vista. Quello di amica, di fidanzata, di ospite, di essere vivente. E non doveva bere così tanto, perché non avrebbe risposto delle sue azioni... se non ci fossero state Talulah e Sienna chissà cosa avrebbe combinato.
E si trovava sola, nel suo letto, in un orribile stato di dormiveglia che non capiva a cosa fosse dovuto: sentiva anche dei rumori al piano di sotto, ma non voleva alzarsi per andare a vedere a cosa fossero dovuti.
Aprì gli occhi e guardò il soffitto: prima o poi avrebbe dovuto metterci sopra qualche stellina che si illuminava al buio o una qualche carta da parati carina... non che fosse solita decorare soffitti, con carta da parati soprattutto.
Sbatté volontariamente il capo contro il cuscino e si alzò, controvoglia: più si avvicinava al piano di sotto, meno comprendeva cosa fossero quei rumori. Arrivata alla base delle scale, però, comprese che qualcuno stava ripetutamente bussando alla porta da non sapeva quanto tempo.
Si trascinò fino alla porta intontita e infastidita, la aprì senza guardare chi fosse dallo spioncino: avrebbe pensato a Sienna, a James, addirittura a sua madre... ma mai a Ben. Non dopo la sera precedente.
E non si era mai ritrovata nella situazione di non sapere cosa dirgli, soprattutto dopo quello che era successo la sera prima: sentiva di doversi scusare... ma di cosa? Non stava facendo nulla di male, il massimo per cui avrebbe dovuto scusarsi sarebbe potuto essere soltanto l’usufruire del suo bagno per... per stare con James.
Ma Ben non si era presentato fino a casa sua per quello, lo sapeva, lo sentiva. Ed era anche arrabbiatissimo.
Si era fiondato in casa senza dire nulla, e percorreva l’ingresso a grandi passi, quasi furente. Lei, dal canto suo, rimaneva ad osservarlo senza nemmeno chiudere la porta, gelando con solo un pigiama addosso.
«Forse dovresti chiudere la porta di casa, sennò ti raffreddi.» un ammonimento per il suo bene, detto con tono duro. L’aveva mai visto così? In cosa si erano immischiati, entrambi?
Keira eseguì, posandosi con il suo peso sulla porta di casa, come per chiuderla meglio. Non riusciva a dire nulla, non aveva niente in mente.
«Desideri un tè?» chiese lei, titubante.
Il ragazzo scosse la testa: «Desidero che tu mi ascolti.»
«Mhmh.» rispose lei, rimanendo in piedi. Era come congelata lì sulla porta ad osservarlo.
Ben sembrava sentirsi fuori luogo, camminando per le camere a grandi passi: «Lui... non avrà mai quel che abbiamo noi.» parlava quasi a fatica «E so che c’eravate voi in bagno, Sienna non si sarebbe mai messa a urlare così se non fosse stato per te.»
Ora osava puntarle il dito contro ed incolparla? Quello che aveva baciato Tamsin senza alcun motivo?
«Ascoltami bene, tu.» ora fu lei a puntargli il dito contro «Non osare dirmi questo, io con lui mi frequento, almeno. Tu vai a baciare la prima che capita!»
«Devo anche rendere conto a te chi bacio e chi non bacio?»
«Sì, dato che hai baciato prima me!» si erano infervorati in pochissimo tempo entrambi.
«Dopo il nostro bacio tu ti sei messa con quel menestrello!» ribatté lui, piccato.
«Non sto con lui! E poi questa sarebbe una giustificazione per quello che hai fatto ieri sera?!»
«E tu non hai alcuna motivazione per quello che stavi per fare ieri sera?!» gli mancò il fiato, mentre la guardava in cagnesco.
«No! E anche se l’avessi non avresti il diritto di venire ad estorcermela!»
«Oh, e dimmi, come starei cercando di estorcertela?» sbuffò imperterrito «Ti sto forse puntando una pistola alla tempia?»
«Sei venuto fino a casa mia solo per urlarmi contro, non è forse violenza questa?» aveva lei stessa gli occhi lucidi e il tono della voce non propriamente basso «E dimmi, cosa non ha lui che noi abbiamo?»
Ben si passò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi: «Complicità. Giocosità. Tranquillità. Serietà. Compagnia. Gioia, e oserei dire felicità. Non è <i>solo</i> gioia quella che proviamo, tu con me sei serena e felice, con lui non lo sarai mai! Potrà darti attimi di tranquillità, parvenza di calma... ma non sarete mai come io e te.»
Keira tacque, rimanendo anche lei senza fiato: non sapeva davvero cosa dire, ciò che aveva presentato Ben... era tutto vero. Più vero non sarebbe potuto essere.
Il ragazzo le si avvicinò, prendendole la mano: aveva un’altra chance?
«Keira...»
«Hai baciato Tamsin.» si ritrasse, schifata «Non bacerò mai più quelle labbra, violentate da quella ragazza! Non sognava che quel momento, aveva architettato tutto per quello! E tu gliel’hai servito su un piatto d’argento... e sapevi quanto mi desse fastidio!» distolse lo sguardo dai suoi occhi, lasciando scorrere le lacrime «Lei voleva quello e per lei è il coronamento di un sogno! Ora starete insieme, per quello che lei pensa!»
Seppur ferito, Ben le si avvicinò: «Tu potresti cambiare le cose. E lo sai.»
La ragazza scosse la testa, chiudendo gli occhi: «Non è tutto così semplice e veloce. Non funziona così.»
«E invece è così che funziona! Oggi ci sei, domani potresti non esserci più! Puoi pianificare i tuoi progetti futuri, il tuo lavoro, le tue vacanze, le tue giornate... ma non puoi pianificare il tuo cuore, i tuoi sentimenti. Cristo, buttati! Fa’ qualcosa di scellerato!» la scosse per le spalle, ma quella sembrò non aver capito, poiché dissentì con il capo: «Non posso. Non ci riesco.»
«Non perdere tempo, ti prego.» le stringeva le mani, guardandolo in viso ma senza le stesse speranze di prima.
«Tu vuoi passione, tu vuoi qualcosa che ti travolga... perché quel coso inerme?» chiese Ben, con un tono profondo. Keira scosse la testa: «Non sono pronta per grandi passioni.»
«Quindi prenderai in giro lui, lo illuderai e userai per gettarlo poi via? Brava, davvero.»
«E se dovessi provare grandi passioni per lui?» azzardò quella, tirando fuori la voce.
«Perché? Perché lui? Cos’ha lui?» si guardò bene dall’aggiungere “più di me”.
Keira non rispose, non riuscendo a guardarlo in viso. Non aveva nulla da dire, assolutamente nulla.
«Bene. Ci vediamo.» Ben uscì di casa con la coda tra le gambe, senza scambiare nemmeno uno sguardo con lei. Chissà se e quando si sarebbero rivisti.
Non appena si chiuse la porta dietro, Keira non poté far altro che accasciarsi e scivolare contro quella: tutto quello che Ben aveva detto era vero. E lei aveva rovinato tutto.

Si era rintanata sotto le coperte e avrebbe solo voluto Sienna: stava avendo la tipica reazione da “fine relazioni” e solo l’amica poteva rimarginare la sua ferita.
Tirò fuori dalla scatola un fazzoletto e si soffiò il naso, rigirandosi come se avesse spuntoni al posto del materasso.
«Tesoro?» Sienna entrò in camera con una tazza colma di tè fumante «Ecco qui.»
Non le aveva detto precisamente perché stesse così, ma ci sarebbe stato tanto tempo per parlarne: accettò il tè e si rintanò nuovamente nelle coperte.
Sienna, seduta sul letto, le carezzava il capo: «Non sei stata così neanche per Rupert: sei andata avanti.» era solo un commento, ma Keira di risposta si infilò di nuovo sotto le coperte, mugugnando versi senza senso.
«No no, non volevo farti stare peggio!» la abbracciò da tutte le coperte, ma improvvisamente la ragazza, col volto rigato dalle lacrime, uscì dalla sua fortezza di cuscini e lenzuola: «Ho cacciato Ben. Cioè, se n’è andato. Insomma ci siamo detti addio.»
«Ah. Ecco.» Sienna, cauta, mentre la carezzava per tranquillizzarla, le aggiustò una ciocca di capelli dietro un orecchio, aspettando che l’amica parlasse da sola.
«Noi... ci siamo detti quello che sapevamo, ci siamo incolpati per quello che abbiamo fatto ieri sera o stavamo per fare, e lui mi ha dato un’altra possibilità... che io non ho accettato.» sembrava stesse per soffocarsi con il cuscino: Sienna la staccò dall’arma con cui sembrava volersi suicidare e la spronò a continuare a parlare.
«Io sono una stupida!» l’amica avrebbe voluto annuire, ma poi l’avrebbe fatta sentire troppo male «Perché non so dire di sì e buttarmi a capofitto nelle relazioni? Perché non mi faccio prendere da alcun tipo di passione?»
«Perché hai paura di rimanere ferita.»
«Ma non bisogna fasciarsi la testa prima di cadere e rompersela.» commentò la piangente, sorseggiando il suo tè caldo.
Sienna annuì: «Ma è un tuo meccanismo di difesa, non ci puoi fare nulla. Razionalmente sai che è sbagliato, ma emotivamente... ti senti più sicura.»
«Perché mi giustifichi? Ho fatto una cazzata ed è giusto che mi punisca.»
«Ma tu ti punisci già troppo da sola! Devo farlo anche io?» Sienna l’abbracciò, carezzandoli i capelli scompigliati.
«Sii sincera.» chiese l’amica, guardandola con gli occhi da cerbiatta struccati e lucidi.
«Hai fatto la cazzata e non so quanto ci metterai per recuperarla. Sempre che tu voglia, ora.»
Keira scosse la testa, ricadendo sul letto: «Voglio solo abbandonarmi a tutte queste reazioni negative.»
«Momento stoico?» l’amica annuì, stropicciandosi il naso «Non  vi sentirete più?»
«Non lo so. So solo di aver fatto la stupida.»
«E sarei troppo romanticamente idiota se ti dicessi di correre da lui?»
«Non ci riuscirei, rovinerei tutto.» Keira fece spallucce, chiudendo gli occhi rossi dal pianto.
«Su, fortuna che ci sono le amiche per il resto e per raccogliere i cocci.» l’abbracciò, lasciandola solo non appena si fu addormentata.

Era al piano di sotto a mettere un po’ d’ordine, l’amica dormiva, quando suonò il campanello: canticchiando si diresse alla porta. Guardò allo spioncino e aprì poco dopo: «Ciao James! Desideri?»
«Che fine ha fatto Keira?»
Doveva per forza mentirgli — non che le dispiacesse: «Ha mal di testa, è a letto. Mi ha chiamata per mettere un po’ a posto la casa... volevi dirle qualcosa?»
«Se sono venuto fin qui è perché non mi rispondeva e non ho sue notizie da ieri sera. E avrei voluto passare anche un po’ di tempo con lei...»
Sienna era irreprensibile: «Mi dispiace, sta dormendo. Era un mal di testa forte.»
«La aspetterò.»
«Penso che quando si sveglierà sentire rumori di voci e luce non le farà bene.» disse lei, con voce dispiaciuta.
Lui sembrò capire stesse mentendo, e non la prese molto bene: «Io non ti piaccio, vero?»
«Perché dici questo?» continuò con la farsa.
«D’accordo: non me ne importa nulla. Fa’ quello che vuoi, Keira non si farà influenzare da te.»
«Fidati, tesoro, conosco quella ragazza da molto più tempo di te.» vide un lampo di incertezza nei suoi occhi «E no, non si farà influenzare da me, lo so. Ma fino alla fine farà sempre la cosa giusta per sé. Arrivederci, caro.» gli rivolse un ampio sorriso, riaprendo la porta di casa, aspettando che quello se ne andasse.
Lui, di tutta risposta, la guardò storto: «È forse un modo per dirmi “Vattene”?»
«Come preferisci: tanto lei non scenderà. Se vuoi un caffè, non ho problemi a prepararlo...»
«Arrivederci.» fece James, contrariato.
Prima di chiudere la porta udì un “arpia”, ma non ne fu certa: e anche se l’avesse detto, non le sarebbe importato molto. Gente come quella non aveva importanza per quella comune, men che meno con persone sbrigative come lei.
«Sienna? Chi era? Ben?» per quanto fosse distrutta, le si illuminarono gli occhi.
L’amica scosse la testa, dispiaciuta: «Non era Ben. Era James.»
«Oh. Torno a letto.» ancora sulle scale, Keira fece dietrofront e tornò su.
Sienna, guardandola, si rese conto di quanto fosse problematica quella situazione strana per l’amica.


Non mi detestate troppo Keira, a me dispiace troppo per lei ç_ç e comunque adoro Sienna quando tratta male James, davvero *_*. Grazie per essere arrivate fin qui, se siete arrivati a leggere questo. <3

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Capitolo 16
*** 15. ***


15.
Il sole splendeva su Londra e questo sarebbe stato per qualsiasi londinese un motivo per festeggiare: se non fosse che sarebbe dovuta partire in mezz’ora, si trovava già a Heathrow.
Il mese prima aveva variato la sua routine, aggiungendo alla messa in scena di “The Children’s Hour” anche la partecipazioni a diversi programmi televisivi e la premiazione dei Jameson Empire 2011, dove aveva incontrato uno James che conosceva sicuramente da più tempo del suo ragazzo.
Non appena si videro furono costretti alle foto di circostanza, ma quando ebbero un attimo libero poterono parlare tranquillamente e la prima domanda che lui le fece la spiazzò: «Come va la vita, Keira?»
Non aveva davvero saputo come rispondergli, il classico “bene” non gli andò giù e volle sapere tutto: che gli raccontò nel resto della serata.
«Sai, dovresti davvero parlargli.»
«E cosa dirgli? “Ciao, Ben, me ne frego della tua ragazza, però io mi sono resa conto di essermi totalmente innamorata di te”? E poi sto bene con James.»
«Ma non è quello giusto a cui pensi nei momenti di bisogno.» le aveva detto lui, abbracciandola per una foto non appena videro arrivare un fotografo «Vero?»
Keira aveva annuito, ma quella parentesi della sua vita l’aveva chiusa lasciando cadere così il discorso: si era separata da James con un “Prima o poi ci rivedremo” e lui che le aveva risposto «Vi inviterò a casa mia, te e il mio omonimo, e non potrete rifiutare!»
Lei lo salutò con un sorriso ed entrò nel taxi.
Lo stesso nero che aveva occupato quella mattina per arrivare ad Heathrow, da dove avrebbe preso un aereo per Glasgow: il giorno dopo ci sarebbe stato il matrimonio di suo fratello e lei era damigella d’onore.
Aveva un bel vestito color prugna, ma non sapeva quanto sarebbe durato.
Si alzò e fece controllare la carta d’imbarco, superando l’ultimo ostacolo che la separava dal suo comodo sedile in prima classe, che aveva preso solo per non vedere facce incuriosite che la squadravano nella classe economica.
«Buon viaggio!» le aveva detto l’hostess.
E non appena si fu seduta sul suo sedile in disparte, spense il cellulare e tirò fuori la borsa per posarla sul tavolino di fronte, lasciando poi il bagaglio a mano sulla cappelliera: si liberò le scarpe e incrociò le gambe, posandole sul sedile, e guardò fuori dal finestrino.
Le si avvicinò una hostess porgendole lo champagne, che lei accettò non appena vide una rivista di fronte a lei che raffigurava qualcuno che conosceva bene: prese a sfogliarla, sorvolando le poche e piccole parti che la riguardavano, trovando una foto abbastanza grande di Ben Barnes e Robert Sheehan che promuovevano “Killing Bono” e ne parlavano nell’intervista. Volle leggerla, come se quella l’avesse potuta riavvicinare per qualche minuto a lui.
La foto più grande era stata ritratta con la luce che più gli si addiceva e aveva perso così tanto tempo su quella pagina che dovette arrivare un hostess ad avvisarla di indossare le cinture di sicurezza.
C’era anche una foto di quando aveva i capelli lunghi: stava nettamente meglio con i capelli corti, nessuno avrebbe potuto affermare il contrario.
«Signorina, desidera qualcosa da mangiare?» il flute di champagne era vuoto da parecchio, ma era persa nei suoi pensieri e sinceramente non credeva che le hostess fossero così ficcanaso in prima classe.
«Forse.»
«Cosa? Caviale?»
«Tarallini? Noccioline?» chiese gentilmente Keira, ritornando ad osservare l’intervista.
«Chi le piace dei due?» la hostess non se n’era andata e sembrava voler prendere confidenza con lei.
E magari spiattellare tutto a qualche rivista patinata.
«Nessuno!»
«È il signor Barnes, vero? Ho visto qualche foto di lei e il signor Barnes su qualche giornale.»
«Eravamo solo amici.»
«Voglio fidarmi.»
Nossignore, quella hostess ficcanaso non avrebbe saputo i suoi pensieri sulla situazione durante quell’ora di viaggio. Assolutamente no.
«Tesoro?» Tamsin si faceva viva ogni giorno in quel momento: per carità, non che gli dispiacesse, ma ogni tanto desiderava anche passare l’ora che andava dall’una alle due di pomeriggio solo.
«Ehi.» la salutò lui, alzando gli occhi dal quotidiano, per baciarle le labbra «Come va?»
«Shopping con mia sorella, ma che stress! Non vuole mai prendere quel che dico io e viceversa. Gusti troppo diversi.» l’argomento shopping no, per favore.
«Talvolta è così, quando la differenza di età è grande.» commentò lui, impostando la modalità “sordità selettiva” nel momento in cui lei iniziò a sproloquiare sullo shopping. E su quell’hobby aveva davvero tanto da dire. Sempre.
«Amore, ci passiamo tre anni.»
«O anche quando la differenza di età è troppo poca. Stavo giusto per aggiungerlo.» disse lui, con un sorriso.
Immediatamente la pagina economica del Times acquistava un’importanza insormontabile.
«Amore, mi stai ascoltando?»
Aveva davvero letto per dieci minuti l’articolo che parlava di crisi, ma non era veramente interessato... voleva solo distrarsi dalla parlantina insopportabile che acquistava Tamsin quando doveva sostenere imperterrita la differenza tra una pelliccia finta leopardata o una vera zebrata.
O una borsa di Louis Vuitton e una di Yvés Saint-Laurent.
O delle scarpe Louboutin o delle Jimmy Choo.
In quei momenti voleva solo spararsi un colpo in testa.
«È un periodo di crisi, è importante tenersi informati!» riuscì solo a dire, brandendo il giornale in aria. Tamsin lo guardò male, per poi sorridergli e baciargli la punta del naso «Te lo concedo.»
Ben sospirò, rilassato: se si fosse arrabbiata sarebbe finita la pace per almeno una settimana.

«Tesoro, tra un mese dovrò partecipare ad un matrimonio... vorresti venire con me?»
«Lo sai che non sopporto i matrimoni...» sì, una giornata solo con James. Pregò tutti i santi che si convincesse ad andare da sola «E poi saranno persone che conoscerai tu, tuoi amici e parenti...»
«Amici.» fece quella, delusa.
«Appunto! È meglio, se vai da sola. Vieni qui, ti divertirai.» la avvicinò a sé, abbracciandola.
Una giornata solo col fratello. Non poteva non fremere al solo pensiero: soli maschi, che tranquillità.
«Forse mi hai convinta.»
«Ma sì, dai...» se avesse potuto incrociare le dita dei piedi, che lei non avrebbe visto nelle scarpe, l’avrebbe fatto.
«Allora vado da sola! Informo mia sorella subito! Sta da Starbucks a svaccare» si dilettò nella sua migliore espressione contrariata «Ci sentiamo, tesoro!»
«Ciao ciao ciao!» per la contentezza la avrebbe anche salutata con l’orrendo “baci baci” «Baci... baci, tesoro.» chiuse la porta di casa, iniziando a saltare per la casa.
«Sì! Sì! Dio mi vuole bene!»
James uscì dalla sua camera, guardandolo sconvolto: «Tesoro, li dai anche a me i “baci baci”?» lo guardò facendo la bocca a forma di labbroni.
«Vaffanculo, vaffanculo! Tra circa un mese avremo una giornata di soli uomini! Sì, porca di quella!»
«Se potessi dedicarmi alla scrittura di manuali, ne scriverei sicuramente uno “Quanto gli uomini amano le proprie fidanzate oche”... sei molto maschilista e con poco rispetto nei confronti delle femmine da quando stai con Tamsin.»
«Non è vero! Non è vero che non la rispetto.» ritornò più serio.
«Okay, non è che non la rispetti... fai di tutto per stare giornate senza di lei. All’idea di partire per il Connecticut per il tuo nuovo film sei contento così non la vedrai, leggi la pagina economica del Times per non sentirla parlare...»
«Forse un po’ esagero.»
«Ehi, sto solo dicendo che quando eri amico di Keira non eri così, e le tue opinioni nei confronti del sesso femminile erano leggermente più alte.» Molto più alte, avrebbe voluto aggiungere: ma non appena vide l’espressione sul volto del fratello a sentir pronunciare quel nome, tacque.
«Bé, saranno cambiate.»
Non avevano mai affrontato quell’argomento, ad un certo punto non se ne era più parlato e come di botto lui e l’amica avevano smesso di frequentarsi: non aveva mai saputo cosa fosse successo. E a quanto pareva, non l’avrebbe saputo nemmeno quel giorno.

Maledette hostess che ispirano fiducia.
Non le aveva confessato nulla, ma... era sempre in procinto di farlo. Era stato il viaggio corto più brutto che avesse mai fatto. Si sentiva in colpa di non dirle nulla, ma se l’avesse fatto ci sarebbero stati molti problemi.
E poi era una perfetta sconosciuta.
«Salve, è il vostro comandante che vi parla, siete pregati di allacciare le cinture, l’atterraggio sta per cominciare.»
«Insomma, è mai successo qualcosa?!»
La volta successiva avrebbe viaggiato con la Ryanair, anche a costo di finire insieme ai bagagli.
«No, con Ben Barnes non è successo nulla.»
«E si trova bene con James Righton?»
«Sì, benissimo.»
Se l’avesse nominata in una lettera di protesta alla compagnia aerea, probabilmente l’avrebbero licenziata. Ma se avesse rifatto così con qualche altro cliente famoso, o le avrebbero risposto male, o l’avrebbero fatta licenziare i successivi. O entrambe le cose.
Contò mentalmente fino a mille e quando riaprì gli occhi l’hostess se n’era andata: credeva stesse dormendo.
Perché era logico, ogni passeggero si addormentava in fase di atterraggio.
Non appena udì la soave voce del comandante che li informava che l’atterraggio si era concluso e che i passeggeri sarebbero potuti scendere lei esultò in silenzio ed infilò la borsa nel bagaglio a mano, scendendo velocemente dall’aereo e salutando frettolosamente l’hostess impicciona. Per sbaglio, portò con sé il giornale.
Non l’aveva fatto apposta.
Fortunatamente non avrebbe dovuto aspettare che arrivasse nessun bagaglio dalla stiva, aveva con sé solo il trolley e l’altra damigella doveva già essere da qualche parte ad aspettarla.
Quando vide una ragazza che somigliava alla descrizione fattale dalla futura moglie del fratello per poco non ebbe la voglia di ritornare in aereo dall’hostess impicciona: presentava un cartello a dir poco enorme con su scritto “Keira C. Knightley, ti sto cercando”. E quando si accorse di lei fu anche peggio: iniziò a sbracciarsi, muoversi convulsamente, salutarla in tutti i modi.
Ecco con chi si sarebbe imparentata.
Fortunatamente avrebbe avuto rapporti solo con la coppia neo-sposata, si ripeté, sempre mentalmente.
«Ciao! Piacere di conoscerti, sono Alexandra! Ma puoi chiamarmi Lex! O Lexi! O come preferisci!» da ammazzarla.
«Ma come sono contenta di conoscerti! Io sono...»
«Keira! Lo so!»
Dio, quanto avrebbe voluto sopprimerla. Già in così poco tempo che la conosceva, era un record.
«C’è un taxi ad aspettarci?»
«Sì!»
«Andiamo, allora... Lex!» Non Luthor, non l’avrebbe detto. Mai.
In poco tempo sarebbero comparsi anche Clark Kent e Lana Lang, magari.


A me questo capitolo piace tanto *_* però a voi l'ardua sentenza! <3

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Capitolo 17
*** 16. ***


Dopo questo mancano esattamente 5 capitoli alla fine della storia ( 4 + epilogo) quindi... bé, buona lettura comunque! XD

16.
In qualche giorno sarebbe finita in California per girare una commedia con Steve Carrell, era piena di impegni fino al collo a Londra, tutto andava a gonfie vele con James e le mancava Ben.
Da morire.
Così tanto che non voleva ammetterlo a se stessa, visto che l’aveva cacciato lei.
Suonò il telefono e rispose subito, con uno scatto felino, mentre smetteva di premere nevriticamente il cappuccio della penna con cui stava scrivendo per far uscire e rientrare la punta.
«Chi è?»
«Sienna! Come va? Mi dispiace ma prima della tua partenza non posso vederti, a meno che non permetti a me e a Todd di accompagnarti in aeroporto.»
Keira lanciò un urletto: «Assolutamente!»
Sienna sorrise tra sé e sé: «Non mi hai ancora detto come stai, però.»
«Uhm... bene. Sono contenta di andarmene per un po’ in California, lontano da tutto e tutti. Non che Londra mi dispiaccia, ma è la mia vita comune... e mi sono seccata potentemente delle battute di “The Children’s Hour”. Sono stata contentissima della sua fine.»
«Viva la sincerità!» Sienna ridacchiò, ma voleva sapere un’altra cosa «Come va con il discorso “Ben”?» udì silenzio dall’altra parte del telefono.
«Uhm...» iniziò Keira, tentennando.
«Non ne vuoi parlare?» tagliò corto Sienna, sicura.
«Non è questo.» rispose subito l’amica, un po’ più certa «È che non c’è nulla da dire. Non ci sentiamo da Febbraio e...»
«E ti manca tanto, vero?»
Keira annuì come se l’amica potesse vederla, ma Sienna comprese dal suo silenzio: «Andrà tutto bene. Prima o poi vi rivedrete, si risolverà tutto...»
«Non penso. Siamo a Londra e non è successo nulla, vuoi che ci rivedremo negli States? California e Connecticut sono un po’ distanti.»
«Connecticut?» Sienna non comprese, ma notò che la ragazza era molto informata.
«Sta lì per girare un nuovo film, non so di cosa si tratti.»
«Oh.»
«S, non preoccuparti per me. Sto bene, davvero. E Steve sarà uno spasso, non è la prima volta che lo vedo...»
«Non è di quello che mi preoccupo.»
«E di cosa?» aveva quasi paura a chiederlo.
«Dei tuoi sentimenti imperituri per Ben.»
Keira scoppiò a ridere: «Da quando hai imparato a parlare con questo linguaggio forbito? E comunque quelli sono chiusi al sicuro nella cassetta di sicurezza del mio cuore.»
«E non sono cambiati.»
«No, proprio no.»
«Mh. Tesoro, ci vediamo dopodomani. Oggi che farai?»
«Mi vedo con mamma e papà... poi domani con James, dopodomani parto e mi vedo con te. E Todd.»
«D’accordo, allora a dopodomani, un bacio!» chiuse la chiamata qualche secondo dopo e poteva affermare quasi con certezza che sentiva la sua amica strana.
Non sapeva cosa aveva, ma l’avrebbe scoperto, prima o poi.
Stava facendo la lista delle cose da mettere in valigia prima che Sienna la chiamasse, allora prese la penna  ricominciò a scrivere: era a buon punto, però nei momenti di stallo giocherellava nervosamente con la penna, povera vittima torturata dal suo nervosismo.
Prese ad osservarla, ricordando l’ultima volta che l’aveva usata. Per dipingere le braccia di Ben dandogli fastidio.
Sorrise tra sé e sé e riprese a scrivere, più tranquilla.
Aveva davvero tanto bisogno di vederlo, di parlargli, di passare del tempo con lui: rivoleva semplicemente il suo amico... e non solo.
Era in partenza per gli States: non che li amasse molto, ma la sceneggiatura presentatagli non era per nulla male. E poi l’avrebbero portato due mesi lontano da Tamsin.
Non l’aveva pensato, non sul serio.
«Ehi, la valigia non si fa da sola se la guardi, lo sai vero?» James uscì dalla camera per dirigersi in cucina.
«Lo so, ma spero in un’ispirazione divina sul che metterci dentro guardandola.»
«Forse potresti averla consultando su internet la temperatura lì?»
«Mh, forse.»
«Il genio!» commentò scuotendo la testa il fratello, ritornando in camera e chiudendosi dietro la porta.
Ben lo seguì, aprendo la porta.
«Non leggere!» urlò quello, nascondendo lo schermo del computer in uno scatto.
«Non leggo!» si mise le mani sugli occhi, ma quando il fratello si fidò le tolse «Sei tornato nella fase adolescenziale in cui si vuole sempre stare in camera chiusi ad ascoltare musica che nel resto della tua vita mai riascolterai?»
«No.» lo guardò male «Non voglio essere visto mentre scrivo, semplicemente!»
«Quando pubblichi qualcosa?»
«Quando non mi scarteranno senza manco aver letto qualcosa.» rispose lui, nervoso: era un argomento che gli faceva prudere le mani.
«Calmo!» gli posò una mano sulla spalla, osservando la camera: era da tanto che non ci entrava «Ancora non so cosa portare.»
«Aspetta, eh.» James si connesse ad internet e cercò le temperature ed il tempo di quel periodo «Io ti consiglierei T-shirt e maglioncini, camicie, pantaloni caldi e non... insomma, qualcosa da mettere la troverai pure, no?!»
«Sì, posso trovarla.»
«Non ti vedi con Tamsin prima di partire?»
«Abbiamo fatto colazione insieme» annuì lui, sicuro « e poi ho l’aereo stasera tardi, e alle dieci devo già stare ad Heathrow.»
«Lo so, lo so! La mamma mi ha già fatto due palle sul figlio prediletto che se ne va due mesi in America!» esclamò lui, esasperato.
«Povera mamma, lasciala stare!» ribatté Ben, tirandogli uno scappellotto amichevole.
«Menomale che c’è papà» James alzò gli occhi al cielo e Ben gli sorrise: si era trovato bene ad andare così d’accordo con il fratello da vivere con lui.
Che lui ricordasse, l’unica persona che andasse così d’accordo con il fratello era... Keira.
Ripensandoci gli salì il groppo in gola: le aveva dato due possibilità e lei lo aveva cacciato. Entrambe le volte.
Deglutì, tornando solo in salotto: quella ferita gli bruciava ancora, ripensando anche a come si erano lasciati.
E nel profondo aveva bisogno di sentirla, vederla, passare del tempo con lei... tutto ciò che le aveva detto, tutto era vero. Anche per lei.
Nessuno, insieme, sarebbe stato più perfetto di loro due. Per quella serie di cose che lui stesso le aveva elencato l’ultima volta che s’erano visti, esattamente due mesi, sedici giorni e circa sette ore prima.
E non aveva nulla di lei, se non ricordi: nessuna foto, nessun... “Anna Karenina”. Aveva lasciato la sua copia rilegata lì, non l’avevano più trovata quando avevano passato due giorni a cercarla, lei stessa alla fine si era arresa e ne aveva comprata una economica: non ricordava dove l’avesse nascosta, lontano dagli occhi indagatori di Tamsin, ma passo due ore a cercarla, senza fornire spiegazioni al fratello che nemmeno ne chiese e ignorando completamente la sua valigia vuota.
«Trovata!» l’urlo contento del ragazzo fece saltare su il fratello, che corse subito da lui: «Cosa?!»
«“Anna Karenina”!»
James lo osservò per qualche secondo, non riuscendo a collegare la felicità del fratello al libro ben rilegato... poi comprese.
Un solo nome, una sola connessione: Keira.

Il volo fino al LAX di Los Angeles era stato piacevole, in classe economica erano più discreti di quanto avesse immaginato: solo una persona l’aveva riconosciuta e le si era avvicinata.
«Scusa, tu sei la principessa che nel film dei pirati è stata salvata da quello che faceva le spade?» era stata una bambina di sette anni.
«Sì» le aveva risposto, con un sorriso.
«Allora mi dici perché ti hanno lasciato su una rupe con tuo figlio? Il papà non poteva stare a terra, no?»
«Hai ancora ragione.» quella bambina era davvero troppo tenera!
«E perché non c’eri nell’ultimo film? Mi piacevi!» stava per farla commuovere.
«Non era più fondamentale la mia storia, insieme a quella di Will.»
«Oh!» fece la bambina, aprendo la bocca a forma di una grande ‘O’ «E tu l’hai trovato il tuo principe azzurro? Ti verrà a prendere con il suo cavallo bianco?»
Keira tacque, il sorriso gelato sul suo viso: sì, l’aveva trovato. E l’aveva perso di vista due mesi e quasi tre settimane prima.
«Sì, lo spero. E tu ce l’hai un fidanzatino?» aveva chiesto alla bambina, che alzò lo sguardo sprezzante: «No! I maschi sono tutti stupidi, il mio fidanzatino sarà solo Jack Sparrow quando diventerò  grande!»
Gliel’avrebbe detto, a Johnny. Lui e la moglie si sarebbero fatti tante risate.
Aveva passato tutto il viaggio a parlare con la piccola amica che aveva il posto accanto al suo, mentre la madre sonnecchiava: le aveva tenute d’occhio per mezz’ora, poi era crollata.
Di quella bambina aveva scoperto che viveva a LA, che adorava la spiaggia e il mare, oltre ai pirati. Aveva scoperto molte cose e lei stessa le aveva detto dove sarebbe stata per girare il film, sperando di vederla in quelle location, un giorno.
Le sarebbe davvero piaciuto rincontrarla, era un’intelligente bambina discreta, ne aveva conosciute poche così e quella Jules l’aveva completamente affascinata.

Quando era arrivato in hotel la prima cosa che aveva fatto era stata gettarsi sul morbido letto a due piazze: non gli sarebbe servito, ma gli piaceva dormire comodo, stravaccato con braccia e gambe aperte.
Specialmente dopo un lungo viaggio sull’Atlantico.
Chiamò la reception per avere informazioni circa gli orari di colazione, pranzo e cena, almeno per quei giorni in cui ancora le riprese non erano iniziate e poi aprì la valigia colma di roba per prendere “Anna Karenina”: lo girò e voltò, annusò, guardò. Per lui quello era Keira.
E gliel’avrebbe ridato, sicuro che l’avrebbe fatto.
Non vedeva l’ora di vederla, di vedere la sua reazione, di assaporare ogni suo piccolo comportamento. E magari capire, capire cosa pensasse ora di lui, di lei, di loro.

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Capitolo 18
*** 17. ***


17.
Era passato quasi un mese e non aveva ancora avuto due giorni liberi fino a quel momento: non sapeva come li avrebbe passati, ma tornando in camera d’hotel trovò la copia di “Anna Karenina” sul comodino.
Aveva iniziato a leggerlo lui stesso prima di andare a letto e, a dirla tutta, gli stava anche piacendo abbastanza. E poi gli venne in mente qualcosa.
Greenwich – Los Angeles non era una tratta impossibile, e per due giorni si poteva fare. Era stata inventata quella grande cosa che era l’aereo... aveva da riconsegnare qualcosa a qualcuno. E avrebbe finito di leggere quella cosa in aereo.
Prenotò i biglietti aerei quello stesso pomeriggio, non pagando eccessivamente, anche considerato il poco preavviso, per andata e ritorno; li ritirò all’istante e prese un trolley dove aveva ficcato un po’ di cose necessarie alla rinfusa: non sapeva dove sarebbe stato e non aveva posto dove andare, ma l’avrebbe trovato, era fiducioso.

«Stoooop! Si riprende tra un’ora!» il tecnico cinematografico prese una bottiglietta d’acqua e si allontanò, dopo aver urlato quella frase su ordine del regista che si era volatilizzato da un po’.
Keira si avvicinò al capannone delle cibarie, pronta a prendere un’insalata che l’avrebbe poco saziata.
«Lizzie!» non si voltò, sebbene sentisse una voce familiare chiamare una certa “Lizzie” «Lizzie! Principessa!»
Dopo un po’ comprese: Jules! Si voltò, vedendo la bambina conosciuta in aereo correre verso di lei, mentre la madre finiva per essere fermata dai body-guard che delimitavano la zona del set sulla spiaggia.
La abbracciò, mentre il coprotagonista del film la guardava stupito: «Figlia illegittima?» aveva una plasticità facciale assurda quell’uomo, ogni espressione buffa che faceva era davvero ridicola.
«Ehi, chi è quello?» indicò la bimba, mentre Keira faceva capire al body-guard che doveva far passare anche la madre.
«Si chiama Steve. Steve, ti presento Jules.» l’attore fece uno strano gioco con le mani alla bambina, che scoppiò a ridere.
«Ehi, è simpatico!» commentò la bambina, dando tranquillamente la mano alla ragazza «Mi racconti di questo film?»
Era la fan più piccola che avesse mai incontrato ed era davvero tenerissima.
«Allora...» mentre la madre parlava, imbarazzata, con l’attore famoso, lei camminava sulla spiaggia con la bambina raccontandole la trama e il suo ruolo: Jules sarebbe diventata qualcuno nel mondo dello spettacolo, lo sentiva. L’avrebbe vista benissimo come sceneggiatrice, o qualcosa del genere.
«E tu cosa fai?»
«Io... bé, è una commedia, presumo dobbiamo far ridere!»
«In realtà tu fai più piangere.» Keira strabuzzò gli occhi «Volevo dire... Tu sei più brava nei ruoli tristi. No che fai piangere. Nei ruoli importanti...»
Le scompigliò i capelli, tenendole ancora la mano: «Ti piace il mare?»
«Sì! Infatti la montagna era bella, ma mi mancava qui. È bello questo mare.»
«Dove sei stata in vacanza?»
«In montagna.» rispose quella, come se fosse la cosa più logica da dire «C’erano i fiumi e i fiori, e non faceva tanto freddo perché è quasi estate. Però non c’era più la neve...»
«Ma dove?»
Jules fece un’espressione concentrata, come per ricordarsi dove fosse: «Parlavano tedesco!»
«Italia?»
«In Italia parlano italiano.» ribatté la bambina con un espressione ovvia.
«Ma vicino alle montagne anche tedesco!» Keira sembrò quasi prenderla sul personale per come ribatté «O forse Austria?»
«Sì, quella! È proprio quella! C’erano tanti dolci buoni, gnam!»
«Immagino!» immagino tutte le Sacher torte micidiali che facevano in quelle zone... l’insalatina che le spettava a pranzo aveva perso tutto quel poco charme che avrebbe potuto lontanamente avere prima.
«Keira? Vieni qua!» Steve la chiamò, coinvolgendo la madre di Jules in quello che sembrava un valzer viennese.
La bambina li guardò stranita: «Sembrano contenti.»
«Steve ride sempre. Ehi Jules, ma il tuo papà dov’è?»
«Non c’è.» la bambina fece spallucce, mentre Keira pensava già al peggio «Non vive più a casa nostra da un po’... sta in una casa grandissima e bella sulla spiaggia, e da lì che mi è venuta a prendere la mamma. È qui vicino, perciò sono venuta a trovarti. Casa nostra è un po’ più lontana.»
«Oh... mi dispiace! Ti manca?»
«Sì, ma sto bene con la mamma. Siamo solo io e lei, indistruttibili!»
Keira annuì, mentre camminava con la bambina verso Steve e la madre: «Anche così è bello.»
La bambina le sorrise: «Ehi, è bello il tuo vestito. Ma non hai caldo con la giacca?»
La ragazza guardò il suo vestito sulle tonalità rosee e poi il cardigan fucsia: «Grazie! Ma non è caldo questo» indicò la giacca «E tu non hai freddo con la magliettina?» aveva solo una T-shirt e dei leggings.
«No! Fa caldo qui!» ribatté quella, scioccata «E sono belle anche le scarpette.»
Keira si guardò i piedi: aveva un paio di semplici converse nere. Probabilmente se fosse dovuta andare a fare compere, anche lei si sarebbe vestita così.
«Oh, siete arrivate!» Steve intonò “Sul bel Danubio blu” di Johann Strauss Jr. mentre ballava con la mamma di Jules: poi la lasciò in un punto ed iniziò a volteggiare con Keira, che lo seguiva ridendo a crepapelle, poiché ripeteva che non era brava ma lui non le dava retta.
«Dite che potrei avere anche io quest’onore?» Keira raggelò, bloccandosi all’istante: si voltò lentamente, trovando esattamente colui il quale non si sarebbe mai aspettata lì, dall’altra parte del mondo.
Ben le sorrise e Jules la guardò: «Perché non ha il cavallo bianco?»
«L’ho dimenticato a casa, mi dispiace.» rispose il ragazzo, con un’espressione dispiaciuta in viso.
La madre avrebbe voluto imporle di stare zitta, ma Steve prese in braccio la piccola Jules ed iniziò a ballare con lei, mentre Ben e Keira si squadravano attentamente, fin quando anche la ragazza si aprì in un sorriso: «Ciao.»
«Ciao.»
Persino una bambina di sette anni l’aveva capito.
«Ti ho portato questo.» tirò fuori dal trolley il volume rilegato di “Anna Karenina” «L’ho letto. È molto bello.»
La ragazza annuì: «È vero, anche se non l’ho finito ancora.»
«Non ti rovino il finale dicendotelo, allora.» sorrise lui, sinceramente.
«Lo so già che si suicida.»
«Oh, bé... fa nulla.»
Il discorso cadde, mentre i due continuavano a guardarsi, sorridendo.
«Come stai?»
«Come va?» Keira alzò gli occhi al cielo «Prima tu.»
«Bé... bene. Sto lavorando su un set nel Connecticut.»
«Lo so. Io qui.»
«Lo immaginavo.» commentò lui, poco prolisso «Ci facciamo due passi?»
La ragazza annuì: avevano tante cose da dirsi, così tante che non sapevano da dove cominciare. E tacevano.
Camminavano lungo l’immensa spiaggia in silenzio, quando ad un certo punto Ben si fermò e sedette a terra.
«Cosa fai?» chiese lei, imitandolo.
«In realtà io mi sarei fermato solo per togliermi le scarpe, non toccano sabbia da un bel po’. Però al mio braccio non dispiacerebbe smettere di trascinare quel trolley.» aggiunse, guardandola. Non era cambiata in nulla, nemmeno nel taglio di capelli.
Sembrava semplicemente più in pace con se stessa: che gliel’avesse data James quella tranquillità? Non osò chiederlo.
«D’accordo, fermiamoci. Siamo abbastanza lontani da  voci indiscrete.» commentò quella, incrociando le gambe.
«Chi era la bambina? Sei già diventata zia?»
Keira scosse la testa, sorridendo: «Jules, l’ho conosciuta sul volo Londra – Los Angeles. È stata la meno discreta dei passeggeri, o meglio, s’è accorta di me, ma... rimembrando il volo Londra – Glasgow posso affermare con certezza che una bambina di sette anni che mi ammira può essere molto, ma molto più discreta di una hostess impicciona di prima classe.»
Ben scoppiò a ridere, pensando a come doveva aver poco sopportato la suddetta hostess la sua amica. Potevano ancora definirsi tali?
«Cosa ti ha chiesto?»
«Oh, un mare di cose! Cosa facessi nel mio tempo libero, che libri leggessi, dove andassi a tagliarmi i capelli... c’è rimasta male quando le ho detto che l’ultimo taglio l’ha fatto una mia zia.»
Ben rise nuovamente: le mancava, tanto.
«Poi mi ha chiesto cosa mangiassi a colazione...»
«Le hai risposto dicendole del tuo formidabile succo d’arancia aspro e orrendo?»
«Simpatico!» ribatté lei, guardandolo male «Mi ha chiesto come andasse con James...»
«E come va?» colse la palla al balzo prima ancora di poter riflettere su quali sarebbero state le conseguenze di quella domanda.
Keira lo guardò negli occhi, mantenendo lo sguardo per un po’: sbatté due volte le ciglia e riprese a guardarlo «Bene. Insomma, ci sono problemi futili, ma si va avanti. È venuto a trovarmi una settimana fa... E Tamsin, come sta? Come va con lei?»
Come sapeva di lei? Doveva esserci rimasta malissimo: «Oh... bé, va bene. È un po’ pesante talvolta, ma appunto, si va avanti...»
Non avevano trovato nessuna passione, entrambi. Ed avevano abbandonato il loro corso di Charleston.
«Hai trovato la passione che cercavi?» la domanda retorica che le aveva posto era pericolosa: lei lo guardò negli occhi profondamente, ma non rispose. Rimasero a guardare le onde del mare, ignari del tempo che stava passando.
«Dove alloggi?» chiese lei, guardando qualche persona temeraria che si faceva il bagno.
«Non lo so.»
«Come non lo sai?!»
«Ho prenotato ieri il biglietto, sono salito sul primo aereo e sto fino a dopodomani, quando dovrò tornare a Greenwich.» rispose lui, facendo spallucce.
«Vieni a stare da me.» le parole le uscirono di bocca senza pensarci «Sto in un hotel qui vicino, non dovrai pagare nulla...»
«Okay.» disse lui, semplicemente.
Non si sarebbe aspettata una risposta positiva, credeva avesse mantenuto una certa distanza come entrambi avrebbero dovuto fare.
Keira si voltò verso il set, lontano di qualche centinaio di metri, e notò un uomo sbracciarsi: guardò l’orologio e l’ora era ampiamente passata: «Devo tornare sul set!»
«Vai, Cenerentola.» fece lui, alzando un sopracciglio «Mi girerò Los Angeles con il mio bel trolley.»
«No! Vieni con me, ti do la chiave della camera e datti una sciacquata, poi fa’ quello che vuoi. Tanto fino a stasera io sarò qui...»
«Ceniamo insieme quando torni?»
Keira annuì, senza rifletterci su, senza basarsi troppo su ciò che la ragione le imponeva.
«Perfetto.» rispose lui, sorridendole.
Tornarono sul set, gli diede le chiavi e lui la salutò: «Ci vediamo, buon lavoro.» le baciò una guancia e si allontanò con il trolley in una mano e le scarpe nell’altra.

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Capitolo 19
*** 18. ***


18.
Nella vita reale, quando ancora si frequentavano, non avevano mai passato due giornate interamente insieme: erano state intense e perfette, ed avevano permesso loro di visitare un po’ di Los Angeles. Insieme.
Non l’aveva mai vista sorridere così tanto, nemmeno quando si vedevano a Londra: era più tranquilla, come se quella per lei fosse una vacanza e non lavoro.
Gli aveva detto che l’avrebbe accompagnato lei stessa all’aeroporto, dopotutto era anche vicino all’hotel. Relativamente.
Si stava preparando, in bagno, facendosi la doccia; lui, nel frattempo, vagava per la camera, mettendo mani ovunque, divertendosi a cercare qualsiasi cosa: «Ehi Keira, tu sei andata al matrimonio di tuo fratello, ma il matrimonio Reale l’hai visto?»
«Certo! Stavo in prima fila!» il tono derisorio che aveva lo fece scoppiare a ridere «Tu hai ricevuto l’invito? Ti è piaciuta la carta su cui l’hanno stampato?»
«Certo! Ero in prima fila anche io, non mi hai visto?»
«No, davvero!» tacque per un po’ «Non sono contraria alla monarchia costituzionale, ma l’impatto mediatico che ha avuto è stato eccessivo. Sai quanto me ne importa di quei due che si sposano. Non l’avrei mai fatto davanti a ventimila telecamere che lo trasmettevano in diretta davanti a non so quanti paesi.»
«Oh, io neanche. Ma mi avrebbe fatto piacere partecipare al matrimonio del secolo.»
Dopo due secondi uscì la testa bagnata di Keira dalla porta del bagno: «Stai scherzando?»
Ben scosse la testa: «Non guardarmi male! Ma mi avrebbe fatto piacere presenziare, vedere e toccare Westminster Abbey addobbata a festa com’era. C’era una bella atmosfera.»
La ragazza aprì la bocca per replicare ma non riusciva a dire nulla, era rimasta troppo basita: «Non l’avrei mai immaginato.»
Ben fece spallucce, guardandola attentamente: era uscita dalla doccia solo per dirgli quello. Lo sguardo poteva arrivare solo sino al collo nudo e bagnato, al braccio che spuntava dalla porta. Ma poteva immaginare il resto.
«Forse è meglio che mi sbrighi.» disse quella, avendo probabilmente pensato all’incirca le stesse cose.
Lui continuò il suo giro di perlustrazione della camera evitando di pensare a quello che era appena accaduto, a cosa sarebbe potuto accadere se non si trovassero in quelle situazioni: spostando un copri scrivania di cuoio notò i lembi di un articolo di giornale, che prese immediatamente.
Era un’intervista fatta a lui e Robert Sheehan qualche settimana prima. E lei la custodiva gelosamente nascosta ma anche a portata di mano, in camera.
Guardò la porta del bagno, poi la camera e di nuovo il bagno: camminò a grandi passi fin lì, meditando. Aprire la porta o no. Avrebbe cambiato tutto.
Ma lo fece lei, era pronta ad andare: non comprese cosa ci facesse lì, ma poi lo guardò negli occhi; Lanciò un’occhiata alla scrivania, aveva scoperto le pagine staccate dalla rivista. Lo riguardò e capì perché fosse in procinto di entrare con la mano sulla maniglia.
Ben non attese più di un secondo, guardò la reazione alla sua presenza lì e la baciò: Keira non oppose resistenza, per la prima volta non lo fece. Anzi, si lasciò trascinare ovunque lui volesse, finendo seduta sul bancone accanto al lavabo, totalmente presa da lui.
«Ben...» non avrebbe voluto fermarsi nemmeno lei, ma dovette prendere il suo viso tra le mani, sebbene le gambe fossero ancora strette al suo tronco «Hai il check-in tra mezz’ora.»
Lui posò la fronte contro quella della ragazza, chiudendo gli occhi: «È giusto, hai ragione. Oramai era mancata l’occasione.»
Keira deglutì, rimanendo qualche altro secondo così: poi gli baciò la fronte e lo lasciò andare in camera.
Era una pazzia quella che avevano iniziato, ma non se ne stava pentendo e le aveva dato scariche di adrenalina ed emozioni che non provava da... dall’ultima volta che l’aveva baciato. In dimensioni ben maggiori dall’ultima volta.
«Andiamo?» Ben la aspettava sulla porta, serio.
Lei prese un cardigan nero, infilò un paio di Converse e lo raggiunse con la chiave.

Il tragitto fino all’aeroporto fu silenzioso, parlarono solo per i saluti.
«Ci rivedremo.» fece Keira, con tono rassicurante, passandogli una mano su una spalla.
Ben annuì, chiudendo gli occhi: «Certo che ci rivedremo.»
Non si sarebbero rivisti, ormai l’attimo era sfuggito. Le si avvicinò e le stampò un bacio sulla fronte «Arrivederci, Keira.»
«Ciao.» rispose lei, aspettando che lui passasse oltre il gate per andarsene.
Non appena fu tornato si buttò sul letto e riaccese il cellulare: venticinque chiamate di Tamsin senza risposta e sei del fratello.
Non voleva sentire la sua voce stridula, le avrebbe urlato contro per come era nervoso. Voleva solo dormire e lavorare. Almeno sul set sarebbe stato un’altra persona, senza problemi o con problemi  perlomeno diversi dai suoi.
Guardò l’orologio: a Londra erano le tre di pomeriggio, all’incirca.
Compose il numero di casa e dopo due squilli rispose il fratello: «Ben, finalmente! Tamsin mi ha scartavetrato le palle perché non rispondevi!»
Scoppiò a ridere, una grassa risata di gusto: quelle sei chiamate erano perché Tamsin gliele imponesse, non perché fosse preoccupato per lui. Non appena smise di ridere, rispose: «Ero a Los Angeles, in California.»
«Tanto per sapere, che ci facevi lì?»
A lui avrebbe potuto dirlo, non avrebbe fiatato con Tamsin: «Ero con Keira. Tamsin però dovrà sapere che mi si era scaricato il cellulare e non trovavo il caricabatterie.»
«Mhmh, okay. Qualcosa da riferirmi?»
«Sono nella merda.»
«Perché?» dall’altra parte del mondo, James strabuzzò gli occhi.
«Te la faccio semplice? Sto con Tamsin e sono innamorato di Keira.»
«Oh. Si spiega tutto. È successo qualcosa tra voi, quando eri lì?»
«Ci siamo baciati, prima che io partissi.»
«Bene. E?»
«E il bacio ha confermato la teoria già abbastanza solida da me prima espostati.»
«Bene. Lascia Tamsin.»
«Per telefono?! Dal Connecticut?»
«No. Vieni qui, vai a casa sua e lasciala. È quello che ti suggerisce una parte remota del tuo cuore, no? Non penso tu voglia tenere sulle spine due ragazze, non sei mai stato uno stronzo e vuoi troppo bene a Keira per anche solo poter pensare una cosa del genere.»
Il fratello gli aveva appena pianificato tutto quello che in realtà aveva già pensato ma non aveva il fegato di fare, non in quel momento almeno.
«Io... penso farò così.»
«Bene. Perché a dirtela tutta Tamsin non l’ho mai sopportata e Keira invece è un amore.»
Ben alzò gli occhi al cielo, sorridendo: «Ci avrei messo la mano sul fuoco che me l’avresti detto. Almeno la prima parte della frase. Aspetta un attimo, hanno bussato.» aveva sentito un leggero tocco alla porta e anche se non aveva alcuna voglia di alzarsi, lo fece: «Chi è? Non ho ordinato nulla...» aprì la porta, trovandosi Keira bagnata come un pulcino davanti alla porta «Servizio in camera non desiderato?»
Ben si illuminò, sorridendole: prima ancora di chiedere spiegazioni la baciò, molto più dolcemente dell’ultima volta. Quella alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi e gli sorrise sinceramente: «Ho preso il tuo aereo, classe economica. Ho trovato un posto all’ultimo… Perciò non mi hai vista. avevo bisogno di terminare ciò che avevamo cominciato.»
L’aveva sorpreso in tutti i sensi e molto, molto piacevolmente: la baciò di nuovo, prendendola per mano e trascinandola dolcemente sul letto «Aspetta un attimo. Solo uno. Devo terminare anche io una cosa.»
Quella si sedette ancora bagnata ai piedi del letto, liberandosi dalle scarpe e dai calzini fradici per incrociare le gambe e guardare Ben riprendere il telefono.
«James, sto spegnendo di nuovo il telefono. La batteria è ancora scarica e non trovo più il caricabatterie. Per, diciamo... stanotte, il telefono sarà scarico. Buonanotte.»
«Buon divertimento! Ah, salutami Keira.» chiusero la chiamata e Ben si voltò ad osservare la ragazza: non un cenno di ripensamento, non un tentennamento.
Lo aspettava lì, con un grande sorriso sulle labbra, tranquilla e soddisfatta. Come se fosse certa di star facendo la cosa più giusta dell’universo.
«Vieni qui.» l’aveva detto col suo solito tono dolce, quello che le aveva sempre rivolto per consolarla: la baciò e l’abbracciò «Vuoi l’accappatoio? Avrai freddo.»
«È pioggia primaverile, sto bene.» incrociò i piedi con quelli del ragazzo, stringendosi a lui «Ora. Sto bene, ora.»
«Lo so.»  le baciò la punta del naso «Anche io.»
Si liberò della maglietta e si infilò sotto le coperte, riabbracciandola al calore.

Quando riaprì gli occhi, Keira si trovava ancora davanti a lui e un raggio di sole le illuminava il viso, mentre la stessa lo guardava con i grandi occhi da cerbiatta aperti.
«Buongiorno.» disse lui, sorridendole e baciandole la fronte.
«Buongiorno a te.» rispose quella, continuando ad osservarlo.
«Mi sento osservato, la smetti?»
«Lo sei. E poi sei bello quando dormi. Cioè, anche quando non dormi, ma quando dormi sembri un...»
«Sta’ zitta.» la bloccò posando dolcemente una mano sulle sue labbra, per poi baciarla per l’ennesima volta.
«Mi hai zittito! Hai osato farlo!» ribatté quella, issandosi su un gomito «Ora stai zitto tu!»
«Prego, zittiscimi.»
«Come potrei rinunciare!» gli andò sopra, per baciarlo ancora un po’: poi guardò l’orologio «Ho l’imbarco tra mezz’ora, dovrei muovermi.» fece cadere la testa su quella del ragazzo, sbuffando.
«Ehi...» sembrò riflettere attentamente «Ma lì ora sono le cinque.»
«Sì, riesco ad andare a lavoro con il volo che prendo ora.»
«Viva il fuso orario, insomma!» la baciò e poi si alzò «Mi vado a fare una doccia.» avrebbe voluto proporle di risparmiare tempo e farla in due, ma evitò: non avevano fatto null’altro che dormire quella notte.
Dopo che le cose si sarebbero risolte ci sarebbe stato tanto tempo per fare tutto, ogni passo nel tempo giusto.
«Okay, sbrigati o entro in bagno e ti caccio via.»
«Vedi che non ti accompagno e rimani mia prigioniera, eh.»
«Devi lavorare anche tu oggi, scemo!»
«Piano con le parole, bella!» uscì dal bagno in boxer solo per schiaffeggiarle amorevolmente una coscia e  poi ci ritornò, chiudendo la porta. Keira rimase lì ad aspettare evitando di pensare a come stesse bene senza vestiti, ma il pensiero andava e tornava nella sua mente ad alta velocità.
Dopo cinque minuti Ben era già in jeans e nella camera, mentre lei gli diede velocemente il cambio: dieci minuti dopo erano entrambi fuori dall’albergo, pronti entrambi alla giornata che avrebbero dovuto affrontare.
«Ci vediamo sabato prossimo, vengo io.» fece Ben fuori dall’hotel, baciandole una guancia.
«A sabato prossimo!» rispose lei, sorridendogli ancora una volta e prendendo il taxi.
Il giorno prima aveva fatto la cosa più avventata e soddisfacente da un bel po’ di tempo a quella parte e non se ne pentiva, assolutamente.

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Capitolo 20
*** 19. ***


19.
Non faceva troppo caldo, ma Londra era perfetta a Luglio. Davvero perfetta. O forse era per lei che tutto sembrava per così dire “rosato” e perfetto. Nascose i pantaloni che Ben aveva dimenticato circa una settimana prima in un cassetto e scese in salotto: era ufficialmente in vacanza. Erano finite le riprese di “Seeking a friend for the end of the world” e lei era tornata nell’adorata madrepatria. Ben, invece, era tornato a casa circa un mese dopo rispetto a lei e ad Agosto sarebbe dovuto tornare in America. Se quel giorno tutto fosse andato secondo i piani prestabiliti, lei avrebbe anche potuto raggiungerlo, vista la vacanza che aveva protratto almeno fino all’inizio di settembre, eccetto alcuni eventi a cui non avrebbe proprio potuto evitare di partecipare.
Suonò il campanello e Keira si precipitò: «Sienna!»
L’amica la abbracciò, si era potuta liberare solo in quel momento da tutti gli impegni da quando era tornata e le era mancata davvero tanto.
«Raccontami. Mi hai solo accennato qualcosa e tu sai quanto io abbia fame di notizie.» entrò in casa come se ne fosse la padrona e si gettò sul divano, scalciando via le scarpe ed incrociando le gambe.
«Allora...bé.» arrossì, guardando intorno «Diciamo che... mi sto vedendo con Ben.»
«Sai che novità, anche prima ti vedevi con lui.» commentò Sienna come se nulla fosse: poi guardò l’espressione di Keira, che era diversa da quando si vedevano come amici... e comprese. Lanciò un urlo e spalancò la bocca piacevolmente sorpresa «Non ci credo! Hai ceduto! Racconta tutto!»
Keira la guardò negli occhi, sorrise aggiustandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio e approfittando di questo movimento per non guardarla in viso arrossì: «Lui... è venuto a trovarmi a LA. Doveva riportarmi “Anna Karenina”, il libro rilegato che avevo perso da lui tempo prima. È stato suo il primo passo.»
«E poi? E poi e poi e poi?» chiese quella, con gli occhi che le brillavano dalla contentezza.
«E... abbiamo passato il week-end insieme, come se non ci fossero stati quei due mesi e mezzo di nulla tra noi. Non era cambiato davvero niente.»
«Avete fatto scintille?» chiese Sienna con un tono malizioso.
Keira scosse la testa, rossa in viso: «No. Non è successo nulla... solo che prima di accompagnarlo al LAX ci siamo baciati e saremmo potuti passare ad altro se non ci fosse stata l’incombenza del suo volo.»
«Ti vengono i colpi di genio sempre all’ultimo, eh!»
«Ben è partito... e solo dopo poche decine di minuti che era arrivato mi sono presentata da lui. Ho trovato un posto in classe economica sul suo volo e l’ho preso subito.»
Sienna iniziò ad urlare e saltare per la stanza: «Non ci credo, non ci credo! Hai fatto il grande passo, l’hai seguito! Hai fatto la tua scelta! Aaaah!»
Keira scosse nuovamente la testa, sorridendo: «Cioè sì, ho fatto la mia scelta... ma non è successo nulla quella sera. Abbiamo solo dormito.»
«Per carità, mi dici allora quando è successo? Perché tu gli saresti voluta saltare addosso da parecchio, secondo me.»
«Dopo che ho lasciato James. Abbiamo festeggiato. E un bacio tira l’altro. E... beh...»
Sienna ricominciò ad urlare e abbracciò nuovamente l’amica: «Come sono contenta! Non vedo l’ora di congratularmi con lui! Quando ufficializzate la cosa e non vi nascondete dai paparazzi?»
«Dopo oggi, se tutto va bene.»
«Cioè?»
«Se lascia Tamsin.»
Sienna sbarrò gli occhi: «Avevo dimenticato i particolari James e Tamsin. Bé, sicuramente non daranno fastidio.»
«E se non ci riesce?» il labbro inferiore le tremò impercettibilmente «Io gli voglio bene, gliene voglio tanto, e anche se so di non essere la seconda donna nel suo cuore mi sono seccata di nascondermi.»
Sienna si accorse del fatto che l’amica, per quanto fosse felice, avesse ancora paura di quella zona d’ombra inesplorata: «Ben non è uno smidollato, ce la farà. E potrete finalmente uscire insieme e comportarvi come vorrete.» le carezzò una spalla, sorridendole «E quando tutto sarà ufficiale, usciremo tutti insieme!»
«Con Todd?» Keira alzò maliziosamente un sopracciglio.
Sienna scosse la testa: «No, non siamo più trombamici. Comunque intendevo noi tre, se non vi sentite spiati!» cambiò tono, assumendo quello di un’amica offesa.
«Come mai?»
Sienna storse il naso: «Ho scoperto che aveva ancora la fidanzata. E non mi va proprio di essere quella di scorta.»
«Mi dispiace.» fece l’altra, immaginandosi il momento in cui l’aveva saputo, interrogandosi sul tatto o meno che quello avesse avuto «Quindi hai cambiato autista?»
«Voglio guidare io. So che la tassa per il centro è di otto sterline e passa, so anche che per venire da te in auto sborso parecchio ma per te questo e altro!»
«Non ci credo! Che auto ti sei comprata?!» Keira corse ad aprire la porta di casa, noncurante del fatto che fosse in micro pantaloncini sportivi e canottina bianca: una cabriolet rossa fiammante era parcheggiata sul suo vialetto «Wow.»
«Ehi si!» gongolò la ragazza «Poi porto sia Ben che te a fare un giro. Dopo la settima volta che ci ho provato ce l’ho fatta a prendere la patente!»
Keira rise, guardando l’amica contenta: rideva con poco.
E Ben probabilmente si stava movendo in quel momento per raggiungere casa di Tamsin.
Deglutì, cercando di non pensarci: avevano deciso di non sentirsi finché non l’avrebbe lasciata, finché non sarebbe uscito da casa sua. Si erano visti la sera prima, ma dopo non ci fu nemmeno una chiamata.
«Keira?» Sienna le passò una mano davanti agli occhi «Ci sei?»
«Mhmh.» tornò a guardarla e chiuse la porta «sono un po’ preoccupata.»
«Su’, ci facciamo un tè e ti lascio quando arriva Ben?» propose l’amica, battendo le mani «Così lo rivedo e mi congratulo anche!»
L’altra annuì, incerta: «D’accordo.»
«E ci vediamo anche un bel film!» aprì la borsa e tirò fuori un porta CD «Si va!»

Era in ansia. Aveva ripetuto mentalmente non sapeva quante volte le cose da dirle, ma era comunque in ansia.
Doveva riuscirci, doveva lasciarla. Non ne poteva più nemmeno lui di avere quella “doppia vita”. E anche se non glielo faceva pesare, anche Keira ne soffriva, e aveva paura.
Era sotto casa di Tamsin da un po’, ma non aveva avuto il coraggio di citofonare. Contò fino a dieci ed uscì dall’auto, mise la sicura e suonò per farsi aprire il cancelletto.
«Chi è?»
«Tam, sono io. Sei sola?»
«Sì, perché? »
«Sto arrivando.»
«Cos’hai in mente?» chiese lei, maliziosa.
Ma lui non rispose e avanzò nel giardino, con un’espressione seria in viso.
Tamsin gli aprì la porta con un mini-vestito a fantasia floreale addosso: era davvero carina, ma... nulla di più. Le aveva voluto davvero bene, ma non l’aveva mai amata, e non c’era mai stata passione. Ma era stata sua amica, e lasciarla l’avrebbe distrutta, almeno al momento. Sicuro si sarebbe ripresa, però... insomma, era stato un fedifrago. Keira no, o meglio, non completamente.
«Ehi Ben!» gli baciò le labbra e lui ricambiò in modo non convincente «Cos’hai?»
«Entriamo? Dobbiamo parlare.»
Il sorriso le si spense sulle labbra. Aveva solo ventitré anni, ne aveva passate meno di lui, che era ben sette anni avanti.
Lo fece accomodare ed iniziò a giocherellare con i capelli, nervosa: «Che c’è? Era troppo inaspettata la tua visita.»
«Tam...»
«Sì?» doveva aver capito. Era troppo nervosa e nello sguardo che cercava di continuare a mantenere sereno era comparso un velo di tristezza e quasi rassegnazione.
«Non posso più stare con te.» al diavolo i discorsi e le motivazioni, doveva dirle la verità così com’era, senza tanti fronzoli.
La ragazza assunse un’espressione davvero triste, ma impotente: «Perché?»
«Perché mi sono reso conto di non averti mai davvero amata. Ti ho voluto davvero tanto bene, ma non ti ho mai amata.»
«Perché?» ripeté quella, con la voce incrinata.
Il ragazzo non rispose, le aveva riferito la triste e dura verità.
«Sembra che non te ne freghi nulla, neanche un po’!»
«Non è vero, prima di decidere di fare questo passo ho meditato tanto. Ed è l’unica cosa che io possa fare senza reprimere e nascondere me stesso. Siamo troppo diversi, ma sarei potuto andare oltre questo, se ti avessi amata...»
La ragazza lo bloccò con una mano, gli occhi colmi di lacrime: lui fece per avvicinarsi e abbracciarla ma lei si ritrasse «D’accordo. Ma ora va’ via.»
«Tam...»
«Va’ via! E non pensare nemmeno lontanamente di chiedermi di rimanere amici! Va’ al diavolo!»
Era logico che avrebbe reagito così, lei lo amava sul serio: ma anche nei suoi confronti doveva essere sincero, doveva dirglielo e di conseguenza farle male per non ingannarla.
«Vattene!» urlò quella, scoppiando a singhiozzare.
«Addio.» salutò lui, voltandosi e chiudendo gli occhi. Percorse la distanza che andava dalla porta di ingresso al cancelletto a grandi passi, ispirando ed espirando profondamente.

Sienna aveva scelto il film giusto, quello che, anche se non un capolavoro, non avrebbe mai smesso di rivedere: «Lui è davvero troppo bacato!»
«E lei è un’attrice sexy e famosa, ma lui le fa tenere i piedi per terra. E poi il suo amico è fantastico! Io me lo prenderei uno così.» mangiando popcorn, le due ragazze commentavano “Notting Hill” non pensando a nulla e ammirando la loro città.
«Io lo adoro.» dichiarò Keira, ingurgitando un’altra manciata di popcorn e bevendo un sorso di Coca Cola.
«Chi? Hugh Grant o il libraio?»
«Bé, Hugh Grant è uno forte. Ti giuro quando giravamo “Love Actually” sono morta dalle risate. Ma io intendevo lui.» indicò lo schermo: la scena era quella della festa della sorella rossa e pazza, e lui aveva portato Anna con sé.
«Bé, Hugh Grant è un gran figo.»
«Sienna!» esclamò la ragazza, saltando su.
«Non ho detto che me lo farei... anche se me lo farei.»
«SIENNA!» urlò l’altra, ridendo; il loro momento di risate fu interrotto dal suono del campanello: Keira saltò su nuovamente, ma ora la disposizione del suo animo era diversa.
Si avvicinò piano alla porta e la aprì: era Ben.
Lo guardò prima di poter essere sollevata, ma lui le sorrise: allora lo abbracciò e baciò, nascosta dalla porta.
«Chi c’è in casa?»
«Sienna. È tutto a posto, allora?»
«Diciamo. È finita, sì.»
«Come stai? Come sta?»
«Lei malissimo, le ho voluto bene... mi dispiace. Ma non si poteva andare oltre.»
Keira non poté fare a meno di sorridergli sinceramente e lui ricambiò: «Che fate?» chiese, entrando in casa «Ehi S!»
La ragazza si erse e scese dal divano in un modo alquanto improbabile per andare ad abbracciarlo: «Congratulazioni! Quando me l’ha detto sono saltata su ed ho iniziato ad urlare!»
«Confermo.» l’amica annuì alzando gli occhi al cielo e arrossendo: era troppo carina quando si vergognava. Intrecciò le dita di una mano con le sue e raggiunse il salotto, che era tutto buio: «Cosa succede qui? Oh. Film. Perfetto.»
Si sedette sul divano e Keira si frappose tra lui e l’amica.
«Mi ci voleva proprio. E poi “Notting Hill” è uno dei film con Julia Roberts che preferisco.»
Keira lo guardò e gli porse dei popcorn: lui aprì la bocca, consentendole di lasciarli lì. Poi le baciò la mano e si posò sulla sua spalla.
A lei mancavano momenti del genere: tutti e tre, insieme. E con quella tranquillità, che non provava da tempo.

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Capitolo 21
*** 20. ***


20.
Erano loro due: lei e la macchia di grasso sulla padella. Ed era quasi certa che avrebbe vinto quest’ultima, sul tempo, sulla perdita di esso, con il risultato finale.
«Dannata maledetta str—
«Hai bisogno di una mano?» con i capelli scompigliati, il caldo che quel weekend di agosto la stava praticamente distruggendo e le mani completamente insaponate guardò il fresco Ben, che si era appena ripreso dal fuso orario Greenwich – Londra dormendo quindici ore di fila, ma svegliandosi per le tre di quel pomeriggio.
«Mi farebbe piacere, sì.» lanciò la pezza ruvida nel lavandino, arrendendosi e lasciandosi cadere su una sedia della cucina.
«Arrivo!» esclamò Ben in boxer e semplice T-shirt bianca, lanciandole uno sguardo malizioso: lei gli rispose con uno stanco, sconvolto «Mi manca la lavastoviglie funzionante.»
«Tanto uno sciacquo accurato lo devi fare anche prima di buttare tutto in lavastoviglie.»
«Mai fatto.»
«Ecco perché alcuni tuoi utensili da cucina sono completamente malridotti.» convenne lui, liberandosi della maglietta: con tutto che avevano le finestre aperte, faceva moltissimo caldo. Non sembrava un agosto londinese, in quei giorni «Tamsin l’avrebbe saputo.»
«Oh, scusa se non sono la cuoca e matrona perfetta.» sbottò quella, rivolgendogli un’occhiataccia che lui non colse se non dal tono della voce: non credeva le avrebbe dato così tanto fastidio quel paragone. L’aveva detto per prenderla in giro e farla diventare teneramente arrabbiata: ma aveva proprio messo il broncio.
«Ehi, ti sei innervosita sul serio?» poiché non rispose, si voltò nella sua direzione per guardarla negli occhi «Non era un paragone vero, né fatto per nuocerti. Era per farsi due risate... e poi lo sai che io amo te.»
Keira lo guardò strabuzzando gli occhi: non gliel’aveva mai detto, che la amasse. E l’aveva ammesso con così tanta facilità che sarebbe stato assurdo ed insensato non credergli. I suoi stessi occhi dicevano esattamente ciò che provavano.
«Come? Forse non ho capito bene...» dimenticò immediatamente quella parentesi su Tamsin e gli si avvicinò, sorridendo: lui ricambiava, circondandole la vita con le braccia «Bé... ti amo. È così, che tu lo voglia o no, e ci dovrai anche fare l’abitudine perché—
Lo baciò improvvisamente, scattando verso le sue labbra e facendolo tacere: «Anche io ti amo. Da... un po’.» lo abbracciò, roteando gli occhi.
«Ah sì? E quando pensavi di dirmelo?» la buttò sul ridere, mettendo i pugni sui fianchi e poi riabbracciandola per tenerla stretta a sé.
«Uhm... prima o poi. Più prima che poi.» rispose quella, guardandolo da sotto la sua spalla.
«Anche io. Prima o poi te l’avrei detto. Te l’ho detto, infatti.»
La ragazza annuì, guardandolo ammirata: aveva fatto tutti quei chilometri per una cena tra amici e per stare un weekend lungo con lei, a casa sua.
Era decisamente l’uomo migliore che avesse mai avuto, in casa e come compagno.

Quella sera la situazione era diversa: faceva più fresco ed una giacchetta sarebbe servita, il vento londinese non scherzava. Si voltò a guardare dal bagno un Ben steso sul letto, liberandosi dell’asciugamani per infilare una culottes. Passò come se niente fosse davanti a lui ed indossò un vestitino semplice color antracite.
«Ehi, pensi di passare inosservata camminandomi davanti mezza nuda?!» fece quello, alzando maliziosamente un sopracciglio e sedendosi sul letto a guardarla: lui era già pronto, la aspettava lì in jeans e camicia.
«C’è Sienna di sotto.» ribatté quella, rispondendo maliziosamente al suo sguardo ed infilando le scarpe e gli orecchini contemporaneamente: iniziò a mettere mani in un portagioie per cercare la collana della stessa parure, trovando le braccia del ragazzo intorno alla sua vita e le labbra lungo il suo collo.
«Non è una buona giustifica, lei si metterebbe a farci il tifo.»
Keira scoppiò a ridere, voltandosi per baciarlo senza riserve: «Ne sono certa. Mettiamola così: tu stai buono buono fino alla fine della serata e avrai una sorpresa quando torneremo a casa.»
Ben le mordicchiò una piccola parte dell’orecchio: «E io sono certo che questa sorpresa piacerà anche a te.»
Keira fece spallucce: «Chi lo sa.»
Il ragazzo la guardò interdetto, riprendendo il suo sguardo malizioso e posando la mano sul suo fianco per aprire la cerniera del vestito: Keira alzò gli occhi al cielo e prese subito a parlare «Sì, okay, lo sappiamo entrambi che mi piacerà.»
«Bene.» rispose lui soddisfatto, prendendola per mano e accompagnandola fuori dalla camera.
«Aspetta!» lo lasciò sulla soglia, correndo a prendere una stola da mettere sulle spalle e tornando in pochi secondi «Tu non avrai freddo così?»
Ben alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: «Come se quella stola potesse proteggerti dal freddo! Ho la giacca giù. Sperando che Sienna non si sia messa a saltarci sopra, ovviamente.»
Keira scoppiò a ridere per poi guardarlo negli occhi: talvolta parlavano di Sienna come una bambina pestifera. Di fatto, quando era troppo esuberante e sovreccitata poteva causare qualche guaio.
Scesero le scale mano nella mano trovando la ragazza in questione già pronta con tutto l’occorrente in mano, più la giacca di Ben, quella di Keira e la pochette rigida di quest’ultima, che porse subito alla ragazza: «Non ti preoccupare, l’ho già riempita. Fazzoletti, cellulare, il minimo di trucchi, qualche salvietta umida, preservativi...»
Ben scoppiò a ridere in faccia ad entrambe, mentre Keira si passava una mano sulla fronte: «Grazie, S. Ma come mai tutto questo da fare per noi?»
La ragazza nel frattempo aveva aiutato Ben ad infilarsi la giacca e gli aveva porto le chiavi della macchina: «Perché sono in astinenza e voglio andare a quella dannata festa. Ci sarà qualche giovinetto da svezzare o qualche ometto di mezz’età da svecchiare, no?»
Risero sia Keira che Ben, quest’ultimo scuotendo la testa: «Ma della tua età no?»
«Ancora non mi ci sono trovata bene... su’, andiamo!» li spinse fuori dalla porta, chiudendosela dietro e lasciando urlare Keira: «Le chiavi! Stanno dentro!»
Sienna le rivolse un sorriso amabile e gliele porse: «Secondo te come ho chiuso la porta?»
«Grazie, mamma!» l’amica scosse la testa ed entrò nel posto del passeggero, mentre Ben occupava quello del conducente e Sienna, tutta eccitata, sedeva dietro.
«Su’ su’ su’, partiamo!»
«Non mettermi fretta per tutto il tragitto o ti lascio fuori dall’auto nei quartieri dove ci sono state le sommosse.» per mettere in chiaro le cose Ben si era voltato e l’aveva guardata negli occhi: quella fece segno di cucirsi la bocca e gli rispose con un “Signorsì, signore!”.

Sienna rimase parecchio delusa quando furono arrivati: c’erano tantissime ragazze e gli unici uomini che c’erano o erano fidanzati, o erano della sua età. Vagava con il suo drink in mano e l’espressione del viso sconvolta, sembrando un fantasma o qualcosa di molto simile ad esso.
James, d’altro canto, invitandoli entrambi sperava di fare da cupido della situazione facendoli rincontrare dopo tanto tempo che non si parlavano, ma rimase piacevolmente sconvolto: i suoi due amici si erano presentati a casa sua insieme e mano nella mano.
«Mi avete rovinato tutto il piano! Mi ero preparato tutte le battute da dire per farvi riavvicinare!» Ben lo guardò stralunato mentre Keira scoppiava a ridere: «Mi dispiace James, ma ci siamo arrangiati da soli, senza aver bisogno di un cupido.» si voltò a guardare Ben, che le sorrise prima di rivolgersi all’altro ragazzo: «Tumnus, cosa nascondi?»
Keira ridacchiò e James lo guardò male: «Si da il caso che la tua qui presente ragazza mi abbia raccontato tutta la vostra storia dal caffè per cui non trovava gli spiccioli fino a quando vi siete arrabbiati per la gelosia dei vostri rispettivi ragazzi del tempo. Quindi Tumnus sa tutto.»
«Tumnus? Chi è Tumnus?» Sienna sbucò dal nulla, facendo prendere un accidente a Keira che sobbalzò: «Non ti ho vista arrivare. Davvero, temo sempre più che tu sia un fantasma.»
Non tenendo consapevolmente conto dell’intruso non si fece alcun problema a risponderle: «Senza trombamici diventerò così evanescente fino ad evaporare.»
I presenti avevano tutti un’espressione particolare, anche il padrone di casa che ne aveva una irreprensibile.
Sienna dal canto suo li guardò come se avesse detto la cosa più normale del mondo: «Cosa c’è? Voi non lo sapete, ma l’astinenza è una brutta bestia.»
Keira alzò gli occhi al cielo: «Tu l’avresti detto comunque, non ti fai problemi di questo tipo!» Ben annuì con un sorriso, lanciando un occhiata a James, la cui espressione era sempre meno comprensibile.
«È vero. E sono d’accordo. E...» sembrò rifletterci prima di parlare «... sono disponibile. Potrei però essere pedante essendomi appena lasciato con la mia ragazza di un bel po’ di tempo fa.»
Keira e Ben spostavano lo sguardo ritmicamente da James a Sienna, come se stessero osservando una partita di tennis: Sienna sembrò pensarci su, poi si aprì in un sorriso e gli porse un braccio: «Sei davvero sincero e simpatico. Non immaginavo che quei due potessero presentarmi qualcuno di così interessante!» mentre si allontanavano nella sala a braccetto, Keira per poco non le si mise ad urlare contro: «Ehi! Non presento nessuno di interessante io? Eh?!»
Ben le posò una mano ferma sulla spalla che la costrinse – con molto piacere – a voltarsi: «Bé, qualcuno di interessante gliel'hai presentato. Solo che aveva capito che quel qualcuno era già interessato a qualcun altro.»
Keira assunse l’espressione di qualcuno che stava risolvendo una complessa equazione a mente e un secondo dopo quella di qualcuno che aveva trovato subito la soluzione: «Tu e io?»
Ben annuì con un impercettibile cenno del capo, tirandola a sé: «Proprio così.»
«Oh... bé, allora sono contenta che non si sia interessata a quella persona interessante.»
«Non l’avrebbe mai fatto.»
«Perché?» chiese Keira, sinceramente curiosa.
«Perché ti vuole troppo bene per soffiarti qualcosa. E perché lei aveva capito già tutto dall’inizio.»
«Effettivamente, Sienna ha parecchio intuito...» guardò la ragazza che parlava concitatamente con James, prendendo un altro bicchiere di champagne e poi ridere insieme a quello: potevano sembrare due persone completamente diverse, ma se lei si fosse acchetata e lui si fosse lasciato un po’ di più andare sarebbero stati perfetti.
«... Tranne che per sé. Mi dispiace per Todd. Non credevo fosse così stronzo, non sembrava.» Ben riprese a parlare poco dopo.
Keira scosse la testa «Nemmeno io. Credevo fosse quello giusto, addirittura. Sembrava pacato abbastanza da compensare la sua esuberanza, invece era un bastardo. E temo l’abbia fatta soffrire, anche se non lo dà a vedere.» poi indicò con il capo James «Anche lui è così pacato. Sarà anche così stronzo? Sotto quel punto di vista non lo conosco.»
Ben scosse la testa, come se sapesse perfettamente di cosa stessero parlando: «No, assolutamente. Non lo conosco troppo bene, però ho visto quanto ci tenesse alla ragazza. Quando ha girato qualche scena nelle Cronache di Narnia, il primo film che avessi mai fatto con una crew che già s’era formata, lei era venuta a trovarlo e lui non aveva occhi che per lei. E mi ricordo che Anne Popplewell aveva una piccola cotta per lui e lui non se la filava di striscio. Va bé ma quella aveva una cotta per tutti.»
«Come, prego?» Keira gli rivolse un’occhiataccia, ma lui la prese a ridere: «Hai capito bene. Per me, per William... spero non anche per Skandar, anche se effettivamente crescendo è diventato un bel ragazzo.»
«Che diavolo è tutta questa confidenza?!» Keira lo guardò malissimo, tirando fuori una gelosia immotivata che in lei montava dirompente «“Aveva una cotta”... ma tornasse a studiare!»
Ben scoppiò a ridere, guardandola montare di rabbia come un piccolo strato-vulcano: «Non c’è mai stato nulla.»
«Ci mancherebbe!»
«Ecco. Mh.» incrociò le braccia, facendo il muso arrabbiato: Ben non poté fare a meno di abbracciarla stringendola forte a sé, quando si innervosiva cinque minuti per cose campate in aria riusciva ad essere anche tenera.
«Su’, su’, c’è solo qualcosa con te. E ribadisco che amo solo te.»
«Non c’è bisogno che mi rassicuri, come dicevo prima, ci  mancherebbe altro!!!»
Ben scoppiò a ridere e la strinse più forte, rimanendo ad osservare con lei tutti gli invitati da un angolo seminascosto del salotto: era bello anche fare nulla di particolare con Keira.
Era tutto così semplicemente... tranquillo. E semplice.

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Capitolo 22
*** 22. ***


Epilogo
Finalmente Ben era tornato da quella dannata America. Non che non le piacesse, ma fare avanti e indietro con voli intercontinentali non era il massimo, e avevano dovuto fare così più o meno per tutta l’estate. Fortunatamente le riprese di “The Wedding” erano finite e potevano godersi un po’ di pace in giro per Londra, o a casa.
«Mi sono davvero sentita una turista per cercare questa panchina.» e per sedersi dovettero aspettare parecchio tempo, visto che c’erano dei veri turisti a fare le foto alla stessa. “Notting Hill” aveva davvero avuto un successo completamente mondiale se a distanza di più di dieci anni la gente continuava a venire a visitare i posti di Londra dove erano state girate scene importanti di quel film.
«E io invece mi rendo conto che è anche scomoda.» Ben era steso con le gambe a penzoloni, mentre Keira accarezzava la sua testa, posata sulle gambe.
«Bé, però volevo venire a sedermi qui.»
«Okay. La prossima volta però Regent’s, con le asciugamani di fronte al “The Boating Lake”. E magari prendiamo anche una barchetta?»
«Perché no.» commentò Keira, godendosi gli ultimi raggi di sole estivo. Per quel che potesse esser definito tale il pallido sole inglese.
«Quando parti?»
«Lunedì. Però Venezia è molto bella...»
«Immagino.» rispose lui, schermandosi la vista con una mano per guardarla negli occhi: aveva un’espressione indecifrabile.
Era bello guadagnarsi tutti quei soldi facendo ciò che piace, ma è stressante se sei legato a qualcuno. E quello che facevano stando insieme era una pazzia bella e buona, di cui prima o poi si sarebbero potuti stancare.
«Il prossimo film è in Inghilterra.»
«E il mio tra Russia e Inghilterra.» aveva un’espressione scoraggiata: anche lei voleva che avessero qualcosa di più costante.
«Magari... accetterai qualcosa di più vicino, dopo questo.»
«Sì. Mi manca recitare in patria.» tacque il “E mi manchi tu”.
«A me manchi tu.» lei sobbalzò: Ben aveva dato voce a ciò che lei aveva solo pensato.
«Anche a me.»
Il ragazzo si issò seduto e la abbracciò, permettendole di posare il capo sulla sua spalla: «Su’, le cose cambieranno. E poi quando reciteremo di nuovo a teatro sarà tutto più facile.»
Lei lo guardò annuendo con un sorriso: «Hai ragione. Basta che lasci stare il Comedy Theatre che è territorio mio!»
«Ehi!»
«Tra misantropi vari e ore di bambini...»
«Il Comedy è anche mio!» ribatté Ben, guardandola strabuzzando gli occhi.
«Cinquanta e cinquanta? Per te potrei fare un’eccezione.» Keira lo guardò con un sopracciglio alzato porgendole la mano: lui la strinse e le si avvicinò per baciarla.
«Vada per il cinquanta e cinquanta.» rispose dopo qualche minuto, riprendendo a carezzarla.
«Ehi Barnes.»
«Sì?»
«Vieni con me. A Venezia. Per quel che ne so è la città dell’amore e tutte quelle cose là come Parigi. E poi non avrò sempre da fare con la Mostra, potremo—
Lui la baciò: «Fare una vacanza insieme, perché no. Sì, mi farebbe molto piacere.» la guardò sollevata. Era quello a cui stava pensando poco prima, proporgli la vacanza. E aveva paura che rifiutasse. Le sorrise e la strinse a sé, ma lei saltò su dopo qualche secondo: «Allora muoviti cialtrone!» con fare autoritario – e una mano sul capo a mo’ di saluto militare – gli si pose davanti, ridacchiando sotto i baffi «Hai delle valige da fare entro domani e un aereo da prenotare per... domani, massimo dopodomani!»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, con un’espressione disperata: «Menomale che dovevamo passare qualche giorno in pace a Londra!»
«Muoversi!» aveva riacquistato il sorriso di sempre e lo stava trascinando per il parco, cercando di convincerlo in tutti i modi a sbrigarsi, proponendosi di aiutarlo per le valige «E porta lo smoking!»
Cosa aveva intenzione di fare?
Certe volte quella ragazza era un vero e proprio mistero. Un mistero intrigante e... che amava. Decisamente.

THE END.


Ebbene sì, siamo arrivati alla fine. Non posso far altro che ringraziare tutte le persone che hanno seguito, costantemente e non, la prima long-fic che io abbia mai postato su questo sito. Mi mancherà postare entro giovedì (a proposito, scusatemi se non l'ho fatto in tempo questa settimana!) e attendere le vostre recensioni con ansia :') Grazie a tutti, quelli che l'hanno messa tra i preferiti, tra le seguite, che l'abbiano solo letta, e un grazie ENORME a chi l'ha commentata passo passo. Spero davvero di potervi "rincontrare" in qualche altra storia :)
<3

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