What if?

di Dony_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Piccola intro: grazie a tutti quelli che mi hanno sostenuta nella mia raccolta ‘Years after years’. Un abbraccio particolare a Shine_!!
Buona lettura ;)

 
What If..?
1.

 

 
Alzo lo sguardo dal mio libro, spostando gli occhiali da sole sulla fronte, non appena sento una leggera pioggerellina sulla pelle.
La colpa non è affatto attribuibile al tempo, visto che è una bellissima giornata di sole di metà agosto, ottima per la nostra fuga dalla città verso le piscine comunali di Toto.
Guardo colui che intenzionalmente mi ha spruzzata e non posso non trattenere un sorriso, anche se sono un po’ scocciata per colpa dell’acqua finita sulle pagine del mio volume.
“Conan, non la vuoi proprio smettere di infastidirmi, eh?” gli domando retorica.
L’adolescente che ho davanti mi sorride beffardo, ricordandomi terribilmente lui. Però stavolta non avverto il solito senso di vuoto al ricordo della sua costante mancanza nella mia vita.
Ho voltato pagina, anche se con molta difficoltà, e ho smesso di piangere a causa sua tanti anni fa. Ricordo ancora quando al telefono mi aveva dato la notizia più brutta della mia vita: non sarebbe mai più potuto tornare.
Ricordo ancora i mesi seguenti con dolore, la mia sofferenza non conosceva limiti. Stavo per mollare tutto: studi, karate, amicizie. Se non fosse stato per lui, il mio fratellino adottato.
Conan non è stato un secondo lontano da me e mi ha trasmesso tutto l’amore che può provare un bambino nei confronti della sorella e questo ha colmato piano piano il vuoto del mio cuore. Era la mia roccia stabile sulla quale sapevo che potevo appoggiarmi. Strano, no? A volte i bambini sono molto più responsabili e fedeli degli adulti.
 
“Ran, io non posso più tornare”
 
mi aveva detto. Quelle parole, dapprima confuse, mi arrivarono con il senno di poi come uno schiaffo in pieno volto.
La sua voce trattenuta tradiva una forte tristezza e un senso di perdita a me ancora non chiaro. E poi, il suo ‘non posso’ mi è sempre suonato strano.
Perché non poteva? Non aveva usato il verbo ‘volere’, ma ‘potere’. Qualcuno gli ha impedito di tornare da me, e questo qualcuno non posso ancora perdonarlo, nonostante siano passati dieci, lunghi, anni...
 
Ma dopotutto...
 
La mano del mio fratellino si avvinghia al mio polso e mi costringe ad alzarmi e ad abbandonare la mia sdraio e il mio libro, per seguirlo fino a bordo piscina.
 
... se Shinichi dovesse tornare...
 
Conan mi tappa il naso e mi sorride, l’ultima cosa che vedo prima di finire nell’acqua fredda della piscina.
 
... io sarei pronta ad accoglierlo ancora nella mia vita?
 
Riemergo qualche secondo dopo, con la strana sensazione del tocco di Conan sulla mia pelle. Forse è stata solo un’impressione, ma... il suo abbraccio sott’acqua mi è sembrato un po’ troppo passionale. Intimo.
Lo guardo attraverso la frangetta bagnata, mentre mi sorride e cerca di togliere dalla sua vista le goccioline di acqua che gli hanno fatto leggermente arrossare gli occhi.
No, come potrebbe essere stato? Quella stretta non era niente di particolare.
Forse è veramente stata solo una mia impressione.
“Questa me la paghi” gli dico, studiandolo. “Sono una ragazza vendicativa”.
Conan mi guarda con il suo classico sorriso saccente e si avvicina circospetto. “Mmm, e da quando?”.
Mi lascio cullare dall’acqua per qualche istante, prima di avanzare a mia volta. “Attento, ragazzino, stai parlando con un insegnante professionista di karate” gli ricordo, prima di scattare verso di lui e spingere la sua testa sottoacqua.
Conan riemerge sputacchiante, preso in contropiede e con l’espressione sorpresa.
 
Ah ah, uno a zero per me!
 
Una voce familiare a bordo piscina ci fa sobbalzare e voltare, come se fossimo stati colti in una marachella.
“Accidenti, marmocchio, fai sul serio con lei” commenta maliziosa la mia amica di sempre, Sonoko.
Anche se sono passati anni dai suoi tempi da piccola figlia ribelle, il suo abbigliamento non l’ha tradito.
Sonoko si china, facendo scivolare il pareo rosa sulle sue forme nascoste quanto basta da un bikini succinto di un acceso rosso fiamma.
Nella mano destra stringe un cocktail con tanto di ombrellino, mentre nella mano sinistra tiene strette le chiavi del suo fuoristrada.
“Che vuoi dire?” le domando, uscendo lentamente dall’acqua per non scivolare sul bordo bagnato.
Sonoko sposta lo sguardo da Conan a me e poi alza le spalle, con un sorrisetto. “Oh, niente, niente. Andiamo?”.
“Di già?” interviene Conan, rabbuiato.
Sonoko non lo calcola nemmeno e si rivolge ancora a me. “Non ti sarai dimenticata, vero? Oggi torna Makoto da Los Angeles e mi dovevi accompagnare all’aeroporto per prenderlo”.
Già, Makoto! Il suo fidanzato... torna oggi dopo un mese di incontri olimpici di karate presso uno dei maggiori centri di arti marziali degli Stati Uniti. E avevo promesso a Sonoko che l’avrei accompagnata all’aeroporto a prendere il mio amico, e poi saremmo andati a festeggiare il suo ritorno al nuovo ristorante di sushi.
Io e Makoto con il tempo abbiamo imparato a conoscerci, e inevitabilmente siamo diventati amici. Non sono rare le volte in cui io, lui e Sonoko ci avventuriamo in città il venerdì sera assieme, ma adesso proprio non mi va.
Mi volto verso il mio fratellino, per spiegargli la situazione, e faccio in tempo a vedere una scena memorabile.
La sua giovane compagna di classe Ayumi Yoshida, quatta quatta, si è avvicinata al suo caro innamorato Conan e l’ha cinto dalle spalle, facendo aderire il suo corpo contro la schiena del ragazzo.
Il mio fratellino diventa rosso e si scansa appena, per poi spostare velocemente lo sguardo su di me, preoccupato.
Questa sua reazione mi prende in contro piede. Si imbarazza di farsi vedere con la sua amichetta davanti a sua sorella oppure teme il mio giudizio su loro due?
È da quando Conan è piccolo che me lo sono sempre immaginato assieme ad Ayumi, perché sono troppo carini assieme, ma a quanto pare lui non ha mai avuto occhi per lei, fino a quando non hanno cominciato il liceo.
So che sono usciti un paio di volte assieme senza il resto della banda, ma lui non mi ha mai voluto raccontare i particolari. Chissà...
“Ran, devi già andare?” mi chiede la ragazzina, dispiaciuta.
Annuisco, alzandomi stancamente. Sinceramente, di andare all’aeroporto e vedere tubare quei due non mi entusiasma molto. Non saprei come liberarmi senza far rimanere male Sonoko.
Ma per questo ci pensa Conan, come sempre.
“E noi come torniamo? Ran ci deve dare uno strappo a casa con la sua macchina per forza” inventa.
Lo guardo, senza ribattere.
Lui sapeva che per il ritorno si sarebbero dovuti arrangiare, ma a quanto pare ha colto la situazione ed è venuto in mio soccorso per l’ennesima volta.
Sonoko alza le spalle, infastidita. “Prendete un treno”.
“Con tutte queste borsoni?” fa finta di piagnucolare Conan, mentre Ayumi, inconsciamente, gli da man forte annuendo.
Sonoko mi guarda, mi vede alzare le spalle in segno di resa e sbuffa sonoramente. “Uffa, Ran! Quando smetterai di fargli da balia? Hanno sedici anni, ormai!”.
Finisce in un sorso il suo cocktail, mi lascia tra le mani il bicchiere vuoto e poi se ne va a raccogliere le sue cose, lasciandomi libera.
Mi volto rilassata verso Conan e gli sillabo un ‘grazie’ che coglie solo lui.
“Dai, Conan, andiamo con gli altri! Abbiamo ancora del tempo!” lo implora Ayumi, tirandolo per un braccio.
Il mio fratellino mi guarda, indeciso sul da farsi.
Io gli sorrido, come per dargli la mia benedizione, e poi indico la mia postazione sdraio. “Io devo ancora finire il capitolo per il test. Voi andate, vi chiamo io quando è ora” dico, salutandoli con la mano, mentre Conan viene trascinato con foga dalla sua amica.
“Divertitevi” commento, anche se non mi possono più sentire.
 
 
La sera stessa sono sdraiata sul mio letto, le cuffie dell’i-pod nelle orecchie e il volume dell’università aperto sul viso, ancora metà senza sottolineature.
L’esame finale è tra sette giorni e io devo ancora mettermi sotto seriamente. Dopo questo esame, potrò finalmente laurearmi in medicina, ma sembra quasi che ce la metta tutta per non prepararmi. Studiare ormai è diventato faticoso, soprattutto perché non riesco a farlo coincidere con i mille impegni che mi sono presa appena finito il liceo, per tenermi occupata e non pensare.
Sento una sberla leggera sulla mia pancia scoperta e scatto a sedere, lasciando cadere il libro a terra e staccandomi una cuffietta.
Conan mi guarda con rimprovero, in piedi accanto al mio letto.
“Non ti ho nemmeno sentito entrare” dico, staccando anche l’altra cuffietta e spengo l’i-pod.
“Ho bussato tre volte, ma non mi ha risposto” dice e si fa cadere sul mio letto, ormai come d’abitudine.
Quasi ogni sera ci ritagliamo i nostri dieci minuti di chiacchiere, che poi diventano sempre ore e andiamo a dormire solo quando mio padre mi viene a rimproverare perché Conan il giorno dopo ha scuola. Ma adesso che è in vacanza, niente restrizioni.
“Come sei messa con l’esame?” mi domanda, quando riordino libri e appunti sparpagliati sul pavimento.
“Bene” mento. “Mi manca un capitolo”.
 
O forse otto...
 
“Bene!” esclama soddisfatto.
Mi volto a guardarlo. Questo suo tono lo conosco fin troppo bene. Adesso mi proporrà qualcosa da fare assieme.
“Che ne dici del cinema? Domani sera esce quel nuovo thriller americano, e non vedo l’ora di vederlo” mi spiega. Poi arrossisce  e guarda fisso il pavimento. “Voglio andarci con te”.
L’idea non è male, uscire con lui mi piace, ma devo declinare. Domani devo fare una lezione ai ragazzi delle medie di karate e alla sera pensavo di studiare.
“Lo sai che a me i thriller non piacciono. Mi fanno ancora paura” dico, sistemando i miei appunti sulle mensole della mia scrivania.
“Ma smettila, il mese scorso sei venuta a vederne uno” mi riprende, scocciato.
“Sì, ma quanto ci hai messo a convincermi? Credi che in meno di ventiquattro ore stavolta ci riuscirai?” gli faccio presente.
Conan si sostiene con le mani appena dietro la schiena e mi guarda con una punta di malizia del tutto nuova. “So essere convincente”.
Il suo tono di voce mi procura un brivido strano lungo la schiena, che mi fa spostare lo sguardo. Mi fingo ancora indaffarata, solo per non guardarlo negli occhi e leggervi qualcosa che mi sconvolgerebbe.
“Lo so, per questo ti dico già di no, prima che tu ci possa provare” aggiungo quando sento le guancie meno calde.
Lo raggiungo sul mio letto e mi siedo con le gambe incrociate, stringendo il mio cuscino.
Sorrido. Mi è appena venuta in mente una proposta...
“Perché non inviti Ayumi? Siete già usciti assieme, no?” butto lì, sorridente.
Conan si mette sulla difensiva subito, e mi guarda arrabbiato, come se l’avessi insultato.
La mia espressione diventa dubbiosa e sto per chiedergli cosa ho detto di sbagliato, ma lui mi attacca con astio.
“Perché non la smetti con questa storia? Ti ho già detto che lei è solo una mia amica!”. Si alza furioso e si dirige verso la porta della mia stanza.
Si ferma solo il tempo di rivolgermi un ultimo sguardo, mentre mormora qualcosa, che mi suona come “Ma perché non capisci ancora?”.
Questa sera, i dieci minuti, sono stati proprio dieci minuti.

 
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Ciao a tutti!
Ebbene sì, sono tornata di nuovo in azione! Questa sarà una ff divisa in capitoli, molto diversa dal solito.

Come avrete capito, il tutto è ambientato dieci anni dopo gli attuali avvenimenti, avendo l’APTX4869 perso la sua efficacia.
Ho voluto mettere l’avvertimento OOC perché i personaggi lo sono parecchio, anche se a volte cerco di metterci dentro dei caratteri che un po’ ce li facciano ricordare... magari non si notano in questo primo capitolo, ma nei seguenti spero di riuscirci di più.
Questo è un capitolo propriamente ‘di lancio’, in quanto serviva giusto per inquadrare Ran e Shinichi, in versione Conan.
Non mancheranno i momenti teneri, ve lo assicuro!!
Ditemi un po’ cosa ne pensate.. :)

Un abbraccio,
 
Dony_chan 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


What If..?
2.

 


Nervosa, mi mordo il labbro mentre scorro il lungo elenco dei risultati. Sto sudando sette camicie anche se qui al campus il climatizzatore è a palla.
Una mano afferra la mia e la stringe, per darmi sicurezza.
“Sarai passata, vedrai” mi mormora, mentre le ragazze davanti a me cominciano a diradarsi, chi contente per l’esito chi rabbuiate.
Finalmente riesco ad arrivare verso la metà dell’elenco e quando leggo ‘Mouri Ran’ il mio cuore fa una capriola all’indietro. Faccio scorrere l’indice verso destra, per vedere il giudizio.
La mano che serra la mia preme un po’ di più.
 
Lui sa già...
 
Con un occhio chiuso leggo le parole più belle di questa giornata: ‘Esame superato. Voto: 28’.
Spalanco tutti e due gli occhi ed esulto con un sonoro “Sì!”, mentre comincio ad avvertire gli spintoni dei ragazzi dietro di me, che attendono ancora di sapere il loro risultato.
La stessa mano di prima mi afferra per il braccio e mi sposta velocemente prima che possa essere pestata dai miei ex compagni di corso.
Che bello usare la parola ‘ex’... vuol significare che sono fuori, che ho finito, che posso...
“Laurearmi!” esclamo fuori di me.
Stringo forte le mani del mio fratellino, sorridente e felice. Lui mi sorride di rimando, facendo intrecciare le nostre mani senza farmene accorgere subito.
“Bè, quasi dottoressa... direi che ora si deve festeggiare!”
 
 
Sorseggio timidamente lo spumante appena stappato, isolandomi sul divano della nuova casa di mamma, nel nuovo quartiere residenziale di Beika, a pochi passi dall’agenzia.
Appena i miei genitori hanno appreso la notizia della mia imminente laurea, hanno chiamato una cinquantina tra amici e parenti per festeggiarmi.
E di tutta questa gente, ne conosco a mala pena una decina.
Vicino alla zona drink vedo Sonoko intrattenersi come una donna di mondo con mia madre e Makoto, che sembra altrettanto fuori posto come me; poco più in là papà sta offrendo da bere all’ispettore Megure e al detective Takagi, gli unici amici poliziotti di mio padre che conosco da anni e che avevano la serata libera, visto che tutto è stato organizzato in poche ore da mia madre.
“Ran?” sento che mi chiama una voce femminile.
Mi volto e trovo dietro di me gli amici del mio fratellino – Ayumi, Genta, Mitsuiko e Ai – con il professor Agasa.
Sono tutti vestiti eleganti, in primis il dottor Agasa, stretto in uno smoking un po’ troppo piccolo, ma molto vintage. Mitsuiko e Genta, e mi fa un po’ impressione vederli agghindati così, indossano pantaloni neri e camicia, naturalmente con cravatta annessa. Sono sempre stata abituata a vederli in tuta o jeans, che mi sembrano molto più grandi della loro età.
Ayumi, stretta in un bellissimo vestito a palloncino color miele, tiene tra le braccia un enorme mazzo di fresie avvolte nel raso.
La giovane mi porge i fiori con un sorriso, dicendo che sono per me. Mi alzo e mi allungo per afferrarli. Sono bellissimi.
“Non dovevate disturbarvi” dico, apprezzando il loro gesto.
Genta, che ormai nel suo aspetto non ha più nulla di bambino - in primis la barbetta -, si batte orgoglioso il petto e mi dice: “I fiori li ho scelti io, modestamente. Il mio gusto è davvero impeccabile”.
“Già” annuisce Mitsuiko, ironico. “Se non fosse venuta Haibara con te, sicuramente non sarebbe cambiato niente, vero?”.
Il ragazzo arrossisce, risentito, e comincia a battibeccare con l’amico  e a tirarlo per la cravatta, provocando le nostre risa. Solo Ai rimane impassibile e mi fissa con uno sguardo all’apparenza indifferente.
Questa ragazzina mi ha sempre messo in soggezione, soprattutto da quando è cresciuta. Sembra quasi... una donna vissuta, nonostante abbia solo sedici anni.
Incrocio il suo sguardo, abbozzando un sorriso che non contraccambia.
“Congratulazioni” mi dice soltanto, fissando un punto alle mie spalle. “Finalmente ce l’hai fatta. Hai superato”.
Le sue parole mi suonano doppie, con un significato nascosto che non riesco a decifrare. La guardo perplessa, per poi aggrottare la fronte.
 
Ma cosa?
 
I suoi profondi e freddi occhi chiari mi trapassano l’anima, mentre tutto attorno a me sembra come immobilizzarsi. Scorgo un lieve senso di colpa, ma dura tutto un solo, breve, attimo.
Rinvengo scuotendo leggermente la testa, mentre la guardo voltarsi e allontanarsi dal divano.
Allungo una mano, e sto per chiamarla, proprio mentre sento mio padre gridare poco dietro di me. Mi volto curiosa e lo vedo a pochi passi più in là, che tiene per l’orecchio un Conan seccato e assordato.
“Te lo devo ricordare io che sei ancora minorenne? Niente alcolici!” conclude rabbioso mio padre e lo spinge in avanti, nonostante l’ispettore Megure gli suggerisca di stare calmo.
Trattengo un sorrisetto, mentre il mio fratellino viene verso di me massaggiandosi il lobo. Si lascia cadere sul divanetto e fissa torvo mio padre.
Sicuramente la cosa che lo infastidisce di più è l’essere trattato ancora come un poppante nonostante sia un adolescente.
“Anche tu, però... davanti alla polizia” scherzo, lasciandomi sfuggire una risatina. Mi siedo accanto a lui, chiudendo in un angolo della mia mente il turbamento seguito dallo sguardo di Ai.
Conan guarda torvo anche me e si sistema nella sua posa classica: gamba accavallata e braccia a gruccietta aperte sul poggia schiena.
“È zona off-limits, per me” ammette, col senno di poi.
Mi guardo attorno per vedere se qualcuno ci sta guardando, e quando vedo che c’è via libera, allungo il mio bicchiere di spumante a Conan, che lo afferra e lo finisce in un sorso.
“Ti stai divertendo?” mi chiede all’improvviso.
Mi stringo nelle spalle, osservando i miei genitori. Loro ci tenevano tanto a tutto questo.
“Avrei preferito un buon sushi tra pochi intimi, ma glielo devo” dico, lasciandomi andare a mia volta contro lo schienale.
“Lo sai che quando ti laureerai sarà peggio?” mi chiede, anche se sa già la mia risposta.
Non rispondo e annuisco appena, sentendo il classico brivido di paura ed eccitazione che mi causa il mio futuro. Darei qualsiasi cosa per avere una certezza.
Mi inclino verso sinistra, poggiando la testa sulla spalla del mio fratellino e fisso il vuoto.
 
Quanto vorrei che ci fosse Shinichi, oggi...
 
Vengo presa dalla nostalgia, che ho cercato di tenere chiusa in me stessa per molto tempo, per non soffrire in prima persona e per non far soffrire gli altri attorno a me.
Però in questo momento ho proprio bisogno di lui. Ho bisogno di sentirmi dire che sono stata brava, e che lui è fiero di me.
Trattengo le lacrime, fissando lo sguardo verso il soffitto. Se ci penso un solo momento di più, sento che scoppierò in un pianto interminabile, e non voglio.
Questa serata sta volgendo verso la malinconia, e non posso farci niente.
“Scappiamo” mi sussurra Conan all’orecchio, facendomi confondere. Sto pensando troppo a Shinichi che non riesco nemmeno a distinguerlo dal mio fratellino. “Solo io e te”.
Sposto appena il capo, ritrovandomi a fissare quegli occhi blu oceano che mi hanno sempre fatto star male nel guardarli.
 
È lui...
 
“Non se ne accorgerà nessuno” cerca di convincermi e mi sorride.
Mi scanso di colpo, travolta dal dolore.
No, devo smetterla di pensare a lui, lui non c’è più! È scomparso dalla mia vita da otto anni e non tornerà mai!
Conan approfitta del mio tentennamento e mi prende per mano. “Vieni” mi sussurra trascinandomi per la sala piena di gente sconosciuta. Scivoliamo alle spalle di mia madre senza che lei si accorga di niente, presa com’è dall’elogiarmi con suoi vecchi amici.
Conan apre piano la porta di casa senza far rumore e mi sospinge fuori. Scendo le scale come un automa, senza rendermi conto di aver veramente abbandonato la mia festa.
Ma forse cambiare aria mi farà tornare in me.
Scaccio le ultime lacrime e accelero per raggiungere Conan, che corre davanti a me tenendo saldo il mio polso.
“Ehi, aspetta. Dove vado conciata così?” domando frenando all’improvviso.
Conan si volta e mi squadra con una punta di apprezzamento. Indosso un vestito nuovo che mi ha prestato Sonoko per l’occasione, di un fucsia acceso e di seta leggera, che mi ricade fino alle caviglie. La schiena nuda è coperta dalla mia chioma agghindata dalla parrucchiera di fiducia di mamma, e uno scollo non molto marcato è decorato da piccoli diamanti veri incastonati.
“Puoi andare ovunque” ammette e, anche se il buio lo nasconde, so bene che è arrossito. “Sei bellissima, stasera”.
Arriccio la bocca, compiaciuta. “Solo stasera? Di solito sono un carro del carbone?”.
Preso in contropiede, il mio fratellino comincia a balbettare su una risposta per me incomprensibile.
Mi avvicino alla sua camicia lasciata svogliatamente un  po’ aperta e gliela chiudo, sistemando poi anche la giacca.
In quei pochi attimi, Conan si è ammutolito ed immobilizzato, per la prima volta senza lamentarsi del mio continuo volergli chiudere la camicia.
“Siamo ancora troppo vicini alla casa di mia madre. Ci potrebbero beccare. Dove mi porti?” domando dandogli una spintarella all’indietro con l’aiuto del collo della sua camicia.
Conan sembra riprendersi e scrolla la testa, facendosi passare una mano tra i capelli arruffati.
“Seguimi”.
 
“Dove siamo?” chiedo, il respiro leggermente affaticato.
Tenendomi aggrappata alla mano di Conan, salgo anche l’ultima salita della collinetta e mi appoggio ad una specie di recinzione, per riprendere fiato.
Il mio fratellino rimane in silenzio, lo sguardo perso nel panorama. Mi volto a mia volta e rimango incantata: sotto di noi si apre Tokyo in tutta la sua bellezza. Quest’ora di duro cammino è stata ricompensata.
Al centro si erge imponente la torre di Toto, mentre a destra si può scorgere il mio quartiere, Beika.
“È... è... non trovo parole” ammetto, sorridendo estasiata.
Conan ride compiaciuto e si avvicina a me, impercettibilmente.
“Sono contento che ti piaccia” dice, fissandomi intensamente.
Imbarazzata, torno a guardare la città illuminata. “Come facevi a conoscere questo posto?”.
Conan alza le spalle, le mani nelle tasche dei pantaloni. “Grazie alle scampagnate che ci faceva fare il dottor Agasa anni fa”.
Sorrido. È vero, Conan da piccolo partiva spesso assieme al dottor Agasa e ai suoi amici per campeggi o gite fuori città. Ricordo che quando partiva la sua gioia era pari a zero. Sembrava quasi disprezzare, quelle uscite.
Ma quando tornava, il suo viso era più rilassato e sereno. Forse non se ne rendeva nemmeno conto.
“Perché non ne organizzate ancora? Agasa sarà certamente contento di passare del tempo con voi”butto lì, dando le spalle alla città.
Conan mi parla fissando il vuoto, con la mente a chissà quali ricordi. “Ormai siamo cresciuti e abbiamo impegni diversi” fa una pausa e poi ammette: “Il professore ne aveva organizzata una, due settimane fa, ma non sono andato”.
“E perché?” chiedo, stupita. Conan non me ne aveva nemmeno accennato. Strano, di solito mi racconta quasi tutto.
Il mio fratellino scrolla le spalle, indifferente, e mi guarda. “Non ne avevo voglia. E poi... dovevo accompagnarti per cercare il nuovo appartamento”. La sua voce, verso la fine, mi è suonata triste.
Che non l’abbia ancora accettato?
“Se mi dicevi che...” comincio, ma lui mi interrompe. “A me è andata bene come è andata. Mi piace stare con te, lo sai. E tra poco non avremo più così tanto tempo per vederci...”
Rimango zitta, non sapendo cosa dirgli.
Questo argomento ci fa male, quando lo affrontiamo.
Andare a vivere in un appartamento tutto mio, vicino all’università, è un progetto che serbo da quando ho cominciato a seguire i corsi. Ma non ho mai deciso di fare il grande passo, perché non mi sentivo pronta ad allontanarmi da casa, da mio padre, dalla mia routine e... non riuscivo a staccarmi da Conan.
Solo quattro mesi fa ho deciso che è arrivato il momento di abbandonare il nido e costruirmi una vita tutta mia. Se mi lascerò alle spalle la mia vecchia vita, forse riuscirò anche a dimenticare tutte le mie sofferenze.
 
Forse, riuscirò a dimenticarti...
 
Alzo lo sguardo e incontro gli occhi velati di tristezza del mio fratellino. Sta cercando di trattenersi per non iniziare una nuova discussione, lo conosco. Cerca di non farmi capire come si sente, ma ormai lo conosco troppo bene.
Allungo la mia mano e gli sfioro il viso, come una leggera carezza.
“Lo sai che potrai venire ogni volta che vorrai” dico lentamente.
Conan annuisce, non molto convinto. “Ma non sarà mai la stessa cosa” dice, amaro, e volta la testa dall’altra parte.
In un impeto, gli prendo la testa tra le mani e lo costringo a guardarmi negli occhi. Prima di parlare ho un attimo di indecisione, causato dalle sue iridi. Sono così... così...
“Tu sei la persona che mi mancherà di più. Di più di tutte. Sto male solo al pensiero di non vederti più tutti i giorni. Noi siamo cresciuti insieme, nel bene e nel male, abbiamo passato tanti ostacoli e tu eri l’unico che abbia mai voluto al mio fianco, in quei momenti”. Mi apro a lui come non mi era mai successo. Mi sento vulnerabile, ma il mio sguardo è sicuro.
Conan abbassa gli occhi, mentre posa le mani sulle mie braccia.
Le nostre fronti si poggiano l’una sull’altra e rimaniamo così per degli interminabili minuti. Mi accorgo di stare piangendo solamente quando le lacrime cominciano a bagnare la mano del mio fratellino.
“Scusami” mormoro, asciugandomi velocemente il viso.
Non so cosa mi sia preso, forse è colpa dei troppi ricordi o forse di qualcosa che non riesco a comprendere.
Sento la mano di Conan alzarmi il viso, tornando occhi negli occhi. Come se stessi vedendo la scena al rallentatore, lo vedo mentre li chiude e si avvicina al mio viso.
Il mio cuore subisce una stretta dolorosa, il mio stomaco si contrae.
 
Che cosa sta succedendo?
 
Le sue labbra si posano sulla mia guancia e bloccano lo scorrere della mia ultima lacrima. Spalanco gli occhi e stringo forte le mani a pugno.
Che cosa sono andata a pensare?
La sua vicinanza dolce mi fa terribilmente mancare fisicamente la sua presenza, il tocco sulla mia pelle dell’unico ragazzo che abbia mai amato in vita mia.
Scanso il mio fratellino, spostando il mio sguardo in ombra.
Perché l’unica persona che può farmi star bene è anche l’unica che mi può far soffrire?
“Tu sei come un fratello, per me” sussurro dopo un po’. Torno a guardarlo, ma il suo volto è nascosto dai capelli. “E hai dieci anni in meno di me”.
Conan annuisce lentamente, non pronunciando parola.
Non so perché ci ho tenuto a precisarlo. Adesso penso che sia stato stupido, ma poco fa... ho veramente percepito qualcosa di diverso in Conan?

 
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Secondo capitolo postato!
E in poco tempo, perché temo di andare in letargo per un po’, in queste vacanze... ma tornerò con l’anno nuovo sicuramente, e con un terzo capitolo ricco di sorpresine!! ^^
Uhuhuh che senso di onnipotenza saperlo in anticipo ;)
Allora, allora: che mi dite?? Ran che si sta per laureare, Shin che non sa più come contenersi con l’amata e... il trasferimento di Ran in un’altra casa... Mmm... ce ne saranno delle belle!
Ma adesso ringrazio quelle anime stupende che sono passate a commentare il primo capitolo, a cui rivolgo un abbraccio IMMENSO: Yume98, Shine_, Il Cavaliere Nero e _Flami_ ! :)
Grazie anche a coloro che hanno aggiunto la storia nelle seguite: ChibiRoby, ciachan, Il Cavaliere Nero, ranshin22, VSRB, Yume98 e a _Flami_!
Grazie a chi ha solo letto e... ci vediamo alla prossima!!
 
Buon Natale a tutti quanti e vi auguro un buon anno nuovo!!!!!!! ^^
Un abbraccione natalizio,
 
Dony_chan 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


What If..?
3.

 
 
Il mio mese preferito è sempre stato settembre. Il motivo preciso non lo so ancora, ma mi piace pensare che sia per il tempo: c’è ancora caldo e il sole, ma alla sera è già tempo di mettere il cardigan a maniche lunghe.
Ricordo che quando ero piccola ed io e mamma abitavamo ancora con papà, verso metà settembre, in una giornata come questa, ci prendevamo il pomeriggio libero e lo passavamo a svuotare gli armadi dai vestitini leggeri dell’estate, e li riempivamo di caldi maglioni per l’inverno.
Mamma adora l’inverno, anche se è molto freddolosa. La sua giornata perfetta è verso il periodo natalizio, da passare davanti al camino con una bella tazza di cioccolata fumante.
Papà, invece, l’inverno non lo sopporta. E tantomeno i maglioni di lana che gli pizzicano il collo. Lui è fatto per l’estate, per il mare e per gli ombrelloni.
Mi piace pensare di essere la giusta unione di quelle due anime così diverse, ma così affini.
Sento il braccio bollente e lo ritiro al riparo della macchina, per poi svoltare verso il mio vecchio liceo.
Oggi è lunedì e ho gli allenamenti di karate per la squadra femminile del primo anno. Sono molto orgogliosa delle mie ragazze e non finirò mai di ringraziare Yasuro, il mio ex allenatore, per la grande fiducia ed opportunità che mi ha offerto.
Due anni fa, me lo ricordo come se fosse ieri, era venuto a trovarmi a casa. Diceva di essere passato per salutare la sua karateka preferita e per sapere come me la cavavo con l’università. Abbiamo parlato senza inibizioni di ruoli, e abbiamo passato tranquillamente un paio d’ore al cafè Poirot sotto casa mia.
Solo alla fine, quando se ne stava per andare, mi aveva proposto di aiutarlo alla palestra con le ragazze del primo corso. Aveva detto che di me si fidava e che non lo avrei deluso.
 
“Io ormai sono vecchio e ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano. E tu sei la persona perfetta per questo”
 
L’idea mi ha attratta subito, ma avevo deciso di dargli la mia risposta dopo aver riflettuto attentamente sul da farsi. Ero nel pieno degli esami universitari e non avevo quasi un minuto libero. Studiavo di notte e lavoravo come aiutante infermiera all’asilo di Beika per meno di 610 yen* all’ora, e stavo diventando matta.
Se avessi accettato ne avrei tratto solo profitto: il karate mi avrebbe impegnata cinque giorni su sette per un paio di ore, la mattina l’avrei passata sui libri e la notte avrei dormito per recuperare.
È vero, il lavoro di aiuto infermiera mi avrebbe potuto dare una mano nella pratica ospedaliera, ma il caso più eccitante che mi davano era disinfettare ginocchi sbucciati.
Così, tre giorni dopo mi recai alla palestra del liceo Teitan e accettai la proposta di Yasuro, il quale ne fu felicissimo.
Un mese dopo cominciai il lavoro con l’avvio del nuovo anno scolastico e, devo ammetterlo, l’insegnamento mi fece molto bene: ero tornata nel mio elemento. Ogni tanto sostituisco Yasuro con il corso delle medie, ma i risultati migliori li vedo nel primo corso delle superiori.
Il karate l’ho lasciato a livello agonistico appena uscita dal liceo. Ero ancora nel mio periodo depressivo e non riscontravo profitto nel livello avanzato.
Così scelsi di evitare inutili ed ulteriori delusioni ai miei, che ci tenevano alla mia carriera sportiva, e mi ritirai.
Solo dopo aver capito che non sarei potuta andare avanti così, non per colpa sua, tornai sui miei passi e decisi di tornare a praticare karate.
Era passato un anno e mezzo dall’ultima volta che avevo indossato la mia divisa e, naturalmente, ero fuori esercizio.
Ragionevolmente non mi iscrissi al corso avanzato, non per essere derisa ulteriormente. Così decisi di provare con un corso ‘leggero’. Si trattava di tre incontri settimanali della durata di circa due ore, nelle quali ci si allenava divisi in piccoli gruppi. Le persone iscritte avevano tutti all’incirca trent’anni, ed erano tutti mamme o papà di famiglia che, troppo presi dal lavoro avevano deciso di anteporre la carriera e la famiglia alla loro passione per le arti marziali e che quindi, per non abbandonarla del tutto, avevano formato questo gruppo.
Segretamente, sto pensando di partecipare ad un corso full-immersion di karate, ma prima voglio laurearmi, e poi mettermici sotto seriamente.
L’unico motivo che mi trattiene dal dirlo a qualcuno è circa il luogo dove si terrà questo speciale corso. Sarà in America, precisamente a New York, e la durata è di sei settimane.
Se lo dico a papà, gli prenderà un infarto visto come ha reagito al mio trasferimento di casa.
Parcheggio la mia auto accanto al cancello della scuola e spengo il motore, sentendo una carica positiva di adrenalina.
Amo il mio lavoro.
Mi volto verso il mio silenzioso compagno di viaggio, che è ancora intento a guardare fuori dal finestrino.
“Prendi il tuo borsone e andiamo” gli dico slacciandomi la cintura. Conan si leva gli occhiali – che ultimamente porta sempre di rado, solo per studiare e guardare la tv, nonostante sia miope – e li infila nel borsone di calcio. **
Scendiamo dalla macchina e percorriamo in silenzio il breve tratto di strada che porta alla palestra di karate. In lontananza, il campo di calcio.
Inspiro la fresca aria, guardando con una punta di nostalgia quello sprazzo di verde.
“Buon allenamento” mi dice Conan, avviandosi con il borsone sulla spalla.
Lo guardo andare ancora per qualche secondo, poi mi volto e arrivo fino alla porta della palestra. “Sì, sarà un buon allenamento” annuisco a voce alta.
 
 
Papà scioglie il nostro abbraccio solo quando tirare su con il naso non è più sufficiente. Prende un fazzolettino e si soffia rumorosamente il naso, continuando a borbottare qualcosa di incomprensibile.
Mamma gli batte premurosa sulla spalla: anche lei è scioccata dalla sua reazione. Ok, mi immaginavo che per papà sarebbe stata dura, però non mi aspettavo questo pianto ininterrotto.
“La mia bambina...” mugugna asciugandosi le lacrime. Poi scrolla la testa e finge di essersi ripreso, anche se gli occhi tornano a diventare lucidi in men che non si dica.
“Papà verrò a trovarti spesso, lo sai. E poi non parto mica per l’America; sono a mezzora da qui” lo consolo.
Lancio un’occhiata all’orologio e vedo che è tardi: tra meno di un’ora la proprietaria del mio appartamento verrà a farmi firmare il contratto e io sono ancora qui.
“Adesso devo proprio andare. Passerò domani a prendere gli ultimi scatoloni” dico ai miei genitori, facendo per salire in macchina. Mi accorgo di non avere la borsa con me e richiudo la portiera.
“La borsa” dico con un sorriso, dirigendomi velocemente su per le scale. Prima di entrare nel mio appartamento do un’ultima fugace occhiata ai miei genitori: mamma sta ancora cercando di consolare papà, passandogli un altro fazzolettino pulito.
Sorrido. Non sono mai stati così vicini senza litigare da anni. Forse la mia ‘partenza’ genererà qualcosa di positivo anche tra quei due.
Scrollo la testa, pensando di stare fantasticando troppo, ed entro in casa. Quei due sono cane e gatto, se non bisticciano non sono contenti.
Mi dirigo nel piccolo salone e recupero la borsa proprio dove l’avevo lasciata. Controllo di avere tutto dentro, quando la mia mano si scontra con un pacchettino.
Ma certo! Il regalo che ho comperato a papà due giorni fa. Avevo programmato di consegnarglielo il giorno in cui mi sarei trasferita, però vista la sua reazione... lo farei piangere ancora di più.
Meglio appoggiarglielo vicino al cuscino, così se ne accorgerà soltanto stasera.
Apro inconsapevole la porta della camera di mio padre e mi trovo davanti il mio fratellino mezzo nudo.
“Aaah, Conan!” esclamo arretrando e coprendomi gli occhi.
Le mie dita si separano appena e mi permettono di scorgere la faccia perplessa di Conan. In realtà non è mezzo nudo, constato, ma si stava semplicemente cambiando la maglietta.
“Sei ancora qua? Non dovevi correre via?” mi domanda, riprendendo a sistemarsi la maglietta sportiva.
Giusto, oggi ha gli allenamenti extra di calcio. Me n’ero scordata. Avrei dovuto fare più attenzione, avrei dovuto bussare.
Imbarazzatissima, tengo gli occhi distanti dalla sua figura e incespico su me stessa per arrivare al letto.
“Ran? Stai bene?” mi chiede lui.
Sbatto lo stinco sul bordo del letto e vedo le stelle. Cerco freneticamente il pacchetto regalo per mio padre nella borsa, mentre fingo di fare la risoluta. “Sì, sì, tutto bene. Perché?”.
Sistemo il pacchettino accanto al cuscino e arretro, sorridendo nervosamente. Conan è sempre più perplesso, soprattutto quando sbatto la nuca sullo stipite della porta.
Faccio scattare una mano sulla parte dolente e ridacchio. “Che sbadata che sono oggi! Bè, ci si vede. Buon allenamento!” farfuglio in fretta e mi chiudo la porta alle spalle.
Mi appoggio al freddo muro e sospiro pesantemente.
Oddio, ma che cosa mi è preso?
 
Lo so io...
 
dice una vocetta nella mia testa, che mi suona tanto come quella di Sonoko,
 
ma ti sei resa conto di che bel fisico ha tuo fratello?!
 
 
La porta si chiude delicatamente alle mie spalle, mentre io mi lascio scivolare sul legno freddo e mi ritrovo accovacciata per terra.
Guardo la piccola sala da pranzo che sarà mia d’ora in avanti, e sento un brivido quando l’occhio mi cade sull’enorme pila di scatoloni che attendono impazienti di essere aperti e sistemati.
Fortuna che Sonoko sarà qui da un momento all’altro per darmi una mano.
Controvoglia, mi alzo in piedi e vado in cucina, dove sul ripiano c’è ancora il contratto firmato e controfirmato pochi minuti prima. Prendo la cartelletta e la infilo sotto un braccio, poi apro il frigo e pesco una confezione di Ramen istantanea e la poggio sul piano cottura.
Io, che non ho mai cucinato cibo precotto in vita mia, negli ultimi anni sono stata costretta a farlo. Il tempo libero da dedicare alla cucina mi è stato portato via dall’università, dal lavoro, e dalla cura della mia vecchia casa. Forse, da oggi in poi, potrei tornare a cucinare.
Mi volto ancora una volta verso gli scatoloni, ed avverto già il dolore alle braccia che mi sarà causato dal loro peso.
Torno a fissare il Ramen.
“Ma sì, per oggi può andare” mormoro in un sospiro, aprendo la linguetta della confezione.
 
 
Ovviamente, a me è toccato sistemare tutti i libri e le varie cianfrusaglie della mia vecchia camera, mentre Sonoko si è ‘presa la responsabilità’ – come dice lei – di mettere ordine tra i miei vestiti.
È da circa un’ora che lavoriamo in silenzio, esclusi alcuni urletti da parte della mia amica quando adocchia un vestito che le piace.
Il grande scaffale-libreria che occupa un’intera parete del mio piccolo salotto è pieno per metà, l’altra la riempirò più tardi.
Ho le braccia indolenzite, colpa di tutti quei libroni di medicina.
Recupero un paio di aranciate dal mio frigo e vado nella mia stanza, dove Sonoko sta riordinando i miei vestiti estivi.
“È meglio che li metti via, quelli. Siamo già ai primi di settembre” le dico, porgendole una lattina.
Lei fa una doppia smorfia, sia per la frase che ho detto, sia per doversi bere un’aranciata. Preferiva una birra, ma quella non è al momento reperibile nel mio frigo.
“Ran, l’estate è ancora lunga!” esclama, facendo una piroetta che fa fare la ruota alla sua minigonna rosso fuoco.
Alzo le spalle, certa che ribattere non sarebbe servito a niente. Mi siedo stancamente sul mio letto, seguita un secondo dopo da Sonoko, e stappo la mia lattina.
Ne bevo un sorso refrigerante, mentre la mia amica la agita inquieta.
“Come l’ha presa tuo padre?” mi chiede, fissando lo sguardo nel vuoto.
Non rispondo subito. Cerco di convincermi che abbia capito, che sappia che è il meglio per me, ma in realtà so che non avrebbe mai accettato se io non mi fossi imposta così tanto – e anche grazie all’aiuto di mamma.
“Così” rispondo alzando le spalle e fissando il soffitto. “Non mi ha certo sorriso”.
Sonoko si volta di scatto verso di me, gli occhi spalancati dall’incredulità. “Si è messo a piangere?!”.
Abbozzo una risatina. “Sì”.
Sonoko si batte la lattina sulla fronte, mentre borbotta qualcosa di incomprensibile. La lascio maledire mio padre, mentre finisco la mia aranciata e mi rimetto in piedi.
Da uno scatolone fuoriesce una vecchia giacchetta rosso spento, che ricordo di aver indossato tantissimo alle superiori.
La afferro e, appena sfioro il tessuto, come un flash mi torna in mente il caso dello Shiragami. Avevo indossato quella stessa giacca, quei giorni. Il ricordo si fa sempre più nitido, mentre vari spezzoni di quei giorni si fanno largo a forza nella mia mente.
Vedo due occhi azzurri che si voltano a guardarmi, un attimo prima di strizzarsi in una smorfia di dolore.
Lascio andare di scatto la giacchetta, premendo una mano sulla tempia.
Sudo freddo, mentre sento il respiro affannoso.
 
Non di nuovo... ti prego, non di nuovo...
 
“Ran?” mi chiama Sonoko.
Mi volto a guardarla, sforzandomi di essere serena, ma lei fortunatamente non mi sta guardando all’armata.
“Quella giacca... non ti piace più?” fa evasiva.
Torno a guardarla, afflosciata sullo scatolone, con astio. “No!” dico, puntando poi lo sguardo negli occhi della mia amica. “Non mi è mai piaciuta. Mai”.
Sonoko fa un sorriso a trentadue denti. Si alza e la ripesca dallo scatolone. La osserva rapita e poi se la stringe al petto. “Posso prenderla io, allora? È molto vintage!”.
Annuisco, lasciandomi ricadere sul mio letto. Per distrarmi, cambio argomento. “Vintage? Vuoi dire che mi vesto da antica?!”.
Sonoko mi fa la linguaccia. “Ma no!” e mi fa sorridere di nuovo.
Ripiega la giacchetta sul letto e si siede sul tappeto di fronte a me, con gli occhi spalancati.
Deve dirmi qualcosa, quando mette su quell’espressione.
Lo so, la conosco.
Devo distrarre la mia mente, altrimenti continuo a ripensare a quelle immagine appena riaffiorate, e finisco per impazzire. Decido di dare corda a Sonoko, anche se una parte di me preme per riafferrare la giacchetta e perdermi un’altra volta in quei ricordi. Ma so benissimo che, se lo faccio, starò male il doppio.
Ma perché ancora?
“Cosa c’è?” domando.
“Ho in mente di fare una festa a sorpresa a Makoto!” dice tutto d’un fiato, e a bassa voce come se lui fosse nell’altra stanza.
Accavallo le gambe. “Mmm, idea carina, ma... a Makoto le feste non piacciono particolarmente, a meno che...”
“... non siano quelle sportive, lo so! Quel zuccone... ma l’idea mi frulla in testa da qualche giorno. E poi ho il tempo per organizzare il tutto”.
Inclino la testa, e le sorrido, sforzata. “Non vedi l’ora, vero?”.
Sonoko unisce le mani a mo’ di preghiera e punta gli occhi al soffitto. “So già cosa indossare!”.

 
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* 610 yen sono circa 6 euro.
** grazie a Shine_ che mi ha fatto notare questo particolare importantissimo! Conan-Shinichi ha ancora gli occhiali? ;) grazie cara!
 
 
 
 
Lo sapevo, nel profondo,  che sarei tornata.. non so staccarmi bene da questa storia! Ho trovato cinque minuti quasi ogni sera, e ho scritto il terzo capitolo prima di andare a letto O.O adesso ho gli occhi fuori dalle orbite.. ;P Ma non potevo promettere niente, perché mi sarebbe dispiaciuto poi non mantenere la parola..
Alloooora: terzo capitolo postato, quarto capitolo a ore due, rimanete connessi! Arriverà nel giro di una settimana, insomma, prima dell’8 gennaio (giorno orribile per me studentessa) perché ho già capito cosa metterci dentro e cosa scrivere…
Passo ai ringraziamenti: grazie a coloro che ha solo letto, a _Flami_, Yume98,  Shine_,  anger,  shinichi e ran amore e _Neutron star collision_ per aver recensito, e a Kuroshiro e La_SoSo per aver aggiunto la storia tra le seguite! ^^
 
Buon ultimo dell’anno e buon anno nuovo a tutti!
Un abbraccio,
 
Dony_chan 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


What If..?
4.

 
 
I pacchetti pieni di vestiti ed accessori nuovi risuonano nelle mani mie e di Sonoko, e contente usciamo dal centro commerciale.
Le giornate di shopping sono la giusta terapia dopo una settimana stressante passata al lavoro e all’università. Lunedì sono andata a parlare con il mio relatore e assieme stiamo valutando l’argomento più adatto per la mia tesi. Sono rimasta rinchiusa nella biblioteca del mio nuovo quartiere ore e ore per cercare qualcosa di interessante, ma per il momento ancora niente.
“Che ne dici se prima di tornare a casa ci fermassimo a prendere un gelato?” mi invita Sonoko facendo segno con la testa in direzione di un vecchio chioschetto.
Sorrido, ricordando che quando frequentavamo ancora il liceo, ci fermavamo spesso laggiù, verso il periodo più caldo, a prenderci la nostra classica doppia coppa alle fragole con aggiunta extra di panna.
“Sono favorevole” dico seriosa, per poi scoppiare a ridere.
Ci fermiamo solo un secondo alla macchina di Sonoko per caricare i nostri pacchi, e poi ci dirigiamo a braccetto verso la gelateria.
La signora che serve è sempre la stessa, solo con qualche ruga nuova, e il suo aiutante deve essere suo figlio che, annoiato, rigira nella sua bibita la cannuccia.
Sonoko mi da una lieve gomitata e mi indica il giovane, facendomi l’occhiolino.
“Sonoko!” la rimprovero, “Hai già Makoto”.
La mia amica sbuffa sonoramente e si posa una mano sulla fronte, disperata. “Io non lo voglio. È per te”.
Torno a guardare il ragazzo, che avrà pressappoco vent’anni. Tiene i capelli legati in un piccolo codino, di un castano chiarissimo, ed i suoi occhi sono di un nero carbone intenso. Alza a mala pena lo sguardo per squadrarci, e poi torna alla sua bibita.
Leggermente rossa, affermo: “È un bambino. Su, ordiniamo”.
Sonoko si sposta gli occhiali da sole sulla fronte e finge di decidere che cosa prendere.
“Lo sai che al giorno d’oggi vanno di moda i baby-fidanzati? Comunque...” svia il discorso, facendomi un sorrisone fanciullesco. “Prendiamo il solito?”.
Facendo finta di non aver sentito quello che ha detto precedentemente, annuisco.
 
 
Usciamo dalla gelateria ridacchiando come delle bambine e affondando dei generosi morsi alle nostre coppe.
“Mmm” gusta Sonoko, gli occhi chiusi. “È buono come allora”.
Afferro e poi addento una fragola prima che questa cada sull’asfalto andando sprecata. “Già. Dovremmo tornarci più spesso. Mi fa tornare indietro con gli anni, questa gelateria. Come quando torno nella palestra della scuola. È una sensa...” dico, ma Sonoko interrompe le mie elucubrazioni ad alta voce fermandosi in mezzo alla strada e indicando con il dito qualcosa.
“Ehi, ma quello non è Conan?” chiede scrutando tra la folla pomeridiana del centro.
Mi volto e allungo gli occhi per controllare. È vero: poco più in là, appena fuori da una sala giochi, il mio fratellino si sta avviando da qualche altra parte assieme ai suoi amici. C’è tutta la compagnia al completo: Genta e Mitsuiko che discutono animatamente, Ayumi che li ascolta divertita, Ai che passeggia noncurante e Conan in testa al gruppetto. Sembra annoiato, le mani in tasca e l’espressione assente.
Decido di chiamarlo, e sto quasi per alzare un braccio per farmi vedere, ma la voce mi muore in gola.
Ai, la sua amica, lascia il gruppetto formato da Ayumi, Genta e Mitsuiko per raggiungere Conan appena poco più avanti. Gli sussurra qualcosa nell’orecchio e il mio fratellino sorride.
Sembrano così intimi.
Non ci ho mai fatto caso alla loro amicizia. Al loro legame. Fin dall’inizio ho sempre pensato che Ai fosse un po’ più sveglia degli altri bambini della sua età, proprio come Conan, ma mi è sempre parsa un personaggio troppo misterioso per il mio fratellino.
Non ho mai avvertito nulla tra loro, escluso un semplice rapporto di cortesia. Possibile che tutto ciò mi sia sfuggito?
Vedo Conan allungare lo sguardo alle sue spalle e lanciare un’occhiatina al gruppetto di amici poco più dietro di lui, e poi tornare a borbottare con Ai. Lei sorride, cosa che mi lascia spiazzata.
Gli sta sorridendo, dice qualcosa, e il mio fratellino scoppia a ridere sonoramente.
Genta si avvicina ai due, posando le braccia sulle loro spalle ed esclama qualcosa. Conan e Ai si difendono, scuotendo freneticamente la testa e negando.
Li guardo proseguire, e avverto il mio stomaco ribaltarsi. Ai lo stava per... per prendere a braccetto.
Credevo che per Conan fosse una semplice amica, ma forse mi sbagliavo.
Ai è riuscita a farlo sorridere, nonostante lui fosse di pessimo umore, cosa non affatto semplice.
E in questo preciso momento realizzo che mi sono sempre sbagliata nel credere che Conan e Ayumi potessero diventare qualcosa. Ecco perché si è sempre irritato quando avanzavo questa ipotesi con lui. A Conan non interessano le ragazzine semplici e gracili.  Ma quelle forti ed enigmatiche. Quelle che appaiono come un caso da decifrare, da sondare, da scoprire.
Quelle come Ai.
Abbasso la mano automaticamente e, non sapendo bene il perché, la stringo a pugno all’altezza del cuore.
Il mio stomaco si contrae violentemente e sento come una sensazione di fastidio.
“Perché non l’hai salutato?” mi domanda Sonoko, estranea a tutto quello che ho percepito su quei due.
Mando giù un boccone amaro e mi volto, diretta alla macchina della mia amica. La coppa di gelato si è quasi liquefatta dal caldo della giornata, ma sembra ancora appetitosa. La butto nel primo cestino che trovo. Ormai mi è anche passata la fame.
“Era con i suoi amici. Non volevo disturbarlo” dico infastidita e accelero il passo.
 
 
Un paio di sere dopo, mio padre si autoinvita a cena da me e porta con lui Conan. È la prima volta in cui lo rivedo, dopo la giornata dello shopping con Sonoko.
Felice, mi rendo conto che guardandolo non provo più quella assurda sensazione allo stomaco, e passiamo tranquillamente la serata a mangiare del buon riso al curry e a parlare del più e del meno.
Mio padre monopolizza la metà delle conversazioni, mettendo dentro riferimenti ai casi che ha risolto negli ultimi tempi, e che io e Conan sappiamo a memoria.
L’agenzia va sempre a gonfie vele, e papà risolve tutti i suoi casi anche con le deduzioni brillanti di Conan. Adesso lo porta sempre assieme a lui, quando l’ispettore Megure lo chiama per qualche omicidio intricato, fingendo che non possa fare altrimenti, solo perché non ammetterà mai a nessuno che la cosa non gli da più così fastidio. Si giustifica dicendosi che comunque Conan troverebbe il modo per raggiungerlo, e che quindi tanto vale andare insieme.
“... e così, anche quella volta, il geniale detective Kogoro risolse il caso! Devi essere fiera del tuo paparino, Ran” ride sguaiatamente mio padre.
Conan lo guarda accondiscendente e io, stanca di sentir parlare di omicidi prendo in mano la discussione.
“Papà, sono riuscita a trovarti i guanti da golf che mi avevi chiesto al centro commerciale...” dico, alzandomi per dirigermi verso la mia camera.
Conan drizza le antenne. “Sei stata al centro commerciale?”.
Mi irrigidisco, ostentando indifferenza. “Sì, sono andata l’altro giorno. Con Sonoko”.
“Anch’io ero in quella zona. Non ci siamo beccati”.
Gli sorrido, sentendomi falsa. “Sarai stato con i tuoi amici. È giusto così” dico senza alcun filo logico.
Sento di nuovo quella stretta allo stomaco, ma cerco di ignorare il tutto.
In camera mia, apro l’armadio dove ho ancora i vestiti nuovi nei pacchetti e cerco quello del negozio sportivo dove ho comperato i guanti per papà.
Non lo trovo, ma al suo posto c’è un sacchetto di un altro negozio. Riconosco il marchio e ricordo che qui c’era entrata Sonoko per comperare un maglione per Makoto. Accidentalmente, ci saremo scambiate i pacchetti.
Devo riportarglielo, magari domani mattina. Lei sicuramente ha i guanti di papà.
Faccio per uscire dalla mia stanza, ma a metà strada mi blocco e mi volto a guardare quel sacchetto.
Sento gli occhi pizzicarmi, ma mi costringo a rimanere calma. Non è possibile che continui a piangere ancora.
Mi avvicino lentamente al mio letto e mi metto sulle ginocchia il pacchetto di Sonoko. Respiro profondamente, sapendo che questo non ha alcun senso.
Come posso essere nostalgica di qualcosa che non ho mai potuto sperimentare? Come posso essere nostalgica della nostra vita assieme, quando non eravamo altro che buoni amici?
Ma non per me, certo.
Estraggo il maglione nero di Makoto e lo apro per guardarlo meglio.
Ricordo di averne regalato uno simile a Shinichi, per Natale, con la differenza che quello glielo avevo fatto io a mano.
Era uno dei primi che fabbricavo, ma mi era venuto veramente bene. Lui, ovviamente, si era lamentato dicendo che gli pungeva il collo, ma gliel’avevo visto addosso parecchie volte. Credo di avere perfino una foto dove lo indossa.
Faceva sempre il duro e l’insensibile davanti a me, ma in più di un’occasione si è rivelato il contrario, stando molto attento alla mia incolumità.
Stringo forte il maglione al petto con un sorriso lacrimante. Sento il gusto dell’acqua salata scorrere sulle mie labbra e bagnare in parte il collo del maglione.
Quasi non mi accorgo del lieve bussare alla mia porta. E non mi accorgo nemmeno di Conan che la apre.
“Ran, dove sei finita?” mi chiede, per poi bloccarsi accanto alla porta.
Il suo sguardo passa dallo stupito al preoccupato nel giro di pochi istanti, quanto bastano per farmi ricomparire davanti lo sguardo del mio fratellino e non più quello di Shinichi.
Le lacrime, allora, cominciano a scendere ancora più rapidamente.
“Perché non sei lui?” supplico piano. “Perché non sei Shinichi?”.
Quasi non mi rendo conto della reazione del mio fratellino: vedo solo la sua espressione cambiare ulteriormente e diventare sicura.
In pochi passi attraversa la mia camera e si inginocchia davanti a me.
Mi guarda intensamente negli occhi, parlandomi di cose tenute segrete per troppo tempo; e così, semplicemente, mi bacia.
 
Mi muovo insicura sul mio cuscino, mentre tormento la mia fettina di torta al limone, che non ho nemmeno toccato.
Papà, accanto a me, è intento a guardare il notiziario serale, fumando l’ultima sigaretta del suo pacchetto e, fortunatamente, non ha fatto caso al mio drastico cambiamento di atteggiamento.
Mi mordo il labbro inferiore, nervosa, e sento ancora il piccolo solco che ci hanno lasciato i denti di Conan poco fa.
Un brivido strano, tensione ed eccitazione, mi scorre lungo la schiena e mi costringe a cambiare nuovamente posizione.
Lancio un’occhiata di sottecchi a Conan, che è nel mio stesso stato: finge di essere interessato alla bibita che ha nel bicchiere, ma la sua faccia è tesa.
Vorrei tanto parlare con lui, chiarire, capire. Ma non con mio padre qui. E forse ho bisogno di schiarirmi anch’io le idee.
Il mio sguardo cade inavvertitamente sulle sue labbra e, al ricordo del nostro bacio di poco fa, mi volto per guardare da un’altra parte.
Mi costringo a seguire anch’io il notiziario, ma nella mia testa c’è solo il ricordo delle labbra di Conan dure e passionali sulle mie.
Il modo in cui mi ha baciata, il modo in cui mi ha toccata mi hanno fatto capire da quanto tempo bramasse farlo.
Per lui è stato come una liberazione, per me come un ennesimo punto di confusione. Perché io stessa non l’ho scansato subito. Perché io stessa, nel profondo, volevo che mi baciasse e che non si fermasse.
Forse era perché volevo disperatamente Shinichi, o forse era per il legame che ci lega, ben diverso da quello di semplici fratelli. Siamo sempre stati due anime legate, che ci piaccia o no.
Solo quando mi sono resa conto che la situazione mi stava sfuggendo di mano, l’ho allontanato bruscamente da me e, pulendomi la bocca, sono uscita in fretta da quella stanza.
Lui ci ha raggiunti nel soggiorno solo dopo qualche minuto e da allora abbiamo evitato accuratamente di guardarci negli occhi.
Papà spegne la televisione, finito il notiziario.
Sussulto, non essendomene accorta. Sento gli occhi di Conan puntati su di me, pronti per registrare qualsiasi mia reazione.
“Bè, si è fatto tardi. Direi che dobbiamo andare” dice papà, stiracchiandosi. “Il marmocchio, qua, domani ha scuola e sono le dieci passate” conclude indicando Conan.
Annuisco, alzandomi a mia volta e seguendo papà nell’ingresso.
Sperando di non sembrare nervosa, porgo a mio padre il cappotto e lo ascolto solo in parte mentre blatera su qualcosa circa la sua nuova auto noleggiata.
“Va bene, Ran. Ci sentiamo domani. Mi raccomando, chiudi bene la porta prima di andare a letto” dice serio e poi mi sorride dandomi un colpetto alla spalla.
“Certo, papà. Buona notte” lo saluto, poggiandomi sullo stipite della porta.
Papà comincia ad avviarsi giù dalle scale, nel buio della notte, e il mio stomaco si contrae nervosamente.
 
E adesso? Che devo fare con...
 
Conan passa accanto a me e lo sento sfiorarmi appena la vita con la mano.
Coraggioso, alza gli occhi e mi guarda, rattristato. Forse lui non si aspettava che andasse a finire così, forse non lo voleva.
“Buona notte, Ran” mi sussurra dolcemente.
Annuisco, ad occhi bassi, chiudendo la porta un secondo dopo che è uscito.

 
 
********************************************************************************
 
 
 
 
O.O
Emh... sì, si sono proprio baciati! ;)
Da quanto tempo aspettavo questo momento! *w*
Aspetto i vostri pareri in merito a tutto ciò!
Intanto una serie di grazie va a Yume98, _Flami_, _Neutron star collision_, Ran Mouri, shinichi e ran amore e a Shine_ per aver commentato il terzo capitolo.
Grazie  a Anna738 e a withoutrules per aver inserito la ff tra le seguite; e a brenda the best, Ran Mouri, shinichi e ran amore, Yume98, _Flami_ e _Neutron star collision_ per averla messa tra le preferite!
Grazie anche a chi ha solo letto e... ci vediamo nel quinto capitolo!
Un abbraccio,

Dony_chan 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


What If..?
5.

 
 
Sento una mano battermi leggera sulla spalla, e mi volto di scatto, nervosa.
In questi ultimi giorni sono un nervo di fasci, e le mie occhiaie sono un chiaro segnale delle mie notti passate quasi interamente in bianco.
Ormai lo vedo dappertutto, lo sogno, e ho la paura di imbattermi di nuovo in lui. Maledizione, ma perché proprio a me?!
Un sorriso caloroso si apre sul viso della persona alle mie spalle, gli occhi oscurati da un paio di occhiali da sole.
“Sonoko” sospiro, lieta.
La mia amica mi mostra una busta da cui fuoriescono degli addobbi dai colori vivaci e poi alza gli occhiali da sole, mostrandomi un paio di occhi rossi, gonfi e lacrimanti.
“Congiuntivite, tesoro” dice, facendo poi una smorfia. “Giusta giusta per la festa di Makoto!”. Si lascia cadere sulla panca della palestra del nostro vecchio liceo, poggiando il sacchetto ai suoi piedi e iniziando a tamponare le lacrime con le dita.
“Adesso mi spieghi tutto. Solo un secondo” le dico e mi avvicino al piccolo gruppo di giovani karateke.
Batto le mani un paio di volte e tutte interrompono il loro allenamento, mettendosi subito in fila, ordinate e silenziose.
“Per oggi possiamo concludere. Siete state molto brave, continuate così” dico con un sorriso e lascio cadere uno sguardo su ognuna di loro. Le ragazze abbassano il capo, con un timido sorriso o le guancie imporporate.
“Il campionato parte a breve, ma sono molto positiva. Ora andate pure, ci vediamo domani pomeriggio” le congedo, e il solito brusio di fine allenamento si disperde nella palestra.
Mi allento la cintura nera del mio Karategi e mi siedo accanto alla mia amica, la testa voltata verso di lei.
“Fai paura, quando parli con loro. Sembri così seria!” mi dice ironica, per poi fare la linguaccia.
Abbozzo una risatina. “Non mi va di passare per il loro capo. Dopotutto, abbiamo pochi anni di differenza. Su” la invito, mentre raccolgo il mio borsone e le faccio strada verso lo spogliatoio dei maestri.
Mi cambio velocemente mentre ascolto Sonoko raccontarmi gli ultimi dettagli di preparazione della festa a sorpresa del suo fidanzato. Non ha badato a spese, ed ha assunto due agenzie di catering differenti: una di cucina thailandese e una nostrana.
Questa sera doveva andare a sentire se c’è disponibilità per un impianto stereo e karaoke da un amico della sua famiglia, e mi ha chiesto se potevo accompagnarla.
Con gli ultimi avvenimenti, non le sono stata molto d’aiuto nella preparazione, e quindi mi devo sdebitare.
Chiudo attentamente la palestra e ci avviamo fuori, mentre saluto le ultime allieve ritardatarie.
“Ran? Va tutto bene?” mi chiede Sonoko, guardando la mia faccia stravolta.
Mi do un colpetto nervoso alle guancie, nel vano tentativo di farle sembrare più rosee. Devo sicuramente apparire pallida e assonnata.
“Certo! Sono solo un po’ stanca...” dico con una scrollata di spalle.
Lei mi guarda ancora sospettosa e poi annuisce. “Certo. Capisco... non deve essere facile” dice seria e per un attimo sento il cuore perdere un battito.
La guardo in panico, certa che abbia capito qualcosa. Ma come diavolo ha fatto?
“In... in che senso?” balbetto, mentre lei appoggia l’indice al mento e guarda in su. “Insomma, è stressante... non vorrei essere al tuo posto”.
Mi blocco all’uscita, le mani strette in una morsa morbosa al mio borsone. Ma... ma... come è possibile?
Lei si volta e mi sorride dolcemente. “Insomma, il trasloco, il lavoro, la tesi di laurea... e tuo padre che ti crea mille fastidi perché non vuole lasciarti andare da casa. Insomma, mi sento in colpa a chiederti di aiutarmi per la festa!”.
Sonoko appare nervosa, passando il peso del suo corpo da un piede all’altro.
Mi rilasso all’istante, e mi do della sciocca. È ovvio che non ha capito! E come potrebbe? Non le ho mai accennato nulla, e per giunta non vede Conan da quel pomeriggio in piscina di questa estate... come avrebbe fatto a capire? Sono solo una stupida. Una stupida stressata. Questa situazione deve trovare un punto di svolta, o impazzisco.
“Ma... ma no, che dici! Questa notte ho avuto un incubo, e non ho chiuso occhio!” dico cercando di essere convincente il più possibile. Sonoko non sembra crederci, ma abbozzo un sorriso rassicurante. “Solo questo... mi fa piacere darti una mano! Andiamo, prima che faccia tardi!” le dico e la supero, raggiungendo la mia macchina. Appena entro e mi siedo al posto di guida, mi lascio andare ad un lungo sospiro di sollievo.
Metto in moto e lascio che Sonoko mi superi con la sua macchina, per mostrarmi la strada. Accendo la radio e mi lascio cullare dalle note di una vecchia canzone, mentre mi impongo lucidità.
Prevedo già una nottata in bianco.
Maledizione.
 
 
Ok, è stato un caso isolato.
Sicuramente quella sera si era sentito in pena per me e d’istinto ha reagito a quel modo. Voleva farmi smettere di piangere, anche se ammetto che è stato un metodo un po’ insolito.
Giro la chiave e spengo il motore. Il suo allenamento dovrebbe essere finito da un po’.
Nervosa, mi guardo nello specchietto retrovisore e mi sistemo i capelli.
Accidenti, non avrebbe mai dovuto baciarmi!
Il nostro rapporto ora è cambiato drasticamente e per di più mi sento terribilmente in colpa verso Shinichi. Lo so che è da stupide, ma io sento di essere ancora innamorata di lui.
Forse questo mio sentimento non svanirà mai del tutto.
Il mio sguardo viene catturato dal piccolo gruppo di ragazzi che esce dal cortile della scuola, sulle spalle la borsa sportiva.
A chiudere la fila, rabbuiato, c’è lui.
Il mio cuore fa una capriola, e mi sento responsabile per il suo pessimo umore. Forse mi sarei dovuta far viva prima, e non dopo una settimana.
Abbasso il finestrino e mi sporgo un po’, chiamandolo ad alta voce.
Conan non mi sente neanche, si volta verso di me solo perché un suo compagno gli ha tirato una gomitata e mi ha indicata.
I suoi occhi si fanno sospettosi e sul suo volto leggo un aria scocciata.
 
Ce l’ha con me...
 
Andiamo bene...
Saluta distrattamente i suoi amici e si avvia lentamente alla mia macchina.
Sento il cuore battermi a mille, sono agitata e non la smetto di tormentarmi le mani. E se dovessimo litigare?
Io ho bisogno di lui, non resisterei un secondo a sapere che è arrivato ad odiarmi. Ma gli passerà. Gli spiegherò che una cotta adolescenziale, se è questa che ha, passa in fretta.
E poi, mi ero convinta che a lui piacesse Ai. Forse era meglio.
No?
“Che cosa vuoi?” mi chiede, il tono scocciato.
La sua testa sbuca dalla portiera aperta e non mi sta nemmeno guardando negli occhi.
“Vieni dentro un attimo, per favore” dico, spostando la borsa dal sedile del passeggero.
Con un lieve sbuffo, si siede accanto a me e chiude la portiera con un colpo secco. Si passa una mano tra i capelli bagnati e si fa su le maniche della tuta per il caldo.
Trattengo un sorriso: lui ha sempre i calori dopo la doccia.
“Allora?” mi riscuote, sempre con lo stesso tono.
“Dobbiamo parlare” rispondo dura. Non mi piace questo suo tono autoritario.
Conan mi lancia uno sguardo di sfida, che mi ricorda per un secondo lo sguardo di Shinichi.
Scrollo il capo, imponendomi la lucidità.
“Credo che dobbiamo chiarire una cosa... e tu sai a cosa mi riferisco...” comincio alla larga.
Conan incrocia le braccia al petto e fissa il suo sguardo sul parabrezza.
Ecco, adesso mi sembra proprio un bambino!
“Sì, ok, ma sbrigati. Ho un sacco di compiti da finire per domani...” sbotta, ma non fa in tempo a concludere. “Oh, smettila di usare questa strafottenza con me!” esclamo.
Rimaniamo in silenzio alcuni istanti, mentre organizzo le idee. Ma il primo a parlare di nuovo è proprio lui: “Se vuoi sentirti dire che è stato un incidente, te lo dirò”.
Mi faccio attenta e rimango zitta, per farlo proseguire.
Conan fissa i suoi occhi nei miei. “È stato un incidente” mi dice.
Arriccio il labbro, non convinta. “Io non voglio che tu mi dica quello che credi voglia sentirti dire. Voglio capire cosa è successo”.
Conan fa un sorriso furbetto e ghigna. “Io ho capito benissimo quello che è successo” fa malizioso e mi lancia l’ennesima occhiatina.
Sento il cuore battermi più forte e una strana scarica attraversarmi il ventre, ma mantengo la mia compostezza.
 
Anch’io me lo ricordo bene
 
vorrei dirgli, ma invece ribatto: “Smettila, ok? Non è una situazione facile, questa, da affrontare”.
Conan spalanca gli occhi, confuso. “Che intendi dire?”.
Prendo un bel respiro ed espongo la mia tesi. “Alla tua età, si è molto vulnerabili. Non si capiscono bene le nuove emozioni e, alle volte, si rischia di confondere una pulsione con...”
“Mi stai dando del maniaco, Ran?!” mi domanda lui, scioccato.
Sento le guancie leggermente calde, ma per fortuna fuori c’è buio e quindi non mi può vedere.
“Sto solo dicendo che una cotta è passeggera...” comincio, ma vengo interrotta per la seconda volta.
“Tu credi che io abbia una cotta per te?” mi domanda, la voce impenetrabile e seria.
Rimango spiazzata. Non... non è così? Che abbia compreso male il tutto?
Ma no, certo che no!
Ma allora...?
Annuisco lentamente e poi sento Conan sbuffare, picchiandosi la mano sulla gamba. “Sei così ingenua, alle volte” mormora.
Risentita, sento le guancie in fiamme.
“Ehi, io sono solo giunta alla conclus...” provo ancora, ma di nuovo la sua voce supera la mia e mi blocca. “Tu chiameresti ‘cotta’ quello che io provo per te?”.
Non rispondo subito. Questa discussione mi sta creando ancora più dubbi, uno meno verosimile dell’altro.
“Cos’è, allora? Perché non posso essere solo una sorella, per te” domando, esasperata.
Conan si muove nervoso sul sedile e mi guarda negli occhi prima di rispondermi.
“Per me non sei mai stata una sorella” ammette, la voce piccola ma sicura allo stesso tempo. “Tu... tu mi piaci, sul serio”.
Sento ancora i battiti cardiaci aumentare e quel brivido al ventre. Le mie guancie sono carne sul fuoco e la saliva è zero.
Sento come... sento come se fosse stato Shinichi a dirmelo.
“Io non sono pronto a sopportare le conseguenze della mia azione, perché ho troppa paura di allontanarti da me un’altra volta”.
Il suo discorso ha un doppio significato, che si sta formando nella mia mente, ma sono troppo concentrata a scacciarlo prima che possa essere troppo tardi.
“Io...” inizia Conan, ma non riesce a finire la frase.
Cala uno strano silenzio tra di noi e io non so come interromperlo.
Vorrei davvero che quello che è successo tra noi due non fosse mai capitato?
No.
Per una semplice ragione: ora sto finalmente capendo tante cose.
“È meglio che tu vada. Devi finire i compiti” dico meccanicamente.
Conan annuisce cupo, lanciandomi uno sguardo. Nei suoi occhi leggo la paura di essersi esposto troppo.
Sta per uscire, la portiera già aperta, ma all’improvviso si blocca e torna a guardarmi.
“C’è qualcos’altro che devi...?” sto dicendo, ma vengo interrotta per la quarta volta.
L’ultima cosa che vedo è il ciuffo di capelli corvini che coprono gli occhi chiusi di Conan, prima che li chiuda a mia volta e risponda al suo bacio.
 
 
Mi giro e mi rigiro nel letto. Non riesco proprio a prendere sonno.
Quello che è successo stasera... non lo avevo affatto programmato. Sia che lui mi baciasse per la seconda volta, sia che io gli rispondessi con altrettanta voglia.
Sì, perché in quel momento io avevo voglia di lui!
Ho connesso il mio cervello solo dopo che il danno era stato ormai compiuto un’altra volta. Più tardi della prima.
Ricordo solo che quando ho staccato le mie labbra dalle sue, ho sentito subito il bisogno di prenderle ancora.
Non so cosa frulli ora nella sua mente. Forse sta pensando a me, forse sta pensando che possa funzionare.
Ma come può?
Non lo so nemmeno io.
Mi alzo dal letto, conscia che rimanerci sarebbe inutile. Mi dirigo come un automa in cucina  e apro il frigo, per prendere dell’acqua senza avere realmente sete. Fisso la bottiglia senza vederla, mentre mi lascio scivolare contro la porta del frigo.
Se potessi tornare indietro nel tempo, ed avvisare la me stessa di quasi diciassette anni che il piccolo bambino che stavo per ospitare mi avrebbe causato così tanta confusione nella mia vita futura, e quindi di non prenderlo in affidamento con me, forse oggi starei meglio.
Starei meglio?
Faccio una smorfia. Certo che no! Sto dando la colpa a Conan, quando io mi devo assumere la maggior parte della responsabilità.
Forse ho sbagliato ad assumere un comportamento così morboso nei suoi confronti. Forse avrei dovuto lasciarlo più libero. Forse avrei dovuto tenerlo lontano da me.
Ma so che mi è stato impossibile farlo, perché era la mia ancora di salvezza.
Poggio la fronte bollente contro la bottiglietta, sentendomi meglio. Se potessi tornare indietro... se potessi tornare indietro, certo non mi preoccuperei di andare ad ammonirmi per Conan. Se potessi tornare indietro... correrei dalla me stessa al Tropical Land, mi darei una scrollata e mi ordinerei di correre alla svelta dietro a Shinichi. Per non perderlo per sempre.
Se potessi tornare indietro, cambierei molte cose.
Ma non posso.
 
“Io non sono pronto a sopportare le conseguenze della mia azione, perché ho troppa paura di allontanarti da me un’altra volta”
 
Le parole di Conan prendono di nuovo possesso nella mia mente. Allontanarmi di nuovo?
Scrollo la testa. Non voglio pensarci! Non voglio indagare oltre, su questa sua affermazione. Non oggi. Non adesso.
La sua figura imbronciata di questo pomeriggio seduta accanto a me, nella mia macchina, mi riappare davanti. Posso vedere i suoi occhi fissi sul parabrezza, distanti dai miei; posso vedere ogni minuscola goccia dei suoi capelli bagnati; posso notare la piccola ruga di fastidio sulla sua fronte.
E poi, mi ha baciata. Di nuovo.
Di nuovo.
Scrollo la testa e picchio la nuca sulla porta del frigo, maledicendomi per la centesima volta.
Mi alzo di scatto e mi dirigo in camera mia, abbandonando la bottiglia d’acqua ai piedi del letto.
Mi rimbocco le coperte e guardo la sveglia: sono appena le tre passate.
Mi metto su un fianco e abbraccio il cuscino. Quanto vorrei che fosse di nuovo qua assieme a me...
 
 
Questa cena è a dir poco ridicola. Non avrei mai dovuto accettare.
Se papà dovesse accorgersi di qualcosa, giuro che mi scavo direttamente la fossa e mi ci butto dentro senza pensarci un attimo.
Quando mi ha chiamato stamattina per dirmi se potevo passare per mangiare qualcosa insieme, non mi sarei mai immaginata che l’idea era partita in realtà da Conan.
 
“Ricambiamole il favore del suo invito a cena”
 
aveva detto e mio padre, senza malizia, aveva pensato che fosse una buona idea.
La situazione mi risulta molto imbarazzante, soprattutto perché Conan non la smette un secondo di fare battutine allusive e di lanciarmi occhiate e sorrisetti strani.
Sbattendo le mani sul tavolo, mi alzo in piedi e gli lancio uno sguardo ammonitore.
“Ehi, Ran... ma che ti prende?” fa mio padre, il bicchiere di vino abbassato.
Mi rendo conto della mia reazione eccessiva e mi schiarisco la gola, risoluta. “Ho voglia di rendermi utile. Li lavo io, questi” dico e comincio a radunare piatti e pentole sul vassoio.
“Vuoi una mano?” mi domanda Conan.
Rossa, faccio cenno di no con la testa. “Non ce n’è bisogno” dico e mi dirigo in fretta in cucina.
Metto in ammollo i piatti e indosso il mio vecchio grembiule. Dopo aver finito qui, me ne vado subito.
Quel ragazzino crede di poter fare il furbo, ma non ha capito la gravità della situazione, soprattutto perché c’era anche mio padre.
Mi sento male solo al pensiero della sua reazione se intuisse qualcosa. Dopotutto è un grande detective!
Intanto caccerebbe di casa Conan, e a me non rivolgerebbe più la parola. Oddio, ma in che guaio mi sono cacciata?
“Se ci metti tutto questo tempo per lavare un paio di cose, penserò che non te ne vuoi andare così presto” sento una voce alle mie spalle.
Sussulto, senza voltarmi. Non l’ho nemmeno sentito entrare, persa com’ero nelle mie elucubrazioni.
Sento il suo corpo appoggiarsi appena alla mia schiena e vedo le sue mani appoggiarsi ai bordi del lavello, imprigionandomi tra le sue braccia.
Il mio pensiero scatta subito a mio padre, e scaccio via la sensazione di piacere che mi ha appena travolta.
“Spostati. Non riesco a lavorare” dico fredda e comincio a sciacquare ciotola per ciotola.
Sento Conan sospirare leggermente e spostarsi.
Si mette di fianco a me, le braccia incrociate, e rimane così, fermo, a guardarmi.
Non sapendo cosa dirgli, decido di rimanere in silenzio, certa che lui sarà il primo ad interromperlo. È fatto così, non è capace di starsene zitto quando c’è qualcosa che gli sta a cuore.
 
Gli sto a cuore...
 
Abbozzo un sorrisetto, contenta che non sia solo come sta a cuore una sorella.
Stupendomi, Conan rimane in silenzio fino a quando non finisco di lavare le pentole e di aver passato la superficie del fornello.
Mi tolgo svelta il grembiule e cerco di sgattaiolare di là prima che possa trattenermi.
Ma non ci riesco, lui mi afferra per il polso e mi attira più vicina.
Sento il cuore palpitare forte, certa che lo sta sentendo anche lui dal polso; i nostri nasi sono così vicini che manca poco per sfiorarsi.
“Doveva passare un’altra settimana, prima che ti facessi viva?” mi domanda in un sussurro.
Mando giù con fatica, presa dalla paura che papà possa entrare e trovarci così.
“Se per questo anche tu non ti sei fatto vivo” ribatto con un filo di voce.
Nessuno in vita mia è mai riuscito a rendermi così vulnerabile al solo sguardo.
Nessuno, a parte Shinichi...
Nessuno, a parte Conan...
Dentro di me scatta un qualcosa di strano, come un’illuminazione ancora sconosciuta.
 
Conan e Shinichi...
 
Conan fa un sorrisetto, abbassando il capo. “Ti avrò lasciato una decina di messaggi in segreteria”.
Arrossisco, in imbarazzo.
Ma allora si è fatto vivo? E io che credevo di no...
“Non la so ancora usare, è diversa da quella che c’è in agenzia...” rispondo in un soffio.
Lui mi sorride, facendo passare la stretta dal polso alla mano. Mi prende anche l’altra, e mi ritrovo a contraccambiare la stretta.
Si avvicina all’orecchio e, prima di sussurrarmi qualcosa mi bacia il collo provocandomi una scossa interiore. Questo ragazzino pieno di ormoni mi sta mettendo sottosopra.
“Non sono più capace di tornare indietro e far finta che non sia successo mai nulla” mormora. Non gli rispondo, e lui prosegue: “Sei ancora convinta che la mia sia solo una cotta, vero?”.
Torna a guardarmi negli occhi e in me legge la confusione.
“Sinceramente non so cosa pensare” ammetto, lasciando le sue mani e abbracciandomi. Mi metto a fissare il pavimento, non avendo il coraggio di guardarlo negli occhi.
 
Quelli sono gli occhi di Shinichi!
 
urla la mia mente, ma non ho coraggio di dar voce ai miei pensieri.
Conan allunga una mano verso il mio braccio, ma si blocca all’istante e velocemente la ritira per mettersela in tasca.
Papà entra un secondo dopo nella piccola cucina ed io divento rossa all’istante, distanziandomi con foga da Conan.
Mio padre sembra non far caso alla mia impetuosa reazione. “Vado di sotto a comperarmi le sigarette. Volete qualcosa?”.
Faccio un silenzioso sospiro di sollievo e gli rivolgo un sorriso sollevato. “No, per me no, papà. Anzi, sarà meglio che vada. Si è fatto tardi”.
“Ah, Ran! Guarda che non disturbi affatto, questa è casa tua!” si lamenta papà, quando lo supero per andare a recuperare la mia giacchetta e la borsa.
“Non è per quello. Domani mattina devo alzarmi presto per andare a parlare con il mio relatore. Forse ho trovato l’argomento della mia tesi” dico eccitata.
Accompagno mio padre di sotto, salutando Conan fingendomi tranquilla come al solito. Facciamo due passi verso la tabaccheria in fondo all’angolo e poi fino a dove ho parcheggiato la mia macchina.
Prima che salga, papà mi afferra per un braccio e mi abbraccia forte.
Sono stupita da questa sua reazione e ci metto un po’ per realizzare la cosa e abbracciarlo a mia volta.
Papà profuma come sempre del dopobarba al muschio che gli regala ogni Natale la mamma.
“Volevo solo dirti... che sono orgoglioso di te, piccola mia”.
Come una bambina bisognosa d’affetto, mi aggrappo forte al suo cappotto e affondo la testa sul suo petto.
Questo momento sarà impresso nella mia memoria per sempre.
“Ti voglio bene, papà” gli sussurro, e rimaniamo abbracciati ancora per molto.

 
 
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Questa storia preme per essere proseguita... e io non posso trattenermi dal farlo!
Ieri, ho scritto il quinto capitolo, senza essermene resa conto!
Ma passiamo a questo quinto capitolo: per una volta, non sono rimasta a rileggerlo duecento volte. Appena l’ho concluso, mi sono sentita soddisfatta... e spero soddisfi anche voi! Ecco, magari è la volta buona in cui penso ‘oh, mi piace!’ e poi ne è esce una... schifezza... spero vivamente di no!! ;)
Ran sta più che sospettando, ragazzi... la sua testolina sta iniziando a lavorare... e Conan... bè, lui è stufo di trattenersi, mi pare anche comprensibile ^^
Va bene, adesso lascio a voi l’ardua sentenza!
Intanto passo agli immancabili ringraziamenti ^^ : grazie mille a _Neutron star collision_, Yume98, Shine_, 88roxina94, _Flami_, Ran Mouri e a Il Cavaliere Nero per aver commentato il quarto capitolo! Senza le vostre recensioni la voglia di scrivere, sono certa, non sarebbe pari a quella che ho!
Grazie anche a zapotec e a _Rob_ per aver aggiunto la storia nelle preferite; e a 88roxina94 e a arianna20331 per averla messa nelle seguite!
Grazie anche a chi ha solo letto...!

E con questo vi saluto, alla prossima ^^
Un abbraccio,

Dony_chan 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


What If..?
6.

 

Estraggo dal mio cassetto una vecchia foto che conservo ancora gelosamente. Si tratta dell’ultima che ho scattato assieme a Shinichi, il giorno stesso in cui è cominciato a sparire.
Ci trovavamo al Tropical Land per festeggiare la mia vittoria ai campionati di Karate giovanili.
Avevamo quasi diciassette anni, quindi la foto andrà più che bene.
La trovo nascosta tra le ultime pagine del romanzo che, a parer mio, ci rappresenta di più: Cime Tempestose.
La guardo sentendo un forte buco allo stomaco. Sono passati otto anni da quando l’ho tolta dal mio comodino, ma la ricordo ancora perfettamente in ogni piccolo particolare.
Lancio un’occhiata all’orologio, prima di buttare giù in un sorso la mia vodka. Sono le quattro della mattina. Devo proprio essere pazza.
Sento la testa girarmi appena, ma mi costringo a tenere gli occhi aperti. Sono tre giorni che non faccio altro che pensare a questa eventualità, e non mi rimane altro che controllare.
Da un secondo libro, che mi ha regalato Conan per il mio venticinquesimo compleanno estraggo una foto che ci ritrae insieme. L’abbiamo scattata a giugno, quando siamo partiti assieme a Sonoko e a Makoto per una gita al mare. Qui ha sedici anni.
Bevo un altro sorso della vodka, dandomi della stupida.
Questa ‘prova’, come la chiamo io, è del tutto inutile. Il volto di Shinichi me lo ricordo a memoria, come se fosse stato ieri quel maledetto giorno passato al Tropical Land.
Ma forse ho bisogno di vedere nero su bianco. Di avere una conferma fuori dalla mia confusione. Ho sempre pensato che quei due si assomigliassero troppo, anche per essere solo parenti alla lontana. Forse ho solo finto di non capire. Forse ho celato troppe verità a me stessa.
Alla fioca luce della mia abat-jour avvicino le foto e rimango fissa sul volto di Conan, che sorride all’obbiettivo accanto a me e a Sonoko.
Con un enorme sforzo faccio scorrere lo sguardo e mi fisso ora sul volto di Shinichi.
Torno a guardare entrambi e mi affiorano le lacrime, mentre sento il mio stomaco contrarsi violentemente.
Mi alzo di scatto dalla scrivania e nella foga la bottiglia di vodka si frantuma a terra rilasciando una forte puzza di alcol.
La mia nausea aumenta e sento lo stomaco collassare, mentre mi ritrovo a carponi sul pavimento, in un bagno di sudore.
 
 
Guido con rabbia fino alla città di Beika, superando di molto il limite di velocità consentito. Devo affrontare il problema di petto, adesso, prima che mi logori del tutto.
Sono frustrata e agitata. E devo essere anche una pazza, visto che mi sono messa alla guida in piena notte.
Parcheggio un isolato più in là dall’agenzia di investigazioni di mio padre e cammino spedita fino all’edificio. Per strada non incrocio nessuno, tutti ancora sotto le coperte a dormire.
La ‘passeggiata’ non mi ha fatto sbollire, ma tanto meglio. Se devo litigare e urlare, sarà meglio farlo  al massimo della rabbia.
Salgo le scale con foga e mi fermo davanti alla porta del mio vecchio appartamento, la mano posata sulla maniglia che trema leggermente. Non so come sono riuscita ad arrivare fin qui senza fare un incidente.
Faccio girare la chiave che papà si è premurato di farmi tenere per le emergenze e spalanco la porta. Mi travolge subito un insopportabile odore di bruciato, e sento in lontananza il ronzio del vecchio frigorifero.
Sbatto la porta e mi dirigo in cucina, dove trovo i resti della cena bruciata ancora sul tavolo, assieme ad una serie di lattine di birra vuote.
Hanno di nuovo bruciato la cena nel forno.
Non mi lascio impietosire e mi dirigo verso la stanza dove dormono lui e mio padre. Sono certa che il loro sonno profondo non sia stato interrotto dallo sbattere della porta. Ma non ha importanza. Sono pronta a svegliare l’intero quartiere.
Apro delicatamente la porta e rimango sulla soglia a fissarli attraverso il buio. I miei occhi si abituano alla fioca luce che entra dalla finestra e finalmente riesco a scorgere le loro figure beatamente addormentate.
Sono sicura che appena li sveglierò, mi guarderanno spaesati e confusi.
 
Odi non capire le cose, vero, Shinichi? Vuoi sempre tutto sotto controllo...
 
Mi avvicino al futon sul quale il ragazzo sta dormendo scompostamente e mi inginocchio accanto a lui. Il suo respiro è leggero, la bocca leggermente aperta.
Sento le lacrime agli occhi, ma riesco a trattenermi. Non voglio mostrarmi petulante davanti a lui.
Lui è un meschino e un bugiardo, non posso credere che possa avermi davvero fatto tutto questo.
Lo guardo posarsi una mano sulla pancia, grattarsela inconsciamente e poi voltarsi su un fianco, dandomi le spalle.
Il mio cuore sobbalza un attimo. Per un momento, solo per un momento, ho avvertito la voglia di scappare da qui. Subito, prima che tutto possa essere irrecuperabile.
Le lacrime scendono a fiotti lungo le mie guancie, e non riesco a trattenerle. Abbasso il capo e mi stringo la testa fra le mani, mentre mi dondolo sui talloni.
“Ran...?” mormora appena. Alzo di scatto la testa, il cuore in gola.
Nella stanza non c’è nessun movimento. Nessun rumore.
Lui si volta sull’altro fianco, tornando a mostrarmi il suo giovane volto, ancora perfettamente nelle braccia di Morfeo.
La mia collera aumenta e mi trattengo dal mollargli un altro schiaffo. “Ran niente!” vorrei gridare. “Non provare mai più a rivolgermi la parola o farti vivo con me! Per me sei morto!”.
Ma, anche stavolta, rimango muta.
Sento mio padre borbottare qualcosa e muoversi inquieto nel suo letto, e solo allora realizzo che, se si svegliasse e mi vedesse qui, mi riempirebbe di mille domande.
Domande alle quali non so dare una risposta. Domande a cui pretendo una risposta.
Non posso crederci di aver avuto la verità davanti per tutto questo tempo ed essere stata così cieca da non accorgermene. Sono stata proprio una stupida.
Ma d’altronde, non so ancora capacitarmene io stessa. Come può essere possibile? Come? So solo che è così. Sento che è così.
Alla fine la voce mi muore in gola. Accidenti, mi sento più confusa di prima. Voglio davvero sapere la verità? Mi sentirò davvero meglio?
 “Sei solo un bugiardo” mormoro piano, passandogli una mano tra i capelli. Non ho più la forza di gridare. Non ho più la forza di fare niente.
“Io mi fidavo di te!” piango.
Le lacrime scorrono copiosamente sulle mie guancie e non riesco a trattenerle nemmeno stavolta. Ma forse è meglio così. Questo sarà l’ultima volta che piangerò per lui, l’ultima volta che avrò ancora la forza di piangere.
“Mi hai soggiogata e presa in giro. Io ti ho aspettato per tantissimo tempo Shinichi!” sussurro infine, togliendo la mano dai suoi capelli e alzandomi in piedi.
Dire il suo nome è come una liberazione. Niente più maschere, niente più stratagemmi. Niente, solo io e lui, faccia a faccia, per l’ultima volta.
Anche se la verità me la deve, non la voglio più ascoltare.
Sorrido tristemente, per poi posarmi le mani sulla testa. Rimango a guardarlo per una frazione di secondo che mi sembra infinita, poi prendo svelta la borsa e mi dirigo all’uscita.
Faccio più silenzio di quando sono entrata. Non voglio svegliarli. Non voglio.
“Non so come sia possibile che tu sia potuto diventare un... un bambino...” mormoro disgustata, facendo girare le chiavi nella serratura. Corro velocemente giù dalle scale e fuggo via velocemente.
Sento il cuore a pezzi e il respiro affannoso. Questa è veramente la fine.
Il buio è ritornato.
 
 
Nella segreteria risuona il sesto messaggio, questa volta lasciato da mamma, che mi domanda se nel pomeriggio voglio accompagnarla a fare spese.
E anche a questa telefonata, non risponderò.
Sono rinchiusa in casa da una settimana, dandomi malata sul lavoro.
Da quando sono tornata dall’incursione di quella notte, il mondo sembra essermi crollato addosso. Non ho più la forza di fare niente, non tocco cibo da tre giorni, non sono nemmeno uscita di casa per controllare la posta.
Ran Mouri è come scomparsa, morta.
Il mio cuore è trafitto da spine, e ad ogni respiro sento una sensazione di soffocamento. Stesa a pancia in giù sul divano, osservo la bottiglia di vodka vuota che ho lasciato sul tavolo due giorni fa. La luce che entra debole dalle tapparelle abbassate gioca con il vetro creando una sorta di riverbero che mi da fastidio agli occhi.
Mi alzo lentamente, sentendo la testa girarmi vorticosamente.
Come studentessa di medicina, so che devo mangiare almeno qualcosa, se non voglio stare davvero male.
Tenendomi salda su una sedia, mi alzo e lentamente mi avvicino al frigo, dove trovo una confezione di yogurt bianco e un succo alla pesca.
Li prendo con me e con lo stomaco sottosopra mi dirigo verso la mia camera, dove potrò forse schiacciare anche un pisolino.
Credo di essere rimasta sveglia, a fissare quella bottiglia, per circa trentasei ore. La mia mente non connette più di tanto e, se solo provo a pensare a lui, sento un immenso dolore squarciarmi il petto. Per cui non ci penso, lasciando il mio cervello in stand-by.
Mi siedo un istante alla scrivania, giusto per consumare alla svelta il mio pranzo. Ne approfitto per accendere un istante il computer e controllare la posta.
Il ronzio dell’apparecchio mi risuona fastidioso nelle orecchie, mentre stappo il succo e lo scolo in un paio di sorsi generosi.
La mia gola mi ringrazia del sollievo del liquido, mentre apro la casella di posta e vedo che non c’è nulla di nuovo, escluse le solite pubblicità.
Sto per chiudere tutto, quando l’occhio mi cade su una vecchia mail. Sgrano gli occhi, ricordando tutto all’improvviso.
Ma certo! Si tratta del corso di karate full-immersion che si terrà a New York l’anno prossimo, del quale mi ero fatta spedire per posta elettronica le informazioni per la durata dei corsi, i costi e il programma.
Con tutto quello che mi ha occupato la mente in questo ultimo periodo, me ne ero completamente dimenticata.
Riapro la mail e la rileggo con nuovo interesse.
Sei settimane.
A New York.
Lontana da casa. Lontana da lui.
Una vocina dentro di me mi ricorda che devo ancora laurearmi. Che l’università deve venire prima di tutto e che non posso far mandare a monte i miei progetti da lui. Non un’altra volta.
Ma il karate è tutta la mia vita.
Chiudo la posta con un sospiro e spengo il computer.
Mi lascio cadere sul letto senza mangiare lo yogurt. Il mio stomaco brontola contrariato, ma ora so come fare per ignorarlo.
 
New York...
 
 
 
“Se qualcuno a te caro ti nascondesse una grande verità, tu come reagiresti?”.
La mia domanda mi esce di getto, senza averci pensato tanto su.
Sonoko smette di passare sull’attaccapanni i vestiti e si gira lentamente verso di me, gli occhi sbarrati.
“Sai qualcosa su Makoto?!” mi chiede con la voce incrinata.
Capendo l’errore, faccio freneticamente cenno di no con la testa e gesticolo a vuoto con le mani.
“Ma no, ma no! Cosa hai capito! Non mi riferivo a lui!” mi affretto a dire.
Sonoko rimane dubbiosa ancora per un attimo, poi si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, la mano sul cuore.
“Ran, mi hai fatto morire! Già che in questo periodo lui è abbastanza suscettibile...”. Sonoko torna a cercare nella lunga fila di vestiti quello più adatto da indossare per la festa di compleanno del suo ragazzo che gli ha organizzato a sorpresa – anche se credeva di averlo già trovato –, e per un momento cala il silenzio.
Oggi mi sono imposta di uscire di casa. Non ce la facevo più, dentro quelle fredde quattro mura, ed avevo bisogno di svagarmi. Sono corsa a casa di Sonoko non appena ho sentito il suo messaggio nella mia segreteria. Non mi farò rovinare di nuovo la vita.
Non più.
“Credi che abbia capito qualcosa circa la festa?” chiedo, per sviare il discorso. Forse quella domanda non avrei mai dovuto porgliela.
“No, però è nervoso per non so cosa. Ho cercato di farlo parlare, ma non c’è stato verso. Comunque... perché mi hai fatto quella domanda?”.
Mi mordo la lingua, rendendomi conto che è difficile tenere nascosta a Sonoko una cosa. E poi mi prenderebbe per pazza, se le esponessi la mia tesi su Conan.
E non ho intenzione di rivelargli quello che è successo con lui! Sarebbe imbarazzante.
“Niente, ci riflettevo stamattina...” mento. Afferro un vestito giallo canarino con una profonda scollatura e lo mostro alla mia migliore amica. “Che ne dici di questo? A te piace il giallo, no?”.
Sonoko corruga la fronte e mi strappa di mano l’abito, mettendo poi le braccia sui fianchi e rivolgendomi uno dei suoi sguardi indagatori.
“Ran? Che hai combinato?” mi chiede, il tono superiore.
Io mi faccio piccola piccola e sposto lo sguardo verso una pila di scarpe col tacco vertiginoso. “Ma niente, era solo una domanda” sminuisco cercando di essere il più convincente possibile.
Sonoko non fiata e appoggia l’abito giallo su un carrellino dove ha già sistemato un paio di abiti, che ha selezionato come ‘possibili’ da indossare alla festa.
Torna a cercare in mezzo ad un’alta pila di giacchette eleganti, mentre io mi tolgo le ballerine e mi infilo un paio di scarpe rosse decolté tacco dodici.
Con passo sicuro, mi avvicino allo specchio e faccio una piccola giravolta. Sono davvero stupende, e starebbero benissimo con il vestito nero che ho intenzione di mettere per la festa.
“Ran?” mi chiama Sonoko, dietro ad una montagna di cappotti.
Avrà sicuramente trovato qualcosa di interessante, quindi mi avvicino a lei cercando di stare attenta a non incespicare sulle maglie e pantaloni per terra.
Sonoko sta con le braccia incrociate e lo sguardo serio, senza nessun abito tra le mani.
Il mio sguardo si fa interrogativo, e la spiegazione di Sonoko non tarda ad arrivare.
“Ran... non starai ancora ragionando sul misterioso motivo per cui Shinichi se n’è andato, vero?”.
L’avevo detto che a lei nulla può essere nascosto.
Mi lascio cadere sulla poltrona e mi prendo la testa fra le mani.
“Stavolta è diverso” ammetto dopo qualche istante.
Sento un fruscio e un attimo dopo Sonoko si siede accanto a me, circondandomi con il braccio le spalle.
“Ran, sai che Kudo è sempre stato un idiota e tu hai già sofferto molto per lui. Non tormentarti ancora” mi dice dolcemente.
Irritata, sposto il suo braccio e mi alzo in piedi. Incrocio le braccia e fisso cattiva il pavimento.
“Ho detto che stavolta è diverso. Credo... credo di sapere qualcosa” dico dura.
Sonoko si stizzisce e accavalla la gambe per poi sprofondare nella poltrona. “Sentiamo”.
“No, non sono ancora sicura” dico e mi lascio trasportare dallo sconforto.
No, in realtà ne sono sicura. È solo dura da accettare.
“È assurdo che tu ci pensi ancora, dopo otto anni!” si lascia sfuggire Sonoko. La fulmino con gli occhi, sapendo che lei non potrà mai veramente comprendere quello che c’è sempre stato tra me e Shinichi.
Noi due ci eravamo scelti fin da quando eravamo piccoli, e per me è inaccettabile pensare che ora lui possa avermi dimenticata.
Anche perché... se la mia teoria su Conan è vera, lui non se n’è mai realmente andato.
“È meglio che vada” dico secca e mi tolgo con rabbia le scarpe di Sonoko.
La mia amica si alza e cerca di trattenermi per il braccio, ma con uno scossone la stacco da me e rimaniamo a squadrarci in cagnesco.
“Credi che io sia pazza? Credi che dovrei andare da uno psicologo?” la attacco.
Sonoko si posa le mani sui fianchi e inarca un sopracciglio. “No, ma dovresti trovarti un ragazzo per toglierti Kudo dalla testa!”.
Non ribatto, sentendo le guancie arrossarsi. Ma come si permette?
“Bene!” sbotto e afferro la borsa. “Non disturbarti a mostrarmi la strada, la conosco fin troppo bene!”.
Alla velocità della luce esco dall’enorme cabina armadio di Sonoko e mi dirigo velocemente giù dalle scale. Sono quasi alla porta, quando sento la voce di Sonoko chiamarmi dalla cima della scalinata di marmo.
“Ehi, hai dimenticato queste!” urla e faccio appena in tempo a voltarmi, per vedere che scaraventa le mie ballerine al piano di sotto.
Queste si fermano poco distanti da me e, lanciandole un’occhiataccia, le afferro per poi uscire da questa maledetta casa scalza.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ci posso credere che sono già arrivata al capitolo sei... mi sembra ieri il giorno in cui ho scritto la prima pagina di questa ff!
Anche se non sembra, ci stiamo avvicinando alla fine. Ho tutto chiaro su come concludere la storia, e non manca moltissimo.
Allora allora: questo capitolo è molto introspettivo. Dovevo scriverlo per far capire i pensieri di Ran e per mostrare la sua presa di coscienza.
Mi è piaciuto molto scrivere la parte in cui lei raggiunge la casa di suo padre nel pieno della notte, dopo aver fatto il confronto tra le due fotografie. Adoro macchinare con la testa di quella ragazza ;)
Per il resto, che mi dite? Aspetto i vostri pareri! :)
 
Ah, quando dico che il romanzo che rappresenta di più il legame tra Shinichi e Ran è ‘Cime Tempestose’, mi riferisco in particolare alla frase pronunciata dalla protagonista “Io sono Heathcliff”. Lei si identifica con l’amato, in poche parole, dicendo che sono una cosa sola, una sola anima... e secondo me, anche Shinichi e Ran lo sono <3
 
Passo ai ringraziamenti: grazie a Yume98, 88roxina94, _Flami_, _Rob­_, Ran Mouri e a shinichi e ran amore per aver commentato lo scorso capitolo; e grazie a 88roxina94 e a ranshin22 per aver aggiunto la storia nelle preferite!
Grazie anche a chi ha solo letto!
Un abbraccio e alla prossima,
 
Dony_chan 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


What If..?
7.

 

“Stai ferma, non muoverti” sussurra una voce al mio orecchio. Alzo di scatto la testa e faccio per voltarmi, ma la voce mi ammonisce una seconda volta. “Ferma”.
Sento un brivido percorrermi la schiena, e faccio scattare le mani in posizione di attacco, le gambe leggermente divaricate.
La persona alle mie spalle si lascia sfuggire una risata lieve.
 
Una donna...
 
“Da quanto tempo... Ran” sussurra e avverto uno spostamento d’aria. Riesco a spostarmi di lato in fretta ed evitare un calcio ben direzionato, per poi partire immediatamente all’attacco lanciando un pugno dritto alla sua faccia.
La donna lo intercetta e lo stringe nella sua mano, spostandola e rivelandomi il suo volto sorridente.
Spalanco gli occhi, incredula. Quei capelli tagliati cortissimi, scuri, quegli occhi di un verde smeraldo ipnotizzanti... quel sorriso gentile...
 “Ka-Kazuha?” mormoro sorpresa. Il sorriso sul volto della ragazza – che assomiglia già a quello di una donna – si fa ancora più ampio, mentre lascia andare la mia mano e si prostra in un piccolo inchino.
La imito a mia volta, le guancie arrossate. Sono mesi, forse addirittura un anno, che non ci vediamo. Il suo aspetto non è cambiato affatto, anche se a vederla con quei capelli corti mi ci devo ancora abituare. Quando mi aveva detto al telefono che se li era tagliati, quasi sei anni fa, non ci volevo credere. Ha deciso di fare a meno della sua splendida coda di cavallo per fare un dispetto ad Heiji, il suo migliore amico.
Ora, suo fidanzato.
“Ran” sorride ancora. “Che mi combini? Sei così tesa, l’ho avvertito da come ti sei mossa” mi dice venendomi incontro e, dopo un istante, mi abbraccia forte.
Mi aggrappo alla sua schiena percependo solo ora quando veramente mi sia mancata. Sento le lacrime agli occhi, e per la prima volta dopo settimane, avverto che sono lacrime di felicità.
“Non... non ci posso credere” biascico staccandomi da lei per guardarla meglio. I suoi occhioni si chiudono in un sorriso felice e torna ad abbracciarmi stretta a lei.
“Sapevo che la sorpresa ti sarebbe piaciuta” mi dice all’orecchio. “Peccato che non ho una videocamera... hai una faccia buffissima!”.
Cerco di darmi un contegno, anche se so di essere ancora sconvolta. In positivo.
Mi appoggio al muretto che circonda per tutto il perimetro la palazzina dove abito, cominciando a risentire la vita della città attorno a me, prima attutita dalla sorpresa della sua voce.
“Come hai fatto a sapere che adesso abito qua?” le domando, facendo un cenno verso il cancello di casa. Avevo intenzione di andare a fare una passeggiata, ma sono contenta di rinunciarci per passare del tempo con la mia vecchia amica.
Kazuha si stringe nel giubbino e scrolla le spalle. “Sono passata in agenzia, e ho trovato tuo padre. Me l’ha detto lui” mi spiega. Mi afferra per un braccio e mi indica la strada che da sulla via principale di Haido. “Ti spiace se camminiamo un po’? Il viaggio in aereo è stato faticoso, ma ho voglia di rivedere Tokyo”.
Annuisco allegra e la prendo a braccetto, mentre insieme ci avviamo per le strade della città, come eravamo solite fare una volta.
 
 
Il cameriere ci posa davanti due belle tazze di caffè fumante ed entrambe lo ringraziamo. Kazuha ci mette i soliti tre cucchiaini di zucchero, e poi prende a mescolare, perdendo un istante lo sguardo fuori dalla finestra.
Sorrido, anche se non mi vede.
 
“Sai, Ran? Ho trovato un lavoro... una scuola ricerca un’insegnante di giapponese: il mio sogno”
 
Ricordo ancora quella telefonata. Se non mi sbaglio, me l’aveva fatta ai primi di settembre dell’anno precedente. Avevo accolto la notizia positivamente, lieta che finalmente la mia amica potesse cimentarsi nel lavoro che più amava, e che per tanto aveva studiato.
 
“Mi assumono subito, lo stipendio è anche alto... mi trasferisco già il mese prossimo. Heiji viene con me!”
 
Che c’era di meglio? Andava a vivere con il ragazzo che amava, cosa che sapevo bramasse fare da un sacco di tempo.
Lei abitava ad Osaka, io a Tokyo. Non ci vedevamo tutti i giorni, come potevo fare con Sonoko, ma la nostra amicizia era sempre stata forte. Non erano rare le mie visite ad Osaka nei week-end dove non dovevo studiare, e lei ed Heiji venivano spesso a Tokyo quando il lavoro di lui glielo permetteva. Eravamo abituate a non vederci per un po’, ma sapevamo che appena una delle due aveva bisogno, bastava un treno ed eravamo lì.
 
“Ran... il lavoro...”
 
Fu come una pugnalata.
 
“... è a Chishui
 
Chishui. Cina.
Era l’ennesima persona che mi veniva portata via. Una delle poche con le quali sapevo confidarmi pienamente. Fu un duro colpo.
Ma alla fine, sapevo che non dovevo mostrarmi triste. Dovevo essere felice per il suo futuro, per lei e per Heiji, per la sua professione... e, con il tempo, ho scoperto che ero davvero felice.
“A cosa stai pensando?” mi interrompe Kazuha.
Scuoto la testa, rendendomi conto che alla fine quella con la testa fra le nuvole sono sempre io.
“A nulla di particolare” dico con un sorriso, per poi bere un sorso del mio caffè. La bevanda calda mi scalda subito e, a malincuore, mi rendo conto di averla già finita.
“Cosa ci fai qui in Giappone?” le domando curiosa, posando la testa su una mano.
Lei scrolla le spalle. “Heiji aveva un caso ad Osaka, suo padre l’ha richiamato d’urgenza. Ed io non avevo compiti da correggere. Così... ho fatto un salto qui” mi dice e prende la borsa, cominciando a frugarci dentro.
Ridacchio. “Ed Heiji? Come se la cava con il cinese?”.
La mia amica smette di trafficare un istante e mi guarda eloquente. Mette su un cipiglio scocciato e fa la voce grossa, in una perfetta imitazione del suo fidanzato. “Maledetta tu e la tua cattedra, Kazuha! Sei solo una stupida, proprio a Chishui mi dovevi portare?!”.
Ci guardiamo un secondo, e poi scoppiammo a ridere tutte e due. “Non ce la fa più. Dice che a Chishui ci sono solo pecore e niente casi”.
Sto per risponderle, quando fa scivolare sul tavolino un pacchetto incartato. “È per te” mi dice dolcemente. Alzo gli occhi nei suoi, sentendoli lucidi.
Scarto il piccolo pacchetto, scoprendone all’interno un amuleto piumato, con inciso l’ideogramma del mio nome in cinese: ‘Chinran’.
Lo alzo e lo metto in controluce, fissando ammaliata i riflessi indaco che rilascia attorno. “Porta fortuna alle donne. Per fare in modo che funzioni, devi dormirci una settimana di seguito, e poi devi farlo benedire da un monaco scintoista entro la fine del mese”.
La guardo sbalordita. Certo che, Kazuha, di amuleti ne sa veramente tanto.
Lei mi sorride, posando il mento sulle mani incrociate. “È una tradizione del paese in cui insegno, e non potevo non portartelo. Allora, Ran... che mi racconti?” e beve l’ultimo sorso di caffè.
Raggiro momentaneamente la domanda. “Quanto ti fermi?”.
“Stasera ho l’aereo per Osaka”.
 
 
Avere Kazuha accanto a me, anche se solo per qualche ora mi allevia dallo stress e dal peso che mi ha oppressa nelle ultime settimane.
Sembra così scontato, ma è proprio vero che gli amici ti sanno far star bene, anche nei momenti più no, capendoti al volo e senza doverti chiedere nulla. Loro lo fanno in automatico, senza voler ricevere nulla in cambio sennon la tua felicità.
Ripenso a Sonoko e alla litigata che abbiamo avuto ieri pomeriggio.
Sospiro.
Ho voglia di chiarire con lei, è la mia migliore amica, ma adesso non è il momento. Siamo entrambe ferme sulla nostra idea riguardo la faccenda di Shinichi, e so bene che nessuna delle due per il momento è in grado di star ad ascoltare le opinioni dell’altra.
Mi avvio nel piccolo salotto del mio nuovo appartamento, e ritrovo Kazuha ancora intenta a sfogliare un album di fotografie che avevo inserito nella libreria.
Ha gli occhi accesi dai ricordi, un sorriso nostalgico e il dito indice poggiato su una vecchia foto: l’avevamo scattata ad Osaka, in camera sua. Heiji era stato costretto ad immortalarci, mentre sedevamo sorridenti sul suo letto.
Lei aveva ancora i suoi capelli lunghi, io il sorriso nel cuore.
“Quel giorno eri appena arrivata” ricorda, percependo la mia presenza alle sue spalle.
Sorrido e vado a sedermi di fianco a lei. “Già. E mi hai fatto dormire su un futon scomodissimo!”.
Kazuha volta pagina, ridacchiando. “Ma alla fine ti ho permesso di dividere il letto con me, no? Credevo di essere stata perdonata per quello. E poi, il futon me lo aveva prestato Heiji...”
Scrollo le spalle. “Abbiamo parlato tutta la notte. Ti ricordi? Ci eravamo conosciute da poco, ma eravamo già legate”.
Kazuha stacca gli occhi dall’album e mi abbraccia con lo sguardo. Annuisce e si appoggia come una bambina sulla mia spalla.
“Mi manca tanto, Ran” sussurra debolmente.
La guardo interrogativa anche se lei non mi può vedere in faccia. “Ma lo rivedrai stasera...” inizio, ma lei scrolla meglio che può il capo e sospira. “Intendevo... mi manca la mia vecchia vita. Qui, in Giappone”.
Vorrei abbracciarla e dirle di tornare.
Vorrei farle capire come è stata dura senza di lei in tutti questi mesi, vorrei farle capire che amica preziosa è diventata nel tempo per me.
Vorrei dirle che, se non fosse stato anche per lei, avrei per sempre mollato il karate.
Vorrei dirle che le voglio bene e che se vuole, può tornare anche subito. Ne ha il potere.
Ma rimango zitta, poggiandole solo una mano sul braccio, stringendolo delicatamente.
“Insegnare è la tua vita” le dico invece.
Sospira di nuovo e torna a guardarmi. “Non ne sono più tanto convinta” ammette, e vedo i suoi occhi farsi un pochino più lucidi. “Ogni tanto mi sveglio di notte e ripenso a tutto quello che ho: un fidanzato che amo, un lavoro, una casa, degli amici... ma sento che la mia vecchia vita mi è sfuggita”.
Le afferro le spalle e la guardo intensamente. Devo fare ciò che è giusto.
Devo lasciarla andare.
“Kazuha... tu sai cosa vuoi veramente”.
La mia amica abbassa lo sguardo, si strofina una guancia e poi abbozza un sorrisino. “Amo i ragazzi della mia classe” dice piano. “Lo so, sono una sciocca... dovrei ringraziare di più, e lamentarmi di meno” sussurra dolcemente. “Me lo ripete sempre anche Heiji”.
Il mio sorriso si fa largo tra le labbra. “Non sei sola, lo devi ricordare. E la tua nuova vita... è solo una pagina nuova di quella vecchia. Nulla è cambiato, lo sai”.
Kazuha annuisce, ritrovando una pace interiore. “Avevo bisogno di tornare qui, e di vederti. Ora... credo di essere pronta a ripartire”.
Annuisco, sciogliendo la stretta sulle sue spalle. “La prossima volta che torni, portami un altro amuleto” le dico e lei scoppia a ridere delicatamente.
Adoro la sua risata.
Le gote di Kazuha si fanno leggermente rosse per via dell’imbarazzo di essersi rivelata ‘debole’ e torna freneticamente a sfogliare l’album di fotografie.
Si ferma su una pagina a caso e strabuzza gli occhi. “Luglio di quest’anno? Ma... come è cresciuto!” esclama, indicandomi una foto.
Sento una fitta al cuore, e mille spilli perforarmi la pancia.
È una foto di Shinichi.
Di Conan.
Sta sorridendo svogliatamente alla macchinetta, dove dietro si trovava Sonoko. Sta in cima ad una piccola forra, nel paesino di montagna dove eravamo andati in vacanza in un week-end estivo. Porta un paio di pantaloncini corti, camicia azzurro pallido e un cappello di paglia. In bocca tiene una penna e nella mano la mappa che avrebbe dovuto condurci allo chalet dove dovevamo alloggiare.
Si era affacciato sulla forra per guardare quanto era profonda, e Sonoko ne aveva approfittato: si era avvicinata di soppiatto e lo aveva immortalato, cosa che lui odiava quasi fare.
“Me lo ricordavo più basso!” continua Kazuha, cominciando a studiare la foto da diverse angolazioni. “Cresce in fretta”.
Sposto lo sguardo, acida.
“Strano, io me lo ricordavo più alto”.
 
 
Kazuha sta discutendo animatamente con Heiji al telefono, ricordandogli di non azzardarsi a prendere il volo per Pechino prima che lei sia arrivata ad Osaka.
Fuori dai grandi finestroni dell’aeroporto il cielo è tinto di rosso scuro. Un altro pomeriggio sta volgendo al termine, e mi sento di nuovo svuotata.
Quando la mia amica salirà su quell’aereo, le mie preoccupazioni torneranno a sfociare nella  mia mente, più insistenti di prima.
Incrocio le braccia al petto e poso la fronte sul vetro freddo di una finestra, guardando i miei occhi riflessi senza in realtà riuscire a vederli.
Un enorme boeing atterra sulla pista poco più in là, con una delicatezza quasi impossibile, e scorre lungo tutta la pista di atterraggio fino a fermarsi quasi sotto i miei occhi.
Ricordo che la prima volta che ho preso un aereo, è stato assieme a Shinichi, per andare a New York. Avevo una gran fifa, ma cercavo di non darla a vedere. Non ero riuscita a mangiare un solo boccone per colazione ed ero uscita di casa con lo stomaco sottosopra. Ma quando ero arrivata all’aeroporto, Shinichi mi aveva guidato ad un bar e, con tutta la naturalezza possibile, mi aveva chiesto se mi andava di mangiare qualcosa.
Avevo rifiutato, lo stomaco già pronto a fare una capriola mortale.
Lui si era seduto davanti a me con un cappuccino e due croissant belli caldi. Diceva di avere più fame del solito.
E, senza rendermene conto, uno di quei croissant lo avevo finito per mangiare io. Shinichi si era messo a parlare del suo ultimo allenamento di calcio, distraendomi dalla mia paura, e alla fine senza accorgermene stavo mangiucchiando la sua colazione.
Quando l’avevo terminata, lui mi aveva sorriso e mi aveva chiesto se era buono. Io, arrossendo, mi ero scusata per averne approfittato. Ma lui aveva detto che era pieno, e che quel croissant non ci sarebbe stato nel suo stomaco.
Solo dopo ho capito che era partito fin dall’inizio con l’idea di farmi mettere qualcosa sotto i denti. Sapeva che avrei potuto avere paura dell’aereo, e che di conseguenza non avrei fatto colazione. E così ci aveva pensato lui.
 
Come sempre...
 
Alzo di scatto la testa, la fronte congelata e gli occhi sbarrati.
Shinichi...
Shinichi...
 
Tu non mi hai mai abbandonata, vero?
 
Sento le lacrime premere per uscire, mentre mi do della stupida.
Lui non si è mai staccato da me. Mai. Nemmeno per un momento.
Mi volto per cercare Kazuha e la vedo riattaccare con Heiji. Ha la fronte aggrottata e l’espressione scocciata.
Mi avvicino a lei facendomi spazio tra la calca di gente che sta cominciando a spostarsi verso il gate. Le afferro un braccio mentre la vedo guardarsi attorno per ritrovarmi.
“Kazuha...” la chiamo con la voce carica di tensione. Credo che la mia saliva sia a zero.
La mia amica si volta a guardarmi, sorpresa. “Oh, Ran! Eccoti qua, non ti avevo più vista”, ma la interrompo prima che finisca la frase. “Scusami, ma mi sono ricordata di dover fare una cosa. Urgente, molto urgente. Mi dispiace”.
La mia amica mi da un buffetto sulla spalla, sorridendo. “Ma non preoccuparti, Ran! Il mio aereo parte tra mezzora, forse farei meglio ad imbarcarmi”.
Mi sento triste un attimo, al ricordo di doverla salutare. Chissà quando sarà la prossima volta in cui ci rivedremo. Spero presto, molto presto.
Ci abbracciamo forte e poi Kazuha scioglie l’abbraccio e recupera la sua borsa. “Mi raccomando, Ran, fai la brava” e mi strizza l’occhio.
Sorrido, in trepidazione, mentre cammino all’indietro per dirigermi all’uscita. “Certo! Buon viaggio” le dico salutandola con la mano.
Kazuha sembra un tantino perplessa. “Ran... stai bene?” sento che mi chiede.
Deglutisco. “Sì” rispondo solo.
 
O almeno credo...
 
 
La mia decisione mi suona così sbagliata. Davvero voglio chiedergli tutta la verità? Sono pronta per venirne a conoscenza?
Ho aspettato otto lunghi anni, e solo adesso posso veramente scoprire il perché Shinichi ha deciso di non tornare più. Più che altro, il perché non può più tornare...
Bevo un goccio del mio aperitivo, ripetendomi di essere solo una sciocca. Come posso credere che una cosa del genere sia normale? Non è scientificamente possibile...
Passo una mano nervosa tra i miei capelli, raccolti a treccia sulla mia spalla destra, e osservo il mio riflesso sulla grande vetrata che da sulla strada di Haido.
Ma che ci faccio io qua? È tutto sbagliato, non avrei mai dovuto chiamare Conan appena uscita dall’aeroporto e dirgli di raggiungermi in questo bar! Rimanere all’oscuro di tutto mi proteggeva, in un certo senso, ma adesso... stanno riaffiorando tutti i ricordi spiacevoli che avevo chiuso con forza in un angolo della mia mente, e non sono sicura di saper affrontarli di nuovo.
Afferro  il cappotto e faccio per alzarmi, quando il tintinnio della porta annuncia l’entrata di un nuovo cliente.
Con una stretta allo stomaco mi risiedo e unisco le mani a mo di preghiera, appoggiandoci la fronte.
 
È arrivato...
 
Sento i suoi passi avvicinarsi e spostare la sedia.
Alzo lo sguardo su di lui e incrocio i miei occhi nei suoi, dopo tanti, troppi giorni. Il cuore mi batte forte e sento le lacrime pizzicare per uscire.
“Ciao, Ran” mi dice dolcemente, con un sorriso.
Contraccambio tesa, e gli allungo l’aperitivo che avevo ordinato per lui – analcolico, naturalmente.
Ne beve un sorso e io rimango come un ebete a guardarlo, sentendomi ridicola solamente quando lui sorride divertito.
“Hai detto che dovevi chiedermi una cosa... di che si tratta?” intavola.
Si mette seduto comodo e si sporge appena sul tavolo, dimezzando la distanza. Mi guarda con i suoi occhi innocenti, che mi creano all’istante mille dubbi.
Voglio davvero sapere?
“Ecco, io...” mi mordo il labbro, prendendo tempo.
La mia testa comincia a pulsare e mi afferro una tempia cercando di trattenere la calma. Se lui non mi ha mai parlato di una cosa del genere, sicuramente un motivo ci sarà.
Anche se ha sbagliato, perché con me doveva essere sincero, devo per forza indurlo a raccontarmi tutto?
E se un giorno, quando risolverà la situazione, verrà a parlarmene lui stesso?
Ridicolo, mi sto ancora aggrappando all’idea che Shinichi possa tornare da me in futuro. Forse Sonoko ha ragione.
Devo dimenticarlo.
Devo trovare qualcun altro che me lo faccia scordare.
Sorrido, arrendendomi. Alzo lo sguardo e incrocio il suo, che sta aspettando una mia spiegazione.
“Io...” ripeto. Poi sospiro. “Volevo semplicemente vederti”.
 
 
Ho un brivido di freddo, mentre passeggiamo per le vie illuminate della mia nuova città. Haido è così bella e storica, ma Beika ha quel non so che di... familiare.
Soprappensiero, stringo il braccio di quello che ritenevo stupidamente il mio fratellino, mentre guardo svogliatamente le vetrine. Solo quando sento il suo braccio aderire di più con la sua vita, intrappolando il mio, mi rendo conto che forse è stato un errore stare a braccetto.
Rimaniamo in silenzio, per tutto il percorso, finché non arriviamo davanti al mio appartamento.
Qui sciolgo la stretta e tiro fuori le chiavi.
“Sono proprio una pessima adulta. Mi hai accompagnato fin qua, quando avrei dovuto farlo io” dico, facendo strada fino alla porta del mio appartamento. Non ce l’ho fatta, non ho potuto fare a meno di lanciargli questa frecciatina.
“Non fa niente. Faccio due passi a piedi volentieri” dice, venendomi a sbattere addosso.
Mi sono fermata in mezzo al corridoio quando gli ho sentito pronunciare quella frase. È più forte di me, mi sento ancora troppo protettiva nei suoi confronti, nonostante quello a cui sono venuta a conoscenza.
“Ma sei matto? Avrai quasi un’ora di strada a piedi!” esclamo.
Lui mi fa segno di abbassare la voce, visto l’ora tarda. “Ran, intendevo a piedi fino alla stazione. Poi prendo un treno” mi dice con il dito indice ancora davanti alla bocca.
Scrollo la testa, capendo quanto sono stata sciocca.
“Va bene, allora sarà meglio che ti incammini. Non voglio essere la responsabile delle urla di mio padre!” rido, aprendo la porta di casa mia.
Mi fa un cenno con la mano e fa per scendere di nuovo le scale.
Lo guardo andar via con ancora un peso allo stomaco. Devo chiarire solo una cosa.
“Conan!” lo chiamo. Questo nome assurdo mi fa storcere un poco la bocca, ma cerco di non dare troppo nell’occhio.
Lui si volta appena e attende che prosegua.
Mi appoggio alla porta di casa mia e sento le guancie scaldarsi. “Mi piace uscire con te. Possiamo continuare a comportarci normalmente? Non vorrei che ci perdessimo”.
 
Non ti voglio perdere, non ti voglio perdere Shinichi!
 
Lui non risponde subito. Si fissa i piedi per alcuni istanti interminabili, fino a che non rialza il capo e si avvicina per non dover urlare.
“Tu sai come la penso. Te l’avevo detto quella sera a cena da Kogoro” mi spiega semplicemente.
Le sue parole tornano a frullarmi nella testa.
 
“Non sono più capace di tornare indietro e far finta che non sia successo mai nulla”
 
“Sì, ma io...” provo, ma lui scuote la testa.
Mi avvicino e gli afferro le mani, guardandolo supplichevole e con gli occhi velati dalle lacrime. Non posso fare a meno di lui.
“Ran...?” mormora appena.
Sento il cuore accelerare i battiti e il respiro diventare irregolare.
“Io non posso” sussurro, attirandolo dolcemente su di me. Le sue mani si sciolgono immediatamente dalle mie e mi circondano la vita, i nostri nasi si sfiorano appena e sento il suo caldo respiro sulla pelle.
I nostri occhi sono come intrappolati gli uni nello sguardo dell’altro. I miei persi in quell’oceano blu.
Le nostre bocche si avvicinano per la terza volta e si scambiano un leggero, casto bacio.
“Cosa non puoi?” mi chiede facendo scorrere la punta del suo naso sulla mia guancia.
Circondo la sua schiena muscolosa e aderisco al suo corpo, tenendomi stretta. “Rinunciare a te. Mai più”.
Le nostre fronti si toccano, ma solo per un istante. Le sue labbra cercando le mie e stavolta ci scambiamo un bacio più passionale.
Sento in lui un crescente desiderio, represso per troppo tempo. E forse lui sente il mio, inchiodato per anni nell’attesa del suo ritorno.
Mi sospinge piano verso il muro e, senza staccarsi un attimo, mi intrappola tra le sue braccia, poggiando le mani ai lati delle mie spalle.
Un’idea assurda mi attraversa la mente, ormai non molto lucida.
Non lo voglio respingere, no. Non più.
Mi aggrappo al suo giubbotto e separo appena le nostre labbra, tenendole comunque poggiate.
“Ti va di venire dentro?” gli mormoro.
La sua testa si sposta e i suoi occhi mi studiano per un attimo. La mia espressione rimane sicura, mentre il vero significato delle mie parole si fa largo nella sua mente.
Annuisce lentamente e solo dopo gli regalo un altro bacio.
Poi lo prendo per mano e lo trascino dietro di me, dentro casa mia. Chiudo la porta a chiave e poi mi rivolgo verso di lui, con il cuore a mille.
Lo spintono all’indietro, mentre ci scambiamo un altro bacio focoso. Anche se abbiamo gli occhi chiusi, le nostre mani sanno bene cosa devono fare: le sue stanno sbottonando il mio cappotto, mentre le mie aprono la zip del suo giubbotto.
Lasciamo cadere a terra i soprabiti e ci dirigiamo a tentoni in camera mia, senza accendere nessuna luce.
Le tapparelle della mia stanza sono ancora levate e ci permettono di vedere grazie al chiaro della luna e dei lampioni della strada.
Ci sdraiamo di peso sul mio letto, mentre sento i nostri respiri farsi più affannosi e veloci.
Il mio cervello è del tutto scollegato, la passione l’unica mia guida.
Mi affretto a levargli la felpa, mentre lui fa altrettanto con il mio cardigan. La sua pelle calda è un toccasana per le mie mani fredde e lo attiro su di me, finendo lunghi sdraiati, ancora intenti a baciarci.
Le sue labbra si spostano dalla mia bocca e percorrono tutta la strada fino ad arrivare sul mio ventre.
“Ran?” mormora, tornando a guardarmi occhi negli occhi.
“Sì?”
Mi sorride dolcemente. “Ti amo”.

 
 
********************************************************************************
 
 
 
 
 
 
 
 
 
... e dopo una settimana da panico, tra interrogazioni programmate e non, compiti anticipati, e i miei amici Forster e Joyce che mi hanno fatto compagnia nell’ora di inglese di oggi... venerdì 13... e chi vuole fare le corna, le faccia pure XD :
eccomi di nuovo qua!
Come avrete capito, non ho un attimo di fiato libero... e mi dispiace molto... ma credo che, dopo un capitoletto del genere, mi possiate perdonare, no? Siete così buoni!! ^^
Allora.. ah, sono troppo emozionata dalla svolta che ha preso questa storia!
Non potevo non mettere Kazuha... spero di averla resa bene... una piccola apparizione della vecchia amica di Ran :) se non ci fosse stata lei, Ran non avrebbe avuto l’epifania (guarda te, Joyce mi perseguita anche in DC O.O) all’aereoporto... non sarebbe corsa da Shin... e non sarebbe successo nulla..!
Il chiarimento tra i due ci sarà molto presto... nel prossimo capitolo... che, ahimè, penso proprio sia l’ultimo! T.T
Ah, sì, una cosa: Kazuha con i capelli corti... mi sono detta: Kazuha adesso ha ventisei anni, deve essere cambiato qualcosa in lei... e ho pensato subito ai capelli. Secondo me sta bene anche con il taglio corto, voi che dite? E poi... l’ho fatta fidanzare con il bel tenebroso Heiji... alleluia!!
Sto scrivendo un monologo... mi fermo, tranquilli :)
Aspetto le vostre opinioni in merito al settimo capitolo! ^^
Intanto ringrazio: _Neutron star collision_, 88roxina94, _Flami_, Yume98, withoutrules, Ran Mouri, Shine_, shinichi e ran amore e _Rob_ per aver commentato il capitolo sei; WinryRockbell per aver aggiunto la storia tra le ricordate e SimoTak per averla messa tra le seguite!
Grazie anche a chi legge soltanto!
Ci si vede moooolto più presto, I promise!!
Un abbraccio,

 
Dony_chan
  

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


What If..?
8.

 

Un leggero venticello piacevole danza assieme ai miei capelli, mentre fa arrossare la punta del mio naso e accarezza dolcemente le mie gote, non pienamente riparate dalla sciarpa di lana che mi ha regalato Sonoko il Natale scorso.
Nascondendo un grande sorriso, salgo in fretta le scale che portano al mio vecchio appartamento e faccio una mezza piroetta su me stessa, per poi rimanere in attesa del suo arrivo.
Mi sento proprio come una ragazzina.
Mi sento dieci anni di meno.
Incrocio le braccia al petto, mentre lo guardo risalire stancamente le scale, con la sua solita flemma da pigrone. Soffoca uno sbadiglio, gli occhi che diventano subito lucidi.
E poi si ferma un paio di gradini prima, alzando finalmente lo sguardo su di me, e i ricordi della notte appena trascorsa non tardano a rinfrescare la mia mente.
Non sento il cuore pesante, non mi sento sporca, non mi sento colpevole.
Se potessi toccare il cielo, un dito solo non mi basterebbe. Ci farei sprofondare l’intera mano, e il braccio, e lo stringerei forte al mio petto, ringraziandolo per avermi aspettata. Alla fine, ci sono arrivata.
Al cielo... e a lui.
La mano che teneva nella tasca dei pantaloni scivola fuori con rapidità e, dopo aver controllato verso la porta per avere il via libera, intreccia le sue dita con le mie.
“Mi sono dimenticato” sussurra con voce roca e con le guancie lievemente arrossate.
Arrossate per il freddo o per la trepidazione? Vorrei terribilmente saperlo. Vorrei sapere tutto ciò che sta pensando.
Vorrei sapere se, tra le mille cose che affollano la sua mente, c’è posto anche per me. E per la nostra notte.
“Cosa?” domando con una risatina: la sua faccia ora è davvero arrossita, ma lui cerca di non dare peso alla faccenda.
“Buongiorno” mi dice, posando poi le sue delicate labbra sulle mie.
Trattengo il respiro, anche se è stato solo un breve e fugace contatto. Sento il mio stomaco sussultare e il mio cuore allargarsi.
Questa notte non ho risposto al suo ‘ti amo’. Semplicemente per un motivo: quando glielo dirò, voglio che sappia che lo sto dicendo a Shinichi.
“È... è meglio che vada. Kogoro forse sta ancora dormendo, forse non si è accorto della mia assenza” mi dice lasciando la presa sulla mia mano e dirigendosi verso la porta di casa.
Fa girare le chiavi, mentre sento dentro di me che è giunto il momento.
Stringo forte i pugni lungo i miei fianchi e punto lo sguardo sulla sua nuca, alla quale spero si sostituiscano presto i suoi occhi.
“Io... io lo so” dico lentamente.
Lui non mi ha nemmeno sentita.
“Lo so. So tutto” ripeto, posandogli una mano sulla spalla.
Passano alcuni secondi di inatteso e freddo silenzio. Ripeto ancora una volta quella frase che mai avrei pensato di rivelargli, e sento subito la sua rigidità diffondersi per tutto il corpo, lo stesso corpo che stanotte ho amato con tutta me stessa.
La porta è schiusa, ma non entra.
La mano sulla maniglia diventa un tutt’uno con il metallo.
Trema leggermente sotto la mia mano, ed io lo stringo in un abbraccio, incrociando le mani al suo petto. Poggio la testa sulla sua schiena forte e non trattengo un sorriso.
“Vorrei... solo... sapere una cosa” dico a bassa voce, ma so che mi può sentire.
Non mi importa sapere come, dove e quando esattamente è successo quello che è successo. Non mi interessa. Non mi è rilevante. Perché dovrebbe esserlo? Io voglio solo sapere il perché mi ha tenuta all’oscuro. Il perché non ha saputo confidarsi con me: la sua migliore amica.
 
E forse, anche qualcosa di più...
 
Lui annuisce.
Ha capito. Ha capito di cosa sto parlando.
Non ci saranno giri di parole. Non ci saranno lunghi e controversi discorsi. Non ci saranno più bugie. Mai più.
La verità.
Solo la verità.
“Perché?”* domando con voce rotta, anche se dai miei occhi non esce nessuna lacrima. Basta lacrime, ora ci deve essere solo felicità.
“Ran...” sussurra, per poi staccarsi velocemente da me. Per riprendermi tra le sue braccia. Mi stringe così forte, che solo adesso mi rendo realmente conto di tutto quello che ha provato. Che sta ancora provando. E che forse, proverà per sempre.
Sento la sua rabbia, la sua frustrazione, il suo dolore lancinante e logorante. Sento la sua anima dilaniata e fatta a pezzi. Sento la sua vera adolescenza rubata, la giovinezza razziata. Sento la sua sconfitta.
Ma sento anche la sua pace, la sua risolutezza, e la sua infinita voglia di vivere.
Sento il suo amore.
Ricambio la sua stretta, mentre lui scivola sempre più in basso. Cadiamo in ginocchio, il suo capo poggiato sul mio petto.
Ora sono io la sua ancora. Sono io la sua roccia stabile sulla quale saprà di potersi poggiare.
Prendo il suo viso tra le mani e lo bacio dolcemente sulla bocca. Avverto le sue labbra piegarsi in un piccolo sorriso.
“Perché ti amo” mi risponde alla fine.
Ed è ciò che mi basta.
 
 
Tamburello le dita sul volante, ferma in colonna.
Accidenti, questa non ci voleva. Sonoko potrebbe già essere uscita di casa e io sono bloccata qui.
Stamattina, appena sveglia – bè, in realtà non proprio appena sveglia –  ho deciso che la nostra arrabbiatura è durata già troppo tempo, e così mi sono decisa ad andare a fare pace a casa sua, senza dirle niente.
Abbasso il finestrino e mi sporgo per cercare di vedere qualcosa, ma l’unica vista davanti a me è una lunga fila di auto ferme.
Sto per riabbassare il finestrino, quando vedo nella mia stessa posizione e ferma in colonna, ma dalla parte opposta, Sonoko.
Non ci posso credere!
La mia amica sta cercando freneticamente qualcosa dentro la borsa, con aria scocciata, i capelli leggermente arruffati e senza la minima traccia di trucco.
“Ehi!” la chiamo, sperando che non abbia la radio accesa. “Sonoko!”.
La mia amica non mi sente e allora decido di accartocciare un foglietto bianco di carta che ho nella borsa e lanciarglielo sul parabrezza.
Riesco a fare centro e la mia amica, adirata, si volta alla ricerca dell’idiota dello scherzo.
Peccato che sia io l’idiota...
E se la faccio arrabbiare ancora di più?
Ormai il danno è fatto. La saluto con la mano, sorridendo nervosa.
La sua espressione passa da furiosa a cucciolo bastonato. Abbassa il finestrino e cerca di sporgersi nonostante la cintura di sicurezza le impedisca ogni movimento.
“Ran!” esclama singhiozzante. “Accosta!”.
La guardo interrogativa. Possibile che non si sia accorta che sono bloccata in colonna anch’io?
“Ma Sonoko...” provo a spiegarle, ma lei mi piange sopra. “Oh, Ran, stavo proprio venendo da te! Sono stufa di essere arrabbiata! Makoto ha perfino detto che sono insopportabile quando litigo con te!”.
I suoi occhi lacrimanti mi smuovono tenerezza e le sorrido. “Stavo pensando la stessa identica cosa” dico, mentre lei tira su con il naso.
Per assurdo, la grande donna di mondo Sonoko Suzuki sa tornare una bambina di cinque anni quando le vengono a mancare gli affetti più cari. Quando Makoto era partito per Los Angeles, quest’estate, è rimasta a dormire da me per due notti, perché si sentiva sola.
Sonoko si slaccia velocemente la cintura ed esce agile dalla macchina, raggiungendomi con la borsa tracolla che le trotterella su un fianco.
“Sonoko, ma che fai?!” esclamo, quando si accinge a scavalcare lo spartitraffico.  Con qualche difficoltà riesce a raggiungere il mio lato della strada e si fionda dentro dal finestrino, abbracciandomi alla bell’e meglio.
“Oh, Ran, promettimi che non litigheremo più per quel rompi palle di Kudo!” singhiozza sulla mia spalla.
Le do qualche colpetto consolatorio, sentendomi gli sguardi di tutti addosso. “Emh, va bene, Sonoko, va bene. Ora calmati, però, eh?”.
Sonoko si allunga e riesce a prendere un fazzoletto dal pacchetto che è sul cruscotto e si soffia rumorosamente il naso, mentre partono una serie di clacson furiosi in direzione del suo fuoristrada fermo.
Il traffico dall’altra parte della strada si è sbloccato, ma la macchina di Sonoko impedisce di proseguire. La mia amica si volta furiosa verso l’uomo in carne che sta dietro al suo fuoristrada e lo guarda minacciosa.
“Ehi, dolcezza, non possiamo aspettare i tuoi comodi!” le sta urlando dietro in modo brusco.
Gli occhi di Sonoko si riducono a fessura. “Vedi di fare meno il prepotente con me, nonnetto! La mia amica, qui, è una campionessa di Karate, quindi gira al largo!” lo minaccia, indicandomi.
Sorrido di circostanza all’uomo, che sembra intimidito più dal tono di Sonoko che dalla minaccia del picchiarlo.
“Pensavo fossi decisa a non venire nemmeno alla festa!” continua Sonoko, tornando a dare le spalle all’uomo, facendomi sobbalzare.
 
La festa? No, non mi dire che...
 
“È stasera? Ègià stasera?” chiedo, ignorando a mia volta le suonate di clacson contro la mia amica. Come ho fatto a dimenticarmi della festa di Makoto? Oltre che essere il fidanzato di Sonoko, è anche un mio amico!
Mi maledico mentalmente. Ah, in queste ultime due settimane ho avuto per la testa talmente tante preoccupazioni che me ne sono completamente scordata!
Alzo gli occhi su Sonoko, che mi guarda come se avesse visto un fantasma. “Te... te ne sei dimenticata?” mi sussurra.
Scrollo freneticamente la testa, sbiancando. “No, no! Certo che no, sciocca! Solo... credevo fosse ancora venerdì... e invece...” borbotto, ma Sonoko non mi sta nemmeno ascoltando. Si è voltata furibonda contro le macchine che le stanno ancora insistentemente suonando contro, e sta urlando imprecazioni e maledizioni a tutti i malcapitati  automobilisti.
Torna a guardarmi, sbuffando ed asciugandosi l’ultima lacrima ribelle. “Che maleducata e impaziente la gente al giorno d’oggi! Va bene, Ran, allora ci vediamo stasera” mi dice facendomi l’occhiolino.
La vedo sorridere di cuore, e capisco che tra noi è già tutto passato, basta uno sguardo o un abbraccio, e sappiamo mettere da parte le controversie. Mi è mancata davvero.
Inclina la testa di lato e i suoi occhi si fanno curiosi. Caccia la testa di nuovo dentro il mio finestrino e poi si illumina. “Devi andare alle poste?” mi domanda indicando la busta bianca che giace mezza nascosta sul sedile del passeggero.
Nervosamente la spingo sotto la borsa, sudando freddo. “Emh... sì” dico alla fine tornando a guardarla, e mi accorgo che mi sta tendendo una busta sigillata un po’ più piccola della mia che ha estratto dalla borsa.
“È per una coppia amica mia e di Makoto. Li ringrazio del regalo che gli hanno fatto perché stasera non ci saranno. Puoi spedirla per favore?” mi chiede come se nulla fosse.
 
Non si è accorta...
 
“Certo!” esclamo ancora inquieta e afferro la busta per metterla al sicuro dentro alla mia borsa.
“Passa un po’ prima d’accordo?” mi grida felice e un po’ timidamente la mia amica, allontanandosi.
Saluto Sonoko con la mano e la guardo tornare sul suo fuoristrada, scavalcando malamente lo spartitraffico e partendo poi alla velocità della luce in direzione del centro di Tokyo.
Solo quando dallo specchietto retrovisore vedo la sua macchina sparire alla vista mi lascio andare ad un sospiro di sollievo, mentre lancio un’occhiatina in tralice alla mia borsa.
Appoggio stancamente la testa sul finestrino, chiudendo gli occhi.
 
È la decisione giusta?

non faccio altro che ripetermi. Potrei mandare all’aria tutto, con questa mia scelta. Potrei davvero incasinare la mia vita un’altra volta.
Avverto una lieve vibrazione alla gamba sinistra e riapro gli occhi. Estraggo il cellulare dalla tasca dei jeans e noto una piccola bustina lampeggiante sullo schermo, che mi indica che mi è appena arrivata una mail.
La apro con noncuranza, per poi sentire subito il cuore prendere il trotto appena leggo l’indirizzo: HolmesOfTheNewMillenium@...
Ridacchio al ricordo di come Sonoko, all’insaputa di Conan, o meglio Shinichi, gli avesse cancellato il suo vecchio indirizzo per crearne uno nuovo, il giorno stesso in cui aveva risolto brillantemente un caso assieme al gruppo deiGiovani Detective, quasi quattro anni fa.
 
Questa sera c’è la festa a sorpresa di Makoto!
A proposito: mi manchi.

 
Sorrido, sentendomi pervadere da una nuova e piacevole sensazione di calore. Mentre mi affretto a rispondergli, le gote piacevolmente riscaldate, mi ritornano in mente le immagini del nostro risveglio: la mia sveglia che suona, io che mi volto su un fianco e rimango silenziosa a guardarlo dormire ancora. Poi lui che apre stancamente un occhio per spegnere quello che credeva fosse il suo cellulare. Ed i suoi occhi blu, che si spalancano presi di sorpresa appena si accorge di me.
Credeva fosse un sogno, così mi ha detto. Anche io l’avevo pensato, ma appena ho respirato il suo profumo sulla mia pelle ho ricordato tutto.
Mentre la piccola clessidra sullo schermo del telefono continua a vorticare su se stessa per avvertirmi che la mail di risposta non è ancora stata inviata, torno a guardare la borsa appoggiata sul sedile accanto al mio. La stringo inconsciamente, mentre mi accorgo che la mail è stata inviata.
Il traffico si sta diradando, le macchine rincominciano a muoversi.
Caccio il telefono in tasca e cambio la marcia.
Sì, ho fatto la scelta giusta.
 
 
Do un paio di colpi di clacson, guardando l’ora: Makoto dovrebbe rientrare a casa di Sonoko tra quaranta minuti, secondo il programma, e io sono in orario.
Mio padre si affaccia dall’agenzia e mi saluta con la mano.
Alle otto di sera, ancora al lavoro? Però, in questo periodo è molto laborioso...
“Scende tra un secondo!” grida papà e gli faccio segno di aver capito.
È bizzarra la situazione, di solito è l’uomo che viene a prendere la propria donna per portarla via; invece tra noi è tutto il contrario. Ma la cosa non mi imbarazza affatto.
Sento i passi rapidi di Shinichi scendere le scale e poi il suo bel sorriso fare capolino sul mio finestrino.
Sbircio di sopra e vedo che papà sta ancora guardando dalla finestra.
“Sali in macchina senza fare il furbetto” gli ordino con un sorriso. Lui, con ancora il fiatone, fa il giro della macchina e si accomoda sul posto del passeggero.
Saluto con un colpo di clacson mio padre e poi parto veloce verso la casa di Sonoko.
Appena svoltiamo l’angolo, la mano di Shinichi mi circonda il mento e mi attira verso di lui, per stamparmi un bacio sulla guancia.
Ridacchio, soddisfatta, mentre con la mano sinistra mi avvicino alla sua e la tengo stretta nella mia.
 
 
“Ok, adesso state tutti fermi e zitti! Vado ad aprirgli” ordina Sonoko, sparendo nell’ingresso.
La grande sala aperitivi che Sonoko ha voluto a tutti i costi nella sua nuova casa, che condivide con Makoto da un paio di anni, è immersa nel buio, mentre una trentina di invitati rimangono quatti quatti ad aspettare l’entrata del festeggiato.
“Sicure che Makoto sia il tipo da feste a sorpresa?” mi sussurra Shinichi, accanto a me.
Sono dubbiosa anch’io, ma Sonoko era troppo presa dal progetto. “Vedremo tra poco”.
I tacchi della mia amica risuonano nel grande atrio e un secondo dopo si sente la porta d’ingresso aprirsi, con successivo borsone mollato a terra stancamente.
“Ciao, amore” lo saluta un po’ tesa Sonoko.
Silenzio per qualche istante, segno intuibile che si sono scambiati un bacio.
“Ehi, come mai sei così elegante?” domanda la voce di Sonoko, spiazzandoci tutti. Guardo Shinichi con gli occhi fuori dalle orbite, mentre lui si limita ad alzare le sopracciglia. Dietro di me sento una giovane coppia amica di Makoto iniziare a borbottare inquieti, mentre qualcun altro impone di nuovo il silenzio.
Ma Makoto non può aver intuito qualcosa, Sonoko ci è stata così attenta! Lui dovrebbe essere in tuta, di ritorno dall’ennesimo allenamento.
“Potrei chiederti la stessa cosa” fa Makoto, agitato.
C’è qualcosa che mi sfugge...
Fortunatamente, Sonoko si riprende in fretta e fa una risatina perfetta. “Ma come? Oggi è il compleanno del mio fidanzato, e non posso neanche mettermi in tiro? Ti ho preparato una cena speciale” mente affabile e sentiamo, tutti quanti, i loro passi farsi più vicini.
Un amico di Makoto, Ryuu, si muove silenziosamente verso l’interruttore delle luci e attende di sentirli vicini.
La porta si spalanca di colpo e Sonoko si affretta ad entrare nella mischia, prima che Ryuu accenda le luci e ci mostri un Makoto preso in contropiede. La sua faccia stupefatta è uno spettacolo a dir poco fantastico: gli occhiali gli sono scivolati lungo il naso, la sua bocca è aperta dallo sconcerto e i suoi occhi, spalancati oltre l’inverosimile, stanno percorrendo tutta la sala.
“Sorpresa!” gridiamo tutti, facendo poi partire un applauso.
Makoto, scrollando il capo, entra nella sala con un sorriso felice e passi incerti, mentre comincia ad abbracciare i suoi migliori amici, che gli fanno gli auguri.
“Forse ho capito perché è vestito elegante” mi sussurra Shinichi, per non farsi sentire da Sonoko.
“Come mai?” domando tenendo lo sguardo sorridente posato sul mio amico.
Shinichi scuote il capo e mi fa segno di aspettare, anche se la mia curiosità è aumentata.
“Cavoli, me l’avete proprio fatta!” sta dicendo Makoto ad un ragazzo biondo, dall’aspetto straniero.
“Oh, yes!” esclama questo. “È tuto merito della tua girlfriend!”.
Makoto sorride malizioso verso la sua fidanzata e la attira a sé, stampandole un bacio passionale. Mi stupisco di questo gesto plateale da parte del mio amico, e sono una delle ragazze che inizia a ridacchiare insulsamente. È più forte di me.
Sonoko è arrossita, timida sotto questo punto di vista, ma risponde al bacio mentre dalla folla si levano voci di approvazione.
 “Vuoi che proviamo anche noi? Magari parte un applauso...” mi stuzzica Shinichi, facendomi diventare rossa.
“Fai poco lo spiritoso” ribatto. “Se lo facciamo, l’unica cosa che partirà sarà la sirena della polizia..!”
Shinichi mi fa un sorriso storto, ma ci prova comunque: mi afferra per la vita e mi attira su di sé, cercando invano le mie labbra.
Gli poso una mano davanti alla bocca, ma la frase che pronuncia dopo, anche se attutita, la sento benissimo: “Sei davvero bellissima”.
Non posso fare a meno di notare il suo sguardo malizioso che percorre interamente il mio corpo, fasciato da un tubino rosso acceso. Per non sembrare troppo più alta rispetto a lui mi sono limitata ad un tacco basso, lasciando il tacco dodici che avevo intenzione di indossare a Sonoko, che volteggia per la sala con disinvoltura, mano nella mano con Makoto, e con al seguito il lungo strascico del suo abito da sera blu notte. Alla fine, ha ceduto alla sua pazza ricerca nella sua enorme cabina armadio, ed è andata a comperarlo nuovo di zecca.
Shinichi mi stuzzica i fianchi, ma decido di non dargli corda, conoscendolo ormai fin troppo bene, e mi volto di nuovo verso il centro della sala, senza però non concedergli un sorriso.
Vengono stappate due bottiglie di spumante e subito si riempiono i bicchieri per farli passare, tenendoli lontani da Shinichi, che risulta scocciato.
“Puoi bere dal mio, se vuoi” faccio ironica, per poi ricevere un sorrisetto scocciato.
Makoto prende un bicchiere da un suo amico e lo passa a Sonoko, che non smette un secondo di guardarsi attorno e sorridere. Intercetta il mio sguardo e, nascondendosi dietro alla schiena del suo fidanzato, mi mostra i pollici in su lanciando un grido silenzioso.
Makoto si volta e la prende per mano, sorridendo. “Questa sera doveva essere speciale per un’altra cosa” sento che le mormora, per poi chiedere il silenzio della sala.
“Ringrazio tutti per essere qui a festeggiarmi. Sapete che non sono il tipo da feste, ma questa sera è una serata speciale” inizia Makoto con la voce leggermente roca, per poi voltarsi a guardare la sua fidanzata. “Credo che debba essere festeggiata anche un’altra persona”.
Un lieve brusio si leva dalla folla di amici e io mi faccio attenta.
Dove vorrà andare a parare?
“C’è anche il pubblico” sento che sussurra alla mia amica, che è parecchio spaesata. “Makoto, ma che cosa...?” gli sta chiedendo, quando la voce le muore in gola.
Makoto si è appena inginocchiato davanti a lei, tenendole ancora la mano. Le mie, invece, si intrecciano all’altezza del cuore, mentre sento le gote arrossarsi e la saliva azzerarsi.
“Mi ero anche preparato un discorso, ma come sai bene... non sono molto bravo a parlare” fa Makoto, le guancie leggermente rosse e la voce emozionata.
Dalla tasca dei pantaloni estrae un cofanetto di camoscio nero e lo porge a Sonoko, ancora chiuso.
La mia amica ha le lacrime agli occhi e non osa fiatare, mentre fa passare freneticamente lo sguardo da Makoto al cofanetto.
Il ragazzo rivela il contenuto splendente, un bellissimo anello impreziosito da diamanti, e nella sala si leva un solo unico sospiro di sorpresa.
“Sonoko Suzuki... vuoi sposarmi?” domanda, la voce tremula e ferma allo stesso tempo, gli occhi fissi in quelli della donna che ama, e il cofanetto levato.
Il mio cuore aumenta i battiti e sento gli occhi pizzicarmi dalla gioia, felice per la mia amica, mentre Shinichi sorride e borbotta qualcosa come “Me lo aspettavo”. Nella sala cala il completo silenzio, tutti intenti a non perdersi la risposta della forse quasi futura sposa.
Sonoko annuisce, per poi confermare, con voce molto tremante. “Sì, lo voglio”.
Dagli invitati si leva un fragoroso applauso e fischi di approvazione, mentre viene aperta un’altra bottiglia con un sonoro colpo.
Makoto si rialza e infila il nuovo anello nell’anulare sinistro di Sonoko, togliendo quello che gli aveva regalato due anni fa.
I due si abbracciano felici e poi si scambiano un altro bacio, con Sonoko in lacrime. Subito gli amici di Makoto si affollano attorno a lui per fargli i complimenti, mentre la mia amica riesce a sgattaiolare fuori e si butta tra le mie braccia.
Le massaggio premurosa la schiena, mentre sento le sue lacrime bagnarmi la spalla.
“Oddio, Ran! Oddio!” continua a ripetermi nell’orecchio. “Mi sposo!”.
Rido felice, spostandola e guardandola negli occhi, mani nelle mani. “Sì, Sonoko, e sono contentissima per te!”.
La mia amica si asciuga le lacrime rincuorandosi di essersi truccata con prodotti waterproof e mi mostra l’anello.
È davvero bellissimo, in stile Sonoko, anche se so che per lei poteva andare bene anche se fosse stato fatto di ferro.
“Non me lo sarei mai aspettato” rivela, la mano sul cuore. “Insomma, questa serata doveva essere una sorpresa solamente per lui... ed invece...”.
“Congratulazioni, zietta” fa Shinichi, passandole un bicchiere di spumante.
Sonoko lo guarda in cagnesco per un attimo, per poi accettare il bicchiere. Ne beve un sorso e poi squadra dall’alto in basso il mio accompagnatore.
“Bene, bene. Bè, vuoi chiederlo anche tu, a Ran?” domanda la mia amica sarcastica. Shinichi la guarda sorpreso, mentre io divento una statua di marmo, e Sonoko ne approfitta per concludere ad ‘effetto’. “Mmm, sarebbe meglio aspettare i ventuno’anni, no?”, e poi se ne va con un sorrisetto sarcastico nella mia direzione.
 “Accidenti, con le sue battute un giorno o l’altro scoprirà tutto” lo sento borbottare per poi bere un sorso di spumante.
 “Ehi, portate un succo di frutta per quel bambino laggiù!” grida Sonoko, indicando Shinichi. Alcuni ragazzi si voltano nella nostra direzione e lo guardano interrogativi, mentre Makoto sgrida amorevolmente la fidanzata.
“È ancora minorenne!”.
 
 
La festa non poteva prendere una piega migliore, soprattutto per Sonoko. La mia amica volteggia al fianco del suo futuro marito sulle note di un lento, e non li ho mai visti così innamorati.
Dopo nove anni, finalmente Makoto si è deciso a chiederle di sposarlo. Forse era per questo che nell’ultimo periodo era teso: voleva che il grande momento fosse perfetto.
Negli occhi del mio amico leggo amore e sincerità, mentre danza con la donna della sua vita.
Stringendo forte il bicchiere di spumante mi volto a guardare il mio, di uomo, seduto accanto a me.
Anche se dimostra appena sedici anni... so che ne ha molti di più.
Forse è arrivato il momento di essere sincera con lui.
“Ehi, devo dirti una cosa” gli sussurro all’orecchio, posandogli una mano sopra la sua. Lui la stringe subito, annuendo per farmi continuare.
Poso sul tavolo il mio bicchiere e mi alzo in piedi, tendendo l’altra mano nella sua direzione. Curioso, afferra anche quella e mi segue fuori, sul balcone della villetta.
Fuori è una bella nottata limpida e sento il venticello autunnale soffiare lieve. Un brivido di freddo mi scorre lungo le braccia e la gambe scoperte, ma ci pensa subito Shinichi a farmelo passare, mettendomi sulle spalle la sua giacca elegante.
Distolgo lo sguardo dal cielo e mi metto di fronte a lui, stringendogli le mani e prendendo un bel respiro.
“Ho deciso di trasferirmi a New York, per un corso di karate di sei settimane” rivelo con tutta calma.
Shinichi strabuzza gli occhi, con mille domande dipinte sul suo volto, ma rimane zitto ed attende che io prosegua.
“Il corso partirà a marzo, e se alla fine andrà bene, dovrò trattenermi per altre sei settimane di potenziamento” continuo, stringendo forte le sue mani nelle mie.
“New York, eh?” commenta teso e rigido, ed avverto anche una nota sarcastica. “È distantino...”. L’ultima cosa che voglio ora, è pensare di dovermi separare da lui ancora una volta. Di andare dall’altra parte dell’oceano, in una nuova città. In una metropoli dove non conosco nessuno, dove non so cosa aspettarmi, sennon di proseguire il mio sogno di quando ero bambina: diventare una campionessa mondiale di Karate.
Forse non diventerò mai famosa in tutto il mondo, forse la gente mi riconoscerà ancora e solamente come la figlia del grande detective Kogoro Mouri, ma io saprò che non sarò solo quello.
Stamattina, quando ho lasciato cadere la busta con i miei dati e l’iscrizione nella cassetta della posta, credevo che dirglielo sarebbe stato più semplice e veloce. Ma non è affatto così, mi rendo conto mentre mi mordo nervosamente il labbro.
 “Ho tanti motivi per non partire, e il primo della lista sei tu. Ma... questa cosa la devo fare. Per me” dico lentamente.
Shinichi mi guarda negli occhi, cercando sicurezza. Poi, sollevando il mio cuore, annuisce.
“Hai ragione. Devi andare”. Mi sorride, completamente sincero e fiducioso. Le sue braccia mi stringono in un abbraccio, mentre mi bacia la fronte e mi sussurra il suo amore. Sento che non mi vuole completamente lasciare andare. Sento la sua voglia di avermi al suo fianco d’ora in avanti. Ma sento anche che si fida di me. Che si fida del nostro nuovo e inaspettato noi.
E a questo punto perdo un po’ di sicurezza. Inspiro il suo profumo, rendendomi conto che lo voglio respirare anche domani. E dopodomani. E il giorno dopo ancora.
 “Il karate è importante, per me. Ci ho rinunciato troppo” rifletto ad alta voce. “Ma non voglio perderti!”.
Shinichi prende il mio volto tra le mani e mi bacia amorevole sulle labbra. “Non mi perderai. Mai più”.
Mi lascio cullare dalle sue braccia, mentre sposto lo sguardo dal mare di stelle sopra di noi e lo poso nell’oceano blu più profondo e implacabile che io abbia mai desiderato scorgere. Quanto vorrei non separarmi mai. Quanto vorrei rimanere per sempre così, ferma tra le sue braccia.
La musica della festa ci arriva smorzata, mentre da un lento si passa ad un ballo un po’ più movimentato. Shinichi mi afferra i fianchi e cominciamo ad ondeggiare dolcemente sul posto. Si separa da me e mi fa fare una lieve giravolta, per poi tornare a stringermi al suo petto.
“Non ti devi preoccupare” mi sussurra dolcemente. “Ho aspettato dieci anni”.
Il mio cuore si rilassa, chiudo gli occhi e poso la testa sulla sua spalla.
 
Sì, amore mio... abbiamo aspettato dieci anni... e n’è valsa la pena...
 
“Shinichi?” lo chiamo. Torno a guardare il suo volto, mentre scorgo la sua espressione, che mi invita a proseguire.
“Ti amo”.
 

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*   il perché di Ran si riferisce al perché Shinichi l’abbia tenuta all’oscuro di tutta la faccenda. Aggiungere “Perché mi hai tenuta all’oscuro?” mi suonava veramente male, sembrava che rovinasse il momento secondo me.
 
 
 
Salve a tutti, miei cari lettori..
Innanzitutto, mi scuso per il ritardo nel postare questo ultimo capitolo, credo sia passata come minimo una settimana, ma in questi giorni ho trovato difficilmente il tempo per scrivere e correggere questo ottavo e ultimo capitolo, e gli ultimi due li ho anche passati con la febbre, imbottita sotto le coperte e con il divieto tassativo di scendere dal letto -.-
Scusate scusate scusate!
 
Ecco, anche l’ottavo capitolo sta per andare online, e io ne sono felice da una parte, ma triste anche dall’altra..
Veramente, questa storia non sarebbe mai stata portata a termine con lo stesso animo senza tutto il vostro sostegno, senza tutte le vostre recensioni e visualizzazioni, e senza il vostro affetto!
Vedere i vostri commenti – e qui mi rivolgo ai miei cari recensori che amo alla follia –  le vostre opinioni e la vostra partecipazione mi hanno fatta davvero felice e mi sono sentita realizzata, perché stavo facendo qualcosa che amo fare da parecchio tempo!
Il vostro sostegno non può essere ripagato con un semplice GRAZIE, ma non so che altra espressione usare!
Quindi GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!

Adesso per un po’ non mi vedrete più in circolazione (sospiro di sollievo generale ;P) sempre a causa della maledetta scuola, e anche perché prima di iniziare un nuovo ‘progetto’ voglio pensarci bene su su come impostarlo eccetera eccetera :) devo dire la verità, quando ho finito di scrivere questo capitolo, invece che correggerlo, ho aperto un documento vuoto e... mi sono data al fantasy! O.O
Ahahhaa vedremo che – e se – combinerò qualcosa anche laggiù! ;)
 
Ovviamente nei ringraziamenti includo tutti quelli che ho sempre menzionato fino al capitolo scorso per aver messo la fic tra le preferite, tra le seguite e tra le ricordate, ma ci terrei anche a ringraziare tael e myellin che l’hanno aggiunta nelle seguite da poco!
E grazie anche a coloro che hanno recensito il settimo capitolo: _Neutron star collision_, zapotec, withoutrules, 88roxina94, Ran Mouri, shinichi e ran amore, Shine_, _Rob_, brenda the best, _Flami_, Yume98, arianna20331 e myellin!
Grazie anche a chi ha solo letto!
Bè, ragazzi... spero che il capitolo vi sia piaciuto! ^^
Un abbraccio enorme,
e alla prossima

Dony_chan 

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