Another Day.

di novalee_ack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Another Day
 


Camminavo.
Camminavo e basta. Ormai era l'unica cosa che mi riusciva bene, camminare. A pensarci bene, nella mia vita nulla mi era mai riuscito bene, anche respirare, mi diventava giorno per giorno sempre più difficile, come lo era la mia vita, anche troppo per una ragazzina di diciassette anni.
Vivo in un quartiere malfamato di Brooklyn da tutta la vita praticamente. Non ho mai visto altri posti in vita mia e non ho mai conosciuto persone nuove, forse perché non sono molto socievole o forse perché la maggior parte delle persone mi vuole morta.
La mia casa, se così si può definire, è un piccolo appartamento al quarto piano di un palazzo senza ascensore e senza una persona che se ne occupi. Vi lasciò immaginare perché ogni volta non perdo occasione per paragonarlo ad un porcile.
Sono figlia unica, fortunatamente. Mia madre prende ancora la pillola, così che nessun altro povero e innocente essere umano patisca tutto il dolore che ho patito io.  
E' tutto complicato nel mio mondo, anche camminare per strada tranquillamente senza che nessuno provi a puntarti una pistola addosso oppure un coltello alla gola. A me è capitato, credetemi. 
Mio padre è stato sbattuto dietro le sbarre qualche settimana fa, finalmente. Sì, è stato un sollievo sapere che ora è dentro e che ci resterà per un bel po’, almeno così le mie ferite avranno tutto il tempo necessario per rimarginarsi. Non abbiamo mai avuto un buon rapporto io e mio padre, sono quasi convinta che tra di noi non ci sia mai stato un vero e proprio rapporto. A stento ci salutavamo la sera quando ritornava a casa, e questo succedeva raramente, che lui ritornasse a casa. Gli piaceva vivere per strada, spacciare, bere, e anche uccidere di tanto in tanto. Direi che l'ergastolo se l'è meritato. Ed ora io sto bene, almeno credo.
A scuola ci vado, solo perché mi ci hanno costretto, altrimenti, dicevano loro, se ne sarebbero occupati gli assistenti sociali, e sinceramente, la mia vita fa già abbastanza schifo e finire in una specie d’istituto o qualcosa del genere non mi sarebbe stato d'aiuto. 
C'è chi dice che la propria vita fa schifo in un momento di rabbia, quando si è disperati per un’unghia spezzata, quando tutto non va come avevi immaginato. Neanche io avevo immaginato tutto questo per me.
Da piccola sognavo sempre che un giorno avrei indossato dei bei vestiti, avrei potuto tenere i capelli come piacevano a me e farli crescere lunghi quanto quelli di Raperonzolo, così da poterli calare giù dalla finestra e farci salire su il mio principe azzurro. Cazzate! 
Sognavo che qualcuno alla fine mi avrebbe salvato dall'uomo nero che ogni sera mi picchiava e abusava di me, mio padre. Un’altra cazzata o forse no. «E' tutto okay piccolina», mi ripeteva ogni volta. Come poteva essere tutto okay, come?  
Ma dopotutto uno dei miei sogni si era realizzato, anche se dopo tredici lunghissimi anni. Mi era stato tolto qualcosa troppo presto, e quella potevo definirla la mia vendetta. 
Mia madre era una bella donna, ma con il fumo, i problemi che le portavo io, il suo fidanzato con il quale litigava ventidue ore su ventiquattro, la casa, il suo schifosissimo lavoro, i suoi anni parevano essere sessanta invece di trentasette. Il suo viso era ormai tracciato da profonde rughe agli angoli degli occhi e della bocca. La sua voce, che un tempo era stata squillante e vivace, ora era spenta e rauca. «Tutta colpa del fumo», continuavo a ripeterle. «Quando la smetterai di fumare quella roba che ti fa solo male?», urlavo ancora. Lei non mi ascoltava. Per lei era come se il mondo fosse tutto uno schifo, ma io sapevo che non era così. Lei non lo capiva, non capiva che se avessi perso lei avrei perso tutto. Non lo capiva.
Di amici non ne ho. Dove abito io non esiste la parola "amicizia", per loro e tutta una questione di guerra per il potere tra le varie gang. Quante persone ho visto morire davanti ai miei occhi, quante persone hanno sprecato la propria vita senza neanche averla vissuta veramente. Voi non potete neanche minimamente immaginare quante volte mi sono ritrovata sul letto di un ospedale con una pallottola ficcata in una gamba o per una coltellata che mi è costata ventitré punti al fianco sinistro. Per tutte quelle volte che sono tornata a casa ricoperta di sangue da capo a piedi e vedere mia madre piangere ogni volta. Purtroppo questa è la mia vita, questo è quello che mi circonda ogni giorno, questo è quello che vedo, sento e tocco. E' qualcosa che non si può spiegare, ma io voglio provarci. Voglio che qualcuno sappia della mia vita, di come trascorro ogni attimo senza pensare che qualcuno possa uccidermi da un momento all'altro. Voglio far capire a tutti come ci si sente a non avere niente, cosa si prova ad avere come unica amica la paura.
Il mio nome è Stephanie Grey, ma tutti mi chiamano Fanny.
 
 
«Io esco!», urlai prima di chiudermi la porta alle spalle. Mi chiedevo perché mi ostinavo a farlo ancora, tanto loro non mi sentivano comunque. Mia madre e il suo fidanzato, che litigavano, ancora. Le loro grida erano tanto forti da coprire anche il suono della musica rock che ascoltavo nella mia camera a tutto volume. Chissà da dove prendevano tutta quell'energia per urlarsi parolacce a tutta forza in quel modo. 
Scesi velocemente le scale, io non prendevo mai l'ascensore. Non sono paranoica o qualsiasi altra cosa, è solo che non mi piace l'idea di rimanere rinchiusa anche per pochi secondi in quella cabina scura e piccola quanto il nostro televisore a venti pollici.
Controllai la posta, cosa che facevo quotidianamente, e niente di niente. Solo qualche ragnatela e tanta polvere. Mi strinsi ancora di più nella mia felpa grigia, ormai consumata, e alzai il cappuccio sulla mia testa, nascondendo i miei lunghi capelli castani e coprendo anche gran parte del mio viso.
 «Merda! Ho dimenticato l'ombrello». La pioggia cadeva sempre più forte e sembrava intenzionata ad averne ancora per un bel po’. Fatto sta, che non avrei rimesso piede in quella casa, anche solo per prendere l'ombrello. Sbuffai e m’incamminai a passo svelto verso il parco giochi abbandonato.
Anche quel giorno il cielo piangeva e il Signore aveva deciso di abbattere la propria ira ancora una volta su Brooklyn. Lampi e tuoni erano uno scenario perfetto per scrivere, sfogarsi su delle pagine bianche. Andavo sempre allo stesso posto a scrivere. Lì mi sentivo come a casa in un certo senso. Potevo piangere, ridere, urlare, senza che nessuno lo sapesse. Era il mio rifugio, sì.
Entrai nella piccola casetta di legno che si reggeva a malapena, ma che era in grado di reggere ancora me. Calai il cappuccio zuppo d'acqua e lo strizzai. Stessa cosa feci con i capelli, dopodiché li legai in uno chignon arrangiato. Tirai fuori dalle tasche della felpa, una sorta di diario segreto e una piccola matita.
 
Ciao Mon,
Come va lassù? E' una palla, vero? Qui non si può dire lo stesso.  Sembra di essere in un videogioco, dove si spara, si spara e basta. La gente pensa solo a sparare. Dormo con una pistola sotto il cuscino Mon. Dopo l'episodio dell'altra sera mia madre non ci ha capito più niente e così ora dormo con un pezzo di acciaio che mi fa compagnia durante la notte.
Ho paura Mon, tanta. Non voglio morire, non così, con un colpo di pistola. Ho paura di soffrire, di sentire tanto dolore. 
Tu hai sofferto molto quando ti hanno sparato? Quanto vorrei che tu fossi ancora qui con me. Non sai quanto mi manchi. Non passa giorno che io non pensi a te e a quel maledettissimo pomeriggio. Quando te ne sei andata proprio davanti agli occhi miei. Quando sono ritornata a casa con i vestiti sporchi del tuo sangue. Quando eri ancora troppo giovane e non sapevi neanche cosa significasse davvero vivere, amare, odiare.
Oggi ripensavo alla prima volta che ti vidi. Ti odiavo, perché avevi i capelli più lunghi dei miei. E poi il mio stupido soprannome? Fanny.
Vorrei tanto essere con te in questo momento...
Mamma e Cody litigano come due bestie, e poi dicono di amarsi. Che stronzate! Ma devo ammetterlo Mon, mi sento meglio da quando papà è in carcere. Sto bene.
Ora ti saluto Monique, e mi raccomando, tienimi il posto accanto al tuo quando ti raggiungerò.
 
Tua,
Fanny.
 
Richiusi il piccolo quadernetto e riposi tutto nelle tasche della felpa. 
Mi faceva sempre bene parlare con lei. Mi sentivo più sollevata e per un po’ smettevo di pensare a dove mi trovassi. Era come se mi catapultassi in un’altra dimensione per quei quindici minuti. A volte mi chiedevo se tutto ciò che le scrivevo le arrivasse davvero. Non c'era cosa che non scrivevo sul mio diario. Monique sapeva tutto, così era prima che la uccidessero e così sarà fino al giorno in cui non uccideranno anche me, a quel punto potrò raggiungerla e parlarle davvero. 
Mi alzai da terra. Il legno era bagnato e puzzava di fango. Affondai i piedi nel terreno, poco me ne importava che si sporcassero le scarpe, e iniziai a camminare a testa bassa, con il cappuccio calato sugli occhi. 
Non avevo affatto voglia di ritornare a casa, meno tempo ci passavo e più stavo bene con me stessa. Quindi, decisi che sarei passata prima a prendere un caffè.
In quel momento rimpiansi il mio lettore mp3 che ruppi qualche mese prima in preda ad uno dei miei attacchi di rabbia. Il tragitto che facevo ogni volta da casa al parco e dal parco a casa era troppo lungo e senza musica mi sembrava sempre più tortuoso.
Sentii dei passi pesanti avvicinarsi. Avrei dovuto avvertire un senso di paura, di minaccia. Ma non me ne curai minimamente.
«Stephanie Grey», disse una voce alle mie spalle. Non mi voltai, continuai a camminare. «Stephanie, ho bisogno di parlarti», continuò, sempre con quel filo di malizia. Ma io non lo ascoltai, come sempre, e continuai a camminare. Mi si parò davanti all'improvviso e gli urtai contro. «Non ho niente da dirti, Joseph Parker», dissi con disprezzo, sputando il suo nome come se fosse veleno. Gli girai attorno e ripresi a camminare. La sua mano, afferrò prontamente il mio braccio, bloccandomi. «Lasciami», sibilai a denti stretti, ma lui non mi ascoltò.
«Mi servono i miei soldi Grey», disse.
«Mi hai forse scambiato per un bancomat?». Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma niente. Il cane non voleva mollare l'osso.
«Non mi sembra il momento di scherzare. Rivoglio i miei soldi e subito. Riferisci questo messaggio a tuo padre». Mi fece l'occhiolino e mi lasciò il braccio.
«L'hanno sbattuto dentro mio padre, dovresti saperlo, no?». Mi uscì con così tanta naturalezza. 
«Non m’interessa! Procurati i tremila dollari che mi devi, o meglio, che tuo padre mi deve e dopo ti lascerò in pace». 
«Non c'è li ho tremila dollari e anche se c'è li avessi non li darei di certo a te. Ora scusami ma devo andare».
«L'ergastolo, eh? Gli è andata male questa volta. Insomma sei figlia di un assassino. Com'è che si chiama il tuo ragazzo? Carter? Povero... Non sa niente su di te, della tua vita e della tua famiglia. Sarà un trauma per lui quando scoprirà tutto, non credi? Perché glielo dirai vero? Oppure lo farò io. Voglio i miei soldi Grey, entro la fine della settimana!». Rise, come se quello che aveva appena raccontato fosse una barzelletta e non la mia schifosissima vita.
Sentivo gli occhi accendersi dalla rabbia, diventare sempre più infuocati. Le mani chiuse a pugno iniziavano a tremarmi. Quanto avrei voluto avere la forza di un lottatore di sumo per spaccargli la faccia e metterlo KO. «Lascia in pace me e la mia famiglia!», urlai. Mi allontanai da lui, ma riuscì lo stesso a sentire quel «Voglio i miei soldi». 
Entrai nel primo bar che mi capitò davanti e ordinai un caffè, che portai via con me. 
 
Quando misi piede in casa, fui meravigliata dal silenzio che regnava nell'aria. Posai le chiavi sull'isola della cucina, tolsi le scarpe ormai da buttare, la felpa bagnata e i jeans sporchi di fango. Rimasi con addosso solo la biancheria. Andai nella mia camera e tirai fuori dall'armadio il vestito più bello che avevo e lo poggiai sul letto. Presi lo scatolo bianco delle mie scarpe nuove e le poggiai sulla scrivania. Non me ne intendevo di alta moda, sapevo solo che erano il regalo più bello che avessi mai ricevuto. Era stato Carter ovviamente, il mio fidanzato. 
Lui abita fuori città e non sa quasi niente sulla mia vita reale. Ogni volta passa a prendermi alla stazione dei treni, dove per arrivare puntuale sono costretta a scendere da casa mezz'ora prima. Ma per lui avrei fatto questo ed altro.
Non volevo che scoprisse della mia famiglia, del posto in cui vivevo e della mia vita. Sapevo che l'avrei perso se l'avessi fatto. Il mio teatrino andava avanti da più di un anno e per ora era giusto che fosse così. Entrai nella doccia e lasciai che l'acqua bagnasse ogni centimetro del mio corpo. Lavai i capelli lunghi con lo shampoo alle erbe e passai il bagnoschiuma alle more per tutto il corpo. Mi depilai con cura le lunghe e formose, anche troppo per i miei gusti, gambe. Sono sempre stata una ragazza in carne, non grassa, ma solo con qualche chilo di troppo e i fianchi un po’ troppo pieni. A Carter piacevano, diceva che lo facevano impazzire. Sorrisi ripensando a quando facemmo l'amore per la prima volta e sembrò molto contento delle mie curve, che apprezzò non poco. Lui ha due anni in più di me e lo conobbi una delle poche volte che andavo in spiaggia con Mon. Era bellissimo. Posso dire che fu amore a prima vista. Asciugai i capelli e li lasciai lisci, al naturale. Indossai il reggiseno e gli slip non abbinati, ma entrambi dello stesso colore. Presi il vestito nero a maniche lunghe e lo indossai. Il tessuto fresco mi avvolgeva delicatamente le braccia, il seno e le cosce. Non volevo apparire troppo volgare, ma neanche troppo sciatta. Così scelsi una collana e un paio di orecchini di perle, entrambi erano stati di mia nonna. Truccai i miei occhi verdi smeraldo con sfumature di nero e grigio brillantinato, e colorai le mie labbra con un rossetto color pesca. Calzai le scarpe nere, troppo alte per i miei gusti. Quella sera mi sarei permessa un taxi per arrivare alla stazione. Presi una piccola pochette e ci infilai dentro tutto ciò che mi sarebbe servito. Presi la giacca dall'appendiabiti e uscì di casa, lasciando un messaggio a mia madre su un post-it. Ok, ero pronta per affrontare Carter e la cena con i suoi genitori.

 


-
Molto probabilemte qualcuna di voi si sarà già imbattuta inq uesta ff.
Bè, non so come, ma un bellissimo giorno non ho più ritrovato la mia storia dove l'avevo lasciata.
Ci tenevo e ci tengo molto tutt'ora, e non ho voluto sprecarla. Così ho deciso di ripostarla. (:
Non ho molto da dire, solo che per scriverla ci ho messo davvero molto, e non mi dispiacerebbe sapere cosa ne pensiate <3
Good night,
Lee.

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Capitolo 2
*** 2 ***




Venerdì è arrivato, e con lui anche un altro schifosissimo fine settimana.
 
Hola Mon.
E' venerdì, la settimana è quasi finita ed io sono ancora viva. Ho superato anche questa. Non credevo che sarei riuscita a non farmi uccidere. Sto migliorando davvero.
Sai, Carter mi ha presentato ai suoi genitori, e Dio, sono così dolci e gentili con me. A volte penso di non meritare tutto questo. Insomma, Carter è troppo per una come me. So che se tu ora fossi qui mi prenderesti a calci nel sedere, ma io lo penso davvero. Voglio lui, solo lui. Lo amo e già mi ci vedo sull'altare in un bellissimo vestito da sposa, con lui al mio fianco. Sono pazza eh? Ma cosa ci posso fare? Ormai tutto ciò che mi rimane è lui. 
Quando torno a casa la sera mia madre a stento mi parla. Mangiamo in silenzio e poi dopo lei si rinchiude nella sua stanza, come se io non esistessi. Ma cosa ho fatto di male Mon? Dimmelo tu ti prego, perché io non ci capisco più niente! E' tutto un inferno. Quando sembra che tutto stia andando per il verso giusto, c'è sempre qualcosa che deve rovinare tutto, e io precipito sempre più giù, in un pozzo senza fine ed è come se non riuscissi più a risalire. 
Se non sono mamma e Cody è la scuola, se non è mio padre è Joseph. Mi da del filo da torcere, continua a farlo e non mi lascia mai in pace. Mi ha chiesto tremila dollari. Io ora cosa dovrei fare? Rapinare una banca oppure lasciare che mi uccida? 
 
Continuai a dondolarmi ancora per un po’ sull'altalena vecchia ed arrugginita. 
«Stephanie!», esclamò una voce.
«Joseph...», biascicai io senza scompormi. 
«Joe, chiamami Joe». Si sedette sull'altalena libera accanto a me, mentre i suoi leccapiedi rimasero dietro di lui, come delle belle statuine. Era ufficiale, stavano iniziando a darmi sui nervi.
«Che vuoi Joseph?», chiesi impassibile, ignorando del tutto ciò che aveva detto.
«Oggi è venerdì», disse lui sorridendo.
«Si, infatti. Bella giornata, non credi?», accennai appena un sorrisetto sarcastico.
«Oggi hai voglia di scherzare a quanto vedo. Ma io non sono dell’umore giusto Grey, voglio i miei soldi. Ora! », il suo tono di voce si fece più serio e minaccioso. Ma neanche questo mi toccò minimamente. 
Lui non era nessuno per impormi qualcosa, e con il tempo avevo imparato a tener testa a tutti e anche a lui che era il più temuto del quartiere. Un pallone gonfiato. Ecco cos’era per me Joseph Parker.
«Non ce li ho, semplice». Raccolsi la mia borsa da terra e mossi i primi passi verso l’uscita del parco.
«Bene, io ti avevo avvisato», lo sentì ghignare alle mie spalle. «Ragazzi, è tutta vostra!»
Mi sentì afferrare per le spalle da due grosse mani, altre iniziarono a colpirmi sul volto, mentre dei grossi piedi colpivano a ripetizione il mio stomaco. Non ebbi neanche il tempo di capire che mi stavano picchiando. Stava succedendo tutto troppo in fretta ed io sembravo un sacco di patate che veniva pestato ingiustamente, ma sapete qual è la differenza tra me e un sacco di patate? Un sacco di patate non avrebbe pianto ed implorato di smetterla, perché un sacco di patate non avrebbe sentito il dolore bruciargli nelle ossa, perché un sacco di patate è soltanto un sacco di patate.
Capì che avevano finito solo quando aprì appena gli occhi e sentivo la pioggia bagnare il mio viso. L'aria mi bruciava nei polmoni e mi sentivo come uno schifosissimo budino.
Nonostante il dolore allucinante in ogni singola parte del mio corpo, riuscì a trascinarmi fino a casa mia, su per le scale e infine, raccolsi quel po’ di forze che mi rimanevano e bussai al campanello. Venne ad aprirmi mia madre. Sbiancò, vedendomi sanguinante sulla soglia di casa. Quell’orribile spettacolo che le si presentò davanti ero io. «Oh mio Dio!». Furono le sue uniche parole, dopo di che caddi, accasciandomi per terra. 
Mia madre mi caricò sulla sua spalla, con un po’ di difficoltà, e mi portò dentro casa. Mi poggiò sul piccolo divano in stoffa grigia che avevamo in salotto.
«Chi ti ha ridotto così?», bisbigliò mia madre, mentre si avvicinava a me con una borsa del ghiaccio e delle garze per disinfettarmi il volto. Sanguinavo da qualsiasi punto.
«Joseph», biascicai con il sapore del sangue in bocca. Avrei voluto aggiungere che lui era rimasto a guardare divertito, lasciando che i suoi amichetti facessero tutto, ma non avevo davvero le forze per farlo. 
Mi poggiò la borsa del ghiaccio sulle labbra e mi tamponò il naso con un fazzoletto. Con cura mi ripulì tutto il viso, mettendo qualche cerotto dove c’è n’era bisogno. In silenzio, mi posò un caldo plaid sulle spalle ed uscì di casa. Neanche in quel momento meritavo un po’ di attenzioni? Neanche quando valevo niente? 
Mi lasciai cullare dal silenzio che calò improvvisamente, mettendo a tacere per un po’ quel frastuono che avevo nella testa, mi addormentai pensando a quale sarebbe stata la mia dolce vendetta. Perché Joseph Parker avrebbe pagato, avrebbe mangiato la polvere e sputato sangue, proprio come me.
 
*


-
Sera ragazze (:
Eccomi qui, sono ritornata, proprio la sera di S. Stefano.
Mi aspettavo più recensioni è qualche visualizzazione in più, ma non demordo.
Sono un tipo che non si arrende facilmente.
anyway, spero vi sia piaciuto, anche se questo capitolo è abbastanza "violento".
Non dimenticatevi di recensire (3-4) ^^
besos,
Lee.

 

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Capitolo 3
*** 3 ***



 

Quella sera chiamai Carter, dicendogli che mi ero beccata l'influenza e che forse sarebbe stato meglio non vederci per un paio di settimane. Mi sentivo così frustrata e stanca. Stanca di combattere ogni giorno, stanca di tutto, stanca di esistere. 
Posai il telefono sul comodino e rimisi la testa sotto le coperte. Sentivo dolore in ogni parte del corpo, all'esterno e all'interno soprattutto. Niente si salvava, niente si poteva salvare di me. Anche la mia anima ne aveva avuto abbastanza della vita. 
Non ricordo in modo particolare un momento in cui sono stata felice, sia da bambina che adesso, forse perchè non lo sono mai stata. La mia infanzia è stata un completo schifo, il periodo più buio della mia esistenza. La mia adolescenza, la cancellerei se potessi. 
Purtroppo, per quanto dolore potessi avvertire, la scuola non potevo proprio saltarla. Se superavo un totale di assenze ero automaticamente bocciata, e di ripetermi il quarto anno proprio non mi andava.
Mi alzai lentamente dal letto presi una maglietta ed un jeans dall'armadio. Li indossai senza farci molto caso. Presi le scarpe e misi anche quelle. I capelli li legai in una coda alta, mentre per il mio viso non c'era nulla da fare. Presi la borsa e gli occhiali da sole ed uscì di casa.
Il solito autobus arrivò con i soliti cinque minuti di ritardo e ci salì in silenzio. 
Il mormorio dei ragazzi diventò come un fastidioso ronzare di una mosca. Avrei voluto gridargli in faccia e dirgli cosa avevano tanto da sparlare. Strinsi i pugni e serrai i denti. Non mancava molto, avrei potuto resistere.

 
«Ehi Fanny, buongiorno». Fu Angie la prima a salutarmi, come ogni mattina d'altronde.
«'Giorno Angie. Dov'è quel bastardo di Nick?», chiesi sorridendo appena.
«E' liggiù che si sta fumando già la terza canna», mi indicò la solita panchina nel cortile dove Nick si metteva con i suoi amici.
«Vado un attimo a fargli il culo, tu aspettami», la lasciai all'entrata e raggiunsi Nick.
«Ma cosa ti dice il cervello, cazzone? Sono le otto di mattina e ti fumi già quella merda?», lui si voltò e sorrise abbracciandomi.
«Eccola la donna della mia vita», mi abbracciò, mordendomi il collo. «Buongiorno anche a te bocciolo».
«Non sono la donna della tua vita e non chiamarmi bocciolo. Getta quella cosa altrimenti giuro che ti strappo le palle con le mie mani», lo guardai in cagnesco attraverso gli occhiali che mi nascondevano gran parte del volto.
«Ai suoi ordini», fece un ultimo tiro dalla sua canna, dopo di che la spense con la punta delle sue scarpe. «Ehi ma cos-», poso una mano sul mio volto, carezzandomi delicatamente il labbro con la punta del pollice. Mi scostò gli occhiali osservando quei grossi lividi che mi contornavano gli occhi stanchi. «Cos'è successo Fanny?»
«Nulla di importante Nick», abbozzai un sorrisetto, afferrando la sua mano e stringendola tra le mie.
«Come nulla? Questo a te sembra nulla?», vidi una scintilla accendersi nei suoi occhi, mentre con lo sguardo percorreva ogni centimetro del mio viso.  
Sapevo che Nick teneva a me più di chiunque altro. E' quello che avrebbe fatto qualsiasi migliore amico. Lo conoscevo dall'età di dieci anni, eravamo cresciuti praticamente insieme, e se solo avessi fatto quel nome lui non avrebbe esitato. 
«Se ti dico che non è nulla, significa che è così», ribadì.
«Non ti lascio andare finchè non mi dici chi è stato Fanny e giuro che se sarà necessario te lo tirerò da bocca anche con le cattive».
«Nick ti prego non mi va di litigare», mi si formò un groppo in gola. «Ti prego».
«Non dirmi che è stato Joseph, ancora»
«No, non è stato lui»
«E' stato lui. Lo sapevo, cazzo. Lo sapevo!», si portò le mani tra i capelli.
«Non fare nulla Nick, ti scongiuro. Lascia stare. Ti sto pregando Nick», lo afferrai per un braccio, ma lui sembrava non ascoltarmi. Dovevo alzare la voce? Bene, l'avrei fatto. «Cazzo Nick! Ascoltami Dio Santo! Lo voglio fuori dalla mia vita quell'essere schifoso, e non voglio che tu ti ci metti contro. Fallo per me, perchè te lo sto chiedendo per favore!». Mi ritrovai puntati addosso gli occhi di una cinquantina di ragazzi.
«Non ti prometto nulla», mi baciò i capelli e se ne andò. 
A volte mi chiedevo se davvero Dio mi odiasse così tanto oppure mi aveva solo dimenticata in fondo ad un cassetto, in un angolo buio e freddo.






 
-
Salve girls :)
Sono contenta che la storia stia ricevendo più attenzioni, mi rende davvero felice (:
Man mano vi accorgerete che verranno fuori tutti i jonas, ma un pò per volta.
Inoltre, vorrei sottolineare una cosa importante. In questa ff i Jonas non sono fratelli.
Detto ciò, passo e chiudo, e non dimenticatevi di recensire <3
with love,
Lee.

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Capitolo 4
*** 4 ***



 

 

Rivolsi lo sguardo fuori alla finestra che dava sul cortile della scuola. Nick era ancora lì con una sigaretta tra le dita.
Era a mezze maniche nonostante fosse dicembre.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto, e il vento gli scompigliava i ricci marroni. Più in basso vicino alla sua caviglia destra notai il solito braccialetto elettronico. 
Molti in quella scuola ne indossavano uno, altri erano in libertà vigilata, altri ancora venivano a scuola solo perchè costretti dagli assistenti sociali. Tutti avevano una vita fatta solo di criminalità, compresa me, compreso Nick. Se vivevi in quel quartiere dovevi essere per forza così. Ma io non volevo. Volevo essere diversa, avere una vita normale e una famiglia come tutte le altre, ma questi sono sogni che si erano infranti già troppo tempo fa. 
Era brutto vivere in quell'ambiente e soprattutto farne parte al 100%. Era come se vivessi ogni giorno con un cappio al collo. Eri come un uccello in gambia, destinato a morire lì oppure in carcere se ti avessero preso e sbattuto dentro. Le uniche alternative erano solo ed unicamente quelle, e nessuno poteva sfuggire da quell'inferno. 
Cosa aveva fatto il mio migliore amico per portare quell'aggeggio al piede? Bè, sinceramente non ne avevo la più pallida idea. Ne aveva combinate tante anche lui e ormai avevo perso il conto. Ma Nick è diverso dagli altri. Lui ha un cuore che gli batte nel petto, e un cervello che potrebbe benissimamente usare, ma si limita ad usare la pistola che si porta sempre dietro, come se fosse la sua ombra, e questo mi faceva tanta rabbia. 
Tutti in quella scuola erano criminali, e io non ero da meno.
 
«Dai Fanny, sbrigati con quel sacchetto. Se ci beccano ci fanno il culo!», mi urlò Monique da dietro il bancone di quel supermarket che stavamo derubando. 
Avevo ancora lo sguardo fisso sull'uomo sanguinante steso per terra.
«Si, tieni», le passai il sacchetto nero di plastica e lei ci infilò dentro tutti i soldi che c'erano in cassa. «E se ci scoprono Mon?».
«Non lo faranno Fanny, fidati di me», disse lei sicura. Chiuse il sacchetto con un bel nodo ed uscimmo, diventando parte del buio.
«Andiamo in spiaggia», disse una volta fuori dal quartiere. Mi prese per mano e ci avviamo verso la spiaggia, quella piccola che c'era sotto al ponte.
«Tieni», tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e me ne diede una.
«No, non mi piace e lo sai», la guardai sottecchi stringendomi nella mia felpa. «Ho ucciso un uomo Mon, e lui non aveva fatto nulla», sentì le lacrime bagnarmi il viso.
«E' stato un incidente Fanny», mi passò un braccio attorno alle spalle, stringendomi forte.
«Ora sono anche io come tutti gli altri, sono una criminale, sono un assassina».
«Non è vero, non lo sei», mi baciò i capelli.
«Si invece». Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo, io con il mio grandissimo senso di colpa e Monique... Bè, lei si limitò a rassicurarmi che tutto sarebbe andato bene.*
 
Questo è il mio grande segreto, che mi porto con me da due lunghissimi anni. Avevo solo quindici anni e avevo ucciso un uomo senza sapere davvero a cosa andavo in contro. 
Non so con precisione cosa fece Monique, ma so solo che poche settimane dopo sbatterono Joseph dentro con l'accusa di omicidio e due mesi dopo era già fuori.
Ero una criminale si, ma avevo dei sentimenti. Amavo il mio fidanzato, volevo bene al mio migliore amico, e a mia madre. Cose che il 99% delle persone di quel quartiere non si sognava neanche di fare.
Ero una criminale, proprio come tutti.
 
«Fanny, stasera ci vieni da Nick?», fu Leah, che conoscevo da un anno circa, a riportarmi con i piedi per terra, dopo che mi ero persa nei miei pensieri, di nuovo.
«Ha organizzato un altra festa?», sbuffai mettendomi seduta con la schiena contro il muro. Leah annuì, mentre si divorava il suo budino alla vaniglia.
Fu Norah a parlare al posto suo. «Alle undici, sai dove. Ci vieni si o no?», lei era quella un po più scontrosa, ma sapvo che sotto sotto sapeva essere dolce. 
Erano entrate nella mia vita per sbaglio, e non ne erano più uscite. Non potevo definirle migliori amiche, perchè con loro ci passavo pochissimo tempo, giusto la sera quando ci vedevamo da Nick e a volte le aiutavo quando mi chiedevano favori. Ma sapevo di poter contare su di loro, sempre.
«Si, credo di si. Voi sapete perchè porta il braccialetto?», chiesi, cambiando argomento, ma non il soggetto.
«Lui e quella testa di cazzo di Marcus. La settimana scorsa li hanno presi con tre chili di erba nelle mutande e qualche pasticca», disse sempre Norah, aspirando dalla sua sigaretta.
«Coglione», bisbigliai scuotendo la testa.
«Quando gliela farai pagare a quel pezzo di merda?», quella domanda mi colpì di sorpresa.
«Non lo so», dissi senza distogliere lo sguardo da Nick. Lo tenevo d'occhio...
«Che vuol dire "non lo so"? Hai visto come ti ha ridotto porco cazzo?».
«Calmati Norah, escogiteremo qualcosa insieme, vero Fanny?». Leah poggiò una mano sulla spalla di Norah.
«Io proprio non ti capisco. Io già l'avrei ucciso con le mie stesse mani», la vidi stringere le mani a pugno. 
«Ragazze ho già troppo problemi, non mi va di crearmene altri», risposi secca.
«Tu sei fuori Fanny, l'ho sempre detto». Norah finì la sua sigaretta e la gettò per terra. «Fa un pò come ti pare, la vita e  la faccia sono le tue e lui te le ha già rovinate entrambe. Arrivederci», prese la sua tracolla e si allontanò da me e da Leah. 
«Io ti capisco Fanny, vedrai che le passerà. Lo sai com'è fatta, quando sente di qualcuno che alza le mani su una ragazza va in corto circuito, figuriamoci ora che si parla di te». Leah mi scompigliò i capelli e dopo avermi baciato la guancia se ne andò anche lei. 
Sbuffai.
Raccolsi le mie cose dal tavolo e mi avvicinai a Nick.
«Hey», dissi quando fui abbastanza vicina a lui, in modo che potesse sentirmi.
«Ciao», disse lui voltandosi e aspirando dalla sua sigaretta. Sapeva che mi dava fastidio, ma lui lo faceva per farmi innervosire.
«Mi hanno detto che stasera si fa baldoria da te», cercai di abbozzare un sorriso.
«Si, è vero».
«Perché non mi hai detto niente?», domandai, mentre ci allontanavamo dai suoi amici.
«Perché la maggior parte delle volte non vieni mai, mi sembrava inutile dirtelo e supplicarti», disse impassibile. Sembrava stesse parlando con una sconosciuta. «E poi c'è anche una tipa...»
«Una tipa?»
«Si, una tipa».
«Ho capito. La tua ragazza intendi?»
«Non proprio...»
«E allora? Mica sono gelosa Nick», lo guardai accigliata. Lui rimase in silenzio. «Andiamo Nick -risi- siamo stati a letto mesi fa, non avrei modo di essere gelosa. Io sono fidanzata e tu sei il mio migliore amico».
Un altro dei miei tanti errori, ma questo è stato mesi fa, e sia io che nick ci siamo presi le nostre responsabilità. Insomma, c'è un alta percentuale che capiti quando si è fatti di qualsiasi cosa.
Lui fece spallucce.
«Okay Nick, oggi ti girano di brutto. Fammi uno squillo quando ritorni in te», gli diedi una pacca sulla spalla e me ne andai. 
Quel ragazzo proprio non lo capivo certe volte.

 
-
Capitolo notturno :P
Colgo l'occasione per farvi gli auguri di buon anno in ritardo.
Spero sia uno di quelli ricchi di felicità e amore.
Abbiate fede e rimanete forti, nonostante qualsiasi cosa. E' il modo migliore per affrontare le situazioni (:
Poi volevo dirvi un ultima cosa.
Sono contenta dei risultati che sta avendo questa ff, e spero che continuiate a recensire e se magari vi capita, uno scambio di pubblicità non fa male a nessuno <3
Detto ciò, mi dileguo.
goodnight.
xx
Lee

*ps: la parte in corsivo è un flashback!

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


 

Alla fine, decisi di fare un salto alla festa di Nick.
Indossai un paio di calze nere, una gonna grigia e un maglione a lunghe maniche nero. Arricciai i capelli con il ferro e le spadine, dopo di che mi truccai, cercando di nascondere i lividi. Infilai gli stivali con le borchie e presi la borsa. Dissi a mia madre che molto probabilmente avrei fatto tardi e uscì di casa.
 
«Ehy, alla fine sei venuta». Il primo viso che riconobbi tra tutta quella gente fu quello di Leah.
«Eh già», le sorrisi e mi avvicinai subito al tavolo delle bevande, o meglio, dell'alcol. Possibile che anche l'acqua fosse corretta?
«Dov'è Nick?», chiesi sorseggiando la mia coca cola.
«Ah bho, non chiederlo a me. Non l'ho proprio visto», lei fece spallucce e si mise di fianco a me. «Quanta gente, vero?», disse poi.
«Come sempre d'altronde».
«Ehy ragazze, venite qua!». Norah, dall'altro lato della stanza ci invitava a raggiungerla, dimenando quel braccio, che pareva volersi staccare a momenti.
La raggiungemmo e ci accomodammo in cerchio attorno al tavolino, insieme ad altri ragazzi.
«Tieni Leah, inizia tu», disse eccitata, passandole un paio di pasticche.
Leah le prese e le ingoiò tutte in un colpo solo.
«Ora tu Fanny», disse allungando la mano verso di me.
«No Norah, e lo sai», dissi sbuffando.
«Daiii, non farti pregare. Non sono molto pesanti, è sol per divertirci un pò». Mi lasciai convincere e le ingoiai tutte.
Dopo un paio d'ore ero stata dimenticata su un divano. Mi limitavo a guardarmi intorno, senza spiccicare parola.
«Fanny, c'è Nick», mi disse Leah all'orecchio sogghignando per chissà quale motivo. 
Alzai la testa e lo vidi ridere e parlare con gli amici, con la solita sigaretta tra le dita o forse era uno spinello, e una bottiglia di birra.
Mi alzai molto lentamente, tenendomi la testa.  Avevo passato momenti peggiori.
«Nick», chiamai avvicinandomi. Lui si voltò.
«Ciao piccola, sei venuta», si avvicinò, pronto a darmi un bacio sulla guancia. Lo spinsi via. 
«Puzzi di tabacco, alcol e di sesso. Vai via da me», lo spintonai. Era ubriaco fradicio.
Lui non si arrese e si avvicinò ancora di più, finendo su di me. Lo ressi per non farlo cadere. Non si reggeva neanche in piedi. 
Man mano le persone iniziavano ad andare via, fino a quando non rimanemmo io, Norah, Leah e Nick ed i suoi amici.
«Andiamo Nick, cammina!», lo portai sul divano, dove si distese completamente.  I suoi amici contivuavano a ridere e ascherzare, mentre le ragazze iniziarono a raccattare le loro cose.
«Noi andiamo Fanny, ti serve un passaggio?», chiese Leah.
«No grazie, andate pure. Ci vediamo!», sorrisi ad entrambe, dopo di che se ne andarono.
Avevo la testa che mi scoppiava, letteralmente. Mi sedetti sul divano, accanto al mio amico. 
Poco dopo notai una ragazza mora scendere dalle scale del piano di sopra. Aveva le scarpe in una mano, ed una bottiglia di vodka nell'altra. Barcollava, e si teneva al corrimano delle scale.
«Nick, è quella la tua ragazza?», chiesi al ragazzo accanto a me, che mi rispose con un misero "mh".
Nello stesso istante la porta di casa si spalancò, urtando violentemente contro il muro. 
Cinque ragazzi entrarono, ma ne riconobbi solo uno. Joseph.
«Dove sei pezzo di merda?», urlò venendo in contro a me a e Nick. Lo alzò dal divano per il colletto della camicia e gli tirò un pugno. Nick finì per terra con il naso sanguinante.  
Non potei far nulla, perchè uno di quei ragazzi mi afferò alle spalle, tenendomi ben stretta. Gli altri quattro tenevano gli amici di Nick. 
In quel momento lui era solo, che lottava contro il diavolo in persona. 
«Lascialo in pace!», urlai dimenandomi come una posseduta. Lui non mi ascoltò. Aveva gli occhi neri come il carbone tanto che era furioso, e continuava a picchiarlo, senza sosta. Si sarebbe fermato solo quando il cuore di Nick avrebbe cessato di battere, lo sapevo.
«Ora ti scopi anche la mia ragazza? La tua vita finisce quì Harrison». Gli tirò un calcio allo stomaco e Nick si rigirò sul lato, sputando sangue. 
Morsi il braccio al tipo che mi teneva e lui mi lasciò. Scattai in avanti, e spinsi via Joseph da Nick. Ci misi tutta la forza che avevo. Lui arretrò, urtando contro il muro.
«Hey Fanny, ci sei anche tu. Scusami se non ti ho salutato, ma lo farò subito», si avvicinò e in una frazione di secondo la sua mano mi colpì in pieno volto. Faceva male, ma non potevo cadere anche quella volta, non in quel momento. Feci qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo prima. 
Gli tirai un calcio ai famosissimi gioielli di famiglia. Lui si piegò in due dal dolore. Non se lo aspettava, era un punto a favore per me. 
Sapevo che questa giocata mi sarebbe costata cara, ma chi doveva cessare di vivere era lui. 
«Brutta puttanella, è dire che ti ho salvato anche il culo due anni fa», biascicò ancora piegato in due.
«Vaffanculo figlio di puttana!», gli tirai una ginocchiata allo stomaco, e lui finì per terra. Le lezionis tupide di Nick erano servite a qualcosa.
«Prendetelo e andatevene via, tutti! Non voglio vedervi in questa casa due minuti di più». Non potevano fare più nulla ormai, il capo era a terra. 
Due di loro lo tirarono da terra e lo portarono via, gli altri li seguirono a ruota. 
«Anche tu», indicai la ragazza che era rimasta a guardare seduta sulle scale. «Fuori di qui!». Lei ubbidì e sgattaiolò fuori, senza fiatare.
Mi avvicinai a Nick, ancora disteso per terra che sputava sangue.
«Andiamo, ti porto di sopra!», con tanta fatica lo trascinai su per le scale, e lo portai nella sua camera. Lo feci stendere sul letto, molto lentamente. «Quando tornano i tuoi Nick?», chiesi andando in bagno.
«Lunedì», senti biascicare. 
«Ti convieve rimetterti in fretta macho, siamo a sabato e mancano solo due giorni». Ritornai da lui con una bacinella piena d'acqua, dell'acqua ossigenata e delle garze.
Con un asciugamano gli ripulì piano tutto il volto, e con l'acqua ossigenata disinfettai tutte le ferite.  Di cerotti non ne misi perchè non c'è n'erano. Decisi che lo avrei lasciato riposare in pace e riposi tutto in bagno.
«Ehy, vieni qui», mormorò facendomi segno di raggiungerlo sul letto. Sospirai e mi avvicinai, distendendomi accanto a lui. «Grazie», mi disse ancora.
Non risposi. Rimasi a guardare il soffitto per tutto il tempo, fino al giorno dopo, in silenzio, accanto al mio migliore amico.



 

-
Buonasera girls :)
Non so come ringraziarvi perchè seguite questa mia storia.
Sappiate solo che ci tengo molto e per me è molto importante.
Per chiunque abbia un account twitter oppure tumblr potete seguirmi anche lì. Vi followo tutte uù
TWITTER - TUMBLR
Comunicherò tutti gli aggiornamenti anche attraverso questi account :) 
Credo di non avere più nulla da dire, se non GRAZIE a tutte <3
with love,
Lee.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


 

«Amore cambiamo film? Questo è una noia mortale», sbuffò Carter dietro di me. 
Feci spallucce e cambiai canale col telecomando. Eravamo su quel divano da... Non lo so. 
Avevo lasciato Nick da solo quel giorno e Carter era passato a prendermi alla stazione come sempre. Ma c'era qualcosa di diverso, in me. Ero ansiosa ed irrequieta. Pensavo a Nick, da solo, e a Joseph che stava per essere divorato dalla vendetta man mano. Ed io ero lì, su un divano, abbracciata al mio ragazzo a guardare stupidi film. 
«Che hai oggi? Sei strana», sussurrò dopo avermi passato una mano sotto alla maglietta, ma che io scostai prontamente. 
«Non... Non mi sento tanto bene Carter. Credo che sia ancora l'influenza», dissi, alzandomi.
«Ma hai insistito tanto perchè ti venissi a prendere», disse lui. Non riuscivo a guardarlo negli occhi, perchè stavo mentendo, spudoratamente e lui non se lo meritava.
«Lo so, lo so... Mi dispiace».
«Dai vieni, ti riaccompagno a casa». Presi le mie cose e in silenzio, uscimmo di casa.
 
«Nick, sono tornata!», urlai entrando in casa Harrison. Si, avevo le chiavi.
«Nick?», posai il cappotto e la sciarpa sull'appendiabiti e la borsai la lasciai per terra. Salì al piano di sopra e controllai tutte le stanze, compresa la sua. Nick non c'era.
Ascoltai attentamente e mi parse di sentire lo scrosciare dell'acqua. Ritornai nella sua stanza e aprì leggermente la porta del bagno.
«Nick, sei li dentro?», urlai, chiudendo gli occhi. Non mi andava di rivedere il mio migliore amico nudo.
«Si stupidina, apri gli occhi, non sono mica un film horror». Aprì prima uno e poi l'altro. Lui era lì, davanti a me, avvolto in un asciugamano bianca dalla vita in giù. 
«Come ti senti?», chiesi sedendomi per terra, sotto all'arco della porta.
«Tu come mi vedi?», chiese lui di rimando, mentre si pettinava i capelli bagnati.
«Bene, direi». Esaminai meglio, scrutando attentamente ogni singola parte del suo corpo, senza scendere oltre il bacino. «Insomma, i lividi sono ancora lì, e anche il tuo occhio nero».
«Si bè, quelli vanno via lentamente. Non posso mica fare miracoli», mi superò e ritornò nella sua stanza. 
«Ehi, lo sai che è maleducazione dare le spalle alle persone?», dissi.
«Si, lo so». Lasciò cadere l'asciugamano che aveva attorno alla vita, rimanendo nudo.
«Dai Nick, che schifo!», mi coprì gli occhi con le mani, mentre lui rideva divertito. «Non c'è niente da ridere, stronzo!». 
«Dai puoi togliere le mani», disse.
«No! Rimarrò così per il resto della giornata». Lo sentì avvicinarsi e piegarsi sulle ginocchia. Mi scostò delicatamente le mani dagli occhi. 
«Apri gli occhi».
«No!»
«Fanny, aprili!»
«Solo se mi prometti che non sei nudo», dissi sbirciando.
«Non sono nudo!». 
Li aprì. 
Aveva indossato i box, ma era ancora a petto nudo. 
Mi soffiò sul naso e sorrise. «Quanto sei scema!»
«Tu sei scemo!», dissi alzandomi. «Che ti va di mangiare? Pizza?», chiesi. Lui annuì.
«Dopo come le bruciamo tutte queste calorie, Pallina?», ammiccò Nick.
«Non chiamarmi Pallina, signor "Io ce l'ho più lungo di tutti quanti"», imitai il suo tono di voce e lui scoppiò a ridere.
Scesi giù in cucina e ordinai le pizze. 
Ora ero più tranquilla, almeno per il momento.






-
Capitolo abbastanza cortino, ma non temete.
Come avete ben potuto capire, ci sarà un continuo che promette bene **
Non ho altro da dire, se non che voglio massimo 7 recensioni! uu altrimenti non posto, eh eh eh.
Alla prossima.
xx Lee

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Capitolo 7
*** 7 ***



 

 

"When She was just a girl
She expected the world
But it flew away from her reach
So she ran away in her sleep
Dreamed of paradise
Every time she closed her eyes."
 
 
Anche la domenica era passata, portandosi con se un altra settimana passata.
Lunedì era arrivato e con lui anche il sole a Brooklyn. Strano a vedersi, soprattutto in quel periodo. 
Entrai in classe per ultima. Al mio posto però c'era seduto qualcun'altro. 
«Quello è il mio posto», dissi mettendomi di fronte alla ragazza che mi guardava accennando appena uno di quei sorrisetti che ti facevan venir voglia di prenderla a schiaffi.
«Strano, eppure non c'è scritto il tuo nome da nessuna parte», disse tranquilla.
«Infatti. Ma quello  il mio posto!», ripetei questa volta più forte.
«Ragazze, cosa succede liggiù? Stephanie siediti». Non mi ero accorta della professoressa di storia che era appena entrata in classe.
«Lo farei molto volentieri se non ci fosse seduta una faccia di culo al mio posto!».
La ragazza si alzò di scatto, facendo urtare la sedia contro il muro. «Qual è il tuo problema, stronza?»
«Il mio fottutissimo problema sei tu che questa mattina hai deciso di farmi girare i coglioni. O ti sposti dal mio banco oppure ti ci sposto io, ma a calci in culo!», le urlai in faccia. Allungò un braccio verso di me e mi tirò uno schiaffo. 
Non vidi più nulla e in un attimo fui su di lei, sbraitando proprio come una leonessa.
 
 
«Ahi!» ... «Mi fai male!» ... «Stronzo!»
«La smetti di insultarmi? Dopotutto sono io che ho evitato che quella ragazza ti facesse a pezzi!»
«Non farmi ridere! Non si reggeva neanche in piedi, mentre io ho solo un labbro rotto». Tamponò ancora un pò il mio labbro inferiore, dopo di che gettò le carte sporche di sangue nel cestino dell'immondizia. «E poi, posso sapere tu chi diavolo sei?», chiesi scorbuticamente. 
«Come si vede che voi ragazzi non prestate attenzione a nulla. Sono il nuovo bidello, o come li chiamate voi». Si sedette sulla sedia, dietro al tavolino dov'ero seduta, continuando a leggere il giornale.
«Da quanto tempo lavori qua?», chiesi, mettendo le gambe a penzoloni sul tavolino.
«Tre mesi cira».
«E' impossibile che non ti abbia mai visto!». Lui fece spallucce. 
«Sei sempre così antipatico?». Lo osservai meglio.
Aveva i capelli scuri, ricci, ma tagliati molto corti. Due bei occhi verdi e le lentiggini, ma al punto giusto. Non molto alto e abbastanza robusto, da come avevo visto, quando mi aveva letteralmente strappato dalla mia preda.
«Ah! Senti chi parla. Quella che fino a cinque minuti fa non faceva altro che urlare parole a tutta forza». Chiuse il giornale e poggiò entrambi i piedi sul tavolo.
«Giusto, hai ragione. Io mi chiamo Stephanie, e tu?», gli porsi la mano. Lui l'afferrò e rispose con un semplice 'Kevin'.
«Bel nome, Kevin». Cercai almeno di essere carina dopo essermi comportata male con lui. «Ci si vede in giro allora». Accennai un saluto con la mano e lui fece lo stesso con la testa. Mi allontanai, uscendo da scuola. 
 





 
-
... Non so come iniziare.
Prima cosa, buon pomeriggio a tutte.
Sono tre mesi che non ritornavo su questo sito, poi da un paio di giorni ho iniziato a seguire di nuovo alcune storie e mi è ritornata la voglia di scrivere.
Non mi aspetto grandi cose, anzi, vi sarete anche dimenticate di me e di questa storia, ma io ci voglio riprovare, iniziando con quest'altro capitolo e poi chissà... Continuare magari.
:)
Lee.


 

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Capitolo 8
*** 8 ***



 

 

a few months later...
 
May 15, 23:15 pm.
 
«Io esco!»
«A quest'ora?»
«Si, ho un paio di cose da fare»
«Fanny, un altra volta?»
«Cosa mamma?»
«Stai di nuovo con quelli
Sospirai «A dopo mamma».
Presi la moto dal garage e partii a tutto gas. Sembrava sfiorasse l'asfalto tanto che correva. Mi faceva sentire libera. 
Era frutto di due duri mesi di "lavoro". Ero ritornata a far parte di una gang, la mia vecchia gang. Mi avevano ripresa, anche se non so dire se si fidavano al 100% di me, ma avevo bisogno di soldi e loro potevano darmeli. Non ne andavo fiera. Avevo 17 anni e portavo una pistola, spacciavo e rubavo. Non ne andavo affatto fiera.
«Eccola che arriva». Parcheggiai la moto nel bel mezzo del nulla e raggiunsi gli altri che mi aspettavano.
«Allora? Perché tutta questa fretta?», domandai sentendomi ancora una volta piccola accanto a tutti loro, perfino accanto alle altre ragazze. 
«Un nuovo compito, questa volta per tutti». Fu lui a parlare. Il suono della sua voce mi rendeva nervosa e aggressiva. Proprio quello che voleva lui.
«Sei in ritardo», mi pietrificò con lo sguardo. Non dissi nulla. Io ero quella che doveva tacere ed eseguire solo gli ordini. Ecco a cosa mi ero ridotta per degli schifosi soldi.
Spiegò a tutti cosa fare e ognuno annuì senza proferire parola. 
«Tu vieni con me. Stammi dietro», mi spintonò con la mano verso la moto «Non crearmi problemi», disse una volta salito sulla sua moto. 
Tutti dovevano averne una. Avevo imparato in tre giorni a portarne una. Non era stato facile e neanche piacevole. Aveo assaporato il gusto amaro della terra e provato l'orribile sensazione del dolore così tante volte, che quella fu solo una delle tante sfide da superare, e c'ero riuscita anche questa volta.
Tenevo il passo di Joseph tranquillamente, sfrecciando tra le auto in coda senza problemi. 
Ma lui non poteva prevedere quello.
Il suono stridulo della sirena della polizia si faceva sempre più vicino. Mi voltai, e vidi che erano poco distanti da noi. Joseph mi disse di accellerare e io ubbidii.
Non ci volle molto che la polizia ci raggiunse. Non molto lontano da noi c'era un piccolo vicoletto sulla sinistra. Urlai a Joseph di girare a sinistra, ma lui non mi sentì. 
Bastò una frazione di secondo che quell'imbecille si ritrovò circondato da due auto blu. La moto slittò sull'asfalto e Joseph scivolò insieme all'ammasso di ferro.
«Cazzo!», feci retromarcia e lo raggiunsi più veloce che potei. «Sbrigati, sali!», non se lo fece ripetere due volte che montò dietro di me. «Tieniti», si strinse di più a me.
Accellerai al massimo e riuscì a togliermi quei cretini dai piedi. Svignarsela per i vicoletti. Quello che a Joseph non avevano mai insegnato quando si è inseguiti dalla polizia. 
Lo portai a casa sua. Né un grazie, né niente. 
«Non ti conviene tornare a casa. Ora si saranno moltiplicati», disse solo.
«So cavarmela benissimo da sola»
«Fa quello che ti pare», mi voltò le spalle e si incamminò verso il portone.
«Non c'è di che, eh!», gli urlai ironica. 
Si fermò di punto in bianco. Si voltò e mi lanciò delle chiavi. «Secondo piano, numero 113. Posa la moto nel garage».




-
Nuovo capitolo :)
Spero che continuiate a recensire ragazze.
Ricordate: TANTE RECENSIONI+ME FELICE= CAPITOLI SEMPRE NUOVI :3
Ci conto !
baciii
Lee

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Capitolo 9
*** 9 ***


 


 

 
Avanzavo lentamente, salendo i gradini timorosa. Quel palazzo emanava un odore da voltastomaco, e in quel momento ringraziai me stessa per non aver messo niente nello stomaco, altimenti avrei vomitato anche le budella. 
Raggiunsi il secondo piano e mi ritrovai faccia a faccia con l'appartamento 113. Bussai e Joe mi venne ad aprire a torso nudo e con in dosso dei pantaloncini. 
«Entra», disse facendosi da parte. «Ho cambiato le lenzuola nella camera da letto», disse ancora, sprofondando sul divano, e con la sua amica birra se ne ritornò a guardare la televisione senza spiccicare parola. 
«E quale sarebbe la camera da letto?», chiesi rendendomi conto che non me l'aveva detto. 
«In fondo al corridoio», disse. Annuii.
Aprì la porta che mi ritrovai davanti alla fine del corridoio. Un letto a due piazze, una televisione al plasma poggiata su un tavolino in vetro, un armadio e due comodini. Una normale camera da letto. 
Notai subito tutte le foto sparse sui comodini e mi soffermai a guardarle. Erano tutte di Joe e Mon. Mi venne un groppo alla gola quando spostai lo sguardo su una foto. Io e Monique, ancora bambine.
Lasciai perdere le foto e mi spostai alla grande finestra ad angolo, che affacciava sulla strada principale. Le tendine erano di un bordeaux intenso, come tutto il resto dell'arredamento. Non era un ragazzo al quale piacevano molto i colori. 
Mi tolsi la giacca di pelle e gli anfibi, rimanendo in shorts e canotta. Mi accomodai sul letto, incrociando le gambe. Continuai a guardarmi attorno per un pò. 
La porta si aprì. «Tieni», Joe mi lanciò una vecchia maglia bianca, consumata. «Puoi tranquillamente usare questa come pigiama», disse. 
Accennai un sorriso, «Grazie» la porta si richiuse con un tonfo e il silenzio totale ritornò in quella camera. A quel punto mi spogliai completamente, rimanendo in biancheria, e indossai quella maglietta che mia rrivava a malapena al sedere. Mi distesi sul letto, afferrando il cuscino e stringendolo a me. Mi rannicchiai su me stessa e caddi in un sonno profondo.



-
Salve.
Sono rimasta un po delusa dalle recensioni ricevute nell'ultimo capitolo, ma non demordo.
Questa è solo una parte del capitolo intero, l'altra la pubblicherò se le recensioni saranno abbastanza.
A presto :)
xx

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Capitolo 10
*** 10 ***




 

Quella mattina uscii presto dall'appartamento di Joe. Era Mercoledì e io avevo scuola.
Rientrai a casa in punta di piedi. Mi sentivo una ladra che sta per rubare in casa sua. 
«Finalmente, credevo di dover chiamare la polizia», mia madre era seduta sul divano nel soggiorno a bere la sua solita tazza di caffè mattutina. 
«E' proprio per colpa della polizia che non sono potuta rientrare. Scusa mamma, avrei voluto avvisarti ma non avevo soldi sul cellulare e poi era anche molto tardi. Ho dormito a cas-», si alzò di scatto e mi abbracciò. Non lo aveva mai fatto in diciassette anni della mia vita. Mi lasciò senza parole.
«Ti voglio bene tesoro», lo squillare di un cellulare interruppe quello che ai miei occhi apparve come un sogno. «E' Cody. Devo andare», prese la sua borsa e mi sorrise lievemente «Torno presto», mi baciò sulla guancia e uscì di casa. 
Rimasi per qualche istante immobile, poi corsi in camera a farmi una doccia e a cambiarmi. Ero in ritardo. 
Parcheggiai la moto nel cortile della scuola, ma notai con grande stupore che erano ancora tutti li, tranquilli, come se non fossero le 8:30.  Mi avvicinai a Leah e a Norah, che non vedevo da molto. Nelle ultime settimane avevo saltato la scuola otto volte su dieci. 
«Che succede?», chiesi, notando degli uomini in tuta bianca uscire dalla porta principale.
«Ci sono le blatte», rispose Leah senza guardarmi neanche. 
«Cos'è, hai finito di leccare il culo a Joseph e così ti ha dato il permesso per ritornare a scuola?», l'acidità di Norah mi arrivò quasi come una minaccia.
«Io non lecco il culo a nessuno e nessuno mi da il permesso di fare una cosa, e poi, queste sono cose che non ti riguardano», alzai i tacchi e mi allontanai da loro. Mi sedetti sul muretto del cortile e mi accesi una sigaretta. Da quanto fumavo? Non lo sapevo neanche io.
«Lo sai com'è fatta Norah. Ha detto quelle cose solo perchè ti vuole bene e sa che questa non è la vita che ti meriti», Leah era sempre così dolce e comprensiva. 
«Lo so, ma fino a quando continuerò a vivere qui, questo è ciò che posso permettermi», risposi. Lei si limitò ad annuire e rimase accanto a me, in silenzio.
«Oh oh, ma guarda un po chi si rivede! Da quando hai mollato Carter e ora porti una pistola nei pantaloncini non ti sei più fatta viva. Il gatto ha deciso di lasciare libero per un pò il suo topolino?». Spensi la sigaretta sotto i piedi e mi avvicinai a lui. 
«Qual è il tuo problema Nick?»
«Nessun problema topolino», rise divertito, mentre i suoi amici continuavano a sghignazzare. 
«E allora fottiti!».  Presi la mia borsa e me ne andai.
«Se rivuoi una dignità ritorna da me!», lo sentii urlare, ma non lo ascolta. 
Tra me e lui non scorreva buon sangue da un bel pezzo ormai. Nick faceva parte di un altra gang e lui e Joe non è che si amassero tanto. Non avevamo discusso né litigato, era successo tutto automaticamente. Io ora stavo con Joe e gli altri e lui non mi degnava neanche di uno sguardo. Dieci anni di amicizia buttati nel cesso!
 
Guidai fino al parco giochi abbandonato. Il mio posto. Lasciai la moto non molto distante e mi sedetti sull'altalena. Il mio cellulare prese a vibrare nella tasca dei miei pantaloni. Joseph.
Non avevo voglia di ascoltare altre prediche del cazzo, così rifiutai la chiamata. 
Di solito ritornavo in quel posto quando avevo qualcosa da dire a Monique, oppure quando mi sentivo semplicemente sola al mondo, il che accadeva quasi tutti i giorni. Ma quella volta ero lì perchè ero arabbiata, frustata e sola più che mai. La mia vita era un completo schifo, le persone facevano schifo e io più di tutto il resto. 
«I'm slippin' into the lava and I'm tryin' keep from goin' under...»
«Che canzone è?», grandi occhi marroni e una folta chioma nera sbucarono dal nulla.
«Una canzone. Piaceva molto sia a me che a Mon», bisbigliai. 
«Perchè non mi hai risposto al cellulare?», chiese sedendosi sull'altra altalena, poggiando i gomiti sulle gambe.
«Perchè non mi andava», feci spallucce e iniziai a dondolarmi avanti e indietro. Avevo voglia di piangere, ne avevo una voglia matta. E lo feci.
«Perchè piangi?», chiese Joe «Piange chi è debole»
«Non è vero. Io non piango perchè sono debole, ma perchè sto resistendo troppo, e lo sai com'è, la coda prima o poi si spezza». Mi asciugai le guance bagnate.
«Hai fame?», lo guardai. Stava facendo sul serio? «Ho voglia di kebab», si alzò dall'altalena. «Allora, vieni si o no?»



-
ho deciso di postare alla fine, ma non credo che lo farò se non ricevo almeno 5 recensioni.
Scusate, ma mi sembra davvero inutile scrivere e farlo leggere al nulla. 
Spero mi capiate..
xx 
Lee

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Capitolo 11
*** 11 ***





 

Fu alquanto strano e molto imbarazzante mangiare con Joe che ti fissa, soprattutto se lui finisce in cinque minuti e tu ne impieghi altri dieci per finire il tuo.
Ritornai a casa presto quella sera, ero stanca e volevo dormire. 
Mi trascinai lentamente fino alla porta di casa, e l'aprii altrettanto lentamente di come c'ero arrivata.
Notai subito una strana quiete in casa. Tutte le luci erano spente e le finestre chiuse. Tutto era come l'avevo lasciato la mattina. Andai in camera mia e mi spogliai, tuffandomi sotto la doccia e uscendone in accappatoio. 
Andai al telefono e ascoltai la segreteria per cinque volte. Niente di niente. Provai a telefonare mia madre, ma mi diceva che aveva il cellulare spento. 
Andai in camera sua, anche quella, era in fottutissimo ordine, ma qualcosa attirò la mia attenzione. Le foto che prima c'erano sul suo comodino, ora non c'erano più.
Tutte le mie foto da piccola, erano sparite. 
Aprii l'armadio e lo stesso i suoi vestiti. I cassetti, vuoti. Le scarpe, non erano più al loro posto. Tutto in quella stanza era stato portato via, ed io ero stata l'unica a non accorgersene. Mia madre era andata via, e non me l'aveva detto. Era scappata di casa, senza di me. Sparita, lasciandomi da sola. 
In diciassette anni della mia vita non mi ero mai sentita più sola. Non avevo più nessuno, nessuno
«Non è possibile»
.
 Ero rimasta io, a lottare contro tutto e tutti. Ma chi diceva che quella volta ce l'avrei fatta da sola?
Mi lasciai cadere contro la parete, scivolando sul pavimento freddo. Rabbrividii e mi strinsi le ginocchia al petto. Forse ero debole davvero. No? Allora perchè continuavano a scendere lacrime dai miei occhi? Avrei voluto smettere di essere così. Non si affrontavano le cose piangendo. Ma io come avrei dovuto affrontarle?  
Feci la prima cosa che mi passò per la testa. Ascoltai le parole di chi mi aveva detto che i deboli piangono. Forse avrei imparato qualcosa questa volta.
Presi il cellulare e chiamai Joe. «Pronto?»
 
Fui davanti alla porta del suo appartamento in cinque minuti. Non mi preoccupai neanche di asciugarmi i capelli. Indossai solo un vestitino e dei sandali. 
Il ragazzo venne ad aprirmi alla porta in boxer.  Aveva importanza? Gli gettai le braccia al collo e piansi abbracciando Joseph Parker. Non disse o fece nulla. Aspettò che smisi e che allentassi la presa, asciugandomi il volto con le mani. Mi guardò e mi diede una maglietta.
«E' la stessa di ieri», me la mise tra le mani e gli sussurai un flebile grazie. «Puoi dormire nella mia camera».
Mi cambiai, mettendo i miei vestiti sulla poltrona, e indossando la sua maglia. Mi distesi sul letto, stanca, ma non avevo voglia di dormire. Mi sentivo quasi risollevata all'idea di non essere sola in quel momento, almeno c'era qualcuno nella stessa casa in cui mi trovavo io, e questo mi faceva sentire tranquilla, per il momento.
«Se vuoi, puoi dormire sul tuo letto. In fondo, dovrei essere io quella a dormire sul divano», l'avevo detto seriamente? Mi guardò per un istante e poi fece spallucce, riposando lo sguardo sulla tv. «Tranquilla», disse.
«V-va bene... notte allora», ritornai in camera da letto, e mi accasciai sul letto, rimanendo in uno stato di dormiveglia. Riuscii a chiudere gli occhi definitivamente, dopo un tempo interminsbile, risvegliandomi il mattino seguente tra le braccia di Joe.


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Salve mie care donzelle.
Come vedete, ho mantenuto la mia promessa e alle 5 recensioni ho postato :)
Credo che il prossimo lo posterò raggiunte le 7 recensioni. Ci riusciamo? Ma certo! Voi siete le migliori, ce la potete fare! 
Alla prossima <3 
xx Lee

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Capitolo 12
*** 12 ***



 

 

Con la confusione che regnava in quel momento nella mia testa, cercai di trovare una logica a tutto quello, non riuscendoci, per mia sfortuna.
Ero completamente abbracciata al suo corpo e le sue braccia mi avvolgevano come una coperta. Lui dormiva beato con un espressione riposata in volto e le labbra leggermente dischiuse, a mo' di "o".  Lentamente cercai di scivolare via dalla sua presa, facendo attenzione a non svegliarlo. 
«Dove scappi?», lo sentì mormorare con la voce impastata di sonno e con ancora gli occhi chiusi.
«Oh», sapevo che in momenti come quelli le mie guance assumevano un forte colorito «Ehm, volevo preparare la colazione».
«Ma è presto, non credi?», rotolò fino ad arrivare al centro del letto, affondando la testa nel cuscino sul quale avevo dormito io. «Si, ma io ho scuola, per questo», lui mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre io presi i miei vestiti, sparsi un po ovunque (non ero mai stata molto ordinata), e sgattaiolai via in punta di piedi, chiudendomi in bagno. 
«Ti piacciono le uova?», chiesi un pò  imbarazzata da quella imbarazzante situazione che si era creata. «Si», disse mentre continuava a cambiare canale alla tv. «E il bacon?», chiesi ancora, prendendo una pentola, dopo che lui mi aveva detto dove fossero ovviamente. «Sono americano, perchè pensi che non mi piacciano uova e bacon?», chiese «Non so, non a tutti piace», risposi iniziando a rompere un paio di uova. «A che ora hai scuola?», presi il bacon e lo misi in un altra padella. «Alle 8, perchè?», preparai i piatti e le forchette sulla tavola, aggiungendo dell'acqua fredda. A Joe non piaceva molto fare la spesa, il suo frigo era praticamente vuoto! «Posso accompagnarti se ti va», versai la colazione nei piatti e la servii. «Ma ho la moto, non c'è bisogno». 
O stavo impazzendo oppure ero sotto l'effetto di qualche sostanza stupefacente. Perchè nel giro di poche ore, Joseph Parker mi aveva offerto un tetto, un letto e le sue braccia come rifugio, e ora, mi stava anche offrendo un passaggio a scuola? 
«Puoi posarla nel mio garage», se insisteva così tanto... «Va bene», accennai un sorriso e continuai a mangiare, cercando di evitare i suoi occhi. 
 
Arrivai a scuola in cinque minuti, in sella alla kawasaki ninja di Joe. Tutti avevano gli occhi puntati su di me, o meglio, su di noi. Perchè la gente è tanto pettegola e non pensa mai agli affari propri? 
Scesi dalla moto, dando il casco a Joe. «Grazie mille per il passaggio», dissi scompigliandomi i capelli. «Ma ti pare. Se hai bisogno che ti vengo a prendere fammi uno squillo», mi fece l'occhiolino e si dileguò in un batter d'occhio. 
Entrai nel cortile, e c'era ancora qualcuno che mi fissava. Era fastidioso e irritante. 
«Ora ti fa anche da chauffeur?», Nick camminava non molto distante da me, tenendo le mani nelle tasche dei jeans, con quella sua aria da sfacciato. Lo ignorai. «O no, forse sei solo diventata la sua puttanella». Mi voltai, mollandogli un pugno sul naso, che prese subito a sanguinare.
«Avete rotto, tu e i tuoi modi del cazzo! Smettila di ronzarmi intorno e di rompermi i coglioni. Se non ti sta bene quello che faccio, non dirmelo! Non sei nessuno per dirmi certe cose e nessuno ti ha dato il permesso di farlo, e ora, per piacere Nicholas, sparisci dalla mia visuale!», lui si teneva il naso che perdeva ancora un po di sangue, e nello stesso istante comparvero in cortile il preside, seguito dal bidello che conobbi recentemente, Kevin mi sembra. 
«Che diavolo succede nel cortile della mia scuola?», il preside si voltò verso di me «Grey? Ancora lei? E' possibile che ogni volta che succede qualcosa c'è sempre lei di mezzo?», il ragazzo aiutò Nick ad alzarsi, che lo scostò violentemente. «Piccole stronze imparano a usare le mani», rise mentre tirava su col naso e si puliva le mani sulla maglietta. La calma non era una cosa che mi apparteneva e la pazienza altrettanto, e lui stava facendo in modo che le perdessi entrambe. 
«Harrison, modera i termini!». Tutti ci guardavano, e avrei giurato di vedere qualcuno scommettere su di noi. «Mi dispiace signor preside, ma io dico sempre la verità!», voleva la guerra? «Qui nessuno è una stronza, vabbene?», perchè quell'uomo non riusciva a capire che non sarebbe finita li? «Oh si, la madre di tuo figlio è una stronza!», gli urlai in faccia. Sapevo che quel testo non andava toccato, mai. «Tu, non...», mi travolse come un ciclone. La sua forza era dieci volte maggiore della mia. «Harrison! Qualcuno lo fermi!!», ci sarebbero riusciti a fermarlo? chi lo sa. Ciò che rimase di me alla fine di quello scontro fu il nulla. Non rimase niente di me, neanche un piccolo pezzo della mia anima. Aveva distrutto tutto. «Porta tanti saluti a Joseph da parte mia!», furono le sue ultime parole prima che tutto attorno a me svanisse nel nulla, ed io insieme a tutto. Avevo combattuto, ma avevo perso. E' così che va il mondo. 


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aggiornamento veloce! :)
recensite! <3
xx lee

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Capitolo 13
*** 13 ***


«Ma perchè gli hai ricordato suo figlio e la madre?», le mani esili di Leah si muovevano delicate sul mio volto. Ero svenuta e mi ero risvegliata nell'infermeria della scuola. Non c'era una vera infermiera pronta a medicarti e se dobbiamo dirla tutta, quella non era neanche una vera e propria infermeria. C'era solo un lettino malandato, un separè  traballante, la mia amica che fungeva da infermiera ed io, alla quale, sfortunatamente, era toccata la parte della vittima. «Perchè è un grandissimo stronzo!», risposi così, sputando ancora un po di sangue. Che sapore orribile! Avrei voluto tanto vomitare. 
Nick aveva un figlio di 3 anni, Jason. La madre del bambino non l'avevo mai realmente conosciuta, ma sapevo molte cose su di lei. Ancora molto giovane e malata di cancro. 
Non era un argomento di cui parlavamo spesso io e Nick, quando ancora parlavamo. Ci fu una sola volta, la stessa volta in cui lo seppi e di cui me ne parlò e poi basta. 
«Ok», Leah lasciò cadere il discorso e continuò a medicarmi meglio che potè. 
Uscì da quella stanza con gli occhi di tutti puntati addosso. Non smettevano di mormorare e questo non faceva altro che rendermi più nervosa e arrabbiata. Uscì da scuola sbattendo le porte del corridoio ritrovandomi Nicholas ad un centimetro dal mio volto. La voglia di sputargli in faccia si faceva spazio dentro di me, ma non ebbi il tempo di mettere bene a fuoco quell'idea, che scomparve dalla mia visuale. 
Trovai Joe allo stesso posto dove si era fermato la stessa mattina quando mi aveva accompagnata. Gli avevo inviato un sms, chiedendogli di venirmi a prendere. Ero stupida, e lo sapevo. 
«Cosa è successo?», i suoi occhi da cerbiatto si posarono sul mio viso, esaminandolo da cima a fondo. «Nulla», afferrai il casco e lo indossai «Come nulla?»,  è così difficile capire quando una persona non ha voglia di parlare? «Poi ti spiego», mi limitai a dire una volta salita sulla moto.
Mi portò a casa sua senza chiedermelo neanche. Ormai passavo la maggior parte del tempo a casa sua, la mia non ricordavo neanche come fosse fatta, ci ritornavo solo per prendere i vestiti puliti e lavare quelli sporchi. Avevo occupato metà del letto di Joe, metà del suo bagno, della sua cucina e del suo salotto. Sembravamo due conviventi, con la differenza che dall'odiarci eravamo passati al sostenerci. Strano, molto.
 
Continuavo a fissarmi allo specchio, sperando che da li a pochi istanti quei grossi lividi sarebbero spariti. Ma non accadde nulla. Erano passate poche ore da quando Nicholas mi aveva ridotta in quello stato, e le cose non andavano bene. 
«Hai bisogno di qualcosa?», Joe entrò in camera con un bicchiere d'acqua in mano, e incrociando le braccia al petto si poggiò al muro. «No, grazie», risposi guardandolo attraverso lo specchio. 
«Mi dici cos'è successo?», chiese ancora una volta, la decima forse. Sbuffai chiudendo la porta dell'armadio e  voltandomi verso di lui. «Ho litigato con Nick», dissi piegando alcune cose mie. «Harrison?», chiese lui «Si», risposi secca «E perchè?» «Perchè mi ha dato della puttana!», alzai il tono di voce «Vuoi che faccia qualcosa?», avevo capito cosa intendeva. Mi stava chiedendo se volevo che lo picchiassero, o forse che lo uccidessero. «No, ti ringrazio» «Vabbene, come vuoi. Ora esco, faccio tardi», prese la giacca di pelle e le chiavi della moto «Dove vai?» «Abbiamo una cosa da sbrigare» «Allora aspettami che vengo anch'io» «No! E' pericoloso», stava forse scherzando? «Tutte le altre lo erano, ma non mi sono mai tirata indietro, e poi mi servono i soldi» «Non preoccuparti per i soldi, li avrai lo stesso, ma voglio che tu rimanga qui!», mi guardò minaccioso ed uscì di casa. Non potevo crederci. Joseph Parker mi stava proteggendo.

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Capitolo 14
*** 14 ***


 
Sentì un rumore e mi voltai verso il comodino, dove la sveglia segnava le 4:25 del mattino. Poco dopo Joe entrò nella camera da letto, furtivo, con l'intenzione di non svegliarmi. Frettolosamente raccolse qualcosa e prima che uscisse dalla stanza lo fermai. «Cos'è successo?», mormorai saltando giù dal letto e avvicinandomi a lui. «Niente, torna a dormire», uscì chiudendo la porta ad un palmo dal mio naso. Non lasciavo che qualcuno mi mettesse da parte, soprattutto in quel modo. 
Aprii la porta del bagno, trovandolo seduto sul bordo della vasca, senza maglietta, e con una ferita sull'addome. Una pallottola molto probabilmente. 
«E questo tu lo chiami "niente"?», dissi fissandolo. «Si, ora per piacere, torna a dormire!», alzò un po il tono della voce. Mi avvicinai, inginocchiandomi e spostando le sue mani, notai che la pallottola non era entrata molto in profondità. Lui mi scostò violentemente, facendomi cadere. «Vai via!», urlò. Subito dopo una smorfia di dolore sulla sua faccia. «Perchè non lasci che ti aiuti, eh?», gli presi il viso tra le mani, inchiodando i miei occhi nei suoi. «Perchè? Voglio solo aiutarti, non farti del male. Lo capisci?», urlai ancor più forte di lui. 
Si arrese e sedendosi per terra accanto a me, lasciò che lo aiutassi. 
«Sta fermo e riposati», lo lasciai sul letto, dopo averlo trascinato, nel vero senso della parola.
Tornai in cucina a piedi scalzi a preparargli qualcosa, della cioccolata calda magari. 
 
La notte finì presto e con lei passò altrettantovelocemente la giornata seguente. Joe aveva dormito tutto il tempo ed io ero stata sul divano a leggere un libro, pronta ad aiutarlo appena ne avesse avuto bisogno.
Avevo dimenticato il male che mi aveva fatto. Avevo dimenticato tutto ciò che era successo, avevo perdonato lui. Mi sentivo felice con me stessa e con gli altri, forse con qualcuno di meno. 
Da quando c'era lui nella mia vita, anche se da poco, tutto era migliorato. Mi dicevano che era pericoloso e portava solo morte nella tua vita. Ma quali occhi avevano visto ciò? Quali persone avevano provato tutto questo? Non è un mostro, non è  il diavolo. E' un ragazzo che ha scelto la strada più facile che la vita gli ha posto davanti, dimenticando che lottando e con un po di sacrificio avrebbe potuto scegliere quella giusta.
«Ehy», lo vidi entrare in salotto, e sedersi sul divano dove ero seduta a guardare la tv. 
«Come va?», gli chiesi. Nello stesso stesso istante lui gettò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. «Ho passato momenti peggiori», rispose sorridendo lievemente. «Cosa può esserci peggiore di questo?» «Credimi, non vuoi saperlo», poggiò un braccio sullo schienale del divano, mentre io portavo le ginocchia al petto. «Comunque, grazie», mi guardò e ricambiai. Non dissi niente, mi limitai a guardarlo. «Con chi parlavi prima al telefono?», chiese poggiando le gambe sul tavolino. «Con un amica» «E?» «Mi avevano invitata ad uscire», feci spallucce. «E perchè sei ancora in pigiama?» «Perchè non voglio andarci». Joe rimase a fissarmi per un pò, lo sentivo, il suo sguardo che premeva su di me. Tenevo la testa bassa, avevo paura, paura dei suoi occhi. 
«Sei sempre chiusa qui, ora non andra neanche più a scuola suppongo...», si sofferò su quel particolare «Insomma, uscire non ti farebbe male», continuai a torturare quella ciocca di capelli che mi rigiravo tra le dita da più di un ora. Ci pensai su, poi mi convinsi. «Va bene, ma solo per questa volta», mi alzai dal divano ringraziandolo con un lieve sorriso e corsi a prepararmi.
«Io sono pronta», bussai alla porta della camera da letto, dove Joe si era rimesso a letto. 
Aveva un braccio dietro alla nuca, le gambe incrociate e il telecomando nell'altra mano. «Quindi, esco. Non so a che ora torno, quindi è inutile che ti dica di non aspettarmi», lui annuì. «Divertiti», sorrisi e lo lasciai da solo.  Avevo usato talmente di quel fondotinta che ora avevo una specie di maschera di cera sul viso. I lividi facevano ancora male ed erano visbili. Cercai di dimenticare questo piccolo particolare, e nella mia testa si fece spazio l'idea che forse quella sera, al solito club dove andavano tutti quelli che conoscevo, ci sarebbe stato anche Nick.
Non mi stavo preparando ad una serata di divertimento, ma a quello che molto probabilmente sarebbe stato il secondo round tra me e Nicholas. 


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perdonatemi per il ritardo e per gli eventuali errori <3
xx

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Capitolo 15
*** 15 ***


Entrai nell'appartamento aprendolo con la copia delle chiavi che Joe aveva fatto fare per me e una voltra dentro la chiusi con il lucchetto. Lanciai la borsa e il giubotto di pelle sul divano e a seguire le scarpe.  L'orologio digitale del televisore segnava le tre di notte. Camminai a piedi scalzi fino alla camera da letto. Sentivo il leggero russare di Joe, segno che era nel profondo mondo dei sogni, così presi il pigiama da sotto al cuscino e mi spogliai direttamente lì.
«Dovresti fare più attenzione quando decidi di cambiarti quando c'è qualcuno che dorme», il suono della sua voce sbucato dal nulla mi fece sobbalzare dalla paura. Non dissi niente, non ne avevo voglia. Mi infilai i pantaloncini e mi gettai sul letto accanto a lui. Cosa eravamo? Dividevamo il letto e tutto quello che sapevo su di lui era pari al nulla. 
Si girò verso di me e nel buio riuscì a scorgere una strana luce nei suoi occhi. «Come va?», chiese «Dovrei chiedertelo io», ribadì «A me va tutto bene, il dolore è diminuito», disse continuando a guardarmi. «A me va..», come andava a me realmente? Una lacrima rotolò giù. Lui la raccolse con l'indice prima che potesse cadere, e poi l0 avvicinò alle labbra. Mi fece sorridere. «Sono stata con Nick questa sera», gli dissi. «E..?» "...E ci sto male perchè non volevo, perchè mi sono sentita come una prostituta. Ci sto male perchè pensavo a te."  «Nulla», mi asciugai il viso «Ho sonno. Buonanotte Joe», mi voltai dal lato opposto al suo e chiusi gli occhi. «Buonanotte», sussurrò, dopodichè mi lasciai andare tra le braccia di Morfeo, anche se avrei preferito di gran lunga quelle di Joe. 
 
La mattina seguente la sveglia suonò presto. La giornata cominciava proprio in quel preciso istante. Balzai giù dal letto, mentre Joe dormiva ancora, e preparai la colazione. Uova e pancetta, mix perfetto. Joe l'adorava.
«Mh, che profumino», entrò in cucina sbadigliando e scompigliandosi i capelli. Gli misi il piatto davanti e divorai il mio in un batter d'occhi. «Come mai tutta questa fretta?», domandò lui infilandosi un pezzo di pane in bocca. «Vado a scuola Joe. E' arrivato il momento di ricominciare, non voglio perdere l'anno», dissi tutto d'un fiato, infilando alcuni libri nella tracolla. «Perchè, hai fatto pace con Nick?», sbattei la mano sul tavolo, irrigidendomi. Quel nome... Mi portava alla mente il ricordo della sera precedente. Mi faceva venir voglia di vomitare. «Non c'entra Nick. Lo faccio per me!», dissi uscendo dalla cucina. Mi lavai i denti e mi truccai. 
Perchè mi aveva fatto quella domanda? Era geloso oppure voleva solo vedermi imbestialire? Non lo capivo. 
Presi le chiavi dell'appartamento e tornai in cucina per salutarlo. 
«Allora io vado», dissi «Ti passo a prendere all'uscita», senza distogliere lo sguardo non disse più nulla. Lo lasciai li e uscì di casa. 
 
La giornata passò in fretta. Mancavano pochi minuti al suono della campanella ed io ero già fuori seduta sul banco di Kevin, con la stecchetta di un chupa chups che avevo appena finito di mangiare tra le labbra. Le gambe a penzoloni e la testa tra le nuvole.
«Fanny...», la voce di Kev risuonava come un eco nella mia scatola cranica. «Ti prego scendi dalle nuvole e torna tra noi», sbattei le palpebre e tornai a fissarlo. «Non so cosa fare», dissi sbuffando. «Questo l'avevo capito. Perchè non parli con il tuo amico moro e gli dici tutto?», mi suggerì riferendosi a Joe. «Ma cosa gli dico?» «Quello che provi per lui» «Io non so cosa provo...». 
Ed era vero. Mi piaceva stare con lui, cosa che non avrei pensato qualche mese prima.  Mi faceva sentire al sicuro in qualche modo, ma allo stesso tempo odiavo tutto quel silenzio tra noi. Non parlavamo, non discutevamo di nulla, erano solo sguardi e ancora sguardi. Non sapevo perchè stavo a casa sua, mentre ne avevo una a disposizione tutta per me. Forse perchè da quando la mamma era scappata avevo paura che anche lui mi avrebbe abbandonata o era tutto uno stupido gioco al quale non sapevamo di stare giocando. A volte mi chiedevo se anche lui provava qualcosa o sentiva il bisogno di capire. 
La campanella suonò e mi fece ritornare alla realtà. «Pensa bene a quello che vuoi e desideri Fanny, se prendi una decisione difficilmente potrai tornare indietro», mi disse Kevin, prima di iniziare ad urlare con i ragazzi che si spintonavano tra di loro e causavano solo caos.
Mi sentivo come in una campana di vetro. Tutto il resto del mondo era irrilevante. 
Raggiunsi il cortile e lì vi trovai Joe in sella alla sua bestia nera. Indossava un jeans strappato ed una maglietta verde militare. Tutte le ragazzine gli sbavavano dietro, lo vedevo. 
Mi avvicinai a lui e sentì per l'ennesima volta la gente mormorare. «C'è Nick che ti fissa», mi disse senza distogliere lo sguardo da quest'ultimo. Mi girai e lo vidi. Si mandavano delle occhiate da far paura. «Non dargli retta, andiamo». Non mi sorpresi quando Joe non mi calcolò minimamente e neanche quando sentì la presenza di Nick dietro di me. 
Tutto quello non avrebbe portato nulla di buono.



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chiedo perdono per tutto questo ritardo, ma non mi è facile aggiornare sempre :(
Spero che questo capitolo sia un pò più lungo e so che molte di voi mi odieranno perchè vi terrò sulle spine ancora per un pò.
Abbiate pazienza, vi voglio bene <3
xx Lee

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Capitolo 16
*** 16 ***


 
«Joe, per favore, metti in moto e andiamo via», sussurrai poco distante dal suo volto. I suoi occhi erano incollati a quelli del ragazzo dietro di me. C'era aria di sfida e io odiavo quel tipo di aria. 
«Cosa c'è, vuoi scappare proprio ora topolino?», disse Nick con tono malizioso. Si era buttato la zappa sui piedi da solo. Joe scese dalla moto e mi scostò delicatamente, in modo da potersi trovare faccia a faccia con Nick. Non c'era molta differenza d'altezza tr ai due, i loro occhi si stavano perforando a vicenda. Tutti i ragazzi di erano raggruppati ai lati del cortile, quasi automaticamente, come quando sta per iniziare un incontro e al centro vengono lasciati i due sfidanti, in questo caso tre, me compresa. «Cosa vuoi da lei?», disse Joe con ripugnanza. «Lasciala in pace». Lo tenevo fermo per un polso, ma sapevo che non sarei riuscita a fare gran che nel caso fosse scattata la molla in lui. «Mi dispiace, non posso», disse Nick sorridendo. Mi afferrò velocemente per un braccio, facendomi girare, e mi ritrovai con la schiena contro di lui. «Vedi.. Joe, la piccola Fanny è diventata il mio giochetto preferito», disse a pochi millimetri di distanza dal mio orecchio, che poco dopo leccò velocemente. Rabbrividì. Quello non era affatto il ragazzo che avevo considerato 'tutta la mia famiglia' , fino a poco tempo prima. «Lasciala andare», Joe mi porse la mano che non esitai ad afferare, ma Nick mi teneva ancora troppo stretta. Lo guardai negli occhi, e in quel momento notai quanto fossero profondi, tristi, malinconici... Avvertì la forte sensazione di volerlo abbracciare e dirgli che era tutto ok. Ma perchè ?
 Joe mi tirò con forza, tanto che credetti di essermi strappata qualche muscolo. Caddi per terra in ginocchio, e in pochi secondi Nick incassò il colpo di Joe, indietreggiando pesantemente. «Ti ho detto di lasciarla stare, sono stato chiaro? Non farmelo ripetere», lo guardò per un ultima volta, con il fuoco negli occhi. Mi aiutò a tirarmi su, e mi trascinò letteralmente fino alla moto. Tirai un sospiro di sollievo quando mise in moto e si allontanò dalla scuola. Joe era con me, lontano da Nick e Nick era a scuola, lontano da Joe. Potevo stare tranquilla, almeno per il momento.
 
«E' molto stretta?», chiese Joe sistemando la fascia. «Abbastanza», dissi con una smorfia sul viso. I miei presentimenti erano giusti. Mi ero strappata qualche muscolo del braccio e Joe me l'aveva fasciato. Faceva male. «Lo so, mi dispiace anche di avertelo procurato, ma deve restare stretta, almeno per un po», si alzò dal pavimento, e mi portò un bicchiere d'acqua con una pillola. «Tieni», me li porse entrambi «Ti aiuteranno con il dolore», lo ringraziai e mandai giù. Ci fu un momento di silenzio. Era sempre così con quel ragazzo,e io odiavo il silenzio. Volevo che mi parlasse, che mi dicesse tutto quello che gli passava per la testa anche la più minima sciocchezza, volevo saperlo, ne avevo bisogno. «Allora.. a te come va la ferita?», chiesi cambiando argomento. Alzò la maglietta e scoprì l'addome. «A te come sembra?», era quasi guarita del tutto ma i segni c'erano e non sarebbero andati via. «Abbastanza bene direi. Insomma, era una pallottola, sei guarito in fretta», gli sorrisi lievemente, alzando di poco la testa per guardarlo. Se ne stava poggiato al muro, con le braccia incrociate al petto. Restai a fissarlo per minuti interminabili, senza accorgermene.
«Cosa c'è?», chiese poi sorridendo, mostrando appena i denti. «E' che non capisco. Perchè non mi parli mai?», lo guardai interrogativa. «Non mi piace molto parlare di me», fece spallucce. «Non ti chiedo di parlarmi di te, ma di qualsiasi cosa, anche delle cazzate, ma almeno, ti prego, parlami. Abitiamo sotto lo stesso tetto, nella stessa casa e dormiamo perfino nello stesso letto. Qualcuno ci prenderebbe per malati di mente. Ma tu non mi parli, ed è come se vivessi da sola, ancora una volta», dissi sussurrando l'ultima frase. 
Si avvicinò, sedendosi accanto a me. «Cosa vuoi sapere?», mi chiese guardandomi. «Qual è il tuo colore preferirito?».



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Erano due mesi che non postavo e mi scuso enormemente. 
A breve inizierò anche un'altra ff, e mi ri-metterò in attività uù
Spero mi perdoniate. <3
xx Lee

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Capitolo 17
*** 17 ***



"Chi ha paura muore tutti i giorni, chi ha coraggio muore una sola volta."

 
«Fanny», mi sentì chiamare «Svegliati, dobbiamo andare». Aprì gli occhi, e sbadigliai. 
Diedi uno sguardo veloce alla finestra. A Brooklyn era ancora buio. 
Mi alzai dal letto prendendo una tuta ed una maglietta dal cassetto e le indossai. Raccolsi i capelli in una coda alta e indossai le scarpe. «Mi lavo un attimo i denti», entrai in bagno e mi guardai allo specchio, ma decisi che forse era meglio evitare. Mi lavai i denti, spazzolando bene, sopra e sotto, all'interno e all'esterno, almeno per due minuti, come mi aveva insegnato la mamma. Chissà come stava... 
Mi lavai la faccia, scrollandomi da dosso quei pensieri.
Era sempre così quando arrivava un carico grosso di droga, alle 4 del mattino bisognava essere attivi, ma soprattutto produttivi. Quella era, se possiamo chiamarla così, una prova. 
Quando entri a far parte di un gruppo, o sei dentro o non ci sei proprio. 
«Fanny!», Joe urlò il mio nome per un ultima volta, dopo di che mi sbrigai e uscimmo di casa. Prendemmo le moto dal garage. La mia piccola bestia era un pò che non si sgranchiva le gambe. Misi in moto e indossai il casco. Faceva un freddo cane  quel giorno e l'asfalto era ricoperto da un sottile strato di ghiaccio. L'inverno si faceva sentire anche da quelle parti e con lui anche il Natale. 
Arrivammo al porto dopo dieci minuti e tutti erano già li ad aspettarci. Scesi dalla mia moto e affiancai Joe, che si stava incamminando a passo spedito verso il gruppetto di ragazzi. 
«Non voglio perdere tempo in cose inutili, quindi sbrigatevi, siate svelti e fate in modo da evitare gli inconvenievoli», i ragazzi annuirono e iniziarono a scaricare i pacchi di erba e di pasticche, arrivati da chissà dove. Molti di loro erano venuti con le proprie macchine, in modo da poter trasportere la droga e portarla al magazzino, dove non ero mai stata, e non solo per colpa della droga. Joe si allontò da me ed io rimasi sola, a guardare gli altri fare avanti e indietro. Accesi una sigaretta e la portai alla bocca. Mi sedetti su un muretto e mi persi in un ricordo molto lontano...
 
 
" «Fanny tesoro quel fiocco spostalo un pò più a destra», urlò la mamma, mentre era ai fornelli a controllare la cena. «Ok mamma», presi altri fiocchi e altri oggetti dallo scatolone pieno di polvere dove tenevamo i pochi addobbi natalizi. Eravamo solo io e la mamma che ci occupavamo dell'albero di natale. Ormai mio padre aveva iniziato da un bel pò il suo fuori ed esci dal carcere. E la cosa non mi dispiaceva.
 Stranamente quella sera qualcuno bussò alla porta. Il terrore me lo si poteva leggere negli occhi appena lo vidi lì, sotto la soglia di casa. Sapevo che quella sera l'incubo ricominciava, l'uomo cattivo che piano entrava dalla porta della mia camera e lasciava continue ferite dentro di me, tutto quello non sarebbe mai finito, ed io, mai l'avrei dimenticato..."
 
«A cosa pensi?», Joe spezzò quel filo che mi teneva a metà tra il mondo terreno ed il mio mondo. «A nulla, vecchi ricordi», avvicinai la sigaretta alla bocca, che si era consumata lentamente, proprio come me, con il passare degli anni. 
Joseph me la sfilò dalle dita e la finì in un solo tiro. «Ti fa male, lo sai?», disse poi avvicinandosi, e poggiandosi contro il muretto freddo dove ero seduta. «Si, ma anche a te», non rispose. Aveva lo sguardo fisso di fronte a se. «Come sta andando?», chiesi riferendomi allo scarico. «Bene. Hai freddo?», feci spallucce «Credo sia normale avere freddo a quest'ora del mattino del mese di dicembre», lui sorrise. «E' vero, si gela», si portò le mani giunte alla bocca, cercando disperatamente di scaldarle. «Mi dispiace averti costretta, ma non avevo scelta», annuì. Io dovevo esserci, avevano bisogno di qualcuno che gli guardasse le spalle. 
«Joe, ti manca Monique?», domanda insensata, inopportuna. Lo colsi di sorpresa. «A me tanto», alzai lo sguardo, guardando un pò più in alto del mare. «Lo so, ti vedo quando le scrivi...». Continuavo a farlo, quotidianamente, cercando di nascondermi da Joe, ma lui mi vedeva, lui sapeva quando Monique era costretta a sopportare le mie lacrime. 
In lontananza udimmo il suono di una nave, che probabilmente avrebbe attraccato al porto a breve. «Muovetevi, forza!». Avevano quasi finito di scaricare gli impacchi, quando uno di questi cadde per terra, rompendosi al contatto con l'asfalto. «Ma non vedi che c'è scritto 'fragile'? Fa attenzione Dio! Non sono cose che devo dirti io, dovresti saperlo, cazzo!», Joe afferrò il ragazzo colpevole per il collo. «Questi -indicò la droga spappolata- sono migliaia di dollari buttati nel bidone dell'immondizia per colpa tua. Ed ora non credi debba fare lo stesso con la tua enorme testa di cazzo? Non voglio che accada un altra volta, ci siamo intesi?». C'era un silenzio assordante. L'unica cosa percepibile era il battito del cuore accellerato di Joe. 
Lasciò il ragazzo e tirò un calcio allo scatolo per terra. «Joe», cercai di fermarlo ma iniziò ad avviarsi verso la moto. «Joe, fermati», lo tirai per la giacca, ma mi rifiutò. «Cazzo Joe, fermati! Ti sto parlando, sono una persona, devi ascoltarmi!», si voltò e solo dopo che lo spintonai alzò lo sguardo verso di me. 
«Ma che diavolo ti prende? Perchè l'hai trattato in quel modo? Non c'era bisogno di scaldarsi cosi tanto, bastava dirgli di stare più attento»
«Non sono affari tuoi, stanne fuori!», sibilò a denti stretti.
«No Joe, perchè faccio parte del gruppo anche io e non ne resto fuori!», per quanto potessi essere bassa, arrivai a fissare i miei occhi nei suoi.
«Se non vuoi correre il rischio ti conviene restare al tuo posto e non intrometterti più», si voltò e riprese a camminare. «No, ma sai che ti dico? Va bene, anzi, va benissimo!! Trovati un altra che ti pari le palle Joe, perchè io non ci sto più ai tuoi comodi». Corsi velocemente verso la moto e montai, fuggendo via. Odiavo il suo comportamento, odiavo quando voleva sentirsi come un alfa e noi il suo branco. Gli altri preferivano essere trattati come spazzatura, ma io non ero come loro. 



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spero vi sia piaciuto. <3
xx Lee

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Capitolo 18
*** 18 ***


 

"Let me kiss you hard in the pouring rain..."

 

Entrai velocemente nell'appartamento, sbattendo la porta. A passo spedito attraversai il salotto e aprì la camera da letto, rischiando di rompere quest'ultima. Presi il borsone nero da sotto al letto, lo stesso che avevo usato quando trasferì tutti i miei abiti da casa mia a quella di Joe. Presi tutti i vestiti dall'armadio, che Joe si era offerto di dividere con me, e li gettai sul letto. Con le scarpe feci lo stesso. Stavo per prendere la mia biancheria, quando con la coda dell'occhio mi accorsi della sua presenza dietro di me. 
I suoi capelli neri gocciolavano sulla mia schiena, il suo respiro pesante arrivava a toccare la mia nuca. Non mi ero accorta che a Brooklyn stava piovendo, ed anche forte. Alcuni tuoni provocarono degli squarci nel cielo, e la pioggia si intensificò. Rimasi immobile, aspettando che il suo respiro tornasse regolare. 
Mi voltai lentamente, ritrovandomi a due centimetri dal suo volto bagnato. La sua maglietta, i suoi pantaloni, era tutto bagnato fradicio. «Non andare via», sussurrò piano. 
Lo guardai interrogativa. Incollai i miei occhi nei suoi, perdendomi in un mare di tristezza. 
«Perchè?», chiesi solo. Volevo che me lo dicesse, che mi desse un motivo per restare. Non era un gioco ed io l'avevo capito. Ma lui?
«Perchè..», fece una pausa, continuando a respirare pesantemente. «Perchè io ho bisogno che tu resti», mi guardò, prendendomi la mano «qui con me». Calò un silenzio assordante in quella stanza. C'eravamo solo io e lui, il resto del mondo l'avevo scordato. Tutti gli altri suoni mi arrivavano alle orecchie come un eco lontano. 
Lo scrosciare dell'acqua, i tuoni ed i lampi, riflettevano tutto ciò che stavo passando dentro di me. Una tempesta in alto mare. Emozioni, un vortice pieno di emozioni, che mi stavano divorando dall'interno. Rabbia, frustrazione, e odio, ma al tempo stesso amore. Provavo amore per quel ragazzo che mi teneva la mano. E me ne ero resa conto solo in quell'istante, quando il suo tocco caldo mi aveva trasmesso tutto ciò. Era come se lo sapessi da una vita che provavo quei sentimenti, ma erano rimasti nascosti, in un angolo buio del mio cuore, ed erano saliti a galla troppo velocemente. 
Presi tra le mani il suo viso bagnato e lo avvicinai al mio. Poggiai la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi per un istante. Altre, sconosciute e stupende, emozioni. 
Sfiorai le sue labbra bagnate con le mie ed infine lo baciai. Adoravo il sapore della sua bocca e credo che l'avrei adorato per sempre. Poggiò le sue grandi e fredde mani sui miei fianchi e mi avvicinò ancora di più a lui, fino a quando i nostri corpi non divennero una cosa sola. 
Quell'uomo che avevo odiato fin dal primo momento, lo stesso che avevo odiato ancora di più quando mandò i suoi amici a picchiarmi, lo stesso che mi aveva accolto in casa sua, lo stesso che stavo baciando in quel momento. 
Chiusi gli occhi per assaporare quel momento in tutto e per tutto, prendendomi tutto ciò che mi stava dando in quel bacio e non tralasciando nulla. mi alzai sulle punte dei piedi per poterlo stringere di più a me. Avrei voluto che quel momento non sarebbe mai finito. In quel momento lui era tutto ciò di cui avevo bisogno.
«Allora resti?», chiese flebile, quando mi staccai appena per poter riprendere fiato. «Per sempre», risposi prima di riprendere il bacio da dove lo avevamo lasciato.





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E dopo 18 capitoli arriva il bacio tanto atteso, sia da me, che anche da voi spero uu
Voglio continuare per voi, per chi la segue e per chi si è appassionato. Ma soprattutto lo faccio per me, per quello che la mia mente è in grado di creare e ciò che le mie mani riescono a scrivere. Quindi, RECENSITEEEEEEEEEEEEEE uu
love ya <3
xx Lee

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Capitolo 19
*** 19 ***


"I need him..."
 
Mi svegliai nel cuore della notte, in seguito ad un orribile sogno. Mi passai la mano sulla fronte sudaticcia. Notai che Joe non era disteso accanto a me, dove l'avevo lasciato prima di addormentarmi. Mi alzai infilando i piedi nelle mie comode ciabatte e mi diressi in cucina. Aprì il frigo, senza neanche accendere la luce, e bevvi direttamente dalla bottiglia. Per me fu come rivivere. Buttai giù mezzo litro d'acqua, se non di più. Posai la bottiglia quasi vuota sul tavolo e voltanodmi notai la figura di Joe seduto su una delle quattro sedie. La luce della luna illuminava il suo volto, mentre dalla sua bocca uscì del fumo. «Sete?», chiese portandosi la sigaretta alla bocca. «Non immagini quanta», mi avvicinai e mi sedetti sul tavolo, poggiando i piedi freddi sulle sue gambe. «Insonnia?», chiesi di rimando. Lui spense la cicca nel posacenere. «Si», sorrise lievemente. Adoravo quel sorrisino. 
Posò lentamente le sue mani sulle mie gambe e  mi fece scivolare verso di lui. Finì seduta a cavalcioni sulle sue cosce. Posai le mani fredde sul suo petto nudo e quel contatto mi fece quasi male, per quanta fosse la differenza di temperatura tra me e lui. Mi prese una mano e intrecciò le sue dita con le mie. «Sei la cosa più bella e vera che sia mai stata mia», sussurrò flebile. Feci quasi fatica a capire le parole che uscirono dalla sua bocca.
Era davvero il mio cuore quella cosa che batteva ad un ritmo assordante nella mia scatola toracica? 
«Quindi io sono tua?», chiesi stuzzicandolo. Sorrisi maliziosa e mi morsi il labbro. «Si»,  rispose prontamente, stringendomi a se ancora più forte. Ridacchiai, e fu proprio nel buio della notte che mi accorsi di quanto quegl'occhi brillassero, quasi come due diamanti. E li adoravo. 
Adoravo tutto di lui. 
Mi sentivo in fiamme solo con un suo leggero tocco, mi mandava fuori di testa, spedendomi su un altro pianeta. 
Si alzò dalla sedia, tenendomi ben salda al suo corpo, che sembrava non volersi più staccare dal mio. Lentamente portò entrambi nella camera da letto, stendendosi su di me. 
Si chinò leggermente sul mio ventre, dove scostò con delicatezza la mia canotta. Rabbrividì quando le sue labbra toccarono la mia pelle. Iniziò a lasciare dei piccoli baci lungo tutta la mia pancia e risalendo lentamente mi sfilò la maglietta, lasciando che vedesse il mio seno nudo, senza opporre resistenza. Era quello che volevo anch'io dopo tutto. 
Sospirai pesantemente quando la sua lingua veloce guizzò sul mio seno. Raggiunse velocemente le mie labbra che baciò con dolcezza, cosa che mai nessuno aveva fatto con me. Mi faceva sentire bene, serena e felice. Avevo bisogno di sentirmi in quel modo, avevo bisogno di lui. 




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So che il capitolo è corto, ma abbiate pazienza.
Ne approfitto per farvi gli auguri di buon anno nuovo, e spero che quest'anno porti a questo sito tante altre fanfiction stupende sui nostri mostriciattoli Jonas. E niente, spero vi sia piaciuto, e credo sia un buon modo per concludere l'anno ^^
Recensite in tante <3
Love u girls <3
xx Lee

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Capitolo 20
*** 20 ***


«La colazione è sul tavolo Joe, sbrigati altrimenti si fredda», lo scossi per farlo svegliare e come risposta ricevetti un mugugno che si avvicinava molto ad un lamento. «Muoviti!», dissi per l'ennessima volta, rivolgendomi sempre allo stesso ragazzo. Mi infilai le sneakers e presi il giubotto di jeans dall'armadio. 
Mi girai velocemente, ritrovandomi Joe ad un palmo dal mio viso. Mi stampò un tenero bacio sulle labbra e biascicò un tenero 'Buongiorno', con la voce ancora impastata dal sonno. Si stropicciò gli occhi, come un bambino ed entrò in bagno. 
Sorrisi involontariamente, pensando che tutto quello era assurdo, totalmente irrazionale.
«Allora io vado, non lasciare i vestiti sul pavimento, lo sai che mi imbestialisco quando lo fai!», lo raccomandai prendendo la borsa della scuola. Lui mi si avvicinò non appena finì di mangiare. Posò le sue grandi mani sui miei fianchi e mi attirò a se, baciandomi. Ho già detto che adoravo tutto quello? 
Mi staccai da lui, dando uno sguardo all'orologio. Ero in ritardissimo. «Devo andare», dissi lasciandogli tanti baci sul collo. 
«Tieni queste», mi diede una bustina con delle pasticche. «Sono per Johnny, il bidello biondo. Ti deve 500$, non farti fregare». Mi lasciò un bacio sulla fronte e infilai la bustina della borsa.
Lui sorrise shembo e io mi sentì morire dentro. «Ci vediamo dopo», uscì di casa chiudendomi la porta alle spalle. 
 
Incontrai Leah e Norah all'entrata della scuola, con la solita sigaretta mattutina tra le dita. «Buongiorno». Entrambe ricambiarono il saluto. 
Norah aveva iniziato ad evitarmi nell'ultim periodo, perchè sapeva che stavo con Joe e non lo accettava, per tutto quello che mi aveva fatto. Ma sapevo che lei mi voleva un gran bene. 
«Come va con Joe?», chiese Leah. Sul viso di Norah comparve un espressione di disgusto. 
«Bene.. Grazie», nessuno mai me l'aveva chiesto, come andasse con Joe, e rimasi inizialmente spiazzata.
 «Ti posso parlare?», una voce alle mie spalle, che conoscevo fin troppo bene, mi fece gelare il sangue nelle vene. Mi voltai lentamente. Rimasi sorpresa quando vidi che al posto dei suoi soliti ed indomabili ricci scuri c'erano dei capelli tagliati molto corti.
«Non ho nulla da dirti», afferrai la mia borsa dal tavolo e a braccia incrociate al petto mi avviai nella scuola. 
Nick mi bloccò per un braccio, trattenendomi. «Ti prego, solo cinque minuti».
Accettai di malavoglia, seguendolo sul retro della scuola. Mi poggiai con le spalle al muro, aspettando che iniziasse a parlare. 
«Volevo dirti che mi dispiace.. per tutto quanto», disse fissandomi negli occhi. Era sincero? 
«Ti dispiace?», risi amaramente. «E ora ti aspetti che io ti perdoni e che ti abbracci come se nulla fosse successo».
«Non mi aspetto questo, ma solo che finisca questa guerra tra noi», si infilò le mani nelle tasche dei suoi jeans strappati.
Accadde in un secondo, tutto mi ritornò alla mente, come se stessi rivivendo quei momenti, attimo per attimo, lo stesso dolore... 
«Tu.. mi hai quasi mandata all'ospedale Nick, sono dovuta restare a casa per giorni perchè sembravo un mostro», gli urlai in faccia. E lo fece, chinò lo sguardo sulle sue scarpe, sentendosi in colpa. «Il fondotinta non è bastato per coprire i lividi.. E ora, tu mi vieni a dire che ti dispiace? Ma non ti senti ridicolo?», gli chiesi con ribrezzo. 
Mi aveva ferita tanto e troppo, e io gli volevo bene, ma chi mi diceva che non sarebbe successo di nuovo? 
«Non vedo perchè dovrei. Ti ho chiesto scusa, cos'altro dovrei fare? Tu sai benissimo in che situazione mi trovo con Rebecca e Jason e non avresti dovuto dire quelle cose..».
«Mi hai chiamata 'puttana', non avresti dovuto neanche tu. E invece no, tu puoi, perchè tu sei Nick Harrison, sei maschio e questo ti da anche il diritto di picchiarmi. Non è così che va il mondo Nick, devi ancora imparare a vivere veramente». Per me quella conversazione poteva definirsi chiusa. Mi accesi una sigaretta e feci per andarmene, ma mi bloccò, per la seconda volta. 
«Hai perdonato lui, perchè non puoi perdonare me?», sussurrò con un filo di tristezza. 
«Perchè tu per me eri come un fratello, e i fratelli non voltano le spalle alle persone che amano». Mi lasciò il braccio e mi allontanai da lui. 
«Lui non ti merita!», urlò quasi da farmi male. Avrei voluto correre da lui e abbracciarlo forte. Mi mancava tanto, ma non riuscivo a trovare il coraggio per perdonarlo, non ancora. 





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non potete abbandonarmi proprio ora ragazze ç.ç
ci tengo troppo a questa storia per chiuderla. Vi propongo una cosa, 4 recensioni e io continuo. Altrimenti si vedrà....
Bhè, spero che questo capitolo vi sia paiciuto, per le scene hot dovrete aspettare un pò ù.ù
Vi lascio,
xx Lee.

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Capitolo 21
*** 21 ***


Sentì il rumore della porta aprirsi e chiudersi poco dopo con un tonfo, deducendo che fosse Joe. I suoi passi pesanti si avvicinarono alla cucina, dove mi trovavo da un bel po, intenta a cucinare qualcosa di speciale. 
Non distolsi lo sguardo da quello che stavo facendo, ma avevrtì lo stesso la presenza di Joe poggiato allo stipite della porta. Sorrisi involontariamente, sentendo le guance prendere calore. «Che guardi?», sbottai infine guardandolo, ma sorridendo. Lui scosse la testa e sorrise. «E' che è strano vederti cucinare», si avvicinò lentamente, posando la giacca su una sedia. Mi abbracciò da dietro, cingendomi i fianchi con le sue grandi mani, ma dal tocco delicato, e mi lasciò un tenero bacio sul collo. Sorrisi, chiudendo gli occhi, e lasciandomi andare per un attimo. Mi voltai verso di lui e lo baciai, circondandogli il collo con le braccia. 
Intrufolai velocemente la mia lingua tra le sue labbra, sentendo la sua presa diventare più forte su di me. «Ehy...», bisbigliai con tono dolce «Joe... la cena mi aspetta», ripetei ancora, questa volta lui si staccò piano e dopo avermi lasciato un bacio sulla fronte si avviò verso il bagno per farsi la doccia. Mi voltai nuovamente verso la cucina e finii quello che avevo iniziato.  
Dopo un po Joe ricomparve in pantaloncini e canotta. «Sicura che sia commestibile?», disse indicando i piatti che avevo in mano. «Zitto e mangia!», lo ammonì sorridendo.
Misi la cena a tavola e in silenzio iniziammo a mangiare, scambiandoci qualche frecciatina di tanto in tanto.
 
«Stasera esci?», chiesi a Joe mentre rimettevo a posto gli ultimi piatti lavati ed asciugati. «Fortunatamente no...», mi avvicinai a lui, che mi afferrò per i fianchi, sollevandomi leggermente da terra. Gli gettai le braccia al collo e rimasi sollevata dal pavimento aggrappata a lui. «Così posso passare un po di tempo con la mia principessa», mi baciò dolcemente la punta del naso, e risi a quel gesto.  
Non era da lui dimostrare affetto con baci, abbracci e carezze, neanche con tenere paroli e nomignoli, ma sapevo che quando lo faceva, mi sentivo morire dentro e tutto l'odio che avevo accumulato durante tutto quel tempo spariva nello stesso istante in cui lui mi guardava negli occhi e mi metteva al centro del suo mondo, facendomi sentire come se fossi l'unica donna. Ma sapevo che quella sensazione sarebbe durata poco, era troppo per me provare quelle emozioni, quasi come se non le meritassi. 
«Ti va di guardare un film?», mi chiese facendomi riportare i piedi per terra. «Mmh...», gli afferrai i laccetti della tuta e iniziai a giocarci. «Mi allettava di più l'idea di andare in camera da letto...», dissi fingendo di essere imbronciata. Lui rise e Dio solo sa quanto amassi la sua risata. «L'hai voluto tu», mi guardò con aria di sfida, prima di prendermi in braccio e portarmi in camera da letto.
Mi guardò malizioso, mentre mi poggiava sul letto ed io continuavo a ridere. Arretrai fino ad arrivare con le spalle contro la testata del letto. Lui avanzava a gattoni verso  di me. Mi raggiunse velocemente, poggiando le sue mani sulle mie cosce e strappandomi un bacio.  Lo afferrai per la maglietta e lo avvicinai nuovamente. Baciai la sua bocca , poi mi spostai sul suo collo, fino a spingerlo con la schiena contro il letto. Gli sfilai la canotta bianca e passai a baciare i suo pettorali, perfettamente lisci. 
Sentivo man mano il suo respiro aumentare di intensità e il suo cuore accellerare, come impazzito.  «Coniglietta...», sussurra lui tra un gemito e un altro. Scoppio a ridere in seguito al nome che mi ha dato e lui mi segue a ruota. 
Gli slaccio i pantaloni, ma Joe aveva deciso che ora toccava a lui torturarmi. Catapultò la situazione, ritrovandomi schiacciata dal suo corpo caldo ed il letto.  «Non sono la prima che finisce in questo letto, vero Parker?», chiesi spostandogli il viso dal mio e guardandolo delusa. Lui scosse la testa, «Tu non sei paragonabile a tutte le altre. Tu sei unica», soffiò sulle mie labbra, che si aprirono in un sorriso in automatico.  
Lo sapevo, ne avevo la certezza, che lui era quella svolta che la mia vita aspettava da tanto tempo. Non avrei sprecato questa occasione, lo avrei vissuto fino in fondo a mio rischio e pericolo. «Forse mi sto innamorando di te, e questo non è un buon segno...», ridacchiai ancora. «Perchè?», mi guardò confuso. «Perchè poi tu avrai un potere in più su di me», sorrise malizioso e riprese a baciarmi il collo. «A saperlo prima...», non dissi più niente, mi lasciai andare tra le sue braccia, godendomi tutto di quel momento e godendomi tutto di lui.
Stava accadendo, proprio quello che non avrei mai immaginato. Di innamorarmi? "Neanche a pensarci", avrei risposto qualche tempo fa. Ma ora era lo stesso? Non potevo dirlo.
Quella sera feci l'amore con Joe, sentendomi viva per la prima volta, rispettata, protetta, ma soprattutto amata. Mi aggrappai con tutta me stessa a lui, e se mai fosse caduto, sarei caduta con lui, facendomi male, ma mai  l'avrei lasciato cadere da solo. 




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Hola! ^^
Nuovo capitolo tutto per voi girls, e scusatemi per il ritardo ma non è facile trovare un po di tempo per scrivere uu Anche se alla fine ci riesco sempre.
Anche questa volta, vi propongo una cosa, +5 recensioni e continuerò ad aggiornare più frequentemente . Buona domenica a tutte e spero vi sia piaciuto il capitolo uu
Love ya,
xx Lee


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Capitolo 22
*** 22 ***


«Fanny, afferra il borsone!», mi urlò Joe dall'altro lato della strada. Correva, correva veloce verso di me. Afferrai la brosa con la droga dentro ed iniziai a correre accanto a lui.
Quella sera qualcosa era andato storto, qualcuno ci aveva traditi.
La polizia non ci lasciava riprendere fiato ed eravamo stati costritti a lasciare le moto. Era tutto più difficile senza. 
Afferrai la mano di Joe e mi sentii subito protetta, al sicuro da tutto. Arrivammo fino al parco abbandonato, quello che conoscevo fin troppo bene. Lì, dove tutto era cominciato.
Joe si fermò a guardarmi, mentre il suo petto si alzava ed abbassava irregolarmente a causa della corsa. Inchiodò i suoi occhi nei miei e sapevo che quello che mi stava dicendo non era nulla di buono. 
«Ora tu prendi questa borsa e scappi. Io resto qui e lascio che mi prendano», mi afferrò il viso con le sue grosse mani. Scossi la testa energicamente, sentendo le lacrime spingere agli angoli degli occhi. «Mi hai capito?», urlò scuotendomi. 
«No. No, io non ti lascio», dissi aggrappandomi a lui. Inspirai il suo profumo in profondità, prendendone quanto più potevo.  
«Ti amo». Le sue labbra si schiusero in un sorriso, sincero. «Ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia. Ringrazio Dio per averti mandata da me». Sentii le lacrime calde scendere giù per le mie guance.  
Lo amavo, lo amavo con tutta me stessa. «Ti amo anche io». Posai un bacio delicato sulle sue  labbra rosee e strinsi i suoi capelli nella mia mano destra mentre cercavo di tenerlo stretto a me ancora per un pò.
Sentimmo il suono delle sirene avvicinarsi, segno che avevamo ancora poco tempo. «Vai, corri e non fermarti finchè non arrivi a casa. Avrai mie notizie molto presto», mi sorrise speranzoso, mentre mi accarezzava una guancia. Gli diedi un ultimo bacio, e comiciai a correre verso l'uscita del parco. 
Mi fermai solo poco lontano, giusto in tempo per vedere la scena. 
Joe veniva spinto violentemente contro la macchina della polizia, mentre continuava a dimenarsi. Uno dei poliziotti gli tirò un pugno nello stomaco e lui si piegò in due dal dolore.
Serrai gli occhi, non avevo il coraggio per continuare a guardare. Mi lasciai cadere per terra, continuando a piangere come una bambina. 
C'eravamo amati poco, non abbastanza perchè tutto avesse fine. Non doveva andare così, non poteva. 
Mi alzai di scatto tirando un calcio ad un bidone, urlando. «Cazzo!»
Mi allontanai da quel vicolo solo quando Joe fu spinto in quella macchina e fu portato via, lontano da me.




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buonasera :)
capitolo corto e insignificante, lo so.
ma è solo un 'capitolo di passaggio'. 
Diciamo che dal prossimo la storia cambierà un pò. 
Se siete curiose dovete solo continuare a seguire, leggere e recensire uù E' il mio motto!
Detto ciò, vi lascio.
Al prossimo <3
xx Lee

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