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Ecco, si, ho finalmente deciso di pubblicarla. Ecco tutta per voi una fanfiction che finalmente sento mia, nel vero senso della parola. Questo primo capitolo funge da prologo, anche se non succede praticamente niente di utile alla trama della storia di per sé, ma già da tempo avevo deciso di scrivere una cosa simile e quando finalmente ci sono riuscita… non sapevo dove metterla…
Nei prossimi capitoli verrano illustrati più ampiamente i veri dettagli della storia.
Va bene, ora smetto di ciarlare e inizio a ringraziare tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui e che non sono scappati subito alla Home ^^ Mi aspetto recensioni, sia negative che positive.
Buona lettura gente!
Ah, dimenticavo!!! Questo capitolo va (tassativamente) ascoltato con questa canzone -> http://www.youtube.com/watch?v=7vpuW5WWwVM scusate se vi metto il link così ma non sono in grando di inserirlo nel testo ^^"
Prologo – Un’ addio al Giorno.
Era un pomeriggio uggioso e le nuvole cariche di pioggia correvano veloci nel cielo.
Una grande folla silenziosa era riunita ordinatamente intorno alla lapide, tutti vestiti di nero e con il volto abbassato in segno di cordoglio, tutti tranne una donna, vestita in un abito bianco e con il volto e le braccia rivolte al cielo, gli occhi chiusi e un’ espressione quasi serena, era davanti a tutti. Stava donando un’ ultimo saluto all’ anima del defunto.
Nell’ aria iniziò a sentirsi una lieve melodia, prima più delicata e debole, poi più decisa e forte, saliva in uno splendido crescendo. Gli archi suonavano confondendo le loro note con il suono del vento e i tamburi accompagnavano fedeli la melodia.
La profonda tristezza era palpabile nelle note del requiem e nella lieve pioggia che stava iniziando a cadere sul volto della ballerina e sulle persone li presenti.
E proprio nel momento in cui l’ atmosfera sembrava farsi troppo opprimente e dolorosa la musica cambiò repentinamente.
Gli archi si fecero più silenziosi e i tamburi presero il sopravvento.
Nello stesso istante la ballerina fece un giro su se stessa e iniziò a danzare sinuosamente, tracciando linee curve e cerchi sull’ erba umida.
La pioggia aveva preso a scendere più forte e ormai l’ abito immacolato della bella donna era completamente bagnato, i capelli corvini le si incollavano al viso celando la sua triste bellezza.
Il suo corpo si piegava creando figure flessuose e delicate.
Le gambe si incrociavano per poi separarsi di nuovo, i suoi piedi nudi sfioravano appena l’ erba bagnata, smovendola lievemente.
Poi la musica cambiò di nuovo e iniziò la vera e propria melodia, i due gruppi di archi intonavano note cupe e veloci. Sembrava che parlassero fra di loro, le note più basse rispondevano a quelle più acute e viceversa.
Le braccia si allargavano e si riunivano controllate dalla melodia.
La donna danzava girando su se stessa, seguendo il ritmo della musica e della pioggia che batteva insistente sullo scenario.
Lentamente l’ abito bianco iniziò a macchiarsi degli schizzi che la ballerina sembrava alzare volutamente da terra, il che donava al suo ballo un che di magico e puro. Gli schizzi si facevano sempre più alti contornando la figura esile che girava su se stessa in una splendida e cupa cornice.
Coinvolgeva tutti i presenti con il suo splendido ballo, catturava gli sguardi che fino a un attimo prima erano fissi sul rettangolo di pietra chiara.
Un frammento di melodia si ripetè più volte. Un’ altro crescendo.
La melodia si faceva più forte e decisa.
Poi un attimo di silenzio, in cui cadde una quiete effimera.
La melodia riprese, diversa e più forte di prima. Tutti i presenti ora battevano le mani, chi seguendo il ritmo della canzone, chi la danza della ballerina, chi il rumore della pioggia o chi più semplicemente il battito del proprio cuore. Ma il suono era unico e accompagnava armonicamente la triste cerimonia.
Vista in quel momento, splendida e gloriosa, la donna sarebbe potuta benissimo passare per la creatura Oscura più limpida del mondo, nonostante in quel momento il suo corpo fosse infangato, era di una bellezza disarmante.
Era come una fata che danzava tra semplici umani e sporca terra.
Di nuovo la melodia cambiò, divenne più forte ed energica. Così anche il petto della ballerina sembrò gonfiarsi dell’ ebbrezza per quel ballo.
Gli archi continuavano a suonare, anche se più lievemente, creavano uno sfondo di sfumature luminose sulla scura melodia.
Il ballo della donna rapiva i cuori dei presenti, ella non ripeteva mai lo stesso passo e le sue piroette erano lente e ben curate, mentre le braccia restavano incrociate sopra la sua testa riversa ancora una volta verso la pioggia che continuava a scendere con insistenza.
I suoni erano forti e ruvidi, grezzi e dolci.
La donna ancora ballava e ora sembrava tracciare con le mani degli splendidi disegni in aria, mentre il suo corpo sembrava abbandonato in balia del vento.
Ogni cuore era scosso, così come gli alberi mossi dalla brezza.
Nell’ aria lievi odori si diffondevano ovunque; lacrime, terra, erba, lavanda…
Ogni volto era bagnato tanto quanto quello della donna che ballava, impossibile però capire se lo era a causa della pioggia o delle lacrime.
La melodia si faceva sempre più decisa e forte, un’ altro crescendo. Anche la ballerina ora ballava con più determinazione, altre piroette, altri splendidi passi. Lei ballava come solo un raggio di luce può fare.
Era come se danzasse sul bordo di un pendio, in bilico tra la vita e la morte. Tra gli umani e le creature Oscure.
Un’ altra pausa, e più forte fu la melodia che ne seguì.
La melodia cresceva, sembrava non doversi fermare più, così come la splendida donna. Erano suoni forti, tanto quanto le emozioni che in quel momento albergavano nel cuore di tutti.
La melodia cresceva, gloriosa e la donna ballava, decisa, pronta per l’ ultima piroetta, quella decisiva.
Non c’erano né parole né pianti in grado di esprimere i sentimenti che alloggiavano nei cuori umani, solo sospiri.
Non c’era paura in loro, i tuoni non riuscivano a sovrastare la melodia, i lampi non riuscivano ad accecare la splendida donna, le lacrime svanivano, scaldate da ormai aridi occhi. Restava solo la pioggia, la tristezza, gratitudine e pace.
E inaspettatamente calò il silenzio.
Innanzitutto ringrazio coloro che sono
arrivati fino a qui, anche chi legge in silenzio :D in particolare Jo
Shepherd
che ha recensito il primo capitolo nonostante fosse assai scarno per
quanto
riguarda la trama della storia ^^”
Venendo a noi,
ecco il ‘primo’ capitolo, che vi chiedo di leggere
ascoltando questa splendida
canzone http://www.youtube.com/watch?v=jvwCJuDKN6o
(l’ ascolto può dare fastidio alla lettura, in
questo caso vi consiglio di
mettere il volume basso o se siete dei pigroni di non metterla neanche,
ma
questo dipende da voi) beh, non so che altro dirvi, se non che gradirei
davvero
molto delle recensioni… anche
negative, s’ intende!
Un’ ultima cosa,
spero di poter aggiornare una volta a settimana (mi ci dovrò
mettere d’ impegno
^^”)
Non posso che augurarvi una Buona lettura.
:),
Capitolo
2 – Odore di lavanda.
2°
Anno del Crepuscolo.
“Tu
credevi in me ma io sono rotta”
[Evanescence
– Lost in Paradise]
Dopo
aver depositato
accanto alla lapide un fiore e aver posato sulle spalle della tremante
ballerina
un mantello, la folla si dileguò in fretta, non rimase
più nessuno. C’ era
tanto dolore nei loro cuori, la musica li aveva saldati, certo, ed era
stato un
requiem più che degno, ma la morte di una persona
è pur sempre un grande
dolore.
Ora
il cimitero sembrava del tutto deserto, con qualche salice qui e
là a fare da
guardia, una figura scura e snella sbucò proprio da dietro
il tronco dell’
albero più maestoso e più vicino alla lapide per
la quale si era appena
celebrata la cerimonia; il volto era coperto dal cappuccio del lungo
cappotto
che portava e dal quale sbucava una lunga treccia di capelli scuri. Si
avviava
a passo deciso verso la lapide con in mano un piccolo mazzo di lavanda,
incurante della pioggia.
Si,
anche a lei il cuore faceva male, anche lei aveva partecipato alla
cerimonia,
anche se lontano dagli altri aveva assistito al dolore dei presenti
sentendolo
some suo.
Giunse
di fronte al rettangolo di pietra, sulla quale erano incisi nome, le
due date e
poche parole.
RhygenNyv
3872
A.G. - 2 A.C. *
I demoni non sono tra noi,
siamo noi.
Non esiste la salvezza,
esiste l' oblio.
La libertà è in una gabbia di stelle.
Ah,
quanta verità in quelle parole!
La
figura scura si inginocchiò davanti alla lapide portandosi
al volto il mazzo di
lavanda sentendo i candidi e delicati boccioli sulle labbra,
inspirò sentendo
per l’ ultima volta il profumo che durante il funerale non
aveva mai smesso si
odorare. Era strano, era stato proprio lui a farle piacere quel profumo
così
fresco, e dire che lei non aveva mai provato interesse per quelle cose,
le
considerava frivole, troppo… umane.
E
ora che lui non c’ era più sarebbe tornata quella
di un tempo, ora che non ci
sarebbe più stato lui a ricordarle come si fa a vivere
sarebbe tornata la
fredda e inavvicinabile ragazza che era stata in passato.
Lasciò
cadere l’ esile pianta aprendo leggermente le pallide mani,
il mazzo cadde su
un tappeto di crisantemi bianchi.
Osservò
a lungo il contrasto creato dai due colori.
Ma
già da tempo si era accorta della presenza alle sue spalle.
Era
odore di cuoio e pioggia, era l’ odore di un umano, e sentiva
gli occhi di
quella persona sulla sua schiena.
Si
alzò in piedi voltando la testa verso la persona, ma senza
mostrare il volto.
“Non
dovresti essere qui” Era la voce di un ragazzo, ferma e
sicura. Il messaggio
nella frase era chiaro, lei lo sapeva bene, ma non aveva posto dove
andare da
quando Rhygen era morto. Morto. Solo
in quel momento si accorse della gravità della situazione,
non era riuscita ad
accettare il fatto, neanche quando si era trovata davanti la sua
lapide, i suoi
occhi non avevano visto davvero quel nome inciso sulla pietra, i suoi
pensieri
ci avevano girato attorno senza mai soffermarsi su quella parola. Morto. Si,
ora era davvero sola. I suoi occhi tornarono sulla lapide, e le si
accartocciò
il cuore vedendo ciò che prima non aveva avuto il coraggio
di ammettere.
Dimenticandosi
completamente del ragazzo dietro di lei, tirò fuori dalla
tasca del cappotto
una lunga catenina in argento con un pendente a forma di pentacolo con
una luna
incastrata tra le punte, anch’ esso in argento.
Lo
lasciò cadere sui fiori che poco prima aveva posato, alcuni
piccoli petali si
staccarono emanando un lieve e fresco odore, era un regalo che le aveva
fatto
poco dopo aver fatto conoscenza, per prenderla in giro.
“Ora
la smetterai di prendermi in giro” Sussurrò
appena, facendo attenzione a non
farsi sentire dal ragazzo.
Quando
gli aveva raccontato la sua storia lui si era messo quasi a ridere,
credeva
quasi impossibile una cosa del genere.
Non
aveva alcuna voglia si stare a sentire le parole di un ragazzino,
eppure sapeva
fin da quando era stata bandita che non sarebbe stata accettata nei
territori
degli umani. Neanche in un cimitero?
Ma
andarsene era l’ unica cosa che potesse fare.
Il
ragazzo teneva la mano sull’ elsa della spada che portava al
fianco con un
espressione seria, come quella di una persona che sa perfettamente chi
ha
davanti, l’ aveva capito, che lei non era umana.
“Addio”
Sussurrò un’ ultima volta ai ricordi guardando il
cielo grigio, “e grazie”. Non
si sarebbe mai permessa di piangere, lo stava facendo il cielo per lei.
Incontrando
Rhygen era apparso un bagliore di speranza, che nonostante tutto non si
era
ancora spento, aveva finalmente trovato un’ umano che la
accettasse per quello
che era, senza alcun timore, e quel bagliore si era poi trasformato in
una luce
forte, su cui poter fare pieno affidamento.
“Proprio
adesso dovevi lasciarmi? Vorrei tanto sapere come sei finito li
sotto” Non si
aspettava di ricevere una risposta, tanto meno dal ragazzo dietro di
lei.
“Giustiziato
per Necromanzia e tradimento.” La voce del ragazzo era ora
più vicina, ma non
le importava, doveva esserne certa.
“Erano
accuse fondate?” Riuscì a trattenere a stento il
tremito della voce.
“Si,
ha ammesso lui stesso” Fu in quel momento che
sentì il cuore sprofondare sotto
i piedi, e improvvisamente tutto, in tutto il mondo, divenne
insignificante di
fronte alla desolazione che sentiva nel cuore.
Sentiva
forte il desiderio di stringere qualcosa nelle mani e distruggerlo,
così come
si erano sbriciolate le sue speranze di poter vivere con gli essere
umani.
Credeva
di essere riuscita a farsi accettare da qualcuno, da qualcuno di umano,
che poi
umano non si era rivelato per niente. L’
unico umano che mi ha accettato non
era umano. Esattamente,
coloro che praticavano la Necromanzia avevano rinunciato alla propria
umanità
per poter giocare con i morti.
Chiunque
sarebbe stato scoperto a praticare la Necromanzia sarebbe stato
immediatamente giustiziato,
questo era quello che
recitava la legge stessa degli esseri umani.
Neanche
le creature Oscure accettavano coloro che la praticavano, quindi i
cosiddetti
Generatori erano obbligati a vivere nascosti, nell’ ombra e
in solitudine.
Sentiva
la testa scoppiarle e la gola prendere fuoco mozzandole il respiro. Ma
aveva
ormai imparato a controllare quelle crisi, nonostante quel giorno si
sentisse
estremamente debole.
“Non
dovresti essere qui” No, ma dove sarebbe potuta andare? La
sua mente valutò
tutte le varie possibilità, tra le quali vi era uccidere il
ragazzino, fuggire,
nascondersi sotto terra e restarci per sempre, il piano avrebbe
funzionato
anche omettendo la prima fase, ma il problema sarebbe rimasto,
nascondersi non
avrebbe risolto niente.
Poi
le sorse un dubbio, una cosa a cui prima non aveva fatto caso, qualcosa
che la
vecchia sé avrebbe notato immediatamente; il ragazzino aveva
capito subito che
lei non era umana nonostante lei si fosse camuffata.
“Senti
ragazzino, chi sei?” Le rispose il silenzio. Si
voltò un po’ di più mostrando
parte del viso pallido ma tentando comunque di celare gli occhi, dato
che in
quel momento non aveva idea di che colore potessero essere, sperava in
un bel
blu mare, anche se il solito rosso avrebbe fatto il suo effetto.
Aspettava
la risposata del ragazzino, che comunque non arrivò, ma
venne sostituita da una
frase che lei ben conosceva.
“Nella
Notte del Giorno e del Crepuscolo.” Lei sbuffò,
era una specie di formula che
conoscevano tutti, era un modo per accertarsi chi fosse la persona con
cui
stavi parlano a seconda della risposta che si otteneva.
Era
una specie di poesia, della quale il primo verso era uguale per tutti,
poi se
si era umani o creature Oscure il resto del testo cambiava.
Si
voltò di nuovo di verso la lapide sospirando.
“Illusi di poter stringere in un
palmo la
Luna,” Recitando il primo verso, un mezzo sorriso
nacque spontaneo sulle
labbra della ragazza. Certo, avrebbe benissimo potuto recitare
l’ altra parte,
quella che sapevano gli umani se solo se ne fosse ricordata anche un
solo
verso. Nonostante l’ avesse riletta più volte,
quando ancora era ospite di Rhygen,
teneva un foglio di carta sbiadita scritto in inchiostro nero con quei
quattro
versi appesi sopra al caminetto, ma forse i suoi occhi ci erano
semplicemente
scivolati sopra senza vedere davvero qualcosa, come era successo per la
lapide.
“Consci di avere il Sole tra le mani.
“In una notte in assenza di stelle,
su ali di
cenere e polvere, vola via il nostro oscuro destino.”
Non riuscì a
immaginare la reazione del ragazzino alle sue spalle, ma ciò
che la fece
irritare fu sentire i passi del ragazzo farsi più vicini.
Uno,
due, tre, quattro, cinque passi. Poi si bloccò, bloccato da
un tacito
avvertimento.
L’
aveva avvertita forte e chiara, la rabbia della creatura Oscura, era
stato come
avvicinarsi troppo a un segugio, che nonostante non avesse mostrato i
denti nel
suo invisibile sguardo si poteva cogliere una tristezza che
assomigliata troppo
all’ odio. Era come vedere uno splendido esemplare legato con
una catena troppo
corta, consapevole della sua forza e della sua inutilità.
Era
arrivata ad odiare gli umani, un tempo, prima di compiere quel gesto
che mai avrebbe
dovuto osare. Ma il suo odio non era paragonabile a quello che provava
ora per
le creature Oscure, per la sua stessa famiglia, anche se lo sapeva
benissimo,
la colpa era solo sua.
Ora
non aveva più un posto dove stare, e questo probabilmente
l’ aveva capito anche
lui.
Rimasero
in silenzio, a distanza di cinque passi, lei con la sua disperata
rabbia e lui
con la sua serena offerta; un’ offerta impensabile.
“Vieni
con me”
“Come?”
Non se l’ aspettava, non se l’ aspettava proprio,
per giunta da un ragazzino che
non conosceva né il suo nome né la sua natura. Pazzo.
Fu l’ unica ipotesi che le venne in
mente.
“Mi
sembra di aver capito che tu non abbia nessun posto dove
andare” prese fiato “Quindi
puoi venire con me, se vuoi” Lei avrebbe riso se solo si
fosse ricordata come
si facesse, avrebbe riso a morte, di quel ragazzino incauto e della
risposta
che stava per dare.
Invece
annuì, passandosi il pollice sul labbro inferiore, come a
soppesare l’ effettiva
intelligenza del ragazzo.
“Accetto,
ma lasciati chiedere una cosa.” Si voltò,
guardando finalmente il ragazzo e
mostrando il volto. I suoi tratti erano delicati, e nonostante
sembrassero
ancora quelli di un bambino si poteva benissimo intuire che un bambino
non era
proprio, i capelli neri come la notte bagnati dalla pioggia gli
ricadevano
sulla fronte e gli coprivano le orecchie. Gli occhi erano due pozzi
neri in cui
si poteva leggere perfettamente ogni tipo di emozione, il fisico era
asciutto
ma per niente esile.
“Sai
almeno cosa sono?” Il ragazzo non venne preso alla sprovvista
da quella
domanda, per tutto il tempo non aveva fatto altro che studiarla, per
capire che creatura Oscura fosse;
il volto era
un’ ovale perfetto e il colorito più che niveo
poteva sembrare cadaverico, le
labbra piene e pallide, le sopracciglia scure e sottili incorniciavano
gli
occhi del colore dell’ ambra più pura, sovrastati
da trucco rosso sulle
palpebre.
Un
elfo non era di certo, anche se all’ inizio non era affatto
sicuro di poter
escludere quella possibilità –visto che la maggior
parte degli elfi avevano il
colore della pelle uguali a quella di tanti altri umani e la punta
delle
orecchie appena accennata-, dubitava fosse un mutaforma, spesso non
avevano
tratti così delineati e precisi e raramente erano
così alti, un vampiro no di
certo, non ne esistevano più, estinti. Poteva benissimo
essere qualunque cosa come
una ninfa, splendida e sinuosa, dal corpo perfetto e dal colorito
pallido. Ma
notando il suo fisico slanciato e asciutto pensò a un
licantropo ricordando
anche l’ impressione che gli aveva fatto poco fa.
“Un’
elfa, della terra di Assay.” La vide sospirare e scuotere
impercettibilmente la
testa, le labbra increspate in un lievissimo sorriso.
Gli
si avvicinò per poi posargli una mano sulla testa bagnata
dalla pioggia, mentre
con l’ altra si abbassava il cappuccio.
“Sei
stato bravo, ci sei andato vicino.” Le orecchie erano
normali, tonde e
perfette.
“Tra
due ore, sotto questo salice” infilò le mani in
tasca e si diresse lentamente
verso il cancello bianco del cimitero “sempre che tu ne abbia
il coraggio”
detto questo alzò il cappuccio e con un ultimo malinconico
sguardo salutò la
lapide senza prima soffermarsi sui fiori alla sua base.
Il
mazzo di lavanda si era aperto e ora copriva tutti i crisantemi.
Segno
di diffidenza. Chissà, magari ora non sarebbe più
toccato a lei provare a fidarsi. Addio,
e grazie.
*
Il periodo di questa storia è suddivisa in tre
‘cicli’ quali; gli anni del
Giorno (3900 anni) gli anni del Crepuscolo (X anni) e gli anni della
Notte (X
anni)
E
non ho ancora intenzione di rivelarvi di che
‘razza’ sia la nostra ragazza :D
Salve
gente! Ecco il terzo capitolo. Qui verranno svelate un po’ di
cose (ma verranno fuori anche altre domande :3 hihi).
Lasciate
che vi consigli una canzone anche per questa lettura ^^ http://www.youtube.com/watch?v=IfLoCG1MLqI&ob=av2e
come già detto potrebbe disturbare la lettura quindi se vi
infastidisce troppo
abbassate il volume, oppure non mettetela (ç_ç). Vi
avviso però… A
me questo capitolo non mi ha soddisfatto per niente,
ma almeno sono
riuscita a pubblicarlo antro la scadenza che mi ero prefissata,
fiù.
Ancora
una cosa (e avrei bisogno di un vostro consiglio), avrei intenzione di
pubblicare –magari dal prossimo capitolo- il passato della
ragazza magari alternandolo con capitoli in cui la storia ttuale va
avanti… Che dite? Altrimenti
è difficile per me farvi capire per bene tutta la
pappardella u.u.
Bene,
con questo è tutto, aspetto vostre recensioni, sia positive
che negative,
ringrazio chi si prende la briga di recensire (quali la mia amata
Raen91 :D e
Jo Shepherd, grazie ancora. *.*)
Non
mi resta che augurarvi Buona lettura. :D
Capitolo
3 – Sospiri di ghiaccio. 2°
Anno del Crepuscolo.
“Se
l' esistenza di un nemico, può essere la tua ragione
per continuare a vivere.”
[Matsuri Hino.]
Il
selciato era fradicio e le pietre erano scivolose, per le strade non
c’ era
nessuno nonostante fossero appena le nove di mattina. La pioggia
continuava a
scendere con forza sulla città deserta.
I
suoi passi erano lenti e silenziosi. Sapeva bene dove andare prima di
lasciare
la città. Un’ ultima visita alla casa di Rhygen,
doveva prendere un paio di
cose, poi avrebbe potuto dirgli davvero addio.
La
sua abitazione non era che un misero appartamento schiacciato tra due
case.
La
porta rovinata in legno scuro, la maniglia traballante e arrugginita
nascondevano una sala più o meno ampia, con una scrivania in
legno scuro
strapiena di fogli scritti e un letto dalla parte opposta, per terra, a
fianco
a quest’ ultimo c’ era un ammasso di coperte. In
fondo alla sala c’ era il
caminetto, spento, e sopra di esso attaccato con un chiodo un foglietto
scritto
con inchiostro scuro, ma le parole erano illeggibili, perché
cancellate da
macchie di inchiostro.
La
ragazza entrò e si abbassò il cappuccio
guardandosi intorno, la casa era
esattamente come se la ricordava, solo un po’ più
in disordine.
Con
passo sicuro si diresse verso le coperte ammassate accanto al letto e
le spostò
per poi sfilare dal pavimento una trave di legno, non molto diversa
dalle
altre.
Ed
eccola, li sotto, tra polvere e paglia, la sua spada.
Ghiaccio. Era
l’ impressione che aveva avuto sentendo la mano della ragazza
sulla sua testa.
Il suo corpo era ancora percorso da brividi.
Anche
se ora si stava riparando sotto il salice, quello dell’
“appuntamento” , e le
gocce lo raggiungevano a malapena i brividi continuavano a corrergli
per la
schiena. Angoscia. Gli
sembrava di avere ancora la sua mano sulla testa, fredda come ghiaccio
e
leggera come una piuma, ma pesante, tanto quanto un fardello sul cuore.
E
ora si trovava seduto con la schiena attaccata al tronco rugoso e
umido, aveva
paura, doveva ammetterlo. Ma doveva andare avanti per realizzare il suo
sogno,
e quello era un buon modo per fare il primo passo verso un mondo unito.
Tornò
al passato sorvolando sull’ infanzia rubata. Speranza. Fin
da piccolo sperava che un giorno, umani e creature Oscure non sarebbero
state
razze tanto diverse come era normale in quegli anni, era certo che
tutti la
pensassero così, ma si sbagliava, col passare degli anni la
situazione non era
cambiata, anzi, sembrava essere peggiorata. Tanto che, una volta
fattosi
grande, decise di parlarne con il padre, discussero a lungo fino a che
non
giunsero a un accordo, tanto conveniente al padre quanto poco
favorevole ai
propositi del giovane.
Suo
padre, il re Eiron strinse un’ alleanza con il popolo delle
Viere, tanto abili
nell’ arte dell’ arco quanto belle. Presto
l’ alleanza divenne un pretesto per ingaggiare
guerriere in battaglia. Le giovani donne furono costrette a battersi
contro le
creature Oscure, contro la propria famiglia, il proprio popolo a costo
di avere
salva la pelle.
Ma
lui voleva cambiare tutto, voleva una convivenza facile, non forzata
come aveva
imposto suo padre.
Sospirò,
pensando al mondo unito che tanto desiderava e il flusso di pensieri lo
portò a
quello che sarebbe successo da lì a circa un’ ora. Paura. Si,
aveva paura, molta. La cosa che lo preoccupava di più era il
fatto di non aver
capito chi era la ragazza e la sensazione di aver commesso un grosso
sbaglio.
Se
ne sarebbe potuto andare in quello stesso istante e fingere che non
fosse
successo niente.
E
lasciare perdere i suoi buoni propositi? No, mai.
Il
suo sguardo vagò per il cimitero silenzioso e deserto
soffermandosi sulla
lapide per cui si era celebrata da poco la cerimonia, ricordava il
momento in
cui la ragazza aveva posato quel misero mazzo di lavanda e gli era
sembrato di
vederla fragile, tanto quanto un semplice umano, era stato quello a
dargli la
speranza, la certezza che umani e creature Oscure non fossero tanto
dissimili.
La
pioggia continuava a scendere insistente e non si accorse della
presenza dietro
di sé.
La
ragazza era arrivata ed era appoggiata con la spalla destra al tronco,
con un’
espressione insofferente e sorpresa, probabilmente non si aspettava di
trovarlo
lì.
Aveva
il cappuccio abbassato e la lunga treccia scura si appoggiava al suo
petto,
ciuffi di capelli scuri le incorniciavano il volto pallido. Si perse a
osservare i suoi lineamenti e notò qualcosa di diverso
rispetto a prima, gli occhi,
ma prima che potesse parlare la ragazza prese parola.
“Non
hai ancora risposto alla mia domanda” L’
espressione del ragazzo di fece
momentaneamente dubbiosa, poi ricordò l’ unica
cosa che gli aveva chiesto.
“Sono
Rhies figlio del re Eiron” La ragazza fu piacevolmente
sorpresa.
Il
viaggio per raggiungere la reggia sarebbe stato lungo e l’
idea di dover vivere
in un ambiente del genere la infastidiva, e non poco, temeva che troppi
ricordi
sarebbero tornati a farle visita. Vivere in una reggia, circondata da
gente
boriosa, che entusiasmo. Avrebbe preferito vivere in una mezza
catapecchia come
era successo da lì a due anni prima.
“Tu
invece dovresti essere un mutaforma” Disse lui con aria
risoluta.
“Da
cosa l’ hai dedotto?” Disse lei infastidita.
“I
tuoi occhi, prima erano del colore dell’ ambra, mentre ora
sono neri” La
ragazza si portò la mano al viso e con il pollice si
accarezzò un paio di volte
il labbro inferiore voltandosi leggermente, stava riflettendo e
sembrava
annuire impercettibilmente. Cosa che fece illudere il figlio del re.
“Sei
totalmente fuori strada” Quest’ affermazione
spiazzò il principe, se era
davvero così non aveva la più pallida idea di chi
lei fosse.
Si
aspettava che la ragazza si rivelasse, cosa che non fece, e questo lo
fece
irritare.
“Tu
invece? Si può sapere chi sei?” Chiese lui con
arroganza. Lei si voltò e
guardandolo male, non rispose.
“Beh,
ho il diritto di saperlo.” Il suo tono si era alzato e lei
era visibilmente
infastidita. Si avvicinò al ragazzo e lo prese per il bavero
attirandolo più
vicino a sé.
“La
prossima volta che fai un’ offerta del genere assicurati
prima con chi tu stia
parlando, questa volta hai fatto un grave errore e ora ne pagherai le
conseguenze.” Gli sussurrò lei. Il ragazzo
tentò di liberarsi dalla stretta
della ragazza, inutilmente
“Non
osare toccarmi! Sono il figlio del re!” A quel punto la
rabbia della ragazza
trabocco e scuotendolo gli rispose.
“Ascoltami
bene, insulso umano, se qui c’ è qualcuno che deve
portare rispetto allora
quello sei proprio tu.” Ringhiò lei.
E
proprio in quel momento vide ciò che non si sarebbe mai
immaginato.
Gli
occhi della ragazza si tinsero di rosso cremisi. Ma aveva notato
un’ altra
cosa, mentre lei parlava aveva visto i suoi canini fin troppo lunghi,
anzi,
sembrava che lei glieli avesse mostrati di proposito.
Che
fosse un vampiro? Possibile? Eppure sapeva che si erano estinti tutti.
Non
poteva crederci.
La
ragazza sembrò notare la sua espressione e i suoi occhi si
velarono di
tristezza poco prima di lasciare il ragazzino, che perse quasi
l’ equilibrio.
“Sei…
davvero un vampiro?” Lei sospirò.
“Si,
uno dei pochi rimasti.” Rispose tristemente, la storia del
suo popolo era alquanto
drammatica e non poteva dire che non fosse a causa sua.
“Ero
certo che si fossero estinti tutti.” Alla ragazza quella
parola non piacque, estinti, sembrava
parlasse di animali.
“Siamo
rimasti in pochi,” In effetti erano solo in due, o massimo
tre. “molto pochi.”
Ma lei ormai non si considerava più un vampiro, era stata
rinnegata dai suoi
simili e da sé stessa, ma di certo non era neanche umana,
né avrebbe mai voluto
esserlo.
Il
silenzio si fece pesante.
“Che
strana spada.” Disse lui per interrompere il silenzio e
cambiare argomento, in
effetti aveva notato la sua particolare spada, la portava sulla schiena
a
tracolla ed era lunghissima.
“Da
che parte dobbiamo andare?” Chiese lei ignorando totalmente
la domanda che le
era stata fatta.
Quella
spada faceva parte del suo oscuro passato, e quello non era il momento
per
ricordare.
Il
ragazzo rimase un attimo interdetto, poi pensando che non sarebbe stato
saggio
insistere rispose alla sua domanda.
“Dobbiamo
andare a Nord, uscire da questa città, proseguire per la
Foresta Nera ed
entrare a Ethis. La reggia è nel centro-città,
quindi non impiegheremmo molto
tempo per raggiungerla” Immaginò l’
intero viaggio e pensare di farlo accanto
ad una creatura Oscura, più precisamente con uno degli
ultimi vampiri, non lo
rassicurava affatto.
“Posso
almeno sapere il tuo nome?”
“Neah.”
Rispose lei dopo un lieve sospiro.
Camminarono
tutto il giorno, praticamente senza mai fermarsi. La pioggia si era
fatta
leggera ma continuava, incessante, a scendere.
Si
era fatta quasi sera quando raggiunsero una squallida locanda al
confine della
città.
Un’
omaccione sedeva dietro al bancone con un boccale di birra in mano e
quando li
vide quasi cadde dalla sedia per la sorpresa di avere dei clienti che
non
fossero i topi.
“Come
posso servirvi?” Nonostante le apparenze i suoi modi non
erano affatto bruschi.
“Vorremmo
un posto per mangiare e una stanza per dormire questa notte.”
Rispose il
principe mentre la ragazza si scrollava dall’ acqua.
“Certamente,
accomodatevi al tavolo che preferite” Disse alzandosi per
prendere un paio di
chiavi da sotto il bancone. “Ecco le chiavi.” Spera
solo che ci siano i letti separati
altrimenti… Oh, Andhera, non ne posso più.
Pensò la ragazza prendendo dalle mani
del grassone le chiavi, pronta a dirigersi verso la stanza senza
mangiare.
“Aspetta
Neah, non mangi?” Lei, che già aveva messo un
piede sul primo scalino, si voltò
e guardò il principe con un sopracciglio alzato, senza dire
niente, sperando
che capisse la stupidata che aveva appena detto.
“Ah.”
Disse solo, abbassando lo sguardo sul tavolo ancora vuoto e il viso in
fiamme,
lo rialzò quando sentì i passi della ragazza
iniziare a salire le scale, rimase
a fissare la sua schiena scura interrotta solo dal fodero bianco della
lunga spada
fino a che non scomparve dalla sua vista.
Solo
in quel momento, dopo parecchie ore, riuscì a rilassarsi e a
stendere tutti gli
arti contratti.
Sospirò
quando gli venne messo sotto il naso una scodella di minestra fumante.
Era deciso
in quello che faceva, voleva raggiungere il suo obbiettivo, anche a
costo di
andare contri i prìncipi del padre.
Ma
stava davvero facendo la cosa giusta?
Ed ecco per voi
un nuovo capitolo con nuove risposte (forse D:)e altre domande.
Quindi… ringrazio
innanzitutto tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui e che
non sono
scappati alla Home, sopprtattutto chi recensisce (Jo e Smollo05 :D mi
sono
fatta una nuova amica u.u).
Passando al
capitolo; questa è solo la prima parte perché
scrivervi tutto quello che avevo
intenzione di pubblicare sarebbe venuta fuori una cosa esageratamente
lunga D:
quindi ci sarà una seconda parte, già…
Sinceramente non
so bene cosa dirvi… Non sono riuscita a trovare una canzone
per questo capitolo
ç_çQuella sotto citata la utilizzarò
nel prossimo capitolo… quindi boh, leggerete ascoltando i
sinistri scriccholii
della vostra casa Muahahahah D:
Si, adoro questa
faccina D:
Buona lettura
gente ^^
Capitolo
4 – Sorriso
beffardo.
Parte
1
2°
Anno del Crepuscolo
“Nessun
rimorso perché mi ricordo ancora il sorriso che avevi quando
mi lacerasti.”
[Within
Tempation –Angels]
Faceva
dondolare nervosamente le chiavi tra le mani sperando che la porta
davanti alla
quale si trovava fosse quella giusta.
Infilò
la chiave nella toppa arrugginita e sospirò di sollievo
quando, aprendo la
porta, vide che i due letti erano separati.
La
stanza non era delle più grandi, ma non sembrava ridotta
molto male, a parte le
macchie di umidità sui muri e le crepe sul vetro
dell’ unica finestra, sembrava
quasi accogliente.
Si
avvicinò al letto più vicino alla finestra e dopo
averci buttato sopra le
chiavi ci si sedette, un vuoto allo stomaco momentaneo, la mancanza di
appoggio… il letto era sfondato. Sbuffò stizzita
e provò con l’ altro giaciglio
ottenendo lo stesso deludente risultato.
Si
tolse la spada e la gettò sul letto accanto alle chiavi,
l’ arma occupava quasi
tutta la lunghezza del letto.
Si
avvicinò alla finestra malridotta e guardò il
cielo ora limpido e la luna che
era appena sorta, un piccolo spicchio solitario troneggiava appena
sopra la
vegetazione della Foresta Nera come un sorrido beffardo.
2 anni prima.
1 ora e 30 minuti alla Cerimonia della Successione. Il
vento dell' alba le lambiva i capelli
scuri a la pelle pallida. La battaglia era finita e avevano vinto, era
stata
lei stessa tagliare la testa al re degli umani.
Per lei era una battaglia come un’ altra,
una delle tante.
Teneva le mani appoggiate al corpo duro e
chiaro sotto di lei, si crogiolava nella familiare sensazione di vuoto
allo
stomaco che provava tutte le volte che volava e nel familiare rumore
delle ali
che tagliavano l’ aria.
Ripercorse con lo sguardo il corpo del
drago sul quale stava volando, azzurro pallido e blu notte, creatura
antica e
senza nome devota al suo padrone fino alla morte. Suo compagno a vita.
La battaglia era finita, le creature
Oscure avevano vinto. 45
minuti alla Cerimonia della Successione. Si
osservava allo specchio mentre le
serve le aggiustavano per l’ ultima volta l’ abito
di cuoio e piume d’ arpia.
La gonna lunga arrivava a terra e il corpetto le lasciava la pancia e
la
schiena scoperte e fasciava perfettamente il suo seno, il collo pallido
non era
abbellito da nessun inutile gioiello, i capelli erano raccolti dietro
una
specie di corona che svettava sulla sua pallida fronte, gli occhi
abbelliti di
trucco rosso spiccavano sull’ abbigliamento nero.
Le serve aggiustarono per l’ ultima volta
le piume nere sulla sua schiena.
“Mia signora, abbiamo finito” Disse una
inchinandosi.
“Usate pure il mio nome, non c’è bisogno
di tutti questi formalismi.” Rispose lei accennando un
sorriso, girandosi per
metà per osservare il proprio riflesso.
“Rose” Un attimo di esitazione “sei stata
tu a uccidere il re degli umani, vero? Ti siamo
riconoscenti.” Lei sospirò
ripensando a quello che era accaduto un paio di ore prima.
Il corpo del re era sotto di lei, era
pronta a mettere fine alla sua vita. La spada era puntata alla sua gola
e i
suoi occhi imploravano pietà.
Non sentiva nessun dolore, il suo cuore
di pietra non sentiva niente, solo un’ immensa gioia
nell’ atto di sgozzare il
mal capitato. Lentamente, la pelle rosea si apriva in un fiore
scarlatto, il
sangue colava copioso, la vittima gorgogliò un’
ultima volta sputando sangue.
Il liquido viscoso era sulle sue mani e
tutt’ intorno, un paio di occhi vacui la fissavano. La sua
lunga spada aveva
mietuto un’ altra vittima.
Ala d’ Argento aveva trionfato di nuovo.
Automaticamente le sue labbra si
stirarono in un sorriso di piacere nel ricordare la sensazione che le
dava
sentire il sangue sulle mani.
“Si. Ma ora andate, rischiate di perdervi
la festa.” Le serve si congedarono e uscirono dalla stanza.
Sospirò un’ ultima
volta prima di sistemarsi il tessuto tanto leggero da sembrare
impalpabile
della lunga gonna e uscire per recarsi al salone principale.
Il salone era ghermito di creature
Oscure, dai vampiri ai mutaforma alle ninfe ai centauri, c’
erano anche un paio
di chimere.
La maggior parte della gente aveva in
mano un calice da cui beveva felicemente e quando la videro entrare
tutte le
coppe si sollevarono accompagnate da grida di entusiasmo.
“Ala d’ Argento!” Gridavano le voci.
“Lunga vita.” Lei si lasciò scappare una
breve risata.
“Per stasera chiatemi Rose, sono qui per
festeggiare con voi!” Detto questo tutti brindarono alla
nuova era che sarebbe
venuta. Si lasciò trasportare dalla festa fino a che una
viera non le si
avvicinò.
“Ehi Rose, che fine ha fatto tuo padre?
Non dovrebbe festeggiare con noi?” Lei si guardò
intorno accorgendosi solo in
quel momento che non aveva ancora visto il padre.
“Si starà ubriacando nella sua camera,
tranquilla ora vado a chiamarlo.” Disse con un mezzo sorriso,
per poi dirigersi
verso la direzione da cui era arrivata
poco prima, muovendosi tra i corpo accalcati con tanta eleganza da dare
l’
impressione di ballare. 30
minuti alla Cerimonia della Successione “Nobile
padre, dove siete? Mancate solo
voi.” Si mise a chiamarlo nel corridoio buio che portava alla
sua stanza.
Sbuffò quando giunse davanti alla sua
porta, fece per bussare ma si accorse che era socchiusa e che
dall’ interno
provenivano due differenti voci.
“L’ esito della battaglia è stato
positivo esattamente come lei aveva predetto.” Si mise di
fianco alla porta,
appoggiata al muro, in modo da aver la maniglia della porta fuori
portata,
quando la questa si sarebbe aperta del tutto, lei sarebbe rimasta
nascosta dietro di essa.
“Naturalmente, l’ Ala d’ Argento ha
svolto il suo lavoro alla perfezione, ma il suo ruolo non è
ancora giunto al
termine.” Riconobbe questa voce come quella di suo padre.
“Ha davvero intenzione di usarla come sacrificio
alla dea Andhera questa notte?”
“Certamente” Rispose scorbutico “devo
assolutamente appropriarmi di quel potere.”
“Capisco, si ricorda cosa deve fare,
vero?”
“Certamente.”
“Ah, si assicuri che sua figlia non venga
a saperne niente, la persona da sacrificare sull’ altare del
Tempio Nero deve
provare amore per lei, sarebbe un disastro se cambiasse i suoi
sentimenti, e si
assicuri di farlo allo scoccare degli anni del Crepuscolo. Altrimenti
sarò
tutto vano.”
“Si, si, lo so.” Ribatté il padre
spazientito.
“Puoi congedarti pure.” Quello era un modo
più o meno cortese per mandare via
la persona con cui stava parlando.
Rose si appiattì da un lato della porta,
e quando questa venne aperta ne venne nascosta.
“Ah, vorrei farle un’ ultima richiesta.”
Rispose il silenzio, segno che avrebbe potuto proseguire.
“Mi chiedevo se,dopo
la sua morte ovviamente, potessi
ereditare la sua spada” Chiese la voce dello sconosciuto
speranzosa, acuta e
spiacevole, le ricordava il suono fogli strappati.
“No. Ala d’ Argento appartiene a me.” Una
risposta categorica e un sospiro scoraggiato.
“Capisco.” La figura avanzò di qualche
passo, così che Rose riuscisse a vedere di chi si trattasse;
una figura alta e
pallida, dal profilo affilato e i lunghi capelli argentei. Vestito con
abiti di
pelle scura si confondeva perfettamente con l’
oscurità del corridoio.
“Assicurati che i Generatori non ci
disturbino.” Vide la figura sorridere lievemente.
“Per questa sera non saranno un problema,
ve lo posso assicurare” Dopo aver chinato leggermente la
testa, si diresse
verso il salone.
Attese, con i brividi che le correvano
sulla schiena come un mare in tempesta, con il cuore che batteva tanto
forte da
sembrare che volesse uscire dalla cassa toracica.
No, non poteva essere, era sbagliato 20
minuti alla Cerimonia della Successione. I
corpighermivano il salone muovendosi e parlando fra di loro,
mentre Rose si
spostava, frenetica, in cerca di una persona. Nella mano destra che
teneva al
petto portava una chiave nera con decorazioni azzurre e rosse, la
stringeva
convulsamente nella paura di perderla.
Camminava il più velocemente possibile, a
volte si metteva a correre mascontrava
sempre qualcuno –spesso i sederoni dei centauri- doveva
trovarlo.
Quando meno se l aspettava se lo ritrovò
davanti, un ragazzo alto con lunghi capelli neri e le orecchie a punta
che
spuntavano dai capelli, i suoi occhi erano del colore del ghiaccio.
Instintivamente Rose gli buttò le braccia al collo
stringendolo forte a sé e
lui ricambiò la stretta.
Aveva il respiro affannato e il cuore che
batteva forte e al contatto con il suo corpo, quest’ ultimo
fece una capriola
per poi adattarsi al ritmo del cuore dell’ elfo, calmo e
tranquillo.
Rose sospirò di sollievo e un lieve
sorriso increspò le sue labbra. 10
minuti alla Cerimonia dell Successione. Camminavano
uno dietro all’ altro, la
ragazza davanti e l’ elfo dietro, tenendosi per mano.
Quante volte Rose aveva stretto quella
mano senza fare caso al calore rassicurante che emetteva. Le loro dita
erano
incrociate come un nodo impossibile da sciogliere, i loro
passi risuonavano
nell’ angusto corridoio.
“Dove andiamo?” Chiese curioso l’ elfo,
la sua voce non tradiva nessua preoccupazione, solo
curiosità.
“In un posto speciale.” Gli rispose in un
sussurro, stringendo la mano che ancora teneva in petto, sentiva le
decorazioni
della chiave farle male al palmo tanto la teneva stretta.
In pochi minuti si trovarono di fronte ed
un immenso portone scuro con le medesime decorazioni della chiave nella
mano di
Rose, era altissimo e imponente, e all’ altezza degli occhi
vi era una
serratura grande quanto la testa di una persona, ma lei sapeva che
quella non
era la vera serratura, infatti ve ne era una molto più
piccola appena sotto,
fatta apposta per la chiave che teneva stretta la ragazza.
Infilò la chiave nella toppa, diede mezzo
giro e le immense porte di socchiusero.
“Vieni.” Disse lei trascinando l’ elfo
attraverso il piccolo passaggio che si era formato. 5
minuti alla Cerimonia della Successione. I
loro corpi erano attaccati appoggiati
all’ altare del tempio, stretti un un passionale abbraccio,
le loro labbra
danzavano al ritmo scandito dal loro cuore.
Si staccarono un attimo per riprendere
fiato e l’ elfo appoggiò le mani sul volto
splendido della fanciulla della
quale si era innamorato. La guardò negli occhi e
tentò di imprimere nella mente
quell’ immagine.
Lei che lo guardava con uno sguardo
languido e sereno, sorrise lievemente e mise le sue mani su quelle
dell’ elfo.
“Di che colore sono?” L’ elfo
ricambiò la
sguardo e riprese a baciarla, senza rospondere alla domanda. Che
bisogno aveva
di sapere che colore avessero i suoi occhi? Era splendida in qualunque
momento
. Dimmi,
di che colore è la paura? 3 minuti alla
Cerimonia della Successione. “Dimmelo.”
Il corpo della ragazza premeva su quello dell’ elfo, le sue
labbra morbide
facevano su e giù sul suo collo, arrivavano al lobo
dell’ orecchio per poi
tornare giù fino alla clavicola. Lui, nonostante fosse
chiuso tra quel corpo
caldo e il freddo marmo dell’ altare di quel tempio in cui
non sarebbero mai
dovuti entrare, non si sentiva minimamente in trappola, né
era spaventato o
tanto meno preoccupato, sentiva solo pace e felicità e
tanto, tanto amore.
“Ti amo”
Disse lui stringendola a sé. E quelle furono le ultime sue
parole.
Le labbra
della ragazza si stesero in un sorriso di trionfo prima di aprirsi
proprio come
se un predatore stesse per azzannare il collo della sua ingenua preda,
e fu
quello che successe. La pelle pallida del collo del ragazzò
venne lacerata da
canini appuntiti e subito il sangue iniziò a colare nella
sua gola e sul chiaro
altare, macchiando quel posto di un peccato che mai sarebbe stato
cancellato.
L’ elfo
inizialmente non si preoccupò di quello che realmente stava
succedendo; già
altre volte aveva donato il suo sangue alla sua amata, era normale
ormai, era
quasi come baciarsi, ma solo quando la vista iniziò a
vacillare e la sua mente
farsi fiacca capiì che lei non si sarebbe fermata, ma non
potè fare niente
perché l’ oscurità l’ aveva
avvolto.
Mentre
beveva il suo sangue le turbinò per la mente un’
immagine: il suo nobile padre,
che furioso, girava per il salone in cerca della sua amata Ala
d’ Argento da
sacrificare su quel tempio che lei stessa stava sporacando. Pochi
minuti dopo la Successione. Era
successo tutto troppo in fretta.
Era stata strappata dal suo banchetto.
Il suo viso era incrostato di sangue e
non solo quello.
Il suo sangue stava imbrattando i suoi
abitie il
pavimento.
Senza sapere come, ora era riversa per
terra.
Con un pugnale di biancospino conficcato
appena sotto la clavicola.
La rappresentazione della dea Andhera
sopra l’ altare sembrava incolparla con quei suoi cupi colori.
Respiarava affanosamente e volgendo lo
sguardo alla sua destra vide chi si aspettava.
Suo padre. Con una dozzina di guardie
dietro di lui armate di lance in legno chiaro.
Il dolore era fortissimo, tale da
paralizzarla e mozzarle il respiro.
“Forse siamo ancora in tempo” Disse lui
posando con rabbia una mano sul pugnale in legno conficcato ancora
nella sua
carne e nascondere un sorriso nel sentire la figlia gemere per il
dolore.
“Rose…” Ma lei non lo lasciò
iniziare.
“Ti odio” Gli disse dopo avergli sputato
in faccia del sangue.
La pressione sulla lama si fece più
pesante.
Mani scure ghermirono i suoi arti
tentando di trascinarla nell’ incoscienza, con un ultimo
sforzo guardò in alto,
vero il cielo stellato e quello spicchio di luna che sembrava un
sorriso
beffardo.
Quel sorriso era un’ ultimo addio alla vampira
Rose. Si sentiva sprofondare lentamente verso l’ oblio, era
una caduta lenta ed
inevitabile mentre l’ oscurità intorno a lei si
faceva sempre più buia, sentì
Rose morire e abbandonare la sua mente, lasciando solo una fredda
assenza che
ben presto venne sostituita da una creatura senza pietà
né sorrisi.
Non stava affatto cambiando, la sua mente
era morta.
In quel momento nacque il sacrificio,
Neah.
Siiiiiiiiiiiii!!!!!
Sono felice di essere riuscita a pubblicare questo capitolo, e devo
dire che mi
ha soddisfatta –abbastanza-. Quindi,
che posso dire? Ah, si! Sono lieta (no, per niente u.u xD) di
comunicarvi che
questo capitolo darà qualche risposta, anche fin
troppe… credo. xD Ringrazio
tutti coloro che in questo momento stanno leggendo la mia fic e tutti
quelli
che recensiscono (Jo che è sempre presente e Smollo05 che..
beh…<3 ecco, ho
reso l’ idea?!) E
questa volta, bella gente ho la canzone per il capitolo :D eccola
-> http://www.youtube.com/watch?v=WBTtWv5Cug8
(solita storia del volume) è quella che mi ha accompagnato
nella scrittura, dopo aver ascoltato troppa musica giapponese e
pseudo-metal xD ^^ Enjoy!!! :D Ah,
dimenticavo! Nel prologo ho inserito un’ immagine che
raffigura Neah, Rhies e …
^^ se vi va dateci un’ occhiata.
Dalla fine
di questo capitolo in poi la storia riprenderà da dove l'
avevamo lasciata (la locanda). Buona
lettura!
Capitolo
5. Sorriso beffardo. – Parte 2
Preludio
del primo anno del Crepuscolo.
“I sentimenti sono
intensi le parole
sono insignificanti i piaceri rimangono così come il
dolore.”
[Lacuna
coil – Enjoy the Silence]
Avrebbe
accettato qualunque cosa per la sua vendetta. Sotterranei. La
sua coscienza tornò lentamente,
facendole capire più o meno in che posto si trovasse in quel
momento, era
riversa a terra su un fianco, era sdraiata su qualcosa di umido e
freddo e
puzzava di chiuso. In lontananza si poteva udire il lento gocciolio
dell’ umidità.
Aprì gli occhi e inizialmente non vide
nulla. Sbatté più volte le palpebre cercando di
ottenere una visione migliore;
sbarre in legno scurissimo si incrociavano a un paio di metri da lei, i
muri
circostanti erano sporchi e impregnati di umidità, accanto a
lei un misero
mucchio di paglia mezza marcia che sarebbe dovuta essere il giaciglio.
Se si
fosse messa a raggruppare i fili di paglia avrebbe ottenuto al massimo
un
appoggio per la testa, altro che letto.
Ma inizialmente non si era accorta di una
presenza tremante rannicchiata in un angolo della cella,
tentò di voltarsi ma
un forte dolore sotto la clavicola la fece gemere e la
obbligò a terra. Esaminò
la ferita, era infiammata e profonda, gli abiti erano imbrattati di
sangue.
Sbuffando tentò di girarsi muovendosi il
meno possibile e inquadrare l’ esile figura.
Aveva l’ aspetto di un ragazzino di circa
tredici anni, ma aveva un paio di orecchie da lupo che gli spuntavano
dagli
scuri e scompigliati capelli.
Un mutaforma.
“Ragazzino, come sei finito qui dentro?”
Quando lui sentì la sua voce roca sussultò
stringendosi ancora di più le
ginocchia al petto.
“Ho rubato.” Disse con voce flebile.
“Allora non resterai a lungo qui, buon
per te.”Il
ragazzino si sentì incoraggiato
a proseguire la conversazione, o quantomeno a parlare.
“E tu come mai sei qui?” Chiese
timidamente. Un brivido gli corse lungo la schienaquando vide un paio di occhi rossi
trafiggerlo.
“Come ti chiami, piccolo?” Il ragazzino
si sentì quasi offeso quando si sentì chiamare in
quel modo, ma preferì non
contestare e rispondere alla domanda.
“Aledari, tu sei Rose, l’ Ala d’
Argento?” Il suo tono di voce si riempì di
speranza e curiosità, una leggenda…
in una cella?
“Mi chiamo Neah.” Disse sospirando, Rose
era scappata dal dolore e dalla delusione, lasciandosi sola. Ora era
una
persona diversa. “Dimmi
piccolo, hai qualche arma?” Vide
il ragazzino scuotere la testa scatti.
Neah si passò leggermente la mano sulla
ferita ancora aperta, fremendo per il dolore, mentre la sua gola
sembrava
prendere fuoco.
“Allora sei inutile.” In un lampo fu
addosso al ragazzino, con le fauci attaccate al suo collo.
Il ragazzino in un primo momento non si
accorse neanche del suo spostamento, ma quando sentì un
dolore lancinante alla
gola che sembrava estendersi in tutto il corpo, iniziò ad
agitarsi, mentre
sentiva il sangue fluire via insieme alla vita. Sentì
due tipi di passi in lontananza,
ben distinti l’ uno dall’ altro.
“In che cella si trova?”
“L’ ultima a sinistra, mio signore”
I passi si fecero sempre più vicini,
mentre la ragazza si rannicchiava su se stessa con le testa incastrata
tra le
ginocchia e ancora una volta la sete le mandava in fiamme la gola.
Non provava più nulla, la consapevolezza
di essere in cella con un morto non le dava nessun fastidio. Il sangue
sugli
abiti li rendeva appiccicosi, ma non se ne curava
minimamente. Non le importava
di aver sporcato se stessa e la sua anima. Quello chela preoccupava era
suo
padre, l’ avrebbe uccisa ora? Era quasi del tutto certa che
avrebbe finito i
suoi giorni in quella squallida cella.
I passi si fermarono, lei non alzò la
testa. L’ ultima cosa che voleva era vedere l’
espressione beffarda di suo
padre.
Lo sentì chiamare una guardia, e subito
questa accorse.
“Portate via il cadavere, e mettete
almeno una guardia davanti a questa cella, diamine!”
“Subito signore.” E corse via seguito dal
forte rumore dell’ armatura.
“Rose.” La chiamò suo padre con un tono
incolore.
Alzò la testa svelando un paio di occhi
rossi come tizzoni ardenti, straripanti di puro odio. Lo sentiva
premere sullo
sterno con furia, la necessità di far del male, glielo
chiedeva la sua stessa
natura; versare altro sangue.
L’ uomo sembrò quasi arretrare colpito da
quell’ ondata di odio.
Arrivò una guardia, che dopo aver chinato
il capo in segno di rispetto si posizionò con le spalle alle
sbarre.
“Ti odio.” Sussurrò la ragazza mentre il
padre parlava alla guardia.
“Portate via il cadavere e assicuratevi
che si nutra per bene ogni giorno, deve restare cosciente durante il
Giudizio.”
Un tremito la percorse, il Giudizio, se l’ aspettava.
Suo padre non aveva intenzione di
ucciderla, bensì di sottoporla a una pena ben peggiore. Ti
odio.
Tre giorni, le aveva concesso tre giorni
prima del Giudizio e ogni giorno un nuovo carcerato veniva spostato di
cella
per essere dato in pasto alla bestia feroce. E ogni volta il corpo
morto veniva
strascinato fuori rendendo sempre più spessa la striscia di
sangue sul
pavimento, mentre la sua ferita sotto la clavicola andava velocemente a
guarire.
Lei non tentava mai di scappare, l’ aveva
presa una sorta di totale apatia, un forte sconforto, per di
più sarebbe stato
inutile, ogni volta che la guardia entrava veniva innalzata una
barriera
magica.
Lei lo studiava con i suoi occhi ardenti;
i gesti ormai automatici per sfilare le chiavi dalla cintura e
inserirle nella
toppa, la lieve smorfia che faceva per forzare la serratura vecchia e
arrugginita,
la faccia schifata nella spostare il corpo e infine il sospiro di
sollievo che
faceva quando finalmente poteva tornare a fare la guardia fuori dalla
cella,
stando in piedi vicino alle sbarre di legno, forse troppo vicino.
Le ore passavano veloci e quando
finalmente sentì i passi avvicinarsi sospirò
–di sollevo-, era stufa di stare
chiusa in quella fetida cella.
Un’ ombra si stagliò nell’
oscurità della
cella. Alzò lo sguardo su suo padre che ricambiava il suo
sguardo inespressivo.
“Tiratela fuori.” Giudizio. L’
avevano appesa, letteralmente. I polsi
erano legati da una spessa corda fissata ad un apposito gancio, il suo
torace
era appoggiato ad un contorto tronco d’ albero, la schiena
scoperta.
Sentiva dietro di lei la presenza di un
paio di persone, una era suo parte, di certo, l’ altra era il
druido con in
mano un gatto a nove code su cui erano state applicate delle lame alle
estremità.
“Comincia pure, e non fermarti fino a che
non avrai finito.”
“Si, signore.” Detto questo il druido
pronunciò una breve formula e alzando l’ arma
iniziò a incidere sulla sua pelle
pallida con estrema precisione.
I colpi risuonavano con forza, ogni colpo
era perfetto e, per quanto potesse sembrare impossibile, ogni frustata
tracciava una linea accurata, parte di un preciso disegno, la sua vista
si
offuscò ma non riuscì a cadere nell’
incoscienza che in quel momento desiderava
come non aveva mai fatto.
Ogni colpo lacerava con violenza la sua
carne e nonostante all’ inizio aveva tentato di non fiatare,
non riuscì più a
trattenere i gemiti e gli urli di dolore, niente lacrime
però, non si sarebbe
permessi di versare una goccia in più per colpa loro
–che si trattasse di
sangue o lacrime-.
Le balenò poi in mente un pensiero che
fece accrescere il suo odio e la sua rabbia, un’ ipotesi; e
se lei fosse
davvero stata sacrificata da suo padre? La situazione in cui si trovava
ora lei, non si sarebbe manifestata per lui. Vero? Larabbia traboccava e cadeva la suolo insieme alle ultime
gocce di sangue,
il druido aveva finito il Giudizio, e come aveva voluto suo padre, lei
era
rimasta cosciente a soffrire per tutta la sua durata.
La lasciarono li per un bel po’ a perdere
sangue, mentre le braccia si intorpidivano e il suo odio cresceva.
Poi sentì i passi leggeri del druido
allontanarsi, il rumore di una porta che veniva aperta.
“Io ho finito, eseguite i vostri ordini
adesso.” Parlò con le due guardie appostate fuori
dalla porta e subito dopo si sentì
il rumore delle armature che sferragliavano.
Non si capacitava di come mai lei si
trovasse di nuovo in quella schifosa e lurida cella, a contorcersi dal
dolore,
per di più.
Le buttarono dentro almeno cinque prede
in quei giorni e lei non poté fare a meno che nutrirsi. La
gola prendeva fuoco
subito dopo aver divorato la prima vittima, la sete non svaniva
così come non
svaniva la rabbia.
Un giorno poi fu diverso dagli altri.
Come di consueto aprirono la porta della
cella e fecero entrare rudemente un ragazzo, il quale cadde
rovinosamente a
terra, sbuffando. Mentre la guardia tornava ad appoggiarsi pigramente
alle sbarre.
Troppo
vicino. Il
suo sguardo vagò nell’ oscurità per
qualche istante, per poi soffermarsi su due punti rossi come braci
nell’ angolo
della cella, quelli di una creatura pronta a divorarlo. Istintivamente
portò la
mano agli stivali di cuoio, li dove teneva il suo pugnale, e
sospirò di
sollievo accorgendosi che era ancora lì. Lo
sguainò ma subito si pentì per
averlo fatto perché notò un guizzo poco
rassicurante in quegli occhi.
La figura nascosta dall’ ombra si alzò
rivelando la sua splendida pelle pallida che, nonostante fosse
macchiata di
sangue quasi ovunque, sembrava quella di una dea; si
avvicinò lentamente,
mentre il ragazzo tremava per la paura.
Si accucciò di fronte a lui e prendendolo
per il polso lo torse fino a che la presa non fu abbastanza debole da
poterglielo sfilare di mano, avrebbe potuto lasciarlo cadere ma il
rumore
avrebbe attirato l’ attenzione della guardia
perché, ovviamente, prima di
buttarti in cella venivi privato di tutte le armi in tuo possesso.
Lo sguardo del ragazzo era terrorizzato e
tremava penosamente, non riuscì a muoversi neanche quando la
ragazza si alzo
silenziosamente per avvicinarsi alla guardia.
I suoi abiti scuri sembravano confondersi
con la sporca oscurità della cella, i suoi movimenti erano
sinuosi e
silenziosissimi; la guardia non si accorse di lei fino a che qualcuno
da dietro
non gli mise una mano sulla bocca e dicendo; “Troppo
vicino.” Lo sgozzò con il
piccolo pugnale che poco prima aveva preso al ragazzino che in quel
momento
stava ancora tremando.
Il corpo cadde flaccido a terra senza
emettere quasi nessun suono, Neah si mise a frugare fra le sue tasche
in cerca
delle chiavi della cella e quando le trovò, con poca fatica
le inserì e
facendole fare mezzo giro aprì la porta della cella.
Sospirò quando finalmente poté
assaporare la “libertà”.
Si voltò un attimo verso il ragazzino che
ancora tremava e che con gli occhi strabuzzati fissava il cadavere
della
guardia riverso a terra.
“Vuoi rimanere li ancora per molto?” Gli
occhi del ragazzo si sollevarono e, se possibile, si spalancarono
ancora di più
rischiando di farli uscire dalle orbite, nel vedere il mostro che si
portava il
pugnale gocciolante di sangue alle labbra.
Sbuffò,
fissando con intensità lo spicchio di luna mentre ripiegava
il cappotto ancora
bagnato per poi avvicinarsi al letto sfondato e posarcelo sopra.
Alzò
le braccia sopra la testa per stiracchiarsi, sentendo i muscoli della
schiena allungarsi
e sospirare di sollievo, mentre la spina dorsale scricchiolava.
Indossava
un semplice corpetto in cuoio scuro con una profonda scollatura sulla
schiena e
un paio di pantaloni di pelle aderente, il massimo di
comodità per un viaggio.
Riabbassò
le braccia facendo fuoriuscire il fiato dalle labbra che neanche si era
accorta
di aver trattenuto; il doloroso simbolo sulla schiena era tornato a
farsi
sentire, non era insopportabile, ma era abbastanza fastidioso.
Si
portò le mani ai fianchi e si guardò nuovamente
in torno, il suo sguardo si posò
su un foglietto appeso sul muro sopra al suo letto, ma subito
scivolò altrove*.
Si
posò invece sulla sua lunga spada, che ora era appoggiata al
muro, la sua Ala d’
Argento chiusa in un fodero fin troppo chiaro, il suo unico
collegamento con il
passato.
Passi
risuonarono nel corridoio, poco dopo la porta si aprì.
Entrò
Rhies con un lieve sorriso che gli increspava le labbra ma che subito
si spense
quando vide la ragazza di schiena, o meglio, quando vide la schiena
della
ragazza.
Si
avvicinò lentamente con espressione incuriosita e
leggermente intimorita,
mentre lei lo guardava da sopra una spalla con occhi di puro ghiaccio.
“Che
cos’è?” Chiese lui allungando
istintivamente la mano verso quel simbolo tracciato
con segni scuri –un pentacolo interrotto da una scura fascia
circolare, sotto
il quale c’era uno spicchio di luna, identico a quello che
splendeva ora nel
cielo-
Lei
si voltò e con un movimento fulmineo colpì la
mano del ragazzo.
“Non
sono affari che ti riguardano.” Disse con voce di ghiaccio.
Puntuale
come non lo sono mai stata ecco a voi il quinto capitolo ^^ AVVISO
IMPORTANTE: in questo capitolo ci sono delle parti con
rating rosso
–sono
qelle precedute da due o tre asterischi rossi (due asterischi=rosso tre asterischi=ROSSO!)
bene, quindi, ora vorrei consigliarvi una conzone da scoltare dopo
questi tre
cosetti -> * * * http://www.youtube.com/watch?v=04F4xlWSFh0&ob=av2n
Bene,
i giochi di colori sono finiti, rigrazio tutti quelli che recensiscono:
Sempre
presentie Jo. Smollo05 *.* che non finirò mai di
ringraziare, un po’ per tutto.
Homicidal Maniac, grazie per le recensioni kilomentriche e tutti i
messaggi
privati *.*
Fatemi
sapere che ne pensate di questo capitolo, sinceramente a io me lo
aspettavo un
po’ diverso ma un linea di massima è
così che è stato pensato ed è venuto
un tantino più lungo degli altri.
La
parte iniziale l’ ho scritta per alleggerire un po’
il tutto (vi avviso, non
sono brava con il genere ‘comico’) e per motivi di
trama.
Spero
di aver detto tutto, ma naturalmente dimentico qualcosa,
comunque…
Buona
lettura!
Capitolo
6 – Sporchi di sangue.
“C'è
sempre qualcosa
che va male, il sentiero che percorro va nella direzione
sbagliata”
[Bullet for my Valentine – Tears don’t fall]
La
stanza era avvolta dall’ oscurità più
totale, ma in quel buio più si potevano
scorgere appena due figure alte e robuste. Una si
inginocchiò portando una mano
al petto.
“Attendo
ordini, mio signore” Disse alla figura che gli dava le spalle.
“Manda
Zephit.” Un fremito di rabbia lo percorse.
Non
lo sopportava, non era lui il cacciatore, non spettava a lui trovare
l’ Ala d’
Argento; uno stupido elfo. –naturalmente l’ elfo in
questione non era affatto
stupido, tutt’altro, il fatto era che la persona giusta da
mandare a cacciare
sarebbe stato lui, quello davvero
stupido, un licantropo può avere i sensi sviluppati quanto
vuole, ma è un dato
di fatto, loro non sono affatto intelligenti. Ma era la sua
testardaggine di
cane (si, di cane, non di lupo, lui non era degno di essere paragonato
a quell’
animale intelligente) lo riempiva di orgoglio e cocciutaggine.
Fece
fuoriuscire la rabbia con un sospiro un po’ troppo rumoroso
alzandosi, mentre i
suoi occhi d’ ambra luccicavano nel buio, lo scocciava
enormemente parlare con
Zephit, anche perché era molto difficile trovarlo sobrio.
Lo
trovò solo il giorno dopo, in una squallida taverna mentre
beveva da un
bicchiere esageratamente grande.
“Ehi,
Zephit!” Lui, che in quel momento aveva le labbra sul
bicchiere spostò lo sguardo
verso di lui inarcando le sopracciglia per la sorpresa.
Bevve
un piccolo sorso e appoggiò il bicchierone sul tavolo scuro.
“Buonasera
a lei, signor Elanor.” Disse l’ elfo inclinando la
testa sulla spalla destra,
mentre gli occhi si aprivano e chiudevano più volte per
mettere a fuoco la
figura che era in piedi di fronte a lui, forse il drink che aveva
bevuto era
troppo forte, o forse più semplicemente ne aveva bevuti
troppi.
“A
cosa devo questa visita?” Aggrottò le sopraciglia
scuotendo lievemente la testa
accorgendosi di non riuscire più a pronunciare nel mondo
giusto le parole. O
forse in quei drink c’era proprio qualcosa che non andava.
“Devi
trovare l’ Ala d’ Argento.” Disse il
licantropo fremendo di rabbia, non
riusciva proprio a sopportarlo, gli avrebbe staccato la testa.
“E
perché mai dovrei? Mi pagherai?” Disse lui con
tutta la disinvoltura possibile,
mentre le sue labbra si inarcavano in un sorriso che rischiò
di trasformarsi in
risata. Aspettate, lui non aveva intenzione di ridere, stava per caso
perdendo
il controllo della faccia oltre che della lingua? Che aveva quel drink?
“È
lui a volerlo” Gli rispose
riversando
tutta la rabbia che aveva in corpo nelle sue parole.
“Oooh,
rimpatriata di famiglia?” Di nuovo le labbra si stirarono in
un sorriso, che
però venne stroncato da un pungo del licantropo, che lo
colpì sullo zigomo. Lo
fece finire con la faccia sul tavolo mentre pronunciava una serie di
‘Oh, oh,
ahi’ in protesta e le orecchie cominciavano a fischiare.
“Si
aspetta un successo.” Detto questo il licantropo
sputò per terra e uscì dalla
stessa porta dalla quale era entrata.
L’
elfo alzò la testa e il dolore allo zigomo svanì
immediatamente sostituito
dalla delusione alla vista del il suo drink completamente versato sul
tavolo.
“Accidenti”
Disse sospirando. “Pazienza, cameriera! Me ne porti un
altro.” Urlò alzando il
bicchiere ormai vuoto.
“Certamente,
glielo metto sul conto.” L’ elfo
sussultò nel sentire quella parola.
Il
conto. Assaporò
mentalmente quella
parola, come se non l’ avesse mai sentita prima cercando di
capirne il
significato; il cervello era andato proprio in pappa, maledetto drink.
“Oops.”
Disse a denti stretti capendo il significato di quell’
orribile parola e
rendendosi conto di non avere soldi con se. Quindi si alzò
silenziosamente e
sgattaiolò via con il grosso bicchiere che si era scordato
di avere in mano.
Si
sdraiò sul letto, fissando le macchie di umidità
sul soffitto mentre il
principe si guardava attorno osservando la non tanto squallida
stanzetta.
Il
suo sguardo vagò sui letti sfondati accompagnato da un
sospiro, poi sulla
finestra socchiusa e crepata che lasciava entrare la luce di una notte
finalmente serena e della sua luna. Per ultima venne lei che conespressione insofferente
accavallava le gambe
e cercava di sistemarsi meglio sul letto sospirando sommessamente.
Perse forse
troppo tempo a osservarla, non riusciva a smettere di fissare i suoi
occhi, ora
neri come pece; non erano due pozzi di tenebra in cui si era aspettato
di
affondare, erano come due porte chiuse ermeticamente, inaccessibili.
Lei
spostò lo sguardo sul ragazzo senza muovere la testa per poi
tornare a fissare
il soffitto, sospirò e si voltò dandogli le
spalle, la lunga treccia scura
scivolò sulla sua schiena devastata e sulle coperte logore.
“È
il caso che tu vada a dormire” Disse la vampira con voce
fredda.
“Diciamo
che non mi sento molto al sicuro.” Ammise il ragazzo.
“Tranquillo,
non ho intenzione di mangiarti.” Il ragazzo
sussultò nel sentire l’ ultima
parola, aveva detto ‘mangiarti’ e non
‘ucciderti’ e di certo avrebbe voluto
sentirselo dire. Mangiarti, che brutta parola da usare in quel contesto.
Le
labbra di Neah si sollevarono lievemente in un sorriso. Non
ora almeno.
La
luna era alta nel cielo e le stelle sembravano solo semplici comparse
in confronto
alla sua luminosità. La figura scura alzò
lentamente il busto dal letto
volgendo lo sguardo alla persona che dormiva nell’ altro
giaciglio, le spalle
si alzavano e abbassavano ritmicamente, sembrava dormire serenamente,
anche se
aveva capito che il suo era un sonno leggero, utile sui campi di
battaglia e
che sarebbe bastato poco per svegliarlo e lei di certo non aveva alcuna
voglia
che venisse a sapere delle sua attività extracurriculari.
Portò
le gambe fuori dal letto mettendosi in piedi con un movimento fluido,
poi, dopo
aver sistemato le coperte e i cuscini in modo da far sembrare che in
quel letto
ci fosse qualcuno, si diresse alla finestra.
Era
una notte fresca e calma, ed era certa di riuscire a trovare qualche
malcapitato che magari vagava ancora per le strade.
Aprì
la finestra issandosi sul davanzale, qualcosa le pizzicò lo
stinco, abbassò lo
sguardo. Filo spinato. Ma scherziamo?
Saltò
giù mentre una nuvola passava sulla luna.
*
* La
gola bruciava e il fiato non riusciva a passare per la gola, dalle sue
labbra
usciva solo un lugubre sibilo mentre le mani erano avvolte sul collo.
Respirava
con grande fatica mentre sulle sue tempie sembravano stringersi due
aste di
metallo.
“Ehi,
laggiù, va tutto bene?” Un passante era appena
uscito dalla lussuosa taverna
appena dietro l’ angolo, e assicurandosi che le strade
fossero sicure a quell’
ora di notte aveva notato la figura che ansimava appoggiata al muro. Si
era
avvicinato un poco e quando aveva visto la figura scura scivolare per
terra si
e era precipitato a controllare, forse era una coincidenza, o forse
solo un
destino malevolo, ma fortunatamente era un medico.
Prese
la persona per le spalle alzandogli il viso, e sul suo volto si dipinse
un’
espressione stupita quando si accorse che si trattava di una giovane
donna, dai
lineamenti affilati e dagli occhi dello stesso colore delle ombre
intorno a
loro. Teneva le mani intorno alla gola e gli occhi erano socchiusi, ma
prima
che il medico potesse agire, o solo pensare di farlo un fortissimo
dolore lo paralizzò;
sentiva un liquido caldo sporcargli i vestiti, mentre denti aguzzi
violavano la
sua carne con una salda stretta sul suo collo, il dolore si propagava
in tutto
il suo corpo come un fuoco, mentre sentiva la vita colare via
accompagnata dal
tetro suono del sangue che veniva succhiato via. Tentò di
urlare ma una mano
pesante gli copriva la bocca.
La
carne si lacerava ad ogni morso e fiotti di sangue schizzavano sugli
abiti. Che
morte orribile.
Si disse lui. Si sa,
un umano ci mette tanto a dissanguarsi, soprattutto con ferite
così di poco
conto come potevano sembrare quei morsi.
I
tendini si rompevano, i muscoli si laceravano sotto la pressione
tagliente di
quel denti che puntavano dritti alla giugulare. Furono minuti
interminabili, il
sangue usciva copioso e prima di morire il medico si ritrovò
in uno stato di
totale apatia, nella quale si rendeva conto fin troppo bene che stava
per
lasciare il modo dei vivi ma che nonostante questo non riuscisse a
fermare
quell’ orribile realtà o più
semplicemente non riuscì a fare nulla per
contrastarla.
La
bocca si staccò dalla gola ormai priva di sangue, macchie
scarlatte coloravano
il suo viso e colavano sugli abiti scuri, mentre il corpo dissanguato
giaceva
vicino a lei.
*
* * Qualcosa
lo ridestò dal sonno leggero in cui era caduto.
Non
si era neanche accorto di aver spalancato gli occhi, fatto sta che ora
stava
fissando la finestra socchiusa da cui filtrava la luce della luna, fin
troppo
luminosa.
Qualcosa
si mosse sotto il suo sterno, una sorta di nausea, una sensazione fin
troppo
fastidiosa e conosciuta.
C’
era qualcosa che non andava, davvero. Non ne era certo ma aveva avuto
la
sensazione che qualcosa là fuori si fosse mosso.
Così,
come in un sogno, con gesti meccanici e più silenziosi
possibili scese dal
letto, il contatto con il pavimento freddo gli provocò un
brivido lungo la
schiena, ma sapeva che non era il brivido non era causato solo dal
freddo.
Un’
ombra affusolata passò in verticale sulla finestra, con una
velocità
sorprendente.
Non
riusciva più a deglutire, la nausea si era fatta ancora
più forte, di certo
alimentata dal puzzo di putrefazione che si faceva sempre
più forte man mano
che si avvicinava alla finestra.
Prima
che potesse anche solo allungare la mano per aprire la finestra, il
vetro si
infranse scagliando schegge di vetro dentro la stanza.
Si
ritrovò davanti un corpo affusolato che sembrava umano ma
che in realtà non lo
era affatto, infatti, l’ essere che ora era davanti a lui
aveva al posto della
braccia un paio di ali lunghe e sottili, le sue gambe erano dotate di
artigli,
la pelle cadaverica si scuriva avvicinandosi agli arti. Piume bluastre
svettavano al posto dei capelli, mentre la bocca dotata di denti aguzzi
era
distorta in un urlo inumano.
Rhies
arretrò fino ad avere le spalle al muro. Poi si rese conto
che l’ imponente
arpia non avrebbe aspettato che lui si muovesse per afferrare la spada
vicino
al letto per ucciderlo, o qualunque cosa volesse fargli.
Allora
scattò mentre l’ arpia lanciava un altro
agghiacciante urlo. Raggiunse la spada
e l’ afferrò sfilandola dal fodero. Altre urla
simili a quelle che aveva appena
sentito risuonarono nella notte. Da solo non sarebbe mai riuscito a
batterle.
Neah!
Possibile che non si fosse svegliata con tutte quelle urla e quella
terribile
puzza di putrefazione? Fece due passi di lato mentre l’ arpia
si avvicinava a
passo malfermo a causa degli scomodi artigli.
Alzò
i lenzuoli. Niente, solo qualche cuscino sistemato sotto le coperte.
Allora
si voltò, pronto a fronteggiare la creatura.
Impugnò
saldamente la spada, quando vide con grande orrore e sorpresa la testa
dell’
arpia cadere a terra, accompagnata subito dopo dal resto del corpo. Un
lago di
sangue si allargava sotto il corpo decapitato, il sangue usciva copioso
dalla
ferita mortale che le era stata inferta, mentre dietro di esso
troneggiava
Neah, con in mano una grossa scheggia di vetro insanguinato e con viso
e petto
macchiati di un liquido cremisi, dello stesso colore degli occhi.
La
vide sospirare e lasciare cadere il vetro, per poi dirigersi verso il
suo
letto.
“Che
sta succedendo?” Chiese lui riuscendo a malapena a staccare
lo sguardo dallo
scempio sul pavimento.
“Ci
stanno attaccando, non te ne sei accorto?” Rispose lei come
se stesse dicendo
che stava per mettersi a piovere. Sbuffò e si
chinò accanto al giaciglio.
“Quelle
sono arpie, più precisamente arpie non
morte,” disse mimando con le dita il segno delle parentesi
mentre pronunciava
il non. “Se vuoi
ammazzarle devi
tagliargli la testa. Di certo è opera dei Generatori,
probabilmente mirano a
me.” Finì la frase con una scrollata di spalle
mentre allungava un braccio
sotto il letto per afferrare la spada che aveva lasciato li sotto.
Ma
non fece in tempo, perché dalla finestra entrò
un’ altra arpia, molto simile
alla precedente, che si schiantò contro il muro di fronte
–rischiando di
travolgere Rhies- prima di lanciarsi contro Neah, che non
poté difendersi vista
la posizione sconveniente, non ebbe neanche tempo per imprecare.
Le
arrivò addosso con un impatto fortissimo ed entrambe
finirono contro il muro;
l’arpia la feriva con gli artigli mentre dibatteva
furiosamente le smilze ali.
Era messa male, non aveva armi e quasi tutti i colpi di quel dannato
mezzo
uccellaccio andavano a segno.
All’
improvviso l’ arpia di fermò, ma dopo pochi
istanti ricominciò a dibattersi
furiosamente, indirizzando i suoi colpi a casaccio.
Una
lama sembrava essersi incastrata tra le vertebre del collo; la lama lo
aveva
tagliato solo per metà invece che mozzarlo.
La
lama abbandonò la carne, schizzando sangue scuro
tutt’ intorno.
L’
arpia sembrava voler urlare ma emise solo muti gorgoglii prima che la
lama, con
un fendente deciso la recise completamente. La testa cadde in grembo
alla
vampira che con una smorfia la lasciò cadere a terra.
–la smorfia non era
dovuta al disgusto che non provava, ma solo per il fatto di non poter
berne il
sangue, beh, in teoria avrebbe potuto, ma pensate che sia buono il
sangue di un
morto, morto due volte?-
“Colpire
alla spalle, complimenti.” Si alzò scrollandosi di
dosso la polvere.
Lui
ignorò completamente il suo commento, piuttosto si mise a
osservare i vestiti
disastrati della vampira, gli abiti erano laceri, aveva sangue ovunque
eppure
sembrava non avere neanche un graffio.
La
vide spostare lo sguardo sul letto, ormai distrutto a causa
dell’ impatto con
l’ arpia, non c’ era neanche un pezzo intatto e la
sua spada era seppellita
sotto di essa.
Sbuffò
dirigendosi a passo deciso verso la finestra distrutta, scavalcando i
due
cadaveri che giacevano per terra. Si sporse leggermente guardando fuori.
“Ne
manca una.” Disse più a se stessa che al ragazzo,
ma non la vedeva da nessuna
parte, ovviamente non potevano sapere che quell’ ultima si
trovava proprio
sopra le loro teste.
E
proprio nel momento in cui Neah si voltò, l’ arpia
entrò nella stanza a una
velocità sorprendente colpendo in testa la vampira che cadde
al suolo, poi si
diresse con grande furia sul principe che pronto
contrattaccò con la spada.
Ma
il colpo dell’ arpia era andato a segno; con uno dei suoi
artigli aveva ferito
alla spalla destra il principe, che si trovò costretto a
difendersi impugnando
la spada con la mano sinistra. Ma aveva le spalle al muro e se avrebbe
continuato così ci avrebbe rimesso la pelle,
lanciò una rapida occhiata alla
vampira che ora si stava lentamente sollevando tendendosi con una mando
la
testa, un rivolo di sangue colava dall’ attaccatura dei
capelli, la testa le
girava come se si fosse appena presa una sbronza.
Alzò
lo sguardo e all’ istante si rese conto della situazione.
La
spada era sotto le macerie del letto, ci avrebbe messo troppo.
Combattere
a mani nude era fuori discussione.
Poi
qualcosa le balenò in mente, allora si voltò e
corse alla finestra, allungò la
mano e quando sentì il freddo filo spinato fra le dita lo
strappò dal
cornicione con decisione, ferendosi le mani.
Sentì
il ragazzo gemere, poi il rumore della spada che cadeva a terra.
Agì
d’ istinto, facendo la prima e l’ unica cosa che
avrebbe potuto fare.
Da
dietro avvolse il filo spinato al collo dell’ arpia,
incrociando i fili quando
ormai il cavo era già avvolto, e iniziò a tirare
verso l’ esterno, la pelle si
lacerava, sia quella dell’ arpia che quella delle sue mani.
Il sangue le
schizzava sul viso, freddo, mentre l’ arpia iniziava a
dibattersi
disperatamente gorgogliando.
Tirò
con più forza e la testa cadde.
Ringrazio tutti quelli che
sono arrivati a leggere fino a
qui; Homicidal Maniac, Jo Shepherd, Smollo05 e tutti i lettori
silenziosi.
Questo è un periodo un po’
così… dopo aver pianto (più o
meno come una fontana) per aver visto il finale dell’ anime
Nabari No Ou per la
seconda –o terza?- volta in tutta la mia vita non so cosa mi
sia preso, davvero;
ho iniziato a comprare anche il manga che piano piano sto leggendo
–ovviamente
il finale sarà lo stesso dell’anime quindi temo
che piangerò di nuovo-.
Ho riguardato (per la terza volta in vita mia) l’ ultimo
incontro tra Zero e Ichiru (dell’ anime/manga Vampire Knight)
e di nuovo mi sono
scese le lacrime (ovviamente ho il manga anche di questo, e ovviamente
mi
rileggerò il passaggio…).
Ho guardato poi l’ ultimo filmato di Crisis Core
e… Dio se è
straziante.Si,
esattamente… fontana…
Nabari: uno Shinigami mi ha rubato il cuore çAç
Naturalmente dopo questa maratona di drammaticità mi sono
messa a cercare vari video riguardanti le… hmmm,
cose… riportate sopra.
Conclusione? Mi fa male il cuore ç_ç mi sembro
una masochista D: grazie per
aver letto questo sclero.
Chiedo scusa per tutti i puntini di sospensione (io li ho
sempre detestati u.u).
Chiudendo questa grande parentesi devo AVVISARVI!!
Probabilmente da lunedì prossimo non avrò
più il pc, per cause di forza
MAGGIORE e a tempo INDETERMINATO ç_ç io comunque
continuerò a scrivere,
probabilmente sulle ‘note’ dell’ Ipod o
su fogli alla cazzo… comunque godetevi
il capitolo ç_ç
Comunque, ho trovate la
colonna sonora per questa fic! :D è
‘Zombie’ dei The Pretty Reckless
E la canzone per questo capitolo? Ma si, un po’ di Moondance
fa sempre bene! ;) -> http://www.youtube.com/watch?v=oopBMLaIxQk
Nightwish ovviamente!
Lo so che in questo capitolo succede poco, però cercate di
capirmi, stavo scrivendo quando a un certo punto mi sono accorta che
avevo già
scritto fin troppo e ho dovuto far finire il capitolo.
Finalmente posso lasciarvi leggere ;)
Buona lettura!
Capitolo
7. Svolta.
“Avevo
tutto,
opportunità per l'eternità. E avrei potuto
appartenere alla notte”
[The
Pretty Reckless – Make Me Wanna Die]
Non
sapeva cosa fosse cambiato in lei da quel giorno, quando aveva sporcato
l’
altare del tempio della dea Andhera. Aveva sentito suo padre parlare di
un
certo ‘Potere’ ma tutto in lei sembrava essere
normale, solo una cosa era
anomala; la sete.
Proprio
in quel momento che si trovava in una stanza stretta e puzzolente, con
il
pavimento coperto da un tappeto di sangue e cadaveri la gola ardeva
come fuoco.
Mentre
le ferite si rimarginavano velocemente i suoi occhi vennero catturati
dal
liquido rosso che le copriva gli abiti mentre qualcosa sotto lo sterno
premeva
per uscire.
Il
suo sguardo vagò sui corpi a terra, si soffermò
su uno in particolare che
portava al moncone che aveva al posto della testa un lungo laccio di
cuoio e
come ciondolo una rosa di cristallo rosso, un materiale assai pregiato
e
difficile da trovare. Quello non era un gioiello qualunque, una rosa di
cristallo rosso rappresentava il fiore della vita. Neah non ne
ricordava bene
tutte le caratteristiche ma sapeva che quello era il simbolo della vita
eterna
o qualcosa del genere. Chiudi
gli occhi, respira. “Dobbiamo
andare via.” Beh, su quello non c’ era alcun dubbio. “Naturalmente,
l’ Ala d’ Argento ha
svolto il suo lavoro alla perfezione, ma il suo ruolo non è
ancora giunto al
termine.”
“Ha davvero intenzione di usarla come
sacrificio alla dea Andhera questa notte?”
“Certamente, devo assolutamente
appropriarmi di quel potere.” Quale
potere, si chiedeva lei in continuazione.
Scesero
le scale di corsa, lei con la spada che aveva riesumato dalle macerie
del letto
e lui che si teneva la spalla destra, ferita.
Giunsero
nella hole e videro il tizio che li aveva accolti seduto sulla sua
consunta
poltrona dietro al suo vecchio tavolo con la testa riversa
all’ indietro, la
gola squarciata e un mucchio di sangue che impregnava la camicia un
tempo
bianca.
Di
nuovo sulle tempie della vampira si strinsero sue aste di metallo
mentre la
gola prendeva fuoco mozzandole il respiro.
Fissò
il suo sguardo sul quel colore ipnotico, mentre i suoi occhi lo
catturavano,
lasciando immutate le sue tonalità.
“Esci.”
Sentì dire da qualcuno, si accorse dopo che era stata lei
stessa ad averlo
detto, rivolto al ragazzo che la guardava con aria preoccupata.
“Dobbiamo
andare.” Disse senza smettere di fissare la schiena della
vampira.
Lei
si girò e lo fissò con astio, mentre il suo corpo
tremava.
Aveva
ragione però, dovevano andarsene subito, chiunque li
cercasse sapeva dove
erano, ma la sete non andava via. Il suo sguardo si posò
sulla spalla ferita di
Rhies, il quale continuava a guardarla con aria seria.
No,
non poteva, anzi non doveva fargli del male; aveva bisogno di un posto
dove
stare e di qualcuno di cui nutrirsi… Era un pensiero
cattivo, però in che altro
modo avrebbe potuto metterla?
Scrollò
lievemente la testa scacciando quel pensiero, perché si
preoccupava tanto per
Rhies? Era stato lui a fargli quella stupida offerta tempo addietro, ma
ora la
sete le bruciava il corpo e la tentazione era forte. Sentiva ancora
l’ odore
del sangue marcio delle arpie.
“Adiamo
via.”
Si,
doveva andare via, aveva già mangiato quella stessa notte,
la sete di sangue non doveva controllarla.
Uscirono
all’ aria aperta e la brezza fresca della notte fu come uno
schiaffo in pieno
viso, l’ aria all’ interno della locanda si era
fatta soffocante e calda,
irrespirabile e ora anche la sete di sangue di Neah sembrava essersi
alleviata.
Portava
nella mano destra il fodero con la sua spada e nell’ altra la
collana che aveva
preso all’ arpia. Se la rigirò tra le mani
osservandone le sfaccettature che
riflettevano la pallida luce della luna.
“L’
hai mai vista da qualche parte?” Gli chiese lei, alzando
all’ altezza del volto
la collana. Lui sembrò pensarci un attimo, dopo alcuni
istanti il suo volto si
illuminò.
“Certo,
ce ne sono due sull’ insegna di una nota locanda appena prima
della Foresta
Nera, è sulla strada, basta seguire il fiume, possiamo
arrivarci in mezza
giornata.”
“Bene,”
Si mise la collana, per non doversela portare in mano per tutto il
tempo
“partiamo subito, così potremmo darci una
ripulita. Spero solo che questa
persona sia davvero così stupida, ci ha detto esattamente
dove si trova.”
Sospirò scuotendo la testa, per poi pulirsi con il dorso
della mano il mento
ancora sporco di sangue.
Rhies
aveva sorvolato sul suo aspetto in quel momento, ma non avevano di che
preoccuparsi di come erano conciati, tanto a quell’ ora non
c’ era nessuno per
strada, no?
Un
urlo lacerò la notte, un gruppo di persone era radunato
all’ imbocco di un
vicolo.
“Che
cosa è successo?” Chiese il principe.
“Niente
che ci possa interessare.” Rispose lei frettolosamente
incamminandosi verso il
confine di quella piccola città.
All’
imbocco del vicolo un gruppo di prostitute e baristi si era raggruppato
intorno
a un morto, era completamente dissanguato, lo conoscevano quasi tutti,
era un
buon medico.
Avevano
camminato per tutta la notte, o almeno per quel che ne rimaneva.
Il
crepuscolo li aveva colti di sorpresa tingendo il cielo di toni chiari,
mancava
poco al fiume, ne sentivano lo scrosciare in lontananza.
I
loro passi risuonavano nel silenzioso boschetto, le foglie macie
crepitavano
sotto i loro piedi mentre timidi uccellini salutavano il mattino.
L’
aria era fresca e frizzante, leggera e pulita.
Ancora
un paio di metri e si trovarono sulla sponda del fiume dalle acque
limpide che
scorrevano placide.
Si
pulirono il viso e gli abiti,medicarono
le ferite, più precisamente la
ferita, quella di Rhies alla spalla, che si era rivelata estesa ma non
molto
profonda. Con non poco stupore notò che la pelle una volta
pulita di Neah non
aveva neanche un graffio, neanche il taglio all’ attaccatura
dei capelli che
era certo di aver visto bene, eppure si era accorto che l’
arpia che l’ aveva
travolta l’ aveva ferita più volte, le Creature
Oscure erano piene di sorprese
e non sempre spiacevoli.
“Non
mi aiuti?” Era pericoloso stuzzicare un vampiro, soprattutto
mentre ci si stava
ricucendo una ferita.
“Non
giocare con il fuoco.” Disse lei serena mentre si sciacquava
il viso con l’acqua fredda del fiume.
Tra
loro era cambiato qualcosa, c’ era più leggerezza
e il senso di gelo era quasi svanito
del tutto, quasi. Forse era la
consapevolezza di dover viaggiare insieme per parecchio tempo, forse
era l’
impazienza di muoversi e scoprire perché quelle arpie li
avevano attaccati,
forse lui aveva capito che si sarebbe dovuto abituare ad averla vicina,
visto
che la stava per ospitare nella sua casa, se poi una reggia si
può chiamare
realmente casa.
Ma
il turbamento restava, non tanto per il fatto di dover viaggiare con
una
Creatura Oscura, quanto subire le ire di suo padre, non aveva idea di
come
avrebbe reagito, non ne aveva proprio idea e di certo non avrebbe mai
voluto
saperlo, piuttosto altri dieci viaggi con la vampira dagli occhi
ingannevoli,
che in quel momento erano dello stesso colore delle acque limpide.
Si,
nonostante la lunga camminata e l’ attacco alla locanda si
sentivano
decisamente meglio, era il fatto di dover condividere qualcosa, li
faceva
sentire sicuri, leggeri e sereni, anche se sapevano ben poco della
persona che
si portavano appresso.
Ma
la fiducia si ottiene piano piano, in cambio di altra fiducia.
Anche
se il suo cuore era circondato da quello che lei credeva essere un
ghiaccio
perenne si stava lentamente sciogliendo, non aveva paura di questo
nuovo
cambiamento.
“Pronto?”
Chiese lei alzandosi e asciugandosi
il volto.
“Andiamo.”
Indossò di nuovo la maglia, ora pulita, e si
alzò.
Il
bruciore alla gola era svanito insieme alla sete, le fitte alla schiena
dovute
alla grossa cicatrice non si facevano sentire da un po’, la
solitudine si era
allontanata vedendo tutti piccoli segni chiari sulle braccia del
ragazzo, di
certo non era solo lei a soffrire, ma era tanto presa dal suo dolore da
non
accorgersi di quello altrui, non era l’ unica a portare
cicatrici dolorose.
La
locanda era praticamente deserta, tranne per un paio di ballerine che
si
muovevano al ritmo di strumenti scordati e qualche gruppo di persone
sedute a
tavoli differenti, l’ ambiente era decorato con una
quantità esagerata di rose
rosse.
Il
tavolo più appartato era occupato da sei persone, cinque
delle quali
incappucciate con mantelli scuri e con un bicchiere completamente pieno
sotto
il naso. La sesta persona invece era praticamente sdraiata sul tavolo,
e
attorno alla sua testa si ergeva una quantità spropositata
di bicchieri,
ovviamente vuoti.
Il
suo viso dai tratti affilati e le guance scavate rivelavano la sua
sofferenza.
“Ho
la testa che scoppia, fateli smettere per pietà!”
Disse lamentandosi l’ elfo
riverso sul tavolo. Sentì ridere uno degli uomini seduto
accanto a lui.
“Non
credevo che un elfo sbronzo potesse essere così
divertente.” Ma lui ovviamente
non li ascoltava, era troppo impegnato a tentare di alzarsi per andare
a
fermare quello che a lui sembrava un baccano assordante.
Dopo
alcuni tentativi riuscì ad alzarsi ma un capogiro e una mano
pensante sulla sua
spalla lo costrinsero a sedersi di nuovo.
“Ah,
la mia testa.” Si lamentò di nuovo, allungando
furtivamente la mano verso il
drink di uno dei tizi in nero, magari se avesse mandato giù
qualcosa di fresco
si sarebbe sentito meglio.
Raggiunse
il bicchiere, lo afferrò e sotto gli occhi stupefatti dei
suo compagni lo mandò
giù tutto d’ un sorso.
“Allora
Zephit,” Iniziò uno trattenendo a stento le risate
“non ti sembra il caso di
fare una pausa?” l’ elfo lo guardò male.
“Ma
che! Non sono neanche ubriaco.” Rispose lui con la bocca
impastata.
“Allora
perché hai chiesto a noi di svolgere il lavoro che avresti
dovuto fare te?”
“Perché
ero ubriaco, semplice.” Rispose l’ elfo con
un’ alzata di spalle. “Come faccio
a lavorare da ubriaco? Piuttosto, spero che le vostre arpie abbiano
svolto il
lavoro come si deve, non voglio trovarmi l’ Ala d’
Argento puntata alla gola!”
Prese un’ altro bicchiere da sotto il naso di uno dei tizi
vestiti in nero e lo
bevve a metà prima di fermarsi e trattenere un conato, poi
mandò giù quello che
rimaneva del drink.
“Mi
raccomando, tenete la bocca chiusa, non voglio che lui venga a sapere
che per
trovare sua figlia ho fatto lavorare per me dei Generatori, mi
mozzerebbe la
testa di certo.” Continuò sbuffando, naturalmente
stava parlando a vanvera.
“Si,
si lo sappiamo bene.” Rispose uno con un gesto lascivo della
mano.
“Sai
pensavo che avresti tentato di avvelenarci con questi drink.”
L’ elfo ubriaco
lo guardò come se il tizio in nero avesse appena detto:
‘io non sono qui in
questo momento, ora stai parlando con il muro’.
“E
perché mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per
di più questo non
mi sembra il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di
cristallo
rosso e di, cosa sono quelle, ballerine?” Disse stringendo
gli occhi per
distinguere le figure che ballavano.
“Spero
solo che lo abbiate fotto come si deve, non voglio farmi tagliare a
fettine
dall’ Ala d’ Argento.” In alcuni rari
momenti in cui era ubriaco si poteva
scorgere in lui la serietà che lo caratterizzava quando era
sobrio, cioè quando
si trattava di lavoro, per la maggior parte delle volte.
Si
portò una mano allo zigomo gonfio che era stato colpito dal
licantropo il
giorno prima, gli faceva ancora male. Teneva lo sguardo puntato sulla
porta,
aspettandosi di vederlo entrare e abbattersi su di lui con furia.
E
fu più o meno quello che successe, solo che dalla porta non
entrò quello
stupido licantropo.
P.S.
Con ‘Ala d’Argento’ intendo sia Neah, sia
la sua spada che la sua cavalcatura.
Ecco
diciamo che non mi sembrava il caso di lasciarvi con quel settimo
capitolo, ho
preferito postare anche questo (per lasciarvi sulle spine,
Muhahahaha!).
Naturalmente la fic non terminerà così (lo
scontro finale sarà assai più epico)
–anche se ero assai tentata- sarò
sempicemente costretta a prendermi
una pausa, mi sto impegnando tantissimo per scrivere, ma ogni capitolo
che
scrivo mi piace sempre meno. Ringrazio tutti quelli che seguono questa
storia (anche
se ormai siete pochi D: ). Ma continuerò a impegnarmi sui
progetti che sto
mandando avanti.
Un
bacio, buona lettura e alla prossima (sperando che non passi troppo
tempo).
Capitolo
8. Caduta.
“Ancora,
volete
ancora che io cada di testa”
[The Pretty
Reckless
– Zombie]
Finalmente
erano usciti dal bosco e in lontananza si poteva scorgere una casupola
con un’
insegna storta sorretta da due rose rosse.
“Ci
siamo.” Sogghignò. “Se
ti mordessi ti faresti male, molto.”
Rammentò il piccolo discorso che avevano avuto in riva al
fiume, mentre lui si
cuciva la ferita. “Dicono che non ci sia dolore
peggiore.”
“Non
diventerei un vampiro?” Aveva
chiesto lui dubbioso.
“Ma che?!” Lei lo aveva guardato come se
avesse detto un’ enorme assurdità.
“Hai mai visto un cane mordere un gatto?”
Chiese lei.
“Si, e allora?” Aveva risposto lui
alzando le spalle.
“E hai mai visto quello stesso gatto
diventare un cane?” Sul volto del ragazzo si era dipinta
un’ espressione interdedda
mentre cercava di capire quel paragone.
“No.” Rispose incerto.
“E allora?!” Disse lei scuotendo la
testa, in effetti il principio era lo stesso, spigato però
in modo assurdamente
banale e contorto.
Giunsero
di fronte al bar, da dentro giungeva il suono di strumenti scordati,
nient’
altro.
Neah
portava a tracolla la sua lunga e sottile spada e nella mano sinistra
portava
la collana con la rosa.
Entrarono
e quello che videro furono una decina di tavoli, dei quali solo uno era
occupato da sei persone, cinque delle quali era impossibile riconoscere
perché
incappucciate. La quinta persona era appoggiata allo schienale, con una
mano
sulla fronte, i suoi capelli argentei erano coperti da una bandana
multicolore
per nascondere le due orecchie a punta che nonostante la stoffa si
notassero
fin troppo, sul suo petto svettava una rosa di cristallo rosso appesa
al collo
con un laccetto di cuoio.
Videro
la testa dell’ elfo girarsi lentamente verso di loro
strizzando gli occhi lucidi
per il troppo bere. Neah sollevò la collana all’
altezza del volto,
sogghignando. Videro l’ elfo imprecare e alzarsi, per poi
sedersi di nuovo a
causa di un capogiro.
Al
posto suo si alzarono le figure incappucciate, una delle quali non
perse tempo
a fuggire dal retro, Neah rimase delusa e così anche
l’ elfo che spostava lo
sguardo color mare sorpreso dalla vampira ai quattro tizi rimasti.
“Benvenuti!”
Esclamò il barista “Cosa vi porto?”
“La
sua testa.” Rispose la vampira indicando con un gesto del
capo l’ elfo. Non si
preoccupò della reazione del barista e si
avvicinò lentamente.
Quando
giunse a pochi metri da loro portò la mano all’
elsa della spada.
“Oh,
e adesso?” Disse l’ elfo voltandosi verso i tizi
vistiti in nero, che però nel
frattempo avevano impugnato delle armi in legno. La vampira si mise
sull’
attenti, allarmata dalla colorazione familiare che aveva il legno delle
loro
armi. Biancospino.
Sfoderò
velocemente la spada nello stesso istante in cui uno di loro le si
avventava
addosso con un pugnale di legno. Mentre un’ altro correva per
colpire Rhies che
prontamente aveva sfoderato la spada. Il terzo tizio stava tentando di
far
alzare l’ elfo che con espressione sorpresa fissava
imbambolato la vampira
muoversi sinuosamente mentre si batteva. Il quarto se ne stava
tranquillo in
piedi con le braccia incrociate a guardare la scena con il sorriso
sulle labbra.
“Se
non sono le nostre arpie siamo noi. Che fate ancora qui voi due?
Andatevene!”
Disse riferendosi all’ elfo e al tizio che stava cercando di
portarlo via.
“Voi
non andate da nessuna parte!” Esclamò la vampira
dopo aver steso il suo
avversario avventandosi sull’ elfo che si era appena alzato,
ma si ritrovò una
lama di legno chiaro puntata alla gola, era il tizio che prima
sorrideva
gustandosi la scena.
Lanciò
un rapido sguardo Rhies che se la stava cavando bene, aveva quasi
sconfitto il
suo avversario.
“Che
cosa volete da me?”
“Mi
sembra ovvio, vogliamo il tuo potere.”
“Di
che potere parli?”
Il
tizio sbuffò, abbassandosi con la mano libera il cappuccio,
rivelando una
carnagione estremamente pallida e occhi da gatto, i capelli erano
lunghi e
argentei. Neah, strinse gli occhi, era un Generatore ed era certa di
averlo già
visto da qualche parte.
“Sai,
il re rivuole la sua amata Ala d’ Argento.” Disse
questo sogghignando. “Certo,
ha già il tuo amato drago, ha scelto proprio un bel posto,
pietrificato sulla
torre più alta del castello, ma vedi, non è
soddisfatto.” Il suo sorriso si
allargò.
“Dimmi
tutto quello che sai, se non vuoi che il tuo intestino ci
rimetta.” Abbassò lo
sguardo facendo notare al Generatore la punta della sua spada
appoggiata sul
suo ventre. Ma questo non parlò, né
abbassò la lama di legno dal suo collo.
“Hai
ottenuto un potere che neanche immagini.” Sentì un
gemito alle sue spalle, vi
voltò e vide Rhies con la spada insanguinata e il suo
avversario steso a terra.
Il ragazzo si avvicinò, ma venne bloccato dall’
elfo che con un movimento
rapido gli buttò in faccia il contenuto del bicchiere, sul
volto dell’ elfo si
dipinse un’ espressione sofferente, non avrebbe mai voluto
sprecare la birra.
Il
principe aveva portato una mano agli occhi e l’ elfo ne aveva
approfittato per
colpirlo con forza sulla tempia con il fondo del bicchiere, rompendolo.
“Non
mi sembra il caso di nascondertelo, io sono del parere che tu debba
sapere la
posizione in cui ti trovi.” Disse sogghignando, Neah non ne
poteva più, il
nervosismo le faceva tremare le mani. Con uno scatto sollevò
il braccio
puntando la spada al collo del Generatore, avere un’ arma
tanto lunga aveva i
suoi vantaggi.
“Giuro
che non parli immediatamente di faccio a fette. Non prima di averti
cavato gli
occhi e averteli infilati su per il culo.” L’ uomo
davanti a lei trattenne a
stento una risata poi la sua espressione si fece improvvisamente seria
e fece
un cenno con la testa, solo in quel momento Neah si accorse di avere
una
persona alle spalle. Si voltò colpendo con la spada
all’ altezza della vita, la
lama tagliò la carne come se fosse burro ma nello stesso
istante sentì un
dolore lancinante al petto. Abbassò lo sguardo, un paletto
di legno chiaro era
infilato nel suo petto, all’ altezza del cuore, nel cuore.
La
spada cadde, le sua mani si avvicinarono al paletto ormai rosso di
sangue,
toglierlo non sarebbe servito a nulla, ormai il danno era fatto.
L’
ultima cosa che vide prima di cadere nell’
oscurità fu il liquido cremisi
uscire copioso dalla ferita mortale e imbrattare i suoi abiti.
“Quanto
in basso mi
vuoi spingere, prima che io giaccia, giaccia a terra morta?”
Capitolo 9 *** La follia che igniotte il buio. ***
Ecco
il nono capitolo! Che finalmente mi soddisfa :D (più o meno).
Lo
so, ho maltrattato un po’ Neah nello scorso capitolo, ma
quello era niente.
Ho
deciso di mantenere l’aspetto originale della chimera, ops!
No spoiler!
>.< Vedrete! :D
Non
ringrazierò mai abbastanza Homicidal Maniac *.*
Intanto,
se qualcuno di voi si è affezionato a Zephit e desidera
vederlo ubriaco ancora
una volta insieme ad un altro elfo cliccate
-> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=954634&i=1
Detto
questo vi lascio, anche perché non so che altro dire ;)
Buona
lettura! In fondo al capitolo vi ho lasciato una chicca ;D
Capitolo
9. La follia che inghiotte il buio.
“Tu
ti
senti così sola e stracciata. Giaci qui stentata e
nuda.”
[Skillet – Whisperin the Dark]
Nell’
oscurità i pensieri e i ricordi si avvinghiavano tra di
loro, confondendosi. “Vieni con
me.”
“Colpire alle spalle, complimenti”
I demoni non sono tra noi,
siamo noi.
Non esiste la salvezza,
esiste l' oblio.
La libertà è in una gabbia di stelle.
“Hai ottenuto un potere che neanche
immagini.”
Quale? Quasi
in risposta rinvenne respirando come se fosse la prima volta, tutti i
muscoli
le facevano male.
Provò
ad aprire gli occhi, ma non capì se effettivamente
c’ era riuscita.
Nero.
L’
oscurità la circondava completamente e anche provando a
guardarsi intorno non
vedeva niente.
Si
portò una mano lì dove poco prima c’
era il paletto, tastò la pelle in cerca
della ferita, niente, solo la pelle liscia e un lieve bruciore. Non
vedeva
niente, solo il buio.
Solo
in quel momento si sentì totalmente sperduta, il fiato si
era fatto affannoso,
non aveva mai avuto paura del buio, neanche da bambina, quando si
divertiva a correre
nell’ oscurità dei corridoi del castello che
conosceva a memoria. Ma in quel
momento non aveva idea di dove si trovasse, né di cosa
stesse succedendo,
sentiva solo il legno ruvido sotto di lei sobbalzare e il lieve suono
degli
zoccoli che pestavano terra.
Si
mise a sedere per poi trascinarsi in una direzione a caso, sperando di
incontrare presto una parete.
Le
sue spalle toccarono qualcosa di freddo e duro, delle sbarre, solo
delle
sbarre, non c’ era nessun’ asta di legno a bloccare
la luce sterna, eppure non
riusciva a vedere oltre.
Allungò
timorosa la mano oltre quel confine mentre un’ ondata di gelo
la invadeva
partendo dalla mano, la ritirò immediatamente.
Era
un incantesimo, un muro d’ ombra.
Ritentò,
e superato lo strato di gelo oscuro si sentì afferrare il
polso dall’ altra
parte, la speranza di poter uscire da quella gabbia venne subito
stroncata
quando si sentì tirare con forza e non poté fare
niente per impedire l’ impatto
con le sbarre.
Il
sopracciglio prese a pulsare dal dolore, mentre sentiva il familiare
liquido
viscoso scorrerle lungo il viso.
Si
portò una mano al viso, attendendo pazientemente che la
ferita si rimarginasse,
invano.
“Non
ti servirà a niente tentare, è inutile combattere
qualcosa che non puoi
vincere.” La voce del Generatore le giunse alle orecchie da
dietro le sbarre,
beffarda.
Sospirò
rannicchiandosi con la schiena contro le fredde aste.
“Ehi
tu, lì dentro si sta bene? Perché, sai, molto
presto…”
“Fottiti”
Lo interruppe lei in un moto di rabbia. Una risata sommessa le giunse
alle
orecchie. Strinse le mani sugli avambracci conficcandoci le unghie.
Lo
sapeva, da quando era entrata in quella squallida taverna che non
sarebbe
riuscita a scappare a suo padre, perché gli stupidi non
erano stati i
Generatori a svelare loro dove erano, bensì era stata lei la
stupida a essere caduta
in trappola. Maledisse la sua ingenuità mentre la
frustrazione cresceva dentro
di lei.
“Dov’è
Rhies?” Non aveva intenzione di dirlo ad alta voce, il suo
era solo un pensiero
che però le scappò dalle labbra.
“Chi,
l’ Umano?” Pronunciò quella parola come
se fosse un insulto “Dopo che Zephit l’
ha colpito non l’ abbiamo più toccato,
sarà ancora steso in quella taverna.” Il
carro –perché aveva capito dove si trovava,
più o meno- sobbalzò varie volte.
Forse
non avrebbe dovuto coinvolgerlo nei suoi casini, ma almeno ora era
libero ti
tornarsene a casa, senza nessun vampiro che mirasse al suo collo.
“Ehi
Zephit, fermati qui.” Si sentì il nitrito dei
cavalli e subito il carro si
fermò.
“Finalmente
posso andarmene alla taverna.” Sentì il tono di
voce pacato dell’ elfo.
“Devi
restare qui, sono gli ordini.” La voce del Generatore era
perentoria.
“Senza
una buona birra? Se vuoi che io resti qui allora tu trasforma i tuoi
soldi in
alcol.” Si schiarì la voce. “Comunque,
chi è tutta questa gente?” Neah li
ascoltava in silenzio, cercando di capire se c’erano solo
loro due.
“Coloro
che pretendono la giustizia.”
Il
re fece la sua entrata nella sontuosa piazza scendendo da una lunga
scalinata
di nera ossidiana, sembrava esserci tutto il popolo, da uomini, donne e
bambini,
tutti che guardavano con ammirazione il loro re.
“Popolo,
quest’ oggi puniremo la traditrice.” La folla
scoppiò in un urlo di esultanza
facendo rabbrividire Neah.
Poi
calò il silenzio, si sentivano solo i passi del re che si
avvicinava alla gabbia
della figlia. Nell’ oscurità si aprì un
varco da cui filtrò la luce solare,
illuminando un cerchio di legno chiaro, Neah vi si avvicinò
nella speranza di
poter finalmente uscire, ma la delusione solcò il suo volto
quando vide il
volto beffardo e poco rugoso del padre. Non risparmiò il suo
sguardo di rosso
odio. Il padre sorrise.
“Oggi
verrai punita e spero tu imparerai la lezione.” Si
fermò un’ attimo assaporando
la bellezza di quel viso. “Sarà un peccato
rovinare il tuo bel viso.”
Sinceramente a lei sembrava che la stesse insultando. Poi
continuò a parlarle
come per tranquillizzarla.
“Cara
Rose, naturalmente non morirai, ormai non puoi
più.” Un colpo al cuore. No, non
voleva ascoltarlo, in tutti gli anni passati insieme le aveva solo
mentito, lo
stava facendo anche ora, doveva
farlo
anche ora. Quello che diceva non poteva essere vero.
“Fate
entrare Fio.” Disse il padre appoggiando una mano sulle
sbarre avvolte da
quella nera foschia, ora il popolo avrebbe visto, avrebbe riso e
urlato, mentre
lei, attorno a se stessa, avrebbe ancora visto muri neri e
nient’ altro,
interrotti solo da quella piccola finestrella.
Il
silenzio venne interrotto solo da un lieve brontolio che ben presto si
trasformò in un ringhio. Fio era la bestia del re, una
grossa chimera perennemente
assetata di morte.
L’
elfo si guardò intorno nervoso, mentre i suoi pensieri
volavano alla taverna
che poteva vedere dall’ altra parte della piazza e i suoi
sguardi irrequieti
giungevano al re che attendeva con trepidazione il momento in cui la
possente
chimera sarebbe entrata per ‘punire’ la vampira.
Lui aveva sempre letto un’
assurda perversione per la giustizia negli occhi del re, qualcosa che
lo
spingeva anche a tentare di uccidere la figlia.
La
poteva benissimo vedere, attraverso una lievissima foschia divenuta
ormai quasi
trasparente, mentre attendeva appoggiata alle sbarre. Non c’
era nient’ altro
che potesse fare se non attendere.
Il
suo corpo indebolito dal legno per loro velenoso avrebbe rallentato la
guarigione, mentre l’ oscurità che lei vedeva
attorno a sé le avrebbe
complicato il tutto.
Si
portò una mano al collo, lì dove c’ era
una vistosa e fredda cicatrice; lo
faceva spesso, soprattutto quando era nervoso e non poteva bere. Quel
segno
chiaro nei momenti di inquietudine sembrava stringersi attorno al suo
collo
mozzandogli il respiro, mentre il suo sguardo blu sotto le sopracciglia
aggrottate
-come le onde che si infrangono su una scogliera- vagava sulla folla
per poi
soffermarsi sulla vampira. Si portò le mani dietro al collo
passando le dita
fra i capelli argentei per fare poi una smorfia quando si bloccarono in
un
nodo.
Di
certo meritava di essere punita, ma venire straziati da quella
chimera… era
decisamente troppo.
“Mi
fai a pezzi e
poi mi riprendi, prendi tutto e ancora non ti basta]
[RED
– Death of Me]
Suo
padre sorrise per l’ ultima volta pria di spostarsi. Intorno
a loro il silenzio
era inquietante, era lo stesso silenzio che si sente nei cimiteri
abbandonati,
nei quali neanche il vento si disturba a fare visita.
Un’
ombra oscurò la poca luce che entrava, poi, accompagnato da
un rumore di
strappo qualcosa di possente entrò nella sua gabbia.
C’
era molta più luce rispetto a prima; il muro d’
ombra dal quale era appena
entrata la chimera sembrava un foglio strappato, ma le
estremità si muovevano
come tentacoli che tentavano di richiudere il taglio.
Davanti
a lei una creatura dall’ aspetto inquietante e grottesco, con
un corpo di leone
e la coda di serpente, e una testa che si innalzava dal dorso simile ad
una
capra scheletrica. Il muso leonino mostrò i denti ringhiando
mentre il
serpente, che svettava sopra il massiccio corpo sibilava e la capra la
fissava
con occhi vacui. I muscoli si tesero pronti all’ assalto,
ruggì per poi
abbattersi su Neah.
Riuscì
a schivarlo andando a sbattere con le spalle contro le sbarre.
Osservò
il corpo affusolato e massiccio, percorse la spina dorsale con lo
sguardo in
pochi istanti, inorridendo quando vide la coda che si avvolgeva sul suo
polso,
sibilando e mostrando le fauci grondanti di veleno.
Tentò
di strattonare la coda, inutilmente, perché questa si
stringeva sempre di più,
mentre il muso da leone la fissava con occhi colmi di follia.
sibilò
di nuovo e sentì l’ osso dell’
avambraccio rompersi, tentò di trattenere un
urlo, ma fu inutile perché con un movimento secco della coda
le fece uscire
dalla sua sede l’ osso spezzato, lacerando la carne e la
pelle.
La
coda si srotolò dal suo braccio con movimenti sinuosi.
Cadde
in ginocchio, sotto lo sguardo color ambra del felino, mentre il suo
sangue
imbrattava il legno. Perché
non guarisce? Il
sangue continuava a
uscire, la ferita non guariva.
“Stare
con gli Umani ti ha rammollito, cara Rose.” Sentì
la voce di suo padre farsi
beffa di lei. “Il ghiaccio che è in te non deve
sciogliersi.” Sapeva che non
era quella la vera causa, suo padre la prendeva in giro,
così come aveva sempre
fatto.
Si
rialzò in piedi tremando per il dolore mentre la chimera
davanti a lei la
fissava con occhi ambrati scoprendo i denti e tendendo nuovamente i
muscoli,
preparandosi per un altro balzo.
Non
sarebbe riuscita a schivare anche quello, se ne rese conto quando ormai
la
creatura era a mezz’aria con le zampe tese verso di lei e le
fauci spalancate
in un folle ruggito. Le finì addosso.
La
chimera pesava sopra di lei mozzandole il fiato.
Ruggì
ferocemente prima di azzannarle la base del collo. Una delle sue zampe
premeva
a terra il braccio intatto, impedendole qualsiasi movimento.
L’altro era
inservibile, il dolore glielo aveva paralizzato.
Il
sangue zampillava imbrattando la pelle nivea, la chimera mordeva con
forza
strappando pezzi di carne, ma sembrava ben attenta a non lacerare la
giugulare,
sembrava volerla tenerla in vita e torturarla per bene; come un gatto
che gioca
con un topolino.
Il
dolore si irradiava a ondate in tutto il suo corpo, non aveva mai
sofferto
tanto, neanche sui campi di battaglia, quando le ferite delle armi
umane non
contavano nulla perché guarivano subito.Tentò di colpire con un calcio la chimera, ma
fu inutile, perché la coda
della chimera le si stava avvinghiando alle caviglie.
“Io
me ne vado.” Disse l’ elfo distogliendo lo sguardo
da quella scena raccapricciante
dirigendosi a passo deciso verso la taverna. Si sentì
afferrare per il polso.
“Tu
non te ne vai.” Disse in
tono
perentorio il Generatore fissando i suoi occhi color ambra in quelli
dell’
elfo. Si guardarono in cagnesco per qualche istante mentre i loro
capelli
argentei venivano mossi da un lieve brezza.
Con
uno strattone Zephit si liberò dalla presa dell’
uomo incrociando poi le
braccia. Cosa
c’ entrano loro?
Il
suo sguardo cadde sulla scena nella gabbia, il sangue continuava a
uscire,
colando anche sul lastricato della piazza. Guardò altrove,
mentre un’ altra
macchia di sangue riaffiorava nella sua memoria.
Sentiva
il sangue colare via, accompagnato dalle poche energie che le erano
rimaste in
corpo. Ma la sua coscienza non accennava a svanire, era perfettamente
lucida.
In
quel momento tutto quello che desiderava era perdere i sensi per non
sentire
più nulla, anche morire le sarebbe andato bene. Cara
Rose, naturalmente non morirai,
ormai non puoi più. Un’
imprecazione le salì su per la gola mentre le veniva in
mente quanto potesse
essere tagliente un osso rotto.
Tentò
di voltare la testa quel tanto che bastava per inquadrare il braccio
che non
era bloccato dalla chimera che nel frattempo si stava divertendo con il
suo
collo.
Urlando
mosse il braccio, portandolo nell’ angusto spazio tra il
corpo della chimera e
il suo.
Mise
tutta la forza che le era rimasta in quel colpo. Con forza spinse la
mano
contro il pelo ispido, appena sotto lo sterno della chimera.
Sentì
il sangue caldo colarle lungo il braccio e non seppe dire se fosse il
suo o quello
della creatura sopra di lei.
La
chimera si staccò dal suo collo ruggendo di rabbia e dolore.
Neah
trasse un sospiro di sollievo quando si rese conto di aver raggiunto i
polmoni
della bestia e di non averla più attaccata al collo.
La
chimera invece si avventò sul suo volto, sentì i
suoi denti aguzzi conficcarsi
nelle tempie e il sangue colarle sui capelli mentre le ossa del cranio
si
rompevano sotto la forza del poderoso morso.
Sentiva
il battito del cuore della chimera, veloce e forte, regolare e potente.
Era il
cuore che doveva raggiungere.
Mentre
il suo sguardo si tingeva di del colore di quel liquido scarlatto e la
chimera
alzando e abbassando il muso le sbatteva la testa sul legno,
riuscì ad
aggrapparsi a quell’ organo caldo che pulsava con forza. Che
situazione di merda. Con
un movimento secco strappò il cuore dalle arterie e le vene
che lo legavano al
corpo della chimera.
La
chimera la liberò dalla sua morsa con un ruggito
agghiacciante, mentre il suo
braccio scivolava via dal suo ventre.
Il
corpo morto le cadde addosso.
Quel
poco che riuscì a vedere fu la sua mano insanguinata che
ancora stringeva cuore
della chimera.
La Persefone illustrata da Paolo
Barbieri è diventata la mia Neah ;)
Ad
essere sinceri non so proprio che dirvi.
Ehm,
ringrazio chi legge e chi redensisce, grazie Homicidal Maniac <3
grazie Smollo05
*.* Ho
una
comunicazione importantissima da farvi: è
stato deciso dalla sottoscritta che il qui presente signor Zephit non
potrà
impegnarsi in nessuna relazione sentimentale, quali fidanzamenti o
matrimoni e
simili (a meno che non venga barattato
con qualcosa u.u). Mi dispiace. Quindi
passando alla storia devo dirvi che questo capitolo è un
po’ particolare,
contorto direi (assurdo forse) e che nella mia testa siccedevano molte
più
cose, ma naturalmente quando si scrive (nel mio caso) diventa tutto
molto più
lungo u.u nel prossimo tutta questa faccenda si svilupperà
molto di più ^^ Lo so, sto aggiornando alla cazzo... ma il
fatto è che non ne potevo più di tenermi questo
capitolo u.u
Buona
lettura!
Capitolo
10. Incontri.
“Qui
e’ dove inizia. Qui e’ dove finirà. Sta
sorgendo la luna… ancora”
[Marilyn
Manson – If i was your Vampire]
Qualcosa
di soffice e caldo sotto di lei, freddo alle mani e una spiacevole
sensazione
di vuoto.
Aprì
gli occhi e il suo sguardo appannato si soffermò sulla mano
davanti al suo
volto, era la sua ed era fasciata con bende chiare.
Mosse
le dita, mentre una lieve fitta di dolore si irradiava per il braccio.
Sbatté
le palpebre per schiarire la vista, ma c’era qualcosa che non
andava, vedeva
troppo poco.
Delle
bende le fasciavano la testa per coprire anche l’ occhio
sinistro.
Si
portò la mano fasciata più vicina all’
occhio spostando le bende, per poi
constatare con orrore che non vedeva.
Sospirò
rassegnata alzandosi a sedere. Passò più volte la
mano davanti all’ occhio
sinistro, inutilmente.
Si
guardò il corpo; l’ avambraccio destro era
fasciato, così come il suo petto e
il collo. Tutto quello che aveva addosso era una lunga gonna nera,
liscia e
setosa.
Si
guardò intorno e sentì una fitta al petto
–non di vero dolore, solo di
nostralgia-, era nella sua stanza; i muri scuri e alti erano interrotti
da
arabeschi cremisi si intrecciavano fra di loro, giocando come onde del
mare al
tramonto, era seduta sul suo ampio letto e davanti a lei c’
era uno specchio
alto, lo stesso che lei stessa tempo addietro si ostinava a rompere.
I
frammenti di vetro caddero a terra per
l’ ennesima volta.
La sua mano era macchiata di sangue, così
come i frammenti sparsi sul tappeto morbido.
“Mia signora, si è ferita?”
Un’ ancella
accorse prendendo nelle sue mani morbide quella ferita della vampira.
“Non è niente.” Rispose lei brusca
ritirando la mano che era già guarita.
“Non voglio mai più rivedere questo
specchio.” Uscì a passi svelti dalla stanza.
Detestava guardare il suo riflesso.
Odiava quegli occhi che cambiavano colore, odiava il volto niveo che
incarnava
la morte, odiava quel volto freddo, odiava quelle mani che senza alcun
risentimento si permettevano di togliere la vita.
Così, come se avesse visto un nemico, il
suo primo istinto era stato quello di colpirlo.
Ma tant’ è ogni volta che uno specchio
veniva rotto, uno nuovo veniva portato nella sua stanza.
Si
sedette pesantemente sulla sedia, tirandosi indietro i capelli argentei
mentre
sospirava.
“Ho
bisogno di bere qualcosa.” Farfugliò.
“Il
re è furioso.” Commentò sorridendo il
Generatore.
“Posso
immaginarlo, gli ha ammazzato la sua chimera preferita.”
Disse l’ elfo mentre
si rigirava fra le mani il ciondolo a forma di rosa.
“Beh,
c’ era da aspettarselo dall’ ala d’
Argento.”
Come
per magia spuntò una cameriera.
“Cosa
vi porto?” Chiese con voce squillante.
“Vada
per due birre.” Rispose con un sorriso il Generatore seduto
di fianco all’
elfo. La cameriera lo guardò con espressione dubbiosa per
qualche istante per
poi andarsene con un’ alzata di spalle.
“Non
dovresti farti vedere in questo modo.” L’ elfo lo
guardò stringendo gli occhi,
gli dava fastidio averlo accanto. Era come sedersi vicino ad un
serpente,
magari non velenoso, ma pur sempre un serpente.
Il
Generatore sospirò pesantemente.
“Di
questi tempi vedere un tizio strano nel mondo delle Creature Oscure non
è
niente di che.” In effetti aveva ragione; ultimamente
nell’ aria si sentiva
qualcosa di strano che metteva addosso a tutti una strana impazienza,
la
necessità di agire, brandire le armi e scendere in
battaglia.
Di
fronte alla guerra i Generatori non erano un gran problema, qualche
gruppo di
nomadi che si nascondeva non dava problemi, sempre che la guerra non
fosse
contro di loro.
“Sarà.”
Disse l’ elfo sospirando.
La
cameriera tornò e posò sul loro tavolo due
boccali di birra.
“Vi
porto altro?” Chiese con voce soave e muovendo un
po’ troppo i fianchi mentre
sul suo volto si stendeva un sorriso raggiante, gli elfi avevano il
loro
fascino, doveva ammetterlo.
“Va
bene così.” Disse Zephit senza neanche guardarla,
ora era la birra ad attirare
tutta la sua attenzione. Si portò il bicchiere alle labbra.
“Cerca
di non bere troppo, non voglio vederti ballare con quella cameriera sui
tavoli.” Disse il Generatore appoggiando il gomito sul tavolo
e il mento sul
palmo della mano. I suoi occhi si illuminarono di luce ambrata.
“Tranquillo,
dovrei bere questa roba per tutta la notte per riuscire ad
ubriacarmi.”Disse
l’ elfo posando sul tavolo il bicchiere
già mezzo vuoto, sbuffando. Gli sembrava che la birra avesse
perso il suo gusto
e a dire il vero non gli sembrava neanche più tanto
invitante quel boccale di
birra.
Eppure
avrebbe voluto ubriacarsi piuttosto che dover lavorare quel pomeriggio.
“Tu
piuttosto, vedi di arrivare in orario altrimenti il re se la
prenderà con me.”
Il
Generatore annuì pensieroso.
“Infatti.”
Fece un gesto eloquente con la mano alzandosi. “Sto andando
via, perché io non
arrivo mai in ritardo.” Le sue labbra si stirarono in un
lieve sorriso dandogli
l’ aspetto di un gatto.
Zephit
fissò per qualche istante i due boccali di birra, il proprio
mezzo vuoto, e il
suo ancora completamente pieno.
“Ehi
Azue! Mi lasci il conto da pagare?!” Urlò al
Generatore che si stava avviando
verso la porta.
“Sono
un’ ospite, e gli ospiti non pagano.”
Salutò lui sparendo dietro alla porta. L’
elfo rimase esterrefatto.
Il
ragionamento era giusto però.
“Quindi”
Si mise a riflettere a voce alta “Io sono ospite di questa
bettola, quindi, non
devo pagare.” Concluse lui mentre le labbra si sollevavano
leggermente.
Peccato
però, che aveva parlato a voce troppo alta.
“Mio
Signore.” Disse l’ elfo inginocchiandosi e portando
il pugno al petto, in
attesa.
Il
re stava sorseggiando del liquido cremisi da una coppa di cristallo
scuro.
“Dimmi
pure, Zephit.” Appoggiò la coppa sul bracciolo
dello scranno su cui era seduto.
Il suo tono di voce non riusciva a mascherare il nervosismo che provava.
“È
arrivato l’ ospite che attendevate.” Disse
l’ elfo con la mascella contratta, i
suoi occhi erano freddi come ghiaccio.
“Bene,
sai cosa fare.” L’ elfo chiuse gli occhi chinando
ancora di più la testa,
sconfitto.
Di
nuovo, come anni prima, tirò un pugno allo specchio
mandandolo in frantumi.
Di
nuovo la mano era ferita e sanguinava.
Chiuse
gli occhi appoggiando lievemente i polpastrelli alla palpebra
dell’ occhio
sinistro, sospirò.
Non
abbassò la mano, ma aprì l’ occhio
destro guardando i suoi piedi nudi
contornati da schegge di vetro e bianche bende.
Sollevò
lo sguardo sui frammenti di vetro che erano ancora rimasti attaccati
alla
cornice scura, si avvicinò, portando il volto a una decina
di centimetri dalla
superficie.
Era
uguale a pochi istanti prima; sulle tempie e sugli zigomi si potevano
vedere
chiaramente i segni dei morsi, cicatrici chiare e vistose rompevano la
regolarità della sua pelle, una in particolare, attraversava
in verticale il
suo occhio sinistro. Voltò un poco la testa, il padiglione
dell’ orecchio
sinistro era tagliato in verticale. Si allontanò, quel tanto
che bastava per
vedere il collo; la parte destra era impressionante, la cicatrice
partiva da
sotto l’ orecchio per poi scendere e allargarsi alla base del
collo e sulla
spalla. Ma
che bella farfalla.
Si schernì da sola con
una smorfia di disgusto.
Si
guardò di nuovo il viso rovinato aprendo anche l’
occhio ormai cieco che aveva
assunto una tonalità color ghiaccio, quasi bianco, proprio
come quello di una
persona cieca, mentre l’ altro ora era di un semplice color
nocciola.
La
tentazione di colpire nuovamente lo specchio (quello che ne rimaneva)
era
fortissima ma sospirando si diresse verso l’ ampia finestra
fissando la luna
piena che si stagliava nel limpido cielo notturno.
Si
appoggiò al muro continuando a guardare fuori.
Non
avrebbe avuto senso provare a scappare, se si concentrava poteva
benissimo
sentire la presenza di un paio di guardie per ogni corridoio, e
comunque, se si
trovava lì c’era un motivo. O almeno era quello
che pensava.
Una
sorta di miagolio attirò la sua attenzione; fuori dalla
finestra, sul balcone
c’ era un gatto nero, con tanto di ali chiuse sulla schiena,
i suoi occhi
brillavano di una furba luce verde mentre scrutava la vampira che
apriva la
finestra per scacciarlo.
Ci
mancava solo uno Spirito della Sfortuna alla finestra.
Sbuffò
mentre guardava la creatura volare via.
Già
da un po’ camminava per i corridoi, allontanandosi e
avvicinandosi alla sua
stanza, mentre giocava nervosamente con il pendolo a forma di rosa.
Quando
ormai aveva fatto il giro del piano per tre volte una guardia lo
fermò
prendendolo per gomito.
“Ehi,
ti sei perso, orecchie a punta?” Si liberò della
sua presa con uno strattone e
lo trafisse con uno sguardo gelido.
“Taci.”
Si limitò a dire, stringendo gli occhi e riprendendo a
camminare.
In
mano teneva una bottiglia scura, gli era stato detto dal re di portarla
alla
figlia, ma non aveva idea di cosa ci fosse dentro, o meglio, non ci
teneva a
saperlo. Anche se la curiosità era parecchia.
Dicendosi
che dentro alla bottiglia c’era il miglior liquore si
costrinse a stapparla e
ad avvicinarla al naso.
Quando
sentì l’ odore forte e pungente fece una smorfia.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Sangue.
Stava
ancora guardando fuori dalla finestra quando sentì qualcuno
bussare alla porta
che dopo pochi istanti si aprì.
Sulla
soglia c’era un’ elfo dagli occhi color mare e dai
capelli argentei che
arrivavano alle spalle, il torace ampio e la vita stretta erano
fasciati da una
maglia nera aderente con il collo alto.
Al
collo aveva appesa una rosa rossa ad un cordino di cuoio.
Neah
strinse gli occhi, era lo stesso elfo che si trovava alla taverna
quando lei e
Rhies erano stati attaccati.
Fece
per parlare -subito dopo aver chinato la testa in segno di rispetto-,
ma non
fece in tempo perché si ritrovò una scheggia di
vetro puntata alla gola.
“Dov’è
la mia spada?” Incalzò lei.
Alzò
le mani in segno di resa, intenzionato a rispondere sinceramente quando
si
ritrovò il vetro piantato nel palmo della mano. Trattenne a
stento un urlo.
“Giuro
che se non parli subito, tutti i tuoi arti diventeranno dei moncherini
inutili.” Sibilò lei rigirando la scheggia nella
ferita.
“Adesso
l’ Ala d’ Argento appartiene al re.”
Ansimò l’ elfo. Il sangue usciva dalla
ferita colorando il pavimento della stanza e gli occhi della vampira.
“L’
Ala d’ Argento non può appartenere a
nessuno.” Ribattè lei sfilando con forza
l’ arma improvvisata dalla mano dell’ elfo, questo
se la portò al petto,
gemendo.
Le
sue labbra si stirarono in un sorriso sghembo. “Eppure lui
adesso vi ha tutte.”
Il suo drago, pietrificato proprio sopra al suo tetto, la sua spada
nascosta
chissà dove, e lei rinchiusa nella sua stessa stanza.
Sul
viso di Neah si era dipinta un’ espressione sofferente, la
gola bruciava, richiamava
il sangue versato e la libertà.
Ringrazio
chi sta ancora leggendo questa fic, Homicidal Maniac *.* e tutti gli
altri che
sembrano essersi dileguati >.<
Mi
dispiace moltissimo far finire in questo modo il capitolo, ma il fatto
è che
stava diventando troppo lungo (infatti questa è solo la
prima parte), ma trovo
che la “poesia” alla fine ci sta abbastanza bene, a
voi il compito di
decifrarla xP naturalmente la seconda parte del capitolo
sarà decisamente
migliore di questa (spero), risolverà un po’ di
cose e darà qualche risposta in
più :)
A
fine capitolo le immagini di Lishe e Azue (già, nuovo
personaggio in arrivo
;)).
Già
da tempo volevo dirvi una cosa: non affezzionatevi troppo ai
personaggi, potrebbero
morire misteriosamente. Mi sento una stronza ._. e se
pensate che Neah sia già ridotta abbastanza male
così e che non la torturerò più...
beh, vi sbagliate di grosso. Mi
dispiace. Buona
lettura ;)
Capitolo
11. Un’ anima sporca.
Parte
1
“Per
sempre e sempre
le cicatrici rimarranno.”
[Breaking Benjamin –
Give me a Sign]
“Si
può sapere cosa abbia intenzione di fare mio
padre?” L’ elfo si sedette
pesantemente sul letto della vampira che gli scoccò
un’ occhiata –assassina- di
avvertimento, ma lui sembrò ignorarla. Sopportava la
presenza dell’ elfo, in
fondo era anche lui una Creatura Oscura come lei, non un’
inutile Umano, e
vedeva nei suoi occhi una sorta di malinconia, sembravano quelli di una
persona
che ha visto la morte in faccia.
“Chiedeteglielo,
a noi non dice mai niente.” Rispose l’ elfo
guardandosi intorno e soffermandosi
sui frammenti di vetro sparsi per terra.
“Ha
sempre fatto così”Sussurrò la vampira
aggiustandosi il nastro nero che aveva avvolto attorno all’
avambraccio per
coprire la cicatrice, aveva capito di odiare suo padre tempo addietro,
e una
cosa che le dava più fastidio era il fatto che agisse sempre
nell’ ombra, senza
mai fare sapere quali piani gli girassero per la testa.
Zephit
aveva invece raccolto alcune bende immacolate e le aveva riciclate per
fasciare
la ferita alla mano.
La
bottiglia con dentro il liquido rosso invece era a terra, vuota. Era
bastata
quella per non farsi ammazzare.
“E
i Generatori cosa c’ entrano in tutto questo?”
Chiese volgendo lo sguardo all’
elfo che alzò le spalle, come per ripetere la stessa
risposta che aveva dato
prima.
Neah
si sistemò un’ ultima volta la capigliatura; i
capelli scuri erano raccolti in
una grossa crocchia disordinata sulla testa, mentre un ciuffo ricadeva
sull’
occhio sinistro, coprendo in parte le cicatrici e l’ occhio
cieco. Aveva tolto
la gonna e aveva messo un paio di comodi pantaloni di pelle nera
abbinati con
un corpetto che le lasciava scoperto il collo, non le importava di
coprire le
vistose cicatrici, anzi aveva intenzione di mostrarle per bene, come
per sfida.
Quindi
suo padre voleva vederla, o almeno questo era quello che le era stato
detto
dall’ elfo. Nella sua testa si aggirava l’ idea che
lui volesse ammazzarla, ma,
visto che ora non poteva più morire, forse si sarebbe
divertito ancora un po’ a
torturarla. Sbuffò.
Sentì
una forte fitta la petto quando ripensò al fatto che non
poteva più morire. L’
immortalità non la voleva, lei desiderava una vita normale;
desiderava nascere,
vivere e poi morire –innamorarsi era fuori discussione-. Ma
lei era solo nata,
quella non poteva essere chiamata vita.
Si
voltò verso l’elfo incrociando un’
ultima volta i suoi occhi duri del colore
del mare, per poi dirigersi verso la porta, pronta a raggiungere la
persona che
più odiava in quell’ istante.
La
vampira era uscita e l’ elfo, rimasto nella sua stanza, si
diresse verso l’
alta finestra.
La
torre in cui si trovava lui in quel momento era la più alta
e i vetri puliti
gli mostravano le vie lastricate della città deserta di
Aegor. Nonostante fosse
scesa da poco la notte, la luna era alta e splendente, il silenzio
regnava
sulle strade, un silenzio scabro che sembrava urlare, urlava come un
vento
immobile. L’ aria fremeva infervorata d’
impazienza. Una guerra interiore
scuoteva gli animi delle Creature Oscure, le mani prudevano, gli occhi
saettavano da una parte all’ altra della strada, in cerca di
un nemico da
abbattere.
“Il
silenzio narra le storie di fiaccole di spento coraggio.”
Sussurrò a se stesso
l’ elfo con tono cupo incrociando le braccia sull’
ampio torace, ricordando le
parole di un padre deceduto.
L’
elfo appoggiò la fronte al vetro freddo gustandosi
l’ immobilità di quello
scenario mentre in lontananza si sentiva il suono del ferro che batte
su altro
ferro.
“E
il tuo coraggio dove è finito?”
Sussurrò un po’ a se stessoe un po’ al padre.
La
guerra non stava arrivando, bensì era già
nell’ aria.
“Quindi?”
“Quindi
niente, non posso farlo.” La foce sicura del Generatore
giunse alle orecchie
del re, che sentì il nervosismo corrergli su per la schiena.
“Perché?”
Domandò il re stringendo gli occhi. “Dimmi
perché, Azue?”
“Ci
saranno perdite ben peggiori di una semplice chimera di cui dovremmo
occuparci.” Rispose lui con voce risoluta.
“Dovremmo?” Il
Generatore sospirò alla
reazione del re, puntando i suoi occhi ambrati in quelli del sovrano
impaziente.
“Senti,
Dimitri non posso rigenerare la tua chimera. Ma posso aiutarti con tua
figlia.”
Disse il Generatore sporgendosi in avanti mentre alcune ciocche dei
suoi lunghi
capelli argentei coprivano la carnagione cerea. Il re detestava il modo
di fare
di quell’ individuo, sembrava comportarsi lui da re e dettare
le proprie
regole.
“Non
ho bisogno del tuo aiuto Azue, devo solo parlare un po’ con
Rose.” Occhi di
ghiaccio giallo erano puntati sul re, mentre nella sua testa si stavano
agitando una marea di insulti.
“La
costringerai?” Chiese alzando un sopracciglio.
“Assolutamente
no, devo solo farle capire in che situazione si trova adesso e quello
che è in
grado di fare. Di certo agirà per il meglio anche senza che
io la obblighi.”
Concluse Dimitri sorridendo.
“Bene,
ma concedimi almeno di avere l’ Ala d’
Argento.” Tentò il Generatore,
riferendosi alla spada.
“La
risposta sarà uguale a quella di due anni fa; l’
Ala d’ Argento appartiene a
me, non l’ avrai mai.” Rispose Dimitri appoggiando
la schiena al divanetto rosso
su cui era seduto.
“Mi
permetta almeno di salutarla un’ ultima volta.”
Domandò il Generatore
riferendosi questa volta alla figlia. Il re sembrò pensarci
qualche istante poi
considerato che la figlia non poteva più morire e che quindi
il Generatore non
avrebbe potuto nuocere, scrollò le spalle.
“Fa
come vuoi.” Le labbra del Generatore si stirarono in un
sorriso che lo fece
assomigliare ad un gatto. Si alzò dirigendosi verso la porta.
“Farai
in modo di farla scendere in guerra?” Perché ormai
si sapeva, -si sentiva- che
la guerra si stava avvicinando.
Il
re alzò le sopracciglia sorpreso, un po’
perché dopo tanto tempo qualcuno aveva
intuito quello che stava architettando, un
po’perché gli sembrava ridicolo far
combattere Rose. Lei doveva servire ad uno scopo superiore.
Camminava
a passo svelto tra i corridoi che conosceva a memoria, decisa e fredda,
come
era sempre stata. Sarebbe andata da suo padre, gli avrebbe
‘parlato’ e –con o
senza la sua spada- se ne sarebbe andata una volta per tutte.
Camminò
per qualche minuto, attraversando scuri corrdoi e ripide scale cremisi
e
ignorando le lievi fitte che la cicatrice sulla schiena le trasmetteva.
Giunse
alla sala del trono e quello che vide la lasciò interdetta.
Il
soffitò era alto, colonne di cristallo rosso svettavano ai
lati della lunga
sala scura, sotto di lei un tappeto di nero velluto si stendeva fino
alla
nicchia riservata al trono, vuoto. Si avvicinò, solitamente
suo padre se ne
stava tutto il tempo seduto sullo scranno a sorseggiare sangue da una
coppa scura,
quella posata sul bracciolo.
Raggiunse
i tre scalini che precedevano il trono e con un lieve ghigno sulle
labbra,
prese il boccale e si sedette dove in teoria ci sarebbe dovuto essere
suo
padre, alzò le gambe fino ad appoggiarle sul bracciolo e
accavallarle, mentre
con un gomito si sorreggerva sull’ altro e faceva girare il
sangue all’ interno
della coppa gustandone l’ odore.
Appoggiò
una mano sul collo, lì dove c’era la vistosa
cicatrice, chiudendo gli occhi e
sospirando, avvicinò la coppa alle labbra quasi senza
pensarci.
Un
fruscio attirò la sua attenzione, voltò la testa
in direzione di una colonna
vicino da cui spuntò il viso tondo e pallido di una bambina,
occhi neri come
pozzi di tenebra e corti capelli castani legati ditro la testa.
“Quello
non è il tuo posto.” Disse lei indignata
abbassando la testa e guardandola da
sotto le lunghe ciglia scure.
“Lo
sarà.” Rispose la vampira sogghignando. In
verità non aveva mai preso in
considerazione la possibilità di regnare sul mondo delle
Creature Oscure, ma
doveva ammettere che in fondo quel trono non era poi tanto scomodo.
“Non
è vero. Quel trono sarà mio.” Rispose
decisa la bambina uscendo dal suo
nascondiglio, il suo piccolo corpo era fasciato da una veste blu, i
suoi piedi
erani scalzi. La vampira la fissò inclinando la testa per
studiarla meglio. E
questa da dove viene fuori? “Basta
così Lishe.” La bambina sussultò nel
sentire quel tono di voce rigido
chiamarla.
“Papà!”
Urlò la bambina mettendosi a correre verso l’ uomo
che era appena uscito da una
porta laterale.
“Papa?!”
Ripetè la vampira sorpresa come non mai, strabuzzando gli
occhi. L’ uomo verso
cui la bambina stava correndo a braccia aperte era Dimitri,
cioè suo padre. Rimase
a fissare la scena
della bambina che si appendeva alle gambe dell’ uomo, che le
porgeva un oggetto
circolare e piatto.
Il
volto dell abambina si illuminò. “L’ hai
riparato.”
“Certamente.”
Il re sorrise con gli occhi. Per poi guardare Neah ancora stravaccata
sullo
scranno con in mano la sua coppa di
sangue.
“Rose.”
Iniziò lui salutandola. “Non pensavo fossi
già qui.” Lei ignorandolo si mise un
po’ più comoda avvicinando la coppa al naso per
gustare l’ odore del contenuto.
“Da
quando in qua bevi del sangue così scadente?”
Chiese lei arricciando il naso,
per poi lasciare cadere il bicchiere che teneva in mano, il liquido
macchiò il
tappeto e la coppa rotolò giù per i tre scalini.
La bambina sussultò e Dimitri
strinse gli occhi.
“Ops.”
Sussurrò a fior di labbra la vampira fissando la macchia
rossa che si allargava
sul tessuto. Sentì i passi di suo padre avvicinarsi,
alzò lo sguardo giusto in
tempo per vedere i suoi stivali calpestare la macchia scura.
Il
viso di Dimitri si allungò in un sorriso mentre allungava
una mano per toccare
la pelle sfregiata della figlia che prontamente si ritirò.
Notò l’ occhio cieco
e il suo sorriso di allungò ancora di più.
“Papà.”
Sussurrò Lishe che era rimasta dove il padre l’
aveva lasciata, ancora con l’
oggetto stretto tra le braccia, ma venne ignorata.
“Sono
curiosa di sapere da dove è uscita quella
bambina.” Commentò la vampira
sporgendosi per guardarla meglio, le sorrise mostrando i canini
allungati. La
bambina sussultò facendo un passo indietro.
“Rose,
dobbiamo parlare.”
“Oh,
questo è poco ma sicuro.” Disse lei fissando suo
padre con uno sgardo di sfida.
Non
aveva la più pallida idea di come fosse finita in quella
situazione, a
sorseggiare sangue insieme a suo padre sotto gli occhi ambrati del
Generatore
che l’aveva aggredita al bar, aveva appreso il suo nome,
Azue. Mentre la
bambina sembrava scomparsa, Neah pensò che fosse andata a
giocare in qualche
buio cantuccio.
“Quindi?”
Inizò lei lanciando un’occhiataccia al Generatore
che fissava il soffitto alto,
neanche racchiudesse il senso della vita.
“Quindi,
creerai un esercito, per me.” Dimitri andò dritto
al punto, lasciando senza
parole la figlia. Le parole rimasero sospese per aria.
Dalle
sue labbra uscì una risata roca, mentre scuoteva la testa e
guardava il padre
come se fosse impazzito. “Cosa ti fa credere che lo
farò?” Si ricompose
incrociando le braccia, ma senza cancellare dalle labbra il sorriso
beffardo.
“Non
puoi fare altrimenti.” Rispose il Generatore fissandola con
il suo sguardo
ambrato.
“Hai
già tutte le Creature Oscure ai tuoi piedi, che vuoi che
faccia? Che mi metta
ad ingaggiare degli Umani?” Pronunciò
quell’ ultima parola come se le bruciasse
sulla lingua e non vedesse l’ ora di sputarla, ovviamente il
suo tono era
sarcastico, lo disse ignorando completamente il Generatore, lui non
c’ entrava
niente.
Sospirò
attendendo una risposta e quasi automaticamente si portò una
mano all’ occhio vitreo.
“Guarirà,
molto lentamente ma guarirà.” Fulminò
con lo sguardo suo padre che non riuscì a
togliersi dalle labbra quel sorrso strafottente.
“Io
me ne vado.” Disse lei alzandosi. Stava per dire “a
casa” ma si bloccò in tempo,
non aveva una casa, non più, neanche un posto dove stare,
forse…
Sentì
una mano fredda stringere la sua senza alcuna delicatezza, in una
stretta che
si faceva sempre più fredda e dolorosa, era come stringere
tra le mani un pezzo
di ghiaccio, o meglio, era come se la mano fosse stritolata dal
ghiaccio.
“Presto,
quando gli Hel* inizieranno a vagare per il mondo degli Umani, a
portare
malattie, morte e distruzione, allora sarai obbligata a salvare
ciò a cui
tieni. Una persona, un posto dove stare, un
ricordo” Era il Generatore a stringere la sua mano in una
morsa di ghiaccio e a
parlare.
“Non
hai idea di quello che la dea Andhera ti ha donato.” Le
parole giungevano
lontane, smorzate. La poca vista che le era rimasta si stava oscurando
mentre
la sensazione di cadere le attanagliava lo stomaco. Quello che venne
dopo
furono solo lievi sussurri. Dona
la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide
labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio
dell’ abbandono. *
Nella mitologia
norrena,
Hel o Hella è la dea
degli Inferi,
figlia di Loki,
dio dell'inganno,
e di Angrboða(? Che? O.o), una gigantessa(ah, ok).
Hel
esce raramente sulla terra, ma quando lo fa porta sventura e malattia:
passa
per le strade e nei villaggi e la gente si ammala all'improvviso.
Se
spazza la strada con un rastrello vi saranno sopravvissuti, se invece
ha una
scopa moriranno tutti. (Olè!)
Hel
viene descritta come una donna in qualche modo duplice: con
metà viso nero o
cadaverico e l'altra metà normale.
Alcuni
tratti della dea hanno suggerito a diversi studiosi di metterla in
relazione
con le caratteristiche di Parvati-Kalì o di Persefone o,
ancora, di Ecate. (Ecco,
sta di fatto
che io prima di mettere il nik ‘’La sposa di
Ade’’ avevo tentato in tutti i
modi di chiamarmi ‘’Ecate’’ o
‘’Hecate’’ o
‘’Hekate’’ e tutte le altre
varianti. Ma a quanto pare ero arrivata in ritardo ._.) Fonte:
Wikipedia Ovviamente,
tutto questo non c’ entra niente con la storia, mi sembrava
fico inserire una
cosa che non c’ entrasse niente con l’
ambientazione della fic, tutto qui ._. (no
dico, magari vi sarebbe interessato).
Ci
sarà la terza parte di questo capitolo… il fatto
è che non riuscivo più a
scrivere, infatti si più notare il calo d’
ispirazione nell’ ultima parte, lo
so l’ ho fatto finire in un modo schifoso ma cercate di
capirmi >.<
Domenica scorsa (il 26) è stato il mio compleanno e da
allora l’ ispirazione è
andata a farsi trucidare da Neah ._. Ehm, ringrazio chi segue in
silenzio e chi
recensisce, ringrazio Homicidal Maniac che mi tiene compagnia durante
le serate
noiose ^^
Non
so che altro dirvi, buona lettura!
Capitolo
12. Un’anima sporca.
Parte
2
“In
un bagno pieno
di sangue, sono solo, sono ancora in piedi.”
[Sum 41 – The
Jester]
Si
risvegliò nuovamente nel suo letto, nella sua stanza con un
lieve formicolio
alla mano sinistra.
Si
mise a sedere e notò con orrore che avevano messo
un’ altro specchio proprio
dove si trovava quello precedente, la sua immagine si
rifletté di nuovo su
quella dannata superficie; la pelle nivea, i capelli neri un
po’ scompigliati,
le labbra piene, un occhio blu e uno vitreo.
Si
mise in piedi ignorando lo specchio, chiuse gli occhi e si
passò una mano sul
viso. Non notò il colore scuro che aveva preso la mano
sinistra, non pensò al
fatto che stesse marcendo e che piano piano ne avrebbe perso
l’ uso, prima le
dita, poi la mano intera, il polso, il braccio…
“Credi
abbia funzionato?” Chiese dubbioso il Generatore a Dimitri.
Lui era l’ unico
che si permetteva di dargli del tu, divertendosi a vedere gli occhi del
re
stringersi quando lo faceva.
“Anche
se non credo abbia appreso che lei è in grado di creare
altri vampiri, sono
certo che prima o poi lo capirà e allora sarà
l’ istinto ad agire per lei.”
Sogghignò. Stettero in silenzio per qualche istante,
entrambi persi nei propri
pensieri.
“E
potrei sapere cosa le hai fatto?” Il Generatore scosse le
spalle mentre le
labbra si incurvavano in un lieve sorriso.
“Mi
sembra di aver capito che ti piace vederla soffrire.”
Alzò le sopracciglia come
per cercare il consenso del re. “Allora non ti
dispiacerà vederla con una mano
in meno.” Finì il Generatore mentre sotto il suo
sterno cresceva una fragorosa
risata.
Era
in una delle stanze del re a rovistare fra i vari scaffali,
l’ elfo aveva in
mano un bicchiere a coppa di cristallo opaco, lo teneva fra due dita
mentre con
l’ altra mano spostava strani oggetti nel tentativo di
trovare quel che
cercava. Dopo vari minuti sbuffò e portando alle labbra il
bicchiere tenendolo
con i denti. Con due mani era decisamente meglio. I capelli argentei
gli
ricaddero più volte sugli occhi, e stava per rimetterli a
posto per l’ ennesima
volta quando le sue dita scontrarono qualcosa di freddo, riconobbe il
rumore
del liquido che si muoveva dentro una bottiglia. Un mezzo sorriso
increspò le
sue labbra, ma che scomparve subito perché
rischiò di far cadere il bicchiere
che ancora teneva fra i denti.
Con
immensa soddisfazione tirò fuori una bottiglia di liquido
trasparente. La
studiò un attimo, tentando di capire se quella che aveva in
mano fosse della semplice
acqua o qualcosa di alcolico. Si versò comunque un
po’ di quel liquido nel
bicchiere e ne bevve un sorso, sent’ la gola andare in fiamme
e così anche la
bocca dello stomaco, si gustò per qualche istante quella
piacevole sensazione
che si irradiava in tutto il corpo, mentre la testa si svuotava e si
faceva
leggera.
Al
centro della stanza c’ era un tavolo di granito sul quale
Zephit posò il
bicchiere già vuoto, ci si sedette e fissando il muro
spoglio davanti a lui
iniziò a sorseggiare con calma la nuova bevanda scoperta. La
cicatrice su collo
stringeva come una fune, rendendogli difficile mandare giù
la vodka. Quasi
senza accorgersene si portò una mano al segno chiaro che
aveva impresso sul
collo, mentre vivide immagini correvano fugaci davanti ai suoi occhi. Un
uomo, alto, pallidissimo, gli occhi
come pezzi d’ambra lucente.
Un’ enorme macchia di sangue sotto il
proprio corpo.
Il sorriso di un gatto.
Un coltello infilzato in un occhio. Rabbrividì
involontariamente, mentre il proprio passato chiedeva di essere
affogato nell’
alcol.
Un
cigolio richiamò la sua scarsa attenzione, dalla porta alla
sua destra spuntava
una testa minuta, con la pelle nivea come quella di una bambola, occhi
come
pozzi di tenebra e i capelli raccolti dietro la nuca, Lishe, la figlia
del re
lo fissava con quegli occhi accusatori.
“Non
dovresti essere qui.” Lo accusò la voce candida
della bambina.
“Neanche
tu.” Rispose scontroso l’ elfo guardando la bambina
che ora aveva messo il
broncio. La bambina entrò nella stanza, continuando a
fissare con astio l’
ubriacone che ora sembrava non fare più caso a lei.
“Guarda.”
Disse la piccola Lishe allungando l’ oggetto circolare che
teneva tra le
braccia. Zephit con la bottiglia alle labbra abbassò lo
sguardo, quel tanto che
bastava per vedere ciò che gli stava porgendo la piccola
figlia del re. Uno
specchio, ma era strano, perché non rifletteva la sua
immagine, quello che
vedeva in quella superficie erano solo il tavolo e il muro alle sue
spalle.
“Ma
che…?” Inclinò la testa, senza capire.
La bambina le sorrise. Un sorriso
smagliante, ma negli occhi una scura luce agghiacciante.
Sullo
specchio di delineò una striscia scarlatta, come un taglio.
L’elfo
notò con orrore che si trovava all’ altezza del
suo collo, proprio lì dove
c’era la sua cicatrice.
Poi,
lentamente, dal quello sfregio immaginario iniziò a colare
il liquido rosso di
cui era fatto, colò per tutto il vetro e la cornice dello
specchio, lentamente,
fino a gocciolare a terra, creando dei piccoli cerchi perfetti. .
Nell’
aria si diffuse un odore pungente, l’ odore del dolore e
della disperazione.
La
cicatrice sul suo collo sembrò stringersi, come una vera a
propria fune,
rendendo difficile la respirazione, Zephit si portò una mano
alla gola ma la
ritrasse subito quando sentì il contatto con un liquido
viscido e caldo, la
mano era sporca di sangue, il dolore si irradiava in tutto il suo
corpo, mentre
sentiva le mani intorpidirsi e la maglia bagnarsi di quel liquido
tiepido.
L’
aria non arrivava più ai polmoni e l’elfo
scivolò a terra tentando di
aggrapparsi al tavolo, ansimò più volte fissando
la bambina che continuava a
sorridere, e proprio nel momento in cui sentì le forze
abbandonarlo la piccola
Lishe ritirò lo specchio e tornò a stringerselo
al petto. Il dolore svanì e
Zephit poté tornare a respirare normalmente.
“Tu
non hai più un’ anima.” Disse la bambina
indugiando con lo sguardo sul suo
collo immacolato.
Teneva
le mani in grembo una dentro l’ altra, massaggiandosi la
sinistra, la sentiva
intorpidita, un formicolio le correva dal palmo alle
estremità di ogni singolo
dito. Il colore che aveva assunto le dava fastidio, era scura come la
pelle di
un cadavere macchiato dalla terra.
La
appoggiò sulla superficie fresca su cui era seduta, nella
speranza di trarne un
po’ di sollievo, niente, la mano era diventata insensibile.
Alzò
lo sguardo, fissando la raffigurazione della dea oscura, che ricambiava
con il
suo sguardo invisibile, i toni vermigli dominavano il centro, dando
alla figura
un aspetto lugubre, accompagnato da ramificazioni che partivano dagli
avambracci, dalla testa e dal resto del corpo della dea, in contrasto
con tutto
c’ era l’ azzurro, presente solo in piccoli
particolari. Infine si poteva
vedere il colore del ghiaccio che dava vita al cuore di Andhera.
Sospirò,
ricordando che l’ altare su cui era seduta in quel momento,
due anni prima
sarebbe dovuto essere la sua tomba. Dona
la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide
labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio
dell’ abbandono. Quelle
poche frasi le risuonavano nella mente, creando un’ eco
spiacevole. Non aveva
idea di cosa significassero. Guardò la dea con sguardo
angosciato, ricordava il
detto che girava per il loro mondo; “Lascia
che siano le lacrime a lavarle
via dalla pelle infangata le incertezze, permetti che volteggino con le
caduche
foglie per riposare l’ ultima volta. Ricordale come l'ultimo
respiro prima
della morte.”
Era anche
scritto alla base dell’ altare. In teoria qualunque domanda
posta alla dea
trovava risposta, anche se non era un risposta vera e propria,
più che altro
era una consapevolezza che serpeggiava nella mente.
Non era la
prima volta che si trovava in una situazione simile, molto tempo prima
aveva
provato a chiedere alla dea cosa fosse successo a sua madre, ma le
aveva
risposto solo uno straziante silenzio.
Continuò a
fissarla, ripensando alle tre frasi che aveva udito prima.
Quando lentamente
immagini sempre più nitide si facevano largo nella sua
mente, riaffioravano
come vecchi ricordi; il volto esague di una delle sue tante vittime,
canini
allungati che perforavano la pelle pallida, occhi che si coloravano del
colore
del sangue. Tornò
in camera sua, scoraggiata dopo la risposta alla sua domanda e al
silenzio alla
richiesta delle notizie sulla madre. Cosa
sono diventata?
Come si viveva nell’
immortalità?
Continuò
a salire le rampe di scale, intenzionata a lasciare quel posto il prima
possibile quando un capogiro la costrinse ad appoggiarsi al muro. Due
aste di
metallo le si strinsero attorno alle tempie, mentre le orecchie
iniziavano a
fischiarle e la vista a riempirsi di macchie nere, si accorse a
malapena di
scivolare contro il muro ruvido.
Perse
i sensi.
Ah,
già… dimenticavo, temo che Neah
perderà la mano destra, ma non temete! Ho già
in programma di rimediare per bene ;)
Neah:
Sarà meglio per te *sguardo assassino*
Ci
sono riuscita!!! Commossa ç_ç proprio questa sera
ho finito di scrivere e ho
davvero voglia di pubblicare invece non ho nessunissima
voglia di rileggere
il capitolo.
Un
augurio speciale a tutte le donne di EFP, sono ancora in tempo!
>.<
Ahahahah,
Muhahahah SI! SANGUE!!! Eh-Ehm ok ora basta, questo era un modo per
avvisarvi
che in questo capitolo Neah sarà alquanto crudele (Crudele
è la parola giusta?
Bah…), almeno nella prima parte.
Non
restateci troppo male... se lo meritava >.< non dico
altro perché non
voglio fare spoiler ;)
Non
so che altro dirvi ^^”
Buona
lettura.
Capitolo
13. Un’ anima sporca.
Parte
3.
“Ho
rinunciato alla
mia anima. Sono colpevole di tradimento.”
[30 Seconds to Mars
– Strangerin
a Strange Land]
Si
ridestò nello stesso posto in cui era svenuta, sulle scale a
pochi passi dalla
porta della sua stanza, rimase per qualche istante in quella scomoda
posizione
mentre la vista –solo quella dell’ occhio destro-
tornava lentamente.
Sospirando
e con qualche difficoltà riuscì a mettersi a
sedere, la mano non la reggeva,
non la riusciva a più muovere e il colorito scuro era quasi
arrivato fino al
polso.
Un
pugnale. Fuoco. Bende. Non serviva altro per amputare una mano.
Quando
calò il colpo con forza sul polso inizialmente non
sentì nulla, il dolore venne
dopo, quando il sangue cominciò a sgorgare copioso e fu
costretta a passare il
moncherino sul fuoco per cauterizzare la ferita.
Perdere
una mano le andava anche bene se le avesse risparmiato il braccio, la
spalla e
tutto quello che l’ infezione avrebbe deciso di mangiarsi.
“Maledetti
Generatori, vi divertite a giocare con la vita altrui in questo modo
spregevole.”
Aprì
il pesante portone che dava sull’ esterno. Il vento le
lambì la pelle pallida,
scostando dal viso la ciocca di capelli scuri che aveva volutamente
lasciato
cadere sopra l’ occhio cieco, inspirò a pieni
polmoni l’ aria della sua città
natale accorgendosi della vitalità che la impregnava, come
una pulsazione, un
richiamo.
Voltandosi,
alzò lo sguardo puntando gli occhi sulla torre in cui si
trovava la sua stanza
e le si strinse il cuore quando vide l’ imponente figura nera
del drago
aggrappata al suo tetto appuntito. Pietrificato, il suo corpo teso
nello spasmo
prima del volo, gli artigli affilati che avevano lasciato segni
indelebili
sulla scura costruzione, la coda lunga si avvolgeva sulla torre, le ali
completamente spiegate, ampie, sottili e poderose, i suoi due paia di
occhi
sembravano ancora rilucere di quella rossa rabbia che lo animava
durante le
battaglie, sulla testa spigolosa svettavano due lunghe corna e la bocca
spalancata era bloccata nel suo ultimo ruggito contro la luna.
Si
costrinse a distogliere lo sguardo da quella splendida creatura che
sembrava
ancora pulsare di vita, i suoi occhi caddero sull’ esile
figura che ora era in
piedi davanti a lei, un moto d’ irritazione la pervase quando
si accorse che si
trattava della piccola Lishe che la guardava da sotto le sue lunghe
ciglia
scure, fra le braccia stringeva convulsamente un’ oggetto
circolare.
Rimasero
per lunghi istanti a fissarsi con astio, il vento sembrava essersi
fermato, in
attesa che il tempo riprendesse a scorrere, e questo sembrò
accadere quando la
bambina alzò del tutto lo sguardo su Neah, nei suoi occhi
scuri c’ era spazio
solo per la rabbia, causata chissà da cosa.
“È
meglio non avere anima piuttosto che averla sporca come la
tua.” Disse la
bambina rabbrividendo. Allungò poi le esili braccia
mostrando ciò che teneva al
petto; uno specchio con una cornice nera finemente decorata. La
superficie
argentea non rifletté subito la sua immagine
bensì si coprì in parte con nere
macchie, in mezzo a quella cupa cornice apparve un volto, Neah vi si
riconobbe
anche se in quell’ immagine non c’erano cicatrici
ed entrambi gli occhi erano
sani. Gli occhi di un ipnotico color ametista, intenso e affascinante
non
celava lo sguardo sveglio, malizioso. No, non era lei, era Lysander
-Lys-, sua
madre.
Una
fitta le colpì il cuore e non riuscendo a sopportare la
vista di quello
splendido viso che sorrideva appena, macchiato dagli scuri aloni dello
specchio, alzò lo sguardo sulla bambina che a sua volta la
fissava impassibile.
Alzò
lo specchio coprendosi il volto così che Neah fu costretta a
guardare il
riflesso sullo specchio, che questa volta era il suo, un’
espressione
sofferente e la pelle deturpata da quelle orribili cicatrici veniva man
mano
ricoperta di chiazze scure fino a sparire dietro una cortina
d’ oscurità.
Neah
sentiva qualcosa grattarle contro lo sterno, qualcosa che chiedeva di
essere
liberato, era rabbia? Non le importava, quindi lo lasciò
libero. Un’ altra
folata di vento gelido scosse i loro abiti di luce e tenebra.
La
ragazza si inginocchiò con estrema calma per guardare meglio
in faccia Lishe
che aveva scostato appena lo specchio.
“Non
ha senso andare avanti se si è così
sporchi.” Disse la piccola che arretrò di
un passo quando la ragazza allungò le braccia verso di lei.
Una quiete glaciale
le era scesa in corpo, vedeva quello che avrebbe fatto in uno specchio
di
purissimo ghiaccio.
“Vieni
qui, piccola Lishe.” Disse Neah soave, ma la bambina non dava
segni di volersi
avvicinare “Sorella.” Disse infine la ragazza
facendo crollare le insicurezze
della piccola, pronunciare quell’ ultima parola le era
costato uno sforzo
sovrumano, naturalmente non la considerava sua sorella.
Sulle
labbra della piccola si formò un lievissimo sorriso e si
lasciò toccare le
braccia dalle mani –solo una perché
dell’ altra era rimasto solo un moncherino-
fredde della ragazza.
“Vieni
qui.” Continuò lei con tono dolce ed
inaspettatamente al prese in braccio,
Lishe strinse convulsamente lo specchio tra le braccia nel terrore di
perderlo.
Gli occhi neri della piccola si specchiarono in quelli corvini di Neah
con uno
sguardo interrogativo.
Neah
teneva la bambina in modo da avere il braccio buono libero, quando
iniziò a
parlare.
“Non
importa avere l’ anima pulita o sporca, e sinceramente a me
non importa.” Una
pausa, nella quale la piccola la guardò con
intensità. “Continuerò ad andare
avanti, a camminare, e non sarà di certo la figlia
dell’ uomo che odio a
fermarmi con i suoi giochetti da quattro soldi allo specchio.
Chiaro?” Chiese
Neah alla bambina che ora la guardava con rinnovato odio.
Fece
per parlare ma la ragazza la bloccòpremendole un dito sulle labbra. “Non puoi
permetterti di parlare,”
Ricominciò la vampira facendo lentamente scendere il dito
sul morbido profilo
della piccola, sul collo fino alla clavicola prima da staccarlo.
“Non hai
ancora capito come funziona questo mondo.” Concluse
infilandole la mano libera
nel petto, il sangue iniziò a sgorgare viscido sulle sua
mani e Neah si inebriò
di quella sensazione che ogni volta le dava alla testa, la bambina la
fissava
con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta in un muto grido, lo
specchio le
cadde dalle mani rompendosi al contatto con il terreno in mille schegge
scure.
Sentiva
il pulsare rapido del suo piccolo cuore e non provò nulla
quando glielo strappò
dal petto.
Rimase
a guardare quel colore ipnotico che si impossessava del nero
dell’ ossidiana,
la gola prese a bruciare così come il marchio che aveva
sulla schiena, si
accorse del cambiamento del colore dei propri occhi. Ma non si sarebbe
abbassata a berlo da terra. Sospirando passò oltre.
Scese
la lunga scalinata, non facendo caso alla figura seduta sugli ultimi
gradini. I
suoi abiti sporchi di sangue venivano mossi dalla lieve brezza che si
era
alzata, il cielo ancora coperto da uno coperta di grigi nuvoloni e
l’ aria
appesantita dall’ umidità.
Neah
si passo la mano destra sul moncherino che era rimasto della sinistra,
sospirando. Non era una grave perdita, una mano sola le bastava e
comunque
avrebbe trovato un Generatore disposto a
‘riattaccarla’, sapeva che potevano
farlo, come quello lì, Azue, semplicemente toccandola era
riuscito a farle
marcire la mano –ah, di certo l’ avrebbe ammazzato
il prima possibile-. Li
detestava, con tutto il suo cuore, anche se nel corso della sua vita
aveva
avuto occasione di incontrarne ben pochi le avevano sempre dato un
senso di
ribrezzo, resuscitare le persone era una cosa orribile, una volta che
si è
morti si è morti, o no? L’ anima se ne va via.
Si
fermò con un piede sullo scalino sottostante. L’
anima,
storse la bocca
infastidita dal suo stesso pensiero, non aveva mai creduto a tutte
quelle
stronzate sulle anime, eppure sapeva che una volta morti qualcosa
cambiava
radicalmente –a parte il fatto della pelle che va in
decomposizione o del fatto
che ti ritrovi sotto terra, eccetera eccetera-.
Ma
comunque non le importava più di tanto, l’ unica
cosa che aveva bisogno di
sapere era se c’ era un posto per lei.
Arrivò
in fondo alle scale quando sentì dei colpi di tosse,
voltò la testa e vide
Zephit che si stava coprendo la bocca mentre tossiva con in mano una
bottiglia
di liquido trasparente, quando finalmente riuscì di nuovo a
respirare la guardò
con le lacrime agli occhi –causate ovviamente dal mancato
soffocamento-.
“L’
hai uccisa.” Commentò piatto l’ elfo,
non la stava accusando. “I Generatori
avranno da lavorare.” Terminò lui sospirando
l’ aria umida.
“Già,
e probabilmente morirà una seconda volta.” Disse
Neah con la voce lievemente
irritata.
“Faresti
bene ad andare via prima che tuo padre si accorga dell’ odore
del sangue.” Neah
si voltò alzando la vista fino al corpo riverso della
bambina, il sangue si era
allargato ancora e ora colava lento, verso di loro, dagli scalini.
“Non
vorrai farti torturare ancora.” Continuò
l’ elfo notando il silenzio della
ragazza, che a quel commento si voltò verso di lui
fulminandolo con lo sguardo.
“Infatti,
stavo andando.” Disse dirigendo lo sguardo verso le strade
deserte.
“Dove?”
Chiese con curiosità lui, bevendo un sorso dalla bottiglia
trasparente, aveva
già gli occhi lucidi ma non era affatto ubriaco, gli ci
sarebbe voluto molto di
più che una semplice bottiglia di vodka. “Questo
mondo è diventato un mortorio,
sembrano morti tutti.” Disse le ultime parole sussurrando
appena, ma di certo
lei l’ aveva sentito.
“Gli
Umani.” Sussurrò lei pensierosa guardando il
cielo, quando sentì un colpo alla
bocca dello stomaco, abbassò lo sguardo e vide il familiare
fodero chiaro della
sua spada appoggiata contro il suo cappotto, guardò
l’elfo interrogativa.
“Va
via da qui, il prima possibile, ovunque, ma lontano da questo
posto.” Disse lui
con rinnovata urgenza, fissando le vie della città che si
stendevano davanti a
loro. Tutto quel silenzio, la mancanza di persone ad affollare le via
altrimenti chiassose, la morte stessa sembrava aver abbandonato quel
luogo. Neah
afferrò la spada guardando l’ elfo che ora si era
messo a sorseggiare dalla
bottiglia trasparente.
“E
tu?”
Zephit
accennò un sorriso. “Finché Azue
è vivo non rischio la vita.” Concluse
soddisfatto, portandosi alle labbra la bottiglia. “O almeno
credo.” Disse con
le labbra che sfioravano il vetro della bottiglia, mentre le
sopracciglia si
aggrottavano al pensiero di uno dei tanti possibili futuri che si era
immaginato.
“Perché
fai questo?” Chiese lei con pura curiosità,
sfoderando appena la spada, alla
bellè meglio a causa della mano mancante,
per
controllarne il filo.
L’
elfo alzò le spalle mentre un tuono ruggiva in lontananza.
“Morto, sono già
morto. Mi sembra giusto aiutare le persone che possono ancora
vivere.” Fece una
pausa avvicinando il collo della bottiglia alle labbra. “E
poi ad essere
sincero non mi importa niente di quella che sta architettando quello
stronzo.” So di essere morto, lo so
da tempo.
Detto
questo bevve un lungo sorso dalla bottiglia temendo di aver fatto
arrabbiare la
vampira a causa dell’ insulto a suo padre.
I
suoi occhi rimasero quieti.
“Grazie.”
Ma…
quanto tempo è passato? D: Chiedo scusa a tutti per
l’ immane ritardo, ma in
questo periodo ho avuto un calo di ispirazione terribile e in compenso
mi sono
messa a scrivere una storia che non penso pubblicherò mai
(11 pagine di World
del tutto scollegate temporalmente fra di loro ._.).
Comunque,
sono tornata! E per chi sperava nella mia morte… beh, mi
dispiace deludervi ma
sono ancora viva, solo per farvi leggere le mie cavolate.
Passando
al capitolo, devo dirvi che questo è un capitolo
‘di passaggio’ , il prossimo
sarà più dinamico, dovrà esserlo u.u
Ringrazio
che sta ancora leggendo questa fic e tutti quelli che recensiscono
ancora,
grazie Homicodal Maniac… aspetta, ma non c’
è praticamente più nessuno che
recensisce, non sono morta io e lo siete voi? D:
Sprecate
due minuti della vostra vita per farmi sapere che ne pensate, la
tastiera non
morde! Se poi verrà fuori che quei due minuti che vi ho
fatto perdere io vi
servivano per disinnescare una bomba, beh allora…
Comunque,
Buona lettura!
Capitolo
14. Sul confine.
“Ora
la tua anima è
abbandonata, camminerai da solo dal cielo fin dentro
all'inferno”
[Within
Temptation – A Demon’s Fate]
“Azue.”
Lo richiamò di nuovo il re, era quasi un’ ora che
stava affacciato alla
finestra della sua stanza, aspettando di vedere la schiena della
vampira
scendere le scalinate, successe proprio in quel momento.
Alzò un braccio in
direzione del re per zittirlo, naturalmente Dimitri si
infuriò, ma lo lasciò
fare.
Non
avrebbe mai capito fino in fondo la mentalità di un
Generatore vecchio come
lui, le sue assurde manie nell’ inseguire e straziare una
preda, manipolare un
proprio compagno per permettersi di raggiungere l’
obbiettivo.
Lui
invece non era il tipo da fare appoggio sugli altri, ma con Azue era
stato un
caso particolare, se avesse potuto avrebbe fatto tutto da solo, avrebbe
fatto a
meno di un tale individuo, certe volte avrebbe voluto torcergli il
collo e di
certo avrebbe gioito nel farlo.
“Non
credi che sia ora di andare?” Lo richiamò ancora,
ma sembrò non ascoltarlo di
nuovo, il re sbuffò, trattenendo l’ ira che
cresceva nel suo petto.
Lui
li osservava dall’ alto della torre, il suo elfo e la vampira
che parlavano
tranquillamente, e strinse gli occhi quando vide Zephit porgere
l’ Ala d’
Argento alla ragazza, l’ aveva nascosta lui stesso, come
aveva fatto l’ elfo a
trovarla? Poco importava, le sarebbe servita a poco.
Vide
Zephit bere più volte dalla bottiglia e sorridere
amaramente. Sorridi
finché puoi caro Zephit, anche le
pedine hanno il diritto di divertirsi. “Azue.”
Ancora, di certo il re non era l’ unico a essere nervoso
quella sera.
“Mando
Elk o desideri che mi occupi prima della piccola Lishe?”
Sentì l’ aria
raggelarsi nella stanza del re, lui non se ne era ancora accorto.
Trattenne a
stento un sorriso, ora era lui ad avere il coltello dalla parte del
manico, la
sua piccola figlioletta contava troppo per lui, anche se era abbastanza
convinto del fatto che il suo ruolo ormai l’ avesse svolto.
Per quanto
riguardava Elk, lui era solo un’ altra pedina, quella meno
importante, un
Generatore di scarso valore che sarebbe servito solo per infastidire un
po’ la
figlia del re, e lo sapevano entrambi che comunque sarebbe morto per
mano della
vampira da li a poco.
Camminava
tranquillamente, stringendo nella mano destra quello che restava della
sinistra, la polvere scura si alzava ad ogni suo passo, sapeva bene la
strada
da dove si trovava in quel momento al confine del mondo delle Creature
Oscure,
lo aveva percorso una sola volta ma le si era impresso a fuoco nella
memoria.
Le rocce aguzze se si tendevano verso di lei quasi a volerla ghermire,
gli
alberi che con rami secchi e contorti si allungavano verso un Sole
ormai
irraggiungibile.
Lentamente
la gola aveva ripreso a bruciare, ma intorno a lei non c’ era
niente, solo
morte e desolazione.
Dolore,
ovunque. Sentiva il sangue
scorrerle sulla schiena e imbrattarle ancora di più gli
abiti già sporchi, ad
ogni respiro, ogni minimo movimento sentiva fitte lancinanti
percorrerle tutto
il corpo.Accovacciata
a terra sperava
di poter perdere i sensi, anche per poco, per sfuggire anche un solo
istante a
tutto quel dolore. Accanto a lei ancora quel ragazzino, come si
chiamava?
Aledari forse. No, aveva ucciso quel ragazzino, non era lui che aveva
nascosto
negli stivali il pugnale che lei gli aveva preso per permettersi poi di
scappare. Di quel ragazzo non conosceva il nome.
Lo osservò, era accanto a lei, sdraiato a
pancia in su, una mano appoggiata al petto che si alzava e abbassava
regolarmente, l’ altra lungo il fianco, i capelli scuri e
scompigliati gli
ricadevano sulle guancie pallide.
Intorno a loro c’ era solo la
desolazione, rocce aguzze sembravano tentare di lambirli con le loro
sporgenze
affilate, la terra nera si attaccava alle vesti, rendendolo ancora
più sporche
di quanto non fossero già, il cielo scuro incombeva sopra di
loro.
Rimase a guardarlo per un po’ tentando di
rimanere il più immobile possibile per limitare il dolore ce
continuava a
irradiarsi in lei, fino a che non lo vide socchiudere gli occhi,
chiederli di
nuovo e con un respiro un po’ più lungo riaprirli,
gemette e si guardò intorno,
i suoi occhi color nocciola si posarono sulla ragazza riversa a terra
accanto a
lui, le sopracciglia aggrottate.
Allungò una mano verso di lui, e lo vide
ritrarsi istintivamente per poi prendere un respiro e farsi coraggio
per
avvicinarsi. Io
ho aiutato te a fuggire, ora tocca a te aiutare me. Avrebbe
voluto parlare, dire quelle parole ad alta voce, farsi aiutare
per davvero, aggrapparsi a lui e… Inaspettatamente
lui si avvicinò in
fretta e mentre con mani tremanti tentò di aiutare la
vampira che sfiancata
giaceva a terra, era giusto così.
Si aggrappò a lui e lentamente si alzò, i
loro corpi aderivano e lei poteva benissimo sentire il battito
accelerato,
forse per la paura, del ragazzo e il suo respiro lento e regolare, la
sua pelle
calda, il pulsare del sangue.
Una marea di fin troppe e conosciute
sensazioni si diffusero in lei, dandole quella poca forza che le
bastava per
avvicinarsi ancora un po’ al suo collo e affondarci i canini.
Lento, il sangue iniziò a colare nella
sua bocca dandole nuova forza, non ne avrebbe sprecata neanche una
goccia. Nel
momento in cui si sentì stabile sulle sia gambe, rovinarono
entrambi a terra.
Normale, dicono che il morso di un
vampiro sia la cosa più dolorosa al mondo, così
tanto da impedirti perfino di
urlare, paralizzarti dal dolore e perdere immediatamente le forze.
Bevve fino a
che non sentì il cuore del ragazzino fermarsi.
Era giusto così.
Continuò
a camminare, imperterrita, attraverso quella steppa morta, priva di
ogni segno
di vita, priva di speranze, di luce.
Camminò
a lungo senza badare agli ululati e ai versi grotteschi e poco
rassicuranti che
le giungevano alle orecchie, erano vicini chiunque fossero, ma mai
avrebbero
osato attaccarla, lei sue cicatrici erano un po’ come un
cartello luminoso con
una scritta a caratteri cubitali che recitava: PERICOLO!
Il
suo passo, austero e regolare, cadenzato e inquietante creava sordi
echi che si
perdevano nella steppa, lo sguardo sempre puntato davanti a
sé, attendeva di
essere ferito da quel bagliore di luce che delimitava il confine tra le
terre
delle Creature Oscure e quelle degli Umani.
Ma
il viaggio sarebbe stato lungo, lo sapeva bene, due giorni almeno. Ah,
se solo
avesse avuto ancora il suo drago.
Strinse
con forza il pugno destro conficcandosi le unghie nel palmo della mano,
sentì
il sangue scorrere pigramente nella sua mano e un po’ quella
sensazione la fece
stare meglio, ma il sollievo durò ben poco.
Sbucò
a pochi metri da lei, una chimera; assomigliava molto vagamente a un
centauro,
a parte il fatto che la sue pelle era verde e squamosa come quella di
un
rettile e che avesse una coda lunga tanto quanto il suo possente corpo,
aveva
anche un paio di braccia che davano l’ idea di essere
estremamente esili, mani
dotate di quattro lunghe dita ossute erano accompagnate da qualche paio
di
bracciali e anelli tutti in oro. Il viso era qualcosa di poco definito,
sembravanon avere
né bocca né naso,
solo un paio di occhi bianchi e lucenti, più un terzo
più in alto, in mezzo
alla fronte, il tutto coronato da lunghee appuntite corna che assomigliavano tanto a punte di una
lancia e una
cascata di lunghi capelli argentei. Ah, si, aveva anche lei ali, non
erano
ampie come quelle di drago, ma membranose, pesanti e rovinate, per
niente
adatte al volo.
Notò
subito i segno che aveva sul petto, scuri arabeschi sembravano
avvolgere il suo
petto e il costato, pentacoli e strane lettere si alternavano in un
gioco di
linee sinuose. Quel particolare segno le riportò alla mente
qualcosa di lontano
e ormai dimenticato, non era la prima volta che li vedeva, eppure non
riusciva
a far riaffiorare il ricordo, non riusciva a ricollegarlo a
un’ immagine vista
di sfuggita qualche anno prima.
“Rose.”
Si sentì chiamare da quell’ essere con una voce
roca e gracchiante, istintivamente
portò una mano al manico della spada vedendo la mano della
chimera allungarsi
verso di lei e nonostante quella chimera fosse priva di bocca vide i
suoi occhi
sorridere.
Accadde
tutto in pochissimi attimi, guidati dall’ istinto e da una
sferzata di
adrenalina; la chimera scattò verso di lei con il braccio
teso, Neah con un movimento
fluido degno di un’ onda che si infrange sulle rocce estrasse
la spada e
tranciò di netto l’ arto che si protendeva verso
di lei, la foresta morta si
saturò di un urlo agghiacciante e inumano mentre il braccio
rimasto si
allungava, afferrando con quella mano scheletrica il suo volto, lei,
non aveva
avuto il tempo necessario per colpire di nuovo.
Gelo.
Buio.
Era
sfinita, si era lasciata cadere a
terra di nuovo, eppure era così vicina, mancava poco. Ancora
un po’ e sarebbe
giunta alle terre degli Umani. Si, e poi? Si illudeva del fatto di
poter essere
accettata e aiutata, ma lei era una vampira, non avevano una buona
reputazione
fra gli Umani, così come del resto tutte le Creature Oscure
godevano di cattiva
fama. L’ avrebbero uccisa senza la minima esitazione se solo
avessero
conosciuto la sua vera natura.
Sangue.
Ne aveva una voglia
terribile, era un’esigenza inevitabile, quel succo vitale per
ogni essere
umano. Quel miscuglio di eritrociti,antigeni e anticorpi che era
essenziale
anche per lei,cellule speciali che erano in grado di guarire il dolore
che la
dilaniava quando non la inebriava circolando nelle vene, colandole
sulla bocca,
macchiandole la pelle. No, non ne aveva davvero bisogno, ma ormai era
come una
droga, non sarebbe più riuscita a farne a meno, lo sapeva.
Ancora le bruciava la
gola quando si sentì sollevare per le braccia, fitte di
dolore le percorsero la
schiena sfregiata, la vista si annebbiò appena, ma non
abbastanza per impedirle
di vedere il corpo si un Umano sopra di lei, la camicia chiara e logora
lasciava intravedere segni scuri e sinuosi, ora dritti, ora curvi che
invadevano il petto e parte del costato. Non era la prima volta che li
vedeva,
sapeva cos’ erano ma se ne dimenticò quando una
nuova ondata di dolore le fece
perdere i sensi.
Uno
spruzzo di calore sul suo petto, un forte dolore alla schiena, di nuovo
calore,
in mezzo alle scapole, mentre i polmoni tornavano a funzionare come se
fosse la
prima volta, e il cuore a battere. Il gelo che aveva provato fino a un
attimo
prima l’ abbandonò velocemente, lasciandole
addosso un senso di spossatezza,
Recuperò
la vista lentamente, e per un attimo sperò di poter tornare
a vedere con
entrambi gli occhi, invano.
Non
riuscì subito a comprendere la scena che si
presentò davanti ai suoi occhi,
solo un colore verdastro e luminoso, abbassò lo sguardo fino
a incontrare una
macchia scarlatta e poi… poi la sua spada, piantata nel
petto della chimera che
per la seconda volta si era abbattuta contro si lei, scagliandola
contro una di
quelle rocce appuntite al bordo del sentiero che ora era conficcata tra
le sue
scapole. L’
aria fredda sembrava far rabbrividire tutta la città.
I
suoi passi silenziosi si perdevano in quel deserto, gli ultimi abitanti
di
Ethis stavano frettolosamente rientrando in casa e chi vi si trovava
già stava
chiudendo le finestre e le porte, chi aveva già fatto anche
questo, beh,
sembrava non essere mai esistito.
Alzò
lo sguardo vedendo una vecchietta indaffarata con le persiane della
finestra,
lei lo notò e gli rivolse un timido sorriso prima di sparire
dentro casa con
un’ espressione inquieta sul volto.
Da
quando aveva ripreso i sensi in quella schifosa locanda tutto gli era
parso
estremamente confuso, forse diverso.
Le
strade quasi completamente deserte, il senso di oppressione e il gelo
nelle
membra.
Aveva
deciso che sarebbe tornato a casa, non avrebbe potuto fare altrimenti,
non
aveva idea di cosa fosse successo dopo che era stato colpito, nella
locanda era
rimasto solo il barista che, terrorizzato, gli premeva sulla tempia un
sacchetto con dentro del ghiaccio e qualche cadavere per terra.
Infondo
Neah aveva avuto ragione. “La
prossima volta che fai un’ offerta
del genere assicurati prima con chi tu stia parlando, questa volta hai
fatto un
grave errore e ora ne pagherai le conseguenze.” Era
stata una pessima idea, infilarsi negli affari di una Creatura Oscura,
forse
ora era meglio così, tornare a casa facendo finta che tutto
quello non fosse
mai accaduto. Dimenticare.
Dimenticare
di aver conosciuto uno degli ultimi vampiri, anzi, probabilmente
proprio l’
ultima.
Giravano
tantissime leggende e storie su di loro, la maggior parte era di quelle
storielle che si raccontavano ai bambini per spaventarli, altre
addirittura
erano riportate sui libri, poche di quelle narravano il vero, ricordava
in
particolare una specie di filastrocca che gli raccontava suo nonno
prima di
essere ucciso in guerra, chissà, forse da un vampiro stesso. Il
loro destino è segnato.
Nel loro percorso il buio incombe, il
dolore li guida, la Morte li sorveglia.
Cenere Argentea saranno.
L’ Ultimo ne calpesterà le polveri. Aggiungeva
poi lui; Non farti trascinare, non ti
aspetterebbe niente di buono.
Ma
il passato è forte, e non si arrende, non ti lascia mai, non
abbandona i propri
figli.
Di
certo scappare sarebbe stato inutile.
Ci sono
riuscita finalmente! Se devo ringraziare qualcuno in particolare beh,
ovviamente è Homicidal Maniac che mi ha persuaso a suon di
padellate a non mettermi a scrivere altre cavolate se non quella
riportata qui sotto :D Grazie! E ringrazio moltissimo anche la musica
dei Linkin Park che mi ha ispirato :D
Quindi, questo capitolo è ancora incentrato su Rhies e su un
altro personaggio che ultimamente è ovunque come funghi, ma
spero di riuscire a inserire un minimo di azione e spargimenti di
sangue nei prossimi capitoli :)
Quindi con questo credo di aver detto tutto ^^ vi lascio con questa
sottospecie di banner :S
Buona lettura sonnambuli! È mezzanotte e dieci Dx
Capitolo
15. Sfide.
“Tutto
quello di cui avevo bisogno Era l’unica cosa che non ero
riuscivo a trovare.
E tu eri lì sulla
curva Che
aspettavi per farmi sapere che Lo costruiamo Per poi distruggerlo
Stiamo
costruendo tutto questo Per poi distruggerlo Non possiamo aspettare Per
ridurlo
in cenere”
[Linkin
Park - Burn it Down]
Respirava
con calma, controllava il fiato a fatica mentre sentiva il cuore
pulsare con
forza, ne sentiva i battiti nelle orecchie, quanto era fastidioso
morire.
Davanti al ragazzo si
stagliava una costruzione imponente del colore della roccia chiara, la
reggia,
le numerose finestre pulite e le colonne alla base erano ricoperte di
muschio e
di piante rampicanti. Quel posto era ben protetto e sotto di esso si
trovava
una scalinata che dopo un centinaio di scalini di divideva in due;
queste due
scalinate portavano in zone diverse dell' immenso giardino sottostante
la
costruzione, su ogni rampa di scala splendeva un incantesimo che
disegnava
sigilli e pentacoli luminosi sulla superficie irregolare degli scalini.
Gli
incantesimi avevano nature differenti ma molto simili tra loro;
splendevano di
differenti incantesimi di indebolimento.
Il giardino era immenso,
rimaneva diviso in due parti; una delle quali ospitava feste e
spettacoli quasi
ogni sera e l' altra, spesso nascosta al popolo, accoglieva soldati
feriti,
reduci dalle guerre.
Iniziò a salire le scale
e sentì il piccolo ciondolo scaldarsi sotto la maglia, lo
proteggeva dagli
incantesimi di difesa cancellando momentaneamente i simboli luminosi su
cui
camminava.
Quando
giunse in cima alle scalinate le due guardie poste ai lati
dell’ ingresso si
irrigidirono per un breve istante. Con passo deciso le
superò e ignorò i loro
inchini e i saluti come aveva sempre fatto.
Altre
due guardie attendevano all' interno della reggia per poter
accompagnare gli
eventuali ospiti da un nobile, non perse tempo a guardarsi intorno.
Arazzi
rossi e dorati ricoprivano le pareti, sotto di lui un lungo tappeto dei
medesimi
colori contrastava con il colore scuro del pavimento.
Lo
scenario non cambiò neanche dopo parecchi metri, ma dopo un
paio di minuti alla
sua destra un arazzo dai colori inusuali copriva gran parte della
parete, si
soffermò un attimo ad osservarlo; era un’ insieme
di linee sinuose,
inizialmente chiare che sfumavano dolcemente fino ai toni
più scuri, formavano
tre volute durante il loro percorso, erano i tre Cicli.
Passò
oltre, chiedendosi cosa sarebbe successo alla prossima Cerimonia della
Successione
ma soprattutto quando, magari avrebbe fatto un salto al tempio dopo
aver
parlato con suo padre.
Superò
a passo sicuro la grande sala e un paio di corridoi prima di imboccare
una
rampa di ripide scale, tutti i servi e le guardie si inchinavano o
sorridevano
al suo passaggio felici di riavere il principe a casa.
Giunse
davanti a una porta di legno chiarissimo con serratura e inserti in
oro, fece
per bussare quando sentì numerose voci provenire
dall’ interno. Possibile che
si stesse svolgendo un Consiglio?
“È
tutto pronto?”
“Dobbiamo
fare in fretta.”
“…
bisogno”
Bussò
due volte, deciso e con forza e subito le voci al di là
della porta cessarono.
“Avanti.”
Riconobbe la voce fredda e autoritaria del padre, aprì la
porta e subito almeno
una decina di occhi si puntarono su di lui; si erano girati tutti,
tranne uno
che continuava a dargli le spalle; lunghi capelli argentei coprivano
quasi
tutta la schiena fasciata da abiti neri, anche quando parlò
l’ uomo non vi
voltò, rimase a contemplare il paesaggio fuori dalla
finestra.
“Padre.”
Fece un lieve inchino con la testa “Sono tornato.”
Suo
padre aveva fatto uscire tutti, o meglio, quasi tutti, era rimasto
l’ uomo dai
capelli argentei che continuava però a osservare fuori dalla
finestra e a
restare in silenzio come una statua, sembrava quasi non esserci nella
stanza insieme
a loro.
“Allora,
l’ hai trovata?” Si aspettava quella domanda.
“No
padre, ho fatto alcune ricerche, anche alle Grandi Biblioteche ma non
sono
riuscito a trovare nulla.” A dire il vero era riuscito a
trovare qualcosa, ma
erano testi poetici ispirati a draghi e a ninfe, niente di che
interessava a
lui, a suo padre. Lo vide sbuffare e appoggiare la testa al palmo della
mano,
le dita si infilarono nei capelli ancora scuri.
“Possibile
che l’ Ala d’ Argento non si riesca a
trovare?” Chiese più a se stesso che al
figlio, erano due anni che cercava, inutilmente, la cercava
–l’ arma, la
creatura o qualunque cosa fosse- da quando aveva ucciso con tanto
piacere suo
padre; ricordava quel giorno come se fosse passata solo una manciata di
giorni;
il pavimento della sala del trono distrutto e sporco, il corpo di suo
padre a
terra e una figura vestita d’ oscurità sopra di
lui, aveva visto il suo gesto
lento e terribile, l’ assurda precisione con cui aveva
tagliato la giugulare e
il sangue che sgorgava velocemente aprendosi come una rosa sul terreno
grigio.
“Se
è l’ Ala d’ Argento che cercate posso
dirvi io dove trovarla.” L’ uomo alla
finestra di voltò mostrando una carnagione estremamente
pallida e un volto
inquietante, occhi del colore dell’ ambra ricordavano quegli
dei felini, mentre
la maglia probabilmente in pelle era ridotta in stracci e mostrava gran
parte
del torace ampio e pallido, coperto da arabeschi scuri e contorti.
“Anzi, non
ci sarà neanche bisogno di cercarla” Si
fermò un attimo, sorridendo e mostrando
una fila di denti bianchissimi e appuntiti “sta venendo lei
da noi.”
“Padre…”
L’ aveva riconosciuto, era il Generatore che avevano
incontrato alla locanda,
che cosa ci faceva un Generatore nei territori umani, per di
più nella reggia?
Era impossibile non riconoscere i Generatori, avevano tutti
più o meno lo
stesso aspetto malsano e pallido, li distingueva in particolare i segno
che
portavano sul torace e sul costato, era impossibile che suo padre non
se ne fosse
accorto.
“Tranquillo
Rhies, lo so, ma ci sta aiutando.” Lo rassicurò
suo padre alzandosi dalla sedia
e volgendo lo sguardo verso Azue che sembrava avere un’
espressione quasi
divertita, aveva l’ aria di uno che era sicuro di
sé.
“Solo
una piccola curiosità; a che vi serve l’ Ala
d’ Argento?” Chiese inclinando la
testa da un lato, i capelli argentei scivolarono dolcemente dalla sua
spalla
andando a coprire parte del petto. Rhies spostò lo sguardo
sul padre mentre un
brivido fastidioso gli correva su per la schiena.
“Non
dovrebbe interessarti.” Rispose lanconico il re, il figlio
tornò con lo sguardo
sul Generatore e non gli avrebbe più tolto lo sguardo di
dosso, la sua
espressione era cambiata.
“Si
invece.” Dal volto del Generatore era sparita ogni traccia di
divertimento, i
suoi occhi ora erano ambra ghiacciata, si pizzicò quel poco
di maglia che gli
restava addosso “visto come mi hanno trattato i tuoi
commensali poco tempo fa,
credo che tu me lo debba. Come minimo.” Adorava le sfide, e
in tutti i suoi anni
di vita ne aveva affrontate tante, ma con il tempo diventavano troppo
facili,
da quando aveva superato quel periodo credeva di potersi considerare
alla pari
di un re, se non addirittura superiore, ma c’ era ancora una
sfida che voleva
affrontare, e si trovava lì apposta.
“Potrei
mentirti.” Disse Eiron sogghignando. Era stata normale la
reazione che avevano
avuto le persone che fino a poco tempo prima erano sedute in quella
stanza,
naturalmente un Generatore incuteva paura, ma questo non li aveva
fermati dall’
aggredirlo quando lo avevano scoperto, il re li aveva lasciati fare,
aspettando
la sua reazione che non era tardata ad arrivare, quando i suoi occhi
erano
diventati due pozze di tenebra e filamenti d’ ombra erano
usciti dal suo corpo
avvolgendoli lentamente, la maggior parte di loro si era calmata ma uno
era
rimasto ucciso, non era certo che l’ avesse fatto solo per
difesa, perché
durante quei pochi attimi non aveva smesso di sorridere, si divertiva
ad
uccidere anche chi non comportava una seria minaccia e il re si era
anche
accorto che mentre lo faceva non aveva mai smesso di fissarlo, come per
sfida, dopodiché
tutti avevano iniziato ad ignorarlo e a lasciarlo stare un
po’ per paura e un
po’ per muto rispetto.
“Mi
aspetto comunque una risposta.” Disse il Generatore
sollevando appena le
braccia. Rhies guardò con nervosismo il padre, ne avevano
parlato tempo prima e
suo padre si era assicurato che la sua vendetta restasse segreta.
Continuava a
riuscire a malapena a distogliere lo sguardo dal Generatore e le poche
volte
che lo faceva aveva la sensazione di essere in pericolo, come
inseguito, ma a
lui bastava osservare.
“Voglio
usarla.” Per poi liberarmene.
“Mi
aspettavo un’ idea più originale.” Il
suo volto tornò come poco prima, il viso
di distese e apparve quasi un’ espressione amichevole, mosse
qualche passo
verso di loro prima di fermarsi con un’ espressione
interdetta.
“Dimenticavo,
l’ Ala d’ Argento non è in ottime
condizioni, è un po’ rovinata, ma dovrebbe
andare bene lo stesso” Finì sollevando gli angoli
della bocca in quello che non
si poteva chiamare esattamente un sorriso.
Passò
tra i due posando una mano sulla spalla del re e socchiudendo
leggermente gli
occhi rivolgendosi al principe, adorava le sfide.
“Non
credevo di poterti ritrovare qui.” Lo sussurrò
appena per non farsi sentire dal
re che si era già scrollato dalla sua stretta troppo dura e
fredda.
“Buona
giornata.” Li salutò sulla porta consapevole di
avere un paio di occhi puntati
sulla schiena e canticchiando un motivetto allegro.
“Padre”
Iniziò Rhies, ma venne subito interrotto dalla voce di suo
padre, più o meno
rassicurante.
“Tranquillo
figliolo, questa guerra la vinceremo” Disse mettendogli una
mano sulla spalla.
Tutto era cambiato eppure era tutto uguale a due anni prima,
un’ altra guerra
avrebbe devastato i mondi e ucciso innumerevoli persone e
chissà, forse un’
altro re sarebbe morto.
Sbuffò
con forza pentendosene subito, temendo di aver svegliato la persona
sdraiata
sul letto vicino, controllò la figura coricata; il volto
rilassato e
leggermente rugoso aveva il solito e inquietante pallore interrotto
appena da
ciocche di capelli scuri e disordinati originariamente raccolti in una
crocchia, le labbra fin troppo rosse leggermente socchiuse, il torace
si alzava
e abbassava regolarmente al ritmo del respiro, sul suo torace un libro
aperto a
faccia in giù. Si avvicinò lentamente a sua madre
nel timore di svegliarla, da
quando era finita la Grande Guerra si era ammalata e da allora
né medici né guaritori
o sacerdoti erano riuscita a guarirla dalla sua malattia che nessuno
sembrava
conoscere, erano due anni che andava avanti soffrendo e nonostante
l’ età
avanzata sembrava voler vivere a tutti i costi.
Prese
il libro e fece per chiuderlo e riporlo sulla mensola lì
affianco quando notò
un particolare disegno sulla pagina aperta, erano segno che aveva
già visto,
erano quelli dei Generatori, controllò meglio la pagina e
vide che erano
scritte parecchie cose sul loro conto, spostò lo sguardo su
sua madre che
sembrava dormire tranquillamente e poi sul libro e le spiacevoli
notizie che
riportava, che suo padre stesse coinvolgendo anche lei?
“I
Generatori non sono
esseri umani, o almeno, ora non lo sono più.
Si dice
che prima dei tre Cicli –anni del Giorno, del Crepuscolo e
della Notte-esseri
Umani e Creature Oscure vivessero
pacificamente in cui nessuno invadeva i territori altrui, nessuno
faceva guerre
e le razze erano ben distinte perché raramente questi due
gruppi entravano in
contatto e quando accadeva era solo un leggero scambio di sguardi, ed
erano
quelli gli specchi in cui si poteva leggere chiaramente il futuro
prossimo, la
creatura –umana o Oscura che fosse- avrebbe ucciso milioni di
avversari a costo
di avere salva la vita.
Ma questi
sono tempi lontani, gli anni del Giorno sono finiti e da troppo tempo
sono
stati sostituiti con gli anni del Crepuscolo; anni difficili, in
cui le
occhiate tra le varie razze non sono né diffidenti
né indifferenti, nelle
pupille altrui si può leggere chiaramente una forte
ostilità. Si
è pronti a fare la guerra, certo!
È quello che urlano quasi inconsciamente
le menti degli ubriaconi nelle taverne, delle famiglie felici e persino
dei
poveri. I
conflitti furono numerosi, iniziarono assieme agli anni del Giorno; sia
gli
umani che le creature Oscure iniziarono a cacciare nei territori
altrui,
uccidendo e distruggendo abitazioni, foreste e lande.
Ma chi mai
potrà prevedere ciò che accadrà negli
anni della Notte? Che quelle occhiate
inizialmente innocue potrebbero arrivare addirittura ad uccidere?
I
Generatori appaiono poco dopo la prima metà degli anni del
Giorno, nascono come
Necromanti in grado di parlare con morti e spiriti. Con l’
avvento del secondo
Ciclo le forze della natura si mossero e il mondo dell’
aldilà si avvicinò
impercettibilmente a quello degli umani e delle creature Oscure. Questi
individui, già in grado di stabilire un contatto, riuscirono
a far risorgere,
seppur momentaneamente, i morti e con il tempo anche a controllarli e a
renderli schiavi obbedienti, guerrieri o abili lavoratori.
Molte
altre creature mutarono con il tempo, alcune si estinsero, altre
nacquero e
altre ancora mutarono così profondamente da diventare
totalmente diverse,
persino alcuni esseri umani, considerati creature perfette, subirono
molti
cambiamenti, in particolare cambiò la loro anima; spesso
sembrava sporcarsi
ogni volta che un morto veniva riportato a vivere, talvolta invece
sembrava
sparire completamente; mai si era vista un’ animo
più scuro di questi individui
che ora si facevano chiamare Generatori.
I
Generatori sono esseri perfetti, perché non hanno
un’ anima.”
Chiuse
il libro con un movimento secco stringendolo tra le mani,
salutò la madre che
per una volta sembrava dormire tranquillamente e uscì
portandosi dietro il
libro.
Ci
sono riuscita!!! :D Quindi, sinceramente non ho quasi nulla da dire,
forse perchè
sono troppo fusa per continuare a scrivere? Si può essere,
sono solo le 23.52!
Come
al solito ringrazio Homicidal Maniac (dove sarei senza di te?) e tutti i lettori silenziosi.
Ancora una volta
sono stata costretta a dividere un capitolo perchè
altrimenti sarebbe risultato
troppo lungo, la prossima parte spiegherà e farà
un po’ di luce sugli
avvenimenti del passato e della futura continuazione della fic, ah!
Sappiate
che ormai manca poco alla fine! Non più di cinque capitoli
in cui succederà di
tutto, i nostri protagonisti saranno piuttosto impegnati (credo). :D
Buona
lettura sonnambuli :)
Capitolo
16. Ala d’ Argento. Parte 1
“Non
c’è via
d’uscita, e adesso devi chiederti
Chi ti tirerà fuori quando sarai sei piedi sotto terra?
*”
[Nickelback
– This
means War]
Strade
affollate del tutto sgomberate in questa terra di finzione, morta e
arida.
Sembrava
un deja-vù camminare per le strade del mondo degli Umani e
per quelle delle
Creature Oscure, quasi la stessa desolazione e lo stesso silenzio, una
delle
poche cose che era davvero differente era il cielo lì
plumbeo e grigio. Ora,
non per rovinare tutto, ma Neah preferiva di gran lunga la pioggia,
quando il
cielo piangeva per lei, perché lei non si sarebbe mai
permessa di versare
inutili lacrime per qualcosa che non poteva essere cambiato.
Ed
eccola, dopo poco, la grande reggia del re Eiron.
Davanti
a lei un’ imponente struttura si stagliava contro il cielo
cinereo, un numero
esagerato di scale di roccia illuminate da pentacoli la precedeva.
Un
senso di disgusto si fece largo dentro di lei facendole storcere la
bocca e
mettendo in risalto il viso sfregiato dalle cicatrici alla luce soffusa
del
giorno, stava scappando, lei che
aveva sempre affrontato guerre con il sorriso sulle labbra stava
andando ora a
nascondersi con la testa china dagli Umani, quelli che fino a pochi
anni prima
si dilettava ad uccidere crudelmente.
Abbassò
lo sguardo sulle sue mani, o meglio, su quello che ne rimaneva, -il
moncherino
sinistro continuava a dolerle anche se ormai si era cicatrizzato- mani
sporche
che innumerevoli volte si erano strette attorno ad else e gole,
portò la mano
destra al viso e la passò diverse volte davanti
all’ occhio destro, stava
guarendo lentamente, vedeva ancora nero ma riusciva a scorgere il
cambiamento
della luce quando le dita ci passavano davanti. Sospirò
lasciando ricadere le
braccia lungo i fianchi, scoraggiata.
Fece
il primo passo sul primo scalino e subito un crampo aggredì
il suo polpaccio
facendole perdere l’ equilibrio, sbatté il
ginocchio sulla roccia, altro dolore
le fece credere di esserselo rotto, si lasciò scappare un
gemito mentre
appoggiava le mani sugli scalini per rimettersi in piedi immediatamente
le
sembrò di sentire lame conficcarsi nel palmo della mano e
nel moncherino
restante, era quelle l’ effetto degli incantesimi di
indebolimento.
Ma
alla fine non era stato così faticoso, a parte l’
impatto doloroso con il primo
scalino il dolore iniziava a scemare e ad essere sopportabile. Giunse
al primo
spiazzo tra una scalinata e le due diramazioni, alzò lo
sguardo e vide la
scalinata di destra, più lunga e luminosa portare alla
reggia sorvegliata e
controllata da guardie appostate quasi ovunque, mentre la scalinata
sinistra e
meno luminosa sembrava portare a uno spiazzo verde.
Si
muoveva con sicurezza nel palazzo, con una meta precisa, doveva
chiarire un
paio di cose con il padre. “Che
cosa sta succedendo
di preciso?”
“Guerra Rhies, pura e
semplice guerra.” Si era girato per sorridergli appena,
eccitato dall’ idea
della vendetta. “È il momento di
prepararsi.” La
vista della porta in ebano nero interruppe i suoi pensieri,
bussò un paio di
volte e non ottenendo risposta decise di entrare; la stanza sfarzosa di
suo
padre era vuota.
Uscì
e fermò un’ ancella che stava passando
chiedendogli dove si trovasse il padre,
venne a sapere che era in giardino con l’ ospite che era
arrivato da poco, capì
che si trattava di Azue.
“Sicuro
di volerlo fare?” Chiese il Generatore ad Eiron, ancora si
divertiva a trattare
il re come un suo pari. Si guardarono per un breve istante, nel quale
Azue
sistemò meglio la vanga sulla spalla. Erano nel retro del
castello, nella zona
in cui si trovava il cimitero della reggia, sulle lapidi erano incisi i
nomi di
numerosi guerrieri feriti in guerra e successivamente morti una volta
tornati a
casa subito dopo la guerra; le Creature Oscure facevano spesso
quell’ effetto,
non uccidevano subito, ma lasciavano che la morte ti perseguitasse, e
una volta
tornati al sicuro a casa, così anche se la guerra veniva
vinta dagli Umani le
loro perdite potevano essere associate ad una sconfitta.
“I
vostri soldati sono piuttosto bravi, seri, abili,
forti…” Allungò l’ elenco con
una mare di aggettivi simili e del tutto casuali, naturalmente solo i
primi due
aggettivi erano stati pensati davvero, fino a che il re non lo
interruppe.
“Non
basta la bravura per vincere la guerra, non basta essere delle persone
serie
che non farebbero del male a qualcuno di indifeso. Bisogna volerla la
vittoria,
ed essere furbi, subdoli e non dispiacersi per l'avversario. I vivi non
bastano
per questa guerra.” Il generatore si bloccò,
piacevolmente sorpreso.
“Capisco.”
Disse solamente, infilzando la vanga nel terreno morbido e umido come
se
dovesse trafiggere un corpo riverso lì a terra, senza
pietà. “Del resto la
vendetta non ha alcun prezzo.” Disse sommessamente, ma non
abbastanza per non
farsi sentire.
“Come,
scusa?” Solo suo figlio sapeva della vendetta che aveva
intenzione di compiere.
Il Generatore sollevò gli occhi d’ oro dalla buca
che stava scavando puntandoli
in quelli scuri del re.
“Non
credere che non l’ abbia capito.” Disse guardandolo
di sottecchi, con la
schiena piegata sulla vanga. “L’ Ala d’
Argento è un’ arma potente, niente di
meglio per una vendetta ben fatta. Ora…”
Raddrizzò il corpo reggendosi con un
braccio sulla pala conficcata nel terreno scuro con una posa fredda e
rigida,
come per voler chiarire che non avrebbe portato avanti il lavoro se non
avesse
ottenuto una risposta . “Di chi vuoi vendicarti?”
le labbra del re si stesero
leggermente.
“Potrei
mentirti.” Ripetè la risposta che gli aveva dato
poco prima.
“Di
nuovo? Oh, andiamo, scoprirei la verità in poco
tempo.” Disse beffardo il
Generatore sistemandosi meglio sulla vanga.
“Voglio
vendicarmi dell’ Ala d’ Argento.” Ancora,
il Generatore rimase sorpreso, non si
aspettava che gli Umani fossero così pieni di sorprese, e in
parte anche
stupidi, come si poteva anche solo sperare di uccidere una leggenda
senza
rimetterci la vita? Si mise ritto e sfilò la vanga dal
terreno rimettendosi a
scavare.
“Questa è
un’ idea originale.” Il re
sbuffò stizzito dicendo che si sarebbe ritirato nelle
proprie stanze, lasciando
ovviamente il lavoro da fare ad Azue.
“Dimenticavo,
la fossa comune è lì.” Disse Eiron
indicando la parte più limitare del
cimitero, vide gli occhi ambrati di Azue illuminarsi ancora di
più e le sue
labbra allungarsi in un sorriso sghembo.
Dopotutto
per il Generatore quella era una bella giornata.
Ma
si stufò dopo pochissimo di scavare, quando gli venne in
mente quello che gli
aveva detto Eiron. Dimenticavo,
la fossa
comune è lì. Buttando
a terra la vanga e uscendo dalla buca che stava scavando con
l’ entusiasmo di
un bambino si diresse nella parte più lontana del cimitero,
una nebbia umida
era scesa tutt’ intorno, dando al quel luogo un senso di
abbandono ancora più
forte di prima, strano che non fosse già finito nel
dimenticatoio, lui
detestava quei posti; costruire lapidi e monumenti commemorativi solo
per
soffrire e versare inutili lacrime per una persona che ormai non
può più
sentirti era inutile e angoscioso, secondo lui.
Senza
esitazione si buttò nella fossa comune atterrando
miracolosamente in piedi
sulla schiena di un cadavere, allargò un attimo le braccia
per mantenere l’
equilibrio e quando fu sicuro di riuscire a stare in piedi
inspirò con il naso
il puzzo di putrefazione che i corpi esalavano, un mezzo sorriso si
allungò
sulle sue labbra. Iniziò a guardarsi intorno in cerca di un
cadavere in
condizioni decenti da poter riportare in vita.
Le
mosche gli ronzavano intorno e forse furono quelle a fare in modo che
non si
accorgesse della presenza seduta sulla lapide lì vicino.
“Credevo
che il lavoro di un Generatore fosse più
divertente.” Sollevò lo sguardo e
quello che vide fu una giovane donna fasciata da abiti scuri come i
suoi
capelli, raccolti in una lunga treccia che si posava sul suo petto, il
viso
sfregiato da pallide cicatrici risaltavano sul volto nonostante il suo
pallore
andasse vicino a quello del Generatore, i polsi incrociati sopra le
ginocchia
accavallate, un moncherino lasciato lì in bella vista come
se non le importasse
niente. A sua volta lei fissò il Generatore in piedi sui
cadaveri, la fossa
comune non era abbastanza profonda da raggiungere l’ altezza
di Azue ma dalla
posizione in cui si trovava Neah spuntava solo la testa, e per un
momento
immaginò di seppellirlo così.
“Vuoi
divertirti con me?” Chiese lui allargando le braccia e
avvicinandosi al bordo
della fossa continuando a calpestare i cadaveri, ogni tanto sentendo lo
scricchiolio di qualche osso che si rompeva sotto il suo peso.
“Esci.”
Disse lei alzandosi dalla lapide.
“È
un ordine?” Chiese Azue trattenendo una lieve risata.
“È
un invito.” Rispose lei in un soffio, l’ occhio
buono aveva un colore del tutto
innaturale, era di un verde purissimo, senza alcuna striatura, era
dello stesso
colore dell’ erba dei campi aperti, l’ altro
semplicemente, era vitreo, come
quello di un pesce.
“Accettato.”
Il Generatore sorrise appoggiando i palmi delle mani sul bordo della
fossa e
issandosi su, pezzi di terra e polvere caddero sui cadaveri calpestati
con un
suono triste.
Si
mise in piedi e si guardò intorno spolverandosi con le mani
gli abiti scuri e
impolverati, la nebbia era scesa ancora e a malapena riusciva a vedere
la
lapide lì vicino –ma non c’era anche un
salice lì?- gli venne quasi automatico
portare una mano sulla linea delle sopracciglia come per proteggersi
dal sole
in una giornata estiva troppo assolata, inutilmente, ma comunque non
vedeva più
l’ Ala d’ Argento. Si guardò un attimo
intorno sentendo il peso di quell’
atmosfera nella gola e scuotendo lievemente la testa, una sensazione di
fastidio si appostò sotto il suo sterno dandogli
l’ impressione di essere stato
preso in giro, le sua labbra si stirarono in un ghigno mente meditava
vendetta,
e vedeva una sagoma alta e scura poco lontano in contrasto contro la
nebbia.
Lasciò
fluire l’ energia nelle sue mani e si vi si
avvicinò con passo svelto, era troppo
concentrato sulla preda per accorgersi che in realtà la
persona che voleva
colpire era dietro di lui. Se ne rese conto solo quando
constatò che davanti a
lui c’ era solo quel vecchio salice bitorzoluto e quando si
sentì spingere con
forza da dietro.
Andò
a sbattere contro la corteccia ruvida, imprecò sottovoce e
si sentì afferrare
per la spalla con forza, si ritrovò con la schiena contro
l’ albero e con uno
stiletto conficcato nella sua mano contro il tronco, il tutto accadde
in
pochissimi istanti, troppo velocemente perché potesse
reagire.
“Rivoglio
la mia mano, o giuro che mi prendo la tua.” Le sue parole
giunsero lontane,
attutite ancora dal dolore che lo aveva momentaneamente stordito,
probabilmente
doveva aver sbattuto con forza anche la testa contro il tronco.
“Sapevo
che saresti venuta qui.” Sorrise lui riducendo gli occhi a
due fessure.
La
guardò negli occhi e per la prima volta si accorse di quanto
repentinamente il
colore delle iridi potesse cambiare, quel verde acceso che aveva
intravisto
poco prima nella nebbia stava ora cambiando velocemente in un rabbioso
rosso.
“Azue
hai finito?” Sentirono una voce provenire da poco lontano,
era la voce del re
che sembrava arrivato proprio al momento giusto, entrambi si voltarono
cercando
di intravederlo fra la nebbia.
“Mi
hai dato da fare un lavoro lungo e faticoso.” Rispose il
Generatore spostando
velocemente lo sguardo su Neah e sullo stiletto ancora conficcato nella
sua
mano.
“Ma…”
Continuò a parlare aggiungendo suspense al monosillabo,
mentre tentava di
raggiungere con la mano sana l’ arma, ma la vampira se ne
accorse e con uno
scatto fulmineo appoggiò il palmo della sua mano
sull’ elsa del pugnale,
conficcandolo ancora di più nel legno, il sangue scuro
–forse troppo scuro-
sgorgava copioso e colava sulla sua pelle pallidissima creando un
lugubre
contrasto
“Nonostante
un piccolo imprevisto,” Sussurrò volgendosi verso
la vampira che lo fissava con
rabbia, mentre lui tentava contro la sua forza di liberare la sua mano
dal
tronco e di non lamentarsi per il dolore.
“Sono
a buon punto.” Voltò la testa verso la fossa
comune dalla quale si era appena levato
un lieve rantolo.
“Su,
su tranquilla!” Esclamò l’ elfo
appoggiando le mani sul muso della giumenta ramata
mentre tentava di calmarla, si strofinò gli occhi assonnato
e stanco, mentre la
cavalla continuava imperterrita ad agitarsi.
Non
riusciva a capire cosa potesse averle preso, il morbo della cavalla
pazza forse?
Le andò accanto, raccogliendo da terra una bottiglia di
birra e bevendone un
sorso, per controllare che briglie e sella fossero messi bene,
probabilmente c’
era qualcosa che le dava fastidio quando all’ improvviso la
giumenta si calmò,
senza un apparente motivo, lasciando Zephit non poco perplesso.
“Ti
sei decisa?” Accarezzò un paio di volte la
criniera scura, ma staccò subito la
mano quando sentì un dolore lancinante sul palmo della mano,
la strinse al
petto lasciando cadere la bottiglia –sperando che non andasse
in frantumi- per
stringere la mano dolorante che ora aveva preso a sanguinare, un taglio
verticale
profondo dal palmo fino al dorso della mano si era aperto nella sua
pelle
pallida.
“Che
stai combinando, Azue?!” Imprecò, chiedendosi
perché quel dannato Generatore
non potesse starsene un po’ tranquillo a bere birra scadente
come faceva lui
piuttosto che andare in giro a istigare la gente e a farsi ferire, e di
conseguenza a far ferire anche Zephit.
* Sei
piedi sotto terra: ovvero la profondità a cui
vengono sepolte le bare. Nel
testo della canzone: Six feet under
Ci
sono riuscita davvero? wow, grazie agli Skillet, era da troppo che
scrivevo
senza musica ._. Grazie anche a Homicidal Maniac, è
bellissimo parlare con te
(Konquistiamo il mondo insieme!!) e a Smollo05, sei tornata! Non posso
credere
che tu abbia ancora il coraggio di leggere questa roba, grazie *-*
Allora,
questo capitolo e più che altro introduttivo per il prossimo
(ma come in quello
precedente vi avevo promesso un po’ di sangue, beh un
po’ c’è) che sarà di
certo undisastro
per i miei neuroni. lo ammetto, alla fine della prima parte avrei
dovuto inserire anche una scena con Rhies... che invece sarà
ne prossimo capitolo u.u
Devo
ammettere che a volte mi vien voglia di prendere per il collo Azue e
scrollarlo
un po’, non so perché… mai avuti
istinti omicidi verso i propri personaggi?
Suonerà strano detto da me stessa ma non riesco a sopportare
Lishe (e l’ ho
creata io!! >.<).
Scusate
se l’ ultima parte non è un gran che ma non ce la
facevo più u.u
Scusate
per il finale deludente… Se vi dico con che
programmi ho fatto questo banner mi piacchiate ._.
Capitolo
17. Ala d’ Argento. Parte 2
“Siamo
folli, ma non siamo soli. Tieni duro e lascia
perdere.”
[Soundgarden
– Live and Rise]
“Non
dovresti giocare con i morti.” Disse la vampira sfilando
lentamente la lama dal
palmo della sua mano, provando un insano piacere nel vedere il sangue
colare a
fiotti più di prima.
“Ma
io è con te che voglio giocare.” Rispose
sommessamente il Generatore mentre
brividi di dolore gli percorrevano la schiena.
“Infatti;
non dovresti giocare con i morti.” Un’ angolo delle
sue labbra si sollevò
lievemente, dando l’ idea che le cicatrici su quella parte
del volto si
stessero contorcendo.
“Posso
vedere i risultati?” Sentirono di nuovo la voce del re, che
si avvicinava
lentamente, infastidito dalla nebbia troppo fitta.
“Vedere?
Con questa nebbia mi sembra un po’ difficile.”
Scherzò Azue per poi rivolgersi
verso Neah come per chiedere il permesso, lei in risposta si
appoggiò all’
albero mettendosi in modo da non essere vista, aspettando il momento
giusto per
farsi vedere o per fare qualsiasi altra cosa. Li sentì
discutere brevemente e
sporgendosi vide Azue che allungava la mano buona verso la fossa
afferrando una
mano informe e con forza tirare fuori da quel buco il corpo di un
cadavere che
sembrava annaspare alla ricerca di qualcosa, le dita scheletriche
graffiavano
la pelle pallida del Generatore ed emetteva un verso raccapricciante.
Vi siete
mai chiesti perché gli zombi facessero quei strani versi?
Semplicemente per il
fatto che le loro corde vocali erano tanto consumate dalla
decomposizione da
non funzionare più come da vivi, quindi l’ aria
che vi passava attraverso
invece che trasformarsi in parole diventava quel suono ruvido e
soffocato.
“Lo
so che sembra messo male, ma con il tempo migliorerà, adesso
se lo colpissi non
sanguinerebbe neanche.” Commentò Azue mentre si
accingeva a tirarne fuori un’
altro.
“Quanto
gli ci vorrà?” Chiese ansioso il re, si capiva
dalla voce, non vedeva l’ ora di
entrare in guerra.
“Unpaio
di giorni per quelli messi peggio,
qualche ora per quelli messi meglio.”Rispose il Generatore mentre tentava di non far ricadere
uno dei Risorti
nella fossa da cui lo aveva ripescato, imprecando sommessamente.
“Quali
sono quelli messi meglio?” Domandò il re
allontanandosi dal primo Risorto che
aveva tirato fuori mentre tentava di ghermirlo con le sue dita
scheletriche,
per un istante dubitò del fatto che neanche con una vita
intera quello si
sarebbe potuto rimettere, dato il fatto che ogni traccia di tessuti era
sparita
quasi del tutto dal suo corpo e per la gamba mancante.
“Quelli
che hanno ancora i bulbi oculari.” Disse tranquillamente Azue
mentre spostava
poco gentilmente uno dei Risorti con un calcio, questo prese a tossire
e a
sputare terra.
“Ah!
Quasi dimenticavo.”Iniziò
il Generatore
spostando lo sguardo ambrato su Eiron “Ho portato quello che
cercavate.” Le
labbra del Generatore si sollevarono in quello che non poteva essere
chiamato
un sorriso. Il re lo guardò con un’ aria
interrogativa e un po’ speranzosa. Si
voltarono entrambi quando si sentì l’ orribile
suono di ossa che si rompevano
sotto una pressione troppo forte e videro la vampira schiacciare con un
piede
il cranio di un Risorto come se stesse cercando di schiacciare una
formica che
si infilava neo buchi della suola per non essere uccisa.
“Scusate,
me lo sono ritrovato fra i piedi.” Commentò a
bassa voce mentre iniziava ad
incamminarsi verso di loro scrollandosi come poteva dal piede i residui
di
cervella e sangue.
“È
l’ Ala d’ Argento?” Chiese speranzoso il
re socchiudendo gli occhi per vedere
meglio attraverso la nebbia mentre il Generatore si portava una mano
alla
tempia, dispiaciuto per quello che era appena successo alla testa del
Rinato
che ora giaceva a terra senza muovesi. Ottimo, si disse, la guerra non
era
ancora arrivata e già perdevano pedine, perché se
un Risorto viene ucciso di
nuovo; decapitandolo o riducendolo in cenere non
c’è più modo per riportarlo in
vita.
“Un’
ala logora, chissà se vola ancora.”
Rifletté da solo, comunque per quanto
potesse essere rovinata la sua ala,
di certo avrebbe svolto il suo ruolo per bene, avrebbe continuato a
volare
ancora per un po’ sulle cicatrici della guerra, era ancora
presto per vederla
precipitare mulinando nel cielo buio.
Quante
ne aveva passate, ricordava in modo estremamente vivido gli istanti in
cui la
chimera si divertiva a torturarla mentre il sangue imbrattava qualunque
cosa,
parecchie delle Creature oscure lì presenti erano inorridite
davanti a quell’
orrido spettacolo mentre lui non aveva battuto ciglio, anzi si era
quasi
divertito e ora era del tutto certo che quei segni non solo quelli
visibili ma
anche quelli che con rancore portava dentro di sé
l’ avevano segnata.
“Re
Eiron?” Chiese con finta curiosità Neah.
“L’
Ala d’ Argento?” Ribatté il re alzando
un sopracciglio.
“In
persona.” Rispose sommessamente osservando attentamente il
re, era abbastanza
vecchio, qualche capello bianco spuntava in mezzo alla chioma scura, la
pelle
era tanto pallida e sottile da poter scorgere i vasi sanguigni e farle
desiderare di infilarci i denti e prosciugarlo del tutto.
“Cosa
posso offrire per ripagare la vostra presenza?” Chiese il re
congiungendo le
mani e incrociando le dita, stringendo con forza, sembrava provare una
sorta di
timore infondo si trovava di fronte alla leggenda che aveva ucciso suo
padre
con immenso piacere. Il
suo collo. “Un
posto dove stare.” La tentazione di dare una risposta
differente era stata
forte, ma alla fino lo avrebbe avuto lo stesso, in un modo o
nell’ altro anche
i re di questa generazione sarebbero caduti.
Si
sorprese quando il re le porse la mano sinistra, lei la
guardò per qualche
istante per poi sollevare il polso sinistro all’ altezza del
viso, la manica
scura scivolò a mostrare il moncherino che ne rimaneva,
ottima scusa per non
stringere la mano al più schifoso ed inutile degli esseri
Umani. Il re ritirò
la mano sentendosi stringere le viscere valutando tutte le cicatrici
della
vampira, non sembrava pronta per una guerra, piuttosto per una tomba.
“Bene,
lasci che vi accompagni all’ interno.” Il re
iniziò a incamminarsi, mentre la
vampira rimase ancora qualche istante a fissare con astio il mantello
immacolato che svolazzava in quella nebbia umida, fino a che non
sentì una mano
fredda posarsi sulla sua schiena.
“Presto
non conterà più nulla,”
Iniziò il generatore, sussurrando “Né
questo segno che
ti porti sulla schiena” E il suo tocco era lì
gelido e doloroso a ricordarle
quella cicatrice che sembrava aver dimenticato, da tempo non le faceva
più
male, eppure era arrivato lui a far riemergere dolorosi ricordi.
“Né tantomeno
quello che provi, quello che noi tutti sentiamo, avrà
più importanza, nessun
posto sarà sicuro, per nessuno. C’è
solo una cosa che il popolo vuole, per
quanti re o tiranni possano cadere, nel cuore della gente
resterà l’ oscuro
desiderio della guerra. Nel nostro cuore, tutti noi, desideriamo vedere
il
sangue scorrere, ancora e ancora.” Sentì la sua
mano scivolare via, come
ghiaccio che si scioglie “Scommetto che tu lo desideri
più di tutti, quindi è
inutile tentare di evitarla.”
Rise appena mettendosi di fronte a lei, passò un’
istante sui suoi occhi, rabbrividendo involontariamente quando si
accorse che
quel rosso impressionante che le aveva colorato le iridi sembrava voler
inghiottire anche la pupilla.
“E
dimmi, quello che c’è qui sotto batte ancora o
è completamente congelato?”
Chiese sommessamente battendo con una nocca sul corpetto di pelle nera
di Neah.
“È
atrofizzato.” Rispose con semplicità la vampira
scostando poco gentilmente la
mano del Generatore e seguendo il re, l’ altro rimase
indietro a finire il suo
lavoro.
I
preparativi erano stati ultimati e un lieve vociare si era alzato dalle
vie
della città, il vento si era alzato e ora soffiava
attraverso gli spiragli
fischiando e creando una lugubre melodia.
I
suoi passi creavano suoni sordi e cupi, se solo non avesse sentito il
cozzare
di metalli da dietro la porta del tempio avrebbe potuto giurare che in
quel
castello non ci fosse più nessuno, oppure che fossero tutti
morti, cosa che non
gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Si
avvicinò alla porta imponente, all’ altezza degli
occhi una serratura enorme,
grande quanto la testa di una persona, vi poggiò le mani
sopra avvertendo una
lieve fitta lì dove c’ era la ferita fasciata e
immaginando che fosse chiusa
come al solito, con grande sorpresa la superficie cedette sotto la sua
spinta
aprendo leggermente e senza alcun cigolio un porta delle dimensioni di
una
persona normale. Lo trovò piuttosto strano visto che
raramente il tempio veniva
aperto, ma chi ancora aveva bisogno di pregare?
All’
interno uno spazio dal soffitto alto alcune torce appese ai muri
emanavano una
luce soffusa e allungavano in modo spettrale le ombre. Al centro della
stanza
c’ era un altare di marmo chiaro inciso con scritte minute e
precise.
In
piedi davanti a esso, il corpo minuto della piccola Lishe si allungava
in punta
di piedi nel tentativo di raggiungere la superficie dell’
altare e posarvici
sopra alcune pietre scure, ai suoi piedi erano sparse a caso strani
oggetti.
L’
elfo si avvicinò e quando la raggiunse le sfilò
dalle mani la pietra nera e la
posò lui stesso sull’ altare. La bambina lo
guardò male, come sempre aveva
fatto, ma questa volta sembrava quasi incolparlo con quei pozzi neri.
“Tu
non hai più un anima.” Sussurrò
l’ elfo avvicinandosi appena con sguardo duro
rinfacciandole le stesse parole che gli aveva detto lei tempo prima.
Gli
occhi scuri della bambina si riempirono di lacrime di rabbia e odio.
L’ elfo la
prese in braccio mettendola a sedere sull’altare ignorando le
urla di rabbia
che le lanciava lei nella speranza di essere lasciata stare.
Appena
si fu calmata posò una manina fasciata sulla pietra che
aveva posato Zephit
sull’ altare al suo posto e la spostò appena.
La
piccola ancora non parlava ma sembrava bruciare dal desiderio di
stringere tra
le sue mani il collo dell’ elfo.
“Non
voglio più essere toccata da persone sporche.”
Abbassando lo sguardo si passò
una mano sul petto.
“La
sorellona ti ha fatto tanto male?” Chiese falsamente
preoccupato Zephit
ripensando a quanto il re si fosse arrabbiato quando Neah aveva ucciso
la sua
piccola figlioletta e al volto del Generatore tirato in un’
espressione
divertita, mentre si occupava di riportare in vita Lishe.
“Non
farà del male solo a me, vi ucciderà tutti e poi
cadrà anche lei, questa guerra
distruggerà tutto.” In lontananza delle campane
risuonarono nell’ aria raggiungendo
anche loro due, una corrente d’ aria invase il tempio
sibilando e facendo
tremare il fuoco nelle torce e le loro ombre. L’ elfo si
voltò verso la porta
ancora aperta, aspettandosi quasi di vedere qualcuno entrare.
“Sarà
il caso che vada.” Si disse voltandosi un’ ultima
volta verso la bambina.
“Ed
ora la senti, bambina malsana, la nostra ninna nanna sporca di
morte?” E fu
certo di parlare a nome dei Generatori.
Ho
sonno e fa caldo, e non so che cavolo scrivere qui
così… ehm, ringrazio chi è
arrivato a leggere fino a questo punto (ormai manca poco alla fine).
Homicidal
Maniac, io aspetto il pagamento u.u
Lo
so che dovrei rileggerlo, almeno la prima parte, ma sto crollando e
sinceramente non ne ho molta voglia, voglio solo pubblicare questo
cavolo di
capitolo e togliermelo da sotto il naso.
Piccola
parentesi, in teoria questa doveva essere la terza parte dello scorso
capitolo
ma è venuto fuori che questa famigerata terza parte
è solo il primo paragrafo
e, non avendo abbastanza fantasia per trovare un titolo decente per
questo
capitolo, ho scritto una delle prime cose che mi è venuta in
mente… Cap.
18. L’ Ala d’ Argento e il Frigorifero.
Sorry
Ormai
Neah è esperta nello strappare cuori u.u
Buona
lettura e buona notte :D
Capitolo
18. L’ Ala d’ Argento e la Morte.
“Vieni nel mio mondo, guarda attraverso
i miei occhi. Cerca di capire” [Within
Temptation – See who I am]
La
nebbia sembrava essersi diradata un poco, rendendo possibile vedere
dove si
mettevano i piedi, ma l’ aria era comunque pesante, si poteva
sentire l’
umidità infilarsi nelle fibre dei vestiti e creare brividi
spiacevoli lungo la
schiena, la vampira procedeva a passo tranquillo senza mai distogliere
lo
sguardo dalla schiena del re, o meglio, dal suo collo e quando lui si
fermò si
fermò anche lei, nella nebbia sempre più rada
intravide un’ altra figura
avvicinarsi ad Eiron, parlarono per un poco, poi il re
continuò per la sua
strada e così fece anche Neah, che però
avanzò solo di un paio di passi prima
di fermarsi per cercare di capire chi fosse la figura che ora si stava
avvicinando a passo svelto, quasi correndo, verso di lei.
Strinse
gli occhi maledicendo quello sinistro che ancora non era guarito del
tutto e
con poca fatica riuscì a capire che la figura slanciata e
alta che si stava
avvicinando era Rhies.
Lei
attese, fino a che non riuscì a scorgere sul suo volto un
sorriso a trentadue
denti che però sparì non appena il ragazzo
riconobbe Neah.
Passò
qualche istante in cui sul volto del giovane principe passarono
espressioni
differenti; prima una sorta di paura ben celata, sconcerto,
incredulità e
infine rimase un’ espressione sorpresa, poteva immaginare
quante domande
stessero affollando la sua mente, vista la sua bocca che si apriva e
richiudeva
muta in cerca della prima cosa da dire.
“Che
ci fai qui?” Chiese lui, forse in modo un po’
scortese. La vampira fece per
rispondere ma venne interrotta a un’ altra domanda.
“No
aspetta, chi sei tu?” Semplicemente non poteva credere di
aver avuto accanto
tutto il tempo ciò che stava cercando senza accorgersene.
“L’
Ala d’ Argento in carne e ossa.” Rispose lei
allargando un poco le braccia e
sollevando le sopracciglia, con un’ espressione un
po’ triste riprese a
camminare, Rhies la seguì mentre la testa si riempiva di
ogni sorta di ricordi
e immagini, era lei allora, era stata lei
ad uccidere suo nonno, ma la cosa che di più lo
sconcertò fu il fatto di non
provare rabbia, né sentì il desiderio di vendetta
impadronirsi di lui, il fatto
era che suo nonno –un po’ come faceva suo padre, ma
solo un po’- sembrava non
vederlo, non gli parlava e tutto quello che
faceva per lui era lanciargli occhiate di cui il principe se ci pensava
tuttora
non ne capiva il significato. Non aveva mai provato un senso di affetto
per
lui, e di certo la cosa era reciproca. Mandò giù
il malloppo di sentimenti e
riprese a parlare, tentando si dissimulare lo stupore di
quell’ ultima
scoperta.
“Ok,
e quindi che ci fai qui?” Continuava a fissarla, senza
riuscire a credere di essere
davanti a una leggenda bellica, ovviamente si sentiva intimorito da
quella
vampira dall’ aspetto di una giovane donna, più di
quanto lo fosse prima di
scoprirlo.
“Non
ricordi? Avevi detto che se volevo sarei potuta venire con
te.” Ma ora era
tutto più complicato, se solo l’ avesse saputo
prima. Si voltò verso di lui e
lo vide fremere quando i suoi occhi incontrarono le sue cicatrici.
“Che
ti è successo?” Stava iniziando a stufarsi, lei.
Tutte quelle domande la
infastidivano.
“Mio
padre si stava annoiando.” Rispose semplicemente lei.
“Comunque,
sai cosa sta per succedere vero?” Continuò,
voltando la testa per guardarlo.
Lui sembrò quasi perdersi nei suoi occhi, o meglio, in
quello che non poteva
più vedere, ricordava quando si erano fermati alla locanda,
ricordava i suoi
occhi neri non come due pozzi profondi in cui annegare, quella volta
erano come
porte chiuse ermeticamente, al contrario quell’ occhio cieco
del colore che
ricordava vagamente il cielo poco prima di un tempesta, ma un cielo
grigio che
non si sarebbe aperto neanche per far scendere i fulmini sulla terra.
Annuì
appena “Un’ altra guerra, vero?” Distolse
poi lo sguardo, cercando con gli
occhi la schiena di suo padre, anche se probabilmente era
già rientrato.
Annuì
a sua volta. “Questa volta sarà diverso
però” Ripensò ai Rinati e al
Generatore, ormai sembravano non venire più considerato
nemici. Rhygen era
morto per niente quindi? Un brivido di rabbia le percorse la schiena e
la
mascella si contrasse mentre sentiva la pressione dei canini sul labbro
inferiore.
“Non
è bello essere usati, non dovresti…”
Iniziò deciso il principe.
“Credi
che mi piaccia? Essere usata e considerata al pari di un’
arma?” Ma fu proprio
in quel momento che sentì un forte desiderio, quasi lo
stesso che aveva provato
due anni prima, chiusa in quella lurida cella, quel desiderio
irrefrenabile di
uccidere, di far soffrire, ma non voleva essere un’ arma, non
più. “Eppure non
so che altro fare, l’ unico modo per finire una guerra
è con la morte di una
delle due schiere.” Lo sapeva, che anche fuggire sarebbe
stato inutile, perché
ci aveva già provato, quando Rhygen l’ aveva
accolta senza fare domande, ma poi
era morto, e da allora tutto era iniziato a precipitare. Anche senza
volerlo
davvero, tutto quello che poteva fare era uccidere e far soffrire.
L’
elfo si guardò un attimo intorno, tentando di capire se il
fischio che sentiva
alle orecchie provenisse da un fattore esterno o se fosse solo nella
sua testa,
aveva una gran sete, nonostante avesse mandato giù una
quantità imprecisata di
boccali di birre. Intorno a lui c’ era il vecchio scenario
del bar decorato con
un mucchio di rose di cristallo rosse, ne aveva anche una al collo, la
solita. “E
perché
mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per di più
questo non mi sembra
il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di cristallo
rosso e di,
cosa sono quelle, ballerine?” Gli
tornò in mente quel breve
discorso che aveva avuto con alcuni Generatori, tra cui Azue, che se la
ridevano mentre lui se ne stava bello che ubriaco a oziare, gli venne
da
ridere. Sbatté
un paio di volte il boccale vuoto sul tavolo, e non seppe dire se lo
fece per
un motivo valido, sentiva solo il bisogno di farlo, quindi l’
aveva fatto e
basta.
Dopo
un po’ che Zephit si stava passando le mani sul volto una
cameriera passò e
versò dell’ altra birra nel bicchiere
dell’ elfo, e quando quest’ ultimo
spostò
le mani dal volto e spostò lo sguardo sulla birra rimase
esterrefatto, quale
misericordiosa divinità aveva appena riempito il suo boccale
di birra? Senza
starci a pensare troppo lo portò alle labbra e ne bevve
metà, quando lo posò
sul tavolo una sensazione fastidiosa si propagò nella sua
testa costringendolo
a cercare con la fronte il fresco del legno, la rosa che teneva al
collo gli
era finita davanti al viso, tanto vicina da fargli incrociare gli occhi
per
vederla bene e procurargli un senso di nausea.
C’
era decisamente troppo caldo in quella locanda, e troppo baccano
–con grande
probabilità c’ erano anche quelle ballerine della
volta scorsa, quelle che gli
avevano trapanato la testa- fece scivolare il bicchiere verso il
proprio viso
provocando un rumore abbastanza fastidioso per le sue orecchie
appuntite, e lo
fece aderire poi alla sua fronte sospirando di sollievo quando la
superficie
fresca del bicchiere lo fece rabbrividire.
Intorno
a lui c’ era baccano, o forse era solo nella sua mente, o
forse ancora erano i
sorsi di birra che facevano baldoria nel suo stomaco a farlo sentire
così
angosciato. Fu solo un attimo, nell’ istante in cui
batté la palpebre un’
immagine fin troppo chiara si insinuò nella sua mente; un
corpo riverso a terra
avvolto da candidi abiti macchiati dal sangue che lentamente si
allargava sul
legno chiaro, un coltello e delle mani pallide e sporche che lo
lasciavano
cadere a terra con uno spasmo. Mi
dispiace… Ma da ora
andrà tutto per il meglio Una
voce che conosceva fin troppo bene, e ogni volta che riaffiorava era
come se
non se ne fosse mai dimenticato, e si riscopriva sempre ad ascoltarla
con una
forte malinconia mescolata a un intenso senso di colpa.
“Sta’
zitta stronza.” Biascicò con la lingua impastata,
mentre iniziava a sentire di
nuovo troppo caldo.
Con
uno sforzo notevole sollevò il boccale appoggiandoselo sulla
tempia, di nuovo
una sensazione piacevole che però svanì
nell’ arco di breve tempo, rovesciò
quindi il boccale alla ricerca di una parte della sua superficie ancora
fresca,
peccato però, che non aveva ancora finito di bere.
Finì
in una stanza per gli ospiti, profumata da fiori troppo appariscenti e
odorosi.
E quasi a farlo apposta era pieni di specchi.
Passò
solo qualche minuto lì dentro, giusto il tempo di togliersi
il lungo cappotto
nero e crogiolarsi per un po’ nell’ indecisione di
portarsi in giro per il
castello l’ Ala d’ Argento. Alla fine con un
sospiro pensante buttò sul letto
la spada, constatando che se avrebbe dovuto difendersi in un castello
pieno di
Umani la spada non sarebbe stata strettamente necessaria.
Passò
quasi tutto il pomeriggio a gironzolare per il castello, e dovette
ammettere
che fino a un certo punto fu divertente; le guardie e i servi che
incrociava le
lanciavano sguardi pieni di curiosità, di sconcerto e alle
volte di puro odio,
lei rispondeva a tutti con un gran sorriso, cioè, quello che
relativamente era
il sorriso di un vampiro.
Più
tardi, quasi all’ ora di cena, quando un lieve odore di
marcio si diffuse nel’
aria Neah si trovò a seguire quella scia lieve, ma comunque
fastidiosa, che
stava emergendo dalle cantine. Non era di certo qualche bottiglia di
vino
rotta, né l’ odore di muffa e stantio ad attirare
la sua attenzione, bensì l’
odore, seppur lieve, di putrefazione che alleggiava nell’
aria, anche se
probabilmente era lei l’ unica a percepirlo.
Raggiunse
le cantine e appena aprì la pensante porta in legno
desiderò non aver lasciato
nella sua stanza la spada.
Azue
se ne stava seduto, con il viso rivolto verso la porta, davanti a un
ampio
tavolo sul cui stava tentando di deporre un cadavere le cui condizioni
erano
disastrose; gli mancava una gamba e il suo viso era un teschio privo di
pelle,
la vampira si chiese per un istante se si potesse riportare in vita
anche un
corpo ridotto in tali condizioni. Il Generatore non si accorse della
sua
entrata, tanto era impegnato a issare il corpo, tentando di non far
muovere
troppo il tavolo per non versare la bottiglia di vino appoggiata
lì affianco.
“Non
dovresti giocare con i morti.” Disse Neah, sorprendendo Azue
che sobbalzò
lievemente e poi sospirò.
“Rivogliamo
le perdite, ha detto lui, quindi mi tocca lavorare.” Rispose
accompagnando le parole
con una smorfia quando con uno sforzo maggiore riuscì a
sistemare il corpo
morto lì sopra.
Restarono
un po’ in silenzio, la vampira appoggiata tranquillamente
alla porta e il
Generatore a trafficare con il corpo.
“Da
che parte stai tu?” Chiese poi lei in un moto di apparente
curiosità.
“Sono
neutrale, uccido e riporto in vita chi mi pare.” A quelle
parole il nervosismo
e la rabbia le fece prudere le mani e con uno scatto si
avvicinò al Generatore
appoggiando una mano sul torace del cadavere, sorrise appena, prima di
affondare con forza la mano nella carne morta, in un attimo raggiunse
il cuore,
lo strinse con forza e lo strappò dalla sua sede, per poi
lasciarlo appoggiato
sullo sterno del cadavere a mo di trofeo.
“Non
sarebbe più corretto dire traditore visto che ti diverti ad
ingrossare gli
eserciti di entrambi le parti? E dimmi, li puoi riportare in vita ance
così?”
“Lo
faccio per i loro desideri, cioè per quello che non possono
ottenere.” Sospirò,
studiando il cuore spento e scuro che si era ritrovato sotto il naso.
“Assolutamente si, non serve per forza un cuore per far
camminare gli esseri
viventi, o i morti… o qualunque altra cosa, per di
più costui era un abile
guerriero.” Scrollò leggermente la testa per
scostarsi dal viso ciocche
argentee e fastidiose mentre meditava sull’ ultima frase.
“Comunque,
saranno i loro desideri a portarli alla tomba.” L’
angolo della sua bocca si
sollevò. “Infondo Dimitri ed Eiron sono piuttosto
simili, non trovi?”
“Sono
entrambi insensibili?” Chiese con finta curiosità
la vampira.
“Anche
tu lo sei.” Rispose il Generatore trattenendo una risata e
rimettendosi a
sedere, i suoi occhi d’ ambra sembravano splendere nella
penombra puzzolente di
quel posto, Neah ignorò il suo commento, non che le
importasse, ovvio.
“Quello
di cui volevo parlare era tutt’ altro, comunque.
Ciò che intendo è che i
desideri ti portano alla tomba perché quello che si desidera
realmente è ciò
che non si può ottenere, e questo di conseguenza ce lo fa
desiderare di più,
quindi continuiamo a cercarlo. Comunque, resto della convinzione che
nonostante
lo si cerchi di ottenere, anche sprecando la propria vita, non lo si
riuscirà
mai ad avere, ci sarà sempre qualcosa pronto ad andare
storto, a far fallire i
tuoi piani e a non far avverare il tuo desiderio.” Fece
spallucce come se
stesse parlando del più e del meno. “E a questo
punto si torna al punto di
partenza, cioè a desiderarlo ancora, se non addirittura
più di prima.” Sorrise,
soddisfatto del suo discorso. “È un circolo
vizioso, di cui tutti noi siamo vittima”
Nonostante il suo volto fosse più rilassato del solito nelle
sue espressioni si
poteva scorgere un velo di oscurità, forse più
cupo del solito, che ricopriva
tutto come la neve della prima nevicata dell’ anno.
“Quindi
stai insinuando che io non riuscirò ad uccidere mio
padre?” Il Generatore
sollevò l’ indice destro con un’
espressione soddisfatta, pronto ad esclamare ‘Esatto!’
ma la sua espressione si fece
subito dubbiosa e fissò interdetto la vampira, con i suoi
occhi color ambra che
sembravano voler scavare dentro di lei.
“Non
è esattamente quello che intendevo,
però…” Continuò a guardare
la vampira,
osservando attentamente l’ occhio sano, e lo vedeva,
era certo di poter vedere quel desiderio di cui parlava
prima lui stesso nascosto in fondo alla sua anima sporca. Voleva quel
che era
più normale desiderare essendo un essere divenuto immortale.
Ambire ad uccider
qualcuno non era abbastanza, a meno che quel qualcuno non fosse se
stessi. “io
non posso aiutarti, mi dispiace.”Bevve
un sorso di vino dalla bottiglia che aveva lì di fianco.
“E
comunque, se vuoi fare dei discorsi profondi con qualcuno dovresti
parlare con
Zephit, sempre che sia sobrio.” Neah si voltò
decisa a tornare nella ‘sua’
stanza e a rimanerci per un bel po’.
“Ah!
Questa sera ci sarà una cena sfarzosa, non
mancare!”
Mi
dispiace mi dispiace mi dispiace! Non mi piace come è finito
il capitolo ç_ç
Mi
rifarò con il prossimo, che mooolto probabilmente
sarà l’ ultimo prima del
prologo :) finalmente ^^
Ringrazio
chi è arrivato fino a questo punto, lanciando petali di rose
secche per aria.
P.S.
sarò al mare per qualche giorno, quindi il prossimo capitolo
tarderà un poco,
ma sarà una pausa strategica, un modo per organizzare le
idee e buttare giù
qualcosa, devo finire con il botto ;)
Buona
lettura e scusate ma questa sera non avevo voglia di
rileggere...
Capitolo
19. Veleno.
“Come
un nulla senza possibilità, un nulla morto dopo la morte del
sole, come un silenzio eterno senza
avvenire,risuona
interiormente il nero.” [V. Kandinskij]
Aveva
la schiena appoggiata a qualcosa di duro e ruvido, i capelli argentei
gli
cadevano scompigliati sul viso e aveva un gran freddo al sedere.
Socchiuse gli
occhi tentando di vedere attraverso la cortina di capelli e di capire
dove
fosse e come ci fosse finito. Con una mano pesante si liberò
la vista dai
capelli bagnati di birra, aveva la schiena appoggiata ad un muro ruvido
e
freddo, con tutta probabilità l’ avevano butto
fuori dalla locanda, guardò il
cielo sopra di sé, osservando la strana luce di cui era
colorato; il Sole si
era abbassato parecchio da quando era entrato, se non si fosse sbrigato
sarebbe
arrivato in ritardo per la cena.
Guardava
in cagnesco la coppa piena di vino chiaro davanti a sé,
appoggiata su una
tovaglia di velluto rossa e contornata da uva e frutta di vario genere,
ovviamente
del tutto intatta sul tavolo, sembrava essere messa lì
più come soprammobile
che come pietanza. Ma non aveva intenzione di alzare lo sguardo; tutti
si erano
disposto secondo il galateo, e lei essendo un’ ospite era
finita affianco al
re, e di fronte ad una donna dalla pelle scura e un’ armatura
tanto leggera
quanto succinta e un paio di lunghe orecchie da lepre, probabilmente
una
messaggera del popolo delle viere, mentre accanto a lei, pensate un
po’, c’era
Azue che sorrideva tranquillamente al principe seduto di fronte a lui,
al
capotavola di fronte al re c’ era una donna con il volto
rugoso, ma che faceva
ancora trasparire la bellezza che doveva essere da giovane, la regina
sorrideva
a tutti, come se quella fosse una semplice cena in famiglia, il suo
volto era
coperto da uno strato di ingenuità, era tanto se sapeva
della guerra che
incombeva. Neah continuava a guardare in cagnesco il boccale di vino,
come se
fosse una qualche sorta di serpente velenoso pronto ad attaccare.
“È
davvero un piacere averti a cena con noi, Milna.” Disse il re
rivolgendosi alla
Creatura Oscura, la vampira trovava ributtante quella sorta di
comunione tra
Umani e Creature Oscure, ognuno sarebbe dovuto stare al suo posto,
anche lei.
“Sono
qui solo per recapitare il messaggio della nostra regina.”
Disse con voce
piatta ma non del tutto atona, sembrava quasi che ci fossero due
persone a
parlare contemporaneamente con quella stessa bocca, il che le dava un
tono
leggermente roco e molto, molto profondo. La vampira alzò lo
sguardo guardandola
davvero solo in quel momento, lunghi capelli bianchi le incorniciavano
il viso
e le scendevano sotto le spalle in ricci precisi, aveva gli zigomi
alti, le
labbra piccole e gli occhi di un viola intenso con pagliuzze rosse
sparse nell’
iride, ma la cosa che più la colpì era il fatto
che non avesse pupilla, che
fosse cieca anche lei?
Ci
fu una pausa dopo le sue parole, un silenzio pesante durante il quale
Neah non
smise di fissare la viera di fronte a sé, mentre
quest’ ultima sembrava avere
lo sguardo perso nel vuoto appena sopra la spalla della vampira.
“Il
nostro popolo non ha intenzione di partecipare alla guerra.”
Quelle parole
risuonarono freddissime nell’ ambiente scaldato dai corpi,
furono autoritarie e
definitive, come il boia che con un colpo netto mozza la testa della
sua
vittima. Ebbe l’ impressione che la presenza al suo fianco
sospirasse, non ne
aveva mai parlato con lei, ma il principe non desiderava la guerra, al
contrario del padre –che come compromesso per i suoi desideri
aveva stretto
quell’ alleanza con le viere-, lui aveva sempre desiderato un
mondo unito.
“Sono
le parole della vostra regina?” Chiese incuriosito e
apparentemente per niente
innervosito il re. La viera sorrise tristemente inclinando appena la
testa ma
senza spostare il suo sguardo da dove si trovava.
“Le
parole della nostra regina non sono mai chiare,
c’è stato un repentino cambio
di necessità, non possiamo combattere questa
guerra.” Ripetè con lo stesso tono
la Milna facendo apparire sul volto del Generatore un lieve sorriso
senza un
apparente motivo, per poi spostare lievemente lo sguardo sul volto di
Neah. “E
neanche tu dovresti combattere.” La vampira rimase
interdetta, che voleva
quella strana tizia da lei?
“Ci
sono delle valide motivazioni a questa decisione?”Il
nervosismo sembrava
iniziare a trapelare dagli occhi neri del re, aveva ignorato
l’ ultima
affermazione della viera, innervosito per il fatto di perdere
così tanti
alleati.
“Certo
che avreste dovuto saperlo” Si intromise Neah, attirando su
di sé gli sguardi di
tutti i presenti “le viere sono un popolo di Creature Oscure
estremamente
legato alla natura e alla vita, se fino ad oggi hanno combattuto per
voi era
per proteggere se stesse, ma chi mai vorrebbe entrare in guerra con i
propri
fratelli?” Disse sistemandosi un po’ meglio su
quelle sedie estremamente
scomode, incrociò le braccia sul petto, lasciando che i suoi
occhi si
soffermassero su tutti i presenti; la viera che continuava a fissarla
con
quegli occhi apparentemente ciechi con uno sguardo indecifrabile, il
Generatore
al suo fianco che guardava il volto del re con un sorriso enorme sul
viso, in
attesa della sua reazione, come un bambino che stava per prendere tra
le mani
un regalo da scartare. Poi la regina a capotavola, che sembrava quasi
non
esistere, se ne stava lì tranquilla a consumare la sua cena
e a sollevare ogni
tanto lo sguardo sul marito con un’ espressione serena, Rhies
era affianco a
leie osservava con
sguardo duro la
vampira seduta accanto a lui, con la forchetta a mezz’ aria,
come se fosse
pronto ad usarla come pugnale.
E
tutto quello la innervosiva, il silenzio pesante e tutti quei visi
dalle
espressioni assurde.
“Ah,
e comunque le consiglio di trovare un metodo più originale
per tentare di
uccidermi, del semplice veleno può farmi ben poco.”
Detto questo afferrò la
coppa piena di vino se la portò alle labbra, ora lo sentiva
più chiaramente l’
odore del veleno, probabilmente c’ era tanto estratto di
biancospino quanto
vino lì dentro, il solo odore le fece chiudere la gola, ma
mandò giù tutto il
contenuto per poi alzarsi e sotto lo sguardo di tutti dirigersi alla
sua
stanza, che di suo non aveva assolutamente niente.
Sentiva
dei passi veloci dietro di lei, e non ebbe nemmeno il bisogno di
voltarsi per
capire che la persona che la stesse seguendo fosse Rhies. Ma si
curò di
fermarsi solo quando giunse davanti alla sua porta ignorando i
tentativi del
principe di chiamarla.
“Che
vuoi?” Chiese lei con voce brusca.
“Mi
dispiace” La vampira diede segno di non aver capito
“per mio padre.”
“Tu
non c’ entri niente, no?” Si voltò,
mettendo la mano sulla maniglia impaziente
di starsene un po’ per i fatti suoi, mentre la gola si
chiudeva e tentava di
trattenerei colpi
di tosse.
“Hai
bisogno dell’ antidoto!” Il principe
tentò di afferrarle il braccio nel tentativo
di fermarla
“Non
mi serve.” Disse la vampira scostando bruscamente la sua mano.
“Si
invece, potresti…”
“Ti
ho detto di no!” Disse con rabbia, tossendo un paio di volte.
“Non mi serve.”
Disse tentando di calmare il tono della voce e respirare normalmente.
“Rischi
di morire!” Ora anche il principe aveva alzato la voce.
“Sai,
sarebbe davvero fantastico.” Ogni respiro era un’
agonia, uno sforzo titanico.
“Ma
che stai dicendo?” Rhies non capiva.
“Entrare
in quella dannata stanza e morirci.”
“Come
puoi dire cuna cosa del genere?! Rischi davvero di morire, ti serve
l’
antidoto!” Continuava a insistere, anche so ormai sembrava
aver capito che non
sarebbe riuscito a convincerla.
“Ottimo,
allora portami una guardia, così la prosciugo.” Si
fermò un attimo, tentando di
calmarsi “Non mi hai visto?” disse portando una
mano al collo, scoprendo l’
enorme cicatrice che invadeva metà del suo collo
“Non vedi come sono ridotta?”
Portò poi la mano alla ciocca di capelli che copriva
l’ occhio quasi cieco –si,
perché un po’ ci vedeva, stava iniziando a
guarire-. “Credi che ferite di
questo genere non siano mortali? Eppure eccomi, sono ancora qui, e
chissà
perché respiro ancora.” Disse le ultime parole con
la voce arrochita, sentiva
il sangue salirle su fino alla bocca, e non riuscì a
trattenersi dal tossire,
si coprì la bocca con la mano e ritirandola la vide sporca
di sangue. Fece per
allungare l’ altra mano, dimenticandosi momentaneamente di
avere solo un
moncherino, imprecò e utilizzando la mano buona
entrò nella sua stanza
macchiando di sangue la maniglia, ignorando la voce di Rhies che la
chiamava da
dietro la porta ormai chiusa, seppur debolmente.
“Vai
a preparare il tuo esercito e lasciami in pace.” Si costrinse
a raggiungere il
letto e vi crollò sopra, mentre la vista le si annebbiava e
la mente diventava
sempre più fiacca, il suo ultimo pensiero fu quello di
svegliarsi solo quando
la guerra sarebbe finita, quando tutti sarebbero morti, quando il mondo
non
sarebbe più esistito. Non desiderava più una
non-vita del genere, non l’ aveva
mai voluta, se solo avesse saputo in anticipo ciò che
sarebbe accaduto, avrebbe
preferito lasciarsi uccidere due anni prima. Poi il nero la
circondò e la
riempì.
“Che
mossa avventata!” Disse il Generatore rivolgendosi al re dopo
aver storto le
labbra cadaveriche. “Veleno? Davvero avete avuto
un’ idea così stupida?”
Il
re lo fulminò con lo sguardo, per poi sistemarsi meglio
sulla sedia e fissare
intensamente le pupille ambrate di Azue.
“Dimmi,
come si uccide un vampiro?”
Sbuffò,
pensieroso “Un paletto di biancospino nel cuore
può andare bene, decapitarli
anche, bruciarli, oppure…” La sua espressione
mutò, gli occhi si
assottigliarono, mentre le labbra si stendevano in un ampio sorriso
felino.
“Fargli bere il sangue di un Rinato; è
estremamente tossico, il veleno normale
invece viene purificato con del sangue fresco.” Rimasero un
attimo in silenzio.
“Hai
finito il tuo lavoro Azue?” Chiese poi con rinnovata
impazienza il re,
ricevendo un sorriso dal Generatore.
“Certamente,
la città è praticamente deserta, e sono tutti
pronti a combattere, ora lei deve
solo garantire la mia sicurezza, non vuole che il suo esercito cada
troppo
rapidamente vero?” Disse con orgoglio.
“Naturalmente,
farò in modo che nessuno ti possa nuocere.”
Rispose con sicurezza il re, se
voleva che il suo esercito non venisse decimato in un istante avrebbe
dovuto
fare in modo che Azue restasse vivo.
“Un
ospite.” Disse tranquillamente la viera seduta ancora
lì a vicino come se
niente fosse, i presenti la guardarono, aspettando che dicesse
dell’ altro. “Un
rinato è alla porta.” La guardarono ancora un
attimo, probabilmente tentavano
tutti i due di capire se fosse cieca, poi il volto di Azue si
illuminò.
“Zephit!”
Armatevi
di pazienza (perché il capitolo è più
lungo del solito) e di un grande
contenitore per la rabbia ^^” (non vorrei essere uccisa,
cavolo!).
Capitolo
20. Desiderio di Morte.
“Ho
detto alla mia
anima: taci, e lascia che scenda su di te il buio” [T. S. Eliot]
Volute
di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata
la
capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’
immensa e sfarzosa Ethis era
ora ridotta a un campo di battagli per un’ ultima guerra.
Una
figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua
stanza
osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare,
così poco era
passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava
in
cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da
ciò che di peggio
si poteva immaginare.
Il
suono della battaglia, urla, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte
si era
diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che
da tempo
sperava di aver abbandonato, sperava di a averla lasciata in quella
lurida
cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo
per il
desiderio di uccidere e che ora stava tornando a farsi sentire. Non le
importava più di tutte le parole, sarebbe scesa in battaglia
di nuovo e avrebbe
ucciso, per il solo scopo di eliminare ciò che
più odiava. Con una daga legata
al polso e ciò che restava dell’ Ala d’
Argento avrebbe combattuto, gustandosi
tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
La
battaglia era feroce e così furono i suoi colpi, potenti e
spietati, falciavano
corpi come se lei stessa impersonasse la Morte, senza fare alcune
distinzioni,
Creature Oscure e Umani, vivi o morti. Fra i cadaveri sembravano
intravedersi i
volti delle divinità, tanto invocate quanto crudeli.
Combatteva
solo per se stessa dimenticando tutto quello che non si trovasse in
quegli
istanti di adrenalina e di esaltazione, offuscando qualsiasi altra cosa.
Accadde
in un attimo, mentre tagliava la testa di un Rinato, fu un battito
più forte,
una lieve fitta alla testa, qualcosa che non le era mai successo;
riconoscere
qualcuno su un campo di battaglia.
Si
fermo un attimo fissando la schiena di Rhies, mentre si muoveva tra i
corpi e i
nemici, quasi si sorprese nel vederlo lì, a combattere per
ottenere una falsa
pace, ma comunque per l’ unica per la quale tutti gli animi
nobili si
battevano, ma vederlo lì in mezzo a quella devastazione le
sembrava
estremamente sbagliato; era giovane e per quel breve periodo in cui
avevano
viaggiato insieme aveva percepito la sua vitalità quasi come
una luce soffusa,
la stessa in cui era immersa lei stessa moltissimi anni prima; quando
ancora
non combatteva perché non c’ era alcun bisogno di
distruzione, quando ancora
non faceva distinzione tra il sangue degli innocenti e dei nemici.
Il
ragazzo mise un piede in fallo nel tentativo di evitare la mazza
ferrata del
centauro, che con un tondo lo avrebbe colpito, se non avesse proteso
prontamente in avanti la spada, ma la forza del colpo era grandiosa e
l’
impatto lo sbilanciò e inciampò nel corpo disteso
dietro di lui. Ma non cadde
sulla fredda roccia come si aspettava, qualcosa fermò la sua
caduta, qualcosa
di altrettanto freddo. Senza apparente sforzo la persona dietro di lui
lo
rimise in posizione eretta, mentre piantava la lunga lama d’
argento nel
terreno per estrarre dalla cintura una lama da lancio che si
conficcò
esattamente tra le costole del possente centauro, questo si contorse
dal dolore
mentre l’ aria si perdeva dal polmone bucato. Aspettando una
reazione da Rhies
si chiese da quando in qua i centauri si battevano con le mazze ferrate.
“Perché
lo hai fatto?” Chiese confuso il ragazzo.
“Non
avrei dovuto salvarti?” Neah lo guardò stranita.
“Non
intendo questo, è una Creatura Oscura, lo sei anche tu, e
l’ hai ammazzato!” La
vampira diede segno di aver capito, ma la sua visione della guerra era
tutt’
altro, per lei era quasi un tutti contro tutti; se c’ era una
Creatura Oscura
che la ostacolava diventava automaticamente sua nemica.
In
risposta lei sospirò, evitando di dare risposte in una
situazione del genere.
“Fa’
attenzione, ok? Io vado a cercare mio padre.” L’
ultima frase fu accompagnata
da uno sguardo di rossa impazienza.
Così
riprese a muoversi, falciando chiunque si trovasse sulla sua strada, ma
con
qualcosa dentro di lei che l’ appesantiva enormemente,
c’era qualcosa che non
poteva evitare, ne era certa.
Un
Rinato le si parò davanti e quasi senza pensarci, guidata da
movimenti
automatici, piantò la sua lunga spada nel piede del
guerriero, ancorandolo al
terreno dopodiché mentre questo urlava per il dolore
eseguì un ampio tondo con
la daga assicurata al suo polso e dalla sua gola spruzzò del
liquido rosso; le
bagnò il viso, colando sulle goti e sulle labbra ma non si
nutrì, già altre
volte durante il suo sterminio si era macchiata di quel sangue
riportato in
vita, le volte che le era colato giù per la gola era stata
assalita da una
forte nausea che l’ aveva piegata in due dal dolore.
Fu
dopo poco, che lo vide in uno spiazzo aperto di quella reggia, in piedi
in
mezzo a un prato verde di cadaveri e sangue, impugnava saldamente il
suo
spadone a due mani dalla lama uguale a quella di una sciabola.
Lo
vide piantare a terra l’ arma e aggrapparsi al corpo davanti
a lui per
prosciugarlo, silenziosamente Neah appoggiò a terra la spada
slegando le
cinghie della daga e impugnandola poi con la mano rimasta,
fissò la nuca del
padre e tese il braccio, con un movimento fluido lanciò
l’ arma. Non staccò mai
gli occhi dalla parabola argentea che stava compiendo la lama,
l’ impazienza di
vedere il suo sangue sgorgare dalla carne violata era tanta,
così tanta che
quando la lama si conficcò in una tesa bionda
un’esplosione di rabbia l’
invase.
Il
Generatore dagli occhi da gatto e un’ espressione contrariata
teneva un Rinato
per la spalla, quello che poco prima aveva spinto per intercettare la
lama
diretta a Dimitri.
“Non
si disturbano le persone durante i pasti.” Disse Azue
addolcendo la sua
espressione e lasciando cadere il cadavere. Il padre di Neah si
voltò,
pulendosi dal sangue che gli macchiava il volto e allontanando Azue con
un
gesto della mano. Questo fece un lieve inchino, e dopo aver sorriso
sinistramente alla vampira si addentrò lì dove la
mischia era più caotica.
Neah
raccolse la sua arma, sospirando pesantemente, stufa di dover aspettare
tanto e
si avvicinò a passo svelto stringendo tanto forte
l’ elsa da far diventare le
nocche bianche. Suo padre la guardava negli occhi, con un’
espressione
lievemente divertita e uno sguardo che sembrava compatirla. Vedendo
quell’
espressione la vampira sollevò la spada decisa a colpirlo
ancora e ancora, si sarebbe
vendicata di ciò che era successo due anni prima, avrebbe
distrutto quell’
espressione beffarda dal suo volto una volta per tutte.
Perse
momentaneamente di vista il volto Dimitri, coperto dall’
ampia lama sporca di
sangue che aveva sollevato velocemente alzando un mucchio di terra e
polvere
che accecò la vampira. Imprecò coprendosi
inutilmente il volto con il braccio
libero, mentre la spada si abbatteva alla cieca su ciò che
si trovava davanti a
lei, colpì qualcosa, sentì il suono di lame che
cozzavano e poi la sua arma le
venne strappata di mano. Proprio in quel momento riuscì a
riaprire gli occhi e
a osservare lo scenario sfocato che appariva davanti a lei e
sentì un forte
dolore all’ altezza dell’ ombelico, una sensazione
di caloresi
sprigionò dalla ferita e sentì il sangue
incollarle gli abiti alla carne lacerata. Abbassò lo sguardo
e si sorprese di
vedere lo spadone usato a mo’ di ascia staccarsi dal suo
ventre.
Lasciò
cadere la spada e si cinse la vita con le braccia evitando di far
uscire tutto
quello che c’ era dentro e aspettando che la ferita si
rimarginasse. Strinse i
denti, sentendo il sangue salirle su per la gola e le gambe cedere, poi
una
lieve pressione sotto la sua gola, affilata e fredda, la lama bagnata
del suo
stesso sangue le sollevò quasi dolcemente il viso; come la
mano di qualcuno che
ti sta per uccidere e vuole vedere la morte e il terrore nei tuoi occhi.
Alzò
lo sguardo nero sul padre, i suoi occhi sgorgavano desiderio di
vendetta,
mentre le gambe a contatto con il terreno recuperavano le forze e il
palmo
della mano si appoggiava su una superficie fredda e tagliente, nella
mente si
delineavano i movimenti successivi.
“Non
mi hai aiutato a creare il mio esercito, sai avresti potuto creare
molti
vampiri, quindi lasciati uccidere, e dimentica di poter trovare un
posto dove
stare.” Disse con rabbia il padre, e fu proprio in quel
momento che Neah fu
certa che la ferita precedente si era rimarginata, ma il suo corpo si
riempì di
nuovo odio; per la persona che l’ aveva messa al mondo e che
avrebbe voluto
cancellare la sua esistenza, per i ricordi dolorosi che quelle ultime
tre
parole rabbiose aveva fatto riemergere.
Colpì
con il moncherino il piatto della lama infilandosi sotto di essa e
procurandosi
un lieve taglio al labbro, mentre la mano libera si serrava sul pugnale
accanto
a lei. Piantò quella piccola lama nel bicipite ed
esultò mentalmente nel
sentire la lama dello spadone infilzarsi nel terreno a poca distanza
dalla sua
gamba. Estrasse lateralmente il pugnale, aprendo il braccio del padre
che urlò
dal dolore, finito il mezzo tondo, portò la lama verso il
basso e la sollevò
con forza trapassando la mascella e parte del cranio dell’
uomo che ora la
fissava sconcertato. Lasciò la presa sull’ elsa
viscida e portò indietro il
braccio fino a raggiungere lo spadone che aspettava ansiosamente di
uccidere;
lo sollevò sforzando l’ unico braccio che poteva
usare per quell’ impresa
accompagnando però il movimento con il moncherino del
braccio sinistro.
Fu
estremamente facile, la lama quasi non incontrò resistenza.
La
testa cadde, e dalla sezione del collo spruzzò liquido rosso
che ricordava in
modo raccapricciante una fontana. Poi il corpo si accasciò,
finalmente privo di
vita.
Neah
indietreggiò lievemente tossendo convulsamente, si
coprì la bocca con la mano e
nel ritirarla la vide sporca di sangue, che ora sgorgava copioso e
senza sosta
dalla suo sorriso trionfante.
Arrivò
poco dopo, quando l’ adrenalina scemò del tutto,
una forte fitta al costato e
di nuovo quella sensazione di calore e umido. Un piccolo stiletto in
legno
chiaro era incastrato tra due costole, aveva raggiunto il polmone ma la
lesione
interna non era troppo estesa, ci avrebbe messo comunque più
tempo a guarire
rispetto a una ferita normale, in fondo si trattava pur sempre di
biancospino.
Con un gemito di dolore strinse la presa sull’ elsa ruvida e
tirò via lo
stiletto, lasciandolo cadere e premendo con la mano sulla ferita
riprendendo a
tossire sangue.
Fissò
per un attimo l’ arma lì a terra e mentre il
respiro si regolarizzava un viso
in particolare attirò la sua attenzione, il volto contratto
in un’ espressione
di sofferenza e terrore colorato con terra e sangue quasi fresco.
Di
nuovo, le sue ginocchia sbatterono contro il suolo mentre una mano si
allungava
per girare la testa del morto per assicurarsi che la persona
lì distesa fosse
chi aveva pensato poco prima.
Sul
suo volto si fece strada un lieve sorriso, uno di quelli spaventosi,
macchiati
di sangue, un sorriso di un vampiro che dentro di sé esulta
per aver vinto una
guerra; il re degli Umani era morto, ed era lì disteso,
patetico, con la gola
ridotta a brandelli.
Ancora
con quel lieve sorriso si sedette a terra, stanca e dolorante,
guardandosi
intorno; la sua spada era conficcata a terra poco distante, un Rinato
si
agitava sotto di essa, inchiodato al terreno, una strana coincidenza.
Tolse la
mano dalla ferita, controllando lo stato in cui si trovava, ma il
sangue era
tanto, tanto da non riuscire a distinguere quello fresco da quello
secco.
Pensò
di doversi alzare, raccogliere la sua spada e finire quella guerra
già
terminata, così come aveva sempre fatto, ma le gambe
pesavano e aveva dolore
ovunque. Pensò di essere stufa di una vita del genere.
Si
riscosse solo nel sentire delle risate provenire da poco lontano, un
paio di
soldati, si avvicinarono al Rinato inchiodato a terra, uno di loro
estrasse la
spada con uno sbuffo, per poi conficcarla di nuovo a terra e nel corpo
martoriato del Rinato, lo fece ancora e ancora.
Fu
in quel momento che Neah si alzò avvicinandosi velocemente a
quella scenetta.
Impugnò l’ elsa viscida di sangue e
assestò un calcio al ginocchio di uno dei
due soldati, che con uno scricchiolio raccapricciante si
piegò su se stesso,
estrasse la spada dal terreno e con un ampio tondo sfregiò
il viso dell’ altro,
vi si aggrappò prima che potesse crollare a terra e bevve
dal suo collo. Solo
quando fu certa di averlo prosciugato la lasciò accasciarsi
a terra, esanime.
“Solo
io…” Disse sommessamente stringendo la presa sulla
spada. Sospirò sentendo la
stanchezza tornare ad abbatterla, seppur più debole di prima.
Tornò
suo suoi passi, dentro la reggia, trascinando la spada e passandosi un
paio di
volte la manica sul viso nel tentativo di rimuovere il sangue,
inutilmente
perché i suoi vestiti ne erano imbrattati.
Così
riprese a combattere, con movimenti pesanti ma comunque letali, quella
battaglia
sembrava non dover più finire.
Poi
qualcosa attirò il suo sguardo buio. Fu uno spruzzo
d’argento in mezzo al nero
della morte, accompagnato dal bagliore di una lama che si muoveva
velocemente,
l’ elfo teneva la sua spada con la lama lungo la linea del
braccio e tenendo il
polso morbido la faceva roteare a una velocità
impressionante eseguendo sempre
lo stesso movimento ad otto, l’ avversario davanti a lui
esitava non riuscendo
a capire quando potesse sferrare il colpo che avrebbe penetrato la
difesa dell’
elfo. Poi in un attimo, in cui il ballo della lama sembrò
rallentare a farsi
più ampio, l’ avversario davanti a lui fece un
passo avanti Zephit si abbassò
iniziando a compiere un giro e ferendo le gambe dell’ Umano,
questo con un
gemito si piegò e la sua gola si aprì in una rosa
scarlatta all’ ampio
movimento della lama lievemente ricurva.
Abbassò
lo sguardo, fissando quello che restava delle sue mani ora imbrattate
di sangue
e tremanti per la fatica, il cuore nel suo petto batteva con forza
sovrastando
qualsiasi altro suono, ancora il cozzare delle lame, urla, uno in
particolare
rivolto a lei e passi rapidi che si avvicinavano. Non era sola in quel
posto,
aveva però qualcosa da difendere ora, se non se stessa?
Fu
un colpo forte, le tolse il fiato e la fece finire a terra facendola
battere la
testa e in quell’ attimo le sembrò quasi di vedere
quel cielo stellato e quella
luna sorridente di due anni prima, che ancora sembrava ridere di lei;
troppo
accecata dalla vendetta per capire il suo vero ruolo.
La
sua pelle era esageratamente pallida e come sempre i suoi occhi
rilucevano di
una luce dorata, poi quel sorriso, quello che lei aveva visto troppe
volte e
che detestava. La pressione di una lama di legno sulla sua gola e un
rivolo di
sangue colarle sulla clavicola, il suo sguardo si riempì di
rabbia e con forza
colpì la lama puntata contro di lei con il dorso della mano,
si ferì ma il
Generatore, stupito, si lasciò sfuggire l’ arma,
lasciando il torace scoperto e
vulnerabile.
Ignorando
del tutto il capogiro e la vista annebbiata la vampira si
alzò con uno scatto
allungandosi pronta ad colpirlo quando un dolore pungente si
propagò da appena
sotto lo sterno bloccandola, imprecò vedendo un’
altra lama di legno macchiata
del suo sangue,il
Generatore le
sorrideva beffardo muovendo la lama chiara nella carne.
Ancora
la vista le si appannò, sentendo le forze mancare, strinse
tra le mani la lama
tentando di fermare il dolore che la invadeva cadendo in ginocchio e
sputando
sangue, sentiva le forze abbandonarla, il dolore era troppo ma non
poteva
permettersi di perdere i sensi in una situazione simile. Stock! Il
legno si ruppe
improvvisamente, facendo barcollare Azue, ma dal suo volto non era
ancora
sparito quel sorriso felino; alzò quello che restava
dell’ arma, con l’
intenzione di sfregiare ulteriormente il viso della vampira.
“Azue!”
Distolse l’ attenzione da ciò che stava facendo,
voltandosi nell’ udire il suo
nome pieno di rabbia, ma non abbastanza velocemente per evitare il
fendente
diretto al suo petto; il cuoio nero si lacerò e il sangue
iniziò a sgorgare
dall’ ampio ma non troppo profondo taglio. Sul petto
dell’ elfo si spanse una
macchia cremisi e sul suo viso una smorfia di dolore.
Il
Generatore lo guardava stupito, senza riuscire a celare la confusione.
“Ora
basta, Azue.” Disse l’ elfo ansimando. Il volto
terreo del Generatore si
ricoprì di rabbia, mentre con la mano premeva sulla ferita
al petto, non si
aspettava che l’ elfo ubriacone potesse rivoltarsi contro di
lui, controla
persona che lo aveva strappato alle mani
della Morte, perché lui era l’ unica persona di
cui si era fidato da quando era
diventato un Generatore, l’ unico Rinato che aveva deciso di
proteggere, ora
voleva ucciderlo. Ma a ben pensarci, era quello il loro destino.
“Desidero
essere
come te, giacere freddo sul pavimento come te.”
[Evanescence – Like
You]
Nubi
rapide
attraversavano il cielo, oscurando la luce del tramonto. I suoi occhi
erano
limpidi, la luce che non riusciva a passare attraverso le spesse nuvole
riluceva nelle sue iridi blu.
Sarebbe stata l’ ultima
volta che avrebbe visto quel cielo.
“Sei pronto?” Una voce
ansiosa lo colse alle spalle, facendolo sobbalzare lievemente, si
voltò e
incontrò il volto tondo e chiaro della madre, che con i suoi
occhi color
smeraldo lo guardava triste.
“Si.” Lo disse tanto
piano che quasi temette di essere stato lui l’ unico a
sentirlo. Abbassò lo
sguardo, abbattuto. Si chiese chi dei due in realtà fosse
più triste; lui,
mandato in guerra. O lei, che si liberava di un figlio da sfamare.
Si issò meglio il
borsone in spalla pronto a partire, quando un paio di braccia esili si
strinsero intorno alle sue spalle, i capelli argentei della madre gli
solleticarono il collo, mentreil
suo
respiro caldo gli sfiorava le orecchie appuntite.
“Andrà tutto bene.” Lo
ripetè un paio di volte, mentre la voce lentamente si
affievoliva. “Vedrai,
andrà tutto bene.” La presa delle sue braccia si
fece più debole, fino quasi a
svanire. Poi il freddo di una lama sul collo, il caldo del sangue che
sgorgava
dal profondo taglio, non riuscì a reagire e prima ancora di
cadere nel proprio
sangue il buio lo aveva già avvolto spegnendo la luce nei
suoi occhi.
Un
lampo argenteo, la lama sembrò per un attimo assorbire la
poca luce che li
circondava, un fiotto di rosso cupo raggiunse il suo viso pallido e
imbrattò i
capelli chiari del’ elfo. Lasciò cadere la spada,
senza riuscire a distogliere
lo sguardo dal Generatore che si accasciava a terra mentre dalla sua
gola
sgorgava il rosso del sangue.
Il
rumore della pioggia
sui vetri appannati lo ridestò lievemente. Fa
male. Riprese
a respirare e
ansimò come se fosse riemerso da un’ apnea
esageratamente lunga. Vedeva macchie
indistinte e una sensazione fastidiosa di calore riemergeva in lui.
Sentiva
dolore ovunque, il collo bruciava. Ho
paura. I
contorni iniziarono a
delinearsi, riconobbe sua madre inginocchiata l’ vicino, le
sue mani strette
sul braccio dell’ elfo. Sopra di lei, una figura alta e
fasciata d’ ombra,
dalla pelle cadaverica e due occhi di lucente ambra.
“Ha funzionato.” L’
emozione trapelava da quella voce così familiare.
“Certamente.” Quegli
occhi lucenti correvano lungo il suo corpo, soffermandosi prima sul
collo e poi
sugli occhi, con un sorriso felino e agghiacciante.
Tentò di mettersi a
sedere, mentre i pensieri tornavano ad abitare la sua mente, dandogli
più
coscienza di ciò che era successo. Poi gli bastò
uno sguardo in più alle due
persone che si trovavano davanti a lui per capire.
“No…” Si lasciò sfuggire
dalle labbra, mentre sua madre invece annuiva confortandolo ancora con
le
stesse parole di prima mentre i suoi occhi color smeraldo sembravano
riempirsi
di lacrime di felicità, ma l’ elfo non
l’ ascoltava. Guardava sconcertato il
lago di sangue sul quale sedeva; il suo sangue, e il coltello poco
più in là,
accanto alla madre che lo aveva ucciso. La sua mano corse al collo,
scoprendolo
imbrattato di sangue e niente più, solo una spessa cicatrice.Alzò di nuovo
lo sguardo incrociando gli
occhi del Generatore che sembravano garantire una nuova salvezza,
sembravano
volerlo accompagnare verso sporchi peccati. Così lucenti,
facevano paura.
Gli sembrò quasi di
vederlo annuire appena, sorridendo ancora, per poi abbassare lo sguardo
sulla
donna inginocchiata in mezzo ai due.
Nuova rabbia riempì il
suo corpo svuotato dall’ anima, e la sua mano corse veloce
all’ unica arma
nelle vicinanze.
La lama tinse di rosso
lo smeraldo.
Come
anni prima la sua mano corse al collo, in attesa di sentire la
cicatrice
aprirsi di nuovo e il familiare contatto con il sangue vischioso che
colava fra
le dita. Ho
paura. Sentì
la gambe cedere per l’ ultima volta, e per l’
ultima volta vide il rosso del
suo stesso sangue. In fondo gli andava bene così, non aveva
mai voluto una vita
simile, chi mai l’ avrebbe voluta?
E
per un’ ultima volta il buio lo avvolse, mentre la Morte lo
prendeva tra le sue
braccia; questa volta per sempre.
Intorno
a loro il cielo ruggiva e le mura tremavano, mentre un esercito intero
cadeva;
tutto intorno a loro una profonda fossa e un’ enorme effige.
Lo
ammetto, in teoria il capitolo non è finito, ma sarebbe
venuto una vero poema,
quindi la parte successiva del capitolo sarà un
tutt’ uno con l’ epilogo. Sarebbe
stato strano no? I morti non sono ancora abbastanza.
Ringrazio
Homicidal Maniac e _Maisha_ (ripeto: mi ha fatto un gran piacere la tua
recensione :’)). *continua
a sparlare,
sorvolando su ciò che è accaduto nel capitolo* È
strano, in questo giorni scrivevo due pagine al giorno, e adesso che
devo
scrivere le note d’autore mi sono bloccata u.ù
Purtroppo
però non portò aggiornare per un bel
po’ di tempo… sapete com’ è
no? Vacanze…
Spero almeno di riuscire a rispondere alle recensioni ^^
Alla
prossima *-* :D
Il capitolo non
è lungo come sembra, ci sono un mucchio di ringraziamenti
infondo (più una
chicca per voi) ;)
Capitolo. 21.
Epilogo
“L'orologio
segna la vita che se ne va, è così
irreale.”
[Linkin
Park
– In the End]
Una
mano pallida tesa
verso di lui; filamenti di fumo nero si avvolgevano su se stessi
catturando i
suoi occhi del colore del mare nelle loro spire. Il suo palmo aperto
era un
invito, una promessa di salvezza e nuova vita.
E lui l’ aveva
accettata, non poteva fare altro, allungò la mano come se
fosse lui stesso a
volerlo anche se sapesse fin troppo lucidamente quale oscuro futuro lo
attendesse.
Quando appoggiò la sua
mano tremante su quella del Generatore il suo pallore impressionante si
macchiò
di rosso sangue, mentre i suoi occhi ambrati si coloravano di nuova
impazienza
e un sorriso felino rimase per
sempre impresso
nella sua memoria.
“Desidero
essere come
te, giacere freddo sul pavimento come te.”
[Evanescence
– Like
You]
Un
altro tuono rimbombò nell’ aria, preceduto da un
lampo di luce che illuminò in
minuscolo istante quel luogo che sarebbe dovuto restare buio e oscuro a
tutti.
Il cozzare di armi era svanito all’ improvviso, una
quantità esagerata di corpi
ora giacevano a terra, il silenzio sarebbe stato assordante se non per
il
continuo e furioso scrosciare della pioggia.
Un
corpo avvolto da abiti neri si mosse, agitandosi per il dolore e
portandosi una
mano all’ altezza dello sterno, stringendo nel palmo
ciò che restava di una
chiara lama di legno. Strinse i denti sforzandosi di estrarre la lama
dalla
carne che già aveva iniziato a guarire.
Un
fiotto di cupo sangue sgorgò dalla ferita mentre il legno
cadeva a terra con un
suono appena udibile. Prese il suo tempo per riprendere fiato e
lucidità, poi
alzò lo sguardo pronta a osservare ciò che
restava di ciò che aveva conosciuto.
I
suoi occhi vennero inondati dalla desolazione e dal nulla della Morte.Intorno a lei solo corpi
pallidi supini
ricoperti di sangue e sporcizia, la puzza di morte e putrefazione
lentamente si
alzava dallo strato di cadaveri scomposto a terra, dandole la nausea
come non
mai.
Si
alzò barcollante, e prese a muovere le gambe in una
qualsiasi direzione, superò
i due corpi crollati a terra insieme a lei scostando lo sguardo
dall’
espressione quasi serena del’ elfo a terra. un nuovo dolore
si insinuò dentro
di lei, avrebbe volentieri fatto cambio con lui se solo avesse potuto,
perché era
quello che desiderava davvero ormai. Ma delle precedenti parole
risuonarono
nella sua mente, di chi ormai non le interessava ricordare,
ricordandole che
non sarebbe più potuta morire, e che il desiderio a cui
tanto ambiva non poteva
essere esaudito.
Un
lievissimo sorriso increspò le sue labbra secche.
“Invece ci sono riuscita.”
Aveva ucciso suo padre, il che le sarebbe dovuto bastare, anche se una
piccola
parte della sua mente cacciò via quel senso di soddisfazione
sostituendolo con
qualcos’ altro che le fece sembrare del tutto inutile tutto
ciò che aveva fatto
da due anni a questa parte.
Per
un attimo solo si preoccupò della sua spada, non sentendola
più stretta in
mano, ma subito dopo si rese conto che non le importava neanche
più averla
persa, di avere perso il suo nome, di nuovo.
Vagò
ancora un po’ in cerca di cosa, non lo sapeva neanche lei.
Fino a che qualcosa
–o qualcuno- si aggrappò alla sua caviglia
minacciando di farla rovinare a
terra.
“Sto
cadendo per
sempre, ho bisogno di fermare tutto, sto andando
giù”
[Evanescence
– Going
Under]
Gli
sembrava di galleggiare nel nero, in cerca di occhi scuri cangianti,
sospeso
tra uno strato di incoscienza e uno di lucidità, fino a che
qualcosa non lo
ridestò lievemente da quella dolorosa situazione. Un ritmo
lontano, continuo e
regolare che andava man mano farsi più forte, più
vicino, un suono triste e
rabbioso, passi pesanti e senza forza. Per un attimo quel suono gli
ricordò un
giorno non troppo lontano i pioggia incessante, di un cappotto scuro
che si
muoveva silenziosamente sotto un muro d’ acqua e di occhi
cangianti; neri,
ambrati, rossi, blu, verdi. Ma dalla pupilla sempre uguale, sempre
particolarmente piccola, in modo che né la luce
né qualsiasi altra cosa potesse
provare a sprofondare in quegli occhi. Era incredibile la
velocità con cui tutto
era precipitato.
Senza
quasi accorgersene sul palmo della sua mano sentì il
contatto con del cuoio
lacerato e viscido di sangue.
“Siamo
qui buttati
giù come figli della guerra. […] su questo mondo
siamo stati lacerati”
[Black
Veil Brides – Fallen Angels]
Barcollò,
ascoltando per un attimo il suono del suo sangue che gocciolava a terra
da
chissà da quale delle numerose ferite. Abbassò lo
sguardo sul corpoa
terra, indugiando sulla ferita che correva
da una spalla all’ altra. Occhi neri e velati la fissavano.
Nel
vedere il corpo di Rhies in quelle condizioni non provò
tristezza, solo altra
rabbia; perché doveva essere lei l’ unica a
sopravvivere a quella guerra? Non
era giusto.
Lasciò
che le sue ginocchia battessero di nuovo contro il suolo, mentre sul
volto del
principe di dipinse un sorriso sofferente.
La
rabbia ribolliva dentro di lei, non lasciando spazio ad altre emozioni.
Non era
giusto che finisse così.
“Credimi,
se potessi fare cambio con te.” Quelle parole le scivolarono
dalle labbra.
Lentamente allungò la mano sulla macchia rossa che si
allargava sul petto del
ragazzo, senza però toccare mai la ferita, come se solo
quella vicinanza
potesse far rimarginare la carne lacerata.
Per
quanto possibile i suoi occhi neri sembrarono rasserenarsi un poco,
respirò un
paio di volte prima di parlare.
“Ho
sempre saputo che quello che desideravo sarebbe stato
impossibile.” Fece una
smorfia di dolore dopo aver pronunciato con fatica quelle parole.
“Le
guerre non hanno senso.” Non avrebbe saputo che altro dire.
“Mi dispiace."
Rhies voltò leggermente il viso verso di lei per poterla
guardare negli occhi.
“Non
è colpa tua.” Ma verso la fine della frase la sua
voce sembrò incrinarsi, e lui
sembrò non essere più sicuro di quella certezza
che aveva pronunciato. Lo
sguardo della vampira era duro e triste, lei sapeva; era sempre
iniziato tutto a causa sua, a causa dell’ Ala d’
Argento.
Perché è così che le Creature Oscure
agiscono, causano guerre e battaglie e
anche indirettamente uccidevano gli Umani. Ecco il motivo per cui ora
si
sentiva tanto in colpa, era come se fosse stata lei ad ucciderlo.
Neah
si guardò un attimo intorno; la desolazione regnava sovrana,
dopo aver
spodestato i re che senza un valido pretesto erano entrati in guerra
tentando
di uccidersi a vicenda.
Si
chinò un poco sul corpo accanto a lei come a volersi
nascondere da occhi
nascosti nelle nicchie buie. Quando un lampo attraversò la
sua mente “Dona la bocca
a chi
sta per morire, il suo sangue macchierà le candide labbra,la
solitudine verrà
colmata dal bacio dell’ abbandono.”
Il
dono della dea Andhera, o almeno, così aveva
detto il Generatore tempo prima. Si
chinò ancora di più ascoltando il suono del
respiro di Rhies e del battito
lontano del suo cuore. Le sue palpebre erano chiuse, troppo pesanti per
restare
aperte.
“Vuoi
vivere?” Chiese in un soffio, sicura che comunque lui
l’ avrebbe sentita.
Le
sue palpebre tremarono nello sforzo di sollevarsi e guardarla ancora.
Non
sembrò spaventarsi nel vedere i canini appuntiti creare due
fossette sulle
labbra inferiori, il suo sguardo invece sembrava ancora pieno di vita,
troppa
perché la morte potesse aver già posato i suoi
occhi su di lui.
“Avevi
detto che…”
“Se
un cane morde un gatto, il gatto non diventa un cane.”
Terminò la frase per
lui, mentre le sue labbra si increspavano al ricordo di quanto lei
stessa aveva
detto. Lui rimase in silenzio, senza rispondere, sentendo solo i
brividi
provocati dal suo fiato sul collo e la paura entrare dentro di lui,
all’ idea
di morire sentendo per ultima cosa dolorose punture di chiodi
arrugginiti
perforargli il collo. Ma ormai era morto, non aveva più
importanza come la
Morte decidesse di portarselo via.
“Le
cose sono cambiate.” Disse lei, provocando altri brividi al
corpo sotto di lei.
“Dicono
che non esista dolore peggiore.” Ricordava, ricordava
benissimo ciò che le
aveva detto lei in riva al fiume. Neah si bloccò un attimo,
in silenzio. Un po’
della rabbia che portava dentro sembrò abbandonarla alla
prospettiva di non
essere la sola a soffrire, e per quanto sapesse che quello era pensiero
egoista, quasi non riuscì a dispiacersi per lui.
Un
altro lampo di luce illuminò le loro figure, catturandole in
un attimo di
immobilità, mentre intorno a loro la pioggia sembrava
essersi dimenticata come
fermarsi.
Sentì
per un attimo la sua pelle fredda sulle labbra, ricordandosi del gelo
che
sentiva dentro di sé da anni, si era sentita tanto fredda da
aspettarsi di
vedere il suo fiato trasformarsi in nuvole di condensa durante la notte.
Poi
schiuse le labbra e i suoi canini urtarono contro la sua pelle, un
istante
prima di violarla. Sentì subito il contatto del calore del
suo sangue sulle
labbra.
Tentò
per un attimo di immaginare ciò che i quel momento stava
provando Rhies –mani
scheletriche che iniziavano a scavare dentro di lui- , ma la brama di
sangue le
annebbiava i pensieri. Lo aveva solo sentito sussultare e trattenere
quello che
probabilmente sarebbe stato un urlo, e poi la sua mano, che in un
riflesso
istintivo spingeva contro la sua spalla nel tentativo di allontanare la
fonte
del dolore.
Probabilmente
non ci sarebbe stato neanche bisogno di bere il sangue, ma la
tentazione di
assaggiare quel liquido che aveva un odore tanto buono era troppo
forte. E dopo
il primo , piccolo, sorso sentì gli occhi colorarsi di un
nuovo rosso, squisito
e dolcissimo rosso sangue. Ogni sorso si diceva doveva essere
l’ ultimo, si
diceva di non aver bisogno ma il richiamo del sangue era irresistibile.
Ciò che
fece fu invece staccarsi da lui solo nel momento in cui la pressione
sulla sua
spalla svanì e il sangue smise di circolare.
Si
staccò da lui come se avesse appena preso la scossa,
rendendosi conto della
gravità dell’ azione che aveva compiuto.
Aveva
appena distrutto l’ unica cosa che le restava.
Si
sentì sfilare il mondo da sotto i piedi e cadere nel nulla
che lei stessa aveva
causato, sentì il cuore stringersi e su se stesso e
congelarsi di nuovo. Mentre
la rabbia e la tristezza si mescolavano in un ammasso confuso di
poltiglia
velenosa.
Si
alzò in piedi senza riuscire a staccare gli occhi dalla
quantità di sangue che
colorava la pelle di Rhies. Era più di quanto aveva
immaginato.
Strinse
con rabbia il pugno sentendo le unghie conficcarsi nel palmo della
mano, quel
lieve dolore la fece rinvenire; un lampo di lucidità
attraversò la sua mente
cancellando il rosso dalla sua mente e dagli occhi.
Fece
un passo indietro lasciando uscire in un pesante sospiro tutto il fiato
che non
si era accorta di trattenere.
E
in un attimo vide ciò che non aveva mai visto; un altro
corpo, disteso in una
bara di velluto rosso con il volto pallido e i capelli neri
scompigliati,
quegli smeraldi che rilucevano nelle sue iridi erano ora nascosti per
sempre
dietro le palpebre. Poi altra pioggia, crisantemi ai piedi di una
lapide di
fredda pietra e un mazzo di lavanda che cadeva tra la pioggia
incessante.
Poi
il volto di Rhygen svanì, e con esso ogni speranza.
“Zittisci
il santo
disonesto, sciogli quello che è legato. Non
c’è tempo per l’allegoria.”
[Black
Veil Brides - Sweet Blasfemy]
Le
fiaccole facevano tremare le ombre, trasformandole in figure spettrali
in
quell’ ambiente scuro su cui incombevano nubi nere come la
pece.
Una
piccola figura vestita di abiti bianchi stava inginocchiata
sull’ altare del
tempio, con il volto rivolto verso la raffigurazione della dea Andhera
e le esili
dita appoggiate sulla coppa d’ argento ricolmo di liquido
rosso.
Con
quello sarebbe finito tutto, o meglio, sarebbe iniziata una nuova era,
in cui i
vampiri sarebbero tornati a governare come nei tempi antichi. E le
sarebbe
bastato risvegliare lei, per fare in modo che tutti i Dormienti si
svegliassero, solo grazie a lei, che sapientemente aveva indotto a un
lungo
letargo i più potenti vampiri; li aveva nascosti, in un
luogo che solo lei
conosceva per proteggerli nel momento in cui sarebbero stati
più vulnerabili.
Ed era ora di svegliarsi, ora che i tempi Oscuri erano terminati e la
terra era
fragile e pronta per essere sollevata di nuovo.
La
piccola Lishe distolse gli occhi dall’ imponente dea che la
osservava senza
occhi e fissò il suo stesso riflesso nel sangue, provando un
lieve senso di
disgusto nel percepire un buco vuoto dell’ anima mancante
dentro di sé.
Inclinò
la coppa, facendo colare con attenzione il sangue in una fessura
nascosta tra i
decori della pietra. Tutto sembrò diventare più
silenzioso di quanto non fosse;
la lieve brezza che soffiava fuori si quietò, la pioggia
attese ancora prima di
iniziare a scendere, le fiamme nelle torce si calmarono e persino le
nubi nere
sembrarono farsi più piatte. Una lieve vibrazione percorse
l’ altare, per poi
aumentare di intensità fino a creare delle crepe nel marmo
freddo; tutta la
superficie bianca divenne un mosaico di pietre frantumate, e la piccola
Lishe,
che non aveva fatto in tempo a scendere, si ritrovò al suo
interno, schiacciata
tra un lato di quella che si era rivelata una tomba di marmo e qualcosa
di
caldo contro la sua schiena.
“È
già ora?” Una voce dolce come il suono del
ghiaccio che si frantuma. Fiato
caldo sul suo collo e brividi di terrore che spargevano adrenalina nel
suo
piccolo corpo. Un paio di braccia l’ avvolsero da dietro,
sollevandola.
“Dov’è
la mia piccola Rose? Ho bisogno di sangue.” In quel momento
Lishe iniziò ad
agitarsi tra le braccia della donna, non poteva bere il suo sangue!
“No
Lys! Io non…” Ma un dolore lancinante al collo
zittì le sue parole, facendo
fare una capriola al cuore, che subito prese a battere con
più forza, mentre il
corpo dietro di lei barcollava e iniziava a tossire contro la sua pelle.
Si
agitò ancora, riuscendo a liberarsi dalle sue braccia mentre
sentiva i canini
della donna lasciare due tagli paralleli sul suo collo. Cadde a terra
al di
fuori della tomba e seppur sentendosi debole tentò di
allontanarsi; la vista le
si era annebbiata e lacrime roventi le solcavano il viso mentre lievi
singhiozzi le sfuggivano dalle labbra. Sentiva il calore del sangue e
della
vita scappare da lei. Si voltò un attimo, giusto in tempo
per vedere Lysander
cadere sulle ginocchia e, tenendosi al bordo della tomba, allungare una
mano
verso la dea che in silenzio aveva guardato tutto, tutti i loro peccati, poi le lacrime si
colorarono di nero, e con esse
tutto il resto del mondo.
La
sua pelle pallida si riempì di grinze scure, mentre dalle
labbra colava icore
scuro, il sangue di una divinità contaminata da sangue
riportato in vita. Dalle
sue labbra uscivano respiri rapidi e strozzati.
“No,
non…” Colpi di tosse interruppero la sua voce,
mentre la mano che teneva tesa
in avanti divenne scheletrica come quella di un cadavere.
“Dimitri…” A malapena
riuscì a pronunciare il suo nome, sentendo le energie
abbandonarla. “Io ti odio!”
Urlò con la forza che le rimaneva, i suoi occhi si velarono,
quel colore
ametista che splendeva nelle sue iridi si incupì scurendosi
sempre di più. Il
suo corpo scivolò tornando al suo posto. “Non era
così che doveva andare.”
Disse infine mentre il suo cuore si spegneva, avvelenato dal sangue
riportato
in vita.
“Selvaggio
e
disperato l’assassino è nato.”
[MUSE
– Assassin]
La
pioggia continuava a scendere incessante, le sue gambe tremavano per la
stanchezza, temeva che si sarebbero potute rompere da un momento
all’ altro per
via di tutti il peso che ora si portava dentro.
Giunse
alla scalinata principale della reggia, sembrava l’ unica
parte rimasta
intatta, solo un paio di cadaveri giacevano scomposti sul marmo chiaro.
Quasi
si lasciò cadere su uno scalino, sedendosi pesantemente e
appoggiando la testa
contro il corrimano accanto a lei. Aveva lo sguardo vacuo fisso sul
cadavere
davanti a lei e la mente vuota, la morte aveva preso anche quello che
c’ era
dentro di lei, lasciando il solito silenzio che rimaneva dopo il suo
passaggio.
Passi
incerti le si avvicinarono, il respiro affannoso si fermò a
un paio di metri
dalla sua schiena, non si voltò, che la colpissero pure,
ancora e ancora.
Quello
che sentì fu invece una lieve risata.
“Io
te lo avevo detto.” Ricordava quella strana voce, come due
persone che
parlavano contemporaneamente con la stessa bocca, un tono roco e molto
profondo. “Hai distrutto tutto.” La viera riprese a
ridere, avanzando con un
passo incerto.
La
vampira si chinò un poco in avanti e allungò una
mano verso il cadavere che
ancora teneva stretta tra le mani la sua semplice spada, la
impugnò lei,
stringendo la fredda impugnatura come se non avesse mai preso in mano
un’ arma,
o come se quella sarebbe stata l’ ultima volta.
Si
alzò barcollante voltandosi verso la viera che rideva
ancora, le suo condizioni
erano pessime; una spalla girata in maniera innaturale, una freccia
rotta che
spuntava dal polpaccio destro e la pelle chiara ricoperta di ferite e
lividi
scuri.
Eppure
ancora rideva, rideva di lei, sovrastando il suono della pioggia e
della
tempesta con quella voce inconsueta e raccapricciante. La
risata cessò quando una spada si infilzò nel suo
collo, facendo capolino tra le
costole della parte opposta del corpo.
Uno
schizzo di sangue le macchiò il viso, un attimo prima di
vederla accasciarsi a
terra e tacere.
Poi
di nuovo, tornò a sedersi dove era prima, portandosi la mano
buona al volto, il
silenzio era assordante, peggio della risata raccapricciante di quella
viera.
E
per la prima volta la pioggia non fu l’ unica cosa a scorrere
sul suo viso
sfregiato.
Fine
“Per
chi ha amato
questo mondo, e ha trovato piacevole compagnia in esso”
Ringrazio tutti
quelli che hanno aperto il link di questa storia, che l’
hanno letta parola per
parola, capitolo per capitolo, morte per morte.
Anche quelli che
si sono stufati a metà storia e quelli che l’
hanno scoperta da poco. Ringrazio
voi per ogni recensione, per ogni consiglio e ogni parola di
incoraggiamento.
Ringrazio questa
stessa storia che mi ha permesso di stringere fantastiche amicizie. Jo Shepherd - susy e francy
- Raen91- Smollo05- lames76- Homicidal Maniac - Pendragon of the Elves(ordine cronologico di recensioni eh!) Un grazie
particolare
va a Homicidal Maniac che ha fatto vivere a me e a Zephit la magnifica
esperienza di Elfenfest.
Per me
completare è una gran cosa (un’ impresa) e ancora
più soddisfacente è stato
ricevere delle recensioni; erano quelle ad attaccarmi al foglio bianco
quando l’
ispirazione andava a puttane, tornavo spesso indietro a rileggerle per
convincermi che sarei riuscita a completare un capitolo difficile.
Inizialmente i
personaggi da me pensati sarebbero dovuti essere diversi da come sono
giunti
alla fine della storia:
Rhies non
avrebbe dovuto avere uno spessore psicologico pari a carta velina, e
per questo
chiedo scusa a chi si aspettava di meglio da lui (anche io mi aspettavo
di
meglio).
Zephit, pensate
un po’, sarebbe dovuto essere un elfo basso dai capelli color
carotae dagli
occhi neri, sarebbe dovuto essere un
sicario e non un ubriacone (ma immagino sia meglio avere un elfo
ubriacone). Zephit
è stato uno dei personaggi che più ho amato e che
mi divertivo a scrivere, per
questo credo (spero, più che altro) che anche leggere la sua
morte non vi abbia
abbattuto troppo.
Gli altri più o
meno sono riuscita cerarli come mi ero prefissata.
Inventate vuoi
invece un nome per la disperata madre di Zephit :)
Un ringraziamento
particolare va alla musica, che comeimmagino
anche voi stessi avete potuto appurare ispirava
ogni capitolo. In
particolare gli Evanescence con la magnifica voce di Amy Lee; una
continua
fonte di ispirazione. E in quest’ ultimo periodo (quello
dell’ epilogo,
appunto) anche i Black Veil Brides, che più che rivelarsiuna fonte di ispirazione
sono stati una magnifica
distrazione.
Vi svelerò anche
un segreto: il mio Ipod si chiama Neah xD
Sono sicura di
non aver detto tutto, di dimenticare qualcosa, eppure ora non mi viene
in mente
altro.
Quindi se avete
domande da pormi fatele pure, sarò lieta di rispondere.
Quindi oggi
22/08/2012 finisce la storia di una vampira che per salvare se stessa,
a distanza
di due anni, ha distrutto inconsciamente tutto ciò che aveva.
O forse no,
Ricordate il nome di Rhygen, l’ unica persona che aveva
accolto Neah senza
troppe domande e che ritroviamo nel capitolo dopo il prologo? Beh, non
sia mai
che io abbandoni una mia creazione, potrebbe sempre uscirne una
spin-off :)
Grazie a chi è
arrivato alla fine, questo non è un addio.
Mhuhahahahahaha!!
Extra:
L’ anima
della
storia.
In quel bacio
di mani dopo la morte, in quella morsa di dolore prima della
conclusione, in
quegli occhi rumorosi tra il crepuscolo e l’ oblio.
(Il repentino
cambio di necessità.)
Ninnananne
macabre nel continuo convincersi di rivincite e vendette. Rivolgiamo le
perdite,
cicatrici aperte alternate in ferite brucianti e false, false promesse
fatte
dalla vita.
Fa
male.
Lo
sciogliersi delle armi, il fumo liquefatto tra gli spigoli delle lame,
la
disperazione coagulata nel costante tentativo di vivere, il calore che
va
perdendosi nei volti svestiti di ogni colore, sarà questo il
nostro destino.
Ho
paura.
Non
necessitiamo di sangue, poiché troviamo tutto, in
quell'esalazione mortale di dolore.
Apprenderemo
ciò che nessuno ebbe mai il coraggio di narrarci, il limite
di una vita e un
travolgente rifugio di buio.
Anime
sporche sfuggiranno da
corvi dai becchi dorati.
Tentativi di
corruzione, vedranno di cos'è capace un uomo senz’
anima.
Ti prego.
Non
lasciarmi vita.
Odiami.
Seguimi.
Non farlo
senza aver prima concesso alla vita di appartenere a chi sa di non
possederla.