Dirty Souls. - Cuore di ghiaccio

di La sposa di Ade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Un addio al Giorno. ***
Capitolo 2: *** Odore di lavanda. ***
Capitolo 3: *** Sospiri di ghiaccio. ***
Capitolo 4: *** Sorriso beffardo. Parte 1 ***
Capitolo 5: *** Sorriso beffardo. Parte 2 ***
Capitolo 6: *** Sporchi di sangue. ***
Capitolo 7: *** Svolta. ***
Capitolo 8: *** Caduta. ***
Capitolo 9: *** La follia che igniotte il buio. ***
Capitolo 10: *** Incontri. ***
Capitolo 11: *** Un' anima sporca. Parte 1 ***
Capitolo 12: *** Un' anima sporca. Parte 2 ***
Capitolo 13: *** Un' anima sporca. Parte 3 ***
Capitolo 14: *** Sul confine. ***
Capitolo 15: *** Sfide. ***
Capitolo 16: *** Ala d' Argento. Parte 1. ***
Capitolo 17: *** Ala d' Argento. Parte 2 ***
Capitolo 18: *** L' Ala d' Argento e la Morte. ***
Capitolo 19: *** Veleno. ***
Capitolo 20: *** Desiderio di Morte. ***
Capitolo 21: *** Epilogo. Requiem + Extra ***



Capitolo 1
*** Prologo - Un addio al Giorno. ***


Ecco, si, ho finalmente deciso di pubblicarla. Ecco tutta per voi una fanfiction che finalmente sento mia, nel vero senso della parola. Questo primo capitolo funge da prologo, anche se non succede praticamente niente di utile alla trama della storia di per sé, ma già da tempo avevo deciso di scrivere una cosa simile e quando finalmente ci sono riuscita… non sapevo dove metterla…
Nei prossimi capitoli verrano illustrati più ampiamente i veri dettagli della storia.
Va bene, ora smetto di ciarlare e inizio a ringraziare tutti quelli che sono arrivati a leggere fin qui e che non sono scappati subito alla Home ^^ Mi aspetto recensioni, sia negative che positive.
Buona lettura gente!
Ah, dimenticavo!!! Questo capitolo va (tassativamente) ascoltato con questa canzone -> http://www.youtube.com/watch?v=7vpuW5WWwVM  scusate se vi metto il link così ma non sono in grando di inserirlo nel testo ^^"


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Prologo – Un’ addio al Giorno.
 


Era un pomeriggio uggioso e le nuvole cariche di pioggia correvano veloci nel cielo.
Una grande folla silenziosa era riunita ordinatamente intorno alla lapide, tutti vestiti di nero e con il volto abbassato in segno di cordoglio, tutti tranne una donna, vestita in un abito bianco e con il volto e le braccia rivolte al cielo, gli occhi chiusi e un’ espressione quasi serena, era davanti a tutti. Stava donando un’ ultimo saluto all’ anima del defunto.
Nell’ aria iniziò a sentirsi una lieve melodia, prima più delicata e debole, poi più decisa e forte, saliva in uno splendido crescendo. Gli archi suonavano confondendo le loro note con il suono del vento e i tamburi accompagnavano fedeli la melodia.
La profonda tristezza era palpabile nelle note del requiem e nella lieve pioggia che stava iniziando a cadere sul volto della ballerina e sulle persone li presenti.
E proprio nel momento in cui l’ atmosfera sembrava farsi troppo opprimente e dolorosa la musica cambiò repentinamente.
Gli archi si fecero più silenziosi e i tamburi presero il sopravvento.
Nello stesso istante la ballerina fece un giro su se stessa e iniziò a danzare sinuosamente, tracciando linee curve  e cerchi sull’ erba umida.
La pioggia aveva preso a scendere più forte e ormai l’ abito immacolato della bella donna era completamente bagnato, i capelli corvini le si incollavano al viso celando la sua triste bellezza.
Il suo corpo si piegava creando figure flessuose e delicate.
Le gambe si incrociavano per poi separarsi di nuovo, i suoi piedi nudi sfioravano appena l’ erba bagnata, smovendola lievemente.
Poi la musica cambiò di nuovo e iniziò la vera e propria melodia, i due gruppi di archi intonavano note cupe e veloci. Sembrava che parlassero fra di loro, le note più basse rispondevano a quelle più acute e viceversa.
Le braccia si allargavano e si riunivano controllate dalla melodia.
La donna danzava girando su se stessa, seguendo il ritmo della musica e della pioggia che batteva insistente sullo scenario.
Lentamente l’ abito bianco iniziò a macchiarsi degli schizzi che la ballerina sembrava alzare volutamente da terra, il che donava al suo ballo un che di magico e puro. Gli schizzi si facevano sempre più alti contornando la figura esile che girava su se stessa in una splendida e cupa cornice.
Coinvolgeva tutti i presenti con il suo splendido ballo, catturava gli sguardi che fino a un attimo prima erano fissi sul rettangolo di pietra chiara.
Un frammento di melodia si ripetè più volte. Un’ altro crescendo.
La melodia si faceva più forte e decisa.
Poi un attimo di silenzio, in cui cadde una quiete effimera.
La melodia riprese, diversa e più forte di prima. Tutti i presenti ora battevano le mani, chi seguendo il ritmo della canzone, chi la danza della ballerina, chi il rumore della pioggia o chi più semplicemente il battito del proprio cuore. Ma il suono era unico e accompagnava armonicamente la triste cerimonia.
Vista in quel momento, splendida e gloriosa, la donna sarebbe potuta benissimo passare per la creatura Oscura più limpida del mondo, nonostante in quel momento il suo corpo fosse infangato, era di una bellezza disarmante.
Era come una fata che danzava tra semplici umani e sporca terra.
Di nuovo la melodia cambiò, divenne più forte ed energica. Così anche il petto della ballerina sembrò gonfiarsi dell’ ebbrezza per quel ballo.
Gli archi continuavano a suonare, anche se più lievemente,  creavano uno sfondo di sfumature luminose sulla scura melodia.
Il ballo della donna rapiva i cuori dei presenti, ella non ripeteva mai lo stesso passo e le sue piroette erano lente e ben curate, mentre le braccia restavano incrociate sopra la sua testa riversa ancora una volta verso la pioggia che continuava a scendere con insistenza.
I suoni erano forti e ruvidi, grezzi e dolci.
La donna ancora ballava e ora sembrava tracciare con le mani degli splendidi disegni in aria, mentre il suo corpo sembrava abbandonato in balia del vento.
Ogni cuore era scosso, così come gli alberi mossi dalla brezza.
Nell’ aria lievi odori si diffondevano ovunque; lacrime, terra, erba, lavanda…
Ogni volto era bagnato tanto quanto quello della donna che ballava, impossibile però capire se lo era a causa della pioggia o delle lacrime.
La melodia si faceva sempre più decisa e forte, un’ altro crescendo. Anche la ballerina ora ballava con più determinazione, altre piroette, altri splendidi passi. Lei ballava come solo un raggio di luce può fare.
Era come se danzasse sul bordo di un pendio, in bilico tra la vita e la morte. Tra gli umani e le creature Oscure.
Un’ altra pausa, e più forte fu la melodia che ne seguì.
La melodia cresceva, sembrava non doversi fermare più, così come la splendida donna. Erano suoni forti, tanto quanto le emozioni che in quel momento albergavano nel cuore di tutti.
La melodia cresceva, gloriosa e la donna ballava, decisa, pronta per l’ ultima piroetta, quella decisiva.
Non c’erano né parole né pianti in grado di esprimere i sentimenti che alloggiavano nei cuori umani, solo sospiri.
Non c’era paura in loro, i tuoni non riuscivano a sovrastare la melodia, i lampi non riuscivano ad accecare la splendida donna, le lacrime svanivano, scaldate da ormai aridi occhi. Restava solo la pioggia, la tristezza, gratitudine e pace.
E inaspettatamente calò il silenzio.
 


 

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Capitolo 2
*** Odore di lavanda. ***


Innanzitutto ringrazio coloro che sono arrivati fino a qui, anche chi legge in silenzio :D in particolare Jo Shepherd che ha recensito il primo capitolo nonostante fosse assai scarno per quanto riguarda la trama della storia ^^” 
Venendo a noi, ecco il ‘primo’ capitolo, che vi chiedo di leggere ascoltando questa splendida canzone http://www.youtube.com/watch?v=jvwCJuDKN6o (l’ ascolto può dare fastidio alla lettura, in questo caso vi consiglio di mettere il volume basso o se siete dei pigroni di non metterla neanche, ma questo dipende da voi) beh, non so che altro dirvi, se non che gradirei davvero molto delle recensioni… anche negative, s’ intende!
Un’ ultima cosa, spero di poter aggiornare una volta a settimana (mi ci dovrò mettere d’ impegno ^^”)
Non posso che augurarvi una Buona lettura. :),

Capitolo 2 – Odore di lavanda.

2° Anno del Crepuscolo.

“Tu credevi in me ma io sono rotta”

[Evanescence – Lost in Paradise]

Dopo aver depositato accanto alla lapide un fiore e aver posato sulle spalle della tremante ballerina un mantello, la folla si dileguò in fretta, non rimase più nessuno. C’ era tanto dolore nei loro cuori, la musica li aveva saldati, certo, ed era stato un requiem più che degno, ma la morte di una persona è pur sempre un grande dolore.
Ora il cimitero sembrava del tutto deserto, con qualche salice qui e là a fare da guardia, una figura scura e snella sbucò proprio da dietro il tronco dell’ albero più maestoso e più vicino alla lapide per la quale si era appena celebrata la cerimonia; il volto era coperto dal cappuccio del lungo cappotto che portava e dal quale sbucava una lunga treccia di capelli scuri. Si avviava a passo deciso verso la lapide con in mano un piccolo mazzo di lavanda, incurante della pioggia.
Si, anche a lei il cuore faceva male, anche lei aveva partecipato alla cerimonia, anche se lontano dagli altri aveva assistito al dolore dei presenti sentendolo some suo.
Giunse di fronte al rettangolo di pietra, sulla quale erano incisi nome, le due date e poche parole.

Rhygen  Nyv
3872 A.G. - 2 A.C. *
I demoni non sono tra noi,
siamo noi.
Non esiste la salvezza,
esiste l' oblio.
La libertà è in una gabbia di stelle.


Ah, quanta verità in quelle parole!
La figura scura si inginocchiò davanti alla lapide portandosi al volto il mazzo di lavanda sentendo i candidi e delicati boccioli sulle labbra, inspirò sentendo per l’ ultima volta il profumo che durante il funerale non aveva mai smesso si odorare. Era strano, era stato proprio lui a farle piacere quel profumo così fresco, e dire che lei non aveva mai provato interesse per quelle cose, le considerava frivole, troppo… umane. E ora che lui non c’ era più sarebbe tornata quella di un tempo, ora che non ci sarebbe più stato lui a ricordarle come si fa a vivere sarebbe tornata la fredda e inavvicinabile ragazza che era stata in passato.
Lasciò cadere l’ esile pianta aprendo leggermente le pallide mani, il mazzo cadde su un tappeto di crisantemi bianchi.
Osservò a lungo il contrasto creato dai due colori.
Ma già da tempo si era accorta della presenza alle sue spalle.
Era odore di cuoio e pioggia, era l’ odore di un umano, e sentiva gli occhi di quella persona sulla sua schiena.
Si alzò in piedi voltando la testa verso la persona, ma senza mostrare il volto.
“Non dovresti essere qui” Era la voce di un ragazzo, ferma e sicura. Il messaggio nella frase era chiaro, lei lo sapeva bene, ma non aveva posto dove andare da quando Rhygen era morto.

Morto.
Solo in quel momento si accorse della gravità della situazione, non era riuscita ad accettare il fatto, neanche quando si era trovata davanti la sua lapide, i suoi occhi non avevano visto davvero quel nome inciso sulla pietra, i suoi pensieri ci avevano girato attorno senza mai soffermarsi su quella parola.
Morto.
Si, ora era davvero sola. I suoi occhi tornarono sulla lapide, e le si accartocciò il cuore vedendo ciò che prima non aveva avuto il coraggio di ammettere.
Dimenticandosi completamente del ragazzo dietro di lei, tirò fuori dalla tasca del cappotto una lunga catenina in argento con un pendente a forma di pentacolo con una luna incastrata tra le punte, anch’ esso in argento.
Lo lasciò cadere sui fiori che poco prima aveva posato, alcuni piccoli petali si staccarono emanando un lieve e fresco odore, era un regalo che le aveva fatto poco dopo aver fatto conoscenza, per prenderla in giro.
“Ora la smetterai di prendermi in giro” Sussurrò appena, facendo attenzione a non farsi sentire dal ragazzo.
Quando gli aveva raccontato la sua storia lui si era messo quasi a ridere, credeva quasi impossibile una cosa del genere.
Non aveva alcuna voglia si stare a sentire le parole di un ragazzino, eppure sapeva fin da quando era stata bandita che non sarebbe stata accettata nei territori degli umani. Neanche in un cimitero?
Ma andarsene era l’ unica cosa che potesse fare.
Il ragazzo teneva la mano sull’ elsa della spada che portava al fianco con un espressione seria, come quella di una persona che sa perfettamente chi ha davanti, l’ aveva capito, che lei non era umana.
“Addio” Sussurrò un’ ultima volta ai ricordi guardando il cielo grigio, “e grazie”. Non si sarebbe mai permessa di piangere, lo stava facendo il cielo per lei.
Incontrando Rhygen era apparso un bagliore di speranza, che nonostante tutto non si era ancora spento, aveva finalmente trovato un’ umano che la accettasse per quello che era, senza alcun timore, e quel bagliore si era poi trasformato in una luce forte, su cui poter fare pieno affidamento.
“Proprio adesso dovevi lasciarmi? Vorrei tanto sapere come sei finito li sotto” Non si aspettava di ricevere una risposta, tanto meno dal ragazzo dietro di lei.
“Giustiziato per Necromanzia e tradimento.” La voce del ragazzo era ora più vicina, ma non le importava, doveva esserne certa.
“Erano accuse fondate?” Riuscì a trattenere a stento il tremito della voce.
“Si, ha ammesso lui stesso” Fu in quel momento che sentì il cuore sprofondare sotto i piedi, e improvvisamente tutto, in tutto il mondo, divenne insignificante di fronte alla desolazione che sentiva nel cuore.
Sentiva forte il desiderio di stringere qualcosa nelle mani e distruggerlo, così come si erano sbriciolate le sue speranze di poter vivere con gli essere umani.
Credeva di essere riuscita a farsi accettare da qualcuno, da qualcuno di umano, che poi umano non si era rivelato per niente.

L’ unico umano che mi ha accettato non era umano.
Esattamente, coloro che praticavano la Necromanzia avevano rinunciato alla propria umanità per poter giocare con i morti.
Chiunque sarebbe stato scoperto a praticare la Necromanzia sarebbe stato immediatamente giustiziato, questo era quello che
recitava la legge stessa degli esseri umani.
Neanche le creature Oscure accettavano coloro che la praticavano, quindi i cosiddetti Generatori erano obbligati a vivere nascosti, nell’ ombra e in solitudine.
Sentiva la testa scoppiarle e la gola prendere fuoco mozzandole il respiro. Ma aveva ormai imparato a controllare quelle crisi, nonostante quel giorno si sentisse estremamente debole.
“Non dovresti essere qui” No, ma dove sarebbe potuta andare? La sua mente valutò tutte le varie possibilità, tra le quali vi era uccidere il ragazzino, fuggire, nascondersi sotto terra e restarci per sempre, il piano avrebbe funzionato anche omettendo la prima fase, ma il problema sarebbe rimasto, nascondersi non avrebbe risolto niente.
Poi le sorse un dubbio, una cosa a cui prima non aveva fatto caso, qualcosa che la vecchia sé avrebbe notato immediatamente; il ragazzino aveva capito subito che lei non era umana nonostante lei si fosse camuffata.
“Senti ragazzino, chi sei?” Le rispose il silenzio. Si voltò un po’ di più mostrando parte del viso pallido ma tentando comunque di celare gli occhi, dato che in quel momento non aveva idea di che colore potessero essere, sperava in un bel blu mare, anche se il solito rosso avrebbe fatto il suo effetto.
Aspettava la risposata del ragazzino, che comunque non arrivò, ma venne sostituita da una frase che lei ben conosceva.
“Nella Notte del Giorno e del Crepuscolo.” Lei sbuffò, era una specie di formula che conoscevano tutti, era un modo per accertarsi chi fosse la persona con cui stavi parlano a seconda della risposta che si otteneva.
Era una specie di poesia, della quale il primo verso era uguale per tutti, poi se si era umani o creature Oscure il resto del testo cambiava.
Si voltò di nuovo di verso la lapide sospirando.
Illusi di poter stringere in un palmo la Luna,” Recitando il primo verso, un mezzo sorriso nacque spontaneo sulle labbra della ragazza. Certo, avrebbe benissimo potuto recitare l’ altra parte, quella che sapevano gli umani se solo se ne fosse ricordata anche un solo verso. Nonostante l’ avesse riletta più volte, quando ancora era ospite di Rhygen, teneva un foglio di carta sbiadita scritto in inchiostro nero con quei quattro versi appesi sopra al caminetto, ma forse i suoi occhi ci erano semplicemente scivolati sopra senza vedere davvero qualcosa, come era successo per la lapide. “Consci di avere il Sole tra le mani.
In una notte in assenza di stelle, su ali di cenere e polvere, vola via il nostro oscuro destino.” Non riuscì a immaginare la reazione del ragazzino alle sue spalle, ma ciò che la fece irritare fu sentire i passi del ragazzo farsi più vicini.
Uno, due, tre, quattro, cinque passi. Poi si bloccò, bloccato da un tacito avvertimento.
L’ aveva avvertita forte e chiara, la rabbia della creatura Oscura, era stato come avvicinarsi troppo a un segugio, che nonostante non avesse mostrato i denti nel suo invisibile sguardo si poteva cogliere una tristezza che assomigliata troppo all’ odio. Era come vedere uno splendido esemplare legato con una catena troppo corta, consapevole della sua forza e della sua inutilità.
Era arrivata ad odiare gli umani, un tempo, prima di compiere quel gesto che mai avrebbe dovuto osare. Ma il suo odio non era paragonabile a quello che provava ora per le creature Oscure, per la sua stessa famiglia, anche se lo sapeva benissimo, la colpa era solo sua.
Ora non aveva più un posto dove stare, e questo probabilmente l’ aveva capito anche lui.
Rimasero in silenzio, a distanza di cinque passi, lei con la sua disperata rabbia e lui con la sua serena offerta; un’ offerta impensabile.
“Vieni con me”
“Come?” Non se l’ aspettava, non se l’ aspettava proprio, per giunta da un ragazzino che non conosceva né il suo nome né la sua natura.

Pazzo. Fu l’ unica ipotesi che le venne in mente.
“Mi sembra di aver capito che tu non abbia nessun posto dove andare” prese fiato “Quindi puoi venire con me, se vuoi” Lei avrebbe riso se solo si fosse ricordata come si facesse, avrebbe riso a morte, di quel ragazzino incauto e della risposta che stava per dare.
Invece annuì, passandosi il pollice sul labbro inferiore, come a soppesare l’ effettiva intelligenza del ragazzo.
“Accetto, ma lasciati chiedere una cosa.” Si voltò, guardando finalmente il ragazzo e mostrando il volto. I suoi tratti erano delicati, e nonostante sembrassero ancora quelli di un bambino si poteva benissimo intuire che un bambino non era proprio, i capelli neri come la notte bagnati dalla pioggia gli ricadevano sulla fronte e gli coprivano le orecchie. Gli occhi erano due pozzi neri in cui si poteva leggere perfettamente ogni tipo di emozione, il fisico era asciutto ma per niente esile.
“Sai almeno cosa sono?” Il ragazzo non venne preso alla sprovvista da quella domanda, per tutto il tempo non aveva fatto altro che studiarla, per capire che creatura Oscura fosse; il volto era un’ ovale perfetto e il colorito più che niveo poteva sembrare cadaverico, le labbra piene e pallide, le sopracciglia scure e sottili incorniciavano gli occhi del colore dell’ ambra più pura, sovrastati da trucco rosso sulle palpebre.
Un elfo non era di certo, anche se all’ inizio non era affatto sicuro di poter escludere quella possibilità –visto che la maggior parte degli elfi avevano il colore della pelle uguali a quella di tanti altri umani e la punta delle orecchie appena accennata-, dubitava fosse un mutaforma, spesso non avevano tratti così delineati e precisi e raramente erano così alti, un vampiro no di certo, non ne esistevano più, estinti. Poteva benissimo essere qualunque cosa come una ninfa, splendida e sinuosa, dal corpo perfetto e dal colorito pallido. Ma notando il suo fisico slanciato e asciutto pensò a un licantropo ricordando anche l’ impressione che gli aveva fatto poco fa.
“Un’ elfa, della terra di Assay.” La vide sospirare e scuotere impercettibilmente la testa, le labbra increspate in un lievissimo sorriso.
Gli si avvicinò per poi posargli una mano sulla testa bagnata dalla pioggia, mentre con l’ altra si abbassava il cappuccio.
“Sei stato bravo, ci sei andato vicino.” Le orecchie erano normali, tonde e perfette.
“Tra due ore, sotto questo salice” infilò le mani in tasca e si diresse lentamente verso il cancello bianco del cimitero “sempre che tu ne abbia il coraggio” detto questo alzò il cappuccio e con un ultimo malinconico sguardo salutò la lapide senza prima soffermarsi sui fiori alla sua base.
Il mazzo di lavanda si era aperto e ora copriva tutti i crisantemi.
Segno di diffidenza. Chissà, magari ora non sarebbe più toccato a lei provare a fidarsi.

Addio, e grazie.

* Il periodo di questa storia è suddivisa in tre ‘cicli’ quali; gli anni del Giorno (3900 anni) gli anni del Crepuscolo (X anni) e gli anni della Notte (X anni)
E non ho ancora intenzione di rivelarvi di che ‘razza’ sia la nostra ragazza :D

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Capitolo 3
*** Sospiri di ghiaccio. ***


Salve gente! Ecco il terzo capitolo. Qui verranno svelate un po’ di cose (ma verranno fuori anche altre domande :3 hihi).
Lasciate che vi consigli una canzone anche per questa lettura ^^ http://www.youtube.com/watch?v=IfLoCG1MLqI&ob=av2e come già detto potrebbe disturbare la lettura quindi se vi infastidisce troppo abbassate il volume, oppure non mettetela (ç_ç).

Vi avviso però… A me questo capitolo non mi ha soddisfatto per niente, ma almeno sono riuscita a pubblicarlo antro la scadenza che mi ero prefissata, fiù.
Ancora una cosa (e avrei bisogno di un vostro consiglio), avrei intenzione di pubblicare –magari dal prossimo capitolo- il passato della ragazza magari alternandolo con capitoli in cui la storia ttuale va avanti… Che dite? Altrimenti è difficile per me farvi capire per bene tutta la pappardella u.u.
Bene, con questo è tutto, aspetto vostre recensioni, sia positive che negative, ringrazio chi si prende la briga di recensire (quali la mia amata Raen91 :D e Jo Shepherd, grazie ancora. *.*)
Non mi resta che augurarvi Buona lettura. :D

 

Capitolo 3 – Sospiri di ghiaccio.
2° Anno del Crepuscolo.

“Se l' esistenza di un nemico, può essere la tua ragione per continuare a vivere.”
[Matsuri Hino.]

Il selciato era fradicio e le pietre erano scivolose, per le strade non c’ era nessuno nonostante fossero appena le nove di mattina. La pioggia continuava a scendere con forza sulla città deserta.
I suoi passi erano lenti e silenziosi. Sapeva bene dove andare prima di lasciare la città. Un’ ultima visita alla casa di Rhygen, doveva prendere un paio di cose, poi avrebbe potuto dirgli davvero addio.
La sua abitazione non era che un misero appartamento schiacciato tra due case.
La porta rovinata in legno scuro, la maniglia traballante e arrugginita nascondevano una sala più o meno ampia, con una scrivania in legno scuro strapiena di fogli scritti e un letto dalla parte opposta, per terra, a fianco a quest’ ultimo c’ era un ammasso di coperte. In fondo alla sala c’ era il caminetto, spento, e sopra di esso attaccato con un chiodo un foglietto scritto con inchiostro scuro, ma le parole erano illeggibili, perché cancellate da macchie di inchiostro.
La ragazza entrò e si abbassò il cappuccio guardandosi intorno, la casa era esattamente come se la ricordava, solo un po’ più in disordine.
Con passo sicuro si diresse verso le coperte ammassate accanto al letto e le spostò per poi sfilare dal pavimento una trave di legno, non molto diversa dalle altre.
Ed eccola, li sotto, tra polvere e paglia, la sua spada. 


Ghiaccio.

Era l’ impressione che aveva avuto sentendo la mano della ragazza sulla sua testa. Il suo corpo era ancora percorso da brividi.
Anche se ora si stava riparando sotto il salice, quello dell’ “appuntamento” , e le gocce lo raggiungevano a malapena i brividi continuavano a corrergli per la schiena.

Angoscia.
Gli sembrava di avere ancora la sua mano sulla testa, fredda come ghiaccio e leggera come una piuma, ma pesante, tanto quanto un fardello sul cuore.
E ora si trovava seduto con la schiena attaccata al tronco rugoso e umido, aveva paura, doveva ammetterlo. Ma doveva andare avanti per realizzare il suo sogno, e quello era un buon modo per fare il primo passo verso un mondo unito. Tornò al passato sorvolando sull’ infanzia rubata.

Speranza.
Fin da piccolo sperava che un giorno, umani e creature Oscure non sarebbero state razze tanto diverse come era normale in quegli anni, era certo che tutti la pensassero così, ma si sbagliava, col passare degli anni la situazione non era cambiata, anzi, sembrava essere peggiorata. Tanto che, una volta fattosi grande, decise di parlarne con il padre, discussero a lungo fino a che non giunsero a un accordo, tanto conveniente al padre quanto poco favorevole ai propositi del giovane.
Suo padre, il re Eiron strinse un’ alleanza con il popolo delle Viere, tanto abili nell’ arte dell’ arco quanto belle. Presto l’ alleanza divenne un pretesto per ingaggiare guerriere in battaglia. Le giovani donne furono costrette a battersi contro le creature Oscure, contro la propria famiglia, il proprio popolo a costo di avere salva la pelle.
Ma lui voleva cambiare tutto, voleva una convivenza facile, non forzata come aveva imposto suo padre.
Sospirò, pensando al mondo unito che tanto desiderava e il flusso di pensieri lo portò a quello che sarebbe successo da lì a circa un’ ora.

Paura.
Si, aveva paura, molta. La cosa che lo preoccupava di più era il fatto di non aver capito chi era la ragazza e la sensazione di aver commesso un grosso sbaglio.
Se ne sarebbe potuto andare in quello stesso istante e fingere che non fosse successo niente.
E lasciare perdere i suoi buoni propositi? No, mai.
Il suo sguardo vagò per il cimitero silenzioso e deserto soffermandosi sulla lapide per cui si era celebrata da poco la cerimonia, ricordava il momento in cui la ragazza aveva posato quel misero mazzo di lavanda e gli era sembrato di vederla fragile, tanto quanto un semplice umano, era stato quello a dargli la speranza, la certezza che umani e creature Oscure non fossero tanto dissimili.
La pioggia continuava a scendere insistente e non si accorse della presenza dietro di sé.
La ragazza era arrivata ed era appoggiata con la spalla destra al tronco, con un’ espressione insofferente e sorpresa, probabilmente non si aspettava di trovarlo lì.
Aveva il cappuccio abbassato e la lunga treccia scura si appoggiava al suo petto, ciuffi di capelli scuri le incorniciavano il volto pallido. Si perse a osservare i suoi lineamenti e notò qualcosa di diverso rispetto a prima, gli occhi, ma prima che potesse parlare la ragazza prese parola.
“Non hai ancora risposto alla mia domanda” L’ espressione del ragazzo di fece momentaneamente dubbiosa, poi ricordò l’ unica cosa che gli aveva chiesto.
“Sono Rhies figlio del re Eiron” La ragazza fu piacevolmente sorpresa.
Il viaggio per raggiungere la reggia sarebbe stato lungo e l’ idea di dover vivere in un ambiente del genere la infastidiva, e non poco, temeva che troppi ricordi sarebbero tornati a farle visita. Vivere in una reggia, circondata da gente boriosa, che entusiasmo. Avrebbe preferito vivere in una mezza catapecchia come era successo da lì a due anni prima.
“Tu invece dovresti essere un mutaforma” Disse lui con aria risoluta.
“Da cosa l’ hai dedotto?” Disse lei infastidita.
“I tuoi occhi, prima erano del colore dell’ ambra, mentre ora sono neri” La ragazza si portò la mano al viso e con il pollice si accarezzò un paio di volte il labbro inferiore voltandosi leggermente, stava riflettendo e sembrava annuire impercettibilmente. Cosa che fece illudere il figlio del re.
“Sei totalmente fuori strada” Quest’ affermazione spiazzò il principe, se era davvero così non aveva la più pallida idea di chi lei fosse.
Si aspettava che la ragazza si rivelasse, cosa che non fece, e questo lo fece irritare.
“Tu invece? Si può sapere chi sei?” Chiese lui con arroganza. Lei si voltò e guardandolo male, non rispose.
“Beh, ho il diritto di saperlo.” Il suo tono si era alzato e lei era visibilmente infastidita. Si avvicinò al ragazzo e lo prese per il bavero attirandolo più vicino a sé.
“La prossima volta che fai un’ offerta del genere assicurati prima con chi tu stia parlando, questa volta hai fatto un grave errore e ora ne pagherai le conseguenze.” Gli sussurrò lei. Il ragazzo tentò di liberarsi dalla stretta della ragazza, inutilmente
“Non osare toccarmi! Sono il figlio del re!” A quel punto la rabbia della ragazza trabocco e scuotendolo gli rispose.
“Ascoltami bene, insulso umano, se qui c’ è qualcuno che deve portare rispetto allora quello sei proprio tu.” Ringhiò lei.
E proprio in quel momento vide ciò che non si sarebbe mai immaginato.
Gli occhi della ragazza si tinsero di rosso cremisi. Ma aveva notato un’ altra cosa, mentre lei parlava aveva visto i suoi canini fin troppo lunghi, anzi, sembrava che lei glieli avesse mostrati di proposito.
Che fosse un vampiro? Possibile? Eppure sapeva che si erano estinti tutti. Non poteva crederci.
La ragazza sembrò notare la sua espressione e i suoi occhi si velarono di tristezza poco prima di lasciare il ragazzino, che perse quasi l’ equilibrio.
“Sei… davvero un vampiro?” Lei sospirò.
“Si, uno dei pochi rimasti.” Rispose tristemente, la storia del suo popolo era alquanto drammatica e non poteva dire che non fosse a causa sua.
“Ero certo che si fossero estinti tutti.” Alla ragazza quella parola non piacque, estinti, sembrava parlasse di animali.
“Siamo rimasti in pochi,” In effetti erano solo in due, o massimo tre. “molto pochi.” Ma lei ormai non si considerava più un vampiro, era stata rinnegata dai suoi simili e da sé stessa, ma di certo non era neanche umana, né avrebbe mai voluto esserlo.
Il silenzio si fece pesante.
“Che strana spada.” Disse lui per interrompere il silenzio e cambiare argomento, in effetti aveva notato la sua particolare spada, la portava sulla schiena a tracolla ed era lunghissima.
“Da che parte dobbiamo andare?” Chiese lei ignorando totalmente la domanda che le era stata fatta.
Quella spada faceva parte del suo oscuro passato, e quello non era il momento per ricordare.
Il ragazzo rimase un attimo interdetto, poi pensando che non sarebbe stato saggio insistere rispose alla sua domanda.
“Dobbiamo andare a Nord, uscire da questa città, proseguire per la Foresta Nera ed entrare a Ethis. La reggia è nel centro-città, quindi non impiegheremmo molto tempo per raggiungerla” Immaginò l’ intero viaggio e pensare di farlo accanto ad una creatura Oscura, più precisamente con uno degli ultimi vampiri, non lo rassicurava affatto.
“Posso almeno sapere il tuo nome?”
“Neah.” Rispose lei dopo un lieve sospiro.
 

Camminarono tutto il giorno, praticamente senza mai fermarsi. La pioggia si era fatta leggera ma continuava, incessante, a scendere.
Si era fatta quasi sera quando raggiunsero una squallida locanda al confine della città.
Un’ omaccione sedeva dietro al bancone con un boccale di birra in mano e quando li vide quasi cadde dalla sedia per la sorpresa di avere dei clienti che non fossero i topi.
“Come posso servirvi?” Nonostante le apparenze i suoi modi non erano affatto bruschi.
“Vorremmo un posto per mangiare e una stanza per dormire questa notte.” Rispose il principe mentre la ragazza si scrollava dall’ acqua.
“Certamente, accomodatevi al tavolo che preferite” Disse alzandosi per prendere un paio di chiavi da sotto il bancone. “Ecco le chiavi.”

Spera solo che ci siano i letti separati altrimenti… Oh, Andhera, non ne posso più. Pensò la ragazza prendendo dalle mani del grassone le chiavi, pronta a dirigersi verso la stanza senza mangiare.
“Aspetta Neah, non mangi?” Lei, che già aveva messo un piede sul primo scalino, si voltò e guardò il principe con un sopracciglio alzato, senza dire niente, sperando che capisse la stupidata che aveva appena detto.
“Ah.” Disse solo, abbassando lo sguardo sul tavolo ancora vuoto e il viso in fiamme, lo rialzò quando sentì i passi della ragazza iniziare a salire le scale, rimase a fissare la sua schiena scura interrotta solo dal fodero bianco della lunga spada fino a che non scomparve dalla sua vista.
Solo in quel momento, dopo parecchie ore, riuscì a rilassarsi e a stendere tutti gli arti contratti.
Sospirò quando gli venne messo sotto il naso una scodella di minestra fumante. Era deciso in quello che faceva, voleva raggiungere il suo obbiettivo, anche a costo di andare contri i prìncipi del padre.
Ma stava davvero facendo la cosa giusta?

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Capitolo 4
*** Sorriso beffardo. Parte 1 ***


Ed ecco per voi un nuovo capitolo con nuove risposte (forse D:)  e altre domande.
Quindi… ringrazio innanzitutto tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui e che non sono scappati alla Home, sopprtattutto chi recensisce (Jo e Smollo05 :D mi sono fatta una nuova amica u.u).
Passando al capitolo; questa è solo la prima parte perché scrivervi tutto quello che avevo intenzione di pubblicare sarebbe venuta fuori una cosa esageratamente lunga D: quindi ci sarà una seconda parte, già…
Sinceramente non so bene cosa dirvi… Non sono riuscita a trovare una canzone per questo capitolo ç_ç    Quella sotto citata la utilizzarò nel prossimo capitolo… quindi boh, leggerete ascoltando i sinistri scriccholii della vostra casa Muahahahah D:
Si, adoro questa faccina D:
Buona lettura gente ^^

Capitolo 4 – Sorriso beffardo. 

Parte 1

2° Anno del Crepuscolo

“Nessun rimorso perché mi ricordo ancora il sorriso che avevi quando mi lacerasti.”

[Within Tempation –Angels]

Faceva dondolare nervosamente le chiavi tra le mani sperando che la porta davanti alla quale si trovava fosse quella giusta.
Infilò la chiave nella toppa arrugginita e sospirò di sollievo quando, aprendo la porta, vide che i due letti erano separati.
La stanza non era delle più grandi, ma non sembrava ridotta molto male, a parte le macchie di umidità sui muri e le crepe sul vetro dell’ unica finestra, sembrava quasi accogliente.
Si avvicinò al letto più vicino alla finestra e dopo averci buttato sopra le chiavi ci si sedette, un vuoto allo stomaco momentaneo, la mancanza di appoggio… il letto era sfondato. Sbuffò stizzita e provò con l’ altro giaciglio ottenendo lo stesso deludente risultato.
Si tolse la spada e la gettò sul letto accanto alle chiavi, l’ arma occupava quasi tutta la lunghezza del letto.
Si avvicinò alla finestra malridotta e guardò il cielo ora limpido e la luna che era appena sorta, un piccolo spicchio solitario troneggiava appena sopra la vegetazione della Foresta Nera come un sorrido beffardo.

 2 anni prima.
1 ora e 30 minuti alla Cerimonia della Successione.

Il vento dell' alba le lambiva i capelli scuri a la pelle pallida. La battaglia era finita e avevano vinto, era stata lei stessa tagliare la testa al re degli umani.
Per lei era una battaglia come un’ altra, una delle tante.
Teneva le mani appoggiate al corpo duro e chiaro sotto di lei, si crogiolava nella familiare sensazione di vuoto allo stomaco che provava tutte le volte che volava e nel familiare rumore delle ali che tagliavano l’ aria.
Ripercorse con lo sguardo il corpo del drago sul quale stava volando, azzurro pallido e blu notte, creatura antica e senza nome devota al suo padrone fino alla morte. Suo compagno a vita.
La battaglia era finita, le creature Oscure avevano vinto.

45 minuti alla Cerimonia della Successione.
Si osservava allo specchio mentre le serve le aggiustavano per l’ ultima volta l’ abito di cuoio e piume d’ arpia. La gonna lunga arrivava a terra e il corpetto le lasciava la pancia e la schiena scoperte e fasciava perfettamente il suo seno, il collo pallido non era abbellito da nessun inutile gioiello, i capelli erano raccolti dietro una specie di corona che svettava sulla sua pallida fronte, gli occhi abbelliti di trucco rosso spiccavano sull’ abbigliamento nero.
Le serve aggiustarono per l’ ultima volta le piume nere sulla sua schiena.
“Mia signora, abbiamo finito” Disse una inchinandosi.
“Usate pure il mio nome, non c’è bisogno di tutti questi formalismi.” Rispose lei accennando un sorriso, girandosi per metà per osservare il proprio riflesso.
“Rose” Un attimo di esitazione “sei stata tu a uccidere il re degli umani, vero? Ti siamo riconoscenti.” Lei sospirò ripensando a quello che era accaduto un paio di ore prima.
Il corpo del re era sotto di lei, era pronta a mettere fine alla sua vita. La spada era puntata alla sua gola e i suoi occhi imploravano pietà.
Non sentiva nessun dolore, il suo cuore di pietra non sentiva niente, solo un’ immensa gioia nell’ atto di sgozzare il mal capitato. Lentamente, la pelle rosea si apriva in un fiore scarlatto, il sangue colava copioso, la vittima gorgogliò un’ ultima volta sputando sangue.
Il liquido viscoso era sulle sue mani e tutt’ intorno, un paio di occhi vacui la fissavano. La sua lunga spada aveva mietuto un’ altra vittima.
Ala d’ Argento aveva trionfato di nuovo.
Automaticamente le sue labbra si stirarono in un sorriso di piacere nel ricordare la sensazione che le dava sentire il sangue sulle mani.
“Si. Ma ora andate, rischiate di perdervi la festa.” Le serve si congedarono e uscirono dalla stanza. Sospirò un’ ultima volta prima di sistemarsi il tessuto tanto leggero da sembrare impalpabile della lunga gonna e uscire per recarsi al salone principale.
Il salone era ghermito di creature Oscure, dai vampiri ai mutaforma alle ninfe ai centauri, c’ erano anche un paio di chimere.
La maggior parte della gente aveva in mano un calice da cui beveva felicemente e quando la videro entrare tutte le coppe si sollevarono accompagnate da grida di entusiasmo.
“Ala d’ Argento!” Gridavano le voci. “Lunga vita.” Lei si lasciò scappare una breve risata.
“Per stasera chiatemi Rose, sono qui per festeggiare con voi!” Detto questo tutti brindarono alla nuova era che sarebbe venuta. Si lasciò trasportare dalla festa fino a che una viera non le si avvicinò.
“Ehi Rose, che fine ha fatto tuo padre? Non dovrebbe festeggiare con noi?” Lei si guardò intorno accorgendosi solo in quel momento che non aveva ancora visto il padre.
“Si starà ubriacando nella sua camera, tranquilla ora vado a chiamarlo.” Disse con un mezzo sorriso, per poi dirigersi verso la direzione da cui era  arrivata poco prima, muovendosi tra i corpo accalcati con tanta eleganza da dare l’ impressione di ballare.

30 minuti alla Cerimonia della Successione
“Nobile padre, dove siete? Mancate solo voi.” Si mise a chiamarlo nel corridoio buio che portava alla sua stanza.
Sbuffò quando giunse davanti alla sua porta, fece per bussare ma si accorse che era socchiusa e che dall’ interno provenivano due differenti voci.
“L’ esito della battaglia è stato positivo esattamente come lei aveva predetto.” Si mise di fianco alla porta, appoggiata al muro, in modo da aver la maniglia della porta fuori portata, quando la questa si sarebbe aperta del tutto, lei sarebbe rimasta nascosta dietro di essa.
“Naturalmente, l’ Ala d’ Argento ha svolto il suo lavoro alla perfezione, ma il suo ruolo non è ancora giunto al termine.” Riconobbe questa voce come quella di suo padre.
“Ha davvero intenzione di usarla come sacrificio alla dea Andhera questa notte?”
“Certamente” Rispose scorbutico “devo assolutamente appropriarmi di quel potere.”
“Capisco, si ricorda cosa deve fare, vero?”
“Certamente.”
“Ah, si assicuri che sua figlia non venga a saperne niente, la persona da sacrificare sull’ altare del Tempio Nero deve provare amore per lei, sarebbe un disastro se cambiasse i suoi sentimenti, e si assicuri di farlo allo scoccare degli anni del Crepuscolo. Altrimenti sarò tutto vano.”
“Si, si, lo so.” Ribatté il padre spazientito. “Puoi congedarti pure.” Quello era un modo più o meno cortese per mandare via la persona con cui stava parlando.
Rose si appiattì da un lato della porta, e quando questa venne aperta ne venne nascosta.
“Ah, vorrei farle un’ ultima richiesta.” Rispose il silenzio, segno che avrebbe potuto proseguire.
“Mi chiedevo se,  dopo la sua morte ovviamente, potessi ereditare la sua spada” Chiese la voce dello sconosciuto speranzosa, acuta e spiacevole, le ricordava il suono fogli strappati.
“No. Ala d’ Argento appartiene a me.” Una risposta categorica e un sospiro scoraggiato.
“Capisco.” La figura avanzò di qualche passo, così che Rose riuscisse a vedere di chi si trattasse; una figura alta e pallida, dal profilo affilato e i lunghi capelli argentei. Vestito con abiti di pelle scura si confondeva perfettamente con l’ oscurità del corridoio.
“Assicurati che i Generatori non ci disturbino.” Vide la figura sorridere lievemente.
“Per questa sera non saranno un problema, ve lo posso assicurare” Dopo aver chinato leggermente la testa, si diresse verso il salone.
Attese, con i brividi che le correvano sulla schiena come un mare in tempesta, con il cuore che batteva tanto forte da sembrare che volesse uscire dalla cassa toracica.
No, non poteva essere, era sbagliato

20 minuti alla Cerimonia della Successione.
I corpi  ghermivano il salone muovendosi e parlando fra di loro, mentre Rose si spostava, frenetica, in cerca di una persona. Nella mano destra che teneva al petto portava una chiave nera con decorazioni azzurre e rosse, la stringeva convulsamente nella paura di perderla. 
Camminava il più velocemente possibile, a volte si metteva a correre ma  scontrava sempre qualcuno –spesso i sederoni dei centauri- doveva trovarlo.
Quando meno se l aspettava se lo ritrovò davanti, un ragazzo alto con lunghi capelli neri e le orecchie a punta che spuntavano dai capelli, i suoi occhi erano del colore del ghiaccio. Instintivamente Rose gli buttò le braccia al collo stringendolo forte a sé e lui ricambiò la stretta.
Aveva il respiro affannato e il cuore che batteva forte e al contatto con il suo corpo, quest’ ultimo fece una capriola per poi adattarsi al ritmo del cuore dell’ elfo, calmo e tranquillo.
Rose sospirò di sollievo e un lieve sorriso increspò le sue labbra.

10 minuti alla Cerimonia dell Successione.
Camminavano uno dietro all’ altro, la ragazza davanti e l’ elfo dietro, tenendosi per mano.
Quante volte Rose aveva stretto quella mano senza fare caso al calore rassicurante che emetteva. Le loro dita erano incrociate come un nodo impossibile da sciogliere, i loro passi risuonavano nell’ angusto corridoio.
“Dove andiamo?” Chiese curioso l’ elfo, la sua voce non tradiva nessua preoccupazione, solo curiosità.
“In un posto speciale.” Gli rispose in un sussurro, stringendo la mano che ancora teneva in petto, sentiva le decorazioni della chiave farle male al palmo tanto la teneva stretta.
In pochi minuti si trovarono di fronte ed un immenso portone scuro con le medesime decorazioni della chiave nella mano di Rose, era altissimo e imponente, e all’ altezza degli occhi vi era una serratura grande quanto la testa di una persona, ma lei sapeva che quella non era la vera serratura, infatti ve ne era una molto più piccola appena sotto, fatta apposta per la chiave che teneva stretta la ragazza.
Infilò la chiave nella toppa, diede mezzo giro e le immense porte di socchiusero.
“Vieni.” Disse lei trascinando l’ elfo attraverso il piccolo passaggio che si era formato.

5 minuti alla Cerimonia della Successione.
I loro corpi erano attaccati appoggiati all’ altare del tempio, stretti un un passionale abbraccio, le loro labbra danzavano al ritmo scandito dal loro cuore.
Si staccarono un attimo per riprendere fiato e l’ elfo appoggiò le mani sul volto splendido della fanciulla della quale si era innamorato. La guardò negli occhi e tentò di imprimere nella mente quell’ immagine.
Lei che lo guardava con uno sguardo languido e sereno, sorrise lievemente e mise le sue mani su quelle dell’ elfo.
“Di che colore sono?” L’ elfo ricambiò la sguardo e riprese a baciarla, senza rospondere alla domanda. Che bisogno aveva di sapere che colore avessero i suoi occhi? Era splendida in qualunque momento .

Dimmi, di che colore è la paura?
3 minuti alla Cerimonia della Successione.
“Dimmelo.” Il corpo della ragazza premeva su quello dell’ elfo, le sue labbra morbide facevano su e giù sul suo collo, arrivavano al lobo dell’ orecchio per poi tornare giù fino alla clavicola. Lui, nonostante fosse chiuso tra quel corpo caldo e il freddo marmo dell’ altare di quel tempio in cui non sarebbero mai dovuti entrare, non si sentiva minimamente in trappola, né era spaventato o tanto meno preoccupato, sentiva solo pace e felicità e tanto, tanto amore.
“Ti amo” Disse lui stringendola a sé. E quelle furono le ultime sue parole.
Le labbra della ragazza si stesero in un sorriso di trionfo prima di aprirsi proprio come se un predatore stesse per azzannare il collo della sua ingenua preda, e fu quello che successe. La pelle pallida del collo del ragazzò venne lacerata da canini appuntiti e subito il sangue iniziò a colare nella sua gola e sul chiaro altare, macchiando quel posto di un peccato che mai sarebbe stato cancellato.
L’ elfo inizialmente non si preoccupò di quello che realmente stava succedendo; già altre volte aveva donato il suo sangue alla sua amata, era normale ormai, era quasi come baciarsi, ma solo quando la vista iniziò a vacillare e la sua mente farsi fiacca capiì che lei non si sarebbe fermata, ma non potè fare niente perché l’ oscurità l’ aveva avvolto.
Mentre beveva il suo sangue le turbinò per la mente un’ immagine: il suo nobile padre, che furioso, girava per il salone in cerca della sua amata Ala d’ Argento da sacrificare su quel tempio che lei stessa stava sporacando.

Pochi minuti dopo la Successione.
Era successo tutto troppo in fretta.
Era stata strappata dal suo banchetto.
Il suo viso era incrostato di sangue e non solo quello.
Il suo sangue stava imbrattando i suoi abiti  e il pavimento.
Senza sapere come, ora era riversa per terra.
Con un pugnale di biancospino conficcato appena sotto la clavicola.
La rappresentazione della dea Andhera sopra l’ altare sembrava incolparla con quei suoi cupi colori.
Respiarava affanosamente e volgendo lo sguardo alla sua destra vide chi si aspettava.
Suo padre. Con una dozzina di guardie dietro di lui armate di lance in legno chiaro.
Il dolore era fortissimo, tale da paralizzarla e mozzarle il respiro.
“Forse siamo ancora in tempo” Disse lui posando con rabbia una mano sul pugnale in legno conficcato ancora nella sua carne e nascondere un sorriso nel sentire la figlia gemere per il dolore. “Rose…” Ma lei non lo lasciò iniziare.
“Ti odio” Gli disse dopo avergli sputato in faccia del sangue.
La pressione sulla lama si fece più pesante.
Mani scure ghermirono i suoi arti tentando di trascinarla nell’ incoscienza, con un ultimo sforzo guardò in alto, vero il cielo stellato e quello spicchio di luna che sembrava un sorriso beffardo.
Quel sorriso era un’ ultimo addio alla vampira Rose. Si sentiva sprofondare lentamente verso l’ oblio, era una caduta lenta ed inevitabile mentre l’ oscurità intorno a lei si faceva sempre più buia, sentì Rose morire e abbandonare la sua mente, lasciando solo una fredda assenza che ben presto venne sostituita da una creatura senza pietà né sorrisi.
Non stava affatto cambiando, la sua mente era morta.
In quel momento nacque il
sacrificio, Neah.

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Capitolo 5
*** Sorriso beffardo. Parte 2 ***


Siiiiiiiiiiiii!!!!! Sono felice di essere riuscita a pubblicare questo capitolo, e devo dire che mi ha soddisfatta –abbastanza-.
Quindi, che posso dire? Ah, si! Sono lieta (no, per niente u.u xD) di comunicarvi che questo capitolo darà qualche risposta, anche fin troppe… credo. xD
Ringrazio tutti coloro che in questo momento stanno leggendo la mia fic e tutti quelli che recensiscono (Jo che è sempre presente e Smollo05 che.. beh…<3 ecco, ho reso l’ idea?!)
E questa volta, bella gente ho la canzone per il capitolo :D eccola -> http://www.youtube.com/watch?v=WBTtWv5Cug8 (solita storia del volume) è quella che mi ha accompagnato nella scrittura, dopo aver ascoltato troppa musica giapponese e pseudo-metal xD ^^ Enjoy!!! :D
Ah, dimenticavo! Nel prologo ho inserito un’ immagine che raffigura Neah, Rhies e … ^^ se vi va dateci un’ occhiata.

Dalla fine di questo capitolo in poi la storia riprenderà da dove l' avevamo lasciata (la locanda).
Buona lettura!

Capitolo 5. Sorriso beffardo. – Parte 2

Preludio del primo anno del Crepuscolo.

 

“I sentimenti sono intensi le parole sono insignificanti i piaceri rimangono così come il dolore.”

[Lacuna coil – Enjoy the Silence]

 

    Avrebbe accettato qualunque cosa per la sua vendetta.
Sotterranei.
La sua coscienza tornò lentamente, facendole capire più o meno in che posto si trovasse in quel momento, era riversa a terra su un fianco, era sdraiata su qualcosa di umido e freddo e puzzava di chiuso. In lontananza si poteva udire il lento gocciolio dell’ umidità.
Aprì gli occhi e inizialmente non vide nulla. Sbatté più volte le palpebre cercando di ottenere una visione migliore; sbarre in legno scurissimo si incrociavano a un paio di metri da lei, i muri circostanti erano sporchi e impregnati di umidità, accanto a lei un misero mucchio di paglia mezza marcia che sarebbe dovuta essere il giaciglio. Se si fosse messa a raggruppare i fili di paglia avrebbe ottenuto al massimo un appoggio per la testa, altro che letto.
Ma inizialmente non si era accorta di una presenza tremante rannicchiata in un angolo della cella, tentò di voltarsi ma un forte dolore sotto la clavicola la fece gemere e la obbligò a terra. Esaminò la ferita, era infiammata e profonda, gli abiti erano imbrattati di sangue.
Sbuffando tentò di girarsi muovendosi il meno possibile e inquadrare l’ esile figura.
Aveva l’ aspetto di un ragazzino di circa tredici anni, ma aveva un paio di orecchie da lupo che gli spuntavano dagli scuri e scompigliati capelli.
Un mutaforma.
“Ragazzino, come sei finito qui dentro?” Quando lui sentì la sua voce roca sussultò stringendosi ancora di più le ginocchia al petto.
“Ho rubato.” Disse con voce flebile.
“Allora non resterai a lungo qui, buon per te.”  Il ragazzino si sentì incoraggiato a proseguire la conversazione, o quantomeno a parlare.
“E tu come mai sei qui?” Chiese timidamente. Un brivido gli corse lungo la schiena  quando vide un paio di occhi rossi trafiggerlo.
“Come ti chiami, piccolo?” Il ragazzino si sentì quasi offeso quando si sentì chiamare in quel modo, ma preferì non contestare e rispondere alla domanda.
“Aledari, tu sei Rose, l’ Ala d’ Argento?” Il suo tono di voce si riempì di speranza e curiosità, una leggenda… in una cella?
“Mi chiamo Neah.” Disse sospirando, Rose era scappata dal dolore e dalla delusione, lasciandosi sola. Ora era una persona
diversa.
“Dimmi piccolo, hai qualche arma?” Vide il ragazzino scuotere la testa scatti.
Neah si passò leggermente la mano sulla ferita ancora aperta, fremendo per il dolore, mentre la sua gola sembrava prendere fuoco.
“Allora sei inutile.” In un lampo fu addosso al ragazzino, con le fauci attaccate al suo collo.
Il ragazzino in un primo momento non si accorse neanche del suo spostamento, ma quando sentì un dolore lancinante alla gola che sembrava estendersi in tutto il corpo, iniziò ad agitarsi, mentre sentiva il sangue fluire via insieme alla vita.

 
Sentì due tipi di passi in lontananza, ben distinti l’ uno dall’ altro.
“In che cella si trova?”
“L’ ultima a sinistra, mio signore”
I passi si fecero sempre più vicini, mentre la ragazza si rannicchiava su se stessa con le testa incastrata tra le ginocchia e ancora una volta la sete le mandava in fiamme la gola.
Non provava più nulla, la consapevolezza di essere in cella con un morto non le dava nessun fastidio. Il sangue sugli abiti li  rendeva appiccicosi, ma non se ne curava minimamente. Non le importava di aver sporcato se stessa e la sua anima. Quello chela preoccupava era suo padre, l’ avrebbe uccisa ora? Era quasi del tutto certa che avrebbe finito i suoi giorni in quella squallida cella.
I passi si fermarono, lei non alzò la testa. L’ ultima cosa che voleva era vedere l’ espressione beffarda di suo padre.
Lo sentì chiamare una guardia, e subito questa accorse.
“Portate via il cadavere, e mettete almeno una guardia davanti a questa cella, diamine!”
“Subito signore.” E corse via seguito dal forte rumore dell’ armatura.
“Rose.” La chiamò suo padre con un tono incolore.
Alzò la testa svelando un paio di occhi rossi come tizzoni ardenti, straripanti di puro odio. Lo sentiva premere sullo sterno con furia, la necessità di far del male, glielo chiedeva la sua stessa natura; versare altro sangue.
L’ uomo sembrò quasi arretrare colpito da quell’ ondata di odio.
Arrivò una guardia, che dopo aver chinato il capo in segno di rispetto si posizionò con le spalle alle sbarre.
“Ti odio.” Sussurrò la ragazza mentre il padre parlava alla guardia.
“Portate via il cadavere e assicuratevi che si nutra per bene ogni giorno, deve restare cosciente durante il Giudizio.” Un tremito la percorse, il Giudizio, se l’ aspettava.
Suo padre non aveva intenzione di ucciderla, bensì di sottoporla a una pena ben peggiore.

Ti odio.
 
Tre giorni, le aveva concesso tre giorni prima del Giudizio e ogni giorno un nuovo carcerato veniva spostato di cella per essere dato in pasto alla bestia feroce. E ogni volta il corpo morto veniva strascinato fuori rendendo sempre più spessa la striscia di sangue sul pavimento, mentre la sua ferita sotto la clavicola andava velocemente a guarire.
Lei non tentava mai di scappare, l’ aveva presa una sorta di totale apatia, un forte sconforto, per di più sarebbe stato inutile, ogni volta che la guardia entrava veniva innalzata una barriera magica.
Lei lo studiava con i suoi occhi ardenti; i gesti ormai automatici per sfilare le chiavi dalla cintura e inserirle nella toppa, la lieve smorfia che faceva per forzare la serratura vecchia e arrugginita, la faccia schifata nella spostare il corpo e infine il sospiro di sollievo che faceva quando finalmente poteva tornare a fare la guardia fuori dalla cella, stando in piedi vicino alle sbarre di legno, forse troppo vicino.
Le ore passavano veloci e quando finalmente sentì i passi avvicinarsi sospirò –di sollevo-, era stufa di stare chiusa in quella fetida cella.
Un’ ombra si stagliò nell’ oscurità della cella. Alzò lo sguardo su suo padre che ricambiava il suo sguardo inespressivo.
“Tiratela fuori.”

Giudizio.
L’ avevano appesa, letteralmente. I polsi erano legati da una spessa corda fissata ad un apposito gancio, il suo torace era appoggiato ad un contorto tronco d’ albero, la schiena scoperta.
Sentiva dietro di lei la presenza di un paio di persone, una era suo parte, di certo, l’ altra era il druido con in mano un gatto a nove code su cui erano state applicate delle lame alle estremità.
“Comincia pure, e non fermarti fino a che non avrai finito.”
“Si, signore.” Detto questo il druido pronunciò una breve formula e alzando l’ arma iniziò a incidere sulla sua pelle pallida con estrema precisione.
I colpi risuonavano con forza, ogni colpo era perfetto e, per quanto potesse sembrare impossibile, ogni frustata tracciava una linea accurata, parte di un preciso disegno, la sua vista si offuscò ma non riuscì a cadere nell’ incoscienza che in quel momento desiderava come non aveva mai fatto.
Ogni colpo lacerava con violenza la sua carne e nonostante all’ inizio aveva tentato di non fiatare, non riuscì più a trattenere i gemiti e gli urli di dolore, niente lacrime però, non si sarebbe permessi di versare una goccia in più per colpa loro –che si trattasse di sangue o lacrime-.
Le balenò poi in mente un pensiero che fece accrescere il suo odio e la sua rabbia, un’ ipotesi; e se lei fosse davvero stata sacrificata da suo padre? La situazione in cui si trovava ora
lei, non si sarebbe manifestata per lui. Vero?
La  rabbia traboccava e cadeva la suolo insieme alle ultime gocce di sangue, il druido aveva finito il Giudizio, e come aveva voluto suo padre, lei era rimasta cosciente a soffrire per tutta la sua durata.
La lasciarono li per un bel po’ a perdere sangue, mentre le braccia si intorpidivano e il suo odio cresceva.
Poi sentì i passi leggeri del druido allontanarsi, il rumore di una porta che veniva aperta.
“Io ho finito, eseguite i vostri ordini adesso.” Parlò con le due guardie appostate fuori dalla porta e subito dopo si sentì il rumore delle armature che sferragliavano.
 

Non si capacitava di come mai lei si trovasse di nuovo in quella schifosa e lurida cella, a contorcersi dal dolore, per di più.
Le buttarono dentro almeno cinque prede in quei giorni e lei non poté fare a meno che nutrirsi. La gola prendeva fuoco subito dopo aver divorato la prima vittima, la sete non svaniva così come non svaniva la rabbia.
Un giorno poi fu diverso dagli altri.
Come di consueto aprirono la porta della cella e fecero entrare rudemente un ragazzo, il quale cadde rovinosamente a terra, sbuffando. Mentre la guardia tornava ad appoggiarsi pigramente alle sbarre.
Troppo vicino.
Il suo sguardo vagò nell’ oscurità per qualche istante, per poi soffermarsi su due punti rossi come braci nell’ angolo della cella, quelli di una creatura pronta a divorarlo. Istintivamente portò la mano agli stivali di cuoio, li dove teneva il suo pugnale, e sospirò di sollievo accorgendosi che era ancora lì. Lo sguainò ma subito si pentì per averlo fatto perché notò un guizzo poco rassicurante in quegli occhi.
La figura nascosta dall’ ombra si alzò rivelando la sua splendida pelle pallida che, nonostante fosse macchiata di sangue quasi ovunque, sembrava quella di una dea; si avvicinò lentamente, mentre il ragazzo tremava per la paura.
Si accucciò di fronte a lui e prendendolo per il polso lo torse fino a che la presa non fu abbastanza debole da poterglielo sfilare di mano, avrebbe potuto lasciarlo cadere ma il rumore avrebbe attirato l’ attenzione della guardia perché, ovviamente, prima di buttarti in cella venivi privato di tutte le armi in tuo possesso.
Lo sguardo del ragazzo era terrorizzato e tremava penosamente, non riuscì a muoversi neanche quando la ragazza si alzo silenziosamente per avvicinarsi alla guardia.
I suoi abiti scuri sembravano confondersi con la sporca oscurità della cella, i suoi movimenti erano sinuosi e silenziosissimi; la guardia non si accorse di lei fino a che qualcuno da dietro non gli mise una mano sulla bocca e dicendo; “Troppo vicino.” Lo sgozzò con il piccolo pugnale che poco prima aveva preso al ragazzino che in quel momento stava ancora tremando.
Il corpo cadde flaccido a terra senza emettere quasi nessun suono, Neah si mise a frugare fra le sue tasche in cerca delle chiavi della cella e quando le trovò, con poca fatica le inserì e facendole fare mezzo giro aprì la porta della cella. Sospirò quando finalmente poté assaporare la “libertà”.
Si voltò un attimo verso il ragazzino che ancora tremava e che con gli occhi strabuzzati fissava il cadavere della guardia riverso a terra.
“Vuoi rimanere li ancora per molto?” Gli occhi del ragazzo si sollevarono e, se possibile, si spalancarono ancora di più rischiando di farli uscire dalle orbite, nel vedere il mostro che si portava il pugnale gocciolante di sangue alle labbra.
 

Sbuffò, fissando con intensità lo spicchio di luna mentre ripiegava il cappotto ancora bagnato per poi avvicinarsi al letto sfondato e posarcelo sopra.
Alzò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi, sentendo i muscoli della schiena allungarsi e sospirare di sollievo, mentre la spina dorsale scricchiolava.
Indossava un semplice corpetto in cuoio scuro con una profonda scollatura sulla schiena e un paio di pantaloni di pelle aderente, il massimo di comodità per un viaggio.
Riabbassò le braccia facendo fuoriuscire il fiato dalle labbra che neanche si era accorta di aver trattenuto; il doloroso simbolo sulla schiena era tornato a farsi sentire, non era insopportabile, ma era abbastanza fastidioso.
Si portò le mani ai fianchi e si guardò nuovamente in torno, il suo sguardo si posò su un foglietto appeso sul muro sopra al suo letto, ma subito scivolò altrove*.
Si posò invece sulla sua lunga spada, che ora era appoggiata al muro, la sua Ala d’ Argento chiusa in un fodero fin troppo chiaro, il suo unico collegamento con il passato.
Passi risuonarono nel corridoio, poco dopo la porta si aprì.
Entrò Rhies con un lieve sorriso che gli increspava le labbra ma che subito si spense quando vide la ragazza di schiena, o meglio, quando vide la schiena della ragazza.
Si avvicinò lentamente con espressione incuriosita e leggermente intimorita, mentre lei lo guardava da sopra una spalla con occhi di puro ghiaccio.
“Che cos’è?” Chiese lui allungando istintivamente la mano verso quel simbolo tracciato con segni scuri –un pentacolo interrotto da una scura fascia circolare, sotto il quale c’era uno spicchio di luna, identico a quello che splendeva ora nel cielo-
Lei si voltò e con un movimento fulmineo colpì la mano del ragazzo.
“Non sono affari che ti riguardano.” Disse con voce di ghiaccio.

*
Nella Notte del Giorno e del Crepuscolo.

Illusioni vicine al cuore, lontane dagli occhi.

Illusi da poter stringere in un palmo la Luna.

Con i polmoni atrofizzati da un sospiro gelido.
 
Consci di avere il Sole tra le mani.

Questo lieve tepore nell’ anima basterà(?)

In una notte in assenza di stelle.

Scompare la nostra luce.

Su ali di cenere e polvere.

Intrappolata in un’ ombra, la nostra assenza.

Vola via il nostro oscuro destino.
Gelida sofferenza.

Gelida sofferenza.

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Capitolo 6
*** Sporchi di sangue. ***


Puntuale come non lo sono mai stata ecco a voi il quinto capitolo ^^
AVVISO IMPORTANTE: in questo capitolo ci sono delle parti con rating rosso –sono qelle precedute da due o tre asterischi rossi (due asterischi=rosso tre asterischi=ROSSO!) bene, quindi, ora vorrei consigliarvi una conzone da scoltare dopo questi tre cosetti -> * * * http://www.youtube.com/watch?v=04F4xlWSFh0&ob=av2n
Bene, i giochi di colori sono finiti, rigrazio tutti quelli che recensiscono: Sempre presentie Jo. Smollo05 *.* che non finirò mai di ringraziare, un po’ per tutto. Homicidal Maniac, grazie per le recensioni kilomentriche e tutti i messaggi privati *.*
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, sinceramente a io me lo aspettavo un po’ diverso ma un linea di massima è così che è stato pensato ed è venuto un tantino più lungo degli altri.
La parte iniziale l’ ho scritta per alleggerire un po’ il tutto (vi avviso, non sono brava con il genere ‘comico’) e per motivi di trama.
Spero di aver detto tutto, ma naturalmente dimentico qualcosa, comunque…
Buona lettura!

Capitolo 6 – Sporchi di sangue.

 

“C'è sempre qualcosa che va male, il sentiero che percorro va nella direzione sbagliata”
[Bullet for my Valentine – Tears don’t fall]

La stanza era avvolta dall’ oscurità più totale, ma in quel buio più si potevano scorgere appena due figure alte e robuste. Una si inginocchiò portando una mano al petto.
“Attendo ordini, mio signore” Disse alla figura che gli dava le spalle.
“Manda Zephit.” Un fremito di rabbia lo percorse.
Non lo sopportava, non era lui il cacciatore, non spettava a lui trovare l’ Ala d’ Argento; uno stupido elfo. –naturalmente l’ elfo in questione non era affatto stupido, tutt’altro, il fatto era che la persona giusta da mandare a cacciare sarebbe stato lui, quello davvero stupido, un licantropo può avere i sensi sviluppati quanto vuole, ma è un dato di fatto, loro non sono affatto intelligenti. Ma era la sua testardaggine di cane (si, di cane, non di lupo, lui non era degno di essere paragonato a quell’ animale intelligente) lo riempiva di orgoglio e cocciutaggine.
Fece fuoriuscire la rabbia con un sospiro un po’ troppo rumoroso alzandosi, mentre i suoi occhi d’ ambra luccicavano nel buio, lo scocciava enormemente parlare con Zephit, anche perché era molto difficile trovarlo sobrio.
Lo trovò solo il giorno dopo, in una squallida taverna mentre beveva da un bicchiere esageratamente grande.
“Ehi, Zephit!” Lui, che in quel momento aveva le labbra sul bicchiere spostò lo sguardo verso di lui inarcando le sopracciglia per la sorpresa.
Bevve un piccolo sorso e appoggiò il bicchierone sul tavolo scuro.
“Buonasera a lei, signor Elanor.” Disse l’ elfo inclinando la testa sulla spalla destra, mentre gli occhi si aprivano e chiudevano più volte per mettere a fuoco la figura che era in piedi di fronte a lui, forse il drink che aveva bevuto era troppo forte, o forse più semplicemente ne aveva bevuti troppi.
“A cosa devo questa visita?” Aggrottò le sopraciglia scuotendo lievemente la testa accorgendosi di non riuscire più a pronunciare nel mondo giusto le parole. O forse in quei drink c’era proprio qualcosa che non andava.
“Devi trovare l’ Ala d’ Argento.” Disse il licantropo fremendo di rabbia, non riusciva proprio a sopportarlo, gli avrebbe staccato la testa.
“E perché mai dovrei? Mi pagherai?” Disse lui con tutta la disinvoltura possibile, mentre le sue labbra si inarcavano in un sorriso che rischiò di trasformarsi in risata. Aspettate, lui non aveva intenzione di ridere, stava per caso perdendo il controllo della faccia oltre che della lingua? Che aveva quel drink?
“È lui a volerlo” Gli rispose riversando tutta la rabbia che aveva in corpo nelle sue parole.
“Oooh, rimpatriata di famiglia?” Di nuovo le labbra si stirarono in un sorriso, che però venne stroncato da un pungo del licantropo, che lo colpì sullo zigomo. Lo fece finire con la faccia sul tavolo mentre pronunciava una serie di ‘Oh, oh, ahi’ in protesta e le orecchie cominciavano a fischiare.
“Si aspetta un successo.” Detto questo il licantropo sputò per terra e uscì dalla stessa porta dalla quale era entrata.
L’ elfo alzò la testa e il dolore allo zigomo svanì immediatamente sostituito dalla delusione alla vista del il suo drink completamente versato sul tavolo.
“Accidenti” Disse sospirando. “Pazienza, cameriera! Me ne porti un altro.” Urlò alzando il bicchiere ormai vuoto.
“Certamente, glielo metto sul conto.” L’ elfo sussultò nel sentire quella parola.
Il conto. Assaporò mentalmente quella parola, come se non l’ avesse mai sentita prima cercando di capirne il significato; il cervello era andato proprio in pappa, maledetto drink.
“Oops.” Disse a denti stretti capendo il significato di quell’ orribile parola e rendendosi conto di non avere soldi con se. Quindi si alzò silenziosamente e sgattaiolò via con il grosso bicchiere che si era scordato di avere in mano.

Si sdraiò sul letto, fissando le macchie di umidità sul soffitto mentre il principe si guardava attorno osservando la non tanto squallida stanzetta.
Il suo sguardo vagò sui letti sfondati accompagnato da un sospiro, poi sulla finestra socchiusa e crepata che lasciava entrare la luce di una notte finalmente serena e della sua luna. Per ultima venne lei che con  espressione insofferente accavallava le gambe e cercava di sistemarsi meglio sul letto sospirando sommessamente. Perse forse troppo tempo a osservarla, non riusciva a smettere di fissare i suoi occhi, ora neri come pece; non erano due pozzi di tenebra in cui si era aspettato di affondare, erano come due porte chiuse ermeticamente, inaccessibili.
Lei spostò lo sguardo sul ragazzo senza muovere la testa per poi tornare a fissare il soffitto, sospirò e si voltò dandogli le spalle, la lunga treccia scura scivolò sulla sua schiena devastata e sulle coperte logore.
“È il caso che tu vada a dormire” Disse la vampira con voce fredda.
“Diciamo che non mi sento molto al sicuro.” Ammise il ragazzo.
“Tranquillo, non ho intenzione di mangiarti.” Il ragazzo sussultò nel sentire l’ ultima parola, aveva detto ‘mangiarti’ e non ‘ucciderti’ e di certo avrebbe voluto sentirselo dire. Mangiarti, che brutta parola da usare in quel contesto.
Le labbra di Neah si sollevarono lievemente in un sorriso. Non ora almeno. 
La luna era alta nel cielo e le stelle sembravano solo semplici comparse in confronto alla sua luminosità. La figura scura alzò lentamente il busto dal letto volgendo lo sguardo alla persona che dormiva nell’ altro giaciglio, le spalle si alzavano e abbassavano ritmicamente, sembrava dormire serenamente, anche se aveva capito che il suo era un sonno leggero, utile sui campi di battaglia e che sarebbe bastato poco per svegliarlo e lei di certo non aveva alcuna voglia che venisse a sapere delle sua attività extracurriculari.
Portò le gambe fuori dal letto mettendosi in piedi con un movimento fluido, poi, dopo aver sistemato le coperte e i cuscini in modo da far sembrare che in quel letto ci fosse qualcuno, si diresse alla finestra.
Era una notte fresca e calma, ed era certa di riuscire a trovare qualche malcapitato che magari vagava ancora per le strade.
Aprì la finestra issandosi sul davanzale, qualcosa le pizzicò lo stinco, abbassò lo sguardo. Filo spinato. Ma scherziamo?
Saltò giù mentre una nuvola passava sulla luna.

* *
La gola bruciava e il fiato non riusciva a passare per la gola, dalle sue labbra usciva solo un lugubre sibilo mentre le mani erano avvolte sul collo.
Respirava con grande fatica mentre sulle sue tempie sembravano stringersi due aste di metallo.
“Ehi, laggiù, va tutto bene?” Un passante era appena uscito dalla lussuosa taverna appena dietro l’ angolo, e assicurandosi che le strade fossero sicure a quell’ ora di notte aveva notato la figura che ansimava appoggiata al muro. Si era avvicinato un poco e quando aveva visto la figura scura scivolare per terra si e era precipitato a controllare, forse era una coincidenza, o forse solo un destino malevolo, ma fortunatamente era un medico.
Prese la persona per le spalle alzandogli il viso, e sul suo volto si dipinse un’ espressione stupita quando si accorse che si trattava di una giovane donna, dai lineamenti affilati e dagli occhi dello stesso colore delle ombre intorno a loro. Teneva le mani intorno alla gola e gli occhi erano socchiusi, ma prima che il medico potesse agire, o solo pensare di farlo un fortissimo dolore lo paralizzò; sentiva un liquido caldo sporcargli i vestiti, mentre denti aguzzi violavano la sua carne con una salda stretta sul suo collo, il dolore si propagava in tutto il suo corpo come un fuoco, mentre sentiva la vita colare via accompagnata dal tetro suono del sangue che veniva succhiato via. Tentò di urlare ma una mano pesante gli copriva la bocca.
La carne si lacerava ad ogni morso e fiotti di sangue schizzavano sugli abiti.

Che morte orribile. Si disse lui. Si sa, un umano ci mette tanto a dissanguarsi, soprattutto con ferite così di poco conto come potevano sembrare quei morsi.
I tendini si rompevano, i muscoli si laceravano sotto la pressione tagliente di quel denti che puntavano dritti alla giugulare. Furono minuti interminabili, il sangue usciva copioso e prima di morire il medico si ritrovò in uno stato di totale apatia, nella quale si rendeva conto fin troppo bene che stava per lasciare il modo dei vivi ma che nonostante questo non riuscisse a fermare quell’ orribile realtà o più semplicemente non riuscì a fare nulla per contrastarla.
La bocca si staccò dalla gola ormai priva di sangue, macchie scarlatte coloravano il suo viso e colavano sugli abiti scuri, mentre il corpo dissanguato giaceva vicino a lei.

* * *
Qualcosa lo ridestò dal sonno leggero in cui era caduto.
Non si era neanche accorto di aver spalancato gli occhi, fatto sta che ora stava fissando la finestra socchiusa da cui filtrava la luce della luna, fin troppo luminosa.
Qualcosa si mosse sotto il suo sterno, una sorta di nausea, una sensazione fin troppo fastidiosa e conosciuta.
C’ era qualcosa che non andava, davvero. Non ne era certo ma aveva avuto la sensazione che qualcosa là fuori si fosse mosso.
Così, come in un sogno, con gesti meccanici e più silenziosi possibili scese dal letto, il contatto con il pavimento freddo gli provocò un brivido lungo la schiena, ma sapeva che non era il brivido non era causato solo dal freddo.
Un’ ombra affusolata passò in verticale sulla finestra, con una velocità sorprendente.
Non riusciva più a deglutire, la nausea si era fatta ancora più forte, di certo alimentata dal puzzo di putrefazione che si faceva sempre più forte man mano che si avvicinava alla finestra.
Prima che potesse anche solo allungare la mano per aprire la finestra, il vetro si infranse scagliando schegge di vetro dentro la stanza.
Si ritrovò davanti un corpo affusolato che sembrava umano ma che in realtà non lo era affatto, infatti, l’ essere che ora era davanti a lui aveva al posto della braccia un paio di ali lunghe e sottili, le sue gambe erano dotate di artigli, la pelle cadaverica si scuriva avvicinandosi agli arti. Piume bluastre svettavano al posto dei capelli, mentre la bocca dotata di denti aguzzi era distorta in un urlo inumano.
Rhies arretrò fino ad avere le spalle al muro. Poi si rese conto che l’ imponente arpia non avrebbe aspettato che lui si muovesse per afferrare la spada vicino al letto per ucciderlo, o qualunque cosa volesse fargli.
Allora scattò mentre l’ arpia lanciava un altro agghiacciante urlo. Raggiunse la spada e l’ afferrò sfilandola dal fodero. Altre urla simili a quelle che aveva appena sentito risuonarono nella notte. Da solo non sarebbe mai riuscito a batterle.
Neah! Possibile che non si fosse svegliata con tutte quelle urla e quella terribile puzza di putrefazione? Fece due passi di lato mentre l’ arpia si avvicinava a passo malfermo a causa degli scomodi artigli.
Alzò i lenzuoli. Niente, solo qualche cuscino sistemato sotto le coperte.
Allora si voltò, pronto a fronteggiare la creatura.
Impugnò saldamente la spada, quando vide con grande orrore e sorpresa la testa dell’ arpia cadere a terra, accompagnata subito dopo dal resto del corpo. Un lago di sangue si allargava sotto il corpo decapitato, il sangue usciva copioso dalla ferita mortale che le era stata inferta, mentre dietro di esso troneggiava Neah, con in mano una grossa scheggia di vetro insanguinato e con viso e petto macchiati di un liquido cremisi, dello stesso colore degli occhi. 
La vide sospirare e lasciare cadere il vetro, per poi dirigersi verso il suo letto.
“Che sta succedendo?” Chiese lui riuscendo a malapena a staccare lo sguardo dallo scempio sul pavimento.
“Ci stanno attaccando, non te ne sei accorto?” Rispose lei come se stesse dicendo che stava per mettersi a piovere. Sbuffò e si chinò accanto al giaciglio.
“Quelle sono arpie, più precisamente arpie non morte,” disse mimando con le dita il segno delle parentesi mentre pronunciava il non. “Se vuoi ammazzarle devi tagliargli la testa. Di certo è opera dei Generatori, probabilmente mirano a me.” Finì la frase con una scrollata di spalle mentre allungava un braccio sotto il letto per afferrare la spada che aveva lasciato li sotto.
Ma non fece in tempo, perché dalla finestra entrò un’ altra arpia, molto simile alla precedente, che si schiantò contro il muro di fronte –rischiando di travolgere Rhies- prima di lanciarsi contro Neah, che non poté difendersi vista la posizione sconveniente, non ebbe neanche tempo per imprecare.
Le arrivò addosso con un impatto fortissimo ed entrambe finirono contro il muro; l’arpia la feriva con gli artigli mentre dibatteva furiosamente le smilze ali. Era messa male, non aveva armi e quasi tutti i colpi di quel dannato mezzo uccellaccio andavano a segno.
All’ improvviso l’ arpia di fermò, ma dopo pochi istanti ricominciò a dibattersi furiosamente, indirizzando i suoi colpi a casaccio.
Una lama sembrava essersi incastrata tra le vertebre del collo; la lama lo aveva tagliato solo per metà invece che mozzarlo.
La lama abbandonò la carne, schizzando sangue scuro tutt’ intorno.
L’ arpia sembrava voler urlare ma emise solo muti gorgoglii prima che la lama, con un fendente deciso la recise completamente. La testa cadde in grembo alla vampira che con una smorfia la lasciò cadere a terra. –la smorfia non era dovuta al disgusto che non provava, ma solo per il fatto di non poter berne il sangue, beh, in teoria avrebbe potuto, ma pensate che sia buono il sangue di un morto, morto due volte?-
“Colpire alla spalle, complimenti.” Si alzò scrollandosi di dosso la polvere.
Lui ignorò completamente il suo commento, piuttosto si mise a osservare i vestiti disastrati della vampira, gli abiti erano laceri, aveva sangue ovunque eppure sembrava non avere neanche un graffio.
La vide spostare lo sguardo sul letto, ormai distrutto a causa dell’ impatto con l’ arpia, non c’ era neanche un pezzo intatto e la sua spada era seppellita sotto di essa.
Sbuffò dirigendosi a passo deciso verso la finestra distrutta, scavalcando i due cadaveri che giacevano per terra. Si sporse leggermente guardando fuori.
“Ne manca una.” Disse più a se stessa che al ragazzo, ma non la vedeva da nessuna parte, ovviamente non potevano sapere che quell’ ultima si trovava proprio sopra le loro teste.
E proprio nel momento in cui Neah si voltò, l’ arpia entrò nella stanza a una velocità sorprendente colpendo in testa la vampira che cadde al suolo, poi si diresse con grande furia sul principe che pronto contrattaccò con la spada.
Ma il colpo dell’ arpia era andato a segno; con uno dei suoi artigli aveva ferito alla spalla destra il principe, che si trovò costretto a difendersi impugnando la spada con la mano sinistra. Ma aveva le spalle al muro e se avrebbe continuato così ci avrebbe rimesso la pelle, lanciò una rapida occhiata alla vampira che ora si stava lentamente sollevando tendendosi con una mando la testa, un rivolo di sangue colava dall’ attaccatura dei capelli, la testa le girava come se si fosse appena presa una sbronza.
Alzò lo sguardo e all’ istante si rese conto della situazione.
La spada era sotto le macerie del letto, ci avrebbe messo troppo.
Combattere a mani nude era fuori discussione.
Poi qualcosa le balenò in mente, allora si voltò e corse alla finestra, allungò la mano e quando sentì il freddo filo spinato fra le dita lo strappò dal cornicione con decisione, ferendosi le mani.
Sentì il ragazzo gemere, poi il rumore della spada che cadeva a terra.
Agì d’ istinto, facendo la prima e l’ unica cosa che avrebbe potuto fare.
Da dietro avvolse il filo spinato al collo dell’ arpia, incrociando i fili quando ormai il cavo era già avvolto, e iniziò a tirare verso l’ esterno, la pelle si lacerava, sia quella dell’ arpia che quella delle sue mani. Il sangue le schizzava sul viso, freddo, mentre l’ arpia iniziava a dibattersi disperatamente gorgogliando.
Tirò con più forza e la testa cadde.

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Capitolo 7
*** Svolta. ***


Ringrazio tutti quelli che sono arrivati a leggere fino a qui; Homicidal Maniac, Jo Shepherd, Smollo05 e tutti i lettori silenziosi.
Questo è un periodo un po’ così… dopo aver pianto (più o meno come una fontana) per aver visto il finale dell’ anime Nabari No Ou per la seconda –o terza?- volta in tutta la mia vita non so cosa mi sia preso, davvero; ho iniziato a comprare anche il manga che piano piano sto leggendo –ovviamente il finale sarà lo stesso dell’anime quindi temo che piangerò di nuovo-.
Ho riguardato (per la terza volta in vita mia) l’ ultimo incontro tra Zero e Ichiru (dell’ anime/manga Vampire Knight) e di nuovo mi sono scese le lacrime (ovviamente ho il manga anche di questo, e ovviamente mi rileggerò il passaggio…).
Ho guardato poi l’ ultimo filmato di Crisis Core e… Dio se è straziante.  Si, esattamente… fontana…
Nabari: uno Shinigami mi ha rubato il cuore çAç
Naturalmente dopo questa maratona di drammaticità mi sono messa a cercare vari video riguardanti le… hmmm, cose… riportate sopra. Conclusione? Mi fa male il cuore ç_ç mi sembro una masochista D: grazie per aver letto questo sclero.
Chiedo scusa per tutti i puntini di sospensione (io li ho sempre detestati u.u).

Chiudendo questa grande parentesi devo AVVISARVI!!
Probabilmente da lunedì prossimo non avrò più il pc, per cause di forza MAGGIORE e a tempo INDETERMINATO ç_ç io comunque continuerò a scrivere, probabilmente sulle ‘note’ dell’ Ipod o su fogli alla cazzo… comunque godetevi il capitolo ç_ç

Comunque, ho trovate la colonna sonora per questa fic! :D è ‘Zombie’ dei The Pretty Reckless
E la canzone per questo capitolo? Ma si, un po’ di Moondance fa sempre bene! ;) -> http://www.youtube.com/watch?v=oopBMLaIxQk Nightwish ovviamente!
Lo so che in questo capitolo succede poco, però cercate di capirmi, stavo scrivendo quando a un certo punto mi sono accorta che avevo già scritto fin troppo e ho dovuto far finire il capitolo.
Finalmente posso lasciarvi leggere ;)
Buona lettura!

Capitolo 7. Svolta.

“Avevo tutto, opportunità per l'eternità. E avrei potuto appartenere alla notte”

[The Pretty Reckless – Make Me Wanna Die] 

Non sapeva cosa fosse cambiato in lei da quel giorno, quando aveva sporcato l’ altare del tempio della dea Andhera. Aveva sentito suo padre parlare di un certo ‘Potere’ ma tutto in lei sembrava essere normale, solo una cosa era anomala; la sete.
Proprio in quel momento che si trovava in una stanza stretta e puzzolente, con il pavimento coperto da un tappeto di sangue e cadaveri la gola ardeva come fuoco.
Mentre le ferite si rimarginavano velocemente i suoi occhi vennero catturati dal liquido rosso che le copriva gli abiti mentre qualcosa sotto lo sterno premeva per uscire.
Il suo sguardo vagò sui corpi a terra, si soffermò su uno in particolare che portava al moncone che aveva al posto della testa un lungo laccio di cuoio e come ciondolo una rosa di cristallo rosso, un materiale assai pregiato e difficile da trovare. Quello non era un gioiello qualunque, una rosa di cristallo rosso rappresentava il fiore della vita. Neah non ne ricordava bene tutte le caratteristiche ma sapeva che quello era il simbolo della vita eterna o qualcosa del genere.

Chiudi gli occhi, respira.
“Dobbiamo andare via.” Beh, su quello non c’ era alcun dubbio.
“Naturalmente, l’ Ala d’ Argento ha svolto il suo lavoro alla perfezione, ma il suo ruolo non è ancora giunto al termine.”
“Ha davvero intenzione di usarla come sacrificio alla dea Andhera questa notte?”
“Certamente, devo assolutamente appropriarmi di quel potere.”

Quale potere, si chiedeva lei in continuazione.
Scesero le scale di corsa, lei con la spada che aveva riesumato dalle macerie del letto e lui che si teneva la spalla destra, ferita.
Giunsero nella hole e videro il tizio che li aveva accolti seduto sulla sua consunta poltrona dietro al suo vecchio tavolo con la testa riversa all’ indietro, la gola squarciata e un mucchio di sangue che impregnava la camicia un tempo bianca.
Di nuovo sulle tempie della vampira si strinsero sue aste di metallo mentre la gola prendeva fuoco mozzandole il respiro.
Fissò il suo sguardo sul quel colore ipnotico, mentre i suoi occhi lo catturavano, lasciando immutate le sue tonalità.
“Esci.” Sentì dire da qualcuno, si accorse dopo che era stata lei stessa ad averlo detto, rivolto al ragazzo che la guardava con aria preoccupata.
“Dobbiamo andare.” Disse senza smettere di fissare la schiena della vampira.
Lei si girò e lo fissò con astio, mentre il suo corpo tremava.
Aveva ragione però, dovevano andarsene subito, chiunque li cercasse sapeva dove erano, ma la sete non andava via. Il suo sguardo si posò sulla spalla ferita di Rhies, il quale continuava a guardarla con aria seria.
No, non poteva, anzi non doveva fargli del male; aveva bisogno di un posto dove stare e di qualcuno di cui nutrirsi… Era un pensiero cattivo, però in che altro modo avrebbe potuto metterla?
Scrollò lievemente la testa scacciando quel pensiero, perché si preoccupava tanto per Rhies? Era stato lui a fargli quella stupida offerta tempo addietro, ma ora la sete le bruciava il corpo e la tentazione era forte. Sentiva ancora l’ odore del sangue marcio delle arpie.
“Adiamo via.”
Si, doveva andare via, aveva già mangiato quella stessa notte, la sete di sangue non doveva controllarla.
Uscirono all’ aria aperta e la brezza fresca della notte fu come uno schiaffo in pieno viso, l’ aria all’ interno della locanda si era fatta soffocante e calda, irrespirabile e ora anche la sete di sangue di Neah sembrava essersi alleviata.
Portava nella mano destra il fodero con la sua spada e nell’ altra la collana che aveva preso all’ arpia. Se la rigirò tra le mani osservandone le sfaccettature che riflettevano la pallida luce della luna.
“L’ hai mai vista da qualche parte?” Gli chiese lei, alzando all’ altezza del volto la collana. Lui sembrò pensarci un attimo, dopo alcuni istanti il suo volto si illuminò.
“Certo, ce ne sono due sull’ insegna di una nota locanda appena prima della Foresta Nera, è sulla strada, basta seguire il fiume, possiamo arrivarci in mezza giornata.”
“Bene,” Si mise la collana, per non doversela portare in mano per tutto il tempo “partiamo subito, così potremmo darci una ripulita. Spero solo che questa persona sia davvero così stupida, ci ha detto esattamente dove si trova.” Sospirò scuotendo la testa, per poi pulirsi con il dorso della mano il mento ancora sporco di sangue.
Rhies aveva sorvolato sul suo aspetto in quel momento, ma non avevano di che preoccuparsi di come erano conciati, tanto a quell’ ora non c’ era nessuno per strada, no?
Un urlo lacerò la notte, un gruppo di persone era radunato all’ imbocco di un vicolo.
“Che cosa è successo?” Chiese il principe.
“Niente che ci possa interessare.” Rispose lei frettolosamente incamminandosi verso il confine di quella piccola città.
All’ imbocco del vicolo un gruppo di prostitute e baristi si era raggruppato intorno a un morto, era completamente dissanguato, lo conoscevano quasi tutti, era un buon medico. 

Avevano camminato per tutta la notte, o almeno per quel che ne rimaneva.
Il crepuscolo li aveva colti di sorpresa tingendo il cielo di toni chiari, mancava poco al fiume, ne sentivano lo scrosciare in lontananza.
I loro passi risuonavano nel silenzioso boschetto, le foglie macie crepitavano sotto i loro piedi mentre timidi uccellini salutavano il mattino.
L’ aria era fresca e frizzante, leggera e pulita.
Ancora un paio di metri e si trovarono sulla sponda del fiume dalle acque limpide che scorrevano placide.
Si pulirono il viso e gli abiti,  medicarono le ferite, più precisamente la ferita, quella di Rhies alla spalla, che si era rivelata estesa ma non molto profonda. Con non poco stupore notò che la pelle una volta pulita di Neah non aveva neanche un graffio, neanche il taglio all’ attaccatura dei capelli che era certo di aver visto bene, eppure si era accorto che l’ arpia che l’ aveva travolta l’ aveva ferita più volte, le Creature Oscure erano piene di sorprese e non sempre spiacevoli.
“Non mi aiuti?” Era pericoloso stuzzicare un vampiro, soprattutto mentre ci si stava ricucendo una ferita.
“Non giocare con il fuoco.” Disse lei serena mentre si sciacquava il viso con l’acqua fredda del fiume.
Tra loro era cambiato qualcosa, c’ era più leggerezza e il senso di gelo era quasi svanito del tutto, quasi. Forse era la consapevolezza di dover viaggiare insieme per parecchio tempo, forse era l’ impazienza di muoversi e scoprire perché quelle arpie li avevano attaccati, forse lui aveva capito che si sarebbe dovuto abituare ad averla vicina, visto che la stava per ospitare nella sua casa, se poi una reggia si può chiamare realmente casa.
Ma il turbamento restava, non tanto per il fatto di dover viaggiare con una Creatura Oscura, quanto subire le ire di suo padre, non aveva idea di come avrebbe reagito, non ne aveva proprio idea e di certo non avrebbe mai voluto saperlo, piuttosto altri dieci viaggi con la vampira dagli occhi ingannevoli, che in quel momento erano dello stesso colore delle acque limpide.
Si, nonostante la lunga camminata e l’ attacco alla locanda si sentivano decisamente meglio, era il fatto di dover condividere qualcosa, li faceva sentire sicuri, leggeri e sereni, anche se sapevano ben poco della persona che si portavano appresso.
Ma la fiducia si ottiene piano piano, in cambio di altra fiducia.
Anche se il suo cuore era circondato da quello che lei credeva essere un ghiaccio perenne si stava lentamente sciogliendo, non aveva paura di questo nuovo cambiamento.
“Pronto?” Chiese lei alzandosi e asciugandosi il volto.
“Andiamo.” Indossò di nuovo la maglia, ora pulita, e si alzò.
Il bruciore alla gola era svanito insieme alla sete, le fitte alla schiena dovute alla grossa cicatrice non si facevano sentire da un po’, la solitudine si era allontanata vedendo tutti piccoli segni chiari sulle braccia del ragazzo, di certo non era solo lei a soffrire, ma era tanto presa dal suo dolore da non accorgersi di quello altrui, non era l’ unica a portare cicatrici dolorose.
 

La locanda era praticamente deserta, tranne per un paio di ballerine che si muovevano al ritmo di strumenti scordati e qualche gruppo di persone sedute a tavoli differenti, l’ ambiente era decorato con una quantità esagerata di rose rosse.
Il tavolo più appartato era occupato da sei persone, cinque delle quali incappucciate con mantelli scuri e con un bicchiere completamente pieno sotto il naso. La sesta persona invece era praticamente sdraiata sul tavolo, e attorno alla sua testa si ergeva una quantità spropositata di bicchieri, ovviamente vuoti.
Il suo viso dai tratti affilati e le guance scavate rivelavano la sua sofferenza.
“Ho la testa che scoppia, fateli smettere per pietà!” Disse lamentandosi l’ elfo riverso sul tavolo. Sentì ridere uno degli uomini seduto accanto a lui.
“Non credevo che un elfo sbronzo potesse essere così divertente.” Ma lui ovviamente non li ascoltava, era troppo impegnato a tentare di alzarsi per andare a fermare quello che a lui sembrava un baccano assordante.
Dopo alcuni tentativi riuscì ad alzarsi ma un capogiro e una mano pensante sulla sua spalla lo costrinsero a sedersi di nuovo.
“Ah, la mia testa.” Si lamentò di nuovo, allungando furtivamente la mano verso il drink di uno dei tizi in nero, magari se avesse mandato giù qualcosa di fresco si sarebbe sentito meglio.
Raggiunse il bicchiere, lo afferrò e sotto gli occhi stupefatti dei suo compagni lo mandò giù tutto d’ un sorso.
“Allora Zephit,” Iniziò uno trattenendo a stento le risate “non ti sembra il caso di fare una pausa?” l’ elfo lo guardò male.
“Ma che! Non sono neanche ubriaco.” Rispose lui con la bocca impastata.
“Allora perché hai chiesto a noi di svolgere il lavoro che avresti dovuto fare te?”
“Perché ero ubriaco, semplice.” Rispose l’ elfo con un’ alzata di spalle. “Come faccio a lavorare da ubriaco? Piuttosto, spero che le vostre arpie abbiano svolto il lavoro come si deve, non voglio trovarmi l’ Ala d’ Argento puntata alla gola!” Prese un’ altro bicchiere da sotto il naso di uno dei tizi vestiti in nero e lo bevve a metà prima di fermarsi e trattenere un conato, poi mandò giù quello che rimaneva del drink.
“Mi raccomando, tenete la bocca chiusa, non voglio che lui venga a sapere che per trovare sua figlia ho fatto lavorare per me dei Generatori, mi mozzerebbe la testa di certo.” Continuò sbuffando, naturalmente stava parlando a vanvera.
“Si, si lo sappiamo bene.” Rispose uno con un gesto lascivo della mano.
“Sai pensavo che avresti tentato di avvelenarci con questi drink.” L’ elfo ubriaco lo guardò come se il tizio in nero avesse appena detto: ‘io non sono qui in questo momento, ora stai parlando con il muro’.
“E perché mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per di più questo non mi sembra il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di cristallo rosso e di, cosa sono quelle, ballerine?” Disse stringendo gli occhi per distinguere le figure che ballavano.
“Spero solo che lo abbiate fotto come si deve, non voglio farmi tagliare a fettine dall’ Ala d’ Argento.” In alcuni rari momenti in cui era ubriaco si poteva scorgere in lui la serietà che lo caratterizzava quando era sobrio, cioè quando si trattava di lavoro, per la maggior parte delle volte.
Si portò una mano allo zigomo gonfio che era stato colpito dal licantropo il giorno prima, gli faceva ancora male. Teneva lo sguardo puntato sulla porta, aspettandosi di vederlo entrare e abbattersi su di lui con furia.
E fu più o meno quello che successe, solo che dalla porta non entrò quello stupido licantropo. 

P.S. Con ‘Ala d’Argento’ intendo sia Neah, sia la sua spada che la sua cavalcatura.

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Capitolo 8
*** Caduta. ***


Ecco diciamo che non mi sembrava il caso di lasciarvi con quel settimo capitolo, ho preferito postare anche questo (per lasciarvi sulle spine, Muhahahaha!). Naturalmente la fic non terminerà così (lo scontro finale sarà assai più epico) –anche se ero assai tentata- sarò sempicemente costretta a prendermi una pausa, mi sto impegnando tantissimo per scrivere, ma ogni capitolo che scrivo mi piace sempre meno. Ringrazio tutti quelli che seguono questa storia (anche se ormai siete pochi D: ). Ma continuerò a impegnarmi sui progetti che sto mandando avanti.
Un bacio, buona lettura e alla prossima (sperando che non passi troppo tempo).

Capitolo 8. Caduta.

“Ancora, volete ancora che io cada di testa”
[The Pretty Reckless – Zombie]


Finalmente erano usciti dal bosco e in lontananza si poteva scorgere una casupola con un’ insegna storta sorretta da due rose rosse.
“Ci siamo.” Sogghignò.
“Se ti mordessi ti faresti male, molto.” Rammentò il piccolo discorso che avevano avuto in riva al fiume, mentre lui si cuciva la ferita. “Dicono che non ci sia dolore peggiore.”

“Non diventerei un vampiro?” Aveva chiesto lui dubbioso.
“Ma che?!” Lei lo aveva guardato come se avesse detto un’ enorme assurdità.
“Hai mai visto un cane mordere un gatto?” Chiese lei.
“Si, e allora?” Aveva risposto lui alzando le spalle.
“E hai mai visto quello stesso gatto diventare un cane?” Sul volto del ragazzo si era dipinta un’ espressione interdedda mentre cercava di capire quel paragone.
“No.” Rispose incerto.
“E allora?!” Disse lei scuotendo la testa, in effetti il principio era lo stesso, spigato però in modo assurdamente banale e contorto.

Giunsero di fronte al bar, da dentro giungeva il suono di strumenti scordati, nient’ altro.
Neah portava a tracolla la sua lunga e sottile spada e nella mano sinistra portava la collana con la rosa.
Entrarono e quello che videro furono una decina di tavoli, dei quali solo uno era occupato da sei persone, cinque delle quali era impossibile riconoscere perché incappucciate. La quinta persona era appoggiata allo schienale, con una mano sulla fronte, i suoi capelli argentei erano coperti da una bandana multicolore per nascondere le due orecchie a punta che nonostante la stoffa si notassero fin troppo, sul suo petto svettava una rosa di cristallo rosso appesa al collo con un laccetto di cuoio.
Videro la testa dell’ elfo girarsi lentamente verso di loro strizzando gli occhi lucidi per il troppo bere. Neah sollevò la collana all’ altezza del volto, sogghignando. Videro l’ elfo imprecare e alzarsi, per poi sedersi di nuovo a causa di un capogiro.
Al posto suo si alzarono le figure incappucciate, una delle quali non perse tempo a fuggire dal retro, Neah rimase delusa e così anche l’ elfo che spostava lo sguardo color mare sorpreso dalla vampira ai quattro tizi rimasti.
“Benvenuti!” Esclamò il barista “Cosa vi porto?”
“La sua testa.” Rispose la vampira indicando con un gesto del capo l’ elfo. Non si preoccupò della reazione del barista e si avvicinò lentamente.
Quando giunse a pochi metri da loro portò la mano all’ elsa della spada.
“Oh, e adesso?” Disse l’ elfo voltandosi verso i tizi vistiti in nero, che però nel frattempo avevano impugnato delle armi in legno. La vampira si mise sull’ attenti, allarmata dalla colorazione familiare che aveva il legno delle loro armi. Biancospino.
Sfoderò velocemente la spada nello stesso istante in cui uno di loro le si avventava addosso con un pugnale di legno. Mentre un’ altro correva per colpire Rhies che prontamente aveva sfoderato la spada. Il terzo tizio stava tentando di far alzare l’ elfo che con espressione sorpresa fissava imbambolato la vampira muoversi sinuosamente mentre si batteva. Il quarto se ne stava tranquillo in piedi con le braccia incrociate a guardare la scena con il sorriso sulle labbra.
“Se non sono le nostre arpie siamo noi. Che fate ancora qui voi due? Andatevene!” Disse riferendosi all’ elfo e al tizio che stava cercando di portarlo via.
“Voi non andate da nessuna parte!” Esclamò la vampira dopo aver steso il suo avversario avventandosi sull’ elfo che si era appena alzato, ma si ritrovò una lama di legno chiaro puntata alla gola, era il tizio che prima sorrideva gustandosi la scena.
Lanciò un rapido sguardo Rhies che se la stava cavando bene, aveva quasi sconfitto il suo avversario.
“Che cosa volete da me?”
“Mi sembra ovvio, vogliamo il tuo potere.”
“Di che potere parli?”
Il tizio sbuffò, abbassandosi con la mano libera il cappuccio, rivelando una carnagione estremamente pallida e occhi da gatto, i capelli erano lunghi e argentei. Neah, strinse gli occhi, era un Generatore ed era certa di averlo già visto da qualche parte.
“Sai, il re rivuole la sua amata Ala d’ Argento.” Disse questo sogghignando. “Certo, ha già il tuo amato drago, ha scelto proprio un bel posto, pietrificato sulla torre più alta del castello, ma vedi, non è soddisfatto.” Il suo sorriso si allargò.
“Dimmi tutto quello che sai, se non vuoi che il tuo intestino ci rimetta.” Abbassò lo sguardo facendo notare al Generatore la punta della sua spada appoggiata sul suo ventre. Ma questo non parlò, né abbassò la lama di legno dal suo collo.
“Hai ottenuto un potere che neanche immagini.” Sentì un gemito alle sue spalle, vi voltò e vide Rhies con la spada insanguinata e il suo avversario steso a terra. Il ragazzo si avvicinò, ma venne bloccato dall’ elfo che con un movimento rapido gli buttò in faccia il contenuto del bicchiere, sul volto dell’ elfo si dipinse un’ espressione sofferente, non avrebbe mai voluto sprecare la birra.
Il principe aveva portato una mano agli occhi e l’ elfo ne aveva approfittato per colpirlo con forza sulla tempia con il fondo del bicchiere, rompendolo.
“Non mi sembra il caso di nascondertelo, io sono del parere che tu debba sapere la posizione in cui ti trovi.” Disse sogghignando, Neah non ne poteva più, il nervosismo le faceva tremare le mani. Con uno scatto sollevò il braccio puntando la spada al collo del Generatore, avere un’ arma tanto lunga aveva i suoi vantaggi.
“Giuro che non parli immediatamente di faccio a fette. Non prima di averti cavato gli occhi e averteli infilati su per il culo.” L’ uomo davanti a lei trattenne a stento una risata poi la sua espressione si fece improvvisamente seria e fece un cenno con la testa, solo in quel momento Neah si accorse di avere una persona alle spalle. Si voltò colpendo con la spada all’ altezza della vita, la lama tagliò la carne come se fosse burro ma nello stesso istante sentì un dolore lancinante al petto. Abbassò lo sguardo, un paletto di legno chiaro era infilato nel suo petto, all’ altezza del cuore, nel cuore.
La spada cadde, le sua mani si avvicinarono al paletto ormai rosso di sangue, toglierlo non sarebbe servito a nulla, ormai il danno era fatto.
L’ ultima cosa che vide prima di cadere nell’ oscurità fu il liquido cremisi uscire copioso dalla ferita mortale e imbrattare i suoi abiti.

 

“Quanto in basso mi vuoi spingere, prima che io giaccia, giaccia a terra morta?”

[The Pretty Reckless – Zombie]

P.S. Il barista si è dato alla fuga u.u

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Capitolo 9
*** La follia che igniotte il buio. ***


Ecco il nono capitolo! Che finalmente mi soddisfa :D (più o meno).
Lo so, ho maltrattato un po’ Neah nello scorso capitolo, ma quello era niente.
Ho deciso di mantenere l’aspetto originale della chimera, ops! No spoiler! >.< Vedrete! :D
Non ringrazierò mai abbastanza Homicidal Maniac *.*
Intanto, se qualcuno di voi si è affezionato a Zephit e desidera vederlo ubriaco ancora una volta insieme ad un altro elfo  cliccate -> http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=954634&i=1
Detto questo vi lascio, anche perché non so che altro dire ;)
Buona lettura! In fondo al capitolo vi ho lasciato una chicca ;D

 

Capitolo 9. La follia che inghiotte il buio.

“Tu ti senti così sola e stracciata. Giaci qui stentata e nuda.”

[Skillet – Whisper  in the Dark]

Nell’ oscurità i pensieri e i ricordi si avvinghiavano tra di loro, confondendosi.
 “Vieni con me.”
“Colpire alle spalle, complimenti”
I demoni non sono tra noi,
siamo noi.
Non esiste la salvezza,
esiste l' oblio.
La libertà è in una gabbia di stelle.
“Hai ottenuto un potere che neanche immagini.”
Quale?

Quasi in risposta rinvenne respirando come se fosse la prima volta, tutti i muscoli le facevano male.
Provò ad aprire gli occhi, ma non capì se effettivamente c’ era riuscita.
Nero.
L’ oscurità la circondava completamente e anche provando a guardarsi intorno non vedeva niente.
Si portò una mano lì dove poco prima c’ era il paletto, tastò la pelle in cerca della ferita, niente, solo la pelle liscia e un lieve bruciore. Non vedeva niente, solo il buio.
Solo in quel momento si sentì totalmente sperduta, il fiato si era fatto affannoso, non aveva mai avuto paura del buio, neanche da bambina, quando si divertiva a correre nell’ oscurità dei corridoi del castello che conosceva a memoria. Ma in quel momento non aveva idea di dove si trovasse, né di cosa stesse succedendo, sentiva solo il legno ruvido sotto di lei sobbalzare e il lieve suono degli zoccoli che pestavano terra.
Si mise a sedere per poi trascinarsi in una direzione a caso, sperando di incontrare presto una parete.
Le sue spalle toccarono qualcosa di freddo e duro, delle sbarre, solo delle sbarre, non c’ era nessun’ asta di legno a bloccare la luce sterna, eppure non riusciva a vedere oltre.
Allungò timorosa la mano oltre quel confine mentre un’ ondata di gelo la invadeva partendo dalla mano, la ritirò immediatamente.
Era un incantesimo, un muro d’ ombra.
Ritentò, e superato lo strato di gelo oscuro si sentì afferrare il polso dall’ altra parte, la speranza di poter uscire da quella gabbia venne subito stroncata quando si sentì tirare con forza e non poté fare niente per impedire l’ impatto con le sbarre.
Il sopracciglio prese a pulsare dal dolore, mentre sentiva il familiare liquido viscoso scorrerle lungo il viso.
Si portò una mano al viso, attendendo pazientemente che la ferita si rimarginasse, invano.
“Non ti servirà a niente tentare, è inutile combattere qualcosa che non puoi vincere.” La voce del Generatore le giunse alle orecchie da dietro le sbarre, beffarda.
Sospirò rannicchiandosi con la schiena contro le fredde aste.
“Ehi tu, lì dentro si sta bene? Perché, sai, molto presto…”
“Fottiti” Lo interruppe lei in un moto di rabbia. Una risata sommessa le giunse alle orecchie. Strinse le mani sugli avambracci conficcandoci le unghie.
Lo sapeva, da quando era entrata in quella squallida taverna che non sarebbe riuscita a scappare a suo padre, perché gli stupidi non erano stati i Generatori a svelare loro dove erano, bensì era stata lei la stupida a essere caduta in trappola. Maledisse la sua ingenuità mentre la frustrazione cresceva dentro di lei.
“Dov’è Rhies?” Non aveva intenzione di dirlo ad alta voce, il suo era solo un pensiero che però le scappò dalle labbra.
“Chi, l’ Umano?” Pronunciò quella parola come se fosse un insulto “Dopo che Zephit l’ ha colpito non l’ abbiamo più toccato, sarà ancora steso in quella taverna.” Il carro –perché aveva capito dove si trovava, più o meno- sobbalzò varie volte.
Forse non avrebbe dovuto coinvolgerlo nei suoi casini, ma almeno ora era libero ti tornarsene a casa, senza nessun vampiro che mirasse al suo collo.
“Ehi Zephit, fermati qui.” Si sentì il nitrito dei cavalli e subito il carro si fermò.
“Finalmente posso andarmene alla taverna.” Sentì il tono di voce pacato dell’ elfo.
“Devi restare qui, sono gli ordini.” La voce del Generatore era perentoria.
“Senza una buona birra? Se vuoi che io resti qui allora tu trasforma i tuoi soldi in alcol.” Si schiarì la voce. “Comunque, chi è tutta questa gente?” Neah li ascoltava in silenzio, cercando di capire se c’erano solo loro due.
“Coloro che pretendono la giustizia.”
 

Il re fece la sua entrata nella sontuosa piazza scendendo da una lunga scalinata di nera ossidiana, sembrava esserci tutto il popolo, da uomini, donne e bambini, tutti che guardavano con ammirazione il loro re.
“Popolo, quest’ oggi puniremo la traditrice.” La folla scoppiò in un urlo di esultanza facendo rabbrividire Neah. 
Poi calò il silenzio, si sentivano solo i passi del re che si avvicinava alla gabbia della figlia. Nell’ oscurità si aprì un varco da cui filtrò la luce solare, illuminando un cerchio di legno chiaro, Neah vi si avvicinò nella speranza di poter finalmente uscire, ma la delusione solcò il suo volto quando vide il volto beffardo e poco rugoso del padre. Non risparmiò il suo sguardo di rosso odio. Il padre sorrise.
“Oggi verrai punita e spero tu imparerai la lezione.” Si fermò un’ attimo assaporando la bellezza di quel viso. “Sarà un peccato rovinare il tuo bel viso.” Sinceramente a lei sembrava che la stesse insultando. Poi continuò a parlarle come per tranquillizzarla.
“Cara Rose, naturalmente non morirai, ormai non puoi più.” Un colpo al cuore. No, non voleva ascoltarlo, in tutti gli anni passati insieme le aveva solo mentito, lo stava facendo anche ora, doveva farlo anche ora. Quello che diceva non poteva essere vero.
“Fate entrare Fio.” Disse il padre appoggiando una mano sulle sbarre avvolte da quella nera foschia, ora il popolo avrebbe visto, avrebbe riso e urlato, mentre lei, attorno a se stessa, avrebbe ancora visto muri neri e nient’ altro, interrotti solo da quella piccola finestrella.
Il silenzio venne interrotto solo da un lieve brontolio che ben presto si trasformò in un ringhio. Fio era la bestia del re, una grossa chimera perennemente assetata di morte.
 

L’ elfo si guardò intorno nervoso, mentre i suoi pensieri volavano alla taverna che poteva vedere dall’ altra parte della piazza e i suoi sguardi irrequieti giungevano al re che attendeva con trepidazione il momento in cui la possente chimera sarebbe entrata per ‘punire’ la vampira. Lui aveva sempre letto un’ assurda perversione per la giustizia negli occhi del re, qualcosa che lo spingeva anche a tentare di uccidere la figlia.
La poteva benissimo vedere, attraverso una lievissima foschia divenuta ormai quasi trasparente, mentre attendeva appoggiata alle sbarre. Non c’ era nient’ altro che potesse fare se non attendere.
Il suo corpo indebolito dal legno per loro velenoso avrebbe rallentato la guarigione, mentre l’ oscurità che lei vedeva attorno a sé le avrebbe complicato il tutto.
Si portò una mano al collo, lì dove c’ era una vistosa e fredda cicatrice; lo faceva spesso, soprattutto quando era nervoso e non poteva bere. Quel segno chiaro nei momenti di inquietudine sembrava stringersi attorno al suo collo mozzandogli il respiro, mentre il suo sguardo blu sotto le sopracciglia aggrottate -come le onde che si infrangono su una scogliera- vagava sulla folla per poi soffermarsi sulla vampira. Si portò le mani dietro al collo passando le dita fra i capelli argentei per fare poi una smorfia quando si bloccarono in un nodo.
Di certo meritava di essere punita, ma venire straziati da quella chimera… era decisamente troppo.

“Mi fai a pezzi e poi mi riprendi, prendi tutto e ancora non ti basta]

[RED – Death of Me]

Suo padre sorrise per l’ ultima volta pria di spostarsi. Intorno a loro il silenzio era inquietante, era lo stesso silenzio che si sente nei cimiteri abbandonati, nei quali neanche il vento si disturba a fare visita.
Un’ ombra oscurò la poca luce che entrava, poi, accompagnato da un rumore di strappo qualcosa di possente entrò nella sua gabbia.
C’ era molta più luce rispetto a prima; il muro d’ ombra dal quale era appena entrata la chimera sembrava un foglio strappato, ma le estremità si muovevano come tentacoli che tentavano di richiudere il taglio.
Davanti a lei una creatura dall’ aspetto inquietante e grottesco, con un corpo di leone e la coda di serpente, e una testa che si innalzava dal dorso simile ad una capra scheletrica. Il muso leonino mostrò i denti ringhiando mentre il serpente, che svettava sopra il massiccio corpo sibilava e la capra la fissava con occhi vacui. I muscoli si tesero pronti all’ assalto, ruggì per poi abbattersi su Neah.
Riuscì a schivarlo andando a sbattere con le spalle contro le sbarre.
Osservò il corpo affusolato e massiccio, percorse la spina dorsale con lo sguardo in pochi istanti, inorridendo quando vide la coda che si avvolgeva sul suo polso, sibilando e mostrando le fauci grondanti di veleno.
Tentò di strattonare la coda, inutilmente, perché questa si stringeva sempre di più, mentre il muso da leone la fissava con occhi colmi di follia.
sibilò di nuovo e sentì l’ osso dell’ avambraccio rompersi, tentò di trattenere un urlo, ma fu inutile perché con un movimento secco della coda le fece uscire dalla sua sede l’ osso spezzato, lacerando la carne e la pelle.
La coda si srotolò dal suo braccio con movimenti sinuosi.
Cadde in ginocchio, sotto lo sguardo color ambra del felino, mentre il suo sangue imbrattava il legno.

Perché non guarisce? Il sangue continuava a uscire, la ferita non guariva.
“Stare con gli Umani ti ha rammollito, cara Rose.” Sentì la voce di suo padre farsi beffa di lei. “Il ghiaccio che è in te non deve sciogliersi.” Sapeva che non era quella la vera causa, suo padre la prendeva in giro, così come aveva sempre fatto.
Si rialzò in piedi tremando per il dolore mentre la chimera davanti a lei la fissava con occhi ambrati scoprendo i denti e tendendo nuovamente i muscoli, preparandosi per un altro balzo.
Non sarebbe riuscita a schivare anche quello, se ne rese conto quando ormai la creatura era a mezz’aria con le zampe tese verso di lei e le fauci spalancate in un folle ruggito. Le finì addosso.
La chimera pesava sopra di lei mozzandole il fiato.
Ruggì ferocemente prima di azzannarle la base del collo. Una delle sue zampe premeva a terra il braccio intatto, impedendole qualsiasi movimento. L’altro era inservibile, il dolore glielo aveva paralizzato.
Il sangue zampillava imbrattando la pelle nivea, la chimera mordeva con forza strappando pezzi di carne, ma sembrava ben attenta a non lacerare la giugulare, sembrava volerla tenerla in vita e torturarla per bene; come un gatto che gioca con un topolino.
Il dolore si irradiava a ondate in tutto il suo corpo, non aveva mai sofferto tanto, neanche sui campi di battaglia, quando le ferite delle armi umane non contavano nulla perché guarivano subito.  Tentò di colpire con un calcio la chimera, ma fu inutile, perché la coda della chimera le si stava avvinghiando alle caviglie.
 

“Io me ne vado.” Disse l’ elfo distogliendo lo sguardo da quella scena raccapricciante dirigendosi a passo deciso verso la taverna. Si sentì afferrare per il polso.
“Tu non te ne vai.” Disse in tono perentorio il Generatore fissando i suoi occhi color ambra in quelli dell’ elfo. Si guardarono in cagnesco per qualche istante mentre i loro capelli argentei venivano mossi da un lieve brezza.
Con uno strattone Zephit si liberò dalla presa dell’ uomo incrociando poi le braccia.

Cosa c’ entrano loro?
Il suo sguardo cadde sulla scena nella gabbia, il sangue continuava a uscire, colando anche sul lastricato della piazza. Guardò altrove, mentre un’ altra macchia di sangue riaffiorava nella sua memoria.
 

Sentiva il sangue colare via, accompagnato dalle poche energie che le erano rimaste in corpo. Ma la sua coscienza non accennava a svanire, era perfettamente lucida.
In quel momento tutto quello che desiderava era perdere i sensi per non sentire più nulla, anche morire le sarebbe andato bene.

Cara Rose, naturalmente non morirai, ormai non puoi più.
Un’ imprecazione le salì su per la gola mentre le veniva in mente quanto potesse essere tagliente un osso rotto.
Tentò di voltare la testa quel tanto che bastava per inquadrare il braccio che non era bloccato dalla chimera che nel frattempo si stava divertendo con il suo collo.
Urlando mosse il braccio, portandolo nell’ angusto spazio tra il corpo della chimera e il suo.
Mise tutta la forza che le era rimasta in quel colpo. Con forza spinse la mano contro il pelo ispido, appena sotto lo sterno della chimera.
Sentì il sangue caldo colarle lungo il braccio e non seppe dire se fosse il suo o quello della creatura sopra di lei.
La chimera si staccò dal suo collo ruggendo di rabbia e dolore.
Neah trasse un sospiro di sollievo quando si rese conto di aver raggiunto i polmoni della bestia e di non averla più attaccata al collo.
La chimera invece si avventò sul suo volto, sentì i suoi denti aguzzi conficcarsi nelle tempie e il sangue colarle sui capelli mentre le ossa del cranio si rompevano sotto la forza del poderoso morso.
Sentiva il battito del cuore della chimera, veloce e forte, regolare e potente. Era il cuore che doveva raggiungere.
Mentre il suo sguardo si tingeva di del colore di quel liquido scarlatto e la chimera alzando e abbassando il muso le sbatteva la testa sul legno, riuscì ad aggrapparsi a quell’ organo caldo che pulsava con forza.

Che situazione di merda.
Con un movimento secco strappò il cuore dalle arterie e le vene che lo legavano al corpo della chimera.
La chimera la liberò dalla sua morsa con un ruggito agghiacciante, mentre il suo braccio scivolava via dal suo ventre.
Il corpo morto le cadde addosso.
Quel poco che riuscì a vedere fu la sua mano insanguinata che ancora stringeva cuore della chimera.

La Persefone illustrata da Paolo Barbieri è diventata la mia Neah ;)

 

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Capitolo 10
*** Incontri. ***


Ad essere sinceri non so proprio che dirvi.
Ehm, ringrazio chi legge e chi redensisce, grazie Homicidal Maniac <3 grazie Smollo05 *.*

Ho una comunicazione importantissima da farvi: è stato deciso dalla sottoscritta che il qui presente signor Zephit non potrà impegnarsi in nessuna relazione sentimentale, quali fidanzamenti o matrimoni e simili (a meno che non venga barattato con qualcosa u.u). Mi dispiace.
Quindi passando alla storia devo dirvi che questo capitolo è un po’ particolare, contorto direi (assurdo forse) e che nella mia testa siccedevano molte più cose, ma naturalmente quando si scrive (nel mio caso) diventa tutto molto più lungo u.u nel prossimo tutta questa faccenda si svilupperà molto di più ^^ Lo so, sto aggiornando alla cazzo... ma il fatto è che non ne potevo più di tenermi questo capitolo u.u
Buona lettura!

Capitolo 10. Incontri.

“Qui e’ dove inizia. Qui e’ dove finirà. Sta sorgendo la luna… ancora”
[Marilyn Manson – If i was your Vampire]

Qualcosa di soffice e caldo sotto di lei, freddo alle mani e una spiacevole sensazione di vuoto.
Aprì gli occhi e il suo sguardo appannato si soffermò sulla mano davanti al suo volto, era la sua ed era fasciata con bende chiare.
Mosse le dita, mentre una lieve fitta di dolore si irradiava per il braccio.
Sbatté le palpebre per schiarire la vista, ma c’era qualcosa che non andava, vedeva troppo poco.
Delle bende le fasciavano la testa per coprire anche l’ occhio sinistro.
Si portò la mano fasciata più vicina all’ occhio spostando le bende, per poi constatare con orrore che non vedeva.
Sospirò rassegnata alzandosi a sedere. Passò più volte la mano davanti all’ occhio sinistro, inutilmente.
Si guardò il corpo; l’ avambraccio destro era fasciato, così come il suo petto e il collo. Tutto quello che aveva addosso era una lunga gonna nera, liscia e setosa.
Si guardò intorno e sentì una fitta al petto –non di vero dolore, solo di nostralgia-, era nella sua stanza; i muri scuri e alti erano interrotti da arabeschi cremisi si intrecciavano fra di loro, giocando come onde del mare al tramonto, era seduta sul suo ampio letto e davanti a lei c’ era uno specchio alto, lo stesso che lei stessa tempo addietro si ostinava a rompere.
 

I frammenti di vetro caddero a terra per l’ ennesima volta.
La sua mano era macchiata di sangue, così come i frammenti sparsi sul tappeto morbido.
“Mia signora, si è ferita?” Un’ ancella accorse prendendo nelle sue mani morbide quella ferita della vampira.
“Non è niente.” Rispose lei brusca ritirando la mano che era già guarita.
“Non voglio mai più rivedere questo specchio.” Uscì a passi svelti dalla stanza.
Detestava guardare il suo riflesso. Odiava quegli occhi che cambiavano colore, odiava il volto niveo che incarnava la morte, odiava quel volto freddo, odiava quelle mani che senza alcun risentimento si permettevano di togliere la vita.
Così, come se avesse visto un nemico, il suo primo istinto era stato quello di colpirlo.
Ma tant’ è ogni volta che uno specchio veniva rotto, uno nuovo veniva portato nella sua stanza.

 
Si sedette pesantemente sulla sedia, tirandosi indietro i capelli argentei mentre sospirava.
“Ho bisogno di bere qualcosa.” Farfugliò.
“Il re è furioso.” Commentò sorridendo il Generatore.
“Posso immaginarlo, gli ha ammazzato la sua chimera preferita.” Disse l’ elfo mentre si rigirava fra le mani il ciondolo a forma di rosa.
“Beh, c’ era da aspettarselo dall’ ala d’ Argento.”
Come per magia spuntò una cameriera.
“Cosa vi porto?” Chiese con voce squillante.
“Vada per due birre.” Rispose con un sorriso il Generatore seduto di fianco all’ elfo. La cameriera lo guardò con espressione dubbiosa per qualche istante per poi andarsene con un’ alzata di spalle.
“Non dovresti farti vedere in questo modo.” L’ elfo lo guardò stringendo gli occhi, gli dava fastidio averlo accanto. Era come sedersi vicino ad un serpente, magari non velenoso, ma pur sempre un serpente.
Il Generatore sospirò pesantemente.
“Di questi tempi vedere un tizio strano nel mondo delle Creature Oscure non è niente di che.” In effetti aveva ragione; ultimamente nell’ aria si sentiva qualcosa di strano che metteva addosso a tutti una strana impazienza, la necessità di agire, brandire le armi e scendere in battaglia.
Di fronte alla guerra i Generatori non erano un gran problema, qualche gruppo di nomadi che si nascondeva non dava problemi, sempre che la guerra non fosse contro di loro.
“Sarà.” Disse l’ elfo sospirando.
La cameriera tornò e posò sul loro tavolo due boccali di birra.
“Vi porto altro?” Chiese con voce soave e muovendo un po’ troppo i fianchi mentre sul suo volto si stendeva un sorriso raggiante, gli elfi avevano il loro fascino, doveva ammetterlo.
“Va bene così.” Disse Zephit senza neanche guardarla, ora era la birra ad attirare tutta la sua attenzione. Si portò il bicchiere alle labbra.
“Cerca di non bere troppo, non voglio vederti ballare con quella cameriera sui tavoli.” Disse il Generatore appoggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano. I suoi occhi si illuminarono di luce ambrata.
“Tranquillo, dovrei bere questa roba per tutta la notte per riuscire ad ubriacarmi.”  Disse l’ elfo posando sul tavolo il bicchiere già mezzo vuoto, sbuffando. Gli sembrava che la birra avesse perso il suo gusto e a dire il vero non gli sembrava neanche più tanto invitante quel boccale di birra.
Eppure avrebbe voluto ubriacarsi piuttosto che dover lavorare quel pomeriggio.
“Tu piuttosto, vedi di arrivare in orario altrimenti il re se la prenderà con me.”
Il Generatore annuì pensieroso.
“Infatti.” Fece un gesto eloquente con la mano alzandosi. “Sto andando via, perché io non arrivo mai in ritardo.” Le sue labbra si stirarono in un lieve sorriso dandogli l’ aspetto di un gatto.
Zephit fissò per qualche istante i due boccali di birra, il proprio mezzo vuoto, e il suo ancora completamente pieno.
“Ehi Azue! Mi lasci il conto da pagare?!” Urlò al Generatore che si stava avviando verso la porta.
“Sono un’ ospite, e gli ospiti non pagano.” Salutò lui sparendo dietro alla porta. L’ elfo rimase esterrefatto.
Il ragionamento era giusto però.
“Quindi” Si mise a riflettere a voce alta “Io sono ospite di questa bettola, quindi, non devo pagare.” Concluse lui mentre le labbra si sollevavano leggermente.
Peccato però, che aveva parlato a voce troppo alta.
 

“Mio Signore.” Disse l’ elfo inginocchiandosi e portando il pugno al petto, in attesa.
Il re stava sorseggiando del liquido cremisi da una coppa di cristallo scuro.
“Dimmi pure, Zephit.” Appoggiò la coppa sul bracciolo dello scranno su cui era seduto. Il suo tono di voce non riusciva a mascherare il nervosismo che provava.
“È arrivato l’ ospite che attendevate.” Disse l’ elfo con la mascella contratta, i suoi occhi erano freddi come ghiaccio.
“Bene, sai cosa fare.” L’ elfo chiuse gli occhi chinando ancora di più la testa, sconfitto.
 

Di nuovo, come anni prima, tirò un pugno allo specchio mandandolo in frantumi.
Di nuovo la mano era ferita e sanguinava.
Chiuse gli occhi appoggiando lievemente i polpastrelli alla palpebra dell’ occhio sinistro, sospirò.
Non abbassò la mano, ma aprì l’ occhio destro guardando i suoi piedi nudi contornati da schegge di vetro e bianche bende.
Sollevò lo sguardo sui frammenti di vetro che erano ancora rimasti attaccati alla cornice scura, si avvicinò, portando il volto a una decina di centimetri dalla superficie.
Era uguale a pochi istanti prima; sulle tempie e sugli zigomi si potevano vedere chiaramente i segni dei morsi, cicatrici chiare e vistose rompevano la regolarità della sua pelle, una in particolare, attraversava in verticale il suo occhio sinistro. Voltò un poco la testa, il padiglione dell’ orecchio sinistro era tagliato in verticale. Si allontanò, quel tanto che bastava per vedere il collo; la parte destra era impressionante, la cicatrice partiva da sotto l’ orecchio per poi scendere e allargarsi alla base del collo e sulla spalla.

Ma che bella farfalla. Si schernì da sola con una smorfia di disgusto.
Si guardò di nuovo il viso rovinato aprendo anche l’ occhio ormai cieco che aveva assunto una tonalità color ghiaccio, quasi bianco, proprio come quello di una persona cieca, mentre l’ altro ora era di un semplice color nocciola.
La tentazione di colpire nuovamente lo specchio (quello che ne rimaneva) era fortissima ma sospirando si diresse verso l’ ampia finestra fissando la luna piena che si stagliava nel limpido cielo notturno.
Si appoggiò al muro continuando a guardare fuori.
Non avrebbe avuto senso provare a scappare, se si concentrava poteva benissimo sentire la presenza di un paio di guardie per ogni corridoio, e comunque, se si trovava lì c’era un motivo. O almeno era quello che pensava.
Una sorta di miagolio attirò la sua attenzione; fuori dalla finestra, sul balcone c’ era un gatto nero, con tanto di ali chiuse sulla schiena, i suoi occhi brillavano di una furba luce verde mentre scrutava la vampira che apriva la finestra per scacciarlo.
Ci mancava solo uno Spirito della Sfortuna alla finestra.
Sbuffò mentre guardava la creatura volare via.
 

Già da un po’ camminava per i corridoi, allontanandosi e avvicinandosi alla sua stanza, mentre giocava nervosamente con il pendolo a forma di rosa.
Quando ormai aveva fatto il giro del piano per tre volte una guardia lo fermò prendendolo per gomito.
“Ehi, ti sei perso, orecchie a punta?” Si liberò della sua presa con uno strattone e lo trafisse con uno sguardo gelido.
“Taci.” Si limitò a dire, stringendo gli occhi e riprendendo a camminare.
In mano teneva una bottiglia scura, gli era stato detto dal re di portarla alla figlia, ma non aveva idea di cosa ci fosse dentro, o meglio, non ci teneva a saperlo. Anche se la curiosità era parecchia.
Dicendosi che dentro alla bottiglia c’era il miglior liquore si costrinse a stapparla e ad avvicinarla al naso.
Quando sentì l’ odore forte e pungente fece una smorfia. Avrebbe dovuto immaginarlo. Sangue.
 

Stava ancora guardando fuori dalla finestra quando sentì qualcuno bussare alla porta che dopo pochi istanti si aprì.
Sulla soglia c’era un’ elfo dagli occhi color mare e dai capelli argentei che arrivavano alle spalle, il torace ampio e la vita stretta erano fasciati da una maglia nera aderente con il collo alto.
Al collo aveva appesa una rosa rossa ad un cordino di cuoio.
Neah strinse gli occhi, era lo stesso elfo che si trovava alla taverna quando lei e Rhies erano stati attaccati.
Fece per parlare -subito dopo aver chinato la testa in segno di rispetto-, ma non fece in tempo perché si ritrovò una scheggia di vetro puntata alla gola.
“Dov’è la mia spada?” Incalzò lei.
Alzò le mani in segno di resa, intenzionato a rispondere sinceramente quando si ritrovò il vetro piantato nel palmo della mano. Trattenne a stento un urlo.
“Giuro che se non parli subito, tutti i tuoi arti diventeranno dei moncherini inutili.” Sibilò lei rigirando la scheggia nella ferita.
“Adesso l’ Ala d’ Argento appartiene al re.” Ansimò l’ elfo. Il sangue usciva dalla ferita colorando il pavimento della stanza e gli occhi della vampira.
“L’ Ala d’ Argento non può appartenere a nessuno.” Ribattè lei sfilando con forza l’ arma improvvisata dalla mano dell’ elfo, questo se la portò al petto, gemendo.
Le sue labbra si stirarono in un sorriso sghembo. “Eppure lui adesso vi ha tutte.” Il suo drago, pietrificato proprio sopra al suo tetto, la sua spada nascosta chissà dove, e lei rinchiusa nella sua stessa stanza.
Sul viso di Neah si era dipinta un’ espressione sofferente, la gola bruciava,  richiamava il sangue versato e la libertà.

 

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Capitolo 11
*** Un' anima sporca. Parte 1 ***


Ringrazio chi sta ancora leggendo questa fic, Homicidal Maniac *.* e tutti gli altri che sembrano essersi dileguati >.<
Mi dispiace moltissimo far finire in questo modo il capitolo, ma il fatto è che stava diventando troppo lungo (infatti questa è solo la prima parte), ma trovo che la “poesia” alla fine ci sta abbastanza bene, a voi il compito di decifrarla xP naturalmente la seconda parte del capitolo sarà decisamente migliore di questa (spero), risolverà un po’ di cose e darà qualche risposta in più :)
A fine capitolo le immagini di Lishe e Azue (già, nuovo personaggio in arrivo ;)).
Già da tempo volevo dirvi una cosa: non affezzionatevi troppo ai personaggi, potrebbero morire misteriosamente. Mi sento una stronza ._. e se pensate che Neah sia già ridotta abbastanza male così e che non la torturerò più... beh, vi sbagliate di grosso. 
Mi dispiace.
Buona lettura ;)

 

 

Capitolo 11. Un’ anima sporca.
Parte 1

“Per sempre e sempre le cicatrici rimarranno.”
[Breaking Benjamin – Give me a Sign]

“Si può sapere cosa abbia intenzione di fare mio padre?” L’ elfo si sedette pesantemente sul letto della vampira che gli scoccò un’ occhiata –assassina- di avvertimento, ma lui sembrò ignorarla. Sopportava la presenza dell’ elfo, in fondo era anche lui una Creatura Oscura come lei, non un’ inutile Umano, e vedeva nei suoi occhi una sorta di malinconia, sembravano quelli di una persona che ha visto la morte in faccia.
“Chiedeteglielo, a noi non dice mai niente.” Rispose l’ elfo guardandosi intorno e soffermandosi sui frammenti di vetro sparsi per terra.
“Ha sempre fatto così”  Sussurrò la vampira aggiustandosi il nastro nero che aveva avvolto attorno all’ avambraccio per coprire la cicatrice, aveva capito di odiare suo padre tempo addietro, e una cosa che le dava più fastidio era il fatto che agisse sempre nell’ ombra, senza mai fare sapere quali piani gli girassero per la testa.
Zephit aveva invece raccolto alcune bende immacolate e le aveva riciclate per fasciare la ferita alla mano.
La bottiglia con dentro il liquido rosso invece era a terra, vuota. Era bastata quella per non farsi ammazzare.
“E i Generatori cosa c’ entrano in tutto questo?” Chiese volgendo lo sguardo all’ elfo che alzò le spalle, come per ripetere la stessa risposta che aveva dato prima.
Neah si sistemò un’ ultima volta la capigliatura; i capelli scuri erano raccolti in una grossa crocchia disordinata sulla testa, mentre un ciuffo ricadeva sull’ occhio sinistro, coprendo in parte le cicatrici e l’ occhio cieco. Aveva tolto la gonna e aveva messo un paio di comodi pantaloni di pelle nera abbinati con un corpetto che le lasciava scoperto il collo, non le importava di coprire le vistose cicatrici, anzi aveva intenzione di mostrarle per bene, come per sfida.
Quindi suo padre voleva vederla, o almeno questo era quello che le era stato detto dall’ elfo. Nella sua testa si aggirava l’ idea che lui volesse ammazzarla, ma, visto che ora non poteva più morire, forse si sarebbe divertito ancora un po’ a torturarla. Sbuffò.
Sentì una forte fitta la petto quando ripensò al fatto che non poteva più morire. L’ immortalità non la voleva, lei desiderava una vita normale; desiderava nascere, vivere e poi morire –innamorarsi era fuori discussione-. Ma lei era solo nata, quella non poteva essere chiamata vita.
Si voltò verso l’elfo incrociando un’ ultima volta i suoi occhi duri del colore del mare, per poi dirigersi verso la porta, pronta a raggiungere la persona che più odiava in quell’ istante.
 

La vampira era uscita e l’ elfo, rimasto nella sua stanza, si diresse verso l’ alta finestra.
La torre in cui si trovava lui in quel momento era la più alta e i vetri puliti gli mostravano le vie lastricate della città deserta di Aegor. Nonostante fosse scesa da poco la notte, la luna era alta e splendente, il silenzio regnava sulle strade, un silenzio scabro che sembrava urlare, urlava come un vento immobile. L’ aria fremeva infervorata d’ impazienza. Una guerra interiore scuoteva gli animi delle Creature Oscure, le mani prudevano, gli occhi saettavano da una parte all’ altra della strada, in cerca di un nemico da abbattere.
“Il silenzio narra le storie di fiaccole di spento coraggio.” Sussurrò a se stesso l’ elfo con tono cupo incrociando le braccia sull’ ampio torace, ricordando le parole di un padre deceduto.
L’ elfo appoggiò la fronte al vetro freddo gustandosi l’ immobilità di quello scenario mentre in lontananza si sentiva il suono del ferro che batte su altro ferro.
“E il tuo coraggio dove è finito?” Sussurrò un po’ a se stesso  e un po’ al padre.
La guerra non stava arrivando, bensì era già nell’ aria.
 

“Quindi?”
“Quindi niente, non posso farlo.” La foce sicura del Generatore giunse alle orecchie del re, che sentì il nervosismo corrergli su per la schiena.
“Perché?” Domandò il re stringendo gli occhi. “Dimmi perché, Azue?”
“Ci saranno perdite ben peggiori di una semplice chimera di cui dovremmo occuparci.” Rispose lui con voce risoluta.
Dovremmo?” Il Generatore sospirò alla reazione del re, puntando i suoi occhi ambrati in quelli del sovrano impaziente.
“Senti, Dimitri non posso rigenerare la tua chimera. Ma posso aiutarti con tua figlia.” Disse il Generatore sporgendosi in avanti mentre alcune ciocche dei suoi lunghi capelli argentei coprivano la carnagione cerea. Il re detestava il modo di fare di quell’ individuo, sembrava comportarsi lui da re e dettare le proprie regole.
“Non ho bisogno del tuo aiuto Azue, devo solo parlare un po’ con Rose.” Occhi di ghiaccio giallo erano puntati sul re, mentre nella sua testa si stavano agitando una marea di insulti.
“La costringerai?” Chiese alzando un sopracciglio.
“Assolutamente no, devo solo farle capire in che situazione si trova adesso e quello che è in grado di fare. Di certo agirà per il meglio anche senza che io la obblighi.” Concluse Dimitri sorridendo.
“Bene, ma concedimi almeno di avere l’ Ala d’ Argento.” Tentò il Generatore, riferendosi alla spada.
“La risposta sarà uguale a quella di due anni fa; l’ Ala d’ Argento appartiene a me, non l’ avrai mai.” Rispose Dimitri appoggiando la schiena al divanetto rosso su cui era seduto.
“Mi permetta almeno di salutarla un’ ultima volta.” Domandò il Generatore riferendosi questa volta alla figlia. Il re sembrò pensarci qualche istante poi considerato che la figlia non poteva più morire e che quindi il Generatore non avrebbe potuto nuocere, scrollò le spalle.
“Fa come vuoi.” Le labbra del Generatore si stirarono in un sorriso che lo fece assomigliare ad un gatto. Si alzò dirigendosi verso la porta.
“Farai in modo di farla scendere in guerra?” Perché ormai si sapeva, -si sentiva- che la guerra si stava avvicinando.
Il re alzò le sopracciglia sorpreso, un po’ perché dopo tanto tempo qualcuno aveva intuito quello che stava architettando, un po’perché gli sembrava ridicolo far combattere Rose. Lei doveva servire ad uno scopo superiore.
 

Camminava a passo svelto tra i corridoi che conosceva a memoria, decisa e fredda, come era sempre stata. Sarebbe andata da suo padre, gli avrebbe ‘parlato’ e –con o senza la sua spada- se ne sarebbe andata una volta per tutte.
Camminò per qualche minuto, attraversando scuri corrdoi e ripide scale cremisi e ignorando le lievi fitte che la cicatrice sulla schiena le trasmetteva. Giunse alla sala del trono e quello che vide la lasciò interdetta.
Il soffitò era alto, colonne di cristallo rosso svettavano ai lati della lunga sala scura, sotto di lei un tappeto di nero velluto si stendeva fino alla nicchia riservata al trono, vuoto. Si avvicinò, solitamente suo padre se ne stava tutto il tempo seduto sullo scranno a sorseggiare sangue da una coppa scura, quella posata sul bracciolo.
Raggiunse i tre scalini che precedevano il trono e con un lieve ghigno sulle labbra, prese il boccale e si sedette dove in teoria ci sarebbe dovuto essere suo padre, alzò le gambe fino ad appoggiarle sul bracciolo e accavallarle, mentre con un gomito si sorreggerva sull’ altro e faceva girare il sangue all’ interno della coppa gustandone l’ odore.
Appoggiò una mano sul collo, lì dove c’era la vistosa cicatrice, chiudendo gli occhi e sospirando, avvicinò la coppa alle labbra quasi senza pensarci.
Un fruscio attirò la sua attenzione, voltò la testa in direzione di una colonna vicino da cui spuntò il viso tondo e pallido di una bambina, occhi neri come pozzi di tenebra e corti capelli castani legati ditro la testa.
“Quello non è il tuo posto.” Disse lei indignata abbassando la testa e guardandola da sotto le lunghe ciglia scure.
“Lo sarà.” Rispose la vampira sogghignando. In verità non aveva mai preso in considerazione la possibilità di regnare sul mondo delle Creature Oscure, ma doveva ammettere che in fondo quel trono non era poi tanto scomodo.
“Non è vero. Quel trono sarà mio.” Rispose decisa la bambina uscendo dal suo nascondiglio, il suo piccolo corpo era fasciato da una veste blu, i suoi piedi erani scalzi. La vampira la fissò inclinando la testa per studiarla meglio.

E questa da dove viene fuori?
“Basta così Lishe.” La bambina sussultò nel sentire quel tono di voce rigido chiamarla.
“Papà!” Urlò la bambina mettendosi a correre verso l’ uomo che era appena uscito da una porta laterale.
“Papa?!” Ripetè la vampira sorpresa come non mai, strabuzzando gli occhi. L’ uomo verso cui la bambina stava correndo a braccia aperte era Dimitri, cioè suo padre. Rimase a fissare la scena della bambina che si appendeva alle gambe dell’ uomo, che le porgeva un oggetto circolare e piatto.
Il volto dell abambina si illuminò. “L’ hai riparato.”
“Certamente.” Il re sorrise con gli occhi. Per poi guardare Neah ancora stravaccata sullo scranno con in mano la sua coppa di sangue.
“Rose.” Iniziò lui salutandola. “Non pensavo fossi già qui.” Lei ignorandolo si mise un po’ più comoda avvicinando la coppa al naso per gustare l’ odore del contenuto.
“Da quando in qua bevi del sangue così scadente?” Chiese lei arricciando il naso, per poi lasciare cadere il bicchiere che teneva in mano, il liquido macchiò il tappeto e la coppa rotolò giù per i tre scalini. La bambina sussultò e Dimitri strinse gli occhi.
“Ops.” Sussurrò a fior di labbra la vampira fissando la macchia rossa che si allargava sul tessuto. Sentì i passi di suo padre avvicinarsi, alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere i suoi stivali calpestare la macchia scura.
Il viso di Dimitri si allungò in un sorriso mentre allungava una mano per toccare la pelle sfregiata della figlia che prontamente si ritirò. Notò l’ occhio cieco e il suo sorriso di allungò ancora di più.
“Papà.” Sussurrò Lishe che era rimasta dove il padre l’ aveva lasciata, ancora con l’ oggetto stretto tra le braccia, ma venne ignorata.
“Sono curiosa di sapere da dove è uscita quella bambina.” Commentò la vampira sporgendosi per guardarla meglio, le sorrise mostrando i canini allungati. La bambina sussultò facendo un passo indietro.
“Rose, dobbiamo parlare.”
“Oh, questo è poco ma sicuro.” Disse lei fissando suo padre con uno sgardo di sfida.
 

Non aveva la più pallida idea di come fosse finita in quella situazione, a sorseggiare sangue insieme a suo padre sotto gli occhi ambrati del Generatore che l’aveva aggredita al bar, aveva appreso il suo nome, Azue. Mentre la bambina sembrava scomparsa, Neah pensò che fosse andata a giocare in qualche buio cantuccio.
“Quindi?” Inizò lei lanciando un’occhiataccia al Generatore che fissava il soffitto alto, neanche racchiudesse il senso della vita.
“Quindi, creerai un esercito, per me.” Dimitri andò dritto al punto, lasciando senza parole la figlia. Le parole rimasero sospese per aria.
Dalle sue labbra uscì una risata roca, mentre scuoteva la testa e guardava il padre come se fosse impazzito. “Cosa ti fa credere che lo farò?” Si ricompose incrociando le braccia, ma senza cancellare dalle labbra il sorriso beffardo.
“Non puoi fare altrimenti.” Rispose il Generatore fissandola con il suo sguardo ambrato.
“Hai già tutte le Creature Oscure ai tuoi piedi, che vuoi che faccia? Che mi metta ad ingaggiare degli Umani?” Pronunciò quell’ ultima parola come se le bruciasse sulla lingua e non vedesse l’ ora di sputarla, ovviamente il suo tono era sarcastico, lo disse ignorando completamente il Generatore, lui non c’ entrava niente.
Sospirò attendendo una risposta e quasi automaticamente si portò una mano all’ occhio vitreo.
“Guarirà, molto lentamente ma guarirà.” Fulminò con lo sguardo suo padre che non riuscì a togliersi dalle labbra quel sorrso strafottente.
“Io me ne vado.” Disse lei alzandosi. Stava per dire “a casa” ma si bloccò in tempo, non aveva una casa, non più, neanche un posto dove stare, forse…
Sentì una mano fredda stringere la sua senza alcuna delicatezza, in una stretta che si faceva sempre più fredda e dolorosa, era come stringere tra le mani un pezzo di ghiaccio, o meglio, era come se la mano fosse stritolata dal ghiaccio.
“Presto, quando gli Hel* inizieranno a vagare per il mondo degli Umani, a portare malattie, morte e distruzione, allora sarai obbligata a salvare ciò a cui tieni. Una persona, un posto dove stare, un ricordo” Era il Generatore a stringere la sua mano in una morsa di ghiaccio e a parlare.
“Non hai idea di quello che la dea Andhera ti ha donato.” Le parole giungevano lontane, smorzate. La poca vista che le era rimasta si stava oscurando mentre la sensazione di cadere le attanagliava lo stomaco. Quello che venne dopo furono solo lievi sussurri.

Dona la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio dell’ abbandono.



* Nella mitologia norrena, Hel o Hella è la dea degli Inferi, figlia di Loki, dio dell'inganno, e di Angrboða (? Che? O.o), una gigantessa (ah, ok).
Hel esce raramente sulla terra, ma quando lo fa porta sventura e malattia: passa per le strade e nei villaggi e la gente si ammala all'improvviso.
Se spazza la strada con un rastrello vi saranno sopravvissuti, se invece ha una scopa moriranno tutti. (Olè!)
Hel viene descritta come una donna in qualche modo duplice: con metà viso nero o cadaverico e l'altra metà normale.
Alcuni tratti della dea hanno suggerito a diversi studiosi di metterla in relazione con le caratteristiche di Parvati-Kalì o di Persefone o, ancora, di Ecate.

(Ecco, sta di fatto che io prima di mettere il nik ‘’La sposa di Ade’’ avevo tentato in tutti i modi di chiamarmi ‘’Ecate’’ o ‘’Hecate’’ o ‘’Hekate’’ e tutte le altre varianti. Ma a quanto pare ero arrivata in ritardo ._.)
Fonte: Wikipedia
Ovviamente, tutto questo non c’ entra niente con la storia, mi sembrava fico inserire una cosa che non c’ entrasse niente con l’ ambientazione della fic, tutto qui ._. (no dico, magari vi sarebbe interessato).

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Capitolo 12
*** Un' anima sporca. Parte 2 ***


Ci sarà la terza parte di questo capitolo… il fatto è che non riuscivo più a scrivere, infatti si più notare il calo d’ ispirazione nell’ ultima parte, lo so l’ ho fatto finire in un modo schifoso ma cercate di capirmi >.< Domenica scorsa (il 26) è stato il mio compleanno e da allora l’ ispirazione è andata a farsi trucidare da Neah ._. Ehm, ringrazio chi segue in silenzio e chi recensisce, ringrazio Homicidal Maniac che mi tiene compagnia durante le serate noiose ^^
Non so che altro dirvi, buona lettura!

 

Capitolo 12. Un’anima sporca.

Parte 2

“In un bagno pieno di sangue, sono solo, sono ancora in piedi.”
[Sum 41 – The Jester]

Si risvegliò nuovamente nel suo letto, nella sua stanza con un lieve formicolio alla mano sinistra.
Si mise a sedere e notò con orrore che avevano messo un’ altro specchio proprio dove si trovava quello precedente, la sua immagine si rifletté di nuovo su quella dannata superficie; la pelle nivea, i capelli neri un po’ scompigliati, le labbra piene, un occhio blu e uno vitreo.
Si mise in piedi ignorando lo specchio, chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso. Non notò il colore scuro che aveva preso la mano sinistra, non pensò al fatto che stesse marcendo e che piano piano ne avrebbe perso l’ uso, prima le dita, poi la mano intera, il polso, il braccio…
 

“Credi abbia funzionato?” Chiese dubbioso il Generatore a Dimitri. Lui era l’ unico che si permetteva di dargli del tu, divertendosi a vedere gli occhi del re stringersi quando lo faceva.
“Anche se non credo abbia appreso che lei è in grado di creare altri vampiri, sono certo che prima o poi lo capirà e allora sarà l’ istinto ad agire per lei.” Sogghignò. Stettero in silenzio per qualche istante, entrambi persi nei propri pensieri.
“E potrei sapere cosa le hai fatto?” Il Generatore scosse le spalle mentre le labbra si incurvavano in un lieve sorriso.
“Mi sembra di aver capito che ti piace vederla soffrire.” Alzò le sopracciglia come per cercare il consenso del re. “Allora non ti dispiacerà vederla con una mano in meno.” Finì il Generatore mentre sotto il suo sterno cresceva una fragorosa risata.
 

Era in una delle stanze del re a rovistare fra i vari scaffali, l’ elfo aveva in mano un bicchiere a coppa di cristallo opaco, lo teneva fra due dita mentre con l’ altra mano spostava strani oggetti nel tentativo di trovare quel che cercava. Dopo vari minuti sbuffò e portando alle labbra il bicchiere tenendolo con i denti. Con due mani era decisamente meglio. I capelli argentei gli ricaddero più volte sugli occhi, e stava per rimetterli a posto per l’ ennesima volta quando le sue dita scontrarono qualcosa di freddo, riconobbe il rumore del liquido che si muoveva dentro una bottiglia. Un mezzo sorriso increspò le sue labbra, ma che scomparve subito perché rischiò di far cadere il bicchiere che ancora teneva fra i denti.
Con immensa soddisfazione tirò fuori una bottiglia di liquido trasparente. La studiò un attimo, tentando di capire se quella che aveva in mano fosse della semplice acqua o qualcosa di alcolico. Si versò comunque un po’ di quel liquido nel bicchiere e ne bevve un sorso, sent’ la gola andare in fiamme e così anche la bocca dello stomaco, si gustò per qualche istante quella piacevole sensazione che si irradiava in tutto il corpo, mentre la testa si svuotava e si faceva leggera.
Al centro della stanza c’ era un tavolo di granito sul quale Zephit posò il bicchiere già vuoto, ci si sedette e fissando il muro spoglio davanti a lui iniziò a sorseggiare con calma la nuova bevanda scoperta. La cicatrice su collo stringeva come una fune, rendendogli difficile mandare giù la vodka. Quasi senza accorgersene si portò una mano al segno chiaro che aveva impresso sul collo, mentre vivide immagini correvano fugaci davanti ai suoi occhi.

Un uomo, alto, pallidissimo, gli occhi come pezzi d’ambra lucente.
Un’ enorme macchia di sangue sotto il proprio corpo.
Il sorriso di un gatto.
Un coltello infilzato in un occhio.

Rabbrividì involontariamente, mentre il proprio passato chiedeva di essere affogato nell’ alcol.
Un cigolio richiamò la sua scarsa attenzione, dalla porta alla sua destra spuntava una testa minuta, con la pelle nivea come quella di una bambola, occhi come pozzi di tenebra e i capelli raccolti dietro la nuca, Lishe, la figlia del re lo fissava con quegli occhi accusatori.
“Non dovresti essere qui.” Lo accusò la voce candida della bambina.
“Neanche tu.” Rispose scontroso l’ elfo guardando la bambina che ora aveva messo il broncio. La bambina entrò nella stanza, continuando a fissare con astio l’ ubriacone che ora sembrava non fare più caso a lei.
“Guarda.” Disse la piccola Lishe allungando l’ oggetto circolare che teneva tra le braccia. Zephit con la bottiglia alle labbra abbassò lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere ciò che gli stava porgendo la piccola figlia del re. Uno specchio, ma era strano, perché non rifletteva la sua immagine, quello che vedeva in quella superficie erano solo il tavolo e il muro alle sue spalle.
“Ma che…?” Inclinò la testa, senza capire. La bambina le sorrise. Un sorriso smagliante, ma negli occhi una scura luce agghiacciante.
Sullo specchio di delineò una striscia scarlatta, come un taglio.
L’elfo notò con orrore che si trovava all’ altezza del suo collo, proprio lì dove c’era la sua cicatrice.
Poi, lentamente, dal quello sfregio immaginario iniziò a colare il liquido rosso di cui era fatto, colò per tutto il vetro e la cornice dello specchio, lentamente, fino a gocciolare a terra, creando dei piccoli cerchi perfetti. .
Nell’ aria si diffuse un odore pungente, l’ odore del dolore e della disperazione.
La cicatrice sul suo collo sembrò stringersi, come una vera a propria fune, rendendo difficile la respirazione, Zephit si portò una mano alla gola ma la ritrasse subito quando sentì il contatto con un liquido viscido e caldo, la mano era sporca di sangue, il dolore si irradiava in tutto il suo corpo, mentre sentiva le mani intorpidirsi e la maglia bagnarsi di quel liquido tiepido.
L’ aria non arrivava più ai polmoni e l’elfo scivolò a terra tentando di aggrapparsi al tavolo, ansimò più volte fissando la bambina che continuava a sorridere, e proprio nel momento in cui sentì le forze abbandonarlo la piccola Lishe ritirò lo specchio e tornò a stringerselo al petto. Il dolore svanì e Zephit poté tornare a respirare normalmente.
“Tu non hai più un’ anima.” Disse la bambina indugiando con lo sguardo sul suo collo immacolato.
 

Teneva le mani in grembo una dentro l’ altra, massaggiandosi la sinistra, la sentiva intorpidita, un formicolio le correva dal palmo alle estremità di ogni singolo dito. Il colore che aveva assunto le dava fastidio, era scura come la pelle di un cadavere macchiato dalla terra.
La appoggiò sulla superficie fresca su cui era seduta, nella speranza di trarne un po’ di sollievo, niente, la mano era diventata insensibile.

Alzò lo sguardo, fissando la raffigurazione della dea oscura, che ricambiava con il suo sguardo invisibile, i toni vermigli dominavano il centro, dando alla figura un aspetto lugubre, accompagnato da ramificazioni che partivano dagli avambracci, dalla testa e dal resto del corpo della dea, in contrasto con tutto c’ era l’ azzurro, presente solo in piccoli particolari. Infine si poteva vedere il colore del ghiaccio che dava vita al cuore di Andhera.
Sospirò, ricordando che l’ altare su cui era seduta in quel momento, due anni prima sarebbe dovuto essere la sua tomba.

Dona la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio dell’ abbandono.

Quelle poche frasi le risuonavano nella mente, creando un’ eco spiacevole. Non aveva idea di cosa significassero. Guardò la dea con sguardo angosciato, ricordava il detto che girava per il loro mondo; “Lascia che siano le lacrime a lavarle via dalla pelle infangata le incertezze, permetti che volteggino con le caduche foglie per riposare l’ ultima volta. Ricordale come l'ultimo respiro prima della morte.” Era anche scritto alla base dell’ altare. In teoria qualunque domanda posta alla dea trovava risposta, anche se non era un risposta vera e propria, più che altro era una consapevolezza che serpeggiava nella mente.
Non era la prima volta che si trovava in una situazione simile, molto tempo prima aveva provato a chiedere alla dea cosa fosse successo a sua madre, ma le aveva risposto solo uno straziante silenzio.
Continuò a fissarla, ripensando alle tre frasi che aveva udito prima.
Quando lentamente immagini sempre più nitide si facevano largo nella sua mente, riaffioravano come vecchi ricordi; il volto esague di una delle sue tante vittime, canini allungati che perforavano la pelle pallida, occhi che si coloravano del colore del sangue.
 
Tornò in camera sua, scoraggiata dopo la risposta alla sua domanda e al silenzio alla richiesta delle notizie sulla madre.

Cosa sono diventata? Come si viveva nell’ immortalità?
Continuò a salire le rampe di scale, intenzionata a lasciare quel posto il prima possibile quando un capogiro la costrinse ad appoggiarsi al muro. Due aste di metallo le si strinsero attorno alle tempie, mentre le orecchie iniziavano a fischiarle e la vista a riempirsi di macchie nere, si accorse a malapena di scivolare contro il muro ruvido.
Perse i sensi.

 
Ah, già… dimenticavo, temo che Neah perderà la mano destra, ma non temete! Ho già in programma di rimediare per bene ;)
Neah: Sarà meglio per te *sguardo assassino*

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Capitolo 13
*** Un' anima sporca. Parte 3 ***


Ci sono riuscita!!! Commossa ç_ç proprio questa sera ho finito di scrivere e ho davvero voglia di pubblicare invece non ho nessunissima voglia di rileggere il capitolo.

Un augurio speciale a tutte le donne di EFP, sono ancora in tempo! >.<

Ahahahah, Muhahahah SI! SANGUE!!! Eh-Ehm ok ora basta, questo era un modo per avvisarvi che in questo capitolo Neah sarà alquanto crudele (Crudele è la parola giusta? Bah…), almeno nella prima parte.

Non restateci troppo male... se lo meritava >.< non dico altro perché non voglio fare spoiler ;)

Non so che altro dirvi ^^”

Buona lettura.

 

Capitolo 13. Un’ anima sporca.

Parte 3.

“Ho rinunciato alla mia anima. Sono colpevole di tradimento.”
[30 Seconds to Mars – Stranger  in a Strange Land]

Si ridestò nello stesso posto in cui era svenuta, sulle scale a pochi passi dalla porta della sua stanza, rimase per qualche istante in quella scomoda posizione mentre la vista –solo quella dell’ occhio destro- tornava lentamente.
Sospirando e con qualche difficoltà riuscì a mettersi a sedere, la mano non la reggeva, non la riusciva a più muovere e il colorito scuro era quasi arrivato fino al polso.
 

Un pugnale. Fuoco. Bende. Non serviva altro per amputare una mano.
Quando calò il colpo con forza sul polso inizialmente non sentì nulla, il dolore venne dopo, quando il sangue cominciò a sgorgare copioso e fu costretta a passare il moncherino sul fuoco per cauterizzare la ferita.
Perdere una mano le andava anche bene se le avesse risparmiato il braccio, la spalla e tutto quello che l’ infezione avrebbe deciso di mangiarsi.
“Maledetti Generatori, vi divertite a giocare con la vita altrui in questo modo spregevole.”
 

Aprì il pesante portone che dava sull’ esterno. Il vento le lambì la pelle pallida, scostando dal viso la ciocca di capelli scuri che aveva volutamente lasciato cadere sopra l’ occhio cieco, inspirò a pieni polmoni l’ aria della sua città natale accorgendosi della vitalità che la impregnava, come una pulsazione, un richiamo.
Voltandosi, alzò lo sguardo puntando gli occhi sulla torre in cui si trovava la sua stanza e le si strinse il cuore quando vide l’ imponente figura nera del drago aggrappata al suo tetto appuntito. Pietrificato, il suo corpo teso nello spasmo prima del volo, gli artigli affilati che avevano lasciato segni indelebili sulla scura costruzione, la coda lunga si avvolgeva sulla torre, le ali completamente spiegate, ampie, sottili e poderose, i suoi due paia di occhi sembravano ancora rilucere di quella rossa rabbia che lo animava durante le battaglie, sulla testa spigolosa svettavano due lunghe corna e la bocca spalancata era bloccata nel suo ultimo ruggito contro la luna.
Si costrinse a distogliere lo sguardo da quella splendida creatura che sembrava ancora pulsare di vita, i suoi occhi caddero sull’ esile figura che ora era in piedi davanti a lei, un moto d’ irritazione la pervase quando si accorse che si trattava della piccola Lishe che la guardava da sotto le sue lunghe ciglia scure, fra le braccia stringeva convulsamente un’ oggetto circolare.
Rimasero per lunghi istanti a fissarsi con astio, il vento sembrava essersi fermato, in attesa che il tempo riprendesse a scorrere, e questo sembrò accadere quando la bambina alzò del tutto lo sguardo su Neah, nei suoi occhi scuri c’ era spazio solo per la rabbia, causata chissà da cosa.
“È meglio non avere anima piuttosto che averla sporca come la tua.” Disse la bambina rabbrividendo. Allungò poi le esili braccia mostrando ciò che teneva al petto; uno specchio con una cornice nera finemente decorata. La superficie argentea non rifletté subito la sua immagine bensì si coprì in parte con nere macchie, in mezzo a quella cupa cornice apparve un volto, Neah vi si riconobbe anche se in quell’ immagine non c’erano cicatrici ed entrambi gli occhi erano sani. Gli occhi di un ipnotico color ametista, intenso e affascinante non celava lo sguardo sveglio, malizioso. No, non era lei, era Lysander -Lys-, sua madre.
Una fitta le colpì il cuore e non riuscendo a sopportare la vista di quello splendido viso che sorrideva appena, macchiato dagli scuri aloni dello specchio, alzò lo sguardo sulla bambina che a sua volta la fissava impassibile.
Alzò lo specchio coprendosi il volto così che Neah fu costretta a guardare il riflesso sullo specchio, che questa volta era il suo, un’ espressione sofferente e la pelle deturpata da quelle orribili cicatrici veniva man mano ricoperta di chiazze scure fino a sparire dietro una cortina d’ oscurità.
Neah sentiva qualcosa grattarle contro lo sterno, qualcosa che chiedeva di essere liberato, era rabbia? Non le importava, quindi lo lasciò libero. Un’ altra folata di vento gelido scosse i loro abiti di luce e tenebra.
La ragazza si inginocchiò con estrema calma per guardare meglio in faccia Lishe che aveva scostato appena lo specchio.
“Non ha senso andare avanti se si è così sporchi.” Disse la piccola che arretrò di un passo quando la ragazza allungò le braccia verso di lei. Una quiete glaciale le era scesa in corpo, vedeva quello che avrebbe fatto in uno specchio di purissimo ghiaccio.
“Vieni qui, piccola Lishe.” Disse Neah soave, ma la bambina non dava segni di volersi avvicinare “Sorella.” Disse infine la ragazza facendo crollare le insicurezze della piccola, pronunciare quell’ ultima parola le era costato uno sforzo sovrumano, naturalmente non la considerava sua sorella.
Sulle labbra della piccola si formò un lievissimo sorriso e si lasciò toccare le braccia dalle mani –solo una perché dell’ altra era rimasto solo un moncherino- fredde della ragazza.
“Vieni qui.” Continuò lei con tono dolce ed inaspettatamente al prese in braccio, Lishe strinse convulsamente lo specchio tra le braccia nel terrore di perderlo. Gli occhi neri della piccola si specchiarono in quelli corvini di Neah con uno sguardo interrogativo.
Neah teneva la bambina in modo da avere il braccio buono libero, quando iniziò a parlare.
“Non importa avere l’ anima pulita o sporca, e sinceramente a me non importa.” Una pausa, nella quale la piccola la guardò con intensità. “Continuerò ad andare avanti, a camminare, e non sarà di certo la figlia dell’ uomo che odio a fermarmi con i suoi giochetti da quattro soldi allo specchio. Chiaro?” Chiese Neah alla bambina che ora la guardava con rinnovato odio.
Fece per parlare ma la ragazza la bloccò  premendole un dito sulle labbra. “Non puoi permetterti di parlare,” Ricominciò la vampira facendo lentamente scendere il dito sul morbido profilo della piccola, sul collo fino alla clavicola prima da staccarlo. “Non hai ancora capito come funziona questo mondo.” Concluse infilandole la mano libera nel petto, il sangue iniziò a sgorgare viscido sulle sua mani e Neah si inebriò di quella sensazione che ogni volta le dava alla testa, la bambina la fissava con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta in un muto grido, lo specchio le cadde dalle mani rompendosi al contatto con il terreno in mille schegge scure.
Sentiva il pulsare rapido del suo piccolo cuore e non provò nulla quando glielo strappò dal petto.
Rimase a guardare quel colore ipnotico che si impossessava del nero dell’ ossidiana, la gola prese a bruciare così come il marchio che aveva sulla schiena, si accorse del cambiamento del colore dei propri occhi. Ma non si sarebbe abbassata a berlo da terra. Sospirando passò oltre.
Scese la lunga scalinata, non facendo caso alla figura seduta sugli ultimi gradini. I suoi abiti sporchi di sangue venivano mossi dalla lieve brezza che si era alzata, il cielo ancora coperto da uno coperta di grigi nuvoloni e l’ aria appesantita dall’ umidità.
Neah si passo la mano destra sul moncherino che era rimasto della sinistra, sospirando. Non era una grave perdita, una mano sola le bastava e comunque avrebbe trovato un Generatore disposto a ‘riattaccarla’, sapeva che potevano farlo, come quello lì, Azue, semplicemente toccandola era riuscito a farle marcire la mano –ah, di certo l’ avrebbe ammazzato il prima possibile-. Li detestava, con tutto il suo cuore, anche se nel corso della sua vita aveva avuto occasione di incontrarne ben pochi le avevano sempre dato un senso di ribrezzo, resuscitare le persone era una cosa orribile, una volta che si è morti si è morti, o no? L’ anima se ne va via.
Si fermò con un piede sullo scalino sottostante.

L’ anima, storse la bocca infastidita dal suo stesso pensiero, non aveva mai creduto a tutte quelle stronzate sulle anime, eppure sapeva che una volta morti qualcosa cambiava radicalmente –a parte il fatto della pelle che va in decomposizione o del fatto che ti ritrovi sotto terra, eccetera eccetera-.
Ma comunque non le importava più di tanto, l’ unica cosa che aveva bisogno di sapere era se c’ era un posto per lei.
Arrivò in fondo alle scale quando sentì dei colpi di tosse, voltò la testa e vide Zephit che si stava coprendo la bocca mentre tossiva con in mano una bottiglia di liquido trasparente, quando finalmente riuscì di nuovo a respirare la guardò con le lacrime agli occhi –causate ovviamente dal mancato soffocamento-.
“L’ hai uccisa.” Commentò piatto l’ elfo, non la stava accusando. “I Generatori avranno da lavorare.” Terminò lui sospirando l’ aria umida.
“Già, e probabilmente morirà una seconda volta.” Disse Neah con la voce lievemente irritata.
“Faresti bene ad andare via prima che tuo padre si accorga dell’ odore del sangue.” Neah si voltò alzando la vista fino al corpo riverso della bambina, il sangue si era allargato ancora e ora colava lento, verso di loro, dagli scalini.
“Non vorrai farti torturare ancora.” Continuò l’ elfo notando il silenzio della ragazza, che a quel commento si voltò verso di lui fulminandolo con lo sguardo.
“Infatti, stavo andando.” Disse dirigendo lo sguardo verso le strade deserte.
“Dove?” Chiese con curiosità lui, bevendo un sorso dalla bottiglia trasparente, aveva già gli occhi lucidi ma non era affatto ubriaco, gli ci sarebbe voluto molto di più che una semplice bottiglia di vodka. “Questo mondo è diventato un mortorio, sembrano morti tutti.” Disse le ultime parole sussurrando appena, ma di certo lei l’ aveva sentito.
“Gli Umani.” Sussurrò lei pensierosa guardando il cielo, quando sentì un colpo alla bocca dello stomaco, abbassò lo sguardo e vide il familiare fodero chiaro della sua spada appoggiata contro il suo cappotto, guardò l’elfo interrogativa.
“Va via da qui, il prima possibile, ovunque, ma lontano da questo posto.” Disse lui con rinnovata urgenza, fissando le vie della città che si stendevano davanti a loro. Tutto quel silenzio, la mancanza di persone ad affollare le via altrimenti chiassose, la morte stessa sembrava aver abbandonato quel luogo. Neah afferrò la spada guardando l’ elfo che ora si era messo a sorseggiare dalla bottiglia trasparente.
“E tu?”
Zephit accennò un sorriso. “Finché Azue è vivo non rischio la vita.” Concluse soddisfatto, portandosi alle labbra la bottiglia. “O almeno credo.” Disse con le labbra che sfioravano il vetro della bottiglia, mentre le sopracciglia si aggrottavano al pensiero di uno dei tanti possibili futuri che si era immaginato.
“Perché fai questo?” Chiese lei con pura curiosità, sfoderando appena la spada,
alla bellè meglio a causa della mano mancante, per controllarne il filo.
L’ elfo alzò le spalle mentre un tuono ruggiva in lontananza. “Morto, sono già morto. Mi sembra giusto aiutare le persone che possono ancora vivere.” Fece una pausa avvicinando il collo della bottiglia alle labbra. “E poi ad essere sincero non mi importa niente di quella che sta architettando quello stronzo.” So di essere morto, lo so da tempo.
Detto questo bevve un lungo sorso dalla bottiglia temendo di aver fatto arrabbiare la vampira a causa dell’ insulto a suo padre.
I suoi occhi rimasero quieti.
“Grazie.”

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Capitolo 14
*** Sul confine. ***


Ma… quanto tempo è passato? D: Chiedo scusa a tutti per l’ immane ritardo, ma in questo periodo ho avuto un calo di ispirazione terribile e in compenso mi sono messa a scrivere una storia che non penso pubblicherò mai (11 pagine di World del tutto scollegate temporalmente fra di loro ._.).
Comunque, sono tornata! E per chi sperava nella mia morte… beh, mi dispiace deludervi ma sono ancora viva, solo per farvi leggere le mie cavolate.
Passando al capitolo, devo dirvi che questo è un capitolo ‘di passaggio’ , il prossimo sarà più dinamico, dovrà esserlo u.u
Ringrazio che sta ancora leggendo questa fic e tutti quelli che recensiscono ancora, grazie Homicodal Maniac… aspetta, ma non c’ è praticamente più nessuno che recensisce, non sono morta io e lo siete voi? D:
Sprecate due minuti della vostra vita per farmi sapere che ne pensate, la tastiera non morde! Se poi verrà fuori che quei due minuti che vi ho fatto perdere io vi servivano per disinnescare una bomba, beh allora…
Comunque, Buona lettura!

 

Capitolo 14. Sul confine.

“Ora la tua anima è abbandonata, camminerai da solo dal cielo fin dentro all'inferno”

[Within Temptation – A Demon’s Fate]

“Azue.” Lo richiamò di nuovo il re, era quasi un’ ora che stava affacciato alla finestra della sua stanza, aspettando di vedere la schiena della vampira scendere le scalinate, successe proprio in quel momento. Alzò un braccio in direzione del re per zittirlo, naturalmente Dimitri si infuriò, ma lo lasciò fare.
Non avrebbe mai capito fino in fondo la mentalità di un Generatore vecchio come lui, le sue assurde manie nell’ inseguire e straziare una preda, manipolare un proprio compagno per permettersi di raggiungere l’ obbiettivo.
Lui invece non era il tipo da fare appoggio sugli altri, ma con Azue era stato un caso particolare, se avesse potuto avrebbe fatto tutto da solo, avrebbe fatto a meno di un tale individuo, certe volte avrebbe voluto torcergli il collo e di certo avrebbe gioito nel farlo.
“Non credi che sia ora di andare?” Lo richiamò ancora, ma sembrò non ascoltarlo di nuovo, il re sbuffò, trattenendo l’ ira che cresceva nel suo petto.
Lui li osservava dall’ alto della torre, il suo elfo e la vampira che parlavano tranquillamente, e strinse gli occhi quando vide Zephit porgere l’ Ala d’ Argento alla ragazza, l’ aveva nascosta lui stesso, come aveva fatto l’ elfo a trovarla? Poco importava, le sarebbe servita a poco.
Vide Zephit bere più volte dalla bottiglia e sorridere amaramente.

Sorridi finché puoi caro Zephit, anche le pedine hanno il diritto di divertirsi.
“Azue.” Ancora, di certo il re non era l’ unico a essere nervoso quella sera.
“Mando Elk o desideri che mi occupi prima della piccola Lishe?” Sentì l’ aria raggelarsi nella stanza del re, lui non se ne era ancora accorto. Trattenne a stento un sorriso, ora era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, la sua piccola figlioletta contava troppo per lui, anche se era abbastanza convinto del fatto che il suo ruolo ormai l’ avesse svolto. Per quanto riguardava Elk, lui era solo un’ altra pedina, quella meno importante, un Generatore di scarso valore che sarebbe servito solo per infastidire un po’ la figlia del re, e lo sapevano entrambi che comunque sarebbe morto per mano della vampira da li a poco.
 

Camminava tranquillamente, stringendo nella mano destra quello che restava della sinistra, la polvere scura si alzava ad ogni suo passo, sapeva bene la strada da dove si trovava in quel momento al confine del mondo delle Creature Oscure, lo aveva percorso una sola volta ma le si era impresso a fuoco nella memoria. Le rocce aguzze se si tendevano verso di lei quasi a volerla ghermire, gli alberi che con rami secchi e contorti si allungavano verso un Sole ormai irraggiungibile.
Lentamente la gola aveva ripreso a bruciare, ma intorno a lei non c’ era niente, solo morte e desolazione.
 

Dolore, ovunque. Sentiva il sangue scorrerle sulla schiena e imbrattarle ancora di più gli abiti già sporchi, ad ogni respiro, ogni minimo movimento sentiva fitte lancinanti percorrerle tutto il corpo.  Accovacciata a terra sperava di poter perdere i sensi, anche per poco, per sfuggire anche un solo istante a tutto quel dolore. Accanto a lei ancora quel ragazzino, come si chiamava? Aledari forse. No, aveva ucciso quel ragazzino, non era lui che aveva nascosto negli stivali il pugnale che lei gli aveva preso per permettersi poi di scappare. Di quel ragazzo non conosceva il nome.
Lo osservò, era accanto a lei, sdraiato a pancia in su, una mano appoggiata al petto che si alzava e abbassava regolarmente, l’ altra lungo il fianco, i capelli scuri e scompigliati gli ricadevano sulle guancie pallide.
Intorno a loro c’ era solo la desolazione, rocce aguzze sembravano tentare di lambirli con le loro sporgenze affilate, la terra nera si attaccava alle vesti, rendendolo ancora più sporche di quanto non fossero già, il cielo scuro incombeva sopra di loro.
Rimase a guardarlo per un po’ tentando di rimanere il più immobile possibile per limitare il dolore ce continuava a irradiarsi in lei, fino a che non lo vide socchiudere gli occhi, chiederli di nuovo e con un respiro un po’ più lungo riaprirli, gemette e si guardò intorno, i suoi occhi color nocciola si posarono sulla ragazza riversa a terra accanto a lui, le sopracciglia aggrottate.
Allungò una mano verso di lui, e lo vide ritrarsi istintivamente per poi prendere un respiro e farsi coraggio per avvicinarsi.

Io ho aiutato te a fuggire, ora tocca a te aiutare me. Avrebbe voluto parlare, dire quelle parole ad alta voce, farsi aiutare per davvero, aggrapparsi a lui e…
Inaspettatamente lui si avvicinò in fretta e mentre con mani tremanti tentò di aiutare la vampira che sfiancata giaceva a terra, era giusto così.
Si aggrappò a lui e lentamente si alzò, i loro corpi aderivano e lei poteva benissimo sentire il battito accelerato, forse per la paura, del ragazzo e il suo respiro lento e regolare, la sua pelle calda, il pulsare del sangue.
Una marea di fin troppe e conosciute sensazioni si diffusero in lei, dandole quella poca forza che le bastava per avvicinarsi ancora un po’ al suo collo e affondarci i canini.
Lento, il sangue iniziò a colare nella sua bocca dandole nuova forza, non ne avrebbe sprecata neanche una goccia. Nel momento in cui si sentì stabile sulle sia gambe, rovinarono entrambi a terra.
Normale, dicono che il morso di un vampiro sia la cosa più dolorosa al mondo, così tanto da impedirti perfino di urlare, paralizzarti dal dolore e perdere immediatamente le forze. Bevve fino a che non sentì il cuore del ragazzino fermarsi.
Era giusto così.
 

Continuò a camminare, imperterrita, attraverso quella steppa morta, priva di ogni segno di vita, priva di speranze, di luce.
Camminò a lungo senza badare agli ululati e ai versi grotteschi e poco rassicuranti che le giungevano alle orecchie, erano vicini chiunque fossero, ma mai avrebbero osato attaccarla, lei sue cicatrici erano un po’ come un cartello luminoso con una scritta a caratteri cubitali che recitava: PERICOLO!
Il suo passo, austero e regolare, cadenzato e inquietante creava sordi echi che si perdevano nella steppa, lo sguardo sempre puntato davanti a sé, attendeva di essere ferito da quel bagliore di luce che delimitava il confine tra le terre delle Creature Oscure e quelle degli Umani.
Ma il viaggio sarebbe stato lungo, lo sapeva bene, due giorni almeno. Ah, se solo avesse avuto ancora il suo drago.
Strinse con forza il pugno destro conficcandosi le unghie nel palmo della mano, sentì il sangue scorrere pigramente nella sua mano e un po’ quella sensazione la fece stare meglio, ma il sollievo durò ben poco.
Sbucò a pochi metri da lei, una chimera; assomigliava molto vagamente a un centauro, a parte il fatto che la sue pelle era verde e squamosa come quella di un rettile e che avesse una coda lunga tanto quanto il suo possente corpo, aveva anche un paio di braccia che davano l’ idea di essere estremamente esili, mani dotate di quattro lunghe dita ossute erano accompagnate da qualche paio di bracciali e anelli tutti in oro. Il viso era qualcosa di poco definito, sembrava  non avere né bocca né naso, solo un paio di occhi bianchi e lucenti, più un terzo più in alto, in mezzo alla fronte, il tutto coronato da lunghe  e appuntite corna che assomigliavano tanto a punte di una lancia e una cascata di lunghi capelli argentei. Ah, si, aveva anche lei ali, non erano ampie come quelle di drago, ma membranose, pesanti e rovinate, per niente adatte al volo.
Notò subito i segno che aveva sul petto, scuri arabeschi sembravano avvolgere il suo petto e il costato, pentacoli e strane lettere si alternavano in un gioco di linee sinuose. Quel particolare segno le riportò alla mente qualcosa di lontano e ormai dimenticato, non era la prima volta che li vedeva, eppure non riusciva a far riaffiorare il ricordo, non riusciva a ricollegarlo a un’ immagine vista di sfuggita qualche anno prima.
“Rose.” Si sentì chiamare da quell’ essere con una voce roca e gracchiante, istintivamente portò una mano al manico della spada vedendo la mano della chimera allungarsi verso di lei e nonostante quella chimera fosse priva di bocca vide i suoi occhi sorridere.
Accadde tutto in pochissimi attimi, guidati dall’ istinto e da una sferzata di adrenalina; la chimera scattò verso di lei con il braccio teso, Neah con un movimento fluido degno di un’ onda che si infrange sulle rocce estrasse la spada e tranciò di netto l’ arto che si protendeva verso di lei, la foresta morta si saturò di un urlo agghiacciante e inumano mentre il braccio rimasto si allungava, afferrando con quella mano scheletrica il suo volto, lei, non aveva avuto il tempo necessario per colpire di nuovo.
Gelo.
Buio.
 

Era sfinita, si era lasciata cadere a terra di nuovo, eppure era così vicina, mancava poco. Ancora un po’ e sarebbe giunta alle terre degli Umani. Si, e poi? Si illudeva del fatto di poter essere accettata e aiutata, ma lei era una vampira, non avevano una buona reputazione fra gli Umani, così come del resto tutte le Creature Oscure godevano di cattiva fama. L’ avrebbero uccisa senza la minima esitazione se solo avessero conosciuto la sua vera natura.
Sangue.
Ne aveva una voglia terribile, era un’esigenza inevitabile, quel succo vitale per ogni essere umano. Quel miscuglio di eritrociti,antigeni e anticorpi che era essenziale anche per lei,cellule speciali che erano in grado di guarire il dolore che la dilaniava quando non la inebriava circolando nelle vene, colandole sulla bocca, macchiandole la pelle. No, non ne aveva davvero bisogno, ma ormai era come una droga, non sarebbe più riuscita a farne a meno, lo sapeva.
Ancora le bruciava la gola quando si sentì sollevare per le braccia, fitte di dolore le percorsero la schiena sfregiata, la vista si annebbiò appena, ma non abbastanza per impedirle di vedere il corpo si un Umano sopra di lei, la camicia chiara e logora lasciava intravedere segni scuri e sinuosi, ora dritti, ora curvi che invadevano il petto e parte del costato. Non era la prima volta che li vedeva, sapeva cos’ erano ma se ne dimenticò quando una nuova ondata di dolore le fece perdere i sensi.
 

Uno spruzzo di calore sul suo petto, un forte dolore alla schiena, di nuovo calore, in mezzo alle scapole, mentre i polmoni tornavano a funzionare come se fosse la prima volta, e il cuore a battere. Il gelo che aveva provato fino a un attimo prima l’ abbandonò velocemente, lasciandole addosso un senso di spossatezza,
Recuperò la vista lentamente, e per un attimo sperò di poter tornare a vedere con entrambi gli occhi, invano.
Non riuscì subito a comprendere la scena che si presentò davanti ai suoi occhi, solo un colore verdastro e luminoso, abbassò lo sguardo fino a incontrare una macchia scarlatta e poi… poi la sua spada, piantata nel petto della chimera che per la seconda volta si era abbattuta contro si lei, scagliandola contro una di quelle rocce appuntite al bordo del sentiero che ora era conficcata tra le sue scapole.

 
L’ aria fredda sembrava far rabbrividire tutta la città.
I suoi passi silenziosi si perdevano in quel deserto, gli ultimi abitanti di Ethis stavano frettolosamente rientrando in casa e chi vi si trovava già stava chiudendo le finestre e le porte, chi aveva già fatto anche questo, beh, sembrava non essere mai esistito.
Alzò lo sguardo vedendo una vecchietta indaffarata con le persiane della finestra, lei lo notò e gli rivolse un timido sorriso prima di sparire dentro casa con un’ espressione inquieta sul volto.
Da quando aveva ripreso i sensi in quella schifosa locanda tutto gli era parso estremamente confuso, forse diverso.
Le strade quasi completamente deserte, il senso di oppressione e il gelo nelle membra.
Aveva deciso che sarebbe tornato a casa, non avrebbe potuto fare altrimenti, non aveva idea di cosa fosse successo dopo che era stato colpito, nella locanda era rimasto solo il barista che, terrorizzato, gli premeva sulla tempia un sacchetto con dentro del ghiaccio e qualche cadavere per terra.
Infondo Neah aveva avuto ragione.

“La prossima volta che fai un’ offerta del genere assicurati prima con chi tu stia parlando, questa volta hai fatto un grave errore e ora ne pagherai le conseguenze.”
Era stata una pessima idea, infilarsi negli affari di una Creatura Oscura, forse ora era meglio così, tornare a casa facendo finta che tutto quello non fosse mai accaduto. Dimenticare.
Dimenticare di aver conosciuto uno degli ultimi vampiri, anzi, probabilmente proprio l’ ultima.
Giravano tantissime leggende e storie su di loro, la maggior parte era di quelle storielle che si raccontavano ai bambini per spaventarli, altre addirittura erano riportate sui libri, poche di quelle narravano il vero, ricordava in particolare una specie di filastrocca che gli raccontava suo nonno prima di essere ucciso in guerra, chissà, forse da un vampiro stesso.

Il loro destino è segnato.
Nel loro percorso il buio incombe, il dolore li guida, la Morte li sorveglia.
Cenere Argentea saranno.
L’ Ultimo ne calpesterà le polveri.

Aggiungeva poi lui; Non farti trascinare, non ti aspetterebbe niente di buono.
Ma il passato è forte, e non si arrende, non ti lascia mai, non abbandona i propri figli.
Di certo scappare sarebbe stato inutile.

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Capitolo 15
*** Sfide. ***


Ci sono riuscita finalmente! Se devo ringraziare qualcuno in particolare beh, ovviamente è Homicidal Maniac che mi ha persuaso a suon di padellate a non mettermi a scrivere altre cavolate se non quella riportata qui sotto :D Grazie! E ringrazio moltissimo anche la musica dei Linkin Park che mi ha ispirato :D
Quindi, questo capitolo è ancora incentrato su Rhies e su un altro personaggio che ultimamente è ovunque come funghi, ma spero di riuscire a inserire un minimo di azione e spargimenti di sangue nei prossimi capitoli :)
Quindi con questo credo di aver detto tutto ^^ vi lascio con questa sottospecie di banner :S
Buona lettura sonnambuli! È mezzanotte e dieci Dx

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Capitolo 15. Sfide.

Tutto quello di cui avevo bisogno Era l’unica cosa che non ero riuscivo a trovare.
E tu eri lì sulla curva Che aspettavi per farmi sapere che Lo costruiamo Per poi distruggerlo Stiamo costruendo tutto questo Per poi distruggerlo Non possiamo aspettare Per ridurlo in cenere

[Linkin Park - Burn it Down]

Respirava con calma, controllava il fiato a fatica mentre sentiva il cuore pulsare con forza, ne sentiva i battiti nelle orecchie, quanto era fastidioso morire.
 

Davanti al ragazzo si stagliava una costruzione imponente del colore della roccia chiara, la reggia, le numerose finestre pulite e le colonne alla base erano ricoperte di muschio e di piante rampicanti. Quel posto era ben protetto e sotto di esso si trovava una scalinata che dopo un centinaio di scalini di divideva in due; queste due scalinate portavano in zone diverse dell' immenso giardino sottostante la costruzione, su ogni rampa di scala splendeva un incantesimo che disegnava sigilli e pentacoli luminosi sulla superficie irregolare degli scalini. Gli incantesimi avevano nature differenti ma molto simili tra loro; splendevano di differenti incantesimi di indebolimento.
Il giardino era immenso, rimaneva diviso in due parti; una delle quali ospitava feste e spettacoli quasi ogni sera e l' altra, spesso nascosta al popolo, accoglieva soldati feriti, reduci dalle guerre.
Iniziò a salire le scale e sentì il piccolo ciondolo scaldarsi sotto la maglia, lo proteggeva dagli incantesimi di difesa cancellando momentaneamente i simboli luminosi su cui camminava.
Quando giunse in cima alle scalinate le due guardie poste ai lati dell’ ingresso si irrigidirono per un breve istante. Con passo deciso le superò e ignorò i loro inchini e i saluti come aveva sempre fatto.
Altre due guardie attendevano all' interno della reggia per poter accompagnare gli eventuali ospiti da un nobile, non perse tempo a guardarsi intorno.
Arazzi rossi e dorati ricoprivano le pareti, sotto di lui un lungo tappeto dei medesimi colori contrastava con il colore scuro del pavimento.
Lo scenario non cambiò neanche dopo parecchi metri, ma dopo un paio di minuti alla sua destra un arazzo dai colori inusuali copriva gran parte della parete, si soffermò un attimo ad osservarlo; era un’ insieme di linee sinuose, inizialmente chiare che sfumavano dolcemente fino ai toni più scuri, formavano tre volute durante il loro percorso, erano i tre Cicli.
Passò oltre, chiedendosi cosa sarebbe successo alla prossima Cerimonia della Successione ma soprattutto quando, magari avrebbe fatto un salto al tempio dopo aver parlato con suo padre.
Superò a passo sicuro la grande sala e un paio di corridoi prima di imboccare una rampa di ripide scale, tutti i servi e le guardie si inchinavano o sorridevano al suo passaggio felici di riavere il principe a casa.
Giunse davanti a una porta di legno chiarissimo con serratura e inserti in oro, fece per bussare quando sentì numerose voci provenire dall’ interno. Possibile che si stesse svolgendo un Consiglio?
“È tutto pronto?”
“Dobbiamo fare in fretta.”
“… bisogno”
Bussò due volte, deciso e con forza e subito le voci al di là della porta cessarono.
“Avanti.” Riconobbe la voce fredda e autoritaria del padre, aprì la porta e subito almeno una decina di occhi si puntarono su di lui; si erano girati tutti, tranne uno che continuava a dargli le spalle; lunghi capelli argentei coprivano quasi tutta la schiena fasciata da abiti neri, anche quando parlò l’ uomo non vi voltò, rimase a contemplare il paesaggio fuori dalla finestra.
“Padre.” Fece un lieve inchino con la testa “Sono tornato.”
 

Suo padre aveva fatto uscire tutti, o meglio, quasi tutti, era rimasto l’ uomo dai capelli argentei che continuava però a osservare fuori dalla finestra e a restare in silenzio come una statua, sembrava quasi non esserci nella stanza insieme a loro.
“Allora, l’ hai trovata?” Si aspettava quella domanda.
“No padre, ho fatto alcune ricerche, anche alle Grandi Biblioteche ma non sono riuscito a trovare nulla.” A dire il vero era riuscito a trovare qualcosa, ma erano testi poetici ispirati a draghi e a ninfe, niente di che interessava a lui, a suo padre. Lo vide sbuffare e appoggiare la testa al palmo della mano, le dita si infilarono nei capelli ancora scuri.
“Possibile che l’ Ala d’ Argento non si riesca a trovare?” Chiese più a se stesso che al figlio, erano due anni che cercava, inutilmente, la cercava –l’ arma, la creatura o qualunque cosa fosse- da quando aveva ucciso con tanto piacere suo padre; ricordava quel giorno come se fosse passata solo una manciata di giorni; il pavimento della sala del trono distrutto e sporco, il corpo di suo padre a terra e una figura vestita d’ oscurità sopra di lui, aveva visto il suo gesto lento e terribile, l’ assurda precisione con cui aveva tagliato la giugulare e il sangue che sgorgava velocemente aprendosi come una rosa sul terreno grigio.
“Se è l’ Ala d’ Argento che cercate posso dirvi io dove trovarla.” L’ uomo alla finestra di voltò mostrando una carnagione estremamente pallida e un volto inquietante, occhi del colore dell’ ambra ricordavano quegli dei felini, mentre la maglia probabilmente in pelle era ridotta in stracci e mostrava gran parte del torace ampio e pallido, coperto da arabeschi scuri e contorti. “Anzi, non ci sarà neanche bisogno di cercarla” Si fermò un attimo, sorridendo e mostrando una fila di denti bianchissimi e appuntiti “sta venendo lei da noi.”
“Padre…” L’ aveva riconosciuto, era il Generatore che avevano incontrato alla locanda, che cosa ci faceva un Generatore nei territori umani, per di più nella reggia? Era impossibile non riconoscere i Generatori, avevano tutti più o meno lo stesso aspetto malsano e pallido, li distingueva in particolare i segno che portavano sul torace e sul costato, era impossibile che suo padre non se ne fosse accorto.
“Tranquillo Rhies, lo so, ma ci sta aiutando.” Lo rassicurò suo padre alzandosi dalla sedia e volgendo lo sguardo verso Azue che sembrava avere un’ espressione quasi divertita, aveva l’ aria di uno che era sicuro di sé.
“Solo una piccola curiosità; a che vi serve l’ Ala d’ Argento?” Chiese inclinando la testa da un lato, i capelli argentei scivolarono dolcemente dalla sua spalla andando a coprire parte del petto. Rhies spostò lo sguardo sul padre mentre un brivido fastidioso gli correva su per la schiena.
“Non dovrebbe interessarti.” Rispose lanconico il re, il figlio tornò con lo sguardo sul Generatore e non gli avrebbe più tolto lo sguardo di dosso, la sua espressione era cambiata.
“Si invece.” Dal volto del Generatore era sparita ogni traccia di divertimento, i suoi occhi ora erano ambra ghiacciata, si pizzicò quel poco di maglia che gli restava addosso “visto come mi hanno trattato i tuoi commensali poco tempo fa, credo che tu me lo debba. Come minimo.” Adorava le sfide, e in tutti i suoi anni di vita ne aveva affrontate tante, ma con il tempo diventavano troppo facili, da quando aveva superato quel periodo credeva di potersi considerare alla pari di un re, se non addirittura superiore, ma c’ era ancora una sfida che voleva affrontare, e si trovava lì apposta.
“Potrei mentirti.” Disse Eiron sogghignando. Era stata normale la reazione che avevano avuto le persone che fino a poco tempo prima erano sedute in quella stanza, naturalmente un Generatore incuteva paura, ma questo non li aveva fermati dall’ aggredirlo quando lo avevano scoperto, il re li aveva lasciati fare, aspettando la sua reazione che non era tardata ad arrivare, quando i suoi occhi erano diventati due pozze di tenebra e filamenti d’ ombra erano usciti dal suo corpo avvolgendoli lentamente, la maggior parte di loro si era calmata ma uno era rimasto ucciso, non era certo che l’ avesse fatto solo per difesa, perché durante quei pochi attimi non aveva smesso di sorridere, si divertiva ad uccidere anche chi non comportava una seria minaccia e il re si era anche accorto che mentre lo faceva non aveva mai smesso di fissarlo, come per sfida, dopodiché tutti avevano iniziato ad ignorarlo e a lasciarlo stare un po’ per paura e un po’ per muto rispetto.
“Mi aspetto comunque una risposta.” Disse il Generatore sollevando appena le braccia. Rhies guardò con nervosismo il padre, ne avevano parlato tempo prima e suo padre si era assicurato che la sua vendetta restasse segreta. Continuava a riuscire a malapena a distogliere lo sguardo dal Generatore e le poche volte che lo faceva aveva la sensazione di essere in pericolo, come inseguito, ma a lui bastava osservare.
“Voglio usarla.” Per poi liberarmene.
“Mi aspettavo un’ idea più originale.” Il suo volto tornò come poco prima, il viso di distese e apparve quasi un’ espressione amichevole, mosse qualche passo verso di loro prima di fermarsi con un’ espressione interdetta.
“Dimenticavo, l’ Ala d’ Argento non è in ottime condizioni, è un po’ rovinata, ma dovrebbe andare bene lo stesso” Finì sollevando gli angoli della bocca in quello che non si poteva chiamare esattamente un sorriso.
Passò tra i due posando una mano sulla spalla del re e socchiudendo leggermente gli occhi rivolgendosi al principe, adorava le sfide.
“Non credevo di poterti ritrovare qui.” Lo sussurrò appena per non farsi sentire dal re che si era già scrollato dalla sua stretta troppo dura e fredda.
“Buona giornata.” Li salutò sulla porta consapevole di avere un paio di occhi puntati sulla schiena e canticchiando un motivetto allegro.
“Padre” Iniziò Rhies, ma venne subito interrotto dalla voce di suo padre, più o meno rassicurante.
“Tranquillo figliolo, questa guerra la vinceremo” Disse mettendogli una mano sulla spalla. Tutto era cambiato eppure era tutto uguale a due anni prima, un’ altra guerra avrebbe devastato i mondi e ucciso innumerevoli persone e chissà, forse un’ altro re sarebbe morto.
 

Sbuffò con forza pentendosene subito, temendo di aver svegliato la persona sdraiata sul letto vicino, controllò la figura coricata; il volto rilassato e leggermente rugoso aveva il solito e inquietante pallore interrotto appena da ciocche di capelli scuri e disordinati originariamente raccolti in una crocchia, le labbra fin troppo rosse leggermente socchiuse, il torace si alzava e abbassava regolarmente al ritmo del respiro, sul suo torace un libro aperto a faccia in giù. Si avvicinò lentamente a sua madre nel timore di svegliarla, da quando era finita la Grande Guerra si era ammalata e da allora né medici né guaritori o sacerdoti erano riuscita a guarirla dalla sua malattia che nessuno sembrava conoscere, erano due anni che andava avanti soffrendo e nonostante l’ età avanzata sembrava voler vivere a tutti i costi.
Prese il libro e fece per chiuderlo e riporlo sulla mensola lì affianco quando notò un particolare disegno sulla pagina aperta, erano segno che aveva già visto, erano quelli dei Generatori, controllò meglio la pagina e vide che erano scritte parecchie cose sul loro conto, spostò lo sguardo su sua madre che sembrava dormire tranquillamente e poi sul libro e le spiacevoli notizie che riportava, che suo padre stesse coinvolgendo anche lei? 

I Generatori non sono esseri umani, o almeno, ora non lo sono più.
Si dice che prima dei tre Cicli –anni del Giorno, del Crepuscolo e della Notte-  esseri Umani e Creature Oscure vivessero pacificamente in cui nessuno invadeva i territori altrui, nessuno faceva guerre e le razze erano ben distinte perché raramente questi due gruppi entravano in contatto e quando accadeva era solo un leggero scambio di sguardi, ed erano quelli gli specchi in cui si poteva leggere chiaramente il futuro prossimo, la creatura –umana o Oscura che fosse- avrebbe ucciso milioni di avversari a costo di avere salva la vita.
Ma questi sono tempi lontani, gli anni del Giorno sono finiti e da troppo tempo sono stati sostituiti con gli anni del Crepuscolo; anni difficili, in cui le occhiate tra le varie razze non sono né diffidenti né indifferenti, nelle pupille altrui si può leggere chiaramente una forte ostilità.

Si è pronti a fare la guerra, certo! È quello che urlano quasi inconsciamente le menti degli ubriaconi nelle taverne, delle famiglie felici e persino dei poveri.
I conflitti furono numerosi, iniziarono assieme agli anni del Giorno; sia gli umani che le creature Oscure iniziarono a cacciare nei territori altrui, uccidendo e distruggendo abitazioni, foreste e lande.
Ma chi mai potrà prevedere ciò che accadrà negli anni della Notte? Che quelle occhiate inizialmente innocue potrebbero arrivare addirittura ad uccidere?
I Generatori appaiono poco dopo la prima metà degli anni del Giorno, nascono come Necromanti in grado di parlare con morti e spiriti. Con l’ avvento del secondo Ciclo le forze della natura si mossero e il mondo dell’ aldilà si avvicinò impercettibilmente a quello degli umani e delle creature Oscure. Questi individui, già in grado di stabilire un contatto, riuscirono a far risorgere, seppur momentaneamente, i morti e con il tempo anche a controllarli e a renderli schiavi obbedienti, guerrieri o abili lavoratori.
Molte altre creature mutarono con il tempo, alcune si estinsero, altre nacquero e altre ancora mutarono così profondamente da diventare totalmente diverse, persino alcuni esseri umani, considerati creature perfette, subirono molti cambiamenti, in particolare cambiò la loro anima; spesso sembrava sporcarsi ogni volta che un morto veniva riportato a vivere, talvolta invece sembrava sparire completamente; mai si era vista un’ animo più scuro di questi individui che ora si facevano chiamare Generatori.
I Generatori sono esseri perfetti, perché non hanno un’ anima.”

 
Chiuse il libro con un movimento secco stringendolo tra le mani, salutò la madre che per una volta sembrava dormire tranquillamente e uscì portandosi dietro il libro.


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Capitolo 16
*** Ala d' Argento. Parte 1. ***


Ci sono riuscita!!! :D Quindi, sinceramente non ho quasi nulla da dire, forse perchè sono troppo fusa per continuare a scrivere? Si può essere, sono solo le 23.52!
Come al solito ringrazio Homicidal Maniac (dove sarei senza di te?) e  tutti i lettori silenziosi. Ancora una volta sono stata costretta a dividere un capitolo perchè altrimenti sarebbe risultato troppo lungo, la prossima parte spiegherà e farà un po’ di luce sugli avvenimenti del passato e della futura continuazione della fic, ah! Sappiate che ormai manca poco alla fine! Non più di cinque capitoli in cui succederà di tutto, i nostri protagonisti saranno piuttosto impegnati (credo). :D

Buona lettura sonnambuli :)

 

 

Capitolo 16. Ala d’ Argento. Parte 1

“Non c’è via d’uscita, e adesso devi chiederti
Chi ti tirerà fuori quando sarai sei piedi sotto terra? *”

[Nickelback – This means War]

Strade affollate del tutto sgomberate in questa terra di finzione, morta e arida.
Sembrava un deja-vù camminare per le strade del mondo degli Umani e per quelle delle Creature Oscure, quasi la stessa desolazione e lo stesso silenzio, una delle poche cose che era davvero differente era il cielo lì plumbeo e grigio. Ora, non per rovinare tutto, ma Neah preferiva di gran lunga la pioggia, quando il cielo piangeva per lei, perché lei non si sarebbe mai permessa di versare inutili lacrime per qualcosa che non poteva essere cambiato.
Ed eccola, dopo poco, la grande reggia del re Eiron.
Davanti a lei un’ imponente struttura si stagliava contro il cielo cinereo, un numero esagerato di scale di roccia illuminate da pentacoli la precedeva.
Un senso di disgusto si fece largo dentro di lei facendole storcere la bocca e mettendo in risalto il viso sfregiato dalle cicatrici alla luce soffusa del giorno, stava scappando, lei che aveva sempre affrontato guerre con il sorriso sulle labbra stava andando ora a nascondersi con la testa china dagli Umani, quelli che fino a pochi anni prima si dilettava ad uccidere crudelmente.
Abbassò lo sguardo sulle sue mani, o meglio, su quello che ne rimaneva, -il moncherino sinistro continuava a dolerle anche se ormai si era cicatrizzato- mani sporche che innumerevoli volte si erano strette attorno ad else e gole, portò la mano destra al viso e la passò diverse volte davanti all’ occhio destro, stava guarendo lentamente, vedeva ancora nero ma riusciva a scorgere il cambiamento della luce quando le dita ci passavano davanti. Sospirò lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, scoraggiata.
Fece il primo passo sul primo scalino e subito un crampo aggredì il suo polpaccio facendole perdere l’ equilibrio, sbatté il ginocchio sulla roccia, altro dolore le fece credere di esserselo rotto, si lasciò scappare un gemito mentre appoggiava le mani sugli scalini per rimettersi in piedi immediatamente le sembrò di sentire lame conficcarsi nel palmo della mano e nel moncherino restante, era quelle l’ effetto degli incantesimi di indebolimento.
Ma alla fine non era stato così faticoso, a parte l’ impatto doloroso con il primo scalino il dolore iniziava a scemare e ad essere sopportabile. Giunse al primo spiazzo tra una scalinata e le due diramazioni, alzò lo sguardo e vide la scalinata di destra, più lunga e luminosa portare alla reggia sorvegliata e controllata da guardie appostate quasi ovunque, mentre la scalinata sinistra e meno luminosa sembrava portare a uno spiazzo verde.
 

Si muoveva con sicurezza nel palazzo, con una meta precisa, doveva chiarire un paio di cose con il padre.

“Che cosa sta succedendo di preciso?”
“Guerra Rhies, pura e semplice guerra.” Si era girato per sorridergli appena, eccitato dall’ idea della vendetta. “È il momento di prepararsi.”

La vista della porta in ebano nero interruppe i suoi pensieri, bussò un paio di volte e non ottenendo risposta decise di entrare; la stanza sfarzosa di suo padre era vuota.
Uscì e fermò un’ ancella che stava passando chiedendogli dove si trovasse il padre, venne a sapere che era in giardino con l’ ospite che era arrivato da poco, capì che si trattava di Azue.
 

“Sicuro di volerlo fare?” Chiese il Generatore ad Eiron, ancora si divertiva a trattare il re come un suo pari. Si guardarono per un breve istante, nel quale Azue sistemò meglio la vanga sulla spalla. Erano nel retro del castello, nella zona in cui si trovava il cimitero della reggia, sulle lapidi erano incisi i nomi di numerosi guerrieri feriti in guerra e successivamente morti una volta tornati a casa subito dopo la guerra; le Creature Oscure facevano spesso quell’ effetto, non uccidevano subito, ma lasciavano che la morte ti perseguitasse, e una volta tornati al sicuro a casa, così anche se la guerra veniva vinta dagli Umani le loro perdite potevano essere associate ad una sconfitta.
“I vostri soldati sono piuttosto bravi, seri, abili, forti…” Allungò l’ elenco con una mare di aggettivi simili e del tutto casuali, naturalmente solo i primi due aggettivi erano stati pensati davvero, fino a che il re non lo interruppe.
“Non basta la bravura per vincere la guerra, non basta essere delle persone serie che non farebbero del male a qualcuno di indifeso. Bisogna volerla la vittoria, ed essere furbi, subdoli e non dispiacersi per l'avversario. I vivi non bastano per questa guerra.” Il generatore si bloccò, piacevolmente sorpreso.
“Capisco.” Disse solamente, infilzando la vanga nel terreno morbido e umido come se dovesse trafiggere un corpo riverso lì a terra, senza pietà. “Del resto la vendetta non ha alcun prezzo.” Disse sommessamente, ma non abbastanza per non farsi sentire.
“Come, scusa?” Solo suo figlio sapeva della vendetta che aveva intenzione di compiere. Il Generatore sollevò gli occhi d’ oro dalla buca che stava scavando puntandoli in quelli scuri del re.
“Non credere che non l’ abbia capito.” Disse guardandolo di sottecchi, con la schiena piegata sulla vanga. “L’ Ala d’ Argento è un’ arma potente, niente di meglio per una vendetta ben fatta. Ora…” Raddrizzò il corpo reggendosi con un braccio sulla pala conficcata nel terreno scuro con una posa fredda e rigida, come per voler chiarire che non avrebbe portato avanti il lavoro se non avesse ottenuto una risposta . “Di chi vuoi vendicarti?” le labbra del re si stesero leggermente.
“Potrei mentirti.” Ripetè la risposta che gli aveva dato poco prima.
“Di nuovo? Oh, andiamo, scoprirei la verità in poco tempo.” Disse beffardo il Generatore sistemandosi meglio sulla vanga.
“Voglio vendicarmi dell’ Ala d’ Argento.” Ancora, il Generatore rimase sorpreso, non si aspettava che gli Umani fossero così pieni di sorprese, e in parte anche stupidi, come si poteva anche solo sperare di uccidere una leggenda senza rimetterci la vita? Si mise ritto e sfilò la vanga dal terreno rimettendosi a scavare.
Questa è un’ idea originale.” Il re sbuffò stizzito dicendo che si sarebbe ritirato nelle proprie stanze, lasciando ovviamente il lavoro da fare ad Azue.
“Dimenticavo, la fossa comune è lì.” Disse Eiron indicando la parte più limitare del cimitero, vide gli occhi ambrati di Azue illuminarsi ancora di più e le sue labbra allungarsi in un sorriso sghembo.
Dopotutto per il Generatore quella era una bella giornata.
Ma si stufò dopo pochissimo di scavare, quando gli venne in mente quello che gli aveva detto Eiron.

Dimenticavo, la fossa comune è lì.
Buttando a terra la vanga e uscendo dalla buca che stava scavando con l’ entusiasmo di un bambino si diresse nella parte più lontana del cimitero, una nebbia umida era scesa tutt’ intorno, dando al quel luogo un senso di abbandono ancora più forte di prima, strano che non fosse già finito nel dimenticatoio, lui detestava quei posti; costruire lapidi e monumenti commemorativi solo per soffrire e versare inutili lacrime per una persona che ormai non può più sentirti era inutile e angoscioso, secondo lui.
Senza esitazione si buttò nella fossa comune atterrando miracolosamente in piedi sulla schiena di un cadavere, allargò un attimo le braccia per mantenere l’ equilibrio e quando fu sicuro di riuscire a stare in piedi inspirò con il naso il puzzo di putrefazione che i corpi esalavano, un mezzo sorriso si allungò sulle sue labbra. Iniziò a guardarsi intorno in cerca di un cadavere in condizioni decenti da poter riportare in vita.
Le mosche gli ronzavano intorno e forse furono quelle a fare in modo che non si accorgesse della presenza seduta sulla lapide lì vicino.
“Credevo che il lavoro di un Generatore fosse più divertente.” Sollevò lo sguardo e quello che vide fu una giovane donna fasciata da abiti scuri come i suoi capelli, raccolti in una lunga treccia che si posava sul suo petto, il viso sfregiato da pallide cicatrici risaltavano sul volto nonostante il suo pallore andasse vicino a quello del Generatore, i polsi incrociati sopra le ginocchia accavallate, un moncherino lasciato lì in bella vista come se non le importasse niente. A sua volta lei fissò il Generatore in piedi sui cadaveri, la fossa comune non era abbastanza profonda da raggiungere l’ altezza di Azue ma dalla posizione in cui si trovava Neah spuntava solo la testa, e per un momento immaginò di seppellirlo così.
“Vuoi divertirti con me?” Chiese lui allargando le braccia e avvicinandosi al bordo della fossa continuando a calpestare i cadaveri, ogni tanto sentendo lo scricchiolio di qualche osso che si rompeva sotto il suo peso.
“Esci.” Disse lei alzandosi dalla lapide.
“È un ordine?” Chiese Azue trattenendo una lieve risata.
“È un invito.” Rispose lei in un soffio, l’ occhio buono aveva un colore del tutto innaturale, era di un verde purissimo, senza alcuna striatura, era dello stesso colore dell’ erba dei campi aperti, l’ altro semplicemente, era vitreo, come quello di un pesce.
“Accettato.” Il Generatore sorrise appoggiando i palmi delle mani sul bordo della fossa e issandosi su, pezzi di terra e polvere caddero sui cadaveri calpestati con un suono triste.
Si mise in piedi e si guardò intorno spolverandosi con le mani gli abiti scuri e impolverati, la nebbia era scesa ancora e a malapena riusciva a vedere la lapide lì vicino –ma non c’era anche un salice lì?- gli venne quasi automatico portare una mano sulla linea delle sopracciglia come per proteggersi dal sole in una giornata estiva troppo assolata, inutilmente, ma comunque non vedeva più l’ Ala d’ Argento. Si guardò un attimo intorno sentendo il peso di quell’ atmosfera nella gola e scuotendo lievemente la testa, una sensazione di fastidio si appostò sotto il suo sterno dandogli l’ impressione di essere stato preso in giro, le sua labbra si stirarono in un ghigno mente meditava vendetta, e vedeva una sagoma alta e scura poco lontano in contrasto contro la nebbia.
Lasciò fluire l’ energia nelle sue mani e si vi si avvicinò con passo svelto, era troppo concentrato sulla preda per accorgersi che in realtà la persona che voleva colpire era dietro di lui. Se ne rese conto solo quando constatò che davanti a lui c’ era solo quel vecchio salice bitorzoluto e quando si sentì spingere con forza da dietro.
Andò a sbattere contro la corteccia ruvida, imprecò sottovoce e si sentì afferrare per la spalla con forza, si ritrovò con la schiena contro l’ albero e con uno stiletto conficcato nella sua mano contro il tronco, il tutto accadde in pochissimi istanti, troppo velocemente perché potesse reagire.
“Rivoglio la mia mano, o giuro che mi prendo la tua.” Le sue parole giunsero lontane, attutite ancora dal dolore che lo aveva momentaneamente stordito, probabilmente doveva aver sbattuto con forza anche la testa contro il tronco.
“Sapevo che saresti venuta qui.” Sorrise lui riducendo gli occhi a due fessure.
La guardò negli occhi e per la prima volta si accorse di quanto repentinamente il colore delle iridi potesse cambiare, quel verde acceso che aveva intravisto poco prima nella nebbia stava ora cambiando velocemente in un rabbioso rosso.
“Azue hai finito?” Sentirono una voce provenire da poco lontano, era la voce del re che sembrava arrivato proprio al momento giusto, entrambi si voltarono cercando di intravederlo fra la nebbia.
“Mi hai dato da fare un lavoro lungo e faticoso.” Rispose il Generatore spostando velocemente lo sguardo su Neah e sullo stiletto ancora conficcato nella sua mano.
“Ma…” Continuò a parlare aggiungendo suspense al monosillabo, mentre tentava di raggiungere con la mano sana l’ arma, ma la vampira se ne accorse e con uno scatto fulmineo appoggiò il palmo della sua mano sull’ elsa del pugnale, conficcandolo ancora di più nel legno, il sangue scuro –forse troppo scuro- sgorgava copioso e colava sulla sua pelle pallidissima creando un lugubre contrasto
“Nonostante un piccolo imprevisto,” Sussurrò volgendosi verso la vampira che lo fissava con rabbia, mentre lui tentava contro la sua forza di liberare la sua mano dal tronco e di non lamentarsi per il dolore.
“Sono a buon punto.” Voltò la testa verso la fossa comune dalla quale si era appena levato un lieve rantolo.
 

“Su, su tranquilla!” Esclamò l’ elfo appoggiando le mani sul muso della giumenta ramata mentre tentava di calmarla, si strofinò gli occhi assonnato e stanco, mentre la cavalla continuava imperterrita ad agitarsi.
Non riusciva a capire cosa potesse averle preso, il morbo della cavalla pazza forse? Le andò accanto, raccogliendo da terra una bottiglia di birra e bevendone un sorso, per controllare che briglie e sella fossero messi bene, probabilmente c’ era qualcosa che le dava fastidio quando all’ improvviso la giumenta si calmò, senza un apparente motivo, lasciando Zephit non poco perplesso.
“Ti sei decisa?” Accarezzò un paio di volte la criniera scura, ma staccò subito la mano quando sentì un dolore lancinante sul palmo della mano, la strinse al petto lasciando cadere la bottiglia –sperando che non andasse in frantumi- per stringere la mano dolorante che ora aveva preso a sanguinare, un taglio verticale profondo dal palmo fino al dorso della mano si era aperto nella sua pelle pallida.
“Che stai combinando, Azue?!” Imprecò, chiedendosi perché quel dannato Generatore non potesse starsene un po’ tranquillo a bere birra scadente come faceva lui piuttosto che andare in giro a istigare la gente e a farsi ferire, e di conseguenza a far ferire anche Zephit.

* Sei piedi sotto terra: ovvero la profondità a cui vengono sepolte le bare. Nel testo della canzone: Six feet under

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Capitolo 17
*** Ala d' Argento. Parte 2 ***


Ci sono riuscita davvero? wow, grazie agli Skillet, era da troppo che scrivevo senza musica ._. Grazie anche a Homicidal Maniac, è bellissimo parlare con te (Konquistiamo il mondo insieme!!) e a Smollo05, sei tornata! Non posso credere che tu abbia ancora il coraggio di leggere questa roba, grazie *-*
Allora, questo capitolo e più che altro introduttivo per il prossimo (ma come in quello precedente vi avevo promesso un po’ di sangue, beh un po’ c’è) che sarà di certo un  disastro per i miei neuroni. lo ammetto, alla fine della prima parte avrei dovuto inserire anche una scena con Rhies... che invece sarà ne prossimo capitolo u.u
Devo ammettere che a volte mi vien voglia di prendere per il collo Azue e scrollarlo un po’, non so perché… mai avuti istinti omicidi verso i propri personaggi? Suonerà strano detto da me stessa ma non riesco a sopportare Lishe (e l’ ho creata io!! >.<).
Scusate se l’ ultima parte non è un gran che ma non ce la facevo più u.u
Scusate per il finale deludente…

Se vi dico con che programmi ho fatto questo banner mi piacchiate ._.

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Capitolo 17. Ala d’ Argento. Parte 2

“Siamo folli, ma non siamo soli. Tieni duro e lascia perdere.”

[Soundgarden – Live and Rise]

“Non dovresti giocare con i morti.” Disse la vampira sfilando lentamente la lama dal palmo della sua mano, provando un insano piacere nel vedere il sangue colare a fiotti più di prima.
“Ma io è con te che voglio giocare.” Rispose sommessamente il Generatore mentre brividi di dolore gli percorrevano la schiena.
“Infatti; non dovresti giocare con i morti.” Un’ angolo delle sue labbra si sollevò lievemente, dando l’ idea che le cicatrici su quella parte del volto si stessero contorcendo.
“Posso vedere i risultati?” Sentirono di nuovo la voce del re, che si avvicinava lentamente, infastidito dalla nebbia troppo fitta.
“Vedere? Con questa nebbia mi sembra un po’ difficile.” Scherzò Azue per poi rivolgersi verso Neah come per chiedere il permesso, lei in risposta si appoggiò all’ albero mettendosi in modo da non essere vista, aspettando il momento giusto per farsi vedere o per fare qualsiasi altra cosa. Li sentì discutere brevemente e sporgendosi vide Azue che allungava la mano buona verso la fossa afferrando una mano informe e con forza tirare fuori da quel buco il corpo di un cadavere che sembrava annaspare alla ricerca di qualcosa, le dita scheletriche graffiavano la pelle pallida del Generatore ed emetteva un verso raccapricciante. Vi siete mai chiesti perché gli zombi facessero quei strani versi? Semplicemente per il fatto che le loro corde vocali erano tanto consumate dalla decomposizione da non funzionare più come da vivi, quindi l’ aria che vi passava attraverso invece che trasformarsi in parole diventava quel suono ruvido e soffocato.
“Lo so che sembra messo male, ma con il tempo migliorerà, adesso se lo colpissi non sanguinerebbe neanche.” Commentò Azue mentre si accingeva a tirarne fuori un’ altro.
“Quanto gli ci vorrà?” Chiese ansioso il re, si capiva dalla voce, non vedeva l’ ora di entrare in guerra.
“Un  paio di giorni per quelli messi peggio, qualche ora per quelli messi meglio.”  Rispose il Generatore mentre tentava di non far ricadere uno dei Risorti nella fossa da cui lo aveva ripescato, imprecando sommessamente.
“Quali sono quelli messi meglio?” Domandò il re allontanandosi dal primo Risorto che aveva tirato fuori mentre tentava di ghermirlo con le sue dita scheletriche, per un istante dubitò del fatto che neanche con una vita intera quello si sarebbe potuto rimettere, dato il fatto che ogni traccia di tessuti era sparita quasi del tutto dal suo corpo e per la gamba mancante.
“Quelli che hanno ancora i bulbi oculari.” Disse tranquillamente Azue mentre spostava poco gentilmente uno dei Risorti con un calcio, questo prese a tossire e a sputare terra.
“Ah! Quasi dimenticavo.”  Iniziò il Generatore spostando lo sguardo ambrato su Eiron “Ho portato quello che cercavate.” Le labbra del Generatore si sollevarono in quello che non poteva essere chiamato un sorriso. Il re lo guardò con un’ aria interrogativa e un po’ speranzosa. Si voltarono entrambi quando si sentì l’ orribile suono di ossa che si rompevano sotto una pressione troppo forte e videro la vampira schiacciare con un piede il cranio di un Risorto come se stesse cercando di schiacciare una formica che si infilava neo buchi della suola per non essere uccisa.
“Scusate, me lo sono ritrovato fra i piedi.” Commentò a bassa voce mentre iniziava ad incamminarsi verso di loro scrollandosi come poteva dal piede i residui di cervella e sangue.
“È l’ Ala d’ Argento?” Chiese speranzoso il re socchiudendo gli occhi per vedere meglio attraverso la nebbia mentre il Generatore si portava una mano alla tempia, dispiaciuto per quello che era appena successo alla testa del Rinato che ora giaceva a terra senza muovesi. Ottimo, si disse, la guerra non era ancora arrivata e già perdevano pedine, perché se un Risorto viene ucciso di nuovo; decapitandolo o riducendolo in cenere non c’è più modo per riportarlo in vita.
“Un’ ala logora, chissà se vola ancora.” Rifletté da solo, comunque per quanto potesse essere rovinata la sua ala, di certo avrebbe svolto il suo ruolo per bene, avrebbe continuato a volare ancora per un po’ sulle cicatrici della guerra, era ancora presto per vederla precipitare mulinando nel cielo buio.
Quante ne aveva passate, ricordava in modo estremamente vivido gli istanti in cui la chimera si divertiva a torturarla mentre il sangue imbrattava qualunque cosa, parecchie delle Creature oscure lì presenti erano inorridite davanti a quell’ orrido spettacolo mentre lui non aveva battuto ciglio, anzi si era quasi divertito e ora era del tutto certo che quei segni non solo quelli visibili ma anche quelli che con rancore portava dentro di sé l’ avevano segnata.
“Re Eiron?” Chiese con finta curiosità Neah.
“L’ Ala d’ Argento?” Ribatté il re alzando un sopracciglio.
“In persona.” Rispose sommessamente osservando attentamente il re, era abbastanza vecchio, qualche capello bianco spuntava in mezzo alla chioma scura, la pelle era tanto pallida e sottile da poter scorgere i vasi sanguigni e farle desiderare di infilarci i denti e prosciugarlo del tutto. 
“Cosa posso offrire per ripagare la vostra presenza?” Chiese il re congiungendo le mani e incrociando le dita, stringendo con forza, sembrava provare una sorta di timore infondo si trovava di fronte alla leggenda che aveva ucciso suo padre con immenso piacere.

Il suo collo.
“Un posto dove stare.” La tentazione di dare una risposta differente era stata forte, ma alla fino lo avrebbe avuto lo stesso, in un modo o nell’ altro anche i re di questa generazione sarebbero caduti.
Si sorprese quando il re le porse la mano sinistra, lei la guardò per qualche istante per poi sollevare il polso sinistro all’ altezza del viso, la manica scura scivolò a mostrare il moncherino che ne rimaneva, ottima scusa per non stringere la mano al più schifoso ed inutile degli esseri Umani. Il re ritirò la mano sentendosi stringere le viscere valutando tutte le cicatrici della vampira, non sembrava pronta per una guerra, piuttosto per una tomba.
“Bene, lasci che vi accompagni all’ interno.” Il re iniziò a incamminarsi, mentre la vampira rimase ancora qualche istante a fissare con astio il mantello immacolato che svolazzava in quella nebbia umida, fino a che non sentì una mano fredda posarsi sulla sua schiena.
“Presto non conterà più nulla,” Iniziò il generatore, sussurrando “Né questo segno che ti porti sulla schiena” E il suo tocco era lì gelido e doloroso a ricordarle quella cicatrice che sembrava aver dimenticato, da tempo non le faceva più male, eppure era arrivato lui a far riemergere dolorosi ricordi. “Né tantomeno quello che provi, quello che noi tutti sentiamo, avrà più importanza, nessun posto sarà sicuro, per nessuno. C’è solo una cosa che il popolo vuole, per quanti re o tiranni possano cadere, nel cuore della gente resterà l’ oscuro desiderio della guerra. Nel nostro cuore, tutti noi, desideriamo vedere il sangue scorrere, ancora e ancora.” Sentì la sua mano scivolare via, come ghiaccio che si scioglie “Scommetto che tu lo desideri più di tutti, quindi è inutile tentare di evitarla.”
Rise appena mettendosi di fronte a lei, passò un’ istante sui suoi occhi, rabbrividendo involontariamente quando si accorse che quel rosso impressionante che le aveva colorato le iridi sembrava voler inghiottire anche la pupilla.
“E dimmi, quello che c’è qui sotto batte ancora o è completamente congelato?” Chiese sommessamente battendo con una nocca sul corpetto di pelle nera di Neah.
“È atrofizzato.” Rispose con semplicità la vampira scostando poco gentilmente la mano del Generatore e seguendo il re, l’ altro rimase indietro a finire il suo lavoro. 
 
I preparativi erano stati ultimati e un lieve vociare si era alzato dalle vie della città, il vento si era alzato e ora soffiava attraverso gli spiragli fischiando e creando una lugubre melodia.
I suoi passi creavano suoni sordi e cupi, se solo non avesse sentito il cozzare di metalli da dietro la porta del tempio avrebbe potuto giurare che in quel castello non ci fosse più nessuno, oppure che fossero tutti morti, cosa che non gli sarebbe dispiaciuta affatto.
Si avvicinò alla porta imponente, all’ altezza degli occhi una serratura enorme, grande quanto la testa di una persona, vi poggiò le mani sopra avvertendo una lieve fitta lì dove c’ era la ferita fasciata e immaginando che fosse chiusa come al solito, con grande sorpresa la superficie cedette sotto la sua spinta aprendo leggermente e senza alcun cigolio un porta delle dimensioni di una persona normale. Lo trovò piuttosto strano visto che raramente il tempio veniva aperto, ma chi ancora aveva bisogno di pregare?
All’ interno uno spazio dal soffitto alto alcune torce appese ai muri emanavano una luce soffusa e allungavano in modo spettrale le ombre. Al centro della stanza c’ era un altare di marmo chiaro inciso con scritte minute e precise.
In piedi davanti a esso, il corpo minuto della piccola Lishe si allungava in punta di piedi nel tentativo di raggiungere la superficie dell’ altare e posarvici sopra alcune pietre scure, ai suoi piedi erano sparse a caso strani oggetti.
L’ elfo si avvicinò e quando la raggiunse le sfilò dalle mani la pietra nera e la posò lui stesso sull’ altare. La bambina lo guardò male, come sempre aveva fatto, ma questa volta sembrava quasi incolparlo con quei pozzi neri.
“Tu non hai più un anima.” Sussurrò l’ elfo avvicinandosi appena con sguardo duro rinfacciandole le stesse parole che gli aveva detto lei tempo prima.
Gli occhi scuri della bambina si riempirono di lacrime di rabbia e odio. L’ elfo la prese in braccio mettendola a sedere sull’altare ignorando le urla di rabbia che le lanciava lei nella speranza di essere lasciata stare.
Appena si fu calmata posò una manina fasciata sulla pietra che aveva posato Zephit sull’ altare al suo posto e la spostò appena.
La piccola ancora non parlava ma sembrava bruciare dal desiderio di stringere tra le sue mani il collo dell’ elfo.
“Non voglio più essere toccata da persone sporche.” Abbassando lo sguardo si passò una mano sul petto.
“La sorellona ti ha fatto tanto male?” Chiese falsamente preoccupato Zephit ripensando a quanto il re si fosse arrabbiato quando Neah aveva ucciso la sua piccola figlioletta e al volto del Generatore tirato in un’ espressione divertita, mentre si occupava di riportare in vita Lishe.
“Non farà del male solo a me, vi ucciderà tutti e poi cadrà anche lei, questa guerra distruggerà tutto.” In lontananza delle campane risuonarono nell’ aria raggiungendo anche loro due, una corrente d’ aria invase il tempio sibilando e facendo tremare il fuoco nelle torce e le loro ombre. L’ elfo si voltò verso la porta ancora aperta, aspettandosi quasi di vedere qualcuno entrare.
“Sarà il caso che vada.” Si disse voltandosi un’ ultima volta verso la bambina.
“Ed ora la senti, bambina malsana, la nostra ninna nanna sporca di morte?” E fu certo di parlare a nome dei Generatori.

 

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Capitolo 18
*** L' Ala d' Argento e la Morte. ***


Ho sonno e fa caldo, e non so che cavolo scrivere qui così… ehm, ringrazio chi è arrivato a leggere fino a questo punto (ormai manca poco alla fine). Homicidal Maniac, io aspetto il pagamento u.u
Lo so che dovrei rileggerlo, almeno la prima parte, ma sto crollando e sinceramente non ne ho molta voglia, voglio solo pubblicare questo cavolo di capitolo e togliermelo da sotto il naso.
Piccola parentesi, in teoria questa doveva essere la terza parte dello scorso capitolo ma è venuto fuori che questa famigerata terza parte è solo il primo paragrafo e, non avendo abbastanza fantasia per trovare un titolo decente per questo capitolo, ho scritto una delle prime cose che mi è venuta in mente…

Cap. 18. L’ Ala d’ Argento e il Frigorifero. Sorry
Ormai Neah è esperta nello strappare cuori u.u
Buona lettura e buona notte :D

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Capitolo 18. L’ Ala d’ Argento e la Morte.

Vieni nel mio mondo, guarda attraverso i miei occhi. Cerca di capire
[Within Temptation – See who I am]

La nebbia sembrava essersi diradata un poco, rendendo possibile vedere dove si mettevano i piedi, ma l’ aria era comunque pesante, si poteva sentire l’ umidità infilarsi nelle fibre dei vestiti e creare brividi spiacevoli lungo la schiena, la vampira procedeva a passo tranquillo senza mai distogliere lo sguardo dalla schiena del re, o meglio, dal suo collo e quando lui si fermò si fermò anche lei, nella nebbia sempre più rada intravide un’ altra figura avvicinarsi ad Eiron, parlarono per un poco, poi il re continuò per la sua strada e così fece anche Neah, che però avanzò solo di un paio di passi prima di fermarsi per cercare di capire chi fosse la figura che ora si stava avvicinando a passo svelto, quasi correndo, verso di lei.
Strinse gli occhi maledicendo quello sinistro che ancora non era guarito del tutto e con poca fatica riuscì a capire che la figura slanciata e alta che si stava avvicinando era Rhies.
Lei attese, fino a che non riuscì a scorgere sul suo volto un sorriso a trentadue denti che però sparì non appena il ragazzo riconobbe Neah.
Passò qualche istante in cui sul volto del giovane principe passarono espressioni differenti; prima una sorta di paura ben celata, sconcerto, incredulità e infine rimase un’ espressione sorpresa, poteva immaginare quante domande stessero affollando la sua mente, vista la sua bocca che si apriva e richiudeva muta in cerca della prima cosa da dire.
“Che ci fai qui?” Chiese lui, forse in modo un po’ scortese. La vampira fece per rispondere ma venne interrotta a un’ altra domanda.
“No aspetta, chi sei tu?” Semplicemente non poteva credere di aver avuto accanto tutto il tempo ciò che stava cercando senza accorgersene.
“L’ Ala d’ Argento in carne e ossa.” Rispose lei allargando un poco le braccia e sollevando le sopracciglia, con un’ espressione un po’ triste riprese a camminare, Rhies la seguì mentre la testa si riempiva di ogni sorta di ricordi e immagini, era lei allora, era stata lei ad uccidere suo nonno, ma la cosa che di più lo sconcertò fu il fatto di non provare rabbia, né sentì il desiderio di vendetta impadronirsi di lui, il fatto era che suo nonno –un po’ come faceva suo padre, ma solo un po’- sembrava non vederlo, non gli parlava e tutto quello che faceva per lui era lanciargli occhiate di cui il principe se ci pensava tuttora non ne capiva il significato. Non aveva mai provato un senso di affetto per lui, e di certo la cosa era reciproca. Mandò giù il malloppo di sentimenti e riprese a parlare, tentando si dissimulare lo stupore di quell’ ultima scoperta.
“Ok, e quindi che ci fai qui?” Continuava a fissarla, senza riuscire a credere di essere davanti a una leggenda bellica, ovviamente si sentiva intimorito da quella vampira dall’ aspetto di una giovane donna, più di quanto lo fosse prima di scoprirlo.
“Non ricordi? Avevi detto che se volevo sarei potuta venire con te.” Ma ora era tutto più complicato, se solo l’ avesse saputo prima. Si voltò verso di lui e lo vide fremere quando i suoi occhi incontrarono le sue cicatrici.
“Che ti è successo?” Stava iniziando a stufarsi, lei. Tutte quelle domande la infastidivano.
“Mio padre si stava annoiando.” Rispose semplicemente lei.
“Comunque, sai cosa sta per succedere vero?” Continuò, voltando la testa per guardarlo. Lui sembrò quasi perdersi nei suoi occhi, o meglio, in quello che non poteva più vedere, ricordava quando si erano fermati alla locanda, ricordava i suoi occhi neri non come due pozzi profondi in cui annegare, quella volta erano come porte chiuse ermeticamente, al contrario quell’ occhio cieco del colore che ricordava vagamente il cielo poco prima di un tempesta, ma un cielo grigio che non si sarebbe aperto neanche per far scendere i fulmini sulla terra.
Annuì appena “Un’ altra guerra, vero?” Distolse poi lo sguardo, cercando con gli occhi la schiena di suo padre, anche se probabilmente era già rientrato.
Annuì a sua volta. “Questa volta sarà diverso però” Ripensò ai Rinati e al Generatore, ormai sembravano non venire più considerato nemici. Rhygen era morto per niente quindi? Un brivido di rabbia le percorse la schiena e la mascella si contrasse mentre sentiva la pressione dei canini sul labbro inferiore.
“Non è bello essere usati, non dovresti…” Iniziò deciso il principe.
“Credi che mi piaccia? Essere usata e considerata al pari di un’ arma?” Ma fu proprio in quel momento che sentì un forte desiderio, quasi lo stesso che aveva provato due anni prima, chiusa in quella lurida cella, quel desiderio irrefrenabile di uccidere, di far soffrire, ma non voleva essere un’ arma, non più. “Eppure non so che altro fare, l’ unico modo per finire una guerra è con la morte di una delle due schiere.” Lo sapeva, che anche fuggire sarebbe stato inutile, perché ci aveva già provato, quando Rhygen l’ aveva accolta senza fare domande, ma poi era morto, e da allora tutto era iniziato a precipitare. Anche senza volerlo davvero, tutto quello che poteva fare era uccidere e far soffrire.
 

L’ elfo si guardò un attimo intorno, tentando di capire se il fischio che sentiva alle orecchie provenisse da un fattore esterno o se fosse solo nella sua testa, aveva una gran sete, nonostante avesse mandato giù una quantità imprecisata di boccali di birre. Intorno a lui c’ era il vecchio scenario del bar decorato con un mucchio di rose di cristallo rosse, ne aveva anche una al collo, la solita.

“E perché mai avrei dovuto? Avete svolto il lavoro per me, per di più questo non mi sembra il posto adatto per ammazzare qualcuno, pieno di rose di cristallo rosso e di, cosa sono quelle, ballerine?” Gli tornò in mente quel breve discorso che aveva avuto con alcuni Generatori, tra cui Azue, che se la ridevano mentre lui se ne stava bello che ubriaco a oziare, gli venne da ridere.
Sbatté un paio di volte il boccale vuoto sul tavolo, e non seppe dire se lo fece per un motivo valido, sentiva solo il bisogno di farlo, quindi l’ aveva fatto e basta.
Dopo un po’ che Zephit si stava passando le mani sul volto una cameriera passò e versò dell’ altra birra nel bicchiere dell’ elfo, e quando quest’ ultimo spostò le mani dal volto e spostò lo sguardo sulla birra rimase esterrefatto, quale misericordiosa divinità aveva appena riempito il suo boccale di birra? Senza starci a pensare troppo lo portò alle labbra e ne bevve metà, quando lo posò sul tavolo una sensazione fastidiosa si propagò nella sua testa costringendolo a cercare con la fronte il fresco del legno, la rosa che teneva al collo gli era finita davanti al viso, tanto vicina da fargli incrociare gli occhi per vederla bene e procurargli un senso di nausea.
C’ era decisamente troppo caldo in quella locanda, e troppo baccano –con grande probabilità c’ erano anche quelle ballerine della volta scorsa, quelle che gli avevano trapanato la testa- fece scivolare il bicchiere verso il proprio viso provocando un rumore abbastanza fastidioso per le sue orecchie appuntite, e lo fece aderire poi alla sua fronte sospirando di sollievo quando la superficie fresca del bicchiere lo fece rabbrividire.
Intorno a lui c’ era baccano, o forse era solo nella sua mente, o forse ancora erano i sorsi di birra che facevano baldoria nel suo stomaco a farlo sentire così angosciato. Fu solo un attimo, nell’ istante in cui batté la palpebre un’ immagine fin troppo chiara si insinuò nella sua mente; un corpo riverso a terra avvolto da candidi abiti macchiati dal sangue che lentamente si allargava sul legno chiaro, un coltello e delle mani pallide e sporche che lo lasciavano cadere a terra con uno spasmo.

Mi dispiace… Ma da ora andrà tutto per il meglio
Una voce che conosceva fin troppo bene, e ogni volta che riaffiorava era come se non se ne fosse mai dimenticato, e si riscopriva sempre ad ascoltarla con una forte malinconia mescolata a un intenso senso di colpa.
“Sta’ zitta stronza.” Biascicò con la lingua impastata, mentre iniziava a sentire di nuovo troppo caldo.
Con uno sforzo notevole sollevò il boccale appoggiandoselo sulla tempia, di nuovo una sensazione piacevole che però svanì nell’ arco di breve tempo, rovesciò quindi il boccale alla ricerca di una parte della sua superficie ancora fresca, peccato però, che non aveva ancora finito di bere.
 

Finì in una stanza per gli ospiti, profumata da fiori troppo appariscenti e odorosi. E quasi a farlo apposta era pieni di specchi.
Passò solo qualche minuto lì dentro, giusto il tempo di togliersi il lungo cappotto nero e crogiolarsi per un po’ nell’ indecisione di portarsi in giro per il castello l’ Ala d’ Argento. Alla fine con un sospiro pensante buttò sul letto la spada, constatando che se avrebbe dovuto difendersi in un castello pieno di Umani la spada non sarebbe stata strettamente necessaria.
Passò quasi tutto il pomeriggio a gironzolare per il castello, e dovette ammettere che fino a un certo punto fu divertente; le guardie e i servi che incrociava le lanciavano sguardi pieni di curiosità, di sconcerto e alle volte di puro odio, lei rispondeva a tutti con un gran sorriso, cioè, quello che relativamente era il sorriso di un vampiro.
Più tardi, quasi all’ ora di cena, quando un lieve odore di marcio si diffuse nel’ aria Neah si trovò a seguire quella scia lieve, ma comunque fastidiosa, che stava emergendo dalle cantine. Non era di certo qualche bottiglia di vino rotta, né l’ odore di muffa e stantio ad attirare la sua attenzione, bensì l’ odore, seppur lieve, di putrefazione che alleggiava nell’ aria, anche se probabilmente era lei l’ unica a percepirlo.
Raggiunse le cantine e appena aprì la pensante porta in legno desiderò non aver lasciato nella sua stanza la spada.
Azue se ne stava seduto, con il viso rivolto verso la porta, davanti a un ampio tavolo sul cui stava tentando di deporre un cadavere le cui condizioni erano disastrose; gli mancava una gamba e il suo viso era un teschio privo di pelle, la vampira si chiese per un istante se si potesse riportare in vita anche un corpo ridotto in tali condizioni. Il Generatore non si accorse della sua entrata, tanto era impegnato a issare il corpo, tentando di non far muovere troppo il tavolo per non versare la bottiglia di vino appoggiata lì affianco.
“Non dovresti giocare con i morti.” Disse Neah, sorprendendo Azue che sobbalzò lievemente e poi sospirò.
“Rivogliamo le perdite, ha detto lui, quindi mi tocca lavorare.” Rispose accompagnando le parole con una smorfia quando con uno sforzo maggiore riuscì a sistemare il corpo morto lì sopra.
Restarono un po’ in silenzio, la vampira appoggiata tranquillamente alla porta e il Generatore a trafficare con il corpo.
“Da che parte stai tu?” Chiese poi lei in un moto di apparente curiosità.
“Sono neutrale, uccido e riporto in vita chi mi pare.” A quelle parole il nervosismo e la rabbia le fece prudere le mani e con uno scatto si avvicinò al Generatore appoggiando una mano sul torace del cadavere, sorrise appena, prima di affondare con forza la mano nella carne morta, in un attimo raggiunse il cuore, lo strinse con forza e lo strappò dalla sua sede, per poi lasciarlo appoggiato sullo sterno del cadavere a mo di trofeo.
“Non sarebbe più corretto dire traditore visto che ti diverti ad ingrossare gli eserciti di entrambi le parti? E dimmi, li puoi riportare in vita ance così?”
“Lo faccio per i loro desideri, cioè per quello che non possono ottenere.” Sospirò, studiando il cuore spento e scuro che si era ritrovato sotto il naso. “Assolutamente si, non serve per forza un cuore per far camminare gli esseri viventi, o i morti… o qualunque altra cosa, per di più costui era un abile guerriero.” Scrollò leggermente la testa per scostarsi dal viso ciocche argentee e fastidiose mentre meditava sull’ ultima frase.
“Comunque, saranno i loro desideri a portarli alla tomba.” L’ angolo della sua bocca si sollevò. “Infondo Dimitri ed Eiron sono piuttosto simili, non trovi?”
“Sono entrambi insensibili?” Chiese con finta curiosità la vampira.
“Anche tu lo sei.” Rispose il Generatore trattenendo una risata e rimettendosi a sedere, i suoi occhi d’ ambra sembravano splendere nella penombra puzzolente di quel posto, Neah ignorò il suo commento, non che le importasse, ovvio.
“Quello di cui volevo parlare era tutt’ altro, comunque. Ciò che intendo è che i desideri ti portano alla tomba perché quello che si desidera realmente è ciò che non si può ottenere, e questo di conseguenza ce lo fa desiderare di più, quindi continuiamo a cercarlo. Comunque, resto della convinzione che nonostante lo si cerchi di ottenere, anche sprecando la propria vita, non lo si riuscirà mai ad avere, ci sarà sempre qualcosa pronto ad andare storto, a far fallire i tuoi piani e a non far avverare il tuo desiderio.” Fece spallucce come se stesse parlando del più e del meno. “E a questo punto si torna al punto di partenza, cioè a desiderarlo ancora, se non addirittura più di prima.” Sorrise, soddisfatto del suo discorso. “È un circolo vizioso, di cui tutti noi siamo vittima” Nonostante il suo volto fosse più rilassato del solito nelle sue espressioni si poteva scorgere un velo di oscurità, forse più cupo del solito, che ricopriva tutto come la neve della prima nevicata dell’ anno.
“Quindi stai insinuando che io non riuscirò ad uccidere mio padre?” Il Generatore sollevò l’ indice destro con un’ espressione soddisfatta, pronto ad esclamare ‘Esatto!’ ma la sua espressione si fece subito dubbiosa e fissò interdetto la vampira, con i suoi occhi color ambra che sembravano voler scavare dentro di lei.
“Non è esattamente quello che intendevo, però…” Continuò a guardare la vampira, osservando attentamente l’ occhio sano, e lo vedeva, era certo di poter vedere quel desiderio di cui parlava prima lui stesso nascosto in fondo alla sua anima sporca. Voleva quel che era più normale desiderare essendo un essere divenuto immortale. Ambire ad uccider qualcuno non era abbastanza, a meno che quel qualcuno non fosse se stessi. “io non posso aiutarti, mi dispiace.”  Bevve un sorso di vino dalla bottiglia che aveva lì di fianco.
“E comunque, se vuoi fare dei discorsi profondi con qualcuno dovresti parlare con Zephit, sempre che sia sobrio.” Neah si voltò decisa a tornare nella ‘sua’ stanza e a rimanerci per un bel po’.
“Ah! Questa sera ci sarà una cena sfarzosa, non mancare!”

 

 
 

Boh, ho sonno…

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Capitolo 19
*** Veleno. ***




Mi dispiace mi dispiace mi dispiace! Non mi piace come è finito il capitolo ç_ç
Mi rifarò con il prossimo, che mooolto probabilmente sarà l’ ultimo prima del prologo :) finalmente ^^
Ringrazio chi è arrivato fino a questo punto, lanciando petali di rose secche per aria.
P.S. sarò al mare per qualche giorno, quindi il prossimo capitolo tarderà un poco, ma sarà una pausa strategica, un modo per organizzare le idee e buttare giù qualcosa, devo finire con il botto ;)

Buona lettura e scusate ma questa sera non avevo voglia di rileggere... 

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Capitolo 19. Veleno.

“Come un nulla senza possibilità, un nulla morto dopo la morte del sole,
come un silenzio eterno senza avvenire,risuona interiormente il nero.”
[V. Kandinskij]

 
Aveva la schiena appoggiata a qualcosa di duro e ruvido, i capelli argentei gli cadevano scompigliati sul viso e aveva un gran freddo al sedere. Socchiuse gli occhi tentando di vedere attraverso la cortina di capelli e di capire dove fosse e come ci fosse finito. Con una mano pesante si liberò la vista dai capelli bagnati di birra, aveva la schiena appoggiata ad un muro ruvido e freddo, con tutta probabilità l’ avevano butto fuori dalla locanda, guardò il cielo sopra di sé, osservando la strana luce di cui era colorato; il Sole si era abbassato parecchio da quando era entrato, se non si fosse sbrigato sarebbe arrivato in ritardo per la cena.
 

Guardava in cagnesco la coppa piena di vino chiaro davanti a sé, appoggiata su una tovaglia di velluto rossa e contornata da uva e frutta di vario genere, ovviamente del tutto intatta sul tavolo, sembrava essere messa lì più come soprammobile che come pietanza. Ma non aveva intenzione di alzare lo sguardo; tutti si erano disposto secondo il galateo, e lei essendo un’ ospite era finita affianco al re, e di fronte ad una donna dalla pelle scura e un’ armatura tanto leggera quanto succinta e un paio di lunghe orecchie da lepre, probabilmente una messaggera del popolo delle viere, mentre accanto a lei, pensate un po’, c’era Azue che sorrideva tranquillamente al principe seduto di fronte a lui, al capotavola di fronte al re c’ era una donna con il volto rugoso, ma che faceva ancora trasparire la bellezza che doveva essere da giovane, la regina sorrideva a tutti, come se quella fosse una semplice cena in famiglia, il suo volto era coperto da uno strato di ingenuità, era tanto se sapeva della guerra che incombeva. Neah continuava a guardare in cagnesco il boccale di vino, come se fosse una qualche sorta di serpente velenoso pronto ad attaccare.
“È davvero un piacere averti a cena con noi, Milna.” Disse il re rivolgendosi alla Creatura Oscura, la vampira trovava ributtante quella sorta di comunione tra Umani e Creature Oscure, ognuno sarebbe dovuto stare al suo posto, anche lei.
“Sono qui solo per recapitare il messaggio della nostra regina.” Disse con voce piatta ma non del tutto atona, sembrava quasi che ci fossero due persone a parlare contemporaneamente con quella stessa bocca, il che le dava un tono leggermente roco e molto, molto profondo. La vampira alzò lo sguardo guardandola davvero solo in quel momento, lunghi capelli bianchi le incorniciavano il viso e le scendevano sotto le spalle in ricci precisi, aveva gli zigomi alti, le labbra piccole e gli occhi di un viola intenso con pagliuzze rosse sparse nell’ iride, ma la cosa che più la colpì era il fatto che non avesse pupilla, che fosse cieca anche lei?
Ci fu una pausa dopo le sue parole, un silenzio pesante durante il quale Neah non smise di fissare la viera di fronte a sé, mentre quest’ ultima sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto appena sopra la spalla della vampira.
“Il nostro popolo non ha intenzione di partecipare alla guerra.” Quelle parole risuonarono freddissime nell’ ambiente scaldato dai corpi, furono autoritarie e definitive, come il boia che con un colpo netto mozza la testa della sua vittima. Ebbe l’ impressione che la presenza al suo fianco sospirasse, non ne aveva mai parlato con lei, ma il principe non desiderava la guerra, al contrario del padre –che come compromesso per i suoi desideri aveva stretto quell’ alleanza con le viere-, lui aveva sempre desiderato un mondo unito.
“Sono le parole della vostra regina?” Chiese incuriosito e apparentemente per niente innervosito il re. La viera sorrise tristemente inclinando appena la testa ma senza spostare il suo sguardo da dove si trovava.
“Le parole della nostra regina non sono mai chiare, c’è stato un repentino cambio di necessità, non possiamo combattere questa guerra.” Ripetè con lo stesso tono la Milna facendo apparire sul volto del Generatore un lieve sorriso senza un apparente motivo, per poi spostare lievemente lo sguardo sul volto di Neah. “E neanche tu dovresti combattere.” La vampira rimase interdetta, che voleva quella strana tizia da lei?
“Ci sono delle valide motivazioni a questa decisione?”Il nervosismo sembrava iniziare a trapelare dagli occhi neri del re, aveva ignorato l’ ultima affermazione della viera, innervosito per il fatto di perdere così tanti alleati.
“Certo che avreste dovuto saperlo” Si intromise Neah, attirando su di sé gli sguardi di tutti i presenti “le viere sono un popolo di Creature Oscure estremamente legato alla natura e alla vita, se fino ad oggi hanno combattuto per voi era per proteggere se stesse, ma chi mai vorrebbe entrare in guerra con i propri fratelli?” Disse sistemandosi un po’ meglio su quelle sedie estremamente scomode, incrociò le braccia sul petto, lasciando che i suoi occhi si soffermassero su tutti i presenti; la viera che continuava a fissarla con quegli occhi apparentemente ciechi con uno sguardo indecifrabile, il Generatore al suo fianco che guardava il volto del re con un sorriso enorme sul viso, in attesa della sua reazione, come un bambino che stava per prendere tra le mani un regalo da scartare. Poi la regina a capotavola, che sembrava quasi non esistere, se ne stava lì tranquilla a consumare la sua cena e a sollevare ogni tanto lo sguardo sul marito con un’ espressione serena, Rhies era affianco a lei  e osservava con sguardo duro la vampira seduta accanto a lui, con la forchetta a mezz’ aria, come se fosse pronto ad usarla come pugnale.
E tutto quello la innervosiva, il silenzio pesante e tutti quei visi dalle espressioni assurde.
“Ah, e comunque le consiglio di trovare un metodo più originale per tentare di uccidermi, del semplice veleno può farmi ben poco.”
Detto questo afferrò la coppa piena di vino se la portò alle labbra, ora lo sentiva più chiaramente l’ odore del veleno, probabilmente c’ era tanto estratto di biancospino quanto vino lì dentro, il solo odore le fece chiudere la gola, ma mandò giù tutto il contenuto per poi alzarsi e sotto lo sguardo di tutti dirigersi alla sua stanza, che di suo non aveva assolutamente niente.
Sentiva dei passi veloci dietro di lei, e non ebbe nemmeno il bisogno di voltarsi per capire che la persona che la stesse seguendo fosse Rhies. Ma si curò di fermarsi solo quando giunse davanti alla sua porta ignorando i tentativi del principe di chiamarla.
“Che vuoi?” Chiese lei con voce brusca.
“Mi dispiace” La vampira diede segno di non aver capito “per mio padre.”
“Tu non c’ entri niente, no?” Si voltò, mettendo la mano sulla maniglia impaziente di starsene un po’ per i fatti suoi, mentre la gola si chiudeva e tentava di trattenere  i colpi di tosse.
“Hai bisogno dell’ antidoto!” Il principe tentò di afferrarle il braccio nel tentativo di fermarla
“Non mi serve.” Disse la vampira scostando bruscamente la sua mano.
“Si invece, potresti…”
“Ti ho detto di no!” Disse con rabbia, tossendo un paio di volte. “Non mi serve.” Disse tentando di calmare il tono della voce e respirare normalmente.
“Rischi di morire!” Ora anche il principe aveva alzato la voce.
“Sai, sarebbe davvero fantastico.” Ogni respiro era un’ agonia, uno sforzo titanico.
“Ma che stai dicendo?” Rhies non capiva.
“Entrare in quella dannata stanza e morirci.”
“Come puoi dire cuna cosa del genere?! Rischi davvero di morire, ti serve l’ antidoto!” Continuava a insistere, anche so ormai sembrava aver capito che non sarebbe riuscito a convincerla.
“Ottimo, allora portami una guardia, così la prosciugo.” Si fermò un attimo, tentando di calmarsi “Non mi hai visto?” disse portando una mano al collo, scoprendo l’ enorme cicatrice che invadeva metà del suo collo “Non vedi come sono ridotta?” Portò poi la mano alla ciocca di capelli che copriva l’ occhio quasi cieco –si, perché un po’ ci vedeva, stava iniziando a guarire-. “Credi che ferite di questo genere non siano mortali? Eppure eccomi, sono ancora qui, e chissà perché respiro ancora.” Disse le ultime parole con la voce arrochita, sentiva il sangue salirle su fino alla bocca, e non riuscì a trattenersi dal tossire, si coprì la bocca con la mano e ritirandola la vide sporca di sangue. Fece per allungare l’ altra mano, dimenticandosi momentaneamente di avere solo un moncherino, imprecò e utilizzando la mano buona entrò nella sua stanza macchiando di sangue la maniglia, ignorando la voce di Rhies che la chiamava da dietro la porta ormai chiusa, seppur debolmente.
“Vai a preparare il tuo esercito e lasciami in pace.” Si costrinse a raggiungere il letto e vi crollò sopra, mentre la vista le si annebbiava e la mente diventava sempre più fiacca, il suo ultimo pensiero fu quello di svegliarsi solo quando la guerra sarebbe finita, quando tutti sarebbero morti, quando il mondo non sarebbe più esistito. Non desiderava più una non-vita del genere, non l’ aveva mai voluta, se solo avesse saputo in anticipo ciò che sarebbe accaduto, avrebbe preferito lasciarsi uccidere due anni prima. Poi il nero la circondò e la riempì.
 

“Che mossa avventata!” Disse il Generatore rivolgendosi al re dopo aver storto le labbra cadaveriche. “Veleno? Davvero avete avuto un’ idea così stupida?”
Il re lo fulminò con lo sguardo, per poi sistemarsi meglio sulla sedia e fissare intensamente le pupille ambrate di Azue.
“Dimmi, come si uccide un vampiro?”
Sbuffò, pensieroso “Un paletto di biancospino nel cuore può andare bene, decapitarli anche, bruciarli, oppure…” La sua espressione mutò, gli occhi si assottigliarono, mentre le labbra si stendevano in un ampio sorriso felino. “Fargli bere il sangue di un Rinato; è estremamente tossico, il veleno normale invece viene purificato con del sangue fresco.” Rimasero un attimo in silenzio.
“Hai finito il tuo lavoro Azue?” Chiese poi con rinnovata impazienza il re, ricevendo un sorriso dal Generatore.
“Certamente, la città è praticamente deserta, e sono tutti pronti a combattere, ora lei deve solo garantire la mia sicurezza, non vuole che il suo esercito cada troppo rapidamente vero?” Disse con orgoglio.
“Naturalmente, farò in modo che nessuno ti possa nuocere.” Rispose con sicurezza il re, se voleva che il suo esercito non venisse decimato in un istante avrebbe dovuto fare in modo che Azue restasse vivo.
“Un ospite.” Disse tranquillamente la viera seduta ancora lì a vicino come se niente fosse, i presenti la guardarono, aspettando che dicesse dell’ altro. “Un rinato è alla porta.” La guardarono ancora un attimo, probabilmente tentavano tutti i due di capire se fosse cieca, poi il volto di Azue si illuminò.
“Zephit!”



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Capitolo 20
*** Desiderio di Morte. ***


Armatevi di pazienza (perché il capitolo è più lungo del solito) e di un grande contenitore per la rabbia ^^” (non vorrei essere uccisa, cavolo!).

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Capitolo 20. Desiderio di Morte.

“Ho detto alla mia anima: taci, e lascia che scenda su di te il buio”
[T. S. Eliot]

Volute di fumo si innalzavano dalla macerie di quella che una volta era stata la capitale più fiorente del mondo degli Umani, l’ immensa e sfarzosa Ethis era ora ridotta a un campo di battagli per un’ ultima guerra.
Una figura, pallida e barcollante, affacciata alla finestra della sua stanza osservava con occhi di pece quello scenario troppo familiare, così poco era passato; quel breve periodo di dopoguerra in cui chiunque si trascinava in cerca di una luce, seppur effimera, era finito. Sostituito da ciò che di peggio si poteva immaginare.
Il suono della battaglia, urla, cozzare di armi, schizzi di sangue e morte si era diffuso ovunque, un requiem caotico risvegliava una sete di sangue che da tempo sperava di aver abbandonato, sperava di a averla lasciata in quella lurida cella due anni prima insieme a tutto quel sangue che aveva versato solo per il desiderio di uccidere e che ora stava tornando a farsi sentire. Non le importava più di tutte le parole, sarebbe scesa in battaglia di nuovo e avrebbe ucciso, per il solo scopo di eliminare ciò che più odiava. Con una daga legata al polso e ciò che restava dell’ Ala d’ Argento avrebbe combattuto, gustandosi tutto il sangue che sarebbe riuscita a versare.
La battaglia era feroce e così furono i suoi colpi, potenti e spietati, falciavano corpi come se lei stessa impersonasse la Morte, senza fare alcune distinzioni, Creature Oscure e Umani, vivi o morti. Fra i cadaveri sembravano intravedersi i volti delle divinità, tanto invocate quanto crudeli.
Combatteva solo per se stessa dimenticando tutto quello che non si trovasse in quegli istanti di adrenalina e di esaltazione, offuscando qualsiasi altra cosa.
Accadde in un attimo, mentre tagliava la testa di un Rinato, fu un battito più forte, una lieve fitta alla testa, qualcosa che non le era mai successo; riconoscere qualcuno su un campo di battaglia.
Si fermo un attimo fissando la schiena di Rhies, mentre si muoveva tra i corpi e i nemici, quasi si sorprese nel vederlo lì, a combattere per ottenere una falsa pace, ma comunque per l’ unica per la quale tutti gli animi nobili si battevano, ma vederlo lì in mezzo a quella devastazione le sembrava estremamente sbagliato; era giovane e per quel breve periodo in cui avevano viaggiato insieme aveva percepito la sua vitalità quasi come una luce soffusa, la stessa in cui era immersa lei stessa moltissimi anni prima; quando ancora non combatteva perché non c’ era alcun bisogno di distruzione, quando ancora non faceva distinzione tra il sangue degli innocenti e dei nemici.
Il ragazzo mise un piede in fallo nel tentativo di evitare la mazza ferrata del centauro, che con un tondo lo avrebbe colpito, se non avesse proteso prontamente in avanti la spada, ma la forza del colpo era grandiosa e l’ impatto lo sbilanciò e inciampò nel corpo disteso dietro di lui. Ma non cadde sulla fredda roccia come si aspettava, qualcosa fermò la sua caduta, qualcosa di altrettanto freddo. Senza apparente sforzo la persona dietro di lui lo rimise in posizione eretta, mentre piantava la lunga lama d’ argento nel terreno per estrarre dalla cintura una lama da lancio che si conficcò esattamente tra le costole del possente centauro, questo si contorse dal dolore mentre l’ aria si perdeva dal polmone bucato. Aspettando una reazione da Rhies si chiese da quando in qua i centauri si battevano con le mazze ferrate.
“Perché lo hai fatto?” Chiese confuso il ragazzo.
“Non avrei dovuto salvarti?” Neah lo guardò stranita.
“Non intendo questo, è una Creatura Oscura, lo sei anche tu, e l’ hai ammazzato!” La vampira diede segno di aver capito, ma la sua visione della guerra era tutt’ altro, per lei era quasi un tutti contro tutti; se c’ era una Creatura Oscura che la ostacolava diventava automaticamente sua nemica.
In risposta lei sospirò, evitando di dare risposte in una situazione del genere.
“Fa’ attenzione, ok? Io vado a cercare mio padre.” L’ ultima frase fu accompagnata da uno sguardo di rossa impazienza.
Così riprese a muoversi, falciando chiunque si trovasse sulla sua strada, ma con qualcosa dentro di lei che l’ appesantiva enormemente, c’era qualcosa che non poteva evitare, ne era certa.
Un Rinato le si parò davanti e quasi senza pensarci, guidata da movimenti automatici, piantò la sua lunga spada nel piede del guerriero, ancorandolo al terreno dopodiché mentre questo urlava per il dolore eseguì un ampio tondo con la daga assicurata al suo polso e dalla sua gola spruzzò del liquido rosso; le bagnò il viso, colando sulle goti e sulle labbra ma non si nutrì, già altre volte durante il suo sterminio si era macchiata di quel sangue riportato in vita, le volte che le era colato giù per la gola era stata assalita da una forte nausea che l’ aveva piegata in due dal dolore.
Fu dopo poco, che lo vide in uno spiazzo aperto di quella reggia, in piedi in mezzo a un prato verde di cadaveri e sangue, impugnava saldamente il suo spadone a due mani dalla lama uguale a quella di una sciabola.
Lo vide piantare a terra l’ arma e aggrapparsi al corpo davanti a lui per prosciugarlo, silenziosamente Neah appoggiò a terra la spada slegando le cinghie della daga e impugnandola poi con la mano rimasta, fissò la nuca del padre e tese il braccio, con un movimento fluido lanciò l’ arma. Non staccò mai gli occhi dalla parabola argentea che stava compiendo la lama, l’ impazienza di vedere il suo sangue sgorgare dalla carne violata era tanta, così tanta che quando la lama si conficcò in una tesa bionda un’esplosione di rabbia l’ invase.
Il Generatore dagli occhi da gatto e un’ espressione contrariata teneva un Rinato per la spalla, quello che poco prima aveva spinto per intercettare la lama diretta a Dimitri.
“Non si disturbano le persone durante i pasti.” Disse Azue addolcendo la sua espressione e lasciando cadere il cadavere. Il padre di Neah si voltò, pulendosi dal sangue che gli macchiava il volto e allontanando Azue con un gesto della mano. Questo fece un lieve inchino, e dopo aver sorriso sinistramente alla vampira si addentrò lì dove la mischia era più caotica.
Neah raccolse la sua arma, sospirando pesantemente, stufa di dover aspettare tanto e si avvicinò a passo svelto stringendo tanto forte l’ elsa da far diventare le nocche bianche. Suo padre la guardava negli occhi, con un’ espressione lievemente divertita e uno sguardo che sembrava compatirla. Vedendo quell’ espressione la vampira sollevò la spada decisa a colpirlo ancora e ancora, si sarebbe vendicata di ciò che era successo due anni prima, avrebbe distrutto quell’ espressione beffarda dal suo volto una volta per tutte.
Perse momentaneamente di vista il volto Dimitri, coperto dall’ ampia lama sporca di sangue che aveva sollevato velocemente alzando un mucchio di terra e polvere che accecò la vampira. Imprecò coprendosi inutilmente il volto con il braccio libero, mentre la spada si abbatteva alla cieca su ciò che si trovava davanti a lei, colpì qualcosa, sentì il suono di lame che cozzavano e poi la sua arma le venne strappata di mano. Proprio in quel momento riuscì a riaprire gli occhi e a osservare lo scenario sfocato che appariva davanti a lei e sentì un forte dolore all’ altezza dell’ ombelico, una sensazione di calore  si sprigionò dalla ferita e sentì il sangue incollarle gli abiti alla carne lacerata. Abbassò lo sguardo e si sorprese di vedere lo spadone usato a mo’ di ascia staccarsi dal suo ventre.
Lasciò cadere la spada e si cinse la vita con le braccia evitando di far uscire tutto quello che c’ era dentro e aspettando che la ferita si rimarginasse. Strinse i denti, sentendo il sangue salirle su per la gola e le gambe cedere, poi una lieve pressione sotto la sua gola, affilata e fredda, la lama bagnata del suo stesso sangue le sollevò quasi dolcemente il viso; come la mano di qualcuno che ti sta per uccidere e vuole vedere la morte e il terrore nei tuoi occhi.
Alzò lo sguardo nero sul padre, i suoi occhi sgorgavano desiderio di vendetta, mentre le gambe a contatto con il terreno recuperavano le forze e il palmo della mano si appoggiava su una superficie fredda e tagliente, nella mente si delineavano i movimenti successivi.
“Non mi hai aiutato a creare il mio esercito, sai avresti potuto creare molti vampiri, quindi lasciati uccidere, e dimentica di poter trovare un posto dove stare.” Disse con rabbia il padre, e fu proprio in quel momento che Neah fu certa che la ferita precedente si era rimarginata, ma il suo corpo si riempì di nuovo odio; per la persona che l’ aveva messa al mondo e che avrebbe voluto cancellare la sua esistenza, per i ricordi dolorosi che quelle ultime tre parole rabbiose aveva fatto riemergere.
Colpì con il moncherino il piatto della lama infilandosi sotto di essa e procurandosi un lieve taglio al labbro, mentre la mano libera si serrava sul pugnale accanto a lei. Piantò quella piccola lama nel bicipite ed esultò mentalmente nel sentire la lama dello spadone infilzarsi nel terreno a poca distanza dalla sua gamba. Estrasse lateralmente il pugnale, aprendo il braccio del padre che urlò dal dolore, finito il mezzo tondo, portò la lama verso il basso e la sollevò con forza trapassando la mascella e parte del cranio dell’ uomo che ora la fissava sconcertato. Lasciò la presa sull’ elsa viscida e portò indietro il braccio fino a raggiungere lo spadone che aspettava ansiosamente di uccidere; lo sollevò sforzando l’ unico braccio che poteva usare per quell’ impresa accompagnando però il movimento con il moncherino del braccio sinistro.
Fu estremamente facile, la lama quasi non incontrò resistenza.
La testa cadde, e dalla sezione del collo spruzzò liquido rosso che ricordava in modo raccapricciante una fontana. Poi il corpo si accasciò, finalmente privo di vita.
Neah indietreggiò lievemente tossendo convulsamente, si coprì la bocca con la mano e nel ritirarla la vide sporca di sangue, che ora sgorgava copioso e senza sosta dalla suo sorriso trionfante.
Arrivò poco dopo, quando l’ adrenalina scemò del tutto, una forte fitta al costato e di nuovo quella sensazione di calore e umido. Un piccolo stiletto in legno chiaro era incastrato tra due costole, aveva raggiunto il polmone ma la lesione interna non era troppo estesa, ci avrebbe messo comunque più tempo a guarire rispetto a una ferita normale, in fondo si trattava pur sempre di biancospino. Con un gemito di dolore strinse la presa sull’ elsa ruvida e tirò via lo stiletto, lasciandolo cadere e premendo con la mano sulla ferita riprendendo a tossire sangue.
Fissò per un attimo l’ arma lì a terra e mentre il respiro si regolarizzava un viso in particolare attirò la sua attenzione, il volto contratto in un’ espressione di sofferenza e terrore colorato con terra e sangue quasi fresco.
Di nuovo, le sue ginocchia sbatterono contro il suolo mentre una mano si allungava per girare la testa del morto per assicurarsi che la persona lì distesa fosse chi aveva pensato poco prima.
Sul suo volto si fece strada un lieve sorriso, uno di quelli spaventosi, macchiati di sangue, un sorriso di un vampiro che dentro di sé esulta per aver vinto una guerra; il re degli Umani era morto, ed era lì disteso, patetico, con la gola ridotta a brandelli.
Ancora con quel lieve sorriso si sedette a terra, stanca e dolorante, guardandosi intorno; la sua spada era conficcata a terra poco distante, un Rinato si agitava sotto di essa, inchiodato al terreno, una strana coincidenza. Tolse la mano dalla ferita, controllando lo stato in cui si trovava, ma il sangue era tanto, tanto da non riuscire a distinguere quello fresco da quello secco.
Pensò di doversi alzare, raccogliere la sua spada e finire quella guerra già terminata, così come aveva sempre fatto, ma le gambe pesavano e aveva dolore ovunque. Pensò di essere stufa di una vita del genere.
Si riscosse solo nel sentire delle risate provenire da poco lontano, un paio di soldati, si avvicinarono al Rinato inchiodato a terra, uno di loro estrasse la spada con uno sbuffo, per poi conficcarla di nuovo a terra e nel corpo martoriato del Rinato, lo fece ancora e ancora.
Fu in quel momento che Neah si alzò avvicinandosi velocemente a quella scenetta. Impugnò l’ elsa viscida di sangue e assestò un calcio al ginocchio di uno dei due soldati, che con uno scricchiolio raccapricciante si piegò su se stesso, estrasse la spada dal terreno e con un ampio tondo sfregiò il viso dell’ altro, vi si aggrappò prima che potesse crollare a terra e bevve dal suo collo. Solo quando fu certa di averlo prosciugato la lasciò accasciarsi a terra, esanime.
“Solo io…” Disse sommessamente stringendo la presa sulla spada. Sospirò sentendo la stanchezza tornare ad abbatterla, seppur più debole di prima.
Tornò suo suoi passi, dentro la reggia, trascinando la spada e passandosi un paio di volte la manica sul viso nel tentativo di rimuovere il sangue, inutilmente perché i suoi vestiti ne erano imbrattati.
Così riprese a combattere, con movimenti pesanti ma comunque letali, quella battaglia sembrava non dover più finire.
Poi qualcosa attirò il suo sguardo buio. Fu uno spruzzo d’argento in mezzo al nero della morte, accompagnato dal bagliore di una lama che si muoveva velocemente, l’ elfo teneva la sua spada con la lama lungo la linea del braccio e tenendo il polso morbido la faceva roteare a una velocità impressionante eseguendo sempre lo stesso movimento ad otto, l’ avversario davanti a lui esitava non riuscendo a capire quando potesse sferrare il colpo che avrebbe penetrato la difesa dell’ elfo. Poi in un attimo, in cui il ballo della lama sembrò rallentare a farsi più ampio, l’ avversario davanti a lui fece un passo avanti Zephit si abbassò iniziando a compiere un giro e ferendo le gambe dell’ Umano, questo con un gemito si piegò e la sua gola si aprì in una rosa scarlatta all’ ampio movimento della lama lievemente ricurva.
Abbassò lo sguardo, fissando quello che restava delle sue mani ora imbrattate di sangue e tremanti per la fatica, il cuore nel suo petto batteva con forza sovrastando qualsiasi altro suono, ancora il cozzare delle lame, urla, uno in particolare rivolto a lei e passi rapidi che si avvicinavano. Non era sola in quel posto, aveva però qualcosa da difendere ora, se non se stessa?
Fu un colpo forte, le tolse il fiato e la fece finire a terra facendola battere la testa e in quell’ attimo le sembrò quasi di vedere quel cielo stellato e quella luna sorridente di due anni prima, che ancora sembrava ridere di lei; troppo accecata dalla vendetta per capire il suo vero ruolo.
La sua pelle era esageratamente pallida e come sempre i suoi occhi rilucevano di una luce dorata, poi quel sorriso, quello che lei aveva visto troppe volte e che detestava. La pressione di una lama di legno sulla sua gola e un rivolo di sangue colarle sulla clavicola, il suo sguardo si riempì di rabbia e con forza colpì la lama puntata contro di lei con il dorso della mano, si ferì ma il Generatore, stupito, si lasciò sfuggire l’ arma, lasciando il torace scoperto e vulnerabile.
Ignorando del tutto il capogiro e la vista annebbiata la vampira si alzò con uno scatto allungandosi pronta ad colpirlo quando un dolore pungente si propagò da appena sotto lo sterno bloccandola, imprecò vedendo un’ altra lama di legno macchiata del suo sangue,  il Generatore le sorrideva beffardo muovendo la lama chiara nella carne.
Ancora la vista le si appannò, sentendo le forze mancare, strinse tra le mani la lama tentando di fermare il dolore che la invadeva cadendo in ginocchio e sputando sangue, sentiva le forze abbandonarla, il dolore era troppo ma non poteva permettersi di perdere i sensi in una situazione simile.

Stock! Il legno si ruppe improvvisamente, facendo barcollare Azue, ma dal suo volto non era ancora sparito quel sorriso felino; alzò quello che restava dell’ arma, con l’ intenzione di sfregiare ulteriormente il viso della vampira.
“Azue!” Distolse l’ attenzione da ciò che stava facendo, voltandosi nell’ udire il suo nome pieno di rabbia, ma non abbastanza velocemente per evitare il fendente diretto al suo petto; il cuoio nero si lacerò e il sangue iniziò a sgorgare dall’ ampio ma non troppo profondo taglio. Sul petto dell’ elfo si spanse una macchia cremisi e sul suo viso una smorfia di dolore.
Il Generatore lo guardava stupito, senza riuscire a celare la confusione.
“Ora basta, Azue.” Disse l’ elfo ansimando. Il volto terreo del Generatore si ricoprì di rabbia, mentre con la mano premeva sulla ferita al petto, non si aspettava che l’ elfo ubriacone potesse rivoltarsi contro di lui, contro  la persona che lo aveva strappato alle mani della Morte, perché lui era l’ unica persona di cui si era fidato da quando era diventato un Generatore, l’ unico Rinato che aveva deciso di proteggere, ora voleva ucciderlo. Ma a ben pensarci, era quello il loro destino.

“Desidero essere come te, giacere freddo sul pavimento come te.”
[Evanescence – Like You]

Nubi rapide attraversavano il cielo, oscurando la luce del tramonto. I suoi occhi erano limpidi, la luce che non riusciva a passare attraverso le spesse nuvole riluceva nelle sue iridi blu.
Sarebbe stata l’ ultima volta che avrebbe visto quel cielo.
“Sei pronto?” Una voce ansiosa lo colse alle spalle, facendolo sobbalzare lievemente, si voltò e incontrò il volto tondo e chiaro della madre, che con i suoi occhi color smeraldo lo guardava triste.
“Si.” Lo disse tanto piano che quasi temette di essere stato lui l’ unico a sentirlo. Abbassò lo sguardo, abbattuto. Si chiese chi dei due in realtà fosse più triste; lui, mandato in guerra. O lei, che si liberava di un figlio da sfamare.
Si issò meglio il borsone in spalla pronto a partire, quando un paio di braccia esili si strinsero intorno alle sue spalle, i capelli argentei della madre gli solleticarono il collo, mentre  il suo respiro caldo gli sfiorava le orecchie appuntite.
“Andrà tutto bene.” Lo ripetè un paio di volte, mentre la voce lentamente si affievoliva. “Vedrai, andrà tutto bene.” La presa delle sue braccia si fece più debole, fino quasi a svanire. Poi il freddo di una lama sul collo, il caldo del sangue che sgorgava dal profondo taglio, non riuscì a reagire e prima ancora di cadere nel proprio sangue il buio lo aveva già avvolto spegnendo la luce nei suoi occhi.

 
Un lampo argenteo, la lama sembrò per un attimo assorbire la poca luce che li circondava, un fiotto di rosso cupo raggiunse il suo viso pallido e imbrattò i capelli chiari del’ elfo. Lasciò cadere la spada, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal Generatore che si accasciava a terra mentre dalla sua gola sgorgava il rosso del sangue.
 

Il rumore della pioggia sui vetri appannati lo ridestò lievemente.
Fa male.
Riprese a respirare e ansimò come se fosse riemerso da un’ apnea esageratamente lunga. Vedeva macchie indistinte e una sensazione fastidiosa di calore riemergeva in lui. Sentiva dolore ovunque, il collo bruciava.
Ho paura.
I contorni iniziarono a delinearsi, riconobbe sua madre inginocchiata l’ vicino, le sue mani strette sul braccio dell’ elfo. Sopra di lei, una figura alta e fasciata d’ ombra, dalla pelle cadaverica e due occhi di lucente ambra.
“Ha funzionato.” L’ emozione trapelava da quella voce così familiare.
“Certamente.” Quegli occhi lucenti correvano lungo il suo corpo, soffermandosi prima sul collo e poi sugli occhi, con un sorriso felino e agghiacciante.
Tentò di mettersi a sedere, mentre i pensieri tornavano ad abitare la sua mente, dandogli più coscienza di ciò che era successo. Poi gli bastò uno sguardo in più alle due persone che si trovavano davanti a lui per capire.
“No…” Si lasciò sfuggire dalle labbra, mentre sua madre invece annuiva confortandolo ancora con le stesse parole di prima mentre i suoi occhi color smeraldo sembravano riempirsi di lacrime di felicità, ma l’ elfo non l’ ascoltava. Guardava sconcertato il lago di sangue sul quale sedeva; il suo sangue, e il coltello poco più in là, accanto alla madre che lo aveva ucciso. La sua mano corse al collo, scoprendolo imbrattato di sangue e niente più, solo una spessa cicatrice.  Alzò di nuovo lo sguardo incrociando gli occhi del Generatore che sembravano garantire una nuova salvezza, sembravano volerlo accompagnare verso sporchi peccati. Così lucenti, facevano paura.
Gli sembrò quasi di vederlo annuire appena, sorridendo ancora, per poi abbassare lo sguardo sulla donna inginocchiata in mezzo ai due.
Nuova rabbia riempì il suo corpo svuotato dall’ anima, e la sua mano corse veloce all’ unica arma nelle vicinanze.
La lama tinse di rosso lo smeraldo.

 
Come anni prima la sua mano corse al collo, in attesa di sentire la cicatrice aprirsi di nuovo e il familiare contatto con il sangue vischioso che colava fra le dita.

Ho paura.
Sentì la gambe cedere per l’ ultima volta, e per l’ ultima volta vide il rosso del suo stesso sangue. In fondo gli andava bene così, non aveva mai voluto una vita simile, chi mai l’ avrebbe voluta?
E per un’ ultima volta il buio lo avvolse, mentre la Morte lo prendeva tra le sue braccia; questa volta per sempre.
Intorno a loro il cielo ruggiva e le mura tremavano, mentre un esercito intero cadeva; tutto intorno a loro una profonda fossa e un’ enorme effige.

 

 
 

Lo ammetto, in teoria il capitolo non è finito, ma sarebbe venuto una vero poema, quindi la parte successiva del capitolo sarà un tutt’ uno con l’ epilogo. Sarebbe stato strano no? I morti non sono ancora abbastanza.
Ringrazio Homicidal Maniac e _Maisha_ (ripeto: mi ha fatto un gran piacere la tua recensione :’)).

*continua a sparlare, sorvolando su ciò che è accaduto nel capitolo*
È strano, in questo giorni scrivevo due pagine al giorno, e adesso che devo scrivere le note d’autore mi sono bloccata u.ù
Purtroppo però non portò aggiornare per un bel po’ di tempo… sapete com’ è no? Vacanze… Spero almeno di riuscire a rispondere alle recensioni ^^
Alla prossima *-* :D

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Capitolo 21
*** Epilogo. Requiem + Extra ***


Il capitolo non è lungo come sembra, ci sono un mucchio di ringraziamenti infondo (più una chicca per voi) ;)

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Capitolo. 21. Epilogo

“L'orologio segna la vita che se ne va, è così irreale.”

[Linkin Park – In the End]

Una mano pallida tesa verso di lui; filamenti di fumo nero si avvolgevano su se stessi catturando i suoi occhi del colore del mare nelle loro spire. Il suo palmo aperto era un invito, una promessa di salvezza e nuova vita.
E lui l’ aveva accettata, non poteva fare altro, allungò la mano come se fosse lui stesso a volerlo anche se sapesse fin troppo lucidamente quale oscuro futuro lo attendesse.
Quando appoggiò la sua mano tremante su quella del Generatore il suo pallore impressionante si macchiò di rosso sangue, mentre i suoi occhi ambrati si coloravano di nuova impazienza e un sorriso felino rimase
per sempre impresso nella sua memoria.

“Desidero essere come te, giacere freddo sul pavimento come te.”

[Evanescence – Like You]

Un altro tuono rimbombò nell’ aria, preceduto da un lampo di luce che illuminò in minuscolo istante quel luogo che sarebbe dovuto restare buio e oscuro a tutti. Il cozzare di armi era svanito all’ improvviso, una quantità esagerata di corpi ora giacevano a terra, il silenzio sarebbe stato assordante se non per il continuo e furioso scrosciare della pioggia.
Un corpo avvolto da abiti neri si mosse, agitandosi per il dolore e portandosi una mano all’ altezza dello sterno, stringendo nel palmo ciò che restava di una chiara lama di legno. Strinse i denti sforzandosi di estrarre la lama dalla carne che già aveva iniziato a guarire.
Un fiotto di cupo sangue sgorgò dalla ferita mentre il legno cadeva a terra con un suono appena udibile. Prese il suo tempo per riprendere fiato e lucidità, poi alzò lo sguardo pronta a osservare ciò che restava di ciò che aveva conosciuto.
I suoi occhi vennero inondati dalla desolazione e dal nulla della Morte. Intorno a lei solo corpi pallidi supini ricoperti di sangue e sporcizia, la puzza di morte e putrefazione lentamente si alzava dallo strato di cadaveri scomposto a terra, dandole la nausea come non mai.
Si alzò barcollante, e prese a muovere le gambe in una qualsiasi direzione, superò i due corpi crollati a terra insieme a lei scostando lo sguardo dall’ espressione quasi serena del’ elfo a terra. un nuovo dolore si insinuò dentro di lei, avrebbe volentieri fatto cambio con lui se solo avesse potuto, perché era quello che desiderava davvero ormai. Ma delle precedenti parole risuonarono nella sua mente, di chi ormai non le interessava ricordare, ricordandole che non sarebbe più potuta morire, e che il desiderio a cui tanto ambiva non poteva essere esaudito.
Un lievissimo sorriso increspò le sue labbra secche. “Invece ci sono riuscita.” Aveva ucciso suo padre, il che le sarebbe dovuto bastare, anche se una piccola parte della sua mente cacciò via quel senso di soddisfazione sostituendolo con qualcos’ altro che le fece sembrare del tutto inutile tutto ciò che aveva fatto da due anni a questa parte.
Per un attimo solo si preoccupò della sua spada, non sentendola più stretta in mano, ma subito dopo si rese conto che non le importava neanche più averla persa, di avere perso il suo nome, di nuovo.
Vagò ancora un po’ in cerca di cosa, non lo sapeva neanche lei. Fino a che qualcosa –o qualcuno- si aggrappò alla sua caviglia minacciando di farla rovinare a terra.

“Sto cadendo per sempre, ho bisogno di fermare tutto, sto andando giù”

[Evanescence – Going Under]

Gli sembrava di galleggiare nel nero, in cerca di occhi scuri cangianti, sospeso tra uno strato di incoscienza e uno di lucidità, fino a che qualcosa non lo ridestò lievemente da quella dolorosa situazione. Un ritmo lontano, continuo e regolare che andava man mano farsi più forte, più vicino, un suono triste e rabbioso, passi pesanti e senza forza. Per un attimo quel suono gli ricordò un giorno non troppo lontano i pioggia incessante, di un cappotto scuro che si muoveva silenziosamente sotto un muro d’ acqua e di occhi cangianti; neri, ambrati, rossi, blu, verdi. Ma dalla pupilla sempre uguale, sempre particolarmente piccola, in modo che né la luce né qualsiasi altra cosa potesse provare a sprofondare in quegli occhi. Era incredibile la velocità con cui tutto era precipitato.
Senza quasi accorgersene sul palmo della sua mano sentì il contatto con del cuoio lacerato e viscido di sangue.

“Siamo qui buttati giù come figli della guerra. […] su questo mondo siamo stati lacerati”

[Black Veil Brides – Fallen Angels]

Barcollò, ascoltando per un attimo il suono del suo sangue che gocciolava a terra da chissà da quale delle numerose ferite. Abbassò lo sguardo sul corpo a terra, indugiando sulla ferita che correva da una spalla all’ altra. Occhi neri e velati la fissavano.
Nel vedere il corpo di Rhies in quelle condizioni non provò tristezza, solo altra rabbia; perché doveva essere lei l’ unica a sopravvivere a quella guerra? Non era giusto.
Lasciò che le sue ginocchia battessero di nuovo contro il suolo, mentre sul volto del principe di dipinse un sorriso sofferente.
La rabbia ribolliva dentro di lei, non lasciando spazio ad altre emozioni. Non era giusto che finisse così.
“Credimi, se potessi fare cambio con te.” Quelle parole le scivolarono dalle labbra. Lentamente allungò la mano sulla macchia rossa che si allargava sul petto del ragazzo, senza però toccare mai la ferita, come se solo quella vicinanza potesse far rimarginare la carne lacerata.
Per quanto possibile i suoi occhi neri sembrarono rasserenarsi un poco, respirò un paio di volte prima di parlare.
“Ho sempre saputo che quello che desideravo sarebbe stato impossibile.” Fece una smorfia di dolore dopo aver pronunciato con fatica quelle parole.
“Le guerre non hanno senso.” Non avrebbe saputo che altro dire. “Mi dispiace." Rhies voltò leggermente il viso verso di lei per poterla guardare negli occhi.
“Non è colpa tua.” Ma verso la fine della frase la sua voce sembrò incrinarsi, e lui sembrò non essere più sicuro di quella certezza che aveva pronunciato. Lo sguardo della vampira era duro e triste, lei sapeva; era sempre iniziato tutto a causa sua, a causa dell’ Ala d’ Argento. Perché è così che le Creature Oscure agiscono, causano guerre e battaglie e anche indirettamente uccidevano gli Umani. Ecco il motivo per cui ora si sentiva tanto in colpa, era come se fosse stata lei ad ucciderlo.
Neah si guardò un attimo intorno; la desolazione regnava sovrana, dopo aver spodestato i re che senza un valido pretesto erano entrati in guerra tentando di uccidersi a vicenda.
Si chinò un poco sul corpo accanto a lei come a volersi nascondere da occhi nascosti nelle nicchie buie. Quando un lampo attraversò la sua mente “
Dona la bocca a chi sta per morire, il suo sangue macchierà le candide labbra,la solitudine verrà colmata dal bacio dell’ abbandono.
Il dono della dea Andhera, o almeno, così aveva detto il Generatore tempo prima.
Si chinò ancora di più ascoltando il suono del respiro di Rhies e del battito lontano del suo cuore. Le sue palpebre erano chiuse, troppo pesanti per restare aperte.
“Vuoi vivere?” Chiese in un soffio, sicura che comunque lui l’ avrebbe sentita.
Le sue palpebre tremarono nello sforzo di sollevarsi e guardarla ancora. Non sembrò spaventarsi nel vedere i canini appuntiti creare due fossette sulle labbra inferiori, il suo sguardo invece sembrava ancora pieno di vita, troppa perché la morte potesse aver già posato i suoi occhi su di lui.
“Avevi detto che…”
“Se un cane morde un gatto, il gatto non diventa un cane.” Terminò la frase per lui, mentre le sue labbra si increspavano al ricordo di quanto lei stessa aveva detto. Lui rimase in silenzio, senza rispondere, sentendo solo i brividi provocati dal suo fiato sul collo e la paura entrare dentro di lui, all’ idea di morire sentendo per ultima cosa dolorose punture di chiodi arrugginiti perforargli il collo. Ma ormai era morto, non aveva più importanza come la Morte decidesse di portarselo via.
“Le cose sono cambiate.” Disse lei, provocando altri brividi al corpo sotto di lei.
“Dicono che non esista dolore peggiore.” Ricordava, ricordava benissimo ciò che le aveva detto lei in riva al fiume. Neah si bloccò un attimo, in silenzio. Un po’ della rabbia che portava dentro sembrò abbandonarla alla prospettiva di non essere la sola a soffrire, e per quanto sapesse che quello era pensiero egoista, quasi non riuscì a dispiacersi per lui.
Un altro lampo di luce illuminò le loro figure, catturandole in un attimo di immobilità, mentre intorno a loro la pioggia sembrava essersi dimenticata come fermarsi.
Sentì per un attimo la sua pelle fredda sulle labbra, ricordandosi del gelo che sentiva dentro di sé da anni, si era sentita tanto fredda da aspettarsi di vedere il suo fiato trasformarsi in nuvole di condensa durante la notte.
Poi schiuse le labbra e i suoi canini urtarono contro la sua pelle, un istante prima di violarla. Sentì subito il contatto del calore del suo sangue sulle labbra.
Tentò per un attimo di immaginare ciò che i quel momento stava provando Rhies –mani scheletriche che iniziavano a scavare dentro di lui- , ma la brama di sangue le annebbiava i pensieri. Lo aveva solo sentito sussultare e trattenere quello che probabilmente sarebbe stato un urlo, e poi la sua mano, che in un riflesso istintivo spingeva contro la sua spalla nel tentativo di allontanare la fonte del dolore.
Probabilmente non ci sarebbe stato neanche bisogno di bere il sangue, ma la tentazione di assaggiare quel liquido che aveva un odore tanto buono era troppo forte. E dopo il primo , piccolo, sorso sentì gli occhi colorarsi di un nuovo rosso, squisito e dolcissimo rosso sangue. Ogni sorso si diceva doveva essere l’ ultimo, si diceva di non aver bisogno ma il richiamo del sangue era irresistibile. Ciò che fece fu invece staccarsi da lui solo nel momento in cui la pressione sulla sua spalla svanì e il sangue smise di circolare.
Si staccò da lui come se avesse appena preso la scossa, rendendosi conto della gravità dell’ azione che aveva compiuto.
Aveva appena distrutto l’ unica cosa che le restava.
Si sentì sfilare il mondo da sotto i piedi e cadere nel nulla che lei stessa aveva causato, sentì il cuore stringersi e su se stesso e congelarsi di nuovo. Mentre la rabbia e la tristezza si mescolavano in un ammasso confuso di poltiglia velenosa.
Si alzò in piedi senza riuscire a staccare gli occhi dalla quantità di sangue che colorava la pelle di Rhies. Era più di quanto aveva immaginato.
Strinse con rabbia il pugno sentendo le unghie conficcarsi nel palmo della mano, quel lieve dolore la fece rinvenire; un lampo di lucidità attraversò la sua mente cancellando il rosso dalla sua mente e dagli occhi.
Fece un passo indietro lasciando uscire in un pesante sospiro tutto il fiato che non si era accorta di trattenere.
E in un attimo vide ciò che non aveva mai visto; un altro corpo, disteso in una bara di velluto rosso con il volto pallido e i capelli neri scompigliati, quegli smeraldi che rilucevano nelle sue iridi erano ora nascosti per sempre dietro le palpebre. Poi altra pioggia, crisantemi ai piedi di una lapide di fredda pietra e un mazzo di lavanda che cadeva tra la pioggia incessante.
Poi il volto di Rhygen svanì, e con esso ogni speranza.

“Zittisci il santo disonesto, sciogli quello che è legato. Non c’è tempo per l’allegoria.”

[Black Veil Brides - Sweet Blasfemy]

Le fiaccole facevano tremare le ombre, trasformandole in figure spettrali in quell’ ambiente scuro su cui incombevano nubi nere come la pece.
Una piccola figura vestita di abiti bianchi stava inginocchiata sull’ altare del tempio, con il volto rivolto verso la raffigurazione della dea Andhera e le esili dita appoggiate sulla coppa d’ argento ricolmo di liquido rosso.
Con quello sarebbe finito tutto, o meglio, sarebbe iniziata una nuova era, in cui i vampiri sarebbero tornati a governare come nei tempi antichi. E le sarebbe bastato risvegliare lei, per fare in modo che tutti i Dormienti si svegliassero, solo grazie a lei, che sapientemente aveva indotto a un lungo letargo i più potenti vampiri; li aveva nascosti, in un luogo che solo lei conosceva per proteggerli nel momento in cui sarebbero stati più vulnerabili. Ed era ora di svegliarsi, ora che i tempi Oscuri erano terminati e la terra era fragile e pronta per essere sollevata di nuovo.
La piccola Lishe distolse gli occhi dall’ imponente dea che la osservava senza occhi e fissò il suo stesso riflesso nel sangue, provando un lieve senso di disgusto nel percepire un buco vuoto dell’ anima mancante dentro di sé.
Inclinò la coppa, facendo colare con attenzione il sangue in una fessura nascosta tra i decori della pietra. Tutto sembrò diventare più silenzioso di quanto non fosse; la lieve brezza che soffiava fuori si quietò, la pioggia attese ancora prima di iniziare a scendere, le fiamme nelle torce si calmarono e persino le nubi nere sembrarono farsi più piatte. Una lieve vibrazione percorse l’ altare, per poi aumentare di intensità fino a creare delle crepe nel marmo freddo; tutta la superficie bianca divenne un mosaico di pietre frantumate, e la piccola Lishe, che non aveva fatto in tempo a scendere, si ritrovò al suo interno, schiacciata tra un lato di quella che si era rivelata una tomba di marmo e qualcosa di caldo contro la sua schiena.
“È già ora?” Una voce dolce come il suono del ghiaccio che si frantuma. Fiato caldo sul suo collo e brividi di terrore che spargevano adrenalina nel suo piccolo corpo. Un paio di braccia l’ avvolsero da dietro, sollevandola.
“Dov’è la mia piccola Rose? Ho bisogno di sangue.” In quel momento Lishe iniziò ad agitarsi tra le braccia della donna, non poteva bere il suo sangue!
“No Lys! Io non…” Ma un dolore lancinante al collo zittì le sue parole, facendo fare una capriola al cuore, che subito prese a battere con più forza, mentre il corpo dietro di lei barcollava e iniziava a tossire contro la sua pelle.
Si agitò ancora, riuscendo a liberarsi dalle sue braccia mentre sentiva i canini della donna lasciare due tagli paralleli sul suo collo. Cadde a terra al di fuori della tomba e seppur sentendosi debole tentò di allontanarsi; la vista le si era annebbiata e lacrime roventi le solcavano il viso mentre lievi singhiozzi le sfuggivano dalle labbra. Sentiva il calore del sangue e della vita scappare da lei. Si voltò un attimo, giusto in tempo per vedere Lysander cadere sulle ginocchia e, tenendosi al bordo della tomba, allungare una mano verso la dea che in silenzio aveva guardato tutto, tutti i loro peccati, poi le lacrime si colorarono di nero, e con esse tutto il resto del mondo.
La sua pelle pallida si riempì di grinze scure, mentre dalle labbra colava icore scuro, il sangue di una divinità contaminata da sangue riportato in vita. Dalle sue labbra uscivano respiri rapidi e strozzati.
“No, non…” Colpi di tosse interruppero la sua voce, mentre la mano che teneva tesa in avanti divenne scheletrica come quella di un cadavere. “Dimitri…” A malapena riuscì a pronunciare il suo nome, sentendo le energie abbandonarla. “Io ti odio!” Urlò con la forza che le rimaneva, i suoi occhi si velarono, quel colore ametista che splendeva nelle sue iridi si incupì scurendosi sempre di più. Il suo corpo scivolò tornando al suo posto. “Non era così che doveva andare.” Disse infine mentre il suo cuore si spegneva, avvelenato dal sangue riportato in vita.

“Selvaggio e disperato l’assassino è nato.”

[MUSE – Assassin]

La pioggia continuava a scendere incessante, le sue gambe tremavano per la stanchezza, temeva che si sarebbero potute rompere da un momento all’ altro per via di tutti il peso che ora si portava dentro.
Giunse alla scalinata principale della reggia, sembrava l’ unica parte rimasta intatta, solo un paio di cadaveri giacevano scomposti sul marmo chiaro. Quasi si lasciò cadere su uno scalino, sedendosi pesantemente e appoggiando la testa contro il corrimano accanto a lei. Aveva lo sguardo vacuo fisso sul cadavere davanti a lei e la mente vuota, la morte aveva preso anche quello che c’ era dentro di lei, lasciando il solito silenzio che rimaneva dopo il suo passaggio.
Passi incerti le si avvicinarono, il respiro affannoso si fermò a un paio di metri dalla sua schiena, non si voltò, che la colpissero pure, ancora e ancora.
Quello che sentì fu invece una lieve risata.
“Io te lo avevo detto.” Ricordava quella strana voce, come due persone che parlavano contemporaneamente con la stessa bocca, un tono roco e molto profondo. “Hai distrutto tutto.” La viera riprese a ridere, avanzando con un passo incerto.
La vampira si chinò un poco in avanti e allungò una mano verso il cadavere che ancora teneva stretta tra le mani la sua semplice spada, la impugnò lei, stringendo la fredda impugnatura come se non avesse mai preso in mano un’ arma, o come se quella sarebbe stata l’ ultima volta.
Si alzò barcollante voltandosi verso la viera che rideva ancora, le suo condizioni erano pessime; una spalla girata in maniera innaturale, una freccia rotta che spuntava dal polpaccio destro e la pelle chiara ricoperta di ferite e lividi scuri.
Eppure ancora rideva, rideva di lei, sovrastando il suono della pioggia e della tempesta con quella voce inconsueta e raccapricciante. La risata cessò quando una spada si infilzò nel suo collo, facendo capolino tra le costole della parte opposta del corpo.
Uno schizzo di sangue le macchiò il viso, un attimo prima di vederla accasciarsi a terra e tacere.
Poi di nuovo, tornò a sedersi dove era prima, portandosi la mano buona al volto, il silenzio era assordante, peggio della risata raccapricciante di quella viera.
E per la prima volta la pioggia non fu l’ unica cosa a scorrere sul suo viso sfregiato.

Fine

“Per chi ha amato questo mondo, e ha trovato piacevole compagnia in esso”

Ringrazio tutti quelli che hanno aperto il link di questa storia, che l’ hanno letta parola per parola, capitolo per capitolo, morte per morte.
Anche quelli che si sono stufati a metà storia e quelli che l’ hanno scoperta da poco. Ringrazio voi per ogni recensione, per ogni consiglio e ogni parola di incoraggiamento.
Ringrazio questa stessa storia che mi ha permesso di stringere fantastiche amicizie.

Jo Shepherd - susy e francy - Raen91 - Smollo05 - lames76 - Homicidal Maniac - Pendragon of the Elves (ordine cronologico di recensioni eh!)
Un grazie particolare va a Homicidal Maniac che ha fatto vivere a me e a Zephit la magnifica esperienza di Elfenfest.
Per me completare è una gran cosa (un’ impresa) e ancora più soddisfacente è stato ricevere delle recensioni; erano quelle ad attaccarmi al foglio bianco quando l’ ispirazione andava a puttane, tornavo spesso indietro a rileggerle per convincermi che sarei riuscita a completare un capitolo difficile.
Inizialmente i personaggi da me pensati sarebbero dovuti essere diversi da come sono giunti alla fine della storia:
Rhies non avrebbe dovuto avere uno spessore psicologico pari a carta velina, e per questo chiedo scusa a chi si aspettava di meglio da lui (anche io mi aspettavo di meglio).
Zephit, pensate un po’, sarebbe dovuto essere un elfo basso dai capelli color carota e dagli occhi neri, sarebbe dovuto essere un sicario e non un ubriacone (ma immagino sia meglio avere un elfo ubriacone). Zephit è stato uno dei personaggi che più ho amato e che mi divertivo a scrivere, per questo credo (spero, più che altro) che anche leggere la sua morte non vi abbia abbattuto troppo.
Gli altri più o meno sono riuscita cerarli come mi ero prefissata.
Inventate vuoi invece un nome per la disperata madre di Zephit :)
Un ringraziamento particolare va alla musica, che come immagino anche voi stessi avete potuto appurare ispirava ogni capitolo. In particolare gli Evanescence con la magnifica voce di Amy Lee; una continua fonte di ispirazione. E in quest’ ultimo periodo (quello dell’ epilogo, appunto) anche i Black Veil Brides, che più che rivelarsi una fonte di ispirazione sono stati una magnifica distrazione.
Vi svelerò anche un segreto: il mio Ipod si chiama Neah xD
Sono sicura di non aver detto tutto, di dimenticare qualcosa, eppure ora non mi viene in mente altro.
Quindi se avete domande da pormi fatele pure, sarò lieta di rispondere.
Quindi oggi 22/08/2012 finisce la storia di una vampira che per salvare se stessa, a distanza di due anni, ha distrutto inconsciamente tutto ciò che aveva.
O forse no, Ricordate il nome di Rhygen, l’ unica persona che aveva accolto Neah senza troppe domande e che ritroviamo nel capitolo dopo il prologo? Beh, non sia mai che io abbandoni una mia creazione, potrebbe sempre uscirne una spin-off :)
Grazie a chi è arrivato alla fine, questo non è un addio.
Mhuhahahahahaha!!

Extra: L’ anima della storia.

In quel bacio di mani dopo la morte, in quella morsa di dolore prima della conclusione, in quegli occhi rumorosi tra il crepuscolo e l’ oblio.

(Il repentino cambio di necessità.)

Ninnananne macabre nel continuo convincersi di rivincite e vendette. Rivolgiamo le perdite, cicatrici aperte alternate in ferite brucianti e false, false promesse fatte dalla vita.

Fa male.

Lo sciogliersi delle armi, il fumo liquefatto tra gli spigoli delle lame, la disperazione coagulata nel costante tentativo di vivere, il calore che va perdendosi nei volti svestiti di ogni colore, sarà questo il nostro destino.

Ho paura.

Non necessitiamo di sangue, poiché troviamo tutto, in quell'esalazione mortale di dolore.

Apprenderemo ciò che nessuno ebbe mai il coraggio di narrarci, il limite di una vita e un travolgente rifugio di buio.

Anime sporche sfuggiranno da corvi dai becchi dorati.

Tentativi di corruzione, vedranno di cos'è capace un uomo senz’ anima.

Ti prego.

Non lasciarmi vita.

Odiami.

Seguimi.

Non farlo senza aver prima concesso alla vita di appartenere a chi sa di non possederla.

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