Frammenti: le sensazioni di un uomo vissuto

di Ziggie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il buio della morte ***
Capitolo 2: *** Nelle grazie di Calypso ***
Capitolo 3: *** Un tormento di nome Jack Sparrow ***
Capitolo 4: *** A volte ritornano ***
Capitolo 5: *** Singapore ***
Capitolo 6: *** Viaggio ai confini del mondo ***
Capitolo 7: *** Due capitani e una nave ***
Capitolo 8: *** The Brethren Court ***
Capitolo 9: *** Liberiamo Calypso ***
Capitolo 10: *** La battaglia finale ***
Capitolo 11: *** Una vittoria decantata troppo presto ***
Capitolo 12: *** Giocando a fare il corsaro ***
Capitolo 13: *** Pirata fin nelle viscere ***



Capitolo 1
*** Il buio della morte ***


E rieccomi qui! Questo è il continuo dei frammenti in cui Hector ha narrato la sua vita, ora si passa ad elementi più hard, chiamiamoli così. Non vi dico molto, lascio la suspence e il primo capitolo. Buona lettura!                  
 

 

Frammenti: le sensazioni di un uomo vissuto.
                                                         

 

               1. “Il buio della morte”
 

Quel duello era destinato a durare un’eternità: eravamo due immortali, dannati, impegnati a darci battaglia fino al giorno del giudizio. Poi Sparrow riuscì a sbilanciarmi, ma non caddi e misi mano alla mia pistola puntandola contro quella sgualdrinella, che mi aveva dato grane dal giorno in cui aveva messo piede sulla mia nave.
Un colpo riecheggiò per la caverna, ma non proveniva dalla mia canna: Sparrow aveva sparato l’unico colpo che possedeva, un colpo che conservava da dieci anni. Povero stolto! Ghignai, ma il mio corpo fu pervaso da una strana sensazione, come se fossi tornato dalle macabre sponde della maledizione.
- Dieci anni che conservi quel colpo e sei riuscito a sprecarlo! – Il mio rivale mi guardava con sguardo crucciato, lo stesso che mi aveva riservato il giorno dell’ammutinamento, perché?
Tutto fu chiaro e il mio ghigno si spense alle parole del giovane Turner: - non  l’ha sprecato - sgranai gli occhi.
Avevo concluso quel viaggio maledetto per intraprenderne uno più oscuro; che ironia della sorte! Ero libero e le prime cose che sentii furono: il freddo della morte, che mi pervase il corpo, come ad accogliermi tra le sue braccia e il calore tiepido del sangue, che ormai sgorgava libero sul bianco sporco della mia camicia.
Quel colpo, quel tonfo sordo, mi colpì il petto all’altezza del cuore, facendomi tremare.
Spada e pistola mi caddero di mano e io indietreggiai, aprendomi la giacca e osservando il sangue fuoriuscire: deglutii a vuoto e rialzai lo sguardo.
- Sento …. Freddo -.
Il fiato mi si smorzò e il cuore rallentò il suo battito, ma non mi impedii di mettere mano al frutto che avevo in tasca, afferrandolo, tastandolo, sentendo quel ben di Dio, che mi faceva gola, sotto i miei polpastrelli, sapendo che non l’avrei potuto gustare come desideravo.
Le forze mi abbandonarono, caddi all’indietro e, sdraiato su quella montagnetta d’oro, sotto il forziere infernale, il mio cuore emise il suo ultimo battito ed io esalai il mio ultimo respiro.
Spirai in quella grotta che mi aveva donato l’oscurità e mi aveva tolto ogni emozione umana; morii libero, senza nessun vincolo, come si conviene ad un lupo di mare, ad un capitano.
  


 

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Capitolo 2
*** Nelle grazie di Calypso ***


 Buonasera gente ed ecco a voi il secondo frammento. Hector è alle prese con Calypso nel limbo, una situazione tra la vita e la morte che non si fermerà in questo capitolo, ma proseguirà nel prossimo. Grazie a chi legge e a Fanny Sparrow che mi regala sempre ottimi commenti. Buona lettura ;) 
 

              2.”Nelle grazie di Calypso”
 

Galleggiavo inerte, sommerso a tratti dall’alta marea che prendeva il sopravvento. Ero morto, eppure era come se non lo fossi. Spalancai gli occhi e un bagliore mi avvolse: era accecante, luminoso, bianco; eccolo: il nulla. Arrivò poi il buio e con lui l’acqua iniziò a scrosciare prima lieve, poi sempre più forte, come se battesse sulla roccia: era lontana.

Mi alzai in piedi e provai a camminare, con mia enorme sorpresa ci riuscii; quel posto doveva essere il mio inferno, il mio post mortem , non c’era altra spiegazione e proseguii.

Mi trovavo in una grotta, un lungo tunnel scuro, illuminato, a tratti, dall’acqua limpida che sgorgava dalle pareti rocciose. Stalattiti e stalagmiti biancastri creavano decorazioni degne di nota: i primi donavano una dentatura all’ampio soffitto, come pronti a ghermire la preda; i secondi, in minoranza e sparsi sul terreno, erano come i denti di un bambino, in fase di formazione.

Continuai il mio cammino esplorando quel luogo magico – dove la natura regnava sovrana – fino alla fine della grotta, dove un’ampia cascata, alta una ventina di metri circa, sgorgava da una parete rocciosa intagliata dall’erosione, come un bassorilievo e si immetteva in un lago azzurro e cristallino, come le acque del mar dei Caraibi.

Un’ombra si stanziò fissa sulla superficie dell’acqua che scendeva, ma non era la mia – i morti non hanno ombra -; dapprima sfocata poi sempre più nitida: quelle erano le forme di una donna, le avrei riconosciute tra mille e solo una donna di mia conoscenza portava quei capelli, agghindati con mille chincaglierie.

- Tia Dalma! – esclamai alquanto sorpreso, che diavolo ci faceva lì?
Lei ghignò, uscendo da quel nascondiglio fluttuando, come se appartenesse all’acqua, fermandosi a poca distanza da me. – Calypso – sussurrò correggendomi.
La guardai accigliato, avevo letto e udito molte cose riguardo a quel nome: la dea del mare, la signora indiscussa delle acque, come poteva avere legami con quella strega?!
- Date libera parola ai vostri pensieri, capitan Barbossa, ne abbiamo di tempo. La donna indomabile come il mare si presenta a voi e chiede i vostri servigi – mi fece l’occhiolino, stuzzicandomi la barbetta.
- Non vedo come un morto possa soddisfare le vostre voglie, milady – feci notare pacato, non che fossi contrario o mi mancasse la voglia, dieci anni a patire le pene dell’inferno erano un’eternità per un abile amante come me, ma ero morto, freddo, sarebbe stato inutile e non sarei riuscito a soddisfare la mia voglia repressa. Dal canto suo lei ridacchiò; sicura di sé.
- In molti mi hanno soddisfatto anche indirettamente, uno mi ha donato il suo cuore, anche se ora, questo è rinchiuso in un forziere su un’isola lontana – narrò melliflua – tutti i marinai rispondono al richiamo del mio nome: io sono il mare -.
- Per quanto mi riguarda, io rispondo soltanto a me stesso – specificai – e al mare non occorrono padroni -.
Lei scosse il capo – stesso discorso di molti anni fa, quando la prima fratellanza mi imprigionò in questa singola forma – commentò seccata – il mare ha padroni, capitan Barbossa; voi pirati lo dominate -.
- Noi lo viviamo – ribattei prontamente – ora vi sarei grato di non parlare per enigmi, come vostro solito, e spiegarmi, nei minimi dettagli, dove mi trovo e come, un morto, potrebbe esservi utile -.
- Schietto come sempre – osservò la donna, accarezzandomi il petto – Vi trovate nelle grotte oscure, una sorta di limbo a cui hanno accesso solo coloro, cui il destino vuole dare un’altra possibilità -.
- E voi sareste il mio destino? – domandai scettico.
- Dieci anni di maledizione e la pallottola che vi portate nel petto, non sono bastati a farvi aprire gli occhi su quanto, di soprannaturale, circonda la vita di un uomo? -.
Arricciai il naso – so cosa ho passato e come sono morto; direi che potrei credere a qualche storiella sui fantasmi, ma finché questi occhi non vedono e queste mani non toccano, io rimarrò sempre lo scettico di turno -.
- Oh! Quindi non vi importerebbe tornare dall’aldilà con una piccola missione da compiere, al termine della quale tornereste libero e pieno di vitalità, come hai tempi prima della maledizione? – chiese pacata, osservandomi seria.
- Che genere di missione, strega? – chiesi sospettoso; dal canto suo sghignazzò e sempre con quel ghigno introdusse il tutto.

- Arriverà il giorno, in cui il dominio di questi mari sarà reclamato da un subdolo omino della compagnia delle Indie Orientali; tale giorno non è affatto lontano e voi vi impegnerete a riportarmi alla mia forma originale, prima dello scontro finale -.
- Tutto qui? – chiesi accigliato, quelle parole erano troppo sintetiche.
- Jack Sparrow pagherà i propri debiti con il terrore dei mari e verrà condotto in un posto non di morte, ma di punizione. Occorrerà però andarlo a riprendere e solo un capitano con un’elevata vena sadica e sprezzante gusto del pericolo, potrà arrivare fin laggiù -.
Roteai gli occhi al cielo e sospirai, non solo mi aveva pagato quel biglietto per l’inferno, ora la sua figura mi perseguitava anche da morto, eppure ero convinto che un cadavere avesse diritto ad un po’ di tranquillità!
- Non vedo perché dovrei andarlo a riprendere, è una punizione ben meritata e non sarò così gentile con l’uomo che mi ha spedito nella tomba – era una cosa ovvia, dopotutto, doveva aspettarsi quella risposta.
- Affonderà con la sua nave. La Perla Nera lo seguirà nell’abisso di quel luogo punitivo e senza di lui non potrò tornare al mio regno -.

Quando sentii che anche la Perla l’avrebbe accompagnato divenni più freddo di quello che ero, raggelato. Come poteva la dama dell’oscurità cadere nell’abisso, accompagnata a quella carogna? L’avrei ripresa, questo era certo.
- Se non altro il capitano affonderà con la sua nave – convenni seccato e al tempo stesso sarcastico. – Perché vi occorre? -
- Nove pirati nobili mi hanno imprigionato, nove pirati nobili mi libereranno. Chiamate la fratellanza a consiglio, raccogliete i pezzi da otto e fate il rito che ne compete -.
- Che rito, di grazia? -
Lei mi si avvicinò maliziosa, arrivando ad un soffio da me, strusciandosi sinuosa sul mio corpo, stuzzicandomi sotto il collo e la barbetta. – Bisogna raccogliere i nove pezzi da otto, bruciarli e pronunciare le parole: Calypso, io ti libero dal tuo legame umano, come se foste parlando con la vostra amante – mi sussurrò all’orecchio quelle ultime parole: perché dovevo essere morto? Non mi ero mai fidato di quella strega, ma quei suoi modi così suadenti e maliziosi, mi avevano solleticato le viscere; ero davvero il cadavere al cospetto di una dea o ero l’uomo al cospetto di una donna?
Non mi posi altre domande e osai.
La mia anima tornò a brillare, a breve il mio corpo sarebbe tornato vivo e io sarei tornato alla ribalta.
  

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Capitolo 3
*** Un tormento di nome Jack Sparrow ***


Holà lettori e recensori, chiedo venia per il madornale ritardo, ma sono sotto esame e in questi giorni la connessione ha fatto cilecca, altrimenti avrei postato prima, anche perchè ve ne aspetta un altro di frammento oltre a questo ;) Che dire di più, non sono una che svela quanto narra, ma un piccolo dettaglio ve lo concedo: il capitan Barbossa torna alla ribalta :3
Buona lettura readers e alla prossima.

 

3. “Un tormento di nome Jack Sparrow”
 


 

Non so dire quanto rimasi in quelle grotte, in quel limbo, dove il mio spirito era più vivo che mai; forse ore, forse giorni, settimane, mesi, anni. Un lungo periodo in cui rimuginai sul fatto che il mio fato mi era sfuggito di mano: prima la maledizione, poi la morte, ora questo lurido patto, che mi garantiva la libertà se avessi ripreso Sparrow e liberato Calypso.

Ho sempre detestato i vincoli, avere le mani legate sotto il comando di qualcuno, ma dopo anni di maledetta agonia, riabbracciare la vita con tutte le emozioni che avevo perduto, era un passo che non avrei sottovalutato.

Ed ecco che la signora ironia si fa gioco di me, come se fossi il suo burattino, per la seconda volta: liberato dalla maledizione per sentire il freddo abbraccio della dama incappucciata e ora, in bilico nel suo limbo ad un passo dalla vita, legato ad una sola azione: quella di andare a riprendere Sparrow, il rivale di sempre, il capitano che ho volentieri tradito, l’uomo che mi ha sparato.

Dopotutto toccava sempre a me tirare, Sparrow, fuori dai guai - non che il piccolo passero in questione mancasse di furbizia, ma, ogni tanto, questa sua vena artistica gli sfuggiva di mano - ed ogni volta lo facevo giusto perché favoriva la mia causa e anche stavolta non sarebbe stato diverso: era la mia nave quella che era perduta, era la dama dell’oscurità ad aver bisogno del suo vero capitano.

- E’ giunto il momento, capitan Barbossa. La vostra scelta? – mi chiese, ghignando, Tia Dalma.
- La conoscete strega. Abbandonerò il freddo abbraccio della morte, ritornandovi a tempo debito. Ma un uomo deve conoscere i minimi dettagli che circondano un’impresa, se la deve intraprendere, no? – feci notare, come a interrogarla indirettamente.
- Jack Sparrow fugge dal diavolo in persona, da Davy Jones, con il quale ha stipulato un patto: il demone del mare, gli ha restituito la Perla che si era inabissata, in cambio della sua anima dopo tredici anni di comando – narrò la dea, mentre io mi grattavo la barbetta, in ascolto – Jack fu capitano per due anni e nonostante aver subito, da voi, un ammutinamento, ha continuato ha presentarsi agli altri come “Capitan Jack Sparrow”; un mediocre capitano, ma sempre tale, nonostante fosse alla costante ricerca di una nave. Ora Davy Jones reclama il suo premio e, macchiando Sparrow con la macchia nera lo ha condannato ad essere vittima del suo leviatano -.
- Qualcuno dovrebbe insegnare a Sparrow ad essere meno egocentrico – commentai ironico, dato che era la sua troppa sicurezza a cacciarlo sempre nei guai, ma nonostante quel racconto, non mi pentii delle mie azioni riguardo a Jack, anzi, fu come se quella storia mi fosse scivolata addosso come acqua sulla roccia. – Perché pensate che io conosca la via per l’eterno cancello, la rotta per il forziere di Davy Jones? – cambiai discorso; ero informato sul demone del mare, come ad ogni marinaio, degno di definirsi tale, si raccomanda e sapevo bene che Davy Jones non lasciava mai andare quello che prendeva: quell’uomo non era semplice leggenda e il suo scrigno erano le profondità marine, la landa perduta che ogni pirata temeva.
- Perché voi, avete varcato i confini della mappa, Barbossa, grazie a questo viaggio -.
- Mi avete condotto voi in questo posto, non la mia volontà o capacità -.
- Vero – ghignò melliflua – ma è chi ha avuto padronanza della morte, come ha padronanza del timone, che conosce, anche se indirettamente, le acque che conducono all’aldilà -.
- A quando il mio ritorno? – chiesi, era inutile perdere altro tempo.
Lei ghignò. – A breve -.
  
  

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Capitolo 4
*** A volte ritornano ***


  Ok, non potevo aspettare a pubblicare pure questo frammento, che a parer mio mi è anche venuto bene, per sapere che cosa ne pensavate a riguardo. Ammetto di essere in crisi con il successivo, ma spero di uscirne presto, quindi non temete dopo mercoledì vedrò di continuare a narrare di Hector. Buona lettura ;)                   
 

                     4. “A volte ritornano”
 

Me ne stavo seduto ad un misero e decadente tavolo di legno, con una bottiglia di rum e delle mele verdi di fronte, mentre mi rigiravo tra le mani un pezzo da otto, pensieroso.

Ero tornato in vita, dovevo considerarmi un fortunato, un privilegiato del fato, ma a parer mio ero tutto meno che quello.

L’ironia si era fatta gioco di me per ben due volte ed ora mi trovavo lì, pronto a dover condurre un branco di approfittatori pentiti a riprendere l’uomo che mi aveva spedito nella stretta di Satana, che dovevo poi convincere a darmi retta sul fatto di riunire la fratellanza e riconsegnare Calypso al mare: direi un lavoretto da tutti i giorni!

Sentiteli, ora, come piangono sul latte versato, come i coccodrilli a preda gustata. Sapevo che la scelta di affondare nelle fauci di quel grande leviatano non era stata di Jack, lo conoscevo fin troppo bene e, anche se teneva alla Perla più della sua vita, avrebbe preferito mettere in salvo la pellaccia come suo solito, piuttosto che spegnersi così, era ovvio, quindi, che ad inchiodarlo fosse stato qualcun altro.

Mi alzai dal tavolo e presi un sorso di rum: quel pizzicorio che ti solleticava la gola, quel profumo forte, acre, che ti inebriava le tempie al solo odore, mi era così mancato che ancora stentavo a credere di essere tornato dal regno dei morti.
La mia scimmietta mi si accomodò arzilla sulla spalla ed io presi una mela, lanciandola in aria per poi riprenderla sorridendo: a breve sarei andato in scena.

- Tu lo faresti, mmm? E tu, che faresti, mmm? Fareste vela, ai confini del mondo e ben oltre, pur di riavere il brillante Jack e la sua preziosa Perla? – chiese Tia.

Roteai gli occhi al cielo, che domanda banale! Era ovvio che avrebbero fatto qualsiasi cosa! Non si trattava del suddetto capitano qui presente, il malvagio di turno; si trattava di capitan Jack Sparrow, la leggenda, la volpe dei Caraibi, colui del quale si lamentano tutti quando è in vita, ed ora, che è in qualche modo scomparso, ci si fa in quattro per riprenderlo.

- Bene, ma per affrontare le infestate e arcane coste, dei confini della terra, vi occorrerà un capitano, uno che conosca quelle acque –

Scesi le scalette, che dalla piccola stanza portavano nell’antro di Tia Dalma, con classe, senza fretta, godendomi ogni mossa come se fosse la prima di una nuova vita. Sfoggiai il mio sorriso migliore, divertito dalle espressioni corrucciate, interrogative ed incredule dei presenti. Il mio animaletto, che era sceso prima di me, mi raggiunse poco dopo, divertito anch’esso da quella situazione; diedi un morso alla mela, che tenevo in mano, famelico, godendomi appieno il sapore di quel frutto che tanto bramavo, lasciando che il succo aspro mi bagnasse le labbra, impregnandomi con esse anche la barbetta.

- Orsù, ditemi, che ne è stato della mia nave? – chiesi ironico, a bocca piena, senza curarmi delle buone maniere, ridacchiando così forte da farmi udire dalla popolazione del fiume.

Avevo vinto la morte, ero tornato e tutto il mondo doveva sapere. 

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Capitolo 5
*** Singapore ***


Ed ecco a voi il frammento che mi ha dato del filo da torcere. I fatti e i dialoghi, ovviamente, sono quelli inerenti al terzo film di pirati dei caraibi, ho voluto semplicemente rendere al meglio le sensazioni del nostro caro Hector (non me ne vogliano le fan di Will) ... Buona lettura :D                   

                          5. Singapore


- Hai saputo niente di Will? –
- Confido che il giovane Turner prenda le carte e che tu ricordi di stare al tuo posto, alla presenza di Capitan Sao Feng -.
- E’ così terrificante? -
- E’ un po’ tipo me, ma senza la mia indole misericordiosa e l’innata correttezza -.

A breve avremmo incontrato Sao Feng, un suo sottoposto ci stava conducendo da lui, ma, secondo i miei calcoli, l’impresa avrebbe avuto riscontri complicati, me lo sentivo.

E’ vero, avevamo concordato più volte il piano e la combriccola che avevo al seguito aveva ribadito più e più volte di essere disposta a morire per capitan Jack, ma non è avere sangue pirata nelle vene che ti rende tale e nemmeno aver trascorso una giornata a Tortuga; gli sposini combattevano ognuno per una propria e differente causa, era alquanto inutile che cercavano di nasconderlo.
Toccava a Turner rubare le carte dal tempio del parente di Feng, un’impresa che avrei compiuto ad occhi chiusi anche in tenera età, ma io non mi improvvisavo pirata, lo ero già nell’animo.

La seconda domanda di Miss Swann mi fece sorridere; sia lei che il suo sposino avevano goduto della mia vena misericordiosa in altri tempi, sapevano quanto potessi essere corretto. Ghignai, augurandomi seriamente che Turner agisse con un minimo di riguardo e che lei non si intromettesse troppo nel discorso tra capitani.

- Capitan Barbossa, benvenuto a Singapore – mi accolse Sao Feng. Io feci, di grazia, un inchino e invitai miss Swann a fare lo stesso, eppure era una ragazza di alto rango, mi aspettavo ci arrivasse da sola a compiere quel gesto!

Gli introdussi vago la richiesta che dovevo sottoporgli, avevo un’impresa da compiere, ma ero a corto di nave e ciurma; dal canto suo si finse sorpreso, guardandomi sospettoso. Si avvicinò poi, ad un’ampia tinozza di legno, narrando che un ladro aveva tentato di derubarlo delle sue carte nautiche – ma bene! Il giovane Turner aveva agito proprio come mi aspettavo, avventato! -. Feng fece segno ai suoi di scoprire il ladro e dalla tinozza, con uno strattone e legato ad un’asta di legno di bambù, sbucò Turner.
- E’ lui il ladro, la sua faccia vi dice qualcosa? –

Ovvio che no, ma se io potevo rimanere impassibile a guardare Feng che puniva Turner, mandandolo all’altro mondo e facendomi un favore, Elizabeth avrebbe presto ceduto: così fu alla vista del punteruolo appuntito che Sao Feng stava per imprimere sotto il mento di Turner.

Sospirai, spiegandogli della fratellanza che si sarebbe riunita a consiglio e che lui stesso avrebbe dovuto onorare la chiamata, ma snobbò le mie parole, di questi tempi i pirati preferiscono starsene in panciolle a godersi del proprio oro, piuttosto che sguainare le spade e difendere ciò in cui credono. Restai vago sulla meta, ma Feng insistette. Il nome di Sparrow non doveva essere nominato, c’era ancora il conto aperto anni prima per la tessera del majong, ma il giovane Turner rovinò tutto, sperperando tranquillo il motivo del nostro viaggio, ed oltre alla voglia di tagliargli la lingua o sparargli in fronte, dovetti prendere, a grandi linee si intende, le difese di Jack: che supplizio!

Feng finse di ascoltare le mie parole, troppo concentrato sulla schiena di uno dei suoi, quasi pensieroso.
- Così, tu ammetti di avermi ingannato? – constatò poi, mentre io corrugai la fronte, facendo un passo indietro: sapevo che la situazione sarebbe finita in punta di spada. – Armi! – Feng e i suoi sguainarono spade e katane , pronti e sicuri di avere la meglio; ghignai ed allargai le braccia.

- Sao Feng, ti giuro, le nostre intenzioni sono le più onorevoli – e da sotto le assi saltarono fuori quattro spade: due per me e due per la signorina al mio fianco; la combriccola di omuncoli guidata da Gibbs aveva fatto il suo dovere senza troppe cerimonie, a differenza dei due ai piani superiori.
Feng fu sorpreso di quel contropiede e, spiazzato, afferrò il cinese che stava osservando prima.
- Deponete le armi o uccido la spia -.
Feci spallucce, affatto colpito o preoccupato – Uccidilo, non è uno dei miei – risposi ovvio.
- Se non sta con te e non sta con noi… Allora, con chi sta? – Turner fece giusto in tempo a terminare la propria domanda che, i soldati della Compagnia delle Indie Orientali, fecero irruzione nel covo piratesco. Il combattimento fu all’ultimo sangue, anche se non fu per difesa del covo o di Feng, bensì per garantirci libera fuga.

Giungemmo al molo, dove Tia Dalma ci aspettava e Turner apparì poco dopo con le carte, accompagnato da Tai Huang, il sottoposto di Feng, che ci avrebbe offerto nave e ciurma.

E il viaggio iniziò così, con una fuga da Singapore e dei dissidi interni sempre più ampi: non mi piaceva il comportamento di Turner, quanto mai non l’ho sgozzato quella notte su Isla de Muerta. 

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Capitolo 6
*** Viaggio ai confini del mondo ***


E rieccomi qui con un altro frammento, grazie a Fanny che mi segue assiduamente dalla mia prima fic su Hector e grazie al carissimo Lord Beckett, che mi ha fornito diverse informazioni interessantissime, vi devo un buon boccale di Rhum, milord. I dialoghi sono ovviamente presi dal terzo film e, come nel quinto frammento, non me ne vogliano le fan di Turner ^^""""" .... Detto ciò, buona lettura e recensite numerosi ;)  
 

         6.Viaggio ai confini del mondo


L’oscurità della notte accompagnava il nostro viaggio verso l’ultimo cancello. La volta stellata si rispecchiava nella fluidità nero pece dell’oceano, mentre l’Hai Peng scivolava, lenta e accompagnata da una leggera brezza, su quello specchio buio, allontanandosi da una Singapore in fiamme.

Avevo lasciato a Turner il compito di studiare le carte nautiche: voleva fare il grande navigatore? Aveva l’occasione per mostrarsi tale.
Io me ne stavo a poppa, alla barra del timone a pilotare l’ennesima nave verso l’ennesimo viaggio, felice di essere tornato un tutt’uno con il mare – quella notte potevo rivivere le sensazioni che mi avevano fatto diventare uno dei suoi uomini: dalla brezza che mi accarezzava i capelli, alla spuma dell’onda che mi solleticava la pelle – ma stanco di essere una marionetta manipolata dai fili dell’ironia.

La maledizione non mi aveva tolto solo le sensazioni, prosciugandomi istanti di vita; mi aveva privato del bene più grande di tutti, un bene che avevo acquistato con il sudore della fronte e la forza della mia schiena: la libertà.

Ero tornato alla ribalta, ero vivo, ma a quale scopo? Non compivo più un’azione di onesta pirateria da anni; ero vincolato ad una dea e dovevo riprendere il rivale di tutta una vita. Una situazione paradossale alla quale si aggiungeva l’atmosfera magico-misteriosa, nella quale, io, non avevo mai creduto.

E’ vero, sono qui grazie a riti voodoo e sono stato vittima di una tremenda maledizione, ma, nonostante ciò, tengo fede al mio credo: le storie di fantasmi possono esistere, ne sono stato protagonista per dieci anni, ma storie di taverna, superstizioni e quant’altro di quel genere no mi hanno mai toccato, ne mi toccheranno mai.

Al tramonto dell’ennesima giornata di viaggio, arrivammo a costeggiare le zone ghiacciate vicino all’artico: non mancava molto alla nostra destinazione. Sentivo Pintel e Ragetti brontolare tra loro, un po’ scettici riguardo alla resa positiva di quella missione; miss Swann, dietro di me, tremava di freddo e teneva il suo sguardo fisso a terra, mentre Turner, cupo e sfacciato, proseguiva a grandi falcate nella mia direzione.

-  Vi spiace interpretare, capitan Barbossa? – mi chiese a denti stretti, porgendomi la mappa. La afferrai e, dopo averle dato una breve occhiata, la richiusi, ghignando al ragazzo; non occorrevano troppe spiegazioni, ne mi occorrevano mappe: quella rotta la conoscevo già.

- Il vostro sguardo si è mai posato su un verde baleno, mastro Gibbs? – chiesi, inscenando un buon discorso, giusto per spazientire maggiormente Turner. Gibbs sorrise, fiero di essere stato preso in considerazione come un libro aperto, data la sua esperienza in mare, ma quell’entusiasmo sviò in irritazione quando Pitnel intervenne nel rovinargli la battuta finale. Alzai gli occhi al cielo, divertito, lo ammetto, porgendo, poi, con uno strattone, le carte al ragazzo.

- Fidatevi mastro Turner, non è affondare nella terra dei morti il problema. E’ riemergerne – commentai ovvio, ghignando divertito e correggendo appena la rotta.

L’Hai Peng veleggiava nell’oscurità dell’ennesima notte, stavamo acquistando velocità. Di fronte a noi: il nulla. Ancora un passo e lo scrigno ci avrebbe accolto.

- Barbossa, di prua – mi avvisò Turner, allarmato.
- Si! Perduti, questo siamo! – affermai alquanto tranquillo: perdersi dopotutto era l’unico modo per trovare qualcosa di introvabile, altrimenti chiunque sarebbe stato in grado di trovarlo.

Turner, ancor più preoccupato dalla mia risposta, si precipitò in mezzo alla ciurma, dettando ordini, volendo prendere in mano la situazione. Il sangue pirata, che gli scorreva nelle vene, doveva avergli dato al cervello: un vero peccato che suo padre non fosse con lui, nella sua tenera età, a raccomandarlo di non imbracciare la via della pirateria. Un mozzo troppo avventato, un povero illuso, ecco cos’era. Lo fulminai con lo sguardo e dettai ordini nel mio classico stile: ringhiando e smuovendo quella manica di smidollati a non dar retta alle parole di un insulso ragazzino.

- Non vi azzardate! Che si avanzi dritti e giù! – mi assicurai a gran voce.

La giunca arrivò al limite del mare, restando in bilico su quel dirupo per alcuni istanti finché l’enorme cascata ci prese con sé, gettandoci nel nero pece dell’oblio delle profondità marine. 

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Capitolo 7
*** Due capitani e una nave ***


 E rieccomi qui con il settimo frammento, facendo i conti ne verranno anche qui 13, come il racconto precedente :D
Come al solito vi faccio notare che le battute sono riprese dal terzo film della saga e che questa è sempre un'introspezione vista dal capitan Barbossa. Non credo ci sia altro da dire quindi ;) Buona lettura.
Capitan Ile

 

         7. Due capitani e una nave
 

Credo che, se mastro Pintel non ci avesse fermato, saremmo andati avanti in eterno con quella discussione. Che strazio! L’avevo appena recuperato e già volevo buttarlo a mare!

- Il capitano da gli ordini – aveva esordito, con gli occhi che quasi gli strabuzzavano dalle orbite.
- Il capitano, infatti, sta dando gli ordini -. Aveva navigato con la Perla per quei due anni, giusto perché mi aveva lasciato un ricordino nel petto, doveva ringraziare la sua fortuna e non le sue doti, che tanto esaltava.
- Mia la nave, io capitano – sospirai, sempre la stessa solfa.
- Ma mie le carte! – e senza quelle si sarebbe scordato di tornare nel mondo che aveva lasciato e che ora, citando lui stesso, stava andando in malora.
- Allora tu… cartomante! – Alzai gli occhi al cielo. Detestavo il fatto che voleva avere sempre l’ultima parola, peggio di un bambino che si sente minacciato da qualcuno che gli vuole rubare il suo giocattolo preferito: ecco, quella era, bene o male, la nostra situazione.

Due capitani che si contendono la sposa. Io ne ero il più avvezzo e più dotato: l’anima cupa e la mia eleganza si sposavano, perfettamente, con la linea nera della dama dell’oscurità: raffinata a contatto delle onde; elegante nei suoi meandri.
No, non era la nave per Jack. Un galeone rispecchia l’io del proprio capitano, lo annuncia agli altri e, Sparrow, di cupo e raffinato non aveva proprio nulla.

Salimmo sul cassero di poppa: la competizione non era affatto terminata.
Dovevamo fare vela verso nord; studiai il vento e presi il mio cannocchiale, un classico strumento nautico di medie dimensioni, e scrutai l’orizzonte, tranquillo, ma curioso di vedere la prossima mossa di Sparrow.
Jack mi imitò, ma per sua grande sfortuna, e mio enorme piacere, il suo strumento non era neanche la metà del mio: quindi, come pretendeva di penetrare la Perla? Ridacchiai, mentre lo osservavo allontanarsi, tornando a studiare l’orizzonte.

Il sipario calò sulla giornata, lasciando spazio al manto oscuro della notte, ma non calò sui nostri dissidi: gli avrei volentieri sparato in fronte, se non mi fosse servito per liberarmi dal vincolo, che avevo con la dea del mare.
Eravamo in cabina. L’ultima volta che ci trovammo entrambi lì: la vetrata di poppa era intatta, i mobili e gli oggetti in ordine e Sparrow, se ne stava spaparanzato di fronte a me, gustandosi una delle mie mele. Ora, era come se fosse passato un uragano: la vetrata era sventrata; tutto era a soqquadro; l’unica cosa che non era cambiata era la presenza di Sparrow, sempre svaccato sulla sedia a guardarmi.

- Vedo che non hai tralasciato di curarti della mia nave – gli feci notare, passeggiando avanti e indietro, in mezzo a quel marasma di oggetti.
- Cosa? Per questo? – prese il suo cappello, dalla testa della mia scimmietta, e se lo sventolò sul viso. – Questo si chiama ventilare. Per far andar via il puzzo del proprietario precedente -. Feci un sorriso tirato: che gentile! Vedrai come provvederò a liberarmi nuovamente di te, Sparrow!

Dopo pochi istanti entrò Gibbs, che da quando avevamo ripreso il suo amato capitano, smaniava dalla voglia di tornare a fargli da leccapiedi, ma lo freddai subito con lo sguardo, freddando il suo entusiasmo. Quella nave, per il momento, aveva due capitani.

- Sono io il capitano del lato destro! – ringhiai – Due gradi a dritta. Adesso il capitano prenderà il timone -.Osservai Jack e poi corsi fuori, seguito a ruota da lui con la sua corsa ciondolante. Arrivammo sul cassero ed, io, aggiustai la rotta, che, dopo alcuni istanti, fu corretta da Jack. Continuammo così per svariati minuti finché afferrammo saldamente la ruota, come avvinghiati sopra, a reclamarne ciascuno la proprietà. Muovi di qui, tira di là: un gioco senza fine; Sparrow mi aveva trasportato  nella sua ludoteca. Alla fine ebbe la meglio, colpendomi i gioielli con  una manopola del timone: tutta invidia nei confronti del mio cannocchiale, ecco perché ha, volutamente, virato lì.

Non metto, però, in dubbio le sue argute attenzioni nello studiare le carte nautiche. Isolato, zitto, attento: non era da tutti i giorni quella visuale di Sparrow, ma io la ricordavo dai tempi della rotta per Isla de Muerta, quando passava le giornate intere chiuso in cabina.

Tornammo nel mondo di nostra competenza e sbrigai subito la faccenda: far capire a jack quanto il mondo che aveva lasciato fosse cambiato e, l’unico modo per sbrigare, velocemente, i fatti, era quello di mettere mano alle armi. Un vero peccato che si interposero tra noi Turner e Swann, troppi dissidi erano ancora aperti e riuscii a spiegare, giusto a grandi linee, il concetto di riunire la fratellanza a consiglio.

A poche miglia dalla costa c’era un’isola e noi avevamo bisogno di approvvigionamenti vari, non tanto per il cibo, quanto per l’acqua.

- C’è una sorgente d’acqua su quest’isola, potremmo farne provvista e poi riprendere a spararci più tardi – convenne Turner, dimostrando di aver studiato le carte.
- Tu guidi lo sbarco e io resto sulla mia nave -. Certo come se non spiegheresti le vele, eh, Jack?
- Non ce la lascio la mia nave al tuo comando – dettai.
- Perché non sbarcate tutti e due e lasciate, la nave, al mio comando? – chiese Turner sorridente. Che proposta signori! Sapevo quanto fosse avventato, ma non credevo fino al punto di proporsi capitano per qualche istante; Jack doveva essere del mio stesso parere, dato che come me, freddò il ragazzo con un’occhiata, che lo trapassò da parte a parte. – Nel frattempo – precisò il giovane, mettendo le mani avanti.

E così fu. Gettammo in mare due scialuppe e ci avviammo verso quella spiaggia dalla sabbia scura, che ospitava, un’altra volta per ironia della sorte, una vecchia conoscenza di Jack: la carcassa del kraken.

Approfittai del suo momento riflessivo e mi avvicinai a lui cauto; ora lo vedeva con i suoi occhi che il mondo non era più lo stesso e i pirati dovevano combattere, se volevano restare vivi.

Quello fu uno dei discorsi più seri che tenemmo, non un battibecco, non una lite, ma un semplice scambio di battute come si conviene a due compari che hanno condiviso insieme svariate avventure e che, ora, si ritrovano dopo aver visto, entrambi, le terre dell’aldilà.

Alla fine ottenni quanto volevo: la fratellanza sarebbe stata riunita, era solo questione di giorni. 

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Capitolo 8
*** The Brethren Court ***


  Ed eccomi qui in madornale ritardo... Dovete scusarmi, ma questo frammento è stato un parto! A parte il fatto che ho ripreso l'università e non ho tempo materiale per scrivere, questo capitolo è stato davvero difficile: troppe cose da dire e da trattare. Come al solito le battute sono prese dal film, ma alcuni riferimenti si rifanno ai libri inglesi (vedi Wild Waters) delle vecchie avventure di Jack, nelle quali ovviamente c'è anche Hector. Buona lettura dunque e alla prossima, spero di non metterci troppo :)
 

              8.The Brethren Court
 

- In tutta la mia vita non c’è mai stata un’adunanza come questa –.

- E devo ad ognuno dei soldi -.

Sparrow riusciva a smorzare qualsiasi atmosfera. Sapevo quanto fosse legato a quel posto, quanto fosse ripugnante all’idea di dover tornare, di  rivedere Lui, ma non mi importava più di tanto, l’avevo convinto ed ero ad un passo da sciogliere la cima che mi legava alla suddetta dea del mare.

Non era la prima volta che mettevo piede alla baia dei relitti, che partecipavo ad un consiglio, ma mai avevo visto un’adunanza come quella: ogni pirata nobile aveva la sua ammiraglia e al seguito una o due navi, si erano prodigati in molti nella causa contro Beckett!
Turner e Swann non ci degnarono della loro presenza e il viaggio procedette senza troppe domande e senza troppi problemi. Lui era sparito dopo il giorno del tentato ammutinamento e, sicuramente, visto la sua sfacciataggine, avrà nuotato fino alla nave di Beckett, vuoi per clemenza, vuoi per la solita storia “devo liberare papino adorato”; spero vivamente che l’oceano l’abbia reclamato, ma i tizi come lui provocano il mal di mare persino allo stesso grande blu.

Miss Swann, invece, dovrebbe raggiungerci con Feng, a meno che lui non abbia tentato di liberare la dea del mare, che credeva fosse racchiusa in lei: il troppo vapore e il troppo sakè gli avevano annebbiato la vista, devo ammetterlo.

Toccava a me dichiarare aperto quel quarto consiglio della fratellanza. Non vi erano emozioni particolari per quel gesto, ma un senso di superiorità nei confronti di Sparrow mi strappò un sorriso maligno, simile ad un ghigno; nonostante ciò, però, mi concentrai nell’esporre le mie idee alla fratellanza: convincere quel branco di conigli, non sarebbe stato facile.

- Io vi ho chiamati a raccolta. Io dichiaro aperto questo quarto consiglio della fratellanza! A conferma della vostra nobiltà e diritto di parola, presentate i vostri pezzi da otto, miei compagni capitani –

Ragetti passò a fianco ad ognuno con una fondina di legno e raccolse i più svariati ninnoli: un tagliaunghie per Gentleman Jocard; un collo di bottiglia rotto per Villanueva; un paio di occhiali per Mistress Ching; una carta da gioco per Chevalle; un piccolo calice di legno per Ammand; una tabacchiera per Sri Sumbajee…. Fantasia portami via, lo devo ammettere, ma quelle cianfrusaglie ci avevano permesso di nascondere il consiglio o, quanto meno, confondere chi ci stava alle calcagna e voleva distruggerci. Nove pezzi da otto: un enigma semplice, se sai come guardare dietro le righe.

- Mastro Ragetti, se permettete! –

- Oh! Ve l’ho tenuto al sicuro, come voi diceste quando lo affidaste a me –

- Ah! Bravo, ma adesso mi serve però –

Diedi una piccola pacca dietro la nuca al ragazzo e recuperai l’occhio di legno, il mio pezzo da otto. Quante ne aveva viste quel povero ninnolo, quante volte aveva rischiato di andare perduto!

Sparrow, come al solito, faceva il prezioso. Mancava lui a consegnare il pezzo da otto e, quando Villanueva lo rimbeccò, si portò una mano sul pendaglio che portava al centro della bandana: la moneta del Siam.

Mi guardò accennando ad un sorriso tirato, mentre lo scrutavo attentamente: quell’uccellino senz’ali aveva i piedi in troppi stivali, ecco perché era così spiumato! Man mano che però cercava di prendere tempo, più tutti si spazientivano e Jack non aveva certo buoni rapporti, specialmente con alcuni energumeni in questione.

- Faccio notare che siamo ancora a corto di un pirata nobile. E io me ne starò tranquillo e comodo finché il caro Sao Feng non ci raggiunge -.

- Sao Feng è morto! Ucciso dall’Olandese Volante –

A quella notizia, dettata da Elizabeth, la paura serpeggiò tra i pirati nobili e i mormorii andavano via, via intensificandosi. Miss Swann amava le entrate ad effetto, a quanto pareva!

- Ascoltate, Jones è sotto il comando di lord Beckett e stanno venendo qui – ci comunicò.

- Chi ha fatto la spia? – chiese Jocard, burbero.

- Non credo che il traditore sia qui tra noi – gli feci notare, molto tranquillamente.

- Dov’è Will? – chiese stupita Elizabeth; cosa c’era da stupirsi, poi!?!

- Non è qui tra noi – concluse ovvio Jack.

Con le domande miss Swann brillava di una fantasia geniale. Pensavo potesse migliorare quando la incontrai per la prima volta, ma, a quanto pareva, mi sbagliavo, dopotutto la vicinanza di Turner e l’amore che provava per lui tendevano a farla agire di impulso, come era solito fare il ragazzo. Ora era capitano e pirata nobile e, per una volta, mi ritrovai d’accordo con Jack, nel sostenere che  lo regalavano questo titolo al giorno d’oggi. E lei, spinta da una questione di rimorso “voglio vendetta perché il lord cattivo mi ha ucciso il papà”, pretendeva la parola, l’ascolto di quel branco di conigli dalla coda nera e macchiata dei più svariati crimini. Ne aveva di strada da fare, anche se di determinazione ne aveva da vendere e sfacciataggine altrettanta, dato che propose apertamente di combattere, facendo scoppiare tutti i partecipanti in una fragorosa risata.

Era meglio riprendere le redini del motivo per cui li avevo convocati, anche se immaginavo già quanto le mie parole potessero suscitare.

- Ci sarebbe una terza rotta: in un’altra epoca, in questo stesso posto, la prima fratellanza catturò la dea del mare e la confinò dentro al suo corpo… Sbaglio imperdonabile. Oh! Domammo il mare, questo è vero, ma aprimmo la porta a Beckett e ai suoi consili! Belli erano i giorni in cui il dominio dei mari non veniva da patti stretti con inquietanti creature, ma solo dal sudore della fronte e dalla forza della schiena di un uomo, sapete tutti quanto sia vero. Signori, signore… dobbiamo liberare Calypso -.

Conoscevo quei giorni perché li avevo vissuti; la mia schiena, i miei arti, il mio corpo avevano sentito, e subito, quella fatica piacevole. Mi ero fatto da solo, mi ero costruito il mio avvenire con le mie forze e non intendevo vedere quell’immensità racchiusa e controllata dal dominio inglese.

Tra i pirati regnò il silenzio, sguardi allibiti erano dipinti sul volto di ognuno, a breve avrei avuto il verdetto. Non ero preoccupato, affatto. Convincere quel branco di bagordi non era mai stato facile, ma per liberare Calypso io avevo già quanto occorreva: i pezzi da otto erano tutti in mio possesso, eccetto due, che avrei comodamente recuperato più tardi.

- Sparategli -.

- Mozzategli la lingua -.

- Sparate a lui e alla sua lingua dopo mozzata e via, quella barbetta ispida -.

L’indecisione di Jack e le sue parole gettate a caso, non favorivano la sua posizione; come ho detto avevo imparato a conoscerlo e sapevo riconoscere quando si ritrovava in situazioni più grandi di lui e, di certo, il suo incontro con Beckett gettava la sua figura in un angolo ancor più remoto della mia, già poca, fiducia nei suoi confronti. Chissà, se come le altre volete ne sarebbe uscito scottato o avrebbe risolto la situazione?

Ecco perché ho sempre detestato quei compagni capitani: erano solo capaci di parlare e non di mettere le cose in atto. Ammand voleva spararmi e non lo ha fatto; Jocard voleva la mia lingua mozzata… Perché quindi tanti scrupoli? Siamo pirati, caricate le pistole, mozzatemi la lingua, perché aspettare? Perché parlare soltanto? Roteai gli occhi quando Chevalle e Villanueva iniziarono il loro battibecco e da lì, il tavolo di ricevimento e la sala divennero teatro di rappresentanza di incontri di lotta, come se fossimo di colpo piombati in qualche bettola di porto.

Lo scontro proseguì per svariati minuti. Stavamo perdendo tempo, troppo tempo e io non me ne sarei stato, di certo, a guardare. Presi le due palle di cannone di fronte a me, sfoderai la pistola e mi arrampicai sul tavolo. Non vi era un capo alla baia, non vi era mai stato, ma se occorreva io, di certo, ero l’unico che andava dritto al nocciolo della questione là dentro; uno che non si faceva troppi scrupoli; uno con le palle appunto. Ed ecco come ancora sottolineai la mia innata virilità, non mi bastava il cannocchiale per far invidia a Jack che, giust’appunto, mi guardò contrariato.

Attirai l’attenzione sparando un colpo in aria e ognuno si fermò, distogliendo lo sguardo da quanto stava facendo, stando immobile nella propria posizione: c’era gente aggrovigliata sul tavolo, pronta a riprendere  la lotta, tanto per fare un esempio.

- E’ stato il primo consiglio ad imprigionare Calypso. Noi potremmo essere quelli che la liberano, ci sarà grata e di sicuro vorrà accordarci i suoi favori! –

- Quali favori? Fammi il favore! Blateri di vuote ciance, dico io – si intromise Jack.

- Se hai un’alternativa migliore, prego, illustra – lo invitai con un sorriso sardonico.

Era inutile, dopotutto, che continuava a girarci intorno con smorfie o parole messe a caso, ma a quanto pareva anche la sua ipotesi alternativa non era così brillante, come definiva la sua persona. Seppie, un paragone però adatto alla situazione della baia… Se il consiglio sarebbe durato ancora a lungo, di certo, ci sarebbe scappato qualche morto. Non potevo dare completamente torto a Jack, ma quando dichiarò apertamente di essere concorde con Elizabeth, non potei fare a meno di fargli notare le sue beate mancanze.

- Te la sei sempre svignata via dalle battaglie –

- No, mai -.

- Si, sempre -.

- No, mai -.

- Si, sempre -.

- No, mai -.

- Si, sempre e lo sai -. Stavamo dando spettacolo, battibeccando come al solito, ma dopotutto era vero. Avevo combattuto più volte con Jack, ma nella maggior parte di queste battaglie si presentava sempre a duelli terminati, restando nascosto nell’ombra come nell’episodio a Libertalia o presentandosi con qualche storiella, come nell’episodio del combattimento a fianco di Jocard.

- No, mai calunnia e maldicenza. Io ho solo messo in pratica la più antica e nobile delle tradizioni piratesche: dobbiamo combattere, per svignarcela via! -.

Non feci in tempo a ribattere che, Gibbs, concorde con la vena filosofica del momento del suo capitano, lo appoggiò appieno declamando un forte “AYE”, seguito dalla maggior parte dei presenti.

La più antica e nobile delle tradizioni piratesche, certo, perché gli altri non erano al corrente delle sue imprese… La metteva così? Bene, avevo ancora una carta da giocare, un asso che a Sparrow non sarebbe piaciuto.

- Secondo il nostro codice, un atto di guerra, di questo infatti si tratta, non può essere dichiarato che dal pirata re – feci comodamente notare.

- Te lo sei inventato -.

- Ah! Inventato?! Io chiamo il capitano Teague, custode del codice – ghignai, mentre il volto del mio “caro” collega sbiancava pian, piano…. Voleva il gioco duro? Eccoglielo servito.

Il capitano Teague annunciò il suo ingresso sparando un colpo e sterminando uno degli scagnozzi di Sri Sumbajee, che aveva appena sostenuto che, il codice, era una follia.

- Il codice è legge! –

Jack rimase pietrificato, immobile, incapace di proferir parola. Sapevo dei disguidi tra lui e il suo vecchio, eccome se lo sapevo, ma la figura di Teague, autoritaria, la classica persona che potrebbe abbracciarti alla mattina e spararti alla sera, era stata, per qualche anno, un punto di riferimento e non potevo, non appellarmi al codice…

Il codice fu portato al tavolo e Teague, ondeggiando appena, raggiunse la riunione, reclamando il proprio posto.

- Mi stai tra i piedi, ragazzo -.

 Jack si eclissò, lasciandogli spazio, mentre io osservavo la scena ghignante, aspettando il verdetto del custode del codice, per dimostrare le mie ragioni.

Chopper, il cane con le chiavi, arrivò lasciando stupiti Pintel e Ragetti, ed, ovviamente, il vecchio pirata tirò fuori la solita storia delle tartarughe marine: avevo perso il conto, di quante volte l’avevo sentita.

- Ah! Barbossa ha ragione -. Il ghigno che avevo sul volto si ampliò in un mezzo sorriso e feci una piccola riverenza: il codice era più che altro una sorta di traccia, che un vero regolamento, ma a volte faceva comodo seguirlo alla lettera per i propri favori.

Fu quando il vecchio Teague mi diede ragione, che Jack si attivò, iniziando a leggere alcuni articoli del codice, soffermandosi su quello del Parlay.

- Parlamentare con gli avversari, questo mi piace! – osservò. Poteva essere utile in certi casi, vero, ma per quanto mi riguardava, ero più un tipo pratico.

Chevalle fece giusto notare che non era mai stato facile eleggere il re della fratellanza ed Elizabeth, curiosa, ne chiese il motivo.

- Il re dei pirati viene eletto con voto popolare – le spiegò Gibbs, saccente, come al solito.

- Ed ogni pirata da sempre il suo voto a sé stesso – finii io, non avevamo bisogno di un re.

- Chiedo una votazione – intervenne Jack, sbuffai. Che senso aveva? Perché? Stava giusto confermando la mia teoria: Sparrow stava giocando ad un gioco troppo grande e quando, con il suo voto, elesse Elizabeth, non ne rimasi stupito, ma, piuttosto, contrariato.

Una bambina al comando di un’intera flotta! Era pura fantasia quella, ma non mi avrebbe fermato; avevo uno scopo, un fine e l’avrei concluso.

Feci quindi segno a Ragetti di nascondere i pezzi da otto, che aveva raccolto: a breve avrei sciolto la cima che mi vincolava a quella donna maledetta, a cui dovevo tutto e, al tempo stesso, niente. 

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Capitolo 9
*** Liberiamo Calypso ***


Ammetto di essere soddisfatta di questo frammento, e pensare che lo credevo difficile! Si, lo è stato :S, ma una volta preso il ritmo, è stato difficile fermarmi. E' un passo molto significativo a parer mio; tentare di spiegare i gesti del capitan Barbossa non è affatto facile, anche perchè qui la si dice lunga.... Ovviamente i dialoghi sono presi dal terzo film di Pirati, di mio come al solito ci son le descrizioni e le introspezioni, spero vi piaccia come piace a me. Buona lettura e buone recensioni.  
 

                  9. Liberiamo Calypso   
 

- Combattere – aveva detto miss Swann con tono pacato, ma altezzoso, ed ora eccoci lì, schierati, ognuno sulla propria nave ad aspettare il momento di attaccare; un vero peccato che la decisione e la grinta, da parte di tutti i pirati, si spense nel notare apparire, all’orizzonte, almeno cinquanta navi della compagnia delle Indie. C’era da aspettarselo, Beckett non era uno che dava quartiere facilmente avendo anche l’Olandese Volante dalla sua; voleva eliminare i pirati? In quelle condizioni avrebbe avuto, sicuramente, la meglio. L’improvvisazione non sempre è la carta vincente, ma forse la troppa vicinanza con Sparrow, aveva annebbiato la mente del nuovo re della fratellanza.

Parlamentammo e quella fu una discussione dai toni forti e accesi. La triade Sparrow e fidanzatini Turner era ben solida, giocò bene le sue carte, ma non avevo intenzione di farmi sottomettere da una bambina viziata, da un pirata precoce e da una sottospecie di capitano. Jones reclamò il suo debito, ma prima che Jack raggiungesse il demone del mare, reclamai i miei diritti, sottointendendoli e appropriandomi, in punta di spada, del pezzo da otto di Jack.

- Attento a quel che dirai, avrei parecchio da dire anche io -.

Eccome se ne avevo da dire. C’erano fatti della vita di Sparrow e della mia, che erano sconosciuti quasi a tutti, eccetto ai sottoscritti e a chi, in quegli anni, era con noi. C’era rispetto un tempo, nonostante i soliti battibecchi, un rispetto che è andato via, via scemando, ripresentandosi in poche situazioni. Avevo così tanto da dire che avrei potuto infangare la sua fama, così come lui avrebbe potuto fare con la mia, ma forse nessuno dei due voleva rivelarsi così bastardo; alla fine ognuno aveva quanto voleva e Jack, nonostante la situazione in cui andava a trovarsi, mi rispose con il mio stesso tono di sfida.

- Facciamo a chi arriva prima? –

Jack era rimasto indietro, prigioniero del suo debito, mentre io, con i Turner, me ne tornavo alla Perla. Salii a bordo per  primo ed ordinai a Pintel e Ragetti di prelevare Tia Dalma dalle prigioni: era giunto il momento di riprendere le redini della mia vita; ci sarebbero state due persone libere a fine rito, diverse sotto ogni aspetto, ma entrambe legate al mare.

Avevano legato la sacerdotessa come fosse la vittima sacrificale di un banchetto di cannibali, ma dopotutto non potevo dargli torto, non sapevamo come Calypso si sarebbe presentata a noi e volevo avere almeno il tempo di invocare il suo favore.

All’appello mancava ancora un pezzo da otto, il ciondolo di giada di Sao Feng, che ora aveva al collo miss Swann, ma fu semplice appropriarsene. Quando lei e il suo adorato William salirono a bordo rimasero quasi shockati dalla mia decisione. Poveri stolti, davvero credevano che avrei aspettato l’azione di Sparrow?

- Barbossa! Non puoi liberarla! – mi intimò Will, io lo freddai con lo sguardo e subito, membri dell’equipaggio gli furono addosso, immobilizzandolo.

- Lasciamo a Jack una chance – provò a dettare Elizabeth.

- Le mie scuse, vostra maestà. Troppo a lungo il mio fato non è stato nelle mie mani, ora basta- le feci notare chiaro e coinciso, prendendomi il suo pezzo da otto. Da quando Tia Dalma mi aveva strappato alla morte, il mio fato era stato prigioniero del nostro accordo, ora che lo potevo riabbracciare e, finalmente, gestire a mio piacimento, non avrei certo aspettato che Jack facesse i suoi comodi a bordo dell’Olandese. Dovevo liberare quella dea pagana e dovevo farlo ora.

Gettai gli ultimi ninnoli, nella fondina di legno, con gli altri e presi una miccia.

- Bisogna fare un rito o un incantesimo? – mi chiese Gibbs, strano che non ne fosse al corrente!

- Si! Si raccolgono gli oggetti insieme, così. Adesso vanno bruciati e si devono pronunciare le parole: “Calypso, io ti libero dal tuo legame umano” – feci un sunto della situazione, mentre Gibbs innacquò con un po’ della sua riserva di rum, i nove ninnoli.

- E’ tutto qui? – chiese Pintel, corrugando la fronte.

- Dicono che si debba usare il tono di quando si parla ad un’amante – apprezzamenti e gridolini compiaciuti passarono sulle bocche dei presenti; il solo pensiero di quel tono gli eccitava le membra a riposo ormai da tempo.

Abile amante ecco cos’ero e com’ero considerato a Tortuga e in tutti i porti in cui avevo fatto tappa. Passionale, malizioso, perverso; flotte di donne cadevano sotto i miei gesti, chiedendo sempre di più e facendo la fila ogni qualvolta entravo in taverna. Ma cos’era l’amore? Cos’era quel gran sentimento che, probabilmente, mi attorniava, ma che tanto sentivo lontano?

Non lo conoscevo, come non conoscevo l’affetto. Mi erano mancate le mani di una donna nella mia tremenda infanzia, non avevo avuto un supporto femminile e, forse, per quello non ero mai sazio di gettarmi tra sottane e seni prosperosi, per sentire calore, per sentire passione, ma quello non era amore.

Ed ora dovevo liberare come un amante quella dea, che mi aveva riportato alla vita, ma non riuscivo a pensare come tale. Cosa c’era stato tra noi? Nulla, un semplice momento di perdizione come ringraziamento una volta tornato a nuova vita. Calypso era nota per incantare i marinai, i naviganti, potrei dire di essere una delle sue tante vittime, se non fossi stato coerente con me stesso in quei momenti. Cosa ci legava, quindi? A parte quell’odioso patto, nulla… Reggeva le redini del mio fato e della mia libertà, ed ero intenzionato a riprendermele, eccome.

- Caalypso, io ti libero dal tuo legame umano – e quello doveva considerarsi un tono degno di un amante? Era impensabile! Ma nonostante la dovessi liberare, per lei non mi sarei esposto più di tanto. Abbassai la miccia ed incendiai i pezzi da otto: non accadde nulla e Tia Dalma, quasi, mi fulminò con lo sguardo; mi accigliai, sporgendomi sulla ciotola… troppa enfasi.

- L’avete detta male – esalò timido Ragetti, mentre lo guardai alzando un sopracciglio… Sapevo bene di averla detta male, eccome se lo sapevo, ma non mi aspettavo che lui prendesse l’iniziativa, il fatto mi stupì. – L’avete detta male – ribadì convinto avvicinandosi alla dea, cauto, timido come suo solito, ma sotto, sotto, deciso. E fu con un sussurro che dichiarò – Calypso, io ti libero dal tuo legame umano – e il rito iniziò.

- Tia Dalma – cercò di attrarre l’attenzione della dea, Turner – Calypso… Quando  il concilio della fratellanza ti imprigionò, chi fu a dire loro come fare? Chi commise questo tradimento? –

- Dimmi il nome! – ordinò la dea.

- Davy Jones -.

Quelle parole furono una pugnalata al cuore per la dea: tradita dal suo stesso amore, dall’uomo che lei stessa aveva portato a cavarsi il cuore dal petto. Socchiuse gli occhi e un pianto sordo accompagnò la sua trasformazione: dalla piccola donna che era, divenne così gigante che, le assi del ponte sotto la sua possenza, si incrinarono e alcune cime, tenute dalla ciurma, si spezzarono come fossero semplici ramoscelli leggeri.

Tutti la guardavano tra il basito e l’impaurito. Quella era davvero la dea del mare? Mi feci largo tra la folla e mi misi davanti alla mia ciurma: toccava a lei favorirmi ora. Io avevo fatto quanto concordato.

- Calypso! – la chiamai guardandole e poi, mi inginocchiai al suo cospetto: umili, ecco come occorre mostrarsi a volte, soprattutto per girare la situazione a proprio favore. Ne andava della vita di tutti, ma a me importava della mia, del patto andato a buon fine: la dea del mare sarebbe tornata al suo elemento, non prima di aver ascoltato le mie richieste. Ero in ginocchio come un servo, un servo pronto a riabbracciare la libertà, che gli era stata celata da tempo. – Io vengo al tuo cospetto come un servo, umile e contrito. Io ho adempiuto al mio voto ed ora chiedo il tuo favore – le feci l’occhiolino, sorridendole appena – Risparmia me, la mia nave, la mia ciurma, ma scatena la tua furia su coloro che osano proclamarsi tuoi padroni, o miei -.

Eravamo come sudditi in ginocchio al cospetto del sovrano, in attesa di una sentenza dopo quella preghiera, quell’invocazione. Alzai lo sguardo, i miei occhi chiari erano nettamente in contrasto con i suoi scuri, come la sua carnagione; potevo leggerle la soddisfazione nello sguardo, sensazione che aveva colpito anche me, una volta riabbracciata la vita.

La dea esalò un profondo respiro, si chinò appena con il capo verso di noi ed iniziò ad imprecare in una lingua a pochi conosciuta, ma ve ne porterò la traduzione.

- Attraverso le acque trovate il percorso, per chi mi ha reso mortale ingiustamente -.
Urlando e dimenandosi, il corpo della dea prese la forma di una miriade di piccoli granchi grigio-biancastri, che investì il ponte della nave, sommergendoci. Calypso si dissolse e quei crostacei abbandonarono il ponte della Perla facendo rollare la nave a causa della loro quantità, gettandosi a mare.

Era così che ripagava la mia azione, la mia fatica? Scossi il capo e sospirai, affacciandomi al parapetto: quella dea aveva giocato con me, non aveva perso il vizio di promettere e non mantenere. Andavamo incontro a morte certa, la Compagnia era in netto vantaggio e, conoscendo i compari della fratellanza, non avrebbero alzato un dito contro quella massa di vele bianche. Si alzò il vento, un’aria fredda: a breve, sarebbe scoppiata una tempesta.

- Che facciamo? – mi chiese Pintel.

- Niente, abbiamo perso anche l’ultima speranza -.

- Non è finita – commentò miss Swann, ben convinta.

Una sola era la sua ragione di battaglia: vendicare suo padre. Sarebbe stato un eccidio, un’azione avventata, ed io non avevo intenzione di riabbracciare, di nuovo, la morte.

- La vendetta non vi renderà vostro padre, miss Swann e io non intendo certo morire, perché voi saldiate il conto – le feci notare senza troppi problemi.

- E’ giusto. E per che moriremo allora? – si arrampicò sul parapetto di tribordo, reggendosi ad una sartia, passando lo sguardo su ognuno di noi, decisa. – Voi, ascoltate! Ascoltate! La fratellanza ha gli occhi puntati qui, su di noi, sull’ammiraglia, la Perla Nera! E cosa vedranno? Topi impauriti a bordo di una nave alla deriva? No! Vedranno uomini liberi e libertà! E quel che vedrà il nemico sarà il lampo dei nostri cannoni e udrà il fragore delle nostre spade e si renderà conto di quel che valiamo noi! Grazie al sudore della fronte e alla forza delle nostre schiene e al coraggio dei nostri cuori! Signori, su le bandiere -.

Rimasi stupito da quelle parole. Miss Swann aveva ripreso dei termini del mio discorso precedente, fatti a cui io stesso credevo, ma che avevo accantonato in quel breve momento: era davvero diventata una piratessa, me ne dovevo ravvedere.

- SU LE BANDIERE! – Ogni nave mostrò il proprio Jolly Roger che, provocatorio, si librava nel vento.
Quella ragazzina aveva smosso l’intera fratellanza. La battaglia era imminente. 

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Capitolo 10
*** La battaglia finale ***


Non fatevi ingannare dal titolo del frammento, non è l'ultimo capitolo, me ne mancano altri 3 :D
Scusate l'attesa, ma a questi capitoli dedico un'insana cura per i dattagli e quant'altro, anche perchè ci tengo che vengano bene e che suscitino interesse. Come al solito i dialoghi sono presi dal terzo film della saga, io ho aggiunto descrizioni e introspezioni del personaggio di capitan Barbossa, quindi non lamentatevi se manca il pezzo dello scontro tra Jones e Jack, o tra Jones e Liz o tra Will e suo padre, è il capitan Barbossa ha parlare e lui non stava sull'Olandese! Detto questo, buona lettura :)  e alla prossima.     

 

    10. La battaglia finale
 

Cotton portò la Perla al largo mentre la tempesta iniziava a riversare su di noi, sempre più violenta.

L’Olandese iniziò anch’esso la sua avanzata: le due navi più impotenti dei mari erano allo scontro decisivo.

- Maelstrom! – urlò Gibbs. A quanto pareva la dea del mare era avversa ad entrambe le parti. Stavo sul cassero di poppa, ma a contemplare cosa? Ero libero, sulla nave che avevo sempre agognato, ma, anche se ormai avevo superato l’oscurità della morte, in qualche modo temevo di tornare in quel limbo, che mi aveva accolto per due anni. Ma quell’uomo così timoroso non mi apparteneva, che fine aveva fatto il pirata? Non era il caso di piangersi addosso per un aiuto mancato, non mi ero mai arreso davanti a nulla e non l’avrei fatto ora: il livello di mortalità era alto, bene! Le avrei riso in faccia.

La battaglia mi aspettava, la ciurma reclamava qualcuno che li avrebbe incitati e guidati in mezzo ala mischia e, quale altro modo, se non uno scontro con una delle leggende dei mari, per tornare a sentirsi libero e, completamente, vivo?

- Capitan Barbossa! Ci servite voi al timone! – mi intimò Elizabeth. Mi voltai verso di lei e con il mio ghigno deciso, concordai quelle parole.

- Puoi dirlo forte! – esclamai pieno di me e, arrivato al timone, scaraventai via Cotton, senza troppe cerimonie – Bracciate il pennone sottospecie di mozzi! E’ il giorno della morte che da alla vita il suo valore -.

Ed eccomi, padrone di me stesso e della mia nave: il capitan Barbossa era tornato.

Portai la Perla al limite delle acque sicure, con a fianco a me un Turner piuttosto timoroso.

- Dobbiamo virare, o saremo sopraffatti! – mi fece notare. Come detestavo il suo modo di intromettersi!

- Dah! Virare si, ma verso acque più rapide di queste – ridacchiai, girando svelto la ruota del timone: il maelstrom attendeva la lady dell’oscurità per una battaglia degna di nota.

- Prepararsi alla bordata! – avvertì Elizabeth.

L’Olandese alla carica prese a sparare con i tripli cannoni, che aveva a prua. La palla di cannone mi passò così vicino, che il suo fischio mi solleticò la pelle come fosse vento e si portò con sé una manopola del timone.

Le navi erano una di fronte all’altra, era giunto il momento di on dare quartiere a quella nave maledetta, lei non ci avrebbe di certo risparmiati: era una battaglia all’ultimo sangue, quella; all’ultima nave e non avevo intenzione di perdere la meraviglia dei sette mari che pilotavo.

- FUOCO! – ordinai a gran voce, pieno di me. Il mio ordine librò nell’aria, ampliato dalle voci di Turner, Swann e Gibbs, ma si, facciamo fare qualcosa anche a loro!

Schegge e pezzi di legno aleggiavano in aria, colpendo di tanto in tanto qualcuno; l’odore forte di polvere da sparo, unito a quello di legna bruciata, faceva da padrone: a breve sarebbe iniziato l’abbordo.

- E’ troppo tardi per cambiare rotta adesso, compagni! – li intimai, ridacchiando forte. La situazione si stava scaldando, stava diventando sempre più pericolosa ed era allettante.

Iniziò l’abbordo. Gli uomini passavano da una nave all’altra grazie a cime e rampini, mentre la pioggia cadeva copiosa; il ponte era diventato il palco dello scontro, dove si ballava a suon di affondi e colpi di pistola.

Nonostante stessi governando la nave, non rimasi certo a guardare e quando, tre degli uomini di Jones, vennero a farmi compagnia sul cassero, li invitai a ballare a modo mio. Poveri stolti, pensavano di prendermi in contropiede. Due di loro si spostarono su degli altri avversari, Palifico, l’uomo pesce dagli aculei, era intenzionato a finirmi, data la foga che impiegava nel fronteggiarmi.

Me la presi comoda e, inizialmente, non sfoderai le mie armi, mantenendo la nave in rotta, reggendomi il cappello con una mano e schivando i suoi fendenti, dettati a vuoto. All’ennesimo tentativo di affondo, indirizzai la lama della sua spada all’interno della ruota del timone, bloccandola e sferrandogli un pugno, che gli rivoltò il volto, distraendolo per un attimo.

- Elizabeth! Vuoi sposarmi? – chiese Will. Domande improponibili, in momenti impensati.

- Non mi pare il momento più adatto! – le fece notare, mentre attorno a loro la battaglia imperversava.

- No, ma potrebbe essere l’unico -. Perspicace il ragazzo, a volte. – La mia scelta è fatta, qual è la tua? –

- Barbossa! Sposaci! – mi intimò guardandomi. A quella domanda mi volti a guardarla sconcertato, stavo combattendo contro tre persone e lei mi chiedeva di fare da celebrante?!?!

- Sono un po’ occupato in questo momento! – le risposi ovvio, mentre gli altri due brutti ceffi, insieme a Palifico, mi si gettarono contro.

- Barbossa, adesso! – esclamò a gran voce Will.

Era una roba da pazzi, una roba allettante, una roba per me. Ghignai e, ridacchiando, presi il polso di una di quelle orrende creature, indirizzando la sua arma nel ventre del suo compare, infilzandone così due al prezzo di uno, dato che, dietro a Palifico, vi era una sorta di murena con le gambe.

- Bene! – esclamai a gran voce e salii sulla plancia del timone. Era il primo matrimonio che celebravo e la cerimonia non poteva che tenersi in una situazione estrema come quella battaglia: non credo avrei preso il ruolo di celebrante, in un momento più tenue. Portai la mano sul cuore, mentre con l’altra brandivo la spada. – Amici carissimi, siamo qui riuniti oggi… - feci per dire, ma Palifico, non ancora stanco, provò a buttarsi nuovamente contro di me, ma le riprese un’altra volta – Per appenderti all’albero maestro, cane rognoso -. Mi ero ripromesso, mentalmente, di non distrarmi, che, in quei cinque minuti di celebrazione, la battaglia sarebbe passata in secondo piano, ma fu più forte di me: quell’insulto era più che lecito!

Mentre mi destreggiavo sulla plancia del timone, ha dare manforte agli uomini di Jones, erano giunti a bordo anche dei soldati della compagnia; tra fendenti e parate, Will e Elizabeth si dichiararono, coprendo le spalle l’una dell’altro e viceversa.

- Come capitano io vi dichiaro… - Dovevo portare a termine la cerimonia, ma non potevo non continuare a combattere. Avevo due avversari: il demordente Palifico e un soldato della compagnia, a cui feci sbattere, violentemente, la testa contro la ruota del timone. – Puoi baciare… - sfoderai la pistola e, ridendo, colpii un altro soldato, balzando giù dalla plancia, infilzando per l’ennesima volta i brutti ceffi, che erano gli uomini di Jones. – Puoi baciare…- Oh! Ma mi avrebbero fatto finire una frase!?!? Che esseri incivili! C’era un matrimonio in atto! Scossi il capo, infilzandone altri due e dando ordine a Turner di baciare la sua bella; e, dato che con le buone maniere non funzionava, perché ero disturbato e le mie frasi si perdevano con i miei fendenti, sfoderai la grazia da capitano, perché è con gli ordini diretti che si risolve tutto: - e baciala!!!! –

I due innamorati finalmente sancirono la loro unione, mentre Jack combatteva con Jones sull’Olandese volante, dalla mia posizione riuscivo a vederlo: se ne stava sul pennone più alto di maestra. Però! Il piccolo passero aveva preso il volo!

La Perla oscillò maggiormente, il timone rollava veloce allo sbando, non potevo, però, riprenderlo, ero troppo lontano e fu Cotton a sostituirmi per qualche istante, anche se non potè impedire, alle due navi, di cozzare appena, l’una contro l’altra.
Stavo tenendo testa all’uomo murena, guardandolo con sufficienza, come Palifico l’avevo infilzato più volte, ma sapevo quanto fosse inutile, ero stato maledetto anche io! Allungò il collo, spalancando le fauci, ma fui più svelto di lui e gli tranciai di netto la testa: non l’uccisi, ma almeno lo rallentai.

Il teatro di scontro si spostò sull’Olandese, mentre io ripresi il timone, cercando di mantenere la Perla in rotta d’equilibrio, viste le condizioni avverse e la forza, sempre più maggiore, del maelstrom. Dal cassero potei vedere, a grandi linee, causa foschia e pioggia copiosa, quanto accadeva sulla nave maledetta: Turner aveva infilzato Jones, di spalle… un punto negativo, dato che il polipetto era senza cuore! Il ragazzo, come al solito, giocava con il fuoco e, difatti, Jones lo scaraventò a terra con un calcio: mai giocare con il demone del mare!

Quanto aveva ancora da vivere il ragazzo, data l’indole senza scrupoli di Jones? Che diamine! Dopo tutta la fatica che avevo fatto per farlo congiungere con la sua bella, ora, quello sfacciato, improvvisato pirata, era ad un passo dalla morte! E non occorreva stare sull’Olandese volante per capire tale fatto: compito di Jones era precettare, a bordo della sua nave, gli offesi e i moribondi del mare, coloro ad un passo dalla dama incappucciata dalla falce. A quanto pare, Jack, prese in mano la situazione, perché notai il capitano dell’Olandese voltarsi verso di lui, ma poi fu un attimo: il braccio dell’uomo maledetto si mosse e, la lama, dovette trapassare Will.

Non so dirvi altri dettagli, ero lontano e non sul posto, anche se a breve distanza. Richiamai a gran voce coloro che erano a bordo dell’altra nave: la forza del maelstrom si faceva via, via, sempre più concentrica e rischiavamo di essere trasportati nell’oblio delle profondità marine.

- Ci tira sul fondo! Fate presto o c’è lo scrigno, per noi! – li intimai, mentre una doppia palla di cannone veniva lanciata in aria per liberare l’incastro, che si era verificato, nella precedente cozzaglia, tra le due navi.

Il grigiore del cielo andava via, via, schiarendosi; le nuvole si aprivano, lasciando spazio al sereno: ecco lo scenario che si presentò, quando l’Olandese volante venne reclamato dal mare, dalla forza del maelstrom. Possibile che Davy Jones fosse morto?! Calypso aveva avuto la sua vendetta, ora il suo amato, le sarebbe appartenuto per sempre.

Aggrottai la fronte quando vidi salire a bordo della Perla, giusto Jack e Elizabeth, avevo visto giusto: Turner ci aveva rimesso la pelle.

- Grazie al cielo, Jack! La flotta è ancora dov’era, l’Endevaur si sta accostando da tribordo e io credo che sia giunto il momento, di mettere le nobili tradizioni piratesche in atto – fece il punto della situazione, Gibbs.

- Mai stato uno da tradizioni. Stringete il vento, mettete la nave alla cappa – ordinò Sparrow, osservando la nave di Beckett. Che diavolo voleva fare? Aveva qualche altro patto misterioso?!

- Contrordine o diventeremo un bersaglio! – mi opposi.

- Controcontrordine – ribattè mentre zittì anche Gibbs. Strano da parte sua, bah! Cosa gli dava quella certezza che gli leggevo negli occhi?

Mi feci da parte, aggrappandomi, con una mano, ad una delle sartie del cassero. La nave di Beckett si stava armando, a breve ci avrebbe raggiunto, con il suo signore felice di dare un netto taglio alla pirateria. Ma fu quando le due navi furono abbastanza vicine, che l’Olandese riemerse dalle profondità.

Sembrava una nave nuova, non più maledetta, ripulita quasi. Ed eccolo là, il nuovo capitano: chi l’avrebbe detto? La carogna che ci si era ammutinata contro, ora, era veramente capitano! Dal mio punto di vista, dovetti dar ragione alle parole di Jack, di questi tempi, il ruolo di capitano, sembrava venisse regalato, ma, forse, un po’, se lo meritava.

- Pronti ai cannoni! – ordinò.

- Spiegate le vele! – sorrise ampliamente, Jack. Ecco il perché di quello sguardo certo.

- Si! Spiegate le vele! – replicai io, correndo al timone, correggendo appena la rotta.

Ed eccole le due leggende del mare, pronte a prendere in un fuoco incrociato l’ammiraglia della compagnia delle indie orientali. Si stava per chiudere un capitolo, avevamo scritto la storia del mare, riprendendo quanto ci spettava.

Avevamo scorto l’espressione di Beckett cambiare da esaltante a cupa, senza parole, sconcertata. La sua fine era giunta e se ne stava rendendo conto poco a poco, sconfitto da coloro che gli erano stati alleati in passato, ma, nonostante quei legami, non avrebbero mai tradito la lordo fede nei riguardi della pirateria.

- FUOCO! – ordinammo all’unisono.

Molti ufficiali abbandonarono la nave, quasi tutti, tranne Beckett. Da buon comandante accompagnò la sua nave nella sua dipartita; dell’Endevaur rimasero solo i frammenti, mentre il corpo senza vita del lord, galleggiava sul vessillo che gli aveva dato potere, ricchezze e titoli.

La pirateria aveva vinto ed il mare era di nuovo degno di essere definito libero. 

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Capitolo 11
*** Una vittoria decantata troppo presto ***


Bella gente, scusatemi se vi ho fatto attendere così tanto, ma ero a corto di idee e piena di impegni, è un periodo pre-esami all'uni e sto studiando come una forsennata, visto che sono indietro. Comunque ecco a voi il farmmento 11, qui solo poche battute sono prese dalla saga, altre sono puramente di mia invenzione, così come il motivo del perchè Hector si taglia la gamba, ma non vi voglio dire altro, a voi la lettura ;) e se volete, recensite. Alla prossima.                                 

  11. Una vittoria decantata troppo presto


La partita era conclusa; il nemico di sempre sconfitto; la nave maledetta risanata.

Ogni capitano , ogni ciurma gridava – Hooray – con foga, come se avessero fatto loro tutto il lavoro. Ma non li criticherò, l’ho già fatto e, forse, le mie parole sono state vane; non li criticherò, perché è un giorno di vittoria: la vittoria dei fratelli della costa.

Il capitolo amoroso dei coniugi Turner si chiuse con una nave che sparisce all’orizzonte e vi riappare ogni dieci anni, dopo aver compiuto il compito per anni rimasto nell’ombra, e con una donzella che, in attesa del suo amato, gliene conserva il cuore. Ma lasciamo le questioni legate agli animi amorosi, è una storia che non mi compete, ne mi appartiene; parliamo di Tortuga, il regno dei piaceri dovuti, dopo la fatica della battaglia.

La presenza di Sparrow era assidua, non potevo fare un passo che ritrovavo la sua figura al mio fianco, come fosse la mia ombra, ma con una velatura di timore negli occhi: scottato dall’essere stato abbandonato a terra per ben due volte? Credo proprio di si.

Quando entrammo alla Sposa Devota mi guardò scettico negli occhi, ricambiai lo sguardo alzando un sopracciglio – Serbi troppo rancore, Jack – gli dissi tranquillo, battendogli una mano sulla spalla – rilassati, abbiamo una vittoria da festeggiare -. Dovevo mostrarmi molto convincente, l’avevo fregato una volta con l’atteggiamento da lecchino mieloso, non avrebbe funzionato ancora quella carta, dovevo giusto assecondarlo.

- Si, hai ragione – mi sorrise, più rilassato, mentre veniva trascinato dalle sue solite donnine allegre.

Lo osservai disperdersi tra la folla e attesi ancora qualche attimo, alzando anche io qualche boccale alla salute della vittoria. Quando fui completamente certo che Sparrow fosse impegnato nelle grazie delle sue amabili donne, feci cenno a Pintel e Ragetti di raggiungermi.
- Radunate gli uomini con più discrezione possibile, capitan Sparrow deve esserne all’oscuro anzi, date ordine da parte sua – ghignai, arricciandomi la barbetta attorno all’indice sinistro.

Troppi uomini erano dalla parte di Jack, stavolta; avrei rischiato il contro ammutinamento e perciò, era meglio che i suoi fedelissimi, scoprissero il tutto una volta al largo.

Era fatta, ci liberammo di due piccioni con una fava: del caro vecchio Jack, impegnato con le sue amate e del suo compare Gibbs, che ronfava sbronzo, abbracciato al suo orso spelacchiato di peluche. Uno lo lasciammo in taverna, l’altro a dormire sul molo, perché ogni uomo che indietro rimane, indietro viene lasciato e questa era la prassi che, in qualche modo, riguardava anche stavolta. Partimmo, ma il malcontento regnava tra i seguaci di Sparrow e, forse un po’ troppo, anche in Pintel e Ragetti.

- Signore! Alcuni degli uomini si sentono a disagio per aver lasciato capitan Jack da parte … - asserì Pintel.

- Di nuovo – gli suggerì Ragetti e il cicciottello lo aggiunse alla frase.

- E allora? – feci con non chalance.

- Ci farebbe sentire molto meglio, riguardo alla nostra sorte, poter vedere quella cosa di cui ci avete parlato … -

- Sulla carta – specificò il nanetto di Marty.

- Questo per poter alleviare il peso della colpa, diciamo così – specificò lo smilzo, no, Ragetti non era poi così pentito.

Un capitano sa sempre come soddisfare le gole della propria ciurma, così misi mano alle carte di Sao Feng, che avevo tranquillamente tenuto, dopotutto ero passato come cartomante, no?

- Ah! Rifatevi gli occhi con quel che vedrete. C’è più di un modo per ottenere la vita eterna: signori, ecco a voi la fonte della giovinezza – ghignai piuttosto sicuro, quello era un tesoro che faceva gola a molti e, riprendere in mano le redini di una vita immortale, senza maledizioni o fatti simili, era allettante e non poco. Srotolai le carte nautiche, ma la curiosità, che brillava negli occhi dei miei compari, era svanita, lasciando spazio a sguardi corrucciati, sopraccigli alzati e smorfie. Che diavolo!!! Osservai per bene la mappa, dannazione! Come era possibile?!?!?! Dannato Jack! Alzai la mappa per osservare per bene l’elaborato di quel cane rognoso, perché null’altro poteva esser definito. Sospirai e roteai gli occhi – Sparrow! – Poteva avere anche la mappa; poteva avere mille assi nella manica o, come suo solito, una fortuna sfacciata, ma lo sfidavo volentieri ad inseguire quella rotta a bordo di quel guscio di noce, che gli avevamo lasciato. Potevo essere senza una rotta, ma, sotto il mio comando, avevo la nave che avevo sempre agognato e con quella dama avrei raggiunto, volente o nolente, quella rotta decantata in leggende e che ora, sembrava più veritiera che mai.

La notte aveva ormai fatto il suo ingresso in scena, eravamo al largo di Hispaniola e tutto intorno a noi era perfettamente calmo. Una brezza leggera solleticava i volti dei pochi che, come me, eran rimasti sul ponte. Tutto ad un tratto il vento si alzò, alcune vele ammainate si sciolsero da quanto era potente quella forza, il legno della nave iniziò a vibrare talmente forte, che sembrava si dovesse spaccare da un momento all’altro. Le assi del ponte presero a scricchiolare dapprima in un movimento lieve, poi sempre più intenso, come fosse un terremoto, pronto ad inghiottire la terra.

Non mollai la mia posizione e misi mano al cannocchiale: c’era qualcosa sotto, non accadono movimenti repentini, come quello, dal nulla. Scrutai l’orizzonte in ogni parte, in ogni dove, finché sul lato di babordo, in lontananza, non scorsi una figura nera, un’ombra di una nave imponente, ferma nell’oscurità come se attendesse qualcosa. Cercai di scorgere la bandiera, nonostante quel buio, e la vidi: il teschio assetato di sangue su quel drappo nero significava solo una cosa: Barbanera.
La Queen Anne’s Revenge, uno dei terrori dei sette mari, ci stava attaccando.

- Bracciate il croce, uomini! – dettai legge, di certo non mi sarei fatto prendere in contro piede – mano ai cannoni – urlai così forte, che la mia voce librò nel vento.

Barbanera attaccava le sue vittime per una ragione precisa, poche volte lo faceva per il solo piacere personale e questa, non credo fosse da classificare con la seconda opzione; quell’uomo maledetto aveva uno scopo, anche nel più misero granello di sabbia.

Non appena i miei misero mano alle micce per far cantare i cannoni, la situazione si trasformò in un incubo: il legno della nave vibrò maggiormente, tanto che la Perla sembrava si dovesse spezzare; il sartiame prese vita, avvolgendo la ciurma come spire di serpi. In molti tentarono di gettarsi in mare per salvarsi, ma videro solo una fine peggiore, dato che le cime li scaraventarono a portata delle bocche da fuoco della Revenge, che li accoglieva con raffiche di palle di cannone.

Urla strazianti accompagnavano il vento, mentre le cime avvolgevano ognuno di noi in maniera differente l’uno dall’altro; se solo tagliavi la corda, questa ti riprendeva stringendo maggiormente la stretta: eravamo condannati.

Cercai fino al’ultimo di evitare quelle cime infernali, ma una di queste mi prese alla sprovvista, di spalle, avvolgendomi la gamba destra così stretta, che potevo sentire il sangue abbandonare la circolazione nelle vene.

Caddi a terra, le mani libere e la spada a portata di fronte a me, la afferrai: no, non l’avrei data vinta a Barbanera, io ero il padrone del mio destino, io ero il capitano della mia nave e non sarei caduto di fronte a quel diavolo, a costo di inseguirlo fino in capo al mondo per prendermi la mia vendetta.

La Perla, la dama dell’oscurità, era orami perduta, così come la ciurma: quei compagni di avventura, che mi avevano accompagnato in ogni impresa, erano, ormai, più morti che vivi.

Strinsi forte la spada e il colpo fu netto, assestato, un colpo solo. Socchiusi appena gli occhi, mentre una smorfia di dolore si dipinse sul mio volto: avevo fatto l’unica cosa che era in mio potere, avevo detto addio alla mia gamba destra, dallo stinco in giù; Teach aveva, in tutti i sensi, le redini di quella partita tra le sue mani, ma la vendetta si serve fredda e io mi sarei preso tutto il tempo per gustarmela al meglio.

Digrignai i denti, il dolore era lancinante e il sangue, ormai, fuoriusciva libero, come fosse un fiume in piena. A carponi raggiunsi un corpo inerte sul ponte, mentre uno strattone del fasciame, mi sbalzò via il cappello, gli strappai un ampio lembo dalla camicia e lo legai stretto attorno al moncherino che avevo creato son il taglio della gamba, giusto per bloccare , come meglio potevo, quel fiume rosso intenso, che si stava trasformando in emorragia.

Strisciai fino al parapetto e mi issai con le forze che mi rimanevano, gettandomi, poi, a mare, lasciando il mio corpo in balia delle onde, ma, nonostante quell’ampia ferita che mi ero procurato, la morte poteva attendere, avevo ancora un conto aperto e non sarei tornato nel suo limbo, finché non avrei posto la parola fine a quel fatto.

Le forze iniziavano a venir meno, la debolezza prevaleva, le palpebre si facevano pesanti, ma un’immagine fossa era ben disegnata nei miei occhi, nella mia mente: la nave che avevo sempre bramato, ora era perduta, vincolata ad un potere sovrannaturale, persa nell’oscurità che la distingueva, caduta in uno scontro impari. 
 
 

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Capitolo 12
*** Giocando a fare il corsaro ***


Ehylà compari! Ecco a voi il penultimo frammento, ora non piangete! L'unica cosa che troverete concorde con il film è la presentazione del re, ttto il resto è frutto del racconto di Hector. Non voglio anticiparvi nulla, perciò vi invito alla lettura ;)                 

    12. Giocando a fare il corsaro


Ho già parlato di quanto l’invito di Sparrow, a presentarmi come commodoro Barbossa, mi fosse tornato utile per il piano che avevo architettato, perciò occorrerà parlare d’altro. I miei polmoni e il mio cervello dovevano essere bene impregnati di acqua salata, ma era solo seguendo quella via che ne sarei uscito, diciamo, indenne.

A bordo della nave che mi raccolse, il trattamento, per quello che riuscii a scorgere, non fu dei migliori: ero come una pecora nella tana del lupo, un lupo un po’ timoroso di compiere le sue mosse, un po’ troppo azzardate in alcuni momenti, un po’ troppo brusche in altri. A parer mio guidate dal timore: come se mordessi, tsè!

Fu quando arrivai a Londra che, prima del processo, diedero ordine, ad uno dei chirurghi della torre, di darmi una sistemata alla gamba: a quanto pareva, non volevano permettere alla cancrena di portarmi via, prima che un cappio potesse stringersi attorno al mio collo.

Il medico era un energumeno dalla carnagione scura e i capelli legati in un codino, il classico tipo abituato a trattare con gente dei bassi fondi, date alcune cicatrici, che portava sul collo e i propri modi di fare.

- Un pirata – commentò, mentre studiava quanto doveva fare – un lauto divertimento per damerini e popolani – osservò con tono quasi impassibile, come se non fosse interessato, prendendo le misure del moncherino per riportarle su un legno, che aveva portato con sé.

- Un capitano – mi permisi di vantarmi della mia posizione. Sapevo benissimo che non avrebbe avuto valore, ma che avevo da perdere?

Dal canto suo il chirurgo continuò il suo lavoro, per nulla toccato, come ben mi aspettavo. – Quando si divertiranno alla vista della mia esecuzione? – chiesi, tanto per mantenermi informato e avere tutto il tempo necessario a limare i dettagli del mio  piano.

- Si vocifera che ci sarà il processo tra tre giorni. In seguito a quello, sarà deciso il tutto – mi spiegò schietto.

Annuii – mi pare di capire che siete molto abile nel lavorare il legno e che, la simpatia per i signorotti inglesi che vi circondano, è piuttosto limitata, dico bene? – domandai  retorico, cercando quasi di elogiarlo, ma non appena vidi l’uomo tentare di rispondermi, fui più svelto di lui e continuai – non vorrete quindi negare ad un pirata, ad un uomo prossimo alla forca, le sue ultime volontà ?! – chiesi sempre con quella vena retorica, perché è elogiando le persone e mettendole su un piano catastrofico che, si arriva ad ottenere quanto si vuole, nella maggior parte dei casi. Gli diedi tre scellini, che trovai nella mia giacca – Concedete a questo povero vecchio di bagnarsi, in questo soggiorno infernale, le labbra con del buon rum, senza essere scorto da guardi e occhi indiscreti -.

Fu così che, nella cavità più remota della protesi di legno, ottenni una piccola riserva di rum e, se volevo gustarla, bastava che togliessi la parte più lunga del pezzo di legno: un lavoro molto ingegnoso, per soli tre scellini!

Il processo avvenne di lì a tre giorni; in gattabuia avevo sentito dei compari parlare della fonte della giovinezza e che gli spagnoli erano riusciti a trovarvi la rotta: la mia conoscenza poteva rivelarsi un’ottima moneta di scambio.

- Ritieniti fortunato, pirata – esclamò burbero il carceriere quando venne a prendermi per condurmi alla sala processi – alla tua disfatta sarà presente anche re Giorgio -.
Sorrisi ghignante. Di bene in meglio, proprio quello che faceva al caso mio.

Venni condotto, con modi bruschi, alla sala grande del tribunale e qui, chiuso nel banco degli imputati, in piedi, nonostante avessi poco equilibrio. In sala vi erano signorotti e popolani, distinti nelle classi sociali, ma uniti in un solo grido: - appendetelo! -

Davanti a me un’ampia cattedra con due giudici seduti ai lati e, al centro, un’ampia sedia, a quanto pare, destinata al re. Non avevo armi con me, ma le carte di Sao Feng erano ancora nella tasca interna della mia giacca, se mai sarebbero dovute tornarmi utili.

- Hector Barbossa, vi trovate alla presenza della corte regia – iniziò uno dei due giudici.

- Lo vedo, vostra grazia – risposi, senza farmi impressionare troppo da quelle parole, anche perché, non ve ne era motivo.

Di lì a qualche istante la porta sul fondo, dietro all’ampia cattedra, si aprì e vi entrarono diverse figure, una più imparruccata e in ghingheri dell’altra, al centro, colui che doveva essere il re: un uomo basso, grasso, flaccido, che, ben poco sapeva cosa fosse il movimento, a parer mio.
Si accomodò e il suo araldo mi fornì le generalità del sovrano: - siete alla presenza di Giorgio Augusto, duca di Brunswick Lione Borgacci, tesoriere, principe elettore del Sacro Romano Impero, re di Gran Bretagna e d’Irlanda e re vostro -. Alzai un sopracciglio a quella caterba di nomi e incrocia le braccia al petto.

- Non vorrei sembrare scortese, altezza, ma è il sottoscritto l’unico sovrano di sé stesso – un’esclamazione che suscitò clamore tra le fila dei ricchi.

- Sono qui per giudicarvi in quanto pirata, Barbossa – prese la parola il re – ma si dia il caso che, alla marina inglese, occorrano uomini che ben conoscano le rotte caraibiche -.

- La marina britannica dispone di quegli uomini, sire – feci notare con un ghigno – non vorrete dirmi che, io e i miei compari, vi abbiamo eliminato i migliori? – chiesi ironico. Non c’era nulla da fare, mi divertiva giocare con il fuoco.

- Lurido insolente – ringhiò un sottoposto del panzone, ma questi gli fece segno di zittirsi. Lo vedevo molto propenso a ritrarre la mia condanna.

- Gli Spagnoli sono sulle tracce della fonte della giovinezza, mi occorre un uomo che la raggiunga prima di loro, che sappia ben governare una nave e una ciurma, e che ben conosca le rotte caraibiche -.

- Non mi condannate alla forca, ma mi condannate alla fonte, quindi? – convenni io – In ogni modo, ci guadagnate voi: perdere un pirata non è come perdere un ammiraglio, dico bene? – chiesi profondamente offeso. La posta in gioco era alta, il viaggio pericoloso e ricco d’insidie, perché, quindi, non alzare la posta? Il sovrano sospirò e mi mostrò delle lettere di marca.

- Manca solo il vostro nome e la mia firma …. Capitano – grugnì appena, un po’ contrariato.

Ghignai soddisfatto, era tempo di iniziare a giocare a fare il corsaro, con quella nave e quelle lettere avevo compiuto il primo passo verso il mio progetto vendicativo: uomo del re, si, ma giusto per comodità. 

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Capitolo 13
*** Pirata fin nelle viscere ***


Ohylà, salve! Lo so, sono in super mega ritardo, ma ho voluto prendermela comoda perchè questo è l'ultimo capitolo, si avete letto bene. Sono stata buona però, ve l'ho postato prima di Natale, così, chi lo attendeva da tanto, può dire che gli ho fatto il regalo xD ... Allora, di che si parla qui?!?! Beh! Degli avvenimenti del quarto film e della vendetta di Hector. Le battute infatti sono prese dall'ultimo capitolo della saga, così come molti avvenimenti, per altri invece c'è molto di mio. Non vi svelo altro, buona lettura :)
 

                             13. “Pirata fin nelle viscere”
 

Nonostante facessi parte della marina britannica, non disdegnavo avere contatti con il porto e i bassifondi: occhi di falco e lingua lunga, i migliori informatori che un uomo potesse mai avere.

Jack Sparrow era a Londra e reclutava una ciurma: si, ed io ero uno stolto. Come sapevo che il presunto Sparrow era una carogna? Semplice, quello vero non avrebbe reclutato una ciurma dall’altro capo del mondo, senza una nave e, soprattutto, si sarebbe spacciato per capitano, sottolineandolo ogni due secondi.

Le mie certezze si rivelarono esatte quando scorsi l’albero di maestra di quella nave, che mi aveva portato via tutto: la Queen Anne’s Revenge. Approdata in un’insenatura poco più in là del porto, sembrava una nave abbandonata, ma che ci faceva Barbanera a Londra?

Non avrei perpetrato la mia vendetta in quel momento, era un’azione troppo avventata, ma non era il rischio a trattenermi, bensì le orde di soldati di cui pullulava la città. Feci, dunque, orecchie da mercante e, giunto al porto in vesti poco consone ad un capitano di marina, ma adatte al sottoscritto, venni a conoscenza della profezia da parte di un tizio tarchiato, che si vantava di far parte della ciurma di Barbanera.

- Il quartiermastro prevede il futuro, compare – mi aveva detto sbronzo – mister Teach è in pericolo di vita, il terrore dei mari troverà la morte, tra due settimane, per mano di un uomo senza una gamba-.

Bevvi un ampio sorso di rum e schioccai le labbra, rimanendo indifferente: a quanto pare il fato tornava a sorridermi, ma non era delle parole di un ubriaco che mi fidavo, avrei compiuto vendetta al di là di quella profezia.
- Non vedo, però, cosa ci possa fare a Londra – convenni, offrendogli un’altra pinta – a parer mio, non è uno tra i posti migliori, per coloro che sono sulla via della fine -.

Scosse il capo, ridacchiando – stiamo raccogliendo uomini per il viaggio più importante della nostra vita, così ha detto il capitano, ma è stato ben muto sulla destinazione – mi spiegò e accennai ad un sorriso, il vecchio Teach era ormai braccato e quale modo migliore di scampare alla morte, se non la fonte della giovinezza?

- Alla vostra, dunque – alzai il boccale, bevvi e mi alzai in piedi, suscitando l’attenzione dell’ubriaco.

- Che coincidenza! – commentò indicando la mia protesi di legno – siete senza una gamba, come colui della profezia! –

- Già, ma di certo non ho né una nave né una ciurma per tener testa al terrore dei mari, non trovate? Ci tengo alla mia pellaccia – dissi prendendo la parte del classico marinaio, che ha visto molto in gioventù e, ora, si da a vita sedentaria: che bravo attore che sono!

- Infatti e, a parer mio, non credo sareste riuscito a sconfiggerlo – biascicò.

- Come darvi torto! – commentai mellifluo, lasciandolo naufragare nei fiumi di rum.

La mia strada rincrociò quella del vero Sparrow al palazzo reale di Londra: un incontro senza mezzi termini. Arrestato sotto accusa di pirateria e possesso di una mappa ben nota, doveva condurmi alla fonte della giovinezza, ordine del panzone di sua maestà: scappò.
Credevo che, nella mia vecchia ciurma, alloggiassero gli imbecilli allo stato puro, dimenticavo che, tra le file della marina, serpeggiava una forte inettitudine; lasciare un prigioniero senza catene, libero di passeggiare per il palazzo: che idioti!

Venuto a conoscenza che Gibbs era prigioniero della torre di Londra, feci leva su di lui e sulla sua fedeltà nei confronti di Jack: non mi aspettavo cantasse subito, per questo, a volte, un cappio è ben invitante.

- Dov’è Jack Sparrow? – molto probabilmente, a quest’ora, era già a bordo della Queen Anne’s Revenge, dato che, sicuramente, avrà voluto testare con mano la sua copia. Spacciarsi per Sparrow: la paura della morte doveva aver annebbiato la mente a Barbanera, chissà chi ne aveva preso le vesti?

- E’ scappato?! – chiese strabiliato Gibbs. Bah! La sua solita ammirazione, che gli faceva brillare gli occhi, ogni qualvolta che Jack commetteva un’impresa impossibile: detestabile!

- Non ho tempo da perdere, Gibbs. La HMS Providence farà vela con l’alba e, a meno che tu non voglia guardare la nave salpare dall’alto, morto e con la bocca piena di mosche, parla adesso – lo invitai: con le buone maniere, si ottiene sempre tutto.

Tirò fuori il pezzo mancante della mappa di Sao Feng, lo srotolò e lo gettò a terra, bruciandolo, dichiarando apertamente di aver ben impresso, quei simboli e quella rotta, nella sua mente. Povero stolto, avrebbe fatto da guida e, con me alle calcagna, non avrebbe avuto vita facile.

Iniziò quel viaggio che, fino a qualche tempo fa, mi sarebbe sembrato impossibile. Guidavo una ciurma di timorosi verso quella che era la dimora dei demoni marini, verso morte certa: whitecap bay. Sono sempre stato un buon oratore e, di certo, non mi sarei fatto sovrastare da un incompetente come Groves, incapace di far carriera, nonché irritato di servire sotto un vecchio pirata. Ancora non aveva capito che, nei discorsi, l’ultima parola era la mia: povero marinaretto incompreso!

- Di cosa hanno paura, dite, sputate il rospo -.

- Whitecap Bay –

- Ah! Whitecap Bay! E qualunque marinaio da poco trema al suo solo nome, ma in pochi osano chiedersi il perchè -.

- Ciò che si racconta è vero?! –

- Dite per cosa vi si stringe il cuore, Gibbs, o lasciatelo lì, nel magico regno della fantasia -.

- Per le sirene, capitano –

- Si! Sirene. Demoni marini, pesci diavolo, sempre affamate di carne umana. Solcheremo i mari delle sirene! Tenetevi stretta l’anima, ci pensano le sirene a prendere il resto, fino all’osso -.

Mormorii si alzarono, un uomo si gettò a mare, ma quella era la rotta e non sarebbe cambiata.

- Signori miei, non chiederò a ciascuno dei presenti più di quanto mi possa dare, ma voglio chiedervi: siamo o no uomini del re?! In missione per conto del re?! Non ho notato paura negli occhi degli Spagnoli quando ci hanno superato, siamo o no uomini del re?!?! –
Il lavoro fu semplice, è bastato ricordargli chi servivano e solleticarli facendogli notare che era la stessa missione, che stavano compiendo gli Spagnoli: un tasto dolente per qualsiasi inglese, essere paragonato ad uno dei nemici di sempre. – Tutti ai posti signori miei, avanti tutta per Whitecap bay -.

Fu una carneficina.
Quanto trovammo a terra era solo la dimostrazione che Barbanera era sulla via giusta, per ottenere quello che voleva: dovevamo affrettare il passo e non era certo stando a guardare, la nave e l’equipaggio che veniva sterminato, che bruciavamo le tappe.

- La rotta, Gibbs? – silenzio, tutti erano inorriditi per quanto stava accadendo ai loro compari al largo e, forse, anche per la mia decisione di non muovere un dito, ma cosa può un uomo contro un esercitò di sirene? Ero lì per una missione, non per salvare vite.
- La rotta o ti rompo – gli  puntai la pistola carica sotto il mento – lascio a te la scelta, non mi interessa quale -.

Ci addentrammo nella boscaglia ed iniziai a raccogliere i frutti del veleno, che mi avrebbe garantito la vendetta: rospi. Un gesto strano all’apparenza, ma loro che ne potevano sapere?

- Che c’è? Un povero vecchio non può avere qualche passione? Qui ogni scusa è buona! Marciare! Dormirete da morti, poltroni! -.

Secondo le indicazioni di Gibbs, i calici d’argento si dovevano trovare sulla nave di Ponce de Leon, non lontano da dove ci eravamo fermati: perfetto, poteva essere un possibile luogo d’incontro con Barbanera. Andai da solo, ignorando ogni sorta di richiesta da parte degli altri e affidando la truppa a Groves, tanto per farlo contento.

La nave era attraccata, in bilico, su un’altura rocciosa: era giunto il momento di mettere alla prova le mie condizioni fisiche, la gamba di legno non mi avrebbe fermato. Scalai la parete, non dando peso alla fatica di tale atto, raggiungendo poi un varco nella chiglia del veliero: doveva essere l’entrata. Mi issai, entrando in quella che era la cabina del capitano, la cabina di Ponce de Leon: non mi sbagliai, lo scheletro dell’uomo la faceva da padrone al centro di un ampio letto. Mi guardai intorno, la stanza era ricca di tesori di ogni specie: dalle semplici monete ai gioielli, fino a qualche idolo d’oro. Un cofanetto, dalle medie dimensioni, si trovava vicino al letto; mi incamminai cauto in quella direzione, attento a non sbilanciare la nave, cercando di non toccare nulla e mantenere in equilibrio ogni singolo oggetto. Raggiunsi la scatola d’argento, mi chinai e la aprì: vuota. Al suo interno solo la forma di quanto conteneva: i calici e, ad occuparne il posto, delle rocce. Gli Spagnoli erano arrivati prima, poco male, ero lì per un altro motivo. Chiusi la scatola e con un calcio la rimandai sotto il letto, notando, poi, una poltrona nella penombra della sala: avrei atteso la mia vendetta riposandomi, meglio di così!

Attesi per più di mezza giornata, finché un rumore, proveniente dal fondo della sala, da dove ero salito, colse la mia attenzione; misi mano alla spada.

- Se quaranta pirati sognassero per quaranta notti, non eguaglierebbero i tesori stipati qui –

- Tu – disse una voce ben nota. Diamine, aspettavo Barbanera e chi mi si presentò?! Sparrow! Dovevo però considerare il fatto che poteva tornarmi utile: andavamo nello stesso posto, avevamo un nemico in comune e, questa cosa l’avrei maggiormente assodata, quando gli avrei raccontato della Perla: avremmo collaborato? Probabilmente si!

-  Tu – ribadì io, un po’ seccato.

- No, tu – sfoderò la sua spada, roteai gli occhi.

- C’ero prima io. Tu, perché sei qui? –

- Mi ha mandato Barbanera e tu? –

- Calici d’argento, per il mio sovrano – risposi come se la cosa fosse ovvia.

- Oh! Piantala! – cercò un affondo, che parai alla svelta.

- No, fermo! La dobbiamo bilanciare, la nave potrebbe scivolare giù – lo ammonii, possibile che dovevo dirgli tutto?!?!?!

A furia delle continue oscillazioni la scatola, che avevo rimandato sotto al letto, uscì fuori.

- Lì dentro che c’è? – chiese Jack.

- I calici – commentai ovvio, spostandomi all’indietro per portare lo scrigno dalla mia parte. Capicollammo e ci trovammo sedere a terra.

Jack non demordeva, io neppure, nonostante sapessi che là dentro non c’era più nulla: stavo semplicemente recitando la mia parte, così come avevo fatto dall’inizio di quell’avventura. Gattonammo fino alla scatoletta, poggiammo le mani sopra e ci guardammo negli occhi, alquanto decisi – Insieme -.

Una volta scoperto che gli Spagnoli si erano impossessati del tutto, iniziò la nostra corsa ai calici: ci addentrammo nella foresta e fummo raggiunti, a breve, da Gibbs e dai miei.

- L’astuzia supera la forza, da qui in poi, ci penso io, considerate le tue condizioni. Non è che hai termiti, vero? –

Di certo non gli avrei dato il merito, ne gli avrei permesso di girare i tacchi dall’altra parte; quella gamba di legno poteva ostacolare tutti, non me. – Apprezzo la tua attenzione, Jack, ma verrò a tenerti compagnia ugualmente. State qui tenente comandante, vi farò un segnale -.

Attraversammo il piccolo lago, che divideva la sponda sulla quale eravamo da quella dove gli Spagnoli erano accampati. A spada sguainata procedemmo nella foresta, studiando, da lontano, i movimenti del nemico. Proseguimmo a gattoni per non farci scorgere.

- La tua spada ha un odore strano – convenne Jack.

- Si, veleno! Dalle viscere di rospi velenosi. Basta un graffio e, in qualche minuto, sei morto -.

- Levamela dal naso, gentilmente, non amo i rospi – ed iniziai, così, a far sospettare Jack.

Ma Sparrow, se non si fa riconoscere, non è degno di lui; decise, così, di improvvisare.

Gli tenni dietro e fecimo un ottimo lavoro, lo devo ammettere: sono passati gli anni, ma non la nostra abilità di compiere imprese impossibili. Proseguimmo indisturbati: un inglese e un pirata, in mezzo ad un campo spagnolo. Fummo scorti, ma quelle tre guardie ebbero vita breve: peccato che, un plotone ci accolse, dietro l’angolo, con i fucili carichi. Ci presero prigionieri e ci legarono a due palme: eccolo, il mio momento per rivelare il tutto a Jack e garantirmi la via spianata verso la fonte, verso la vendetta, verso Teach.

- Finiscono, così, le tue vie di fuga? – chiese, Jack, con fare superiore.

- E’ per lasciarti improvvisare – ribattei prontamente.

- Ci sto provando, forse riesco a liberare una mano – lo lasciai fare, sapevo che l’unico modo per attirare la sua attenzione era sfilarmi la gamba e bere un sorso di rum, così feci – Oh! Hai un coltello, può essere utile! –

- Meglio – ghignai, stappai la mia piccola riserva personale e ne bevvi un lungo sorso.

- Ne voglio una anche io – commentò lui con occhi sognanti, gliela porsi. – Alla vendetta! Dolce e serena – mi disse prima di bere.

- Alla vendetta – tenni dietro io, aveva capito tutto.

- Andiamo Hector, che non c’erano i calici lo avevi già scoperto da un po’. Stavi tendendo un agguato… A Barbanera -.

- Oh! – mi finsi sorpreso.

- Corsaro a servizio di Re Giorgio, parrucca… Tutto un teatrino di facciata, non mi incanti! –

- Tu non c’eri quella notte -.

- Quando la Perla fu perduta? –

- Catturata non perduta – convenni, a bassa voce, era tempo che sapeva i dettagli – Eravamo sulla costa di Hispaniola quando venimmo attaccati, senza preavviso, negoziato, offerta di patti. Quante bombe e quanti cannoni! Ma poi le acque sotto la Perla si fecero torbide; la Perla beccheggiava e stramazzava. Le assi, bompresso e parapetto presero a scricchiolare; le sartie erano come vive: la nostra nave ci si rivoltava contro! Avvolgendo la ciurma come spire di serpi e avvolgendo la mia gamba, ma avevo le braccia libere e la spada a portata. Sono io padrone della mia nave e non Barbanera; sono io padrone del mio fato e non Barbanera. Così feci ciò che andava fatto e sono sopravvissuto! –

- Quindi, non stai cercando la fonte? – mi chiese, dopo un istante di silenzio.

- Non credo in re Giorgio o a storie di taverna, che parlano di arti guariti. Darei il braccio sinistro pur di incontrare Barbanera -.

- Non il destro? –

- Quello buono mi servirà per passare, a fil di lama avvelenata, il suo cuore marcio -.

- Te lo faccio incontrare io, compare – mi assicurò, non chiedevo di meglio.
Notai che si era liberato e che trucco adottò? Lo stesso che avevo usato io quando, tempo addietro, Beckett ci aveva preso prigionieri nelle sue miniere: però! Il ragazzo aveva imparato in fretta! Non era poi così vero che ignorava ogni quanto dicevo o facevo, ne ero, in parte, stupito.

Osservando jack arrampicarsi come meglio poteva, mi ricordò uno dei tanti motivi per cui chiamai la mia scimmietta così, anche se, ovviamente, la scimmia era mille volte più intelligente di lui. Con tutto il trambusto che fece, attirò l’attenzione della guarnigione spagnola, ma trovò il modo di stenderli, la sua solita fortuna, e il modo per riprendere i calici. In mio aiuto giunse Groves, immaginando che tutto quel movimento fosse il segnale: immagina bene, quando vuole!

Raggiungemmo di corsa gli altri e Jack, arrivò poco dopo, con tanto di calici.

- Desolato per i calici Jack, ma, ho un appuntamento, come sai e non torno indietro -.

Sorrise, agitandoli in aria – una bevutina?! –

- Berremo alla fonte! –

Si, berremo alla fonte! Ora che la mia via era spianata, sentivo il profumo di vendetta solleticarmi le membra, presto sarei tornato a vestire quei panni che mi avevano reso grande; presto avrei rivendicato la Perla e la mia ciurma; presto avrei ripreso la mia vita.

La fonte era un luogo dal volto cupo, nella nebbia paludosa che ti immetteva ad essa e, luminoso, nel mostrare i punti centrali di tale posto. Scheletri, in svariate posizioni, consigliavano di evitare la strada dell’eterna giovinezza: non ero lì per quel motivo e, presto, la carcassa di Teach, avrebbe fatto compagnia a quei cadaveri.

La nebbia mi presentò accompagnando, per l’ennesima volta, il mio cammino, come ai tempi della maledizione, con la differenza che, l’unica cosa ad essere maledetta, era la spada avvelenata, che avrebbe mandato nella tomba, una volta per tutte, il terrore dei mari.

- Edward Teach! Per i crimini da voi commessi in mare aperto, con l’autorità conferitami da sua maestà il re e con una buona dose di personale soddisfazione, sono qui per affidarvi alla custodia della corte e, vi dichiaro, ufficialmente, mio prigioniero – dettai legge, mentre mi avvicinavo al cospetto di Barbanera.

- Devo lasciare il timone, questo dite? –

- Tali crimini includono, ma non si limitano a pirateria: tradimento, omicidio, torture della più iniqua sorte, incluso il brutale furto di una gamba destra usata, storta e piena di peli -.

- Voi osate affrontare questa spada? – mi chiese.

- Così distanti dalla vostra nave? Certo! – ma che domande!

Jack ci mise del suo in quel dialogo, ma non fu minimamente calcolato. Il clangore delle lame, che cozzavano tra loro, risuonò per quel luogo ameno; corpi cadevano a terra inerti, ma il duello più importante era quello che stavo combattendo. Un avversario arduo Teach, ne avevo affrontati di migliori.

Affondi, giravolte, parate, potevo avere la meglio, lo sapevo, ma Barbanera mi colse in contropiede, liberandomi della gruccia, o così credeva lui: l’aveva spezzata, vero, ciò non gli impedì di beccarsi l’appoggio in faccia. Mi sbilanciò e caddi a terra, indietreggiando appena, alla ricerca di un appoggio per potermi rialzare. Ghignai.

- E’ fuori luogo quel sorriso sulla faccia, quando sto per ucciderti – dei passi provenirono dal fondo di quella grotta a cielo aperto: gli Spagnoli.

- Girate lo sguardo, Edward Teach -.

I cattolicissimi Spagnoli entrarono in scena come se fossero i padroni di quel luogo mitologico, attirando l’attenzione di tutti, compresa quella di Barbanera, permettendomi così di alzarmi in tutta calma. Lascia che Teach facesse il filosofo con lo Spagnolo, prima di ferirgli la mano: un taglietto, che lo disarmò, quel veleno era micidiale!

- Che diavoleria è mai questa? – chiese quasi stupito, voltandosi verso di me, appena.

- Per la Perla! – lo trapassai, senza pietà. Tre semplici parole che racchiudevano ogni sorta di emozione andata perduta e, ora, recuperata. – Reclamo da Barbanera nave e ciurma e, questa spada, a compenso, per la gamba persa – dettai, impugnando la spada di Tritone e avviandomi fuori da quel luogo che, presto, avrebbe visto la fine, seguito dalla ciurma della Queen Anne’s Revenge.

- La vendetta è mia –. Non avevo solo ripreso le redini della mia vita, non mi ero soltanto vendicato di Teach. Ora avevo una nave che si chiamava Revenge, vendetta e, non era ironia della sorte, quella, sottolineava semplicemente il mio essere vendicativo e, in quel periodo, lo avevo ben dimostrato.

Prima cosa che feci salito a bordo fu quella di rimettermi in ghingheri, bruciando quegli obrobri vistosi, quali erano i vestiti della marina e riprendendo i miei vecchi abiti.

- Signore, era sottocoperta – mi avvertì un giovane mozzo, porgendomi il cappello, mentre mi trovavo sul cassero di poppa ad imbracciare il timone.

Il mio cappello, allora per una cosa dovevo essere grato a Teach, quasi, quasi tornavo indietro a ringraziarlo! Lo presi e, con un gesto fluido, me lo rimisi in testa: ora, ero davvero completo. Sguainai la spada di Tritone e, come se nulla fosse, i velacci si sciolsero e il fasciame vibrò: partimmo.

- Gente! Alla via! Dateci dentro, insulsi scarafaggi! – gridai a pieni polmoni, ridacchiando e incalzandoli – La corona mi ha reso un buon servizio, ma ora, per gli dei di cielo e mare, spiegate le vele per Tortuga! – strappai quelle lettere di marca, che mi avevano permesso di compiere il tutto e le lasciai al vento.

Stolto fu chi credette all’apparenza di quell’abito nobile: potevo essere ripulito alla vista, ma dentro ero la solita carogna marcia; stolto fu chi credette che lavorassi, seriamente, per il re; stolto fu chi credette ad una mia disfatta morale: l’abito non fa il monaco e un pirata, degno di tale posto nella società, nasce pirata e rimane tale per tutta la vita. Io lo sono fin nelle viscere. 

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