estate in città

di raimoldatolda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the sequel 2 ***
Capitolo 2: *** Alive and amplified ***
Capitolo 3: *** lonely nation ***
Capitolo 4: *** here comes the sun ***



Capitolo 1
*** the sequel 2 ***






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Il tempo passa in senso relativo. A volte ti sembra che non passi mai, altre che voli. A pensarci, durante la settimana quante volte si ripete “uffa è solo martedì” o “wow, finalmente è venerdì” e ripetere questo conto settimana per settimana ti ritrovi ad aver passato un sacco di tempo. Riguardandosi indietro nel tempo, un anno prima è come se fosse già passata un’era. Figuriamoci a pensare a sei anni fa, quando in questa stessa ora , di questo stesso giorno avresti mai pensato a cosa saresti diventato e cosa sarebbe cambiato nella tua vita. Sei anni fa mi trovavo su un autobus scassatissimo, arrabbiata perché il mio i-pod si era scaricato, con una gallina sbiondata che mi odiava ancora prima di sapere che fossi, diretta per il posto delle vacanze che avevo sempre odiato e che ora è l’unico posto in cui vorrei andare in vacanza. Oggi invece mi ritrovo davanti all’entrata di un palazzo che come minimo avrà trenta piani, con scarpe con tacchi vertiginosi, in una tipica scena da film, in cui la plurimiliardaria fanatica dello shopping fa il suo ingresso al gran galà. Anche se io non sono né plurimiliardaria né faccio il mio ingresso al gran galà. Entro nel palazzo, calpestando il tappeto marrone con su scritto “Hotel Palace” e mi guardo intorno nella hall per orientarmi, poi lo vedo. Eccolo il mio appuntamento. Occhi azzurri, capelli neri, alto abbastanza, sorriso splendente. Alexander. Avere un collega così figo nuoce gravemente alla stabilità mentale sul posto di lavoro. Questo dovrebbe essere il nostro quarto appuntamento se non sbaglio. Mi sorride mentre mi avvicino e mi fa strada per un lungo corridoio che porta a una sala con un lampadario di cristallo così grande e così accecante, che subito me ne innamoro.
- tu mi devi spiegare come fai ad avere tanto successo in ufficio, io non lo so proprio. Sono il tuo supervisore e fra un mese potresti direttamente sostituire il capo! Ma come fai? – chiede lui con entusiasmo.
-potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti – ci scherzo su. Che battuta triste, penso subito dopo. In realtà a stare dietro una scrivania a scrivere scemenze sono buoni tutti, mica solo io. La mia battuta idiota non riscuote grande  successo; lui mi guarda un po' storto in effetti, ma faccio finta di niente.
- ma posso farti una domanda... quanti anni hai?
- prova a indovinare – gli propongo. Chissà a dove voglio arrivare. Non lo so neanche io.
- 24... – prova a dire, ma scuoto la testa – dai allora 26
- no...
- non puoi averne di più, no, lo so – si convince. Gli dico che infatti ha ragione e mi guarda con aria di sfida. Il suo sguardo però sembra più dire “sono tuo, saltami addosso”. I miei ormoni sono impazienti del dopo. Se mai ci sarà. Chissà se mi sta chiedendo quanti anni ho per verificare che non sia minorenne. Chissà per fare chissà cosa.... sorrido maliziosa. Ok, non sono io che sto parlando, sono i miei ormoni che si sono impossessati del mio cervello. Io non potrei mai dire cose del genere – 25? Dai non puoi avere meno anni. È impossibile, non ci credo. Devi per forza averne 25!
- invece no. Ne ho 22 – taglio corto. Come faccio a sembrare una donna di 25 anni? Non ho neanche la faccia da venticinquenne. In realtà non ho neanche la faccia da ventiduenne.
- non ci credo. E secondo te quanti anni ho io?
- 28? – chiedo, fingendo un’accurata riflessione. In realtà lo so già. C’è chi mi informa. Ci rimane anche male quando conferma la sua età. Continuiamo a parlare un altro po', mentre la sala pian piano si svuota e rimangono pochi tavoli apparecchiati e altre poche persone.
- io personalmente come sport odio il football. Preferisco più il calcio, anche se non è uno sport americano – commenta tra un discorso e l’altro.
- sul serio? – chiedo sbiancata, mentre la tipica gocciolina scende lentamente dalla mia fronte.
- lo conosci?
- certo – affermo, pensando a tante, troppe cose. – è uno sport europeo, io sono stata un anno in Italia a studiare – dico vantandomi un po'.
- io tifo per i New England Revs – dice come un fulmine a ciel sereno. Con tutte le squadre che ci sono nella Major League Soccer. A quelle parole comincio a tossire. Qualcosa mi è andato di traverso, di sicuro.
- forse sarebbe meglio andare – dico approfittando dell’ennesima coppia che si alza. Non vorremmo rimanere solo noi là dentro. Poi la fatidica frase “ti riaccompagno a casa”. Al quarto appuntamento , penso che un uomo si aspetti anche di essere invitato dentro. Ora cominciano a salire i dubbi e i sensi di colpa. Ma sorvolo quando vedo la macchina che accende le luci appena Alexander preme un pulsante del telecomando. Un suv nero. Il viaggio in macchina, oltre ad essere comodissimo, sembra non finire mai. Passiamo anche davanti alla casa di papà. Osservatina veloce se la luce della camera sia accesa. No. Sospiro. Proseguiamo fino alla mia casa. Alexander si ferma e spegne il motore.
- questa è la tua casa? – chiede con aria curiosa. Che domanda scontata, penso intanto. Lo so che vuole entrare, e io so che voglio che entri in casa.
- eh sì... ti va di entrare? – chiedo dopo una lunga pausa di riflessione di circa... tre secondi.
- certo – sorride lui scendendo dalla macchina. Entriamo in casa come ragazzini imbarazzati. Subito accorre Sushi con la velocità di un bradipo in letargo pronto a strusciarsi contro ai pantaloni del nuovo ospite.
- ma che gatto carino... – commenta ridendo, ma sempre mantenendo le distanze. – forse gli dai tanto da mangiare... – continua mentre aspetta che io torno. Vado a prendere la bottiglia più adatta al momento, e intanto lui se ne sta fermo a rimirare il salotto. Lo raggiungo dopo poco con due bicchieri di spumante. Sta guardando le foto.
- eri tu da piccola? – chiede prendendo in mano il bicchiere che gli porgo, indicando la foto di un bambino dalla faccia simpatica.
- no, no, non sono io – sorrido, senza aggiungere altro. – hai visto la sala? L’ha arredata la mia amica – cerco di cambiare discorso, e cerco anche di riempire silenzi imbarazzanti.
- bella, molto bella – commenta guardandosi ancora intorno, sempre sorridendo. Oddio quel sorriso. Ora, arrivati a un certo punto, dico a me stessa, non è possibile stare seduta sul divano con il vestito più corto che ho, con davanti Mister Seduzione a parlare di lavoro. No! “Allyson datti da fare” mi ripropongo. Mi decido, mando giù per intero tutto lo spumante nel mio bicchiere e di fretta tolgo quello di Alexander dalle sue mani prima di saltargli LETTERALMENTE addosso. Cosa che, pensandoci bene, non è neanche una mossa da Allyson. Ma è il quarto appuntamento e lui ha gli occhi azzurri e le labbra che urlano “baciami” e non solo loro!
- dov’è la tua camera? – mi chiede fermo, impalato sotto di me con aria furbetta. Mi alzo traballando un po' e mostrando malamente con il braccio la strada per arrivarci. Saliamo le scale insieme fino alla mia camera, finché non ho un maledetto ripensamento. Quella poi è LA camera. Ci spostiamo sul letto e lui comincia a baciarmi dappertutto. Scaccio un brutto pensiero dalla mia testa e continuo nella mia ostinazione. Mi va di farlo e nessuno me lo impedirà, penso mentre cerco nervosamente di sbottonare la camicia di Alexander, con scarso successo. Santo cielo, non so neanche più come si sbottona una camicia.
- non posso più farlo – mormoro rovinando tutto, dopo l’imbarazzante risultato ottenuto con quella maledetta camicia. Era meglio non l’avesse avuta dall’inizio!
- cosa? – chiede lui che, a un passo dall’aver rintracciato la cerniera sulla mia schiena, rimane interdetto e a bocca spalancata.
- non dovevo farlo, no, non dovevo fare quello che ho fatto – rispondo confusa ripetendo scemenze.
- non hai fatto niente, perché?
- beh, non posso farlo con te, non qua, non... no! – esclamo. Ora sembro ancora più scema di prima. Ora le mie parole sono ancora più insensate.
- se è per via del lavoro, io non ho problemi sai?
- no, non è per quello, ti prego lasciamo stare... – farfuglio mettendomi una mano sulla fronte per la disperazione. Forse ho la febbre, forse sono malata.
- ok, va bene. Come vuoi. ma almeno fammi alzare.... mi sei addosso – commenta aumentando la mia voglia di sprofondare nel vuoto. Mi scanso e lo lascio andare via. Ho mai detto che crescendo sono rimasta lo stesso cretina? No? Ora lo sapete... SONO UNA CRETINA!


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Capitolo 2
*** Alive and amplified ***






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C.1Turn me on and turn me up And turn me loose I am alive and amplified I am alive Na na na na! Na na na! Na na na!




Sento la porta di casa sbattere. O è un incubo o.... è un incubo. Non è più notte, quindi non può essere Alexander che se ne va con la camicia scomposta e sbottonata per metà. Che figura, come farò a ripresentarmi in ufficio lunedì mattina? Non voglio più aprire gli occhi. Questa potrebbe essere l’unica brutta sorpresa che completerebbe il circolo delle ventiquattro ore di figurazze. Se è lui mi sparo un colpo. Confido in Cassie. Sento che è mattina. Sento che è caldo e quindi sono in mutande. Sento che quel qualcuno che prima aveva sbattuto la porta sta salendo le scale. Sento un idiota sulla porta che fa un fischio compiaciuto. Apro un occhio, ed ecco la brutta sorpresa.
- buongiorno! – esclama contento.
- che cavolo vuoi Jimmy? – chiedo coprendomi immediatamente con il lenzuolo.
- niente, non sei contenta che sia tornato a casa? – risponde sarcastico. Intanto comincia a gironzolare per la camera appoggiando il suo stupido borsone sul letto e di conseguenza sui miei piedi, rischiando di farmi urlare di prima mattina – allora dov’è il tuo amichetto? – chiede senza neanche darmi il tempo di urlare.
- non sono affari che ti riguardano – commento acida.
- a me pare di sì invece
- quindi tu l’hai fatto apposta? – esclamo aumentando sempre più il tono di voce – quando ti chiedo io di tornare a casa non torni mai, e appena sai che esco con un uomo ti fiondi all’alba il giorno dopo per sapere se ci sono andata a letto? – urlo ancora seduta sul letto, mentre lui continua a verificare lo stato della casa. – cosa stai facendo? Stai girando per la casa per vedere se ti ricordi ancora com’è fatta?
- ah ah simpatica – commenta ritornando sulla porta – dov’è tuo figlio?
- a casa di mio padre, e smettila di dire “tuo figlio”, ti ricordo che è anche il tuo di figlio!
- e perché l’hai mandato a casa di tuo padre senza chiedere il parere di suo padre, che sarei io? – chiede con il suo sorrisetto da quattro soldi. Non so se prenderlo a botte o a calci. È proprio un’ardua scelta.
- perché quell’idiota di suo padre invece di pensare a suo figlio pensa a dare calci a uno stupido pallone!
- ehi, ehi, carina, vacci piano con le parole. Siam pur sempre una coppia io e te....
- ma che coppia vuoi che siamo io e te, ma per favore... – commento indignata. – la coppia d’assi, una coppia... io e te... pfff – continuo a borbottare mentre mi alzo dal letto e comincio senza un motivo a gironzolare anche io per la stanza senza una meta. Jimmy mi ha mandato i suoi influssi da stupido. Infilando i primi pantaloncini che mi capitano scendo le scale. A metà sento di nuovo la sua fastidiosa voce.
- dove vai di prima mattina di sabato?
- a prendere David, sai... MIO figlio...
- voglio venire anche io, così gli faccio una sorpresa... – esclama raggiungendomi sulla porta. – però guido io... – dice strappandomi le chiavi della macchina dalle mani e uscendo fuori. Rimango a bocca aperta, se non spalancata mentre lo guardo appropinquarsi alla macchina.
- sai non sono sicura che si ricordi ancora di avere un padre? – urlo rimanendo sulla porta. Mmmmmmm che nervi che mi fa venire!!!!!!




Ogni tanto sogno di cambiare il passato. Ogni tanto vorrei che le cose andassero diversamente. Quando vado a casa di mio padre ogni tanto penso a quando anche io abitavo lì e scendevo le scale scivolando sulla ringhiera, o quando giocavamo a football in giardino, o quando sbattevo la porta della mia camera perché litigavamo sempre. Ogni tanto vorrei farlo ancora. Adesso mio padre convive con la mia vecchia prof di musica e suo figlio Myke, che ha appena iniziato la scuola superiore. David lo chiama zio, e la cosa mi terrorizza un po'. Dopo aver parcheggiato la macchina in seguito a un corto tragitto fatto soltanto di urli e litigi per qualsiasi cosa, apro la porta di casa, seguita da Jimmy.
- chi è? – chiede una voce dalla cucina.
- noi... – commento acida, guardando con la coda dell’occhio anche Jimmy. Mio padre spunta dalla cucina dubbioso. Gli si vede un grosso punto interrogativo sopra la testa. Ovviamente anche lui si chiederà cosa ci fa qua Jimmy.
- oh... ciao James... ecco perché hai detto “noi” – si spiega. Cerca la spiegazione nei miei occhi furiosi, ma lascio correre e scuotendo la testa entro anche io in cucina.
Sullo sgabello è seduto ancora in pigiama David. Piccolino, un po’ grosso in faccia, moro e con gli occhioni verdi. Da noi due non li ha presi di sicuro, infatti i primi tempi Jimmy si chiedeva se fosse veramente lui il padre. Spero che scherzasse.
- ciao nanetto! – lo apostrofo per farmi notare.
- ciao mamma... io mangio i pancakes!
- e a me niente?? – gli chiedo fingendomi disperata. Lui infatti si mette a ridere. Ora che ci penso li voglio sul serio anche io i pancakes! Mentre con lo sguardo cerco ovunque dove possano essere, assisto alla scena in entrata di Jimmy.
- hey... e a me non saluti? – gli dice sempre con il suo sorriso. È da stamattina che non smette di sorridere. Spero che gli venga una paralisi!
- papino?! – esclama il povero piccolo innocente, saltando ad abbracciare quello che osa definirsi suo padre. Papino, sì, sì. Quello sempre presente, che lo sveglia ogni mattina, che lo porta all’asilo, che gli prepara da mangiare, che poi ci gioca insieme ecc. ecc. ah no, un attimo. Quella sono io. Dopo questo pensiero la mia irritazione sale ancora di più. - cosa mi hai portato?
- questo! – esclama Jimmy sventolando un pacchetto di carta. Dalla rabbia non me n’ero neanche accorta. Con sguardo curioso fingo poco interesse quando David lo scarta e ne esce fuori la maglia dei New England Revs di Jimmy. Che regalo originale.
- grazie papino!
- Ally! – esclama entrando in cucina anche Lynn, la fidanzata di mio padre – allora com’è andata ieri sera con il bel... – dice e si blocca non appena vede Jimmy. – oh... ciao James!
- lasciamo stare che è meglio – rispondo seccata. So che prima o poi mi rassegnerò al destino avverso. – dai Dave, presto che dobbiamo andare a casa, vai a vestirti...
- accompagnami tuuu – piagnucola lui allungando le mani, aspettando che lo prendi in braccio e subito si presta Jimmy. Secondo me lo fa apposta. Li guardo furiosa mentre salgono al piano di sopra.
- cos’è questa novità? Non sapevo ci fosse anche lui... sennò non avrei detto niente di Alexander... – sussurra Lynn, ma ormai è troppo tardi cara Lynn. E poi l’indiavolito sa tutto. – avete fatto pace?
- ASSOLUTAMENTE NO!!! – esclamo come una vipera. Mai e poi mai.




Toc toc.
 Apro la porta senza aspettare una risposta, infilando la testa nella stanza.
- sto disegnando... – dichiara Cassie. Entro senza problemi. La stanza di Cassie è particolare. Su una parete viola, dietro alla testata del letto c’è un’onda di foto. Tutto intorno al letto c’è lo studio, l’armadio, lo specchio, la cassettiera sotto allo specchio. Se l’è arredata da sola e io l’ho lasciata fare. Io vivevo da sola, lei viveva da sola, così abbiamo unito le forze e ora abitiamo insieme. Matt è partito con i militari per un anno. – è per caso tornato Jimmy? – chiede concentrata sul disegno. Non riesco a vedere cosa diavolo stia facendo.
- sì – annuisco sospirando.
- wow – commenta senza alcuna emozione, mentre sceglie accuratamente i pennarelli da usare.
- dove sei andata poi ieri sera? – chiedo. In realtà sto solo contando fino a dieci prima di cominciare a lamentarmi di Jimmy.
- ho vagato senza meta per tutta Princeton – dice con aria cupa. La guardo scioccata. Poi si mette a ridere – sto scherzando. Ho chiesto ai miei compagni del college di andare a fare un giro... a te invece com’è andata?
- potevi anche tornare a casa. Se ci avessi pensato prima... quanto sono scema. Una SCEMA!
- cosa avete fatto? – chiede posando sul tavolo la penna e girandosi finalmente verso di me. Si tocca gli occhi stanchi. Noto una delle tante foto nell’onda in cui avevamo sedici anni. Ora Cassie è castana con i colpi di sole, riccia come aveva sempre desiderato da piccola, con poco trucco e gli occhiali che mette solo per disegnare.
- niente. Non abbiamo fatto niente, è questo il punto. Ma ti rendi conto? Eh? C’era sto qui, bellissimo, quasi da paura, quasi finto per quanto è bello, LIBERO, pronto per fare cose divertenti con me... e io cosa faccio? Lo mando a casa sua.
- sarai poco intelligente... – ride sotto ai baffi. Ma che ti ridi brutta Cassie?! Nessuno mi capisce in questo mondo.
- lo so. E per concludere in bellezza è tornato quell’idiota – dico. Finalmente posso cominciare a lamentarmi. Adesso le racconto tutto, dalle sue battutine stupide, al suo voler guidare per forza, all’aver portato un regalo a Dave, che adesso lo adorerà ancora di più perché suo padre ogni volta che torna a casa gli porta un regalo e sua mamma invece non gli porta mai niente. E poi perchè devi chiamare lui “papino” e a me soltanto “mamma”? io sono sempre con lui, non Jimmy. Anche te Cassie sei sempre con lui e non Jimmy. Anche Meg è sempre con lui. Non Jimmy. Jimmy non c’è mai. Non torna mai a casa. Solo quando non lo voglio. Nel bel mezzo del mio sfogo sentiamo la voce di qualcuno che è appena entrato in casa.
- permesso?
- siamo quassù – esclamiamo. Con un po' di apatia, sale le scale e ci raggiunge Meg. Capelli fino alle spalle castano chiaro, con gli occhiali da sole portati come cerchietto, grosse occhiaie. Subito colgo l’occasione per disturbarla un po' – Megan cosa sono quelle occhiaie? Notti folli con Chad? – scherzo ridendo. La sua espressione è a dir poco a bocca aperta.
- e te notte folle con Superman? – chiede immediatamente risentita, alludendo alla somiglianza di Alexander con l’attore dell’ultimo film di Superman. Non mi ci fate pensare.
- ma smettila... e comunque no...
- è tornato Jimmy – spiega Cassie intromettendosi nel discorso.
- ah ecco. Tutto torna... pensavo fossi arrabbiata perché hai le tue cose...
- speriamo che se ne vada presto – commento stringendo i pugni provando improvvisamente istinti omicidi. Non farebbe una bella fine se mi capitasse a tiro in questo momento.



Perché questo odio. Perché questa lite. Perché. Sinceramente dopo un anno quasi non mi ricordo più il vero perché. Ci sono diversi motivi per cui io e Jimmy ci siamo lasciati.
1-    Perché si è presentata la prima scema che voleva rubarmi il marito
2-    Perché abbiamo capito che i nostri dialoghi finivano sempre in un litigio brutale
3-    Perché non la smetteva di fumare in casa
4-    Perché mi ha chiesto di trasferirci tutti a Boston definitivamente e io non ho voluto
Beh effettivamente l’ultima lite è stata proprio per Boston. Non era una cosa scontata quando è stato ingaggiato nella squadra della città in una vera serie di calcio, che non sia quella del liceo o del college. Per lui era davvero importante. Io lo sapevo, non facevo l’insensibile. Forse ho sbagliato io a voler rimanere a Princeton con tutta me stessa. Ma io non ero disposta a lasciare la mia città, la mia vita, tutto il mio passato. Io non me ne sono mai andata da Princeton per più di due mesi. Lui sì, si era già trasferito da Taurins. Cambiare tutto, amici, lavoro, studi. No, no. Non avrebbe mai fatto per me. Troppo abituata a Princeton per uscirne. E così all’inizio tornava a casa ogni due settimane, poi aveva iniziato a mancare qualche settimana, per poi non farsi vedere per sei mesi. Nei restanti quattro mesi si è presentato due volte. La nostra storia è capitolata per colpa mia. Lo so. Ne sono consapevole. E tutte le volte che gli chiedevo di tornare, ora ci ho rinunciato, la sua risposta era sempre no. Però la situazione non è normale. Non stiamo più insieme, io e lui continuiamo a essere sposati, e nessuno dei due ha mai chiesto il divorzio. Sarebbe una cosa normale farlo. Chissà cosa stiamo aspettando entrambi. Chissà perché poi ci siamo sposati. Non lo so. Non lo voglio ricordare. Basta. Fine.
È stata una giornata troppo intensa. Se penso alle ultime ventiquattro ore, mi verrebbe da mordermi. Perché?! Perchèèèèè?!?!?! Mi viene davanti agli occhi l’immagine di Alexander. So che mi dovrò licenziare dall’ufficio, o farmi trasferire in un altro piano. Non posso vederlo mai più, o per sempre roderò della mia stupidità.
Esco dal bagno in silenzio; addormentare Dave è sempre un’ardua impresa. Non devo svegliarlo con la mia leggiadria. Passo in punta di piedi dalla stanza di Cassie, spuntando dalla porta. È al computer con la web cam in comunicazione con Matt. Gli faccio un saluto veloce e auguro buona notte a Cassie, poi vado in camera. La luce è accesa. Ultimamente sono così rintronata che sicuramente me la sono dimenticata accesa. Appena entro, un brivido mi percorre la schiena. Jimmy è nel letto.
- no scusa, cosa ci fai tu qui? – chiedo indignata.
- dormo. Nel mio letto.
- nel MIO letto – accentuo il concetto io. Lui deve andare sul divano! – io non dormo con te...
- beh, il divano ti aspetta – rimango basita a sentire le sue parole. Ma non demordo.
- non hai capito proprio niente. Sei tu che te ne devi andare...
- non credo proprio
- io invece dico di sì
- scusa come facevamo prima? – si chiede incrociando le mani dietro la testa. Oltretutto è anche senza pigiama. Devo riconoscere però che con il calcio ha messo su un fisico niente male. Che migliora quello che aveva già.
- non sei mai stato più di tre ore in questa casa, dai sloggia
- mi stai guardando la tartaruga
- contaci. Dai vattene nella camera degli ospiti
- ora è la camera di Cassie – commenta lui sarcastico. Ah, è vero. Ok mi arrendo. Mi sdraio anche io accanto a lui, innervosita.
- ma quand’è che te ne vai? Domani?
- mi dispiace per te, ma sono stato espulso per cinque giornate.
- ah benissimo, cinque giornate, cinque giorni, così te ne vai la prossima settimana...
- non conosci bene il calcio, cinque giornate significa cinque settimane... – dice. Mi volto di scatto verso di lui.
- stai scherzando?
- ti piacerebbe
- sì mi piacerebbe – rispondo a tono continuando a guardarlo intensamente.
- beh comunque no.
 Io sono finita. Io non ci arrivo a cinque settimane di convivenza. Non ce la farò mai.
 

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Capitolo 3
*** lonely nation ***






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       Singing without tongues Screaming without lungs I want more than my lonely nation




Qualcuno potrebbe pensare che il sogno di tre migliori amiche sia quello di andare a vivere tutte e tre insieme. Il che potrebbe avere scatenato una sorta di gelosia in Meg quando Cassie si è trasferita a casa mia, ma togliendo il fatto che è una sistemazione temporanea, come diciamo poi o meno da sei mesi, Meg convive con Chad a meno di cinque casette nella stessa strada. Lei però si che è intelligente. Ho sempre adorato il suo modo di pensare: convive tranquillamente con Chad da due anni, non sono sposati, non hanno nessun vincolo, conti separati, lavori separati, niente in comune. Mica come me, no, io dovevo strafare. Ricevo un messaggio di Meg, con l’obbligo di presentarsi in gelateria alle 5 e di avvisare anche Cassie. Avrà un calo di zuccheri. Prendo al volo l’occasione di riempirmi la pancia, lasciando Jimmy e Dave a fare i fatti loro, visto che è tutto il giorno che mi escludono dalla loro vita con mia immensa invidia e nevrosi. Chiamo Cassie  e le dico di raggiungermi per conto suo da Sweet Lucy. Arrivo davanti alla gelateria, mentre le mie due migliori amiche sono già davanti alla porta, una seduta da sciancata e l’altra sopra di lei, ad aspettarmi. Strano che sia io l’ultima, di solito non faccio così tanto ritardo.
- sììììì!!! Gelatoooooo!!!! – si sveglia Cassie e si alza di scatto appena mi vede, pronta per un gelato cioccolata e biscotto. Il suo solito. Entriamo imbarazzate di essere le uniche al di sopra dei quindici anni là dentro, escludendo la gelataia. Si avvicina un po' vergognosa alla cassa e lo ordina, lo stesso faccio io, poi è il turno di Meg.
- per te signorina? – chiede la nonna gelataia. Penso che sia in quella gelateria da quando hanno inventato il gelato come alimento. Ha tante grinze quanti sono i suoi anni.
- niente grazie. – declina gentilmente, e alla sua destra cala un silenzio tombale. Cassie ed io la guardiamo con gli occhi spalancati. Sorride facendo finta di niente, correndo verso un tavolo. La seguiamo, ancora scioccate.
- abbiamo capito tutto – dice Cassie che dà l’idea di aver trovato una spiegazione.
- davvero? – chiede e sembra quasi sollevata.
- sì. Che vuoi sembrare magra quando vai al mare, ma non ci potevi pensare prima? Ormai siamo a Luglio – risponde lei.
- non è per quello, Cassata. – le dice facendole la linguaccia.
- Megan-lomane!
- Cassapanca!
- basta bambine – intervengo io, altrimenti andremmo avanti così per tutta la giornata. Cassie conclude con una linguaccia e continua a mangiare.
- vi ricordate quando vi dicevo che se mai fossi rimasta in cinta sareste state di certo le prime a saperlo? – fa una bizzarra domanda Meg.
- sì ce lo ricordiamo – rispondo continuando imperterrita a mangiare. – è stato divertente quando ve l’ho detto io...
- io invece non ve lo direi per prime, lo direi prima a Matt, se fosse lui il padre, o comunque lo direi al mio fidanzato di allora, e solo dopo lo direi a voi. – pensa ad alta voce Cassie. Lei ci guarda per un lungo momento – sì comunque ce lo ricordiamo.
- ecco... – introduce di nuovo il discorso. Momento di silenzio.
- ecco cosa? – chiede Cassie, come appena caduta dal pero.
- volete il comunicato stampa o ci arrivate da sole? – risponde seccata. Alzo gli occhi dal gelato e con gli occhi fuori dalle orbite. Si morde il labbro.
- Meggy... – sussurro, scandendo le parole cautamente – sei....?
- sì... sono – conferma con lo stesso tono di voce. Cala ora un secondo silenzio tombale. Ci guardiamo tutte e tre in faccia per un lungo momento.
- ma.... è uno scherzo? – chiede Cassie fuori di sé.
- secondo te farei uno scherzo del genere??
- e come è successo? – continua con le sue domande intelligenti.
- oh beh, la conosci la storia dell’ape e del fiore??
- che stupida che sei...
- no, tu che domande del cavolo fai? – chiede scocciata. Sento già le lacrime che si stanno formando.
- Meg, non è una cosa facile da conoscere in questo modo, dico... ma sei pazza? Mentre mangiamo? Rischi di farci soffocare in meno di un secondo, diccelo subito se ci vuoi morte. – aggiungo. Un’altra delle mie battute poco divertenti. Il mio modo di sdrammatizzare andrebbe riveduto. Di solito è Cassie quella che ride e scherza in ogni occasione, ma ormai Cassie è nel panico più generale, non si ricorda neanche come nascono i bambini.
- grazie, molto simpatiche. Volevo farvelo sapere per prime, e in qualità di migliori amiche mi aspettavo una parola di conforto, visto che non so come dirlo a Chad...
- ti prego non cominciare con “ti ricordi quando...” perché devi ammetterlo, non funziona affatto – commenta Cassie - comunque sai benissimo che scherziamo ma appena hai bisogno puoi contare su.... – dice strofinandosi con la mano un occhio. Non saranno.... lacrime?!  Se vedo lacrime mi metto a piangere. Cassie si gira dall’altra parte senza concludere la frase, e so già che sta cercando di trattenersi. Mi volto mordendomi ancora più forte il labbro per trattenermi io stessa, in cerca del supporto di Meg, che sta tirando su con il naso, sbattendo le palpebre.
- no ragazze dai... – dice con voce tremolante.
- siamo troppo giovani per affrontare tutto questo!! – frigna Cassie, asciugandosi gli occhi.
- ho solo ventitre anni – piange anche Meg, di rimando.
- ragazze, dobbiamo farci forza!! – rispondo io, ancora emozionata. Intanto si avvicina la vecchia gelataia, preoccupata.
- signorine, c’è qualcosa che non va?
- siamo troppo giovani per affrontare tutto questo!!! – esclama nuovamente Cassie piangendo.
- oh poverine! – si commuove la vecchia e se ne va. In tre secondi torna e ci porge un fazzoletto ciascuno. – non è tanto, ma ogni tanto un gesto di qualcuno vale più di ogni parola...
- grazie signora – piangiamo ancora tutte quante. Quando la finiremo di riguardarci puntate su puntate di “una mamma per amica”??




Torniamo a casa un po' sconsolate io e Cassie, dopo aver riaccompagnato Meg a casa, continuando a tirare su con il naso per trattenere il pianto. Entriamo in casa e troviamo tutto in terra. Quasi mi metto di nuovo a piangere. Ma che è successo? Sembra passato un uragano.
- Yeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! – un urlo proveniente da sopra non ci promette nulla di buono. Salgo di corsa le scale, prima di assistere alla catastrofe mondiale per eccellenza.
- ma cosa state facendo? – chiedo entrando in camera di Dave e rimango stupita se non scioccata. Jimmy è stramazzato in terra a fianco al letto e Dave è sopra alla sua pancia.
- tuo figlio mi vuole uccidere – risponde Jimmy con voce agonizzante. Dentro di me sto ridendo a crepapelle.
- Dave! Quante volte ti ho detto di non saltare sul letto? – chiedo, senza minimamente provare pietà per Jimmy. – la prossima volta che ti vedo o che qualcuno me lo riferisce sai già che fine fai – lo rimprovero con espressione furiosa. Lui corre via urlando ancora più forte. Mi avvicino a Jimmy ancora morto in terra e lo scruto dall’alto. – puoi alzarti adesso.
- sai che non è male la vista da quaggiù?
- vuoi che ti salti sulla pancia come ha fatto Dave?
- no grazie. Soprattutto con quei tacchi – replica lui contorcendosi sul pavimento. Sorrido soddisfatta di me stessa e di come ho cresciuto bene mio figlio. E delle mie nuove scarpe. Non provo la minima pietà. – per curiosità, che fine gli fai fare se salta ancora sul letto? L’uomo nero?
- ma quale uomo nero... gli ho detto che lo mando a vivere dalla vicina di casa amante dei gatti!
- ma chi quella con la treccia lunghissima arrotolata in testa che ha gli occhi iniettati di sangue? – chiede curioso.
- esatto
- che madre cattiva che sei – commenta ridendo. Mi metto a ridere anche io. No!!! Ma che cosa faccio!! Sto ridendo con Jimmy! Non devo!!! Smetto subito e allungo la faccia per non ridere.





Sono in ritardo, sono nel più totale ritardo. Altro che promozioni, aumenti e sostituzioni al capo, qua mi licenziano in tronco. Sono ancora in casa e dovrei essere in dieci minuti in ufficio. Se non fosse stato perché Jimmy per tutta la notte non ha fatto altro che stare stravaccato lungo tutto il letto e io mi sono addormentata soltanto alle 6 del mattino, per non sentire la sveglia delle 8.
- ma porca....!!!! – esclamo mentre rischio di inciampare e farmi le scale di sedere, trattenendomi non appena spunta la testolina di Dave sul divano insieme a Cassie.
- oh buongiorno – saluta Cassie con tutta la calma del mondo. È quando tu sei in ritardo che gli altri impostano la velocità lumaca in tutte le loro azioni.
- buongiorno – ripete Jimmy uscendo dalla cucina tranquillissimo con due tazze di caffè.
- ma siete tutti svegli! Ma perché non mi avete chiamata?!
- dormivi così bene... – commenta Cassie innocente. È lui che ha tutta la colpa, lui!
- siete degli scemi! – esplodo cercando come una forsennata le chiavi della macchina.
- mamma ha detto scemi! Scemi! Scemi! Scemi! – ridacchia Dave.
- Dave, niente parolacce o sai che fine fai! Comunque non ho tempo per discutere, devo andare, a più tardi!! – urlo correndo verso la porta. Appena fuori mi catapulto addosso a una cosa raggrinzita che stava impalata davanti alla porta. – aaaaaaahhhh!!! – urlo impaurita. È la vicina di casa. La vecchia gattara.
- Allyson, tesoro, avrei bisogno di chiederti... – chiede con la stessa velocità lumaca che aveva prima Cassie. che brutta mamma mia. Ma non ho tempo di sentire anche le sue lamentele sui gatti o sul pallone che finisce nel giardino eccetera.
- mi scusi vado di fretta, chieda a mio marito, entri senza problemi – le urlo mentre continuo a correre lungo il vialetto, ma posso sentire benissimo l’urlo di terrore di Dave appena la Gattara entra in casa. Non mi viene neanche in mente il cognome. In tempo record parto da casa verso l’ufficio. So già cosa mi aspetta. Quegli occhi azzurri e quel fascino da paura che mi fisseranno tutto il tempo. E che sono quelli del mio supervisore al quale ho tirato un palo dritto dritto in faccia. Secondo me mi licenzia prima del tempo, ne sono sicura. Riesco ad arrivare con soltanto dieci minuti di ritardo e corro fino all’ascensore. Settimo piano = information communication technology. Se mi chiedete cos’è, brevemente significa coordinare dal punto di vista tecnico gestionale la gestione di un’infrastruttura sistemistica. Ancora più brevemente significa programmare computer. Io non faccio niente di tutto ciò per mia fortuna. Conti, calcoli, management, statistiche. Niente a che fare con i miei studi di ingegneria edile. Appena arrivo in ufficio tutte le segretarie mi guardano male e poi fanno commenti con quella vicina. Non so se perché sono in ritardo o perché hanno già deciso di licenziarmi o perché posso avere una mega caccola che spunta dal naso. Mi avvicino alla mia scrivania e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuna caccolona,  guardo la stanza di fronte, con la scrivania vuota per fortuna, questo vuol dire che Alexander non c’è. Ma appena mi siedo ecco che spunta con passo svelto e deciso verso di me, tanto che sembra che stia prendendo la carica per darmi uno schiaffo.
- buongiorno Allyson, oggi mi presenterai le statistiche di vendita ok? – dice con voce scocciata, come se fosse la cosa più brutta del mondo. Sì in effetti, dopo venerdì sera, è un po' imbarazzante. Poi aggiunge – entro le 10.
- si certo – rispondo come se l’avessi già pronto sotto. Con tanta pazienza aspetto che si allontani per andare a vedere che ore sono. Le 9.30, ma è fuori di testa? E io come faccio a fare una statistica in mezz’ora?? Adesso gliene vado a dire due. Ma appena faccio cenno di alzarmi si appollaia sulla mia scrivania con occhi assatanati una delle tante segretarie che sbavano dietro ad Alexander, ma questa è la peggiore di tutte, la più fanatica maniacale psicopatica assatanata di lui. Rachel, da me rinominata Racchia. Sa ogni cosa di lui, data di nascita, indirizzo, numero di capelli sulla testa, costo di ogni sua spesa. Nonché tutti i suoi spostamenti; e quando dico tutti intendo anche quelli che dovrebbero essere “di nascosto”.
- allora? – apostrofa rivolta a me. La osservo senza darle tanta confidenza e senza rispondere. – com’è andata l’uscita?
- tutto bene – mi limito a rispondere con aria di sufficienza. Mica dirle che è stato un disastro alla fine in modo da aumentare la sua autostima e la sua convinzione di potere avere qualche possibilità con lui. – ma è per caso arrabbiato? – approfitto dei pettegolezzi.
- allora ti dico – inizia con quella sua vocetta da gallina. – appena è arrivato, non ha salutato ma ha chiesto subito chi l’aveva cercato, ma soprattutto ha chiesto dov’eri tu, poi ha tipo fatto così con l’occhio – cerca di imitare malamente un occhiolino ma è troppo esaltata perché sta parlando del suo mito che non si accorge di stare parlando da sola, perché io me ne sono già andata.
- Alexander! – esclamo dopo essere entrata e aver sbattuto la porta. Nei telefilm funziona per attirare l’attenzione. Alexander, che prima era impegnato a fissare con aria concentrata lo schermo del computer, ora mi guarda a bocca aperta, notando la mia finta faccia incavolata. Funziona! Sarà meglio che mi muovi a dire qualcosa – è inutile che fai finta di fare l’arrabbiato e cominci a chiedere la luna anche se sai benissimo che in mezz’ora non posso presentarti le statistiche di vendita, solo perché venerdì non te l’ho data, l’unica ragione per cui sei arrabbiato è perché sono la prima persona che ti ha respinto – e dopo è un fiume di parole incontrollabili dal mio strato cerebrale – e tu non hai mai sentito un no prima di me, ma devi fartene una ragione sai? eh? Sai?
- certo – si limita a rispondere. Oh, non mi aspettavo una risposta del genere. Ma non doveva rispondere così.
- beh... se vuoi sapere perché ti ho respinto è perché...
- non voglio sapere niente Allyson. Sei licenziata.
C.V.D. Come volevasi dimostrare.












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Capitolo 4
*** here comes the sun ***





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Little darling, it's been a long cold lonely winter Little darling, it feels like years since it's been here Here comes the sun, here comes the sun And I say it's all right





- ti ha detto “non voglio sapere niente, sei licenziata”????? – chiede allibita Cassie.
- sì! – sussurro io, ancora più allibita di lei.
- e tu cosa le hai risposto?
- me ne sono andata.
- ragazze, perché stiamo parlando a bassa voce? – chiede Meg. Supponendo che siamo nel giardino nel retro della casa, che sia luglio e sono tutti già in vacanza, non abbiamo proprio nessuno da cui nasconderci. Anche perché Dave dorme in casa e non credo possa sentire fino a qui.
- non lo so, ma nessuno ci deve sentire – borbotta Cassie, guardandosi intorno, come se stessimo vivendo in un film di spionaggio.
- comunque, finita con la mia sventura... e a parte il fatto che non ho lavoro fino a settembre... MEG? Ci devi raccontare qualcosa tu? – chiedo enfatizzando l’ultima domanda.
- sssssssshhhhhhh!!!!! ....comunque no – esclama come se fosse stata scoperta. Allora vedi che avevo ragione a parlare a bassa voce?
- e cosa aspetti? Che nasca? – le dico sarcastica.
- conosci un modo per camuffare la pancia fino ad allora? – domanda seria, con gli occhi pieni di speranza. La guardo torva. Non lo conosco e non voglio conoscerlo. – ok, scherzavo, ma scusami, consigliami. Tu come l’hai detto a Jimmy?
Non è stato bello. Ricordo benissimo che i litigi sono cominciati da allora. Prima eravamo la coppia più bella del mondo, compreso il e ci dispiace per gli altri. Poi un bel giorno me ne esco con la tipica frase “sono in cinta” e da lì la coppia più bella del mondo è scomparsa per fare posto a siamo la coppia più scoppiata del mondo. Racconterò a Meg un altro giorno la storia triste che c’è dietro, prima di terrorizzarla del tutto.
- meglio lasciare perdere...
- Cassie, tu cosa faresti al posto mio? Cosa diresti a Matt? – chiede Meg sbattendo le palpebre velocemente.
- non mi parlare di figli per carità. Già quel poveretto sta in guerra, pensa te se vuol sentire parlare di figli. Mi usa come minimo come bersaglio... – commenta Cassie discolpandosi di qualsiasi cosa. Lo so che ora Meg torna all’attacco. Infatti, in meno di tre secondi si rigira verso di me incrociando le mani pregandomi.
- ti prego aiutami!!!
- mica posso dirlo io a Chad! Meg... devi prenderti le tue responsabilità!
- e se faccio andare a vivere Jimmy con Chad? Se lo rimando a Boston? – chiede speranzosa. Sta adottando la tattica della compravendita. Ammetto che la proposta è molto allettante.
- non riuscirai a comprarmi in questo modo – mi impongo io. – però mi è venuta in mente un’idea...


- pss, pss, sveglia – sussurro nell’orecchio di Dave. L’ho trovato che dorme abbracciato al gatto, che nel frattempo cerca di dimenarsi stritolato dalle sue manine; chissà quanti calci gli ha dato nel sonno. E poi se non lo sveglio adesso non dormirà stanotte. E io voglio dormire di notte. Lascio andare Sushi che appena liberato corre all’impazzata lontano da Dave soffiando terrorizzato.
- perché mi hai svegliato? – chiede con voce assonnata.
- vai da Chad, digli che vuoi andare alle giostre e che ci vuoi andare solo con lui o con Meg
- perché? – chiede curioso. Insomma Dave, è per una giusta causa.
- e digli che se non ti porta lui ti metti a piangere... – cerco di sviare la spiegazione.
- ma io ci voglio andare con papà – si mette a lagnare. No, con papà no. Poteva almeno dire “ci voglio venire con te mamma” non con Jimmy. Questa non posso accettarla.
- se lo fai, ti faccio un bel regalo – gli propongo. So come comprare i bambini, infatti subito gli si illuminano gli occhi. Questa è anche un’occasione per sabotare la felicità di Jimmy. Eheheh.... rido sotto ai baffi – anzi ti porto al negozio di giocattoli e scegli tu il regalo che vuoi.
- sìììì!!! – esclama contento.
- allora ripetiamo insieme... tu ora scendi da Chad e gli dici....


- Chad, mi porti alle giostre?
- ma scusa Dave, non disturbare Chad, ti porto io alle giostre – interviene quel Jimmy del cavolo, da bravo papà supereroe. Dave si gira a guardarmi titubante e fa il labbrino quando vede il mio sguardo truce. So che vuole tradirmi andando alle giostre con il supereroe. Ci pensa un attimo. Gli punto il dito contro e il mio sguardo parla da solo.
- no... io ci voglio andare con Chad – dice subito dopo. Bravo bambino, come ti ho educato per bene. Alla faccia di Mister “sono il papà dell’anno ma vengo a vedere mio figlio solo una settimana all’anno”. Tiè! Penso mentre esprimo il mio compiacimento con un’espressione maligna.
- ma lascia stare Chad, ti porto io – insiste Jimmy. Ancora eh. Se non si fa i fatti suoi, mi tolgo una scarpa e gliela lancio dritta in faccia.
- ma se il bambino vuole andare con Chad perché non mandarcelo? – intervengo io sotto uno sguardo infastidito di Jimmy. – d’altronde vede più spesso Chad di te. – ci tengo a sottolineare la sua assenza. Sempre e comunque.
- ragione in più per andarci con me. – ribatte Jimmy in tono di sfida.
- sì dai, non c’è problema – interviene prontamente Meg – sarà divertente, vero Chad?
- sì certo, vieni campione – risponde subito lui. Io e Cassie osserviamo attentamente la sua espressione, e non sembra finta. Potrebbero esserci buone possibilità. Per almeno il 45%. Oh, devo smetterla di fare continuamente statistiche.
- a che ora lo riportiamo? – chiede Meg, trattenendosi da una risata isterica. È da Meg non saper fingere, al che realizzo che l’unico bravo attore qua è mio figlio.
- lo veniamo a prendere noi a casa tua stasera – rispondo con determinazione io – noi tutti dobbiamo andare da una parte...
- che parte? – chiede Jimmy da bravo guastafeste. Ovvio, non avevo pensato anche alla sua curiosità. Cerco di comunicargli il sotterfugio attraverso il mio sguardo, ma con scarso successo. In realtà questo aumenta soltanto i suoi dubbi sulla mia stabilità mentale. Ma d’altro canto dovrebbe conoscere i miei sbalzi di fantasia.
- da una parte! – ripeto io.
- sì dobbiamo andare a... – interviene Cassie e anche lei non sa cosa dire – a... beh comunque è tardissimo, dobbiamo andare... e anche voi! – comanda spingendo fuori casa l’ignaro, l’attore e la sincera. Appena chiude la porta, Jimmy guarda me e Cassie scuotendo la testa, poi finalmente sbotta.
- si tratta di un vostro piano vero?
- sì e ora vattene. Deve venire quello di ripetizioni – sbotto tutto d’un fiato, cacciando di casa anche lui.



Porto i libri al piano di sotto, mentre Sushi mi guarda truce. Lo so che vuole mangiare, ma è già troppo obeso, non può ridursi ad essere una mongolfiera.
- no è inutile che mi guardi in questo modo – gli dico guardandomi allo specchio e sistemandomi un attimo, poi appoggio i libri sul tavolo.
- con chi parli? – chiede una voce. Sussulto un attimo, poi mi giro a guardare. Sulla porta c’è Nick, il mio alunno. Lo so, lo so, mi sono sistemata allo specchio e non so neanche io che motivo ci sia, lui ha solo diciott’anni, ma giuro che è bello. Molto bello. Se avesse qualche anno in più... no vabbè, di sicuro farei la stessa figuraccia che ho fatto con Alexander e di conseguenza non lo rivedrei mai più. Ok per l’ennesima volta gli ormoni stanno parlando al posto mio. Non iniziamo bene la lezione.
- con il gatto – commento grattandomi la testa imbarazzata. Lui e i suoi occhioni azzurri si avvicinano.
- ah brava prof... sai che mia madre prende degli psicofarmaci eccezionali? Se vuoi ti faccio consigliare...
- ah ah simpatico. Adesso rido io quando tu farai gli esercizi sulle derivate, voglio proprio ridere.
- sei una prof cattiva. – si incupisce mentre si siede. Ebbene sì. Faccio ripetizioni di matematica. Anche questo non ha niente a che fare con i miei studi di ingegneria edile.
- impari a studiare durante l’anno, così non mi vedrai mai più durante l’estate
- mi dispiacerebbe non vederti – dice con voce ammaliante guardandomi con quegli occhioni attraenti. Abbasso immediatamente lo sguardo e fingo di non aver sentito mentre sono intenta a trovare la pagina nel libro che parli di derivate. Non vorrei che l’ormone più pazzo agisse al posto mio. – dov’è Dave? – cambia subito discorso.
- con una mia amica al parco – se sapesse perché e per come mi prenderebbe anche lui per una pazza, già mi ha consigliato degli psicofarmaci. Spero che Jimmy non passi da qui in questa ora. Io l’avevo avvertito, ma non si sa mai. Non voglio che Nick lo veda. Saprà sicuramente dell’esistenza di un padre di questo povero bambino, ma mica voglio che sappia che si aggira per la città. Cerco a spiegare nel miglior modo che le derivate delle funzioni composte vanno risolte tutte insieme. Anche io ai miei tempi ci avevo messo secoli.
- com’è la tua amica?
- impegnata, questo è sicuro e se non vuoi una botta in testa è meglio che ti metta subito a studiare!




Appena finisco le ripetizioni, io e Cassie andiamo a prendere Dave a casa di Meg e Chad.
Ormai si sta quasi facendo buio, quindi spero che sia abbastanza stanco da addormentarsi subito stasera, così, prima si addormenta, prima mi levo di mezzo Jimmy. Entriamo furtive in casa, per spiare la situazione. Meg è ai fornelli e Chad sta dando da mangiare a Dave.
- dai Dave, manca un solo boccone – sorride e scherza.
- ma che bella famiglia! – esclama Cassie intenzionalmente.
- sul serio, lo volete? Ve lo regalo, non scherzo! Mangia poco, dorme tanto, non rompe neanche le scatole, non è male... vero David? – scherzo io, con Dave che dissente - comunque... cos’avete fatto di bello oggi?
- siamo andati sul bruco, poi sulle macchine, poi sugli autoscontri, poi, e poi, Chad mi ha comprato lo zucchero filato – dice Dave tutto contento.
- ah che bello – esclamo, quando in realtà immagino di mangiarlo io lo zucchero filato. Faccio desideri su cibi neanche fossi io quella incinta  – bravo Chad, ma lo sai che ci sai proprio fare con i bambini? Sembra che Dave si sia divertito molto... – gli dico, mentre si alza a sparecchiare. È anche un bravo uomo di casa.
- grazie Ally... sentito Meg? Sono bravo! – si loda da solo andando a disturbarla.
- sono in cinta – risponde lei. Noi la guardiamo tutti sconvolti. Io non intendevo proprio questo come modo per dirglielo, e poi non davanti a noi. Certo che anche Meg... guardiamo spaventate e allo stesso tempo curiose la faccia di Chad. È peggio della nostra. È sbiancato.
- cosa?
- sono in cinta! – ripete Meg con un abbozzo di sorriso.
- scusate... – farfuglia Chad appoggiandosi al bancone della cucina – non mi sento bene – e poi cade in terra. Svenuto.


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