estate in città di raimoldatolda (/viewuser.php?uid=77947)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the sequel 2 ***
Capitolo 2: *** Alive and amplified ***
Capitolo 3: *** lonely nation ***
Capitolo 4: *** here comes the sun ***
Capitolo 1 *** the sequel 2 ***
Il tempo passa in senso relativo. A volte ti sembra che non passi mai,
altre che voli. A pensarci, durante la settimana quante volte si ripete
“uffa è solo martedì” o
“wow, finalmente è venerdì” e
ripetere questo conto settimana per settimana ti ritrovi ad aver
passato un sacco di tempo. Riguardandosi indietro nel tempo, un anno
prima è come se fosse già passata
un’era. Figuriamoci a pensare a sei anni fa, quando in questa
stessa ora , di questo stesso giorno avresti mai pensato a cosa saresti
diventato e cosa sarebbe cambiato nella tua vita. Sei anni fa mi
trovavo su un autobus scassatissimo, arrabbiata perché il
mio i-pod si era scaricato, con una gallina sbiondata che mi odiava
ancora prima di sapere che fossi, diretta per il posto delle vacanze
che avevo sempre odiato e che ora è l’unico posto
in cui vorrei andare in vacanza. Oggi invece mi ritrovo davanti
all’entrata di un palazzo che come minimo avrà
trenta piani, con scarpe con tacchi vertiginosi, in una tipica scena da
film, in cui la plurimiliardaria fanatica dello shopping fa il suo
ingresso al gran galà. Anche se io non sono né
plurimiliardaria né faccio il mio ingresso al gran
galà. Entro nel palazzo, calpestando il tappeto marrone con
su scritto “Hotel Palace” e mi guardo intorno nella
hall per orientarmi, poi lo vedo. Eccolo il mio appuntamento. Occhi
azzurri, capelli neri, alto abbastanza, sorriso splendente. Alexander.
Avere un collega così figo nuoce gravemente alla
stabilità mentale sul posto di lavoro. Questo dovrebbe
essere il nostro quarto appuntamento se non sbaglio. Mi sorride mentre
mi avvicino e mi fa strada per un lungo corridoio che porta a una sala
con un lampadario di cristallo così grande e così
accecante, che subito me ne innamoro.
- tu mi devi spiegare come fai ad avere tanto successo in ufficio, io
non lo so proprio. Sono il tuo supervisore e fra un mese potresti
direttamente sostituire il capo! Ma come fai? – chiede lui
con entusiasmo.
-potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti – ci scherzo su. Che
battuta triste, penso subito dopo. In realtà a stare dietro
una scrivania a scrivere scemenze sono buoni tutti, mica solo io. La
mia battuta idiota non riscuote grande successo; lui mi
guarda un po' storto in effetti, ma faccio finta di niente.
- ma posso farti una domanda... quanti anni hai?
- prova a indovinare – gli propongo. Chissà a dove
voglio arrivare. Non lo so neanche io.
- 24... – prova a dire, ma scuoto la testa – dai
allora 26
- no...
- non puoi averne di più, no, lo so – si convince.
Gli dico che infatti ha ragione e mi guarda con aria di sfida. Il suo
sguardo però sembra più dire “sono tuo,
saltami addosso”. I miei ormoni sono impazienti del dopo. Se
mai ci sarà. Chissà se mi sta chiedendo quanti
anni ho per verificare che non sia minorenne. Chissà per
fare chissà cosa.... sorrido maliziosa. Ok, non sono io che
sto parlando, sono i miei ormoni che si sono impossessati del mio
cervello. Io non potrei mai dire cose del genere – 25? Dai
non puoi avere meno anni. È impossibile, non ci credo. Devi
per forza averne 25!
- invece no. Ne ho 22 – taglio corto. Come faccio a sembrare
una donna di 25 anni? Non ho neanche la faccia da venticinquenne. In
realtà non ho neanche la faccia da ventiduenne.
- non ci credo. E secondo te quanti anni ho io?
- 28? – chiedo, fingendo un’accurata riflessione.
In realtà lo so già. C’è chi
mi informa. Ci rimane anche male quando conferma la sua età.
Continuiamo a parlare un altro po', mentre la sala pian piano si svuota
e rimangono pochi tavoli apparecchiati e altre poche persone.
- io personalmente come sport odio il football. Preferisco
più il calcio, anche se non è uno sport americano
– commenta tra un discorso e l’altro.
- sul serio? – chiedo sbiancata, mentre la tipica gocciolina
scende lentamente dalla mia fronte.
- lo conosci?
- certo – affermo, pensando a tante, troppe cose. –
è uno sport europeo, io sono stata un anno in Italia a
studiare – dico vantandomi un po'.
- io tifo per i New England Revs – dice come un fulmine a
ciel sereno. Con tutte le squadre che ci sono nella Major League
Soccer. A quelle parole comincio a tossire. Qualcosa mi è
andato di traverso, di sicuro.
- forse sarebbe meglio andare – dico approfittando
dell’ennesima coppia che si alza. Non vorremmo rimanere solo
noi là dentro. Poi la fatidica frase “ti
riaccompagno a casa”. Al quarto appuntamento , penso che un
uomo si aspetti anche di essere invitato dentro. Ora cominciano a
salire i dubbi e i sensi di colpa. Ma sorvolo quando vedo la macchina
che accende le luci appena Alexander preme un pulsante del telecomando.
Un suv nero. Il viaggio in macchina, oltre ad essere comodissimo,
sembra non finire mai. Passiamo anche davanti alla casa di
papà. Osservatina veloce se la luce della camera sia accesa.
No. Sospiro. Proseguiamo fino alla mia casa. Alexander si ferma e
spegne il motore.
- questa è la tua casa? – chiede con aria curiosa.
Che domanda scontata, penso intanto. Lo so che vuole entrare, e io so
che voglio che entri in casa.
- eh sì... ti va di entrare? – chiedo dopo una
lunga pausa di riflessione di circa... tre secondi.
- certo – sorride lui scendendo dalla macchina. Entriamo in
casa come ragazzini imbarazzati. Subito accorre Sushi con la
velocità di un bradipo in letargo pronto a strusciarsi
contro ai pantaloni del nuovo ospite.
- ma che gatto carino... – commenta ridendo, ma sempre
mantenendo le distanze. – forse gli dai tanto da mangiare...
– continua mentre aspetta che io torno. Vado a prendere la
bottiglia più adatta al momento, e intanto lui se ne sta
fermo a rimirare il salotto. Lo raggiungo dopo poco con due bicchieri
di spumante. Sta guardando le foto.
- eri tu da piccola? – chiede prendendo in mano il bicchiere
che gli porgo, indicando la foto di un bambino dalla faccia simpatica.
- no, no, non sono io – sorrido, senza aggiungere altro.
– hai visto la sala? L’ha arredata la mia amica
– cerco di cambiare discorso, e cerco anche di riempire
silenzi imbarazzanti.
- bella, molto bella – commenta guardandosi ancora intorno,
sempre sorridendo. Oddio quel sorriso. Ora, arrivati a un certo punto,
dico a me stessa, non è possibile stare seduta sul divano
con il vestito più corto che ho, con davanti Mister
Seduzione a parlare di lavoro. No! “Allyson datti da
fare” mi ripropongo. Mi decido, mando giù per
intero tutto lo spumante nel mio bicchiere e di fretta tolgo quello di
Alexander dalle sue mani prima di saltargli LETTERALMENTE addosso. Cosa
che, pensandoci bene, non è neanche una mossa da Allyson. Ma
è il quarto appuntamento e lui ha gli occhi azzurri e le
labbra che urlano “baciami” e non solo loro!
- dov’è la tua camera? – mi chiede
fermo, impalato sotto di me con aria furbetta. Mi alzo traballando un
po' e mostrando malamente con il braccio la strada per arrivarci.
Saliamo le scale insieme fino alla mia camera, finché non ho
un maledetto ripensamento. Quella poi è LA camera. Ci
spostiamo sul letto e lui comincia a baciarmi dappertutto. Scaccio un
brutto pensiero dalla mia testa e continuo nella mia ostinazione. Mi va
di farlo e nessuno me lo impedirà, penso mentre cerco
nervosamente di sbottonare la camicia di Alexander, con scarso
successo. Santo cielo, non so neanche più come si sbottona
una camicia.
- non posso più farlo – mormoro rovinando tutto,
dopo l’imbarazzante risultato ottenuto con quella maledetta
camicia. Era meglio non l’avesse avuta dall’inizio!
- cosa? – chiede lui che, a un passo dall’aver
rintracciato la cerniera sulla mia schiena, rimane interdetto e a bocca
spalancata.
- non dovevo farlo, no, non dovevo fare quello che ho fatto –
rispondo confusa ripetendo scemenze.
- non hai fatto niente, perché?
- beh, non posso farlo con te, non qua, non... no! – esclamo.
Ora sembro ancora più scema di prima. Ora le mie parole sono
ancora più insensate.
- se è per via del lavoro, io non ho problemi sai?
- no, non è per quello, ti prego lasciamo stare...
– farfuglio mettendomi una mano sulla fronte per la
disperazione. Forse ho la febbre, forse sono malata.
- ok, va bene. Come vuoi. ma almeno fammi alzare.... mi sei addosso
– commenta aumentando la mia voglia di sprofondare nel vuoto.
Mi scanso e lo lascio andare via. Ho mai detto che crescendo sono
rimasta lo stesso cretina? No? Ora lo sapete... SONO UNA CRETINA!
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Capitolo 2 *** Alive and amplified ***
C.1Turn me on and
turn me up And turn me loose I am alive and amplified I am alive Na na
na na! Na na na! Na na na!
Sento la porta di casa sbattere. O è un incubo o....
è un incubo. Non è più notte, quindi
non può essere Alexander che se ne va con la camicia
scomposta e sbottonata per metà. Che figura, come
farò a ripresentarmi in ufficio lunedì mattina?
Non voglio più aprire gli occhi. Questa potrebbe essere
l’unica brutta sorpresa che completerebbe il circolo delle
ventiquattro ore di figurazze. Se è lui mi sparo un colpo.
Confido in Cassie. Sento che è mattina. Sento che
è caldo e quindi sono in mutande. Sento che quel qualcuno
che prima aveva sbattuto la porta sta salendo le scale. Sento un idiota
sulla porta che fa un fischio compiaciuto. Apro un occhio, ed ecco la
brutta sorpresa.
- buongiorno! – esclama contento.
- che cavolo vuoi Jimmy? – chiedo coprendomi immediatamente
con il lenzuolo.
- niente, non sei contenta che sia tornato a casa? – risponde
sarcastico. Intanto comincia a gironzolare per la camera appoggiando il
suo stupido borsone sul letto e di conseguenza sui miei piedi,
rischiando di farmi urlare di prima mattina – allora
dov’è il tuo amichetto? – chiede senza
neanche darmi il tempo di urlare.
- non sono affari che ti riguardano – commento acida.
- a me pare di sì invece
- quindi tu l’hai fatto apposta? – esclamo
aumentando sempre più il tono di voce – quando ti
chiedo io di tornare a casa non torni mai, e appena sai che esco con un
uomo ti fiondi all’alba il giorno dopo per sapere se ci sono
andata a letto? – urlo ancora seduta sul letto, mentre lui
continua a verificare lo stato della casa. – cosa stai
facendo? Stai girando per la casa per vedere se ti ricordi ancora
com’è fatta?
- ah ah simpatica – commenta ritornando sulla porta
– dov’è tuo figlio?
- a casa di mio padre, e smettila di dire “tuo
figlio”, ti ricordo che è anche il tuo di figlio!
- e perché l’hai mandato a casa di tuo padre senza
chiedere il parere di suo padre, che sarei io? – chiede con
il suo sorrisetto da quattro soldi. Non so se prenderlo a botte o a
calci. È proprio un’ardua scelta.
- perché quell’idiota di suo padre invece di
pensare a suo figlio pensa a dare calci a uno stupido pallone!
- ehi, ehi, carina, vacci piano con le parole. Siam pur sempre una
coppia io e te....
- ma che coppia vuoi che siamo io e te, ma per favore... –
commento indignata. – la coppia d’assi, una
coppia... io e te... pfff – continuo a borbottare mentre mi
alzo dal letto e comincio senza un motivo a gironzolare anche io per la
stanza senza una meta. Jimmy mi ha mandato i suoi influssi da stupido.
Infilando i primi pantaloncini che mi capitano scendo le scale. A
metà sento di nuovo la sua fastidiosa voce.
- dove vai di prima mattina di sabato?
- a prendere David, sai... MIO figlio...
- voglio venire anche io, così gli faccio una sorpresa...
– esclama raggiungendomi sulla porta. –
però guido io... – dice strappandomi le chiavi
della macchina dalle mani e uscendo fuori. Rimango a bocca aperta, se
non spalancata mentre lo guardo appropinquarsi alla macchina.
- sai non sono sicura che si ricordi ancora di avere un padre?
– urlo rimanendo sulla porta. Mmmmmmm che nervi che mi fa
venire!!!!!!
Ogni tanto sogno di cambiare il passato. Ogni tanto vorrei che le cose
andassero diversamente. Quando vado a casa di mio padre ogni tanto
penso a quando anche io abitavo lì e scendevo le scale
scivolando sulla ringhiera, o quando giocavamo a football in giardino,
o quando sbattevo la porta della mia camera perché
litigavamo sempre. Ogni tanto vorrei farlo ancora. Adesso mio padre
convive con la mia vecchia prof di musica e suo figlio Myke, che ha
appena iniziato la scuola superiore. David lo chiama zio, e la cosa mi
terrorizza un po'. Dopo aver parcheggiato la macchina in seguito a un
corto tragitto fatto soltanto di urli e litigi per qualsiasi cosa, apro
la porta di casa, seguita da Jimmy.
- chi è? – chiede una voce dalla cucina.
- noi... – commento acida, guardando con la coda
dell’occhio anche Jimmy. Mio padre spunta dalla cucina
dubbioso. Gli si vede un grosso punto interrogativo sopra la testa.
Ovviamente anche lui si chiederà cosa ci fa qua Jimmy.
- oh... ciao James... ecco perché hai detto
“noi” – si spiega. Cerca la spiegazione
nei miei occhi furiosi, ma lascio correre e scuotendo la testa entro
anche io in cucina.
Sullo sgabello è seduto ancora in pigiama David. Piccolino,
un po’ grosso in faccia, moro e con gli occhioni verdi. Da
noi due non li ha presi di sicuro, infatti i primi tempi Jimmy si
chiedeva se fosse veramente lui il padre. Spero che scherzasse.
- ciao nanetto! – lo apostrofo per farmi notare.
- ciao mamma... io mangio i pancakes!
- e a me niente?? – gli chiedo fingendomi disperata. Lui
infatti si mette a ridere. Ora che ci penso li voglio sul serio anche
io i pancakes! Mentre con lo sguardo cerco ovunque dove possano essere,
assisto alla scena in entrata di Jimmy.
- hey... e a me non saluti? – gli dice sempre con il suo
sorriso. È da stamattina che non smette di sorridere. Spero
che gli venga una paralisi!
- papino?! – esclama il povero piccolo innocente, saltando ad
abbracciare quello che osa definirsi suo padre. Papino, sì,
sì. Quello sempre presente, che lo sveglia ogni mattina, che
lo porta all’asilo, che gli prepara da mangiare, che poi ci
gioca insieme ecc. ecc. ah no, un attimo. Quella sono io. Dopo questo
pensiero la mia irritazione sale ancora di più. - cosa mi
hai portato?
- questo! – esclama Jimmy sventolando un pacchetto di carta.
Dalla rabbia non me n’ero neanche accorta. Con sguardo
curioso fingo poco interesse quando David lo scarta e ne esce fuori la
maglia dei New England Revs di Jimmy. Che regalo originale.
- grazie papino!
- Ally! – esclama entrando in cucina anche Lynn, la fidanzata
di mio padre – allora com’è andata ieri
sera con il bel... – dice e si blocca non appena vede Jimmy.
– oh... ciao James!
- lasciamo stare che è meglio – rispondo seccata.
So che prima o poi mi rassegnerò al destino avverso.
– dai Dave, presto che dobbiamo andare a casa, vai a
vestirti...
- accompagnami tuuu – piagnucola lui allungando le mani,
aspettando che lo prendi in braccio e subito si presta Jimmy. Secondo
me lo fa apposta. Li guardo furiosa mentre salgono al piano di sopra.
- cos’è questa novità? Non sapevo ci
fosse anche lui... sennò non avrei detto niente di
Alexander... – sussurra Lynn, ma ormai è troppo
tardi cara Lynn. E poi l’indiavolito sa tutto. –
avete fatto pace?
- ASSOLUTAMENTE NO!!! – esclamo come una vipera. Mai e poi
mai.
Toc toc.
Apro la porta senza aspettare una risposta, infilando la
testa nella stanza.
- sto disegnando... – dichiara Cassie. Entro senza problemi.
La stanza di Cassie è particolare. Su una parete viola,
dietro alla testata del letto c’è
un’onda di foto. Tutto intorno al letto
c’è lo studio, l’armadio, lo specchio,
la cassettiera sotto allo specchio. Se l’è
arredata da sola e io l’ho lasciata fare. Io vivevo da sola,
lei viveva da sola, così abbiamo unito le forze e ora
abitiamo insieme. Matt è partito con i militari per un anno.
– è per caso tornato Jimmy? – chiede
concentrata sul disegno. Non riesco a vedere cosa diavolo stia facendo.
- sì – annuisco sospirando.
- wow – commenta senza alcuna emozione, mentre sceglie
accuratamente i pennarelli da usare.
- dove sei andata poi ieri sera? – chiedo. In
realtà sto solo contando fino a dieci prima di cominciare a
lamentarmi di Jimmy.
- ho vagato senza meta per tutta Princeton – dice con aria
cupa. La guardo scioccata. Poi si mette a ridere – sto
scherzando. Ho chiesto ai miei compagni del college di andare a fare un
giro... a te invece com’è andata?
- potevi anche tornare a casa. Se ci avessi pensato prima... quanto
sono scema. Una SCEMA!
- cosa avete fatto? – chiede posando sul tavolo la penna e
girandosi finalmente verso di me. Si tocca gli occhi stanchi. Noto una
delle tante foto nell’onda in cui avevamo sedici anni. Ora
Cassie è castana con i colpi di sole, riccia come aveva
sempre desiderato da piccola, con poco trucco e gli occhiali che mette
solo per disegnare.
- niente. Non abbiamo fatto niente, è questo il punto. Ma ti
rendi conto? Eh? C’era sto qui, bellissimo, quasi da paura,
quasi finto per quanto è bello, LIBERO, pronto per fare cose
divertenti con me... e io cosa faccio? Lo mando a casa sua.
- sarai poco intelligente... – ride sotto ai baffi. Ma che ti
ridi brutta Cassie?! Nessuno mi capisce in questo mondo.
- lo so. E per concludere in bellezza è tornato
quell’idiota – dico. Finalmente posso cominciare a
lamentarmi. Adesso le racconto tutto, dalle sue battutine stupide, al
suo voler guidare per forza, all’aver portato un regalo a
Dave, che adesso lo adorerà ancora di più
perché suo padre ogni volta che torna a casa gli porta un
regalo e sua mamma invece non gli porta mai niente. E poi
perchè devi chiamare lui “papino” e a me
soltanto “mamma”? io sono sempre con lui, non
Jimmy. Anche te Cassie sei sempre con lui e non Jimmy. Anche Meg
è sempre con lui. Non Jimmy. Jimmy non
c’è mai. Non torna mai a casa. Solo quando non lo
voglio. Nel bel mezzo del mio sfogo sentiamo la voce di qualcuno che
è appena entrato in casa.
- permesso?
- siamo quassù – esclamiamo. Con un po' di apatia,
sale le scale e ci raggiunge Meg. Capelli fino alle spalle castano
chiaro, con gli occhiali da sole portati come cerchietto, grosse
occhiaie. Subito colgo l’occasione per disturbarla un po'
– Megan cosa sono quelle occhiaie? Notti folli con Chad?
– scherzo ridendo. La sua espressione è a dir poco
a bocca aperta.
- e te notte folle con Superman? – chiede immediatamente
risentita, alludendo alla somiglianza di Alexander con
l’attore dell’ultimo film di Superman. Non mi ci
fate pensare.
- ma smettila... e comunque no...
- è tornato Jimmy – spiega Cassie intromettendosi
nel discorso.
- ah ecco. Tutto torna... pensavo fossi arrabbiata perché
hai le tue cose...
- speriamo che se ne vada presto – commento stringendo i
pugni provando improvvisamente istinti omicidi. Non farebbe una bella
fine se mi capitasse a tiro in questo momento.
Perché questo odio. Perché questa lite.
Perché. Sinceramente dopo un anno quasi non mi ricordo
più il vero perché. Ci sono diversi motivi per
cui io e Jimmy ci siamo lasciati.
1- Perché si è
presentata la prima scema che voleva rubarmi il marito
2- Perché abbiamo capito che i
nostri dialoghi finivano sempre in un litigio brutale
3- Perché non la smetteva di
fumare in casa
4- Perché mi ha chiesto di
trasferirci tutti a Boston definitivamente e io non ho voluto
Beh effettivamente l’ultima lite è stata proprio
per Boston. Non era una cosa scontata quando è stato
ingaggiato nella squadra della città in una vera serie di
calcio, che non sia quella del liceo o del college. Per lui era davvero
importante. Io lo sapevo, non facevo l’insensibile. Forse ho
sbagliato io a voler rimanere a Princeton con tutta me stessa. Ma io
non ero disposta a lasciare la mia città, la mia vita, tutto
il mio passato. Io non me ne sono mai andata da Princeton per
più di due mesi. Lui sì, si era già
trasferito da Taurins. Cambiare tutto, amici, lavoro, studi. No, no.
Non avrebbe mai fatto per me. Troppo abituata a Princeton per uscirne.
E così all’inizio tornava a casa ogni due
settimane, poi aveva iniziato a mancare qualche settimana, per poi non
farsi vedere per sei mesi. Nei restanti quattro mesi si è
presentato due volte. La nostra storia è capitolata per
colpa mia. Lo so. Ne sono consapevole. E tutte le volte che gli
chiedevo di tornare, ora ci ho rinunciato, la sua risposta era sempre
no. Però la situazione non è normale. Non stiamo
più insieme, io e lui continuiamo a essere sposati, e
nessuno dei due ha mai chiesto il divorzio. Sarebbe una cosa normale
farlo. Chissà cosa stiamo aspettando entrambi.
Chissà perché poi ci siamo sposati. Non lo so.
Non lo voglio ricordare. Basta. Fine.
È stata una giornata troppo intensa. Se penso alle ultime
ventiquattro ore, mi verrebbe da mordermi. Perché?!
Perchèèèèè?!?!?!
Mi viene davanti agli occhi l’immagine di Alexander. So che
mi dovrò licenziare dall’ufficio, o farmi
trasferire in un altro piano. Non posso vederlo mai più, o
per sempre roderò della mia stupidità.
Esco dal bagno in silenzio; addormentare Dave è sempre
un’ardua impresa. Non devo svegliarlo con la mia leggiadria.
Passo in punta di piedi dalla stanza di Cassie, spuntando dalla porta.
È al computer con la web cam in comunicazione con Matt. Gli
faccio un saluto veloce e auguro buona notte a Cassie, poi vado in
camera. La luce è accesa. Ultimamente sono così
rintronata che sicuramente me la sono dimenticata accesa. Appena entro,
un brivido mi percorre la schiena. Jimmy è nel letto.
- no scusa, cosa ci fai tu qui? – chiedo indignata.
- dormo. Nel mio letto.
- nel MIO letto – accentuo il concetto io. Lui deve andare
sul divano! – io non dormo con te...
- beh, il divano ti aspetta – rimango basita a sentire le sue
parole. Ma non demordo.
- non hai capito proprio niente. Sei tu che te ne devi andare...
- non credo proprio
- io invece dico di sì
- scusa come facevamo prima? – si chiede incrociando le mani
dietro la testa. Oltretutto è anche senza pigiama. Devo
riconoscere però che con il calcio ha messo su un fisico
niente male. Che migliora quello che aveva già.
- non sei mai stato più di tre ore in questa casa, dai
sloggia
- mi stai guardando la tartaruga
- contaci. Dai vattene nella camera degli ospiti
- ora è la camera di Cassie – commenta lui
sarcastico. Ah, è vero. Ok mi arrendo. Mi sdraio anche io
accanto a lui, innervosita.
- ma quand’è che te ne vai? Domani?
- mi dispiace per te, ma sono stato espulso per cinque giornate.
- ah benissimo, cinque giornate, cinque giorni, così te ne
vai la prossima settimana...
- non conosci bene il calcio, cinque giornate significa cinque
settimane... – dice. Mi volto di scatto verso di lui.
- stai scherzando?
- ti piacerebbe
- sì mi piacerebbe – rispondo a tono continuando a
guardarlo intensamente.
- beh comunque no.
Io sono finita. Io non ci arrivo a cinque settimane di
convivenza. Non ce la farò mai.
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Capitolo 3 *** lonely nation ***
Singing without tongues Screaming
without lungs I want more than my lonely nation
Qualcuno potrebbe pensare che il sogno di tre migliori
amiche sia quello di andare a vivere tutte e tre insieme. Il che
potrebbe avere scatenato una sorta di gelosia in Meg quando Cassie si
è trasferita a casa mia, ma togliendo il fatto che
è una sistemazione temporanea, come diciamo poi o meno da
sei mesi, Meg convive con Chad a meno di cinque casette nella stessa
strada. Lei però si che è intelligente. Ho sempre
adorato il suo modo di pensare: convive tranquillamente con Chad da due
anni, non sono sposati, non hanno nessun vincolo, conti separati,
lavori separati, niente in comune. Mica come me, no, io dovevo
strafare. Ricevo un messaggio di Meg, con l’obbligo di
presentarsi in gelateria alle 5 e di avvisare anche Cassie.
Avrà un calo di zuccheri. Prendo al volo
l’occasione di riempirmi la pancia, lasciando Jimmy e Dave a
fare i fatti loro, visto che è tutto il giorno che mi
escludono dalla loro vita con mia immensa invidia e nevrosi. Chiamo
Cassie e le dico di raggiungermi per conto suo da Sweet Lucy.
Arrivo davanti alla gelateria, mentre le mie due migliori amiche sono
già davanti alla porta, una seduta da sciancata e
l’altra sopra di lei, ad aspettarmi. Strano che sia io
l’ultima, di solito non faccio così tanto ritardo.
- sììììì!!!
Gelatoooooo!!!! – si sveglia Cassie e si alza di scatto
appena mi vede, pronta per un gelato cioccolata e biscotto. Il suo
solito. Entriamo imbarazzate di essere le uniche al di sopra dei
quindici anni là dentro, escludendo la gelataia. Si avvicina
un po' vergognosa alla cassa e lo ordina, lo stesso faccio io, poi
è il turno di Meg.
- per te signorina? – chiede la nonna gelataia. Penso che sia
in quella gelateria da quando hanno inventato il gelato come alimento.
Ha tante grinze quanti sono i suoi anni.
- niente grazie. – declina gentilmente, e alla sua destra
cala un silenzio tombale. Cassie ed io la guardiamo con gli occhi
spalancati. Sorride facendo finta di niente, correndo verso un tavolo.
La seguiamo, ancora scioccate.
- abbiamo capito tutto – dice Cassie che dà
l’idea di aver trovato una spiegazione.
- davvero? – chiede e sembra quasi sollevata.
- sì. Che vuoi sembrare magra quando vai al mare, ma non ci
potevi pensare prima? Ormai siamo a Luglio – risponde lei.
- non è per quello, Cassata. – le dice facendole
la linguaccia.
- Megan-lomane!
- Cassapanca!
- basta bambine – intervengo io, altrimenti andremmo avanti
così per tutta la giornata. Cassie conclude con una
linguaccia e continua a mangiare.
- vi ricordate quando vi dicevo che se mai fossi rimasta in cinta
sareste state di certo le prime a saperlo? – fa una bizzarra
domanda Meg.
- sì ce lo ricordiamo – rispondo continuando
imperterrita a mangiare. – è stato divertente
quando ve l’ho detto io...
- io invece non ve lo direi per prime, lo direi prima a Matt, se fosse
lui il padre, o comunque lo direi al mio fidanzato di allora, e solo
dopo lo direi a voi. – pensa ad alta voce Cassie. Lei ci
guarda per un lungo momento – sì comunque ce lo
ricordiamo.
- ecco... – introduce di nuovo il discorso. Momento di
silenzio.
- ecco cosa? – chiede Cassie, come appena caduta dal pero.
- volete il comunicato stampa o ci arrivate da sole? –
risponde seccata. Alzo gli occhi dal gelato e con gli occhi fuori dalle
orbite. Si morde il labbro.
- Meggy... – sussurro, scandendo le parole cautamente
– sei....?
- sì... sono – conferma con lo stesso tono di
voce. Cala ora un secondo silenzio tombale. Ci guardiamo tutte e tre in
faccia per un lungo momento.
- ma.... è uno scherzo? – chiede Cassie fuori di
sé.
- secondo te farei uno scherzo del genere??
- e come è successo? – continua con le sue domande
intelligenti.
- oh beh, la conosci la storia dell’ape e del fiore??
- che stupida che sei...
- no, tu che domande del cavolo fai? – chiede scocciata.
Sento già le lacrime che si stanno formando.
- Meg, non è una cosa facile da conoscere in questo modo,
dico... ma sei pazza? Mentre mangiamo? Rischi di farci soffocare in
meno di un secondo, diccelo subito se ci vuoi morte. –
aggiungo. Un’altra delle mie battute poco divertenti. Il mio
modo di sdrammatizzare andrebbe riveduto. Di solito è Cassie
quella che ride e scherza in ogni occasione, ma ormai Cassie
è nel panico più generale, non si ricorda neanche
come nascono i bambini.
- grazie, molto simpatiche. Volevo farvelo sapere per prime, e in
qualità di migliori amiche mi aspettavo una parola di
conforto, visto che non so come dirlo a Chad...
- ti prego non cominciare con “ti ricordi
quando...” perché devi ammetterlo, non funziona
affatto – commenta Cassie - comunque sai benissimo che
scherziamo ma appena hai bisogno puoi contare su.... – dice
strofinandosi con la mano un occhio. Non saranno....
lacrime?! Se vedo lacrime mi metto a piangere. Cassie si gira
dall’altra parte senza concludere la frase, e so
già che sta cercando di trattenersi. Mi volto mordendomi
ancora più forte il labbro per trattenermi io stessa, in
cerca del supporto di Meg, che sta tirando su con il naso, sbattendo le
palpebre.
- no ragazze dai... – dice con voce tremolante.
- siamo troppo giovani per affrontare tutto questo!! – frigna
Cassie, asciugandosi gli occhi.
- ho solo ventitre anni – piange anche Meg, di rimando.
- ragazze, dobbiamo farci forza!! – rispondo io, ancora
emozionata. Intanto si avvicina la vecchia gelataia, preoccupata.
- signorine, c’è qualcosa che non va?
- siamo troppo giovani per affrontare tutto questo!!! –
esclama nuovamente Cassie piangendo.
- oh poverine! – si commuove la vecchia e se ne va. In tre
secondi torna e ci porge un fazzoletto ciascuno. – non
è tanto, ma ogni tanto un gesto di qualcuno vale
più di ogni parola...
- grazie signora – piangiamo ancora tutte quante. Quando la
finiremo di riguardarci puntate su puntate di “una mamma per
amica”??
Torniamo a casa un po' sconsolate io e Cassie, dopo aver riaccompagnato
Meg a casa, continuando a tirare su con il naso per trattenere il
pianto. Entriamo in casa e troviamo tutto in terra. Quasi mi metto di
nuovo a piangere. Ma che è successo? Sembra passato un
uragano.
- Yeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! – un urlo
proveniente da sopra non ci promette nulla di buono. Salgo di corsa le
scale, prima di assistere alla catastrofe mondiale per eccellenza.
- ma cosa state facendo? – chiedo entrando in camera di Dave
e rimango stupita se non scioccata. Jimmy è stramazzato in
terra a fianco al letto e Dave è sopra alla sua pancia.
- tuo figlio mi vuole uccidere – risponde Jimmy con voce
agonizzante. Dentro di me sto ridendo a crepapelle.
- Dave! Quante volte ti ho detto di non saltare sul letto? –
chiedo, senza minimamente provare pietà per Jimmy.
– la prossima volta che ti vedo o che qualcuno me lo
riferisce sai già che fine fai – lo rimprovero con
espressione furiosa. Lui corre via urlando ancora più forte.
Mi avvicino a Jimmy ancora morto in terra e lo scruto
dall’alto. – puoi alzarti adesso.
- sai che non è male la vista da quaggiù?
- vuoi che ti salti sulla pancia come ha fatto Dave?
- no grazie. Soprattutto con quei tacchi – replica lui
contorcendosi sul pavimento. Sorrido soddisfatta di me stessa e di come
ho cresciuto bene mio figlio. E delle mie nuove scarpe. Non provo la
minima pietà. – per curiosità, che fine
gli fai fare se salta ancora sul letto? L’uomo nero?
- ma quale uomo nero... gli ho detto che lo mando a vivere dalla vicina
di casa amante dei gatti!
- ma chi quella con la treccia lunghissima arrotolata in testa che ha
gli occhi iniettati di sangue? – chiede curioso.
- esatto
- che madre cattiva che sei – commenta ridendo. Mi metto a
ridere anche io. No!!! Ma che cosa faccio!! Sto ridendo con Jimmy! Non
devo!!! Smetto subito e allungo la faccia per non ridere.
Sono in ritardo, sono nel più totale ritardo. Altro che
promozioni, aumenti e sostituzioni al capo, qua mi licenziano in
tronco. Sono ancora in casa e dovrei essere in dieci minuti in ufficio.
Se non fosse stato perché Jimmy per tutta la notte non ha
fatto altro che stare stravaccato lungo tutto il letto e io mi sono
addormentata soltanto alle 6 del mattino, per non sentire la sveglia
delle 8.
- ma porca....!!!! – esclamo mentre rischio di inciampare e
farmi le scale di sedere, trattenendomi non appena spunta la testolina
di Dave sul divano insieme a Cassie.
- oh buongiorno – saluta Cassie con tutta la calma del mondo.
È quando tu sei in ritardo che gli altri impostano la
velocità lumaca in tutte le loro azioni.
- buongiorno – ripete Jimmy uscendo dalla cucina
tranquillissimo con due tazze di caffè.
- ma siete tutti svegli! Ma perché non mi avete chiamata?!
- dormivi così bene... – commenta Cassie
innocente. È lui che ha tutta la colpa, lui!
- siete degli scemi! – esplodo cercando come una forsennata
le chiavi della macchina.
- mamma ha detto scemi! Scemi! Scemi! Scemi! – ridacchia Dave.
- Dave, niente parolacce o sai che fine fai! Comunque non ho tempo per
discutere, devo andare, a più tardi!! – urlo
correndo verso la porta. Appena fuori mi catapulto addosso a una cosa
raggrinzita che stava impalata davanti alla porta. –
aaaaaaahhhh!!! – urlo impaurita. È la vicina di
casa. La vecchia gattara.
- Allyson, tesoro, avrei bisogno di chiederti... – chiede con
la stessa velocità lumaca che aveva prima Cassie. che brutta
mamma mia. Ma non ho tempo di sentire anche le sue lamentele sui gatti
o sul pallone che finisce nel giardino eccetera.
- mi scusi vado di fretta, chieda a mio marito, entri senza problemi
– le urlo mentre continuo a correre lungo il vialetto, ma
posso sentire benissimo l’urlo di terrore di Dave appena la
Gattara entra in casa. Non mi viene neanche in mente il cognome. In
tempo record parto da casa verso l’ufficio. So già
cosa mi aspetta. Quegli occhi azzurri e quel fascino da paura che mi
fisseranno tutto il tempo. E che sono quelli del mio supervisore al
quale ho tirato un palo dritto dritto in faccia. Secondo me mi licenzia
prima del tempo, ne sono sicura. Riesco ad arrivare con soltanto dieci
minuti di ritardo e corro fino all’ascensore. Settimo piano =
information communication technology. Se mi chiedete
cos’è, brevemente significa coordinare dal punto
di vista tecnico gestionale la gestione di un’infrastruttura
sistemistica. Ancora più brevemente significa programmare
computer. Io non faccio niente di tutto ciò per mia fortuna.
Conti, calcoli, management, statistiche. Niente a che fare con i miei
studi di ingegneria edile. Appena arrivo in ufficio tutte le segretarie
mi guardano male e poi fanno commenti con quella vicina. Non so se
perché sono in ritardo o perché hanno
già deciso di licenziarmi o perché posso avere
una mega caccola che spunta dal naso. Mi avvicino alla mia scrivania e,
dopo aver controllato che non ci fosse nessuna caccolona,
guardo la stanza di fronte, con la scrivania vuota per fortuna, questo
vuol dire che Alexander non c’è. Ma appena mi
siedo ecco che spunta con passo svelto e deciso verso di me, tanto che
sembra che stia prendendo la carica per darmi uno schiaffo.
- buongiorno Allyson, oggi mi presenterai le statistiche di vendita ok?
– dice con voce scocciata, come se fosse la cosa
più brutta del mondo. Sì in effetti, dopo
venerdì sera, è un po' imbarazzante. Poi aggiunge
– entro le 10.
- si certo – rispondo come se l’avessi
già pronto sotto. Con tanta pazienza aspetto che si
allontani per andare a vedere che ore sono. Le 9.30, ma è
fuori di testa? E io come faccio a fare una statistica in
mezz’ora?? Adesso gliene vado a dire due. Ma appena faccio
cenno di alzarmi si appollaia sulla mia scrivania con occhi assatanati
una delle tante segretarie che sbavano dietro ad Alexander, ma questa
è la peggiore di tutte, la più fanatica maniacale
psicopatica assatanata di lui. Rachel, da me rinominata Racchia. Sa
ogni cosa di lui, data di nascita, indirizzo, numero di capelli sulla
testa, costo di ogni sua spesa. Nonché tutti i suoi
spostamenti; e quando dico tutti intendo anche quelli che dovrebbero
essere “di nascosto”.
- allora? – apostrofa rivolta a me. La osservo senza darle
tanta confidenza e senza rispondere. –
com’è andata l’uscita?
- tutto bene – mi limito a rispondere con aria di
sufficienza. Mica dirle che è stato un disastro alla fine in
modo da aumentare la sua autostima e la sua convinzione di potere avere
qualche possibilità con lui. – ma è per
caso arrabbiato? – approfitto dei pettegolezzi.
- allora ti dico – inizia con quella sua vocetta da gallina.
– appena è arrivato, non ha salutato ma ha chiesto
subito chi l’aveva cercato, ma soprattutto ha chiesto
dov’eri tu, poi ha tipo fatto così con
l’occhio – cerca di imitare malamente un occhiolino
ma è troppo esaltata perché sta parlando del suo
mito che non si accorge di stare parlando da sola, perché io
me ne sono già andata.
- Alexander! – esclamo dopo essere entrata e aver sbattuto la
porta. Nei telefilm funziona per attirare l’attenzione.
Alexander, che prima era impegnato a fissare con aria concentrata lo
schermo del computer, ora mi guarda a bocca aperta, notando la mia
finta faccia incavolata. Funziona! Sarà meglio che mi muovi
a dire qualcosa – è inutile che fai finta di fare
l’arrabbiato e cominci a chiedere la luna anche se sai
benissimo che in mezz’ora non posso presentarti le
statistiche di vendita, solo perché venerdì non
te l’ho data, l’unica ragione per cui sei
arrabbiato è perché sono la prima persona che ti
ha respinto – e dopo è un fiume di parole
incontrollabili dal mio strato cerebrale – e tu non hai mai
sentito un no prima di me, ma devi fartene una ragione sai? eh? Sai?
- certo – si limita a rispondere. Oh, non mi aspettavo una
risposta del genere. Ma non doveva rispondere così.
- beh... se vuoi sapere perché ti ho respinto è
perché...
- non voglio sapere niente Allyson. Sei licenziata.
C.V.D. Come volevasi dimostrare.
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Capitolo 4 *** here comes the sun ***
Little
darling, it's been a long cold lonely winter Little darling, it feels
like years since it's been here Here comes the sun, here comes the sun
And I say it's all right
- ti ha detto “non voglio sapere niente, sei
licenziata”????? – chiede allibita Cassie.
- sì! – sussurro io, ancora più
allibita di lei.
- e tu cosa le hai risposto?
- me ne sono andata.
- ragazze, perché stiamo parlando a bassa voce? –
chiede Meg. Supponendo che siamo nel giardino nel retro della casa, che
sia luglio e sono tutti già in vacanza, non abbiamo proprio
nessuno da cui nasconderci. Anche perché Dave dorme in casa
e non credo possa sentire fino a qui.
- non lo so, ma nessuno ci deve sentire – borbotta Cassie,
guardandosi intorno, come se stessimo vivendo in un film di spionaggio.
- comunque, finita con la mia sventura... e a parte il fatto che non ho
lavoro fino a settembre... MEG? Ci devi raccontare qualcosa tu?
– chiedo enfatizzando l’ultima domanda.
- sssssssshhhhhhh!!!!! ....comunque no – esclama come se
fosse stata scoperta. Allora vedi che avevo ragione a parlare a bassa
voce?
- e cosa aspetti? Che nasca? – le dico sarcastica.
- conosci un modo per camuffare la pancia fino ad allora? –
domanda seria, con gli occhi pieni di speranza. La guardo torva. Non lo
conosco e non voglio conoscerlo. – ok, scherzavo, ma scusami,
consigliami. Tu come l’hai detto a Jimmy?
Non è stato bello. Ricordo benissimo che i litigi sono
cominciati da allora. Prima eravamo la coppia più bella del
mondo, compreso il e ci dispiace per gli altri. Poi un bel giorno me ne
esco con la tipica frase “sono in cinta” e da
lì la coppia più bella del mondo è
scomparsa per fare posto a siamo la coppia più scoppiata del
mondo. Racconterò a Meg un altro giorno la storia triste che
c’è dietro, prima di terrorizzarla del tutto.
- meglio lasciare perdere...
- Cassie, tu cosa faresti al posto mio? Cosa diresti a Matt?
– chiede Meg sbattendo le palpebre velocemente.
- non mi parlare di figli per carità. Già quel
poveretto sta in guerra, pensa te se vuol sentire parlare di figli. Mi
usa come minimo come bersaglio... – commenta Cassie
discolpandosi di qualsiasi cosa. Lo so che ora Meg torna
all’attacco. Infatti, in meno di tre secondi si rigira verso
di me incrociando le mani pregandomi.
- ti prego aiutami!!!
- mica posso dirlo io a Chad! Meg... devi prenderti le tue
responsabilità!
- e se faccio andare a vivere Jimmy con Chad? Se lo rimando a Boston?
– chiede speranzosa. Sta adottando la tattica della
compravendita. Ammetto che la proposta è molto allettante.
- non riuscirai a comprarmi in questo modo – mi impongo io.
– però mi è venuta in mente
un’idea...
- pss, pss, sveglia – sussurro nell’orecchio di
Dave. L’ho trovato che dorme abbracciato al gatto, che nel
frattempo cerca di dimenarsi stritolato dalle sue manine;
chissà quanti calci gli ha dato nel sonno. E poi se non lo
sveglio adesso non dormirà stanotte. E io voglio dormire di
notte. Lascio andare Sushi che appena liberato corre
all’impazzata lontano da Dave soffiando terrorizzato.
- perché mi hai svegliato? – chiede con voce
assonnata.
- vai da Chad, digli che vuoi andare alle giostre e che ci vuoi andare
solo con lui o con Meg
- perché? – chiede curioso. Insomma Dave,
è per una giusta causa.
- e digli che se non ti porta lui ti metti a piangere... –
cerco di sviare la spiegazione.
- ma io ci voglio andare con papà – si mette a
lagnare. No, con papà no. Poteva almeno dire “ci
voglio venire con te mamma” non con Jimmy. Questa non posso
accettarla.
- se lo fai, ti faccio un bel regalo – gli propongo. So come
comprare i bambini, infatti subito gli si illuminano gli occhi. Questa
è anche un’occasione per sabotare la
felicità di Jimmy. Eheheh.... rido sotto ai baffi
– anzi ti porto al negozio di giocattoli e scegli tu il
regalo che vuoi.
- sìììì!!! –
esclama contento.
- allora ripetiamo insieme... tu ora scendi da Chad e gli dici....
- Chad, mi porti alle giostre?
- ma scusa Dave, non disturbare Chad, ti porto io alle giostre
– interviene quel Jimmy del cavolo, da bravo papà
supereroe. Dave si gira a guardarmi titubante e fa il labbrino quando
vede il mio sguardo truce. So che vuole tradirmi andando alle giostre
con il supereroe. Ci pensa un attimo. Gli punto il dito contro e il mio
sguardo parla da solo.
- no... io ci voglio andare con Chad – dice subito dopo.
Bravo bambino, come ti ho educato per bene. Alla faccia di Mister
“sono il papà dell’anno ma vengo a
vedere mio figlio solo una settimana all’anno”.
Tiè! Penso mentre esprimo il mio compiacimento con
un’espressione maligna.
- ma lascia stare Chad, ti porto io – insiste Jimmy. Ancora
eh. Se non si fa i fatti suoi, mi tolgo una scarpa e gliela lancio
dritta in faccia.
- ma se il bambino vuole andare con Chad perché non
mandarcelo? – intervengo io sotto uno sguardo infastidito di
Jimmy. – d’altronde vede più spesso Chad
di te. – ci tengo a sottolineare la sua assenza. Sempre e
comunque.
- ragione in più per andarci con me. – ribatte
Jimmy in tono di sfida.
- sì dai, non c’è problema –
interviene prontamente Meg – sarà divertente, vero
Chad?
- sì certo, vieni campione – risponde subito lui.
Io e Cassie osserviamo attentamente la sua espressione, e non sembra
finta. Potrebbero esserci buone possibilità. Per almeno il
45%. Oh, devo smetterla di fare continuamente statistiche.
- a che ora lo riportiamo? – chiede Meg, trattenendosi da una
risata isterica. È da Meg non saper fingere, al che realizzo
che l’unico bravo attore qua è mio figlio.
- lo veniamo a prendere noi a casa tua stasera – rispondo con
determinazione io – noi tutti dobbiamo andare da una parte...
- che parte? – chiede Jimmy da bravo guastafeste. Ovvio, non
avevo pensato anche alla sua curiosità. Cerco di
comunicargli il sotterfugio attraverso il mio sguardo, ma con scarso
successo. In realtà questo aumenta soltanto i suoi dubbi
sulla mia stabilità mentale. Ma d’altro canto
dovrebbe conoscere i miei sbalzi di fantasia.
- da una parte! – ripeto io.
- sì dobbiamo andare a... – interviene Cassie e
anche lei non sa cosa dire – a... beh comunque è
tardissimo, dobbiamo andare... e anche voi! – comanda
spingendo fuori casa l’ignaro, l’attore e la
sincera. Appena chiude la porta, Jimmy guarda me e Cassie scuotendo la
testa, poi finalmente sbotta.
- si tratta di un vostro piano vero?
- sì e ora vattene. Deve venire quello di ripetizioni
– sbotto tutto d’un fiato, cacciando di casa anche
lui.
Porto i libri al piano di sotto, mentre Sushi mi guarda truce. Lo so
che vuole mangiare, ma è già troppo obeso, non
può ridursi ad essere una mongolfiera.
- no è inutile che mi guardi in questo modo – gli
dico guardandomi allo specchio e sistemandomi un attimo, poi appoggio i
libri sul tavolo.
- con chi parli? – chiede una voce. Sussulto un attimo, poi
mi giro a guardare. Sulla porta c’è Nick, il mio
alunno. Lo so, lo so, mi sono sistemata allo specchio e non so neanche
io che motivo ci sia, lui ha solo diciott’anni, ma giuro che
è bello. Molto bello. Se avesse qualche anno in
più... no vabbè, di sicuro farei la stessa
figuraccia che ho fatto con Alexander e di conseguenza non lo rivedrei
mai più. Ok per l’ennesima volta gli ormoni stanno
parlando al posto mio. Non iniziamo bene la lezione.
- con il gatto – commento grattandomi la testa imbarazzata.
Lui e i suoi occhioni azzurri si avvicinano.
- ah brava prof... sai che mia madre prende degli psicofarmaci
eccezionali? Se vuoi ti faccio consigliare...
- ah ah simpatico. Adesso rido io quando tu farai gli esercizi sulle
derivate, voglio proprio ridere.
- sei una prof cattiva. – si incupisce mentre si siede.
Ebbene sì. Faccio ripetizioni di matematica. Anche questo
non ha niente a che fare con i miei studi di ingegneria edile.
- impari a studiare durante l’anno, così non mi
vedrai mai più durante l’estate
- mi dispiacerebbe non vederti – dice con voce ammaliante
guardandomi con quegli occhioni attraenti. Abbasso immediatamente lo
sguardo e fingo di non aver sentito mentre sono intenta a trovare la
pagina nel libro che parli di derivate. Non vorrei che
l’ormone più pazzo agisse al posto mio.
– dov’è Dave? – cambia subito
discorso.
- con una mia amica al parco – se sapesse perché e
per come mi prenderebbe anche lui per una pazza, già mi ha
consigliato degli psicofarmaci. Spero che Jimmy non passi da qui in
questa ora. Io l’avevo avvertito, ma non si sa mai. Non
voglio che Nick lo veda. Saprà sicuramente
dell’esistenza di un padre di questo povero bambino, ma mica
voglio che sappia che si aggira per la città. Cerco a
spiegare nel miglior modo che le derivate delle funzioni composte vanno
risolte tutte insieme. Anche io ai miei tempi ci avevo messo secoli.
- com’è la tua amica?
- impegnata, questo è sicuro e se non vuoi una botta in
testa è meglio che ti metta subito a studiare!
Appena finisco le ripetizioni, io e Cassie andiamo a prendere Dave a
casa di Meg e Chad.
Ormai si sta quasi facendo buio, quindi spero che sia abbastanza stanco
da addormentarsi subito stasera, così, prima si addormenta,
prima mi levo di mezzo Jimmy. Entriamo furtive in casa, per spiare la
situazione. Meg è ai fornelli e Chad sta dando da mangiare a
Dave.
- dai Dave, manca un solo boccone – sorride e scherza.
- ma che bella famiglia! – esclama Cassie intenzionalmente.
- sul serio, lo volete? Ve lo regalo, non scherzo! Mangia poco, dorme
tanto, non rompe neanche le scatole, non è male... vero
David? – scherzo io, con Dave che dissente - comunque...
cos’avete fatto di bello oggi?
- siamo andati sul bruco, poi sulle macchine, poi sugli autoscontri,
poi, e poi, Chad mi ha comprato lo zucchero filato – dice
Dave tutto contento.
- ah che bello – esclamo, quando in realtà
immagino di mangiarlo io lo zucchero filato. Faccio desideri su cibi
neanche fossi io quella incinta – bravo Chad, ma lo
sai che ci sai proprio fare con i bambini? Sembra che Dave si sia
divertito molto... – gli dico, mentre si alza a sparecchiare.
È anche un bravo uomo di casa.
- grazie Ally... sentito Meg? Sono bravo! – si loda da solo
andando a disturbarla.
- sono in cinta – risponde lei. Noi la guardiamo tutti
sconvolti. Io non intendevo proprio questo come modo per dirglielo, e
poi non davanti a noi. Certo che anche Meg... guardiamo spaventate e
allo stesso tempo curiose la faccia di Chad. È peggio della
nostra. È sbiancato.
- cosa?
- sono in cinta! – ripete Meg con un abbozzo di sorriso.
- scusate... – farfuglia Chad appoggiandosi al bancone della
cucina – non mi sento bene – e poi cade in terra.
Svenuto.
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