Mollie era morta per cominciare.
Non c’è alcun dubbio in proposito. Burt
Hummel non aveva mai dimenticato. Difatti, c’erano giorni in cui quello era
tutto ciò che sembrava ricordare. Dopo otto anni di matrimonio, sua moglie era
morta, abbastanza all’improvviso e senza il suo permesso, lasciandolo da solo
tranne che un timido figlio di ben poca importanza e decisamente troppo simile
alla moglie scomparsa. L’aveva sepolta in un freddo e nevoso giorno di Natale, e
anche se la chiesa era colma di gente il giorno del funerale, era certo che
nessun altro aveva sentito la sua perdita tanto acutamente quanto
lui.
La menzione del funerale di Mollie mi
riporta al punto da cui volevo cominciare. Non c’era dubbio che Mollie fosse
morta. Questo deve essere assolutamente compreso, o nulla di meraviglioso potrà
venire fuori dalla storia che sto per raccontare.
Burt Hummel non era un uomo avaro. Non era
un’opprimente, falso, avido, cupido vecchio peccatore. Ma era un uomo austero,
un uomo silenzioso, duro e tagliente come selce, chiuso e riservato, e solitario
come un’ostrica. Lavorava ogni giorno dell’anno, regolando il suo tempo dentro e
fuori la sua officina perfettamente tenuta con sbalordente diligenza, rinchiuso
in sé stesso senza insignificanti conversazioni con clienti o impiegati, e
manteneva un’immacolata reputazione di essere una particolarmente terrificante
specie di essere umano.
Nessuno lo fermava mai in strada per
chiudergli come stava. Nessun medicante lo pregava per qualche moneta, nessun
bambino gli chiedeva l’ora, nessun uomo o donna gli aveva mai chiesto in tutta
la sua vita la strada per questo o quel posto. Le anime temerarie che aveva
tentato queste domande nei primissimo giorni dopo la morte di sua moglie avevano
ricevuto un breve grugnito e un’occhiata fulminante.
Ma cosa importava a Burt Hummel? Era proprio
la cosa che gli piaceva, il farsi strada lungo gli affollati sentieri della
vita, avvertendo ogni genere di compassione umana di tenersi a distanza. Alcuni
ricordavano i giorni prima della morte di sua moglie, un vago distante ricordo
di un uomo gentile pieno di accorto giudizio, ma nessuno glielo menzionava mai.
Nessuno gli parlava proprio, infatti, a meno che non fosse strettamente
necessario.
Una volta, nell’anno di nostro signore 2020,
era Natale. Beh, per essere precisi, il giorno prima di Natale.
Questo felice giorno giunse senza il minimo
riconoscimento da parte del nostro signor Hummel, che continuò il suo lavoro con
una costanza insieme ammirabile ed allarmante. Le vacanze non significavano
nulla per lui. Halloween e Pasqua, Capodanno e giorno del Ringraziamento, e sì,
in particolar modo a Natale, lui arriva alla sua officina alle sei del mattino e
lavorava fino alle sette di sera.
I suoi impiegati erano obbligati a fare lo
stesso; per esempio, in questo preciso momento, uno di essi, un uomo allampanato
vicino ai trent’anni, stava tremando mentre cercava di rimpiazzare un
collegamento con le mani quasi congelate. Cercò di infilarsi un paio di guanti
lisi, ma quelli rendevano le sue dita già impacciate del tutto pericolose, e
così strinse i denti per resistere. Il signor Hummel non lo notò, o
semplicemente non gliene importava. Il riscaldamento era un lusso, e non gli
importava molto dei lussi. Perciò, con le sue porte spesso aperte e le finestre
ammaccate, l’officina era abbastanza gelata in questo giorno di dicembre in
Ohio.
Il nostro signor Hummel era immerso fino ai
gomito in un motore quando fu avvicinato da un giovane uomo. Pelle chiara e
occhi blu, vestito in un semplice ma bel tagliato cappotto rosso e pantaloni
gessati, si sarebbe potuto considerare abbastanza affascinante se non fosse
stato per quanto sembrasse timoroso. Si avvicinò a Burt Hummel con attenzione,
gli stivali lucenti che facevano deboli suoni sul pavimento di cemento sporco,
ma non venne salutato.
Il giovane si schiarì la gola, raddrizzando
le spalle e mettendo su un’aria di falsa contentezza. "Buon natale, papà" disse,
in tono leggero e falsamente allegro.
Il signor Hummel si raddrizzò, allineando il
suo sguardo al ragazzo dagli occhi blu. "Che diavolo, Kurt?".
L’allegria evaporò, ma Kurt si issò sulle
punte, le mani sepolte in tasca, e sorrise. Le sue guance erano arrossate dal
freddo e i suoi occhi luminosi. "Io e Blaine siamo in città per
Natale".
"Il tuo amico".
"Marito".
Questo scambio di battute aveva il sapore di
una battaglia spesso combattuta; l’impiegato con le mani gelate distolse lo
sguardo dal suo motore per vedere se sarebbe proseguita oltre. Non
accadde.
"Perchè sprechi il tuo denaro per venire in
Ohio per Natale?" domandò il signor Hummel. "Sei povero abbastanza".
"Perché non festeggi il Natale? Sei ricco
abbastanza" ribatté Kurt.
Il signor Hummel si accigliò. "Perdita di
tempo".
Kurt sospirò. "Non essere sprezzante,
papà".
"Beh, che cosa vuoi da me?" domandò Burt.
Accennò con la mano alle auto ammassate nell’officina. "L’unica cosa buona del
Natale sono le persone che viaggiano durante le tormente di neve e sfasciano le
loro macchine. In inverno faccio il doppio di quello che faccio in estate. E tu
e tuo… Tu sprechi denaro noleggiando una macchina e guidando da New York City,
solo per una festa inventata dalle compagnie di biglietti d’auguri". Gesticolò
ampiamente con un arnese coperto d’olio. "Lo sai, se potessi fare a modo mio,
ogni idiota che se ne va in giro gridando ‘Buon Natale’ dovrebbe essere cucinato
nel suo tacchino troppo costoso e sepolto con un ramoscello di agrifoglio
infilzato nel cuore".
"Papà!" esclamò Kurt, orripilato.
"Figliolo" disse il signor Hummel. "Tu fa’
quel diavolo che ti pare per Natale, e io farò quello che voglio con il
mio".
"Ma tu non fai nulla per Natale".
"Allora, lasciami in pace e basta. Non che
mi abbia mai fatto granché bene. E nemmeno a te".
Kurt raddrizzò le spalle. "Papà, so che le
cose non sono più state le stesse da quando…".
"Non dirlo".
"… Da quando mamma è morta" proseguì Kurt.
"Ma non puoi continuare a vivere così. Ti stai facendo strada verso una morte
prematura, non hai amici, a malapena hai una…".
Qui si interruppe, ma immagino volesse dire
"famiglia".
Kurt strinse i pugni nei confini delle sue
tasche. "Nessuno di noi due ha ricordi particolarmente belli di questo periodo
dell’anno. Ma anche se abbiamo passato alcuni anni duri, ho sempre pensato che
il Natale sia una festa meravigliosa. Un bel periodo, gentile, conciliante,
benevolo, piacevole, in cui le persone smettono effettivamente di comportarsi da
idioti e passano del tempo con le loro famiglie e trattano le persone intorno a
loro come esseri umani di qualche valore. E questo è il motivo, papà, per cui
penso che il Natale mi ha fatto bene, e me ne farà ancora, e se non fossi
ateo, allora chiederei a Dio di benedirlo".
"Amen!" intervenne il meccanico con le dita
congelate, e il nostro signor Hummel, mi dispiace dirlo, gli lanciò un occhiata
che gettò il povero giovanotto in un lavoro frenetico, nel tentativo di cercare
in qualche modo di rimediare al suo sbaglio.
"Hudson, se appena sento un altro verso
venire da te, potrai festeggiare il Natale all’ufficio di collocamento" lo
minacciò il signor Hummel. Si girò di nuovo verso il figlio. "Hai una bella
parlantina. Peccato non ti sia dato alla politica invece che alla
moda".
Sputò di bocca l’ultima parola come qualcuno
avrebbe detto "cuccioli macellati" o magari "ridere di bambini nel reparto di
oncologia".
Il rossore svanì dalle guance di Kurt. "Non
essere arrabbiato, papà" disse, scivolando più vicino. "Io e Blaine festeggeremo
insieme alla sua famiglia domani, e… abbiamo alcune… alcune buone notizie, e
saremmo davvero tutti felici se ci fossi anche tu".
Fu prontamente ignorato.
"Papà, per favore. Perchè…".
"Perchè?" lo interruppe il signor Hummel.
"Perché ti sei sposato?".
Kurt sbatté gli occhi. "Perché mi sono
innamorato" rispose, semplice e disadorno.
"Perché ti sei innamorato" lo beffò il
signor Hummel. "Ragazzo, lascia che ti dica una cosa, non ti farà nessun bene.
Fidati". Si girò verso il motore della macchina. "Ci vediamo più
tardi".
Kurt si avvicinò, non volendo essere
congedato così facilmente. "Papà, non sei mai venuto prima del matrimonio.
Perché non usi questo come scusa adesso?".
"Ci vediamo più tardi".
"Non ti sto chiedendo niente. Perché non
puoi venire e cenare con noi e basta?".
"Ci vediamo più tardi".
Kurt fece un passo indietro, il volto privo
di ogni colore; il suo cappotto rosso accesso servì solo a farlo apparire ancora
più pallido e malaticcio. "Mi dispiace che tu ti senta in questo modo" disse, il
mento sollevato con ostinazione e la voce che tremava giusto un pochino. "Non ho
mai litigato con te prima, e non so perché mi odi così tanto. Ma ho pensato… di
dover almeno tentare". Fece un passo indietro, i piedi fermamente piantati al
suolo. "Buon Natale, papà".
"Ci vediamo più tardi".
"No, non lo farai!" sbottò Kurt, la
sua collera che aveva la meglio, e uscì di corsa, quasi scontrandosi con
l’infelice meccanico che lavorava vicino alla porta. "Ciao, Finn. Buon
Natale".
"Buon Natale, Kurt" ricambiò Finn
Hudson.
Il signor Hummel roteò gli occhi. "Nemmeno
trent’anni, tre figli e niente moglie, se ne va pure in giro a parlare di un
buon Natale" mormorò tra sé.
Ignorò il figlio mentre lasciava l’officina,
ma entrò un’altra persona, offrendo un caldo sorriso a Finn Hudson e
avvicinandosi al tavolo da lavoro del signor Hummel con aria sicura di sé. "Il
signor Hummel, immagino?".
Il signor Hummel grugnì. "È qui per
sistemare quella sua marmitta?" domandò, puntando un dito derisorio alla vecchia
sedan blu dell’uomo.
L’uomo, un quarantenne di bell’aspetto,
proseguì imperterrito. "In questo periodo di feste, signor Hummel, è più
auspicabile del solito che si faccia qualche piccola donazione per i poveri e i
bisognosi, che soffrono grandemente in questo momento. Molte migliaia sono in
cerca di beni di prima necessità; centinaia di migliora in cerca di beni di
conforto". Si schiarì la gola e alzò lo sguardo dal suo portablocco. "Sono il
direttore del glee club del liceo locale. Stiamo organizzando un concerto in
sostegno di una fondazione che assiste adolescenti senzatetto scappati di
casa".
"Non esiste ancora il riformatorio?" domandò
il signor Hummel.
Il direttore del glee club sbatté gli occhi.
"Ovviamente esiste ancora la detenzione minorile, ma…".
"E campi di lavoro? Ci sono anche
quelli".
"Ci sono".
"Oh, beh, dal modo in cui stava parlando,
temevo fossero stati sbattuti fuori" commentò il signor Hummel, tornando alla
sua macchina. "Io pago le tasse. Le mie tasse finiscono lì. Ecco qua, ho
contribuito".
Il direttore del glee club lo fissò,
esterrefatto. "Ma è Natale" balbettò. "Non vuole donare solo un pochino?
Per quanto la posso segnare?".
"Nulla".
La penna rimase sospesa sopra il foglio.
"Desidera rimanere anonimo?".
"Voglio che si levi dalle
scatole".
L’uomo nella sciarpa consunta lo fissò, la
bocca aperta per lo stupore. "Ma signore, io…".
"Senta, signor…".
"Schuester".
"Non pago per festeggiare il Natale nemmeno
io, e non pagherò di certo perché possa celebrarlo una massa di piccoli punk"
sbottò il signor Hummel. "Pago le tasse per tutti quei posti, e se sono
senzatetto, possono andare lì, o possono tornare a casa loro".
"Ma… signor Hummel, questi ragazzi hanno già
lasciato brutte situazioni. Molti di loro preferirebbero morire piuttosto che
tornare indietro".
"Beh, se devono morire, che lo facciano, e
riducano la popolazione mondiale. Ora fuori dal mio negozio".
Il direttore del glee club era chiaramente
senza parole. Lasciò il negozio guardandosi indietro parecchie volte, ma il
signor Hummel si limitò a sorridere tra sé mentre tornava al lavoro.
Purtroppo, il pallido sole pomeridiano svanì
nell’oscurità, indicando la fine di una lunga e piacevole giornata di lavoro. Il
signor Hummel non si fermò, intenzionato a rimanere il più a lungo possibile.
Ma, ahimé, il suo impiegato cominciò a rimettere lentamente i suoi attrezzi a
posto, e anche il signor Hummel fu costretto a interrompersi.
"Immagino che tu voglia il giorno libero
domani, non è vero?" borbottò.
"Ehm… già" disse l’impiegato, spostando il
peso da un piede all’altro. "Se va bene".
"Non va bene, e non è giusto" disse il
signor Hummel. "Se ti trattenessi la paga, ti considereresti
maltrattato".
Il giovane sorrise a disagio. "È solo una
volta l’anno" tentò. "E i bambini sono così eccitati di avermi a casa,
hanno…".
"Non ti ho chiesto la storia della tua vita"
lo interruppe il signor Hummel. "È una misera scusa per metter mano alle tasche
di un uomo ogni venticinque dicembre". Sospirò. "Sii qui un’ora prima il giorno
dopo".
"Sì, signore" disse Finn Hudson velocemente.
"Grazie, signore".
Raccolse le sue cose e se ne andò in fretta.
Il signor Hummel non gli chiese dove fosse diretto; il giovane fece un viaggio
in autobus di quaranta minuti per la sua piccola casa in periferia, dove le
porte non si chiudevano bene e le finestre erano piene di spifferi, ma tre
bambini gli corsero incontro sul portico per salutarlo e sua madre lo aspettò
con la cena tenuta in caldo e un abbraccio di bentornato.
Al contrario, il signor Hummel guidò lungo
silenziose malinconiche strade fino a un piccolo malinconico ristorante e mangiò
una malinconica cena a base di misero arrosto. Dopo essersi messo in pari con
alcuni risultati sportivi e aver controllato i bilanci del libro contabile del
negozio, si diresse a casa.
Ora, è un fatto che non ci fosse nulla di
particolare nel battente sulla porta d’ingresso, se non che era molto grande. È
pure un fatto che il signor Hummel l’aveva visto notte e giorno negli ultimi
trent’anni. Lasciamo anche intendere che mentre il signor Hummel non aveva mai
superato la morte della sua amata moglie fin dalla sua scomparsa, era un uomo
pratico, non uso a fughe d’immaginazione o sbalzi di fantasia. E lasciate che un
qualunque uomo mi spieghi, se può, come successe che quando il signor Hummel
infilò la chiave nella serratura, vide nel battente non la comune targa di
ottone, ma il volto di sua moglie.
Il volto di Mollie. Non era scuro, ma
accesso e lucente. Non era arrabbiato o inferocito, ma proprio come appariva in
vita. I suoi capelli era curiosamente mossi, come da una debole brezza, e anche
se i suoi occhi era molto grandi e molto blu, erano immobili.
Mentre il signor Hummel osservava questo
fenomeno, tornò nuovamente a essere un battente.
Dire che non era spaventato, sarebbe una
bugia, ma essendo un uomo di fatti, girò la chiave e entrò risolutamente in
casa.
Si fermò per guardarsi attorno nell’entrare,
e controllò cautamente dietro la porta, ma siccome non c’era nulla là che lo
allarmasse, si accigliò e appese il suo vecchio cappotto all’attaccapanni nel
corridoio. Non accese le luci, dato che l’oscurità era economica, e al signor
Hummel piaceva. Ma prima di salire le scale, si fermò a controllare
accuratamente ogni stanza della casa- la cucina simile a una tomba, il salotto
silenzioso, il seminterrato mai concluso.
Si chiuse nella sua camera e si preparò per
la notte. La stanza era fredda, dato che il riscaldamento era troppo costoso per
i suoi gusti, e accese la lampada sul suo comodino.
La vecchia specchiera di sua moglie stava
intoccata vicino alla finestra, il suo rivestimento di polvere spesso lungo lo
specchio. Teneva una foto di lei sul bancone, incorniciata in argento
scintillante. Per un fuggevole momento mentre si cambiava per andare a letto
penso di aver visto la foto muoversi, la brezze che catturava l’orlo del suo
vestito e la sua bocca che si piegava in disapprovazione, ma questo era di fatto
certamente impossibile.
Mentre si sedeva sul letto, scuotendo la
testa per scacciare l’immagine dalla mente, una campana cominciò a
suonare.
All’iniziò, non ci fece caso- l’orologio di
suo nonno nel corridoio rintoccava ogni ora. Ma continuò a risuonare, chiaro e
squillante.
Il signor Hummel spostò il proprio peso,
spiacevolmente inquieto. "Non è nulla" si dice. "Stronzate".
Girò la testa, e lì c’era sua
moglie.
"Burt Hummel, che diavolo stai
facendo?" domandò Mollie.
Note dell’autrice
Benvenuti nel mio speciale natalizio,
signore e signori!
Quest’idea mi era venuta lo scorso Natale,
ma non volevo scriverla perché non era, sapete, Natale. Così l’ho slavata per
quest’anno! È il mio regalo di natale per tutti voi. Avrete un capitolo al
giorno da oggi fino a natale! Huzzah!
Sono una grande amante del Canto di Natale- l’ho letto talmente
tante volte che so recitarne degli interi pezzi. Perciò questa storia è una
specie di incrocio tra lo stile di Dickens e il mio stile di
scrittura.
Spero che vi piaccia! Sono nel mezzo
della scrittura del capitolo del Fantasma del Natale Passato e oh dio, ci
saranno delle lacrime…
Note della traduttrice
E dato che è lo speciale di Natale,
eccomi qua. E dato che Caitlin è già avanti di due giorni, possiamo dire che i
miei aggiornamenti proseguiranno presumibilmente fino a due giorni dopo Natale,
probabilmente di più perché non sono certa di poter tenere il passo con la
traduzione.
Traduzione, tra l’altro, che si è già
rivelata la più difficile che abbia mai fatto. Colpa dello stile di Dickens
infilato nel miscuglio (ho avuto le mie gatte da pelare nel rendere certe
espressioni prese pari pari dall’originale). Spero che la differenza di stile
rispetto al solito si noti: io ho fatto del mio meglio, ma il fatto che
l’inglese sia già in sé una lingua ben più ricca del italiano non
aiuta.
Comunque, solo a me questo Burt fa uno
strano effetto? Decisamente l’OOC non fa per me, ma del resto è per gli scopi
della storia… E non avete ancora visto il capitolo del Fantasma del Natale
Passato.
Ah, mi sembra giusto specificare che per
il momento ho tirato a indovinare una parte della lista dei personaggi, ma visto
che Caitlin parla di "Unholy Trinity", mi sembra abbastanza sicuro
dire che si tratta di Quinn, Brittany e Santana.
Vabbè, il prossimo capitolo è abbastanza
corto perciò dovrei farcela per domani (guardatemi mentre qui lo dico e poi
fallisco miseramente!).
A presto!