A Very Glee Christmas Carol

di Keitorin Asthore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scrooge ***
Capitolo 2: *** Mollie era morta ***



Capitolo 1
*** Scrooge ***


DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui

A VERY GLEE CHRISTMAS CAROL

SCROOGE

Mollie era morta per cominciare.

Non c’è alcun dubbio in proposito. Burt Hummel non aveva mai dimenticato. Difatti, c’erano giorni in cui quello era tutto ciò che sembrava ricordare. Dopo otto anni di matrimonio, sua moglie era morta, abbastanza all’improvviso e senza il suo permesso, lasciandolo da solo tranne che un timido figlio di ben poca importanza e decisamente troppo simile alla moglie scomparsa. L’aveva sepolta in un freddo e nevoso giorno di Natale, e anche se la chiesa era colma di gente il giorno del funerale, era certo che nessun altro aveva sentito la sua perdita tanto acutamente quanto lui.

La menzione del funerale di Mollie mi riporta al punto da cui volevo cominciare. Non c’era dubbio che Mollie fosse morta. Questo deve essere assolutamente compreso, o nulla di meraviglioso potrà venire fuori dalla storia che sto per raccontare.

Burt Hummel non era un uomo avaro. Non era un’opprimente, falso, avido, cupido vecchio peccatore. Ma era un uomo austero, un uomo silenzioso, duro e tagliente come selce, chiuso e riservato, e solitario come un’ostrica. Lavorava ogni giorno dell’anno, regolando il suo tempo dentro e fuori la sua officina perfettamente tenuta con sbalordente diligenza, rinchiuso in sé stesso senza insignificanti conversazioni con clienti o impiegati, e manteneva un’immacolata reputazione di essere una particolarmente terrificante specie di essere umano.

Nessuno lo fermava mai in strada per chiudergli come stava. Nessun medicante lo pregava per qualche moneta, nessun bambino gli chiedeva l’ora, nessun uomo o donna gli aveva mai chiesto in tutta la sua vita la strada per questo o quel posto. Le anime temerarie che aveva tentato queste domande nei primissimo giorni dopo la morte di sua moglie avevano ricevuto un breve grugnito e un’occhiata fulminante.

Ma cosa importava a Burt Hummel? Era proprio la cosa che gli piaceva, il farsi strada lungo gli affollati sentieri della vita, avvertendo ogni genere di compassione umana di tenersi a distanza. Alcuni ricordavano i giorni prima della morte di sua moglie, un vago distante ricordo di un uomo gentile pieno di accorto giudizio, ma nessuno glielo menzionava mai. Nessuno gli parlava proprio, infatti, a meno che non fosse strettamente necessario.

Una volta, nell’anno di nostro signore 2020, era Natale. Beh, per essere precisi, il giorno prima di Natale.

Questo felice giorno giunse senza il minimo riconoscimento da parte del nostro signor Hummel, che continuò il suo lavoro con una costanza insieme ammirabile ed allarmante. Le vacanze non significavano nulla per lui. Halloween e Pasqua, Capodanno e giorno del Ringraziamento, e sì, in particolar modo a Natale, lui arriva alla sua officina alle sei del mattino e lavorava fino alle sette di sera.

I suoi impiegati erano obbligati a fare lo stesso; per esempio, in questo preciso momento, uno di essi, un uomo allampanato vicino ai trent’anni, stava tremando mentre cercava di rimpiazzare un collegamento con le mani quasi congelate. Cercò di infilarsi un paio di guanti lisi, ma quelli rendevano le sue dita già impacciate del tutto pericolose, e così strinse i denti per resistere. Il signor Hummel non lo notò, o semplicemente non gliene importava. Il riscaldamento era un lusso, e non gli importava molto dei lussi. Perciò, con le sue porte spesso aperte e le finestre ammaccate, l’officina era abbastanza gelata in questo giorno di dicembre in Ohio.

Il nostro signor Hummel era immerso fino ai gomito in un motore quando fu avvicinato da un giovane uomo. Pelle chiara e occhi blu, vestito in un semplice ma bel tagliato cappotto rosso e pantaloni gessati, si sarebbe potuto considerare abbastanza affascinante se non fosse stato per quanto sembrasse timoroso. Si avvicinò a Burt Hummel con attenzione, gli stivali lucenti che facevano deboli suoni sul pavimento di cemento sporco, ma non venne salutato.

Il giovane si schiarì la gola, raddrizzando le spalle e mettendo su un’aria di falsa contentezza. "Buon natale, papà" disse, in tono leggero e falsamente allegro.

Il signor Hummel si raddrizzò, allineando il suo sguardo al ragazzo dagli occhi blu. "Che diavolo, Kurt?".

L’allegria evaporò, ma Kurt si issò sulle punte, le mani sepolte in tasca, e sorrise. Le sue guance erano arrossate dal freddo e i suoi occhi luminosi. "Io e Blaine siamo in città per Natale".

"Il tuo amico".

"Marito".

Questo scambio di battute aveva il sapore di una battaglia spesso combattuta; l’impiegato con le mani gelate distolse lo sguardo dal suo motore per vedere se sarebbe proseguita oltre. Non accadde.

"Perchè sprechi il tuo denaro per venire in Ohio per Natale?" domandò il signor Hummel. "Sei povero abbastanza".

"Perché non festeggi il Natale? Sei ricco abbastanza" ribatté Kurt.

Il signor Hummel si accigliò. "Perdita di tempo".

Kurt sospirò. "Non essere sprezzante, papà".

"Beh, che cosa vuoi da me?" domandò Burt. Accennò con la mano alle auto ammassate nell’officina. "L’unica cosa buona del Natale sono le persone che viaggiano durante le tormente di neve e sfasciano le loro macchine. In inverno faccio il doppio di quello che faccio in estate. E tu e tuo… Tu sprechi denaro noleggiando una macchina e guidando da New York City, solo per una festa inventata dalle compagnie di biglietti d’auguri". Gesticolò ampiamente con un arnese coperto d’olio. "Lo sai, se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va in giro gridando ‘Buon Natale’ dovrebbe essere cucinato nel suo tacchino troppo costoso e sepolto con un ramoscello di agrifoglio infilzato nel cuore".

"Papà!" esclamò Kurt, orripilato.

"Figliolo" disse il signor Hummel. "Tu fa’ quel diavolo che ti pare per Natale, e io farò quello che voglio con il mio".

"Ma tu non fai nulla per Natale".

"Allora, lasciami in pace e basta. Non che mi abbia mai fatto granché bene. E nemmeno a te".

Kurt raddrizzò le spalle. "Papà, so che le cose non sono più state le stesse da quando…".

"Non dirlo".

"… Da quando mamma è morta" proseguì Kurt. "Ma non puoi continuare a vivere così. Ti stai facendo strada verso una morte prematura, non hai amici, a malapena hai una…".

Qui si interruppe, ma immagino volesse dire "famiglia".

Kurt strinse i pugni nei confini delle sue tasche. "Nessuno di noi due ha ricordi particolarmente belli di questo periodo dell’anno. Ma anche se abbiamo passato alcuni anni duri, ho sempre pensato che il Natale sia una festa meravigliosa. Un bel periodo, gentile, conciliante, benevolo, piacevole, in cui le persone smettono effettivamente di comportarsi da idioti e passano del tempo con le loro famiglie e trattano le persone intorno a loro come esseri umani di qualche valore. E questo è il motivo, papà, per cui penso che il Natale mi ha fatto bene, e me ne farà ancora, e se non fossi ateo, allora chiederei a Dio di benedirlo".

"Amen!" intervenne il meccanico con le dita congelate, e il nostro signor Hummel, mi dispiace dirlo, gli lanciò un occhiata che gettò il povero giovanotto in un lavoro frenetico, nel tentativo di cercare in qualche modo di rimediare al suo sbaglio.

"Hudson, se appena sento un altro verso venire da te, potrai festeggiare il Natale all’ufficio di collocamento" lo minacciò il signor Hummel. Si girò di nuovo verso il figlio. "Hai una bella parlantina. Peccato non ti sia dato alla politica invece che alla moda".

Sputò di bocca l’ultima parola come qualcuno avrebbe detto "cuccioli macellati" o magari "ridere di bambini nel reparto di oncologia".

Il rossore svanì dalle guance di Kurt. "Non essere arrabbiato, papà" disse, scivolando più vicino. "Io e Blaine festeggeremo insieme alla sua famiglia domani, e… abbiamo alcune… alcune buone notizie, e saremmo davvero tutti felici se ci fossi anche tu".

Fu prontamente ignorato.

"Papà, per favore. Perchè…".

"Perchè?" lo interruppe il signor Hummel. "Perché ti sei sposato?".

Kurt sbatté gli occhi. "Perché mi sono innamorato" rispose, semplice e disadorno.

"Perché ti sei innamorato" lo beffò il signor Hummel. "Ragazzo, lascia che ti dica una cosa, non ti farà nessun bene. Fidati". Si girò verso il motore della macchina. "Ci vediamo più tardi".

Kurt si avvicinò, non volendo essere congedato così facilmente. "Papà, non sei mai venuto prima del matrimonio. Perché non usi questo come scusa adesso?".

"Ci vediamo più tardi".

"Non ti sto chiedendo niente. Perché non puoi venire e cenare con noi e basta?".

"Ci vediamo più tardi".

Kurt fece un passo indietro, il volto privo di ogni colore; il suo cappotto rosso accesso servì solo a farlo apparire ancora più pallido e malaticcio. "Mi dispiace che tu ti senta in questo modo" disse, il mento sollevato con ostinazione e la voce che tremava giusto un pochino. "Non ho mai litigato con te prima, e non so perché mi odi così tanto. Ma ho pensato… di dover almeno tentare". Fece un passo indietro, i piedi fermamente piantati al suolo. "Buon Natale, papà".

"Ci vediamo più tardi".

"No, non lo farai!" sbottò Kurt, la sua collera che aveva la meglio, e uscì di corsa, quasi scontrandosi con l’infelice meccanico che lavorava vicino alla porta. "Ciao, Finn. Buon Natale".

"Buon Natale, Kurt" ricambiò Finn Hudson.

Il signor Hummel roteò gli occhi. "Nemmeno trent’anni, tre figli e niente moglie, se ne va pure in giro a parlare di un buon Natale" mormorò tra sé.

Ignorò il figlio mentre lasciava l’officina, ma entrò un’altra persona, offrendo un caldo sorriso a Finn Hudson e avvicinandosi al tavolo da lavoro del signor Hummel con aria sicura di sé. "Il signor Hummel, immagino?".

Il signor Hummel grugnì. "È qui per sistemare quella sua marmitta?" domandò, puntando un dito derisorio alla vecchia sedan blu dell’uomo.

L’uomo, un quarantenne di bell’aspetto, proseguì imperterrito. "In questo periodo di feste, signor Hummel, è più auspicabile del solito che si faccia qualche piccola donazione per i poveri e i bisognosi, che soffrono grandemente in questo momento. Molte migliaia sono in cerca di beni di prima necessità; centinaia di migliora in cerca di beni di conforto". Si schiarì la gola e alzò lo sguardo dal suo portablocco. "Sono il direttore del glee club del liceo locale. Stiamo organizzando un concerto in sostegno di una fondazione che assiste adolescenti senzatetto scappati di casa".

"Non esiste ancora il riformatorio?" domandò il signor Hummel.

Il direttore del glee club sbatté gli occhi. "Ovviamente esiste ancora la detenzione minorile, ma…".

"E campi di lavoro? Ci sono anche quelli".

"Ci sono".

"Oh, beh, dal modo in cui stava parlando, temevo fossero stati sbattuti fuori" commentò il signor Hummel, tornando alla sua macchina. "Io pago le tasse. Le mie tasse finiscono lì. Ecco qua, ho contribuito".

Il direttore del glee club lo fissò, esterrefatto. "Ma è Natale" balbettò. "Non vuole donare solo un pochino? Per quanto la posso segnare?".

"Nulla".

La penna rimase sospesa sopra il foglio. "Desidera rimanere anonimo?".

"Voglio che si levi dalle scatole".

L’uomo nella sciarpa consunta lo fissò, la bocca aperta per lo stupore. "Ma signore, io…".

"Senta, signor…".

"Schuester".

"Non pago per festeggiare il Natale nemmeno io, e non pagherò di certo perché possa celebrarlo una massa di piccoli punk" sbottò il signor Hummel. "Pago le tasse per tutti quei posti, e se sono senzatetto, possono andare lì, o possono tornare a casa loro".

"Ma… signor Hummel, questi ragazzi hanno già lasciato brutte situazioni. Molti di loro preferirebbero morire piuttosto che tornare indietro".

"Beh, se devono morire, che lo facciano, e riducano la popolazione mondiale. Ora fuori dal mio negozio".

Il direttore del glee club era chiaramente senza parole. Lasciò il negozio guardandosi indietro parecchie volte, ma il signor Hummel si limitò a sorridere tra sé mentre tornava al lavoro.

Purtroppo, il pallido sole pomeridiano svanì nell’oscurità, indicando la fine di una lunga e piacevole giornata di lavoro. Il signor Hummel non si fermò, intenzionato a rimanere il più a lungo possibile. Ma, ahimé, il suo impiegato cominciò a rimettere lentamente i suoi attrezzi a posto, e anche il signor Hummel fu costretto a interrompersi.

"Immagino che tu voglia il giorno libero domani, non è vero?" borbottò.

"Ehm… già" disse l’impiegato, spostando il peso da un piede all’altro. "Se va bene".

"Non va bene, e non è giusto" disse il signor Hummel. "Se ti trattenessi la paga, ti considereresti maltrattato".

Il giovane sorrise a disagio. "È solo una volta l’anno" tentò. "E i bambini sono così eccitati di avermi a casa, hanno…".

"Non ti ho chiesto la storia della tua vita" lo interruppe il signor Hummel. "È una misera scusa per metter mano alle tasche di un uomo ogni venticinque dicembre". Sospirò. "Sii qui un’ora prima il giorno dopo".

"Sì, signore" disse Finn Hudson velocemente. "Grazie, signore".

Raccolse le sue cose e se ne andò in fretta. Il signor Hummel non gli chiese dove fosse diretto; il giovane fece un viaggio in autobus di quaranta minuti per la sua piccola casa in periferia, dove le porte non si chiudevano bene e le finestre erano piene di spifferi, ma tre bambini gli corsero incontro sul portico per salutarlo e sua madre lo aspettò con la cena tenuta in caldo e un abbraccio di bentornato.

Al contrario, il signor Hummel guidò lungo silenziose malinconiche strade fino a un piccolo malinconico ristorante e mangiò una malinconica cena a base di misero arrosto. Dopo essersi messo in pari con alcuni risultati sportivi e aver controllato i bilanci del libro contabile del negozio, si diresse a casa.

Ora, è un fatto che non ci fosse nulla di particolare nel battente sulla porta d’ingresso, se non che era molto grande. È pure un fatto che il signor Hummel l’aveva visto notte e giorno negli ultimi trent’anni. Lasciamo anche intendere che mentre il signor Hummel non aveva mai superato la morte della sua amata moglie fin dalla sua scomparsa, era un uomo pratico, non uso a fughe d’immaginazione o sbalzi di fantasia. E lasciate che un qualunque uomo mi spieghi, se può, come successe che quando il signor Hummel infilò la chiave nella serratura, vide nel battente non la comune targa di ottone, ma il volto di sua moglie.

Il volto di Mollie. Non era scuro, ma accesso e lucente. Non era arrabbiato o inferocito, ma proprio come appariva in vita. I suoi capelli era curiosamente mossi, come da una debole brezza, e anche se i suoi occhi era molto grandi e molto blu, erano immobili.

Mentre il signor Hummel osservava questo fenomeno, tornò nuovamente a essere un battente.

Dire che non era spaventato, sarebbe una bugia, ma essendo un uomo di fatti, girò la chiave e entrò risolutamente in casa.

Si fermò per guardarsi attorno nell’entrare, e controllò cautamente dietro la porta, ma siccome non c’era nulla là che lo allarmasse, si accigliò e appese il suo vecchio cappotto all’attaccapanni nel corridoio. Non accese le luci, dato che l’oscurità era economica, e al signor Hummel piaceva. Ma prima di salire le scale, si fermò a controllare accuratamente ogni stanza della casa- la cucina simile a una tomba, il salotto silenzioso, il seminterrato mai concluso.

Si chiuse nella sua camera e si preparò per la notte. La stanza era fredda, dato che il riscaldamento era troppo costoso per i suoi gusti, e accese la lampada sul suo comodino.

La vecchia specchiera di sua moglie stava intoccata vicino alla finestra, il suo rivestimento di polvere spesso lungo lo specchio. Teneva una foto di lei sul bancone, incorniciata in argento scintillante. Per un fuggevole momento mentre si cambiava per andare a letto penso di aver visto la foto muoversi, la brezze che catturava l’orlo del suo vestito e la sua bocca che si piegava in disapprovazione, ma questo era di fatto certamente impossibile.

Mentre si sedeva sul letto, scuotendo la testa per scacciare l’immagine dalla mente, una campana cominciò a suonare.

All’iniziò, non ci fece caso- l’orologio di suo nonno nel corridoio rintoccava ogni ora. Ma continuò a risuonare, chiaro e squillante.

Il signor Hummel spostò il proprio peso, spiacevolmente inquieto. "Non è nulla" si dice. "Stronzate".

Girò la testa, e lì c’era sua moglie.

"Burt Hummel, che diavolo stai facendo?" domandò Mollie.

 

Note dell’autrice

Benvenuti nel mio speciale natalizio, signore e signori!

Quest’idea mi era venuta lo scorso Natale, ma non volevo scriverla perché non era, sapete, Natale. Così l’ho slavata per quest’anno! È il mio regalo di natale per tutti voi. Avrete un capitolo al giorno da oggi fino a natale! Huzzah!

Sono una grande amante del Canto di Natale- l’ho letto talmente tante volte che so recitarne degli interi pezzi. Perciò questa storia è una specie di incrocio tra lo stile di Dickens e il mio stile di scrittura.

Spero che vi piaccia! Sono nel mezzo della scrittura del capitolo del Fantasma del Natale Passato e oh dio, ci saranno delle lacrime…

Note della traduttrice

E dato che è lo speciale di Natale, eccomi qua. E dato che Caitlin è già avanti di due giorni, possiamo dire che i miei aggiornamenti proseguiranno presumibilmente fino a due giorni dopo Natale, probabilmente di più perché non sono certa di poter tenere il passo con la traduzione.

Traduzione, tra l’altro, che si è già rivelata la più difficile che abbia mai fatto. Colpa dello stile di Dickens infilato nel miscuglio (ho avuto le mie gatte da pelare nel rendere certe espressioni prese pari pari dall’originale). Spero che la differenza di stile rispetto al solito si noti: io ho fatto del mio meglio, ma il fatto che l’inglese sia già in sé una lingua ben più ricca del italiano non aiuta.

Comunque, solo a me questo Burt fa uno strano effetto? Decisamente l’OOC non fa per me, ma del resto è per gli scopi della storia… E non avete ancora visto il capitolo del Fantasma del Natale Passato.

Ah, mi sembra giusto specificare che per il momento ho tirato a indovinare una parte della lista dei personaggi, ma visto che Caitlin parla di "Unholy Trinity", mi sembra abbastanza sicuro dire che si tratta di Quinn, Brittany e Santana.  

Vabbè, il prossimo capitolo è abbastanza corto perciò dovrei farcela per domani (guardatemi mentre qui lo dico e poi fallisco miseramente!).

A presto!

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Capitolo 2
*** Mollie era morta ***


DISCLAIMER: Glee appartiene a Ryan Murphy e alla Fox. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

La versione originale della storia appartiene a Keitorin Asthore e la potete trovare qui

A VERY GLEE CHRISTMAS CAROL

MOLLIE ERA MORTA

Il suo volto era lo stesso, esattamente lo stesso- a forma di cuore, pallido come porcellana ma con le guance rosse e punteggiato di deliziose lentiggini, nasino all’insù, grandi occhi colore del mare contornati da lunghe ciglia. Era vestita nella stessa maniera che usava in vita, il suo maglione abbottonato sopra il vestito e i lunghi capelli tenuti indietro con un nastro sottile. Il suo corpo era quasi trasparente, e mentre si muoveva si poteva vedere la stanza dietro di lei, ma la sua piccola fede d’oro bianco brillava ancora sulla sua mano sinistra.

Sebbene il signor Hummel potesse chiaramente vedere lo spettro della moglie da tempo scomparsa, e sapesse che la voce e il modo di porsi fossero gli stessi, era un uomo pratico, e si ribellò ai suoi sensi.

"Cosa vuoi da me?" domandò con calma, come se si stesse semplicemente chiedendo perché un cliente fosse entrato nella sua officina.

Mollie si adombrò. "Tutto".

Il signor Hummel spostò il proprio peso. "Chi… ehm, chi sei?".

"Chiedimi chi ero" disse lei, incrociando le braccia.

"Bene, chi eri, allora?".

La donna gesticolò ampiamente con le mani. "Tua moglie. A meno che tu non ti sia dimenticato di me, come ti sei dimenticato di ogni altra cosa nella tua miserabile piccola vita".

Il signor Hummel deglutì forte, la gola improvvisamente secca. "Mai. Mai dimenticato". La fissò con desiderio, un migliaio di inutili desideri fatti negli anni passati dalla sua morte che gli tornavano alla mente. "Puoi… puoi sederti?".

Lei scrollò le spalle. "Posso. Ma non lo farò. Non ho fatto tutta la strada fin qui solo per sederci e fare una chiacchierata". Lui continuò a fissarla, la bocca leggermente aperta per lo stupore, e con un sospiro lei si sedette di fronte alla sua specchiera come aveva fatto migliaia di volte durante il loro matrimonio. "Ecco. Felice?". Incrociò una gamba sopra l’altra. "Tu non mi credi, vero?".

"Non credo proprio" balbettò il signor Hummel. "Ho mai creduto ai fantasmi?".

Le sopracciglia di Mollie si abbassarono. "Perché dubiti dei tuoi sensi?".

"Potresti essere qualunque cosa" l’accusò il signor Hummel. "Potresti essere solo un brutto sogno causato dal cibo unto di quel ristorante o la birra che ho bevuto quando sono arrivato a casa. Diavolo, forse sto avendo un altro attacco di cuore e tu sei qui per scortarmi nell’aldilà o qualcosa di simile".

Mollie sorrise, triste e maliziosa allo stesso tempo. "Oh, faresti meglio a sperare di non star morendo. Questo non è il momento degli scherzi, Burt. È una cosa seria".

"Oh, è una cosa seria che sto sognando della mia moglie morta che mi sta tormentando?" sbottò il signor Hummel. "È più crudele che serio, se me lo chiedi".

Non vide Mollie alzarsi, ma all’improvviso lei torreggiava sopra di lui, bella e terribile allo stesso tempo. "Ti meriti la crudeltà!" gridò. "È più di quanto meriteresti!".

Il signor Hummel si ritrasse, il suo cuore affaticato che mancava un battito. "Che diavolo sta succedendo?".

"Prima le cose importanti, Burt, mi credi?".

"Sì" disse Burt in fretta, e lei si tirò indietro un pochino. "Devo. Ma… ma perché sei tornata? E perchè ora, di tutti I momenti in cui potevi tornare?".

"Perché so cosa ti aspetta" disse Mollie a bassa voce. "Ti ho osservato in questi diciotto anni, aspettando che vedessi gli errori della tua vita. Ma non lo farai. Ti rifiuti di cambiare".

"Cambiare cosa?" chiese il signor Hummel. "Vuoi cambiare qualcosa? Che ne dici di non morire?". Inghiottì forte, nascondendosi dietro i confini sicuri della rabbia. "Mi hai rovinato la vita quando sei morta!".

"Tu ti sei rovinato la vita" ribatté Mollie. "Con ogni decisione, con ogni parola dura, con ogni azione orribile, ti sei forgiato che catene che ti stanno trascinando verso il basso. E dato che non vuoi lasciarmi andare, non posso andarmene".

Alzò le braccia, e all’improvviso il signor Hummel le vide. Vide le lunghe pesanti catene, alcuni anelli arrugginiti e alcuni lucenti e nuovi, stretti attorno alle sue braccia e gambe, che lo spingevano verso il pavimento con il loro peso, e vide dove la catena si allungava dai suoi ceppi per raggiungere i polsi sottili della moglie.

"Indossi le catene che ti sei forgiato in vita" disse lei. "Le hai creato anello dopo anello e iarda dopo iarda, limitando il tuo libero arbitrio con ogni terribile scelta che hai fatto, e per tua volontà le indossi anch’io".

La bocca del signor Hummel era completamente secca. "Mollie" gracchiò. "Dimmi che si risolverà tutti. Si risolverà tutto, vero?".

"Non ho nessuno conforto da dare. Sono morta, Burt. Sono morta, me ne sono andata e non c’è nulla che possa fare". Si guardò oltre la spalla. "Ho cose più importanti di cui preoccuparmi adesso. Sono intrappolata su questa terra, ma almeno sto facendo qualcosa di buono".

"Non mi hai mai parlato di questo" disse il signor Hummel. "Non ho mai saputo… Mollie, tutte le volte che ti ho chiamato…".

"Qualcun altro ha sempre avuto più bisogno di me di te" disse Mollie.

"Chi?" domandò il signor Hummel. "Io avevo bisogno di te, Mollie. Chi mai potrebbe avere più bisogno di te di me?".

Ogni traccia di colore sparì dal volto di Mollie; perfino i suoi capelli e abiti sembrarono impallidire per la rabbia. "Nostro figlio!" gridò, e il signor Hummel fece un passo indietro. "Nostro figlio è importante, Burt, lo è sempre stato, ma tu sei stato così concentrato nel tuo dolore e nei tuoi pensieri che ti sei chiuso in te stesso e lasciato fuori tutti gli altri, incluso il bambino che aveva bisogno di te".

Il signor Hummel era completamente senza parole.

Lo spirito si guardò oltre la spalla un’altra volta, come se qualcuno la stesse chiamando, e si girò. "Ho poco tempo. Ascoltami".

"Lo farò" balbettò il signor Hummel. "Solo… per favore, non essere così dura con me".

"Sarai visitato da tre spiriti" disse Mollie. "Questa è l’unica speranza che posso offrirti".

"Io… preferirei di no".

Lei lo ignorò. "Aspetta il primo spirito quando la campana rintoccherà una volta".

"Non potrei vederli tutti insieme, e passare oltre?" suggerì lui.

"Il secondo verrà quando la campana rintoccherà due volte, l’ultimo quando la campana rintoccherà tre volte. Non mi vedrai mai più… ma speriamo entrambi che tu ricordi cosa è accaduto stanotte".

La campana nel corridoio cominciò a suonare di nuovo, falsamente allegra, e Mollie iniziò a sparire, come gocce d’acqua in un giorno caldo. Il signor Hummel tese una mano disperata per toccarla, per prenderle la pallida mano morbida un’ultima volta, ma lei era ancora morta, e la mano le passò attraverso.

Mollie abbassò lo sguardo sulla mano, il suo viso segnato da tristezza, e svanì dalla sua vista.

 

Note dell’autrice

Ooh, Mollie è arrabbiata.

Spero che a voi ragazzi piaccia! È davvero interessante scrivere qualcosa fuori dal mio stile. Penso che il prossimo capitolo viri un po’ nel mio solito stile di scrittura, ma yeah.

Nel prossimo vedremo il Fantasma del Natale Passato. E non sarà per niente allegro.

Note della traduttrice

Sapete, a volte mi viene da pensare che scrivo certe cose solo per il piacere di smentire me stessa. Scusate l’attesa, ma in questi giorni sono stata decisamente impegnata, tanto che il computer è stato quasi un miraggio, devo dire.

Comunque, che ne pensate? Mollie è decisamente arrabbiata (e a buon diritto!).

Il prossimo capitolo sarà più lungo e sicuramente non sarà pronto per domani (devo ancora cominciare la traduzione), ma dato che Caitlin non ha più aggiornato per via delle feste (dovrebbe aggiornare domani), non penso cambi nulla tirarla un po’ per le lunghe, giusto?

Buon natale ritardato a tutti!

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