SOFFRIRE PER AMORE di Jessyka 46 (/viewuser.php?uid=14344)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza Parte ***
Capitolo 4: *** Quarta Parte ***
Capitolo 5: *** Quinta Parte ***
Capitolo 6: *** Sesta Parte ***
Capitolo 7: *** Settima Parte - Il Finale ***
Capitolo 1 *** Prima Parte ***
Quello era il terzo giorno, il terzo giorno che Greg non andava
all’ospedale
Quello
era il terzo giorno, il terzo giorno che Greg non andava all’ospedale. Il terzo
giorno che quel suo ufficio da sempre scenario di battibecchi e battute
sarcastiche era vuoto, desertico.
Il terzo giorno che Cameron pensava…a lui…al suo non essersi più fatto vivo,
non aveva lasciato traccia, semplicemente… una mattina non era andato al
lavoro, poi due, quella era la terza.
La Cuddy era sull’orlo di una crisi di nervi…così come Chase costretto a
sostituire House in tutti i suoi turni di ambulatorio.
Eppure la vita dell’ospedale continuava, anche senza di lui, per tutti, per i
pazienti non più liquidati in malo modo, per i medici: perfino Wilson sembrava
non accorgersi della mancanza di quell’uomo che ormai era diventato una leggenda
lì al Princeton.
Ogni volta che il nome di House veniva nominato, tutti, la Cuddy, Wilson, agli
occhi di Cameron sembravano cambiare argomento, e si rituffavano con finto
interesse sulla cartella di qualche paziente affetto da qualche
“pericolosissimo” raffreddore…
House è a casa, se ne sta seduto al pianoforte, aveva deciso di non tornare al
lavoro, né quella mattina, né quelle successive.
Non ce la faceva ad andare avanti così. Quei due ultimi mesi erano stati più
duri del previsto.
Aveva creduto di poterla dimenticare così, Cameron, con uno schiocco di
dita…bastava mantenere una certa distanza di sicurezza de lei, il suo frutto
proibito, pr dimenticarsela. Invece non era stato così…malgrado le freddezza
che ostentava verso di lei, verso gli altri, verso se stesso, lui la
amava…dveva ammetterlo. Ma era difficile…cosa? Tutto.
Per questo era rimasto a casa. Per allontanarsi da quel tutto così difficile,
complicato per una volta anche per lui. Lui… che riusciva a diagnosticare anche
le malattie più improbabili, ma non poteva e non riusciva a curare quel suo mal
d’amore che lo faceva soffrire, stare male, da solo…perché lui non poteva, non
avrebbe potuto rivelarsi agli altri per com’era. Si era dimenticato com’era un
tempo, com’era fino a cinque anni prima…una persona normale, capace di dire “ti
amo” e di fidarsi degli altri…già…cinque anni prima.
Chissà come stava lei?
Avrebbe voluto saperlo…forse ora stava regalando un suo sorriso ingenuo a
qualcuno…qualcuno che non era lui,…forse posava quello sguardo del quale si era
tanto innamorato su qualcuno…qualcuno che non la faceva soffrire come stava
facendo lui…
Forse stava pensando a Gregory House, il codardo che per non soffrire si era
ritirato dalle scene?…no, impossibile, perché sarebbe dovuto essere così?…cosa
aveva fatto per meritare di tornamentare i suoi pensieri? Nulla, e quello ora
era il suo rimpianto più grande.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Seconda Parte ***
Cameron era seduta alla scrivania di House, in silenzio, immobile, la
luce spenta
Cameron
era seduta alla scrivania di House, in silenzio, immobile, la luce spenta.
Mancava poco all’inizio del suo turno di notte, ma quella era l’ultima sua
preoccupazione; voleva stare da sola a pensare e a riflettere...
era strano quell'ufficio senza di lui. Ora come ora le mancavano i commenti
sarcastici di lui sul suo abbigliamento, i rimproveri per i ritardi sempre più
frequenti, vederlo riflettere su un caso, ma senza mai mettere da parte quella
sua aria indifferente e menefreghista, spavalda, la sua sicurezza...emozioni
che trasparivano da quei suoi occhi azzurri che quando la guardavano sembravano
metterla a nudo, accorgersi dei pensieri più supidi e folli che si
impadronivano della ragione e che prendevano il sopravvento nella sua mente.
Si era più volte ripromessa di non fare Sherlock Holmes, di non indagare sul
passato di Greg…anche se altrettante volte la curiosità ma anche il gusto della
sfida l’avevano portata a pensare a com’era un tempo l’ora misantropo e scorbutico
dr. House…una persona non poteva nascere così, non poteva provare odio
ingiustificato nei confronti del destino e della vita stessa, doveva essere
successo qualcosa, qualcosa che lo aveva sconvolto e cambiato in quello che era
adesso.
Tante volte la sera prima di addormentarsi tornava indietro negli anni, provava
ad immaginarlo al college, all’università, intento a seguire la lezione di
medicina…immaginava i suoi amici, le sue ex…passava ore a fantasticare e
farneticare sul passato di Greg…uomo misterioso, forse troppo.
Ma era proprio questo che la affascinava di lui…il conoscerlo poco, ma allo
stesso tempo sentirlo così familiare…come se gli fosse stata accanto da sempre.
In fin dei conti…anche lei aveva sofferto: lui aveva perso una gamba, lei un marito…due
cuori pieni di sofferenza e vuoti di fiducia nella vita…
Quasi inconsciamente cominciò a guardarsi intorno nervosamente, alla ricerca di
qualcosa al quale potersi aggrappare, qualcosa che la riportasse alla realtà,
quella realtà dura e insopportabile dove tutto andava storto, dalla quale si
stava allontanando troppo.
Le venne da piangere, ma solo una lacrima la spuntò…si era ripromessa di non
farlo, di non soffrire più per lui, e così sarebbe stato…
Dalle sofferenze di lui, dipendevano anche le sue…si convinse che doveva
saperne di più.
Aprì il portatile sopra la scivania, ma alla ricerca di cosa? Non lo sapeva
nemmeno lei, e forse non lo voleva sapere…cos’avrebbe trovato?
Tutto…forse niente...cosa voleva trovare veramente?…
Ma i suoi tanti dubbi non rimasero accesi ancora per molto…tutto fu più chiaro
vedendo quelle e-mail.
Era combattuta, leggerle o no?
Sapeva che stava sbagliando, ma scoprire qualcosa in più su Gregory House
avrebbe messo fine alle sue sofferenze, alle frustrazioni di tutti. Forse ne
avrebbe create.
Doppio clic sulla prima busta e ogni dubbio sparì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Terza Parte ***
Era quasi mezzanotte
Era
quasi mezzanotte. Cameron uscì sconvolta dall’ufficio di House. Correva lungo
il corridoio, ma non perché fosse in ritardo…voleva solo scappare da tutto e da
tutti. Prese l’ascensore con quel pensiero…avrebbe voluto rimanere lì da sola,
fermare il tempo, tutto stava succedendo troppo velocemente. Stava
piangendo…avrebbe voluto urlare, confidarsi con qualcuno…aveva scoperto una
realtà troppo grande…ma no, doveva resistere. Probabilemente nessuno l’avrebbe
capita.
Anzi, no…ne era sicura.
Ora come ora voleva solamente riavvolgere il nastro della sua vita, cancellare
quell’ultima ora, fare finta che non fosse successo nulla, ma era difficile
nascondere le vaerità, ora così improvvisamente chiara ed esplicita.
L’ascensore si fermò…era arrivata. Uscendo le parve che tutti gli sguardi
fossero puntati su di lei, forse era vermante così. Si dipinse in volto un
sorriso falso… “Avanti Cameron…avanti…trattieni le lacrime, le paure, le
sofferenze, i desideri, la ragione…quella no, Cameron…non lasciarla scappare”
Magari House non sarebbe più tornato, sarebbe rimasta sola, per sempre, a
pensare a lui, a lui che le era sfuggito di mano, al suo passato e al suo
futuro.
Soffocò un singhiozzo, si asciugò gli occhi che sentiva sempre più bagnati, si
mise il camice bianco, quel camice che tanto le donava, le faceva sembrare un
angelo, leggera e delicata, come una piuma.
-Cameron, che ci fai ancora qui, il tuo turno è iniziato da un quarto d’ora!
La Cuddy la guardava perplessa, si domandava il perché di quel volto così
triste…
Cameron guardò l’orologio. Si era fermato a mezz’ora prima. Si era fermato…un
po’ come il suo cuore senza più emozioni, un’orologio senza lancette, numeri a
caso, senza chiarezza né ordine.
Riprese l’ascensore. Questa volta saliva.
“Dove sei House, dove sei…”
Avrebbe voluto che quell’ascensore la portasse da lui…purtroppo la realtà era
un’altra: destinazione cardiologia, ultimo piano.
Un House immobile davanti alla tv…fissava con disinteresse lo schermo dove
stavano passando un talk show di quelli visti e rivisti, che trattano sempre i
soliti argomenti, che occupano il palinstesto per un’ora e più e che come
ultimo scopo hanno quello di trovare una soluzione a quei problemi…in fin dei
conti basta parlarne…
Il telecomando in mano pronto a cambiare canale. In fin dei conti anche a lui
sarebbe bastato parlare con qualcuno…ma lui no, non era degno di parlare, di
avere amici, di confidarsi…
Proprio su quei pensieri squillò il telefono.
Il suo sguardo, completamente inespressivo, di chi sa e non sa cosa
aspettarsi…Greg si alzò e a piccoli passi, quasi insicuri, si diresse verso il
telefono. In quel momento si accorse di avere paura di sentire la voce di
Cameron dall’altro capo del filo. Esitò, prese il suo Vicodin, unico rimedio
alla sofferenza…poi qualcosa che però non era nè speranza né volontà lo spinse
a rispondere.
-Pronto?
-Come sarebbe a dire “pronto”? House, se domattina non ti presenti in ospedale
al tuo orario di ambulatorio, puoi dire addio al tuo ufficio: ti licenzio!!
-Cuddy, qual buon vento? Per caso ti manco?
-Quando ti avrò licenziato non mancherai di certo al buget dell’ospedale!
Un’attimo di silenzio che sembra durare un secolo…
“Sono un ipocrita” pensò House fra sé. Ostentava un’allegria falsa, una
leggerezza e una superficialità che fino a pochi minuti prima non aveva. E
forse nemmeno ora.
-Perché sono tre giorni che non vieni al lavoro?
-Tre giorni? Incredibile come passa il tempo quando ci si diverte…
-Non dare risposte troppo evasive…non ne sei capace.- La Cuddy abbassò il tono
di voce, si fece estremamente dolce e comprensiva, come se sapesse già la
risposta che la attendeva. Qualche scusa, inventata lì su due piedi.
-Se ti dico per motivi di salute mi credi?
-Se tu fossi un’avvocato senza la più minima vocazione in medicina potrei
dartela buona, ma visto che sei un medico….ah…no!
-Allora diciamo che mi è morto il cane.
-House, ti prego…tu non hai un cane.
-No, non infilare il coltello nella piaga!- e piagnucolò
-Ok, ho capito…lasciamo perdere. A domani, House.
House riattacca.
Per la prima volta in vita sua era felice di aver sentito la Cuddy.
Forse sarebbe tornato…forse no, la paura di soffrire ancora per una donna era
più che mai viva nel suo cuore…cos’avrebbe fatto?
Lui aveva bisogno di lei, della piccola Cameron, dell’ingenua e della
perspicace dottoressa Allison.
Spense la luce, scostò la tenda, guardò fuori dalla finestra. La città in un
vivo venerdì sera. Niente di più.
ORE: 8.00 STUDIO DI HOUSE
Nemmeno quella mattina House si era presentato all’ospedale.
Cameron, più pallida e preoccupata che mai, raggiunse Chase e Foreman che la
aspettavano, davanti alla lavagna.
Cameron si sentiva i loro sgardi addosso.
C- Che c’è?
F- Ah..niente.
C- Come sarebbe a dire niente? Voglio sapere! Cos’ho che non va?
H- Siamo un po’ nervosetti stamattina?!
House sbucò dietro di lei. Un tuffo al cuore…era tornato.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Quarta Parte ***
H- Cosa sono quelle facce sconvolte
H-
Cosa sono quelle facce sconvolte?? Avete visto un fantasma…? Foreman, sei
diventato bianco dalla paura! Mi piace fare questo effetto alla gente…se mi
clonassero non esisterebbero più i neri…sono un’arma antirazzismo!
F- No è che…lasciamo perdere…sarebbe una pazia chiederti che hai fatto in
questi tre giorni…
CHASE- In effetti…
La Cuddy fece iruzione nella stanza prima che House potesse aprire bocca.
CUDDY- House…da quanto in qua le mie minacce fanno così effetto?
Cameron se ne stava zitta, la schiena contro il muro, era ancora scossa…non si
era ripresa, vederselo apparire lì dopo un silenzio di tre lunghi giorni,
sembrava diverso…
CUDDY- Non credere di svignartela dal tuo turno di ambulatorio!
H- Ah...oggi proprio non posso…c’è la funerale del il mio cane…, non posso
mancare… ci sarà anche la mia vicina di casa…bella donna. Chase…
CHASE- No.
H- Foreman…
F- No.
No, era sempre il solito House.
House si girò di scatto verso Cameron, come se per un attimo si fosse
dimenticato della sua presenza. Ma lui no…sapeva benissimo che lei era lì
dietro di lui, che lo fissava e intanto probabilmente macinava tanti, troppi
pensieri…
H- Cameron…?
Voce incredibilmente dolce…sguardo sincero che la osservava in tutta la sua
bellezza.
CAMERON- Ok… e sospirò lentamente, come se si fosse tolta un peso. Si sentiva i
suoi occhi addosso…ma l’importante era aver superato il primo ostacolo, tornare
a parlargli…certo, gli aveva detto solo un misero “ok”, ma era pur sempre un
“ok”…una sensazione di panico la pervase…non si era affatto dimenticata di
quello che aveva scoperto…ora lo guardava con occhi diversi, le faceva quasi
pena…ora che sapeva cosa si celava dietro quel carattere scontroso e quegli
occhi di ghiaccio. solo che…non sapeva come comportarsi, parlargliene? L’errore
più grande. Tacere? Un fardello troppo pesante da sopportare per la piccola
Cameron.
Aveva paura di perderlo, di allontanarlo più di quanto non fosse già…
Foreman la riportò al presente.
F- Abbiamo un nuovo caso.
H- (bevendo un sorso di caffè) forza spara.
F- Donna, 40 anni, accusa dolori addominali, è svenuta più volte al lavoro nel
giro di pochi giorni, problemi respiratori…
H- Qualc…
F- No, niente precedenti in famiglia…l’anamnesi non rivela problemi di salute nei
dei genitori...
H- Quando si dice essere sani come un pesce…come facevi a sapere cosa volevo
chiederti?
F- Come? Non ho scritto dei miei poteri telepatici sul curricolum?
CHASE- Allora che si fa? Ehi, Cameron sei con noi?
CAMERON- Eh? Si…mi ero distratta un attimo.
H- Così disse Dio quando fece i cinesi con gli occhi a mandorla…torniamo alle
cose serie (fece una smorfia)…cosa fanno stasera in tv?
Chase, Foreman e Cameron ora più attenta che mai, si scambiarono sguardi di
approvazione…era sempre il solito House…non era cambiato…e questo la fece
sentire un po’ più leggera.
H- Ok, ok…qualche ipotesi?- e nel frattempo prese a sfogliare una rivista –Ahh,
finalmente la pagina della televisione! Mi raccomando, non fate a pugni,
ascolterò tutte le vostre diagnosi, anche le più azzardate… …naaa, questo film
l’ho già visto!
Contraddittorio, non c’è che dire…ma tutti sembravano felici per il rientro di
House.
Cameron? Discorso a parte…
Erano passate solo poche ore dal suo ritrono in clinica che già sentiva il
bisogno di sfogare la sua frustrazione su qualcuno…quella volta la scelta
ricadde su Wilson.
Mise in tasca lo yo-yo col quale stava giocherellando nervosamente fino a pochi
minuti prima, prese il bastone e si alzò, pronto a intraprendere il suo
viaggio, destinazione: oncologia.
W- House? Sogno o son desto?
H- Pensala un po’ come vuoi…
W- Dov’eri finito? Ti sembra normale sparire per tre giorni? Era disperata…
H- Ah si…la Cuddy…uno a zero per me!
W- Cameron…
House si guardò le scarpe…ora non riusciva più ad alzare lo sguardo…quelle
parole lo avevano colpito…Cameron…disperata? Per lui?
W- Stai fuggendo…ammettilo…
H- Oh, mi hai scoperto! Ero perseguitato dal cibo della mensa…sono dovuto
scappare, il mio stomaco faceva perfino dei monologhi su quanto facessero
schifo quei panini e quel pollo fritto…!
Wilson alzò improvvisamente gli occhi dalla cartella che teneva fra le mani,
guardò House dritto negli occhi, era ora di farla finita con quella messa in
scena.
W- Smettila! Ti diverti a far soffrire le persone?! Sembra quasi di si…devi
mettere fine a questa storia…digli una volta per tutte quello che pensi…se ne
sei innamorato, bene! Faglielo capire…
Altrimenti metti fine a qualsiasi sua allusione…nel caso tu non te ne sia
accorto…lei soffre.
H- da quanto in qua i miei problemi, se così li vuoi chiamare, sono più
interessanti della diagnosi di un paziente…?
Gli strappò di mano la cartella, le diede un’occhiata, la mise sottobraccio e
uscì, con Wilson alle costole.
W- Volevo chiederti un consulto.
Il suo cerca persone suonò e tutti nel corridoio si girarono curiosi verso di
loro.
H- Se indovino mi offri il pranzo: arresto respiratorio.
W- Come fai a…?
H- La prossima volta chiedimi prima un consulto.
W- Ma se sei tornato stamattina!
H- Potevi chiedermelo dieci minuti fa, se non occupassi il tuo tempo a fare
ramanzine al sottoscritto…! Muoviamoci, o mi rimarrà sulla coscienza questa…-lesse
il nome sulla cartella -…Stacy.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Quinta Parte ***
House la guardava dormire, la osservava da fuori appoggiato al vetro, in
quei pochi secondi un turbinio di ricordi affollarono
House
la guardava dormire, la osservava da fuori appoggiato al vetro, in quei pochi
secondi un turbinio di ricordi affollarono la sua mente. Com’era stato bene in
quegli anni passati assieme a lei, non aveva amato mai nessuno in quel modo,
ossessivo, un qualcosa che veniva da dentro…che gli faceva provare quel
sentimento tanto difficile da conquistare, come si chiamava? Ah,
si…felicità…quella che non provava da tanto tempo, cinque anni, e che ora era
determinato a riconquistare. Ma proprio ora lei era tornata. Non per sua
volontà, per volontà dei suoi polmoni che stavano cedendo, e lui malgrado ci
pensasse giorno e notte non riusciva a capire il perché. Perché? Perché aveva
avuto quell’arresto respiratorio? Perché i suoi bronchi volevano soffocarla?
Era come se cercassero di farla soffrire, stare male, un po’ come faceva lei
con lui…
Era paradossale paragonare polmoni e amore…o forse no…entrambi erano vitali…di
quello ora più che mai era sicuro.
Stava male a vederla lì, bella come sempre, avvolta dal mistero, quel mistero
che nemmeno lui era riuscito a svelare conoscendola e standole accanto, distesa
su un letto d’ospedale, il viso sofferente, smorfie di dolore, attaccata ad una
macchina che le misurava i battiti cardiaci che da un momento all’altro
potevano variare, accellerare o rallentare, o che rimanevano uguali e costanti,
come la sofferenza padrona di quella stanza.
Era quasi ora di pranzo quando Wilson tornò nel suo ufficio e trovò quel
biglietto sulla scrivania. Riconobbe subito la calligrafia, quella calligrafia
tipica di un medico, quel medico, veloce e sicura, decisa…diceva “Noi DUE
dobbiamo fare QUATTRO chiacchiere”
House era seduto ad un tavolo della mensa…un vassoio davanti, dal quale però
non mancava nulla.
Wilson indicò il piatto pieno e intatto.
In risposta gli venne solo un “non ho fame”
W-Allora perché sei qui, nella patria del cibo, se non hai fame?
H-Ti devo parlare.
W-E non potevamo parlare nel tuo ufficio?
H-No.
W-Perché?
H-Si parla meglio qui, lontano da occhi indiscreti…
Tutti si voltarono verso il loro tavolo, con degli sguardi a metà tra lo
stupito e il perplesso.
H-Ok andiamocene. Non vorrei che tra mezz’ora tutto l’ospedale sapesse che
sgriderò il bambino cattivo Wilson.
Preserò l’ascensore.
W-che ho fatto?
H-Pensavi di tenermelo nascosto?
W-Cercavo di tenertelo nascosto!
H-Perché?
W-Immaginavo la tua reazione…la scenata che avresti fatto…immaginavo quello che
sta accadendo ora.
H-Sono abbastanza grande per le scenate.
W-Se lo dici tu…
Erano arrivati. House si diresse senza dire una parola verso il suo ufficio…ma
a sorpresa si ritrovò Wilson che lo seguiva a ruota.
H-Che c’è?- sbuffò…ora non era dell’umore giusto per scambiare qualche
“amichevole” chiacchiera, era più dell’umore di..non fare niente. Non voleva
rimanere solo, avrebbe pensato… a lei…e lui non voleva…o per lo meno cercava di
convincersi di non volerlo.
W-Cos’hai intenzione di fare?
H-Andare a casa rientra tra le possibili risposte?
W-Con Stacy…
H-Ah, con la paziente…se si alza dal letto la porto a prendere una pizza…la
faccio ubriacare, la porto al karaoke e cantiamo tutta la notte…altrimenti, io
quasi quasi la curerei. Tu che dici?
W-Ecco. Questo rientra nella tua reazione, cercare di fuggire dalla realtà e
dai problemi, evadi dal mondo che ti circonda e ti rinchiudi in quello di un
videogioco. Dove TU decidi quando inziare, con che modalità giocare, contro
quanti avversari batterti, quando mettere tutto in pausa e riposarsi, per poi
riprendere…e reiniziare la tua lotta contro il mondo. Ma la verità è un’altra
House…tu lo dovresti sapere meglio di me e…- esitò un’attimo…lo assalì una
starna paura, paura di farlo soffrire troppo…in fin dei conti se a volte se lo
meritava, altrettante volte gli faceva pena…sempre così solo e scontroso, che
non aveva paura o forse non si rendeva conto che poteva perdere l’unico amico
che aveva. E Cameron, l’unica donna che dopo Stacy riusciva a sopportarlo così,
con tutti i suoi difetti, il suo carattere…non lo voleva cambiare…
-… e non lo vuoi accettare. Non vuoi accettare che la tua ex torna da te solo
per le tue qualità di medico…tu la ami ancora House, inconsciamente…ma la ami
ancora. Ma devi accettare la realtà, quella realtà che non è il copione di un
film del quale sei tu il protagonista, ti limiti a ripetere con espressività le
battute, la relatà non è così House…- dovette fingere di parlare allo specchio
per convincersi a continuare…era consapevole che lo stava ferendo…e gli stava
facedo un favore…ma probabilmente questo lui non lo avrebbe mai capito.
-Devi accettare il fatto che non tutto è andato secondo i tuoi piani, che nella
vita, nella tua vita ci sono pure gli imprevisti, e non puoi fare a finta di
non vederli, perché prima o poi ci sbatti contro, e ti fanno cadere e non
riesci più a rialzarti. Fa parte della vita House.
Lo sguardo di Greg era indecifrabile, apparentemente calmo e tranquillo, ma
dentro in subbuglio.
H- Ti senti meglio?
W- si, mi sento meglio.
H- Allora, i risultati della TAC?
CHASE- Nulla di anomalo. Sembrerebbe tutto normale…
H- …ma evidentemente non è così!
F- E se dipendesse dal cervello?
CAMERON (entrando tutta trafelata)- scegli il medico e avrai scelto la
malattia! –lo so, è una citazione, ma ci stava bene allora…chiudete un’cchio!!-
H- Dr. Cameron, durante il periodo di internato non le hanno insegnato che non
si arriva tardi al lavoro?
C. Scusa…comunque potrebbe essere ipoparatiroidismo: nel giro di ventiquattro
ore ha avuto la paralisi ad una gamba in seguito a numerosi spasmi e
contrazioni involontarie.
F- e i problemi respiratori e i dolori alle ossa?
CHASE- Osteite deformante. Potrebbe avere intaccato le ossa craniche e leso il
cervello…si spiegherebbe anche la paralisi…
H- Fate una tac total body è una radiogradia al cervello. La corte si aggiorna.
STANZA DI STACY ORE: 22.00
H- Ciao…
S- Ciao Greg.
H- come stai?
Stacy alzò le spalle…bene non stava. Si sentiva strana….la testa le girava ed
era stanca…ma era felice di vederlo.
S- Novità?
House scosse la testa. Aveva poca voglia di parlare. Si sedette su una sedia
appoggiata al muro.
H- Dov’è tuo marito?
S- Lui non sa che sono qui. È rimasto in città. Gli ho detto che andavo via per
lavoro, una settimana.
H- Perché non glielo hai detto?
S- Non avrebbe capito. È come te…nemmeno tu avresti capito.
H- Già…forse hai ragione.
S- Come va?
H- Perché me lo chiedi? Sei tu quella che sta male.
S- no…non direi.
House avvicinò la sedia al letto. Aveva un brutto presentimento.
H- Stacy…parlami ancora…
S- No…non ci riesco
Parole soffocate…le si stavano chiudendo le vie respiratorie! Non respirava!
Continuò a chiamarla…ma lei non rispondeva, non ci riusciva, pochi e lunghi
respiri affannosi.
Un solo pensiero nella mente del dottore: trachoetomia.
STUDIO DI HOUSE ORE: 9.00
CHASE- Cos’abbiamo sbagliato?
H- tutto…gli estrogeni hanno causato il soffocamento. Poteva morire! Dobbiamo
ripartire da zero…un’altra volta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Sesta Parte ***
House era sdraiato sul pavimento del suo ufficio
House
era sdraiato sul pavimento del suo ufficio. Quel caso lo stava tormentando. E
la cosa peggiore era che non riusciva a formulare diagnosi oggettive. Si
rifiutava di prendere in considerazione malattie mortali, o qualsiasi diagnosi
fosse più grave da non poter essere contrastata con un’intervento.
Quel pomerggio faceva più freddo, l’inverno era alle porte. Aveva sempre odiato
l’inverno, la neve, il Natale, la felicità che non poteva provare…
Nemmeno quell’anno sarebbe stato diverso.
Tanburellava con le dita sul pavimento, seguendo il ritmo di una melodia che
aveva in testa, che solo lui sentiva…canticchiava tra se e questo lo faceva
sentire meno solo in quell’ufficio buio e vuoto. Improvvisamente si alzò,
guardò fuori dalla finestra della clinica. Nevicava…quell’anno la neve era
arrivata prima del solito, e aveva portato con se un’altra dose di sofferenza
per lui…possibile che il destino non avesse niente di meglio da riservargli? Un
qualcosa che gli facesse tornare il sorriso, che illuminasse quei due occhi
sempre cupi e tristi, qualcosa che lo facesse emozionare, di
nuovo…un’abbraccio. Ma la fortuna era cieca…
Un brivido lo fece tremare…ma non era il freddo…guardò giù sul giardino sul
quale si affacciava la clinica…messo lì per dare un po’ di speranza a quei
pazienti rassegnati che ormai potevano solo guardare fuori da quel vetro…
La Cuddy era in mezzo al parcheggio…chiacchierava animatamente con un tipo
vestito di bianco, probabilemnte un medico…anche se non riusciva a distinguere
chi fosse con più precisione. Foreman, forse Wilson, oppure Chase…non era
importante. Ora in testa aveva qualcosa di più fondamentale e urgente: salvare
Stacy. Secondo i suoi calcoli se non fossero intervenuti entro breve non ce
l’avrebbe fatta…e lei doveva farcela, doveva vivere, se non per lui, almeno per
suo marito…un marito al quale era stata costretta a mentire per farsi curare da
lui.
Prese in mano il telefono, compose un numero…un numero che sapeva a memoria,
che tante volte aveva fatto per poi riattaccare prima che qualcuno rispondesse…
-Pronto?
-Sono il dr. House.
-House? Non hai il diritto di chiamare…!
-è importante…
-….
-Stacy sta male. È qui, è venuta per farsi curare da me. Non ti ha avvertito,
ha sbagliato, perdonala.
-Ma lei è a Parigi per lavoro…mi ha telefonato ieri sera e…
-No, lei è qui…ti ha mentito perché sapeva che non avresti capito…che avresti
pensato male…
Esitò un’attimo, come se facesse fatica a pronunciare quelle ultime parole…
-Penso che le farebbe piacere vederti.
-Dammi una sola buona ragione per crederti.
-Stacy. Penso sia una buona ragione.
Riattaccò. Si stava già pentendo di quello che aveva fatto. Perché lo aveva
chiamato?
In fin dei conti lui non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a salvarla…per ora
brancolava nel buio…
Oramai il danno era fatto. Mentre era immerso in questi suoi pensieri, decise
di non rimanere con le mani in mano…avrebbe fatto una ricerca in internet.
Cameron stava andando da lui. Doveva portargli i risultati della radiografia. E
intanto rifletteva. Su come stesse House, come si sentisse dovendo curare la ex
che tanto lo aveva fatto soffrire, che lo aveva tradito proprio quando lui
aveva abbassato le difese, quandio aveva deciso di fidarsi di lei. Ora poteva
fargliela pagare. Sarebbe stato normalissimo. Da House. Ma no…non l’avrebbe
fatto…il peso che aveva sulla coscienza glielo avrebbe impedito.
Era arrivata. Si fermò sulla porta, lo vide seduto alla scrivania davanti al
portatile, al buio, illuminato dalla luce bluastra che proveniva dalla schermo
acceso. Lo sguardo e l’aria persi…di chi non sa più dove sbattere la testa. Non
seppe più che fare…lui non la aveva ancora notata, poteva girare l’angolo ed
andarsene…non lo aveva mai visto così concentrato, tanto da isolarsi dalla
realtà. Ne era certa, House stava soffrendo. Soffriva nel vedere Stacy sul
letto d’ospedale, a lottare contro la morte, soffriva nel riconoscere che lui
non le importava più, che una volta guarita sarebbe tornato tutto come prima…si
sarebbero persi di nuovo, così come si erano ritrovati…
E vederlo così faceva star male anche lei.
Cameron entrò timidamente, tossì per attirare l’attenzione di House. Un
silenzio imbarazzante…di chi non sa cosa dire…
H- Che c’è? Novità?
C (a bassa voce)- Si.
E sventolò la cartella sempre più piena, piena di risultati di esami, di tac, e
ora con una cosa in più…le immagini della radiografia…
Gliela passò. House osservò perplesso…aveva ragione Chase…le ossa craniche si
erano deformate e avevano leso il cervello. Ora rimaneva solo da sapere se
anche la paralisi era una conseguenza di ciò…come? Lo sguardo di House tornò
rassegnato.
C- Allora?
H- Osteite deformante al cervello.
C- Oh mio Dio! Ci sono stati si o no 4 casi negli ultimi trent’anni!
H- Telefona al Guinnes e comunica che ce ne un quinto…
C- Mi dispiace..
H- E perché dovrebbe?
C- Mi dispiace vederti soffrire così..vedi…
Cameron era titubante…era arrivato il momento della verità, doveva dirgli
tutto? Come avrebbe reagito? Si sarebbe arrabbiato…frose l’avrebbe mandata via,
non l’avrebbe più fatta avvicinare…forse…ma ormai non poteva più andare avanti
con quel peso, troppo grande per lei…forse, sapendo che lei conosceva la verità
si sarebbe confidato, l’avrebbe resa partecipe delle sue sofferenze…amore
significava anche quello.
E lei sarebbe stata lì, ad ascoltarlo, pronta a consolarlo…a fargli provare
quel sentimento che da tanto non provava più: gioia, felicità, amore…
Il suo piano era perfetto, peccato che a volte la realtà non vada come vogliamo
noi…
H- cosa vuoi dirmi…?
C- Ti arrabbierai.
H- No, non credo.(abbassò lo sguardò) non credo di averne più la forza.
Ora lei avrebbe voluto abbracciarlo, avrebbe voluto che lui la stringesse al
suo petto, voleva trasmettrgli un po’ di calore, ne aveva bisogno…
C- So che sto commettendo un grande errore…in verità il primo errore l’ho
commesso un paio di sere fa…
Ora House era più attento che mai…Cameron fissava il portatile…l’arma del
delitto che aveva compiuto…stupida…poi esplose, senza alcun preavviso, dopo
lunghi istanti di silenzio…
C- So tutto! So perché tu e Stacy vi siete lasciati…perché lei ora è tronata da
te per farsi curare…
Perché sei sempre così scorbutico…perché fingi che della vita dei pazienti non
ti importi un granchè…so perché sei tu House.
H- No…tu non sai niente, ed è meglio così…non puoi sapere e non saprai mai cosa
provo…
C- Invece si…- prese un respiro profondo – ho letto le tue e-mail…
House rimase immobile, colpito e affondato…forse la piccola Cameron non era poi
tanto ingenua ed indifesa…si sentì crollare il mondo addosso…lei sapeva…
C- Tu e Stacy vi siete lasciati…per la morte di sua sorella…la morte che tu non
sei riuscito ad evitare…
House non sapeva cosa dire…si sentiva un nodo in gola…avrebbe voluto
piangere…la picola Cameron l’aveva tradito…era successo quello che lui aveva
tanto temuto e aveva cercato di non dare a vedere…
C- Sei anni fa…la sorella di Stacy venne da te chiedendoti di visitarla, non si
sentiva bene…tu la rimandasti a casa dicendole che non aveva nulla… la causa
del suo malessere secondo te, era solo l’emozione…normale, mancavano pochi
giorni al matrimonio della sorella…con te.
Riprese fiato. Inizio a piangere. E continuò.
-Due settimane dopo lei morì, tumore al cervello. E tu non avevi fatto niente
per salvarla. Stacy ti lasciò, non voleva più avere niente a che fare con te.
Te, che non avevi salvato sua sorella, e non potevi salvare neanche lei da
quell’enorme perdita. Ed ora la situazione è la stessa. Solo che ora quella che
sta male è Stacy. E tu hai paura che si ripeta la stessa cosa. Il suo ritorno
ti ha riportato alla mente cose, queste cose… che avevi cercato di dimenticare.
Ora piangeva…cercava di soffocare singhiozzi, asciugava le lacrime…e si stupiva
di come House rimanesse lì impassibile.
C- Non dici niente?
H- Vattene.
C- No aspetta, io non volevo…
H- Vattene.
C- Sono stata una stupida! –ora piangeva, non poteva fermarsi, era scossa da
singhiozzi implacabili, le lacrime bagnavano il suo viso…
H- Perché l’hai fatto?
C-non lo so…
C-Credevo di mettere fine a questa storia…alle sofferenze di tutti.
H-e io credevo di potermi fidare di te! Mi hai tradito Cameron…
C- Qualsiasi cosa io ti dica immagino non servirà a farmi perdonare.- per un
attimo riusci a fermare il suo pianto…
H- Piangi Cameron…
C- No, stavolta no…-e intanto tratteneva nuove lacrime a fatica
H- Piangi, Cameron, è questa la tua punizione…te lo meriti!- la guardava con
una freddezza inaudita…occhi arrabbiati, lo aveva perso…per sempre…
Lei scoppiò a piangere…di nuovo…la mente non voleva, il cuore non riusceva a
sopportare altro dolore…aveva bisogno di lui…ma ora non si sarebbe più fidato
della piccola e “ingenua” Cameron, Sherlock Holmes tra le corsie
dell’ospedale…la dottoressa “voglio sempre sapere tutto di tutti”, che per
curiosità, inutile curiosità, ora stava perdendo l’uomo che amava…
House era in piedi, la testa contro il muro…stava piangendo, le lacrime
involontarie scendevano sul suo viso, l’espressione dura, di chi soffre…da
troppo tempo, e proprio ora che credeva di avere agguantato un fazzoletto di
felicità…l’aveva persa…di nuovo…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Settima Parte - Il Finale ***
Entrambi incapaci di pronunciare una parola di conforto nei confronti
dell’altro, se ne stavano lì, in piedi, lo sguardo fisso
Entrambi
incapaci di pronunciare una parola di conforto nei confronti dell’altro, se ne
stavano lì, in piedi, lo sguardo fisso sul pavimento, a contare e ricontare il
numero delle piastrelle…uno, due, tre…perdevano il conto e ricominciavano…e
intanto si scambiavano sguardi furtivi, lei lo guardava, il viso tirato, gli
occhi lucidi, le mani che si muovevano irrequiete, come i suoi pensieri…poi
abbassava improvvisamente lo sguardo, sentendosi la causa di tanta sofferenza.
Lui alzava gli occhi, la vedeva lì, indifesa e con una gran bisogno di
protezione, mortificata come non mai, la solita piccola e dolce Cameron,
l’avrebbe abbracciata, stretta a lui con forza per non farla andare via…così
fino a pochi minuti prima. Ora qualcosa lo tratteneva, qualcosa dentro gli
diceva “no Greg…non farlo..lei ti ha fatto soffrire!”, non avrebbe potuto
starle accanto, sarebbe stato destinato a soffrire, così, come in quel momento.
Entrambi si stavano facendo del male. Entrambi consapevoli di essersi persi,
allontanati, di ritrovarsi più soli che mai.
Il buio nascondeva ancora qualche lacrima…
H- Vattene.
C- No, House…non voglio…
H- Non importa quello che vuoi tu, vattene adesso!
C (urlando)- No!
H- Allora me ne vado io.
Prese il bastone e s’incamminò verso la porta.
Oltrepassò Cameron. Si sentì improvvisamente prendere il braccio, si girò e se
la ritrovò tra le sue braccia, stretta forte a lui, non lo avrebbe lasciato
andare per nulla al mondo. Anche quello significava amore.
House rimase immobile, non la abbracciò, non strinse le sue braccia intorno al
corpo scosso dai singhiozzi di lei…ma nemmeno la allontanò. Voleva farlo, ma si
rese conto che in quel momento per quanto la odiasse per ciò che aveva fatto,
la amava sempre come prima. Più di prima.
Come poteva amare e odiare contemporaneamente una persona, allo stesso modo, in
egual misura?
Cosa doveva fare?
Arrendersi a lei oppure reprimere ancora una volta i suoi sentimenti e stare
male?
Continuare a guardarla da lontano come aveva fatto fin’ora, osservarla fino a
sapere ogni sfumatura del suo volto, ogni singola espressione, leggerle negli
occhi e nel cuore, inebriarsi del suo profumo, e fare di tutto per nascondere
anche ciò che era evidente, forse troppo, fare contemporaneamente un passo
avanti e due indietro verso di lei, avvicinarsi alla sua meta, ma poi bastav un
soffio per ritrovarsi più lontani di prima…no…ora no…
Improvvisamente Cameron si staccò da lui, andò alla finestra e guardò fuori:
nevicava ancora, tutto fuori era bianco e ovattato, il Natale era nell’aria,
nell’aria fuori forse, ma non in quella stanza.
Cameron tirò su col naso. Greg le se avvicinò con lentezza e titubanza,
prudenza quasi, come se avesse paura che da un mometno all’altro lei si potesse
trasformare in una bomba ed esplodere.
Ormai erano vicini…lei lo vide attraverso il riflesso del vetro, così insicuro
come non era mai stato, timoroso di fare qualcosa di sbagliato, di ferirla, uno
sguardo emozionato…che non si poteva decifrare…era difficile smontarlo per
guardarlo dentro, Greg…non lo aveva mai visto così.
Cameron si girò…uno sguardo che cercava in tutti i modi di smuovere l’animo di
House, di chiedergli scusa…Le braccia di Greg si appoggiarono sulla schiena di
lei. Cameron rimase stupita…House la stava abbracciando, quello che aveva
sperato da tanto tempo si stava avverando. Si sentiva protetta tra le sue
braccia, ed entrambi furono pervasi da uno strano calore…il calore dell’amore.
Rimansero così…in piedi…abbracciati…Cameron si lasciò andare ad un pianto
disperato, gli sussurrò all’orecchio parole, parole di scuse, scuse per averlo
fatto stare male, per essersi intromessa, per avergli riporatato alla mente
cose e persone che aveva cercato con tutta la sua forza di dimenticare, scuse
per non essere stata sincera...
Pochi secondi lunghi come secoli…entrambi avrebbero voluto che quel momento non
finisse mai…nessuno dei due voleva staccarsi dall’altro, perdere quel senso di
protezione…finchè lui si allontanò lentamente, le prese il viso tra le mani e
le diede un bacio, istintivo e passionale, lungo, eterno…
Le labbra di lei sapevano di caldo, di buono, le mani di lui ora conosciute e
familiari.
Lui la strinse ancora più forte…la paura che tutto fosse un sogno, che lei
svanisse…scomparisse…lo abbandasse improvvisamente così come er piombatanella
sua vita...
Ma lei no, lei se ne stava lì, tra le braccia calde di lui, sembrava leggere i
suoi pensieri e gli sussurrò “Tranquillo…non scappo”, poi lo baciò e lo guardò
dritto negli occhi, quello sguardo, ora era lì, non stava sognando, non era
frutto della sua immaginazione troppo fervida…
Lui le sciolse i capelli, li accarezzò, e per un attimo quello star abbracciati
gli sembrò cosa normalissima…gli sembrò di tornare indietro nel tempo…a cinque
anni prima, quando dire “ti amo” non era così difficile.
H- Ti amo.
C- Credevo non te lo avrei mai sentito dire. Ti amo anch’io…
Quella notte l’avevano passata insieme, a casa di lui, lontani dal mondo, dai
problemi, dalle preoccupazioni Così vicini, entrambi erano rassicurati dal
respiro dell’altro, sereni, dopo equivoci e sofferenze, ricordi e pianti.
La prima ad aprire gli occhi fu lei, che si trovo già quelli di lui che la
guardavano da chissà quanto tempo.
-Quanto?- chiese
-Tutta la notte- rispose lui con una voce straordinariamente dolce, abbozzando
un sorriso
Lei rise, poi cercò la mano di lui, la trovò e la strinse forte…ora era lei che
non voleva farlo andare via…non voleva far scappare la felicità…
STUDIO DI HOUSE ORE: 10.00
F- Allora, cosa le somministriamo?
H- Assolutamente niente. Qualche antidolorifico per ora. La radiografia
dimostra che è osteite deformante. Ha colpito le ossa del cranio, e così ha
riportato danni anche il cervello. Il cervello danneggiato ha comportato la
paralisi mentre i problemi respiratori erano dati dai farmaci che le
somministravamo, facevano una reazione contraria, conseguenza: l’arresto
respiratorio. Comunque ho già fissato l’intervento per domani. La seduta è
tolta.
CHASE- Ma i casi di osteite sono rarissimi!
H- Un sacco di cose sono rarissime a questo mondo eppure succedono. Ricorda:
tutti mentono, forse in questa categoria rientra anche colui che ha detto che
l’osteite è una delle malattie più rare. O forse sono io che sto
mentendo…pensaci su! Possibilmete non durante l’orario di lavoro! A proposito Chase…non
è che mi potresti sostituire in ambulatorio?
CUDDY- No, niente da fare, l’ambulatorio ti attende! Niente scuse!
H- Mi dispiace…ho un impegno. Con un paziente.
CUDDY- Cos’è? Fai gli straordinari?- e così dicendo uscì rassegnata, House
avrebbe saltato ancora l’ambulatorio. Un giorno o l’altro l’avrebbe
esonerato…almeno gli evitava di doversi sempre inventare nuove scuse! Ormai il
repertorio era abbastanza vasto…
House uscì dallo studio e lungo il corridoio vide Cameron, bella e sorridente
come non la vedeva da tempo, appena furono più vicini le sorrise, fece un mezzo
inchino:
-Posso offrirle il pranzo dottoressa Cameron?
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=90100
|