There is a light that never goes out.

di Maggie_Lullaby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Thank you so much. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


 

Mmh... sì, sono tornata e sto postando una long. Sto ancora assimilando il fatto che sto postando una long quando non ne aggiorno una dai secoli dei secoli. Eppure, sì, eccomi.

Mi scuso profondamente con tutte le persone che seguivano le mie precedenti fic, non ho scuse per aver smesso improvvisamente di postare qualsiasi cosa, ma spero di poterlo a fare. Vi prometto che con questa storia, però, non ci dovrebbero essere problemi perché sino ad ora ho scritto dieci capitoli, sto iniziando a scrivere l'undicesimo e, considerando che posterò una volta a settimana ho tempo a sufficienza per portarmi avanti. :)

Piccola presentazione per questa fanfiction, sperando di chiarirvi tutto ciò che posso: prima di tutto, questa è una storia drammatica, sia ben inteso, e forse in alcuni punti non è per “stomaci delicati” anche se non l'ho messo come avvertimento. Nel caso vi paresse il caso che io debba aggiungerlo, ditemelo pure.

Di cosa tratta la storia, beh, l'avete letto nell'introduzione quindi non aggiungo altro.

A fondo pagina troverete il link di ogni canzone di tutti i capitoli, qualche avviso se ce ne sarà bisogno e... basta, direi. Oh, sì, qui sotto troverete anche un avviso per pararmi il fondo schiena in caso che qualcuno studiasse medicina tra voi.

Spero vivamente che questa storia vi piaccia, perché ci ho messo l'anima in ogni parola. Sono ben accette le critiche, assolutamente, e spero che chi trovi questa storia interessante me lo faccia sapere... tutto qui. Ma grazie comunque anche se leggerete e basta. :33

Ultima cosa, giuro! Questa storia non parla d'amore, o per lo meno inteso in senso romantico, per quanto sia presente in un certo senso per tutta la fic. Parla più che altro d'amore fraterno, direi.

Hope you like it.

There's a light that never goes out.

Capitolo 1.

Forse non sai quel che darei perché tu sia felice

[…] lacrime invisibili che solamente gli angeli

san portar via.

Ma cambierà stagione, ci saranno nuove rose

{Una poesia anche per te; Elisa}

Nick sbatté gli occhi castani, riscuotendosi dai propri pensieri, e storse la bocca quando l'ago che il medico gli aveva infilato nell'avambraccio fu estratto, la provetta piena di sangue scuro.

Il dottor Jim Turner sorrise al ragazzo, rassicurante, dandogli una pacca su una spalla.

«Tutto bene, Nicholas?», domandò, con un sorriso ebete sul viso solcato da numerose rughe.

Il diciannovenne annuì di sbieco, accettando volentieri il bicchiere d'acqua che l'uomo gli porgeva.

Il dottor Turner mise un'etichetta sulla provetta contenente il sangue di Nick e l'adagiò con grazia in una scatola piena di contenitori tutti uguali.

«Avremo i risultati domani», spiegò con aria pratica, muovendo le mani concitatamente. «Direi che potresti venire qui per le...», si sedette alla scrivania e diede una scorsa alla propria agenda, «per le cinque, cosa dici?».

Nick annuì, sempre senza proferir parola, con il desiderio sulla punta della lingua di dirgli che avrebbe preferito stare lontano da un ospedale per il resto dei suoi giorni.

«Tranquillo, non deve essere nulla di preoccupante», continuò Turner, controllando la cartella clinica dei precedenti esami che aveva fatto Nicholas solo nell'ultima giornata. «Un calo di zuccheri, oppure la pressione bassa. Sei molto sotto stress, anche. Dovresti fermarti per un periodo, rilassarti».

Nick alzò gli occhi al cielo mentre si infilava la propria giacca di jeans.

«Prova tu a prenderti una vacanza quando ci sono migliaia di persone che aspettano mesi interi per vederti e che non puoi deludere», sibilò, a bassa voce.

«Hai detto qualcosa?», domandò il medico, confuso, guardandolo attraverso gli occhiali di corno appoggiati sul grosso naso a patata.

«No», mentì il diciannovenne con non chalance. «Grazie per il suo tempo, dottore».

«È il mio lavoro», ribatté con un sorrisetto, impettito. «A domani».

«Arrivederci», mormorò Nick, uscendo dal piccolo ambulatorio, passandosi una mano fra i ricci scompigliati e gli occhi pesti dal sonno.

La sera prima era stato male. Di nuovo. E i suoi genitori quella volta si erano spaventati seriamente: un attimo prima stava mangiando, ridendo a una battuta di Joe, e quello dopo era a terra, privo di sensi. Così come due giorni prima, poco dopo un concerto, e una settimana prima ancora, prima di un'intervista al David Letterman Show. La prima volta era successo due settimane prima, a casa sua, e a trovarlo era stato Joe, passato per un saluto, entrato grazie alle chiavi di scorta che Nick stesso gli aveva dato.

Non era mai capitato così frequentamene, ecco perché Paul Senior e Denise l'avevano portato dal medico alle prime luci del mattino.

Nicholas era stanco di perdere le sue giornate in una stupida sala bianca, piena di puzza di disinfettante, con un medico che si dava tante arie per ragioni sconosciute. Era stanco della madre che, non appena arrivava a casa, gli dava troppe attenzioni e addirittura dei suoi fratelli, i quali erano un continuo “stai bene?”.

Se ci fosse stata lei sarebbe andata meglio. Avrebbe sopportato le pene dell'inferno se solo avesse potuto stringerla di nuovo.

Scosse il capo, grattandosi la punta del naso. Era impossibile. Ormai era un capitolo chiuso, finito, sigillato. Da dimenticare.

Sentì all'improvviso un contraccolpo sulle gambe e cadde a terra, gemendo.

«Oddio mio, scusami!», strillò una voce di donna, mentre Nick si rialzava massaggiandosi il punto della testa con cui aveva urtato una sedia. «Devo chiamare qualcuno?».

La donna che parlava doveva avere trent'anni, i capelli mori tendenti al mogano stretti in una lunga coda disordinata e il fisico esile e magro, gli occhi marroni preoccupati.

«No, si figuri», sorrise appena il ragazzo, cercando di non suonare sgarbato.

«Mia figlia... scusami davvero, le ho detto di stare ferma ma lei...», balbettò la donna, concitata.

Solo in quel momento Nick vide la bambina che evidentemente aveva spinto contro di lui una sedia a rotelle.

La piccola non doveva avere più di sette anni, il fisico esile e magro come quello della madre, e due grandi occhi azzurri, profondi come il mare, più simili a zaffiri che al comune blu.

Aveva i capelli di un color rosso chiaro, leggermente mossi e bellissimi.

«Scusa», mormorò la bambina, con tono angelico, melodioso, guardandolo con un piccolo sorriso sul volto.

«Non preoccuparti», le sorrise Nicholas, addolcito a quella vista.

La donna prese la bimba per mano, stringendogliela forte, poi si inginocchiò fino a mettersi esattamente alla sua stessa altezza.

«Clio, amore, ora devi aspettare la mamma seduta qui buona buona mentre va a prendere dei documenti e li firma, va bene? Qui ferma e buona, daccordo amore mio?», le chiese, con tono quasi supplichevole, il volto ora attraversato da rughe dettate dall'ansia.

«Sì, mamma», annuì Clio, le braccia dietro la schiena mentre si dondolava sulla punta dei piedi.

«Bravo tesoro mio», sussurrò la madre, negli occhi, però, c'era sempre una luce ansiosa, spaventata.

Nicholas spostò lo sguardo da madre a figlia, lanciando poi un'occhiata all'orologio.

«Vuole che le dia un'occhiata io?», domandò infine.

La donna si voltò di scatto, alzandosi, come se si fosse dimenticata della sua presenza.

«Lo faresti davvero? Due minuti, lo giuro».

Nick annuì, tranquillo.

«Ho tempo».

«Grazie, grazie davvero. Clio, stai con questo ragazzo un pochino? Torno subito, cucciola».

«Sì, mamma», ripeté di nuovo la bambina.

La madre le baciò i capelli e andò via, lanciandosi dietro delle occhiate ad intermittenza.

Clio si arrampicò su una sedia e si sedette, mettendosi il pollice in bocca e guardando Nick negli occhi.

«Ciao», disse dopo un po', con un sorriso, togliendo il dito dalla bocca.

«Ciao», ricambiò il diciannovenne.

«Come ti chiami?», domandò Clio.

«Nicholas.»

«Che bel nome!», esclamò la bambina, battendo le mani.

«Grazie. È molto bello anche il tuo», commentò senza sapere cos'altro aggiungere.

La piccola annuì, come se stesse soppesando le sue parole.

«È il nome di una Musa», spiegò, con aria pratica.

Nick annuì, ricordandosi i nomi delle Muse latine.

«Quanti anni hai, Clio?», domandò il ragazzo.

«Nove», rispose la piccola con un gran sorriso. Sembrava più piccola, constatò il ragazzo stranito.

Nick ricambiò il gesto, disegnando però una smorfia sul viso e dovette chiudere la bocca per non sembrare scocciato dalla presenza della bambina.

Clio dondolava i piedi avanti e indietro, guardandosi intorno con curiosità, come se quella hall fosse un museo, non un ospedale.

«Come mai sei qui?», fece la bambina, tornando a fissare Nick.

Il ragazzo si sedette accanto a lei, con un sospiro, iniziando a giocherellare con le dita con la dog tag che teneva al collo.

«Dovevo fare degli esami.», spiegò, cercando di sembrare indifferente, come se non fossero niente di che.

Clio lo squadrò con aria inquisitoria, gli occhioni ridotti a fessure nel tentativo di osservarlo meglio, inclinando leggermente il capo verso destra.

«Sei stanco», constatò, sicura. Non era una domanda.

Nick inarcò le sopracciglia, grattandosi nervosamente il naso.

«Già, un po'», annuì. «Ho dormito poco».

Clio scosse il capo.

«Sei anche un po' pallido», continuò Clio. «Stai bene?».

«Certo», annuì Nick, velocemente. Iniziava a sentirsi un po' a disagio in compagnia di quella bambina così acuta..

«Sicuro?».

«Tu perché sei qui, invece?». Evitò accuratamente di rispondere, rendendosi solo troppo tardi che magari era stato troppo invadente.

Clio scrollò le spalle.

«Linfoma giovanile», disse a bassa voce. «La mamma la chiama leucemia.».

Nicholas si irrigidì. Cancro.

«Mi dispiace tanto», sussurrò, sinceramente dispiaciuto.

Fu il turno di Clio di non rispondere. Abbassò il capo verso terra.

«Sto bene», chiarì subito, come se non volesse apparire debole. «Ho ancora tutti i capelli in testa.».

Il cantante si stupì di sentire una bambina di nove anni così informata.

«Te l'ha detto tua madre?», chiese. Sapeva di essere invadente, ma non gli importava.

«Oh, no, la mia mamma non mi dice molto... Dice che non devo sapere più del necessario. Mi dicono tutte le infermiere. Sono mie amiche, sai?».

Nick fece per parlare di nuovo ma fu interrotto dall'arrivo frettoloso della madre di Clio.

«Grazie, grazie mille.», disse, allungando una mano per stringerla al ragazzo. «Grazie davvero... ehm...».

«Nicholas», si presentò, vedendola in difficoltà.

La donna gli sorrise.

«Laura Randall», si voltò verso la figlia e la prese per mano. «Si è comportata bene? Spesso è molto agitata».

«Benissimo, è una brava bambina», assicurò il riccio, sorridendo appena.

Laura prese Clio in braccio.

«Grazie ancora, Nicholas, per la disponibilità.».

«Si figuri».

«Arrivederci», disse, salutandolo, per poi allontanarsi.

Dalle spalle della madre Clio mosse una mano con un gran sorriso.

«Ciao Nick!».

Il ragazzo la fissò un secondo, poi ricambiò anche lui il sorriso, questa volta ampio, e la salutò con la mano finché non sparì alla sua vista.

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Canzone, l'unica italiana presente in tutta la fic, ma molto carina, ve la consiglio: http://www.youtube.com/watch?v=riwwtU2GhUE

Avviso:

Non sono un'esperta di medicina, ho cercato di fare quante più ricerche possibili riguardanti il diabete e la leucemia con Mrs Wikipedia, ma non ho trovato tutto ciò che cercavo. Nel caso trovasse delle discrepanze nella fanfiction a livello medico è a causa di questo, me ne scuso.

Questa storia non è a scopo di lucro. I membri della famiglia Jonas ed altri personaggi realmente esistenti non mi appartengono, al contrario Clio, Laura e altri simili, che sono di mia creazione e mi appartengono in quanto tale (e per me sono l'ammmore **).

Questo primo capitolo so che non è niente di speciale, l'ho scritto l'anno scorso (precisamente il 30 Ottobre 2010 u.u) e non è bellissimo e nemmeno lunghissimo ma vi scongiuro, se vi sembra una storia interessante provate a leggere i prossimi capitoli, modestia a parte un po' migliora, mi sembra!

Oh, piccola avvertenza che potete tranquillamente non considerare, tecnicamente Laura si leggerebbe Lora, all'americana. Ma fate come volete. ;)

-Come ho già avvertito sopra, pubblicherò un capitolo a settimana, il giorno dovrebbe rimanere venerdì ma potrebbero esserci dei cambiamenti in futuro. Con le vacanze di Natale e il fatto che parto per qualche giorno vi avverto che il prossimo aggiornamento dovrebbe essere il 28/29 e quello dopo ancora il 5/6 Gennaio, da qui in poi gli aggiornamenti, salvo casi estremi, rimarranno regolari.

A Natale siamo tutti più buoni, se mi lasciaste una recensione, per quanto breve, mi farebbe davvero piacere. Davvero! Grazie mille ♥

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.


Hello, hello
anybody out there?
'cause I don't hear a sound
alone, alone
I don't really know where the world is but I miss it now.
I'm out on the edge and I'm screaming my name
like a fool at the top of my lungs
sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright
but it's never enough
cause my echo, echo
is the only voice coming back

{Echo; Jason Walker}

 

Il giorno prima, non appena aveva messo piede in casa, era stato assillato da Denise con decine di domande e richieste. Aveva risposto a monosillabi e, non appena sua madre si era calmata un pochino, era salito in camera sua, rendendosi conto di essere distrutto dalla stanchezza. Era caduto addormentato sul letto dopo appena cinque minuti, ancora vestito e con le scarpe ai piedi. Era rimasto a letto anche tutto il giorno seguente, alterando ore di sonno a qualche minuto speso a leggere un libro e ad ascoltare musica. 

Dopo la terza volta che era stato male i suoi genitori l'avevano costretto a tornare a vivere con loro finché non avrebbero saputo cos'aveva e non fosse stato meglio. Quando l'aveva saputo, si era trattenuto con tutto sé stesso dal mettersi a urlare contro i suoi genitori che non era più un bambino, che era grande, che poteva cavarsela da solo.

Fu con malavoglia che si alzò dal letto alle quattro e mezzo del pomeriggio per andare al Pronto Soccorso a ritirare i risultati degli esami.

«Ti accompagno», disse sua madre, vedendolo scendere le scale. Aveva già le scarpe ai piedi e il giubbotto in mano.

«Non è necessario, mamma», disse Nicholas, cercando di nascondere la vena seccata nella sua voce.

Denise scosse il capo, seria.

«Voglio parlare con il tuo medico», disse, aprendo la porta di casa e facendogli cenno di uscire.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e fece come gli era stato detto, entrando nella macchina della madre con le braccia incrociate al petto.

Solo quando anche Denise fu seduta a posto con la cintura allacciata rivolse un sorriso al figlio, accarezzandogli il viso.

«Stai bene, tesoro?», domandò dolcemente.

Nick la guardò e annuì.

«Mi hai fatto preoccupare, sei rimasto a letto da ieri sera...», disse, infilando le chiavi della macchina e facendola partire, uscendo lentamente dal vialetto di casa.

«Ero stanco», spiegò debolmente lui, grattandosi la punta del naso.

Denise sospirò.

«Joe è passato per sapere come stavi», lo informò dopo qualche minuto di silenzio.

Nick non riuscì a trattenere uno sbuffo.

«È preoccupato per te».

«Beh, non ha ragione di esserlo», sbottò lui, più rudemente di quanto volesse.

Denise alzò un sopracciglio, accigliata, per poi riposare lo sguardo sulla strada.

Nick guardò fuori dal finestrino, la fronte appoggiata al vetro, stanco. Stanco delle continue attenzioni dei suoi familiari, dei suoi amici, anche i tweet che riceveva dalle sue fan iniziavano a irritarlo, anche se aveva scritto chiaramente “Sto benissimo, davvero, non era niente di grave” accompagnando il tutto con un'emoticon felice.

«Amore...», disse Denise a bassa voce, guardandolo una volta fermatasi a un semaforo rosso. «Che cos'hai?».

«Non ho niente», rispose seccato Nicholas, guardandola arrabbiato. «Sto bene, la volete smettere di chiedermi come sto?!».

Denise ascoltò le parole del figlio attentamente, prima di riprendere a parlare.

«Sei nervoso», riprese, «sempre arrabbiato, continui a stare male, a dormire...».

Nick cercò di non prestarle attenzione, rivolgendo il suo sguardo altrove.

«Non pensavo che la tua rottura con...».

«Non dirlo», mormorò Nick, con tono flebile, guardandola di nuovo. Denise si stupì nel vedere gli occhi del figlio farsi lucidi.

«Mamma, ti prego, non dire il suo nome».

La donna sospirò e annuì, allungandosi per baciargli la fronte, prima di premere l'acceleratore non appena il rosso divenne verde.

Arrivarono in ospedale qualche minuto dopo, appena in tempo per l'appuntamento con il dottor Turner. Un'infermiera li fece accomodare nello studio vuoto del medico, dicendo loro che il dottore stava finendo una visita e che sarebbe arrivato tra breve.

Nicholas diede un'occhiata allo studio: le pareti erano rigorosamente bianche, piene di premi e riconoscimenti incorniciati. Sulla scrivania c'erano un paio di foto che ritraevano una donna riccia e mora, che doveva essere la signora Turner, e una bambina ancora nel passeggino.

Denise leggeva le targhe dei riconoscimenti con aria apprensiva, come se stesse scoprendo solo ora a chi aveva affidato la salute del figlio. Doveva essere soddisfatta, perché quando tornò a guardare Nicholas sorrideva.

«Cosa ne pensi del dottor Turner?», chiese, interessata.

«È uno a posto», disse Nick, scrollando le spalle.

Denise annuì e tornò a guardarsi intorno, sapeva che non avrebbe ricevuto altri commenti riguardanti il medico.

La porta si spalancò poco dopo.

«Scusatemi», disse Jim Turner, sinceramente dispiaciuto, chiudendosi la porta alle spalle e stringendo vigorosamente la mano a Denise e a Nicholas. «Molti colleghi sono in malattia e l'ambulatorio era pieno. Lei deve essere la signora Jonas», sorrise a Denise, mostrando una dentatura perfetta.

Denise annuì, ancora in piedi dopo essersi alzata per salutare il medico.

«Sì, dottor Turner, non ci siamo visti prima perché avevo parlato con il suo collega, il dottor...».

«Sullivan, certo», annuì il medico, interrompendola. «Nessun problema, signora, davvero».

Si sedette dietro la scrivania e Denise lo imitò.

«Ora, Nicholas», disse Jim, intrecciando le mani sopra la scrivania, rivolgendosi al diciannovenne. «Come ti senti?».

Se avesse sentito ancora una volta quella frase avrebbe probabilmente urlato.

«Sto bene», rimarcò per quella che gli parve la millesima volta.

Il medico sfogliò la cartella medica con cui era entrata.

«Le analisi di ieri non hanno rivelato nulla di particolarmente strano», spiegò con tono professionale. «Come avevo già supposto, la causa dell'ultimo svenimento è stato un calo di zucchero. Ne ho parlato con un mio collega, e mi ha detto che spesso un crollo nervoso, molti impegni o quando qualcuno è particolarmente sotto pressione può avere queste reazioni. O peggio. Non posso prescriverti una vera e propria cura, Nicholas, perché è tutta una questione mentale. Dovresti prenderti una pausa, capisco che la tua professione imponga determinati impegni, ma come tua madre e qualsiasi altro potrà dirti, la tua salute viene prima di tutto.

«Hai bisogno di dormire, mangiare, e vivere una vita da adolescente normale per qualche tempo. Il mio collega mi ha detto che se non si inizia a calmare dai nervi l'organismo, la situazione potrebbe degenerare. Può sembrare poco grave al momento la tua condizione, Nicholas, ma lo è per ora. Se non inizi a rilassarti potresti stare molto peggio, se poi consideriamo il diabete... Meglio prevenire che curare, giusto?», cercò di sorridere ma non appena incrociò lo sguardo del ragazzo il suo sorriso si spense.

Nick aveva annuito per tutta la spiegazione del medico, lentamente, mentre dentro di sé urlava. Turner non capiva, non poteva capire che tutto ciò che aveva fatto ultimamente, tutti gli impegni presi, i concerti da solista fatti, le interviste, gli incontri con altri artisti per comporre erano il suo unico modo per ritrovare un po' di felicità dopo di lei. Non poteva chiedergli di mollare tutto, all'improvviso. Se l'avesse fatto, avrebbe pensato solo a lei, ai loro appuntamenti, ai loro baci, al suo sorriso e il modo in cui gli diceva che lo amava.

E l'avrebbe fatto impazzire.

Sia Denise che il dottor Turner aspettarono che dicesse qualcosa.

«Tesoro, aspetteresti qui fuori qualche minuto, per favore? Vorrei parlare con il signor Turner».

Nick uscì, come un automa, e non appena fu fuori da quello studio si lasciò cadere per terra lungo la parete, la testa tra le mani.

Cercò di trattenere le lacrime che, prepotenti, lottavano per poter uscire. Ne sfuggì solo una.

Si sentiva soffocare in quell'ospedale, sembrava che le pareti si stessero rimpicciolendo, schiacciandolo, togliendogli il fiato.

Si alzò e, barcollante, si diresse verso l'uscita dell'ospedale. Non appena una ventata d'aria fresca lo colpì si sentì un po' meglio e si sedette sulla scalinata di marmo, appoggiando la testa alla parete al suo fianco.

Chiuse gli occhi, inspirando con forza l'aria fresca, cercando di calmarsi. Si sentiva la mente annebbiata, come se avesse bevuto troppo.

«Nick?», disse una voce melodica e armoniosa, poco distante. Una voce di bambina.

Il ragazzo riaprì gli occhi e vide Clio davanti a lui, gli occhioni spalancati che lo fissavano.

«Clio», mormorò, cercando di darsi un contegno. «Ciao...».

La bambina accennò un saluto con una mano.

«Non stai bene», constatò, con tono innocente.

A Nick scappò una risata spenta.

«No, non molto, hai ragione», mormorò con la gola secca.

Clio si sedette accanto a lui.

«Posso aiutarti?», chiese.

Nick le fece un sorrisetto riconoscente.

«No, grazie Clio, non puoi».

Clio abbassò il capo, triste.

«Ti hanno detto che sei malato?», chiese.

«Quello lo sapevo da tempo. Mi hanno detto che devo semplicemente smettere di fare una cosa che amo molto per... un po'».

Clio annuì, ascoltandolo attentamente, corrugando la fronte.

«Ma non è grave, vero?», domandò.

«Niente di grave», assicurò il riccio.

«Sicuro sicuro?».

«Al cento per cento».

Clio fece un gran sorriso.

«Oh, bene!», esclamò.

Nick fece un cenno strano con la testa. Già, teoricamente era un bene, no?

«Dov'è tua mamma?», domandò, cambiando repentinamente argomento.

«Dentro», disse la bambina, accennando con un dito all'ospedale. «Tanti fogli da firmare, medici con cui parlare...».

Nick annuì e lanciò un'occhiata alla porta del pronto soccorso, chiedendosi se sua madre avesse finito di parlare con Mr-Sorriso-Perfetto.

«Ti va di prendere un gelato?», domandò improvvisamente Clio, di nuovo allegra, guardandolo negli occhi.

«Ehm...», si guardò intorno. Considerando che non aveva mangiato praticamente nulla dal giorno prima, un gelato pieno di zuccheri gli avrebbe fatto solo bene, ma di certo non voleva sparire con una bambina malata di cancro da un ospedale.

«Aspettiamo tua mamma, prima, okay?».

«Ma la mia mamma ci metterà secoli», borbottò Clio, incrociando le braccia al petto e montando una smorfia sul viso.

«Anch'io devo aspettare mia mamma, sai?», disse cercando di cambiare argomento.

Clio mugolò, come per avvertirlo che lo ascoltava.

«Anche lei sta parlando con un dottore», continuò a spiegare, alzando lo sguardo verso il cielo.

Rimase ad osservare una nuvola bianca e soffice, spostata dal movimento costante del cielo, a guardare il cielo azzurro.

«Vuoi bene alla tua mamma?», chiese improvvisamente Clio, strappandolo dalle sue riflessioni.

A quella domanda il suo sorriso si aprì.

«Moltissimo», rispose.

«Anch'io ne voglio tanto a mia mamma», disse la bambina.

«Sono sicuro che è così», disse Nicholas.

Clio fece per dire qualcosa, ma fu interrotta sul nascere da una voce femminile.

«Nick!», esclamò Denise, facendo voltare il figlio. «Non ti trovavo più! Mi sono spaventata!».

Il diciottenne alzò gli occhi al cielo facendo ridere Clio.

«Scusa, mamma».

Denise raggiunse il figlio.

«Ciao», sorrise poi, notando la bambina, e accennando a un saluto con una mano.

«Ciao!», ricambiò lei, sventolando la mano destra con forza.

«Piccolina, dov'è la tua mamma?», chiese, cercando una donna nei dintorni.

«Laura sta firmando delle carte e parlando con dei medici», disse Nicholas al posto di Clio, incuriosendo la madre.

«Oh, le conosci?», disse, sorridente.

«Da ieri», annuì Clio concitatamente, come se “ieri” fosse una vita prima.

Denise sorrise e si sedette accanto al figlio.

«Aspettiamola prima di andare via, okay?», disse quest'ultimo, guardandola. «Non voglio lasciare Clio sola».

«Ma certo!», annuì la donna. «Hai veramente uno splendido nome, Clio!».

«Grazie», disse lei, mentre le gote le si tingevano appena di rosso.

Aspettarono in silenzio per il resto del tempo, Clio giocherellava con i suoi capelli, Denise scriveva una lunga e-mail a qualche amico sparso per gli Stati Uniti, mentre Nick aveva ripreso ad osservare il cielo e le nuvole. Non voleva pensare alle parole del medico, non in quel momento, sapeva che non appena fossero stati soli sua madre ne avrebbe parlato allo sfinimento.

Stava pensando che la nuvola che stava osservando in quel momento aveva la forma di una chitarra quando sentì la voce di Laura chiamare Clio.

Si voltò e la vide incespicare mentre correva verso la figlia.

Solo quando si alzò e la guardò bene in voltò Laura parve riconoscerlo.

«Nicholas!», disse, guardandolo. «Ciao, come stai?».

«Bene», mentì lui, senza nascondere troppo la bugia. «E lei?».

Laura minimizzò la risposta con un cenno d'assenso e un sorriso leggero.

Denise era di nuovo in piedi e aveva allungato una mano verso la giovane donna per stringerle la mano.

«Sono Denise Jonas, la madre di Nicholas», si presentò educatamente.

«Laura Randall, molto piacere», ricambiò Laura, cortese.

Clio tirava il vestito della madre con una mano, cercando la sua attenzione.

«Mamma, mamma, possiamo andare a prendere un gelato con Nick? Per favore!», la supplicò, iniziando a saltellare sul posto.

Nick sorrise vedendo quella scena e Denise, che lo guardava con la coda dell'occhio, ne fu piacevolmente sorpresa.

Laura lanciò un'occhiata al diciannovenne.

«Devi chiedere prima a lui, tesoro», disse.

«Ma lui ha voglia, vero Nick? Vero?».

«Certo», annuì lui, sinceramente.

Il sorriso di Laura si aprì.

«Beh, allora perché no... Signora, lei permette?», chiese poi rivolgendosi a Denise.

Denise annuì.

«Certo, vengo con voi se non vi disturba».

«Assolutamente no, si figuri! Conosco una gelateria qui poco distante, molto buona, possiamo andare a piedi se vi va».

Clio annuì vigorosamente, come per dire che era perfettamente daccordo con le parole della mamma.

«Faccia strada», disse Nick, accennando un'ombra di sorriso.

 

Continua...

Angolino della squilibrata:

Canzone del capitolo, una grande canzone con parole bellissime che vi consiglio di ascoltare attentamente *si soffia il naso* E' bellissima çwç http://www.youtube.com/watch?v=RiwKZUYMvaE

Prima di tutto ringrazio tutti voi per le cinque recensioni ricevute, sono veramente contenta, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che me lo facciate sapere, anche le critiche sono molto ben accette, davvero.

Non c'è molto da chiarire a proposito di questo capitolo... se avete delle domande sarò felice di rispondervi, ovviamente.

Dato che domani o dopodomani parto (ooh i misteri della vita ._.) e non so esattamente quando tornerò vi dico che il prossimo capitolo dovrebbe arrivare il 6 o 7 Gennaio, e da quel momento gli aggiornamenti si stabilizzeranno una volta a settimana, probabilmente il Venerdì.

Mi scuso se in questo capitolo le varie frasi hanno diverse dimensioni, ma l'HTML mi odia. çwç That's so sad.

A questo punto vi auguro BUON ANNO, spero che il vostro 2012 sia meraviglioso e ricco di sorprese belle e felici.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.


Where is the hope in a world so cold?

Looking for a distant light, someone who can save a life.

Living in fear that no one would hear your cry.

Can you save me now?

{Not Alone; Red}

 

«È stato un bel pomeriggio», commentò Denise risalendo in macchina.

Nick annuì di sbieco. Sì, era stato un bel pomeriggio, dopo aver mangiato un gelato erano andati in una libreria a cercare qualche nuovo libro da comprare, e poi ancora a fare una passeggiata in un parco. Laura e Denise avevano parlato quasi tutto il tempo, sembravano andare daccordo, mentre Clio era stata vicino a Nick facendogli domande a volte talmente assurde da lasciarlo confuso e insieme divertito.

Sapeva però che, ora, sarebbe arrivato il discorso. Sua madre l'avrebbe costretto a fare ciò che il medico prescriveva a qualunque costo.

«Nick...», disse, infatti, non appena anche lui si fu seduto e allacciato la cintura.

«Mamma, non costringermi. Ti prego», disse lui, guardandola negli occhi.

«Tesoro mio, l'hai sentito il dottor Turner...».

«Il dottor Turner è un povero idiota!», sbottò Nick.

«È un uomo gentile», ribatté sua madre.

«È un incapace».

«Perché...?», chiese debolmente la donna.

«Perché... perché...», balbettò Nick. Non sapeva spiegarsi, soprattutto perché le sue motivazioni non erano molto valide. Poteva dire di non sopportare Jim Turner per molte ragioni, a partire dal suo sorriso gentile e i suoi modi sino al fatto che voleva fargli abbandonare la sua carriera per un periodo, ma non aveva altre ragioni per poterlo contestare. Non con sua madre, almeno.

Denise aspettò pazientemente le motivazioni di suo figlio, senza riceverne.

«Abbiamo parlato un po', oggi», disse. «Gli ho detto che ultimamente sei molto nervoso anche per... altre ragioni oltre alla carriera».

Nick le fu silenziosamente grato di non aver pronunciato parole come “rottura”, “ex fidanzata” o, peggio, il suo nome.

«Mi ha detto che sarebbe meglio se tu parlassi con qualcuno... uno specialista».

Nick spalancò gli occhi, scandalizzato.

«Mi vuoi spedire da uno strizzacervelli?!», sbottò ad alta voce.

«Potrebbe aiutarti, amore, uno psicologo potrebbe aiutarti a superare questa separazione».

«Non ho bisogno di aiuto!», quasi urlò. «Non sono pazzo!».

«No, no amore, non sto assolutamente dicendo questo!», disse Denise, muovendo concitata le mani.

Nicholas si slacciò la cintura e uscì dalla macchina, camminando a passi lunghi e veloci per allontanarsi da sua madre.

«NICHOLAS!», lo richiamò lei, uscendo anch'essa dalla macchina.

«Voglio stare da solo!», le gridò dietro, voltandosi un secondo per guardarla, poi riprese a camminare, le mani affondate nelle tasche.

Anche se non la vedeva sapeva che stava riflettendo se inseguirlo e costringerlo a salire con lei in auto. Continuò a camminare. Lei non lo seguì.

Girovagò per Los Angeles per quelle che gli parvero ore ma poteva essere solo mezz'ora. Camminava a testa bassa, gli occhiali da sole sul naso, il cappuccio della felpa tirato sulla testa, per evitare di essere riconosciuto da fan e fotografi.

Fu fortunato, non lo fermò nessuno.

Quando giunse davanti alla casa che stava cercando il sole stava tramontando. Percorse il vialetto di pietra e suonò il campanello due volte. Sentì il suono acuto rimbalzare per le pareti della casa e poco dopo si aprì la porta.

Joe doveva averlo visto attraverso lo spioncino della porta. Quando lo vide fece un'espressione sollevata, Denise doveva averlo avvertito che Nick sarebbe potuto venire da lui. Nicholas lo guardò qualche istante prima di parlare.

«Posso stare un po' qui?», chiese a bassa voce.

Joe indietreggiò per fargli spazio e non appena il fratello entrò lo abbracciò forte. Nick lo strinse come un uomo si aggrappa alla sua unica ancora di salvezza e scoppiò in pianto.

**

Joe aveva chiamato i genitori per avvertirli che Nick sarebbe stato da lui per un po' e aveva ricevuto decine e decine di raccomandazioni di ogni tipo. Se avesse voluto, Nicholas avrebbe potuto anche tornare a casa sua, poco distante da quella del fratello ventiduenne, ma sapeva che se l'avesse fatto i suoi sarebbero venuti a recuperarlo e riportato a casa in fretta e furia. A casa di Joe, invece, l'avrebbero lasciato stare per un po'. E poi, aveva bisogno di suo fratello.

Joe entrò nella camera che aveva preparato per Nick e si sedette sul letto accanto a lui.

«Non chiedermi come sto se non vuoi ricevere un pugno», lo intimidì il diciannovenne prima che potesse parlare.

«Credo di aver avuto tutte le risposte poco fa», disse Joe, accennando al pianto liberatorio del fratello. «No, ho una domanda ben più importante da farti».

«Dimmi», disse Nick, con un vago sorriso.

«Cosa vuoi per cena?».

Nicholas scoppiò a ridere, scuotendo il capo.

«Che c'è? Ho fame», ribatté il mezzano, sorridendo anche lui.

«Scegli tu», fece Nick, «non ho tanta fame».

«Mi spiace, amico, mamma mi ha specificamente detto che è da ieri che non mangi un piatto decente quindi, per dirlo con le sue parole, a costo di ficcartelo giù per la gola devi mangiare».

Nick alzò le mani in segno di resa.

«Va bene. Ma scegli tu comunque».

«Perfetto! Perché non ti fai una doccia mentre preparo? Ti chiamo quando è pronto».

Il minore annuì e si alzò insieme al fratello, andando verso il grande bagno e incrociando per la sua strada Winston, il bulldog di Joe, che lo fissava truce.

«Ehi bello», gli sorrise il riccio, accarezzandogli la testa. Winston cominciò a scodinzolare.

Si chiuse in bagno, respirando piano, gli occhi chiusi mentre lentamente iniziava a svestirsi e apriva l'acqua, buttandosi sotto il getto bollente.

Forse, si disse, sarebbe riuscito a resistere una settimana come adolescente normale. Una e basta. Non i mesi di cui parlava Mr-Sorriso-Perfetto. Una settimana doveva bastare, no?

Rimase immobile sotto l'acqua a lungo, fermo ad ascoltare semplicemente lo scroscio dell'acqua sul suo corpo e sulle piastrelle.

Sarebbe voluto rimanere lì per sempre, senza pensare, senza dover fare niente o preoccuparsi di qualsiasi cosa.

Uscì solo quando iniziò a sentire i guaiti di Winston fuori dalla porta, si avvolse in un asciugamano che legò in vita prima di infilarsi una maglietta e un paio di pantaloni datigli da Joe in prestito.

Se li infilò in fretta e poi scese le scale, sentendo un buon profumo provenire dalla cucina.

Joe sapeva cucinare e questo lo consolava molto se pensava a ciò che avrebbero dovuto mangiare se avesse dovuto cucinare lui. Probabilmente i pompieri sarebbero arrivati dopo appena cinque minuti.

«Eccoti!», esclamò Joseph con un gran sorriso vedendo il fratello. «È quasi pronto, finisci di apparecchiare per favore?».

Nick fece fu come gli era stato chiesto e si sedette su una sedia non appena vide il fratello portare una pentola piena di pasta in tavola.

«Okay, questa sera si guarda un film. Un thriller. Non accetto “no” come risposta, ti lascio semplicemente la scelta», disse Joe, con un sorriso convinto.

Nicholas ridacchiò e annuì.

Mangiarono qualche minuto in silenzio, poi il diciottenne lo ruppe.

«Joe?».

«Sì?».

«Grazie». Di tutto.

Le labbra di Joe si aprirono in un gran sorriso.

«Sono qui». Come sempre.

**

I tre giorni seguenti passarono tranquilli; Joe era andato a casa di Nick a prendergli un po' di vestiti e aveva anche fatto visita ai suoi genitori, rassicurandoli sulla salute del diciannovenne. In quel periodo, Nicholas era rimasto quasi sempre in casa a suonare la chitarra, leggere libri, giocare ai videogiochi e ascoltare musica.

Come un adolescente normale. Mr-Sorriso-Perfetto sarebbe stato fiero di lui.

Fu solo il quarto giorno che si rese conto di non poter resistere un'ora di più in casa. Joe era fuori, impegnato in qualche intervista o servizio fotografico – o forse tutti e due, non aveva capito.

Si infilò una maglia e un paio di pantaloni dato che era da quella mattina che girava per casa ancora in pigiama, afferrò le chiavi di scorta che Joe gli aveva dato e uscì, munito dei suoi fedelissimi occhiali da sole.

Los Angeles era affollata e afosa, come ogni giorno. Nicholas avrebbe preferito fosse un giorno di pioggia, in modo tale da poter girovagare per la città con ancor meno possibilità di essere visto dai giornalisti.

Fortunatamente non erano appostati fuori dalla casa e poté avviarsi lungo la strada senza essere seguito.

Con le cuffie nelle orecchie decise di andare a far visita ai suoi genitori, giusto per rassicurarli e poter recuperare qualche suo oggetto lasciato da loro. Incluso il suo cane, Elvis.

A piedi, tra casa di Joe e quella dei loro genitori, incorrevano almeno quaranta minuti di cammino. Gli parve di vedere un paio di fotografi fargli qualche foto dopo un po' che camminava ma li ignorò e benedì il cielo per avere un aspetto decente. Non sembrava più un cadavere ambulante come sino a pochi giorni prima.

Entrò in casa con le sue chiavi e si avviò verso il salotto da dove sentiva alcune voci, inclusa quella di sua madre.

Era seduta sul divano con una tazza di caffè in mano, le gambe accavallate, affiancata da suo marito. Davanti a loro, sull'altro divano, erano sedute Laura e Clio.

«Nick!», esclamò la bambina, la prima ad accorgersi della presenza del ragazzo.

Denise e Paul si voltarono di scatto.

«Nicholas!», esclamò bonario Paul, alzandosi in fretta e andando ad abbracciare il figlio. Denise, vedendolo più colorito e meno emaciato, gli sorrise e lo strinse dopo il marito.

«Come stai?», gli domandò il padre.

Dato che era da tre giorni che nessuno gli rivolgeva quella domanda non iniziò a urlare, ma sentì ugualmente montare il nervosismo.

«Molto bene, grazie», mentì. Stava meglio, ma era lungi dal stare molto bene.

Paul sorrise e poco dopo Nick sentì qualcuno abbracciarlo per la vita.

«Ciao Nick!», squittì Clio, per poi guardarlo negli occhi.

«Ehi Clio», sorrise amorevolmente lui. «Tutto bene?».

«Alla grande!», esclamò lei. «Nick, Nick, ho una partita di calcio tra poco, mi vieni a vedere? Ti preeeego».

Lo supplicò con tale insistenza che, anche volendo, Nicholas non avrebbe potuto dirgli di no.

«Certo», rispose.

«Evviva!», esultò Clio, iniziando a saltellare.

Laura sorrise.

«Ciao Nicholas», lo salutò. Era rimasta ferma e zitta sino a quel momento.

«Salve Laura», ricambiò lui.

Laura si alzò e lanciò un'occhiata all'orologio.

«Grazie mille per la compagnia e il caffè, Denise e Paul», disse. «Ora è meglio se andiamo se non vogliamo arrivare tardi alla partita».

«Sì, grazie», annuì concitata Clio.

Nick udì un cane abbaiare e dopo pochi istanti un'enorme massa di pelo biondo si scaraventò contro di lui, facendolo quasi cadere.

«Elvis!», disse felice, accarezzando il pelo fulvo del suo cane con un sorriso grande sul volto. «Posso portare anche lui alla partita?».

«Portalo pure», annuì Laura.

«Prendo delle mie cose e vi raggiungo», disse e fece per salire le scale, quando la voce di sua madre lo fece fermare.

«Non... non rimani?», chiese con una vena triste nella voce.

Si voltò a guardarla.

«No, torno da Joe».

Denise si morse il labbro inferiore e annuì in fretta.

Nick prese qualche altro suo vestito, un paio di spartiti scritti fitti fitti che aveva iniziato a comporre qualche giorno prima e la sua chitarra preferita.

Scese in fretta le scale e trovò Clio ad aspettarlo.

«Andiamo?», domandò emozionata.

«Sissignora!», fece Nick, portandosi una mano sulla fronte come per fare un saluto militare.

Salutò con un bacio sulla guancia la madre e una pacca sulla spalla al padre, poi seguì la bambina. Laura era già in macchina.

Arrivarono al campo pochi minuti dopo e Clio corse subito a cambiarsi in uno spogliatoio allestito in una tenda poco distante.

Clio giocava in una squadra interamente femminile e, Nick si stupì nel vederla giocare, era molto brava.

Lui e Laura erano seduti sugli spalti a fare il tifo e ad applaudire. La squadra di Clio stava vincendo due a zero, sino a quel momento, ed entrambi i goal erano stati segnati dall'esuberante bambina dai capelli rossi.

«Non sembra malata», disse Nicholas a Laura vedendola saltellare e ridere con alcune sue compagne di squadra.

Gli occhi marroni della donna, sin ora ridenti, si oscurarono di una luce triste.

«È una giornata buona», disse. «Ultimamente ne ha spesso, fortunatamente».

«Scusi, non dovevo chiedere, sono stato indelicato...», si scusò immediatamente il cantante, vedendo una lacrima rigarle una guancia.

«Oh, dammi del tu, ti prego», fece lei, facendo un gesto come per dire che non importava. «Sai, Clio si è affezionata molto a te».

Nick un po' si stupì nel sentirselo dire.

«Davvero?».

Laura annuì.

«Parla molto di te».

«Spero non ti infastidisca», commentò lui, senza sapere che altro dire.

«Ma figurati, mi fa piacere vederla felice».

Clio fece un passaggio particolarmente difficile a una sua compagna di squadra e sia lei che Nick si alzarono per applaudire, per poi risedersi.

«Da quanto tempo è malata?», chiese poi il ragazzo.

«Quasi due anni», rispose pacata la donna.

Nicholas richiuse la bocca, conscio che la domanda che le voleva fare era troppo personale... e troppo dolorosa.

«Non sanno se... se ce la farà», rispose Laura, deglutendo, come se gli avesse letto nel pensiero. «Hanno bisogno di un donatore di midollo osseo e non riescono a trovarne uno compatibile. Non possono cominciare ancora la chemioterapia, bisogna aspettare che... che lei... perda i capelli».

Nick percepì il dolore della donna come se fosse suo.

«È tutto un gran punto interrogativo, al momento», concluse Laura.

«Sono così dispiaciuto», sussurrò Nicholas. «Immagino che te lo sentirai dire continuamente, ma lo penso sul serio».

«Lo so». Laura gli fece un piccolo sorriso. «Grazie, Nick».

Per il resto della partita non parlarono più della leucemia di Clio. Il punteggio finale fu di tre a uno e quando la bambina li raggiunse, già cambiata per andare via, continuava a sorridere.

«Hai visto, mamma? Hai visto? Sono stata brava, vero? Credevo di non riuscire a segnare la seconda volta, ma ce l'ho fatta! Ti è piaciuta la partita, Nick?», esultava, logorroica, facendo domande su domande.

«Mi è piaciuta moltissimo e tu sei stata bravissima!», ridacchiò lui, abbracciandola piano.

Clio gonfiò il petto, orgogliosa, mentre gli occhi di Laura risplendevano gioia.

«Clio, ti andrebbe a fare un giro con me, domani pomeriggio?». Le parole gli erano salite alle labbra prima che potesse fermarle.

La bambina fece un sorriso enorme e annuì con forza.

«Davvero?», domandò allegramente.

«Solo se la tua mamma è daccordo», disse Nicholas, e sia lui che Clio si misero a guardare Laura.

La donna fissava il ragazzo con riconoscenza.

«Assolutamente daccordo», sorrise e Clio saltellò.

«Grazie», sussurrò Laura all'orecchio di Nick.

«Figurati».

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Amo questa canzone, ha un testo meraviglioso, per chi non la conoscesse e volesse ascoltarla ecco qui il link di youtube con le lyrics. http://www.youtube.com/watch?v=0ODDtLMiGnY

A voi, graziegraziegraziegraziegrazie *si prostra ai vostri piedi* Cinque recensioni sono davvero più di quanto mi aspettassi, e soprattutto sono tutte positive *---* Vi sto amando, sappiatelo! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto :33 E' essenzialmente un capitolo di stallo, un po' di passaggio... entreremo presto nel cuore della vicenda.

Ho fatto un calcolo e vi avverto che questa fic dovrebbe avere 19 capitoli. Sin ora ho scritto sino al 12 e mi pare che, con quello che mi resta da raccontare, questa long non dovrebbe superare questo numero ma è tutto un grande forse.

Se avete domande sarò ovviamente felicissima di rispondere. <3

Spero mi facciate sapere che ne pensate! A venerdì, ora l'aggiornamento sarà regolare! (:

Un bacione.

 

Maggie.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4.


It's been a while
Since I could stand on my own two feet again
It's been a while
Since I could you
But everything I can't remember
As fucked up as it all may seem

{It's been a while; Staind}

 

«Ma non inizi a sentirti male dopo il terzo gelato?», domandò Nicholas, inarcando un sopracciglio mentre osservava Clio mangiare con un gran sorriso il suo cono gelato, leccando la crema sciolta per il sole che le sporcava le mani.

La bambina scosse il capo vigorosamente, continuando a mangiarlo.

«Sto benissimo», disse convinta. «Il gelato non può fare male, dai».

«Ti meraviglieresti se ti dicessi tutto ciò che fa male», sbuffò il diciannovenne, per poi aprirsi in un lieve sorriso vedendo tutta la faccia di Clio sporca di crema e cioccolato.

«Che c'è?», domandò confusa lei, inclinando leggermente il capo.

«Sei giusto un po' sporca», ridacchiò lui, estraendo da una tasca un fazzoletto e abbassandosi un poco per pulirle il viso.

Clio fece una smorfia mentre Nick le strofinava il pezzo di carta sulla faccia e gli fece una linguaccia quando ebbe finito.

«Sei peggio di mia mamma», commentò, ma Nicholas percepì il divertimento nel tono della sua voce.

Nick scosse il capo, continuando a camminare.

«Vuoi fare qualcos'altro, Clio?», le domandò.

Come aveva detto, quel giorno aveva portato la bambina a fare una passeggiata assieme. Era andato a prenderla quella mattina a casa, poco prima di pranzo, e tra una cosa e l'altra si erano già fatte le cinque.

Clio sbadigliò e si coprì la bocca con una mano.

«Mi accompagni a casa? Sono stanca», chiese con gentilezza.

Nicholas sentì un peso formarsi al peso dello stomaco, ma annuì e fece marcia indietro, dirigendosi verso la sua macchina.

Stava facendo come il dottor Turner aveva detto, ovvero viveva la sua vita come un qualsiasi altro diciannovenne normale, noioso e patetico. Viveva ancora con Joe, anche se passava la maggior parte della giornata a casa da solo con Elvis e Winston dato che il fratello maggiore era impegnato con il lancio del suo nuovo disco e questo totale ozio comportava una sola cosa: lei. Pensava a lei costantemente, mentre mangiava, mentre giocava con Elvis, mentre guardava una fotografia. E questo lo faceva impazzire.

Aveva bisogno di distrarsi, e aveva scoperto che restare con quella bambina così esuberante era un ottimo modo per tenere lontana dai suoi pensieri la sua ex ragazza. E più la conosceva, più capiva che Clio era una delle ragazzine più intelligenti avesse mai conosciuto.

In quel momento, ciò che più gli pesava era riportarla a casa e restare di nuovo solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi.

Camminarono in silenzio per un po', l'uno accanto all'altra.

Durante la giornata aveva visto qualche fotografo scattare loro delle foto, ma nessuno si era avvicinato troppo da poterli importunare, fortunatamente, perché Nick non pensava di riuscire a sostenere una conversazione con chiunque non fosse un membro della sua famiglia o superasse i dieci anni di età.

Non appena arrivarono all'auto Clio si arrampicò sui sedili posteriori e si allacciò la cintura, appoggiando la testa al finestrino e chiudendo gli occhi.

Nick la osservò dallo specchietto retrovisore.

«Stai bene?», domandò ansioso.

Clio annuì lentamente.

«Sono stanca», biascicò.

Il ragazzo annuì.

«Ti porto subito a casa».

La bambina annuì di nuovo e sbadigliò ancora, muovendo un po' la schiena per trovare una posizione più comoda.

Nick accese lo stereo, tenendo il volume basso mentre passava una canzone dei Simple Plan. Sino a qualche mese fa avrebbe tenuto il ritmo battendo le mani sul volante, ora non più.

Ogni tanto guardava verso Clio grazie allo specchietto retrovisore. Si era addormentata e i capelli rossi le coprivano gran parte del viso. Scoprì, divertito, che russava.

Una volta arrivati davanti a casa di Clio si voltò verso di lei per svegliarla.

«Clio, siamo arrivati», disse, ma lei non si svegliò. Grugnì nel sonno e voltò la testa, in modo tale che questa guardasse verso il basso in una posizione scomoda.

Nicholas si slacciò la cintura, uscì dalla macchina e andò verso la portiera vicina a Clio, slacciandole la cintura e prendendola in braccio.

Nel dormiveglia, la bambina si strinse a lui con le braccia, facendolo sorridere istintivamente.

Casa Randall era una piccola ma graziosa villetta situata in un quartiere residenziale vicino alla provincia. Laura gli aveva raccontato che la casa era dei suoi genitori, ma gliel'avevano lasciata quando erano morti. Aveva un piccolo cortile sul retro con un tavolo sotto il porticato.

Nick suonò il campanello e sentì poco dopo i passi veloci di Laura giungere alla porta.

«Sì, chi è?», domandò.

«Sono Nicholas», rispose il ragazzo e la porta si aprì subito, mostrando la giovane donna sorridente.

Non appena vide Clio in braccio a Nick, però, il sorriso le si congelò sul viso.

«Che cos'ha? Non sta bene?», domandò con tono acuto, impallidendo improvvisamente.

«No, no, sta benissimo, era solo stanca», la rassicurò il ragazzo, cercando di mostrarsi tranquillo.

Laura fece un gran respiro mentre si spostava per far spazio a Nicholas.

«La sua camera è in fondo a corridoio a sinistra», spiegò. Il ragazzo annuì e seguì le indicazioni, entrando poi nella stanza della bambina. Era piuttosto piccola, ordinata, con le pareti arancioni e in fondo al letto c'erano decine di peluche di animali.

Il diciottenne la fece stendere, le tolse le scarpe con delicatezza cercando di non svegliarla e dopo averle fatto un piccolo sorriso uscì, lasciando le scarpe fuori dalla porta.

Laura lo aspettava lì.

«Sei sicuro fosse solo stanca?», domandò agitata, battendo nervosamente un piede a terra.

Nick annuì.

«Abbiamo camminato tanto oggi», spiegò.

Laura fece un cenno d'assenso, come per dire che aveva capito.

«Posso offrirti qualcosa da bere? Un succo, del caffè...».

«Solo un po' d'acqua, grazie».

La seguì fino all'angusta cucina affacciata sul cortile illuminato dal sole.

«Siediti pure fuori, io arrivo subito», gli disse Laura e Nick ubbidì, sedendosi su una delle tre sedie poste sotto al portico vicino al tavolo. Accavallò le gambe e iniziò a tamburellare le dita sui jeans lanciando delle occhiate in giro per il cortile.

Era piuttosto spoglio, c'erano soltanto un paio di ortensie azzurre vicine allo steccato e due alberi piccoli ma robusti al centro.

«Clio insiste da anni per mettere un'amaca tra quei due alberi», disse Laura, comparendo all'improvviso, appoggiando sul tavolo un vassoio con due bicchieri d'acqua e qualche snack salato.

«E come mai non l'avete fatto?», chiese lui dopo averla ringraziata con un cenno.

«Lei si è ammalata, non abbiamo più trovato il tempo», spiegò la giovane donna, oscurandosi in viso.

Nick annuì piano.

«Suo... suo padre?».

Laura si irrigidì, scostandosi i capelli dagli occhi.

«Howard se n'è andato anni fa», spiegò seccamente. «Quando Clio si è ammalata».

Nicholas fece un'espressione sbalordita, indignata.

«Che...».

«Bastardo? Già», sbottò Laura. «Per giustificare il suo abbandono ha detto che è stato chiamato per “cause di forza maggiore”».

Nick rimase in silenzio, conscio che la donna si stava per sfogare.

«È un militare», spiegò. «Marine. Dopo l'undici Settembre ha passato molto tempo in Afghanistan, ma è sempre tornato. Quando Clio si è ammalata ha improvvisamente ricevuto un posto come generale e ha detto che doveva trasferirsi lì sinché la guerra non sarebbe finita». Fissò Nicholas negli occhi. «Balle, l'ha chiesto lui quel posto. Ora per quel che so si è risposato con una donna del posto, ci invia i soldi ogni mese per pagare la cure e chiama Clio solo per Natale e il suo compleanno».

«Non posso credere che abbia potuto abbandonarvi... così», boccheggiò il cantante. «Come si fa ad abbandonare la propria famiglia in un simile momento di bisogno?».

«È un codardo. Da un uomo che ha fatto la guerra mi aspettavo qualcosa di diverso, lo ammetto». Laura scrollò le spalle, mise una mano in una tasca del cardigan che indossava e ne estrasse un pacchetto di sigarette.

«Ti dispiace se fumo?», domandò.

Nick scosse il capo velocemente.

Laura si mise una sigaretta in bocca, la accese e inspirò profondamente, prima che una nuvoletta di fumo le uscisse dalla bocca.

«So che non dovrei», disse. «Clio odia che io fumi, e per quanto ne sa lei ho smesso. Ti prego di non dirglielo».

«Non lo farò».

Rimasero in silenzio, Nick continuò a bere la sua acqua e Laura a fumare la sigaretta.

«Tu come stai?», gli domandò poi la donna. «Tua madre mi ha raccontato che sei stato poco bene, ultimamente...».

Il riccio sospirò.

«Sto bene», disse. Gli sembrava di essere un disco a ripetizione.

«Nicholas, vivo con una bambina malata di cancro. Ho imparato a capire quando una persona mente e quando non lo fa».

Nick si mosse nervosamente sulla sedia, grattandosi la punta del naso.

«Io...», iniziò; voleva dire che stava bene per davvero, che non stava mentendo, ma poi si fermò. A quale scopo dire una bugia?

«Sono stato meglio».

Laura sorrise, apprezzando la sincerità.

«Vuoi parlarmene?».

Nicholas incrociò i suoi occhi e scosse il capo.

«Devo andare a casa». Bugia.

«Oh, naturalmente». Che cosa ti fa soffrire così tanto?

«Grazie di tutto», fece lui, alzandosi.

Laura lo imitò.

«Grazie a te, davvero, per aver portato Clio fuori oggi».

«È stato un piacere», fece un finto sorriso. «Ci sentiamo presto, mi piacerebbe portarla da qualche altra parte presto».

«Certo. Grazie ancora».

Si diressero verso l'ingresso e dopo averla salutata con una mano Nick uscì, concentrando tutto sé stesso per non mettersi a correre.

Salì in macchina, infilò le chiavi e partì lungo la strada, veloce.

Ogni volta che si avvicinava anche solo a parlare di lei soffriva in quel modo. Perché doveva soffrire così? Che cos'aveva fatto per meritarsi una simile tortura?

La mano di Delta percorreva dolcemente il suo viso, accarezzandogli i capelli, le guance, il naso, il mento, le labbra.

Nick ridacchiò, prendendole il volto con entrambe le mani e facendo combaciare le loro bocche in un bacio leggero, romantico.

Erano stesi a letto, le gambe di uno incrociate con quelle dell'altra, i visi vicini.

«Grazie», mormorò dolcemente Delta.

«Per cosa?», chiese Nicholas, sorridendole.

«Di essere qui. Di esistere». Delta arrossì leggermente e Nick la baciò di nuovo.

«Non vorrei essere da nessuna altra parte».

Un clacson lo riportò bruscamente al presente, stava passando un incrocio con il semaforo rosso e più di una macchina gli stava suonando dietro, rabbiosa.

Frenò seccamente e sbatté violentemente con la fronte contro il volante, lasciandosi scappare un gemito.

«Idiota!», gli urlò qualcuno superandolo.

Nicholas si mise una mano sul punto in cui aveva sbattuto, imprecando. Si rimise in moto e accostò, mettendo le quattro frecce per riprendere fiato.

Doveva calmarsi, fare qualcosa, non poteva permettere che quel che era appena successo capitasse di nuovo.

Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e cercò un numero tra la sua rubrica.

«Charice? Ciao, come stai? Io bene, grazie, sì... sì, davvero, tutto bene. Senti, stavo pensando alla tua proposta di scrivere insieme qualche altra canzone e di fare quel concerto al Paley... io ci sto».

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Canzoncina della settimana :33 Tocca agli Staind, che ho scoperto recentemente. Penso la conosciate (o forse solo a me suonava familiare questa canzone òò) ma comunque... http://www.youtube.com/watch?v=8q182kWAhiM

Bene *si gratta nervosamente la testa* In questo capitolo avete finalmente scoperto chi è la misteriosa ragazza che fa soffrire tanto Nicholas. Ora, non so esattamente perché sto scrivendo questa... petizione? Richiesta? Avviso? Scongiura? Non so nemmeno come definirlo, fatto sta che vorrei cortesemente chiedervi – perfavoreperfavore – di rispettare la mia scelta riguardo questa ragazza. Magari penserete che io sia paranoica (and btw, sì lo sono) ma ho “conosciuto” (ooh il mondo online) ragazze davvero spregiudicate o comunque cattive nei confronti di Delta. Personalmente amo quella donna. Davvero. La conoscevo sin da prima che iniziasse a frequentare Nick, poco, lo ammetto, ma la conoscevo, e mi è sempre sembrata una ragazza adorabile. Comunque, sì, dicevo, vi chiedo cortesemente di non smettere di leggere questa storia solo perché c'è Delta, ve lo scrivo perché, come dicevo prima, ho avuto “l'onore” di “conoscere” persone che, sì, solo perché c'era lei nella fanfiction avrebbero smesso di leggerla.

Una cosa molto stupida, a mio modesto parere. Un conto e se la storia non piace, ma solo perché ho fatto comparire una persona che risulta antipatica... no, okay, la smetto qui con la morale, non è riferita a voi, ma più in generale a certe haters. Quindi, sì, scusate la “predica” e lasciatemi perdere. *si ritira nel suo angolino*

Detto questo, passiamo al capitolo sperando che via sia piaciuto, a me non dispiace (il che equivale a un mezzo miracolo, è il primo capitolo tra quelli sin ora pubblicati di questa fanfic che mi piace ò.ò) eeeee non penso ci siano chiarimenti da fare al riguardo, l'unica cosa degna di nota è Nick che, nonostante le promesse fatte e i buoni propositi, non riesce a smettere di pensare a Delta e quindi, in poche parole, manda al diavolo i consigli del medico e fa una telefonata per una proposta di lavoro, ma come al solito sarò felicissima di rispondere alle vostre domande, se le avete. :)

At last but not the least, io vi amo! *-* Seriamente, altre cinque recensioni! Siete meravigliose! Sono davvero contenta che i capitoli vi stiano piacendo!

Spero mi facciate sapere cosa pensate anche di questo capitolo. :33

A Venerdì.

 

Bacioni,

Mags.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5.


One of these days the sky's gonna break

and everyrhing will escape, and I'll know.

One of these days the mountains are gonna fall

into the sea, and they'll know.

(Letters From The Sky; Civil Twilight)

 Una volta arrivato a casa Nick si richiuse la porta alle spalle con un suono secco, imprecando, intimò poco elegantemente a Elvis e Winston di non stargli tra i piedi e si diresse di gran passo verso la cucina, una mano ancora appoggiata sulla fronte. Aprì il freezer, prese il porta ghiaccio e mise qualche cubetto in un panno, appoggiandoselo poi sulla fronte.
Con un sospiro si lasciò cadere su una sedia, pregando in silenzio che l'ecchimosi si sgonfiasse prima del ritorno di Joe. Se avesse dovuto spiegare come si era fatto male, suo fratello gli avrebbe requisito le chiavi della macchina e costretto alla reclusione domestica.
Lanciò un'occhiata all'orologio posto sopra la sua testa e vide che si erano fatte le sei e mezzo, orario verso il quale Joe solitamente tornava a casa.
Fantastico, pensò con uno sbuffo.
Nel momento in cui decise che poteva fingere di essere stanco, di non voler cenare e quindi di ritirarsi nella sua camera per tutta la sera, in modo tale da non dover dare spiegazioni, sentì le chiavi girare nella serratura e il fischiettare allegro di Joe provenire dall'ingresso.
«Nicholas?», lo chiamò il ventiduenne.
Nick per un istante ebbe il fugace pensiero di fingere di non essere in casa, ma sicuramente Joe doveva aver visto la sua macchina fuori. Prima ancora di poter decidere di fare qualsiasi cosa Joe fece capolinea in cucina, con un sorriso che si congelò non appena lo vide.
«Che diamine ti sei fatto?!», sbottò, avvicinandosi di corsa.
«Non è niente», mormorò mentre Joe gli toglieva a forza il panno dal viso e faceva un'espressione scioccata.
«Chi ti ha fatto questo?», domandò secco. Nick lo sentì prendere le parti di “fratello maggiore responsabile”.
«Nessuno».
«Nicholas».
«Ho sbattuto la testa».
«Nick, per l'amor di Dio...».
«Ho fatto un piccolo incidente in macchina, okay?». Si liberò la mano e ripose il ghiaccio sulla fronte.
Joe si zittì e lo guardò a lungo. Nick evitò il suo sguardo, ma sentiva la sua occhiata piena di rimprovero perforargli la testa.
«Non è successo niente, non si è fatto male nessuno».
«A parte te».
«È solo un livido», sbottò il diciannovenne.
«Nick, sembra ti abbiano preso a pugni».
Questi scrollò le spalle.
«Non fa neanche tanto male», mentì prontamente.
Joe gli spostò di nuovo il panno dal punto colpito e fece una smorfia.
«Sei molto gonfio...».
«Ho detto che sto bene».
«Quante dita sono queste?», chiese Joe, serissimo, mostrandogli tre dita.
«Joe!».
«Okay, okay», fece il maggiore, seccato. «Vado a prendere una pomata per il gonfiore». E lo lasciò solo.
Il ghiaccio era una benedizione per la sua pelle tirata e gonfia. Chiuse gli occhi, godendosi quel temporaneo silenzio. C'era una cosa positiva, in quella situazione, il dolore non gli faceva pensare a lei.
Joe tornò poco dopo con una scatoletta del pronto soccorso, la appoggiò sul tavolo e ne estrasse un tubetto bianco e arancione, aprendolo e spargendo delicatamente la crema al suo interno sul livido del fratello.
«Cos'è successo?», domandò a bassa voce.
Nick sospirò, un gomito appoggiato al tavolo, reggendo la testa con la mano.
«Sono passato con il rosso, quando me ne sono reso conto ho frenato all'improvviso. E ho sbattuto».
Joe lo guardò con rimprovero.
«Nicholas...».
«Lo so, va bene? Non capiterà più».
«Sarà meglio. Senti, già è un miracolo che mamma e papà ti abbiano permesso di restare qui, non te l'ho detto ma abbiamo discusso a lungo, insistevano che tu dovessi stare da loro ma ho detto che si potevano fidare di me, che saresti stato bene, e ora mi vieni a dire che fai incidenti in auto stupidi?». Joe lo fissò, la sua sua voce era bassa, ma piena di richiamo.
«So di aver fatto una cazzata, non c'è bisogno che tu me lo ricordi! Sono qui, sto bene, non è morto nessuno, quindi per l'amor del cielo lasciami in pace!». Si rese conto solo dopo aver finito di parlare che aveva gridato.
Joe si era ritratto indietro, gli occhi pieni di rammarico, di dolore.
«Io... scusa, Joe», mormorò. Non aveva quasi mai urlato contro suo fratello.
«Nick...».
«Vado in camera mia. Non ho fame». Si alzò e quasi si mise a correre verso la camera che Joe gli aveva messo a disposizione, chiudendosi a chiave per poi sdraiarsi sul letto, gli occhi spalancati puntati sul soffitto.
Improvvisamente, aveva paura di sé stesso, del suo comportamento, di come una sola domanda lo facesse scattare sulla difensiva. Aveva appena urlato contro suo fratello, il suo migliore amico, una delle persone più importanti della sua vita solo perché si era preoccupato per lui.
Si sentiva solo, ma sapeva che non appena avrebbe sentito o visto qualche suo amico avrebbe voluto allontanarsi da lui. Senza guardare, cercò a tentoni l'anta per aprire il comodino e, quando riuscì ad aprirlo, prese l'iPod e si mise le cuffie nelle orecchie, cercando una canzone nella playlist. Quando la trovò, cliccò play.
One of these days the sky's gonna break and everything will escape, and I'll know...
Ascoltare canzoni deprimenti non è una buona idea, gli disse una vocina nella sua testa.
'Fanculo, ribatté il cantante.
Qualche minuto dopo dormiva.
                                                                                                        **
Si svegliò che era mezzogiorno passato. Si sentiva la testa pesante, la mente appannata per aver dormito troppo e quando si mise in piedi barcollò qualche istante.
Fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi per rimettere in ordine le idee. Ricordò l'uscita con Clio, l'incidente, l'aver urlato a Joe.
Joe.
Si avvicinò alla soglia della stanza e vide un foglio che il fratello presumibilmente aveva fatto passare sotto la porta.
Torno a casa tardi. Ho il concerto all'Arena di York, ricordi? Se ti va passa questa sera, lascio il tuo nome per entrare nel backstage. Mangia qualcosa, il frigo è pieno. Ti voglio bene.
Quella era una delle tante cose meravigliose di Joe: non si arrabbiava mai, non con lui, per lo meno, e quelle rare volte in cui accadeva lo perdonava subito.
Nick avrebbe dovuto fare lo stesso, eppure non riusciva a perdonare a tutti i membri della sua famiglia e a tutti i suoi amici il comportamento che avevano con lui ultimamente. O forse era Nick che si comportava in modo strano, non loro, forse dovevano essere loro a perdonare lui.
Non voleva saperlo.
Il suo stomaco brontolò, ma non voleva mangiare. Con un sospiro uscì dalla camera, lanciando un'occhiata al corridoio come se si aspettasse di veder comparire qualcuno all'improvviso, poi con passò leggero si diresse verso il bagno.
Guardandosi allo specchio si rese conto di ciò che intendeva Joe la sera prima, sembrava veramente che l'avessero preso a pugni. Il punto in cui aveva sbattuto era piuttosto esteso e il livido variava da un violaceo-nero piuttosto inquietante a un rosso infiammazione. Si disse che, conciato in quel modo, non sarebbe potuto uscire di casa per alcun motivo, a meno che non indossasse un cappello.
Aprì l'acqua del lavandino e si bagnò il viso, tentando di svegliarsi un po', guardando poi la sua immagine riflessa. Osservò le goccioline d'acqua accarezzargli le guance per poi sparire nel colletto della maglietta del giorno prima, guardò i suoi occhi marroni, così poco vitali, tristi, e la sua carnagione ancora più diafana del solito.
«Sono messo proprio male», commentò, scoppiando in una risata senza gioia.
Avrebbe dovuto passare ancora molto tempo in quelle condizioni? Con quello sguardo da uomo morto dentro riflesso negli occhi?
Uscì dal bagno, tornando in camera ed aprendo la finestra. Chiamare i suoi genitori era fuori discussione finché non avrebbe scoperto se Joe avesse detto loro o meno del suo piccolo incidente, anche se dato che non erano ancora andati a recuperarlo a costo di buttare giù la porta di casa con un ariete poteva significare che Joe aveva mantenuto il silenzio. Santo Joseph. Un'altra ragione per non chiamarli era che probabilmente l'avrebbero invitato a casa loro per fare qualcosa insieme, mandando così a quel paese la copertura di suo fratello. Pessima idea.
Scrisse un messaggio a Kevin, giusto per fargli sapere che era vivo – a lui Joe aveva sicuramente raccontato tutto – e gli chiese di salutare Danielle, poi scese in salotto e si buttò sul divano, stravaccandosi.
Sentì subito dopo il guaito amichevole di Elvis e il cane appoggiò il proprio muso sullo stomaco del padrone.
«Ehi, bello», fece Nicholas, accarezzandolo. Elvis abbaiò. Nick percepì che gli volesse chiedere di portarlo a fare una passeggiata.
«Niente da fare, amico», fece. «C'è il cortile fuori. Vai lì».
Elvis guaì di nuovo ma Nick lo ignorò, continuando però ad accarezzarlo.
Come in un flash-back, si ricordo che Delta adorava quel cane. Ed Elvis sembrava ricambiare la simpatia.
Sentì una morsa allo stomaco e si alzò in fretta, ritornando in camera sua, rischiando di inciampare in un assonnato Winston e di rompersi l'osso del collo sulle scale nella fretta.
Si mise in ginocchio in camera sua, davanti al suo letto, congiungendo le mani e appoggiando i gomiti sul materasso. E, per la prima volta da settimane, pregò.
«Dio, ti prego», mormorò con tono supplichevole, sentendo gli occhi cominciare a bruciargli. «Non voglio più soffrire così. Dio, ti prego, fammi smettere di soffrire. Sono stanco di essere triste Dio, ti prego, fammi essere felice».
Rimase in quella posizione a ripetere la stessa lenta litania per quelle che gli parvero ore, e forse lo erano. Quando si alzò sentì le ginocchia protestare, ma non vi badò.
Prese la sua chitarra, l'unica che aveva portato da casa sua, e si trascinò nel piccolo giardino dietro casa. Si sedette sull'erba, il capo accarezzato dai raggi di sole. Poi cominciò a suonare.
Non era niente di preciso, muoveva le dita a caso sullo strumento, creando una melodia veloce ma malinconica.
Gli piaceva, quella melodia.
Più che mai si rese conto che l'unico modo in cui riusciva ad esprimere i suoi sentimenti era tramite la musica.
                                                                                                             **
Clio sapeva di essere malata. E sapeva che la sua malattia era grave, nonostante sua madre si ostinasse a credere che non potesse saperlo, dato che era solo una bambina.
Invece Clio sapeva benissimo cosa fosse la leucemia. Certo, non capiva tutti quei termini medici, ma capiva il concetto. Capiva che poteva morire.
Continuava a far credere a sua mamma di non sapere nulla, di sapere di essere solo malata.
Si rigirò nel suo letto, abbracciando stretta Ron, il suo ippopotamo di peluche, chiamato così in tributo al personaggio Ron Weasley.
Era tardi, ma non riusciva a dormire. Sentiva a due porte di distanza i singhiozzi sommessi di sua mamma. Tutte le sere la sentiva piangere, e tutti i giorni Clio fingeva di non averla sentita.
La bambina non sapeva se piangeva per lei, perché era malata, o perché suo padre se n'era andato, lasciandole sole. Ricordava a malapena quando i suoi genitori stavano insieme, ma ricordava che erano felici. Tutti i giorni, al mattino, si davano un bacio di buongiorno e la domenica, quando suo padre non era via in missione, preparavano insieme il brunch, ridendo e scherzando. Laura aveva amato molto suo marito.
Forse piangeva per entrambe le ragioni.
Clio sentì le lacrime calde bagnarle il viso, e se le asciugò subito. Si era ripromessa di essere forte, per sua mamma.
Doveva esserlo. Glielo doveva.

Continua...

Angolino della squilibrata:
Personalmente questa canzone la amo 'manco fosse il mio pc *abbraccia il pc* quindi, boh, vi lascio il link perché è l'ammmore. Ecco. http://www.youtube.com/watch?v=4bWeffwX6JM
Detto questo, in questo capitolo non avviene nulla di che: Nick sta completamente perdendo il controllo e abbiamo una prima e mi sa sin ora unica scena in cui la situazione della leucemia è raccontata dal punto di vista di  Clio, in un certo senso.
-Mi scuso con tutte le persona a cui avevo detto ci sarebbe stata una scena Clio/Nick in ogni capitolo, avevo completamente rimosso questo paragrafo. çwç Sorry!
Al solito, se avete altre domande non dovete che chiedere.
Passando a voi, oh mie salvatrici, io vi adoro! *Q* Oddio, non mi sarei mai aspettata di raggiungere otto recensioni – otto! - nello scorso capitolo, sul serio! Grazie, grazie davvero per tutti i vostri bellissimi commenti. ♥

Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, fatemi sapere! :)
Un bacione, a Venerdì!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Capitolo Sei.


                                                                                                                                                                                                    

«Non sei venuto alla fine, ieri sera», constatò Joe nel momento stesso in cui Nick varcò le porte del salotto. Era sdraiato sul divano, guardando senza particolare interesse un telefilm poliziesco.
Nick scosse il capo.

«No. Ero... preso dai miei pensieri», spiegò, sedendosi sul bracciolo del divano e guardando il fratello negli occhi.
«Ovviamente». Joe alzò gli occhi al cielo.
«Verrò al prossimo», assicurò il diciannovenne, ostentando un sorriso.
Joe gli rivolse un'occhiata.
«Davvero?».
«Certo», annuì il minore. Sul volto del ventiduenne si aprì un gran sorriso.
«Meraviglioso. Tra due settimane, a San Jose».
«Ci sarò», assicurò Nicholas.
Joe continuò a sorridere.
«Vuoi del thé freddo?», propose, indicando la brocca colma di un liquido aranciato appoggiata sopra al tavolino davanti a lui.
Nicholas annuì e Joe si sporse per versargliene un po' in un bicchiere.
«Senti, Joe...».
Il fratello mugugnò per fargli capire che era in ascolto.
«Al concerto posso portare un'amica?».
Quando il ventiduenne si voltò verso di lui aveva un sorriso raggiante, gli occhi illuminati di una luce furbetta.
«Un'amica?», domandò malizioso.
Nick ridacchiò.
«Solo un'amica».
«Beh, da amica a ragazza il passo è breve», rimuginò Joe, già proiettato al giorno in cui, finalmente, suo fratello sarebbe stato felice con un'altra donna.
«Ha otto anni».
Il sorriso di Joe sfumò lentamente.
«Oh».
«Già. È una cara ragazzina».
Non aveva raccontato a Joe di Clio, della sua malattia o della sua famiglia.
Si ripromise di farlo. Presto.
«Magari andiamo a mangiare qualcosa fuori questa sera, ti va?», propose.
Joe annuì sorridendo.
«Certo! Ho un impegno tra un'oretta, ma dovrei tornare a casa presto, oggi. Dove vuoi andare?».
«Scegli tu. Basta che non sia cinese».
Joe fece un saluto militare.
«Agli ordini, capo. Tu esci?», domandò, notando che stava indossando le scarpe.
«Sì. Vado a trovare Clio... la bambina di cui ti stavo parlando».
Joe annuì.
«Mi dovrai parlare di lei, Nicky».
«È ciò che ho intenzione di fare, Joey».
Joe storse il viso a quel nomignolo, ma non si lamentò.
«Ci vediamo alle sette qui?», fece poi, guardando l'orologio. Erano le due.
«Ci sarò», promise Nicholas, prima di salutare il fratello e uscire dalla porta.
Si stava sforzando di essere positivo, di prendere la vita con un sorriso e di mostrarsi felice agli occhi degli altri anche se dentro di sé si sentiva morire. Doveva alzarsi ogni mattina, sorridere, prendere una routine – includendo il ricominciare a fare musica – sinché tutto questo non sarebbe diventato una tale abitudine da tornare ad essere sé stesso. Semplicemente sé stesso.
Una routine che voleva includere, era Clio. Quella bambina era tonificante per lui, e se voleva ricominciare da capo lei doveva essere al suo fianco.
Aprì la macchina e dopo essersi allacciato la cintura – il livido sulla fronte non era affatto sparito e ogni volta che accidentalmente si toccava la fronte riprendeva a fargli male – partì alla volta di casa Randall. Non era invitato e non aveva avvertito del suo arrivo, era solamente preso dall'istinto di voler andare da Laura e Clio.
Accese la radio, e sentì uno dei tormentoni dell'ultimo periodo risuonare dalla casse. Era una canzone di Katy Perry. Iniziò a canticchiare mentre faceva retromarcia per poi proseguire lungo una strada dritta e semi-deserta. Gli piaceva molto quel quartiere, non a caso era andato a vivere lì. Era relativamente tranquillo, considerando che era pur sempre Los Angeles.
Indossò il cappello con visiera che si era portato dietro nel caso avesse incontrato i paparazzi per coprire l'ematoma sulla fronte e continuò a canticchiare, occupando la mente con pensieri stupidi e superficiali come “chissà dove prenoterà Joe per questa sera” e “quasi quasi questa sera dopo cena posso portare Elvis a fare una passeggiata”.
Sì, era un buon piano quello.
Per arrivare a casa Randall, da casa sua, ci volevano minimo venti minuti. Passò il tempo canticchiando le canzoni che passavano alla radio e dicendosi di ricordarsi di chiamare Charice Plampergo – una talentuosa cantante adolescente con cui aveva già collaborato in passato – per mettersi d'accordo per il concerto che avrebbero fatto da lì a pochi giorni.
Si rese conto che i suoi genitori non ne sarebbero stati affatto contenti, ma non vi badò. Era maggiorenne, poteva fare quello che voleva. Era sempre stato quello che si definiva “un bravo figlio”: aveva sempre fatto ciò che dicevano i suoi genitori, certo ad eccezione di uscire con lei perché sua madre non approvava, era sempre stato buono, educato, aveva rispettato i loro insegnamenti.
Ora basta. Era ora che capissero che era cresciuto, era giovane, ma non era più il loro bambino.
Quando arrivò vicino a casa Randall parcheggiò la macchina in un vialetto laterale nascosto, evitando che i paparazzi potessero riconoscere l'auto, e poi si diresse a passo spedito verso l'uscio di casa.
Suonò due volte e aspettò sul tappetino d'ingresso, disegnando un sorriso sulle labbra.
La porta si aprì poco dopo da una trafelata e troppo pallida Laura.
«Nicholas cosa ci fai qui?», domandò con gli occhi grandi colmi di preoccupazione.
«Scusa, so che dovevo avvertire, volevo vedere Clio...».
«Nicholas, oggi non è una buona giornata», replicò Laura, con tono tremante.
Nick capì che c'era qualcosa che non andava non appena notò le gambe di Laura tremare.
«Laura...».
Sentirono un rumore, come se qualcuno stesse vomitando poco distante. E probabilmente era così.
«Mamma», chiamò la voce sottile di Clio.
Laura scattò dentro casa e Nick la seguì, non gli importava se non era stato invitato.
Clio era in bagno, semi sdraiata per terra, il volto pallidissimo e la bocca sporca di rosso. Aveva vomitato sangue. Nick sentì un'improvvisa sensazione di occlusione allo stomaco.
«Adesso ti porto in ospedale, piccola mia, adesso ti porto...», balbettò Laura, le mani tremanti e il volto pallido quanto quello della figlia.
«Vi porto io...», intervenne il ragazzo. «Laura, non sei in grado di guidare. Prendi Clio e andiamo».
Tentando di mantenere la mente lucida corse fuori di casa, maledicendosi per aver lasciato la propria macchina più distante.
Laura lo seguì poco dopo, con Clio in braccio.
La donna salì sui sedili anteriori, mentre Nick in pochi attimi usciva dal parcheggio, faceva retromarcia e si indirizzava verso l'ospedale. Ringraziò il cielo, era vicino.
Non appena arrivò di fronte al Pronto Soccorso uscì dall'auto quasi in contemporanea a Laura, la quale si avvicinò correndo a un paio di infermieri lì vicino.
«Vi prego aiutatemi!», strillò. I due infermieri presero Clio e corsero dentro.
Nicholas osservò la scena da lontano, sentendo il cuore battere forte.
E pregò che andasse tutto bene.
                                                                                                             ~
Nick era seduto in sala d'attesa, le mani congiunte e il mento appoggiato sopra di esse, in silenzio, da quella che gli sembrava un'eternità.
Laura e Clio erano sparite dietro alle porte del Pronto Soccorso e non erano ancora ricomparse. Non sapeva cosa pensare, cosa fosse successo, se Clio stesse bene o male.
Iniziò a battere un piede a terra, lanciando un'occhiata all'orologio da polso ad intermittenza.
«Nick», lo chiamò la voce di Laura. Il ragazzo non appena la sentì si alzò in fretta, desideroso di notizie.
Laura era sorpresa, lo capiva dalla sua espressione. Non si aspettava di trovarlo ancora lì.
«Come sta?», chiese apprensivo, torturandosi le mani.
«Meglio», spiegò Laura. «Vogliono tenerla in osservazione questa sera e domani mattina se va tutto bene potrà tornare a casa».
«Di già?», domandò Nick con voce spezzata.
Laura annuì.
«Sei stato carino ad aspettare qui, non...», lo fissò, «non me l'aspettavo. Sono venuta a cercarti perché Clio vuole vederti, ma pensavo fossi già andato via».
«Assolutamente no, prima volevo avere notizie», disse lui.
Laura gli sorrise riconoscente.
«Hai detto che... che Clio vuole vedermi?».
«Sì, ma se non vuoi stai tranquillo, capisco che...».
«Fammi strada», la interruppe. Gli occhi di Laura si illuminarono.
«Grazie».
Nick chinò il capo e la seguì oltre le porte scorrevoli che portavano al reparto dov'era ricoverata Clio.
Quando arrivarono davanti a una porta, segnata con il numero 113, Laura gli fece cenno che quella era la stanza giusta.
Nicholas fece un respiro profondo, poi entrò.
Clio era sdraiata sul letto e il suo corpo sembrava ancora più piccolo del solito. Era pallida, molto, e i capelli rossi sembravano meno lucidi e meno belli, gli occhi meno gioiosi e pieni di vita, aveva una flebo collegata, ma nonostante questo aveva un grande, grazioso, sincero sorriso disegnato sulle labbra rosee.
«Nick!», esclamò con un sorriso vedendolo.
Il ragazzo le sorrise e si avvicinò, sedendosi sul materasso accanto a lei.
«Come stai, Clio?», le chiese. Poi si ricordò che lui odiava che glielo chiedessero.
Clio, però, non fece storie.
«Meglio», spiegò dolcemente. «Questi dottori non vogliono farmi andare a casa, però». Il suo tono era seccato.
A Nick sfuggì una risatina.
«Domani potrai andare a casa», le spiegò.
«Sì, ma io non ho voglia di stare qui!», sbuffò, corrucciando il viso. «Io mi annoio».
Nick sorrise divertito.
«Ehi, Clio, tra due settimane vorresti venire a un concerto con me?».
Il sorriso della bambina si riaprì.
«Davvero?».
«Certo!».
«Ma la mamma non mi lascia andare ai concerti, dice che c'è troppa gente».
«Sarà il concerto di mio fratello, saremo nella zona VIP, lì non ci sarà quasi nessuno», spiegò Nicholas. «A tua mamma lo chiedo io più tardi».
«Grazie!», disse Clio, recuperando di tutto la gioia perduta.
«È un piacere, tesoro».
Tesoro. L'aveva chiamata tesoro. Vide Clio sorridere sentendosi chiamare così da lui. E anche Nick sentì gli angoli della bocca tirarsi in su.
«Cos'hai fatto in fronte?», chiese poi innocentemente lei.
Nicholas si passò istintivamente la mano sul livido.
«Niente di grave», replicò con leggerezza.
Le accarezzò i capelli e si alzò.
«Ora devo andare via, domani vengo a trovarti a casa, okay?».
«Okay! Grazie Nick! Ciao!», sorrise Clio.
«Ciao, Clio».
Uscì dalla porta, salutò Laura con un cenno e si allontanò di corsa. Solo quando uscì dall'ospedale abbassò gli occhi su una mano, sentendo qualcosa toccarla.
Erano i capelli di Clio.

Continua...

Angolino della squilibrata:

Ed è la volta dei Linkin Park! *saltella per casa* Questa canzone non è bella, di più. Quindi ascoltatela, perché è uduxjaldewoas, capito? ;) http://www.youtube.com/watch?v=F11vFmpDXC8&feature=fvst
Piccola spiegazione: non è che Nicholas, improvvisamente, come se fosse uno schizofrenico, non sia più innamorato di Delta. Affatto. Non è che nel capitolo precedente era sul punto di tagliarsi le vene e in questo è stile Heidi (?). Volevo solo specificare questo, Nick è ancora profondamente innamorato di Delta, ma ha capito che deve provare ad andare avanti perché soffrendo e facendosi del male non può che stare solo peggio. Riuscirà a mantenere questo periodo di “felicità semi forzata”? Chi leggerà vedrà. :)
Qui avete avuto un “piccolo assaggio” della malattia di Clio. Spero di aver descritto tutto decentemente e di non aver fatto cavolate çç
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, se avete domande chiedete pure, spero mi facciate inoltre sapere cosa ne pensate. (:
Vi ringrazio di cuore per le 5 recensioni ricevute nel precedente capitolo, grazie di cuore *w*
A Venerdì prossimo, un bacione. ♥

Mags.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7.


Here by my side an angel,

here by my side the devil. […]

Here by my side it's heaven,

here by my side you are destruction.

Here by my side a new color to paint the world.

{Weapon; Matthew Good Band}

«Quella nuvola è assolutamente a forma di elefante», chiarificò Clio, indicando un punto sopra di lei, verso il cielo azzurro.

Nick, sdraiato al suo fianco sul prato del cortile di casa Randall, inclinò il capo.

«Dove lo vedi un elefante?», domandò confuso. «A me pare... altro».

«Altro cosa?», chiese Clio, abbassando il capo per guardarlo.

«Semplicemente altro», rispose Nicholas, per poi tornare a fissare il cielo.

La verità era che non vedeva più niente, come se la sua mente fosse incapace di avere ancora immaginazione, da quando Delta e lui avevano chiuso.

Clio scrollò le spalle.

«E quella la vedi?», chiese subito dopo, puntando di nuovo il dito al cielo.

«Quella quale?».

Clio gli prese una mano e indicò con essa un punto, seguendo il contorno di una nuvola.

«La vedi?», disse con un sorriso a fior di labbra. «A forma di cuore».

Nicholas guardò meglio, e anche sulla sua bocca si tinse un sorriso.

Sì, la vedeva.

Annuì e Clio gli lasciò delicatamente la mano.

Quella mattina presto Clio era tornata a casa, quasi ristabilita, e non appena si era svegliato era andato a casa sua per salutarla e passare un po' di tempo con lei. Quella bambina stava diventando man mano sempre più importante per lui, si stava affezionando in un modo che non credeva possibile, non con una bambina di otto anni, non dopo nemmeno un mese che la conosceva. Eppure era così.

Laura era uscita qualche minuto, voleva fare la spesa ed era stata ben contenta di lasciare la figlia e Nick insieme. Provava molta stima per lui e gli si era molto affezionata, soprattutto perché pareva voler molto bene a Clio e passava le sue giornate con lei.

Come si era ripromesso, la vita del ragazzo stava riprendendo a funzionare, piano, passo dopo passo. Aveva diviso la sua giornata in uno schema: al mattino Clio, pomeriggio musica, sera Joe e il resto della famiglia.

Erano settimane che non entrava in una sala di registrazione, e iniziava a sentirsi soffocato, come se una parte di sé stesse affogando. Fare musica era la sua vita, era cresciuto dentro le quattro pareti di una sala discografica, e non aveva intenzione di vivere oltre senza poterne vedere una.

Quel mattino l'aveva detto a Joe. Il fratello l'aveva guardato a lungo, con occhiata inquisitrice. Doveva aver visto qualcosa in lui, una luce nei suoi occhi, perché aveva detto: «Se ti rende felice fallo». E Nick l'avrebbe fatto.

Con parsimonia, certo. Se avesse ripreso a “fare il pazzo”, come aveva detto Joe prima di uscire di casa per l'ennesimo impegno, probabilmente l'avrebbero rinchiuso in una stanza munita solo di un letto e un pianoforte, giusto per non farlo morire di noia.

Nick continuò a fissare il cielo terso mentre Clio gli spiegava quale forma secondo lei avesse ogni nuvola, per poi parlare di quanto schifo facesse il cibo dell'ospedale e che necessitava di un hamburger con le patatine fritte.

Più parlava, più il ragazzo si rendeva conto che quella bambina era di un'intelligenza eccezionale. Anche quando spiegava argomentazioni superficiali, come il cibo, lo faceva con particolarità, utilizzando un lessico che raramente apparteneva a una bimba di otto anni. Ma ciò che più lo colpiva, era la sua immaginazione. Vedeva in quello che pareva niente un intero paesaggio, una storia, una favola. E spesso Nick le chiedeva di raccontargliele, quelle favole, e rimaneva a bocca aperta per la sua originalità.

Perché una bambina così speciale può morire?, si chiese guardandola con affetto, mentre lei faceva delle buffe espressioni spiegando che l'infermiera che si era occupata di lei il giorno prima assomigliasse terribilmente a Bigfoot. E che aveva i baffi.

Nicholas rise. Fu una risata pura, cristallina, vera. A Clio piaceva quando Nick rideva, le faceva venire il buon umore, e gli piaceva ancora di più sentirlo ridere o vederlo sorridere a qualcosa che diceva lei.

«Sono a casa!», esclamò Laura, spuntando sul portico con tre sacchetti della spesa tra le mani.

Nick si alzò e si avvicinò per aiutarla a mettere a posto, mentre Clio rimaneva sdraiata a fissare le nuvole.

«Ti aiuto», spiegò a Laura vedendo il suo cipiglio curioso.

La donna gli fece un gran sorriso.

«Grazie mille», disse e gli porse un sacchetto, spiegandogli quando non lo sapeva dove mettere ogni cosa.

Rimasero un po' in silenzio, l'aria rotta semplicemente dal rumore di sacchetti spostati e confezioni messe a posto.

«Come stai?», domandò poi Nicholas, fermandosi un'istante per guardarla.

Laura si irrigidì un istante e gli voltò le spalle per rispondere, fingendo di dover controllare qualcosa su un ripiano.

«Meglio», rispose con tono incerto.

Nick annuì, capendo che la donna non ne voleva parlare e riprendendo a mettere a posto il resto della spesa.

«Meglio di ieri... Voglio dire, ieri è stato...», fece un respiro profondo.

«Tremendo. Lo so», la aiutò il ragazzo. «Ma Clio sembra stare bene».

Laura annuì, questa volta guardandolo.

«È vero. Si è ripresa presto». Lanciò uno sguardo fuori dalla porta a vetri, guardando la figlia sdraiata a terra.

Nick si chiese per un istante se fosse il caso di parlarle di ciò che era accaduto ieri, quando aveva accarezzato i capelli di Clio. Non era normale che così tanti capelli cadessero a un tocco così leggero. C'era un'unica spiegazione: stava peggiorando. Velocemente. Anche se poteva sembrare che in quel momento stesse bene, qualcosa si era messo in moto dentro il corpicino di quella bambina. E non era niente di buono.

«Laura, a proposito di ieri...», cominciò.

La donna dovette percepire dal suo tono che, qualsiasi cosa le stesse per dire, non era niente di buono.

«Nicholas, non lo voglio sapere», disse secca, guardandolo truce.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio.

«Laura, potrebbe essere qualcosa di grav-».

«Ho detto che non mi interessa», lo interruppe, assumendo un cipiglio severo. «Clio sta bene, non lo vedi? Qualsiasi cosa sia successa ieri non importa. Non più».

«Ma Laura...».

«Non insistere!», esclamò la donna, a voce troppo alta. Guardò velocemente se Clio non si fosse accorta di nulla e, non appena ne ebbe la certezza, si voltò di nuovo verso il ragazzo. «Non insistere», ripeté a bassa voce. «Sei stato qui molto, forse è meglio che tu vada a casa».

Nonostante il suo tono si fosse lievemente addolcito, Nick capì che quello era un ordine. Scosse il capo, rivolgendo gli occhi al cielo.

«Saluto Clio e me ne vado», disse. Uscì in fretta in cortile e si chinò per terra.

«Pulce, io vado».

I grandi occhi della bambina si fecero ancora più grandi.

«Perché?», domandò con tono lamentoso, mettendosi a sedere.

«Mi sono ricordato di avere un impegno», mentì con leggerezza. «Ci vediamo domani, però».

«Promesso?».

«Assolutamente». Nick sorrise e Clio lo imitò.

«Beh, allora va bene», disse alzandosi. «Hai chiesto alla mia mamma se posso venire con te al concerto di Joe?».

«Non ancora, lo farò presto».

La bambina annuì.

«Ciao, Nick!», lo abbracciò stretto alla vita e Nick ricambiò, evitando accuratamente di toccarle i lunghi capelli rossi.

«Stammi bene», le sorrise quando si furono staccati e si allontanò.

Laura lo aspettava sulla soglia, le braccia incrociate, la porta già aperta.

«Domani posso tornare?», chiese il riccio e la donna annuì velocemente.

Nicholas uscì ma dopo aver fatto solo due passi si fermò e si voltò a guardarla.

«Sai, se non accetti tu la verità per prima, non potrai mai aiutare Clio», disse, malinconico.

Vide gli occhi di Laura farsi più lucidi e la porta chiudersi subito dopo con uno schiocco sonoro.

Nick sospirò, sapendo, però, di aver detto la cosa giusta.

                                                                                                        ~

Nicholas si rese conto di quanto esattamente gli era mancata una sala di registrazione solo quando ci rimise piede dentro. Improvvisamente si sentì a casa, come se un tiepido tepore l'avesse abbracciato e lo cullasse dolcemente. Era quello il luogo a cui apparteneva, e questo non sarebbe mai potuto cambiare.

Sentì una ragazza parlare allegramente con un paio di uomini in giacca e cravatta, e come la riconobbe le fece un gran sorriso, salutandola.

Charice Pempengco era giovane, talentuosa, intelligente e simpatica. In pratica, il sogno di ogni cantante che volesse fare una qualsiasi collaborazione. Quando, mesi prima, Charice aveva contattato Nick per chiedergli di fare un duetto, quasi si era messo a saltare per casa gridando “sì!” a squarciagola, con Elvis che lo squadrava con aria di sufficienza.

E quell'occasione si era ripetuta, di nuovo.

«Nick!», squittì Charice, vedendolo, e gli corse incontro per abbracciarlo.

«Chars, ciao», ricambiò lui, baciandola sulle guance. «Come stai?»

«Alla grande!», rispose lei, sempre saltellando. «Veramente bene, sta andando tutto benissimo. E tu? Ho saputo che non sei stato molto bene...».

Nick fece una – finta – risatina e la seguì con un gesto di leggerezza.

«Una sciocchezza, mi sono dovuto ritirare solo qualche tempo, non era veramente niente», disse, mentre alla bugia seguiva una strana sensazione, come se qualcuno gli stesse attanagliando le viscere.

Charice dovette sembrare soddisfatta, perché sorrise di nuovo.

«Beh, grandioso! Ci mettiamo al lavoro? Ho un paio di idee per alcune canzoni che secondo me, messe giù bene, potrebbero fruttare un gran bel sound».

«Certo, fammi sentire qualcosa», annuì solennemente Nick, sedendosi su una sedia mentre Charice si accomodava al piano e iniziava a suonare.

Nick percepì la magia che si sprigionò quando le dita di Charice toccarono i tasti del pianoforte e la melodia presente nella sua voce forte e al contempo straordinariamente delicata.

Era nel suo elemento. Lì era al sicuro. E, ne era sicuro, finché fosse rimasto lì sarebbe andato tutto bene.

                                                                                                      ~

Quando Nick tornò a casa fischiettava.

Joe, sentendolo, si disse che o lui e Delta avevano chiarito – anche se in quel caso probabilmente sarebbe tornato a casa urlando e piangendo di gioia – oppure aveva fatto musica. Buona musica. Votò per la seconda mentre lo osservava improvvisare un balletto nell'atrio e salutarlo con un sorriso.

«Joe! Come stai?», domandò.

Il ventiduenne lo osservò un istante con un sopracciglio inarcato, appoggiato allo stipite di una porta, prima di rispondere.

«Bene», commentò, poi aggiunse cautamente. «E tu?».

«Molto bene!», rispose Nick. Joe credette di aver sentito il miracolo, da quanto suo fratello non diceva di stare molto bene senza mentire? «Charice ed io abbiamo fatto magie oggi, in studio. Non vedo l'ora di farti sentire qualcosa, è grandioso!».

Joe si lasciò andare a un sorriso vedendolo in quello stato. Sì, suo fratello poteva dirsi felice, in quel momento.

Sperò solo che quella felicità durasse più di un attimo, più di un balletto e un sorriso. Perché Nick se la meritava, la felicità, sempre.

«Sono felice per te, Nick». Non sai quanto.

«Grazie, Joe». Ti voglio bene.

«Vuoi fare qualcosa questa sera?», domandò poi il maggiore.

«Non hai qualche impegno?», fece Nick, senza smettere di sorridere.

«Niente di irrimandabile», spiegò Joe. «Vorrei sapere altro di quella Clio... ieri alla fine ne abbiamo parlato poco».

Nick annuì.

«Cucino io?», propose.

«Giusto per far scoppiare un incendio nella mia dimora? Col cavolo. Non puoi stare a meno di due metri dai fornelli, ti avverto», lo minacciò Joe divertito.

Nick rise e a Joe quello sembrò il suono più bello del mondo.

 

Continua...

 

Canzone della settimana :33 Non ho trovato una singola versione di questa canzone con le lyrics o.o Quindi vi lascio il link della canzone e basta, sorry çç http://www.youtube.com/watch?v=XOee1xTUubc E' molto carina.

 

In questo capitolo c'è essenzialmente fluff. Oh, caro vecchio fluff *ama* E niente di particolare da dire, credo, a parte la scena Laura/Nick, l'unica scena angst di tutto il capitolo.

Ovviamente Laura si rifiuta di credere che la situazione di saluta di sua figlia stia peggiorando, per questo ha reagito in questo modo. Mi sembrava giusto che reagisse in questo modo, una reazione più umana del “ehi, lo so, lo so, mia figlia sto morendo, vuoi un succo di frutta?”. Okay, scusate, pessima D:

Al solito se avete dubbi chiedete. <3

Nel frattempo io sono ricaduta nella mia dipendenza da Ritz e sto tentando vanamente di disintossicarmi guardando sino alla nausea Glee (Klaine, Klaine, Klaaaaine *w*). No, seriamente, per chi lo segue, quanto era bella l'ultima puntata?!

Okay, uhm, a parte questo.

Grazie mille per le cinque recensioni, siete stupende!

Spero vi sia piaciuto questo capitolo, fatemi sapere.

Un bacione, alla prossima settimana.

 

 

Mags.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Capitolo 8.


Going back to the corner where I first saw you,
Gonna camp in my sleeping bag. I’m not gonna move,
Got some words on cardboard got your picture in my hand,
Saying if you see this girl can you tell her where I am,
Some try to hand me money they don’t understand,
I’m not… broke I’m just a broken hearted man,
I know it makes no sense, but what else can I do,
How can I move on when I’ve been in love with you?

{The Man Who Can't Be Moved; The Script}

 

A svegliare Nick quel mattino, furono le urla.

Strizzò gli occhi un paio di volte, rivoltandosi tra le lenzuola, pregando che i vicini la smettessero di fare quel rumore di primo mattino. Anche se erano passate le dieci, ma non importava.

Dopo qualche secondo si rese conto che le urla provenivano dal piano inferiore. E che conosceva quelle voci.

Porca. Puttana.

Si districò dalle coperte, quasi rischiando di cadere a terra, e si scaraventò fuori dalla porta, scese velocemente le scale e si affacciò sul salotto, dove sua madre stava urlando contro un non più pacifico Joe.

«Non posso credere che tu glie l'abbia lasciato fare!», strillava Denise, muovendo le mani concitatamente.

«Non è più un bambino, mamma! È cresciuto, può fare quello che gli pare!», gridava di rimando Joe, gli occhi ridotti a fessure.

Paul era vicino ai due, mentre sembrava cercare il momento adatto per placarli.

«Ha diciannove anni, Joe! Non sa ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, non riesce ancora a capirlo!», urlò la donna.

«Stai parlando di lui come se fosse uno stupido, ma sai meglio di me che dimostra tutto meno che i suoi diciannove anni! È più maturo di me, forse è più maturo di Kevin! Sa perfettamente ciò che vuole fare, ha capito dove sono i suoi limiti!».

«Non lo puoi sapere, non appena ricorderà qualcosa in più di Delta, di loro, tornerà ad esagerare come prima, a mettere in pericolo sé stesso», replicò Denise seccamente.

«E tu pensi seriamente che glielo lascerei fare? Che non appena noto che gli sta succedendo qualcosa di brutto non lo fermerei? Credi davvero che lo farei?!». Joe era arrabbiato, come raramente accadeva. Questo soprattutto perché il motivo di quella discussione era una delle persone più importanti della sua vita: era Nick.

Denise fece per ribattere nuovamente ma Paul notò Nick, ancora sulla soglia, e lo chiamò.

«Nicholas...», disse l'uomo, ma prima di poter riprendere a parlare fu interrotto dalla voce insieme preoccupata e arrabbiata della moglie.

«Che cos'hai sulla faccia?», domandò.

Nick si sfiorò istintivamente una mano sul livido, maledicendosi per essersi dimenticato di coprirselo.

«Oh, non è niente», mentì spudoratamente mentre vedeva Joe irrigidirsi.

Denise si avvicinò con passo veloce, allungando una mano.

«Fammi vedere».

«Mamma, no».

«Fammi vedere», ripeté.

«Mamma, no».

«Nicholas Jerry...».

«Vuoi smetterla di trattarmi come se avessi cinque anni?!», esplose il diciannovenne, facendola sobbalzare e indietreggiare di qualche passo.

Nick ansimò, i pugni chiusi talmente stretti da far diventare le nocche bianche.

«Non sono più un bambino. Sono cresciuto, so badare a me stesso», replicò cercando di abbassare il tono della voce e renderlo meno arrabbiato.

Denise sbatté gli occhi, così simili a quelli del figlio davanti a lei.

«Ti stai facendo del male».

«Mi sono fatto del male. Non più», la guardò a lungo, gli occhi illuminati da una luce convinta, sincera.

Denise lo fissò. Joe sapeva che sua madre aveva paura, non era cattiva, non voleva tappare le ali a suo figlio, ma era preoccupata, spaventata che il suo tesoro soffrisse di nuovo.

«Nick... tesoro...».

«Non puoi fermarmi, mamma», sussurrò dolcemente il ragazzo. «Non più».

Gli occhi della donna divennero lucidi.

«Se è questo che pensi», mormorò, tentando di mantenere il controllo della propria voce. «Beh, stammi bene, Nick, Joe». Fece un cenno del capo e uscì dalla stanza. Poco dopò sentirono la porta di casa aprirsi e poi richiudersi di scatto.

Paul, Nick e Joe rimasero in silenzio, guardandosi l'un l'altro. Nick si sentì improvvisamente in colpa.

«Papà...», iniziò, ma Paul lo fermò.

«Nick, non importa», gli sorrise pacificamente. «Va tutto bene».

Gli si avvicinò e lo abbracciò forte. Il figlio ricambiò la stretta.

«Solo... stai attento, okay?», disse guardandolo negli occhi. «Per favore».

Il diciannovenne annuì.

«Bravo ragazzo», gli sorrise il padre. Si allontanò di un passo e salutò Joe con una mano.

«Ci sentiamo presto, ragazzi».

I due accennarono a un saluto borbottato.

Paul uscì di casa. Poco dopo, Joe sentì il rumore del motore di una macchina partire e intravide l'auto dei suoi genitori uscire dal vialetto.

Nick si voltò a guardarlo, con cipiglio preoccupato.

«Ho sbagliato a dirle quelle cose?».

Joe lo guardò con sguardo fraterno e un gran sorriso dipinto sulle labbra.

«Benvenuto nel mondo degli adulti, Nicky».

~

C'era una cosa che Nicholas amava fare prima di ogni concerto.

Si sedeva dietro le quinte, raccogliendo le gambe al petto, da solo, e ascoltava le urla dei fan lì fuori, a pochi metri da lui. Ascoltava il suo nome ripetuto centinaia di volte da voci differenti, alcune strofe delle sue canzoni, ascoltava la gioia dei suoi fan, percepiva la loro emozione e la faceva sua.

E, sempre, in quei momenti si sentiva felice. Amava i suoi fan più della sua vita, anche se credeva di non dimostrarlo abbastanza.

Quando si sedeva lì, ad ascoltare solo quelle voci e il rumore del proprio cuore battergli veloce nel petto, li amava ancora di più.

Quel piccolo concerto era stato organizzato in fretta. Charice voleva esibirsi per un pubblico ristretto, ma una volta organizzato tutto il suo manager le aveva impedito di esibirsi per strani motivi che Nick non aveva capito, a quanto pare c'erano di mezzo altri impegni. Così, Charice gli aveva passato il testimone.

Sua madre non sarebbe venuta, lo sapeva, e suo padre neanche, anche se quest'ultimo aveva rifiutato gentilmente l'offerta solo perché non voleva lasciare Denise sola, anche se gli sarebbe piaciuto venire. Anche sua madre avrebbe preferito andarlo a vedere, ma era orgogliosa, non voleva lasciare la sua posizione di madre arrabbiata.

«Nick?», lo chiamò Joe.

Il ragazzo alzò il capo e fece un sorrisetto al fratello.

«Manca poco. Sei pronto?», gli domandò il maggiore.

Nick si alzò annuendo.

«Assolutamente». Era sincero.

Joe gli sorrise.

«Uh, c'è una persona per te», accennò il ventiduenne, facendogli l'occhiolino.

Per un solo, miserabile, meraviglioso, istante Nick pensò che Delta fosse venuta. Lì, solo per lui. Per poterlo vedere, per tornare da lui.

«Nick!», strillò una vocina acuta e eccitata.

Clio gli corse incontro, con un gran sorriso sulle labbra, le braccia aperte.

Il diciannovenne sentì prima un groppo in fondo alla gola, mentre la speranza di vedere Delta sfumava, poi le sorrise e la prese in braccio, stringendola con forza.

«Clio!», la salutò. «Ma cosa ci fai qui?».

«È stato Joe!», spiegò la bambina mentre il diciannovenne la rimetteva a terra.

Nick guardò il fratello e questi fece spallucce.

«Poi non dire che non faccio mai nulla per te», disse.

Era passata più di una settimana da quando Laura gli aveva fatto quella scenata, e anche se nei giorni precedenti era comunque andato a trovare sia lei che Clio, l'atmosfera era troppo pesante per chiedere a Laura di poter portare Clio al suo concerto.

«Ma come hai...?», domandò Nick, mentre la bambina si guardava intorno con fare meravigliato.

«Le mille risorse del tuo iPhone», rise Joe vedendo la sua espressione. «L'avevi lasciato in salotto mentre facevi la doccia».

Vedendo Clio guardare meravigliata la folla nascosta dalle quinte Nick ridacchiò.

«Grazie, Joe. Davvero».

Joe gli sorrise e gli batté una mano sulle spalle.

«Fai una delle tue magie questa sera, Nicholas. Okay?». E lo abbracciò.

Il diciannovenne si tenne stretto a lui, ringraziandolo silenziosamente.

Quando si separarono Joe gli consegnò la sua chitarra, sino a quel momento rimasta appoggiata alla parete.

Le voci all'esterno si erano fatte più insistenti.

Nick fece un cenno a uno dei membri dello staff e quando questi fece spegnere tutte le luci sul palco, e i fan iniziarono a urlare istericamente capendo che il momento stava arrivando, poi uscì.

La band iniziò a suonare non appena lo vide e lui si mise davanti al microfono, mentre una luce accecante lo illuminava.

Sorrise a tutti, un gran sorriso, sincero, poi iniziò a cantare.

Non seppe mai spiegare cosa provò in quel momento. Fu come se il suo cuore fosse scoppiato di gioia e le urla dei fan che man mano aumentavano non fecero altro che aumentare quella sensazione di beatitudine.

Cantò con tutto il fiato che aveva, mettendo in ogni singola parole tutto sé stesso, sentendo il dolore svanire. Era quello il motivo per cui aveva fatto della musica la sua vita, per quei momenti, per quella gioia.

«È bello vedervi di nuovo», disse una volta finita la canzone. La folla urlò. «È stato un periodo un po'... pazzo, diciamo. Ma sono felice di rivedervi, molto. Grazie a tutti voi».

Un urlo a una sola voce si alzò da tutti i presenti.

«Veramente meraviglioso», sussurrò. Poi riprese a muovere la mani sulla chitarra, iniziando a suonare Fly with me.

«Cantate con me!», gridò al microfono. «Facciamo arrivare la nostra voce sino al cielo!».

Fu quella la magia. Centinaia di voci unite come una sola a cantare ad alta voce, chi stonato e chi intonato, la stessa canzone. Si parlò a lungo di quel momento, per giorni interi, alcuni ne parlarono per settimane.

Proseguì con canzoni dei vecchi album dei Jonas Brothers, di Who I Am, qualche cover finché non si sedette al piano bianco posto in mezzo al palco.

Sulla folla cadde il silenzio, sapevano tutti quello che stava per succedere.

Il discorso di Nick durante A little bit longer era una sorta di tradizione per ogni concerto in cui cantava. Era un momento speciale, se lo aspettavano tutti.

Sin da quando aveva cominciato, il discorso era sempre stato lo stesso. Non quella sera, però.

Nick iniziò a muovere le dita affusolate sui tasti bianchi e neri, lentamente, assaporando ogni istante.

«Non è facile essere innamorati», cominciò e un mormorio diffuso si diffuse per la sala. «Affatto. L'amore è probabilmente la cosa più complicata e difficile esistente al mondo. Ancor peggio, è essere innamorati senza essere ricambiati. Senza poter vedere la persona amata». Parlava a lingua sciolta, non gli importava di essere così esplicito, voleva solo sfogarsi, voleva solo che quel messaggio raggiungesse Delta, che sapesse di lui, del suo dolore.

«Avete sofferto anche voi così? Come se non potesse essere più felici? Come se il mondo intero fosse contro di voi? A me è successo, ma... sapete? A little bit longer and we'll be fine». Fece un piccolo sorriso. «Ora vorrei che qui sul palco mi raggiungesse una mia piccola amica per cantare... Sì, Clio, dico a te ».

Aspettò qualche secondo, si immaginò Joe che cercava di convincere la bambina a raggiungerlo, e poco dopo, la bimba sfrecciò verso di lui, abbracciandogli la vita e nascondendo il viso premendolo contro la sua maglietta.

Nick le sorrise e le accarezzò la schiena dolcemente, prima di prenderla sotto le ascelle e farla sedere accanto a lui.

«Canti con me, Clio?», domandò.

Clio aveva gli occhi grandi insieme spaventati ed emozionati.

«Ma io non so cantare», disse con naturalezza, dondolando i piedi.

Nick lanciò indietro la testa e rise. Una fan lanciò un urlo di gioia.

«Non credo nessuno te ne farà una colpa», spiegò tranquillamente prima di riprendere a muovere le mani sui tasti bianchi e neri, per poi cominciare a cantare.

Clio lo guardò un po', concentrata, poi iniziò a canticchiare anche lei a bassa voce.

Furono tre minuti intensi, densi di emozioni forti, pure.

«A little bit longer and I'll be fine», disse Clio alla fine, concentrata. «Davvero? Starò bene?».

Nick la guardò negli occhi, prendendole il visino con le mani.

«Fosse l'ultima cosa che faccio, io ti salverò Clio, hai capito? Ti salverò».

Clio annuì velocemente, sorridendo.

«I'll be fine», ripeté.

La folla, intorno a loro, gridava.

 

Continua...

 

Questa è una delle mie canzoni preferite in assoluto. Apprezzatela u.u ;) http://www.youtube.com/watch?v=30j9e_tW4m4

 

Buon Venerdì a tutte voi!

Questo capitolo è stato complicato da scrivere, sono andata nel panico un paio di volte mentre mi ripetevo “non lo finirò mai!”. Sì, evviva le crisi isteriche causate da una fanfiction *yay*

But btw l'ho finito e non sono sicura se mi piaccia o meno... L'ho scritto tipo sei mesi fa o una cosa del genere e, rileggendolo, alcune cose non mi convincono particolarmente ma ho deciso di lasciarlo quasi invariato.

Abbiamo avuto un confronto Denise/Nick che mi serviva per far capire che Nicholas non è più un ragazzino ma un adulto, come Joe si premura di chiarire alla fine. Santo Joe. *fa pat pat*

E poi la scena Clio/Nick... mmh. Dunque, non credo di averla resa abbastanza bene, mi sembra un po', non so, insufficiente ma spero vi piaccia :33

Nicholas si è preso quindi il compito di salvare Clio, qualsiasi cosa succeda: ci riuscirà? Chissà.

 

Voi siete degli angeli *--* Grazie mille per le recensioni meravigliose, sono molto, molto contenta che questa fanfiction vi piaccia, spero continui a piacervi. <3

Al solito se avete domande vi risponderò volentieri. :)

Mi sono tra l'altro resa conto che, in effetti, una settimana tra un capitolo e un altro è un po' tanto; mi scuso con voi, purtroppo sto ancora finendo di scrivere questa storia quindi vorrei evitare di postare due volte a settimana rischiando poi di rimanere senza nuovi capitoli da postare nel caso l'ispirazione facesse un viaggetto a Tahiti per un po': vi prometto che, non appena finirò di scrivere tutti i capitoli, inizierò a postare due volte a settimana (sin ora ho scritto sino al tredicesimo capitolo e in tutto la storia dovrebbe contenerne diciannove).

 

Alla prossima settimana, buon San Valentino a tutte (e tanti auguri a me LOL) a chi festeggia e buon quindici Febbraio a chi San Valentino fa schifo ;)

Un bacione,

 

 

 

Maggie.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9.


A drop in the ocean
A change in the weather
I was praying that you and me might end up together
It's like wishing for rain as I stand in the desert
But I'm holding you closer than most,
'Cause you are my heaven.

{A drop in the ocean; Ron Pope}

 

«Ma tutto questo è stupendo!», esclamò Clio, gli occhi grandi per la meraviglia mentre girovagava per lo studio di registrazione a bocca spalancata.

Nick la guardava con un sorriso accennato, seduto su una sedia mentre strimpellava con una mano la chitarra classica appoggiata sulle sue gambe.

«Quindi tu hai registrato tutti i tuoi CD in questa sala?», domandò la bambina, emozionata.

«Esatto», annuì Nick mentre i ricordi dei suoi momenti più belli in quella camera lo avvolgevano. Ricordava ancora la prima volta in cui aveva messo piede lì, ricordava la sensazione di trepidazione, ansia, paura, felicità che aveva sentito, il latte alle ginocchia quando aveva dovuto iniziare a cantare.

Ricordava come si sentiva quando, proprio in quel punto, Kevin gli aveva messo tra le mani la prima copia originale di Jonas Brothers. Ricordava come aveva sorriso e poi l'aveva abbracciato sussurrandogli in un orecchio, come se fosse un segreto inconfessabile, “ce l'abbiamo fatta”.

Nick amava stare lì. Sapeva che, finché sarebbe stato lì, avrebbe potuto esprimere sé stesso tramite il miglior modo che conosceva: la musica.

In quella sala aveva registrato con Miley il loro duetto, Before The Storm, e mentre scrivevano si erano scambiato qualche bacio rubato, frettoloso, come se qualcuno potesse vederli e dire loro di star lontano l'uno dall'altra. Avevano sempre vissuto la loro storia d'amore con quella paura irrazionale, forse perché tenevano troppo l'uno all'altra.

Con Delta non c'era mai stata fretta. Quando l'aveva incontrata non era più un ragazzino, era cresciuto, e lei era una giovane donna. Nessuno poteva dire loro cosa fare, erano stati liberi. Tra quelle quattro mura avevano scritto canzoni stupende, riso, passato le ore a parlare, mangiando sushi sapendo – sperando – che quel tempo non sarebbe mai finito. Che ci sarebbe stata sempre un'altra ora, un altro take-away, un'altra canzone. C'erano delle volte in cui, quando Nick era lì per registrare da solo, Delta compariva sulla soglia con il suo sorriso meraviglioso e una sacchetto colmo di frullati e muffin, dicendogli che aveva bisogno di una pausa. E Nicholas le sorrideva, la baciava sulle labbra e la ringraziava.

In quella stessa stanza si erano amati di un amore genuino, semplice, vero; a nessuno dei due importava dell'opinione delle fan, di ciò che li circondava al di fuori di lì, finché si trovavano in quella stanza nulla poteva andare storto, finché erano lì dentro ci sarebbero sempre stati solo loro due. In quella stanza Denise la adorava e le voleva bene come una figlia, in quella stanza tutte le fan erano tutte felici per loro, in quella stanza otto anni di differenza erano il tempo di un battito di ciglia.

«...Nick?», lo richiamò Clio, inclinando un pochino il capo per guardarlo meglio.

Il diciannovenne si riscosse dai suoi pensieri e si voltò per guardarla.

«Sì, scusami, ero preso dai miei pensieri. Volevi dirmi qualcosa?», domandò con un sorriso tirato.

Clio scosse il capo.

«Avevi solo un'aria strana», disse con naturalezza. Si avvicinò a lui e gli sfiorò la mano con cui toccava le corde della chitarra. «Canti qualcosa, per favore?».

Nicholas annuì con fervore, sistemandosi meglio sulla sedia.

«Siediti lì», propose alla bambina, indicandole con la testa una sedia pieghevole dall'altra parte della stanza. Clio annuì e si sedette, trepidante.

Nick chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e di prendere un respiro profondo, ma sentì solo la risata di Delta aleggiare nell'aria come se fosse un profumo delicato.

Iniziò a muovere le mani sulla chitarra, cullato da quel suono così familiare e così dolce da sentire... un suono che tra quelle quattro mura non faceva male.

«I wanna write you a love song and I wanna whisper in your ear, I wanna be the right when it's wrong, I wanna take away your fear. I need to hold you in the morning, I need to feel you close. Who knows exactly where, were going. But I'm ready to go down this road. With you, it's true, my love*»

Quando, per la prima volta, aveva suonato quel principio di canzone a Delta i suoi meravigliosi occhi azzurri si erano inumiditi di lacrime di emozione. Nessuno, gli aveva sussurrato, le aveva mai dedicato una canzone tanto bella.

Non l'aveva mai finita. Non gli era mai successo di non finire una canzone, ma aveva sempre pensato che ci sarebbero sempre state altre ore con lei per conoscerla meglio e dedicarle una canzone sempre migliore. Ora, le loro ore erano finite, e completarla gli procurava un dolore troppo forte. Sarebbe rimasta semplicemente così, incompleta.

Clio lo guardava dalla sua sedia, in un silenzio quasi religioso, assorta nella canzone e nelle emozioni che la voce di Nick le procurava.

«Come si chiamava?», domandò infine, rompendo il silenzio quando anche l'ultima nota vibrante si fu spenta.

Nicholas in principio volle dirle che non voleva parlarne, ma poi si ricordò che era Clio quella con cui stava parlando, era una bambina di otto anni con un'intelligenza e una saggezza particolare. A Clio poteva dire tutto.

«Delta», soffiò lentamente, mordendosi le labbra e serrando gli occhi per la paura di soffrire di nuovo. Il dolore non venne. D'altronde, stava parlando con Clio.

La bambina gli si avvicinò e si sedette a terra.

«Che nome strano», commentò.

Nicholas fu scosso da un attacco di risate che gli fecero vibrare il corpo e alleggerire l'anima. Aveva bisogno di un commento del genere.

«Sì, è un nome strano», annuì infine. «Un nome un po' strano, hai ragione».

Si alzò per poi sedersi accanto alla bambina, appoggiando la schiena alla parete. Subito, Clio posò la testa sulla sua spalla.

«E dov'è adesso?», domandò dolcemente, con quella sua voce melodica.

Nick scosse il capo lentamente, iniziando ad accarezzarle il viso.

«Se n'è andata», sussurrò piano, deglutendo per impedire al groppo che aveva in gola di raggiungere gli occhi. Come se potesse servire.

Clio alzò un poco il capo per guardargli il viso.

«Perché?».

Nick non rispose.

«Perché vi siete lasciati, Nick?», insistette la bambina. Il diciannovenne sapeva che non era per saziare la sua curiosità personale il motivo per cui insisteva, lo faceva perché sapeva che Nicholas aveva bisogno di sfogarsi.

«Per... tante cose», iniziò lui, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. «Non c'è stata una ragione particolare, ci siamo lasciati come fanno tutte le coppie. Avevamo troppo rancore nei confronti dell'altro, lei era rimasta con me quando aveva un importante incontro con un discografico ed io ho saltato un tour in Sud America per rimanerle vicino. Sono cose che, anche se non volontariamente, ci si porta dietro, sai Clio? E quando si litiga si possono dire cose che non... che non si pensano veramente. Le cose non funzionavano bene come volevamo e ci siamo lasciati».

«Ti ha lasciato lei?», domandò ancora la bambina.

A quello Nick non sapeva rispondere.

«Non lo so», ammise.

Clio inarcò le sopracciglia.

«Come fai a non saperlo?».

«Non lo so e basta. Delta mi disse che le cose non funzionavano molto bene... che forse avevamo bisogno di un po' di tempo per noi stessi». Una lacrima, maledetta, gli rigò una guancia. «Sono rimasto in silenzio. Immagino abbia pensato che fossi daccordo con le sue parole, e se n'è semplicemente andata».

Clio percepì che stesse piangendo dalla sua voce e lo strinse forte, abbracciandolo con entrambe le braccia.

Nick si asciugò un'altra lacrima prima di ricambiare il gesto e abbassare il capo per baciarle i capelli.

«Non sapevo cosa dire, Clio... ma allontanarla era l'ultima cosa che volevo. Delta è speciale, piccola, non sai quanto, è tutto ciò che cerco in una ragazza», mormorò.

Sempre stringendolo, la bambina parlò di nuovo.

«Tu la ami». Questa volta non era una domanda.

Nick annuì con forza.

«Sì, la amo, Clio. E fa tanto male».

Rimasero racchiusi in quella stretta a lungo, finché non si furono detti tutto ciò che c'era da dirsi. Anche se nessuno dei due aveva più aperto bocca.

**

Quando Nicholas riaccompagnò a casa Clio si era fatto quasi buio e trovò Laura ad attenderli sulla porta, avvolta in un cardigan un po' troppo largo per lei.

Nick la salutò, sperando che Laura non fosse ancora arrabbiata con lui. Nonostante fossero passate un paio di settimane da quando il ragazzo aveva provato a parlare con la donna della condizione di Clio, pareva che Laura non fosse ben propensa a trattarlo con meno freddezza. Gli parlava, e Nick sapeva che le faceva piacere che passasse così tanto tempo con sua figlia, gli aveva anche permesso di portare Clio al concerto di Joe di qualche giorno prima, ma nonostante questo era più lontana, più fredda.

Nick non gliene faceva una colpa, sapeva il motivo per cui si comportava in quel modo: paura. Sino a quel momento aveva vissuto con la speranza che Clio migliorasse ogni giorno, ammettere che invece stava solo peggiorando non era affatto piacevole.

Non appena fu abbastanza vicino da poterla guardare meglio, Nicholas si rese conto che era dimagrita, aveva il viso tirato e profonde rughe che le solcavano il viso.

«Sono in ritardo?», domandò, non aspettandosi di trovarla lì ad attendere il loro ritorno.

Laura scosse il capo. «No, no tranquillo, stavo solo prendendo un po' d'aria», spiegò velocemente, poi si rivolse alla figlia. «Allora, amore mio, ti sei divertita?».

«Sì!», esclamò la bambina. «Nick mi ha portato nella sua sala di registrazione ed è bellissima».

Per la prima volta da giorni, Laura rivolse a Nick uno sguardo colmo di riconoscenza.

«Grazie», mormorò.

Nicholas rimase perplesso qualche istante, poi si aprì in un sorrisetto.

«Non c'è di che».

Clio entrò in casa saltellando e Laura fece per entrare, per poi bloccarsi sulla soglia e rivolgersi al ragazzo.

«Vuoi entrare?», domandò dolcemente. «Potresti fermarti a cenare qui, se ti va...».

Quel tentativo di approcciarsi a lui per chiedergli scusa per Nick fu più che sufficiente.

«Volentieri», si pulì le scarpe sullo zerbino ed entrò in casa, calda e confortevole come sempre.

«Mamma, faccio la doccia!», strillò Clio dal bagno, con tono acuto.

«Non chiudere la porta a chiave!», le raccomandò di rimando la madre prima di rivolgersi a Nicholas. «Ci sediamo in salotto, ti va?».

Nick annuì e la seguì, sedendosi poi sulla poltrona che un tempo apparteneva, anche se non lo sapeva, ad Howard Randall. Da quando se n'era andato di casa, nessuno si era più seduto su quella poltrona, ma quando Nicholas l'aveva fatto Laura aveva sentito che era giusto, come se, se qualcuno doveva prendere il posto di Howard, la persona che doveva farlo era quel ragazzo.

«Stai bene?», domandò la donna, sedendosi invece sul divano lì vicino.

Il diciannovenne annuì.

«Bene, sì. E tu?».

Laura annuì qualche secondo, mordendosi le labbra.

Nick capì all'istante che c'era qualcosa che non andava.

«Laura... è successo qualcosa?», domandò, preoccupandosi istintivamente mentre i suoi pensieri correvano a Clio.

Laura rimase in silenzio per un po' prima di rispondere.

«Avevi ragione», formulò alla fine, coprendosi poi il viso con le mani.

Anche se non aveva detto su cosa avesse ragione, Nick capì.

«I... i suoi capelli. Stanno cadendo. Oggi stavo cambiando le lenzuola del suo letto, ed era pieno», sussurrò. «Nick, le stanno cadendo i capelli». Il tono di voce con cui lo disse fece capire a Nicholas che Laura aveva perfettamente capito ciò che stava succedendo. E questo lo spaventava a morte.

Il ragazzo sentì un peso formarsi all'altezza del suo stomaco. Sapeva già che stava succedendo, ma sentirlo ammettere dalla mamma di Clio era un'ulteriore conferma delle sue paure. A volte, la notte, aveva provato a convincersi che magari i capelli che aveva visto sulla sua mano non erano altro che un'allucinazione provocata dalla paura.

«Lo so», mormorò infine.

Laura si asciugò le lacrime che le rigavano il viso. «Ho capito subito che era quello che avevi cercato di dirmi... mi dispiace, Nick, mi dispiace di non averti dato ascolto».

«Non scusarti, non hai niente di cui dispiacerti», la rassicurò il ragazzo. «Cosa vuoi fare?».

«Domani la porto in ospedale», spiegò Laura con tono tremante. «Ho già chiamato, ci aspettano per domani mattina».

«Vuoi che venga anch'io?», domandò Nicholas, ma capì subito dopo di aver fatto la domanda sbagliata.

Laura scosse il capo. «Mi dispiace, ma... vorrei che fossimo solo lei ed io. Devo dirle tante cose».

«Capisco, sì, scusami, sono stato inopportuno», fece Nicholas, muovendo una mano come per dire che non importava. «Se hai bisogno, però, sono a tua disposizione».

«Ti ringrazio, Nicholas». Gli sorrise con un sorriso sincero.

Nick fece per parlare, ma fu interrotto dalla voce squillante di Clio che fece capolinea nella stanza.

«Nick, mangi qui? Stupendo!», esclamò felice battendo le mani per poi sedersi accanto alla madre, che le cinse le spalle con un braccio e posò un bacio leggero sulla fronte imperlata ancora d'acqua della figlia.

Nick e Laura si scambiarono uno sguardo colmo di significato, avrebbero lasciato vivere a quella bambina una vita quasi normale ancora per qualche ora. Solo poche ore, ma, per il momento, potevano bastare.

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

 

(*) So che questa canzone non è stata scritta per Delta poiché Nick la cantò durante una live chat non-ricordo-esattamente-quando ma sicuramente prima di incontrare quell'angioletto biondo, maaaa... chiamiamolo diritto d'autore. ;)

Questa canzone mi fa scoppiare in lacrime quasi ogni volta che la ascolto: è di una bellezza inesprimibile e le parole sono poesia pura, ve la consiglio vivamente http://www.youtube.com/watch?v=mt8jifKlbTc

 

Okay, lo ammetto, sono particolarmente fiera di questo capitolo. Detto questo, tiratemi addosso tutti i pomodori marci a vostra disposizione.

Questo capitolo è stato scritto la scorsa estate e, boh, mi piace, in particolar modo il primo paragrafo, la scena fluffosa angst (?) tra Clio e Nick, spero vi sia piaciuta :33

 

Dal prossimo capitolo diventeranno più serie, dato che come anticipato in questo capitolo Laura non può più negare l'evidenza e ha capito che le condizioni della figlia stanno peggiorando: in poche parole, sì, il prossimo capitolo è pieno di angst, tristezza e depressione. Gioia ._.

Io vi avevo avvertito che era una fanfiction drammatica, non vogliatemi male *si nasconde nel suo ospedalino psichiatrico*

 

Detto questo, vi ringrazio infinitamente per il vostro continuo supporto, siete meravigliose in tutti i modi possibili ed inimmaginabili.

 

Via, scappo, magari riesco a scrivere un po' il quattordicesimo capitolo dopo aver finito di vedere il Glee Concert *--*

 

A Venerdì prossimo.

Vi adoro tanto tanto tanto.

Un bacione,

 

Mags.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Capitolo 10.


I shot for the sky
I’m stuck on the ground
So why do I try, I know I’m gonna to fall down
I thought I could fly, so why did I drown?
Never know why it’s coming down, down, down
Oh I am going down, down, down
Can’t find another way around
And I don’t want to hear the sound,

of losing what I never found

{Down; Jason Walker}

 

«Io non VOGLIO!», strillò Clio con forza, coprendosi la testa con le mani mentre correva per casa da una stanza all'altra.

Laura si passò una mano tra i capelli con gesto stanco, tappandosi poi la bocca come se volesse impedirle di emettere un singhiozzo.

«Clio, amore...», tentò la madre con tono dolce, avanzando verso la figlia con passo cauto.

«Ho detto che non voglio! Lasciatemi in pace!», urlò ancora la bambina voltando finalmente il capo verso Laura e Nick, il viso piccolo e tondo arrossato e bagnato di lacrime, gli occhi rossi iniettati di sangue.

«Clio...», intervenne Nicholas guardandola negli occhi. «Lo sai che non vorremmo, pulce, lo sai».

«E allora perché? Io sto bene!», strillò tirando su con il naso. «Io sto bene, perché volete tagliarmi i capelli? Tutti i capelli?».

«Amore, i medici hanno detto...», cominciò Laura ma fu interrotta da un urlo della figlia.

«Non ci credo, loro non sanno niente, non sanno come sto io», pianse Clio, battendo i piedi per terra per la rabbia e la frustrazione.

In un terribile flashback, Nick si rivide perfettamente in Clio mentre in Laura rivedeva perfettamente sua madre. Allora era così per sua madre quando gli impediva di cantare e di lavorare a nuova musica per un po'? Era davvero una situazione così simile?

«Clio...», iniziò, ma si zittì di fronte all'espressione ferita della bambina.

«Tu sei daccordo con lei?», piagnucolò. «La pensi come loro?». Loro. I medici.

«È una situazione delicata...», disse a mezza voce il ragazzo, senza sbilanciarsi. Vide il viso di Clio trasformarsi in una smorfia ferita e offesa, prima che le lacrime le bagnassero di nuovo copiose le guance arrossate.

Laura fece un mezzo passo avanti, con l'intenzione di abbracciare la figlia, ma si fermò quando vide Nicholas fare lo stesso e cingerle le spalle, cullandola lentamente.

«Mi dispiace, Clio, mi dispiace tanto», le mormorò in un orecchio sentendo anche i suoi occhi pungere di lacrime che non avrebbe lasciato cadere.

«Non farmelo fare, ti prego, non farmelo fare», piagnucolò la piccola, stringendo le manine sulla maglietta di Nick, il volto nascosto nell'incavo della sua spalla.

Il diciottenne rimase in silenzio, continuando a cullarla, per poi lasciarla improvvisamente andare. Si alzò, scambiando uno sguardo con Laura che lo fissava confusa, poi si diresse a grandi passi verso il bagno.

Sul lavabo era appoggiato, già collegato alla spina, c'era il rasoio che avrebbe dovuto tagliare i capelli a Clio. Con una strana sicurezza negli occhi lo afferrò e lo accese, avvicinandolo alla propria testa.

«Nick!», lo fermò la bambina.

Nicholas si voltò e la vide sull'uscio del bagno, un'espressione sconvolta sul viso.

«Che cosa stai facendo?», domandò.

«Così non sarai l'unica ad andare in giro senza capelli», spiegò il ragazzo, scrollando le spalle.

Laura osservava la scena, quasi scandalizzata, un passo indietro rispetto alla figlia.

«No», scosse il capo Clio. «Non devi farlo. I tuoi capelli sono così belli».

Quel commento così innocente in mezzo a una conversazione tanto seria lo commosse nel profondo.

Fece qualche passo, lasciando cadere il rasoio per terra, per poi lasciarsi cadere in ginocchia davanti a Clio. Le prese il viso tra le mani, avvicinando il proprio al suo, lasciando che i loro nasi si sfiorassero.

«Ti voglio bene, piccola».

Gli occhi blu di Clio si riempirono di nuovo di lacrime.

«Te ne voglio tanto anch'io».

Rimasero a fissarsi a lungo, ognuno perso nello sguardo dell'altro.

«Andrà tutto bene, Clio. Io ti salverò, mi hai capito? Non lascerò che ti succeda niente di male».

La bambina annuì, passandosi il dorso di una mano sul viso per asciugare le lacrime che lo bagnavano.

«Vorrei che tu non dovessi farlo...», continuò il ragazzo.

La bambina annuì piano.

«Ho capito», mormorò. Si voltò verso la madre e Laura le corse incontro stringendola forte tra le sue braccia.

Nick arretrò di qualche passo, lasciandole sole. Sapeva che Clio aveva bisogno di sua madre, così come Laura aveva bisogno di tenere vicina la figlia stretta a sé. Per quanto potesse essersi integrato in quella famiglia, sarebbe sempre rimasto nel contorno, mai veramente uno di loro.

Le osservò da lontano a lungo e si sentì improvvisamente solo.

~

Nicholas era tornato a casa poco dopo aver assistito quella scena, non voleva essere lì quando quel rasoio si sarebbe acceso e i capelli di Clio sarebbero scivolati per terra, e sapeva che Laura non voleva fosse lì: quello doveva essere un momento concesso solo a lei e a sua figlia.

Casa di Joe era vuota. Suo fratello era fuori, chissà dove a fare chissà cosa. Avrebbe preferito fosse lì, aveva bisogno di sentirsi meno solo, aveva bisogno di sentirsi amato.

Andò in salotto, premendo play sullo stereo e facendo partire la musica, riempendo la casa con le canzoni dei The Script.

Udì abbagliare e poco dopo Elvis si avvicinò a lui trotterellando, la coda scodinzolante e una sorta di sorriso canino sul muso.

Nick gli sorrise e si inginocchiò ad accarezzarlo, mormorandogli qualche parola gentile. Winston doveva essere con Joe se non li aveva ancora raggiunti. A Nicholas non dispiacque, era da tempo che non passava un po' di tempo solo con Elvis.

«Sai, bello, a volte penso che tu sia l'unico a cui importi di me», disse a mezza voce, continuando ad accarezzargli il pelo morbido. Osservò l'espressione di totale beatitudine del cane e fece un sorrisetto. «Sono un idiota, lo so, sono l'ultima persona che dovrebbe sentirsi sola: la mia famiglia mi vuole, ho tanti amici, molti fan che mi stanno accanto... Non so, è che senza di lei...», si interruppe di scatto.

«Devo smetterla di pensarci. Mi faccio solo del male», si rimproverò seccamente. «Sai cosa ti dico, Elvis? D'ora in poi l'unica donna della mia vita sarà mia madre, anche se non ci parliamo da giorni. Ho chiuso con tutte le altre, diventerò un prete o qualcosa del genere».

Iniziò a ironizzare, continuando a parlare un po' tra sé e sé e un po' con il cane.

«Devo essere di nuovo felice».

Udì in quel momento le chiavi girare nella serratura e la voce di Joe invadere l'atrio.

«Nicky sei a casa?», domandò ad alta voce.

Nicholas sorrise. Non era solo.

~

«Tutto okay, pulce?», domandò Nick con un mezzo sorriso osservando Clio quasi interamente nascosta dietro di lui.

La bambina annuì in fretta, abbracciandogli la vita con le braccia.

«Se vuoi tornare a casa basta che me lo dici, non siamo costretti a stare qui», le ripeté per l'ennesima volta in poco meno di un'ora. Era la prima volta da quattro giorni, ovvero da quando Laura aveva definitivamente tagliato tutti i capelli a Clio, che la bambina usciva di casa. Nicholas era passato a prenderla a casa, sotto lo sguardo ansioso e insieme riconoscente di Laura, e l'aveva portata in una zona vicino al centro per fare qualche commissione.

Il mattino precedente si era alzato di buon ora per andare in un famoso negozio di accessori e abiti femminili, e aveva comprato una serie di grossi foulard in seta di vari colori, li aveva impacchettati e li aveva regalati a Clio. Ora uno di essi, di un bel viola acceso, era allacciato sulla nuca della bambina, nascondendo in questo modo la testa calva.

«No, no, va bene così», annuì la bambina, lasciandogli andare la vita per potergli stringere una mano.

Nick sorrise dolcemente, ricambiando la stretta.

«Cosa vuoi fare?», domandò quindi, guardandosi intorno per vedere se c'era traccia dei paparazzi nei dintorni. Se c'erano, non erano visibili.

«Mmh...», un'espressione pensierosa si disegnò sul volto della bambina. «Vorrei solo un gelato».

Nicholas alzò gli occhi al cielo.

«Non ti stanchi mai di mangiarlo?».

«Me l'hai chiesto per davvero?», rise Clio serena.

Touche, pensò Nicholas con un mezzo sorriso, dandole un buffetto su una guancia per poi dirigersi con lei verso una serie di bancarelle, alla ricerca di una che vendesse del gelato.

Clio guardava allegramente ogni bancarella, incuriosita da ogni colore, ogni odore e ogni suono, osservava tutto e tutti con interesse.

Nick si chiese se facesse così perché si rendeva conto che, forse, aveva ancora poco tempo da vivere e per conoscere il mondo.

Scacciò quei pensieri maligni dalla testa e riprese a guardarsi intorno, fermarsi un secondo non appena individuò il baracchino che stava cercando.

«Ecco, andiamo là», spiegò, indicando il punto a Clio.

Si misero in fila dietro a un paio di famiglie e qualche coppietta. Nicholas distolse prontamente lo sguardo da una di loro che si stava scambiando un bacio affettuoso.

«Nick», sentì una manina di Clio tirarlo per la maglietta. «Posso andare a vedere quella bancarella?», domandò, indicando un banco poco distante.

Il ragazzo annuì, era abbastanza vicina da poterla sorvegliare anche da lì.

«Quale gelato vuoi?».

«Cono al cioccolato. Tuuutto cioccolato», squittì, prima di ringraziarlo e schizzare tra la folla, raggiungendo in pochi attimi la bancarella.

Nick la osservò qualche istante, prima di tornare alla fila estraendo il portafogli dalla tasca dei pantaloni.

Quando fu finalmente il suo turno prese per Clio quello che aveva chiesto, mentre lui prese un frappè alla crema.

Non vedendo Clio nel punto in cui era sino a un momento prima si avvicinò alla bancarella cercandola, attento che il gelato non colasse sulle mani.

«...lo so», sentì la sua voce. Era un pochino più lontana rispetto al banco e stava parlando con una ragazza bionda girata di spalle.

Nick presumette che quella ragazza stesse rispondendo alle sue parole, perché vide la bambina fare un piccolo sorriso.

«Grazie», disse con gli occhi grandi per la meraviglia, poi finalmente vide Nicholas. «Nick!».

Fu un attimo.

Nel momento in cui le labbra del ragazzo si aprivano in un sorriso nell'aver ritrovato subito Clio, la ragazza bionda si voltò verso di lui e il suo cuore perse un colpo.

Non era cambiata per niente. Era bella, più bella di quanto ricordasse, con il viso solare, le labbra rosee perfette. C'era solo qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di diverso, era uno sguardo velato di malinconia, forse, di tristezza. Uno sguardo che, quando era con lui, raramente offuscava il suo bel viso. I suoi occhi erano luminosi, azzurri come il cielo, eppure sembravano più spenti di quanto ricordava. Di solito erano due stelle piantate in un cielo senza nuvole, ora erano il sole nascosto da nubi dense di pioggia.

Sentì il bicchiere del frappè sfuggirgli dalla mano e schiantarsi a terra, spargendosi tutto per terra.

Delta non sorrideva più. I suoi occhi si erano fatti grandi per la sorpresa e un'espressione sbalordita e insieme malinconica le solcava il viso.

Nick si rese conto di non stare respirando.

Clio spostava lo sguardo tra lui e Delta lentamente, deglutendo.

«Oh», disse poi, capendo ogni cosa.

Nick continuava a non respirare. Sentiva la testa girargli furiosamente, la terra mancargli sotto i piedi.

«Nick...». Sentire la voce di Delta chiamarlo era peggio di mille coltellate nello stomaco. Doloroso perché sapeva che lei non era più sua. La sua voce era la musica che per mesi l'aveva reso felice come mai era stato prima d'ora. Ricordare quei giorni felici grazie a quell'unica parola fu più doloroso di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

Poi, semplicemente, afferrò Clio che gli si era avvicinata preoccupata con passi corti e lenti, e scappò via.

~

Smise di correre solo quando il fiatone divenne insopportabile e le gambe gli tremavano per la fatica. Aveva gli occhi velati, la mano ancora stretta a quella di Clio.

La bambina era piegata in due nel tentativo di riprendere fiato; in uno sprazzo di lucidità Nicholas si diede dell'idiota per averle fatto compiere un simile sforzo.

«Stai bene?», domandò con tono tremante.

La bambina annuì piano, facendo dei respiri profondi.

Nick le cinse le spalle con un braccio e la guidò, facendole appoggiare il proprio peso su di lui, sino ad arrivare la macchina.

Clio si accasciò sul sedile del passeggero ancora ansimando e Nick sentì un peso formarglisi all'altezza dello stomaco.

«Mi dispiace...», mormorò con voce incrinata.

Clio scosse il capo, socchiudendo gli occhi, esausta.

Nick si sedette al posto dell'autista e appoggiò la fronte sul volante, facendo dei respiri profondi, mentre dentro di lui decine di sentimenti diversi infuriavano.

La felicità per aver incrociato di nuovo gli occhi di Delta, per aver rivisto il suo sorriso; la tristezza, perché sapeva che lei non era più sua e probabilmente non lo sarebbe stata mai più; la vergogna, per essere scappato da lei come un codardo; la colpa per aver trascinato Clio in quella sua folle colpa e per averla fatta stare male; e dolore. Dolore, immenso dolore.

Si impose di fare di tranquillizzarsi, si focalizzò su Clio, seduta accanto a lui e le accarezzò il viso.

«Stai bene?», chiese incerto.

Clio scrollò debolmente le spalle, per poi annuire.

«Ho sete», disse poi.

«Ora cerchiamo un bar», la tranquillizzò il ragazzo, respirando più liberamente vedendola riprendere un po' di colore.

Mise in moto la macchina con mani tremanti, procedendo piano lungo la strada. Sentiva un groppo in gola che non accennava a sciogliersi, il sudore freddo colargli lungo il viso.

Realizzò, con sgomento, che non era migliorato come aveva pensato. Affatto.

**

Quando tornarono a casa si era fatto tardi, l'orario per la cena era già passato da un pezzo. Si erano fermati in un piccolo ristorante dove Clio – completamente ripresa – aveva ordinato una pizza. Nick niente.

Nicholas teneva Clio per mano mentre camminavano lungo il vialetto di casa, tentando di nascondere lo sguardo cupo mentre vedeva la porta aprirsi dopo che la bambina aveva suonato il campanello.

«Ciao», li salutò con un sorriso Laura abbracciando la figlia e chinandosi per baciarle la fronte, per poi voltarsi verso Nick.

«Ciao Nick», disse dolcemente. «Vuoi entrare?».

Il ragazzo annuì piano, senza ancora proferire parola. Seguì la donna verso il giardino dove era evidentemente seduta sino a poco tempo fa dato che c'erano delle candele accese e un libro ancora aperto poggiati sopra.

Clio fece uno sbadiglio, portandosi una mano sulla bocca.

«Vado a dormire», disse stropicciandosi gli occhi. «Buona notte mamma, grazie Nick per oggi». Gli sorrise e Nick la abbracciò stretta.

«'Notte piccola. Ci vediamo presto», le mormorò.

Clio annuì mentre riceveva un bacio anche dalla madre e si dirigeva verso la sua camera da letto. Nicholas sentì la porta chiudersi e si lasciò cadere su una sedia.

«Va tutto bene?», domandò Laura sedendosi accanto a lui poggiandogli una mano su una spalla.

Lui annuì distrattamente, con poca convinzione, per poi scuotere la testa.

«Non ho solo voglia di parlarne... Scusa, Laura».

Laura fece un gesto con la mano, come per dire che non importava.

Rimasero in silenzio per un po', ad accompagnarli solo il rumore del traffico lontano e la luce fluttuante delle candele.

«Clio tra due giorni comincia il primo ciclo di chemio», disse poi la donna.

Nick alzò improvvisamente il capo per guardarla.

«Che... che cosa? Davvero?».

Laura annuì.

«Le cure che abbiamo adottato sino ad ora non sono più efficaci, bisogna passare a qualcosa di più... drastico». Deglutì. «Le giornate buone che sta avendo in questo ultimo periodo diventeranno via via più rare, senza contare tutti gli effetti collaterali della chemioterapia... I medici sperano solo che sia più efficace e che possa guarire. Definitivamente.»

Definitivamente. Nick si perse in quel pensiero. Avrebbe significato che Clio non avrebbe più dovuto soffrire. Mai più.

«Andrà tutto bene», disse, animato da nuova speranza.

Laura annuì velocemente. Nick vide uno spasmo attraversarla e lei si coprì il viso con una mano.

«Scusami», singhiozzò nascondendo le lacrime. «Sono solo così... spaventata».

Nicholas allungò una mano per prendere quella di Laura appoggiata sul tavolo e le si avvicinò con il viso.

«Lo so. Ma le cose si aggiusteranno, vedrai».

Laura annuì piano, alzando il capo per poterlo guardare negli occhi.

«Grazie Nick. Sei meraviglioso...». Nicholas arrossì un po' a quel complimento. «Sei il nostro piccolo angelo».

Nick si rese conto che la vicinanza tra loro era troppo breve solo quando fu troppo tardi. Le labbra morbide e calde di Laura si posarono sulle sue, in un bacio esitante, indeciso. Solo quando Laura tentò di approfondire il contatto, Nicholas si ritrasse come se fosse stato attraversato da una scossa e si alzò in fretta, portandosi una mano sulla bocca con aria sconvolta.

La donna si morse il labbro inferiore, completamente imbarazzata.

«Nicholas, io... oddio scusami. Ti prego perdonami, non dovevo farlo», si alzò e fece un passo verso di lui, ma Nick indietreggiò guardandola con occhi sgranati.

«Nick...?», mormorò lei con voce spezzata.

Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma dalla sua bocca uscì solo un verso strozzato. Poi si voltò e uscì di casa il più velocemente possibile.

Correva, il petto in fiamme, il cuore che batteva forte.

E soffriva.

 

Continua...

 

Canzone della settimana dalle bellissime parole. Ci sono due versioni, ve le lascio entrambe se avete voglia di ascoltarle (:

  1. http://www.youtube.com/watch?v=mCc1lz2sieA

  2. http://www.youtube.com/watch?NR=1&feature=fvwp&v=IvWCvYPsiuM

Capitolo un po'... audace, direi. Lo descriverei così. Abbiamo un primo incontro con Delta (♥) e poi il bacio. Non so se apprezzerete il fatto che io abbia fatto baciare Laura e Nick... attendo ansiosa i vostri commenti. :33 Maggiori informazioni al riguardo, ovviamente, verranno date nei prossimi capitoli.

p.s. Sì, Nicholas corre sempre u.u

 

Grazie mille per il vostro continuo sostegno! Siete meravigliose, davvero, grazie mille di tutto. ♥

Se avete domande, al solito sarò felicissima di rispondervi. (:

Via, vi abbandono, finisco di scrivere il quattordicesimo capitolo che mi sta lentamente ammazzando. ._. Gioia!

Alla prossima settimana! Un bacione ♥

 

Mags.

 

*si nasconde dai pomodori e dagli insulti*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Capitolo 11.


What if I told you what was really going on

no more masks and no more parts to play.

[…] And what if I told you that I'm not as strong

as I like to make believe I am.

There's so much I wanna say but I'm so scared

to give away every little secret that I hide behind.

{What if I told you; Jason Walker}

Tre settimane.

Nicholas si passò una mano sul viso con un gesto stanco e affaticato, mentre con l'altra metteva la sua chitarra preferita nel bagagliaio della sua macchina per poi chiuderlo e dirigersi verso il sedile del guidatore.

Erano passate tre settimane da quella sera, da quando Laura l'aveva baciato – baciato! - e da quando, dopo mesi, aveva rivisto Delta. Tre settimane da quando, anche se solo per un breve istante, aveva potuto rivedere il suo sorriso, rivedere i suoi occhi, il suo viso.

Si aggrappava a quel ricordo come un naufrago si attacca a un salvagente, era l'unica cosa a cui pensava e, per quanto sapesse che non era salutare, non riusciva e non voleva dimenticare quel sorriso. Non ora che non vedeva più Clio.

Sospirò pesantemente sentendo una stretta al cuore; da tre settimane non vedeva più Clio.

Si odiava per essersi allontanato da lei senza una spiegazione, sparendo da un giorno all'altro, ma non poteva più tornare da lei, non sapendo che avrebbe visto anche Laura. Sapeva di essere un codardo, ma affrontare la giovane donna dopo quel bacio, rubatogli in quel modo senza che nemmeno sospettasse nulla, lo aveva ferito, e non solo perché per lei non provava nulla.

Quel che era peggio, la ragione per cui non pensava avrebbe più potuto vedere Laura, era che baciava esattamente come Delta. Avevano le stesse labbra, lo stesso atteggiamento gentile e dolce, lo stesso modo di toccargli il viso.

Non poteva rivederla, non ci riusciva.

Senza più vedere Clio, era tornato al piano originale che aveva utilizzato nel periodo immediatamente successivo alla rottura: lavoro. Buttarsi a capofitto nel lavoro era l'unica cosa che poteva liberargli la mente.

Non funzionava, perché sapeva che inconsciamente voleva rimanere attaccato al suo ricordo di Delta, e allora insisteva ancora, lavorava sempre di più, ancora e ancora sperando funzionasse.

Nelle ultime settimane aveva riunito la band degli Administration, scrivendo e registrando con loro nuove canzoni, aveva offerto il suo aiuto come cantautore a decine di altri cantanti, aveva fatto piccoli concerti qua a là per tutta Los Angeles, era anche partito per andare a New York a trovare Kevin e Danielle pochissimi giorni dopo essere stato baciato da Laura – tutto pur di stare il più lontano da lei e dal ricordo dello scontro delle loro labbra – tenendosi impegnatissimo in qualsiasi commissione, gita o spettacolo la coppia volesse fare o vedere.

I suoi genitori erano tornati nella casa in Texas e, tornando dal New Jersey, si era fermato anche da loro, chiarendo le cose con sua madre con cui aveva avuto un contatto freddo nell'ultimo periodo e sistemando le cose anche con lei, rassicurandola inoltre sulle sue condizioni di salute. Lui stava bene. E sia Denise che Paul Senior gli avevano creduto.

Nel primo periodo quel ritrovato continuo movimento gli aveva dato la carica, forse grazie all'adrenalina, ma negli ultimi giorni sentiva di nuovo quella stanchezza che l'aveva portato al malore solo due mesi prima, quella spossatezza dovuta al poco riposo e alla troppa attività.

Ma non gli importava.

Mise in moto l'auto e si diresse verso casa di Joe, con cui ancora conviveva dato che il fratello maggior

aveva insistito che restasse con lui ancora qualche periodo. Nick sospettava che Joe intuisse che qualcosa non andava, anche se era stato molto attento a non mostrare alcun cenno di cedimento o stanchezza.

Joe non doveva preoccuparsi, perché Nick sapeva che nel momento in cui sarebbe riuscito ad allontanarsi dal ricordo di Delta il più possibile sarebbe stato meglio. Non considerava il fatto che non voleva veramente dimenticarla.

Accese la radio, sincronizzandola su una stazione a caso per non rimanere solo con i suoi pensieri, e batté le dita a ritmo della canzone che stava passando sul volante.

Quando arrivò a casa parcheggiò e, quando scese, barcollò un pochino e si dovette appoggiare alla portiera ancora aperta per non cadere.

Fece un respiro profondo mentre il giramento di testa gli passava.

«Un passo alla volta, ho bisogno di bere, fa troppo caldo», si disse, mentendo a sé stesso per poi avviarsi lentamente verso la porta d'ingresso. Ignorò il tremolio della mani mentre infilava le chiavi nella serratura ed entrava nell'atrio, guardandosi intorno per vedere se Joe fosse a casa.

«Joe?», domandò ad alta voce andando verso la cucina e versandosi un bicchiere d'acqua. «Sei a casa?».

Non ricevette alcuna risposta.

Nick sospirò di sollievo, sapeva che in quel momento non sarebbe riuscito a dissimulare troppo le sue condizioni.

Stordito dalla debolezza si trascinò verso le scale, salendole con lentezza, per poi raggiungere la propria stanza con fatica. Quando raggiunse il letto e ci si stese prende un grande respiro, conscio di essere impallidito.

«Sono un debole», si disse con rabbia, a bassa voce, rimanendo disteso e pregando che Joe non arrivasse prima che recuperasse le forze.

Cadde in uno stato di semi-incoscienza per quella che gli parve un'eternità, i pensieri che si accavallavano nella sua mente a una velocità disarmante: Delta, la loro prima uscita, il loro viaggio in Australia, i loro pic nic in spiaggia, i loro litigi – come gli sembravano stupidi, ora -, le lacrime negli occhi di lei, lei che usciva da una porta da cui non sarebbe più rientrata; poi il flusso di pensieri mutò, e il viso di Clio si dipinse nella sua mente, Clio con le sue frasi così innocenti, la sua intelligenza acuta, la sua capacità di farlo ridere, e poi ancora Laura, Laura che lo ringraziava, Laura che piangeva, Laura che lo baciava...

Si risvegliò quando udì la porta sbattere al piano inferiore e il fischiettio allegro di Joe invadere l'atrio.

«Nicky?», domandò Joe.

Nicholas si costrinse ad alzarsi, si sentiva la testa leggera e, non appena mise i piedi per terra, cadde rovinosamente, le ginocchia troppo deboli per sostenerlo.

Il cuore iniziò a moltiplicare i battiti, la vista gli si annebbiò mentre il panico lo invadeva e una morsa gli stringeva lo stomaco.

Aiuto, pensò, ma quella parola non uscì dalla sua bocca.

Aveva imparato a conoscere bene quei sintomi nella sua vita, sapeva di star per perdere conoscenza e la cosa lo terrorizzava, andava nel panico sapendo che avrebbe potuto chiudere gli occhi da un momento all'altro per poi risvegliarsi chissà dove, rimanendo impotente.

Si rialzò, aggrappandosi a qualsiasi appiglio trovasse capace di sostenerlo, strisciando sino alla cima delle scale.

«Joe», mormorò con tono spezzato, con la voce più alta che riusciva ad emettere al momento.

Vide Joe voltarsi sentendo quel flebile richiamo e il sorriso del fratello si spense così come si era formato.

«Nick...? Oddio Nick». Se la sua voce era così preoccupata solo avendolo visto, si disse il minore, non doveva avere un bell'aspetto.

Le ginocchia gli cedettero all'improvviso e se non fosse stato per le braccia di Joe che, pronte, lo presero, sarebbe caduto per tutta la rampa di scale.

«Non... non mi sento molto bene», mormorò sentendo la bocca farsi secca. Mr Ovvietà, pensò con una piccola parte del cervello.

Le braccia di Joe lo strinsero forte e Nick si sentì protetto da quell'abbraccio così affettuoso.

«Ti aiuto io, ora, Nicholas... stai tranquillo, Nicky, andrà tutto bene», mormorò il ventiduenne stringendolo.

Nick sentì una mano del fratello iniziare ad accarezzargli i capelli e, coccolato da quel gesto, cadde nel buio.

**

Nick riprese lentamente coscienza di sé stesso rendendosi conto, non appena sveglio, di non essere nello stesso punto in cui aveva chiuso gli occhi.

Tenne ancora le palpebre chiuse, era troppo stanco per aprirle, cercando di capirlo utilizzando gli altri sensi. Il tatto gli diceva che era sdraiato su un letto – scomodo, tra l'altro – e caldo, quindi doveva essere sdraiato lì da almeno un'ora, inoltre era coperto solo da una coperta leggera e indossava qualcosa che, di certo, non erano i jeans e la maglietta con cui si era vestito quella mattina per uscire di casa, sentiva anche qualcosa pizzicargli l'avambraccio; con l'udito riusciva a percepire appena il respiro pesante di qualcuno, quindi non era solo; ma fu l'olfatto a dargli la certezza di ciò che temeva sin dall'inizio, sperando di sbagliarsi: era il terribile, inconfondibile odore di ospedale.

L'ultimo posto in cui sperava di essere, anche se sapeva che era inevitabile.

Aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco una stanza quasi spoglia, fredda, uguale ad ogni altra stanza d'ospedale in cui si era svegliato nel corso della sua vita. Con un sospiro arrendevole voltò la testa lentamente verso la fonte di quel respiro pesante che aveva udito poco prima: Joe era seduto su una sedia lì accanto, la testa appoggiata scomodamente sulla spalla, la bocca semi aperta, una mano allungata verso di Nick, probabilmente gli stava tenendo la sua quando si era addormentato.

Un moto d'affetto lo avvolse e fece un debole sorriso al fratello maggiore, rendendosi conto che Joe non l'aveva abbandonato nemmeno per un secondo.

Riafferrò la mano del fratello, stringendola, e abbassò la testa per vedere cosa fosse ciò che gli pizzicava il braccio; un ago gli perforava la pelle e, ad esso, era collegato un tubetto di plastica che portava sino a una sacca dello stesso materiale. Una flebo, metabolizzò con sgomento.

Meraviglioso, si disse sarcasticamente deglutendo preoccupato.

Cercò di mettersi seduto, gemendo piano quando sfiorò un ginocchio con l'altro: cadendo, prima, doveva essersi fatto due lividi.

Destato probabilmente dal rumore Joe iniziò a muoversi, aprendo gli occhi e sbattendo le palpebre un paio di volte, come se stesse cercando di rimettere in moto il cervello stanco.

Nick fece una smorfia, avrebbe preferito che il fratello avesse continuato a dormire almeno per un altro po', ma dimenticava che aveva un sonno terribilmente leggero quando era preoccupato.

Prima che potesse dire o fare qualcosa si sentì improvvisamente avvolto nella forte stretta del maggiore.

«Sei sveglio», mormorò Joe, stringendolo ancora più forte.

Non sapendo cosa dire Nick ricambiò la stretta, sollevandosi dall'ansia con quel gesto.

«Non provare mai più a farmi prendere un tale infarto, Nicholas», mormorò Joe una volta lasciatolo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. «Ero terrorizzato».

Nicholas riuscì a percepire il panico nella voce del fratello e, senza sapere perché, sentì gli occhi farglisi lucidi.

«Mi dispiace», mormorò con tono spezzato.

«Non devi essere dispiaciuto, Nick, devi essere... Dio, devi solo stare meglio. Non ti rendi conto dell'ansia che mi hai fatto prendere, non riuscivo più a svegliarti, lo capisci questo? Sono stato per una fottuta mezz'ora a cercare di rianimarti a casa con tutti i metodi che conosco senza un singolo risultato. Non volevo portarti qui, so quanto lo detesti, ma non ho avuto altra scelta». Il diciannovenne venne preso da una morsa allo stomaco quando vide Joe coprirsi il viso con le mani per nascondere le lacrime di nervosismo e di paura che gli rigavano le guance.

Allungò una mano per toccare la spalla del fratello, cercando di dargli un qualche tipo di conforto. Pochi minuti dopo Joe parve calmarsi e Nick lo lasciò andare, permettendogli di ricomporsi.

«Che ore sono?», domandò infine il minore, domandandosi da quanto tempo, allora, si trovasse lì.

«Mezzanotte passata», commentò Joe dando un'occhiata veloce al proprio orologio.

Nick spalancò gli occhi, sbigottito: quando Joe era arrivato a casa non dovevano che essere le otto.

«Ho chiamato Kevin non appena ti ho portato qui, lui e Danielle stanno arrivando, saranno qui tra un'ora o poco più, presumo», spiegò ancora il ventiduenne.

Nick, che aveva spostato lo sguardo per guardare un attimo la flebo infilata nel suo braccio, si voltò con uno scatto verso il fratello.

Joe sospirò, immaginando la prossima domanda del fratello.

«Li devo chiamare, Nick, non possiamo nasconderglielo, senza contare che lo sapranno comunque, i giornalisti lo scopriranno presto e non permetterò che lo sappiano grazie a un sito internet del cavolo», spiegò con pazienza.

Mamma e papà, ovviamente. Il diciannovenne gemette al pensiero di quello che avrebbero detto vedendolo in quelle condizioni.

«Ma non li hai ancora chiamati...», disse piano, come per misurare le sue parole.

«No», ammise Joe con un sospiro. «Volevo aspettare che ti svegliassi, a mamma non verrà un infarto sentendo la tua voce».

Nick annuì, il ragionamento di Joe non faceva una piega.

«Anzi, li chiamo ora», fece il maggiore, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi la schiena.

«Ma... ma da loro sarà notte fredda», balbettò Nicholas. Non era pronto ad affrontare una conversazione con sua madre, non ancora.

«Se aspettassi il mattino poi papà mi ammazzerebbe per aver taciuto tanto a lungo, già dovrò sorbire le lamentele di mamma sul fatto che sapeva che non sarei stato capace di prendermi cura di te».

«Non ti dirà mai nulla del genere, Joe, lo sai, non lo farebbe mai», tentò di rassicurarlo, sapendo perfettamente che il fratello era sempre spaventato di deludere i loro genitori.

«Può darsi», scrollò le spalle con una smorfia. «Ah, tra l'altro, c'è qualcuno qui per te».

A quelle parole una parte di Nick si risvegliò completamente, pensando subito a Delta. Sapeva che era sbagliato, che era a causa di quella parte di sé stesso ancora attaccato a lei che era finito in quella stanza d'ospedale, ma non gli importava.

Joe si affacciò fuori dalla porta, fece un segno a qualcuno di invisibile al fratello minore per poi avvicinarsi a Nick per abbracciarlo ancora una volta.

«Vi lascio soli, torno tra poco», gli sorrise piano.

Nick lo guardò uscire con un groppo in gola e aspettò con ansia che la persona chiamata da Joe entrasse.

Dovette aspettare un paio di minuti per scoprire finalmente chi fosse, e quando lo fece, nonostante tutto, non rimase deluso.

«Nick!», strillò una voce acuta e poco dopo il ragazzo sentì due braccia sottili stringerlo forte.

Non era Delta, ma sotto un certo punto di vista era qualcuno migliore di lei.

Clio lo strinse ancora più forte quando il ragazzo ricambiò l'abbracciò, seppellendo la testa nell'incavo del collo della bambina.

«Mi dispiace tanto, Clio, scusami tanto», mormorò con tono spezzato cullandola dolcemente.

La bambina rimase in silenzio ancora per qualche istante, iniziando a parlare solo quando si separò da lui.

«Cosa è successo? Non ti ho più visto, e la mamma diceva che forse non saresti più tornato, che avevi qualche problema... E poi abbiamo iniziato questo trattamento – chepioterapia? - per la malattia e io ti volevo qui ma tu non c'eri, poi oggi mentre ero qui ti ho visto mentre ti portavano in una stanza ed ero così preoccupata e...». Nick non la ascoltava più, sentì solo il bisogno di abbracciarla forte e di rimanere solo con lei per un po', in silenzio.

Sentendo Nick abbracciarla, lui, che di solito era sempre così lontano, così distante, Clio sorrise e gli baciò una guancia con uno schiocco.

«Scusa se sono sparito, piccola, scusami tanto», mormorò il ragazzo. «Mi sei mancata ogni giorno».

Clio si allontanò da lui per guardarlo negli occhi e montò sul viso un cipiglio serio.

«Ora non vai più da nessuna parte, non è vero? Resterai con me, sì?».

Nicholas le sorrise e le accarezzò una guancia.

«Non vado da nessuna parte».

**

Un medico venne a visitare Nick poco più tardi, salvandolo dalla telefonata con sua madre ma lasciando così Joe in balia dell'isteria della donna. Finita la visita, il maggiore gli riferì che i genitori sarebbero partiti con il primo volo disponibile e arrivati al più tardi verso le undici del mattino. Nick ascoltò attentamente sia il fratello sia il medico, il dottor Krane, che faceva le veci del dottor Turner in sua assenza. La diagnosi non era tanto diversa da quella che gli era stata diagnosticata pochi mesi prima, solo in forma più aggravata e la cura, se così si poteva chiamare, non cambiava. Nicholas promise che, questa volta, avrebbe veramente fatto come il medico consigliava e che non avrebbe più trasgredito, non voleva più mettere in pericolo sé stesso spaventando le persone che amava.

Clio gli rimase vicino il più a lungo possibile, sino a che un'infermiera dal viso gentile non venne a chiamarla dicendole che doveva tornare in camera sua. La bambina gli aveva dato un altro bacio sulla guancia ed era schizzata fuori dalla stanza, prendendo per mano l'infermiera.

Kevin e Danielle arrivarono verso le due del mattino, entrambi provati dalla stanchezza e dal viaggio ma estremamente in ansia per lui, nonostante Joe li avesse rassicurati quando lo avevano chiamato non appena scesi dall'aereo circa le sue condizioni di salute. Erano rimasti con lui per una quarantina di minuti, prima di uscire per parlare con il dottor Krane insieme a Joseph.

Assaporando il silenzio della stanza vuota, Nick si riaddormentò subito dopo, preso da una nuova ondata di stanchezza; fu un sonno tranquillo, per niente disturbato dagli incubi che lo avevano assalito nelle ultime settimane rendendo le poche ore in cui dormiva per niente riposanti, risvegliandosi solo quando il sole era già alto.

Quando aprì gli occhi, la prima persona che vide fu sua madre. Gli dava le spalle, il viso rivolto verso la finestra.

«Mamma...», mormorò piano vedendola. Denise sobbalzò al suono della sua voce e si voltò con uno scatto verso il figlio.

«Oh, amore mio», sussurrò e corse ad abbracciarlo. Nick, immaginando quell'incontro, aveva immaginato che sua madre lo avrebbe sgridato, ordinandogli immediatamente di trasferirsi in Texas, di certo non si aspettava quello. Rimasero stretti in quell'abbraccio finché Paul Kevin Senior e Frankie, i quali erano usciti per prendere qualcosa da mangiare, non tornarono.

Fu tutto molto tranquillo, calmo, non ci furono crisi isteriche o piagnistei, per lo meno non in sua presenza.

Venne a trovarlo anche il dottor Turner, mostrandosi molto più piacevole delle volte precedenti, nonostante Nick continuasse a trovare il suo sorriso terribilmente irritante.

Il medico disse che preferiva tenere Nicholas in ospedale sino al mattino dopo, giusto per controllare che mangiasse abbastanza e recuperasse un po' del sonno perduto negli ultimi tempi. Il diciannovenne non si lamentò.

Denise gli disse anche che avrebbe potuto continuare a stare da Joe, se preferiva in questo modo, non voleva costringerlo ad andare in Texas conscia che obbligarlo a fare qualcosa non l'avrebbe aiutato. Nick tirò un sospiro di sollievo rendendosi conto che non avrebbe dovuto litigare per raggiungere quell'obbiettivo.

Per il resto, Nicholas passò il suo tempo a dormire. Molto. E la cosa non gli dispiacque affatto.

Era sera, quasi l'ora di cena, e prima di crollare addormentato per l'ennesima volta quel giorno il ragazzo aveva spinto tutta la sua famiglia ad andare a mangiare da qualche parte tutti insieme, dato che non lo facevano da tempo, dicendo loro di non preoccuparsi per lui e di godersi la serata. In questo modo, pensò anche, i paparazzi fotografandoli non avrebbero pensato che le sue condizioni fossero gravi, o per lo meno non lo avrebbero pensato le fan. Non tutte.

Sapeva che avevano scoperto che era ricoverato a causa di un gruppetto di fan che si era appostato fuori dall'ospedale e che erano state mandate via dal personale perché impedivano alle ambulanze di passare liberamente.

Quando si risvegliò, un po' intorpidito per essere rimasto nella stessa posizione troppo a lungo, Nick si rese conto immediatamente anche senza aprire gli occhi di non essere solo. Li spalancò, pensando di trovare Joe o Kevin, e si irrigidì vedendo l'ultima persona che si aspettava di trovare.

Laura era in piedi in fondo al letto, che lo guardava nervosamente. Nicholas la vide sfregarsi le mani per il nervosismo, velocemente.

«Nick... scusa non volevo svegliarti», disse a bassa voce.

Il ragazzo continuò a guardarla senza parlare.

«È... è stata Clio a dirmi che eri qui. È passata a trovarti prima, ma dormivi», continuò a parlare la giovane donna, gesticolando agitatamente.

Nicholas annuì rigidamente, per darle segno che aveva capito.

«Io... vedi... po-possiamo parlare? Per favore?», domandò balbettando e si rilassò un poco solo quando il ragazzo le fece cenno di sì con la testa. Si sedette sulla sedia accanto al letto, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e unendo le mani.

«Mi dispiace, Nick. Mi dispiace tanto», disse dopo aver preso un gran respiro.

Il diciannovenne si sedette sul letto, la schiena appoggiata al cuscino, e la guardò negli occhi.

«Voglio solo sapere perché», disse, parlando per la prima volta.

Laura si scostò una ciocca di capelli dal viso.

«Perché mi ricordi Howard», ammise tristemente. Nick inarcò un sopracciglio, stupito dalle parole della donna. «Mio mari- il mio ex marito era esattamente come te. Era un uomo dolce, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per Clio, era generoso, disponibile, era un uomo buono. Ora lui non c'è più, ma sei arrivato tu, Nicholas, e tu non sai... non hai idea dell'effetto che mi faccia vedere un ragazzo tanto simile all'uomo con cui avrei voluto passare tutta la mia vita girare per casa, giocare con mia figlia, portarla fuori, trattarla come se fosse figlia sua».

Nick trattenne il fiato sentendo l'ultima affermazione.

«Non hai ancora capito che per Clio sei diventato quasi la sostituzione di suo padre? Non l'ha visto per due anni e poi arrivi tu, che la tratti esattamente come la trattava lui se non meglio... non sai il bene che ti vuole, come parla di te a casa. Io sono stata una stupida a fare quello che ho fatto, baciarti è stato un atto stupido e immaturo, quella sera avevo appena scoperto che Clio avrebbe iniziato la chemio e mi sentivo sola, ma non è una scusa, però ti prego, non allontanarti da mia figlia a causa mia, starti vicino la fa stare bene, quando è con te ha delle belle giornate e ora più che mai ne ha bisogno, ha iniziato la chemioterapia e sta sempre peggio... ti prego, ti prego, stalle vicino. Ti supplico», parlò velocemente, quasi senza prendere fiato, una luce combattiva e allo stesso tempo di supplica negli occhi.

Nick la guardò a lungo.

«Ho già promesso a Clio che non la abbandonerò mai più», disse dolcemente e un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra.

Il viso di Laura parve illuminarsi.

«Davvero?».

Nick annuì.

La donna si portò una mano alla bocca, mentre gli occhi brillavano e sembravano sorridere al posto della bocca.

«Grazie. Grazie, Nicholas, davvero, ti ringrazio da morire», gli sorrise a lungo. Sembrava si stesse trattenendo dall'iniziare a saltellare sul posto per la gioia.

Nick la ascoltò, senza sapere che dire, sorridendo piano.

«Grazie davvero», mormorò per l'ultima volta Laura, la voce colma di riconoscenza.

«Il piacere è tutto mio», ammise il diciannovenne, assaporando con il pensiero il tempo che avrebbe passato con Clio da quel giorno in avanti, pronto ad onorare la promessa che le aveva fatto tempo prima: l'avrebbe salvata.

**

Quella notte, Nick fece un sogno.

Era sdraiato nel suo letto d'ospedale, e dormiva, immobile. Ai piedi del letto c'era Delta, bella, vera come sempre, ma allo stesso tempo, in quel momento, così triste.

«Mi dispiace, Nick», mormorò Delta. La sua voce era così calda e dolce.

Lei si avvicinò e si chinò per sfiorargli una guancia con le labbra.

«Mi manchi».

Arretrò, sospirando mestamente, per poi uscire dalla porta con passi leggeri.

Nicholas aprì gli occhi di scatto, trovandosi solo, il cuore che batteva a mille. Gli sembrava di poter sentire ancora l'odore di fiori del profumo preferito di Delta.

Guardò la porta, passandosi una mano tra i ricci spettinati: Delta poteva essere appena uscita.

Continua...

 

Canzone meravigliosa, e inoltre, se prestate bene alle parole, descrive assolutamente lo stato d'animo di Nick in questa fanfic o.o http://www.youtube.com/watch?v=9QLbxK29A9Y

 

Non mi picchiate, vi prego ç__ç Io sono una persona sadica e crudele, me ne rendo conto, dovrò pur sfogare le mie vene sadiche su qualcosa (?), no? La mia melo-drammaticità mi ucciderà, un giorno. (??)

Vi chiedo inoltre profondamente scusa per aver aggiornato oggi anziché ieri come previsto, ma mi sono messa a scrivere una fanfiction su Glee che mi aveva troppo preso e mi sono ricordata di dover aggiornare solo ieri sera mentre guardavo Million Dollar Baby ma era talmente triste e deprimente che ero troppo occupata a singhiozzare per fare altro çç

Scusate.

 

Il prossimo aggiornamento sarà regolare, sul serio u.u

Grazie mille per il vostro supporto, siete meravigliose, risponderò alle vostre recensioni dello scorso capitolo appena posto questo.:)

 

A Venerdì.

Un bacione. <3

 

Maggie.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Capitolo 12.


How do I live without you
I want to know
How do I breathe without you?

{How Do I Live Without You; LeeAnn Rimes}

 

«Clio, devi mangiare», insistette Nicholas spingendo il vassoio colmo di cibo verso la bambina seduta sul letto d'ospedale, che lo fissava con aria sostenuta.

«Ma questo cibo fa schifo», si lamentò lei, rivolgendo ai piatti uno sguardo truce.

«Non si dice che il cibo fa schifo», la richiamò Laura, seduta accanto alla figlia.

«Ma mamma, questo è proprio immangiabile», insistette Clio guardando la madre muovendo le mani concitatamente.

Nick nascose appena un sorriso divertito, sapeva perfettamente che la bambina aveva ragione e che il cibo in quell'ospedale era poco meno che pessimo.

«Sono qui da quasi un mese, ho voglia di pizza», continuò la piccola, incrociando le braccia al petto senza degnare più nemmeno di un'occhiata il vassoio.

Laura sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli scuri e sul viso stanco. Era da quattro mesi che Clio era sottoposta a cicli regolari di chemioterapia, con successiva convalescenza a casa: inizialmente i medici avevano stabilito di farle un ciclo al giorno per cinque giorni consecutivi, poi la rimandavano a casa per una decina di casa e successivamente ritornava per altri cinque giorni, ma nell'ultimo mese e mezzo avevano deciso con Laura di ricoverarla in ospedale finché non avesse finito tutti i cicli di chemioterapia, in questo modo i medici avrebbero potuto intervenire immediatamente in caso fosse stata male.

Nicholas non approvava questa scelta. Sapeva che Laura agiva in buona fede e che la sua scelta era stata condizionata dalle recenti e frequenti brutte giornate della figlia, ma sapeva anche che Clio odiava rimanere in ospedale così a lungo. C'erano alcuni giorni in cui nemmeno riusciva mettersi a sedere sul letto e non si lamentava affatto del ricovero prolungato, ma quando, come quel giorno, stava bene e le sarebbe piaciuto uscire a fare una passeggiata era comunque costretta a rimanere confinata nei limiti dell'ospedale.

Una tortura.

Nick aveva provato a parlarne con Laura, ma si rendeva conto che non era sua figlia e lui non poteva prendere certe decisioni.

«Amore, l'ospedale non ha della pizza da darti», cercò di farla ragionare Laura, accarezzandole una guancia.

«E nemmeno la voglio, la pizza di qui farebbe schifo come tutto il resto! No, voglio la pizza buona, quella vera di Paolo!», spiegò Clio eccitata, citando la pizzeria vicino a casa in cui adorava andare. «Mi vai a prendere la pizza, mamma?».

Laura esitò qualche istante, rivolgendo un'occhiata incerta a Nicholas, prima di annuire piano.

«Resti tu con lei?», domandò al ragazzo infilandosi il giubbotto di jeans e prendendo la borsa.

«Certo, vai pure», le sorrise il ragazzo e Laura ricambiò il gesto, salutando con la mano sia lui che la figlia prima di uscire dalla porta della camera.

Nick aspettò di sentire il rumore dei suoi passi allontanarsi, prima di rivolgersi a Clio.

«Tu stai diventando troppo brava nell'ottenere quello che vuoi, ragazzina», le disse e la bambina gli fece una linguaccia con aria divertita.

«Ho tutto il diritto di mangiare la pizza, rientra nei miei diritto», scherzò lei. «E lo sai meglio di me che questa sbobba è immangiabile», accennò al cibo dell'ospedale con aria disgustata.

Nick rise.

«Questo te lo concedo».

Clio sorrise soddisfatta, spingendo lontano da sé il vassoio appoggiato sulla mensola mobile in dotazione del letto e iniziò a giocherellare con la catenina che Nick le aveva regalato per il suo nono compleanno, avvenuto due mesi prima, il quindici Maggio.

Nick quasi si sorprese nel rendersi conto che erano passati già quasi sette mesi da quando aveva incontrato Clio per la prima volta, il tempo era passato tanto velocemente che non si sarebbe nemmeno accorto del suo scorrere, se non fosse stato per Delta. Teneva ancora il conto del tempo da quanto non la vedeva, dei giorni da quando l'aveva vista per l'ultima volta.

Non l'aveva dimenticata, non l'avrebbe fatto mai, probabilmente, ma come aveva sospettato la vicinanza a Clio aiutava più di quanto avrebbe mai fatto uno psicologo tutto impettito in sei mesi di sedute. Ora stava bene, aveva di nuovo una vita, sarebbe potuto tornare a vivere anche da solo se non fosse stato che gli piaceva stare da Joe e non metteva più piede in un ospedale se non per stare vicino a Clio.

La vedeva tutti i giorni, la maggior parte di questi rimaneva con lei per quasi tutta la durata della giornata, arrivando la mattina prima di pranzo e andandosene prima di cena.

A volte la sera tornava e vedevano un film insieme o parlavano e basta.

Lui le raccontava della sua vita, di ciò che aveva fatto, dei tour, dei suoi fratelli e lei gli raccontava ogni cosa le capitasse durante la giornata, dei suoi genitori, dei suoi amici e delle partite di calcio.

Parlare con lei era così semplice, così naturale, con lei non c'erano bugie o verità nascoste.

«Nick?», domandò Clio, continuando a giocare con la sua targhetta.

«Sì piccola?».

«Questa sera vieni qui? Ho voglia di vedere La Fabbrica di Cioccolato e la mamma è stanca, andrà a casa...».

Nick le diede un buffetto su una guancia.

«Certo, tutto quello che vuoi».

«Poi non dire che sono io quella brava ad ottenere ciò che voglio, siete voi che fate tutto senza il mio aiuto», commentò allegramente.

Nicholas rise.

**

Quando la sveglia suonò, il mattino seguente, Nick la spense con un gesto secco, rotolandosi tra le coperte mentre si stiracchiava la schiena intorpidita.

Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra e vide il sole battere, come sempre, specialmente durante l'estate. Si alzò con un sospiro, venendo quasi subito raggiunto da Elvis, il quale iniziò a scodinzolare intorno al padrone, abbaiando.

Nick gli fece cenno di star zitto, accarezzandogli il pelo biondo per poi dirigersi con uno sbadiglio verso il piano di sotto per fare colazione.

Joe dormiva ancora, probabilmente, approfittando dell'assenza di impegni per dormire il più a lungo possibile.

Il diciannovenne aprì il frigo e afferrò il cartone del latte, versandolo in una tazza e inzuppando al suo interno qualche biscotto al cioccolato, già impaziente di uscire di casa per iniziare la giornata.

Circa un'ora più tardi, dopo aver accompagnato Elvis a fare una passeggiata ed essere passato a casa sua per pulire un po', si stava dirigendo verso l'ospedale, sperando di poter convincere sia i medici che Laura a lasciargli portare fuori la bambina per quel pomeriggio data la bella giornata.

Parcheggiò vicino all'ingresso e si diresse verso il reparto di oncologia, salutando le infermiere di turno che ormai conosceva come se fossero delle sue amiche.

Si diresse verso la stanza di Clio, l'ultima del corridoio, con un sorriso ostentato dipinto sulle labbra.

Iniziò a capire che qualcosa non andava quando un paio di infermiere lo superarono correndo e si infilarono nella camera della bambina, seguite ben presto da un medico.

Prima che se ne potesse rendere conto, Nicholas stava correndo.

Entrò nella stanza ma, come si affacciò sull'uscio, si paralizzò.

Il letto di Clio era circondato da sei persone, tra medici e infermiere, Laura dietro di loro che si copriva la bocca con una mano con lo sguardo terrorizzato fisso sulla figlia.

Clio era in mezzo a tutto questo, la testa chinata verso il basso mentre fiotti di sangue scuro le uscivano dalla bocca, la carnagione cadaverica, una mano che stringeva convulsamente un lembo di una coperta.

Nick si rese conto di non stare respirando.

C'erano stati altri malori, ovviamente, prima di quello. Tanti, soprattutto da quando aveva iniziato la chemioterapia, ma mai come quello.

«Clio», cominciò, la voce spezzata e soffocata.

Vide la bambina alzare un poco il capo per guardarlo: aveva gli occhi infossati, iniettati di sangue, profonde occhiaie che le solcavano il viso.

Prima che potesse aggiungere altro, un'infermiera lo scortò fuori dalla stanza, dicendo che i medici dovevano fare il loro lavoro. Nicholas iniziò a ribattere, balbettando, le immagini di ciò che aveva appena visto che si ripetevano nella sua testa, ma l'infermiera non lo ascoltò e, poco dopo, anche Laura fu portata fuori, nonostante le proteste della donna.

Nick le si avvicinò e la abbracciò stretta, sentendola prima irrigidirsi per poi ricambiare la stretta con forza, aggrappandosi a lui come se fosse la sua ancora di salvezza.

«Cos-cos'è successo?», domandò il ragazzo dopo averla lasciata, la gola secca.

«Io... io non lo so. Quando sono arrivata questa mattina stava male, sono andata a chiamare un dottore e quando sono tornata...», si zittì. Il resto, Nick l'aveva visto con i suoi occhi.

«Ieri sera come stava?», chiese lei, prendendo dei respiri profondi tentando invano di calmarsi.

«Bene... cioè, era stanca, ma stava bene, si è addormentata quando il film non era nemmeno a metà», spiegò Nicholas, cercando di ricordare se fosse avvenuto qualcosa di particolarmente strano la sera precedente. «Non si è più svegliata, non finché io ero con lei, per lo meno».

Laura annuì velocemente, continuando a respirare profondamente.

Rimasero in silenzio, accompagnati solo dal rumore dei propri pensieri che ronzavano nella loro testa come se fossero una nube di mosche, mentre cercavano di percepire cosa stesse accadendo all'interno di quella stanza.

Un medico, il dottor Oliver Gray, che si occupava di Clio da parecchi anni, uscì qualche minuto dopo, richiudendosi la porta alle spalle.

«Allora?», lo aggredì immediatamente Laura, torturandosi le mani.

Oliver Gray sospirò con aria grave, appoggiando una mano su una spalla della donna.

«Perché non ci sediamo?», domandò.

«Non voglio sedermi, voglio sapere come sta mia figlia», ribatté amaramente Laura.

Gray si sedette comunque su una delle sedie lì vicino e aspettò che anche Laura lo imitasse, o che lo facesse Nick, che era abituato vedere in ospedale.

La donna si sedette accanto al dottore, intrecciando le dita delle mani con fare nervoso. Nicholas le si sedette accanto, appoggiando una mano su quelle di Laura, in un muto segno di conforto.

Lei gliene fu grata.

«Le funzioni immunitarie di Clio sono crollate, non ha abbastanza globuli bianchi in grado di combattere le malattie e i suoi leucociti sono molto alti, hanno raggiunto il ventitré percento», iniziò a spiegare, con tono pacato.

«E quanto dovrebbero essere alti?», chiese Laura, interrompendolo.

«Zero percento».

Nick sentì Laura irrigidirsi al suo fianco, mentre il suo stesso cuore iniziava a battere all'impazzata.

«E... e cosa si può fare? Continuare la chemio?», chiese la donna, che quasi non riusciva a parlare.

«Sembra inutile, Clio non risponde bene al trattamento e ora come ora sta solo peggiorando le cose».

«Allora cosa dobbiamo fare?», intervenne Nicholas, perdendo la pazienza di fronte alle continue pause del medico.

Il dottor Gray gli rivolse una seconda occhiata, prima di parlare.

«Si può considerare un trapianto di midollo osseo», disse.

«Ma... ma io non sono compatibile e non hanno ancora trovato un donatore disponibile nella scheda nazionale, Clio è troppo in fondo nella lista per i donatori», balbettò Laura.

«È questo il problema di cui ti dovevo parlare: non ci sono ancora dei donatori disponibili e quello che conta per Clio ora è il fattore tempo. Possiamo provare a tornare alla radioterapia per un po', ma non penso possa servire», spiegò il dottore.

Ci vollero dieci secondi per permettere a Nick di comprendere il significato nascosto di quella frase.

«Quindi, o troviamo un donatore di midollo osseo entro poco tempo oppure Clio...», non finì la frase, sentendo un dolore terribile formarglisi all'altezza del petto, lì dove c'era il cuore.

«Mi dispiace. Il midollo osseo potrebbe aiutare, per lo meno darebbe a Clio altro tempo».

Altro tempo per cosa? Non ci sono cure, pensò una minuscola parte del suo cervello, scacciò quel pensiero con cattiveria.

Si passò istintivamente una mano sull'avambraccio, nel posto dove di solito infilavano un ago per fargli le analisi del sangue, colto da un'idea improvvisa.

«Quale gruppo sanguigno ha Clio*?».

**

Non era stato semplice, arrivare sino a quel punto, meno facile di quanto si era immaginato.

Non appena quell'idea, così geniale e così utile allo stesso tempo, l'aveva colpito si era precipitato a fare un paio di analisi, paragonando i risultati con quelli della bambina. Erano compatibili al cento percento.

Poteva salvare la vita a Clio. Poteva tener fede alla sua promessa di salvarla.

Sospirò, infilandosi la tunica dell'ospedale che un'infermiera gli aveva dato.

Appena saputo, era uscito dall'ospedale con il telefono in mano, le mani tremanti mentre digitava il numero di Joe.

Non era stata una conversazione semplice.

Il telefono aveva fatto quattro squilli, prima che Joe rispondesse.

«Pronto, Nick?», disse la voce di suo fratello.

«Joe, ciao», rispose lui, prendendo un gran respiro prima di continuare. «Ti devo parlare».

«È successo qualcosa?».

Joe e il suo maledetto sesto senso.

«Io... s-sì, è successo qualcosa», iniziò, balbettando. «Clio è stata male, questa mattina. Molto male. I medici hanno deciso di interrompere la chemioterapia, hanno detto che le serve un trapianto di midollo osseo».

Tacque, aspettandosi che il fratello dicesse qualcosa. Non lo fece.

«Sono compatibile al cento percento».

Silenzio. Joe rimase in silenzio a lungo, più di quanto Nick volesse.

«E vorresti donarglielo tu?», chiese Joe.

«Joe, ascolta...». Nick iniziò a percepire che la situazione stava degenerando.

«No, ascoltami tu, Nicholas», lo interruppe il maggiore. «Credevo stessi meglio, credevo avessi smesso di farti del male da solo».

«Joe, non lo faccio per-».

«Ti ho osservato per mesi, mentre ti distruggevi con le tue stesse mani, ora basta, sono stanco di vederti soffrire».

«Joe, donare il midollo osseo non è pericoloso!».

«Ma è doloroso», ribatté duramente il ventiduenne.

Nick si zittì per un secondo.

«Non lo faccio per me, Joe», riprese. «Lo faccio per salvarle la vita. Sta morendo, te ne rendi conto? Se non lo faccio, tra un mese lei potrebbe nemmeno esserci, potrebbe essere morta».

«Non è una tua responsabilità, salvarle la vita», ribatté Joe.

«Sta morendo! Al diavolo le responsabilità, Joseph! Non ci sono donatori disponibili e se aspettiamo Clio potrebbe non farcela, potrebbe...», la sua voce si spense.

Joe rimase in silenzio dall'altro capo del telefono per quelli che a Nick parvero secoli. Non gli serviva il suo permesso per farlo, qualunque cosa avesse detto suo fratello lui sarebbe comunque rientrato in quell'ospedale, pronto a fare il suo dovere.

Gli sarebbe piaciuto avere la sua approvazione, però.

Sapeva che Joe era solo preoccupato, ma non si capacitava del perché non capisse quanto fosse importante per lui farlo.

«Se al posto di Clio ci fossi io, tu cosa faresti?», sussurrò.

Sentì Joe trattenere il fiato rumorosamente: si era immaginato tutto, Nick malato, Nick morente.

Passò un altro minuto prima che il diciannovenne potesse sentire la voce del fratello.

«Va bene. Va bene, Nick, fallo».

Nicholas sorrise trionfante.

«Grazie».

Joe aveva sospirato, stanco, prima di rispondere.

«Chiamami quando hai finito, ti vengo a prendere».

Dopo era stata la volta di sua madre e suo padre e, se possibile, era andata peggio che con Joe.

Denise strepitava contro la cornetta dicendo a Nick di non osare a nemmeno fare una cosa del genere, altrimenti sarebbe venuta lei stessa sino a Los Angeles per trascinarlo in Texas per le orecchie, mentre Paul Senior continuava a chiedergli perché.

Fece loro lo stesso discorso che aveva fatto a Joe, rimarcando sul fatto che non voleva fare del male a sé stesso, ma salvare Clio. Perché erano così ciechi? Donare il midollo osseo non era pericoloso, non avrebbe compromesso la sua salute in qualche modo, avrebbe semplicemente dato una chance alla bambina che l'aveva salvato per prima.

Alla fine, entrambi i genitori avevano acconsentito, riluttanti, dicendo loro di chiamarli il prima possibile. Nick promise che l'avrebbe fatto.

Allacciò l'ultimo laccio della tunica e si sedette sul letto scomodo e freddo della stanza.

Il medico che entrò subito dopo doveva avere poco più di trent'anni e un'aria incredibilmente simpatica. Nick si sentì un po' più tranquillo.

«Bene, Nicholas, pronto?», domandò. «Sdraiati sulla pancia e lascia le braccia lungo i fianchi, per favore».

Il diciannovenne obbedì, volgendo il capo verso il medico.

«Ti farò una piccola anestesia locale, così durante il prelievo non sentirai nulla. Quando l'effetto svanirà ti sentirai dolorante e forse avrai anche un po' di nausea – ogni paziente reagisce diversamente – ma è perfettamente normale, presto sarai come nuovo. Domani magari non uscire di casa, riposati e in un paio di giorni potrai ricominciare a fare quello che fai tutti i giorni. Hai capito?».

Nick annuì, non se la sentiva di parlare. Gli aghi non gli piacevano, non gli sarebbero mai piaciuti, ma sapere che stava per aiutare Clio, la sua piccolina, lo aiutava.

«Okay, Nicholas, ci siamo», lo avvertì il dottore.

Il diciannovenne chiuse gli occhi.

**

Nick si rese conto che il termine “dolorante” non definiva assolutamente come si sentiva in quel momento.

Da schifo, forse, un po' ci si avvicinava, ma di merda era decisamente la definizione più adatta. E la nausea non aiutava per niente.

Era seduto su una delle sedie di plastica – e spacca spine dorsali, pensò con una smorfia Nicholas – nella sala d'aspetto vicino all'ingresso, mentre aspettava che Joe arrivasse a prenderlo per portarlo a casa.

In quel momento, Nick avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi sdraiare. O per riuscire a vomitare. Preferibilmente entrambe le cose.

Laura l'aveva raggiunto non appena aveva finito di donare il midollo, ringraziandolo una decina di volte prima di informarlo che stavano preparando Clio per il trapianto. Nick aveva sorriso soddisfatto, consolandosi con quel pensiero.

Aveva avvertito Laura che il giorno dopo non sarebbe venuto e le chiese anche di salutargli Clio non appena l'avesse vista. Laura aveva promesso.

Nick gemette non appena si spostò appena per cercare di mettersi in una posizione più confortevole. Pessima idea.

Si chiese se avesse potuto chiedere a un'infermiera di passaggio di colpirlo in testa in modo tale da fargli perdere i sensi. Oppure di drogarlo.

Passò una mano sul viso, coprendosi gli occhi, sospirando piano.

«Nicky?».

Li riaprì immediatamente, spalancandoli.

Joe era in piedi di fronte a lui, un'espressione preoccupata che gli solcava il viso.

«Ci sono», disse e fece un mezzo sorriso per tentare di tranquillizzarlo. Non funzionò.

Joe gli si avvicinò e lo aiutò cautamente ad alzarsi.

Nick trattenne a stento un gemito.

«Io ti avevo avvertito», gli disse Joe, passandogli una mano intorno alle spalle per farlo sostenere a sé.

«Stai zitto», sbuffò il minore.

Il ventiduenne si diresse verso l'esterno, proseguendo lentamente per impedire a Nick di fare movimenti troppo bruschi.

«Come facciamo con la mia auto?», domandò Nicholas, ricordandosi improvvisamente di essere venuto in macchina.

«Ci avevo già pensato, non sono venuto con la mia macchina, ho preso un taxi per venire qui, torniamo a casa con la tua». Nick annuì piano, appoggiando ancora più peso contro il fratello.

Rimasero in silenzio per il resto del tragitto fino all'arrivo alla Mustang del minore. Joe gli aprì la portiera e lo aiutò a sedersi e ad allacciarsi la cintura, per poi sedersi al posto del guidatore.

«Joey?», lo chiamò Nick, con la voce impastata.

«Sì, Nicky?».

«Grazie di tutto».

Joe non poté fare a meno di sorridere.

«Non c'è di che».

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

(*) Okay, sinceramente, non so se il gruppo sanguigno centra con il midollo osseo, veramente non ne ho idea, e inoltre non so se un diabetico può donare il midollo osseo. Ho provato a fare qualche ricerca ma non ho trovato risposte, se qualcuno di voi si intendesse di medicina mi scusi, sono un'ignorante, me ne rendo conto. çç

Canzone della settimana di cui amo le parole *w* http://www.youtube.com/watch?v=S6jKx0lajZ0

Scusate se aggiorno a quest'ora e soprattutto se non ho, ancora, risposto alle recensioni dello scorso capitolo, ma la scuola mi sta uccidendo – ed io che pensavo che Marzo sarebbe stato un mese tranquillo *scoppia a piangere disperata* - e oggi sono stata impegnatissima (ovvero, sono tornata a casa alle sei dopo essermi persa 97686 a causa di google maps e come sono tornata ho dormito, ma sono dettagli). Risponderò tra questa sera tarda e domani, davvero ç.ç Sappiate che vi amo tanto tantissimo.

 

Ora, passando a questo capitolo... Angst, padrone sovrano di questa fanfiction! Io l'avevo detto che era una fic drammatica, vi avevo avvertito D:

Spero di aver descritto tutto bene e di non aver fatto casini con i termini medici e varie, ma come già detto non me ne intendo quasi per nulla. Evviiiiiva i diritti d'autore. lol

*ride per non piangere* Via, scappo a finire di studiare inglese, benedetta lingua! Ci sentiamo più tardi/domani e alla prossima settimana con il nuovo aggiornamento.

 

Questa sono io mentre leggo le vostre recensioni, comunque →

Vi amo *o*

 

 

Mags.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13.


I have dreamt of a place for you and I
No one knows who we are there
All I want is to give my life only to you
I've dreamt so long I cannot dream anymore
Let's run away, I'll take you there

{Anywhere; Evanescense}

 

Quando quel mattino suonò la sveglia, Nick la spense senza un lamento, aprendo immediatamente gli occhi rivolti verso il soffitto della sua stanza.

Si alzò lentamente, evitando i movimenti bruschi, cercando di capire quanto la schiena gli facesse male. Sorrise soddisfatto quando non percepì altro che solo un lieve fastidio.

Aveva passato i precedenti due giorni sdraiato a letto quasi invocando la morte o per lo meno l'incoscienza assoluta per un periodo più lungo possibile.

Sapere che, come il medico aveva detto, solo i primi due giorni dopo il prelievo del midollo osseo sarebbero stati dolorosi lo confortò.

Si alzò dal letto, passando una mano tra i capelli spettinati e salutò con una carezza lungo tutto il corpo Elvis, ancora disteso sul letto del padrone con cui aveva passato la notte.

Uscì dalla camera e riuscì a percepire l'odore di uova e dolce che proveniva dal piano inferiore. Assaporando già la colazione che Joe stava cucinando scese le scale, affacciandosi alla cucina con un sorriso.

«Buongiorno», disse al fratello intento tra i fornelli, facendolo voltare con uno scatto.

«Nick!», commentò bonariamente il ventiduenne, sorridendo. «Buongiorno a te. Come ti senti oggi?».

Il diciannovenne si sedette su una sedia, versandosi un bicchiere di spremuta d'arancia.

«Molto meglio, grazie.», sorrise sinceramente, «pronto per tornare alla civiltà».

Joe annuì, togliendo le uova dalla padella e versando una versione in un piatto che diede al fratello minore.

«Sta solo attento, okay?», fece con tono preoccupato, scompigliandogli i ricci scuri.

«Sì, mammina», ridacchiò Nicholas, aspettando che Joe si sedette con lui prima di iniziare a mangiare.

Il ventiduenne guardò Nick mentre, con gli occhi bassi, mangiava la colazione e gli raccontava i suoi programmi per la giornata. Sentì un'ondata di affetto avvolgerlo nei suoi confronti. Era così fiero di lui, di quello che aveva fatto e che continuava a fare, di come fosse riuscito ad uscire da una situazione scomoda con coraggio e forza.

Quello era suo fratello, il ragazzo che aveva visto crescere, ogni giorno più forte e più maturo, non quello che per lunghi mesi aveva vagato alla cieca lungo una strada che sembrava non finire mai.

E ora era di nuovo sé stesso, tutto grazie a una bambina, una meravigliosa bambina dai capelli rossi, gli occhi di zaffiro e la maturità di una donna.

Joe non le sarebbe mai stato abbastanza grato per tutto quello che aveva fatto per suo fratello. Solo ora capiva che quello che aveva fatto Nick per lei era solo un piccolo modo per aiutarla ed esserle riconoscente.

«Tu invece cosa farai?».

Joe si riscosse dai suoi pensieri sentendo il fratello chiamarlo.

«Come...? Oh, niente, esco con Garbo e Jack nel pomeriggio, ma questa sera sono a casa».

«Ci vediamo qui, allora. Per le otto?».

«Perfetto».

Joe fece per aggiungere qualcosa, ma la suoneria – Smooth Criminal – di Nick iniziò improvvisamente a suonare e il diciannovenne afferrò subito il telefono. Sul suo viso, notando il mittente, si dipinse un'espressione preoccupata.

«Scusami un attimo, Joe», disse alzandosi e uscendo dalla porta tenendo ancora il telefono in mano senza rispondere, guardandolo come se fosse una bomba ad orologeria pronta a scoppiare da un momento all'altro.

Joe non aveva bisogno di chiedere: doveva essere Laura.

Pregò che andasse tutto bene.

**

Nick fece un gran respiro, in salotto, prima di rispondere al telefono che ancora suonava.

«P-Pronto?», rispose con tono roco.

«Oh, Nick», disse subito la voce della donna dall'altra parte del telefono. «Ti ho svegliato? Stavo per lasciarti un messaggio vocale».

«No, no, figurati», disse il ragazzo respirando un po' più tranquillamente sentendo il tono calmo della donna dall'altro capo del telefono.

In quei due giorni in cui Nick non era potuto uscire di casa, Laura l'aveva chiamato mattina e sera per aggiornarlo sulla situazione di salute di Clio. Sin dalla mattina del primo giorno la bambina era stata molto meglio, ricominciando ad elencare le cento e uno cose che lei sapeva e che gli altri ignoravano: era un pozzo di conoscenza.

«Come stai?», gli domandò la giovane donna, sempre con tono rilassato cosicché Nick si rese conto che quella era una telefonata di piacere.

«Molto meglio, grazie, oggi me la sento proprio di uscire. Pensavo di venire in ospedale tra poco... Tu come stai? Clio?».

Sentì Laura ridacchiare piano e sorrise: dopo tutto quello che aveva attraversato e che ancora attraversava, meritava di trovare attimi di felicità in ogni momento.

«Stiamo entrambe bene, grazie», rispose Laura. «Clio è estasiata, oggi la riporto a casa».

A sentire la notizia, il cuore di Nick perse un colpo e sul suo viso si disegnò un grande, serenissimo sorriso.

«D-davvero? Oggi? Ma è...», cominciò, balbettando per l'emozione e la gioia.

«...È grandioso, lo so. Credevo fosse un po' presto, ma Clio sta bene e i dottori non vedono perché non impedirle di tornare a casa», lo interruppe Laura e Nicholas percepì la gioia infinita trasparire dalle parole della giovane madre.

«La porto a casa nel primo pomeriggio, quindi è inutile che vieni qui ora, Clio si deve preparare e io ho mille fogli da firmare. Ma puoi venire a casa più tardi, ti offriamo volentieri qualcosa da mangiare per merenda», proseguì lei.

«Oh, certo, capisco. Beh, passo per le quattro, allora, va bene?», domandò il ragazzo, cercando di non sembrare deluso dal dovere aspettare ancora prima di vedere la sua Clio.

«Perfetto. Grazie mille, Nick, grazie di cuore», disse Laura e il diciannovenne intuì che non si stesse riferendo solo alla sua disponibilità e alla sua gentilezza.

Nicholas sorrise.

«Il piacere è tutto mio, Laura. Lo sarà sempre».

**

«Mamma, maaaaamma ma quindi dopo lo vai a prendere il gelato?», domandò Clio con tono sovreccitato, scendendo dall'auto in fretta e affiancando subito la madre.

Laura accarezzò il viso alla figlia con un sorriso.

«Certo, tesoro, vado più tardi», annuì lei prendendo la mano che la figlia le porgeva.

Sorrise di gioia vedendo la bambina ridere e scherzare, aggrappata alla sua mano mentre la stringeva forte.

Laura si domandò come avrebbe mai potuto vivere senza Clio. Era un pensiero troppo doloroso anche solo da formulare, come se una parte di lei le venisse strappata a morsi, era come morire dentro.

Scosse il capo, cercando di non pensarci, dicendosi che, no, ora sua figlia stava bene, rideva, e che, se Clio sorrideva, ogni cosa sarebbe stata a posto per sempre. Era così che doveva andare ed così che sarebbe andata.

Prese le chiavi dalla borsa e girò la serratura, aprendo poi la porta di casa.

Clio trattenne il fiato per l'emozione.

Era da un mese che non entrava più in casa sua e le era mancata ogni cosa, ogni soprammobile, ogni vasetto di fiori. Quella era casa sua e non sarebbe voluta essere in nessun altro posto, se non quello. Lì era dove aveva mosso i suoi primi passi, un giorno che i suoi genitori l'avevano portata a fare visita ai nonni all'epoca ancora vivi, ed era lì che era vissuta per quasi tutta la sua vita.

Laura la osservò con dolcezza, lasciandole la mano che ancora stringeva per poi togliersi il leggero giubbotto che indossava. «Clio, tesoro, riposa un pochino, se vuoi. Nick arriverà tra pochissimo».

La bambina batté le mani contenta e si diresse a grandi passi verso la cucina per versarsi del succo di frutta. Poi, improvvisamente, notò la porta a vetri della sala da pranzo aperta, e vide fuori in giardino la figura di Nicholas che si affaccendava tra corde e ganci intorno a un albero.

Laura, che aveva seguito la figlia in silenzio, inclinò il capo per guardare meglio il ragazzo, confusa.

«Nicholas...?», domandò ad alta voce per attirare la sua attenzione.

Il diciannovenne si voltò e sorrise radioso alle due, sventolando una mano.

«Credevo arrivaste più tardi! Ho quasi finito», iniziò a spiegare vedendole incamminarsi per raggiungerlo.

Clio aveva un sorriso talmente grande da illuminarle tutto il viso, gli occhi grandi lucenti di gioia. Laura, invece, osservava Nicholas con una mano davanti alla bocca.

Tra i due unici alberi del giardino, ora, c'era un amaca. L'amaca che Clio aveva sempre desiderato e che Laura non aveva mai trovato tempo di montare.

«Clio mi ha detto che tenete sempre un paio di chiavi di scorta nascoste sotto un vaso e non ho saputo resistere, mi dispiace. Spero non vi dispiaccia, io...», fu zittito dalla bambina che, in un istante, lo abbracciò stretto, nascondendo il viso nella pancia del ragazzo.

«È il regalo più bellissimo* del mondo!», squillò allegra, la voce emozionata. «Grazie grazie grazie!».

Nick le sorrise – fu un sorriso dolce, quasi paterno – e si abbassò a baciarle la fronte. Poi Clio si staccò, saltando subito sull'amaca dondolante.

Il ragazzo, invece, osservava Laura con cipiglio preoccupato: la donna era ancora immobile, nella stessa posizione, gli occhi lucidi.

«Forse avrei dovuto chiedertelo, prima, ma... Ero a casa da solo, non potevo venire in ospedale e, non so, mi sono detto che forse potevo fare questo. Mi dispiace se ho fatto qualcosa di sba-».

«Tu non hai fatto niente di sbagliato, Nick», mormorò Laura, intuendo il resto della frase del ragazzo. «Niete. Oddio, Nicholas...». Si avvicinò a lui, quasi tremante, e lo abbracciò più forte che poté. Nick rimase un secondo immobile tra le sue braccia prima di ricambiare la stretta, quasi dondolandosi sui piedi.

«Hai salvato la vita di mia figlia», iniziò a sussurrargli Laura in un orecchio, la voce rotta dal pianto per la commozione. «Le hai salvato la vita... e ora questo. Nick, ma chi sei tu? Chi ti ha mandato qui da noi?».

Il ragazzo rimase in silenzio ad ascoltarla, senza sapere cosa dire.

«Dio, Nicholas... sei la nostra salvezza».

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Canzone della settimana, stupenda ** http://www.youtube.com/watch?v=8Lyk729ECNE

 

(*) So che è grammaticalmente sbagliato dire “più bellissimo” ma Clio è pur sempre una bambina, quindi ho trovato appropriato mettere ogni tanto qualche errore.

 

Buona Klaineversay-week! So che non è il fandom giusto, ma io sono tutta presa dalla frenesia Klaine e sto avendo un Klaine-roll ogni cinque minuti. Comprendetemi, vi prego. u.u :)

Questo capitolo è oscenamente corto e mi dispiace. Avrei voluto farlo più lungo ma le cose da dire di questo capitolo si sono rivelate più brevi del previsto. Vorrei poter dire che il prossimo sarà pi lungo ma non è così, anzi, il prossimo non solo è breve, ma fa pure schifo. Gioia ._.

Posso confermare che il quindicesimo – che ancora sto scrivendo – avrà almeno cinque pagine anche se probabilmente le supererà.

 

Per quanto vi riguarda... Siete degli angeli. 9 recensioni? Nove? *scoppia a piangere dalla commozione* Io non so nemmeno come ringraziarvi, le vostre recensioni mi lasciano senza parole, sono così assurdamente felice che questa storia vi stia piacendo. Grazie mille davvero.

 

A conti fatti, questa fanfic dovrebbe arrivare ai diciotto capitoli invece dei diciannove inizialmente pensati, però non è sicuro. Potrebbero diventare anche diciassette ma sono sicura al 90% che saranno diciotto.

 

Grazie mille davvero. Siete tenerissime *-*

Un bacione, a Venerdì. <3

 

Maggie.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Dedico questo capitolo a Jared e Genevieve Padalecki e al nuovo arrivato in famiglia, Thomas Colton. Congratulazioni! Sarete dei genitori meravigliosi. E benvenuto al mondo Padababy.


Capitolo 14.


I was a little girl alone in my little world

who dreamed of a little home for me.

I played pretend between the trees

and fed my houseguests bark and leaves

and laughed in my pretty bed of green.

{Dream; Priscilla Ahn}

 

Nelle settimane che seguirono, Clio non abbandonò quasi mai l'amaca. Letteralmente. Vi si era addormentata sopra anche un paio di volte, la notte, e Laura l'aveva lasciata dormire lì, cullata dal lieve vento notturno e il viso illuminato dalle stelle.

E, mentre Clio stava sulla sua amaca, Nick si sedeva a terra con Elvis che gli scodinzolava intorno e suonava la chitarra, componeva e cantava per la bambina.

Clio amava quando Nicholas cantava per lei. Pensava avesse una delle voci più belle ed emotive avesse mai ascoltato in tutta la sua vita e, la sera, se lui se n'era già andato, si addormentava con lo stereo acceso e uno dei suoi CD che girava.

E Nick amava cantare per Clio. Vedere gli occhi blu della bambina farsi più grandi, luminosi di gioia era una soddisfazione talmente grande che non sapeva nemmeno spiegare.

Ogni tanto Laura, che solitamente si affaccendava in casa, si sedeva accanto alla figlia e cantavano tutti insieme un pezzo di qualche canzone. In quei pochi minuti, ogni cosa intorno a loro spariva e rimanevano solo loro tre in un luogo sospeso nel tempo e nello spazio, dove nessuno poteva disturbarli, in cui tutto era perfetto e non esisteva la morte.

Questo è ciò che la musica significava per Nick: vita. Vita e gioia. La musica era il suo tutto e questo non sarebbe mai cambiato.

«Nick», lo chiamò Clio, sdraiata sulla sua amaca, intenta a guardare il cielo con gli occhi spalancati.

«Mmh?», fece Nick, per farle capire che era in ascolto mentre teneva una matita tra le labbra e accordava la chitarra.

«Qual'è una cosa che vorresti fare prima di morire?».

La matita tra le labbra del ragazzo cadde sull'erba fresca con un rumore soffice.

«Perché?», chiese con tono incerto.

Clio si alzò sui gomiti per poterlo guardare.

«É solo una domanda. Sono curiosa».

Nicholas gli rivolse una seconda occhiata, prima di parlare di nuovo.

«Io... io non lo so, Clio. Ci devo pensare», ammise sinceramente, stringendosi nelle spalle e guardandola negli occhi.

La bambina annuì.

«Me lo dirai un giorno, vero?».

Nick rimase a fissarla a lungo, sentendo il cuore scalpitare nel suo petto.

«Io... certo, piccola, te lo dirò».

La bambina annuì piano.

«Ci conto», disse con tono serio prima di sdraiarsi di nuovo e sparire alla vista del diciannovenne.

Nick si alzò piano, prendendola in braccio e per poi sdraiarsi a sua volta sull'amaca tenendola stretta a sé.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, cullati solo dal rumore del vento che faceva strusciare le foglie degli alberi sopra di loro.

«Vuoi dirmi cosa c'è che non va?», domandò infine lui, a bassa voce.

Clio sospirò pesantemente.

Nick rimase zitto, conscio che la bambina stava per parlare.

«Questa notte ho fatto un sogno», iniziò.

«Un incubo?».

Clio annuì.

«C'era un castello, dove una regina governava da sola e aveva una figlia. Un giorno, una strega cattiva e gelosa della bellezza della regina arriva, e lancia una maledizione sulla principessa. La regina piange, piange perché sta per perdere la sua principessa. Però a un certo punto compare un principe che promette di salvare la principessa».

Nick rimase in ascolto, rapito.

«Il principe prova in ogni modo a salvare la principessa, sconfigge pure la strega e prende una pozione per salvarla, ma quando torna al castello scopre che la principessa è morta».

Clio alzò un poco lo sguardo per guardare il ragazzo.

«La principessa ero io, Nick».

Nicholas rimase immobile, le labbra sigillate mentre il cuore raddoppiava i battiti e sentiva una morsa attanagliargli lo stomaco.

«Era solo un sogno», commentò alla fine con tono roco, schiarendosi poi la gola secca. «Nulla più che un sogno».

Clio alzò lo sguardo verso di lui.

«Nick...».

«Tu stai bene, Clio, okay? Sei tornata a casa ed è da settimane che stai sempre bene. Tesoro, tu stai guarendo, non devi più avere paura. Crescerai, ti innamorerai, troverai la tua più grande passione e farai ciò che ti piace per il resto della tua vita. Morirai quando sarai vecchia, circondata dai tuoi figli e dai tuoi nipoti, mi hai capito bene? Non ora, non così giovane», aveva parlato velocemente, mangiandosi quasi le parole, senza prendere fiato tra una frase e l'altra.

La bambina lo fissò, sbattendo le palpebre per poi dargli un lieve bacio su una guancia.

«Ti voglio bene, Nick».

Il diciannovenne la strinse ancora più forte, appoggiando il mento sul capo della bambina che aveva nascosto il viso nell'incavo del suo collo.

«Te ne voglio anch'io, Clio. Non lascerò che la strega ti porti via, ti salverò io».

Clio annuì piano, passando un braccio attorno al corpo del ragazzo.

Rimasero in quella posizione per un tempo indefinito, silenziosi, cullati solo dalla presenza l'uno dell'altra.

E la speranza che i sogni rimanessero solo sogni e che la realtà non si trasformasse in un incubo.

**

Laura versò il caffè in una tazza e la porse a Nick, che la ringraziò con un cenno prima di berne un sorso.

La donna lo imitò, avvicinando la propria tazza alle labbra e bevendo lentamente, seduta su una sedia in cortile, sotto al portico.

Da quando avevano risolto l'incomprensione del bacio, il rapporto tra loro due era migliorato. Potevano passare anche le ore insieme rimanendo in silenzio senza sentire il peso della mancanza di una conversazione. Altre volte, invece, non facevano altro che parlare, scherzare, ridere, raccontandosi aneddoti della loro vita prima di incontrarsi.

Nick si sentiva a suo agio con Laura, era una donna divertente quando riusciva a lasciarsi andare e a non lasciarsi sopraffare da ciò che la circondava, si rendeva conto che era cresciuta troppo in fretta: aveva avuto Clio giovanissima e da allora la vita non aveva fatto altro che sbarrarle la strada, con la morte dei genitori, la malattia della figlia e l'abbandono del marito.

Laura, invece, trovava che passare del tempo con Nicholas fosse la cosa più naturale del mondo. Nonostante la grande differenza d'età che li separava, lui riusciva a capirla spesso molto più dei suoi coetanei e solo con lui riusciva a ritrovare il sorriso, perché nonostante la sua grande maturità dentro di lui era annodato ancora un ragazzino che aveva solo bisogno di divertirsi.

«Oggi Clio mi ha raccontato di aver fatto uno strano sogno», iniziò improvvisamente il diciannovenne, rompendo il silenzio.

Laura posò la tazza sul tavolo di fronte a lei, scostandosi i capelli dagli occhi.

«Il sogno della regina e della principessa? Quello in cui poi la bambina...».

«Quello», disse Nick, senza lasciarla finire. «Ha ancora veramente così tanta paura di morire».

«È comprensibile, Nick. Ha solo nove anni e sta affrontando cose che molte persone non affronteranno mai nella vita, è naturale che sia spaventata», spiegò con tono gentile e rassicurante.

Il ragazzo annuì piano, consapevole.

«Vorrei solo che potesse sentirsi al sicuro. Vorrei che l'ospedale chiamasse e ci desse i risultati finali degli esami di Clio e ci dicessero che la leucemia è scomparsa e che lei vivrà. Non riesco più a vivere nell'incertezza», spiegò a bassa voce, fissando le sue mani chiuse a coppa intorno alla tazza ed evitando accuratamente lo sguardo della donna.

Laura gli sorrise debolmente.

«Lo so. Lo so so».

Nick rialzò il suo capo e scrollò le spalle.

«Beh, immagino non ci rimanga altro da fare se non aspettare. Quando tornate in ospedale per un controllo?».

«Dopodomani», rispose la donna. «Staremo lì quasi tutto il giorno, approfittane per dormire un po' e uscire con i tuoi amici, Nick, non è necessario che tu venga».

Il ragazzo la fissò stranita, inclinando lievemente il capo.

«Ma a me piacerebbe venire...», disse.

«Nicholas, lo sai che a me fa solo piacere se vieni, ma lì non potrai stare con Clio, starà tutto il tempo con i dottori. Ti sono grata per tutto ciò che stai facendo per noi, lo sai, ma la tua vita non deve girare intorno a mia figlia. Sei giovane, Nick, esci con i tuoi amici, divertiti, e poi potrai venire qui a cena se ti fa piacere», aveva parlato con tono dolce, con un sorriso lieve disegnato sulle labbra sottili.

Nick capì che Laura non lo stava respingendo, come aveva inizialmente pensato, paranoico. Tutto ciò che voleva era che non si dimenticasse di essere ancora un ragazzo e che aveva bisogno di fare altro, oltre che stare con lei e Clio.

«Okay», annuì infine. «Va bene».

Laura gli fece un sorriso più grande.

«Domani, se invece vuoi venire, stavo pensando di andare a fare una gita: c'è un lago a un'oretta di macchina da qui in cui Howard ed io portavamo sempre Clio, quando era più piccola. È un posto tranquillo, con una bella vista», propose poi con tono più allegro, cambiando argomento.

Nick annuì, dipingendo un sorriso sulle labbra.

«Ne sarei felice».

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Canzone della settimana! È semplicemente meraviglioso, ho passato le ore ascoltando interamente solo questa canzone. I miei fratelli ancora me la stanno facendo pagare, lol. Ed è la prima canzone che metto dal punto di vista di Clio... Mi spiego meglio: solitamente, non so perché, le canzoni a inizio capitolo spiegano in un modo o nell'altro come si sente Nick. Non l'ho fatto nemmeno apposta, è semplicemente venuto da sé, invece questa canzone è come se descrivesse lo stato d'animo di Clio. Leggete il testo, è di una meraviglia indescrivibile. <3 http://www.youtube.com/watch?v=7z2vEwF0f2s

L'oscenità di questo capitolo mi lascia sconcertata. Vi prego, picchiatemi, insultatemi, fate qualcosa perché non merito di restare impunita di fronte a questa cosa indefinita.

Seriamente, in questo capitolo non succede niente di niente – un modo come un altro per dire che è inutile, sì – ma volevo fare un capitolo di stallo prima del prossimo, in cui... succederanno cose. Diciamo così. çç

Scusatemi davvero, quasi mi vergogno a postarlo.

Come se non bastasse, come vi ho già detto ultimamente, la scuola mi sta uccidendo. Letteralmente. Se supererò indenne questo mese e i primi giorni di Aprile potrò considerarmi una miracolata e potrò sopravvivere a una bomba nucleare insieme agli scarafaggi (?). Fatto sta che non ho avuto molto tempo per scrivere o anche solo pensare a questa fanfiction, quindi il quindicesimo capitolo non è ancora pronto. Spero vivamente di finirlo in questa settimana – cosa molto probabile – ma comunque vi avverto che c'è una possibilità che l'aggiornamento della prossima settimana possa essere o spostato a Sabato in via eccezionale o in extremis saltare. Spero vivamente di non arrivare a questo punto, dato che la maggior parte l'ho scritto, ma mi sentivo in dovere di avvertirvi.

Ripeto, potete picchiarmi se volete. Non reagirò ç.ç

Dato che questa sera spero di farmi la nottata per vedere Supernatural in diretta con l'America (pubblicità occulta, pubblicità occulta, guardate Supernatural, gente) dovrò pur impegnare il mio tempo fino alle tre del mattino, quindi conto di finire questo capitolo entro oggi. E di migliorarlo perché per ora mi fa abbastanza schifo. *si picchia*

 

Per quanto riguarda voi, oh angeli del Paradiso, io vi amo. Vi amo tantissimo, siete meravigliose, tutte quante, non ho parole per ringraziarvi *-* Mi scuso se non ho ancora risposto alle vostre recensioni del capitolo scorso (maledetta scuola çç), lo faccio tra questa sera e il week-end.

Ma, davvero, grazie.


 

A Venerdì prossimo (si spera). <3

 

Mags.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


L'aggiornamento arriva, in via del tutto eccezionale, oggi. Avevo finito di scrivere questo capitolo Venerdì scorso ma la scuola mi ha letteralmente impedito di aggiornare negli ultimi due giorni, così eccomi qui di Domenica. Vi informo che, però, questa settimana non aggiornerò perché parto per le vacanze di Pasqua. Scusatemi tanto. çç

Capitolo 15.


Spend all your time

waiting for that second chance

for the break that will made it okay.

There's always some reason to feel

not good enough.

{In The Arms Of An Angel; Sarah McLaughlin}

 

Col senno di poi, Nick avrebbe dovuto capirlo prima che qualcosa non andava, che qualcosa doveva andare male perché negli ultimi mesi la sua vita era stata troppo bella, quasi perfetta, per essere vera.

Avrebbe dovuto capirlo, ma non lo fece, per il semplice fatto che gli piaceva, quella quasi perfezione, quella calma ostentata.

Tempo dopo, l'avrebbe chiamata la calma prima della tempesta.

Le cose iniziarono a cambiare il giorno del suo ventesimo compleanno. C'era stata una piccola festa a casa di Joe, erano venuti alcuni suoi amici, Kevin e Danielle dal New Jersey e naturalmente anche Clio e Laura erano lì, per festeggiarlo, fargli gli auguri, coccolarselo e passando del tempo con lui.

Nonostante il numero di gente fosse relativamente ristretto – solo una ventina di persone tra amici e fratelli – Nick passò l'intero pomeriggio della festa in fermentazione, mentre gli invitati facevano a gara per passare più tempo possibile con lui.

Quasi non notò che Clio, quel giorno, era strana. Sorrideva, certo, rideva, anche, ma era diversa, in qualche modo. I suoi occhi erano diversi.

Erano degli occhi stanchi, affaticati, appannati dallo sfinimento.

Nick avrebbe dovuto allarmarsi in quel momento. Ma non lo fece. Poteva essere solo stanca, aver dormito male, essere esausta per la festa.

Avrebbe dovuto chiederle se stava bene e insistere per la verità.

Non lo fece. E probabilmente se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita.

Ci fu un altro indizio, pochi giorni più tardi, quando un Giovedì – il giorno in cui lui e Clio uscivano per andare a prendere il gelato nella stessa gelateria in un parco poco lontano da casa di lei, il loro piccolo rituale – la bambina gli disse che preferiva restare a casa. Voleva stare sull'amaca, gli disse.

E, ancora, Nick avrebbe dovuto indagare, chiederle cosa stava succedendo, perché non era possibile che Clio non volesse il gelato.

«Non vuoi il gelato? Cos'è, domani pioveranno rane?», aveva scherzato Nick, dandole una pacca gentile sulla schiena

Clio gli aveva sorriso, scrollando le esili spalle, senza aggiungere una parola.

Laura, anche, si era resa conto di piccoli cambiamenti nel comportamento della figlia: la stanchezza, la meno voglia di muoversi, i silenzi più lunghi.

Non aveva pensato che qualcosa stesse andando male, che qualcosa sarebbe cambiato. Clio era una bambina, poteva avere i suoi momenti di stanchezza.

Cambiò tutto una sera, i primi di Ottobre. Quella sera fu il punto di non ritorno.

**

«Siamo in ritardo, Nicholas! Muovi il fondo schiena e vieni qui subito!», urlò Joe dal piano inferiore, infilandosi una maglietta a maniche corte e afferrando le chiavi di casa.

Nick comparve in cima alle scale, un sopracciglio inarcato, pronto ad uscire.

«Da che pulpito», commentò seccamente, scendendole piano. «Perché Clio ed io non possiamo venire direttamente al concerto più tardi?».

«Perché così quella santa bambina potrà godersi il sound check», spiegò Joe, con aria pratica, mentre Nick gli rivolgeva un'occhiataccia.

Il ventitreenne sospirò.

«Okay, va bene, la mia macchina si è rotta, ho bisogno della tua Mustang per arrivare al forum». Scrollò le spalle. «Ora andiamo? Ti supplico, mi uccidono se arrivo tardi per le prove».

Nick annuì divertito, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.

«Guido io, però».

«Ma Nick, tu vai così lento», si lamentò il maggiore con una smorfia, uscendo di casa e aspettando che il fratello lo seguisse prima di chiudere a chiave la porta.

«No, è diverso, io guido a una velocità accettata dallo Stato della California. Tu, invece, no», spiegò pazientemente il ventenne, alzando gli occhi al cielo mentre prendeva posto al posto del guidatore mentre Joe, che tentava vanamente di difendersi, si sedeva accanto a lui.

Nick accese il motore e partì, in direzione di casa di Clio e Laura.

Quella sera Joe avrebbe avuto un piccolo concerto poco distante da Los Angeles e Clio, che al primo concerto di Joe si era divertita molto, era riuscita a convincere la madre a farla andare anche a quest'altro. Laura, invece, sarebbe rimasta a casa, approfittando dell'assenza della figlia per cenare con una sua vecchia amica dell'università.

Joe prese subito il comando della radio, girando la radio su una stazione.

Nicholas sbuffò e la cambiò, sintonizzandosi sulla sua preferita.

Allo sguardo sconvolto del fratello, Nick rispose con tono di ovvietà.

«Chi guida sceglie la musica*».

Joe assottigliò gli occhi, incrociando le braccia.

«Sei una persona cattiva e malvagia, Nicholas».

In tutto queste, il ventenne non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

Rimasero essenzialmente in silenzio, Nick che ascoltava la musica battendo il ritmo sul volante mentre Joe ripassava mentalmente la scaletta del concerto e canticchiava a bassa voce delle canzoni diverse da quelle che passavano alla radio, facendo il sostenuto.

Il minore lo ignorò, un sorriso ostentato sulle labbra sottili, lo sguardo fisso sulla strada.

Il resto del tragitto fu tranquillo, silenzioso, entrambi troppo presi dai loro pensieri per sostenere una vera conversazione.

Nick parcheggiò davanti a casa Randall, spegnendo l'auto e slacciandosi la cintura, mentre aspettava di vedere Clio uscire dalla porta di casa per raggiungerli; aveva mandato un messaggio a Laura poco prima dicendole di essere in arrivo.

Dovette aspettare solo un paio di minuti prima di vedere la porta aprirsi e la bambina spuntare sull'uscio di casa, un gran sorriso che le illuminava tutto il viso.

Clio sventolò una mano in direzione dei due fratelli, concitatamente, poi voltò lo sguardo verso la madre alle sue spalle, si mise in punta di piedi per baciarle una guancia mentre Laura si chinava per fare lo stesso e infine si mise a correre verso l'auto, aprendo la portiera e sedendosi sul sedile posteriore.

«Ciao!», squittì allegra, senza smettere di mostrare il suo bellissimo sorriso.

Nick si voltò verso di lei e le sorrise, allungando una mano per accarezzarle una guancia.

«Ciao piccola», la salutò.

Anche Joe si voltò verso la bambina, allungando la mano stretta a pugno e Clio, subito, fece scontrare la sua mano nella stessa posizione contro quella del ragazzo.

«Mitica Clio!», esclamò il maggiore. «Come stai, bellissima?».

«Bene», fece lei in risposta, sedendosi più composta e allacciandosi la cintura mentre Nick, dopo aver accennato un saluto con una mano verso Laura, ancora ferma sull'uscio di casa, accendeva di nuovo l'auto e iniziava a dirigersi verso la superstrada che li avrebbe condotti sino allo stadio in cui si sarebbe tenuto il concerto.

Ogni tanto, Nick alzava lo sguardo verso lo specchietto retrovisore per guardare Clio seduta dietro di lui, intenta magari a parlare con Joe o a osservare il paesaggio che le scorreva davanti agli occhi.

Sembrava felice, sembrava sana e si diede mentalmente dell'idiota per essersi preoccupato per lei: Clio stava bene, stava guarendo, lui l'aveva salvata, non c'era ragione di preoccuparsi, il peggio era passato.

Sarebbe andato tutto per il meglio.

Rincuorato da quel pensiero, Nick alzò il volume della musica iniziando a canticchiare ad alta voce, ricevendo un'occhiataccia da parte di Joe mentre Clio, divertita, si univa al ventenne nelle poche farsi che conosceva e inventandosi le parole.

Dopo un po' anche Joe scrollò le spalle e si unì a loro, muovendo le braccia in qualche strano gesto come se stesse cercando di ballare da seduto.

Se un passeggero di qualche altra auto avesse sporto lo sguardo verso di loro, in quel momento, avrebbe sicuramente dato loro dei pazzi.

Ma non gliene importava assolutamente niente.

La canzone finì e Nick sorrise, mentre Joe gli tirava una pacca amichevole su una spalla per poi battere il cinque con Clio.

Andava tutto bene.

**

Il forum era uno spazio quasi immenso, con oltre mille posti a sedere, senza tener conto dei posti riservati nel parterre.

Clio osservò meravigliata lo stadio ora vuoto, passando lo sguardo su ogni angolo.

«Quindi sarà tutto pieno questa sera?», domandò eccitata.

Nick sorrise e annuì.

«Tutto», confermò.

«Wow», commentò la bambina con stupore, continuando a guardarsi intorno. «E noi? Noi dove staremo?».

Il ragazzo la prese per mano e la portò in un angolo vicino al palco, per ora chiuso solo con un nastro di plastica ma che sarebbe stato ben presto sostituito da delle transenne.

«Qui», spiegò. «È l'aria riservata».

«Ooh», annuì Clio concitatamente. «Forte!».

Nicholas ridacchiò passandosi una mano tra i ricci mori, osservandola camminare per il parterre del forum e rendendosi conto di essere tremendamente fiero di sé stesso. Perché l'aveva salvata e reso tutto quello possibile, grazie a lui ora Clio viveva e avrebbe vissuto a lungo, sarebbe diventata una bellissima ragazza con gli occhi di zaffiro e i capelli vermigli che avrebbe fatto girare i ragazzi al suo passaggio, si sarebbe laureata, avrebbe trovato il lavoro dei suoi sogni, la sua anima gemella, avrebbe avuto dei figli e un matrimonio felice.

E tutto questo grazie a lui.

«Clio», la chiamò distrattamente, facendola voltare e subito lei lo raggiunse, con passo cadenzato, quasi saltellato.

«Sì, Nick?».

Il ragazzo si mise in ginocchio, mettendole le mani sulle spalle e guardandola fissa negli occhi.

«Stai bene, Clio?», domandò dolcemente. «Sei felice?».

La bambina dipinse un'occhiata stranita sul volto, inclinando la testa con aria confusa.

«Certo», annuì. «Sì, Nick, sono felice». Gli sorrise, un sorriso grande e sincero.

Nick si umettò il labbro inferiore con la lingua, un sorriso spontaneo si dipinse immediatamente sulla sua bocca.

«Bene», annuì. Si alzò e gli baciò la fronte. «Bene».

La lasciò di nuovo andare via, osservandola da lontano.

«Nick!», lo chiamò Joe all'improvviso dalla cima del palco, un microfono in mano mentre il resto della sua band sistemava gli strumenti.

Il ventenne si voltò verso di lui e non notò gli occhi velati di tristezza e paura che Clio gli rivolse di sfuggita.

**

Quando la prima nota del concerto si librò nell'aria, lo stadio esplose per le urla. Migliaia tra ragazzi e ragazze saltavano in piedi, battendo le mani e urlando parole indistinte.

Anche Nick lanciò un urlo felice, battendo le mani mentre, accanto a lui, Clio gridava emozionata, gli occhi grandi per l'aspettativa e la felicità.

Joe salì sul palco, illuminato da un riflettore e la folla impazzì.

Poi, iniziò a cantare.

Nick cantò insieme al fratello, battendo le mani a tempo. L'ala riservata era più affollata di quanto si aspettava – quante persone doveva invitare Joe ogni singola volta che cantava? - e, dopo un po', si rese conto che Clio stava cercando di allungare il collo per vedere meglio, saltellando.

Ridacchiando la prese di sorpresa sotto le spalle, strappandole un urlo sorpreso, e se la mise sulle spalle tenendola sempre per le mani. Dopo un iniziale momento di confusione, Clio scoppiò a ridere attirando qualche sguardo curioso.

Nick vide con la coda dell'occhio alcune ragazze al di fuori dell'area riservata fare delle foto, ma non se ne curò e continuò a cantare insieme alla bambina e al fratello, il quale vedendoli così gli sorrise divertito.

Era tutto così perfetto, così meraviglioso che Nick pensò che nulla avrebbe potuto turbare quella serata.

Capì che qualcosa non andava quando il concerto era ormai cominciato da un'ora.

Clio era scesa dalle sue spalle ed ora era in piedi, immobile, che semplicemente fissava Joe. Ma fu lo sguardo a far capire a Nick che c'era qualcosa di sbagliato: gli occhi della bambina, fino a qualche momento prima brillanti e lucidi di gioia, ora erano spenti. Vuoti.

Il ventenne si chinò verso di lei, un guizzo improvviso di preoccupazione sul viso, mettendole una mano su una spalle a guardandola fissa.

«...Clio? Va tutto bene?».

La bambina parve rendersi conto solo in quel momento del fatto che Nick le stava parlando, riscuotendosi dal suo stato di trance.

Annuì piano, senza guardarlo negli occhi.

Nick non le credette.

«Cosa c'è che non va?», insistette, mettendo anche l'altra mano sull'altra spalla.

«I-io...», iniziò la bambina, ma troncò la frase all'inizio, portandosi una mano alla bocca per tossire.

Nick la guardò preoccupato, abbassandosi sulle ginocchia per poterla guardare meglio.

«Piccola?». La sua voce era debole, sconfitta. «Clio... ti prego».

Ma Clio non smise di tossire. I suoi occhi non ripresero a brillare. E improvvisamente la mano che le copriva la bocca era bagnata di sangue.

**

Nick non ricordava esattamente com'era arrivato in ospedale. Ricordava di aver chiamato un membro della sicurezza, di essere stato portato in una sala separata – l'infermeria, forse? - mentre Clio, abbracciata a lui, gli sporcava la maglietta di rosso. Rosso sangue.

Poi i ricordi si facevano confusi, annebbiati, come se ad averli vissuti fosse stata un'altra persona e non lui.

Solo una cosa gli pareva sicura: Clio stava di nuovo male. Non aveva bisogno di sapere altro.

Aveva mandato un messaggio a Joe, poche parole, per spiegarli la situazione: era sicuro che il fratello avesse notato la loro improvvisa scomparsa, aveva cercato di parlare con le infermiere, supplicandole di dirgli cosa stava succedendo. Poi, aveva chiamato Laura, e Nick poté giurare che fu la telefonata pi difficile di tutta la sua vita.

Non aveva parlato molto, in realtà, un po' perché le parole non gli uscivano dalla bocca e un po' perché non ne aveva avuto bisogno: Laura aveva capito non appena Nick aveva iniziato a balbettare al telefono.

Era arrivata in meno di mezz'ora, di nuovo pallida e spaventata, così debole e spaventata come Nicholas non la vedeva da tanto tempo.

Si erano incontrati a metà strada in mezzo a un corridoio dell'ospedale, si erano guardati, senza bisogno di spiegare nulla, e Laura si era portata le mani davanti alla bocca, scuotendo il capo.

«Voglio solo sapere cosa sta succedendo», sbottò Nick, camminando avanti e indietro nella sala d'attesa, le mani che passavano ad intermittenza tra i capelli ricci ormai spettinati.

Laura non parlò. Era seduta, le mani strette appoggiate sulle ginocchia, le labbra serrate e gli occhi fissi verso il terreno, senza vederlo veramente.

«Siamo la sua famiglia, abbiamo il diritto di sapere cosa diamine sta accadendo!», continuò il ventenne, serrando le mani a pugno.

Laura ebbe un leggero fremito sentendolo parlare in quel modo. Siamo la sua famiglia. Aveva capito da tempo che Nicholas ormai si percepiva come qualcosa di più che un semplice amico, ma capì solo in quell'istante che ormai era un vero membro della famiglia, quasi con gli stessi diritti di Laura nei confronti di Clio.

Ma, ancora, non parlò, il dolore che le consumava il cuore man mano che il tempo passava.

Un rumore sordo la riscosse e alzò lo sguardo dal pavimento, i capelli sulla fronte bagnati per il sudore freddo, per incrociare la schiena di Nick, il pugno del ragazzo ancora appoggiato sul muro su cui si era appena sfogato.

«Nick», mormorò debolmente, facendolo voltare all'istante. «Voglio che ti sieda accanto a me. Per favore».

Il ventenne la guardò e annuì lentamente, a capo chino, crollando poi sulla sedia accanto a lei. Immediatamente, una mano di Laura corse alla ricerca di quella di Nick da stringere.

Rimasero immobili in quella posizione per un tempo che non seppero definire. Il ragazzo sentì il suo cellulare vibrare nella sua tasca destra almeno tre volte, segno che qualcuno lo stava chiamando, ma non rispose nemmeno una volta. Sentiva che, se avesse lasciato la mano di Laura, in quel momento, sarebbe caduto in un pozzo senza fondo, come se le loro dita intrecciate fossero l'unica cosa che lo tenesse a galla.

Quasi non si accorse del Dottor Oliver Gray quando entrò in sala d'attesa, avvicinandosi a lui e a Laura, tanto era concentrato sul contatto delle loro mani che si toccavano.

Al contrario, però, la donna se ne accorse subito, e si alzò immediatamente, lasciando scivolare le sue dita lontane da quelle di Nick.

«Allora?», domandò immediatamente, tormentandosi nervosamente le mani. Nicholas aveva imparato nel tempo che faceva così solo quando era estremamente preoccupata.

Oliver Gray la guardò a lungo prima di parlare. Aveva gli occhi tristi, notò il musicista. Perché aveva gli occhi tristi?

«Laura, sediamoci». Le prese gentilmente un braccio, guidandola verso la sedia dietro di lei, ma la donna si allontanò bruscamente, un'espressione di pura rabbia sul viso che nascondeva un dolore così profondo da non poter essere descritto.

«Mia figlia, voglio sapere di mia figlia».

Il dottor Gray non insistette. Forse ormai conosceva Laura abbastanza bene da aver capito che era una persona testarda, o forse era semplicemente troppo stanco per continuare a combattere.

«Le condizioni di Clio non sono buone, Laura», iniziò piano e Nick sentì le ginocchia farsi molli. Immediatamente, la sua mano corse ad afferrare quella della donna, stringendola forte, senza premurarsi se le stesse facendo male o meno. «Credevamo che con il trapianto di midollo osseo le cose sarebbero migliorate, ma-».

«Sono migliorate!», ribatté piccata la donna, il viso sempre più pallido.

«Temporaneamente», spiegò pazientemente il dottore. Guardò a lungo Laura, e Nick poté leggere del dispiacere sincero nei suoi occhi. «Mi dispiace, Laura».

«No, aspettate, no!», balbettò Nicholas, mentre le unghie della donna accanto a lui gli si conficcavano nella mano fino a fargli male e un gemito strozzato le usciva dalla gola. «Il trapianto l'ha aiutata, no? Possiamo donarle di nuovo altro midollo, se ha funzionato una volta, funzionerà di nuovo».

Oliver si rivolse per la prima volta a lui, interrompendo il contatto visivo con Laura.

«Non servirebbe, è una soluzione solo momentanea, Clio peggiorerebbe comun-».

«Ma le darebbe tempo!», lo interruppe Nick, alzando la voce. «Si può trovare una cura, qualsiasi cosa!».

«Nicholas...», disse il medico a bassa voce e, sentendo quel tono, il ragazzo sentì un dolore acuto stringergli il petto. «Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Dio solo sa quanto mi dispiace... ma non c'è pi nulla che si possa fare».

Tornò a guardare Laura, paralizzata accanto a Nick, un'espressione di muto dolore dipinta sul viso.

«Clio sta morendo».

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

Angolino della squilibrata:

 

(*) Citazione di Dean Winchester, da Supernatural, primo episodio della prima serie: La Caccia Ha Inizio.

Canzone della settimana, appena scoperta: http://www.youtube.com/watch?v=jVbkz_3lO3c&feature=related

 

Non so nemmeno cosa dire. So di essere crudele, di dover essere odiata e minacciata. Lo so.

Non mi dilungo perché, sul serio, non so cosa aggiungere. Spero solo che il capitolo, nonostante tutto, vi sia piaciuto.

Mi dispiace tanto.

 

Come al solito, siete meravigliose. Grazie per i vostri stupendi commenti, siete tutte stupende. <3

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Capitolo 16.


I remember you said “Don't leave me here alone”

but all that's dead and gone and passed tonight.

Just close your eyes, the sun is going down

you'll be alright, no one can hurt you now.

Come morning light.

You and I'll be safe and sound.

{Safe and Sound; Taylor Swift}

 

Niente aveva più senso.

Nicholas non sapeva più se si trovava fuori, al buio, da ore o da pochi minuti. Ogni tanto sentiva ancora la sua suoneria del suo cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni, la vibrazione di qualche messaggio, ma non si muoveva. Non gli interessava che, chiunque lo stesse chiamando, si preoccupasse per lui o che fosse successo qualcosa di importante.

Non gli interessava niente.

Non più, almeno. Non ora che quella sentenze definitiva aveva calcato la bocca del dottor Gray, come una funesta predizione: non c'era più nulla da fare.

Dopo aver pronunciato quelle parole, Gray aveva continuato a spiegare, nominando decine di termini medici che Nicholas, con tutta la sua esperienza, non aveva mai sentito nominare, ma per quanto gli riguardava aveva smesso di ascoltare veramente nel momento in cui aveva detto che il tempo di Clio era scaduto.

Diceva che il suo corpo si stava consumando, e che nulla avrebbe potuto salvarla in quel momento. Nulla che non fosse un miracolo.

A quell'affermazione, il ventenne non aveva più potuto ascoltare. Se n'era andato, senza dire una parola, era uscito da quella trappola di dolore e di morte, ed ora era lì, nel nulla, pietrificato.

Sentiva i muscoli iniziare ad irrigidirsi dopo essere rimasto troppo tempo fermi nella stessa posizione.

Ma, ancora, non gli importava. Come poteva importargli, in quel momento?

Sentiva un dolore sordo nella parte sinistra del corpo, lì dove era sicuro ci fosse il cuore. Forse si era spezzato. Più di quanto già non fosse. Quante volte si deve spezzare un cuore prima che possa smettere di battere?

Nick era convinto che il suo, di cuore, avesse iniziato a funzionare male dal momento in cui Delta si era chiusa quella porta alle spalle senza più rientrare, ma ora sapeva che non avrebbe più ricominciato a funzionare bene.

Si rese conto di essere stanco e che le palpebre tentavano di chiudersi, pesanti. Si riscosse, scrollando le spalle intorpidite, alzando poi lo sguardo al cielo. Da lì non si vedeva le stelle, c'erano troppe luci. Non era come a casa di Clio che, pur essendo vicina, era in periferia quanto bastava da lasciar visibile lo spettacolo della notte.

Sentì le ginocchia tremare e, per un attimo, volle accasciarsi al suolo e piangere finché non si fossero esaurite le lacrime. Strinse le mani a pugno, ingoiando il groppo che sentiva formarsi in gola.

Prese lentamente coscienza del posto in cui si trovava. Prima, gli era sembrato di aver camminato per chilometri ma ora si rendeva conto che si trovava solo in una parte isolata del parcheggio dell'ospedale.

Una risata priva di gioia gli uscì dalla bocca e si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi.

Fu quasi inconsciamente che riprese ad avviarsi verso il pronto soccorso, le gambe che lo portavano senza che lui quasi se ne accorgesse.

Entrò e subito l'odore sterilizzato di disinfettante gli invase le narici, facendolo rabbrividire. Si avviò verso il reparto di oncologia, camminando tra quei corridoi per lui così orrendamente familiari.

Si fermò a chiedere quale fosse la stanza di Clio solo un minuto, prima di riprendere a camminare, sentendo quel dolore sordo nel petto acuirsi non appena trovò la stanza che stava cercando.

Prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi, prima di bussare piano un paio di volte e aprire la porta.

Sentì il fiato mozzarsi quando i suoi occhi si posarono sulla figura minuta di Clio sdraiata su quel letto che, in confronto a lei, sembrava enorme.

Non l'aveva mai vista così, la pelle non era pallida come le altre volte, era quasi giallognola, come se stesse andando a male. Nick ebbe improvvisamente la chiara idea di cosa intendesse il dottor Gray quando diceva che il corpo di Clio si stava consumando.

I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi di zaffiro, erano spenti, socchiusi per la stanchezza.

Nick quasi non la riconobbe.

Quando la bambina lo vide sulla porta si aprì in un sorriso debole, che le illuminò gli occhi per un lampo brevissimo.

«Nick», esalò piano e il ragazzo quasi si buttò sul letto sentendola chiamarlo con quella voce.

«Piccola mia...». Si avvicinò e la strinse in un abbraccio delicato, pauroso di spezzarla per tanto era fragile in quel momento. Sentì le braccia della bambina ricambiare la stretta con altrettanta debolezza, come se anche un simile gesto le costasse troppa fatica.

Il ragazzo chiuse gli occhi, nascondendo il capo nell'incavo del collo della bambina.

Avrebbe voluto supplicarla di guarire, di stare meglio, di far vedere ai medici che lei era più forte del cancro. Come se dipendesse da lei.

Un leggero sospiro gli ricordò che non erano soli. Si separò lentamente dalla bambina, tenendola però per una mano, per poi spostare lo sguardo su Laura.

La prima impressione che ebbe, vedendola, era che sembrava invecchiata di dieci anni dall'ultima volta che l'aveva vista. Cercava di nascondere le lacrime, ma gli occhi lucidi e arrossati erano un chiaro segno del fatto che avesse pianto a lungo, il viso era pallido e lunghe rughe le calcavano il viso.

«Laura», mormorò con voce rotta il ventenne.

La donna tirò su con il naso, fissandolo con i suoi grandi occhi marroni; poi, senza una parola, gli fece cenno di sedersi accanto a lei, sul letto di Clio.

Nick ubbidì piano, allungando anche l'altra mano per sfiorarle una guancia.

Laura tentò di sorridere a quel gesto affettuoso, ma tutto ciò che riuscì a fare fu una smorfia di dolore.

Il ragazzo spostò lo sguardo su Clio, gli occhi placidamente chiusi, e si chinò a darle un bacio sulla fronte.

«Non ti lascerò morire», le mormorò in un orecchio, con un tono talmente basso che Laura non lo sentì.

Clio strinse un po' più forte la mano di Nick.

**

Nicholas riattaccò il telefono con un'imprecazione, trattenendosi appena dal lanciarlo contro una parete.

«Vaffanculo», sbottò con odio, passandosi una mano sul viso lievemente irto per la leggera barba.

Era da due giorni che non tornava a casa se non per la notte – e solo perché Joe l'aveva costretto – e prendersi cura di sé stesso era l'ultima cosa che gli interessava.

Aveva passato le ultime ore attaccato al telefono, con la lista dei più bravi oncologi del Paese sotto mano, informandoli della situazione e chiedendo loro se ci fosse qualcosa che potessero fare.

Per tre volte era parsa fatta, ma poi tutti e tre i medici avevano ritirato le loro speranze. Ormai non era più solo una questione di midollo osseo, era un fattore di tante, troppe infezioni, che stavano attaccando nello stesso momento. E, in più, i reni di Clio stavano cedendo.

Nicholas aveva chiesto ai medici se si potesse fare un trapianto, ma anche quella possibilità era stata scartata: il corpo di Clio era troppo stremato per sostenere una simile operazione, avrebbe rischiato di morire sul tavolo della sala operatoria.

E Laura si era rifiutata.

Nick appoggiò la fronte sul vetro freddo della finestra davanti a lui, osservando come il suo respiro si condensava per poi sparire lentamente.

Si trovava in una piccola sala d'attesa, ormai vuota a quell'ora tarda di sera, in attesa che Joe lo venisse a prendere per portarlo a casa, dove avrebbe dormito il tempo necessario per recuperare le forze per poi tornare in ospedale di primo mattino.

Iniziò a respirare pesantemente nel momento in cui, posando lo sguardo sulla lista di oncologi che Kevin si era premurato di inviargli via fax il giorno precedente, si rese conto che li aveva chiamati tutti.

«Non può essere», mormorò con voce rotta, rileggendoli tutti e cercando un nome su cui non avesse tracciato una lunga linea rossa.

Non ce n'erano.

«No, ti prego, no», piagnucolò. «Ti supplico».

Si sentiva vuoto, il respiro sempre più ansimante, la testa leggera.

«...Nick?».

Il ragazzo alzò la testa e incrociò gli occhi di Laura.

La riabbassò in fretta, rabbrividendo.

«Nicholas?». Sentì i passi della giovane donna avvicinarsi a lui e le sue braccia cingergli le spalle.

Per la prima volta dopo giorni, sentendo così vicino il corpo di Laura, Nick pianse. Non c'era riuscito prima, non che non ci avesse provato, ma le lacrime semplicemente non erano venute.

Le braccia di Laura lo strinsero ancora più forte nel momento in cui il ventenne iniziò a singhiozzare.

«Io... Laura», balbettò tra le lacrime. «Li ho chiamati tutti e... loro dicono che... non possono. Non possono fare nulla». Sentì la donna irrigidirsi sotto le sue braccia. «Dio, mi dispiace Laura, mi dispiace».

Era piuttosto sicuro che, ora che aveva cominciato, non avrebbe più smesso di piangere.

Laura continuò a stringerlo, cullandolo dolcemente e passandogli una mano tra i capelli. Era un gesto da madre, quello di accarezzargli i capelli, ricordava che sua madre lo faceva sempre.

Si rese conto che avrebbe tanto voluto la sua mamma, in quel momento, che aveva bisogno del suo abbraccio e di sentire la sua voce.

«Non è colpa tua, Nick, non è colpa tua», sussurrò Laura e Nicholas capì che, anche se non poteva vederla in viso, anche lei stava piangendo.

Nick si staccò da lei nel momento in cui i singhiozzi diminuirono, guardandola negli occhi e vedendo che aveva ragione.

Laura gli accarezzò il viso.

«Non è colpa tua Nicholas, okay?». Prese una sedia e si sedette vicino a lui, in modo tale da poterlo guardare in viso.

Nick si morse il labbro inferiore quasi fino a farlo sanguinare.

«Io la devo salvare, Laura, devo», mormorò stringendo i pugni fino a far diventare le nocche bianche.

La donna sorrise tristemente.

«Non puoi farlo, Nick».

«...Come? Certo che posso. Questi non sono gli unici oncologi al mondo, domani chiamerò... qualcuno e vedrò di avere una lista di quelli europei. Non è finita, okay? Non può essere finita».

Laura gli prese entrambe le mani e le strinse forte, tenendole ferme sulle proprie gambe.

«Nick», sussurrò. «Domani porto Clio a casa».

Il ragazzo la fissò qualche istante immobile, prima di parlare.

«Tu cosa?».

«Nick, ascoltami ti prego». Laura chiuse gli occhi, sembrava quasi che non riuscisse nemmeno a parlare. «Clio non può più stare qui, lo sai che odia questo posto... Vuole andare a casa, a casa nostra, e stare nel nostro giardino sulla sua amaca. Non vuole morire qui».

Quelle ultime parole lo colpirono come un pugno allo stomaco.

«Ma qui possono fare qualcosa. Qui possono aiutarla».

«No, Nick. Nessuno può più fare nulla, lo sai anche tu. Ti stai sforzando di negare la verità, ma lo sai che nulla di medico può aiutare Clio, ora».

«Ti stai arrendendo». Nicholas pronunciò quelle parole con sprezzo, quasi come se fossero veleno. Si rese conto troppo tardi di aver sbagliato.

Le mani di Laura lo abbandonarono all'istante e il suo viso, sino a un istante gentile, si trasformò in una maschera di rabbia.

«Come ti permetti?».

«Laura, scusami, non dovevo, io-».

«Pensi che davvero io potrei mai arrendermi quando si tratta di mia figlia? Che potrei arrendermi e lasciarla morire senza combattere? Non mi sto arrendendo, Nicholas, sto cercando di fare ciò che è meglio per mia figlia e l'unica cosa che può aiutarla ora è tornare a casa. Non osare mai più a dire che mi sto arrendendo quando in gioco c'è la vita della mia unica ragione di vita. Mai. Più». Aveva parlato a bassa voce ma, in qualche modo, le sue parole sembravano ancora più piene di tristezza e disprezzo.

Nick la ascoltò in silenzio, mentre la vergogna lo faceva arrossire.

«Mi dispiace», sussurrò piano.

Laura fece un cenno rigido con il capo.

«Io non credo in Dio», disse infine la donna, dopo interi minuti di silenzio. «Non ci ho mai creduto e penso che iniziare a pregare solo quando si ha bisogno di aiuto sia un comportamento da ipocriti. Io non posso pregare per la vita di mia figlia, ma tu ci credi. In Dio. Pregheresti per un miracolo che può salvare la vita di mia figlia, Nicholas?».

Il ragazzo sentì improvvisamente la voce di suo fratello chiamarlo da una breve distanza e si voltò a guardarlo. Gli fece cenno con la mano di aspettare dove si trovava e si rivoltò verso la donna.

«Certo che lo farò», disse. Laura lo ringraziò con un piccolo sorriso.

«Porto Clio a casa domani prima di pranzo. Tu dormi, per favore, sei distrutto, fatti una doccia e poi vieni a casa nostra dopo le due».

Nick annuì piano e si allontanò da lei, avvicinandosi al fratello.

Joe capì che Nicholas non avrebbe detto una parola nel momento in cui lo vide in viso e notò i suoi occhi lucidi.

Si incamminarono verso il parcheggio in silenzio, accompagnati solo dal rumore della gomma dello loro scarpe sul pavimento.

Salirono in macchina e Joe spense la radio prima che potesse anche solo iniziare una nuova canzone.

«Ti voglio bene, lo sai, vero?», disse con tono dolce.

Nicholas si allungò verso di lui, abbracciandolo stretto e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo.

«Te ne voglio anch'io».

Quella notte, Nick pregò. E pregò anche tutte le notti successive, fino alla fine.

Quella fine arrivò troppo presto.

 

Continua...

 

Angolino della squilibrata:

Canzone della settimana, tristemente magnifica. Facciamo un altare a Taylor Swift, vi prego. http://www.youtube.com/watch?v=5K4PGpXsOAI

 

Meno due capitoli alla fine e mi sento un mostro. Non so più nemmeno cosa dire, penso che mi ritirerò in un angolo a piangere mentre finisco l'ultimo capitolo.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, siete tutte meravigliose, vi ringrazio infinitamente per avermi fatto raggiungere le 100 recensioni. Davvero. Grazie di tutto.

A Venerdì, vi adoro.

 

Maggie.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


Sono in lacrime come una disperata, non credevo che postare questo penultimo capitolo mi avrebbe fatto questo effetto. E fa schifo. çç

Ho deciso di mettere le note qui sopra, questa volta, per non “spezzare l'atmosfera” della fine.

Vi voglio ringraziare infinitamente per le bellissime recensioni, siete tutte meravigliose e io non vi ringrazierò mai abbastanza. Grazie, davvero, inzio subito a rispondere alle vostre recensioni dello scorso capitolo. <3

Per ascoltare la canzone cliccate qui. È stata la prima canzone che mi è venuta in mente scrivendo questa fanfiction, ancora prima di quella che le presta il titolo. È meravigliosa e ha delle parole bellissime.

Spero vi piaccia questo capitolo, ci ho messo l'anima.

Capitolo 17.


Please tell me, you'll fight this fight

I can't see without your light.

I need you to breathe into my life.

Don't tell me this is goodbye, I won't grieve

it's not yet time.

Each breathe breathed is keeping hope alive.

So keep breathing.

{Breathe; Superchic(k)}

 

Nick non ricordava esattamente quando aveva iniziato a misurare il tempo. Un giorno, semplicemente, si rese conto che stava contando i giorni, le ore e i minuti dal momento in cui Clio aveva lasciato l'ospedale, abbandonando ogni misura medica che le potesse salvare la vita a parte gli antidolorifici che prendeva due volte al giorno.

Un giorno è formato da ventiquattro ore, un'ora è formata da sessanta minuti. Clio era a casa da dodicimilanovecentosessanta minuti.

Nove giorni.

In un'altra occasione, nove giorni erano considerati un lasso di tempo relativamente breve. A Nick pareva una vita intera e si rendeva conto che, più i giorni passavano, più credeva che un miracolo stesse per avvenire o che stesse accadendo proprio sotto i suoi occhi.

Poi Clio iniziava a vomitare, e le sue speranze crollavano come un castello fatto di carta.

Laura e Nicholas osservavano impotenti come il corpo di Clio continuava a dimagrire, la sua pelle diventare giallognola, i suoi occhi spegnersi. La maggior parte dei giorni, Clio restava sdraiata sull'amaca in silenzio, abbracciata al suo pupazzo a forma di ippopotamo, Ron; altri, invece, in cui sembrava stare molto meglio, girava per casa e mangiava con gusto il gelato che Nick le portava tutti i pomeriggi. La sera, spesso, affittavano un film e lo guardavano tutti e tre insieme sul divano, come una famiglia, Clio placidamente accoccolata tra la madre e Nicholas.

Ma quei giorni erano sempre troppo rari e passavano sempre troppo in fretta rispetto a quelli in cui la bambina stava male.

Nick sospirò mentre tornava dentro casa a prendere un bicchiere d'acqua per Clio, seduta in giardino durante una di quelle rare giornate positive, quando sentì un rumore di vetri infranti e un'imprecazione.

Si affrettò ad entrare in cucina e vide dei vetri a terra, Laura piegata a gattoni per raccoglierli.

Nick si rese conto che stava piangendo.

«Laura...», mormorò, avvicinandosi a lei.

La donna alzò la testa verso di lui, gli occhi marroni arrossati e umidi.

«No, Nick, stai indietro, ti taglierai...», mormorò deglutendo.

Nicholas la ignorò, prese cautamente i pezzi di vetro e lì buttò nella spazzatura, prima di aiutare Laura, ancora a terra, ad alzarsi.

Non appena fu in piedi, la donna iniziò a singhiozzare, stringendosi al corpo del ragazzo cercando un sostegno.

Muovendosi piano, Nicholas si spostò verso il salotto e la fece sedere sul divano, per poi tornare in cucina e portare un bicchiere colmo d'acqua a Laura, semi sdraiata sul divano con un cuscino appoggiato sullo stomaco.

«Bevi, Laura, avanti», le sussurrò dolcemente, aiutandola a sorreggere il bicchiere a causa delle mani che le tramavano e accarezzandole la schiena con l'altra mano.

Dopo aver bevuto un paio di sorsi, Laura abbandonò il bicchiere sul tavolino davanti a lei e si coprì la faccia con le mani.

«Non posso vivere senza di lei, non posso», riuscì a distinguere Nicholas attraversò le mani che le coprivano la bocca.

Sentì il fiato venirgli meno a quelle parole.

«Laura...».

La donna alzò la testa verso di lui.

«È la mia bambina, Nicholas, è la mia bambina. Le madri non devono sopravvivere ai propri figli, non posso stare senza mia figlia, non posso sopravvivere», si asciugò le lacrime con la manica della maglietta. «È la mia unica ragione di vita, non posso stare senza di lei».

Nick avrebbe tanto voler dire qualcosa – qualsiasi cosa – ma le parole non gli uscirono. Non poteva consolarla, a volte non esistono semplicemente le parole.

Il ragazzo continuò semplicemente ad accarezzarle la schiena, in silenzio.

«Mamma?».

A quella voce entrambi si riscossero, voltandosi verso Clio, davanti alla porta del salotto. La bambina aveva gli occhi grandi spalancati e un sorriso triste sul viso.

«Amore mio», sussurrò Laura e Clio subito corse tra le braccia aperte della madre, che la strinsero forte. Di solito Laura si sforzava di non piangere di fronte alla figlia, voleva darle forza e farle credere che nulla era del tutto perduto. Quel giorno, però, semplicemente continuò a piangere.

Nicholas si alzò, sentendosi improvvisamente di troppo. Conosceva bene Clio, e sapeva che avrebbe detto qualcosa, in quel momento, riservato solo a sua madre.

«Vado a casa», mormorò con tono incerto, torcendo le mani con nervosismo.

Clio si voltò verso di lui e gli sorrise, riconoscente. Era un sorriso bellissimo, pieno di dolcezza e amore.

Nick aveva sempre amato i sorrisi di Clio, ma in quel momento si accorse di quanto fossero importanti per lui.

«Ci vediamo domani, piccola mia», continuò.

«Va bene», annuì sempre sorridente la bambina. «Ti aspetto, magari puoi portare la chitarra».

Anche Nick sorrise. «Certo, pulce». Si chinò a darle un bacio sulla guancia.

«Ti chiamo se ho bisogno», disse Laura e Nicholas annuì, accennando a un ultimo saluto con la mano prima di uscire di casa e di chiudersi la porta di casa alle spalle.

Clio aspettò di sentire la macchina accendersi prima di iniziare a parlare.

«Ciao mamma», mormorò piano e si strinse più forte il corpo esile della madre.

«Ciao amore mio», ricambiò Laura, stampandole dei piccoli baci sulla tempia.

«Ti voglio tanto bene», continuò la bambina. «Tantissimo».

«Anch'io Clio, te ne vorrò sempre tantissimo». La voce di Laura era impastata, esile, non sapeva cosa dire, perché sapeva che Clio stava per dirle qualcosa di importante.

«Mamma... sto morendo, vero? Voglio dire, per davvero, questa volta».

Laura non le aveva mai spiegato cosa stava succedendo da quando il dottor Gray aveva detto che per Clio non c'erano più speranze, un po' per sua figlia, per darle forza, un po' perché non trovava le parole.

Ma Clio era sempre stata più brava di lei a dire le cose e a gestire le emozioni, nonostante fosse solo una bambina.

Prima di potersene rendere conto, Laura si ritrovò ad annuire.

Clio rimase in silenzio a lungo, senza mai lasciare la madre.

«Mamma, ma se io muoio, tu dove vai? Resti qui?».

«Purtroppo sì, amore. Io resto qui», continuò la donna, sentendo il cuore batterle forte.

«Ah». Clio corrucciò la fronte. «Però ci rivedremo, vero? Voglio dire, tra tanti, tanti anni. Tantissimi».

«Certo amore. Io verrò da te».

«Tra tanto tempo», ripeté la bambina.

«Forse anche prima, cucciola». Sospirò pesantemente pronunciando quelle parole.

«No». Clio scosse il capo, sorprendendola. «Tra tantissimo tempo. Quando sarai vecchia, non prima. Tu sei ancora tanto giovane e bella, mamma. Ci ritroveremo quando sarai vecchia».

Laura rimase immobile ad ascoltare le parole di sua figlia.

«Sarà tanto difficile vivere senza di te, non so se... se ci riuscirò», riuscì a pronunciare la donna, deglutendo.

«Tu sei forte, mamma, ce la farai». Clio la guardò e le sorrise.

Laura prese lentamente atto del fatto che sua figlia le stava dicendo addio.

La strinse ancora più forte di prima, forse fino a farle male.

«Mi mancherai da morire», sussurrò Laura nell'orecchio della bambina.

«Mi mancherai anche tu. Ma io sarò sempre con te, come dicono nei film, sarò sempre nel tuo cuore e ti guarderò da qualunque posto io sarò».

Laura non aggiunse altro, si limitò a stringerla.

**

Erano le undici quando Nicholas ricevette la chiamata di Laura.

Era seduto sul divano e stava guardando un film con Joe, cercando di concentrarsi sul dialogo tra Leonardo di Caprio e Kate Winslet e imponendosi di non pensare a Clio. Non troppo, almeno.

Joe inarcò un sopracciglio quando vide Nick che tirava fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e guardava il nome del mittente.

«Va tutto bene?», domandò incerto.

Nicholas scrollò le spalle e rispose, con tono roco.

«Laura?».

Lo stupì sempre il tono di voce della donna durante quella breve telefonata: era fermo, per niente tremolante.

«È ora, Nick», disse semplicemente.

Una parte del suo cervello si domandò “Per che cosa?”, confusa, ma l'altra aveva capito benissimo e bastarono quelle tre parole per far sì che il cuore di Nicholas smettesse di battere per un istante.

Così presto?, si domandò mentalmente. Non poteva essere vero, non in quel momento, c'erano ancora così tante cose che avrebbe voluto fare con Clio, tante cose che avrebbe voluto dirle...

Dovette respirare profondamente e si aggrappò con l'altra mano al bracciolo del divano per non cadere.

«A-arrivo».

Joe si era già alzato e aveva spento il televisore.

«Ti accompagno io».

Il tragitto si rivelò essere straordinariamente corto, rispetto al solito. O almeno così parve a Nicholas. Ancora prima di accorgersi che Joe stava guidando si ritrovò davanti a casa Randall, una mano del fratello appoggiata sulla sua spalla, nel vano tentativo di infondergli coraggio.

Il ventenne prese un respiro profondo, lanciò un'occhiata al fratello e uscì dall'auto, camminando piano verso la porta d'ingresso.

Suonò una sola volta al campanello e aspettò che Laura venisse ad aprirgli, tamburellando un piede a terra nervosamente e mordendosi il labbro inferiore con forza.

Quando la porta si aprì, Nicholas trattenne rumorosamente il fiato e solo allora una piccolissima parte del suo cervello registrò che Joe era ripartito. Laura sembrava tenersi in piedi per pura volontà, come se il resto del suo corpo fosse talmente esausto da non potersi nemmeno reggersi in posizione eretta.

Nick deglutì.

«Lei... è...?».

Laura annuì rigidamente.

«Ti sta aspettando in giardino», sussurrò facendolo entrare in casa. «È ora, Nick... lei sta... Clio se ne andrà questa notte».

Il ragazzo sentì il bisogno di appoggiarsi a una parete per riprendere fiato e si passò una mano sul viso, cercando di far tornare il suo battito cardiaco regolare.

Si incamminarono in silenzio, fianco a fianco, fino a raggiungere il limitare della casa. Nick fece un passo avanti, entrando in giardino, ma quando vide che Laura non lo stava seguendo si voltò verso di lei.

«Non vieni?».

Laura si limitò a scuotere il capo lentamente.

«No, vuole parlare con te da sola e... noi ci siamo già salutate». Deglutì, passandosi velocemente una mano sotto gli occhi per asciugare le lacrime.

«Ma lei...», protestò debolmente Nicholas. Come poteva essere lui quello che le avrebbe parlato per ultimo e non sua madre?

Laura percepì cosa stava per dire e fece un cenno per zittirlo.

«Va bene così, Nick. Vai».

Nick avrebbe voluto protestare ancora, ma sentì la voce di Clio che lo chiamava debolmente alle sue spalle e si ritrovò a correre verso di lei prima ancora di poter dire un'altra parola a Laura.

Clio era sdraiata sulla sua amaca, stringeva Ron piano e aveva gli occhi illuminati dalle stelle.

«Ciao Nicky», disse piano, sorridendogli delicatamente.

A quel soprannome, il cuore di Nick si strinse per un istante, ma un attimo dopo si stava già chinando per potersi sdraiare accanto a lei.

«Ciao piccola».

La abbracciò forte, respirando l'odore della sua pelle e sentendo il suo respiro leggero sul collo.

Dio, come avrebbe fatto a vivere senza sentire più quel contatto?

Da quando Clio era tornata a casa, Nick e lei non avevano più parlato della malattia; per tutto il tempo in cui erano stati insieme si erano limitati a parlare d'altro, senza mai toccare quell'argomento così delicato. Non parlarne era come fingere che non ci fosse nulla che non andava.

«Hai paura?», chiese il ragazzo, continuando a tenerla stretta, guardando come lei il cielo.

«Sì», sussurrò la bambina, stringendo ancora più forte le mani intorno a Nick. «Un po' per me e un po' per la mia mamma... Nick, non voglio lasciare mia mamma da sola. Voglio restare con lei... e con te».

Nicholas voltò il capo per baciarle la fronte.

«La tua mamma non sarà da sola, mi prenderò io cura di lei. Te lo prometto».

«Giurin giuretto?», domandò Clio, con tono speranzoso, alzando un mignolo.

Nonostante tutto, le labbra di Nick si inarcarono verso l'alto per un secondo.

Alzo anche lui il mignolo della sua mano destra e strinse quello della bambina.

«Giurin giuretto», ripeté serio e Clio si aprì in un sorriso felice.

«Con te starà bene», proclamò. «Le piace stare con te».

Anche a me piace stare con lei. Mi piace stare con tutte e due voi, pensò il ventenne, ma non parlò.

Rimasero ancora in silenzio, ascoltando semplicemente il respiro l'uno dell'altra. Nick trovava confortante ascoltare il respiro di Clio, sapere che stava ancora respirando teneva in vita la speranza di un miracolo.

Un miracolo in cui, in fondo, aveva smesso di sperare, anche se non voleva ammetterlo.

«Nick?», lo chiamò la bambina.

«Sì?».

«Ricordi quando ti avevo chiesto una cosa che ti piacerebbe fare prima di morire?».

«Io... sì».

«Non mi avevi risposto», continuò con ovvietà Clio.

Nick la guardò, perdendosi nei suoi occhi di zaffiro. Avrebbe potuto passare le ore a guardare semplicemente quegli occhi.

«Voglio tornare a cantare a Broadway», sussurrò. «Mi manca il palcoscenico, il teatro, le prove... la coordinazione che tutti i ballerini devono avere mentre ballano. Mi manca Broadway».

Clio lo ascoltò attentamente.

«Mi prometti anche che tornerai a cantare a Broadway, allora?».

«Ci proverò, piccola».

«No». Clio scosse il capo, seria. «Non voglio sapere che ci proverai, voglio sapere che lo farai. C'è una bella differenza».

Nicholas iniziò a disegnare dei cerchi immaginari sul braccio di Clio.

«Lo farò, allora».

«Bene». La bambina si sistemò meglio tra le braccia del cantante, con aria soddisfatta. «Ti perseguiterò dalla tomba se non lo farai».

Nick scoppiò a ridere debolmente, con gusto, senza sforzarsi.

«Allora starò ben attento a mantenere la mia parola».

«Braavo».

Cadde di nuovo il silenzio.

«Nick?», disse ancora la bambina.

Il ragazzo mugugnò per farle capire che era in ascolto.

«Dove pensi che andrò?».

«Che cosa vuoi dire?».

«Lo sai... Il Paradiso, l'Inferno... io dove andrò?». Guardandola negli occhi, Nick poté percepire la paura.

«Oh, piccola mia, non avere paura, non andrai mai all'Inferno», le mormorò in un orecchio, cullandola dolcemente.

«Come fai a saperlo? Io... sono stata cattiva, a volte, ho disobbedito alla mia mamma, ho detto delle bugie, potrei-».

«Clio, sono sicuro di poche cose nella mia vita, ma una di quelle poche certezze che ho è che tu mai, mai, finirai in un posto tanto brutto», la interruppe. «Tu sei un piccolo angelo, Clio, non potresti mai finire all'Inferno. Mi hai capito bene? Non avere paura».

La bambina annuì piano, mordendosi il labbro inferiore, con aria stanca.

«E allora dove andrò?».

«Dovunque tu vorrai», disse Nicholas con convinzione.

«Davvero?».

«Certo. Potrai andare dove vorrai, fare quello che vorrai... Dovrai solo decidere». Le sorrise e Clio ricambiò.

«Mi piace questa cosa».

Nick ridacchiò.

«Piace anche a me».

«E un giorno ci rivedremo», continuò Clio, giocherellando con il lembo della maglietta del ragazzo.

«Puoi scommetterci, pulce. E mi racconterai cosa avrai fatto per tutti questi anni».

«Parlerò tanto, allora».

«Non mi dispiace».

Clio sorrise e sistemò meglio la testa nell'incavo del collo del ragazzo, continuando a guardare il cielo terso sopra di loro e come le stelle splendevano illuminandole gli occhi.

Nick continuò a coccolarla, disegnando figure immaginarie sulla sua pelle.

Perché non potevano rimanere semplicemente così per sempre?

Dopo qualche minuto in cui nessuno dei due aveva detto niente, scosse lievemente Clio.

«Clio?», la chiamò con voce spezzata. Non doveva... non poteva...

«Mmh, sì?», sbadigliò la bambina a bassa voce e Nick tornò a respirare.

«Niente, piccola, non ti sentivo più parlare...».

«Sono tanto stanca».

Un brivido scosse la schiena di Nicholas. Strinse un po' più forte il corpo della bambina, baciandole la testa.

«Va tutto bene, amore, puoi dormire se vuoi».

Le lacrime iniziarono a rigargli il viso prima che potesse fermarle e non riuscì a nasconderle in tempo per impedire a Clio di vederle.

«Nick?», gracchiò la bambina.

«Scusa, piccola, scusa, io», balbettò, incapace di formulare una frase di senso compiuto. «Avrei dovuto salvarti, te l'avevo promesso, ed io... non sono riuscito... non ce l'ho fatta, Clio, e mi dispiace. Mi dispiace da morire».

Clio gli mise una mano sulla bocca, mentre appoggiava l'altra sulla sua guancia.

«Ma tu mi hai salvata, Nick», mormorò con ovvietà.

«Non è vero».

«E invece sì. Quest'ultimo anno è stato bellissimo, e tutto grazie a te. Sono stata a un concerto per la prima volta, ho conosciuto delle persone famose, mi hai fatto fare cose che non avrei mai fatto senza di te. Hai fatto ridere la mia mamma... tu mi hai salvata, Nick. Senza di te, sarei andata via tanto tempo fa».

Nicholas la ascoltò rapito, pendendo quasi dalle sua bocca, assimilando quelle parole che aveva il disperato bisogno di sentirsi dire.

«Grazie», bisbigliò alla fine, prendendola per mano.

«Di cosa?».

«Di tutto. Di avermi reso una persona migliore. Di esistere».

Nick sorrise appena, percependo che era arrossita.

«Ti voglio tanto bene», disse infine lei.

«Te ne voglio tanto anch'io. Per sempre».

Clio passò un braccio intorno al busto di Nick e appoggiò la testa sul suo petto, sbadigliando.

«Mi canti una canzone?», gli chiese, la voce impastata per il sonno.

Nick annuì, rigido, continuando ad accarezzarla.

«Please tell me, you'll fight this fight, I can't see without your light I need you you to breathe into my life. Don't tell me this is goodbye, I won't grieve it's not yet time, each breathe breathed is keeping hope alive».

Mentre cantava, nuove lacrime silenziose gli rigavano implacabili le guance.

«So keep breathing, go on breath in, keep on breathing, go on breath in, just breathe. Each breathe breathed means we're alive and like means that we can find the reasons to keep on gettin' by».

Aveva vissuto gli ultimi mesi ascoltando quasi quotidianamente quella canzone. Gli dava speranza, in qualche modo, per quanto triste fosse. Aveva pensato che fosse stata scritta per lui e Clio, in qualche modo.

«All you have to do is breathe. All you have to do is breathe. So keep breathing, go on breath in, keep on breathing, go on breath in».

Abbassò il capo per osservare meglio Clio, i suoi occhi che si tenevano aperti a malapena, la presa della sua mano intorno alla sua.

Capì che mancava poco e il suo respiro si fece ancora più pesante.

«Just breathe».

Si asciugò le lacrime con l'unica mano libera e le baciò un'ultima volta la testa.

Clio sospirò.

«È stato bello», mormorò nel sonno.

Poi chiuse gli occhi.

 

 

Continua...

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Ciao bellissime Approfittando di questo Mercoledì di vacanza e dato che questo è l'ultimo capitolo ed era già pronto, ho deciso di postare oggi anziché aspettare sino a Venerdì.

Sono senza parole, non credevo che postare quest'ultimo capitolo mi avrebbe fatto questo effetto e voglio ringraziare ognuno di voi per il supporto che mi avete dato durante questi mesi. Grazie, davvero, siete meravigliose.

Tra qualche giorno posterò un “capitolo extra” in cui scriverò dei ringraziamenti decenti e vi farò un riassunto dei miei futuri progetti qui su EFP, se a qualcuno di voi possono interessate.

Grazie, di cuore.

Per la canzone cliccate qui. Io la amo, semplicemente, ha un testo stupendo, romantico, dolce e... beh, è semplicemente perfetta. Spero vi piaccia, così come spero che questo finale vi soddisfi.

Capitolo 18.


And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten-ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure - the privilege is mine
Oh, there is a light and it never goes out.

{There Is a Light That Never Goes Out; The Smiths}

 

A Los Angeles quel giorno c'era il sole.

Se fosse stato un qualsiasi altro giorno, non sarebbe stato un evento degno di nota. Los Angeles era in California, uno degli Stati che vantavano il maggior numero di giorni soleggiati negli Stati Uniti.

Quel giorno, però, la presenza del sole stupì Nicholas. Quel mattino si era svegliato dai suoi sogni agitati con la convinzione che dovesse essere una giornata nuvolosa.

Quando aveva visto il cielo terso e i raggi solari che illuminavano la città, si era sentito quasi spezzato, finché non aveva pensato che, forse, Clio avrebbe preferito che ci fosse il sole e non le nuvole.

Clio era morta da tre giorni.

Nick si aggiustò meglio la cravatta nera, sistemando il risvolto della giacca in tinta mentre attraversava il prato verde del cimitero, Joe che camminava due passi dietro di lui.

Il ragazzo si fermò di scatto quando vide la folla che si stava radunando a una ventina di metri da lui, circondando probabilmente la piccola bara della bambina.

Sentì il respiro farsi più pesante e le lacrime appannargli gli occhi.

Joe gli appoggiò una mano su una spalla.

«Ce la fai?», domandò con tono dolce.

Nick non rispose – aveva parlato così poco, negli ultimi tre giorni – e si limitò ad annuire piano, prima di poggiare una mano su quella del fratello per poi ricominciare ad incamminarsi.

Mentre si avvicinava alla piccola folla si accorse che stava attirando su di sé parecchi sguardi tra i presenti ma non ci fece caso e proseguì dritto fino a raggiungere la persona che gli interessava.

Laura era in piedi, un vestito nero le copriva il corpo magro e sciupato, lo sguardo fisso sulla bara della figlia.

Nick la abbracciò di slancio, circondandola con entrambe le braccia e sentì, dopo un leggero brivido della donna, le sue mani che si aggrappavano a lui come se fosse un'ancora di salvezza.

Rimasero immobili per parecchi istanti, riscuotendosi solo nel momento in cui il reverendo – Oliver Stone – richiamò la loro attenzione con voce gentile e pacata.

Nicholas rimase accanto a Laura, prendendola per mano, mentre tutti i presenti si sistemavano meglio in cerchio.

Paul e Denise erano arrivati dal Texas il giorno prima, dopo che Joe li aveva chiamati informandoli dell'accaduto in modo tale da poter dare a Laura – e Nick – del supporto; Danielle e Kevin li avevano raggiunti poche ore dopo. Nonostante non avessero conosciuto molto bene né Laura né Clio avevano insistito per venire.

Nick passò lo sguardo su tutti: c'erano parecchie infermiere dell'ospedale, le quali consideravano Clio ormai quasi come una nipote; il dottor Gray, accompagnato dalla moglie, lo sguardo triste e sconvolto; c'erano anche tutte le ex compagne della squadra di calcio di Clio, accompagnate dai genitori.

L'ultima persona su cui si posò lo sguardo di Nick fu Howard Randall.

Quando Laura gli aveva raccontato di lui, se lo era immaginato come un uomo ben distinto, dai capelli e gli occhi scuri, e si stupì nel constatare che era ben diverso: in effetti, pensò poco dopo, non l'avrebbe potuto riconoscere se non fosse stato diverso.

Era identico a Clio. Aveva i capelli vermigli, gli occhi zaffiro – ora confusi, come se non si rendesse conto di dove si trovava esattamente – e il naso della bambina. Gli zigomi erano più marcati, più seri, però. Clio aveva ereditato dalla madre le labbra sottili e i lineamenti dolci.

Howard era accompagnato da quella che doveva essere la nuova moglie, una donna giovane, araba, vestita di nero.

Una scarica di rabbia attraversò la spina dorsale di Nick, sino alla punta delle dita e dovette chiudere la mano libera a pugno, limitandosi a stringere più forte quella che teneva Laura. Come osava quell'uomo presentarsi dopo anni di assenza solo per il funerale della figlia? Come aveva avuto il coraggio di farsi vedere dopo essere scappato dalla sua famiglia in modo così vigliacco?

Ebbe l'istinto improvviso di urlargli contro, di spingerlo, di tirargli un pugno, di fare qualcosa e solo la voce del reverendo riuscì a distrarlo.

Nicholas prese un respiro profondo e, questa volta, i suoi occhi si posarono sulla fotografia appoggiata davanti alla tomba.

Clio era bellissima: sorrideva, lo sguardo distratto, non guardava verso l'obbiettivo, ma verso la madre. Nick lo sapeva bene, perché l'aveva scattata lui quella foto, prima che le tagliassero i capelli, prima che la malattia peggiorasse.

Nicholas avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quei giorni.

Si rese conto solo dopo qualche minuto che stava piangendo; sentiva le lacrime salate scivolargli lungo le guance e sparire nel colletto della camicia, altre gli bagnavano le labbra. Non tentò nemmeno di nasconderle, a quale scopo? Non si vergognava di piangere. Soprattutto, non si vergognava di piangere per Clio.

Il reverendo stava continuando il suo epitaffio, dicendo alcune frasi di rito che Nick stava ascoltando appena.

Si voltò verso Laura, per guardarla in viso. Non stava piangendo, il suo dolore andava oltre le lacrime. Era come se si fosse spezzata e, Nicholas sapeva, che non sarebbe mai tornata la donna di un tempo. Forse, un giorno, sarebbe tornata a sorridere, a cercare di riprendere in mano la sua vita, ma non sarebbe mai più stata la donna che Nick aveva conosciuto.

È strano, nella lingua inglese* esistono parole come orfano, che indica un figlio che ha perso i genitori, vedovo, un marito che ha perso la moglie, e vedova, una moglie che ha perso il marito, ma non esiste una parola che descriva un genitore che ha perso il figlio. Forse era qualcosa di così sbagliato, di così doloroso, che non esiste una vera, unica parola per descriverlo.

Nicholas, in quel momento, si sentiva come un padre che ha perso la figlia. E sapeva che quel dolore in fondo al cuore, sordo, palpitante, non sarebbe mai scomparso, che avrebbe fatto parte di lui per sempre.

Un sorriso triste si disegnò sulle labbra del ragazzo, mentre le lacrime ancora gli scorrevano lungo le guance, sapendo che, in fondo, non gli dispiaceva che quel dolore di fondo sarebbe rimasto con lui per sempre: non avrebbe mai scordato Clio e il modo in cui si sentiva quando era con lei, almeno.

Cercò di prestare attenzione alle parole del reverendo Stone, senza mai staccare gli occhi dalla foto di Clio.

All'inizio non si rese conto della figura nera che si era unita al gruppo riunito intorno alla bara, non stava prestando attenzione a nulla che non fosse foto di Clio o la mano di Laura. Non si accorse di quella presenza per molto tempo, per quasi tutta la durata del funerale.

«Laura», chiamò a un certo punto il reverendo Stone, un sorriso dolce rivolto verso Laura e facendo finalmente alzare lo sguardo a Nicholas.

La donna annuì, tremante, abbandonando la mano del ragazzo e avvicinandosi alla bara per depositarci sopra una rosa bianca, dopo averla presa dal tavolino lì vicino.

Appoggiò il fiore, facendo ben attenzione a tutti i petali, per poi baciarsi la punta delle dita della mano desta e appoggiarle sulla foto di Clio.

Nick la vide muovere la bocca, ma parlava troppo a bassa voce per capire cosa stesse dicendo.

Laura rimase immobile davanti alla bara per lunghi minuti in cui regnò il silenzio fra tutti i presenti, poi prese un profondo respiro, probabilmente nel tentativo di calmarsi, e tornò al suo posto, accanto a Nicholas. Subito, le braccia del ragazzo corsero a stringerla, cercando di regalarle un minimo di conforto.

In fila, come in una lunga processione, tutti si avvicinarono alla bara di Clio, appoggiandoci sopra una rosa bianca, sussurrando magari qualche parola.

Quando la figura nera si avvicinò, Nick quasi non la riconobbe. Solo quando si voltò verso di lui, il suo cuore perse un colpo, per poi cominciare a battere ancora più forte.

Delta aveva gli occhi azzurri bagnati di lacrime. Gli rivolse un sorriso triste mentre appoggiava la rosa sulla bara di Clio, poi abbassò il capo e si baciò la punta delle dita per appoggiarle sul legno scuro.

Nick pensò che si sarebbe avvicinato a lui, ma invece tornò nel posto in cui, evidentemente, era stata sino a poco prima. Sul tavolo rimaneva una sola rosa, l'unica rossa, e Joe dietro di lui gli diede una leggere spinta per incoraggiarlo.

Il ventenne si sentiva come se i suoi piedi fossero di marmo e ogni passo gli costava talmente tanta fatica che quasi si fermò. Afferrò la rosa rossa e la depositò delicato sopra le altre.

Accarezzò con una mano il legno della bara, per poi fermarsi davanti alla foto di Clio. Vedere quel sorriso gli spezzava il cuore.

«Non ti dimenticherò mai», bisbigliò piano, quasi lui stesso non sentì la sua stessa voce. «Ti voglio bene».

Non disse altro, tutto ciò che Clio doveva sapere gliel'aveva già detto. Alzò lo sguardo verso il cielo e sorrise al sole splendente.

Ricordò che Clio gli aveva detto che l'avrebbe guardata, da qualunque posto poi sarebbe andata; gli piacque pensare che in quel momento la bambina fosse sul Sole e gli stesse sorridendo.

Arretrò, senza smettere di guardare il Sole, e tornò accanto a Laura.

Poco dopo, la bara venne calata nel terreno e Nick sentì un dolore acuto pulsargli nel cuore mentre la vedeva sparire dalla sua vista.

Si asciugò con il dorso della mano le lacrime che continuavano a rigargli le guance, implacabili, mentre iniziava a sentire un mal di testa pulsante a causa del pianto.

Pian piano, il cimitero iniziò a svuotarsi. La cerimonia era finita, capì improvvisamente, quasi sorpreso. Le era sembrata così banale, così poco speciale per una bambina come Clio.

Si voltò di scatto quando una mano gli sfiorò la spalla destra.

«Ehi», disse Joe con un piccolo sorriso triste.

Nick rispose con un cenno del capo.

Sentì le braccia del fratello stringerlo in un abbraccio e lasciò che nuove lacrime bagnassero la giacca di Joe, aggrappandosi con forza alla sua schiena.

Nicholas a malapena udì le parole di conforto del fratello e rimase semplicemente aggrappato a lui, con il desiderio di restare in quella posizione per il resto della sua vita.

Si separò da lui solo quando i singhiozzi si furono calmati e subito cercò con lo sguardo Laura, che aveva perso di vista da quando si era mosso verso la bara di Clio.

«Mamma e papà l'hanno portata a casa», spiegò Joe, intuendo cosa stesse pensando. «Era... non era in grado di... Ha bisogno di stare con qualcuno».

Nick annuì piano, mordendosi il labbro inferiore.

Rimasero in silenzio a lungo, ormai soli nel cimitero.

«Delta era qui», disse improvvisamente Joe, facendo rabbrividire Nicholas.

«Lo so», rispose semplicemente.

Joe sospirò, scrollando le spalle.

«Quando sei stato male, ti è venuta a trovare», aggiunse con tono indeciso, come se non sapesse come avrebbe reagito.

Uno strano senso di consapevolezza avvolse Nick.

«Lo so», ripeté a bassa voce. L'aveva sempre saputo.

La mano di Joe si riposò sulla spalla di Nick.

«Ti porto a casa. Poi questa sera potrai andare da Laura, se vorrai, ma ora andiamo a casa. Hai bisogno di riposo», gli sussurrò e il ventenne non poté fare altro che annuire, esausto. Non aveva la forza di ribattere.

Il ritorno a casa fu tranquillo, silenzioso. Nessuno dei due disse una parola, ognuno preso dai propri pensieri e dal proprio dolore.

Quando giunsero di fronte a casa, Nick si trascinò verso il portico di casa, lottando per tenere le palpebre aperte.

Non appena posò lo sguardo sugli scalini del porticato, però, i suoi occhi si spalancarono, il cuore che batteva a mille.

Delta era seduta, le mani giunte in grembo, lo sguardo basso e i capelli sciolti sulla schiena.

Nick doveva aver fatto qualche rumore – forse aveva trattenuto il fiato con forza, forse i suoi passi erano troppo pesanti – perché all'improvviso alzò il viso e Nicholas la poté guardare negli occhi. Quelle pozze cerulee, ora umide di lacrime, che facevano sempre accelerare il battito del suo cuore.

Joe li raggiunse, superando Nick ma fermandosi prima di raggiungere la ragazza. Le fece un cenno con la mano, amichevole, e Nicholas ebbe la sensazione che entrambi nell'ultimo anno non avevano perso i contatti come invece credeva.

«Io entro», disse il ventitreenne, passando lo sguardo dal fratello a Delta un paio di volte, per poi salire gli scalini ed entrare in casa.

Nick fece il primo passo verso la sua ex ragazza nel momento in cui Joe chiuse la porta alle spalle.

Esitava, camminando piano, incerto, e dovette fare un respiro profondo prima di sedersi accanto alla giovane donna.

Delta lo fissò a lungo, un sorriso triste che le solcava il viso gentile.

«Ciao Nick», mormorò piano e sentendo la sua voce, Nick sentì una strana sensazione di calore avvolgerlo per un istante.

«Ciao Delta», replicò lui, con tono roco. Si schiarì la gola.

Non sapeva cosa dire. Non sapeva nemmeno se voleva dire qualcosa, sapeva solo che era stanco e che avrebbe tanto voluto Clio accanto a sé, in quel momento, avrebbe voluto sentire uno dei suoi commenti leggeri.

Quasi gemette, ricordandosi che non avrebbe mai più sentito la voce della bambina.

Delta rimase zitta, rispettando il silenzio di Nick. Era una delle tante cose meravigliose di Delta, quella di sapere sempre cosa fare.

«Tu... cosa... Come mai eri al funerale?», gracchiò infine Nicholas, trovando la forza di parlare.

«Laura mi ha chiamata ieri mattina... Mi ha detto cos'era successo», spiegò lei, le mani ancora strette in grembo.

Non sapeva perché, ma Nick continuava a non trovare un senso a quelle parole.

«Laura? Tu conosci Laura?».

Delta annuì.

«L'ho incontrata in ospedale, quando... beh, quanto tu», si interruppe, iniziando a muovere le mani nervosamente.

«Quando sono stato male», completò per lei il ventenne.

«Sì».

Ancora silenzio.

«Non eri costretta a venirmi a trovare».

«Però volevo».

Il cuore di Nicholas si strinse, nel sentire quelle parole.

«Tu e Laura siete... siete molto in contatto?», chiese ancora, piano, pensando che, se così fosse stato, Laura gliene avrebbe parlato. Lei sapeva di Delta, le aveva raccontato tutto molto tempo prima.

E, al contrario delle sue aspettative, Delta annuì.

«Sono andate a trovare spesso lei e Clio», spiegò con tono esile.

Nick stava provando così tante emozioni, in quel silenzio, da non sapere esattamente come si sentiva.

«Ma loro... loro non mi hanno mai detto niente... E io ero sempre lì, non ti ho mai vista», la voce gli si ruppe.

«Venivo quando sapevo che non c'eri, il mattino presto o a pranzo, ogni tanto. Sono stata io a chiedere loro di non dirti niente... Non sapevo come avresti reagito, Nick. Non sapevo cosa avresti fatto, io... non so nemmeno di cosa avevo paura, esattamente, ma non volevo che tu sapessi di me. Mi dispiace».

«Non volevi vedermi», replicò secco il ragazzo.

«Certo che volevo vederti, Nick, ma l'ultima volta che ci siamo visti sei scappato via. Come potevo sapere che non avresti fatto lo stesso, vedendomi a casa di Clio? O che avresti passato meno tempo con Laura e Clio per paura di vedermi?».

«Non l'avrei fatto», sbottò lui.

«Ma io non potevo saperlo», sussurrò Delta, dolcemente, e la rabbia di Nicholas scomparve così come era venuta.

Il silenzio ricadde su di loro, avvolgendoli.

«È... è stata Clio, sai? A volere che venissi al funerale», mormorò Delta. «Laura mi ha detto che gliel'ha chiesto lei, il giorno che è... che è morta. Non so perché... non eravamo così intime. Tu lo sai?».

A Nicholas si mozzò il fiato sentendo quelle parole, mentre si rendeva conto di ciò che Clio aveva fatto per lui, di come profondamente l'aveva capito, più di molte altre persone che conosceva da una vita.

«Mi dispiace per Clio», sussurrò Delta, gli occhi bassi e di nuovo umidi di lacrime, non sentendolo rispondere. «Mi dispiace tanto».

Fu come se Delta, con quelle parole, avesse toccato una corda scoperta dell'animo di Nick perché il ragazzo sentì il bisogno di coprirsi il viso con le mani, nuove lacrime che gli bagnavano il viso.

«Oh, Nick», mormorò Delta, con tono spezzato, allungando una mano e accarezzandogli la schiena con gesti incerti, come se si stesse chiedendo se poteva farlo o meno.

Nicholas non la allontanò. Anzi, si avvicinò più a lei, cercando il conforto delle sue braccia, del suo profumo così familiare, della sua stretta dolce e della sua voce melodiosa.

«Perché è dovuta morire?», farfugliò, cercando di respirare normalmente. «Perché? Era la persona migliore che io abbia mai incontrato... non meritava di morire. Come può Dio permettere una cosa del genere?».

Non poteva esistere un Dio se bambini come Clio morivano ogni giorno in tutto il mondo.

Esisteva veramente Dio, dopotutto? Come aveva fatto a non sentirlo pregare nemmeno una volta, in tutti quei mesi? Come aveva potuto permettere una cosa del genere?

«Forse questo mondo fa troppo schifo per le persone come Clio, e Dio le porta con sé in un posto migliore. Più bello. Più sicuro», mormorò Delta, continuando a stringerlo forte.

Nick la ascoltò attentamente, rapito da quelle parole.

«Tu però sei sopravvissuta», sussurrò.

Sentì Delta tremare sotto le sue braccia.

«Forse non sono speciale», rispose piano lei.

Non è vero, avrebbe voluto rispondere Nick, ma non lo fece. Semplicemente, le parole non uscirono.

Lasciò la presa e si staccò da lei, pur sfiorandola sempre con le gambe.

La guardò dritta negli occhi, il respiro veloce.

«Mi sei mancata tanto», mormorò piano.

Vide gli occhi di Delta illuminarsi di nuovo come quando stavano insieme, quando erano felici insieme e andava tutto bene.

«Mi sei mancato anche tu», disse Delta. E sorrise.

Fu un sorriso sincero, speranzoso, vero. La mano di Nick corse quasi inconsapevolmente a prendere quella di Delta e, quando le loro dita si incrociarono, percepì una sensazione di completezza.

E, Nick lo sapeva, doveva ringraziare solo Clio, perché era stata lei a mandare Delta di nuovo da lui, era stata lei a pianificare tutto, a pensare a lui anche quando avrebbe dovuto pensare solo a sé stessa. Doveva ringraziare solo Clio se sarebbe stato di nuovo felice, un giorno. Doveva tutto a Clio.

E non l'avrebbe mai dimenticato.

 

Fine.

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Capitolo 19
*** Thank you so much. ***


Ciao bellissime!

Come vi avevo scritto nell'ultimo capitolo - *sobbing* - eccomi qui con questo piccolo extra per ringraziarvi infinitamente per tutto il sopporto che mi avete dato negli ultimi mesi con questa fanfiction.

Non so come ringraziarvi, mi sembra di essere così banale e ripetitiva - infatti sino all'ultimo sono stata tentata di fare una relazione multimediale perché penso che sia un metodo di interagire con voi un pochino più diretto, ma alla fine ho deciso di fare così.

Siete semplicemente meravigliose, in ogni modo possibile e inimmaginabile, avete letteralmente reso le mie giornate migliori con le vostre recensioni e i vostri commenti. Grazie, davvero, non ho parole per dire quanto vi sono affezionata e quanto vi sono debitrice.

GRAZIE!

 

Spero che questo finale non vi abbia deluso, era il finale che mi sono sempre immaginata di scrivere, sin dall'inizio della fanfiction (due anni fa. Oddio. o.o) e, beh, spero che la mia scelta vi abbia soddisfatto.

Lo definirei un finale dolce-amaro perché, sì, Clio è morta (e voi non sapete i pianti isterici che mi sono fatta mentre scrivevo gli ultimi due capitoli çç) ma nonostante questo Nick incontra di nuovo Delta e, anche se ho volutamente lasciato il finale aperto, nella mia testa quei due si rimetteranno insieme, si sposeranno e avranno tanti bambini, e la primogenita si chiamerà Clio. Ma questi sono dettagli insignificanti u.u

Dato che sono una persona paranoica – no, davvero, a volte penso che sia una malattia cronica – mentre scrivevo la scena Nick/Delta mi è venuto il dubbio che voi poteste pensare che, dato che Delta è tornata, Nicholas dimenticherà Clio presto e chissenefrega, ma questo non è assolutamente vero. Delta è l'amore della sua vita e in quanto tale è ovviamente sollevato di rivederla e di poterla toccare di nuovo, ma ovviamente il suo affetto per Clio non muta in alcun modo.

L'ho scritto giusto per mettermi l'animo in pace, altrimenti inizio con la sfilza di “e se avessero capito male? E se l'avessi scritto da cani? E se non gli piacesse?” e non dormo più la notte. No kidding.

Bene, detto questo, io avrei concluso con la parte riguardante “There is a light that never goes out” e, okay, non pensavo mi avrebbe fatto un simile effetto.

Okay. Mi sembra di star abbandonando la mia bambina dopo così tanto tempo che ci lavoro sopra e la coccolo. Cielomiomanochediamine ç_ç

**

Passiamo ad altro, forse è meglio. Dunque, sì, pensavo di fare una lista qui dei miei futuri progetti qui su EFP e, boh, se vi interessa date un'occhiata

Prima di tutto, smetterò di postare per un po'. Con la scuola che sta per finire e l'arrivo dell'Estate, sapendo che non ci sarò per gran parte di Luglio e Agosto, non mi pare il caso di iniziare a postare le mie future long perché dovrei smettere di postare ogni due settimane per lunghi periodi causa vacanze e non mi sembra il caso; inoltre voglio dedicarmi a recensire le vostre storie *-*

Man mano che postavo There Is a Light That Never Goes Out, infatti, alcune di voi mi hanno chiesto se potevo passare a leggere le loro fanfiction e magari commentare ed io avevo risposto che non appena la scuola mi avrebbe dato un po' di respiro l'avrei fatto. Ovviamente, la scuola mi ha tenuto con il cappio al collo sino alla settimana scorsa e sta allentando la presa solo negli ultimi giorni, quindi non sono riuscita a fare quello che avevo detto avrei fatto e mi sento in colpa.

Per chi mi aveva chiesto di passare, non stavo mentendo quando vi avevo detto che sarei passata e spero vivamente di recensire quante più fic possibile entro fine Maggio. Se mi poteste scrivere di nuovo chi vorrebbe che passassi in una recensione/messaggio privato mi fareste un piacere, così non devo ricercare di nuovo i nomi in tutte le recensioni dato che ho poco tempo. Grazie :')

Per quanto riguarda, appunto, progetti futuri, beh, ho qualche fanfiction in testa e nel pc... *muahaha*

Allora, sì, bando alle ciance, facciamo una lista! u.u

  1. Si tratta di un crossover tra il fandom Jonas e il fandom Glee Cast. È un idea nata da un sogno (sì, il mio subconscio è un drogato di nutella ç_ç) ed è una fanfiction a sfondo omosessuale (don't like, don't read) e sono tipo stra-iper-mega presa *-* Infatti, è la storia d'amore tra Nick Jonas (quel ragazzo mi ispira, non so perché u.u) e un personaggio del cast di Glee che non vi rivelo ora ma è già palese nel primo capitolo. Sin ora ho scritto sei capitoli ma dato che la sto scrivendo veramente molto lentamente (e non so perché D:) non la posterò finché non la avrò quasi conclusa. Quindi Settembre o fine Agosto, forse. Spero. Mi auguro. ç_ç Dato che si tratta, appunto, di un crossover e considerando anche alcune idee che ho in mente per il futuro, pensavo di postare questa storia nel fandom del Glee Cast per “farmi conoscere” un po' anche lì. Se, nella remota possibilità, qualcuna di voi fosse interessata a leggere questa storia ma non è un'assidua frequentatrice di quel fandom, fatemelo sapere e vi manderò il link del primo capitolo quando lo posterò. :D Il titolo, comunque, sarà Faithfully (come la canzone dei Journey *muore*).

  2. Quest'altra storia è una Klaine di cui ho poche idee. Praticamente nulle, anzi. Ma la scriverò, lo so, quindi, boh, se siete interessate valo lo stesso discorso di prima e fatemelo sapere. Il titolo sarà You Found Me all'90% (sì, io prima penso al titolo e poi alla storia. Ho qualche serio problema çç).

  3. Ho scritto anche il primo capitolo di una Klaine/Kurtofsky-one side anche se non sono sicura se alla fine la concluderò perché è altamente deprimente, per ora, nella mia testa e ora come ora, avendo appena concluso questa storia e aver ucciso Clio (*si fustiga al solo pensiero*), il drama è l'ultima cosa che mi serve. Quindi non so se la finirò, però... beh, non si sa mai, no? E vale sempre lo stesso discorso: fatemi sapere se vi interessa e vi manderò il link se e quando la posterò. :)

Per il resto ho solo delle vaghissime idee, essenzialmente, anzi, sono dei desideri su alcune fic che vorrei scrivere su alcuni fandom ma niente idee concrete per ora. Vorrei scrivere una CrissColfer, ad esempio. Voglio dire, Chris e Darren ispirano da morire *--*

Vedremo, vedremo u.u

 

 

Ho... finito? Sì. Va bene.

Sto andando in crisi esistenziale mentre scrivo queste righe, qualcuno mi interni.

 

Vi ringrazio di nuovo, ragazze. Vi voglio bene, siete spettacolari. Grazie, di cuore.

 

Con tutto l'affetto del mondo,

 

Margherita.


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