I (don't) love you. di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Ciao,
il mio nome è Frank Iero e sono innamorato del mio amico
Gerard.
È cominciato tutto qualche sera fa, a casa sua. Aveva dato
una festa, coi soliti quattro invitati, musica a palla e tanto alcool.
Eravamo tutti un po' brilli, quindi decidemmo di fare uno dei giochi
più stupidi del mondo: obbligo o verità. Ray era
stupidamente esaltato da questo gioco, e non vedeva l'ora che toccasse
a lui. A me non piaceva, invece, lo trovavo una perdita di tempo di una
noia assurda. Ad ogni modo, ci sedemmo tutti in cerchio e lasciammo
perdere la parte della verità, sfidandoci nelle cose da
fare. Dopo un paio di minuti fu il turno di Mikey a decidere chi
dovesse fare cosa, e il ragazzo annunciò che avrei dovuto
baciare Gerard sulle labbra. Per me andava bene, in fondo il moro era
un gran bel ragazzo, oltre che il mio migliore amico. Mi sporsi verso
di lui e ci baciammo qualche secondo, poi gli altri decisero che
bastava e Gee si staccò da me. Rimasi incantato da quel
bacio. Mi aveva scombussolato lo stomaco e gli ormoni, mi era
addirittura sembrato di sentire il mio cuore esplodere. Già,
il mio cuore. Batteva velocissimo, pareva volesse uscire dal mio petto
e saltare in braccio a Gerard. Guardai il mio amico, arrossendo
improvvisamente. Sembrava soddisfatto, come se quello fosse stato solo
l'ennesimo gioco della serata e come se non fosse cambiato niente in
lui. Per me, invece, qualcosa era cambiato. Avevo visto il paradiso per
quei pochi istanti in cui le mie labbra avevano sfiorato le sue, e
sentivo le campane suonare, da qualche parte.
- Hey, Frank, ti sei incantato? - scherzò Ray, spingendomi
una spalla.
- So che bacio bene, ma non c'è bisogno di stupirsene
così tanto - rise Gerard, facendomi arrossire.
- Ma che dite, mi ero perso nei miei pensieri! - ribattei, cercando di
tornare al mio colorito normale. Diamine, non era da me fare
così. - A chi tocca ora? - domandai, cambiando argomento.
- A Bob - rispose Mikey, indicando il batterista.
- Uh? Io passo - mormorò il biondo, smettendo di
giocherellare col suo piercing al labbro. - Questo gioco mi annoia -
spiegò.
- Infatti, è una stronzata - annuii io, cercando di
persuadere i miei amici a fare qualcos'altro.
- Oh, avanti, non fare il guastafeste! - sbottò Gerard,
alzando gli occhi al cielo.
- Già, magari potresti ribaciare questo coglione qua e
migliorare il tuo umore - ridacchiò Ray, indicando il moro
con un dito. Arrossii e gli dissi di smetterla, poi mi alzai di scatto
e andai a prendermi qualcosa da bere. Non era da me comportarmi in quel
modo, che diavolo mi stava succedendo? Mi abbracciai lo stomaco,
mordendomi le labbra. Sapevano di Gee, ed era un sapore così
buono... Scossi la testa, cercando di calmarmi. Cos'era quella strana
sensazione di tepore che mi attanagliava lo stomaco quando pensavo al
mio amico? Non l'avevo mai provata prima... prima del bacio. Lanciai
un'occhiata furtiva al moro, nascondendomi dietro alla mia lattina di
birra. Rideva contento, appoggiandosi alla spalla di Bob e
circondandogli il collo con un braccio. Perché faceva
così dannatamente male guardarlo con qualcun altro? Abbassai
lo sguardo, spaventato. 'Non può essere' pensai. 'No...'. Mi
rivoltai a guardare Gerard scherzare con il biondo, e una fitta mi
colpì lo stomaco. 'No...' Mi ero innamorato del mio migliore
amico. Dell'unica persona che non avrebbe mai potuto perdonarmelo, a
causa della nostra lunga amicizia. Dell'unico ragazzo che non era mai
stato colpito dal mio aspetto fisico e che non mi faceva quasi mai
complimenti per i miei occhi chiari. Mi ero innamorato dell'unico uomo
al mondo di cui non avrei voluto innamorarmi.
Il mio primo pensiero dopo aver realizzato i miei nuovi sentimenti per
il moro fu di scappare in Tibet e diventare monaco, ma scartai subito
l'idea. Troppa sofferenza e troppa fatica. Decisi di comportarmi come
se niente fosse e di vedere se per lui era cambiato qualcosa, dopo
quegli istanti in cui ci eravamo sfiorati. Tuttavia, nei giorni
seguenti potei constatare che non c'era niente che non andava nel
comportamento del ragazzo, e che, anzi, sembrava solo più
felice e allegro di prima. Pareva proprio che io fossi l'unico a
sentirmi una merda ogni volta che vedevo il frontman, per sentirmi
ancora più merda quando lui se ne andava. Avevo provato a
scacciare il dolore con l'alcool, ma non era quella la risposta giusta.
La risposta giusta era per me confessargli i miei sentimenti, ma allo
stesso tempo mi dicevo che non era possibile, che avrei ucciso la
nostra amicizia e che avrei solo fatto una gran stronzata. Un gran
problema, insomma. Fra poco sarebbe arrivato anche l'inverno,
sfortunatamente. L'inverno mi mette sempre tristezza, anche se
c'è il compleanno di Bob e riesco a rivedere le persone che
amo. Il Natale, poi. Uno stupido sinonimo di sensi di colpa per chi
è più povero di te, solitudine nel vedere tutti
più contenti di quanto lo sia tu, e amarezza, in quanto non
ricevi mai ciò che ti aspetti. Avevo perso ogni briciola di
fiducia che avevo nel Natale anni prima, e anche quest'anno nulla
sembrava cambiato. Le solite famigliole felici che comprano regali, i
bambini che corrono in giro per le strade, godendosi le vacanze, e i
gruppi di persone che cantano davanti agli usci delle case per qualche
spicciolo. Bah. A Gerard piaceva il Natale, invece. Lo riempiva di
gioia e buoni propositi, proprio come faceva con Ray e con Mikey. Non
riuscivo a capirli; per quanto mi sforzassi per me quella era solo
l'ennesima festività sciupasoldi, creata apposta per far
spendere anche ai non-cristiani. Si potrebbe dire la stessa cosa anche
di San Valentino e altri tre milioni di feste, ma vabbe'. Non si
può criticare tutto. Ad ogni modo, stavo camminando in mezzo
alla strada, quando Mikey mi corse incontro, con quella sua buffa
corsetta.
- Frank, Frank! - urlò, cercando di attirare la mia
attenzione.
- Ti ho visto, tranquillo - sorrisi io, avvicinandomi a lui.
- Volevo... chiederti se... puff... ti andava... di passare il
Natale... con noi... - disse con respiro affannoso.
- Oh, sì, va bene - acconsentii, colto alla sprovvista.
- Fantastico! - esclamò Mikey, mentre gli occhi gli si
illuminavano. - Allora vieni da noi verso, non so, le undici? Pranziamo
tutti insieme e poi facciamo qualche gioco da tavolo, col camino acceso
e tanti dolci a disposizione - annunciò. Annuii e dissi che
per me andava bene, quindi lui mi salutò e corse via. Wow,
avevo appena avuto l'invito per sentirmi una merda perfino il giorno di
Natale, e avevo addirittura accettato. Molto, ma molto intelligente,
come idea. Scrollai le spalle, rassegnandomi al fatto che ormai non
avevo altra scelta che andare dai Way e divertirmi. Certe volte mi
comportavo proprio da masochista, dovevo ammetterlo. Mi schiaffeggiai
la guancia e ritornai alla realtà, incamminandomi verso
Starbucks. Faceva già freddo, e tutti erano imbacuccati fino
al collo nelle loro felpe super pesanti e super brutte. Mi strinsi
nella mia giacca leggera e velocizzai il passo, entrando nel
caffè dopo pochi minuti. Non c'era tanta fila stranamente, e
approfittai del momento per ordinare e sedermi in tutta
tranquillità. Mi gustai il mio caffè in santa
pace, poi mi alzai e mi ributtai nella strada. Un'ondata di freddo mi
gelò il naso, facendomi starnutire. Imprecai tra me e me,
ficcandomi le mani in tasca e camminando lungo il marciapiede affollato.
- Oh, Frankie - esclamò una figura familiare, venendomi
incontro. - Ho appena incontrato Mikey, che mi ha detto che passerai il
Natale con noi! Non è fantastico? - sorrise.
- Già, non vedo l'ora - mentii.
- Anch'io! Due settimane sono lunghe, a passare! - gongolò.
- Certo che fa freddo, per non essere ancora ufficialmente inverno -
borbottò poi, sfregandosi le mani.
- Vero. Che ne dici se andiamo a prenderci qualcosa di caldo? -
proposi. Gli occhi del moro brillarono, mentre lui annuiva e riprendeva
a camminare. Entrammo nel bar pochi minuti dopo, e ordinammo due
cioccolate bollenti.
- Allora, che mi dici? - mi domandò Gerard, sedendosi di
fronte a me.
- Mah, niente di che. Sto crepando di freddo. Te? - replicai, cercando
di sostenere il suo sguardo.
- Idem. Ma d'altronde, questo è dicembre, no? -
osservò il ragazzo.
- Già, hai ragione - ammisi.
- Faresti meglio a vestirti pesante - disse poi, accennando alla mia
giacchetta leggera. - Ti ammalerai - aggiunse. Scrollai le spalle e
feci una smorfia.
- Non m'interessa molto, ad essere sincero - ribattei. - Il dolore ti
fa sentir vivo. E in questo momento io mi sento molto, molto vivo -.
Gerard mi guardò qualche secondo, mordendosi il labbro
inferiore.
- C'è qualcosa che non va, Frankie? - mi domandò,
toccandomi la mano con la sua. Cercai di non arrossire e abbassai
velocemente lo sguardo.
- No, no, figurati. Niente di che, non preoccuparti - mentii. Lui mi
squadrò con i suoi occhioni color nocciola, intuendo che
qualcosa c'era, in realtà.
- È da un po' di giorni che sei strano, Frank -
cominciò. - Hai qualche problema, non so, in famiglia?
Magari è morto uno dei tuoi cani? - domandò con
aria preoccupata.
- Non portare sfiga, Gerard! I miei cani stanno bene, non preoccuparti
- dissi io, fingendomi a posto.
- Allora che c'è che non va? - chiese ancora, stringendomi
la mano. Mi morsi il labbro, cercando di non gridare per la
felicità, e provai ad assumere un'aria tranquilla, quando in
realtà tutti i miei ormoni erano in subbuglio.
- Ma niente, sai che il Natale mi fa questo effetto. Sono solo un po'
depresso, ecco tutto - buttai lì. Gerard fece finta di
crederci e cambiò argomento, parlando del nuovo brano che
aveva in mente. Sarebbe stata una cover di una canzone famosa, e
l'avremmo registrata fra qualche giorno, prima delle vacanze natalizie.
Annuii e dissi che mi pareva una bella idea, anche se in
realtà non lo stavo ascoltando. Chiacchierammo un po' sulla
festa della settimana prima, ma il moro evitò di chiedermi
qualunque cosa riguardo al mio strano comportamento.
- Certo che eri proprio ubriaco! - ridacchiò. Allora era
quello che pensava.
- Già, be', non ricordo quasi un cazzo - sorrisi io,
fingendomi imbarazzato. Gerard rise, e dopo pochi minuti decidemmo di
uscire dal locale. Non avevamo niente da fare, quindi optammo per stare
insieme un altro po', e chessò, andare a comprare i regali
di Natale per gli alti. Ci dirigemmo verso il grande magazzino in
silenzio, visto il freddo pungente, e una volta lì ci
fermammo davanti all'entrata.
- Allora, com'è il piano? - domandò Gerard.
- Non saprei - ammisi. - Ognuno per la sua strada e tra un'oretta qui?
- proposi.
- Perfetto! - esclamò felice il moro. - Così non
vedrai il tuo regalo! - sorrise.
- Allora è deciso. Ci vediamo tra un'ora - lo salutai,
incamminandomi verso i negozi. Lui fece lo stesso e scomparve dalla
parte opposta, canticchiando carole di Natale.
Ci ritrovammo al punto prestabilito esattamente un'ora dopo. Io avevo
comprato un sacco di stronzate per me, visto che i regali li avevo
già presi, ma Gerard aveva acquistato un'infinità
di roba. Lo osservai corrermi incontro carico di pacchi e buste, quindi
mi avvicinai e gliene presi un po'.
- Non ce n'è bisogno! - protestò il moro,
cercando di fermarmi.
- Non fare lo scemo, sei carico come un mulo - gli rinfacciai alzando
le sopracciglia.
- Sì, be', è vero - ammise Gee. - Ma anche tu non
scherzi - osservò.
- Ce la faccio benissimo, non preoccuparti - sorrisi. Lui
annuì e mi seguì lungo i marciapiedi pieni di
gente, finché non scorgemmo casa sua.
- Siamo arrivati - annunciò accelerando il passo.
- Lo vedi che i pacchi erano pesanti? - lo sfottei quando
posò le buste a terra con un sospiro affaticato. Lui rise,
ammettendo la sua stanchezza.
- Vuoi qualcosa da bere? - mi chiese poi, avviandosi in cucina e
tornando con due birre. - Non si accettano 'no' - mi avvisò,
allungandomene una.
- Grazie - sorrisi, portandomi la lattina alle labbra e bevendone un
sorso.
- Mikey era tutto eccitato per questa cosa del Natale -
cominciò dopo un paio di minuti. - Ha continuato a ripetermi
quanto sarebbe stato bello e divertente per un sacco di tempo, prima
che si rendesse conto di dover avvisare anche Bob -
ridacchiò.
- Sì, be', è un'idea carina - dissi, maledicendo
Mikey. Gerard annuì, dando un sorso alla sua birra.
- Sarà il mio primo Natale non in famiglia -
commentò.
- Già, anche il mio - ammisi. - Anche se la band ormai
è come una famiglia per me - aggiunsi con un sorriso.
- Ma come sei carino! - esclamò il moro, giocherellando con
la mia guancia. Arrossii di brutto, ma lui non se ne accorse e
continuò a ridere sotto i baffi. - Sai, certe volte sei
davvero dolce, Frankie - osservò.
- Capita - mi scusai, stringendomi nelle spalle.
- Io invece rompo le palle tutto l'anno - sorrise, bevendo un altro
po'. - Poveri voi -
- Ma smettila, Gee. A me non rompi affatto le palle - ribattei.
- No? Be', tanto meglio - commentò lui, spaparanzandosi
meglio sul divano. Rimanemmo in silenzio per un po' di tempo, nel quale
il moro finì la sua birra. Una volta constato che non v'era
rimasto neanche un goccio di alcol nella bottiglia, il ragazzo si
alzò e andò a prenderne un'altra.
- Hey, Gee - lo chiamai.
- Sì? -
- Da quando hai un vaso di fiori sul davanzale? - domandai. Lui si
strinse nelle spalle, sedendosi nuovamente accanto a me.
- Un po' di tempo, perché? - mi chiese poi.
- Niente, curiosità - risposi. Lui annuì,
soddisfatto. - Hanno dei bei colori - commentai.
- Vè? Mi piacciono molto - gongolò il moro.
Stavolta fui io ad annuire, e poi calò di nuovo il silenzio.
- Sai che ore sono, Gee? - chiesi a un certo punto, dopo una piccola
chiacchierata.
- Mhh, sono le... le sei e mezza - mi informò lui.
- Oh merda, è tardissimo! - esclamai. - Devo proprio andare,
scusa! - dissi, scattando in piedi e avviandomi verso la porta.
- Hey, calmati. Fatti salutare almeno - scherzò Gerard,
alzandosi in piedi ed abbracciandomi. - Ci vediamo in studio - mi
salutò con un sorriso.
- Certo - acconsentii. - Buone vacanze - lo salutai poi, correndo
giù per le scale. Una volta fuori, alzai lo sguardo verso le
sue finestre e notai che mi stava ancora salutando, quindi gli feci un
cenno del capo e corsi via.
Tardi? Non era affatto tardi. Non c'era nessuno ad aspettarmi, a casa,
e non avevo alcun impegno da cui correre. È che mi sentivo
fuori posto lì, e i suoi occhi vivaci mi facevano male allo
stomaco.
I love him so it hurts.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Certe
volte mi ritrovavo a pensare ai miei sentimenti per il moro e mi dicevo
che non c'era nulla di sbagliato in loro. Dopo tanti anni di amicizia,
quella era solo una nuova svolta, qualcosa che poteva accadere
facilmente e che probabilmente sarebbe accaduta anche senza il bacio.
Pensare in questo modo mi tranquillizzava, perché era come
se qualcuno al di fuori della situazione mi dicesse che tutto andava
bene, che era normale e che non dovevo vergognarmi di me stesso per il
modo in cui mi sentivo. Era bello, sapere che non ero solo un pazzo
rovina-amicizie. Perché non lo ero, giusto?
La settimana dopo passò veloce. Gee era fuori
città e io mi sentivo molto più calmo e
rilassato, nel sapere che non avrei potuto incontrarlo nelle strade. Il
giorno del suo ritorno, comunque, era ormai arrivato. Ci saremmo
incontrati in studio, circa un'ora dopo il suo arrivo in
città, e avremmo provato tutti insieme la cover di cui mi
aveva parlato. Non avevo idea di quale fosse la cover, ma mi fidai di
Gee e mi presentai agli studi di registrazione con la mia chitarra in
spalla, pronto a scatenarmi. Una volta lì scoprii che
sarebbe stata una cosa calma, e che quindi non avrei avuto occasione di
fare urla e versacci nella canzone, ma la cosa non mi
infastidì molto. Come musicista, mi adattavo facilmente. La
prima volta che provammo la canzone eravamo su un palco tutti insieme,
con solo uno o due spettatori - che in realtà erano membri
della casa discografica passati di lì a controllare che non
sfasciassimo niente. Sugli spartiti non c'era scritto il nome del
pezzo, e sembrava che fossimo tutti all'oscuro di tutto, a parte Bob e
Mikey, che dopo le prime note avevano intuito quale brano avremmo
eseguito. Io, invece, brancolavo nel buio e continuavo a lanciare
occhiate disperate a Gee, che mi sorrideva e mi faceva segno di
rilassarmi. Quando il moro cominciò a cantare il ritornello,
capii che pezzo stavamo suonando e mi si riempirono gli occhi di
lacrime. Le ricacciai indietro, abbassando lo sguardo, e continuai a
suonare, come se non fosse successo niente. Che m'importava se avremmo
registrato All I Want For Christmas Is You? Era solo una canzone come
le altre, anche se rappresentava quello che davvero volevo ricevere a
Natale. Solo una stupida canzone, nient'altro. Mi voltai a guardare
Gee, che cantava e si spostava da una parte all'altra del palco con
gesti teatrali. Sorrisi, mio malgrado, e tornai a osservare lo
spartito, facendo scivolare le dita sulle corde. Quando rialzai gli
occhi, Gerard era a pochi passi da me e mi si avvicinava sempre di
più. Pochi secondi dopo, mi scivolò accanto e mi
respirò sul collo, sorridendo. Alzai lo sguardo giusto in
tempo per sentirlo cantare "All I want for Christmas... is you" e
vederlo fare l'occhiolino nella mia direzione con aria scherzosa.
Accadde tutto in un istante. Gli occhi mi si appannarono di lacrime e
saltai giù dal palco, correndo via dalla sala ormai
piangendo. Gli altri rimasero immobili e in silenzio, presi alla
sprovvista, e solo Gerard venne a cercarmi, con gli occhi sgranati e il
cuore che batteva a mille. Mi trovò chiuso in uno sgabuzzino
a singhiozzare, abbracciato alle mie ginocchia e con la chitarra
appoggiata al muro. Aprì la porta lentamente e si sedette
accanto a me, posandomi una mano sulla coscia.
- Frankie - sussurrò. - Frankie, va tutto bene? - Tutto
bene? Tutto bene? Cosa dovrebbe andare bene, Gee? Va tutto di merda,
non vedi?
- Frank... - mi chiamò di nuovo, scuotendo la mano. Gli
voltai la schiena, singhiozzando. Il moro si morse il labbro, ritirando
la mano. - Vuoi parlarne? - chiese con voce soffice. Scossi la testa,
affondando il volto nelle mie ginocchia e cercando di trattenere le
lacrime.
- No... - sussurrai con un filo di voce.
- Frankie... - mormorò nuovamente il moro, fermandosi prima
di terminare la frase. Rimase in silenzio qualche secondo, poi mi
abbracciò e mi strinse a se il più forte
possibile, accarezzandomi la schiena. - Va tutto bene... Ci sono io,
qui. Non lascerò che ti accada niente, va bene? -
cominciò. - Va tutto bene - ripeté, baciandomi la
testa. - Tutto bene -. Mi morsi il labbro, arrossendo, e sorrisi
leggermente. Gerard mi alzò il volto e mi guardò
con aria comprensiva, poi mi asciugò le lacrime e mi strinse
nuovamente a se.
- Oh, Frank... - sussurrò. - Vederti triste fa male, sai?
Vorrei vederti sorridere, ancora una volta. Non so cosa ti faccia
piangere così, ma ti assicuro che non vale le tue lacrime.
Sei una persona fantastica, e non dovresti sentirti così.
Chiunque ti stia facendo soffrire in questo modo è un
coglione e meriterebbe una scarica di pugni in faccia - e qui tacque
per un po'. - Quello che sto cercando di dirti, Frankie, è
che anche se non ti va di parlarmene, la persona che ti tira
così giù di morale non si rende conto del tuo
valore e di quello che si perde - mormorò, baciandomi la
testa. - Sei una persona fantastica, Frank, e non meriti di soffrire
così - concluse, accarezzandomi i capelli e stringendomi
forte. Affondai la faccia nel suo petto, inspirandone l'odore e
sfiorandone la morbidezza, e lo inzuppai con le mie lacrime. Rimanemmo
in silenzio, avvinghiati l'uno all'altro, per un paio di minuti, poi mi
calmai e recuperai un po' di autocontrollo.
- Gee... - lo chiamai.
- Mh? -
- Ti voglio bene - dissi semplicemente, mentre lui mi levava i capelli
dal volto.
- Ti voglio bene anch'io - sorrise lui, liberandomi dall'abbraccio. -
Te la senti di tornare di là? - mi domandò poi,
qualche secondo dopo. Scossi la testa, deglutendo.
- Voglio andare a casa - mormorai con un filo di voce. Gerard
annuì e mi aiutò ad alzarmi, mettendosi sulle
spalle la mia chitarra.
- Ti ci accompagno io - sorrise, stringendomi la mano. Gli lanciai
un'occhiata piena di gratitudine e lui sorrise, facendomi cenno di
avviarmi. - Avviso gli altri e arrivo - spiegò correndo via.
Raggiunsi l'uscita e mi sedetti sui gradini dell'ingresso, prendendomi
la testa tra le mani. Mi sentivo così stupido e impotente,
ma allo stesso felice e rilassato. L'odore di Gee aleggiava dentro la
mia testa, e mi mandava decisamente su di giri. Allo stesso tempo,
però, mi faceva chiudere lo stomaco e mi faceva desiderare
di scappare lontano, da lui e da tutti quanti. Scappare. In fondo era
quello che stavo facendo. Scappavo da Gerard e dai miei sentimenti,
senza neanche mai pensare di tornare indietro e affrontare il moro. A
che pro, poi? Il ragazzo non mi amava, non più di quanto si
ami il proprio migliore amico. Quindi a che sarebbe servito, se non ad
allontanarci ancora di più l'uno dall'altro? No, le cose
sarebbero dovute rimanere così, non importa quanto ci stavo
male. La nostra amicizia era troppo importante perché io la
rovinassi così, innamorandomi di lui. No no, la cosa sarebbe
rimasta nel mio cuore, a meno che non fossi stato sicuro che anche il
moro si sentisse in quel modo, e che quindi non mi avrebbe ripudiato.
Stavo giusto tormentandomi le mani con quei pensieri, quando Gee
tornò e mi allungò una mano con un sorriso. Io la
presi, accennando un grazie, e mi alzai, avviandomi quindi verso casa
mia. Probabilmente scattai più velocemente di quanto
volessi, perché Gerard fu costretto ad aumentare il passo
per raggiungermi. Sorridendo, mi diede una pacca sulla schiena e si
ficcò le mani in tasca, trotterellando al mio fianco.
Rimanemmo in silenzio, sprofondati nelle nostre giacche pesanti e nelle
sciarpe di lana, a camminare verso il mio appartamento, ognuno perso
nei suoi pensieri. Ogni tanto - molto spesso - vedevo il moro girarsi
verso di me, lanciarmi un'occhiata preoccupata e poi rigirarsi dalla
sua parte, a guardare la strada. Ignorai la sua espressione triste e,
con lo stomaco chiuso, abbassai lo sguardo fino a non vedere
più nulla che non fosse vicina ai miei piedi, poi mi lasciai
sfuggire un sospiro silenziosissimo. Alzai gli occhi dopo un po',
giusto per vedere se stavo andando a sbattere contro qualcosa, ma
l'unica cosa su cui potevo posare lo sguardo era il petto di Gerard,
che si era messo davanti a me.
- Uh? Che fai? - domandai cadendo dalle nuvole.
- Cerco di capire che c'è che non va. - rispose lui
squadrandomi.
- Come ti pare - ribattei scrollando le spalle. Gee mi
lanciò uno sguardo severo e mi scosse leggermente il
braccio, senza staccare gli occhi dal mio viso.
- Sul serio, Frank, credo che mi dovresti parlare -
continuò. - Hai visto anche tu che stai male, quindi
perché no? Posso aiutarti, se me ne dai l'occasione. Sai che
voglio solo il meglio per te, Frankie - sussurrò dolcemente,
addolcendo il suo sguardo. Deglutii, abbassando il mio, e mi presi a
torturare le mani, in silenzio. Lui esitò e si morse il
labbro inferiore, poi mi abbracciò.
- Stanotte resto con te - annunciò. - Voglio starti vicino
il più possibile, oggi. Non sia mai che Gerard Way non aiuti
le persone più importanti della sua vita quando ne hanno
bisogno! - scherzò con fare orgoglioso. Sorrisi e ripresi a
camminare, il suo braccio che circondava la mia spalla. In quel
momento, ero improvvisamente contento come non ero mai stato negli
ultimi tempi. Felice. Ero veramente, decisamente felice. E tutto
perché Gee era accanto a me e non se ne sarebbe andato per
nessun motivo.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Arrivammo
a casa intorno alle sei. Guardammo un po' di tv e ci rilassammo per
qualche ora, senza che nessuno di noi accennasse al mio crollo allo
studio. Probabilmente Gerard non voleva sembrare troppo insistente e
voleva darmi un po' di tempo per elaborare la cosa, finché
non fossi stato pronto a parlarne di mia spontanea volontà.
Carino da parte sua. Verso le nove meno dieci circa, ordinammo del
cinese dal ristorante giù all'angolo e aspettammo che ce lo
portassero su, visto che il freddo era troppo pungente per uscire.
Mangiammo seduti sul divano, rubandoci il cibo dal piatto e scherzando
tra di noi, proprio come una coppietta. Ma non m'illusi, tra noi era
sempre stato così. La gente ci aveva sempre detto che
stavamo bene insieme e che avremmo dovuto fidanzarci, ma nessuno di noi
ci aveva mai veramente pensato seriamente. A parte ora, intendo. Tra
noi atti di carineria e dolcezza erano l'ordine del giorno, niente di
nuovo e niente di serio, e così era sempre stato. Certe
volte avevo desiderato di conoscere i veri sentimenti di Gerard, di
capire se quello era davvero solo un gioco per lui, o qualcosa di
più, che non voleva però ammettere a me e a se
stesso. Ormai lo avevo capito, però, quello era e sarebbe
rimasto un gioco.
Mi allungai in avanti e fregai un paio di nuvolette di granchio al
moro, che per tutta risposta s'impossessò di alcuni dei miei
spaghetti fritti, portandoseli velocemente alla bocca. Senza pensarci
troppo, agguantai un fritto e glielo premetti sulle labbra, aspettando
che lui le schiudesse. Il moro aprì la bocca e lo
inghiottì, poi si passò la lingua sulle labbra e
fece una smorfia soddisfatta.
- Come siamo carini oggi - scherzò, facendomi arrossire. -
Nah, scherzo, non preoccuparti - si smentì subito dopo. -
Sei carino quando fai così - aggiunse. Accennai un sorriso
imbarazzato, mentre il cuore mi batteva a mille. Io carino? Pfff, ma
quando mai. Diceva così solo perché avevo pianto
quel pomeriggio, ne ero sicuro. Spostai il mio piatto semivuoto sul
tavolino accanto a me e mi rilassai sul divano, socchiudendo gli occhi.
Gee ingoiò un altro po' di fritti di granchio, poi
seguì il mio esempio. Rimanemmo in silenzio qualche secondo,
poi mi accoccolai sul suo petto e lui prese a giocare coi miei capelli.
- Frankie... - sussurrò. - Ti va di parlare? -
- No.. Sono felice ora - sorrisi, ascoltando il suo corpo andare su e
giù. Lui annuì e mi carezzò la guancia
dolcemente, guardandomi.
- Ti riempirò di coccole stasera, tesoro -
mormorò con una smorfia scherzosa.
- Oh, grazie, honey - ribattei. Lui ridacchiò e strinse il
mio viso contro il suo petto, baciandomi la testa.
- Vediamoci un bel film, va bene? - propose. Annuii, riempiendomi i
polmoni del suo odore e sorridendo come un idiota. - Che vuoi vedere? -
chiese lui, allungando il collo verso i DVD.
- Quello che c'è nel lettore - risposi, temendo di dovermi
staccare dal suo corpo.
- D'accordo - acconsentì, accendendo la tv. - The Rocky
Horror Picture Show.. - commentò. - Grande! -. Annuii di
nuovo, mentre il moro faceva partire il film. Rimanemmo in silenzio per
un po' a fissare lo schermo, benché avessimo visto quel film
migliaia di volte ormai. Dopo un po', Gerard spostò la sua
mano dal mio viso al divano, facendo attenzione a non disturbarmi.
- Ti do fastidio? - domandai ansioso, alzando il volto verso di lui.
- Non preoccuparti - sorrise il moro, tranquillo. - Il tuo calore
è piacevole con questo freddo - aggiunse, scrollandomi
dolcemente la spalla. Gli lanciai uno sguardo pieno di gratitudine e
tornai a ascoltarlo respirare. Chiusi gli occhi, felice, e aspettai che
i nostri respiri si fondessero l'uno con l'altro, fino a diventare una
melodia impercettibile ma dolce, bella. Proprio come Gerard. Era
innegabile che lui fosse bello, attraente, sia che tu fossi un maschio
o una ragazza, ma questa sua bellezza era nascosta dalle occhiaie e dal
trucco pesante, nonché dalla sua dipendenza dall'alcool. La
maggior parte della gente si fermava troppo su questi dettagli e sul
fatto che fosse un po' rotondetto, quindi i suoi ammiratori si
limitavano alla cerchia di fan sempre più vasta che ci
seguiva. Tanto meglio per me, ci sarebbe stata meno concorrenza. Scossi
la testa, alzando gli occhi al cielo e affondando il volto nel petto di
Gee. Lui era perso nel film, quindi non se ne accorse neanche, quando
le mia labbra lo sfiorarono. Gli accarezzai delicatamente la pancia,
con un tocco quasi impercettibile, e socchiusi gli occhi un'altra
volta. Il moro si spostò un po' indietro, sistemandosi il
cuscino dietro la schiena e stiracchiandosi.
- Stai scomodo? - domandai sfiorandogli il volto con un dito.
- Nah, tranquillo. Avevo solo una penna conficcata nella coscia -
sorrise lui, tornando ad abbracciarmi. Arrossii e lo strinsi a mia
volta, accoccolandomi tra le sue braccia e respirando il suo odore.
Chiusi nuovamente gli occhi, per la tremillesima volta, e sbadigliai
sofficemente. Gee rise ammorbidito e mi strofinò i capelli.
- Qualcuno si addormenterà prima della fine del film. E
indovina un po', per una volta quel qualcuno non sono io -
scherzò. Mugugnai qualcosa, e lo sentii sorridere. Sapevo
che aveva ragione, perché stavo morendo di sonno e mi
addormentai pochi minuti dopo. Bel modo di dare il benvenuto al mondo
dei sogni, però. Passavo dal mio sogno in carne e ossa al
mio sogno versione immaginaria, come se non avessi mai smesso di
dormire per un solo istante. Oh, Gee, se solo sapessi che effetto mi
fai. Quando sto con te, mi sembra di camminare sulle nuvole.
Chissà come sarebbe se anche tu ti sentissi così?
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. ***
Mi
svegliai verso le dieci, nel letto matrimoniale che uso quando qualcuno
viene a trovarmi. Ero abbracciato al moro e sentivo il suo respiro sul
collo. Aprii gli occhi lentamente e mi guardai intorno. Gerard mi aveva
portato sul lettone e mi aveva messo una coperta di lana addosso, poi
si era sdraiato accanto a me e io mi ero appiccicato al suo braccio
come fosse un peluche di quando ero piccolo. Aggrottai le sopracciglia,
notando che non c'erano lattine vuote vicino al moro. Che il cantante
avesse smesso di bere prima di dormire..? Sperai vivamente di
sì e tornai ad osservarlo. Dormiva beato, la bocca
semiaperta e i capelli arruffati, e un lieve russare proveniva dal suo
corpo tiepido. Lo strinsi a me, inalando il mio odore mischiato al suo
e arrossendo felice. Cazzo, com'era bello svegliarsi accanto a lui. Un
piacevole calore mi avvolse lo stomaco e io chiusi gli occhi,
godendomelo fino in fondo e scivolando nuovamente nel mondo dei sogni.
Mi
svegliai nuovamente qualche ora dopo. Il posto accanto a me era vuoto
ma non completamente freddo, quindi Gerard si era alzato da poco. Mi
tirai a sedere e sbadigliai, stiracchiandomi. Ancora mezzo
addormentato, mi alzai e agguantai un paio di pantaloni e una maglietta
pulita, quindi li indossai e andai in cucina. Il moro era in piedi
davanti ai fornelli, intendo a prepararsi un caffè.
-
Ce n'è abbastanza anche per me? - domandai con voce
impastata dal sonno, facendolo sussultare.
-
Assolutamente sì, Frankie - sorrise il ragazzo,
avvicinandomisi. - È per te che l'ho fatto -
precisò gentilmente, facendomi l'occhiolino. Poi si
girò di nuovo verso la macchinetta, mentre l'odore forte del
caffè riempiva la stanza e io prendevo posto al tavolo.
-
Hai programmi per oggi? Torniamo in studio? - chiesi giocherellando con
una penna.
-
Mah, onestamente non credo. Ho un appuntamento importante a cui non
posso mancare, e poi tu non sei nelle condizioni adatte -
osservò aggrottando la fronte.
-
Come vuoi - acconsentii, posando l'oggetto. Gerard sorrise e spense la
macchinetta, poi agguantò due tazze e mi raggiunse.
Riempì di caffè le due tazze e mi
passò latte e zucchero.
-
Tu non ne vuoi? - domandai, lanciando uno sguardo insicuro alla sua
bevanda.
-
I like my coffee black, just like my metal - sorrise lui con una
smorfia.
-
Carina, come frase - commentai portandomi la tazza alle labbra. - Da
dove l'hai presa? -
-
Davvero credi che sia così poco creativo da non poterla
creare io, una cosa del genere? - ribatté lui,
apparentemente amareggiato.
-
E che ne so io, magari l'avevi sentita in qualche telefilm o
giù di lì - mi parai il culo, scrollando le
spalle e sperando di non averlo offeso.
-
Comunque hai ragione, non l'ho pensata io. L'ho fregata da una canzone
dei Mindless Self Ildungence, non so se li conosci.. - fece, alzando un
sopracciglio. Scossi la testa, con occhi vacui. - Capisco.. Be', non li
conosce quasi nessuno, quindi. Ad ogni modo, tu invece hai programmi
per oggi? - domandò.
-
In realtà no - ammisi, sperando che al moro non andasse di
presentarsi all'appuntamento e che quindi avrebbe proposto di restare a
farmi compagnia.
-
Capisco.. Be', credo che anche Ray sia libero oggi. Perché
non fate qualcosa assieme? - Buco nell'acqua. Gerard non aveva
intenzione di rinunciare all'appuntamento per stare con me.
-
Sì, bella idea, lo chiamerò - buttai
lì, senza aver realmente intenzione di farlo.
-
Forte! - commentò Gee, sfoggiando un sorriso a trentadue
denti. - Hanno aperto un nuovo negozio di videogames, magari potresti
andarci con lui - suggerì. Deglutii, abbassando lo sguardo.
Gli avevo proposto io di andare lì insieme a dare
un'occhiata, ma lui se n'era scordato completamente.
-
Già, è vero.. Poi vedo se andarci, okay? -
replicai con meno entusiasmo, finendo di bere il caffè.
-
Alla grande - esclamò il moro. - Mi sarebbe piaciuto
andarci, sai? - aggiunse poi con un sospiro.
-
Uhm. Vuol dire che aspetterò e ci andremo insieme -
mormorai. - Ti va? -
-
Eccome se mi va - sorrise nuovamente Gerard. - Ti ho praticamente
obbligato a chiedermelo - rise.
-
Infatti sì, stronzo che non sei altro! - ribattei. - Ma fa
niente, perché mi stai simpatico - gli concessi, facendogli
l'occhiolino.
-
Ne sono onorato - scherzò lui. Poi mi alzai e portai le
nostre tazze nel lavandino, facendo scorrere un po' l'acqua.
-
A che ora hai l'appuntamento? - domandai, fingendomi disinteressato.
-
Tra un'ora, ma il posto è abbastanza lontano. Me ne vado fra
poco - rispose lui, mettendosi una sigaretta in bocca e accendendosela.
Diede un tiro e soffiò il fumo verso l'alto, mentre io mi
avvicinavo.
-
Vuoi? - mi chiese, allungandomi la sigaretta.
-
Perché no? - commentai portandomela alle labbra. Inspirai
profondamente, poi soffiai il fumo in faccia a Gee.
-
E questo per che cos'era? - scherzò il moro.
-
Boh, mi andava di farlo - risposi scrollando le spalle.
-
Scemo - ridacchiò Gerard alzando gli occhi al cielo. - E io
che ti volevo regalare tutto il pacchetto! -
-
Serio? Da' qua! - esclamai, allungando la mano verso il ragazzo e
scuotendola lievemente.
-
Eh no, mò ti attacchi! - ribatté lui, divertito.
-
Che stronzo che sei - risi, scrollando la testa.
-
Lo so, ma mi piaccio così - sorrise lui, chiudendo gli occhi
e dando un altro tiro alla sigaretta. Poi si alzò in piedi e
mi mise una mano sulla spalla, respirandomi in faccia.
-
Ora siamo pari - annunciò quindi.
-
Ma che sei, un bambino? - scherzai, scuotendo lievemente la testa e
atteggiandomi un po' da adulto.
-
Parla lui - ribatté il moro, alzando un sopracciglio.
-
Colpito e affondato - ammisi alzando le mani. - Forse faresti meglio ad
andare - dissi poi, guardando l'orologio.
-
Già, hai ragione. Vabbè, se ti serve qualcosa hai
il mio numero e il numero di emergenza. Cerca di stare meglio, mi
raccomando. Ti voglio bene - sorrise, abbracciandomi. Sorrisi a mia
volta, stringendolo forte.
-
Lo so. Grazie Gee - sussurrai, lasciandolo andare. Lui annuì
e si avviò verso la porta, fermandosi lì davanti.
-
Ci sentiamo stasera. Farai meglio a divertirti un po', o sarai
costretto ad avermi tra i piedi un'altra notte - mi
'minacciò', salutandomi e scomparendo nel buio del corridoio.
Il
pomeriggio passò lentamente. Uscii a comprare dei dolci e
del gelato e passai il tempo davanti alla tv, a guardare e riguardare
tutti quei telefilm che parlano di giovani innamorate e non corrisposte
che cercano inutilmente di far innamorare i bellocci di turno di loro;
le quali normalmente sono gnocche con gli occhiali o sfigate assurde a
cui basta sciogliere i capelli per far arrapare mezza scuola. E me, ma
fa niente. Più che arraparmi, quelle tipe mi attiravano. Mi
attirava il loro mistero, il loro volto da ragazze acqua e sapone, il
loro modo di fare gentile. Che poi avessero due tette così
non mi interessava più di tanto, anzi. Le tette te le puoi
anche rifare e sbandierarle al vento, ma alla fine se non lasci che gli
altri te le tocchino non servono a niente. Meglio toccare che vedere,
giusto? Ad ogni modo, spesi il mio pomeriggio a guardare stronzate
sdolcinate in tv e a farmi film mentali su come dichiararmi a Gerard.
Nessuno dei mille e cinquecento modi pensati mi soddisfaceva,
però, quindi decisi che se mai glielo avessi confessato,
sarebbe stata una cosa sentimentale, detta così, sul
momento, e non pensata dopo una giornata passata a guardare programmi
per ragazzine ormonali in via di sviluppo. No, sarebbe dovuto essere un
discorso che arrivava dritto dal mio cuore, ma sempre abbastanza
semplice da non sembrare premeditato. Avevo qualche dubbio sul fatto
che glielo avrei detto, ma vabbè, perché no?
Sebbene mi fossi prefissato di non illudermi, quella serata mi era
sembrata più che amichevole, e le coccole che mi aveva fatto
il moro mi erano parse decisamente più intime di quelle che
si fanno a un comune amico, per quanto caro lui possa essere. Quei
fatti, quindi, mi avevano dato speranza, molta speranza. Probabilmente
era anche il cioccolato che parlava, ma mi sembrava di sentirmi davvero
molto meglio rispetto al giorno prima, e che forse Gee poteva davvero
ricambiarmi senza ridere in faccia ai miei sentimenti.
Chissà, magari.. magari sarebbe stato lui a confessarsi, a
dirmi che desiderava che fossi più di un amico per lui.
Arrossii, mentre una sensazione di calore mi avvolgeva lo stomaco.
Diavolo, sarebbe stato fantastico.
Avete
mai amato qualcuno al punto che perfino farvi sputare addosso da lui
sembra meraviglioso? No? Be', io sì, e questa cosa mi sta
tirando pazzo. Ogni volta che posa il suo sguardo su di me, ogni volta
che pronuncia il mio nome, mi sento esplodere, sciogliere dentro. A
volte desidero che questi sentimenti non finiscano mai, ma altre vorrei
semplicemente morire e smettere di soffrire. Mi sembra di stare
all'inferno, e che l'unica salvezza per me sia evaderne e scappare
lontano, in paradiso. Peccato che mi sia innamorato di satana, e che
sia costretto a rimanere qui per l'eternità, ad ammirare i
suoi capelli corvini e i suoi occhi scuri, profondi come l'oceano.
Oh
Gerard, mi fai bruciare il cuore.
Dopo
aver buttato il mio pomeriggio in maniera inutile, decisi di smetterla
di deprimermi pensando al moro e di andare a fare una passeggiata.
Agguantai un giacchetto e le chiavi di casa, quindi uscii e mi sbattei
la porta alle spalle. Essendo sera e facendo un freddo porco, le strade
erano pressappoco deserte, ed erano pochi gli individui che sfidavano
l'inverno per andare a fare due passi o anche solo per scendere a
comprare una birra. Non incontrai nessuno che conoscevo, quindi mi
tranquillizzai e mi infilai le cuffie, evadendo dal mondo circostante.
I miei passi risuonavano leggermente sul marciapiede, e potevo sentirli
tra una canzone e l'altra. ‘‘Cavolo, è
proprio vero che a quest'ora dormono tutti.’’
osservai con una smorfia, notando i negozi chiusi e i ristoranti vuoti.
‘‘Sta a vedere che stasera c'è qualche
evento super interessante e super figo a cui non sono stato invitato..
Come al solito, del resto.’’ aggiunsi amareggiato.
La gente del luogo diffidava di me, perché ero una star,
perché indossavo sempre magliette di gruppi che osavano
ribellarsi al sistema, perché mi piaceva bere. Ci sono tanti
perché, potrei continuare a elencarli per ore, ma non ne
vale la pena. Anche se mi avessero invitato da qualche parte, dubito
che ci sarei andato. Era questione di principio, più che
altro. Non ero inferiore a nessuno, quindi perché ero sempre
costretto a rimanere da solo? Perché ogni volta che mi
innamoravo non me ne andava bene una? Perché ogni cosa
doveva andarmi maledettamente male, quando tutti gli altri non facevano
che vantarsi della loro vita e dei loro successi? Fanculo. Questa
è una città del cazzo piena di gente del cazzo, e
non vedo l'ora di andarmene. Non c'era giorno in cui non lo pensassi, e
la cosa mi faceva imbestialire. Sono sempre stato carino, gentile, una
cazzo di femminuccia, ma la gente non faceva altro che darmi contro per
ogni minima cosa, quando invece a loro non si poteva dir niente. Quella
città mi opprimeva, mi faceva sentire solo e indesiderato,
un inutile peso per la comunità. Non ne avevo mai proferito
parola con nessuno, ma certe volte quelle grandi vie piene di persone
mi deprimevano e mi facevano venir voglia di scappare lontano, dove
nessuno avrebbe mai potuto trovarmi e dove avrei potuto vivere felice,
con la mia musica e la mia chitarra, isolato dal mondo e dai problemi
di tutti i giorni. Avrei imparato a distinguere le erbe buone da quelle
cattive, e avrei vissuto da solo, in compagnia di qualche capra e un
bel cagnone da guardia, di quelli grossi e pelosi che tanto mi
piacciono. Un cane. Già, sì, perché
no, avrei preso un cane. Mi piacciono i cani, sono fedeli e affettuosi,
e soprattutto non ti fanno sentire mai indesiderato, cosa che invece mi
capitava più che spesso. Diciamo che era anche un po' colpa
mia, se stavo sempre da solo: se non sorridi non attiri nessuno. E' che
quella città mi levava la voglia di vivere e sorridere,
seriamente. L'unica via di fuga era la musica, e lo era sempre stata,
fino al giorno in cui conobbi Gerard. Un ragazzo cicciotto con una
grande passione per il disegno, anche lui solo come me. Siamo diventati
amici in men che non si dica, vista la situazione in cui ci trovavamo
entrambi, e posso tranquillamente dire che fin dall'inizio sapevo di
poter contare su di lui in qualsiasi momento. Anche quando non lo
conoscevo, lo conoscevo già. È difficile da
spiegare, ma sono totalmente convinto che Gerard Way sia il mio
gemello, l'altra metà del mio corpo, una benedizione in
terra per farla breve. Ora che ci penso, fin dall'inizio avevo provato
qualcosa di più grande di semplice amicizia e fiducia nei
suoi confronti, e anche se non lo avevo mai notato, probabilmente i
miei sentimenti erano sempre stati questi qui. In fondo era destino che
succedesse: ho sempre tenuto a Gee più della mia stessa
vita; o per dire meglio, lui era la mia vita. Tutto ciò che
mi era capitato - suonare in una band, trovare degli amici di cui
fidarmi, vedere dal vivo i miei idoli.. tutto era successo grazie a
Gerard, grazie al suo continuo essere carico e stimolante, grazie al
suo impegno sovrumano. Tutta la mia felicità l'ho sempre
dovuta a lui, anche se ora soffro come un cane. Lui c'è
sempre stato per me, e so che ci sarà sempre. Dovevo solo
imparare a domare le mie dannate emozioni e sarei stato di nuovo bene.
Gee non avrebbe permesso che soffrissi, potete scommetterci. In quel
momento, era l'unica persona che riuscisse a farmi sentire qualcosa, e
credo che lo avesse capito pure lui. Fu per quello che non mi diedi per
vinto e decisi di lottare per lui.
Signore
e signori, Frank Iero non si arrende così facilmente.
Tenetelo
a mente.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. ***
Il
giorno di Natale arrivò presto.
Gerard
si fece sentire quasi tutti i giorni, anche se negli ultimi tempi aveva
avuto molto da fare. Mi aveva detto qualcosa al riguardo, una sera, ma
io ero troppo ammaliato dai suoi occhi per poterlo ascoltare. Lui
sorrideva, quindi avevo dato per scontato che fosse una cosa bella e
avevo sorriso, senza in realtà aver capito un cazzo. Lui non
rivangò la cosa, comunque, quindi pensai che non fosse stata
un'informazione importante e mi godetti la frizzante allegria di Gee.
Non
accadde niente di particolarmente importante prima del giorno di
Natale, quindi pensavo di sorvolare tutte quelle noiose giornate
passate a suonare o a guardare la tv, visto che tutti sembravano avere
impegni, e di raccontarvi direttamente del ‘‘Giorno
X’’.
Mi
svegliai presto, verso le sette e mezza, per prepararmi. Sbadigliando,
controllai lo stato dei miei capelli e con una smorfia insoddisfatta
realizzai che facevano schifo. Forse pensate che a me non importi
niente del mio aspetto, ma non è così. Non del
tutto, almeno. A ognuno interessa l'aria che ha quando esce, sotto
sotto, anche se si tende a non ammetterlo per paura di essere giudicati
vuoti, vanitosi. Per me era abbastanza importante sapere che i miei
capelli non sembravano quelli di uno spaventapasseri, visto che speravo
sempre che Gee mi notasse. Sono una ragazzina troppo innamorata per
nasconderlo, che volete farci? Ad ogni modo, agguantai degli
asciugamani ed entrai in bagno, controllando di avere tutto il
necessario e aprendo l'acqua. Mi levai il pigiama e rimasi qualche
decina di secondi a rimirarmi allo specchio.
‘‘Cazzo, quanto sono magro..’’
osservai, tastandomi lo stomaco. ‘‘Sento
addirittura le costole.’’ aggiunsi sconsolato.
Odiavo essere così magro, perché quando camminavo
al fianco di Gee lo facevo sembrare molto più grasso di
quanto non fosse in realtà, e forse lui ci stava male. O
forse mi facevo troppe seghe mentali e a lui non fregava un beneamato
cazzo di non essere esattamente scheletrico. Scossi la testa
leggermente, poi aprii l'anta della doccia e scivolai dentro,
rabbrividendo a causa dell'acqua ancora tiepida. Sistemai la
temperatura e aspettai che si scaldasse, prima di sistemarmi sotto il
getto e godermi gli schizzi d'acqua bollente che mi arrivavano in
faccia. Chiusi gli occhi, mentre il vapore risvegliava tutti i miei
sensi e i pensieri mi affollavano la mente. Decisi di ignorarli e mi
concentrai sulla sensazione di appagamento che ricevevo ogni volta che
una goccia calda mi correva dal petto fino alle caviglie, accarezzando
il mio corpo nudo. Cristo, certe volte bastava davvero poco per farmi
felice, e in quella mattinata gelida una doccia calda era proprio
quello che ci voleva. Buttai la testa all'indietro, alla ricerca di un
po' di fresco, poi mi piegai e raccolsi lo shampoo. Spostai il getto
della doccia e m'insaponai i capelli, riempiendomi le narici del buon
odore emanato dal flacone colorato. Frutta mista. A Gerard piaceva, la
frutta, e pure a me. Più che altro mi piaceva la scatola del
prodotto, ricoperta di disegni e colori sgargianti, foto di fragole,
mirtilli e bacche varie. Anche se da come mi vesto non si vede, mi
piacciono le cose colorate - mi tirano su di morale. Sono un tipo
strano, uh?
Mi
sciacquai la testa e mi insaponai nuovamente, raccattando il
bagnoschiuma e spargendolo lungo il mio corpo. Mi sistemai sotto il
getto d'acqua bollente e finii di lavarmi, rilassato. Dopo due o tre
minuti spensi l'acqua e aprii l'anta della doccia, mentre il vapore
s'insediava nella stanza e faceva appannare lo specchio. Rabbrividii e
mi abbracciai lo stomaco, agguantando un asciugamano. Ne presi un altro
e mi ci asciugai i capelli, per evitare che continuassero a gocciolare
in giro. Riadattandomi alla temperatura tiepida di casa mia, mi legai
l'asciugano alla vita e uscii dal bagno, determinato a chiudere la
finestra che avevo dimenticato di chiudere prima di lavarmi. Nel
toccare la manopola mi venne la pelle d'oca e ricominciai a sentir
freddo. Tornai velocemente in bagno e finii di asciugarmi, poi andai in
camera e raccattai un paio di boxer. Li indossai e scelsi i vestiti per
la giornata, indossandoli subito dopo. Visto che dovevo andare da Gee,
mi vestii in modo abbastanza normale, anche se sopra i jeans evitai di
mettere una maglietta con sopra teschi o chessoio. Mi allacciai le
scarpe e diedi un'occhiata all'orologio: le otto e quaranta.
‘‘Non ci ho messo poi così
tanto.’’ constatai alzandomi dal letto. Mi diressi
verso l'armadio e tirai fuori degli oggetti, che poi posai sul tavolino
in soggiorno, accanto a della carta da pacchi e un paio di forbici.
Feci un respiro profondo e mi sedetti, cominciando a incartare i regali.
Finii
verso le dieci, grazie alla mia indubbia velocità e a tre
pause sigarette. Ero piuttosto compiaciuto del mio lavoro, considerato
che ero negato per queste cose. Misi i regali in una busta extra-large
e posai il tutto vicino alla porta, per evitare di dimenticarmene.
Rimisi a posto la stanza - o meglio ancora, buttai tutto nell'angolo, e
mi spaparanzai sul divano, facendo cadere la testa sui cuscini.
Profumavano ancora di Gee, e la cosa mi mandò in estasi.
Rimasi lì a fissare il vuoto per una decina di minuti, poi
decisi che era ora di andare e mi alzai. Mi infilai una giacca e i
guanti che mi aveva regalato Gee, quelli con le ossa di scheletro che
mi piacevano tanto e che, soprattutto, tenevano un caldo della Madonna,
pur essendo senza dita. Agguantai la sacca e uscii da casa, chiudendo a
chiave la porta. M'infilai le chiavi in tasca e mi incamminai verso
l'ascensore, sbuffando a causa del peso dei regali. Cinque minuti
più tardi ero già per strada, a congelarmi la
faccia. Faceva particolarmente freddo, quel giorno, e la condensa del
mio fiato era enorme. Rabbrividii e mi strinsi nella mia giacca,
velocizzando il passo. Poi però rallentai, ricordandomi che
ero decisamente in anticipo. Scossi la testa e mi diedi un'occhiata
attorno, per vedere se c'era un negozio aperto in cui intrufolarsi. Per
mia fortuna un negozietto di roba artigianale stava aprendo, quindi
attraversai la strada e lo raggiunsi, fiondandomici dentro. Mi guardai
in giro fingendo di cercare qualcosa, in modo da non venir cacciato
fuori dopo due minuti dal commesso, che aveva intuito che non avrei
comprato niente di niente.
-
Fa freddo, eh, caro? - domandò una voce alle mie spalle. Io
sobbalzai, girandomi di scatto. Una signora anziana, probabilmente la
proprietaria del negozio, era seduta al bancone e fissava con
malinconia le strade deserte, sospirando. Non mi ero nemmeno accorto
del suo arrivo, e sicuramente lei lo aveva intuito. - Lavoro qui da
tanti anni, ormai, ed è sempre così a Natale..
Tutti dai parenti, tutti dagli amici, e nessuno che viene a fare visita
a una vecchia come me.. - poi si voltò a guardarmi.
-
E tu? Come mai sei qui? - domandò con aria stanca.
-
Io? Uhh - esitai un attimo. - Sto.. sto cercando un regalo per un
amico, e mi chiedevo se avessi potuto trovare qualcosa qui - buttai
lì, sapendo di essere stato sgamato.
-
Beh, carino da parte tua. Per chi è? - chiese ancora.
-
Per un caro amico a cui tengo veramente tanto. - risposi io, dando uno
sguardo alla merce in esposizione.
-
Capisco.. - mormorò lei, persa nei suoi pensieri. Io annuii,
senza cercare di continuare la conversazione - anche perché
non avevo intenzione di comprar niente. Girovagai tra gli scaffali per
un'altra decina di minuti circa, poi finsi di ricevere un messaggio e
me ne andai.
-
Buon Natale, signora. - feci con un cenno del capo.
-
Anche a te, figliolo, anche a te. -
Una
volta uscito da quel piccolo locale, l'aria pungente della mia
città mi sembrava più fredda di quella del Polo
Nord, quindi controllai l'orologio e decisi di andare da Gee. Mi
sgranchii le mani e ripresi a camminare, la busta che sembrava sempre
più pesante passo dopo passo. Aumentai la
velocità e arrivai sotto casa del moro dopo quaranta -
quarantacinque minuti. Ripresi fiato e mi fumai una sigaretta, poi
citofonai e aspettai che Gee venisse ad aprire.
-
Chi è? - fece il ragazzo, la voce resa più
metallica dall'apparecchio elettronico.
-
Ehy. Sono io, Frank. - risposi io, sorridendo tra me e me.
-
Oh, Frankie! Aspetta, ora ti apro! - esclamò con voce
radiante. Dopo cinque secondi il portone si aprì e io mi
feci a piedi le poche rampe di scale che conducevano all'abitazione del
moro, ansimando lievemente per il peso dei pacchi. Arrivato davanti
alla sua porta, non feci neanche in tempo a bussare che lui mi
aprì, invitandomi a entrare con un sorriso a trentadue
denti. Lo ringraziai e lo salutai, posando la mia giacca insieme alla
sua e a quella di Mikey.
-
Sei il primo ad arrivare. - mi informò Gee, prendendo la
busta e posandola nell'angolo. - Fa molto freddo? -
-
Si crepa. - risposi io, levandomi i guanti. Lui sorrise, avviandosi in
sala. Trotterellai dietro di lui, guardandomi attorno. Tutto
l'appartamento era addobbato, e un'enorme tavola imbandita faceva la
sua porca figura nel bel mezzo della sala. Mi lasciai sfuggire
un'esclamazione di stupore e ammirazione, e Gerard non se la perse.
-
Carino, eh? Ci ho messo ere a preparare tutto. - gongolò
orgoglioso.
-
Potevi anche chiamarmi, chissà quanto avrai faticato. -
obiettai, fissando le decorazioni minuziosamente attaccate ai mobili.
-
Nah, non ti preoccupare. Non mi andava di sfruttarti pure il giorno di
Natale. - ridacchiò lui, stiracchiandosi e sedendosi sul
sofà. Seguii il suo esempio, rilassando le mie gambe
doloranti e sospirando tranquillamente.
-
E Mikey? - domandai.
-
Boh. Dovrebbe arrivare dopo con Ray, o qualcosa del genere. - rispose
lui, annoiato.
-
Oh. Quindi siamo solo noi due? -
-
Già. Che c'è, ti dispiace? - scherzò
il moro.
-
Ma che dici! - sbottai, arrossendo abbastanza visibilmente.
-
Scherzavo, scherzavo. Lo so che ti piaccio, sennò non
saremmo amici. - sorrise lui.
-
Cretino - mormorai alzando gli occhi al cielo.
-
Sono anni che continui a ripetermelo. - commentò Gee,
chiudendo gli occhi e posando la testa all'indietro.
-
È la sacrosanta verità. Gerard Way sei un
cretino! - ripetei con una finta aria stanca. Lui sorrise placidamente
e appoggiò la testa contro la mia spalla. Per fortuna aveva
gli occhi chiusi, perché io ero rosso come l'inferno.
-
Ho un sonno della madonna.. - sbadigliò il ragazzo,
passandosi una mano sul volto.
-
Dormi. Ci penso io agli ospiti. - lo tranquillizzai.
-
Grazie mille. Ti voglio bene. - fece lui, grato.
-
Ti voglio bene anch'io. - sussurrai, chiudendo gli occhi e sentendo il
suo respiro tiepido sulla spalla. Un sorriso idiota mi si
stampò sulla faccia e mi lasciai scappare un sospiro
soddisfatto, mentre mi voltavo a osservare la pelle candida del moro,
così delicata e morbida in confronto ai suoi capelli corvini
e ribelli. Avrei voluto urlare da quanto era carino, ma mi trattenni e
rimasi a guardarlo finché non sentii qualcuno bussare
ripetutamente alla porta. Con malavoglia mi alzai e andai ad aprire,
per ritrovarmi davanti un Mikey sorridente e pieno di pacchetti.
-
Frank! Ciao! - esclamò al settimo cielo. - Da quanto non ci
si vede! -
-
Da qualche settimana, in effetti - constatai io, stupendomene.
-
Sembra molto di meno. - commentò il ragazzo, posando i
pacchetti accanto ai miei.
-
Dov'è Gerard? - domandò poi, guardandosi intorno.
-
È di là che dorme. - lo informai. - È
meglio non svegliarlo, ha lavorato molto. - aggiunsi. Mikey
annuì comprensivo e si avviò silenziosamente
verso la cucina.
-
Del cibo mi occupo io. - mi spiegò. - Non sono un asso in
cucina, ma sicuramente sono meglio di voi. - ridacchiò
allegro. Come dargli torto?
-
Comunque ho ordinato qualcosa dal cinese, quindi se quello che preparo
fa schifo abbiamo un piano di riserva. - sorrise.
-
Daje! - annuii, soddisfatto. Poi lo lasciai lavorare e andai ad aprire
agli altri ospiti, che pian piano cominciavano ad arrivare.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. ***
Dopo
una mezz'oretta circa, eravamo tutti riuniti in salotto a
chiacchierare, mentre Mikey si lanciava nel suo famoso "Tacchino alla
Way". Sperai che fosse qualcosa di commestibile, ma il pensiero del
cinese mi tranquillizzava, quindi non feci commenti. C'era un'atmosfera
piuttosto rilassata, anche se riuscivo ad avvertire un po' di tensione,
probabilmente dovuta al fatto che Gerard era già alla sua
seconda birra e mezzo.
-
Vacci piano, ubriacone! - lo ammonì scherzosamente Ray,
dandogli una pacca sulla spalla.
-
Non ti preoccupare, sono capace di regolarmi - ribatté il
moro, con una smorfia soddisfatta dipinta sulla faccia.
All'affermazione, tutti i presenti scoppiarono a ridere all'unisono,
come a dimostrare quanto Gee si sbagliasse e come non sapesse
assolutamente regolarsi.
-
Oh, ma andate a fanculo, stronzi! - sbottò quello,
fingendosi offeso ma finendo col ridere pure lui.
-
Dovresti farti vedere da qualcuno, o finirai col bere tutto l'alcol di
questo mondo - scherzò Bob, facendogli l'occhiolino. - E a
quel punto con cosa cucina Mikey? -. Gerard rise di gusto, con quella
sua risata pura e cristallina che tanto amavo. Si coprì la
bocca col dorso della mano e cercò di trattenersi, riducendo
le risate in fievoli versi acuti e carini.
-
Sei un coglione, Bryar! - lo apostrofò, mentre respirava
affannosamente a causa delle risa prolungate.
-
Senti chi parla - ribatté quello, punzecchiandolo con un
dito.
-
Oh, fanculo! - scattò il moro, scuotendo la testa e
mordendosi le labbra nel tentativo di sembrare incazzato. Ridemmo un
altro po', poi Ray si avvicinò alla finestra.
-
Che guardi? - gli domandò Bob dopo qualche minuto di
silenzio.
-
Nevica - osservò il chitarrista. Ci avvicinammo anche noi, e
potemmo scorgere dal vetro dei piccoli fiocchi ghiacciati che
volteavano dolcemente nel cielo grigio, ricoprendo sofficemente le auto
parcheggiate lungo il boulevard.
-
Bello - commentò Gerard, appiattendo il naso contro il vetro
e cercando di vedere più cose possibile. - Andiamo a fare a
palle di neve? - propose, con gli occhi che gli brillavano.
-
A me sta bene - fece il biondo, voltandosi a guardare Toro. - Tu che
dici? -
-
Uh? Per me è okay, andiamo - rispose quello, cadendo dalle
nuvole.
-
E tu, Frank? Ti va? -
Sospirai
silenziosamente. Non mi andava di guastargli la festa, ma stavo
crepando di freddo e l'idea di uscire mi faceva accapponare la pelle.
-
Allora? - ripeté il biondo, alzando le sopracciglia.
-
Be', ecco, in realtà io sto morendo di freddo, quindi.. -
mormorai imbarazzato, massaggiandomi il collo. Il viso di Gerard si
rabbuiò e il ragazzo abbassò lo sguardo,
annuendo. Mi sentii improvvisamente in colpa e cercai di smentire
tutto, pur di far andar via quella brutta sensazione che mi
attanagliava lo stomaco.
-
Vabbè dai, fa niente, vengo lo stesso! - esclamai, con
un'espressione colpevole dipinta sul volto. - Basta che mi diate
un'altra giacca più pesante, così non muoio
assiderato - scherzai.
-
Te la do io, la giacca! - rispose Gee, scattando verso l'armadio. -
Ecco, tieni - mormorò poi con un sorriso, porgendomi un
cappotto scuro. Lo ringraziai e lui sorrise, mettendosi un paio di
guanti.
-
Diavolo, è da un sacco di tempo che non faccio a palle di
neve! - commentò preso dall'eccitazione.
-
Già, - commentò Ray. - mi mancava, quella roba
bianca -
Annuii,
senza davvero condividere quello che aveva detto il ragazzo. Ero troppo
intirizzito per esprimere apprezzamenti verso la causa di tutto quel
freddo, e onestamente non avevo neanche fatto troppo caso a quella
coperta bianca che copriva la città. Continuavo a cambiare
umore - anche se nessuno se ne accorgeva - e avrei preferito di gran
lunga stare a casa a cucinare che andare fuori e beccarmi una manata di
ghiaccio giù per la schiena; ma non feci pesare la cosa e
indossai il cappotto. Feci un respiro profondo e rincorsi i ragazzi
giù per le scale, rallentando al momento di uscire. Non
riuscivo a vederli, ma ero sicurissimo che stessero dietro al portone
della palazzina, quindi lanciai il berretto e aspettai di vederlo
finire bombardato da una raffica di palle di neve. A mia sorpresa,
però, non successe niente, così decisi di farmi
avanti e uscire allo scoperto. I fiocchi cadevano copiosi e i miei
passi risuonavano in modo ovattato lungo il viale, completamente
bianco. Cominciai a camminare, circondato da quella quiete irreale, e
mi domandai dove fossero finiti i ragazzi. Che si stessero nascondendo
era sicuro, ma dove? M'inginocchiai nella neve e guardai sotto le auto,
nel caso riuscissi a scorgere qualche piede, ma niente. Si erano
trovati proprio un gran bel nascondiglio, non c'è che dire.
Mi rialzai lentamente e mi guardai intorno, speranzoso, ma dei ragazzi
nessuna traccia. Mi avevano scelto come bersaglio e ora erano appostati
da qualche parte in attesa che gli passassi davanti, per riempirmi di
'pallottole' e conquistare la vittoria. Scossi la testa e sospirai,
conscio che se fossi tornato dentro Gerard se la sarebbe presa da
morire; quindi decisi di andare avanti e sperare che quei tre coglioni
non mi facessero troppo male con le loro sfere ghiacciate. Arrivai alla
fine della strada, ma nessuno si fece vedere o sentire. La cosa
cominciava a snervarmi, così sbuffai e girai i tacchi,
dirigendomi dalla parte opposta. Macinai una dozzina di metri, quindi
mi avvicinai le mani alla bocca e cominciai a chiamare i ragazzi.
-
Ehy, idioti, dove siete? Uscite dal vostro cazzo di nascondiglio,
forza! Muovetevi a tirarmi sta palla di neve, che sto diventando un
pezzo di ghiaccio! - tacqui per qualche istante. Silenzio. - Oh,
stronzi, non scherzo. Muovete quel cazzo di culo, perché io
qua sto gelando e voglio tornare in casa! - Ecco, un altro sbalzo
d'umore. E ancora niente segni di vita.
-
Vi credete divertenti?! Avanti, venite fuori o vi mollo qua - riprovai
con aria incazzata. Dopo due minuti non avevo ancora ricevuto risposte,
quindi scossi la testa e ritornai sui miei passi. Varcai il portone e
socchiusi la porta, in modo da non chiuderli fuori, poi sospirai nel
guardare le numerose rampe di scale che mi attendevano. Mi sfregai le
mani nel vano tentativo di riscaldarle e mi stiracchiai, quindi tirai
fuori il pacchetto di sigarette e cercai l'accendino nella tasca
posteriore dei jeans, imprecando sottovoce. Mi ero appena messo appena
messo la sigaretta in bocca quando qualcuno mi saltò
addosso, facendomi cadere.
-
Ma chi cazz.. Gerard! Si può sapere che cazzo ti passa per
la testa?! - sbottai, massaggiandomi la testa. - Cristo, che male -
imprecai con una smorfia di dolore dipinta sul volto.
-
Scusa, non volevo - si giustificò lui, portando la mano alla
mia nuca e sfiorando il mio bernoccolo gigante. Rabbrividii dal dolore
e lui tirò indietro la mano.
-
Cristo, mi dispiace - mormorò, agitato.
-
Fa niente, non l'hai fatto apposta - lo tranquillizzai, appoggiandomi
al corrimano e issandomi in piedi. - Si può sapere dove
diavolo eri finito? -
Lui
mi guardò stupito.
-
Vuoi dire che non ci hai visti? -
-
No. -
-
Capisco.. - mormorò lui, annuendo lievemente con il capo. -
Be', Bob è subito corso fuori e si è nascosto
dietro un albero o qualcosa del genere, e Ray.. Boh, credo l'abbia
seguito. Io sono rimasto indietro per aspettarti, ma poi mi sono seduto
dietro alla tromba delle scale per farti uno scherzo e non ti ho
sentito passare - sorrise.
-
Scherzo cretino - osservai.
-
Sì, be', hai ragione - rise lui. - Ma quel che è
fatto è fatto, no? -
Annuii,
avvicinandomi verso la porta, mentre Gerard mi guardava dal corrimano
sul quale si era seduto.
-
Che fai? - domandò con aria confusa.
-
Mi metto un po' di neve in testa, così sto coso non si
gonfia - spiegai, infilando la mano nel ghiaccio. Rabbrividii e mi
posai un po' di neve sul capo, poi mi rialzai e tornai da Gee. Lui mi
squadrò da capo a piedi, attento.
-
Questo cappotto t'ingrassa. -
-
Eh? -
-
Massì, hai capito, t'ingrassa. Potevo prestartene uno
migliore - ripeté il moro, scuotendo la testa. Poi
saltò giù dal corrimano e mi porse la mano. -
Andiamo? -
-
E i ragazzi? -
-
Rientreranno fra un po', lasciali vivere - rispose scrollando le
spalle. Quindi mi strinse la mano e s'incamminò verso il suo
appartamento, voltandosi in continuazione verso di me e chiedendomi un
sacco di cose strane. Io rispondevo il più onestamente
possibile e gli facevo qualche domanda di tanto in tanto, ma lui
sembrava contento di potermi chiedere tutto quello che voleva. Ad ogni
modo, ci mettemmo cinque minuti ad arrivare fino al suo appartamento,
viste le varie pause che fummo costretti a fare per riprendere fiato.
Essendo entrambi fumatori, non eravamo fatti per le lunghe distanze, in
piano o in salita che fossero.
Gee
aprì la porta con un gesto secco e si ficcò le
chiavi in tasca, spaparanzandosi poi sul divano. Mi tolsi la giacca ma
visto il freddo decisi di tenermi i guanti, quindi andai in cucina e mi
feci dare del ghiaccio da Mikey. Me lo premetti contro il bernoccolo e
tornai in salotto, per sedermi accanto al moro.
-
Ti fa molto male? - domandò, apprensivo.
-
Nah, non ti preoccupare. È solo che non voglio che la testa
mi si gonfi troppo, o rischio di sembrare bitorzoluto - scherzai.
-
Saresti carino anche bitorzoluto - osservò Gerard.
-
Grazie.. - arrossii.
-
Aspetta! Sei arrossito?! - scattò lui, sporgendosi verso di
me.
-
No, ecco, io-- - cominciai.
-
Sei arrossito! - m'interruppe lui. - Cristo, sei arrossito! -
Sudai
freddo e mi allontanai da lui, spaventato. Il moro non lo
notò neanche, tanto era occupato a gesticolare e muoversi a
destra e manca.
-
Guarda questa, Mikey, Frank è arrossito! È
arrossito! Non è la cosa più carina del mondo? -
...eh?
-
Ma sì, guardalo, non è adorabile? -
esclamò il moro, voltandosi verso di me e sfoderando un
sorriso a trentadue denti. Io ero paonazzo, lo potevo sentire, e stavo
morendo di vergogna, ma Gerard se ne sbatté altamente.
Continuò a chiamare suo fratello finché quel
poveraccio non lasciò stare il pranzo e venne da noi.
-
Adesso dimmi che non è carino! - disse Gee, orgoglioso.
Deglutii, il cuore che batteva a mille.
-
Dovresti arrossire più spesso - commentò
sorridendo Mikey, tornando in cucina.
-
Visto? Lo dice pure Mikes! - esclamò contento. Poi mi prese
le guance tra le mani e me le pizzicò delicatamente, con
aria dolce. - Sei davvero carino oggi - ripeté, guardandomi
negli occhi. Il mio cuore smise di battere, tanto eravamo vicini, ma
poi lui mi lasciò andare e si risdraiò nella sua
parte di divano.
-
Davvero carino, sissì - mormorò tra se e se,
sorridendo. Io lo fissai per qualche minuto, tremando leggermente a
causa della forte emozione di poco prima, e domandandomi se fosse stato
sincero. Cristo, quanto desiderai che non fosse stato un complimento
così, a cazzo, per lui. Strinsi i pugni e deglutii,
calmandomi lentamente, poi mi girai di nuovo verso Gerard.
-
Ehy.. -
-
Sì? -
-
Scherzavi, prima? - sussurrai con un filo di voce.
-
No - rispose lui, pacato. Deglutii, il battito del mio cuore che andava
a mille.
-
Oh.. grazie.. - mormorai con le orecchie in fiamme.
-
Di niente - ridacchiò lui, mettendomi una mano sulla spalla
e guardandomi fisso negli occhi con uno sguardo dolcissimo che gli
avevo visto fare pochissime volte. - Mettiti in testa che sei
bellissimo, perché così non permetterai
più a nessun coglione di farti star male. -
Detto
questo, si alzò e si allontanò.
Rimasi
immobile per qualche secondo, rimuginando sull'accaduto. Direi che mi
era permesso illudermi, dopotutto. Mi abbracciai le ginocchia,
sorridendo come un ebete, e ricominciai a farmi i film mentali,
incurante delle occhiate di Mikey, che ogni tanto passava dal salotto.
Gerard era al bagno, quindi potevo fare tutte le facce strane che mi
pareva.
-
Ehy, ci sei? - mi svegliò una voce dal mio sogno ad occhi
aperti.
-
Uh? -
-
Terra chiama Frank, Terra chiama Frank - scherzò Bob,
scrollandosi la neve di dosso.
-
Tutto bene? - mi domandò Ray, inarcando le sopracciglia.
-
Sì, perché? - domandai a mia volta. Lui si morse
le labbra e indicò verso il basso con il capo. Seguii il suo
sguardo e arrossii completamente, coprendomi l'erezione con le mani.
-
Oddio, io - farfugliai in preda al panico - cioè, non
è come sembra, io, ecco, oddio! -
Ray
rise, portandosi una mano davanti alla bocca.
-
Calmati, Frank, può capitare - ridacchiò, mentre
Bob sghignazzava avviandosi verso il bagno.
-
Geeeeraaaard! Indovina cos'abbiamo quiii! - lo chiamò,
guardandomi malignamente.
-
BOB, PORCA PUTTANA, CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA! - avvampai io con
voce stridula.
-
Ohohoh, a qualcuno piace qualcun altro - ridacchiò Bob,
mettendosi una mano davanti alla bocca.
-
Chiudi quella fogna, Bryar. Sempre a rompere il cazzo, tu - lo
rimproverò Gerard acidamente, uscendo dal bagno e camminando
oltre il biondo. - Oggi è Natale, quindi evita di sparar
stronzate, okay? -
Silenzio.
-
Ci siamo capiti? - concluse, fulminandolo con lo sguardo. Bob rimase in
silenzio, mentre il moro si avvicinava al tavolo e si stappava una
birra. Si portò la bottiglia alle labbra e ne bevve un po',
poi tornò a guardarci.
-
Be', che è tutto sto silenzio? - fece poi, inarcando le
sopracciglia.
-
È che non mi aspettavo che la cosa ti infastidisse - disse
il biondo facendo le spallucce.
-
No, figurati, è solo che è stato un periodo
difficile per Frank, e dovresti essere più gentile con lui -
lo tranquillizzò Gee, dando un altro sorso alla birra. -
Smettila di essere lo stronzo di sempre, okay? -
-
Va bene - acconsentì Bryar.
-
Bene - sorrise Gerard, alzando la sua bottiglia in segno di
approvazione. - Un brindisi al Natale? - propose.
-
Perché no? - esclamò contento Bob, lanciandosi
verso una birra. - Basta che non si facciano foto - ricordò
poi, fissandoci uno a uno.
-
Ancora co ste foto! - sbuffò Ray ruotando gli occhi. - Non
ti preoccupare, abbiamo capito! La tua bellezza superiore non
può essere immortalata da niente se non dai nostri occhi e
bla bla bla - ripeté con aria annoiata.
-
Hey, calmo, io ricordavo e basta - si schernì il biondo,
sorseggiando la sua birra.
-
Infatti scherzavo, coglione - rise Ray scuotendo la testa. - Dai,
passami una bottiglia - fece poi, dopo aver allungato una mano. Bob
ubbidì e l'altro lo ringraziò con un cenno della
testa, stappando pacatamente il contenitore.
-
Be'? Che si dice? - buttò lì Gerard,
giocherellando con un tappo.
-
Si dice che il pranzo è pronto! - annunciò Mikey
entrando in sala e portando un enorme vassoio su cui torreggiava una
scodella piena di pasta di varia lunghezza e vari colori. - Tutti ai
vostri posti! - ordinò quindi, posando il vassoio sul tavolo
e sorridendo vistosamente, preparandosi a servire il cibo.
-
Io sto vicino a Frankie! - esclamò prontamente Gerard,
sorridendomi e prendendomi per mano. Il mio cuore accellerò
di centomila battiti al secondo e fui costretto a mordermi le
labbra per non arrossire, mentre mi sistemavo al suo fianco.
-
Allora io mi metto qua - commentò Bryar, lasciandosi cadere
sulla sedia più vicina a lui.
-
E io qua - completò Ray, prendendo il posto accanto al
batterista. - Ti toccherà stare a capotavola, Mikey -
sorrise poi.
-
Meglio, così vi posso controllare tutti - disse il bassista
facendogli l'occhiolino. - Non sia mai che qualcuno di voi coglioni
decidesse di mangiarsi tutta la pasta - aggiunse guardando il moro con
aria di rimprovero.
-
Non ti preoccupare, fratellino, farò il bravo bambino -
promise Gerard con una risata, facendoci notare che aveva fatto una
rima senza neanche volerlo. Mikey scosse la testa e, sorridendo sotto i
baffi, gli diede un buffetto affettuoso sulla testa.
-
Ma smettila, scemo - rise alzando gli occhi al cielo.
-
Va bene, la smetto - acconsentì Gerard, - ma solo
perché devo far vedere una cosa a Frank -
specificò alzandosi nuovamente in piedi. - Dai, vieni, ci
metteremo un attimo - sorrise porgendomi la mano. Io la strinsi,
estasiato, e lo seguii in camera sua, mentre Bob assaltava il suo
piatto di pasta.
-
Cosa dovevi mostrarmi, Gee? - domandai una volta che il ragazzo ebbe
chiuso la porta dietro di se.
-
In realtà non devo mostrarti niente, Frankie. Desidero solo
parlarti faccia a faccia per qualche secondo, se non ti dispiace -
cominciò. - È una cosa importantissima per me, e
sento come se dovessi dirtelo ora. Cioè, voglio dirtelo da
sempre, però.. - sussurrò, diminuendo il volume
della sua voce subito dopo il ‘però’.
Il
mio cuore smise di battere per l'emozione, l'ansia e la paura che mi
avevano attanagliato lo stomaco in quel preciso istante, e lo guardai.
-
Anch'io devo dirti una cosa, Gee - confessai. - E anche questa
è abbastanza importante - aggiunsi, le mani che mi sudavano
e le guance pronte ad arrossire. - Io, ecco.. - mormorai con voce
flebile, cercando le parole e annaspando per un po' d'aria. -Vedi, io
volevo dirti che-- -
-
Ah, ah, ah - m'interruppe lui. - Prima io! -
-
Ma è una cosa importante! - cercai di protestare.
-
Anche la mia, che ti credi?! - ribatté il moro.
-
Vabbè, fa niente; ricominciamo daccapo, ti va? - proposi.
Gerard annuì, serio. Poi fece uno di quegli esercizi per
rilassarsi, chiuse gli occhi e li riaprì.
-
Devo dirti una cosa importante - ripeté, guardandomi dritto
negli occhi.
-
Anch'io. Vedi, io-- -
-
Mi sposo, Frank -.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7. ***
-
Mi sposo, Frank -.
Quelle
parole rimbombavano ancora nella mia testa, ed erano peggio di un
migliaio di pugnalate alla schiena. Volevo urlare, ma la testa mi si
annebbiò e la voce mi morì in gola.
-
C-cosa? - mormorai con un flebile mugolio.
-
Mi sposo - ripeté il ragazzo, con un sorriso enorme dipinto
sulle labbra. - Sabato prossimo, in un posto vicino-- -
-
Non è possibile - sussurrai, interrompendolo. Lui mi
guardò accigliato.
-
Perché no? -
Lo
guardai con un'aria stravolta.
-
Proprio non capisci? - dissero i miei occhi, in cerca di un segno che
mi facesse capire che era tutto uno scherzo. Lui non capì.
-
Frank, non è stata una decisione presa così, a
cazzo, io voglio davvero sposarla - ripeté, pronunciando con
enfasi l'ultima parte. - La amo alla follia - sottolineò,
cercando conforto nei miei occhi. Mi sentii tradito, ferito, e non
riuscii a sostenere il suo sguardo, così abbassai il mio
mestamente.
-
E tutte quelle parole? - domandai.
-
Eh? - boccheggiò Gerard, colto alla sprovvista.
-
Tutte quelle belle frasi, quei gesti e quei complimenti? Non hanno mai
significato niente per te? - gli rinfacciai, con voce forte. Gli occhi
mi si riempirono di lacrime, ma strinsi i pugni per cacciarle via.
Dovevo sembrare forte per ottenere qualche effetto su di lui.
Gerard
sembrò infastidito dalla mia domanda e si gettò
una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, come era solito fare
quando non sapeva come rispondere a qualcuno.
-
Frankie, non dire scemenze - tagliò corto. - Lo sai che ti
voglio bene e che sei importante per me, ma io amo Lindsey e voglio
sposarla, quindi, perfavore, non farmi questo -.
Non
farmi questo?
Non
farmi questo?
Mi
sentii esplodere dalla rabbia e dalla frustrazione, ma mi morsi il
labbro e inspirai profondamente un paio di volte. Chi era lui per dire
a ME di non ferirlo? Quello che mi aveva fatto star male per settimane
e che mi aveva illuso di provare qualcosa per me più di una
volta; quello che con le sue parole mi aveva fatto tirare avanti ma che
all'ultimo momento mi aveva negato ogni salvezza; quello che dopo
avermi spezzato il cuore pretendeva di essere compreso e perdonato,
senza aver minimamente capito il mio dolore. Fanculo. Respirai a fondo
più volte, stringendo i pugni fino a farmi male, e alzai lo
sguardo. La rabbia aveva scacciato le lacrime, e ora potevo guardarlo
in faccia senza che i miei occhi diventassero libri aperti sul mio
cuore.
-
Gerard, sei un coglione - dissi con aria delusa. Lui mi
guardò in silenzio per qualche secondo, poi
sospirò e mi mise una mano sulla spalla. Io voltai la testa,
ma lui non demorse e respirò a fondo.
-
Frankie.. - cominciò, interrompendosi per mordersi il labbro
inferiore e trovare le parole adatte. - Capisco che tu ti senta
tradito, ma io non intendevo ferirti. Ti voglio bene più di
qualsiasi altra cosa al mondo e farei qualsiasi cosa per te, lo sai
bene. Proprio per questo ho pensato fosse necessario dirtelo. Volevo
sentire il tuo parere e vedere la tua reazione nel sapere che ho
finalmente trovato qualcuno che mi ami e che sia disposto a passare
l'eternità con me, nella buona e nella cattiva sorte -
-
Gerard, io -
-
No, non parlare. Sappiamo entrambi che se c'è una persona
che non troverà mai qualcuno nel nostro gruppo, quella
persona sono io, quindi ti prego, Frank, cerca di capirmi. Io la amo
con tutto me stesso e desidero sposarla con tutto il mio cuore, sono
stracotto di lei. So benissimo che avrei dovuto fartela conoscere prima
di prendere questa decisione e mi dispiace, mi dispiace davvero, ma il
fatto è che avevo paura che lei avesse potuto accorgersi di
quanto tu sia meraviglioso e che avesse potuto avere dei ripensamenti..
- mormorò. - So che è una cosa stupida, scusa, ma
non riuscivo a scacciare quel pensiero dalla testa. Io la amo davvero,
Frank, e vorrei tanto che tu riuscissi a capirlo - terminò,
guardandomi negli occhi. Deglutii, ricacciando indietro le lacrime e
annuendo.
-
Capisco.. - sussurrai, la voce che mi moriva in gola. Il suo
voltò si rasserenò di colpo.
-
Davvero? Oh, Frank, grazie - esclamò, due lacrime che gli
solcavano il volto. - Non sai quanto questo significhi per me -
aggiunse, stringendomi.
-
Non significa niente rispetto a quello che significa per me.. -
sussurrai nella sua spalla, in modo così lieve che lui non
mi sentì neanche. Gerard si staccò da me e mi
guardò felice, le mani posate sulle mie spalle.
-
Non so come ringraziarti - sorrise. - Sei la prima persona a cui lo
dico - fece poi, per sottolineare quanto la mia opinione fosse
importante per lui. Lo guardai con occhi vitrei e annuii, incurvando le
labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso ma che sembrava
più una smorfia cretina. Gerard se la fece bastare. Mi
abbracciò nuovamente e mi strinse la mano, asciugandosi le
guance con la manica libera.
-
Ti voglio bene - sussurrò.
-
Anch'io - replicai, liberandomi delicatamente dalla sua presa e
dirigendomi verso il bagno.
-
Aspetta! - esclamò il moro, venendomi dietro. Io mi fermai,
guardandolo con la coda dell'occhio.
-
Cosa dovevi dirmi? - domandò.
-
Non ha più importanza ormai - tagliai corto uscendo dalla
stanza. Aprii la porta del bagno e me la chiusi alle spalle,
appoggiandomi pesantemente al lavandino. Mi fissai allo specchio,
sospirando. Cos'avevo che non andava? Cos'aveva lei più di
me? Diedi un pugno al piano e aprii l'acqua, gettandomene un po' in
faccia. Mi lavai per bene il volto e cancellai le tracce di pianto, poi
respirai in silenzio per un paio di secondi. Dissi qualche frase ad
alta voce e feci tornar normale il mio battito, quindi mi asciugai e
uscii dalla stanza. Gerard era tornato al suo posto e aveva ripreso a
mangiare come se niente fosse. Mi sedetti silenziosamente al suo fianco
e non lo guardai fino alla fine della portata, anche se sentivo il suo
sguardo puntato su di me. Imprecai dentro la mia testa e mi concentrai
sul cibo, per evitare il ritorno delle lacrime. Finii di mangiare il
primo e alzai lo sguardo verso Bob, che stava chiacchierando
amorevolmente con Mikey della partita di football dell'altra sera.
Guardai quindi Ray, ma lui stava ancora mangiando quello che
probabilmente era il suo terzo piatto di pasta, così decisi
di farmi coraggio e voltarmi verso Gee. Il ragazzo mi stava guardando,
come temevo, e aveva un'aria pensosa. Lo scrutai qualche secondo, poi
sospirai e tornai a fissare il mio piatto. Perché Natale
deve sempre far così schifo? Mi morsi il labbro e
giocherellai con le mie dita, senza sentirmi in grado di chiedere al
moro che cosa stesse pensando. Credo che lui intuì il mio
disagio, perché mi mise una mano sulla gamba e mi sorrise.
Era un sorriso bello, rassicurante, e la cosa mi
tranquillizzò. Gli sorrisi a mia volta e lui parve
soddisfatto, quindi si voltò e chiese al fratello di portare
a tavola il secondo. Mikey sparì in cucina e
ritornò in sala dopo pochi minuti, stringendo un enorme
piatto contenente il suo famoso tacchino.
-
Voilà! - esclamò, togliendo il coperchio di
sicurezza e poggiando il tutto sul tavolo. - Servitevi pure - ci
incoraggiò, prendendo posto al tavolo e mettendo al centro
dei barattoli di salse varie di cui nessuno usufruì.
-
Tieni, Frankie - sorrise Gerard, passandomi un piatto pieno di carne e
patate. Ringraziai e lo presi, aspettando che tutti gli altri fossero
pronti per mangiare. Mangiammo tranquillamente, chiacchierando e
scherzando come al solito, fino alle due e mezza - tre, quando Bob si
alzò e annunciò che sarebbe andato a dormire sul
divano fino al prossimo Natale. Ray rise, lanciandogli addosso una
felpa.
-
Tiè, usala a mo' di coperta - gli consigliò
paciosamente, mentre l'altro si sdraiava e se la metteva sulla schiena.
Gerard scosse la testa, ridendo sotto i baffi, e io mi limitai a
osservarlo con interesse.
-
Che cosa ti ha mostrato Gee? - mi domandò dopo un po' Ray,
sporgendosi verso di noi.
-
Niente di che - scrollai le spalle.
-
Gli ho ridato l'accendino che aveva dimenticato qui l'altro giorno -
spiegò meglio il moro, soddisfacendo la curiosità
del chitarrista. Cadde il silenzio per qualche minuto, quando
improvvisamente il cellulare di Ray squillò e il ragazzo si
portò l'attrezzo all'orecchio.
-
Pronto? Sì. Aha. Va bene, capito. Arrivo subito - rispose,
riattaccando. - Scusate ragazzi, devo proprio andare - fece,
guardandoci negli occhi.
-
Fa niente, non ti preoccupare - lo rassicurai con un sorriso, mentre
lui raccattava la giacca e si fiondava giù per le scale.
Sentii la porta sbattere violentemente e mi girai verso Gee.
-
Facciamo due passi? - proposi. Lui annuì, convinto.
-
Mikey, ti va di venire con noi? - domandò, voltandosi verso
la cucina. Udimmo un "no grazie", così ci alzammo e uscimmo
senza di lui. Le strade erano deserte, ma mi sentivo tranquillo e
rilassato come al solito. Lanciai uno sguardo veloce al moro. Camminava
spensieratamente, le mani nelle tasche e la testa nelle nuvole. Fui
tentato dal saltargli addosso e abbracciarlo, ma mi trattenni. Ripensai
a Gee, al matrimonio, alle sue parole, poi lo guardai di nuovo. Niente,
non riuscivo a odiarlo o a provare niente di negativo nei suoi
confronti, per quanto mi ci sforzassi. Avete presente quando amate
qualcuno così tanto da non riuscire a percepire niente di
brutto in lui? Ecco, mi sentivo così. Schiavo di un amore
non corrisposto che diventava sempre più grande e
significativo giorno dopo giorno, e che mi avrebbe portato alla follia
nel giro di pochi mesi. Bello. Mi ficcai le mani in tasca e accellerai
il passo, in modo da rimanere a fianco del moro, e mi fermai davanti a
lui.
-
Cosa..? - cominciò Gerard, alzando le sopracciglia.
-
Ti voglio bene - sussurrai. “Ti amo.” - Sono
contento che tu abbia trovato qualcuno che sappia renderti felice -
“Anche se quel qualcuno vorrei essere io”, aggiunsi
mentalmente. - Quindi sì, be', auguri e figli maschi -
buttai lì, imbarazzato. Gee sfoderò uno dei suoi
migliori sorrisi e mi abbracciò stretto, ringraziandomi di
tutto.
Fu
allora che capii.
Non
importava chi lui amasse o chi lui avesse deciso di sposare, io l'avrei
amato sempre e comunque e sarei rimasto al suo fianco fino alla fine.
Signori
e signore, il mio nome è Frank Iero, e amerò
Gerard Way fino alla morte.
Nota
dell'autrice:
Allora,
innanzitutto non fucilatemi D:
È
da settembre che ho in mente questo finale, e fino all'ultimo ero
indecisa se metterlo o meno, anche se alla fine ho deciso di
sì. Perché? Perché nelle ultime
Frerard che ho letto tutto si è sempre concluso bene e,
sebbene i finali romantici mi piacciano, a volte mi sono trovata a
pensare “Cavolo, ma finiscono tutte
così?”. Allora ho deciso di scrivere io una
Frerard, ma di non farla finire come tutti si aspetterebbero,
cioè con Gerard e Frank che scopano allegramente o che si
mettono insieme e vivono per sempre felici e contenti.
In
più mi piaceva l'idea di un Frankie disposto ad aspettare
anni prima che l'amico lo pensi come qualcosa di più.
È come se i suoi sentimenti fossero più profondi
e radicati nel suo cuore, non so se mi spiego ono
Vabbè,
comunque preferisco questo finale a quello classico col bacio.
Ammazzatemi pure eue
Grazie
a chiunque si è preso la briga di recensire questa storia,
lo apprezzo molto.
Ciao
e grazie, puzzoni c:
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