I (don't) love you.

di Pwhore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Ciao, il mio nome è Frank Iero e sono innamorato del mio amico Gerard.
È cominciato tutto qualche sera fa, a casa sua. Aveva dato una festa, coi soliti quattro invitati, musica a palla e tanto alcool. Eravamo tutti un po' brilli, quindi decidemmo di fare uno dei giochi più stupidi del mondo: obbligo o verità. Ray era stupidamente esaltato da questo gioco, e non vedeva l'ora che toccasse a lui. A me non piaceva, invece, lo trovavo una perdita di tempo di una noia assurda. Ad ogni modo, ci sedemmo tutti in cerchio e lasciammo perdere la parte della verità, sfidandoci nelle cose da fare. Dopo un paio di minuti fu il turno di Mikey a decidere chi dovesse fare cosa, e il ragazzo annunciò che avrei dovuto baciare Gerard sulle labbra. Per me andava bene, in fondo il moro era un gran bel ragazzo, oltre che il mio migliore amico. Mi sporsi verso di lui e ci baciammo qualche secondo, poi gli altri decisero che bastava e Gee si staccò da me. Rimasi incantato da quel bacio. Mi aveva scombussolato lo stomaco e gli ormoni, mi era addirittura sembrato di sentire il mio cuore esplodere. Già, il mio cuore. Batteva velocissimo, pareva volesse uscire dal mio petto e saltare in braccio a Gerard. Guardai il mio amico, arrossendo improvvisamente. Sembrava soddisfatto, come se quello fosse stato solo l'ennesimo gioco della serata e come se non fosse cambiato niente in lui. Per me, invece, qualcosa era cambiato. Avevo visto il paradiso per quei pochi istanti in cui le mie labbra avevano sfiorato le sue, e sentivo le campane suonare, da qualche parte.
- Hey, Frank, ti sei incantato? - scherzò Ray, spingendomi una spalla.
- So che bacio bene, ma non c'è bisogno di stupirsene così tanto - rise Gerard, facendomi arrossire.
- Ma che dite, mi ero perso nei miei pensieri! - ribattei, cercando di tornare al mio colorito normale. Diamine, non era da me fare così. - A chi tocca ora? - domandai, cambiando argomento.
- A Bob - rispose Mikey, indicando il batterista.
- Uh? Io passo - mormorò il biondo, smettendo di giocherellare col suo piercing al labbro. - Questo gioco mi annoia - spiegò.
- Infatti, è una stronzata - annuii io, cercando di persuadere i miei amici a fare qualcos'altro.
- Oh, avanti, non fare il guastafeste! - sbottò Gerard, alzando gli occhi al cielo.
- Già, magari potresti ribaciare questo coglione qua e migliorare il tuo umore - ridacchiò Ray, indicando il moro con un dito. Arrossii e gli dissi di smetterla, poi mi alzai di scatto e andai a prendermi qualcosa da bere. Non era da me comportarmi in quel modo, che diavolo mi stava succedendo? Mi abbracciai lo stomaco, mordendomi le labbra. Sapevano di Gee, ed era un sapore così buono... Scossi la testa, cercando di calmarmi. Cos'era quella strana sensazione di tepore che mi attanagliava lo stomaco quando pensavo al mio amico? Non l'avevo mai provata prima... prima del bacio. Lanciai un'occhiata furtiva al moro, nascondendomi dietro alla mia lattina di birra. Rideva contento, appoggiandosi alla spalla di Bob e circondandogli il collo con un braccio. Perché faceva così dannatamente male guardarlo con qualcun altro? Abbassai lo sguardo, spaventato. 'Non può essere' pensai. 'No...'. Mi rivoltai a guardare Gerard scherzare con il biondo, e una fitta mi colpì lo stomaco. 'No...' Mi ero innamorato del mio migliore amico. Dell'unica persona che non avrebbe mai potuto perdonarmelo, a causa della nostra lunga amicizia. Dell'unico ragazzo che non era mai stato colpito dal mio aspetto fisico e che non mi faceva quasi mai complimenti per i miei occhi chiari. Mi ero innamorato dell'unico uomo al mondo di cui non avrei voluto innamorarmi.
Il mio primo pensiero dopo aver realizzato i miei nuovi sentimenti per il moro fu di scappare in Tibet e diventare monaco, ma scartai subito l'idea. Troppa sofferenza e troppa fatica. Decisi di comportarmi come se niente fosse e di vedere se per lui era cambiato qualcosa, dopo quegli istanti in cui ci eravamo sfiorati. Tuttavia, nei giorni seguenti potei constatare che non c'era niente che non andava nel comportamento del ragazzo, e che, anzi, sembrava solo più felice e allegro di prima. Pareva proprio che io fossi l'unico a sentirmi una merda ogni volta che vedevo il frontman, per sentirmi ancora più merda quando lui se ne andava. Avevo provato a scacciare il dolore con l'alcool, ma non era quella la risposta giusta. La risposta giusta era per me confessargli i miei sentimenti, ma allo stesso tempo mi dicevo che non era possibile, che avrei ucciso la nostra amicizia e che avrei solo fatto una gran stronzata. Un gran problema, insomma. Fra poco sarebbe arrivato anche l'inverno, sfortunatamente. L'inverno mi mette sempre tristezza, anche se c'è il compleanno di Bob e riesco a rivedere le persone che amo. Il Natale, poi. Uno stupido sinonimo di sensi di colpa per chi è più povero di te, solitudine nel vedere tutti più contenti di quanto lo sia tu, e amarezza, in quanto non ricevi mai ciò che ti aspetti. Avevo perso ogni briciola di fiducia che avevo nel Natale anni prima, e anche quest'anno nulla sembrava cambiato. Le solite famigliole felici che comprano regali, i bambini che corrono in giro per le strade, godendosi le vacanze, e i gruppi di persone che cantano davanti agli usci delle case per qualche spicciolo. Bah. A Gerard piaceva il Natale, invece. Lo riempiva di gioia e buoni propositi, proprio come faceva con Ray e con Mikey. Non riuscivo a capirli; per quanto mi sforzassi per me quella era solo l'ennesima festività sciupasoldi, creata apposta per far spendere anche ai non-cristiani. Si potrebbe dire la stessa cosa anche di San Valentino e altri tre milioni di feste, ma vabbe'. Non si può criticare tutto. Ad ogni modo, stavo camminando in mezzo alla strada, quando Mikey mi corse incontro, con quella sua buffa corsetta.
- Frank, Frank! - urlò, cercando di attirare la mia attenzione.
- Ti ho visto, tranquillo - sorrisi io, avvicinandomi a lui.
- Volevo... chiederti se... puff... ti andava... di passare il Natale... con noi... - disse con respiro affannoso.
- Oh, sì, va bene - acconsentii, colto alla sprovvista.
- Fantastico! - esclamò Mikey, mentre gli occhi gli si illuminavano. - Allora vieni da noi verso, non so, le undici? Pranziamo tutti insieme e poi facciamo qualche gioco da tavolo, col camino acceso e tanti dolci a disposizione - annunciò. Annuii e dissi che per me andava bene, quindi lui mi salutò e corse via. Wow, avevo appena avuto l'invito per sentirmi una merda perfino il giorno di Natale, e avevo addirittura accettato. Molto, ma molto intelligente, come idea. Scrollai le spalle, rassegnandomi al fatto che ormai non avevo altra scelta che andare dai Way e divertirmi. Certe volte mi comportavo proprio da masochista, dovevo ammetterlo. Mi schiaffeggiai la guancia e ritornai alla realtà, incamminandomi verso Starbucks. Faceva già freddo, e tutti erano imbacuccati fino al collo nelle loro felpe super pesanti e super brutte. Mi strinsi nella mia giacca leggera e velocizzai il passo, entrando nel caffè dopo pochi minuti. Non c'era tanta fila stranamente, e approfittai del momento per ordinare e sedermi in tutta tranquillità. Mi gustai il mio caffè in santa pace, poi mi alzai e mi ributtai nella strada. Un'ondata di freddo mi gelò il naso, facendomi starnutire. Imprecai tra me e me, ficcandomi le mani in tasca e camminando lungo il marciapiede affollato.
- Oh, Frankie - esclamò una figura familiare, venendomi incontro. - Ho appena incontrato Mikey, che mi ha detto che passerai il Natale con noi! Non è fantastico? - sorrise.
- Già, non vedo l'ora - mentii.
- Anch'io! Due settimane sono lunghe, a passare! - gongolò. - Certo che fa freddo, per non essere ancora ufficialmente inverno - borbottò poi, sfregandosi le mani.
- Vero. Che ne dici se andiamo a prenderci qualcosa di caldo? - proposi. Gli occhi del moro brillarono, mentre lui annuiva e riprendeva a camminare. Entrammo nel bar pochi minuti dopo, e ordinammo due cioccolate bollenti.
- Allora, che mi dici? - mi domandò Gerard, sedendosi di fronte a me.
- Mah, niente di che. Sto crepando di freddo. Te? - replicai, cercando di sostenere il suo sguardo.
- Idem. Ma d'altronde, questo è dicembre, no? - osservò il ragazzo.
- Già, hai ragione - ammisi.
- Faresti meglio a vestirti pesante - disse poi, accennando alla mia giacchetta leggera. - Ti ammalerai - aggiunse. Scrollai le spalle e feci una smorfia.
- Non m'interessa molto, ad essere sincero - ribattei. - Il dolore ti fa sentir vivo. E in questo momento io mi sento molto, molto vivo -. Gerard mi guardò qualche secondo, mordendosi il labbro inferiore.
- C'è qualcosa che non va, Frankie? - mi domandò, toccandomi la mano con la sua. Cercai di non arrossire e abbassai velocemente lo sguardo.
- No, no, figurati. Niente di che, non preoccuparti - mentii. Lui mi squadrò con i suoi occhioni color nocciola, intuendo che qualcosa c'era, in realtà.
- È da un po' di giorni che sei strano, Frank - cominciò. - Hai qualche problema, non so, in famiglia? Magari è morto uno dei tuoi cani? - domandò con aria preoccupata.
- Non portare sfiga, Gerard! I miei cani stanno bene, non preoccuparti - dissi io, fingendomi a posto.
- Allora che c'è che non va? - chiese ancora, stringendomi la mano. Mi morsi il labbro, cercando di non gridare per la felicità, e provai ad assumere un'aria tranquilla, quando in realtà tutti i miei ormoni erano in subbuglio.
- Ma niente, sai che il Natale mi fa questo effetto. Sono solo un po' depresso, ecco tutto - buttai lì. Gerard fece finta di crederci e cambiò argomento, parlando del nuovo brano che aveva in mente. Sarebbe stata una cover di una canzone famosa, e l'avremmo registrata fra qualche giorno, prima delle vacanze natalizie. Annuii e dissi che mi pareva una bella idea, anche se in realtà non lo stavo ascoltando. Chiacchierammo un po' sulla festa della settimana prima, ma il moro evitò di chiedermi qualunque cosa riguardo al mio strano comportamento.
- Certo che eri proprio ubriaco! - ridacchiò. Allora era quello che pensava.
- Già, be', non ricordo quasi un cazzo - sorrisi io, fingendomi imbarazzato. Gerard rise, e dopo pochi minuti decidemmo di uscire dal locale. Non avevamo niente da fare, quindi optammo per stare insieme un altro po', e chessò, andare a comprare i regali di Natale per gli alti. Ci dirigemmo verso il grande magazzino in silenzio, visto il freddo pungente, e una volta lì ci fermammo davanti all'entrata.
- Allora, com'è il piano? - domandò Gerard.
- Non saprei - ammisi. - Ognuno per la sua strada e tra un'oretta qui? - proposi.
- Perfetto! - esclamò felice il moro. - Così non vedrai il tuo regalo! - sorrise.
- Allora è deciso. Ci vediamo tra un'ora - lo salutai, incamminandomi verso i negozi. Lui fece lo stesso e scomparve dalla parte opposta, canticchiando carole di Natale.
Ci ritrovammo al punto prestabilito esattamente un'ora dopo. Io avevo comprato un sacco di stronzate per me, visto che i regali li avevo già presi, ma Gerard aveva acquistato un'infinità di roba. Lo osservai corrermi incontro carico di pacchi e buste, quindi mi avvicinai e gliene presi un po'.
- Non ce n'è bisogno! - protestò il moro, cercando di fermarmi.
- Non fare lo scemo, sei carico come un mulo - gli rinfacciai alzando le sopracciglia.
- Sì, be', è vero - ammise Gee. - Ma anche tu non scherzi - osservò.
- Ce la faccio benissimo, non preoccuparti - sorrisi. Lui annuì e mi seguì lungo i marciapiedi pieni di gente, finché non scorgemmo casa sua.
- Siamo arrivati - annunciò accelerando il passo.
- Lo vedi che i pacchi erano pesanti? - lo sfottei quando posò le buste a terra con un sospiro affaticato. Lui rise, ammettendo la sua stanchezza.
- Vuoi qualcosa da bere? - mi chiese poi, avviandosi in cucina e tornando con due birre. - Non si accettano 'no' - mi avvisò, allungandomene una.
- Grazie - sorrisi, portandomi la lattina alle labbra e bevendone un sorso.
- Mikey era tutto eccitato per questa cosa del Natale - cominciò dopo un paio di minuti. - Ha continuato a ripetermi quanto sarebbe stato bello e divertente per un sacco di tempo, prima che si rendesse conto di dover avvisare anche Bob - ridacchiò.
- Sì, be', è un'idea carina - dissi, maledicendo Mikey. Gerard annuì, dando un sorso alla sua birra.
- Sarà il mio primo Natale non in famiglia - commentò.
- Già, anche il mio - ammisi. - Anche se la band ormai è come una famiglia per me - aggiunsi con un sorriso.
- Ma come sei carino! - esclamò il moro, giocherellando con la mia guancia. Arrossii di brutto, ma lui non se ne accorse e continuò a ridere sotto i baffi. - Sai, certe volte sei davvero dolce, Frankie - osservò.
- Capita - mi scusai, stringendomi nelle spalle.
- Io invece rompo le palle tutto l'anno - sorrise, bevendo un altro po'. - Poveri voi -
- Ma smettila, Gee. A me non rompi affatto le palle - ribattei.
- No? Be', tanto meglio - commentò lui, spaparanzandosi meglio sul divano. Rimanemmo in silenzio per un po' di tempo, nel quale il moro finì la sua birra. Una volta constato che non v'era rimasto neanche un goccio di alcol nella bottiglia, il ragazzo si alzò e andò a prenderne un'altra.
- Hey, Gee - lo chiamai.
- Sì? -
- Da quando hai un vaso di fiori sul davanzale? - domandai. Lui si strinse nelle spalle, sedendosi nuovamente accanto a me.
- Un po' di tempo, perché? - mi chiese poi.
- Niente, curiosità - risposi. Lui annuì, soddisfatto. - Hanno dei bei colori - commentai.
- Vè? Mi piacciono molto - gongolò il moro. Stavolta fui io ad annuire, e poi calò di nuovo il silenzio.
- Sai che ore sono, Gee? - chiesi a un certo punto, dopo una piccola chiacchierata.
- Mhh, sono le... le sei e mezza - mi informò lui.
- Oh merda, è tardissimo! - esclamai. - Devo proprio andare, scusa! - dissi, scattando in piedi e avviandomi verso la porta.
- Hey, calmati. Fatti salutare almeno - scherzò Gerard, alzandosi in piedi ed abbracciandomi. - Ci vediamo in studio - mi salutò con un sorriso.
- Certo - acconsentii. - Buone vacanze - lo salutai poi, correndo giù per le scale. Una volta fuori, alzai lo sguardo verso le sue finestre e notai che mi stava ancora salutando, quindi gli feci un cenno del capo e corsi via.
Tardi? Non era affatto tardi. Non c'era nessuno ad aspettarmi, a casa, e non avevo alcun impegno da cui correre. È che mi sentivo fuori posto lì, e i suoi occhi vivaci mi facevano male allo stomaco.
I love him so  it hurts.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Certe volte mi ritrovavo a pensare ai miei sentimenti per il moro e mi dicevo che non c'era nulla di sbagliato in loro. Dopo tanti anni di amicizia, quella era solo una nuova svolta, qualcosa che poteva accadere facilmente e che probabilmente sarebbe accaduta anche senza il bacio. Pensare in questo modo mi tranquillizzava, perché era come se qualcuno al di fuori della situazione mi dicesse che tutto andava bene, che era normale e che non dovevo vergognarmi di me stesso per il modo in cui mi sentivo. Era bello, sapere che non ero solo un pazzo rovina-amicizie. Perché non lo ero, giusto?
La settimana dopo passò veloce. Gee era fuori città e io mi sentivo molto più calmo e rilassato, nel sapere che non avrei potuto incontrarlo nelle strade. Il giorno del suo ritorno, comunque, era ormai arrivato. Ci saremmo incontrati in studio, circa un'ora dopo il suo arrivo in città, e avremmo provato tutti insieme la cover di cui mi aveva parlato. Non avevo idea di quale fosse la cover, ma mi fidai di Gee e mi presentai agli studi di registrazione con la mia chitarra in spalla, pronto a scatenarmi. Una volta lì scoprii che sarebbe stata una cosa calma, e che quindi non avrei avuto occasione di fare urla e versacci nella canzone, ma la cosa non mi infastidì molto. Come musicista, mi adattavo facilmente. La prima volta che provammo la canzone eravamo su un palco tutti insieme, con solo uno o due spettatori - che in realtà erano membri della casa discografica passati di lì a controllare che non sfasciassimo niente. Sugli spartiti non c'era scritto il nome del pezzo, e sembrava che fossimo tutti all'oscuro di tutto, a parte Bob e Mikey, che dopo le prime note avevano intuito quale brano avremmo eseguito. Io, invece, brancolavo nel buio e continuavo a lanciare occhiate disperate a Gee, che mi sorrideva e mi faceva segno di rilassarmi. Quando il moro cominciò a cantare il ritornello, capii che pezzo stavamo suonando e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Le ricacciai indietro, abbassando lo sguardo, e continuai a suonare, come se non fosse successo niente. Che m'importava se avremmo registrato All I Want For Christmas Is You? Era solo una canzone come le altre, anche se rappresentava quello che davvero volevo ricevere a Natale. Solo una stupida canzone, nient'altro. Mi voltai a guardare Gee, che cantava e si spostava da una parte all'altra del palco con gesti teatrali. Sorrisi, mio malgrado, e tornai a osservare lo spartito, facendo scivolare le dita sulle corde. Quando rialzai gli occhi, Gerard era a pochi passi da me e mi si avvicinava sempre di più. Pochi secondi dopo, mi scivolò accanto e mi respirò sul collo, sorridendo. Alzai lo sguardo giusto in tempo per sentirlo cantare "All I want for Christmas... is you" e vederlo fare l'occhiolino nella mia direzione con aria scherzosa. Accadde tutto in un istante. Gli occhi mi si appannarono di lacrime e saltai giù dal palco, correndo via dalla sala ormai piangendo. Gli altri rimasero immobili e in silenzio, presi alla sprovvista, e solo Gerard venne a cercarmi, con gli occhi sgranati e il cuore che batteva a mille. Mi trovò chiuso in uno sgabuzzino a singhiozzare, abbracciato alle mie ginocchia e con la chitarra appoggiata al muro. Aprì la porta lentamente e si sedette accanto a me, posandomi una mano sulla coscia.
- Frankie - sussurrò. - Frankie, va tutto bene? - Tutto bene? Tutto bene? Cosa dovrebbe andare bene, Gee? Va tutto di merda, non vedi?
- Frank... - mi chiamò di nuovo, scuotendo la mano. Gli voltai la schiena, singhiozzando. Il moro si morse il labbro, ritirando la mano. - Vuoi parlarne? - chiese con voce soffice. Scossi la testa, affondando il volto nelle mie ginocchia e cercando di trattenere le lacrime.
- No... - sussurrai con un filo di voce.
- Frankie... - mormorò nuovamente il moro, fermandosi prima di terminare la frase. Rimase in silenzio qualche secondo, poi mi abbracciò e mi strinse a se il più forte possibile, accarezzandomi la schiena. - Va tutto bene... Ci sono io, qui. Non lascerò che ti accada niente, va bene? - cominciò. - Va tutto bene - ripeté, baciandomi la testa. - Tutto bene -. Mi morsi il labbro, arrossendo, e sorrisi leggermente. Gerard mi alzò il volto e mi guardò con aria comprensiva, poi mi asciugò le lacrime e mi strinse nuovamente a se.
- Oh, Frank... - sussurrò. - Vederti triste fa male, sai? Vorrei vederti sorridere, ancora una volta. Non so cosa ti faccia piangere così, ma ti assicuro che non vale le tue lacrime. Sei una persona fantastica, e non dovresti sentirti così. Chiunque ti stia facendo soffrire in questo modo è un coglione e meriterebbe una scarica di pugni in faccia - e qui tacque per un po'. - Quello che sto cercando di dirti, Frankie, è che anche se non ti va di parlarmene, la persona che ti tira così giù di morale non si rende conto del tuo valore e di quello che si perde - mormorò, baciandomi la testa. - Sei una persona fantastica, Frank, e non meriti di soffrire così - concluse, accarezzandomi i capelli e stringendomi forte. Affondai la faccia nel suo petto, inspirandone l'odore e sfiorandone la morbidezza, e lo inzuppai con le mie lacrime. Rimanemmo in silenzio, avvinghiati l'uno all'altro, per un paio di minuti, poi mi calmai e recuperai un po' di autocontrollo.
- Gee... - lo chiamai.
- Mh? -
- Ti voglio bene - dissi semplicemente, mentre lui mi levava i capelli dal volto.
- Ti voglio bene anch'io - sorrise lui, liberandomi dall'abbraccio. - Te la senti di tornare di là? - mi domandò poi, qualche secondo dopo. Scossi la testa, deglutendo.
- Voglio andare a casa - mormorai con un filo di voce. Gerard annuì e mi aiutò ad alzarmi, mettendosi sulle spalle la mia chitarra.
- Ti ci accompagno io - sorrise, stringendomi la mano. Gli lanciai un'occhiata piena di gratitudine e lui sorrise, facendomi cenno di avviarmi. - Avviso gli altri e arrivo - spiegò correndo via. Raggiunsi l'uscita e mi sedetti sui gradini dell'ingresso, prendendomi la testa tra le mani. Mi sentivo così stupido e impotente, ma allo stesso felice e rilassato. L'odore di Gee aleggiava dentro la mia testa, e mi mandava decisamente su di giri. Allo stesso tempo, però, mi faceva chiudere lo stomaco e mi faceva desiderare di scappare lontano, da lui e da tutti quanti. Scappare. In fondo era quello che stavo facendo. Scappavo da Gerard e dai miei sentimenti, senza neanche mai pensare di tornare indietro e affrontare il moro. A che pro, poi? Il ragazzo non mi amava, non più di quanto si ami il proprio migliore amico. Quindi a che sarebbe servito, se non ad allontanarci ancora di più l'uno dall'altro? No, le cose sarebbero dovute rimanere così, non importa quanto ci stavo male. La nostra amicizia era troppo importante perché io la rovinassi così, innamorandomi di lui. No no, la cosa sarebbe rimasta nel mio cuore, a meno che non fossi stato sicuro che anche il moro si sentisse in quel modo, e che quindi non mi avrebbe ripudiato.
Stavo giusto tormentandomi le mani con quei pensieri, quando Gee tornò e mi allungò una mano con un sorriso. Io la presi, accennando un grazie, e mi alzai, avviandomi quindi verso casa mia. Probabilmente scattai più velocemente di quanto volessi, perché Gerard fu costretto ad aumentare il passo per raggiungermi. Sorridendo, mi diede una pacca sulla schiena e si ficcò le mani in tasca, trotterellando al mio fianco. Rimanemmo in silenzio, sprofondati nelle nostre giacche pesanti e nelle sciarpe di lana, a camminare verso il mio appartamento, ognuno perso nei suoi pensieri. Ogni tanto - molto spesso - vedevo il moro girarsi verso di me, lanciarmi un'occhiata preoccupata e poi rigirarsi dalla sua parte, a guardare la strada. Ignorai la sua espressione triste e, con lo stomaco chiuso, abbassai lo sguardo fino a non vedere più nulla che non fosse vicina ai miei piedi, poi mi lasciai sfuggire un sospiro silenziosissimo. Alzai gli occhi dopo un po', giusto per vedere se stavo andando a sbattere contro qualcosa, ma l'unica cosa su cui potevo posare lo sguardo era il petto di Gerard, che si era messo davanti a me.
- Uh? Che fai? - domandai cadendo dalle nuvole.
- Cerco di capire che c'è che non va. - rispose lui squadrandomi.
- Come ti pare - ribattei scrollando le spalle. Gee mi lanciò uno sguardo severo e mi scosse leggermente il braccio, senza staccare gli occhi dal mio viso.
- Sul serio, Frank, credo che mi dovresti parlare - continuò. - Hai visto anche tu che stai male, quindi perché no? Posso aiutarti, se me ne dai l'occasione. Sai che voglio solo il meglio per te, Frankie - sussurrò dolcemente, addolcendo il suo sguardo. Deglutii, abbassando il mio, e mi presi a torturare le mani, in silenzio. Lui esitò e si morse il labbro inferiore, poi mi abbracciò.
- Stanotte resto con te - annunciò. - Voglio starti vicino il più possibile, oggi. Non sia mai che Gerard Way non aiuti le persone più importanti della sua vita quando ne hanno bisogno! - scherzò con fare orgoglioso. Sorrisi e ripresi a camminare, il suo braccio che circondava la mia spalla. In quel momento, ero improvvisamente contento come non ero mai stato negli ultimi tempi. Felice. Ero veramente, decisamente felice. E tutto perché Gee era accanto a me e non se ne sarebbe andato per nessun motivo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Arrivammo a casa intorno alle sei. Guardammo un po' di tv e ci rilassammo per qualche ora, senza che nessuno di noi accennasse al mio crollo allo studio. Probabilmente Gerard non voleva sembrare troppo insistente e voleva darmi un po' di tempo per elaborare la cosa, finché non fossi stato pronto a parlarne di mia spontanea volontà. Carino da parte sua. Verso le nove meno dieci circa, ordinammo del cinese dal ristorante giù all'angolo e aspettammo che ce lo portassero su, visto che il freddo era troppo pungente per uscire. Mangiammo seduti sul divano, rubandoci il cibo dal piatto e scherzando tra di noi, proprio come una coppietta. Ma non m'illusi, tra noi era sempre stato così. La gente ci aveva sempre detto che stavamo bene insieme e che avremmo dovuto fidanzarci, ma nessuno di noi ci aveva mai veramente pensato seriamente. A parte ora, intendo. Tra noi atti di carineria e dolcezza erano l'ordine del giorno, niente di nuovo e niente di serio, e così era sempre stato. Certe volte avevo desiderato di conoscere i veri sentimenti di Gerard, di capire se quello era davvero solo un gioco per lui, o qualcosa di più, che non voleva però ammettere a me e a se stesso. Ormai lo avevo capito, però, quello era e sarebbe rimasto un gioco.
Mi allungai in avanti e fregai un paio di nuvolette di granchio al moro, che per tutta risposta s'impossessò di alcuni dei miei spaghetti fritti, portandoseli velocemente alla bocca. Senza pensarci troppo, agguantai un fritto e glielo premetti sulle labbra, aspettando che lui le schiudesse. Il moro aprì la bocca e lo inghiottì, poi si passò la lingua sulle labbra e fece una smorfia soddisfatta.
- Come siamo carini oggi - scherzò, facendomi arrossire. - Nah, scherzo, non preoccuparti - si smentì subito dopo. - Sei carino quando fai così - aggiunse. Accennai un sorriso imbarazzato, mentre il cuore mi batteva a mille. Io carino? Pfff, ma quando mai. Diceva così solo perché avevo pianto quel pomeriggio, ne ero sicuro. Spostai il mio piatto semivuoto sul tavolino accanto a me e mi rilassai sul divano, socchiudendo gli occhi. Gee ingoiò un altro po' di fritti di granchio, poi seguì il mio esempio. Rimanemmo in silenzio qualche secondo, poi mi accoccolai sul suo petto e lui prese a giocare coi miei capelli.
- Frankie... - sussurrò. - Ti va di parlare? -
- No.. Sono felice ora - sorrisi, ascoltando il suo corpo andare su e giù. Lui annuì e mi carezzò la guancia dolcemente, guardandomi.
- Ti riempirò di coccole stasera, tesoro - mormorò con una smorfia scherzosa.
- Oh, grazie, honey - ribattei. Lui ridacchiò e strinse il mio viso contro il suo petto, baciandomi la testa.
- Vediamoci un bel film, va bene? - propose. Annuii, riempiendomi i polmoni del suo odore e sorridendo come un idiota. - Che vuoi vedere? - chiese lui, allungando il collo verso i DVD.
- Quello che c'è nel lettore - risposi, temendo di dovermi staccare dal suo corpo.
- D'accordo - acconsentì, accendendo la tv. - The Rocky Horror Picture Show.. - commentò. - Grande! -. Annuii di nuovo, mentre il moro faceva partire il film. Rimanemmo in silenzio per un po' a fissare lo schermo, benché avessimo visto quel film migliaia di volte ormai. Dopo un po', Gerard spostò la sua mano dal mio viso al divano, facendo attenzione a non disturbarmi.
- Ti do fastidio? - domandai ansioso, alzando il volto verso di lui.
- Non preoccuparti - sorrise il moro, tranquillo. - Il tuo calore è piacevole con questo freddo - aggiunse, scrollandomi dolcemente la spalla. Gli lanciai uno sguardo pieno di gratitudine e tornai a ascoltarlo respirare. Chiusi gli occhi, felice, e aspettai che i nostri respiri si fondessero l'uno con l'altro, fino a diventare una melodia impercettibile ma dolce, bella. Proprio come Gerard. Era innegabile che lui fosse bello, attraente, sia che tu fossi un maschio o una ragazza, ma questa sua bellezza era nascosta dalle occhiaie e dal trucco pesante, nonché dalla sua dipendenza dall'alcool. La maggior parte della gente si fermava troppo su questi dettagli e sul fatto che fosse un po' rotondetto, quindi i suoi ammiratori si limitavano alla cerchia di fan sempre più vasta che ci seguiva. Tanto meglio per me, ci sarebbe stata meno concorrenza. Scossi la testa, alzando gli occhi al cielo e affondando il volto nel petto di Gee. Lui era perso nel film, quindi non se ne accorse neanche, quando le mia labbra lo sfiorarono. Gli accarezzai delicatamente la pancia, con un tocco quasi impercettibile, e socchiusi gli occhi un'altra volta. Il moro si spostò un po' indietro, sistemandosi il cuscino dietro la schiena e stiracchiandosi.
- Stai scomodo? - domandai sfiorandogli il volto con un dito.
- Nah, tranquillo. Avevo solo una penna conficcata nella coscia - sorrise lui, tornando ad abbracciarmi. Arrossii e lo strinsi a mia volta, accoccolandomi tra le sue braccia e respirando il suo odore. Chiusi nuovamente gli occhi, per la tremillesima volta, e sbadigliai sofficemente. Gee rise ammorbidito e mi strofinò i capelli.
- Qualcuno si addormenterà prima della fine del film. E indovina un po', per una volta quel qualcuno non sono io - scherzò. Mugugnai qualcosa, e lo sentii sorridere. Sapevo che aveva ragione, perché stavo morendo di sonno e mi addormentai pochi minuti dopo. Bel modo di dare il benvenuto al mondo dei sogni, però. Passavo dal mio sogno in carne e ossa al mio sogno versione immaginaria, come se non avessi mai smesso di dormire per un solo istante. Oh, Gee, se solo sapessi che effetto mi fai. Quando sto con te, mi sembra di camminare sulle nuvole. Chissà come sarebbe se anche tu ti sentissi così?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Mi svegliai verso le dieci, nel letto matrimoniale che uso quando qualcuno viene a trovarmi. Ero abbracciato al moro e sentivo il suo respiro sul collo. Aprii gli occhi lentamente e mi guardai intorno. Gerard mi aveva portato sul lettone e mi aveva messo una coperta di lana addosso, poi si era sdraiato accanto a me e io mi ero appiccicato al suo braccio come fosse un peluche di quando ero piccolo. Aggrottai le sopracciglia, notando che non c'erano lattine vuote vicino al moro. Che il cantante avesse smesso di bere prima di dormire..? Sperai vivamente di sì e tornai ad osservarlo. Dormiva beato, la bocca semiaperta e i capelli arruffati, e un lieve russare proveniva dal suo corpo tiepido. Lo strinsi a me, inalando il mio odore mischiato al suo e arrossendo felice. Cazzo, com'era bello svegliarsi accanto a lui. Un piacevole calore mi avvolse lo stomaco e io chiusi gli occhi, godendomelo fino in fondo e scivolando nuovamente nel mondo dei sogni.
Mi svegliai nuovamente qualche ora dopo. Il posto accanto a me era vuoto ma non completamente freddo, quindi Gerard si era alzato da poco. Mi tirai a sedere e sbadigliai, stiracchiandomi. Ancora mezzo addormentato, mi alzai e agguantai un paio di pantaloni e una maglietta pulita, quindi li indossai e andai in cucina. Il moro era in piedi davanti ai fornelli, intendo a prepararsi un caffè.
- Ce n'è abbastanza anche per me? - domandai con voce impastata dal sonno, facendolo sussultare.
- Assolutamente sì, Frankie - sorrise il ragazzo, avvicinandomisi. - È per te che l'ho fatto - precisò gentilmente, facendomi l'occhiolino. Poi si girò di nuovo verso la macchinetta, mentre l'odore forte del caffè riempiva la stanza e io prendevo posto al tavolo.
- Hai programmi per oggi? Torniamo in studio? - chiesi giocherellando con una penna.
- Mah, onestamente non credo. Ho un appuntamento importante a cui non posso mancare, e poi tu non sei nelle condizioni adatte - osservò aggrottando la fronte.
- Come vuoi - acconsentii, posando l'oggetto. Gerard sorrise e spense la macchinetta, poi agguantò due tazze e mi raggiunse. Riempì di caffè le due tazze e mi passò latte e zucchero.
- Tu non ne vuoi? - domandai, lanciando uno sguardo insicuro alla sua bevanda.
- I like my coffee black, just like my metal - sorrise lui con una smorfia.
- Carina, come frase - commentai portandomi la tazza alle labbra. - Da dove l'hai presa? -
- Davvero credi che sia così poco creativo da non poterla creare io, una cosa del genere? - ribatté lui, apparentemente amareggiato.
- E che ne so io, magari l'avevi sentita in qualche telefilm o giù di lì - mi parai il culo, scrollando le spalle e sperando di non averlo offeso.
- Comunque hai ragione, non l'ho pensata io. L'ho fregata da una canzone dei Mindless Self Ildungence, non so se li conosci.. - fece, alzando un sopracciglio. Scossi la testa, con occhi vacui. - Capisco.. Be', non li conosce quasi nessuno, quindi. Ad ogni modo, tu invece hai programmi per oggi? - domandò.
- In realtà no - ammisi, sperando che al moro non andasse di presentarsi all'appuntamento e che quindi avrebbe proposto di restare a farmi compagnia.
- Capisco.. Be', credo che anche Ray sia libero oggi. Perché non fate qualcosa assieme? - Buco nell'acqua. Gerard non aveva intenzione di rinunciare all'appuntamento per stare con me.
- Sì, bella idea, lo chiamerò - buttai lì, senza aver realmente intenzione di farlo.
- Forte! - commentò Gee, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. - Hanno aperto un nuovo negozio di videogames, magari potresti andarci con lui - suggerì. Deglutii, abbassando lo sguardo. Gli avevo proposto io di andare lì insieme a dare un'occhiata, ma lui se n'era scordato completamente.
- Già, è vero.. Poi vedo se andarci, okay? - replicai con meno entusiasmo, finendo di bere il caffè.
- Alla grande - esclamò il moro. - Mi sarebbe piaciuto andarci, sai? - aggiunse poi con un sospiro.
- Uhm. Vuol dire che aspetterò e ci andremo insieme - mormorai. - Ti va? -
- Eccome se mi va - sorrise nuovamente Gerard. - Ti ho praticamente obbligato a chiedermelo - rise.
- Infatti sì, stronzo che non sei altro! - ribattei. - Ma fa niente, perché mi stai simpatico - gli concessi, facendogli l'occhiolino.
- Ne sono onorato - scherzò lui. Poi mi alzai e portai le nostre tazze nel lavandino, facendo scorrere un po' l'acqua.
- A che ora hai l'appuntamento? - domandai, fingendomi disinteressato.
- Tra un'ora, ma il posto è abbastanza lontano. Me ne vado fra poco - rispose lui, mettendosi una sigaretta in bocca e accendendosela. Diede un tiro e soffiò il fumo verso l'alto, mentre io mi avvicinavo.
- Vuoi? - mi chiese, allungandomi la sigaretta.
- Perché no? - commentai portandomela alle labbra. Inspirai profondamente, poi soffiai il fumo in faccia a Gee.
- E questo per che cos'era? - scherzò il moro.
- Boh, mi andava di farlo - risposi scrollando le spalle.
- Scemo - ridacchiò Gerard alzando gli occhi al cielo. - E io che ti volevo regalare tutto il pacchetto! -
- Serio? Da' qua! - esclamai, allungando la mano verso il ragazzo e scuotendola lievemente.
- Eh no, mò ti attacchi! - ribatté lui, divertito.
- Che stronzo che sei - risi, scrollando la testa.
- Lo so, ma mi piaccio così - sorrise lui, chiudendo gli occhi e dando un altro tiro alla sigaretta. Poi si alzò in piedi e mi mise una mano sulla spalla, respirandomi in faccia.
- Ora siamo pari - annunciò quindi.
- Ma che sei, un bambino? - scherzai, scuotendo lievemente la testa e atteggiandomi un po' da adulto.
- Parla lui - ribatté il moro, alzando un sopracciglio.
- Colpito e affondato - ammisi alzando le mani. - Forse faresti meglio ad andare - dissi poi, guardando l'orologio.
- Già, hai ragione. Vabbè, se ti serve qualcosa hai il mio numero e il numero di emergenza. Cerca di stare meglio, mi raccomando. Ti voglio bene - sorrise, abbracciandomi. Sorrisi a mia volta, stringendolo forte.
- Lo so. Grazie Gee - sussurrai, lasciandolo andare. Lui annuì e si avviò verso la porta, fermandosi lì davanti.
- Ci sentiamo stasera. Farai meglio a divertirti un po', o sarai costretto ad avermi tra i piedi un'altra notte -  mi 'minacciò', salutandomi e scomparendo nel buio del corridoio.

Il pomeriggio passò lentamente. Uscii a comprare dei dolci e del gelato e passai il tempo davanti alla tv, a guardare e riguardare tutti quei telefilm che parlano di giovani innamorate e non corrisposte che cercano inutilmente di far innamorare i bellocci di turno di loro; le quali normalmente sono gnocche con gli occhiali o sfigate assurde a cui basta sciogliere i capelli per far arrapare mezza scuola. E me, ma fa niente. Più che arraparmi, quelle tipe mi attiravano. Mi attirava il loro mistero, il loro volto da ragazze acqua e sapone, il loro modo di fare gentile. Che poi avessero due tette così non mi interessava più di tanto, anzi. Le tette te le puoi anche rifare e sbandierarle al vento, ma alla fine se non lasci che gli altri te le tocchino non servono a niente. Meglio toccare che vedere, giusto? Ad ogni modo, spesi il mio pomeriggio a guardare stronzate sdolcinate in tv e a farmi film mentali su come dichiararmi a Gerard. Nessuno dei mille e cinquecento modi pensati mi soddisfaceva, però, quindi decisi che se mai glielo avessi confessato, sarebbe stata una cosa sentimentale, detta così, sul momento, e non pensata dopo una giornata passata a guardare programmi per ragazzine ormonali in via di sviluppo. No, sarebbe dovuto essere un discorso che arrivava dritto dal mio cuore, ma sempre abbastanza semplice da non sembrare premeditato. Avevo qualche dubbio sul fatto che glielo avrei detto, ma vabbè, perché no? Sebbene mi fossi prefissato di non illudermi, quella serata mi era sembrata più che amichevole, e le coccole che mi aveva fatto il moro mi erano parse decisamente più intime di quelle che si fanno a un comune amico, per quanto caro lui possa essere. Quei fatti, quindi, mi avevano dato speranza, molta speranza. Probabilmente era anche il cioccolato che parlava, ma mi sembrava di sentirmi davvero molto meglio rispetto al giorno prima, e che forse Gee poteva davvero ricambiarmi senza ridere in faccia ai miei sentimenti. Chissà, magari.. magari sarebbe stato lui a confessarsi, a dirmi che desiderava che fossi più di un amico per lui. Arrossii, mentre una sensazione di calore mi avvolgeva lo stomaco. Diavolo, sarebbe stato fantastico.

Avete mai amato qualcuno al punto che perfino farvi sputare addosso da lui sembra meraviglioso? No? Be', io sì, e questa cosa mi sta tirando pazzo. Ogni volta che posa il suo sguardo su di me, ogni volta che pronuncia il mio nome, mi sento esplodere, sciogliere dentro. A volte desidero che questi sentimenti non finiscano mai, ma altre vorrei semplicemente morire e smettere di soffrire. Mi sembra di stare all'inferno, e che l'unica salvezza per me sia evaderne e scappare lontano, in paradiso. Peccato che mi sia innamorato di satana, e che sia costretto a rimanere qui per l'eternità, ad ammirare i suoi capelli corvini e i suoi occhi scuri, profondi come l'oceano.
Oh Gerard, mi fai bruciare il cuore.

Dopo aver buttato il mio pomeriggio in maniera inutile, decisi di smetterla di deprimermi pensando al moro e di andare a fare una passeggiata. Agguantai un giacchetto e le chiavi di casa, quindi uscii e mi sbattei la porta alle spalle. Essendo sera e facendo un freddo porco, le strade erano pressappoco deserte, ed erano pochi gli individui che sfidavano l'inverno per andare a fare due passi o anche solo per scendere a comprare una birra. Non incontrai nessuno che conoscevo, quindi mi tranquillizzai e mi infilai le cuffie, evadendo dal mondo circostante. I miei passi risuonavano leggermente sul marciapiede, e potevo sentirli tra una canzone e l'altra. ‘‘Cavolo, è proprio vero che a quest'ora dormono tutti.’’ osservai con una smorfia, notando i negozi chiusi e i ristoranti vuoti. ‘‘Sta a vedere che stasera c'è qualche evento super interessante e super figo a cui non sono stato invitato.. Come al solito, del resto.’’ aggiunsi amareggiato. La gente del luogo diffidava di me, perché ero una star, perché indossavo sempre magliette di gruppi che osavano ribellarsi al sistema, perché mi piaceva bere. Ci sono tanti perché, potrei continuare a elencarli per ore, ma non ne vale la pena. Anche se mi avessero invitato da qualche parte, dubito che ci sarei andato. Era questione di principio, più che altro. Non ero inferiore a nessuno, quindi perché ero sempre costretto a rimanere da solo? Perché ogni volta che mi innamoravo non me ne andava bene una? Perché ogni cosa doveva andarmi maledettamente male, quando tutti gli altri non facevano che vantarsi della loro vita e dei loro successi? Fanculo. Questa è una città del cazzo piena di gente del cazzo, e non vedo l'ora di andarmene. Non c'era giorno in cui non lo pensassi, e la cosa mi faceva imbestialire. Sono sempre stato carino, gentile, una cazzo di femminuccia, ma la gente non faceva altro che darmi contro per ogni minima cosa, quando invece a loro non si poteva dir niente. Quella città mi opprimeva, mi faceva sentire solo e indesiderato, un inutile peso per la comunità. Non ne avevo mai proferito parola con nessuno, ma certe volte quelle grandi vie piene di persone mi deprimevano e mi facevano venir voglia di scappare lontano, dove nessuno avrebbe mai potuto trovarmi e dove avrei potuto vivere felice, con la mia musica e la mia chitarra, isolato dal mondo e dai problemi di tutti i giorni. Avrei imparato a distinguere le erbe buone da quelle cattive, e avrei vissuto da solo, in compagnia di qualche capra e un bel cagnone da guardia, di quelli grossi e pelosi che tanto mi piacciono. Un cane. Già, sì, perché no, avrei preso un cane. Mi piacciono i cani, sono fedeli e affettuosi, e soprattutto non ti fanno sentire mai indesiderato, cosa che invece mi capitava più che spesso. Diciamo che era anche un po' colpa mia, se stavo sempre da solo: se non sorridi non attiri nessuno. E' che quella città mi levava la voglia di vivere e sorridere, seriamente. L'unica via di fuga era la musica, e lo era sempre stata, fino al giorno in cui conobbi Gerard. Un ragazzo cicciotto con una grande passione per il disegno, anche lui solo come me. Siamo diventati amici in men che non si dica, vista la situazione in cui ci trovavamo entrambi, e posso tranquillamente dire che fin dall'inizio sapevo di poter contare su di lui in qualsiasi momento. Anche quando non lo conoscevo, lo conoscevo già. È difficile da spiegare, ma sono totalmente convinto che Gerard Way sia il mio gemello, l'altra metà del mio corpo, una benedizione in terra per farla breve. Ora che ci penso, fin dall'inizio avevo provato qualcosa di più grande di semplice amicizia e fiducia nei suoi confronti, e anche se non lo avevo mai notato, probabilmente i miei sentimenti erano sempre stati questi qui. In fondo era destino che succedesse: ho sempre tenuto a Gee più della mia stessa vita; o per dire meglio, lui era la mia vita. Tutto ciò che mi era capitato - suonare in una band, trovare degli amici di cui fidarmi, vedere dal vivo i miei idoli.. tutto era successo grazie a Gerard, grazie al suo continuo essere carico e stimolante, grazie al suo impegno sovrumano. Tutta la mia felicità l'ho sempre dovuta a lui, anche se ora soffro come un cane. Lui c'è sempre stato per me, e so che ci sarà sempre. Dovevo solo imparare a domare le mie dannate emozioni e sarei stato di nuovo bene. Gee non avrebbe permesso che soffrissi, potete scommetterci. In quel momento, era l'unica persona che riuscisse a farmi sentire qualcosa, e credo che lo avesse capito pure lui. Fu per quello che non mi diedi per vinto e decisi di lottare per lui.
Signore e signori, Frank Iero non si arrende così facilmente.
Tenetelo a mente.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Il giorno di Natale arrivò presto.
Gerard si fece sentire quasi tutti i giorni, anche se negli ultimi tempi aveva avuto molto da fare. Mi aveva detto qualcosa al riguardo, una sera, ma io ero troppo ammaliato dai suoi occhi per poterlo ascoltare. Lui sorrideva, quindi avevo dato per scontato che fosse una cosa bella e avevo sorriso, senza in realtà aver capito un cazzo. Lui non rivangò la cosa, comunque, quindi pensai che non fosse stata un'informazione importante e mi godetti la frizzante allegria di Gee.
Non accadde niente di particolarmente importante prima del giorno di Natale, quindi pensavo di sorvolare tutte quelle noiose giornate passate a suonare o a guardare la tv, visto che tutti sembravano avere impegni, e di raccontarvi direttamente del ‘‘Giorno X’’.
Mi svegliai presto, verso le sette e mezza, per prepararmi. Sbadigliando, controllai lo stato dei miei capelli e con una smorfia insoddisfatta realizzai che facevano schifo. Forse pensate che a me non importi niente del mio aspetto, ma non è così. Non del tutto, almeno. A ognuno interessa l'aria che ha quando esce, sotto sotto, anche se si tende a non ammetterlo per paura di essere giudicati vuoti, vanitosi. Per me era abbastanza importante sapere che i miei capelli non sembravano quelli di uno spaventapasseri, visto che speravo sempre che Gee mi notasse. Sono una ragazzina troppo innamorata per nasconderlo, che volete farci? Ad ogni modo, agguantai degli asciugamani ed entrai in bagno, controllando di avere tutto il necessario e aprendo l'acqua. Mi levai il pigiama e rimasi qualche decina di secondi a rimirarmi allo specchio. ‘‘Cazzo, quanto sono magro..’’ osservai, tastandomi lo stomaco. ‘‘Sento addirittura le costole.’’ aggiunsi sconsolato. Odiavo essere così magro, perché quando camminavo al fianco di Gee lo facevo sembrare molto più grasso di quanto non fosse in realtà, e forse lui ci stava male. O forse mi facevo troppe seghe mentali e a lui non fregava un beneamato cazzo di non essere esattamente scheletrico. Scossi la testa leggermente, poi aprii l'anta della doccia e scivolai dentro, rabbrividendo a causa dell'acqua ancora tiepida. Sistemai la temperatura e aspettai che si scaldasse, prima di sistemarmi sotto il getto e godermi gli schizzi d'acqua bollente che mi arrivavano in faccia. Chiusi gli occhi, mentre il vapore risvegliava tutti i miei sensi e i pensieri mi affollavano la mente. Decisi di ignorarli e mi concentrai sulla sensazione di appagamento che ricevevo ogni volta che una goccia calda mi correva dal petto fino alle caviglie, accarezzando il mio corpo nudo. Cristo, certe volte bastava davvero poco per farmi felice, e in quella mattinata gelida una doccia calda era proprio quello che ci voleva. Buttai la testa all'indietro, alla ricerca di un po' di fresco, poi mi piegai e raccolsi lo shampoo. Spostai il getto della doccia e m'insaponai i capelli, riempiendomi le narici del buon odore emanato dal flacone colorato. Frutta mista. A Gerard piaceva, la frutta, e pure a me. Più che altro mi piaceva la scatola del prodotto, ricoperta di disegni e colori sgargianti, foto di fragole, mirtilli e bacche varie. Anche se da come mi vesto non si vede, mi piacciono le cose colorate - mi tirano su di morale. Sono un tipo strano, uh?
Mi sciacquai la testa e mi insaponai nuovamente, raccattando il bagnoschiuma e spargendolo lungo il mio corpo. Mi sistemai sotto il getto d'acqua bollente e finii di lavarmi, rilassato. Dopo due o tre minuti spensi l'acqua e aprii l'anta della doccia, mentre il vapore s'insediava nella stanza e faceva appannare lo specchio. Rabbrividii e mi abbracciai lo stomaco, agguantando un asciugamano. Ne presi un altro e mi ci asciugai i capelli, per evitare che continuassero a gocciolare in giro. Riadattandomi alla temperatura tiepida di casa mia, mi legai l'asciugano alla vita e uscii dal bagno, determinato a chiudere la finestra che avevo dimenticato di chiudere prima di lavarmi. Nel toccare la manopola mi venne la pelle d'oca e ricominciai a sentir freddo. Tornai velocemente in bagno e finii di asciugarmi, poi andai in camera e raccattai un paio di boxer. Li indossai e scelsi i vestiti per la giornata, indossandoli subito dopo. Visto che dovevo andare da Gee, mi vestii in modo abbastanza normale, anche se sopra i jeans evitai di mettere una maglietta con sopra teschi o chessoio. Mi allacciai le scarpe e diedi un'occhiata all'orologio: le otto e quaranta. ‘‘Non ci ho messo poi così tanto.’’ constatai alzandomi dal letto. Mi diressi verso l'armadio e tirai fuori degli oggetti, che poi posai sul tavolino in soggiorno, accanto a della carta da pacchi e un paio di forbici. Feci un respiro profondo e mi sedetti, cominciando a incartare i regali.

Finii verso le dieci, grazie alla mia indubbia velocità e a tre pause sigarette. Ero piuttosto compiaciuto del mio lavoro, considerato che ero negato per queste cose. Misi i regali in una busta extra-large e posai il tutto vicino alla porta, per evitare di dimenticarmene. Rimisi a posto la stanza - o meglio ancora, buttai tutto nell'angolo, e mi spaparanzai sul divano, facendo cadere la testa sui cuscini. Profumavano ancora di Gee, e la cosa mi mandò in estasi. Rimasi lì a fissare il vuoto per una decina di minuti, poi decisi che era ora di andare e mi alzai. Mi infilai una giacca e i guanti che mi aveva regalato Gee, quelli con le ossa di scheletro che mi piacevano tanto e che, soprattutto, tenevano un caldo della Madonna, pur essendo senza dita. Agguantai la sacca e uscii da casa, chiudendo a chiave la porta. M'infilai le chiavi in tasca e mi incamminai verso l'ascensore, sbuffando a causa del peso dei regali. Cinque minuti più tardi ero già per strada, a congelarmi la faccia. Faceva particolarmente freddo, quel giorno, e la condensa del mio fiato era enorme. Rabbrividii e mi strinsi nella mia giacca, velocizzando il passo. Poi però rallentai, ricordandomi che ero decisamente in anticipo. Scossi la testa e mi diedi un'occhiata attorno, per vedere se c'era un negozio aperto in cui intrufolarsi. Per mia fortuna un negozietto di roba artigianale stava aprendo, quindi attraversai la strada e lo raggiunsi, fiondandomici dentro. Mi guardai in giro fingendo di cercare qualcosa, in modo da non venir cacciato fuori dopo due minuti dal commesso, che aveva intuito che non avrei comprato niente di niente.
- Fa freddo, eh, caro? - domandò una voce alle mie spalle. Io sobbalzai, girandomi di scatto. Una signora anziana, probabilmente la proprietaria del negozio, era seduta al bancone e fissava con malinconia le strade deserte, sospirando. Non mi ero nemmeno accorto del suo arrivo, e sicuramente lei lo aveva intuito. - Lavoro qui da tanti anni, ormai, ed è sempre così a Natale.. Tutti dai parenti, tutti dagli amici, e nessuno che viene a fare visita a una vecchia come me.. - poi si voltò a guardarmi.
- E tu? Come mai sei qui? - domandò con aria stanca.
- Io? Uhh - esitai un attimo. - Sto.. sto cercando un regalo per un amico, e mi chiedevo se avessi potuto trovare qualcosa qui - buttai lì, sapendo di essere stato sgamato.
- Beh, carino da parte tua. Per chi è? - chiese ancora.
- Per un caro amico a cui tengo veramente tanto. - risposi io, dando uno sguardo alla merce in esposizione.
- Capisco.. - mormorò lei, persa nei suoi pensieri. Io annuii, senza cercare di continuare la conversazione - anche perché non avevo intenzione di comprar niente. Girovagai tra gli scaffali per un'altra decina di minuti circa, poi finsi di ricevere un messaggio e me ne andai.
- Buon Natale, signora. - feci con un cenno del capo.
- Anche a te, figliolo, anche a te. -
Una volta uscito da quel piccolo locale, l'aria pungente della mia città mi sembrava più fredda di quella del Polo Nord, quindi controllai l'orologio e decisi di andare da Gee. Mi sgranchii le mani e ripresi a camminare, la busta che sembrava sempre più pesante passo dopo passo. Aumentai la velocità e arrivai sotto casa del moro dopo quaranta - quarantacinque minuti. Ripresi fiato e mi fumai una sigaretta, poi citofonai e aspettai che Gee venisse ad aprire.
- Chi è? - fece il ragazzo, la voce resa più metallica dall'apparecchio elettronico.
- Ehy. Sono io, Frank. - risposi io, sorridendo tra me e me.
- Oh, Frankie! Aspetta, ora ti apro! - esclamò con voce radiante. Dopo cinque secondi il portone si aprì e io mi feci a piedi le poche rampe di scale che conducevano all'abitazione del moro, ansimando lievemente per il peso dei pacchi. Arrivato davanti alla sua porta, non feci neanche in tempo a bussare che lui mi aprì, invitandomi a entrare con un sorriso a trentadue denti. Lo ringraziai e lo salutai, posando la mia giacca insieme alla sua e a quella di Mikey.
- Sei il primo ad arrivare. - mi informò Gee, prendendo la busta e posandola nell'angolo. - Fa molto freddo? -
- Si crepa. - risposi io, levandomi i guanti. Lui sorrise, avviandosi in sala. Trotterellai dietro di lui, guardandomi attorno. Tutto l'appartamento era addobbato, e un'enorme tavola imbandita faceva la sua porca figura nel bel mezzo della sala. Mi lasciai sfuggire un'esclamazione di stupore e ammirazione, e Gerard non se la perse.
- Carino, eh? Ci ho messo ere a preparare tutto. - gongolò orgoglioso.
- Potevi anche chiamarmi, chissà quanto avrai faticato. - obiettai, fissando le decorazioni minuziosamente attaccate ai mobili.
- Nah, non ti preoccupare. Non mi andava di sfruttarti pure il giorno di Natale. - ridacchiò lui, stiracchiandosi e sedendosi sul sofà. Seguii il suo esempio, rilassando le mie gambe doloranti e sospirando tranquillamente.
- E Mikey? - domandai.
- Boh. Dovrebbe arrivare dopo con Ray, o qualcosa del genere. - rispose lui, annoiato.
- Oh. Quindi siamo solo noi due? -
- Già. Che c'è, ti dispiace? - scherzò il moro.
- Ma che dici! - sbottai, arrossendo abbastanza visibilmente.
- Scherzavo, scherzavo. Lo so che ti piaccio, sennò non saremmo amici. - sorrise lui.
- Cretino - mormorai alzando gli occhi al cielo.
- Sono anni che continui a ripetermelo. - commentò Gee, chiudendo gli occhi e posando la testa all'indietro.
- È la sacrosanta verità. Gerard Way sei un cretino! - ripetei con una finta aria stanca. Lui sorrise placidamente e appoggiò la testa contro la mia spalla. Per fortuna aveva gli occhi chiusi, perché io ero rosso come l'inferno.
- Ho un sonno della madonna.. - sbadigliò il ragazzo, passandosi una mano sul volto.
- Dormi. Ci penso io agli ospiti. - lo tranquillizzai.
- Grazie mille. Ti voglio bene. - fece lui, grato.
- Ti voglio bene anch'io. - sussurrai, chiudendo gli occhi e sentendo il suo respiro tiepido sulla spalla. Un sorriso idiota mi si stampò sulla faccia e mi lasciai scappare un sospiro soddisfatto, mentre mi voltavo a osservare la pelle candida del moro, così delicata e morbida in confronto ai suoi capelli corvini e ribelli. Avrei voluto urlare da quanto era carino, ma mi trattenni e rimasi a guardarlo finché non sentii qualcuno bussare ripetutamente alla porta. Con malavoglia mi alzai e andai ad aprire, per ritrovarmi davanti un Mikey sorridente e pieno di pacchetti.
- Frank! Ciao! - esclamò al settimo cielo. - Da quanto non ci si vede! -
- Da qualche settimana, in effetti - constatai io, stupendomene.
- Sembra molto di meno. - commentò il ragazzo, posando i pacchetti accanto ai miei.
- Dov'è Gerard? - domandò poi, guardandosi intorno.
- È di là che dorme. - lo informai. - È meglio non svegliarlo, ha lavorato molto. - aggiunsi. Mikey annuì comprensivo e si avviò silenziosamente verso la cucina.
- Del cibo mi occupo io. - mi spiegò. - Non sono un asso in cucina, ma sicuramente sono meglio di voi. - ridacchiò allegro. Come dargli torto?
- Comunque ho ordinato qualcosa dal cinese, quindi se quello che preparo fa schifo abbiamo un piano di riserva. - sorrise.
- Daje! - annuii, soddisfatto. Poi lo lasciai lavorare e andai ad aprire agli altri ospiti, che pian piano cominciavano ad arrivare.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Dopo una mezz'oretta circa, eravamo tutti riuniti in salotto a chiacchierare, mentre Mikey si lanciava nel suo famoso "Tacchino alla Way". Sperai che fosse qualcosa di commestibile, ma il pensiero del cinese mi tranquillizzava, quindi non feci commenti. C'era un'atmosfera piuttosto rilassata, anche se riuscivo ad avvertire un po' di tensione, probabilmente dovuta al fatto che Gerard era già alla sua seconda birra e mezzo.
- Vacci piano, ubriacone! - lo ammonì scherzosamente Ray, dandogli una pacca sulla spalla.
- Non ti preoccupare, sono capace di regolarmi - ribatté il moro, con una smorfia soddisfatta dipinta sulla faccia. All'affermazione, tutti i presenti scoppiarono a ridere all'unisono, come a dimostrare quanto Gee si sbagliasse e come non sapesse assolutamente regolarsi.
- Oh, ma andate a fanculo, stronzi! - sbottò quello, fingendosi offeso ma finendo col ridere pure lui.
- Dovresti farti vedere da qualcuno, o finirai col bere tutto l'alcol di questo mondo - scherzò Bob, facendogli l'occhiolino. - E a quel punto con cosa cucina Mikey? -. Gerard rise di gusto, con quella sua risata pura e cristallina che tanto amavo. Si coprì la bocca col dorso della mano e cercò di trattenersi, riducendo le risate in fievoli versi acuti e carini.
- Sei un coglione, Bryar! - lo apostrofò, mentre respirava affannosamente a causa delle risa prolungate.
- Senti chi parla - ribatté quello, punzecchiandolo con un dito.
- Oh, fanculo! - scattò il moro, scuotendo la testa e mordendosi le labbra nel tentativo di sembrare incazzato. Ridemmo un altro po', poi Ray si avvicinò alla finestra.
- Che guardi? - gli domandò Bob dopo qualche minuto di silenzio.
- Nevica - osservò il chitarrista. Ci avvicinammo anche noi, e potemmo scorgere dal vetro dei piccoli fiocchi ghiacciati che volteavano dolcemente nel cielo grigio, ricoprendo sofficemente le auto parcheggiate lungo il boulevard.
- Bello - commentò Gerard, appiattendo il naso contro il vetro e cercando di vedere più cose possibile. - Andiamo a fare a palle di neve? - propose, con gli occhi che gli brillavano.
- A me sta bene - fece il biondo, voltandosi a guardare Toro. - Tu che dici? -
- Uh? Per me è okay, andiamo - rispose quello, cadendo dalle nuvole.
- E tu, Frank? Ti va? -
Sospirai silenziosamente. Non mi andava di guastargli la festa, ma stavo crepando di freddo e l'idea di uscire mi faceva accapponare la pelle.
- Allora? - ripeté il biondo, alzando le sopracciglia.
- Be', ecco, in realtà io sto morendo di freddo, quindi.. - mormorai imbarazzato, massaggiandomi il collo. Il viso di Gerard si rabbuiò e il ragazzo abbassò lo sguardo, annuendo. Mi sentii improvvisamente in colpa e cercai di smentire tutto, pur di far andar via quella brutta sensazione che mi attanagliava lo stomaco.
- Vabbè dai, fa niente, vengo lo stesso! - esclamai, con un'espressione colpevole dipinta sul volto. - Basta che mi diate un'altra giacca più pesante, così non muoio assiderato - scherzai.
- Te la do io, la giacca! - rispose Gee, scattando verso l'armadio. - Ecco, tieni - mormorò poi con un sorriso, porgendomi un cappotto scuro. Lo ringraziai e lui sorrise, mettendosi un paio di guanti.
- Diavolo, è da un sacco di tempo che non faccio a palle di neve! - commentò preso dall'eccitazione.
- Già, - commentò Ray. - mi mancava, quella roba bianca -
Annuii, senza davvero condividere quello che aveva detto il ragazzo. Ero troppo intirizzito per esprimere apprezzamenti verso la causa di tutto quel freddo, e onestamente non avevo neanche fatto troppo caso a quella coperta bianca che copriva la città. Continuavo a cambiare umore - anche se nessuno se ne accorgeva - e avrei preferito di gran lunga stare a casa a cucinare che andare fuori e beccarmi una manata di ghiaccio giù per la schiena; ma non feci pesare la cosa e indossai il cappotto. Feci un respiro profondo e rincorsi i ragazzi giù per le scale, rallentando al momento di uscire. Non riuscivo a vederli, ma ero sicurissimo che stessero dietro al portone della palazzina, quindi lanciai il berretto e aspettai di vederlo finire bombardato da una raffica di palle di neve. A mia sorpresa, però, non successe niente, così decisi di farmi avanti e uscire allo scoperto. I fiocchi cadevano copiosi e i miei passi risuonavano in modo ovattato lungo il viale, completamente bianco. Cominciai a camminare, circondato da quella quiete irreale, e mi domandai dove fossero finiti i ragazzi. Che si stessero nascondendo era sicuro, ma dove? M'inginocchiai nella neve e guardai sotto le auto, nel caso riuscissi a scorgere qualche piede, ma niente. Si erano trovati proprio un gran bel nascondiglio, non c'è che dire. Mi rialzai lentamente e mi guardai intorno, speranzoso, ma dei ragazzi nessuna traccia. Mi avevano scelto come bersaglio e ora erano appostati da qualche parte in attesa che gli passassi davanti, per riempirmi di 'pallottole' e conquistare la vittoria. Scossi la testa e sospirai, conscio che se fossi tornato dentro Gerard se la sarebbe presa da morire; quindi decisi di andare avanti e sperare che quei tre coglioni non mi facessero troppo male con le loro sfere ghiacciate. Arrivai alla fine della strada, ma nessuno si fece vedere o sentire. La cosa cominciava a snervarmi, così sbuffai e girai i tacchi, dirigendomi dalla parte opposta. Macinai una dozzina di metri, quindi mi avvicinai le mani alla bocca e cominciai a chiamare i ragazzi.
- Ehy, idioti, dove siete? Uscite dal vostro cazzo di nascondiglio, forza! Muovetevi a tirarmi sta palla di neve, che sto diventando un pezzo di ghiaccio! - tacqui per qualche istante. Silenzio. - Oh, stronzi, non scherzo. Muovete quel cazzo di culo, perché io qua sto gelando e voglio tornare in casa! - Ecco, un altro sbalzo d'umore. E ancora niente segni di vita.
- Vi credete divertenti?! Avanti, venite fuori o vi mollo qua - riprovai con aria incazzata. Dopo due minuti non avevo ancora ricevuto risposte, quindi scossi la testa e ritornai sui miei passi. Varcai il portone e socchiusi la porta, in modo da non chiuderli fuori, poi sospirai nel guardare le numerose rampe di scale che mi attendevano. Mi sfregai le mani nel vano tentativo di riscaldarle e mi stiracchiai, quindi tirai fuori il pacchetto di sigarette e cercai l'accendino nella tasca posteriore dei jeans, imprecando sottovoce. Mi ero appena messo appena messo la sigaretta in bocca quando qualcuno mi saltò addosso, facendomi cadere.
- Ma chi cazz.. Gerard! Si può sapere che cazzo ti passa per la testa?! - sbottai, massaggiandomi la testa. - Cristo, che male - imprecai con una smorfia di dolore dipinta sul volto.
- Scusa, non volevo - si giustificò lui, portando la mano alla mia nuca e sfiorando il mio bernoccolo gigante. Rabbrividii dal dolore e lui tirò indietro la mano.
- Cristo, mi dispiace - mormorò, agitato.
- Fa niente, non l'hai fatto apposta - lo tranquillizzai, appoggiandomi al corrimano e issandomi in piedi. - Si può sapere dove diavolo eri finito? -
Lui mi guardò stupito.
- Vuoi dire che non ci hai visti? -
- No. -
- Capisco.. - mormorò lui, annuendo lievemente con il capo. - Be', Bob è subito corso fuori e si è nascosto dietro un albero o qualcosa del genere, e Ray.. Boh, credo l'abbia seguito. Io sono rimasto indietro per aspettarti, ma poi mi sono seduto dietro alla tromba delle scale per farti uno scherzo e non ti ho sentito passare - sorrise.
- Scherzo cretino - osservai.
- Sì, be', hai ragione - rise lui. - Ma quel che è fatto è fatto, no? -
Annuii, avvicinandomi verso la porta, mentre Gerard mi guardava dal corrimano sul quale si era seduto.
- Che fai? - domandò con aria confusa.
- Mi metto un po' di neve in testa, così sto coso non si gonfia - spiegai, infilando la mano nel ghiaccio. Rabbrividii e mi posai un po' di neve sul capo, poi mi rialzai e tornai da Gee. Lui mi squadrò da capo a piedi, attento.
- Questo cappotto t'ingrassa. -
- Eh? -
- Massì, hai capito, t'ingrassa. Potevo prestartene uno migliore - ripeté il moro, scuotendo la testa. Poi saltò giù dal corrimano e mi porse la mano. - Andiamo? -
- E i ragazzi? -
- Rientreranno fra un po', lasciali vivere - rispose scrollando le spalle. Quindi mi strinse la mano e s'incamminò verso il suo appartamento, voltandosi in continuazione verso di me e chiedendomi un sacco di cose strane. Io rispondevo il più onestamente possibile e gli facevo qualche domanda di tanto in tanto, ma lui sembrava contento di potermi chiedere tutto quello che voleva. Ad ogni modo, ci mettemmo cinque minuti ad arrivare fino al suo appartamento, viste le varie pause che fummo costretti a fare per riprendere fiato. Essendo entrambi fumatori, non eravamo fatti per le lunghe distanze, in piano o in salita che fossero.
Gee aprì la porta con un gesto secco e si ficcò le chiavi in tasca, spaparanzandosi poi sul divano. Mi tolsi la giacca ma visto il freddo decisi di tenermi i guanti, quindi andai in cucina e mi feci dare del ghiaccio da Mikey. Me lo premetti contro il bernoccolo e tornai in salotto, per sedermi accanto al moro.
- Ti fa molto male? - domandò, apprensivo.
- Nah, non ti preoccupare. È solo che non voglio che la testa mi si gonfi troppo, o rischio di sembrare bitorzoluto - scherzai.
- Saresti carino anche bitorzoluto - osservò Gerard.
- Grazie.. - arrossii.
- Aspetta! Sei arrossito?! - scattò lui, sporgendosi verso di me.
- No, ecco, io--  - cominciai.
- Sei arrossito! - m'interruppe lui. - Cristo, sei arrossito! -
Sudai freddo e mi allontanai da lui, spaventato. Il moro non lo notò neanche, tanto era occupato a gesticolare e muoversi a destra e manca.
- Guarda questa, Mikey, Frank è arrossito! È arrossito! Non è la cosa più carina del mondo? -
...eh?
- Ma sì, guardalo, non è adorabile? - esclamò il moro, voltandosi verso di me e sfoderando un sorriso a trentadue denti. Io ero paonazzo, lo potevo sentire, e stavo morendo di vergogna, ma Gerard se ne sbatté altamente. Continuò a chiamare suo fratello finché quel poveraccio non lasciò stare il pranzo e venne da noi.
- Adesso dimmi che non è carino! - disse Gee, orgoglioso. Deglutii, il cuore che batteva a mille.
- Dovresti arrossire più spesso - commentò sorridendo Mikey, tornando in cucina.
- Visto? Lo dice pure Mikes! - esclamò contento. Poi mi prese le guance tra le mani e me le pizzicò delicatamente, con aria dolce. - Sei davvero carino oggi - ripeté, guardandomi negli occhi. Il mio cuore smise di battere, tanto eravamo vicini, ma poi lui mi lasciò andare e si risdraiò nella sua parte di divano.
- Davvero carino, sissì - mormorò tra se e se, sorridendo. Io lo fissai per qualche minuto, tremando leggermente a causa della forte emozione di poco prima, e domandandomi se fosse stato sincero. Cristo, quanto desiderai che non fosse stato un complimento così, a cazzo, per lui. Strinsi i pugni e deglutii, calmandomi lentamente, poi mi girai di nuovo verso Gerard.
- Ehy.. -
- Sì? -
- Scherzavi, prima? - sussurrai con un filo di voce.
- No - rispose lui, pacato. Deglutii, il battito del mio cuore che andava a mille.
- Oh.. grazie.. - mormorai con le orecchie in fiamme.
- Di niente - ridacchiò lui, mettendomi una mano sulla spalla e guardandomi fisso negli occhi con uno sguardo dolcissimo che gli avevo visto fare pochissime volte. - Mettiti in testa che sei bellissimo, perché così non permetterai più a nessun coglione di farti star male. -
Detto questo, si alzò e si allontanò.
Rimasi immobile per qualche secondo, rimuginando sull'accaduto. Direi che mi era permesso illudermi, dopotutto. Mi abbracciai le ginocchia, sorridendo come un ebete, e ricominciai a farmi i film mentali, incurante delle occhiate di Mikey, che ogni tanto passava dal salotto. Gerard era al bagno, quindi potevo fare tutte le facce strane che mi pareva.

- Ehy, ci sei? - mi svegliò una voce dal mio sogno ad occhi aperti.
- Uh? -
- Terra chiama Frank, Terra chiama Frank - scherzò Bob, scrollandosi la neve di dosso.
- Tutto bene? - mi domandò Ray, inarcando le sopracciglia.
- Sì, perché? - domandai a mia volta. Lui si morse le labbra e indicò verso il basso con il capo. Seguii il suo sguardo e arrossii completamente, coprendomi l'erezione con le mani.
- Oddio, io - farfugliai in preda al panico - cioè, non è come sembra, io, ecco, oddio! -
Ray rise, portandosi una mano davanti alla bocca.
- Calmati, Frank, può capitare - ridacchiò, mentre Bob sghignazzava avviandosi verso il bagno.
- Geeeeraaaard! Indovina cos'abbiamo quiii! - lo chiamò, guardandomi malignamente.
- BOB, PORCA PUTTANA, CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA! - avvampai io con voce stridula.
- Ohohoh, a qualcuno piace qualcun altro - ridacchiò Bob, mettendosi una mano davanti alla bocca.
- Chiudi quella fogna, Bryar. Sempre a rompere il cazzo, tu - lo rimproverò Gerard acidamente, uscendo dal bagno e camminando oltre il biondo. - Oggi è Natale, quindi evita di sparar stronzate, okay? -
Silenzio.
- Ci siamo capiti? - concluse, fulminandolo con lo sguardo. Bob rimase in silenzio, mentre il moro si avvicinava al tavolo e si stappava una birra. Si portò la bottiglia alle labbra e ne bevve un po', poi tornò a guardarci.
- Be', che è tutto sto silenzio? - fece poi, inarcando le sopracciglia.
- È che non mi aspettavo che la cosa ti infastidisse - disse il biondo facendo le spallucce.
- No, figurati, è solo che è stato un periodo difficile per Frank, e dovresti essere più gentile con lui - lo tranquillizzò Gee, dando un altro sorso alla birra. - Smettila di essere lo stronzo di sempre, okay? -
- Va bene - acconsentì Bryar.
- Bene - sorrise Gerard, alzando la sua bottiglia in segno di approvazione. - Un brindisi al Natale? - propose.
- Perché no? - esclamò contento Bob, lanciandosi verso una birra. - Basta che non si facciano foto - ricordò poi, fissandoci uno a uno.
- Ancora co ste foto! - sbuffò Ray ruotando gli occhi. - Non ti preoccupare, abbiamo capito! La tua bellezza superiore non può essere immortalata da niente se non dai nostri occhi e bla bla bla - ripeté con aria annoiata.
- Hey, calmo, io ricordavo e basta - si schernì il biondo, sorseggiando la sua birra.
- Infatti scherzavo, coglione - rise Ray scuotendo la testa. - Dai, passami una bottiglia - fece poi, dopo aver allungato una mano. Bob ubbidì e l'altro lo ringraziò con un cenno della testa, stappando pacatamente il contenitore.
- Be'? Che si dice? - buttò lì Gerard, giocherellando con un tappo.
- Si dice che il pranzo è pronto! - annunciò Mikey entrando in sala e portando un enorme vassoio su cui torreggiava una scodella piena di pasta di varia lunghezza e vari colori. - Tutti ai vostri posti! - ordinò quindi, posando il vassoio sul tavolo e sorridendo vistosamente, preparandosi a servire il cibo.
- Io sto vicino a Frankie! - esclamò prontamente Gerard, sorridendomi e prendendomi per mano. Il mio cuore accellerò di centomila battiti al secondo e fui costretto a mordermi  le labbra per non arrossire, mentre mi sistemavo al suo fianco.
- Allora io mi metto qua - commentò Bryar, lasciandosi cadere sulla sedia più vicina a lui.
- E io qua - completò Ray, prendendo il posto accanto al batterista. - Ti toccherà stare a capotavola, Mikey - sorrise poi.
- Meglio, così vi posso controllare tutti - disse il bassista facendogli l'occhiolino. - Non sia mai che qualcuno di voi coglioni decidesse di mangiarsi tutta la pasta - aggiunse guardando il moro con aria di rimprovero.
- Non ti preoccupare, fratellino, farò il bravo bambino - promise Gerard con una risata, facendoci notare che aveva fatto una rima senza neanche volerlo. Mikey scosse la testa e, sorridendo sotto i baffi, gli diede un buffetto affettuoso sulla testa.
- Ma smettila, scemo - rise alzando gli occhi al cielo.
- Va bene, la smetto - acconsentì Gerard, - ma solo perché devo far vedere una cosa a Frank - specificò alzandosi nuovamente in piedi. - Dai, vieni, ci metteremo un attimo - sorrise porgendomi la mano. Io la strinsi, estasiato, e lo seguii in camera sua, mentre Bob assaltava il suo piatto di pasta.
- Cosa dovevi mostrarmi, Gee? - domandai una volta che il ragazzo ebbe chiuso la porta dietro di se.
- In realtà non devo mostrarti niente, Frankie. Desidero solo parlarti faccia a faccia per qualche secondo, se non ti dispiace - cominciò. - È una cosa importantissima per me, e sento come se dovessi dirtelo ora. Cioè, voglio dirtelo da sempre, però.. - sussurrò, diminuendo il volume della sua voce subito dopo il ‘però’.
Il mio cuore smise di battere per l'emozione, l'ansia e la paura che mi avevano attanagliato lo stomaco in quel preciso istante, e lo guardai.
- Anch'io devo dirti una cosa, Gee - confessai. - E anche questa è abbastanza importante - aggiunsi, le mani che mi sudavano e le guance pronte ad arrossire. - Io, ecco.. - mormorai con voce flebile, cercando le parole e annaspando per un po' d'aria. -Vedi, io volevo dirti che--  -
- Ah, ah, ah - m'interruppe lui. - Prima io! -
- Ma è una cosa importante! - cercai di protestare.
- Anche la mia, che ti credi?! - ribatté il moro.
- Vabbè, fa niente; ricominciamo daccapo, ti va? - proposi. Gerard annuì, serio. Poi fece uno di quegli esercizi per rilassarsi, chiuse gli occhi e li riaprì.
- Devo dirti una cosa importante - ripeté, guardandomi dritto negli occhi.
- Anch'io. Vedi, io--  -
- Mi sposo, Frank -.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


- Mi sposo, Frank -.
Quelle parole rimbombavano ancora nella mia testa, ed erano peggio di un migliaio di pugnalate alla schiena. Volevo urlare, ma la testa mi si annebbiò e la voce mi morì in gola.
- C-cosa? - mormorai con un flebile mugolio.
- Mi sposo - ripeté il ragazzo, con un sorriso enorme dipinto sulle labbra. - Sabato prossimo, in un posto vicino-- -
- Non è possibile - sussurrai, interrompendolo. Lui mi guardò accigliato.
- Perché no? -
Lo guardai con un'aria stravolta.
- Proprio non capisci? - dissero i miei occhi, in cerca di un segno che mi facesse capire che era tutto uno scherzo. Lui non capì.
- Frank, non è stata una decisione presa così, a cazzo, io voglio davvero sposarla - ripeté, pronunciando con enfasi l'ultima parte. - La amo alla follia - sottolineò, cercando conforto nei miei occhi. Mi sentii tradito, ferito, e non riuscii a sostenere il suo sguardo, così abbassai il mio mestamente.
- E tutte quelle parole? - domandai.
- Eh? - boccheggiò Gerard, colto alla sprovvista.
- Tutte quelle belle frasi, quei gesti e quei complimenti? Non hanno mai significato niente per te? - gli rinfacciai, con voce forte. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma strinsi i pugni per cacciarle via. Dovevo sembrare forte per ottenere qualche effetto su di lui.
Gerard sembrò infastidito dalla mia domanda e si gettò una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, come era solito fare quando non sapeva come rispondere a qualcuno.
- Frankie, non dire scemenze - tagliò corto. - Lo sai che ti voglio bene e che sei importante per me, ma io amo Lindsey e voglio sposarla, quindi, perfavore, non farmi questo -.
Non farmi questo?
Non farmi questo?
Mi sentii esplodere dalla rabbia e dalla frustrazione, ma mi morsi il labbro e inspirai profondamente un paio di volte. Chi era lui per dire a ME di non ferirlo? Quello che mi aveva fatto star male per settimane e che mi aveva illuso di provare qualcosa per me più di una volta; quello che con le sue parole mi aveva fatto tirare avanti ma che all'ultimo momento mi aveva negato ogni salvezza; quello che dopo avermi spezzato il cuore pretendeva di essere compreso e perdonato, senza aver minimamente capito il mio dolore. Fanculo. Respirai a fondo più volte, stringendo i pugni fino a farmi male, e alzai lo sguardo. La rabbia aveva scacciato le lacrime, e ora potevo guardarlo in faccia senza che i miei occhi diventassero libri aperti sul mio cuore.
- Gerard, sei un coglione - dissi con aria delusa. Lui mi guardò in silenzio per qualche secondo, poi sospirò e mi mise una mano sulla spalla. Io voltai la testa, ma lui non demorse e respirò a fondo.
- Frankie.. - cominciò, interrompendosi per mordersi il labbro inferiore e trovare le parole adatte. - Capisco che tu ti senta tradito, ma io non intendevo ferirti. Ti voglio bene più di qualsiasi altra cosa al mondo e farei qualsiasi cosa per te, lo sai bene. Proprio per questo ho pensato fosse necessario dirtelo. Volevo sentire il tuo parere e vedere la tua reazione nel sapere che ho finalmente trovato qualcuno che mi ami e che sia disposto a passare l'eternità con me, nella buona e nella cattiva sorte -
- Gerard, io -
- No, non parlare. Sappiamo entrambi che se c'è una persona che non troverà mai qualcuno nel nostro gruppo, quella persona sono io, quindi ti prego, Frank, cerca di capirmi. Io la amo con tutto me stesso e desidero sposarla con tutto il mio cuore, sono stracotto di lei. So benissimo che avrei dovuto fartela conoscere prima di prendere questa decisione e mi dispiace, mi dispiace davvero, ma il fatto è che avevo paura che lei avesse potuto accorgersi di quanto tu sia meraviglioso e che avesse potuto avere dei ripensamenti.. - mormorò. - So che è una cosa stupida, scusa, ma non riuscivo a scacciare quel pensiero dalla testa. Io la amo davvero, Frank, e vorrei tanto che tu riuscissi a capirlo - terminò, guardandomi negli occhi. Deglutii, ricacciando indietro le lacrime e annuendo.
- Capisco.. - sussurrai, la voce che mi moriva in gola. Il suo voltò si rasserenò di colpo.
- Davvero? Oh, Frank, grazie - esclamò, due lacrime che gli solcavano il volto. - Non sai quanto questo significhi per me - aggiunse, stringendomi.
- Non significa niente rispetto a quello che significa per me.. - sussurrai nella sua spalla, in modo così lieve che lui non mi sentì neanche. Gerard si staccò da me e mi guardò felice, le mani posate sulle mie spalle.
- Non so come ringraziarti - sorrise. - Sei la prima persona a cui lo dico - fece poi, per sottolineare quanto la mia opinione fosse importante per lui. Lo guardai con occhi vitrei e annuii, incurvando le labbra in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso ma che sembrava più una smorfia cretina. Gerard se la fece bastare. Mi abbracciò nuovamente e mi strinse la mano, asciugandosi le guance con la manica libera.
- Ti voglio bene - sussurrò.
- Anch'io - replicai, liberandomi delicatamente dalla sua presa e dirigendomi verso il bagno.
- Aspetta! - esclamò il moro, venendomi dietro. Io mi fermai, guardandolo con la coda dell'occhio.
- Cosa dovevi dirmi? - domandò.
- Non ha più importanza ormai - tagliai corto uscendo dalla stanza. Aprii la porta del bagno e me la chiusi alle spalle, appoggiandomi pesantemente al lavandino. Mi fissai allo specchio, sospirando. Cos'avevo che non andava? Cos'aveva lei più di me? Diedi un pugno al piano e aprii l'acqua, gettandomene un po' in faccia. Mi lavai per bene il volto e cancellai le tracce di pianto, poi respirai in silenzio per un paio di secondi. Dissi qualche frase ad alta voce e feci tornar normale il mio battito, quindi mi asciugai e uscii dalla stanza. Gerard era tornato al suo posto e aveva ripreso a mangiare come se niente fosse. Mi sedetti silenziosamente al suo fianco e non lo guardai fino alla fine della portata, anche se sentivo il suo sguardo puntato su di me. Imprecai dentro la mia testa e mi concentrai sul cibo, per evitare il ritorno delle lacrime. Finii di mangiare il primo e alzai lo sguardo verso Bob, che stava chiacchierando amorevolmente con Mikey della partita di football dell'altra sera. Guardai quindi Ray, ma lui stava ancora mangiando quello che probabilmente era il suo terzo piatto di pasta, così decisi di farmi coraggio e voltarmi verso Gee. Il ragazzo mi stava guardando, come temevo, e aveva un'aria pensosa. Lo scrutai qualche secondo, poi sospirai e tornai a fissare il mio piatto. Perché Natale deve sempre far così schifo? Mi morsi il labbro e giocherellai con le mie dita, senza sentirmi in grado di chiedere al moro che cosa stesse pensando. Credo che lui intuì il mio disagio, perché mi mise una mano sulla gamba e mi sorrise. Era un sorriso bello, rassicurante, e la cosa mi tranquillizzò. Gli sorrisi a mia volta e lui parve soddisfatto, quindi si voltò e chiese al fratello di portare a tavola il secondo. Mikey sparì in cucina e ritornò in sala dopo pochi minuti, stringendo un enorme piatto contenente il suo famoso tacchino.
- Voilà! - esclamò, togliendo il coperchio di sicurezza e poggiando il tutto sul tavolo. - Servitevi pure - ci incoraggiò, prendendo posto al tavolo e mettendo al centro dei barattoli di salse varie di cui nessuno usufruì.
- Tieni, Frankie - sorrise Gerard, passandomi un piatto pieno di carne e patate. Ringraziai e lo presi, aspettando che tutti gli altri fossero pronti per mangiare. Mangiammo tranquillamente, chiacchierando e scherzando come al solito, fino alle due e mezza - tre, quando Bob si alzò e annunciò che sarebbe andato a dormire sul divano fino al prossimo Natale. Ray rise, lanciandogli addosso una felpa.
- Tiè, usala a mo' di coperta - gli consigliò paciosamente, mentre l'altro si sdraiava e se la metteva sulla schiena. Gerard scosse la testa, ridendo sotto i baffi, e io mi limitai a osservarlo con interesse.
- Che cosa ti ha mostrato Gee? - mi domandò dopo un po' Ray, sporgendosi verso di noi.
- Niente di che - scrollai le spalle.
- Gli ho ridato l'accendino che aveva dimenticato qui l'altro giorno - spiegò meglio il moro, soddisfacendo la curiosità del chitarrista. Cadde il silenzio per qualche minuto, quando improvvisamente il cellulare di Ray squillò e il ragazzo si portò l'attrezzo all'orecchio.
- Pronto? Sì. Aha. Va bene, capito. Arrivo subito - rispose, riattaccando. - Scusate ragazzi, devo proprio andare - fece, guardandoci negli occhi.
- Fa niente, non ti preoccupare - lo rassicurai con un sorriso, mentre lui raccattava la giacca e si fiondava giù per le scale. Sentii la porta sbattere violentemente e mi girai verso Gee.
- Facciamo due passi? - proposi. Lui annuì, convinto.
- Mikey, ti va di venire con noi? - domandò, voltandosi verso la cucina. Udimmo un "no grazie", così ci alzammo e uscimmo senza di lui. Le strade erano deserte, ma mi sentivo tranquillo e rilassato come al solito. Lanciai uno sguardo veloce al moro. Camminava spensieratamente, le mani nelle tasche e la testa nelle nuvole. Fui tentato dal saltargli addosso e abbracciarlo, ma mi trattenni. Ripensai a Gee, al matrimonio, alle sue parole, poi lo guardai di nuovo. Niente, non riuscivo a odiarlo o a provare niente di negativo nei suoi confronti, per quanto mi ci sforzassi. Avete presente quando amate qualcuno così tanto da non riuscire a percepire niente di brutto in lui? Ecco, mi sentivo così. Schiavo di un amore non corrisposto che diventava sempre più grande e significativo giorno dopo giorno, e che mi avrebbe portato alla follia nel giro di pochi mesi. Bello. Mi ficcai le mani in tasca e accellerai il passo, in modo da rimanere a fianco del moro, e mi fermai davanti a lui.
- Cosa..? - cominciò Gerard, alzando le sopracciglia.
- Ti voglio bene - sussurrai. “Ti amo.” - Sono contento che tu abbia trovato qualcuno che sappia renderti felice - “Anche se quel qualcuno vorrei essere io”, aggiunsi mentalmente. - Quindi sì, be', auguri e figli maschi - buttai lì, imbarazzato. Gee sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e mi abbracciò stretto, ringraziandomi di tutto.
Fu allora che capii.
Non importava chi lui amasse o chi lui avesse deciso di sposare, io l'avrei amato sempre e comunque e sarei rimasto al suo fianco fino alla fine.
Signori e signore, il mio nome è Frank Iero, e amerò Gerard Way fino alla morte.


Nota dell'autrice:
Allora, innanzitutto non fucilatemi D:
È da settembre che ho in mente questo finale, e fino all'ultimo ero indecisa se metterlo o meno, anche se alla fine ho deciso di sì. Perché? Perché nelle ultime Frerard che ho letto tutto si è sempre concluso bene e, sebbene i finali romantici mi piacciano, a volte mi sono trovata a pensare “Cavolo, ma finiscono tutte così?”. Allora ho deciso di scrivere io una Frerard, ma di non farla finire come tutti si aspetterebbero, cioè con Gerard e Frank che scopano allegramente o che si mettono insieme e vivono per sempre felici e contenti.
In più mi piaceva l'idea di un Frankie disposto ad aspettare anni prima che l'amico lo pensi come qualcosa di più. È come se i suoi sentimenti fossero più profondi e radicati nel suo cuore, non so se mi spiego ono
Vabbè, comunque preferisco questo finale a quello classico col bacio. Ammazzatemi pure eue

Grazie a chiunque si è preso la briga di recensire questa storia, lo apprezzo molto.

Ciao e grazie, puzzoni c:

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