Tuberculosis

di Sherlock Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Handkerchief ***
Capitolo 2: *** Tear ***
Capitolo 3: *** Apparition or Reality? ***
Capitolo 4: *** New Orleans, 1869 ***



Capitolo 1
*** Handkerchief ***


Attenzione! SPOILER su “Sherlock Holmes: Gioco di Ombre”!


James Moriarty mi sorrise, sornione, accarezzandosi la folta barba brizzolata.
I suoi occhi di ghiaccio si fissarono nei miei.
Senza abbassare lo sguardo, il professore gettò con noncuranza, sulla scacchiera che ci divideva, un fazzoletto.
Aggrottai le sopracciglia, osservando quel pezzo di seta.
Non lo riconobbi immediatamente.
Dovetti avvicinarmi alla cattedra di un passo…
 
In un istante, capii.
E il mio cuore si spezzò.
 
Quel fazzoletto recava ricamate due iniziali in cremisi : I.A.
 
Irene Adler
 
La mia amata Irene Aldler.
 
Era macchiato di sangue, di un colore, però, spento.
 
Non riuscivo a respirare.
Doveva essere al sicuro… Dopotutto, era una sua agente! Collaborava col professore!
 
Moriarty poggiò la schiena contro lo scranno.
-  L’avevo avvertita… Miss Adler non doveva cadere preda dell’infatuazione per lei, Holmes…-
Deglutii.
Per un momento, mi parve che lo studio del professore ruotasse attorno a me.
- Una rara forma di tubercolosi fulminante…- mormorò Moriarty, osservando il fazzoletto insanguinato.
 
L’aveva uccisa. Uccisa…
 
Tentai di non provare emozioni o, almeno, di nasconderle al mio più acerrimo nemico…
Non avrebbe avuto da me nessuna soddisfazione.
“Maledetto assassino!”
 
Per la prima volta nella mia vita, mi sentii incapace di reagire.
Sono perso, senza di lei…
 
- E’ sicuro di voler giocare questa partita, Holmes?- mi chiese Moriarty, senza mai cancellare dal suo volto quel sorrisetto repellente.
Mi allungai sulla scacchiera e le mie dita sfiorarono il suo fazzoletto.
La morbida seta si insinuò tra il pollice e l’indice, ed avvertii il ruvido del sangue rappreso.
Mi si formò un nodo in gola.
Con voce ferma e cupa, mi rivolsi al professore:- Lei perderebbe.
La più grande mente criminale del secolo ridacchiò.
Furioso, mossi un passo verso l’uscita, spalancando la porta.
- Ah, - cominciò Moriarty, alzando il tono di voce – Recapiterò presto il mio personale regalo di nozze al dottor Watson e alla sua nuova moglie…-
Rimasi per un secondo con la mano sulla maniglia.
Mi voltai e fulminai il professore con uno sguardo, prima di chiudermi la porta alle spalle.

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Capitolo 2
*** Tear ***


Non presi alcuna carrozza.
Camminai meccanicamente per chilometri, con il fazzoletto stretto convulsamente tra le mie dita.
Il tremore fu l’unico segno di emozione che permisi al mio corpo di mostrare.
Un passo dopo l’altro, giunsi al centro di Londra.
Andai a sbattere contro ad un uomo. Questi mi chiese di scusarmi, ma lo scostai con il braccio e proseguii imperterrito il mio cammino.
Un paio di donne che chiacchieravano amabilmente sul marciapiede, al mio passaggio, notando il mio sguardo vacuo, si zittirono.
 
I miei occhi stanchi, infine, si posarono sulla lanterna del 221 B di Baker Street.
Con le gambe indolenzite, salii su per le scale, ignorando i commenti della nanny sul mio ritorno ad un’ora così tarda.
Abbassai la maniglia della porta del mio studio.
Vi entrai di slancio, e la richiusi immediatamente.
Il fremito delle mie mani non s’interruppe.
Posai la nuca sul legno dell’uscio, lasciandomi poi scivolare fino a terra.
Intanto, le lamentele di Mrs. Hudson, come sempre, si persero nel vuoto.
E tutto divenne silenzioso.
 
Il mio respiro si fece irregolare.
Afferrai il fazzoletto di Irene, prima rinchiuso nella mia mano sinistra, con due dita della destra, portandomelo all’altezza del mio sguardo.
Faticai a deglutire.
Avvertii, poi, un pizzicore alla base dei miei occhi.
Posai il pezzo di seta insanguinato sulle mie gambe.
Chiusi le palpebre e, quando le riaprii, una lacrima comparve sulla mia guancia, scivolandomi poi sul collo.
 
Stavo piangendo.
 
Mi stupii.
Mai avevo pianto, in vita mia. Mai avevo permesso alle lacrime di sgorgare.
 
Mai, fino ad oggi.

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Capitolo 3
*** Apparition or Reality? ***


Mi sollevai di scatto, tentando di riacquistare il mio autocontrollo.
“Era solo una donna…” mi dissi.
“Bugiardo… Come puoi ingannare te stesso?” mi risposi. “ Era la donna. La tua donna. Era Irene. La tua amata.”
Mi abbandonai in poltrona, distrutto, posandomi la mano sugli occhi, e sfregandomeli, tentando disperatamente di cancellare ogni traccia di pianto.
 
Sentii un rumore di passi, attutiti dal tappeto rosso che ricopriva le scale.
“Non è la nanny… Ormai, riconosco la sua cadenza…”
Posai la mano che stringeva il fazzoletto sul calcio del revolver.
La porta si aprì e, in quel mentre, tolsi la mano dai miei occhi.
 
La vidi.
“Irene…”
Era magnifica nel suo abito scuro, che si intravedeva dal manto con il cappuccio che le copriva le spalle.
Com’era possibile? Era morta, assassinata dagli intrugli di Moriarty…
Mi girai di scatto verso l’astuccio di marocchino, e lo trovai chiuso.
Aggrottai le sopracciglia e storsi il naso.
“Non ho assunto droghe… Non è un’allucinzazione…”
Lasciai l’impugnatura della pistola ed osservai prima il fazzoletto e poi di nuovo lei.
Irene posò le mani, l’una sull’altra, sul suo corpetto, e sorrise, inclinando la testa.
Mi sollevai lentamente dalla poltrona, quasi come in un sogno, e mossi alcuni passi incerti verso lei, con il pezzo di seta ricamato tra le mie dita.
“Inganno della mia immaginazione… O di Moriarty?”
A quel pensiero mi bloccai.
Irene increspò le sue dolci labbra, mantenendo, però, sempre la sua posizione.
Scossi la testa e cercai di non pensare a nulla.
Feci gli ultimi due passi che mi separavano da lei.
Allungai la mia mano e le sfiorai la sua morbida gota.
“E’ reale…”
Lei chiuse gli occhi e si abbandonò alla mia carezza.
Staccai le mie dita dal suo volto e Irene aprì gli occhi, mi afferrò per la camicia e… Mi baciò.
Quel bacio mi riempì il cuore di gioia e gli occhi di lacrime di felicità.
Che, però, non sgorgarono.
Il suo fazzoletto insanguinato cadde a terra, svolazzando.
Lei si allontanò dalle mie labbra, continuando a sorridere.
- Sei viva!- esclamai, felice.
- Ottima deduzione, Sherlock…- mormorò, abbracciandomi.
Ero così sollevato!
E così contento di poterla stringere ancora fra le mie braccia…

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Capitolo 4
*** New Orleans, 1869 ***


Un pensiero mi si profilò nella mente…
Mi staccai immediatamente da lei, chiudendo la porta del mio studio e tirando la tenda.
- Lui lo sa?- chiesi.
Sapeva che mi stavo riferendo al professore…
- No. - ribattè, semplicemente.
- Ti hanno seguita?-
Lei rise, con leggerezza.
La sua voce risuonò cristallina:- Come fanno a seguirmi se neanche sanno che sono sopravvissuta, Sherlock!-
Scostai lievemente il tendaggio:- Quei tre energumeni in strada mi sorvegliano da quando sono entrato a Baker Street. E ti hanno vista accedere qui…-
- Non possono avermi riconosciuta. Avevo il cappuccio. Credo che si siano convinti che la donna che poco fa è entrata nel tuo appartamento non è altro che una tua cliente…-
- Me lo auguro, Irene.-
Mi schiarii la voce, sorridendole.
La invitai a sedersi.
- Come hai… fatto a…- iniziai. – Insomma, non si sopravvive alla tubercolosi…-
Lei sospirò, fissandomi.
- Sherlock, so che non sai molto sul mio passato.- cominciò, congiungendo le mani e posando su di esse il suo sguardo. La sua voce era calma e pacata, senza inflessioni. - Io, nel 1869, ero a New Orleans e… Proprio in quell’anno scoppiò un’epidemia di tubercolosi. Io, mia madre e mio fratello minore ci ammalammo. Ma Robert non… si riprese più.-
Tacqui, non sapendo cosa dire per confortarla.
- Da quel giorno sono immune a quella malattia.- concluse Irene, sollevando lo sguardo e sorridendo tristemente.
- Naturalmente, Moriarty questo non lo sapeva…- iniziai.
- … altrimenti, - continuò lei – avrebbe, probabilmente, scelto un’altra pianta, per uccidermi.-
Inarcai le sopracciglia.
- Sì, Sherlock, l’avevi intuito: mi ha messo quelle foglie di tubercolina nel tè.-
Detto questo, si alzò, si diresse alla porta, si chinò e prese il suo fazzoletto.
- Allora perché quello – le dissi, indicandolo – è chiazzato di sangue?-
Irene si strinse nelle spalle.
- Penso che la concentrazione della pianta sia stata tale da farmi manifestare i primi sintomi… Ringrazio che Moriarty sia un professore e non un dottore, come Watson… Vedi?- mi domandò, mettendomi il pezzo di seta davanti al naso. – Il sangue è chiaro perché misto a saliva… E’ il primo segno della guarigione…-
- …o dell’immunità.- finii per lei.
Irene annuì.
- A proposito di Watson…- mormorai, alzandomi.
- Lo ha minacciato?- mi chiese Irene.
- Esattamente. Il professore vuole uccidere sia lui che Mary.- affermai, aprendo il cassetto della mia scrivania ed afferrando una scatola di proiettili - Devo pedinarli, per intervenire nel momento più opportuno e salvarli…-
- E come farai ad uscire senza essere seguito?- disse, indicando la finestra.
Entrambi sapevamo che i tre energumeni stavano ancora fissando l’entrata del 221 B…
- Io…-
Un sorriso sardonico mi si dipinse sul volto.
- …ho un’idea.-
- E quale sarebbe?-
- Irene, devo prendere in prestito il tuo abito.-
La mia musa mi guardò, sconcertata.
- Stai scherzando, vero, Sherlock?-
- No, affatto.-
- Vuoi travestirti da donna? –
- Sì! E’ perfetto! Ti hanno vista entrare, ti vedranno uscire. Ma, in realtà, non sarai tu, sotto questo cappuccio…- le sussurrai, sfiorandole il mantello – Non mi seguiranno e, così, avrò campo libero per salvare i coniugi Watson…-
Irene incrociò le braccia:- Io non ti darò il mio vestito! E’ di sartoria!-
- Te ne regalerò un altro.- dissi, sorridendole e pregandola con lo sguardo.
Lei sospirò e mi fissò:- Sai perché lo faccio?- mi domandò, togliendosi il mantello.
- Perché lo fai, mia cara?- la rimbeccai.
- Per ingannare Moriarty, e mettergli i bastoni fra le ruote!- esclamò, nascondendosi dietro il mio paravento.
Mi diressi al mio armadio, e le donai una camicia e un paio di pantaloni.
Sbucò da sopra il divisore:- Non abbiamo la stessa corporatura, Sherlock…-
- Oh, lo so, Irene. Infatti, puoi tenere il corpetto…-
- Ma che gentile…-
Ero così felice che nulla fosse cambiato, tra me e la mia amata…
Mi lanciò la sottana.
- Grazie…- mormorai, vedendola uscire con indosso i miei abiti maschili.
- Stai benissimo, anche vestita così…- le dissi, andando a cambiarmi dietro al paravento.
Lei tacque, sistemandosi i capelli al mio specchio da tavolo.
Accanto ad esso, vi era un suo ritratto. La vidi afferrarlo ed osservarlo.
- Lo conservi ancora…- mi disse.
Stetti in silenzio, sorridendo.
 
Ne uscii poco dopo, con una parrucca riccia in testa.
- Anche tu stai benissimo, vestito così…- ribattè Irene.
- Merci!- le dissi, imitando una voce femminile.
Lei alzò gli occhi al cielo e poi, mi si accostò.
Mi iniziai a truccare, spiegandole ciò che avrei desiderato che lei facesse:- Dovresti uscire stanotte, dal retro, quando i tre saranno sostituiti da altri sgherri…-
- Non temere, farò così.- mi promise – Poi, me ne andrò a…-
Le misi un dito sulle labbra.
- Non voglio saperlo.-
Così, se Moriarty avesse cercato di estorcermi delle informazioni, non avrei potuto rivelargli nulla sul rifugio della mia amata.
Lei comprese, e mi sorrise.
- Fa’ attenzione, Sherlock. Sai di cosa è capace quell’uomo…-
Annuii, afferrando un paio di sostanze chimiche ed un rossetto e facendo scivolare il tutto in una piccola borsa.
Vidi il timore negli occhi della mia musa…
- Abbi cura di te.- sussurrai, ad un soffio dalle sue labbra.
Poi, la baciai intensamente.
Come se fosse l’ultima volta.
Andai all’uscio, e mi voltai.
Lei mi sorrise, lanciandomi il revolver.
- Non dimenticartelo…-
Con un sorrisetto, afferrato un coltello dal tavolinetto persiano, chiusi la porta alle mie spalle.
Scesi le scale e, giunto di fronte al portone, vidi appeso, vicino al mio cilindro, un cappellino a cuffietta di Mrs. Hudson con un largo nastro azzurro.
Mi sporsi, per vedere se la padrona di casa era in cucina.
Trovatone conferma, afferrai la cuffia, me la legai sotto il mento, tirai su il cappuccio del manto e uscii dal 221 B di Baker Street, dedicando un ultimo sguardo alla tenda che nascondeva la finestra del mio studio, dietro la quale si trovava la donna da me tanto amata.
 
 
 
 
Watson, indignato:- Holmes!-
Holmes, vestito da donna:- Non è il mio travestimento migliore… Ma ho dovuto arrangiarmi!

Da Sherlock Holmes: Gioco di Ombre – Guy Ritchie

 

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