You gave me the words di Emi Nunmul (/viewuser.php?uid=138947)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stacked Rubbish: Gentle Lie ***
Capitolo 2: *** Stacked Rubbish: Regret ***
Capitolo 1 *** Stacked Rubbish: Gentle Lie ***
Introduzione
a questa raccolta.
●
Stacked Rubbish
·
Gentle Lie
«Ho paura di
poter fare un incubo.» gli dico.
Seduta al bordo del
nostro letto, osservo il mio riflesso un po’ storto nello
specchio dall’altro lato della stanza. Siamo illuminati dalla
fredda luce dello schermo del piccolo televisore.
«Per quel
che ricordo, hai più sangue freddo di me.»
Scuoto la testa. A dir
la verità, non ho paura delle case infestate, né
degli spettri, e neanche del demonio. Sono cose a cui non credo. Mere
favolette che danno soluzione a fatti altrimenti inspiegabili. E poi,
sono del parere che ci siano creature più mostruose e
pericolose.
Gli incubi che
infestano le mie notti, sono indicibili. Non sono posseduta, non scappo
da un efferato omicida, e non devo far fronte a scene troppo cruente.
Cruente a tal punto da farti vomitare le viscere.
Semplicemente, muoio.
«Non si
tratta di avere sangue freddo o meno.» continuo, mentre mi
stendo accanto a lui.
«Si tratta
del non essere in grado di affrontare una morte mediocre, una morte nel
sudicio.»
Noto il suo sguardo
perplesso. Non pare sconvolto da quello che gli dico. A quanto pare gli
suona come un discorso normale, ma non dev’essere consueto
udirlo da parte mia.
«Dici di non
aver paura della morte.»
Si sistema vicino a
me, mentre tira le lenzuola fin sopra le nostre spalle.
«Io voglio
morire facendo un botto.»
«Ah
sì?»
«Certamente.
Tutti dovrebbero piangere, disperarsi, urlare il mio nome. Non voglio
morire in silenzio e consumarmi lentamente. Lo trovo dannatamente
triste.»
Ride. Sono gli attimi
in cui vedo il suo raro sorriso farsi spazio sul suo volto, in cui mi
pento dell’aver detto che la morte non mi spaventa. Ed allo
stesso tempo, non mi importa neanche di dover sparire con un
‘boom!’.
Mi scopro a sorridere
lievemente, di riflesso.
«Dimmi una
bugia.» gli dico. La mia voce è evidentemente
dolce e supplichevole.
«Che tipo di
bugia?»
«Una bugia
gentile.»
«Aah…»
Porta il suo sguardo
da qualche altra parte. Non ci mette molto tempo a pensare a cosa
rispondermi.
«Ti
amo.»
Il suo sguardo fermo,
mi fa scorrere un brivido lungo tutta la schiena, mentre quelle parole,
seppur false, seppur io ne sia consapevole, mi sembra che facciano in
modo che qualcuno mi stia dando dei pugni allo stomaco.
«Dammi anche
un bacio gentile, allora.»
Quindi ci sciogliamo
fra le leggere lenzuola. Ricevo un amore che non ha a che vedere col
mio, che intanto grido, sperando che conosca parte della mia
tristezza. Ma le persone non cambiano, neanche se ci si dispera
battendo i pugni a terra. Poi lascio andare quelle mani.
Un’altra
notte in balia di una morte mediocre e silenziosa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Stacked Rubbish: Regret ***
Introduzione
a questa raccolta.
·
Regret
«Se le fa
male, deve solo stringere i denti, signorina.»
Fa male. Diamine se fa male. Però, ad essere sincera, fino
ad ora è la ferita che brucia di meno.
Non vedo l’ora di poter uscire di qui ed aspettare che questo
tatuaggio guarisca. È piccolo piccolo, sulla caviglia, ed
è semplicissimo, senza fronzoli inutili. Porta il tuo nome,
ma immagino tu non lo sappia.
«Se le fa
male, deve solo stringere i denti, signorina. Ma è solo un
pizzico; non dura nulla.»
Uno, due…
cinque fori all’orecchio destro, tutti in una volta. Feci i
piercing come i tuoi, ma immagino tu non lo sappia.
«Quale
desidera, signorina?»
«Questo qui
con la croce, ed anche quella collana, con il teschio al
centro.»
Iniziai ad indossare dei
gioielli che avevano un peso immane, per me, perché erano
gli stessi che portavi tu.
«Sei sicura di
volerlo comprare nero? Non sarà troppo
appariscente?»
«Lo
metterò fuori casa, quando mia madre non mi può
vedere.»
E misi un rossetto come
il tuo, tracciando le stesse linee.
«Di che
colore?»
«Neri…
e rossi.»
Tinsi i capelli come i
tuoi.
Portai una felpa come la
tua, cercai il tuo stesso smalto argentato, i tuoi idoli, i tuoi modi
di fare ed i tuoi pensieri divennero i miei. Le mie lacrime diventarono
simili alle tue, quando gridai il tuo nome al centro della mia stanza
buia.
Ora il tuo nome è sulla mia pelle. Ci penserà
quell’inchiostro, a mantenere per sempre il legame a senso
unico che ci lega. Ti tengo stretto, e tengo strette le tue parole.
Come se fossi di due colori, come se fossi fatta di chiaro avorio e
scura ossidiana, spero di poter diventare di un’unica tinta,
tenendoti la mano, un giorno.
Non sapendolo, non volendolo, abbiamo camminato insieme.
Quando mi guardai allo specchio, dopo essere tornata dallo studio del
tatuatore, riconobbi un timido camaleonte che si era tinto dei tuoi
colori.
Perdendo la calma, lasciandola scivolare dalle dita, feci finta di
raccogliere le tue lacrime.
Un giorno, però, tenendo strette le tue mani –una
ossidiana, l’altra avorio-, mi sentii in qualche modo libera.
Diventammo completamente neri, ricoperti da un qualche assurdo tipo di
pittura. In qualche modo mi sembrava d’esser nuda, in modo
che tu potessi vedere tutto ciò che avevo fatto in modo da
ricordarti.
Quanta pena! Avrei potuto ridere di me stessa.
Tornando a gridare il tuo nome, ad inciderlo, stringendo una felpa
senza alcun valore, realizzai che i sogni sono eternamente sogni, e
sono pervasi da una mortale serenità.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=903156
|