Il torneo Trecolonie di Beatrix Bonnie (/viewuser.php?uid=83290)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La corruzione del tempo ***
Capitolo 2: *** L'uomo in giacca ***
Capitolo 3: *** La vacanza in campeggio ***
Capitolo 4: *** Il figlio del Presidente ***
Capitolo 5: *** I campioni del mondo ***
Capitolo 6: *** Baldoria! ***
Capitolo 7: *** Il Marchio Nero ***
Capitolo 8: *** Festa in bianco ***
Capitolo 9: *** Nobili parentele ***
Capitolo 10: *** Il Torneo Trecolonie ***
Capitolo 11: *** Il Gargoyle ***
Capitolo 12: *** I tre campioni ***
Capitolo 13: *** Il peso della fama ***
Capitolo 14: *** La paura della solitudine ***
Capitolo 15: *** I doveri di un Campione ***
Capitolo 16: *** I due presidi ***
Capitolo 17: *** Il Ballo di Capodanno ***
Capitolo 18: *** Gelosia e amicizia ***
Capitolo 19: *** Non è tutto oro quello che luccica ***
Capitolo 20: *** Drastiche soluzioni ***
Capitolo 21: *** Il potere dell'ossessione ***
Capitolo 22: *** Tempi oscuri in arrivo ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** La corruzione del tempo ***
CAPITOLO
1
La
corruzione del tempo
La
donna osservò la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi
capelli, un tempo rossi e vaporosi, ora ricadevano flosci sulle sue
spalle, creando sinuose curve argentate. I suoi occhi verdi erano
offuscati da una patina dovuta alla vecchiaia e circondati da una
ragnatela di rughe che si espandevano su tutto il volto. Non c'era
più traccia della bellezza della gioventù. Il tempo l'aveva
corrotta, l'aveva ridotta ad un ammasso di pelle secca e ossa,
ricoperte da un lussuoso vestito di raso.
La
donna si raccolse i capelli in uno nodo dietro la testa con
rassegnazione. Non voleva accettare l'idea che l'immagine di quella
vecchia strega fosse proprio lei, ma la decadenza in cui era piombata
non era solo una decadenza fisica. Quella donna provata dall'età e
disillusa dalla vita era davvero il suo riflesso. Era proprio lei.
«Madre?»
la richiamò una voce che sembrava venire dal piano di sotto. La
donna si sistemò le pieghe dell'abito e il colletto di pizzo,
proprio quando un mago bussò alla porta e, senza aspettare risposta,
entrò nella stanza con passo deciso. «Madre»
disse nuovamente, ma la donna non si voltò. I suoi stanchi occhi
verdi si posarono sul riflesso di lui, sul grande specchio che aveva
di fronte. I lunghi capelli corvini, ormai striati da qualche ciocca
grigia, erano stati raccolti con un nastro di velluto nero. Anche la
sua pelle cominciava ad essere attraversata da qualche ruga, ma il
volto era ancora abbastanza giovanile per la sua età. L'unico vero
segno che lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse, era lo
sguardo tagliente e intransigente.
«I
nostri ospiti stanno arrivando. È gradita la vostra presenza in
ingresso.» disse rivolto alla madre, con un tono che più che un
invito, faceva apparire la frase come un ordine. La vecchia si limitò
ad un cenno del capo.
Quando
il figlio fu uscito dalla stanza, la donna lanciò un ultimo sguardo
al suo riflesso sullo specchio, poi si affrettò a seguirlo. La
grande casa era buia e tetra, forse a causa delle spesse tende di
velluto nero che impedivano di penetrare all'interno a quei timidi
raggi di sole che fossero riusciti a bucare la spessa coltre di nubi.
La cupa tappezzeria delle pareti era intervallata da antichi arazzi e
dipinti di antenati illustri. La donna si sentì addosso gli occhi
degli occupanti dei ritratti, che la seguivano lungo il corridoio, ma
lei non abbassò il mento. Non temeva il loro giudizio, né aveva
paura che potesse esserle rinfacciata qualche colpa. Si era sempre
comportata da nobile Purosangue, per cui non aveva alcun motivo per
essere rimproverata. In fin dei conti, la stirpe continuava, gli
eredi erano validi e numerosi e lei avrebbe dovuto sentirsi
orgogliosa di essere la capostipite, eppure uno strano senso di
inquietudine l'aveva assillata in quegli ultimi anni. Era convinta
che ci fosse qualcosa di... sbagliato nella sua famiglia. Un conto
era essere nobili, un conto era essere degli assassini. Sembrava che
la massima aspirazione dei suoi discendenti fosse quella di epurare
il mondo magico dai sasanachfiul. Certo, anche per lei il sangue
inglese era qualcosa di ripugnante, ma mai e poi mai si sarebbe
abbassata a massacrare Nati Inglesi, come un bieco sicario, o un boia
prezzolato. Nobiltà significava anche decoro, onore e rispetto.
Possibile che fosse l'unica a ricordarselo?
Scese
le scale lentamente, sfiorando il corrimano con le dita. «Nonna»
la richiamò una voce. Un ragazzo moro le si fece incontro reggendo
tra le mani una coccarda rossa. «L'ho
appena ricevuta dal Trinity. Sono diventato dictator» disse
il nipote, mostrando orgoglioso il distintivo.
La
donna gli rivolse un breve sorriso, poi commentò: «Tieni
alto l'onore della nostra famiglia. È così che si comporta un
Deamundi».
Eibhean
gonfiò il petto con evidente orgoglio e la nonna si concedette un
raro gesto di affetto, sfiorandogli la guancia con le dita. «Nonna.»
la chiamò un'altra voce dall'ingresso. Dalla porta fece capolino un
viso sottile, incorniciato da morbidi capelli rossi. Andalysia, la
penultima dei fratelli Deamundi, ma anche l'unica della famiglia che
avesse ereditato i tratti degli O'Brian, occhi verdi e capelli rossi.
Inoltre Evangeline aveva notato come la nipotina avesse la stessa
grinta che aveva caratterizzato lei da giovane.
«Nonna,
vi stiamo aspettando in ingresso» disse Andalysia, accennando con il
capo alla sala. Eibhean si affrettò a raggiungere gli altri, mentre
Evangeline vi si diresse con un passo lento, ma non abbassò lo
sguardo. Un nobile Purosangue non abbassa mai lo sguardo.
Suo
figlio e sei dei fratelli Deamundi erano schierati in ingresso,
pronti ad accoglierla. Alla sua sinistra Eibhean, e poi Tricolon con
quei suoi riccioli scuri, Liutpridus, il più energico dei fratelli e
infine Cassian, primogenito e erede del titolo di conte di Con
Cetchthach. Alla sua destra invece Andalysia e Luisdel, così diverse
come poche sorelle: la prima, rossa di capelli, aveva il carattere
forte degli O'Brian, la seconda, mora e con gli occhi scuri, era
pudica e aggraziata come si conveniva ad una nubile Purosangue.
L'altra sorella, Rosmerta, era già andata in sposa a Vladimir
Destesky, principe di Russia, sebbene avesse solo ventitré anni.
Tra
le due ali create dai suoi figli, stava Meccorin Daemundi, conte di
Con Cetchthach. Stava facendo girare un bicchiere di vino rosso,
roteando con un lieve colpo del polso il calice di cristallo. Il suo
sguardo era puntato sulla madre, ma non aveva nulla di benevolo nei
suoi confronti. Era uno sguardo di avvertimento. Non osare sfidarmi,
diceva.
Evangeline
restò impassibile. Era conscia di aver generato un assassino e non
aveva più l'illusione di poter influenzare in qualche modo le sue
scelte. Ormai era tardi. Tardi per lei, vecchia e stanca della vita,
ma tardi anche per lui, convinto di essere nel giusto. Ma questo non
significava che avrebbe mai abbassato gli occhi di fronte a suo
figlio.
Proprio
in quel momento qualcuno bussò alla porta. «Andalysia,
vai ad aprire» ordinò il conte, senza distogliere lo sguardo da sua
madre.
La
ragazza si affrettò ad eseguire gli ordini del padre. «Signor
O'Duibne, prego» sussurrò in un tono strano, troppo dolce per lei,
facendo entrare un giovane signore di bell'aspetto.
«Conte
Deamundi» salutò l'uomo, con un inchino, mentre Maccorin si limitò
ad un cenno del capo.
Dopo
di lui, arrivarono molti altri maghi e streghe, ma Evangeline non era
particolarmente interessata a seguire le presentazioni. Preferì
ascoltare i bisbigli dei suoi due nipoti più giovani. «Da
quando in qua fai gli occhi dolci a O'Duibne?» sibilò Eibhean,
rivolto alla sorella.
Andalysia
assunse un'aria di superiorità. «Non
sono affari tuoi».
«Lo
sai che nostro padre vorrebbe che sposassi Belisar MacGaril» rispose
il fratello, accennando con il capo ad un ragazzetto biondo dall'aria
non tanto sveglia che era appena arrivato al magione dei Daemundi.
Andalysia
lo incenerì con lo sguardo. «MacGaril
è un idiota» sibilò con astio. Evangeline non poté darle torto:
Belisar non sembrava un tipo tanto arrivato. Forse era il risultato
di qualche strano incrocio tra parenti, visto che le famiglie nobili
erano tutte imparentate tra loro. Anzi, se non ricordava male, la
madre di Belisar doveva essere Grainne O'Brian, una sua cugina di
secondo grado.
«Almeno
MacGaril è un nobile» rispose Eibhean, con un'occhiata d'intesa.
Ma
a quelle parole Andalysia gli rivolse un sorriso provocatorio.
«Nemmeno la tua
Ailionora è nobile, a quel che mi risulta» insinuò.
Eibhean
le lanciò un'occhiataccia e fece per rispondere qualcosa, ma
Evangeline non riuscì ad ascoltarlo, perché suo figlio la chiamò.
«Madre, è gradita
anche la vostra presenza, alla riunione».
Evangeline
si diresse con passo da funerale verso il salotto, dove gli ospiti
stavano cominciando a prendere posto intorno ad un lungo tavolo di
legno scuro. Il conte Deamundi, seduto a capotavola, fece segno alla
madre di occupare la sedia alla sua sinistra. Proprio di fronte ad
Evangeline, alla destra di Meccorin, stava Giustinianus MacGaril,
quell'idiota borioso che aveva sposato sua cugina Grainne O'Brian, e
il cui figlio ritardato Belisar era il miglior partito per Andalysia.
Oltre a suo figlio Meccorin, anche i tre nipoti più grandi, Cassian,
Liutpridus e Tricolon, erano stati ammessi alla riunione.
Quando
tutti ebbero preso posto, il conte Deamundi sollevò la bacchetta
verso il soffitto e recitò: «Glan
na fuil...»
«...tri
bas na sasanachfuil!» risposero gli ospiti in coro, imitando il
gesto del capotavola. Evangeline si meritò un'occhiataccia del
figlio per non aver preso parte a quel rito, ma non aveva intenzione
di unirsi a quel gruppo di fanatici assassini. Se evitare di gridare
il motto “Purezza di sangue attraverso la morte dei sasanachfuil”
era l'unico modo per sottolineare la sua indipendenza, era disposta
anche a sopportare le occhiate di rimprovero da parte del figlio. Lui
doveva sapere che lei disapprovava completamente quelle riunioni e
tutto ciò che ne conseguiva.
«Fratelli,
possa un giorno la nostra amata patria essere liberata da coloro che
hanno il sangue impuro» esclamò il conte Deamundi, appoggiando le
mani con le dita incrociate sul tavolo.
«Dio
lo voglia!» risposero gli altri membri del gruppo.
Dopo
un attimo di silenzio, il conte espose il problema per cui aveva
indetto quella riunione: «Fratelli,
un grave attentato al nostro orgoglio di celti ci è stato mosso
contro» annunciò in tono drammatico, osservando uno ad uno i suoi
ospiti. «Fratello Scipio, vuoi esporre tu il problema».
Scipio
Diablaiocht annuì con serietà. «Come
Capo del Dipartimento Affari Esteri, ho saputo che la finale di Coppa
del Mondo di Quidditch, alla quale partecipa la nostra nazionale, si
terrà in Inghilterra, nonostante le proteste irlandesi».
Un
cupo silenzio seguì quelle parole. «Come
si permettono?» esclamò indignata una donna mora, seduta poco
lontano da Evangeline.
«Sorella
Daireen ha ragione, è un vero oltraggio. Noi, costretti a disputare
una gara sul suolo dei nostri oppressori!» protestò Giustinianus
MacGaril, riscuotendo il consenso generale.
«Fratelli,
vi prego» disse mollemente il conte Deamundi, per tranquillizzare
gli animi. Il lungo tavolo piombò nuovamente nel silenzio. «L'unica
cosa che possiamo fare, per evitare di esporsi troppo, è boicottare
in toto l'evento» spiegò ai suoi ospiti.
«Boicottare?»
protestò la donna mora di nome Daireen. «Io
chiedo che cadano delle teste per questo affronto!»
«La
sicurezza sarà altissima» intervenne O'Duibne, in tono serio. «Il
mio superiore Claiomh, Capo del Dipartimento della Difesa, è già
stato interpellato dal suo corrispettivo britannico per accordarsi
sugli Auror che saranno presenti allo stadio. È praticamente
impossibile penetrare».
«Ma
soprattutto è rischioso» aggiunse il conte Deamundi, con serietà.
«Ricordate che la
nostra copertura non deve saltare. O vogliamo fare la fine di Xavier
O'Costal?» domandò ai suoi compagni, in tono provocatorio. Tutti
rabbrividirono di fronte a quell'agghiacciante prospettiva: O'Costal,
il traditore che, per smania di potere, aveva finito per farsi
beccare insieme ai suoi compagni e ora si ritrovava a marcire in
prigione.
«Questo
è quanto, fratelli» concluse il conte Deamundi, dopo aver appurato
che tutti i compagni erano ancora fedeli all'ideale per il quale
combattevano. «Se
qualcuno di voi, come fratello Scipio, dovesse essere obbligato a
presentarsi alla partita, finga un malore improvviso, qualsiasi cosa:
nessuno di noi deve mettere piede sul suolo britannico» commentò
il mago, scandendo per bene le ultime parole.
«Preferirei
morire» sentenziò con astio sorella Daireen.
Il
conte Deamundi annuì soddisfatto. «Per
il secondo punto in programma, lascio la parola a fratello Sigfrid».
Un
uomo pelato, con i tratti del volto taglienti, si schiarì la gola,
poi cominciò a parlare: «Sono
venuto a sapere, tramite dei miei informatori, che presto in
Parlaimint ci verrà presentata la proposta di legge di
Aletheia O'Gara, il Capo del Dipartimento dell'Istruzione Magica».
A
quell'informazione, le persone sedute attorno al tavolo si lanciarono
occhiate preoccupate: per quanto la O'Gara fosse membro del Partito
della Tradizione, sembrava particolarmente incline a fare favoritismi
per i sasanachfuil. «Cosa
dice il testo della legge?» domandò Cassian Deamundi, seduto a
fianco di Evangeline.
L'uomo
pelato scosse la testa. «Non
lo conosco nei dettagli, ma pare che l'idea fondamentale sia quella
di istituire dei corsi di cultura irlandese per favorire
l'integrazione dei sasanachfuil attraverso la conoscenza delle nostre
tradizioni».
«È
uno scandalo! Come se, per essere irlandesi, fosse sufficiente la
cultura!» protestò Giustinianus MacGaril, battendo il pugno sul
tavolo. Alcuni mormorii d'assenso accolsero quell'esclamazione.
«Credo
che la cosa migliore da fare sia convincere gentilmente miss O'Gara
che non è una buona idea presentare in Parlaimint quella
legge» propose sorella Daireen, con un tono falsamente gentile che
fece rabbrividire Evangeline.
Il
conte Deamundi annuì con serietà. «Volontari?»
«Possiamo
farlo noi, padre» intervenne Liutpridus, accennando a sé e ai suoi
fratelli. Evangeline si voltò verso i suoi nipoti con il cuore
infranto: aveva tanto sperato che almeno loro si salvassero da quella
trappola infernale, ma, evidentemente, l'ascendente del padre su di
loro aveva provocato effetti devastanti.
Il
conte Deamundi fece un segno d'assenso con il capo. «Agite
con discrezione: minacciatela quanto necessario, ma non fatevi
scoprire» ordinò loro, con tutta la naturalezza del mondo.
Liutpridus sorrise e gonfiò il petto con orgoglio, scambiando
occhiate fugaci con i fratelli Cassian e Tricolon.
Il
conte Deamundi osservò per un attimo i suoi ospiti, scrutandoli con
i suoi occhi blu come un cielo stellato. «Molto bene, la riunione è
finita» annunciò poco dopo, alzandosi dal tavolo. «Glan
na fuil...»
«...tri
bas na sasanachfuil!» completarono gli altri, alzandosi a loro
volta. Gli ospiti lasciarono lentamente la sala, seguendo il gentile
invito di Cassian Deamundi, che indicava loro un altro salotto dove
gli elfi domestici avevano preparato calici di vino e piccole
prelibatezze.
«Sorella
Daireen» chiamò il conte Deamundi. La giovane donna si voltò verso
il mago con sguardo interrogativo. Meccorin aspettò che tutti gli
altri avessero lasciato la sala, poi chiuse il portone per non essere
udito da orecchie indiscrete. Fece segno alla donna di sedersi
nuovamente, poi si accomodò a capotavola. «Ho
un compito per te, Daireen» annunciò in tono serio. «Ma
è una cosa che deve restare tra noi».
«Avete
la mia parola, conte» annuì la donna, immaginando che la faccenda
si sarebbe rilevata interessante.
Meccorin
Deamundi sembrava piuttosto a disagio, come se dovesse ammettere
qualcosa di terribile. «La
presenza della figlia di mio cugino si sta rivelando decisamente
ingombrante» disse alla fine, con lo stesso risentimento che avrebbe
usato un peccatore penitente davanti al suo confessore. «Prima
rovinò il piano per recuperare la lancia di Lugh, poi interferì con
quello della setta degli Eletti, portando alla cattura di O'Costal».
Daireen
si fece più attenta: aveva come l'impressione di sapere dove sarebbe
andato a finire quel discorso. Il conte Deamundi fece una piccola
pausa, poi riprese: «All'inizio,
considerato che era solo una bambina, potevo anche essere magnanimo e
ignorare la sua presenza, ma ora sta cominciando ad essere davvero
intollerabile».
«Mi
state chiedendo di ucciderla?» sussurrò Daireen, mentre uno strano
brillio le illuminò per un attimo gli occhi scuri. La ragazzina era
una lurida sasanachfuil, ma era sempre stata intoccabile, almeno fin
quando non l'avesse deciso il conte Deamundi. In pochi sapevano il
reale motivo di quella assurda tutela e probabilmente il conte stesso
non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la stretta parentela tra di
loro faceva sì che avessero parte del patrimonio genetico in comune
e non una singola goccia di sangue dei Deamundi di Con Cetchthach,
per quanto impuro e contaminato da quello inglese, doveva andare
sprecato. Ma ora... be', la ragazzina si era dimostrata davvero
inopportuna e Meccorin era disposto a sacrificarla. Se si fosse
comportata in modo più discreto, avrebbe anche potuto sopportare la
puzza del suo sangue impuro che sporcava il suo prezioso casato, ma
non era disposto a tollerare una presenza così molesta. Dopotutto,
se una mano ti è motivo di scandalo, tagliata.
Ora
come ora, gli erano completamente indifferenti le sorti della piccola
sasanachfuil: gli bastava che la smettesse di intralciare i piani
dell'EIF. «Fa' quello
che credi» rispose a Daireen, scuotendo leggermente la testa con
disinteresse. «Dopotutto,
non fosti sempre tu ad occuparti della madre?»
Un
sorriso di vittoria si allargò sulla bocca della donna. Sì, fu lei
ad occuparsi della madre. Quella sgualdrina inglese che le
aveva rubato il suo uomo. Non si meritava altro, per aver osato
portare l'odioso puzzo dei dominatori inglesi nell'Isola Smeralda,
per aver infangato l'onore di un mago irlandese rispettabile,
seducendolo con i suoi trucchi. Con quanto piacere le aveva strappato
la vita dal petto! In fin dei conti, era solo per vendetta contro di
lei che Daireen Cumhacht era entrata a far parte dell'EIF.
E
ora, finalmente, il conte Deamundi aveva allentato le reti di
protezione intorno a quella lurida sasanachfuil della figlia.
Oh,
la vendetta non sarebbe potuta essere più dolce.
Uau,
ragazzi, io mi sento quasi emozionata! Mi mancava troppo questa saga
e sono felicissima di aver cominciato il nuovo racconto. In questo
capitolo, ho pensato di dare un po' di spazio all'EIF (così come
all'inizio del quarto la Rowling aveva inserito quell'agghiacciante
capitolo intitolato “casa Riddle”). Il trio ricomparirà dal
prossimo lunedì, promesso!
Ora
vi lascio un po' di cosette da sbirciare e leggiucchiare:
La
legge proposta dalla O'Gara potrebbe apparire favorevole per i Nati
Inglesi (e così certamente la interpreta l'EIF), ma in realtà è
comunque discriminatoria: comporta l'idea di mettere tutti coloro
che hanno sangue inglese (fosse anche per un nonno) in classi
separate per un corso intensivo di cultura irlandese; questo certo
non è il modo migliore per favorire l'integrazione!
Per
facilitarvi la comprensione delle intricate parentele
magiche, QUI l'albero
genealogico degli O'Brian e QUI quello
dei MacGaril. Siete riusciti a scoprire chi è la mano motivo di
scandalo che Meccorin Deamundi vuole tagliare? E avete riconosciuto
qualcuno dei vecchi personaggi negli alberi genealogici? =)
QUI,
invece, l'immagine del capitolo: si tratta di una rappresentazione
della famiglia Deamundi.
Questo
è l'approfondimento sulla nobiltà irlandese che avevo promesso
tempo fa:
In
origine le schiatte non avevano nulla di nobile, erano semplicemente
clan: gruppi di famiglie magiche unite dall'appartenenza tribale.
Ogni clan era in lotta con gli altri, ma le famiglie che
appartenevano ad uno stesso clan non erano necessariamente
imparentate.
Col
passare del tempo, alcuni clan divennero più importanti di altri e
in particolare tra il V-VI secolo d.C. spiccò il clan dei Con
Cetchthach.
Con
l'avvento del dominio normanno prima e inglese poi (a partire dal
XII secolo d.C.), le famiglie magiche irlandesi più importanti si
chiusero in un orgoglioso isolamento, facendo crollare l'antico
sistema tribale. Alcune famiglie si estinsero, altre si mescolarono
con i babbani o, peggio ancora, con gli inglesi.
All'inizio
del XV secolo, furono i Deamundi, dell'antico clan di Con
Cetchthach, a riportare in auge le vecchie tribù, dandogli il nome
di schiatte e richiamando le famiglie di origine a farne parte. Ma
ben poche erano sopravvissute immuni all'invasione britannica,
ancora pure nel loro orgoglio di celti. Così i Deamundi salvarono
dalla rovina solo otto schiatte, ciascuna composta da quattro o
cinque famiglie; ad ogni famiglia venne inoltre assegnata ad una
delle quattro contee in cui era stato formalmente diviso il
territorio irlandese, solitamente quella in cui si trovava la dimora
di famiglia (Maillen, Gulbain, Luachra e Temair). Per i maghi
irlandesi era un modo per sostenersi a vicenda, per opporsi al
dominio britannico e alle sue strutture governative attraverso la
rievocazione dell'antico legame tribale.
Con
il tempo, alcune schiatte si svuotarono per l'estinzione in linea
maschile delle famiglie che la componevano. Fu così istituito
ilUasal
Comhairle Uachtarach (Nobile
Consiglio Supremo) composto dai capifamiglia, che dovevano giudicare
se una famiglia fosse idonea ad entrare nella nobiltà, per
rimpolpare le schiatte. L'ultima famiglia a meritare tale onore fu
quella dei Saiminiu, che entrò a far parte della schiatta di Mes
Gergra nel 1694. Dopodiché il sistema del Nobile Consiglio Supremo
cadde in disuso.
Con
la liberazione dell'Irlanda Magica nel 1897 e la stesura della Carta
Costituzionale, le schiatte nobili furono formalmente abolite, ma
continuano tuttora ad esistere agli occhi di tutta la società
magica irlandese.
Perdonate
le note chilometriche! A lunedì prossimo (o a domani per quelli che
seguono anche il corollario “Vita da Fuorilegge”).
Grazie
a tutti,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** L'uomo in giacca ***
CAPITOLO
2
L'uomo
in giacca
Mairead
ricontrollò per la ventesima volta di aver messo in valigia tutto
ciò di cui aveva bisogno. Spazzola, ciabatte, un paio di completi da
babbana, la bandiera dell'Irlanda che cantava l'inno nazionale quando
veniva sventolata, la felpa verde con il cappuccio decorato da
trifogli e il simbolo della nazionale di Quidditch stampato sul
petto, e lo strumento indispensabile di ogni vero tifoso: la
trombetta che urlava a squarciagola il nome di Sean Troy.
Non
riusciva ancora a credere che stava per andare a vedere la finale
Coppa del Mondo di Quidditch, in cui l'Irlanda avrebbe affrontato la
Bulgaria. Benedetto san Patrizio, avrebbe visto Sean Troy e gli altri
giocatori dal vivo! Magari sarebbe anche riuscita strappare loro un
autografo!
«Mairead,
sei pronta?» la richiamò la voce di suo padre dal piano di sotto.
La ragazza chiuse la valigia, controllò che la stanza fosse in
ordine, accarezzò per un'ultima volta la sua Nimbus e poi si
affrettò a raggiungere Reammon. Strano ma vero, lui era già pronto.
Mairead
gli lanciò un'occhiata di sbieco. «Papà,
la bacchetta?» gli domandò con l'aria di chi la sa lunga.
Reammon
si toccò la tasca interna del mantello ed esclamò soddisfatto:
«C'è!»
«E
le chiavi di casa?»
«Ci
sono!» rispose con maggiore soddisfazione, indicando la tasca dei
pantaloni. Fece un sorriso compiaciuto alla figlia, per mostrarle che
per una volta doveva essere fiera di lui, dopodiché si incamminò
verso la porta e la aprì davanti a Mairead, indicandole di uscire
con un inchino, come un perfetto gentiluomo.
«Papà»
disse invece la ragazza in tono piatto. «La
valigia».
«Oh!»
esclamò Reammon, battendosi la fronte con il palmo della mano. Corse
in camera sua a recuperare il bagaglio e ridiscese velocemente in
ingresso con un sorriso, come se nulla fosse successo. Mairead alzò
gli occhi al cielo sconsolata, poi uscì di casa con uno sbuffo.
I
due Boenisolius si incamminarono in silenzio verso il metrombino, nel
vicolo dietro la piazza principale di Boyle, ognuno immerso nei
propri pensieri. «Fai
il bravo, babbo» gli raccomandò Mairead, quando furono arrivati
davanti al passaggio magico.
«Sono
io che dovrei dirti di fare la brava!» protestò Reammon, fingendosi
offeso.
Mairead
scosse la testa. «Io
sarò con il signor Maleficium, la persona più seria e responsabile
sulla faccia della terra: non mi accadrà nulla. Mentre tu...»
cominciò a dire, ma non concluse la frase. Suo padre odiava il
Quidditch quindi, mentre lei, Edmund, Laughlin e Bearach sarebbero
stati scarrozzati dal santo signor Maleficium alla Coppa del Mondo,
lui ne avrebbe approfittato per andare a trovare il suo amico
Septimius Saiminiu. Ma Mairead non vedeva affatto di buon occhio
quell'accoppiata: era certa che sarebbero stati in grado di combinare
qualche bel pasticcio, peggio di due bambini scapestrati.
Meglio
non pensarci, si disse. Ora la sua testa era occupata da un solo
pensiero: la finale della Coppa del Mondo di Quidditch! Ancora non
riusciva a credere che il signor Maleficium fosse riuscito a trovare
i biglietti per la partita e, soprattutto, che si fosse offerto di
portare loro quattro disgraziati in campeggio. Lanciò un'occhiata
piena di entusiasmo al padre.
«Divertiti»
le rispose con un sorriso benevolo.
“Ci
puoi contare!” pensò e poi con un ultimo respiro si buttò nel
metrombino gridando: «Cearnog
na Stiuradh!»
Arrivò
al metrombino della piazza centrale di Dubh Cliathan, dove avevano
sede i palazzi del Parlamento e del Governo. «Oh,
ecco Mairead» esclamò
il signor Maleficium, seduto su una panchina poco distante, non
appena la vide arrivare con la sua valigia sottobraccio. L'uomo
indossava un elegante completo gessato da Babbano corredato di
cravatta in tinta, panciotto e mocassini neri. L'abito aveva tutta
l'aria di essere appena uscito dal negozio.
Poco
lontano, due ragazzini biondi con una strana accozzaglia di abiti
Babbani e da mago (felpa con cappuccio e pantaloncini irlandesi da
mago) saltellavano in giro in preda all'euforia. «Laughlin!»
lo chiamò Mairead divertita, nel vedere come il suo amico
assomigliasse all'esuberante fratellino Bearach più di quanto
volesse ammettere.
«Maireeeed!»
esclamò Laughlin, con una vocetta resa stridente dall'eccitazione.
Aveva un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia, gli occhi
sgranati e le mani chiuse a pugno: sembrava che qualcuno gli avesse
lanciato addosso una dose eccessiva di Incantesimi Rallegranti.
Mairead gli andò incontro correndo e si ritrovò anche lei a
emettere gridolini isterici talmente acuti da raggiungere gli
ultrasuoni. «Andremo
alla finale della Coppa del Mondo!»
ripetevano tutti e tre, saltellando in giro come dei pazzi
scalmanati.
«Che
il cielo mi aiuti!»
sospirò invece il signor Maleficium, con un sospiro sconsolato.
Come
apprese Mairead, una volta calmata e represso l'entusiasmo eccessivo,
l'abito Babbano che portava il signor Maleficium era quello che
avrebbe indossato anche la mattina successiva, quando si sarebbero
recati al campeggio per la Coppa del Mondo. «Devo
testare il travestimento, sai»
le rivelò in tono serio, come se la sua sopravvivenza dipendesse
dalla sua capacità di mimetizzazione. A parte il codino di capelli
biondi che ricadeva morbido sulla nuca, dandogli un tono un po'
eccentrico, il signor Maleficium pareva un perfetto uomo d'affari
Babbano.
Tutto
preso dalla parte, il signor Maleficium costrinse i ragazzi a
prendere i mezzi di trasporto Babbani per raggiungere l'orfanotrofio
di Edmund. Era convinto che se fosse passato inosservato su un tram,
avrebbe potuto sembrare un Babbano anche alla Coppa del Mondo.
Raggiunsero
la loro destinazione senza intoppi, anche se la valigia di Mairead
era decisamente troppo scomoda da portarsi in giro in mezzo a tutti
quei Babbani, senza poterla sollevare con la magia. Il cancello
dell'orfanotrofio era grigio e squallido esattamente come Mairead se
lo ricordava: non invidiava affatto Edmund che doveva tornare in quel
luogo triste tutte le estati. Quando il signor Maleficium suonò il
campanello, venne ad accoglierli la stessa babbana acida che l'anno
scorso di era presentata a lei e suo padre e si era intascata il
paipear ban, il foglio bianco rilasciato dal Dipartimento dei
Rapporti con i Babbani su cui potevi far credere ad un Babbano che
c'era scritto tutto quello che voleva (e che, per fortuna, aveva un
meccanismo di rimpicciolimento in modo da diventare delle dimensioni
di un coriandolo entro un paio di giorni se restava in mano Babbana).
«Ho
già detto e ripeto che Edmund non può venir portato via da chiunque
quando...» cominciò a
dire con la sua vocetta acuta, ma si interruppe subito alla vista del
signor Maleficium. «Lei
è qui per Edmund?»
domandò in tono melenso.
«Sì,
e ho l'autorizzazione»
rispose il signor Maleficium, mettendo una mano nella tasca interna
della giacca, evidentemente alla ricerca di un altro paipear ban.
L'assistente
sociale pareva incantata dall'uomo elegante che si era presentato
alla sua porta. «Oh,
non credo che ce ne sarà bisogno»
mormorò la donna, con gli occhi sognanti. «Lei
è un uomo molto ligio alle regole, vero?»
gli chiese, sbattendo le ciglia.
Il
signor Maleficium si guardò attorno a disagio, senza capire
l'improvviso tono zuccheroso dell'assistente sociale, ma per fortuna
gli fu risparmiato di dover rispondere alla domanda, perché Mairead
richiamò l'attenzione di tutti gridando: «Edmund!»
Un
ragazzino con la divisa dell'orfanotrofio decisamente troppo corta
per la sua età era appena sbucato in giardino. Mairead gli corse
incontro e lo stritolò in un abbraccio. «Santo
folletto, Ed... ma quanto sei cresciuto in questi due mesi?»
domandò la ragazzina, constatando che l'amico si era alzato di quasi
dieci centimetri dall'ultima volta che lo aveva visto. Edmund alzò
le spalle in segno di innocenza, come se temesse che gli fosse
imputata qualche strana colpa, ma non ebbe tempo di rispondere perché
fu presto circondato dai fratelli Maleficium che saltellavano in giro
esaltati.
«Ed,
andiamo alla Coppa del Mondo di Quidditch!»
continuavano a ripetere in coro. Laughlin non era mai assomigliato
tanto a suo fratello Bearach. Edmund evitò di far notare a suoi
amici che lui non era poi così eccitato dal Quidditch, perché ciò
che lo incuriosiva maggiormente era tutto il resto: la prospettiva di
trascorrere una settimana in campeggio, la possibilità di conoscere
maghi di tutte le nazionalità e di fare tante nuove esperienze; per
non parlare del fatto che avrebbe passato il resto dell'estate a
villa Maleficium.
«Forza,
giovanotti, muoviamoci»
li richiamò il signor Maleficum, con un cenno della mano. Edmund si
fece aiutare a trascinare il baule con tutte le sue cose verso
l'uscita; passando davanti alla signorina Quinn, la sua assistente
sociale, le rivolse un sorriso compiaciuto, per essere riuscito a
spuntarla anche per quell'estate, ma lei nemmeno ci badò, intenta
com'era a lanciare sguardi sognanti a Eoin Maleficium. Edmund si
chiuse il cancello dell'orfanotrofio alle spalle e lanciò un ultimo
sguardo al giardino che anche per quell'anno aveva finalmente
abbandonato.
Il
gruppetto percorse le strade della Dublino Babbana perfettamente
inosservato, con sommo compiacimento del signor Maleficium, e arrivò
al metrombino che si trovava in una viuzza laterale poco frequentata.
Uno ad uno si buttarono dentro e raggiunsero incolumi villa
Maleficium. Ad aspettarli a casa c'era la signora Maleficium, che
accolse con calore i suoi due giovani ospiti. In realtà, Eoin spiegò
che si sarebbero fermati lì a dormire solo per quella notte, perché
il giorno successivo avrebbero dovuto recarsi al campeggio. «Ci
saranno moltissimi maghi provenienti da tutte le parti del mondo e
quindi gli arrivi allo stadio sono stati scaglionati»
spiegò ai ragazzi, durante la cena. «Quelli
che hanno un biglietto più a buon mercato, sono stati costretti a
raggiungere il proprio campeggio due settimane prima».
«E
noi, quanto prima andiamo?»
chiese Laughlin, che sembrava decisamente preoccupato all'idea di
lasciare le comodità della sua villa per scambiarle con salamine
cotte sul fuoco e tende umidicce.
«Solo
cinque giorni» rispose
il padre. «Abbiamo i
biglietti nella curva verde, proprio dietro gli anelli irlandesi».
«Ganzo!»
esultò Bearach che, in prospettiva della vacanza in campeggio e
della conseguente finale di Quidditch, sembrava anche più esaltato
del solito.
Edmund,
tuttavia, era ancora perplesso su una cosa. «Signore,
ma... come raggiungiamo il campeggio? Usiamo la Metrombino?»
domandò incuriosito. Immaginò che per radunare tanti maghi in un
solo punto, senza farsi notare dai Babbani, doveva essere stata
preparata un'organizzazione capillare e notevole.
«Oh,
no, la Metrombino funziona solo all'interno del territorio irlandese.
Il governo britannico si è dato un gran da fare in questi ultimi
mesi: una piccola parte di maghi userà i mezzi Babbani; molti si
materializzeranno, ma anche questa è un'operazione complicata perché
bisogna trovare un luogo dove far materializzare la gente senza che
possa essere vista dai Babbani. Per tutti gli altri sono state
predisposte numerosissime Passaporte in tutto il mondo»
spiegò il signor Maleficium, sempre contento di poter soddisfare la
briosa curiosità del giovane Edmund.
«Che
cos'è una Passaporta?» chiese
ancora il ragazzino.
«È
un oggetto magico che ti trasporta in un dato luogo ad una data ora.
Di solito si tratta di rifiuti o cose che i Babbani non notano»
rispose il signor Maleficium, anche se Edmund non era affatto
convinto di aver capito.
Ma
prima che potesse chiedere altri chiarimenti, Daire esclamò: «Forza,
forza, tutti a nanne, che domani dovete alzarvi presto».
E
così i ragazzi si ritirarono ognuno nella propria camera, eccitati
alla prospettiva della loro prima vacanza insieme.
Eccoci
qui! Allora, non siete eccitati all'idea di andare alla Coppa del
Mondo di Quidditch? Io sì, assolutamente sì!!! ahahah! Credo di
essere più emozionata di Mairead... il problema è che il 4 film
(che mi fa orrore, tra parentesi) non ha affatto reso giustizia ai
campioni irlandesi e la scena della finale mi ha lasciato molto
delusa: ergo, vedrò di rimediare!
Quanto
alla cotta della signorina Quinn per Eoin Maleficiu... che volete
farci, è il fascino della giacca e cravatta! Qui il
link di un'immagine appositamente confezionata per l'occasione.
Ah,
nota tecnica: sabato prossimo parto per una mini vacanza-studio (nel
senso che vado al lago dalla mia amica, ma dobbiamo studiare per
l'esame di latino!), quindi pubblicherò il prossimo capitolo in
anticipo, venerdì 29/07 invece di lunedì.
Grazie
a tutti coloro che hanno già cominciato a seguire questa storia!
Alla prossima,
Beatrix
B.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La vacanza in campeggio ***
CAPITOLO
3
La
vacanza in campeggio
La
mattina successiva si alzarono tutti di buona ora, fecero una
colazione leggera, presero ognuno il proprio zaino e si incamminarono
verso la collina, dopo aver salutato allegramente la signora
Maleficium. Sembravano dei veri Babbani che andavano in capeggio, se
non fosse stato per il signor Maleficium che indossava il suo
completo gessato, sicuramente poco adatto ad un'allegra scampagnata.
Camminarono
di buona lena per più di un'ora, finché non raggiunsero la sommità
di una collina poco distante dalla villa. Il signor Maleficium disse
che il posto migliore per nascondere una Passaporta era vicino al
ruscello che scorreva poco lontano, perché lì c'era un minimo di
vegetazione che permetteva di ripararsi dagli occhi dei Babbani. Si
avvicinarono e cominciarono a cercare la Passaporta, quando un altro
terzetto si unì a loro: due ragazze piuttosto bruttine, che potevano
essere sorelle, e un altro tizio allampanato.
«Ciao»
li salutò la ragazza più giovane, che aveva una indomabile cresta
di capelli rossicci e un paio di occhiali piuttosto spessi. Edmund
strizzò gli occhi, sicuro di averla già vista da qualche parte:
doveva essere una tipa dei Llapac, del loro anno, una certa
O'Callaghan qualcosa.
«Ciao,
Moira» rispose
gentilmente Mairead.
Ecco,
Moira, Moira O'Callaghan. Laughlin diceva sempre che era la
studentessa più brutta del castello. In effetti, Laughlin aveva
risposto al saluto di lei con un sorrisetto imbarazzato, come se
fosse stato colto in flagrante. «Anche
voi qui per la finale?»
domandò Mairead, tanto per fare un po' di conversazione.
Moira
annuì. «Il ragazzo di
mia sorella ha trovato i biglietti e ci porta con lui»
rispose, accennando con il capo al tizio allampanato.
Proprio
in quel momento, il signor Maleficium mostrò soddisfatto un
sacchetto di plastica stracciato. «Ecco,
credo di aver trovato la Passaporta»
annunciò agli altri.
Tutti
si avvicinarono, ma il più circospetto era Edmund, che non aveva mai
provato quel tipo di trasporto magico. «Cosa
dovremmo fare?» domandò
perplesso, mentre gli altri si disponevano a cerchio allungavano una
mano verso il sacchetto, ancora tenuto in mano da Eoin.
«Basta
che lo tocchi, anche solo con un dito»
spiegò Laughlin. Edmund si ritrovò pressato tra Mairead e Moira,
con una mano poggiata sul sacchetto. Per una frazione di secondo non
successe nulla e Edmund pensò che dovevano sembrare dei veri idioti,
tutti lì appiccicati in cerchio intorno ad un sacchetto rotto.
«Ci
siamo quasi» commentò
il signor Maleficium, controllando l'orologio che portava al polso,
un bel esemplare d'oro con dei piccoli diamanti al posto dei numeri.
Edmund non capì che cosa sarebbe dovuto succedere finché,
all'improvviso, non sentì una strana forza che gli strattonava
l'ombelico e lo trascinava in avanti. Fu risucchiato in un vortice
confuso di colore, fino a quando i suoi piedi non toccarono
nuovamente qualcosa di solido. Non fu l'unico a barcollare e cadere:
anche Moira e lo spilungone, che forse a causa dell'altezza
sproporzionata aveva uno scarso equilibrio, si ritrovarono per terra.
«Ecco
quella delle otto e mezza dal Colle Mugnaio»
disse una voce annoiata. Edmund si guardò intorno: erano arrivati in
una brughiera nebbiosa e solitaria; ad attenderli, solo due maghi
malamente agghindati da Babbani, uno con un grosso orologio d'oro,
l'altro con un foglio di pergamena in mano. «Nome,
prego» chiese con voce
stanca il mago con la pergamena. Il signor Maleficium, che ovviamente
era atterrato con grazia sull'erba, si fece avanti e disse il nome
all'impiegato, mentre l'altro buttava il loro sacchetto in uno
scatolone di Passaporte usate.
«Eoin
Maleficium?» domandò
il mago con la pergamena.
«Si
pronuncia “Owen”, è irlandese»
spiegò il signor Maleficium, in tono calmo: forse era abituato al
fatto che gli inglesi storpiassero il suo nome.
L'impiegato
nemmeno badò alla correzione. «Voi
siete al primo campeggio da quella parte, a circa cinquecento metri.
Il direttore si chiama Roberts»
spiegò, indicando sbrigativamente la strada che dovevano prendere.
«Grazie
mille» rispose educato
il signor Maleficium, anche se il mago aveva già smesso di
ascoltarlo ed era passato a chiedere il nome allo spilungone.
Il
signor Maleficium condusse i ragazzi lungo la brughiera. Camminarono
in silenzio per quasi venti minuti, circondati solo dalla nebbiolina
fine e da qualche verso di uccello che gracchiava lontano. Poi, pian
piano, cominciarono ad intravedere il profilo di una casetta in
pietra e in seguito dell'intero campeggio, che si estendeva in
centinaia di tende distribuite sul dolce declivio di una collina, al
limitare di un bosco. Il signor Maleficium si avvicinò al Babbano
che stava all'ingresso. «Il
signor Roberts, immagino»
gli domandò in tono educato.
«Oh,
sì» rispose quello,
che aveva l'aria decisamente stralunata, forse causa di alcuni
incantesimi di memoria. Eoin sorrise in modo affabile.
«Ho
chiamato qualche settimana fa, per prenotare il posto per una tenda
al nome Maleficium».
«Tuo
padre sa usare un telefono?»
domandò sorpreso Edmund, rivolto a Laughlin.
L'amico
annuì con un espressione sconcertata. «Ho
scoperto che lui aveva frequentato il corso di Babbanologia quand'era
al Trinity. Diceva che per un giornalista era bene conoscere le
abitudini dei propri vicini»
rivelò annuendo con aria sbigottita.
«Dai,
ragazzi, andiamo» li
richiamò il signor Maleficium, dopo aver pagato il signor Roberts e
essersi fatto indicare il posto che era stato loro assegnato.
Capirono
subito che erano finiti nella zona prenotata esclusivamente da
irlandesi: arrivati ad un certo punto, tutte le tende erano state
ricoperte da veri trifogli verdi e parevano tante collinette che
sbucavano dal terreno. «Ganzosissimo!»
esclamò Bearach, con un saltello entusiasta. Edmund immaginò che il
signor Maleficium avrebbe disapprovato completamente, invece sul suo
volto sempre serio comparve un sorriso compiaciuto.
«La
nostra è anche meglio»
sussurrò a mezza voce, appoggiando a terra lo zaino, sotto il
cartello con il loro nome. La strega con i capelli color sabbia, che
aveva il posto vicino a loro, li squadrò con occhio critico, come se
volesse carpire tutti i loro segreti con una sola occhiata. Il signor
Maleficium le rivolse un sorrisetto di superiorità, poi estrasse dal
suo zaino un enorme telo di stoffa, che non poteva materialmente
starci dentro, senza un incantesimo che ne aumentasse le capacità.
Una volta appoggiato a terra, il telo cominciò a muoversi da solo, a
gonfiarsi e agitarsi, finché non si alzò a formare una tenda a due
posti, con tanto di pali e bandiera irlandese che sventolava placida
sulla cima. In un batter d'occhio, il tessuto si ricoprì di trifogli
vivi, fino a diventare simile alle altre tende irlandesi. Il signor
Maleficium osservò il tutto con un sorriso soddisfatto. Tutta la sua
preoccupazione per l'abito Babbano strideva non poco con quei
trifogli vivaci che decoravano il tessuto della tenda.
«Non
credo che il Ministero sarà molto contento»
commentò sconsolato Edmund.
Eoin
gli rivolse un sorriso smagliante. «Suvvia,
giovanotto, un po' di orgoglio per la nostra nazione non possiamo non
mostrarlo!» gli disse,
facendogli l'occhiolino.
«Yeppy!»
esultò Bearach. «Diamoci
dentro!»
All'interno,
la tenda era grande come un piccolo bilocale: un ingresso con il
divano e l'angolo cottura, una stanza con due letti a castello e un
piccolo bagno. Il signor Maleficium avrebbe dormito sul divano,
mentre i ragazzi avevano a disposizione i letti a castello. Ci fu una
piccola scaramuccia per chi avrebbe avuto i posti in alto, ma alla
fine riuscirono a conquistarli Mairead e Laughlin. Bearach rimase
arrabbiato per tre ore consecutive per quella faccenda, ma a Edmund
non importava nulla di dove avrebbe dormito: per lui, quella era la
prima vera vacanza e se la voleva godere appieno.
La
cosa più divertente di quei giorni, fu gironzolare per il campeggio
per vedere i tanti maghi di diverse nazionalità che si erano
radunati per quell'evento. Man mano che passavano i giorni, il numero
di campeggianti aumentava e i ragazzi si divertivano ad osservare
quelli che venivano dai paesi più lontani, portandosi con sé le
proprie abitudini. Mairead era la più esperta, visto che aveva
sempre girato il mondo al seguito del padre, nelle sue pazze
avventure da archeologo; al contrario, Edmund era affascinato da ogni
cosa che vedeva, dai maghi egiziani che svolazzavano per il campeggio
su un tappeto volente, mandando su tutte le furie gli ispettori, a un
gruppo di streghe africane che attaccavano a suonare i bonghi al
sorgere del sole. Scoprirono che la strega con i capelli color
sabbia che aveva la tenda a fianco della loro, aveva un figlio di
nome Seamus, venuto insieme ad un suo amico di colore, un certo Dean.
Entrambi frequentavano Hogwarts, anche se Seamuns era irlandese, ed
era piacevole chiacchierare con loro. Edmund chiedeva un sacco di
cose sulla loro scuola, mentre Mairead, Laughlin e Bearach
discutevano solo di Quidditch.
Oltre
ad aver visto Moira O'Callaghan alla Passaporta, i ragazzi
incontrarono anche altri compagni e amici, come Cecelia Allen, ex
capitana della squadra dei Llapac, che aveva finito il Trinity l'anno
scorso, o i quattro fratelli Connery; Leonard e Beatrix erano
compagni di squadra di Mairead, mentre i gemelli Nicolaj e Lucius
avevano ormai concluso gli studi da due anni e il primo stava
studiando Legge Magica per diventare giudice, il secondo giocava come
riserva nei Kenmare Kestrels.
Fu
l'ultimo giorno prima della partita che Mairead propose ai suoi amici
qualcosa di diverso. «Stamattina
dovrebbero essere arrivati al campeggio i parenti di mia mamma. Io
non li ho mai visti e vorrei andare a conoscerli»
spiegò, leggermente a disagio.
«Ti
accompagniamo» rispose
Laughlin senza esitare. Così si incamminarono verso l'entrata, per
chiedere al signor Roberts dove alloggiassero i Weasley. L'uomo aveva
un'aria anche più stralunata di quando erano arrivati, segno che la
frequenza degli incantesimi di memoria doveva essere drasticamente
aumentata. Riuscirono comunque a farsi dire vagamente dove stava la
tenda dei Weasley e vi si incamminarono, mentre anche il resto del
campeggio cominciava a svegliarsi.
Raggiunsero
il limitare della foresta e individuarono due tende innocue
posizionate a destra e a sinistra di un paletto con il nome “Weezly”.
Mairead si avvicinò ad una ragazzina con i capelli rossi e l'aria
piuttosto assonnata, che armeggiava con della legna. «Ehm,
scusa... il signor Weasley?»
le domandò Mairead titubante.
L'altra
alzò gli occhi su di lei con l'aria perplessa, ma alla fine rispose:
«È dentro. Te lo
chiamo». Dopodiché
sparì in una tenda.
Riapparse
poco dopo, seguita da un uomo dalla faccia allegra, con una calvizie
incipiente; quel poco di capelli che gli restava era rosso carota,
come quelli della ragazzina. Il mago, agghindato alla babbana, la
squadrò per qualche secondo come se fosse sovrappensiero, poi un
sorriso gli balenò sulle labbra. «Mairead!»
esclamò allegro, riconoscendo i tratti della ragazza che aveva
davanti.
«Arthur»
rispose quella, timidamente.
Ma
Arthur non ebbe nemmeno un secondo di dubbio: si avvicinò a lei e la
strinse in un abbraccio. «È
bello rivederti»
esclamò, quasi emozionato. «L'ultima
volta eri alta così»
continuò, facendo segno con la mano. Erano passati quasi dieci anni,
ormai.
Per
Mairead era piuttosto strano, conoscere finalmente l'uomo con cui si
era scambiata moltissime fitte lettere nell'ultimo mese. Era stata
lei a contattarlo, ma lui aveva risposto con molto entusiasmo, felice
di riallacciare i rapporti con quella che aveva sempre considerato
una nipotina. Da quando era morta Mary, Reammon si era chiuso in se
stesso, isolato dal resto del mondo, interrompendo qualsiasi contatto
con la famiglia di lei. Ma Mairead era desiderosa di saperne di più
sui suoi parenti inglesi, sul cugino Arthur e la sua famiglia, sui
nonni materni, su Reg. Per questo lo aveva contattato e aveva
scoperto che si sarebbero potuti incontrare alla finale della Coppa
del Mondo.
«Papà,
ma chi è?» si
intromise la ragazzina dai capelli rossi, piuttosto perplessa.
«Mairead, la figlia di
mia cugina Mary» spiegò
Arthur entusiasta, come se stesse presentando al mondo il vincitore
del Premio Incantesimo dell'Anno.
«Tu
hai una cugina che si chiama Mary?»
domandò la figlia, in tono indagatore.
«Aveva.
È morta» rispose
Mairead glaciale. Cominciava a starle poco simpatica la ragazzina dai
capelli rossi, con quel suo sguardo critico e quelle domande curiose.
«Ehi,
chi ha una cugina?»
esclamò un altro ragazzo rosso, sbucando da una tenda.
«È
carina e single?»
domandò lo stesso identico ragazzo, uscendo dalla tenda a fianco.
Poi Mairead capì: erano due gemelli.
«Oh,
sei tu la cugina?»
chiesero in coro i gemelli, avvicinandosi a lei.
«Piacere,
io sono Fred» disse il
primo, allungando la sua mano con fare gioviale.
«Ehi,
io sono Fred! Tu sei George!»
sbottò il secondo, spingendolo di lato.
«No,
tu sei George, io sono Fred!»
replicò l'altro.
Si
fissarono in cagnesco per una manciata di secondi, poi si voltarono
verso di lei con un sorriso smagliante. «Siamo
Fred e George!»
esclamarono all'unisono, stringendole assieme uno la mano destra,
l'altro la sinistra. A quella buffa scena, Mairead non riuscì a
trattenere una risata.
«Oh,
smettetela!» borbottò
Arthur, spingendoli di lato. «Reammon
dov'è?» chiese poi a
Mairead.
La
ragazza sorrise divertita. «Papà
è a casa. Sono qui con degli amici»
rispose, accennando con il capo a Edmund, Laughlin e Bearach, che
erano rimasti in disparte.
Arthur
si batté il palmo sulla fronte, ridacchiando. «Certo,
Reammon ha sempre odiato il Quidditch. Ma, comunque, venite, venite»
esclamò, indicando loro lo spazio sulle seggioline pieghevoli da
campeggio e sulle panchine intorno alla catasta di legno che doveva
fare da base per il fuoco. «Volete
fermarvi per il pranzo?»
domandò allegro Arthur.
«No,
grazie; abbiamo lasciato da solo il papà, alla tenda»
intervenne Laughlin.
«Be',
ma almeno venite, fermatevi un po'».
I
ragazzi irlandesi e i quattro Weasley si sedettero intorno al fuoco,
o meglio, intorno alla legna spenta. Laughlin e Bearach cominciarono
subito a discutere con i gemelli dell'imminente partita e su chi
fossero i favoriti. Laughlin sosteneva che la Bulgaria era riuscita a
vincere tutte le partite fino alla finale solo grazie a Krum, il loro
cercatore, ma che l'Irlanda non aveva un solo buon giocatore, ne
aveva sette. E i cacciatori dell'isola smeralda, abituati alle
mischie e al Quidditch irlandese, erano veramente imbattibili.
Mairead
avrebbe voluto partecipare alla discussione, ma era più interessata
ad ascoltare Arthur. «Ti
ho riconosciuta subito, anche se sono passati ormai dieci anni»
le stava dicendo, con gli occhi leggermente lucidi per la commozione.
«Assomigli moltissimo a
tuo padre, gli stessi occhi, la stessa fisionomia, perfino le stesse
piccole rughe intorno alla bocca quando sorridete».
«Non
me l'hanno mai detto»
commentò Mairead, in tono sommesso. «In
realtà, è che non conosco molte persone che hanno conosciuto mio
padre da giovane»
mormorò poco dopo.
Arthur
prese a giochicchiare con un bastoncino di legno raccolto da terra.
«Da quando è morta tua
madre, Mon si è chiuso in se stesso e temo che abbia tagliato i
ponti non solo con noi ma anche con molti dei suoi vecchi amici»
disse in tono mesto, senza guardarla negli occhi. «Non
credo che te l'abbia nemmeno detto, ma io sono il suo testimone di
nozze e... il tuo padrino».
«Il
mio padrino?» gli fece
eco Mairead, sorpresa. No, suo padre non glielo aveva mai detto e
certo non se lo sarebbe mai immaginata. Pensò che doveva esserci un
legame molto forte tra i suoi genitori e la famiglia Weasley, un
legame non di semplice parentela, ma di affinità. Lo sguardo allegro
e spensierato di Arthur le ricordava tanto quello del padre;
sembravano avere in comune l'entusiasmo per le loro passioni folli,
entrambi purosangue ma in realtà ai limiti della comunità magica
per le loro stranezze.
«Padrino,
già. Temo di non essere stato molto presente in questi anni»
mormorò Arthur, con un mezzo sorriso.
Mairead
gli appoggiò una mano sul ginocchio con fare incoraggiante. «Be',
da ora in avanti abbiamo tutto il tempo per rimediare».
Eccoci
qui! Ve la aspettavate la comparsa dei Weasley? Be', non potevo non
metterli, soprattutto Arthur e i gemelli (con serio rimpianto per
Fred, sigh!). Il momento in cui il trio e Bearach vanno a trovare i
Weasley coincide con quello in cui Harry, Ron e Hermione sono a
prendere l'acqua alla fontana; ovviamente mi inserisco nei momenti
liberi lasciati dalla Rowling, in modo che tutto sia perfettamente
plausibile! ;-) Quanto a Ginny, negli ultimi libri non mi sta molto
simpatica perché diventa decisamente troppo perfetta, ma qui non
volevo dipingerla male: semplicemente, credo che sia curiosa di
scoprire chi sia la ragazza che il padre ha accolto con tanto
entusiasmo, mentre Mairead non è abituata a competere con delle
ragazze e la percepisce come una rivale impicciona.
La
signora con i capelli color sabbia e il figlio Seamus sono ovviamente
i personaggi della Rowling: Seamus Finnegan e Dean Thomas. Infine,
non perdete d'occhio Moira O'Callaghan, perché presto diventerà un
personaggio importante per la saga! ;-)
Non
ho un immagine per questo capitolo, ma ho qualcosa d'altro che vorrei
mostrarvi: QUI il
link del Trinity college tour! Trattasi di una serie di immagini
schizzate a matita di alcuni ambienti del Trinity. Spero che vi
piacciano!
Domani
parto per una mini vacanza, quindi risponderò alle vostre recensioni
nel prossimo weekend. Buona settimana a tutti!
Beatrix
B.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il figlio del Presidente ***
CAPITOLO
4
Il
figlio del Presidente
Lasciarono
Arthur e i figli Weasley alle prese con i fiammiferi, nel vano
tentativo di accendere il fuoco. Arthur sembrava particolarmente
divertito dalla possibilità di produrre scintille sfregando un
bastoncino di legno. «Davvero
ingegnosi questi Babbani!»
aveva commentato, osservando la scatoletta di fiammiferi. Ogni volta
che provava, senza riuscirci, ad accenderne uno, si metteva a ridere.
I figli, in compenso, scuotevano la testa rassegnati.
I
quattro ragazzi irlandesi li salutarono allegramente e si
incamminarono di nuovo verso la loro tenda. Dopo un pranzo veloce
preparato da Mairead (che era l'unica in grado di cucinare, avendo
imparato dal padre), il signor Maleficium li intrattenne un po'
suonando ballate irlandesi alla cornamusa. Ma, in realtà, la
tensione cominciava a farsi sentire. Di lì a poche ore si sarebbe
svolta la finale e tutto il campeggio iniziava a fremere per
l'attesa. Persino Edmund, che non era particolarmente interessato
alla partita, si sentiva un po' su di giri, causa l'atmosfera
eccitata che respirava.
Fu
quando il sole era ormai tramontato e l'oscurità cominciava a calare
sull'enorme distesa di tende, che Edmund incontrò la persona che più
detestava al mondo: Adolfus McPride, il Presidente della Repubblica
Magica d'Irlanda. L'uomo si faceva strada verso di lui, spalleggiato
da due Auror come guardie del corpo: indossava un abito elegante di
seta nera, con i ricami dorati, la sua coccarda rossa da Presidente e
un lungo mantello che ondeggiava sinuoso alle sue spalle, facendolo
sembrare un'aquila che plana verso la sua preda. La gente si spostava
al suo passaggio, lo salutava, gli rivolgeva educati inchini, e lui
rispondeva a tutti con gesti posati e sorrisi accattivanti.
Edmund
rimase ritto in piedi ad aspettarlo, freddo e immobile come un blocco
di ghiaccio. «Edmund»
lo salutò McPride, quando gli fu proprio di fronte.
«Signor
Presidente» rispose con
astio il giovane. Proprio in quel momento, anche gli altri uscirono
dalla tenda, per ritrovarsi davanti niente meno che il Presidente
della Magia.
«Signor
Maleficium, ragazzi»
disse l'uomo, con un cenno del capo a mo' di saluto. Nessuno rispose.
«Sono
venuto a sequestrarvi il mio Edmund per la partita»
continuò affabile McPride, apparentemente non scalfito dalla loro
freddezza.
Edmund
si irrigidì e strinse i pugni. «Non
sono suo» sibilò a
denti stretti, fissando i glaciali occhi blu di McPride.
Lui
si lasciò sfuggire un sorriso. «Lo
sarai molto presto».
«Andiamo,
signor Presidente, lasci che Edmund si goda la partita insieme ai
suoi amici» provò a
dire Eoin, in tono ragionevole.
McPride
sospirò e scosse la testa. «Sarebbe
estremamente scortese: io e lui abbiamo due posti riservati in
tribuna d'onore insieme al Ministro della Magia inglese e quello
bulgaro» spiegò con un
sorriso, come se fosse dispiaciuto. «Non
possiamo certo lasciare dei posti vuoti»
continuò, con un tono che doveva essere bonario, ma che fece
rabbrividire Edmund. Improvvisamente capì che McPride non era
affatto un uomo con cui si poteva scherzare, se non correndo un
rischio molto alto. «Allora,
andiamo?» disse infine,
poggiandogli una mano sulla spalla e rivolgendogli un sorriso
incoraggiante. Edmund deglutì. Si voltò un'ultima volta per
lanciare una disperata richiesta d'aiuto ai suoi amici, ma loro non
poterono fare altro che guardarlo impotenti mentre veniva portato
via.
E
infine, Edmund si lasciò condurre lontano da McPride.
«Per
prima cosa, ragazzo mio, ti togliamo di dosso questi insulsi abiti
Babbani e ti facciamo mettere qualcosa di più adatto al tuo rango»
disse il Presidente, osservando con occhio critico la divisa grigia
dell'orfanotrofio, che gli era decisamente corta.
«Dovremmo
mimetizzarci da Babbani»
rispose Edmund a denti stretti.
«Andiamo,
sei il figlio del Presidente. Pensi davvero che io ti lasci andare in
giro conciato a questo modo?»
sghignazzò McPride, conducendolo verso la sua tenda.
All'apparenza,
sembrava una squallida tenda Babbana,
ma al suo interno era immensa, curata e con un mobilio elegante ed
essenziale. «Nelly,
porta l'abito» ordinò
l'uomo, conducendo Edmund verso la sua stanza, con la mano sulla
spalla che faceva una lieve pressione per indirizzarlo dove voleva.
Una minuscola elfa domestica, con due acquosi occhi nocciola, li
raggiunse nella camera, portando tra le braccia un sontuoso abito di
sartoria verde e argento.
«Io
non indosserò nessun vestito»
sentenziò Edmund, incrociando le braccia al petto. Forse non era una
grande dimostrazione di maturità impuntarsi a quel modo, ma era il
suo unico mezzo per contrastare il volere di McPride. Inoltre non
avrebbe mai accettato nulla da lui, tanto meno un abito.
McPride
gli rivolse un sorriso falsamente benevolo. «Molto
bene, Edmund. Non indossare quel vestito»
gli disse, imitandolo nell'incrociare le braccia al petto. «Possiamo
pure aspettare qui, fintanto che non ti decidi».
L'elfa
domestica si avvicinò con l'abito in mano e lo tese verso Edmund con
il volto supplichevole. Il ragazzo distolse lo sguardo da quella
scena patetica e tornò a fissare McPride con astio. Lui sorrideva
tranquillamente, come se avesse un asso nella manica che non aveva
ancora scoperto. «Mi
chiedevo soltanto...»
cominciò a dire l'uomo, rivolto verso di lui. «Poi
lo spieghi tu al giornalista del Corriere, al Ministro della
Magia britannico e all'intera comunità magica perché il Presidente
della Repubblica Magica d'Irlanda non si è presentato alla partita?»
lo provocò. Edmund strinse i pugni, ma non rispose. Non era certo
colpa sua se McPride aveva scelto di sfidarlo e non avrebbe ceduto al
suo ricatto. Passarono alcuni minuti di silenzio, durante i quali
McPride continuò a fissarlo con quel suo odioso sorriso di vittoria
stampato sulle labbra. Edmund non si mosse.
L'elfa
domestica cominciò a pigolare ai suoi piedi, sicuramente spaventata
dall'idea di essere incolpata per il fatto che Edmund non voleva
indossare l'abito. Da fuori provenivano i rumori di passi frettolosi,
voci e richiami: la folla si stava mobilitando verso lo stadio.
Edmund e McPride erano ancora intenti a fissarsi, quando il secondo
proruppe: «Sai, credo
che la mia assenza ad una partita su suolo inglese sarà notata
soprattutto dai nazionalisti... saranno felici di poter mostrare come
anche i vertici politici dell'Irlanda approvino il loro
boicottaggio».
Nemmeno
questa volta Edmund rispose alla provocazione, ma un fastidioso
dubbio stava cominciando ad insinuarsi nella sua mente: quello era un
ricatto bello e buono, e lui non avrebbe voluto cedere, ma se McPride
non si fosse presentato alla partita... la responsabilità di ciò
che sarebbe potuto conseguirne gravava sulle sue spalle.
Per
un attimo il suo sguardo indugiò sul prezioso abito di sartoria: in
quel preciso momento McPride capì di aver vinto. Quando Edmund tornò
a fissarlo, era meno determinato. Dopo alcuni altri minuti di
silenzio, si decise a strappare il vestito dalle mani della
piagnucolante elfa e, senza una parola, si diresse verso l'altra
stanza per indossarlo. McPride osservò la scena con sguardo
decisamente compiaciuto.
Alla
fine, anche il metallo più duro si può piagare.
Edmund
tornò nella camera dove lo aspettava McPride qualche minuto dopo.
Con indosso quel ricco abito di sartoria, non sembrava più nemmeno
lo stesso ragazzo: era elegante, curato e gradevole. Un'ottima
mascotte da presentare alle alte cariche dello stato: l'orfanello
brillante e di bell'aspetto che aveva trovato nel Presidente della
Magia irlandese una nuova casa e un nuovo padre. McPride prese Edmund
per le spalle e lo costrinse a voltarsi verso il grande specchio che
si trovava in un angolo della stanza. «Ti
vedi, Edmund? La vedi questa?»
gli chiese, indicandogli la sua immagine riflessa. «Questa
è la faccia che devi mostrare al mondo. Questa è l'immagine di un
vincitore. Non importa quello che sei, ma ciò che gli altri vedono
in te» gli rivelò in
un sussurro. Il volto di Edmund era una maschera impassibile. Per
lui, quella era l'immagine dell'ipocrisia.
«Forza,
ora andiamo. O la partita comincerà senza di noi»
lo incitò McPride, con un buffetto sulla guancia. Quel gesto non
aveva nulla di tenero: sembrava un predatore che si diverte con il
suo cibo. Edmund si lasciò condurre apatico fuori dalla tenda e poi
verso il bosco al cui centro si trovava lo stadio.
Il
bigliettaio all'ingresso fu piuttosto colpito dalla loro apparizione
e si produsse in una serie infinita di inchini per tentare di
compiacerli. «Prego,
prego, dritto fino in cima»
disse loro, indicando la strada da precorrere per raggiungere la
tribuna d'onore. Edmund e McPride salirono le scale ricoperte da
tappeti viola, fino ai gironi più in alto: la tribuna d'onore si
trovava a metà esatta del campo. Edmund lanciò un'occhiata al resto
dello stadio e vide migliaia di maghi minuscoli come formiche che
prendevano posto nei vari settori. Si riconosceva immediatamente
quali fossero gli anelli irlandesi, perché in quella zona sembrava
che fosse cresciuto del muschio sui sedili: tutti indossavano
qualcosa di verde.
«Ah,
Presidente McPride. Temevo che non sarebbe venuto»
esclamò una voce proprio in quel momento. L'uomo che aveva parlato
era un tipo basso e tarchiato, con i capelli grigi tutti arruffati e
gli occhietti ansiosi.
«Ministro
Caramell» rispose
gentilmente McPride, stringendogli la mano. «Ho
avuto un piccolo... contrattempo»
si scusò.
Il
Ministro della Magia inglese fece uno strano sorrisetto. «Non
fa niente, non fa niente. E questo deve essere...»
cominciò a dire, guardando Edmund.
«Mio
figlio Edmund» completò
McPride, con aria soddisfatta. Edmund sibilò qualche parola astiosa
nei suoi confronti, ma il Ministro Caramell parve non accorgersene.
«Ma
che bel giovanotto»
esclamò, stingendogli la mano calorosamente. «Vi
presento il signor Oblansk-qualcosa, il Ministro della Magia bulgaro»
aggiunse poco dopo, indicando un uomo rispettabile che indossava un
lussuoso completo nero di velluto. Mentre McPride gli stringeva la
mano, Caramell si accostò a Edmund con una risatina nervosa. «Sto
impazzendo: il Ministro bulgaro non capisce una parola di inglese,
sia dannato Merlino!»
gli sussurrò all'orecchio. Edmund gli rivolse un'occhiata perplessa:
l'organizzazione della finale delle Coppa del Mondo doveva avergli
risucchiato tutte le energie, se aveva cominciato a parlare in quel
modo.
«I
vostri due posti sono lì, Presidente»
aggiunse poco dopo il Ministro Caramell, indicando due posti vuoti a
fianco di un uomo biondo. «Ah,
Lucius, questo è McPride, il Presidente irlandese»
lo presentò Caramell.
Il
mago si alzò in piedi con una espressione benevola talmente finta
che McPride a confronto sembrava il paladino dell'onestà. «Lucius
Malfoy» disse l'uomo,
con una voce profonda e strisciante, stingendo la mano al Presidente.
La sua pomposa aria di superiorità per poco non fece scoppiare a
ridere Edmund. Chi diavolo si credeva di essere quel Malfoy?
«Ah,
Lucius, sarebbe carino se tu e Draco vi scambiaste di posto, così i
due ragazzi stanno vicini»
propose il Ministro Caramell. Il ragazzino in questione, un biondino
con la faccia appuntita e gli occhi grigi, non sembrava per nulla
entusiasta, a giudicare dalla sua faccia disgustata, ma il signor
Malfoy non perse l'occasione di compiacere il Ministro e obbligò il
figlio a cambiare posto.
«Draco
Malfoy» si presentò
quello, con un'espressione di superiorità stampata in faccia.
«Edmund
Burke» rispose
l'irlandese, senza scomporsi troppo per l'aria da gran nobile
dell'altro.
«Burke?
Ma tuo padre non si chiama McPride?»
gli chiese Draco perplesso e schifato insieme. Edmund incrociò le
braccia al petto.
«Signore
e signori... benvenuti! Benvenuti alla finale della
quattrocentoventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!»
esclamò una voce poco sopra di loro, che rimbombò magicamente in
tutto lo stadio.
La
folla scoppiò in un boato.
Draco
era ancora intento a fissarlo. Edmund allora gli rivolse uno dei suoi
sguardi più terribili, tanto che l'altro sgranò gli occhi e
rabbrividì appena. Gli bastarono poche parole per mettere a tacere
uno spaurito Draco per tutto il resto della serata.
«Lui
non è mio padre».
Ebbene
sì, non poteva mancare Adolfus McPride alla partita di Quidditch! E
ovviamente non poteva evitare di esibire la sua mascotte preferita:
il brillante orfanello Edmund Burke! Lo so che lo odiate però, dai,
dovete ammetterlo, è un cattivo che ha il suo fascino! Ahahah!QUI il
link dell'immagine confezionata ad hoc!
Scherzi
a parte, l'arrivo in tribuna d'onore coincide con il minuscolo
buchetto lasciato dalla Rowling tra l'arrivo dei Malfoy e l'inizio
della partita. Be', insomma, avevo l'occasione di dilettarmi un po'
con Malfoy senior e jr, quindi non potevo farmela scappare. In barba
a tutte le ff dove Draco è un figo da paura, volevo rendergli un po'
di giustizia: il Draco della Rowling ha il mento appuntito e è un
fifone! Quanto a Lucius... be', lui trasuda strisciante figosità! XD
Ah,
ho visto che il personaggio di Moira ha riscosso molto successo! Sono
felice perché avrà un ruolo importante... nel frattempo, se volete,
andare a gustarvi qui il
primo capitolo in cui appare il personaggio (capitolo 4 de “La
Lancia di Lugh”, nell'ultima parte) e qui il
suo nome sull'albero genealogico dei MacGaril! Scommetto che non ci
avevate fatto caso! ;-)
Infine,
un avviso: lunedì prossimo sarò di nuovo in
vacanza (ebbene sì, di nuovo!) e considerato che il capitolo 5 è
ancora tutto da scrivere, salterò l'aggiornamento di una settimana.
Ci rivediamo lunedì 22 agosto per la Coppa del
Mondo di Quidditch. E forza Irlanda!
A
presto,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** I campioni del mondo ***
CAPITOLO
5
I
campioni del mondo
«Signore
e signori... benvenuti! Benvenuti alla finale della
quattrocentoventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!»
rimbombò una voce nello stadio.
Mairead,
Laughlin e Bearach si sgolarono per ruggire la loro approvazione.
Bearach sventolava con entusiasmo una bandiera dell'Irlanda che
lasciava una scia di trifogli luminosi e portava al collo la
trombetta di Mairead. Tutti e tre si erano dipinti la faccia per
sottolineare la loro passione per la Nazionale di Quidditch. Mairead,
oltre ad indossare la felpa verde con i trifogli sul cappuccio, aveva
in mano una vecchia macchina fotografica che aveva ritrovato in
soffitta, con l'intenzione di non lasciarsi sfuggire nessun attimo
della partita. Il signor Maleficium, dimenticata ogni decorosa
compostezza, urlava e si agitava insieme ai ragazzi per appoggiare la
sua squadra.
«E
ora, senza altri indugi, permettetevi di presentarvi... le Mascotte
della Nazionale Bulgara!»
Una
serie penetrante di fischi partì dalla curva irlandese, tanto
assordanti da coprire perfino gli schiamazzi provenienti dalla zona
rossa della Bulgaria.
«Attenti
ragazzi, se hanno portato le Veela, cercheranno di fregarci»
esclamò il signor Maleficium, cercando di sovrastare il rumore dello
stadio.
Laughlin
incrociò le braccia al petto. «Non
basteranno delle biondine sgambettanti a gabbare Laughlin Malefcium»
sentenziò in tono risaputo. Ovviamente non aveva considerato quanto
potessero essere influenti le biondine sgambettanti.
Non
appena la Veela fecero il loro ingresso nello stadio e cominciarono a
danzare con le loro movenze sinuose, perfino gli irlandesi più
agguerriti meditarono seriamente di tifare per la Bulgaria. Laughlin
sgranò gli occhi, si aggrappò alla balaustra e prese a dondolare
avanti e indietro, come se fosse sul punto di tuffarsi. «Sono...
sono... sono...»
cominciò a balbettare, incantato dalla grazia dei loro visi e dalla
morbidezza dei biondi capelli.
«Bulgare!»
completò Mairead tirandogli un sonoro colpo sulla nuca. Laughlin
parve riscuotersi, forse più per il fatto che le Veela avevano
smesso di danzare, piuttosto che per lo scappellotto ricevuto. Pareva
comunque piuttosto confuso e non capiva il motivo per cui stava
cercando di cancellarsi dalle guance i trifogli verdi che vi aveva
disegnato. Mairead si lasciò sfuggire un risolino divertito.
«E
ora, gentilmente puntate in aria le bacchette...»
riprese a dire il commentatore. «Per
le Mascotte della Nazionale Irlandese!»
Improvvisamente
dimentichi delle Veela, i tifosi irlandesi si sgolarono per
accogliere le loro Mascotte: una specie di cometa oro e verde entrò
scintillando nello stadio. Bearach sventolò la bandiera con foga,
esclamando: «Sono
Lepricani! Sono Lepricani!»
La
cometa fece un giro dello stadio, poi si divise in due più piccole,
ognuna delle quali si lanciò verso gli anelli sul fondo del campo,
formando un arcobaleno colorato. La folla ammirò lo spettacolo a
bocca aperta e con il naso all'insù. L'arcobaleno sbiadì
lentamente, dopodiché i Lepricani si riunirono per creare un immenso
trifoglio verde che ballonzolava sulle tribune dello stadio, facendo
piovere scintillanti monete d'oro. Molti maghi non irlandesi, che non
potevano sapere come l'oro sarebbe sparito di lì a poche ore, si
azzuffarono per recuperare le grosse monete.
«Questa
è l'Irlanda!» ruggì
il signor Maleficium, battendo le mani con evidente soddisfazione,
mentre i Lepricani andavano a sedersi sul campo, dal lato opposto
alle belle Veela.
«E
ora, signore e signori, vogliate dare il benvenuto... alla Nazionale
Bulgara di Quidditch! Ecco a voi... Dimitrov!»
annunciò il presentatore, ma il resto dei nomi fu sovrastato dai
lunghi fischi di disapprovazione dei tifosi irlandesi.
«Buuuh!
Buuuh!» gridava Bearach
ogni volta che una saetta rossa entrava in campo a cavallo di
Firebolt nuove fiammanti.
«Eeeee...
Krum!» esclamò la
voce, presentando il Cercatore Bulgaro.
«Perché
applaudi?» si lagnò
Laughlin, tirando una gomitata nel fianco a Mairead, che alla
comparsa del torvo giocatore aveva cominciato ad applaudire con
entusiasmo.
La
ragazza gli rivolse un sorriso eccitato. «Be',
è pur sempre Vicktor Krum! Il miglior Cercatore del mondo!»
spiegò, ma non fece a tempo ad aggiungere nulla, perché il
presentatore annunciò la squadra irlandese.
«E
ora, vi prego di salutare... la Nazionale Irlandese di Quidditch!
Ecco a voi... Connolly! Ryan! Troy!»
«È
Troy, è Troy! È Sean Troy!»
strillò Mairead, quasi con le lacrime agli occhi per l'emozione,
quando un bel giovanotto con i riccioli sfrecciò all'interno dello
stadio. Mairead si sbracciò dalla tribuna, si sgolò a furia di
urlare e agitò le bandierine con foga per esprimere il suo
entusiasmo.
«Mullet!
Moran! Quigley! Eeeeee... Lynch!»
A
ogni nome annunciato dal presentatore, una freccia verde saettava nel
campo, accolta da ruggiti di approvazione da parte dei tifosi
irlandesi.
«Sono
spettacolari!» strillò
Mairead, cominciando a scattare foto all'impazzata. «Sono
i Cacciatori migliori del mondo! Il Quidditch come lo giocano loro...
ah!» sospirò ammirata,
mentre il presentatore annunciava l'ingresso in campo dell'arbitro,
Hassan Mustafà, un omino calvo con un paio di enormi baffoni e un
ridicolo vestito d'oro. Portava sotto un braccio un'enorme cassa di
legno e dall'altra parte il suo manico di scopa. Lo stadio si
acquietò magicamente, tutti in febbrile attesa dell'inizio della
partita. Mustafà poggiò la cassa a terra, montò sulla scopa, e la
aprì con un calcio: quattro palle schizzarono in alto, subito
seguite dal fischio acuto dell'inizio della partita.
«Paaartiti!»
I
Cacciatori verdi, abituati alla mischia del Quidditch irlandese, al
fischio erano scattati in avanti in formazione con una velocità e
una prontezza di riflessi impressionante. In una frazione di secondo
avevano acciuffato la Pluffa e ora se la lanciavano con dei passaggi
talmente precisi e veloci che il presentatore riusciva a mala pena a
dire i loro nomi.
«Mullet!
Troy! Moran! Dimitrov! Ancora Mullet! Troy!»
I
Cacciatori irlandesi si scagliarono con la formazione a Testa di
Falco contro gli avversari, verso gli anelli. La Moran perse la
Pluffa per un tiro di bolide di Volkov, ma pochi secondo dopo la
palla scarlatta era tornata nelle mani degli irlandesi.
«TROY
SEGNA!»
Lo
stadio scoppiò in un boato. Mairead, Laughlin e Bearach si
sgolarono, mentre il Cacciatore faceva un giro dello stadio per
raccogliere le urla di giubilo dei suoi tifosi.
«Santo
folletto, quanto è bello e bravo e... bello!»
piagnucolò Mairead quando Troy passò davanti alla curva verde.
Il
gioco riprese veloce e entusiasmante come prima. I complimenti di
Mairead ai Cacciatori irlandesi non erano solo dettati da spirito
nazionalista: erano realmente straordinari. Cambiavano gli schemi
d'attacco con una rapidità impressionante e agivano come se si
leggessero nel pensiero, come un sol uomo. I loro passaggi erano
precisi e puliti, veloci tanto da far sembrare la Pluffa uno sfuocato
proiettile rosso. Tempo dieci minuti e l'Irlanda era in testa per
trenta a zero.
«Spettacolari!
Spettacolari!» ruggì
Mairead, sognando di poter imparare a giocare in quel modo.
La
partita si fece più violenta: i Battitori bulgari cercarono di
arginare la schiacciante bravura dei Cacciatori avversari spedendo
contro di loro i bolidi con una violenza tale che avrebbero potuto
disarcionare un elefante. Riuscirono a sabotare alcune delle loro
azioni, tanto che Moran fu costretta a lasciar cadere la Pluffa, che
venne raccolta dalla Ivanova, la quale riuscì a scartare i giocatori
avversari e a segnare il primo punto per la Bulgaria. La danza
festante delle Veela fu coperta dai fischi rabbiosi dei tifosi della
curva verde.
Il
gioco riprese, con i Bulgari in possesso di palla.
«Dimitrov!
Leviski! Dimitrov! Ivanova... oh, cielo!»
esclamò il commentatore.
Tutto
lo stadio trattenne il fiato come un sol uomo, mentre i due Cercatori
si tuffavano in picchiata verso il terreno. E poi Krum virò
all'ultimo secondo, mentre Lynch si schiantò rovinosamente al suolo.
«Benedetto
san Patrizio!» esclamò Mairead, mentre la curva verde scoppiava in
un alto lamento che attraversò tutto lo stadio.
«Era
una finta, brutto imbroglione!»
gridò Laughlin, battendo i pugni sulla balaustra con rabbia. I
medimaghi accorsero in campo per verificare le condizioni del
Cercatore Irlandese, ancora riverso a terra.
«Poverino,
si sarà fatto male?»
domandò Bearach, portandosi le mani alla bocca.
«Bene
no di certo» rispose
Laughlin, ancora arrabbiato per la finta di Krum. I medimaghi, a suon
di pozioni, riuscirono a rianimare Lynch, che si rialzò barcollante,
salutato dalle urla di giubilo dei suoi tifosi. «Fagliela
vedere a quel maledetto!»
lo incitò Laughlin, sventolando la sua sciarpa verde.
La
partita riprese con nuovo entusiasmo da parte dei Cacciatori
irlandesi: le loro azioni erano talmente spettacolari che, tempo
quindici minuti, erano riusciti a segnare altri dieci goal, portando
il punteggio ad un meraviglioso trecentotrenta a dieci. Mairead si
sgolava ed esultava per ogni punto segnato dall'Irlanda, specie se
era merito di Sean Troy. Ogni azione era talmente emozionante che la
faceva saltare sulla tribuna in preda all'euforia, sognando di
ritrovarsi su una scopa fianco a fianco con i suoi eroi.
All'ennesimo
attacco dei Cacciatori irlandesi, mentre Mullet sfrecciava verso i
pali, il Portiere avversario gli si fece incontro con eccessivo
entusiasmo, tanto che nel tentativo di afferrare la Pluffa, gli tirò
una sonora gomitata nello stomaco. I tifosi irlandesi scoppiarono in
un boato.
«Punizione
per l'Irlanda!» informò
la voce presentatrice, quando Mustafà fischiò l'interruzione della
partita. I Lepricani si alzarono in volo e formarono le parole “HA,
HA, HA”, in evidente tono di scherno. Le Veela, dal canto loro,
ricominciarono a danzare tanto dolcemente da incantare perfino
Mustafà, che era sceso dalla scopa e gonfiava il petto davanti alle
Veela.
«Insomma,
non possiamo tollerarlo! Qualcuno schiaffeggi l'arbitro!»
commentò in tono divertito il presentatore. Uno dei medimaghi allora
si avvicinò e tenendo le orecchie tappate per non subite il fascino
delle Veela, tirò un calcio dritto negli stinchi di Mustafà.
L'arbitro si riprese con evidente imbarazzo e cercò in tutti i modi
di cacciare le Mascotte Bulgare fuori dallo stadio.
«Questa
sì che è una cosa a cui non abbiamo mai assistito... oh, le cose
potrebbero mettersi al peggio...»
esclamò il commentatore, proprio quando i due Battitori Bulgari
planarono verso l'arbitro e cominciarono a lamentarsi delle sue
decisioni. Mustafà gesticolò con foga, ma quando i due giocatori si
rifiutarono di salire nuovamente a cavallo delle loro scope, fischiò
una seconda punizione per l'Irlanda.
«Ah,
ben vi sta!» esultò
Bearach, soffiando nella trombetta di Mairead che strillava il nome
di Sean Troy.
Da
quel momento, la partita divenne estremamente violenta. I Battitori
di entrambe le squadre sembravano impazziti e spedivano i Bolidi
contro gli avversari con violenza inaudita. Uno dei Cacciatori
Bulgari, Dimitrov, volò dritto contro la Moran che tentava un tiro,
quasi disarcionandola dalla scopa.
«Fallo!»
fu l'urlo che si alzò dalla curva irlandese.
«Fallo!»
riecheggiò la voce del commentatore, proprio mentre Musrtafà
fischiava la punizione.
I
Lepricani, nel frattempo, si alzarono in volo a formare un gestaccio
maleducato in direzione delle Veela. Bearach lo indicò e scoppiò a
ridere, ma le Mascotte avversarie non parvero accettare il gesto con
altrettanta ilarità: cominciarono a scagliare palle di fuoco in
direzione dei Lepricani, trasformando i loro bei visi in orribili e
affilate teste di uccello, mentre sulla schiena cominciavano a
spuntare ali squamose.
«Che
schifo! Vatti a fidare delle bionde!»
esclamò Laughlin, osservando la scena con disgusto.
Gli
uomini del ministero si riversarono in campo per tentare di arginare
la furia delle Veela e separare le Mascotte delle due squadre; nel
frattempo, nella porzione di cielo sopra le loro teste, la violenza
non era minore. La Pluffa passava di mano in mano ai Cacciatori con
una velocità impressionante: Mairead non faceva a tempo ad esultare
per un goal, che già la Pluffa sfrecciava per il campo.
«Leviski!
Dimitrov! Moran! Troy! Mullet! Ivanova! Ancora Moran!»
«Dai,
dai!» esultò Mairead,
mentre la Cacciatrice Irlandese schizzava verso i pali avversari.
«Moran
segna!» commentò il
presentatore.
Il
boato dei tifosi irlandesi fu quasi coperto dagli schiamazzi della
scaramuccia che si stava svolgendo a terra tra gli uomini del
Ministero e le Veela.
La
partita riprese immediatamente. I Bulgari erano in possesso di palla,
ma gli occhi di tutti furono rapiti dal maestrale colpo del Battitore
Irlandese Quigley, che spedì un Bolide dritto in faccia a Krum.
«Ah!
Ben gli sta!» esultò
Laughlin, mentre buona parte dello stadio scoppiò in un boato
assordante: non che tutti tifassero Bulgaria, ma Krum era sempre
Krum. Dall'abbondanza di sangue che gli macchiava la divisa, pareva
proprio che si fosse rotto il naso. L'arbitro tuttavia non fischiò
una pausa, perché era occupato in ben altre faccende: una Veela gli
aveva colpito la scopa con una palla di fuoco e ora il manico stava
bruciando.
«Guardate
Lynch!» strillò
Mairead, con il cuore in gola per l'emozione.
Il
Cacciatore Irlandese si era lanciato in picchiata verso il fondo del
campo, dove infuriava ancora la battaglia.
«L'ha
visto, l'ha visto! Ha visto il boccino!»
gridò Bearach, saltellando sulla tribuna. Tutta la curva irlandese
parve accorgersi dell'impresa e si alzò in piedi per strillare
incitamenti al suo Cacciatore.
Krum
sarebbe dovuto essere fuori gioco, ma, nonostante la ferita al volto,
si lanciò all'inseguimento di Lynch.
Lo
raggiunse... ora erano testa a testa.
«No!
No! No!» gridò
Mairead, in preda ad un attacco di panico per il pericoloso rimontare
di Krum.
«Acciuffa
quel maledetto Boccino!»
urlò Laughlin, sporgendosi dalla balaustra per vedere meglio la
scena.
«Oddio,
si ammazzano!» strillò
Bearach, coprendosi il volto con le mani.
E,
in effetti, Lynch si schiantò al suolo per la seconda volta, con un
sordo boato. Ruzzolò giù dalla scopa e fu subito circondato da
Veela feroci.
«Qualcuno
lo aiuti!» strillò
Mairead, indicando il povero Lynch stramazzato al suolo.
Tutti
i tifosi irlandesi erano troppo preoccupati per la sorte del loro
Cercatore, per realizzare davvero quello che era successo. Finché...
«Krum
ha preso il Boccino!»
ululò Bearach sovrastando il rumore della folla e indicando il
Cercatore Bulgaro che risaliva lentamente dalla sua picchiata,
stringendo nel pugno un minuscolo pallino d'oro.
E
Mairead realizzò: era finita! E...
«ABBIAMO
VINTO!» ruggì in preda
all'euforia, mentre una gioia selvaggia le invadeva il cuore. Scoppiò
il caos nella curva verde: urla di giubilo, sventolio di bandiere,
abbracci, grida e inni rimbombavano in tutto lo stadio.
«ABBIAMO
VINTO!» cantilenava
Laughlin, abbracciando prima suo fratello e poi Mairead in
continuazione.
I
Lepricani si alzarono in volo e sparsero sullo stadio la loro polvere
d'oro, mente i giocatori ballavano in mezzo al campo, sorreggendo un
intontito Lynch per le spalle. Applausi e grida erano quasi
assordanti, nel mezzo dell'onda verde festante.
«E
mentre la Nazionale Irlandese fa un giro d'onore, accompagnata dalle
sue Mascotte, la Coppa del Mondo di Quidditch viene portata in
Tribuna d'Onore»
esclamò il commentatore. Tutta la tribuna venne illuminata per
magia, mentre due uomini portavano dentro un enorme coppa d'oro.
Per
un attimo lo sguardo di Mairead si posò sulla nuca di un ragazzino
smilzo, vestito elegante, che, ritto in piedi di fianco a McPride,
applaudiva educatamente. Poi lui si voltò, i loro sguardi si
incrociarono e Mairead gli sorrise.
Non
ci voleva un mago per intuire le parole che Edmund aveva scandito
lentamente: “abbiamo vinto”.
Ecco
qui, un po' in anticipo (perché domani pomeriggio non so se sarò a
casa) il nuovo capitolo! Mi era mancato aggiornare questa storia,
visto che la settimana scorsa non c'ero... ma eccomi pronta a
rimediare!
Be',
spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ok, il risultato lo sapevate
già, ma ho cercato di rendere il tutto più emozionante, visto che
la partita si segue con gli occhi di accaniti tifosi irlandesi! Io mi
sono agitata insieme a Mairead quando Krum passa in testa, mi sono
impaurita con Bearach quando Lynch si schianta, mi sono emozionata
con gli irlandesi quando la squadra vince... spero valga lo stesso
per voi! QUI l'immagine
di Mairead, Laughlin e Bearach in tribuna!
Ah,
Laughlin non ha niente contro le bionde (e io nemmeno...quasi!), ma
quella battuta sulle Veela in bocca a lui ci stava proprio bene! E
poi a lui piacciono le more... ;-)
A
presto, e W L'IRLANDA!!
Beatrix
ps. Ho
anche scoperto di recente, partecipando ad un contest, che tutte le
volte che parla un personaggio diverso, bisognerebbe andare a capo. È
una regola che mi scoccia parecchio, perché ho sempre odiato andare
a capo in continuazione, e quindi ci ho impiegato parecchio ad
accettarla, ma... è una REGOLA! Non ci posso fare niente, sono
troppo ligia al mio dovere! Ergo, nella pubblicazione del racconto
Ulysses (ripresa in questi giorni) mi sono attenuta a tale norma.
Idem intendo fare con i prossimi capitoli di questa storia... e
presto o tardi, sistemerò anche i capitoli passati! Un applauso per
me! XD
EDIT:
ho appena terminato la sistemazione della storia, introducendo le
virgolette fighe per tutti i dialoghi... ho anche incominciato a
rivedere il primo racconto, La Lancia di Lugh; con calma, ho
intenzione di sistemare tutte le storie già edite!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Baldoria! ***
CAPITOLO
6
Baldoria!
Ci
volle più di un'ora perché i festanti tifosi irlandesi
si lasciarono convincere da solleciti uomini del Ministero ad
abbandonare lo stadio che era stato teatro del loro successo. Lungo
le scale, attraverso il bosco e per tutto il percorso che li separava
dal campeggio, era un tripudio di colori, canti e grida che si
levavano verso il cielo stellato. Nessuno sembrava aver voglia di
ritirarsi nelle proprie tende, come avevano gentilmente suggerito gli
Auror: quella notte si doveva festeggiare. Musica, canti,
Burroguinness e tanta allegria... sarebbe stato difficile convincere
gli entusiasti Irlandesi a rinunciare alla propria serata di
baldoria.
«Ehi,
Laugh!» esclamò
Mairead, afferrando l'amico per il braccio, mentre stavano
attraversando il bosco in direzione del campeggio. «Andiamo
a salvare Edmund.»
gli sussurrò, con una strizzata d'occhio.
Sul
volto di Laughlin si allargò un sorrisetto complice. «Ci
puoi contare!»
I
due amici approfittarono della folla per sfuggire al controllo del
signor Maleficium e sgattaiolare verso la tenda del Presidente della
Magia. Ma, quando arrivarono, non trovarono nessuno, nemmeno i
consueti Auror di guardia all'ingresso, segno che McPride non era
ancora tornato dallo stadio. «Sarà
in giro a farsi intervistare.»
mormorò Laughlin, ben consapevole di come fossero affamati di
notizie i giornalisti del Corriere. «È
meglio se lo andiamo a cercare, o potremmo passare la serata qui ad
attenderlo.»
propose infine. Mairead annuì con il capo e insieme
ripercorsero la strada a ritroso verso lo stadio.
Lo
trovarono effettivamente in una piccola radura attorniato da
giornalisti e fotografi; pareva compiaciuto e soddisfatto per la
vittoria, ma non si scomponeva troppo, sempre perfettamente
politically correct.
Elogiava i giocatori e i tifosi che avevano sostenuto la squadra, ma
non si dimenticava di inserire qua e là qualche complimento
per i Bulgari o brevi parole di merito per il Ministero britannico
che aveva organizzato l'evento. Un discorso da vero politico,
insomma.
Ritto
in piedi al suo fianco, con uno sguardo apatico, si trovava Edmund.
Ogni tanto McPride lo prendeva per le spalle e lo avvicinava a sé,
per permettere ai fotografi di immortalarli entrambi, ma Edmund
sembrava ignorare completamente tutto quello che gli stava attorno.
«Ehi,
Ed! Psss!» provò
a chiamarlo Laughlin, senza dare troppo nell'occhio.
Edmund
nemmeno la vide.
«Maledizione!»
imprecò Mairead, conscia che ci sarebbe voluto ben altro per
richiamare l'attenzione dell'amico. Si guardò in giro e il suo
occhio cadde su una pigna abbandonata a terra.
Laughlin,
vedendo dove puntava il suo sguardo, si sfregò le mani con
aria complice. «Ottima
idea. Attenta però a non beccare qualcun altro, specie
McPride.» le
raccomandò.
Mairead
si chinò a terra per afferrare la pigna, poi sorrise. «Laugh,
sono una Cacciatrice. Saprò cavarmela.»
e con quelle parole spedì il proiettile dritto sulla nuca di
Edmund.
«Ahi!
Che diavolo...»
bofonchiò quello, colpito in pieno dalla pigna. La sua mano
saettò immediatamente verso la tasca dove teneva la bacchetta,
ma quando si voltò per vedere chi lo aveva attaccato, si
lasciò sfuggire un sorriso: Mairead e Laughlin gli stavano
rivolgendo segni concitati, semi nascosi dietro un albero. Edmund
controllò che l'attenzione di tutti fosse puntata su McPride,
che stava rispondendo alle domande dei giornalisti, poi sgattaiolò
via il più silenziosamente possibile. Una volta raggiunti i
suoi amici, si lanciò una fugace occhiata alle spalle e i suoi
occhi azzurri incontrarono quelli severi di McPride. L'aveva visto,
ma non poteva inseguirlo abbandonando i giornalisti. Edmund gli
rivolse un sorriso di vittoria, poi si affrettò a
squagliarsela.
Mairead
e Laughlin non fecero altro che commentare entusiasti la partita per
tutto il tragitto verso il campeggio, tanto che Edmund avrebbe voluto
far notare che aveva assistito anche lui alla finale e quindi non
c'era bisogno che gli raccontassero tutte le azioni, ma alla fine li
lasciò parlare, anche solo per sentire il suono piacevole
delle loro voci.
«Oh,
il goal della Moran è stato spettacolare!»
esclamò Mairead.
«E
il bolide di Quigley che ha beccato Krum in faccia?»
rincarò la dose Laughlin.
«E
quel passaggio maestrale di Mullet?»
«E
le Veela che incendiavano la scopa dell'arbitro?»
Edmund
ridacchiò: certo, era stato uno spettacolo interessante, ma
lui non si era emozionato così tanto nel vedere quattordici
giocatori che sfrecciavano per il campo inseguendo quattro palle. Ad
un certo punto notò un gruppo di Auror che sembravano scortare
qualcuno via dallo stadio. «Ehi,
quello non è Troy, il capitano della Nazionale?»
domandò, indicando il gruppetto.
Gli
occhi di Mairead si illuminarono. «Sì,
è lui! Sean Troy!»
cinguettò entusiasta.
«Be',
vai a chiedergli un autografo.»
propose Laughlin, in tono pratico. Non sarebbe capitata ancora
un'occasione simile.
Mairead
sgranò gli occhi, spaventata alla sola idea di incontrare il
suo eroe. «Oh, no,
io non posso farlo!»
strillò in preda al panico. «Lui
è così... così... così bello! Morirei di
vergogna!»
«Mah!»
sbottò Edmund, estraendo la bacchetta di tasca. Con una certa
stizza, fece apparire dal nulla un foglio di pergamena e una penna,
poi si diresse senza esitazione verso gli Auror.
«Ehi,
giovanotto, fermo dove sei.»
gli ordinò una delle guardie del corpo del famoso giocatore.
«Voglio
solo chiedere un autografo.»
rispose educatamente Edmund, mostrando il foglio di pergamena.
Il
mago scosse la testa. «Non
mi interessa. Abbiamo precisi ordini di scortare il signor Troy al
sicuro.»
Edmund
allora si lasciò sfuggire un sorriso che non aveva nulla di
angelico. «Ma io
sono il figlio del Presidente McPride, e sono sicuro che a mio padre
non piacerebbe sapere che dei solerti Auror mi hanno impedito di
chiedere un autografo a Sean Troy. Sa, lui vuole sempre il meglio per
me e...» Edmund si
interruppe, per ammiccare furbescamente in direzione del mago.
«...non vorrei mai
ritrovarmelo contro.»
L'Auror
rimase interdetto, con la bocca semi aperta e una smorfia indecisa
sul volto. «Io...»
biascicò a mezza voce.
«Che
succede, Gerald?»
domandò allora Sean Troy, in tono affabile avvicinandosi alla
sua guardia del corpo.
Edmund
fu più veloce a rispondere del solerte Gerald. «Mi
farebbe un autografo?»
chiese, allungando verso il giocatore foglio e penna. Nel vedere il
sorriso accattivante che gli rivolse Troy, Edmund capì
immediatamente perché fosse tanto adorato dalle sue fan: una
naturale bellezza un po' trasandata, un talento davvero niente male
per il Quidditch, un alone di fama e dei modi gentili verso il suo
pubblico adorante. Nessuna avrebbe potuto resistere al suo fascino.
«Come
ti chiami?» gli
domandò Troy, prendendo in mano la penna per firmare la
pergamena.
«Non
è per me, è per una mia amica.»
rispose Edmund, accennando con il capo ad una ragazza poco distante.
«Mairead.»
Troy
gli rivolse un sorriso complice, come se avesse capito molte cose
sottintese e mai rivelate. «Questo
autografo vale almeno un bacio, giovanotto.»
gli disse, restituendogli il foglio con una strizzatina d'occhio.
«Come?»
farfugliò Edmund senza capire, ma Troy e gli Auror si erano
già allontanati.
«Edmund,
Edmund! Glielo hai chiesto?»
esclamò eccitata Mairead. Edmund allora le sventolò il
foglio con l'autografo sotto il naso. Mairead lo afferrò al
volo e lo contemplò in religioso silenzio per una manciata di
secondi. «Uau...»
commentò alla fine, con un sospiro.
Edmund
sbuffò. Ma prima che potesse in qualche modo commentare la
cosa, Mairead gli gettò le braccia al collo e gli schioccò
un sonoro bacio sulla guancia. «Grazie,
Ed! È fantastico!»
esclamò con un sorriso.
Edmund
rimase impietrito, congelato, immobilizzato, mentre il punto esatto
dove era stato baciato bolliva come se le labbra di Mairead fossero
state di fuoco. Balbettò qualcosa di insensato, ma per fortuna
Mairead era troppo eccitata dall'autografo di Sean Troy per rendersi
conto dell'effetto devastante del suo innocente bacio.
Laughlin,
dal canto suo, ridacchiò sotto i baffi. «Dai,
andiamo, o ci perderemo tutta la festa.»
bofonchiò alla fine fingendosi scocciato; ma gli angoli della
sua bocca erano ancora incrinati in un sorriso divertito.
Prima
di unirsi alla festa, Edmund insistette perché passassero
dalla tenda di McPride per permettergli di cambiarsi: voleva levarsi
di dosso il sontuoso abito di sartoria per tornare ad indossare la
sua vecchia divisa un po' malandata. Era un modo come un altro per
disfarsi dell'identità di figlio del Presidente.
Anche
Mairead si tolse la felpa della Nazionale Irlandese, per non
rischiare di rovinare il cappuccio di trifogli, e ne mise indosso una
qualsiasi che avesse un'apparenza Babbana. Dopodiché tutti e
tre si avviarono verso il cuore del divertimento.
Arrivarono
al campo degli irlandesi che era in corso una festa con i fiocchi:
qualcuno aveva stregato le tende, perché perfino i trifogli
vivi che le decoravano ballassero al tempo della musica. Dal cielo
piovevano coriandoli colorati e i Lepricani sfrecciavano in aria
lanciando manciate del loro oro fasullo; alcuni musicisti avevano
improvvisato un concerto di musiche popolari, e la piazzetta vicino
alla fontana dell'acqua si era trasformata in una pista da ballo.
Edmund ebbe l'impressione che l'intera Irlanda si fosse riversata in
quei pochi metri quadrati di campeggio per festeggiare la vittoria (e
forse questa idea non era poi così lontana dalla realtà,
visto che la gente presente era decisamente più numerosa di
quella mattina).
«Andiamo
a cercarci qualcosa da bere.»
propose Laughlin, sgomitando in mezzo alla folla, per raggiungere un
chiosco (comparso dal nulla in occasione della festa) che vendeva
bibite fresche. «Tre
Burroguinness.»
ordinò Laughlin, posando sul banco un paio di dobloni
d'argento.
Edmund,
che non aveva mai bevuto quella roba, osservò il contenuto del
suo boccale con aria scettica: sopra una bevanda dal colore scuro,
galleggiava una densa schiuma bianchiccia. «Che
cosa sarebbe?»
domandò preoccupato ai suoi amici.
«È
roba buona, fidati.»
rispose Laughlin, bevendo un sorso della sua. «È
la versione irlandese della Burrobirra. Un po' più forte, ma
decisamente più gustosa.»
Edmund
rimase parecchio diffidente alla spiegazione dell'amico, ma alla fine
si risolse ad assaggiarla: aveva un aroma intenso e aggressivo, forse
un po' dolciastro. Però non era male.
«Ehi!
Ehi!» li salutò
Bearach, saltellando incontro ai tre amici. Aveva ancora la faccia
dipinta di verde e sembrava anche più esaltato del solito. Il
che è tutto dire.
Si
avvicinò a Laughlin e gli strappò la Burroguinnes dalle
mani. «Fammi bere
un sorso!» esclamò
allegro, poggiando le labbra sul boccale. Ma prima che potesse
sorseggiare la bevanda, comparve alle sue spalle il signor
Maleficium, che gli sfilò il bicchiere da sotto il naso.
«Papà!»
protestò il ragazzino.
«Questa
roba è alcolica, tu non la bevi.»
sentenziò il padre senza troppi giri di parole.
«Ma
ho quasi undici anni!»
si lagnò Bearach. «E
l'Irlanda ha vinto la Coppa del Mondo di Quidditch!»
«La
vittoria dell'Irlanda non ti autorizza in nessun modo a bere
alcolici, alla tua età.»
replicò il signor Maleficium. E con quelle parole, scolò
il restante contenuto del boccale in un sol sorso. «Bella
fresca, ci voleva proprio.»
commentò poi, con un sorriso.
«Era
la mia Burroguinness!»
si lamentò Laughlin, con il volto crucciato.
Prima
che la discussione degenerasse, Edmund indicò dei tizi che
erano appena stati ricondotti al campo su delle barelle, in
condizioni piuttosto malandate. «Che
è successo a quelli?»
domandò a nessuno in particolare.
Un
uomo barbuto si voltò verso di loro. «Be',
sapete, no, della tradizione alla fine delle partite di Quidditch
irlandese?» disse
il mago, anche se non era una vera e propria domanda.
«Ehm...
no.» rispose
Edmund con sincerità.
«Quella
che i vincitori offrano un giro da bere ai vinti?»
chiese invece Mairead.
«Proprio
quella.» asserì
il mago barbuto. «Be',
quei poveretti erano andati ad offrire delle Burroguinnes ai Bulgari,
ma loro non l'hanno presa molto bene...»
“Non
l'hanno presa molto bene” era decisamente riduttivo per lo
stato in cui versavano quei disgraziati. Mentre passavano loro in
parte, Edmund notò che uno aveva delle orribili pustole
violacee che gli ricoprivano tutta la faccia.
L'uomo
che aveva parlato prima si mise ad arricciarsi la barba intorno al
dito. «Vai a
sapere te in che mondo viviamo! Uno cerca di essere gentile e poi...»
Nonostante
l'incidente ai poveri Irlandesi che erano andati ad offrire da bere
ai Bulgari, la festa procedette nel migliore dei modi. Verso le due
di notte arrivarono gli ufficiali del Ministero britannico a dire che
era proprio ora di terminare con quella baldoria, ma non ottennero
alcun risultato, anzi, finirono per unirsi ai canti goliardici dei
vincitori, con un boccale di Burroguinness in mano e qualche pinta di
troppo nello stomaco.
«Ehi,
ragazzi, forza! Venite a farci un ballo irlandese!» li chiamò
ad un certo punto il mago che stava suonando il violino.
Edmund
indietreggiò di un passo, inorridito da quella proposta. «Io
non so ballare.» bofonchiò come scusa, nel tentativo di
non farsi coinvolgere in imbarazzanti danze popolari.
«Ma
che irlandese sei?» si lamentò il violinista.
Per
fortuna, prima che potesse aggiungere altro, intervenne Laughlin. «Io
ballo!» esclamò entusiasta, sfilando la bacchetta di
tasca. Si guardò un po' in giro, per controllare che nessun
uomo del Ministero lo stesse guardando (visto che non era consentito
ai minorenni fare magie fuori dal scuola) e, quando fu sicuro di non
essere visto, si colpì i tacchi delle scarpe mormorando:
«Ferrendus.»
«Che
fa Laughlin?» mormorò Edmund sottovoce, rivolto a
Mairead.
«È
l'incantesimo per indurire i tacchi delle scarpe e ballare così
le danze irlandesi.» spiegò la ragazzina, accennando con
il capo a Laughlin, che nel frattempo si era posizionato sul piccolo
palco di legno che qualche mago sapiente aveva fatto apparire a metà
serata.
Non
appena iniziò la musica, il ragazzo si lanciò in
movimentati passi di danza. Tacco, punta, calcio... il cadere ritmico
delle sue acrobazie era ipnotizzante e insieme magnifico. Sembrava
che la musica stessa fosse prodotta dai suoi passi e si vedeva che
stava davvero ballando con il cuore.
Quando
l'esibizione finì, tutti si ritrovarono ad applaudire con
entusiasmo, mentre Laughlin si inchinava per ringraziare il suo
piccolo pubblico.
«Il
mio ragazzo!» proruppe il signor Maleficium, con orgoglio e
ammirazione, battendo le mani più forte di chiunque altro.
Ma
poi, improvvisamente, un boato riempì l'aria, seguito da
grida, urla acute e fiamme.
E
si scatenò l'inferno.
Be',
immagino di non tenervi troppo sulle spine con l'interruzione di
questo capitolo... sapete tutti cosa succederà dopo, non è
vero? ;-)
Spero
che vi sia piaciuto il bacio inaspettato tra Mairead e Edmund... non
sono una persona particolarmente romantica, ma mi diverte immaginare
la faccia del povero Edmund di fronte all'esuberanza dell'amica!
Infatti, QUI il disegno che li rappresenta!
Ah,
quanto a Laughlin che balla le danze irlandesi, mi sembrava il tipo
adatto, visto che è appassionato di musica come il padre e è
orgogliosamente celtico! Qui, se vi interessa, un video spettacolare
di danza irlandese, così vi fate un'idea di come ha ballato
Laughlin, se non conoscete il tipo di passi.
Questo
è tutto! Alla prossima settimana!
Beatrix
ps.
notate le virgolette serie di questo capitolo! Le ho ufficialmente
adottate per tutta la storia!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Il Marchio Nero ***
CAPITOLO
7
Il
Marchio Nero
Scoppi
e improvvisi lampi di luce riempirono il cielo di quella serata
d'estate. Una tenda venne incendiata completamente e alla luce del
fuoco si distinsero delle figure incappucciate che avanzavano a
ranghi serrati con la bacchetta puntata in alto. Sopra di queste,
quattro sagome che si divincolavano a mezz'aria, contorcendosi e
agitandosi in modo innaturale.
A
quella vista, la folla di irlandesi festanti fu presa dal terrore.
Alcuni si smaterializzarono, la maggior parte cominciò a
correre alla cieca, travolgendo chiunque gli impedisse il passaggio.
Altri
maghi andavano via via unendosi al gruppo degli incappucciati,
ridendo e agitando le bacchette. Molti avevano l'aria di essere
ubriachi fradici.
«Che
cosa...?» provò a dire Mairead, terrorizzata da ciò
che stava vedendo.
Ma
il signor Maleficium la interruppe, gridando con foga: «Laugh,
prendi Bearach per mano e correte tutti verso la foresta.»
«Papà,
e tu...»
«Subito!»
proruppe il signor Maleficium. Nessuno l'aveva mai visto così
fuori di sé.
Laughlin
prese il fratellino per mano senza farselo ripetere un'altra volta e
i quattro ragazzi cominciarono a correre verso il bosco dove si
trovava lo stadio. Ma la folla terrorizzata era più pericolosa
dei maghi incappucciati, perché tutti scappavano in ogni
direzione, spintonando e calpestando qualunque cosa intralciasse il
cammino.
Edmund
si voltò indietro, quando un lampo rosso illuminò la
serata, rivelando l'identità delle figure sospese in aria: era
la famiglia Roberts, i direttori del campeggio. I maghi incappucciati
sembravano dei burattinai che si divertivano a maltrattare le loro
marionette.
«È
una cosa terribile!» piagnucolò Bearach, stringendosi al
fratello.
Tutti
e quattro si fermarono ad osservare la scena, inorriditi. Mairead era
terrorizzata e insieme scandalizzata da quello che stava succedendo,
ma il suo sguardo fu presto rapito dalla smorfia che attraversava il
volto di Edmund: aveva la bacchetta in pugno e il corpo teso, pronto
a scattare. Sembrava sul punto di scagliarsi contro quei maghi
incappucciati.
«Andiamo
che è meglio.» mormorò alla fine Mairead,
afferrando Edmund per una manica e trascinandolo via.
I
ragazzi ricominciarono a procedere con passo spedito verso la
foresta. Ad un certo punto furono investiti da una folla urlante che
proveniva dalla zona degli inglesi e si persero d'occhio. Mairead fu
travolta e fu costretta a lasciare la presa sulla manica di Edmund.
Si ritrovò circondata da gente che correva all'impazzata.
Là,
in piedi per miracolo in mezzo alle gambe frenetiche di quelli che
scappavano, una bambina di qualche anno piangeva e cercava la mamma.
Mairead si guardò intorno, scrutando i volti delle persone che
passavano, alla ricerca della madre della piccola. Laughlin, Bearach
e Edmund erano già lontani, ma non poteva lasciarla lì.
«Ehi,
ehi! Vieni qui!» gridò Mairead, sgattaiolando verso la
bambina, in mezzo alle gambe della gente. La piccola strillò
ancora più forte, e allora Mairead si avvicinò e la
strinse a sé in un abbraccio. «Tranquilla, adesso
troviamo la mamma.» le sussurrò all'orecchio.
Ma
era tardi. Gli uomini incappucciati erano ormai ad un soffio. Uno
notò Mairead che, inginocchiata a terra, stringeva la bambina
al petto e puntò decisamente verso di loro, la bacchetta
levata davanti a sé, un modo di divertirsi decisamente sadico.
Mairead
se ne accorse, ma non c'era tempo per scappare. Estrasse la bacchetta
di tasca e gridò: «Pietrificus totalus.»
L'uomo
non ebbe nemmeno bisogno di parlare per parare il pallido tentativo
di attacco della ragazzina. Un ghigno divertito si dipinse sul suo
volto, anche se nessuno poteva scorgerlo, visto che era nascosto
dalla maschera bianca. «Stupida mocciosetta coraggiosa.»
commentò, levando la bacchetta verso di lei.
Mairead
strinse a sé la bambina piangente che aveva tentato di
salvare. Sciocca, sciocca coraggiosa. Aveva ragione il mago
incappucciato: che modo stupido di attirare i guai.
Mairead
attese il colpo.
Ma
invece di partire dalla bacchetta del mago mascherato, giunse da
qualche parte alle sue spalle e centrò il tizio in pieno.
Questo stramazzò al suolo in un istante, pietrificato.
Mairead
si voltò con il cuore in gola. Edmund stava ritto dietro di
lei, con la bacchetta ancora levata.
La
ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. «Edmund,
mi hai salvata.» sussurrò, aòzandosi in piedi e
rivolgendogli un sorriso.
Edmund
era ancora immobile a fissare la sua bacchetta con aria sorpresa. «Io
non ho pronunciato le parole magiche.» mormorò
perplesso, senza capire come avesse potuto scagliare la fattura.
«Il
tuo incantesimo... era silente.» sussurrò Mairead,
stupita. Magia parecchio avanzata, per quello che ne sapeva lei.
Ma
non ebbero tempo di commentare ulteriormente l'accaduto, perché
sopraggiunse una donna che strappò la bambina dalle braccia di
Mairead. «Irina!» esclamò nello stringerla a sé
con foga. La piccola smise di piangere e riempì di baci il
volto della strega: aveva ritrovato sua madre. «Danke, danke!»
ringraziò la donna, rivolta verso Mairead. Dopodiché
sparì risucchiata dalla folla.
«Muoviamoci.»
sentenziò Edmund, finalmente ripresosi dallo shock. Decise che
tenere la bacchetta in mano era più prudente, così
afferrò Mairead per la manica della felpa e ricominciò
a correre verso il bosco.
In
poco tempo raggiunsero Laughlin e Bearach, che li stavano aspettando
al limitare della foresta. «Qui dovremmo essere al sicuro.»
decretò Edmund, respirando affannosamente per la recente
corsa. I ragazzi si tranquillizzarono, ritrovandosi finalmente
lontani dalla folla impazzita e dalle urla.
«Burke.»
commentò una voce sarcastica alle loro spalle. Gli irlandesi
si voltarono verso chi aveva parlato, per trovarsi di fronte un
ragazzetto pallido, con il viso appuntito e un sorrisetto sprezzante
stampato in volto.
«Malfoy.»
rispose Edmund, in tono duro. «Scommetto che tuo padre è
uno di quelli là incappucciati, vero?» gli domandò
poco dopo, ricordandosi dell'aria di falsità che emanava il
signor Malfoy.
Quella
fastidiosa arietta di superiorità non scomparve dalla faccia
del biondino. «E dov'è il tuo di padre, il Presidente
della Repubblica Irlandese?» chiese con una nota di scherno
nella voce, senza negare l'accusa dell'altro.
Edmund
storse il naso. «Te l'ho già detto: lui non è mio
padre.»
«Come
vuoi.» rispose Malfoy, senza scomporsi troppo. «Fossi in
voi, però, non me ne starei qui tutto tranquillo, tanto più
se c'è un Sanguesporco tra di voi. O volete finire a gambe per
aria?» domandò con finta innocenza.
«Ma
dove l'hai trovato uno così, Ed?» sbottò
Laughlin, scuotendo la testa. Deamundi gli sembrava un simpaticone, a
confronto. Almeno quello si faceva i fatti suoi, seppur
considerandosi superiori a tutti gli altri.
«Ah,
allora ho ragione!» esultò invece Malfoy, con uno
sguardo trionfante. «Sangueporco?» gli chiese, con quella
sua odiosa espressione di superiorità.
Laughlin
sbuffò, guardando il biondino con aria compassionevole. Dare
del Sanguesporco a lui era, francamente, la cosa più ridicola
che si fosse mai sentito imputare. «Li fanno sempre più
imbecilli, in Inghilterra.» commentò con un sorrisetto
rivolto ai suoi amici.
Malfoy
non la prese per niente bene. «Imbecille lo dirai al tuo lurido
padre Babbano!» sbottò con malagrazia.
«Non
ci provare.» gli intimò Laughlin, facendosi
improvvisamente serio. L'inglesino pallido poteva anche prendere in
giro lui, ma non doveva azzardarsi a toccare i suoi genitori. O ne
avrebbe pagato le conseguenze. Gli si piazzò davanti e lo
fissò negli occhi, con quello sguardo che solo un nobile
Purosangue sapeva fare. «Mio padre non è Babbano.»
gli sussurrò. «Ed è là fuori a combattere
contro gli idioti incappucciati come il tuo di padre.»
L'altro
deglutì, ma non si tolse dalla faccia quell'espressione
schifata. «Bada a come parli, sei di fronte ad un Malfoy.»
gli rispose, con un tono che voleva essere pomposamente autoritario.
Laughlin
non smise di fissarlo con decisione. Non era il tipo da andare in
giro a vantare le sue nobili origini, ma quel Malfoy si meritava
proprio una bella lezione. Forse allora si sarebbe tolto quel
ghignetto irritante dalla faccia. Per quanto potesse contare la
famiglia Malfoy nella comunità magica, per la barba di san
Patrizio, i Maleficium erano nobili!
Nel
vedere lo sguardo determinato dell'amico, Mairead capì che era
giunto il momento di intervenire. «Laugh, lascia perdere.»
mormorò, allungando la mano verso Bearach perché
l'afferrasse.
Il
bambino lanciò uno sguardo di sprezzante superiorità al
ragazzo inglese e poi si affrettò a stringere la mano di
Mairead.
«Su,
andiamo.» ordinò la ragazza, incamminandosi insieme a
Bearach verso il folto del bosco.
Edmund
mise una mano sulla spalla dell'amico. «Laugh, sinceramente...
non ne vale la pena.» gli sussurrò all'orecchio.
Laughlin
sbuffò, ma alla fine si lasciò condurre via da Edmund.
Non
avevano fatto neanche due metri, che un urlo squarciò il cielo
notturno.
«MORSMORDRE!»
A
quel grido, Edmund sentì una fitta lancinante al braccio
sinistro, che come un fuoco vivo si diffuse in tutto il corpo,
consumandolo dall'interno. Ansimò di dolore, si accartocciò
a terra e represse un urlo in fondo allo stomaco. Non sapeva che
diavolo gli era preso, ma era certo che avrebbe preferito morire
piuttosto che sopportare tutta quella sofferenza.
E
poi apparve in cielo. Un teschio verde, fumoso e terrificante, con un
serpente che gli fuoriusciva dalla bocca. Si ingrandiva sempre di
più, si innalzava contro il blu scuro della notte, sovrastando
tutto il bosco con i suoi occhi malefici, brillante di una luce
verdastra.
Bearach
scoppiò a piangere e tuffò la testa tra le braccia di
Mairead. Laughlin si inginocchiò al fianco del suo amico,
posandogli una mano sulla spalla, ma i suoi occhi erano fissi al
cielo, verso quello strano simbolo che vi era apparso. Malfoy, dal
canto suo, sgranò gli occhi terrorizzato e si appiattì
contro un albero alle sue spalle, come se sperasse di essere
inglobato dal tronco e scomparire.
«Mi
ricorda tanto la Croce Celtica dell'EIF...» mormorò
Mairead, spaventata non tanto dal teschio apparso in cielo, quanto
dalla somiglianza con quell'altro simbolo, collegato al ricordo più
brutto della sua vita: la morte della madre.
«Quello
non è il simbolo dell'EIF.» rispose Laughlin, in un
sussurro flebile.
«È
il Marchio Nero di Tu-sai-chi.»
Eccomi
qui! Un pochino in ritardo rispetto a quando volevo aggiornare, ma il
pc mi fa impazzire....
Comunque,
ovvio che sarebbe comparso il marchio nero ma... le reazioni dei
presenti? E Malfoy? Insomma, io adoro il
very-original-Malfoy-rowlingiano, cioè quello sprezzante e
odioso ma fifone come pochi. Ho sempre desiderato farlo scontrare con
il mio Laughlin! Lui sì che è un vero nobile!
QUI
il disegno del capitolo! Spero vi piaccia!
Alla
prossima,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Festa in bianco ***
CAPITOLO
8
Festa
in bianco
Reammon
si stava ingozzando di ottimi plumcake preparati dall'elfo domestico
Wolly, quando entrò in sala da pranzo il suo amico Septimius. Teneva
in mano il Corriere di quel giorno e aveva una stana faccia,
che non pareva dipendere dal fatto che la sera prima erano stati
svegli fino alle quattro di mattina per finire la partita a biliardo
da Boe's, il piccolo pub Babbano del paese vicino. No, era
decisamente più strana che assonnata.
«Allora,
abbiamo vinto?» domandò Reammon, come se le sorti della Nazionale
di Quidditch irlandese gli interessassero davvero.
Septimius
abbassò il giornale e lo guardò dritto negli occhi. «Tua figlia
era alla partita, vero?» gli chiese in tono serio.
Reammon
quasi si strangolò con il plumcake. Non gli piaceva per niente la
faccia del suo amico. «Sì, perché?»
Non
ci fu bisogno di parole. Septimius voltò la prima pagina del
giornale verso di lui: una grossa foto mostrava un inquietante
teschio di fumo verde che aleggiava sopra un bosco. “Caos e
terrore alla Coppa del Mondo di Quidditch.” recitava il titolo
in grande; e sotto: “Insufficiente la sicurezza del Ministero
Britannico, i Mangiamorte scatenano il panico e il Marchio Nero di
Voi-sapete-chi brilla nel cielo.”
«Tu
credi che...?» sussurrò Reammon, con il cuore in gola. Non riusciva
nemmeno a pensare alla prospettiva che fosse successo qualcosa a
Mairead. Non voleva nemmeno contemplare l'idea.
Septimius
scosse la testa. «Nessun ferito grave, ma fossi in te, mi
affretterei ad andare dai Maleficium.» gli consigliò in tono serio.
Non
ci fu bisogno di ripeterlo una seconda volta. Reammon, per una volta
incredibilmente lucido e attento, ficcò in valigia tutta la sua
roba, salutò l'amico e si gettò nel metrombino dietro villa
Saiminiu. Arrivato a casa Maleficium, si catapultò in ingresso senza
troppi complimenti: non voleva essere maleducato, ma c'era in ballo
sua figlia. Se li ritrovò tutti lì, appena tornati con la
Passaporta dal campeggio della Coppa del Mondo.
Mairead,
un po' scossa ma completamente incolume, gli corse incontro e gli
gettò le braccia al collo. «Sto bene, papà, non preoccuparti.»
gli sussurrò. Reammon ricambiò la stretta, mentre lo spiacevole
senso di oppressione che provava al petto sparì. Era tutto a posto.
«Signor
Maleficium, grazie di avermela riportata a casa sana e salva.»
mormorò, sciogliendosi dall'abbraccio.
Eoin
pareva mortalmente mortificato per quello che era successo, come se
fosse stata in qualche modo colpa sua. Non se lo sarebbe mai
perdonato se fosse successo qualcosa ai ragazzi. «Sono terribilmente
dispiaciuto per quel maledetto incidente. Ci saremmo divertiti, non
fosse stato per...» cominciò a dire.
«Ci
siamo divertiti, signor Maleficium.» lo interruppe Mairead con un
sorriso sincero.
Eoin
annuì, un modo come un altro per ringraziarla della sua onestà. «È
davvero una brava ragazza, Reammon. Dovresti essere fiero di lei.»
aggiunse poco dopo, mettendo da parte le formalità. A Reammon parve
che i suoi occhi azzurri brillassero di una luce di... onestà. E
giustizia.
«Lo
sono, infatti.» rispose con un sorriso di gratitudine.
«Bene!»
esclamò Eoin, d'un tratto di nuovo allegro. Sembrava che fosse
calato un sipario sullo spiacevole episodio della Coppa del Mondo e
che i presenti avessero tacitamente deciso di lasciarselo alle
spalle. Laughlin e Edmund si alzarono dal divano per salutare la loro
amica.
«Il
diciotto agosto, Laughlin compirà i suoi quindici anni.» spiegò
Eoin, in tono gioviale. «Pensavamo di organizzare una piccola festa.
Niente di serio, ma così, per incontrarsi un po' con gli amici.
Saremmo lieti se voi voleste partecipare.»
Reammon
annuì, leggermente a disagio: dopo quello slancio di sincera
commozione, Eoin pareva tornato tutto cordialità e modi formali.
«Volentieri.» mormorò infine.
Allora
Eoin allungò la sua mano verso di lui. Reammon esitò un attimo, poi
gliela strinse. Guardando i suoi luminosi occhi azzurri, capì che
qualcosa si era spezzato tra di loro: non erano più i rispettivi
genitori di due amici. Erano entrambi padri preoccupati e questo li
rendeva in un certo senso simili. Quasi amici.
Eoin
gli sorrise. Reammon era davvero un po' strambo, ma, in fin dei
conti, era un brav'uomo.
Edmund
si accostò il prezioso completino di sartoria che Laughlin gli aveva
portato e osservò la sua immagine riflessa allo specchio. Sembrava
un pinguino caduto nella neve. E quell'abito di seta doveva valere
più di tutti i suoi vestiti messi assieme. «Davvero, Laugh, non
posso accettare.» mormorò, scuotendo il capo e porgendo il completo
all'amico.
«Avanti,
Ed. Almeno provalo!» lo incoraggiò Laughlin, con un sorriso. «Ti
starà un po' stretto perché l'ho indossato un paio di anni fa, ma
la mamma te lo aggiusterà con la magia in meno di un secondo.»
Edmund
tornò a fissare lo specchio. Si sentiva a disagio a dover chiedere
in prestito un abito ai suoi ospiti per il compleanno di Laughlin,
solo perché lui non aveva altro che la divisa dell'orfanotrofio e il
completo scolastico. Fino a quel momento non gli era importato
proprio nulla di quello che indossava, ma ora gli era richiesto di
partecipare ad una festa dell'alta società magica e non voleva
sembrare un poveraccio Babbano.
«Senti,
è il mio quindicesimo compleanno.» decretò Laughlin con un tono
che voleva essere pomposo. «La Signoria Vostra è pregata di
attenersi alle tradizioni e di indossare l'abito bianco come
richiesto.»
Edmund
rise. «Va bene, va bene. Metterò l'abito bianco.» si arrese alla
fine, provando il vecchio completo di Laughlin. Non aveva mai
partecipato ad una festa del genere ed era rimasto stupito quando
aveva scoperto che la tradizione prevedeva che si festeggiasse il
quindicesimo compleanno dei giovani maghi, come soglia importante
prima del raggiungimento della maggiore età, vestiti di bianco.
L'abito
che gli aveva prestato Laughlin gli era stretto e corto, ma Daire
Maleficium glielo aggiustò con pochi colpi di bacchetta, tanto che
pareva cucito apposta per lui. Dopodiché i due amici si recarono in
ingresso ad accogliere gli ospiti.
I
primi ad arrivare furono dei parenti di Laughlin che Edmund non aveva
mai visto: un giovane signore di nome Wollace MacLuan con la moglie e
la figlia, una bimbetta con dei lunghi capelli biondi e gli occhi
vispi. Tutti e tre, ovviamente, vestiti di bianco. La bambina gettò
le braccia intorno alla vita di Laughlin ed esclamò: «Buon
compleanno, ciccione!»
«Ehi,
grazie Eileen, ma così mi stritoli.» bofonchiò Laughlin con un
mezzo sorriso. Arruffò i capelli della bambina finché quella non si
sciolse dall'abbraccio e gli porse il pacchetto regalo che la madre
teneva in mano. Laughlin ringraziò a dovere e solo quando i suoi
ospiti furono invitati dal signor Maleficium a raggiungere il
salotto, osò sussurrare all'orecchio dell'amico: «Wollace è il
cugino di mio padre. Ed Eileen è una peste peggio di Bearach, il che
è tutto dire...»
Edmund
ridacchio. Ma l'arrivo di un nuovo ospite gli impedì di commentare
la cosa. Per una frazione di secondo, Edmund fu convinto di conoscere
il mago dal volto scavato che si presentò alla porta, infagottato in
un goffo abito bianco da mago. E poi realizzò: lo conosceva davvero.
Era il professor Saiminiu.
Solo
che... be', non sembrava affatto lui. Innanzitutto il suo vestito non
era nero come suo solito e la sua espressione non era torva o
dannata; sembrava... imbarazzata.
«Septimius
è qui su mio invito.» intervenne il signor Maleficium, tornando in
ingresso.
Il
sorriso tirato del professore divenne più disteso. «Eoin.»
mormorò, varcando la porta d'ingresso. Erano secoli che non si
vedevano, ed erano invecchiati, certo, eppure gli pareva che Eoin
emanasse lo stesso etereo fascino. Non c'era nulla da fare: era un
ottima persona, nobile d'animo oltre che anagraficamente.
«Professor
Saiminiu.» mormorò invece Laughlin, a disagio. Aveva sempre odiato
la sua materia. Noiosamente inutile.
«Cerca
di essere educato, Laughlin. Non fosse stato per lui, tu non saresti
qui.» replicò il signor Maleficium, con un sorrisetto. Tutti lo
guardarono con aria piuttosto perplessa, cosicché fu costretto a
spiegarsi: «È stato grazie a Septimius che io e tua madre ci siamo
conosciuti.»
«Niente
smancerie, ragazzo. Non ho voglia di commuovermi questa sera.»
intervenne una voce un po' roca. Era appena entrato in casa un mago
anziano, che sembrava la copia invecchiata del signor Maleficium.
A
braccetto aveva una signora distinta con i capelli grigi tagliati
corti e un sorriso dolce. «Smettila di fare il mammoletto,
Abharrach. Tu piangi davvero per qualsiasi cosa.» gli rispose la
moglie, con un risolino divertito. Tutti risero per la battuta della
anziana strega e Abharrach si finse decisamente offeso.
«Nonno!»
esclamò allora Laughlin, abbracciando il vecchio mago con
entusiasmo. «Ehi, ti ricordo che mi avevi promesso il regalo più
grosso del mondo?»
«Piccolo
subdolo arrivista.» commentò Abharrach Maleficium, ma i suoi occhi
stavano ridando.
«Nagard.»
rispose Laughlin, con un sorrisetto furbo.
In
effetti, il regalo dei nonni per Laughlin fu palesemente il più
grosso di tutti: gli avevano portato un pianoforte verticale per la
sua stanza, in cambio della promessa che avrebbe imparato a tenerla
sempre in ordine.
Edmund
ridacchiò. Dubitava seriamente che sarebbe riuscito a mantenerla.
Il
signor Maleficium guardò il suo orologio d'oro con aria perplessa:
ormai, all'appello mancavano solo Mairead e suo padre. «Dove si sono
cacciati i Boenisolius?» domandò a nessuno in particolare.
Il
professor Saiminiu gli mise una mano sulla spalla con fare
rassegnato. «Sinceramente, non sperare che Reammon possa arrivare in
orario.» mormorò, in tono di chi la sapeva lunga.
E
aveva ragione: i Boenisolius arrivarono quasi mezz'ora dopo. Ad
accoglierli in ingresso c'erano solo Edmund e il signor Maleficium:
videro che Reammon aveva l'aria decisamente colpevole, di qualcuno
che ha combinato qualche grosso guaio.
«Vi
assicuro, preferite non saperlo.» annunciò Mairead in tono piatto.
Anche perché in quella storia c'entravano il water e la bacchetta di
Reammon. Che c'era finita dentro. E lui aveva tirato l'acqua.
«No,
davvero, non vogliamo saperlo. Comunque, benvenuti.» esclamò il
signor Maleficium, con un sorriso, facendosi consegnare i mantelli.
«A
Boyle piove.» spiegò Mairead, spiegando il motivo per cui erano
bagnati. Sotto il mantello, indossava un abitino alla greca, stretto
sotto il seno da un nastro dorato, completato da un paio di sandali
incrociati sul polpaccio. Aveva i capelli raccolti da una mezzacoda e
un leggero trucco sugli occhi. L'esagitata bambina Mairead era stata
nascosta, e quasi sparita, sotto quella ragazza aggraziata.
Edmund
pensò che stesse decisamente bene. Avrebbe dovuto dirglielo.
Avanti,
dille che sta bene. gli sussurrò una vocina dentro la testa, che
assomigliava molto a quella di Laughlin. Edmund aprì la bocca, ma
non ne uscì alcun suono. No, davvero. Non poteva farlo.
Avanti,
diglielo!
«Sei
davvero carina, Mairead.» intervenne Laughlin, sopraggiunto in
ingresso proprio in quel momento.
Edmund
serrò la bocca di scatto. Idiota.
«Grazie,
Laugh.» replico Mairead con un gran sorriso. «Buon compleanno!»
aggiunse; e poi si lasciò scortare verso il salotto.
La
festa fu un gran successo. L'elfo domestico Lappy aveva davvero dato
il meglio di sé con le decorazioni bianche come fiocchi di neve e
con le ricche pietanze servite a buffet. Aveva un certo fascino
vedere tutti quei maghi vestiti di colori chiari aggirarsi per
l'immenso salone illuminato da preziosi lampadari. Edmund ebbe come
l'impressione di essere stato risucchiato in un film in costume
ambientato nella corte dello zar di Russia.
Quando
fu portata la faraonica torta con la panna montata e le fragole,
Laughlin spense con entusiasmo le sue quindici candeline che, a
differenza di quelle Babbane, ardevano con fiamme di tutti i colori
alte almeno dieci centimetri.
Bearach
tuffò la testa nella sua fetta di torta con tale entusiasmo che si
riempì naso e baffi di panna montata. Nonna Helvia, la moglie di
Abharrach, si divertiva a scattare foto a tutti i momenti migliori
della serata e, ovviamente, non si lasciò sfuggire il nipotino
ricoperto di panna.
Abharrach
Maleficium era un'ottima compagna: uomo di cultura istruito e
raffinato, amante del bello e dell'arte, rendeva piacevole qualsiasi
conversazione. Raccontava aneddoti divertenti sulla sua giovinezza o
buffe storie che aveva sentito dai maghi e streghe dipinti nei
ritratti che aveva restaurato.
Solo
verso metà serata Edmund riuscì ad ottenere di parlare con i suoi
amici senza che nessuno li interrompesse. «Avete saputo?» domandò
loro in un sussurro. «Erano Mangiamorte quelli alla Coppa del Mondo.
I sostenitori di Lord Voldemort!»
«Non
pronunciare il suo nome!» lo rimbeccò Laughlin.
«E
comunque li leggiamo anche noi i giornali, Edmund.» rincarò la dose
Mairead, con un tono stizzito.
Edmund
decise di ignorarli entrambi: aveva come l'impressione che ci fosse
qualcosa di strano nell'aria e voleva che i suoi amici gli
credessero. «Sì, ma non vi pare strano che si siano presentati
proprio alla Coppa del Mondo, quando la sicurezza era altissima?»
«Saranno
stati ubriachi.» replicò Mairead, osservando la festa con aria
vogliosa, come se non desiderasse altro che ritornarvi e lasciar
perdere quelle inutili speculazioni.
«Ma
allora perché sono scappati tutti alla vista del Marchio Nero?
Voglio dire, è il loro simbolo! Perché sarebbero dovuti fuggire? La
cosa non vi puzza?» li incalzò Edmund, scrutandoli in volto con
aria seria.
«Sinceramente,
no, Edmund.» rispose Mairead in tono duro. «E siamo al compleanno
di Laugh, quindi piantala con queste macchinazioni.» e con quelle
parole si affrettò a raggiungere la festa.
Laughlin
gli rivolse un sorrisetto a mo' di scusa, come se fosse in qualche
modo colpa sua. «Mairead ha ragione, sai? Siamo qui per divertirci.»
mormorò, alzandosi dal divanetto di velluto sul quale erano
sprofondati. «Vieni?»
Edmund
sbuffò. «Tu vai, io vi raggiungo subito.» rispose dirigendosi
verso il corridoio.
Perché
non volevano mai dargli ascolto? Stava davvero succedendo qualcosa di
strano: aveva letto sul giornale che erano tredici anni che non si
vedeva comparire quel marchio in cielo. Possibile che nessuno si
preoccupasse della cosa?
«Che
è quel muso lungo, giovanotto?» esclamò qualcuno con una voce
profonda.
Edmund
si voltò, ma non c'era nessuno alle sue spalle. Chi diavolo aveva
parlato?
«Ehi,
sono qui.» continuò a voce. «Nel quadro.»
Edmund
si ritrovò di fronte il ritratto di un uomo biondo, sulla
quarantina, con numerose cicatrici che gli attraversavano il volto e
la manica destra annodata all'altezza del gomito. Portava
orgogliosamente appuntata al petto una spilla nera, circolare, con
disegnata la Croce Celtica in verde. Edmund la osservò meglio,
stupito. Eppure, non c'erano dubbi, quello era il simbolo dell'EIF.
«Signore...
portate al petto il marchio dell'EIF.» gli fece notare Edmund, in
tono ragionevole. Era assolutamente impossibile che i Maleficium
avessero in casa il quadro di un membro di quella setta di assassini.
«Per
le mutande di Merlino, giovanotto, per cosa credi che abbia perso la
vita Aelredus Maleficium? Per un indigestione di dolcetti?» tuonò
l'uomo ritratto, agitando il braccio come un predicatore dell'antica
Roma.
«Ehm...
no?» provò a dire Edmund.
«Certo
che no, per Giove!» replicò il mago. Ma poi si fece più piccino,
avvicinandosi alla cornice con fare circospetto, come se dovesse
rivelare un gran segreto. «Quello fu mio cognato Chretien, in
effetti. Morì per aver mangiato troppa cioccolata... era diabetico,
sai. Una morte davvero imbarazzante.» confessò in un sussurro.
«Oh.»
commentò Edmund, che non sapeva se doveva essere dispiaciuto o
divertito dalla faccenda.
«Ah,
Edmund.» esclamò Abharrach, con un sorriso gioviale, apparendo in
corridoio. «Hai fatto conoscenza con mio nonno Aelredus.» commentò,
accennando con il capo al mago ritratto nel quadro.
Edmun
annuì, poi domandò con aria circospetta: «Perché suo nonno
indossa la spilla dell'EIF, signore?»
«Perché
era un membro dell'EIF, ovviamente.» rispose Abharrach Maleficium,
con evidente orgoglio. Ma, nel vedere la faccia esterrefatta del
ragazzo, fu costretto a spiegarsi. «Non l'EIF che pensi tu. Sai,
quello originale fondato da...» si interruppe e si accostò quatto
quatto a Edmund. «Zaocoonte O'Saoirse.» rivelò in un sussurro.
«Oh.»
mormorò Edmund di rimando, curioso di saperne di più ma preoccupato
dall'improvviso atteggiamento sospettoso del signor Maleficium. «Fu
lui a fondare l'EIF?» sussurrò lentamente.
«Certo.»
rispose Abharrach, sempre sussurrando. «E non si trattava affatto di
un gruppo di folli assassini, ma di maghi irlandesi pronti a
combattere per la loro libertà. Non usavano la violenza se non
quando era necessaria e il loro unico scopo era rendere indipendente
la loro amata patria.» proclamò icon serietà, ma sempre in un
tono poco più che udibile. «Ciò che è diventato adesso l'EIF è
uno obbrobrioso stupro del ricordo di quegli eroi che hanno
combattuto e sono morti per darci la libertà.» sussurrò ancora
Abharrach.
«Signore,
ma... perché stiamo bisbigliando?» domandò Edmund perplesso.
Abharrach
rispose con un sorrisetto tirato. «Be', sai, mio nonno è un po'
infiammato da queste cose, visto che lui stesso morì nel 1897,
l'anno dell'Indipendenza. Quando sente parlare di... tu-sai-chi
e della fondazione di tu-sai-cosa si scalda un pochino e
comincia a predicare.» rispose saggiamente il vecchio mago,
ammiccando in direzione dell'uomo rappresentato nel quadro, che li
stava scrutando con interesse per carpire i loro discorsi.
Edmund
si voltò verso il ritratto e rivolse un sorrisetto innocente ad
Aelredus Maleficium.
«Per
fortuna è un po' sordo.» bisbigliò infine Abharrach, con un
sospiro. Dopodiché mise una mano sulla spalla di Edmund. «Comunque,
giovanotto, sento della buona musica provenire dalla sala. Che ne
dici di unirsi alle danze?»
«Io
non ballo, signor Maleficium.» rispose educatamente Edmund,
lasciandosi condurre verso il salone dall'anziano mago.
La
sua mente era catturata dalle informazioni che aveva ricevuto: aveva
come l'impressione che Abharrach Maleficium fosse un po' troppo
infervorato e avesse un'idea decisamente troppo nobile dell'EIF
originario. Forse, era vero, avevano pagato con il sangue e il sudore
la libertà dell'Irlanda, ma non dovevano certo essersi risparmiati
nel contraccambiare le maledizioni degli oppressori inglesi. Edmund
si ritrovò a chiedersi fino a che punto fosse lecito usare la
violenza per nobili ideali.
Il
professor Captatio, una volta, gli aveva detto che il fine non
giustificava mai i mezzi.
E,
grazie al cielo, lui ne era ancora convinto.
Ecco
a voi il nuovo capitolo!
La
vesta di compleanno biancovestiti è una mia completa invenzione! Ma,
ho pensato, se gli americani hanno la fissa di festeggiare i 16 anni
prima dei 18, se nel mondo magico si diventa maggiorenni a 17,
bisogna festeggiare i 15! Il ragionamento fila, no? XD
In
realtà volevo una scusa per inserire un po' di personaggi, come
nonno Abharrach e la piccola Eileen MacLuan, che mi servirà più
avanti. Inoltre, avevo bisogno di una scusa per parlare delle origini
dell'EIF. Ho pensato che, come l'IRA Babbana, potesse essere nato
come fronte di liberazione con ideali anche nobili, ma che poi sia
degenerato in ciò che tutti ben sappiamo. E, anche alle origini,
comunque, erano un po' dei terroristi. Mossi da nobili ideali, sì,
ma non poi così pacifici...
Comunque,
qui le foto scattate da nonna Helvia per il compleanno di Laughlin!
Spero che vi piacciano!
Lunedì
prossimo si torna al Trinity, promesso, con una new entry davvero
interessante! A presto!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Nobili parentele ***
CAPITOLO
9
Nobili
parentele
Mairead
si catapultò nello scompartimento del treno e si lasciò
cadere sul sedile al fianco di Laughlin. Indossava già la sua
divisa dei Raloi e aveva un'espressione esterrefatta.
«Che
è successo stavolta?» domandò urbanamente
Laughlin, visto che l'amica era di nuovo arrivata con un pericoloso
ritardo alla stazione. Prima o poi l'espresso per il Trinity sarebbe
partito senza di lei.
Mairead
sbuffò. «Papà non trovava più le scarpe»
spiegò in tono rassegnato. «Erano in forno. E non
chiedetemi come diavolo ci siano finite».
Edmund
e Laughlin ridacchiarono, ma preferirono non commentare la cosa, a
meno che non volessero rischiare di essere sbranati dall'amica.
Proprio in quel momento il treno cominciò la sua corsa verso
il Trinity e i ragazzi furono distratti dal paesaggio che mutava
velocemente, mentre uscivano dalla stazione e attraversavano la città
di Dublino.
«Caspita,
siamo già al quarto anno. Non vi sembra solo ieri che abbiamo
iniziato?» mormorò Mairead, pensando a quante ne avevano
passate insieme in quegli ultimi tre anni.
«Già...»
sospirò Laughlin. «E c'è da dire che abbiamo una
certa qual naturale predisposizione ad attirare guai» soggiunse
poco dopo, con un tono serio, come se stesse diagnosticando una
qualche strana malattia. Dopo un attimo di silenzio, i tre amici
scoppiarono a ridere.
«Non
quest'anno» decretò Mairead al termine della risata,
raggomitolandosi con le gambe incrociate sul sedile del treno.
«Quest'anno lo passeremo tranquilli, vedrete».
Edmund
e Laughlin si scambiarono un'occhiata, poi il volto del primo si aprì
in un sorrisetto furbo, un sorrisetto che di solito significava guai.
Sapevano benissimo tutti e tre che il pronostico di Mairead era
pressoché... irrealizzabile.
Mairead
sbuffò e si appoggiò allo schienale. «Siete due
mascalzoni» li insultò, ma aveva uno sguardo esasperato
che tradiva il suo reale entusiasmo nel condividere le cosiddette
mascalzonate con i suoi amici.
«Ehi,
ciao a tutti!» esclamò qualcuno, aprendo la porta dello
scompartimento.
Edmund
sibilò quando riconobbe il qualcuno in questione:
Leonard Connery, il capitano della squadra di Quidditch dei Raloi. Il
sorriso accattivante, i riccioli castani e i luminosi occhi blu lo
rendevano un'irritante copia più giovane di Sean Troy. Ed era
pure bravo a cavallo di una scopa.
Edmund
lo trovava particolarmente fastidioso.
Mairead
lo trovava particolarmente carino.
Laughlin,
semplicemente, lo ignorava.
«La
finale di Quidditch è stata grandiosa, vero?» domandò
Leonard, sedendosi a fianco di Laughlin, proprio di fronte a Mairead.
«Oh,
sì! Spettacolare!» rispose la ragazza, esaltata al solo
ricordo della partita. Lei e Leonard cominciarono a scambiarsi
appassionati pareri sul gioco e sulle mosse migliori a cui avevano
assistito. Solo dopo un buon quarto d'ora, quando Edmund inscenò
un ampio sbadiglio in direzione di Laughlin, Leonard si accorse di
aver monopolizzato la conversazione. Si sentì quasi a disagio,
sotto lo sguardo accusatore che gli lanciò Edmund: aveva un
che di inquietante.
«Be',
io vado!» esclamò, alzandosi dal sedile con un
sorrisetto imbarazzato. «Cominceremo presto con le selezioni,
quest'anno» aggiunse rivolto a Mairead, prima di uscire.
«Dobbiamo trovare un sostituto per Milo, che era un ottimo
giocatore oltre che un ottimo Cacciatore di ala».
«Grossa
perdita, immagino» commentò Edmund. Il suo tono era
assolutamente normale, ma a Leonard sembrò di potervi leggere
un certo astio misto a sarcasmo. Quando vide il sorriso sottilmente
enigmatico che gli rivolse, non seppe bene il perché, ma gli
vennero i brividi lungo la schiena.
«Ci
vediamo a scuola, eh?» riuscì a borbottare, prima di
svignarsela dallo scompartimento.
«Un
po' invadente, no?» sibilò Edmund, quando furono di
nuovo soli. Sembrava una cosa buttata lì a caso, ma vi era una
sottile accusa nascosta nelle sue parole.
«È
il mio capitano, Ed. Faccio volentieri due chiacchiere con lui»
replicò Mairead, senza notare l'atteggiamento ostile
dell'amico.
Edmund
sbuffò. «È un tantino pieno di sé, per i
miei gusti».
«Non
è affatto pieno di sé» esclamò Mairead,
arrabbiata per quel cattivo commento ingiustificato. «E anche
se lo fosse, ne avrebbe tutti i diritti: è un gran giocatore
di Quidditch, è bravo a scuola ed è pure discretamente
carino».
Edmund
si alzò di botto dal sedile. Aveva il volto duro, i pugni
contratti e gli occhi furenti. «Bene» decretò.
«Allora perché non vai a chiedere l'autografo anche a
lui?»
E
con quelle parole uscì dallo scompartimento.
«Dove
te ne vai, idiota?» gli urlò dietro Mairead,
affacciandosi sul corridoio del treno.
Edmund
sbuffò. Che diavolo gli era saltato in mente? Perché si
era arrabbiato così per una sciocchezza? Cosa gliene importava
poi, a lui, di quel borioso di Connery?
Quando
si voltò verso Mairead, era decisamente più tranquillo.
«Vado a mettermi la divisa della scuola» rispose, per
mascherare la sua poco aggraziata uscita di scena.
Mairead
ridacchiò. «Con la valigia ancora qui?» gli
chiese, accennando con il capo allo scompartimento.
Idiota,
idiota, idiota. si ripeté Edmund nella testa.
Ma
quando Mairead sorrise, Edmund la ricambiò, con il cuore
decisamente più leggero.
Quando
arrivarono al Trinity, i tre amici furono costretti a separarsi:
Edmund e Mairead si diressero verso destra, al tavolo dei Raloi,
Laughlin si unì a Dominique tra i Nagard.
La
solita sfilza di primini passò attraverso il cerchio magico
per essere smistata in una delle tre case. A Mairead parevano davvero
tutti uguali, con la loro divisa grigia che si colorava di volta in
volta di verde, blu o rosso. Solo un ragazzo biondino, con un
improponibile tagli a scodella da paggetto, attirò la sua
attenzione: le era in un certo senso familiare, come se lo avesse già
visto da qualche parte, ma non sapesse dire dove. Solo quando la
professoressa O'Connel lo chiamò, realizzò di chi si
trattava.
«Ehi,
quello è mio cugino!» bisbigliò Mairead rivolta
ad Edmund.
«Nagard!»
gridò la voce del cerchio magico, proprio mentre le ormai
familiari fiamme azzurrine avvolgevano il biondino. La divisa del
ragazzino si colorò di rosso, mentre questo si univa con aria
tonfa al tavolo sulla sinistra.
«Quel
piccolo lord sarebbe tuo cugino?» sussurrò Edmund in
tono perplesso.
Mairead
annuì con convinzione. «Sì... cioè, in
realtà suo nonno Childerich e mia nonna Joey erano cugini»
rivelò, ricordandosi dei nomi che aveva letto nell'albero
genealogico della famiglia O'Brian.
«Bei
parenti che hai!» ghignò Edmund, sempre sotto voce.
Anche
Mairead ridacchiò, vedendo l'aria snob del lontano cugino. Ma
quello non era niente se confrontato ai parenti ben più
prossimi che Mairead aveva scoperto da poco di avere. Si chinò
verso Edmund e sussurrò: «Se vuoi saperla tutta, anche i
Deamundi sono miei cugini».
«I
Deamudi?» ripeté Edmund, perfino più scioccato di
prima.
Mairead
annuì con gravità, lanciando qualche sguardo a Eibhean,
l'ultimo dei sette figli del Conte di Con Cetchthach nonché
l'unico a frequentare ancora il Trinity. «Meccorin Deamundi è
il cugino dritto di mio padre» spiegò in un sussurro.
Anche
Edmund osservò per un attimo Eibhean, seduto al tavolo dei
Nagard con aria torva. «Quindi tua zia Evangeline.... sposò
Cassian Deamundi! Era lui il mago Purosangue che tua nonna non
approvava!» intuì Edmund, ricordandosi di non aver mai
scoperto chi avesse sposato Evangeline O'Brian.
Mairead
fece un cenno d'assenso con il capo, ma prima che potessero
ulteriormente commentare la cosa, lo smistamento finì e il
preside Captatio si alzò da tavola per il solito discorso
introduttivo. Indossava un buffo cappello a punta color verde acido,
intonato con le decorazioni della sua lunga veste da mago. Edmund
pensò che fosse la persona più ridicola che avesse mai
visto, con quei baffoni e il naso spropositato, eppure il suo sorriso
genuino e i suoi occhi sorridenti inspiravano immediatamente fiducia.
«Bentornati
ad un nuovo anno al Trinity, figlioli!» salutò gli
studenti, allargando le braccia come se volesse abbracciarli tutti.
«Lasciatemi spiegare ai più piccoli e ricordare ai più
grandi (- e in quel momento i suoi occhi azzurri indugiarono su
Edmund, Mairead e Laughlin, che si lasciarono sfuggire un
sorrisetto-) che non è permesso combinare casini a scuola e
l'elenco completo dei casini-non-combinabili-al-Trinity è
appeso fuori dal mio studio e dalla segreteria. Il custode Armandus
mi ricorda gentilmente di dire che non si possono lanciare magie per
i corridoi, pena una punizione di tutto rispetto» mormorò
il preside, ma il suo finto tono di rimprovero svanì
immediatamente. «Ma, mi raccomando, ragazzi, studiate con
passione e cercate di imparare più cose possibili, perché
questa sarà la vostra scuola di vita; una volta finito il
vostro periodo al Trinity, non avrete più occasioni tanto
proficue per il vostro apprendimento» li incitò con un
gran sorriso. «E ora, buon appetito!»
A
quelle parole i Lepricani in livrea da camerieri si diedero un gran
da fare per servire le succulente pietanze preparate dagli elfi
domestici. La cena fu molto piacevole: Iulius McEwan, un ragazzo del
quarto anno dei Raloi, tenne banco a tavola raccontando le sue
disavventure estive in Kenia.
«E
io ero lì, no...» stava appunto dicendo, con gesti
accorati. «E questo mago di colore mi dà la sua strana
pipa e mi dice di aspirare. Be', io aspiro... e, insomma, non ricordo
più molto di quello che successe dopo, se non che ballavo
intorno al fuoco con una maschera enorme di legno, delle piume in
testa e un gonnellino di paglia».
«Mi
ricorda quando mio padre si lasciò convincere da un mago
nativo americano a fumare la pipa dell'amicizia» intervenne
Mairead. «Vi assicuro, preferite non sapere cosa successe
dopo».
«Oh,
no! Dai, racconta!» insistette Anneus Secula, un altro compagno
del quarto anno.
Mairead
bevve un sorso di succo d'arancia dal suo bicchiere, poi spiegò:
«Vi basti sapere che diede fuoco per sbaglio alla tenda del
capo tribù, ruppe l'urna contenente le sacre ceneri degli
antenati e bevve una pozione d'amore alterata che lo fece invaghire
di un bufalo imbizzarrito. Da quella volta, mio padre non si è
più interessato alle tradizioni dei nativi americani».
Al
racconto di Mairead risero tutti quanti, in particolar modo Edmund,
che riusciva ad immaginarsi perfettamente Reammon immerso in tutti
quei disastri.
Al
termine della cena, il professor Captatio si alzò nuovamente
da tavola e la Sala Mor piombò nel silenzio. «Ho un
breve annuncio da fare: lasciatemi dire a tutti gli appassionati di
Quidditch che quest'anno il torneo scolastico verrà sospeso»
annunciò agli studenti.
Quelle
parole provocarono parecchi mormorii di dissenso e non poche
esclamazioni indignate e stupite. «Com'è possibile? È
oltraggioso!» si lagnò Leonard, seduto poco distante da
Mairead.
«Lo
so, lo so» mormorò Captatio, nel tentativo di
tranquillizzare la platea, con un molle gesto della mano. «Ma
ci sarà un altro importante evento scolastico che vi terrà
occupati, quest'anno!» spiegò con un gran sorriso,
destando la curiosità dei suoi ascoltatori. Ma quel sorriso
era troppo furbo...
«Ma
di questo evento vi parlerò prossimamente!» aggiunse,
infatti, poco dopo, provocando altri mormorii delusi. «Ora
forza, tutti a nanna!»
Il
rumore di parecchie panche strisciate sul pavimento coprì i
commenti degli studenti. Mairead sentì solo i borbottii di
Leonard, che si stava lamentando con sua sorella Beatrix per
l'annullamento del torneo di Quidditch.
Leonard
non era l'unico, in realtà. Mairead incrociò anche Era
e Seamus, i due battitori dei Raloi, che commentavano la novità.
«Non mi interessa molto sapere quale altro evento ci terrà
occupati» stava appunto dicendo Era. «Il Quidditch è
il Quidditch. Fine della storia».
«Be',
guardate il lato positivo» si intromise Beatrix, che li aveva
raggiunti insieme a Leonard. «La Coppa resterà nostra
per un altro anno».
«Non
mi interessa!» sbottò il fratello, spostandosi dagli
occhi un ricciolo ribelle che gli era caduto davanti. «Questo è
il mio ultimo anno al Trinity, io volevo vincere di nuovo!»
«Tu,
Mairead, che dici?» la interpellò Seamus.
Mairead
fece per dire qualcosa, ma poi vide passare i ragazzi del primo anno
dei Nagard ed esclamò: «Io... non lo so. Devo andare».
E
si dileguò.
«Faonteroy,
Faonteroy O'Brian!» chiamò a gran voce.
Un
ragazzetto biondo si voltò verso di lei con un'aria a dir poco
scocciata. «Sì?» mormorò con poca
convinzione.
«Ciao,
io sono Mairead Boenisolius!» si presentò allegra la
ragazza, tendendo la mano verso di lui.
Faonteroy
soppesò per un attimo l'ipotesi di non stringerla, ma poi
l'indottrinamento verso la buona educazione che aveva ricevuto ebbe
la meglio e ricambiò il saluto. «Sei la nipote di
Josephine O'Brian, giusto?» le domandò, anche se
conosceva già la risposta.
«In
persona!» esclamò Mairead con un gran sorriso. «Siamo
quasi cugini, noi due!»
«Quasi...»
mormorò Faonteroy, non del tutto convinto. Certo, erano pur
sempre parenti, anche se un po' alla lontana, e quindi c'era la
dovuta solidarietà tra nobili, ma non gli piaceva per niente
l'idea di avere a che fare con una Raloi iper-agitata che andava in
giro a dire che erano cugini. Certe cose andavano trattate con il
dovuto tatto.
«Be',
di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, non esitare a chiamare la tua
super-cugina!» esclamò Mairead, tirandogli un pugno
affettuoso sulla spalla.
Faonteroy
si massaggiò il punto dove era stato colpito e indietreggiò
di un passo con gli occhi sgranati. «Si, certo...»
sussurrò con un'aria perplessa. Dopodiché indicò
i compagni Nagard che si stavano allontanando verso il dormitorio.
«Ora devo proprio andare».
«Ci
vediamo, eh?» lo salutò Mairead, mentre questo si
affrettava a svignarsela.
«Non
sembrava affatto convinto» commentò Edmund, che aveva
assistito a tutta la scena, standosene in disparte.
«No,
lo so» rispose Mairead, mentre un sorriso stranamente beffardo
si disegnava sulle sue labbra. «Ma lo stuzzicherò finché
non avrà imparato a sopportarmi» rivelò poco
dopo. «D'altronde, è meglio che subisca la mia
influenza, piuttosto che quella dell'altro cugino»
sussurrò, proprio mentre Eibhean Deamundi passava davanti a
loro. La sua aria di superiorità era veramente irritante, ma
almeno il suo considerarsi migliore di ogni altro essere sulla crosta
terrestre, faceva sì che lui si rifiutasse di entrare in
contatto con creature inferiori. Al contrario di Ailionora
Diablaiocht, che invece si divertiva a infastidire tutti gli altri.
«In
fin dei conti» sospirò Mairead, dirigendosi verso il
dormitorio dei Raloi. «Faonteroy è un O'Brian. C'è
un qualche germe di follia, in lui; e io devo solo aizzarlo».
Buonasera
a tutti!
Scusate
il ritardo nell'aggiornare, i soliti problemi di connessione...
ah,
che cosa non può fare la gelosia, eh? Povero Edmund, è
una lotta persa contro Connery... andiamo, un irritante copia più
giovane di Sean Troy... chi non lo ammirerebbe?
Quanto
a Faonteroy... è la new entry di questo racconto! Andiamo, non
è adorabile? Mairead lo stuzzicherà per bene, temo... e
io mi divertirò a trascinarlo in situazioni davvero
imbarazzanti! Se ve lo state chiedendo, sì, è il figlio
di Teudilascius O'Brian e Aretè MacGaril (per chi ha letto
“Vita da fuorilegge”); e sì di nuovo, il suo nome
è ispirato al libro Little
Lord Fauntleroy
di
Frances Hodgson Burnett. QUI, comunque, una sua immagine.
Vi
annuncio anche che sto scrivendo una piccola raccolta con tre one
short su tre episodi dell'infanzia dei nostri protagonisti (un
racconto ciascuno); per adesso ho scritto solo quella di Edmund, che
sarà l'ultima, ma per la fine di questa settimana o l'inizio
della prossima potrei cominciare a pubblicare la raccolta con la
storia di Laughlin. Vi spiegherò a tempo debito come è
nata quest'idea!
A
presto e grazie a tutti quelli che mi seguono!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Il Torneo Trecolonie ***
CAPITOLO
10
Il
Torneo Trecolonie
Ben
presto tutti gli studenti si dimenticarono della promessa del preside
Captatio di spiegare quale evento li avrebbe tenuti occupati
quell'anno. Con l'arrivo di ottobre, la vita al Trinity aveva ripreso
il suo normale ritmo e i ragazzi erano troppo impegnati a
sopravvivere alle montagne di compiti assegnati, per pensare ad
altro.
Gli
studenti del quarto anno avevano imparato a memoria la storiella che
tutti i professori avevano propinato loro all'inizio del semestre:
era necessario impegnarsi al massimo, stavano diventando grandi e
quindi si pretendeva tanto da loro, anche perché l'anno prossimo
avrebbero avuto la P.R.O.B.A.T.I.O e bla bla bla.
«Voglio
dire, mancano due anni ai nostri esami, che senso ha tartassarci
adesso?» si era lamentato un giorno Iulius, quando la professoressa
O'Connel aveva assegnato loro un tema di tre rotoli di pergamena sui
molteplici utilizzi degli Incantesimi di Rivelazione.
Ma
peggiori si rivelarono le lezioni di Trasfigurazione con il professor
Cumhacht: sembrava che l'uomo volesse spremerli fino all'ultima
goccia di magia, richiedendo di volta in volta compiti che nessuno
riusciva ad eseguire, ad eccezione di Edmund. Avevano incominciato a
trasfigurare gli oggetti in animali ed era assolutamente più
difficile dell'operazione contraria, perché bisognava creare
qualcosa di vivo da una materia inanimata. Solo i corvi di Edmund
avevano delle lucide penne nere e gracchiavano in modo accettabile.
«L'anno
prossimo dovrete imparare a padroneggiare gli incantesimi silenti e
non siete nemmeno capaci di trasfigurare una tazzina da tè in uno
stupido pennuto!» sbottò il professore, durante una noiosa lezione
di fine ottobre. «Che immagine scadente della scuola offrite in
questo modo?»
Laughlin,
seduto in ultima fila a fianco di Mairead, gettò un'occhiata
esplicita alla sua tazzina, con il becco e le zampe, che passeggiava
placida sul banco. «L'unica cosa che mi fa sopportare questa lezione
è la prospettiva del banchetto di Halloween di stasera!» mormorò
sottovoce, strappando una risatina alla compagna.
«Boenisolius,
lo trovi divertente?» tuonò il professor Cumhacht, facendoli
trasalire entrambi.
«No,
signore» rispose prontamente Mairead, anche se, essendosi persa
l'ultima parte del discorso, non sapeva esattamente che cosa avrebbe
dovuto trovare divertente.
«Bene,
allora dimostrami che ho torto» sentenziò il professore,
avvicinandosi al suo banco. «Trasfigura la tua tazzina. Ora».
Mairead
deglutì. Non ci sarebbe mai riuscita, lo sapeva.
Ma
fu salvata per un soffio dal professor Ballerinus, che bussò proprio
in quel momento e, senza aspettare la risposta, entrò in aula.
«Oengus, è ora di andare» annunciò in tono accorato, come se
avesse appena fatto una corsa.
Cumhacht
si voltò verso di lui con uno sguardo furente. «Bene» fu l'unica
cosa che riuscì a dire.
I
ragazzi si scambiarono occhiate perplesse. Dove bisognava andare?
«Tutti
gli studenti prendano la propria borsa, lascino i libri nei
rispettivi dormitori e si presentino con la divisa in ordine e il
mantello invernale in ingresso fra...» il professor Ballerinus
controllò il suo orologio da taschino. «Esattamente cinque minuti».
A
quelle parole ci fu un eccitato fuggifuggi verso le sale comuni.
Nessuno sapeva cosa stesse succedendo, ma qualsiasi scusa era buona
per saltare l'ultima mezz'ora di lezione del pomeriggio. Tanto più
se si trattava di Trasfigurazione.
Quando
Mairead, Laughlin e Edmund si ritrovarono in ingresso, molti studenti
vi si erano già radunati e parlottavano sottovoce con aria eccitata.
«Secondo
me ci portano a vedere la Stele della Vergogna!» esclamò estasiato
Dedalus Consolatus, un tipo piuttosto strano dei Llapac, anche lui al
quarto anno. Numerose facce perplesse si voltarono verso di lui.
Dedalus li guardò sconvolto. «Ma sì, la leggenda dei cinque
avventurieri inglesi... seriamente, nessuno la conosce?»
«Lascia
perdere, Dedalus» gli consigliò il suo amico Henry Alabacor,
mettendogli una mano sulla spalla. Saggio consiglio; dopotutto,
Dedalus era già considerato sufficientemente strano senza mettersi a
raccontare oscure leggende.
I
professori li condussero fuori, attraverso il ponte fino alla
terraferma, e poi li fecero disporre in ordine, divisi per casa,
davanti i più piccoli e in fondo quelli dell'ultimo anno, come se
attendessero l'arrivo di qualcuno. I ragazzi si scambiarono numerose
occhiate perplesse, senza capire il motivo di tanta agitazione da
parte dei professori. Sembrava proprio che ci tenessero a fare una
bella figura. Ma con chi?
Passò
una mezz'ora abbondante prima che succedesse qualcosa di
interessante. I ragazzi cominciavano ad essere intorpiditi per il
freddo, nonostante il mantello di lana che indossavano. Se almeno
avessero saputo che cosa stavano aspettando!
«Guardate
là!» esclamò ad un tratto un bambino del primo anno, dei Llapac,
indicando un punto nel cielo plumbeo. Tutti si ritrovarono con il
naso all'insù a scrutare le nuvole, in attesa di chissà cosa.
Lentamente (anzi, neanche troppo lentamente, in realtà) il puntino
nel cielo divenne sempre più grosso finché non apparve chiaramente
che non si trattava di un uccello: sembrava più che altro una specie
di... elefante volante.
«Dumbo!»
esclamò allegro Dedalus, ricordando i cartoni animati Babbani della
sua infanzia da mezzosangue. Perfino chi aveva origini Babbane e
sapeva benissimo a cosa si riferiva il grido di Dedalus preferì non
commentare la cosa.
In
effetti, la sagoma di un elefante bianco, con una specie di
baldacchino sul dorso, era ormai perfettamente visibile nel cielo.
L'animale volante stava decisamente puntando verso la scuola. Gli
studenti irlandesi si lasciavano sfuggire ogni tanto qualche
esclamazione di sorpresa o di perplessità, ma i professori non se ne
curavano affatto, come se loro fossero perfettamente a conoscenza del
fatto che un elefante stesse per piombare giù dal cielo e trovassero
la cosa assolutamente normale.
«Ora
ci schiaccia!» gridò un ragazzino del primo anno, in preda al
panico.
Tutta
la scuola trattenne il fiato come un sol uomo, quando l'elefante
ormai vicinissimo, virò all'improvviso per atterrare con grazia sul
prato a fianco del campo da Quidditch.
Quella
storia stava diventando veramente assurda.
Proprio
in quel momento, dal baldacchino sul dorso dell'animale, si srotolò
una scaletta magica che arrivò fino a terra. Gli studenti
allungarono il collo, curiosi di scoprire chi sarebbe comparso. E non
furono affatto delusi quando un mago indiano, con tanto di sciabola
al fianco, turbante in testa e folta barba nera, scese le scale a
passo di marcia. Dietro di lui, seguivano una manciata di ragazzi con
dei coloratissimi vestiti della tradizione indiana.
A
Edmund parve di essere finito dentro un film di Sandokan.
Il
professor Captatio, che per l'occasione indossava un completo color
prugna con ricami dorati, si fece incontro all'altro mago con un gran
sorriso, come se accogliesse un vecchio amico. «Fanciulli miei,
lasciate che vi presenti Ajitabh Singh, il preside della scuola
indiana di magia Dashi Mahal» esclamò allegro.
Il
mago fece un inchino educato verso gli studenti del Trinity, poi si
rivolse a Captatio. «È un piacere essere qui alla vostra illustre
scuola» salutò con un tono di voce delicato, che pareva il soffio
lontano del vento. Eppure quell'uomo che emanava pacatezza e
rispettabilità, dava come l'impressione di essere in grado di
scatenare un uragano qualora venissero attaccati i suoi principi.
«È
uno scambio culturale» mormorò Edmund all'orecchio di Mairead, con
un tono decisamente annoiato, osservando gli studenti indiani della
Dashi Mahal. Si era aspettato un evento ben più eccitante, da come
l'aveva annunciato il preside Captatio, invece era un banalissimo
scambio culturale. Sai che emozione.
Ma
non fece a tempo ad aggiungere altro, che un grosso pulmino arancione
si materializzò nel viale che collegava il cancello d'uscita con il
ponte. Il mezzo ricordava molto uno di quegli scuolabus americani,
con tanto di seggioline rosse e finestrini lungo tutti i lati.
«Oh,
bene, questa deve essere Mama Hope!» esclamò Captatio, felice come
un bambino goloso davanti ad un'enorme torta al cioccolato. Gli occhi
di tutti erano puntati sullo scuolabus arancione, dal quale scese una
signora di colore che come dimensioni non aveva nulla da invidiare
all'elefante indiano della Dashi Mahal. Nello scendere dal pulmino,
il mezzo si inclinò pericolosamente verso terra e non appena lei
toccò il terreno, questo ondeggiò come una nave in balia di una
tempesta. La donna indossava un variopinto abito tradizionale
africano, con tanto di turbante coordinato. Dietro di lei scese un
gruppo di ragazzi, tutti di colore tranne un biondino slavato che
stava in fondo. La donna si avvicinò agli altri due presidi:
Captatio le arrivava a stento alla spalla e sembrava un folletto a
confronto, mentre il professor Singh, sebbene fosse poco più alto di
lei, era largo meno della metà.
«Se
ti dà un ceffone quella giri per tre giorni!» ridacchiò Iulius,
proprio alle spalle di Mairead e Edmund. I ragazzi sogghignarono.
«Caius!»
esclamò la donna, facendo scomparire il piccolo professor Captatio
nel suo abbraccio. Questo bofonchiò qualcosa, ma ogni sua parola
venne soffocata. Edmund fu sicuro di udire un sinistro crack, come se
Captatio si fosse rotto qualche vertebra, e quasi sentì lui stesso
il male alla schiena. Quando il professore riemerse da
quell'ecosistema di stoffa e ciccia, aveva gli occhiali sbilenchi e
il cappello storto.
«È
sempre un piacere rivederti, Mama Hope!» ridacchiò il preside
aggiustandosi gli occhiali sul naso. Il professor Singh, invece, optò
per un più diplomatico inchino con baciamano.
«Ragazzi,
vi presento Hope Machinegun, la preside della scuola sudafricana
Reclife Magic High School» esclamò il professor Captatio, rivolto
ai suoi studenti, con un sorriso allegro. «E ora, forza, tutti
dentro al caldo, che c'è un lussuoso banchetto che ci aspetta!»
aggiunse battendo le mani con aria compiaciuta
Gli
studenti del Trinity si trascinarono verso la Sala Mor, soddisfatti
di poter tornare finalmente al caldo con la prospettiva di godersi le
prelibatezze preparate dagli elfi domestici. Ciascuno si sedette al
proprio tavolo, provocando sinistri cigolii a causa delle panche di
legno che venivano strisciate sul pavimento di cocciopesto. Gli
studenti stranieri, invece, si guardarono attorno un po' a disagio,
senza sapere bene dove avrebbero dovuto mettersi.
«Sedetevi
ai tavoli insieme agli altri, dove volete o dove c'è posto!» li
incitò allora il professor Captatio, mentre i tre presidi si
dirigevano insieme agli altri professori verso il tavolo in fondo
alla sala. Alcuni ragazzi sudafricani si unirono al tavolo dei
Llapac, che era quello centrale proprio di fronte all'entrata.
«A
Laughlin piacciono le more!» sibilò divertita Mairead all'orecchio
di Edmund, accennando con il capo al loro amico dall'altra parte
della sala, che si era alzato con galanteria e aveva fatto posto ad
un gruppo di ragazze indiane. Edmund ammirò la nonchalance con cui
si rapportava con quelle ragazze, il modo di fare rilassato e i
sorrisetti accattivanti. Prima o poi avrebbe dovuto chiedergli delle
lezioni sull'argomento.
«Possiamo?»
domandò un ragazzo di colore, indicando i posti vuoti davanti a
Mairead.
«Certo»
rispose quella con un sorriso.
Tre
ragazzi sudafricani e il biondino slavato si sedettero al tavolo dei
Raloi, con un cenno di ringraziamento. Mairead notò che le divise
che indossavano avevano tutte lo stesso taglio (una camicia a maniche
corte lunga fino a metà coscia e un paio di calzoni), ma ognuna era
di colore diverso, quasi tutte variopinte e con stampe e disegni
geometrici come decorazioni. Il ragazzo che aveva parlato era un bel
giovanotto di colore, alto, con le treccine attaccate alla testa che
partivano dalla fronte e arrivavano fino alla nuca.
Mairead
fece per presentarsi ai nuovo arrivati, così, giusto per essere
gentile, ma proprio in quel momento il professor Captatio si alzò da
tavola e la sala piombò nel silenzio.
«Un
caldo benvenuto a tutti i nostri ospiti!» esclamò il preside; a
quelle parole, la professoressa O'Connel fece partire un educato
applauso che si sparse per tutta la sala. Quando l'applauso si
spense, il preside Captatio riprese a parlare: «Spero che vi
troverete bene e che il vostro soggiorno al Trinity si rivelerà
piacevole. Lo scopo di tutto questo è ovviamente quello di imparare
a conoscerci meglio, ad apprendere tradizioni e cultura di paesi
lontani e soprattutto, attraverso questa reciproca conoscenza,
imparare a rispettaci. Ma, evidentemente, questo non è l'unico
motivo».
Il
professor Captatio fece una pausa studiata per accrescere la tensione
e gli studenti si scambiarono occhiate eccitate.
«Sono
lieto di annunciarvi che quest'anno il Trinity College ospiterà il
Torneo Trecolonie!» esclamò infine il professor Captatio, pieno di
entusiasmo. Ma la notizia non eccitò particolarmente gli studenti,
visto che nessuno aveva la più pallida idea di che cosa si
trattasse. Il preside si accorse della freddezza con cui i ragazzi
avevano accolto la notizia e ne rimase un po' deluso; ma subito dopo
riprese a sorridere con giovialità ed esclamò: «Forse la cosa
necessita di una piccola spiegazione!»
Captatio
batté le mani estasiato, come se fosse sul punto di raccontare una
bella favola a dei bambini curiosi, poi cominciò a narrare: «Dovete
sapere che nell'anno 1794, esattamente cinque secoli dopo la prima
edizione del Torneo Tremaghi, una competizione che vedeva affrontarsi
i campioni delle tre più importanti scuole di magia europee,
l'allora preside del Trinity College, Eusebius O'Toole, mandò un
gufo formale ad Hogwarts per chiedere che anche la sua scuola venisse
riconosciuta all'interno del Torneo e che avesse anch'essa un
campione per rappresentarla. Il preside di Hogwarts rispose che il
Torneo si chiamava Tremaghi, perché tre erano i
campioni e non c'era alcuna possibilità che una scuola secondaria di
una colonia britannica come il Trinity potesse partecipare».
A
quelle parole, molti studenti si indignarono. Perfino Mairead, che
non aveva alcun folle sentimento nazionalistico, ritenne che una
risposta del genere fosse decisamente troppo offensiva per l'orgoglio
irlandese.
«Come
potete ben immaginare» riprese a dire Captatio, «O'Toole si
incavolò parecchio, per essere gentili. Mandò anche un cappello
stregato al preside di Hogwarts che gli fece crescere due enormi
orecchie da goblin. Oh, non riuscirono più a rimpicciolirgliele!»
raccontò divertito, suscitando qualche risatina anche tra gli
studenti. «Sed de hoc satis! La cosa più importante che fece
O'Toole fu quella di istituire un contro-torneo, invitando le tre
scuole delle più importanti colonie inglesi di allora: l'Irlanda,
l'India e il Sud Africa. Chiamò questo torneo “Torneo Trecolonie”
e lo organizzò ogni cinque anni in una delle tre scuole, in
concomitanza con la versione originale inglese.
«Tre
campioni si sarebbero dovuti affrontare in tre difficilissime prove
per dimostrare il loro coraggio, la loro astuzia e la loro
intraprendenza di fronte a situazioni avverse. Il vincitore, o
sarebbe meglio dire il sopravvissuto, avrebbe ottenuto la
gloria eterna per sé e per la propria scuola, oltre ad una discreta
somma in denaro. Quando il Torneo Tremaghi fu interrotto a causa del
troppo elevato rischio di morte, anche il Torneo Trecolonie subì la
stessa sorte e per oltre cent'anni non vi fu nessuna sfida.
«Ma
il Ministero della Magia britannico ha deciso che i tempi sono maturi
per un altro tentativo. E i due tornei sono stati riportati in vita!»
Ecco
spiegato cos'è il torneo Trecolonie e quali sono le tre colonie!
Spero che la storia sia risultata credibile e che vi sia piaciuta. I
tre presidi sono adorabili---> QUI un'immagine dei tre mitici
elementi!
Dai,
oggi non vi stresso con le note d'autrice... vi dico solo che DOMANI
pubblicherò il primo racconto della raccolta dedicata all'infanzia
dei miei protagonisti!
Un
bacione, a presto!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Il Gargoyle ***
CAPITOLO
11
Il
Gargoyle
L'annuncio
del professor Captatio sconvolse la sala per parecchi minuti. L'idea
che il Torneo Trecolonie fosse stato riportato in vita e che si
sarebbe tenuto proprio lì al Trinity era quanto di più eccitante
gli studenti potessero pensare.
«Dobbiamo
ammettere che potrebbe essere meglio del Quidditch!» ridacchiò
Beatrix, seduta a fianco di Mairead.
«Forse
niente mischie, ma è sicuramente grandioso!» ammise Mairead.
«Soprattutto se vieni scelto come campione» aggiunse poi, già
fantasticando sulla gloria eterna che sarebbe spettata al vincitore.
«Ehi,
io ci sto!» esclamò Iulius, entusiasta, seduto di fronte a Beatrix.
«Voglio provare a diventare il campione del Trinity!»
«Presumo
che ci sarà una giuria che valuterà le capacità degli aspiranti»
intervenne in tono logico Edmund.
«Silenzio,
silenzio!» li richiamò il preside, in tono bonario. Dopo qualche
secondo il brusio si spense e la sala si preparò ad ascoltare quello
che il professore aveva da dire. L'uomo sorrise alla platea di
studenti, poi spiegò: «Per frenare i vostri bollenti spiriti, vi
avverto già che seri motivi di sicurezza ci hanno indotto ad
introdurre un limite di età per gli aspiranti campioni ai 17 anni».
Quell'annunciò
causò sonore proteste da tutti i tavoli: gli esclusi si sentirono in
dovere di esprimere ad alta voce le proprie lamentele.
«Prima
ci tolgono il Quidditch, poi ci impediscono di partecipare al
Torneo!» sbottò indignata Beatrix, piuttosto risentita dal fatto
che le sarebbero bastati pochi mesi per raggiungere la maggiore età.
«È
per ragioni di sicurezza» intervenne saggiamente Edmund. «Captatio
ha detto che ci sono stati dei morti!»
«Noi
sapevamo già questo» si intromise il ragazzo di colore con le
treccine. Aveva un accento particolare, duro, tipico degli africani
che parlavano l'inglese. «Infatti noi aspiranti campioni siamo tutti
maggiorenni» spiegò, accennando a sé e ai suoi amici.
«Noi
saremmo dovuti nascere due anni prima» sbuffò invece Mairead,
incrociando le braccia al petto.
Il
professor Captatio li lasciò sfogare per qualche minuto, poi
richiamò l'attenzione su di sé. «Mi dispiace ragazzi, ma è per la
vostra sicurezza» spiegò in tono serio. «Comunque» aggiunse poco
dopo, di nuovo allegro, mentre il custode Armandus attraversava la
sala facendo fluttuare davanti a sé quello che sembrava il
piedistallo di una statua. «Dovete sapere che non saremo noi a
giudicare gli aspiranti campioni delle rispettive scuole» spiegò il
preside Captatio, aspettando che Armandus posizionasse il piedistallo
davanti al tavolo dei professori.
«Questo
compito è affidato al Gargoyle!»
A
quelle parole, un enorme gargoyle di pietra, che fino a quel momento
era rimasto acquattato, senza essere visto, sopra la grande trifora
sulla parete dietro il tavolo dei professori, spalancò le sue
gigantesche ali e planò verso terra. Qualche studente dei primi anni
si lasciò sfuggire un urlo per la sorpresa.
Il
gargoyle andò ad accucciarsi sul piedistallo predisposto da Armandus
e rimase immobile a scrutare gli studenti con il suo orribile ghigno
da mostro.
«Questo
sarà il giudice per scegliere il campione più adatto» spiegò il
professor Captatio, indicando la statua. «Lui saprà valutare le
vostre capacità magiche e sceglierà colui che riterrà più adatto
a diventare il campione della propria scuola. Tutti coloro che
intendono farsi avanti, non devono fare altro che mettere la mano
destra nella bocca del Gargoyle e dire chiaramente il proprio nome e
la scuola di appartenenza. Avete due giorni: durante il banchetto del
giorno dei morti, il 2 novembre, il Gargoyle dichiarerà la sua
scelta» continuò a spiegare il professore.
«Ma
vi prego di fare molta attenzione!» soggiunse con un tono di voce
accorato. «Il Gargoyle è perfettamente in grado di riconoscere la
vostra reale età e non pensate di imbrogliarlo con pozioni
invecchianti o altre diavolerie del genere. Non cercate di
ingannarlo: saprà sempre riconoscere quanti anni avete
effettivamente!»
I
suoi occhi saettarono su tutta la sala e Edmund ebbe la spiacevole
sensazione che stesse fissando proprio lui.
«Ma,
bando alle ciance!» esclamò il professore dopo un attimo di
silenzio. «Sarete affamati, immagino!»
E
con quelle parole i Lepricani in livrea da camerieri fecero il loro
ingresso nella sala reggendo i vassoi con le prelibatezze preparate
dagli elfi domestici. Il banchetto fu particolarmente piacevole,
perché i quattro ragazzi sudafricani che si erano seduti al tavolo
dei Raloi si presentarono e raccontarono della loro scuola. Quello
con le treccine si chiamava Hewa Wedge ed era un tipo affabile, anche
se forse un tantino pieno di sé. Il ragazzo biondino, invece, disse
di chiamarsi Koen Jansen e rivolò di essere un boero, un discendente
degli antichi coloni olandesi. Mairead pensò che aveva l'aria un po'
apatica e passiva, ma forse era solo un'impressione.
Laughlin,
nel frattempo, si dilettava nel fare conoscenza delle studentesse
indiane che si erano sedute vicino a lui e Dominique. Aveva evitato
di specificare che aveva appena compiuto i quindici anni, visto che
le ragazze dovevano essere tutte maggiorenni, per poter aspirare a
diventare campionesse della Dashi Mahal. Poteva fingere di averne
sedici, o comunque puntare su altre qualità che non fossero l'età.
In
fondo, aveva un bel sorriso.
Nei
due giorni successivi non si parlò d'altro. I quindici aspiranti
campioni della Dashi Mahal si presentarono la mattina dopo in Sala
Mor tutti impettiti e si misero in fila di fronte al Gaogoyle per
dire il loro nome. Il preside Singh si posizionò a braccia
incrociate di fianco alla statua e li osservò con aria compiaciuta,
rivolgendo loro sorrisi incoraggianti.
Lo
stesso cerimoniale avvenne all'ora di pranzo per gli studenti della
Reclife High School, anche se la preside non attese in silenzio che i
ragazzi dicessero il loro nome, ma anzi li incitava in una lingua che
era un misto di inglese e sudafricano. Edmund fu anche abbastanza
certo di sentire un insulto che suonava molto come “sterco di
troll”.
I
primi studenti del Trinity a presentarsi al Gargoyle furono Leonard
Connery e Seamus O'Sharey, tutti e due compagni di squadra di
Mairead. La sera del primo giorno di novembre, prima di cena, i due
ragazzi entrarono in Sala Mor con un gran sorriso sulle labbra e
un'aria tonfa. Gli altri studenti capirono subito che i due avrebbero
tentato di proporsi come campioni e dal tavolo dei Nagard partirono
alcuni fischi. Leonard non solo li ignorò, ma addirittura il
disprezzo dei suo rivali lo rese ancora più desideroso di dire il
suo nome al Gargoyle. Attraversò la sala a passo di marcia e, messa
la mano in bocca al mostro di pietra, esclamò: «Leonard Connery,
Trinity College».
Un
applauso entusiasta partì dal tavolo dei Raloi, per sostenere il
proprio candidato. Seamus imitò l'amico e poi i due furono accolti
al tavolo come dei veri conquistatori.
L'impresa
di Leonard e Seamus risvegliò gli animi eroici e il desiderio di
gloria di altri studenti del Trinity: il giorno successivo, a
colazione, Lucy Patterson, la giocatrice di punta dei Nagard, tentò
l'impresa di proporsi come campionessa. Una volta detto il suo nome
al Gargoyle, lanciò un'occhiata sprezzante al tavolo dei Raloi e in
particolare alla sua avversaria Mairead, che tanto non aveva l'età
adatta per partecipare.
Dopo
di lei anche altri ragazzi dei Llapac e dei Raloi vennero a proporsi
per la selezione. In particolare Titus Judge, il grosso battitore dei
Llapac, fu accolto con grande entusiasmo dai suoi compagni di casa,
che patteggiavano per lui come campione del Trinity.
Alla
conclusione del pranzo di quel giorno, Deamundi si alzò dal tavolo
dei Nagard e si diresse verso il Gargoyle, lanciando occhiatine di
superiorità per tutta la sala. Mise la sua mano nella bocca della
creatura e disse con voce incolore: «Eibhean Con Cetchthach Deamundi
di Sir Eriu Temair, Tinirty College».
Ma
la scena più divertente si verificò a metà pomeriggio, quando
Cosimo Brandebelli, il Cacciatore dei Nagard, che era dello stesso
anno di Dominique, si presentò con un ghignetto divertito in Sala
Mor, attirando su di sé non pochi sguardi.
Dominique,
che stava cercando Laughlin dopo la fine delle lezioni, lo squadrò
con aria preoccupata. «Non credo che basti un po' di pozione
invecchiante» commentò in tono critico, accennando al Gargoyle.
Ma
Cosimo non gli diede retta. Attraversò la sala con aria furba, come
se sperasse davvero di imbrogliare l'incantesimo che imponeva il
limite d'età. Mise la sua mano nella bocca e per una frazione di
secondo non successe nulla. L'intera sala trattenne il respiro, ma
durò solo un attimo.
Perché
il Gargoyle serrò di scatto la bocca, imprigionando la mano di
Cosimo tra le sue fauci. Il ragazzo urlò per il dolore e strattonò
per liberarsi il braccio, senza troppi successo, in realtà.
«Te
l'avevo detto» commentò Dominique, con un sorrisetto divertito.
Dopodiché, appurato che Laughlin non era in Sala Mor, se ne andò
alla ricerca del suo amico.
Ritrovò
Laughlin, Mairead e Edmund seduti nel giardino del chiostro interno,
imbacuccati nei loro mantelli di lana, a cercare di catturare quei
pochi raggi di sole che riuscivano a bucare la coltre di nubi.
Edmund, tanto per cambiare, aveva appoggiato sulle gambe un libro
dalle dimensioni ciclopiche.
«Ehilà!»
li salutò Dominique, sedendosi con loro sull'erba leggermente umida.
«Vi siete appena persi la scena di Brandebelli che cercava di dire
il suo nome al Gargoyle».
«Che
gli è successo?» domandò Laughlin, incuriosito.
Dominique
scrollò le spalle e tirò fuori il libro di Trasfigurazione dalla
borsa. «Il Gargoyle gli ha morso la mano e non credo che abbia
intenzione di lasciarlo senza l'intervento di un professore» spiegò
con disinteresse, cercando le pagine che il professor Cumhacht aveva
assegnato loro da studiare.
«Che
idiota!» commentò sarcastico Edmund. «Scommetto che avrà usato
della pozione invecchiante sperando di farla franca».
«Già...»
mormorò Dominique, sovrappensiero. «Voi chi vorreste che diventasse
il campione del Trinity?» domandò poco dopo, giochicchiando con le
orecchie delle pagine del suo libro di Trasfigurazione, per nulla
invogliato a studiarle.
«A
me van bene tutti, purché non sia Deamundi» sbottò Laughlin. «Non
sopporterei la sua aria tonfa!»
In
quel momento passarono per il portico Wedge e il boero Jansen così
Mairead alzò una mano per salutarli. Wedge rivolse loro un sorriso
radioso, ma anche un po' malizioso. Edmund li scrutò mentre si
allontanavano, avendo come la sensazione che presto avrebbe avuto un
buon motivo per odiare il sorrisetto di Wedge.
«E
tu, Mairead?» domandò ancora Dominique, sbadigliando.
«Be',
l'anno scorso avrei detto sicuramente Cecelia Allen, che aveva tutte
le carte in regola per essere campionessa» rispose Mairead, non
senza un pizzico di invidia per l'ex-capitana della squadra di
Quidditch dei Llapac. «Ora come ora... direi Leonard Connery».
«Quello
sbruffone di Connery?» la rimbeccò immediatamente Edmund, storcendo
il naso.
«Senti,
io non so che cosa tu abbia contro di lui, ma sarebbe un ottimo
campione!» replicò Mairead, in un tono piuttosto acido. «È bravo,
è carino ed è un Raloi. Praticamente perfetto».
Edmund
si alzò di scatto da terra, facendo cadere il libro che aveva sulle
ginocchia. «Vuoi sapere una cosa?» sbottò in un tono molto poco
aggraziato. «Anche io sarei un ottimo campione».
«Non
fare l'idiota, Captatio ha preso tutte le misure per impedire ai
minorenni di partecipare» rispose Mairead, con uno sbuffo per quella
sciocca pantomima.
«Credo
che Brandebelli perderà l'uso della mano per un bel po'» commentò
Dominique, cercando di essere ragionevole. «Vuoi fare la sua stessa
fine?»
«Mi
stai paragonando a Brandebelli?» lo rimbeccò Edmund, ormai
visibilmente scocciato. Al momento non gli era importato un gran che
della storia del Torneo, ma qui lo stavano apertamente sfidando. E
Edmund Burke non si tira mai indietro di fronte ad una sfida.
«Sono
più furbo di lui, troverò il modo!» decretò alla fine, prendendo
il libro da terra e mettendoselo in borsa. Non che ci tenesse a
diventare campione, ma era una questione di principio: nessuno poteva
dirgli che era meno di quel pallone gonfiato di Leonard Connery.
Con
quelle parole, lasciò il cortile diretto verso la biblioteca,
stampandosi in faccia un'aria tonfa.
«Idiota»
sbuffò Mairead, scuotendo la testa.
Quando,
quella sera, Edmund si presentò in Sala Mor, la notizia che volesse
presentarsi come campione aveva già fatto il giro della scuola; e
anche per chi non ne era ancora stato informato, era bastato guardare
il suo volto determinato e il sorrisetto beffardo che gli
attraversava le labbra per capire che cosa fosse sul punto di fare.
«Ehi,
Burke, attento al moncherino!» sghignazzò Finan Best, il piccoletto
tanto amico di Ailionora Diablaiocht, sventolando il braccio destro,
dopo aver ritirato la mano dentro la manica. Il suo commento suscitò
parecchie risatine per tutta la sala, ma Edmund non se ne curò.
Mairead
sbuffò quando lo vide percorrere lo spazio che lo separava dal
Gargoyle con aria tonfa. Una parte di lei sperava che fosse riuscito
a trovare il modo di superare il limite di età, perché fallire
sarebbe stato estremamente doloroso e imbarazzante, ma l'altra parte
era desiderosa di vederlo a terra in ginocchiato nel fango, perché
odiava quel suo sorrisetto beffardo e la sua sciocca coraggiosa
determinazione nel voler dimostrare che aveva sempre ragione e che
era più bravo degli altri.
Lato
che, tra l'altro, era inconfondibilmente Raloi.
E
anche terribilmente affascinante.
Il
tempo parve come fermarsi quando Edmund allungò il braccio verso il
Gargoyle e gli infilò lentamente la mano in bocca. Tutta la sala
trattenne il fiato e si sporse per vedere meglio.
Passò
una frazione di secondo.
Passò
una manciata di secondi.
E
le fauci del Gargoyle rimasero perfettamente immobili.
Un
beffardo sorriso di vittoria si disegnò sulle labbra sottili di
Edmund. Ce l'aveva fatta.
Nemmeno
sentì l'applauso ammirato che si levò dal tavolo dei Raloi.
Semplicemente disse: «Edmund Burke, Trinity College».
Su,
avanti, diteglielo anche voi, a Edmund, che è un idiota... dice il
suo nome al Gargoyle solo per ripicca, ma non sa a cosa sta andando
incontro! Comunque, voi per chi tifate? Chi volete che diventi il
campione del Trinity? ;-)
QUI,
l'immagine del capitolo, ovvero il caro Edmund con la mano destra
nelle fauci del Gargoyle.
Ora,
piccola nota tecnica: dalla settimana prossima comincio ad aggiornare
di martedì pomeriggio, perché lunedì sono in università!
Alla
prossima,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** I tre campioni ***
CAPITOLO
12
I
tre campioni
«Idiota!»
sbuffò Mairead, quando Edmund venne a sedersi di fronte a lei al
tavolo dei Raloi. Ma al suo sbuffò seguì un sorriso: alla fine,
aveva vinto la parte di lei che lo voleva seduto sugli allori. In fin
dei conti, era stata una scena epica.
Lo
sguardo trionfante di Edmund aveva un che di odiosamente saccente.
Anzi, no, quella era piena coscienza delle proprie qualità e estrema
volontà di volerle mettere in mostra, in un modo stupidamente
coraggioso.
«Ehi,
amico, sei stato grande!» esclamò Laughlin, sedendosi al suo
fianco, noncurante del fatto che un Nagard non poteva stare al tavolo
dei Raloi.
«Grazie,
Laugh» rispose Edmund, scivolando sulla panca per fargli posto.
«Come
diavolo hai fatto?» gli chiese l'amico, ancora eccitato dalla scena
che si era appena svolta.
Edmund
si guardò intorno con fare circospetto, poi si chinò sul tavolo
verso i suoi amici. «È stato piuttosto facile, in realtà» rivelò
in un sussurro. «Mi è bastato ripensare all'insistenza con cui il
professor Captatio ha sottolineato il fatto che il Gargoyle sa
riconoscere l'età dei candidati. Ho creduto che fosse come una sorta
di indizio» spiegò ai suoi amici, ricordando dell'occhiata densa di
sottintesi che gli aveva lanciato il preside in quell'occasione.
«Allora ho capito che bisognava osservare il problema da un punto di
vista completamente nuovo e mi sono detto che se non potevo ingannare
il giudice sulla mia età, forse avrei potuto convincerlo che
bastavano 15 anni per partecipare alle selezioni».
«E
come hai fatto a convincerlo?» si informò Laughlin.
Edmund
si strinse nelle spalle. «Il Gargoyle è una trasfigurazione,
ovviamente: mi è bastato compiere un'altra trasfigurazione con un
incantesimo silente prima di entrare in Sala Mor. Diciamo che... l'ho
riprogrammato».
«Geniale,
Ed. Io non ci sarei mai arrivato!» sussurrò Laughlin, ammirato.
Edmund
gli rivolse un sorriso. «Infatti non è tuo il nome che ora si trova
nella rosa dei canditati a diventare campioni».
«Sbruffone!»
sbottò Mairead, alzando gli occhi al cielo. Ma alla fine lanciò un
sorriso esasperato all'amico.
Edmund
si rilassò. Aveva raggiunto il suo obiettivo: distogliere
l'attenzione di Mairead da quel bellimbusto di Connery con qualche
azione spettacolare e dimostrare di essere meglio di tutti gli altri,
perché aveva saputo superare il limite d'età.
Non
appena Laughlin intercettò l'occhiataccia del professor Cumhacht che
stava entrando in sala proprio in quel momento, capì che era ora di
squagliarsela. Si alzò dal tavolo dei Raloi, fece in cenno di saluto
ai suoi amici e si affrettò a raggiungere Dominique tra i Nagard.
Ormai
tutti gli studenti si erano radunati in Sala Mor e non per la
prospettiva del lauto banchetto per la festa dei morti: quella sera
il Gargoyle avrebbe decretato il nome dei tre campioni.
Proprio
in quel momento Wedge e Jansen si sedettero a fianco di Edmund, al
posto che Laughllin aveva appena lasciato libero.
«Abbiamo
saputo che ti sei proposto come campione» commentò Jansen, senza un
reale entusiasmo nella voce. La notizia aveva fatto il giro della
scuola ad una velocità impressionante.
«Sei
minorenne, non potevi dire il tuo nome al Gargoyle» fece notare
Wedge, in un tono fastidiosamente puntiglioso.
Ecco,
Edmund aveva finalmente scovato un motivo per trovare antipatico
Wedge: il suo odiosissimo modo di impicciarsi nelle faccende altrui e
di dire sempre la sua.
«Sta
di fatto che l'ho detto» replicò con un filo di durezza nella voce.
Wedge
fece un'espressione piuttosto contrariata. «Be', le misure di
sicurezza sono state decisamente insufficienti».
«O
io sono stato più furbo» rispose Edmund, con un sorriso beffardo.
Ma
la conversazione si interruppe lì perché in quel momento arrivarono
i tre presidi, accompagnati da una donna asciutta e dall'aria
contrariata e da Scipio Diablaiocht, inconfondibile per il suo ghigno
disgustato e le occhiatine sprezzanti che lanciava verso gli
studenti.
«Idiota,
pallone gonfiato, borioso che non è altro!» sibilò con astio
Mairead, puntandolo con lo sguardo mentre attraversava la sala.
Edmund,
invece, era intento ad osservare la strega, cercando di ricordare
dove l'avesse già vista. Improvvisamente gli vennero in mente
pavimenti di marmo e alte onorificenze. «Quella è il Capo del
Dipartimento per l'Istruzione Magica» sussurrò rivolto a Mairead,
ricordando che gli era stata presentata l'anno scorso da Laughlin
prima di ricevere l'Encomio della Repubblica. Però non sapeva il suo
nome.
Proprio
in quel momento Captatio richiamò l'attenzione della sala battendo
delicatamente il bicchiere con il fondo del coltello. In realtà, più
che il rumore, fu il gesto in sé a far calare il silenzio tra gli
studenti eccitati.
«Miei
cari figlioli, so che siete tutti in fervente attesa dei risultati,
ma mi dispiace dirvi che li avrete solo dopo il banchetto» annunciò
il professor Captatio, provocando numerosi mormorii di dissenso.
«Comunque, lasciate che vi presenti Aletheia O'Gara, Capo del
Dipartimento per l'Istruzione Magica, e Scipio Diablaiocht, Capo del
Dipartimento Affari Esteri, che questa sera ceneranno con noi e
presiederanno alla scelta dei campioni».
A
quelle parole un applauso educato ma non particolarmente entusiasta
attraversò la sala. Mairead si rifiutò categoricamente di battere
le mani.
«Sei
adorabile quando ti impunti» sogghignò Edmund, rivolto all'amica.
«Oh,
taci!»
All'ordine
del preside Captatio, i Lepricani si riversarono in sala, ognuno
reggente un vassoio con le diverse portate. Il banchetto fu
ovviamente piacevole, ma la tensione era alle stelle e l'aria che si
percepiva era talmente densa da poter essere tagliata con un
coltello. I più ansiosi, ovviamente, erano coloro che si erano
proposti al Gargoyle: da un lato c'era la speranza di essere scelti,
dall'altro la preoccupazione per ciò che avrebbe comportato il
titolo di campioni.
Finalmente,
al termine della cena, il preside Captatio si alzò da tavola e la
sala piombò nel silenzio più assoluto. Si sarebbe potuto sentire il
crepitio di una foglia secca schiacciata da una scarpa.
«Cari
studenti e gentili ospiti, è arrivato il momento che tutti stavano
aspettando: la scelta dei tre campioni!» annunciò il professore e
le sue parole non fecero altro che aumentare l'eccitazione. Il
preside sorrise bonario e alzò una mano per calmare i bollenti
spiriti dei ragazzi. «Lasciatemi aggiungere qualche indicazione
pratica» mormorò poco dopo. «Quando i campioni verranno chiamati
dal Gargoyle, si presenteranno davanti al tavolo delle autorità e
accetteranno il loro ruolo. Dopodiché, insieme ai rispettivi presidi
si recheranno nella segreteria vicino all'entrata, dove ci aspettano
un fotografo e un simpatico giornalista del Corriere, e dove
vi daremo alcune informazioni utili sullo svolgimento del torneo».
Il
professore fece un attimo di pausa, per abbracciare tutta la sala con
il suo sguardo calmo e rassicurante. «Ma ora, lasciamo la parola al
Gargoyle!»
La
creatura di pietra sbatté le sue enormi ali un paio di volte, come
se si stesse risvegliando da un sonno profondo. Poi cominciò a
parlare, con una voce roca e arcana, che pareva provenire dagli
anfratti più ancestrali di una lugubre caverna: «Il campione della
Reclife Magic High School è...»
Gli
studenti interessati si sporsero impercettibilmente verso il mostro
di pietra.
«HEWA
WEDGE!»
Il
ragazzo di colore, seduto di fianco a Edmund si alzò dal tavolo con
un gran sorriso, mentre la sala veniva investita da un applauso
entusiasta.
«Ben
fatto, amico» mormorò Jansen, dandogli una pacca sulla schiena,
anche se si capiva benissimo che era rimasto deluso per non essere
stato scelto come campione.
«Fantastico,
ora chi lo sopporta più?» mormorò invece Edmund, rivolto a
Mairead, in tono sarcastico. La ragazzina gli lanciò uno sguardo
eloquente: in effetti, Wedge era un tantino pieno di sé e l'essere
diventato campione certo non l'avrebbe aiutato a diminuire
l'autostima.
Il
ragazzo si avvicinò con aria tonfa al tavolo degli insegnanti. A
giudicare dalle occhiate soddisfatte che gli lanciava Mama Hope, la
preside doveva approvare in pieno la scelta. Wedge si inchinò
davanti alle autorità e poi recitò: «Sono pronto ad assumermi i
miei doveri di campione e ad affrontare tutte le prove che mi saranno
richieste».
Un
secondo applauso seguì quelle parole, mentre Wedge si voltava verso
gli studenti con un sorriso trionfante.
Ma
poi l'attenzione di tutti tornò sul Gargolye, che dopo un attimo
scandì: «Il campione della Dashi Mahal è... CHAITALY HIRANMAY!»
Una
ragazza indiana decisamente carina, che faceva parte di quel
gruppetto seduto al tavolo dei Nagard vicino a Laughlin e Dominique,
si alzò con aria deliziata. A giudicare dall'entusiasmo con cui
Laughlin batteva le mani, doveva essere molto soddisfatto della
scelta del Gargoyle.
«Lo
fa perché crede che Hiranmay sia effettivamente la candidata
migliore per rappresentare la sua scuola, o perché vuole solo fare
colpo?» ridacchiò Edmund, indicando l'amico con un cenno del capo.
Mairead
sogghignò. «Temo proprio che sia la seconda» confessò divertita,
mentre la ragazza indiana raggiungeva il tavolo degli insegnanti.
Si
prostrò in un inchino aggraziato, che fece volare la seta leggera
del suo abito arancione, poi recitò con voce musicale: «Sono
pronta ad assumermi i miei doveri di campionessa e ad affrontare
tutte le prove che mi saranno richieste».
L'applauso
che seguì si spense molto rapidamente, perché gli studenti del
Trinity erano ora in fervente attesa di sapere chi sarebbe stato il
loro campione.
«Speriamo
che sia Connery» bisbigliò Anneus Secula, rivolto al suo amico
Iulius.
Edmund
storse il naso. Non che sperasse di essere scelto come campione,
perché, sebbene il Gargoyle avesse accettato la sua richiesta, era
impossibile che scegliesse proprio lui, il più giovane tra i tanti
candidati, però avrebbe preferito qualcun altro al posto di Connery.
Magari Seamus O'Sharey, o perfino Judge, il Battitore dei Llapac. Ma
non Leonard Connery.
«Il
campione del Trinity College è...»
Edmund
rivolse un sorriso eccitato a Mairead. Buffo, il cuore aveva
cominciato a battergli piuttosto allegramente nel petto. Ma lui...
non era agitato.
«EDMUND
BURKE!»
Quella
volta non partì nessun applauso. Calò un silenzio teso, sulla sala,
mentre gli occhi increduli e accusatori di tutti si puntavano di
Edmund.
Lui
rimase immobile, scioccato. Era stato scelto come campione? Lui, tra
tutti? Lui che era almeno di due anni più giovane di tutti gli altri
candidati?
Da
qualche parte, dentro di lui, esplose una gioia selvaggia e quasi
grottesca. La sua mente elaborò la scena di se stesso che si alzava
da tavola con un sorriso derisorio, esclamava a gran voce qualcosa
come: “Ah! Sono meglio di tutti voi, mezze cartucce!” e si
metteva a ballare qualche danza tribale. Ma subito scartò
quell'ipotesi.
Si
alzò invece lentamente, sotto lo sguardo dell'intera sala, e si
trascinò davanti al tavolo degli insegnanti.
Per
una manciata di secondi nessuno disse nulla, poi Mama Hope sbottò:
«Ma andiamo, tutto questo è ridicolo!»
A
giudicare dai mormorii che seguirono quell'affermazione, molti
presenti dovevano pensarla allo stesso modo.
«È
solamente un ragazzino! Non può partecipare al Torneo!» rincarò la
dose la preside, esasperata da quella situazione.
«Se
il Gargoyle l'ha scelto come campione, noi non possiamo opporci»
disse invece il preside Singh, con un tono apparentemente tranquillo.
Ma
a Edmund non interessava il parere di tutti gli altri: a lui
interessava esclusivamente quello di Captatio. Solo dopo un'eternità
osò alzare gli occhi su di lui. Il preside non lasciava trapelare
nulla dal volto. Sembrava serio e tranquillo, come sempre. Un po'
troppo tranquillo, in effetti, e Edmund ebbe la terribile sensazione
che quell'apparente serenità servisse a nascondere qualcosa d'altro.
Rabbia, forse? Era per caso arrabbiato con lui?
«Credo
che dovremmo discuterne con calma nel mio studio» propose infine
Captatio. Sembrò a tutti l'idea migliore, e così i tre presidi,
Diablaiocht e la O'Gara, insieme con i tre campioni, si diressero
verso la presidenza.
Quando
arrivarono nell'ampio ufficio, disordinato e caotico come sempre,
scoppiò il finimondo: ognuno sosteneva la propria tesi e sembrava
proprio che il modo migliore per dimostrare di aver ragione fosse
gridare più forte degli altri. Mama Hope e la O'Gara sostenevano che
fosse troppo giovane per partecipare, visto che il limite di età era
stato imposto a tutti proprio per motivi di sicurezza. Il preside
Singh diceva che non potevano ribellarsi alle decisioni del Gargoyle,
perché altrimenti si sarebbero messi in discussione anche i
risultati delle altre scelte.
I
tre ragazzi, intanto, se ne stavano in disparte in silenzio. Wedge
mandava delle occhiate indignate verso Edmund, ma lui non se ne
curava più di tanto, perché era concentrato nel cercare di capire
la reazione di Captatio, che se ne restava tranquillo ad osservare i
litigi.
Alla
fine fu Diablaiocht a trovare un modo per risolvere la situazione.
«Non possiamo contestare il giudizio del Gargoyle, ma Burke è
davvero troppo giovane. Chiediamo al ragazzo se se la sente di
partecipare» propose, con un sorriso che voleva essere affabile.
«Allora, giovanotto, hai detto tu il tuo nome al Gargoyle?» gli
chiese, voltandosi verso di lui.
«Sì,
ma non pensavo...» farfugliò Edmund.
«Vuoi
tirarti indietro?» lo provocò sottilmente Diablaiocht. «Nessuno ti
biasima, se hai troppa paura...»
«No!»
lo interruppe Edmund, con foga. Non si era certo aspettato di venir
scelto, ma non era disposto a farsi dare del codardo e a fare la
figura dell'idiota di fronte a tutta la scuola. «Sono pronto ad
assumermi i miei doveri di campione e ad affrontare tutte le prove
che mi saranno richieste» recitò con convinzione, mettendo a tacere
qualsiasi protesta. Mama Hope gli lanciò delle occhiate risentite,
la O'Gara sbuffò con disapprovazione, Diablaiocht gli rivolse un
sorriso sottilmente perfido. Forse stava sperando che ci lasciasse la
pellaccia.
«Be',
direi che è fatta!» esclamò il professor Captatio, dopo un attimo
di silenzio. «Ecco qui i nostri tre giovani campioni!»
La
sua parola fu quella definitiva: alcuni a malincuore, ma tutti furono
costretti ad accettare il fatto che Edmund Burke fosse il campione
per il Trinity. Ci furono le foto di rito, qualche sobrio commento da
parte delle autorità per l'articolo del Corriere, e le indicazioni
pratiche su quando e dove si sarebbe svolta la prima prova (il 24
novembre, nello spiazzo vicino al campo da Quidditch).
Solo
dopo un'ora abbondante, il professor Captatio congedò i suoi ospiti.
Edmund finse di essere particolarmente interessato alle decorazioni
del soffitto e lasciò che uscissero tutti. Ci impiegò parecchio
tempo a decidere di voltarsi verso Captatio: non era sicuro di quello
che avrebbe trovato.
Ma
lui sorrideva allegro.
«Professore,
a lei va bene che io sia campione?» gli chiese a bruciapelo. Aveva
bisogno di sentire la sua rassicurazione.
Il
preside gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Ti ha
scelto il Gargoyle e, pensa, ha scelto proprio te, il più giovane e
il più inesperto di tutti i candidati. Forse perché ha visto in te
molta più forza di volontà e capacità magiche di quante gli altri,
e Mama Hope in particolare, vogliano ammettere».
Edmund
abbassò gli occhi sul pavimento. Sì, lo sapeva che era stato scelto
perché era migliore, e questo gli dava una sensazione di
selvaggia onnipotenza, ma lui aveva bisogno di sentire il parere di
Captatio. «Lo so, ma... per lei va bene?» domandò ancora, tornando
a guardare il professore.
Captatio
gli rivolse un sorriso furbo. «Edmund, se avessi voluto impedirti di
provare a dire il tuo nome al Gargoyle, avrei trovato il modo di
farlo».
E
allora Edmund capì: Captatio gli aveva lasciato appositamente
l'opportunità di tentare, di candidarsi come campione. Gli aveva
offerto una possibilità, come se avesse dimenticata aperta la porta
delle buone occasioni. Era stato poi il Gargoyle a sceglierlo e
questo non dipendeva da Captatio, ma solo da lui e dalle sue qualità.
Il
ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso. «Grazie, signore».
Captatio
rispose dandogli un buffetto su una guancia. «Avanti Edmund, sono
sicuro che i Raloi avranno preparato una festa con i fiocchi in sala
comune. Sarebbe un peccato farli attendere!»
Edmund
dubitava fortemente che qualcuno avesse preparato una festa per lui,
ma dovette ricredersi quando, varcata la soglia della sala comune dei
Raloi, si ritrovò circondato da compagni ululanti. Erano stati
preparati degli striscioni verdi con incitamenti per il campione,
qualcuno aveva trafugato dalla cucina bevande, torte e tartine, dei
piccoli fuochi d'artificio del dottor Filibuster volteggiavano
sibilando per la stanza.
«Ben
fatto, Edmund!» esclamò Iulius, dandogli amichevoli pacche sulla
spalla.
«Complimenti!»
gli disse un tizio più grande del quale non sapeva nemmeno il nome,
stringendogli la mano.
«Un
campione Raloi, alla facciaccia delle altre case!» gridò Seamus, il
battitore della squadra, alzando il boccale verso il soffitto per un
brindisi.
Dopodiché
fu il turno di Peig Kenneth, una sua compagna del quarto anno, che
gli prese il viso tra le mani e gli schioccò un sonoro bacio sulla
guancia.
«E
questo cos'era?» domandò Edmund, preoccupato, guardandola con gli
occhi sgranati.
Peig
ridacchiò deliziata. «Il premio per il campione!»
E
non fu l'unica. Dopo di lei, anche la sua amica Ailis lo baciò, e
poi anche Beatrix Connery, e Era McKonnit, la battitrice della
squadra di Quidditch e poi una miriade di ragazze che non aveva
neanche mai visto.
Solo
quando riuscì a liberarsi dai festeggiamenti, raggiunse Mairead,
accoccolata su una poltroncina in un angolo a sorseggiare della
Burroguinness. Stava ridacchiando della sua faccia esasperata. «Non
ti aspetterai che ti baci anche io, vero?» gli domandò con un
sogghigno.
«No,
certo che no!» esclamò Edmund di getto. Però, forse, un pochino ci
aveva sperato. «Ne ho ricevuti abbastanza per una vita intera, di
baci» borbottò alla fine, per giustificarsi, lasciandosi cadere
sulla poltrona a fianco dell'amica.
«Come
ti senti?» gli chiese Mairead, porgendogli la sua Burroguinness.
Edmund
la prese e ne bevve un lungo sorso. «Un po' frastornato» rivelò
infine, con un sospiro.
«Sei
spaventato per la faccenda delle prove?» indagò la ragazza,
guardandolo di sottecchi. Sembrava aver intuito che, sotto l'euforia
per essere diventato campione, doveva nascondersi una certa
preoccupazione.
Edmund
le rivolse un sorriso tirato. «Un tantino» confessò in un
sussurro.
Mairead
allora gli afferrò la mano che teneva adagiata sul bracciolo della
poltrona e gliela strinse con forza. «Ed, qualsiasi cosa succeda,
puoi sempre contare su di noi» gli disse, rivolgendogli un sorriso
incoraggiante.
Edmund
annuì con riconoscenza. Quel semplice contatto con la mano sottile
di Mairead valeva più di mille baci.
Et
voilà! (sarà scritto giusto? Bah...)
Comunque,
avevo detto ad alcuni di voi che il modo in cui Edmund aveva superato
la linea d'età era piuttosto semplice, in verità... bastava solo
analizzare il problema da un'altra prospettiva! ;-)
Insomma,
avevate dei dubbi sul fatto che avrei fatto partecipare Edmund come
campione? Lui è... be', molto meglio di Connery o Deamundi! Certo,
si lamenta tanto della boria di Wedge ma neanche lui è da meno!
QUI,
tanto per cambiare, l'immagine del capitolo: i tre campioni,
ovviamente, con le rispettive divise scolastiche. È colorato a
matita perché io mando influssi negativi per cui ogni apparecchio
tecnologico più complesso di una calcolatrice (non scientifica) va
in palla quando entra in contatto con me. Per dirla semplice, il mio
tablet per disegnare è morto e defunto (e anche lo scanner, in
realtà... insomma, mi odiano tutti!). Per cui, tutti i prossimi
disegni saranno a matita! Abbiate pazienza!
Bene,
spero di avervi stupiti almeno un po' con questo capitolo. Alla
settimana prossima!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Il peso della fama ***
CAPITOLO
13
Il
peso della fama
Nelle
settimane successive, Edmund ebbe l'impressione che, dovunque
andasse, c'era qualcuno che lo seguiva con lo sguardo. A quanto pare,
anche i muri avevano imparato che lui era
Edmund-Burke-quarto-anno-Raloi-campione-troppo-giovane-ma-ugualmente-scelto-dal-Gargoyle.
E gli sembrava proprio che la gente avesse preso a fissarlo, come se
si aspettassero di vederlo compiere magie oscure e straordinarie da
un momento all'altro. Un giorno sentì un ragazzino dei Llapac che
spergiurava di averlo visto lanciare fiamme dalle dita.
«È
assurdo tutto questo!» sbottò Edmund un pomeriggio di metà
novembre, mentre sedeva in una delle aule studio per ripassare
Pozioni insieme a Mairead e Laughlin. Proprio in quel momento, alcune
ragazzine del primo anno che lo fissavano da parecchio tempo
distolsero lo sguardo con dei risolini imbarazzati.
«Ah,
la fama ha un prezzo!» recitò Laughlin, forse con un pathos
eccessivo. Scambiò un'occhiata eloquente con Mairead, poi i due
scoppiarono a ridere, facendo imbestialire ancora di più Edmund.
«Oh,
Burke, eccoti dov'eri!» esclamò Chaitaly, comparendo dal nulla.
«Ciao»
la salutò Laughlin, rivolgendole un sorriso luminoso.
«Oh,
ciao Laughlin» rispose Chaitaly e poi rivolse un cenno di saluto
anche a Mairead. La campionessa indiana aveva uno sguardo calamitante
e movenze aggraziate, che emanavano un fascino orientale. Non era
difficile capire perché Laughlin le sorridesse.
«Che
succede, Chaitaly?» domandò Edmund, chiudendo il libro di Pozioni.
«Il
professor Captatio ci sta cercando» spiegò la ragazza.
Edmund
ripose il libro in borsa con aria rassegnata, poi salutò gli amici e
fu costretto a seguire Chaitaly verso la presidenza.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Chaitaly si voltò verso Edmund con un
sorriso. «Sai, non è male il tuo amico» ridacchiò deliziata.
«È
il fascino del biondo» rispose saggiamente Edmund, quando ormai
erano arrivati davanti all'ufficio del preside. I due ragazzi
salirono la scala a chiocciola che portava allo studio del professor
Captatio e non furono affatto stupiti di trovarvi anche gli altri
presidi e Hewa Wedge. C'era anche un altro mago piuttosto anziano,
con due occhi grandi ma stranamente incolori e uno strano sorrisetto
che gli arricciava gli angoli della bocca.
«Ecco
qui i due ritardatari!» esclamò allegro Captatio. «Guardate cosa è
stato preparato per voi!» disse, mostrando loro un piccolo scrigno
di velluto con tre spille.
Tutte
e tre recavano la scritta “Campione”, ma Edmund immaginò che la
sua fosse quella al centro, perché aveva disegnato lo stemma del
Trinity College. Wedge afferrò con orgoglio quella a sinistra, con
uno stemma simile ad una bandiera e al centro un pugno nero.
Chaitaly, invece, prese quella a destra, sulla quale era raffigurato
un elefante bianco su sfondo azzurro. Solo quando gli altri campioni
si furono orgogliosamente appuntati la spilla al petto, Edmund si
rassegnò a prendere la sua. Captatio gli rivolse un'occhiata
divertita: evidentemente trovava la cosa particolarmente spassosa.
Edmund
sbuffò.
Fantastico.
Così, se qualcuno avesse avuto dubbi sul fatto che Edmund Burke era
il campione del Trinity, gli sarebbe bastato gettare lo sguardo sulla
spilla-a-prova-di-stupidi.
«Siete
davvero carini» ridacchiò il professor Captatio, osservandoli
insieme. «Comunque, questo è il signor Olivander, il fabbricante di
bacchette. Deve controllare che le vostre siano a posto prima che
cominci il Torneo» spiegò, indicando il mago anziano.
«Vogliamo
cominciare da lei, signor Wedge?» chiese l'uomo, facendosi dare la
bacchetta dal ragazzo di colore. La analizzò per qualche istante,
poi sussurrò: «Dodici pollici e mezzo, legno di baobab e piuma di
Fwooper, abbastanza rigida. Niente male».
La
agitò in aria e, pronunciando un incantesimo, rimise in ordine i
libri sparsi sulla scrivania del professor Captatio.
Il
preside ridacchiò. «Troppo buono, signor Olivander. Se vuole venire
più spesso a mettere in ordine» mormorò, dopodiché strizzò
l'occhio in direzione di Edmund, che represse una risatina.
«La
bacchetta è in buone condizioni» decretò il signor Olivander,
ignorando completamente la battuta di Captatio e restituendola a
Wedge. «Signorina Hiranmay?»
Chaitaly
porse al mago la sua bacchetta, che era decorata da riccioli di legno
e aveva incastonata sul fondo una pietra azzurra. Nel complesso era
aggraziata, perfetta per la sua padrona.
«Mmmm...
dieci pollici e mezzo, legno di betulla e pelo di Demiguise,
piuttosto flessibile. Interessante» commentò il signor Olivander,
pensieroso. «È in grado di rendersi invisibile, vero?»
«Sì,
signore» rispose Chaitaly, nascondendo perfettamente il suo
compiacimento. «È per questo che ha quella pietra sul fondo: se
desidero nascondere la mia bacchetta, essa si rende invisibile e
l'unica cosa che rimane è l'acquamarina».
«Un
oggetto magico molto raro, almeno quanto il pelo di animale che
contiene. Di solito il manto dei Demiguise viene filato per fare i
mantelli dell'invisibilità» commentò il signor Olivander,
visibilmente colpito.
«Appartiene
alla mia famiglia da secoli» spiegò Chaitaly, con un certo
orgoglio.
L'anziano
mago la agitò in aria, sussurrando: «Avio» e una mancata di
canarini gialli riempì lo studio di Captatio. «In ottime
condizioni» appurò soddisfatto, restituendola a Chaitaly.
Infine,
il signor Olivnder si voltò verso Edmund. «Signor Burke, il più
giovane campione» disse l'uomo, facendosi avanti con quei suoi
inquietanti occhi color dell'argento. Sembrava che volesse studiarlo
come una cavia da laboratorio. «A lei, ora».
Edmund
estrasse la sua bacchetta di tasca con riluttanza: non gli piaceva
per nulla quel tizio.
Il
signor Olivander osservò la bacchetta per qualche attimo. «Un
lavoro di O'Tunnel, vero?» domandò, ma non attese una risposta.
«Non lavora male, ma ovviamente il suo giro è limitato ai clienti
irlandesi. Nessun altro potrebbe accettare bacchette con anima di
piume di Augurey» borbottò, come se i presenti fossero interessati
alla conversazione. «Comunque, signor Burke, tredici pollici, legno
di abete e crine di Kelpie, rigida. Un bel lavoro, non c'è che dire,
ma di solito il crine di Kelpie, per la natura ingannevole
dell'animale, viene usato per bacchette molto potenti ma
particolarmente volubili. Deve avere un cuore saldo per dominarla...»
Il
signor Olivander la agitò nell'aria pronunciando un semplice
incantesimo che fece sbucare un fazzoletto rosso dalla punta della
bacchetta. Poi tornò a fissare Edmund con quei suoi occhi velati.
«...
o rischia di essere sopraffatto dal suo devastante potere» concluse,
restituendo la bacchetta al suo proprietario.
Edmund
la afferrò saldamente e fissò il mago dritto negli occhi. «Non
tema, ne farò buon uso».
La
mattina della prima prova, Mairead si svegliò piuttosto presto, ma
di Edmund non c'era già più traccia, né in sala comune né in Sala
Mor. Probabilmente la tensione lo aveva indotto a cercare di evitare
i compagni prima della sua prova.
Quando
Mairead scese per fare colazione, comunque, molti studenti erano già
in piedi, perché nessuno voleva perdersi lo spettacolo. Mairead
bevve in silenzio il suo latte, ascoltando i discorsi dei suoi
compagni Raloi Iulius e Anneus, che stavano ipotizzando in che cosa
consistesse la prova. Anneus sembrava più che convinto che si
trattasse di dover affrontare creature pericolose come dullahan o
cose del genere.
«Se',
draghi adesso!» sbottò Iulius, dopo l'ennesima ipotesi folle
dell'amico. «Ma ti pare che possano prevedere delle prove così
pericolose?»
Finita
colazione, Mairead lasciò i suoi compagni a discutere e si avviò
verso l'ingresso, per cercare di intercettare Laughlin. Lo dovette
aspettare quasi per mezz'ora, tanto che ormai quasi tutti gli
studenti si stavano dirigendo verso il luogo dove si sarebbe svolta
la prova.
«Laugh!
Muoviti!» gli strillò contro, quando lo vide arrivare insieme a
Dominique con tutta calma.
«Sì,
sì, dammi almeno il tempo di fare colazione!» replicò Laughlin,
con uno sbuffo.
«Veloce,
però!» gli concesse Mairead, ben sapendo quando fosse importante il
primo pasto della giornata per il suo amico. Nel frattempo, si
sedette sui gradini ad aspettali, osservando le persone che passavano
dirette verso l'esterno.
«Ehi,
Faonteroy!» chiamò Mairead quando vide il cugino.
Il
ragazzo si fermò più per buona educazione, che per reale intenzione
di conversare con l'esuberante Raloi. Si era addirittura presa la
libertà di salutarlo quando si incontravano per i corridoi! Senza
nemmeno chiedergli il permesso!
«Ehi,
perché non vieni con me ad assistere alla prima prova?» gli chiese
Mairead con un grosso sorriso.
«Credo
che sarebbe più conveniente restare divisi per casa» replicò
Faonteroy, in tono diplomatico.
«Non
dire scemenze!» lo rimbeccò Mairead. «Aspettiamo Laughlin e
Dominique e poi andiamo tutti assieme».
Faonteroy
soffocò una protesta: aveva realizzato da tempo che era
perfettamente inutile ribellarsi alla volontà di Mairead. Mugugnò
qualcosa, ma alla fine accettò di andare insieme ad assistere alla
prova. Dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse, come
sovrappensiero: «È un tipo strano, sai, il tuo amico Maleficium.
Voglio dire, è un nobile ma non si comporta come tale».
«Laughlin
è un grande!» replicò Mairead, con convinzione. «Ha imparato da
suo padre a non andare in giro a vantarsi per quello che è; lui è
nobile qui» e con queste parole sfiorò con l'indice il petto di
Faonteroy, proprio all'altezza del cuore. «Questa è la vera
nobiltà, cugino. Tienilo sempre a mente».
Faonteroy
osservò per qualche momento la mano di Mairead, ancora poggiata sul
suo petto, poi annuì. Era ancora troppo piccolo per capire quelle
parole, ma le aveva interiorizzate e, anche se non poteva saperlo,
presto o tardi gli sarebbero tornate utili.
«Ehilà!»
esclamò Laughlin, sopraggiungendo proprio in quel momento insieme a
Dominique. Mairead si alzò da terra e i quattro ragazzi si unirono
alla colonna di gente che usciva da scuola.
«Padre
Rafael, buongiorno!» salutò Dominique, quando riconobbe il
cappellano del Trinity che sbucava dalle scale che conducevano ai
sotterranei.
«Buongiorno
a voi, ragazzi» rispose il mago, con un sorriso sincero.
«Viene
anche lei ad assistere alla prima prova?» domandò educatamente
Laughlin.
«Non
posso certo perdermi un evento del genere» rispose il prete,
allegro. Poi i suoi occhi saettarono su Faonteroy, che si trascinava
apatico dietro a Mairead. «Ah, O'Brian. Sei il figlio di
Teudilascius, non è vero?» gli chiese.
«Sì,
signore» rispose Faonteroy, felice che qualcuno riconoscesse le sue
origini nobili.
Padre
Rafael sogghignò. «Conoscevo tuo padre. A scuola noi eravamo...»
soppesò per un attimo le parole più adatte, infine scelse per un:
«...buoni amici».
Sorrise.
«A parte forse per quell'episodio increscioso in cui gliele diedi di
santa ragione...» soggiunse poco dopo, come ripensandoci. «Ma
quella volta se le era proprio meritate».
Faonteroy
inorridì di fronte alla prospettiva che qualcuno avesse malmenato
suo padre. Alla Babbana. E quel qualcuno ora era un prete che
ricordava l'accaduto con un sorriso divertito, come se parlasse delle
sue ultime vacanze. Era estremamente imbarazzante.
«Ma
fu appunto... un episodio» esclamò allegro padre Rafael. «Per il
resto, ottimi amici. A parte, forse, quando la fidanzata del mio
amico Reammon aggredì a tradimento quella di tuo padre perché era
gelosa di lei, o quando, durante una lezione di Cura delle Creature
Magiche gli feci ingoiare una lumaca carnivora che quasi lo
strangolò» il prete si interruppe per una frazione di secondo. «Ma
anche quella volta se l'era meritata» sentenziò infine, con un
sorriso soddisfatto.
Faonteroy,
in compenso, era sempre più inorridito, gli occhi verdi sgranati
verso il cappellano, la bocca semiaperta.
«Oh,
be', bei tempi!» mormorò nostalgico padre Rafael. «Salutamelo
tanto, eh!» soggiunse poco dopo, con una pacca sulla spalla di
Faonteroy. Infine rivolse a tutti un gran sorriso e si affrettò a
raggiungere il professor Saiminiu che stava passando proprio in quel
momento.
Ci
fu un attimo di silenzio. E poi Faonteroy, inorridito, realizzò:
«Mio padre era oggetto di bullismo a scuola».
«Ma
no!» cercò di rincuorarlo Mairead, passandogli il braccio intorno
alle spalle. «E tu, comunque, non ti devi preoccupare: puoi sempre
contare sulla tua cuginona!» aggiunse, con una strizzata d'occhio.
Faonteroy
si irrigidì, incerto se essere più inorridito dalla possibilità di
essere aggredito da qualche bullo o dall'offerta di aiuto
dell'esuberante cugina.
Laughlin,
nel vedere la sua smorfia allarmata, sogghignò. «Forza, ora,
muoviamoci, o la prova comincerà senza di noi».
E
i quattro ragazzi attraversarono insieme il grande portone d'ingresso
della scuola.
Ecco
qui, un capitolo un po' di passaggio, in realtà!
Però,
devo ammettere, mi sono divertita un sacco a improvvisarmi
fabbricante di bacchette! Ho scelto il legno con cognizione di causa:
baobab per Wedge perché è una pianta tipicamente africana, betulla
per Chaitaly perché il suono di questa parola mi sembra aggraziato
(lo so, è una cosa stupida, ma mai sottovalutare il potere delle
parole!) e abete per Edmund perché è un albero che mi piace (e mi
pare fosse lo stesso della bacchetta della McGranitt, quindi
particolarmente inclinata alle trasfigurazioni!). Quanto agli
animali, mi sono ispirata al libro “Animali fantastici: dove
trovarli”; li ho scelti in base alla terra di appartenenza dei
campioni e poi ho cercato di far corrispondere ad ogni bacchetta
delle particolari caratteristiche legate all'animale. Qui l'articolo
che si trova in internet sui Kelpie, qui quello sui Demiguise (o Camufflone in alcune versioni), qui
quello sui Fwooper.
QUI,
invece, il disegno delle spille-a-prova-di-stupidi di ciascun
campione (così vedete gli stemmi delle varie scuole!).
Quanto
a Faonteroy, ve l'avevo detto che Mairead l'avrebbe tartassato per
bene! Povero, mi fa quasi pena! ^^ Ovviamente, le disavventure di cui
parla padre Rafael sono le stesse di “Vita da Fuorilegge”, più
qualche new entry (quella della lumaca carnivora!). Per chi non
avesse letto l'altro racconto, be'... padre Rafael non era proprio un
tipino tranquillo da ragazzo! XD
Ok,
basta con queste chilometriche note d'autore! Alla prossima!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** La paura della solitudine ***
CAPITOLO
14
La
paura della solitudine
La
mattina della prima prova Edmund si svegliò talmente presto che
fuori era ancora completamente buio. Aveva dormito male, continuando
a svegliarsi e rigirarsi nel letto, con lo stomaco in gola.
Razionalmente cercava di calmarsi, dicendo a se stesso che la prova
non poteva rivelarsi nulla di così tragico, ma il suo corpo aveva
smesso di obbedirgli: non poteva impedire al suo cuore di battere
all'impazzata o al suo stomaco di contorcersi in modo innaturale.
Dopo
aver affondato la testa sotto il cuscino per almeno dieci minuti,
nella speranza di riaddormentarsi, si rassegnò ad alzarsi.
Approfittò dell'ora mattutina per fiondarsi a fare una doccia
bollente senza nessuno in giro, cercando di rilassarsi. Dopo aver
indossato divisa e mantello e aver appuntato la spilla al petto, si
diresse verso la Sala Mor, anche se, in realtà, il solo pensiero di
fare colazione gli faceva venire l'urto del vomito: il suo stomaco
era accartocciato su se stesso. Rimase seduto sulla panca a fissare
il suo toast con la marmellata per almeno dieci minuti, mentre gli
studenti più mattinieri cominciavano a riempire la sala. Parecchi
lanciavano sguardi divertiti a Edmund, che realizzò di dover avere
una gran brutta cera.
«Ehi,
Burke! Hai ingoiato cacca di Thestral o quella è proprio la tua
faccia?» sghignazzò Ailionora Diablaiocht, entrando in sala,
spalleggiata come sempre dai suoi amici Leida O'Hara e Finan Best.
«No,
sai... è che non sei una bella visione di prima mattina,
Diablaiocht» rispose Edmund con sagacia, strappando qualche risatina
ai compagni Raloi. Dopodiché si alzò da tavola e lasciò la Sala
Mor senza nemmeno aver toccato il suo toast. Sapeva che fra qualche
ora il suo stomaco si sarebbe ribellato, ma ora era decisamente
sull'orlo di una crisi di nervi.
Quando
uscì dalla scuola per raggiungere lo spiazzo a fianco del campo da
Quidditch, capì subito che c'era qualcosa che non andava. Da quando
in qua, in quel prato c'era una foresta? A dir la verità, era sempre
stata una zona piuttosto spelacchiata. Ma, soprattutto, com'era
possibile che quel bosco fosse cresciuto in una sola notte? Doveva
essere il risultato di una qualche magia.
«Inquieta,
non è vero?» domandò Chaitaly, sopraggiunta alle sue spalle
proprio in quel momento.
Edmund
annuì, troppo agitato per parlare. Quella foresta incantata doveva
sicuramente avere qualcosa a che fare con la prima prova. I due
ragazzi si scambiarono un'occhiata, poi insieme si diressero verso il
padiglione che era stato eretto poco fuori dall'entrata del bosco.
Quando
entrarono, vi trovarono solo il preside Singh che fumava placidamente
una lunga pipa. «Siete in anticipo, ragazzi» li salutò, con
tranquillità. Sembrava perfettamente imperturbabile. Anche se,
ragionò Edmund, non era lui che stava per sostenere una prova.
I
due campioni si sedettero sulle panchine ad attendere gli altri,
troppo tesi per parlare. La presenza del preside Singh e della sua
aurea di tranquillità, inizialmente, fu confortante, ma poi divenne
quasi snervante: possibile che nulla potesse turbarlo? Edmund avrebbe
preferito sfogarsi, invece che sopportare quella silenziosa serenità.
Per
fortuna, dopo circa tre quarti d'ora arrivarono anche gli altri e il
padiglione divenne un po' più movimentato. Captatio era allegro ed
eccitato: sembrava un bambino che non vedeva l'ora di provare il suo
nuovo giocattolo. «Allora, ragazzi!» esclamò, richiamando
l'attenzione dei tre campioni. «La prova che dovrete affrontare è
molto semplice: attraversare la foresta, recuperare il piccolo
scrigno che si trova nella radura al centro e uscirne indenni. Il
primo ad arrivare otterrà un punteggio più alto. Semplice, no?»
Edmund
lanciò una veloce occhiata a Chaitaly e capì che anche lei
sospettava che ci fosse sotto qualcosa di più.
«Nella
foresta, sarete seguiti da degli Argo» aggiunse Mama Hope, estraendo
da un sacchetto di pelle tre sofisticati macchinari d'argento.
«Strumenti
per catturare maghi oscuri?» borbottò Edmund, convinto che fosse
un'esagerazione. Aveva letto di quei macchinari in un libro che
parlava degli Auror: erano specie di sfere argentate che rilevavano
tutto ciò che avevano intorno e ricreavano le stesse immagini su un
disco a specchio appoggiato in terra, come degli ologrammi. Di solito
venivano camuffati e messi alle calcagna di sospettati. La cosa gli
sembrava decisamente eccessiva.
«È
per la vostra sicurezza» spiegò il professor Capatio, regolando i
tre Argo perché ognuno seguisse un campione. «Comunque, per
qualsiasi problema, sparate in aria scintille rosse e saremo subito
da voi».
Captatio
rivolse a tutti loro un sorriso incoraggiante, poi li fece
posizionare al limite della foresta, distanti ciascuno una decina di
metri. «Noi vi attendiamo dall'altra parte del bosco. Quando sentite
il fischio, partite» spiegò. «Buona fortuna a tutti!» e con un
ultimo occhiolino rivolto a Edmund, si affrettò a seguire i suoi
colleghi verso la carrozza che li avrebbe portati alla tribuna.
Edmund
era stato posizionato per ultimo sul lato destro. Lanciò una veloce
occhiata a Chaitaly, alla sua sinistra, che gli rivolse un sorriso
teso. Circa cinque minuti dopo, si sentì un fischio penetrante
provenire da qualche parte più a est. I tra campioni si gettarono a
capofitto nel bosco. Nel frattempo, la mente di Edmund fece dei
rapidi calcoli: se la carrozza ci aveva impiegato poco meno di cinque
minuti, con una velocità media di 20 km all'ora, la foresta doveva
essere lunga tra i due e i tre chilometri. Ci sarebbe voluta quasi
un'ora per attraversarla tutta.
Per
i primi metri, gli alberi erano abbastanza radi e lasciavano filtrare
raggi di luce, tanto che riusciva perfettamente a scorgere la sagoma
di Chaitaly che procedeva con la bacchetta levata davanti a sé.
Ma
dopo pochi minuti di cammino, il sottobosco divenne fitto, i rami
degli alberi intricati e nodosi, le radici sporgenti. L'ambiente si
trasformò in uno scenario cupo, in cui la luce faticava a penetrare.
Edmund cominciò ad agitarsi, la mano sudaticcia che stringeva
convulsamente la bacchetta. Non si sentiva nessun verso di animale,
nessun suono, se non il tranquillo pigolare del suo Argo e lo
scricchiolare dei rami e delle foglie cadute sotto i suoi piedi.
L'umidità era talmente perforante che sembrava di sentirla fin
dentro alle ossa. Edmund si strinse nel mantello di lana per
ripararsi dal gelo. Il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore
davanti ai suoi occhi e nonostante cercasse di inumidire le labbra
con la lingua, gli bruciavano e gli si screpolavano per il freddo.
Procedette
per parecchio tempo nel silenzio più assoluto, con il suo battito
cardiaco accelerato come unica compagnia. Aveva i nervi a fior di
pelle, pronto a scattare di fronte a qualsiasi evenienza. Possibile
che non ci fosse nulla di mostruoso? Avrebbe preferito affrontare uno
stormo di draghi, piuttosto che restare lì sospeso in quell'oscura
foresta, ad attendere chissà cosa.
Improvvisamente
un qualcosa di bagnato piombò in testa a Edmund, che scattò come se
avesse visto un Gramo e sollevò in alto la bacchetta.
Pioggia.
Era solo pioggia: dei grossi goccioloni di acqua, che erano riusciti
a trapassare la coltre fitta di rami, piovevano placidi dal cielo.
Calmati,
Edmund, calmati. si disse il ragazzo, prendendo dei lunghi
respiri. Rimase immobile per qualche secondo, lasciando che la
pioggia gli bagnasse il viso, nel tentativo di tranquillizzarsi. D'un
tratto gli venne una terribile voglia di piangere, ma si trattenne
ricordandosi che tutti lo stavano guardando grazie ad Argo.
Avanti,
sei un coraggioso Raloi o sei un pisciasotto? cercò di
convincersi Edmund. In quel momento si sentiva più un pisciasotto,
in realtà. Si calò il cappuccio sul capo e cercò di distinguere le
sagome degli alberi davanti a sé, ma con la pioggia la foresta era
diventata ancora più spettrale. «Lumus» sussurrò, nel
tentativo di farsi un po' di luce.
Procedette
a casaccio nel bosco per ancora qualche metro, quando sentì un
rumore improvviso alle sue spalle. Si voltò di scatto con la
bacchetta levata pronta a colpire, ma si fermò appena in tempo: la
figura di Chaitaly, imbacuccata in uno scialle, era appena comparsa
tra due alberi.
«Santo
folletto, Chaitaly, mi hai quasi fatto venire un infarto!» sbottò
Edmund, abbassando la bacchetta, visibilmente rincuorato.
L'adrenalina si sciolse in un attimo e gli venne l'irrefrenabile
impulso di svuotare la vescica. Stupidi bisogni fisiologici!
pensò contrariato, reprimendo una smorfia.
«Scusami,
Edmund» mormorò Chaitaly, in tono flebile. A giudicare dalla sua
voce, lei si che doveva aver pianto. «Io vado di là, ok?»
soggiunse e con quelle parole sparì nel folto del bosco.
Edmund
sospirò. Non c'era nulla di pericoloso in quella maledetta foresta,
ma erano tutti terribilmente spaventati. Come se avessero paura della
paura stessa. Quando aveva riconosciuto Chaitaly si era sentiti
rinfrancato, perché la sua vicinanza gli aveva ricordato che non era
solo, ma ora che lei era sparita, il suo cuore nuovamente atterrito
aveva ricominciato a battere all'impazzata.
Deglutì.
Buio, pioggia e silenzio.
Avanti,
doveva trovare quel maledetto scrigno. Cercò di vincere la paura con
dei ragionamenti logici: non c'era nulla da temere, era solo frutto
della sua immaginazione. Tutto era dato dal fatto che, in qualsiasi
cultura del mondo, le foreste avevano una pessima fama: lupi mannari,
ragni giganti, spiriti dei morti, ogni sorta di pessima creatura
viveva in un bosco. Era la foresta stessa a fare paura. Ma non c'era
nulla di pericoloso.
Vano
tentativo. Il suo corpo aveva ormai smesso di rispondere ai suoi
ordini: lo stomaco contratto, il cuore che batteva a mille, la
vescica che premeva... sospirò. Poteva dire di essere completamente
terrorizzato.
E
poi accadde. Un rumore, alle sue spalle, qualcuno che si stava
muovendo. Agì d'impulso. «Stupeficium!» gridò puntando la
bacchetta a casaccio.
«Impedimenta!»
E
un raggio di luce gli sfiorò l'orecchio.
Ma
aveva riconosciuto la voce che aveva lanciato l'incantesimo.
«Chaitaly, fermati, sono io!» gridò preparandosi a parare con un
sortilegio scudo, se fosse stato necessario. Per fortuna la ragazza
indiana lo sentì e abbassò la bacchetta. Edmund le rivolse un
sorriso tirato. «È meglio se non ci incontriamo più, o finiremo
per ammazzarci» buttò sul ridere.
«No!»
strillò Chaitaly, con la voce rotta dall'ansia. «Ti prego, non mi
lasciare!»
«Cosa?»
Chaitaly
represse un singhiozzo. «Io... non ce la faccio ad andare avanti, ma
non voglio ritirarmi. Ti prego, non mi lasciare qui» mormorò,
mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Edmund
sapeva che non avrebbe dovuto darle retta, perché erano avversari e
stavano gareggiando uno contro l'altra, ma Chaitaly sembrava sul
punto di avere una crisi di panico. E non ebbe il cuore di lasciarla
lì. Fece la cosa più spontanea che gli venne in mente: allungò il
braccio verso di lei e le rivolse un sorriso incoraggiante. «Forza,
su, dammi la mano».
Chaitaly
si lasciò sfuggire un sospiro. Poi si asciugò velocemente le
lacrime e afferrò la mano che le veniva offerta. «Grazie» mormorò
con un cenno del capo.
Edmund
non era affatto sicuro che quello fosse permesso. Insomma, erano
sfidanti! Eppure la mano fredda e sottile di Chaitaly stretta nella
sua lo rassicurava e gli infondeva forza, non perché lei
rappresentasse in qualche modo una difesa, ma più che altro per il
fatto che la sua presenza faceva scivolare lontano la sciocca paura
della foresta. Era meglio affrontarla in due.
Insieme
raggiunsero indenni la radura al centro del bosco. Tre piccoli
scrigni erano stati adagiati ai piedi di un grosso salice.
«Cielo,
siete campioni, non una coppia di fidanzatini!»
Edmund
si girò con la bacchetta ritta davanti a sé: Hewa Wedge era appena
giunto alla radura e aveva un ghigno di scherno stampato in faccia.
Edmund lasciò immediatamente la mano di Chaitaly, come se fosse
stato colto in flagrante a compiere qualche orribile delitto.
«Puoi
giocare al grande campione quanto vuoi, Burke, ma non mi inganni: sei
solo un ragazzino e non riuscirai a vincere» decretò Wedge,
chinandosi a prendere lo scrigno con lo stemma della sua scuola
stampato sul coperchio.
«Lo
vedremo» rispose Edmund, con astio.
Ma
proprio in quel momento il salice tremò e uno dei suoi rami piombò
a terra, ad un soffio dal naso di Wedge. Chaitaly strillò e Wedge si
scansò di lato appena in tempo per evitare un secondo colpo. Ma poi
un ramo più sottile frustò l'aria e si attorcigliò attorno alla
caviglia del nero, sollevandolo da terra a testa in giù di un paio
di metri.
Edmund
agì d'impulso: qualcuno era in pericolo. Alzò la bacchetta e gridò:
«Recido!»
L'incantesimo
colpì in pieno il ramo del salice, che si tagliò di netto, facendo
crollare malamente a terra Wedge. Ma il ragazzo non perse tempo: si
mise sotto braccio il suo scrigno e si allontanò velocemente
dall'albero.
Edmund
rimase immobile a fissarlo. Si aspettava almeno un “grazie” per
averlo salvato. La sua attesa, però fu mal ricompensata. Invece di
ottenere i ringraziamenti dell'avversario, restò fermo troppo a
lungo e un grosso ramo del salice lo frustò in piena faccia.
Il
dolore fu accecante. Edmund boccheggiò, indietreggiando di qualche
passo, mentre gli occhi cominciavano a lacrimare involontariamente.
Si portò una mano al volto e si tastò naso e bocca, ma quello che
vide non gli piacque per niente: la mano era inzuppata di sangue,
molto sangue. Il suo sangue. «Ahi» mugugnò, mezzo
tramortito dal colpo.
Dopodiché
un altro ramo gli si arrotolò intorno alla vita e lo strattonò via
da terra.
«Ci
vediamo, pivello!» sghignazzò Wedge, dandosela a gambe.
«Edmund!»
esclamò invece Chaitaly.
«Aiutami!»
biascicò Edmund, con la voce mozzata per quel maledetto ramo che gli
stritolava i polmoni. Lui l'aveva aiutata, prima, nel bosco. Sperava
che fosse un tantino più riconoscente di quell'idiota di Wedge.
Nel
vedere il compagno in difficoltà, Chaitaly ritrovò la sua
determinazione. «Incendio!» strillò e dalla sua bacchetta
si sprigionò un getto di fuoco. L'albero si ritrasse al contatto con
le fiamme, lasciando cadere Edmund a terra.
Il
ragazzo aveva i senti un po' intontiti, ma riuscì a mormorare:
«Accio scrigni» e i due bauletti gli piombarono in pancia.
«Ohi» mormorò, con il fiato mozzo, trascinandosi lontano dalla
portata del salice. Chaitaly, nel frattempo, copriva la sua ritirata,
spedendo vampate di fuoco contro i rami che osavano avvicinarsi a
loro. Solo quando furono entrambi sufficientemente lontani, Edmund si
concesse di riprendere fiato. Sentiva in bocca sapore ferroso del
sangue e aveva la vista annebbiata. Oltre al fatto che sentiva dolore
su tutta la faccia.
«Edmund,
è meglio se ci muoviamo» lo richiamò Chaitaly, cercando di
aiutarlo ad alzarsi da terra. Il ragazzo era un po' intontito e
dovette appoggiarsi all'avversaria per restare in piedi. Chaitaly
avrebbe anche potuto abbandonarlo lì, come aveva fatto Wedge, ma non
le sembrava giusto. Era vero, erano sfidanti, ma lui l'aveva aiutata
prima e doveva ricambiare il favore. «Forza, muoviamoci, prima che
mi muori dissanguato» tentò di scherzarci sopra.
«Grazie
Chaitaly» mormorò Edmund, con un sorriso confuso. «Non ce l'avrei
mai fatta senza di te».
Chaitaly
annuì. «Nemmeno io ce l'avrei fatta, senza di te, prima» confessò,
sistemando meglio il suo braccio intorno alla vita di lui.
E
poi, insieme, si avviarono verso l'uscita del bosco.
Quando
finalmente videro che gli alberi si stavano diradando, tirarono un
sospiro di sollievo. O meglio, Chaitaly se ne accorse e cercò di
farlo notare anche a Edmund, che pareva vagare in un altro mondo.
«Siamo quasi fuori, forza!» lo incoraggiò. Man mano che
procedevano, si udivano sempre più chiaramente le grida degli
spettatori che si trovavano sulla piccola tribuna coperta, allestita
per l'occasione.
Quando
i due ragazzi sbucarono dal folto della foresta, furono accolti da
un'ovazione. I presidi, insieme alla O'Gara e a Diablaiocht, erano
posizionati dietro al tavolo dei giudici, proprio davanti alla
tribuna; ai loro piedi i tre dischi degli Argo. A fianco di Mama
Hope, se ne stava Wedge con un'aria trionfante stampata in faccia. I
due Argo che ruotavano ancora intorno ai campioni si spensero e le
rispettive figure sul disco d'argento sparirono. Una donna grassoccia
con un vestito bianco da infermiera si fece loro incontro per
soccorrere Edmund. Lo trascinò in un piccolo gazebo che era stato
adibito a pronto soccorso. Il ragazzo, troppo intontito per
protestare, la lasciò fare.
«Dimmi
che gusto c'è a mettere la gente in pericolo e poi guardarla mentre
si fa male!» borbottò la donna fermando con un incantesimo il
flusso di sangue che gli usciva dal naso.
«Sono
stato ganzo, eh?» biascicò Edmund, con un mezzo sorriso.
«Oh,
sia zitto signor Burke. Lei è sempre in mezzo ai casini, quando
accadono!» replicò l'infermiera Flanders: quattro anni che
conosceva Burke, quattro anni che si cacciava nei guai insieme ai
suoi due amici. Prima quella storia della Lancia di Lugh, poi la
setta degli Eletti e l'anno scorso, addirittura, gli avevano portato
in infermeria Maleficium schiantato. Santi numi, un po' di
decenza!
Il
sorriso di Edmund si allargò. «Sono io che li creo, i casini».
Ma
le parole che il professor Captatio stava rivolgendo al pubblico
richiamarono la sua attenzione. «Silenzio, silenzio per favore!»
ordinò il preside, per acquietare gli animi.
«La
prova era individuale, Caius!» sbottò una voce profonda, che Edmund
identificò come quella di Mama Hope. «Il tuo campione avrebbe
dovuto abbandonare Hiranmay fin da subito!»
Ahi,
le cose si stavano mettendo male.
«Ti
ricordo, cara Mama Hope, che se Burke avesse abbandonato la mia
Chaitaly, non avrebbe nemmeno dovuto aiutare Wedge, quando è stato
colpito dal salice» intervenne saggiamente il preside Singh, sempre
con quella sua aria pacata. «E poi, da quando l'altruismo è
considerato un difetto?»
«Sono
nei guai, eh?» bofonchiò Edmund, rivolto all'infermiera Flannery.
«Se
non te ne stai zitto, ora, ti rifilo un sonnifero!» sbottò la
donna, ficcandogli una pallina di cotone per narice.
Edmund
mugugnò qualcosa, ma capì che non era il caso di infierire. Lo
sguardo gli cadde quasi per caso sul piccolo scrigno, abbandonato
sulla panca affianco a lui. Approfittò del momento in cui
l'infermiera si girò per recuperare i medicinali, e si gettò sullo
scrigno. «Alohobora»
borbottò a fatica, per via del naso tappato. Il bauletto si aprì
ugualmente. Dentro, era arrotolato un piccolo foglio di pergamena.
Edmund lo afferrò, lo stese, e lesse le seguenti parole:
Se
nel vuoto ti dovessi tuffare
per
dimostrare valore e coraggio,
rifletteresti
su ogni passaggio
e
l'ingegno tu dovresti affinare.
Forza
campione, hai da dimostrare
a
ogni persona quanto sei saggio!
Vorresti
forse subire l'oltraggio,
o
codardo, di cadere nel mare?
Dove
la terra finisce nel nulla,
una
ferita nel fianco la spacca,
là,
dove la nuda terra è più brulla.
Entra
nell'antro prima della risacca,
non
credere ad immagine fasulla
e
torna con d'oro piena la sacca.
Non
gli ci volle molto per riconoscere la forma del sonetto, come quelli
di Shakespeare che una volta aveva letto all'orfanotrofio.
Che
cosa diavolo voleva dire?
Ecco
qui la famigerata prima prova! No, non sono pazza... lo so, non
succede nulla di pericoloso! Ma, vedete, mi sono ispirata un po' a
Star Wars (Episodio V, quando Luke viene invitato da Yoda ad andare
in quel punto della foresta dove il Lato Oscuro della Forza è
potente), un po' ad un libro che ho letto tempo fa. Non vi dico di
che libro si tratta, se no scateno pregiudizi riguardo all'autore
(no, non è Moccia, non temete!), ma vi rivelo che ad un certo punto
si parlava della paura più grande dell'uomo e l'autore sosteneva che
fosse essenzialmente la paura della solitudine (e della morte, che
altro non è che l'eterna solitudine). Per questo il bosco spaventa
così tanto i bambini: perché sono da soli! Lo spiegherà anche
Captatio a Edmund fra un paio di capitoli.
QUI
l'immagine di una foresta che mi ha aiutato molto nella stesura del
capitolo, mentre QUI il disegno fatto da me medesima (non è un gran
che, ma i mezzi tecnologici che ho sono quelli che sono!).
La
frase sbruffonissima che Edmund dice alla povera infermiera (“Sono
io che li creo, i casini”) è un omaggio alla frase detta da Harry,
l'eroe-dal-cuore-puro (“Non vado in cerca di guai, di solito sono i
guai che trovano me”), giusto per farvi notare quanto i due
protagonisti siano differenti! Aahahah!
Infine,
sì, il sonetto l'ho scritto io. Endecasillabi rimati, una vera
figata detta così, un incubo da scrivere. Abbiate pazienza, non sono
Dante! C'è anche un dodecasillabo da qualche parte perché non sono
proprio riuscita a ridurlo, ma non lo scoverete, tanto... quindi non
vi dico qual è! XD
A
martedì prossimo!
B.B.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** I doveri di un Campione ***
CAPITOLO
15
I
doveri di un campione
Il
sonetto ritrovato dentro lo scrigno, si rivelò essere un indizio per
la seconda prova. Dopo un buon quarto d'ora di discussioni, i presidi
chiamarono davanti a sé i campioni per annunciare il punteggio. Ogni
giudice poteva dare al massimo dieci punti, per un totale di
cinquanta. Wedge, essendo riuscito ad uscire per primo, ottenne la
votazione più alta, di 43 punti. Chaitaly, invece, ottenne un
punteggio piuttosto basso, di 34 punti: probabilmente avevano
penalizzato la sua paralisi nella foresta.
Quando
fu il turno di Edmund, il ragazzo capì che si sarebbe ritrovato in
fondo alla classifica. Mama Hope alzò la bacchetta al cielo e ne
fuoriuscì un misero cinque. Alcuni fischi acuti partirono dalle
tribune, ma la preside li ignorò. Captatio, invece, spedì in alto
un bel nove, con una strizzata d'occhio. Il preside Singh gli diede
un otto, evidentemente per premiare il suo aiuto nei confronti degli
altri due campioni, anche quando avrebbe potuto benissimo
abbandonarli a loro destino. Fu poi il turno della O'Gara che, con
aria stizzita gli assegnò un sei. Il peggio, però venne da
Diablaiocht, che, con un ghignettò di sfida, gli rifilò un quattro,
causando grida di protesta da parte degli studenti del Trinity.
«Buoni,
buoni» cercò di tranquillizzarli il professor Captatio, sorridendo
bonario. «Ora, campioni, dentro lo scrigno c'è un indovinello:
risolvetelo e avrete degli indizi su come affrontare la seconda
prova, che si terrà il 24 di febbraio» spiegò il professore.
Portandosi
le mani al viso per sfregarsi gli occhi, Edmund notò che aveva
ancorai i due tamponi di cotone nel naso. Se li levò in tutta
fretta, ben sapendo che doveva avere proprio l'aria da idiota.
Fantastico,
ultimo in classifica e tre mesi per decifrare un sonetto. Il suo
inverno si sarebbe rivelato piuttosto intenso.
Quella
sera, in sala comune dei Raloi, era stata organizzata un'altra festa
per il campione del Trinity. Qualcuno aveva appeso al muro una
gigantografia di Scipio Diablaiocht, che li squadrava con astio: il
divertimento maggiore era quello di lanciargli contro freccette
infuocate per riuscire a prenderlo prima che si scansasse.
Edmund
tuttavia era parecchio stanco, perché l'adrenalina che lo aveva
sostenuto durante la prova, abbandonandolo di colpo, lo faceva
sentire come se avesse corso dieci maratone di seguito. Lasciò che
fossero gli altri a divertirsi per lui, mentre se ne restava
sprofondato in uno dei divanetti davanti al fuoco. Mairead continuava
a lanciargli delle occhiatine divertite. Dopo la prova si era
complimentata con lui, aveva insultato pesantemente Diablaiocht e gli
aveva detto che era stato un grande, nella foresta. Edmund realizzò
con estrema soddisfazione che le occhiatine le stava lanciando a lui
e non a Leonard-Bellimbusto-Connery. Vendetta, dolce vendetta.
Certo
non poteva immaginare che presto gli sarebbe stata richiesta una
prova ulteriore, che ai suoi occhi era anche peggiore di dover
affrontare una foresta incantata. Alla fine dell'ultima lezione di
dicembre prima delle vacanze di Natale, il professor Ballerinus
richiamò la loro attenzione. Avevano passato due ore a cercare di
capire il modi migliori per contrastare le Maledizioni Permanenti e
nessuno sembrava invogliato ad ascoltare il professore un attimo di
più.
«Consiglio
a tutti voi di restare al Trinity per le vacanze di Natale» cominciò
a dire Bellerinus, con un sorrisetto. «Dovete sapere che il Torneo
Trecolonie prevede, per tradizione, che la notte di capodanno ci
sia... un ballo» spiegò allegro, con una strizzatina d'occhio.
Sembrava che la cosa lo divertisse profondamente.
La
notizia, com'era ovvio, provocò mormorii eccitati soprattutto da
parte della metà femminile della classe. Peig Kenneth, addirittura,
lanciò un gridolino estasiato.
«Si
trattenga, signorina Kenneth!» la rimproverò il professor
Ballerinus, ma stava sogghignando.
«Che
cosa da femminucce!» sbottò Mairead, con uno sbuffo. Emdund le
lanciò un'occhiata di sbieco, ma in realtà tirò un sospiro di
sollievo: se Mairead non ci voleva andare, avrebbe potuto
risparmiarselo anche lui. Odiava tutto ciò che era legato alla
danza.
«Comunque»
riprese a dire Ballerinus, «È d'obbligo l'abito da cerimonia. Il
ballo durerà dalle otto di sera all'una, con brindisi di capodanno
compreso. Siete pregati di comportarvi in modo corretto e di non
lasciarvi andare a comportamenti licenziosi, o mi prenderò la briga
di togliervi tanti di quei punti che la scala del numeri negativi non
sarà abbastanza lunga. Sono stato chiaro?»
Gli
studenti annuirono e quando suonò la campanella ci fu un veloce
fuggifuggi dall'aula. «Burke, fermati un attimo, per favore» lo
richiamò il professore, prima che Edmund potesse defilarsela.
Ballerinus aveva una strana espressione in viso, a metà tra il serio
e il divertito. «È tradizione che siano i campioni delle tre scuole
ad aprire le danze» gli annunciò.
Edmund
ci mise parecchi secondi a realizzare la cosa, ma alla fine sbottò
un: «Io non ballo, signore».
Il
professor Ballerinus ridacchiò. «Be', fossi in te comincerei a
prendere lezioni, perché hai due settimane per prepararti».
Edmund
storse il naso all'idea di dover volteggiare in sala per aprire le
danze. Ma poi, un'altra terribile prospettiva si delineò nella sua
testa. «Questo vuol dire... signore... che devo invitare una ragazza
al ballo?» domandò scioccato.
Il
professor Ballerinus alzò un sopracciglio. «Be', se non vuoi
ritrovarti a ballare con un troll di caverna, ti consiglio proprio di
sì» e con quelle parole chiuse la conversazione.
Edmund
passò la prima settimana di vacanze a scervellarsi non tanto
sull'indovinello quando sul trovare le parole migliori per invitare
una ragazza al ballo. Che cosa avrebbe dovuto dirle? Ma, soprattutto,
chi avrebbe dovuto invitare?
La
mattina dell'antivigilia di Natale, Laughlin, Edmund e Mairead si
trovavano in un'aula studio al primo piano, quando una ragazzina dei
Raloi del secondo anno quasi si catapultò sul loro tavolo. «Vuoi
venire al ballo con me?» chiese tutto d'un fiato, rivolta a Edmund.
Lui
la fissò con gli occhi sgranati, come se le fosse cresciuto un
tentacolo sulla fronte. «No!» esclamò di getto, più che altro per
lo sconcerto che gli aveva causato la proposta. La ragazzina scappò
via in lacrime.
Mairead
e Laughlin si scambiarono un'occhiata, poi scoppiarono a ridere.
«Fai
uno strano effetto alle ragazze, Ed» commentò Laughlin, quando si
fu finalmente ripreso dalla risata. Ma subito dopo vide passare in
corridoio un gruppo di ragazze della Dashi Mahal, tra cui riconobbe
anche Chaitaly. «Ehi, ci vediamo a pranzo, eh?» esclamò rivolto
ai suoi amici, poi si affrettò a mettere i libri in borsa e ad
uscire dall'aula.
«Ma
che gli è preso?» domandò Mairead, accennando con il capo a
Laughlin.
«E
che ne so!» replicò Edmund, anche se ne aveva una vaga idea.
Quel
pomeriggio, visto che aveva smesso di nevicare, i tre amici, insieme
a Dominique, si ritrovarono in riva al lago per passare il pomeriggio
all'aperto. Non si sa bene come, Mairead riuscì anche ad andare a
ripescare suo cugino Faonteroy e a trascinarlo fuori.
Edmund,
seduto su un masso in riva al lago, era intento a rileggere il
sonetto per la centesima volta, tanto che lo sapeva quasi a memoria.
Aveva intuito che la prova doveva consistere nel calarsi in una
grotta che verosimilmente si trovava nel fianco delle scogliere di
Moher, ma il problema era trovare il modo di raggiungerla senza
cadere nel mare, come gli ricordava gentilmente la poesia.
«Facciamo
una partita a palle di neve!» propose d'un tratto Mairead.
La
smorfia terrorizzata che si disegnò sul volto di Faonteroy fu
impareggiabile.
«Avanti,
i cugini O'Brian contro Dom e Laugh!» esclamò Mairead, ignorando
completamente le proteste di Faonteroy.
«Ci
sto!» replicò Laughlin, accettando la sfida.
Edmund
ringraziò il cielo che Mairead avesse cominciato a tartassare
Faonteroy, lasciandolo così in pace. Fino all'anno scorso, sarebbe
stato lui a essere trascinato controvoglia in una battaglia
all'ultimo sangue, per poi ritrovarsi bagnato fradicio a causa della
neve. Questa volta, invece, toccava a Faonteroy.
Lui
se ne restò tranquillo accoccolato dentro il suo mantello di lana
con un libro tra le braccia. Di tanto in tanto, sbirciava la
battaglia in corso: Faonteroy le stava prendendo di santa ragione e
ogni volta che veniva colpito piagnucolava rassegnato; i più
agguerriti erano senza dubbio Laughlin e Mairead. Edmund si perse via
a fissarla: scagliava i suoi proiettili con forza, come se ne andasse
della sua stessa vita. Aveva carattere.
Improvvisamente
Edmund realizzò che voleva invitare Mairead al ballo. Che idiota che
era stato, come aveva fatto a non pensarci prima? Erano amici da
anni, sarebbe stato tutto così semplice!
Più
o meno.
Al
termine della battaglia, quando cominciava ormai a esserci buio, i
ragazzi si avviarono nuovamente verso il castello. Faonteroy era
completamente fradicio. Piagnucolò per tutto il percorso sulla sua
misera condizione, poi si trascinò verso la sala comune dei Nagard
per cambiarsi la divisa e mettersi addosso qualcosa di asciutto.
«Come
minino si becca un raffreddore colossale» commentò Dominique, con
un sorrisetto.
Mairead
si strinse nelle spalle. «No, è un O'Brian. È forte come una
roccia» rispose risoluta.
Visto
che era ancora presto per andare a cena, Edmund chiese agli amici di
accompagnarlo in biblioteca, dove doveva riportare il libro che aveva
preso in prestito. Così i quattro ragazzi si incamminarono per i
corridoi.
Solo
dopo aver riconsegnato il volume, Edmund capì che era arrivato il
momento di fare la sua mossa, prima che fosse troppo tardi. «Voi che
pensavate di fare per il ballo?» buttò lì, con noncuranza.
Mairead
si bloccò di botto in mezzo al corridoio. «Senti, io pensavo di non
andarci... voglio, dire è una cosa da femminucce» protestò,
storcendo il naso alla sola idea di indossare un abito elegante.
Edmund e Laughlin si scambiarono un'occhiata perplessa, mentre
Dominique tratteneva a stento una risata. Mairead li fulminò con lo
sguardo. «Perché, voi pensavate di andarci?» si informò con un
tono di voce tagliente.
Edmund
era a disagio: come poteva chiedere all'amica di accompagnarlo ad un
ballo al quale lei non aveva alcuna intenzione di partecipare?
«Ehm,
vedi... è che io sono uno dei Campioni del Torneo e quindi devo
aprire le danze. Ci devo andare per forza» disse a mezza voce.
Laughlin
gli batté una mano sulla schiena. «In tal caso ti accompagniamo!»
esclamò con giovialità. Forse ci mise troppo entusiasmo nella
frase, tanto che Edmund sospettò che lui fosse l'unico realmente
interessato a quel ballo.
Ma
Mairead non ebbe tempo di rispondere perché qualcun altro richiamò
la sua attenzione.
«Mairead,
posso parlarti un attimo?» domandò Leonard Connery con un mezzo
sorriso. La ragazza fu colta impreparata, ma si lasciò condurre in
disparte da Leonard.
Edmund
li fissò per tutto il tempo con gli occhi ridotti a due fessure.
«Dai,
andiamo avanti, se no non resterà più niente da mangiare a cena»
disse Laughlin, trascinando via l'amico.
«E
questo sì che è preoccupante» soggiunse Dominique, ben sapendo
come Laughlin fosse suscettibile quando era a stomaco vuoto.
Mairead
li raggiunse poco dopo con un enorme sorriso stampato in faccia.
«Sai, Ed, credo che verrò con te al ballo!» esclamò con aria
sognante.
«Oh,
davvero?» rispose Edmund sorpreso. Fantastico, non aveva nemmeno
dovuto chiederglielo!
«Sì,
mi ha invitata Leonard Connery!» continuò Mairead con entusiasmo.
«Connery?»
le fece eco Edmund fermandosi di botto, improvvisamente incupito.
Certo, che stupido era stato: come poteva pensare che Mairead avesse
improvvisamente cambiato idea? Dicendo che andava al ballo “con
lui”, intendeva semplicemente che ci sarebbe venuta per non
lasciarlo andare da solo.
Ma
Mairead era troppo estasiata per far caso al cambiamento d'umore
dell'amico, così continuò: «Sì, Connery! Ti rendi conto che ogni
ragazza del castello vorrebbe essere invitata al ballo da Leonard
Connery, e lui ha scelto me? Così ho pensato, visto che Ed ci
deve andare per forza, perché rifiutare l'invito?»
Edmund
non rispose.
Stupido
Connery. Come si permetteva di invitare la sua amica? Loro erano
amici da un secolo e quello là pensava di avere la precedenza?
«Devo
assolutamente dirlo a Beatrix!» esclamò Mairead, battendosi la mano
sulla fronte. A quelle parole, corse via per il corridoio, alla
ricerca della ragazza.
Laughlin,
che aveva intuito i progetti andati in fumo di Edmund, ora non sapeva
cosa dire per tentare di consolare l'amico.
«Chi
pensate di invitare voi?» buttò lì Dominique, una trovata
sicuramente poco felice.
Edmund
era furente di rabbia: non avrebbe voluto andare al ballo con nessun
altro che non fosse Mairead, ma era costretto a scegliere qualcuno
perché doveva aprire le danze in qualità di campione.
Stava
passando in corridoio in quel momento un gruppetto di Llapac. «Ehi
Moira!» chiamò Edmund.
Una
ragazza bruttina, con una cresta indomabile di capelli rossi, si
staccò dal gruppo. «Sì, Burke...» rispose, guardandolo con aria
interrogativa. Sebbene fossero dello stesso anno, dovevano essersi
parlati, sì e no, un paio di volte, l'ultima delle quali alla Coppa
del Mondo.
«Ti
va di venire al ballo con me?» disse di getto Edmund. Moira sgranò
gli occhi, nascosti dietro un paio di spessi occhiali, e non rispose.
«Come amici, intendo» aggiunse subito Edmund, per chiarire la
situazione.
Moira
non riusciva a crederci: Burke era un bel ragazzo, alto, moro e
intelligente e per di più era uno dei Campioni del Torneo... perché
invitava lei al ballo?
«Allora?
Ti va o no?» la incalzò Burke con un sorriso, che ai suoi occhi lo
fece apparire ancora più bello.
Moira
si sciolse ai suoi piedi. «Certo...» sussurrò con un sospiro.
«Ottimo»
annuì Edmund soddisfatto. Moira rimase immobile ancora per un
attimo, incapace di credere alla propria fortuna, poi si affrettò a
raggiungere le sue amiche per raccontare loro quello che era
successo.
Appena
quella si fu allontanata, Laughlin fissò l'amico con aria allibita.
«Lei?»
domandò incredulo, incapace di muoversi. «Perché lei?
Fra tutte, perché lei? Moira O'Callaghan, una delle ragazze più
brutte di tutto il castello!» protestò Laughlin. Edmund alzò le
spalle con disinteresse e riprese a camminare verso la Sala Mor.
«Edmund!» lo richiamò l'amico, inseguendolo con un sospiro di
rassegnazione, mentre Dominique tratteneva a sento una risata.
Edmund
si fermò nuovamente in mezzo al corridoio, sbuffando. «Senti,
Laughlin. A me non interessa niente di quello stupido ballo. E
proprio perché la O'Callaghan è così brutta non la inviterà mai
nessuno. Io almeno posso farla felice per una sera. Tanto, a me che
cambia, lei o un'altra?»
Certo,
il discorso di Edmund era perfettamente logico, come sempre
d'altronde, ma Laughlin non riusciva proprio a capacitarsene. «Sì,
ma... perché lei?»
domandò, sgranando gli occhi incredulo. Edmund scosse la testa
sconsolato e riprese a camminare. «Voglio, dire, l'hai vista?
Occhiali spessi come due fondi di bottiglia, apparecchio ai denti,
monosopracciglio, e criniera di capelli rossi! Le manca solo la gamba
di legno!» protestò l'amico, inseguendolo con aria scocciata.
Ormai
arrivati davanti alla Sala Mor, Edmund mise una mano sulla spalla di
Laughlin e gli rivolse un sorriso sereno. «Lascia stare, Laugh, a me
va bene così» e con quelle parole si diresse al tavolo dei Raloi,
lasciando lì un Laughlin piuttosto scioccato e un Dominique
piuttosto divertito.
Ebbene
sì, sono malefica! Maltratterò Edmund ancora per secoli, quindi
tranquillizzate i vostri bollenti spiriti!
Ve
l'avevo detto, no, che Moira avrebbe avuto un ruolo importante nella
storia... damigella ufficiale del ballo per Edmund! Povero Laughlin,
non riuscirà mai a capacitarsi del fatto che l'amico ho invitato
proprio Moira al ballo! QUI, l'immagine che li riguarda... non sono
teneri? E indovinate chi ha invitato Laugh! Dai, è facile! ;-)
Lo
ammetto, non potevo non cadere anche io nel cliché del ballo
scolastico... ogni scrittrice di ff sa che prima o poi dovrà
affrontare questa impresa! Almeno, il mio ha senso nel contesto del
Torneo (spero!). Ho cercato di non essere banale nel descriverlo;
anzi, aspettatevi una sorpresina finale! XD
A
martedì prossimo!
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** I due presidi ***
CAPITOLO
16
I
due presidi
«I
Llapac dicono che l'abito da cerimonia della O'Callaghan sembra una
torta nuziale a tre piani» fu la prima cosa che Laughlin disse a
Edmund dopo cena. Mairead era rimasta seduta vicina a Beatrix per
tutto il tempo, quasi si fosse dimenticata dei suoi amici, così
appena Edmund aveva finito di mangiare, si era avvicinato al tavolo
del Nagard, senza nemmeno rivolgerle la parola.
«Te
lo sei inventato» sbuffò in risposta a Laughlin, sulla questione
del vestito di Moira per il ballo. Tra l'altro, lui nemmeno ce
l'aveva un abito da cerimonia perché quando aveva comprato il nuovo
materiale scolastico a settembre, sebbene l'abito fosse presente
nella lista inviatagli dal Trinity, non gli erano avanzati abbastanza
soldi per comprarsene uno decente. Ma ci avrebbe pensato fra un po'.
Laughlin
si ficcò in bocca un pezzo di pane e disse, sputacchiando briciole
sul tavolo: «Non l'ho inventato! Me l'ha detto Dedalus».
«Ma
Consolatus è un maschio! Non può essere entrato nel dormitorio
femminile e aver visto il vestito di Moira. E poi non è tanto a
posto con la testa, quello» protestò Edmund, usando come arma la sua
logica infallibile.
Laughlin
bevve un bicchiere di succo d'arancia per ingoiare il boccone di pane
che gli era andato di traverso. «Non c'è bisogno di essere a posto
con la testa per dire che la O'Callaghan è un cesso» sentenziò con
l'aria di chi la sa lunga.
Edmund
sbuffò rassegnato: Laughlin l'avrebbe tormentato fino al giorno del
ballo, ne era certo. «Puoi anche smetterla, tanto io non torno
indietro» disse con sicurezza; poi nel tentativo di cambiare
argomento, domandò: «Tu piuttosto, chi pensi di invitare?»
Laughlin
interruppe il suo pranzo, cosa che accadeva di rado, visto che
mangiare era una delle poche certezze che aveva nella vita. «Ehm...
io ho già invitato qualcuno...» farfugliò a disagio.
«Ah,
sì? E chi?»
«Chaitaly»
rispose Laughlin con un mezzo sorrisetto, sondando la reazione
dell'amico.
Edmund
non sembrava per niente turbato. «Ah, ok» disse semplicemente con
una alzata di spalle.
Laughlin
lo guardò di sottecchi, poi domandò in un sussurro: «Non sei
arrabbiato?»
«E
perché dovrei?» rispose Edmund, con il tono più naturale del
mondo.
«Be'...
è la tua avversaria» continuò Laughlin, ancora leggermente a
disagio, nonostante le rassicurazioni dell'amico.
Edmund
scoppiò a ridere divertito. «Ci contendiamo solo mille eire d'oro e
la gloria eterna, che vuoi che sia?» rispose con una strizzata
d'occhio.
Passando
davanti al tavolo dei Nagard, il professor Cumhacht lanciò
un'occhiataccia a Edmund, ma non gli disse nulla. Privilegi di essere
il campione della scuola. O forse, semplicemente, lui non era
Mairead. Il ragazzo rivolse al professore un sorriso innocente e
quello lasciò correre. Dopotutto, era il migliore alle sue lezioni.
«E
tu, Dom, chi pensi di invitare?» chiese poi, rubando un acino d'uva
dal piatto di Laughlin.
«Ehi!»
protestò Laughlin, che era disposto a cedere tutto tranne che il suo
cibo.
«Ah,
io ho già invitato Era McKonnit, la Battitrice dei Raloi» rispose
tranquillamente Dominique.
Edmund
si incupì. Lui era stato l'unico idiota che ci aveva messo una
settimana prima di decidersi ad invitare una ragazza? Per poi, tra
l'altro, farsela fregare sotto il naso da quel Bellimbusto di Connery
e ritrovarsi con la O'Callaghan. Bell'affare!
«Burke?»
domandò proprio in quel momento un ragazzino minuscolo dei Raloi.
Doveva essere al primo anno, ma era davvero piccolo e minuto anche
per la sua età. O forse dava quell'impressione perché era titubante
e spaventato.
«Sì?»
rispose Edmund, sorpreso.
«Il
preside Captatio vuole vederti nel suo ufficio» pigolò il bambino,
poi scappò via.
Edmund
sbuffò. Bastava che non si trattasse di un'altra stupida spilla: lui
non l'avrebbe messa. Si alzò da tavola rassegnato, salutò gli amici
e si trascinò verso la scala a chiocciola che conduceva allo studio
del preside.
Quando
bussò alla porta, la voce allegra di Captatio gli disse di entrare.
Ma, non appena mise piede nella caotica stanza, i suoi occhi furono
rapiti dal mago anziano che sedeva di fronte al preside. Aveva una
rigogliosa barba bianca, come bianchi erano i lunghi capelli che gli
ricadevano sulla schiena. Indossava anche lui un cappello a punta
come quelli di Captatio, ma forse per l'aurea di nobiltà che
emanava, forse per l'altezza considerevole o forse anche solo per la
fluente barba, nessuno avrebbe mai osato definirlo buffo. Sul
naso aquilino portava un paio di occhialetti a mezzaluna, che
nascondevano a stento due vispi occhi azzurri.
Quando
il mago si voltò a guardarlo, per un attimo, un velo di
preoccupazione gli attraversò il volto, come se avesse visto un
fantasma appartenente al suo passato. Lo scrutò con interesse e con
una certa preoccupazione, ma Edmund sostenne il suo sguardo: non era
tipo da abbassare gli occhi a terra.
«Edmund,
questo è il professor Silente» lo presentò Captatio, con un
sorriso. «È il preside di...»
«Hogwarts»
completò Edmund, ricordandosi di averlo letto da qualche parte.
Il
professor Silente annuì e allungò la sua mano verso il ragazzo. «È
un piacere conoscerti» gli disse, senza smettere di fissarlo con
quel suo sguardo indagatore, come se cercasse chissà cosa nascosto
sotto la sua apparenza di ragazzino. «Caius parla sempre molto bene
di te» gli rivelò, con una strizzata d'occhio.
Finalmente
Edmund spostò lo sguardo sul professor Captatio e vide che
sogghignava, ma un lieve rossore gli aveva colorito le guance.
«Sciocchezze, Albus, io non elogio mai nessuno oltre a me stesso»
replicò con un ridolino.
Silente
gli rivolse un sorriso, ma poi tornò a guardare Edmund. «E così tu
sei il giovane Campione del Trinity, eh?» gli chiese.
«Sì,
signore».
«Succedono
cose sempre più strane, in questi Tornei» commentò sovrappensiero
il professor Silente.
«Perché?»
domandò di getto Edmund, senza pensare che forse non era molto
educato fare una domanda così a bruciapelo a uno dei più grandi
maghi di tutti i tempi. Ma, dopotutto, Silente aveva passato buona
parte del tempo a squadrarlo.
Il
professore rimase indeciso per un attimo, ma alla fine domandò: «Il
nome Harry Potter, ti dice niente?»
«Il
Ragazzo che È Sopravvissuto» commentò Edmund con un certo astio.
Santo cielo, le notizie arrivavano anche in Irlanda!
«Esatto»
rispose il professor Silente «È stato scelto come Campione per il
Torneo Tremaghi, come quarto Campione. Qualcuno ha messo il
suo nome nel Calice di Fuoco, perché venisse scelto. Qualcuno che lo
vuole morto».
La
mente di Edmund cominciò a lavorare a ritmo frenetico: chi poteva
volere morto Potter, se non un accanito sostenitore di Voldemort?
Magari lo stesso che aveva lanciato il Marchio Nero alla Coppa del
Mondo di Quidditch.
Il
professor Silente aveva ragione: ultimamente stavano succedendo cose
strane.
L'anziano
mago sospirò. «Viviamo in tempi difficili, Edmund» gli rivelò in
tono serio. «Ma non possiamo scegliere noi il momento in cui venire
al mondo; possiamo solo cercare di fare il nostro meglio nel tempo
che ci è stato assegnato».
Edmund
si guardò le mani, sovrappensiero. Negli ultimi tempi, non stava
propriamente dando il meglio; si era proposto come campione per
ripicca contro Connery e aveva preso la cosa un po' sotto gamba: non
si stava impegnando al massimo. Si era montato la testa e si era
convinto di riuscire a superare le prove solo perché lui era bravo.
Gli conveniva darsi una regolata, seriamente.
«Cercherò
di ricordarmelo» mormorò, tornando a guardare Silente dritto negli
occhi.
Lui
gli sorrise con fare incoraggiante. «Bravo, ragazzo» gli disse.
Dopodiché guardò l'orologio d'oro che aveva al polso (anche se
Edmund notò che era fermo alle ore mezzogiorno e un quarto) ed
esclamò: «Si è fatto proprio tardi! È meglio che vada» e con
quelle parole si alzò dalla sedia. «Caius, ci teniamo aggiornati»
salutò, allungando la mano verso Captatio.
«Certo,
Albus» rispose il preside, ricambiando la stretta.
«Edmund»
aggiunse il professor Silente, con un sorriso di congedo.
«Signore».
Solo
quando il preside di Hogwarts ebbe chiuso la porta alle sue spalle,
Captatio esclamò: «Ah, grand'uomo, Silente!» Sospirò, mentre
Edmund prendeva posto sulla sedia che Silente aveva appena lasciata
libera. «Me ne ha raccontata una niente male su un troll, una
megera e un Lepricano che vanno insieme al bar...» cominciò a dire,
ma poi si interruppe. «Forse, però, questo non è il momento più
adatto! Non ti ho certo chiamato per raccontare barzellette!»
«Credo
di no, signore» ridacchiò Edmund. Si sentiva più sereno, ad essere
solo con Captatio. Silente era sicuramente un grande mago, saggio e
giusto, ma i suoi penetranti occhi azzurri lo mettevano a disagio;
mentre con Captatio era tutto più naturale, più tranquillo. Lui
sorrideva sempre, e ridacchiava anche; era buffo,
ma nel contempo riusciva ad essere autorevole.
«No,
infatti!» replicò Captatio, sogghignando. Ma poi si fece serio.
«Volevo chiederti se avevi risolto l'indovinello».
«Signore,
non le è permesso di aiutarmi» rispose Edmund, con circospezione.
«Non
voglio aiutarti» replicò Captatio, facendogli l'occhiolino. «Mi
sto solo interessando discretamente al mio campione».
Edmund
trattenne a stento un sogghigno. «Comunque l'ho risolto, signore.
Dobbiamo tuffarci dalle scogliere di Moher e entrare in una grotta,
giusto?»
«Non
posso aiutarti, ricordi?» replicò il professor Captatio, ma i suoi
occhi brillavano di furbizia. Era una risposta affermativa.
«Il
mio problema è come fare a raggiungere la grotta» spiegò Edmund,
esprimendo tutti i suoi dubbi. «Non esistono incantesimi per volare
e siamo troppo distanti dal castello per appellare una scopa o
qualcosa di simile. E non ci è permesso portare nessun oggetto oltre
alla nostra bacchetta».
Il
professor Captatio arricciò le pagine del libro che aveva aperto
sulla scrivania con fare pensieroso. «Tenta di analizzare la
situazione da un punto di vista diverso: non cercare direttamente un
incantesimo che possa farti volare, ma pensa piuttosto in modo
creativo. Sono sicuro che ti verrà in mente qualcosa» gli consigliò
il professore.
«Comunque»
aggiunse poco dopo, con un sorriso. «Volevo complimentarmi con te
per l'eccellente modo in cui hai superato l'ultima prova».
«Ma
se sono ultimo in classifica!» protestò Edmund, in tono piuttosto
sconsolato. Era solo un punteggio provvisorio, lo sapeva, ma
ritrovarsi già in fondo non era poi così incoraggiante.
«Io
credo che gli altri giudici non abbiano capito nulla della prova,
sai, Edmund» rispose invece il professor Captatio, unendo la punta
delle dita. «Vedi, l'unica cosa davvero spaventosa, in quella
foresta, era la foresta stessa. La paura più grande dell'uomo, non è
altro che la paura della solitudine. Perché i bambini hanno paura
del buio? Perché non sanno che cosa vi si nasconda e temono di dover
affrontare tutto da soli; l'unico modo per superare questa paura è
la presenza di un altro essere umano che ci stia vicino. Così tutto
ci sembra più semplice».
Dopo
quel breve discorso, Captatio osservò Edmund di sottecchi, come se
stesse aspettando di ricevere una contestazione che, sapeva
benissimo, non avrebbe avuto.
«È
ciò che avete fatto tu e la signorina Hiranmay, magnificamente. Ma
nessuno l'ha capito» gli rivelò infine, in tono dispiaciuto. «Il
preside Singh ti ha premiato più per l'altruismo che hai dimostrato
che per il reale significato del gesto in sé. Tutti gli altri...
be', hai visto com'è andata».
«Già...»
mormorò Edmund. Gli bruciava ancora per il quattro che gli aveva
rifilato Scipio Diablaiocht ed era più che certo che il voto non
dipendesse affatto per il modo in cui aveva superato la prova.
Semplicemente lo voleva vedere ultimo. Però era contento che il
professor Captatio gli avesse motivato il suo nove con una
spiegazione seria: al momento aveva pensato che il voto dipendesse
dal fatto che, be', era il suo campione.
«Grazie,
signore» soggiunse poco dopo, con franchezza.
I
baffoni del professor Captatio si mossero su e giù, rivelando un
sogghigno. «Ah, Edmund, sei un ragazzo meraviglioso!» esclamò
allegro.
«Credevo
che lei non elogiasse nessuno oltre a se stesso» rispose sagacemente
Edmund, con un sorriso.
Captatio
fece un gesto con la mano, come se volesse scacciare una mosca
molesta. «Sciocchezze!» sbottò con un'aria offesa, ma i suoi occhi
brillavano per un sorriso represso. «A proposito, hai già una dama
per il ballo?»
Edmund
pensò a Moira, ai suoi capelli crespi, agli occhiali e
all'apparecchio. Sospirò. «Sì, signore, ma non ho ancora l'abito
da cerimonia».
«Oh,
accidenti! Quello te lo posso procurare io, se vuoi. Ti presto uno
dei miei di quando ero giovane» propose il preside, ma Edmund non
era del tutto convinto: voleva forse fargli indossare una delle sue
imbarazzanti vesti colorate con tanto di cappello coordinato?
«Forse
dovrai allungarlo un po' con la magia. Sai, non sono mai stato molto
alto» ridacchiò Captatio, mentre frugava nei suoi immensi armadi.
Edmund
era piuttosto preoccupato, ma l'abito che gli mostrò il professore
non era poi così male: verde scuro, con il colletto alto, camicia
bianca e cravatta nera, i soliti pantaloncini irlandesi e un paio di
calze dai toni scuri. Forse era un po' vecchiotto e non era certo
raffinato come quelli della signora Maleficium, ma nel complesso era
accettabile. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Almeno, non
avrebbe fatto la figura dell'idiota.
Il
giorno successivo, quando Edmund incontrò Moira per i corridoi, la
salutò allegramente, forse più per far incavolare Laughlin che per
vero interesse verso di lei. L'amico, infatti, borbottò qualcosa di
incomprensibile e alzò gli occhi al cielo, ma Edmund non se ne
preoccupò. Anzi, trovava il tutto molto divertente.
«Ehi,
Moira, spero che tu sappia ballare perché io sono uno schifo e, non
so se lo sai, ma dobbiamo aprire le danze» le disse, con giovialità.
La
ragazza sgranò gli occhi, piuttosto preoccupata. «Dobbiamo aprire
le danze? Noi?»
«Già»
rispose Edmund, alzando una spalla con naturalezza. Ma poi si guardò
in giro, con la spiacevole sensazione di essere osservato: almeno una
ventina di occhi curiosi li stavano fissando più o meno avidamente.
«Perché ci guardano tutti?» sussurrò con rabbia.
Moira
alzò leggermente le spalle, poi disse: «Sai com'è... sei un bel
ragazzo e sei il Campione del Trinity. Io penso che almeno mezzo
milione di studentesse vorrebbero venire al ballo con te».
Già,
e l'altro mezzo milione ci voleva andare con Leonard Connery. Peccato
che l'unica ragazza che gli interessasse, avesse scelto il mezzo
milione sbagliato.
«Credo
che tu ne abbia lasciate deluse parecchie quando l'hai chiesto a me,
che... be', non sono proprio la più carina del castello» farfugliò
Moira a disagio. Non riusciva ancora a credere che Edmund l'avesse
invitata al ballo e aveva il terrore che lui cambiasse idea prima
della fatidica notte. Ma quando lo guardò nuovamente in volto, il
suo sorriso era sereno.
«Senti
Moira, non mi interessa niente di quello che pensano gli altri. Io
sono contento di aver invitato te. E la storia si chiude qui».
Ecco
qui che Laughlin torna alla carica! Non accetterà mai l'invito di
Moira da parte di Edmund... ma il nostro protagonista ne è convinto,
per fortuna!
Mi
spiace aver deluso chi si aspettava già il ballo, ma avevo bisogno
di inserire un capitolo di passaggio, dove spiegare bene la prima
prova. Inoltre, volevo che il caro Silente incontrasse Edmund, perché
mi servirà per il prossimo racconto... vedrete! ;-) Spero che vi sia
piaciuta la sua caratterizzazione (è sempre difficile descriverlo
quando non sono gli occhi di Harry a vederlo!).
Quanto
alla dama di Dominique, ho fatto un po' di economia: gli ho fatto
invitare un personaggio che avevo già creato, pensando che fosse
abbastanza adeguato a lui. Tanto, mica se la deve sposare!
Mi
spiace, ma non ho un immagine per questo capitolo... intanto, però,
vi prometto che martedì prossimo avrete il ballo!
A
presto e grazie a tutti,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Il Ballo di Capodanno ***
CAPITOLO
17
Il
Ballo di Capodanno
Qualcuno
bussò alla porta del bagno con insistenza. «Mairead, vuoi darti una
mossa? Devo prepararmi anche io!» esclamò esasperata Peig. Cosa
diavolo stava combinando la sua compagna lì dentro? Lei poi, che non
aveva mai messo nemmeno il mascara in tutta la sua vita!
La
porta si aprì di scatto, ma la ragazza che ne uscì non aveva nulla
a che fare con Mairead: era carina, elegante nel suo vestito rosso,
truccata e ben pettinata. Peig la osservò stranita per qualche
secondo, ma alla fine si concesse un ridolino estasiato. «Ah, cosa
non fa l'amour!» ridacchiò, fondandosi in bagno.
Prima
che Mairead potesse ribattere in qualche modo, sul pianerottolo
comparve Ailis, la migliore amica di Peig. Anche lei rimase piuttosto
sorpresa dalla trasformazione della compagna di stanza da esuberante
giocatrice di Quidditch a dama raffinata. «Carino il tuo abito»
commentò alla fine, osservando il vestito rosso con occhio critico.
Mairead
si lisciò le pieghe della gonna, imbarazzata e un po' a disagio.
«Grazie» mormorò con un mezzo sorriso. «Anche il tuo non è
male».
Ailis
annuì a mo' di ringraziamento. «Peig è super agitata» confessò
poi, accennando con il capo alla porta del bagno. «Sai, no, che l'ha
invitata Hewa Wedge?»
«Sì,
me l'aveva detto» rispose Mairead, in tono vago. Era da una
settimana che Peig non faceva altro che ripeterlo. Ovviamente,
Mairead aveva evitato di farle notare che Wedge aveva invitato prima
lei al ballo; all'epoca aveva rifiutato perché pensava fosse una
stupida cosa da femminucce. Non l'aveva detto nemmeno a Edmund, in
realtà, perché sapeva che c'era un po' di attrito tra i due
campioni e non voleva che l'amico si offendesse.
Certo,
quando poi l'aveva invitata Leonard Connery al ballo, non aveva
potuto rifiutare. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di dire di no a
quei due occhioni così blu?
«Ehilà!»
esclamò Beatrix Connery, comparendo anche lei sul pianerottolo. «Che
ve ne pare?» domandò, facendo un giro su se stessa per farsi
ammirare. Indossava un grazioso abito azzurro e aveva i capelli mossi
raccolti in una mezzacoda.
«Stai
davvero bene» la rassicurò Mairead. Sinceramente, non riusciva a
capire tutta quella agitazione dal parte della sua amica: era stata
invitata da Titus Judge che non si poteva definire una gran bellezza.
Be', era alto e muscoloso, quello sì, ma decisamente grosso.
Niente a confronto con il bel raffinato Leonard.
«Se
sei pronta anche tu, scendiamo» propose Beatrix, con un gran
sorriso. «So che mio fratello non vede l'ora di uscire con te!»
aggiunse poi, con una strizzatina d'occhio.
Mairead
trattenne il respiro e sentì il cuore che accelerava nel petto.
Santo cielo, stava per uscire con Leonard Connery! Il suo primo
appuntamento!
«Andiamo!»
squittì eccitata, con gli occhi che brillavano.
Laughlin
si sistemò la giacca elegante che sua madre aveva disegnato
appositamente per lui, lanciando sguardi ammiccanti al suo riflesso
nello specchio.
«Hai
finito di pavoneggiarti?» domandò Dominique, spingendolo di lato
per riuscire a conquistare un angolo di specchio per pettinarsi. «Lo
sai che se Era metterà i tacchi sarà più alta di me?» mugugnò
rassegnato, constatando che l'amico era decisamente più alto e non
sembrava uno gnomo vestito a festa.
«Ho
sentito dire che l'abito da cerimonia della McKonnit sono in realtà
un paio di attillati pantaloni di pelle di drago» replicò Laughlin
in tono disinteressato, spruzzandosi una goccia di profumo sul collo.
«Baggianate»
replicò imbronciato Dominique. Era vero, non aveva invitato una
ragazza particolarmente femminile, ma Era McKonnit gli piaceva
proprio per quello: niente smancerie e stupidate romantiche. Era una
tipa tosta, insomma.
«Dai,
muoviamoci. Le nostre dame ci aspettano» esclamò Laughlin,
ammirando con aria soddisfatta il suo riflesso allo specchio.
«Andiamo a fare strage di cuori!»
Dominique
scosse la testa rassegnato: Laughlin aveva davvero una considerazione
troppo alta delle sue qualità. Orgoglio e superbia tipico dei
Nagard.
«Sì,
muoviamoci» mormorò infine, abbandonando il tentativo di darsi
un'aria da grande.
La
sala comune dei Nagard era stranamente variopinta, quella sera. Gli
occhi di Laughlin indugiarono per un attimo su Ailionora Diablaiocht,
che indossava un abito tradizionale irlandese, e se ne stava
letteralmente appesa al braccio di Eibhean Deamundi. «Alla fine la
Diablaiocht è riuscita ad acchiappare il suo nobile» malignò con
un sogghigno. «Suo padre sarà contento, finalmente. Dopotutto, un
po' di nobiltà non si nega a nessuno, di questi tempi».
«Arrivista,
la ragazza» rispose Dominique, con un certo disinteresse.
Laughlin
si strinse nelle spalle. Non dubitava che ad Ailionora piacesse
sinceramente Deamundi, perché non si poteva negare che lui avesse un
certo fascino tenebroso, ma era sicuro che tra i molti fattori avesse
giocato un ruolo importante anche la nobiltà.
«Be',
puoi star certo che Chaitaly non ti ha detto di sì perché sei
nobile» ridacchiò Dominique, pensando che il suo amico era proprio
un tipo originale se, con tutte le belle ragazze che c'erano al
Trinity, era andato a scegliersi proprio una straniera.
Anche
Laughlin sogghignò. «Credo proprio che tu abbia ragione» asserì,
con una pacca sulle spalle del suo amico. «Mi ha detto di sì perché
sono incommensurabilmente figo».
«E
modesto» aggiunse Dominique.
Laughlin
sorrise allegro. «E modesto!» concesse, con una strizzata d'occhio.
Dopodiché i due amici si recarono insieme verso la sala d'ingresso.
Edmund
si torse le mani con aria nervosa. Stava cominciando ad agitarsi,
come una scolaretta al suo primo appuntamento. Gli altri studenti gli
lanciavano occhiatine divertite, mentre lui se ne stava ritto in
piedi davanti al portone della Sala Mor, impalato nel suo abito da
cerimonia. Stava aspettando Moira e gli sembrava che tutti avessero
preso ad osservarlo. Perché non si spicciava? E se non fosse venuta,
lasciandolo lì come un idiota?
E
poi Edmund vide Mairead, stretta a braccetto con Connery: indossava
un abito rosso e oro, elegante nella sua semplicità, e aveva i
capelli raccolti in un nodo dietro la testa, con qualche tenero
boccolo che le ricadeva sulle spalle. Edmund pensò che era
bellissima, ma non era destinata a lui. Perché non era riuscito ad
invitarla al ballo? Improvvisamente le sue ansie si moltiplicarono.
Perché aveva scelto proprio Moira? E se Laughlin avesse avuto
ragione sul suo abito? Se si fosse presentata a lui infagottata in
una torta nuziale a tre piani? Sarebbe stata tutta un'altra cosa, se
al suo fianco ci fosse stata Mairead.
«Edmund?»
lo richiamò una voce sottile. Il ragazzo si voltò, ma ci mise
parecchio tempo a riconoscere nella giovane che aveva davanti proprio
Moira. Non aveva più i capelli crespi e indomabili, ma lisci ed
elegantemente tenuti indietro da un cerchietto scuro. Gli occhiali a
fondo di bottiglia erano spariti, così come l'apparecchio. L'abito
era rosa salmone e certamente un po' ingombrante, ma almeno non
sembrava una torta da matrimonio.
«Sei...
davvero carina» esclamò Edmund con un sospiro di sollievo. Alla
fine non era poi così male.
Moira
arrossì e sorrise. «Grazie, ci ho impiegato tre ore a prepararmi».
«I
campioni qui con me» esclamò proprio in quel momento il professor
Captatio, sventolando il suo cappello a punta per farsi vedere. Per
l'occasione indossava un abito da mago rosso brillante, con tanto di
strani decori luccicanti che si muovevano per la stoffa creando un
vorticoso gioco di luce. Sembrava un albero di natale ambulante. Ma
la cosa più luminosa era il suo sorriso.
I
tre campioni con i rispettivi compagni si avvicinarono al preside.
Peig, agganciata al braccio di Wedge, si guardava in giro con
occhiatine deliziate; Laughlin, con lo sguardo fiero e il portamento
regale, teneva al fianco un'aggraziatissima Chaitaly che indossava un
grazioso sari indiano.
Il
professore li fece posizionare di lato, mentre apriva le porte della
Sala Mor per permettere a tutti gli altri studenti di entrare. Quando
rimasero soli, il preside si posizionò davanti al portone d'ingresso
della sala e disse: «Mettetevi in ordine qui di fronte a me. Prima
il signor Burke con la sua dama O'Callaghan, poi la signorina
Hiranmay e il signor Maleficium e infine il signor Wedge con la
signorina Kenneth».
Edmund
offrì il braccio a Moira e poi eseguì l'ordine di Captatio, anche
se con una certa riluttanza. Spiando dentro la sala, vide che era
stata addobbata con graziose decorazioni rosse e oro; quelle che
parevano grosse lucciole saettavano per l'aria rendendo il luogo
allegro e colorato. I tavoli delle case erano spariti per lasciar
posto ad un centinaio di tavoli rotondi da sei posti; al centro della
sala si trovava un tavolo più grande con un imponente centrotavola
di agrifoglio e tre candele rosse.
Poco
dopo sopraggiunsero anche gli altri due presidi, insieme alla O'Gara
e a Diablaiocht. Mama Hope indossava un enorme e variopinto abito
africano, mentre il preside Singh aveva un completo da cerimonia
sikh, impreziosito da sontuosi ricami. I due capi dei rispettivi
Dipartimenti, in compenso, sebbene indossassero entrambi abiti
eleganti, avevano l'aria di non aver gradito particolarmente l'invito
per quel ballo.
«Eccoci
qui tutti!» esclamò allegro Captatio. «Direi proprio che è ora di
entrare».
Quando
fecero il loro ingresso in sala, gli studenti li accolsero con un
applauso scrosciante. Edmund prese posto al grande tavolo centrale e
tirò un sospiro di sollievo quando alla sua destra si posizionò
Laughlin insieme a Chaitaly. Il ragazzo spiò il resto della sala e
individuò subito Mairead, seduta al tavolo con il suo cavaliere,
Beatrix Connery, Titus Judge, Dominique e Era McKonnit. Non invidiò
per nulla Dominique, costretto a restare in mezzo a cinque fanatici
giocatori di Quidditch. Anche se, Edmund ebbe l'impressione che
l'argomento principale di quella sera non sarebbe stato lo sport.
La
cena fu abbastanza piacevole, nonostante tutto. Moira era silenziosa
e impacciata, ancora incredula di essere la dama del Campione del
Trinity. Laughlin, dal canto suo, dimostrò di essere un ottimo
ospite, caratteristica che doveva aver appreso dal ramo paterno della
famiglia: conversava amabilmente con tutti, era educato ma mai noioso
e sembrava avere sempre la cosa giusta da dire.
Tuttavia
era proprio il professor Captatio l'anima della festa: raccontò un
paio di aneddoti piuttosto buffi e, alla barzelletta del Troll e
della Megera, ci mancò poco che Edmund si strozzasse con l'agnello
arrosto. Bevve velocemente un bicchiere d'acqua per evitare di
strangolarsi e si meritò un'occhiatina divertita da parte di
Laughlin.
Ma
la cosa che Edmund temeva di più era l'apertura delle danze. Quando
tutti ebbero terminato di mangiare, il professor Captatio fece
sparire tavoli e sedie con un colpo di bacchetta e un quartetto di
archi entrò in sala. Edmund mugugnò.
«Stai
tranquillo» sussurrò Laughlin, con un sorriso incoraggiante. «Basta
che segui la musica».
La
faceva facile, lui che era un ballerino nato! Edmund non aveva
nemmeno la più pallida idea di dove incominciare. Si ritrovò in
mezzo alla sala insieme agli altri campioni, con gli occhi di tutti
puntati addosso. A giudicare dall'espressione terrorizzata di Moira,
neppure lei doveva essere una gran ballerina.
La
musica partì. Laughlin e Chaitaly presero a volteggiare con grazia,
mentre loro due restavano lì impalati a guardarsi. Fu Moira a
prendere l'iniziativa: afferrò la mano destra di Edmund e se la mise
sul fianco, poi prese l'altra e cominciò a trascinarlo per la sala.
Non andavano a ritmo con la musica né non seguivano i passi:
semplicemente roteavano in modo un po' scoordinato. Ogni tanto Edmund
pestava i piedi o l'orlo del vestito a Moira, e la sotterrava di
scuse. Alla fine, si arresero entrambi alla loro goffaggine e
decisero che il modo migliore per uscirne indenni era riderci sopra.
Per fortuna, ad un certo punto il professor Captatio invitò a
ballare Mama Hope, dando il via alle danze, cosicché i campioni non
furono più al centro dell'attenzione. Tra l'altro, il povero
Captatio sembrava sparire completamente tra le braccia della preside
africana, come se fosse stato ingoiato dalle fauci di un mostro.
Quando finalmente quello strazio di musica finì, Edmund si lasciò
sfuggire un sospiro si sollievo. «Meglio se ci fermiamo, sai»
suggerì con un sorriso.
Moira
ridacchiò, annuì e, tenendo per mano il compagno, lo condusse
lontano dalla pista da ballo, verso il tavolo con i cocktail. Per
fortuna Moira non era interessata alle danze, così i due ragazzi
poterono starsene tranquilli a chiacchierare. Edmund constatò che
era piuttosto piacevole fare due parole con lei, perché era gentile,
sapeva ascoltare le persone e non pretendeva di aver sempre ragione.
Edmund
era immerso nei suoi pensieri su Moira, quando Mairead e Connery gli
passarono davanti volteggiando. Il suo sguardo si incupì e gli occhi
ridotti a due fessure seguirono le figure danzanti che si
allontanavano. Avrebbe voluto dare fuoco a quel faccino angelico
tutto riccioli e occhioni blu, con quel suo irritante sorriso da
vincitore.
Moira
seguì la direzione di quello sguardo e sembrò cogliere il messaggio
sottinteso che vi si nascondeva. Mise una mano sulla spalla di Edmund
nel tentativo di fargli sentire la sua vicinanza: capiva benissimo
che si poteva provare un'immensa sofferenza nell'essere lasciati in
disparte.
In
quel momento la musica cambiò: da valzer un po' lagnoso si trasformò
in allegra danza popolare irlandese. Il quartetto di archi era
sparito, sostituito da un violino, una cornamusa, un'arpa e un banjo,
anche se i musicisti parevano gli stessi. Edmund vide che Laughlin
ballava con maestria, muovendo i passi tradizionali di danza intorno
a Chaitaly, che rideva deliziata.
«È
un bravo ballerino, il tuo amico» commentò Moira, anche lei intenta
a guardare Laughlin.
«Il
migliore» asserì Edmund, in tono assorto. Era magnifico il modo in
cui Laughlin riusciva a far sembrare il ballo una cosa assolutamente
naturale e innata. E non era da sottovalutare la presa che faceva
sulle ragazze.
Quando
terminò la canzone, tutti applaudirono e il tizio che suonava il
violino esclamò: «La prossima canzone è dedicata a tutte le
ragazze! Abbandonate il vostro cavaliere e invitate chi più
preferite per questo ballo: la scelta alle dame!»
L'annuncio
scatenò il caos: uno sciame di ragazze eccitate si aggirava per la
sala alla ricerca de compagno migliore da invitare per la danza.
Edmund notò che Moira fece qualche passo verso la pista da ballo, ma
poi sembrò ripensarci e si fermò. «Vai, Moira, non preoccuparti»
la incoraggiò, con un sorriso. «La scelta è alle dame».
La
ragazza si voltò verso di lui con uno sguardo ansioso. «Mi spiace
lasciarti qui da solo» mormorò, con un sorrisetto a mo' di scusa.
«Non
temere, vai».
Moira
allora fece qualche altro passo verso il centro della sala, ma poi si
fermò di nuovo. «Pensi che potrei chiederlo a... Henry?» mormorò,
con tono incerto.
Edmund
le rivolse un gran sorriso. «Son sicuro che non potrà rifiutare».
Guardando
Moira che, finalmente convinta, si avviava verso Henry Alabacor,
Edmund fu colpito da un'idea: forse avrebbe potuto farsi invitare da
Mairead. Un solo ballo, meglio di niente. Dopotutto, chi altri
avrebbe potuto invitare l'amica?
Arrivò
al centro della pista e si guardò in giro. «Laugh, hai visto
Mairead?» domandò, alzandosi in punta di piedi per scrutare meglio
i presenti: della ragazza non c'era traccia.
«Io...
no» rispose Laughlin, che pareva più che altro preoccupato di
trovarsi una dama per la danza.
«Edmund,
mi concedi questo ballo?» domandò Chaitaly, facendo tintinnare i
ricchi orecchini che indossava.
Il
ragazzo si guardò in giro, alla disperata ricerca di Mairead. Lei
era chissà dove.
Chaitaly
era ancora lì a guardarlo, in attesa di una risposta.
Nel
frattempo Era McKonnit si avvicinò a Laughlin e lo invitò a ballare
con un secco: «Maleficium... zit!» che il ragazzo non poté
rifiutare.
«Edmund,
allora?» lo incalzò Chaitaly.
Il
ragazzo si rassegnò: Mairead era chissà dove e evidentemente non
era intenzionata a invitarlo per quel ballo. Alla fine si voltò
verso la campionessa indiana e le rivolse un sorriso triste. «Come
vuoi».
Mairead,
nel frattempo, aveva abbandonato Leonard con un'idea folle in testa.
Attraversò la sala in fretta, per raggiungere un uomo vestito di
nero, che aveva passato la serata in piedi contro il muro, lanciando
sguardi torvi a chiunque gli capitasse a tiro. Mairead gli si
avvicinò e gli rivolse un gran sorriso. «Professor Saiminiu, mi
concede questo ballo?» gli chiese tutto d'un fiato.
L'uomo
sgranò gli occhi e la guardò come se avesse appena preso a
declamare poesie in antico sumero. Il professor Cumhacht, appena
invitato a ballare dalla professoressa O'Connel, lanciò loro
un'occhiata di puro disgusto.
Captatio,
invece, ridacchiò allegro. «Mi sembra un'ottima idea, Septimius!»
esclamò, mentre si lasciava condurre in pista dalla paciotta
professoressa Blath, che insegnava Erbologia.
Saiminiu
osservò Mairead con crescente terrore, ma la ragazzina non
demordette. Allungò la sua mano verso di lui con fare incoraggiante,
nel tentativo di scollare il professore dal suo angolo.
Alla
fine, rassegnato, Saiminiu si lasciò condurre al centro della pista
dalla ragazzina. Piccolo demonietto. Tale e quale a suo padre.
Il
ballo fu piuttosto imbarazzante, a dir la verità, perché il
professor Saiminiu la teneva a debita distanza, manco stesse danzando
con un troll puzzolente appena caduto in una latrina. Ma Mairead fu
convinta di aver fatto la scelta giusta quando, finita la musica, la
professoressa di Artimanzia si avvicinò a Saiminiu e lo costrinse ad
un altro ballo. Soddisfatta della sua opera, Mairead andò a
strappare una danza anche al cugino Faonteroy, tanto per rompergli un
po' le scatole. Dopodiché ritornò da Leonard, che la stava
aspettando con due bicchieri di champagne in mano.
«Sono
per il brindisi» spiegò il ragazzo, scostandosi una ciocca di
capelli che ricadeva davanti agli occhi. «Ormai manca poco a
mezzanotte».
In
effetti, guardandosi in giro, Mairead notò che quasi tutti i ragazzi
si stavano procurando da bere per il brindisi di Capodanno. Negli
ultimi minuti che li separavano dalla mezzanotte, l'attesa divenne
frenetica. Mairead si strinse a Leonard e partecipò al clima di
tensione che permeava la sala.
Qualcuno
cominciò a fare il conto alla rovescia. «Dieci... nove... otto...»
Mairead
rivolse a Leonard un sorriso luminoso ed eccitato.
«Quattro...
tre... due... uno... AUGURI!»
Urla
di giubilo esplosero nella sala. Mairead bevve tutto d'un sorso il
suo champagne, dopodiché si sentì decisamente più allegra. Leonard
era ad un soffio da lei.
I
due ragazzi si guardarono negli occhi e fu lui a fare il primo passo.
Si
avvicinò a Mairead, le cinse la vita con un braccio e la baciò.
Per
una frazione di secondo il mondo sembrò fermarsi. E poi Mairead
rispose al bacio, eccitata e folle come non lo era mai stata, un po'
per via dello champagne, un po' per l'euforia di quel bacio.
Quando
si separarono, gli occhi verdi di Mairead brillavano di una luce
pura. Arrossì violentemente solo quando si accorse che un sacco
di gente li aveva guardati mentre si baciavano e molti di questi
avevano cominciato ad applaudire.
Non
sentì il rumore di vetri infranti, in lontananza.
Era
stato Edmund, che aveva lasciato cadere a terra il suo bicchiere,
mandandolo in frantumi. Trattenne a stendo l'impulso omicida che gli
era scoppiato nel petto. Una rabbia folle, dettata da un sentimento
di gelosia che non riusciva nemmeno a riconoscere, si impossessò di
lui. Digrignò i denti, strinse i pugni e abbandonò la festa, così,
di punto in bianco, piantando lì da sola Moira, che lo guardò
allontanarsi con uno sguardo addolorato.
Come
promesso... il ballo! E con tanto di sorpresa finale! Ve la sareste
aspettata? Be', forse sì... non è un'idea tanto originale, temo. Ma
va be'!
QUI,
intanto, il disegno sul ballo, che ritrae Leonard e Mairead che
ballano, osservati da un Edmund piuttosto imbronciato, in compagnia
della sua dama Moira.
Volevo
dire due parole sui nostri protagonisti. Prima di tutti Mairead, alla
quale possiamo concedere un po' di stupidità da quindicenne al primo
appuntamento, no? Non è certo diventata la reginetta del ballo, ma
credo che tutti si sarebbero preparati al meglio sapendo di dover
uscire con uno come Leonard! Quanto a Laughlin, è assolutamente il
mio preferito: la naturalezza con cui si pavoneggia è magnifica!
Edmund, infine... be', credo che le sue reazioni siano piuttosto
motivate: prima l'ansia, poi l'imbarazzo, la gelosia e infine la
rabbia. Povero, mi fa quasi pena!
Anche
il personaggio di Moira mi piace molto in questo capitolo. Lei sa che
Edmund è un bel ragazzo ma non ha mire nei suoi confronti (anche
perché capisce che a lui piace qualcun'altra... anche se non lo
ammetterebbe mai!). E non è diventata una gnocca (termine tecnico!)
per il ballo, ma semplicemente carina.
Va
bene, basta spammare con commenti inutili! La settimana prossima
vedremo come si evolve la situazione.... e preparate i fazzoletti,
perché maltratterò per bene il povero Eddy! XD
A
presto e grazie a tutti,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Gelosia e amicizia ***
CAPITOLO
18
Gelosia
e amicizia
La
mattina del primo gennaio, sembrava che le cose si muovessero a
rallentatore: tutti si erano alzati tardi e, nonostante questo,
parevano parecchio assonnati. Edmund, in realtà, era andato a letto
piuttosto presto, ma era talmente immusonito che il suo malumore
poteva benissimo essere scambiato per sonno.
La
notizia più interessante che girava in sala comune dei Raloi,
ovviamente, era il fatto che il capitano di Quidditch avesse baciato
davanti a tutti la giovane promessa della sua squadra. Era
esattamente il tipo di piacevole pettegolezzo che poteva rendere più
frizzante quella fredda e nevosa giornata di gennaio. I due
interessati, almeno, ebbero il buon gusto di non farsi vedere in sala
comune per tutta la mattina.
Edmund,
esasperato dalle continue voci che giravano e dai commentini
romantici di Peig su quanto fossero carini insieme, prese la
pergamena con l'indovinello e si ritirò in biblioteca. Proprio
sull'uscio della porta, incontrò Moira, appena uscita dalla sala
comune dei Llapac che si trovava nello stesso corridoio della
biblioteca. Edmund si sentì in dovere di scusarsi per il suo
comportamento della sera precedente, così sorrise in direzione della
ragazza e le fece capire che voleva parlarle. Lei si limitò ad un
cenno alle sue amiche, che afferrarono al volo di doversela defilare,
anche se alcune rivolsero loro dei risolini divertiti.
«Eh,
senti, Moira...» cominciò a dire Edmund, sentendosi stupidamente a
disagio. «Mi dispiace di essermene andato così, ieri sera. Non è
stato per nulla carino».
I
capelli di Moira erano tornati crespi e indomabili, così come erano
ricomparsi apparecchio e occhiali. Eppure Edmund non riusciva più a
vederla solo come la ragazza più bruttina del castello: sapeva che
era una persona gentile, di animo aperto e di buon cuore. E forse
quello superava anche il fatto che non era particolarmente gradevole
di aspetto.
Lei
sorrise, gli si avvicinò e gli prese la mano. Stranamente, Edmund
non sentì l'impulso di ritrarsi a quel contatto, né si sentì
arrossire per l'imbarazzo. Era una cosa normale, da amici.
«Stai
tranquillo, Edmund. Ho capito» gli rivelò Moira, anche se il
ragazzo non aveva ben afferrato che cosa lei avesse capito. O che
cosa ci fosse da capire, in generale.
Però
Moira era stata gentile con lui. Doveva dirglielo. «Sei davvero una
bella persona, Moira» mormorò, con un sorriso sincero. «Sono
contento di potermi dire tuo amico».
Moira
arrossì leggermente per il commento, ma poi ricambiò il sorriso.
«Grazie, Edmund. Anche io sono contenta di essere tua amica» gli
rispose.
E
poi Edmund fece una cosa piuttosto stupida, che non gli sarebbe mai
saltata in mente. Abbracciò Moira.
Lei
rimase rigida per i primi secondi, imbarazzata e colta di sorpresa,
ma poi ricambiò la stretta.
Quando
si sciolsero dall'abbraccio, erano entrambi un po' impacciati, ma
felici di aver trovato un nuovo amico su cui poter contare.
Laughlin
scoprì che Edmund era in biblioteca, tanto per cambiare. Da quando
era sparito, la sera prima al ballo, non l'aveva più visto. Non era
difficile intuire il motivo per cui aveva lasciato la festa in fretta
e furia, anche se Laughlin era certo che non lo avrebbe mai ammesso.
In effetti, si comportava come se nulla fosse successo: era
concentrato sulla soluzione del sonetto e quasi non si accorse che
l'amico si era seduto di fronte a lui.
«Ehilà!
Buon anno!» esclamò Laughlin, sventolandogli le mani davanti al
naso.
«Ohi»
borbottò in risposta Edmund, passandosi una mano sulla faccia.
«Qualche
problema?» buttò lì Laughlin, nella speranza di farlo sfogare un
po'.
Edmund
mugugnò ma non rispose. Si limitò a fare un cenno con la testa
verso il foglio di pergamena dove era scritta la poesia. Laughlin
sbirciò le prime righe, ma era ovvio che la sua domanda non era
riferita all'indovinello per il Torneo. Che razza di zuccone!
Non
migliorò la situazione l'arrivo di Mairead e Faonteroy: lui, come al
solito, aveva la faccia di uno che si è fatto trascinare
controvoglia, mentre lei aveva un sorriso beato sul volto. Si
sedettero entrambi allo stesso tavolo di Laughlin e Edmund, ma
nessuno dei due sembrava molto intenzionato a studiare.
«Così
tu e Mr Quidditch, adesso, siete una coppia?» indagò Edmund, con un
tono sarcastico che non era da lui.
Per
fortuna Mairead non se ne accorse. Arrossì leggermente, ma sorrise.
«Be', tecnicamente sì. Non è meraviglioso?»
«Meraviglioso»
confermò Edmund, inclinando indietro la sedia e piazzando i piedi
sul tavolo, con le braccia incrociate sotto la testa, in una posa da
vero machio. Aveva l'aria maliziosa e menefreghista.
Mairead,
Laughlin e Faonteroy gli lanciarono un'occhiata sbalordita. Quel
comportamento era così poco da... Edmund!
«Che
stai facendo?» gli chiese Mairead, scandendo bene le parole per
assicurarsi che Edmund capisse quello che stava dicendo.
Il
ragazzo si strinse nelle spalle. «Sono il Campione del Trinity,
posso fare quello che voglio» rispose, come sfidandola a dire il
contrario.
Mairead
scosse la testa, scioccata. «Dovresti essere felice per me, invece
di fare il geloso perché io ho il ragazzo e tu no!» sbottò
furibonda.
Edmund
le rivolse un sorriso fastidiosamente beffardo. «Grazie, ma non sono
interessato ad avere il ragazzo» replicò, facendo brillare gli
occhi per la sua risposta sagace.
Mairead
si alzò di scatto dalla sedia. «Sei un completo idiota!» lo
insultò.
Edmund
la ignorò, stringendosi nelle spalle. Ormai, dargli dell'idiota era
diventato un piacevole passatempo per Mairead. Non che lui si
offendesse più di tanto, dopo l'ennesima volta.
«Faonteroy,
andiamo!» ordinò la ragazza, facendo un cenno al cugino.
«Ma
ci siamo appena seduti» protestò debolmente quello, ben sapendo che
comunque si sarebbe lasciato trascinare dalla cugina anche
controvoglia.
Solo
quando i due ragazzi si furono allontanati, Laughlin riservò
un'occhiata di rimprovero a Edmund.
«Che
c'è?» chiese quello, come se il suo comportamento fosse il più
naturale del mondo.
«Burke,
leva immediatamente i piedi dal tavolo!» ordinò scandalizzata la
professoressa O'Connel che stava girovagando per gli scaffali della
biblioteca alla ricerca di un libro sugli Incantesimi di Appello e
Esilio da consigliare a Henry Alabacor, l'unico a non essere ancora
riuscito a padroneggiarli.
«Mi
scusi, professoressa!» esclamò Edmund, quasi cadendo a terra per la
fretta di eseguire l'ordine.
Laughlin
represse una risatina. «Quando passa la O'Connel, la gente fugge da
lei come se avesse le ali ai piedi!» sussurrò divertito, osservando
come gli studenti si prendessero la briga di assumere comportamenti
rispettosi solo in presenza dell'insegnante di Incantesimi.
Improvvisamente
Edmund si illuminò. «Che cosa hai detto?» chiese a Laughlin, con
gli occhi sgranati per l'eccitazione.
«Io?»
«Sì,
sulla O'Connel!»
Laughlin
lo guardò perplesso. «Che la gente fugge da lei come se avesse le
ali ai piedi?» ripeté con aria confusa. Non capiva davvero cosa ci
fosse di emozionante in quella frase.
«Le
ali ai piedi...» sussurrò Edmund, colto dall'estasi, manco avesse
visto una schiera di cori angelici. In realtà, gli era solo venuta
un'idea.
«Laughlin,
ti amo!» esclamò di getto, afferrando il volto dell'amico tra le
mani e schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
Laughlin
si impietrì, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Bleah!» sbottò,
asciugandosi la guancia con il dorso della mano. «Ed, com'era quella
storia del ragazzo?»
Ma
non ottenne alcuna risposta, perché Edmund se l'era già defilata.
Con
il passare dei giorni, Mairead si era ormai rassegnata al fatto che
sarebbe stata oggetto di pettegolezzo almeno per un po'. Trovava
particolarmente odiosa non la cosa in sé, quanto più l'impressione
che Leonard ne godesse. Certo, lui era carino e quando la baciava
Mairead sentiva lo stomaco attorcigliarsi e il cuore battere forte
nel petto, ma non sopportava le pubbliche manifestazioni d'affetto
che la facevano sempre restare al centro dell'attenzione. La ragazza
era stata costretta a mettere il veto ai baci in pubblico,
soprattutto nella sala comune dei Raloi. Non riusciva a reggere il
fatto che la gente la squadrasse da mattina a sera solo perché stava
con il ragazzo più carino della scuola.
C'era
poi un altro problema: Edmund aveva praticamente smesso di parlarle
dall'inizio di gennaio. Mairead ogni tanto si sedeva con i suoi
vecchi amici e cercava di fare conversazione ma, se Laughlin non
aveva nulla contro di lei, Edmund si era chiuso in un ostinato
mutismo che la ragazza non riusciva più a sopportare. E questo
andava unito al fatto che, a volte, spariva per delle ore intere e
nessuno sapeva dove fosse finito.
Una
sera di inizio febbraio, mentre se ne stava accoccolata su una
poltrona insieme a Leonard a leggere il Corriere, vide passare
Edmund con sotto braccio una scatola di cartone. Le pianse il cuore
quando lui le lanciò un'occhiata piena di disprezzo e se la defilò
nel dormitorio. Era arrivato il momento di porre rimedio a quella
situazione.
Mairead
si alzò dalla poltrona e si affrettò a salire le scale a chiocciola
sulla destra, che portavano alle stanze maschili. Salì al quarto
piano e, ignorando le proteste di Anneus che era appena uscito dalla
stanza, vi si fiondò dentro.
Edmund
era seduto sull'unico letto a baldacchino che aveva le tende tirate
su tre lati. Quando vide entrare la sua amica, non poté trattenere
un'espressione sorpresa. «Mairead, che diavolo...?»
«Edmund,
dobbiamo parlare» decretò la ragazza, sedendosi sul letto al suo
fianco.
«Non
ho niente da dirti» replicò Edmund, in tono duro.
Ma
questo non fermò la determinazione di Mairead. «Senti, lo so che
Leonard non ti va a genio, però credo che sia stupido gettare la
nostra amicizia alle ortiche per una cosa del genere» gli disse,
guardandolo con intensità.
Edmund
deglutì, quando si sentì puntati addosso quegli occhi verdi così
profondi.
«Almeno
prova ad essere felice per me!» lo supplicò Mairead, afferrandogli
la mano.
Nel
momento stesso in cui le dita di Mairead sfiorarono le sue, Edmund si
sentì bruciare. Perché solo lei gli faceva quell'effetto?
«Ti
prego, Ed. Sei importante per me».
Oh,
non sapeva nemmeno lontanamente quanto Edmund avrebbe voluto essere
importante per lei.
Il
ragazzo aveva la gola secca e non riusciva a parlare. Avrebbe voluto
dire molte cose, avrebbe voluto rivelare che odiava Connery solo
perché otteneva tutte le sue attenzioni, attenzioni che lui avrebbe
voluto per sé. Ma non disse nulla. E non riuscì a resistere ancora
a lungo allo sguardo intenso di Mairead.
Alla
fine, semplicemente, annuì.
«Oh,
grazie, Edmund!» scoppiò Mairead, gettandogli le braccia al collo.
Edmund
mugugnò per quell'abbraccio inaspettato che gli aveva causato
un'accelerazione di battito cardiaco. Ma alla fine ricambiò la
stretta, con un unico, singolo singhiozzo.
Povero
Eddy!! ç_ç
Ve
l'avevo detto che l'avrei maltrattato per bene in questo capitolo...
meno male che, almeno, ha trovato una nuova amica in Moria. Certo,
bisogna ammettere che lui stesso si è comportato un po' da idiota!
QUI, l'immagine dell'apoteosi della sua idiozia, quando cioè mette i
piedi sul tavolo della biblioteca.
Quanto
a Mairead, non è molto sveglia: è convinta che Edmund sia
arrabbiato con lei perché non gli piace Connery, ma non capisce che
a lui non piace Connery perché sta con lei! (che bel pensiero
contorto!).
Laughlin,
invece...be', lui è sempre lui! Il mio preferito, in tutte queste
questioni di cuore, perché non si fa prendere da mille
preoccupazioni. Insomma, è sciallo,
come direbbe mia sorella! XD
Prossima
settimana: seconda prova! Che cosa avrà intuito Edmund? ^^
A
presto,
Beatrix
B.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Non è tutto oro quello che luccica ***
CAPITOLO
19
Non
è tutto oro quello che luccica
La
mattina della seconda prova, Edmund si svegliò presto, ma era
ragionevolmente tranquillo: aveva risolto l'indovinello, sapeva in
che cosa consisteva la prova e aveva trovato il modo per sopravvivere
al tuffo dalle scogliere. Sarebbe andato tutto per il verso giusto,
quella volta.
Sgattaiolò
via dalla sala comune quando cominciarono a svegliarsi anche i suoi
compagni, ma evitò accuratamente la Sala Mor, perché non aveva
voglia di vedere gente; così decise di scendere nei sotterranei per
andare nelle cucine (a cui si accedeva facendo l'inchino ad un quadro
di Zaocoonte O'Saoirse, il liberatore dell'Irlanda Magica), dove gli
elfi lo accolsero calorosamente e gli offrirono ogni genere di
prelibatezze. Edmund si accontentò di un bicchiere di latte con una
fetta di torta al cioccolato, dopodiché, controllando l'orologio
appeso sopra i forni, vide che era ora di recarsi in ingresso, dove
lo attendevano i giudici.
Quando
arrivò, ovviamente, Wedge era già lì, con un'aria strafottente
stampata in faccia. Poco dopo li raggiunse anche Chaitaly e, visto
che erano arrivati tutti, il professor Captatio fece salire i giudici
su una carrozza e i tre campioni su un'altra. Durante il viaggio,
nessuno parlò, né furono azzardate ipotesi su dove si stesse
andando, perché ciascuno sperava che gli avversari non avessero
risolto l'indovinello e certo non intendeva facilitarli rivelando la
destinazione.
Solo
quando la carrozza si fermò, circa una ventina di minuti più tardi,
Edmund osò aprire lo sportello e sbirciare fuori. Represse un
selvaggio grido di compiacimento, quando riconobbe dove si trovavano:
le scogliere di Moher, esattamente come aveva pensato.
Anche
per quella prova, era stata predisposta una tribuna, un tavolo per i
giudici e un padiglione dove i campioni avrebbero ricevuto le
istruzioni. Dando un'occhiata veloce, Edmund notò che erano già
arrivati parecchi spettatori, che dovevano essersi alzati molto
presto, vista la lontananza delle scogliere di Moher dal castello.
C'erano anche Mairead e Laughlin, insieme a Dominique, Faonteroy e,
con suo grande dispiacere, Leonard. I suoi amici lo salutarono e gli
rivolsero sorrisi di incoraggiamento, ai quali Edmund rispose con
nervosi cenni del capo: l'ansia, ora, cominciava a farsi sentire.
Poi
il professor Captatio richiamò i campioni nel padiglione per dare
loro le istruzioni riguardo alla prova. «Come immagino abbiate
capito dall'indovinello» cominciò a dire il preside, «Dovete
buttarvi dalle scogliere di Moher, entrare in una caverna sul fianco
della scogliera, recuperare quanto più oro riuscite e tornare qui
entro il tempo limite di un'ora. Semplice, no?»
Edmund
e Chaitaly si scambiarono un'occhiata densa di significati: anche
l'altra volta Captatio aveva detto che la prova si sarebbe rivelata
semplice.
Dopodiché,
Mama Hope recuperò i soliti tre Argo e li programmò perché
seguissero ognuno un campione. Il preside Singh, invece, consegnò a
ciascuno di loro una sacca da mettere a tracolla, per poterla
riempire di oro.
«Bene!»
esclamò Captatio, battendo le mani. «Ora, tutti fuori che il
pubblico ci aspetta!»
Quando
i tre campioni uscirono, furono accolti da un'ovazione. Edmund
cominciò a sentire le mani sudaticce e strinse convulsamente la
bacchetta.
«Al
mio fischio, partite!» annunciò il professor Captatio e poi soffiò
con energia dentro il suo fischietto.
Chaitaly
si levò lo scialle che portava sulle spalle e lo depositò a terra.
Con un incantesimo che Edmund non aveva mai sentito, lo fece
sollevare e questo vibrò a mezz'aria, come una specie di tappeto
volante. La ragazza, infatti, vi salì sopra e sfrecciò giù dalla
scogliera.
Wedge,
invece, bevve un sorso da una strana pozione, che gli fece spuntare
due enormi ali da aquila sulle spalle. Doveva essere un intruglio
africano, perché Edmund non ne aveva mai sentito parlare. Prima di
sparire alla vista, Wedge lanciò uno sguardo sprezzante a Edmund, il
quale era rimasto immobile sul precipizio, a guardare il mare che si
infrangeva contro le rocce. Non che soffrisse di vertigini, ma era
piuttosto inquietante l'idea di buttarsi giù.
Deglutì.
Aveva preparato un'entrata in scena epica, ma non era più tanto
sicuro di volerla fare: se il suo incantesimo non avesse funzionato,
si sarebbe spiattellato sugli scogli sottostanti. Forse era il caso
di provarlo, prima.
E
poi... «Mah!» e si buttò.
Le
grida terrorizzate degli spettatori gli arrivarono in sordina alle
orecchie, mentre il vento fischiava nei timpani e gli faceva
sollevare la divisa e i capelli. Per un attimo rimase stordito, a
sbattere contro il muro di aria, mentre gli scogli si avvicinavano
sempre di più. Ma poi si riprese: batté i tacchi delle scarpe e ai
lati delle caviglie comparvero due alette. Le ali cominciarono a
sbattere frenetiche e arrestarono la caduta con un tale strattone che
Edmund si ritrovò a fare una capriola in aria. La torta che aveva
mangiato a colazione gli si rivoltò nello stomaco e fu costretto a
trattenere un conato di vomito. Ci mise un po' a manovrare quegli
strani calzari, ma alla fine riuscì ad avere la meglio.
Li
aveva recuperati dal covo degli Extraiures, (l'idea gli era
venuta in mente quando Laughlin aveva detto quella cosa delle “ali
ai piedi”) ma aveva passato le ultime due settimane a sistemarli:
entrambi erano piuttosto malconci, con le ali spezzate, e poi aveva
bisogno di creare un meccanismo che nascondesse le ali fin tanto che
non lo avesse deciso lui.
Quando
finalmente riuscì a mantenersi in equilibrio, risalì per qualche
metro, finché non ricomparve alla vista del pubblico, con un aria
trionfante. Gli spettatori esplosero in un ruggito di approvazione e,
forse, anche sollievo. Edmund aveva l'aria di un conquistatore di
altri tempi.
Dopo
aver raccolto gli applausi dei suoi ammiratori, Edmund decise che era
tempo di dedicarsi alla prova. Così, si rituffò verso il mare, con
la bacchetta in pugno. Inizialmente la cosa più difficile fu quella
di mantenere l'equilibrio con quelle stupide ali ai piedi, ma poi
accadde qualcos'altro che attirò la sua attenzione: un urlo acuto
squarciò la tranquillità del limpido cielo di febbraio. Edmund
strizzò gli occhi, e poi lo vide: Chaitaly era una ventina di metri
sotto di lui e sembrava essere stata attaccata da una sorta di
uccello di fuoco. Edmund osservò la scena dall'alto per qualche
tempo: Chaitaly se la cavava abbastanza bene, con incantesimi mirati,
ma presto arrivarono altri uccelli e anche Wedge, poco più sotto,
venne attaccato.
Questa
volta non aveva alcuna intenzione di andare in aiuto degli altri
campioni, anche perché sembravano farcela anche da soli. Mentre loro
erano alle prese con quelle creature, Edmund sfruttò il tempo che
aveva a disposizione per cercare di individuare la caverna. Fu
abbastanza sicuro di averla trovata quando riconobbe un grosso taglio
nel fianco della roccia, poco distante da dove stava combattendo
Chaitaly. Edmund pensò che fosse proprio il caso di sfruttare la
situazione a lui favorevole, così si lanciò in direzione della
grotta. Ma non aveva percorso in volo che pochi metri quando uno
degli uccelli che stava attaccando Chaitaly si accorse di lui e gli
si avventò contro.
Edmund
non aveva mai visto niente del genere: le dimensioni erano quelle di
una grossa aquila, ma la sagoma dell'animale era fatta completamente
di fuoco; e, non contento, l'uccello sputava dal becco vampate di
fiamme.
«Stupeficium!»
provò a gridare Edmund, ma il volatile scansò con destrezza il suo
pallido tentativo di incantesimo. Non aiutava, poi, il fatto che
Edmund fosse completamente incapace di mantenere l'equilibrio o anche
solo di muoversi rapidamente. Il primo getto di fuoco dell'uccello lo
colpì di striscio, ma la giacca della sua divisa prese ugualmente
fuoco. Edmund sentì la pelle del torace ustionarsi e soffocò a
stento un urlo di dolore, mordendosi la lingua. «Aguamenti!»
gridò soffocato, e un flusso di acqua si sprigionò dalla sua
bacchetta, per spegnere le fiamme.
Quando
osò alzare nuovamente gli occhi sulla creatura, per poco non gli
venne un colpo: almeno dieci di quegli assurdi uccelli di fuoco
stavano puntando dritto verso di lui. Di Chaitaly e Wedge non c'era
più traccia, segno che dovevano essere riusciti ad entrare nella
caverna, lasciando a lui la patata bollente.
«Aguamenti!»
gridò ancora, puntando la bacchetta verso il più vicino. Ma, ben
presto, capì che sarebbe stato accerchiato e allora non sarebbero
bastati i suoi incantesimi. Grigliata di campione.
L'unica
cosa sensata da fare era tuffarsi in mare. Edmund non aveva mai
apprezzato molto l'acqua e, ad essere sinceri, non sapeva nemmeno
nuotare. Tenersi a galla, niente di più. Ma non aveva molte
alternative.
Sempre
facendo attenzione a scagliare incantesimi verso qualsiasi creatura
gli si avvicinasse troppo da minacciarlo, Edmund scese in picchiata
verso gli scogli. Cercò di tuffarsi in mare aperto, per non
rischiare di essere sbattuto contro le rocce dalla violenza delle
onde. Serrò gli occhi e la bocca, quando sentì l'impatto con la
superficie del mare. Ma non aveva tenuto conto che l'acqua era
salata: non appena si bagnò il ventre, le ustioni gli bruciarono
come se la sua carne fosse stata fatta rosolare sul fuoco. Ancora
sott'acqua, Edmund aprì la bocca per urlare ma non ottenne altro che
ingurgitare liquido salato. Le onde e le bollicine provocate dal suo
tuffo erano un vortice intorno a lui e Edmund fu certo che sarebbe
morto lì, affogato nell'oceano. Ma poi, le alette delle sue scarpe
cominciarono a sbatacchiare frenetiche e gli diedero la spinta per
ritornare in superficie, dove c'era l'aria.
La
prima boccata di ossigeno fu quasi dolorosa: i suoi polmoni lo
reclamavano. Edmund sputacchiò l'acqua che aveva bevuto e cominciò
ad agitare le braccia per riuscire a stare a galla.
Gli
uccelli di fuoco emettevano strani versi di lamento, ma non osavano
avvicinarsi alla superficie del mare. «Venite a prendermi adesso!»
li insultò Edmund, gridando con foga nella loro direzione.
Passarono
quasi dieci minuti prima che i volatili si rassegnarono a lasciarlo
in pace. Edmund cominciava ad essere scosso dai brividi per il
freddo, le labbra violacee che tremavano. Ma, finalmente, con un
ultimo richiamo stridulo, gli uccelli di fuoco si allontanarono.
Solo
quando fu sicuro che non sarebbero tornati, Edmund si diede una forte
spinta con le gambe e uscì dall'acqua. Risalì svolazzando il fianco
della scogliera, ma le alette dei suoi calzari erano zuppe e
faticavano a tenerlo in equilibrio. Inoltre, anche la sua divisa
scolastica era impregnata di acqua e le raffiche di vento che
ululavano tra le rocce lo facevano tremare da capo a piedi. Raggiunse
la caverna che era stremato, sebbene non si fosse nemmeno minimamente
avvicinato all'obiettivo della prova. E almeno metà del tempo doveva
essere trascorso. Chaitaly, infatti, sul suo scialle volante, aveva
già cominciato la risalita verso l'alto.
Non
appena Edmund mise piede sul suolo umido e scivoloso della grotta,
tirò un sospiro di sollievo. Batté i tacchi e le alette sparirono.
«Lumus» sussurrò, anche se vi era solo una leggera
penombra: non voleva rischiare di avere brutte sorprese. Avanzò per
qualche metro nel cuore dell'antro, poi la sua bacchetta illuminò la
sagoma china di Hewa Wedge.
«Ehilà,
pivello!» esclamò il campione africano, con un cenno di saluto. Era
intento a riversare frettolosamente qualcosa dentro la sua sacca.
Fece rotolare tra le dita quella che pareva una moneta d'oro, poi la
lanciò dentro la borsa e si voltò verso Edmund con un sorriso
beffardo. «E questa era l'ultima, Mi dispiace Burke, ma sei arrivato
tardi» gli disse, accennando con il capo alla sua sacca. «Sai,
Hiranmay ha preso solo la sua parte, ma a me è bastato un
Incantesimo Estensivo Irriconoscibile per intascarmi tutto quello che
c'era» fece un cenno con gli occhi, poi sogghignò. «Ci vediamo,
pivello!» ridacchiò, prima di defilarsela.
Edmund
se ne rimase ritto lì in piedi, con aria apatica. Aveva fatto tardi,
Wedge aveva preso tutto l'oro e a lui sarebbe toccato tornare
indietro a mani vuote. In fondo alla classifica, di nuovo.
Scosso
dai tremiti di freddo e abbattuto per la sconfitta, Edmund si lasciò
scivolare a terra e vi rimase acquattato per un tempo che non seppe
calcolare. Dopo un po', fu il pigolio ritmico del suo Argo a
riscuoterlo. Anche se non aveva recuperato l'oro, non poteva
arrendersi così: si sarebbe presentato alla giuria, e un po' di
punti dovevano pur darglieli per aver risolto l'indovinello e aver
trovato il modo di volare fino alla caverna.
Aspetta
un attimo... l'indovinello!
Cosa
diceva l'ultima terzina? Entra nell'antro prima della risacca, non
credere ad immagine fasulla e torna con d'oro piena la sacca.
Non
cedere ad immagine fasulla... possibile che l'oro che dovevano
recuperare fosse lì in bella mostra, ad aspettare loro? E se quello
fosse stato solo uno specchietto per le allodole? E se il vero oro
fosse stato nascosto ben più in profondità?
Edmund
si rialzò da terra con nuova decisione, la bacchetta in pugno e lo
sguardo sicuro. Avanzò ancora verso il fondo della caverna, alla
ricerca di qualcosa che potesse indicargli la giusta via. Per
fortuna, l'antro era piuttosto stretto e la strada che stava
percorrendo era anche l'unica: non c'era rischio di sbagliare.
Procedette per almeno dieci minuti, finché non si trovò davanti una
fenditura orizzontale nella roccia, attraverso cui ci sarebbe passato
a stento. Possibile che avesse sbagliato? Ma no, aveva controllato
attentamente il percorso. Forse si trattava solo di un
restringimento, poi la caverna si sarebbe aperta nuovamente.
Così,
Edmund decise di accucciarsi a terra e strisciare dentro la
fenditura. Nello sfregare sulla roccia il ventre ustionato mugugnò
di dolore, ma strinse i denti e andò avanti. Si ritrovò in una
piccola cavità: non appena riuscì a rimettersi in verticale, sbatté
violentemente la testa contro la roccia e si accorse di non poter
restare dritto in piedi; avrebbe dovuto procedere chinato. Ma dopo
pochi passi si ritrovò di fronte una parete di roccia che gli
impediva il passaggio. Non era possibile.
La
analizzò meglio, cercò fenditure, varchi, tracce di magia. Niente.
La strada era bloccata.
Un
senso di oppressione calò su di Edmund. Si sentì schiacciato,
dentro quel piccolo antro chiuso e soffocante. Cominciò a respirare
affannosamente, toccando la roccia che era tutto intorno a lui, come
se potesse spingerla via. Sarebbe morto soffocato lì dentro. In una
tomba. Iniziò a sudare freddo, le gambe molli come gelatina che non
reggevano più il peso del suo corpo.
Bel
momento per scoprire di soffrire di claustrofobia. Si lasciò cadere
a terra, rannicchiandosi in posizione fetale. Doveva darsi una
calmata, o non sarebbe più riuscito ad uscire da quel buco. Vedere
tutta quella roccia intorno a sé lo opprimeva, quindi decise di
spegnere la luce della bacchetta. «Nox» sussurrò e il buio
lo avvolse.
Chiuse
gli occhi e cercò di regolarizzare il suo respiro. Era scosso dai
brividi, ma non sapeva se si trattava di panico o di freddo. Solo
dopo parecchi minuti osò aprire nuovamente gli occhi. Per un attimo
rimase scioccato: la parete di roccia alla sua sinistra luccicava per
la debole luce che filtrava dalla fenditura. Prima non se n'era
accorto, a causa dell'intensità dell'incantesimo Lumus. Mentre
ora... era meraviglioso. Si avvicinò carponi a quelle strane
venature che brillavano al buio, vi passò sopra un dito e realizzò.
Era oro.
Un
sorriso di vittoria si disegnò sulle sue labbra sottili. Ce l'aveva
fatta.
I
giudici e il pubblico seguivano le imprese del Campione del Trinity
osservando la sua pallida immagine proiettata dal disco d'argento del
suo Argo. Gli altri erano già tornati da un pezzo, mentre lui
continuava a procedere all'interno della grotta. Sinceramente, che
cosa diavolo stava cercando di fare?
E
poi «Eccolo!» gridò qualcuno dalla tribuna, quando Burke rispuntò
sulla scogliera, con l'aria di un grande conquistatore.
«Santo
folletto barbuto!» sbottò l'infermiera Flanders, correndogli
incontro. «Burke, seguimi immediatamente dentro il padiglione» gli
ordinò, guardando con occhio critico la sua divisa bruciacchiata e
fradicia.
«Ma...»
provò a dire Edmund.
«Niente
“ma”! O vuoi che ti faccia spogliare qui davanti a tutti?»
L'agghiacciante
minaccia ebbe l'effetto di spegnere qualsiasi protesta. L'infermiera
trascinò Edmund dentro il padiglione, gli fece togliere i vestiti
bagnati, gli spalmò un unguento puzzolente sulla bruciatura e poi lo
ricacciò fuori, in mutande e calzini, imbacuccato in enorme mantello
di lana.
Lo
sguardo di scherno che gli riservò Wedge (a cui erano sparite le ali
dalla schiena), fece capire a Edmund che doveva avere un'aria ben
poco eroica, infagottato in quel pastrano marrone. Si avvicinò al
tavolo dei giudici, dove attendevano anche gli altri campioni di
ricevere il punteggio. Captatio gli rivolse un fugace occhiolino, poi
si puntò la bacchetta alla gola e sussurrò: «Sonorus».
«Forza,
giovanotti, vuotate il vostro sacco!» esclamò il preside e la sua
voce magicamente amplificata riempì la tribuna.
Chaitaly
rovesciò sul tavolo dei giudici un bel gruzzolo di monete d'oro con
evidente soddisfazione. Wedge, dal canto suo, riversò una piccola
fortuna, strappando grida di ammirazione dalla folla. Edmund, infine,
fece rotolare sul tavolo una decina di sassi.
«Questo
è il tuo oro, Burke?» lo derise il campione africano.
«E
questo è il tuo, Wedge?» replicò Edmund, prendendo una moneta dal
mucchio. La osservò per una manciata di secondi, poi commentò: «Che
buffo, non ha il numero di serie» e lanciò la moneta tra le altre.
«Nemmeno questa, e neanche questa» aggiunse, controllando alcuni
dobloni a caso. Un sorriso trionfante si allargò sulla bocca di
Edmund, rendendo i suoi lineamenti quasi grotteschi. «Non è tutto
oro quello che luccica, Wedge. Questi sono soldi dei Lepricani»
rivelò infine, suscitando esclamazioni stupite da parte del
pubblico.
«Queste,
invece, sono pepite d'oro!» esclamò Edmund, puntando la sua
bacchetta contro i sassi che aveva riportato indietro. «Recido»
mormorò e uno di questi si spaccò esattamente a metà, rivelando al
suo interno striature di oro luccicante. In quello stesso istante, le
monete degli altri due campioni sparirono.
Un
“oooh” ammirato si alzò dalla folla.
«Ma
è comunque arrivato in ritardo di mezz'ora oltre il tempo massimo!»
protestò Mama Hope, scatenando un'accesa discussione tra i giudici.
Passarono dieci minuti buoni prima che i cinque membri della giuria
riuscissero ad accordarsi sul punteggio da assegnare a ciascun
campione.
«Abbiamo
deciso di valutare su un massimo di cinquanta punti» annunciò
infine Captatio, e su tutta la tribuna calò il silenzio. «Alla
signorina Hiranmay, per il lodevole incantesimo di Advolatio eseguito
sul suo scialle, per la maestria con cui si è battuta contro gli
uccelli di fuoco e per essere ritornata per prima, assegniamo 40
punti» disse Captatio e un applauso educato seguì l'annuncio.
«Al
signor Wedge, per l'efficacia della pozione utilizzata e per la sua
bravura nel difendersi dagli attacchi degli uccelli, assegniamo 37
punti»
A
giudicare dallo sguardo di Wedge, quel punteggio non doveva andargli
molto a genio. Tuttavia, sommato a quello della prima prova, lo
portava in testa alla classifica con 80 punti.
«Il
signor Burke ha sforato di venticinque minuti sul tempo che gli era
stato concesso e ha ricevuto una ferita dagli uccelli di fuoco»
riprese infine Captatio. «È altresì stato l'unico ad interpretare
correttamente tutto l'indovinello e a ritornare con la sacca piena
d'oro. Per questo, gli assegniamo 41 punti».
Edmund
rivolse un sorriso di gioia selvaggia al suo avversario Wedge. Era
vero, sommati agli altri punti, Edmund si ritrovava comunque in fondo
alla classifica, ma almeno questa volta lo aveva battuto.
Ecco
a voi la seconda prova! Mi sono sbizzarrita parecchio nel
descriverla, prima per gli incantesimi di volo, poi per gli uccelli
di fuoco e infine per la parte nella caverna. Non so se qualcuno di
voi soffra di claustrofobia, ma vi assicuro che mi mette l'ansia il
solo pensiero di infilarmi in qualche buco roccioso come fanno gli
speleologi, e perciò descrivere le emozioni di Edmund mi è venuto
piuttosto naturale.
Quanto
alla sua idea di utilizzare i calzari trovati nel covo degli
Extraiures (qui il link del capitolo di riferimento!), vorrei dire
che, forse, per coloro che hanno letto “Vita da fuorilegge” era
un'associazione piuttosto facile, ma per Edmund è stato un vero
colpo di genio. QUI l'immagine del suo trionfante apparire sulle
scogliere con i calzari ai piedi (la sferetta che ha al fianco, è Argo).
Infine,
ricordate miei cari, non è tutto oro quello che luccica! ;-)
La
settimana prossima riprenderemo un po' in mano i “cattivi” della
storia! A presto,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Drastiche soluzioni ***
CAPITOLO
20
Drastiche
soluzioni
Meccorin
Deamundi, undicesimo conte di Con Cetchthach, sistemò le pieghe del
suo lungo abito nero. Non che il suo guardaroba ospitasse vestiti di
tanti altri colori, in realtà, ma quella volta la scelta cromatica
era dettata dalle circostanze. Mentre si allacciava il cravattino del
suo completo, i cupi occhi blu gli caddero sulla pagina del Corriere
che aveva appena finito di leggere. Il suo sguardo si accigliò
ulteriormente, nel vedere la foto seria della signora raffigurata sul
giornale. Non c'era più religione, a quel mondo.
In
quel momento qualcuno bussò alla porta e Meccorin ordinò di
entrare. I suoi due figli Cassian, il più grande nonché futuro
erede del titolo, e Tricolon entrarono rispettosamente nella stanza,
chinando il capo in segno di sottomissione. «Padre, avete richiesto
la nostra presenza?» chiese Cassian.
Il
conte Deamundi prese il giornale dallo scrittoio e mostrò la pagina
con l'articolo ai due figli. Il più grande afferrò il Corriere
e lesse velocemente il trafiletto. «È un oltraggio al nostro
orgoglio di Purosangue» commentò con disgusto, passando l'articolo
al fratello. «Non c'è nulla che possiamo fare?»
«Quello
che c'era da tentare, è stato tentato» rispose il conte, con un
sospiro drammatico.
Cassian,
allora, si guardò intorno con fare circospetto, poi osò sussurrare:
«Padre, nemmeno discutendone con... voi-sapete-chi?»
Il
conte di Con Cetchthach stritolò con un gesto convulso il bordo
della sua veste. «Ci ho provato, ovviamente, ma non ha voluto
sentire ragioni» rivelò, mentre una smorfia di repulsione gli
attraversava il volto. «Dice che è una buona legge, lui!» sbottò,
alzando il pugno al cielo. «Che salva le apparenze e fa contenti
tutti. È un oltraggio, dico io! Un oltraggio al buon nome di maghi
irlandesi!»
Dopo
quello sfogo, il conte sembrò calmarsi. «Lui cerca sempre
compromessi. Un vero uomo politico» mormorò con un sospiro
rassegnato.
«No,
ormai bisogna intervenire in modo drastico» decretò infine.
Tricolon
finì di leggere l'articolo e ripiegò con cura il giornale, per
appoggiarlo di nuovo sullo scrittoio. «Padre, dall'ultima volta le
hanno messo addosso una scorta» commentò, con un certo rammarico
nella voce.
«Lo
so, ma...» cominciò a dire Meccorin Deamundi, ma fu interrotto da
qualcuno che bussava alla porta. «Avanti».
Daireen
Cumhacht entrò nella stanza con un breve inchino. «Condoglianze,
signor conte».
Deamundi
le rivolse un accenno di sorriso, poi guardò con profondità i suoi
figli e infine tornò a voltarsi verso Daireen. «È ora che
cominciate a lavorare assieme e i vostri obiettivi diventino un unico
obiettivo».
Daireen
e i due figli Deamundi si scambiarono occhiate perplesse: nessuno
sapeva quale compito fosse stato affidato agli altri e quindi non
capivano come potessero collaborare.
«Colpirete
i vostri due obiettivi quando saranno entrambi al Trinity» spiegò
il conte, dirigendosi verso una piccola dispensa che si trovava nel
suo studio.
«Ma,
padre, come possiamo agire sotto il naso di Captatio?» si informò
Tricolon, con una certa perplessità.
Meccorin
Deamundi sussurrò una parola d'ordine e la credenza si aprì,
rivelando una serie di ampolline e vasetti contenenti strani liquidi
o cose galleggianti non meglio identificate. «Il naso di Captatio è
sproporzionatamente grosso, ma non può tenere conto di tutto quello
che entra ed esce dalla sua scuola, ora che c'è il Torneo» rispose
Meccorin, con un sorriso di pura perfidia disegnato sulle sue labbra
pallide. «Vediamo chi ha studiato pozioni, per oggi» sogghignò,
afferrando un'ampolla contenente del liquido rosso scuro e una
scatolina di legno. «Qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di
drago, unito alla Polvere dell'Ossessione?»
I
tre allievi improvvisati si scambiarono sguardi d'intesa. Non c'era
bisogno di rispondere a quella domanda: sapevano tutti dove sarebbe
andato a parare il discorso del conte.
Solo
una perplessità restava sospesa nell'aria: «Come possiamo,
signore?» chiese in un sussurro Daireen Cumhacht.
Il
conte Deamundi appoggiò gli ingredienti sullo scrittoio, poi spiegò:
«Voi preparate la pozione, dopodiché basta solo farla bere a uno
qualsiasi di coloro che avranno il permesso di entrare al Trinity per
la preparazione dell'ultima prova del Torneo. Il resto verrà da sé».
Daireen
annuì, anche se quello non era il suo modo preferito di agire: trame
e sotterfugi per restare impuniti non le piacevano. Avrebbe preferito
sporcarsi le mani con il sangue dei suoi avversari, piuttosto che
agire nell'ombra e architettare piani ingegnosi.
Il
conte Deamundi lo sapeva, ma era anche certo che convenisse usare
prudenza. «Verrà il tempo, sorella Daireen, in cui non saremo più
costretti a nasconderci» le rivelò, mettendole una mano sulla
spalla. «L'EIF risorgerà grandioso a guida dell'Irlanda intera!»
tuonò, ma poi tornò calmo. «Fino ad allora, però, ci conviene
agire con discrezione».
Proprio
in quel momento qualcuno bussò alla porta e il volto serio di
Andalysia fece capolino nella stanza. «Padre, è arrivata Sua
Eminenza il cardinal Saiminiu» annunciò in un sussurro.
Il
conte Deamundi annuì. Era richiesta la sua presenza per cominciare
la cerimonia. «È ora di andare» decretò con un tono severo.
Quando
raggiunse l'ingresso, Meccorin intercettò subito, tra gli altri
ospiti, la figura corpulenta del cardinal Saiminiu. Riservando cenni
di saluto a parenti e amici vari, si diresse senza esitazione verso
il cardinale. «Vostra Eminenza, non sono più riuscito a farvi le
condoglianze di persona per la perdita di vostro fratello» gli
disse, baciando l'anello del mago.
L'uomo
annuì con gravità. «Sextans
era ammalato da tempo e ha lasciato questo mondo forse troppo
giovane. Ma chi siamo noi per contrastare il volere di Nostro
Signore?» mormorò il cardinale, con quella sua voce profonda e
raschiante. «Ora, comunque, siamo qui per vostra madre. Vogliamo far
cominciare il corteo verso la cattedrale di Dubh Cliathan?»
Il
conte Deamundi rispose con un accenno di sorriso. «Certamente».
Era
raro che la Diocesi di Temair concedesse la Cattedrale di san
Patrizio per cerimonie private, ma i Deamundi contavano ancora
qualcosa nella società magica. E non tutti i funerali venivano
celebrati dal cardinal Antilius Saiminiu, ma Evangeline O'Brian
vedova Deamundi poteva godere di certi privilegi, anche da morta.
La
cerimonia fu piuttosto essenziale, in realtà: il conte Deamundi non
amava le esasperate esteriorizzazioni di dolore, e su questo si
trovava d'accordo con il cardinal Saiminiu. Dopo il breve rito in
chiesa, la processione si spostò al cimitero, dove Evangeline
sarebbe stata seppellita nella cappella di famiglia dei Deamundi.
Osservando
la compostezza e lo stoicismo con cui il conte affrontava la morte
della madre, molti ospiti ne rimasero stupiti e lodarono la fermezza
di quell'uomo. Solo i due nipoti più giovani avevano gli occhi un
po' arrossati, segno delle lacrime versate per la nonna.
Ma
vi era qualcuno che non credeva in quel composto dolore.
«Nemmeno
per sua madre ha il buon gusto di piangere!» sbottò Josephine,
scuotendo la testa. Il figlio Reammon le mise una mano sulla spalla,
nel tentativo di consolarla. Lei gli rivolse un sorriso stiracchiato,
poi si asciugò fugacemente una lacrima che le attraversava la
guancia. Il suo rimpianto, il rimpianto dei sopravvissuti, era di non
essere stata vicina a sua sorella quando poteva. Ora era troppo
tardi.
«Quanto
deve aver sofferto, negli ultimi anni, da sola in quella casa tetra
con un figlio che la odiava. Credo che alla fine si fosse pentita di
aver sposato un Deamundi, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo»
mormorò, cercando di reprimere i singhiozzi. «Le volevo bene,
nonostante tutti i nostri dissapori. In fondo, era mia sorella!»
«Lo
so, mamma. Lo so» le rispose Reammon, abbracciandola. I suoi occhi,
nel frattempo, saettavano in direzione del conte di Con Cetchthach,
che si era già voltato verso di loro un paio di volte e gli aveva
lanciato occhiate furenti.
Solo
quando la tomba di famiglia fu nuovamente sigillata, Meccorin
Deamundi si fece loro incontro con passo deciso. «Non siete i
benvenuti» decretò, con una smorfia di disgusto.
«Evangeline
era mia sorella e ho tutto il diritto di venire al suo funerale»
rispose Joey, con lo stesso cipiglio severo del nipote.
Il
conte Deamundi si concesso uno sbuffo. «Sono sicuro che lei non vi
avrebbe voluti qui».
«Io
credo che sia tu a non volerci qui» intervenne Reammon con voce
dura, per nulla intimidito. «Non vuoi che si sappia in giro che il
conte della nobile casata Deamundi ha uno zio Nato Babbano e un
cugino che sposò una donna inglese. Del cui assassinio, lo so
benissimo, sei tu il mandante».
Meccorin
gli si avvicinò, fino a che i loro nasi quasi non si sfiorarono.
Nessuno dei due abbassò lo sguardo, nessuno dei due retrocedette di
un solo passo. Era una sfida.
«Verrà
il giorno in cui i legami di sangue non basteranno più a tenerti
lontano dai guai, Reammon» sussurrò il conte Deamundi, con
una smorfia.
Reammon
si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo. «Prego il cielo perché
quel giorno arrivi presto, Meccorin» replicò, con l'aria di
uno che non aspettava altro. «Perché quel giorno, ce la vedremo
solo io e te. E te la farò pagare per tutti i tuoi crimini».
Il
professor Captatio aveva avvertito i tre campioni che l'ultima prova
si sarebbe tenuta il pomeriggio del giorno 24 giugno. Edmund aveva
passato gli ultimi mesi che lo separavano dalla prova a cercare in
biblioteca e studiare degli incantesimi di attacco e difesa, visto
che il quel frangente si era rivelato piuttosto scarso. Ne imparò
alcuni molto interessanti, come l'Incantesimo di Ostacolo, che
bloccava l'aggressore, o quello di Disarmo, anche se dubitava che la
prova prevedesse lo scontro con altri maghi.
La
sera del 23 giugno, Edmund, Laughlin e Mairead, finalmente loro tre
da soli senza Connery o Dominique o Faonteroy, si ritrovarono in riva
al lago ad osservare gli uomini del ministero che preparavano la
terza prova. Era stato spiegato ai campioni che sarebbero stati
costruiti tre ponti sul lago: li avrebbero dovuti attraversare per
raggiungere la coppa. Nessuno aveva parlato di ostacoli, ma
ovviamente era ovvio che ne avrebbero dovute affrontare.
«È
bello stare un po' tra noi, come ai vecchi tempi» sussurrò Edmund,
osservando gli uomini al lavoro.
«Già...»
mormorò Laughlin, quasi sovrappensiero.
Ma
proprio in quel momento Koen Jansen, il ragazzo boero della Reclife
High School, che stava passeggiando sul lungolago, li vide e li
salutò. «Posso unirmi a voi?» chiese con quel suo tono un po'
apatico.
Edmund
mugugnò qualcosa, ma sapeva che non sarebbe stato molto gentile
cacciarlo via. Così Jansen si sedette sull'erbetta umida vicino a
loro.
«Wedge
ti ha scaricato?» domandò Edmund, con un certo sarcasmo, visto che
i due andavano sempre in giro assieme.
Jansen
non colse il tono sarcastico o forse preferì lasciar perdere. «No,
lui voleva andare a dormire presto, questa sera» rispose con
semplicità. Per un po' restarono in silenzio ad osservare i maghi
del ministero che preparavano i ponti per la prova. La luna si
rifletteva pallida sulla superficie del lago, mentre un venticello
fresco soffiava dal mare. «Non è così male come sembra, comunque,
Hewa» sospirò Jansen dopo un po'.
«Però
sembra parecchio male» commentò Edmund, con una certa acidità.
«Sai,
non è così semplice essere l'unico bianco in una scuola di tutti
neri» rivelò Jansen, con un sospiro. «Da quando è stata istituita
la Reclife, la prima scuola per tutti dopo il crollo dell'apparthaid,
i figli dei coloni bianchi preferiscono gli istituti della
madrepatria, oppure hanno un istruttore privato. I ricchi bianchi non
mandano i loro figli a scuola con i negri. Io... sono una mosca
bianca. E come tale vengo trattato» spiegò. Dopodiché sollevò
un lembo della sua camicia e mostrò una lunga cicatrice sul fianco
sinistro. «Questa me la feci al primo anno. Dei ragazzi più grandi
mi aggredirono perché ero un bianco e riversarono contro di me tutto
l'odio che provavano per quegli europei che li avevano discriminati,
maltrattati e schiavizzati per secoli» mormorò con un tono
avvilito. «L'unico che non bada a quale sia il colore della mia
pelle è Hewa. A lui non importa. Lo so, ha anche tanti difetti, è
pieno di sé e maledettamente ambizioso, ma è l'unico che mi accetta
per quello che sono».
«Sta
facendo di tutto per vincere questo stupido Torneo!» si lamentò
Edmund, a cui ancora bruciava il fatto di essere stato abbandonato
tra i tentacoli del platano, dopo che lui l'aveva aiutato.
Jansen
si concesse un sorrisetto comprensivo. «Lo so. Vuole dimostrare a
tutti quello che vale, far sapere al mondo che anche un ragazzo di
colore ha le carte in regola per vincere un torneo internazionale».
«Non
mi interessa per cosa combatte. Ognuno combatte per qualcosa»
rispose Edmund, mentre i suoi occhi indugiavano su Mairead. «Abbiamo
tutti il diritto di riuscire a vincere».
Edmund
osservò ancora per un attimo gli uomini al lavoro e vide che uno di
quelli con la divisa blu della ditta di trasporti, che era stata
chiamata per montare le tribune e il palco su cui si trovava la
coppa, continuava a voltarsi ossessivamente verso di loro. Non gli
piaceva, non gli piaceva per niente.
«Torniamo
dentro, dai, che si è fatto tardi» consigliò infine, crucciato.
I
ragazzi annuirono e insieme si diressero nuovamente verso il
castello. Prima di entrare dal pesante portone d'ingresso, Edmund
vide che l'operaio li stava ancora fissando. Che diavolo aveva da
guardare?
Come
promesso, ecco tornati i cattivi... di nuovo in azione per portare a
termine malefici piani! Muahahhaha!
Scherzi
a parte, mi piace troppo Meccorin per non dargli un po' lo spazio che
merita. Inoltre, non potevo resistere all'idea di farlo un po'
bisticciare con il caro cugino Reammon: QUI l'immagine che li
rappresenta (ps. sì, lo so, è un po' storta, ma ho litigato con lo
scanner e questo è il meglio che ho ottenuto!).
Ho
spifferato qualche segretuccio dell'EIF, come per esempio il fatto
che hanno una spia al Ministero (il fantomatico voi-sapete-chi
chiamato in causa da Cassian, ovviamente non è Voldemort!). Chi sa
dirmi qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di drago, unito alla
polvere dell'Ossessione? Nessuno temo, perché è una cosa che ho
inventato io...
Comunque,
mi dispiace per chi si stava affezionando a Evangeline, ma è un
personaggio per il quale, già in partenza, non avevo previsto
possibilità di redimersi. Dopotutto, sapeva di aver generato un
assassino, ma era pur sempre suo figlio e comunque lottava per quegli
ideali ai quali anche lei aveva sempre creduto. Inoltre era
un'orgogliosa purosangue (Nagard, per di più) quindi non ho mai
pensato potesse tornare dalla sorella con il capo cosparso di cenere
e l'aria penitente.Quanto al povero Sextans Saiminiu, era giovincello
(76 anni, per la precisione), ma il Creatore (cioè io!) aveva
decretato che fosse giunta la sua ora.
Infine,
ve l'avevo detto che avrei dato a Wedge l'occasione per riabilitarsi:
qui comincia a saltare fuori un altro lato del suo carattere, visto
con gli occhi dell'amico boero Koen Jansen; nel prossimo capitolo,
farà anche qualcosa grazie alla quale, spero, lo riabiliterete.
A
presto,
Beatrix
ps.
scusate se ultimamente ci impiego secoli a rispondere alle
recensioni, ma gli esami invernali si avvicinano e sono un po' presa!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Il potere dell'ossessione ***
Nota
dell'Autrice: nel capitolo è presente una scena di violenza, e
dunque mi sento autorizzata ad avvertirvi che il rating qui si alza
verso il giallo-arancione.
CAPITOLO
21
Il
potere dell'ossessione
Quando,
il pomeriggio successivo, Edmund si recò in riva al lago per
sostenere la prova, aveva le viscere attorcigliate. Aveva passato la
mattina chiuso in sala comune dei Raloi, nonostante la bella
giornata, perché i genitori dei campioni avevano avuto il permesso
di venirli a trovare e per lui, ovviamente, si era presentato Adolfus
McPride. L'unico modo che aveva trovato per sfuggirgli era stato
quello di rintanarsi in sala comune con la scusa di ripassare gli
incantesimi per la prova del pomeriggio. McPride non era sembrato
molto contento per la cosa, ma non aveva avuto la prontezza di
ribattere e quindi Edmund era riuscito a svignarsela. Se durante la
mattina era riuscito a restare tranquillo, leggendosi un buon libro
accoccolato sulla poltrona, mentre gli altri erano fuori a godersi il
sole, con l'arrivo del pranzo aveva cominciato ad agitarsi.
McPride
aveva insistito per sedersi con lui al tavolo. Molti studenti li
osservavano con un certo interesse, ben riconoscendo il Presidente
della Repubblica e chiedendosi cosa ci facesse in fianco a Burke.
«Buffo
vedere la Sala Mor da questa prospettiva» mormorò d'un tratto
McPride, con un mezzo sorrisetto.
«Nagard,
immagino» rispose Edmund, ben sapendo che un uomo ambizioso come
McPride non poteva che essere finito tra gli orgogliosi Nagard.
Il
Presidente gli rivolse un sorriso enigmatico. «Ovvio» commentò,
versandosi del succo di uva nel bicchiere. «Sarà strano avere un
figlio Raloi» soggiunse, lanciandogli un'occhiata perforante.
Edmund
ebbe come l'impressione che la sicurezza con cui aveva detto quella
frase non fosse poi così casuale. «Il Tribunale dei Minori ha
emesso la sentenza, non è vero?» mormorò, con un filo di voce dal
tono incolore. Aveva quasi paura di avere quella risposta, anche se
era certo di conoscerla già.
«Sì,
Edmund» rispose McPride, riservandogli il suo terribile sorriso da
squalo. «E ha deciso per il meglio: ora io sono tuo padre».
Il
vuoto calò intorno a Edmund dopo quella affermazione. Lo sapeva, lo
sapeva che sarebbe successo, ma ritrovarsi di fronte al fatto
compiuto fu comunque traumatico. Ora non aveva più scampo. Era
caduto nella rete del predatore.
Si
alzò dal tavolo tanto velocemente che quasi fece ribaltare la panca.
Doveva andarsene da lì, al più presto.
«Ed,
dove vai?» gli chiese Mairead che, seduta al suo fianco, non aveva
avuto modo di sentire la conversazione tra lui e McPride.
«A
prepararmi per la terza prova» rispose frettolosamente il ragazzo,
allontanandosi a grandi passi.
«Ma,
mancano ancora due ore!» replicò Mairead, quando ormai l'amico era
troppo lontano per sentirla.
«Che
vinca il migliore, Burke» disse una voce alle sue spalle. Edmund,
perso nei propri pensieri, si riscosse e riconobbe subito che si
trattava di Hewa Wedge.
Aveva
passato le ultime due ore seduto su un masso sulla riva del lago, ad
osservare i tre ponti che erano stati predisposti per la prova. Non
riusciva a pensare a nulla, reso troppo apatico dall'annuncio che gli
aveva portato McPride. Era semplicemente scioccato. L'arrivo di
Wedge, infine, l'aveva avvertito che doveva mancare poco all'inizio
della prova.
Edmund
si alzò da terra e si voltò verso il suo avversario. «Strano, non
ho mai pensato che tu potessi dire una cosa del genere» mormorò,
guardandolo dritto negli occhi. Che Jansen avesse avuto ragione nel
dire che non era poi così male?
«Sono
sempre stato di questa idea. Solo che... be', io sono il migliore,
quindi vincerò io» rispose Wedge, con un sorrisetto sarcastico.
No,
Jansen aveva torto marcio: Wedge era odioso.
«Lo
vedremo» sibilò Edmund.
Dopo
poco, per fortuna, arrivarono anche i presidi insieme a Chaitaly e la
conversazione tra i due campioni fu interrotta. Edmund cercò di
cancellare dalla mente ogni pensiero che non riguardasse la terza
prova: ora doveva concentrarsi solo su quella.
«Sapete
già cosa dovete fare» esclamò Captatio con un tono allegro.
«Quando sentirete il primo fischio, partirà il signor Wedge, sul
ponte qui al centro. Al secondo fischio partirà la signorina
Hiranmay, a destra, e al terzo il signor Burke, a sinistra. Il primo
che arriva alla coppa, vince» spiegò il preside, indicando con un
gesto l'altra sponda del lago, dove si trovava il palco con il
piedistallo su cui era poggiato il trofeo, e le tribune per gli
spettatori. Quella volta non avrebbero utilizzato degli Argo, perché
il pubblico riusciva a vedere benissimo tutto ciò che accadeva sui
ponti.
«Attenti
a non cadere in acqua, o sarete squalificati» li ammonì Captatio,
ma poi batté le mani estasiato. «Il sole è alto in cielo, il tempo
è ottimo e non ci resta che augurare a tutti voi buona fortuna!» e
con quelle parole i tre presidi salirono su una piccola imbarcazione
per raggiungere l'altra sponda.
I
tre campioni si posizionarono rispettivamente di fronte al proprio
ponte e sfoderarono le bacchette, pronti a partire al segnale.
Edmund
attese con il cuore in gola che arrivasse il suo turno. Vide prima
Wedge e poi Chaitaly lanciarsi di corsa sul proprio ponte. Il
campione africano era già arrivato quasi a metà, quando il terzo
fischio riecheggiò lontano. Edmund poggiò piano il piede sulle assi
di legno della passerella, per controllare che fosse stabile: era
certo che doveva esserci qualche trucchetto nascosto per rallentarli.
Quando fu sicuro della solidità del ponte, cominciò a percorrerlo
sempre osservandosi in giro guardingo.
Infine
accadde: un mostro si materializzò sul cammino di Wedge, come se
fosse stato protetto da una gabbia invisibile che prima lo teneva
nascosto agli occhi di tutti. Edmund lo osservò: pareva un grosso
rinoceronte; ma non ebbe tempo di perdersi in sguardi ammirati,
perché un'altra creatura comparve sul ponte di Chaitaly: uno strano
corpo di serpente ma piumato e bipede; sembrava una stana accozzaglia
di diversi animali, come se il suo creatore si fosse divertito a
mettere insieme elementi diversi per creare un effetto stupefacente.
Edmund
procedette lentamente sul suo ponte, ben conscio che presto sarebbe
toccato a lui. Infatti, circa all'altezza degli altri campioni, anche
sul suo ponte comparve un mostro: un cavaliere senza testa, con la
spada insanguinata fino all'elsa e un destriero che sbuffava polvere
e sudore.
«Per
le mutande di Morgana!» esclamò Edmund scioccato. «Un Dullahan!»
I
Dullahan erano demoni irlandesi che, per tener fede ad un ancestrale
patto di sangue, uccidevano i maghi che incontravano sul loro cammino
decapitandoli con un colpo di spada e facendo bere al loro destriero
il sangue delle vittime. Il consiglio che tutti i professori di
Difesa contro le Arti Oscure avevano sempre dato a generazioni di
studenti del Trinity, qualora avessero incontrato un Dullahan, era:
“datevela a gambe”.
Consiglio
poco produttivo, in quella situazione.
Il
cavaliere puntò la spada verso di lui, spronò il cavallo e si gli
si gettò addosso.
Edmund
rimase paralizzato per una manciata di secondi, poi reagì:
«Stupeficium!» gridò ma
non riuscì a centrare l'obiettivo. Cominciò a indietreggiare
atterrito, quando gli venne un'illuminazione: era il cavallo la guida
del Dullahan, i suoi occhi e le sue orecchie; se avesse colpito
quello, anche il cavaliere sarebbe rimasto cieco.
Allora
alzò la bacchetta e la puntò verso il muso del destriero, che si
avvicinava sempre di più. «Conjunctivitus!» gridò e un
raggio di luce partì dalla punta della sua arma per centrare dritto
negli occhi il cavallo. Quello nitrì, si imbizzarrì e scalciò.
Edmund si scansò di lato e si appiattì contro la ringhiera del
ponte, per evitare di finire calpestato dalla furia dell'animale.
Infine, per completare il suo piano, puntò la bacchetta verso
un'asse di legno poco lontana e con un Incantesimo di Levitazione
silente la sollevò da terra e la fece rotolare sul ponte più
avanti. Il cavallo, che ormai faceva affidamento su gli altri sensi
rimasti, si gettò all'inseguimento di quel rumore, superando Edmund
senza accorgersene.
Il
ragazzo tirò un sospiro di sollievo e chiuse un attimo gli occhi,
attendendo che il cuore tornasse a battere a velocità normale.
Doveva darsi una mossa, però, prima che il Dullahan cambiasse idea e
tornasse indietro.
Prese
a correre lungo il ponte, sicuro che non ci fosse più nulla a
separarlo dalla riva, quando un secondo mostro comparve sul suo
cammino. Era lo stesso strano essere che aveva sbarrato la strada a
Chaitaly. Forse era una creatura della sua terra, così come il
Dullahan era un demone tipicamente irlandese. Il problema era che
Edmund non aveva la più pallida idea di come affrontarlo.
Quella
specie di grosso biscione avanzò verso di lui, ma questa volta
Edmund reagì subito: «Impedimenta!»
gridò e centrò la creatura sul muso. Quella si bloccò e Edmund si
affrettò a scagliare un Incantesimo di Levitazione, nella speranza
di buttarla giù dal ponte, ma l'effetto dell'Incantesimo di Ostacolo
durò troppo poco e così il ragazzo si ritrovò a fare galleggiare
sopra la sua testa un serpentone di quattro metri per nulla contento
di ritrovarsi appeso. La bestia, indemoniata, sferzò l'aria con la
coda e colpì Edmund in pieno volto. Il dolore fu tale che Edmund
interruppe la magia e il mostro quasi gli piombò addosso. La
creatura sibilò e si preparò ad attaccare di nuovo, ma il colpo
aveva reso più vigile il giovane campione che puntò la sua
bacchetta sulle assi di legno sotto l'avversario e grido:
«Reducto!» Il ponte si ruppe e la creatura cadde nel lago con
un ululato dolorante.
Meno
due. pensò Edmund, riprendendo fiato. La prova si stava
rivelando un'impresa davvero difficoltosa, ma, per fortuna, aveva
dimostrato di avere un buon sangue freddo e spirito d'iniziativa.
Proprio
in quel momento un urlo riempì l'aria e Edmund si voltò
istintivamente verso gli altri campioni. Entrambi stavano affrontando
il loro secondo ostacolo, Wedge un Dullahan e Chaitaly l'enorme
rinoceronte africano, ma sembrava essere in grosse difficoltà. La
bestia trafisse con il suo corno il parapetto del ponte e lo fece
esplodere. Chaitaly, che vi si era appiattita contro per evitare la
carica dell'animale, perse l'equilibrio e cadde nel lago. Riemerse
poco dopo sulla superficie e scoppiò a piangere: la caduta le aveva
meritato la squalifica dal torneo.
Da
un lato, Edmund fu dispiaciuto per lei, dall'altro pensò che era più
vicino a vincere il Torneo Trecolonie di quanto non lo fosse mai
stato. Prese a correre verso l'altra riva, ben sapendo che presto
avrebbe dovuto affrontare la terza creatura: il rinoceronte africano
che, dal corno esplosivo, aveva riconosciuto essere un Erumpent.
Aveva letto di quelle bestie nel libro “Animali fantastici: dove
trovarli” di Scamandro e gli era rimasto impresso perché il veleno
del suo corno e la coda erano ingredienti preziosi per molte pozioni.
Dopo
pochi metri, infatti, un Erumpent si materializzò sul suo cammino.
Con la coda dell'occhio, Edmund vide che anche Wedge aveva incrociato
il suo terzo ostacolo: ora tutto si risolveva in chi dei due avrebbe
sconfitto la creatura più velocemente.
Edmund
non perse tempo; alzò la bacchetta e gridò: «Stupeficium!» ma il
suo incantesimo venne respinto dalla dura corazza della bestia.
Incapace di arrendersi all'evidenza, Edmund cominciò a lanciare
qualsiasi magia gli passasse per la testa, mentre l'Erumpent
cominciava la sua carica verso di lui.
«Impedimenta!
Reducto! Stupeficium! Recido!»
Nulla
da fare. «Expelliarmus!» gridò alla fine. Magari, chissà,
avrebbe potuto staccargli il corno. Niente. I suoi incantesimi
rimbalzavano sulla scorza impenetrabile dell'animale, sempre più
vicino a lui. E poi Edmund ebbe un'idea folle. «Avio!» urlò
e uno stormo di canarini uscì dalla sua bacchetta. «Oppugno!»
ordinò, scagliando gli uccellini contro il rinoceronte come se si
trattasse della sua aviazione personale.
Funzionò,
almeno in parte. L'Erumpent interruppe la sua corsa e prese a
incornare i poveri canarini che caddero come eroici combattenti
sacrificati per la patria. Ma l'idea di distrarre la creatura poteva
essere buona. Edmund puntò la bacchetta contro una vite del ponte,
la appellò nella propria mano e poi la trasfigurò in un corvo.
«Oppugno» mormorò, ordinando all'uccello di attaccare il
rinoceronte. Ripeté la stessa operazione altre e altre volte perché
i corvi, per quanto avessero una sopravvivenza più lunga degli
stupidi canarini, ogni volta che venivano trafitti dal corno
dell'Erumpent esplodevano.
«Oppugno!
Oppugno!» gridò Edmund esasperato, lanciando gli ultimi due
uccelli contro il rinoceronte, che prese a sbuffare dalle narici e
cercò di incornare quei fastidiosi esserini. Edmund realizzò che
era ad un punto morto: avrebbe potuto trasfigurare corvi per
l'eternità, mentre Wedge gli avrebbe soffiato la vittoria sotto il
naso. No, gli serviva un'idea brillante. Osservò per un attimo
l'ultima vite che aveva in mano. E se...?
Non
conosceva la formula, ma se sapeva trasfigurarla in un corvo, perché
con un altro animale sarebbe dovuto essere diverso?
Ci
provò. Si stampò bene in mente l'immagine dell'uccello in cui
voleva trasfigurare la vite, si concentrò e toccò il freddo metallo
con la bacchetta.
Accadde.
Una splendida fenice si formò sul palmo della sua mano. Lo guardò
con quei liquidi occhi dorati e chinò la testa verso di lui, in
segno di rispetto.
«Ciao,
piccolina» mormorò Edmund, accarezzando il suo magnifico piumaggio
rosso e oro che brillava sotto la luce del sole. Proprio in quel
momento, lo scoppio del suo ultimo corvo lo riportò bruscamente alla
realtà. «Portami in salvo» sussurrò alla neonata fenice, che lo
afferrò per il colletto della giacca e si sollevò in volo
trascinandolo con sé.
«Alla
facciaccia tua, Wedge!» esultò Edmund, sorpassando un furioso
Erumpent e godendosi dall'alto lo spettacolo dell'avversario che
combatteva contro la creatura indiana. La fenice lo depositò
dolcemente sull'erba dell'altra sponda, dopodiché lanciò un grido
delicato al cielo e si allontanò, scomparendo alla vista. Edmund
rimase a fissarla con il naso all'insù per qualche secondo, infine
guardò davanti a sé e sulle sue labbra si disegnò un sorriso di
vittoria: a pochi metri si innalzava il palco con la coppa del Torneo
Trecolonie. Ce l'aveva fatta.
Ma
poi Edmund vide che c'era qualcuno nascosto sotto il palco, proprio a
fianco della scaletta che serviva per salire. Dal lato della tribuna,
non si poteva vedere, perché era coperto dagli stendardi rossi e oro
che erano stati messi come decorazione. Edmund strizzò gli occhi e
vide che si trattava dello stesso operaio che li aveva fissati con
insistenza la sera prima.
«Ma
cosa diavolo...?» cominciò a dire, ma non riuscì a terminare la
frase che un incantesimo lo colpì in pieno petto.
Edmund
si sentì improvvisamente più leggero. Pareva che una mano avesse
strappato via tutti i pensieri dalla sua testa, che ora galleggiava
placidamente nel vuoto, come se fosse stata gonfia di elio,
lasciandogli addosso una sensazione di quiete e serenità.
«Uccidila»
ordinò una voce suadente che proveniva da qualche parte sul fondo
del suo cervello.
Ucciderla.
Già, che bella idea. Era sicuro che poi si sarebbe sentito meglio.
Sollevò la bacchetta e la puntò contro la sua vittima, ma poi
qualcosa lo bloccò. Perché doveva ucciderla? Non gli aveva fatto
nulla di male, nemmeno la conosceva.
«Uccidila!»
sibilò la voce, questa volta con maggiore forza.
Sì,
va bene, l'avrebbe fatto.
No,
grazie, non voglio diventare un assassinio.
La
mano di Edmund cominciò a tremare violentemente, per lo sforzo di
riuscire a lanciare l'Anatema sebbene parte di lui si rifiutasse.
«UCCIDILA!»
«No!»
gridò la voce di Edmund, mentre il suo corpo si accasciava
sull'erba.
«Crucio!»
ululò qualcuno.
Un
dolore allucinante gli trafisse ogni parte del corpo e Edmund si
ritrovò a rantolare a terra, con le lacrime agli occhi. Pensò che
sarebbe stato meglio morire piuttosto che sopportare quella tortura.
«Stupeficium!»
gridò una terza voce.
Il
dolore cessò improvvisamente, ma Edmund non ebbe la forza di
alzarsi: rimase rannicchiato sull'erba finché un paio di sandali non
entrarono nella sua visuale. Li riconobbe subito: erano quelli di
Wedge.
«Burke,
tutto bene?» domandò il ragazzo di colore.
Edmund
si stupì di vedere che gli stava offrendo una mano per alzarsi.
Indugiò solo un attimo, poi approfittò dell'aiuto e si rimise in
piedi. «Io... sì, credo bene» mormorò in risposta, ancora scosso
da quello che era successo.
«Chi
diavolo era quel pazzo?» chiese Wedge, accennando all'operaio
tramortito a terra.
Edmund
si strinse nelle spalle. «Non ne ho la più pallida idea. Comunque,
grazie» disse, un po' a disagio. Non avrebbe mai pensato di dire
quella parola proprio a Wedge.
«A
buon rendere» rispose quello, con un certo disinteresse.
Dopodiché
i due ragazzi si accorsero di essere a pochi metri di distanza dal
palco, tutti e due ad un soffio dal diventare campioni, e non ci fu
più spazio per i convenevoli. Si scambiarono una rapida occhiata,
poi entrambi corsero verso la coppa. Wedge era più alto e più
veloce, ma erano talmente vicini che non ebbe tempo di sfruttare le
sue gambe lunghe per distanziare l'avversario. Edmund, d'altronde,
era deciso più che mai a non lasciarsi sfuggire l'occasione di
vittoria.
Giunsero
insieme sul palco, allungarono entrambi le mani e, nel medesimo
istante, strinsero le dita intorno ai manici della coppa.
Ci
fu un esplosione di musica, coriandoli colorati, giochi di luce e
quelli che sembravano fuochi d'artificio. La folla scoppiò in un
boato di gioia, anche se nessuno aveva ben capito quale dei due
campioni fosse arrivato primo. Il piccolo palco si trasformò in una
selva di colore, come se fosse stato magicamente trasportato nel bel
mezzo del carnevale di Rio.
«Non
riesco a togliere la mano dalla coppa!» gridò Wedge, per sovrastare
il rumore.
Edmund
tentò di aprire le dita, ancora serrate intorno al manico, e scoprì
di non riuscirci. «È stato fatto affinché il primo campione a
toccarla fosse anche l'unico vincitore» spiegò il ragazzo. Il
problema era che entrambi avevano afferrato la coppa nel medesimo
istante: quale dei due era il fortunato vittorioso?
Ma
un grido che non aveva nulla a che fare con la festa fece voltare
entrambi di nuovo verso il lago. A stento tra i coriandoli colorati
si intravedeva la sagoma dell'operaio folle: evidentemente
l'incantesimo si Wedge l'aveva preso solo di striscio e l'effetto era
già terminato.
«Avada
Kedavra!» strillò il mago in preda al furore.
Edmund
non riuscì a scorgere quale fosse il destinatario della maledizione,
né se essa ottenne l'effetto desiderato ma, a giudicare dalle grida
di terrore che scoppiarono in tribuna, il bersaglio doveva essere
stato centrato.
«Dobbiamo
fermarlo!» urlò Edmund al compagno, ben sapendo che con quel caos
di coriandoli e luci nessuno dagli spalti poteva avere speranza di
colpire l'assalitore. Il problema era che entrambi erano legati alla
coppa e avrebbero dovuto collaborare per riuscire a combinare
qualcosa. Così, improbabili partecipanti ad una gara di corsa a tre
gambe, Edmund e Wedge ruotarono per riuscire a voltarsi e si mossero
verso l'uomo, che stava già puntando sul suo secondo obiettivo.
«Avada...»
incominciò quello.
«Stupeficium!»
gridò Wedge.
«Impedimenta!»
strillò Edmund.
Nessun
incantesimo andò a buon fine, ma le azioni dei due campioni furono
sufficienti a distogliere il mago dal suo intento. «Ancora voi due?»
domandò con rabbia, puntando la sua bacchetta contro di loro.
Sembrava completamente folle, gli occhi sgranati e le narici
dilatate. «Io devo ucciderle, capite?» ululò, in preda alla
pazzia.
«Expelliarmus!»
ne approfittò Edmund, ma l'uomo fu lesto a parare e poi cominciò a
contrattaccare. Edmund era impacciato nei movimenti, a causa del suo
legame con Wedge, ma essere in due contro uno era decisamente più
conveniente: per quanto il mago fosse svelto, non riusciva ad
attaccare perché doveva preoccuparsi di difendersi su due fronti.
«Fermi!»
gridò una quarta voce, con tono deciso.
Il
preside Captatio.
Edmund
notò che con la bacchetta alla mano e lo sguardo furente, non
appariva più tanto buffo. Anzi, metteva decisamente paura.
L'uomo,
vedendosi messo alle strette, ululò di rabbia. Retrocedette di
qualche passo, guardandosi intorno come una preda in trappola. «Non
mi avrete, non mi avrete!» ringhiò con lo sguardo furente.
Dopodiché si portò la bacchetta alla gola e, prima che qualcuno
potesse intervenire, gridò: «Recido!»
Edmund
chiuse gli occhi di scatto, ma non abbastanza velocemente da riuscire
ad evitare di vedere il sangue che schizzava dalla ferita sulla gola.
Ne sentì l'odore così intenso che gli parve di vedere comunque il
corpo morente dell'uomo che si accasciava a terra in una pozza di
sangue, nonostante avesse gli occhi serrati.
Quando
li riaprì, Captatio era chino sul mago e sussurrava una lenta
litania. Dopo poco però, si fermò e scosse la testa sconsolato. «È
morto» sussurrò affranto.
Edmund
si portò la mano alla bocca e trattenne un conato di vomito. Non
sapeva perché, non sapeva nemmeno chi fosse quell'uomo, ma gli era
venuta una gran voglia di piangere. Si voltò verso Wedge e vide che
anche lui era scosso da quello che era successo.
Sopraggiunsero
anche gli altri presidi e McPride, e degli Auror; scoppiò il
finimondo. L'unica certezza, per Edmund, oltre al freddo manico della
coppa che stringeva ancora insieme a Hewa Wedge, fu lo sguardo cupo
ma insieme rassicurante che gli lanciò il professor Captatio.
Eccoci
qui, ci stiamo avvicinando inesorabilmente alla fine di questo
(entusiasmante?) quarto racconto della saga dedicata ai giovani maghi
irlandesi. Il prossimo, infatti, sarà l'ultimo capitolo, seguito da
un epilogo.
Ma
andiamo con ordine! Le creature che i campioni devono affrontare, non
le ho inventate io: il Dullahan (qui il link) è una creatura che fa
parte della tradizione irlandese, l'Erumpent (qui il link) e l'Occamy
(qui il link), invece li ho recuperati dal libro “Gli animali
fantastici: dove trovarli” e sono rispettivamente originari
dell'Africa e dell'Estremo Oriente. Mi sembrava carino che i campioni
avessero a che fare con esseri della propria terra.
Secondo
luogo, spero che il salvataggio di Edmund da parte di Wedge vi abbia
aiutato a rivalutare almeno un po' questo personaggio. In fondo, non
è cattivo! È solo un po' pieno di sé e vuole sempre dare il
meglio per dimostrare quanto può valere un ragazzo di colore
(non vi ricorda qualcuno a caso? Vedrete, nel prossimo capitolo se
non avere capito! ^^).
Infine,
ecco qual era l'utilizzo della Polvere dell'Ossessione insieme al
sangue di drago. Ma, se non vi è del tutto chiaro, lo spiegherà
Captatio meglio nel prossimo capitolo! Scusate se ho inserito una
scena un po' cruda, ma ogni tanto ho manie splatter! Scherzi a parte,
il suicidio dell'operaio non è messo lì a caso. Così come ho
cercato di rendere la scena reale, con Edmund che, seppur chiudendo
gli occhi, è come se vedesse tutto alla perfezione nella sua
mente... a voi non è mai capitato?
Bene,
basta note chilometriche!
Alla
prossima,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Tempi oscuri in arrivo ***
CAPITOLO
22
Tempi
oscuri in arrivo
La
mattina successiva, Edmund si svegliò piuttosto presto. Aveva
dormito male, con degli incubi che non ricordava. Ne approfittò per
fare una bella doccia, poi indossò la sua divisa dei Raloi e scese
in sala comune per accoccolarsi su una poltrona a leggere. In realtà,
non riuscì a concentrarsi molto e, dopo essersi accorto che stava
rileggendo la stessa frase da dieci minuti, capì che era meglio
lasciar perdere. La sua mente era stata rapita dagli eventi del
pomeriggio precedente.
Aletheia
O'Gara era morta. Era stata lei la destinataria della prima
maledizione scagliata dal folle mago. Ma Edmund continuava a
chiedersi chi fosse, perché avesse attentato alla vita del Capo del
Dipartimento dell'Istruzione Magica e per chi avesse lavorato.
Inoltre
era preoccupato perché aveva inteso che ci sarebbe dovuta essere
un'altra vittima; e temeva di sapere chi fosse. Fu così che Edmund
decise di andare dal professor Captatio: nessuno come lui riusciva a
rassicurarlo nei momenti difficili.
Quando
arrivò davanti alla porta della presidenza, non fece in tempo a
bussare che questa si aprì sotto i suoi occhi. Sull'uscio comparve
il professor Silente. Era alto e maestoso esattamente come Edmund se
lo ricordava, ma i suoi occhi non brillavano più: parevano cupi,
rassegnati.
«Signore»
lo salutò educatamente Edmund, con un cenno del capo.
«Oh,
ciao, Edmund» rispose distrattamente quello, accennando ad un
sorriso. Dopodiché sparì giù dalle scale a chiocciola.
Edmund
lo osservò per un attimo, stupito da quel suo comportamento schivo
che forse serviva a nascondere una qualche preoccupazione, poi mise
la testa nell'ufficio di Captatio. «Mi scusi, signore, posso?»
domandò educatamente.
«Certo,
Edmund» rispose il preside, con un sorriso. Edmund allora entrò
nella stanza e si sedette di fronte alla scrivania. Il professore lo
guardò dritto negli occhi e domandò: «C'è qualcosa che vuoi
chiedermi?»
Edmund
si stropicciò le mani. «Sì, signore» rispose, con un filo di
voce. «Chi era quel folle e perché voleva uccidere a tutti i costi
la O'Gara?»
Captatio
sospirò affranto. «Edward Montrose non era un pazzo, era un
pover'uomo che faceva l'operaio per mantenere moglie e figli. Ha
avuto la sfortuna di incontrare sulla sua strada le persone
sbagliate. Non so di chi si sia trattato, ma posso ragionevolmente
dire che fosse gente dell'EIF».
«Che
cosa gli hanno fatto, signore?»
«Si
chiama Pozione dell'Ossessione, un preparato molto difficile che
richiede ingredienti rarissimi» spiegò il professor Captatio. «Era
molto in voga nell'EIF ai tempi in cui Voldemort era al potere.
Praticamente, chi la beve diventa ossessionato da un'idea che decide
chi ha preparato la pozione. A quei tempi, l'EIF la utilizzava per
mettere in testa certe cose così folli che, non riuscendo a
realizzarle, i poveretti che l'avevano bevuta si suicidavano».
Edmund
represse un tremito all'idea che qualcuno potesse renderlo ossessivo
nei confronti di qualcosa, soprattutto visto la tragica fine a cui
era destinato. «Anche l'operaio si è ucciso» commentò con un
groppo alla gola, al solo ricordo della morte dell'uomo. «Doveva
ammazzare qualcun altro e non ci è riuscito, vero?»
«Temo
di sì» asserì Captatio, in tono doloroso.
E,
chissà perché, Edmund era convinto di sapere di chi si trattasse.
«Doveva uccidere Mairead» decretò serio.
Captatio
lo guardò negli occhi con intensità. «La signorina Boenisolius è
un obiettivo probabile, considerate le sue scomode parentele» ammise
il professore. «Ma, per sua fortuna, ora l'EIF avrà ben altro a cui
pensare».
«Che
cosa è successo, signore?» domandò a bruciapelo Edmund; ma prima
ancora che Captatio potesse rispondere, una serie di idee gli si
affacciarono nella mente. «Centra qualcosa con il torneo Tremaghi,
non è vero? È successo qualcosa a Hogwarts? Qualcosa che ha a che
fare con Voldemort?» domandò, con agitazione crescente.
Captatio
gli rivolse un sorriso bonario, ma dal suo sguardo, Edmund capì che
non gli avrebbe risposto. «Spiegherò tutto al banchetto di questa
sera» disse infatti, con un tono dolce ma deciso. «Ora va', Edmund.
Goditi un po' del tuo meritato riposo».
Edmund
capì che la conversazione era finita e, dopo aver salutato il
professore, uscì dalla presidenza con mille pensieri in testa.
Attese
con sempre maggiore ansia il banchetto di quella sera, non solo
perché Captatio avrebbe rivelato cos'era successo a Hogwarts, ma
anche perché era stata prevista la premiazione del Torneo
Trecolonie. Evento che non si era mai verificato nella storia del
Torneo, quell'anno c'erano due vincitori: il premio in denaro sarebbe
stato diviso e la coppa sarebbe stata tenuta per metà del tempo al
Trinity e per la restante metà alla Reclife High School.
Ovviamente,
tutti gli studenti irlandesi erano assolutamente convinti che il loro
campione fosse stato migliore dell'altro e che fosse l'unico a
meritarsi la vittoria. Gente che Edmund non aveva neanche mai visto,
lo fermava per i corridoi e gli stringeva la mano o si congratulava
con lui. Un gruppo di ragazzine del terzo anno passò parecchio tempo
a lanciargli occhiatine ammiccanti e a nascondere rossori e risolini
divertiti.
Ma,
più che tutta quella fama, Edmund era contento delle attenzioni dei
suoi amici Laughlin e Mairead. La ragazza, in particolare, sembrava
aver dimenticato di essere la fidanzata di
Bellimbusto-Campione-di-Quidditch-Conery e dedicava tutto il suo
tempo a Edmund. Laughlin, dal canto suo, era un po' depresso per
l'imminente partenza delle studentesse della Dashi Mahal, Chaitaly in
particolare, ma dimostrando una sprezzante aria da Don Giovanni,
fingeva di non essere particolarmente interessato alla cosa.
I
tre amici passarono un piacevole pomeriggio in riva al lago,
chiacchierando con tranquillità di cose banali, come se volessero
fingere di avere una vita normale e tentassero così di scacciare
tutti i cupi pensieri per ciò che aveva sconvolto e reso assurdo
(tanto per cambiare) il loro quarto anno di scuola. Arrivata la sera,
si incamminarono nuovamente verso il castello, pronti a gustarsi il
banchetto di fine anno.
Gli
elfi domestici sembravano aver dato il meglio di sé, forse per
tentare di stupire un'ultima volta gli ospiti. In Sala Mor si
respirava un'aria di allegria e di festa, ma anche un po' di
nostalgia per gli amici stranieri che presto sarebbero ritornati a
casa. Al tavolo dei giudici, la O'Gara era stata temporaneamente
sostituita, con grande rammarico di Edmund, proprio da McPride. Per
tutta la sera, continuò a lanciargli sorrisetti che volevano essere
paterni, ma che in realtà facevano rabbrividire Edmund e gli
ricordavano la terribile prospettiva di passare l'estate a villa
McPride.
Terminato
il banchetto, il professor Captatio si alzò dal tavolo degli
insegnanti e la sala piombò nel silenzio. «È con immenso piacere
che chiamo qui davanti i due vincitori di quest'edizione del Torneo
Trecolonie, Hewa Wedge e Edmund Burke!» esclamò entusiasta,
allargando le braccia come un presentatore.
Edmund
e Wedge si alzarono entrambi dal tavolo dei Raloi e, sotto uno
scrosciante applauso, raggiunsero il fondo della sala. Si inchinarono
ai giudici e agli altri professori, poi si voltarono verso gli
studenti.
«Fate
bene ad applaudire» esclamò il professor Captatio. «Perché questi
due giovani hanno dimostrato una prontezza di spirito e una capacità
di vincere le situazioni avverse davvero notevole. Sono qui oggi,
insieme davanti a voi, non solo perché entrambi hanno afferrato la
coppa del Torneo, ma anche perché, seppur nelle differenze e nelle
rivalità, hanno saputo collaborare quando il momento lo richiedeva e
hanno affrontato situazioni ben peggiori di ciò che era richiesto
loro nelle prove».
Edmund
capì subito che quelle parole si riferivano alla loro lotta contro
l'operaio drogato dalla Pozione dell'Ossessione. Era vero:
stranamente, lui e Wedge erano riusciti a collaborare, in
quell'occasione.
«Edmund
e Hewa hanno dimostrato a tutti noi non solo il loro grande coraggio
e la forza di volontà che li ha portati qui stasera, ma anche il
fatto che le situazioni avverse sembrano più leggere, se affrontate
in due» riprese a dire il preside. «Per questo, i giudici hanno
acconsentito che il Torneo Trecolonie avesse due vincitori. Perché,
quando dobbiamo combattere, è meglio se abbiamo un amico al nostro
fianco».
Il
discorso fu accolto da un caloroso applauso, anche se Edmund
intravide Chaitaly, seduta al tavolo dei Nagard poco distante da
Laughlin, che aveva proprio l'aria di essere scoppiata a piangere.
Dei tre campioni, era l'unica restata a bocca asciutta. Quasi gli
dispiaceva, visto che aveva legato molto di più con lei che con il
campione africano. Edmund si voltò impercettibilmente verso il
preside Singh, ma vide che lui era imperturbabile come sempre.
Esisteva qualcosa capace di sconvolgerlo?
Inoltre
Edmund aveva come l'impressione che l'idea di sottolineare le loro
virtù collaborative fosse solo di Captatio: gli altri giudici
dovevano essersi semplicemente rassegnati al fatto che era
impossibile stabilire chi tra lui e Wedge avesse vinto.
Al
termine del breve discorso del preside, McPride si alzò dal tavolo e
si avvicinò a loro, per consegnare il premio in denaro e appuntargli
al petto la coccarda del vincitore, su cui vi erano rappresentati gli
stemmi delle tre scuole e, al centro, le lettere “T” e “C”.
«Ben
fatto, figliolo» si complimentò McPride, nel appuntare la spilla
sul petto di Edmund. «Non faccio altro che premiarti, di questi
tempi».
Edmund
non rispose alla provocazione, ben sapendo che, contro quell'uomo,
aveva combattuto una battaglia persa fin dall'inizio. Ma, almeno per
quella sera, non voleva pensarci: doveva godersi la festa.
Wedge
aveva un sorrisetto beffardo stampato in faccia e sembrava
estremamente soddisfatto di essere lì a raccogliere gli applausi del
pubblico. «Non sei poi così male, sai, pivello, per essere un
pisciasotto di quindici anni» sussurrò rivolto all'altro campione.
«Ne
ho sedici, di anni» sibilò in risposta Edmund.
«Come
vuoi» replicò Wedge, alzando una spalla in segno di disinteresse.
Edmund
scosse la testa, ma capì che quello sarebbe stato il massimo che
avrebbe potuto ottenere da uno pieno di sé come Hewa Wedge. Era una
specie di complimento, detto da lui. Fu allora che anche lui si
lasciò sfuggire un sorrisetto. «Anche tu non sei poi così male»
gli disse.
«Saremmo
anche potuti essere amici, se fossimo stati nella stessa scuola»
mormorò divertito Wedge.
Edmund
sogghignò. «Non esageriamo, eh?»
Si
scambiarono un'occhiata. Hewa non sembrava così borioso, quando
sorrideva con sincerità. Amici forse no, ma almeno era una tregua.
In fin dei conti, si assomigliavano più di quanto volessero
ammettere.
Dopo
qualche minuto di applausi, il professor Captatio si alzò nuovamente
da tavola e la sala si zittì. Questa volta, il preside, aveva uno
sguardo più severo. «Cari studenti, cari professori e cari ospiti»
cominciò a dire con un tono serio. «Spero che l'esperienza del
Torneo sia servita per arricchirvi culturalmente e spiritualmente.
Abbiamo conosciuto persone, compagni e amici di nazioni lontane,
abbiamo imparato le loro abitudini e le loro tradizioni e abbiamo
scoperto che, tra le tante differenze, siamo tutti uomini e donne con
speranze e sogni che devono essere rispettati. Mi auguro che ciascuno
di voi abbia scoperto qualcosa dell'altro e abbia capito qualcosa in
più di sé» con quelle parole, riservò uno sguardo paterno a tutta
la sala, poi continuò: «Purtroppo, però, non viviamo nel paese dei
balocchi e la dura realtà ci può svegliare all'improvviso».
Era
strano sentire il professor Captatio usare quel tono grave. Tutta la
sala era avvolta da un silenzio teso. Infine, il preside sospirò e
cominciò a dire: «Come sapete, quest'anno si è svolto a Hogwarts
il Torneo Tremaghi. Durante l'ultima prova, uno dei campioni è
morto. Ma non per un incidente, è stato ucciso. Da Lord Voldemort».
Quelle
parole furono seguite da una serie di mormorii spaventati. Non solo
il professor Captatio aveva osato dire ad alta voce il nome di
Colui-che-non-deve-essere-nominato ma addirittura sosteneva che fosse
tornato. Assurdo! Lui... era morto, anni fa! Era inconcepibile
pensare che avesse riacquistato potere.
«Non
può essere...» mormorò qualcuno.
«È
terribile!» strillò un altro.
«Voi-sapete-chi
è morto!» gridò un Raloi, sovrastando il mormorio.
Captatio
alzò una mano e la sala si zittì. «No, era debole. Più morto che
vivo, forse, ma non morto del tutto. È risorto a nuovo potere
e forse anche più potente di prima. Cercherà di far calare di nuovo
sui nostri paesi un'oscurità senza speranza.
«Il
Ministero britannico ha deciso di chiudere gli occhi e fingere che
Voldemort non sia tornato perché è più semplice vivere nei sogni
che affrontare la realtà. Ma non lasciatevi ingannare: sono in
arrivo tempi oscuri».
Edmund
sentì come un peso che gli calava sulle spalle: se Voldemort era
davvero tornato, nessuno era più al sicuro. Il terrore di quegli
anni, le spedizioni punitive dell'EIF, le sparizioni... era come
essere ripiombati dentro un incubo.
Edmund
lanciò un'occhiata fugace a Mairead e vide che era sbiancata. Le si
leggeva la preoccupazione negli occhi e non era francamente difficile
immaginare il motivo: più Voldemort era minaccioso, più consensi
otteneva l'EIF.
Anche
Lauighlin, dall'altra parte della sala, intercettò lo sguardo di
Mairead. I due si scambiarono un'occhiata densa di inquietudine:
bastò quello per capirsi fino in fondo.
«Ragazzi»
li richiamò il professor Captatio in tono serio. «Presto a tutti
noi sarà richiesto di scegliere da che parte stare, se schierarci
con coloro che negano la realtà, con coloro che usano la violenza
per combattere la violenza, o con coloro che vivono di compromessi,
alleandosi di volta in volta con il più potente. Io non posso dirvi
da che parte dovete stare, ma quando toccherà a voi scegliere,
sappiate che giustizia e verità sono valori di cui non possiamo
dimenticarci».
Ebbene
sì, siamo giunti ormai alla fine: martedì prossimo posterò
l'epilogo di questa storia.
Mi
spiace ragazzi, ma con tutto quello che è successo qui e a Hogwarts
non potevo che chiudere con un capitolo un po' deprimente. Però ho
approfittato di Captatio per spiegare meglio la Pozione
dell'Ossessione e dei “tempi oscuri in arrivo” per far recitare
ancora una volta la parte del saggio consigliere al mio buffo
preside.
Inoltre,
per svelare il mistero che ho lasciato in sospeso nel capitolo
scorso: Wedge assomiglia terribilmente a Edmund! Nessuno se n'era
accorto? Certo, un Edmund pienamente cosciente delle proprie eccelse
qualità, che per ora avete solo assaggiato nella sua versione
sbruffona e idiota causata dalla gelosia, ma che vedrete meglio nel
prossimo racconto! ;-)
Bene,
non ho molto altro da dire se non: BUON NATALE!
Un
affettuoso augurio a tutti, a martedì prossimo,
Beatrix
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Epilogo ***
EPILOGO
Mairead
osservava il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino con aria
sconsolata. Pioveva a dirotto e faceva parecchio freddo per essere
piena estate. Sospirò.
La
conversazione era piuttosto scandente nello scompartimento, quel
giorno, perché ognuno era immerso nel propri pensieri. Il loro
quarto anno era finito e non si poteva certo dire che fosse filato
tutto liscio, anche se non era completamente colpa loro, questa
volta. Tuttavia qualcosa nell'equilibrio del sistema si era rotto:
era come se fosse finito il tempo dell'adolescenza spensierata e
fosse stato richiesto loro di crescere troppo in fretta. Ma lei non
aveva nemmeno compiuto i sedici anni, ancora!
«Per
tutto l'oro dei folletti, ho visto Inferi più allegri!»
sbottò Laughlin ad un certo punto, per interrompere la
monotonia del viaggio. «Sono io che ho mollato la ragazza, mica
voi!»
«Chi
hai mollato?» si informò Edmund, tornando bruscamente
alla realtà.
«Chaitaly»
rispose semplicemente Laughlin, con un'alzata di spalle. «Nell'ultimo
periodo aveva cominciato a diventare piagnucolosa e poi si era
arrabbiata perché tifavo per te, vecchio mio, e non per lei.
Ma poi dico, quale idiota anteporrebbe la propria ragazza agli
amici?»
«Già...»
mormorò Edmund, ritenendo di avere urgente bisogno di lezioni
sui riti di accoppiamento da Laughlin: lui sembrava sempre essere un
passo avanti.
«E
comunque non avrebbe potuto funzionare. Lei sta in India ed è
pure più grande di me. Mai impelagarsi con una più
grande» aggiunse col tono di un vecchio saggio ammaestrato
dall'esperienza.
Per
un po' tornò il silenzio nello scompartimento, ma poi Mairead
domandò: «Ehi, voi non sentite questa musica?»
I
tre amici tesero le orecchie e percepirono effettivamente uno strano
canto che sgusciava sottile sotto lo scroscio della pioggia.
«Sembra...» cominciò a dire Mairead, ma poi
intravide la figura di un uccello maestoso che si stagliava contro il
cielo plumbeo. «Guardate!»
Edmund
e Laughlin spiarono fuori dal finestrino. «È una
fenice!» decretò Laughlin, con convinzione.
«È
la mia fenice» mormorò Edmund. Non si sarebbe mai
aspettato che l'uccello che aveva creato con una trasfigurazione
potesse in qualche modo tornare da lui. Sapeva che era difficilissimo
addestrare quel tipo di animale e solo un mago molto esperto poteva
riuscirci, ma forse tra loro due c'era un legame che non poteva
essere spezzato. In fin dei conti, lui era il suo creatore.
«Apri
il finestrino, falla entrare!» ordinò a Mairead, visto
che la fenice si stava avvicinando sempre di più al treno. Il
magnifico uccello planò dentro lo scompartimento e si posò
sulle ginocchia di Edmund, fissandolo dritto negli occhi con quel suo
sguardo dorato.
«Sei
tornata da me» sussurrò il ragazzo, allungando una mano
verso di lei con fare estasiato. La fenice chinò la testa e si
lasciò accarezzare.
«Ed,
dalle un nome!» suggerì Laughlin, entusiasta.
Edmund
passò le dita sul morbido piumaggio dell'animale, poi mormorò:
«La chiamerò Carmen, canto in latino».
La
fenice parve soddisfatta del nome e, per tenere alto il suo onore,
emise un dolcissimo verso. Dopodiché si sollevò in volo
e si lanciò fuori dal finestrino, in direzione del cielo
carico di nuvole.
«Che
bello, ho sempre sognato di avere un animale domestico» sospirò
Laughlin, osservando la sagoma della fenice che si allontanava.
«Io
avevo un cane San Bernardo da piccola, di nome Momo. E adesso ho il
furetto Roddy, ma è vecchio e rimbambito, perciò lo
lascio a casa da papà, ormai» intervenne Mairead,
sovrappensiero.
«Mio
nonno Abharrach aveva un Augurey, stupido uccellaccio» si lagnò
invece Laughlin, che da piccolo aveva sempre sognato di possedere un
Crup, una specie di cane magico.
«Ma,
Edmund, come farai a tenere nascosta Carmen all'orfanotrofio?»
chiese Mairead, ben consapevole che i Babbani potevano avere qualche
problema con gli animali magici. E un uccello come una fenice non
doveva certo passare inosservato.
«Oh,
per quello non c'è problema» rispose sarcastico Edmund.
«Quest'estate la passo a villa McPride: il Presidente ha
ottenuto l'adozione».
«Oh,
Edmund, mi dispiace» mormorò Mairead, in tono affranto.
Sapeva che l'amico non provava molta simpatia per Adolfus McPride,
anche se non ne capiva davvero il motivo. «Forse, però,
non sarà una cosa così malvagia. Almeno vivrai tra i
maghi» cercò di consolarlo, con un sorriso forzato.
«Meglio
i Babbani di McPride, fidati» replicò Edmund, in tono
duro.
«Ma
almeno dagli una possibilità, no?» intervenne Laughlin,
cercando di far ragionare l'amico.
Edmund
incrociò le braccia al petto e prese a guardare ostinatamente
fuori dal finestrino. «Quell'uomo non se la merita. Non avrà
mai il mio rispetto, la mia mente e il mio cuore» decretò
con fermezza, deciso ad intraprendere una guerra personale contro il
suo carnefice.
Né
Mairead né Laughlin ebbero modo di rispondere a quella presa
di posizione, entrambi ben consapevoli che non c'era speranza di
modificare il giudizio dell'amico.
Il
resto del viaggio fu ugualmente silenzioso, perché Edmund si
era chiuso in un ostinato mutismo. Quando arrivarono nei pressi di
Dublino, per fortuna, aveva smesso di piovere, cosicché non
rischiarono di bagnarsi scaricando i bauli dal treno. La famiglia
Maleficium al completo li aspettava sulla banchina. Laughlin strinse
i genitori in un abbraccio e poi diede uno scappellotto affettuoso al
fratellino.
Poco
dopo sopraggiunse anche Reammon, con la stessa aria allegra e
spensierata di sempre. Mairead gli gettò le braccia al collo
ed esclamò: «Visto, papà? Quest'anno non ho
combinato nessun guaio!»
Reammon
ricambiò la stretta, ma non parve affatto contento della
battuta di Mairead. «E magari vuoi anche un premio, per aver
semplicemente fatto il tuo dovere?» le chiese, in tono
di rimprovero.
Mairead,
però, non ebbe modo di rispondere perché Eoin
Maleficium si avvicinò a loro ed esclamò: «Ah,
Reammon, quell'ocarina cinese era favolosa. Un pezzo unico per la mia
collezione».
Reammon
sorrise soddisfatto. «Lo sapevo che ti sarebbe piaciuta, Eoin!»
rispose in tono allegro.
Laughlin
e Mairead si scambiarono un'occhiata perplessa. «Che genere di
traffici illeciti hanno messo in piedi mio padre e tuo
padre?» sussurrò Laughlin all'amica, in tono
preoccupato.
Mairead
scosse la testa. «Sinceramente, non lo voglio sapere»
mormorò, ben conscia che qualsiasi cosa riguardasse Reammon
era potenzialmente pericolosa ed esplosiva.
«Ehi,
ehi, l'anno prossimo verrò anche io al Trinity!» esclamò
Bearach, saltellando da un piede all'altro con aria eccitata.
«Favoloso»
commentò sarcastico Laughlin, fingendo un brivido.
Per
fortuna Daire Maleficium bloccò sul nascere la discussione con
un'occhiataccia ai figli. «Edmund caro, puoi venire a trovarci
tutte le volte che vuoi» aggiunse poi in tono gentile, rivolta
al ragazzo.
Proprio
in quel momento Edmund vide McPride che si avvicinava a loro,
scortato da due Auror. «Temo che non avrò molte libere
uscite quest'estate, signora Maleficium» mormorò
rassegnato, osservando il suo patrigno che gli sorrideva trionfante.
Doveva affrontarlo, e certo tenergli testa non sarebbe stato facile,
ma non gliela avrebbe data vinta tanto facilmente. Si avvicinò
all'uomo che considerava il suo carnefice e lo guardò dritto
negli occhi.
«Sei
pronto, Edmund?» gli chiese McPride, in un tono che voleva
essere gentile, allungando la mano verso di lui per prendere il suo
misero bagaglio.
«Quando
vuoi» replicò il ragazzo, con uno sguardo duro e
tagliente come una pietra. Avrebbe lottato tutta estate: non avrebbe
rinnegato se stesso. Eppure... anche il metallo più duro si
può piagare.
Non
poteva nemmeno immaginare quanto diverso sarebbe stato di lì a
due mesi.
Non
poteva immaginare che presto sarebbe diventato Edmund McPride.
Eccoci
giunti al termine di questo quarto racconto della saga. Non so voi,
ma a me la cosa fa molta impressione! Ci stiamo inesorabilmente
avvicinando alla fine! O.O
Il
prossimo racconto, il quinto, rappresenterà una svolta
importante perché saranno finalmente svelate le origini di
Edmund... spero che, dopo che le ho pubblicizzate tanto a lungo, non
vi lascino delusi! Comunque, dato che ho scritto sì e no 4
pagine (e non sono nemmeno le prime!), mi prendo una pausa e
comincerò a pubblicare MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO (lo so, è
una data fighissima! Il 2012 bisestile!).
Ora,
due parole sull'epilogo: Laughlin è stupido, sì, lo so;
è nella fase di solidarietà maschile contro l'universo
femminile, ma avrà modo di ricredersi presto o tardi! Tra Eoin
e Reammon sta nascendo una solida amicizia, che vedrete crescere con
il tempo: adoro mettere insieme quei due! XD Infine, Edmund è
tanto testardo quando dice di non voler cedere a McPride ma...
vedrete! ;-)
Nel
frattempo, se a qualcuno interessasse, a partire da martedì 10
gennaio comincerò a pubblicare la prima storia di un'altra
raccolta, ambientata sempre in Irlanda (fantasia portami via!) e
dedicata a due famiglie, il cui destino continua ad incrociarsi con
quello di una terra magica dal nome Faerie.
Per
il resto, grazie a tutti quelli che hanno seguito questa storia, a
chi ha commentato (in particolare a Julia Weasley e darllenwr che
hanno messo il cuore in ogni recensione!), a chi ha leggiucchiato qua
e là, a chi si è interessato a qualche pagina e a
chiunque abbia in qualche modo ricevuto delle emozioni da quello che
ho scritto. Se vi ho fatto amare un po' di più l'Irlanda e i
miei personaggi, sono più che contenta.
Alla
prossima occasione
e
buon 2012!!
Beatirx
Bonnie
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=764106
|