Signorina Primavolta

di Naomily
(/viewuser.php?uid=52175)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Senza nome. ***
Capitolo 2: *** Sfasciafidanzati ***



Capitolo 1
*** Senza nome. ***


Ok, sinceramente non so definire questa... storia. E' venuta fuori da sola, con la forza e non so se a qualcuno piacerà. 
Accetto critiche, consigli, tutto. Fatemi sapere se posso andare avanti o se devo darmi all'ippica. 

Buona lettura.

1.

Senza nome.

 

La chiamavano Signorina Primavolta. La chiamavano così e in tanti altri modi, ma Signorina Primavolta è quello che lei odiava di più.  Le dicevano "Questa volta è andata così, la prossima decidi tu." Tutti i ragazzi la guardavano perchè aveva un bel culo, ma aveva il seno piccolo, minuscolo. Un seno che stava in due mani, un seno che bastavano due mani per coprirlo interamente. Non piaceva mai a nessuno. I suoi ragazzi avevano sempre preferito non avere a che fare con il suo seno. Aveva i fianchi stretti e, se si stiracchiava, tra le cuciture delle sue magliette, si intravedevano le costole. Aveva una cicatrice sul ginocchio e un neo sul collo. Signorina Primavolta era la ragazza più bella della città, eppure nessuno la voleva per più di due sere. Lei era la notte. Era il buio che inghiottiva tutto, il buio che spaventava i bambini e rassicurava gli innamorati che si cercavano nella foga dei baci. E le piaceva così. Di notte nessuno poteva notare quei piccoli difetti che la terrorizzavano: nessuno poteva dirle niente, perchè nessuno la vedeva. Il buio rendeva tutti ciechi, anche se nei suoi confronti erano sempre stati cieci. Non avevano mai notato quanto fossero belli i suoi occhi o quanto amasse il rosso oppure quanti raggi di sole aveva incastrati fra i denti.
Aveva i lunghi capelli biondi tinti appiccicati al viso, il sudore li attirava a sè e non li lasciava andare nemmeno quando fermava la corsa per prendere fiato. Repirò tante volte, fino a quando riperse a inspirare ed espirare normalmente. Spostò velocemente i capelli indietro, liberò il bel viso rosso e sudato e riprese a correre lungo il viale del parco. Le piaceva correre. Correre fino a non sentire più nessun muscolo, correre fino a sentire i polmoni stanchi, la milza dolorante e il fiato corto.
Signorina Primavolta si fermò ancora e si sedette su una panchina. Distese le gambe, riposò i muscoli. Si tolse le cuffie dalle orecchie, ma lasciò che la musica andasse avanti, pur non sentendo altro che un leggero rumore fastidioso che stava a indicare il suo cantante preferito.
Il suo seno si alzava ed abbassava velocemente. Le piaceva da morire sentirsi così stanca. Chiuse gli occhi e lasciò che i raggi del sole primaverile la investissero.
"Ciao, Signorina." Le sembrò di riuscire a percepire il sorriso a trentadue denti del ragazzo. Allora aprì gli occhi e lasciò che lui le toccasse le cosce.
"Ciao." Rispose al saluto, fredda. Il fiatone stava andando via, così come stava andando via la sensazione più bella che il suo corpo potesse regalarle: la voglia di sentirsi desiderata.
Basta. Non voleva più che i ragazzi le parlassero con quel sorrisino in faccia, non voleva più che il suo culo fosse toccato da tutti. Desiderava tanto che Signorina Primavolta la lasciasse in pace e tornasse la vera lei a comandare il suo corpo.
Ma Signorina Primavolta aveva fatto le radici all'interno del suo corpo, della sua mente, del suo cuore, del suo piccolo ventre.
Un altro sorriso e la mano del ragazzo si spostò, scivolò dolcemente in avanti, accarezzando le curve sudate della ragazza, fino a posarsi delicate sul piccolo seno. Rimase ferma lì un po', poi riprese la sua passeggiata fino a fermarsi sulla guancia destra della bionda.
E allora Signorina Primavolta ebbe un fremito e le sembrò di sprofondare in un burrone grande, grosso e nero. Il burrone che tanto temeva, quello dell'amore vero. Allora il suo cuore prese a martellare insistentemente. Picchiettava contro la cassa toracica, facendole quasi male.
Guardò negli occhi il proprietario della mano e sorrise. Era il ragazzo più anonimo che fosse mai esistito, eppure si erano trovati. Si erano trovati per caso, in una fumetteria. Ma a lei i fumetti non erano mai piaciuti. Era entrata perchè quel ragazzo anonimo l'aveva colpita.
Da allora le regalava un fumetto al giorno. Aveva librerie intere a casa e nemmeno uno letto. Non le piaceva leggere, nè parlare. Credeva nella forza dei sorrisi e degli sguardi. Lui lo sapeva, ma ormai era diventata pura abitudine, alzarsi la mattina e pensare a lei.
"Ma non ti stanchi mai?"
"No." rispose subito, pur non sapendo a cosa si riferisse lui.
"Io sì. Mi stanco ad alzarmi la mattina e poi aspettare la sera. Sembra che sia la sera ad aspettare te, invece."
La notte la faceva sentire al sicuro, lontana dagli sguardi di chi di giorno la giudicava, ma non la amava. Non amava il vuoto che l'avvolgeva ogni qualvolta lasciava casa sua, la sera. Ma amava infinitamente le stelle. Le amava così tanto che le scoppiava il cuore quando le guardava. Semplicemente sentiva il suo cuore gonfiarsi di mille emozioni alla vista di quei corpi celesti luminosi. Ma questo il suo spasimante non lo sapeva; perciò continuava a regalarle fumetti, invece di stelle.
"Scusa." Disse lui infine, quando capì che lei non avrebbe parlato.
"Non ti scusare." Gli sorrise. Alzò e abbassò le spalle. Guardò il cielo. Il sole era ancora alto. Le venne voglia di correre via. I suoi piedi non volevano stare fermi. Si stiracchiò.
"Ti prego, dimmi come ti chiami." Implorò lui, capendo che sarebbe sparita da un momento all'altro. Signorina stette zitta, mentre lo rimproverava con lo sguardo. Nessuno sapeva il suo nome. Nessuno aveva mai voluto saperlo. Era un segreto. Un piccolo segreto che solo lei e Signorina Primavolta sapevano.
"Io sono chi vuoi tu. Non ho un nome." Bisbiglò. Afferrò le cuffie e si tappò le orecchie con la musica.
"Ma io voglio che tu sia quella che tu vuoi essere." Mormorò il ragazzo e la vide andare via, sculettando, a tempo di musica, mentre la fatica della corsa produceva ancora sudore.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sfasciafidanzati ***


2.

Sfasciafidanzati

 

"Tu non rispondi mai alle mie domande, eppure  vuoi che io te ne faccia sempre tante." Si lamentò. Signorina Primavolta alzò e abbassò le spalle più volte, ascoltando il fruscio del lenzuolo che si avvinghiava dolcemente intorno al corpo di lui.
"Odio il tuo silenzio. È assordante, cazzo." Lei scosse la testa e rise.
"Come può un silenzio essere assordate?"
"Il tuo lo è. È così rumoroso che non riesco a concentrarmi." Le rispose, serio. Signorina si scansò e sospirò. Si coprì il seno con il lenzuolo e sospirò di nuovo. Avvinghiò i suoi piedi nudi a quelli del ragazzo. Lo abbracciò.
"Scusa, Francesco." Bisbigliò. Lo guardò negli occhi. Francesco era un nome così banale. Non le era mai piaciuto. Faceva fatica anche a pronunciarlo. Le piacevano i nomi corti, quelli che, anche volendo, non si possono abbrevviare. Eppure il Francesco che la cullava in quel momento era il più bel Francesco che potesse esistere.
"E' tardi." Sospirò lui e si alzò. Signorina Primavolta gemette e gli afferrò il braccio.
"Non è tardi." Balbettò velocemente. "Resta." Disse, invece, con voce chiara, forte e decisa. Voleva che restasse ancora un po'.
Francesco sorrise gentile e si infilò di nuovo sotto il lenzuolo. La abbracciò, facendo aderire i loro corpi. "Non ti lascio." Sussurrò, soffiandole dolcemente nell'orecchio.
"Ma se adesso te ne vai, io rimango sola. Io sono sola." Signorina Primavolta aveva paura di se stessa e del silenzio che la sua mente era in grado di creare. Aveva paura del suo essere così fragile e allo stesso tempo troppo forte. Aveva paura di tutti quegli occhi che la fissavano, perchè la sua mente non reagiva; si chiudeva in uno strano silenzio e le impediva di aprire bocca e dire a tutto il mondo che non aveva scelto lei di essere così bella.
"Non sei sola, Signorina." La sgridò e le baciò la fronte. Infilò le dita tra i capelli biondi, sfiorò la ricrescita, scompigliò quei capelli fragili che cadevano continuamente, riempiendo i cuscini. Era il suo 'sono stata qui'. Le fidanzate gelose trovavano quell'insieme di fili biondi e capivano che il fidanzato aveva portato un'altra. Si infuriavano, urlavano, piangevano, maledicevano l'amante, ma tornavano sempre. Tornavano perchè l'amore è un'arma di distruzione di massa volontaria. Signorina Primavolta era una sfasciafidanzati. Si infilava nelle storie più serie e creava disordine laddove il disordine non c'era. Creava, invece, ordine laddove si viveva meglio nel disordine. Si sa che le storie funzionano ognuna a modo proprio. Se si rompe anche un solo filo, niente va più avanti. I fidanzati la volevano perchè era bella quando ballava nei locali, circondata dalle luci, ma poi si pentivano perché lei non era in grado di dare loro l'amore che, invece, le fidanzate sapevano dare meglio di chiunque.
Signorina Primavolta non sapeva amare e non c'era nessuno disposto a insegnarglielo. Nemmeno Francesco perchè rischiava di fare sempre tardi al lavoro. Lavoro che si chiamava Mia.
"Ora devo proprio andare." Lei annuì e fece scivolare via le sue mani. Lo guardò mentre si vestiva e lo immaginava mano per mano con quella ragazza che aveva visto di sfuggita qualche volta a scuola.
"Non tradirla più." Gli disse quello che avrebbe voluto dirgli giorni prima, prima che la loro storia strana iniziasse. Lo disse con un grappo in gola, perchè questo significava dire basta ai loro incontri e dire basta a Francesco.
Francesco si bloccò con la maglietta in mano. La guardò per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo, mortificato, triste, deluso, incapace di dire qualcosa.
"Mia non è bella come te." Sussurrò, si infilò la maglietta e aspettò che lei lo sgridasse.
"Ma Mia ti ama."
"Tu no?" si affrettò a domandare lui, quasi gridando. "Tu non mi ami?" ripeté la domanda con voce grave.
Signorina Primavolta si irrigidì. Lo amava? Sì, a modo suo, lo amava. Lo amava come nessuna donna era in grado di amare. Ma il suo amore era così strano che non accontentava mai nessuno e aveva paura che pure Francesco si sarebbe stufato e l'avrebbe abbandonata. E lei ordiava gli abbandoni, perchè la maggior parte erano abbandoni senza adii, senza parole che provassero a spiegare perchè si lasciava una persona che in passato si aveva amato. Gli abbandoni erano dolorosi. Gli abbandoni erano seccanti perchè il dolore, a volte, era troppo e le impediva di respirare. Si accasciava a terra e le veniva voglia di rimanerci per sempre.
"Non come ti ama lei, no." rispose, infine, con il cuore colmo di sofferenza. E nemmeno lei sapeva se quella era la verità. Ma era stufa di distruggere amori e poi non ricavarci niente.
Francesco la guardò sconcertato, perso, distrutto. "Hai ragione, lei almeno ha un nome." Bisbigliò, con voce dura come la pietra.
"L'amore è grande, sì, ma non abbastanza per due persone. Devi scegliere una sola."
"Devo scegliere Mia? Mi sai dicendo questo?" Signorina Primavolta annuì. "E tu vuoi che io scelga Mia?" ancora una volta lei si pietrificò. No. Voleva che Francesco scegliesse lei. Voleva urlarglielo in faccia, voleva che la frase 'Scegli me!' gli spaccasse i timpani. Ma stette zitta. Abbassò il capo e strinse tra le dita le dita il lenzuolo.
Il ragazzo scosse la testa e uscì, sbattendo la porta. Ecco. Signorina Primavolta era rimasta sola. Come sempre, la sua mente divenne silenziosa. E in questo strano silenzio solo i suoi singhiozzi echeggiavano, rumorosi, dispettosi e dolorosi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=899701