Groupie

di Santanico_Pandemonium
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Prefazione- ***
Capitolo 2: *** 27 gennaio 1982 ***
Capitolo 3: *** 31 gennaio 1982 ***
Capitolo 4: *** 10 febbraio 1982 ***
Capitolo 5: *** 12 febbraio 1982 ***
Capitolo 6: *** 14 febbraio 1982 ***
Capitolo 7: *** 13 marzo 1982 ***
Capitolo 8: *** 15 marzo 1982 ***
Capitolo 9: *** -Intermezzo- ***
Capitolo 10: *** 4 luglio 1985 ***
Capitolo 11: *** 6 luglio 1985 ***
Capitolo 12: *** 7 luglio 1985 ***
Capitolo 13: *** 8 luglio 1985 ***
Capitolo 14: *** 11 luglio 1985 ***
Capitolo 15: *** 6 agosto 1985 ***
Capitolo 16: *** 16 agosto 1985 ***
Capitolo 17: *** 24 agosto 1985 ***
Capitolo 18: *** 25 agosto 1985 ***
Capitolo 19: *** -Secondo intermezzo- ***
Capitolo 20: *** 26 dicembre 1986 ***
Capitolo 21: *** 28 dicembre 1986 ***
Capitolo 22: *** 14 gennaio 1987 ***
Capitolo 23: *** 15 gennaio 1987 ***



Capitolo 1
*** -Prefazione- ***


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Groupie

Dicono che una groupie non svela mai il suo vero nome e nessuno lo conosce veramente. Detto ciò non vorrei cominciare svelandovi il mio proprio ora…
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Prefazione

Salve,
sono Penny Lane, così mi faccio chiamare, anzi credo che questo sia diventato il mio nome ormai.
Se non l’avete ancora capito, si, sono una groupie.
«Ma cos’è una groupie?» starete pensando.
Se lo chiedete a qualcuno sicuramente come prima cosa vi guarderà storto e come seconda vi risponderà con tono riprovevole: «Una groupie è una sgualdrina! Lascia perdere certe idee.».
Se cercate su internet di certo verranno fuori immagini di donne truccatissime e mezze nude che vanno in giro con le persone famose e si “divertono” con loro.
Wikipedia recita: «groupies: ragazze che accompagnavano le rockstar in gran parte delle loro tournée, assecondandone con entusiasmo la vita sregolata e le sfrenatezze sessuali.».
Non posso dissentire. E’ vero, ci sono anche questo tipo di groupies. E ripeto l’”anche” perché non sono tutte così.
Secondo il mio pensiero una groupie è una persona che ama così tanto la musica da diventarne completamente devota. Il discorso del sesso e degli eccessi è una cosa successiva, non obbligatoria.
Una frase che secondo me meglio descrive una groupie, è quella detta da Gail, la moglie di Frank Zappa: «Il rock'n'roll era l'altare, i tizi che lo facevano erano gli dèi, e le loro donne erano le sublimi sacerdotesse.».
Ecco cos’è una groupie, una sacerdotessa del rock n’ roll.
Quando nacqui, a Los Angeles il 10 febbraio 1965, tutto era magnifico. Il mondo stava attraversando, senza volerlo, uno dei suoi momenti più belli.
Musicalmente parlando gli anni ‘60 erano un paradiso, un giardino dell’Eden stupendo da non abbandonare mai.
Quelli erano anni in cui nacquero artisti del calibro dei Beatles, degli Who, dei Rolling Stones, gli anni in cui si esibirono voci come quella di Janis Joplin, insomma, anni unici.
La musica aveva sempre fatto parte della mia vita, sin dalla mia nascita. Quando mia madre partorì stava ascoltando Elvis Presley di cui era totalmente innamorata. Mio padre invece a quel tempo era un vero e proprio rivoluzionario della musica.
In poche parole capirete che non sarei mai potuta crescere diversamente se non con la musica nel cuore e nell’anima.
Ma la storia che voglio raccontarvi comincia più tardi, quando si avviava un altrettanto periodo stupendo, il 1980.
Esattamente all’inizio dell’ ‘82 sono diventata una groupie, prima non lo ero. Sentii che amavo così tanto il rock da convincermi che dovevo fare qualcosa per professarlo, e seguire le più importanti rockstar nelle loro tournée mi sembrava la cosa più giusta per portare avanti questa idea.
Così un bel giorno buttai qualche vestito nella borsa e partii, senza dire niente a nessuno.
Ma facciamo le cose con calma. Torniamo a quel periodo…

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Capitolo 2
*** 27 gennaio 1982 ***


©

27 gennaio 1982

Los Angeles, CA
1:30
«Cazzo, dove ho messo la maglietta?» stavo frugando senza sosta nei cassetti disordinatissimi e incasinati di camera mia.
L’eccitazione era tanta, stavo per andarmene.
Si, per partire e non tornare più.
Cosa mi è saltato in mente? Semplice, amo la musica. Amo il rock n’ roll e voglio dimostrarlo al mondo intero.
Un rombo fuori casa mi fece sobbalzare il cuore. Erano già arrivati.
Sporsi la testa fuori dalla finestra e vidi Jane che mi faceva segno con la mano di scendere.
«Arrivo!» bisbigliai per non farmi sentire dai miei genitori che dormivano nella stanza affianco.
Lanciai la borsa e la lasciai cadere sull’erba umida del giardino, poi mi aggrappai alla grondaia e scivolai giù il più velocemente possibile evitando di farmi male.
«Eccomi.» sorrisi a Jane che mi fece salire in macchina.
Il suo ragazzo, che se ne stava seduto al posto del guidatore, poggiò il piede sull’acceleratore e sgommò via.
«Sai Jane, pensavo, riguardo a quella cosa che ti ho detto, sai…» iniziai a dire alla mia amica.
«Cosa?» chiese lei guardandomi con occhi interrogativi.
«Penny Lane.» dissi.
«Che?!» domandò lei con la bocca aperta.
«Il mio nuovo nome. Penny Lane. Da adesso chiamatemi così.» sorrisi e guardai fuori dal finestrino mentre le luci di Los Angeles iniziavano ad apparire da lontano.
«Carino!» disse l’amico del fidanzato di Jane dal posto del passeggero.
«Lo so, non l’ho scelto per niente.» risposi.
«Si, ora però vestiti decentemente e cotonati i capelli. Siamo quasi arrivati. Ci sarà da divertirsi ragazzi!» gridò Jane eccitata.

2:15
Eravamo arrivati sul Sunset Strip mezz’ora prima del previsto.
Dovevamo andare a vedere il concerto del nostro gruppo preferito, i Mötley Crüe.
Tenevano questo spettacolo in uno dei locali del Sunset e non potevo perdermeli per nessun motivo al mondo.
Ero totalmente innamorata di loro e della loro musica.
Quattro ragazzi incredibilmente talentuosi che facevano una musica da orgasmo puro. Ecco cos’erano per me. Quattro dei da adorare e venerare.
Uno solo di loro in particolare mi aveva rapito il cuore, Nikki Sixx il bassista.
Ventitre anni, alto, moro con gli occhi chiari e il rock nel sangue. Non potevo chiedere di meglio.
Scesi dalla macchina e spruzzai ancora un po’ di lacca sui capelli.
«Come sto?» chiesi a Jane.
«Fottutamente figa.» rispose lei.
Il suo ragazzo e il suo amico mi guardavano con approvazione.
«Perfetto, andiamo!» gridai.

Il locale era pieno zeppo di gente e sul palco in lontananza potevo distinguere il microfono di Vince (il biondo cantante) e la batteria di Tommy (il riccio batterista).
«Volete qualcosa da bere? Pago io.» ci chiese il ragazzo di Jane.
«Si, un bicchiere di Jack.» risposi.
Jack Daniel’s il mio preferito. Avrei potuto berne bottiglie su bottiglie. Era il mio nettare.
«Noi ci buttiamo nella mischia e cerchiamo di sistemarci tra le prime file, ci vediamo lì.» disse Jane e mi trascinò in mezzo al casino di gente che c’era nel locale.
Riuscimmo ad intrufolarci fino ad arrivare alla quarta fila, il tutto grazie anche alle nostre scollature e gambe da capogiro.
Non vedevo l’ora che il concerto iniziasse e non aspettavo altro che vedere Nikki apparire sul palco.
«Ecco il tuo whiskey. Te ne ho presi due bicchieri, così ti diverti di più.» mi disse il ragazzo di Jane porgendomi il primo bicchiere.
Scolai il liquido arancione tutto d’un fiato e mi preparai per il secondo giro.
«Grazie.» dissi.
«Signore e signori! Siete pronti per un po’ di fottuto rock? Fate un bell’applauso ai Mötley Crüe!!» gridò un tizio dal palco.
Non ci pensai due volte, anzi, non dovetti proprio pensarci. Iniziai ad urlare come una pazza non appena vidi i miei quattro dei uscire sul palco.
Nikki era bellissimo, con i capelli cotonati e i pantaloni in pelle.
Iniziò Live Wire e contemporaneamente alla canzone iniziò anche il mio delirio.

3:30
Il concerto era finito e io mi ero fatta ben più di due bicchieri di Jack ma nonostante tutto mi reggevo ancora in piedi.
Sgusciai fuori dalla folla e ne ordinai un altro bicchiere.
«Bene io vado nel backstage, è arrivato il mio momento.» dissi a Jane alzando il bicchiere vittoriosa.
«Dai ti accompagno, così magari incontro anche Tommy.» sorrise lei esaltata.
«Ci vediamo più tardi.» disse al suo ragazzo fregandosene altamente del fatto che lui e il suo amico ci stavano provando con una tipa al bancone del locale.
«Non ti da fastidio il suo comportamento?» le chiesi prendendola a braccetto.
«No, è uno stronzo e quindi lo sono anche io. Lui si fa chi vuole, io mi faccio chi voglio e fine della storia.» rispose tranquilla.
«Mi piace come ragioni ragazza!» le sorrisi e la strinsi forte. Era la mia più grande amica, quella di cui potevo fidarmi.
Arrivammo a una porta e bussai.
«Chi siete?» un energumeno grosso come un armadio ci aprì.
«I signori Crüe ci hanno incontrate fuori dal locale prima di iniziare il concerto e ci hanno pregate di raggiungerli dietro le quinte non appena avessero finito.» cominciai suadente.
«Allora, possiamo passare?» continuai bevendo un sorso di Jack.
«Non mi sembrate molto convincenti.» rispose lo scimmione sbarrandoci la strada.
«E dai dolcezza… Siamo qui per loro, ci desiderano al loro fianco…» disse Jane avvinghiandosi al tipo e strusciandosi come una gatta.
Mi lasciai scappare un sorriso. Che donna fuori di testa.
«E va bene entrate, anche se quello che mi avete raccontato non fosse vero, sono sicuro che ai Mötley farà piacere avervi tra i piedi. Ma se fossero già in compagnia, tornate pure da me, prenderò volentieri il loro posto.» disse l’uomo sorridendo sarcastico.
«Grazie tesoro.» risposi superandolo e schioccandogli l’occhio.
Proseguimmo per un corridoio ridendo come pazze per quello che avevamo appena fatto.
«Cazzo, basta mostrare un po’ le tette ed è fatta!» rise Jane.
«Si è vero! Siamo delle grandi!» risposi battendole il cinque.
Facemmo ancora qualche passo e poi ci si presentò davanti una porta con un rudere di cartello con su scritto “Mötley Crüe”.
«Ci siamo…» disse lei.
Il cuore mi batteva fortissimo. Se tutto andava bene, quella sera sarei partita con loro seguendoli nei tour.
Bussai.
La porta si aprì e ci capitò davanti un ragazzo biondo cotonato, non molto alto, ma ugualmente figo. Vince Neil.
Non appena ci vide, ci squadrò dalla testa ai piedi e sorrise a trentadue denti.
«I Mötley Crüe gradiscono un po’ di Jack Daniel’s?» chiesi mostrandogli il mio bicchiere.
«Gradiamo un po’ di Jack e anche un po’ di voi… Prego, entrate.» disse Vince facendoci segno di entrare.
Li vidi. Erano tutti lì e ridevano come dei cretini. Mick Mars, Tommy Lee e Nikki Sixx erano tutti dentro quella stanza e stavano per parlarmi. Un sogno che diventa realtà.
«Ragazzi guardate un po’ chi è venuto a trovarci.» disse il biondo attirando l’attenzione degli altri tre.
«Wow, che sventole!» gridò Tommy che quasi cadde dalla sedia dov’era seduto.
Nikki si era alzato e si stava avvicinando a me.
Ora mi stava di fianco e mi aveva poggiato un braccio attorno alle spalle.
«Due belle signorine come voi meritano un trono su cui sedersi. Mademoiselle le offro il mio…» mi aveva detto offrendomi la sua sedia.
«E io Signor Sixx, le offro questo bicchiere di nettare degli dei…» ammiccai porgendogli il bicchiere di Jack Daniel’s.
Lo prese e mi guardò mentre mi sedevo accanto a Tommy.
«Ragazzi miei, questa serata promette molto bene.» disse Vince spostando lo sguardo da me a Jane.


4:00
«Allora, che siete venute a fare voi due? Quanti anni avete, dodici?» sorrise Mick un po’ scettico.
Mick Mars è il chitarrista della band, e possiamo dire che è quello più tranquillo tra i quattro.
«Ma figurati! Per chi ci hai prese? Io ne ho quasi diciotto e lei ne ha diciassette tra qualche giorno.» rispose Jane scollandosi dalle labbra di Vince.
Se ne stava seduta a cavalcioni sopra di lui e lo baciava strofinandosi in una maniera a dir poco provocante.
E per fortuna che voleva vedere Tommy! Cavolo, non l’aveva neanche squadrato. Si era fiondata subito su Vince e non aveva più parlato per mezz’ora.
Ma Jane è così, basta che veda un bel rocker cotonato e non capisce più niente. Lo stesso è per Vince: gli basta adocchiare un bel paio di tette e due belle gambe e non capisce più niente neanche lui. Quando li vidi avvinghiati pensai davvero che avrebbero formato una bella coppia.
«Quindi hai diciassette anni eh?» mi sussurrò Nikki all’orecchio.
Mi mancò il respiro non appena sentii il calore del suo fiato sul collo.
«Ma non avete risposto alla prima domanda. Che siete venute a fare qui?» continuò Mick non contento della risposta di Jane.
«Secondo te che sono venute a fare Mars??» ridacchiò Tommy.
«Beh io ho solo accompagnato la mia amica, voleva conoscervi. Lei invece avrebbe un altro desiderio…» disse Jane tornando a lavorare sul collo del cantante.
«E cioè bellezza?» domandò Tommy.
«Pensavo che magari potevate portarmi in tour con voi… Non vi darò fastidio giuro. Eseguirò gli ordini alla lettera.» dissi guardando Nikki.
Sentivo di aver avuto da subito una certa intesa con lui e che quindi l’avrei convinto più facilmente.
«Beh, le groupie non ci mancano. Ovunque andiamo ce ne sono un bel po’ che ci aspettano.» rise Vince mentre palpeggiava allegramente il fondoschiena di Jane.
«Come ti chiami?» mi chiese Nikki.
«Penny. Penny Lane.» risposi sorridendogli.
«Ma non è il titolo di una canzone dei Beatles?» chiese Tommy confuso.
«Si, ma come saprete una groupie non rivela mai il suo vero nome.» ammiccai di nuovo a Nikki.
«Beh dolcezza, mi sa proprio che dovrai accontentarti solamente di farci un paio di “lavoretti”, come sta per fare la tua amichetta qui, e poi dovrai andartene. Siamo già pieni zeppi di pollastre che ci ronzano attorno.» rise Vince mentre Jane gli abbassava la zip dei pantaloni.
Perfetto, potevo scordarmi il tour.
Mi alzai di scatto dalla sedia e presi Jane per un braccio prima che iniziasse con il suo sporco “lavoretto”.
«Ehi ma che fai!!» gridò Vince vedendosi portare via la sua nuova fonte di piacere.
«Non sono una troia e neanche lei lo è! Volevo venire in tour con voi perché amo la vostra musica, non perché voi quattro coglioni avete bisogno di sentirvi soddisfatti da ragazze di cui non vi interessa un cazzo!» iniziai a sbraitare.
Stavo per uscire sbattendo la porta ma non avevo ancora finito.
«Ah e un’altra cosa. Se avessi solamente voglia di far divertire qualcuno, state pure certi che di idioti come voi ne trovo a valanghe anche fuori da qui!» conclusi la mia ramanzina e uscii da quella stanza che ormai era diventata il mio inferno, più che il mio paradiso con i miei quattro dei.
«Ma si può sapere che cazzo fai? Guarda che potevi andare in tour con loro se solo fossi più adattabile alle situazioni.» mi disse Jane.
«Si, ma non facendo la troia, mi dispiace ma non sono così.» ribattei incazzata.
Stavamo camminando a passo svelto per uscire da quella merda di posto. Non volevo più saperne niente dei Mötley Crüe. Per me avevano chiuso, sia come persone che come artisti.
«Ehi ragazzina! Aspetta un attimo!!» la voce di Tommy mi chiamava dal fondo del corridoio.
«Ragazzina?! Non sa neanche il mio nome, come osa venirmi ancora dietro…» bisbigliai senza voltarmi.
«Dai su, Penny torna qui. Siamo stati degli stronzi lo so! Fermati dai!» Nikki mi chiamava.
Mi bloccai di colpo.
Nikki Sixx, l’uomo che adoravo e che fino un secondo prima avevo chiamato “idiota”, era uscito dalla sua stanza tutta whiskey e droga ed era venuto a implorarmi di tornare da lui.
Lasciai il braccio di Jane e mi voltai a guardarlo negli occhi.
«Cosa vuoi?» chiesi con tono incavolato. Non volevo che capisse che mi aveva fatto piacere vederlo preoccupato per me.
Lui aveva sorriso e si stava avvicinando percorrendo il corridoio.
«Hai detto che lo fai perchè ami la nostra musica, giusto?» chiese appena mi fu davanti.
«Fino a qualche minuto fa si, era così. Ora penso di aver cambiato idea.» risposi.
«Beh io invece non ho cambiato la mia. Credo che i Mötley abbiano bisogno di una fanciulla che ami la loro musica. Credo che sarebbe anche un’ottima cosa per farci una pubblicità positiva. Se poi vuoi farti chiamare groupie per me è lo stesso, basta che vieni con noi.» disse Nikki.
Lo guardai negli occhi per un paio di secondi e capii che era sincero e che il discorso della pubblicità era per la maggior parte una scusa.
Sorrisi a mia volta perché era davvero riuscito a convincermi.
«Jane, io vado con loro.» dissi alla mia amica.
«Sei sicura che è quello che davvero vuoi?» mi chiese lei un tantino preoccupata.
«Si è quello che desidero da sempre. Vieni con noi.» le domandai cercando di convincerla.
«Non posso, lo sai. Sarebbe un gran casino… Comunque, i tuoi mi chiederanno sicuramente quello che stai combinando, cosa devo dirgli? Si preoccuperanno tantissimo lo sai no?» continuò lei.
«Digli che sto bene e che sono felice. Non preoccuparti per me, starò bene. Ti voglio bene Jane…» la abbracciai forte. Mi dispiaceva lasciarla, eravamo come sorelle.
Sciolsi l’abbraccio e mi avvicinai a Nikki che mi prese per i fianchi e mi condusse dagli altri.
Mi girai per un attimo verso la mia amica.
«Ci si vede.» la salutai.
Ero triste e felice contemporaneamente. Lasciavo Jane e la mia vita a Los Angeles, ma mi prendevo i Mötley Crüe e un sacco di tour in giro per il mondo.
Cos’era meglio? Non ne ero ancora sicura ma da quel momento potevo ritenermi soddisfatta.

 

          
da sinistra: Vince Neil (cantante), Nikki Sixx (bassista), Mick Mars                    Nikki Sixx e la bottiglia di Jack Daniel's
(chitarrista), Tommy Lee (batterista)

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Capitolo 3
*** 31 gennaio 1982 ***


©

31 gennaio 1982

Los Angeles, CA
Hotel, 10:30
Eccomi, sono ancora qui.
Quarto giorno che sto con i Mötley Crüe e mi sento già la ragazza più fottutamente fortunata del mondo intero.
Da quando hanno deciso di prendermi sotto la loro “ala protettiva” è andato tutto bene. Intendo dire che non mi hanno ancora trattata come una sgualdrina da quattro soldi che se ne va in giro a farsi le rockstar per puro divertimento. Infatti non è quello che sono.
Dopo la sclerata che ho fatto la prima sera che li ho conosciuti penso abbiano capito che tipo di persona sono. Per lo meno l’hanno capito tutti tranne Vince. Continua a provarci con me pensando che forse prima o poi mi calerò gli slip e gliela concederò senza troppe storie. Beh, il bel biondone si sbaglia di grosso. Può scordarsi certe cose.
Nikki mi difende sempre da Vince. Ogni volta che il cantante fa lo stronzo con me, Sixx lo prende a calci in culo. La cosa mi diverte parecchio.
Con Nikki ho già un buon rapporto e ne sono davvero contenta. Anche con Tommy non vado male. Lui è praticamente il fratello gemello di Nikki, sono inseparabili, e noi tre formiamo proprio un bel terzetto. Dio quanto mi fanno crepare dalle risate quei due!
Siamo ancora a Los Angeles perché il dodici, tredici e quattordici febbraio hanno un altro concerto qui in un locale famosissimo, il “Whisky A Go-Go”.
Secondo il programma del “Too Fast For Love Tour” dovremmo lasciare Los Angeles per arrivare a San Francisco il primo aprile.
Praticamente starò qui per un altro bel po’ di tempo. Devo ancora decidere se ho voglia di fare un salto a casa per evitare di traumatizzare i miei da subito. Non hanno ancora chiesto niente a Jane quindi potrei farmi vedere a casa ogni tanto e lasciare Los Angeles definitivamente ad aprile. Non lo so, devo pensarci.
Nel frattempo ho comprato una videocamera e una polaroid.
Ho intenzione di fare un sacco di bei video e fotografie, così potrei spedirne qualcuna a Jane e farla ridere un po’.

 «Signore e signori ecco a voi Nikki Sixx in versione “si sono ubriaco”!» avevo urlato puntando la videocamera sul letto.
Ero nella camera dell’hotel a Los Angeles assieme a Nikki e lo stavo riprendendo con la nuova telecamera che i Crüe mi avevano permesso di comprare «a condizione che tu non faccia cazzate.» aveva detto Sixx prima di darmi i soldi necessari all’acquisto. Mi aveva anche fatto comprare una polaroid.
Avevamo dormito insieme quella notte e lui si era comportato stranamente bene, non mi aveva sfiorata neanche con un dito. A dire la verità non l’aveva ancora fatto da quando l’avevo incontrato. Aveva capito esattamente che non ero una groupie qualsiasi e nonostante questo c’era una profonda intesa tra noi due.
«Cazzo, che palle! Se non la pianti di rompere i coglioni ti riporto da quella tua amica e la convinco a rinchiuderti in casa.» sbraitò lui coprendosi la testa con il lenzuolo.
«Così mi fai piangere…» piagnucolai voltando la videocamera e inquadrandomi la faccia.
«Però come farai poi senza di me?» scherzai tornando a riprendere la sua sagoma sotto alle coperte.
Non disse niente così sbuffai e spensi la videocamera. Che palle, quando non era sbronzo e faceva l’adulto ragionevole era veramente un cagacazzo, non lo sopportavo.
«Vado a farmi un bicchiere di Jack dato che oggi sei di cattivo umore.» sbottai.
«Portane uno anche a me.» borbottò lui.
«Ma vaffanculo!» risposi scazzata.
Che pezzo di merda! Prima rompe le palle e poi vuole anche che gli porto il Jack Daniel’s! Lo avrei preso a pugni.
Ma nonostante tutto preparai un bicchierino anche per lui.
«Tieni cazzone!» sbraitai e gli poggiai malamente il bicchiere in mano gocciolando sulle lenzuola.
«Porca puttana, sta attenta!» disse mettendosi seduto.
«Grazie comunque…» continuò sorseggiando il whiskey.
Toc, toc, toc. Qualcuno bussò alla porta.
Nikki si alzò e andò ad aprire.
Mentre si dirigeva alla porta lo squadrai dalla testa ai piedi. Che pezzo di figo.
«Cazzo Sixx! Fai tante storie a me però poi te la fai tu la ragazzina!» la voce di Vince mi fece quasi soffocare con il sorso di Jack.
Era entrato nella stanza e mi indicava guardando Nikki ancora alla porta.
«Non rompere idiota, non abbiamo fatto niente. Nikki è una brava persona a differenza tua.» avevo risposto io guardandolo storto.
Il bassista richiuse la porta e tornò a dormire sotto le coperte.
«Si può sapere cosa vuoi?» disse con la testa sotto al cuscino rivolto a Vince.
La porta si aprì di scatto un’altra volta ed entrò Tommy.
«Buongiorno ragazzi! Come ve la passate? Oh vedo che Sixx e Penny si sono dati da fare stanotte, bene, fantastico. Cazzo, ho bisogno di un po’ di Jack…» ci aveva salutati.
«Tommy vuoi coprirti per favore! Piantala di gironzolare nudo!» lo aveva ripreso Nikki che si era alzato di soprassalto per il casino fatto dal batterista.
Tommy era completamente nudo e con i capelli arruffati e annodati a causa di tutta la lacca che si era messo la sera prima. Credo che non capirò mai la sua abitudine di girare con il cazzo di fuori già dalle dieci di mattina. Lui era così, semplicemente se ne fregava degli altri e faceva quello che voleva.
«Non credo che alla signorina qui dia fastidio. Vero bellezza?» sorrise Tommy versandosi un po’ di Jack nel bicchiere.
«No per niente!» scherzai io.
Nikki sbuffò e si girò dall’altra parte del letto.
«Ovvio che sarei più contenta se a girare nudo fosse il Signor Sixx.» continuai avvicinandomi a lui da sotto le coperte.
Brontolò qualcosa che non capii e così mi alzai dal letto.
Presi la polaroid e scattai una foto integrale a Tommy.
«Questa la porto a Jane. Sarà davvero contenta di vederti in tutto il tuo splendore.» risi prendendo la foto.
«Hai intenzione di tornare a casa?» mi chiese Nikki finalmente decidendosi ad uscire da quel cazzo di letto.
«Non lo so, ci stavo pensando prima. Potrei farmi vedere a casa ogni tanto inventando la scusa che sono a dormire da Jane e partire definitivamente ad aprile per San Francisco. Perché? Non vuoi che me ne vada?» risposi alla domanda.
«Era così per sapere. Piantala di rompere.» aveva detto lui spostando lo sguardo altrove.
«Si certo…» sbuffai.

13.40
«Ti ho portato un regalino.» dissi a Jane porgendole la fotografia di Tommy.
«Oh cazzo!! Che meraviglia!» disse lei vedendo il corpo nudo del batterista.
Sapevo che le sarebbe piaciuta e sono sicura che se la sarebbe appesa vicino al letto immediatamente.
«Come mai sei tornata qui?» mi chiese.
«Non siamo ancora partiti. Rimarremo a Los Angeles ancora per un po’ e il primo aprile saremo a San Francisco. Ho bisogno del tuo aiuto: dirò ai miei genitori che dormirò da te per un periodo e mi farò vedere a casa qualche volta. Poi partirò e basta. Se ti chiedono dove sono digli che sto a casa tua. Poi dal primo aprile potrai dirgli quello che ci eravamo proposte pochi giorni fa.» spiegai a Jane.
«Va bene capo. Allora, come te la sei passata questi quattro giorni? A quanto pare bene, hai già visto Tommy Lee nudo!» ridacchiò lei.
Poggiò la foto sul bancone della cucina e mi versò un bicchiere d’acqua.
«Scusa, ma in casa mia non esiste il Jack.» disse con una smorfia.
I genitori di Jane erano i tipici ricconi di Los Angeles a cui importano solo gli affari e i soldi. Quando l’hanno vista per la prima volta con i capelli cotonati, i pantaloni in pelle e il rossetto rosso, quasi la volevano ammazzare. Erano esattamente l’opposto dei miei. I miei genitori avevano la mia stessa passione per la musica e a loro non dava fastidio se andavo ai concerti vestita in un certo modo. «Basta che tu non vada in giro a darla a chiunque. Si rock ma con dignità.» mi ripeteva sempre mia madre. In fatto di soldi Jane ne aveva parecchi ma le mancava l’amore dei suoi genitori, e si vedeva. Ecco perché cadeva tra le braccia del primo stronzo che cercava di portarsela a letto.
«Me la sono passata bene devo dire. Ho dormito con Nikki questa notte…» risposi sorseggiando il liquido trasparente.
«Porca troia! Cosa aspettavi a dirmelo? E che è successo? Vi siete divertiti?»
«Non abbiamo fatto niente. Non mi ha ancora sfiorata. L’unico che ci prova fino adesso è Vince e ogni volta Nikki lo prende a calci.» risi ripensando a quei due che si picchiavano come bambini.
«Beh, non mi sembri infelice, quindi non ho niente da rimproverarti.» rispose lei.
«Già…»
Era vero, mi piaceva stare con i Mötley Crüe, era quello che volevo e ne ero davvero felice. Per adesso niente mi faceva venir voglia di tornare a casa. Ovviamente la mia “avventura” non era ancora cominciata del tutto ma procedeva già alla grande, quindi non capivo come potesse peggiorare.
«Beh, ora vado, i ragazzi mi aspettano per pranzare. Ci vediamo tra un po’.» salutai Jane.
«Sarai sempre così vaga da adesso? “Ci vediamo tra un po’”, “tornerò”, non mi dai informazioni molto precise.» rispose lei guardandomi storto.
«Lo so, è il massimo che posso fare finora, e diventerà sempre peggio. Ciao bella.» dissi uscendo dalla porta di casa sua.

14.45
«McDonald’s?! No dico, ma siete scemi?» chiesi guardando la montagna di cazzate che c’era sul tavolo.
«McDonald’s e Jack Daniel’s, una bella coppia.» rispose Tommy trangugiando patatine fritte e mordendo mezzo panino in una sola volta.
«Non bevo Jack mentre mangio questa merda.» dissentii schietta.
«Infatti abbiamo preso anche una Coca-Cola per la bambina.» mi punzecchiò Vince.
Nikki lo guardò male e sapevo che stava per prenderlo a calci ancora una volta, ma potevo difendermi da sola.
«Vince, se non te la do non è perché non mi piaci, ma solo perché sei così stronzo. Quindi più ti comporti così e più quello che c’è dentro le mie mutandine te lo dovrai immaginare da solo.» gli risposi per tono.
«Ahahahah! Che risposta ragazzi!!» Tommy rideva come un pazzo.
Nikki sorrise orgoglioso abbassando lo sguardo.
Vince non parlò più e tornò a concentrarsi sul suo fottuto panino. Ben gli stava, così impara a fare l’idiota.
«Sei tornata a casa oggi?» mi chiese Mick.
«Sono stata da Jane. Tranquilli nessun problema che vi deve riguardare.» risposi mentre mi sedevo vicino a Nikki.
«Cos’è quello schifo che sai mangiando?» gli domandai.
«Un panino.»
«Ma davvero?» risposi fingendo stupore. Ovvio che era un panino, che altro doveva essere?
Stavo li a guardarlo sperando in una risposta migliore e lui mi guardava a sua volta ritenendo che la sua risposta era già abbastanza perfetta.
«Vabbè, fammi assaggiare.» dissi avvicinando la sua mano alla mia bocca.
Morsi un pezzo del panino e gli rubai due patatine.
«Non è male ma credo che mi farò portare qualcosa di meglio questa sera in stanza.» conclusi deglutendo quella robaccia.
Era incredibile come loro riuscissero a ingozzarsi di quel cibo schifoso e non vomitare niente. Il loro organismo doveva essersi davvero abituato a tutte le schifezze che ingoiavano, dai panini di McDonald’s, all’alcol e alla droga.

20:15
Avevo voglia di starmene tranquilla per conto mio, così ero tornata alla stanza dell’hotel.
Appena entrai, però, trovai Nikki steso a letto con le mani sotto la nuca che fissava il soffitto.
«Che ci fai qui? I ragazzi sono tutti giù. Tommy e Vince stanno letteralmente distruggendo la hall dell’albergo.» ridacchiai.
«Ho voglia di stare da solo e non in mezzo al casino che fanno quei due coglioni.» mi rispose senza distogliere lo sguardo dal soffitto bianco.
«Scusa, allora me ne vado.»
Feci per uscire ma mi fermò.
«No, tu non mi dai fastidio.» disse.
Mi voltai a guardarlo.
Sembrava davvero molto stanco e sfinito. In quel momento mi parve come un bambino indifeso in balia dei pericoli della vita e bisognoso di protezione. Quest’immagine mi provocò un senso di dolcezza e tenerezza infinite.
Mi distesi accanto a lui poggiando la testa vicino al suo braccio.
Nonostante i vestiti non molto puliti, aveva un profumo gradevole.
«Hai voglia di parlare?» gli chiesi.
Il suo sguardo continuava a restare fisso sul soffitto.
Preferii restare zitta e rimasi accanto a lui per qualche minuto. Se aveva voglia di sfogarsi con me io ero lì, disposta ad ascoltarlo.
«Ti suono qualcosa.» disse infine alzandosi dal letto e dirigendosi verso la chitarra.
Quando tornò da me aveva un sorriso sereno dipinto sul volto.
«When it smiles at me
And I saw your eyes
All I ever wanted to be
Was in your arms tonight
You looked too young
To know what looked so nice, yes you did
But when you smiled, I had to take the chance
I had to take the chance
.» cominciò a cantare strimpellando note sulla chitarra.
Nonostante lui non fosse il cantante della band era comunque bravo e riusciva a trasmettere tutta la passione che ci metteva nel cantare quella canzone.
«Tonight, I'll be with you tonight
Tonight, I'll love you through the night
Tonight
Tonight, I'm in love with you baby
Tonight, tonight tonight
Come on, come on
.» cantai assieme a lui il ritornello della canzone che conoscevo a memoria.
Continuammo cantando tutto il testo, senza tralasciarne neanche una parola.
«Be mine tonight...» concluse poggiando la chitarra sul letto.
Mi guardò per qualche secondo poi, del tutto inaspettatamente, mi prese il viso tra le mani e mi baciò.
Aggrapparmi al suo collo fu un gesto istintivo. Mi ritrovai avvinghiata al suo corpo mentre rotolavamo tra le lenzuola e la sua mano mi accarezzava sotto la maglietta.

«Ehi Sixx, vieni giù ci stiamo… Oh merda!!» la voce di Tommy mi fece sobbalzare.
Ero senza reggiseno sopra a Nikki che se ne stava lì beato ed eccitato allo stesso tempo, e Tommy Lee – detto anche T-Bone – ci aveva appena sorpresi e ci guardava con un espressione sbalordita.
«Porca puttana!! Sapevo che sarebbe successo prima o poi! Dio benedica il rock n’ roll!» rise Tommy mentre ancora ci guardava.
Ci impiegai mezzo secondo a scollarmi da Nikki e a coprirmi, per quel poco che riuscivo, con un braccio.
Cazzo, sapevo che sarebbe entrato qualcuno, dovevamo almeno preoccuparci di chiuderci dentro la camera prima di iniziare a fare certe cose. Per fortuna non eravamo ancora arrivati “al sodo”.
«Brutto figlio di buona donna, potresti almeno condividere certe esperienze con il tuo caro fratellino T-Bone!» strillò Tommy tutto esaltato.
«Fottiti!» gli aveva risposto Nikki.
«Ah, che scoperta! Ehi Vince, vieni a vedere!!» continuò il batterista sparendo dalla porta e tornandosene nella hall.
Fantastico, ora sarebbero arrivati anche Vince e Mick. Forse era meglio se mi rimettevo i vestiti addosso.

23:40
«Mi fa mille storie se ci provo con lei e poi, appena non guardo, se la sbatte tranquillamente! Non mi sembra molto giusto, chi cazzo si crede di essere?» Vince camminava per la stanza urlando come un pazzo.
Eravamo tutti nella camera mia e di Nikki e stavamo discutendo su quello che era appena successo.
«Stammi a sentire brutta testa di cazzo! Non penso siano affari tuoi con chi vado a letto io!» gli rispose Nikki alzandosi dal divanetto in pelle nera.
Mi stavano veramente rompendo le palle quei due. Cosa pensavano che fossi? Una bambola gonfiabile da portare avanti e indietro quando ne avevano bisogno? Vince aveva davvero esagerato. Non aveva il diritto di fare certe scenate del cazzo.
«Vince, mi hai proprio stancato! Io vado a letto con chi cazzo mi pare, ok?» ero intervenuta alzandomi dalla sedia.
«Non mi da fastidio il fatto che voi due vi “divertiate” insieme, ma che Sixx rompa tanto le palle per poi fare tutto il contrario di quello che ha detto. Non sei il re del mondo Nikki, fattene una ragione. Sei solo uno stronzo drogato maniaco del controllo!» disse Vince.
Nikki gli si era avvicinato e l’aveva spinto addosso al muro della stanza.
«Basta piantatela cazzoni!!» Tommy era corso a dividerli prima che iniziassero ad ammazzarsi a vicenda.
«Sono qui da quattro giorni e già c’è tutto questo casino. Io me ne torno a casa, siete un branco di bambini insulsi quando vi comportate in questo modo.» dissi iniziando a buttare i miei vestiti a caso dentro la borsa.
Vince e Nikki si erano fermati e mi guardavano in silenzio.
«No aspetta… dai non fare così…» Nikki mi prese il braccio e mi fece calmare.
Lo guardai negli occhi verdi per un istante.
«Dovete smetterla di fare gli idioti…» risposi.
«Te lo prometto…» assicurò lui.
Sorrisi. Era stato davvero carino.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai forte intrecciando le mie dita tra i suoi capelli folti, il tutto sotto lo sguardo scazzato di Vince.
Ero davvero persa per Nikki Sixx e non posso dire se la cosa fosse positiva in quel momento.


      
da sinistra: Nikki Sixx, Tommy Lee                                                                        Nikki Sixx

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Capitolo 4
*** 10 febbraio 1982 ***


©

10 febbraio 1982

Los Angeles, CA
Hotel, 8:45
Era il giorno del mio compleanno.
Alle 5.20 mi ero svegliata e avevo guardato Nikki che dormiva sereno alla mia destra.
Io non riuscivo a dormire, ero troppo eccitata per il fatto che avrei passato il mio diciassettesimo compleanno in compagnia di Nikki e i Mötley Crüe.
Non vedevo anche l’ora di fare un salto a casa. I miei genitori mi avevano detto che mi avrebbero fatto un regalo fighissimo che avrei adorato e quindi ero ansiosa di scartarlo. Però devo dire che anche solo starmene a letto con Nikki Sixx era un regalo già abbastanza gradito che mi ero auto concessa.
Così con mille pensieri per la testa mi ero avvicinata al bassista e mi ero poggiata alla sua schiena nuda ricadendo nuovamente nel sonno.

«Ehi… dolcezza…» sentii una voce che mi chiamava dolcemente.
Qualcosa di morbido mi stava toccando il naso e le labbra bagnandole appena.
Aprii gli occhi e trovai Nikki un po’ più distante dal mio viso che mi squadrava con i suoi occhi verdi e sorrideva.
«Buon compleanno diciassettenne…» disse poggiandosi sul gomito.
Sbadigliai assonnata e mi voltai a guardarlo.
«Come fai a sapere che oggi è il mio compleanno? Non l’avevo detto a voi ragazzi…» dissi io con sguardo interrogativo.
Qualcuno bussò alla porta. Forse era Tommy che come al solito veniva a rompere le palle, anche se era strano che avesse bussato.
«Infatti l’ho chiesto a Jane.» rispose Nikki alzandosi dal letto per andare ad aprire.
C’era una cameriera fuori dalla porta che guidava un carrello con un vassoio enorme colmo di un sacco di cibi squisiti per fare colazione.
«Grazie.» disse Nikki prendendo il carrello e portandolo vicino al letto.
Mi alzai e mi sedetti poggiandomi alla testiera.
«Questa è per lei mademoiselle.» mi porse la rosa rossa che era sopra il vassoio.
Sistemò quel ben di Dio sul letto e attese che iniziassi a mangiare.
Lo guardai storto. Non era ciò che volevo. Era bello che avesse fatto tutto quello per me, ma avevo bisogno di stare con lui non di mangiare uova e pancetta.
Mi alzai dal letto e mi avvicinai a Nikki poggiando i piedi uno di fronte all’altro, un passo alla volta, ondeggiando i fianchi. Scossi i capelli rossi e mi aggrappai di peso al suo collo.
Dovette afferrarmi per le cosce per non farmi cadere a terra, così avvinghiai le gambe alla sua vita e cominciai a baciarlo.
Mi buttò sul letto e lo trascinai sopra di me tornando a cingerlo con le gambe.
Le sue mani mi percorrevano il corpo e le cosce con un tocco decisamente appassionato. Poi le sue labbra, prima sulle le caviglie, poi sui fianchi e sul seno.
«Questo si che è un regalo di compleanno…» gemetti ridendo mentre Nikki mi sfilava la canottiera con cui avevo dormito.
Si interruppe un attimo e corse a chiudere la porta a chiave.
«Meglio essere previdenti. Questo regalo sarà il più bello che tu abbia mai ricevuto…» disse.
«Torna qui…» sorrisi tendendo la mano verso di lui.
Quando tornò da me e mi afferrò i fianchi facendo corrispondere il mio bacino al suo, capii che quello sarebbe stato davvero il miglior regalo di tutta la mia vita.

11:00
Toc, toc, toc.
«Nikki, Penny! Ma cosa cazzo state facendo? Perché avete chiuso a chiave la porta? Aprite!!» la voce di Tommy ci chiamava dal corridoio.
Sollevai lo sguardo verso il viso di Nikki. Aveva gli occhi aperti e l’espressione talmente beata che pensai che stesse sognando senza dormire.
Mi lasciai scappare un sorriso perché sapevo il motivo della sua infinita contentezza, che corrispondeva esattamente alla mia.
«Penso che dovremmo aprire…» bisbigliai.
«Lascia perdere quel cazzone la fuori, stiamo così bene qui.» rispose lui.
Effettivamente aveva ragione. Era una situazione perfetta.
«Che cazzo state combinando lì dentro? Porca troia Nikki, non starete scopando ancora vero?» la risata fragorosa di Tommy mi fece alzare dal letto.
Ormai il momento perfetto era stato rovinato e quindi era inutile continuare quell’agonia.
«Si può sapere cos’hai da rompere i coglioni T-Bone?» gridai aprendo la porta.
Mi guardava con la bocca spalancata perché avevo solamente gli slip addosso. Mi coprivo con un braccio ma il mio corpo nudo era un bello spettacolo soprattutto per Vince che se ne stava dietro di lui altrettanto sbalordito.
«Fantastico, se l’è fatta di nuovo.» la battuta di Vince mi fece incazzare ancora di più.
«Tanto per l’informazione è la prima volta che io e Nikki facciamo, si insomma…» mi lasciai scappare un sorriso ripensando a quello splendido risveglio.
«E se voi tre non foste venuti a rompere le palle probabilmente l’avremmo fatto di nuovo. Quindi sarebbe un bel regalo di compleanno se girate il culo e tornate nelle vostre camere perché qui noi avremmo altro da fare.» sbottai.
«Concordo con questo schianto di ragazza. Andatevene via dalle palle!» Nikki mi prese da dietro e mi sollevò da terra.
Iniziai a ridere come una scema e appena mi lasciò andare, corsi a preparare due bei bicchieri di Jack Daniel’s.
«Appunto, è il tuo compleanno e noi non andiamo da nessuna parte. Ehi, ma quelle sono uova con bacon? E ci sono anche i pancakes!» disse Tommy fiondandosi dentro la camera seguito a ruota da Vince e Mick.
«Allora, Nikki ti ha già consegnato il suo regalo immagino. Un regalo davvero grande e grosso…» rise T-Bone.
Vince e Mick gli andarono dietro senza esitare.
 «Puoi dirlo forte Tommy, puoi dirlo forte! Tu cosa dici dolcezza?» ridacchiò Nikki guardandomi.
«Si concordo in pieno.» iniziai a ridere a crepapelle pure io e ci ritrovammo tutti e cinque a schiamazzare come idioti sorseggiando del buonissimo Jack.

15:45
«Coraggio apri!» urlò mia mamma tutta elettrizzata.
Presi il pacchetto tra le mani e iniziai a rompere la carta.
Quello che mi si presentò davanti era uno splendido paio di pantaloni in pelle nera.
«Wow! Mamma, papà, davvero non c’era bisogno… Cavolo sono stupendi!» gridai felicissima correndo ad abbracciare i miei genitori.
«Sono davvero un figata di pantaloni.» aveva concordato Jane.
Ero tornata a casa quel giorno, per aprire il mio super regalo e per evitare di destare troppi sospetti ai miei.
Ci stavamo divertendo tutti insieme e c’era davvero il clima familiare che mi piace tanto. Stare in compagnia dei miei genitori non era mai stato un problema per Jane. Io sono figlia unica e lei pure quindi per i miei era come la loro secondogenita, mia sorella acquisita. La conosco praticamente da sempre, fin da quando ero piccola.
«Ragazze, volete qualcosa da mangiare?» chiese mia mamma.
«No, siamo andate in un pub oggi a mezzogiorno. Va bene così.» le sorrise Jane.
Ovviamente non era vero, avevo passato con i Mötley tutta la mattinata e dopo l’abbondante colazione ordinata da Nikki non avevo per niente fame.
«Ora però se non vi dispiace vorrei portarla a fare un giro per il Sunset Boulevard per festeggiare questi fantastici diciassette anni.» disse Jane alzandosi dalla sedia e trascinandomi con lei per un braccio.
«Ok ragazze, divertitevi. Se stasera volete venire a mangiare un boccone qui non fatevi problemi, tanto sapete che noi stiamo svegli fino a tardi.» ci aveva salutate papà.
«D’accordo, ci si vede.» risposi salutando i miei genitori.
Appena superammo la porta Jane mi portò a casa sua, che era poco distante dalla mia, per prendere la macchina e portarmi a gironzolare per Los Angeles.
«Perché invece non andiamo all’hotel? Possiamo ordinare tutto quello che vogliamo e sparare la musica al massimo.» cercai di convincerla. Non avevo voglia di andarmene in mezzo al casino della città.
«Ma dai, è ancora presto. Perché cazzo vuoi andare a rintanarti nell’albergo quando hai tutta Los Angeles a disposizione?» mi disse lei bocciando la mia idea senza pensarci due volte.
«Va bene… tanto alla fine fai sempre di testa tua.» le risposi senza opporre resistenza.

21:10
«Cazzo Jane… credo di essere un tantino sbronza…» dissi alla mia amica mentre ballonzolavo e ridevo tenendola sotto braccio.
«Un tantino?! Ti sarai fatta una bottiglia e mezza di Jack tutta da sola!» rispose lei altrettanto brilla.
«Ma non è vero! Ne avrò bevuti si e no due bicchieri! Di solito li reggo tranquillamente due bicchieri!!» risi barcollando.
Camminavamo vicine sul Sunset Strip mentre la gente ci guardava schiamazzare e urlare stupidaggini a ruota libera.
«Dai, entriamo qui. Andiamo a farci un altro bicchierino.» propose Jane.
Stavamo per varcare la soglia del pub quando da distante vidi un gruppetto di gente ammucchiata attorno a quattro ragazzi con i capelli cotonati.
«Ma quelli sono i Mötley… andiamo!» gridai alla mia amica trascinandola verso la gente.
C’erano tutti intorno a loro: fans, giornalisti, telecamere, ragazze impazzite…
«Via, via, spostatevi!» dissi alle persone intrufolandomi tra di loro.
Vince aveva una bottiglia di Jack Daniel’s in mano e stava parlando al microfono di un giornalista, sbraitando come al solito.
«Ciao Nikki…» dissi aggrappandomi al collo del bassista.
«Ehi Nikki, chi è questa ragazza?» disse uno dei giornalisti notando la mia presenza.
«Si, chi è?»
«Una fidanzata? No, non credo…»
«Forse è una groupie.»
«Te la sei già fatta Nikki? Raccontaci i particolari! Ahahahahah!» continuavano.
Io rimasi lì impalata come una cretina, ridendo ad ogni loro stupida battuta.
«Adesso basta! Piantatela!» gridò Nikki uscendo dalla folla e trascinandomi con lui.
«Dove la stai portando? Ehi, noi due ci stavamo divertendo!» chiese Jane vedendoci allontanare.
«T-Bone, prendi Jane. Riportiamole all’hotel, sono parecchio ubriache.» disse Sixx dirigendosi verso quattro magnifiche Harley-Davidson parcheggiate poco distanti da noi.
«Oh mio Dio! Ma quelle sono vostre? Cazzo Nikki, perché non mi hai mai fatto fare un giro?» gli domandai iniziando a saltellare eccitata.
«Vuoi fare un giro? Salta su!» disse lui caricandomi a forza sulla moto e sgommando via in mezzo secondo.
Vedevo le luci di Los Angeles sfrecciarmi attorno e sentivo l’aria scompigliarmi i capelli rossi mentre Nikki volava nel traffico.
«Woo-hoo! Questa si che è vita!! Coraggio ragazze, alzate quelle fottute braccia al vento!» urlò Tommy affiancandosi a noi.
«Si, yeah!!» disse Vince spuntando all’altro lato con Mick.
Seguii il suggerimento ti T-Bone e sollevai le braccia. Una sensazione fantastica!

22:45
«Nikki, portami un bicchiere di Jack per favore.»
«No Penny, te lo scordi. Sei già abbastanza sbronza così.» rispose lui rifiutando la mia richiesta.
«Oh dai…» lo supplicai facendo la mia tipica “faccia da cucciolo” che convinceva sempre chiunque.
«E’ inutile, te lo scordi.» concluse secco.
«Fottiti.» dissi io in tutta risposta.
«Si ok.» rimase impassibile.
Uffa. Che palle.
In camera dell’hotel era davvero una noia. Jane aveva ragione quando mi aveva detto che Los Angeles non si poteva sprecare rintanandosi in stanza in una serata come quella.
I Crüe ci avevano riportate a casa e non ci perdevano di vista un secondo. Cazzo, ora ci facevano anche da babysitter quando invece avrebbe dovuto essere il contrario. Insomma, le rockstar ubriache, fumate, drogate, e tutto quello che volete, erano loro non noi.
«Ammazzate il divertimento.» disse Jane.
Nikki la guardò storto.
«Baby, non hai idea di quello che dici.» le rispose Vince.
«Ah no? Allora vieni qui e dimostramelo…» ammiccò lei.
Io iniziai a ridere. Ovviamente ero troppo ubriaca per impedirle di comportarsi in quel modo e trovai il suo invito divertente.
«Si, Nikki vieni anche tu da me…» seguii l’esempio di Jane.
Lui mi fulminò con lo sguardo.
«Vince, piantala.» disse rivolto al biondo che, ovviamente, si era già avviato verso la mia amica.
Il cantante era davvero dipendente dal sesso. Non riusciva a pensare ad altro, era il suo primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera. Ogni ragazza che incontrava, se la portava a letto e poi ne prendeva un’altra. Aveva una tipa diversa ogni giorno. Si sarebbe fatto chiunque. Nikki diceva che Vince era preso così male che probabilmente si sarebbe fatto anche sua madre in assenza di altro. Non riuscivo veramente a concepire un’idea così orrenda, proprio non ci riuscivo. Cioè dai! Ma come cazzo è possibile? Beh, Vince era capace di tutto.
«Ma vaffanculo Sixx. La fanciulla ha bisogno di me, e quando una bella ragazza ha bisogno di me, io rispondo…» sorrise Vince a Jane che iniziò a ridere come un’oca.
«Beh, rispondi quando sarà sobria.» lo aveva ammonito Nikki.
Insomma, che palle davvero! Era stato un bel compleanno quel giorno e ora stavano rovinando tutto.
«Perlomeno lasciami fumare una sigaretta.» dissi a Nikki.
Non rispose subito ma poi mi lanciò il pacchetto e l’accendino.
«Grazie.» risposi mentre l’accendevo.
La fumai con calma, godendomi ogni tiro.
«Guarda T-Bone, faccio come te.» dissi ad un tratto.
Infilai la sigaretta in un buco del naso ed inspirai. Portai il fumo in bocca e poi lo soffiai fuori creando una nuvola davanti ai miei occhi.
«Brava ragazza!» mi aveva sorriso Tommy.
Mi sentii fiera di me e finii la sigaretta felice. Che soddisfazione! Era una cosa stupida ma – vi ricordo – ero ubriaca.
Guardai Nikki con occhi persi e davvero addormentati. Ero veramente distrutta.
«Credo che vomiterò.» dissi poggiandomi una mano sulla fronte.
«Bene ragazzi. Penso che per voi sia ora di andare.» disse Nikki andando alla porta per far uscire gli altri.
«Ehi, ma io ho lasciato la macchina sul Sunset Strip!» urlò Jane d’un tratto agitandosi.
Ci guardammo tutti per un istante.
«Lasciala lì, non saresti in grado di guidare. Torna a prenderla domani quando riuscirai a reggerti sulle gambe. Tommy, prendila tu, di te mi fido ma non lasciare avvicinare Vince, mi raccomando.» disse Nikki al batterista.
T-Bone prese Jane mezza addormentata in braccio e la portò via. Uscirono tutti e rimanemmo solo io e Sixx.
Mi lasciai cadere di peso sul letto e Nikki venne a togliermi le scarpe e i pantaloni.
«Vai sotto alle coperte e dormi.» mi disse.
Poi prese una sigaretta e andò a fumarla vicino alla finestra della camera guardando le luci scintillanti della Los Angeles notturna.
«Grazie Nikki… è stato un bel compleanno…» bisbigliai sorridendogli.
Lui mi guardò e sorrise per ricambiare.
Mi addormentai serena.



da sinistra: Nikki, Vince e Tommy (da notare il Jack Daniel's sopra la testa di Vince)

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Capitolo 5
*** 12 febbraio 1982 ***


©

12 febbraio 1982

Los Angeles, CA
Hotel, 18:30
Era arrivato il giorno del primo concerto al “Whisky A Go-Go” ed ero agitatissima.
In teoria i Mötley Crüe dovevano essere agitati, non certo io. Ma a quanto pare loro erano rilassati e io mi stavo pisciando sotto.
Forse era per il fatto che la gente mi avrebbe vista gironzolare con la band e avrebbero pensato sicuramente qualcosa di male. O forse avevo paura che qualche altra groupie, con intenzioni totalmente diverse dalle mie, capitasse dai Crüe e mi portasse via Nikki.
Non ero sicura del motivo, sta di fatto che l’agitazione era tanta.
Andavo avanti e indietro per il corridoio dell’hotel di fronte alle nostre camere e vedevo i ragazzi che uscivano da una stanza all’altra ridendo e scherzando allegramente.
«Si può sapere cos’hai Penny?» mi chiese Tommy notando la mia preoccupazione.
«Non lo so, ma non riesco a calmarmi.» risposi iniziando a mangiarmi le unghie delle mani.
Lui mi guardava incerto e non capiva cosa mi stesse succedendo.
«Ehi Nikki, la tua ragazza qui sta andando fuori di testa!» gridò il batterista.
In meno di mezzo secondo Nikki si era fiondato fuori dalla camera di Mick ed era venuto da me.
«Che succede? Non ti senti bene?» mi chiese con sguardo preoccupato.
«No, sto benissimo, ma sono nervosa e non riesco a capire perché.» dissi.
Lui mi prese per le spalle e mi guardò fisso negli occhi.
«Stai tranquilla, ci divertiremo stasera. Il concerto andrà fottutamente bene e tutti ci applaudiranno.» cercò di calmarmi.
Io nonostante tutto non riuscivo a rilassarmi e tornai a mangiarmi le unghie.
«Io so cos’hai…» sorrise Nikki.
Lo guardai interrogativa.
«Non guarderò le groupies neanche con la coda dell’occhio. Ho già la mia personale.» sorrise di nuovo.
«Dai Nikki, lo sai che non mi interessa delle groupies…» risposi abbassando lo sguardo.
«Si invece. Dai non preoccuparti per queste cazzate. Tieni, fumati una sigaretta e poi vieni a prepararti.» disse porgendomi il pacchetto.
«Va bene.» sorrisi guardandolo negli occhi.
Anche se sapevo che Nikki non ci avrebbe provato con nessun’altra groupie, volevo sentirmelo dire da lui. Infatti dopo le sue rassicurazioni, l’ansia era sparita ed ero pronta a godermi la serata.
Fumando la sigaretta fuori nel terrazzo della nostra stanza guardavo le luci di Los Angeles. Dovevo chiamare Jane, che sicuramente sarebbe venuta al concerto, così ci potevamo trovare.
«Jane, vieni questa sera vero?» domandai non appena sentii che rispondeva alla chiamata.
«Certo che ci vengo! Non vedo l’ora!» mi aveva urlato.
«A che ora passano a prenderti gli altri due?» le chiesi riferendomi al suo ragazzo e al suo amico.
«Vengo da sola.» fu la sua risposta secca.
«Ma dai? Perché, che cazzo è successo?» dissi preoccupata.
«E’ successo che sto meglio da sola. Dai non roviniamoci la serata. Ci vediamo dopo.» dal suo tono di voce non sembrava triste.
«D’accordo, ciao.» la salutai riagganciando.
Me lo sentivo che sarebbe successo prima o poi. Sapevo che si sarebbero mollati, anzi, che lui avrebbe mollato lei. Perché? Perché lui è uno stronzo e lei si era lasciata abbindolare non so da cosa. Insomma non è questo gran figo e non è neppure simpatico ma tanto lui si è divertito, e Jane se l’è presa in quel posto. Per fortuna non è il tipo di ragazza che si deprime per un idiota.

19:40
«Dove cazzo è la mia maglietta bianca?» bisbigliai frugando nell’armadio della stanza dell’hotel.
Ero in mutande e reggiseno e stavo incasinando tutti i vestiti ma ancora non riuscivo a trovarla.
«Porca troia!» urlai sedendomi sul letto sbuffando.
«Cercavi questa?» Nikki tendeva la mano con la mia maglia bianca appesa sulla punta delle dita.
Tirai un sospiro di sollievo passandomi una mano tra i capelli.
«Come farei senza di te?» chiesi a Nikki iniziando a infilarmela.
Poi presi i pantaloni in pelle che mi avevano regalato i miei genitori per il compleanno e infilai pure quelli.
«Allora come ti sembro?» chiesi a Sixx poggiando le mani sui fianchi e scuotendo i capelli.
I pantaloni erano aderentissimi e la maglietta bianca mi scopriva l’ombelico.
«Devo proprio rispondere? Perché potrei non controllarmi.» disse lui letteralmente sbalordito.
Sorrisi e mi diressi nel bagno della stanza, per truccarmi e sistemarmi i capelli, mentre Nikki guardava ogni mio piccolo movimento.
Lavai i denti e iniziai a truccarmi gli occhi di nero. Prima la matita, poi l’ombretto e infine l’eyeliner e il mascara.
Dopo cinque minuti che stavo davanti lo specchio, arrivò Nikki.
Si era vestito anche lui con i pantaloni in pelle stretti e aveva una canottiera nera tutta strappata con la scritta “Mötley Crüe Hollywood”, in più si era attorcigliato attorno alla vita cinture borchiate e catene.
«Poi prestali anche a me quando hai finito.» disse.
Mi sporgevo verso il lavandino e guardando il suo riflesso dallo specchio notai che mi stava fissando il culo.
«Certo.» sorrisi lasciandolo fare.
Per finire passai un bello strato di rossetto rosso sulle labbra.
«Ecco tieni.» gli lasciai libero il posto di fronte lo specchio e iniziai a dipingermi le unghie di nero.
Ci soffiai sopra per asciugarle più in fretta e guardai Nikki che si truccava. Si era passato un po’ di matita nera attorno agli occhi ma non aveva esagerato più di tanto.
«Sobrio stasera?» chiesi sorridendo.
«Si, non ho voglia di eccedere con il trucco.» disse.
Alzai le spalle e iniziai a cotonarmi i capelli spruzzando tanta di quella lacca che non si riusciva più a respirare dentro al bagno. La spruzzai anche a Nikki e ci cotonammo i capelli a vicenda ridendo come scemi.
«Ehi ragazzi, avete ancora lacca qui? Vince ne ha usato un barattolo intero.» disse Tommy entrando nel bagno e vedendoci giocare come bambini.
«A quanto pare la state sprecando pure voi.» aveva dissentito incrociando le braccia.
«No, è nuova e ce n’è ancora un bel po’. Tieni.» risposi lanciandogli il barattolo.
Lui ci guardò un attimo e scosse la testa a destra e a sinistra, quasi come se disapprovasse il nostro comportamento infantile, e se ne andò dalla camera.
Scoppiai a ridere come una cretina e mi aggrappai al collo di Nikki.
«Meglio muoversi…» dissi guardandolo negli occhi.
«Beh non c’è tutta questa fretta…» rispose iniziando ad accarezzarmi le gambe ed entrando con le mani nei miei pantaloni.
Sarei rimasta con lui molto volentieri ma il tempo non si poteva fermare e i Mötley Crüe avevano un concerto quindi non bisognava fare tardi.
«Sai che non esiterei un secondo a stare con te… Ma avete un concerto tra pochissimo, e quindi dobbiamo andare.» bisbigliai.
«Almeno promettimi che sarai tu a presentarci al pubblico stasera.»
«Cosa? Sei scemo? Perché proprio io?» domandai allontanandomi un po’ per guardarlo meglio in faccia.
«Perché voglio che sia tu a farlo. Quindi non rompere i coglioni e inventati qualcosa di fottutamente figo da dire.» rispose Nikki.
Mi baciò la fronte e uscì dalla camera.

“Whisky A Go-Go”, 21:50
Backstage. Cazzo che ansia.
Me ne stavo lì con un bicchiere di Jack in mano e il respiro cominciava ad affannarsi. Dovevo salire sul palco e presentare i ragazzi al pubblico ma non avevo idea di cosa dire.
«“Ecco a voi i Mötley Crüe!” No, no, non va bene così!» sbraitai.
Non riuscivo a trovare le parole giuste e tutto sembrava misero per descriverli.
«“Sono grandiosi e vi faranno…” Merda!» davvero non avevo idee.
«Dai Penny, dobbiamo andare.» Mick mi chiamò.
Arrivarono tutti e quattro i Mötley e presero una bottiglia di Jack Daniel’s ciascuno. Si misero in cerchio e le sollevarono in aria.
«“Double Bubble”!» gridarono tutti insieme prima di attaccarsi direttamente al collo della bottiglia. Vedevo le bolle d’aria che risalivano all’interno per ben due volte!
Quando smisero di bere erano completamente esaltati e urlavano come pazzi. Sarebbero sembrati ubriachi ma, credetemi, non lo erano.
Andammo tutti insieme all’entrata per il palco e il mio respiro era ormai diventato agitatissimo.
Nikki si avvicinò a me e mi passò un braccio attorno ai fianchi.
«Tieni, prendi la bottiglia e vai sul palco. Mi raccomando, prendili a calci in culo la fuori!» disse baciandomi.
Non potei ritirarmi.
Uscii sul palco e mi recai traballante con la bottiglia di Jack in mano verso il microfono.
Le persone stavano tutte più in basso e le guardavo negli occhi. Erano rimasti un po’ sorpresi nel vedermi perché non si aspettavano che una groupie presentasse i Crüe.
Nel giro di due secondi dovevo inventarmi qualcosa di decente da dire e senza pensarci troppo lasciai che le parole mi uscissero da sole dalla bocca.
«Buona sera. Avete la minima idea di cosa siete venuti a fare qui oggi? Allora?» domandai spostando il mio sguardo di persona in persona.
Vidi che c’era anche Jane nel fondo della folla e sorrideva per il mio show.
«A vedere i Mötley…» disse qualcuno dal mezzo del casino di gente.
«Si, a sentire i Crüe!» continuò qualcun altro.
Sorrisi e bevvi un sorso del whiskey.
«Esattamente, siete venuti qui per sentire un po’ di fottuto rock n’ roll. Allora dateci dentro, fate un bell’applauso a quei quattro figli di puttana, ecco a voi i Mötley Crüe!!» gridai sul microfono alzando il pugno e bevendo un altro sorso di Jack.
Esplosero gli applausi, forti, potenti, fragorosi e assordanti.
Uscii dal palco mentre i ragazzi entravano. Nikki mi diede una pacca sul culo per congratularsi del discorso e Tommy mi schioccò l’occhio.
Sorrisi soddisfatta del mio lavoro, infondo ero andata bene.
Uscii dal backstage per andare in mezzo la folla dei fans a salutare Jane.
«Ciao!! Cazzo che discorso.» disse abbracciandomi.
«Si dai, non è andato male. Tieni bevi un po’.» risposi riempiendole il bicchiere.
Ci godemmo tutto il concerto, dall’inizio alla fine cantando e ballando.
Mentre saltavo e scuotevo la chioma rossa di capelli cotonati, la gente mi guardava e alcuni li sentivo bisbigliare mentre dicevano: «Ma quella è la tipa che stava con Nikki l’altro giorno. Quella del giornale.» e ancora « Chi cazzo è? Ha presentato i Mötley Crüe sul palco… Sarà una groupie, una di quelle troie da camerino…» avevano detto delle tipe che facevano le fighe in mezzo alla gente.
«Ma vaffanculo! Le troie sarete voi. Siete solo invidiose!» aveva urlato Jane incazzandosi.
«Dai Jane lascia stare. Sono gelose perché io sono andata a letto con Nikki mentre loro se lo possono solo sognare.» dissi io prendendo la mia amica sotto braccio e portandola da un’altra parte.
Sapevo che avrei sentito frasi di questo tipo. Mi ero preparata a tutto e sinceramente me ne fregava poco. Io sapevo la verità e anche Nikki, quindi problemi non ce n’erano. Nikki sapeva che non ero una groupie qualsiasi e ci teneva a me proprio per questo. Ecco l’unica cosa che mi interessava, quello che dicevano gli altri non era importante.
Continuammo a divertirci e lasciai perdere la gente idiota.

“Whisky A Go-Go”, backstage, 23.45
«No! Nikki, basta… Nikki, piantala, ti prego!» stavo urlando in braccio a Sixx che mi faceva il solletico.
Eravamo tutti nel backstage: i Mötley Crüe, Jane e io.
Avevano finito il concerto e ce ne stavamo a bere Jack Daniel’s a fiumi e fumare sigarette ridendo e scherzando come pazzi scatenati. Che bella serata.
Me ne stavo seduta sulle ginocchia di Nikki e lui si divertiva a solleticarmi ovunque e non accennava a smettere.
Ero davvero fuori di testa. Ridevo come una scema e non vedevo altro che lo splendido viso del bassista.
Cambiai senso e mi voltai verso di lui con tutto il corpo. Avvinghiai le braccia attorno al suo collo e lasciai che mi stringesse i fianchi con le mani.
Lo baciai, una, due, tre volte, spingendolo con la mano sempre più vicino a me.
«Dio Nikki…» gemetti ad un tratto.
«Cosa c’è?» chiese lui staccandosi per mezzo secondo dalle mie labbra.
«Dobbiamo stare qui ancora per molto?» risposi sorridendo.
Iniziò a ridere e sapevo che aveva capito esattamente cosa intendevo.
«Ancora un po’…» disse spostandosi sul mio collo.
Lo faceva apposta, lo so. Cazzo, voleva davvero farmi soffrire, tutte quelle “attenzioni” per poi ottenere un bel niente. Nonostante tutto lo lasciai fare, era sempre meglio quello che nessuna delle due cose.
Dovevo solamente aspettare un po’ e tenerlo eccitato per il resto della sera, poi avrei ottenuto quello che volevo.
«Ma smettetela piccioncini!» rise Jane.
«Dolcezza, sei sobria? No perché ci sarebbe ancora la tua offerta dell’altra sera…» le disse Vince.
Sempre il solito.
«Non lo so, devo pensarci.» rispose Jane ignorandolo.
Mi lasciai scappare un sorriso. Infondo penso che la mia amica avesse capito che tipo era Vince e che non era il caso di stare a sentire le cazzate che sparava pur di portarsela a letto.
«Nessuno ha mai negato una notte di sesso selvaggio a Vince Neil!» disse il biondo cantante alzandosi in piedi vittorioso.
«Beh, c’è sempre una prima volta.» fu la risposta secca di Jane.
Ora le mie risate risuonarono nella stanza. Ero davvero contenta che gli avesse risposto in quel modo, se lo meritava.
Toc, toc, toc. Porta.
«Si?» disse Mick.
«Ragazzi, ci sono dei fans che vorrebbero gli autografi. Fate un salto ad accontentarli.» un tizio che lavorava nel backstage di ogni concerto dei Crüe aveva sporto la testa dentro la stanza.
«Arriviamo subito.» rispose Tommy facendo l’ultimo tiro di sigaretta e bevendo l’ultimo sorso di Jack.
«Fantastico, anche stasera pollastre! Almeno là fuori ce ne sono parecchie che vogliono andare a letto con Mr. Neil.» aveva esultato Vince rivolto verso Jane.
Scossi la testa a destra e a sinistra disapprovando il suo stupido commento.
«Io non vengo ragazzi.» disse Nikki interrompendo quella breve pausa.
Mi voltai a guardarlo interrogativa. Era una parte fondamentale del gruppo, e se volevano vedere i Mötley Crüe, allora doveva esserci anche lui.
Gli altri si scambiarono un’occhiata.
«Sei proprio fuori di testa per lei Sixx.» sorrise Tommy.
Si alzarono e uscirono tutti dalla porta compresa la mia amica che si era lasciata cingere i fianchi dal batterista.
«Cosa voleva dire?» chiesi a Nikki guardandolo.
«Lascia perdere, andiamo.» disse alzandosi e imitando T-Bone.
Mentre uscivamo e seguivamo gli altri tolsi la su mano che era “scivolata” dai miei fianchi al mio fondoschiena.
«No, ora me lo dici!» continuai bloccandomi a metà strada.
Lui sorrise e mi strinse le guance tra le dita facendomi assumere un’espressione davvero buffa.
«Piantala di rompere i coglioni.» disse baciandomi.
Eseguii gli ordini senza controbattere, dopotutto chi sarebbe riuscito a resistere a Nikki Sixx che ti bacia in quel modo?
Tornò ad avvolgermi i fianchi e uscimmo dal backstage.
Un boato ci travolse.
Gli altri stavano già firmando autografi e vedevo Jane ridere vicino a Tommy mentre lui faceva il cretino come al solito.
«Nikki!!! Oh mio Dio Nikki!!! Nikki!!!» una voce femminile chiamò il bassista
«Cazzo è Nikki Sixx!! Nikki!!!» un’altra.
Le voci si susseguivano e si mischiavano chiamando e urlando in nomi dei ragazzi.
Il mio cervello non capiva più niente, in mezzo a quel casino e a quelle luci che mi avevano colpito gli occhi senza pietà, la mia testa si sentiva esplodere.
«Non pensavo che fossero proprio qui cazzo.» disse Nikki.
Mi prese la mano stingendola forte e mi tirò in mezzo alla folla superando un paio di giganteschi uomini che bloccavano il gruppo di ragazzi e ragazze esultanti. Uno di quei giganti ci seguì e ci aiutò a tenerci distanti i fans in delirio.
«Andate ragazzi.» disse il tipo dopo averci sgomberato la strada.
«Grazie Fred.» gli sorrise Sixx dirigendosi verso la sua Harley-Davidson poco distante.
Mi caricò sul sellino posteriore e mi baciò ancora sorridendo.
Gli avvinghiai le gambe attorno al corpo e lo legai a me.
«Andiamo.» disse staccandosi dopo poco e accendendo la moto.

Hotel, 00:55
Ridevo. Ridevo. Ridevo ancora.
Avevo la telecamera in mano e filmavo Nikki mentre faceva finta di suonare il basso sopra al letto.
«Woo!! This is rock n’ roll!» gridai zoomando sul suo viso concentrato.
Avevamo messo a tutto volume Too Fast For Love e lui saltava da una parte all’altra della camera da letto con un basso invisibile tra le mani.
Poggiai la telecamera sul comodino e presi la polaroid. Scattai un paio di foto, stupende.
Nikki venne da me e mi buttò sul letto tra le lenzuola togliendomi la macchina fotografica dalle mani.
Si allontanò e scattò pure lui delle foto.
Così, vedendolo esaltato, iniziai a muovermi come una pantera togliendomi i vestiti. Lui ovviamente continuava a scattare e si assicurò che pure la videocamera stesse riprendendo.
Si passò la lingua tra le labbra e, mentre continuava a scattare, alzò gli occhi verso il mio corpo che ormai non controllavo più.
Si avvicinò e si posizionò sopra di me. Senza pensarci un secondo in più mi sganciò il reggiseno, lasciandomi addosso soltanto gli slip. Poi scattò altre foto.
Io lo facevo apposta a eccitarlo perché sapevo che la cosa gli piaceva, e anche parecchio.
Mi passai un dito tra le labbra proprio mentre la macchina fotografica scattava, e dopo pochi secondi uscì la fotografia.
«Perfezione…» sussurrò prendendo l’immagine tra le mani.
La guardai. Io, con i capelli rossi che mi circondavano il viso, il corpo nudo, lo sguardo e l’espressione rilassati ma eccitati allo stesso tempo. Quasi non mi riconoscevo, sembravo un’altra ragazza. La mia felicità era palpabile, contagiosa. Sembrava che stare con Nikki, lì, in quel momento, mi avesse reso finalmente me stessa.
Poggiai le mie mani sul suo petto nudo, accarezzandolo dolcemente. Presi i suoi polsi tra le dita e lasciai che anche lui potesse toccarmi, sentirmi. Era una sensazione sublime.
Ora anche la punta delle sue mani mi sfiorava lasciando posto a brividi di piacere.
Inarcai la schiena e allungai le braccia per cingergli il collo e attirai Nikki sopra di me.
Il contatto tra i nostri corpi fu l’apice della mia resistenza. La nostra pelle che si toccava, petto contro petto, mentre le sue mani scivolavano sulle mie cosce, non mi permise di ragionare.
Quello che ne susseguì fu una serie di sensazioni ed emozioni tutte insieme, che mi travolsero come una valanga.
Piacere, lussuria, ma anche dolcezza, sicurezza, amore…
Io e Nikki eravamo come due calamite che non potevano fare a meno di attrarsi a vicenda.
Non potevamo stare distanti. Non possiamo stare distanti.
Quella notte eravamo solo io e lui. Punto.
Quella notte fu perfetta in ogni aspetto e sapevo che al mio risveglio, la mattina dopo, mi sarei sentita in paradiso.

  

Nikki Sixx                                                                                                            Nikki Sixx

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Capitolo 6
*** 14 febbraio 1982 ***


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14 febbraio 1982

Hotel, 7:25
Una luce fioca filtrava dalla finestra e vedevo i granelli di polvere minuscoli che fluttuavano leggeri nell’aria.
Feci scorrere una mano sotto alle coperte tiepide e toccai la coscia di Nikki. Un altro risveglio meraviglioso, proprio come quello del giorno prima.
Mi girai a pancia in su e buttai fuori le braccia lasciandole cadere sopra le lenzuola. Notai che nella stanza c’era un casino assurdo, vestiti ovunque. Non scorsi il mio reggiseno in quel mucchio di roba e cercai di ripercorrere con la mente quello che era successo la sera prima. Sixx doveva averlo lanciato da qualche parte, ma sinceramente non era quello il mio pensiero principale.
Mi lasciai scappare un sorriso che però cancellai subito pensando che quel giorno era il 14 febbraio: San Valentino.
Che schifo. Una festa inutile, creata solo per far spendere soldi alla gente. Insomma, l’amore deve essere dimostrato ogni giorno, non solo una volta all’anno regalandosi a vicenda cioccolatini o peluche. Non condivido questa festa e la considero solo una gran stupidaggine.
Mentre ancora rimuginavo su quanto avrei disprezzato quella giornata, scesi dal letto e mi sgranchii le gambe e le braccia.
Afferrai una t-shirt da uno degli innumerevoli mucchi di vestiti che c’erano nella camera e me la infilai. Mi stava larga ed era impregnata dell’odore di Nikki.
Avevamo finito tutte le bottiglie di Jack Daniel’s, così presi il telefono per ordinarne altre alla reception.
«Salve, sono Penny Lane, alloggio con il signor Sixx dei Mötley Crüe.» dissi chiudendo la porta del bagno. Non volevo svegliare Nikki.
«Buon giorno miss Lane, dica pure.» rispose la voce gentile del tizio al di la della cornetta.
«Vorrei ordinare una bottiglia di Jack Daniel’s.»
«Certo signorina, gliela faccio arrivare in camera subito.» disse lui.
«No, non importa, vengo a prenderla io.»
«D’accordo, venga pure qui alla hall, la consegnerò io di persona.»
«Grazie.» chiusi la comunicazione.
Uscii dal bagno e poggiai il telefono sul comodino. Lanciai uno sguardo a Nikki che dormiva beatamente a pancia in giù con la schiena scoperta. Mi avvicinai e, accarezzandogli i capelli, lo baciai sulla fronte.
Una volta chiusa la porta della stanza iniziai a passeggiare in corridoio. Me ne fregai del mio stupido abbigliamento: in mutande con una maglietta larghissima che mi copriva appena il culo e i calzini bianchi dalla caviglia. Per fortuna l’albergo era deserto a quell’ora.
Arrivata alla hall vidi il tipo al di la del bancone con la giacca scura e il farfallino al collo.
Appena mi vide fece una faccia strana perché non è da tutti i giorni vedere gironzolare in un hotel così di lusso una ragazza in mutande con i capelli arruffati e il trucco tutto sbavato.
Poggiai i gomiti sul ripiano in marmo gelido e sorrisi al ragazzo.
«Ecco qui miss Lane.» disse lui tirando fuori la bottiglia di Jack.
«Grazie dolcezza.» risposi lanciandogli un bacio mentre facevo dietrofront con lo zio Jack in mano.
«Ah si… Buon San Valentino miss Lane. Porti i miei auguri anche al signor Sixx.» gridò lui quando io ero già distante.
Senza voltarmi feci un cenno con la mano per ringraziarlo, ma in realtà quell’augurio mi aveva fatto venire la nausea.
Passai di fronte alle camere degli altri ragazzi e poggiai l’orecchio in ogni porta per sentire se erano svegli o se dormivano ancora. Nessun rumore, tranne che nella stanza di Vince dove avevo sentito i gemiti di una ragazza.
«Sempre il solito Neil.» bisbigliai con una smorfia di disgusto.
Vince era sveglio ma ne avrebbe avuto ancora per molto con quella tipa e in ogni caso si sarebbe rimesso a dormire dopo, quindi nessuna rottura di palle prevista per le successive tre ore.
Entrai nella stanza mia e di Nikki e lo vidi di fronte alla gigante finestra, mezzo nudo mentre si fumava una sigaretta e osservava la splendida Los Angeles.
«Allora sei sveglio.» dissi chiudendo la porta alle mie spalle e accendendo anch’io una sigaretta.
Mi avvicinai a lui e gli porsi la bottiglia perché la aprisse. Se la portò alla bocca e buttò giù di seguito cinque o sei sorsate di whiskey.
«A proposito, buon San…»
«No no no! Per favore stai zitto! Mi ha già fatto gli auguri il tizio della hall e mi stava per venire da vomitare, non metterti anche tu.» lo bloccai a metà frase.
«Ok, scusa. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere.» si scusò facendo spallucce.
«Trovo che San Valentino sia una festa insulsa. Avrei preferito che tu mi dicessi “Cazzo Penny, la mia t-shirt ti sta da Dio!”» continuai sputando fuori il fumo della sigaretta.
Lui rimase in silenzio e per un po’ sentii solamente il rumore del suo soffio mentre fumava.
«La mia maglia ti sta da Dio…» disse ad un tratto.
Sorrisi mentre gli rubavo il Jack dalle mani.
«Lo so.» risposi bevendo.
Si avvicinò a me e mi prese i fianchi attaccandomi al suo bacino. Ridendo lo circondai con il fumo dell’ultimo tiro della sigaretta e lo lasciai prendere possesso della mia lucidità mentale.
«Credo che dovremmo andare a svegliare gli altri e festeggiare questo giorno tutti insieme…» mi sussurrò nell’orecchio non appena sentì le mie mani entrargli nei boxer.
«Vaffanculo Sixx! E comunque Vince non è disponibile, si sta facendo una tipa. Passando davanti alla sua stanza puoi sentirne le urla.» risposi con una smorfia.
«Ah si? Hmm, allora credo che seguirò il suo esempio… Vieni qua…» ribatté lui.
Nel giro di mezzo secondo eravamo già tra le lenzuola.
 
Hotel, 9:30
«Mio Dio!» esclamai prendendomi la fronte tra le mani e spostandomi i capelli dal viso.
«Che c’è?» domandò lui poggiandosi sul gomito e fissandomi mentre riprendevo fiato.
«C’è che dobbiamo darci una regolata con questa cosa… Porca miseria…» risposi.
Si limitò a sorridere come se quello che avevo appena detto fosse un complimento.
«Ti ho detto che saremmo potuti andare dagli altri. T-Bone non si sarebbe infastidito a fare qualche cazzata. Tu hai preferito restare qui, quindi ora non lamentarti.» disse lui in tutta risposta.
«Si vero, tu invece avresti preferito stare con Tommy? Su Nikki, non dire stronzate.»
Tornò a fissarmi.
«Non guardarmi così, lo sai che ho ragione. Avresti potuto insistere se veramente volevi stare con Lee. Non dare sempre la colpa a me.» continuai.
Sorrise ancora.
Discutere con Sixx era come discutere con i muri, anzi, loro ti danno retta di più.
«Questa sera c’è l’ultimo concerto al “Whisky A Go-Go”, proprio un bel modo per festeggiare San Valentino.» disse Nikki interrompendo il discorso.
«Mi chiedo per quanto ancora dovremo restare qui a LA, non ce la faccio più. Avevo deciso di venire in tour con voi, di essere la vostra groupie, ma siamo ancora fermi qui.» sbottai.
«Vuoi davvero andare via da Los Angeles?»
«Si, mi sono rotta. Io voglio viaggiare, girare il mondo accompagnata dalla vostra musica.» risposi stiracchiandomi le braccia e inarcando la schiena.
«Mi sembra una motivazione più che sufficiente… Ma lo sai che dobbiamo stare qui ancora per un bel po’. Il primo di aprile saremo a San Francisco e poi staremo lontani da LA fino a luglio.» mi rassicurò lui poggiandomi un braccio sopra la pancia nuda.
«Non vedo l’ora…» furono le mie poche parole di risposta.
L’idea di lasciare Los Angeles per qualche mese mi piaceva parecchio. Era il mio modo per fare finalmente quello che amavo di più. Una cosa che facevo solo per me stessa, per la mia felicità. Il mio modo per venerare il rock n’ roll.
«Ho bisogno di una doccia, i capelli sono tutti scompigliati e impiastricciati di lacca.» dissi alzando lo sguardo verso un ciuffetto di capelli che mi cadeva davanti al viso.
«Non è vero, ti stanno benissimo…» si intromise Sixx spostandomelo con le dita.
Lo guardai storto e pensai che mentisse, però il suo sguardo era terribilmente sincero e cambiai immediatamente idea.
Lo baciai sulla punta del naso e uscii da quel nido caldo di coperte e lenzuola. Andai verso l’enorme finestra della nostra stanza e mi lasciai illuminare il corpo nudo dal caldo sole californiano mentre mi sgranchivo ogni singolo muscolo.
Cercai di sciogliere qualche nodo dei capelli con le dita, senza successo, e mi accorsi che Nikki era poggiato su un gomito con la mano sotto al mento e mi stava fissando.
«Che c’è?» gli domandai.
«Non lo so… ehm, niente credo…» biascicò lui.
Sorrisi abbassando lo sguardo.
«Sixx, questa mancanza di parole non è da te. Cominci a preoccuparmi.»
Sorrise pure lui e tornò a guardarmi.
«E’ solo che sei così… non so, sei bellissima… Aspetta, sta ferma lì, prendo la polaroid…» si alzò di scatto dal letto e andò verso la macchina fotografica poggiata sopra al comodino.
«Adesso fai qualcosa, che ne so… scuoti i capelli, alza le braccia…» continuò tornando da me.
Lo guardai perplessa sgranando gli occhi. Che diamine stava facendo? Non aveva niente di meglio da fare il giorno di San Valentino invece che stare a fotografare me?
«Andiamo su, fai qualcosa cazzo!» disse Sixx.
Sospirai ed eseguii gli ordini.
Non so esattamente cosa feci, semplicemente mi muovevo. Alzavo le braccia, mi sgranchivo i muscoli, scuotevo i capelli, niente di strano. Poi mi poggiai al vetro della finestra e rimasi ferma a fissare la città.
«Si perfetta! Questo è lo scatto migliore…» disse lui.
Nikki aveva scattato tantissime fotografie e adesso sembrava veramente impazzito.
«Dai Nikki, devo andare a farmi la doccia. Ne hai fatte già abbastanza di foto.» sbottai voltandomi a guardarlo.
Ultimo scatto.
Sul letto c’erano un mucchio di foglietti e pian piano su di essi appariva la cattura della mia immagine.
«Ecco vedi? Queste sono le ultime che ti ho fatto, sono davvero bellissime…» rispose porgendomele.
In effetti erano belle. Non so come Sixx riuscisse a far uscire quella parte di me. Era come se in quelle immagini fosse rappresentata una Penny Lane che non avevo mai visto prima, sembrava che non fossi neanche io.
«Hai ragione, sono proprio fantastiche Nikki… Hai davvero molto talento. Ora però devo andare a farmi la doccia.» sorrisi e mi diressi in bagno.
 
11:00
«E’ bellissima. Nikki sei davvero pazzo di lei vero?» sentivo la voce di T-Bone al di la della porta del bagno.
«Si, mi fa uscire di testa…»
«Beh, allora speriamo che questa ragazza riesca a farti rimettere la testa a posto Sixx, chissà, magari diventi una persona normale.» rise Tommy.
Stavano parlando di me. Chi l’avrebbe mai detto che una rockstar famosa come Nikki Sixx tenesse così tanto ad una semplice groupie come me.
Mi avvolsi un asciugamano attorno al corpo e li raggiunsi.
«Ciao T-Bone, dormito bene?» chiesi appena me li trovai davanti.
«Ciao bellezza, si tutto bene. Anche voi avete cominciato bene questo San Valentino vedo.» rispose lui scherzando.
«Si, non c’è male.» sorrisi.
Presi dal cassetto un paio di slip e reggiseno e voltando le spalle ai ragazzi mi vestii evitando di mostrare troppo il culo. Sciolsi i capelli per farli asciugare dall’aria e uscii in terrazzo per fumare una sigaretta.
«Fate una cosa, andate a svegliare anche Mick e Vince. E’ quasi mezzogiorno.» borbottai sputando fuori il fumo.
«Mick è già sveglio… E’ sempre il primo ad alzarsi.» mi rispose il batterista.
«Potresti andare tu da Vince? Noi dobbiamo correre a sistemare un paio di cosette per l’ultimo concerto di questa sera.» concluse Nikki.
No, vi prego. Fatemi fare tutto ma non entrare nella camera di quel cazzone.
«Devo proprio?»
«Se non vuoi lasciarlo lì…» il bassista mi sorrise, convincendomi.
Tornai in camera e, tenendo la sigaretta stretta tra le labbra, indossai una maglia e mi diressi alla porta.
«Fottetevi. Tutti e due.» dissi a Nikki e Tommy, che si misero a ridere come bambini, poco prima lasciarmi la stanza alle spalle.
Mi ritrovai nel bel mezzo del corridoio vuoto e silenzioso dell’hotel, e sapevo che a qualche metro alla mia destra si trovava la camera da letto di quel brutto stronzo di Neil.
Decisi che avrei cercato di togliermi da quella brutta situazione il più in fretta possibile e quindi iniziai a camminare a passo svelto verso la sua porta, sicura che l’avrei trovata  aperta. Vince aveva quest’abitudine di non chiudersi mai a chiave dentro una stanza. Con il passare del tempo maturai l’idea che forse lo faceva di proposito perché provava uno strano piacere nel farsi cogliere in flagrante mentre si sbatteva una qualche puttanella da quattro soldi.
Mi fiondai dentro la sua camera varcando la porta ed evitando di guardare nella direzione del letto, ovviamente senza successo.
Nessun tipo di lenzuolo li copriva. Quel bastardo platinato stava sopra, la malcapitata sotto. Come sempre lui faceva il gradasso, troppo sicuro e convinto delle sue grandi potenzialità di macchina del sesso, e controllava la situazione. Alla poverina non restava che subire tutto l’egocentrismo di quel figlio di puttana e fingere il più bell’orgasmo di tutta la sua vita. Infatti, le urla – chiaramente finte – riecheggiavano per tutta la stanza.
Cazzo, sono cose che se ti capitano davanti così all’improvviso possono traumatizzarti per tutta la vita! Vedere Vince che si impegnava tanto mi fece ribrezzo: non stava facendo sesso, la stava consumando! E la cosa che mi fa più schifo, è che quel cazzone trova sempre qualche ragazza che gli apre le gambe volentieri. E’ una vergogna, davvero. Credo che piuttosto mi farei suora.
«Neil ti prego, falla finita. Tanto ce l’hai troppo piccolo e lei sta fingendo pur di farti contento.» dissi correndo ad aprire le tende e la finestra per far uscire la puzza di sudore.
Alla ragazza scappò una risatina perché il ritmo quasi regolare delle sue urla si era interrotto per un secondo. L’avevo detto io che fingeva.
«Certo bellezza… So che ti piacerebbe essere al posto di questa tua collega… Dai, vieni qui… Posso far divertire anche te…» disse il cantante senza concludere il suo lavoro.
Gli lanciai addosso una coperta per togliermi davanti quella scena rivoltante.
«Primo, lei non è una mia collega. Secondo, piuttosto che farmi toccare da uno stronzo come te mi chiudo in un convento a vita.» ribattei.
«Ahah, si come no!... …Ci sono quasi baby…» fu la sua risposta.
«Datti una mossa, idiota.» dissi uscendo dalla camera poco prima di assistere alla dimostrazione pratica della sua goduria.
Tornai nella mia stanza correndo perché sentivo che se fossi rimasta un secondo in più vicino a quella di Neil avrei potuto vomitare.
«Giuro che questa è l’ultima volta che faccio una cosa simile.» conclusi.
 
“Whisky A Go-Go”, 22:30
«Dai ragazzi, applaudite forza! I Mötley Crüe!!» come sempre avevo presentato il gruppo incitando la folla ad acclamarlo.
Ultimo concerto al “Whisky A Go-Go” e poi ne manca ancora uno al “Country Club” sempre a LA il mese prossimo. Che palle cazzo, non ce la faccio più. Questa città sarà anche fantastica, ma mi ha rotto. Pensavo che seguire i Crüe sarebbe stato più eccitante.
Scesi dal palcoscenico e andai al bancone del bar.
«Un bicchiere di Jack Daniel’s per favore.» ordinai al barista.
«Certo arriva subito… Ma, sei tu?»
«Jake? Oh mio Dio, da quanto tempo! Non pensavo che lavorassi qui! Perché non ti ho mai visto prima?» risposi alla voce del ragazzo al di la del banco.
Si chiama Jake Miller e andavamo a scuola insieme. Ci conosciamo praticamente da quando siamo nati e siamo sempre stati grandissimi amici. Ricordo che quando avevamo undici anni ci eravamo anche messi assieme, solo per una settimana. Anche lui, come me, è nato in una famiglia dove la musica regna sovrana e abbiamo sempre condiviso tutti i dischi in vinile, e ce li scambiavamo tutte le volte che uno di noi ne riceveva qualcuno per il compleanno.
«Non lo so, eppure lavoro qui da molto. Ho trovato questo posticino, non è granché ma almeno partecipo ai concerti gratis. E dimmi di te invece. Mi sembrava un viso familiare quello lì sopra sul palco. Anche l’altra sera ti ho vista e mi pareva di conoscerti ma, sai, non ne ero sicuro. Come te la passi? Cos’è, sei la groupie dei Mötley adesso?» ridacchiò Jake mentre svuotava il Jack nel bicchiere.
«Beh, ci hai azzeccato…» sorrisi quando me lo porse.
Il suo sorriso scomparve e la sua bocca assunse una forma ad “o” che gli donava un’espressione davvero sbalordita e buffa. Già, ovvio. Dire che sei una groupie non è mai una cosa proprio normale, e anche se lui era stato ben “istruito” alla musica, suonava come una cosa strana.
«Wow… e, ti piace? Voglio dire, ti diverti oppure…»
«Tranquillo, non sono “quel” tipo di groupie. Il mio lavoro non è esattamente quello che tutti pensano. Infatti diciamo che sto con uno solo dei Crüe: Nikki Sixx, il bassista. Posso aggiungere anche che lui è davvero una persona splendida e mi trovo bene in sua compagnia. Sembro quasi innamorata…» risi interrompendolo.
«…Anche se sono sempre stata innamorata di Nikki.» conclusi deglutendo un sorso di Jack e voltandomi verso il palco.
Sixx stava suonando benissimo e si vedeva che si stava divertendo.
«E da quando questo cambiamento?» chiese Jake.
«Il 27 gennaio è cominciata questa avventura. Diciamo che non ho notato un gran cambiamento da prima perché sono sempre bloccata qui a Los Angeles, non vedo l’ora di spostarmi almeno di qualche miglio. Il primo aprile saremo a San Francisco, ma fino ad allora sono costretta a restare qui.» abbassai lo sguardo sconsolata.
«Beh dai, almeno ora che ci siamo rivisti possiamo uscire insieme qualche volta, così non ti annoi troppo.» mi consolò lui.
«Sarebbe davvero molto bello.»
«Scusa, ma adesso devo andare altrimenti per me sono guai e posso dire addio ai concerti gratis. Tieni, ti lascio il mio numero così mi chiami se hai bisogno di chiacchierare con un amico non famoso.» sorrise lui scrivendo una serie di numeri su un pezzo di fazzolettino di carta.
«Grazie Jake. Mi ha fatto davvero piacere rivederti. Ciao!» lo salutai prendendo il foglietto e guardandolo contraccambiare il saluto con la mano.
Che bravo ragazzo. E’ sempre stato una bella persona, fin da bambino. Non abitavamo vicini da piccoli ma ricordo che lo conobbi il primo giorno di scuola elementare. Lui se ne stava a giocare con un pupazzetto a forma di orsetto in un angolo e io mi avvicinai per fare conoscenza: «Ciao, come si chiama il tuo orsetto?» «Bonzo, come quello che suona i tamburi nei Led Zeppelin.» «Che carino! Anche a me piacciono i Led Zeppelin! Saremo grandi amici io e te!». Era il 1970 e queste sono state le prime parole che ci eravamo scambiati io e Jake. Da quel momento non ci siamo più separati.
 
Hotel, 1:35
Poggiai il foglietto con il numero di Jake sul letto non appena entrai in camera.
«Chi cazzo è Jake?» chiese Nikki prendendolo tra le mani.
«Un mio amico.» risposi togliendomi i pantaloni in pelle che mi si erano appiccicati alle gambe.
«Non è neanche un mese che ci conosciamo e già mi tradisci? Non pensavo che fossi anche tu così.» ridacchiò il bassista facendo lo spiritoso.
Quella battutina non mi era piaciuta per niente.
«No Sixx, non ti tradisco. Sai, conosco Jake da quando ho sei anni ed è un mio grande amico. Gli voglio molto bene e sono tanto felice di averlo rivisto questa sera, avevamo perso i contatti.»
«E’ stato una tua vecchia fiamma per caso? Da come ne parli sembrerebbe di si…» scherzò ancora Nikki.
«Si, siamo stati insieme, ma avevamo undici anni Nikki! Perché cazzo ti comporti così? Tu puoi avere tutte quelle puttane che ti sbavano dietro e che farebbero di tutto pur di portarti a letto, mentre io non posso neanche rivedere il mio amico d’infanzia, che tu già fai queste battutine stupide e insopportabili! Sei veramente un bambino a volte cazzo!» sbraitai lanciando atterra i pantaloni.
«E poi cosa significa “non pensavo che fossi anche tu così”? Così come Nikki? Mi sembrava di aver già messo in chiaro con te e con gli altri che non sono una ragazza qualsiasi che potete sbattere a destra e a sinistra e che tanto poi è sempre disposta ad allargare le gambe per voi. Se non l’hai ancora capito e non ti fidi di me, allora dimmelo che me ne vado! Io ho fiducia in te Nikki, anche se non dovrei averla dato che sei una rockstar e che anche tu, come tutti gli altri maschi, ragioni con l’uccello e non con la testa!» continuai.
Mentre dicevo quelle cose pensai che forse stavo un tantino esagerando, ma porca merda, avevo il diritto di dire anche io quello che pensavo!
Nikki nel frattempo si era avvicinato a me e mi aveva afferrato i polsi bloccandomi le braccia dietro alla schiena per tenermi ferma.
«Lasciami subito andare! Non basterà questo tuo modo rude di dire scusa per farmi calmare, dovrai dimostrarmi di essere pentito e poi…»
Non feci in tempo a concludere che sentii le sue labbra sulle mie e la sua lingua che sfiorava la mia.
«Puoi smetterla di blaterare per mezzo secondo, per favore? Stavo solo scherzando. Lo so, a volte i miei scherzi non sono divertenti come credo, ma non l’ho fatto con cattiveria. Ok, Jake è un tuo amico e mi va bene, perché mi fido di te. Ora però calmati…» disse concluso il bacio.
«Sei una grandissima merda.» risposi annuendo con la testa mentre lo guardavo negli occhi.
«Lo so, e tu sei troppo impulsiva.» controbatté.
«Lo so.»
Questa volta fui io a baciarlo.
Con Nikki era così, gli urlavo dietro e un secondo dopo facevamo la pace sbaciucchiandoci. Sembrava che ci odiavamo, ma alla fine quelle scenate erano solo la dimostrazione che ci tenevamo troppo l’uno all’altra.



Nikki Sixx

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Capitolo 7
*** 13 marzo 1982 ***


©


13 marzo 1982

Los Angeles, CA
“Country Club”, 13:27
«No ragazzi così non va… L’acustica non è molto buona, dobbiamo trovare un’altra soluzione…»
«Ma Penny, non possiamo fare niente di più, il locale è stato progettato così non possiamo abbatterlo e ricostruirlo solo perché i Mötley Crüe si devono esibire.» mi rispose il ragazzo alto e muscoloso che gestiva i concerti al “Country Club”.
«Beh se fosse necessario si, abbattete il locale e fatelo di nuovo dalle fondamenta. Ehi, ragazzo con la maglia azzurra! Prova ad alzare ancora di più il volume del microfono e degli strumenti! Magari così si sente di più anche da lì infondo!» sbraitai.
Ero al “Country Club”, l’ultimo locale a LA dove i Crüe si sarebbero esibiti, e cercavo di organizzare al meglio la serata. Questo locale non mi piace come il “Whisky A Go-Go”ma in ogni caso non si poteva rinviare l’evento, perciò dovevo farmelo piacere a tutti i costi. Per lo meno cercavo di migliorare l’acustica in modo da evitare che i fans si trovassero senza musica proprio quella sera, e per di più dopo aver pagato il biglietto.
«Ho alzato tutti gli strumenti e il microfono, questo è il massimo che riusciamo a fare, mi spiace.» mi disse il ragazzo con la maglia azzurra sbucando da dietro il palco.
«Si si, ho capito.» sbuffai ascoltando le prove dell’audio.
Era dalle 9:30 di mattina che stavo lì in mezzo tra sibili di microfoni e gente che gridava correndo da una parte all’altra. Il concerto non sarebbe stato uno dei migliori, ma almeno adesso che il volume era un po’ più alto la gente non sarebbe uscita infuriata.
 
Hall dell’hotel, 15:07
«Quindi sarà una bella merda, fantastico!» sbottò Vince buttando indietro le braccia e poggiando i piedi sul tavolino di legno.
Eravamo tutti seduti nella hall dell’albergo e avevo appena raccontato ai ragazzi che l’audio al locale non era il massimo.
«Ma smettila Vince, sempre il solito cazzone. Abbiamo suonato in posti peggiori.» disse T-Bone.
«Si infatti, credo che infondo non sarà poi così male.» concordò anche Mick.
Ero seduta sulle gambe di Nikki e lui mi teneva le dita della mano intrecciate alle sue.
«Hai fatto un ottimo lavoro, è anche troppo.» mi sorrise.
«Bleah! Mi fate veramente venire il voltastomaco!» il biondo cantante simulò un attacco di vomito improvviso per prenderci in giro.
«Tu mi hai fatto venire il vomito sul serio un mese fa… A proposito! Voi due me la dovete ancora pagare per quella mattinata! E’ stato un San Valentino orribile quel giorno! Giuro che nella stanza di questo brutto cazzone platinato non ci voglio mai più entrare, neanche se dovessero pagarmi per farlo!» gridai rivolta a Nikki e Tommy che iniziarono a ridere come deficienti.
«Devi essere più dura con loro, altrimenti continueranno a prendersi gioco di te.» mi disse Mick scherzando.
«Ma taci Mars!» lo riprese il batterista continuando a sghignazzare.
«No, Mick ha ragione. Beh, T-Bone non so esattamente come punirlo… ma Nikki, oh si, il signor Sixx so bene come punirlo…» iniziai a dire con un ghignetto malvagio sulle labbra.
«Che vuoi fargli? Niente più lap dance e striptease per un mese?» scherzò ancora Tommy ridendo.
«A dire la verità pensavo a molto peggio… niente sesso per un po’.» conclusi incrociando le braccia.
A quelle parole Vince si mise a ridere anche più di Tommy, esclamando solo un “Che botta amico!”, Mick si lasciò scappare un sorriso perché era esattamente quello che aveva pensato pure lui con la frase “devi essere più dura”, e T-Bone assunse un espressione di profondo dispiacere per Nikki. Per ultimo, Sixx si era voltato a guardarmi sgranando gli occhi verdi e spalancando la bocca senza però riuscire a pronunciare una sola sillaba. All’improvviso era sbiancato e pensai che sarebbe svenuto. Si mise le mani tra i capelli ed iniziò a sudare, una reazione alquanto esagerata.
«Nikki piantala, sto scherzando!» risi prendendogli le guance tra le mani e stampandogli un sonoro bacio sulle labbra.
Ci mise qualche secondo per riprendersi.
«Credo di aver perso un abbondante pezzo della mia vita dopo questo scherzo… Ti prego non farlo mai più.» riuscì a rispondere.
Tutto quello che feci fu mettermi a ridere come una vera scema e stavo anche per cadere dalle braccia di Nikki da quanto mi divertivo.
Ah questi Crüe, mi faranno diventare pazza prima o poi! Sempre se non lo sono già.
 
“Country Club”, 22:14
«Too fast
Too fast for love
Too fast
You're too fast for love!»cantarono in coro Nikki, Tommy e Mick mentre suonavano.
Erano bravissimi, li guardavo dalla folla ed erano tornati ad essere i miei quattro dei. Non erano più i quattro ragazzi che conoscevo, con cui avevo parlato, che avevo visto addirittura nudi, erano solo loro: i Mötley Crüe.
«She's a streamline queen
On a sex craved movie screen
Say it again
She'll use her time up
Have nothing to show
Well mark my words
Do you remember?
Well I remember…»a quella canzone già perfetta così, si aggiunse anche la voce di Vince che, ammettiamolo, era perfetta in mezzo alle altre note.
«You're too fast
You're too fast for love!»ancora il coro come chiusura.
Una magia, ecco cos’era. Quattro persone con abilità diverse che unite insieme formano un’unica grande perfezione. Un basso, una batteria, una chitarra elettrica e una voce, erano loro. Non so se sia facile capire il mio stato d’animo in quel momento ma mi sentivo come in un sogno. Io ero innamorata profondamente di quella musica, non solo dei Mötley, è un discorso generico. Stare lì era esattamente quello che volevo di più di ogni cosa.
«Cazzo, io sono nata per fare questo…» bisbigliai mentre sentivo gli occhi inumidirsi.
Di fianco a me c’era Jane che aveva capito esattamente quello che avevo appena detto ma, anche notando i miei occhi leggermente bagnati, non disse niente e semplicemente sorrise.
«Ehi!!» sentii una voce maschile urlare dietro alle mie spalle.
Sbattei le palpebre velocemente per ricacciare indietro quelle piccole lacrime appena prima di girarmi e scorgere il volto di Jake.
«Ciao! Che ci fai qui?» lo salutai abbracciandolo.
«Cazzo! Jake sei proprio tu?» gridò forte Jane dallo stupore.
Mi ero dimenticata di parlarle del mio incontro con il nostro vecchio amico d’infanzia, ma a quanto pare lei l’aveva riconosciuto subito.
«Ciao Jane, da quanto tempo!» ricambiò il saluto lui.
Non appena i due ebbero finito di salutarsi, il mio amico tornò a concentrarsi su di me e mi spiegò che aveva visto i volantini del concerto appesi a tappezzare la città e così aveva deciso di fare un salto al “Country Club”certo che mi avrebbe trovata lì.
«Sono proprio bravi eh?» disse porgendomi un bicchiere di Jack Daniel’s che si era offerto di andarci a prendere.
«Si, li adoro…» risposi tornando a guardare Nikki.
In quel momento lui alzò lo sguardo e dal palco mi schioccò l’occhio perché aveva notato che lo stavo fissando.
«Che ne dite se andiamo fuori a fare un giro? E’ da tantissimo che non ci vediamo, ho un sacco di cose da raccontarvi, e voi dovete raccontarne un sacco a me.» propose ad un tratto Jake.
«Beh, veramente io non so se…»
«Ma si dai! Tanto qui è sempre la solita storia.» sorrise la mia amica trascinandomi fuori per un braccio.
Io non volevo andare, cosa avrebbero pensato i ragazzi se fossi uscita dal locale così all’improvviso? Cosa avrebbe pensato Nikki se, scendendo dal palco alla fine del concerto, non mi avesse trovata nel backstage?
Merda, non potevo andarmene così.
 
“Whisky A Go-Go”, 00:30
Eravamo al “Whisky A Go-Go”, ovviamente Jake ci aveva portate lì, dato che ci lavora, e si era anche offerto di pagarci da bere tutte le volte che volevamo.
Erano più di due ore che ero scappata dal “Country Club”anzi, che ero stata portata via con la forza. I ragazzi avevano sicuramente finito il concerto e mi immaginai Nikki che gironzolava per il locale cercandomi mentre le fans impazzite lo assalivano.
«Devo chiamare Nikki…» dissi ad un certo punto tirando fuori il telefono.
«Ma dai, non preoccuparti! Sono sicuro che non ha bisogno di te adesso.» Jake mi ricacciò la mano nella borsa e fui costretta a lasciare perdere la mia telefonata.
«Si Penny, tanto ho la macchina, ti riporto io all’hotel.» aveva concordato Jane.
«Allora ti chiami così adesso? Penny come?»
«Penny Lane, è il suo nome da groupie. Non azzardarti a chiamarla con il suo nome di battesimo perché potrebbe infuriarsi come una bestia. Ahahahah! Dai versaci un altro giro di Jack!» gli rispose la mia amica.
Stavano conversando tra di loro ma io li ignoravo perché avevo ben altro per la testa. Cosa avrei detto a Nikki? Non lo sapevo.
La serata andò avanti per molto tempo ancora e l’unica cosa che ricordo prima del vuoto più nero è che svuotavamo intere bottiglie di Jack Daniel’s.
 
Avevo la vista offuscata e non so esattamente cosa stesse succedendo intorno a me.
Vedevo delle ombre che si muovevano lentamente di fronte ai miei occhi e delle voci che bisbigliavano qualcosa che il mio cervello non riusciva a capire in quel momento.
«Dai tesoro, sei una groupie no? Mostraci quello che sai fare!» disse una voce maschile che non conoscevo.
Voltai la testa da un lato e vidi Jane che si chinava sopra un tavolino portando il naso vicino a una polvere bianca. Sapevo cos’era, neve, o meglio, cocaina. “Cazzo, non la droga…” pensai, ma il mio cervello era talmente incasinato che quasi non riuscivo a connettere le idee tra di loro.
Subito dopo di lei altri tre ragazzi aspirarono la neve e cominciarono a ridere. I loro schiamazzi mi rimbombavano nella testa procurandomi un terribile frastuono.
«Questa qua è mezza svenuta. Sei sicuro che sia una groupie? Non mi sembra che si stia divertendo.» un’altra voce che non conoscevo.
Cercai di guardarmi intorno, dovevamo trovarci dentro una stanza piccolissima, probabilmente era lo sgabuzzino del “Whisky A Go-Go”perché attorno a me c’erano scaffali e scatoloni.
«Si, te lo assicuro. Non so cosa le stia succedendo, forse bisogna farla bere un po’ di più…» mi parve di sentire la voce di Jake.
Non feci nemmeno in tempo a ragionare su quello che aveva appena detto, che qualcuno cercò di infilarmi un bicchiere nella bocca. Sentii il gusto del Jack Daniel’s sulla lingua e mi venne da vomitare.
«Dai bevi piccola…» disse uno dei tre ragazzi mentre io sputavo fuori tutto il whiskey.
Cosa cazzo stava succedendo? Dove mi trovavo? Chi erano quelle persone? Volevo Nikki, avevo bisogno di Nikki. Avrei voluto prendere il telefono dalla borsa e chiamarlo ma non la trovavo, forse l’avevano spinta in un angolo tra qualche scatola.
Cercai con tutte le mie forze di mettermi in ginocchio per cercarla. La testa mi faceva malissimo e avevo il respiro affannato.
«Oh guardala Jake, si sta muovendo! Dai bellezza vieni da me…» disse uno di quei ragazzi, sentii la zip dei suoi pantaloni che si apriva.
Voltai lo sguardo verso il centro della stanza e vidi Jane atterra e sopra di lei c’era un ragazzo, uno di quelli che non conoscevo. Addossato al muro invece c’era Jake che si godeva la scena in silenzio. Gli altri due ragazzi invece si erano avvicinati a me.
«Sei un porco…» bisbigliai cercando di urlare con tutte le mie forze, ma non ne avevo molte in corpo.
«Oh si, sei bellissima quando dici le parolacce!» uno dei ragazzi si era avvicinato talmente tanto a me che fui obbligata ad appoggiarmi contro il muro. Voltai il viso alla mia destra serrando gli occhi e le labbra e quasi non respiravo per la paura.
«Dai, non fare la stronza… Andiamo, apri la bocca!» continuavano a dire.
Sentii le lacrime che mi invadevano gli occhi e colavano giù seguendo la curva delle mie guance.
«Apri quella cazzo di bocca puttana!» intervenne l’altro ragazzo.
Aprii gli occhi e vidi la borsa, incastrata infondo in un angolo. Mi buttai per terra e strisciai fino a toccarla con le dita. Uno di quei due stronzi che non conoscevo mi stava accarezzando le cosce nude, mentre l’altro mi aveva presa per le caviglie e tentava di allargarmi le gambe.
Le lacrime erano ancora più forti adesso e non riuscii più a vedere la sagoma della borsa. Alla ceca infilai la mano al suo interno e finalmente presi il telefono.
«Si, così…» sghignazzò il ragazzo mentre avanzava con la mano sotto la mia minigonna.
Tentavo di liberarmi dalla presa dell’altro ma mi stava stringendo le caviglie troppo forte e il suo amico ormai mi stava sfilando gli slip. Ero riuscita a chiamare Nikki ma, proprio prima che riuscissi a dire qualcosa, Jake spinse lontano da me la borsa e il telefono. Non si era però accorto che la chiamata era ormai inoltrata.
«Vi prego, vi supplico, smettetela! Jake, siamo amici da una vita…» implorai con gli occhi gonfi e il viso bagnato dalle lacrime.
«Adesso ci divertiamo un po’…» disse lui.
Iniziai a piangere a dirotto. Accanto a me la mia amica Jane stava subendo lo stesso trattamento.
In quel momento mi sentii perduta, persa per sempre. Cosa avevo combinato? Perché mi stavano facendo quelle cose? Pensavo che Jake fosse nostro amico, ma ci aveva ingannate e ora con quei i suoi amici del cazzo si stava divertendo su di noi.
Non volevo trovarmi in quel luogo, volevo tornare all’hotel, da Nikki e gli altri.
«Pronto, Penny? Penny ci sei? Cosa succede?» Nikki.
«Nikki ti prego aiutami!!» gridai.
Il bassista aveva risposto alla mia chiamata ma Jake aveva preso il telefono tra le mani.
«Spiacente signore, ha sbagliato numero.» disse e terminò la telefonata.
«No!! Nikki…» in quel preciso istante svenni.
Non ho ben chiaro quello che successe dopo ma si può immaginare. Quella notte fu la più terribile di tutta la mia vita.
 
Sunset Strip, 5:37
Mi svegliai.
Era mattina anche se il sole non riusciva a filtrare dentro al vicolo in cui mi trovavo.
Non appena aprii gli occhi vidi Jane che mi stava fissando. Aveva il trucco sbavato, i cappelli scompigliati e gli abiti stracciati. Mi stava guardando ma non sembrava cosciente. Ricordo che appena la vidi pensai che fosse morta.
«Cosa cazzo abbiamo combinato…» disse ad un tratto.
Cercai di riprendere possesso del mio corpo. Ero conciata come lei, i vestiti strappati, senza più gli slip addosso. Accanto a me c’era la mia borsa. L’aprii. I soldi erano spariti ma c’era un bigliettino, lo presi. “Grazie per la bella nottata.” c’era scritto.
«Bastardi…» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
Poggiai la testa contro il muro e fissai il cielo che se ne stava lì, azzurro al di sopra dei palazzi.
Ricominciai a piangere singhiozzando.
La gente passava veloce in strada, ma nessuno si era accorto di noi e nessuno ci prestava il minimo aiuto. Dopotutto chi l’avrebbe fatto? Potevamo benissimo essere due puttane che si riposavano dopo una notte di duro lavoro.
A questo pensiero piansi ancora di più.
«Penny!! Jane!!» una voce che conoscevo perfettamente iniziò a chiamarci.
Mi voltai verso destra e vidi la figura di Nikki che si addentrava nel il vicolo, seguito a ruota da T-Bone, Mick e Vince.
«Eppure l’auto di Jane è parcheggiata qui fuori.» disse uno di loro, probabilmente il cantante.
Riuscii ad alzare un braccio e a sventolare la mano. Nel giro di mezzo secondo erano da noi.
«Oh mio Dio!! Cosa è successo?» Nikki si era inginocchiato vicino a me mentre Tommy era corso da Jane.
«Jake… lui e altri tre ragazzi… Nikki ti prego portami via da qui!» risposi aggrappandomi al suo collo.
«Io lo uccido quel bastardo!» disse lui mentre mi prendeva in braccio.
«Portiamole all’hotel.» concluse poi rivolto verso Tommy.
Mentre ci avviavamo fui felice che Sixx mi avesse ritrovato. Poggiata alla sua spalla tirai un lungo sospiro di sollievo, lasciandomi inebriare dal suo profumo e dall’odore di lacca per capelli.
Era il profumo della salvezza.
 
Hotel, 7:45
«Ad un certo punto è spuntata la cocaina. Mi sono fatta qualche striscia, insomma, non era la prima volta che facevo una cosa simile. Ero ubriaca, avevo bevuto un sacco di Jack. Uno di quei ragazzi aveva iniziato a toccarmi, ma non mi ero fatta problemi e l’avevo lasciato continuare. Non capivo un cazzo di quello che succedeva. Lei invece non aveva bevuto molto e non aveva preso la neve. Era sicuramente più cosciente di me.» stava raccontando Jane mentre se ne stava comoda sul divanetto in pelle nera della stanza mia e di Nikki.
Io ero seduta sul letto, contro la testiera, e mi tenevo strette le gambe al petto mentre fissavo il vuoto e la ascoltavo ripercorrere quei terribili momenti.
I Crüe erano tutti lì e ascoltavano in silenzio.
«Mentre questo tizio e il suo amico, due ragazzi che non conosco, si occupavano di me, Jake e un altro si facevano lei.» continuò Jane.
A quella frase le lacrime tornarono a rigarmi il volto e mi coprii il viso con le mani.
«Non è stata una scena piacevole, ne per lei, ne per me. Ci hanno usate, letteralmente. Non serve che vi spieghi i dettagli, potete benissimo immaginare. Ovviamente non eravamo consenzienti, o per lo meno, non Penny. Poi la cosa è degenerata. Io ero così strafatta che me ne sono sbattuta altamente di quello che mi avrebbero fatto, in ogni caso non sarei riuscita a contrastarli, lei invece ha cercato di opporre resistenza, senza successo. Alla fine ho perso conoscenza, e anche Penny credo. Ci siamo risvegliate questa mattina in quel vicolo sul Sunset, senza più soldi e con gli abiti lacerati.» concluse la mia amica bevendo un sorso d’acqua e abbassando lo sguardo.
A me erano venuti i brividi.
«E’ sempre stato nostro amico, non avrei mai pensato che potesse trasformarsi in un mostro. Lo conosciamo da quando abbiamo sei anni, ci fidavamo di lui…» dissi.
Nella stanza piombò il silenzio.
«Lo ammazzo… giuro che lo ammazzo.» Nikki era poggiato al muro della camera e stringeva nel pugno il bigliettino che Jake e i suoi amici ci avevano lasciato.
«Calmati Nikki.» cercò di farlo ragionare Mick.
«Calmarmi? Mars ti rendi conto di quello che hanno fatto? Come puoi dirmi di calmarmi, cazzo!! Io vado lì fuori a cercarlo, e quando l’avrò trovato, giuro che lo uccido.» il bassista era fuori di se.
«Nikki…» avevo allungato una mano verso di lui.
Mi si era avvicinato e ora stava seduto accanto a me. Mi poggiai sul suo corpo caldo e forte, avevo bisogno che mi proteggesse.
«Non andare ti prego, non lasciarmi…» sussurrai.
«Va bene… Ora dormi.» mi aveva rassicurata.
Alzò lo sguardo verso T-Bone e gli altri e il batterista capì al volo quello che doveva fare. Prese Jane in braccio, anche lei sconvolta quanto me, e la portò nella sua stanza accanto alla nostra.
Uscirono tutti e per l’intero pomeriggio dormii accanto a Nikki, mentre gli incubi mi invadevano la mente.


 
Nikki Sixx                                                                                                Nikki Sixx

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Capitolo 8
*** 15 marzo 1982 ***


©


15 marzo 1982

Hotel, 12:28
«Grazie…» presi la tazza di caffè che Nikki mi aveva portato.
Erano passati due giorni da quella terribile notte, ma ero ancora molto scossa. Avevo passato tutto il tempo chiusa nella camera dell’hotel mentre Nikki e T-Bone si davano il cambio per portarmi da mangiare. Nikki era stato con me praticamente sempre. Mi sentivo una deficiente, un’idiota, una stronza anche. Avevo costretto Sixx a stare con me per due giorni interi, solo perché mi sentivo sconsolata e depressa. Che cazzo di groupie di merda sono?
«Non mi dispiace stare qui con te.» disse il bassista ad un tratto,  quasi come se fosse riuscito a leggermi nella mente. Evidentemente aveva notato il mio sguardo pensieroso.
«Mi rendo conto di come ti senti…» continuò, spostandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Alzai lo sguardo ed incrociai i suoi occhi verdi.
«Credo di essere pronta.» dissi annuendo.
«Fantastico!» non ci mise molto a capire.
Scese dal letto sul quale era seduto e si fiondò fuori dalla porta della stanza, lasciandola spalancata.
«T-Bone! Vince! Mick!» lo sentivo gridare dal corridoio.
Scesi pure io dal letto, seguendolo. Mi appesi alla cornice della porta e sbirciai fuori.
«Ci siamo ragazzi! E’ l’ora di usare le mani!!» stava continuando Sixx mentre bussava avanti e indietro sulle porte dei ragazzi.
«Vuoi dire che posso finalmente sfogarmi su qualche cazzone? Woo-hoo, non vedevo l’ora!» rispose Vince facendo capolino dalla sua stanza e guardandomi.
«Ti senti meglio?» continuò il cantante.
«Si grazie.» gli sorrisi. Quel comportamento non era per niente “alla Vince” ma ne fui felice. Evidentemente quello che era successo a me e alla mia amica aveva sconvolto veramente pure lui.
Nel giro di mezzo secondo anche Tommy e Mick erano usciti dalle loro camere sorridendomi. Quando la porta del batterista si aprì, assieme a lui, con le dita della mano intrecciate alle sue, c’era Jane. Non appena li vidi ebbi un sussulto. Non un sussulto negativo, ma, non so, credo fosse di felicità.
«Che cosa sta succedendo qui?» chiese Nikki osservandoli, sbalordito quanto me.
Io guardavo la mia amica con sguardo interrogativo, aspettando una risposta.
«Beh, sembra che avremo una nuova groupie. O almeno, io ne avrò una tutta per me.» rispose T-Bone sorridendo e guardandoci uno per uno. Jane mi fece spallucce, come per dire “E’ successo, che devo farci?”, con un’espressione serena sul volto.
Non potevo che essere felice per loro, anche se sapevo che quello che aveva detto Tommy non si sarebbe avverato. Jane non sarebbe venuta in tour con noi, i suoi genitori non le avrebbero permesso di aggregarsi ad una banda di rocker come i Mötley Crüe, e se lei fosse scappata non sarebbe più potuta tornare a casa perché i suoi genitori l’avrebbero sicuramente spedita da un qualche parente in Europa per punizione. Nonostante tutto, sorrisi ricambiando la loro contentezza.
«Bene, ora che tutta la squadra è riunita, direi che possiamo andare a fare il culo a quel figlio di puttana!» gridò Nikki alzando il pugno in aria in segno di vittoria.
 
“Whisky A Go-Go”, 13:22
«Cosa significa che non è più qui?» Nikki stava iniziando ad incazzarsi parecchio.
«Significa che non lavora più per noi. E’ andato via, non so perché. E’ arrivato qui ieri mattina e mi ha detto “Io me ne vado.” ed è sparito. Non so cosa dire, sono stupito del suo comportamento, credevo che gli piacesse lavorare qui.» rispose il tizio al di la del bancone del locale.
Eravamo andati tutti al “Whisky A Go-Go”, certi che avremmo trovato Jake. Nikki e Tommy volevano pestarlo per bene. So che io e Jane saremmo dovute andare alla polizia e denunciare le violenze di quel gruppo di ragazzi, ma pensavamo che qualche bel cazzotto non avrebbe fatto male a quel bastardo, poi potevamo anche andare dalla polizia. In ogni caso avremmo dovuto immaginare tutti che Jake non sarebbe rimasto a LA per paura che una di noi fosse andata a denunciarlo. Infatti se l’era data a gambe.
«Merda.» disse Jane.
Nikki sbatté i pugni sul bancone e si girò verso di noi che ascoltavamo la conversazione alle sue spalle. Si scrollò i capelli e sbuffò.
«Cosa cazzo facciamo adesso? Quel cazzone è scappato, aveva troppa paura… Bastardo!» gridò. Tutte le persone che c’erano nel locale si girarono a guardarlo.
Mentre cercavo di mettermi l’animo in pace sul fatto che Jake l’avrebbe passata liscia, mi voltai e riconobbi uno dei ragazzi che ci avevano violentate.
«Mio Dio, Nikki, è lui. Uno dei tizi che stava con Jake.» dissi rivolta al bassista facendogli cenno di guardare.
In quel momento mi tornò l’ansia. Rivedere il volto di quel tipo mi fece venire i brividi.
«Si è lui, me lo ricordo.» concordò la mia amica.
«Perfetto ragazzi, ora uscite, lo porto nel primo vicolo qui vicino. Aspettatemi là.» disse Vince avviandosi verso il ragazzo.
Che idiota quel tipo. Era stato così cretino da tornare al “Whisky A Go-Go” come se niente fosse. Almeno poteva scappare come aveva fatto Jake e non farsi più vedere.
Lasciammo da solo il cantante perché convincesse il ragazzo ad uscire dal locale per seguirlo, e io e Jane accompagnammo Nikki, T-Bone e Mick nel vicolo più vicino al locale, cercando di sistemarci il più lontano possibile dalla via principale per evitare gli sguardi curiosi dei passanti.
Dopo circa dieci minuti tornò Vince.
«Si amico, tranquillo. Queste cose non si possono fare alla luce del sole, capisci no? La droga e le pollastre sono qui, vieni.» stava dicendo al tizio.
Ci raggiunsero.
«Ciao, come va?» chiesi io prendendo coraggio.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di me e mi riconobbe. Sgranò gli occhi e fece per scappare ma Neil lo bloccò.
«Vi prego, cosa volete? Non ho fatto niente!» disse quel bastardo.
«Allora perché tenti di scappare?» intervenne Jane.
«Ti ricordi di noi? Ti ricordi di come ti sei divertito ad accarezzarci le cosce? Di come ti eccitava sfilarci gli slip? Ti ricordi quanto ti sei divertito a strapparci tutti  vestiti di dosso e a violentarci?» continuai a gridare io fuori di me.
«Taci puttana!!» ribatté.
Pugno numero uno.
Nikki gli aveva lanciato un cazzotto fortissimo e quel bastardo era a terra con un labbro sanguinante.
«Non osarti più chiamarla così perché ti spacco la faccia subito.» Sixx lo prese per il collo della maglia e lo sbatté contro il muro del vicolo.
«Sei stato tu a violentarle?» gli domandò con calma Vince.
«No, ve lo giuro! Non ho fatto niente, lasciatemi andare!»
Pugno numero due, questa volta da parte di Tommy.
«Come hai potuto? Ti rendi conto di quello che hai fatto ragazzino?» continuò Vince perfettamente calmo.
Mi piacque il modo in cui lo chiamò. “Ragazzino”, in effetti aveva si e no vent’anni, ma in ogni caso non era molto più giovane dello stesso Vince. Quello che mi piacque così tanto di quel nomignolo, fu che esprimeva tutta la stupidità di quel ragazzo. Aveva fatto cose orribili, a cui non avrebbe neanche dovuto pensare, e questo lo rendeva un ragazzino inutile e insignificante.
«Che fine ha fatto il tuo amico Jake? Dov’è scappato? Lo saprai no?» intervenne T-Bone.
«No, non lo so! E se anche lo sapessi non ve lo direi mai, brutti stronzi!» rispose.
Pugno numero tre, Vince.
Il ragazzo iniziò a ridere a crepapelle. Una risata isterica, quasi pazza.
«Sapete cosa vi dico? Mi sono divertito molto l’altra sera…» continuò.
Nikki lo lasciò andare. Ora quello stronzo ballonzolava nel vicolo circondato da noi e ogni tanto si reggeva alla parete per non crollare al suolo.
«…Sapete dolcezze, mi è piaciuto sbattervi per tutta la notte, credo che non dimenticherò mai il profumo delle vostre mutandine!!» scoppiò a ridere ancora.
Pugno numero quattro, da parte mia, di Jane e, cosa che mi fece ancora più piacere, di Mick.
Adesso quello stronzo era per terra, con il naso e qualche dente rotti, ma ancora continuava a ridere come se la cosa lo stesse divertendo molto.
Da quel momento nessuno chiese più nulla. I ragazzi a turno lo riempivano di botte, prima Nikki, Tommy, Vince e per ultimo Mick.
Il tizio continuò a sbellicarsi dalle risate per tutto il tempo mentre i Crüe lo pestavano. Alla fine, quando stava per svenire, io e Jane gli assestammo un calcio sulle palle, cercando di metterci tutta la forza possibile. Almeno non avrebbe più abusato di nessun’altra ragazza.
Uscimmo dal vicolo, tornando alle Harley-Davidson dei ragazzi con le quali eravamo arrivati, e sfrecciammo via per il Sunset Strip, lasciando quello stronzo mezzo svenuto e dolorante lì dov’era, proprio come lui e i suoi amici avevano lasciato noi quella sera. Nessuno gli avrebbe prestato aiuto.
Posso capire che la reazione che abbiamo avuto, tutti quanti, sia io, Jane e i Mötley, possa essere sembrata forse troppo eccessiva. In ogni caso, credo che di fronte ad una vicenda così, nessuno avrebbe lasciato andare quel ragazzo senza prima avergli offerto anche solo un pugno sui denti.
 
Hotel, 15:37
«Dai ragazzi non è andata male, almeno uno l’abbiamo pestato.» si congratulò Vince seguendo me e Nikki mentre entravamo nella nostra camera all’hotel.
Sixx camminava tenendo la testa bassa, come se non fosse riuscito in quello che sperava. In effetti pure io non ero molto contenta, non era stata fatta giustizia, e non sarebbe mai stata fatta. Jake non si sarebbe più fatto vedere e per quanto riguarda gli altri, beh, chi li conosceva?
«Beh questa volta devo dare ragione al biondo.» cominciò Jane.
«Almeno un po’ di soddisfazione ce l’abbiamo, non credi Penny?» continuò rivolgendo lo sguardo verso di me.
Non sapevo cosa dire, era ovvio che mi sentivo un po’ sollevata, ma non del tutto. Ora anche se fossimo andate a fare la denuncia, la polizia non avrebbe più rintracciato Jake ne tanto meno i suoi amici perché noi non ne conoscevamo l’identità. E per aggiungere altri casini a quella situazione, non potevamo andare alla polizia per denunciare il fatto sapendo che i Crüe avevano appena picchiato a sangue uno di quella banda. In questo senso, i Mötley sarebbero passati dalla parte del torto. Cazzo, perché non ci avevo pensato prima? In poche parole, la mia soddisfazione era ben al disotto del minimo richiesto dato che di fronte a quei pensieri capii di aver fatto la cosa sbagliata.
Non risposi a Jane, mi limitai a restarmene zitta, cercando di richiudere in qualche cella ben sigillata all’interno della mia mente quello che era successo.
In quel momento pensai ai miei genitori. Cosa gli avrei detto? Gli avrei mai raccontato quell’avvenimento, o avrei cercato di cavarmela da sola? Non volevo fare un altro errore colossale ma pensai che era meglio non dire niente. Se l’avessero saputo, primo avrebbero smosso mari e monti pur di farla pagare a Jake e, secondo, mi avrebbero rinchiusa sotto il loro controllo e la loro protezione, tipo in una specie di “bolla” al riparo dal mondo esterno. Per non parlare poi del fatto che non avrei mai più rivisto Nikki e il resto dei Mötley Crüe.
Scrollai la testa a destra e a sinistra come per rispondere “No!” ai miei pensieri.
«Che hai?» mi chiese Sixx.
«Oh… niente.» sorrisi.
Rimanemmo tutti lì, chiusi in albergo.
Vince che faceva l’idiota come sempre, Tommy e Jane che si coccolavano in un angolo, e io e Nikki con lo sguardo rivolto perennemente al pavimento, immersi nei nostri dubbi. Notai che Mick mi guardava di tanto in tanto, socchiudendo gli occhi e serrando leggermente le labbra.
«Cosa ti preoccupa?» mi chiese in un momento in cui andai a versarmi un bicchiere di birra. (Si, proprio birra e non Jack Daniel’s.)
«Eh? Cosa vuoi dire?» risposi facendo finta di non aver capito, anche se sapevo benissimo cosa intendeva.
«Dai Penny, lo sai che non sono stupido.»
«Mick… Cazzo ho fatto un totale casino!» crollai, lasciandomi inumidire gli occhi e guardando in direzione degli altri per assicurarmi che non mi stessero guardando e che non mi avessero sentito.
«Non dovevo comportarmi così, dovevo andare subito dalla polizia a denunciare Jake. Ora non si farà più trovare e non posso neanche denunciarlo perché voi siete in mezzo a tutta questa fottutissima storia. Cazzo avete picchiato uno di loro, passereste dalla parte del torto! Porca puttana!! Cosa dirò ai miei genitori Mick? Cosa farebbero se sapessero che la loro unica figlia neanche maggiorenne è stata violentata da un gruppo di stronzi che sono spariti nel nulla, diciamo anche grazie a lei, solo perché è stata troppo stupida da affidarsi a quattro rocker che non sanno quasi badare a loro stessi invece che andare alla polizia?» ora le mie lacrime correvano giù dalle guance velocemente e silenziose rigandomi il viso. Cercavo di asciugarle con la mano, ma subito dopo tornavano a bagnarmi la faccia.
«Beh, io so badare a me stesso.» sorrise Mick scherzando.
Scoppiai a ridere. Non so perché lo feci, insomma di fronte a quella situazione non c’era niente da ridere, ma la battuta del chitarrista per quanto stupida e insignificante mi svuotò la mente da tutte le preoccupazioni per quel breve istante in cui risi.
Gli altri si girarono a guardarmi.
«Che succede Penny?» Nikki era corso da me perché aveva notato le mie guance umide.
«Niente Nikki tranquillo… Grazie Mick.» risposi mentre sorridevo a Mars per ringraziarlo di tutto.
Scorsi con la coda dell’occhio che anche Sixx sorrise al chitarrista, per lo stesso motivo mio.
 
Hotel, 21:00
«Nikki, faccio un salto in centro a prendere del cibo cinese. Torno subito.» dissi mentre prendevo il giubbotto in pelle nera.
«Sei sicura di farcela? Voglio dire, possiamo ordinarlo per telefono, ce lo portano direttamente qui. Non preoccuparti dai, non c’è problema.» rispose uscendo dal bagno con la schiuma da barba sulla faccia. Era così buffo vederlo ricoperto di bianco che mi venne da ridere.
«No Sixx, voglio andarci io. Ho voglia di uscire da qui e prendere un po’ d’aria fresca, non ci metterò molto. Fidati, tempo che tu ti tolga questa roba dalla faccia e sarò già tornata.» sorrisi baciandolo sulla guancia e sporcandomi la punta del naso di schiuma.
«Ok, vedi di fare attenzione. Ci vediamo dopo bellezza.» mi salutò lui dandomi una pacca sul sedere e tornandosene nel bagno.
 
Sunset Boulevard, 21:31
«Grazie, potrebbe aspettarmi qui per favore. Non ci impiegherò più di quindici minuti.» chiesi al taxista mentre gli pagavo la somma per il tragitto che avevamo appena percorso.
Scesi dalla vettura e mi ritrovai in mezzo alle luci e alla confusione del Sunset Boulevard che tanto amavo.
Iniziai a camminare in cerca del primo ristorante cinese takeaway per prendere qualcosa da mangiare. Passeggiavo tranquillamente, tanto non avevo tutta questa fretta.
«Hmm, questo va bene.» dissi scorgendo l’insegna luminosa di un ristorante.
Non appena ebbi ordinato alla giovane ragazza al di la del bancone e mentre aspettavo che mi portassero il sacchetto con la mia ordinazione, mi guardai intorno.
Stavo ammirando delle fotografie antiche sulla parete del locale, quando qualcuno bussò alla mia spalla.
«Ciao tesoro.»
Mi sentii svenire ma, non so come, le mie gambe riuscirono a reggermi.
«Non osare toccarmi Jake, o mi metto ad urlare.» bisbigliai carica di rabbia.
Era Jake. Cazzo era lui davvero. Allora non era scappato come credevo.
«Che cosa vuoi ancora da me?» continuai senza paura di fissarlo negli occhi.
«Volevo solo salutarti. Sono passato a prendere anche io qualcosa da mangiare. Non preoccuparti, me ne sto andando, il mio taxi è già qui fuori pronto a portarmi all’aeroporto.» rispose sorridendo tranquillo.
Era come se neanche si ricordasse quello che aveva fatto a me e alla mia amica. Non riuscivo a capacitarmi di come potesse restarsene lì pacifico dopo avermi fatto una tale crudeltà.
«E’ proprio meglio che tu te ne vada, stronzo. Non voglio mai più vederti.» risposi. Volevo sputargli addosso da quanto ero incazzata.
«Stai calma dolcezza, non fare l’isterica.» sorrise lui prendendomi in giro.
«Signore, ecco la sua ordinazione.» disse la cameriera porgendogli la busta con il cibo.
Lui la prese ringraziandola e lo vidi inumidirsi le labbra con la lingua mentre la osservava tornare in cucina. Che porco!
«Beh, mi ha fatto piacere rivederti. Mi raccomando, prenditi cura di te. Salutami tanto mamma e papà e anche quel tuo, come si chiama… ah si, Nikki Sixx! Lui è il resto della sua banda hanno fatto un buon lavoro con il mio amico, gli hanno rovinato la faccia per bene. D’altronde gliel’avevo detto io di stare attento. Ok, ciao bella, chissà magari ci rivedremo un giorno.» sorrise e cercò di accarezzarmi il viso, ma schivai la sua mano rapidamente.
«Che tu possa bruciare all’inferno, e vaffanculo.» risposi al suo saluto.
Si limitò a sorridermi e uscì dal locale.
Non appena fu sparito dalla mia vista, crollai di peso su una delle sedie in velluto rosso che c’erano nel ristorante. Ero rimasta in tensione fino a quel momento.
«Signorina, ecco qui.» la stessa cameriera asiatica di poco prima mi consegnò il cibo e, dopo averla ringraziata, uscii.
Il taxi era ancora fermo lì ad aspettarmi e fui molto felice non appena richiusi la portiera.
«Può pure riportarmi all’hotel di prima, grazie per l’attesa.» dissi all’uomo che guidava il veicolo.
Mentre guardavo fuori dal finestrino, pensai che era meglio non dire niente a Nikki del mio incontro con Jake. Infondo anche se gliel’avessi detto non avrei fatto altro che far risorgere il suo tormento.
Quella storia doveva essere dimenticata, una volta e per sempre.


 
da sinistra: Tommy Lee, Nikki Sixx                                                                                                                     da sinistra in alto: Nikki Sixx, Mick Mars, Tommy Lee, Vince Neil

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Capitolo 9
*** -Intermezzo- ***


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Intermezzo

Quindi eccoci qui: l’intermezzo.
Finalmente è arrivato, eh? Almeno posso fare una pausa e riordinare le idee per quello che accadrà dopo.
Come avrete notato anche da soli, la mia “nuova vita” da groupie procedeva regolarmente, anzi anche troppo regolarmente. Avevo conosciuto i Mötley Crüe e avevo “conquistato” il cuore di Nikki Sixx, l’uomo dei miei sogni. “Conquistato” per modo di dire, perché la nostra relazione non era mai una vera relazione. Diciamo che era più una grandissima amicizia con qualche incontro sotto alle lenzuola. No dai, a parte gli scherzi, posso dire che il rapporto che avevo con Nikki non era la classica storia d’amore che si vede nei telefilm mielosi che trasmettono per televisione al pomeriggio, era più che altro “sesso e Rock N’ Roll”, ok beh, “amore, sesso e Rock N’ Roll”.
Si, ero innamorata di Nikki Sixx, tanto innamorata. E quando stavo con lui era esattamente come me l’ero sempre immaginato: strafottente, a volte stronzo, ma dolce e, come sempre, incredibilmente sexy.
Avevo passato dei bellissimi momenti con lui e con il resto della band, ma anche momenti orribili che, malgrado tutto il tempo che è passato, rivivo ancora oggi nei miei incubi la notte.
Si sto parlando di Jake, quel mio ora vecchio amico che vorrei non aver mai conosciuto. Non ci siamo mai più rivisti io e lui, per fortuna. Ora che sono una donna adulta, non avrei problemi a prenderlo a cazzotti. Infatti spesso quando vado in palestra prendo a pugni il sacco da boxe immaginandomi che sia la faccia di Jake.
Beh, in ogni caso, posso dire che mi stavo divertendo, mi sentivo finalmente libera di essere me stessa.
Adesso che conoscete l’inizio della mia avventura, voglio portarvi nel mezzo, esattamente nel cuore della mia vita da groupie.
Quello che sto per raccontarvi inizia nel 1985 e si conclude nel 1987. Questi sono stati tre anni pazzeschi per me e per i Mötley. Sono successe un sacco di cose, belle e brutte. Sono salita su nel paradiso e poi sono stata buttata disotto all’inferno.
Ma credo proprio che arrivati a questo punto, dovrò fare le cose con estrema calma.
La giostra comincia a girare più velocemente, tenetevi forte.
Cominciamo…

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Capitolo 10
*** 4 luglio 1985 ***


©


4 luglio 1985

Los Angeles, CA
23:37
Una parola: Giappone.
Ecco cosa mi attendeva.
Chi l’avrebbe mai detto nell’ormai lontano 1982 che sarei arrivata fino in Giappone! Cazzo, è impossibile...
«Stiamo veramente per andare in Giappone ragazzi?» chiesi voltandomi verso i Crüe.
«Si splendore.» mi sorrise Nikki.
«Wow…» guardai fuori dal finestrino della limousine mentre ci dirigevamo all’aeroporto.
Ero sbalordita, quasi non riuscivo a crederci.
Sixx mi posò la mano sulla coscia e la accarezzò per tutto il tragitto ma questo non fece altro che aumentare la mia frenesia.
Erano poco più di tre anni che viaggiavo con i Mötley e avevo iniziato a sentirmi più parte della band che semplice groupie. Insomma, tre anni sono tanti. La mia relazione con Nikki era sempre la stessa, niente di più, niente di meno. Ero sempre pazza di lui come quando avevo sedici anni e anche ora che ne avevo venti, riuscivo a sentirmi innamorata proprio come un tempo.
I miei genitori mi mancavano, ma non eccessivamente. Li andavo a trovare tutte le volte che eravamo a Los Angeles per qualche concerto e anche in quei momenti di pausa tra un tour e l’altro.
Durante tutto questo tempo, i ragazzi erano arrivati a produrre il loro terzo album, e questo era il quarto tour, quello di Theatre Of Pain, il loro terzo album appunto. Dopo Too Fast For Love c’era stato Shout At The Devil e grazie quello, la fama dei Crüe aveva iniziato a decollare, tanto da portarci a viaggiare anche al di fuori degli Stati Uniti e del Canada. Infatti avevo visto l’Europa, o comunque, una parte. Eravamo stati in Inghilterra, Germania, Francia, Italia… Insomma, un vero spasso! E le canzoni erano sempre bellissime. Le scriveva praticamente tutte Nikki, era lui quello con la vena creativa, e il resto dei ragazzi dava una mano.
In quei giorni pensavo che niente e nessuno avrebbero mai rovinato quella mia pace e felicità interiore che riusciva ad illuminarmi lo sguardo tutti i giorni. Ero felice, anzi, di più! Appena iniziata la mia avventura avevo vissuto anche delle brutte esperienze, ma dopo quella fatidica notte del 1982 in cui avevo rivisto il mio ex e ormai vecchio amico d’infanzia Jake, niente era più riuscito a rovinare la mia vita. Avevo dimenticato quello che era successo e avevo deciso di lasciarmelo alle spalle per potermi godere la mia strabiliante esperienza con i Mötley Crüe, e così avevo fatto. Grazie alla mia forza e testardaggine ero riuscita a divertirmi ogni giorno di più. Cavolo, grazie i tour con i ragazzi, avevo conosciuto addirittura i Kiss, Ozzy Osbourne, gli AC/DC, i Van Halen e gli Iron Maiden! Non potevo chiedere di meglio.
«Davvero figo…» sussurrai, e notai che Nikki aveva sorriso dopo aver visto dal riflesso sul finestrino la mia immensa felicità.
 
In aereo per il Giappone, 03:18
«Devo andare in bagno, mi scappa da pisciare.» dissi alzandomi dal mio sedile.
Finii di sorseggiare il Jack Daniel’s dal mio bicchiere e percorsi barcollante il corridoio dell’aereo praticamente deserto. Ero un tantino ubriaca perché avevamo festeggiato la grande fama dei Crüe bevendo whiskey e ridendo come deficienti da quando eravamo saliti in aereo.
«Dov’è questo fottuto bagno?» dissi mentre aprivo una piccola porticina.
«Finalmente…» entrai, richiudendomela alle spalle.
Dopo aver abbassato calze e slip, mi sedetti sulla tazza.
«Porca miseria, ho bevuto così tanto whiskey che non la smetto più di pisciare!» risi. Si ero proprio ubriaca.
Quando mi alzai per tirare l’acqua del water, la porta alle mie spalle si aprì e si richiuse velocemente. Non appena mi voltai, mi ritrovai a sfiorare il fisico magro di T-Bone.
«Ops, scusa, non pensavo che fosse occupato.» sorrise lui guardandomi dall’alto.
Non sono mai stata bassa di statura, ma Tommy era così alto che riusciva a superarmi di parecchio, abbastanza da costringermi ad alzare la testa per guardarlo in faccia.
«Oh tranquillo.» risposi facendo spallucce.
«Ora ti faccio uscire, tranquilla…» il batterista allungò una mano alle sue spalle e tentò di aprire la porta. Come saprete, il bagno di un aereo non è mai grandissimo e in due non si riesce quasi a muoversi, quindi fui costretta a stargli spalmata contro mentre lui trafficava con le dita per aprire la serratura.
«Beh, mi dispiace dirtelo, ma credo proprio che si sia bloccata. Non riesco ad aprirla.» disse ad un tratto.
«Oh cazzo…» mi portai una mano sulla fronte. Non sopporto stare chiusa in posti stretti, e il bagno di un aereo è esattamente una di quelle stanze in cui un claustrofobico dovrebbe evitare di chiudersi dentro. Ma non era stata colpa mia se mi trovavo bloccata lì. Almeno c’era Tommy… ma cazzo, lui consumava più aria!
«T-Bone, dobbiamo uscire da questo cazzo di bagno! Oh merda…» cominciavo ad agitarmi.
«Stai calma, vedrai che…»
«Shh! Non parlare, consumerai tutto il fottuto ossigeno che c’è qui dentro!» gli sbraitai contro non appena aprì bocca.
Lui si mise a ridere buttando la testa all’indietro per quel poco che riusciva.
«Sei proprio folle ragazza!» continuò a ridacchiare.
Il panico si era ormai impossessato di me, ma nessuno riusciva a sentirci se sbattevamo le mani contro le pareti o se gridavamo “Cazzo, aiuto!” perché fuori dal bagno Vince aveva acceso la musica ad altissimo volume.
Tommy tornò a guardarmi ed alzò le spalle. Come faceva a starsene così tranquillo, merda!
Non riuscivo più a stare ferma, cercai di cambiare posizione, girandomi a sinistra e salendo sul water, ma la dimensione della stanza era quello che era e sbattei la testa sul basso soffitto.
«Merda che male!» imprecai premendomi con la mano sui capelli.
«Avanti, scendi da lì.» Tommy mi prese per un polso e mi tirò giù.
Però persi l’equilibrio e gli caddi sopra… si insomma, gli andai a sbattere contro.
In quel momento qualcosa di veramente strano mi invase.
Alzai lo sguardo verso T-Bone che sorrideva per la mia “caduta” e lo guardai negli occhi. Smise di sorridere all’istante.
Nel giro di mezzo secondo avevo le sue mani sulle cosce e le sue labbra sul collo.
Cosa mi aveva preso non credo di riuscire a spiegarlo. Non avevo mai avuto un’attrazione per Tommy, ne per il suo carattere ne tanto meno per il suo fisico. E’ alto e magro, con due braccia e due gambette finissime, la metà di quelle di Nikki. E di carattere, beh, è un casinista proprio come Sixx, ma non mi ero mai immaginata T-Bone dire una frase sdolcinata o cose simili. Non che Nikki lo facesse, ma mi sembrava più propenso a farlo del batterista.
Intanto Tommy continuava.
Le sue labbra dietro l’orecchio, sul mio ventre… Le sue mani mi avevano preso e aggrappato attorno alla sua vita e ora ero sbattuta contro una parete del minuscolo bagno mentre lui iniziava ad entrare sotto la mia canottiera dove non lo avrebbe atteso alcun reggiseno…
«Ehi, Penny, sei lì dentro?» la voce di Sixx mi stava chiamando.
Il batterista si fermò, guardandomi negli occhi con la bocca spalancata e il fiato corto a causa dell’impegno che ci stava mettendo nel baciarmi e accarezzarmi ovunque.
«Ehm… si Nikki, sono chiusa qui! E c’è anche Tommy, è entrato per sbaglio e la porta è rimasta bloccata!» dissi cercando di sembrare più desiderosa di uscire possibile, anche se, ad essere del tutto sinceri, sarei rimasta chiusa lì ancora per un po’…
«Ok, ora cerchiamo di aprire la porta. Tranquilli vi tiriamo fuori…» concluse il bassista e dopodiché la porta iniziò a tremare come se qualcuno gli si stesse lanciando contro.
Mentre gli altri cercavano di liberarci, io e T-Bone ci sistemammo al meglio per evitare di dare a vedere che ci eravamo palpeggiati a vicenda per tutto il tempo della nostra reclusione.
La porta si spalancò, i ragazzi l’avevano letteralmente scardinata.
«Oh grazie a Dio… Sono claustrofobica.» dissi uscendo il più veloce possibile dal bagno e correndo verso Nikki.
«Si, ho cercato di dirle di stare calma, che ci avrebbero liberati presto, ma lei è come impazzita.» si burlò di me il batterista improvvisando una mia reazione isterica.
«Abbiamo cercato di chiamarvi, ma grazie a questo splendido idiota non ci avete sentiti.» spiegai guardando storto Vince.
In quel momento pensai al mio rossetto rosso.
Mi girai verso Tommy e lo guardai attentamente. Non mi aveva baciato le labbra quindi non c’erano tracce del mio rossetto su di lui, per fortuna.
«Cos’hai?» mi chiese Nikki.
«Niente, niente! E’ solo che ripensare a questa cosa… oddio, ho i brividi!» finsi di essere sconvolta e mi lasciai avvolgere le spalle dal braccio muscoloso di Sixx.
Tornammo a sederci sui nostri sedili sorseggiando ancora il Jack.
Dopo quella strana esperienza del bagno, passai il resto del viaggio lanciando di nascosto occhiate a T-Bone, e trovando sempre i suoi occhi che rimanevano fissi su di me e le sue labbra tese in un quasi impercettibile sorriso vittorioso.

 
Tommy Lee                                                                                                                                                   Tommy Lee

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Capitolo 11
*** 6 luglio 1985 ***


©


6 luglio 1985

Tokyo, Giappone
Hotel, 23:52
«Credo che dovreste smetterla di bere, non è neanche mezzanotte e state già per crollare a terra sbronzissimi.» dissi guardando Nikki, Tommy e Vince che correvano come pazzi per tutta la hall dell’albergo di Tokyo dove avremo alloggiato per dieci giorni.
Mick era rimasto seduto sui divanetti di velluto color ocra assieme a me sorseggiando una birra e anche lui guardava i ragazzi comportarsi come bambini dell’asilo.
«Non stiamo per crollare amore! Non vedi? Siamo pieni di vita!!» gridò Sixx salendo sul bancone di marmo e improvvisando una sua performance sul palco.
I fattorini giapponesi dell’hotel guardavano atterriti la scena. Insomma, non che vedersi tre uomini più che ventenni che fanno gli idioti correndo e saltando nella hall di un albergo di lusso di Tokyo e comportandosi come se si trovassero al parco giochi, sia una cosa da tutti i giorni.
«Signorina, cosa dobbiamo fare con i bagagli dei signori?» mi domandò uno dei ragazzi con gli occhi a mandorla.
«Portali pure nelle loro stanze, tanto quei tre da qui non si muovono fino a che non li troveremo collassati sul pavimento.» gli sorrisi.
Lui annuì cortese e trascinò tutte le valige e i bauli nell’ascensore per portarli alle camere.
Rimasi a fissare Nikki e gli altri due ancora per cinque minuti ma poi mi stancai di quella baggianata.
«Io vado a dormire. Sixx spero che almeno ti ricorderai il numero della nostra camera quando vorrai venire a letto.» dissi.
Il bassista fece segno di “si” con la testa e tornò a fare il cretino.
Sbuffai e mi diressi verso l’ascensore.
«Beh, pure io vado ragazzi, sono stanco morto. Ci vediamo domani mattina.» disse ad un tratto Tommy.
«Cosa? No!» rispose Vince.
«Dai resta ancora!! Non è lo stesso senza di te fratello!» continuò Sixx.
Il batterista li zittì con un cenno della mano e mi seguì nell’ascensore poco prima che le porte si richiudessero. Ovviamente Mick aveva osservato tutta la scena e, non so perché, pensai che avesse intuito tutto.
Poggiata alla parete alla mia destra, digitai il numero del livello in cui si trovavano le nostre stanze. Come sempre avevano riservato un intero piano per i Mötley.
«Potevi startene a fare ancora un po’ di casino T-Bone.» dissi senza voltarmi verso di lui non appena l’ascensore iniziò a salire.
«Lo so ma avevo voglia di andare via…» rispose e subito dopo si poggiò con la mano sulla stessa parete dove stavo io, squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Sei sbronzo.» dissi calma.
«Lo so… La cosa le reca fastidio, signorina?» chiese lui portandosi di fronte a me con un gesto alquanto teatrale mentre cercava di imitare il comportamento dei fattorini dell’hotel.
Sorrisi e lui fece lo stesso.
Mettendo la lingua tra i denti mi poggiai con la schiena alla parete e incrociai le braccia aspettando che l’ascensore si fermasse. Infatti l’ascensore si fermò, ma non perché aveva raggiunto il piano che volevo, ma perché Tommy aveva premuto il tasto “stop”.
«Cosa stai facendo Tommy? Sono stanca, voglio andare a letto al più presto.» dissi sbuffando.
Lui, tenendo la sua mano sinistra appoggiata alla parete, mi circondò con il braccio destro, chiudendomi le vie di fuga. Si era abbassato fino al mio viso e ora stavamo con gli occhi negli occhi.
«Allora raggiungerà il suo letto al più presto mademoiselle, proprio come desidera…» sorrise ancora.
Con un movimento velocissimo, superai le sue braccia e tornai faccia a faccia con le porte dell’ascensore. Schiacciai “stop” di nuovo e ripartimmo.
Ad un tratto, le mani di T-Bone si appiccicarono al mio sedere.
Avrei dovuto toglierle, lo so. Ma non lo feci.
Sorrisi, mentre lui le faceva salire, e salire ancora… sempre di più…
Ding.
Le porte si aprirono e mi ritrovai davanti un lunghissimo corridoio coperto da un tappeto rosso con un tema a fiori color giallo ocra e attorniato da pareti che sembravano d’oro.
In quel momento mi trovai di fronte ad una scelta.
O mi voltavo verso Tommy e gli dicevo chiaramente che tutta quella stupida storia doveva finire, che lui stava esagerando e aveva frainteso le mie intenzioni nell’aereo e che io ero innamoratissima del suo migliore amico Nikki Sixx, oppure mi voltavo verso Tommy, lo guardavo negli occhi e cominciavo a sbottonargli i pantaloni in pelle nera facendo scendere la zip, il tutto mentre mi lasciavo avvolgere da lui.
Le opzioni erano solo due, o una o l’altra cosa. Facile come bere un bicchiere d’acqua. Da una parte c’era Nikki, l’amore della mia vita, e dall’altra c’era Tommy, anche se esattamente non sapevo “cosa” c’era di Tommy. Una notte di divertimento selvaggio e sfrenato, questo? Era per questo che non riuscivo a fare un passo in avanti verso la mia camera? Nessuno avrebbe mai avuto dubbi in una situazione così. Neanche un cretino avrebbe abbandonato amore, amicizia, complicità ed infinite intere notti in compagnia dell’uomo della propria vita, per cedere alla tentazione della lussuria solo per qualche stupida ora.
Devo dire, però, che in quel momento non ero ne cretina, ne in pieno possesso della mia morale. Detto ciò, non vi sarà difficile capire quale strada scelsi.
Mi voltai, velocissima.
Presi le mani di T-Bone e le infilai sotto la mia t-shirt bianca ma questa volta, sfortunatamente, c’era il reggiseno ad intralciarle. Poi mi attaccai alle sue labbra.
Nonostante tutto l’alcol che aveva nel sangue, il batterista non ci impiegò molto a reagire e a capire cosa mi balenava nella testa. Mi aggrappai avidamente alla sua vita fina, così diversa da quella di Nikki, e con le braccia lo avvinghiavo sempre di più a me. Mi tornò in mente il bagno dell’aereo, di due giorni prima.
Lui iniziò a camminare veloce lungo il corridoio mentre mi baciava ovunque, collo, labbra, orecchie, naso… dappertutto!
«No, non è questa… Vai più avanti…» ansimai mentre cercavo di scorgere i numeri di ferro che erano appesi alle porte per trovare quello corrispondete alla mia camera.
«Ecco, è questa.» risposi.
Camera numero 869.
«Ho la chiave in tasca…» tentai di prenderla, ma Tommy ci riuscì prima di me.
Aprì la porta immediatamente e, con la stessa velocità, se la richiuse alle spalle.
Nessuno di noi due conosceva la stanza, ma scoprii subito il letto morbido perché il batterista mi ci buttò sopra, senza staccarsi dal mio corpo neanche di un millimetro.
Si alzò, ma questa volta fui io a rimanergli attaccata. Cercai di togliergli la canottiera larghissima e fortunatamente non incontrai difficoltà. Poi i pantaloni… Riuscii solamente a far scendere la zip ma T-Bone era già totalmente fuori di testa nel pensare a quello che sarebbe successo più tardi e non mi lasciò finire.
Tre secondi dopo mi ritrovavo in biancheria intima tra le lenzuola azzurre. I miei occhi si erano abituati alla penombra e adesso riuscivo a scorgere bene quello che mi circondava. Eravamo in una stanza lussuosa, grandissima e davvero stupenda, molto meglio dell’hotel a LA.
Tommy tornò su di me e fui costretta a lasciarmi cadere tra i cuscini mentre lui mi baciava le labbra e mi accarezzava le cosce più e più volte. Poi si alzò per potermi guardare meglio e riprendere fiato. Mi poggiai sui gomiti e poi mi aggrappai al suo collo. Feci scivolare le gambe attorno alla sua vita e lo strinsi in una morsa pericolosa per la sua lucidità mentale. Con le dita percorsi lentamente le sue braccia e, arrivata ai polsi, guidai le sue mani fino al gancetto del mio reggiseno e lasciai che lo aprisse e me lo sfilasse. Lo lanciò a terra e le sue mani presero subito il suo posto, grandi, calde…
Ero completamente andata fuori di testa, ma non credo che ne fossi pienamente cosciente.
Mi lasciai nuovamente cadere sui morbidi cuscini di piume, sempre restando avvinghiata con le gambe al suo corpo.
Da quel momento sentii solo che trafficava con le mani sui miei slip in un modo che non riesco a descrivere, perché ero talmente eccitata che non riuscivo a connettere il cervello, e sui suoi boxer.
Da ora in poi, beh, penso che sia chiaro cosa successe.
Ricordo che fu pazzesco. Ero stata a letto molte volte con Nikki da quando l’avevo conosciuto nel 1982 e mi era sempre piaciuto, mi aveva sempre fatto sentire in paradiso. Ma con T-Bone fu un’esperienza ancora diversa, ancora nuova, ancora stupenda.
Avevo i suoi capelli lunghi sul viso mentre mi baciava il collo ed ero attorniata dal suo intenso profumo, mescolato con l’odore di sigaretta e Jack Daniel’s, per niente sgradevole.
Eravamo in quella stanza bellissima, e solamente una piccola luce lontana ci illuminava. Tutto sembrava surreale, immaginario, un sogno.
Vidi i muscoli del batterista tesi mentre cambiava posizione mettendosi seduto ed accogliendomi tra le sue braccia calde e forti sebbene non fossero muscolose come quelle di Nikki.
Raggiunsi l’apice del piacere quando mi baciò il collo per l’ennesima volta. Sollevai la testa verso il soffitto, mentre i capelli lunghi mi ricadevano lungo la schiena e scivolavano tra le dita di Tommy.
Non avrei desiderato altro in quel momento. Tutto quello che volevo era stare lì con T-Bone.
 
01:48
«Te ne devi andare adesso, Nikki e gli altri staranno per tornare da un momento all’altro. E’ solo questione di minuti» dissi mentre tiravo fuori dalla mia valigia una maglietta comoda e me la infilavo per coprirmi.
Tommy era completamente nudo, steso tra le lenzuola spiegazzate e poggiato contro la testiera del letto mentre si fumava una sigaretta e mi guardava scuotere i capelli per scioglierli da eventuali grovigli.
Quando mi chinai per raccogliere i vestiti da terra rivolgendogli il fondoschiena, lo sentii tossire perché molto probabilmente si era dimenticato di espirare il fumo.
Sorrisi dandogli le spalle e iniziai a piegare la roba e a sistemarla nell’armadio per riordinare un po’ la stanza.
«Hai capito o no?» mi voltai ad un tratto verso di lui che non aveva accennato a muoversi ma appena lo feci scoppiai a ridere.
«Che c’è?» ridacchiò lui con un’espressione stupida sulla faccia.
«Puoi almeno rivestirti?» continuai cercando di distogliere lo sguardo dalla sua figura ma inutilmente.
Allora lui si alzò e si avvicinò a me con fare spavaldo. Indietreggiai il più possibile mentre tentavo di evitare di guardare in basso ma piuttosto di concentrarmi sui suoi occhi o sulle sue labbra. Aveva ancora la sigaretta in mano e continuava a fumarla come se stesse passeggiando tranquillamente per le vie di Los Angeles.
Toccai il muro alle mie spalle e Tommy si avvicinò così tanto da starmi ad un millimetro di distanza. Guardava il soffitto della stanza come se stesse osservando le incombenti nuvole di un brutto temporale e aggrottava le sopraciglia mentre il fumo lo avvolgeva.
Scoppiai a ridere di nuovo. Che cretino!
Eliminai il piccolo spazio tra di noi abbracciandolo e poggiandomi appena sotto il suo collo. Sentivo il battito del suo cuore e il respiro calmo. Se qualcuno fosse entrato in quel momento si sarebbe ritrovato davanti Tommy tutto nudo che fumava la sua sigaretta tranquillo e io che lo abbracciavo come una stupida. Mi venne in mente l’immagine di una bambina che abbraccia un albero. Lui ben piantato al suolo e lei del tutto incollata al suo tronco. Chiunque fosse entrato avrebbe visto sicuramente anche l’espressione ebete che avevo stampata in faccia.
«Così si ragiona bellezza.» scherzò il batterista lanciando il mozzicone di sigaretta atterra.
Poggio il mento sulla mia testa e, come mi aspettavo, iniziò a palpeggiarmi il sedere.
Avevo proprio voglia di abbracciarlo. Eravamo rimasti avvinghiati per tutto il tempo da quando eravamo entrati in camera e avevamo fatto anche di meglio che starcene in piedi stretti l’uno contro l’altra. Quella sera le sue mani avevano raggiunto ogni centimetro della mia pelle e pure le sue labbra. Non avevo più segreti per Tommy Lee, ma quel momento stupido e dolce mi piacque tantissimo. Avrei desiderato che non fosse mai finito.
«Ora però te ne devi andare veramente…» dissi con un tono di amarezza nella voce poco prima di scollarmi dal suo corpo.
Mi diressi alla porta e l’aprii per controllare il corridoio.
Non appena feci capolino fuori, vidi che l’ascensore si stava aprendo e dentro c’erano Nikki, Vince e Mick che tornavano alle loro stanze.
La richiusi in un batter d’occhio e sentii l’ansia invadermi. Il mio cuore aveva iniziato a battere fortissimo ed ero sicura che il mio volto avesse assunto un colorito fucsia.
«Stanno tornando! Devi uscire di qui!» gridai iniziando a raccogliere i vestiti di T-Bone che erano sparpagliati su tutto il pavimento e lanciandoglieli tra le mani.
«Oh cazzo!!» urlai buttando nel posacenere la sigaretta che il batterista aveva lanciato via poco prima.
Mi bloccai per il panico. Da dove poteva uscire se i ragazzi erano già nel corridoio? L’avrebbero visto.
«Siamo morti, sono già fuori dall’ascensore...» dissi sentendomi mancare.
«Tranquilla, la mia camera è proprio quella di fianco alla vostra, entrerò passando dal terrazzo.» rispose convinto.
Così, si avvicinò a me, mi baciò intensamente spingendomi con la mano contro di lui e uscì dalla portafinestra completamente nudo e con un mucchio di abiti in mano.
Mi lanciai contro il vetro e lo vidi mentre saltava nel terrazzo della sua camera e mi salutava con la mano mandandomi un bacio.
Lanciai un sospiro di sollievo.
«Ehi ciao!» la voce di Sixx mi fece sobbalzare.
Mi voltai con gli occhi sbarrati e un sorriso tirato sulle labbra.
«Ciao!» lo salutai di ricambio.
«Che combini?» chiese andando ad aprire il frigobar.
«Guardavo il cielo per vedere se c’erano stelle.» mentii.
«Come mai non sei ancora a letto?» continuò avvicinandosi a me sorridendo e con una birra in mano.
«Ovvio… Ti stavo aspettando.» ammiccai avvolgendo le mia braccia attorno al suo collo.
«Scusa se ho fatto lo scemo prima, ma sai come sono.»
«Tranquillo.» lo abbracciai.
Mentre avevo la testa appoggiata alla sua spalla, vidi un cazzo di profilattico accanto al letto.
“Porca puttana!” pensai facendomi invadere nuovamente dal terrore.
Nikki si staccò da me e guardò fuori dalla finestra per ammirare Tokyo di notte. Sfruttai quel momento per correre a spingere il preservativo sotto il letto con il piede e feci appena in tempo a sedermi sul materasso come se niente fosse non appena Nikki si girò verso di me.
Sorridevo accarezzando le lenzuola per non fargli destare sospetti, ma lui era troppo ubriaco per notare qualsiasi cosa fuori posto.
«Che c’è, vuoi che venga lì?» ridacchiò iniziando a togliersi la t-shirt.
Poggiò la lattina di birra sul comodino e raggiunse le mie labbra.
Per fortuna, per quella notte potevo stare tranquilla.

 
Tommy Lee                                                                                                                         Tommy Lee

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Capitolo 12
*** 7 luglio 1985 ***


©


7 luglio 1985

Tokyo, Giappone
Hotel, 18:45
Dovevamo andare nella sala da pranzo dell’albergo per cenare. Non era una cosa che i Mötley normalmente facevano quando alloggiavano in qualche hotel, ma avevamo ricevuto un invito ufficiale dal direttore in persona, che desiderava ringraziarci per il concerto che si sarebbe tenuto alla “Nakano Sun Plaza Hall”, la sala concerti dell’hotel stesso, quella sera, e non si poteva proprio rifiutare. Ovviamente i ragazzi non erano abituati a una cosa del genere, tutti tranne Mick che in qualsiasi situazione sapeva comportarsi da persona educata e civile, anche perché era sua abitudine farlo ogni giorno.
Cercai di vestirmi il più elegante possibile, anche se il mio guardaroba non era esattamente quello di una principessa. Optai per un vestito in pelle nero molto aderente con le spalline e una scollatura abbastanza pronunciata. Conclusi il tutto con scarpe con un tacco stratosferico anch’esse nere e i capelli cotonati ma non troppo, non volevo esagerare. Trucco scuro con labbra rosse. Era il massimo che potevo fare per sembrare anche solo minimamente raffinata.
Non appena uscii dal bagno Nikki, che stava cercando qualcosa da mettersi, rimase a bocca spalancata e si sedette sul bordo del letto perché “Sto per svenire…” si giustificò sorridendo.
«Vado a vedere gli altri a che punto sono, datti una mossa a vestirti.» lo sgridai ma lui si comportò come se non mi avesse sentito e mi guardò con gli occhi sbarrati mentre uscivo dalla porta.
Bussai prima alla stanza di Mick che mi assicurò di essere pronto, e poi di Vince che mi disse di essere già vestito ma che doveva perdere ancora dieci minuti per la preparazione dei capelli.
«Quest’uomo è peggio di una femmina.» scossi a destra e a sinistra la testa.
Per ultima lasciai la camera di Tommy.
Ero agitata nel vedere la faccia che avrebbe fatto non appena mi avesse vista così in tiro, ma bussai comunque.
«Eccomi!» lo sentii dire da dietro la porta poco prima che la aprisse.
«Wow…» sgranò gli occhi quando me lo ritrovai davanti, e mi guardò dalla testa ai piedi.
Non era ancora pronto, così mi invitò ad entrare.
«T-Bone non potrei stare qui…» dissi varcando l’entrata.
«Ma smettila. Sei bellissima…» rispose lui chiudendo la porta alle sue spalle.
«Potresti anche darmi un bacio, vista la situazione.» continuò.
«Rossetto.» indicai la bocca con il dito indice.
Lui si morse il labbro e si poggiò con la mano alla parete, squadrandomi ancora una volta.
«Allora te lo darò io…» sorrise.
Si avvicinò a me e mi scostò i capelli sistemandoli tutti sulla spalla destra. Poi si chinò e mi baciò il collo mentre guidava le mie mani attorno alla sua vita.
Mi vennero i brividi.
Rimase fermo lì a baciarmi per qualche secondo che mi parve un’eternità poi si allontanò e tornò nel bagno.
«Allora ci vediamo dopo. Muoviti.» sorrisi uscendo dalla camera mentre lui mi salutava facendo sbucare il braccio.
Ritornai alla mia stanza e quando entrai mi ritrovai davanti Nikki completamente vestito.
Stranamente aveva indossato uno smoking nero con una camicia bianca e un farfallino altrettanto scuro. Nonostante l’abbigliamento elegante, i capelli erano pieni zeppi di lacca e il suo atteggiamento era comunque quello della rockstar strafottente. In poche parole posso dire che è proprio vero che l’abito non fa il monaco.
«Non credevo che avessi un vestito elegante.» dissi inclinando la testa da un lato sbalordita.
«Anche ogni membro dei Mötley Crüe ha il suo fottuto smoking come tutti i maschi del mondo, ma non lo indossiamo molto spesso. Questo sarà la seconda volta che me lo vedo addosso, e lo odio. Sono pronti gli altri?» rispose allacciandosi le scarpe, anch’esse eleganti.
«Mick si, Vince si sta sistemando i capelli e Tommy sarà pronto a minuti.» conclusi sedendomi sul letto.
Ero già stanca nonostante avessi davanti una nottata frenetica.
Non appena Nikki fu del tutto pronto, uscimmo dalla camera e così avevano fatto anche gli altri tre.
Mentre Sixx mi cingeva le spalle con il braccio, scendemmo tutti al primo piano dove ci avrebbe atteso una folla di giapponesi impazziti. Mentre eravamo in ascensore notai che T-Bone spostava lo sguardo sulla mano di Nikki mentre quest’ultimo aveva cambiato posizione avvinghiandosi ai miei fianchi.
Quando ci videro arrivare, tutti iniziarono ad applaudire alzandosi dalla sedia. I ragazzi ringraziavano mentre passavano tra i tavoli della sala ma si vedeva perfettamente che non erano a loro agio. Mi chiesi perché tutta quella gente era così pazza per i Mötley Crüe. Capisco gli adolescenti di Los Angeles, spavaldi e arroganti, ma non riuscivo a capacitarmi di come le persone dal Giappone, con quel loro fare educato e rispettoso, potessero essere tanto attratte dalla musica di quei quattro tizi capelloni. Evidentemente la mia idea sui giapponesi era sbagliata.
Mentre ci avviavamo a passo veloce tra la gente, notai il tavolo dove ci saremo seduti.
Ad ammirarci mentre ci avvicinavamo c’erano un uomo sulla cinquantina che doveva essere il direttore, una donna di qualche anno più giovane che doveva essere sua moglie, e infine una ragazzina di circa sedici anni che era sicuramente la loro figlia.
«Guardate la ragazzina… Bel davanzale nonostante la giovane età.» ridacchiò Vince.
«Oh si, scusa Penny. Anche tu non eri messa male quando ti abbiamo conosciuta.» continuò il biondo.
Gli lanciai una gomitata sul fianco, soprattutto perché aveva già partorito pensieri sconci su quella povera ragazza.
«Buonasera, siete i benvenuti. Questa è la mia famiglia.» disse il direttore, iniziando a presentarci sua moglie e sua figlia.
Purtroppo non ricordo i nomi, troppo complicati da tenere a mente, ma posso dire che erano persone davvero gradevoli.
Mentre i camerieri ci portavano un piatto dietro l’altro, ognuno pieno di una qualche specialità giapponese, alzai gli occhi e cercai di guardarmi attorno.
Nikki aveva un’espressione disgustata di fronte a quello che doveva mangiare, Tommy invece assaggiava qualsiasi cosa e poi se ne faceva portare una seconda porzione. Mick era educato come sempre e aveva intavolato una discussione interessante con il direttore e sua moglie. Infine Vince stava guardando la ragazzina.
Lei era sicuramente una fan dei Crüe perché la vedevo fremere dall’emozione nell’averceli tutti intorno seduti al suo tavolo. In più guardava negli occhi il cantante, che le stava seduto davanti, e si passava la lingua tra le labbra. Quasi mi andò di traverso il boccone di cibo quando notai che entrambi stavano flirtando. Fortunatamente i suoi genitori non la vedevano, altrimenti ci avrebbero sbattuti fuori dall’hotel e avrebbero fatto arrestare Vince per avance nei confronti di minorenne.
La serata proseguì molto bene. Il direttore era una persona molto interessante e simpatica e cercava di non escluderci dalla cena porgendoci domande sulla California e sulla musica che i ragazzi suonavano. Nikki si stava annoiando tremendamente e cercava di ingannare il tempo fumano una sigaretta ogni tre minuti. Era l’unico che non riusciva a stare bene lì in mezzo, anzi, non ci provava neanche. Tommy se la stava cavando egregiamente, aveva messo in atto la sua chiacchiera e la sua esuberanza per far ridere i presenti e, a quanto pareva, al direttore e alla sua famiglia la cosa sembrava ben gradita.
«Nikki piantala di fumare.» bisbigliai al bassista mentre stava per estrarre dal pacchetto l’ultima sigaretta.
«Mi sto annoiando, ok? Questi tizi sono una vera rottura di palle.» rispose facendo scattare l’accendino.
Lo guardai storto. Sapeva proprio comportarsi da cazzone a volte.
 
Hotel, 21:37
«Potevi almeno fingere di divertirti.» rimproverai Nikki mentre mi mettevo lo smalto nero alle unghie.
Ci stavamo preparando per il concerto che sarebbe cominciato alle 22:30.
«Mi stavo rompendo il cazzo a stare lì. Non è il mio ambiente.» controbatté tornando a spruzzarsi altra lacca tra capelli.
«Non credo che Tommy, Vince e Mick si sentissero a proprio agio, ma almeno cercavano di comportarsi in modo educato. Sei stato veramente stronzo. Non hai praticamente toccato cibo e poi sei stato in silenzio per tutta la sera. Credo che anche T-Bone e gli altri avrebbero preferito essere altrove, ma non mi sembra che si siano comportati come te.» continuai.
Dicendo quello pensai che al batterista sarebbe sicuramente piaciuto starsene in camera da letto, magari in mia compagnia. Mi immaginai la scena.
«Se ti piace tanto Tommy, vai a congratularti. Sono sicura che almeno lui non sarà stronzo come me.» sbottò lui uscendo dal bagno.
«Cosa diamine stai blaterando Sixx? Cosa centra Tommy?» risposi incrociando le braccia.
«Non so cosa centra, ok? L’ho detto tanto per dire, ora piantala di rompere. Pensavo che fossi la mia groupie, non mia madre. Io una madre già c’è l’ho e sai una cosa? Non c’è mai stata per me, vuoi cominciare tu adesso a prendere il suo posto?» sbraitò.
«Prima cosa, se devo essere una groupie, sono la groupie dei Mötley Crüe, non di Nikki Sixx, e secondo, mi dispiace che tua madre non si sia comportata bene con te, ma questa non mi sembra una buona scusa per giustificare il tuo comportamento. Sei adulto Nikki, non sei più il ragazzino viziato di una volta, fattene una ragione. E se proprio ti do tutto questo fastidio, potevi dirmelo prima, che me ne sarei tornata a Los Angeles.» conclusi sbattendomi la porta del bagno alle spalle.
Non era mai stata tirata in ballo sua madre quando discutevamo. Sapevo che per lui era un argomento delicato, e questo significava che la nostra discussione era più forte del solito.
Mi appoggiai di peso al lavandino e passai una mano sul vetro appannato dello specchio, osservando la mia immagine riflessa.
Cosa mi stava succedendo? Non mi ero mai comportata in quel modo. Non era da me rimproverare Nikki per un suo comportamento infantile. Era sempre stato così, fin da quando l’avevo conosciuto, e anche questo era un aspetto del suo carattere che mi aveva affascinato. Ma ora, non so perché, le cose stavano cambiando.
«Dai Penny, mi dispiace! Ma cosa devo farci? Lo sai che sono un cazzone, apri la porta!» lo sentivo implorarmi dall’altra stanza perché uscissi.
Avevo un casino nella testa. Per la prima volta dubitai dei suoi sentimenti.
«Cosa sono per te Nikki?» domandai guardandolo dritto negli occhi non appena aprii la porta del bagno.
«Che significa? Sei una groupie, cosa dovresti essere?» rispose alzando le spalle.
«Non ti ho chiesto cosa sono io, ma cosa sono per te.»
«Beh, non sei mia madre, questo è sicuro e mi piacerebbe che tu non ti comportassi come se lo fossi.» continuò il bassista sorridendo.
Rimasi a fissarlo. Non rispondeva, non rispondeva a quella cazzo di domanda.
«Non sai rispondere vero?» feci una smorfia di dolore e, lasciandomi inumidire gli occhi, mi diressi verso la porta per uscire dalla camera.
«Dove stai andando? Si può sapere cosa ho detto di male?»
Non lo guardai neanche.
Non appena mi ritrovai in corridoio, sapendo che non mi avrebbe seguita, scoppiai in un pianto silenzioso. Sapevo che così facendo mi sarei rovinata tutto il trucco, ma non mi importava. Mi prese il panico. All’improvviso pensai a quanto ero sola in quel momento. Pensai a quanto ero stata sola per tutto quel tempo.
«Che cos’è Nikki per me?» bisbigliai.
Mi posi la stessa domanda che avevo fatto al bassista e come lui non trovai una risposta sicura.
Avevo abbandonato la mia famiglia, la mia migliore amica, in pratica avevo abbandonato la mia vita, solo per seguire un gruppo di musicisti. Avevo abbandonato tutto e pensavo di essermi creata una nuova esistenza assieme al mio Nikki, ma mi sbagliavo. Era solo un passatempo per me, così come io ero un passatempo per lui. Era così che avevo immaginato la mia vita? Possibile che non mi fossi mai resa conto che con Sixx non avrei mai potuto avere una vita vera? Lui non mi avrebbe mai sposata, non avrebbe mai deciso di comprare una casa e avere dei figli con me. Cosa credevo? Di poterlo trasformare nel principe azzurro? Solo perché gli ero piaciuta a prima vista pensavo che forse, quando fosse invecchiato abbastanza da maturare e diventare un vero uomo, avrebbe avuto voglia di costruire una famiglia, magari con me. Avevo sempre immaginato di seguirlo in giro per il mondo non appena quel momento fosse arrivato, ma solo in quell’istante, impietrita in piedi nel corridoio deserto di un hotel di lusso in Giappone, capii che quel momento non sarebbe mai arrivato.
Scoppiai a piangere più forte e scivolai lungo la parete fino a raggiungere il pavimento.
«Ehi, che hai?» Nikki era uscito dalla stanza per cercarmi, ma fortunatamente per lui non avevo fatto molta strada.
«Lascia perdere, ho bisogno di stare sola!» continuai a piangere.
Lui non mi abbandonò come pensavo avrebbe fatto. Prese una bottiglia di Jack Daniel’s e si sedette di fronte a me, appoggiato alla parete opposta, con le gambe aperte e la bottiglia di whiskey nel centro.
«Sfogati… dimmi cosa ti sta succedendo.» furono le sue parole.
Mentre tenevo le ginocchia strette al petto e la testa bassa, sentii un’altra porta aprirsi.
«Nikki, cosa c’è? Tutto bene?» Tommy doveva avermi sentita piangere ed era uscito dalla camera per controllare che fosse tutto apposto.
«Tranquillo fratello, tutto ok. Ci sono io.» fu la breve risposa di Sixx.
Dopo qualche secondo di titubanza, il batterista decise di rientrare. Era meglio così.
 
Nakano Sun Plaza Hall”, 22:55
Il concerto era iniziato, ma questa volta non ero stata io a presentare i ragazzi al pubblico giapponese.
Non avevo detto nulla a Nikki quando era uscito dalla nostra camera e si era offerto di ascoltare le mie preoccupazioni. Ero rimasta seduta lì sul tappeto del corridoio fino a che non era arrivata l’ora di andare alla “Nakano Sun Plaza Hall” per lo spettacolo.
Me ne stavo lì, nel backstage, e sentivo la voce di Vince che scuoteva i fans e l’assolo di Mick che mi fece venire i brividi da quanto era perfetto.
Sentendo la chitarra suonare, ragionai sul fatto che io non avevo abbandonato la mia famiglia per niente. Anzi, a dire la verità, non avevo abbandonato proprio nessuno. Tutto quello che avevo fatto, da quel 27 gennaio 1982 fino ad ora, era stato semplicemente inseguire il mio sogno, la mia passione. E, a dirla tutta, non era stato uno spreco di tempo perché mi ritrovavo proprio a viverlo quel sogno. Forse si, era vero che Nikki non aveva in mente di sposarmi e tirare su qualche pargoletto con me, ma nemmeno io volevo fare la groupie per tutta la vita. Nonostante tutto quello che sarebbe potuto accadere, io mi trovavo lì, nel backstage del concerto del mio gruppo preferito e Nikki Sixx era stato colpito dalla mia persona, che fosse fisicamente o altro non lo so, stava di fatto che l’avevo impressionato così tanto da portarmelo a letto più di una volta. Quindi non avevo abbandonato nessuno e tantomeno non ero persa. Avevo degli amici, i Mötley Crüe, che avevano addirittura accettato di portarmi in giro per il mondo con loro e che non avevano mai cercato di prendersi gioco di me, al contrario mi rispettavano e mi trattavano come un membro del gruppo. Infondo una “famiglia” ce l’avevo, e mi trovavo pure bene!
«Sono stata una scema.» sussurrai.
«Pensavo di essere sola ma mi sbagliavo. Qui sono felice.» sorrisi di quel pensiero e mi sentii rinascere.
Poi mi balenò nella testa l’immagine di Tommy.
«Cazzo!» imprecai corrugando la fronte e poggiando il mento sul palmo della mano.
«Che si fa con T-Bone?» i pensieri tornarono a riempirmi la testa.
Non avevo nessuna intenzione di ignorarlo, ma non volevo nemmeno dire tutta la verità a Nikki. L’avrebbe presa malissimo. Se però sottovalutavo la cosa Sixx sarebbe venuto a saperlo comunque e sarebbe stato anche peggio. In ogni caso avrei ferito uno dei due.
«Insomma Penny, cosa vuoi tu?» mi domandai a voce alta per chiarirmi le idee.
Era quello il punto: non lo sapevo. Nikki e Tommy, due ragazzi che mi facevano stare troppo bene.
«Bel problema del cazzo…» mi sentii confusa ancora una volta.
La musica smise di suonare, e sentii la voce di Neil.
«Bene ragazzi, ora il nostro T-Bone vi prenderà a calci nel culo!» gridò.
C’era l’assolo di batteria.
Infatti dopo l’incitamento del biondo cantante, lui, Nikki e Mick tornarono nel backstage e lasciarono che Tommy scaldasse ancora di più il pubblico.
Quando Nikki mi vide si avvicinò per parlarmi.
«Tutto bene?» chiese.
Annuii restandomene in silenzio. Vedendo che non avevo ancora voglia di parlare, si allontanò per prendersi da bere.
Mi alzai dalla sedia e mi avviai verso l’entrata del palco per poter vedere meglio T-Bone.
Era pazzesco.
Lo guardai mentre urlava nel suo microfono frasi tipo “Vai così Tokyo!” e nel frattempo suonava. Amava quello che stava facendo e il fatto che il suo suonare la batteria faceva impazzire i fans lo rendeva ancora più orgoglioso. Era esattamente come quando eravamo stati a letto insieme. Ogni volta che mi baciava o mi accarezzava, e vedeva che questo accendeva ancora di più il mio piacere, il bacio o la carezza che veniva subito dopo era mille volte meglio. Vederlo suonare mi fece tornare alla mente quella sera e mi sentii divampare, non per l’imbarazzo ma più che altro per l’euforia. In quel momento capii che non potevo rinunciare a Tommy Lee.
Il suo assolo terminò e lo vidi voltarsi nella mia direzione. Sorrise e mi mandò un bacio con la mano.
No, non potevo rinunciare a lui.
«Avanti Tokyo!!» gridò Vince superandomi e rientrando sul palco.
Lo seguirono anche Mick e Nikki e, in un turbine di luci e fumo, iniziò Smokin' In The Boys Room.
 
Hotel, 02:45
Ero stanchissima, davvero distrutta.
«Passami una sigaretta.» dissi ed afferrai tra le mani il pacchetto che mi aveva lanciato Tommy.
Ero in camera sua.
Subito dopo il concerto avevo preso l’ascensore e mi ero diretta ai piani superiori dell’albergo. Come sempre Nikki era rimasto a sbronzarsi assieme a Vince e Mick, il quale era lì solo per fare da balia ai due ed evitare che facessero troppi danni, mentre Tommy mi aveva seguita optando, però, per le scale.
«Dimmi che ti succede.» chiese lui sedendosi ai piedi del letto mentre la fiamma dell’accendino mi fluttuava davanti agli occhi.
«Se lo sapessi te lo direi. Lo direi a tutti, per risolvere la merda in cui mi trovo.» risposi espirando il fumo.
Rimase in silenzio ad osservarmi mentre io cercavo accuratamente di evitare il suo sguardo.
«Puoi dirmelo. Sono ancora tuo amico anche se abbiamo scopato insieme una volta.» sorrise.
Involontariamente anche le mie labbra si tesero in una risata.
«Ho litigato con Nikki…» sospirai poi.
«Si questo l’avevo capito anche da solo.»
«Il problema è che non so perché. Non ti sembra cambiato ultimamente?» continuai concentrandomi sulla sigaretta che mi stava tra le labbra.
Lui rimase zitto per qualche secondo, fissando il pavimento e inarcando le sopraciglia in un’espressione pensierosa.
«Beh, è sempre il solito Nikki. E’ un cazzone, proprio come me. Anche quando hai deciso di metterti con lui era così, tale e quale. Complessivamente non mi sembra cambiato.» fu la sua risposta.
«Allora il problema deve essere un altro. Forse mi sono semplicemente stancata, infondo sono una groupie, non ho delle preferenze particolari. Mi stanco di qualcosa e cambio con qualcos’altro, semplice.» conclusi il mio ragionamento. Forse era quella la risposta al casino che avevo nella testa.
«Tu non sei così. Tu sei una ragazza innamorata di un uomo e per stare con lui hai deciso di diventare una groupie. Ecco la verità.»
«No, non è vero! Io sono una fottutissima groupie! Lo sono per davvero.» ribattei scaldandomi.
«Allora sei innamorata anche di qualcun altro oltre Nikki…» si alzò e si versò da bere prendendo una delle bottiglie di Jack Daniel’s che aveva nel frigobar.
«No, non è possibile. Di chi dovrei essere innamorata?» ridacchiai.
Lui mi guardò mentre sorseggiava il liquido, alzò le spalle e si leccò le labbra quando ebbe finito il bicchiere.
Iniziai a ridere più forte.
«Ahahahah! No! Non sono innamorata di te T-Bone!! Ahahahah!!» rotolai tra le coperte e mi fece male la pancia da quanto ridevo.
Si appoggiò al muro e mi fissò mentre mi comportavo da cretina.
«Sei sicura? No perché io credo di essere innamorato di te.» rispose e portò le braccia dietro la nuca.
Mi bloccai e mi appoggiai sui gomiti per guardarlo. Se ne stava lì calmo e tranquillo come se quello che aveva appena detto fosse la cosa più normale del mondo.
«Tu non sei innamorato di me. Cos’è che ti avrebbe fatto innamorare, sentiamo?» ribattei sarcastica.
«Tutto.» mi disse.
«I tuoi occhi, i tuoi capelli, le tue ginocchia, le tue spalle, la tua pelle… Quando ti mordi le labbra, quando espiri il fumo della sigaretta, quando leggi, quando parli… E’ semplice, tutto.» continuò.
Non sapevo cosa dire. Mi aveva spiazzata.
Mi alzai e lo raggiunsi, standogli di fronte.
«Anche quando mi incazzo, urlo e do di matto?» chiesi.
«Si… anche questo.» sorrise.
«Anche quando ti prendo a pugni e schiaffi?» iniziai a picchiarlo sbattendo i palmi delle mie mani sulle sue braccia. Ovviamente non gli stavo facendo male.
«Te l’ho detto… tutto di te mi fa impazzire. Capisci? Ogni molecola del tuo corpo, ogni tuo battito di ciglia… Tutto.» disse prendendomi i polsi per fermarmi.
Mi guardava negli occhi, sempre con quel suo sorriso sulle labbra.
Abbassai la testa mentre lui mi teneva le braccia sollevate. Mi baciò la fronte e le lacrime iniziarono a colarmi giù dal viso, quasi senza che io me ne accorgessi.
Non mi stava aiutando. Anzi, aveva aumentato la mia confusione.
Mi afferrò le guance e mi obbligò ad alzare nuovamente lo sguardo verso i suoi occhi.
«Non mi amerai per sempre Tommy…» singhiozzai facendo fuoriuscire altre lacrime che ora bagnavano anche le sue dita.
«Ti sto amando adesso, cazzo! E lo sto facendo veramente! Ti amo Penny Lane, sono qui e ti sto amando!» disse e la sua voce era talmente alta che quasi urlava mentre pronunciava quelle parole.
Mi baciò, tirando la mia maglietta e afferrandomi il sedere per permettermi di allacciare le gambe alla sua vita.
Mi ritrovai tra le coperte del letto mentre il respiro caldo di T-Bone e i suoi capelli lunghi mi accarezzavano la pelle.
Sapevo che quella favola non sarebbe durata per sempre.

  
da sinistra: Tommy Lee, Nikki Sixx                                                                                                                               da sinistra: Nikki Sixx, Tommy Lee

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Capitolo 13
*** 8 luglio 1985 ***


©


8 luglio 1985

Hotel, 10:37
«Ehi T-Bone, hai visto per caso…»
Distrutto.
Tutto distrutto.
Tutto perso, andato. Per sempre.
Fu una sensazione orribile. Immaginate di fare bungee jumping. Saltate nel vuoto, sicuri che andrà tutto bene e che ricorderete quell’incredibile esperienza per sempre. Ad un tratto, però, vi rendete conto che l’elastico e i cavi di sicurezza, che vi tenevano allacciati alla certezza che niente di brutto sarebbe successo, non sono stati sistemati correttamente. Ormai non c’è più niente da fare. State precipitando nel vuoto. Vi schianterete al suolo e sapete che niente e nessuno può più salvarvi. Non vi resta che pregare, per quel poco che riuscite, e chiedere perdono dei vostri peccati. Vi passa davanti la vostra intera vita e vorreste tornare indietro nel tempo per decidere di non buttarvi. Ma ormai è finita. State per morire.
Mi sentii più o meno così quella mattina di luglio, quando udii la sua voce.
Fu proprio la sua voce a svegliarmi, e a farmi rendere conto del fatto che i miei cavi di sicurezza erano spezzati e che stavo precipitando.
Mi girai verso quel suono melodioso che mi aveva fatto aprire gli occhi e che conoscevo fin troppo bene. Mi ritrovai davanti il viso della disperazione, dell’amarezza, della consapevolezza di essere stato pugnalato brutalmente alle spalle.
«Nikki…» bisbigliai sentendo già le lacrime pronte ad uscire.
Mi guardò per una frazione di secondo e, abbassando la testa, lasciò la porta della stanza di Tommy.
Non ci impiegai molto ad alzarmi dal letto, correre a vestirmi ed inseguirlo nel corridoio.
«Nikki!» gridai entrando nella sua, e mia, camera.
Era seduto per terra, le ginocchia piegate e le mani sul viso. Sembrava invaso dal dolore, un dolore acuto, incessante, insopportabile.
Mi raggiunse sulla soglia anche il batterista.
«Merda… Merda!!» urlò e iniziò a prendere a pungi e calci il muro. Si appoggiò alla parete con le braccia e si coprì il capo. Stava piangendo.
Tornai a guardare Nikki e vidi che anche lui piangeva. Piangevano entrambi.
Mi mancò il fiato e mi ressi allo stipite della porta ma crollai atterra sulle ginocchia e il dolore allo stomaco, che prima era solo leggero e sopportabile, divenne intenso e dolorosissimo. Le lacrime mi annebbiarono la vista.
Non c’era stato un miracolo per me. Avevo raggiunto il suolo e mi ero sfracellata.
 
Hotel, 14:02
Stavo seduta sul pavimento e appoggiata alla parete del corridoio dell’hotel di Tokyo e guardavo Nikki a terra sul pavimento della sua e mia camera, proprio davanti a me. Stava tracannando una bottiglia di whiskey ed era già la seconda che si scolava, tutta da solo.
Vince e Mick erano usciti dalle loro rispettive camere e assistevano a quell’innaturale silenzio che incombeva su quel maledetto piano dell’hotel. Dico maledetto, perché mi sembrò proprio così in quel momento.
T-Bone era a una ventina di centimetri da me e anche lui osservava Sixx mentre si ubriacava disperato e sfogava la sua rabbia, piangendo e colpendo con i pugni il pavimento.
Aver tradito Nikki con il suo migliore amico, nonché anche mio amico, era stato il più grande errore della mia vita fino a quel momento. Sapevo che prima o poi sarebbe venuto a saperlo, ma non pensavo che sarebbe accaduto così in fretta. Pensavo che avrei smesso di frequentare Tommy proprio prima che Nikki scoprisse la verità. Ma il destino mi aveva giocato un brutto scherzo. Forse era la giusta punizione per aver infranto il profondo legame che mi legava al bassista.
Nessuno osava aprire bocca e ormai erano tre ore che andavamo avanti così.
«Ora basta.» cominciò Vince ad un tratto.
«Dovete piantarla di fare i bambini. Siete adulti abbastanza per affrontare questa cosa con le palle. Quindi discutetene e cercate di venirne fuori, perché io non lavoro in questo modo.»
Detto ciò, fece dietrofront e tornò nella sua camera.
Mick si limitò a sospirare e a guardarmi negli occhi, poi anche lui seguì l’esempio del cantante.
Così alla fine rimanemmo noi tre, proprio come era cominciata stava anche per finire. I tre moschettieri, il trio delle meraviglie, uno di fronte all’altro. Pronti a scannarci a vicenda.
«Avete la mia benedizione, ora, per favore, andate affanculo.» la voce di Nikki interruppe bruscamente i miei pensieri.
Sentirlo parlare così mi fece tornare il dolore allo stomaco.
«Smettila Nikki, parliamone invece di fare gli stronzi.» rispose il batterista.
«Fare gli stronzi? Tu parli a me di fare lo stronzo?» Sixx si era girato verso di noi, sempre tenendo la bottiglia di Jack Daniel’s stretta nella mano.
«Da quanto va avanti questa fottuta storia Tommy? Eh? Da quanto tempo te la sbatti alle mie spalle e poi hai il coraggio di venirmi a parlare guardandomi negli occhi? E poi dici a me di non fare lo stronzo? Se fossi in te penserei un attimo a chi è veramente lo stronzo tra noi due… O la puttana tra noi tre.» continuò Nikki.
A quelle parole il dolore che provavo divenne insopportabile, tornando a squarciarmi il ventre.
«Non dire così ti prego…» bisbigliai con le labbra che tremavano.
«E cosa devo dire? Cosa sei per me in questo momento? Di certo non sei più quella di prima, quella di cui mi fidavo. Sei una puttana come tutte le altre adesso.» rispose il bassista e trangugiò un’altra sorsata del whiskey.
Misi insieme tutte le mie forze, recuperandole da ogni angolo del mio corpo, e mi alzai da terra.
Superai la porta della camera ed entrai sedendomi di fianco a lui.
Avevo paura della sua reazione, in quelle condizioni sarebbe stato capace di prendermi a pugni, ma non mi interessava.
«Cosa devo fare Nikki… Ti prego, dimmi cosa devo fare…» singhiozzai in ginocchio mentre lo guardavo negli occhi, senza ricevere uno sguardo di risposta.
«Devi andare a farti fottere. Tu e quel bastardo laggiù. Anzi sai cosa ti dico, perché non vi fottete a vicenda, tanto l’avete fatto per molte volte da quello che mi risulta.» ghignò Sixx girandosi finalmente verso di me. I suoi occhi erano pieni d’odio e dolore.
«Vaffanculo Nikki! Sai cosa ti dico stupido idiota? E’ solo la seconda volta che scopiamo io e lei e, tanto per l’informazione, le è pure piaciuto. Se tu fossi un po’ meno egoista e pensassi di più a Penny, questa stronzata non sarebbe successa. Lei non è il tuo cane o il tuo trofeo, è una persona, cazzo! E se è venuta da me un motivo ci sarà, non credi? Non è di certo corsa da me perché è una qualsiasi puttana che puoi trovare sul Sunset! La devi amare Nikki, e tu non ne sei capace!!» gridò Tommy alzandosi anche lui dal pavimento ed entrando nella stanza fino a torreggiare su Sixx e guardarlo dall’alto.
«Perché, tu ne sei capace invece? Andiamo Tommy, lo sappiamo tutti e due che avevi solo bisogno di infilare il tuo fottuto cazzo in qualche fottuto buco! Non sarebbe durata più di due settimane! E poi mi vieni a dire che non la tratto come dovrei? Vaffanculo brutto figlio di puttana!!» anche Nikki si era alzato e i due stavano uno davanti all’altro, con i nasi che si sfioravano, e si sbraitavano in faccia.
Io restavo seduta per terra e ascoltavo i loro insulti, ma non ce la facevo più.
«Basta, io torno a Los Angeles.» mi alzai e corsi verso l’armadio per rimettere nella borsa i miei vestiti.
Loro continuavano ad urlare, inveendo e sventolando le mani in aria.
«Non puoi andare da sola a LA.» Nikki si era voltato verso di me e mi guardava lanciare gli abiti a caso stropicciandoli mentre cercavo di farli stare nella borsa.
«Non ci sto qui sapendo di avervi rovinato la vita. Sapete una cosa? E’ stata tutta colpa mia, mi dispiace davvero tanto di avervi messo l’uno contro l’altro, era l’ultima cosa che volevo. Venire in tour con voi è stata la scelta più stupida che abbia mai fatto, anzi, fare la groupie è stata la scelta più stupida. Una groupie non si deve mai innamorare e Tommy, avevi ragione quando hai detto che sono diventata una groupie solo per stare vicino all’uomo di cui ero innamorata. E’ stato un fottuto errore. Groupie e amore non vanno d’accordo. Groupie e sesso, groupie e droga, groupie e rock n’ roll sono le accoppiate vincenti, ma non groupie e amore. Mi sono illusa di aver trovato il principe azzurro… cazzo ogni ragazza sogna il principe azzurro.» le lacrime iniziarono a scorrermi giù dalle guance.
«Tu eri il mio principe azzurro Nikki, o meglio, il mio cavaliere nero…» sorrisi e sentii il gusto salato sulla lingua.
«Eri per me quello che desideravo. Sai, ho sbagliato. E questa è la fine della favola. Cenerentola torna a casa, dopo aver mandato tutto a puttane. Non è esattamente il finale che ci si aspetta, ma è il finale che mi sono costruita da sola, sbagliando per ogni singolo secondo.» conclusi asciugandomi le lacrime con il dorso della mano e mettendomi sulla spalla la borsa nera.
«Questa la prendo io, non ti fa bene Nikki.» afferrai la bottiglia di Jack Daniel’s in una mano e baciai il bassista sull’angolo della bocca. Baciai anche Tommy, su una guancia.
«Salutate Vince e Mick. Vi voglio bene.» dette queste ultime parole sulla soglia della porta, uscii di scena, sperando di risolvere almeno in parte il casino che avevo combinato.


I Mötley Crüe, da sinistra in alto: Mick Mars, Vince Neil, Tommy Lee, Nikki Sixx

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Capitolo 14
*** 11 luglio 1985 ***


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11 luglio 1985

Los Angeles, CA
Aeroporto Internazionale di Los Angeles, 21:14
«Grazie.» afferrai la mia borsa.
Stavo fuori dall’aeroporto di LA attorniata dalle luci e dal calore della città. Casa dolce casa.
Anche se Los Angeles era casa mia da sempre, mi sentii strana. Era come se quella città non mi appartenesse più, non fosse più il luogo dove potevo sentirmi realmente in pace con me stessa.
Andai ad un telefono pubblico e inserii i soldi per far partire la chiamata.
Il centralino ci stava impiegando un po’ di tempo quindi mi guardai intorno: c’era gente ovunque, ma nessuno mi stava addosso come al solito. Sentivo che mi mancava già qualcosa: i Mötley Crüe.
«Si, pronto?» rispose ad un tratto la voce al di la della cornetta.
«Jane, sono io…» risposi.
«Penny! Oh mio Dio, come stai? Com’è il Giappone? Vi state divertendo?» iniziò a chiedere la mia amica.
«Sto bene, ma sono qui a LA Jane.»
«Ma come? Non dovreste essere in Giappone adesso?» continuò lei.
«Loro sono in Giappone… io sono qui.»
Ci fu un breve silenzio e immaginai la mia amica che rimuginava su quello che poteva essere accaduto tra me e i ragazzi.
«Prendi la tua roba e vieni da me.» concluse, dicendomi il suo indirizzo.
Sapevo che aveva cambiato casa, o meglio, se ne era presa una tutta per lei. Al compimento dei suoi diciotto anni aveva detto ai genitori «Ragazzi io me ne vado da questo inferno, addio!» ed era uscita dalla porta. Aveva trovato un lavoro che le permetteva di pagare un miniappartamento in centro, ma almeno era “libera”. Le piaceva definirsi così.
Presi la borsa con i vestiti e salii sul primo taxi che vidi, dicendo al taxista di andare all’indirizzo che mi aveva riferito Jane.
Mentre vedevo le luci fuori dal finestrino che mi sfrecciavano accanto, continuavo a sentirmi spaesata.
 
Casa di Jane, 22:03
«Grazie per ospitarmi qui, non ho voglia di andare dai miei.» dissi alla mia amica poggiando i bagagli nel piccolo soggiorno e andandomi a sedere su uno sgabello in cucina.
«Tranquilla, qui è come se fossi a casa tua. Non farti problemi.» rispose lei sorridendo.
L’appartamento era davvero piccolo: un bilocale con una camera da letto, un bagno e un soggiorno aperto con la cucina. In ogni caso, Jane era riuscita a renderlo proprio suo. Lo stile era un misto tra il vintage e il kitsch, ma nel complesso era gradevole. Mi è piaciuta subito la sua nuova casa.
«Allora raccontami, cosa è successo?» mi chiese mentre preparava qualcosa da bere.
Notai che attaccata alla lavagna magnetica, dove erano riuniti tutti i suoi post-it che le ricordavano cosa doveva fare, conservava ancora la polaroid che le avevo regalato, quella con l’immagine di T-Bone tutto nudo.
Nonostante la loro storia fosse durata davvero poco, non aveva ancora buttato la fotografia. Il giorno in cui dovevamo partire per San Francisco, nell’82, si erano salutati in un modo che lasciava ben pochi dubbi. Era sembrato più un addio che un arrivederci. Credo che Jane sapesse che Tommy non sarebbe più stato “suo”. Allo stesso tempo, credo che il batterista sapesse che della mia amica gli importava davvero poco. Ma quella foto rimaneva ancora con lei. Forse la faceva ridere quando la guardava, o forse era solo un dolce ricordo.
«Allora?» continuò venendo da me con due bicchieri di vodka.
Sospirai.
«Sono andata a letto con Tommy.» risposi restando fissa a guardare la polaroid davanti ai miei occhi.
Lei si accorse di quello che stavo facendo e abbassò lo sguardo. Forse per l’imbarazzo, forse per la delusione, non lo so.
«A quanto pare ti sei data anche tu alla vodka. Stai diventando come Mick.» scherzai per sdrammatizzare quella confessione e cercare di interrompere il silenzio che si era creato.
«Si beh, mi piace.» sorrise anche lei.
Pensai che forse non voleva parlare del batterista così iniziai a guardarmi intorno e a sorseggiare dal mio bicchiere.
«Sei caduta anche tu nella sua rete per i pesci?» disse ad un tratto.
Mi girai a guardarla con sguardo interrogativo.
«Dico, la rete di Tommy. Ha stregato anche te, eh?» sorrise di nuovo deglutendo un sorso di vodka che mi parve bello abbondante.
«Beh, non ci sono proprio caduta. Credo di averlo voluto. Credo di essermi fiondata nella sua “rete” di mia spontanea volontà.» risposi.
Lei tornò a fissare il bancone della cucina.
«Tommy è diverso… Non è come Nikki. Da un po’ Sixx mi sembrava strano, cambiato. Ne ho parlato con T-Bone ma lui mi ha detto che è rimasto sempre uguale, che non gli sembrava cambiato. Credo che il vero problema sia la droga.» continuai.
«La droga?»
«Si. Insomma sono delle rockstar, ho sempre saputo che facevano uso di cocaina o pasticche varie, per non parlare poi dell’alcool a fiumi. Ma credo che da un po’ Nikki avesse iniziato a farne più uso del solito, e quando non riusciva a trovarla o quando non riusciva ad averla a portata di mano, diventava intrattabile. Così io sono stata “attratta” da Tommy. Dalla sua strana dolcezza più che altro. Tommy non è un egocentrico come Nikki. Sixx pensa solo a se stesso e mai agli altri. T-Bone invece non è così.» dissi deglutendo il liquido dal mio bicchiere e sospirando.
«Si lo so. Era per la sua dolcezza che mi ero innamorata di lui. Non è come gli altri.» rispose lei, guardandomi negli occhi.
Ci fu un breve silenzio da parte di entrambe.
«Beh, qualunque cosa fosse quella tra me e Tommy, ormai è finita. E credo che sia finita anche quella che c’era tra me e Nikki.» annuii serrando le labbra.
«Non hai intenzione di tornare da loro? Hai smesso di essere una groupie?» chiese Jane.
«Io amo la musica. Davvero, la amo più di qualunque altra cosa, non potrei immaginare un mondo senza musica, una vita senza musica. Ma professarla in questo modo è sbagliato. Dovrei andare ad insegnarla nelle scuole, quello è un bel modo per far capire cosa significa per me.» scherzai terminando il mio bicchiere di vodka e porgendolo alla mia amica.
«No, tu non parli sul serio. Tornerai da loro.» sorrise.
Non parlammo più per quella sera. Mi limitai ad aprire il divano letto e ad infilarmi sotto alle coperte, abbandonandomi ai miei pensieri.
Forse aveva ragione, forse i Crüe mi sarebbero mancati troppo e avrei sentito il bisogno di tornare da loro a braccia aperte.


Nikki e T-Bone

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Capitolo 15
*** 6 agosto 1985 ***


©


6 agosto 1985

Los Angeles, CA
11:38
«Ciao mamma! Ciao papà!» abbracciai i miei genitori non appena varcai la porta di casa.
«Oh tesoro!» mia madre iniziò a piangere e anche mio papà aveva gli occhi lucidi.
Ero andata a trovarli perché mi erano mancati tanto e avevo voglia di rivederli. Era quasi un mese che me ne stavo a LA a casa di Jane e mi sembrava davvero il caso di passare a salutarli, anche perché sapevano del mio ritorno.
La casa era sempre rimasta tale e quale da quando ero “scappata” quella sera tempo prima. I miei genitori non si erano mai arrabbiati per quello che avevo fatto, anzi, mi avevano incoraggiato a seguire i miei sogni purché mantenessi la testa sulle spalle. Si fidavano di me perché sapevano di avermi insegnato tutto quello che dovevo sapere e che avrei messo in atto i loro consigli.
«Ti abbiamo vista in televisione sai? A presentare i Mötley ad un concerto.» disse mio padre sorridendo.
Abbassai lo sguardo e mi sentii arrossire. Chissà cosa pensavano di me. Una figlia squattrinata che va in giro con quattro ubriaconi drogati.
«Siamo fieri di sapere che sei felice. Ora siamo certi che saprai prendere in mano la tua vita e che questa non sfuggirà mai dal tuo controllo. Abbiamo sempre saputo che saresti diventata una donna forte.» mia madre ricominciò a piangere e mi buttai attorno al suo collo per abbracciarla di nuovo, anch’io con le lacrime agli occhi.
«Tesoro ora sei al sicuro.» continuò lei mentre premeva il viso sulla mia spalla.
«Cosa?» domandai allontanandomi per guardarla in faccia.
«Sappiamo cosa è successo… Jane ci ha detto tutto e ha sporto denuncia. L’hanno preso piccola, quel bastardo è in prigione.» rispose mio padre con sguardo apprensivo.
«Di cosa state parlando?» ero confusa.
«Di Jake tesoro… Non potrà più fare del male ora.» concluse mia mamma.
Sapevano tutto, Jane gliel’aveva detto. Mi sentii sprofondare dalla vergogna.
«Mamma, papà, mi dispiace tanto… Avrei voluto dirvelo, ma…» le ginocchia non mi ressero più e mi lasciai cadere a terra mentre mi coprivo il viso con le mani.
«Oh piccola! Non preoccuparti, capiamo come ti sei sentita. Stai tranquilla, siamo fieri di te. Ora è davvero tutto finito.» mi aiutarono ad alzarmi e mi sedetti in cucina lasciandomi coccolare come una bambina.
Sapere che i miei genitori conoscevano tutta la storia e che quello stronzo era in prigione e aveva pagato per ciò che aveva fatto, mi tolse un enorme masso dal cuore.
Nella cucina di casa mia, attorniata dal profumo della mia infanzia, mi sentii felice e spensierata.
«Ora prepariamo da mangiare e tu stai qui con noi tutto il giorno. Devi raccontarci un sacco di belle cose quindi niente storie.» sorrise mio padre.
Mi era mancata la mia vera famiglia.
 
Casa, 17:24
«No non è vero! Ozzy è una persona adorabile.» risi mentre stavo seduta sul divano.
«Secondo me è uno squilibrato.» dissentì mia madre scuotendo la testa.
«Ma no! E poi Sharon lo tiene in riga, è una donna fantastica, andreste d’accordo voi due.» continuavo a convincerla io.
«Ecco, vedi amore? L’ho sempre detto io che dobbiamo invitare la famiglia Osbournea cena qui da noi un giorno.» concluse mio papà.
Scoppiammo tutti a ridere fragorosamente.
Stavo raccontando ai miei genitori le tante esperienze che avevo vissuto da quando ero in tour con i Mötley e ci stavamo divertendo come matti.
Non mi avevano ancora chiesto come mai avevo deciso di tornare in California, ma penso che l’avessero capito. Sapevano che io e Nikki ci “frequentavamo”, anche perché i giornali erano pieni di nostre foto insieme, e vedere la figlia che torna a casa mentre il suo “ragazzo” o come lo vogliamo chiamare sta facendo un tour in Giappone, non è che lasci molti dubbi. Dovevano aver capito sicuramente che c’era stato un allontanamento tra me e il bassista, ma non mi hanno mai chiesto i dettagli. Rispettavano la mia privacy.
Stavo passando una giornata splendida in compagnia dei miei genitori, era da tanto che non mi divertivo così.
Era quasi un mese che ero tornata a Los Angeles, abbandonando i Crüe al loro tour. Non avevo mai ricevuto una loro telefonata, neanche quella di qualche manager che chiedeva informazioni su di me per riferirle a Nikki, o Tommy. Niente, silenzio totale. Stavo iniziando a dimenticarmi di loro e a godermi invece la mia famiglia e la mia migliore amica.
Jane si sbagliava, non sarei tornata da loro. Primo, i Mötley non mi volevano più e, secondo, io non avevo bisogno di loro. Non ero più una ragazzina e ora che ero cresciuta non significavano un granché per me. Potevo iniziare una vera vita, lontana dalle fantasie di un’adolescente infatuata.
«Tesoro, perché non ti fermi qui da noi per un po’, qualche giorno o una settimana, vedi tu.» cercò di convincermi mamma.
«No, voglio stare da Jane. Sapete, ho trovato un lavoro in un ristorantino davanti al fast-food dove lavora lei e la aiuto a pagare l’affitto. Poi i proprietari dei due locali si odiano e quindi ci divertiamo troppo a raccontarci le cattiverie che si dicono alle spalle, la sera quando torniamo a casa. Sto bene da lei mamma, non preoccuparti.» risposi sorridendole.
«Hmm, va bene. Se è quello che vuoi, allora ok. Però questa sera stai qui e ceni con noi, poi ti lasciamo libera.»
«Va bene capo!» risposi ridendo.
 
21:48
La cena con i miei era stata come sempre piacevole. Sentire di nuovo il gusto degli squisitissimi piatti che preparava mia madre mi riempì il cuore di felicità. Quella giornata mi aveva permesso di ritornare bambina, quando in casa regnavano solo la buona musica degli anni 60 e tanta spensieratezza e gioia.
«Se lavi i piatti, lavali per bene.» sentii dire mia madre dalla cucina.
«Ma tesoro, non sono bravo come te.»
«Oh piantala!» rise lei subito dopo che mio padre le ebbe stampato un sonoro bacio sulla guancia.
Erano sempre stati una coppia adorabile, un po’ quella che avrei voluto formare io con un mio possibile compagno. Compagno che, però, non poteva essere Nikki. Me lo immaginai mentre si impegnava ad apparecchiare il tavolo come faceva mio papà e fui costretta a scuotere la testa a destra e sinistra perché l’immagine mi parve davvero ridicola. Invece immaginai me e lui in una casa davvero piccola e sporca: Nikki che, seduto per terra e addossato al divano logoro, si buca il braccio per farsi la sua dose quotidiana di droga e io, in piedi davanti alla porta, con i vestiti stracciati e luridi, che tento di tenere fuori di casa nostra gli spacciatori. Quella mi parve la scena più adeguata che avrebbe potuto descrivere un mio futuro con Nikki Sixx. Quando ero una ragazzina di sedici anni immaginavo tutto rose e fiori, ma non era affatto così. Provai ad immaginare quella scena anche con Tommy ma, sinceramente, non si formò nessuna immagine nella mia testa. Con T-Bone non vedevo un futuro, perché la nostra “relazione” non era praticamente neanche cominciata.
Mentre i miei genitori sistemavano la cucina, io me ne stavo seduta in soggiorno, guardando la televisione.
Ad un tratto, cambiando canale ogni tre secondi perché non trasmettevano niente di interessante, notai un programma musicale tipo MTV. Stavano mostrando video musicali e così poggiai il telecomando. Finalmente avevo trovato qualcosa di interessante.
Gli occhi mi si chiudevano per la stanchezza ma li riaprii immediatamente quando sentii l’inizio di Home Sweet Home. Istintivamente mi guardai attorno ma subito dopo capii che proveniva dalla televisione. Stavano trasmettendo il video dei Mötley.
Lo guardai tutto, dall’inizio alla fine, pensando a quanto mi piaceva quella canzone e quando terminò mi sentii sconfortata. Ma subito dopo il video, apparve la faccia di un intervistatore americano e dietro di lui riconobbi le luci di Tokyo.
«Siamo qui in compagnia dei Mötley Crüe, una delle giovani band californiane che hanno sfondato nella scena glam-metal all’inizio degli anni 80. Ragazzi, come vi sentite ad essere diventati, in così poco tempo, delle vere e proprie rockstar di fama mondiale?» disse la voce dell’uomo dalla tv.
Non potevo crederci, li avevo riconosciuti tutti. Mick, Vince, Nikki e Tommy, che stava salutando la telecamera facendo la linguaccia.
«Beh ovviamente siamo molto esaltati, puoi capire no? Siamo contenti di avere così tanti fans che ci seguono pure qui in Giappone.» rispose Vince.
Era un’intervista che dovevano aver fatto subito dopo che ero andata via. Qualche giorno dopo, sicuramente.
«E oltre ai fans avete anche molte donne che vi seguono immagino. A proposito di donne, Nikki dov’è finita la ragazza che vedevamo sempre in tua compagnia?» sorrise ancora l’intervistatore portando il microfono sotto la bocca del bassista.
Notai Tommy che aveva smesso immediatamente di fare il cretino e aveva abbassato lo sguardo verso i suoi piedi. Nikki invece mi sembrava sconvolto, a dire il vero non sembrava neanche più lui. Aveva gli occhi persi nel vuoto e due grandi occhiaie violacee. Aveva il microfono davanti alla bocca ma non parlava, la teneva socchiusa come se stesse cercando le parole giuste.
«Beh… E’ andata via.» disse ad un tratto, imitando con le mani una bolla che scoppia.
«Non era una cosa seria, niente di che. Era solo una groupie che mi piaceva più delle altre. Aveva delle belle gambe, non trovi Vince?» rise Sixx rivolto al cantante ma Vince lo guardò con compassione e mi sembrò che provasse pena per lui.
Avevo già le guance bagnate dalle lacrime, ma mi ostinai a non cambiare canale.
«Allora puoi farle un saluto. Magari ti sta guardando e le farà piacere ripensare ai bei momenti che avete passato insieme, se capisci cosa intendo.» ammiccò l’uomo davanti alla telecamera.
«Beh, no, non ce n’è bisogno. Ripeto che non era niente di importante, non mi interessa.» rispose Nikki alzando le spalle.
Per un attimo mi parve di sentire aprirsi una crepa, da qualche parte, dentro di me.
«Allora grazie ragazzi e buona continuazione del tour. Questi erano i Mötley Crüe, comprate il loro nuovo album Theatre Of Pain già disponibile in tutti i negozi di dischi.» concluse e iniziò un nuovo video musicale, di un gruppo che non conoscevo.
Spensi la televisione e mi alzai di scatto dal divano.
«Mamma, papà, io torno in appartamento! Si è fatto tardi e Jane mi sta aspettando!» gridai dal corridoio perché mi sentissero.
Presi il giubbotto di pelle e me lo infilai, cercavo di andarmene più velocemente possibile perché non volevo che i miei genitori mi vedessero piangere.
«Ok tesoro, ma torna a trovarci ti prego!» la voce di mia mamma suonò alle mie spalle, ma io ero già uscita dalla porta.
No, non sarei tornata dai Mötley Crüe. Non dopo quello che avevo appena sentito. Non ora che avevo capito cos’ero veramente per Sixx.
 
Casa di Jane, 23:38
«Vaffanculo!» sbattei la porta d’ingresso così forte che pensai che mi sarebbe caduta addosso.
Corsi in soggiorno, buttando la mia borsa e il giubbotto a casaccio sopra il divano.
«Che succede?» Jane sbucò dalla camera da letto.
Mi guardò con gli occhi sbarrati.
«No, quella cosa non entra in casa mia.» dissentì guardandomi le mani.
Reggevo una bottiglia nuova e piena di Jack Daniel’s che mi ero fermata a comprare prima di ritornare a casa, e avevo intenzione di scolarla tutta.
«Piantala, non fare la stronza. Il tuo appartamento è sommerso da bottiglie di vodka, io ho bisogno di bere e quella roba non mi piace. Così ho preso il caro, vecchio e buon Jack.» controbattei io poggiando la bottiglia sul bancone ed iniziando ad aprirla.
La mia amica rimaneva vicino a me, a fissarmi come se fossi andata fuori di testa.
«Perché hai tutta questa fretta di ubriacarti?» mi chiese mentre mi guardava combattere con il tappo.
Cercai di svitarlo ancora per qualche attimo, senza rispondere, poi mollai la presa.
«Li ho visti.» risposi.
«Chi?»
«I Crüe. Li ho visti… Erano lì, in tv.» allungai il dito indice ed indicai il televisore.
Rimasi ferma con il braccio a mezz’aria per qualche secondo e poi tornai ad occuparmi del tappo della bottiglia, riuscendo finalmente a svitarlo.
«Come ai vecchi tempi… “Double Bubble”!» iniziai a bere, tanto.
Con il tempo, dopo aver assistito a quel rito che i Mötley facevano prima di ogni spettacolo, ero riuscita a perfezionare la tecnica e bevevo il Jack Daniel’s come se fosse acqua. Beh, magari non proprio acqua ma quasi.
«Spiegati per favore.» continuò la mia amica non appena staccai le labbra dalla bottiglia.
«Cosa cazzo devo spiegare? Erano in televisione. Credo fosse un’intervista di qualche giorno dopo che me ne sono andata. Li ho visti tutti e quattro, erano proprio lì, davanti ai miei occhi. Il giornalista ha chiesto a Sixx dove fosse finita la ragazza che stava sempre con lui. Ha risposto solo con un semplice “Se n’è andata. Era solo una groupie che mi piaceva più delle altre.”. Poi il tizio gli ha chiesto se voleva fare un saluto a questa presunta “ragazza” e Nikki ha detto “No, non era niente di importante con lei. Non mi importa.”, o una stronzata simile. Insomma, tutto qui. Sono sempre stata solo questo per lui, solo una groupie più carina delle altre. Aveva capito che gli avrei aperto le gambe quando voleva, perché ero innamorata persa di lui, e ha sfruttato l’opportunità.» risposi, bevendo ancora.
Jane mi aveva ascoltato senza battere ciglio.
«Come ti è sembrato? E Tommy?» chiese ancora.
«Nikki era strafatto. Si vedeva distante un miglio. Aveva delle occhiaie viola sotto agli occhi e sembrava su un altro pianeta. Tommy ha semplicemente abbassato lo sguardo. Non hai ancora capito? Se ne sono fregati altamente di me, fin dall’inizio.» sorrisi. Ma non era un sorriso di gioia, più che altro era un sorriso forzato, amaro, per dimostrare che potevo superare a testa alta quella cosa. Ma in realtà non ero abbastanza forte per superarla.
«Tranquilla, vai a dormire. Ho bisogno di stare da sola adesso. Poi metto a posto, non preoccuparti.» dissi a Jane.
«No, voglio aiutarti. Hai bisogno di…»
«No, non ho bisogno di niente! Jane ti prego, voglio che tu mi lasci in pace, devo riflettere su questa cosa. Vai per piacere.» alzai la voce. Volevo solo stare sola con la mia bottiglia di Jack Daniel’s.
Lei mi guardò e poi, alzandosi dallo sgabello vicino a me, andò nella sua camera chiudendosi la porta alle spalle.
Ricominciai a bere, portandomi la bottiglia pure sul divano letto. Mentre il whiskey mi bruciava la gola dopo ogni sorsata, piansi. Piansi di disperazione, di dolore per quello che Nikki aveva detto. Era un pianto misto di rabbia e delusione. Aver compreso che per Nikki non ero mai stata altro che una groupie che si poteva scopare a piacimento quando voleva, mi fece soffrire. Pensavo che mi amasse, almeno un po’, ma a quanto pare, mai cosa è stata più falsa.

  
da sinistra: Nikki, VInce, T-Bone, Mick                                                                                                                                            da sinistra: Tommy, Mick, Vince, Nikki

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Capitolo 16
*** 16 agosto 1985 ***


©

16 agosto 1985

Casa di Jane, 11:48
«Ti devi alzare, cazzo. Dobbiamo andare al lavoro, non puoi restare a poltrire a letto ancora. Sono giorni che vai avanti così.» disse la mia amica scostando le tende da davanti la finestra. La luce forte del mattino entrò nella stanza e mi obbligò a tirarmi le coperte sopra agli occhi per evitare che mi bruciasse le retine.
Sbuffai.
«No, non ci vado oggi. Lasciami in pace.» ribattei.
Per un po’ non la sentii più, pensavo che avesse rinunciato a buttarmi giù dal letto e fosse uscita per andare a lavorare al fast-food.
Ad un tratto però, quando meno me l’aspettavo, le coperte mi vennero letteralmente strappate dalle mani e mi ritrovai in mutande con la luce del sole che mi scaldava la pelle.
«Mi sono rotta le palle di questa storia. Ora, o ti alzi e porti quel tuo bel culo al lavoro, oppure sarò costretta a sbatterti fuori casa. Decidi tu.» disse mentre ancora reggeva le lenzuola.
«Tanto ho sempre la casa dei miei genitori. Loro sono ben felici di ospitarmi.» la sfidai con un ghignetto sulle labbra.
«Si, ma tu non vuoi andare da loro, altrimenti ci staresti già. Avanti, alza le chiappe.» concluse lei tornando in camera sua con le mie coperte.
Scossi la testa a destra e a sinistra sorridendo. Jane era peggio di un generale della marina, e dire che quando eravamo adolescenti era lei la più irresponsabile delle due.
Mi alzai e preparai una tazza di cereali con una goccia di latte e iniziai a mangiare mentre guardavo fuori dall’appartamento.
«Ci vediamo dopo. Mi raccomando, guarda che ti tengo d’occhio.» disse Jane uscendo dalla porta di casa.
La salutai sventolando in aria il cucchiaio e poi, con un altro lungo sospiro, andai a vestirmi.
 
Ristorante sul Sunset Strip, 14:29
Stavo seduta su una sedia, con il grembiule da cameriera stretto tra le mani, e fissavo il pavimento.
«Che ti succede?» disse ad un tratto Matt.
Matt era un ragazzo che avevo conosciuto lì al ristorante. Era il figlio del proprietario, ma lavorava anche lui come cameriere. Aveva tre anni più di me, occhi scuri e capelli biondo cenere. Era il classico ragazzo della porta accanto, simpatico e amichevole, ne bellissimo ne bruttissimo. Insomma, solo Matt.
Da subito non gli avevo dato molta confidenza, volevo prima conoscerlo meglio ed essere sicura che fosse uno sano di mente. Dopo l’orribile esperienza di Jake non avevo dato molta fiducia agli uomini. Gli unici erano stati Nikki e Tommy. Ma dopo aver chiarito a Matt il perché del mio comportamento prudente e un tantino troppo diffidente, lui aveva capito e mi aveva lasciato il tempo per potermi fidare di lui, giurandomi che non era uno squilibrato. Era un bravo ragazzo, ma per davvero questa volta.
«Niente.» risposi senza alzare lo sguardo.
«“Niente” non è una risposta. Avanti sono tuo amico, lo sai no? Non starai ancora pensando a quel gruppo di musicisti pazzi vero? Lasciali perdere, hai fatto bene ad andartene. Non ti meritano, e poi tu stai meglio senza di loro.» disse lui, cercando di consolarmi.
«Lo so, ma li ho visti per tv l’altra sera. Mi mancano, sai?» continuai io rigirandomi il grembiule tra le mani.
«E tu manchi a loro?»
La sua domanda fu come un pugno nello stomaco. Un pugno fortissimo.
Alzai lo sguardo verso il suo viso.
«Perché me lo chiedi?» avevo gli occhi umidi.
«Rispondi e basta.»
Strinsi i denti e tentai di ricacciare indietro le lacrime che erano già pronte ad uscire.
«No... non gli manco.» risposi, tornando a fissare il pavimento.
«Appunto.» fu il suo commento.
Mi diede una pacca sulla spalla e tornò al lavoro.
Sapeva che sbattermi in faccia la verità e lasciarmi sola con lei mi avrebbe aiutato a richiudere quel varco che mi sentivo nel torace. Dovevo solo affrontare la realtà e andare avanti. Mi sono sempre considerata una donna forte, una donna con le palle, ma in quel momento capii che nel mondo esistevano degli ostacoli anche per me.
Ricacciai indietro il groppo che mi si era formato nella gola e mi asciugai con la mano le leggere lacrime che erano scappate alla mia sorveglianza. Alzai la testa, per combattere quella delusione che da giorni mi sovrastava, e legai il grembiule per tornare al lavoro.
Da lontano vidi Matt che mi osservava, per capire se la mia “crisi” momentanea fosse passata. A dire il vero non so se fosse andata via o no, ma non potevo andare avanti in quel modo.
“Ora basta.” mi ripetei nella mente stringendo i denti.
Chiusi per un secondo gli occhi per fare chiarezza nella testa e andai in cucina per prendere l’ordine e portarlo al tavolo, sfoderando ai clienti il mio sorriso.
 
Casa di Jane, 20:58
«No tranquilla, vai e divertiti.» dissi con la cornetta del telefono all’orecchio.
All’altro capo c’era Jane che mi avvisava che alcuni suoi colleghi al fast-food l’avevano invitata ad uscire e che non sarebbe tornata a casa tanto presto. Aveva esteso l’invito anche a me ma io avevo rifiutato, dicendole che stavo bene a casa, mi sarei preparata una tazza di tè e mi sarei guardata un film che davano per televisione.
«Vedi di non ubriacarti troppo, ciao.» salutai.
Non appena chiusi la conversazione, mi fu chiaro come avrei passato il resto della serata.
Mi sfilai gli abiti con cui ero andata a lavorare quel giorno e mi vestii con qualcosa di comodo. Poi mi preparai una bella tazza di tè caldo fumante. Accesi la tv e sistemai il divano letto creando un giaciglio morbido e tiepido con le coperte e le lenzuola, poi andai in camera di Jane.
Sapevo che, da qualche parte, conservava ancora le registrazioni che le avevo mandato periodicamente durante i tour con i Mötley. Se possedeva ancora la polaroid di Tommy, allora c’erano anche quei video. Dovevo solo cercali ovunque.
Iniziai a frugare dappertutto, aprendo e richiudendo tutti i cassetti possibili. Cercai in ogni angolo della sua stanza, poi, sotto a una coperta nel fondo dell’armadio, vidi una scatola dove una volta doveva esserci un vecchio paio di stivali.
La aprii e li vidi. Erano tutti lì, impilati e sistemati in ordine di data.
Presi tutta la scatola e tornai in soggiorno.
Infilai la prima cassetta nel lettore apposito e la feci partire. Mentre aspettavo che nello schermo nero apparissero le immagini, sorseggiai il tè che si era un po’ raffreddato, ma era ancora caldo abbastanza per coccolarmi a dovere.
«Ciao Jane, allora, siamo… Nikki piantala!!» la mia voce, proveniente dalla televisione, mi fece alzare gli occhi.
C’ero io, con la telecamera puntata verso la faccia, che cercavo di salutare Jane ma Sixx continuava a baciarmi il collo facendomi il solletico e non riuscivo a tenere ferma l’inquadratura.
«Ciao baby!» apparve la faccia di Vince che mandava un bacio con la mano.
«Si, come puoi vedere ci manchi e qualcuno sente davvero molto la tua mancanza. Vince se non la smetti di fare il pervertito, giuro che ti arriva un pugno sui denti.» di nuovo la mia voce.
Sorrisi mentre sorseggiavo la bevanda calda dalla tazza e osservai le immagini senza battere ciglio.
Andai avanti così per un bel po’, terminando una cassetta e ricominciando con un’altra.
«Sai, non credo di essermi mai sentita tanto felice. Credo di aver trovato il mio posto finalmente.» ad un tratto poggiai la tazza sulle gambe e mi concentrai sul video.
«Amo Nikki e lui ama me, siamo perfetti. Ti rendi conto? Immaginati un matrimonio, tu potresti essere la damigella.» ero io che, sola nella camera di un albergo, parlavo a Jane esprimendo tutta la mia contentezza.
«Ok, sto esagerando, ma non mi stupirei se un giorno potesse succedere.» i miei occhi facevano trasparire la mia spensieratezza in quel periodo della mia vita.
Ripresi la tazza del tè e mi alzai dal letto per risciacquarla nel lavandino mentre ancora la mia voce risuonava dal televisore.
Spensi le luci e tornai sotto le coperte, coprendomi fin sopra la testa. La cassetta continuava ad andare avanti e mi addormentai mentre le voci dei Crüe e la mia riecheggiavano nel soggiorno silenzioso.
 
03:22
«Merda…» mi parve di sentire la voce di Jane.
Rimasi immobile per non farle vedere che mi aveva svegliata.
«Perché ti fai del male in questo modo?» continuò lei bisbigliando.
La sentii mentre sistemava le cassette nella scatola degli stivali e la poggiava accanto al divano letto. Sospirò. Sapevo che se avessi aperto gli occhi l’avrei trovata a pochi centimetri dal mio viso mentre mi osservava con sguardo apprensivo, ma mi concentrai per riuscire a tenerli chiusi. Poi la sentii alzarsi e cambiare stanza.
Dopo cinque minuti le coperte del mio letto si alzarono e percepii il corpo di Jane che si sistemava vicino al mio.
Mi finsi assonnata e mi girai verso di lei.
«Ciao… Che ore sono?» chiesi socchiudendo gli occhi.
«Lascia perdere… Dai, vieni qui.» si avvicinò di più e mi abbracciò.
Rimasi stupita. Non si era mai comportata così, solo quando eravamo piccole e organizzavamo dei pigiama party capitava che ci intrufolavamo sotto alle coperte del letto per raccontarci i segreti più intimi e poi ci addormentavamo vicine, ma crescendo non era più successo. Anche se lei era la mia migliore amica, non era più capitata una cosa simile.
Mi lasciai andare, e cominciai a piangere.
«Non ce la faccio più…» singhiozzai sulla sua spalla.
Le mie emozioni avevano ripreso il sopravvento ancora.
«Devi solo sfogarti una volta per tutte. Avanti, butta fuori tutto quello che hai dentro.» disse lei stringendomi più forte.
«Perché l’ho tradito? Dovevo solo stargli vicino, e invece mi sono allontanata. Sono stata un’idiota. O forse lui non mi ha mai voluto, forse è vero che sono sempre stata solo una groupie per lui. Io lo amo Jane, perché mi sono innamorata di Nikki? Perché?» continuavo a piangere a dirotto.
Lei non parlava, lasciava che i miei dubbi, le mie preoccupazioni e tutto il mio dolore, uscissero dal mio corpo, trasportati dalle lacrime.
Ricordo solo che dopo molti singhiozzi mi ero addormentata, protetta dal calore dei nostri corpi vicini.

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Capitolo 17
*** 24 agosto 1985 ***


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24 agosto 1985

Casa di Jane, 10:47
Quel giorno mi ero svegliata come sempre, solo molto più rilassata. Era un sabato e quindi non dovevo andare al lavoro, Matt si era offerto di prendere il mio posto nei fine settimana così io avevo sabato e domenica liberi.
Mi ero svegliata stranamente felice perché sapevo che avrei avuto tutta la giornata a mia disposizione, e poi, il mio animo era molto più spensierato dopo il mio sfogo definitivo qualche giorno prima con Jane. Dopo che lei mi aveva lasciato liberarmi dai pensieri che mi opprimevano, ero riuscita ad affrontare a testa alta i problemi che riguardavano Nikki e l’essere la sua groupie, e tutto si era sistemato al meglio.
Mi sedetti sul letto, stiracchiando per bene tutti i muscoli per liberarli dall’intorpidimento notturno. Avevo una strana voglia di bacon, uova e pancakes, così mi ero alzata ed ero corsa direttamente alla cucina per fiondarmi ai fornelli.
«Cos’è questo profumo così letale per la mia splendida linea?» aveva esordito la mia amica, spuntando dalla sua camera da letto.
«Cibo.» avevo risposto con un enorme sorriso sulla faccia, posando sul bancone due piatti di uova e pancetta e un piatto con una pila di dieci pancakes.
«Non mangerò tutta questa roba.» disse Jane sedendosi di malavoglia sullo sgabello. Sembrava uno zombie, non si era ancora svegliata del tutto.
«Piantala di rompere, sono le undici ormai, almeno così siamo sazie fino a questa sera.» risposi sedendomi vicino a lei ed iniziando a gustarmi quella splendida colazione.
Rimanemmo sedute per mezz’ora, mangiando e chiacchierando mentre di tanto in tanto sorseggiavamo del freschissimo succo d’arancia.
«Allora, cosa vuoi fare oggi? Potremo andare a fare shopping in centro, così spendiamo tutti i soldi guadagnati fino adesso.» chiese la mia amica.
«No, non ho voglia di stare in città.» avevo risposto con la bocca piena.
«Tesoro, non mi viene in mente nient’altro.» disse Jane alzando gli occhi al cielo.
In effetti avevamo tutto a disposizione lì a LA. Spostarsi dalla città in un sabato estivo come quello era veramente da scemi.
«Va bene, senti, andiamo in spiaggia. Che ne dici? Ci portiamo i pattini, dai sarà divertente.» tentò di persuadermi lei.
Ci pensai per un attimo. L’idea infondo non era male.
«Ok, va bene.» acconsentii.
Sorrise, contenta di avermi finalmente convinto.
Finimmo di mangiare la nostra abbondante colazione, ridendo e scherzando di come sarebbe stato divertente far sbavare i ragazzi mentre pattinavamo sul lungomare con i pantaloncini corti e il costume, mettendo in mostra il nostro “ben di Dio”.
 
Venice Beach, 16:02
«Tesoro non so proprio se ce la faccio il prossimo week-end.»
«Beh dai, fai un salto al Whisky a Go-Go ci divertiremo. Dammi questa occasione di uscire con te, bellezza.»
Ascoltavo Jane mentre chiacchierava con un tizio che ci aveva fermate mentre stavamo pattinando. Era un bel ragazzo, ma si vedeva distante un chilometro qual’era il suo scopo. La mia amica lo teneva sulle spine perché si divertiva troppo a vederlo sudare per l’ansia mentre aspettava una sua risposta. Questo tipo aveva anche un amico, che per tutto il tempo era rimasto in piedi di fronte a me e mi squadrava come un lupo affamato guarda la sua preda. Ogni tanto si passava la lingua tra le labbra e si accarezzava il mento pensando di risultare talmente irresistibile da farmi saltare addosso a lui senza pensarci un secondo di più. Quanto si sbagliava.
«Dai dolcezza.» ancora la voce del tipo.
«Senti, ti ha detto che è occupata il prossimo sabato, vedi di smetterla. In ogni caso puoi scordarti che lei si cali la gonna per te, e in quel posto non ci torna più, chiaro? Accontentatevi di averci guardato le tette per mezz’ora, mi sembra già più che sufficiente.» sbottai e presi Jane per un braccio trascinandola via. I due erano rimasti a guardarci sbigottiti mentre ci allontanavamo.
«Ehi che ti succede? Sai che non avevo intenzione di accettare il suo invito.»
«Si che lo so, ma la stavi tirando per le lunghe con quello. E poi il suo amico mi stava sui nervi. Continuava a leccarsi le labbra e mi fissava le tette, stavo per tirargli un cazzotto sui denti.» dissi a Jane.
Lei iniziò a ridere.
«Basta, torniamo in centro. Andiamo a casa, non voglio più stare qui.» mi lamentai.
Mi ero rotta di andare in giro in spiaggia e dare spettacolo per i maschi eccitati che se ne stavano lì solo per fissare il davanzale e il sedere delle belle ragazze come noi.
«Ok va bene. Allora andiamo sul Sunset Strip. Non ti porto a casa in un sabato come questo, chiaro? Oggi si festeggia fino a notte fonda.» controbatté lei.
«Fai come ti pare.» fu la mia risposta.
Che palle, sapeva davvero farmi incazzare quando mi obbligava a fare qualcosa che non volevo. Ma non potevo disubbidirle, infondo, ma molto infondo, avevo voglia anche io di andare a divertirmi.
 
Sunset Strip, 01:23
«Ho il rossetto sistemato?» mi chiese la mia amica avvicinandomi le labbra agli occhi.
«Si!» risi come una matta.
Ci stavamo divertendo un casino. Eravamo state in un paio di locali lì sul Sunset, e in tutti ci avevano offerto due giri gratis. In poche parole posso dire che per quella sera avevamo bevuto sufficientemente e senza spendere un soldo.
Tenevo la mia amica a braccetto e cercavamo di sorreggerci a vicenda per evitare di cadere dai tacchi altissimi, mentre con una mano tentavamo di abbassare il vestito in modo che non ci venisse fuori il fondoschiena.
«Guarda chi c’è. Candice!!» Jane mi mollò e corse da una ragazza con i capelli biondi che chiacchierava fuori da un locale con un gruppo di amici. Iniziarono a schiamazzare e capii che la cosa si sarebbe protratta per le lunghe.
Accesi una sigaretta e proseguii a camminare lungo il marciapiede restandomene vicina al muro per evitare che qualche capogiro mi facesse cadere.
Ad un tratto notai un’ombra fuori da una porta. Era illuminata da poca luce e quindi non riuscivo a distinguere di chi si trattasse. Stava fumando e di tanto in tanto si voltava a guardare la gente che passava.
Decisi di proseguire. Se fosse stato un maniaco o qualcosa di simile, l’avrei colpito con la scarpa. Un tacco di dodici centimetri conficcato nella coscia gli avrebbe fatto abbastanza male da permettermi di scappare.
Continuai a camminare e lanciai la sigaretta finita sul ciglio della strada. Ma quando fui abbastanza vicina, riconobbi quella persona.
Non potevo crederci, cosa ci faceva lì? Non doveva essere a Los Angeles.
«Tommy?» chiamai sgranando gli occhi.
Si voltò verso di me e si staccò dal muro, mentre io fui costretta ad appoggiarmi perché mi erano venute le vertigini.
«Penny…» bisbigliò.
«C-cosa ci fai qui?» domandai con gli occhi sgranati.
«Ma come? Avevamo il concerto all’Inglewood Forum qui a LA. Non te lo ricordi?»
Avevo totalmente scordato le tappe del tour. Credevo addirittura di aver scordato l’esistenza dei Mötley stessi.
Ci fu silenzio. L’unica cosa che facemmo fu guardarci negli occhi.
«C-come stai?» mi feci coraggio.
«Molto bene, stiamo facendo scintille con il tour.» rispose con un sorriso a trentadue denti.
«Non parlo del tour…» dissi, guardandolo negli occhi.
Abbassò lo sguardo e il suo sorriso scomparve.
«Sto bene. Ho conosciuto una, Heather Locklear. E’ fantastica, non mi stupirei se tra qualche mese le chiedessi di sposarmi.» continuò il batterista.
Wow, niente peli sulla lingua. A quanto pare non era rimasto troppo scosso dalla mia partenza. Buon per lui, non aveva trovato una qualsiasi. Heather era un’attrice davvero bella: bionda, occhi azzurri, con un sorriso mozzafiato. Non c’era dubbio del perché T-Bone se ne fosse innamorato a prima vista.
«Sono contenta per te. Visto? Te l’avevo detto io che avresti amato qualcun altro e non me per tutta la vita.» scherzai ridendo e cercando di nascondere la delusione.
«Io ti amo ancora…» rispose lui prendendomi il viso tra le mani.
«No Tommy, non dire cazzate. Smettila, sono contenta per te. Basta, sei mio amico, punto. Smettiamola con queste stupidaggini.» iniziai, togliendo le sue mani dalle mie guance.
«Dimmi di Nikki. Come sta?» proseguii, cambiando discorso.
Non rispose subito, forse era rimasto sorpreso della mia innaturale freddezza. Mi dispiacque trattarlo in quel modo, ma dovevo farlo per me stessa.
«Non bene. E’ peggiorato. Si sballa in continuazione e io non so più cosa dirgli per fermarlo. Ora è qui dentro, io sono uscito perché non ce la facevo a vederlo ridursi in quello stato.» rispose lui dopo qualche secondo di silenzio.
«E’ arrabbiato con il mondo intero. Gli manchi Penny, veramente. All’inizio lo faceva per colmare il vuoto che sentiva dentro, ma adesso ne è diventato dipendete e si sballa perché non può fare altrimenti.» concluse voltandosi, come se attraverso il muro riuscisse a vedere il suo migliore amico che si rovinava.
Rimasi allibita, non sapevo cosa dire. Non avrei mai pensato che Nikki avrebbe cominciato a drogarsi fino a quel punto.
«Portami da lui.»
«Cosa?! Sei pazza?»
«Ho detto, portami da lui.» dissi con voce ferma.
Tommy, sospirò. Forse era la cosa sbagliata andare da Sixx in quel momento, ma non potevo lasciarlo ammazzarsi senza fare niente. Dovevo provare a fermarlo, ed ero disposta a tutto pur di riuscirci. Nonostante tutto ero sempre stata legata al bassista, e ci tenevo a lui. Quell’incontro con T-Bone fu davvero un segno del destino, credo. Forse venire a sapere che erano a Los Angeles era esattamente quello che doveva succedere perché Nikki aveva bisogno di me. Non potevo abbandonarlo, non di nuovo.
«Vieni…» rispose il batterista ed aprì la porta che si trovava alle sue spalle.
Una volta entrati percorremmo un corridoio lurido illuminato da luci al neon che non davano segno di un buon funzionamento. Ogni tanto ne saltava qualcuna e ci ritrovavamo a camminare per un tratto al buio.
Ad un certo punto, svoltato un angolo, si aprì di fronte a noi una sala dove la musica copriva ogni altro rumore e delle luci colorate vorticavano illuminando i volti delle persone che si trovavano lì. Vidi un bar con quattro baristi che servivano alcolici, e molte, moltissime stripper che giravano attorno a dei pali d’acciaio mentre si toglievano i vestiti e lasciavano che gli uomini nella sala riempissero il loro reggiseno striminzito con una marea di dollari. Alcune di loro gironzolavano mezze nude attorno alle persone e altre portavano gli uomini in separé, lontano da occhi indiscreti, dove potevano esibirsi privatamente.
«In che posto mi hai portata?» chiesi inorridita a Tommy.
«Sei stata tu che hai voluto venire.» fu la sua risposta.
Mi prese il polso e mi lasciai guidare nella folla mentre un sacco di ragazzi con i capelli cotonati e uomini in giacca e cravatta mi squadravano dalla testa ai piedi.
«Tommy, dove hai trovato questo fiorellino? Pensavo fossi andato a fumarti una sigaretta.» esordì un tizio davanti ad una porta dall’altra parte della sala. Il tipo si mise a ridere e anche lui, come gli altri, mi fece una radiografia completa, soffermandosi a lungo sulla scollatura del mio vestito.
«La conosciamo da molto, sai certe amicizie sono per sempre.» sorrise T-Bone.
Quell’energumeno mi aveva scambiata per una spogliarellista e Tommy aveva finto che lo fossi, per permettermi di andare da Nikki che si trovava proprio al di là di quella porta.
«Buon divertimento ragazzi.» ci “salutò” lo scimmione e ci permise di entrare.
Quando la porta si fu richiusa alle nostre spalle, ci misi un po’ prima che i miei occhi si abituassero alla nuova luminosità. Era molto più buio che nella sala precedente e non riuscivo a distinguere le ombre che si muovevano dentro questa nuova stanza scura.
«Nikki, vieni qui.» disse il batterista.
«Ehi fratello! Vieni qui tu, ci stiamo divertendo come matti!» riconobbi la voce di Sixx.
Sentii T-Bone sospirare e poi mi trascinò con se.
Finalmente riuscii a scorgere le persone che riempivano quella stanza. In ogni caso, riconobbi solo Nikki. Non c’era traccia ne di Vince, ne di Mick.
«Ahahah! Si questa è bella, lo credo anche io…» il bassista rideva mentre reggeva tra le dita una sigaretta accesa. Davanti a lui, su un tavolo, c’erano whiskey e neve, tanta neve. Sperai che oltre alla cocaina non ci fossero anche sostanze peggiori.
«Guarda cosa ci ha portato Tommy… E bravo ragazzo!» uno degli uomini che stavano attorno a Sixx mi aveva notata.
Il bassista si voltò per poter ammirare la spogliarellista che il suo amico aveva portato per aggiungere altro divertimento alla festa, ma non trovò quello che cercava.
I suoi occhi si erano diretti subito sui miei. Fu come un riflesso spontaneo. Quando stavamo insieme, almeno dopo i primi tempi, Nikki non mi guardava più il corpo, ma fissava immediatamente i miei occhi. Era una cosa che faceva sempre, come se conoscesse a memoria ogni mia forma, ogni centimetro della mia pelle. Era diventato un gesto istintivo guardarmi negli occhi tralasciando tutto il resto. Ed era come se i miei occhi gli bastassero, come se non gli servisse altro. Aveva fatto la stessa cosa anche in quel momento. Conosceva già quel corpo ed istintivamente lo aveva lasciato perdere, ma aveva preferito guardarmi fissa nelle pupille per accertarsi che quella fossi veramente io.
Rimase fermo lì a fissarmi per un momento che parve interminabile. Poi si voltò verso T-Bone, come per chiedergli un’ulteriore certezza della mia presenza, ma non disse niente.
Abbassò lo sguardo e si alzò di scatto dalla sedia dirigendosi a passo svelto verso un angolo della stanza.
«Perché l’hai portata qui?» disse Nikki ad un certo punto.
«Lei ha voluto venire. L’ho incontrata per caso fuori dal locale e mi ha chiesto di te. Voleva vederti.» rispose Tommy.
«Allora riformulo la domanda. Per quale fottuto motivo sei venuta qui?» questa volta la domanda era per me.
Dire che l’avevo fatto perché senza di me sarebbe morto per overdose era sbagliato. Era anche una bugia, se vogliamo dirla tutta.
«Mi manchi Nikki.» quella era la risposta corretta. Ed era la verità.
Silenzio.
«Stronzate.» rispose.
«Invece sono stronzate quelle che dici tu. Non puoi dire che non ti sono mancata in questo periodo Nikki, non puoi farlo. Se non ti fossi mancata tu non ti ritroveresti a drogarti in uno squallido posto come questo assieme a gente che nemmeno conosci.» cercavo di non alzare la voce, ma mi risultava difficile e dovetti compiere un bello sforzo per evitare che le parole mi uscissero di bocca dure e cattive.
«Non mi drogo per causa tua. Cosa pensi di essere, il centro del mondo? Sei solo una stupida groupie, lo vuoi capire? Non vali niente, non sei niente.» controbatté lui avvicinandosi a me.
Le sue parole mi avevano ferito, ma cercai di non farmi abbattere. Sapevo che non era quello che pensava veramente, dovevo solo lasciarlo sfogare, proprio come aveva fatto Jane con me qualche tempo prima.
«Non sei così Nikki, lo sai. Cazzo perché non vuoi ammettere che mi ami? Perché non ammetti che mi ami ancora come una volta? Non dirmi che non mi hai amato perché sappiamo tutti che non è così, altrimenti non avresti reagito in quel modo quando mi hai vista a letto con Tommy.»
«Oh oh…» un coro di voci e risa interruppe il mio discorso.
«Ho sbagliato Nikki, ok? Sono umana e sbaglio anche io. Ti vedevo diverso per colpa di questa merda che continui a farti tutti i giorni e non ci ho visto più. Ho trovato protezione da un’altra parte, ma ho fatto un errore. Tu avevi bisogno di me per superare quel periodo e invece io ti ho abbandonato mentre cercavo di trovare un sostegno in Tommy. Dovevo starti vicino, dovevamo superare quella cosa insieme. Poi sono sparita, e quello è stato un altro errore. Invece di affrontare il problema, sono scappata un’altra volta. Ma ora sono qui Nikki, e non scapperò più. Non ti abbandonerò più. Andremo avanti insieme Nikki, non lasciarti sconfiggere dalla droga. Sono qui, siamo di nuovo uniti. Ti prego, aiutiamoci a vicenda. Ho bisogno di te, non ce la faccio più… Non sai come sono stata dopo che ti ho lasciato lì a Tokyo… E’ stato un inferno senza di te, mi dispiace… Perdonami, ti prego…» iniziai a piangere. Le ginocchia non mi ressero più e mi ritrovai per terra sul pavimento appiccicoso della stanza, con le mani sul viso e le lacrime che mi sgorgavano dagli occhi come un fiume in piena.
 
3:15
«Mi dispiace. Noi staremo qui fino a domani, abbiamo un concerto alla San Diego Sports Arena poi dobbiamo partire per Tucson. Non so cosa voglia fare, lo hai visto come è ridotto. Ma almeno ci hai provato.» disse Tommy quando ci ritrovammo davanti alla piccola porta sul marciapiede del Sunset.
Avevo parlato con Nikki, avevo cercato di convincerlo ma non ero riuscita a smuoverlo dalle sue idee. Infondo aveva ragione, l’avevo ferito ma non doveva lasciarsi sopraffare dalla dipendenza per la droga. Sapeva bene che era causata dal fatto che sentiva la mia mancanza, ma non lo voleva ammettere. Diceva che sballarsi era un modo per fare festa, per divertirsi, e io non centravo assolutamente niente. Entrambi sapevamo che era una balla.
«Si. Beh, sapete dove trovarmi. Sto da Jane.» risposi e mi ritrovai davanti la faccia perplessa di T-Bone.
«Aspetta… Cazzo, non ho una penna.»
«Ecco, tieni.» disse lui, tirandone fuori una dalla tasca dei jeans. Non ho idea del perché ce l’avesse proprio in quel momento. Forse era un altro segno del destino.
«Ecco… Questo è il suo indirizzo. Nel caso ci fossero cambiamenti mi trovate lì domani, per tutto il giorno.» sospirai e scrissi l’indirizzo dell’appartamento della mia amica sul braccio del batterista.
Mi disse di tenere la penna e ci guardammo negli occhi.
«Allora, ciao.»
«Ciao…» rispose. Si chinò su di me e mi baciò sull’angolo della bocca. Poi si voltò e tornò dentro all’edificio, sparendo dalla mia vista.
Sospirai di nuovo, infilandomi la penna dentro al reggiseno dato che non avevo nessun altro posto dove metterla.
«Ma che ci fai qui? Ti ho cercata ovunque, prima non c’eri e dire che ci sono passata da questa parte.» la voce di Jane mi risuonò alle spalle.
«Ehm, mi sono fumata una sigaretta mentre ti aspettavo ma devo essermi incamminata troppo avanti, sono appena ritornata. Scusa, mi sono distratta e non ho fatto caso che avevo proseguito troppo.» mentii sorridendo imbarazzata.
«Vabbè, torniamo a casa, è tardi.» rispose scuotendo la testa.
Mentre tornavamo indietro, ripercorrendo la strada verso casa, mi voltai a guardare la porticina del locale dove avevo rivisto Nikki. Pensavo che forse aveva cambiato idea e si stava precipitato fuori per inseguirmi e per dirmi che mi amava ancora.
Purtroppo la mia fantasia lavorava troppo velocemente e non mi accorgevo che mi stavo appigliando a sogni impossibili.


T-Bone

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Capitolo 18
*** 25 agosto 1985 ***


©


25 agosto 1985

Casa di Jane, 12:55
«Ho detto di no, ma grazie ancora lo stesso.»
«Si può sapere che ti prende?»
«Tu vai e lasciami stare!» dissi.
Io e Jane stavamo discutendo perché io non volevo andare con lei a pranzare e passare un’altra giornata in spiaggia.
«Vaffanculo, a volte sei insopportabile!» gridò lei avviandosi per uscire.
«Ciao!» la salutai. Mezzo secondo dopo si era già richiusa la porta alle spalle, sbattendola forte.
Mi sedetti su uno sgabello e mi guardai intorno, immersa nel silenzio. Quella sarebbe stata davvero una giornata lunga e faticosa.
Andai a preparare da mangiare, pescando qualcosa dal frigo. Non sarebbe stato un pranzo da ristorante, ma almeno non avrei passato il pomeriggio con i crampi allo stomaco per la fame.
 
15:00
Driiiiiing.
Mi svegliò il campanello.
Mi ero addormentata sul divano letto subito dopo aver mangiato e dormivo così profondamente che mi spaventai quando sentii il campanello suonare.
Mi alzai barcollante, ancora intontita dal sonno, e mi diressi alla porta per aprire. Non guardai dallo spioncino, ero troppo stanca.
Semplicemente aprii la porta.
«Ciao.»
La sua voce mi risvegliò totalmente dallo stato di sonno in cui mi trovavo e mi preoccupai di sistemarmi i capelli ingarbugliati per essere più presentabile.
Poi ci furono solo i suoi occhi verdi. Nient’altro.
«N-Nikki…» balbettai frugando nella mia mente in cerca di qualcosa da dire.
Era fermo davanti alla porta dell’appartamento. Quasi non sembrava reale e ricordo che avevo una voglia matta di toccarlo per vedere se era effettivamente di fronte a me o se stavo solo sognando.
Cercai ricompormi e gli feci cenno di entrare in casa. Non ci mise molto ad accettare l’invito, e si accomodò su uno sgabello della cucina.
«Ti posso offrire qualcosa da bere?» chiesi imbarazzata. Forse con un po’ di whiskey si sarebbe sentito più a suo agio.
«Un bicchiere d’acqua, grazie…» rispose. Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
Riempii dal rubinetto un bicchiere di vetro e glielo porsi titubante. Non sapevo se mi stava prendendo in giro o se faceva sul serio.
Lo scolò tutto leccandosi le labbra alla fine. Poi tornò a guardarmi.
Spostai lo sguardo altrove, ma continuavo a sentire i suoi occhi fissi su di me e il mio viso iniziò a divampare.
«Ok, sono un coglione.» disse ad un tratto.
Si passò una mano tra i capelli come per evitare di starsene fermo davanti a me senza dire niente. Sembrava imbarazzato. Non l’avevo mai visto così.
«Non avrei dovuto lasciarti partire quel giorno. E’ stato un terribile errore.» proseguì.
«Non avresti dovuto incontrarmi. Mai. Ecco l’errore.» risposi io, spostando il mio sguardo sui suoi occhi.
Non disse niente. Si morse il labbro e fissò il muro davanti a se.
«Se tu non mi avessi incontrata, quella sera dopo il concerto, adesso non staresti qui. Non staresti qui, agognando di poterti fare un po’ di neve o chissà che altro.» un sorriso amaro mi si dipinse sulle labbra.
«Ok va bene! Abbiamo sbagliato entrambi. Non è stata solo colpa tua. Io sono stato uno stronzo, come sempre. Tu ti sei solo comportata di conseguenza. Avresti potuto fare diversamente, d’accordo, ma non è stata tutta colpa tua. Chiaro? Quando due persone ci tengono l’una all’altra, fanno anche di questi errori.» iniziò a parlare, tornando a guardarmi negli occhi.
Sentirlo parlare così mi faceva male. Non poteva tenere a me, non doveva. Era sbagliato e lo sapevamo entrambi. Quella storia doveva essere solo un gioco, fin dall’inizio. Non poteva trasformarsi in qualcosa di più importante.
«Ci sono stati dei momenti in cui ho amato Tommy, veramente. Me lo sentivo dentro Nikki. Sentivo il cuore esplodermi. Mi sentivo felice.» cercai di trattenere le lacrime il più possibile.
Doveva sapere anche quello. Era la verità. Doveva sapere che T-Bone era stato qualcosa. Per poco, ma pur sempre qualcosa.
Sembrò non lasciarsi toccare da quello che avevo appena detto. Rimase impassibile. Forse stava pensando di girarsi ed uscire dalla porta dalla quale era entrato poco prima.
«Lo so.» disse.
«Non sono qui per parlare di Tommy. Non sono qui per parlare dei nostri errori.» si alzò dallo sgabello e si avvicinò a me, guardandomi dritta in faccia.
«Sono qui per chiederti scusa di tutto. Ogni stronzata che ho fatto e che farò. Sono qui per implorarti di riuscire a perdonarmi, sempre. Sono qui per accettare le tue scuse. Sono qui per ricominciare da zero… Non eravamo tanto male all’inizio.» concluse non appena fu a un centimetro da me.
«No, infatti…» sorrisi, senza guardarlo in faccia.
Fu lui a prendermi il mento tra le dita e a farmi sollevare lo sguardo incrociando il suo. Mi baciò.
Non ricordavo più il sapore dei suoi baci e mi sentii terribilmente dispiaciuta per questo.
Quando si staccò dalle mie labbra, continuò a fissarmi dritta negli occhi.
«Allora?» chiese dopo qualche secondo.
«Promettimi che farai il massimo. Promettimi che userai tutte le tue forze per tornare ad essere il Nikki Sixx di cui mi ero innamorata… di cui sono innamorata.» risposi io.
Sorrise immediatamente.
«Te lo giuro. Vieni qui…» mi strinse forte tra le braccia.
«Dio, quanto mi sei mancata…»
Sentii di aver finalmente ritrovato la pace. La mia pace interiore, la pace in lui. Sentii che finalmente tutto sarebbe ritornato come nel 1982. Tutto sarebbe stato di nuovo come in una favola.
Sapete una cosa? Uscire dal tunnel della droga non è facile per nessuno, soprattutto quando ci sei dentro già da un bel pezzo. Quel giorno pensai che dopo la promessa di Nikki, tutto si fosse già sistemato. Pensai che il passo successivo sarebbe stato semplice, dopotutto ero convinta che il grande salto Sixx lo avesse già compiuto.
Grande errore.
 
00:48
«Sei ancora sveglia?» sentii la voce di Jane che entrava in casa.
Ero in camera sua. Nikki mi aveva lasciata poco dopo il nostro abbraccio perché doveva andare a prepararsi per il concerto di quella sera alla San Diego Sports Arena, a cui non avrei partecipato, ma mi aveva promesso che, una volta finito di suonare, sarebbe tornato subito indietro.
«Ehi, ma che stai facendo?» chiese la mia amica varcando la porta della stanza.
«I bagagli.»
«Cosa? Mi stai prendendo per il culo vero?» mi guardò con gli occhi sgranati.
«Me la riprendo, Jane.» comparve Nikki, che era andato un secondo in bagno per prendere le mie cose e aiutarmi a fare le valige.
Lei lo guardò storto, con sguardo furioso. Pensai che gli sarebbe saltata addosso per sbranarlo.
«Non puoi farlo. Lo sai perché.» gli disse Jane.
Lui si fermò per un attimo, con il mio beauty case tra le mani.
«Non la sto obbligando.» rispose e poi tornò da me, per piegare una maglietta.
«Penny…» ora la mia amica si stava rivolgendo a me.
Cercai di fare di tutto per non guardarla, ma non ci riuscii. Aveva una faccia implorante, gli occhi lucidi e le labbra serrate. Per lei vedermi lì, pronta a partire nel giro di cinque minuti, non era per niente facile. Tutti gli sforzi che aveva fatto per aiutarmi a dimenticare Nikki e tutto quello che avevo passato con i Mötley, cose belle o brutte che fossero, si stavano frantumando in un secondo.
«Pensavo avessi capito…» disse e tornò in cucina.
Mi bloccai con le mani a mezz’aria e mi voltai verso Nikki.
«Torno subito.»
In cucina vidi Jane seduta su uno sgabello, i gomiti puntati sul bancone e le dita delle mani intrecciate forte tra i capelli.
Andai davanti a lei e mi appoggiai al muro, incrociando le braccia. Aspettai che fosse lei a dire qualcosa, ma rimase nel silenzio più assoluto.
«Ti stai comportando da bambina.» le dissi.
Rise piano.
«Io?»
«Si, tu.»
«No, non credo proprio. Sei tu la bambina. Non sarò qui di nuovo quando lui ti tratterà male un’altra volta. Non starò qui ad aspettare che ti faccia del male per poi consolarti. Non è stato facile per me averti qui, disperata e depressa, mentre ti ubriacavi o piangevi la notte.» disse lei, guardandomi fissa in faccia.
«Potevi dirmelo subito che ero un peso per te.» risposi io, senza far trasparire la mia sorpresa nel sentire le sue parole.
«Cosa credi di fare? Di poterlo salvare? Penny, non ti rendi conto che stai buttando via la tua vita? Hai vent’anni e ancora insegui uno stupido sogno da ragazzina adolescente. Pensi che smetterà di drogarsi solo perché tu sei ripiombata nella sua vita come una principessina delle fiabe? Come credi sarà domani, eh? E Tommy? Ci sarà pure lui domani mattina, quando ti risveglierai accanto al tuo amato Nikki Sixx, sbronza e senza un minimo di aspettative per il futuro.» ogni sua parola mi tagliava come una lama. Era come se mi stessero lanciando addosso dei coltelli, solo che non ne schivavo neanche uno. Li prendevo tutti in pieno.
«Credevo che almeno tu mi avresti capito.» sorrisi amaramente.
«Sono pronte le valige.» la voce di Nikki mi fece tornare in me.
«Ciao Jane, grazie.» presi una borsa dalle mani del bassista e varcai la porta d’ingresso, uscendo all’aria aperta.
Lasciarla così non era quello che avevo programmato, non era quello che avrei voluto. Sapevo che avrebbe reagito male, pensavo solo che sarei riuscita a minimizzare il più possibile i traumi causati dalla mia partenza.
«Andiamo.» il braccio caldo di Sixx mi avvolse le spalle e mi lasciai guidare da lui.
Se era giusto o sbagliato ricominciare quella vita non lo sapevo. Sapevo solo che stavo seguendo le mie sensazioni, il mio cuore, il mio cervello, il mio stomaco anche.
Dovevo solamente vivere.

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Capitolo 19
*** -Secondo intermezzo- ***


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Secondo (ma breve) intermezzo

Ok, lo so che vi avevo promesso che questa storia si sarebbe conclusa nel 1987 e che non l’avrei più interrotta, ma devo fare un’altra piccola pausa.
In quest’altra parte si può dire che io abbia vissuto i momenti più emozionanti della vicenda. Sono stata una grandissima stronza, ma anche Nikki è stato un grandissimo stronzo con me. Il tradimento con Tommy non è stato una ripicca però. Ero davvero innamorata di lui. Credo che infondo il mio innamoramento con T-Bone fosse iniziato da subito, solo che era cresciuto con calma e molto lentamente dentro di me. Poi quando Nikki ha scoperto tutto, sono scappata. Avevo deciso di abbandonare quella vita e ricominciare dall’inizio. Ma ero sola, senza Nikki e senza Tommy. L’unica persona che è riuscita a strapparmi dalla depressione più totale è stata la mia grande amica Jane. Credo che senza di lei non sarei mai riuscita a superare quel baratro.
Poi all’improvviso, sbang! Ripiomba Sixx e mi promette felicità e amore per l’eternità. Sapete, quando si hanno vent’anni si è ancora ragazzini e si pensa che la vita sia tutta rose e fiori. Si crede che infondo basti poco per superare i problemi. I problemi si superano sempre, solo che alcuni richiedono uno sforzo molto maggiore rispetto ad altri.
Quello che ho appena raccontato, il dolore, la solitudine, la difficoltà ad andare avanti, è niente rispetto a quello che sto per raccontare.
Quello che sto per raccontarvi, signori miei, è in assoluto il problema, l’ostacolo più difficile che io abbia mai superato. L’ho superato, è vero, ma non avete la minima idea di quello che ho dovuto passare.
Bene, quindi mettetevi comodi. Questa è la parte conclusiva della mia storia.
Voglio solo anticiparvi che ci sarà il lieto fine. Ma dovete sapere che per arrivare al lieto fine, ci sono moltissime voragini da saltare, e si ha solo una possibilità per riuscire a farlo.

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Capitolo 20
*** 26 dicembre 1986 ***


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Merry Christmas. Well, that’s what people say at Christmas, right?


26 dicembre 1986

Van Nuys, 3:48
Un assoluto macello. Ecco cos’è. Un macello.
E’ appena passato Jason. Non lo sopporto. Quell’aspetto da James Dean che non gli si addice per niente mi fa vomitare. Quando Jason entra in casa porta solo guai. Non è neanche decente come spacciatore.
Nikki continua a farsi. E con “continua a farsi” intendo proprio che si fa per davvero. Si fa di tutto.
Siamo qui rintanati da non so quanto tempo e ogni volta che lo vedo prendere in mano il telefono capisco che sta per chiamare quello stronzo di Jason perché la voglia di drogarsi torna ad incombere su di lui. Quando avevo deciso di tornare ad essere la sua “ragazza”, che poi non sono la sua fottuta fidanzata o robe simili, pensavo che avrebbe cambiato strada, che si sarebbe ripulito. Invece è andata sempre peggio. Sempre più soldi sono usciti dalle sue tasche e sempre più droga gli è entrata nell’organismo. I soldi non sono un problema, tanto ne guadagna un fottio, ma se li donasse in beneficienza invece di comprare la droga sarebbe sicuramente la cosa migliore.
In ogni caso ho promesso di stargli vicino. Gli ho promesso che non lo avrei più abbandonato e così supereremo questa cosa insieme. Magari sarà dura, ma so che ce la faremo.
 
«Ti prego Nikki, vacci piano. Lo sai che poi vai fuori di testa.» dissi lasciando cadere il capo all’indietro. Mi girava da impazzire e mi faceva male.
Sixx se ne stava seduto ai piedi del divano di casa sua a Van Nuys, nella San Fernando Vally a Los Angeles, e si stava fumando un po’ di freebase che Jason gli aveva appena consegnato insieme ad un altro casino di roba.
«Dovresti farti un tiro anche tu.» fu la sua risposta.
Chiusi gli occhi e sospirai. Era sempre la stessa storia.
«Potremmo passare il tempo in un altro modo…» dissi guardandolo negli occhi.
Lui staccò le labbra dalla pipa e mi osservò socchiudendole e piegandole in un sorriso. Sapevo che aveva capito a cosa stavo pensando.
«Lo so baby, ma ora non ne ho voglia. E poi sai di quanto tempo ho bisogno per eccitarmi. Sarebbe solo un’inutile spreco di energie.» continuò.
Quando l’avevo conosciuto non avrei mai pensato che mi sarei dovuta sforzare così tanto per convincerlo a venire a letto con me.
Lo ignorai e mi alzai dal divano dove ero stesa.
Mi accucciai di fianco a lui, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi, e gli tolsi la pipa dalla mano. Mi sedetti sopra di lui, attorcigliando le gambe attorno alla sua vita, e lo baciai.
«Fare sesso con me è sicuramente più sano che stare qui a fumarti questa roba per ore.» ansimai.
«Fare sesso con te è sempre stata la mia unica droga, lo sai. Ma questa roba continua ad attirarmi più delle tue splendide curve…» sorrise Nikki.
«Ti attira anche più di noi due sotto le lenzuola? Noi due insieme, senza pensieri… Solo io e te... Non pensare alle mie curve Nikki, pensa a quanto stiamo bene quando siamo insieme.» continuavo a baciarlo, sperando che avrebbe deciso di stare con me e avrebbe lasciato la droga. Era una delle poche carte che potevo giocare per tenerlo distante da quella merda per un po’.
Nel giro di mezzo secondo cambiò idea.
Mi afferrò il sedere con le mani e mi strinse più forte. Si alzò da terra e corse verso la camera da letto.
Sorridevo perché ero riuscita nel mio intendo e nella mia mente si formò l’immagine di me che calpestavo la pipa con la quale il bassista si fumava il freebase. Nikki mi riteneva ancora più importante di quello schifo.
«Sapevo che non mi avresti abbandonata…» ansimai mentre mi teneva premuta con il corpo contro la parete del corridoio.
«Pensavo che ti fidassi di più di me signorina Lane. Te l’ho detto, resti sempre la mia droga preferita. Ora lasciati togliere questa roba di dosso…» rispose, lacerando con le mani la misera canottiera che portavo.
«Mi fido di te, ma quando ti fai quella roba ti perdo. Ti sento lontano, e mi fa male.» sussurrai mentre le sue mani mi entravano  sotto la gonna.
«Ora sono più lucido che mai. Continua a fidarti di me come hai sempre fatto. Ti amo e ti voglio…. Qui, adesso…. Per l’eternità…» concluse baciandomi di nuovo.
Entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle.
Cademmo entrambi sul letto e gli sbottonai i pantaloni di pelle mentre lui si occupava della gonna.
Quando vidi riflessa nello specchio l’immagine di noi due nudi e abbracciati, io che mi contorcevo sotto il suo tocco, e sentii la sua pelle contro la mia, ebbi la certezza che per quella notte l’avevo salvato.
 
Van Nuys, 10:32
Una luce fioca filtrava attraverso le tende impolverate della camera da letto di Nikki. Ero stesa sul materasso floscio e vecchio e Sixx era appoggiato su di me, appena sotto ai miei seni, i capelli arruffati e impregnati dell’odore della lacca.
Lo accarezzai dolcemente e lo sentii sospirare. Si mosse leggermente ma non si svegliò. Così fissai il soffitto ammuffito e lievemente annerito a causa del fumo di sigaretta, lasciando che una serie infinita di immagini e bei ricordi mi invadesse la testa.
Quel momento era così perfetto che mi tornò in mente il 1982 e la prima notte che avevo trascorso con Nikki. Ripensai a me, che gironzolavo per la stanza dell’hotel con la videocamera tra le mani, mentre cercavo inutilmente di riprendere il bassista che non ne voleva sapere di alzarsi dal letto. Mi lasciai sfuggire un sorriso e guardai in direzione dello specchio. L’immagine che rifletteva era bellissima. Vedevo la schiena nuda di Sixx e il lenzuolo che gli copriva appena il sedere lasciando le gambe scoperte. Io avevo i capelli arruffati come quelli del bassista ed ero coperta per la maggior parte dal suo corpo caldo. La sua mano destra era appoggiata sulle mie gambe mentre quella sinistra era vicino al mio viso, le dita che mi sfioravano. Le baciai.
Nikki si mosse e girò la testa verso di me.
«Ciao.» disse sorridendo.
Il suo sorriso mi fece quasi piangere. Sembrava un bambino. Aveva dormito tutta la notte, senza quegli incubi che normalmente gli tormentavano il sonno.
E’ in questi momenti, quando lo vedo così spensierato, che mi convinco che riuscirò a portarlo fuori da questo tunnel.
«Ciao.» risposi, sorridendo a mia volta.
«Non voglio alzarmi.» continuò con una smorfia.
«Non sei obbligato ad alzarti se non vuoi. Possiamo stare qui tutto il giorno e anche di più.». Sapevo che se si fosse alzato avrebbe passato l’intera giornata a drogarsi e a chiamare Jason perché gli portasse altra roba.
Rimase fermo a guardarmi, come se mi stesse leggendo nel pensiero.
«Lo so che non vuoi che mi alzi dal letto. Lo so Penny, lo so…» mugolò spingendo il viso più forte contro la mia pelle. Pianse.
«Nikki…» sentii le lacrime che mi invadevano gli occhi.
Mi sollevai in modo che si alzasse a sua volta e mi sistemai di fronte a lui. Teneva il capo basso a fissare le lenzuola e mi ritrovai davanti la sua nuvola soffice di capelli neri.
«Nikki…» ripetei dolcemente alzandogli il viso con la mano, cercando di trattenere le lacrime.
Non appena ebbi i suoi occhi verdi davanti, lucidi per via del pianto, il cuore mi si riempì di tenerezza. Una tenerezza comparabile a quella di una madre per il figlio appena caduto dalla bicicletta. Quell’uomo che mi stava davanti, ormai ventottenne, era la persona più bisognosa d’affetto che io avessi mai visto. Aveva ogni cosa, una bella villa a Los Angeles, soldi e fama. Ma ciò che più gli mancava, la cosa di cui aveva più bisogno in assoluto era l’amore, e io ero una delle poche persone, forse l’unica, che poteva darglielo incondizionatamente.
«Guardami Nikki… Ce la farai. Ce la faremo, insieme. Sono qui, sarò sempre qui. Ti amo…» le parole mi uscivano come una cascata. Lo abbracciai, forte. Lo tenni stretto a me con le braccia, attorcigliando pure le gambe al suo corpo.
Sprofondò il viso sulla mia spalla e io gli afferrai la nuca, intrecciando le dita ai suoi capelli aggrovigliati, e lo spinsi ancora più vicino a me.
Quello fu uno di quegli abbracci che ti capitano raramente. Quegli abbracci che senti da dentro, quelli che creano tutt’attorno una barriera impenetrabile, uno scudo per proteggerti dal mondo. Uno di quegli abbracci che vorresti non finissero mai.
«Quella roba mi sta uccidendo…» pianse muovendo le labbra contro la mia pelle.
Almeno ne era consapevole. Lo tenni stretto.
«Lo so…» risposi.
«Ma non puoi lasciare che la droga ti vinca Nikki. Devi uscirne, ti aiuterò io. Non hai bisogno di quella merda…» non riuscii più a trattenere le lacrime. Piansi insieme a lui.
«Ti amo anche io…» disse.
Eravamo come due fili annodati insieme. Avrei voluto fermare il tempo, bloccarlo per sempre. Sapevo che chiuso in quell’abbraccio il mio Nikki era al sicuro, protetto.
Dopo alcuni minuti che parvero interminabili, Sixx sollevò la testa dalla mia spalla e mi strinse il viso tra le mani. Non disse niente, sorrise e mi baciò forte.
Poi si alzò, si infilò le mutande e scomparve dalla camera.
Mi asciugai le guance umide con il dorso della mano e mi alzai a mia volta dal letto, avvolgendomi con il lenzuolo.
Superai la soglia della porta e non appena mi ritrovai in corridoio le lacrime tornarono ad invadermi gli occhi. Le ginocchia si piegarono e appoggiai la fronte addosso al muro battendo i pugni contro la parete, mentre singhiozzi di rabbia mi uscivano dalla gola.
Nikki era seduto per terra, tra il tavolino del soggiorno e il divano. Non si era voltato a guardami anche se sapeva che piangevo e perché piangevo.
Si stava preparando una striscia di cocaina.

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Capitolo 21
*** 28 dicembre 1986 ***


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28 dicembre 1986

Los Angeles, 20:52
«Non chiedermi cosa ho intenzione di fare. Non lo so cosa voglio fare, ok?» sbraitai mandando giù un sorso di whiskey che mi bruciò immediatamente la gola.
Ero seduta al bancone di un bar di LA vicino a T-Bone. Era da qualche ora che ero uscita dalla casa di Nikki per andare a farmi un giro. Starmene chiusa dentro quelle quattro mura luride iniziava a darmi alla testa. La villa sarebbe stata davvero splendida se solo Sixx l’avesse tenuta decentemente. Ma ridotto in quelle condizioni non riusciva a ripulire nemmeno se stesso, figuriamoci una casa.
Tommy mi guardava tenendosi il mento sul palmo della mano, poggiato al bancone di legno scuro. Sembrava che provasse pena per me.
Lo guardai. Cazzo, anche il batterista si drogava, così come Vince e Mick, ma allora perché solo Nikki era ridotto in quello stato merdoso? Perché soltanto Nikki non riusciva a darsi un contegno con quella fottuta roba?
«Bisogna fare qualcosa.» commentò T-Bone distogliendo gli occhi da me e fissando la parete colma di bottiglie davanti a lui.
«Già, ma cosa? Non riesco a tenerlo distante da quella merda neanche per più di tre ore... Non voglio perderlo Tommy, non voglio.». Guardai il bicchiere vuoto che stringevo nella mano. Era vero che non volevo perdere Nikki, soprattutto non per colpa della droga. Nonostante tutto sapevo fin troppo bene che se avesse continuato a drogarsi non sarebbe durato ancora per molto. Mi stupivo del fatto che fosse ancora vivo.
«Andate ancora a letto insieme?» mi chiese il batterista.
Lo guardai sgranando gli occhi e battendo le palpebre. Sapevo che sulla mia faccia era dipinta un’espressione di stupore, ma non capivo il perché di quella domanda.
«Si… Certo che si…» bisbigliai, sentendomi arrossire.
«Strano.» sorrise.
«Pensavo che non gli si rizzasse più.» anche lui fissò il suo bicchiere. Stava ridendo di Nikki ma non con cattiveria. Era come se Sixx fosse lì con noi e T-Bone lo stesse canzonando come facevano di solito quando stavano insieme.
«In ogni caso non ti consiglio di andarci ancora a letto. Potrebbe essersi preso qualcosa. Cazzo, magari ha l’HIV…» continuò, senza distogliere gli occhi dal vetro del bicchiere. Il sorriso era svanito.
Non ci avevo mai pensato. L’HIV. Bel problema del cazzo.
«Non usa siringhe sporche che trova in giro, Tommy. Non è ancora ridotto così male…» la mia sembrava più un’opera di autoconvinzione che altro.
«Ne sei sicura? Io non ci giurerei… Gli voglio bene, ma ormai è partito. Sarebbe capace di tutto.» concluse il batterista.
Fissai il muro con le bottiglie. Avevo uno sguardo perso nel nulla, totalmente fuori dalla realtà.
Nikki non poteva avere l’HIV, non si drogava con siringhe sporche. Non andava in giro a elemosinare droga, e poi io ero sempre con lui. Mi assicuravo che non combinasse troppe cazzate, anche se tenerlo distante da quella merda era impossibile. Ma almeno potevo essere certa di quello che si faceva e come se lo faceva.
«Ora vado. Non posso lasciarlo solo per troppo tempo.» salutai T-Bone e mi alzai dal mio sgabello per uscire dal locale.
«Tieni duro Penny. Ce la faremo.» la frase del batterista riuscì a farmi ritornare la speranza nell’animo.
 
Van Nuys, 21:42
Parcheggiai la Corvette nera di Nikki fuori dalla villa. Le luci erano accese, Sixx doveva essere ancora sveglio.
Chiusi il cancello alle mie spalle e mi avviai verso la porta di casa. Infilai le chiavi nella serratura ed entrai.
Mi guardai intorno ma non vidi il bassista. La televisione era accesa su MTV ma Nikki non era steso sul divano come al solito. Il tavolino era sporco di neve e c’era pure la pipa da freebase, appena usata.
«Cazzo…» sussurrai. Fanculo, era strafatto.
Chiusi la porta.
«USCITE DA CASA MIA! STRONZI, MI VOLETE TUTTI MORTO!! VAFFANCULO!» delle urla mi fecero sobbalzare. Era la voce di Nikki e proveniva dalla camera da letto.
«Dio…» mi avviai verso la stanza di Sixx a passo svelto.
«Nikki sono io. Sono Penny, Nikki…» dissi, cercando di mantenere la calma.
Mi diressi verso il ripostiglio della camera. Aprii la porta e lo vidi.
Dentro quello stanzino c’era un disastro. Siringhe e cucchiai incrostati sparpagliati ovunque, lacci emostatici, foglietti di alluminio, cotone, bustine colme di cocaina. Poi c’era Nikki, un fucile in mano e gli occhi da pazzo. Mi si strinse il cuore.
«Nikki…» sussurrai.
«Coraggio, entra! Sono tutti qui!! Vogliono uccidermi… Ma non ce la faranno mai a prendermi. Vieni!!» mi afferrò il polso e mi trascinò dentro lo sgabuzzino, richiudendo la porta.
Mi raggomitolai in un angolo evitando le siringhe mentre Sixx teneva il fucile carico puntato contro la porta di quello stanzino. Tremava ed era totalmente fuori di testa.
Non era la prima volta che succedeva. Ormai episodi di questo genere erano diventati molto frequenti. Se esagerava con il freebase, e con il resto di quella merda, iniziava il delirio. Pensava che ci fosse qualcuno fuori dalla villa che lo spiava, polizia o non so chi altro, e così si ritrovava chiuso nel ripostiglio a bucarsi. L’eroina era l’unica cosa che gli permetteva di far finire tutto quel casino nella sua testa.
«Nikki ti prego, metti giù il fucile…» lo esortai, toccandogli l’avambraccio.
«Non c’è nessuno che ti vuole uccidere Nikki… Ci sono solo io, e io ti amo.» continuai.
Abbassò le braccia lasciando andare l’arma. Lo abbracciai.
«Va tutto bene… E’ finita.».
Lo strinsi ancora più forte e aspettai che l’effetto della droga svanisse.
 
23:24
«Basta con questa merda... Non posso permetterti di ucciderlo, hai capito? Non lo ucciderai!» gridavo.
Stavo buttando tutta la roba nel cesso. Tutto quello che riuscivo a raccattare per casa lo buttavo via.
Avevo lasciato Nikki a dormire steso sul letto e avevo deciso che tutta la droga doveva sparire da quella cazzo di casa. Però stavo parlando da sola, la rabbia mi aveva fatto uscire di testa. Urlavo contro le bustine di neve, contro la pipa da crack, contro le siringhe. Stavo combattendo contro questo nemico che era la droga. Cercavo di farlo fuori, di farlo uscire dalla mia vita e da quella di Sixx una volta per tutte.
«Cosa cazzo stai facendo?» la voce del bassista mi fece fermare all’improvviso.
Era in piedi sulla soglia del bagno e mi fissava mentre me ne stavo inginocchiata davanti alla tazza buttando tutta la sua fottuta droga giù per il cesso.
Lo guardai senza rispondere.
«Cosa-cazzo-stai-facendo?» scandì la domanda parola per parola. Non era contento.
Mi voltai dall’altra parte e continuai con il mio lavoro, come se non l’avessi sentito.
«Tanto lo sai che ne comprerò altra.» disse e se ne andò dal bagno.
Non si era incazzato. Ormai non faceva più nemmeno quello. Un eroinomane che si vede buttare via tutta la roba davanti agli occhi reagirebbe molto male. Lui no.
Fui io a reagire male.
Mi alzai dal pavimento e corsi in corridoio, inseguendo il bassista. Stava per raggiungere il telefono ma io lo raggiunsi prima di lui. Lo afferrai e lo sbattei per terra con così tanta violenza che si frantumò al suolo. Voleva chiamare Jason e farsi portare altra droga.
«Cosa cazzo ti prende?» sbraitò lui.
«E’ ora di piantarla Nikki. Devi smetterla con questa merda.» risposi.
«Vaffanculo!» gridò. Si stava infuriando.
Si voltò e prese il giubbotto di pelle. Se lo infilò e fece per uscire dalla porta ma io lo fermai.
«Togliti dai piedi.» ringhiò.
Scossi la testa, le labbra serrate.
«Ho detto, togliti dai piedi!» continuò.
Mi morsi il labbro inferiore con forza e gli poggiai le mani sul petto spingendolo all’indietro. Non volevo che uscisse, sapevo cosa aveva in mente di fare e non potevo permetterglielo. Non dovevo permetterglielo.
Riuscii solo a farlo indietreggiare di qualche passo e lui mi afferrò un polso facendomi sollevare il braccio, poi mi spinse a terra. Caddi in ginocchio e scoppiai a piangere, coprendomi il viso con le mani mentre le lacrime sgorgavano fuori dagli occhi come fiumi in piena.
Lui non badò a me ma appena fu sulla soglia della porta d’ingresso si fermò, le mani strette agli stipiti, le unghie che quasi perforavano il legno da quanto stava stringendo.
Allora parlai, con la voce interrotta dai singhiozzi.
«Ti ho promesso che non ti avrei mai abbandonato, che ti avrei aiutato a superare ogni momento difficile. Se non mi comporto come ho fatto prima ti perderò per sempre… Non vuoi farlo per te stesso? Allora fallo per me Nikki…» dissi, sentendo il gusto salato delle lacrime sulle labbra.
Lui rimase immobile per un po’ e sapevo che nella sua testa era combattuto. Non voleva uscire dalla villa e lasciarmi lì sul pavimento, ma la voglia della droga lo spingeva verso la sua Corvette parcheggiata al di la del cancello per correre da Jason e rimpiazzare con altra roba quella che avevo buttato.
Ad un tratto staccò le mani dagli stipiti. Si voltò e, dopo aver lasciato cadere il giubbotto sul divano, si avviò in silenzio verso la camera da letto.
«Il resto della roba è nel ripostiglio.» disse.
Quando mi alzai dal pavimento freddo lo vidi appoggiato contro la parete del corridoio, all’entrata della camera.
Entrai e presi quello che era rimasto della droga dallo stanzino vicino all’armadio. Buttai tutto nel cesso.
Quando uscii dal bagno Nikki era ancora fermo contro la parete e mi guardava. Aveva le labbra serrate e lo vedevo combattere intensamente contro un dolore che gli veniva da dentro. La smania, la voglia di farsi. Un dolore forte che sapevo lo avrebbe tormentato per un lungo tempo.
Gli presi le mani e lo guardai negli occhi. Sorrisi e gli portai le braccia dietro la mia schiena per fare in modo che mi abbracciasse e che io riuscissi ad abbracciare lui.
Premetti il suo viso addosso alla mia spalla e mi appoggiai alla sua, il naso schiacciato contro il suo collo, le dita intrecciate tra i suoi capelli, il suo profumo così familiare che mi riempiva le narici inebriandomi.
«Sono qui.» sussurrai.

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Capitolo 22
*** 14 gennaio 1987 ***


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One could say I’ve been having a 10cc love affair…

14 gennaio 1987

Van Nuys, 10:46
Nikki ha iniziato un programma di riabilitazione a base di metadone per liberarsi almeno in parte da tutta questa merda che gli gira nell’organismo e lo fa stare male. Va in clinica ogni mattina con la sua Corvette e fa la fila come tutti gli altri per prendere la dose giornaliera.
Penso che abbia deciso di farlo più per me che per altro. Quando mi ha vista uscire di testa quella sera che gli ho buttato tutta la roba nel cesso deve aver capito quanto tengo a lui, quanto gli voglio bene.
Però credo anche che il metadone sia soltanto una delle troppe sostanze che gli creano dipendenza. Questa “cura” lo aiuta a farsi meno eroina, ma in compenso il suo consumo di coca è aumentato vertiginosamente.
 
«Cosa diavolo stai facendo?» ero entrata in casa e Nikki stava in piedi di fronte a me.
Teneva in mano i dischi di platino vinti dai Mötley Crüe in quegli anni.
«Li butto tutti in garage.» rispose indicandomi quello che teneva in mano.
Lo guardai con gli occhi sgranati mentre lui continuava a staccare gli altri dischi rimasti alle pareti e ad impilarseli tra le mani.
«E per quale motivo dovresti fare una stronzata simile?» continuai avvicinandomi al divano.
Notai il tavolino sporco di neve. Immediatamente capii perché si stava comportando in quel modo.
«Perché i Mötley sono musica, sono passione. Questa roba non centra un cazzo con noi.» rispose alla mia domanda.
«E non credi che i Mötley si siano meritati tutti questi premi grazie alla loro musica?» dissi, attirando la sua attenzione.
Si fermo a guardarmi, i capelli arruffati e gli occhi sgranati fissi sui miei.
Ad un tratto sbuffò e fece dietrofront. Poggiò ogni disco sul pavimento esattamente sotto a dove era appeso. Poi tornò sui miei occhi e alzò le spalle con aria di finte scuse.
«Contenta ora?» domandò.
Mi lasciai scappare una risatina e con il dito gli feci segno di avvicinarsi.
«Ho sempre ragione.» sorrisi quando gli allacciai le braccia al collo mentre le sue mani mi stringevano i fianchi.
«Provo un leggero fastidio ad ammetterlo ma si, hai sempre ragione.» sorrise a sua volta.
Lo strinsi forte.
 
20:53
«Hai fame?» chiesi sporgendo la testa sulla porta della camera da letto.
Nikki era seduto sul letto sfatto, intento a scrivere qualcosa con la schiena curva e il viso vicinissimo ad un foglio spiegazzato.
«Si. Sempre che tu riesca a trovare qualcosa da cucinare.» mi rispose senza alzare lo sguardo.
Così, incuriosita, mi avvicinai a lui e mi inginocchiai sul materasso poggiando una mano sulla sua spalla e sbirciando quello che stava scrivendo.
«Che cosa scrivi?» gli domandai, felice di vederlo concentrato su qualcosa di diverso dalla droga.
«Cerco di buttare giù qualche idea per delle canzoni. Oppure sono solo stupide stronzate che mi passano per la testa. Parole che mi vengono in mente e che mi va di scrivere.» disse storcendo la bocca con noncuranza mentre mi guardava.
«La follia scorre nel profondo di chi mi sta attorno. La follia scorre nel profondo di tutti tranne me. Le pareti imbottite che chiami i miei occhi. I sogni che chiami le mie bugie. Dai miei polsi penzolano le catene. Rasoi e cocaina per ammazzare il tempo.» lessi ad alta voce.
Mi vennero i brividi.
«Wow…» bisbigliai guardando il suo profilo mentre stringeva il foglio stropicciato tra le mani. Non c’era dubbio, Nikki era bravo con le parole.
«Si, beh… Te l’ho detto, sono solo stronzate.» storse ancora le labbra tornando con gli occhi sul mio viso.
Rimasi a guardare quelle iridi verdi per qualche secondo, cercando di decifrare quello che il bassista stava pensando, il perché di quelle parole così taglienti. Ma non ci riuscii.
Sorrisi.
«Vado a preparare la cena. Ti chiamo quando è pronto.» dissi baciandogli la punta del naso.
Quando varcai la porta per uscire dalla camera, Sixx era tornato al suo foglio.
Mentre rovistavo nel frigo in cerca di qualcosa di commestibile ripensai a quelle frasi e mi tornò la pelle d’oca. La sua mente era tormentata, distrutta dalla droga che amplificava tutto il dolore che quell’uomo si portava dietro da troppo tempo. A volte, ripensando alla sua storia, alla sua infanzia, riuscivo quasi a capirlo e un po’ lo giustificavo per le scelte che aveva fatto, compresa la droga. Infondo non aveva passato dei bei momenti ed era debole, ecco perché la droga gli era sembrata una via di scampo. Come un’uscita di emergenza dall’incendio che divampava dentro la sua testa. Nikki non era stato amato nel modo giusto, specialmente dalla madre, e la sua ribellione doveva essere per Deana il campanello d’allarme che avrebbe dovuto farle capire quanto suo figlio avesse bisogno di lei.
Rimuginai su quei pensieri a lungo mentre lasciavo che quattro uova rosolassero nella pentola.
 
23:59
«Ti prego cambia canale. MTV non sa più che pesci pigliare, mi ha rotto il cazzo.» sbraitò Nikki ad un certo punto.
Mi voltai a guardarlo con aria interrogativa. Dietro di lui il tavolo era ancora apparecchiato e in casa regnava il casino, come al solito.
«Non c’è altro. Tieni.» risposi con una smorfia porgendogli il telecomando.
Lui lo afferrò e iniziò a cambiare i canali uno dietro l’altro. Poi sbuffò e pronunciando un sonoro “fanculo” lanciò il telecomando contro il muro, mancando la televisione per mezzo centimetro. Le pile uscirono e si sparpagliarono sul pavimento.
Lo guardai storto e lui alzò le spalle.
«Fracassando il telecomando non hai risolto niente. I canali restano quelli che sono e la tv fa schifo comunque.» risposi afferrando la bottiglia piena di Jack Daniel’s sul tavolino davanti al divano.
Ero sfinita. Volevo solo bere un sorso di whiskey e addormentarmi di botto tra le lenzuola del letto, sempre se fossi riuscita a raggiungerlo.
Mentre bevevo mi sentivo gli occhi di Sixx addosso, così non mi staccai dal collo della bottiglia prima di aver buttato giù altre quattro sorsate.
«Fatti un tiro.» disse ad un tratto il bassista afferrando la pipa da crack.
«No. No.» dissi.
Io non mi drogavo. Bevevo, è vero. Bevevo abbastanza da farmi girare la testa ma mai da raggiungere il collasso totale. Ma la droga no. Non avevo mai toccato altro di diverso dall’erba, anche se l’erba è da considerarsi una droga leggera e quindi non fa testo. Non avevo mai provato niente di quello che si facevano Nikki e il resto dei Mötley, anche perché avendo davanti Sixx tutto il giorno capivo perfettamente cosa comportava diventare un cocainomane o peggio ancora un eroinomane com’era lui, e non volevo certo ridurmi in quello stato.
Frequentavo i Crüe dal 1982 ed ero ancora “pulita”. Mai fatta una striscia di coca, mai fatta una pera, niente. Neanche mai preso una multa per guida in stato di ebbrezza.
Come ci fossi riuscita non lo so, considerando che vivevo insieme a quattro alcolizzati e drogati, ma forse era grazie al mio carattere e all’educazione sana che avevo ricevuto. In casa mia non giravano droghe pesanti, anzi, i miei non si facevano neanche una canna in mia presenza nonostante il loro “credo hippie”, che quindi li classificava come sostenitori del libero uso di droghe come cannabis e allucinogeni di vario genere. Probabilmente, anzi quasi sicuramente, ne avevano fatto uso prima della mia nascita ma mai quando c’ero io. Quando raggiunsi quell’età in cui si è curiosi di conoscere ogni cosa, comprese le droghe, me ne avevano parlato, mi avevano informata e avevano chiarito i miei dubbi sull’argomento sempre, però, lasciandomi libera di agire come credevo. Ma ad eroina, cocaina o altre droghe pesanti, e pericolose a livelli così alti, nessuno di noi si era mai avvicinato. Ne avevamo paura. Ne avevo paura. Crescendo sempre di più la paura, quasi come quella di un bambino piccolo per i mostri, era diminuita ed era subentrata invece la ragione, l’aver preso coscienza che droghe di quel genere mi avrebbero rovinato e distrutto la vita per sempre.
«No.» ripetei una terza volta guardando Nikki negli occhi e premendomi contro lo schienale del divano quasi come se il mio corpo istintivamente volesse allontanarsi da quella roba.
«Per un tiro mica muori. Avanti, ti piacerà.» continuò lui mentre riscaldava i cristalli.
Con una smorfia di disgusto mi alzai di scatto dal divano e mi diressi verso il tavolo iniziando a sparecchiare.
Non potevo crederci. Sixx che mi offriva la droga nonostante sapesse cosa pensavo al riguardo e la fatica che facevo per allontanarlo da tutta quella merda. Ero furiosa.
Sbattevo i piatti e le posate rumorosamente nel lavello della cucina e il getto forte del rubinetto faceva schizzare l’acqua su tutto il bancone.
Ero in preda alla rabbia. Stringevo i denti e avevo la mascella tesa mentre insaponavo le stoviglie e le ripulivo dal cibo.
Mentre la mia voce interiore sbraitava e urlava contro Sixx, due mani grandi mi strinsero il bacino e sentii delle labbra baciarmi il collo dietro l’orecchio.
Nikki si era avvicinato e cercava di farsi perdonare. Ormai conoscevo tutte le sue tecniche di persuasione per scusarsi del suo comportamento.
«Lasciami stare.» dissi voltando la testa per allontanare la sua bocca da me.
«Ho messo via la pipa.» disse spingendomi più vicino a lui.
Sbuffai con il naso e mi voltai di scatto.
«Ti rendi conto che mi hai appena chiesto di farmi? Nonostante tu sappia cosa penso, nonostante tu sappia che non voglio che ti faccia quella roba, tu cosa fai? Me la vieni ad offrire!» gridai gesticolando con le mani ancora bagnate e gocciolanti di schiuma.
Alzò gli occhi al cielo.
«Guardami negli occhi quando ti parlo!» gridai ancora e afferrai il suo viso con le mani bagnate per fare in modo che mi guardasse.
Spostò lo sguardo su di me e io ricambiai imbronciata, gli occhi socchiusi.
Non impiegò neanche una frazione di secondo a raggiungere le mie labbra e afferrarmi il sedere. Mi ritrovai seduta sul bancone della cucina, con le gambe attorcigliate al suo corpo.
«Non sarà così semplice questa volta, Sixx…» ansimai colpendogli le spalle con le mani.
Ma ormai mi aveva in pugno. Continuare a fare la parte di quella incazzata non aveva più senso. Gli bastò superare con le mani i miei slip per capire che a questo punto la mia era tutta una farsa.
Nonostante tutto continuavo a colpirlo come se volessi allontanarlo, ma non era certo quella la mia idea. Mi afferrò i polsi e, costringendomi con la forza ad alzare le braccia, li incollò allo scaffale della cucina tenendoli fermi mentre con l’altra mano stringeva la mia vita e mi spingeva contro il suo bacino.
Naturalmente non cercavo di divincolarmi e nel giro di pochi secondi mi aveva già spogliata completamente.
Mi prese in braccio e così mi avvinghiai ancora più forte al suo corpo mentre mi portava lontano dalla cucina. Mi scaraventò sul divano e, mentre cercavo con tutte le mie forze di tenere la mente lucida, iniziò a svuotarmi la bottiglia di Jack addosso, bagnando anche la fodera del divano e poi scolandosi quello che rimaneva del whiskey.
Iniziò a baciarmi le caviglie, salendo sempre di più, e intanto ripuliva con la lingua il mio corpo, imbrattato dal liquido ambrato.
Quando arrivò alle mie labbra, dopo essersi soffermato a lungo sul resto del mio corpo nudo, mi baciò forte e sentii il sapore del whiskey sulla lingua. Mi guardò per qualche secondo e poi si incollò al mio collo.
Scrutando per quei pochi secondi i suoi occhi capii che quella persona con cui di lì a poco avrei fatto l’amore era il mio Nikki, non il Nikki drogato e fuori di testa.
Con le mani dietro la mia schiena mi aiutò a sollevarmi e mi adagiò sopra le sue ginocchia mentre faceva attenzione a rimanere in equilibrio sul bordo del divano. Continuava a baciarmi il collo e io, totalmente schiacciata contro il suo corpo caldo, gli accarezzavo le braccia e la schiena, qualche volta lasciando spazio anche a dei leggeri graffi.
Gli venne la pelle d’oca e ansimò contro il mio orecchio.
Mi sciolse i capelli, che raramente tenevo legati, e il profumo dello shampoo riempì le mie narici. Sommerso dai miei capelli lunghi continuò a baciarmi il collo e il suo respiro si fece sempre più corto quando cominciai a muovere i fianchi strusciandomi contro di lui.
La tensione diventò insostenibile e così cominciammo proprio da lì, da quel lurido divano floscio, con la televisione che aiutava le luci soffuse ad illuminare la stanza e le voci di giornalisti sconosciuti che ci risuonavano nelle orecchie con notizie poco interessanti.
Questa volta però, mentre facevamo l’amore e mi abbandonavo completamente a Nikki, ansimando e gemendo ad ogni suo minimo tocco, avevo la certezza di conoscere per davvero quell’uomo che mi stava stringendo e baciando con così tanta passione.
Sollevandomi con forza e facilità, come se fossi una piuma leggera, iniziò a camminare verso la camera da letto ma fu obbligato a fermarsi poco prima, schiacciandomi contro il muro annerito del corridoio.
Stringendolo forte le convulsioni scaturite dal piacere mi costrinsero a protendermi verso l’alto, tendendo ogni muscolo, e inclinai la testa all’indietro socchiudendo la bocca mentre Nikki faceva lo stesso appena sotto il mio collo, premendo il viso e le labbra sulla mia pelle bollente.
Amavo quell’uomo. Dio quanto lo amavo. Non lo avrei abbandonato per nulla al mondo.
Quando quell’ondata di piacere si attenuò appena, Sixx ricominciò a camminare e finalmente raggiunse la camera da letto.
La porta gli si richiuse alle spalle.

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Capitolo 23
*** 15 gennaio 1987 ***


©


15 gennaio 1987

Van Nuys, 7:58
Mi svegliai un’ora prima del previsto.
Quel giorno i ragazzi sarebbero tornati in sala prove per comporre materiale per il nuovo album. Ovviamente sarei andata con loro.
Dato che mancava ancora un’ora alla “sveglia”, decisi che era meglio non disturbare Nikki ma lasciarlo riposare ancora un po’ visto che la giornata sarebbe stata lunga e faticosa per lui.
Così gli baciai una spalla nuda e sgattaiolai fuori dalle coperte. Stiracchiai per bene i muscoli indolenziti a causa di tutto quel meraviglioso sesso della notte prima e mi infilai le mutande di Sixx, che erano rimaste sul pavimento.
Uscita dalla camera da letto iniziai a gironzolare per casa. Mentre bevo un bicchiere di latte, che dopo qualche giorno sarebbe sicuramente andato a male, ripensai a tutto quello che avevamo fatto io e il bassista dalla sera prima fino alle quattro della mattina del giorno dopo quando, ormai esausti, i nostri corpi ci avevano implorato una sosta. Mi domandai se qualcuno fosse mai morto per “sesso eccessivo”. Probabilmente il sesso è l’unica cosa sana di questo mondo, sempre se fatto in sicurezza e con entrambe le parti consenzienti.
Alzai le spalle, come se quella domanda non avesse una risposta precisa, e non riuscii a trattenere un sorriso compiaciuto guardando il divano in soggiorno.
Mi ci sedetti sopra e accesi la televisione facendo zapping mentre sorseggiavo il mio latte.
 
Quasi feci un salto dallo spavento quando suonò il campanello.
Reggevo ancora il bicchiere vuoto nella mano e così lo appoggiai sul tavolino. Guardai l’ora. Erano le 9:15 e dovevamo prepararci per andare in sala prove.
Corsi ad aprire la porta perché il campanello continuava a suonare insistentemente.
«Chi cazzo è che ha scavalcato il cancello… Oh, ciao Tommy.» mi ritrovai davanti la figura alta e magra del batterista non appena aprii.
Aveva parcheggiato la sua Harley-Davidson in strada e aveva saltato il muretto del giardino per venire a suonare e bussare direttamente alla porta.
T-Bone mi squadrò dalla testa ai piedi e solo in quel momento mi ricordai che ero praticamente nuda, con le tette al vento e con addosso solo le mutande di Nikki. Beh, poco male, Tommy mi aveva già vista senza vestiti più di una volta, non si sarebbe di certo scandalizzato per un paio di tette che, tra l’altro, aveva già avuto il piacere di conoscere.
«Scusa, mi ero addormentata sul divano. Ora vado a svegliarlo e arriviamo subito.» dissi strofinandomi gli occhi e facendo dietrofront verso la camera da letto.
«Hai addosso le mutande di Sixx, non credo proprio che ieri sera vi siate fermati solo al divano.» disse lui varcando l’ingresso.
Continuando a camminare assonnata gli feci gesto con la mano di lasciar perdere e lo sentii ridacchiare.
Quando entrai in camera Nikki era disteso a pancia in giù, le braccia e le gambe spalancate, totalmente spiaccicato contro il materasso. Le lenzuola erano state scaraventate a terra e lui giaceva nudo, con le chiappe all’aria, occupando praticamente tutto il letto.
Sorrisi. Aveva ventotto anni ma a volte sapeva comportarsi come un ragazzino di dodici.
«Nikki… Devi alzarti, dobbiamo andare in sala prove. C’è Tommy che ci aspetta in soggiorno.» sussurrai al suo orecchio.
Borbottò qualcosa che non riuscii a capire e tornò a russare.
Mi diressi verso l’armadio e iniziai a vestirmi mentre continuavo a chiamarlo perché si svegliasse.
«Coraggio Nikki. Alzati, è tardi.» dissi di nuovo al suo orecchio. Mi dispiaceva disturbarlo in quel modo, specialmente perché sapevo che era rilassato e senza pensieri in quel momento, ma era suo dovere alzarsi dal letto e andare in sala prove.
«Vai con T-Bone, vi raggiungo tra due minuti…» mugugnò.
Lo guardai per qualche secondo mentre dormiva beato. Nonostante dentro di me fossi combattuta, decisi di fare come aveva detto.
«Allora noi andiamo, tu però sbrigati.» lo baciai su una guancia.
«Ok.»
Uscii dalla camera da letto e tornai in soggiorno passandomi una mano tra i capelli pieni di lacca.
Tommy alzò le spalle e mi guardò interrogativo.
«Ha detto che ci raggiunge.» risposi alla sua domanda inespressa.
Lui alzò gli occhi al cielo e mi passò un braccio attorno alle spalle.
«D’accordo, andiamo allora. Siamo già in ritardo.» disse.
Uscimmo di casa chiudendoci porta e cancello alle spalle.
Quando Tommy accelerò facendo partire la moto, mi voltai indietro sperando che Sixx avrebbe mantenuto la promessa.
 
Sala prove, 11:48
«Non si può lavorare in questo modo. Non si può.» sbuffò Vince.
Stavo seduta sopra un tavolo in sala prove e aspettavo Nikki, che non si era ancora fatto vedere, insieme al resto della band.
Guardai T-Bone che ricambiò il mio sguardo per poi tornare a fissare il pavimento.
Ci domandavamo tutti dove cazzo fosse finito Sixx e in cuor mio sperai che fosse rimasto a letto.
“Non avrei dovuto lasciarlo lì.” pensai.
Feci appena in tempo a finire il pensiero che la porta si spalancò. Balzai giù dal tavolo e controllai chi fosse entrato. Sperai che non si trattasse di Nikki perché sapevo che quel clamoroso ritardo era un brutto segno.
Purtroppo però le mie speranze si frantumarono.
Nikki stava fermo davanti alla porta che gli si era appena richiusa alle spalle. Aveva il mento sollevato e ci guardava con aria di superficialità e strafottenza da dietro i suoi capelli neri, l’atteggiamento da sbruffone e con addosso vestiti già indossati più volte, leggermente macchiati.
Quando camminò verso di noi fui costretta ad appoggiarmi al tavolo perché le gambe non mi ressero più. Ballonzolava e sembrava che fosse qualcun altro a muoverlo.
«Mi scappa da pisciare.» ci disse e si diresse verso la porta del bagno passandomi davanti senza neanche guardarmi.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime ma le trattenni il più possibile, sentendole bruciare dietro le ciglia.
Vince sbuffò e sghignazzò sprezzante, Mick si versò un bicchiere di vodka e Tommy mi guardò inarcando le sopracciglia.
«Vado a parlargli io.» mi disse poggiando una mano sulla mia spalla.
Tirai su con il naso e annuii.
«Datemi una sigaretta, vi prego...» dissi, cercando di darmi una calmata, non appena anche il batterista fu sparito.
Vince mi lanciò un pacchetto e un accendino, così uscii dalla sala prove e andai a sedermi sul marciapiede appoggiando la schiena contro la parete dell’edificio.
Avevo bisogno di stare sola.
Inspirando profondamente il fumo e ributtandolo fuori poco dopo mi sentii inutile e debole, schiacciata a terra da un peso invisibile.
Si era fatto. Nikki si era fatto prima di venire in sala prove.
«Sono una stupida… Se fosse stato con me non sarebbe successo…» le lacrime tornarono a riempirmi gli occhi e questa volta non le fermai.
Sbattei ripetutamente la testa contro le ginocchia, piangendo e trattenendo le urla di dolore, mentre i passanti mi guardavano dall’alto e mi evitavano, scambiandomi per una barbona drogata o una prostituta. Avrei voluto urlargli “Ehi! L’unico drogato qui è l’uomo che amo, e lo sto perdendo a causa di questa merda!”.
«Vuole parlare con te.» la voce di Tommy mi fece sollevare di colpo il viso.
Non mi vergognai a mostrargli la mia faccia bagnata dalle lacrime e con il trucco tutto sbavato.
Inspirai a lungo il fumo dell’ultimo tiro, sentendolo arrivare fin giù nei polmoni, e lo espirai con altrettanto vigore mentre la gente continuava a fissare sia me che il batterista.
«Cosa cazzo avete da guardare, eh?» gridò lui ad un uomo che gli passava davanti e che fino a quel momento aveva tenuto i suoi occhi fissi su di noi.
Lanciai lontano il mozzicone della sigaretta e, superando T-Bone, entrai.
Non mi vergognai per il mio pianto nemmeno di fronte a Vince e Mick. Mi guardarono camminare a testa alta, mentre fissavo la porta del bagno dove avrei trovato Nikki, e non sbatterono ciglio.
«Bastardo!» gridò Vince, non appena distolse lo sguardo dalle mie guance umide e dopo aver sospirato sonoramente.
Chiusi gli occhi per un secondo, ricacciando indietro lacrime di gratitudine, e in cuor mio lo ringraziai.
Non esitai di fronte alla porta. Semplicemente entrai e la richiusi dietro di me.
La luce era spenta e decisi di rimanere al buio, per evitare di guardare i suoi occhi. Mi appoggiai con le spalle contro la porta e attesi di abituarmi all’oscurità.
«Non devo scusarmi. Non ho scuse questa volta.» disse.
Non risposi.
Lo sentii muoversi ed agitarsi a causa del mio silenzio.
«Di qualcosa per la miseria!» gridò poi, sbattendo i palmi delle mani contro le pareti del minuscolo stanzino.
Iniziai ad intravedere la sua immagine. Stava seduto sulla tazza, il capo chino e i capelli arruffati.
«Vuoi morire? Perfetto, allora fallo. Tanto chi soffrirà poi sarò io.» risposi senza alzare la voce.
«Non morirò, cazzo! Non morirò!» urlò ancora, alzandosi e avvicinandosi a me.
«Ah no? Ah no??» continuai, avvicinandomi a mia volta.
Eravamo a un centimetro l’uno dall’altra. Io in punta di piedi, lui leggermente abbassato. I nostri respiri si incrociavano per un attimo nello spazio che ci separava e poi venivano sospinti verso i nostri volti.
«No!!» si avvicinò ancora, spingendomi di nuovo con le spalle contro la porta.
Sbatté forte il pugno, vicino al mio orecchio destro, e lo sentii rimbombare.
I ragazzi non sarebbero intervenuti. Ne ero certa.
Non mi avrebbe fatto del male. Non voleva farmi del male. Era semplicemente spaventato. Riuscivo a leggere il terrore nei suoi occhi, così vicini ai miei.
«Diminuirò le dosi, ok? Diminuirò le dosi, così la roba mi aiuterà a non uscire di testa e non morirò.» continuò a dire, con voce più calma.
«Sei già fuori di testa Nikki…»
Abbassò il capo e i suoi capelli mi sommersero.
Non mi scansai, ma mi lasciai travolgere da quel profumo così familiare.
«Dimmi solo cosa devo fare.» dissi, sentendomi intrappolata, sconfitta.
Singhiozzò.
«Non abbandonarmi…»
Crollai. Tutta la mia forza, le mie sicurezze, tutto. Tutto, crollò tutto.
«E come posso farlo? Io ti amo.»
Dopo aver pronunciato l’ultima vocale, feci dietrofront e uscii dal bagno, lasciando la porta aperta.
Tornando verso i ragazzi estrassi un’altra sigaretta, la accesi e lasciai pacchetto e accendino sopra un tavolo davanti a Vince.
Inspirando uscii in strada.

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