When you’re screaming in the night di Snafu (/viewuser.php?uid=91661)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I try and mend the broken pieces ***
Capitolo 2: *** Nothing lasts forever, even cold November rain. ***
Capitolo 3: *** The Rapsody. ***
Capitolo 4: *** Funny, you don't hear a single word I say. ***
Capitolo 5: *** Why don't you give a little love? ***
Capitolo 6: *** Scandal. Yes. You're breaking my heart again. ***
Capitolo 7: *** Nobody Else. ***
Capitolo 8: *** This is gonna hurt. ***
Capitolo 9: *** Mama! (Didn't mean to make you cry.) ***
Capitolo 10: *** Funny how love is the end of the lies when the truth begins. ***
Capitolo 11: *** Baby it's alright (parte I) ***
Capitolo 12: *** Baby it's alright (parte II) ***
Capitolo 13: *** There is no doubt: you're in my Heart now. ***
Capitolo 14: *** We’ll be walking in the light, ‘cause there will be no place left to hide. ***
Capitolo 15: *** I’m sick to death of hearsay and rumour, I need a girl with some sense of humour. ***
Capitolo 16: *** Adorable illusion and I cannot hide, I'm the one you’re using, please don’t push me aside. (the Man in the meadow and me.) ***
Capitolo 17: *** Are you with me now? ***
Capitolo 18: *** She loved him yesterday. Yesterday’s over. ***
Capitolo 19: *** I guess it's over. ***
Capitolo 20: *** Changes through the years. ***
Capitolo 21: *** Then it ain’t so groovy when you’re screaming in the night. ***
Capitolo 1 *** I try and mend the broken pieces ***
When you’re screaming in the night
Capitolo I - I try and mend the broken pieces
«Anche tu mi manchi» mentì.
Al telefono era anche più semplice.
Quando ebbe finito con Debbie, si gettò sul letto con solo la voglia di farsi una bella dormita.
Il giorno dopo sarebbero tornati a casa, e non aveva voglia di vederla.
Eppure sembrava tutto così a posto.
Sembrava davvero che tutto avesse preso la piega perfetta. Una fidanzata famosa, un gruppo famoso, soldi...
«Davvero non capisco come tu possa essere una così pessima giocatrice di poker, se è stato tuo fratello a insegnarti» Dorothy si lamentò, gettando gli occhiali per terra.
Anthea sbuffò:
«Allora la prossima volta vai a giocare con mio fratello!»
«Tuo fratello non organizza bische clandestine perché non vuole corrompere la tua santità...»
«Questa non è una bisca clandestina, era solo un modo come un altro per passare il tempo.»
La mora sistemò la locandina del 'Magical Mistery Tour' autografata dai Fab. Four sulla parete. Gliel'aveva regalata Roger il Natale prima che si lasciassero. Era diventato un vizio, ormai, quello di aggiustarla sulla parete, così come quello di sorridere al suo riflesso nello specchio prima di uscire per andare a lavoro.
In linea generale, Dorothy era cambiata parecchio, anche se Anthea si rifiutava di vederlo. Per lei la vita era sempre il gioco spensierato delle scuole superiori: John, il college, suo fratello, tutto andava per il verso giusto. Si sarebbe sposata, avrebbe avuto figli, nipoti, tutto sarebbe andato bene.
Guardò preoccupata l'amica che usciva dalla cucina con un gambo di sedano in bocca.
«Scrub alle alghe, stasera, Anthie» decretò l'amica «o sei stressata, oppure i tuoi ormoni stanno impazzendo. Grazie al cielo domani John sarà di nuovo tra le tue braccia.»
«Deaks, si può sapere dove stai andando con tutta questa fretta?» domandò il batterista al bassista.
«A prendere Anthea, non vedo l'ora di rivederla» rispose lui con tono ovvio che traboccava ovvietà da ogni singolo suono.
«Vuoi che ti accompagni?» domandò Roger, grattandosi il capo per la noia.
«Ehm...» John cadde nell'imbarazzo più totale. Non aveva mai davvero capito perché tra lui e Dorothy fosse finita, non era stato d'accordo sulla decisione della ragazza di mentire, come su quella di Roger di assecondare i capricci mentali di Freddie. Era stata una storia buttata nel cesso per la pura mancanza di voglia di portarla avanti.
«Ho capito» continuò l’altro «non c'è problema, davvero, non capisco perché vi ostiniate a credere che non ci possiamo vedere. Siamo rimasti in buoni rapporti!»
Il ricciolo fece spallucce e i due salirono in auto.
Era evidente: Anthea era rimasta a dormire da Dorothy, mentre John era via. Lo sapevano anche i muri che la ragazzina avesse paura del buio, e suo fratello era sempre in servizio. Roger non si meravigliò.
«Sono a casa!» esultò Dorothea con un'aria davvero svogliata. Era da poco tornata da lavoro ed era esausta: all'ambasciata pareva non esistere una giornata tranquilla.
C'era un odore strano nell'aria.
La ragazza appese la borsetta e il cappotto all'appendiabiti attaccato al muro e si affacciò nel piccolo atrio.
«Anthie, ma che ti sei messa a fare?» domandò, osservando la tavola apparecchiata «Non avrai mica... cucinato?» la biondina uscì dal cucinotto conciata peggio di quando suo fratello tornava dalla guerra... il che era tutto un dire.
Dorothy rabbrividì al solo pensiero che l'amica si fosse messa ai fornelli.
«Beh, questo è il nostro ultimo pasto insieme, quindi...»
«Ultimo perché l'hai cucinato tu?» replicò, terrorizzata «Guarda che torni da John, non è che non ci vediamo più» scosse la testa con rassegnazione «vado a cambiarmi e vengo» si spostò nella sua camera da letto. Anthea la guardò mentre, con indosso solo slip e reggiseno, controllava il profilo del suo ventre. Da quando aveva abortito era diventata un'altra delle sue abitudini (come raddrizzare il quadro e sorridere allo specchio). Non l'avrebbe mai perdonata per quello, come del resto non l'avrebbe fatto Roger, se l'avesse saputo. Ma lei si era ostinata a non volerglielo dire, aveva voluto fare tutto da sola, sebbene quella cosa l'avessero fatta in due. Anthea rabbrividiva al solo pensiero che gli avesse mentito ogni volta che si vedevano, quando era ancora incinta. Non era vero che era stata una cosa a fin di bene per la carriera di Roger, se ci fosse stato il bambino di mezzo, Freddie non avrebbe fatto pressione su nessuno di loro due... e forse sarebbero stati ancora insieme.
Non conosceva il nuovo indirizzo di Dorothy. Pareva che fosse andata ad abitare per conto suo.
Il campanello suonò.
«Vado io! Di sicuro è John!» strillò Anthea e la casa rimbombò. «Dorothy?» domandò la biondina «Quando diavolo verrà il tecnico del campanello? È rotto da prima che arrivassi!» si lamentò, uscendo nell'atrio del portone dell'edificio per saltare, letteralmente, in collo, al suo amato.
Dorothy stava facendo zapping sul divano, con un'aria davvero depressa. Si riprese con una battuta di spirito.
«Meno male che sei venuto a prendertela, oggi ha anche cercato di avvelenarmi» asserì, una volta che il bassista fu entrato.
John sgranò gli occhi.
«Non è vero, ho cucinato per lei, voleva essere un pensiero carino...»
«Te lo dice anche tuo fratello che nessuno reputa che se tu ti metti ai fornelli per lui, si tratti di un pensiero carino» sussurrò John, passandole una carezza sul braccio. Dorothy sperò di sprofondare.
Aspettare in auto, dopotutto, era stata la cosa migliore da fare.
Ma quanto ci metteva John?
Roger, con una punta di nervosismo, iniziò a tamburellare le dita sulla pelle del volante, da bravo batterista quale del resto era.
Gli sembrava di sentire la voce di Freddie, in auto, che gli ricordava quanto lui fosse un uomo di talento, del fatto che Dorothy soffocasse la sua personalità, di quante donne al mondo esistessero, pronte a invaghirsi di lui, senza necessariamente schiacciarlo. E anche la voce di Dorothy era vicina, quando non fece una grinza, dopo che lui le ebbe esposto le sue ragioni. Non si era neanche minimamente opposta alla sua richiesta di non vedersi più.
Quello gli aveva fatto anche più male.
«Abbiamo dormito nel lettone» confessò Anthea, indicando la camera da letto.
«Ho fatto tutta la settimana in bianco, per colpa sua» la bionda ignorò di proposito la finta scocciatura di Dorothy e tutte le altre frecciatine che aveva tirato.
«Grazie per averle tenuto compagnia» si sforzò John.
«Quando vuoi, Deaky, a patto che stia lontana dalla cucina!»
Freddie, tutto sommato, era stato corretto con lui. Gli aveva chiesto di lasciare Dorothy, sì, ma gli aveva procurato anche un'altra fidanzata. Qualcuna che rispondesse alle sue esigenze, qualcuna che non fosse così brillante da schiacciare le aspirazioni e la boria di Roger.
Il batterista componeva le prime nove cifre del numero, e poi rinunciava.
Sapere dove trovare Dorothy gli mise una certa ansia. Era inutile chiamare Debbie, quella sera. Non era la sua compagnia, che voleva.
Era solo il perdono, che voleva.
»I'm in love with my Cath;
Allora. È una vita che non mi occupo di WC (sto parlando di Writer's Corner, ragazze, non fraintendetemi :D), questo perché effettivamente, di recente, non ho più pubblicato niente di lungo e di mio, in questa sezione meno che mai, quindi dovrò buttarci dentro un sacco di cose, perlomeno al primo capitolo. Spero che potrete perdonarmi, altrimenti, potete pure non leggere :)
Mi sono ripromessa che da ora in avanti mi butterò alle spalle le collaborazioni per ritrovare le palle di mettermi in gioco da sola.
Intanto i desclaimers: i Queen e Tim Staffell non mi appartengono. Sono padroni di loro stessi. Le canzoni che cito appartengono ai diretti proprietari, ave a loro. David Bowie (quello non famoso), è un personaggio di MrBadGuy di cui mi sono appropriata qua e là per farla ingelosire (mbwah. <3). Dorothea e Anthea sono due personaggi che divido più o meno a metà sempre con MrBadGuy. Comunque non intendo violare i copyright di nessuno, esclusi quelli di MrB., ma questo l'ho già detto.
Warnings: questa storia è a rating arancione. Per vari motivi: 1. Non credo nei personaggi che parlano compostamente in ogni situazione. Voglio che sembrino persone vere, non solo un nome scritto con inchiostro nero su sfondo bianco. E una persona vera impreca, insulta, dice parolacce quando è arrabbiata, non parla sempre lindo e profumato in contesti informali. Da qui il mio eventuale turpiloquio. 2. Siccome conosco molti frequentatori di questa sezione indubbiamente deboli di cuore di fronte al fascino del Taylor di cui uno mi è particolarmente caro (non voglio fare nomi, quindi userò un diminutivo: Midò, questo warning è per te XD) vorrei avvisare che potrebbe di tanto in tanto apparire nudo o poco vestito o in immagini idilliache/goliardiche.
Note: Questa fiction è una storia a sé stante, ma è anche il sequel di Made in Hell, pertanto chi non l'avesse letto potrebbe magari trovare difficile lo sviluppo di alcuni passaggi, giusto nei primi capitoli, visto che poi la storia prende una piega tutta sua.
Ringraziamenti: alla mia co-scrittrice. Senza di te la mia Dorothy, sarebbe rimasta solo mia versione psicotica e insana, e invece l'hai fatta diventare qualcosa di ancora peggiore, che non credevo. Dopotutto al peggio non c’è mai fine, ma è anche vero che dal fondo si può solo risalire.
Ah, dimenticavo. La mia dedica. Questa storia è per mia sorella, l'unica persona a questo mondo che riesca a seguirmi anche nel più merdoso degli abissi e a cui, per questo, darò sempre una possibilità, seconda, terza, o quarta che sia.
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Capitolo 2 *** Nothing lasts forever, even cold November rain. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo II - Nothing lasts forever, even cold November rain.
Pioveva.
Roger si sentiva in ansia.
Quello che stava facendo, a tutti gli effetti, era una cosa da maniaco.
E non aveva neanche un ombrello.
This is a tricky situation,
I've only got myself to blame.
Barcollò fuori dall'auto, cercando di ricordarsi perché ancora credesse in quella storia.
Freddie aveva detto che non gli avrebbe portato nessun giovamento, e Roger si sentiva tanto ambizioso quanto lui: il cantante non poteva che avere ragione. Nessun sentimento lo legava più a Dorothy, e se anche da parte sua ci fosse stato qualcosa, lei di certo lo odiava. Con tutte le ragioni per poterlo fare.
You win,
you lose,
it's a chance you have to take with love...
E Roger aveva vinto. Eccome se aveva vinto. Aveva ottenuto lei, il suo cuore, e il suo corpo. Aveva sconfitto Tim. Ma qual'era stato il prezzo da pagare per quella vittoria? Aveva donato in cambio tutto se stesso a colei che amava, così, una parte di lui, era rimasta a Dorothy.
I don't want my freedom.
There's no reason for living with a broken heart.
Suonò il campanello e rimase impalato di fronte al portone.
Sembrava non avere intenzione di aprire.
Infine la molla scattò e la porta si aprì.
Dorothy, con una magliettaccia e una specie di vestaglia, gli aprì, tirando a se la grande imposta di legno.
«Roger?» domandò, allibita «Scusa, non funziona il citofono, il portiere di notte non lavor...» la baciò come una furia, cercando di recuperare in quell'unico contatto tutto l'affetto che gli era mancato da lei.
Oh yeah, I fell in love,
but now you say it's over
and I'm falling apart.
Dorothy rimase travolta da tutto quel pathos, senza riuscire neanche a cacciar fuori un briciolo di rabbia, di rancore. L'aveva odiato per averla lasciata, per non aver avuto polso con Freddie, per essersi lasciato persuadere, per averle fatto perdere la scommessa. Perché lei aveva puntato tutto su loro due, e tutto aveva perso. Lei aveva avuto una fiducia cieca in lui, e lui l'aveva tradita. Così, dal naufragio della sua prima, vera, storia d'amore, era uscita ridotta peggio della Zattera della Medusa.
I try and mend the broken pieces,
I try to fight back the tears.
How it hurts, deep inside...
L'uomo la spinse per tutto l'androne delle scale fino al piccolo appartamento al piano terra, dove non gli ci volle molto per trovare la via che portava alla camera da letto.
Ogni capo d'abbigliamento che cadeva per terra era un passo che li allontanava dal buio di tutto il tempo prima e che li avvicinava alle lenzuola calde del letto, a quell'amore che per troppo tempo era parso loro così intangibile, così impossibile.
I'll look back at myself and say: «I did it for love»
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Capitolo 3 *** The Rapsody. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo III - The Rhapsody.
Is this the real life?Is this just fantasy?
Dorothy si svegliò di soprassalto. Era nuda, con il fiatone, si sentiva piuttosto strana e aveva decisamente bisogno di una doccia. Troppe cose da metabolizzare contemporaneamente.
Cercò a tastoni l'interruttore della sua abat-jour e accese la luce. Si massaggiò una tempia e stropicciò gli occhi, poi fece per alzarsi e solo allora si accorse...
I see a little silhouette of a man.
Per poco non cadde dal letto per lo spavento. Per non parlare del fatto che le stava per scappare un urlo. Rapidamente si affrettò a riportare la stanza nella situazione di buio. Sperando che quello che aveva visto sparisse. Ma non era come in qualche fiaba, che se non ci credi la magia svanisce.
L'uomo, perché ormai Roger era un uomo, era lì, accanto a lei, con le ciglia lunghe inarcate sugli occhi con eleganza, la bocca socchiusa, la fronte rilassata e il corpo in una strana posizione.
No escape from reality.
Trovare Roger nel suo letto non fu proprio il migliore (anzi forse fu direttamente il peggiore) dei suoi risvegli.
Avrebbe voluto sgattaiolare via di nascosto, come le era capitato di fare negli ultimi due anni, dai vari letti di vari uomini di cui non ricordava nulla, ma sarebbe stato piuttosto imbarazzante, visto che quella, dopotutto era casa sua.
Si convinse che comunque doveva alzarsi: in un'ora doveva essere a lavoro.
Andò in cucina per vedere con che cosa potesse fare colazione, ma c'era ancora l'odore delle uova bruciate da Anthea il giorno prima, quindi aprì la finestra e scappò verso il bagno, saltando tra i vestiti che erano rimasti sparsi per terra dalla sera prima.
Dopo essersi chiusa dentro, si sentì finalmente a suo agio. Ricominciò a respirare in modo regolare, poi si specchiò, come era d'abitudine, nell'ultimo periodo.
Ogni mattina che si svegliava, le pareva che ai suoi maledetti ventisei anni si sommasse una piega diversa sul viso.
I need no sympathy.
Si cacciò dentro la doccia cercando di dimenticare almeno per un attimo tutto quello che era successo e che stava succedendo, nel disperato tentativo di lavarsi via di dosso il profumo di Roger, sperando di uscire dal bagno e trovare la casa vuota.
Oppure no.
Si legò l'asciugamano sopra il seno e si guardò intorno.
Bestemmiò.
I vestiti erano in camera.
Camminando in punta di piedi, andò a recuperare le grucce con il suo tailleur e la camicia.
Nella stanza c'era ancora odore denso di sesso, si poteva tagliare col coltello, ma se ne accorse solo dopo aver respirato arie migliori. Roger pareva essere imperturbabile.
-Meglio così- pensò, iniziando a vestirsi in corridoio, poi andò a lavarsi i denti.
So you think you can stone me and spit in my eye...
«Non hai perso il vizio di abbandonare i tuoi amanti incustoditi a letto» il batterista, con indosso solo i boxer bianchi, e con gli occhi strizzati per la troppa luce, se ne stava in piedi sullo stipite della porta. Dorothy sputò nel lavandino, fingendo che la cosa non avesse nessun effetto su di lei.
«Ma se abbiamo dormito insieme solo due volte? Questa sarà la terza...» non lo guardò neanche e cominciò a truccarsi.
«Esci? Mi pare proprio che sia parecchio freddo, là fuori, perché non resti?»
«Perché devo andare a lavoro...»
So you think you can love me and leave me to die...
«Vuoi che ti accompagni?»
«Sono auto-munita.»
«Dorothy...»
«Eh...»
«Sei arrabbiata?»
«No.»
«Perché mi rispondi a monosillabi allora?»
«Perché ti comporti come quando stavamo insieme. Quell'aria da cucciolo bastonato non riesci proprio a lasciartela alle spalle, eh?» fece la spocchiosa Dorothy.
Roger ignorò la sua frecciatina e continuò per la sua strada:
«Non ho mai capito da cosa ti derivi un carattere così difficile, eppure pensavo di conoscerti bene» lui non capiva, non sapeva tante cose.
«Senti, ti lascio le chiavi, quando hai finito chiudi e dalle al portiere...»
«È la procedura standard?» domandò lui, quasi incuriosito.
«Ha importanza?»
Roger sbuffò.
«Ho capito, che facciamo, adesso?»
«Io devo andare a lavoro. Tu sei libero di fare quello che vuoi, come sempre. Ciao.»
Oh, baby, can't do this to me, baby!
Just gotta get out, just gotta get right outta here!
» A kind of Catherine;
Eccomi qui, viva i miei WC. Spero di essere più breve stavolta.
Allora prima di tutto un ringraziamento a tutte quelle che mi seguono, ed eventualmente trovano il tempo di recensire. <3 Proprio a voi mi rivolgo, perché, come ho già spiegato ad alcune di voi nelle risposte alle vostre recensioni, la storia è già finita, nel senso che l’ho già scritta tutta, quindi vorrei sapere con che frequenza vorreste che io aggiornassi.
Poi, un’altra cosa più importante che dovevo già segnalare nel capitolo due e che mi sono dimenticata (thanks to KatyAnyFrancy e la mia cara MidoMido). La Debbie di cui si parla non è la vostra amata (?) Leng, ma l’altra vostra ancora più amata (??) Harry ahah. (ndRoger: non c’è da ridere o_o).
Ah e visto che ci sono buon anno (O___O)!
C.
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Capitolo 4 *** Funny, you don't hear a single word I say. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo IV - Funny, you don't hear a single word I say.
Roger si sentiva fortemente a disagio.
Per quello che aveva fatto agli altri, cioè pugnalare tre persone che gli erano care contemporaneamente, ma anche per quello che aveva fatto a se stesso, cioè ignorare il sentimento latente che abitava sul fondo del suo cuore. Quel sentimento che adesso scalciava per uscire.
«Dove ti eri andato a cacciare?» la voce dall'altro lato del telefono lo trapassò.
«Scusa Debbie, ero stanco morto, sono rimasto a dormire fuori...»
«Era l'unica sera che potevamo trascorrere insieme...»
«Sento una gran confusione, ma dove sei?»
«Sto per fare il check-in all'aeroporto, possibile che non ti ricordi mai? Sto via una settimana!» Roger bestemmiò, poi inventò una serie di scuse che venivano dal più profondo del cuore.
Avrebbe dovuto dirlo perlomeno a Freddie... ma con che coraggio, dopo quello che lui gli aveva suggerito?
Più il tempo passava, più sapeva di non poterle dire addio. Non più. Ogni singolo secondo.
«Non deve essere necessariamente una cosa impegnata, possiamo vederci semplicemente quando ne abbiamo voglia» aveva asserito Dorothy, con la sua finta aria da diplomatica, lasciando, per la verità, in sospeso molte cose, con quell'espressione ambigua.
Roger non aveva avuto il coraggio di chiedere.
Ma dopo la prima settimana di facciata, i loro letti avevano iniziato a conoscere ormai a memoria le due sagome che si incontravano sempre più frequentemente, fino a vedersi tutti i giorni, riconoscersi, intraprendere ogni volta un itinerario nuovo, sebbene già conosciuto, facendosi strada tra il piacere, il peccato e la perdizione.
Il telefono squillò. Dorothy si avviò alla cornetta ancora con la bocca piena.
«Sì?»
«Sei tornata più tardi, da lavoro, oggi...» constatò il batterista.
«Alla solita ora di sempre» finì di masticare l'altra. Doveva fingere che non le importasse quello che lui aveva da dire sui suoi orari di lavoro. In realtà non era molto difficile, visto che era proprio così, anche se si compiaceva del fatto che il batterista li conoscesse.
«Ti ho chiamata dieci minuti fa e non eri ancora a casa» si lamentò, con l'aria da star che aveva assunto dall'ultimo periodo a quella parte e in cui Dorothy, ancora, faceva fatica ad identificarlo. Che fosse cresciuto, si vedeva, in molti aspetti.
Primo di tutto, il suo corpo. Bellissimo. Secondo, l'evoluzione del suo carattere e il suo pallido tentativo di mantenere forte la sua personalità. Terzo, il suo modo di rapportarsi con gli altri e soprattutto con lei. No, non erano più i due ragazzini inesperti della casetta sull'albero, impacciati. Erano due adulti, cresciuti, consapevoli di come fare a spogliarsi rendendo un uomo o una donna pazzi alla loro vista, che sapevano quali corde toccare, come toccarle... anche se non sapevano perché.
«Che fai, adesso mi controlli?» la ragazza dai capelli corvini fece una piccola pausa «Aspetta che ho una chiamata sull'altra linea... sì?» Roger si lamentò del fatto di essere passato in secondo piano «Aspetta un attimo. È Anthie.»
«Che vuole? Non siete uscite ieri pomeriggio?» proseguì.
«Che te ne frega, poi... saranno maledetti affari miei» replicò acida.
«Se sono tuoi sono anche miei...»
«Vuole sapere che faccio per capodanno.»
«Prima o dopo aver scopato con me?» disse lui, sarcastico.
«Vaffanculo Roger» Dorothy respinse la chiamata e tornò a parlare con l'amica.
«È successo qualcosa?» le domandò la biondina.
«No, c'era Mitch sull'altra linea» improvvisò.
«Mitch?» ripeté la biondina.
«Mi vedo con Roger, va bene?»
«Eh?»
«Hai capito benissimo e non ho intenzione di ripeterlo, per il momento suona più strano a te, che a me, oppure viceversa, non lo so...»
«Hai bevuto?» domando Anthea preoccupata. Non aveva mai visto Dorothy alzare il gomito, nonostante le compagnie, ma in quel caso le parve decisamente che i discorsi corressero su un filo di lana che collegava due pali della luce uno a Mosca e l'altro a Città del Capo.
«Vuoi che attacchi in faccia anche a te?» minacciò la morettina.
«Si può sapere perché non mi hai detto niente?» ci volle quasi mezz'ora affinché la più grande delle due ultimasse il suo racconto, al termine del quale, Anthea se ne uscì con un «Tesoro così non può andare, ti sei fatta scopare in casa tua da uno che ti ha scaricata perché non coincidevi perfettamente con le sue esigenze di spettacolo, senza che neanche aveste una conversazione decente e...»
«Vuoi piantarla con i lati negativi? Quelli sono buona a trovarli da sola. Te l'ho raccontato perché di solito trovi sempre un lato positivo a tutto» la bionda si passò una mano sulla fronte.
«C'ero io al tuo fianco, quando ti ha lasciata, e so quanto hai sofferto. E so di per certo che anche adesso, se ti chiedesse di tornare con lui, tu saresti pronta a gettarti nel baratro di nuovo, nonostante tutto quello che ti ha fatto. D'accordo, non ha avuto carattere, i suoi sentimenti magari si sono risvegliati, però se c'è stata una mancanza in passato, magari ci sarà anche in futuro... Dorothy io non voglio vederti stare male di nuovo.»
«Non lo so, Anthie, non è così semplice. Mi è sembrato veramente dispiaciuto...»
«Ti aveva appena portato a letto entrando in casa senza neanche salutarti...»
«Hai presente Roger? Quello coi sensi di colpa eccetera eccetera.»
«Le persone cambiano...»
«Hai mai letto Persuasione di Jane Austen?»
«Sì, ma non sono sicura che sia il vostro caso, e poi non ti ci vedo nei panni di Wentworth.»
«Freddie è perfetto per Lady Russell, io sarei indubbiamente affascinante...» la mora fece uno strano movimento con le sopracciglia che avrebbe di certo terrorizzato Anthea, se l'avesse vista.
«Non cambiare discorso! Tu non hai mai smesso di amarlo neanche un giorno, vero?» le sue parole la tagliarono come coltelli, e si sentì come impotente e nuda di fronte alla conoscenza che ormai Anthea aveva di lei.
«Non è esattamente così» tentò debolmente di difendersi.
«Dorothy, ti vai ad infilare in un brutto guaio, se ti illudi...»
«Ma dai, ma ti pare... quella che gioca ancora con le bambole sei tu, e un po' di sesso ogni tanto non guasta mica, anzi, dici tu che quando trombo sono meno acida, quindi...» il campanello suonò «scusa, ti devo lasciare, mi suonano alla porta.»
«Tanto non finisce qui, ti richiamo stasera, non te la caverai con così poco!»
«Lo so! A stasera, allora...» il campanello si fece sentire di nuovo «Che palle, credo sia il tecnico... toccherà a me andare ad aprire. Ciao!»
Dorothy uscì nell'androne ed aprì il portone
«Si può sapere perché mi hai attaccato la cornetta in faccia?» domandò Roger con aria seccata, spegnendo la sigaretta per terra.
«E tu da quanto fumi?» continuò lei, guardandolo esterrefatta.
«Da... da un po', ormai» cercò di giustificarsi lui.
«Sei diventato un uomo, allora!» la moretta fece un gesto teatrale.
«Macché dici, è un pessimo vizio...»
«Perdilo allora!»
«Se volessi perdere i miei vizi, non sarei qui, adesso.» |
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Capitolo 5 *** Why don't you give a little love? ***
When you’re screaming in the night
Capitolo V - Why don't you give a little love?
Amava la sua voce, particolare, che mugolava versi incomprensibili, persino nel sonno.
Amava le sue braccia penzoloni giù dal letto, se la la mattina l’abbracciava, era costretta a sollevarle per evitare che cadesse.
Amava sapere che non si sarebbe svegliata sola e, al contempo, che non sarebbe stato lo stesso per lui.
Amava, in generale, quella strana sensazione che Roger era capace di trasmetterle.
Perché con lui, fino alla fine, c'era ancora quella strana ansia mista a sorrisini da ebeti che ti prendono i primi tempi che sei innamorata, quando ancora non sai come andrà a finire.
E come sarebbe andata a finire, in effetti, Dorothy non lo sapeva.
Why don't you take another little piece of my heart?
Why don't you take it, and break it, and tear it all apart?
All I do is give,
and all you do is take.
Normalmente amava anche affondare le sue labbra nella passione tangibile dell'amante, soprattutto se si trovava ad un passo dal raggiungerla nella sua forma di manifestazione più piacevole.
Roger ansimava.
Dorothy si sollevò.
«Dorothy...» sussurrò con la voce roca «dove stai andando adesso?»
«A fare la pipì» il ragazzo respirò con affanno. Cercò di concentrarsi sul altro.
«Non puoi, un attimo, per cortesia, finire qui?»
«È piuttosto urgente...» sulle sue labbra, prima intente a fare altro, si era disegnato un sorrisetto malizioso.
«Ti pare che la mia situazione sia meno urgente della tua?» ringhiò, l'altra non rispose, rimanendo a fissarlo seduta sul fondo «Devo venire a prenderti?» Roger si rassegnò e si sollevò, mettendosi sul letto a quattro zampe «Lo sai...»
Why don't you take another little piece of my soul?
Why don't you shape it, and shake it, till you're really in control?
All you do is take,
And all I do is give.
«Lo so, ma ricordamelo...»
«Ho bisogno di te.» la puntò con i suoi occhi cristallini «Ora.»
Avevano entrambi come la sensazione di stare dando troppo e non ricevere niente in cambio.
Ma non potevano farci niente.
Why don't you take another little piece of my life?
Why don't you twist it, and turn it, and cut it like a knife?
All you do is live,
all I do is die.
Why can't we just be friends, stop living a lie?
Ancora.
Ne voleva sempre di più.
E non importava se era sempre la stessa, lunga storia.
Guardarla rannicchiarsi su un fianco.
Ancora una volta.
Sdraiarsi accanto a lei.
Ancora una volta.
Cingerla.
Ancora una volta.
L'avrebbe fatto ancora, e ancora, e ancora.
Fino a stare male.
Sempre ammesso che male già non stesse.
«Puoi andare a fare pipì adesso.»
«Non mi scappa più...»
«Sicura?» annuì, voltandosi verso di lui. «Devo dirti una cosa importante... hey, perché ridi?»
«Così...» si gongolò lei.
«Dimmelo! … mi hai di nuovo lasciato il tuo rossetto sulla faccia?» esclamò allarmato lui.
«Ma no!»
«Che palle. Volevo dirti una cosa davvero importante e tu mi prendi in giro. Ti detesto quando ti comporti così!» protestò Roger.
«Guardati, sembri un bambino. Rido perché anch'io dovevo dirti una cosa importante, ok?»
«Dimmela, allora.»
«No di certo! Prima tu!»
«... e se la dicessimo insieme?»
Il silenzio calò nella stanza. Sapevano perfettamente che si trattava della stessa cosa.
I due amanti intrecciarono i loro pensieri.
Se veramente l'avessero detto l'uno all'altro, ad alta voce, guardandosi negli occhi, il destino li avrebbe uniti, forse per sempre. Però avrebbero rischiato di scoprire una parte di loro stessi troppo intima per rischiare di condividerla con qualcuno che poteva non ricambiare.
Il gioco valeva la candela?
«Al tre» il biondino contò sulla punta delle dita.
Uno.
Due.
Tre.
Why don't you live a little... oh yeah baby, why don't you give a little love?
Let me live, please let me live, oh yeah baby...
Let me live.
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Capitolo 6 *** Scandal. Yes. You're breaking my heart again. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo VI - Scandal. Yes. You're breaking my heart again.
La domestica aprì il portone di casa Bowie e una dinamica Dorothy fece ingresso nella mastodontica residenza come ai tempi delle scuole superiori.
«Sei arrivata presto» la accolse l'amica, scendendo le scale lentamente.
«Stavi dormendo?» rise.
«Sonnellino pomeridiano di bellezza...»
«Puoi tornare a dormire, con le pappe me la cavo benissimo da sola!»
«Come mai così di buon umore?» la ragazza fece spallucce, spostandosi in cucina «Non sarà mica perché accoglierai l'anno nuovo con il tuo amato?»
«Impicciona» la zittì l'altra.
«Vi bacerete sotto il vischio?»
«Davanti a tutti! Con l'umore che ho adesso, potrei baciare anche te, sotto il vischio, quindi non provocarmi, amica ahah!»
«Lo farei, ma non posso, ho già fatto la mia promessa a un altro» Anthea declinò l'invito con cortesia.
«Che promessa?» Dorothy aprì il rubinetto e lavò le mani, prima di mettersi all'opera.
«Di matrimonio...»
«Ti sposi?» gridò, con il suo tono distruttivo e invasivo. Le afferrò le mani, con le sue, tutte bagnate e le saltò letteralmente addosso, iniziando a ballare con lei
«Sì!» gridò l'altra, stranamente meno entusiasta di lei.
«Devo perdere qualche chilo qua e là, allora: avrò un vestito mozzafiato per il tuo matrimonio!»
«Di che colore pensi di vestirti? Ti voglio come damigella, eh!»
«Di certo non di bianco mia cara»
«Sempre la solita spiritosa...»
«Anthie, forse è meglio se te ne vai... non è che non voglio insegnarti, è che ci tengo che i nostri ospiti cenino, stasera...»
La biondina lasciò la cucina tuta imbronciata per andare a farsi il bagno.
Era tutto pronto, Dorothy guardò soddisfatta lo stato catastrofico in cui aveva lasciato la cucina, afferrò la sua borsa e andò in bagno a sistemarsi, chiedendosi che fine avesse fatto Anthea.
Gli ospiti sarebbero arrivati a breve.
Indossò il suo abito nero, poi cominciò a truccarsi.
«Mmm, eccoti qui» Roger chiuse la porta del bagno con un giro di chiave.
«Come hai fatto ad entrare?» domandò lei, spaventata.
«Dalla porta, come tutte le persone civili e rispettabili...»
«Come mai sei venuto così presto?»
L'uomo la fece accomodare sul lavandino e strinse, accarezzandole con forza la schiena.
«Che c'è? Non sei contenta di vedermi? Ho provato a chiamarti per sapere a che ore dovevo passare a prenderti, ma non hai risposto, così ho dedotto che dovessi essere già qui...»
«Perspicace!»
«Mi merito un’ultima botta d'amore prima che finisca l'anno?»
Dorothy gli cinse i fianchi con le gambe e lo baciò.
«Quanto sei gnocca stasera!» si complimentò Anthea «Non ti vedevo così in tiro dai tempi del nostro ballo studentesco. Ehi, ma... dov'è Roger?»
«È andato a prendere Freddie. Mary non ci sarà stasera e la primadonna si vergognava ad arrivare da sola. Incorreggibile»
«Capisco» da quella via suonò il campanello e la padrona di casa si apprestò ad aprire.
Era proprio Freddie. Da solo.
«Ma... Mary?» si azzardò a domandare.
«È dai suoi» brontolò Freddie con rassegnazione, entrando «Bella casa, Bowie...»
«Grazie... ma Roger mi ha detto che passava a prenderti, dove è?»
«Ah, sì, era una sorpresa, troverà Debbie al mio posto, uh, l'amour!» fece spallucce e si accomodò sul divano senza troppi cerimoniali. Anthea si sentì gelare.
«Io vado a finire le mie cose con il cibo» Dorothy si allontanò con totale naturalezza, spostandosi in cucina. Non appena fu arrivato John, pronto ad intrattenere gli ospiti, l'amica la raggiunse.
«Dorothy...» Anthea era piuttosto impaziente, o meglio, agitata.
«Non... azzardarti a dire niente» trattenne il respiro come se quello avesse potuto aiutarla a non piangere.
«Posso fare qualcosa?»
«Trovami una scusa per scappare di qui prima che arrivino.»
«Torna di là, ci penso io...»
La moretta obbedì ed entrò in sala, salutando tutti e cinque gli altri invitati. Si soffermarono a parlare dei regali di Natale, delle vacanze, del lavoro. Allora torno Anthea.
«Ehm, Dorothy...»
«Sì?»
«Ha chiamato Mitch...»
«Mitch?» domandarono tutti gli altri all'unisono
«Il suo fidanzato» passò a spiegare «ha detto che, surprise! È riuscito ad acchiappare l'ultimo volo da Parigi, è all'aeroporto!»
«Davvero?» Dorothy ci mise tutti il suo entusiasmo per farlo sembrare un davvero di felicità. La biondina annuì. «Beh, ragazzi, mi dispiace piantarvi...» la mora ormai era diventata un'attrice provetta «ma devo proprio andare...»
Si fecero gli auguri, Anthea portò il suo cappotto all'amica e lei si apprestò ad uscire.
Aprì la porta e vi trovò Roger che, infreddolito, chiedeva permesso, insieme alla sua fidanzata. Aveva della neve tra i capelli. I loro sguardi non si incontrarono. Dorothy era troppo terrorizzata dal vedere chi aveva accanto. Deglutì, sforzandosi di non dare dell'occhio. Anthea cercò di distrarla facendole gli auguri ancora una volta.
«Vai... via?» domandò l'uomo, ponendosi in mezzo alla porta, come per bloccarle il passaggio.
«Sì, è arrivato Mitch» rispose lei. Roger diventò un pezzo di legno. La donna fece gli auguri ad entrambi, senza troppe cerimonie, poi scappò «Allora ci vediamo, buona serata ragazzi!»
«Ti... accompagno alla macchina, sta nevicando, ho l'ombrello» improvvisò il batterista. Anthea e Debbie lo guardarono preoccupate. Giusto il tempo di raggiungerla nel vialetto, quando la porta si fu chiusa e già l'aveva afferrata per un polso.
«Chi cazzo è Mitch!» non suonava molto come una domanda a dire la verità, ma Roger ce l’aveva messa tutta per dare suono al suo punto interrogativo.
«Non mi toccare!» intimò lei.
«Di solito ti piace quando ti tocco...»
Dorothy in risposta ringhiò:
«Che c'è? Vuoi proprio farti scoprire?»
«Ti ho fatto una domanda.»
«Non mi pare proprio che tu sia nella posizione di fare domande, e ora sparisci» ordinò.
«Ho provato a... mi dispiace, si è aggregata all'ultimo minuto. Non voglio mandare tutto a puttane tra noi per quello che è successo stasera...»
«Sai, io, credevo che ti importasse davvero, e invece mi pare che ogni volta tu provi un piacere nuovo a umiliarmi davanti a tutti. Lascia perdere, risparmiati il resto della farsa.»
«Non volevo umiliarti, e se è così che ti sei sentita, scusami, ti prego, era l'ultima cosa che volevo...»
«Sono stufa di questi giochetti, Roger. Io ho bisogno di un impegno concreto.»
«Mi impegnerò, ti prometto che mi impegnerò. Devi darmi tempo, prima lo devo dire a Freddie e...»
«Ficcati bene in testa queste cose: primo. Freddie non è nessuno di così eminente da decidere quello che TU devi fare della tua vita. Secondo: io non ho tempo da darti, quindi scegli alla svelta cosa è più importante» Dorothy aprì la portiera e accese il motore
«Non puoi guidare in queste condizioni...»
«Se mi schianto spero che il senso di colpa ti corroda.» |
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Capitolo 7 *** Nobody Else. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo VII - Nobody Else
Freddie se ne stava sdraiato sul letto come un sultano: scalzo e col petto nudo, abbracciava i cuscini alle sue spalle e fissava chiunque entrasse nella stanza con un'aria da mastino.
Roger era seduto su una poltrona vicino a una finestra, impaziente di tornare a casa. Erano dovuti andare in un posto remoto a firmare un fottuto contratto. Chilometri per una stupida firma.
Il batterista sbuffò.
«Orsù, domani la vedrai, mio caro...» lo consolò il cantante.
«Voglio lasciarla» replicò diretto il batterista.
«Allora la tua non è trepidazione, è paura dell'arrivo di domani!» constatò il moro.
«Tutt'altro, è veramente la prima. Voglio veramente lasciarla, così potrò stare con chi voglio.»
«Ah sì? E sarebbe?»
«Dorothy.»
Freddie sorrise con quella sua aria da inguaribile sornione, deludendo le aspettative dell'amico:
«Avevo intuito che doveva esserci qualcosa, già per capodanno. Il modo in cui l'hai guardata quando l'hai rivista sulla porta... E lei lo sa?» lo interrogò.
«Sì.» Roger era molto criptico, quel giorno.
«E che cosa ti ha detto?»
«In sintesi, che mi odia.»
«Forse dovresti pensarci due volte prima di lasciare Debbie per lei...»
«E perché mai?»
«Perché ti odia. Cioè, non che io pensi che questa sia una sua colpa, però... suppongo che sia normale. Dopotutto tu l'hai lasciata!»
«TU mi hai costretto a farlo!» lo accusò l’amico.
L'espressione di Freddie si fece piuttosto seria. Il busto d'uomo si irrigidì, accavallando armoniosamente le gambe in un movimento piuttosto rigido.
«Io ti ho solo dato un consiglio. Se tu non hai le palle per prenderti la responsabilità delle tue decisioni, questo è affar tuo!» obiettò, offeso.
«Io ce le ho le palle!»
«Mi piacerebbe molto vederle...» il frontman assestò un buon colpo con uno dei suoi occhiolini e il batterista arrossì. «Roger...» continuò.
«Che c'è...» rispose l'altro stizzito.
«Guarda che io non posso farci niente se ti sei innamorato.»
«Io... non...!!!!»
«Contraddire tutto quello che dico non ti farà sentire meglio, amico mio...» lo derise.
«Non è questione di contraddirti, è che tu pretendi di sapere tutto e invece non sai niente, non sai proprio un bel niente!»
«Quando ti svegli la mattina e sei con lei ti senti come se volessi che succedesse per sempre? La ami. Quando lei non c'è ti viene in mente di sublimare la sua assenza con strane melodie composte dalla tua mente con le quali cerchi di raggiungere la sua perfezione senza riuscirci e sentirti ancora più frustrato per la sua assenza? La ami. Stai male al solo pensiero che i vostri corpi abbracciati possano separarsi? La a...»
«Ho capito, ho capito!!»
«Posso continuare ancora per un po' se vuoi...»
«Ho capito!»
«Ti stai infilando in un casino, come al solito.»
Anthea sapeva perfettamente che calarsi nei panni di Dorothy non serviva a niente. Trasse un bel sospiro e si concentrò sulla pedicure: fissò i suoi piedi, che amava alla perversione, e poi il cofanetto con tutti i suoi smalti ordinati per gradazione di colore, aperto sopra il letto.
«Non era calcolato che succedesse» si giustificò la mora.
«Come non era calcolato che tu andassi a letto con Roger, tempo fa, sbaglio?»
«Dai, come potevo sapere che avrei incontrato proprio lui, la notte di capodanno? Hai presente in quanti altri pub poteva andare a festeggiare? E poi eravamo parzialmente alticci entrambi, si sa che allo stato di natura certe cose succedono.»
«Ci sei andata perché stavi soffrendo per Roger. E non negarlo!»
«Lui va con Debbie perché soffre per me, è uguale, no?» replicò la mora.
«E vuoi abbassarti al suo livello?»
Dorothy non disse nulla, semplicemente scelse una boccetta dal grande ed elegante contenitore e la passò all'amica.
«Dorothy, Roger non ti ha detto che ti ama, ti ha detto che è ancora innamorato di te, che è diverso... significa che c'è stato un continuum. Ad ogni modo, se non lo farà, devi dirlo tu a Debbie.» suggerì Anthea.
«Non lo farò...»
«Non puoi lasciare che ti affondi così solo per averti per sé! Un tempo ti saresti vendicata...»
«Le cose cambiano: la parte forte e cattiva è diventata lui, ha mangiato il mio carattere giorno dopo giorno, lasciando a me il suo.»
«Ma perché hai così paura di lanciarti di nuovo e dargli fiducia, per una volta?»
«Perché so che mi ferirà di nuovo...»
«Ti avevo avvertita.»
«Non usare quel tono da saccente con me...»
«Lascialo e fine dei giochi. Il mondo è pieno di uomini e tu lo sai meglio di me.»
Ma lui non era un uomo, non un uomo a caso. Lui era Roger Taylor.
«Se lo lascio io, la colpa ricadrà su di me e potrà rinfacciarmelo. Non voglio trovarmi nella sua stessa posizione.»
«Se non vuoi lasciarlo e vuoi farti lasciare, non è poi così difficile. Basta che gli dici del bambino...»
Dorothy fulminò Anthea, che si stava dando lo smalto sulle unghie dei piedi
«Lui non saprà mai quella cosa, ficcatelo in quella testolina ricciola e bionda...»
«Io ti lascerei, se la sapessi.»
«Mi inventerò qualcos'altro, e tu tieni cucita quella bocca...»
«Se starete insieme davvero, ormai non siete più dei bambini, penserete al futuro e non vivrete una storia lampo di sei mesi... non puoi convivere tutta la vita con lui nascondendogli quello che è stato! Saresti un mostro se lo facessi!»
«Vuoi dire che dopo che ho abortito e ho continuato a stare con lui, ero un mostro?» Dorothy inarcò un sopracciglio, guardandola di sottecchi.
«Non è una novità che io non abbia apprezzato il tuo comportamento e che comunque non mi sarei comportata come te. Dio, non ho idea di come tu facessi, davvero, a portare quella cazzo di faccia di bronzo che ti ritrovi stampata sul viso quando stavi con lui con suo figlio nel ventre, la precisa idea di ucciderlo nella testa, e non dire una sola parola in merito. Se riesci a mentirgli così bene per una cosa tanto grossa, mi domando fino a che punto sei umana...»
«Non capisco perché mi stai vomitando addosso queste cose proprio adesso. Tanto oramai ho abortito da sei anni, non è che...»
«Perché sono incinta, cazzo.»
Aveva trascorso buona parte della sera ad aspettare di fronte al portone nell'attesa che rientrasse, ma non c'era stato verso. Probabilmente Dorothy avrebbe passato la notte a casa di qualcun altro, qualcun altro che non era lui.
Il solo pensiero gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Erano oramai le tre del mattino, probabilmente non sarebbe tornata sul serio e lui stava morendo congelato.
Roger radunò tutta la sua frustrazione, sforzandosi di riuscire perlomeno ad aspettare di arrivare fino a casa per piangere, senza riuscirci. Da quella via, Dorothy fece capolino nel piccolo vialetto tra il cancello in ferro battuto ed il portone.
«Dove sei stata?» la attaccò, tanto era inutile nascondere la sua disperazione, visto che se ne stava raggomitolato contro la lastra di legno come un barbone, con le guance rosse per il freddo e gli occhi lucidi per l'attesa. La ragazza gli diede un bacio sulla fronte, passandogli accanto per aprire il portone.
«Non sono affari tuoi, comunque, vuoi entrare?»
«È Mitch?»
«Roger... basta. Sono stanca adesso.» rispose lei.
«Dimmi solo dove cazzo sei stata e con chi cazzo eri!» si arrabbiò lui. Lei non oppose molta resistenza.
«Ero da Anthea...»
«E non sei rimasta a dormire?»indagò.
«No, mi sono arrabbiata con lei e l'ho piantata lì da sola.»
«E perché?»
«Perché è incinta e io sono stata l'ultima a saperlo...» Dorothy raccontò una mezza verità, come era molto brava a fare.
«Io non lo sapevo...»
«Tu non sei la sua migliore amica.»
«Se tu fossi rimasta incinta l'avresti detto prima al tuo ragazzo e poi alla tua migliore amica, come suppongo abbia fatto lei!»
«Non penso proprio!» rise rumorosamente lei. La sua grassa risata echeggiò in tutto l’androne.
«L'avresti detto prima a lei che a me?»
«Non te l'avrei detto affatto...»
«Smettila di fare la scorbutica.»
«E tu alzati di lì, ed entriamo. Si muore di freddo...» disse, dal portone, tendendogli la mano.
«Ti ho portato un... questo.»
«Cos'è?»
«Un regalo!»
«Che pensiero carino... ti è andata male che ora sono troppo arrabbiata con Anthie anche solo per ricordare perché ero arrabbiata con te, anche se lo ricordo perfettamente...»
«Quando vedrò Debbie la lascerò.» asserì secco lui.
«Non fare promesse che non puoi mantenere» Dorothy aveva una lucidità che non era da lei: c'era decisamente qualcosa che non andava. Normalmente sarebbe scoppiata di felicità per quella notizia.
«La manterrò.» |
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Capitolo 8 *** This is gonna hurt. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo VIII - This is gonna hurt
Non apriva.
-Grazie al cielo quest'ora è arrivata- aveva pensato Roger, e invece niente stava andando come sperava.
Quei giorni senza di lei, gli erano parsi interminabili. Certo, si erano visti il giorno del matrimonio, ma non aveva potuto sfiorarla neanche con un dito, anche perché pareva che quel giorno, la damigella, avesse scelto come suo cavaliere il fratello della sposa.* Poi le vacanze fuori con Debbie, l'assenza di Dorothy, il coraggio che gli era mancato.
Era tutto così confuso.
Non sapeva neanche perché si trovasse lì, per ferirla di nuovo, forse? Per dirle che, sì, forse aveva ragione Freddie, non aveva le palle per prendersi la responsabilità di quella decisione?
Era lì per spezzarle il cuore.
Ma tanto Dorothy non apriva.
Forse era con qualcun altro, forse era da qualcun altro.
Forse lei l'avrebbe spezzato a lui.
Roger sentì il chiavistello muoversi dietro la barriera di legno, infine Dorothy aprì la porta, con un'espressione sorpresa. Indossava un pigiama largo e pesante, disegnato con un motivetto bianco e rosa piuttosto infantile.
«Non dovevi tornare domani?» domandò, portandosi indietro i capelli con una mano.
«Quanto entusiasmo!» cercò di rompere il ghiaccio lui «Che stavi facendo?»
«Niente di che. Guardavo un film in tv...»
«Lo guardiamo insieme?»
Stavano seduti ai due lati opposti del divano come due perfetti sconosciuti... e grazie al cielo che il divano, di posti, ne aveva solo due!
Dorothy aveva un'aria piuttosto stanca, teneva stretto uno dei cuscini al petto e fissava la televisione, come se fosse profondamente assorta nei dialoghi.
Roger si sentiva a disagio, come se non si fossero mai visti prima, come se non fossero stati fidanzati, un tempo, come non avessero mai fatto l'amore, come se non si fossero mai amati. Con un certo sforzo di intraprendenza, allungò la mano sulla spalliera, fino a stringere la ragazza a sé. Lei non batté ciglio.
«Sabato volevo andare a trovare mami, a Truro, ti andrebbe di venire con me?»
«Cos'è? Un incontro ufficiale con la famiglia? Mi sconvolgi!» replicò lei, continuando a guardare a dritto, col suo fare più austero.
«Mi faceva solo piacere che tu venissi con me, tutto qui...» arrossì «Tempo fa, mi dicesti che un'estate saresti venuta...»
«Non me ne sono dimenticata, anche se è successo... quanti erano? Sei anni fa?» sapevano tutti e due quanto tempo era passato, da quella notte. Quella era forse la parte più piacevole da ricordare della loro intera storia. Era l'unica certezza. Il sesso. Il maledetto sesso.
«Insomma, cosa hai fatto mentre non c'ero?» domandò Roger, appoggiando una guancia sui suoi capelli
«Lavoro, uomini, sesso, lavoro... ops. Dimenticavo che queste tre cose alla fin fine coincidono.»
«È proprio vero, quando il gatto non c'è... i topi ballano!» scherzò lui.
«Tu?» domandò lei, degnandolo per la prima volta di uno sguardo, piuttosto impertinente per la verità.
«Lo sai...» la rimproverò con gli occhi.
«Sentiti libero di entrare nel dettaglio» sorrise, cattiva.
Roger sbuffò, si era infilato in una brutta situazione, da solo per giunta.
«Non è come pensi...»
«Bene, se non è come penso significa che l'hai lasciata!» esclamò. Gli occhi divertiti dall'ironia che si sprigionava dalla domanda stessa entrarono nei suoi come avrebbero potuto penetrare la sua mente. Si capiva lontano un miglio che lo stava prendendo in giro.
«Mi dispiace» furono le uniche parole che ebbe per lei.
Poi il silenzio, disturbato solo dalla televisione, calò di nuovo nella stanza.
Roger guardò Dorothy: sembrava proprio che stesse dormendo. Spense la televisione e, con cautela, la prese in braccio per portarla fino al letto, sfatto, dove la coprì ben bene. Guardò la sua testa adagiarsi morbidamente contro il cuscino, senza dare segno di essersi accorta dello spostamento. Nessuno, a guardarla così, avrebbe mai detto che potesse essere così fastidiosa, se solo avesse voluto.
Restò a contemplare quello stato di beatitudine ancora un po', poi si alzò.
Dorothy aprì gli occhi.
Il letto era sfatto, come l'aveva lasciato Tim. Vuoto.
Il suo cuore fece crak, in modo impercettibile, silenzioso. Anche se l'avesse fatto in modo rumoroso, comunque, sarebbe stata l'unica a sentirlo.
Roger l'aveva lasciata lì, da sola.
Senza che la sua volontà riuscisse a capire, prima che il dolore si manifestasse con la ragione, con la consapevolezza di essere stata abbandonata, il respirò le si spezzò in gola e gli occhi si riempirono di lacrime. Prima ancora che la mente riuscisse a domandarsi:
-Perché?-
Si rannicchiò sotto le coperte, nascondendo la testa come faceva da bambina quando sentiva qualche rumore strano. Come se quell'involucro avesse potuto proteggerla dal freddo che sentiva dentro.
Quanto ancora sarebbe durata quella sofferenza? Non era già passato abbastanza tempo? Quando avrebbe trovato il coraggio di scrollarsi quel peso dalle spalle una volta per tutte? E se fosse tornato di nuovo?
Qualcosa si mosse, poi la figura maschile, in mutande, visto che non aveva il pigiama e che di solito non serviva, si infilò sotto le coperte calde ed accoglienti, come in precedenza aveva fatto con la sua vita, con il suo corpo, insinuandosi silenziosamente, ma prepotentemente.
Non appena si fu sistemato, la piccola morettina, si strinse contro di lui, nascondendo la testa contro il suo petto. Il ragazzo, non poco attento, sentì subito le guance fresche, umide, contro la sua pelle, e cercò di sollevarle il viso, incontrando una fiera resistenza.
La moretta strusciò la testa corvina contro di lui, come a supplicare di essere lasciata in pace.
«Dorothy...» la donna mugolò continuando il suo percorso di ostinata opposizione. Roger decise, per una volta, di assecondarla. Posò un bacio tra i suoi capelli, stringendola più forte «lo sai che ti amo.»
* Vorrei precisare che non ho trattato nel dettaglio del matrimonio di Anthea, altrimenti MrB si montava la testa all’inverosimile ahah (già se la monta per conto suo xD). Sulla rivalità tra Roger e David, invece, suggerisco la lettura di Eyes, seppur in un'altra chiave.
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Capitolo 9 *** Mama! (Didn't mean to make you cry.) ***
When you’re screaming in the night
Capitolo IX - Mama! (didn't mean to make you cry)
«Non ti stai dimenticando qualcosa?» Dorothy assaggiò con le labbra la guancia sudata del suo amante. Roger si drizzò in piedi sulle ginocchia. Era bellissimo, nudo, e persino eccitato.
Stava andando tutto piuttosto bene.
Inaspettatamente.
Il viaggio, una meraviglia: Roger aveva guidato, e Dorothy non aveva fatto obiezioni. Poi la ragazza aveva conosciuto la madre del batterista, e le era pure sembrata simpatica. Le possibilità erano due: o Dorothy era straordinariamente di ottimo umore, oppure qualcosa non andava. Ovviamente era la prima, e di conseguenza anche la seconda.
«Ci ho pensato, sai... non credo che dobbiamo usarlo più» rispose il batterista. La mora cercò di riprendere la lucidità che, soprattutto in quei momenti, non le apparteneva, e lo guardò, concentrandosi quanto più poteva sul suo viso.
«Ah no? E perché?» domandò, in cerca di chiarimenti.
«Perché sto bene con te, mi sento felice, mi sento a posto, e, del resto, se resti incinta, sarò costretto a sposarti, no?» stava scherzando, era ovvio, il tono era ilare, la proposta indecente, ma la donna deglutì, nervosa, mentre l'uomo si stendeva di nuovo su di lei, premendole contro la sua virilità tesa.
«Che intendi?» proseguì lei, indietreggiando, guardandolo di sbieco.
«È difficile da capire?» insistette il batterista, strusciandosi con sempre maggior foga, attento al suo peso, ma dimenticandosi completamente di quello delle sue parole. Dorothy lo allontanò con la semplice forza dei palmi delle mani.
«Spiegamelo.» ordinò perentoria
«Dorothy, che c'è?» Roger si arrese e si mise a sedere, preparandosi all'ennesima discussione per una sciocchezza. All'ordine del giorno, insomma.
«Spiegamelo, su!» ripeté la donna.
«Dicevo solo che... oh, accidenti, siamo io e te, con mia mamma di là, non ti ricorda quando eravamo dei ragazzini...? Con i tuoi...? Credevo ti sarebbe piaciuto...»
«Sì, è... ok. Non è questo il punto.»
«Dico sul serio. L'età per un bambino ce l'abbiamo, o no?» chiese, passandosi una mano tra i capelli.
«Noi non avremo mai l'età per un bambino. Non abbiamo una storia, figurati se abbiamo l'età per un bambino!» Dorothy si sforzava di mantenere la voce bassa ma con il nervosismo che saliva non era così semplice.
«Noi abbiamo una storia! Segreta, ma ce l'abbiamo. E siamo innamorati.»
«Non basta l'amore per fare un bambino, Roger. Siamo una coppia troppo instabile per mettere su famiglia. Ci prendiamo, ci lasciamo, e poi c'è una terza persona in mezzo.» -e a dire la verità anche una quarta...-
«È il pretesto che mi serve...»
«Hai bisogno che io resti incinta per sentirti costretto a sposarmi? Buono a sapersi» sbuffò lei. Si stese di fianco e gli diede le spalle, coprendosi fino a sopra la testa con le coperte
«Non dico questo! Solo... sarebbe bellissimo.»
«Sei un fottuto immaturo Roger, non sai un cazzo della vita, e ovviamente il fatto che i tuoi si siano separati non ti ha aiutato a ficcarti nella testa il fatto che l'amore non è davvero solo un gioco e che per fare un figlio ci vuole un briciolo di maturità!»
«Ehi... non capisco perché te la prendi tanto...»
«Lascia perdere» Dorothy fece per alzarsi, ma lui la inchiodò al letto.
«No, io non lascio perdere. Non su questo argomento importante. Non vuoi avere bambini da me?»
«Possiamo parlarne un'altra volta? Sono stanca adesso.» improvvisò. Di solito il biondo lasciava correre, di solito al biondo non importava un granché. Subiva passivamente i suoi sbalzi d'umore senza rimanerne ferito, né lamentarsi. Aveva imparato a ignorare quel lato del suo carattere che infondo infondo gli era del tutto indifferente.
«Ho detto di no. Ora mi dici che cosa c'è che non va, basta rimandare. Il problema siamo io e te, non è il tempo, la stanchezza, la storia, le bugie... è una vita che non parliamo, che non facciamo l'amore, che non facciamo niente se non litigare per inezie...»
«Per piacere...» supplicò lei, con le lacrime agli occhi.
«Se non ti apri a me come faccio io a capire?... se non mi dici...»
«È una cosa più grande di noi, lascia perdere.»
«Niente, ti dico, niente è più grande di noi. Devi credermi, per una volta, e qualsiasi cosa sia, la affronteremo insieme. Devi fidarti di me.»
«Non voglio affrontarla con te, Roger. Tutto qui» il biondo ringhiò. «Che stai dicendo?»
«Non preoccuparti di quello che dico, preoccupati piuttosto di quello che sto per fare.»
«Roger, non voglio!»
«Pensi mai, dico anche una volta sola all'anno, a quello che potrei volere io? Pensi mai se mi facciano male i tuoi silenzi, le tue sfuriate senza ragione, e allo stesso tempo quanto io ami queste cose di te che mi fanno soffrire? Pensi mai al fatto che se io non sono una parte di te, tu perlomeno lo sei di me e il tuo dolore è anche mio? Pensi mai che, cazzo, io ti amo e ho bisogno di te?»
«Roger, anch'io ti amo, ma questo non posso dirtelo... fidati tu di me, questa volta.»
«Lo so, cosa vuoi dirmi, voglio solo sentirlo dire dalla tua voce. Voglio sentirtelo ammettere...» quella frase lasciò interdetta Dorothy, che però non perse la sua capacità di replicare.
«Tu non sai un bel niente e stai fraintendendo tutto» la ragazza pensò che Roger credesse che lei volesse lasciarlo. Niente di più lontano dal vero.
«Non penso proprio, sai? Altrimenti per quale motivo avresti dovuto prendertela così tanto per una stupida battuta sulla maternità? Perché la tua rabbia contro Anthea nello scoprire che era incinta? Perché le tue allusioni al non accennarmi a nostro figlio...? Perché la tua felice rassegnazione al mio ritorno?» la donna deglutì, stringendosi d'un tratto contro il muro freddo, piuttosto che stare vicina a lui.
«Straparli, ragazzino» la voce tradita dal pianto, si rinchiuse nel suo guscio di coperte, soffocando a stento i singhiozzi. «Lasciami in pace! Lasciami in pace, cazzo, non lo vedi che sto male?»
«Dove è?» domandò il suo compagno. Roger aveva gli occhi più aperti del solito, ma non sgranati. Una via di stupore che rasentava la normalità. «Dove è nostro figlio?» Dorothy smise di respirare, ma non rispose: continuò a fissare la città buia e la pioggia che scrosciava al di là del vetro «L'hai tenuto dai tuoi fino ad ora? Come si chiama? È... è biondo?» un sorrisetto da ebete si dipinse sul volto del giovane, immaginando come sarebbe stato vederlo. Era del tutto innaturale che non provasse rabbia profonda, era infantile questa sua ansia di possedere il giocattolo nuovo.
«Come fai a saperlo, chi te l'ha detto? Lo sapevamo solo in tre e...» esclamò lei «È stata Anthea?» il biondastro scosse il capo «David?! Tu e David neanche vi parlate!»
«David?» strillò il batterista «David lo sapeva?»
«Come credi che abbia abortito, con l'aiuto dello Spirito Santo?» l'io di Roger vacillò. La parola aborto rischiò quasi di ucciderlo. Smise di respirare, letteralmente. Preso dal panico si mise una mano sul petto e, accorgendosi che non si muoveva, iniziò a farsi vento con le mani. «Roger!» esclamò Dorothy, aprendo la finestra per far entrare più aria, poi si gettò su di lui e iniziò a scuoterlo «Respira, cazzo, respira.»
Ci vollero un paio di minuti prima che si riprendesse definitivamente. Stavolta non poteva neanche dare tutta la colpa al fumo.
«Oh mio Dio» annaspò «non posso credere che tu abbia davvero fatto questo a me, anzi, a lui!»
«Pensa a respirare, razza di idiota.»
«Smettila. Ora basta, basta davvero.» Dorothy lo guardò di sbieco «Sono stanco di essere trattato così da te, di essere insultato, di non essere preso minimamente in considerazione. Smettila! Smettila di tenermi all'oscuro di tutto, di trattarmi come un bambino. Quando è successo? Perché non me l'hai detto? Io non capisco, non capisco proprio! Non ero solo il tuo fidanzato, ero anche il tuo migliore amico...»
«Ed eri anche il padre se è per questo. Eravamo troppo piccoli per tenere un bambino, il semplice fatto che io fossi rimasta incinta per me bastava come mia colpa, prova di immaturità, sufficiente a farmi rendere conto di quanto in realtà ero ormai più simile a te che a me... ma conoscendoti, mi avresti costretto a tenerlo e avresti sofferto nel non poter fare ciò che volevi. Allo stesso tempo, se te l'avessi detto e avessi deciso di abortire, avresti sofferto ugualmente.»
«Allora è una questione di fiducia! Tutto quello per cui ho combattuto con te fino ad ora non era cercare di avere il tuo amore, ma conquistare la tua fiducia! Se tu non hai fiducia in noi... ecco perché non riesco a dire addio a Debbie, perché so che tu credi che io non ce la farei. Se tu mi avessi detto del bambino le cose sarebbero state diverse, lo avremmo tenuto, non ti saresti portata dietro tutta questa paura, non saresti stata costretta a mentirmi fino a oggi. Se non hai fiducia in noi...» Roger iniziò a obiettare, poi si zittì, rendendosi poi conto che era tutto vero, che non c'era niente da dire. Il punto cruciale della discussione, a tutti gli effetti, non esisteva, perché quel bambino, non esisteva. Avrebbe potuto, sì, odiarla, avrebbe avuto, sì, il diritto di gridare. Ma a cosa sarebbe valso? Non ne aveva neanche tanta voglia. Si sentiva così enormemente triste, dispiaciuto, voleva rintanarsi in un angolo come di solito faceva lei, e piangere. Chiudersi per una volta nel dolore. E cercare conforto nell'unica persona che, per la verità, gli aveva inferto la ferita, e che era anche l'unica che sapeva come curarla.
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Capitolo 10 *** Funny how love is the end of the lies when the truth begins. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo X - Funny how love is the end of the lies, when the truth begins.
Un’altra giornata di lavoro stava per finire. Dorothy radunò i suoi oggetti sparsi per la scrivania e mise in un ordine piuttosto relativo tutte le scartoffie sul tavolo. Guardò con tristezza il suo ufficio, bastava un’occhiata ai soprammobili solo per rendersi conto di quanto la sua vita fosse patetica. Tutte le sue colleghe avevano foto di marito e figli incorniciate e in bella mostra, lei aveva qualche locandina di congresso e un paio di penne stilografiche.
-Lascia perdere, Dorothy...- si ripeté. Ormai se lo ripeteva da giorni.
Non aveva voglia di tornare a casa: in quei giorni si era fatta segnare tutti i turni extra possibili e immaginabili. Tanto era sempre la stessa storia. Rientrava e trovava un paio di messaggi di Roger in segreteria, conditi con qualche sclerata di Anthea che la additava come stakanovista o di Tim che la dava ironicamente per dispersa. Nella peggiore delle ipotesi intravedeva in lontananza il batterista di fronte al portone e girava alla larga fino a notte fonda.
Lui aveva tutte le ragioni per odiarla e forse quella era l’occasione giusta per troncare quello che a tutti gli effetti era un massacro, non una storia d’amore. Non aveva voglia di parlargli, di rispondere alle sue domande. Era giusto che avesse le sue risposte, le meritava, non meritava invece quella sua freddezza, non meritava di essere ignorato.
Dorothy sapeva che non si stava comportando bene, e voleva davvero che perlomeno Roger fosse sereno... eppure non riusciva a combinare niente: solo evitarlo.
«Ciao Carol, ci vediamo domani!» salutò, con la cartellina di pelle in mano e la borsa in spalla.
«Hai programmi per oggi?» domandò la collega.
«Devo andare a cercare un regalo per un bambino in arrivo!»
«Ma che bello, allora divertiti e non pensare a niente! Ultimamente stai lavorando veramente tanto!»
Dorothy annuì, salutò di nuovo e uscì dalla porta principale.
Fu lì che trovò la sorpresa.
«Ed ecco quali oscuri programmi si celavano nell’agenda della Signorina!» ridacchiò sarcastica la figura appoggiata al muro «Non credo che tu corra il rischio di farti cadere le braccia se ogni tanto alzi quella cavolo di cornetta e chiami il tuo vecchio amico.»
Funny how love is everywhere: just look and see.
Funny how love is anywhere you’re bound to be.
«Non ne sapevo nulla» confermò Freddie una volta che Roger ebbe vuotato il sacco.
Doveva pur parlarne con qualcuno: il peso era così grande che avrebbe potuto schiacciarlo, la lontananza di Dorothy tale che avrebbero potuto essere paragonati a due abitanti dei poli opposti, vista poi la freddezza che si iniziava a respirare nella relazione.
«Lo so, almeno mi ha fatto il favore di non tenere all’oscuro solo me. Sarebbe stato piuttosto umiliante...» commentò il batterista.
«Che hai intenzione di fare? Sei sempre dell’intenzione di passare tutto il resto della tua vita con lei e smielatezze del genere? Sei ancora innamorato di lei dopo quello che ti ha nascosto?»
«Sì, Freddie, lo sono. Lo so, dovrei odiarla. E provo tanta rabbia verso di lei, ancora non riesco a capire perché non riesca a riporre la sua fiducia in me dopo tanto tempo. E un’altra cosa che mi fa incazzare da matti è che la storia è uscita fuori per caso, forse non me l’avrebbe mai detto. Quindi mi chiedo se davvero sono io il problema, o se è lei. Siamo entrambi? Forse non siamo fatti per stare insieme, semplicemente. Non possiamo essere la felicità l’uno dell’altra? Non mi pare giusto. Vorrei che fosse lei la mia felicità, ce la sto mettendo tutta. Continuo a essere convinto che se la sua vita fa schifo la colpa sia mia. Continuo a pensare che dovrei essere con lei, adesso.»
«Perché è l’unica che può darti le risposte di cui hai bisogno. Per iniziare una nuova vita insieme oppure chiudere questa storia una volta per tutte. Ma prima sai meglio di me che cosa devi fare...»
Era più facile a dirsi che a farsi e questo Roger lo sapeva molto bene. Aveva esitato fino a quel momento, ma aveva sempre saputo quale era la giusta cosa da fare. È davvero così semplice?
Arrivato a un tale punto devi scegliere per il meglio. Il meglio è una questione molto soggettiva: puoi decidere di portare avanti le tue priorità e non preoccuparti della sofferenza che causerai agli altri, oppure non curarti di te stesso e continuare a recitare la farsa che fa bene agli altri e che a lungo andare li ferirà.
Lui le aveva fatte entrambe e si erano rivelate un fallimento dietro l’altro.
Stava passeggiando, nel pallido tentativo di schiarirsi le idee e creare il piano che lo avrebbe portato alla felicità che tanto agognava. Quali erano le parole adatte per spiegare a Debbie quello che stava succedendo? Quali quelle per lasciarla andare? Sarebbe stato imbarazzante, perché la colpa era tutta dalla sua parte. Forse era per questo che aveva esitato... ma non era stata una buona idea: la bugia si era ingigantita sempre di più, era diventata sempre più difficile da confessare.
Aveva bisogno di parlarle. Era incredibile come qualsiasi scelta facesse, seppur casuale, lo portasse a lei: la sua donna, la sua migliore amica, la sua Dorothy. Freddie aveva ragione: l’unica che poteva dargli delle risposte era lei.
Funny how love is every song in every key.
Funny how love is coming home in time for tea.
La commessa si affiancò alla coppia che stava passeggiando tra le culle esibite come una serie di statue ai lati del corridoio.
«Avete bisogno di aiuto?» domandò.
«No, grazie,» rispose l’uomo «stavamo solo dando un’occhiata...»
«È il vostro primo figlio? Appena vi ho visti entrare in negozio ho avuto subito il sentore che la sua Signora fosse in attesa» sorrise dolcemente la donna.
«Ah è davvero così evidente?» domandò Tim «Da cosa l’ha capito?»
Dorothy li guardò con due occhi di fiamme, che non scoraggiarono affatto la venditrice dal proseguire e rispondere alla domanda.
«Beh, la trovo un po’ gonfia, e poi noi abbiamo un certo occhio, quando una donna è incinta lo vediamo al primo colpo. Se avete bisogno sono di là...» sorrise di nuovo.
Tim scoppiò a ridere e Dorothy gli tirò una gomitata.
«Non è affatto divertente! E ora andiamocene di qui.»
«Sei fortunata, se fossi stata con il tuo batterista a quest’ora la notizia della tua gravidanza sarebbe stata su tutti i giornali...» ridacchiò una volta fuori, mettendo un braccio intorno alle sue spalle.
«Lascia perdere Roger e le gravidanze...» sbuffò.
«Beh?»
«Una storia lunga. Che devi lasciar perdere...»
«Come no. Hai un muso lungo adesso, e io dovrei lasciar perdere?»
«Sì!»
«No! Ora andiamo a farci un buon tè, visto che è ora, e mi racconti tutto. Se devo diventare zio del Taylor voglio essere pronto psicologicamente per quando la cosa accadrà.»
Sorrise e anche lei lo fece.
Sapevano entrambi che tutta quella storia avrebbe preso una piega piuttosto diversa.
From the earth below to the heavens above:
that’s how far and funny is love.
At any time (any time), anywhere (anywhere),
if you gotta make love do it everywhere.
That's what love is... that's what love is.
Roger era appena tornato dal supermercato, dove aveva acquistato tutto quello che c'era scritto sul libro di ricette che aveva comprato. Gli ci era voluta un’eternità per decidere cosa cucinare: era più segnato e sottolineato quel manualetto, dei suoi vecchi appunti dell'università. Per trovare tutti gli ingredienti di cui aveva bisogno, aveva passato il pomeriggio tra gli scaffali, destando la preoccupazione dei commessi.
Finalmente però era a casa.
Lasciò le borse di carta sul tavolo e guardò l'orologio al suo polso: aveva il tempo di fare tutto, secondo il piano. Vedersi con Debbie, trovare il fottuto coraggio di lasciarla, e invitare a cena la sua Dorothy, per darle l'annuncio ufficiale, chiederle di andare a vivere insieme e passare la notte più bella della loro vita. Già li immaginava, uniti e stretti nel loro amore, nel suo letto, da allora in avanti. Fantasticava su come sarebbero stati i loro figli, se mori o biondi, sui nomi che avrebbero potuto dare loro. Aprì gli occhi: da quella sera sarebbe stato tutto diverso. Finalmente.
Prese in mano la cornetta e iniziò a digitare il numero, pronto a formulare il più galante invito a cena degli ultimi cinquecento anni.
Dopo due o tre squilli, finalmente si decise a rispondere.
«Pronto?»
La voce dall'altro capo strozzò la gola di Roger. Si sentì dannatamente idiota, fuori posto, impotente, insignificante... per aver pensato di essere l'unico, seppur certo di essere l'unico che lei amava. Si chiese da quanto tempo, se lei non ne avesse il diritto tanto quanto lui. Si chiese in cosa ancora avesse sbagliato.
Doveva ignorare quello che era successo, o dirle che lo sapeva? Quale delle due avrebbe fatto raggiungere loro quell'equilibrio che tanto agognavano, quella felicità che pareva loro così intangibile?
«Pronto?» ripeté l'uomo dall'altro capo.
Riconobbe subito chi parlava. La voce maschile, piuttosto equilibrata, profonda e virile, la conosceva fin troppo bene. Era stata uno dei suoi incubi peggiori, nelle notti di febbri deliranti, quando lo immaginava con lei al suo posto. Il damerino sfuggito alle mani dell'amore, che era riuscito a ritrovarsi immune a quel veleno che Dorothy scatenava nell'aria anche solo camminando. L'unico uomo che non si era fatto piegare e che si era dignitosamente ritirato prima di uno smacco alla sua popolarità. Il solo pronunciare il suo nome, in quel momento, gli sembrava un atto capace di far tremare l'anima.
Tim Staffell.
Funny how love can break your heart so suddenly.
Funny how love is the end of the lies when the truth begins.
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Capitolo 11 *** Baby it's alright (parte I) ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XI - Baby, it’s alright (parte I)
I could be your lover.
I could be your friend.
It’s one or the other,
or is that where it ends?
Roger riagganciò la cornetta, riprese le chiavi dal chiavistello e si infilò in auto.
Li avrebbe uccisi entrambi, poi probabilmente si sarebbe suicidato. Stava pigiando così tanto sull'acceleratore che non si rese neanche conto di essere già arrivato. Sbatté la portiera dell'auto e si attaccò al campanello.
Dorothy gli aprì quasi subito, con indosso solo l'accappatoio e un asciugamano stretto intorno alla testa.
«Dove cazzo è?» Roger entrò nell'appartamento in un impeto di collera. Capitava di rado il contrario. Quella porta aveva preso più botte che altro. Dorothy lo fece passare, non rispose, semplicemente si soffermò a guardarlo con un sopracciglio inarcato verso l'alto. «Dove cazzo è?» ripeté, furibondo, sull'orlo di una crisi isterica, rivolto a lei. Gli occhi gli bruciavano per le lacrime trattenute, la moretta se ne accorse e se ne dispiacque. Si avvicinò a lui, accarezzandogli i capelli con una mano e la guancia con l'altra.
«Va tutto bene?» gli chiese e lui si soffermò ad appoggiare la fronte sulla sua.
«Dimmi dove è» ripeté per l'ultima volta.
«Hai bevuto?» domandò lei, cercando di assaggiare la sua bocca per maggiori conferme, visto che l'alito pareva non darne «Sono qui.»
«Lo so. Ti vedo. E non sai quanto mi fa piacere sapere che stai bene.»
La abbracciò con forza, come se avesse appena rischiato di perderla per sempre e lei ricambiò la stretta, per una volta sentendosi nel posto giusto al momento giusto.
I want to be near you
to hold you, that’s all,
be there if you fall.
Con gli occhi indispettiti si guardarono e Roger ringhiò, a un passo dalle sue labbra.
«Lo so che eri con Staffell.»
«E allora?» la donna, con tutta la sua malizia, passò la lingua tra le sue labbra, accarezzandogli il petto. La cosa lo mandò fuori di testa. Avrebbe potuto negare, dirgli che aveva sbagliato numero, inventarsi una qualsiasi scusa e invece... lei non voleva neanche provare a nasconderlo. Lei aveva piacere che lui soffrisse sapendolo!
«Non voglio che tu lo veda» si limitò a proferire il biondo.
«Mi pare una presa di posizione un po' egoista, visto che tu ti vedi tranquillamente con Debbie...» affermò sarcastica lei, sciogliendo il turbante e lasciando che i capelli sgocciolassero per terra.
Roger indietreggiò.
«Dorothy, seriamente, non mi va che voi due vi vediate.»
Lei si rassegnò. Taylor vedeva solo quello che voleva vedere.
«Vabeh.» la moretta sollevò le spalle con fare capriccioso «Non ci vedo niente di male. Io e Tim siamo amici da una vita. Non posso vedere neanche i miei amici e tu continui a vedere la tua fidanzata promettendo figli a me?» Dorothy rise sommessamente, nascondendo la bocca dietro la mano.
«Tu e Staffell non eravate semplicemente amici.» borbottò infastidito.
«Oh, andiamo, non vorrai ricominciare con questa storia. È dai tempi del college che continuo a ripeterti che non c’è stato niente se non qualche bacio...»
«Forse a quei tempi. Ora non lo so più.»
«E non devi neanche saperlo, non sono affari tuoi, sai com’è...» commentò irriverente
«Oltretutto arrivo qui e trovo che hai fatto la doccia e sappiamo tutti che vuol dire!»
Lei sgranò gli occhi.
«Che vorrebbe dire? Te lo dico io che vuol dire, vuol dire che sono una persona che ci tiene alla sua igiene. Non posso neanche farmi la doccia quando mi pare? Tu sei tutto matto. Ma poi sappiamo tutti cosa vuol dire... tutti chi? Stai dando i numeri...»
Il batterista sembrò turbato. Dorothy aveva ragione su una buona parte delle argomentazioni e lui si sentiva davvero un coglione per essere corso fin lì. Si avventò contro la porta e uscì.
«Roger, dove stai andando?» gridò lei, ma lui non rispose «Roger!»
Dorothy strillò ancora, ma in risposta sentì solo il portone sbattere nell'atrio e l'auto rombare via.
Baby it’s all right:
oh, for the first time
I could be strong.
I need you near me tonight.
Must be the right time!
How could it be wrong?
How could it be wrong?
Il bassista che aveva abbandonato gli Smile a un passo del grande esordio con il nome di Queen camminava per la strada come una persona normale, godendosi la sua normalità.
Tutto sommato, le cose stavano andando bene. Pareva che la fortuna, dopo anni, avesse ricominciato a girare anche dalla sua. Si sentiva felice.
«Tim!» gridò la voce fioca e debole del suo vecchio amico batterista. Quello che gli aveva fottuto prima la ragazza, poi la notorietà.
«Ah, ciao!» lo salutò, senza troppe cerimonie. Alla luce della conversazione pomeridiana con Dorothy, gli pareva piuttosto poco casuale quell’incontro.
«Come stai?»
«Bene, tu?»
«Potrebbe andare meglio.»
«Meglio di così, amico mio, la vedo dura per te... mi ha fatto piacere vederti, buona fortuna» tagliò, avendo fretta di allontanarsi, prima di prenderlo a pugni. Si tratteneva per Dorothy.
«Hai visto Dorothy, oggi?»
Tim deglutì e si voltò allarmato.
«Sì, nei limiti in cui la cosa ti riguarda. Perché?»
«Lei sta con me, adesso.»
«Credevo che tu l'avessi lasciata, per il fatto del bambino» rispose, in calma totale, con quell'aria che sapeva mandarlo in bestia.
«Beh...» Roger si sentì tremendamente in imbarazzo «poi siamo tornati sui nostri passi.»
«Strano che non me l'abbia detto, l’ho salutata una mezz’ora fa...» gli lanciò un'occhiata il bassista.
«Non è proprio una cosa... ufficializzata» rispose il biondo.
«In pratica di nuovo te la scopi e basta, eh, Taylor?» il batterista avvampò «Sei sempre il solito, non pensi mai alle ripercussioni delle tue azioni sulle persone, anzi, ti dirò, forse con la notorietà sei peggiorato.»
«Non permetterti di giudicarmi.»
«Non ho niente contro di te, amico, solo non capisco cosa ti dia il diritto di comportarti così con lei...»
«Così come?»
«Vieni da me a dirmi che vai a letto con lei, sapendo che ci vado anch'io. La cosa ti fa sentire meglio?»
«No...»
«A che pro venire qui a dirmelo, allora? Se non sperare che io mi incazzi con lei perché si fa anche te, lasciarla magari? La cosa non mi riguarda. Io e lei non stiamo insieme, siamo grandi a sufficienza da gestire i nostri affari di cuore da soli.»
«È che non voglio che tu la veda più, tutto qui.»
«Potrei dire lo stesso di te, eppure non gioco sporco.»
«Non sto giocando sporco!»
«Hai fatto e stai facendo del male all'unica persona che ha sempre anteposto te persino a sé stessa. Non sai neanche quanto ti ama. Infondo, non capisco perché tu provi tanto piacere nel distruggerla. Se scopro che le stai facendo ancora del male, se scopro che soffre per te... lo squadrone di body-guard con cui vai in giro di solito non ti servirà a niente, Taylor. Tieni gli occhi aperti.» |
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Capitolo 12 *** Baby it's alright (parte II) ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XII - Baby, it’s alright (parte II)
Dorothy
camminava avanti e indietro davanti alla porta, manifestando un certo
nervosismo. Il giro comprendeva un passaggio d'obbligo nel corridoio,
di fronte al mobile del telefono, per ogni evenienza. Sentiva un
magone chiuderle la bocca dello stomaco: non aveva cenato, la sola
idea del cibo la faceva stare male. Si sentiva incredibilmente
debole, però. Inoltre continuare a camminare le aveva fatto
venire
il mal di testa. Ogni singolo scricchiolio rappresentava una
paranoica speranza che lui tornasse, e si rivelava puntualmente una
grossa delusione.
You
gave me my heartache,
you
give me my blues.
I’m
here in your doorway
I’ve
got... nothing to lose
and
crying is no use.
Era
scesa la sera e tanto per cambiare aveva
iniziato a piovere. Roger si strinse nella giacca, attendendo
pazientemente sotto il portone, pronto a sostarci ore, se necessario.
Aveva suonato il campanello, ma non nutriva molte speranze che
Dorothy gli aprisse. L’aveva fatta soffrire di nuovo.
La
leva del portone scattò, a dispetto di ogni sua convinzione.
La
ragazza se ne stava sulla porta, stretta nella sua vestaglia da casa.
Sembrava piuttosto preoccupata.
Roger
le diede un bacio sulle labbra prima di varcare la soglia, come
avrebbe fatto con sua moglie tornando a casa dal lavoro; si
pulì le
scarpe sullo zerbino ed entrò.
Dorothy
tremò al contatto con la sua pelle fredda. Si
appoggiò alla porta
chiusa alle sue spalle, traendo un bel sospiro di sollievo, poi
seguì
la sua scia fino alla camera.
«C'è
qualcosa che non va?» domandò lui. Si tolse la
giacca e l'appese
all'attaccapanni nel corridoio «Ti senti poco bene? Stai
tremando»
le chiese, dopo essersi seduto sul letto ed essersi tolto le scarpe.
«Niente,
sei solo... freddo...»
«Ci
pensi tu a scaldarmi?» le fece l'occhiolino, si
drizzò in piedi e
corse ad abbracciarla energicamente «Vieni qui, ma guardati,
sembri
un pulcino bagnato...» la strinse, massaggiando la sua
schiena con
le mani.
«Si
può sapere dove sei stato?»
«Ho
fatto un giro...»
«Mentre
tu ti facevi un giro, io ero qui, preoccupata»
affermò, seccata,
liberandosi della sua presa.
«Quando
eri con Tim non sembravi molto preoccupata di cosa io stessi
facendo.»
«Non
me lo merito, ti sto solo ripagando con la stessa moneta.»
«Tim
lo sa» raccontò il biondo. Lo sguardo di Dorothy
si colmò di
domande. E di dolore. Pensoso, si rattristì.
«Gliel'ho detto io»
le narici si mossero in un movimento quasi impercettibile, le pupille
tremarono, storse un labbro, mangiucchiandolo dall'interno. Tutto
questo solo per non rivelargli il suo nervosismo.
«Lo
sapeva di già, l’ha sempre saputo...»
rispose alla provocazione
con triste rassegnazione.
And
if you should decide, honey,
you need a love, that’s good.
«Dorothy,
non credevo che per te fosse importante...»
indugiò il biondo.
«Debbie
lo è per te?»
Roger
tremò.
«Ne
abbiamo già parlato...» tentò.
«Facciamolo
ancora una volta.»
«Non
mi va, non voglio litigare. Voglio soprassedere su tutto, Debbie,
Tim, il bambino. Ricominciamo da capo, d’accordo?»
«No.
Dobbiamo chiarire una volta per tutte e poi decidere se è il
caso di
buttare tutto nel cesso o se conservare questa patacca di storia che
ci stiamo trascinando dietro. Spiegami perché dovresti
perdonarmi.
Spiegami perché tu puoi tenere Debbie, che mi dici di voler
lasciare
da un'eternità senza mai farlo, e io non posso tenere Tim.
Spiegami
cosa ti dà il diritto di fare questo a me, tu che dici di
amarmi, e
poi mi scopi e te ne vai. Spiegami perché lo stai facendo a
me.
Spiegami solo perché» i suoi occhi si riempirono
di lacrime e solo
allora Roger capì che Tim aveva solo detto la
verità: lui non
faceva che ferirla. Continuamente. Senza rendersene conto, per
giunta.
«Dorothy,
scusami, io non volevo ferirti, vieni qui per piacere...»
«Ho
bisogno di restare da sola...»
«Se
ti lasciassi da sola adesso mi sentirei davvero un bastardo.»
«Perché
invece quello che hai fatto fino ad ora ti faceva sentire tranquillo?
Ti addormentavi bene, la notte, sapendo che il tuo letto era caldo
dello sperma che ogni volta versavi per una donna diversa? Come cazzo
fai a vivere con te stesso?» strillò istericamente
la ragazza,
lasciando che le lacrime solcassero liberamente le sue guance.
«Disse
colei che ha ucciso nostro figlio. Non mi merito questi insulti,
visto che ti comporti come me...»
«Mi
comporto come te sperando che tu capisca come mi sento, tu invece di
soffrire come soffro io, fai lo stronzo. Mi hai ferito quando te ne
sei andato, mi hai ferito quando sei tornato e mi stai facendo del
male, ancora. E per di più, ti comporti come se fosse
normale...
cercare di rovinare la vita... a me!»
«Non
ho mai voluto ferirti neanche una volta, io voglio solo che tu stia
con me...»
«Io
voglio solo che tu stia con me...» le
fece il verso lei
«Smettila con questo atteggiamento alla 'mi sono
appena
abbottonato i pantaloni dopo una scopata'! Ci manca solo che
tu
mi lasci i soldi sul letto come fai con le puttane!»
Roger
rimase interdetto, cercando di nuovo di avvicinarsi a lei, e
più lo
faceva, più lei si ritraeva, come se fosse stata realmente
spaventata da lui. Questo lo ferì da morire.
«Dorothy,
non ho mai pensato che tu lo sia, tu sei la mia donna, non la mia
puttana. Non ho mai voluto neanche per un attimo in tutta la nostra
vita insieme che tu lo fossi. Tu sei sempre stata il mio fine ultimo
da raggiungere, essere come te, avere te. Non ho mai pensato che tu
fossi qualcosa di inferiore a me, anzi... E il fatto che tu la pensi
così ferisce anche me perché significa che non
sono riuscito a
dimostrarti il mio sentimento fino in fondo, che per quanto io ti
abbia dato, non è bastato a farti capire quanto io ti ami e
quanto
ti ho amata.»
Dorothy
scoppiò in lacrime, stremata da quel litigio, da quella
storia che
la logorava da sette anni ormai. I nervi iniziavano a cedere.
«Roger...»
tentò, ma il fiato le morì in gola.
«Dimmi
cosa ti aspetti che faccia! Vuoi che riporti indietro Tim per
te?»
«Non
lo so neanch’io! Sono confusa e incasinata,
d’accordo? Vorrei che
tu rimanessi qui per sempre e allo stesso tempo che tu te ne andassi,
e che mi lasciassi in pace per un po', perlomeno fino a che non si
saranno calmate le acque.»
«E
quando si saranno calmate le acque?»
«Quando
avrai scelto tra me e lei.»
«Tu
hai scelto tra me e lui?»
«Io
ho scelto molto tempo fa, se non te lo ricordi, eravamo insieme, lo
siamo sempre stati, tu non sei mai stato solo. Non
hai pensato invece che stavi lasciando a me la parte
peggiore.»
«Quando
ho toccato il Paradiso, sei stata tu a prendermi per l'altra mano e
tirarmi giù con te. Non l'ho dimenticato. La
realtà era molto
meglio.»
«Non
è più così,
evidentemente...»
Roger
iniziò a sentirsi stretto nei suoi abiti. Aveva caldo, aveva
voglia
di scappare e allo stesso tempo di restare lì per sempre,
cosciente
che quella poteva essere l'ultima volta che si parlavano e che quella
conversazione non sarebbe finita bene.
-Vuole
lasciarmi.-
Quel
pensiero non finiva di rimbombargli nella testa e la sola idea lo
massacrava.
Le
lacrime rigarono il viso di perla di Roger, con le guance arrossate
per il nervosismo e per l'improvviso calore.
It
ain’t about pride, honey,
It ain't about manhood.
«Oggi
volevo lasciare Debbie. Non credermi se non vuoi. Poi ho chiamato te
e... beh, lo sai.» La ragazza non rispose. Asciugò
le guance,
odiava quando diventavano fredde e appiccicose. «Posso
restare con
te?» la guardava dal basso verso l'alto, seduto sul fianco
del
letto, come si fa con una figura materna.
«Puoi
restare quanto vuoi...»
Sapevano
entrambi che era una bugia. A chi facesse più male, se a lei
dirla,
o a lui sentirla, a nessuno dei due importò. Dorothy
baciò le sue
lacrime, asciugandole con le sue labbra. Roger la fece sedere adagio
su di se, per poi schiacciarla contro il materasso. Gli occhi del
batterista ricominciarono a versare sul corpo nudo della sua compagna
e anche lei non riuscì a trattenersi oltre. I gemiti di
piacere si
alternavano ai singhiozzi di dolore e nessuno dei due se ne curava,
ancora una volta. Gli importava solo l'uno dell'altro.
Ma
il piacere di un corpo che gode può davvero chiudere la
ferita di un
cuore spezzato?
E
se i cuori fossero due?
And
baby... it’s all right.
Baby it’s all right.
Honey, it’s
all right.
Baby it’s all right.
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Capitolo 13 *** There is no doubt: you're in my Heart now. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XIII - There is no doubt: you’re in my Heart now.
Anthea
era seduta sul divanetto di camera di suo fratello e osservava
Dorothy alle prese con il suo abito da Cleopatra. Sembrava che la
moretta stesse lottando con se stessa per riuscire a chiuderlo. Una
volta finito di stringere tutti i lacci si voltò e
domandò:
«Come
va?» era in apnea nel pallido tentativo che tutto quel
tessuto
appiccicato alla sua pelle non facesse uscire qualche rotolo.
«No,
non ci siamo. D’accordo che è la tua festa di
compleanno e devi
essere uno splendore, quale, del resto, sei, ma se tu vai in giro con
quel coso che ti fa sembrare un tubino, tutti si accorgeranno di
quanto io sia grassa...» si lamentò la biondina,
sbuffando.
«Andiamo,
tu non sei grassa, sei solo incinta. E poi
quell’abito da
Regina Vittoria ti sta benissimo!» commentò
l’amica, verificando
se riusciva a respirare senza dare dell’occhio.
«Dovrei
essere Athena, protettrice delle arti, il cui nome tra le altre cose
è l’anagramma del mio, ma fa lo stesso se sembro
la tipa del
ritratto dei coniugi Arnolfini di Van Eyck... no, scusa, chi avevi
detto?»
Dorothy
si grattò la testa, sforzandosi di ricordare. Dopo aver
fallito
tentò di cambiare argomento:
«E
John, da che cosa si traveste?»
«Questa
è una bella domanda. Ci credi che non sono riuscita ad
estorcergli
neanche un briciolo di informazione? A John! Io di solito ho un
potere pressoché totale su di lui! Credo che questa
gravidanza stia
indebolendo le mie potenzialità di spia...»
confessò Anthea con
suo grande rammarico.
«Non
credete che questo costume da Ares-Marcantonio mi faccia sembrare
troppo... pallido?» chiese David sarcastico, ridendo di
gusto,
uscendo seminudo dal bagno con uno straccetto rosso indosso. Era
ovviamente divino, beh, in tutti i sensi.
«Ehi,
sei nudo sotto quella specie di kilt? Ricordati che ci sono delle
signorine in giro» lo rimproverò la più
giovane, visibilmente
nervosa, mentre cercava di far sparire la sua pancia senza ovviamente
ottenere risultati.
«Ho
la certezza matematica che voi due abbiate già visto altri
uomini
nudi prima di me quindi comunque non vi sconvolgereste... Beh, ora
però non guardatemi con quell’aria da
maniache...» David si
destreggiava su e giù per la stanza aprendo cassetti e
sbattendo
ante.
«Non
farmi essere volgare...» brontolò Anthea
«Ho
bisogno di un bicchier d’acqua e di John...» la
bionda iniziò a
respirare affannosamente e uscì dalla stanza in una falcata
teatrale.
«Vado
a controllare che non inciampi nello strascico. Sbrigati a finire con
il trucco, i primi invitati sono già qui. Ti aspettiamo
giù.»
La
moretta li guardò uscire e si sedette cercando di combinare
qualcosa
con il trucco. Non era molto convinta di come l’amica le
aveva
tagliato i capelli. Quel caschetto le sarebbe venuto a noia molto
presto, ma al momento era a effetto, quindi si rassegnò e
passò
agli occhi. Proprio in quel momento qualcosa comparve sul davanzale
della finestra, tra i gerani. Per lo spavento la moretta
infilò il
pennello del trucco nell’occhio e iniziò a
imprecare.
«Santo
cielo, Roger!» esclamò, aprendo immediatamente le
due ante e
asciugando l’occhio che lacrimava.
«Mai
una volta che tu sia felice di vedermi» borbottò
lui, con indosso
uno smoking.
«Mai
una volta che tu ti presenti senza farmi prendere un colpo o senza
farmi del male...» replicò prontamente lei.
«Insomma, si può
sapere che ci fai qui?»
«Freddie
mi ha detto che c’erano dei rampicanti che arrivavano fino
alla
camera di David e ho pensato che potevo darti il mio regalo in
anteprima...»
Dorothy,
curiosa come era, non volle indagare sul perché Freddie
sapesse
dell’esistenza di una pianta rampicante che arrivava fino
alla
finestra di David o, eventualmente, perché dovesse
utilizzarla, e
decise di farsi subito rivelare di che cosa si trattasse.
Il
ragazzo le porse una sua fotografia autografata e lei lo
guardò con
aria di sufficienza.
«Ok,
ok, è uno scherzo. Accipicchia il tuo senso
dell’umorismo peggiora
con l’avanzare dell’età... dai, dammi
una mano e chiudi gli
occhi.»
Lei,
che si era già fatta una mezza idea di dove voleva arrivare
il
biondino, giurò a se stessa che se quello che avrebbe
toccato non le
fosse piaciuto, avrebbe ucciso il batterista una volta per tutte.
Roger
aprì leggermente la camicia e lasciò che la mano
della ragazza
toccasse il suo petto, poi sussurrò al suo orecchio:
«Ho
lasciato Debbie. Buon compleanno.»
Dorothy
sentì distintamente i battiti rapidi del cuore del ragazzo,
impazzito, e istintivamente strinse la pelle, come se la mano avesse
potuto afferrare quel cuore e farlo suo.
«Ehi
che spingi, mi fai male...» borbottò lui
«Tanto è tuo,
credevo di avertelo già detto.»
|
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Capitolo 14 *** We’ll be walking in the light, ‘cause there will be no place left to hide. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XIV - We’ll be walking in the light, ‘cause there will be no place left to hide.
Far,
far from the light,
hear
the night creatures call
with
the cold breath they howl,
all
the hollow hours they’re calling you.
Dorothy
stava approfondendo la sua conoscenza del WC da una prospettiva che
non era la sua consueta, cercando al contempo di salvare tutto il suo
apparato da Cleopatra. Ognuno ha il suo modo di affrontare una bella
notizia. La
verità, per come la vedeva lei, era che lo stato delle cose
stava
andando lentamente peggiorando: la fine si sarebbe manifestata come
qualche anno prima. Avrebbe scelto per disperazione. Di nuovo troppo
tardi per non affezionarsi. Di nuovo troppo tardi per non soffrire e
per non far soffrire. E a distanza di tempo, avrebbe commesso sempre
lo stesso errore. Sapeva benissimo cosa doveva fare: liberarsi di
entrambi. Ma con che cuore? Era troppo terrorizzata dall’idea
di
rimanere sola. Non avrebbe potuto sopportarlo. Non sarebbe stata
capace di ricominciare da capo ancora una volta. Non aveva
l’età
per ripartire da zero. Negli anni ‘70 a ventisei anni suonati
devi
sapere cosa vuoi dalla tua vita: lei non sapeva niente.
I’ll
be there,
no
matter what you’re going through
In
the dark I care.
«Che
bello vedere una Cleopatra in questa posizione...»
commentò Tim
Staffell, affacciandosi dalla porta alle sue spalle.
«Tim
che ci fai qui?» domandò lei, tirandosi indietro
spaventata.
«Sei
tu che mi hai invitato!» fece spallucce lui, aiutandola a
rialzarsi.
«Mi
sto chiedendo se ti avevo detto che si trattava di una festa in
maschera...» rispose, notando che non indossava niente di
particolare, sempre se si potesse parlare degli abiti di Staffell
definendoli ‘niente di particolare’.
«Mi
sto chiedendo cosa hai vomitato visto che abbiamo trascorso gli
ultimi quattro pasti insieme e tu non hai mangiato niente.
Acqua?»
«Non
fare lo spiritoso, allora? Come mai sei qui?» Dorothy
cercò di
mantenere il suo ultimo brandello di dignità nonostante
fosse stata
sorpresa in un momento tanto delicato e si pulì la bocca con
un
pezzetto di carta igienica.
«L’ultima
volta che ho partecipato a una festa in questa casa si è
consumata
la tragedia quindi sapevo che sarebbe successo qualcosa di brutto
anche stasera. Infatti...»
«Non
è questo quello di cui parli,» borbottò
lei, afferrando il suo
beauty-case e cercando spazzolino da denti e dentifricio «si
tratta
piuttosto di Roger. Come regalo di compleanno ha lasciato Debbie, ci
avresti mai creduto?»
«Ah,
no di certo. Riesce sempre a sorprendermi. Fortuna che non sei nata a
dicembre, altrimenti chissà quanta altra sofferenza! Beh, a
dire la
verità lo sapevo, che tu ci creda o no, facevo anche parte
del
piano, sono stati i tuoi amici a mandarmi a cercarti.» la
prese in
giro. «Beh?! Perché quella faccia insoddisfatta?
Non per fare il
pignolo, ma desideri questa cosa dall’inizio di due fiction
fa...»
Dorothy
si grattò la testa e si asciugò la bocca a un
asciugamano a caso
(presumibilmente quello di Anthea viste le decorazioni a fiorellini
non proprio adatte a un marinaretto). Sapevano entrambi benissimo
dove volevano arrivare, ma aspettavano a cominciare, un po’
per
cortesia, un po’ per mancanza di coraggio, un po’
per vedere che
cosa si inventava l’altro.
«Sì,
lo volevo, ma ora il prezzo da pagare è di nuovo alto, forse
più di
allora.» commentò la mora.
«Ah
sì?» fece il vago lui, appoggiandosi allo stipite
della porta.
Deep,
deep in the night
when
the world fills with tears,
and
the wind blows, colder and colder it grows
and
the fire dims with the same old fears.
Dorothy
tirò un lungo sospiro e borbottò qualcosa di
incomprensibile, con
molta probabilità un’imprecazione.
«Roger
sa che non sopporterei di perderti, ma allo stesso tempo lui stesso
non può sopportare di perdere me. Ha messo a nudo troppe
parti di sé
per arrivare fino a questo punto, non può tirarsi indietro,
non può
più rinunciare, è troppo orgoglioso per farlo. Se
continuo a vedere
te, perdo lui, se non ti vedo, perdo te. Ho le mani legate... non sai
quanto mi dispiace. Perché perché it’s
still the same old me inside,
e questo non cambia le cose tra me e te, solo tra me e lui.»
«Oggi
è il tuo compleanno, esprimi un desiderio e io
cercherò di
realizzarlo.»
«Non
esprimerò quel desiderio, Tim. Non ti inchioderei mai qui
per un mio
capriccio sapendo il male che fa a te.»
«Esprimi
il desiderio... io non mi tirerò indietro, non
perché lui ha deciso
di smettere di nascondersi. Ma è un bene, no? Siamo tutti
scoperti
adesso. Anche tu devi scegliere, non hai più niente dietro
cui
nasconderti.»
I'll
be there,
though
maybe you don't hear me, babe.
I
still care.
Roger
comparve dalle scale e gli altri due si sentirono morire che avesse
ascoltato tutta la conversazione.
«Beh?
È scoppiata un’epidemia di dissenteria?
Perché state tutti lì
davanti al bagno?» domandò allargando le braccia
con aria
interrogativa.
«Stavamo
solo... parlando.» rispose Dorothy.
«Sì,
ho capito, nel frattempo che voi parlavate io David abbiamo persino
socializzato, fatti due conti.» commentò lui.
«Ok,
allora, andiamo...»
Da
quella via anche Anthea comparve alla velocità
‘della luce’
(rapportata su scala di una donna incinta) su per i gradini, con
tutta l’intenzione di dirigersi velocemente verso il bagno.
«Bah,
guarda chi si vede! Strano, voi tre siete sempre insieme quando
succede qualcosa. Anzi, siete sempre insieme e basta...»
commentò,
per poi chiudersi dentro.
Si
stavano avviando giù per le scale quando Roger
esclamò:
«Che
razza di amica insensibile, lasci Anthea alle prese con il wc da
sola? Stai con lei, tanto fare tardi per fare tardi. Andiamo
Staffell, prima che Freddie finisca tutte le tartine...»
I due
sparirono al piano inferiore lasciando interdetta la mora che era
stata cacciata dai suoi due amanti e allo stesso tempo era chiusa
fuori dal bagno.
Quando
Anthea fu pronta uscì e domandò:
«Beh,
che fine hanno fatto tutti?»
«Non
lo so, ma la cosa mi puzza...»
«No,
sono...»
«Anthea,
non mi pare il momento più adatto!»
Le
due scesero le scale e fu in quel momento che la festa ebbe inizio.
I
Queen, travestiti da Beatles (un bel salto, oserei dire) stavano
intonando una specie di ‘Happy Birthday to you’,
shockando a
morte la povera donna che già era più anziana di
un anno, poi si
vedeva questo macabro show davanti agli occhi, accompagnato da Tim
che applaudiva battendo le dita della mano destra sul dorso della
sinistra con fare molto aristocratico. Credette di essere sul punto
di mettersi a piangere, sennonché i cinque, Staffell
compreso, si
strapparono di dosso i vestiti, mostrando le loro identità
femminili
di qualche ballo studentesco precedente.
Freddie
era travestito da Dot travestita da uomo, cosa che, se ci pensate
bene, non è molto facile da fare, mentre gli altri, compreso
John,
sfoggiavano i loro abiti con una naturalezza non tanto sorprendente
quando sconvolgente.
«Wow,
stasera avrò Deaky e Macca contemporaneamente, sono una
donna
fortunata...»
esultò
Anthea, improvvisamente di ottimo umore, saltando al collo del
maritino che, gracile come era, e soprattutto non preparato a
sostenere una donna di cento e passa chili, barcollò
pericolosamente.
«La
versione trans del Macca, vorrai dire...» commentò
sarcastico suo
fratello.
John
si avvicinò per fare gli auguri all’amica, poi
annunciò alla
moglie:
«Credo
che qualcuno qui sia di nuovo di fronte a una scelta.»
I
hear you babe.
Coming
back with me.
|
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Capitolo 15 *** I’m sick to death of hearsay and rumour, I need a girl with some sense of humour. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XV - I’m sick to death of hearsay and rumour, I need a girl with some sense of humour.
Roger
si girò nel letto, rimanendo irrimediabilmente intrigato
nella
coperta. Era stato infastidito da un qualche rumore in giro,
là
fuori, là dentro, da qualche parte. Si mosse un
po’, ancora un
po’, sempre un po’ più in là.
Non trovò niente di quello che
cercava: eccetto lui, il letto era vuoto.
«Dorothy!»
gridò, arrabbiato. Niente. «Dorothy!»
strillò di nuovo, più
forte. «Dorothy che tu sia maledetta se non vieni qui entro
cinque
secondi!»
Finalmente
eccola comparire, la donna, sulla porta, con la sua camicia larga
indosso, quella un po’ femminile, che stava meglio a lei che
a lui.
«Si
può sapere che hai da urlare? A quest’ora i
vecchietti del tuo
condominio stanno tutti facendo il pisolino pomeridiano. Non vorrai
svegliarli!» lo prese in giro lei.
«Niente,
credevo tu te ne fossi andata» rispose lui.
Il
cuore della moretta si sentì stranamente felice dopo quella
dichiarazione, l’imbarazzo lasciò però
immediatamente spazio alla
corazza.
«E
anche se fosse? Non c’è bisogno di strillare come
una gallina...»
si lamentò, appoggiandosi allo stipite della porta.
«Perché
ti sei alzata? Oltre ai vecchietti potevamo farlo anche noi, un
pisolino. Oggi non hai il giorno libero?»
Dorothy
si era messa in testa che se proprio doveva interpretare la parte
della pseudo-fidanzata, voleva farla bene. Quindi doveva essere
bella, brava a letto, acida e soprattutto rompicoglioni. Roger
abbracciò la coperta e guardò la donna sulla
porta con fare
preoccupato. Lei si massaggiò le tempie.
«E
allora? Te ne vai?»
«No,
resto qui a guardare te che dormi altri dieci minuti e poi vado a
prepararti la merenda.»
«Davvero?»
«Perché
non capisci nulla neanche a pagarti?»
«E
perché tu sei così scorbutica prima ancora che i
vecchietti si
sveglino dal pisolino?»
«Non
rispondere a una domanda con un’altra domanda»
ordinò la moretta.
«Mi
sono appena svegliato dopo un quarto d’ora di
sonno!»
«Oh,
povera stella. Vieni qui...» disse, accomodandosi accanto a
lui
«torna pure a fare le tue nanne.» gli
accarezzò prima la testa,
poi le guance, infine il mento, con una dolcezza sorprendente. Infine
diede un bacio sulle sue labbra. Lui strinse le mani sul suo sedere e
se ne uscì con la sua proposta indecente:
«Non
credo proprio che riuscirò ad addormentarmi adesso... quinto
round?»
«Vaffanculo.
Stronzo.»
Eh, ma
lo stronzo le piaceva. Non c’è versi. Lo stronzo
le piaceva, e se
lo stronzo le piaceva, there’s nothing you can do
about it.
Altro
giro, altra corsa.
Roger
sembrava abbastanza entusiasta del piano che aveva escogitato,
sebbene non brillasse di grande originalità. Dorothy lo
aspettava
nell’ingresso, lo guardava scocciata mentre lui si
controllava allo
specchio mille volte.
«Sì,
Roger, sei bello, su andiamo. Se poi mi dici dove mi sento anche
più
tranquilla...»
«Ti
porto a fare shopping!» esultò, riuscendo (con
un’enorme fatica)
a separarsi dal suo riflesso allo specchio. I due non erano molto
pratici di uscite pubbliche insieme, vista la crescita della
notorietà del batterista. Appena varcata la soglia del
portone si
diressero uno a destra e l’altra a sinistra.
«Andiamo
con la mia» annunciò Taylor, come se non fosse
stato intenzionato a
scendere a compromessi.
«Scherzi?
E se poi qualcuno ci vede arrivare insieme?»
commentò ironica la
ragazza.
«Che
palle, non vorrai andare in giro con due macchine diverse. Sembreremo
due cretini!»
«Come
se quello che abbiamo fatto fino a tre giorni fa non fosse da
cretini...»
Roger
non poté fare altro che annuire. Infine propose:
«Facciamo
così, tu vai avanti e io ti vengo dietro.»
«Mmm,
questo è interessante...»
«Noi
non possiamo proprio essere seri eh.» rise il biondo,
stampandole un
bacio sulle labbra. «Ora se la signorina vuole
seguirmi...»
«Con
immenso piacere.»
I due
passeggiavano con fare disinvolto per le strade della città.
Roger
aveva lasciato scivolare il suo braccio sulle spalle di Dorothy e la
stringeva mentre cercava di abituarsi al suo passo un gongolante.
Lei, d’altro canto, non aveva battuto ciglio, e aveva
afferrato con
la mano quella del compagno che penzolava dalla sua spalla.
«Dovremmo
fermarci in questo negozio.» asserì il batterista,
arrestandosi di
fronte a una vetrina che teneva in bella mostra carrozzine, culle e
bambolotti.
«Senti,
stava quasi per essere un appuntamento carino, questo. Non rovinarlo
con il tuo umorismo macabro...» commentò acida
lei, stritolandogli
le dita.
«Quella
con l’umorismo macabro sei te. Io pensavo a John, Anthea e il
pargolo. Entriamo?» rispose prontamente lui con una faccetta
che non
lasciava presagire niente di buono.
«Assolutamente
no. L’ultima volta che sono entrata in questo negozio mi
hanno
detto che ero incinta.»
«Ed
era vero?»
«NO!»
«D’accordo,
andiamo da un’altra parte.»
Così
la coppia si spostò prima al negozio di musica (Roger era
piuttosto
paranoico, voleva vedere come andavano le vendite dell’ultimo
album), poi andarono al bar. Alla fine entrarono in un negozio di
abbigliamento dove il batterista intravide un paio di pantaloni
piuttosto terribili da sopportare per la vista umana. Alla fine
convinse Dorothy e se li provò nel camerino.
«Freddie
sarà contentissimo quando li vedrà. Potrebbe
addirittura
invidiarmi...»
Dorothy
rideva di gusto.
«Come
no, Freddie avrà pure il suo pessimo gusto, ma ha ancora una
dignità.» -credo- aggiunse il
suo cervello.
«Senti,
vammi a prendere una taglia più grande perché
questi non mi
stanno.»
«Te
l’avevo di non esagerare col burro di arachidi alla
festa...»
«Non
cominciamo con le accuse adesso eh. Su, vammi a prendere una taglia
più grande.»
«Sì,
padrone» scherzò Dorothy, allontanandosi.
Rovistò
tra gli scaffali con una certa rapidità, sperando che
nessuno la
vedesse con quella roba tra le mani, quando si imbatté in
una
vecchia conoscenza.
«Oh,
ciao Dorothy! Ma che strano trovarti qui, con quei pantaloni da uomo.
Sei con qualcuno?»
Dorothy
si domandò perché non si fosse limitata a
chiederle semplicemente
come stesse, come si fa tra amici che non si vedono da un
po’. Ma
non poteva aspettarsi niente di simile da lei, che ancora gli faceva
gelare il sangue nelle vene. Dopotutto quella era Debbie.
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Capitolo 16 *** Adorable illusion and I cannot hide, I'm the one you’re using, please don’t push me aside. (the Man in the meadow and me.) ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XVI - Adorable illusion and I cannot hide, I'm the one you’re using, please don’t push me aside. (the Man in the meadow and me.)
Dorothy,
che per una volta aveva il coltello dalla parte del manico, non si
sentì di girarlo nella piaga. Era felice, non aveva bisogno
di fare
agli altri, era davvero felice. A che pro essere spigolosa o acida?
Essere sincera non sarebbe stato un male, se fosse riuscita ad
esserlo con il giusto tatto. Doveva essere clemente anche
perché dal
suo comportamento con Debbie poteva dipendere quello di Roger con
Tim.
«Ciao
Debbie. Beh, sì, per la verità sono con
Roger.» confessò con tono
piatto.
«Ci
sono dei capi di abbigliamento che solo lui è capace di
indossare,
in effetti.» commentò la cantante, indicando i
pantaloni. «È
bello che voi due siate riusciti a recuperare il vostro rapporto,
dubito che noi potremo fare lo stesso.»
-Lo
spero...-
pensò la mora.
«Vado,
ho un po’ di fretta, ma mi farebbe piacere se riuscissimo a
farci
quattro chiacchiere. Avere un’amica famosa non
sarà poi così male
per te. Oramai apparteniamo alla stessa categoria...»
Dorothy
si grattò la testa con la mano libera e poi
domandò, allarmata dal
fatto che la cantante dei Blondie potesse farsi mora:
«Non
vorrai mica tingerti?!»
«Intendevo
che facciamo parte del club ex-ragazze di Roger Taylor.»
E
qui Debbie si sbagliava. Si sbagliava di grosso, non era mai stata
tanto nel torto quanto in quel momento. Dal silenzio quasi
imbarazzato di Dorothy, la bionda dedusse che quello che aveva appena
detto non poteva essere più lontano dal vero, quindi si
riprese con
un sorriso e concluse.
«È
proprio vero: c’è per tutti un momento nella vita
in cui devi
tornare indietro e ammettere di aver sbagliato, magari chiedere
scusa. Cercare di riprenderti quello che hai perso, se pensi che ne
valga davvero la pena. Solo in questo modo puoi essere sereno. Solo
in questo modo puoi capire se hai sbagliato davvero. Anch’io
gli
darei una seconda possibilità. Non credo che comunque ne
avrò
l’occasione. Certo, Roger... ha una propensione a commettere
errori, soprattutto di valutazione, ma dubito che sarebbe
così
stupido da far sfuggire l’amore della sua vita due
volte.»
Detto
questo la salutò con un cenno della mano, girò i
tacchi e sparì.
Dorothy
fece lo stesso, tornando al camerino dove Roger la stava aspettando.
«Beh?
Quando ti ci è voluto a trovarmi una taglia più
grande? Credevo che
tu fossi andata a filare il cotone per fabbricarmeli.»
«Ma
come siamo spiritosi... visto che tu sei così rapido potevi
uscire e
fare mostra del tuo meraviglioso corpo che tanto ammiri e prenderteli
da solo!»
«Hai
ragione. Come farei senza di te?»
«E
io senza di te?»
*
- *
Tim
Staffell era un ragazzo dall’espressione triste, ma sempre
con la
battuta pronta. C’era qualcosa in lui che avrebbe potuto far
sorridere chiunque. Qualcosa di magicamente consolatorio, di tenero,
di dolce. Qualcosa di fatalmente attraente.
Era
seduto su una delle due rotaie di un binario abbandonato che si
perdeva in un grande prato verde. Al centro aveva steso una tovaglia
a quadretti e aveva ‘apparecchiato’ con una teiera,
dei biscotti,
un mazzolino di fiori.
Dorothy
era accomodata compostamente, vestita fin troppo elegantemente,
sull’altra rotaia, davanti a lui, e beveva tè da
una tazzina di
porcellana.
Sembravano
due personaggi di ‘Alice nel Paese delle
Meraviglie’.
«Stiamo
continuando a vederci di nascosto neanche tu fossi sposata con
riccioli d’oro...» commentò lui, mentre
teneva un dito
morbidamente posato un baffo e l’altro arricciolato intorno
al
manico della tazza.
«E tu
stai sempre a lamentarti. L’idea di venire qui a prendere il
tè ci
è venuta simultaneamente, non dobbiamo nasconderci da
nessuno. Tanto
più che sai perfettamente dove è riccioli
d’oro.»
«Roger
non ti ha chiesto di partire con lui, vero?»
«No,
non lo ha fatto. Qualcuno deve rimanere con Anthea. Lo sai che ha
paura a dormire da sola...» commentò, come se la
cosa non le
facesse alcun effetto. Era inutile disperarsi: Tim la conosceva
abbastanza da sapere benissimo quanto ci fosse rimasta male. La scusa
era davvero credibile?
«Per
quanto manderai ancora avanti il tuo personale macello?»
domandò
pungente.
«Tu
quanto l’hai mandato avanti? Hai aspettato che fossi io a
scegliere!» ridacchiò lei.
«Io
sono stato in grado di gestire tutto alla perfezione. Tu, visto che
sei donna, stai facendo un casino... il
punto è che ci sono delle cose che non puoi nascondere per
sempre.
Prima o poi verranno fuori.»
«Per
esempio?» chiese lei, un po’ perplessa.
«I
capelli di Brian.»
Dorothy
appoggiò rumorosamente la tazza sul binario, facendola
tintinnare, e
poi rise di gusto, coprendosi il viso con le mani.
«Cattivo
segno se ti faccio ridere» commentò Staffell.
«Perché?»
«Le
donne non scelgono mai gli uomini che le fanno ridere, piuttosto
quelli che le fanno piangere...»
«Tim...»
«Che
c’è? Vuoi andare a casa?»
«Con
te...»
«Sei
prevedibile. Ora dimmi quello che volevi dirmi davvero...»
«Io
già una volta ho buttato nel cesso tutto quello che eravamo,
qualunque cosa fossimo. Perché sei ancora qui?»
«Hai
davvero bisogno che io ti risponda? Non lo sai, Dorothy?»
«Non
hai... paura?»
«E di
cosa?»
«Che
io sbagli di nuovo.»
«Credi
di aver sbagliato?»
«Credo
che scelta giusta o sbagliata, potrei farla di nuovo. E ferirti di
nuovo.»
«Anche
io ho la stessa paura, ma è l’amore,
no?» Dorothy lo guardò
stranita «Capita. A noi due, buffo, capitano sempre le stesse
cose,
ma in direzioni diverse!»
«Vorrei
poter cambiare le cose, vorrei poter fare la scelta giusta, vorrei
poter contare sul tuo aiuto per uscire da questo casino, ma ci sei di
nuovo dentro come me.»
«Puoi
contare sul mio aiuto. Sempre. Indipendentemente dai tuoi sentimenti
nei miei confronti. Puoi chiedermi qualsiasi cosa che credi ti
aiuterà a stare meglio.»
«Mettimi
in condizioni di scegliere. Ti prego, mettimi di fronte a una
scelta.»
«D’accordo.
Allora farò una cosa che non ho fatto la prima
volta.» prese la
mano di Dorothy e la strinse, poi la guardò negli occhi.
Tremavano
leggermente, un po’ per il freddo, un po’ per il
nervosismo. «Ti
amo.» Tim sfilò dal suo dito un anello da uomo, un
po’ rockettaro
per la verità, non adatto a quella occasione, ma
l’unico a portata
di mano «Mi vuoi sposare?»
»
Crazy little thing called Cath;
Perdonate
il terribile ritardo con l’aggiornamento, me ne sono ricordata solo una volta accortami che la storia era sul fondo della pagina. O.o Come si
può intuire ci
stiamo lentamente avvicinando alla fine. Intanto visto che ci sono
vorrei ringraziare tutte voi che mi avete sostenuta e seguita, in
particolare le mie fedelissime che mi lasciano sapere le loro
opinioni. Non ero mai arrivata a 50 recensioni o_o e credo che non ci
arriverò mai un’altra volta quindi grazie, grazie,
grazie davvero
di cuore.
La
vostra Cath.
PS:
naturalmente l’avatar di Roger che si gnuda è
dedicato a voi <3
|
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Capitolo 17 *** Are you with me now? ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XVII - Are you with me now?
Con il
cambio di stagione la situazione di Dorothy non si era ribaltata.
Aveva deciso di concentrarsi sul lavoro quanto più
possibile, per
non dover pensare ad altro. Anthea stava liquidando la terza coppa di
gelato, mentre la mora era pervasa da uno strano senso di nausea. Da
un periodo a quella parte il suo stomaco era letteralmente chiuso.
«Ma
insomma, che hai? Non vuoi più uscire, ora neanche mangi.
Non vuoi
più fare niente... sembra che tu stia per morire.»
«Grazie,
eh. Beh, non è colpa mia se sono così sfigata. Tu
ti sei fidanzata
a diciassette anni con l’uomo della tua vita, ora sei sposata
con
lui, ti sei laureata, hai una vita da favola. Io ho una vita del
ca...»
«Scusa,
ma mi pare che tu stia esagerando... dopotutto hai ben due
trombamici! ...e che trombamici! Non tutti sono la fidanzata di Roger
Taylor!»
«E
Tim? Non lo sento da due settimane!»
«Scusa,
ma è normale. Lui ti ha chiesto di sposarla e tu hai detto
‘no’.
E poi lo sai, chi abbandona il campo vince sempre.*»
sogghignò
«Quindi è Tim che ti interessa? Sembri
sconvolta!»
«Non
lo so. Solo che mi mancano le sue attenzioni. Lo ammetto: sono una
donna, e sono pure civetta.»
Dorothy
si dondolò sulla sedia, intenta a cercare nel soffitto la
risposta
alle sua domanda: come capire chi amava di più?
«Cosa?!
Lo stai ammettendo?»
«Dai,
non infierire. Sono terribilmente indecisa.»
«Senti,
mentre ti decidi, vado a fare pipì. Tutto questo gelato ha
smosso
qualcosa...»
«Grazie
per il dettaglio.»
Anthea
sparì in bagno e Dorothy rimase da sola con i suoi pensieri.
«Merda...»
biascicò Anthea, uscendo dal bagno prima ancora di entrare.
«Beh?
Che c’è?» disse Dorothy, andandole
incontro «Dai, mi hai
allagato il bagno?» domandò indispettita.
«Non
fare la stronza e portami all’ospedale!»
«Oddio
ma dici che ci siamo? Non mancano ancora due settimane? David torna
dopodomani! Io non sono sicura di poter gestire la cosa da
sola!» il
panico inghiottì Dorothy in un nanosecondo.
«Non
mettermi agitazione, sono già abbastanza in
paranoia.»
«Ok,
andiamo!»
«Aspetta!»
Con
quell’unica parola la ragazza riuscì a fermare
ogni tipo di
movimento all’interno dell’abitazione.
«Che
c’è? Non eri tu che smaniavi per andare
all’ospedale?»
«Ma
tu vieni con me in sala... vero?»
Roger
Taylor era sdraiato a pancia sotto sul letto incredibilmente scomodo
e duro senza di lei, fissando il telefono. Erano quattro giorni che
non chiamava.
-Chiama...
chiama!!- pensava rotolandosi dalla sponda destra a quella
sinistra.
Incredibile
ma vero, il telefono squillò.
«Pronto?»
domandò all’istante, non appena sollevata la
cornetta.
«Accidenti,
ma che stavi, con la mano pronta per rispondere?»
ironizzò la voce
dall’altra parte, divertita.
«Noooooo,
ho vinto alla lotteria? Come mai questa telefonata dopo quattro
giorni di silenzio?»
«Non
mettertici anche tu!»
«Hai
ragione: dovrei essere felice, devo godere a pieno di questo momento.
Allora? Dove sei? Che fai? Come sta andando? Ci vediamo?»
«Sono
all’ospedale, sto per entrare in sala parto»
rispose serafica
l’altra.
«Cos’è? Uno scherzo? Vaffanculo
Dot.»
«Oh,
modera i termini. Anthea sta per partorire. David non è
ancora
arrivato e John, non sono riuscita a rintracciarlo. Devo andare con
lei: lo sai che è una cagasotto.»
«Disse
colei che ha abortito...» borbottò il batterista.
«Roger
Meddows-Taylor! Fammi parlare! Ora chiami Brian, gli spieghi la
situazione e gli dici di raccontare tutto a John! Portatemelo
qui.»
strillò la donna, facendo echeggiare la sua voce per tutta
la corsia
ospedaliera.
«Non
posso farlo direttamente io?» si offese lui.
«No.
Tu hai il tatto di un elefante. Lo faresti morire di crepacuore.
Brian troverà le parole giuste...»
«Del
tipo?»
«Del
tipo non lo so, Roger, se le avessi sapute lo chiamavo direttamente
io, John, no? Su ora devo andare, altrimenti quella partorisce senza
di me.»
«Augurale
buon parto! ...Ops. Ha attaccato.»
Anthea
era parecchio nervosa. Stava aspettando il suo turno quando
l’amica
la raggiunse con indosso un camice verde, una cuffiettina e una
mascherina.
«Beh?
Si può sapere dove sei stata? Se non te ne sei accorta sto
per
partorire!» si lamentò istericamente, indirizzando
gesti minacciosi
verso di lei.
«Nervosetta,
eh... ho fatto un paio di telefonate per fare in modo che tuo marito
non apprenda la notizia dalla stampa scandalistica.»
«Quindi
hai chiamato Roger? Che dice?»
«Ti
augura buon parto.»
«È
proprio un cretino. Beh, dopotutto perde il suo tempo con
te...»
bofonchiò, passandosi una mano sulla fronte.
«Signora
Deacon?» domandò l’infermiera,
guardandola «Andiamo su.»
«Ehm...
Dot?»
«Sì,
vengo.»
«No,
un’altra cosa...»
«Cosa?»
«Se
dovessi morire dì a tutti che gli ho voluto bene.»
«Anthè,
ma perché devi fare la drammatica pure nelle fiction
altrui?!»
Laughing
like we’re crazy:
nothing
mattered,
nothing
fazed me.
We
were younger then,
so
much younger then...
«Daiiiiiiiiiiiiiiii»
le urla di Roger si sentivano persino sulla luna... e non stava
succedendo niente di sconcio, per la verità
«quello era il
mio panino!»
I due si stavano rincorrendo per tutto il
giardino. Dorothy era balzata sulle scalette che portavano a una
piccola casetta sull'albero in cui Anthea era solita giocare da
piccola. Da lassù gli aveva lanciato il panino, ma lui aveva
fallito
clamorosamente nell'afferrarlo e questo gli aveva causato ancora
più
risentimento.
«Sei una frana, Taylor!» esclamò lei e
il
biondino saltò per raggiungerla, premeditando una vendetta
sanguinosa.
Everything
seems rotten
through
the eyes of the forgotten.
We
were dumber then,
so
much dumber then...
«...
Se non hai fiducia in noi...» Roger iniziò a
obiettare, poi si
zittì, rendendosi poi conto che era tutto vero, che non
c'era niente
da dire. Il punto cruciale della discussione, a tutti gli effetti,
non esisteva, perché quel bambino, non esisteva. Avrebbe
potuto, sì,
odiarla, avrebbe avuto, sì, il diritto di gridare. Ma a cosa
sarebbe
valso? Non ne aveva neanche tanta voglia. Si sentiva così
enormemente triste, dispiaciuto, voleva rintanarsi in un angolo come
di solito faceva lei, e piangere. Chiudersi per una volta nel dolore.
E cercare conforto nell'unica persona che, per la verità,
gli aveva
inferto la ferita, e che era anche l'unica che sapeva come curarla.
The
years have took their toll
and
all the things I can’t control
come
back to haunt me now...
almost
taunt me now.
Dorothy
continuava a fissare, dalla poltroncina infondo alla stanza, la
figura materna di Anthea che giocava con il suo piccolo Robert.
Appoggiava con tutta la delicatezza dell’universo le labbra
carnose
sulla piccola testa mentre con l’indice accarezzava le
piccole mani
ancora strette in due piccoli pugni, e cullava la creatura con
piccoli movimenti, quasi impercettibili.
Quel
momento di assoluta perfezione fu interrotto dal singhiozzo strozzato
di Dorothy che si copriva il viso per la vergogna.
«Santo
cielo, adesso che
succede?» domandò la donna, preoccupata.
«Ma,
niente... è che siete
così belli.»
Bugia.
Neanche Anthea impiegò molto per capire che i suoi pensieri
volavano
oltre quella coltre di lacrime e felicità per
l’amica. C’era il
rimpianto. E anche il rimorso. C’era tutto quello che lei
aveva
buttato via con enorme sacrificio e che adesso rivoleva indietro con
disperazione. Improvvisamente si era resa conto di aver rinunciato
alla felicità a portata di mano, semplice, perfetta e per
sempre, e
di aver accettato in cambio un calvario che la stava portando dritta
al manicomio. Per quale diavolo di motivo sputare su un piatto
così
ricco per avere in cambio un pugno nello stomaco? Perché
sacrificare Roger e il suo bambino? Di cosa aveva avuto paura
davvero? E perché continuava ad averne?
What’s
left to be afraid of?
We
found out what we are made of...
Di
colpo la porta fu
spalancata e i Queen al completo fecero ingresso nella stanza.
Anthea,
spaventata, strinse
il bambino al petto con fare protettivo.
L’infermiera
li seguì
immediatamente, scusandosi con Dorothy, o meglio, con i suoi occhi
annacquati che sputavano fiamme dalle iridi per l’inaspettata
irruzione.
«Mi
scusi, io ho provato a
fermarli, ma...»
«Non
importa, adesso può
andare.»
John
si fermò di colpo in
mezzo alla stanza e guardò madre e figlio nel letto. Tutti
lo
guardarono e ci fu un momento di suspense.
«J-John?!»
azzardò Brian.
Fu
in quell’esatto momento
che gli occhi del bassista si rovesciarono, le sue gambe cedettero e
se non fosse stato per gli altri tre che lo avevano afferrato
prontamente avrebbe avuto un incontro molto ravvicinato e di certo
poco piacevole con il pavimento.
And
we’ve come this far:
we
both have the scars.
Anche
Dorothy si alzò di colpo per prendere un cuscino dalla
poltrona e
farglici appoggiare la testa, mentre Brian gli sollevava le gambe.
Anthea, si sporgeva nel vano tentativo di vedere qualcosa... come se
poi ci fosse stato qualcosa da vedere.
«Ma
guarda te, è svenuto come un pappamolle...»
commentò Roger
divertito.
«Avresti
fatto la stessa cosa...» replicò la mora, senza
dargli troppa
soddisfazione.
«Avrei...
forse... boh! A questo punto dubito che lo saprai...»
Anthea
sgranò gli occhi, pronta ad assistere ad una delle scenate
più
violente e rumorose della storia, ma Dorothy non disse niente, non
fece niente non alzò neanche lo sguardo dallo svenuto per
incrociare
quello del fidanzato.
Era
stanca di trattare male Roger per qualcosa che non aveva fatto, che
non avrebbe comunque potuto fare. E poi c’era gente. Meglio
non
fomentare inutili dubbi. Sapeva perfettamente qual’era il
problema:
e il problema era lei.
Well
have I judged a book by how it’s bound?
Am
I lost or am I found?
Are
you with me?
Non
avrebbe mai deciso: era troppo insicura per farlo, e se non fosse
stato qualcun altro a fare la scelta per lei, la situazione sarebbe
rimasta così, in perfetto equilibrio e allo stesso tempo ad
un basso
dal baratro, creando quella sensazione di serenità e allo
stesso
tempo dello stomaco attorcigliato per il terrore che qualcosa possa
andare storto.
Ma
aveva troppa paura a lasciarlo andare. Sarebbe rimasta sola, avrebbe
perso la via. Il punto era proprio quello: puoi ritrovare qualcosa
solo dopo averlo perso.
Debbie
aveva ragione. C’è
per tutti un momento nella vita in cui devi tornare indietro e
ammettere di aver sbagliato.
E
smettere di scaricare la colpa su tutti gli altri.
Sfiorò
con il pollice il ventre vuoto, poi si accarezzò il cuore.
Un
battito.
Sorrise.
Are
you with me now?
Come
back from the dead.
You’ve
been inside your head for too long.
Are
you with me now?
Find
the places that scare you...
com’on,
I dare you!
Are
you with me?
Are
you with me?
»
Just give me, give me, give me, give me... Fried Cath!
Avrei
voluto aspettare
ancora un po’ prima di postare questo capitolo,
perché a mio
avviso è il più bello di tutta la storia. Per il
suo contenuto, per
la canzone che ho scelto e perché rappresenta il punto di
svolta
della trama. Poi però è successa una cosa,
quindi, alla luce di
una conversazione che abbiamo avuto martedì, anche se non
c'è una
ricorrenza particolare, io vorrei dedicare questo capitolo ad Antea.
«Antea:
un motivo in più per non fare figli.
Cat:
sono la cosa più bella del mondo.
Antea:
ah sì?»
Ecco,
credo che la risposa alla tua domanda giaccia più che mai in
questo
capitolo.
Buona
lettura a tutti quanti voi e un "maltornata" a me :)
C.
|
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Capitolo 18 *** She loved him yesterday. Yesterday’s over. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XVIII - She loved him yesterday. Yesterday’s over.
Era
notte fonda quando Roger rientrò a casa dalla festa che
aveva dato
Steven Tyler. Era distrutto e a dirla tutta era anche un po’
brillo. Joe Perry aveva fatto bere Brian fino a farlo rimettere e
c’era talmente tanta cocaina da fargli credere che gli fosse
venuta
la forfora.
Sotto
la porta trovò incastrato un bigliettino: quella era di
certo opera
di Dorothy. Solo lei aveva quella deliziosa abitudine che lo faceva
sentire tanto desiderato. Si affrettò ad aprire il foglietto
di
carta pallida impregnato dall’inchiostro disposto nella
calligrafia
inconfondibile della ragazza.
‘Raggiungimi
al nostro posto. Non importa l’ora. Sarò
lì ad aspettarti fino a
domani. È molto importante.’
Piuttosto
telegrafico e criptico, tipico suo.
Sebbene
il letto fosse parecchio allettante, alle quattro del mattino,
Dorothy era pur sempre la donna che amava, così Roger si
rimise in
marcia e tornò sui suoi passi, diretto alla vecchia
residenza Bowie.
Lì saltò la ringhiera in ferro battuto e rimase
quasi in mutande
una volta arrivato dall’altra parte. Cosa fosse passato per
la
mente di David quando aveva deciso di mettere quelle trappole degne
di una fortificazione medievale proprio dopo che l’unico vero
tesoro che quella casa custodiva, sua sorella, se n’era
andato, gli
rimaneva ancora del tutto oscuro.
Un po’
indolenzito, seppur nel fiore degli anni, corse fino
all’albero con
qualche cerchio in più e lo guardò dal basso
verso l’alto. Gli
parve di vedere ancora una volta la sua ragazza che gli lanciava il
panino al salame e lui che lo mancava, l’inseguimento, la
notte che
li aveva nascosti, creando per la verità la prima spaccatura
tra di
loro.
Salì
le scalette e trovò, nella piccola abitazione in legno
ancora lì,
Dorothy, con una lampada ad olio, che leggeva un manualetto sugli
Stati Uniti. La moretta gli sorrise e lo invitò ad
accomodarsi
accanto a lei. C’erano delle coperte per terra: si
domandò se
fossero le stesse di anni prima, convinto che non fosse importante.
«Come
mai mi hai fatto venire qui? Presa dalla nostalgia?»
domandò il
batterista, piuttosto curioso. La ragazza si mosse leggermente e lo
guardò dritto negli occhi, con quella sicurezza che gli era
sempre
mancata.
«Perché
qui tutto è iniziato e qui tutto deve finire.»
asserì, tranquilla.
Davvero, forse non lo era mai stata così tanto da quando era
iniziata la sua adolescenza.
«Quindi?
Che succede? Vuoi lasciarmi?» sussurrò lui,
divertito.
«Lasciarti?
Io e te... stiamo davvero insieme?» ridacchiò lei,
sarcastica,
dandogli un buffetto sulla guancia rosata.
«L’ho
sempre considerato un punto fermo...»
«Un
dogma, piuttosto. Della serie che dobbiamo prenderlo così,
ma non si
spiega in nessun modo perché» rise lei.
«Quindi
il punto qual’è?»
«Tim
mi ha chiesto di sposarlo.»
«E...
e tu?»
«Ho
detto di no.»
Roger
tirò un sospiro di sollievo.
«Ok.»
«Non
è ok, Roger. Gli ho detto di no perché non voglio
che pensi che lo
sposo per dimenticarmi di te. Non se lo merita. Avrei dovuto
scegliere e ho sempre sbagliato perché mi trovavo sempre di
fronte
allo stesso bivio. Ora so che devo andare oltre... Partirò
per gli
Stati Uniti domani, ho chiesto il trasferimento
all’ambasciata di
New York.»
Il
batterista si coprì il viso con le mani.
«Quindi
sei veramente qui per rompere.»
«Sì,
ma prima devo dirti alcune cose che mi sono tenuta dentro fino ad
ora, o cose che ti ho detto solo a metà.»
«Non
pretenderai che ti ascolti, cazzo!»
«Sì,
invece. Almeno per il rispetto di quello che siamo stati. E poi io
ascolterò quello che tu hai da dirmi.»
«Io
non ho niente da dirti, mi stai lasciando per andare in America a
cercare non si sa bene cosa! Noi siamo sempre stati la cosa
più
grande e invincibile di questo mondo. Sì, abbiamo avuto i
nostri
casini, ma ne siamo sempre usciti a testa alta, rafforzati. Non dirmi
che ci siamo mai fatti abbattere da qualcosa, Dorothy,
perché non
sono valsi neanche sei anni di separazione ad affondare il nostro
amore.»
La
moretta si beccò la menata senza battere ciglio, poi riprese:
«Dici
che non hai niente da dirmi e poi attacchi a parlare. Non sei molto
coerente. Vorrei veramente spiegarti le mie ragioni. Per prima cosa
mi dispiace di mandare tutto a puttane. Che tu ci creda o no, ti amo
davvero, al di fuori di ogni mio calcolo, e non pensare che sia
sbagliato dire che io abbia ragionato con la testa e non con il cuore
non scegliendo neanche Tim, perché è la
verità. Il mio cuore l’hai
ucciso tu, quella notte in Cornovaglia, quando ti ho visto piangere
per colpa mia. È stato in quel momento che ho capito che non
avrei
mai potuto rimediare, che il mio sbaglio era stato così
immensamente
più grande di tutti i tuoi da non poterti neanche
più portare
rancore. Per niente. È una cosa per cui non
riceverò mai il
perdono: neanche il mio. Mi dispiace per lui, per noi che non lo
conosceremo mai, mi dispiace di averti sempre tenuto
all’oscuro di
ogni cosa riguardasse me, prima di te, di ogni cosa che riguardasse
noi, nella mia testa. Mi dispiace per esserti stata nemica
più che
amica, ultimamente. Mi dispiace di essere tua nemica anche
adesso.»
«Che
dovrei dire adesso?»
«Non
lo so.»
«Cazzo,
dimmi cosa dovrei dire adesso! Cosa ti aspetti che dica?»
«Roger,
non lo so... vorrei solo che tu accettassi la mia decisione.»
«E se
non la volessi accettare? Cosa cambierebbe?»
«Renderesti
tutto più difficile a me. Prendilo come un favore che ti
chiedo.»
«E
quando lo restituirai? Quando sarai sposata con qualcuno altro?
Quando aspetterai i figli di qualcun altro?Quando non ci parleremo
più? Quando incontrandoci per strada non ci guarderemo
neanche in
faccia? Quando ci eviteremo come la peste, quando io sarò
troppo
sommerso dal rancore e tu dall’amore, per qualcun altro che
non è
nessuno? Che non è nessuno dico io!»
«Chiedimi
un favore adesso!» supplicò lei.
«Non
mi lasciare, questo è il favore che ti chiedo. Se abbiamo
lottato
per tutto questo tempo, se abbiamo sofferto per tutto questo tempo,
se ci siamo amati per tutto questo tempo... fa’ che non sia
stato
invano. Per piacere.»
«Roger,
non puoi chiedermi questo!»
«E tu
non puoi lasciarmi!»
«Senti,
lo so come ti senti? Ok? Ti ricordo che anche tu mi hai lasciato, una
volta. Ho pensato che il mondo mi sarebbe crollato addosso, che non
avrei potuto più vivere. Ho pensato che avevo fatto bene a
non
tenere il bambino, che eri inaffidabile, che non avrei mai dovuto
riporre la mia fiducia in te, il mio amore in te. Mi sbagliavo. Su
tutto. Ma ti ho odiato. E questo mi ha aiutata ad andare
avanti.»
«Odiarti
non mi servirà a non compiangermi per averti
persa.»
«E
quando mi incontrerai per strada, se sarò con lui, se
avrò il
pancione, se sarò con i nostri figli, pensa a quanto sono
stata
stupida a non sposare un uomo come te, ricco, talentuoso,
intelligente, affascinante, ma a scegliere lui. Prenditi gioco di
me.»
«Se
ti amo devo pur dimostrartelo! Non posso lasciarti andare
così, devo
supplicarti? Pregarti? Devo piangere?»
«Non
c’è niente che devi fare o che puoi fare. Domani
io salirò su
quel volo, che tu lo voglia o no. Rassegnati: tu non sei
l’uomo con
cui posso passare il resto della mia vita.»
|
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Capitolo 19 *** I guess it's over. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XIX - I guess it’s over.
Dorothy
aspettava di fronte alla porta del monolocale: non aveva molto tempo,
John ed Anthea a momenti sarebbero andata a prenderla a casa per
portarla all’aeroporto, e lei non ci sarebbe stata.
Bussò
impazientemente e aspettò che Tim aprisse. Quando questo
successe,
lo salutò educatamente, ricordandosi che non era
lì per se stessa,
ma per lui.
L’uomo
si appoggiò allo stipite della porta, come nel
tentativo di
bloccargli ogni via di accesso alla casa, e chiese, risentito:
«Che
cosa ci fai tu qui?»
«Volevo
parlarti... è che... tra
poche ore
parto.»
Tutta
la freddezza d’un tratto si sciolse e lui manifesto tutto il
suo
terrore e la sua preoccupazione:
«Per
dove?»
«Stati Uniti d’America.»
«Perché
parli a monosillabi?»
«Perché
non è un viaggio di piacere. Mi trasferiscono per
lavoro.»
«Ma...
per quanto tempo?»
«Per
un po’. Non lo so quanto.»
«Sì,
ma cazzo, non posso credere che te l’abbiano detto ieri. Da
quanto
lo sai?»
«Non
l’ho detto a nessuno fino a ieri sera, tra tutti avreste
cercato di
farmi cambiare idea. Soprattutto Anthea. E non avrebbe retto il
segreto...»
«Ho
capito...»
«Beh,
tutto qui? È tutto quello che hai da dire?»
«Ti
lasceresti forse fermare? Ne dubito. O perlomeno, non da me. Mi
sbaglio?» Dorothy abbassò lo sguardo «So
riconoscere una causa
persa. E ho perso di nuovo. Pace.»
«Se
ti consola non ci è riuscito neanche Roger.»
«Per
la verità, non ne dubitavo.»
Arrivati
tutti all’aeroporto si evitò la rissa per poco.
Staffell e Taylor
non erano proprio dell’umore adatto per incontrarsi, quel
giorno.
Mentre loro due quasi venivano alle mani, gli altri discutevano
dell’improvvisa partenza.
Quando
Dorothy ritornò dalla fila per imbarcare il bagaglio enorme,
Roger
le andò incontro e Anthea tirò da parte Tim, che
si stava
avvicinando con fare minaccioso, così il moro si
allontanò
sbuffando.
«Credo
che quei due abbiano bisogno di un paio di minuti per conto
loro...»
asserì, lanciando un’occhiata distratta alla
carrozzina, dove il
cucciolo Deacon stava facendo un riposino.
«Dici
che è davvero finita qui?» domandò
John. Non aveva ancora tirato
fuori i fazzolettini, ma presto ne avrebbe avuto bisogno.
«Voglio
dire, dopo due fan fiction e una testa tanta dici che la Cath
lascerà
che questa storia non abbia un lieto fine?»
«Chi
ti dice che questo non sia un lieto fine? Forse non erano fatti
l’uno
per l’altra, davvero.»
«Non
puoi averlo detto. Anthea torna in te!!» il marito scosse la
moglie
afferrandola saldamente per le spalle. I due scoppiarono a ridere.
«Comunque queste storie struggenti e tormentate non fanno per
me. Ho
un animo troppo sensibile! Ci soffro! Spero solo che tra sei anni
quei due non ritornino insieme... non avrei l’età
per sopportare
un altro sequel!»
Da
quella via sbucò Dorothy.
«Hey,
John, quando porterai Anthea a trovarmi?»
«Quando
avrò tempo. Naturalmente questa cosa non si sarebbe resa
necessaria
se tu non avessi avuto questa trovata degna di Roger Taylor.
È
proprio vero, Dio li fa e poi li accoppia...»
«Tu
dici?» domandò la mora, appoggiandosi alla bionda.
«Credo che
questa sia una lezione per tutti noi. Quello che diamo per scontato,
un giorno svanirà. Niente è per sempre...
è passata l’età
dell’amore platonico, delle sbronze, dei festini a casa
Bowie,
delle scappatelle... siamo gente adulta adesso. Voi avete un bambino,
io ho un volo per New York che parte tra mezz’ora. In
effetti,
dovrei fare il check-in.»
Così
arrivò il momento dei saluti. Anthea aprì i
rubinetti praticamente
subito e monopolizzò l’abbraccio di Dorothy per
circa dieci
minuti, continuando a borbottare minacce e singhiozzare. Promise
all’amica che le avrebbe salutato David e in cambio si fece
promettere di chiamare non appena arrivata nella nuova casa.
«Cazzo,
Anthea, ho detto ai miei di non venire perché mi avrebbero
fatto
piangere, e ora ti ci metti tu?!» inveì la
più anziana.
Dopo
quel saluto, visto che anche la mora aveva attaccato con le lacrime,
non fu troppo difficile dire addio a tutti gli altri. Fu il turno di
Brian, Freddie, John, Tim, infine Roger.
Si
abbracciarono, non si guardarono in faccia.
«Ti
prego, metti una fine a questa pazzia. Non cercare di distruggere
sempre tutto... resta.»
Dorothy
ignorò deliberatamente le sue parole ed accarezzò
la testa
«Non
mi dimenticherò mai di te. Cerca di essere felice, hai tutta
una
vita davanti.»
Anthea
si era dovuta sedere. Vedere la sua migliore amica sparire oltre il
bancone del check in l’aveva quasi traumatizzata.
«Dai,
ti telefonerà tra poche ore, non è morta, la
rivedrai presto.»
disse Tim, accomodato con le gambe accavallate accanto a lei.
«E la
rivedrò presto anch’io...»
annunciò, lanciando un’occhiata
all’orologio da polso. «Anzi, sarebbe ora che
andassi, prima che
il check-in chiuda, quindi vi saluto.»
Il
silenzio calò nel gruppo, fino a che Roger non
domandò:
«Che
cosa?»
«Taylor,
secondo i miei calcoli diventerai sordo da vecchio, non ora. Ho detto
che devo andare a fare il check-in, quindi tanti saluti e statemi
bene.»
«Dove
pensi di andare? Tu non puoi...» strillò il
batterista, che stava
per avere un attacco isterico.
«Io
non posso vivere senza di lei, è questo che volevi
dire?» No,
decisamente non era quello che voleva dire «Già.
Per questo vado.
Appena me l’ha detto ho prenotato un biglietto, ok? Devo dare
altre
spiegazioni a qualcuno?» domandò.
«È stato bello, ragazzi. Ora
vado.»
Roger
guardò sparire anche Staffell oltre il bancone del check-in.
Era
finita. Per la prima volta in tutta la sua vita, si sentiva davvero
vuoto, senza uno scopo, senza una motivazione per arrivare al giorno
dopo.
Era
davvero finita.
Lei
aveva scelto un altro, non aveva più bisogno di lui, per
scopare,
una compagnia prima di addormentarsi, qualcuno che le intasasse la
segreteria telefonica per chiedere scusa, per essere felice.
Semplicemente,
lei era riuscita a scrivere Fine. e
voltare pagina.
Se
lei era mai stata come stava lui in quel momento, quella era solo una
fatalità del destino che gli rovesciava addosso tutto il
male che le
aveva fatto, e lui era disposto a pagare, ma a patto di averla di
nuovo indietro.
|
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Capitolo 20 *** Changes through the years. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XX - Changes through the years.
Ma
il tempo chiude tutte le ferite. O no?
Il
1977 stava ormai volgendo al termine.
Tutto
aveva preso un’altra piega, una piega quasi normale.
Lui
aveva un’altra fidanzata, una bellissima fidanzata, mora, il
cui
nome iniziava, chi l’avrebbe mai detto, con la lettera D.
Dominique.
Da
quel che ne sapeva, Dorothy stava bene, era negli Stati Uniti e non
aveva la minima intenzione di tornare a casa. E Tim era ancora con
lei. Naturalmente.
La
vita ricomincia per tutti. Anche dopo la più grande delle
sofferenze: ti abitui all’assenza, lentamente, il dolore
svanisce,
la ferita si chiude. E poi diciamocelo chiaramente. Occhio non vede,
cuore non duole. Il mondo è pieno di ex-fidanzati, ma non
per questo
il genere umano rischia l’estinzione.
Faceva
freddo, ma non pioveva. Le strade erano praticamente deserte, e John
e Roger avevano fatto la strada di casa insieme.
«Vuoi
entrare?» domandò il bassista.
(ndAut
per Midori: Vorrei precisare che questo NON è un momento
Joger.)
«Giusto
un attimo, faccio un saluto a Robert e ad Anthea e me ne
vado.»
«D’accordo.»
La
casa mostrava i chiari segni della presenza di un duenne. Muri
colorati a matita a una ventina di centimetri di altezza dallo
zoccolo, giocattoli nei posti più impensabili, impronte di
manine e
piedini sporchi di inchiostro.
«Sono
a casa!» esclamò Deacon dopo aver aperto la porta.
Robert
comparve dal bagno e andò incontro a suo padre sgambettando.
Roger
vide negli occhi di John una luce meravigliosa, che si
intensificò
quando lo prese in braccio e lo sollevò da terra. Essere
padre
doveva essere una vera figata.
Anthea
sembrava non essere in giro, fino a che non si sentì la sua
voce
provenire dallo studio.
«Sarà
al telefono con qualcuno...» suppose brillantemente il
bassista.
«Vabeh,
non voglio disturbare comunque, tu salutamela, vedere il campioncino
dà già abbastanza soddisfazioni...»
ridacchiò, passando una mano
tra i capelli di Robert.
Proprio
in quel momento la biondina, con la sua solita grazia,
spalancò la
porta dello studio esultando:
«Ho
una notizia fantastica! Dorothy...» Anthea si interruppe,
vedendo
Roger sulla soglia.
«Vai
avanti» la invitò proprio lui, con una faccia
serafica e
accompagnandosi con un gesto della mano.
«Dorothy
torna a Londra.»
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Capitolo 21 *** Then it ain’t so groovy when you’re screaming in the night. ***
When you’re screaming in the night
Capitolo XXI Then it ain’t so groovy when you’re screaming in the night.
Era
notte.
Roger
si sentiva in ansia.
Il
piccolo gruppo si fermò alla prima tabaccheria sulla strada
per fare
rifornimento di sigarette. Immediatamente il batterista accese una
delle sue preziose valvole di sfogo, fortuna che non era solo.
Dominique lo guardava con una faccetta strana, quasi divertita. Per
forza, non sapeva niente. Altrimenti col cavolo che l’avrebbe
accompagnato. Anthea cercava di fare conversazione con Chrissie,
senza molti risultati. Si misero in auto e viaggiarono per un buon
quarto d'ora, fino a che non entrarono in un quartiere della classe
media. Una serie infinita di vie parallele, tutte uguali, villetta e
giardino, villetta e giardino, villetta e giardino. Quasi nauseante.
Taylor
parcheggiò sotto un platano, vedendo in lontananza la
biondina che
si avviava a testa alta fino al piccolo cancello in legno, incastrato
tra due siepi verdi tagliate da poco. Teneva per mano Robert che
trotterellava dappertutto sotto gli occhi vigili di John, che
sembrava non voler smettere di controllarlo.
Roger
era stato avvertito, ma quando Anthea indicò soddisfatta il
cognome
che compariva sulla targa accanto al campanello, la lettura lo
ferì
come una coltellata in pieno petto, anzi, forse alle spalle.
Staffell.
La
donna premette il pulsante e aprì la piccola barriera di
legno senza
farsi problemi, fino ad arrivare alla porta, dove fu il suo amico
bassista ad aprirgli.
«Ciao!»
esclamò, sospettosamente sorridente «Non vi
aspettavamo così
presto! Dorothy! Sono arrivati!» strillò,
rivolgendo uno sguardo al
soffitto.
La
comitiva sfilò per entrare nell’atrio,
imboccò un piccolo di
corridoio da cui si dipartivano le scale per il piano superiore, e si
affacciò sul salotto, non enorme, ma sufficiente per dare un
posto a
sedere a tutti.
«Roger!»
Il
batterista, quasi spaventato, si voltò di scatto. Dalle
scale si
irradiò la voce familiare, che davvero troppe volte e nelle
occasioni più disparate aveva pronunciato quel nome;
riempì il
corridoio, come se avesse voluto correre tanto lontana, mentre lui
era ancora lì. I passi arcinoti in ogni piccolo scatto si
mossero,
dietro di lui, verso di lui. Lenti. Impacciati. La
penombra
ancora la celava, quindi l'uomo si fermò, spaventato dalla
verità
che poteva presentarsi ai suoi occhi.
Sarebbe
stata esattamente come la ricordava?
Nei
suoi sogni più divampanti di quando era ancora un ragazzino,
quando
sognava di averla, di sbatterla, dall’inconcretezza di quella
dimensione al di fuori di ogni possibile previsione di tempo e di
spazio fino ai fin troppo concreti abbracci madidi di passione
durante le loro notti di fuoco e fiamme.
Nell’amore
che li aveva legati da ragazzi, poi attorcigliati da adulti fino a
condurli alla pazzia per ben due volte, a convincerli che era meglio
lasciar perdere, che in realtà, quell’amore che
credevano di
provare, non era tagliato per loro, che la libertà era
più
importante.
Nel
dolore della separazione, che li aveva resi ciechi sfruttatori di
chiunque avesse potuto riempire il vuoto nel loro cuore.
Dorothy
era esattamente come se la ricordava: folle, minuta, coi capelli
lunghi e corvini che incorniciavano il viso di madreperla,
dispiaciuto e un po’ triste, come quello del marito, e le
iridi
color nocciola racchiuse negli scrigni delle sue palpebre. Escluso
il piccolo cerchietto d'oro siglato al suo dito e la pancia
spropositata, che sosteneva con una mano, mentre usava
l’altra per
reggersi al corrimano.
Poteva,
quello, cambiare le cose tra di loro?
Fine.
»
- Can I go to Cath now? - No, you can’t.
Mi
è sembrato carino concludere questo percorso oggi,
nell’anniversario
della pubblicazione del primo capitolo di Made in Hell. Alla fine la
vita è un cerchio, credo che non sia mai stato
così lampante che
Tim e Dorothy, che erano insieme all’inizio delle cose,
sarebbero
stati insieme anche alla fine. Ho pensato che intitolare questa fan
fiction con una citazione di Headlong, che è, fino a prova
contraria, la canzone di Tim e Dot, avrebbe lasciato intravedere
quello che era il finale, ma mi sono sbagliata.
Ho
scritto questa fan fiction circa un anno fa, era più o meno
settembre, io e MrB avevamo da poco finito la stesura di Made in
Hell, o comunque non mancava molto.
Ricordo
che in quel periodo ero in fissa con Don’t Cry dei GNR,
adesso
rileggo questi ultimi capitoli e trovo allusioni a quel testo che da
allora non mi ha mai abbandonata, diventando anzi uno dei punti fermi
che mi accompagnano ogni giorno. Credo che sia meraviglioso ritrovare
delle tracce di quello che ti succede in quello che scrivi. Mi sento
nostalgica, forse rileggerò i miei vecchi scritti.
Visto
lo stato presente delle cose, dubito che oltre ad un altro paio di
capitoli, ci saranno altre tracce soliste del mio percorso serio
in questa sezione, quindi vorrei approfittarne per ringraziare di
cuore alcuni di voi, in particolar modo MrB, naturalmente, come ho
già detto, senza di lei Dorothy non sarebbe mai esistita,
anzi visto
che ci sono vi suggerisco di leggere anche il suo sequel di Made in
Hell, che è il prequel di When you’re screaming in
the Night (lol)
– se volete drammaticità e scene strappalacrime,
sapete che lei è
il boss in sezione – e poi Deaks, Midori, Blue Drake, Sheer
Heart
Attack, la nuova arrivata Moonwalk e tutti coloro che mi hanno
accompagnata, anche nell’ombra, fino alla fine di questo
percorso.
Un
saluto a tutti voi e i miei migliori auguri per i vostri progetti
futuri.
Se
avrete bisogno di me, un mp e via, sono sempre attiva anche se
sparisco :)
-Mayhem
(prima la Cath LOL)
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