Rose e Lillà

di aaarg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** uno ***
Capitolo 3: *** due ***
Capitolo 4: *** tre ***
Capitolo 5: *** Quattro ***
Capitolo 6: *** cinque ***
Capitolo 7: *** sei ***
Capitolo 8: *** sette ***
Capitolo 9: *** otto ***
Capitolo 10: *** nove ***
Capitolo 11: *** dieci ***
Capitolo 12: *** Undici ***
Capitolo 13: *** dodici ***
Capitolo 14: *** tredici ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Salve, sono tornata! Mi è venuto un lampo di ispirazione, spero di riuscire a portare avanti  questa storia in maniera soddisfacente! Intanto spero che vi piaccia il
 
PROLOGO
 
I miei genitori sono speciali. Sono ovviamente un uomo e una donna. Ma mia madre ha uno, anzi due nomi da uomo. E non è l’unica stranezza. Mia madre porta i pantaloni come papà, tira di scherma e va a cavallo come un uomo. Ma non è un uomo. E’ anche comandante delle guardie cittadine e mi dicono sia stata addirittura comandante delle guardie reali, quando c’era la monarchia. E mio padre? Lui è sempre stato al suo fianco, prima come attendente poi come soldato. Pare addirittura che lui fosse suo servo, ma mamma e papà dicono di essere stati fratelli, amici ma mai servo e padrona.
Loro hanno preso la Bastiglia, hanno vissuto la Rivoluzione in prima persona, hanno conosciuto Robespierre quando era uno studentello di giurisprudenza e non il terribile dittatore che poi è diventato, hanno combattuto contro Saint-Just e sono stati gli artefici del matrimonio di zio Bernard e zia Rosalie.
Zio Alain mi racconta che mamma sul lavoro ha un carattere inflessibile e che lui all’inizio la detestava. Ma io non ci credo: lo vedo quando crede di non essere guardato, che le fa gli occhi dolci. E poi non credo che mamma possa essere inflessibile e insopportabile. Lei è l’essere più dolce del mondo. Certo non è una che ti vizia o che ti fa passare le marachelle, ma basta un suo sguardo e ti mette in riga. Sarà la sua educazione militare, chissà!
Papà invece è dolce come una brioche, fosse per lui io e i miei fratelli saremmo senza regole. Lui sì che ce le farebbe passare tutte! Forse allora è vero che mamma è inflessibile, ma non lo dà a vedere…
Io sono nata lo stesso giorno di mia madre, il 25 dicembre 1791 e mi chiamo Augustine, come mio nonno, il grande generale che protesse l’unione dei miei genitori quando ancora i matrimoni tra nobili e non nobili non erano possibili e creavano scandalo. Grazie a lui e alla defunta Regina Maria Antonietta, il matrimonio tra papà e mamma è stato possibile, quando tutto stava cambiando ma non tutto era ancora cambiato.
Dopo di me, sono nati Josef, in omaggio al Delfino di Francia morto poco prima che scoppiasse la Rivoluzione, Lulù – Dio solo sa che cosa aveva bevuto quel giorno mio padre -, e Amadeus, in onore del grande Mozart. Sì perché mia madre sa anche suonare bene il violino e il piano*.

Io mi chiamo Augustine Grandier-Jarjayes e questa è la storia di come sono venuta al mondo.
 
 
 
*licenza poetica presa in prestito dall’anime di Dezaki, dato che ai tempi di Oscar il Pianoforte non era ancora stato inventato.

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Capitolo 2
*** uno ***


Grazie per le bellissime recensioni che avete voluto lasciare, perdonatemi se non rispondo a tutte ma sappiate che sono davvero tanto apprezzate! spero che seguirete anche il seguito!
Dunque, primo capitolo, che è ancora di introduzione. Serve per portare i nostri eroi al punto fatale in cui si dichiareranno il reciproco amore. Siccome è uscito piuttosto lungo l’ho spezzato in due. Spero di non annoiarvi, ma pur seguendo i fatti dell’anime/manga, poiché è una terza persona che racconta, ho ritenuto necessario riepilogare in breve la storia. Spero non vi annoi.

 

Uno
 
Era il 1791. Il Re e la Regina avevano da poco cercato di scappare ed erano stati scoperti a Varennes, la Francia aveva una nuova Costituzione e la situazione era ancora molto incerta.
Eppure dai miei il 1791 fu ricordato per altro. Sono nata in una freddissima mattina di Natale, proprio nel 1791, e i miei genitori si dissero che quello era un miracolo. Solo pochi anni prima, quattro o cinque, io non avrei avuto nessuna possibilità di nascere. Solo pochi anni prima, infatti, le distinzioni fra ceti sociali in Francia erano fortissime e un nobile non avrebbe mai potuto sposare un non nobile, salvo dispensa reale e salvo creare uno scandalo di cui si sarebbe parlato per decenni.
Come ci arrivarono, a quel Natale, è mio intendimento raccontare in queste righe, in questa specie di diario che giorno dopo giorno ho deciso di buttare giù, perché rimanga un ricordo alle generazioni future di quello che può l’amore fra un uomo e una donna, quando essi lo antepongono a tutto il resto. Perché ciò che in questi tempi è mancato è stato proprio l’amore, soffocato da un odio covato per secoli e alimentato dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze. Un odio che ha portato ad altre ingiustizie e diseguaglianze, e a sostituire i vecchi privilegiati con altri diversi, ma uguali nella sostanza. Ci è voluto amore, e forza, e coraggio per andare avanti in questa tempesta ed, con essa imperversando, trovarsi, amarsi e generare non uno ma quattro figli senza mai andare via da Parigi, quando tutto il mondo che loro conoscevano stava crollando e cambiando, non necessariamente in meglio, e rischiando per lungo tempo di fare la fine di tanti altri, colpevoli solo di possedere un po’ di terra.
Ma queste sono divagazioni. Torniamo alla storia che voglio raccontare.
La loro storia incominciò nel lontano 1760, quando mio padre fu portato a casa di mia madre. Lei era l’ultima di sei figlie femmine del Generale Augustin R. De Jarjayes, ultimo discendente di una casata da sempre fedele al Re di Francia, conte e possidente terriero tra i più grandi. Mio nonno decise, in un momento di evidente follia di cui non si è mai veramente pentito, che mia madre non sarebbe mai stata una donna ma doveva essere il figlio che lui non avrebbe mai avuto e la chiamò Oscar, Oscar François de Jarjayes, e dispose affinchè le venisse data un’educazione prettamente maschile. Poiché però intorno aveva solo esempi femminili, decise che il nipote della sua governante, rimasto orfano poco tempo prima, le sarebbe stato sempre al fianco per farle capire come si comporta un uomo, per esserle d’esempio, insomma, ma anche per proteggerla. Perché mio nonno sapeva che Oscar era e rimaneva una donna e mai avrebbe avuto la forza fisica di un uomo: perciò, per evitare che a quella figlia così particolare che tanto amava capitasse qualcosa di male, le mise al fianco quel bambino, poi uomo, che doveva essere la sua ombra. Così mi raccontò mio nonno, ormai vecchio e stanco, una sera davanti al camino. Mi raccontò anche di come vide quei bambini diventare ragazzi e poi adulti. E poi amanti.
Mio nonno aveva deciso che il posto più sicuro per mia madre era quello al comando delle Guardie Reali: un posto di responsabilità, certo ma tranquillo, dato che a quell’epoca nessuno pensava che ai Reali di Francia potesse succedere qualcosa di male, men che mai che potessero finire ghigliottinati! Ma mia madre non voleva. Aveva 14 anni e non voleva. In realtà era piena di dubbi, mi raccontò mio padre. Era una donna, acerba ma bellissima già allora, però era stata educata come un uomo e un uomo, in fondo, forse si sentiva. Ma sapeva di essere a un bivio: scegliere la vita militare e quindi rinnegare la sua natura oppure rinunciare a tutto, compresa la libertà di cui aveva goduto fino a quel momento e “diventare” una donna?
Siccome tra i contendenti alla carica di Capitano delle Guardie Reali c’era anche il figlio del Conte di Girodel, Victor Clément (lo zio Victor, pace all’anima sua!), il Re Luigi XV aveva deciso che i due si sarebbero sfidati in singolar tenzone davanti a tutta la corte del re. Ma mia madre (“quella testa calda!” esclamò mio nonno) decise di sfidare lo zio Victor in un boschetto lungo la via (“Solo per dimostrare che non mi tiravo indietro per vigliaccheria!” disse un giorno mia madre). Ovviamente a vincere fu lei: non ho conosciuto nessuno che l’abbia battuta, nemmeno ora, che io ho 20 anni e mia madre 56. Neanche il buon Napoleone c’è mai riuscito. Quindi lei vinse e il Re, superato il disappunto, la nominò capitano delle Guardie Reali.
Mia madre un giorno mi confidò che scelse di indossare quella divisa che non desiderava affatto perché non volle rinunciare alla libertà che la sua condizione di “uomo” le garantiva, ben sapendo peraltro che una nuova ed aperta sfida al Re avrebbe gettato l’onta sulla sua famiglia  e su suo padre in particolare e che lei sarebbe stata sbattuta senza discussioni in monastero per ordine inderogabile del monarca. Accettò, quindi, Oscar, e la sua vita prese una piega che nessuno avrebbe potuto immaginare.
 
 
 
*è un calcolo approssimativo e può essere soggetto a errore ma penso che come data ci siamo, più o meno. I puristi mi perdonino se ho sbagliato!

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Capitolo 3
*** due ***


Prima di tutto grazie ancora per le vostre bellissime recensioni. Spero di continuare a meritarle!
Sono contenta che questa storia vi intrighi: ha intrigato molto anche me, appena mi è sorta l’idea, spero solo di mantenere le aspettative. J
Vabbè, bando alle ciance! Ecco il seguito dell’antefatto. Dopo questo capitolo, partono le danze!
 


Due


Negli anni, lunghi, in cui fu al servizio della principessa, poi regina, Maria Antonietta la vita di mia madre fu tutt’altro che tranquilla. Complotti e attentati furono sventati, ma lei di questo non mi ha mai parlato molto, né altri mi hanno mai raccontato diffusamente di quegli anni. E’ come se non vogliano ricordare, se non per sommi capi.

So che papà perse un occhio nella caccia al Cavaliere Nero, che poi si rivelò essere Bernard Chatelet, lo zio Bernard, un giornalista all’epoca molto vicino a Robespierre, che rubava ai ricchi per dare ai poveri. La mamma lo catturò dopo una caccia spietata, che divenne un fatto personale quando lui, per fuggire, ferì papà all’occhio in duello. La mamma gli dette una caccia senza quartiere, ma rimase prigioniera del Cavaliere Nero e solo grazie all’intervento di papà (che andò a ripescarla dalle segrete del Palais Royal, allora residenza del Duca D’Orléans) riuscì a fuggire, catturando anche lo zio Bernard, che rimase ferito, in circostanze che non mi sono mai state spiegate. Ma papà chiese alla mamma di liberare il Cavaliere Nero. Lo fece, e mandò Bernard a Parigi da Rosalie Lamorliére, la zia Rosalie, che era stata per tanti anni ospite di mia madre a palazzo Jarjayes e che per lei era come una sorella minore.

La mamma ancora oggi, quando le chiedo di raccontarmi di quel fatto, si incupisce. Avrebbe voluto ucciderlo, Bernard: per colpa sua il suo André aveva perso un occhio e lei non riusciva a perdonarlo. La grandezza d’animo di mio padre però la colpì molto e la fece riflettere sulle condizioni in cui versava davvero la Francia, se un ladro era considerato un eroe perché rubava ai nobili per “redistribuire” al popolo. Eppure, e il suo volto ancora oggi si illumina, lei mi racconta che in quei momenti iniziò a capire che per André provava qualcosa di diverso dalla semplice amicizia. Ma non ci voleva credere, e soprattutto temeva che papà non provasse altro che amicizia per lei.

Ma venne il giorno in cui si presentò a casa di mia madre il Conte di Fersen. Quel giorno la loro vita cambiò per sempre.

Prima di raccontare di quel giorno, occorre una premessa.

Oscar François de Jarjayes si è vestita da donna in poche occasioni nella sua vita, preferendo sempre di gran lunga i pantaloni alle gonne, che trova grandemente scomode (“strumenti di tortura inventati per far piacere solo agli uomini, che li hanno rifilati alle donne quando hanno scoperto la comodità dei pantaloni”, così le definisce): la prima volta, mi raccontò papà, fu per andare a un ballo a corte.

In quel periodo, mi ha spiegato, la mamma si era infatuata dell’amante della regina, Hans Axel Von Fersen. Un bell’uomo, certo, affascinante anche, ma mai bello come il mio papà! Come che sia, all’epoca per la mamma non esisteva uomo al mondo che non fosse il conte di Fersen e decise di fare la pazzia: spacciarsi per una principessa straniera, sperando di farsi notare dal conte e ballare con lui. Cosa accadde al ballo nessuno lo sa. La mamma non lo ha mai raccontato e nessun altro era presente. L’unica cosa certa è che la mamma era bellissima, una dea. Un vestito bianco con disegni argento e il bordo dello scollo e delle maniche azzurro cielo, i capelli tirati in su e impreziositi da una tiara, un ventaglio di piume di pavone a coprirle il viso in caso di necessità. “Una visione ultraterrena” dice mio padre, con lo sguardo sognante e un po’ triste. Sì, triste, perché lei non si vestì così per lui ma per un altro.

Non si sa, ripeto cosa accadde a palazzo, se la mamma ballò con Fersen, se si baciarono. Nulla. Si sa solo che la mamma tornò abbastanza presto dal ballo, che si chiuse in camera e ne uscì il giorno dopo con la solita divisa. Fatto sta che a quella sera non vi fu ufficialmente alcun seguito, almeno finchè, mesi dopo, il Conte di Fersen non si presentò a casa di mia madre e, mentre beveva un bicchiere di vino con lei, le disse chiaramente di averla riconosciuta, quella sera al ballo.

Mia madre fuggì via, buttando all’aria un tavolino con il suo contenuto di bicchieri e bottiglie, ma il conte la seguì e si dissero addio. Cosa si dissero è un altro dei segreti che mia madre si porterà nella tomba, ma cosa accadde dopo è di dominio pubblico, in famiglia.
Oscar tornò in casa, e mentre raccoglieva i pezzi dei bicchieri, caduti per terra nell’impeto della sua fuga, comparve papà sulla porta.

“Posso fare qualcosa per te, Oscar?”  

“No”, rispose la mamma. Poi ci ripensò. “André…”

“Sì?...”, disse mio padre avvicinandosi a lei.

“André io…” e gli si buttò al collo piangendo, facendo cadere per terra i vetri che aveva appena raccolto.

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Capitolo 4
*** tre ***


Ancora grazie per le vostre recensioni, sono emozionata! Spero di continuare a meritarle!
 
Prima di leggere il nuovo capitolo, una piccola premessa. Sono sempre stata fermamente convinta che Oscar abbia iniziato a cambiare atteggiamento nei confronti di André in occasione dei fatti relativi al Cavaliere Nero. Tuttavia, a causa della sua educazione e anche della mentalità dell’epoca (e del sadismo della Ikeda?) lei non si rende conto subito dei suoi sentimenti, causando molte più sofferenze del necessario sia a se stessa che al suo amato.
Non qui però. In questa storia loro andranno avanti, lo sappiamo già. Vediamo come.
 
 
Tre
 
Si buttò al collo di André, il suo André, piangendo tutte le sue lacrime, l’austero Comandante delle Guardie Reali. Secondo papà con quel pianto sfogò tutte le tensioni degli ultimi periodi, ma è solo la sua opinione, la mamma nega persino di aver pianto!
 
André la consolò, carezzandole dolcemente la schiena e la nuca e osando persino baciarle la testa, mentre lei tuffava la sua faccia nella camicia di lui (“dopo, dovetti strizzarla, per quanto era bagnata!” dice sempre mio padre, buscandosi ogni volta uno scappellotto da mia madre, che però ogni volta sorride guardandolo con amore mentre glielo assesta).
 
Dopo molto tempo, in cui rimasero così stretti l’uno all’altra, Oscar finalmente si calmò. A quel punto, ripreso il controllo su di sé, si rese conto della situazione imbarazzante in cui si trovava, e non aveva idea di come uscirne. Alzò la testa verso di lui. “André…” lui la guardò negli occhi, con quel suo sguardo dolce che ha sempre riservato solo a lei, e fece l’inimmaginabile. Si avvicinò al suo viso e le poggiò un semplice, dolce e casto bacio sulle labbra.
 
Lei rimase immobile, sorpresa e leggermente interdetta. Dopo un po’ si staccarono, senza fretta. Con un certo imbarazzo, lei si allontanò e disse “io vado a dormire… buona notte…”. Papà, ogni volta che ci ripensa, dice la stessa cosa: “era bellissima, con quegli occhi innamorati e le gote rosa per l’imbarazzo!”. Ma cosa sarebbe successo il giorno dopo, se per lui si sarebbero spalancate le porte del paradiso o i neri cancelli dell’inferno, ancora non lo sapeva. Rimase lì a rimuginare su quanto accaduto, raccogliendo i vetri sparsi per la stanza, cercando di capire che ne sarebbe stato di lui dopo quella sera.
Oscar intanto era salita lentamente in camera sua e, a suo dire, non fece altro che togliersi gli stivali, buttarsi sul letto ancora vestita e abbandonarsi rapidamente ad un sonno sereno e senza sogni.
 
Il giorno dopo, la prima sensazione al risveglio fu che un tiro a quattro e la relativa carrozza le fosse passato sopra al galoppo. Ricordò tutto ciò che era successo, compreso il bacio di André. Ma come comportarsi con lui ora? Ostentare indifferenza, come se quello che era accaduto fra loro fosse stato solo un evento di poco conto, oppure parlarne, giacchè quel bacio aveva avuto il potere di farle capire che lui provava qualcosa nei suoi confronti e che quindi in definitiva i suoi sentimenti erano corrisposti? Non sapeva darsi una risposta e decise di affrontare la cosa solo se e quando si fosse reso necessario.
 
Si accorse di essersi addormentata vestita. Si lavò e si cambiò, indossando la sua divisa e scese a fare colazione. Non sapeva se sperare di incontrarlo o no.
 
Lui non c’era in sala da pranzo. Niente di strano, papà si alzava (e si è sempre alzato) molto presto, e all’epoca doveva attendere alle sue mansioni prima di uscire con la mamma per andare a Versailles.
Oscar fece la sua solita colazione a base di cioccolata calda (come la ama! Ancora oggi la mattina non si sveglia davvero se non beve il suo cioccolato!) e poi prese il coraggio a quattro mani e uscì.
 
Papà era nelle stalle. Aveva preparato i loro cavalli, il suo baio e il bellissimo cavallo bianco di mamma, il mitico César (anch’egli vittima innocente della Rivoluzione: dopo di lui la mamma ha cavalcato solo i cavalli che la caserma le forniva, non volendo più affezionarsi ad un altro).

“Buongiorno Oscar” disse papà con una tonalità molto più dolce e incerta del solito (dice mia madre).
 
“Buongiorno André” disse la mamma, con una voce sognante e vagamente insicura (ribatte mio padre).
 
“Hai dormito bene?”
 
“Come un angelo”
 
“Non poteva essere diversamente”
 
“Che cosa intendi?” disse la mamma mettendosi immediatamente sulla difensiva (“temevo mi infilzasse con la spada!” commenta sempre papà a questo punto, sghignazzando)
 
“Che un angelo come te non può che dormire come si confà alla sua condizione di angelo”, disse André, con un tono un po’ incerto, cercando di evitare di finire a spiedino.
 
“Ma vedi te questo cicisbeo!”, dice di aver pensato mia madre, in realtà la sua risposta si è persa nelle pagine della storia, dato che le memorie di famiglia a questo punto ci consegnano mia madre che finisce non si sa come nelle braccia di papà e lo bacia appassionatamente!
 
Il fatto è che, quali che siano stati i loro pensieri, in quel momento il loro cuore ha preso il sopravvento sulla ragione e sulle convenzioni dell’epoca. La mamma mi ha sempre detto, a questo proposito, che tutte le sue azioni precedenti a quella sono state senza alcun significato (ecco perché non ne parla mai), e che se lei avesse perso quel momento, quel singolo istante, probabilmente le loro vite avrebbero preso pieghe diverse e magari la nostra bellissima famiglia non ci sarebbe affatto, oggi.
Papà è d’accordo con lei. E aggiunge sempre, a tal proposito che spesso la vita si risolve in un attimo, nell’attimo in cui istintivamente bisogna saper prendere la via giusta. Non necessariamente essa sarà la via più dritta o la più semplice, ma sarà la vita a dirti che era quella giusta, seppur contorta e in salita. Lui aveva aspettato una vita – circa vent’anni – prima che mia madre condividesse il suo amore ed era bastato un momento perché lei finalmente cedesse (dice di averla amata fin dal primo momento che l’ha vista, cosa di cui dubito, dato che all’epoca, nel 1760, gli dissero che Oscar era un bambino, ma tant’è, faccio finta di crederci!). Ma se non l’avesse baciata, la sera prima, chissà se le cose sarebbero andate come sono andate.
 
Passarono un tempo che parve loro infinito l’uno nelle braccia dell’altro, lì in quella stalla puzzolente, fino a che i rumori provenienti da fuori non li riscossero, ricordando loro che era assai sconveniente, se non addirittura pericoloso, che un servo fosse trovato in atteggiamenti intimi con una signorina di nobili natali, soprattutto a casa del terribile Generale Jarjayes!
 
“Sarà meglio andare” disse mia madre, ricomponendosi.

“Già, siamo in ritardo” rispose semplicemente mio padre, guardando un’improbabile Oscar scarmigliata e dall’aria impacciata.
 
Ma com’era bello il mondo quel giorno per mia madre. Gli uccelli cinguettavano, e sembrava di udirli per la prima volta. Le chiome degli alberi erano più verdi, l’erba più brillante. Sentiva il ronzare delle api sui fiori e ne captava la gioia. Anche i viandanti sembravano tutti sorridenti, pure i mendicanti. E la Reggia quel giorno sembrava veramente la creazione del Re Sole, tanto risplendeva sotto i raggi di un sole benevolo che tutto illuminava e rendeva dorato. Quali furono le mansioni sue quel giorno, mia madre non lo ricorda. Condusse la sua vita, parlò con le persone, condusse le esercitazioni della Guardia Reale, riverì la Regina, tutto come al solito. Ma i pettegolezzi, le piccinerie, le proteste di questo o quel notabile, oggi non la toccavano. Il suo cuore era in festa e nessuno poteva intaccarlo!
E papà? Papà non credeva alla sua fortuna. Temeva che la magia finisse tornati a casa, quando la maschera di indifferenza che Oscar ostentava sempre a Versailles nei suoi confronti si sarebbe trasformata in dura realtà, nel crollo delle sue illusioni.

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Capitolo 5
*** Quattro ***


 
Eccoci qui con un altro capitolo. Vi ringrazio tanto per le belle parole che mi state rivolgendo e per l’attenzione che dedicate a questa piccola storia senza pretese.
Questo capitolo era già scritto da un po’, ma non volevo postarlo così com’era, volevo un taglio diverso. Ma non mi è riuscito se non così: diciamo che è nel personaggio porsi qualche dubbio. Confidate nel fatto di sapere già che c’è un lieto fine!
 
Bene, ora sono pronta a farmi sparare!
 
Buona lettura!
 
 
 
Quattro
 
 
Ritornati a casa, portarono come al solito i cavalli nelle stalle, senza parlare. Mia madre lasciò papà a governarli e andò in casa. Tutto come sempre. Papà non sapeva interpretare quel comportamento. “Cercavo di tranquillizzarmi dicendomi che Oscar non stava facendo niente di diverso dal solito. Ma in fondo mi aspettavo che invece lei si comportasse in maniera diversa. Ero come sospeso, temevo che il mio cuore andasse in mille pezzi da un momento all’altro”, mi raccontò una volta mio padre.
Finito di sistemare i cavalli, andò in casa anche lui, ma della mamma non c’era traccia. Pranzò in cucina con sua nonna (una donna tanto dolce da essere soprannominata Marron Glacé, anche se pare che il suo matterello fosse piuttosto pesante…). Finito di cenare, passò dal salottino dove era solito bere qualcosa con Oscar. E la vide. Bellissima, indossava ancora i pantaloni della divisa e la camicia ma non aveva più la giacca. Si girò verso di lui e gli rivolse lo sguardo più bello del mondo. Amore, questo leggeva in quegli occhi blu del cielo. Ma anche cosa? tristezza?
 
“Ciao Andrè, hai cenato?” chiese lei.
 
“Sì, ma tu no, mi hanno detto in cucina”
 
“Non avevo fame”
 
(“Bugiarda! Partendo da Versailles hai detto di essere affamata!”, pensò papà) - “Come mai?”, chiese.
 
“Ecco vedi… non so cosa pensare”
 
“Di cosa, Oscar?”
 
“Di quello che è successo fra noi”
 
“E cosa sarebbe successo?”
 
(“non vuole proprio rendermi le cose facili”, pensò mia madre) “oh, nulla, in realtà”, rispose piccata.
 
“Sai cosa è successo, Oscar?” chiese mio padre, che pur non sapendo ancora perché stava iniziando a sentirsi nervoso “E’ successo quello che io ho sperato per vent’anni che succedesse. E’ successo che tu finalmente ti sei accorta di essere una donna (e che donna!) e hai ammesso a te stessa di poter amare come qualsiasi altra donna”
 
“Forse puoi aver ragione, André, ma tu lo sai che questo è sbagliato. Quello che è successo tra noi è sbagliato, a prescindere dal fatto che io mi possa essere accorta di essere una donna. E, fidati, lo so bene di essere una donna!”, disse la mamma con un tono secco (“ero terrorizzata di perdere il controllo della mia vita, di fare un passo che l’avrebbe cambiata per sempre e che mi avrebbe messo probabilmente ai margini del mondo cui ero abituata. E non sapevo se ero pronta a tanto” mi confessò una volta la mamma, davanti ai miei primi – ed abbastanza sciocchi, in fondo - turbamenti d’amore).
 
Lui ne approfittò e lasciò che un po’ dell’ira che iniziava a montargli dentro trasparisse dalle sue parole: “E’ forse sbagliato che un uomo e una donna si amino? O il buon Dio ha deciso che gli uomini e le donne si debbano amare solo se appartengono allo stesso ceto? E allora come mai basta una patente di nobiltà acquistata in modo dubbio* e qualunque bifolco può sposare un nobile?  E perché il re non deve chiedere l’autorizzazione a nessuno quando si innamora?”, ringhiò mio padre
 
“André, noi non siamo comuni mortali e non siamo re. Siamo il Comandante delle Guardie Reali e il suo attendente. Se ci lasciassimo andare, finiremmo per provocare uno scandalo che colpirebbe la mia famiglia e la regina. E dio solo sa se servono altri scandali a Corte! No, dobbiamo dimenticare, lasciarci alle spalle tutto” (“morivo mentre lo dicevo, sapevo che stavo sbagliando tutto”, confessò un giorno mia madre. “Finalmente lo ammetti!” dichiarò trionfante mio padre che passava per caso)
 
“Oscar, io non credo… non posso credere… non è possibile che tu creda veramente a quel che dici…”, disse André con la voce rotta.
 
“Andrè, quel che io credo ha poca importanza…” disse mia madre mentre una lacrima le scappava traditrice.
 
“Oscar, ti prego, per una volta nella tua vita fai quello che ti chiede il tuo cuore e non quello che ti impone il tuo casato!”, implorò papà.
 
“André, quello che faccio non lo faccio per nessuno!**”
 
“Nemmeno per te stessa? Oscar, quando rivendicherai il tuo diritto ad essere felice?”, quasi urlò mio padre con gli occhi lucidi.
 
Queste parole colpirono molto mia madre. Si rese conto di aver fatto tutto per dovere: dovere verso suo padre, verso la regina, il regno, tutti tranne che se stessa. Si rese conto inoltre che la prima volta che si era sentita davvero serena dopo molti anni era stato dopo quel rapido bacio la sera davanti al camino. Si rese conto che, in effetti, della sua infatuazione per Fersen già da tempo non era rimasto nulla, cancellata come polvere dal vento nel momento in cui aveva rischiato di perdere il suo André per mano del Cavaliere Nero. Ma la sua educazione (la sua lealtà, direi io) le impedivano di abbandonarsi nuovamente a quel sentimento così forte che sentiva essere germogliato dentro di sé. Era confusa e non sapeva che fare. Lei, Oscar François de Jarjayes, comandante delle Guardie Reali, non sapeva che fare.
 
 
 
Lo so, sono crudele! Vi lascio così! Sappiate che il prossimo capitolo è già pronto. A presto l’aggiornamento!
 
 
 
*magari facendosi adottare da un vecchio senza eredi …
 
**parafrasando Oscar nell’anime, primo episodio, mentre scende le scale dopo aver indossato la divisa

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Capitolo 6
*** cinque ***


Ecco il seguito. Scusate per il ritardo con cui posto un capitolo già pronto da tempo, ma il lavoro non mi ha dato tregua.
 
E’ ora che si finisca con i drammi, non vi pare? Eccovi quindi un capitoletto romantico.
 
Buona lettura!
 
 
Cinque
 
 
“Oscar scattò in piedi. Sembrava una furia! Rossa in viso, delle lacrime che le vedevo negli occhi poco prima non c’era traccia. Stringeva i pugni così tanto da avere le nocche bianche. Temevo di vedere arrivare un pugno da un momento all’altro, come accadde tanti anni prima, quando lei decise di indossare la divisa di capitano delle Guardie Reali. – Tu! – disse – TU! Come osi pensare che io non abbia a cuore la mia felicità? Come osi dire che  faccio solo quello che mi impongono gli altri? Possibile che dopo tanti anni ancora tu non mi conosca affatto? VATTENE! Vai via da questa stanza! I tuoi servigi non sono più necessari! Da ora in poi vivrò da uomo, come un uomo… – mi urlò.
“E poi voltò le spalle. Capivo che piangeva: non riusciva a trattenere i singhiozzi, le spalle sembravano scosse da un gran tremore. Non sapevo che fare. Avrei potuto andarmene, obbedire, da bravo servo.
“Ma non me la sentivo. Capivo che quelle parole venivano dalla frustrazione di una vita, che non le pensava veramente… sicchè mi avvicinai a lei da dietro e la abbracciai stretta. E lei non mi cacciò.”, mi raccontò papà un giorno in cui il cognac gli aveva sciolto particolarmente la lingua.
Mia madre questa scena l’ha raccontata solo una volta, controvoglia, con poche parole (credo che ancora oggi  si vergogni di ciò che disse a papà): “ho detto cose di cui non vado fiera, ho fatto cose che non vorrei aver fatto. Per fortuna tuo padre seppe perdonarmi e stringermi a sé”.
 
E dopo? La riservatezza ha avuto il sopravvento. Nemmeno l’alcol ha potuto sciogliere le lingue, quindi non saprò mai che combinarono quei due, in che modo abbiano fatto la pace. L’idea che mi sono fatta io è che la mamma non sia rimasta a lungo con papà dietro le spalle ma che, quanto meno, si sia girata per farsi abbracciare. Ma tant’è! La fantasia può volare per lidi lontani, e io non ho la pretesa di fare un racconto dettagliato della loro storia. Io non c’ero e molte cose non sono avvenute davanti a testimoni, quindi, se i diretti interessati non hanno voluto divulgare ciò che accadde, nessuno potrà mai sapere il reale svolgimento dei fatti. Io però mi sono fatta l’idea che quella sera abbiano solo fatto pace, e posto le basi per la loro lunga convivenza, magari baciandosi a lungo, accarezzandosi anche, parlando molto, ma null’altro.
 
Perché dico questo? Perché quando due anni fa mi sono sposata col mio Jacques, la mamma mi fece un discorso, il discorso che tutte le mamme (tranne la sua) hanno fatto alle loro figlie prima della prima notte di nozze. E lei mi spiegò, con moltissimo imbarazzo (non ho mai visto mia madre così in difficoltà!), come nascono i bambini. Invero, non è che sia stata molto chiara sui particolari pratici, ed in realtà non ne avevo bisogno (e forse lei lo immaginava pure), ma mi piacque tenerla così sulle braci, e soprattutto mi piacque quando mi accennò alla sua, di prima volta.
 
“Era ormai qualche tempo che io e tuo padre ci eravamo dichiarati il nostro amore e coglievamo ogni occasione per appartarci. Ma… ecco… ci scambiavamo solo qualche … mmm … bacio e… sì dunque… qualche effusione. Però l’amore esige altro. Ed ormai da un po’ quell’appartarci non …. diciamo … appagava nessuno dei due. Sicchè, approfittando del fatto che io ero in attesa di un nuovo incarico dopo aver presentato le mie dimissioni da Comandante delle Guardie Reali, ce ne andammo ad Arras.
“Nessuno poteva immaginare qualcosa di diverso da due amici che partivano per la casa di villeggiatura di famiglia, perché lo avevamo fatto spesso in passato. Partimmo, quindi, e arrivammo ad Arras dopo un viaggio abbastanza faticoso. Quella sera mangiammo un pasto frugale e ci andammo a coricare stremati. Il giorno dopo ci svegliammo… dormivamo ognuno nella propria camera eh!... e facemmo colazione, normalmente. L’aria quel giorno era frizzante e decidemmo di fare una cavalcata. Al ritorno, tutti sudati ci rintanammo nelle stalle perché si era alzato un brutto vento e rischiavamo seriamente di buscarci una polmonite. Ci coprimmo con delle vecchie coperte e raggiungemmo la casa. Entrammo ridendo e la servitù che ci accolse ci guardò come si guardano i pazzi. Puzzavamo come cavalli (chissà da quanto tempo non lavavano quelle coperte!) ed eravamo intirizziti.
“Ordinai un bagno per me e uno per papà e ci rifugiammo nelle rispettive camere. Ah, che bello il bagno caldo quando sei intirizzito dal freddo! Dovrebbero ricordarselo, quei caproni che ci governano, che tutti avrebbero diritto ad un bagno caldo. Questa è la vera uguaglianza: l’acqua in tutte le case! Va bene, non parlo di politica oggi, torniamo a noi…
“Finito il bagno, mi asciugai in fretta e mi rivestii. Scesi in cucina, convinta che avrei trovato lì André, intento come sempre a sgranocchiare qualcosa. Ma mi dissero che non era ancora uscito dalla sua stanza. Dopo un attimo di incertezza, decisi di andare da lui con la scusa di portargli un tè caldo.
“Aperta la porta – non bussavo mai! – vidi tuo padre a torso nudo davanti al suo letto che si asciugava… ok, non era solo il petto ad essere nudo… (la mamma a questo punto diventò di un piacevolissimo color ciliegia matura!) … tanta fu la sorpresa che mi cadde la tazza che tenevo in mano. Che imbarazzo! Tuo padre si voltò e mi vide! Diventò rosso pompeiano* e… beh non era l’unica cosa “pompeiana” che aveva! Si avvolse un asciugamano intorno alla vita e mi chiese se volevo entrare. Io non sapevo che fare… insomma… era bello come un adone! Il fatto è che nonostante i nuovi rapporti tra noi, non lo avevo mai visto nudo… certo a torso nudo sì, ma nudo nudo no! Oddio, mi imbarazza ancora! (ridacchiò nervosa). Vabbè non è necessario che scenda nei dettagli.. ma insomma, entrai – tuo padre sapeva farmi fare tutto (anche oggi, in realtà è l’unico che mia madre ascolti!) e… ecco… ma perché mi sono imbarcata in questo racconto? Vuoi che continui? Sì eh? Va bene… allora… lui mi fece sedere su una sedia mentre dietro un separé si rivestiva alla bell’e meglio. Poi mi prese per mano e mi baciò. Un bacio tira l’altro e… oh beh non vorrai proprio sapere tutti i dettagli no? In fondo sono fatti personali! Ti basti sapere che fu dolcissimo. Mi tranquillizzò, mi baciò, accarezzò, come già tante volte aveva fatto, scaldando ogni singola particella di me. E tutta me lo desiderava, voleva di più che semplici baci e carezze.
“Desideravo tuo padre con tutta me stessa e lui desiderava me… sì beh, gli uomini è facile capirli in questo… sai laggiù sono molto.. ehm… reattivi, diciamo… e insomma, in qualche modo ci ritrovammo sul letto, a scambiarci quei baci e quelle carezze che per tanto tempo erano stati l’unica cosa che ci eravamo concessi. Ora, una signorina per bene deve aspettare il matrimonio per fare certe cose, ma noi eravamo una coppia strana e, a dirla tutta, difficilmente avremmo potuto sposarci, vista la differenza di censo… e poi eravamo vecchietti, avevamo già compiuto trent’anni! Insomma, non è lecito quel che abbiamo fatto, ma questo è quanto succederà a te domani sera, quando sarai la legittima moglie di Jacques Demy**. Lui ti desidererà, ti vorrà e ti amerà così profondamente che per te sarà naturale donargli ciò che hai di più prezioso, la tua verginità (mamma, mamma! Come ti illudi! Questo regalo gliel’ho già fatto!, pensai in quel momento)… perché anche tu lo amerai e lo desidererai con la stessa intensità, dato che il vostro è un matrimonio d’amore e non un matrimonio combinato…  
“Però ci sarà un momento in cui tu ti chiederai se lo vuoi veramente. Quando lui vorrà… ecco… essere un tutt’uno con te… e sentirai… mmm… dolore… sì beh la prima volta è un po’ doloroso… non ti spaventare: passerà, e dopo capirai cos’è l’amore completo!
“Volerai nei cieli più alti, nuoterai in un mare in tempesta che ti porterà in basso e poi in alto, con onde sempre più impetuose, e non vorrai mai che finisca, perché potrai toccare il cielo con un dito e tutte le stelle ti saranno accanto ad illuminare la notte. E quando finirà, non vorrai altro se non che quel sogno non finisca mai… per me non è mai finito, spero che anche per te sarà così, figlia mia.
“Ma sii forte, perché la vita insieme non è sempre piacevole e non si riduce alle notti d’amore: fa’ che quando il giorno è triste o duro, il ricordo della passione della notte ti sorregga e ti faccia ricordare l’amore che provi per l’uomo che hai scelto per compagno della tua vita. Perché ti doni a lui per amore, non per altro. Perché anche lui ti ama, come tu ami lui. Ecco, Augustine, ricordati sempre il sentimento che vi unisce, quello non deve mancare mai, neanche quando tutto intorno a voi sembra stia crollando.”
Così mi parlò mia madre della sua prima volta, il giorno prima che io diventassi la signora Demy, raccontandomi del giorno in cui lei è diventata la moglie di André Grandier, pure se la loro unione ancora era lontana dall’esser consacrata col matrimonio.
 
 
Come avrete capito in questo capitolo Augustine lascia che siano i genitori in prima persona a ricordare due episodi abbastanza importanti della loro vita.
Come anche avrete capito, questa storia è scritta come se fosse un diario della figlia, che ricorda i fatti salienti della vita dei genitori per tramandarli a chi verrà dopo di lei. O anche solo per ricordarli lei stessa.
Ne deriva che, come in un diario, può capitare che alcuni episodi siano più approfonditi ed altri meno, che ogni tanto vi sia un balzo avanti per poi tornare indietro (come succederà nel prossimo capitolo), fermo restando il fil rouge, che è e rimane la storia d’amore dei nostri eroi per come ho immaginato potesse essere se quella tontolona eil timidone si fossero resi conto di potersi amare da prima.
 
Grazie ancora per le vostre opinioni!
 
L.
 
 
 
 
 
* Da Wikipedia: “I primi veri scavi nell'area di Pompei ebbero inizio nel 1748 per volontà del re Carlo di Borbone, anche se furono piuttosto irregolari e non seguirono alcun metodo scientifico. Spesso gli edifici man mano portati alla luce venivano spogliati di oggetti ed opere d'arte e quindi nuovamente ricoperti. Nella prima metà dell'Ottocento i lavori procedettero molto più speditamente, e portarono all'esplorazione di molti edifici privati e di quasi tutto il Foro”
 
 
** ok, fucilatemi, ma non ce l’ho fatta! il regista del film più brutto della storia ha meritato un posto d’onore nella famiglia Jarjayes-Grandier! :DD

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Capitolo 7
*** sei ***


Vi ringrazio sempre per il vostro affetto, mi siete di grande sostegno! Le vostre belle parole mi fanno davvero piacere.
 
Sono contenta che siate riuscite a perdonarmi l’ingresso in “famiglia” del signor Demy!
 
E ora ritorniamo a questa piccola storia. Dopo la confessione della “prima volta” dei due piccioncini ad opera di un’imbarazzatissima Oscar, facciamo un breve passo indietro e vediamo cosa è successo dopo che i ragazzi si sono dichiarati il reciproco amore.
 
Buona lettura!
 
 

Sei
 
Insomma, papà e mamma iniziarono a vivere la loro relazione in clandestinità e, almeno inizialmente, in totale castità. Cosa fecero e cosa si dissero dopo essersi “dichiarati”, come ho detto, resta avvolto nel mistero.
 
Certo è che poco dopo quel loro chiarimento così drammatico, la mamma chiese di cambiare mansioni. Andò dalla Regina e, semplicemente, le chiese di poter lasciare l’incarico di Comandante delle Guardie Reali. Le chiese altresì di poter essere trasferita al comando delle Guardie Metropolitane di Parigi. Così, di punto in bianco, senza dare spiegazioni per una richiesta che significava un vero e proprio declassamento.
 
Ma a me le ha date, quelle spiegazioni.
Ormai aveva deciso, con molto travaglio e sofferenza, di non resistere al sentimento che provava per mio padre. Era troppo felice quando stava con lui (“E ti credo! Dovevi vedere che bel figliolo ero da giovane!” si vanta mio padre) e volevano entrambi avere un po’ più di privacy, dato che a Versailles non potevi mai dirti davvero da solo. Mille occhi c’erano, anche nel recesso più profondo dei giardini, e non erano mai liberi di rilassarsi. Nemmeno a casa era facile, con Nanny che inseguiva mio padre per appioppargli le mansioni più disparate (“Secondo me sapeva tutto. Magari aveva assistito a qualche scenetta romantica, quella ficcanaso!” disse mio padre con un tono affettuoso e un po’ malinconico, ricordando sua nonna e il suo matterello).
Anche il Generale era sempre presente in ogni camera ed in ogni corridoio (“Ma come faceva? Sembrava materializzarsi” si domandano ancora oggi i miei. “Semplice, – mi spiegò il nonno – li avevo sentiti urlare e fare pace, quella sera, e da allora seguivo Oscar dappertutto quando era in casa. Non volevo che combinasse qualche sciocchezza, così dissi a Nanny di occuparsi di André e io mi occupai di Oscar”, disse, facendomi l’occhiolino).
In questa situazione, l’unica era cambiare aria.
 
Nei tempi bui in cui il mio povero papà non vedeva ricambiato il suo amore, aveva preso l’abitudine serale di uscire. A volte andava a delle riunioni di “sovversivi” (così li chiamavano allora, oggi li chiamerebbero patrioti, eroi della causa rivoluzionaria, oppure giacobini, chissà!), altre volte, semplicemente, andava per bettole ad ubriacarsi (“solo quello! non ho mai tradito tua madre!” spergiura mio padre, guardando terrorizzato il cipiglio di mamma).
Fu in una di queste bettole che conobbe un soldato della Guardia Metropolitana, un uomo molto alto e ben piazzato, che si chiamava Alain de Soissons. Si conobbero, si stettero simpatici fin da subito (“E come potevi non volere bene ad André, con quell’aria da eterno cane bastonato!” scherza sempre lo zio Alain), fecero a pugni, si ubriacarono insieme (“Ma tuo padre non l’ho mai visto andare a donne, tanto che per un momento ho pensato che non gli piacessero. Parlava sempre di Oscar. Oscar di qua, Oscar di là….”, racconta sempre con quel suo sorrisetto beffardo).
E un giorno papà si chiese se Alain non avrebbe potuto risolvere un suo problema.
Gli chiese, con fare abbastanza circospetto, se nel suo reggimento vi fossero posti vacanti tra gli ufficiali e se servissero soldati. “Certo, i soldati son carne da macello, servono sempre! Quanto agli ufficiali, quel vecchio caprone del nostro comandante, il Generale De La Tour Mauburg (1), ha appena rassegnato le dimissioni per motivi di salute – gliel’abbiamo rovinata noi! (sogghignò) - ed attualmente il comando è retto dal Colonnello D’Agout, brava persona ma incapace a mantenere la disciplina. Per carità, a noi va bene così, ma temo che prima o poi ci manderanno qualche altro damerino impomatato, magari fresco di accademia!”
 
Papà andò a riferire la conversazione a mia madre. E le propose di cambiare mansioni. Lei ne fu ben contenta: era da un po’ che non sopportava più l’aria di Corte e magari, lontani da Versailles, avrebbero avuto più occasioni di restar da soli. Andò dalla Regina e le chiese, per la prima volta in quasi vent’anni, un favore personale. La Regina, pur dispiaciutissima di dover perdere un’amica come Oscar, accolse la sua richiesta.
 
Quello che mia madre non sapeva era che papà aveva deciso di arruolarsi anche lui, per starle vicino. Così, quando tornarono da Arras e seppero con certezza che lei sarebbe stata destinata alla Guardia Metropolitana, mio padre chiese il favore ad Alain di aiutarlo ad arruolarsi tra i soldati del suo reggimento.
 
Gli chiese anche un’altra cosa. Cercava una casa, un posto pulito dove poter passare qualche ora con la mamma quando non sarebbero stati in servizio. Ma ad Alain disse solo che cercava un posto discreto per “appartarsi con una dama” (“Hai capito il santarellino! Allora gli piacciono le donne, altro che Oscar!”, pensò malizioso lo zio).
 
E ad un certo punto papà sparì. Mia madre non sapeva che pensare. Lui le aveva detto solo che si sarebbe assentato per un po’, consigliandole di continuare con la sua solita vita, e rassicurandola che presto si sarebbero rivisti: “Ho delle faccende da sistemare”, disse misterioso, e se ne andò (“Ma io dico, non poteva dirmelo? Mi ha fatto morire di preoccupazione, quello stupido! Per un momento ho persino temuto che si fosse approfittato di me e mi avesse mollata…” rinfaccia ancora la mamma).
 
Non sapendo che fare, Oscar prese servizio un giorno prima. Il Colonnello D’Agout l’accompagnò in un giro per le camerate (“Per un pelo non ci lasciavo un occhio! Quell’incosciente di Alain giocava a fare il lanciatore di coltelli sulla porta e mi mancò per un soffio quando la aprii!”). Lì trovò André, bello tranquillo, in divisa, sull’attenti (“Com’era bello con la divisa, tuo padre!”, sospira sempre la mamma). Dovette metterci tutta se stessa per non dare a vedere di conoscerlo (“e per non strozzarlo!”, aggiunge spesso), il rischio che i soldati non apprezzassero era molto alto.
 
Finita la rivista lo fece chiamare.
 
“E tu che ci fai tra i soldati?”, lo apostrofò secca appena papà entrò, “potevi almeno avvisarmi che avevi avuto questa brillante idea!”
 
“Ascolta Oscar… come avrei potuto rimanerti sempre accanto se, quale generale (2) della Guardia Metropolitana, non hai diritto ad un attendente (3)? In fondo in questo modo potremo stare insieme appena finiamo il turno e la sera potremmo andarcene insieme se io non sono di ronda…”, disse papà, temendo di finire arrostito con uno solo degli sguardi di fuoco che gli mandava la mamma.
 
“Ah sì? E, di grazia, mi spieghi il concetto di ‘stare insieme di più e meglio’ come lo fai rientrare in questo discorso? Nel tornare insieme a casa?” (“non potevo credere che davvero pensasse che passare una mezz’ora a cavallo insieme fosse la soluzione dei nostri problemi”, mi spiegò mia madre -“e infatti non era quella la soluzione, diffidente che non sei altra!” le risponde sempre papà)
 
“Non a casa tua, cioè dei tuoi. A casa nostra”, rispose semplicemente mio padre.
 
Mia madre crollò a sedere sulla sedia, incredula. Avrebbero avuto una casa insieme, il loro nido d’amore, dove poter chiudere fuori tutti, tutto il mondo! Non riusciva a crederci. Per la prima (e unica?) volta nella sua vita, mia madre rimase senza parole.
 
Si dettero appuntamento la sera, alla fine del turno di guardia di papà. Uscirono separatamente dalla caserma, la mamma prima e papà dopo. Non era opportuno che fossero visti uscire insieme: i soldati della guardia, gente del popolo che non vedeva di buon occhio i nobili, non avrebbero apprezzato l’eccessiva vicinanza di un loro commilitone, peraltro ancora pressocchè uno sconosciuto, con il Comandante.
 
Si dettero appuntamento a Place Vendome. Mentre aspettava, Oscar cercava di immaginare il loro nido d’amore, temendo che fosse tutto un sogno dal quale si sarebbe tristemente risvegliata da un momento all’altro. Ma il sogno non pareva voler finire, quel giorno, dato che non passò molto tempo e vide André arrivare avvolto in un mantello per proteggersi dal primo freddo autunnale. Senza parlare, la mamma si affiancò a papà e continuarono a camminare. Si addentrarono nei vicoli della città, in una zona poco conosciuta dalla mamma. Arrivarono ad una locanda dal nome strano “Le Chat Rouge” (4), girarono l’angolo e si ritrovarono in una deliziosa piazzetta chiusa, con al centro una piccolissima fontana, Place des Herbes (5). L’attraversarono e finalmente papà si fermò davanti al portone di un palazzetto proprio di fronte alla strada che avevano appena percorso. Scesero da cavallo, legando gli animali ad un anello infisso nel muro. Papà tirò fuori dalla tasca una chiave e aprì il portoncino.
 
Salirono quattro piani di scale, vecchie e consunte ma pulite. Arrivarono a quello che poteva definirsi l’attico. Papà infilò la chiave nella toppa, poi si girò verso la mamma e le disse “Lo so che non siamo sposati, e non so se lo potremo mai essere né se tu vorrai essere mia moglie, un giorno. Ma io vorrei farti varcare la soglia come se lo fossi. Vuoi?” . La mamma, con gli occhi ciechi per le lacrime che avevano iniziato a sgorgarle fin dalle prime parole di papà, riuscì a dirgli solo “sì”. La prese in braccio e varcarono la soglia come due sposi, solo che invece dell’abito bianco e dell’abito da cerimonia questi due sposi avevano un’uniforme da generale e una da soldato semplice. E non avevano ancora una fede al dito.
 
 
 
 
 

(1)  nome interamente di fantasia, preso da un bel boulevard di Parigi.

 

(2) per chi ha visto solo l’anime: nel manga Oscar ad un certo punto diventa generale.

 

(3) pura fantasia, ma visto che per Oscar era comunque un declassamento ho immaginato una circostanza del genere. D’altronde se Oscar e André erano in buoni rapporti, perché lui non avrebbe potuto rimanere il suo attendente? Quindi ho pensato a questo escamotage.

 

(4) Un omaggio ad Amoreterno ed alle sue belle storie, ed in particolare ad “un nuovo inizio”, di cui attendo fremente il seguito.

 

(5) Nome totalmente inventato

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Capitolo 8
*** sette ***


Ohi ohi ohi! La storia di far sposare la nostra Augustine al Signor Jacques Demy proprio non vi è andata giù! Certo chiamarlo Osamu non sarebbe stato molto “francese”!  :DDD
 
Mi farò perdonare, ma ormai il matrimonio s’è fatto, fatevene una ragione!
 
Questo capitolo in realtà non mi convince, ma meglio di così non mi viene. Anche se in parte ripercorre ancora alcuni fatti dell’anime/manga (e così sarà fino al fatidico 14 luglio), il passaggio è cruciale. Spero che nonostante tutto sia di vostro gradimento.
 
Buona lettura.
 
 


Sette
 
 
“Entrai in quella casa, così spoglia, così semplice, così piccola rispetto a ciò a cui ero abituata, eppure mi parve una reggia! L’appartamento era composto da una camera che faceva da cucina e camera da pranzo, sulla quale si affacciava una modestissima camera da letto. Null’altro. Le pareti erano spoglie, una credenza era appoggiata al muro di fronte all’ingresso, a destra c’era la cucina e sul lato opposto, di fronte alla cucina, si apriva la porta della camera da letto. Al centro della stanza, un tavolo quadrato. Sul tavolo, un bellissimo vaso di fine porcellana di Limoges, proveniente sicuramente da qualche anfratto di Palazzo Jarjayes, (ancora oggi quel vaso fa bella mostra di sé sul tavolo del salone di casa dei miei, e guai a chi lo tocca!) con dentro il mazzo di rose e lillà più bello che io abbia mai visto. Era spoglia sì, ma quella casa fu la più bella in cui io abbia mai vissuto, sia prima che dopo!” così ha raccontato la mamma tante volte a me e ai miei fratelli, per spiegarci che non è importante la ricchezza del luogo in cui si vive ma le persone con cui si divide il posto chiamato casa. Ed è “casa”, per lei, solo il posto dove stanno le persone che si amano, la famiglia.
 
Entrò quindi in casa, mia madre, e posso solo immaginare come festeggiarono l’ingresso nella loro prima casa. Certo esplorarono mondi ancora abbastanza sconosciuti, almeno per mia madre, e forse ne approfittarono per conoscersi a fondo, “biblicamente” parlando. Mi fa specie pensare che i miei abbiano fatto quello che fanno i comuni mortali, i mariti e le mogli, ma credo che sia perché noi figli non possiamo immaginare che i genitori facciano “certe cose”, riservate chissà perché solo alle nostre scoperte, come se poi noi fossimo nati davvero sotto i cavoli!
 
“La mattina dopo mi svegliai in quella casa, nuova anche per me, e guardando attraverso la porta aperta vidi una cosa fantastica: tua madre che armeggiava davanti alla cucina, cercando evidentemente di cucinare qualcosa in una padella. Usciva un fumo che non ti dico, il cibo era tutto bruciacchiato e attaccato al fondo e lei aveva una faccia tra il disperato e il battagliero: non si faceva capace di riuscire a comandare gli eserciti e non esser capace di cucinare due uova! Era bellissima, scarmigliata, con una mia camicia indosso e gli occhi rossi per il fumo! Mi alzai, andai da lei e le spiegai come fare, poi la feci sedere a tavola, le portai il suo amato cioccolato - non ti dico che impresa fu procurarmelo! - e facemmo colazione insieme, davvero soli e liberi per la prima volta nella nostra vita. Davvero uniti, davvero uguali!” Papà ancora si emoziona a raccontarmi il suo risveglio la mattina dopo, anche se penso che il ricordo abbia addolcito di molto il sapore di quelle uova bruciacchiate!
 
Ma venne l’ora di uscire. E preferirono uscire separatamente, prima papà (che iniziava il turno presto) e poi la mamma (che sarebbe arrivata in caserma ad un orario più “da nobile”).
 
I giorni che seguirono furono intensi sul lavoro e nella vita privata. Fu una fortuna che avessero lo sfogo di quel sottotetto arredato in cui rifugiarsi, perché le occasioni di stare insieme e da soli sul lavoro furono davvero pochissime.
 
In caserma, soldati non accettavano che una donna potesse comandarli e manifestarono chiaramente la loro ostilità, non presentandosi alle rassegne e sfidando apertamente mia madre. Uno di loro osò sfidarla a duello, ma non sapeva chi aveva davanti ed ebbe facilmente la peggio. Dopo di allora, almeno in apparenza, mia madre riuscì a ristabilire un minimo di gerarchia e di ordine.
Ma non era ancora finita. Pure lo zio Alain duellò con lei. I motivi non erano così meschini come quelli dei suoi commilitoni. Lui la spiegò così, la storia: “All’epoca, le condizioni dei soldati, e dei soldati della Guardia in particolare, erano terribili: la paga era poca - non che adesso sia molto meglio! -, la gran parte era destinata alle famiglie, tutte di misere origini , così come parte del rancio, sicchè i soldati erano spesso denutriti. A questo aggiungi che molti, me compreso, vendevano il loro equipaggiamento per arrotondare e dare alle famiglie qualche soldo in più.
“Capitò che durante una rassegna tua madre si accorgesse che Lassalle - pace all’anima sua! - non aveva il suo fucile. Gli chiese spiegazioni ma lui non seppe dargliele. Oscar ordinò di dare a Lassalle un fucile nuovo e la storia sembrava finita lì. Pochi giorni dopo però arrivò la Polizia Militare e arrestò il nostro commilitone perché aveva venduto il fucile.
“Non ci vidi più! Corsi nell’ufficio di tua madre, la presi per il bavero della giacca della divisa e la trascinai nella piazza d’armi. Volevo soddisfazione, volevo punirla perché ero convinto che fosse stata lei a tradire i suoi soldati. Lei non si scompose. Combattemmo sotto la pioggia, scoprii che era davvero brava con la spada ma le detti filo da torcere, però alla fine vinse lei” (ogni volta lo zio Alain a questo punto ci fa vedere il taglio al costato che gli fece la mamma, neanche fosse un trofeo di guerra!)
“Ma io non ero soddisfatto. Ero convinto che Oscar non fosse un bravo comandante, pronta, come tutti i nobili a vendere i suoi soldati in nome dell’onore e di una rispettabilità solo di facciata. Questo almeno finché Lassalle non tornò dal carcere militare, dichiarando a tutti che era stato il Comandante De Jarjayes a farlo liberare… Allora mi dovetti ricredere. Dovetti dare ragione ad André, quando mi diceva che lei era diversa… e lo era, oh se lo era!
“Alla fine anche noi testoni capimmo che era un Comandante di cui fidarsi!”
 
Tuttavia, i problemi arrivarono anche per mio padre. I suoi compagni scoprirono presto che papà aveva lavorato presso la famiglia Jarjayes prima di arruolarsi, che non era il figlio di falegname che diceva di essere. Questo comportò una leggera “diversità di vedute” (lui spiega così il naso rotto in quell’occasione), che lo vide confrontarsi lui da solo contro almeno una decina di soldati astiosi. Solo l’intervento di Alain consentì di raccogliere qualcosa di mio padre che non somigliasse troppo ad una polpetta. Quella sera mia madre se lo portò a casa (“Non hai idea quanto fosse pesante a trascinarselo su per quattro piani a peso praticamente morto! Ancora adesso mi domando come ho fatto!”) e lo medicò amorevolmente (“vidi le stelle per il dolore!”, giura mio padre ripensando a quelle “delicatissime” cure). Poi gli concesse, da Comandante magnanimo, due giorni di licenza.
 
Ma il giorno dopo la mamma non potè tornare a casa dal suo André. Suo padre, mio nonno, l’aveva convocata a Palazzo Jarjayes. Voleva che si sposasse, e non con mio padre*.
 
 
 
 
* I fatti, come avrete potuto notare sono stati leggermente alterati nella scansione temporale, non me ne vogliate.

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Capitolo 9
*** otto ***


In primis, un grazie infinito a chi mi sta seguendo, perdonatemi se non rispondo alle recensioni, non è per cattiveria ma non saprei come mettere su carta la gioia che mi danno le vostre recensioni e il colore rosso delle mie orecchie quando vedo i vostri bei commenti. Ma giuro che li apprezzo, Grazie davvero!
 
Ora veniamo a noi.
 
Un capitolo intenso e drammatico, che lascia poco spazio all’ironia. L’ho riscritto completamente: la prima versione non mi piaceva. Spero che a voi piaccia questa.
 
 
 
 
Otto
 
 
“Oscar, mia adorata.
Questi giorni con te mi hanno fatto credere che una vita insieme sarebbe davvero possibile. E’ bastata una parola di tuo padre per farmi tornare bruscamente alla realtà. Ora so che basta un niente e ti perderò. Sei una donna, una meravigliosa, bellissima donna. E questo è un bene. Ma è anche la tua dannazione. Perché basta che tuo padre lo voglia e ti avrò persa per sempre. Solo il pensiero mi strazia il cuore! Queste ore che sto passando qui, in questa casa che per la prima volta possiamo definire nostra, mi hanno fatto comprendere quanto ormai io non possa fare a meno della nostra vita insieme. Ma non riesco a trovare una soluzione, non ho risposte per noi, Oscar. Questa volta, quando tu tornerai con il responso, quando mi dirai cosa ha deciso tuo padre questa volta per te, io non saprò come aiutarti, come sostenerti, come risolvere il nostro problema. So che dovrò essere forte. Ma non voglio accettare supinamente una decisione calata dall’alto. Solo, ripeto, non so come fare!
“Questa cosa mi fa impazzire, sento che sto iniziando a perdere la ragione. Proprio ora che la stavo ritrovando, rischio di perderla di nuovo. Oddio, non so che cosa dico! Le immagini di te mi si accavallano nella mente. Tu che giochi con i sassolini in giardino, lì sotto quel sicomoro, al riparo da tuo padre. Tu che mi sfidi a duello per sfogare la rabbia dei pettegolezzi di Palazzo. Tu che soffri per l’amore non corrisposto di Fersen. Tu che capisci che una rosa è una rosa e non potrà mai essere un lillà. Tu che infine ti doni a me completamente, che mi dici di amarmi, realizzando il sogno di una vita. Tu che affondi le unghie nella mia schiena e gridi senza remore il mio nome. Tu, che da sempre sei parte del mio cuore e della mia anima. Io, che sono parte del tuo cuore e della tua anima. Io. Io ora non so come tenerti a me.
“E penso che forse sarebbe meglio tornare a Palazzo Jarjayes, ritirarmi in buon ordine e fare finta che non sia successo niente. Ma poi, come potremmo far finta di niente noi, che ci siamo donati l’un l’altra completamente e senza limiti, forti di un amore che supera il ceto sociale e vive delle persone che lo provano. Noi, che siamo nati amici, siamo cresciuti fratelli, ci siamo scoperti amanti. Noi, che parlavamo di avere figli, di sposarci. Assurdità. Noi non potremo mai sposarci. Mai.
“Vivi, Oscar, vivi la tua vita e lascia questo povero orbo alle tue spalle. Io alzerò un altare al nostro amore e immolerò su di esso le vittime scarificali che il dio richiede: cuore e senno saranno per sempre sull’ara a sanguinare, solo per consentire a te di essere felice. Ma non ti voltare indietro, non fare come Orfeo che voltandosi perse per sempre la sua Euridice. Portami nel tuo cuore e cerca di esser felice senza di  me. Se tu farai questo, forse potrò riuscire a trascinarmi su questa terra senza rimpianti.
Ti amo.
Tuo André”
 
Questa lettera l’ho ritrovata un giorno in un libriccino tutto consunto che la mamma teneva nel comodino. E’ tutta macchiata, presumibilmente di lacrime, ma non saprei dire le lacrime di chi. È sicuramente molto letta e molto stropicciata, ha una macchia come di un fondo di bottiglia di vino e credo che inquadri meglio di mille parole lo stato d’animo di papà alla notizia che il nonno aveva deciso di fare sposare la mamma. Da quel che so, papà non se ne andò. Ma so che fu merito dello zio Alain se ciò non accadde.
 
Quel pomeriggio Alain aveva deciso di passare da casa di papà per assicurarsi che stesse bene dopo le legnate ricevute in caserma. Arrivato su, trovò papà sulla porta con un fagottino in mano. “Faceva tenerezza, tutto pesto e con quel misero fagotto di robe in mano! Gli chiesi dove avesse intenzione di andare così malridotto. Lo guardai negli occhi e lo vidi distrutto, faceva fatica a trattenere le lacrime. Lo feci rientrare in casa. Mi accorsi subito che non viveva da solo, non solo per i due piatti e i due bicchieri nel lavatoio, ma anche per l’inconfondibile odore femminile che si sentiva in casa. Solo, mi sembrava di conoscerlo, quel profumo, ma non ricordavo dove lo avevo già sentito. Chiesi ad André se fosse la sua dama – sempre la stessa - il motivo di tanta sofferenza. Lui mi rispose di sì. Ma non riuscii a cavargli altro. Allora presi la bottiglia di vino che stava sul tavolo e versai da bere per entrambi. Il vino sembrò rilassarlo e riuscii a trattenerlo. Ad un certo punto sentii la porta aprirsi. Mi girai e vidi tua madre. Rimanemmo entrambi pietrificati. Io avevo capito che era lei la donna per cui si dannava l’anima, ma non pensavo che vivessero addirittura insieme. Lei spostava gli occhi da me ad André, incerta e indagatrice. Vide quella lettera sul tavolo, macchiata dalla scolatura del vino. Si avvicinò, ci salutò fredda, prese la lettera un attimo prima che Andrè, con i riflessi lenti a causa del vino, riuscisse a fermarla, e la lesse. Sbiancò.” Questo mi raccontò lo Zio Alain.
 
“Dovetti sedermi. Non potevo credere di essere stata ad un passo dal perdere il mio André, dopo che invece ero riuscita a far ragionare mio padre! Chiesi ad Alain di lasciarci soli. Fu la prima volta che non vidi ad Alain quel sorrisetto beffardo che ha sempre in faccia. Ci chiarimmo.” Così liquida il fatto mia madre.
 
Il “chiarimento”, da quello che ho potuto appurare, non è stato tanto facile. Papà voleva davvero andarsene, la mamma invece gli rispondeva che aveva risolto tutto. Ma sarà stato il vino, sarà stata la disperazione, papà non ci voleva credere. Fecero l’amore, disperatamente, intensamente, senza freni e senza remore, come se fosse l’ultima volta. Come lo so? Il vino scioglie la lingua, soprattutto a papà!
E poi, quando si accasciarono spossati nel letto, la mamma gli disse “Andrè, io vorrei diventare tua moglie”.
 
 
Curiosi? Cosa sarà successo a Palazzo Jarjayes? Perché Oscar dice di aver risolto tutto?
 
Un po’ di attesa, alla prossima!
 
L.

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Capitolo 10
*** nove ***


 
Ecco a voi un capitolo denso di avvenimenti. Si spiega l’antefatto del precedente e il seguito naturale di esso.
Non so se vi piace che ogni tanto torno un po’ indietro nel racconto per poi andare avanti. Ma la scrittura mi sta uscendo così, spero di non sembrare schizofrenica!
 
Buona lettura!
 
 
nove
 
 
Quel giorno, la mamma fu ricevuta dal nonno nel suo studio. Lui non era seduto come al solito dietro la scrivania che prima di esser sua era stata di suo padre, e del padre di suo padre e via così per chissà quante generazioni. No, si trovava dietro ad un tavolino basso, con un vaso con delle bellissime rose bianche dentro, ed era seduto su una sedia comoda, coi braccioli.
Iniziarono a parlare del più e del meno. Chiacchiere del tipo “Come va in caserma? Ti trovi bene?” – “Sì grazie padre, tutto bene”, ma ad un certo punto non fu più il caso di menare il can per l’aia e il Generale parlò.
 
“Non ti si vede più in casa…”, constatò.
 
“Ecco, padre, il lavoro è tanto, i soldati sono indisciplinati e io devo essere molto presente”
 
“E dove dormi?” (“ahi ahi! E ora che gli dico?” pensò la mamma)
 
“A volte in caserma negli alloggi degli ufficiali, a volte in una locanda”, mentì.
 
“mmm… siediti, Oscar, ti devo parlare”
 
La mamma lo interruppe aggressiva: “Anch’io vi devo parlare, padre. Vi invito fermamente a non concedere la mia mano al giovane Conte di Girodel” (“Nanny mi aveva già spifferato tutto qualche giorno prima, era così contenta, lei!” mi spiegò la mamma) “perché, padre, io non intendo sposare nessuno” (“di quelli che avete in mente voi, perché una persona io ce l’ho in mente” pensò tra sé e sé).
 
“Calmati, Oscar, adesso calmati, parliamo di ogni cosa con calma, ti dispiace?”. La mamma annuì poco convinta e si sedette davanti al nonno, dall’altra parte del tavolino, su una sedia gemella a quella del padre.
 
“So che hai dei problemi con i soldati della Guardia”
 
“E’ vero, ma non è una cosa grave…”
 
A quel punto il nonno - mi ha raccontato – perse il filo di quello che Oscar stava dicendo “L’avevo chiamata perché la proposta di matrimonio di Girodel mi aveva fatto capire quale errore avessi fatto nel trattare e allevare mia figlia come un uomo. Inoltre, le schermaglie tra Oscar e André a cui involontariamente avevamo assistito io e Nanny mi avevano convinto che lei non avrebbe ancora soffocato a lungo la sua indole e l’avrebbe – giustamente, per carità di Dio! – portata a cambiare la sua vita drasticamente. Ma ancora una volta feci l’errore di voler decidere io della sua vita per lei…”
 
Pianse, a quel punto, il severo Generale Jarjayes. Si nascose la faccia tra le mani e chiese scusa: “Perdonami Oscar, perdona tuo padre! Solo adesso ho capito di aver sbagliato allevandoti come un maschio. Mi sento molto in colpa: la mia… testardaggine… ti ha impedito di gustare le gioie che provano tutte le ragazze… di conoscere la vera felicità” (“beh certo, padre, fosse stato per voi potevo passare serenamente dalla vita militare alla vita monastica!”, pensò mia madre).
 
“Non disperatevi,” disse mia madre, “vedete, padre, l’educazione tipicamente maschile che mi avete impartito non mi ha certo fatto dimenticare che sono una donna. Infatti l’uniforme che indosso non mi ha impedito di innamorarmi di un uomo… penso di dovervi ringraziare per avermi allevata come un figlio: in questo modo mi avete permesso di svolgere mansioni che non sono alla portata delle altre donne”
 
Mio nonno poggiò le mani sul tavolino e si alzò, lasciando le mani sul piano del tavolo e, guardando sua figlia, disse: “Sì, Oscar, ma ti ho impedito di provare le gioie che rallegrano tutte le altre donne. A questo punto dovresti toglierti l’uniforme e vivere come una donna e gustare così… tutte quelle cose che io ti ho impedito di avere… per un mio assurdo capriccio… Ora, ti prego di non dimenticare che sei una ragazza, una ragazza molto bella… voglio che tu… che tu sia finalmente felice, Oscar… se non vuoi sposare il conte di Girodel troveremo qualcun altro che ti piaccia. Sai, il Generale Bouillé mi ha promesso che presto darà un ballo in tuo onore…”
 
“Quel parruccone borioso!” pensò mia madre “come si permette di ficcare il naso nei miei affari? E come può mio padre permettere che lo faccia???” Trattenne a stento la rabbia che sentiva montare dentro di sé: “Mio padre non aveva nemmeno chiesto di chi mi fossi innamorata, trascurando l’insignificante dettaglio che il mio cuore di donna - che improvvisamente aveva scoperto – era già occupato, mentre il suo caro amico Parruccone Bouillé faceva da mezzano per il matrimonio della figlia più piccola ma ormai vecchia come Matusalemme del caro Severus de Jarjayes (così lo chiamavano alle sue spalle a Versailles)! Ero davvero arrabbiata. Ma, se volevo tornare a Place des Herbes dal mio André, dovevo mantenere la calma”, mi spiegò la mamma, raccontandomi quei fatti. Così, semplicemente, iniziò a parlare, con apparente calma. “Padre, poco fa vi ho detto di essermi innamorata di un uomo. E lo sono ancora. Non ho alcuna intenzione di sposare altri che lui, anche contro la vostra volontà.”
 
“Oscar, il conte di Fersen…” una risata interruppe mio nonno
 
“Fersen? Padre, davvero pensate che l’uomo di cui parlo sia Fersen?”, disse ridendo mia madre.
 
Il Generale la guardò serio ma non stupito. “Oscar, so di te e André.” Di fronte all’espressione sorpresa di mia madre spiegò: “ Diciamo che non avete usato molta discrezione nel chiarire i vostri … mmm… sentimenti. E questo è stato il motivo per cui avevo deciso di farti sposare: ho capito che farti fare una vita da uomo non poteva significare soffocare la tua vera natura. Tutti si innamorano, uomini e donne, e tu sei in una posizione particolare. In quanto donna non puoi sfogare i tuoi… mmm… istinti… come un uomo. Ma una donna ha un animo più propenso a cadere innamorato. Ora, io mi rendo conto che forse tu vorresti sposare André, ma non puoi. Il ceto sociale vi divide. I nobili devono chiedere l’autorizzazione al Re per sposarsi. I servitori no. Tu sei nobile, provieni da una famiglia di antico lignaggio, non puoi sposare un plebeo solo per amore. Devi pensare a te stessa.”
 
“Padre, non credo che il matrimonio sia stato creato per gli interessi di questa o quella famiglia, ma per sancire un legame d’amore. E io, se mai mi sposerò, lo farò per questo e non per altro. Mi avete cresciuta in modo diverso dalle mie sorelle: credete che riuscirei, a trent’anni suonati, a trasformarmi in una perfetta dama dell’alta società, compresa di gonne e sottogonne? No. Solo un uomo che mi ami veramente potrà prendermi per quello che sono, senza impormi di lasciare il mio mondo, la divisa, se io non voglio. E quell’uomo, l’unico, colui che io amo, è André. Questa è l’ultima volta che verrò qui a Palazzo. Da questa sera, non tornerò più. Se volete diseredarmi, rinnegarmi, ripudiarmi, fate pure. Riuscirò a vivere anche senza di voi.” Si alzò, a questo punto, Oscar, e andò verso la porta, voltando le spalle a suo padre (“Quanto mi pesarono quelle parole!”, ricorda sempre mia madre).
 
“Oscar…” la fermò mio nonno. “rifletti su quello che stai facendo, non buttare il tuo futuro dalla finestra”
 
“Padre,” rispose lei “in realtà ho appena aperto la porta sul mio futuro…”, e se ne andò.
 
“Non avrei mai voluto che se ne andasse così, ma proprio quando se ne andò capii che lei aveva ragione e io torto. E’ vero, non riuscivo ad accettare che per loro non valessero le differenze di censo, ma capivo che il ragionamento era giusto. E capivo anche che non potevo continuare a imporre nulla a tua madre: in fondo era ormai adulta. Mi presi quindi l’impegno di trovare il modo di eliminare gli ostacoli alla loro unione. Mi ci volle un bel po’, non fu facile, ma alla fine ci riuscii!”, mi ha raccontato il nonno.
 
 Arrivò a casa spossata. Ma era contenta. Sapeva di essersi liberata di un peso. Tuttavia, quando vide Alain e André capì subito che qualcosa non andava. Ma questo l’ho già raccontato, andiamo avanti.
 
Cosa successe dopo che si “chiarirono” è presto detto. Papà e la mamma decisero di sposarsi, contro tutto e contro tutti. Il matrimonio non sarebbe stato forse efficace davanti agli uomini, ma lo sarebbe stato davanti a Dio. La cosa più difficile fu chiedere allo Zio Alain di fare da testimone per papà.
Lo invitarono a bere un bicchiere: gli dovevano ancora delle spiegazioni per la sera precedente. Lui li guardò con aria sorniona ed un sorrisetto strano, mentre André cercava di spiegargli come erano finiti a convivere nella casetta che lui gli aveva procurato credendo che fosse un “pied-à-terre” e che era diventato un nido d’amore.
“Per tutto il tempo Oscar sembrava più interessata ai suoi stivali che alla conversazione. Ihihih! Se ci ripenso! L’algido, gelidissimo comandante avrebbe preferito essere sul patibolo piuttosto che confessare a me, Alain de Soisson, suo subordinato, di essere un essere umano come gli altri! Non riusciva a stare ferma sulla sedia e per il nervoso buttava giù boccali di birra come fossero acqua! Mai visto nessuno, uomo o donna, reggere bene l’alcol come tua madre… comunque, tornando a noi. Tuo padre mi disse con lo sguardo raggiante e senza tanti giri di parole che avevano deciso di sposarsi. Perdincibacco! Per un pelo non cadevo dalla sedia! Li guardavo e, giuro, non ci credevo che alla fine avessero deciso di essere un pochino felici in barba a tutto e tutti. Però, dissi, non è che ci si può sposare così. I nobili si sposano tra loro. E allora Oscar intervenne. ‘Alain, io ho per anni rinunciato ad essere me stessa, a soffocare la mia indole e i miei desideri per far felice qualcun altro. Ora, per la prima volta, voglio vivere come voglio io, con chi dico io. E André, che ha aspettato che io prendessi finalmente questa consapevolezza, è il compagno della mia vita, l’uomo che amo e che voglio sposare. Non varrà nei confronti degli altri uomini? Non mi interessa. Varrà per noi.’ Giuro che rimasi a bocca aperta. Nelle sue parole sentivo non solo l’amore per tuo padre, ma passione e sofferenza. Li guardai, sorridendo, e porsi loro la mano: ‘beh, credo di dovervi fare gli auguri’, dissi. A quel punto fu la volta di André di diventare rosso ciliegia: ‘Alain… se tu non ci fossi stato probabilmente tutto questo non sarebbe stato possibile: io avrei fatto una solenne sciocchezza e la nostra felicità sarebbe morta sul nascere…. Ecco, io vorrei che tu fossi il mio testimone’. Ah beh! Per la seconda volta rischiai di cadere dalla sedia! Ero contentissimo, per carità! Ma non me lo aspettavo. Organizzarono una cerimonia molto semplice, bella. Tua madre si presentò vestita da donna: era bellissima, non avrei immaginato che in abiti femminili potesse essere così bella… Rosalie quando la vide, tanto per cambiare, iniziò a piangere – santa ragazza, ma come faceva a piangere per ogni nonnulla? – ma ad André si illuminarono gli occhi, vabbè, l’occhio buono…”, dopo di che, ogni volta lo zio Alain si perde nel ricordo e non c’è più verso di cavargli niente della cerimonia di nozze di papà e mamma.

Gli altri dettagli li ho saputi dai diretti interessati, come è ovvio, e dalla zia Rosalie, testimone della mamma, che sempre si commuove al ricordo e quindi cerco di sollecitare poco, per evitare di avere la casa allagata!
Insomma, in pochi giorni papà e mamma organizzarono le nozze, tenute segretissime: oltre a loro, solo Alain, Rosalie e Bernard lo seppero. Nemmeno Nanny seppe niente, per paura che si lasciasse scappare qualcosa con il Generale. 

Mia madre volle che il vestito rimanesse una sorpresa per papà. Lo provò da una sarta amica della zia Rosalie e quando fu pronto se lo fece consegnare da lei. Papà invece si fece dare una divisa nuova e si presentò in chiesa con quella.

“Ero lì, in chiesa ad aspettarla e fremevo. Me la immaginavo arrivare con la divisa di gala, quella bianca che mise solo una volta a un ballo a corte. E invece arrivò con quel vestito. Era vestita con un abito femminile, solo per me questa volta! Rimasi estasiato: era bellissima, con i capelli raccolti in uno chignon molto morbido, l’abito, semplice, di mussola color panna, con le maniche lunghe, il velo in testa a coprirle il viso, i guanti ricamati. Era una dea!” Così ricorda papà l’ingresso in chiesa della mamma. Lei invece dice di ricordare solo quanto erano scomode le scarpe che indossava (“E pensare che avevo giurato che non mi sarei mai più vestita da donna, che tortura!”, dice sempre), ma in verità, quando decide di sbottonarsi un po’ e di lasciare  da parte la sua innata riservatezza (il che accade solo a Natale, quando tra i festeggiamenti della ricorrenza, del suo e del mio compleanno, finisce sempre per esagerare col cognac), allora ti dice di quanto fosse bello papà lì sull’altare mentre l’aspettava, di quanto fosse emozionata, di come le tremasse il cuore lungo la navata, di come fosse felice fino alle lacrime quando il prete disse “non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito”.

E le fedi? Beh, quelle furono un regalo inaspettato. Arrivarono il giorno prima delle nozze, dentro un pacchettino portato da un fattorino in livrea, la livrea dei Jarjayes, e consegnate direttamente in caserma al Comandante in persona. Allegato c’era un bigliettino: “Mia cara Oscar, tuo padre mi ha raccontato con molta sofferenza cosa vi siete detti l’altra sera. Pure se, per le scelte che sono state fatte, non ti sono stata accanto quanto avrei voluto, ti conosco abbastanza da sapere che porterai fino in fondo le tue intenzioni, e che quindi, in un modo o nell’altro, sposerai il caro André. Tuo padre, sappilo, se André fosse stato nobile avrebbe visto di buon occhio un matrimonio fra di voi, ma purtroppo così non è, e non può accettare che vi sia gente di censo diverso che pur tuttavia si ama. Ma ama te, e non farà nulla per ostacolarti, avendo ben compreso l’errore che stava commettendo nell’importi ancora una volta qualcosa che tu non desideravi. Sicchè, mia cara, credo che alla fine ti impartirebbe persino la sua benedizione, cosa che accadrà, ne sono certa, quando avrà metabolizzato la cosa. Per l’intanto, figlia mia prediletta, abbi cura di te e vivi la tua vita al meglio. Sei arrivata a trentadue anni per riuscire a farlo, non sprecare altro tempo! Allegato a questa mia breve missiva troverai un pacchettino, sono le fedi mia e di tuo padre. In fondo posso dire che la nostra unione è stata felice e, a differenza di tante, piena di amore, per quanto certamente tuo padre abbia un modo tutto suo di dimostrarlo. Ti auguro che anche la tua vita sia piena di amore, sempre.
Ti auguro ogni bene, figlia mia.
Tua madre

Era il 21 giugno 1787, e il giorno dopo Oscar François de Jarjayes diventò la signora Grandier.

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Capitolo 11
*** dieci ***


Preliminarmente, perdonatemi per il grande ritardo con cui posto ma l’ispirazione latitava e la stesura di questo capitolo, a differenza degli altri, è stata molto sofferta.
 
Dunque dunque, riepiloghiamo. Il Generalone, ma si era capito, qui è un po’ meno ottuso che nell’anime e nel manga: diciamo che ho voluto cogliere quell’attimo di pentimento per farne un padre migliore. In fondo a suo modo lui non voleva altro che il bene della figlia, anche se aveva un modo un po’ strano di farlo vedere. E M.me De Jarjayes ha pensato bene di fare un dono di nozze a Oscar: un dono utile, che si faceva spesso quando l’oro valeva molto e i soldi erano pochini. Mi direte “Oscar non era povera”… vabbè, licenza poetica! ;)
 
E ora, vediamo che succede. Aspetto le vostre opinioni!
 
Buona lettura.
 
 
Dieci
 
Erano finalmente sposati. Ma la loro vita cambiò poco. Il lavoro era tanto, i turni massacranti e il tempo per fare i piccioncini era davvero poco. Ci si misero anche i Reali di Spagna a complicare la situazione familiare, con l’assurda decisione di visitare in lungo e in largo la Francia nonostante fosse altissimo il rischio di attentati. Toccò anche al reggimento dei miei genitori il compito di partecipare alla protezione del Principe spagnolo, il cui nome si è perso nelle pagine della Storia. Anche in quell’occasione, dice lo zio Alain, la mamma si contraddistinse per il coraggio dimostrato. I miei però ricordano solo il rischio che corsero quando gli attentatori del Principe in fuga ed inseguiti da Oscar, André e Alain, per fermarli pensarono bene di buttare una bomba, di piccolo potenziale ma comunque tale da fare perdere i sensi. I miei si svegliarono la mattina dopo, mano nella mano, mentre Alain sghignazzava perché erano riusciti anche in un’occasione pericolosa come quella a fare i piccioncini…
Ormai i problemi con la truppa si erano risolti. Tutti adoravano papà e avevano un timore reverenziale per la mamma (cosa che in realtà hanno tutti i suoi soldati anche ora che si è ritirata dalla vita militare attiva… ma che gli avrà fatto mai???), molti forse sospettavano che fra i due ci fosse del tenero ma loro furono bravi a non darlo a vedere più di tanto.
 
Intanto la situazione politica peggiorava rapidamente. Le condizioni economiche della popolazione erano ormai drammatiche e mia madre si trovava sempre più a disagio nel sapere che pochi, la sua famiglia per prima, spendevano e spandevano, e tanti morivano per la mancanza del minimo necessario per vivere.
Il suo era un punto di vista privilegiato: era il Comandante della Guardia, organizzava le ronde, ogni tanto le faceva anche lei, viveva a Parigi e capiva ciò che a Versailles non potevano capire perché non vedevano.
 
Quanta attesa, quanta aspettativa c’era stata quando il Delfino e la Delfina andarono per la prima volta a Parigi. Tutti li ammiravano, li adoravano, speravano in un futuro migliore, mentre ora la Regina era oggetto di insulti feroci, di contumelie indicibili, mentre il Re era giudicato un brav’uomo, ma troppo debole di fronte agli stravizi della moglie e all’arroganza della nobiltà. E Oscar soffriva nel vedere la sua Regina, la sua amica, così mal compresa.
Certo, era stata abituata ad avere tutto, era viziata, ma era sensibile, una madre affettuosa e anche profondamente triste. Sì triste, perché il Delfino, l’erede al trono, Louis Josef era malato, gravemente, e aveva i giorni contati. Chiamò la sua amica Oscar, Maria Antonietta, perché il principe voleva vederla. Lo portò a cavallo e per lui fu troppo, ma fu bellissimo. E le promise che l’avrebbe sposata (oh Signore, avrei potuto essere una Principessa reale! Meglio com’è andata, almeno mia madre ha ancora la testa al suo posto!).
Intanto mamma e papà vivevano la loro vita coniugale in serenità. Nulla mi è giunto al riguardo, se non che lo zio Alain ricorda con terrore le sere che lo invitavano a cena a casa loro. In quelle occasioni la mamma cercava di dimostrare di essere una brava massaia e lo costringeva ad assaggiare degli intrugli improbabili dal sapore indefinibile che lui per educazione diceva essere squisiti (“Per i topi!”, aggiunge lui in un sussurro, nel timore di essere randellato dalla mamma). Poi, sistematicamente, con la scusa di accompagnare Alain al cavallo, papà e lo zio scendevano, andavano alla locanda là vicino e si scolavano un bel po’ di vino con cui annaffiavano un po’ di sana zuppa della casa. Ma insomma, salvo per il fatto che vivevano in piena clandestinità un matrimonio illecito, tutto procedeva sereno. Papà non riusciva a credere di avere la mamma accanto, di essere stato premiato per la costanza e la perseveranza del suo amore (in realtà non ci crede nemmeno adesso!), mentre mia madre era al settimo cielo, ma preoccupatissima di dare al mondo un figlio. Non perché sarebbe stato difficile, se non impossibile, spiegare al mondo e alla Giustizia del Re che quel figlio aveva diritto di esistere, ma perché il mondo non era un bel posto per viverci, all’epoca (oddio, non so se adesso sia meglio, visti i tentativi di ritornare a prima che Napoleone si imponesse come Imperatore dei Francesi). Usavano tutte le precauzioni, o quanto meno ci provavano.
E intanto le condizioni di vita peggioravano. Nel maggio del 1788 a Grenoble le proteste aumentarono tanto che l'esercito fu obbligato ad intervenire e il 21 luglio un'assemblea decise di mettere in atto lo sciopero delle imposte. E poi il Re convocò gli Stati Generali per il maggio dell’anno successivo. E nulla procedeva. E le condizioni della Francia e dei francesi peggioravano.
 
Ma vi era un fermento nuovo. Il Terzo Stato, il 98% della popolazione, sempre escluso dalle grandi decisioni, sperava di poter contare di più. Ottenne prima di poter raddoppiare i seggi a sua disposizione e poi iniziò a discutere circa l’opportunità che la votazione dovesse avvenire per teste e non per Ordine. E questo prima ancora che gli Stati Generali fossero aperti.
 
Quando tutto fu pronto, finalmente venne il 5 maggio 1789 l’aspettativa era alle stelle. La Regina fu accolta nel più gelido silenzio, il Re invece fu accolto con applausi calorosi. Ma dopo il discorso del Re, e dei suoi ministri fu chiaro che gli Stati Generali, nelle intenzioni del Governo, non avrebbero dovuto occuparsi di riforme politiche ma solo dei problemi finanziari del Paese. Ma i tre Stati iniziarono a discutere su come votare (per ordine o per testa?) e si arrivò ad una spaccatura.
 
Ma a chi lo viveva da fuori, questo clima era di assoluto immobilismo. I cavilli non interessavano ai soldati, impegnati in turni massacranti. Non interessavano nemmeno al popolo, che continuava a morire di stenti. E interessava sempre di meno anche ai miei, a mia madre in particolare, che da un po’ si sentiva molto stanca anche solo a fare pochi minuti di ronda a cavallo. Ma non poteva permettersi cedimenti, era il Comandante, e strinse i denti.
 
Finchè non venne il 20 giugno. Quel giorno ai deputati del Terzo Stato, autoproclamatisi Assemblea Nazionale, fu impedito di riunirsi. Mia madre era lì e fremeva per questa palese ingiustizia. Ma i deputati non desistettero e si riunirono nei locali del gioco della Pallacorda e lì giurarono di non separarsi in nessun caso e di riunirsi ovunque le circostanze lo avrebbero richiesto, fino a che la Costituzione francese non fosse stata stabilita e affermata su solide fondamenta. Ma impedirono loro di riunirsi anche lì. Ma la cosa alla fine sfuggì di mano. Il giorno in cui i tre stati si riunirono per la seduta reale, il 23 giugno, il re, annullando tutte le decisioni prese fin lì dall’Assemblea Nazionale, chiese ai tre ordini di disperdersi. Ma il terzo stato non ubbidì e nei giorni seguenti vide entrare a far parte dei suoi ranghi anche membri del clero e alcuni nobili.
 
Poiché però questa situazione era di aperto contrasto con gli ordini del Re, ai Soldati della Guardia e a mia madre quale loro Comandante fu ordinato di disperdere l’Assemblea con la forza. Mia madre e alcuni suoi uomini rifiutarono di andare lì e sparare. Con un atto di insensato coraggio lei e mio padre corsero ad impedire che fosse la Guardia Reale a sparare sui deputati del terzo stato. La mamma si mise fisicamente in mezzo tra i deputati e i suoi ex soldati (“confidai in un minimo di affetto e fedeltà rimasti nei miei soldati, e nel fatto che Victor – Girodel – non avrebbe mai fatto sparare sulla donna di cui era ancora innamorato. Mi andò bene, ma ero terrorizzata!”, mi racconta mia madre – “un incosciente!”, si limita a commentare il nonno – “una furia, dovevi vederla!”, racconta mio padre con occhi sognanti). La Guardia Reale non sparò e si ritirò in buon ordine. Il re alla fine cedette e invitò ufficialmente nobiltà e clero a unirsi all'Assemblea Nazionale. E mia madre fu denunciata per insubordinazione ed alto tradimento.
 
Mio nonno era furioso! Avrebbe voluto averla tra le mani per farla a fettine. Brandiva la spada come un pazzo, con gli occhi iniettati di sangue. Ma mia madre non si fece vedere a palazzo Jarjayes. Rimase in caserma ad aspettare che la guardia militare la prelevasse per portarla nel carcere di Abbaye Saint-Germain, dove erano detenuti i suoi soldati. Ma per lei arrivò il perdono reale. La Regina Maria Antonietta aveva interceduto per lei! Sì, per lei, ma non per i suoi soldati. Era stanca, la mamma, ma non poteva ancora smettere di combattere. Andò dallo Zio Bernard e combinò con lui il modo per fare liberare i suoi soldati: una bella rivolta su commissione (questo episodio mi ha sempre fatto dubitare della spontaneità della Rivoluzione, ma tant’è). Ed in effetti, il re fu costretto a far liberare pure i 12 soldati imprigionati.
 
Ma la situazione precipitava e la monarchia non comprendeva la gravità della situazione.
Nel frattempo, mia madre volle recarsi dalla Regina per ringraziarla dell’atto di clemenza. La regina ne approfittò per spiegarle che la situazione dell’ordine pubblico era tale da imporre la presenza di soldati a Parigi, molti soldati, chiamati da altre regioni per difendere i Reali. Disse che era una misura necessaria. Mia madre abbozzò.
 
E poi la Regina si voltò e disse: “Oscar, voi siete stata una cara amica. So da vostra madre che avete avuto delle… ehm… divergenze di opinioni con vostro padre circa la vostra vita privata e che da allora non siete più rientrata a casa, preferendo un’abitazione in città. Ora, io so che le vostre decisioni sono sempre state estremamente ragionate e so anche che il sentimento che provate dovrà essere in qualche modo consacrato. Ecco, voi non mi avete mai chiesto niente se non un trasferimento. Sulle prime non ho compreso, ed anzi vi devo confessare che mi sono sentita abbandonata. Ma poi, quando vostra madre, e a suo modo anche vostro padre, mi hanno parlato, ho capito il perché. Ecco Oscar, vi auguro di essere felice con l’uomo che amate.” E nel dire questo, la Regina porse a mia madre un documento arrotolato. Lei lo aprì e dentro vi trovò una patente di nobiltà intestata ad André Grandier, barone di Chenoncheaux, e un permesso, a firma del Re, per il matrimonio del Barone di Chenoncheaux con il Conte Oscar François de Jarjayes. Quel permesso è incorniciato e campeggia nel salotto di casa. Mia madre spalancò gli occhi, lucidi per la commozione. Vide la stessa commozione negli occhi della regina, che le disse “Oscar, vi auguro di godere di quella felicità che io non ho mai potuto assaporare appieno. Buona fortuna amica mia!”. Mia madre non potè fare altro che ringraziare la regina e salutarla.
 
Poi tornò letteralmente “volando” in caserma, chiamò mio padre, gli concesse e si concesse due giorni di licenza e scapparono in viaggio di nozze. Era il 2 luglio 1789, il tempo della monarchia era alla fine.
 
 
Come detto, capitolo difficile e di passaggio, necessario per arrivare al 14 luglio, anche se la storia delal Rivoluzione è nota. Ma ho sentito la necessità di rispolverarla per riprendere l’inquadramento storico dei fatti. E ora preparatevi, il 14 luglio sarà il protagonista del prossimo capitolo e non credete di sapere proprio tutto quello che succederà….
 
A presto!
 
L.

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Capitolo 12
*** Undici ***


Prima di tutto voglio esprimere il mio fortissimo GRAZIE a tutte coloro che hanno letto questa storiella senza pretese e certamente inferiore ad altre decisamente migliori. Sto scrivendo per diletto e per distrazione: mi piace e mi rilassa: se poi quel che scrivo trova qualche anima buona che l’apprezzi, è una cosa che fa tanto tanto piacere! Quindi, ancora, grazie a tutte!
 
Tornando a noi. Dopo il mini-viaggio di nozze, un capitolo un po’ strappalacrime, perdonatemi. Dopo di questo cercherò di tornare ad un tono più leggero. Ce ne sarà l’occasione, non temete!
 
 
Undici
 
Il loro viaggio di nozze si svolse poco lontano, in realtà. Avevano solo due giorni e non potevano certo impiegarli in viaggio. Andarono a Saint Germain en Laye, un posto circondato dalla foresta*. Trovarono una locanda dal nome invitante “Il bosco incantato” e presero una stanza, per la prima volta ufficialmente come marito e moglie. Cosa fecero in quei due giorni ufficialmente non si sa, ma insomma non è difficile immaginarlo, soprattutto quando si ha l’occasione di parlarne e si vede il viso di mia madre diventare di  un gradevole rosa e mio padre iniziare a sghignazzare dicendo: “Abbiamo parlato!”. Come se ci fosse da credergli!
 
Ma i due giorni di licenza terminarono e dovettero tornare a Parigi, dove la situazione stava precipitando pericolosamente! Ormai gli Stati Generali si erano trasformati nell’Assemblea Nazionale Costituente ma il mondo al di fuori del Palais des Menus-Plaisirs era in continuo fermento. Le truppe continuavano ad ammassarsi a Parigi, creando una sensazione di assedio che accese gli animi dei parigini. E quando giunse la notizia che il Ministro Necker era stato rimosso dal Re, la tensione esplose. Un battaglione di soldati tedeschi attaccò un gruppo di cittadini che inneggiavano a Necker e al Duca d’Orléans.
L’Assemblea chiese al Re di ritirare le truppe da Parigi, ma il re rifiutò. Mia madre si recò dalla Regina e fece lo stesso. La Regina rifiutò. Con grande tristezza le due amiche videro così finire un legame ventennale. Si salutarono, e non si videro più.
 
La mattina del 13 luglio, quaranta dei cinquanta ingressi che permettevano di entrare a Parigi vennero dati alle fiamme dalla popolazione in rivolta. I reggimenti della Guardia francese formarono un presidio permanente attorno alla capitale, sebbene molti di questi soldati fossero vicini alla causa popolare. I cittadini cominciarono a protestare violentemente contro il governo affinché riducesse il prezzo del pane e dei cereali e saccheggiarono molti luoghi sospettati di essere magazzini per provviste di cibo**.
 
In tutto questo bailamme, i miei erano al momento delle grandi decisioni. La mamma andò nelle camerate e parlò ai suoi soldati, quella mattina: lei avrebbe rinunciato ai suoi privilegi, avrebbe affiancato il popolo, convinta che Andrè, il suo uomo, le avrebbe chiesto di combattere con il popolo e per il popolo. Ma i soldati avevano già deciso: avrebbero affiancato gli insorti, disertando. La scelta era facile per loro, in fondo. Per papà già lo era di meno, perché, pur essendo un “figlio del popolo” aveva avuto modo di conoscere anche il lato migliore della nobiltà (oltre ad essere barone di fresca nomina, “come se me ne importasse qualcosa!”, dice sempre a proposito), ma sapeva che la gente era allo stremo. La mamma si sentiva come Cesare sul Rubicone: prese un respiro, e trasse il dado.
 
“Non era più il tempo di nascondersi. Troppi errori erano stati commessi dalla classe dirigente, troppe volte erano stati ignorati i segnali di insofferenza che venivano dalle classi meno privilegiate. Non solo i poveri, ma anche i ricchi commercianti che non avevano voce in capitolo reclamavano i loro diritti. Ma i Reali e i loro ministri erano sordi, se si esclude Necker, il ministro delle Finanze, che per questo fu presto esautorato. E io non me la sentivo più di abbozzare, di girarmi dall’altra parte. Troppe erano le ingiustizie che vedevo intorno a me, e che avevo anche subito sulla mia pelle. Se non avessi avuto l’autorizzazione della regina, se tuo padre non fosse stato nominato Barone, il nostro legame sarebbe rimasto clandestino o illegittimo per molto tempo ancora. E io non volevo che i miei figli o i figli dei miei figli potessero essere considerati degli indesiderabili solo per una stupida questione di censo. Volevo un mondo migliore e avrei lottato per averlo.” Così, spiegò mia madre quella decisione che cambiò per sempre la sua vita.
 
Quindi il battaglione di mia madre decise di unirsi agli insorti. Mia madre rinunciò al suo ruolo, al suo titolo e a tutti benefici che questo comportava per amore di André, il suo uomo, suo marito. Uscirono dalla caserma in formazione ma non presero le posizioni che erano state loro assegnate. Riuscirono invece a riunirsi al gruppo di Bernard e Rosalie, li protessero dall’assalto di alcuni soldati che poi cercarono di allontanare dai civili. Percorsero la città in lungo e in largo, molti di loro rimasero feriti o uccisi: anche papà fu ferito leggermente a un braccio***.
 
Riuscirono a riunirsi di nuovo con Bernard in serata, ricomposero i morti, curarono i feriti e alla fine della giornata considerarono che la guerra era appena cominciata.
 
Non riuscirono ad andare a casa loro, preferirono restare con gli uomini superstiti e con gli altri insorti. Organizzarono dei bivacchi, accesero dei fuochi improvvisati e rimasero intorno al fuoco.
 
“La guardavo e la trovavo diversa. Era solare, nonostante gli strapazzi della giornata. Si vedeva che era provata eppure in lei c’era una luce nuova. Non capivo. Non era per il matrimonio, no. Oscar sembrava trasfigurata. Ma quando le chiesi se c’erano novità, se mi doveva dire qualcosa, mi guardò come fossi una  un po’ tocca. Lasciai perdere, ma capii che in lei qualcosa era cambiato” mi raccontò la Zia Rosalie. Ed era il preludio di ciò che accadde l’indomani.
 
 Cosa successe poi è storia recente.
 
Il 14 luglio fu assaltato l’Hotel des Invalides in cerca di munizioni. Ma i rivoltosi non trovarono la polvere da sparo e quindi decisero di assaltare la Bastiglia.
La Bastiglia, nonostante la mitologia che poi si creò negli anni seguenti, all’epoca non era altro se non un simbolo del potere monarchico. Una prigione troppo dispendiosa per mantenerla in cui al momento erano “ospitati” solo sette detenuti e un gran numero di armi. Pochi soldati. E presto sarebbe stata il simbolo della rivoluzione.
 
Una folla sempre più numerosa raggiunse la fortezza chiedendo la consegna della prigione. Il Generale de Launay, comandante della Bastiglia, trovandosi circondato e pur avendo la forza per respingere l'attacco, cercò di trovare una soluzione pacifica, ricevendo alcuni rappresentati degli insorti, con i quali cercò di negoziare. La trattativa si protrasse per lungo tempo e mia madre, che era fuori con i suoi soldati, sentiva la folla fremere ed aumentare. L’impazienza raggiunse il culmine finchè ad un certo punto qualcuno tagliò le catene del ponte levatoio e gli insorti riuscirono a penetrare nel cortile interno, scontrandosi con la Guardia svizzera che presidiava la prigione.
 
Sangue, tanto sangue. Le guardie sparavano, la gente, armata con ogni cosa che potesse servire alla bisogna, assaliva i soldati. Noi, gli unici armati di fucili e con le munizioni per usarli, cercavamo di proteggere la gente che era entrata nella Bastiglia sparando ai cecchini appostati dietro le feritoie. Riuscimmo ad impossessarci di alcuni cannoni e con quelli iniziammo a sparare verso gli assediati. Tua madre era lì, a dare gli ordini dietro ai cannoni, ogni tanto sparava con la sua pistola. Ad un certo punto si voltò verso di me, mi guardò negli occhi, esaltata dalla battaglia ma stravolta dalla sua violenza. E poi, vidi sorpresa nei suoi occhi. Portò le mani allo stomaco, ‘André?’ mi disse, e mi cadde tra le braccia. Non capii più niente. Sentivo le orecchie ronzare, le mani che la stringevano stranamente appiccicose e umide. Alain mi riscosse ‘Presto André, l’hanno colpita, è ferita, sta perdendo molto sangue: dobbiamo portarla al riparo!’. Corremmo, io e lui, portandola fuori da quella bolgia, dietro le linee dei rivoltosi, cercando la zona adibita ad infermeria. Trovammo un dottore, poi due, poi tre, tutti pronti ad aiutare il Comandante che si era unito al popolo in rivolta. Ma tua madre sembrava nuotare in un lago di sangue. Mi fecero allontanare. Ero lì, seduto per terra con le mani tra i capelli, pregando tutti gli dei a me noti che non mi portassero via la mia Oscar, quando arrivò il dottore.
‘Lei è salva’, mi disse, e il mio cuore riprese a battere ‘ma purtroppo ha perso il bambino’, e il mio cuore si fermò. ‘Il bambino? Quale bambino?’ chiesi. ‘Quello che portava in gremb.’ , rispose. ‘Certo forse lei ancora non ne era sicura, era incinta da poche settimane, ma la ferita le ha fatto perdere il bambino. Sia forte, lo deve essere anche per lei. Non so se potrà avere altri figli, purtroppo una scheggia l’ha colpita all’addome… Mi spiace, ho fatto quel che ho potuto’.
Mi crollò il mondo addosso. Non sapevo come dirlo ad Oscar, non sapevo come avrebbe reagito a quella notizia. Andai da lei. Dormiva, dopo l’operazione. Era così pallida. E, non mi vergogno a dirlo, piansi”. Inutile dire che questo fu il racconto di mio padre. E inutile dire che la previsione  del dottor Menagramo fu completamente sbagliata, dato che io sono qui a raccontare quei fatti.
 
Così, mentre la Bastiglia era presa, e iniziavano gli spargimenti di sangue gratuiti che avrebbero contraddistinto la storia di Francia per un decennio, mia madre e mio padre combatterono la loro privata battaglia contro qualcosa a cui non erano affatto preparati: i dolori che una vita in comune inevitabilmente porta con sé.
 
 
 
* attualmente è un parco
 
** grazie a Wikipedia, non avrei saputo scriverlo meglio di così.
 
*** eh no, André non muore, cavolo!
 
 
 Ecco qua. La cara Oscar non aveva la tisi ma aspettava un bimbo. Maledetti i fucilieri della Bastiglia! E ora? Cosa faranno i nostri eroi? A presto per un nuovo aggiornamento.

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Capitolo 13
*** dodici ***


Eccomi tornata! Perdonatemi per l’assurdo ritardo, ma il lavoro mi sta uccidendo! Spero di esservi mancata almeno un pochino…
 
Ora, venendo alla storia, troviamo la nostra Oscar molto ma molto abbattuta per la perdita del figlio. Cosa farà?
 
 
 
Dodici
 
 
Riprendersi non fu affatto semplice. Nonostante mia madre non sapesse di aspettare un figlio (ma forse lo sospettava), la notizia di averlo perso la devastò. Già non credeva possibile avere figli a 34 anni, quando le altre donne a quell’età avevano già i nipotini, ma l’idea di averlo perso le sembrò inconcepibile, una vera ingiustizia. Si guardava intorno, vedeva altre donne, incinte o con i figli appresso, e si domandava perché a lei questo era stato precluso, prima da suo padre e poi dal Fato. Era spesso nervosa, scattava per un nonnulla, spesso di notte, quando credeva che papà dormisse, piangeva. Sul lavoro era diventata ancora più rigida di prima. Che si chiamasse Guardia Metropolitana o Guardia Nazionale per lei non cambiava niente: era un ufficiale e dai suoi subordinati pretendeva il massimo.
 
Mentre la sua anima era lacerata, il mondo però andava avanti, così come la rivoluzione. Durante la sua convalescenza erano iniziate a cadere le prime teste (il povero De Launay per primo) e il generale Lafayette, l’eroe della Guerra di Indipendenza Americana, si era messo al comando della nuova Guardia Nazionale, chiedendo espressamente che mia madre e i suoi uomini ne facessero parte. E così la cittadina Oscar François de Jarjayes – Grandier diventò una delle donne più importanti e influenti del movimento rivoluzionario. Tutti apprezzavano la sua scelta di schierarsi senza dubbi con il popolo, nonostante i suoi trascorsi nella Guardia Reale, e il suo matrimonio con un plebeo certamente aumentava la simpatia, ma nonostante questo lei vedeva tutto come dietro a un velo nero. Perdere un bambino di questi tempi non è tanto raro, anch’io ho bevuto da questo amaro calice, ma per lei aveva un sapore diverso, sapeva che non le restava molto tempo per essere di nuovo madre e questa cosa la faceva disperare. Posso immaginare - l’ho provata -  la rabbia con cui faceva l’amore con mio padre, la determinazione, il desiderio non del sesso in sé ma degli effetti di quelle azioni. Ma un figlio non veniva, no.
 
Nel frattempo, mia madre vedeva il mondo che aveva conosciuto sgretolarsi come un colosso di sabbia. La Regina fu costretta a inchinarsi su un balcone davanti al suo popolo e riconquistò così un minimo di stima, affascinando coloro che erano arrivati fino a Versailles solo per chiedere la sua testa su un piatto d’argento.  Intanto, nelle campagne i contadini avevano assaltato i possedimenti dei nobili e spesso i castelli e le ville di campagna diventarono tante Bastiglie da conquistare *. Anche la famiglia Jarjayes rischiò un simile trattamento: la sua fortuna fu che, da un lato, la residenza di famiglia era vicino Versailles e non in campagna e dall’altro che tutto sommato la gestione dei feudi era stata abbastanza equa e quindi i facinorosi furono pochi e isolati. Ciò però non evitò che molti possedimenti di famiglia, compresi alcuni di Arras, andassero persi in quei frangenti concitati.
 
Intanto l’Assemblea metteva mano a importanti riforme, liberalizzando le attività economiche, nazionalizzando i beni del clero e varando la Costituzione Civile del Clero, duramente contestata dal Papa, e soprattutto emanando la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino. E così un anno pieno di riforme, cambiamenti e aspettative passò.
 
Il 14 luglio 1790, a Campo di Marte, venne celebrato l'anniversario della Presa della Bastiglia con la Festa della Federazione. Luigi XVI e Maria Antonietta, accompagnati da La Fayette, prestarono giuramento al Paese e alla Costituzione. Questo momento di unione nazionale fece credere alla gente dell'epoca che il re aveva accettato i cambiamenti sociali e politici appena instaurati, e anche i miei ci sperarono.
 
Ma la vita proseguiva, e il dolore dentro Oscar si acquietò un po’. Riuscì persino a essere di nuovo serena, ad apprezzare nuovamente quell’uomo fantastico che aveva al fianco e che le era rimasto vicino in quei momenti così bui. E André fu ripagato della sua pazienza, quando mia madre finalmente ritrovò un po’ della sua serenità. Ricominciarono così ad invitare a cena i loro amici, Alain, Rosalie e Bernard, e mia madre ricominciò a propinare loro i suoi imperdibili manicaretti (“ma scherzi? Me li sarei persi volentieri!”, dice sempre lo zio Alain), almeno fino a che un complotto ordito da mio padre e i poveri ospiti non trasformò quelle cene in un “porta e mangia”. Tutti portavano qualcosa: la zia Rosalie il suo ottimo stufato (che anche se non c’era niente dentro sapeva sempre di buono), lo zio Alain prendeva dallo Chat Rouge qualche abbondante porzione del piatto del giorno e la mamma e papà si limitavano a recuperare il pane (che data la posizione di comando della mamma era più facile da reperire) e a non far mancare il vino e il cognac. Quest’abitudine l’hanno mantenuta per tanto tempo, ed oggi, che  la vita li ha portati a vedersi di meno, i miei ne parlano con tanta nostalgia.
 
Una volta la settimana poi, la mamma si affacciava a Palazzo Jarjayes per salutare i miei nonni ed assicurarsi che tutto andasse bene: per i nobili non era un periodo felice, anzi era decisamente pericoloso e in questo modo lei si accertava che non vi fossero problemi particolari. A volte, se i turni glielo consentivano, andava anche papà. Anche se Nanny era morta poco tempo dopo la presa della Bastiglia**, papà era affettivamente molto legato a quella casa e ci tornava abbastanza volentieri, grato del fatto che i miei nonni non avessero poi frapposto gli ostacoli che ci si sarebbe aspettati alla loro unione. Inutile dire però che i miei nonni non vennero mai a casa dei miei, nel centro di Parigi.
 
Passò così un altro anno.
 
Una sera bussarono alla porta di casa. Aprirono con circospezione, erano tempi strani, quelli: si trovarono davanti un uomo avvolto in un mantello pesante, nonostante fosse ormai giugno. Era mio nonno, e voleva parlare con la mamma. Aveva un atteggiamento strano, alquanto misterioso, e quando iniziò a parlare se ne capì bene il perché.
“Oscar, tu sai in che condizioni vivono i Reali alle Tuileries, vero? Prigionieri in casa loro, controllati a vista, privi di indipendenza, circondati da spie. E’ ora che questa follia finisca. Il Conte di Fersen ha ideato un piano per fare fuggire la famiglia reale, così da organizzare una controrivoluzione. Usciranno da un passaggio segreto, troveranno una carrozza ad attenderli e raggiungeranno a Montmédy. Lì ad attenderli troveranno il Generale Bouillé con diversi soldati fedeli alla causa monarchica e da lì partirà la riscossa. Tu, Oscar, dovrai essere dei nostri: la Regina sarebbe molto più tranquilla se ci fossi tu”. La mamma rimase senza parole. Dunque era questo che voleva fare la Regina Maria Antonietta: affidarsi ad un piano improbabile del suo amante per fuggire da Parigi e alienarsi definitivamente le già poche simpatie del popolo. Era combattuta. Umanamente comprendeva la sua regina, ma da soldato no, lo considerava un tradimento: dimostrava che Maria Antonietta e Luigi XVI non avevano compreso affatto le istanze che avevano portato a quella rivoluzione, rimanendo arroccati sulle loro posizioni. Però decise di andare, contro il parere di mio padre, sperando di riuscire a convincere la Regina a non fare quella pazzia.
Ma quella sera, il 20 giugno 1791 quando la vide pallida ma determinata, capì che non l’avrebbe convinta, così come non c’era riuscita due anni prima, quando le chiese di ritirare le truppe da Parigi. La regina le andò incontro con  un sorriso. “Oscar, siete venuta! Benissimo, insieme rimetteremo ordine in questa follia” “Maestà io…”, ma non riuscì a terminare la frase. La Regina la scrutava. La trovava diversa,  ma non sapeva dire cosa. La fece alzare (era ancora inginocchiata davanti a lei) e la guardò con più attenzione. Oscar aveva una luce nuova negli occhi e soprattutto una leggera rotondità al ventre che lei, così asciutta e longilinea non aveva mai avuto e lasciava pochi spazi a dubbi… “Oscar! Ma voi….”, disse sorridendo. “Sì Maestà”, disse mia madre arrossendo visibilmente e abbassando lo sguardo. Maria Antonietta non ci pensò su due volte: “Oscar, voi non potete assolutamente venire! Nelle vostre condizioni sarebbe pericolosissimo persino andare a cavallo! Perciò vi ordino di rimanere a Parigi.”
 “Maestà – le disse mia madre – obbedisco di buon grado. Ecco, in realtà ero venuta per cercare di dissuadervi dall’imbarcarvi in questa che ritengo una folle impresa. Voi conoscete la mia lealtà nei Vostri confronti ma ritengo che oggi stiate facendo un errore. Vi prego di ripensarci”. La regina la guardò seria “Oscar, amica mia, devo farlo. Devo provarci. Riguardatevi”.  E ancora una volta mia madre salutò la sua amica: s’inchinò e se ne andò.
 
 
 
Ooohh! Allora, abbiamo fatto un balzo di due anni, in cui ho limitato allo stretto indispensabile le notizie storiche perché già secondo me è abbastanza lungo e pesante così. Aspetto le vostre opinioni!
 
 
 
 
 
 
 
* “Dal 20 luglio al 6 agosto 1789, nelle campagne francesi, si manifestò una situazione di panico generalizzato (periodo della Grande Paura) suscitato dalla falsa notizia dell'invasione di briganti venuti a distruggere i raccolti e a trucidare i contadini, per vendicare la nobiltà colpita dalle rivolte agrarie scaturite dai recenti sviluppi politico-sociali. All'annuncio dell'imminente arrivo dei briganti nei villaggi, i contadini si armavano di forche, falci e altri utensili. Desiderosi di maggiore protezione, si recavano in massa al castello del signore locale per ottenere fucili e polvere da sparo, ma qui finivano per sfogare la propria rabbia verso i poteri dominanti, esigendo i titoli signorili (documenti che stabilivano la dominazione economica e sociale dei loro proprietari) per poterli bruciare. In alcuni casi il signore o i suoi uomini si difesero con la forza, in altri vennero assassinati e alcuni castelli furono saccheggiati o bruciati. A testimonianza del difficile momento che il feudalesimo stava attraversando, Jules Michelet scrisse che tutti i castelli di campagna diventarono delle Bastiglie da conquistare. Di fronte a queste violenze, nella notte del 4 agosto, l'Assemblea decise di abolire i diritti feudali, la venalità delle cariche, le disuguaglianze fiscali e tutti i privilegi in generale. Fu la fine dell'Ancien Régime.” (da Wikipedia)
 
** nel manga muore prima, nell’anime non si sa. Qui, data anche la sua veneranda età, ho preferito farla morire poco dopo aver visto i suoi bambini finalmente uniti e felici.

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Capitolo 14
*** tredici ***


Eccomi qua. Ho tardato un po' ma non ho lasciato la storia, sono solo stata affogata dal lavoro. Perdonatemi! Spero di non tardare tanto per proseguire.

 Preliminarmente devo ringraziare Cielo123 per la sua critica che mi ha aiutato a ritrovare lo spirito giusto per scrivere il prosieguo.

E ora a noi: è passato Natale da poco e mi pare doveroso non solo fare gli auguri alla nostra cara Oscar ma farle un regalino speciale....
 
 
 
Tredici

 
AAAAhhhh!!!! Grandier, me la pagherai! Aaahhh!! È tutta colpa tuaaaa!! Appena finisce tutto questo … aaaahhhhh… ti uccido!!!!” un grido squarciò l’atmosfera già abbastanza tesa della casa. Rosalie correva a destra, la signora Beaumarchais (che poi sarebbe diventata la nostra bambinaia) tornava da sinistra. Gli uomini bevevano come spugne. E mio padre era pallido come un cencio: le minacce di mia madre, anche in quelle condizioni, non erano mai da sottovalutare.
 
Il travaglio era iniziato lentamente. Ad un certo punto, mentre mia madre, ormai più simile ad un balenottero che alla silfide nota a tutti, si girava nel letto si ruppero le acque. All’inizio non ci dette peso, pensò “E’ il famoso tappo mucoso”. Aveva comunque in un momento cessato di avere sonno. Decise di farsi un bagno (“hai visto mai che finalmente questo figlio si decide a nascere!”, pensò): scaldò l’acqua, se la trascinò nella vasca, si spogliò evitando accuratamente lo specchio e si immerse. Quando mio padre si svegliò la trovò lì, con gli occhi chiusi, apparentemente addormentata (“la trovai bellissima, serena come mai!”). Quando lei sentì lo sguardo di André su di sé aprì gli occhi, lo guardò e sorrise. Lui le offrì l’asciugamano, l’aiutò ad asciugarsi e le dette la vestaglia. Ma poi si accorse che nonostante l’avesse asciugata bene, era ancora bagnato a terra: “La guardai interrogativo. Lei mi sorrise e mi disse, con una dolcezza infinita: ‘Credo che sia venuto il momento, André. Vai a chiamare Rosalie, per favore.’ Rimasi senza parole, immobile. Non riuscivo a muovere un muscolo eppure il mio cuore era al settimo cielo. Alla fine mi riscossi e corsi da Bernard e Rosalie. Andai anche dal dottore e lo avvisai. Quando tornai, Rosalie era già a casa e la mia Oscar era sul letto, e il suo viso era molto meno sereno: ogni tanto una morsa di dolore le deformava il viso. Ma quando mi vedeva faceva di tutto per mascherare gli spasmi. Anche in quel momento non voleva farmi vedere quanto soffriva! Poi, mi buttarono fuori dalla camera e non potei fare altro che aspettare che tu nascessi”.
 

“Era il giorno di Natale. E chi se lo scorda, perbacco! Ero andato a fare gli auguri al Comandante e ad André e mi ritrovo in quel bailamme. Oscar che gridava minacce di morte a tuo padre, André pallido come un cencio, Bernard che camminava su e giù, Rosalie e la signora Beaumarchais che continuavano a portare pezze, asciugamani e acqua calda. La voce del dottore che faceva capolino quando aprivano la porta e diceva ‘spingete, prendete fiato e spingete’ e a ogni ‘spingete’ seguiva un urlo. In quella confusione, decisi di prendere la situazione in mano. Perbacco, era Natale, era ora di pranzo e nessuno aveva pensato a far da mangiare e soprattutto a rifornire gli uomini di alcool sufficiente per superare il momento! Scesi alla locanda, feci incetta di tutto ciò che c’era di commestibile, svuotai la cantina degli alcolici e feci portare tutto su. Quando risalii sentii una musica celestiale. Eri tu, Augustine, e piangevi con tutto quanto avevi in corpo!”. Così mi raccontò la mia nascita lo zio Alain, e posso giurare di aver visto due lacrimucce spuntare dietro quegli occhi sfrontati!
 

“Mi portarono quel fagottino, piccolissimo, piagnucolante e mi si sono sciolte le gambe. Mi sono dovuto sedere. Non riuscivo a prenderti in braccio, stavo piangendo io come un bambino! Poi finalmente mi fecero entrare in camera da letto, dove c’era tua madre, a cui ti avevano restituita immediatamente, ed eravate bellissime! Mi avvicinai al letto e vidi il volto di Oscar con qualche ruga che non le avevo mai vista, pallido, ma totalmente sereno di nuovo, anzi radioso! mi sedetti sul letto, accanto a lei, e ebbi solo la forza di dirle ‘ti amo!’ avevo un groppo in gola, non riuscivo a fare o dire altro! Poi irruppe Alain: ‘Evviva Comandante! Qui si impone un brindisi!’ e distribuì bicchieri di vino a tutti i presenti. ‘A questo punto, visto che suo marito ormai si è totalmente rimbecillito, mio Comandante, a nome anche di tutta la truppa le faccio i più sinceri auguri di buon Natale, buon Compleanno e buon… come si dirà? Puerperio? In ogni caso, auguri!’ e tutti ridemmo e ci affollammo ad abbracciare tua madre. E tu, in tutto questo chiasso, ti eri addormentata!”. Mio padre ogni volta che rivanga questi ricordi diventa un rubinetto rotto, non la smetterebbe più di piangere!
 

E i miei nonni? Non si è ancora capito chi li abbia avvisati, forse fu un presentimento, ma neanche cinque minuti dopo quello che è passato alla storia come “il brindisi al puerperio” si presentarono a casa e si unirono alle lacrime e ai festeggiamenti. Andarono avanti fino alla sera a mangiare, bere e chiacchierare,  mentre mia madre scopriva le gioie di una maternità che solo poco tempo prima non credeva possibile.

 
“Eri bellissima. Non credevo che avrei mai tenuto tra le braccia mio figlio, credevo di essere troppo vecchia! Le sensazioni della maternità non si possono spiegare: le scoprirai. Ma una cosa ti posso dire: sul momento la tua esistenza mi sembrava una cosa strana, un miracolo. Solo quando tutti se ne furono andati e tuo padre venne a coricarsi con me capimmo che era davvero cambiato qualcosa. No, che era cambiato tutto! Un figlio ti fa cambiare il modo di guardare il mondo, ti fa cambiare l’ordine delle tue priorità, ti fa capire cosa vuoi veramente da chi ti circonda. E scopri di avere tanto amore nel tuo cuore, pronto ad essere donato a quell’esserino che è fra le tue braccia, e dipende solamente da te. Sei stato il regalo di natale più bello che io abbia mai ricevuto!”. Quando mi disse queste cose mia madre,  io le avevo appena detto di aspettare il mio primo figlio. Non le dimenticherò mai.
 
 


 
Buon Anno a tutti!

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