Beneath the snow

di Camelia Jay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - Mariah is in love ***
Capitolo 2: *** Due - Vanessa is in love ***
Capitolo 3: *** Tre - Mariah is nervous ***
Capitolo 4: *** Quattro - Vanessa is not crawling ***
Capitolo 5: *** Cinque - Mariah will carry on ***
Capitolo 6: *** Vanessa keeps her dignity ***



Capitolo 1
*** Uno - Mariah is in love ***


 



Uno

Mariah is in love

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Ero in piedi sotto casa mia, e stavo estraendo le chiavi dalla tasca. Le mie dita giravano tra i piccoli oggetti metallici con grande difficoltà: il freddo mi aveva irrigidito gli arti.

Il clima nevoso imperversava e intorno a me c’era solo bianco. Piccoli fiocchi delicatamente si posavano sulla prima superficie che lambivano, e io vedevo alcuni di quei piccoli puntini soffici e candidi che si adagiavano sui miei capelli lunghi e castani. Avrei dovuto portarmi un berretto.

«Mariah?» udii una voce, poco distante, che mi chiamava.

Mi voltai, e con mia sorpresa le strade erano deserte, quasi come se la distesa bianca avesse intimidito tutti ad uscire di casa. L’unica figura presente in quello spettacolo bianco era lui, unica macchietta nel paesaggio, in mezzo alla strada, la giacca pesante nera, con gli occhi scuri e intensi fissi su di me.

Tutte le volte in cui le sue pupille puntavano su di me come un mirino, io mi paralizzavo.

Il cuore incominciò a battere all’impazzata. «Cosa ci fai tu qui?» gli chiesi, ma troppo piano perché lui potesse sentire, nonostante la breve distanza.

Lo vidi azzerare i pochi metri che ci separavano, e ben presto me lo ritrovai a pochi centimetri, e io non potei farci niente – tuttavia, anche se avessi potuto, non credo l'avrei fatto.

Non mi accorsi che stavo trattenendo il respiro. Benché facesse freddo, all’improvviso avvertii un caldo incessante e il cuore adesso pareva volermi uscire dalla gola. Il suo viso, non era mai stato così vicino al mio.

«Ciao» mormorò lui, con la sua voce limpida, chiara, perfetta.

«C-cia…» la mia voce, invece, morì in gola, mozzata brutalmente dall’emozione che stava prendendo il sopravvento.

Le chiavi che avevo in mano tintinnavano: stavo tremando.

Per arrestare questo tremore, lui mi afferrò la mano. Mi sorpresi di quanto la sua fosse calda. Dio, potevo avere un mancamento, gli sarei svenuta tra le braccia. «Che co…» cercai di domandargli che cosa ci facesse lui lì, sotto casa mia.

Fui interrotta dal suo bacio fulmineo e inatteso.

E mentre il mio cuore mancava un battito, ad un tratto tutto mi parve infinitamente più semplice, e mi lasciai andare appoggiandomi al suo corpo, e feci cadere le chiavi di casa, che affondarono, formando un piccolo buco nella neve bianca.

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Sbarrai gli occhi.

Vidi bianco, ma non era la neve. Era il soffitto della mia stanza.

Il vetro della finestra riverberava una fioca luce pallida. Non dovevano essere più delle sei del mattino. Controllai la sveglia: mancava ancora un’ora, prima che mi alzassi e mi preparassi per andare a scuola.

Non mi sarei riaddormentata.

Dunque, decisi di alzarmi; mi diressi in bagno, e andai immediatamente sotto la doccia, e quando aprii l’acqua calda una nuvola di vapore si alzò intorno a me.

L’avevo sognato di nuovo. Avevo sognato che mi baciava in mezzo alla neve, e tra l’altro la neve non la vedevo da più di due settimane. Ma era stato così realistico: le sensazioni che provavo tutte le volte che mi guardava, tutte le volte che mi chiamava per nome. Quando la sua voce pronunciava il mio nome, Dio, mi sembrava di morire. Aveva un suono così melodico, così dannatamente armonioso, detto da lui.

In quel momento pensai che era stato il destino a pretendere il nostro incontro.

Il mio cognome: Jennings. Il suo: Jenney.

E il professor Garden esigeva che ci sedessimo in banco a file, in ordine alfabetico. Lui perciò sedeva appena alla mia sinistra.

Ero innamorata di Aiden sin dal primo anno. Siamo sempre stati in classi diverse, e adesso per la prima volta non solo eravamo nella stessa aula, ma durante le lezioni del professor Garden eravamo anche vicini di banco. Non ci speravo nemmeno, ma quando lo seppi pensai: “Diamine, deve essere proprio destino, allora”.

L’avevo conosciuto per puro caso: stavo uscendo di tutta fretta da scuola, e mi ero dimenticata di chiudere la tasca dello zaino dove tenevo le chiavi di casa. Ad un certo punto, in corridoio, avevo voltato l’angolo e mi ero ritrovata addosso a lui. Ci eravamo scontrati. Avevo bofonchiato un «scusa» ed ero andata avanti. Pochi passi più tardi, però, avevo sentito la sua mano che si posava sulla mia spalla. Avevo sentito come una scarica di energia che partiva dalle sue dita e si diffondeva in tutto il mio corpo.

Mi ero girata, e l’avevo guardato in viso.

Lui, sorridendo, mi stava porgendo le chiavi, che mi erano cadute, e io non me ne ero accorta. «Tieni, te le ho fatte cadere» mi aveva detto, con quella voce che mi aveva catturato immediatamente. Mi stava guardando con le labbra incurvate all’insù, gli occhi scuri e brillanti che mi scrutavano; ma non erano invadenti, anzi, mi piaceva.

Era stato un colpo di fulmine.

«Gr-grazie» avevo balbettato.

«Figurati, ehm…»

«Mariah» avevo spiccicato.

«Aiden» lui aveva risposto, altrettanto velocemente.

Avevo afferrato le chiavi e me ne ero andata, le gambe traballanti, il viso che era avvampato. Il mio cuore era ancora acerbo, quella era infatti la prima volta che provavo qualcosa di così intenso. Le prime emozioni d’amore non si dimenticano mai.

Per qualche strana ragione, sebbene mi fossi alzata un’ora in anticipo, uscii dal bagno che era già tardi. Probabilmente avevo indugiato troppo sotto la doccia e mentre mi asciugavo i capelli. Succedeva continuamente: quando pensavo a lui, il tempo scorreva senza che me ne rendessi neanche conto.

Una volta pronta, esitai qualche altro minuto davanti allo specchio: dovevo decidere come sistemare i capelli. Mi misi una mano sulla fronte. Non era mai successo di avere dubbi su come vestirmi o truccarmi, mi chiesi come mai doveva succedere proprio ora. “Ma che domande”, pensai, “è a causa di Aiden”. Non volevo diventare dipendente da lui, eppure era esattamente ciò che mi stava accadendo. Alla fine lasciai i capelli sciolti, tenendoli a posto in modo che non mi andassero davanti agli occhi con una molletta azzurra. Dopo di che mi precipitai in cucina, afferrai un biscotto da un sacchetto nella credenza, e lo mangiai per strada a piccoli morsi.

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Jade’s place:

BUONASERAAAAA! Sono tornata con una nuova storia. Confesso che erano mesi che volevo scrivere questo racconto, mesi. Ma mi dicevo “Suvvia Jade, hai già altre due storie in corso, contieniti!” Eppure questa storia mi tornava sempre in testa, e alla fine ho detto sì, la scrivo. Pubblico un po’ per consolarmi della quasi fine di S&P, Superbia e Presunzione, che sta per vedere il suo tramonto tra pochissimi capitoli, e spero che questa storia potrà avere almeno un po’ del successo di quest’ultima =)

L’ispirazione mi è venuta mentre leggevo un manga su una ragazza che era innamorata di un ragazzo già fidanzato, e mi sono chiesta: “Che cosa starà provando la ragazza di questo qui sapendo che c’è un’altra perdutamente innamorata di lui?” e ho supposto che se un giorno questa qui fosse andata dalla protagonista e le avesse detto “Sta’ lontana dal mio ragazzo” tutte le lettrici automaticamente l’avrebbero presa in antipatia. Invece secondo me non è giusto, perché tutto il pubblico deve essere sempre dalla parte della protagonista, mentre la povera rivale è sempre quella discriminata?

Così ho optato per mettere due protagoniste: due rivali. A voi la scelta di chi vi sta più simpatica ;D nel prossimo capitolo parleremo della nostra seconda protagonista ;D vi attendo in gran numero!! Taaaaaaanti calorosissimi saluti!

Jade

PS: buon Halloween!

PPS: questa storia è un esperimento, quindi non so come andrà, ma oggi voglio essere impulsiva :P in più temo che gli aggiornamenti non saranno così veloci, visto che ho altre due storie in corso, cioè Superbia e Presunzione e Violet – Annabelle’s Diary.

PPPS: RICORDATE! Per banner come il mio qui sopra io e ThePoisonofPrimula siamo disponibilissime, e senza chiedere nulla in cambio, ovvio. Basta mandare un messaggio privato a me o a ThePoisonofPrimula.

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Capitolo 2
*** Due - Vanessa is in love ***



 

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Due

Vanessa is in love

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Mi ero acciambellata sul seggiolino logoro dell’autobus, stretta nel mio piumino, il collo coperto dalla sciarpa, e le mani inguantate reggevano un foglio, che si frapponeva fra il mio petto e le mie ginocchia. Era talmente vicino che per poter mettere a fuoco le scritte dovevo allontanare il capo di qualche centimetro.

Ciao James.

Così cominciava la lettera.

Oltre il vetro lurido del finestrino scorrevano le strade cittadine. La gente camminava frettolosamente avanti e indietro, ed erano solo le sette e mezza del mattino. Era metà gennaio, e ancora il sole era nascosto dietro l’orizzonte, tuttavia le prime luci azzurrognole e luminose della mattinata incominciavano a farsi vedere, diffondendosi debolmente ovunque.

Fuori faceva un gran freddo, tuttavia non pareva si stesse per mettere a nevicare. Era già passato un po’ dall’ultima volta in cui avevo visto la neve. Non ce n’era mai abbastanza perché la scuola chiudesse, ma ce n’era sempre troppa per me, infatti scivolavo costantemente per terra tutte le volte che c’era la neve. Spesso lo facevo davanti a casa, e mi vedevano giusto i vicini di casa che passavano lì in quel momento. Ma una volta ero scivolata davanti a scuola in mezzo a tutti, proprio di fronte a James. Che imbarazzo, dannazione.

«Tutto bene?» mi aveva chiesto un suo amico, Aiden Jenney, che in quel momento era vicino a lui, inginocchiandosi e raggiungendo il mio livello.

Sì, a parte il sedere umido e congelato e la tremenda umiliazione pubblica – per non dimenticare la parte vicina all’osso sacro dolorante – stavo bene. «Sì, grazie» avevo sorriso, imbarazzata e arrossendo.

«Aspetta», aveva detto quando aveva visto che stavo cercando di rialzarmi, «ti do una mano.» Mi aveva allungato un braccio e io lo avevo preso per tirarmi in piedi. Ma quasi non ci avevo fatto caso mentre ero occupata a vedere quanto stesse ridendo di me James da 1 a 10. Fortunatamente era sembrato che non vi avesse fatto caso più di tanto. Ovvio, lui non faceva mai caso a me. Ormai era quasi un mese che non riuscivo più a levarmelo dalla testa. Ormai, ero senza speranze.

Per tutto il viaggio continuai a leggere quella lettera da cima a fondo, e mi domandavo se fosse il caso di cambiare un articolo di qua, una virgola di là. Con una penna che tenevo nella tasca del giubbotto operavo nelle correzioni, mangiucchiando il tappo di plastica, e apportavo così tante modifiche che ora quello che avevo in mano era un foglio di carta scarabocchiato.

Questa lettera è da parte della sottoscritta, Vanessa Sullivan, ed è la prima che scrivo per questo scopo, quindi ti chiedo anticipatamente scusa se per qualche motivo dovessi risultare noiosa, impertinente o qualsiasi altra cosa negativa che ti venga in mente.

Era la lettera più importante della mia vita, non potevo sbagliare nulla. A volte toglievo delle frasi, altre volte le allungavo. Quando pensai di aver finito e di poter tirare fuori un altro foglio per fare un’altra stesura, quella definitiva, l’autobus stava già rallentando prima di arrestarsi alla mia fermata. Rapidamente e zaino in spalla, mi catapultai giù dal bus ed entrai in fretta a scuola.

Frequentiamo due sezioni diverse, perciò non ci vediamo spesso, ma ti devo confessare che da quella volta in cui abbiamo chiacchierato alla festa di tua sorella Elizabeth non sono più riuscita a non pensare a te. È un po’ imbarazzante per me scrivere certe cose. Non sono una ragazza timida, forse da quelle poche volte che abbiamo parlato lo avrai capito, ma quando mi piace qualcuno diventa tutto davvero più difficile.

In realtà non era stata una vera e propria chiacchierata: più che altro era stata Elizabeth a presentarci, poi io, nervosa, avevo cominciato a parlare a vanvera dicendo le prime cose che mi venivano in mente; lui semplicemente mi guardava e annuiva, visibilmente annoiato. Io lo fissavo negli occhi, mentre le luci stroboscopiche della festa cambiavano colore all’ambiente a intermittenza. Erano occhi dallo sguardo spento, privo di qualsivoglia interesse.

Speravo di poter cambiare la scarsa opinione che evidentemente lui aveva nei miei riguardi. Cos’ero, per lui? Una ragazzina semplicemente noiosa, o noiosa, antipatica, logorroica, e altri aggettivi negativi che non sentivo di meritarmi?

Decisi che avrei dedicato l’ora della lezione di trigonometria a riscrivere la lettera per intero, pregando che la professoressa Hellman non si accorgesse di nulla. Fortunatamente per me, l’insegnante non mi calcolò minimamente, e potei lavorare febbrilmente e in pace.

Non ho davvero idea di quale sarà la tua reazione non appena leggerai questa lettera… spero non negativa, comunque. Il mio unico scopo è farti conoscere i miei sentimenti nei tuoi confronti, e mi scuso per non essere riuscita a dirtelo di persona! Perciò… non lo so, se decidi qualcosa, vieni da me magari, e dimmi qualcosa, altrimenti se vuoi puoi anche ignorare tutto ciò che ho scritto e strappare questo foglio buttandolo nel cestino! Scusami ancora per il disturbo.

La frase “Puoi anche ignorare tutto ciò che ho scritto” chiaramente era solo una cortesia, e nel dubbio se cancellarla o meno, alla fine l’avevo comunque mantenuta. Io speravo con tutte le mie forze che non gli sarebbe nemmeno passato per la testa di strappare la mia lettera – ma quanto alte erano le probabilità?

Quando la campanella trillò io mi fiondai fuori dalla porta per prima e mi feci strada tra la gente nel corridoio gremito, le voci di studenti e insegnanti che si sovrastavano l’una all’altra, e io che facevo a spallate per poter passare, ma il mio corpo mingherlino mi permetteva assai pochi movimenti. Malgrado ciò, alla fine riuscii a trovare uno spazio vuoto vicino agli armadietti dove potei riprendere la marcia liberamente, tirando un mezzo sospiro di sollievo.

L’ansia di ciò che stavo per fare mi aveva rivoltato lo stomaco come un calzino. Mi guardai intorno per assicurarmi che James non fosse nei paraggi, e né che qualcun altro, chiunque egli fosse, mi stesse osservando. Dunque sfilai dalla tasca dei pantaloni il foglio ripiegato sul quale avevo riscritto tutto, e lo misi dentro una busta da lettere che avevo messo da parte per l’evento. Lo avevo tenuto d’occhio mentre andava al suo armadietto, qualche giorno prima, e avevo memorizzato il numero. Armadietto n°273, come la differenza tra gradi kelvin e gradi celsius. Quando vi giunsi davanti allungai il braccio per infilarvi dentro la busta nella maniera più furtiva possibile.

“Sei sicura, Vanessa?”, pensavo. “Non potrai più tornare indietro, se lo fai. Sei sicura? Davvero Sicurissima? Davvero sicura sicura sicura sicu…”

La mia mano lasciò andare la busta bianca, che con un fruscio cartaceo scivlò in fondo all’armadietto, ineluttabilmente, impossibile da recuperare.

Firmato

Vanessa Sullivan

PS: se per caso anche tu volessi rispondermi via cartacea, il mio armadietto non è molto distante dal tuo, è il numero 240.

PPS: okay… anche questo è imbarazzante, perché probabilmente ti chiederai come faccio a sapere il tuo numero di armadietto. Ho controllato il numero mentre stavi mettendo a posto dei libri, mi spiace, sono stata indiscreta!

Mi allontanai prima che arrivasse qualcuno. Le mie dita tremavano e sentivo l’adrenalina salire, il sangue che pulsava nel cervello. Ero così ansiosa e così agitata che i miei occhi divennero lucidi, e stavo per lacrimare. Così mi rifugiai in bagno per qualche minuto, stando davanti al lavandino e facendo dei lunghi respiri profondi, prima di recarmi alla mia aula come se nulla fosse.

“Forse avrei dovuto scrivere dei versi”, pensavo lambiccandomi il cervello. “Magari potevo cantare di come mi avessero incantato le espressioni che mi rivolgeva… le annoiate e seccate espressioni che mi rivolgeva… e i suoi occhi azzurri… che non si posano mai su di me”. Scossi la testa violentemente. “Ma che vado a pensare?! Sono i maschi, quelli che dovrebbero scrivere poesie romantiche e strappalacrime”.

L’avrebbe letta. James avrebbe aperto l’armadietto alla prima occasione e l’avrebbe letta. Avrebbe aperto lo sportellino metallico color grigio topo, e prima di riuscire a buttare lo sguardo sui libri una busta gli sarebbe scivolata tra le mani. Sulla busta non ci avevo scritto niente, per paura che se avesse letto il mio nome sul retro non l’avrebbe nemmeno considerata – visto come considerava me personalmente nella quotidianità –, ma c’era anche la possibilità che non vedendovi niente di scritto l’avrebbe semplicemente buttata, ignorandola come uno scherzo. Tuttavia volevo correre quel rischio.

Firmato ancora Vanessa!

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Jade’s place:

Eccomi tornata! In questo capitolo abbiamo visto Vanessa entrare in scena, una ragazza allegra, al contrario di Mariah che è molto più posata. Ma questo è solo il secondo capitolo, e le differenze non si possono notare così tanto, per ora. Ma il succo del discorso è quello, più o meno.

Due ragazze innamorate. La prima di Aiden Jenney, la seconda… per ora è innamorata di questo James, amico di Aiden! Ma il destino ha in serbo delle grosse sorprese! Qui andrà a finire male! xD in attesa del terzo capitolo, nuovamente dal punto di vista di Mariah, spero che mi recensirete! Che siano positive o negative, le recensioni mi fanno seeeeeempre piacere. E poi se qualcosa non dovesse tornarvi, ditemelo così posso chiarire eventuali dubbi.

Penso sia tutto. Un bacione a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere! Arigatou!

Jade

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Capitolo 3
*** Tre - Mariah is nervous ***




Tre

Mariah is nervous

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Per qualche ragione, dall’inizio dell’anno scolastico le lezioni di letteratura del professor Garden erano diventate le mie preferite. “Oh, adesso ho capito il perché”, pensai, voltandomi alla mia sinistra. Aiden stava giocherellando con una penna, chino sul banco mentre il professor Garden ci ordinava di aprire il libro a pagina 428.

Il profumo delle pagine del libro di testo raggiunse le mie narici mentre lo sfogliavo. Cercai di non guardare eccessivamente in direzione di Aiden. Ormai mi ero abituata al fatto che fosse a pochi centimetri di distanza da me, ma a stento certe volte mi trattenevo dal guardarlo. E poi, tutte le volte che era lui a guardare me per caso o tutte le volte che mi rivolgeva la parola, mi assaliva una tremenda ansia e diventavo nervosa come non mai. Eppure ero un tipo di persona pacata.

«Mariah?»

Il mio cuore sobbalzò, e mi parve avesse raggiunto la gola con un salto. “Uno dei pochi conoscenti che mi chiama Mariah e non Mary, come spesso fanno in tanti”. Questo pensiero mi colmò istantaneamente di soddisfazione. «S-sì?» gli chiesi io, la voce ridotta a un flebile sibilo.

«Scusami» disse con il suo abituale tono gentile «ho dimenticato il libro nell’armadietto. Non è che…»

«C-certo!» esclamai con voce strozzata, spingendo il libro nella sua direzione.

Mi accorsi solo dopo mezzo minuto di star trattenendo il fiato. La sua schiena era piegata sul mio libro, e anche io ero piegata sullo stesso libro. Ecco che la situazione di vicinanza cui mi ero abituata con così tanta difficoltà crollò. Stavamo seguendo dallo stesso libro, vicini, molto più vicini di quanto fossimo mai stati. Le mie mani sudavano e si tormentavano sotto il banco e deglutivo con estrema fatica. Avvertivo la fronte madida di sudore ma non volevo avere reazioni di alcun genere: non avevo voglia per niente di apparire nervosa di fianco a lui.

«Tutto bene?» mi domandò improvvisamente a un certo punto, durante la spiegazione del professor Garden che non stavo ascoltando – troppo occupata a tormentarmi di pensieri su Aiden.

Trattenni nuovamente il fiato. Boccheggiai qualcosa senza dire nulla, prima che finalmente mi uscissero delle parole: «Sì. Perché?» la mia voce aveva assunto un tono innaturalmente acuto.

«Perché sei avvampata in viso» mi mormorò, mentre io continuavo a ripetermi quanto fosse bella la sua voce. «Sicura di stare bene, vero?»

Il fatto che almeno da ciò che aveva detto sembrasse preoccupato per me contribuì non a rendermi più tranquilla, anzi, a farmi sentire peggio. Il mio cuore… Dio, si stava ribellando al mio corpo come se avesse preso vita.

Ma non era quella la cosa peggiore: si era accorto che ero nervosa e tutta rossa in viso, a causa sua. «Ehm, uhm… ecco… sì, io sto benissimo. Sono solo nervosa per il test di biologia che c’è tra un’ora» mi inventai la scusa più plausibile. In realtà il test non mi preoccupava molto, tenendo presente che ero molto più agitata per il fatto che stavamo parlando.

«Oh, quello preoccupa anche me» terminò con un sorriso e con una scrollata di spalle molto bonaria.

Io ebbi solo la forza di annuire, apparentemente impassibile.

Solo quando riabbassai lo sguardo sul libro mi resi conto non solo che eravamo già andati avanti di mezza pagina, ma oltretutto… “Dio, la nostra prima conversazione, per quanto breve!”

In seguito, ripreso il controllo di me stessa e una volta cessato il tremore che mi aveva scosso finora tutto il corpo, mi domandai perché. “Perché inizio a comportarmi come una bambina stupida quando lui interagisce con me?”

Con il cuore che stava iniziando a riavere una frequenza normale, mi asciugai una lacrima che era in procinto di sgorgare dall’occhio destro. “Merda… una lacrima, addirittura”. Per l’emozione, stavo lacrimando. Mi maledissi per la mia caratteristica di ingigantire le cose. E perché ero così soggetta ad Aiden Jenney da perdere il controllo del mio essere.

Passai il resto della lezione a guardare Aiden con la coda dell’occhio. Essendo ora così vicini, mi era più semplice scrutarlo segretamente. Ogni tanto si passava una mano in mezzo ai capelli scurissimi. Ma lo faceva con noncuranza, secondo me nemmeno se ne accorgeva. Realizzai di non riuscire neanche a capire quanto, effettivamente, vi fosse di sexy in lui: ero innamorata di lui da così tanto tempo che non ero più capace di scorgere pregi e difetti nel suo aspetto esteriore. Per me Aiden era Aiden e basta.

Eppure, ero consapevole del numero di ragazze che durante gli anni si erano dichiarate a lui. Quello per me avrebbe dovuto significare un allarme di pericolo grande quanto una casa e rumoroso come la sirena dell’ambulanza, invece non me ne importava un fico secco.

Piuttosto, dovevo cominciare a pensare a un modo per non doverlo sempre guardare di nascosto. Forse dovevo fare qualcosa, agire. In fondo, chi non osa nulla non speri in nulla, dice quella famosa citazione.

Il problema era cosa fare.

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La giornata scorse senza ulteriori imprevisti né azioni o attenzioni insolite da parte di Aiden nei miei confronti.

Il test di biologia era stato più semplice del previsto, e fui davvero sollevata non appena giunse l’ora di consegnare. Così, prima di passare alla lezione successiva, decisi di fare una capatina in bagno.

Spalancai la porta e mi addentrai, e quasi subito mi giunse una zaffata che sapeva di sapone di bassa qualità misto urina. Un odore davvero disgustoso. Sperando di dimenticarmi della puzza presto, mi accostai a un lavandino arrugginito e scrostato, e mi guardai allo specchio sovrastante appena di sfuggita.

Solo in quel momento mi accorsi della ragazza.

Stava gemendo tra sé e sé e calciava il muro del bagno, contribuendo a far venire via i pezzi di calcestruzzo che già si staccavano da soli sovente. Pareva arrabbiata e frustrata, ed esprimeva la sua rabbia con la violenza verso la povera parete. “Che senso c’è a calciare un muro inanimato?”, mi domandai.

La ragazza si voltò, guardandomi in viso. Io distolsi lo sguardo, timidamente. Non ero mai stata brava con gli sconosciuti, quindi compresi che era meglio far finta di niente, conseguenza del contrario: avrei potuto provocare danni peggiori a me e a lei.

Aveva i capelli scalati che non toccavano le spalle. Erano un po’ più chiari dei miei e arruffati. Il suo viso dai fini lineamenti, quasi infantili, era rigato da due strisce di lacrime che, mischiandosi con la matita per occhi, avevano assunto un colore nerastro. Il trucco rimanente si era accalcato appena sopra i suoi zigomi, e il tutto insieme non le attribuiva un aspetto migliore di quello che avrebbe avuto se fosse stata struccata.

«Scusa» esordì lei con voce tremante e singhiozzante, con uno scarso tentativo di abbozzarmi un sorriso. «Avresti un fazzoletto?»

Io mi voltai e la squadrai dalla testa ai piedi. Era più bassa di me e più minuta. Dava l’impressione di poterla distruggere semplicemente con un calcio.

«Sai, è finita la carta igienica» proseguì lei indicando con un dito il contenitore vuoto della carta.

Io annuii e tirai fuori un pacchetto che avevo in tasca, ancora inutilizzato. Estrassi un fazzoletto bianco e glielo porsi, senza proferire parola.

Lei lo prese e mi accennò un ringraziamento con il capo.

«Tutto bene?» chiesi infine, benché con un po’ di esitazione. Forse non avevo dato l’impressione che mi importasse davvero. Invece sì, il mio senso della solidarietà qualche volta usciva fuori.

La ragazza fece di sì con il capo. Mi sorrise, stavolta un sorriso meglio riuscito. «Sì. Adesso sì.»

La situazione mi metteva a disagio. Non ero brava a parlare con gli sconosciuti, figuriamoci a consolarli. E nonostante ora la ragazza stesse meglio, non mi sembrava proprio che il suo umore fosse divenuto molto più allegro. E se continuava a guardarmi così, il mio disagio sarebbe aumentato, poco ma sicuro.

Mi voltai verso il lavandino e aprii l’acqua, fingendomi impegnata a lavarmi le mani. Dopo di che udii solo il rumore dei suoi passi mentre usciva dal bagno, e la sua voce, ancora flebile, che mi diceva: «Grazie per non avermi chiesto i dettagli.» E infine la sua figura scomparve dietro la porta, confondendosi in mezzo a tutte le altre nel corridoio.

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Jade’s place:

Eccomi con il terzo capitolo, dal Mariah’s POV. Mi sono chiesta, appena incominciato a scrivere “Jade, come farai a descrivere le sensazioni di una Mariah timida e innamorata?” Poi però mi sono detta “Ma dai Jade, è molto facile: scrivi esattamente di come ti comporti tu quando ti piace qualcuno!” xD più facile di così si muore -.- Mariah da questo lato mi rispecchia. Intanto potete farvi un giro qui, se non avete nulla da fare :D : Violet - Annabelle's diary e Superbia e Presunzione =) mi farebbe piacere sentire la vostra opinione ;D

Domanda: chi era la ragazza del bagno? Siete curiosi di scoprirlo? E Vanessa, invece? Come andrà con James e Aiden che cosa c'entrerà con lei? Bene, allora vedremo nel quarto capitolo di “Beneath the snow” :D arrivederci!!!

Vostra Jade

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Capitolo 4
*** Quattro - Vanessa is not crawling ***




Quattro

Vanessa is not crawling

 

 

 

Per le ore successive non fui in grado di seguire alcuna lezione: l’agitazione che mi aveva messo ciò che avevo fatto, infilare quella busta nell’armadietto di James, mi aveva offuscato la mente e non ero capace di concentrarmi su nient’altro.

«Una lettera d’amore» mi aveva detto Catherine non appena l’avevo informata di ciò che avevo fatto «non è qualcosa di troppo arcaico?» aveva aggrottato un sopracciglio nella stessa maniera in cui lo facevo anch’io. Eravamo due gocce d’acqua, infatti, con la differenza che lei era più alta di me di venti centimetri.

Sì, ci avevo pensato anch’io. «Catherine» le avevo risposto, irritata «ti sembra questo il modo di tranquillizzarmi?»

Ma sapevo, in fondo, che lo faceva a fin di bene.

Quando infine la campanella annunciò con mio sommo gaudio il concludersi dell’ora di Storia dell’Europa, con le gambe che a malapena si reggevano su se stesse, imboccai la via per il corridoio. Ancora una volta la massa di studenti mi travolse e a fatica giunsi al luogo di destinazione.

Avvertii un dolore immediato e brusco alla schiena, nell’istante in cui un gomito di un passante mi colpì e, come accade tutte le volte che qualcuno mi urta così violentemente, rovinai per terra con un tonfo tale che mezzo corridoio si voltò a guardarmi. “Ecco, ti pareva?”, pensai, il mio sedere che ormai aveva familiarizzato con tutti i pavimenti su cui avevo messo piede.

Rossa in viso, cercai di tirarmi su, mentre qualcuno sghignazzava alle mie spalle mentre altri ridevano fragorosamente dinanzi a me, le bocche spalancate. “Che avete da ridere? Non vi è mai capitato di cadere per terra?!” Ma mi rendevo conto che nessuno fa così tanti incidenti quanto me. Sono stata progettata per attrarre le calamità naturali.

Stavo rialzandomi quando in quel momento qualcosa di bianco e squadrato fluttuò davanti ai miei occhi. Mi inginocchiai sul pavimento e guardai in basso: mi era caduto davanti un foglio di carta scritto. Con la mia calligrafia.

Alzai gli occhi.

James era davanti a me, la sua ombra che torreggiava sul mio corpicino, e con la mano aveva lasciato cadere per terra la mia lettera, sfilata dalla busta. Mi guardò con i suoi occhi algidi e azzurri di ghiaccio. «Tua?» disse solo, la voce monocorde.

Tutti ci stavano guardando.

Mi bloccai: il ragazzo che mi piaceva aveva sventolato davanti a tutti la mia lettera e mi stava fissando, esigendo una risposta.

«Uhm… sì…» mormorai, imbarazzata. Ripresi frettolosamente la lettera tra le mani e, una volta rialzatami, tesi le mani e gliela porsi di nuovo, speranzosa.

Lui, bruscamente, mi respinse. «No, non se ne fa niente» disse scocciato, tutti gli sguardi puntati su di noi.

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Avrei voluto essere sotterrata a dieci metri di profondità in un campo di margherite, in quel momento.

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«Ehi, avete visto quella lì?» i primi commentino pungenti si stavano già innalzando dalla folla. Percepii una rabbia crescente che non si arrestava e si faceva strada prepotentemente dentro di me. Volevo spaccare la faccia a tutti.

Strappai la mia lettera in tanti piccoli coriandoli, e la lasciai cadere per terra, tutti gli altri che come degli avvoltoi si buttarono addosso a quei frammenti di carta mentre fuggivo di corsa in bagno.

In mezzo alla stanza sudicia che puzzava di urina misto a sapone scadente, con il cestino pieno di assorbenti usati e avvolti nella carta, buttai fuori un urlo rilasciando tutta la mia voce e la rabbia repressa. Iniziai a dare calci al muro, il calcestruzzo che si scrostava dalla parete. Il trucco che mi ero messa accuratamente pensando che forse oggi James l’avrebbe notato mi colò giù per le guance insieme alle lacrime, un groppo in gola che faceva quasi male, i singhiozzi convulsi che mi muovevano su e giù l’addome a ritmo irregolare.

Mi aveva umiliata davanti a tutta la scuola, quello stronzo. Non si meritava niente, non si meritava quella lettera, non si meritava me, non si meritava il mio amore.

Gemetti sferrando un ultimo calcio, che questa volta colpì l’aria. Decisi che il prossimo ragazzo che avrebbe attirato il mio interesse lo avrei analizzato prima con molta attenzione, o mi sarei ritrovata fregata così un’altra volta, sola e sconsolata a piagnucolare come una bambina nel bagno delle ragazze.

Non appena mi girai il mio senso di umiliazione aumentò ulteriormente – come se non stessi già abbastanza male –: una perfetta estranea, alta e con dei lunghi capelli castani, mi stava guardando durante uno dei miei momenti peggiori. “Meglio di così cosa ci può essere?” pensai con amara ironia. La vidi distogliere immediatamente lo sguardo. Cos’è, forse mi credeva pazza? Be’, tanto normale non dovevo essere per aver avuto una cotta per un tipo che tutte le volte in cui gli rivolgevo la parola appariva scocciato e infastidito.

Quello fu il nostro primo incontro, ed era stato deciso proprio per quel giorno preciso, in quel lurido bagno.

Gli occhi mi bruciavano di lacrime. Avevo bisogno di ripulirmi. Sfortunatamente, però, era finita la carta da qualsiasi parte. “Che palle”. Così chiesi un fazzoletto alla sconosciuta, facendoglielo presente.

Costei mi guardò dapprima sorpresa, poi, gentilmente, mi porse un fazzoletto di carta tanto agognato. Non mi disse nulla. Le fui grata, perché l’ultima cosa che mi ci voleva era qualcuno che si intromettesse ancor di più negli affari miei. Ne avevo già avuto abbastanza di tutta quella gente in corridoio, che probabilmente si stava ancora contendendo i pezzi della mia lettera strappata.

«Tutto bene?» mi domandò lei con esitazione. Probabilmente era perché era quello che si soleva dire in queste situazioni, e non la biasimai.

«Sì. Adesso sì.» Non era del tutto vero, ma andava decisamente meglio di prima.

Continuai a guardarla per un paio di istanti, nella vaga speranza che dicesse qualcos’altro per rompere quel silenzio imbarazzante, poi mi resi conto che lì quella più a disagio delle due era lei. Dunque, con un altro fugace ringraziamento, mi decisi a uscire dal bagno – possibilmente a testa alta, sebbene sapevo che sarebbe stato pressoché impossibile.

Appena fuori dal bagno mi imbattei in Aiden Jenney, riconobbi la sua figura alta e dal fisico asciutto, gli occhi scuri che mi squadravano sorpresi e allo stesso comprensivi. «Oh, sei qui» disse lui non appena gli sbucai davanti.

Cosa voleva questo adesso?

«James ti stava cercando» proferì.

Per un attimo un barlume di speranza si riaccese e sobbalzai. Tuttavia, la ragione che mi era rimasta e l’espressione di Aiden mi suggerivano che non poteva essere vero: James non mi avrebbe mai cercata, era stato sin troppo chiaro qualche minuto prima. «No» mi limitai a dire, irritata «non è vero.»

Vidi Aiden mordersi un labbro. «Già, non è vero, però avrei voluto che si scusasse con te. Almeno permettimi di scusarmi al posto suo.»

Alzai le sopracciglia, piacevolmente meravigliata. Forse la cavalleria non era morta. «Non credo che servirà a qualcosa, comunque… concesso.»

«Magari più tardi gli parlo» aggiunse in seguito.

Scossi la testa. Non sarebbe servito e poi sarebbe stato l’ennesimo pretesto per fargli ricordare dell’umiliazione pubblica che mi aveva inferto. «No, davvero, non importa. Grazie, Aiden» gli mostrai un sorriso.

«Figurati. Come fai a sapere il mio nome? Non ci siamo quasi mai parlati.»

Ops.

«Ehm… sai, siccome mi piaceva James…» mi strinsi nelle spalle mentre cercavo di fornirgli una spiegazione plausibile.

Lui mi interruppe senza pretendere troppo. «Ah, sì, ho capito, non preoccuparti.»

Per cercare di smorzare la tensione che si era appena creata, capii che l’ideale era presentarmi a mia volta, così anche lui avrebbe saputo chi sono. «Vanessa» dissi, porgendogli la mia mano destra.

Lui, in maniera affabile e contemporaneamente gentile, me la strinse. «Piacere, Vanessa. Se vuoi posso fare un tentativo, parlare con James e mettere una buona parola per te, non so…»

«No!» esclamai. «Assolutamente. Non ne voglio più sapere di lui. Mi ha rifiutato una volta, mi basta e avanza.»

Lui rimase immobile per un attimo, scrutandomi con i suoi intensi occhi marroni. Alla fine scrollò le spalle. «Bene, è così che si fa: ci si rialza e si va avanti.» Prima di voltarsi e andarsene, sparendo dal mio campo visivo, mi fece l’occhiolino. «Così si fa, Vanessa.»

Stetti lì impalata per qualche secondo.

Mi guardai la mano che mi aveva stretto.

Non credevo possibile una cosa del genere: per una volta in un ragazzo la bellezza era direttamente proporzionale alla gentilezza, e non inversamente.

Mi avviai nella direzione dell’aula della professoressa Jones, ancora moralmente per terra, ma almeno non stavo strisciando.

 

 

 

Jade’s place:

Quarto capitolo bello pronto per voi! :P quello stronzetto di James ha umiliato Vanessa, che si è fatta consolare un po’ dalla nostra Mariah e un po’ da Aiden xD ma si saprà rialzare, perché lei è forte!! Nonostante sia un po’ imbranata o___o per questo mi rispecchio bene in lei, anche io sono un’imbranata certe volte :P spero mi continuerete a seguire. Grazie mille dei commentino che mi lasciate, mi danno un piacere immenso!!!! Anticipazioni time!!!

Nel prossimo capitolo...

"Dio, l’aveva visto. Si stava insospettendo e stava venendo a controllare. “Oh mamma, e adesso che faccio?! Devo avvertirlo! Oddio, come faccio, come faccio…?!”

I miei occhi sbarrati e il mio viso che stava diventando repentinamente pallido malcelavano la forte emozione che provavo in quel momento. Sapevo di dover avvertire Aiden che Garden stava venendo a controllare, ma ciò avrebbe significato… quel che avrebbe significato."

Jade
PS: non dimenticate di passare dalla MIA PAGINA! Ora ha pochissimi iscritti perché l'ho appena creata ma siete voi che farete la differenza se metterete "mi piace" ;D
PPS: se non avete altro da fare o se vi piacciono le mie storie, allora andate a dare un'occhiata a Superbia e Presunzione e Violet - Annabelle's diary. Vi attendo numerosi, sia lì che nei miei prossimi capitoli!!

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Capitolo 5
*** Cinque - Mariah will carry on ***


 



Cinque

Mariah will carry on

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Quella sera andai a letto presto.

Non che fossi stanca, no, ma siccome per tutto il giorno non faceva che venirmi in mente Aiden, volevo andarmene a dormire il prima possibile per non pensarlo più. E, costantemente, tutte le volte venivo fregata: andavo a letto per non avercelo in testa, ed ecco che incominciavo a sognarlo per tutta la notte. E, se dalla mia mente da sveglia potevo fuggirlo, i miei sogni erano un luogo da cui non lo potevo cacciare.

Quando mi alzai la mattina successiva, la prima cosa che feci fu dare un pugno al cuscino, arrabbiata. La mia mano affondò scomparendo in mezzo al tessuto bianco, poi decisi che, come quella ragazza che il giorno prima dava calci al muro del bagno, era del tutto inutile.

Una volta in bagno mi sciacquai la faccia, senza alcuna certezza riguardo a ciò che sarebbe accaduto d’ora in avanti ma con una consapevolezza in più: dovevo fare qualcosa. E se dimenticarmi di lui era davvero così impossibile, visto che ormai questa storia andava avanti dal primo anno, ora che nelle lezioni di letteratura eravamo così vicini era l’occasione perfetta per compiere un passo avanti, per procedere.

Ed era anche il giorno perfetto: quest’oggi le lezioni del professor Garden sarebbero durate due ore di seguito. Qualcosa sarei riuscita ad inventarmi. Tuttavia non ero molto sicura delle probabilità che avevo di ottenere un qualunque successo – ma valeva lo stesso la pena tentare, no?

Silenziosamente e con passo felpato, una volta uscita di casa mi diressi a scuola a piedi come tutte le mattine, e il tempo volò nell’arco di tempo in cui mi misi a escogitare un modo per parlare. Ora, il mio problema maggiore non era in sé per sé trovare un argomento di cui parlare con Aiden: era riuscire a farlo. Perché tutte le volte che si trattava di parlare con qualcuno con cui non avevo confidenza, abitualmente mi bloccavo e timidamente lasciavo le redini della conversazione all’altro interlocutore. Ma con Aiden?

Ma insomma, un giorno mi aveva chiesto com’era andato il compito di storia e mi era quasi venuto un mancamento. Avevo avuto un capogiro ed ero stata costretta a ingurgitare sottobanco e di nascosto una barretta di cioccolato intera per recuperare forze.

Come potevo tenere sotto controllo una conversazione con lui? Già avevo avuto difficoltà il giorno prima quando avevamo seguito dallo stesso libro.

Ciononostante, un modo dovevo trovarlo.

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Quel giorno, la mia opportunità tanto attesa arrivò, e non la sprecai.

A inizio lezione Garden entrò in classe con il suo solito fare rigido e per nulla tranquillizzante, lanciando ordini come ormai era d’abitudine. «Andate a questa pagina» o «signorina Jennings, inizia a leggere: atto II, scena I», ma non era quello che mi preoccupava.

Mentre leggevo ad alta voce senza intoppi la tragedia di Shakespeare che stavamo analizzando in classe, i miei occhi facevano avanti e indietro, balzando dal libro di testo che stavo seguendo alla mia sinistra. Il fatto che Aiden fosse vicino a me e mi stesse ascoltando leggere, so che è stupido, ma mi metteva addosso un’agitazione che non riuscivo a scrollarmi.

Fu quando terminai la lettura che me ne accorsi: non appena avevo smesso di leggere, Aiden aveva sfilato da sotto il banco un insieme di fogli. No, mi accorsi poco dopo, non era un insieme di fogli, era una specie di piccolo giornalino.

Se solo fossi riuscita a inquadrare meglio…

Attenta a non destare sospetti, lentamente spostai il peso del corpo alla mia sinistra, il capo che si girava impercettibilmente nella sua direzione. Dovevo vedere. Finalmente capii: Aiden stava tenendo un fumetto davanti il libro di testo, fingendosi interessato alla lezione.

Provai uno stranissimo moto d’emozione, che per me era del tutto insolito: normalmente sarei rimasta infastidita da un simile comportamento, da parte di uno studente. Il fatto è che era così carino vederlo impegnato in tutt’altro, così dannatamente carino. E io ero completamente soggetta a lui, indipendentemente da quel che facesse. E nonostante ciò, Aiden riusciva sempre a mantenere dei buoni voti. Ciò per me era ragguardevole. Okay, forse stavo esagerando. Però non potei fare a meno di sorridere dopo questa scoperta, una scoperta da nulla, ma che il mio cuore giudicò così grande.

“Nota mentale: ho scoperto che ad Aiden piacciono i fumetti. Tenere conto di questo fatto per il futuro.”

Solamente allora vidi, dietro alla cattedra, il professor Garden, con la sua cravatta dall’improbabile tonalità arancione acceso con strani motivi floreali impressi, alzare un sopracciglio con evidente perplessità. E stava guardando verso di noi, verso me e Aiden.

Lo vidi alzarsi dalla sedia e avanzare pericolosamente nella nostra direzione. E Aiden sfogliava il suo fumetto distrattamente.

Dio, l’aveva visto. Si stava insospettendo e stava venendo a controllare. “Oh mamma, e adesso che faccio?! Devo avvertirlo! Oddio, come faccio, come faccio…?!”

I miei occhi sbarrati e il mio viso che stava diventando repentinamente pallido malcelavano la forte emozione che provavo in quel momento. Sapevo di dover avvertire Aiden che Garden stava venendo a controllare, ma ciò avrebbe significato… quel che avrebbe significato. «A… Ai… A-a-aid…» Ero troppo impaurita persino per pronunciare il suo nome. Ero la ragazza più maledettamente timida che esistesse sulla faccia della terra. Quanto ci voleva a dire un dannato nome?!

Quando capii che il fiato dalla gola non sarebbe uscito, optai per l’ultima possibilità rimasta: gli diedi un buffetto sulla gamba con la mano.

Lui si voltò, e quando mi guardò negli occhi pensai che sarei collassata sul banco.

Ritrassi la mano con uno scatto e con la testa gli feci un cenno verso Garden, che si stava ancora incamminando.

Aiden, grazie solo ed esclusivamente a me, alla sottoscritta ovvero Mariah Evangeline Jennings, si accorse del pericolo appena in tempo e fece scivolare il fumetto nuovamente sotto il banco. Quando Garden giunse lì a controllare, non trovò niente di niente.

L’adrenalina nel mio corpo aveva appena toccato picchi esorbitanti.

Udii il ragazzo di fianco a me tirare un sospiro di sollievo mentre io abbandonavo tutto il mio peso allo schienale della sedia. «Ehi, grazie Mariah» mi sussurrò con un fil di voce. Io lo guardai e lo vidi ammiccare. A me. «La mia creazione è salva» aggiunse poi.

Una scintilla scoccò nel mio cervello e mi sentii come l’uomo delle caverne che aveva appena scoperto come si accendeva il fuoco. “Vai, Mariah”, dissi a me stessa, “è ora, di’ quello che pensi, dillo adesso, dillo ora!”. E così lo dissi: «La tua creazione?»

Mi meravigliai del fatto che il mio tono di voce sfiorasse quasi la normalità. Forse non ero del tutto senza speranze.

Aiden annuì e sfilò da sotto il banco il fumetto, tanto quanto bastava perché io potessi scorgere le figure, sebbene coperte dall’ombra, e le forme che assumevano le figure. Il suo capo si avvicinò più di quanto fosse opportuno al mio. «Guarda: i disegni li ho elaborati io al computer. La storia invece l’ho scritta io solo in parte, mi sono fatto dare una mano.»

Socchiusi le labbra per la sorpresa. Non ne avevo la minima idea. «Oh» spiccicai. “Su, di’ qualcos’altro, stupida!” Tentai di recuperare ossigeno prima di parlare di nuovo. «Trovo… che sia davvero molto carino» dissi poi abbozzando un sorriso. «Ed è… disegnato veramente molto bene.»

«Sul serio lo pensi?» domandò poi lui, con una voce che non nascondeva affatto la fierezza che portava nei confronti del proprio lavoro. «Anche tu sei appassionata di fumetti?» Me lo chiese come se da me non ci si potesse mai aspettare una cosa del genere.

«Uhm…» esitai prima di rispondere. «Sì» mentii in parte: i fumetti mi piacevano, mi piacevano fin da piccola, ma non avevo mai il tempo di leggerli, perciò non li prendevo mai in considerazione.

Vidi Aiden rimettere a posto il fumetto onde evitare un altro attacco da parte dell’insegnante. «E quali sono quelli che preferisci?» mi chiese poi, improvvisamente incuriosito, e rivolgendomi un sorriso che mi sforzai di non guardare per non avere delle crisi di panico.

Per un attimo quella domanda mi preoccupò, ma fui salvata da una cosa: mio fratello minore di tre anni, Samuel, parlava abbastanza di fumetti a cena e in generale tutte le volte che conversavamo da avermi inculcato abbastanza informazioni sul mondo dei fumetti – quelle che ancora mi mancavano.

A quel punto fu più facile di quel che avrei mai potuto pensare in qualsiasi mia fantasia. Siccome Aiden era una persona affabile e, almeno come si dimostrava con me, socievole, malgrado le intense emozioni che stavo provando interagire con lui non si rivelò né una catastrofe né tantomeno complicato. Dieci minuti di conversazione a bassa voce più tardi, potevo dire di sentirmi a mio agio. Quasi a mio agio – ecco, non esageriamo.

Fummo interrotti dallo squillo frenetico della campanella.

Una volta che tutti gli studenti furono usciti a forza di spintoni fuori dalla porta, mentre io ero rimasta seduta lì impalata, mi resi conto di tutto ciò che era successo.

E mi feci prendere dall’entusiasmo.

“Oh-mio-Dio. Io… ho parlato con Aiden Jenney. Ci ho parlato. Esattamente per undici minuti. Forse anche qualche altro secondo. Oh, mio Dio. Non è possibile. L’ho fatto veramente.”

Mi sentivo in preda al panico, come se avessi appena incontrato un minaccioso criminale ma questi mi avesse lasciato in pace passando oltre… ecco, la sensazione che provavo era la medesima.

«Mariah, che ci fai ancora qui?» La voce inconfondibile della mia amica Sydney mi riportò al mondo reale. Mi squadrò con i suoi occhi verdognoli e mi raggiunse saltellando con la coda di cavallo rosso fuoco che dondolava lungo la sua schiena, e mi tirò per un braccio, costringendomi a tirarmi su, ma non ero sicura che le mie gambe potessero reggere il mio peso. «Alza quel sedere, pigrona! Faremo tardi! Si può sapere che cosa ti è successo?» fece poi scherzosamente, e solo allora notò la mia faccia pallida come quella di un fantasma.

L’emozione ebbe il sopravvento.

La abbracciai. La abbracciai così forte da toglierle il respiro, così forte da farla preoccupare. Avvertivo gli occhi gonfi e doloranti, come un palloncino pieno d’acqua e sotto pressione. Era la mia amica Sydney, non mi avrebbe scambiato per pazza. Perciò battei le palpebre, e in quello stesso momento le piccole gocce d’acqua sgorgarono dai miei occhi, inumidendomi le ciglia. Le bagnai il maglione color lavanda con le mie lacrime, lacrime che fluirono a fiotti e senza freni, lacrime, le prime in assoluto che versavo per lui.

«Mariah…» udii la mia amica sussurrare. «Come sei delicata.» Non riuscii ad afferrare se quella frase fosse ironica o se fosse seria. Ma non importava, perché sentire le mani di Sydney che mi cingevano, avvicinando ancor di più il mio corpo al suo, era tutto ciò di cui avevo bisogno, e fui pienamente soddisfatta. La ringraziai per essere lì.

Piangevo per Aiden Jenney, perché avevamo conversato per più di dieci minuti. Piangevo perché tutte le volte che facevo un piccolo, minuscolo, insignificante progresso la mia speranza aumentava e continuava a vivere.

Anche se, sinceramente, pensavo che la prima volta che avessi pianto per lui sarebbe stato a causa di una nobile sofferenza, e non per un’immeritata, stupida gioia di scarso valore.

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Jade’s place:


Salve a tutti... perdonatemi se ho aggiornato così in ritardo, ma sono stra impegnata, ma voglio farvi sapere che non ho abbandonato NESSUNA delle mie storie in corso. Nessuna. Anche se lo so, può sembrare. Cercherò di aggiornare il prima possibile anche le altre storie, perdonatemi perdonatemi perdonatemiiiii >__<
Comuuuuunque... so che vi parrà esagerata la reazione di Mariah al fatto che Aiden le abbia parlato, tuttavia cercate di comprenderla: lei è una ragazza molto timida, e perciò solo il fatto che il ragazzo di cui è innamorata le abbia parlato ha fatto sì che lei si emozionasse a tal punto... eeeeh sì, succede anche a me certe volte (solo a volte, poi però mi abituo xD) sì lo so sono un caso patologico... dovrebbero  diagnosticare una malattia solamente per me!! xD Detto ciò, vi saluto, lasciandovi alle vostre osservazioni. VOI!!! Vi obbligo a recensire (no, non è vero, ho così tanto potere che non riesco a sottomettere neance il mio gatto -____-) Va be' ciao, vostra JadeCam

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Capitolo 6
*** Vanessa keeps her dignity ***




V
anessa keeps her dignity



Da quel giorno in avanti incrociare James mi fece un effetto del tutto diverso, ma neanche io saprei spiegarlo con esattezza.
Spesso era in compagnia di alcuni amici, come per esempio Aiden Jenney, che aveva avuto un po’ di buon cuore nel venirmi a cercare dopo l’episodio della lettera. Ero stata una stupida: potevo innamorarmi di un tipo come lui, carino e cavaliere; perché avevo scelto proprio James? Adesso, tutte le volte che incrociavo lo sguardo che tanto aveva attirato la mia attenzione, avvertivo un formicolio nello stomaco simile a quello che provavo quando mi piaceva, ma insieme vi era mischiata una strana sensazione di fastidio e irritazione. Improvvisamente mi accorsi del suo naso troppo lungo, degli occhi troppo stretti e della sua altezza esagerata. Cose che, fino a poco tempo prima, nemmeno avevo notato.
Poteva essere un buon inizio per dimenticarlo, no?
Comunque sia, confesso che ebbi paura, per i primi giorni.
In verità, devo essere sincera, non era più di James che avevo timore: era di tutta la gente che aveva assistito quasi come se fosse a teatro alla mia umiliazione pubblica, il che mi faceva pensare ce difficilmente un episodio del genere sarebbe stato dimenticato.
Tuttavia non fu così, bastarono un paio di giorni e mi resi conto di riuscire ancora a guardare in faccia le persone quando entravo a scuola. Dovevo essere forte. E poi erano cose che succedevano. Avevo considerato la faccenda in maniera troppo drastica, e questo mi rassicurò.
Ciononostante, però, sembrava che ancora non fosse finita qui.
La fermata dell’autobus era a pochi passi di distanza dalla scuola. Stavo camminando, impaziente di raggiungere casa dopo un’affannosa giornata di studi. In quel momento nemmeno ci pensavo a James. L’avevo già catalogato nella lista delle pagine chiuse della mia vita. “L’anno prossimo”, pensai con un sorrisetto, “nemmeno mi ricorderò chi è, con ogni probabilità”. Era così che mi consolavo del mio tentativo fallito di attirare l’attenzione di un ragazzo e della mia lettera, la prima lettera d’amore, respinta. Forse avevo sbagliato, forse le lettere erano già qualcosa di troppo arcaico, ma non m’importava. Che l’avessi scritto sui muri, che avessi messo un annuncio su Internet o quant’altro, James mi avrebbe comunque respinta.
Ero stata così cieca.
«Scusa?» Una voce appena dietro di me spiccò in mezzo a tutte le altre. Spiccò perché la riconobbi all’istante.
Mi voltai, e nonostante tutte le cose che avevo pensato in precedenza, davanti a James riuscii comunque a sbiancare di nuovo.
«Ehm…» esordì poi, grattandosi il capo e sforzandosi di ricordare il mio nome. «Sally Vanderson?»
Pessima risposta, pessima, pessima.
«No, Vanessa Sullivan.» Sbaglio o il mio tono era risultato un po’ acido?
Scrutai con attenzione ogni dettaglio di lui, la sua figura alta, troppo alta, i suoi lineamenti che a me piacevano tanto. Ora avevo l’ansia, ma non per lui, piuttosto per la figuraccia che mi aveva fatto fare – mi rodeva ancora. Ma che fossi agitata perché provavo ancora qualche sentimento no, era una bugia.
«Ehm, okay, Vanessa.» Lo disse come se si volesse sforzare di imprimersi il mio nome nella zucca. «Ascolta, riguardo all’altro giorno, sai, quella cosa della lettera» parlava lui con un tono totalmente indifferente «be’ forse non avrei dovuto fare così davanti a tutti. Quindi mi dispiace. Okay? Tutto a posto?»
Il mio viso si contrasse in una smorfia.
Le peggiori scuse che avessi mai udito in tutta la mia vita. «Io delle tue scuse insincere non me ne faccio niente» telegrafai, arcigna. «Chi ti ha consigliato di venire qui da me a chiedermi scusa?» domandai poi, presa da un’improvvisa curiosità.
Lui assunse un’espressione che stava palesemente a significare: oh cacchio, mi ha scoperto. «E a te che cosa importa? Sono venuto a chiederti scusa, no? Non è già abbastanza?»
Sbuffai. No, non sarebbe mai cambiato, nemmeno tra un milione di anni. Avanzai di un passo, e gli fui praticamente addosso. Avrei voluto mollargli uno schiaffo talmente forte da poter vedere affiorare sulla sua pelle il segno rosso delle mie dita, ma non mi sentivo di farlo. «Comunque ringrazia Aiden per il pensiero carino che ha avuto. Digli anche che però con uno come te ogni tentativo è sprecato.»
Attenendomi al detto che dice che la calma è la virtù dei forti, girai i tacchi e me ne andai, sapendo di non essere più seguita, mantenendo appieno la mia dignità.
Chi poteva essere stato, se non Aiden Jenney, a consigliargli di venire da me per chiedermi scusa? Gli avevo espressamente detto di non fare nulla, ma non era servito. Be’, gli avevo detto di non mettere una buona parola per me, in realtà. Ma nulla gli aveva vietato di andare da James e dirgli «Senti, meglio se chiedi scusa a quella ragazza.»
Mi sentivo soddisfatta. Decisi comunque che se avessi incontrato Aiden in quei giorni, ne avrei approfittato per ringraziarlo di ciò che avevo fatto – avevo i miei difetti ma di certo non ero un’ingrata.
Poco dopo stavo già salendo sull’autobus semivuoto; mi sedetti a uno dei posti in fondo – mi faceva sentire più appartata – e mi acciambellai come facevo sempre, tenendomi strette le ginocchia tra le braccia. Era un modo per combattere il freddo.
Il rumore del motore si fece sentire di nuovo e ripartimmo, in un crescendo di velocità. Ovunque io guardassi, non vedevo altro che coppiette mano nella mano, cartelloni pubblicitari con un uomo e una donna abbracciati, locandine del cinema con fotografie che ritraevano scene romantiche, cuori, cuoricini e tanto tanto amore. Cose che a me mancavano.
Non potevo sognare, non potevo fantasticare. Il mio passatempo preferito ormai era diventato lui, mi aveva preso così tanto che non facevo che pensarlo.
E adesso non potevo più farlo.
Una lacrima mi scivolò in un rivolo giù per la guancia, si aggrappò al mio mento e infine cadde sul tessuto sbiadito dei miei jeans.
Poi mi ripresi.
No, piangere non era una maniera dignitosa chiudere un capitolo della propria vita. “Forza Vanessa, fatti coraggio”.
Ma piangevo perché lui era uno stronzo o perché ero stata brutalmente disillusa? Forse le due cose erano collegate, o forse il motivo era un altro. Forse volevo innamorarmi di qualcuno, come ogni adolescente desidera. Mi domandai quando sarebbe stata, la volta successiva, e se avrebbe fatto ancora più male.
«Non ti abbattere, Vanessa» mi aveva esclamato Catherine non appena ero tornata a casa, il giorno della figuraccia. «Bacerai tanti rospi, soffrirai ancora, ma il tuo principe azzurro un giorno o l’altro lo troverai.»
Era facile dirlo per lei, stava da sette anni con lo stesso ragazzo e non c’era stata una volta in cui l’avessi vista tornare a casa in lacrime, dicendo «Ho litigato con il mio fidanzato.» Non una volta. Dunque, sentirmi consolare da lei, certe volte mi aiutava ben poco. Tuttavia avevo apprezzato il gesto.
Abbassai le palpebre e mi feci cullare dal ronzio del motore per tutto il viaggio di ritorno, la mente assopita e il freddo di gennaio che m’impigriva i sensi. Mi coprii con la sciarpa di lana di un tenue color beige fino alla punta del naso, mi calai il berretto più in giù possibile, fino a coprirmi tutta la fronte, e finalmente non piansi più per James, e non lo pensai più.
 
 
Benché di parole ne bastassero veramente poche per esprimere il concetto che volevo comunicare e benché io non sia mai stata una ragazza riservata, sentii che la cosa giusta da fare era far scivolare un altro bigliettino all’interno di un armadietto, ma non era né il mio né quello di James.
Il mattino dopo un foglietto di quelli che si usano comunemente per i post-it, di colore rosa acceso, aveva svolazzato all’interno dell’armadietto di Aiden e si era posato sulla prima superficie che aveva incontrato.
Vi avevo scritto sopra con un pennarello nero dalla punta fine, gli avevo scritto “Grazie di quello che hai fatto, sei stato molto carino”. Ero sicura di non sbagliare ritenendo lui l’artefice di tutto ciò che era accaduto il giorno precedente. E, per sdrammatizzare un po’, vi avevo disegnato un simpatico smiley affianco – sebbene io sia sempre stata negata per il disegno. Dopotutto, però, una faccina sorridente la sapevo disegnare anche io!
Era il mio modo per ringraziarlo, semplice, veloce e senza tante scene drammatiche o da telefilm. “Così è sufficiente, direi”, avevo pensato nello stesso momento in cui avevo lasciato la presa del foglietto.
Per qualche motivo che andava al di là della mia comprensione, quando vi ripensai, fui scossa da un brivido che mi percorse la schiena.

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