Rotolando. di _Sister_ (/viewuser.php?uid=76133)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rotolando. ***
Capitolo 2: *** Viva la vida or death and all his friends . ***
Capitolo 3: *** L'inaspettato. ***
Capitolo 4: *** . ***
Capitolo 1 *** Rotolando. ***
Ero appena
arrivata dal dottore. Il mio amato strizza cervelli. Adora prendermi
per il culo, ormai l’ho capito. Mia madre non è
d’accordo.
Mamma:
“Dovresti dare ascolto a quello che ti dice. Sai che ha
ragione”
Io:
“…”
Il dottore dice che
non dovrei starmene troppo a casa, che invece dovrei uscire con i miei
amici e divertirmi.
Detto così
chi gli darebbe torto? Peccato mi manchino due cose fondamentali. Gli
amici. Il divertimento.
Come faccio a
divertirmi senza amici? Matematicamente parlando, sono direttamente
proporzionali. Più amici ho, più mi diverto. Meno
amici ho, meno mi diverto. Se avessi usato questo esempio durante
l’interrogazione di matematica, di sicuro sarei riuscita ad
arrivare al 6, anziché il mio solito 4-.
Ma lui questo non lo
capisce. E mamma si arrabbia ancora di più.
Mi assento con la
mente per un po’, mentre il dottore parla di qualcosa
sull’essere felici. Stronzate. Tutte stronzate. La
felicità non esiste, esattamente come l’amore.
Sono invenzioni dell’uomo per trovarsi uno scopo nella vita.
Lo stesso vale per la religione.
Dottore:
“Credi veramente che l’amore non esista solo
perché non l’hai mai provato?””
Io:
“…” sospiro.
Allora comincia a
parlare del più e del meno. Mi racconta del suo cane,
Whisky, del casino che fa in casa e mi chiede qualcosa di me.
È troppo gentile e ci casco. Ho parlato. Oh dio. Abbiamo
parlato di religione, di politica. Mi sono aperta. A quello
sconosciuto. E mi sento quasi male.
Devo vomitare ma mi
trattengo. Quando esco dalla stanza mi gira la testa. Fox,
(sì, adesso so anche il nome del nemico) mi sorride e fa
l’occhiolino a mia madre. È contento, ho fatto dei
progressi.
Mi siedo in macchina e
non parlo.
Mamma sta zitta,
lascia che mi sfoghi in silenzio. La ringrazio con il pensiero. Ho
già dovuto parlare troppo per oggi, ed è solo
colpa sua.
Entro in casa e mi
spoglio. Completamente. Mi guardo allo specchio di camera mia. Riesco a
vedermi dalla testa ai piedi. I lividi sulle braccia sono quasi del
tutto scomparsi, ma ne rimane uno viola sul ginocchio. I tagli sui
polsi e sulle caviglie sono diventati bianchi e lucidi. È
difficile vederli adesso.
Sto ferma qualche
secondo. I capelli non sono sporchi, tenuti in una coda alta
spettinata, esattamente come piace a me. Sono completamente struccata,
le occhiaie viola si notano più del solito.
Vado in bagno e mi
butto sotto la doccia. L’acqua calda mi brucia la pelle. Le
braccia mi fanno male quando ci passo sopra la spugna.
Tieni duro. Ce la puoi
fare, tieni duro. Ormai me lo dico da sola. Ma non sono molto
convincente.
Mi asciugo i capelli e
mi infilo una vecchia tuta logora e informe. La adoro in tutto e per
tutto. Se Dorian Gray aveva il dipinto che logorava al posto suo, io ho
la mia tuta.
Scendo le scale
lentamente e mi preparo una tazza di cereali.
“Almeno
mangia!” è la risposta che mia madre da sempre a
tutti quelli che incontra. Racconta tutto quello che mi succede, che
non parlo molto, che a scuola faccio schifo, che mi manda dallo strizza
cervelli, proprio il contrario di ciò che farebbe un
genitore normale. Chiunque farebbe di tutto per non ammettere che il
proprio figlio ha dei problemi. Ammettere che ha sbagliato qualcosa.
Lei non la pensa così.
Torno in camera mia e
accendo la tv. Non c’è nulla da vedere che sia
come minimo interessante, metto un canale che trasmette solo musica, ma
prima che possa arrivare inceppo su un altro. È un canale di
moda, dove mandano sfilate su sfilate. Centinaia di modelle anoressiche
ogni santo giorno.
Pur di non ascoltare
né vedere le schifose collezioni che mandano comincio a
pensare. Pensare sul serio. Penso a quando oggi, dal dottor Fox dallo
strizza cervelli ho parlato. Per la prima volta. Perché?
Forse ho deciso. Forse voglio essere aiutata, in qualche modo. Forse ho
voglia di vivere.
La testa ricomincia a
girarmi. Ho paura. Paura di vivere. Mi sono fatta male, sono caduta, e
rialzarmi è difficile.
Spengo la tv. Rimango
un attimo in piedi, accanto al letto, poi mi avvicino
all’armadio e ne prendo dei jeans ed una maglietta. Me li
infilo, mi metto le scarpe ed esco. Non guardo in faccia nessuno ed
esco, da casa mia.
Erano quasi sei mesi
che non uscivo di casa. Almeno non per andare da qualunque parte che
non fosse la scuola o lo strizza cervelli. L’aria era troppo
pulita. Il sole mi pungeva gli occhi. Non era il mio ambiente, quello.
Continuo a camminare,
mandando a quel paese tutto il lavoro, tutte le precauzioni che mi ero
autoimposta.
Niente uccellini
canterini, niente fiori colorati né alberi centenari a cui
appoggiarsi per schiacciare un sonnellino, sia chiaro, ma il centro
commerciale va benissimo comunque. È anche per questo che
odio la città. Ma niente è meglio che una bella
canzone tranquilla mentre scegli qualunque cosa possa essere
commestibile. All’improvvisa la fame mi attanaglia lo
stomaco. Devo mangiare qualcosa.
Controllo di avere
qualche soldo in tasca. Nel caso non ne avessi sarei disposta a rubare.
Fortunatamente trovo
una banconota da 20. non mi ricordavo di averne. Deve essere stata
mamma a mettercela. Deve essere disperata, quella donna.
Prendo dei pasticcini
con la glassa al cioccolato e un cappuccino e mi faccio un altro giro.
mi avvio verso casa
solo quando mi ricordo di mia mamma. Ero uscita senza neanche
avvertirla. Magari adesso pensa che sono scappata di casa.
Nell’ultimo
isolato che mi divide da casa quasi mi metto a correre. Entro in casa
che ho il fiatone.
Mamma è in
cucina che prepara la cena. Si gira e mi squadra.
M. : “Sei
uscita?”
Io:
“Sì.. sono andata al centro commerciale..
“
M: “Bene..
sai, questa maglietta non la metti mai, ma ti sta
d’incanto..”
Siamo entrambe molto
imbarazzate. Arrossisco e faccio per andare in camera mia. Mi ricordo
dei soldi dentro i jeans. Mi giro per tornare in cucina e ringraziarla.
Sulla soglia della cucina mi fermo.
Potrei
giurarlo. La sento fischiettare. È felice. Qualcosa di caldo
mi bagna la guancia e corro in camera mia senza farmi
sentire.
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Capitolo 2 *** Viva la vida or death and all his friends . ***
Quanta gente in quella stanza. L’uomo seduto accanto alla finestra cercava di respirare. Troppa gente. Troppa. Sentiva la mano tremare. Il pugno, quell’unico pugno, che non era riuscito ad infierirle, bruciava. Lo bruciava vivo.
E lei, lei stava seduta. Al centro della stanza. Lì, dove la folla si concentrava. Nessuno le rivolgeva la parola. Nessuno che la guardasse in faccia, no. Il suo sguardo terrorizzava gli uomini. Quel vuoto, quel nulla che aleggiava nei suoi occhi, agghiacciava chiunque, lì dentro. Tranne quella specie di vecchia. E l’uomo accano alla finestra lo odiava, per questo.
Una vecchia donna, resa quasi cieca dalla vecchiaia, si avvicinò alla ragazza. Le chiese il perché di tutto questo baccano. Le chiese perché una giovane attrice promettente e brava come lei stesse insieme a tutti questi deplorevoli uomini senza scrupoli.
La ragazza fece spallucce. Non si girò a guardarla.
La vecchia le toccò la guancia con la mano rugosa. Quando le sfiorò i lividi le fece male. Con uno scatto si spostò.
Chi ti ha fatto questo?, chiese.
Un fallito.
Gli uomini, sentendo queste parole, si girarono a guardarla. La ragazza si era rifiutata di rispondere a qualsiasi loro domanda.
Chi? Chi ti ha fatto male?, ripeterono, allora.
Un fallito, ripeté lei più forte. Un fallito! , urlò.
Un fallito, un uomo che non è riuscito neanche a tenermi ferma quanto bastava, un uomo che non ha saputo fare altro che prendersela con chi è riuscito, con chi ce l’ha fatta! Un bastardo! Rise, la ragazza. Rise e ripensò alla scena. Era solo una femminuccia, disse.
L’uomo seduta alla finestra di alzò, e con uno scatto aveva le mani sul collo della ragazza.
Non sono un fallito! Io ti avrei potuto uccidere! Io ho scelto di non farlo! Io sono un dio!
Il caos scoppiò nella stanza. Scoppiò rumoroso. Nel rumore si udì uno sparo. E un altro. E un altro ancora.
Quando aprirono la porta della stanza,trovarono una vecchietta seduta ad un tavolo al centro di essa. Sopra il tavolo, una pistola. I corpi erano sparsi sul pavimento. Amassati, come fossero semplici sacchi vuoti.
Neanche un dio può niente contro la morte.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno commentato la prima storia. E' diventata una raccolta, quindi ogni capitolo non c'entra nulla col precedente, salvo eccezzioni.
Francesca.
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Capitolo 3 *** L'inaspettato. ***
Titolo: L’inaspettato.
Commento dell’autrice:Vi prego solo di una cosa. Leggete tutto, fino in fondo (non vorrei che pensaste che sono una maniaca di scritti noir senza almeno aver capito quello che volevo trasmettere!)
Buona lettura,
Francesca.
La metropolitana andava veloce. A quell’ora non c’era quasi più nessuno,a parte un vecchio ubriaco seduto sulla panchina e qualche barbone che dormiva su ripari improvvisati. E questo al ragazzo piaceva un sacco. Era il suo momento preferito della giornata. Era magico. Si sentiva invincibile, come sarebbe potuto soccombere con tutto quel potere? Sentiva le mani tremargli d’emozione. La notte, quando si sdraiava sul letto e il sudore freddo cominciava a scorrergli sulle gote e bagnargli la schiena, un senso di impotenza lo percorreva. Allora si toccava i capelli, cercando di asciugarsi la fronte, calmarsi e magari riprendere anche fiato,con scarso successo.
Aveva ventuno anni ormai, si sentiva quasi vecchio. Quella vita avrebbe fatto per lui ancora per poco. Doveva impegnarsi a fondo. Per essere ricordato. Ricordato.
Si avvicinò ad una ragazza, una delle puttane che di solito si trovano agli angoli delle strade, sotto i lampioni. Normalmente portava delle gonne cortissime, una pelliccia di finto visone -sembrava essere stata tagliata con l’accetta. Per vederla ogni notte, il ragazzo aveva rubato un’auto, il mese prima. Ogni notte, sudato e stanco, passava per la stessa strada, guardava la puttana aspettare, anche se per poco, qualche cliente. Ogni volta si diceva “Il prossimo, sì! Il prossimo sarò io!”, ma non si fermava mai. Qualcosa lo bloccava. Una volta -una sola- riuscì a fermarsi. Era proprio davanti a lei. Lei lo guardava sorridente, ma sembrava scocciata. Lui non disse niente, andò dalla ragazza che stava accanto a lei e la portò in macchina. Tutta la sera pensò all’occasione che aveva perso. Quando l’altra ragazza si stancò di stare lì in macchina a non fare niente e voleva essere pagata lo stesso per il tempo perso, il ragazzo avrebbe tanto voluto picchiarla. Avrebbe voluto vederla urlare di dolore. Invece la buttò fuori dall’auto con uno spintone e ritornò a casa, esausto.
La metropolitana stava ricominciando a riempirsi piano. Il ragazzo aveva perso un sacco di tempo abbandonato nei suoi ricordi.
Si avvicinò alla ragazza. Vide che stava masticando una gomma. Le dava un’aria volgare. Quando fu abbastanza vicino si fermò e rimase a guardarla. Lei gli sorrise, incoraggiante. Poi il sorriso di lei si spense, quando notò che il ragazzo teneva una mano dietro la schiena. Nascondeva qualcosa, e questo a lei non piacque. In quei giorni si era parlato molto di un serial killer. Uccideva prostitute, di notte, dopo averle torturate. Il ragazzo di certo non aveva un’aria raccomandabile, o quantomeno sana. Le occhiaie erano incavate e nere, dovute alle notti insonni. Puzzava da far schifo.
La ragazza fece un passo indietro.
Il ragazzo capì e sorrise. Piano, fece un mezzo passo in avanti, per colmare la distanza che si stava creando. Poi, sempre lentamente, mosse il braccio che teneva nascosto, finché non fu proprio davanti al petto della ragazza. Abbassò lo sguardo, sembrò arrossire, mentre la ragazza lo guardava stupita.
Teneva stretto nella mano tremante un mazzo di rose rosse.
-Ti va di uscire con me?- chiese con un filo di voce.
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Capitolo 4 *** . ***
Stavo frugando tra i cassetti di camera mia e tra le cianfrusaglie ho trovato anche questo. L’avevo scritto un po’ di tempo fa e mi sembrava abbastanza buono. Dopo qualche ritocco ho deciso di pubblicarlo. Bo,non fa mai male sapere l’opinione di altre persone,no?
Have fun,
Fra.
P.S. Sì,ero nel mio momento: “ce l’ho con tutti,il mondo fa schifo”.
Non posso sentirmi al sicuro neanche in casa mia,capito? Non posso starmene in pace neanche qui,qui dove sto meglio, dove trovavo il mio unico conforto. Quando ti tolgono anche l’ultimo brandello di vita,allora sì che ti senti persa. Ora dovrò lottare, per trovare un po’ di tregua. Lottare per il mio conforto. Mi sento immersa in un mare di merda, e non ci sono scappatoie. Non c’è modo di scappare,da qui. E nessuno ti sente,per quanto tu urli. Poi arriva il giorno in cui smetti anche di urlare. In cui pensi “ma alla fine,se non ci posso fare niente,perché combattere?” .
Non sto vivendo la vita che volevo,non sto respirando per il piacere di riempirmi i polmoni,ma per semplice abitudine. Che vita monotona,la mia. Per cosa dovrei lottare? Per i miei amici? (piccola parentesi,quali amici?), per il ragazzo che amo/e che mi ama? (quale ragazzo?AMA?). Per la mia famiglia? (sì,la stessa che mi ha dato tutto illudendomi e poi me l’ha tolto,lasciandomi da sola con la mia testa?).
C’è una persona per cui potrei vivere. Una sola. Me stessa. Ma da sola non ce la posso fare,sono debole e insicura e una frignona che non sa far valere le proprie idee ed opinioni su nulla. A cui manca solo un cazzo di cartello con su scritto “ATTENZIONE: non avvicinarsi. Morde e piange perché non ha una stupidissima vita sociale”. Che poi non so neanche scrivere una frase per un cartello. Farei schifo come agente pubblicitario.
Chiudo gli occhi e trattengo il respiro. Prendo lo zaino e ci infilo il diario e la penna. Esco di casa. Il cielo è limpido. Le stelle sono meravigliose. Corro veloce alla stazione e prendo il pullman per un pelo.
Sopra il letto ho lasciato solo un fogliettino. Non riuscivo a pensare a nulla. Cosa potevo scrivere? Sono riuscita a scarabocchiare solo un “Non siate troppo arrabbiati con me,per favore”. Nessun “vi voglio bene” o “mi mancherete”. Non sono una bugiarda,io.
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