I never meant to hurt you di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
-
Buongiorno, Frankie -
Frank si rigirò nelle coperte, socchiudendo gli occhi e
grugnendo. Come ogni mattina speciale, Gerard si era alzato prima di
lui e gli aveva preparato la colazione, portandogliela a letto. Il
ragazzo sbadigliò e si tirò a sedere,
stiracchiandosi.
- 'giorno - salutò il fidanzato, dandogli un rapido bacio
sulle labbra. - Come va? -
Gerard sorrise, sorseggiando del caffè. - Non c'è
male, tu? -
Frank annuì, come a dire che per lui era lo stesso. Era come
un rito per i due, visto che nelle loro vite non c'era mai molto che
andasse male. Certo, erano musicisti e tutto quanto, ma la
normalità delle giornate colpisce tutti, senza distinzioni.
Una volta finita la colazione, Frank si alzò in piedi e
lavò i piatti, mentre Gerard si vestiva tranquillamente.
- Sai, oggi è il nostro anniversario - gongolò il
rosso, baciando il moro sul collo. - Pensavo potessimo fare qualcosa di
speciale, che dici? - sussurrò con voce provocante,
leccandogli la base del collo e facendo scendere le mani lungo i
fianchi dell'altro. Frank si voltò e lo baciò
profondamente, avvinghiandosi al corpo dell'amante e stringendolo a se.
- Mi pare un'ottima idea - rispose con una smorfia soddisfatta,
leccandosi le labbra e stringendo la mano attorno al sedere di Gerard,
che gemette contento. - Ma risparmiamocelo per dopo, okay? -
sussurrò poi allontanandosi. Il rosso sbuffò e
tornò in salotto, infilandosi una maglietta.
- Peggio per te - esclamò sospirando, passandosi una mano
tra i capelli e scompigliandoseli tutti. Frank scosse la testa, ridendo
sotto i baffi.
- Me ne sto già pentendo - lo informò con un
sorriso rassegnato. Si vestì velocemente sotto gli occhi
dell'altro e si mise le chiavi in tasca, vicino al portafoglio, poi si
avvicinò alla porta.
- Devo fare un paio di commissioni, ci vediamo dopo - lo
salutò.
- Aspetta, faccio un pezzo con te! Ho appuntamento al parco con Ray tra
mezz'ora e se tardo anche stavolta mi ammazza - ribadì il
rosso, acchiappando la giacca e seguendolo. Scesero le scale insieme e
camminarono lungo il viale alberato per un centinaio di metri, poi
Gerard dovette cambiar strada.
- Non prendere impegni per stasera - gli ricordò il
cantante, avviandosi per la traversa. - Voglio il tuo bel culetto tutto
per me - specificò lanciandogli un bacio. Frank
alzò gli occhi al cielo e continuò a camminare,
arrivando quindi all'ufficio postale. Respirò a fondo ed
entrò. L'aria era calda e la stanza affollata, ma il ragazzo
riuscì comunque a distinguere la fila che doveva seguire.
Prese un numeretto, in caso potesse servirgli, e si sistemò
dietro a un omaccione enorme, probabilmente un camionista. Frank lo
osservò attentamente. Era alto all'incirca una trentina di
centimetri più di lui e indossava una canottiera bianca,
nonostante fossero solo i primi di aprile. Aveva addosso una salopette
verde scuro e degli scarponi da trekking, quindi poteva anche essere un
giardiniere. Frank si chiese chi mai potesse assumere un colosso del
genere per curare dei fiori, ma tenne la bocca chiusa. Si
guardò intorno, in cerca di qualcosa con cui passare il
tempo, e il suo sguardo si posò su una ragazza seduta vicino
all'entrata. Era rossa anche lei, magra, carina anche se c'era qualcosa
che stonava nel suo corpo. Le guardò le mani. Aveva le
unghie smaltate di nero e qualche dozzina di braccialetti ai polsi.
Sembrava essere a suo agio lì e Frank si domandò
il perché. Lui odiava i posti piccoli e affollati - a meno
che non fossero locali per concerti, e anche in quei casi non era
particolarmente contento. Si voltò a guardarla nuovamente,
ma lei non c'era più. Il ragazzo sospirò, dando
uno sguardo alle persone prima di lui. Ce n'erano ancora due,
così decise di farsi i cavoli suoi per un altro po' di
tempo. In dieci minuti fu davanti a un'impiegata.
- Come posso aiutarla? - gracchiò la donna, limandosi le
unghie.
- Mi chiamo Frank Iero, ho ricevuto una lettera che diceva che avete
qualcosa per me - riferì il moro, sbirciando oltre la spalla
della signora.
- Aspetti un attimo - disse quella, scomparendo dalla vista del
chitarrista e tornando al suo posto dopo tre minuti. - Ecco qua. Ha un
documento? - domandò. Frank annuì e glielo
mostrò, rimettendolo poi nel portafoglio.
- Ok, perfetto, tenga - borbottò la donna, allungandogli
sgraziatamente una busta. Il ragazzo la prese, ringraziò
l'impiegata e si congedò, uscendo rapidamente dall'edificio.
Una volta fuori, prese una gran boccata d'aria e si rilassò
un attimo sotto i raggi del sole. Poi decise di andare a sedersi sotto
un albero e aprire la busta. Camminò rapidamente fino al
parco più vicino e scorse Gerard in lontananza, ma si tenne
in disparte e si sedette in un posto isolato. Si appoggiò al
tronco di un castagno e aprì la busta, facendo scivolare la
lettera sulla mano destra. Sul davanti c'era scritto il suo nome,
così l'aprì, curioso. La lettera era scritta
molto fitta, con una calligrafia familiare al ragazzo, che
cominciò subito a leggere.
“Ciao, Frank,
sono io, la mamma. So che non ti ho mai scritto e che non ci siamo
parlati per un bel po' di tempo, ma volevo sapere come stavi e
aggiornarti dell'ultima triste novità. Te lo dico senza giri
di parole perché so che non ti piacciono e non li trovo
opportuni, specialmente in un momento come questo. Vorrei tanto dirtelo
a voce e spero mi perdonerai per non averlo fatto, ma non ce la facevo
proprio.. Vedi, Frank, l'altra notte tuo padre ci ha lasciato. Non so
bene tutti i particolari – non ho avuto il coraggio di
chiederli –, ma il poliziotto che mi ha chiamato ha detto che
c'è stato un incidente e che tuo padre ne è
rimasto coinvolto. È morto sul colpo, però,
quindi non ha sofferto. Questo mi fa stare un po' meglio,
perché significa che i suoi ultimi istanti sulla Terra non
sono stati segnati dal dolore e dalla tristezza..
Ascolta, Frank, so quanto tu stia soffrendo ora, leggendo queste righe,
ma credimi, riuscirai a superare pure questo. Ci riusciremo tutti, in
un modo o nell'altro; quindi ti prego di non fare niente di stupido e
di aggrapparti alla tua vita di tutti i giorni con denti e unghie.
Ti voglio bene e so che puoi superare anche questo ostacolo.
Vieni al funerale solo se te ne senti in grado, mi raccomando. Non
sforzarti inutilmente e cerca di tenere la mente lucida,
perché se dovesse accaderti qualcosa non me ne capaciterei.
Ti voglio tanto tanto bene, tesoro, e mi manchi davvero tanto. Avrei
voluto parlarti in un'altra circostanza, ma a volte il destino
è crudele e fa cose che non vorremmo facesse. Ricordati che
tuo padre ti guarda sempre, dall'alto, e che è sempre stato
fiero di te. Lui ti amava, Frank, come ti amo io.
Cerca di superare il colpo, e parlami se ne hai bisogno. Sono sempre
qui per te.
Con amore,
mamma.”
Frank si sentì invadere da un senso di malessere e tristezza
e si coprì gli occhi con le mani, incredulo. Dopo pochi
secondi scoppiò a piangere, forte, e a tremare. Strinse a se
la lettera, il profumo di sua madre che lo faceva sentire di nuovo a
casa, e cercò di trovare una spiegazione alternativa a
quello che era successo. Magari il poliziotto si era sbagliato, magari
aveva scambiato un altro uomo per papà e ora lui
stava tornando sano e salvo verso il suo appartamento, ignaro di tutto.
Cercò di aggrapparsi a quella realtà, ma
realizzò che era impossibile. Una fitta lancinante lo
colpì al cuore e le lacrime tornarono a scendere lungo le
sue guance, mentre stringeva i pugni e tremava. Si abbracciò
le ginocchia e pianse per una ventina di minuti, poi si alzò
e, asciugatosi il volto, si diresse verso casa. Una volta sotto le
finestre del proprio appartamento sentì del vociare e decise
di sgattaiolare via, per poter stare solo. Con gli occhi appannati
dalle lacrime, finì davanti a casa di Mikey, e decise di
salire.
- Mikes? - bussò. - Sei in casa? -
Un rumore di passi si levò dalla stanza, e il bassista venne
ad aprire.
- Ehilà! Se cerchi Gerard hai preso un granchio, non
è qui - sorrise.
- A dire il vero non cercavo lui.. - sussurrò il moro.
- No? E allora cosa..? - Frank sprofondò la faccia nel petto
di Mikey prima che quello potesse finire la frase. Stupito, il ragazzo
gli accarezzò la testa e lo strinse a se, mentre il moro
scoppiava a piangere.
- Woah, woah, che succede? - gli domandò, spaventato.
- Mio padre.. - sussurrò Frank tra un singhiozzo e l'altro.
- Che c'entra tuo padre? - chiese nuovamente Mikey con voce dolce,
senza capirci nulla.
- Lui è.. è morto - gemette il ragazzo,
stringendo la camicia di Mikes con le mani.
- Oddio - esclamò quello sottovoce. - Mi dispiace
tantissimo, Frankie. Avanti, entra, ti preparo qualcosa di caldo -
sussurrò, facendolo sedere sul divano. Frank non
alzò gli occhi da terra e continuò a tremare,
mentre l'amico gli preparava un the. Tornò in salotto dopo
pochi minuti, stringendo una tazza bianca.
- Ecco, tieni, bevine un po' - lo convinse porgendogliela e sedendosi
accanto a lui. Il moro lo guardò con occhi vitrei e bevve,
senza dare importanza al calore della bevanda.
- Grazie, Mikes.. - sussurrò. L'altro lo strinse e gli
carezzò la schiena, tranquillizzandolo.
- Puoi stare qui tutto il tempo che ti serve - disse con tono
comprensivo. - Io cercherò di aiutarti - aggiunse con un
sorriso. Frank lo ringraziò mentalmente, abbandonandosi al
suo abbraccio.
Erano all'incirca le otto quando il moro tornò a casa. Le
luci erano accese, quindi Gerard era nell'appartamento. Frank
sospirò e salì velocemente le scale, aprendo la
porta e guardandosi intorno. Il rosso non era lì ad
aspettarlo. Varcò la soglia e posò le chiavi sul
bancone, andando poi a cercare il ragazzo. Stava giusto controllando in
sala da bagno, quando l'altro gli saltò addosso.
- Gee! - esclamò il moro, stupito.
- Hey - sorrise quello. - Come mai hai fatto così tardi? -
domandò baciandogli l'orecchio.
- Niente di che, sono passato a trovare Mikey - buttò
lì scrollando le spalle. Gerard annuì,
baciandogli più volte il collo e facendo scorrere le mani
lungo i suoi fianchi fino a trovare le sue anche. Gli tastò
il sedere e fece girare il fidanzato, stringendolo a se e baciandolo a
fondo. Frank ricambiò il bacio, riluttante, ma
scansò le mani del rosso, che si fermò
immediatamente.
- Cosa c'è? - domandò. - Qualcosa non va? -
- No, niente - mentì il moro, scuotendo la testa. -
È che sono molto stanco e vorrei dormire un po', se a te va
bene - aggiunse.
- Vuol dire che mi ammazzerò di seghe in bagno -
scherzò Gerard alzando gli occhi al cielo. - Va pure, e
dormi bene - disse schiaffeggiandogli le natiche.
Frank sorrise e scivolò via, svestendosi e infilandosi sotto
le coperte. Il rosso lo guardò sospirando e si stese accanto
a lui, spegnendo la luce.
La mattina dopo, il chitarrista si svegliò per primo.
Preparò la colazione, lasciò un biglietto per Gee
e scappò via prima che quello si svegliasse.
Quaranta minuti dopo, il cantante si stiracchiò e
fissò il letto vuoto accanto a se, poi si alzò e
mangiò quello che gli aveva lasciato il fidanzato.
“Chissà che gli prende” si
domandò. “Spero non sia niente di
grave..” aggiunse con una smorfia. Non voleva perderlo per
nulla al mondo. Lavò i piatti, andò in bagno, si
cambiò e uscì.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Frank
stava camminando da ormai due ore quando aveva improvvisamente
cominciato a piovere. Il ragazzo imprecò e si nascose sotto
un portico, aspettando il ritorno del sole. Si sentiva incredibilmente
depresso, e la pioggia non lo aiutava di certo. Si sedette sul
marciapiede, guardando la gente correre per strada, e
ripensò a suo padre. Ripescò la lettera dal fondo
dei pantaloni e l'aprì, rileggendola velocemente. Il
funerale era stato programmato per il 7, e quel giorno era solo il 3.
Si strinse le ginocchia al petto e sospirò. Era abituato
all'assenza del padre, ma ora che sapeva che non lo avrebbe
più rivisto si sentiva diverso e desiderava avergli parlato
di più, essergli stato più vicino. Non aveva mai
avuto una conversazione vera e propria con lui, non una importante, di
quelle che tutti hanno coi propri padri. Non aveva avuto un gran bel
rapporto con lui, ma questo perché non avevano mai provato
ad avvicinarsi l'uno all'altro. E ora era troppo tardi.
Strinse gli occhi per cacciare indietro le lacrime e si alzò
in piedi, avvicinandosi a un portone di legno verde grande il doppio di
lui. Citofonò e la porta si aprì, inghiottendolo
e richiudendosi sotto il suo tocco deciso.
Il telefono squillò a vuoto per un paio di minuti, poi
Gerard riattaccò. Posò la schiena contro il muro
e buttò indietro la testa, sospirando. “Non
risponde ancora..” Si strinse i capelli delicatamente,
esercitando una lieve pressione sulla pelle e facendosi leggermente
male. L'attesa lo stava facendo impazzire. Controllò
nuovamente il display del telefono e lo scaraventò sull'erba
nel vedere che Frank non aveva ancora risposto ai suoi messaggi o alle
sue chiamate. “Eppure sono ore che lo cerco”
constatò. Si alzò in piedi e girò in
tondo per un po', poi controllò nuovamente il cellulare e
sospirò.
- Fanculo - imprecò.
Diede un calcio alla lattina di fronte a lui e si allontanò,
le mani in tasca e la testa tra le nuvole. Chissà che aveva
Frank, e chissà perché lo stava evitando. Sapeva
solo che c'era qualcosa che non andava, ma che avrebbe dovuto scoprirlo
da solo.
———
Anche quella sera Frank tornò tardi. Gerard gli
andò incontro e lo abbracciò, inspirando il suo
odore.
- Mi manchi, sai? - sospirò dopo un po'.
- Ma se non me ne sono mai andato! - rise il moro.
- Da come ti comporti, non si direbbe - ribatté l'altro,
amaro, dirigendosi verso il divano senza aspettarsi alcuna risposta.
Quando si svegliò, il rosso era di nuovo solo. Fece una
smorfia addolorata e si rimise a dormire, sperando che il tempo
passasse più in fretta. Si svegliò che erano le
cinque, così si vestì e andò a fare un
giro. Camminando per strada incrociò l'amante e
cercò di fermarlo, ma lui disse che aveva da fare e
scappò via. Ferito, Gerard lo guardò allontanarsi
e con una morsa alla bocca dello stomaco riprese a passeggiare. Dopo
un'oretta tornò a casa e si sedette sul divano in compagnia
di una cassa di birra, a pensare.
Frank arrivò a casa prima del solito - verso le sette, sette
e mezza - e annunciò che avrebbe cucinato lui. Gerard lo
lasciò fare e si stese sul letto, accanto alla sua borsa.
Senza farsi vedere l'aprì e ci sbirciò dentro.
Stupito, infilò dentro la mano e ne tirò fuori un
pacchetto di antidepressivi.
- Che cosa sono questi? - sussurrò. - Frank, cosa sono
questi? - ripeté, la voce che gli moriva in gola. Frank lo
fissò con occhi sbarrati, spaventato. Il rosso non avrebbe
dovuto saperlo.
- Frankie, ti prego, dimmi che non sono tuoi.. - mormorò
Gerard, guardandolo speranzoso. Il moro deglutì, abbassando
lo sguardo. Il cantante tacque, rigirandosi l'involucro tra le mani, e
poi lo lanciò a terra.
- Frank, mi hai deluso.. - sibilò con un filo di voce. - Io
non ne sapevo niente, di queste pasticche qua. Mi sono preoccupato
tutti i giorni e mi sono sentito male come un cane perché
non capivo che ti stesse succedendo, e poi puf, scopro che ti comporti
così perché vuoi prendere le tue pasticche in
santa pace. Non me ne hai mai neanche parlato, e questo la dice lunga
sul quanto t'importi di me. Se non riesco a farti felice dimmelo. Anzi,
aspetta, il problema non si pone più, perché tra
noi è finita - concluse, sbattendosi la porta alle spalle.
Frank rimase immobile, gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, e
crollò in ginocchio. Scoppiò a piangere e si
rannicchiò nell'angolino, tenendosi la testa tra le mani.
Fanculo, fanculo, fanculo. Perché la vita doveva essere
così crudele? Perché non gliene andava una
dritta? Imprecò e sbatté la testa contro il
mobile qualche volta, poi gattonò fino ai piedi del letto e
fissò quelli che avevano distrutto la poca
felicità rimasta nella sua vita. Si sentì
improvvisamente impotente e inutile, così si
ficcò in bocca una pasticca e cercò di chiamare
Gee.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Occupato.
Occupato. Irraggiungibile. Occupato. Irraggiungibile. Occupato.
Occupato. Irraggiungibile. Occupato.
Non è che la segreteria di Gerard desse molte soddisfazioni,
a dire il vero. La maggior parte delle volte il ragazzo lasciava
squillare il telefono finché Frank non desisteva dal
chiamarlo, anche se altre volte era lui a chiamare qualcuno. Aveva
bisogno di parlare, si sentiva arrabbiato, tradito, e voleva solo
sfogarsi con chi potesse capirlo. Compose velocemente il numero di Bob
e fissò un appuntamento con lui per il 7 mattina. Una volta
riattaccato il telefono, rifiutò l'ennesima chiamata di
Frank e andò a dormire, spegnendo il cellulare. Che andasse
pure a farsi fottere.
Durante i giorni che precedevano il 7, il rosso tenne il cellulare
staccato e ignorò ogni tentativo di Frank per parlare con
lui. Quando venne a citofonare sotto casa sua, Gerard gli
rovesciò addosso una pentola d'acqua e gli urlò
di andarsene perché aveva già fatto abbastanza
danni e non voleva più avere a che fare con lui.
Tirò le tende e si sdraiò sul letto, al buio,
passandosi le mani sul volto. Frank proprio non riusciva a capire
quanto si sentisse tradito, ferito e inutile, e questo irritava Gee.
Voleva essere lasciato solo per un po', in modo da poter pensare e
decidere cosa fare, ma il moro continuava a stressarlo e a chiedergli
di parlare. Gerard tirò qualcosa contro il muro.
- Merda - imprecò. - Se ne andasse a fanculo, mi farebbe un
piacere - aggiunse, irritato. Si alzò e raccolse i cocci
della foto che aveva tirato. Erano loro due insieme, abbracciati, e
Frank sembrava davvero felice. Gerard guardò la foto per un
po', malinconico, e poi la poggiò sul bancone.
Acchiappò il cellulare, lo accese e chiamò Mikey,
chiedendogli di uscire quel pomeriggio stesso. L'altro
accettò, così il rosso si ficcò le
chiavi in tasca e uscì. Arrivò al parco in tre -
quattro minuti, poco prima del fratello. Appena lo vide, lo
salutò e gli andò incontro, correndo.
- Mikes! - esclamò.
- Ehilà - sorrise quello. - Come mai tutta sta fretta di
vedermi? - domandò. Gerard si lasciò sfuggire un
sospiro e gli raccontò degli antidepressivi, di come avesse
lasciato Frank e di come si sentisse in quel momento. Mikey
ascoltò in silenzio, senza interromperlo nemmeno una volta.
- Ma come, non lo sapevi? - gli domandò alla fine, stupito.
- Sapevi cosa? - ribatté il rosso.
- Il padre di Frank è morto due giorni fa. È per
questo che è sotto antidepressivi - lo informò il
fratello minore. - Non voleva dirtelo perché pensava ti
saresti preoccupato troppo - aggiunse, guardandolo dritto negli occhi.
Gerard sgranò gli occhi e trattenne il respiro per una
manciata di secondi.
- V-vuoi dire che..? Cazzo, devo subito correre da lui! -
realizzò, scattando verso la casa del moro. Si
maledì mentalmente per essere stato così stupido
e corse il più velocemente possibile, bruciando ogni singola
particella di ossigeno presente nei suoi polmoni. Arrivò
sotto casa dell'altro in dieci minuti e prese a citofonare in
continuazione, spaventato.
Quando Frank tornò a casa erano le undici circa. Si
lasciò cadere sul letto, inumidendolo con i vestiti fradici,
e scoppiò a piangere. Gerard non voleva più
vederlo. La sua vita era distrutta. Si tirò a sedere e si
asciugò gli occhi, rigirandosi tra le mani l'involucro di
pasticche. “Ma sì, perché no. In fondo
che altro posso fare?” si domandò, respirando a
fondo. Diede un'ultimo sguardo alla foto sul comodino, a Gerard, e
tirò su col naso. Cercò un foglio di carta e ci
scribacchiò sopra qualcosa, posandolo poi sul bancone,
accanto alla maglietta del pigiama del suo ex ragazzo. Sorrise,
annusando il suo odore, poi ingoiò una ventina di pasticche.
Deglutendo, pensò che finalmente avrebbe smesso di soffrire
per davvero e che ora lo aspettava solo la pace eterna.
- Dannazione! - imprecò Gerard, prendendo a spallate il
portone. - Aprite questa cazzo di porta, avanti! - continuò.
Il portiere venne ad aprire e lo squadrò da capo a piedi,
riconoscendolo.
- Be'? - domandò.
- Ho dimenticato le chiavi nell'appartamento. È una faccenda
importantissima, mi servono le sue a tutti i costi! - rispose
velocemente Gee. - La prego - aggiunse, guardandolo dritto negli occhi.
- Va bene, va bene, tieni - acconsentì il vecchio, dandogli
la chiave.
- Grazie mille! - esclamò il rosso correndo su per le scale.
Si fermò un attimo davanti alla porta di Frank per
riprendere fiato, poi entrò.
- Frankie? - lo chiamò. - Frankie, sei in casa? -
ripeté. Silenzio. Si guardò attorno, lo stomaco
chiuso e un brutto presentimento che gli attanagliava la testa. Si
avvicinò al letto e vide che sul comodino non c'era
più la loro foto. Imprecò, indietreggiando, e
andò a sbattere contro il bancone. Fu allora che si
girò e la vide. Una lettera di Frank, per lui. Il ragazzo
l'aprì, senza sapere cosa aspettarsi, e la lesse in pochi
minuti.
- Oh, no! - esclamò. - No, no, no, no, no! -
sussurrò, cominciando a tremare. Corse in cucina, ma la
stanza era vuota, come la sala da letto e il salotto. Si
fiondò in bagno e finalmente lo vide. Si stava abbracciando
le ginocchia, rannicchiato dentro la vasca, e accanto a lui c'era la
foto mancante.
- Frank - lo chiamò Gerard, - Cristo, Frank! -. Gli si
avvicinò velocemente e lo tirò fuori dalla vasca,
facendo attenzione a non fargli male. Lo strinse a se e lo
voltò, in modo da vedergli il viso. Non respirava. Gerard
scoppiò a piangere, disperato, e lo strinse ancora
più forte. Lo chiamò tra i singhiozzi e
sprofondò il viso nel suo petto, ispirandone l'odore e
cercando di intravedere un minimo movimento del torace. Piangente, si
rannicchiò accanto a lui e gli fece compagnia per ore,
finché non ebbe la forza di chiamare qualcuno.
Posò il telefono e guardò il suo ragazzo,
tremante.
- Frank.. Se puoi sentirmi, voglio che tu sappia che ti amo e che sono
stato un coglione.. Mi dispiace veramente tanto, è tutta
colpa mia.. - singhiozzò nascondendo il viso tra le mani.
Una folata di vento tiepido gli accarezzò i capelli e per un
attimo a Gerard parve che il moro stesse sorridendo. Commosso, lo
strinse nuovamente a se e gli sfiorò le labbra con un bacio.
- Addio, Frank - sussurrò. - Ti amerò per sempre
-.
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