Stand By Me

di solocate
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Crossroads ***
Capitolo 2: *** Starting Again ***
Capitolo 3: *** The Mess I Made ***



Capitolo 1
*** Crossroads ***


Era l’ultimo giorno di scuola e la campanella risuonava nei corridoi della Conseel High: quell’anno era ufficialmente finito.
Una studentessa del terzo anno, Jamie Wright, abbracciò forte le sue due migliori amiche.
«Ci vediamo stasera?» le chiese Elizabeth. Jamie fece di no con la testa e Natalie le sorrise mestamente: i suoi genitori non le avrebbero mai permesso di andare a quella festa.
Si salutarono con un gesto della mano ed ognuna prese la propria strada. 
La ragazza uscì dall’edificio e salì sul grande autobus giallo, gremito di studenti del primo e secondo anno; fu obbligata a sedersi in seconda fila, circondata dal caos che proveniva dalle matricole.
Alla settima fermata scese e percorse il resto del tragitto – circa 500 metri – a piedi.
Arrivata al numero 49 di Westwheel Road entrò in casa per poi riuscire dalla porta sul retro, dove i suoi l’attendevano in giardino.
«Ciao Jamie» dissero in coro i suoi genitori.
La signora Wright era una donna di bell’aspetto, sempre ordinata ed impeccabile: i lunghi capelli biondi erano puntualmente raccolti in un ordinato chignon, ed il corpo sottile avvolto in vestiti di seta o lunghe gonne di lino.
Il signor Wright, invece, era un uomo un po’ maldestro, con uno scarso senso dello stile – soprattutto perché soffriva di daltonismo.
Era alto e robusto, intelligente ma poco permissivo riguardo la vita sociale della sua unica figlia.
In quel momento, stava lucidando la sua preziosa Mustang del ’46, mentre sua moglie Linda aveva appena svuotato la cassetta delle poste.
Jamie ricambiò il saluto e tornò dentro casa; salì velocemente in camera e lasciò cadere lo zaino sulla sedia di faggio.
Sentiva lo strano bisogno di stare un po’ da sola, come se avesse sofferto tutto il giorno.
 Ogni volta che un compagno le camminava a fianco, o quando le voci della gente si sovrapponevano oscurando i suoi pensieri, lei si sentiva turbata.
Spesso pensava di odiare non tanto la gente, ma il modo in cui sembrava essere ovunque: lei non si sentiva al sicuro.
Passarono alcuni minuti prima che si decidesse a scendere le scale; arrivata al pianterreno, tolse la carne dalla griglia e la portò sul tavolo in giardino.
I suoi l’aspettavano seduti a tavola, presi a sfogliare insieme delle carte: entrambi sembravano felici e soddisfatti.
Jamie appoggiò la pentola e si sedette, aspettando che qualcuno iniziasse a mangiare. 
«È fantastico» esclamò sua madre, quasi stritolando il braccio del marito.
La ragazza non si mosse ed aspettò pazientemente affinché qualcuno gli dicesse cosa stava accadendo.
«Hanno accettato la mia proposta» spiegò poco dopo suo padre  «L’azienda ha accettato la mia proposta. Costruiranno una fabbrica a Castle Rock, ed io tornerò a lavorare lì..» «Noi tutti torneremo a casa» aggiunse sua madre.
Non era troppo contenta di lasciare Saint Andrew, ma l’idea di tornare nel posto in cui era cresciuta, tra vecchi amici e vecchie abitudini, era allettante.
La sua famiglia si era trasferita in Ohio alla fine del ’55, quando Jamie aveva 13 anni: il lavoro del signor Wright non pagava abbastanza.
Scrivendo spesso al fratello, Linda aveva scoperto che il suo migliore amico aveva un posto da offrirgli nella fabbrica di jeans della città.
Per la loro unica figlia era stato un duro colpo abbandonare tutto con così poco preavviso: ora sarebbe stato un altro paio di maniche con Saint Andrew.
[…]
Jamie si svegliò appena il motore si spense, aprendo d’istinto gli occhi.
Scese dalla macchina per prima e guardò la casa; era proprio come se la ricordava: la veranda era due scalini più in alto rispetto al terreno, le due finestre ai lati dell’entrata lasciavano intravedere cucina e sala.
Le finestre al piano di sopra corrispondevano alle camere da letto.
Indecisa, si avvicinò alla porta e girò la maniglia, trascinando la valigia dietro di sé.
Quando entrò, trovò davanti a se le scale, alla sua sinistra il piano cottura e alla sua destra un televisore ed un piccolo divano.
«Casa dolce casa» borbottò suo padre varcando la soglia.
Jamie abbozzò un sorriso e salì le scale, girò a destra ed aprì la porta.
La sua vecchia camere era piena di scatoloni ed oggetti imballati: ricoprivano la superficie del tavolo, il letto di fronte e l’interno dell’armadio – sistemato accanto alla porta.
Appoggiò la valigia sopra il letto e cominciò a svuotarne il contenuto, sistemandolo nella stanza.
I suoi libri preferiti presero posizione sulla mensola sovrastante la scrivania, i vestiti furono ripiegati e sistemati nel mobile di olmo; tutti gli altri oggetti vennero sistemati al loro vecchio posto.
Alla fine si guardò intorno soddisfatta, e decise di uscire per fare un giro nel quartiere.
Iniziò a camminare verso nord, ed osservò con attenzione il proprio vicinato dal piccolo marciapiede: i giardini delle case erano verdi o inariditi, ciò distingueva a grandi linee le famiglie ricche e quelle meno agiate.
Le macchine, lei lo notò poco dopo, erano notevolmente aumentate nel giro di cinque anni: Castle Rock sembrava solo un po’ più rustica di Saint Andrew e delle altre grandi città.
Quando arrivò alla fine dell’isolato fece retro-front e lungo il ritornò cercò di ricordarsi i cognomi delle famiglie che vi abitavano: Stuart, Green, Jones.. Tomson, Philips, Heltics, Mercury..
Alcune erano ancora in quelle case, altre avevano cambiato residenza, ed il nome sulla cassetta delle lettere era stato verniciato e sostituito.
La stessa sorte era toccata alla loro, che prima del ritorno portava il cognome “Kingston” a grandi lettere dorate.
Prima di rientrare in casa, Jamie raccolse la bottiglia di latte dal pavimento e varcò la soglia.
Tornò rapidamente in camera, ignorando i genitori ipnotizzati davanti alla televisione; prese carta e penna, iniziando a scrivere di getto.
“Care Elizabeth e Natalie,
Mi mancate già. Mi dispiace di non essere lì con voi, di non mantenere le promesse e i programmi che avevamo fatto.
Domani inizierò la scuola.. Mio padre ha organizzato tutto, ha lasciato a me solo la scelta dei corsi da frequentare.
Ho scelto: storia americana, arte, musica, matematica, inglese, filosogia e letteratura.
Pensate di poter riuscire a scrivermi almeno ogni due settimane? Sarebbe fantastico.
Vi voglio bene, davvero.
Con affetto, Jamie”
La ragazza chiuse la lettere nella busta e la ripose sulla mensola: l’avrebbe spedita il pomeriggio seguente, non aveva voglia di uscire di nuovo.
Non era felice di quello che era successo, odiava dover fare cose che gli altri volevano: ma era troppo giovane e decidere, e troppo grande per fare capricci.
Una sola cosa la teneva tranquilla, la faceva pensare prima di agire e fare stupidaggini: “tutto accade per una ragione”, continuava a ripetersi.

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Capitolo 2
*** Starting Again ***


 Chris  Gordie
  Vern   Teddy  Jamie



Quel Lunedì Jamie si svegliò alle sei: si cambiò, si pettinò pazientemente i lunghi capelli neri e scese a preparare la colazione.
Sistemò le tre ciotole di fiocchi d’avena di fronte alle sedie, poi scaldò l’acqua per il caffè in polvere, aspettando che la spia rossa si accendesse.
Prima che ciò accadesse, sua madre scese le scale con addosso vestaglia e bigodini.
La differenza tra madre e figlia era evidente: la prima era sempre in ordine, con ogni riccio al suo posto e la gonna sempre abbinata alla camicia; l’altra aveva i capelli di suo padre, gli occhi di un comunissimo marrone scuro, e preferiva indossare jeans e t-shirt.
Quando le raggiunse il signor Wright, Jamie tolse la caffettiera dalla base e riempì le tazze.
Si sedettero e mangiarono con calma: George finì di sorseggiare il caffè coperto dal giornale, lei ne approfittò per uscire.
Si sedette sul gradino della veranda ed iniziò a leggere “Orgoglio e Pregiudizio”, aspettando l’arrivo dell’autobus.
Aveva appena iniziato a leggere il secondo capitolo, quando il grande veicolo giallo svolto e si fermò per farla salire; Jamie si sedette e riprese a leggere.
Trovava Elizabeth singolarmente sveglia ed acida al punto giusto, questo fece di lei uno dei personaggi preferiti fin dall’inizio.
Il bus attraversò cinque isolati, poi svoltò e si diresse verso est, in direzione della scuola.
Quando si fermò per far scendere gli studenti, la ragazza aspettò di rimanere sola: prese un respiro profondo, e prese il coraggio per scendere.
Atterrò sul marciapiede gremito di studenti: le urla e le risate sembravano il ricordo di un sogno lontano, i volti familiari parevano comparse di un film visto tempo addietro.
Tutto era lontano anni luce, e allo stesso tempo faceva inesorabilmente parte del presente.
Intimidita, abbassò lo sguardo ed entrò nell’edificio, evitando le facce curiose che la osservavano.
Aveva 18 anni e si trovava a ricominciare tutto da capo, come se non fosse stato già abbastanza difficile 5 anni prima.
Jamie tirò fuori dallo zaino il foglio con gli orari ed i nominativi delle classi: la prima ora, che sarebbe cominciata in dieci minuti, era quella di musica.
Professoressa McDomel, aula A09.
Prima di andare, ripose i suoi effetti personali nell’armadietto.
Le bastò seguire una massa di studenti del quarto anno per arrivare presto a destinazione: l’aula in questione era quasi piena.
L’insegnante era seduta sulla cattedra e parlava animatamente con alcuni alunni: era una donna sulla trentina, giovanile e alla mano.
Al suono della campanella si sedettero tutti, e la donna con i capelli biondi iniziò a parlare
«Buongiorno a tutti: io sono la vostra insegnante di musica» disse scrivendo il suo nome alla lavagna.
«Alcuni di voi mi conoscono già, per altri invece è il primo anno.. Benvenuti!».
Sorrise aggraziatamente, e tutti i ragazzi del corso assunsero un’espressione poco intelligente.
Jamie alzò gli occhi al cielo e sul suo volto apparve una smorfia.
«Nuovi studenti, alzatevi in piedi» disse la professoressa in tono solenne.
Lei ed altri due ragazzi erano ora al centro dell’attenzione.
«Nomi?» «Mareen» «Wright» «Tessio» borbottò l’ultimo ragazzo.
Vern Tessio faceva parte della combriccola che Jamie aveva frequentato fin dalla nascita.
Era sempre stato un ragazzotto tondo ed anche un po’ stupido: veniva puntualmente preso in giro - dalla sua banda scherzosamente, dagli altri con cattiveria.
Ora davanti a lei c’era un ragazzo di bella presenza, ma sempre insicuro.
«Suonate qualche strumento? Cantate?» Vern fece segno di no, e Mareen disse di aver studiato flauto alle medie.
«Wright?» «Suono la chitarra» tagliò corto lei.
La professoressa sorrise e proseguì «Bene: la prossima lezione sfrutteremo il laboratorio che il consiglio studentesco ha deciso di fornirci»
Passarono il resto dell’ora a parlare dei loro gusti musicali: menzionarono Elvis, B.E. King, Chuck Berry e Johnny Cash, i percursori del rock n’ roll.
Al suono della campanella uscirono dalla classe tra il malcontento generale, perché le seguenti ore sarebbero state decisamente meno interessanti.
«Cristo Santo, sei proprio tu!» esclamò Vern, avvicinandosi alla sua vecchia amica.
«Sei Jamie, Jamie Wright! Sei tornata!» continuò concitato.
«Ciao Vern» rispose lei «Come stai?»
«Tutto bene. Ma che fine hai fatto? Gli altri ci rimarranno quando gli dirò che sei qui. Quasi non ti riconoscevo prima!» disse tutto d’un fiato.
«Vern, ora devo andare, ma parleremo con calma» disse Jamie allontanandosi.
Si sorrisero, poi ognuno prese la sua strada.
Il resto della giornata passò con una velocità incredibile: all’ora di pranzo, Jamie diede un paio di morsi alla mela che si era portata da casa, poi uscì e si sedette lontano dagli altri, sotto l’ombra di un cipresso.
Finì di leggere il terzo capitolo del libro, e quando la campanella suonò rientrò per la lezione di letteratura.
Arrivò tra i primi e decise di sedersi all’ultimo banco, aspettando: era certa che lì avrebbe incontrato Gordie.
Gordie Lachance era il ragazzo più talentuoso e brillante che lei avesse mai conosciuto: oltre ad essere uno studente modello, riusciva ad inventare e scrivere delle storie fantastiche, catturando l’attenzione di chiunque.
Jamie osservò ogni volto che faceva capolino nella classe, finchè non riconobbe quello allungato e pallido del suo vecchio amico.
A differenza di Vern, Gordie non era cambiato molto. Era solo un po’ più alto, il corpo sottile e gli occhi da cerbiatto che tanto odiava erano ancora lì.
Passò tutta l’ora a cercare lo sguardo del suo vecchio compagno di avventure: sperava di risentire la sua voce, come se bastasse a farla ritornare indietro nel tempo.
E poi successe, quando meno se l’aspettava: il ragazzo si girò e, sentendosi osservato, ricambiò lo sguardo.
Passarono alcuni attimi prima che si rendesse conto di chi lei fosse. A quel punto rimase a bocca aperta, e Jamie lo salutò rapidamente, cercando di non farsi vedere dal professore.
Gordon le fece segno di uscire: Jamie chiese di andare in bagno, e lui finse di sentirsi poco bene qualche minuto dopo.
Quando furono nel corridoio vuoto, si abbracciarono.
«Io non ci posso davvero credere» disse lui staccandosi «Sei davvero qui?» chiese incredulo.
«Sì, sembra di sì»
Jamie si sentiva stranamente a suo agio, come se non fosse passato un istante dall’ultima volta in cui si erano parlati.
Evasi dalla lezione di letteratura, ebbero modo di raccontarsi le avventure che non avevano condiviso e le novità che lei si era persa.
Dopo essersi detto abbastanza, Gordie decise di chiedere a Jamie la prima cosa che aveva pensato quando l’aveva vista.
«Penso che ora tu mi debba spiegare una cosa» iniziò, serio.
«Promettimi che mi risponderai in modo sincero, anche se la domanda è scomoda» «Qualsiasi cosa» disse lei.
Gordie era visibilmente agitato: sfregava le mani contro il tessuto ruvido dei jeans, e sembrava non essere mai pronto per formulare quella domanda.
«Non ti mangio mica. Dai, tranquillo»
Un sospiro, e poi finalmente parlò «Sapevamo tutti che tu te ne saresti andata. Perché ci hai vietato di dirlo a Chris?»


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Vi chiedo scusa, perché mi sono resa conto di essere estremamente piatta e noiosa. Meglio tardi che mai, no?
Il prossimo capitolo sarà.. diverso, spero. 

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Capitolo 3
*** The Mess I Made ***


“Qualsiasi cosa” aveva detto. Ma quanto era stata idiota?
Solo ora che si ritrovava a balbettare se ne rendeva conto: e più lo realizzava, più era tentata di prendersi a calci da sola.
«Sto aspettando» disse Gordie, un espressione tra la curiosità e la presunzione che misero in ulteriore difficoltà Jamie.
«Non devi dirglielo» fu l’unica cosa che riuscì a dire. Gordie annuì, calmo.
«Io provavo qualcosa per Chris. So che avevamo tredici anni, e so che è stupido, ma io penso ancora a lui.
Pensavo a lui quando me ne sono andata, pensavo a lui quando ho preparato le valigie per tornare qui.
Non sono riuscita a dirgli “addio”» confessò lei, scrutando l’espressione dell’amico.
Gordie lo sapeva e l’aveva sempre saputo: conosceva Chris e Jamie abbastanza bene per sapere cosa pensavano l’uno dell’altro..
«Lo immaginavo, sai?» rivelò trionfante «Penso che dovreste incontrarvi.. anche se forse ci vorrà un po’ di pazienza?»
“Pazienza?!” pensò Jamie «A cosa ti riferisci?»
«Quando ha scoperto che noi sapevamo non ci ha rivolto parola per tutta l’estate, ci odiava – non credo che ti accoglierà a braccia aperte» mi fece notare.
Chris aveva ragione: una delle poche persone che lo capivano davvero, se n’era andata senza proferire parola.
«Vuoi una mano?» chiese Gordie «Posso farvi incontrare, se vuoi» Jamie annuì.
«Vediamoci stasera. C’è una festa a casa di Priscilla Londer, ci sarà anche Chris»
Il suono della campanella interruppe ogni domanda di Jamie: la giornata era finita, poteva tornare a casa.
Salutò rapidamente l’amico, lo ringraziò e si affrettò ad uscire, per evitare di scontrarsi con la massa di studenti in uscita dalle aule.
***
Passò la serata a torturarsi e riflettere su ciò che era giusto da fare.
La decisione fu semplice, molto più di quanto aveva previsto: infrangere le regole.
Chiuse tutte le finestre e simulò la forma del suo corpo sotto le coperte.
Scese di sotto con il pigiama e salutò i propri genitori: quando tornò in camera, si cambiò e si sedette sulla finestra, poco convinta del suo piano.
Si aggrappò all’albero che affiancava la casa, poi scese: miracolosamente, i suoi genitori non si erano accorti di nulla.
Si allontanò con calma, sistemandosi come meglio poteva il vestito che indossava.
Sì, avete letto bene: indossava un vestito. E, per la cronaca, non si sentiva affatto a suo agio.
Ma se voleva passare inosservata ad una festa alla quale non era stata invitata, non poteva permettersi il lusso di essere se stessa.
Casa Londer, da quel che si ricordava, era a 200 metri da casa sua: una volta, per volere di sua madre, aveva passato un pomeriggio a casa della fantastica Priscilla.. E aveva imparato la differenza tra lei ed il resto delle ragazzine della sua età.
Priscilla era una baby modella: aveva partecipato a numerosi concorsi, e spesso sfoggiava stupidi vestiti sulle riviste locali. Era l’orgoglio dei suoi genitori, perché bella e vincente.
Era invidiata da tutte le bambine – da tutte tranne che lei. Spesso si era chiesta se ci fosse qualcosa che non andava, se non fosse stata capace di provare le giuste emozioni; era tormentata dalla consapevolezza di essere diversa.
Ed ora si trovava lì, di nuovo: quando vide le luci intermittenti e sentì la musica, capì di essere nel posto giusto ed entrò.
La sala, composta da due divani ed un piccolo tavolino, era piena di ragazzi intenti a ballare e parlare a gran voce.
Jamie avrebbe voluto chiudere la porta alle sue spalle e tornare a casa, tranquilla nella sua camera; ma naturalmente le cose non potevano andare così.
Vide un paio di braccia muoversi nella parte opposta della stanza: sembravano voler attirare la sua attenzione.
Raggiunse Gordie camminando attaccata alla parete, provocando un risolino trattenuto da alcune ragazze che ballavano accanto all’ingresso.
«Ciao Jamie. Senti, vai di sopra, la prima camera a sinistra, e aspetta. Cercherò di portarci Chris» disse.
Annuì e seguì le sue istruzioni; si sentiva un po’ stupida per quello che stava per fare.
Non era sicura della reazione di Chris: per quanto ne sapeva, avrebbe anche potuto anche sferrare un pugno in faccia a Gordon. Avrebbe anche creato un po’ di scompiglio nella banda.
No, non voleva far danni: voleva solo vedere il suo vecchio amico, voleva chiedergli scusa, voleva abbracciarlo, voleva..
Si sentiva egoista, ora più che mai: più passavano i minuti, più si pentiva di ciò che stava per fare.
La musica martellava sulle mura e nel suo addome con un ritmo ipnotizzante e pungente.
Si alzò, decisa ad andarsene: “spiegherò tutto a Gordie più in la” pensò.
Stava per girare la maniglia, quando qualcuno – dall’altra parte – anticipò la sua mossa.
Indietreggiò e il suo cuore iniziò a battere più forte: Gordie entrò nella stanza, seguito da un ragazzo: Chris.
Non aveva più i capelli rasati: ora lunghe ciocche bionde incorniciavano perfettamente il suo viso, dai contorni morbidi ma decisi.
Le giornate passate a giocare a baseball avevano portato ad un fisico slanciato e non troppo muscoloso.
Il tutto passava inosservato quando, guardandolo negli occhi, potevi rispecchiarti in una superficie bluastra (a tratti verde) e rimanere senza fiato.
Chris guardò prima lei poi l’amico, confuso. La guardò ancora: Jamie arrossì violentemente, e serrò la mascella, nervosa.
Ci volle qualche attimo prima che la riconoscesse, e quando accadde si bloccò, e il suo viso assunse un’espressione vuota.
«Chris?» chiamò Jamie, senza ricevere risposta «Si sente bene?» chiese poi a Gordie.
Questo alzò le spalle, confuso.
«Vi lascio soli» disse uscendo in fretta dalla stanza.
Chris rimase lì, ma sembrò più lucido quando finalmente parlò «Quindi sei tornata»
Non era una domanda, ma Jamie rispose comunque «Sì.»
«Perché?»
Non c’era da stupirsi che fosse così freddo; era già molto sentirlo aprir bocca in quella occasione.
«Mio padre ha trovato lavoro qui» rispose subito lei.
«Mmh» Chris stava studiando il viso di Jamie: una parte di lui avrebbe voluto sputare fuori tutto il rancore che aveva coltivato in quegli anni, mentre l’altra – la più fragile – pensava a quanto lei fosse bella in quel momento.
«Io.. Sono venuta qui per dirti che mi dispiace, nient’altro. Mi dispiace» «Uh, va bene» «”Va bene”?»
«Sì, va bene. Non m’importa un granché» disse.
Jamie era nervosa, e come ogni volta dovette trattenere le lacrime. Non era debole, ma neanche forte – soprattutto se si parlava di cose che gli stavano a cuore.
«Okay» sussurrò «me ne torno a casa». Puntò lo sguardo a terra ed evito ogni contatto visivo e fisico con Chris, mentre usciva e faceva ritorno nella sua tranquilla abitazione.
Lui non fece niente per fermarla, ma quando riuscì a riprendere il controllo degli arti inferiori si avvicinò alla finestra, e la vide allontanarsi nella notte.
Fu allora che Gordie entrò nella stanza.
«Dov’è?»
«A casa» rispose. Poi si voltò verso l’amico «Hai organizzato tutto tu? Complimenti, dav-»
«Voleva vederti, Chris. Voleva chiederti scusa, le dispiace davvero. Non ti sembra una cosa normale?»
Sì, aveva un senso. Anzi, lo avrebbe avuto – pensava Chris – se si fosse comportata come una brava amica fin dall’inizio, e fosse stata coerente.
«Non mi importa! Sono passati cinque anni, Gordie. Neanche una fottutissima lettera, come me lo spieghi questo?!
Me ne fotto della sua coscienza, me ne fotto del grillo parlante che gli è cresciuto sulla spalla. Non è un mio problema!»
Mentre cercava di uscire dalla stanza, fu bloccato sulla porta dall’amico «Sai come so che a te importa?» chiese tranquillo.
«L’indifferenza e la rabbia sono due cose diverse, Chris. Con la prima si convive, con l’altra non si sta tanto bene. Pensaci un attimo.»

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