Le nuove rockstar ti rovinano!

di JeffMG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Mike Rocking you!

Capitolo I.

Questo sarebbe stato un giorno semplice, lineare e banale;
almeno secondo le mie aspettative.
In realtà non sapevo che nelle prossime quarantotto ore la mia vita sarebbe cambiata. 
 
"O mi fai un'intervista che sia la fine del mondo o ti licenzio"
"Licenziarmi?"
 
Il mio capo - Tommy il lunatico per noi dell'ufficio- era di fronte a me, 
con i suoi bermuda arancioni in pieno inverno.
Mi stava mettendo alle strette ed il mio nervosismo cresceva ad ogni parola che usciva dalle sue labbra sottili.
Mi allentai il nodo della cravatta

"Faccio sempre buone interviste"
"Esatto, buone. Questa dev'essere portentosa, Josh. Dobbiamo evolvere"
"Andiamo Tom...Si tratta solo di un altro stupido ragazzino
che si crede il prossimo Kurt Cobain, non stiamo parlando di Martin Luther King" 


Mi ricordai le parole del mio collega, quando solo un'ora prima,
ricevuto l'incarico dalla segretaria Tina, gli annunciai che dovevo intervistare 
Mike rocking you, la nuova promessa della musica rock.

"Scherzi, amico? Cazzo, una rockstar! Poteva andarti meglio..." 
"Che vuoi dire Fred?"

Prese la sua solita barretta dietetica dalla valigetta ventiquattro ore,
sua madre gli metteva in testa che 
era cibo sano ma chissà
quali minestroni chimici ci dormivano dentro.

"Voglio dire che quelli non dicono mai niente di serio.  
Ti guardano, dicono due stronzate campate in aria e ne esci fregato"      

Un ragazzino di ventisei anni, che affermava di entrare nel circolo dei maledetti 
tra due anni, mi avrebbe rovinato la vita portandomi via l'unica fonte di guadagno, 
con le sue cazzate. 
Mi vedevo sotto i ponti di New York ad elemosinare pasti alla mensa dei poveri 
e quando un vecchio pedofilo prossimo alla morte per alcolismo 
mi avrebbe chiesto

"Come sei arrivato qui, amico?"
io gli avrei risposto
"Oh niente, ho fatto un'intervista di merda a Mike rocking you" 

Non potevo buttare all'aria dieci anni di carriera e cinque di apprendistato spesi in un ufficio di sessanta metri quadri a fare fotocopie e ad assecondare le molestie psicologiche di un direttore insano mentalmente. 
Dovevo reagire, in fondo sapevo di essere un leone,
ce l'avrei fatta e tutto sarebbe andato per il meglio, dovevo solo oppormi.

 
"Tom, avanti non puoi farmi questo!"
 
Ogni cinque anni se ne usciva con potenti forze distruttrici,
cercando di fare il guru innovativo. 
Per il 2009 ci aveva riservato una particolare sorpresa, che per poco non spedì Tina all'altro mondo - è debole di cuore e ha già rischiato due infarti-.
Quel giorno Tommy il lunatico entrò con indosso una camicia awaiana ed un cocktail in mano: un mojito, aveva scommesso Fred.    
Alzò le braccia, racchiudendo tra loro  la sua grande testa incorniciata
da una criniera di capelli grigi spettinati.
Urlò come il prossimo personaggio di una commedia shackspiriana 

"Via tutti! Siete licenziati!"  

 
In ufficio calò il silenzio e il neon difettoso accompagnò vari tic nervosi. 
 
"Vi licenzio! Me ne vado alle Maldive!"
 
Io e Fred lo prendemmo di forza e lo portammo nel suo ufficio,  
dove si mise seduto sulla scrivania come un bambino si mette seduto sul lettino del dottore dando calci a vuoto ( tranne uno che centrò le parti basse di Fred). 
Dal 2004 non ci giocava brutti scherzi e gli apprendisti che non sapevano chi fosse realmente Tommy il lunatico e perché venisse chiamato così, stavano già chiamando le mamme per avvertirle che erano senza lavoro. 
Dall'alto della sua ingenuità, ci mostrò un sorriso e la folta peluria sulle gambe.

"Che c'è ragazzi?"  
"Tom, non puoi lasciare a casa trenta persone 
solo perché vuoi andare alle Maldive"
"Dici che ho sbagliato?"  
disse preoccupato e visibilmente turbato dalla sua azione dettata da una testa ormai andata. 

"Direi di si, Tom"
"Bhe, allora a lavoro!"  

Tornai al presente e guardai fuori dalla finestra, cercando un appiglio con un mondo esterno che mi sembrava equilibrato, in confronto al caos che regnava nell'ufficio del Lunatico. 
Gli regalai lo sguardo dei miei occhi infuocati e circondati da occhiaie;
da giorni mi tenevo su a caffè per terminare un articolo di sport che lui
stesso mi aveva assegnato. 

"Senti Tom, mi avevi assegnato un articolo su un calciatore..."
"Harold Austin!"
"Esattamente... Che mi dici di quello? Lo sto finendo, sai che mi sta prendendo molto?" "Davvero?"
"Si, è un personaggio dannatamente interessante...
Non pensi che potrei lasciar stare questa presunta rockstar
e dedicarmi completamente al calciatore?"
"No! Ma direi che puoi fare entrambi gli articoli!"  

Mi ero messo nella merda con le mie stesse mani e il tranello 
che pensavo avrebbe funzionato, aveva fallito.  

"Fuori dal mio ufficio!" urlò, mostrandomi le vene adirate sul collo e un color peperoncino che mi spaventò, facendomi credere ad un imminente collasso.
Fuggii dal pazzo e mi poggiai alla macchinetta del caffè, prendendo un lungo respiro,
ma anche in questa semplice azione non riuscii.
Fred apparve dalla sala fotocopie, con una pila di fogli tra le braccia.
Feci un passo avanti senza vederlo e lo urtai. 
Una pioggia di fogli mi fece maledire la mia misera vita.

"Ora li raccogli tu!" mi disse.

Mi inginocchiai a terra e riparai al danno, sperando che quella giornata in ufficio terminasse prima del mio crollo di nervi. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Mike Rocking you! 

Capitolo II. 

La giornata di lavoro finì con una macchia di caffè sulla camicia, per colpa di Tina.
Il Lunatico mi aveva propinato un articolo, come si propina la pappa ad un neonato.
Decisi di andare a farmi una birra al pub sotto casa, una bella bionda media.
Un’emicrania da sbronza e tutto l’indomani sarebbe stato più chiaro, dopo un’aspirina.

Camminavo per strada come uno zombie, pensavo solo a quella maledetta intervista e alle parole di Jack.
Il rumore dei motori, i clacson, la suola delle scarpe che teneva il tempo di melodie urbane, faceva da sottofondo ad una preoccupazione sorda. 

Quello che odio dell’inverno è il fatto che il buio abbraccia il cielo troppo presto,
erano solo le sei del pomeriggio e il sole ci aveva già detto arrivederci. 
Una macchina mi passò davanti, lasciandomi l’impronta dei fari negli occhi.

Quell’intervista valeva il mio lavoro, non avrei mai pensato che sarei potuto diventare disoccupato, così da un giorno all’altro.
Se c’era una cosa da sapere bene prima di lavorare per il Lunatico è che lui licenzia chiunque. Dicono che anni fa abbia licenziato anche suo figlio e che ora il poveraccio stia lavorando per una ditta di prodotti da cucina.
Io volevo essere un giornalista; fin da piccolo intervistavo le bambole di mia sorella,
non volevo lasciare il lavoro.
Mi ero sudato la posizione, avevo sputato sangue e non intendevo rinunciarci.
“No!” urlai in mezzo alla strada, scontrandomi con lampione,
che sicuramente era più brillante di me.  
Portai una mano alla fronte “Ci mancava solo questa…”  
Una birra, forse due e tutto sarebbe andato per il meglio.

Non ero solito bere, ma quando il mondo diventava troppo opprimente,
allora mi concedevo una bevuta.
Da cinque anni andavo al pub Saint Claude, ormai schedato come cliente fisso.
Conoscevo molto bene ogni specie di frequentatori:
i depressi, i rimorchiatori,i tifosi di football e gli universitari.
Io facevo parte della prima specie, composta da:
Billy: sua moglie lo aveva lasciato tre anni fa per una fuga d’amore con il proprietario di una macelleria -George il duro- perché…
Beh, così il povero Billy è restato solo con i debiti fino al collo,
una figlia a cui mandare i soldi del mantenimento ed una moglie troppo stronza per chiedergli persino come stia.
Poi c’è Oscar, un trans gender.
Prima si chiamava Lucy. Non ci ha mai raccontato niente della sua vita passata,
seguiamo solo la crescita della sua barba. 
Al terzo posto c’è Martin, di mestiere fa il contabile;
stanco della sua vita, dei cinque marmocchi che deve mantenere, delle urla della moglie e persino di comprare il latte.
In fine ci sono io, un giovane miserabile che vuole diventare un giornalista,
solo come un cane, con la bolletta della luce da pagare e l’alito che sa di birra ogni sabato sera.
Noi, alcolisti solo il fine settimana, abbiamo come angelo Mary, la cameriera. 
Con le sue piccole mani smaltate di rosso consegna calici di rimpianto,colmi di birra e lacrime.  

Entrai nel locale e intonai la solita domanda a Oscar 

“Come va la barba?”  
“Bene, è cresciuta di due millimetri”

Gli diedi una pacca sulla spalla e mi misi seduto sul solito sgabello al bancone.
Mary mi raggiunse nella sua aurea di capelli oro, sorrise scoprendo i denti bianchi e mostrando il nuovo tono di rossetto rosso.  

“Nuovo colore,Mary?” 
“Si. Nuovo problema, Josh?”

Abbassai lo sguardo, era una psicologa per me, solo che non si faceva pagare cifre alte,
le bastavano i quattro dollari della birra.

“Va bene, Josh… Ti porto la solita?”
“Si grazie”

Guardai Martin, anche la sua barba era cresciuta e la stava confrontando con quella di Oscar,
che sicuramente era il vincitore. 
Sentii lo spillatore azionarsi e la birra scendere nel boccale, un secondo dopo me lo vidi davanti. 

“Avanti, Josh. Che è successo?”  mi chiese Mary, con la sua voce da personaggio dei cartoni animati.
“Niente, solo un’altra stupida giornata di lavoro…
Il Lunatico mi ha detto di intervistare un personaggio che personalmente e dico personalmente, preferirei non esistesse…” tirai fuori dalla tasca della giacca una sigaretta e l’accesi,
contribuendo a nutrire una fitta nebbia di fumo che aleggiava nel locale.

“Avanti, Josh… Non sarà poi così terribile questa persona!”
“Oh Mary, se sapessi… Nel nostro ambiente ci sono i clienti buoni e quelli cattivi…
Questo è uno di quelli pessimi”
“Anche nel mio lavoro!”
“Si, ma… Questo è una rockstar!
Il mio collega mi ha messo in guardia!
Ha detto che questa razza non dice mai niente di sensato...
Il Lunatico vuole un’intervista coi contro cazzi e penso di non farcela…”
buttai giù un quarto della birra, rischiando di soffocare.

“Sono sicura che l’intervista sarà fantastica! Di che rockstar si  tratta?”
“Ah… Mike rocking you!” 
“Oh mio Dio…” la faccia di Mary era diventata rossa, poi viola ed in fine verde.

Scuoteva la piccola mano, cercando di darsi aria.
Si era allentata il nodo del grembiule per riuscire a respirare.
Sembrava mio zio quando aveva masticato un peperoncino
di due centimetri al ristorante messicano.

“Mary, che succede? Tutto bene?” 

Oscar si era alzato e con un salto degno di competere con Bruce Lee, atterrò dietro il bancone felice di poter toccare le mammelle di Mary, facendole una manovra di Heimlich.

“Sto bene!” urlò la vittima, stirandosi addosso il grembiule, stropicciato dalle braccia da culturista di Oscar.

“Ero solo emozionata…”
“Cosa? Sembrava che stessi per morire!” 
“Hai detto che intervisterai Mike docking you?”
“Esattamente…” 

Presi un altro sorso per soffocare il pensiero, ma quando alzai gli occhi dal boccale,
vidi Mary ripetere la scena di pochi secondi prima.
Oscar si alzò dallo sgabello, nuotando nel suo gilet invaso da spille degli Iron Maiden.

“No,no! Sto bene!” urlò di nuovo Mary, per evitare di essere uccisa dalla stretta da Ercole
che possedeva Oscar. 

“Sono una sua grande fan…” mi disse l’angelo, avvicinandosi così tanto da farmi vedere che si era dimenticata di depilarsi i peli fra le sopracciglia, 
l’avrebbero potuta prendere per un film indiano.

“Di chi?” dissi a bassa voce, rapito da quel momento di assoluta confidenza.

“Mike rocking you!”

Da sotto il bancone tirò fuori uno scatolone di una tv al plasma.
Immerse le mani dentro e come un mago che tira fuori il coniglio dal  cappello, 
lei mi stupì allo stesso modo mostrandomi una pila di:
 poster, CD, spille, quattro magliette,

“due a maniche corte per l’estate e due a maniche lunghe per l’inverno” tenne a precisare.

Tutti articoli che riportavano la faccia dello stesso coglione, Mike rocking you!
Finalmente la sua presenza che mi perseguitava da tutta la giornata, aveva preso forma.
Con sguardo da ultimo della classe, una faccia da schiaffi, occhi cerchiati di nero,
una capigliatura che sembrava essere stata presa direttamente dalla cute di Robert Plant
ed un rossetto rosso che somigliava a quello di Mary. 
Quello, l’individuo che dovevo intervistare… Ero fottuto.

“Josh, devo dirti una cosa…”

Ero pronto ad ascoltarla. Niente poteva distruggermi, perché già ero stato fatto a pezzi.
Presi una seconda sigaretta e con le mani tremanti, cercai di accenderla,
ottenendo un accendino a terra e il filtro bagnato dalla saliva.

“Devi sapere che Mike rocking you, non parla mai”
“Cosa Mary? Che cosa hai detto?” 

I miei nervi mi urlavano di farla finita o ci avrebbero pensato loro ad uccidermi,
un tic prese vita sull’occhio destro e la sigaretta che avevo in mano
finì spezzata in due come un kit kat.

“Non ti agitare Josh…” 
“Avanti, finisci di spiegarmi!”
“Mike rocking you, non parla mai…  Si esprime solo sul palco, cantando…
Nessun intervistatore ha mai ottenuto una parola da lui. Mi dispiace, Josh” 

La mia vita era finita, potevo anche fare le valigie e andarmi a trasferire sotto i ponti, prima che la padrona di casa mi ci avrebbe mandato a calci in culo.

“Oh avanti! Mi stai prendendo in giro?” le urlai.

Poteva ancora essere una bravata architettata da Billy, il suo odio per la moglie poteva essersi trasferito verso di me, in fondo la vedeva da per tutto, quindi aveva voluto giocarmi un brutto scherzo. “Josh, mi dispiace”
No... quel bastardo! Era tutta colpa del Lunatico, lui sapeva. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***



Mike rocking you!

Capitolo 3.

Uscii da quel maledetto locale con la nausea. 
Mi ero fatto tre birre e tre whisky, giuso per chiudere in numero pari.
Ci vedevo doppio talmente ero ubriaco.
Nonostante questo le parole di Mary mi risuonavano in testa

"Mike rocking you non parla mai"

Come diavolo avreti fatto ad intervistarlo se quel bastardo non parlava?
Cos'era muto oppure gli piaceva fare la grande rock star con la caratteristica
lo rende quelllo originale? 

 
Dovevo smetterla di imprecare, anche solo mentalmene.
Stavo esagerando,ecco tutto. 
Me l'aveva sempre detto mia madre di non imprecare

"O ti capiteranno brutte cose"

Quelle come Mike rocking you, quelle disgrazie che ti urlano dietro e ti saltano alle spalle.
Sentivo che la mia laura valeva quanto un pezzo di cartaigienica
per uno con un attacco di diarrea. 

Tornai a casa alle tre di notte, sotto i fumi dell'alcool. 
Il vento mi accarezzava il volto e certe macchine sfrecciavano in strada
con il volume alto e passeggeri urlanti.
Luci alle finestre si spegnevano e altre si accendevano,
forse qualcuno aveva avuto un incubo o un ripensamento. 
Una volta anche io mi svegliai di soprassalto in una lontana nottata di cinque anni fa. 
Dovevo decidere di accettare un pidocchioso lavoro da giornalista in un altrettanto pidocchioso giornale di provincia,  oppure affrontare un viaggio per arrivare nella grande mela e tentar fortuna insieme ad altri allocchi come me. 
La preoccupazione dei miei genitori, le parole vaghe su di un futuro incerto e già con la mia
indole da ribelle mi vedevo alla soia della porta con lo zaino in spalle. 
Mia madre troppo debole per dirmi che non ce l'avrei fatta e mio padre troppo orgoglioso per dirmi che non voleva che me ne andassi. 
 
Quella volta mi addormentai con i crampi allo stomaco e una decisione da prendere:
restare a Seattle o partire per New York in cerca di ciò che nella vita avevo sempre avuto bisogno; delle sane botte di culo. 
In quella lontana nottata di dieci anni fa, mi svegliai alle tre di notte sudato e con in mente solo la risposta che avrei dovuto dare l'indomani al mio capo. 
Afferrai il cellulare e schiacciai il tasto invio, di lì a poco il mio futuro sarebbe andato a puttane, 
per la mia decisione inutile e uno spirito adolescienziale rimasto in saldo per troppo tempo. 
 
"Pronto? Chi parla?" 
 
Ero paralizzato. Insomma, stavo per decidere la mia sorte. 
 
"Allora, sono le 3 di notte, è uno scherzo? Se non ti decidi a parlare chiamo la polizia" 
 
Bene, anche una denuncia.
Magari per lo stalkin, avrei mandato al ricovero mia madre e già vedevo mio padre additarmi. 
"Sei un codardo, figliolo" e avrebbe avuto ragione. 
 
"Pronto? Ora chiamo la polizia!" 
 
Presi un profondo respiro e mi convinsi a parlare. 
 
"Sono Trouman..."
"Ma come diavolo ti viene in mente di chiamare a quest'ora di notte,ragazzo?" 
"Mi dispiace... Le volevo dire che non accetto il lavoro" 
 
Chiusi la chiamata e tutto svanì in una coltre di fumo,
un' azione così futile che cambiò la mia esistenza. 
Per quella chiamata ora cammino in una piccola via di New York,
per raggiungere il mio squallido appartamento. 
La fortuna l'ho tentata ma la sfortuna mi ha bruciato le mosse prima ancora
che potessi gettare i dadi. 
Così conosco l'agitazione notturna e quello che comporta,
forse una grande decisione oppure un urgente bisogno di andare al bagno. 

Il paninaro sotto casa è ancora aperto. 
Il proprietario si chiama Fred, viene dalla Scozia e non ha capito
che l'unica cosa che non sa fare
nella vita sono i panini.
Per la disperazione che comporta la vita di uno scapolo, devo aggrapparmi alle sue mani 
da scozzese all'ingrasso e concedermi un panino unto di salsiccia e salse non ancora scoperte. 
Almeno ingrasso di cinque chili quando gli faccio visita
e evito di finire all'ospedale a farmi imbottire di flebo. 
Prima di uscire di casa devo chiudere le finestre o l'odore di fritto rischia di invadermi casa.
Perché non inventano i foodbusters? 
Dovrebbero o le persone come me saranno presto inghiottite dai fumi oleosi dei paninari sotto casa, rischiando un embolo. 
Verebbero con le loro tutine bianche e le aspirapolveri per disseminari panico nel vicinato e strapparmi 800 dollari per avermi pulito casa da fumi di origine paninara. 
 
Ho bisogno di un caffè, questo è il quarto. 
Apro la porta, un barbone sta dormendo all'entrata del condominio. 
Decido di non fare la spia e di lasciarlo dormire per almeno una notte in un posto caldo. 
Mi soffermo a guardarlo.
Che espressione prende un volto quando si è consci del proprio fallimento? 
Quando si vede la propria vita cadere e infrangersi come le torri gemelle? 
Quando probabilmente la testa galleggia verso un suicidio o un modo per ricominciare,
se sei un ottimista nato. 
Nel volto di questo sconosciuto ci rivedevo il mio. 
In fondo stavo fallendo, ero diventato un ozioso giornalista che aspettava il colpo della vita, 
quando il solo colpo che gli era arrivato era quello nel posto dove non batte il sole. 
Salii svogliatamente le scale e mi accorsi di avere nella tasca del cappotto
una birra e un biglietto di  Mary:

 
"Passa da me domani"

Forse non sarei andato oppure avrei trovato il coraggio di andarci,
era una donna molto
triste fuori dal locale ma non potevo dire di no ad un suo invito,
aveva bisogno di me. 
Il mio appartamento vuoto mi diede il Benvenuto, c'era puzza di sigarette e alchool. 
Sarei potuto essere un poeta, avrei affiancato dei grandi quali Boudlaire e Poe
e poi magari mi sarei potuto 
far fuori fingendo di essere pazzo. 
Ma la verità è che scrivo solo cazzate e non credo di essere abbastanza
sensibile per comporre una poesia. 

 
Mi spettinai i capelli e decisi di affrontare lo specchio. 
Accessi la luce del bagno che mi tradì, illuminando un volto magro e pallido. 
I capelli lisci e neri creavano delle vivaci onde sopra la testa, sposandosi con il mio naso acquilino e le occhiaia. 
Mancava la firma di qualche strampalato artista francese e sarei stato un quadro perfetto per esprimere la decadenza dell'essere. 
 
"Ce l'hai fatta Josh, sei un poveraccio" 
 
Avrei potuto seguire gli insegnamenti di Socrate:
conoscere se stessi, ma ero troppo stanco per conoscere 
quel babbeo che dallo specchio cercava di sorridere ignorando il letto. 

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