Avalorn: Che l'avventura abbia inizio!

di Xandrex91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (provvisorio) ***
Capitolo 2: *** Tutto ha inizio da un amuleto... ***
Capitolo 3: *** Il Circolo degli Antenati ***
Capitolo 4: *** Sapere antico ***
Capitolo 5: *** Un giorno da leoni ***



Capitolo 1
*** Prologo (provvisorio) ***


 
 

Prologo (provvisorio)


 
 
La neve avvolgeva ogni cosa in quella notte d’inverno.
I tetti della città erano completamente ricoperti ma ancora non accennava a smettere di nevicare.
Nel buio della notte una luce calda e tremolante spiccava fra le altre viste dalla strada.
C’era un’insegna sull’edificio che riportava: “La Taverna del Coboldo Zoppo” accompagnata da una alquanto grottesca raffigurazione.
Al suo interno, l’oste era indaffarato ad asciugare i boccali di birra con un panno, mentre tutto intorno a lui taceva.
Il silenzio era talvolta interrotto da qualche colpo di tosse o da qualche mormorio soffocato.
Non c’era molta gente quella sera ad ora così tarda. I soliti clienti abituali insomma.
Improvvisamente entrarono nella taverna un gruppo di individui alquanto insoliti scuotendosi la neve di dosso. Era composto da un nano, un elfa e due umani: un giovane uomo e una donna. Sembravano a tutti gli effetti degli avventurieri.
 
Uno degli umani si avvicinò al bancone e ordinò dei boccali di birra per tutti, poi iniziò a dialogare con l’oste.
«Cosa si dice da queste parti? Qualcosa di interessante come... che ne so... fogne da ripulire dai coboldi, bambine rapite, qualche mago fuori di senno che vuole radere al suolo la città?»
L’oste accennò un sorriso mentre continuava a strofinare i boccali.
«Ragazzo, non c’è più molto da fare da queste parti... o almeno niente che valga l’attenzione di un gruppetto di avventurieri inesperti.»
Il nano lì vicino smise di sorseggiare dal suo boccale e poi intervenne infervorandosi.
«Come osi! Ringrazia che la tua birra è buona, altrimenti ti avrei già rotto una sedia in testa!»
Si sentì una voce provenire dall’altro lato della stanza.
«Ho già visto una scena simile... sarebbe divertente, non c’è dubbio.»
Tutti e quattro si voltarono. Seduto in un angolo vi era un umano dai capelli bianchi e dalla lunga barba appoggiato al suo bastone.
«Che vuoi vecchio! Non sono affari tuoi.» rispose scorbuticamente il nano.
L’anziano sospirò, poi sorrise. «Eh! Non ci sono più gli avventurieri di una volta. Gli Eroi di Mighdull, quelli si che sapevano farcela!»
Il nano era sul punto di alzarsi e tirargli un pugno, ma la donna lo fermò.
«Gli Eroi di Mighdull hai detto?! Non mi dire che li hai conosciuti di persona!»
«Tutti qui alla Città Imperiale sanno chi sono. Hanno aiutato moltissimo la gente di queste parti.»
Fece una pausa, poi riprese sorridendo.
«Per quel che mi riguarda... ho avuto il piacere di incontrarli una volta. Agli inizi non erano poi così diversi da voi sapete? Potrei raccontarvi la loro storia... tutti qui ormai la conoscono.»
«Non ci interessano le tue storie!» intervenne ancora una volta il nano.
«Quest’ uomo sa più di quanto vuol far intendere... forse dovremmo ascoltare ciò che ha da dire.» fece notare l’elfa.
«Beh, con il freddo che c’è fuori credo proprio che un po’ di tempo possiamo prendercelo per sederci e ascoltare la tua versione.» disse il giovane umano.
Il vecchio annuì compiaciuto poi iniziò a raccontare la sua storia.
«Bene allora, mettetevi comodi perché è una storia lunga, mooolto lunga... » 

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Capitolo 2
*** Tutto ha inizio da un amuleto... ***


Capitolo 1


Tutto ha inizio da un amuleto...


 
 
“Era una giornata come tante altre ad Arboren.
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che proprio in quel giorno la storia di Avalorn sarebbe rimasta segnata per sempre...”
 
Il sole stava quasi per sorgere, la sua tiepida luce iniziava ad illuminare le case e il paesaggio circostante mentre gli uccelli cinguettavano allegramente dopo lunghe ore di silenzio.
Le foglie degli alberi e degli arbusti, illuminate dal sole, emettevano un lieve luccichio per via della rugiada che le ricopriva.
Improvvisamente si udì il canto di un  gallo.
Ai confini del villaggio vi era un’umile casa fatta di pietre, legno e con della paglia come tetto, vi abitavano un giovane umano con suo zio.
Il ragazzo se ne stava disteso nella sua camera, dalla finestra aperta entravano i primi raggi di sole che accarezzavano dolcemente il suo viso.
Il gallo cantò per la seconda volta.
«Prima o poi lo uccido quel gallo!» brontolò ancora mezzo addormentato.
Aprì lentamente gli occhi e si mise a sedere sul letto grattandosi il capo.
I suoi capelli erano spettinati e di colore castano chiaro; il suo viso, giovane e non ancora corrotto dal tempo, portava i segni della stanchezza. Gli occhi, mezzi chiusi per il sonno, erano di colore verde acqua.
Si udì una voce provenire dal piano inferiore, quella di suo zio.
«Coraggio pigrone, scendi. C’è ancora un mucchio di lavoro da fare e di certo non si fa da solo!»
«Sì, arrivo!» replicò assonnato il ragazzo.
Si alzò dal letto, si vestì e sistemò i capelli arruffati passandoli con le mani dopo di che scese dalle scale diretto al piano inferiore, dove lo aspettava suo zio. Mentre scendeva dalle scale fu colto da un piacevole profumo di pane appena sfornato.
«Ben svegliato, Marcus». Suo zio se ne stava in piedi davanti a un forno intento ad estrarre il pane ancora caldo.
«Buongiorno anche a te zio». Il ragazzo si avvicinò al tavolo posto al centro della stanza dove vi erano due bicchieri di latte appena munto e un paio di pagnotte messe in un piatto. Si mise a sedere e ne addentò una.
«Oggi è il primo giorno del mese e, come tutti i mesi, arriverà Mastro Williams per il ritiro della merce.».
Ora anche suo zio si era avvicinato al tavolo e si era messo a sedere, poi riprese: «Appena hai finito qui dovresti andare a preparare le casse per la spedizione.»
«Va bene zio» disse Marcus con la bocca ancora piena.
Una volta finito di mangiare, il ragazzo si recò al mulino vicino casa per preparare la merce come gli era stato richiesto di fare.
Era uno di quei mulini a vento molto diffusi nelle pianure di Avalorn, era forse l’unico edifico nel villaggio ad avere un tetto di tegole e ad essere fatto completamente di mattoni e pietre tranne per le pale, che erano composte da un telaio di legno sulla quale vi era posto un telo molto resistente.
«Ehi Marcus, merce per Mastro Williams, vero?» Un giovane umano dai capelli scuri si era avvicinato a lui mentre impacchettava le merci per la spedizione.
«Sì Robin, purtroppo questo mese il raccolto è stato scarso.»
«E’ stato un mese duro per tutti qui al villaggio, non c’è dubbio.»
Robin e Marcus si conoscevano fin da quando erano due bambini, passavano interi pomeriggi insieme a giocare nelle campagne circostanti e ormai erano quasi come due fratelli, nonostante provenissero da due famiglie diverse.
Robin rimase orfano in un incendio avvenuto anni prima. Ronnomar, amico di famiglia e capo della milizia[1]di Arboren, si prese cura di lui fino alla maggior età. Si arruolò nella milizia all'età di 18 anni e da allora passa la maggior parte del suo tempo tra addestramento e pattugliamento delle terre circostanti il villaggio.
«Sai una cosa Marcus, secondo me lavori troppo...quando è stata l’ultima volta che ti sei preso una pausa?»
Il ragazzo si avvicinò ad un muretto dove vi era appoggiato un bastone, poi guardò l’amico con un ghigno sulla faccia.
«Non c’è tempo per riposare, lo sai. Io e mio zio dobbiamo mandare avanti la fattoria da soli.»
«Vediamo se ti ricordi ancora come si fa.... in guardia!»
Robin prese il bastone e lo brandiva come se fosse una spada intimando a Marcus di fare lo stesso.
«Non ora... non è il momento!»
«E dai!» Robin diede un colpetto sul fianco di Marcus con la punta del bastone.
«E va bene, l’hai voluto tu!»
Anche Marcus raccolse un bastone da terra e i due iniziarono a combattere fra di loro. Si muovevano agilmente, parando e contrattaccando di continuo, ma l’esperienza di Robin nella milizia gli permise di avere la meglio sull’amico per qualche istante.
Con una rapida parata e uno sgambetto, Robin fece cadere Marcus in un mucchietto di fieno e sul suo volto apparve per qualche istante un sorriso beffardo.
Mai abbassare la guardia, Marcus infatti ne approfittò per afferrare la gamba dell’amico facendolo cadere a sua volta.
I due giovani si adagiarono nel fieno, guardando entrambi le nuvole muoversi e cambiare forma nel cielo.
«Marcus... beh si insomma... hai mai pensato di andare via da qui un giorno?»
«No, perché mai dovrei farlo?»
«Beh così... per vedere il mondo, sai... vedere posti nuovi, fare nuovi incontri... e inoltre questo posto è dannatamente noioso! Voglio dire, a parte qualche bandito o animale selvatico ogni tanto, qui non succede nulla di interessante.»
«Non credo... e poi il mio posto è qui... con mio zio. Ha bisogno di me ora che sta invecchiando, non può farcela da solo con la fattoria...»
Improvvisamente Marcus si ricordò delle merci che doveva preparare e balzò in piedi.
«Accidenti! Le merci per Mastro Williams!»
«Non preoccuparti, lascia che ti aiuti.» disse Robin con un sorriso.
 
Nel frattempo qualcosa stava per sconvolgere la tranquillità e il silenzio che inebriavano spesso il villaggio. Mastro Williams stava per giungere ad Arboren.
Per le strade del piccolo villaggio si potevano udire le urla dei contadini e degli artigiani che annunciavano il suo arrivo.
«Mastro Williams è qui!»
«Presto sta arrivando!»
L’arrivo di un mercante di fama significava sostentamento per tutti i villaggi isolati, contadini e artigiani potevano infatti vendere le loro merci in cambio di beni provenienti dalle terre più civilizzate.
Il mercante si fece largo tra le strette vie fino a giungere a una piccola piazza. Se ne stava seduto sul suo carro, grande e pieno di decorazioni dorate, con il mano le briglie di quattro cavalli posti in file da due ciascuna davanti a esso.
Dietro e davanti al carro vi erano in totale quattro uomini a cavallo, sicuramente dei mercenari, ben equipaggiati e pagati per proteggere Williams e il carico da eventuali attacchi da parte dei banditi.
Improvvisamente il mercante fermò il carro e invitò i mercenari ad aiutarlo a scaricare la merce.
Lentamente nella piazza si radunò una gran folla e si iniziarono ad udire i vocii e le urla dei paesani.
Anche i due ragazzi iniziarono a udire il vociare nella piazza.
«Mastro Williams, è qui!» disse con agitazione Marcus.
«Coraggio, andiamo» Robin prese una delle casse e iniziò a incamminarsi verso la piazza seguito dall’amico.
 
Le trattative durarono per quasi tutto il pomeriggio, poi Williams rimontò sul suo carro seguito dai quattro mercenari e lasciò il villaggio seguendo il sentiero a Nord, verso le Colline Boscose.
La tranquillità e il silenzio ripiombarono all’improvviso sul villaggio, e tutti ritornarono alla solita vita quotidiana.
Marcus era tornato ad occuparsi dei campi, mentre Robin era tornato di guardia al villaggio insieme a Ronnomar, il sole stava quasi per tramontare ormai.
Nessuno poteva lontanamente immaginare quello che stava per accadere.
Ad un tratto un cavallo uscì dalla vegetazione e venne galoppando verso il villaggio. Alcuni contadini lo videro per primi e rimasero ad osservarlo sbigottiti. Una donna emise un urlo di terrore quando, sul cavallo, notò il corpo penzolante di uno dei mercenari che accompagnavano Mastro Williams.
Dal villaggio accorsero subito alcuni membri della milizia e contadini tra cui vi erano anche Robin e Marcus.
 
Ronnomar e altri uomini calmarono il cavallo e tirarono giù il corpo del mercenario. Aveva una freccia piantata nella schiena.
Il capo della milizia gli tolse l’elmo e appoggiò due dita sul suo collo.
«E’ ancora vivo!»
Il mercenario aprì lentamente gli occhi e, sforzandosi, iniziò a parlare.
«Siamo...siamo... siamo stati attaccati...»
«Chi è stato? Sono stati i banditi?» chiese Robin.
«No...no... Goblin[2]! Sono stati i goblin... ci hanno colto di sorpresa... erano tanti... troppi... non c’è stato niente da fare... mi... mi spiace...»
L’uomo si lasciò andare di colpo con gli occhi ancora spalancati, era morto.
Ronnomar avvicinò la mano sulle palpebre dell’uomo e le chiuse delicatamente poi si rialzò da terra con decisione.
«Maledizione!...Robin, vai a chiamare gli altri, dobbiamo prepararci a...»
Mentre ancora parlava un altro uomo corse incontro alla folla urlando terrorizzato.
«Goblin! Goblin! Attaccano!»
Il comandate estrasse la sua spada dal fodero e urlò con tutto il fiato che aveva in gola. «Uomini! A me, presto!»
Nel giro di pochi secondi un manipolo di miliziani gli si era radunato attorno armati di piccole lance rudimentali e spade.
All’improvviso si iniziarono a sentire dei grugniti, accompagnati da risatine malefiche e lamenti, provenienti dalla foresta.
Alcuni worg[3]iniziarono a sbucare dalla vegetazione, in groppa ad essi vi erano goblin armati di torce e spade.
Subito dietro ve n’erano altri che correvano in modo disordinato verso il villaggio.
Le piccole creature erano sotto il comando di un goblin più grosso, con diverse rune e simboli tribali tatuati sulla pelle, un bastone con un teschio sulla cima e decorato con diversi piumaggi e ossa di animale.
Intanto al villaggio ci fu il caos. Gli abitanti fuggivano terrorizzati, alcuni si rifugiavano in casa, altri prendevano degli oggetti comuni come falci, forconi e coltelli dalle case e si univano alla milizia per combattere.
«Proteggete i bambini e le donne! Arrivano!» urlò il capo della milizia.
I goblin a cavallo dei worg giunsero per primi a tutta velocità urtando contro alcuni miliziani. I soldati armati di lancia riuscirono a trafiggerne alcuni alla prima ondata scaraventandoli giù dai worg ma le creature potevano ancora continuare a combattere, mordendo e sbranando qualunque cose gli capitasse a tiro. La seconda ondata si aggiunse alla prima dopo pochi minuti diminuendo drasticamente il numero dei miliziani rimasti in vita.
Ronnomar, vedendo che la situazione era critica, ordinò a Robin di guidare la ritirata verso la foresta.
«Robin! Prendi alcuni uomini e porta la gente via da qui! Sono troppi non possiamo farcela.»
Il ragazzo fece come il comandante aveva ordinato e iniziò a correre per le vie del villaggio incitando gli abitanti a seguirlo.
«Via di qua! Dobbiamo andarcene sono troppi! Abbandonate le case... presto!».
«Le donne e i bambini da questa parte! Veloci!».
Marcus nel frattempo aveva radunato un piccolo gruppo di contadini coraggiosi, pronti a sacrificarsi per difendere le loro case.
«Zio rimani in casa! Ci pensiamo noi qui!»
«No Marcus, non starò a guardare mentre quei piccoli mostri distruggono tutto ciò a cui ho lavorato...».
Dicendo ciò John si avvicinò al ripostiglio dove teneva gli attrezzi da lavoro e afferrò un forcone, poi si avviò verso l’esterno della casa unendosi al ragazzo e agli altri contadini.
Mentre la battaglia infuriava, lo sciamano e alcuni goblin riuscirono a superare le difese della milizia e si sparpagliarono per il villaggio seminando morte e distruzione. Alcuni entrarono nelle case sfondando la porta e mettendo a soqquadro ogni cosa. Quelli che portavano con se le torce accese si misero a lanciarle sui tetti di paglia delle case, incendiandole in pochi minuti.
Colui che li comandava era entrato in una delle case e ora si guardava intorno, come se stesse cercando qualcosa.
«Ciò che stiamo cercando è qui vicino... lo sento»
I contadini combattevano disperatamente per difendere le loro case ma sembrava non esserci più nulla da fare. In poco tempo i goblin uccisero i più audaci, facendo fuggire gli altri nelle loro case o lontano dal villaggio.
Un goblin che si era arrampicato sul tetto di una casa vicina vide il ragazzo e suo zio intenti a combattere contro altri suoi simili e fece un sorrisetto malvagio.
Estrasse il pugnale, quando John fu proprio sotto di se spiccò un salto afferrando il collo dell’uomo e gli conficcò l’arma nella schiena.
«Zio! No!». Marcus si era accorto del pericolo, con un grido di rabbia uccise l’umanoide contro cui stava combattendo e corse incontro a suo zio per soccorrerlo. Caricò a tutta velocità e diede una gomitata in faccia al goblin buttandolo a terra, poi lo trafisse con la spada.
«Zio stai bene?» chiese il ragazzo
«Si...credo di si...»
L’uomo fece per alzarsi ma appena in piedi emise un urlo di dolore e cadde di nuovo a terra.
«... dobbiamo ritirarci in casa, siamo troppo esposti qui.»
Marcus sollevò lo zio da terra e lo trascinò a fatica verso la porta della loro casa.
I due entrarono in casa e sprangarono la porta. Il ragazzo mise John a sedere,  l’uomo era evidentemente provato dalla battaglia e ora ansimava pesantemente.
«Marcus... avvicinati»
Il ragazzo si inginocchiò di fianco a suo zio. Poi l’uomo riprese a parlare
«...non c’è tempo per spiegarti ora... prendi questo...»
Dicendo ciò portò le mani intorno al collo e tirò fuori dalla camicia un amuleto decorato in oro.
«Zio...cos’è quello?»
«Prendilo...non c’è più tempo ora... devi contattare il Circolo degli Antenati, loro sapranno cosa fare. Non posso permettere che i goblin lo prendano...»
Appena finì la frase si sentì un tonfo alla porta, poi si udì la voce rauca di uno dei goblin all’esterno.
«Voi aprire porta, o noi buttare giù!»
Marcus scattò in piedi di colpo ed estrasse la spada puntandola nella direzione della porta.
Dopo pochi secondi arrivò anche lo sciamano in groppa al suo worg, sostò un attimo in una specie di estasi, poi prese a parlare.
«E’ qui!... sfondate quella porta!»
Le piccole creature iniziarono a lanciarsi contro la porta e a colpirla con delle scuri.
«Scappa Marcus!, fuggi dalla finestra!»
«No, non ti lascio qui da solo...»
«Vai ho detto!»
Il ragazzo mise l’amuleto in una tasca, rimise la spada nel fodero e si avvicinò alla finestra; la aprì facendo attenzione a non fare rumore e saltò fuori.
Ma il desiderio di non abbandonare lo Zio fu forte, egli rimase così all’esterno della casa spiando quello che succedeva al suo interno.
Lo sciamano nel frattempo si era spazientito e ordinò agli altri goblin di farsi da parte.
«Levatevi stupidi incapaci!»
Poi scese dal worg e tese la mano nella direzione della porta.
«Sohlero Samatkan!»
Dalla sua mano uscì una sfera infuocata che andò a sbattere contro la porta provocando un esplosione che la scaraventò dall’altro lato della stanza sollevando una nube di polvere.
I goblin entrarono e videro John seduto su di una sedia vicino al tavolino al centro della stanza, aveva la testa chinata e il braccio appoggiato allo schienale, quasi come se non avesse più la forza di alzarsi.
Lo sciamano avanzò velocemente verso di lui con un sorriso malvagio stampato sul volto.
«Dov’è l’amuleto?»
John fissava il pavimento in silenzio, nascondeva dietro alla schiena un coltello da cucina.
Allora il goblin si avvicinò di più e lo colpì sulla testa col bastone.
«Sei forse sordo per caso? Ti ho chiesto dov’è l’amuleto!»
L’uomo raccolse tutte le sue forze e scatto in piedi pronto a pugnalarlo, ma lo sciamano porto davanti a se il bastone con velocità sorprendente bloccando il suo attacco e disarmandolo.
«Sciocco! Credevi davvero di uccidermi così? Voi umani siete così patetici...»
Di colpo lo sciamano si fece serio, spiccò un salto e afferrò con rabbia il collo dell’uomo facendolo cadere all’indietro.
«Hai perso la lingua per caso? ... ora ti faccio parlare io!»
Avvicinò l’altra mano al petto dell’uomo e sussurrò delle parole in lingua Magi, subito ne uscì una scarica elettrica che attraversò il corpo dell’uomo facendolo sussultare dal dolore.
«Per l’ultima volta... dov’è l’amuleto?»
«Quale... quale amuleto? Non capisco di cosa parli...»
«Risposta sbagliata...»
Lo sciamano ripeté il gesto precedente, questa volta liberando una scarica più forte.
Marcus assisteva alla scena impotente, se ne stava accovacciato fuori dalla finestra senza poter fare nulla. Strinse i pugni per la rabbia e dai suoi occhi iniziarono a scendere delle lacrime. Poi non ce la fece più, scattò in piedi urlando di rabbia.
«No! Lasciatelo stare maledetti!»
John alzò la testa guardando verso il ragazzo poi sussurrò solo una parola prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
«Scappa...»
Anche i goblin e lo sciamano si voltarono di colpo.
«Prendetelo svelti! Ha lui l’amuleto!»
Il ragazzo, accortosi del pericolo, iniziò a correre più veloce che poteva verso la foresta. Non sapeva dove andare, ma l’unica cosa da fare in quel momento era correre, non importava dove.
Le piccole creature si apprestarono a uscire dalla casa saltando fuori dalla finestra tentando di rincorrerlo ma senza successo, il ragazzo era già troppo lontano. Colui che li comandava allora richiamò a se diversi worg e ordinò loro di inseguire il ragazzo.
Le creature lo raggiunsero in pochi secondi, ora erano entrati nella foresta e gli stavano dietro.
Marcus si voltava di tanto in tanto mentre correva, per vedere se era riuscito a seminarli, ma erano ancora lì dietro di lui e si avvicinavano sempre di più.
Il più anziano dei worg fece un cenno agli altri due che iniziarono a sparpagliarsi per la foresta scomparendo nella vegetazione.
Marcus si voltò ancora, ora era rimasto un solo worg, avrebbe potuto girarsi e affrontarlo, ma non poteva fare a meno di chiedersi dove erano finiti gli altri. Mentre ancora era voltato, inciampò in una radice che spuntava dal terreno, ruzzolando per terra. Si rialzò velocemente, ma più voleva correre veloce e più i piedi gli scivolavano nel fango.
Appena riuscì ad alzarsi, dal cespuglio davanti a lui sbucò fuori un altro worg ringhiando seguito da un altro ancora che uscì da dietro a un tronco.
Marcus guardò rapidamente in tutte le direzioni in cerca di una via di fuga, ma le belve lo avevano circondato impedendogli di scappare.
Iniziarono a girare intorno al ragazzo, ringhiando e perdendo la bava.
«Guarda, guarda, guarda... un giovane umano... è da tanto che non mangio carne umana...»
«A me il primo morso!»
«No! E’ mio!»
I due worg iniziarono a discutere tra loro su chi avrebbe mangiato per primo. Poi si fece avanti il più anziano.
«Stolti! Non siamo qui per mangiare, avete sentito Yamatchaa... dobbiamo prendere l’amuleto.»
«Al diavolo l’amuleto dico io...e al diavolo Yamatchaa! sono stanco di mangiare carne di ratto arrostita...voglio il sangue...»
I tre iniziarono a litigare tra loro mordendosi e ringhiando, il worg più anziano era talmente tanto intento a riportare l’ordine nel branco che si dimenticò del ragazzo per qualche istante.
Marcus ne approfittò e facendo molta attenzione a non fare rumore si allontanò furtivamente dalla scena. Una volta lontano si mise a correre con tutta l’energia che gli rimaneva fino a che non trovò un albero con una cavità nel tronco, una cavità abbastanza grande per ospitare un uomo. Si precipitò dentro di essa e trovò qualcosa con cui chiudere parzialmente l’entrata. Vicino al tronco vi era un grosso sasso, Marcus lo fece rotolare davanti all’entrata, e camuffò il tutto con delle foglie secche, poi finalmente si mise a sedere e tirò un sospiro di sollievo. Quel luogo era l’ideale per passare la notte, considerando che gli davano ancora la caccia.
Intanto le tre creature stavano ancora litigando, il worg più giovane era sdraiato in mezzo alle foglie secche leccandosi le ferite, l’anziano e l’altro worg stavano ancora lottando, quando l’anziano si fermò di colpo.
«Fermo!! Il ragazzo... ce lo siamo fatti scappare! Stupidi! E’ tutta colpa vostra!»
Dicendo questo il worg anziano diete un morso al collo del giovane, facendolo guaire dal dolore.
«Che vi serva da lezione... Yamatchaa non sarebbe stato così indulgente con voi...».
Poi riprese. «Cerchiamolo presto. Non deve esser andato poi così lontano.»
I tre si misero ad annusare il terreno e, come tre segugi, si misero sulle sue tracce.
Il sole ormai era sparito all’orizzonte, il cielo iniziava a tingersi d’oscurità e le prime stelle, come per magia, iniziarono a mostrarsi.
Marcus era sfinito... la paura di essere scoperto e la rabbia per la morte di suo zio gli tenevano compagnia e lo tenevano sveglio, ma alla fine la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò.


[1]La milizia è un corpo militare formato dagli abitanti di un villaggio o di una cittadina, rappresenta l’unica difesa di cui molti villaggi dispongono. Alcuni villaggi come Arboren sono molto distanti dalle terre civilizzate di Re Enrico IV e quindi molto difficili da raggiungere dalle normali pattuglie imperiali.
[2]Goblin: piccoli umanoidi di natura malvagia. Un goblin è alto poco più di 90 cm e cammina eretto anche se le sue braccia sono lunghe tanto da arrivargli fino alle ginocchia. Hanno naso schiacciato, faccia piatta, orecchie a punta come quelle degli elfi e una bocca larga con piccole zanne.
[3]Worg: bestia magica simile a un grosso lupo con manto scuro, occhi luccicanti di rosso e aspetto sinistro. I worg sono più intelligenti dei comuni animali e sanno anche parlare. Sono di natura malvagia ma nonostante ciò, si comportano esattamente come i lupi comuni.

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Capitolo 3
*** Il Circolo degli Antenati ***


Capitolo 2


 

Il Circolo degli Antenati


 
 
“Nascosto nel cuore della Foresta degli Avi vi era un piccolo accampamento di druidi. Erano i membri del Circolo degli Antenati, eredi e custodi dell’antico sapere.”
 
Era un giorno come gli altri nella Foresta degli Avi. Nell’aria riecheggiava il canticchiare degli uccelli e le fronde degli alberi si facevano cullare dolcemente dalla prima brezza mattutina.
Due uomini erano accovacciati dietro a un cespuglio intenti a fissare qualcosa, in silenzio.
Davanti a loro, infatti, vi era un cervo che brucava l’erba ignaro del pericolo.
Uno dei due uomini all’improvviso si mise a sussurrare qualcosa al giovane che stava con lui.
«Davvero un gran bel cervo figlio mio, ci frutterà un bel po’ di soldi stavolta.»
«Abbiamo fatto male a spingerci fino a qui padre, al Circolo degli Antenati[1]non piacerà affatto.»
«Bah! Il Circolo non si accorgerà di nulla vedrai!»
Poi impugnò l’arco, estrasse una freccia dalla sua faretra, la mise in posizione assicurandosi che la corda fosse ben tesa e prese la mira.
All’improvviso si udì qualcosa alle loro spalle, un fruscio rapido che durò per qualche secondo. Poi il nulla.
«Cos’è stato?» chiese il più giovane al padre.
L’uomo abbassò l’arco per qualche secondo e si voltò nella direzione del suono.
«Non ne ho idea...forse una lepre»
Dicendo ciò rialzò l’arco e riprese la mira. Ma questa volta il cervo non c’era più.
«Maledizione!» Sussurrò seccato.
«Dovreste saperlo, è proibita la caccia sul nostro suolo sacro...»
Una voce femminile si diramava nell’aria, ma sembrava provenire allo stesso tempo da tutte le parti come da nessuna.
«Chi....chi sei?» chiese l’uomo con voce tremante.
«Padre, andiamo via di qui!.»
Il padre del giovane iniziava a guardarsi attorno agitato, puntando l’arco contro qualsiasi cosa si muovesse in cerca della fonte da cui proveniva la voce.
«Fatti vedere!» urlò l’uomo con un filo di rabbia. Quasi come in un ringhio.
«Eccomi.»
Da dietro un tronco d’albero sbucò una figura incappucciata avvolta da una tonaca di color verde scuro. Nella mano destra impugnava un bastone di legno grezzo lungo più di un metro che appoggiava sul terreno per spostarsi.
L’uomo più anziano puntò allora l’arco verso la figura, pronto a scoccare la freccia in caso di una sua reazione.
Lo sconosciuto fece qualche passo verso gli uomini, si fermò di colpo e si tolse il cappuccio mostrandosi ai due individui che aveva davanti. Era una giovane elfica[2]dai capelli castani chiari con molte sfumature rosse, lunghi e leggermente mossi che gli scendevano dietro le spalle. Il suo viso era dai lineamenti dolci e aggraziati; gli occhi del color dello smeraldo e la sua pelle era liscia e dai colori olivastri.
I due uomini rimasero sbigottiti per la comparsa della giovane elfa, poi il più anziano chiese, ancora per una volta: «E chi diavolo sei tu?»
«Ma come... non l’avete ancora capito?» Rispose l’elfa divertita.
«Padre, andiamocene! Costei è una druida[3]del Circolo degli Antenati!»
«Taci! Sei solo un codardo! Anche se fosse, cosa potrebbe mai farci? Non stavamo facendo niente di male...»
«Tuo padre ha ragione, non vi è motivo di avere paura, se davvero non stavate facendo nulla di male...» la druida fece una pausa poi riprese.
«Tuttavia voi stavate facendo qualcosa di male... volevate uccidere una creatura sul nostro suolo sacro. E non certo per necessità...» dicendo ciò lanciò un occhiata alla pancia dell’uomo, prosperosa e tondeggiante.
«Cosa vuoi da noi?» chiese l’uomo seccato.
«Voglio solo che ve ne andiate da qui e che non facciate più ritorno, questo posto non fa per voi.»
«Perché dovremmo fare come dici tu? Altrimenti cosa fai eh? Ci picchi con il tuo bastone? Siamo stanchi di voi druidi del Circolo...fate tanto per proteggere le vostre amate terre sacre ma non vi preoccupate minimamente dei problemi della gente che vi abita affianco!»
L’uomo in preda a un raptus di follia buttò a terra l’arco ed estrasse un pugnale, preparandosi a colpire.
Il figlio nel vedere il comportamento del padre, e sempre più in preda al panico, si accovacciò vicino a un tronco portandosi le mani sul capo.
La druida abbassò la testa e la scosse amareggiata.
«L’orgoglio...che brutta cosa. Perché siete sempre così testardi?»
Il padre del ragazzo si scagliò allora addosso alla druida per colpirla ma ella si mosse rapidamente di lato schivando il colpo, poi colpì l’uomo sulla schiena col bastone facendolo ruzzolare in avanti.
L’uomo si rialzò, ancora più colmo d’ira di prima, e si preparò per un secondo attacco. Questa volta però la druida tese la sua mano verso il pugnale e pronunciò una formula in lingua Magi.
«Feiros, Abih Ohn Mesthrall!»
Il pugnale divenne in pochi secondi incandescente. L’uomo emise un urlo di dolore acuto lasciando cadere il pugnale, poi si guardò la mano e la agitò in aria per raffreddarla.
Infine si ricompose e con un ringhio sommesso lanciò un’ultima occhiata alla giovane elfa.
«Non finisce qui druida...». Poi si rivolse a suo figlio. «Coraggio andiamocene di qui...». I due raccolsero la loro roba e si incamminarono, dileguandosi in breve tempo tra la vegetazione.
L’elfa sospirò, quasi come se quello che aveva appena fatto le era costato molta fatica, poi si mise a sedere su una pietra lì vicino.
Improvvisamente udì qualcosa nella sua testa, una risata accompagnata da un commento sarcastico.
«Ah! Eleanor, davvero una bella esibizione, non c’è dubbio... ».
La giovane elfa si guardò attorno finche non notò uno scoiattolo sopra al ramo di un albero. Roteò gli occhi verso l’alto e poi sospirò seccata.
«Marloen...»
Lo scoiattolo si mosse agilmente tra i rami fino a giungere al tronco, che percorse fino ad arrivare a terra.
«...ma credo non abbiano imparato la lezione, dovevi andarci più pesante.Non meritavano alcuna pietà.».
L’animale iniziò lentamente a cambiare forma, e ad assumere tratti sempre più umani man mano che si avvicinava ad Eleanor.
La druida si fece seria e voltando lo sguardo nella parte opposta iniziò a dialogare con la strana creatura, in tono indifferente.
«Ti sbagli Marloen, anche loro hanno diritto a una seconda possibilità. Ma suppongo che a te e ai tuoi colleghi non importi molto di ciò.».
Nel frattempo lo scoiattolo aveva completato la trasformazione, ora aveva assunto la sua vera forma. Era un uomo avvolto in un mantello scuro, simile a quello di Eleanor. Aveva capelli corvini corti e spettinati, i suoi occhi erano di un colore molto scuro, molto vicini al nero e avevano un aspetto quasi inquietante. Sulla sua bocca vi era un sorriso beffardo, Eleanor odiava quel sorriso. Non poteva sopportare Marloen e gli altri suoi colleghi umani iniziati di recente al Circolo. Erano così ambiziosi, così prepotenti... pretendevano sempre di sapere tutto, ignorando così le parole degli Anziani.
«Tuo padre vuole vederti... credo anche con una certa urgenza.».
Marloen riprese a parlare, dal tono della sua voce si poteva intuire che si trattava di una cosa molto importante.
«D’accordo, andiamo dunque.».
Entrambi si trasformarono rapidamente in due uccelli e presero il volo.
Eleanor assunse la forma di un falco dal piumaggio di colore rossiccio, mentre Marloen aveva ora assunto la forma di un corvo.
 
Nel frattempo Marcus si trovava ancora all’interno del tronco cavo. Era sveglio ormai da qualche minuto, ma ancora non osava uscire da lì.
Le immagini della distruzione del suo villaggio erano ancora vivide nella sua mente: le urla, i feriti... e la triste fine di suo zio John.
Per un attimo strinse i denti e i pugni con forza, il sangue ribolliva. Non poteva fare a meno di pensare cosa avrebbe fatto a quei goblin appena li avrebbe rivisti. Li odiava, era sicuramente così. Qualcosa in lui fremeva e pian piano iniziava a consumarlo da dentro.
Improvvisamente i suoi pensieri furono interrotti da un grugnito proveniente dall’esterno, erano forse i worg del giorno prima? Magari altri goblin, oppure semplicemente un animale selvatico?.
Divorato dal dubbio si alzò lentamente dal suo giaciglio e si mise a sbirciare fuori. Era uno di quei worg del giorno prima.
La creatura era intenta ad annusare il terreno mentre si avvicinava sempre di più al suo nascondiglio. Sentiva il suo odore, ne era certo. Non avrebbe impiegato molto tempo per trovarlo.
Marcus estrasse la spada, facendo attenzione a non fare rumore e si preparò a difendersi. Trattenne il fiato per qualche secondo, il worg era vicino. Era talmente vicino che poteva vedere benissimo il luccichio dei suoi occhi rossi all’esterno.
Un ululato richiamò l’attenzione della creatura che si voltò per qualche istante poi diede un’ultima occhiata nella direzione del tronco cavo e se ne andò galoppando.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, anche questa volta era riuscito a scamparla.
Attese ancora qualche minuto e poi finalmente si decise ad uscire da quel luogo, rotolò la pietra che stava davanti all’ingresso e si aggrappò a una radice aiutandosi ad uscire. Si guardò attorno, in cerca di un possibile pericolo. Non c’era nessuno.
Non aveva idea di dove andare quando, istintivamente, si mise a cercare la direzione per raggiungere il suo villaggio. “Che ci vado a fare ad Arboren?” pensò tra se e se. “Non ha più alcun senso ormai...”
Poi si ricordò delle parole di suo zio: “Prendi l’amuleto. Devi contattare il Circolo degli Antenati, loro sapranno cosa fare. Non posso permettere che i goblin lo prendano...”
«Il Circolo degli Antenati.» ripeté tra se a bassa voce. “E dove diavolo è il Circolo degli Antenati?”
Non aveva tutti i torti, rintracciare il Circolo per un comune umano non era cosa facile. I druidi avevano elaborato nel corso dei secoli innumerevoli trucchi per passare inosservati, il loro accampamento doveva essere per forza nascosto da qualche parte nella foresta. Non c’erano molte possibilità, l’unica cosa da fare era riuscire a contattare un druido. Ma come contattare un druido?
Nel dubbio si mise a cercare eventuali indizi che indicassero la sua posizione attuale e se vi poteva essere o meno la presenza di altre persone nella zona. Ormai era mattina inoltrata, avrebbe potuto utilizzare la sua ombra per individuare approssimativamente la posizione del Nord. E così fece.
“Sto andando dalla parte sbagliata” pensò.
L’accampamento nascosto dei druidi doveva trovarsi per forza verso sud, nel folto della foresta. Ed è lì che ora era diretto.
 
Eleanor e Marloen erano finalmente giunti all’accampamento dei druidi.
Lo si poteva intravvedere nella vegetazione. Si potevano scorgere le tende e i ripari improvvisati costruiti con legna, teli e pelli di animali.
I due planarono dolcemente lì vicino e ripresero la loro forma umanoide.
Visto da terra sembrava decisamente più grande che dall’alto, si poteva avvertire un’aura di tranquillità e di pace nei suoi pressi. Tutto intorno all’accampamento era presente una distesa di alberi e erba alta, altissima, impenetrabile per chiunque non fosse stato un druido o un animale.
C’erano diversi uomini ed elfi intenti a svolgere le loro attività quotidiane.
Insieme a loro vi erano anche molti animali, sembrava quasi che ogni druido avesse il suo: tassi, lupi, falchi, cinghiali e persino un grosso orso bruno.
Alcuni di loro semplicemente poltrivano vicino alla tenda del loro druido, altri facevano la guardia, altri ancora giocavano tra di loro.
Eleanor e Marloen si fecero largo tra le tende e gli altri druidi fin che non arrivarono nei pressi di una grossa quercia, con un’ampia apertura nel mezzo.
Attorno all’albero volteggiavano, quasi come in una danza, alcune farfalle dai colori variopinti.
Improvvisamente si udì una voce tremante, sicuramente vecchia di secoli, provenire da dentro l’albero.
«Ah... Eleanor, ti stavo aspettando...»
«Eccomi padre. Perché mi avete mandato a chiamare?»
Dalla penombra che vi era all’interno dell’apertura uscì lentamente un elfo molto anziano. Aveva capelli dai colori argentei ma la sua pelle sembrava ancora giovane, sebbene vi fosse qualche increspatura qua e là.
Avanzò qualche passo verso di lei, poi riprese con voce calma e fredda:
«C’è una questione che vorrei sottoporre alla tua attenzione... ma non posso parlartene qui, devi vedere coi tuoi occhi.» Fece cenno alla figlia di seguirlo.
Marloen cercò di andare con loro, ma l’Anziano si voltò di colpo verso di lui e lo fermò.
«Tu no, Marloen. Ho un altro compito da affidarti. E’ da un po’ che non si hanno più notizie di Eluarr... vedi se riesci a scoprire qualcosa a riguardo.»
«Sì, Maestro Nerhul.»
Marloen fece un inchino e, mentre Eleanor e suo padre si allontanavano, aggrottò pesantemente le sopracciglia. Poi si voltò e se ne andò.
 

L’Anziano Nerhul e sua figlia si erano allontanati dall’accampamento. Camminavano da diversi minuti ormai.
«Padre, dove mi state portando?»
«Siamo arrivati Eleanor. Guarda.» Dicendo ciò indicò qualcosa sul terreno davanti a loro. La giovane druida rimase turbata di fronte a una visione simile.
Per terra giaceva il corpo sfigurato e ormai senza vita di un giovane lupo, aveva diversi tagli e sfregi per tutto il corpo e sul ventre vi erano gli evidenti segni di un morso, probabilmente era stato proprio quello a causarne la morte. La dimensione dei segni dei denti e dei graffi facevano facilmente intuire che era stato qualcuno... o qualcosa di grosso a fare quello.
«E’ stato... un orso?» chiese la druida, ormai evidentemente confusa.
Nerhul scosse il capo.
«No. Questo lupo è stato massacrato per puro divertimento, non per necessità. Un comune orso non avrebbe mai potuto fare questo.»
«Non capisco... se non è stato un orso, chi può essere stato?»
«Questo non è il primo animale ucciso brutalmente. Sospetto sia opera dei discepoli di Malar[4], e probabilmente di Licantropi[5]»
«Discepoli di Malar? Ma...come sono arrivati nella Foresta degli Avi? Noi druidi ci saremmo sicuramente accorti di qualcosa...»
Suo padre si guardò attorno con cautela, poi riprese a parlare abbassando il tono della voce.
«E’ proprio questo il mistero Eleanor, succedono troppe cose strane di recente. La sparizione di Eluarr, il ritrovamento di animali uccisi brutalmente... ho dei sospetti che non mi piacciono per nulla.»
«Intendi forse dire che i discepoli di Malar sono tra noi? Uno di noi è il responsabile di questo? Ma è terribile solo pensarlo!»
L’Anziano intervenne per zittire la giovane.
«Abbassa la voce... sono solo sospetti per il momento. Ma se ciò che penso è vero, in questo momento potrebbero ascoltarci. Per questo non ho fatto venire Marloen con noi. Non possiamo più fidarci di nessuno all’interno del Circolo, temo nemmeno degli Anziani.»
«Cosa possiamo fare allora?»
«Dobbiamo scoprire di più, ci servono prove. Potremmo cominciare con...»
Nerhul si interruppe di colpo, sostò in silenzio per sentire meglio la voce del vento che gli sussurrava negli orecchi.
«Qualcosa non va?»
«Il vento... è successo qualcosa di brutto poco lontano da qui.»
«Cosa è successo? Io non sento nulla.»
«Sofferenza... avverto molta sofferenza...e rabbia. Troppa rabbia. Questo significa che...»
L’Anziano si interruppe di nuovo, questa volta la sua voce assunse un tremolio che turbò ancora di più la giovane. Per la prima volta dopo tanto tempo avvertiva un cambiamento nella voce del padre, da sempre così fredda e sicura.
Sostò anche lei in silenzio fino a che non riuscì ad udire la flebile voce del vento.
«Ora la sento anche io...»
«C’è qualcosa di ancora più urgente che devi fare ora. Devi recarti ad Arboren, a Nord di qui. Cerca John e assicurati che abbia ancora l’amuleto con se. Temo gli sia accaduto qualcosa di brutto... l’amuleto non deve cadere nelle mani sbagliate.»
«Ma... e la questione del Circolo?»
«Non preoccuparti di ciò... sarai più al sicuro lontana dal Circolo per il momento. In quanto a me, me la caverò vedrai. Vai ora, prima che sia troppo tardi!»
«Sì padre, vi contatterò appena avrò notizie dell’amuleto.»
La druida si tramutò in un falco spiccando così il volo.
L’Anziano si chinò affianco al corpo del lupo martoriato e formulò alcune preghiere prima di andarsene.
«Possa il tuo spirito riposare in pace, fratello.»
 
Erano passate diverse ore e Marcus vagava ancora senza meta nella foresta.
Ormai iniziava a pensare che stesse girando in tondo. Gli alberi, le pietre...tutto sembrava così familiare.
Si fermò per qualche istante a riposare appoggiandosi al tronco di un albero.
“E’ davvero ben nascosto questo Circolo...” pensò tra se.
«Forse conviene cambiare direzione, sono già passato da qui.»
Appena fece per poggiare il piede davanti a se si udì un fruscio rapido sopra la sua testa e improvvisamente una corda si strinse attorno al suo piede sollevandolo di colpo da terra.
Si trovava ora appeso a testa in giù al ramo di un albero, era caduto in una trappola probabilmente messa lì da qualche bracconiere.
Il ragazzo iniziò a dimenarsi e a urlare disperatamente in cerca di un qualche aiuto. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»
Continuò così per una decina di minuti fino a che, stanco e senza voce, decise di lasciar perdere e si abbandonò, quasi come morto.
All’improvviso si udirono delle risatine e un frusciare d’ali riecheggiare nell’aria. Uno dopo l’altro apparvero diversi pixie[6]che iniziarono a svolazzare attorno a Marcus ridacchiando, colpendolo e tirandogli i vestiti divertiti.
Il ragazzo infastidito cercò in tutti i modi di allontanare i folletti con le mani.
«Via! Andate via!»
Nella confusione l’amuleto gli scivolò fuori dalla tasca e cadde a terra in mezzo al fogliame.
«No! Maledizione!» esclamò il ragazzo.
I Pixie se ne andarono come erano venuti, scomparendo. Sembrava che qualcosa li avesse spaventati.
E in effetti qualcosa c’era, subito dopo iniziarono ad arrivare alcuni goblin ridacchiando malvagiamente.
Uno di loro sollevò lo sguardo e sorrise, mostrando i denti affilati.
«Guarda, guarda... il piccolo uomo è caduto in trappola!»
«Oh no...» sussurrò tra sé il ragazzo, ormai rassegnato.
Un goblin nel frattempo era salito sull’albero per mollare leggermente la corda in modo tale da calare il ragazzo a poche decine di centimetri da terra.
Il goblin che prima aveva parlato si avvicinò a Marcus mentre gli altri lo tenevano fermo, poi estrasse un pugnale e glielo puntò alla gola.
«Dimmi ora... dove tieni nostro oggetto sacro?»
Marcus non disse nulla.
«Io so che è con te...»
Poi fece cenno agli altri che iniziarono a frugare nelle tasche del giovane.
Mentre i goblin perquisivano il giovane, colui che li comandava notò un piccolo oggetto luccicante al suolo.
«Umh...cosa abbiamo qui?» Il goblin si chinò e lo raccolse con un sorriso compiaciuto.
«Ah...Eccolo!»
Poi lo sollevo in aria come in un gesto di vittoria e riprese:
«Guardate! La reliquia degli antichi Yurghon è tornata da noi! Lode e gloria a Yamatchaa!»
Tutti i goblin presenti emisero grida vittoriose e di esultanza.
Marcus, che era ancora appeso a testa in giù, iniziò di nuovo a dimenarsi urlando.
«Lasciatemi brutti mostriciattoli! Me la pagherete!»
«Bene piccolo uomo... è arrivato il momento di morire!»
Dicendo ciò il goblin impugnò il pugnale e si preparò a tagliare la gola del giovane. Ma un grugnito proveniente dalle sue spalle lo fermò.
I goblin si voltarono di colpo. C’era un grosso orso bruno che si guardava attorno mentre avanzava ciondolando verso di loro.
Il sorriso scomparve dal viso del goblin che si mise a indietreggiare mentre teneva ancora stretto nel pugno l’amuleto.
«Via presto! Grosso animale ucciderà piccolo uomo per noi...»
Appena fece per voltarsi e scappare, inciampò nel ramo di una rampicante che gli si era avvolta intorno al piede, finendo così a terra. Aprì istintivamente le mani per poggiarle al suolo e l’amuleto cadde di nuovo tra le foglie secche.
Si udirono poi le risatine delle pixie che erano comparse di nuovo sopra alle teste dei goblin.
Il comandante dei goblin si rialzò da terra, guardò le pixie, emise un ringhio sommesso e poi si mise a cercare l’amuleto tra le foglie.
Ma le pixie furono in pochi secondi addosso ai goblin, tirandogli le orecchie, le vesti e colpendoli ripetutamente in viso.
I piccoli umanoidi si rassegnarono e decisero di darsi alla ritirata, inseguiti dalle pixie, abbandonando così l’amuleto e il ragazzo.
L’orso nel frattempo avanzava lentamente verso Marcus finche non fu talmente tanto vicino da annusarlo, sbuffando col suo alito caldo sul suo viso.
Marcus trattenne il respiro, di nuovo la paura iniziava a impossessarsi della sua mente. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa pensare.
Improvvisamente l’orso emise un ringhio e si alzo rapidamente su due zampe, stagliandosi verso l’alto in tutta la sua altezza.
Si scagliò poi con tutta la sua forza contro la corda, tagliandola con una zampata.
Marcus cadde di peso, ruzzolando goffamente, poi si rialzò velocemente da terra terrorizzato e, estraendo la sua spada, la puntò nella direzione dell’orso.
L’animale sembrò molto contrariato dal gesto del ragazzo, scosse la testa a destra e a sinistra poi si rialzò di nuovo su due zampe, pronto a scagliarsi di nuovo contro il ragazzo. L’orso si lasciò cadere e, spinto dalla forza di gravità, tirò una zampata sulla mano del ragazzo scagliandoli via la spada.
Proprio in quel momento un falco dal piumaggio rossastro planò vicino all’orso, scomparendo in una esplosione di fumo appena giunto a terra.
Una volta che la nube fu dissolta, una giovane elfa comparve alla vista del ragazzo.
«Bolash! Fermo!»
L’orso, appena udì la sua voce, si calmò e si mise a sedere a terra. Poi l’elfa si avvicinò all’animale e affondò una mano nella morbida pelliccia per accarezzarlo.
Marcus spalancò gli occhi, non credeva a quello che aveva appena visto.
«Tu...tu sei una druida del Circolo degli Antenati?» chiese confuso.
La druida sembrava ignorarlo, continuava ad accarezzare l’orso quando ad un tratto prese a parlare senza neanche guardare il ragazzo in faccia.
«Così sembra.» rispose freddamente. Poi riprese.
«Cosa ci fai tu qui? Non sai che queste terre sono sacre?»
«Io... io...accidenti l’amuleto!»
Il ragazzo tentò di rispondere, ma poi frugò nelle sue tasche e si ricordò dell’amuleto. Si mise a gattoni tastando il terreno nel tentativo di ritrovarlo.
L’elfa guardò finalmente verso il ragazzo aggrottando però le sopracciglia.
«Aspetta un momento... hai forse detto amuleto? E da quel che vedo lo hai anche perso! Questa non ci voleva proprio...»
«Sono caduto in quella trappola... e i goblin erano sulle mie tracce... è stata una fortuna che non l’abbiano preso loro. Deve essere per forza qui da qualche parte...»
«Fermo, lascia che ti aiuti.»
La druida chiuse gli occhi e con un lieve gesto delle mani chiamò a sé una lieve brezza che sollevò le foglie secche, vibrandole nell’aria.
L’amuleto luccicava al suolo, Marcus si avvicinò e lo raccolse.
«Eccolo!»
Con un delicato gesto della mano tentò di ripulirlo dai residui di terra che si erano incastrati nelle sue scanalature. Si rese conto che quella era la prima volta che guardava veramente quell’amuleto, da quando era fuggito dal suo villaggio infatti, non aveva avuto ancora l’occasione di fermarsi ad osservarlo.
Era composto da un disco d’oro su cui vi era incisa una figura al dir quanto grottesca... quella figura ricordava lontanamente una grossa lucertola... o forse un drago.
Il ragazzo fece scivolare lentamente l’amuleto all’interno di una tasca, poi riprese a parlare.
«Quindi anche voi druidi siete a conoscenza di questo amuleto...»
«Sì, mio padre mi manda per assicurarmi che l’amuleto non cada in mani sbagliate... ma... che ne è del suo custode? John?»
Marcus sostò un attimo in silenzio, poi riprese con un filo di voce:
«John, mio zio... è morto. Lo hanno ucciso i goblin...»
«Io... mi dispiace... questo significa che tu...»
L’espressione delle druida si fece subito triste e, visibilmente imbarazzata, tentò di cambiare discorso.
«...che tu sei il nuovo custode dell’amuleto.»
«Mio zio prima di morire ha detto di contattare il Circolo...ha detto che voi avreste saputo cosa fare. »
«Temo di non poterti portare direttamene al nostro accampamento al momento, ci sono stati...dei problemi di recente. Però posso contattare mio padre, lui saprà cosa fare.»
La druida congedò l’orso, poi con un cenno delle testa invitò Marcus a seguirla.
«Comunque, il mio nome è Eleanor... perdonami se non mi sono presentata prima, non ho molta famigliarità con i metodi di voi esseri civilizzati.»
«Piacere Eleanor, io mi chiamo Marcus.»
I due camminavano ora nella foresta, verso una destinazione sconosciuta.
Marcus non osava chiedere dove fossero diretti, probabilmente era uno di quei luoghi sacri ai druidi ed estranei all’uomo civilizzato.


[1]Circolo degli Antenati: ordine druidico che si occupa di conservare i segreti e le terre sacre degli Antenati, un antico popolo elfico ormai scomparso. Operano per la maggior parte all’interno della Foresta degli Avi, dove vigilano sugli spiriti e sulle creature viventi che la abitano.
[2]Elfo: umanoide di statura media, dalle orecchie lunghe e a punta. Hanno un aspetto perennemente giovane e variano in fisionomia e cultura in base al luogo e al clima di origine.
 
[3]Druido: colui che ha sviluppato un tale legame con la natura da poter comunicare con essa, controllarla e assumere innumerevoli forme ad essa collegata. Quasi sempre un druido è legato al suo circolo di appartenenza.
[4]Malar: chiamato anche “Il Signore delle bestie”, divinità legata alla caccia, alla sete di sangue, alle bestie predatrici e ai licantropi di natura malvagia. Il simbolo molto diffuso tra i suoi discepoli è la mano artigliata.
 
[5]Licantropo:  (lupo mannaro) umanoide in grado di assumere i tratti di un lupo durante le notti di luna piena. Appartengono alla famiglia dei mutaforma, sono soggetti ad una maledizione che alcuni di loro considerano invece un dono.  Spesso individui sani possono diventare a loro volta dei licantropi se morsi.
[6]Pixie: piccoli folletti dotati di ali. Di natura giocosa, amano mandare spesso i viaggiatori fuori strada. Quando minacciati però, diventano dei nemici molto fastidiosi. Possono diventare invisibili a piacimento.

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Capitolo 4
*** Sapere antico ***


Capitolo 3


 

Sapere antico


 
 
“A volte le storie riemergono dal passato e, quando meno te lo aspetti, cambiano per sempre la tua vita.”
 
Eleanor e Marcus giunsero in una radura al cui centro vi era un piccolo specchio d’acqua dolce.
Durante il tragitto l’elfa non aveva spiccicato una parola quindi il ragazzo ormai stanco di tutto quel silenzio, decise di porre una semplice ma significativa domanda. «Che posto è questo?»
Eleanor si fermò girando leggermente la testa verso il ragazzo, ma senza guardarlo negli occhi. «Questo luogo è sacro a noi druidi del circolo... molti di noi si recano qui per ottenere delle risposte o semplicemente per mettersi in contatto con altri druidi.» Poi si voltò di nuovo e continuò a camminare fino a che non giunse sulle sponde dello stagno, l’acqua era talmente calma da apparire immobile. La druida si chinò e, con un gesto della mano, sfiorò delicatamente la superficie creando diversi cerchi concentrici.
«Possano le limpide acque di questo stagno mostrarmi ciò per cui sono giunta qui.»
Il riflesso dell’elfa iniziò a cambiare lentamente fino a che non era più lei ad essere riflessa ma l’immagine di suo padre, l’Anziano Nerhul.
Eleanor si rialzò in piedi e accennò un sorriso.
Marcus rimase a bocca aperta, quella era sicuramente la prima volta in vita sua che assisteva a una scena simile.
«Ben trovata, figlia mia. Mi porti notizie dell’amuleto che ti ho mandata a cercare?»
«Si padre, ma assieme ad esse porto anche brutte notizie. Colui che custodiva l’amuleto, Jhon, è morto.»
L’Anziano si fece subito serio in volto.
«Dunque era davvero grave come pensavo. Ma che ne è dell’amuleto?»
«Fortunatamente l’amuleto è salvo, ma...»
Marcus, confuso e ormai stressato da ciò che gli stava succedendo interruppe i due druidi ancor prima che finissero di parlare.
«Mio zio è morto e tutto quello che voi sapete fare è preoccuparvi per uno stupido amuleto!»
Nerhul aggrottò leggermente le sopracciglia.
«Eleanor, chi è questo ragazzo?»
«Egli è colui che dimorava con Jhon, l’amuleto ora è nelle sue mani...»
Il ragazzo intervenne ancora una volta.
«Il mio villaggio è stato distrutto; ho rischiato di essere incenerito da un goblin psicopatico; per poco non finivo divorato dai worg e ora mi trovo davanti a una druida che parla con un riflesso in uno stagno, senza che nessuno si degni di spiegarmi che cosa sta succedendo!»
Nerhul scosse la testa addolorato.
«Mi dispiace ragazzo. Per quanto riguarda colui che tu chiami zio, egli non è morto invano: tu sei ancora vivo e porti ancora con te l’amuleto, questo è ciò che conta ora. È stato un sacrificio, ma un sacrificio necessario per la salvezza di molti altri...» sostò un attimo in silenzio, poi riprese.
«...con i tempi che corrono non ci si può permettere di fermarsi a parlare troppo a lungo in un luogo. Dobbiamo incontrarci alle antiche rovine degli Antenati, solo allora potrò spiegarti quanto sia importante l’amuleto che porti con te. Eleanor, tu sai ciò che devi fare.»
«Sarà fatto, padre» disse la druida chinando la testa
«Fa presto, c’è in gioco ben più del destino del Circolo ora.»
Il riflesso nello stagno ritornò lentamente alla normalità, ora mostrava il volto rattristato della giovane elfa.
«Facile parlare per lui! I goblin non hanno ucciso le persone a cui teneva!» brontolò Marcus contrariato.
Eleanor girò le spalle al ragazzo, e prese a parlare con voce indifferente.
«Ti sbagli, John era anche un suo amico... ci sono molte cose che non sai, Marcus, e che forse sarebbe meglio tu non sapessi.»
«A cosa ti riferisci?» chiese ormai incuriosito.
«Andiamo, non c’è più tempo per parlare ora.»
La druida invitò Marcus a seguirla e insieme lasciarono la radura alle proprie spalle.
Il ragazzo aveva troppe domande che gli frullavano nella testa, troppi misteri da risolvere. Non era abituato a tutto quel mistero. Il fatto che i druidi non riponessero molta fiducia nei suoi confronti lo faceva arrabbiare, per non parlare poi della scarsa sensibilità con cui continuavano a parlare di suo zio e del suo villaggio.
Alla fine decise di lasciar correre, se davvero quell’amuleto era così importante allora il vecchio druido non aveva poi tutti i torti.
Ma a cosa serviva quell’amuleto? Perché tutti quanti erano così interessati ad esso? Come mai era in mano a suo zio?...
Un’infinità di domande ritornarono ad affollare la sua mente mentre ancora camminava al fianco della druida.
Avrebbe potuto chiedere a lei, ma in qualche modo sapeva che non avrebbe ottenuto una risposta soddisfacente.
Ad un tratto l’elfa si bloccò di colpo facendo cenno a Marcus di fare lo stesso. «Fermo!».
«Che succede?» chiese il giovane confuso.
Eleanor si chinò ed iniziò ad esaminare qualcosa sul terreno, in silenzio. Sul suo viso si poteva intravvedere una leggera preoccupazione.
Marcus sostò anche lui qualche secondo a guardare per terra, poi effettivamente si accorse che c’erano diverse impronte che andavano nella loro stessa direzione. Si chinò e iniziò ad osservarle.
«Impronte eh? Strano però... non sembrano appartenere ad un animale comune, eppure assomigliano moltissimo a quelle di un lupo...»
La druida girò di colpo la testa verso il ragazzo, lanciandogli un occhiata di ammirazione ma, allo stesso tempo, anche di profonda angoscia.
«... e a giudicare dal numero delle orme sembrerebbe che cammini a due zampe. Che cosa buffa, non trovi?»
Eleanor impedì al ragazzo di andare oltre, si rialzò in piedi in tutta fretta.
«Andiamo. Non è sicuro fermarsi troppo a lungo in un luogo.»
«Ma...»
Il ragazzo non fece neanche in tempo a chiedere spiegazioni che lei aveva già iniziato a camminare. «Aspettami Eleanor!» urlò, rialzandosi in piedi in tutta fretta per raggiungere la druida.
 
Nel frattempo Yamatchaa e i suoi seguaci vagavano ancora fra le macerie fumanti di Arboren alla ricerca di possibili sopravvissuti o, più semplicemente, di qualche oggetto prezioso da trafugare.
Avevano costruito un accampamento improvvisato nei pressi del villaggio e stabilito lì una piccola base, probabilmente in attesa di avere notizie dai ricognitori che erano ancora sulle tracce del portatore dell’amuleto.
Dalla foresta arrivarono diversi goblin in groppa ai loro worg, il loro comandante si fermò, scese dalla sua cavalcatura e andò in contro allo sciamano facendo un inchino, poi prese a parlare.
«O Grande Yamatchaa, nostra guida e nostro salvatore, voi che...»
Lo sciamano lo invitò a tagliare corto con un gesto della mano.
«Vieni al dunque, Truggloth. Avete recuperato l’amuleto?»
«Porto brutte notizie, il piccolo uomo è fuggito e abbiamo perso l’amuleto. Abbiamo cercato nella foresta ma...»
Yamatchaa andò su tutte le furie e diede un colpo in testa al goblin con il suo bastone.
«Stupido! Anche con una decina di goblin sotto il tuo comando non sei stato in grado di catturare un ragazzino spaurito! Come hai osato fare ritorno senza l’amuleto!»
Truggloth ormai impaurito e tremante ripiegò le orecchie e fece un passo indietro prima di continuare.
«La foresta protegge il piccolo uomo... » si interruppe per vedere la reazione dello sciamano, poi riprese.
«...per questo abbiamo fallito.»
Yamatchaa gli voltò le spalle e sostò in silenzio per qualche secondo massaggiandosi il mento, poi riprese:
«Bene. Non è del tutto colpa vostra forse... in fondo non è poi una così brutta notizia...»
«Che cosa avete in mente?» chiese il comandante con un ghigno malvagio sulla faccia.
«La foresta non potrà proteggere il ragazzo per sempre, so come agiscono i druidi. Essi faranno di tutto pur di allontanare l’attenzione dal loro preziosissimo Circolo, e quello sarà il momento giusto per agire. Ma fino ad allora dovremo aspettare... »
Detto ciò congedò il goblin con il quale parlava e ritornò ad occuparsi delle questioni dell’accampamento.
Con una smorfia, il comandante se ne andò contrariato borbottando tra se.
«A Truggloth non piace aspettare!».
 
Il sole iniziava lentamente a scendere dietro le chiome degli alberi, era pomeriggio inoltrato ma ancora non si vedevano le Rovine degli Antenati.
Eleanor si muoveva a suo agio nella foresta, leggera e agile come una foglia portata dal vento. Al contrario, Marcus faticava molto a starle dietro: ogni tanto capitava che inciampasse in qualche radice che sporgeva dal terreno o che andasse a sbattere contro qualche ramo mosso poco prima dalla druida.
Il ragazzo, ormai stanco e spazientito, decise di rompere di nuovo quel silenzio che li aveva accompagnati per quasi tutto il viaggio.
«Quanto manca ancora? È da diverse ore ormai che camminiamo...»
«Siamo quasi arrivati.» rispose secca lei, senza nemmeno smettere di camminare.
«Non possiamo almeno fermarci cinque minuti a riposare?» chiese ansimando il giovane.
La druida finalmente si fermò, voltandosi verso di lui. Lo squadrò per qualche secondo e si accorse che effettivamente era esausto.
Era da molto che non passava così tanto tempo con un essere delle terre civilizzate, anche se in realtà Marcus proveniva da un piccolo villaggio di campagna. Eleanor lo sentiva legato alla terra, anche se non in un modo così profondo come i druidi.
«D’accordo, credo che possiamo riposarci per un po’.»
Il ragazzo si appoggiò sbuffando ad un albero e accennò un sorriso come per ringraziare.
L’elfa approfittò della situazione per meditare: si sedette per terra incrociando le gambe e chiuse gli occhi, restando in silenzio.
Marcus si mise a ridacchiare, poi riprese:
«La vita di voi druidi deve essere alquanto noiosa a giudicare da quante volte al giorno comunicate con gli altri. Insomma, perché te ne stai sempre in silenzio?»
Eleanor rimase impassibile e senza aprire gli occhi cercò di rispondere alla sua domanda.
«Esistono molti modi per comunicare. La vita non è fatta di sole parole. Ascolta la voce del vento... non la senti? Essa narra di molte cose, eppure essa non usa parole.»
Il ragazzo, confuso dal discorso apparentemente senza senso, sostò per qualche secondo poi si mise a sedere su un tronco caduto che era lì vicino. Osservò la druida in silenzio per qualche secondo ancora, poi riprese a importunarla.
«Ma... avrai pur degli amici nel Circolo, no? Dovete per forza parlare tra di voi! »
Questa volta la druida aprì gli occhi guardando dritto davanti a se e rispose:
«Certo. I druidi del Circolo parlano tra loro, così come voi umani fate nelle vostre città. Ma un vero druido sa quanto sia importante il legame che egli ha con la terra. La terra non parla la lingua degli uomini, e nemmeno quella degli elfi.»
Era ormai chiaro che la sua meditazione era stata interrotta, l’elfa si alzò in piedi e riprese:
«Coraggio, è ora di andare.»
«Ma... non sono ancora passati cinque minuti!»
Eleanor scosse la testa accennando un sorriso.
«Avresti dovuto risparmiare le forze, invece di parlare in continuazione...»
Marcus sbuffò e si alzò in piedi a sua volta, pronto a ripartire.
 
 
Passò del tempo prima che i due arrivassero nei pressi delle rovine. Erano vicini ormai.
Tra la vegetazione si potevano intravvedere diverse colonne avvolte dai rampicanti oppure abbattute dalla corrosione e dal tempo. Sul terreno invece, vi erano sparse qua e là alcune pietre intagliate appartenute a chissà quale edificio caduto ormai in rovina.
«Impressionante... » commentò Marcus mentre si guardava attorno.
Anche Eleanor si guardò attorno, era da molto tempo che non faceva visita alle rovine. Di solito i membri più anziani si occupavano di quelle terre, quindi non vi era un vero motivo per cui lei dovesse andarci.
«Questo è ciò che rimane dell’antico popolo elfico, gli Antenati» disse con voce calma.
«Dunque, dov’è tuo padre?» chiese ad un tratto il ragazzo.
«Non è questo il luogo in cui dobbiamo incontrarci. Queste sono solo delle costruzioni isolate. Le vere rovine sono a qualche minuto di cammino davanti a noi.»
Mentre camminavano, i due si imbatterono in una grossa pietra scolpita, proprio davanti a loro.
Su di essa vi erano raffigurate diverse figure umanoidi legate tra loro con delle catene, erano degli elfi. Scorrendo con lo sguardo si potevano intravvedere altri disegni, ma era difficile stabilire cosa fossero visto che la pietra era ricoperta in gran parte dai rampicanti.
Marcus si avvicinò e fece scorrere le sue mani sulla superficie, togliendo alcune foglie ed erbacce per vedere meglio. Sotto vi erano altre figure umanoidi dalle sembianze rettiliformi intenti a spingere o infilzare i prigionieri con le loro lance.
«Cosa significa?» chiese all’improvviso il ragazzo.
Anche Eleanor si avvicinò e con un gesto della mano indicò gli elfi in catene.
«Questi elfi... sono gli Antenati.»
Poi fece scorrere il dito fino a che non passò sopra agli esseri rettiliformi.
«Questi sono gli Yurghon, un antico popolo di lucertoloidi che abitarono il continente diverse migliaia di anni fa.»
«Yurghon? Ho già sentito quel nome... un goblin lo ha gridato mentre teneva tra le mani l’amuleto.»
La druida staccò la mano dalla pietra, poi voltò le spalle a Marcus andando ad appoggiarsi a un albero lì vicino.
«Quando ancora gli umani non esistevano, i rettili dominavano molte delle terre oggi conosciute. Gli elfi vennero subito sottomessi e resi schiavi ancor prima di mettere piede nelle Terre Nuove[1]... »
«Quindi mi stai dicendo che Avalorn un tempo era abitata da lucertole che se ne andavano in giro su due zampe? Incredibile!» disse Marcus sogghignando.
«E non è tutto... purtroppo la maggior parte della storia di quel tempo è andata persa insieme a quella del suo popolo...»
Eleanor sostò in silenzio, poi riprese a parlare.
«Andiamo ora, mio padre ci starà aspettando.»
 
Camminarono per qualche minuto ancora, poi improvvisamente l’elfa si bloccò di nuovo, questa volta in un atteggiamento difensivo. Il suo udito acutissimo aveva captato un qualche suono più avanti.
«Che c’è ora?» chiese il ragazzo tentennante.
«Abbiamo compagnia, temo.»
Impugnò il suo bastone e allargò leggermente le gambe, preparandosi a colpire da un momento all’altro. I suoi occhi si muovevano scansionando velocemente il paesaggio circostante.
Davanti a loro si trovavano una decina di colonne poste le une accanto alle altre; dietro ad esse vi era una grossa scalinata di pietra sulla cui cima vi erano altre file di colonne. Il tutto era avvolto dalla vegetazione.
Marcus estrasse la spada dal fodero, anche lui pronto a difendersi.
Ad un tratto si udì una voce provenire da dietro le colonne, in cima alla scalinata.
«Guardate cosa abbiamo qui... il giovane uomo e un’elfa del Circolo.»
Subito dopo un worg molto grosso uscì dal suo nascondiglio mostrando i denti, in una sorta di sorriso.
Dopo di lui, altri uscirono da dietro le colonne ringhiando e sbavando.
«Ancora loro...» commentò subito Marcus in tono di rassegnazione.
«Questa volta non ci sfuggirai, umano. Come vedi, ho portato qualche amico in più...»
Sempre più worg uscirono allo scoperto, in tutto erano una quindicina all’incirca.
Eleanor si fece seria in volto, poi prese a parlare con impeto.
«Sottovalutate la potenza del Circolo se pensate di poter affrontare un druido nelle sacre terre degli Antenati.»
Mentre la druida parlava, le creature scesero lentamente dalla scalinata. Il loro capo si avvicino ai due prima di fermarsi poi lanciò una rapida occhiata al giovane umano prima di parlare.
«Correrò il rischio... deludere il padrone è l’ultima cosa che voglio.»
All’improvviso si udì un ululato provenire dalla foresta.
Un giovane lupo uscì correndo dalla vegetazione e quando fu vicino, spiccò un salto sulla groppa del worg mordendolo dietro il collo. La creatura si gettò a terra nel tentativo di staccarselo di dosso, poi entrambi si rotolarono guaendo e ringhiando.
Eleanor chiuse gli occhi, cercando di richiamare il potere della terra a se.
«Erhons, Gathle vah, Anh Teeh!»
Appena ebbe finito di pronunciare la formula, picchiò la punta del bastone a terra: in poco tempo il campo di battaglia fu invaso da rampicanti che crescevano a vista d’occhio. I viticci si avvolsero attorno ad alcune creature, immobilizzandole.
Marcus intanto combatteva con altri worg che erano sfuggiti alla morsa dei rampicanti. Si muoveva rapidamente, schivando e contrattaccando di continuo. Riuscì ad ucciderne un paio prima di rimanere circondato da cinque di quelle creature.
«Eleanor, mi serve aiuto qui!»
Il ragazzo indietreggiava mentre si guardava attorno, i worg avanzavano lentamente fissandolo con i loro occhi dalla luce scarlatta.
L’elfa ripose il bastone ed estrasse un falcetto dalla cinta di corda che portava sopra la tunica. Corse incontro al giovane uccidendo alcuni worg sul suo cammino.
Quando finalmente fu vicina, tese la sua mano nella direzione del ragazzo. «Amalia, Seepho erh!»
Una strana polverina luccicante di colore verde si materializzò sopra alle creature, scendendo lentamente.
I worg iniziarono a tentennare, alcuni di essi osarono fare qualche passo ma caddero subito a terra, addormentati.
La druida poi si girò verso il worg anziano e lo strano lupo apparso all’improvviso, i due stavano ancora lottando tra gemiti e ringhia.
L’animale aveva delle dimensioni più ridotte rispetto alla creatura, quindi doveva continuamente mordere e poi indietreggiare velocemente per evitare le sue zanne e i suoi artigli.
«Khaleil!» gridò Eleanor correndo nella loro direzione. Poi si bloccò di colpo tendendo la sua mano: in una frazione di secondo ne uscì un’onda d’urto potentissima che scaraventò il worg anziano contro un albero facendogli perdere i sensi.
Gli altri stavano iniziando a liberarsi dai rampicanti, la druida decise che era il momento di ritirarsi finche erano in tempo.
«Coraggio! Venite! Da questa parte!» urlò Eleanor, incitando Marcus e Khaleil a seguirla.
Marcus trafisse una delle creature che si erano liberate, poi ripose la spada nel fodero e si mise a correre nella sua direzione.
Tutti e tre corsero tra le colonne delle rovine cercando di stare il più possibile nascosti fino a che non videro un piccolo muro di pietra davanti a loro, al cui centro vi era un apertura che ricordava vagamente un portone.
«Entriamo là dentro.» disse la giovane elfa all’improvviso mentre ancora correvano.
Appena dentro, si voltò e sussurrando alcune parole fece crescere la vegetazione dietro di loro, bloccando il passaggio.
«Questo dovrebbe tenerli occupati per un po’» disse poi compiaciuta.
Marcus ansimava chino su se stesso tenendosi le ginocchia. Poi, appena riprese fiato, girò la testa nella direzione dello strano lupo e cominciò a chiedere spiegazioni alla druida..
«Quello è un druido vero? Non dirmi che è un lupo vero!»
«Khaleil è un lupo così come io e te siamo elfo e umano.» rispose lei tranquillamente.
Il ragazzo si raddrizzò di colpo, appoggiando la sua mano sull’elsa della spada.
L’animale, vedendo la sua reazione, lo guardò dritto negli occhi ed emise un ringhio sommesso.
«Non è un pericolo vero? Non ci attaccherà alle spalle o cose simili spero...»
Eleanor sembrò divertita dall’atteggiamento del giovane.
«Khaleil è il mio compagno animale, la mia guida, un amico inseparabile. Non ci farebbe mai del male, almeno che tu non gliene voglia fare per primo.»
Marcus sembrò sollevato dalle sue parole, tolse la mano dall’elsa.
«Bene... ora che si fa?»
La druida fece cenno con la mano indicando avanti.
«Guarda, siamo arrivati.»
C’era una grossa struttura davanti a loro, avvolta anche lei dalla vegetazione come tutto il resto. Era composta da una grossa scalinata lungo la quale vi erano diverse colonne ormai andate distrutte dal tempo. Sulla cima vi era un piccolo edificio simile a un tempio e, davanti ad esso, si poteva intravvedere un altare destinato a chissà quale uso.
Si fecero strada fino a giungere ai piedi della struttura quando improvvisamente una voce riecheggiò tra le rovine.
«Siete arrivati finalmente, vi stavo aspettando.»
Un elfo si fece avanti uscendo dalla porta in cima alla scalinata. Poi scese lentamente le scale fino ad arrivare anche lui ai piedi della struttura. Era l’Anziano Nerhul.
Eleanor accennò un inchino, poi prese a parlare.
«Abbiamo dovuto affrontare diversi worg venendo qui.»
«Quei goblin sono davvero disperati se mandano i loro segugi ad attaccarci qui, nelle nostre terre sacre. Ma questo non può fermarci, non deve.»
Marcus intervenne ancora una volta, ansioso di ottenere delle risposte.
«Mi avete fatto venire qui per un motivo ben preciso suppongo, dunque a cosa serve questo amuleto? Perché a quei goblin interessa tanto? Perché...»
Nerhul lanciò un occhiata verso Marcus, poi alzò la mano invitandolo a fermarsi.
«Ogni cosa a suo tempo, ragazzo. Presto troverai le risposte che cerchi, ma per ora posso solo rivelarti parte della storia di quell’amuleto.»
L’Anziano fece una pausa, poi proseguì:
«Molto tempo fa, queste terre erano abitate dagli Antenati, uno dei popoli più antichi degli elfi, essi furono i primi ad utilizzare le arti magiche. Anche i rettili abitavano qui, e presto divennero i signori incontrastati delle terre che voi umani oggi chiamate Avalorn. Tra di essi vi erano anche i draghi, come quello che è inciso sul tuo amuleto.»
«Aspettate un momento... un antico popolo elfico scomparso, magia, rettili, draghi. Che cosa ha a che fare tutto questo con me o con mio zio?»
L’elfo assunse un espressione triste in volto, ma tentò comunque di rispondere senza farlo notare al ragazzo.
«L’amuleto non apparteneva a colui che tu chiami zio, fummo noi druidi del Circolo a trovarlo fra queste rovine e ad affidarglielo in custodia... pensavamo che nessuno lo avrebbe mai cercato in un villaggio di contadini. Evidentemente ci siamo sbagliati.»
Marcus scosse leggermente la testa.
«Ma perché quell’amuleto è così importante?»
«Noi druidi non siamo a conoscenza della vera natura dell’amuleto, ciò che sappiamo è che quell’amuleto è parte di un rituale potentissimo, che potrebbe risvegliare un antico potere. Un potere che riporterebbe il caos su questo piano di esistenza. Non possiamo permettere che accada... per questo l’amuleto non deve cadere nelle mani sbagliate.»
«Capisco, beh ecco il vostro amuleto... il mio compito è finito. L’amuleto è ritornato da voi, sano e salvo. E’ questo che conta no?»
Il ragazzo tirò fuori l’amuleto dalla tasca e lo diede al vecchio druido.
Nerhul aggrottò leggermente le sopracciglia, poi prese il braccio di Marcus e fece scivolare lentamente l’amuleto dalla sua mano a quella del giovane, chiudendogliela in un pugno.
«Non è così che risolveresti i tuoi problemi, i goblin continuerebbero comunque a darti la caccia. Il tuo compito non è ancora finito, Marcus. C’è una persona di mia conoscenza, vive nella Città Imperiale. Il suo nome è Emerik, è un nobile studioso appassionato di storia antica. Lui ti fornirà tutte le risposte che cerchi...»
«Città Imperiale? Come posso arrivarci da solo?»
«Eleanor verrà con te. È nell’interesse del Circolo impedire ad ogni costo che il rituale venga effettuato. La via più breve per la città è passare per Restwood, un villaggio ad ovest da qui. Ma purtroppo gli umani che vivono lì sono ostili nei confronti dei druidi, vi attaccherebbero a vista.»
L’anziano fece una pausa per pensare, massaggiandosi il mento.
«Dovrete andare verso nord, a Little Ling. Il Circolo è in buoni rapporti con gli halfling, se chiederete troverete sicuramente qualcuno che vi accompagni fino a Forte Harmbridge. È un grande fardello quello che porti sulle tue spalle, ragazzo. Mi spiace solo che sia tu a portarlo...»
«Perché proprio io? Perché non mandare un druido del Circolo, o semplicemente perché non ci andate voi stesso?»
«Perché non hai scelta, ragazzo. Non c’è più nulla per te ad Arboren. Soltanto riportando alla luce il passato dell’amuleto potrai avere le rispose che cerchi e soltanto allora potrai ritrovare finalmente la pace.»
Fece ancora una pausa, poi fece cenno alla figlia di seguirlo.
«Aspetta qui, devo parlare con mia figlia... in privato. »
Marcus si sedette lasciandosi andare su uno dei gradini di pietra li vicino. Chinò il capo appoggiandovi le mani sopra fino a che non si ricordò della presenza di Khaleil, lì accanto a lui.
Il lupo era sdraiato nell’erba, intento a leccarsi una ferita sulla zampa, probabilmente se l’era procurata nel combattimento precedente.
Il ragazzo si allontanò un poco da lui, con un espressione preoccupata sul viso.
 
Nel frattempo, l’Anziano e la figlia stavano discutendo tra loro a bassa voce dietro una colonna qualche metro più in là.
«E’ troppo giovane, come potete chiedergli questo?» chiese lei scuotendo la testa.
«Non abbiamo altra scelta... anche tu eri poco più di una ragazzina quando ti ho affidato il tuo primo incarico...»
«Non è la stessa cosa!» ribatté lei alzando leggermente la voce.
Nerhul appoggiò una mano sulla sua spalla, rassicurandola.
«Per questo sarai tu al suo fianco. In due riuscirete dove uno solo di voi fallirà.»
Eleanor sostò pensierosa, poi riprese a parlare con voce triste.
«Perché non gli avete detto la verità riguardo all’amuleto e alla sua famiglia?»
L’Anziano si staccò da lei e le girò le spalle andando ad appoggiarsi alla colonna di pietra, poi guardò nella direzione di Marcus.
«Non avrebbe comunque accettato ciò che avevo da dirgli. Non è ancora pronto per conoscere la verità.»
«Come potete dirlo? C’ero anche io il giorno in cui sua madre è venuta da noi implorandoci di nascondere il bambino che teneva fra le braccia... e sappiamo bene entrambi chi era suo padre...»
L’Anziano si voltò di colpo assumendo un espressione cupa in volto, come per zittire la figlia.
«No! Non deve sapere, almeno fino a quando non sarà pronto ad accettarlo. Quel ragazzo ha già sofferto abbastanza...»
Eleanor abbassò la testa sospirando.
«Vi chiedo perdono, padre, se ho dubitato di voi. Avete ragione... non vi è motivo di angosciare il ragazzo per il momento.»
Lui accennò un sorriso, poi riprese.
«Ora va, bambina mia... la strada che stai per percorrere è irta di pericoli. Fai attenzione quando sarai nella Città Imperiale, molti druidi in passato si sono lasciati corrompere dalle sue false promesse. Ma ho fiducia in te, Eleanor...»
L’elfa annuì con la testa.
«Non vi deluderò, proteggerò l’amuleto e il ragazzo a costo della mia stessa vita.»
«Spero con tutto il cuore che ciò non sia necessario...» disse l’Anziano prima di trasformarsi in un’aquila reale e spiccare così il volo.
La druida sostò per qualche secondo guardando suo padre mentre si allontanava, poi finalmente raggiunse Khaleil e Marcus.
Il sole era tramontato ormai, insieme cercarono un posto dove passare la notte. Un buon riposo è ciò di cui tutti avevano bisogno, il mattino seguente sarebbe iniziato il loro viaggio, verso nord, verso Little Ling.


[1]Terre Nuove: termine utilizzato per indicare l’insieme composto dalla maggior parte delle terre meridionali colonizzate di recente dagli uomini, tra cui vi sono Avalorn, Thorim, le Isole Meridionali e Marduill.

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Capitolo 5
*** Un giorno da leoni ***


Capitolo 4


 

Un giorno da leoni


 
 
“Non molto lontano da Arboren, tra le Colline Boscose, vi era un villaggio halfling di nome Little Ling. Nessuno lo avrebbe mai pensato, ma anche fra di loro si nascondeva un piccolo eroe.”
 
Poco distante da Little Ling alcuni giovani halfling[1]erano impegnati in una delle loro attività preferite: il lancio delle pietre.
Se ne stavano seduti su di un pontile a ridosso di uno stagno, a turni ciascuno lanciava un sasso cercando di farlo rimbalzare più volte sulla superficie dell’acqua.
«Mi spiace per voi ragazzi, ma ancora una volta sono io il campione!»
Uno di loro si alzò in piedi di scatto ridacchiando in modo stridulo. Indossava una camicia con bretelle e dei pantaloni di tela leggeri. Sulla testa portava un cappello a bombetta logoro; sotto di esso si potevano intravvedere i suoi capelli, ricci ed arancioni.
«Non c’è gusto a gareggiare con te, Brocco... per questo ho deciso di non partecipare ai giochi questo mese.» disse uno degli halfling che era seduto lì accanto.
«Sciocchezze! La verità è che hai solo paura di perdere un’altra volta!»
«Ah si? Ti faccio vedere io ora!»
I due iniziarono ad azzuffarsi strattonandosi e tirandosi i vestiti ma qualcosa attirò la loro attenzione non molto lontano da lì.
Una melodia riecheggiava nell’aria. Alla fine la melodia si tramutò in un lamento, il lamento di uno strumento intento a suonare qualcosa ma sbagliando completamente le note.
Il giovane halfling dai capelli arancioni sorrise mollando la presa sull’amichetto con cui stava litigando.
«Sentitelo! Il cocco di papà sta ancora suonando quel dannato coso.»
Si fermò per qualche secondo ancora ad ascoltare, poi alla fine scosse la testa sogghignando.
«Andiamo a fare visita a quell’incapace.»
Fece cenno agli altri di seguirlo e insieme si allontanarono tra gli alberi, sghignazzando a tutto volume.
 
Non molto lontano, un altro halfling se ne stava seduto ai piedi di un grosso albero. Portava un paio di occhiali a lenti tonde dietro le quali si potevano intravvedere i suoi occhi, azzurri come il cielo d’estate. I suoi capelli, corti e a spazzola, erano di un biondo intenso simile al piumaggio di un pulcino.
Indossava un farsetto bianco con una giacca di color verde scuro e tra le mani teneva un piccolo liuto con diverse decorazioni dorate sulla sua superficie.
Il piccolo halfling guardò il cielo pensieroso, poi si mise ancora una volta a pizzicare le corde dello strumento canticchiando un motivetto.
Dal liuto fuoriuscì una dolce melodia che in poco tempo si tramutò in un lamento assordante.
«Credo che questa parte sia ancora da perfezionare...» disse tra sé sistemandosi gli occhiali.
Da dietro un albero sbucò fuori all’improvviso il piccolo umanoide dai capelli arancioni seguito dai suoi amichetti.
«Ehi ragazzi, guardate chi abbiamo qui... Mirmo, il re dei falliti!» esclamò trattenendo a stento una risata.
«Andatevene!» urlò l’halfling con il liuto alzandosi in piedi di scatto.
Un altro poi si fece avanti, facendogli il verso.
«Guardate! Sono Mirmo! Ops, che sbadato! Ho dimenticato di dire che sono un fallito!»
E gli altri si sganasciarono dal ridere.
Mirmo aggrottò le sopracciglia e si mise a urlare con gli occhi lucidi di rabbia.
«P-p-piantatela! Io non sono un f-fallito! E ve lo d-dimostrerò!»
Dicendo questo si allontanò con passo svelto da quel luogo mentre gli altri ancora ridevano e sparì tra gli alberi.
Quando fu abbastanza lontano da non esser visto, affrettò sempre di più il passo fino a correre con tutte le sue forze verso casa. Mentre ancora correva, delle lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance fino a staccarsi dal suo viso e cadere per terra.
 
Arrivato a casa, il giovane Mirmo sbatté rumorosamente la porta correndo al piano di sopra, nella sua camera.
«Mirmo! Quante volte ti ho detto di non sbattere la porta!» si sentì urlare dall’altra stanza.
Suo padre era seduto su di una poltroncina intento a leggere il giornale, scosse la testa amareggiato poi commentò a ad alta voce una delle notizie della settimana.
«Per tutte le monete di platino! Il costo dell’argento è quasi quadruplicato... che diavolo stanno combinando quegli ubriaconi dei nani?»
I suoi capelli erano castani brizzolati con riporto, i suoi occhi erano anch’essi azzurri e nell’orbita dell’occhio destro teneva un monocolo che sistemava ogni tanto per leggere.
Sua moglie arrivò all’improvviso dall’altra stanza allarmata per il tanto baccano chiedendo spiegazioni.
Aveva i capelli biondi, raccolti in una treccia che le scendeva lungo la schiena.
«Credo che Mirmo si sia rintanato per l’ennesima volta nella sua stanza...» sospirò lui, poi riprese «Ma quando si deciderà a mettere la testa a posto?»
«Sii paziente caro, è ancora giovane...vedrai che fra qualche anno capirà...»
«E’ già da qualche anno che vai avanti a ripeterlo, ma io sono stanco di aspettare... sto diventando vecchio ormai. Mi domando... quando non ci sarò più, chi manderà avanti l’attività di famiglia?»
Lei abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio.
«Ho cercato di trasmettere a nostro figlio la passione per gli affari ma non c’è stato verso! No che non c’è stato! Lui non fa altro che starsene tutto il giorno nei boschi a suonare quel...coso e a riempirsi la testa di sciocchezze con quegli stupidi libri!» fece una pausa scuotendo lentamente la testa.
«Dove ho sbagliato?» si chiese tra se, chiudendo il giornale e riponendolo sul tavolino.
Sua moglie gli si avvicinò appoggiando la mano sulla sua spalla per consolarlo.
 
Nel frattempo Mirmo si era chiuso nella sua stanza al piano di sopra.
La prima cosa che fece fu quella di buttarsi sul letto appoggiandosi il cuscino sulla faccia.
Per l’ennesima volta Brocco e i suoi amici avevano colto l’occasione per beffeggiarlo. Era stanco dei suoi coetanei, perché nessuno voleva lasciarlo in pace? Tutto solo perché lui era l’unico halfling del villaggio a non saper lanciare le pietre... beh forse non solo per quello. È vero, forse era un po’ impacciato; forse quello che faceva non sempre gli riusciva... probabilmente colpa di quell’episodio alla Fiera. Se ne vergognava tanto.
Un giorno, mentre sperimentava una delle sue invenzioni, finì con l’incendiare mezzo villaggio. Gli sembrò quasi di rivedere le facce della gente che lo fissava, le stesse persone che incontrava ogni giorno per strada.
Si rigirò nel letto, questa volta a faccia in su, ripensando a quel giorno.
Oh beh, poi c’era anche suo padre. Come dimenticarselo? Fu proprio lui a scusarsi con tutti etichettando così suo figlio come un imbecille. Ma probabilmente era più preoccupato per la sua reputazione che per il resto...
Perché nessuno al villaggio riusciva ad accettarlo per ciò che era? A lui non importava nulla delle feste, dei mercati, degli affari di suo padre... e tanto meno gli importava di quello stupido villaggio e dei suoi abitanti. O forse non era così.
Mentre pensava disteso sul letto, dei rumori provenivano dall’esterno passando attraverso la finestra socchiusa.
Mirmo si alzò, poi si diresse lentamente verso la finestra per chiuderla quando qualcosa attirò la sua attenzione.
C’era un sacco di gente alta, umani. Si trascinavano dietro dei carri pieni di provviste e di oggetti vari. C’erano anche dei bambini, alti proprio come lui, e molte donne.
Ai lati della carovana si potevano distinguere facilmente dei soldati, erano equipaggiati con una semplice armatura di cuoio imbottito, alcuni di essi impugnavano delle piccole spade, altri delle lance rudimentali.
Molti di quelli sui carri erano feriti, altri praticamente già morti.
Poi un giovane soldato dai capelli scuri si fece avanti e iniziò a dialogare con il capo del villaggio.
Non riusciva a capire cosa si dicessero, ma aveva il presentimento che fosse accaduto qualcosa di grave, non molto lontano da Little Ling.
La curiosità lo spinse a scendere le scale, evitando di farsi vedere da suo padre per risparmiarsi la solita ramanzina.
Uscì di casa e assaporò ancora una volta la ventata di liberà che solo l’aria fresca delle colline poteva dargli. Si diresse verso la carovana per indagare.
Poi rivide di nuovo il miliziano e il capo del villaggio, intenti a discutere vicino a un carro. Corse rapidamente a nascondersi sotto di esso.
Le uniche cose che riusciva a vedere erano i piedi e le loro ombre, ma sentiva benissimo ciò che si dicevano. Riconobbe la prima voce, era quella di Bernardo, il capo villaggio.
«Arboren è caduta dite? Ma come è possibile!»
Poi sentì una seconda voce, quella del soldato.
«Sono stati i goblin, signore. Quei piccoli bastardi hanno attaccato al tramonto... e in forze.»
«Ecco che cosa stavano tramando, rintanati nella loro fortezza... è da tanto che non riceviamo loro visite. Pensavamo si fossero arresi...»
«A quanto pare ora sono più forti e determinati di prima...»
«Dobbiamo tenere gli occhi aperti dunque, anche se non capisco perché proprio Arboren... è fuori dal loro territorio di caccia.»
«Io... non lo so.... so solo che il mio patrigno è ancora laggiù, e probabilmente con lui molti altri. Anche se non credo ce l’abbiano fatta...»
«Mi dispiace ragazzo, so che è stata dura. Siete diretti a Forte Harmbridge avete detto?»
«Si, questi uomini e queste donne hanno bisogno di un posto dove sentirsi al sicuro e dove ricevere delle cure adeguate, almeno per il momento»
«Siete nostri ospiti dunque! Vi forniremo tutto ciò che vi serve per il vostro viaggio.»
«Grazie, ma faremo una breve sosta giusto per rifornirci e poi ripartiremo»
Vide le ombre dei due staccarsi le une dalle altre, Bernardo se ne stava ancora fermo in piedi, il miliziano si allontanò per andare di nuovo dagli altri profughi.
 
Forse aveva trovato ciò che stava cercando, una carovana di profughi diretta proprio a Forte Harmbridge. Avrebbe potuto mischiarsi a loro e scappare via da quel villaggio. Nella Città imperiale ci sarebbe sicuramente stato un posto per lui, la gente lo avrebbe apprezzato di più per ciò che era e per ciò che sapeva fare. Non era un viaggio poi così lungo.
Ma qualcos’altro stava per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato definitivamente i suoi piani.
Una donna halfling corse incontro alla folla urlando, Mirmo la conosceva bene. Si chiamava Lenora ed era la moglie del fabbro del villaggio.
«Vi prego! Qualcuno deve aiutarmi! Mio figlio è sparito!»
Tutti smisero di fare ciò che stavano facendo e si voltarono verso di lei.
Bernardo, il capo del villaggio, le corse incontro chiedendo spiegazioni.
«E’ da stamattina che non lo vedo più... lui... stava giocando in giardino io mi sono distratta e... ed è sparito! Vi prego! E se i goblin lo avessero rapito?»
Mirmo si alzò in piedi di scatto, sbattendo la testa contro il carro sotto il quale era, ricadendo poi a terra rumorosamente.
Imbarazzato strisciò poi fuori assicurandosi che nessuno lo guardasse e si avvicinò anche lui insieme agli altri passanti.
Bernardo teneva le spalle alla donna, parlando in tono pacato.
«Lenora, ti prego non c’è motivo di allarmarsi. Sai che tuo figlio ama girovagare per i boschi, non è la prima volta che succede.»
«No! Questa volta è diverso! Lo sento! Gli è accaduto qualcosa di brutto... ti prego, manda qualche tua guardia a cercarlo.»
«Non posso farlo, lo sai. Con la minaccia dei goblin che incombe abbiamo bisogno di tutte le guardie qui al villaggio.»
Il piccolo halfling sostò pensieroso, forse scappare non era la soluzione.
Ma come poteva far capire ai suoi genitori e agli altri che lui era diverso da ciò che loro si aspettavano?
Poi gli balenò in testa un idea. Un idea folle forse, ma valeva la pena tentare.
 
 
«Andrò io a cercarlo!» esclamò all’improvviso facendosi largo tra la folla.
Il capo del villaggio si voltò verso di lui e rise.
«Tu? Ah! Questo non è un gioco ragazzo, levati dai piedi. Hai già combinato abbastanza guai alla Fiera.»
La gente che si era radunata lì attorno iniziò a mormorare, altri scoppiarono a ridere.
Mirmo aveva sentito abbastanza, si allontanò lentamente fino a raggiungere casa sua, suo padre lo aspettava sulla porta.
«Che cosa vuoi fare? Sei impazzito! Ho sentito ciò che hai detto in piazza.» dicendo ciò lo afferrò per un braccio.
«Lasciami. Devo farlo.»
Il giovane halfling scansò la mano del padre e salì in camera sua.
«Non posso lasciartelo fare! Mi hai sentito? Non posso!» urlò lui mentre lo guardava salire.
Mirmo si mise a riempire uno zaino con tutto il necessario per una spedizione, anche se non aveva la minima idea di cosa gli occorresse per un impresa simile. Aveva letto di situazioni del genere nei suoi libri, i grandi eroi non si tiravano mai indietro. Avrebbe portato con se una mappa, qualcosa da mangiare e magari anche qualcosa con il quale difendersi.
Suo padre lo seguì, ma si limitò ad osservarlo. Sostò per qualche istante, poi si mise a sussurrare tra sé.
«Mi spiace...mi auguro che un giorno capirai.»
Chiuse lentamente la porta, estrasse una chiave dal taschino della giacca e la chiuse.
Mirmo si accorse della situazione e si precipitò contro di essa tentando di aprirla, ma era chiusa. Tirò qualche pugno, poi iniziò a urlare.
«Apri! Tu non capisci! Tu non hai mai capito niente!»
Suo padre chiuse gli occhi, come se ogni parola del figlio fosse come una pugnalata al cuore, poi scese le scale in silenzio.
Quando capì che non gli avrebbe riaperto, il giovane tirò un calcio alla porta in preda alla rabbia e inseguito si mise a sedere sul letto fino a che non si calmò.
No, non poteva arrendersi. Suo padre non gli avrebbe impedito di riscattare il suo onore e nemmeno gli altri abitanti del villaggio, avrebbe ritrovato quel bambino, lo avrebbe riportato a sua madre e tutti a quel punto si sarebbero rimangiati quello che avevano da dire sul suo conto.
Doveva solo trovare il modo di andarsene da lì.
 
Passò qualche ora e scese la notte, con essa cessò anche il via vai di gente per la strada. Tutto taceva, era il momento di agire.
Il piccolo halfling si mise allora a rovistare fra le cartacce e gli oggetti vari sparsi sulla sua scrivania in cerca di un qualcosa che potesse aiutarlo. Niente.
Si inginocchiò ed aprì un baule che stava li vicino. Con una gran fretta scagliò le cose che non servivano sul pavimento dietro di se fino a che non trovò ciò che stava cercando.
Una piccola balestra, una faretra per le munizioni e una corda molto robusta.
Li appoggiò sul letto, poi si diresse verso la finestra spalancandola completamente. Guardò di sotto: non c’era nulla a cui si sarebbe potuto aggrappare per scendere. Si guardò allora in giro, c’era un albero non molto distante dalla casa. Sistemò la balestra dietro la schiena, poi prese la corda e realizzò un nodo scorsoio, la afferrò e si mise a farla roteare cercando di lanciarla verso qualche ramo.
Il primo lancio fallì miseramente, riprovò ancora e poi ancora una volta fino a che non riuscì ad incastrarla fra i rami.
Diede qualche strattone assicurandosi che fosse ben salda e si preparò a saltare. Chiuse gli occhi lasciandosi semplicemente andare.
Precipitò così velocemente che non poté fare a meno di gridare per lo spavento, cadde con una traiettoria a parabolica andando a sbattere rovinosamente contro il tronco dell’albero.
Si rialzò da terra traballando fino a che non si riprese dalla botta, poi raccolse le sue robe si diresse verso la boscaglia, dileguandosi in breve tempo.
 
 
Il giorno stava velocemente lasciando il posto al buio e al freddo della notte nella Foresta degli Avi.
Eleanor, Marcus e Khaleil avevano camminato per quasi tutto il giorno ed ora si erano fermati a riposare prima di trovare un riparo per la notte.
Marcus si lasciò andare a terra, sfinito.
«Non ce la faccio più... ma come fate voi druidi ad andarvene in giro per tutto il giorno nella foresta?»
Anche Eleanor si sedette a terra, accennando appena un sorriso.
«Di solito non andiamo a piedi, semplicemente... voliamo.»
«Ma certo... stupido io che l’ho chiesto...»
Fece una pausa, ansimando e deglutendo a fatica, poi riprese.
«Beh, sai una cosa? In questo momento mi piacerebbe essere un druido.»
Questa volta l’elfa sorrise scuotendo la testa, ma ad un tratto il suo sorriso si spense. I suoi sensi acuti avevano captato un suono cupo e ripetitivo molto distante.
Si alzò in piedi di scatto e si diresse nella direzione dalla quale proveniva.
Marcus, ormai abituato ai comportamenti bizzarri della druida, si alzò anch’egli per seguirla.
Si trovavano nei pressi di un dirupo che segnava il confine tra la foresta e le pianure coltivate. Da lassù si poteva benissimo scorgere Arboren, o almeno ciò che ne restava.
Colonne di fumo si alzavano dalle case andate distrutte e un’ infinità di piccole luci rossastre erano sparse qua e la sul terreno, come in un cielo stellato.
Eleanor sostò in silenzio osservando il paesaggio, poi ad un tratto prese a parlare con voce calma e fredda.
«Tamburi. I goblin sono sul piede di guerra.»
Il ragazzo strinse gli occhi.
«Goblin? Perché sono ancora ad Arboren?»
«Non lo so... forse cercano ancora l’amuleto.»
Marcus rimase sconvolto alla vista del villaggio ormai distrutto, se i goblin erano ancora lì era impossibile ormai trovarvi dei sopravvissuti.
Poi un pensiero folle si fece largo nella sua mente. I mostri che avevano massacrato il villaggio in cui era cresciuto, quello sciamano, erano ancora lì.
Erano così vicini... sarebbe stato uno spreco lasciarsi scappare l’opportunità di fargliela pagare. Forse sarebbe morto nel tentativo, ma non gli importava.
In silenzio si avviò lungo il dirupo alla ricerca di un punto poco scosceso dove sarebbe potuto scendere.
Eleanor continuò a fissare il villaggio fumante ascoltando il ritmo incalzante dei tamburi che riecheggiavano nella pianura. Poi si voltò e vide che Marcus se ne stava andando.
«Dove stai andando?» gli chiese assumendo un tono inquisitorio.
Il ragazzo non rispose e continuò a camminare verso l’accampamento.
L’elfa lo chiamò ancora una volta ma non ottenendo una risposta soddisfacente decise di correre avanti per fermarlo.
Afferrò entrambe le braccia del ragazzo, che fu costretto a guardarla.
Per la prima volta i due si ritrovarono faccia a faccia, per la prima volta da quando si erano incontrati si guardavano negli occhi.
«Lasciami.» rispose secco lui.
«Cosa hai intenzione di fare? Farti uccidere forse?»
«Non lo so. So solo che devono pagare per quello che hanno fatto.»
Eleanor aggrottò le sopracciglia in un espressione di rimprovero.
«Vendetta. E’ dunque questo ciò che cerchi? Se ti fai uccidere nel tentativo di adempiere alla tua vendetta l’amuleto sarà perso insieme a te. Non lo capisci?»
Inseguito si mise una mano sulla fronte comprendo in parte gli occhi, come per calmarsi.
«Io... io capisco che tu abbia sofferto molto, ma non è certo affrontandoli che risolveresti le cose. Uccidere quei goblin non riporterà in vita le persone che hai amato.»
Appoggiò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo poi continuò a parlare con voce calma.
«Dobbiamo concentrarci sull’amuleto ora, è questa la nostra missione ricordi? Non lasciare che il tuo cuore si corrompa con il veleno dell’odio.»
Marcus sembrò confuso, ma alla fine annuì con la testa.
«Andiamo. Dobbiamo ancora trovare un riparo per la notte.» aggiunse poi l’elfa facendo cenno di seguirla.
 
Si era perso. Mirmo era stato più volte nei boschi, ma di notte tutto gli sembrava così diverso, così minaccioso. Le fronde scure degli alberi sembravano dotate di vita propria e i loro rami sembravano allungarsi verso di lui, come per ghermirlo.
Correva in ogni direzione alla ricerca di un qualcosa che lo aiutasse ad orientarsi, a capire dove fosse.
Iniziò ad avere paura. Aveva sbagliato a scappare in quel modo di casa, ora era tutto solo e chissà quando avrebbe ritrovato la strada per tornare.
Poi si udì un susseguirsi di ululati in lontananza. Lupi forse, o peggio ancora  worg.
Non aveva minimamente considerato il pericolo che un branco di worg poteva rappresentare.
Si mise a correre non appena udì un altro ululato, questa volta più vicino dei precedenti. Non aveva la minima idea di dove stesse andando ma in quel momento non gli importava, il panico si era ormai impossessato di lui.
Era così spaventato che non si preoccupò minimamente di guardare dove metteva i piedi.
Corse per un po’, poi ad un tratto si sentì mancare la terra sotto i piedi e precipitò in una grossa buca.
Non vedeva nulla, ma si accorse che stava rotolando giù per una specie di tunnel.
Poi si sentì precipitare ancora una volta fino a che non cadde a terra con un tonfo secco.
Sostò per un po’ confuso fino a che non si accorse di provare un dolore intenso alla caviglia.
Si guardò attorno, cercando di capire dove era finito. Ma niente, era troppo buio per vedere.
Esitò un attimo ma poi iniziò a tastare il terreno intorno a lui. C’era del terriccio umido tutt’intorno e sotto ad esso si poteva sentire il freddo della pietra. Poco più in là avverti la presenza di un oggetto leggermente ruvido al tatto, passò la mano sopra di esso: aveva forma sferica e diversi fori erano presenti sulla sua superficie.
«Ma dove sono finito?» si chiese fra se, la sua voce rimbombava.
Si ricordò poi di un incantesimo che aveva letto tempo prima su di una pergamena magica.
Chiuse la mano in un pugno e sussurrò: «Luxe Celah Abios.»
Nella sua mano comparve una piccola sfera luminosa.
Aprì la sua mano, la luce si espanse in tutta la stanza. Ora riusciva a vedere ciò che lo circondava.
Attorno a lui c’erano solo pareti rocciose dalla conformazione naturale, stalattiti e stalagmiti erano sparse qua e la per quella che sembrava una caverna. Guardando verso l’alto riuscì a vedere l’apertura dalla quale era caduto.
Ma la sorpresa peggiore l’ebbe quando giro la testa. Affianco a lui giaceva lo scheletro di un umanoide di piccole dimensioni ormai ridotto a pezzi, quello che aveva toccato era in realtà un teschio.
Si alzò in piedi di scatto per il disgusto, nonostante la caviglia gli dolesse.
Poi si allontanò zoppicando, alla ricerca di una via di fuga.
Si appoggiò a una parete e la percorse in tutta la sua lunghezza fino a che non vide una piccola apertura, a forma di arco, dinnanzi a se.
Entrò ritrovandosi in una stanza completamente diversa.
C’erano ragnatele, o frammenti di esse, sparse ovunque. Proseguì lentamente scostandone qualcuna fino a che non si ritrovò in un'altra stanza più grande.
Si guardò ancora attorno, la volta rocciosa della caverna era completamente ricoperta da una ragnatela di grosse dimensioni.
Appesi al soffitto c’erano diversi corpi penzolanti, difficile stabilire chi o cosa fossero, avvolti accuratamente in diversi involucri appiccicosi.
Un brivido scese lungo la sua schiena. Iniziò lentamente a indietreggiare tenendo lo sguardo fisso verso quella strana ragnatela.
Era talmente sbigottito che non si accorse di urtare contro un qualcosa di molliccio alle sue spalle.
Sostò per qualche secondo paralizzato dalla paura, poi si voltò e rimase completamente spiazzato da ciò che vide.
Appeso alle sue spalle c’era un altro di quegli involucri appiccicosi, ma la cosa ancora più inquietante era il fatto che si poteva benissimo riconoscere il corpo di un halfling all’interno di essso.
Non poté fare a meno di lasciarsi scappare un urlo che echeggiò nella caverna.
Mirmo avvertì qualcosa alle sue spalle. Qualcosa si muoveva zampettando velocemente.
Si voltò di colpo puntando la luce in quella direzione. Ma niente, il suono cessò.
Dopo pochi secondi avvertì di nuovo il suono, ma questa volta sopra la sua testa. Puntò rapidamente la luce, ma non c’era nulla sul soffitto.
Non era certo una buona idea rimanere lì. Il piccolo halfling iniziò a correre, purtroppo nella direzione sbagliata.
Senza accorgersene finì dritto in un ragnatela, rimanendo impigliato tra i suoi fili appiccicosi. Cercò di divincolarsi, ma sembrava tutto inutile.
Dopo diversi tentativi riuscì a liberare un braccio, poi un altro fino a liberarsi completamente.
Ma quando fu quasi libero avvertì un dolore dietro la spalla seguito da un bruciore intenso.
La vista iniziò ad annebbiarsi, i muscoli si intorpidirono e perse così il controllo dell’incantesimo, la luce si spense. Sentiva qualcosa sopra di lui che si muoveva rapidamente, lunghe zampe lo sfioravano avvolgendolo lentamente in una sostanza appiccicosa.
Non riusciva più a muovere un muscolo, era chiaro che le forze lo stavano abbandonando. Poi anche gli ultimi sensi si spensero e non vide ne udì più nulla.


[1]Halfling: umanoide di bassa statura, simile agli umani nell’aspetto. Hanno orecchie leggermente a punta e i loro piedi sono lunghi e tozzi.

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