Lighthouse.

di MartaJonas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1: A weird dream ***
Capitolo 3: *** Chapter 2: I miss you ***
Capitolo 4: *** Chapter 3: Wait! ***
Capitolo 5: *** Chapter 4: Sorry ***
Capitolo 6: *** Chapter 5: There is no future for the Jonas Brothers ***
Capitolo 7: *** Chapter 6: Girlfriend ***
Capitolo 8: *** Chapter 7: Pizza! ***
Capitolo 9: *** Chapter 8: Tears ***
Capitolo 10: *** Chapter 9: Intrusives questions ***
Capitolo 11: *** Chapter 10: We have to talk ***
Capitolo 12: *** Chapter 11: Jealusy ***
Capitolo 13: *** Chapter 12: Lose concentration ***
Capitolo 14: *** Chapter 13: I liked your little dress ***
Capitolo 15: *** Chapter 14: Illusions ***
Capitolo 16: *** Chapter 15: Hide yourself in the wardrobe! ***
Capitolo 17: *** Chapter 16: Drink to forget ***
Capitolo 18: *** Chapter 17: You're unlikeable ***
Capitolo 19: *** Chapter 18: Skyscraper ***
Capitolo 20: *** Chapter 19: Hold on ***
Capitolo 21: *** Chapter 20: She was with someone else. ***
Capitolo 22: *** Chapter 21: Why are you here? ***
Capitolo 23: *** Chapter 22: Brotherly Love ***
Capitolo 24: *** Chapter 23: The Jonas Brothers are back ***
Capitolo 25: *** Chapter 24: I’m here for you. ***
Capitolo 26: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Lighthouse.

 
 
Prologue.
 
 
June 1996
Nella scuola elementare di St. Louis a Wyckoff la campanella che segnava l'inizio della ricreazione dell'ultimo giorno di scuola suonò.
La bambina dagli occhi grandi e blu e dai capelli dorati, che aveva compiuto da pochi giorni 7 anni si precipitò dal suo amico per scambiare le figurine dei giocatori di baseball.
La piccola June era un vero maschiaccio: si vestiva come un bambino, amava le partite, lo sport e odiava le barbie. Le considerava stupide ed oche proprio come le sue compagne di classe, che non avevano mai un capello fuori posto o un vestito sgualcito. Le odiava. Quelle bambine la portavano sempre in giro, ma lei continuava a fare quel che aveva sempre fatto, importandosene del giudizio degli altri. Poi lei aveva Joe, il suo Joseph. Quell'ometto dai capelli neri a scodella, gli occhi marroni e uno sguardo furbo come non mai.
La maestra li aveva messi vicini il primo giorno di scuola e da quel momento in poi erano diventati inseparabili. Avevano gli stessi interessi, pensavano le stesse cose e soprattutto tifavano per la stessa squadra. Abitavano a due isolati l'uno dall'altra così trascorrevano spesso e volentieri i pomeriggi insieme. Joseph aveva altri due fratelli Kevin e Nicholas, mentre June era ancora figlia unica.
-June vieni con me!- disse il bimbo prendendo la piccola per il polso e correndo verso il loro albero nel cortile della scuola. Visto che era l'ultimo giorno di prima elementare avevano fatto andare i bambini a giocare fuori, all'aria aperta.
-Mi devi promettere una cosa – annunciò serio il moro facendo posare gli occhi grandi e curiosi della piccola June su di lui.
-Cosa? - chiese la bambina dai capelli d'oro.
-June, tu sei la mia migliore amica! Mi prometti che sarai mia amica per sempre? - chiese con occhi innocenti e veri il bambino.
-Certo che te lo prometto Joe! E tu me lo prometti? - chiese la bambina mostrando il suo dito mignolo al compagno, che strinse subito con il proprio dito mignolo
-Te lo prometto. - giurò il bambino sorridendo.
 
 
 
 
 
 







 
Anno nuovo, fan fiction nuova, no?
Ecco per prima cosa vi auguro un buon 2012
Poi vi assicuro che questa è solo un’introduzione, poi i capitoli saranno più lunghi.
Lo so che la descrizione e il prologo non hanno nulla a che fare tra di loro, però, fidatevi, capirete più avanti!
Lasciate una recensione, voglio sapere che ne pensate *-*
Un bacio, Marta. 

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Capitolo 2
*** Chapter 1: A weird dream ***


Chapter 1
 

A weird dream

 

 
 
 

Remember when I asked you just to stay
Said you’d be gone for a while but be back someday
But suddenly the truth doesn’t feel so safe
You made a promise
You didn’t keep it

 
Le onde del mare agitato si infransero per l’ennesima volta su quella alta scogliera, spruzzi d’acqua  si alzarono in aria verso quel cielo plumbeo.
La nebbia  rendeva quasi impossibile vedere quel faro abbandonato ma ancora in funzione sulla cima del precipizio. Aveva appena smesso di piovere e le nuvole che oscuravano quel cielo sempre più scuro prospettavano la venuta di un’altra intensa pioggia.
Due sagome scure si appoggiavano alla ringhiera di quel faro, parlavano, si baciavano.
-Ti prego non te ne andare, resta con me - la supplicò lui sussurrandole quelle parole, implorandola di non lasciarlo.
-Non posso tesoro, lo sai-rispose lei dolcemente accarezzando il viso del giovane ispido a causa della barba.
-Ma io non riesco a stare senza te.
-Starò via soltanto per un po’, poi tornerò.
-Promesso?
-Promesso.
 
Joseph si svegliò ancora una volta nel bel mezzo della notte, sudato, agitato e impaurito. Erano le 4.04 di mattino, ed erano da 4 giorni che si svegliava sempre alla stessa ora dopo aver fatto quello stesso sogno. Non sapeva come interpretarlo, più che altro perché era piuttosto confuso. L’unica cosa sicura che vedeva in quella specie di incubo era un faro, e due sagome di cui una era certo fosse lui stesso, ma dell’altra non riusciva a vederne il volto. Ma poi, pensandoci meglio, quelle parole, erano le stesse che gli aveva detto Amber prima di andarsene.
Erano passati 6 mesi dalla partenza della sua ragazza per il suo tour mondiale. 129600 minuti senza di lei, senza sentire il suo calore, il suo profumo, le sue labbra sulle sue. Era un’astinenza pressoché impossibile per lui, soprattutto perché non sapeva il giorno preciso in cui l’avrebbe rivista: era un tour mondiale, senza pause, senza neanche un giorno senza concerto serale, che toccava quasi tutte le capitali degli stati più importanti, facendone a volte anche delle repliche visto che i biglietti terminavano in meno di mezz’ora; e ogni giorno veniva comunicata una nuova tappa del tour della giovane.
 Amber era stata la scoperta dell’anno, era prima in tutte le classifiche di tutti i paesi, aveva superato chiunque altro e vinto qualunque premio, e proprio per questo doveva sfruttare al maglio la sua popolarità e fare più concerti possibili.
L’aveva scoperta lui, sì proprio Joe Jonas, mentre lavorava al suo album, Amber era nello studio di registrazioni accanto al suo a lavorare al proprio CD. L’aveva sentita, gli era piaciuta e l’aveva portata in tour con lui per farle aprire i suoi concerti. Lì era scattato tutto: il loro amore, e il successivo e imminente successo sconvolgente di Amber.
Joseph era completamente e incondizionatamente innamorato di lei, ma in quegli ultimi giorni c’era qualcosa che non andava: Amber non gli rispondeva al telefono, ai messaggi, e neanche su twitter; erano uscite strane e sfocate foto della giovane pop-star e un ragazzo misterioso a Londra, ma negli ultimi giorni era scomparsa perfino dalle macchine fotografiche dei paparazzi.
Visto che Joseph ormai non riusciva più a prendere sonno, sia perché era stato scosso da quel sogno ricorrente e inspiegabile, sia perché il giorno prima aveva dormito ben 12 ore,  cacciò una mano da sotto le coperte per afferrare il suo iPhone che era appoggiato sul suo comodino, e andò su twitter per controllare se Amber avesse scritto qualcosa dall’ultima volta. Nulla, sempre quel “Goodmorning People” che continuava ad apparire su quel profilo che ormai conosceva a memoria. Sospirò.
Controllò le proprie menzioni, ma mentre stava per chiudere quel che stava facendo decise di aprire il link di una foto in cui era stato menzionato da una fan che aveva commentato con un “Dovresti vederla …” .
Aspettò che si caricasse la pagina, e vide quella fotografia.
Gli si gelò il sangue, il cuore si fermò per qualche secondo, gli si formò un nodo alla gola e si senti come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno proprio sul torace, una sensazione orribile.
Gli occhi gli diventarono lucidi e una lacrima segnò il suo viso.
La sua Amber, o almeno fino a pochi secondi prima credeva che fosse sua, si stava baciando con un altro, sì un altro ragazzo che lui conosceva fin troppo bene. Nicholas.
Non era stato tradito soltanto dalla sua ragazza, ma anche da suo fratello nonché  suo migliore amico.










Bene, 
ecco qui il primo capitolo, 
che ve ne pare? *-*
ringrazio tanto chi ha lasciato una recensione e ha messo questa ff nei preferiti, 
e spero davvero che lasciate un commento anche a questo capitolo, 
bacioni, 
Marta. <3

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Capitolo 3
*** Chapter 2: I miss you ***


Chapter 2:
 
 I miss you

 

There’s no windows in this lighthouse
No answers to the questions why
No way to be found, be found now
Through the fog
So I’m trapped in this lighthouse, lighthouse

 
 
June prese uno yogurt alla pesca dal frigorifero, si sedette e cominciò a mangiarlo. Guardò fuori dalla finestra del suo appartamento di Los Angeles, per poi spostare il suo sguardo sul calendario appeso al muro. Infine fece incontrare i suoi occhi con quelli della foto di sua madre, e un grande senso di tristezza e nostalgia si fece sentire più forte che mai.
Era domenica ed era passato esattamente un anno dalla morte della mamma. Ricordava perfettamente quell’orribile momento in cui suo padre gliel’aveva detto. Le era caduto il mondo addosso.
 
October 2011
Il cellulare della ragazza squillò, nel bel mezzo della lezione di anatomia: era suo padre. Rispose subito alla chiamata nascondendosi dietro allo studente davanti a lei per non farsi vedere dal professore.
«Papà dimmi» sussurrò.
«June, credo sia meglio che tu esca qui fuori, ti sono venuto a prendere. » disse l’uomo facendo trasparire tutta la sua tristezza.
«Cosa è successo?» chiese, seriamente preoccupata.
«Esci» così dicendo richiuse la chiamata.
La ragazza mise i libri in borsa e temendo il peggio, mentre la sua migliore amica al suo fianco le chiedeva cosa stesse succedendo e lei rispondeva che non sapeva niente, uscì in fretta e furia dall’aula e dall’università dirigendosi al parcheggio. Vide il SUV nero del padre e salì sull’auto. Notò gli occhi rossi e lucidi del padre, e capì che era successo quel che ogni giorno temeva accadesse da più di due anni.
«June, la mamma …» incominciò il padre, e la figlia scoppiò a piangere.
«è … è … morta?» chiese.
Lui annuì e scoppiò anche lui in un lago di lacrime.
 
Negli due anni precedenti alla morte della madre era ogni giorno terrorizzata dal fatto che la sua mamma avrebbe potuto lasciarli da un momento all’altro. Perché la donna era in coma, a causa di un incidente stradale, e le possibilità che si potesse risvegliare erano scarsissime.
June si ripeté per l’ennesima volta in quegli ultimi 365 giorni che in quel momento sua madre stava bene, e che non soffriva più come aveva fatto in quei due anni, ma non poté far a meno di farsi scappare una lacrima. Le mancava da morire.
Aveva bisogno di aria fresca,di camminare e di un posto all’aperto in cui restare a pensare. Prese il suo giubbino, il suo iPod e uscì da casa sua chiudendo la porta a chiave dietro di sé. Viveva sola, e l’unico che restava a farle compagnia nei giorni in cui non passava quasi giornate intere all’università, era il suo pesce rosso, Martin, che non era sicuramente un tipo di tante parole.
Scese in strada e si accorse che nonostante fosse a Los Angeles facesse freddo, si tirò su la chiusura lampo della felpa e si immerse nella sciarpa.
Si mise le cuffiette del lettore musicale alle orecchie, e selezionò “brani casuali”.
Lighthouse- Joe Jonas.
Sorrise in un primo momento, ma quando la voce dell’amico cominciò a risuonare nella sua testa,  sentì gli occhi pizzicarle e una lacrima le rigò per l’ennesima volta la guancia.
Cominciò a correre, più veloce che potesse, più lontano che potesse da quelle parole, da quel ragazzo e dai quei tristi ricordi.
Joseph era stato uno st*onzo. Erano vissuti insieme dall’età di sei anni, ma era da un anno intero che non si faceva vivo. Per farle le condoglianze aveva fatto il minimo indispensabile: un telegramma. Non c’è più nulla di freddo e distaccato di un pezzo di carta che arriva per posta con su scritte tre parole al pc, se è da parte del proprio migliore amico.
June c’era stata per Joseph come lui c’era stato per lei, da sempre …
 
April 2002
-Ehi, dovresti essere contenta, il prossimo anno avrai una rottura di scatole in meno – disse il ragazzo alla sua vicina di banco che non voleva saperne di smettere di scrivere su quel foglio a righe.
June guardò per un attimo con i suoi occhi blu in quelli del ragazzino che le sedeva affianco e alzò le spalle, rimase in silenzio. Riprese a scrivere e osservare la professoressa che cercava di spiegare ma che nessuno stava davvero a sentire. 
-Dimmi, cosa devo fare per farti tornare il sorriso? - rifletté Joe disinteressandosi completamente della lezione, la matematica era l'ultima cosa che avesse da pensare– mmh vediamo … mi sono finito tutte le barzellette che avevo in serbo … quindi comincio quelle in croato!
June trattenne a stento una risata a quella tristissima freddura, alla quale rideva non tanto perché era divertente ma  perché il suo amico stava cercando di farla sorridere in tutti i modi e si riduceva anche alle battute più tristi pur si farla tornare felice dopo quella notizia.
-Ti ho visto Ju, Hai riso! - la indicò il moro, appellandola con il suo diminutivo.
-Non è vero. - si trattenne ancora la ragazza.
-Ed hai parlato! Stiamo facendo progressi! - disse vittorioso il Jonas.
June accennò un sorriso guardando di soppiatto l'amico, e sospirando subito dopo. Le sarebbe mancato da morire.
-Ehi, June, dai non essere arrabbiata con me, ti prego. Questa è una grande occasione, lo sai meglio di me, potremo farcela questa volta, potrebbe essere la volta buona. Devo pur sacrificare qualcosa, in questo caso la scuola pubblica, per arrivare ad essere qualcuno nella musica. - disse il ragazzo che stava inseguendo il suo sogno con i suoi fratelli.
June odiava farlo sentire in colpa, ma alla notizia che non avrebbe trascorso gli anni successivi in sua compagnia a scuola, la distruggeva. Era il suo migliore ed unico amico. Sì, aveva altre amiche ma nessuna di loro era capace di prendere il suo posto, con loro non si sentiva bene come quando era con Joe. Erano soltanto amiche, non migliori amiche. Lui sapeva divertirla, farla sentire bene,  incoraggiarla, essere la sua spalla su cui piangere, a lui e a nessun altro riusciva a mostrarsi com'era davvero. 
June sentì i suoi occhi pizzicarle, così arrivarono le lacrime, che cercò di nascondere a Joseph non guardandolo negli occhi. Se l'avesse fatto, non sarebbe più riuscita a nascondere il suo stato d'animo: i suoi occhi erano più efficaci della macchina della verità.
-E poi, non credere di liberarti così facilmente si me! Se non trascorriamo la mattinata insieme non significa che non possiamo vederci il pomeriggio o la sera. Saremo amici per sempre, l'abbiamo promesso, ricordi? - disse il ragazzino
-Mi mancherai – esordì June con voce segnata dalle lacrime abbracciando con stretta forte il moro.
-Anche tu – rispose di rimando Joe stringendola a lui.
 
Se la fama e il successo del ragazzo non aveva compromesso la loro amicizia, ci era riuscita una ragazza, Amber. June lo sapeva ormai che il suo caro amico quando si innamorava di qualcuno, gli dava di volta il cervello e il sangue non gli arrivava più alla testa, ma non immaginava che Amber fosse riuscita a far arrivare a tanto Joseph, che era completamente accecato e dipendente da quella ragazza da arrivare a trascurare e a lasciare da parte la sua migliore amica . Era comandato a bacchetta dalla giovane promessa della musica.
Ora che Joseph andava oltre a un bacio nelle sue relazioni sentimentali, le ragazze che frequentava avevano sotto di sé il controllo della situazione.
La colpa, però, non doveva ricadere soltanto su Amber, ma soprattutto su Joe, che avrebbe potuto ascoltare ciò che gli diceva la testa e non qualche altra parte del suo corpo.  
L’aveva abbandonata nel momento del bisogno, e questo un amico non lo fa, tanto meno un migliore amico.
A forza di correre June era arrivata senza respiro su un alta scogliera, davanti a un faro, bianco, alto e probabilmente abbandonato. Si avvicinò alla porta e la spinse, questa si aprì da sola cigolando.
-C’è nessuno? – chiese. Non ebbe risposta e questo la fece sentire autorizzata ad entrare e salire fino in cima. Arrivata all’ultimo piano si guardò intorno, si fece accarezzare dal vento e decise che avrebbe trascorso un po’ di tempo lì. Si sedette per terra con gli occhi fissi sull’orizzonte che separava il cielo dal mare e lasciò andare una lacrima che cadde a terra.
La verità è che le mancava da morire il suo migliore amico, sarebbe stato tutto più facile con lui al suo fianco. 











Lo so, 
è triste come cosa,
ma vi assicuro che le cose miglioreranno, 
tra un po' ...
fatemi sapere che ne pensate, lasciate una recensione *-*
baci, Marta 

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Capitolo 4
*** Chapter 3: Wait! ***


Chapter 3
 
Wait!
 

 

My heart is getting cold as I count the days
I would give my soul for the chance to see her
But all I see are these painted walls
I’m going crazy, crazy, crazy

 
Joe si svegliò a causa della luce che entrava dalla finestra, si stropicciò gli occhi e si alzò a sedere sul letto. Era stata una strana e orribile nottata. Prese il cellulare, e vide che gli era appena arrivato un messaggio da Amber.
“Amore! Scusami se non mi sono fatta sentire, ma ho un mucchio di cose da fare! Ci sentiamo presto. Ti Amo.”
Joseph scosse la testa e cercò di non lasciar andare neanche un lacrima. Aveva bisogno di aria, di spazio e di correre. Jogging.
Si vestì in fretta con una tuta nera con cappuccio e maniche corte. Non gli importava che facesse freddo, avrebbe corso così veloce e così per tanto tempo che non se ne sarebbe accorto.
Prese di nuovo il suo cellulare in mano, e vide un altro messaggio, di Nick questa volta.
“Joe, domani sera sarò di ritorno da Londra, è da un po’ che non ceniamo al Katsuya, che ne dici di farci un salto e mangiarci un boccone? Così ci mettiamo d’accordo per mercoledì. Fammi sapere!”
Joe si sentì distrutto, tradito e preso in giro. Non rispose a nessuno. Attaccò le cuffiette all’iPhone e se lo mise in tasca. Fece passare le cuffiette all’interno della maglia e se le mise alle orecchie. Scese in strada, si mise il cappuccio della maglia nera che indossava, e cominciò a correre. I-Phone in riproduzione casuale.
Lighthouse- Joe Jonas.
Sì, aveva le sue canzoni nel suo i-Phone. Sorrise rendendosi conto di star ascoltando se stesso, ma non gli andava di fermarsi e cambiare canzone, visto che aveva già cominciato a correre velocemente. Ascoltandosi si rese conto di quanto stesse vivendo quelle parole in quel momento.
Si diresse verso il lungomare di Los Angeles.
Lighthouse l’aveva scritta Chirs Brown per l’album di Joe, ma in quel momento sembrava descrivere quel che provava Joseph quando Amber era via, quando lui ne sentiva la mancanza e nello stesso momento quello che stava provando in quello stesso istante avendo scoperto che l’aveva tradito.
Mentre stava pensando a tutta quella situazione si ritrovò davanti unfaro, bianco, alto e probabilmente abbandonato. Il cuore gli si fermò per un istante: quel faro era lo stesso che sognava ogni notte in quegli ultimi 4 giorni. Non poté far a meno di avvicinarsi e tentare di entrare. La porta era spalancata e le scale buie.
-Ehi, c’è qualcuno qui dentro? – chiese alzando la voce. Le gocce di sudore gli imperlavano la fronte, aveva il fiatone. Il suo petto si gonfiava e sgonfiava ritmicamente come se seguisse il suono del moto delle onde del mare che si infrangevano sugli scogli proprio sotto quel promontorio.
Nessuno rispose, così entrò. Voleva restare solo e pensare a quel che avrebbe fatto nei giorni successivi e probabilmente quello era il luogo adatto in cui farlo. Salì con il fiato corto e le gambe pesanti quei gradini umidi e bagnati, prendendo un gran respiro sentì l’odore di salsedine entrargli nella mente. Chiuse gli occhi per un istante e gli parve di essere in quel sogno, così strano e misterioso quasi da fargli venir paura.
Arrivò in cima al faro, si abbassò il cappuccio nero della maglia e avanzò di qualche passo verso l’esterno.
Dalla parte opposta, June era seduta per terra, ad ascoltare quella canzone all’infinito, con le lacrime agli occhi; finché non sentì il bisogno di alzarsi perché voleva guardare meglio quel mare che le piaceva tanto. Il tiretto di ferro della sua cerniera lampo della felpa che indossava sbatté contro la ringhiera di cinta del faro facendo rumore.
Joseph lo sentì visto che era a pochi metri da lui.
-C’è qualcuno? Ehi, c’è qualcuno? – ripeté ad alta voce guardandosi intorno.
June sentì la voce e pensò di aver appena commesso uno sbaglio ad entrare in quel posto. Ripose il suo i-Phod in tasca e si fece prendere dal panico non sapendo chi fosse ad aver parlato, così si diresse verso l’uscita cercando di far piano.
-Ehi … ehi, ferma! – disse il ragazzo che l’aveva appena raggiunta ma le vedeva solo le spalle.
-Ehi, aspetta … - pronunciò dolcemente Joseph afferrando il polso della ragazza che non aveva ancora riconosciuto.
June era impaurita, terrorizzata da quella situazione: quell’uomo sarebbe potuto essere chiunque e non tutti hanno buone intenzioni.
La ragazza si girò, quasi costretta da lui che le teneva ben saldo il polso.
Il cuore di Joseph e quello di June si fermarono per un istante nel momento in cui il loro sguardo si incrociò dopo tutto quel tempo, e poi ripresero il loro battito più veloce di prima.
-June …? – disse in tal modo che la ragazza non seppe se definirla come una domanda o una affermazione. Joe le lasciò andare il braccio.
-Joe. – affermò lei senza distogliere i suoi occhi blu da quelli ambrati del giovane. Neanche lei sapeva se essere felice di averlo rincontrato oppure no. – mi hai fatto prendere uno spavento.
-Scusami, non volevo – disse
-Non preoccuparti- rispose, poi sospirò. Si appoggiò alla ringhiera con entrambe le mani dando le spalle al mare.
Si formò un silenzio glaciale, che Joseph non osò rompere. June fissò per interi minuti gli iridi castani del ragazzo, che tentava di non guardarla negli occhi,  cercando di captare qualche emozione: vide tristezza, vergogna e delusione.
Dopo interminabili minuti la ragazza parlò:
-Una telefonata … - fissò il moro che ricambiò con uno sguardo interrogativo - ho aspettato inutilmente una tua telefonata per un anno intero. Il massimo che hai saputo fare è mandare un freddo telegramma. Questo ti sembra un comportamento da migliore amico?- non lo aveva mai trattato così duramente; mai la sua migliore amica gli aveva sbattuto la verità in faccia così arrabbiata.
-Non ne ho avuto il tempo, ok?- rispose altrettanto irascibile con una punta di cattiveria e assoluta falsità. Joseph stava scaz*ato da morire a causa di quella foto, avrebbe risposto male a chiunque gli avesse detto qualunque cosa, ma nessuno fino ad allora gli aveva rivolto la parola quel giorno.
-C*zzate. Sai, non credevo che saresti potuto mai diventare così st*onzo, Joseph. Beh, si vede che mi sbagliavo. – lo guardò per l’ultima volta e corse verso l’uscita e giù per le scale.
-Che sto facendo? – sussurrò a se stesso il ragazzo che sentì una goccia di pioggia cadergli sul braccio. –Aspetta June – gridò correndole dietro.
-Ehi, ehi aspettami ti prego!- continuò gridando più forte ma lei non voleva saperne di fermarsi.
In una manciata di secondi scese tutte le scale, e Joseph era troppo lontano da lei per raggiungerla se non si fosse fermata.
Aprì la porta che l’avrebbe portata al di fuori di quella struttura, e si arrestò proprio sull’uscio. Pioveva a dirotto. Era a piedi e a tre miglia lontano da casa sua.
Indietreggiò di un passo finendo proprio tra le braccia del cantante che era proprio lì dietro: era riuscito a raggiungerla proprio in quel momento.
-Non vorrai andartene con questa pioggia. – osservò il ventitreenne. Lei sospirò, rassegnata.
Erano bloccati, entrambi, in quel faro. 













Buonasera gente!
ecco a voi un altro capitolo
fatemi sapere se vi piace con una recensione :)
Vi ringrazio ancora per le recensioni ricevute, 
un bacio, 
Marta. 

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Capitolo 5
*** Chapter 4: Sorry ***


Chapter 4
 
Sorry

This cliff I’m on is too steep to climb down
I need for you to save from drowning
And a thousand tears will make a waterfall from me
You’ll see
And it’s loud and clear that I'm not getting off this rock
So stuck in this lighthouse

 
June appoggiò le sue spalle al muro rimanendo con la testa bassa. Joe si posizionò al suo fianco in quella penombra che sembrava quasi farli perdere nel buio.
-Scusami per prima. – esordì – Sono stato uno st*onzo.
June annuì fissando la punta banca delle sue converse blu.
-Non ti chiedo ti perdonarmi per essere sparito, perché so che no lo farai. Neanche io lo farei. Sono stato davvero un pezzo di m*rda. Ho ascoltato persone che non sapevano nulla di me e non sopportavano te, facendomi influenzare. Sono stato egoista, ipocrita e irriconoscente. Lo so, ne sono consapevole. Ho più volte avuto voglia di chiamarti, ma non l’ho mai fatto; anche perché non sapevo con che faccia tosta avrei potuto chiamarti dopo essere scomparso quando tu avevi più bisogno di me, quando tu ci sei sempre stata per me. Quindi, scusa per tutto, per ogni cosa. – disse continuando a guardarla mentre lei rimaneva in silenzio.
Joe sospirò dolcemente.
-June … - le sussurrò sfiorandole il gomito – ti prego, dì qualcosa.
June abbracciò il ragazzo, cogliendolo di sorpresa, poggiando il suo viso sulla spalla del ragazzo che la stringeva a sé. Nessuno disse nulla, si inebriarono entrambi l’uno del profumo dell’altro pensando che era passato troppo tempo dal loro ultimo abbraccio.
June si staccò da lui, facendo poi qualche passo e sedendosi sul secondo gradino della scalinata che portava alla cima del faro.
-Oggi è un anno preciso che è morta. E ancora non riesco a crederci. – disse lei; Joe la raggiunse e le sedette affianco.
-Ma lei è qui con noi, con te, ogni volta che vuoi. Sta bene e ti vuole bene. – cercò di consolarla.
-Lo so – disse – ma mi manca tanto.
-Ci credo, June, ci credo. – disse posando il palmo della sua mano sul dorso di quella della ragazza.
-A te invece cosa è successo oggi? – chiese la biondina.
-Nulla.- disse cercando di essere naturale, ma nulla sfugge ad una migliore amica.
-Dimmi la verità Joe, in un anno non sei cambiato, e so quando c’è qualcosa che non va in te. –osservò la ragazza che ormai lo conosceva da diciassette anni.
-Ti faccio vedere- disse estraendo il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni neri della tuta. Pochi secondi dopo glielo porse.
-Amber e … - osservò la foto, perché quel ragazzo le sembrava proprio Joseph, ma guardando meglio capì che non era affatto lui - Nicholas?
-Già. – disse deluso cercando di fare un finto sorriso che però assomigliava di più ad una smorfia. - L’ho vista alle 4 di stamattina, e mezz’ora fa mi sono arrivati questi – disse andando sui messaggi e facendo leggere alla ragazza quei due sms che gli erano arrivati.
-Ah bene. – disse ironica June dopo aver letto.
-Mercoledì i Jonas Brothers tornano dopo tempo in studio di registrazione per un nuovo album, ma dopo di questo non credo che avrò tanta voglia di tornare con la band. – rifletté.
-Non credi di star correndo un po’ troppo? – lo fece riflettere.
-Secondo te cosa dovrei fare? – chiese.
-Parlarci. Vai a cena con lui e parlaci. – gli suggerì. Joe sospirò rumorosamente.
Sarebbe potuto essere tutto un errore, un fraintendimento. Sarebbe potuto essere tutta colpa di Amber, e non di Nick.
-Me lo sarei potuto aspettare da tutti June, da tutti. Tutti tranne Nick però. – disse Joe.
-Forse è tutto un malinteso, e forse non è colpa di tuo fratello. – ipotizzò lei.
-No, è colpa sua. Le labbra che sono appiccicate a quelle della mia ragazza sono le sue, quindi è colpa sua. – disse diretto.
June non ne era così sicura. Amber sapeva far di tutto per far cadere un ragazzo ai sui piedi facendogli dimenticare di tutto, anche delle persone a cui aveva sempre voluto bene. June lo sapeva bene. Era successo anche con Joe.
Ricordava quando lui gliene aveva parlato, quando non sentiva altro che parlare di lei, e la prima volta che l’aveva incontrata.
 
March 2011
-June lei è Amber, Amber June – disse Joseph e le due ragazze si strinsero la mano.
Amber ventenne, castana di natura, ma bionda tinta. Occhi verdi, penetranti. Labbra fini, rosate. Quel giorno indossava matita nera e rimmel, e uno sgargiante smalto fucsia alle unghie della mani, un vestitino corto, bianco, che metteva in mostra tutte le sue curve.
June era stata continuamente ed esasperatamente tartassata da apprezzamenti e riflessioni di Joseph sulla suddetta ragazza. Ogni volta che si sentivano lui ripeteva “La devi conoscere, ti piacerà”.
Quando si presentò l’occasione di farle incontrare il ragazzo non ne vedeva l’ora, e June era diventata senz’altro curiosa di come potesse essere quella ragazza tanto nominata.
Il cellulare del giovane squillò.
-Scusatemi un attimo, devo rispondere. Torno subito – così si congedò uscendo dalla sala dello studio di registrazione.
-Finalmente ho il piacere di conoscerti June, Joe non fa altro che parlare di te. – sorrise la ragazza.
-Il piacere è tutto mio!Lo stesso vale per te, credimi. – disse
-Dai sediamoci – disse l’aspirante cantante che si mise a sedere affiancata da June sul divano nero dello studio.
Amber ancora non era fidanzata con la popstar, ma Joe era sicuramente nei suoi pensieri come obbiettivo attraverso il quale raggiungere il successo.
-Sono giorni che ho una domanda in mente e ancora non riesco a rispondermi! Ma credo che tu mi possa dare una mano … - esordì.
-Come posso aiutarti? – sorrise June.
-Joe ti ha spesso definita come la sua migliore amica, quindi lo saprai per certo. Joe è interessato a me? – disse spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-In verità è da un po’ che non sento Joe quindi non sono molto aggiornata, - mentì - ma credo che stasera mi dirà tutto. – sorrise – Ma si tratta di Joe, è facile capire se è interessato a te. Ti ha invitato a cena o cose del genere?
-Allora, mi ha invitato tre volte a fare colazione con lui e due volte a cena. - disse felicemente.
-A cena al Katsuya e a colazione all’Urth Cafè? – chiese.
La cantante annuì.
-Beh allora è completamente cotto di te. – sentenziò sorridendo.
Amber cacciò un urletto e abbracciò la ragazza.
A June, Amber le aveva fatto una strana impressione, come tutte le ragazze di Joseph d’altronde: lei non avrebbe mai chiesto una cosa del genere su di lui, lei avrebbe aspettato, gliel’avrebbe fatto capire a poco a poco, senza fretta, con piccoli gesti e occhiate.
Probabilmente aveva un altro concetto dell’amore.
 
Da quel giorno riuscì a vedere Joseph sempre di meno, quando poi si misero insieme Joe scomparse del tutto.
Quando il ragazzo chiamava June, si giustificava dicendo che Amber era  gelosa del loro rapporto al punto di impedirgli di telefonarle o contattarla, ma ci scherzava sopra, non pensando al fatto che li stava allontanando sempre di più, più di qualunque altra ragazza avesse mai fatto prima.
Secondo June stava per accadere qualcosa di simile tra Joseph e il fratello. Avrebbero litigato, e non avrebbero fatto pace molto presto. Lo sapeva. Conosceva fin troppo bene entrambi per non sapere come sarebbe andata a finire, e non le piaceva per niente quella fine che avrebbero fatto i Jonas Brothers.
-Parlaci. Non aggredirlo subito e parlaci. Rispondi che va bene e che vi vedrete domani. – gli disse porgendogli il cellulare.
Joseph riprese il suo cellulare, ma titubava nel rispondere. Non sapeva se era la cosa giusta, e si sentiva tradito.
-Forza … – lo incoraggiò.
-Vieni anche tu? – le chiese, prendendola di sorpresa.
-Questa è una questione fra voi, io non c’entro nulla.
-Ti prego. –la supplicò guardandola. – ti preeeego … - ripeté con fare infantile e con voce dolce
-Ti rispondo di sì soltanto perché è da una vita che non mangio sushi e perché tu mi pagherai la cena. – cedette June, come faceva sempre, ad ogni richiesta del giovane; come aveva ceduto perdonandolo poco prima, come aveva sempre fatto quando si trattava di Joseph.
L’abbracciò prendendola di sorpresa, era da troppo tempo che non riceveva un abbraccio dal suo migliore amico.
-Grazie June. – sorrise.
Forse era stata quella canzone a farli rincontrare, oppure quello strano sogno, o proprio quel faro, anzi meglio, quella ‘casa della luce’  a condurli nello stesso luogo nello stesso momento. A Los Angeles c’erano 12’872’808 abitanti, la probabilità di incontrarsi per caso su un faro abbandonato su una scogliera non era sicuramente molto alta; ma a loro era successo. 
















Buonasera a tutti!
Come è andato il ritorno a scuola? ç.ç 
Il mio più o meno bene, dai! 
Vi sarei davvero grata se lasciaste una recensione *-*
un bacione, 
Marta

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Capitolo 6
*** Chapter 5: There is no future for the Jonas Brothers ***


Chapter 5
 
There is no future for the Jonas Brothers


 
-Non ci credo! – esordì June salendo nell’auto di Joseph.
-Cosa? – domandò girando la chiave per accendere il motore della vettura, mantenendo lo sguardo fisso sulla ragazza.
-Sei arrivato puntuale! – disse entusiasta con un sorriso sulle labbra. Era un miracolo, qualcosa da segnare sul calendario: Joe non era puntuale neanche a sei anni, June lo sapeva bene.
Joe scoppiò a ridere e scosse la testa.
-Ho l’orologio che va avanti. – si giustificò.
June afferrò il polso sinistro del giovane, dove aveva l’orologio,  e fece una faccia strana.
-Non è vero. Sei diventato puntuale! Questo è il colmo! – scoppiò in una fragorosa risata alla quale si unì anche il ragazzo. – Facciamo progressi, complimenti!
-Grazie. – sorrise. Era tornata la sua amica, ne aveva sentito la mancanza, tanto, troppo.
Joseph aveva uno strano presentimento su quella serata. Non si era mai arrabbiato seriamente con suo fratello. Aveva avuto delle volte delle discussioni con lui, ma ogni volta facevano pace in meno di 24 ore. Non sapeva come fare.
-Joe … - lo chiamò lei – a che stai pensando?
-Al fatto che non so litigare, ma questa sera credo proprio che lo farò. – sentenziò lasciando gli occhi alla strada.
-Promettimi soltanto che lo farai spiegare, ok? – gli chiese. Lui annuì.
Arrivarono al ristorante, parcheggiarono, i paparazzi li fotografarono, ed entrarono al Katsuya.
-Ti libererai mai dei paparazzi? – scherzò la ragazza. Per fortuna June era di buon umore,  poiché quella sera avrebbe dovuto sopportare e sdrammatizzare  situazioni non proprio idilliache.
-Fin quando sarò famoso, e abiterò a Hollywood, credo proprio di no. – scosse la testa increspando le labbra.
Il cameriere indicò il tavolo a nome Jonas, al quale era già seduto Nicholas che si girò a guardare incredulo la ragazza.
-June?! – disse alzandosi. La ragazza annuì.
-Nicholas! – esclamò lei.
-June! Che ci fai qui? – chiese il riccio mentre con una mano prendeva quella del fratello per poi attirarlo verso di sé, era il loro saluto, praticamente da sempre, Joe stette al gioco controvoglia. Ogni volta che i due fratelli si vedevano June li guardava salutarsi con quella stretta di mano, e invidiava per un momento quel rapporto speciale che avevano quei due.
Ricordava ancora quando da piccoli stavano “sperimentando” la loro stretta di mano, quando si consultavano dentro alla tenda da campeggio verde allestita in giardino su come doveva essere fatto e su come dovesse essere unico e speciale. Ogni volta che si salutavano in quel modo sorridevano veramente, entrambi,e quella tristezza negli occhi del moro non le piacque affatto.  
-Beh, io e Joe ieri ci siamo rivisti e mi ha invitato a cenare con voi. – semplificò la situazione la ragazza, sedendosi, proprio come Nick.
-Benissimo, ordiniamo e poi parliamo, ho una fame incredibile!- esclamò il riccio particolarmente felice, e sorridente.
Mentre Joseph continuava a fissare l’angolo in alto del tovagliolo bianco vicino al piatto del fratello e tamburellare il manico della forchetta sulla tovaglia senza proferire parola, il cameriere prese le ordinazioni e si congedò.
-Quindi frequenti ancora medicina all’UCLA? – domandò Nicholas alla ragazza.
-Sì, ho superato tutti gli esami che avevo in programma nell’ultimo anno, e per questo mi sento molto realizzata. – disse entusiasta.
Joe, mentre gli altri due continuavano a parlare del più e del meno, e ogni tanto June gli rivolgeva uno sguardo, estrasse il suo i-Phone bianco dalla tasca dei jeans e cominciò a farlo ruotare poggiando sempre sul tavolo un lato di questo. Fissava il vuoto e si premurava a non far trapelare nessun sentimento da quel viso enigmatico ma chiaramente sca*zato.
-Che cos’hai oggi Joe? – chiese il minore spostando il suo sguardo dalla giovane al fratello, che finse una risata amareggiato.
-Perché non me lo dici tu Nick, eh. – lo provocò, alzando per la prima volta lo sguardo da terra provocante. Masticò la chewing-gum che aveva in bocca da più di due ore nervosamente.
-Non ho idea di cosa tu stia parlando- affermò il riccio, interdetto, mentre la giovane sapeva che da lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno.
Joe scosse la testa e sospirò, si sistemò sulla sedia poggiando entrambi i gomiti sul tavolo, incrociò le braccia, e guardò il fratello negli occhi.
-Fai anche il finto tonto, eh. Non ne hai il coraggio, vero? – disse il moro incrociando lo guardo del ragazzo, come se volesse carpire la verità da quei suoi occhi color cioccolato, così simili ai suoi. La tensione era palpabile.
-Coraggio di fare cosa? – chiese il riccio, cercando di essere naturale, ma lui stesso si accorse che la sua voce era fin troppo segnata dalla menzogna.
-Coraggio di dirmi in faccia quello che hai fatto, di spiegarmi questa foto – alzò la voce mostrando la foto del fratello con la sua ragazza – di dirmi che mi hai f*ttuto la ragazza guardandomi negli occhi.– concluse furioso il moro aspettando la reazione del fratello.
Il minore fu preso alla sprovvista. Quella notte a Londra non c’era nessun paparazzo, era una zona irraggiungibile, Amber glielo aveva assicurato. Doveva essere un segreto, qualcosa che riguardava soltanto lui e la ragazza. Lui che aveva lasciato andare qualcuno che era stato fin troppo importante, che si era appena innamorato della ragazza di suo fratello ed era stato ricambiato al volo.
-Perché avrei dovuto dirtelo? – disse sentendosi dalla parte del giusto.
-Come sarebbe “perché”?! Perché sono tuo fratello c*zzo, e questa è la mia ragazza!- rispose ormai gridando il maggiore. Era inca*zato come una bestia, e soprattutto irritato da quell’atteggiamento che aveva assunto il fratello.
-In verità, la tua ex ragazza, ora sta con me. Forse ti conviene chiamarla.- gli suggerì facendolo irritare ancora di più.
June non si sarebbe mai immaginata un atteggiamento del genere da parte di Nicholas, non aveva mai fatto discordi del genere, era sempre razionale e riflessivo; e stava parlando da assoluto deficiente. Le ricordò l’atteggiamento di qualcun altro, che faceva gli stessi discorsi idioti con lei proprio un anno prima: Joseph.
Di certo, ora come ora, June non avrebbe proprio potuto biasimare Joe se ci avesse litigato pesantemente.
-Nicholas, che c*zzo ti prende? Che c*zzo di risposte sono queste? Amber è la mia ragazza, perché in questa foto la stai baciando? – disse non riconoscendo suo fratello fra quelle parole. Sembrava Joe ora a essere il fratello razionale che cerca di non giungere a conclusioni affrettate, e a far ragionare tutti. Sembrava quasi che se Nicholas avesse dato una spiegazione plausibile a quella foto, Joe fosse disposto a trascorrere il resto della serata felicemente con il fratello, come se non fosse successo nulla.
-Perché la amo, a Londra ci siamo messi insieme e non abbiamo intensione di farci dividere da niente e da nessuno. Tu hai sempre avuto a precedenza, su tutto, e soprattutto sulle ragazze: se vedevi una ragazza in mezzo al pubblico che ti piaceva tu avevi la precedenza, se ti piaceva qualche attrice o cantante tu avevi la precedenza, e nessuno poteva farci nulla. Hai avuto la precedenza anche su Amber, ma lei alla fine ha preferito me. Fine della storia. – disse riassumendo il tutto secondo il suo punto di vista.
Joe era completamente sconcertato, e credé e per la prima volta nella vita di avere un deficiente come fratello.
-Sei soltanto uno st*onzo. – disse guardandolo negli occhi, per l’ultima volta prima di andarsene via adirato.
June rimase un attimo immobile, poi si alzò.
-Domani ti chiamo, dobbiamo parlare. – disse al castano che se ne restava seduto senza dire nulla, impassibile.
La ragazza corse dietro a Joseph che se ne stava andando, prese al volo il suo cappotto e so seguì fino alla macchina mentre facevano un altro “bagno” di folla tra i paparazzi che continuavano a fotografare. June era sicura che se la macchina fosse stata anche soltanto un metro più lontana Joe avrebbe cominciato a imprecare anche contro i fotografi.
I due salirono in macchina e sfrecciarono sull’asfalto bagnato dalla pioggia dello stesso pomeriggio.
Regnava il silenzio in macchina, e June sapeva che doveva dargli soltanto qualche altro minuto per organizzare i suoi pensieri fin troppo confusi, e poi lui avrebbe ripreso il discorso.
Osservò come il profilo del ragazzo fosse così ben definito dalle luci notturne che venivano da fuori; guardò come il petto di questo si gonfiava e sgonfiava ritmicamente e velocemente ancora agitato; lo vide mordersi il labbro inferiore nervosamente e si ricordò come lo faceva ogni volta che qualcosa lo turbava. Si meravigliò di quanto lo conoscesse bene e di quanto sapesse leggerlo dentro, capendo alla perfezione il suo stato d’animo senza che lui dicesse una parola.
-È un pezzo di m*rda. Lo sa quanto tengo a lei. – disse fissando la strada.
June rimase in silenzio. La ragazza aveva capito che quando le persone parlano, non hanno necessariamente bisogno di consigli, ma solo di qualcuno che li stia a sentire senza stancarsene. Joseph aveva apprezzato sempre questa sua qualità, lei sapeva intervenire quando ce ne era bisogno.
-E … lui è l’ultima persona da cui mi sarei aspettato una cosa del genere. – aggiunse.
Già si era calmato, la sua voce era più lenta e profonda.
-Mercoledì dovremmo anche andare in sala registrazione per cominciare a incidere … - disse.
-E tu cosa hai intenzione di fare? – chiese June, senza la benché minima tendenza a un rimprovero.
-Dopo quel che è successo non credo che ci sarà futuro per i Jonas Brothers. – sentenziò. 







Bene ragazzi, ecco a voi il nuovo capitolo
cercado di non pensare  che Joseph in questo momento è ancora a Milano e io sono a 5 ore di macchina da lì ç.ç
vi lascio leggere, 
un bacio, 
Marta <3

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Capitolo 7
*** Chapter 6: Girlfriend ***


Chapter 6
 
Girlfriend

 
La ragazza posò la penna sul suo quaderno degli appunti di biologia, e si diresse in cucina per un bicchiere d’acqua.
June la sera prima non era riuscita a dire nulla, sia perché ne era rimasta troppo sconvolta, e sia perché pensò che dandogli tempo per riflettere su tutta la questione magari dormendoci su, lo avrebbe fatto poi arrivare a una soluzione migliore.
I Jonas Brothers non potevano finire, lei era cresciuta con loro, in tutti i sensi. Nulla li avrebbe potuti dividere, lo avevano detto loro, lo avevano giurato.
L’unica cosa che li avrebbe potuti separare era una lite, June lo aveva sempre sostenuto, e quella volta sarebbe potuta essere la volta buona. Non aveva mai visto Joe così furioso, e mai Nicholas così deciso su quel che diceva.
Riflettendo su quella questione, si ricordò che doveva telefonare a Nicholas. Estrasse il cellulare dalla tasca e ritrovò nella sua rubrica il numero del ragazzo, e sperando che non lo avesse cambiato, premette il tasto verde.
-Pronto? – disse Nicholas.
-Nick, sono June. – rispose la ragazza con voce squillante.
-June, dimmi. – la incoraggiò.
-Hai un momento Nick? Vorrei parlarti, e credo che ci vorrà un po’. – gli annunciò.
-Se si tratta di ieri sera non ho nulla da dire Ju. – la anticipò lui. 
-Nicholas, pensaci su un attimo, sei sicuro di quello che stai facendo? – gli domandò senza badare a quel che aveva detto lui.
-Sì che ne sono sicuro June. – rispose.
-Nick, è a rischio il vostro futuro da Jonas Brothers, ma soprattutto da fratelli. Quella ragazza è già riuscita a separare delle persone, non voglio che accada di nuovo. – lo avvertì la ragazza.
-Per prima cosa “quella ragazza” ha un nome, ed è Amber. Secondo: se per le “altre persone” intendi tu e Joe, è stato lui a essere uno st*onzo, e poi mi pare che siate tornati  pappa e ciccia. – osservò lui.
-Beh sentendoti parlare ieri Nick mi sembrava tanto di sentire Joe una delle ultime volte che ci sentivamo prima che lui rompesse i rapporti con me un anno fa. Scusa se te lo dico, ma anche tu sei stato abbastanza st*onzo con Joe. – era sincera e schietta, Jude aveva sempre detto in faccia a tutti quel che pensava.
-June, non sono qui a farmi giudicare da nessuno e faccio quel che voglio della mia vita. Se voglio stare con la ragazza di mio fratello lo faccio, avrò le mie ragioni. – rispose il giovane.
June sospirò profondamente.
-Certo che fai quel che vuoi della tua vita, ma visto che siamo vissuti insieme mi sono permessa di cercare di farti riflettere. Non voglio che voi due perdiate il rapporto che avete sempre avuto per una ragazza, non ne vale la pena. – cercò di spiegarle.
-Ovviamente tu stai dalla parte di Joe, vero? – disse Nicholas, dal nulla.
-Io non sto dalla parte di nessuno, Nick! Dico soltanto che  non vale la pena litigare in questo modo per una ragazza che ha già fatto tanti casini. – ribadì.
-June, non è stata colpa di Amber se tu e Joe avevate tagliato i rapporti, ma di Joe; e non è colpa di Amber se io e Joe abbiamo litigato, è colpa mia, ma la amo e non me ne frega un c*zzo. Ed ora scusami, ma devo andare. Ci sentiamo. – così dicendo concluse la chiamata senza dare a June possibilità di rispondere.  
June sospirò di nuovo, non sapeva cosa fare.
Non le piaceva Amber, per niente. Le sapeva di ragazza approfittatrice, che è pronta a tutto per diventare famosa e tenere il successo in mano mantenendo la stampa su di lei. Faceva questo approfittandosi dei primi due malcapitati famosi: Joe e Nick.
June li conosceva da sempre e sapeva che non avrebbero mai fatto discorsi del genere se non ci fosse stata una donna che li faceva a sua volta a loro. Nicholas e Joseph, come del resto tutti i ragazzi, si fanno influenzare in fretta dalle ragazze. In più i due sono particolarmente sensibili, e June sapeva che prima o poi si sarebbe ritrovata un Joseph con le lacrime agli occhi da consolare; stessa cosa sarebbe successa a Nick presto o tardi.
D’altronde più di una ragazza aveva spezzato il cuore a Joseph, e June era sempre stata pronta a consolarlo.
 
July 2009
-Certo che è stata una st*onza eh. -rifletté June al telefono con Joseph. Dall'altra parte della cornetta non si sentivano altro che singhiozzi.
Come si era permessa una ragazza a far soffrire e piangere il suo miglior amico? Come aveva potuto lasciarlo con una telefonata, senza dargli tempo di replicare? Come aveva potuto illudere una persona fantastica come lui? È stata soltanto una sgualdrina, una p*ttana, e lei aveva sempre sospettato che sarebbe andata a finire così.
-Joe, domani sarai  a Detroit vero? - chiese June.
-Sì – rispose il quasi ventenne cercando di ricomporsi.
-Bene, riceverai una bella visita domani. - gli annunciò la ragazza dagli occhi blu.
-No June, davvero, non serve che tu venga qui, sto bene. - mentì il ragazzo
-Ne sei sicuro? - si premurò la giovane.
-Sicurissimo – rispose lui.
-Ok allora, ci sentiamo presto – June chiuse la chiamata e Joseph ricominciò a piangere.
 
La stanza era buia e silenziosa quando la ragazza entrò si soppiatto nella camera del cantante acclamato dalle folle di ragazzine in delirio.
June poggiò la loro colazione sul tavolo prima di spalancare le finestre facendo entrare tutto il sole di Detroit nella camera.
-Sveglia sveglia dormiglione! - esclamò così forte da svegliare tutto il piano dell'albergo a cinque stelle in cui alloggiavano i tre fratelli.
Prese le candide coperte sotto le quali si trovava il ragazzo mezzo addormentato e lo scoprì lasciandolo solo in boxer. Non se ne curò, l'aveva visto innumerevoli volte con soltanto quelli addosso, anzi, delle volte anche senza nulla. Ci aveva fatto di gran lunga l'abitudine.
Il moro dai capelli ricci si stropicciò gli occhi e inquadrò l'immagine della ragazza e si stupì ad avercela davanti agli occhi.
-Che ci fai qui? - chiese lui meravigliato.
-Ehi, se non mi vuoi me ne torno a New York – disse fingendo di fare l'offesa facendo per andarsene. 
-No no no, vieni qui! - disse prendendola per un polso e stritolandola tra le sue braccia.
-Allora ti sono mancata- osservò lei.
-Da morire – aggiunse il ragazzo. - ti avevo detto che stavo bene, e tu hai detto che non saresti venuta ...
-No, non l'ho mai detto, anzi ti ho detto “ ci sentiamo presto”, e “presto” per me può significare anche “domani mattina”, e poi fidarsi è bene non fidarsi è meglio. -replicò la bionda sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi e scompigliando i capelli ricci dell'amico.
-Ecco perché ti adoro - disse sorridendo. Ecco per vedere il suo amico sorridere, June avrebbe attraversato anche il mondo intero. Non aveva dormito per niente quella notte, aveva trascorso molte ore in aereo e non si era fermata un attimo dal momento in cui avevano terminato la chiamata il giorno prima, e in quel momento tutto quello che aveva fatto sembrava avere un senso.
-Ma che cavolo è successo qua? Hai il raffreddore? - chiese riferendosi alle decine di fazzoletti in giro sul letto.
-Non proprio. - disse il moro che si sedette sul letto, avendo paura della reazione della ragazza.
-Lacrime vero? - chiese seria sedendogli vicino. Lui annuì. June sospirò e scosse la testa.
-Voglio nome cognome indirizzo e codice fiscale, e possibilmente anche un venditore di magnum, e non intendo i gelati. - disse la bionda determinata a sterminare chiunque avesse urtato la sensibilità del suo migliore amico.
-No dai, non ucciderla- chiese lui sforzando un sorriso.
-La difendi anche? Lei ci ha pensato due volte prima di spezzarti il cuore? Oppure se ne è fregata di te e ti ha mollato come ha fatto con il resto di Los Angeles? Non mi far essere cattiva, e ti prego, la prossima volta tieni conto anche della mia opinione ok? Potrebbe anche non essere sbagliata.- gli stava sbattendo la verità in faccia, ma lo stava facendo per il suo bene e per non fargli commettere di nuovo lo stesso errore.
Il moro annuì.
-Hai ragione – ammise con gli occhi lucidi.
-Senti, - cominciò dolcemente prendendo la mano del giovane – ti voglio troppo bene e non voglio che la gente si approfitti di te, e che ti illuda. Sono una ragazza e conosco le ragazze, possono essere molto più complicate e false degli uomini. Ma ancora non riesco a capire come facciano a far soffrire te, che sei la cosa più bella che possa accadere ad una donna.
Joe che aveva tenuto il suo sguardo pieno di lacrime lontano dalla ragazza non aveva potuto far a meno di guardarla negli occhi, nei suoi bellissimi occhi blu.
L' abbracciò, un abbraccio vero e sincero, pieno di gratitudine.
-Grazie, davvero – disse il riccio con gli occhi che brillavano. La  fine di quella relazione gli aveva fatto abbassare la concezione di sé a sotto zero, ma June gli aveva saputo dire le parole giuste nel momento giusto.
 
Il cellulare della ragazza squillo: era un messaggio da parte di Joe. Lo lesse sedendosi sulla poltrona per ricominciare a studiare.

“Che ne dici di pizza e film a casa mia? Facciamo la spesa, prepariamo due pizza solo per noi e ci vediamo un film, come i vecchi tempi, ne ho bisogno. Vieni a casa mia alle 5.30pm. Ci conto.
– Joe.”







 

Buonasera gente!
Lo so, è da una vita che non aggiorno ç.ç
è tutta colpa della scuola, non mi lascia un minuto libero. 
Ma passata questa settimana le cose miglioreranno, almeno lo spero. 
Sicuramente non avrò più mille interrogazioni e copiti al giorno!
Ok, spero vi piaccia!
e recensiete recensite recensite! *-*
un bacio, Marta. <3

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Capitolo 8
*** Chapter 7: Pizza! ***


Chapter 7
 
Pizza!

 
June suonò alla porta e Joseph le aprì facendola accomodare. La prima cosa che notò furono le ciabatte a forma di testa di papera ai piedi del ragazzo. Si trattenne da non scoppiare a ridere.
Winston accolse la ragazza saltandole addosso e leccandola tutta.
-Si ricorda di te, e gli piaci. – esordì Joseph riferendosi al suo cane.
-Certo, noi siamo sempre stati amici, vero amore? – disse al cane che le dette un'altra leccata. – Allora andiamo?
-Aspetta soltanto un attimo, poi andiamo, devo fare una cosa – dicendo questo il ragazzo si posizionò sul divano e riavviò la sua missione in Call Of Duty. June si sedette vicino a lui e Winston si sedette sulle sue gambe pronto a farsi un altro sonnellino. – Questo st*onzo mi ha tolto tantissima vita. – disse riferendosi al militare del videogioco che sparava addosso al suo personaggio. Joe era drogato di quel gioco per playstation3, da sempre. Una volta aver sistemato per le feste l’avversario manovrato dalla console, salvò e spense la tv.
Aveva visto scene del genere milioni di volte. Non si poteva mica uscire non si aveva prima salvato il gioco, e né se passare il livello del videogame fosse diventata una questione di principio.
Anche June si divertiva di tanto in tanto a giocare con i videogiochi ma le piaceva soltanto se non era da sola e poteva o allearsi o combattere con qualcuno che era materialmente al suo fianco. Era competitiva e per il lavoro di squadra, da sola non si divertiva. Spesso era anche brava,di sicuro aveva imparato a giocare a PES.
-Bene, possiamo andare. Hai portato la ricetta? – chiese il moro avviandosi alla porta
-Certo. – disse estraendo il vecchio quaderno della nonna. – Ma forse non è meglio che tu ti metta le scarpe prima di uscire Joe? – disse indicando i piedi del ragazzo che guardò prima le sue pantofole poi il volto della ragazza e scoppiò a ridere.
-Sì credo che sia meglio! Ma non escludo che se uscissi con queste papere qualcuno non farebbe lo stesso. La gente è diventata pazza oggi giorno. – osservò prendendo le sue scarpe nere e sedendosi sul letto per infilarsele.
La casa di Joe era un monolocale, a due piani, con una bella cucina in legno scuro, pianoforte a muro, divano comodo e spazioso con televisione da 40 pollici proprio davanti, letto  proprio vicino alla scrivania sulla quale era appoggiato il computer e davanti alla finestra che occupava un intero muro. Era riservata e accogliente, e sempre ordinata, questo grazie soltanto alla sua donna delle pulizie che veniva un giorno sì e un giorno no da almeno 3 anni. Era alla Joe Jonas, rispecchiava la sua personalità, June lo aveva sempre sostenuto.
I due ragazzi si diressero al supermercato più vicino, scampando, almeno per quella volta, ai paparazzi. O almeno così pensavano.
-Cosa ci serve? – chiese il modo sbirciando il foglietto della spesa che teneva in mano la ragazza.
-Farina, uova, latte, lievito ... – cominciò ad elencare, mentre il moro prendeva ciò che lei enunciava. Conosceva il negozio, veniva a far la spesa lì praticamente tutti i giorni.
Una volta preso tutto l’occorrente, tornarono a casa del giovane e cominciarono a fare l’impasto.
Mente June cercava di stendere nel miglior modo possibile quel che era l’impasto con il mattarello, Joe la cinse da dietro e le mise il mento sulla sua spalla sinistra cominciando aiutare a stendere la pasta. Lo faceva sempre, da sempre. June chiuse gli occhi per un attimo e per un attimo ricordò quel che lui gli aveva detto tempo prima …
 
 
May 2004
June si pulì le mani sul grembiule, stava facendo una fatica immensa a stendere quella pizza.
-Secondo me la pasta ci è venuta un po’ troppo dura. – osservò la ragazza.
-Non hai seguito le dosi della ricetta? – domandò lui.
-Sì certo, ma ci avevo versato un po’ troppo latte, quindi ho compensato con della farina, ma mi sa che ce ne ho messa troppa. – ammise lei. Joseph lasciò la teglia che stava preparando, e si diresse verso la ragazza che non ci pensava per niente a darla vinta alla pasta della pizza. Fece aderire il suo petto con la schiena di lei e con le mani andò a pretendere il mattarello e la aiutò a stenderla. June fu presa di sorpresa, tanto da non sapere cosa fare, quindi optò per continuare a estendere la pizza con lui.
-Sai … - cominciò lui. – sai cucinare, sei brava in matematica, ti piace il calcio: sei una ragazza da sposare.
June diventò rossa in viso, e sentì le guance bruciarle. Sentì una vampata di calore avvolgerla. Fortunatamente Joe non poteva vederla in faccia, perché era alle sue spalle.
-Peccato che sei troppo bassa. – concluse e tornò ad ungere la teglia che aveva lasciato in sospeso.
-Parla quello altro due metri. – scherzò lei facendogli la lingua, immediatamente ricambiata allo stesso modo. Sorrisero entrambi, rifletterono per un attimo ancora su quel che aveva appena il ragazzo e poi scossero la testa e tornarono al loro lavoro.
 
 
 
Chissà se Joseph pensava le stesse cose su di lei, pensò June. Sorrise continuando a stendere la pizza con l’aiuto di Joe.
Girò per un attimo il viso per vedere l’espressione del ragazzo. Era concentratissimo, si bagnò le labbra con la lingua, e si morse il labbro, e quando notò che lei lo stava osservando già da qualche secondo le sorrise corrugando la fronte e alzando le sopracciglia.
-Deve essere tutto come i vecchi tempi. – disse lui guardandola per un attimo negli occhi.
Sorrisero e continuarono a stendere la pizza fin quando non prese la forma del testo in cui doveva essere messa. Mentre June infornava la teglia, e regolava il forno a 180 °C Joe cominciò a parlare:
-June … mi sei mancata.
La ragazza si girò, e incontrò il suo sguardo. Senza pensarci una seconda volta, si avvicinò a lui e lo abbracciò, come non lo faceva da tempo. Sentì il suo profumo, sentì le sue braccia avvolgerla e il suo mento posarsi sulla sua spalla.
Erano migliori amici, e nonostante tutto quello che avevano passato, lo erano rimasti. June sorrise e si girò per andare a vedere come procedeva la pizza in forno.
-Oh oh – disse allarmato il ragazzo.
-Che è successo? – chiese lei.
-Diciamo che ti ho leggermente infarinato la maglia, non mi ero lavato le mani. – confessò lui.
June si girò a vedere quello che aveva combinato: un vero disastro. Così decise di bluffare.
-Va bene dai non fa niente … - disse pacata dirigendosi verso il tavolo su cui avevano steso la pizza, dove era rimasta un gruzzoletto di farina incustodita. Senza farsi vedere la prese e la tirò addosso all’amico che se ne accorse subito dopo rimanendo sconvolto e senza parole.
-Così siamo pari! – disse lei con un sorriso smagliante.
-Questa è firmata Calvin Klain! – disse indicando la sua maglia e prendendo con l’altra mano della farina.
-È colpa tua se ti metti le cose firmate per cucinare, non mia.- disse lei sbottando a ridere subito dopo.
-Comincia a correre!- le suggerì prendendo l’intero pacchetto di farina in mano.
June spalancò gli occhi e aprì l’anta dell’armadio vicino, e aprì un nuovo pacco di farina.
Joe tirò un pugno di quella polvere sulla ragazza imbiancandogli tutti i capelli.
-I capelli no! – gridò in falsetto lei rincorrendolo per la casa per poi riuscire a prenderlo soltanto in salotto per scaricargli mezzo pacchetto proprio in testa. Lei scappò il più lontano possibile con la farina restante, mentre Joe si rialzò da terra completamente bianco.
-Questa me la paghi. – esclamò lui rincorrendola fino in bagno. June aveva scelto un pessimo posto per rifugiarsi dall’attacco dell’amico: quella stanza  era troppo piccola.
Infatti fu subito messa alle strette dal cantante, che la fece indietreggiare fino a farla finire nella vasca da bagno e riempirla di farina. June trascinò anche lui lì dentro e finì il suo pacchetto versandolo in testa al moro. La maglia nera di Joe era diventata bianca, proprio come la t-shirt della ragazza. Ancora seduti in quella vasca fin troppo stretta si guardarono, e scoppiarono a ridere.
A loro era sempre piaciuto fare la pizza, soprattutto perché la maggior parte delle volte in cui decidevano di prepararla finiva per diventare una guerra con la farina. Ogni volta la povera donna delle pulizie il giorno successivo imprecava contro di loro.  
Ma, dovevano ammettere che non erano mai diventati così bianchi come in quella volta. Sembravano dei fantasmi. La loro pelle ora era in stile Edward Cullen, bianca come la carta.
June scosse la testa, alzando in caria così una polvere bianca.
-Spero che tu abbia qualcosa da prestarmi. – rise lei. In effetti quella sua povera maglietta era improponibile.
-Sfortunatamente non ho abiti da donna, ma credo di poterti dare qualcosa di mio.-  sorrise Joe.
-Bene – disse lei alzandosi dalla vasca a stento, come una vecchia novantenne con i reumatismi. Si guardò allo specchio e si impaurì del suo stesso riflesso.
-Mio Dio, come mi hai ridotto così?- disse sconvolta toccando un una mano il suo viso polveroso.
Joe rise di gusto, e si alzò in piedi, fuori dalla vasca e le si mise vicino, guardandosi allo specchio.
-Anche io non è che sono poco bianco. Sembro un clown. – rise  muovendosi i capelli con una mano e facendo alzare in aria una nuvola di farina, proprio come aveva fatto poco prima la ragazza.
-Ti porto una felpa. – si congedò lui sorridendo – vuoi anche farti una doccia? – gridò lui dalla sua stanza.
-No dai non fa niente, mi  lavo soltanto il viso e per i capelli me li spazzolo e faccio una coda. – rispose lei.
-Ecco a te. – disse lui dandogli una felpa con la zip e il cappuccio con motivo militare viola.
-Grazie mille, ci metto soltanto un attimo. – disse chiudendolo fuori. June si lavò il viso, tentò ti togliersi la farina dai capelli nel miglior modo possibile, e poi li legò in una coda.
Si tolse la maglia e osservò come la farina si fosse intrufolata da tutte le parti, e poi si infilò la felpa del ragazzo. Mentre si guardava un’ ultima volta allo specchio, si domandò come gli indumenti riuscissero a catturare l’odore della persona che lo indossa e conservarlo in quel modo unico. Quella maglia, nonostante fosse stata lavata, aveva conservato il profumo di quel ragazzo in un modo incredibile, e a June le sembrò di abbracciare Joe quando chiuse gli occhi e ne respirò il profumo.
June uscì e trovo Joe a petto nudo che guardava il suo cellulare.
-Joe. – lo chiamò lei, dopo aver avuto una strana stretta al cuore perché non immaginava di ritrovarselo senza maglietta.
-Ma allora hai fatto davvero in fretta. – disse lui infilandosi la prima cosa che era nel cassetto con un sorriso.
-Io sono veloce, lo sai. Hai controllato la pizza? – chiese sentendo uno strano odore.
-No. – disse incerto.
June corse verso il forno e salvò la pizza per miracolo.
-È salva! – esultò lei.
 
 
I due amici erano sul divano l’uno vicino all’altra a guardare Aladdin. Era un cartone che era sempre piaciuto da matti a tutti e due, e quella sera erano malinconici e in cerca di ricordi.
In più le risate che il genio della lampada riusciva a far fare ad entrambi i ragazzi era ammirabile.
Sembravano essere tornati bambini, quando June andava a casa di Joe il sabato pomeriggio per vedere i cartoni animati in tv. Avevano consumato quasi tutte le cassette. I due bambini si mettevano davanti alla televisione e se ne staccavano soltanto per andare a prendere la merenda in cucina, preparata da Denise. Quando erano piccoli sapevano tutte le battute dei film a memoria, e le recitavano insieme ai personaggi.
June si sistemò meglio sul divano, e poggiò la testa sulla spalla dell’amico che l’accolse volentieri.
Pochi minuti dopo il cantante si accorse che June stava già dormendo. Era così, da sempre. Era più dormigliona di lui. Sorrise ricordando quante volte fosse successa la stessa cosa: dopo un oretta di film June si addormentava, su di lei la televisione aveva un effetto sporifero e lui sapeva di essere il suo miglior cuscino.
Si mosse piano e dolcemente intenzionato a farla distendere su un letto vero. La prese delicatamente in braccio, cercando di non farla svegliare. Si diresse in camera sua e la distese sul letto. Prese una coperta dall’armadio e gliela poggiò sopra premurandosi di coprire ogni parte del suo corpo: non doveva sentire freddo. Infine si inginocchiò per terra per osservarle meglio il viso, le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Rimase un attimo a guardarla, a osservare come dormisse serenamente, e si domandò come avesse potuto abbandonarla per tutto quel tempo e in quel modo infame, e, nello stesso tempo, si meravigliò di come lei l’avesse perdonato così facilmente. Probabilmente le era mancato tanto, più di quanto lui avesse sentito la mancanza di lei. In fondo lui aveva avuto una ragazza, una famiglia, dei fratelli; lei aveva perso la madre, e il padre e il fratello erano dall’altra parte dell’America, e non aveva un fidanzato. Oppure sì?
Questa domanda balenò in testa al moro e non si seppe dare una risposta. June era fidanzata o era stata fidanzata durante quell’ultimo anno? Soltanto al pensiero Joseph si ingelosì. Era completamente geloso di chiunque si avvicinasse a lei, fin dai tempi delle elementari. Ricordava ancora il nome, il cognome, la data di nascita e la faccia dei ragazzini che ci aveva provato con June in terza elementare, in prima e in seconda media, in secondo liceo e in quinto superiore. Non li sopportava, nessuno dei cinque.
Per non parlare di quando la vide baciare Danny Owen in terzo liceo. Quel tizio era il capitano della squadra di basket della scuola, il solito pallone gonfiato a cui tutte le ragazze vanno dietro; ne esiste uno a liceo. Joseph non andava alla scuola pubblica, ma ne sapeva di più di chiunque altro ci andasse.
Ricordò come litigò ferocemente con l’amica, prendendola anche a parolacce, con la speranza di farle aprire gli occhi. Il giorno dopo lei aveva lasciato Danny e i due avevano fatto pace. Come sempre.
Rimaneva il fatto che Joseph non sapeva se June era stata con qualcuno o meno. Beh, in ogni modo, in quel momento era con lui, e nessuno avrebbe potuto toccarla. Non aveva un fratello maggiore, e lui doveva fare quel ruolo, se ne sentiva in dovere.
Joe sorrise di nuovo, diede un bacio dolce sulla guancia della ragazza e tornò a vedersi Aladdin. 











Buonasera gente, 
visto? questa volta ho aggiornato prima! :D
e in più sono anche felice perché domani a scuola non farò nulla e oggi ho preso 9 e mezzo in fisica, cioè, 9 e mezzo! *______________*
Ok, avevo programmato di aggiornare domani, ma ho un impegno, quindi ho postato oggi! 
Mi raccomando: recensite recensite recensite! *_*
Un bacione, 
Marta. 

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Capitolo 9
*** Chapter 8: Tears ***


Chapter 8
 
Tears
 



-Ma quando arriva Joe? – chiese Kevin al fratello. Erano nella sala di registrazione da più di un ora: Nick continuava a controllare i testi delle canzoni che i Jonas Brothers avevano scritto, e Kevin provava gli accordi alla chitarra.
-Non credo che verrà. – dichiarò Nicholas sospirando.
-Perché? – chiese il maggiore.
-Perché mi sono fidanzato con Amber. – affermò, prendendo Kevin completamente di sorpresa, non sapeva nulla a riguardo.
-Cosa? – esclamò sconvolto. – Come? Quando? … perché?
-Perché ci siamo innamorati. La settimana scorsa quando sono andato a Londra, non sono andato lì per un colloquio di lavoro, ma per vederla. – il riccio posò la penna sul tavolo e si rivolse completamente al fratello. – Joe l’ha scoperto grazie a delle foto dei paparazzi e abbiamo litigato.
-Tu non gliene avevi parlato per niente? – chiese l’altro.
-No. Sono fatti miei, non suoi. – ci tenne a sottolineate.
-Cavolo Nick, non hai pensato che era meglio parlarne? Non credo che te la farà passare liscia e tornerà tanto volentieri con i Jonas Brothers come se nulla fosse successo. – disse il maggiore.
-Beh? Tanto meglio. –disse noncurante.
Kevin scosse la testa sconvolto.
-Non te ne frega proprio un ca*zo vero? – disse alzandosi in piedi il riccio. – Non te ne frega un c*zzo di quello che abbiamo passato insieme, della musica che stiamo componendo, delle fan che hanno sempre creduto in noi, di me, di Joe. Sai … credevo che almeno un po’ te ne importasse, credevo che mettessi al primo posto la tua famiglia. Ma mi sbagliavo. – così dicendo se ne andò lasciando il minore lì da solo.
Nicholas restò per un attimo impassibile, si morse il labbro inferioriore e poi diede un pugno sul tavolo lasciando andare una lacrima dai suoi occhi lucidi.
Non era giusto. Quando Joe aveva detto di voler fare un progetto da solista che sarebbe durato quasi due anni tutti lo avevano appoggiato; quando usciva tutte le sere per poi rientrare alle prime luci dell’alba nessuno diceva nulla, quando aveva la precedenza indiscussa su tutte le ragazze perché era il più attraente dei tre nessuno mai si opponeva. Mentre il suo progetto con gli Administration non era potuto durare più di due mesi perché poi dovevano andare in tour; lui era quel bravo ragazzo che il sabato sera andava al bowling e odiava le discoteche; che arrossiva ogni volta che una ragazza che gli piaceva lo guarda negli occhi.
Ora che aveva trovato una persona che gli piaceva, anche se era la ragazza del fratello, non aveva intenzione di lasciarla andare, come aveva già fatto in altre occasioni.
Però i Jonas Brothers erano la sua famiglia, i suoi fratelli, e non sarebbe stato capace di farne a meno. Proprio come non avrebbe mai potuto fare a meno della sua musica.
Non sapeva cosa fare.
 
***
 
-E questo era Joe Jonas con “All This Time”- esclamò Jay Leno, conduttore televisivo, che entrò in scena accanto al ragazzo che aveva appena terminato di cantare.
Il giovane sorrideva raggiante, la musica gli faceva questo effetto: lo rendeva felice.  
June si godeva la scena sorridendo di nascosto da dietro le quinte, era bello vedere il suo amico felice. Era orgogliosa di lui.
Joe aveva insistito per portarla con lui quel giorno, perché ne aveva bisogno. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare liberamente, senza pressioni.
-Bene Joe, hai appena finito il tuo tour mondiale, come vanno le cose? – chiese il presentatore sorridendo.
-Beh tutto bene direi. I concerti erano quasi tutti sold-out, i fan si sono divertiti e l’ho fatto anche io. – disse il moro.
-Ma, Joe, sappiamo che stai componendo nuova musica con i tuoi fratelli, cosa ci dici dei Jonas Brothers?- chiese Mr. Leno, e l’espressione del ragazzo si rovesciò completamente. Tasto dolente.
June temeva che gliel’avessero potuto chiedere, e non voleva immaginare la sua reazione.
-Sono qui per il mio progetto da solista non per i Jonas Brothers – disse serio e innervosito da quella domanda.
-Sì, ma da quanto si dice presto tornerete con un altro album e con un grande tour mondiale, presto tornerai con Nick e Kevin, no?- domandò ancora il presentatore.
-Sono qui per il mio progetto, c*zzo, io mio. I Jonas Brothers non c’entrano un c*zzo, cosa c’è? Io non sono abbastanza? Io non basto? Ci devono essere per forza anche i miei fratelli? Beh se è così mi dispiace deludervi, ma i Jonas Brothers sono finiti, si sono sciolti. Per sempre. – alzò la voce, e se la prese con tutti. Era fuori di sé. Stava sfogando tutta la sua rabbia in diretta mondiale, e questo non andava di certo a suo favore.
June sentì gli occhi pizzicarle, e trattene le lacrime, completamente distrutta da quelle parole che continuavano a rimbombare nella sua mente, come tutte le fan dei Jonas Brothers che aspettavano da più di due anni il loro ritorno.
Joe uscì di scena e dallo stabilimento, tra la tensione degli spettatori e di Jay Leno a cui non era mai capitato nulla del genere.
June corse dietro al ragazzo che era appena uscito dalla porta di servizio.
Lo chiamò e non ebbe risposta, lo trovò pochi metri più in là seduto a terra con le ginocchia piegate e la testa tra le mani.
Stava piangendo. Sentiva i suoi singhiozzi.
June gli sedette accanto e non disse nulla, si limitò a guardarlo e poggiargli una mano sulla spalla in segno di conforto.
-Joe – gli sussurrò piano dopo qualche minuto.
Un attimo dopo la ragazza si ritrovò tra le braccia del cantante che teneva in mano ancora il suo microfono che pochi attimi prima aveva usato per cantare. Lui piangeva come poche volte lo aveva visto fare, e lei si trattenne a stento dal farlo.
-Oh Joe. – sussurrò stringendolo a sé ancora un volta. – andrà tutto bene.
Gli erano accedute troppe cose contemporaneamente. L’assenza di Amber, il tradimento della sua ragazza, l’incontro con June, il litigio con il fratello, e quelle domande  sul suo futuro l’avevano messo completamente in crisi.
Era estremamente fragile, June lo sapeva. Bastava una goccia per far traboccare il vaso, anche una piccola ed insignificante che magari si era dovuto sorbire tantissime altre volte. 
-Ehi, forza, va tutto bene, Joe. – disse sciogliendo l’abbraccio per guardarlo negli occhi. -Stai calmo, è tutto apposto. – gli sussurrò asciugando le sue lacrime con il dorso della sua mano.
-Ho fatto un casino. – disse con la voce rotta dal pianto.
-No, si risolverà tutto Joe. Ok? Non preoccuparti. – gli assicurò accarezzandogli la guancia.
-Grazie. – disse lui.
-Per cosa? – chiese la giovane.
-Per essere qui. – rispose lui.
-Per te, sempre. – June si accorse di aver detto quelle parole dopo averle pronunciate, erano state naturali.
Joe sorrise, e in brillio si intravide nei suoi occhi. 
















Eccomi di nuovo qui ragazze!
Allora che ve ne pare del capitolo?
vedo che ci sono abbastanza visualizzazioni in questa ff, 
e questo mi rende felice, 
ma se tutti quelli che la leggono,
la recensissero anche sarebbe davvero fantastico! 
davvero, ho bisogno del vostro parere!
Un grazie enorme a chi recensisce sempre! siete fantastiche davvero *-*
un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 10
*** Chapter 9: Intrusives questions ***


Chapter 9
 
Intrusives questions

 
-Joe, se continui così questo esame non lo supero neanche tra vent’anni. – June rimproverò il ragazzo che seduto al tavolo di casa sua continuava a fissarla.
-Cosa ho fatto ora? – disse il moro sconvolto, sorridendo sotto i baffi.
-È da un ora che mi fissi, smettitela. – lo riprese ridendo lei e poggiando il suo evidenziatore giallo sul suo libro di biologia.
-Sei tu che sei venuta qui. – affermò, sapendo quale sarebbe stata al risposta della ragazza.
-Sei tu che mi hai pregato di farlo perché ti sentivi solo! – June trattenne un sorriso.
-Dettagli. – disse lui.
-Joe, per favore eh, vammi a fare un panino, che non ho fatto pranzo. – gli consigliò alzando il libro dal tavolo per metterselo sulle gambe.
-Non sono un cameriere. – disse nonostante si fosse già alzato e avesse preso il pane.
-Dovresti provare, magari scopri che è il mestiere adatto a te. – gli suggerì lei ridendo di soppiatto.
-Divertente. – disse sarcastico tornando con un panino al prosciutto crudo su un piatto.
-Anche il piattino, vedi, hai talento!- lo prese in giro lei addentando quello che avrebbe soppesato il pranzo saltato.
-Perché non hai fatto pranzo? – chiese lui.
-Dovevo parlare con un professore per decidere quando fissare l’esame visto che lo devo dare io e altri due ragazzi; e la lezione successiva iniziava alle due, quindi non ho avuto tempo. – spiegò lei appoggiando di nuovo il libro sul tavolo. La voglia di studiare era sottozero. 
-Senti … - cominciò lui, non sapendo come introdurre l’argomento. Quella domanda gli frullava in mente da un  po’, ma non sapeva come dirglielo. Quindi optò per chiederglielo e basta. – In questo ultimo anno … - si fermò di nuovo chiedendosi se volesse chiederglielo davvero, e come lei avrebbe trovato assolutamente strana quella domanda. – sei stata con qualche ragazzo?
Joseph sentì le sue guance colorarsi di rosso, e strinse gli occhi, rimproverandosi subito per averglielo chiesto e non aver aspettato il momento giusto.
June corrugò la fronte, e si chiese perché mai avesse fatto quella domanda. Sapeva qualcosa?
-Perché vuoi saperlo? – chiese storcendo il naso.
-Perché sono una sorta di fratello maggiore per te, devo sapere certe cose. – si giustificò.
-Ti ricordo che qui la più grande sono io, se pur di qualche mese. – rettificò.
-Va bene, una specie di fratello più grande che in verità è più piccolo di poco, uno strano tipo di fratello gemello.  – si arrampicò sugli specchi, facendo ridere la ragazza. June scosse la testa e sorrise di come quel suo goffo tentativo di  giustificare la sua richiesta era fallito.
-Facciamo finta che tu non abbia mai incominciato questo discorso, ma che invece io ho esordito con un “Sai, Joe, che sono stata con un ragazzo”. – disse sorridendo lei. Lui sbiancò.
-Sei stata con un ragazzo allora? – chiese serio guardandola.
-Si chiama Andy Scott, frequenta ingegneria, ha 25 anni. L’ho conosciuto ad una festa, a maggio. È davvero un bravo ragazzo. – Joe notò che June stava parlando al presente, e temette che si stettero frequentando anche in quel periodo. – Ma, diciamo che è stata soltanto una “avventura estiva”. L’ho lasciato a settembre. Non ero pronta per qualcosa di serio, e avevo troppi problemi con papà e mio fratello, non avevo tempo per lui. – concluse e Joe riprese a respirare, aveva smesso per qualche secondo. Era estremamente geloso, e soltanto l’idea che qualcuno si fosse spinto oltre a un bacio con la sua amica lo faceva stare male. Così continuò a fare domande.
-Mentre stavate insieme, avete mai … ecco … hai capito, no? – chiese lui, temendo di diventare troppo indiscreto, ma poi, si disse che  avevano sempre parlato di queste cose. Lei era sempre stata la prima a sapere tutto.
-Lo sai che non mi faccio toccare neanche con un dito, se non è trascorso almeno un anno e non ne sono sicura. – disse seria guardando a terra.
-Ora se te lo chiedesse, torneresti con lui? – chiese ancora lui
-Non lo so, può darsi, dipende. – rispose. – ma perché tutte queste domande?
-Te l’ho detto, sono il tuo protettore, devo saperle queste cose. – disse, facendo sorridere la ragazza. – E poi, cavolo, siamo amici da una vita, e dobbiamo almeno avere la libertà di chiederci qualunque cosa. Tu mi puoi chiedere qualunque cosa. – disse.
-Credo di sapere già le risposte alle mie domande. – sentenziò per poi tornare sui libri.
Joseph rimase a fissarla per un po’, riflettendo su come non fosse mai andata contro i suoi ideali, e su come non si fosse mai fatta prendere in giro da nessun ragazzo. Era bella, solare, intelligente, e divertente, ma soprattutto era una ragazza seria, e oggi giorno non se ne trovano tante. Chiunque occupava un posto nel suo cuore doveva sentirsi fortunato, e solo allora Joe capì la sua immensa fortuna ad averla ritrovata e essersi fatto perdonare così facilmente, e invidiò per un attimo chiunque altro avesse occupato una parte del cuore della ragazza più grande della sua. 











Buonasera a tutti!
Allora vi lascio un altro capitolo!
Spero vi piaccia!
Ancora un grazie enorme a chi commenta sempre e a chi ha inserito la ff nelle preferite e nelle seguite
davvero siete fantastiche! :')
Ricordo che le recensioni sono sempre buone accette! 
un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 11
*** Chapter 10: We have to talk ***


Chapter 10
 
We have to talk.
 

 

 
-Chi è? – chiese i Joe al citofono, qualcuno aveva appena suonato.
-Sono Kevin, Joe apri. – disse il fratello, così il moro aprì la porta e il maggiore fiondò in casa del primo.
-Joe, dobbiamo parlare. – esordì Kevin.
-Almeno prima saluta- lo rimproverò il minore dei due facendo un cenno con la testa per indicare June che era seduta al tavolo a guardare cosa stesse accadendo con il solito libro di biologia in mano. La ragazza trascorreva il tempo in cui non era all’università, o a dormire, o con Joseph; che la obbligava puntualmente a studiare lì. June tornava a casa sua soltanto per andare a letto o cambiarsi, e casa di Joe era diventata una seconda casa per lei; come lo era sempre stata.
-June?!- disse meravigliato Paul.
-Sorpresa! – sorrise lei.
-Non ci credo! Lascia che ti abbracci, quanto tempo! – disse il maggiore andando verso la ragazza che non vedeva da troppo tempo.
-Ti vedo bene K2. Come sta Dani?– disse lei sorridendo e abbracciandolo.  
-Benissimo. Tu come stai invece? – chiese lui sciogliendo l’abbraccio.
-Diciamo bene. Sì, bene. – annuì la giovane, rivolgendo un sorriso all’unico Jonas che non le aveva mai voltato le spalle. Kevin era stato l’unico ad attraversare il paese pur di andare al funerale di sua madre, e lei gliene sarebbe stata sempre infinitamente grata. Nick e Joe avevano troppi impegni per ricordarsi di lei in quel periodo, solo Kevin lo aveva fatto. Nonostante il fatto che a causa della differenza d’età si fosse legata meno fortemente  a lui che con gli altri due, lui si era comportato da vero amico.
-Che ci fai qui? – chiese felice il ragazzo.
-In poche parole, diciamo che ci siamo riappacificati. – sorrise di nuovo lei, guardando Joe che li osservava parlare.
-Non lo sapevo. Mi fa piacere, davvero ragazzi. – disse lui. - e Joe, come ho detto, dobbiamo parlare.
-Kevin, lo so che mi vuoi dire, ma non cambio idea, non torno con i Jonas Brothers. – lo anticipò lui.
-Riflettici un attimo Joe. Vuoi davvero far morire lì tutto quello che abbiamo passato insieme? Vuoi deludere tutti i nostri fan che ci aspettano e credono in noi? – chiese Kevin al fratello che scosse la testa.
-Pensi davvero che io non ci abbia riflettuto? Pensi che non abbia passato notti insonni pensando a ciò che fare e alle ripercussioni che avrà su tutto quanto? Ma sono giunto alla conclusione che non riuscirò mai a sopportare né il pensiero, né l’immagine di Amber che bacia Nicholas, che lo abbraccia o che gli dice che lo ama. Perché sono ancora innamorato di lei. Quindi questa è l’unica soluzione: io continuo a fare musica da solista, e voi continuate a fare quello che volete. – disse Joe, con gli occhi lucidi. Gli dispiaceva quella situazione, e si vedeva, ma era ancora innamorato. Forse aveva soltanto bisogno di tempo.
-Ora scusatemi … ma ho bisogno di una boccata d’aria. –disse prima di scomparire dietro la porta del suo appartamento
Kevin scosse la testa, appoggiandosi al tavolino.
-Dagli tempo, deve smaltire la rabbia. – consigliò June al ragazzo.
-Tu credi? – chiese lui. June annuì.
-Deve cercare di chiarirsi le idee su tutti quanti, non ha neanche parlato con Amber.- lo infirmò lei
-Quanto ci impiegherà secondo te? –chiese il giovane.
-In 23 anni non è riuscito a stare arrabbiato con il fratello per più di un giorno, quindi faranno pace prima di due mesi. – ipotizzò lei.
-Joe è testardo. – osservò l’altro.
-Non quando si tratta del fratello. Gli vuole troppo bene. – rettificò la ragazza.
-Nicholas fa discorsi che non stanno né in cielo né in terra, fa perdere la pazienza. – disse Kevin.
-Ma una domanda: che fine ha fatto Delta? Sembravano stare bene insieme.- chiese June confusa.
-Si sono lasciati per gli impegni lavorativi. Nick era sempre a comporre canzoni con noi nel beatlab, mentre Delta doveva andare in giro per l’America e l’Australia perché è uscito il suo nuovo album, quindi non si vedevano mai, e la storia è terminata. Ma credo che Nicholas non l’abbia mai superata del tutto. – spiegò il ragazzo.
-Mi dispiace – disse lei.
-Anche a me – commentò Kevin.
-A Joe serve un po’ di tempo, e magari la possibilità di fare un discorso sensato con il fratello. Spero che si risolva tutto. – concluse lei. – comunque, per qualunque cosa ….  questo è il mio numero.- disse porgendogli il foglio di carta sul quale aveva scritto il suo numero di cellulare.
-Ti chiamo, promesso. – disse il maggiore sorridendole. 







Salve a tutti!
lo so, questo capitolo è un po' piccolino e di passaggio
ma mi serviva!
Spero vi piaccia! 
e come sempre, le recensioni sono sempre gradite! *-*

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Capitolo 12
*** Chapter 11: Jealusy ***


Chapter 11     
 
Jealusy
 

 
Nella biblioteca della scuola June sfogliò di nuovo il suo libro di biologia, non ne poteva più di studiare per quell’esame che stava preparando da giorni ormai.
Sbuffò e si tenne la testa con una mano, facendo una smorfia.
Il castano la stava osservando già da un po’, dal tavolo che si trovava nel lato opposto della stanza, quando poi, decise di intervenire. Questi prese il suo libro velocemente, e a passo svento arrivò alle spalle della ragazza.
-Ha bisogno d’aiuto signorina? – le sussurrò alle spalle, vicino all’orecchio.
June si girò di scatto e incrociò gli occhi verdi del ragazzo, e sorrise.
-Andy! – disse sorpresa ma con voce sommessa, visto che si trovavano in biblioteca.
-Ciao bellezza. Ti trovo bene – sorrise il giovane.
-Aspetta, usciamo da qui. – disse June chiudendo i suoi libri e mettendoli in borsa. – vieni. – lo incoraggiò andando verso l’uscita. Lui la seguì.
-Ti va un caffè? – chiese il castano.
-Con piacere. – rispose June sorridendo.
Arrivarono al bar, si sedettero a un tavolo e presero due caffè.
-Allora, come vanno le cose? Ti vedo bella come sempre. – chiese Andy alla ragazza facendola in un primo momento arrossire e abbassare lo sguardo.
-Ora meglio. Qualcosa è di sicuro migliorata. Tu invece? Come stai? – chiese lei.
-Tutto bene. A febbraio mi laureo. – affermò lui.
-Davvero? Sono davvero felice per te. – sorrise June entusiasta.
-Tuo padre e tuo fratello come stanno? – chiese lui serio.
-Bene, delle volte mi mancano da morire. – disse lei con una punta di tristezza.
-Impegnata? Fidanzata? Sposata? – sorrise lui, facendosi una buona dose di fatti della sua ex.
-Forever Alone. – rise lei – no davvero, sono single. Felicemente single. Tu?
-Single. – sorrise. June guardò in quegli occhi verdi che l’avevano fatta innamorare qualche mese prima, e si chiese ancora una volta come potessero essere così belli. Occhi chiari, capelli castani, fisico scolpito. Aveva avuto sempre un debole per i tipi californiani come Andy. Un debole che non l’aveva mai presa completamente.
-Hai da fare sabato sera? – chiese il ragazzo.
-Che c’è? Vuoi riprovarci con me mr. Scott? – domandò divertita la ragazza.
-Perché no? Sei single, ti conosco già, quindi so come comportarmi, ed ora hai meno problemi con la tua famiglia e tutto il resto e avresti più tempo per il tuo ragazzo. Quindi perché no?- disse a voce alta quello che sarebbe potuto essere un suo pensiero sorridendo. Era spontaneo e diceva tutto in faccia, e questo era sicuramente un punto a favore del castano.
-Perché siamo già stati insieme e boh … dovremmo ricominciare tutto d’accapo. – disse confusa lei.
-Non c’è problema sai? È facile ricominciare tutto dall’inizio. Guarda – affermò Andy porgendo poi una mano alla ragazza. – Piacere, Andy Scott.
June scosse la testa sorridendo.
-June Robinson, piacere mio – afferrò la mano sicura del ragazzo sorridendo.
-Bel nome, mi piace, anche giugno mi piace, è un bel mese. – cominciò a straparlare Andy, facendo sorridere la ragazza. – Ascolta June Robinson che ne dici di andare a magiare quacosa insieme sabato sera?
-Sono libera, quindi va bene. – disse lei sorridendo. Quando il ragazzo incrociò il suo sguardo con quello della ragazza, quest’ultima sentì il cuore accelerare. Quel ragazzo era bello, troppo bello.
 
***
 
Ci stava mettendo troppo, perché ancora non era arrivata a casa sua?
Le potrebbe essere accaduto qualcosa, oppure avrebbe potuto incontrare qualcuno. Chi? Perché? Cosa voleva da lei?
Le sue lezioni terminavano alle 2.00 pm, lo sapeva, aveva spiato il suo foglio degli orari una volta che lei era a casa sua.
Erano passate tre ore dalla fine delle lezione, e nemmeno una telefonata, né un messaggio, nulla.
Joe sapeva di sembrare un misto tra una madre paranoica e pessimista, e un marito iperprotettivo, ma sentiva che stesse succedendo qualcosa. Proprio in quel momento, mentre lui era in già in macchina a guidare verso l’università.
Arrivato al college, la intravide, attraverso un vetro in un bar, con un ragazzo castano, occhi verdi, fisico scolpito, e almeno un metro e novanta di altezza. Gli si gelò il sangue nelle vene, e capì senza saperlo per certo che quello lì era proprio quel fantomatico Andy Scott.
Sentiva un tuffo al cuore ogni volta che vedeva June ridere a quel che diceva il ragazzo.
E lo invidiò perché in quel momento era davanti allo spettacolo più bello del mondo; e non lo stava apprezzando a pieno. June aveva un sorriso fantastico, capace di far sorridere chiunque lo vedesse senza motivo, lei era sempre stata così.
Joe chiuse per un attimo gli occhi e ricordò, che quella non era la prima volta che si sentiva così. Ce ne erano state tante di occasioni in cui si era sentito in quel modo. La prima era stata tanti anni prima, quando era ancora un bambino.
 
February 1998
Il bambino rilesse un ultima volta la lettera, prima di piegarla e metterla nella busta. Doveva essere perfetta.
“Cara June,
Ti volevo dire che io odio Marck, è uno scemo, e non mi piace. Non sa giocare ai videogame, ruba alle partite di calcio, e dice le bugie alla maestra. Una volta mi ha rubato tutte i pastelli che avevo comprato il giorno prima. Non ti ci fidanzare, non ti merita.
Io invece sono buono, non mento (quasi mai) e so essere sportivo!
Poi ormai ti conosco da più di due anni, è tanto tempo! Con te mi ci diverto tanto a giocare ai videogame e a vedere i cartoni.
Ti voglio tanto tanto tanto bene June. Ma non so se tu me ne vuoi quanto io ne voglio a te.
Quindi, vuoi essere la mia ragazza June?
O     O No
(sbarra la casella)

Ti voglio bene,
Joe.”

 
Joe scosse la testa e rise a quel ricordo, chiedendosi però come sarebbero andate le cose se quella lettera gliel’avesse veramente data. Non ne aveva auto il coraggio piccolo e ingenuo com’era.  Ricordò che Marck era il bambino che le andava dietro alle elementari, riflettendoci meglio, capì che il motivo per cui non si fosse messa con quel bambino era perché era davvero bruttino.
Bruttino. Tutto il contrario del ragazzo castano alto e muscoloso che in quel momento stava parlando con la ragazza.
Joe sospirò appoggiandosi alla colonna dietro alla quale si stava nascondendo dagli sguardi dei due ragazzi. 
Ebbene sì, all’età di sei anni Joe si era preso una bella cotta per June, e non glielo aveva mai detto, aveva solo imparato a convivere in quella situazione. In 17 anni che la conosceva non era mai riuscito a dirle nulla per timore di rovinare quell’amicizia che hanno sempre avuto.
Da quando era entrato nel mondo dello spettacolo, era stato fin da subito circondato da miriadi di ragazze, e aveva vissuto storie d’amore intense, con June accanto. Solo Amber non le aveva mai permesso di fargli da amica. Perché alla fine, quello sarebbero rimasti Joe e June: due amici.
Era sempre stato facile avere delle ragazze per Joe, ma non lo era mai stato accettare i fidanzati di June. Era tremendamente geloso. Non riusciva a sopportarlo. Era più forte di lui.
Era felice del fatto che June sorridesse, e fosse felice; ma non era felice del motivo del suo sorriso: un altro ragazzo. Non lui.
June non aveva mai vissuto storie d’amore più lunghe di qualche mese, aveva sempre avuto una sfortuna tremenda in amore, ma quel Andy Scott sembrava avere tutte le carte in regola per vivere con lei una storia duratura. Lo vedeva dalla luce che emanava il suo sorriso. Spettacolare.
Joe scosse la testa, diede un ultimo sguardo ai due ragazzi, e si mise il cappuccio della felpa, incamminandosi verso la macchina per tornare a casa.
 
***
 
-Dove sei stata? – chiese Joe a June, appena entrò nel suo appartamento.
-A New York. – risposa sarcastica lei sedendosi sul divano - All’università. Dove altro potrei essere stata? – disse lei.
-Fino a quest’ora? – domandò di nuovo lui.
-Sì. – affermò domandandosi il motivo di tutta quella preoccupazione.
-Ma le lezioni non finivano alle due? – chiese lui.
-Sì, ma sono rimasta a studiare un po’ lì in biblioteca. – affermò.
-Perché? – chiese ancora.
-Perché sì Joe, cos’è questo un interrogatorio? – disse sorpresa, e anche un po’ irritata.
-No. – sussurrò lui sedendosi a peso morto affianco a lei. – Sembri strana.
-Strana come?- disse lei.
-Felice. -  osservò il ragazzo. In effetti June aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro. –Sicura che non hai niente da dirmi?
-Spiegami come fai a capire tutto così in fretta. – disse sorridendo ancora e abbandonando la testa all’indietro.
“Meglio che non ti dica che ti sono venuto a spiare all’università. Meglio di no.” Rifletté il ragazzo.
-Ti capisco ormai. – si giustificò lui.
-Ho incontrato Andy, Andy Scott il mio ex, ricordi? Te ne ho parlato- cominciò lei. Joe annuì.
-Abbiamo preso un caffè, abbiamo chiacchierato, e abbiamo deciso di ricominciare tutto d’accapo. Come se non ci conoscessimo. Ci vogliamo provare ancora una volta. Cominceremo con l’essere amici, e poi vedremo. Se son rose fioriranno, no? – disse con un sorriso scintillante. Era estremamente entusiasta e felice. La gioia che trasmetteva era palpabile. Era da tanto che non la vedeva così felice.
Joe sentiva un colpo allo stomaco ogni volta che lei aggiungeva una parola al suo discorso.
Ma, in fondo, cosa pretendeva? Che sarebbe rimasta per sempre single a fare la sua amica del cuore? Anche lei aveva una vita e aveva il diritto di essere felice.
Gli fece un male indicibile dirsi queste cose, ma per cercare di essere naturale doveva ripetersele.
-Giusto. Sono davvero felice per te June. – disse lui meravigliandosi ancora un volta di come potessero essere belli quegli occhi blu della ragazza.
-Anche io sono felice, tanto felice. – esclamò entusiasta abbracciando il ragazzo. –Sai che sabato io e Andy andiamo a mangiare una pizza? Non so dove, né a che ora, ha detto che mi passa a prendere lui, pensa a tutto lui. – disse sorridendo di nuovo.
-Domani … – la interruppe Joe facendo rimanere la frase in sospeso per qualche secondo di troppo.- domani devo fare un concerto a New York. Vieni con me?
-A New York? È dall’altra parte del paese – disse un po’ sconvolta.
-Sì, a New York. Sono solo tre ore di fuso orario di differenza, non è tanto. Vieni con me?- chiese ancora.
-Non so, in teoria dovrei studiare. E poi l’albergo, l’aereo e tutto il resto... – rispose presa alla sprovvista.
-Puoi studiare in aereo, prometto di starmene in silenzio e non disturbarti. Sia all’andata che al ritorno. E una delle fortune di essere amica di Joe Jonas è che lui ti ospita pagando la camera d’albergo, il volo e tutto il resto. Sai, è proprio un vero gentiluomo questo Joe Jonas. – disse il ragazzo sorridendo e facendo avere la stessa reazione alla ragazza.
-Beh se mi ospita quel gentiluomo di Joe Jonas, come potrei rifiutare? – domandò retoricamente la ragazza sorridendo.
-Quindi vieni? – chiese lui.
-Vengo. – rispose June scompigliando con una mano i capelli corti del ragazzo e facendolo sorridere. 









Lo so, sono scomparsa ç.ç
scusatemi, davvero! 
che ne pensate del capitolo? 
fatemi sapere con le recensioni, come sempre! 
un bacione, Marta. <3

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Capitolo 13
*** Chapter 12: Lose concentration ***


Chapter 12
 
Lose concentration
 

 
 
Era pronto, carico, pieno di energia. Saltava sul posto e respirata ritmicamente. Fece altre venti flessioni per mantenersi energico prima di salire sul palco.
Non doveva guardare June che era a pochi passi da lui, altrimenti l’avrebbe distratto, e la concentrazione sarebbe andata a farsi benedire.
Dal suo canto la ragazza lo osservava sapendo di non dover intervenire. Non era la prima volta anche andava a un suo concerto e lo rimaneva a guardare da dietro le quinte, sia quando era con i fratelli che da solo.
Sapeva che quegli attimi prima di salire sul palco fossero estremamente importati per lui, e non voleva disturbarlo.
Lo vide con lo sguardo perso e concentrato, quasi preoccupato; e non si trattenne dal fargli sapere che lei era lì ed era pronta a sostenerlo.
-Ehi.- disse posandogli una mano sulla spalla.- buona fortuna, Joe. – disse carezzandogli la schiena, e dandogli un bacio sulla guancia per fargli sentire il suo supporto. Joseph trattenne per un attimo il respiro e le sorrise per ringraziarla. Era teso, e quell’insignificante bacio sulla guancia aveva completamento mandato a quel paese quella poca concentrazione che aveva.
Prima che se ne potesse accorgere pronunciarono il suo nome per farlo salire sul palco, e lui si ritrovò davanti a migliaia di fan. La sua doveva essere un’entrata ad effetto mentre la musica di Love Slayer si diffondeva nell’arena, ma quella sera fu tutto tranne che un ingresso in grande stile.
Sembrava sperduto su quel palco, si guardava intorno dimenticandosi per un attimo di tutte le persone che aveva davanti. Mancò la prima strofa, e l’inizio del ritornello. Non gli era successo nulla di particolare, aveva soltanto perso la concentrazione ed era rimasto a pensare.
-Joe, cosa stai facendo? Canta! – gridò June da dietro le quinte risvegliando il cantante da quello stato di trans.
Appena si rese conto di quello che gli stava accadendo intorno guardò prima in direzione della ragazza, poi cominciò a cantare.
Era felice, estremamente felice. E quell’allegria era aumentata dalla sua musica e dall’energia e dalle urla delle fan, facendolo cantare al meglio.
Se all’inizio aveva avuto un momento di smarrimento, in quell'istante si stava riconquistando tutti i suoi fan con soltanto l’aiuto della sua voce.
Passava da una canzone all’altra abilmente; prendeva tutte le note; si muoveva sul palco; ballava; sudava tanto da togliersi la maglia e scatenare gli urli delle ragazze che strepitavano sotto al palco. Era sempre stato un vero intrattenitore, uno show-man, o, meglio, semplicemente un cantante che amava alla follia quello che stava facendo.
Aveva eseguito tante canzoni passando da “All this time” a “Sorry”, da “Fast Life” a “Just in Love” ma aveva riservato a “Lighthouse” un momento speciale. Quella canzone gli aveva permesso di ricontrarla, e fargli risolvere una situazione che altrimenti non sarebbe mai tornata come una volta. Joe lo aveva sempre pensato.
La musica cominciò, Joe pronunciava quelle parole a fatica, con la voce tremante, il ricordo di Amber era ancora più che vivido. Guardò in un punto non definito durante quella prima strofa, spostandosi soltanto dopo con lo sguardo completamente alla sua sinistra. Da quel lato June lo osservava immobile, e Joe credé per un attimo di averla vista piangere. Gli occhi del cantante non si staccavano da quella ragazza. Quella canzone la stava dedicando a lei, e June se ne era accorta.
Non sapeva cosa fare, l’unica cosa che le venne naturale fu sorridere. Si fece scappare una lacrima che asciugò subito. Nessuno le aveva mai dedicato una canzone. E il fatto che fosse stato proprio Joseph il primo, in quelle circostanze, la fecero andare completamente nel pallone.
Aveva voglia di uscire lì fuori, sul palco, ed andare ad abbracciare il suo migliore amico.
Durante quell’ultima strofa, June vide gli occhi di Joseph chiaramente lucidi, e la sua voce si ruppe. Abbassò il viso, e prese un grande respiro prima di ricominciare a cantare per concludere quella canzone.
Appena la terminò, Joe si girò, convinto che avrebbe trovato i suoi fratelli alle sue spalle, ma vide soltanto il suo batterista. E non era Nicholas. Trattenne per un attimo il respiro, andando a prendere la bottiglietta d’acqua poggiata in terra. A volte si dimenticava di non avere Kevin e Nick alle sue spalle con cui poteva scambiare un sorriso fraterno.
Sospirò, bevve un sorso d’acqua dalla bottiglietta e la rimise al suo posto.
Girandosi rivolse un altro sguardo, accompagnato da un sorriso raggiante a June dietro le quinte.
-Allora gente, come state passando la serata? – disse dopo aver agguantato il microfono che era rimasto sull’asta. Il pubblico rispose con un boato.
-Non ho sentito! – disse tendendo l’orecchio al pubblico che rispose con un fragore ancora più forte del primo.
-Bene, gente! Questa è Beautiful People. –disse dando segno al pianista di attaccare e prendendo le rose rosse in mano per distribuirle al  pubblico. 











Buonasera gente! 
per prima cosa volevo gingraziare tutte le persone che recensiscono, che hanno messo la storia nei preferiti e nei seguiti e anche chi legge soltanto, davvero, siete tutte meravigliose! :D
con questo capitolo vi lascio, 
spero vi piaccia, 
Un bacione, Marta. 

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Capitolo 14
*** Chapter 13: I liked your little dress ***


Chapter 13
 

I liked your little dress

 

 

Joseph si era appena cambiato, quando uscì dal palazzetto. Non c’era più nessuno nei paraggi ad eccetto dei suoi musicisti e dei tecnici che stavano mettendo a posto il tutto.

Si guardò intorno, e non vide altro che il suo pullman e degli alberi poco distanti. Fu per un attimo preso dal panico, perché non vedeva June nei paraggi.

Stringendosi nel suo giubbino, fece qualche passo verso quegli alberi, che, scoprì, nascondevano un’altalena e uno scivolo. Il freddo newyorkese era pungente.

Quel senso di ansia non gli si placò fin quando non vide June su uno dei due posti dell’altalena che si dondolava debolmente avanti e indietro. Accelerò un po’ il passo, con le mani fredde nelle tasche dei jeans, per arrivare velocemente alle spalle della giovane facendo in modo che lei non lo vedesse e cominciandola a spingere da dietro.

June sobbalzò, girandosi.

-Devi smettertela di farmi prendere questi colpi! – si lamentò lei continuando a farsi spingere dal ragazzo che rise.

-Che facevi?- chiese

-Nulla di particolare. Pensavo.- rispose

-A cosa?- domandò di nuovo.

-Che sono successe tante cose in poco tempo. – sentenziò.

-Tipo? – insistette.

-Tu … – disse spontaneamente, facendo accelerare il cuore del ragazzo. – tutta questa situazione con Nick e tutto il resto … Andy … sono successe tante cose, sono tornate tante persone ...

Se June avesse finito quella frase senza aggiungere né suo fratello, né quel ragazzo, Joseph ne sarebbe stato molto più felice. Il cantante si sedette sul posto dell’altalena vicino a quello della ragazza.

-Ricordi quando sei caduta dall’altalena?- chiese il moro sorridendo.

-Quella volta in cui non avevamo il permesso di andare al parco ma ci eravamo andati comunque?- chiese lei sorridendo al ricordo di se stessa e del suo amico da bambini che infrangevano felicemente quel che dicevano le loro madri.

Joe annuì.

-La stessa volta in cui siamo tornati a casa tua e tu mi hai disinfettato il ginocchio che mi ero sbucciata, mettendoci poi sopra un cerotto con disegnate paperelle? – rise lei felice, sorridendo poi al ragazzo che annuiva unendosi alle sue risa.

-Esatto. E poi è arrivata mamma , ma noi avevamo già ripulito tutto. – aggiunse lui. – tu indossavi un vestitino blu con un fiocco rosso alla vita. E tu odiavi quei tipi di vestiti, ma tua mamma li adorava e quindi tu li mettevi sempre per farla felice. – Joe la osservò con lo sguardo ancora posato su di lei.

-Come fai a ricordarlo? – disse sconvolta lei.

-Perché a me piacevano quei vestiti, anzi quello che indossavi quella volta era il mio preferito. – rispose.

-Ma si parla di tantissimo tempo fa. – disse lei.

-Soltanto 16 anni, non è tanto.- specificò il ragazzo sorridendo.

-Non mi hai mai detto che ti piacevano i miei vestitini.- osservò lei divertita.

-Perché non ne ho avuto mai il coraggio. – si lasciò scappare. Quando si accorse di quello che aveva appena detto strinse gli occhi e si alzò dall’altalena. Si poggiò prima a un albero poco distante e poi si mise a sedere sulla panchina che si trovava proprio sotto quella pianta.

June si chiese se avesse capito bene quel che aveva appena detto il ragazzo, e si alzò anche lei andando verso la panchina. Si sedette vicino al cantante.

-Cosa hai detto? - gli sussurrò lei accostandosi a lui.

-Che non ne avevo il coraggio. Cioè sarebbe stato strano se un bambino di 7 anni avesse detto a una bambina della stessa età che gli piacevano i suoi vestiti. Tutti lo avrebbero portato in giro. – cercò di giustificarsi senza molto successo. June alzò un sopracciglio non convinta di quella spiegazione.

-E poi … - aggiunse, ma si fermò chiedendosi se dovesse proseguire la frase o passare a qualcos’atro. Non ci pensò più e optò per la prima scelta. – poi avevo una cotta per te June.

A poco a poco sul viso della ragazza si dipinse un sorriso, tra l’incredulo e il felice.

-Cosa? – disse con una strana voce acuta, sconvolta. Non se lo aspettava, no che non se lo aspettava, proprio per niente.

-Avevo una cotta per te. – disse serio sorridendo. Alzò le spalle come per dare poca importanza a quello che stava dicendo, quando per lui era una questione piuttosto importante.

June aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non disse nulla, e rimase a guardarlo negli occhi.

Joe cacciò la mano destra da dentro la tasca dei jeans lentamente, girò il viso verso sinistra, dove era seduta la ragazza, e ancora senza fretta avvicinò la mano alla guancia della ragazza.

Sembrava che quegli istanti stessero durando un’eternità.

Joseph poggiò la mano fredda e sudata sulla guancia sinistra della ragazza, accarezzandola con il pollice, con gesti estremamente lenti e delicati.

June continuava a restare immobile e sconvolta, quando il cuore le cominciò a battere freneticamente. Non ci stava capendo più nulla. Il suo migliore amico aveva una cotta per lei? Alle elementari? Alle medie? O … era ancora innamorato di lei? Perché lei stava sentendo quella strana sensazione allo stomaco? Perché aveva cominciato ad ansimare ed avere paura ma una voglia pazza di avvicinarsi a lui? Cosa c*zzo stava accadendo?

June riusciva ormai a sentire il respiro irregolare del ragazzo sul suo viso, e lui riusciva a inebriarsi dell’odore della ragazza. Joseph continuava a tenere gli occhi fissi su quelli dell’amica, cercando di riuscire a carpire qualche altro sentimento oltre alla sorpresa, e un certo senso di paura, la stessa che aveva lui. Paura di rovinare tutto.

Il cantante fece un altro respiro e chiuse gli occhi, così come fece June. La distanza tra le labbra dei due ragazzi si era ridotta a meno di un centimetro. Soltanto un altro secondo e i due si sarebbero baciati.

-Joe, siamo pronti. È ora di partire. – pronunciò Derek, la guardia del corpo, senza neanche accorgersi di cosa aveva appena interrotto.

Quell’atmosfera si distrusse proprio come un vetro sottile fa a un colpo di clava. I due furono destati come da un sogno da quella frase.

Joe si alzò di scatto, sussurrò un fugace “vieni” poggiando una mano sulla spalla della ragazza e se ne andò quasi correndo. Sospirò profondamente.

June rimase sulla panchina in uno stato vegetativo. Respirava affannosamente, sentiva dolore allo stomaco, ma un dolore piacevole. Si teneva la testa con una mano, e non riusciva a pensare a nulla, se non all’immagine del suo migliore amico che si avvicinava pericolosamente a lei.

Era in confusione, assoluta e completa confusione. Bene. Joe era innamorato di lei. Da quando in qua? Perché? E soprattutto che c*zzo era quel dolore all’altezza dello stomaco? Non potevano essere farfalle nello stomaco, non potevano. Per niente al mondo. Perché altrimenti sarebbe significato che era innamorata del suo migliore amico, e questo non era una buona cosa. E poi c’era Andy. Quel gran figo di Andy. Non che Joe non fosse un bel ragazzo ma …

Ci pensò su, ma non trovò la fine a quella frase. Joe non aveva nulla in meno rispetto a Andy, anzi, aveva qualcosa in più di lui.

Ma Andy era Andy, e sabato doveva uscire con lui.

In tutto quello però non riusciva a non pensare a cosa sarebbe successo se Derek fosse arrivato un decimo di secondo dopo, e si fossero baciati.

Ma poi, se avessero litigato, avrebbero distrutto tutto; e un’amicizia come la loro non doveva finire così, soltanto perché ci si era dovuto immischiare anche il cuore. Non doveva.

Mente si alzava e si dirigeva verso il pullman che li avrebbe portati all’aeroporto cercava di convincere se stessa che fosse stato meglio lasciare le cose come stavano tra lei e Joe, stava mentendo a se stessa, e se ne rendeva conto, ma aveva troppa paura per ammetterlo. 










Ecco qui un nuovo capitolo!
Lo so, aggiorno ogni morte di papa D:
scusate la scuola è asfissiante D:
in ogni modo, spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo,
che devo ammettere, che a me piace *w*
recensite, mi raccomando!
un bacione, 
Marta

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Capitolo 15
*** Chapter 14: Illusions ***


Chapter 14

 

Illusions

 

-Amore, quando posso venire a trovarti? – chiese il riccio al telefono con la sua ragazza.

-In queste settimane sono occupatissima tesoro, magari il mese prossimo. E poi tu non devi cominciare a registrare? – domandò la ragazza.

-No, anzi, credo che sarò libero per i prossimi mesi. – affermò.

-Perché Nick? – chiese

-Come, non hai sentito? Non c’è futuro per i Jonas Brothers, si sono sciolti, per sempre. – si sentì come facesse fatica a pronunciare quelle parole. La voce gli tremava tremendamente.

-Come mai? – disse ancora.

-Io e Joe abbiamo litigato. – affermò cercando di far parere che tutta quella situazione non gli facesse scendere il morale sotto terra.

-Perché? – chiese ancora visto che il ragazzo non si decideva a dire tutto in una volta.

-Per te. Perché stiamo insieme. Ma non preoccuparti, non è colpa tua. Io ti amo e non impedirò a nessuno di dividerci, neanche a mio fratello, anche se compromette dei sacrifici come niente più musica con i miei fratelli. – disse Nicholas.

-Mi dispiace. – affermò Amber, ma sembrava voler intendere tutto tranne quello che aveva appena detto.

-Anche a me. – disse il riccio.

-Nick, ti sento strano, qualcosa non va? – chiese lei.

-Non mi sento molto bene oggi,

-Scusami cucciolo, ma devo andare, ci sentiamo. Ok? – enunciò la ragazza.

-Ok. Ti amo, ricordalo. – disse.

-Anche io. Ciao piccolo. – lo salutò chiudendo la chiamata.

 

***

 

-Buongiorno!- Andy comparì da dietro le spalle di June cingendole i fianchi con le mani e facendola sobbalzare.

-Andy. – sorrise lei e voltandosi leggermente per guardarlo in viso.

-Mi raccomando per sabato, ti passo a prendere alle otto. Andiamo in un bel posto, ho già prenotato.- disse entusiasta il ragazzo dagli occhi azzurri continuando a posare le sue mani sui fianchi della giovane.

-Ah sì? Dove? – chiese girandosi, per averlo faccia a faccia.

-Non te lo dico. È una sorpresa. – il suo viso si aprì in un sorriso.

-Sei odioso quando fai così! – disse trattenendo un sorriso.

-Lo so. Sono insopportabile. Beh, che ci vuoi fare? – disse con un sorriso stampato sulle labbra. – Scappo che ho lezione. – disse lasciando un bacio sulla guancia della ragazza – ciao bella!

-Ciao! – disse felice e frastornata mentre Andy si allontanava. Quel ragazzo le faceva un brutto effetto. Ogni parola tendeva a farla sciogliere.

Chiuse gli occhi e sospirò. Non ci stava capendo più nulla. Tra tutta quella strana situazione con Joe la sera prima, sia con Andy. Era tutto così strano e completamente confuso.

Ogni volta che parlava con Andy non vedeva l’ora di parlarne con qualcuno, e la persona più adatta le era sempre sembrato Joe. Era con lui con cui parlava di tutto, ma non sapeva se ora, dopo la sera precedente, poteva parlare di qualunque cosa. Anche se ancora non riusciva a capire se lui provasse qualcosa nei suoi confronti.

Aveva finito le lezioni, quindi come sempre non le restava che andare a casa di Joe. Altrimenti si sarebbe preoccupato, come sempre.

 

 

-Buonasera- spalancò felicemente la porta dell’appartamento urlando quel saluto al ragazzo che la guardò e poi scoppiò a ridere.

-Buonasera pazza. – disse con un sorriso da ebete in faccia.

-Danger, fai il bravo. – lo ammonì andando al suo fianco, in cucina. Stava preparando la cena.

-Sei tu che sei pazza, io sono un bravo ragazzo. – affermò. – ti fermi a mangiare qui?

-Che cucini chef? – chiese appoggiandosi alla sua spalla.

-Spaghetti alla carbonara. – rispose.

-Poco poco pesante – disse ironica.

-Ho fame, ok? – affermò alzando le sopracciglia.

-Ok. Ma l’uovo lo preparo io che tu non lo sai fare. – disse prendendo un recipiente dall’armadio, come se fosse a casa sua. Praticamente lo era, o almeno trascorreva più tempo lì che nella sua vera casa.

-Non è vero! – obiettò.

-Senti: nonna era italiana. Ne so più di te. Quindi silenzio. – disse facendogli la lingua, e lui rispose con lo stesso gesto.

-Mi insulti, cucini, sei felice. Che cosa ti è successo oggi? – chiese indagatore il ragazzo.

Fregata. La conosceva troppo bene.

-Nulla – rispose il più naturalmente possibile.

-Robinson, non si dicono le bugie.- disse continuando a tagliare la pancetta.

-Infatti non sto dicendo una bugia, Jonas. –gli assicurò.

-Sputa il rospo. – ordinò.

Fregata. Fregata. Fregata. Complimenti June. Ora devi dirglielo.

-Dai non è successo nulla. Ho soltanto rincontrato Andy che mi ha detto che sabato mi passa a prendere e alle otto e che ha già prenotato. – cercò di dare poco peso a tutto, quando dentro non aspettava altro che confidarsi come una ragazzina alla sua prima cotta.

Joe lo sapeva, sapeva che per June, lui non era altro che un amico, non sarebbe mai potuto diventare qualcosa di più. Si maledì per aver pensato per un attimo la sera prima il contrario.

June era innamorata di Andy, e sabato sarebbero tornati insieme, e tu Joe, non devi fare altro che darle il tuo supporto e la tua approvazione come ogni migliore amico farebbe.

-Beh è fantastico no? – disse sorridendole, ma i suoi occhi non sorridevano, non splendevano.

-Sì. È fantastico. – acconsentì lei, e sul suo viso si dipinse un sorriso enorme.

June era felice perché stava ricevendo approvazione da Joe. Ma quello che era successo il giorno prima? Cosa significava per lui? Ancora non se lo era riuscito a spiegare, perché, in verità non era successo nulla tra loro, ma qualcosa sarebbe successo se non fossero stati interrotti. Oppure no?

Doveva chiederglielo. Ora.

-Joe, a proposito di ieri sera al parchetto di New York … - cominciò e non seppe come terminare la sua frase e si limitò a guardarlo negli occhi.

- Ieri sera non è successo nulla. – affermò lui. Abbassò lo sguardo e sussurrò un impercettibile “purtroppo”.

Stupido. Stupido. Stupido. Sei uno stupido Jonas. È come se le avessi detto: “ fai quello che ti pare, tanto a me non me ne frega nulla”.

Joseph non aveva il coraggio di dirle le cose che pensava davvero.

-Ok. – sorrise lei scomparendo dietro l’anta del frigorifero per prendere le uova.

Joseph mentre tagliava la pancetta in piccoli pezzi, per poi cuocerla, ricordò quando June era uscita per la prima volta con un ragazzo. Il suo primo appuntamento.

 

 

May 2004

-Joe! Non ho nulla da mettere! – disse June agitata al suo migliore amico che era appena arrivato a casa sua.

-Ma se avrai l’armadio pieno!. – minimizzò lui, nervoso.

-Vieni a vedere, non ho nulla. – si disperò di nuovo. Joseph la seguì in camera sua e si mise a frugare nell’armadio senza dare particolare peso a tutti i vestiti che erano buttati per tutta la sua camera.

-Ieri dovevo mandare al diavolo il compito di fisica e uscire per andare a comprare qualcosa. Ma io sono una deficiente, e non l’ho fatto. – disse buttandosi a peso morto sul letto.

-Che ne dici di questo? – propose Joe mostrandole un vestitino bianco.

-Non c’è speranza ormai. Non ci vado. – disse senza neanche considerare quel che aveva detto il ragazzo.

-Almeno guardalo - disse posandoglielo addosso.

June schiuse gli occhi e si aprì in un sorriso, felice.

-Joseph. – cominciò sconvolta – come hai fatto a ritrovarlo?

-Era lì dentro. – lui alzò le spalle.

Il sole illuminava i capelli biondi della ragazza che brillavano. Un leggero vento entrava dalla finestra e muoveva quelli corvini di Joseph. Gli occhi azzurri di lei splendevano riflettendo quelli del ragazzo. June lo abbracciò più forte che mai, baciandogli poi la guancia. Joseph ricordava ogni cosa di quel momento. Il cuore gli batteva troppo forte per non ricordarsene.

Ma quando lei si staccò dal ragazzo, scomparve tutto; e lui si rese conto che lei era felice perché aveva trovato il vestito adatto per il suo primo appuntamento con il belloccio della scuola, e non perché lui era lì.

 

 

 

Si illudeva ogni volta. E continuava a farlo, senza mai confessarle nulla. La sera prima ci era andato molto vicino, ma non abbastanza. Con lei aveva un rapporto speciale, e di questo ne era più che felice. Ma non era ancora riuscito a provare quella sensazione del suo sapore sulle labbra e questo lo faceva diventare matto ogni volta che la guardava. 













Buonasera a tutti!
Sì lo so, ho fatto di nuovo un ritardo enorme D:
ma la scuola è davvero tremenda.
In ogni modo, vi ringrazio davvero tutte, chiunque legga questa ff, chiunque recensisca e l'abbia messa nei preferiti e nei seguiti, davvero, grazie infinite! 
Un bacio enorme, 
Marta <3

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Capitolo 16
*** Chapter 15: Hide yourself in the wardrobe! ***


Chapter 15

 

Hide yourself in the wardrobe!

 

 

Sabato. 7.59pm. June fremeva seduta sul divano di casa sua, dondolandosi avanti in dietro. Stava aspettando Andy, e se da lì a 5 minuti non fosse arrivato, sarebbe diventata pazza.

Il campanello suonò, facendola sobbalzare.

-È lui. È lui. È lui. – si ripeté sottovoce lei con un groppo alla gola.

-Chi è?- chiese al citofono.

-Sono Joe. Apri. – disse il ragazzo tranquillo, felice di averla trovata ancora a casa.

La ragazza aprì la porta della palazzina e quella del suo appartamento, mentre il suo cuore accelerava sempre di più. Perché Joe era lì? E soprattutto perché lei continuava a diventare sempre più tesa ogni passo che faceva il ragazzo su per le scale.

-Ehi. Sono venuto a vedere come ti stai preparando per il grande giorno. Come va? – abbozzò una scusa sorridendo, posando poi i suoi occhi su di lei. Era qualcosa di perfetto con quel vestito azzurro, i capelli sciolti e lisci, e gli occhi brillanti dello stesso colore del suo abito. Spettacolare. Tanto da farlo rimanere per un attimo a fissarla esterrefatto.

-Non chiamarlo “grande giorno”, il mio “grande giorno” sarà il mio matrimonio e chiamandolo “grande giorno” mi fai sono venire più ansia perché poi penso che il mio “grande giorno” potrebbe essere proprio con lui, e io potrei rovinare tutto da un momento all’altro. –disse velocemente June, dirigendosi di nuovo verso il divano. Quando parlava a vanvera, velocemente, ripetendo sempre una stessa parola era nervosa; e Joe rise a quel suo atteggiamento che assumeva sempre in occasioni del genere. Lei si agitava per tutto, anche quando magari era Joe che sarebbe dovuto essere nervoso e e agitato, ma era tranquillissimo. Quella sua “capacità” era devastante.

-June, calmati. – disse Joseph facendo durare quella prima “a” mezz’ora. – stai tranquilla, perché andrà tutto bene.

-No no no no no. Nulla andrà bene. Combinerò un disastro, come al solito. – si disse.

-Sei troppo paranoica. Sei bellissima, simpatica e con un cuore d’oro. Di cosa hai paura? – le sussurrò lui sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lei sorrise.

Il campanello suonò, di nuovo. E June credé di aver appena scampato un infarto per la paura che si era rimessa.

-Chi è?- chiese

-June, sono Andy! Posso salire un attimo? Devo darti una cosa prima di andare. – disse felicemente il ragazzo.

-Ehm … - sbiascicò, guardando Joe che non sarebbe dovuto essere lì. – Certo.

E aprì il portone.

-Joe! Esci, subito! – gridò lei al ragazzo.

-Ti chiede di salire prima di uscire? Di solito lo si fa almeno dopo aver cenato. Vuole accelerare i tempi il ragazzo. – la stuzzicò Joseph, provocando la sua ira più feroce.

-Joe! Esci da qui. Non ti deve vedere. Altrimenti pensa che l’ho tradito prima ancora di uscirci insieme! – disse spingendolo in direzione della finestra.

-Ma siamo al settimo piano!- si lamentò.

-Tu non eri un ninja? Beh applicati e scendi senza farti male. – disse.

-Ah ah ah. Divertente. –affermò ironico.

-Che ne so? Nasconditi nell’armadio!- gridò a bassa voce perché i passi di Andy si facevano sempre più vicini.

-Così proprio sembrerò il tuo amante. – rise lui. Joseph stava morendo dalle risate, mente June diventava sempre più furiosa.

- Ehi, è permesso? – disse Andy che era appena arrivato e si era ritrovato davanti l’immagine dei due che litigavano.

-C*zzo. – sussurrò impercettibilmente June. Doveva essere naturale.

-Andy! – disse lei girandosi con un sorriso sulle labbra. – queste sono per me?- chiese ancora riferendosi alle rose rosse che il giovane aveva per mano.

-Sì, ti ho chiesto di entrare così le potevi mettere in un vaso. – disse lui sorridendo.

-Grazie mille. Sono bellissime.– affermò lei stringendolo a sé con un solo braccio mentre con l’altro teneva il mazzo di rose.

Joe si godeva la scena con le braccia conserte, appoggiato alla colonna, pronto a fare i suoi commenti cinici non appena la ragazza si fosse avvicinata a lui.

-Rose rosse. Un rubacuori. – sussurrò Joe ironico quando la ragazza gli passò vicino per andare a posizionare i fiori nel vaso sul tavolo. Lei lo fulminò con lo sguardo.

-Andy lui è Joe … - cominciò la ragazza ma fu interrotta dal cantante stesso.

-Joe Jonas, piacere. – disse porgendo la mano destra al ragazzo. – sì, quello dei Jonas Brothers. – lo anticipò prontamente senza che lui dicesse nulla.

Dovevo dire che era mio fratello, sarebbe stato più facile. Oppure buttarlo dalla finestra sarebbe stata un’altra buona soluzione” si disse June mentre metteva l’acqua nel vaso.

-Andy Scott. – si presentò.- e come vi conoscete? – chiese il biondo.

-Siamo amici – disse Joseph annuendo ammiccante, e tornando a poggiarsi sulla sua colonna a braccia conserte. Con il suo sguardo e la sua espressione voleva far intendere che non erano soltanto amici, a volte ci scappava anche qualcosa di più. Andy aveva un espressione piuttosto sconvolta. Se avesse potuto, Joe sarebbe morto dalle risate.

Str*nzo” pensò la ragazza. Joseph stava facendo il ruolo del padre protettivo che controlla il ragazzo della figlia prima di darle il via libera. Questo era quello che pensava June.

Quella era una delle ragioni per cui si stava comportando così, ma c’era anche qualcos’altro dietro.

-Da quando avevamo sei anni. – puntualizzò June.

-E viviamo insieme. – disse lui.

-No. – gridò lei. –Non è vero. – disse seria guardando Andy mentre scuoteva la testa.- lui è qui perché mi doveva riportare lo scolapasta. – June non sapeva dire le bugie - Ed ora se ne va, anzi tutti ce ne andiamo.

Così spinse tutti e due fuori dall’appartamento chiudendo poi la porta a chiave.

Arrivati al di fuori della palazzina, Joe la dovette salutare.

-Fai la brava. – le sussurrò serio all’orecchio cingendola con un braccio. Le diede un bacio sulla guancia facendola sorridere.

Prima di andarsene Joe indicò i suoi occhi, e poi puntò l’indice verso Andy, che lo continuava a guardare stupefatto, come per dire che lo continuava a tenere sott’occhio.

Joe salì in macchina e si mise a pensare che probabilmente quella sera June avrebbe baciato Andy, e forse si sarebbero spinti anche oltre. Sentì una stretta allo stomaco. Scacciò via l’idea dalla sua mente e decise che non poteva starsene a casa a deprimersi, perché era sabato, e doveva uscire a divertirsi.

Prese il cellulare, e chiamò Mikey. 











Buonasera a tutte! :D
come va? tutto bene? 
Un altro capitolo tutto per voi, che ne pensate?
un bacione, 
Marta 

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Capitolo 17
*** Chapter 16: Drink to forget ***


Chapter 16

 

Drink to forget
 

 

 

Quale altro posto riusciva a estraniarlo dal mondo come la discoteca? Lì beveva, ballava e dopo mezz’ora non capiva più nulla di cosa stesse succedendo. E proprio quello che gli serviva in una serata come quella. Lui non doveva pensare, e quel luogo faceva a caso suo.

Alzarsi, ballare, bere un sorso di vodka.

Addentrarsi nella folla, adocchiare una ragazza, bere un bicchiere di vodka.

Tornare a sedersi su un divano con la ragazza presa di mira, pomiciare con lei, bere due bottiglie di vodka.

Ecco come procedeva la serata di Joseph. Dopo mezz’ora che era lì dentro, non era più in lui. Era ubriaco fradicio, baciava una ragazza di cui non sapeva neanche il nome, e il giorno dopo non si sarebbe ricordato di nulla. Ma avrebbe trascorso la mattinata in bagno a vomitare con un incredibile dolore di testa.

 

***

 

Quel luogo era davvero carino. Un ristorantino italiano, sulla spiaggia californiana. Era perfetto per l’inizio di qualcosa di nuovo.

June guardò Andy sorridendo, una volta seduti al tavolo. Ci sapeva fare quel ragazzo, sapeva cosa le ragazze cercavano, e soprattutto cosa cercava June. La conosceva bene.

Ordinarono la cena, e trascorsero l’intera serata a chiacchierare, sorridendo, ridendo, come una vera coppietta.

Parlarono della laurea di Andy, del fatto che lui sarebbe andato a lavorare a New York, nello studio di suo padre. Discussero di June, e dei suoi esami di medicina che continuava a superare con successo. Il ragazzo le chiese anche di parlare di Joseph e di come si fossero conosciuti, e lei non fece altro che raccontargli la verità, puntualizzando il fatto che tra loro due non c’era mai stato nulla di sentimentale, e probabilmente mai ci sarebbe stato in futuro. A quelle parole il castano si tranquillizzò. Joe sarebbe potuto essere un difficile pretendente.

Finirono di mangiare e uscirono per fare un passeggiata. Continuarono a parlare e camminare per un lungo tratto di marciapiede. June rabbrividì, cominciava a fare freddo.

-Hai freddo? – chiese il castano.

-Soltanto un po’ – ammise lei.

-Aspetta- disse lui togliendosi il giubbetto di pelle che aveva addosso per poi metterlo sulle spalle della ragazza. Lei sorrise.

-Così però senti freddo tu … - disse sorridendo e stringendosi nella sua giacca.

-Non importa, e poi io non sento tanto freddo. – affermò lui.

-Grazie – dichiarò lei.

-June, ascolta … - cominciò lui fermandosi, e poggiandosi a un albero proprio alla sua destra. June gli si mise davanti.

-Sì?- lo incoraggiò a parlare.

-Devo dirti una cosa … - disse lui, mentre June non continuava a far altro che fissarlo completamente presa da ogni cosa che pronunciava.

Andy preferì non continuare quella frase, poiché non sapeva come dirlo, e optò per fare quel che voleva fare da tutta la sera.

La baciò. La sorprese. Le fece perdere la testa con un solo bacio sulle labbra. Un bacio estremamente dolce e impeccabile. Andy sapeva baciare benissimo.

Quando i due si staccarono l’uno dalle labbra dell’altra rimasero a guardarsi con un sorriso enorme dipinto in viso.

Qualunque parola avessero pronunciato sarebbe stata coperta dal rumore della discoteca a pochi metri da lì, quindi preferirono rimanere in silenzio a guardarsi.

Un altro bacio, più veloce del primo. E il cellulare della ragazza squillò.

June lo prese. C’era scritto “Papà”.

-Scusa devo rispondere. Torno subito. – gridò per farsi sentire la ragazza. Quella discoteca aveva la musica altissima. Andy annuì.

June si allontanò di qualche metro girando l’angolo in un vialetto per sentire meno il rumore che c’era.

-Papà! – disse lei, una volta aver premuto il tasto verde.

-June, come stai?Sei ancora sveglia? – disse il padre premuroso, che chiamava da New York, dove erano le 10.00pm.

-Sì sono ancora sveglia, papà. Io sto bene, voi come state? – chiese lei appoggiandosi al muro del vialetto con un sorriso enorme, sia per quello che era appena accaduto con Andy, sia perché era da troppo che non sentiva suo padre e suo fratello minore, e sentiva la mancanza di entrambi.

-Io e Ben stiamo bene. È stato lui che ha insistito per chiamarti, te lo passo, voleva parlarti – disse l’uomo che passò il fratello al figlio.

-June – disse il ragazzino di appena 10 anni afferrando il cellulare.

-Ben! – esclamò la sorella. –che fai?

-Guardo la tv. Tu che stai facendo? – chiese lui.

-Anche io – mentì lei.

-Mi manchi June. – disse lui, e June si trattenne dal non cominciare a piangere. Quella creatura era la cosa più bella che le potesse capitare.

-Manchi anche a me tesoro. Dai che tra poco ci rivediamo. – lo incoraggiò lei. – a Natale torno.

-Davvero? – chiese sorpreso il bambino. June aveva detto che non ce l’avrebbe fatta a tornare per Natale, ma poi in quel momento sentendo la voce del fratello aveva cambiato idea.

-Sì Ben, torno!- disse.

-Fantastico! Allora a presto. – affermò lui contento

-A presto, salutami papà! – disse la ragazza.

-Certo! Ciao June! – la salutò.

-Ciao Ben – disse e chiuse la chiamata.

Un rumore di qualcuno che parlava la fece sobbalzare e girare lo sguardo verso sinistra.

Vide una scena piuttosto sconvolgente.

Joseph tenuto in piedi per miracolo da due suoi amici, uno dei due era Mikey. Il cantante era ubriaco fradicio.

-Joe! – gridò June andando verso di lui.

-Che c*zzo è successo, Mikey? – chiese la ragazza all’amico.

-Niente di preoccupante: si è ubriacato. – disse il ragazzo tranquillo.

-Niente di preoccupante? Non si tiene in piedi da solo! – gridò lei.

-Infatti dovremmo portarlo a casa. Te ne puoi occupare tu? – chiese Mikey.

June sospirò profondamente e si stropicciò gli occhi chiedendosi cosa dovesse fare.

-Dov’è la sua macchina? – chiese lei

-Lì. – rispose il ragazzo indicando l’auto che era proprio lì dietro.

-Ok dai, devo salutare un amico, e poi me ne occupo io. Potete almeno caricarlo in macchina? – chiese la ragazza.

-Va bene. – risposero i due.

June corse, per quanto le permettevano i tacchi, verso Andy che la aspettava dove lo aveva lasciato.

Sei una deficiente June, ora chissà cosa penserà.

-Andy. – disse richiamando la sua attenzione – Ascolta, c’è un emergenza, devo tornare a casa ora, ho già chiamato il taxi. Mi dispiace.

-Sicura che vada tutto bene June? – chiese il castano

-Sicurissima. – disse per poi stampargli sulle labbra un fugace bacio. –chiamami!

-Lo farò!- disse il ragazzo, mentre June aveva già girato l’angolo.

Mikey consegnò le chiavi della macchina, dove era già stato caricato Joseph, alla ragazza che si mise alla guida del fuoristrada dopo averlo salutato.

June non avrebbe mai fatto qualcosa del genere se si fosse trattato di chiunque altro. Se ne sarebbe fregata e avrebbe continuato come se nulla fosse successo la sua serata con Andy. Ma quello che aveva bisogno di aiuto era Joseph, quindi cambiava tutto.

Chissà se lui avrebbe fatto lo stesso per lei. Da come si era comportato l’anno prima sembrava di no, ma era pur sempre il suo miglior amico, e non l’avrebbe abbandonata in mezzo ad una strada.

-E comunque sei uno str*nzo. – esclamò lei al ragazzo che dormiva come un angioletto sul suo sedile. Lei sospirò.

-Non ci si ubriaca, neanche il sabato sera. Non ci si ubriaca MAI. – gridò fregandosene del fatto che l’avrebbe potuto svegliare.

-E comunque non va bene che tu debba sempre intrometterti in tutto, soprattutto nelle mie storie sentimentali. Andy è un bravo ragazzo, e l’ho lasciato in mezzo alla strada dopo che ci eravamo baciati per venire a portare a casa te che non ti tieni in piedi. Sarai la mia rovina, lo so. – disse lei, per sfogarsi. Anche se non avrebbe avuto nessuna risposta in cambio. Lui non sarebbe mai potuto essere la sua rovina, June gli voleva troppo bene.

Arrivarono davanti alla casa del ragazzo e una volta scesa dalla macchina June si rese conto che avrebbe dovuto portare quel ragazzo fino al suo letto, da sola. Non poté evitare di far uscire dalla sua bocca un imprecazione. Bene, doveva svegliarlo.

-Joe. – cominciò sussurrando. – Joseph! – disse con tono normale. – Joseph Adam Jonas! – gridò, facendo sobbalzare il ragazzo. – finalmente. – disse quando lui aprì gli occhi.

-Che c’è?- disse ancora nel mondo dei sogni.

-Scendi da questa macchina e vai fino al tuo letto e restaci fino a domani mattina. – disse.

Il ragazzo si buttò fuori dall’auto, nel vero senso della parola, infatti cadde a terra.

June sospirò. La ragazza aveva appena svegliato un ubriaco, e si sa un ubriaco appena sveglio … vomita. Ed è quello che fece.

-Perfetto direi. Come stai Joe? – le chiese lei accarezzandogli una guancia. Rimise ancora. Lei sospirò.

-Ce la fai a camminare insieme a me? –gli chiese. – perché io tesoro non ce la faccio a prenderti in braccio.

Lui sembrò annuire e si rizzò per quanto poté sulle sue gambe.

June chiuse a chiave la macchina e riuscì a portarlo fino all’ascensore. Premette il bottone che li avrebbe portati davanti alla porta dell’appartamento di Joseph.

-Guarda come cavolo ti sei ridotto. Te la devi smettere di ubriacarti così – disse lei.

-Non mi sento tanto bene. – ammise.

-Eh ci credo. Cosa ti sei scolato? – chiese arrabbiata lei.

-Vodka … - disse Joe stropicciandosi un occhio con una mano. – credo …

-Quanto? – chiese ancora lei.

-Non lo so, non me lo ricordo. – disse. La ragazza scosse la testa.

Arrivarono al piano giusto e Joseph, con l’aiuto di June, giunse per miracolo sul suo letto ancora tutto intero.

-Sappi che questa è la prima e l’ultima volta che faccio una cosa del genere per te. – lo avvertì slacciandogli i lacci delle scarpe. –E tu mi devi promettere che non lo farai più.

Joe mugugnò qualcosa, come in segno di assenso. Era lungo sul letto con una mano sulla fronte, completamente a pezzi.

-Promettimelo. – disse lei avvicinandosi al suo viso.

-Promesso –affermò sbiascicante.

June tornò ai piedi del letto per togliergli le scarpe. Cercò di prendere le coperte su cui lui era sdraiato sopra e gliele adagiò con cura sopra.

Lo guardò. Dormiva già. Sembrava un bambino, soltanto un bimbo che dormiva tranquillamente. Con l’innocenza in viso, e un sorriso in volto. Se non fosse stato per quella puzza d’alcool che sentì non appena si avvicinò a lui, lo avrebbe anche potuto scambiare per un bambino. Sospirò profondamente. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e gli prese dolcemente la mano.

-Ci vediamo domani. Fai il bravo, ok? Ciao Joe. – sussurrò per poi dargli un veloce e dolce bacio sulla fronte.

June si sentì trattenere la mano, e Joe sussurrò qualcosa.

-Resta … resta qui.

June si fermò a guardare quel viso tanto familiare per lei, e perfetto in ogni situazione. Cedette.

-Va bene dai. Rimango. – disse sedendosi su una sedia poco distante.

June si mise un attimo a riflettere prima di addormentarsi su quella poltrona che le avrebbe fatto da letto per quella notte, e capì che quello che le stava accadendo era proprio un déjà vu.

 

 

September 2010

-Questa è la prima e l’ultima volta che ti recupero un mezzo alla strada ubriaco fradicio- disse June a Joseph disteso sul divano. -Ubriacarsi non serve a nulla, tanto meno a farti dimenticare Tess. – lo rimproverò lei.

-Sembri mia madre. – disse lui moribondo.

-Ringrazia il Signore che sono io e non tua madre. Denise, se lo sapesse, ti ucciderebbe. Come minimo. – osservò lei.

-Fai due palle ogni volta. – si lamentò lui.

-Oltre al fatto che questa è fortunatamente soltanto la seconda volta che succede una cosa simile, perché hai 21 anni da neanche un mese,vorrei soltanto non ritrovarti in coma etilico uno di questi giorni Joey. Ma hai ragione: è vero. Chi se ne frega? Me ne vado và. – disse la ragazza alzandosi.

-No. Scusa. Aspetta un attimo – la pregò Joseph afferrandola per il polso. – Hai ragione ti prego resta qui.

-Ma come? Non faccio due palle?-disse lei sarcastica.

-No. Rimani qui. Ne ho bisogno. – affermò lui.

June sospirò e si sedette sulla sedia poco distante.

-Va bene, scemo. Resto. – disse lei








Ecco qui un altro capitolo,
che ne dite?
Lasciate una recensione,
voglio sapere cosa ne pensate! :)
Un grazie enorme a chi commenta sempre e ha aggiunto questa storia delle seguite e nelle preferite,
davvero siete fantastiche! 
Un bacione,
Marta <3

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Capitolo 18
*** Chapter 17: You're unlikeable ***


Chapter 17

 

You're unlikeable

Nicholas era su quella canzone da più di una settimana, e, escludendo quell’orribile ritornello che aveva messo su, non riusciva a posizionare una parola dietro l’altra per comporre fasi di senso compiuto. Ci mancava soltanto il blocco dello scrittore … o del musicista, o in qualunque altro modo doveva chiamarlo. Non riusciva ad andare avanti.

Sospirò, strimpellò un paio di accordi alla chitarra e scosse la testa contrariato. Non andava bene.

Non sapeva dove sarebbe andata a finire quella canzone, non sapeva per chi era o se mai l’avrebbe cantata nella vita, se da solo o con i suoi fratelli, o se l’avrebbe cantata qualcun altro; e ancora non aveva bene in mente di chi o di cosa parlasse quella canzone. Per questo non riusciva a scriverla. Non sapeva nulla sul suo futuro, poteva mai scrivere una canzone che ne parlasse? Stava cercando di mettere una pietra sopra al passato, quindi era esclusa qualunque cosa lo riguardasse, tanto più se era una canzone, perché una canzone è eterna. Non avrebbe fatto altro che ricordarglielo.

Immerso in quei pensieri quasi non si accorse che qualcuno stesse bussando alla porta.

-Avanti – disse girandosi per guardare chi fosse.

Una ragazza alta, bionda, occhi azzurri, e sorriso smagliante entrò nella stanza. Nicholas si meravigliò e sul suo viso comparì un’assoluta espressione di felicità.

-Delta. – disse lui meravigliato alzandosi.

-Nicholas, ciao – disse lei andandolo ad abbracciare.

Si erano lasciati tempo prima, non perché non si amassero, e né perché amassero qualcun altro, ma soltanto perché c’era stato l’Oceano Pacifico, che è il mare più esteso al mondo, a dividerli. Lei in Australia per un lungo tour, e lui in America a scrivere canzoni con i fratelli. Erano rimasti grandi amici.

-Siediti, come stai? – disse il ragazzo, ed entrambi si misero a sedere, l’uno affianco all’altra.

-Tutto benissimo. L’album ha fatto successo, il tour anche, e ora sto cercando di fare pubblicità qui in America e anche in Europa. Va tutto a meraviglia, ed è almeno per metà merito tuo. – lo informò felice la ragazza.

-Figurati, non ho fatto nulla. – minimizzò lui.

-Tutte le canzoni dell’album sarebbero nulla per te? Quelle canzoni sono stupende, e non sarei andata da nessuna parte senza. Davvero, te ne sarò grata a vita. – disse l’australiana.

-Beh grazie mille, Delta. – annuì lui.

-Tu invece, come stai? – chiese accavallando le gambe con un sorriso smagliante.

-Bene, bene. – si sistemò sulla sedia accennando un sorriso.

-So che ti sei fidanzato, com’è lei? – disse informata sulla situazione. Nicholas non intravide nulla tra quelle parole, ma un pizzico di gelosia Delta lo provava.

-è una brava ragazza … - Nicholas avrebbe voluto continuare con un “e la amo da morire” come faceva di solito quando parlava di Amber, ma si ritrovò a guardare in quegli occhi azzurri della cantante e qualcosa si riaccese. Non ebbe il coraggio di continuare.

-Ti rende felice? – chiese lei.

-Sì – disse subito, ma poi si mise un attimo a pensare. Amber lo rendeva davvero felice? Sì di sicuro quando lei diceva di amarlo, quando lo baciava, quando gli faceva sentire il suo calore, lo rendeva felice. Ma non poté negre che quella ragazza aveva comportato anche qualcosa male, come il litigio con Joe, la fine dei Jonas Brothers e il mancato appoggio della famiglia in quella situazione. E tutto ciò non era cosa da niente.

-Cosa stai scrivendo? – chiese lei prendendo il foglio dal tavolo.

-Una canzone, e tutto quello che è venuto fuori in una settimana è un orribile ritornello. – rispose il ragazzo lasciando che la giovane leggesse il foglio.

-Non è poi così tanto male sai? –osservò – ma se non hai in mente nulla per continuare ti consiglio una bella e lunga camminata in riva al mare … proprio come quelle che facevamo insieme sei mesi fa. – gli suggerì lei, e lui non poté far altro che sorridere.

Delta guardò l’orologio, e si accorse che si era fatto tardi.

-Io devo andare, per qualunque cosa, in queste settimane dovrei rimanere qui a Los Angeles, quindi chiamami quando vuoi. Ok? – disse la cantante – voglio rivederti prima che riparta per qualunque altro posto, va bene?

-Va bene, Delta.- affermò lui sorridendo e alzandosi.

Si abbracciarono prima di salutarsi. La ragazza si inebriò del profumo del cantante, e si disse che le stava mancando troppo. Così tanto da farle capire che la loro non era stata una semplice storiella d’amore finita male.

Lei scompari dietro la porta salutandolo ancora una volta con una mano.

Nicholas si buttò di nuovo sulla sua sedia girevole, e si chiese il motivo per cui pochi mesi prima l’aveva lasciata andare così facilmente.

 

***

 

-Sei uno scemo, lo sai? – disse June al cantante.

-Non è colpa mia se il tuo ragazzo non sa fare il romantico. Cioè quando mai si regala la lavanda ad una donna? – disse disgustato riferendosi all’ultimo regalo floreale che Andy aveva fatto a June.

-Dai, è profumata, è bella … - giustificò lei.

-Ed è anche il simbolo della diffidenza. Controlla pure. Ho una certa cultura in queste cose – la sfidò lui.

June gli fece la lingua, e lui rispose allo stesso modo.

-Sei antipatico – disse la ragazza.

-Lo so. Lo dici da sempre. L’hai detto anche la prima volta che si siamo visti … a sei anni. – disse lui.

June scoppiò a ridere.

-Hai ragione, me ne ero quasi dimenticata!

 

October 1995

-Joseph! – lo riprese la maestra – basta parlare! E anche tu Mark!

I due bambini si zittirono per un nanosecondo per poi riprendere la loro chiacchierata.

-Ora basta! Così non è possibile!– gridò ancora Mrs. Smith. – Joseph spostati vicino a June, e tu Mandy vai vicino a Mark.

I due, senza troppe storie, si scambiarono di posto.

-E vedi di non distarmi anche June! – lo ammonì.

Il piccoletto dai capelli a scodella abbassò lo sguardo, incavolato nero. Quella strega della maestra lo aveva appena separato dal suo compagno dell’asilo.

-Joe, mi presti una matita? – chiese titubante la bambina seduta al suo fianco.

-No. –disse serio lui.

-Allora un temperino, perché alla mia si è rotta la punta! – disse la bimba dagli occhi azzurri.

-No. – rispose allo stesso modo il moro.

-Perché? – chiese lei.

-Perché sei una femmina. – rispose lui non sapendo cosa inventarsi.

-E tu sei antipatico. – sentenziò lei mettendosi a braccia conserte sul suo banco.

La loro prima litigata.

 

 

-Dai però le figurine poi hanno risolto tutto – disse Joseph.- mi sono fatto perdonare regalandoti i miei doppioni rari!

-Che conservo ancora, tra le altre cose!- aggiunse lei ridendo. – va beh che anche tu non eri l’esatto ritratto del romanticismo! – lo rimproverò lei.

-Perché? Cosa vorresti dire? – disse lui – che non sono un romantico?

-Vogliamo parlare di Mandy? E di quale è stato il tuo primo regalo per lei?- tirò in ballo l’argomento lei.

-Lei è stata la mia prima cotta … ero inesperto! – si giustificò.

-Le hai regalato uno Snikers. Uno snack. Di quelli che si trovano nelle macchinette; che ingrassi soltanto a guardarlo. Cioè Joe, non è da veri romantici. – lo rimproverò.

-Stavo soltanto cercando di … prenderla per la gola – disse lui. June scoppiò a ridere, e lo fece anche Joseph.

-E comunque – volle rettificare – poi le ho dedicato una canzone, quindi credo che non si possa proprio lamentare.

Nessuna ragazza che è stata con te credo che si possa lamentare … a meno che tu non l’abbia lasciata con un sms.” Pensò June, ma evitò di dirlo ad alta voce.

-No, non si può lamentare. – ammise lei.

-Senti, sabato hai da fare? Se andiamo al cinema e mangiamo una pizza? – chiese lui.

-Cosa c’è al cinema? – chiese lei.

-Boh decidiamo quando siamo lì – rispose lui

-Non mi scambieranno per la tua nuova fiamma vero? – chiese lei – perché, sai com’è: ho un ragazzo.

-Probabile che i paparazzi lo facciano. Ma le mie fan sanno che sei la mia migliore amica,e ti riconosceranno, quindi non c’è pericolo. – la tranquillizzò lui.

-Ok, allora va bene – acconsentì lei - e comunque, tornando al discorso di prima, visto che la lavanda, secondo te, non va bene, cosa mi avrebbe dovuto regalare?

-Allora – disse Joseph sedendosi su una panchina. Stavano camminando da più di due ore ininterrottamente dentro quel parco di Los Angeles – Le rose sono sempre la soluzione migliore. Infatti la prima sera ci aveva preso, ma te ne aveva comprate troppe! Quante erano? Cinquanta tipo? Per il primo appuntamento bastano e avanzano una decina. Anzi dieci no, o nove o undici: mai regalarne un numero pari. È severamente vietato. La rosa deve essere necessariamente rossa, o al limite rosa. Mai gialla, né viola. E bianca fa troppo matrimonio, quindi no. Oltre alla rosa può andare anche il tulipano o il girasole, soltanto se è primavera però. Per il resto nulla. E comunque la mia preferita è sempre la rosa, alle donne piace, la regalo anche a mamma.

-Come fai a sorprendermi sempre? – chiese lei, che continuava a fissarlo dal momento in cui aveva aperto bocca.

-Vedi, essere stato con tante ragazze ha i suoi vantaggi. Per esempio sapere che regalare la lavanda è qualcosa di improponibile! – ironizzò lui.

-Ripeto: sei uno scemo! – disse lei scompigliandogli i capelli. Entrambi risero ancora una volta.



 









Buona domenica a tutti!:)
per voi, un nuovo capitolo!
e torno a dirvi che se lasciate una recensione mi farete, davvero davvero felice, 
visto che stanno scendendo ):
un bacione enorme a chiunque legga questa storia.
Marta 


ps: prometto di postare più spesso da questo momento in poi! ;)

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Capitolo 19
*** Chapter 18: Skyscraper ***


Chapter 18
 
Skyscraper 


 
-Il 23 c’è la partita dei Lakers, ti va di venire? – chiese il castano abbracciando la ragazza da dietro. Erano alla mensa, e lei stava prendendo un sandwich per pranzo.  
-Lakers? Quando si tratta di sport io ci sono sempre – rispose prontamente June baciandogli le labbra. 
-Sei fantastica sai? – disse il giovane dagli occhi verdi tornando al suo fianco e afferrando un cheeseburger. 
-Sì lo so – scherzò lei. 
-No davvero. Tutte, e dico proprio tutte, le ragazze litigano con i propri ragazzi per la partita del sabato sera. Le ragazze vogliono uscire, mentre i ragazzi restare sul divano a guardarsi la loro partita. In pochi hanno la possibilità di portare la propria ragazza sportiva allo stadio. – osservò il castano seguendola con il suo pranzo in mano.  
-Beh non proprio tutte le ragazze, o almeno, io non lo faccio. – rispose lei sedendosi ad un tavolo, seguita dal ragazzo.
-Cosa ho fatto di così bello per meritare te? – chiese lui guardandola. 
-Non lo so. – rispose prontamente lei. – ma so che ora tu mi scalderai perché sto morendo di freddo – disse June che stava congelando. In quella mensa il riscaldamento non c’era. Ovvio no? Già il prezzo del college costava un occhio della testa e si permettevano anche di non accendere i termosifoni. 
-Certamente. – affermò il ragazzo accogliendola tra le sue braccia. 
June non sapeva se era la maglia che indossava il suo ragazzo ad essere estremamente morbida, oppure la sua pelle così liscia che la facevano sentire così bene e in mani sicure. 
Lo guardò, e gli sorrise. Stava bene insieme a lui. 
Ad interrompere quella armonia che sembrava perfetta ci pensò la suoneria del telefono della ragazza. Ovviamente. 
June sospirò ed estrasse l’iPhone dalla tasca dei jeans, e lesse “Kevin” sullo schermo. 
Cosa poteva essere successo? Rispose. 
-Kevin – disse 
-June! C’è un problema! – osservò il ragazzo allarmato. 
-Che è successo?- chiese lei preoccupata mentre Andy le cominciò a baciare dolcemente il collo. 
-Nicholas è scomparso, non lo ritroviamo da nessuna parte. Non risponde al cellulare, non è in casa né in studio di registrazione e nessuno dei suoi amici lo ha visto. – affermò Kevin. 
-Cosa? Dai è impossibile, cosa gli può essere accaduto? – chiese allarmata la giovane scansandosi dal suo ragazzo, che si cominciò a preoccupare anche lui. 
-Non lo so, non lo so. È questo il problema. – disse disperato. 
-Aspetta, dove sei? – chiese 
-Sto venendo verso il college. – affermò
-Esco subito, ok? Non preoccuparti Kev, Nick è un ragazzo con la testa sulle spalle. – lo rassicurò June.
-Ti aspetto qui. – disse chiudendo la chiamata. 
-Che succede? –chiese Andy alla ragazza che riprese le sue cose. 
-Devo scappare, subito. È successo un casino, speriamo bene. Ti spiego appena ho risolto tutto. – rispose la ragazza che era già in piedi. Lasciò un bacio stampo sulle labbra del ragazzo e scappò verso l’uscita. 
-Fammi sapere! – gridò lui prima che scomparisse dietro la porta. 
-Certo!- rispose lei rivolgendogli un ultimo occhiolino. 
 
 
-Dimmi cosa sai. – disse June appena entrò in macchina del maggiore dei Jonas. 
-Ieri sera è andato al bowling; poi è tornato a casa, ma ora non si ritrova più. È scomparso, sembra quasi che si sia volatilizzato. Né un messaggio, né una chiamata, né nessuno che l’ha visto da ieri sera. A casa sua non c’è, in studio non c’è, e ha tolto la batteria dal cellulare visto che non si riesce a localizzare. – fece un riassunto dell’accaduto. 
-Hai provato a chiamare i suoi amici? – chiese. 
-Nessuno sa nulla. – rispose. 
-Hai chiamato Denise e Paul? – domandò ancora.
-No, altrimenti morirebbero entrambi di crepacuore: è meglio non farli spaventare. – affermò lui
-Invece Joe l’hai chiamato? – chiese ancora. 
-Ecco, aspettavo te per farlo. Ci ho provato ma a me non risponde, e si attacca subito la segreteria telefonica. – si giustificò. 
“Risponde la segreteria telefonica di Joe Jonas, lasciate un messaggio appena posso vi richiamerò”*beep* 
June quella tiritera l’aveva ascoltata milioni di volte nell’anno addietro. Lo sapeva che non era un caso. C’era un app fatto apposta per attaccare la segreteria telefonica non appena uno stesso numero chiamava. Ora che aveva un iPhone anche lei lo sapeva. 
Un ottimo lavoro Joseph: così si fa per tagliare completamente i contatti con i tuoi fratelli. 
June scosse la testa e chiamò il ragazzo. 
-June! – rispose dopo un attimo con voce squillante. 
Ci avrebbe fatto i conti dopo, non aveva tempo per rimproverarlo. 
-Joe, ascolta. – cominciò – Non riusciamo a trovare Nicholas, sai per caso dov’è. 
-No. – affermò convinto – perché dovrei? È da più di un mese che non ci parlo. E poi, con chi sei?
-Sono con Kevin. Sai dove potrebbe essere? Non è da nessuna parte, abbiamo cercato dappertutto. – chiese ancora. 
-A casa? Boh non ne ho idea. – disse prendendo sotto gamba tutta la situazione. 
-Da ieri sera nessuno ne sa più nulla, e ha anche tolto la memoria dal cellulare. – affermò lei. 
-Si rifarà vivo, non preoccupatevi – assicurò lui. 
June sospirò e Joe si sciolse. 
-Ascoltami. Quando Nick fa così può significare soltanto una cosa: vuole restare da solo. Quindi non vi mettete in testa strane idee. Non è stato rapito dagli alieni, anche se a lui piacerebbe un mondo. Probabilmente è in un posto, diciamo che al 99% è lì, ma ve lo dico soltanto se mi promettete che una volta che vi siete assicurati che è davvero lì ve ne andrete via senza neanche farvi vedere da lui. – premise Joseph che conosceva il fratello meglio di quanto conoscesse sé stesso. 
-Promesso – disse June. 
-In cima al grattacelo SunAmerica Center. In teoria è vietato salire fino in cima, ma soltanto in teoria. – rivelò il ragazzo. 
-Grazie mille Joe. – disse la ragazza
-Di nulla – rispose. La chiamata terminò. 
June disse a Kevin dove erano diretti, e questo si stupì di come il suo Nicky potesse essere così coraggioso ad andare in cima ad un edificio così alto.
Dopo una lunga coda arrivarono lì, e salirono fin dove era consentito con l’ascensore, e poi passando velocemente sotto gli occhi distratti dei poliziotti arrivarono in cima. Da lì sopra si riusciva a vedere tutta Los Angeles, e la scritta “Hollywood” si imponeva si tutto il paesaggio.
Si guardarono intorno fino a quando non videro Nicholas. Una chioma piena di riccioli castani si muoveva ad ogni soffio di vento. 
Era soltanto seduto a gambe incrociate davanti a tutti quei grattacieli. Se ne restava lì a guardare, e a chiedersi il perché di molte cose. 
Kevin fece un passo verso il fratello, ma fu fermato dalla mano della ragazza che lo prese per un braccio e scosse la testa. 
-Joe ha detto di non disturbarlo. Vuole soltanto restare da solo, quindi diamogli quello che vuole. – suggerì lei. Kevin annuì. 
Diedero un ultimo sguardo a Nicholas che continuava a guardare nel vuoto di quella città. Ora gli appariva tutto così spento. 
In poco tempo i due si ritrovarono di nuovo in macchina.
-A volte mi chiedo come faccia Joe a sapere tutte queste cose. –disse Kevin. 
-Quei due hanno avuto sempre un rapporto speciale. Quando ero piccola li invidiavo di brutto. Ed ora non riesco ancora ad accettare il fatto che abbiano litigato. Non deve finire così- disse June.
-Non finirà così, non può finire così – disse Kevin. – e tra le altre cose io ancora non ho capito perché Nick voglia restare solo oggi. 
June prese l’iPhone, cercò oceanup su internet, e aprì il sito. 
La prima notizia spiegava tutto. 
-Temo di sapere perché ora. – disse incredula lei. Mostrò il cellulare all’amico che lo guardò esterrefatto. 
C’erano foto che raffiguravano Amber che baciava un ragazzo. Quel ragazzo non era Joseph, né Nicholas; ma soltanto un altro cantante appena apparso nel mondo della musica. Uno dei tanti, che non sarebbe durato più di un mese con lei. In fondo i due fratelli Jonas non avevano fatto altro che farle da pubblicità, per lei non c’era mai stato nient’altro.













Buonasera! :)
un altro capitolo, tutto per voi, sperando che ci sia ancora qualcuno che legga ç.ç
Per prima cosa: buona Pasqua a tutti per domani! :D
e davvero, se lasciate un commentino, anche piccino piccino, sappiate che mi farete davvero felicissima! 
un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 20
*** Chapter 19: Hold on ***


Chapter 19
 
Hold on
 

 
Era ormai sera quando Nicholas decise di scendere da lì sopra. Procedeva a passo lento lungo quelle scale ripide. Dentro quell’ascensore divenne per la prima volta nella sua vita claustrofobico. Tanto da arrivare senza fiato al piano terra del palazzo. Quel giorno sarebbe entrato in panico per qualunque cosa. 
Quando uscì da quel palazzo e vide le macchine sfrecciare sull’asfalto di Los Angeles proprio davanti a lui, il pensiero di farla finita gli sfiorò la mente. Bastava attraversare la strada mentre un tir passava a tutta velocità, cosa c’era di più facile? 
Si rese conto, però, di non avere neanche la forza di mettere fine a tutto. Non voleva essere un suicida.  
In quel momento voleva soltanto tornare a casa e ricominciare a piangere. 
Guidò piano, forse anche troppo per essere in autostrada. Le luci cominciarono a confondersi e i rumori a mescolarsi tra loro. 
Aveva perso tutto: non aveva più una ragazza; non aveva più dei fratelli con cui parlare, confidasi o con cui trascorrere una serata; non aveva più neanche i Jonas Brothers. 
Tutto questo perché si era innamorato della persona sbagliata. Che lo aveva tradito, e lasciato con un sms con su scritto “Tra noi è finita. Mi dispiace. Restiamo amici!”. 
Amici un corno. Non sarebbe riuscito ad essere suo amico, almeno non per il momento, nonostante la amasse ancora da morire. 
Non l’avrebbe dimenticata tanto facilmente, anche se aveva provocato tutto quel casino e tutte quelle sue lacrime. 
Parcheggiò la sua auto nel garage e salì su fino al suo appartamento. 
Accese la luce e si diresse in cucina. Non aveva né forze né voglia di cucinarsi una vera cena così prese un pacchetto di patatine fritte. Quelle unte e sudice, che solo a guardarle ingrassi.
Mangiare schifezze mette su di morale, no?
E anche se sapeva che gli avrebbero fatto male, in fondo non gli importò molto. Per lui sarebbe anche potuto morire, a quel punto. 
Prima di cominciare quella che sarebbe stata la sua cena si iniettò la dose d’insulina che necessitava a causa del suo diabete; si infilò il suo pigiama e prese una coperta di lana. 
Rimise, poi,  insieme i pezzi del suo iPhone, non poteva rimanere isolato a vita, e infine si sistemò sul divano davanti al televisore accesa sulla FOX. Sperava che almeno Glee lo aiutasse a stare un po meglio. 
Si mise in bocca un pugno di patatine scaraventandone almeno la metà sulla coperta che aveva addosso. 
Il suo cellulare vibrò per due volte di seguito. 
Venti chiamate di Kevin. A quanto pareva, si era preoccupato. L’avrebbe richiamato. 
Un messaggio, da parte di Joseph. Si stupì. Lo aprì e lo lesse. 
 
“When you love someone
And they break your heart
Don’t give up on love
Have faith, restart
Just hold on, hold on” 
 
Rileggendo quelle righe le lacrime tornarono a solcare le sue guance. 
Forse non era tutto perduto come credeva. 









Lo so è corto e triste, ma prometto che mi farò perdonare
grazie a tute le recensioni e a chi l'ha messa nelle seguite e nelle preferite!
un bacione enorme, 
Marta <3

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Capitolo 21
*** Chapter 20: She was with someone else. ***


Chapter 20
 
She was with someone else.
 



 
Il campanello suonò non appena June si finì di cambiare. 
-Sì? –disse lei. 
-Sei pronta per i Lakers, bellissima? – chiese Andy 
-Prontissima, arrivo – rispose raggiante infilandosi il suo cappotto e infine il suo cappellino viola e giallo con su la scritta “Los Angeles Lakers”. 
I due ragazzi si salutarono con un veloce bacio stampo sulle labbra. 
-Come ti stanno bene questi colori. – disse il castano sorridendole, non appena lei entrò in macchina. 
-Grazie mille – affermò. 
-E sai anche che ti ruberò il cappello per tutta la serata? – disse Andy che si appropriò del cappellino della ragazza, e se lo mise in testa. Il ragazzo partì con la macchina in direzione dell’arena in cui avrebbero giocato i Lakers. 
June mise su un finto broncio. 
-A te sta male – disse 
-Non è vero – rispose lui. 
-Sì che è vero – disse June ingannandosi da sola e ridendo. 
Cercò di riprendersi il suo cappellino, ma Andy continuava ad impedire che lei se ne rimpadronisse. Tra risate e sorrisi June riuscì nella sua impresa: si riprese il suo cappello e se lo rimise in testa. 
 
***
 
Joe scese dalla macchina, stranamente nervoso quella sera. Non doveva esserlo, anzi, sarebbe dovuto essere naturale. Perché preoccuparsi? L’aveva fatto altre milioni di volte. 
I jeans gli fasciavano perfettamente le gambe, la giacca bianca sopra la maglia nera, lasciava scoperta parte dell’avambraccio perché si era tirato su le maniche, e infine, la sciarpa blu completava il tutto. 
Suonò il campanello del condominio e aspettò trepidante una risposta. Si dondolò sui piedi con le mani giunte dietro la schiena, e i denti che continuavano a mordicchiare il labbro inferiore. 
Ci stava mettendo troppo tempo a rispondere; così suonò di nuovo ripetutamente questa volta. Aspettò ancora. Nulla. 
Guardò l’orologio: 9.10pm
Lui aveva fatto soltanto dieci minuti di ritardo, lei lo conosceva, doveva aspettarselo, no? 
Suonò ancora, ancora e ancora. Ma nulla, nessuno che rispondesse. 
Così decise di chiamare. 
Il cellulare di June suonò, più volte, ma nessuno rispose. Una, due, tre volte. 
Proprio in quel momento un ragazzo entrò nel palazzo e Joseph prese l’occasione al volo per entrare nella palazzina. Salì fino al settimo piano e vide la pota chiusa dell’appartamento dell’amica. 
Cercò la chiave sotto il vaso della pianta lì accanto e la trovò senza problemi: ormai conosceva June più di se stesso. La nascondeva sempre lì la chiave d’emergenza. 
Ogni volta le ripeteva che era troppo prevedibile come nascondiglio e che un ladro da un momento all’altro sarebbe potuto entrare in casa sua e fare piazza pulita; ma ogni volta June minimizzava dicendo che il posto dove Joe mettesse la sua chiave non fosse sicuramente meno prevedibile. Infatti la metteva sotto lo zerbino. Quella solita storia che si ripeteva da anni ormai lo fece sorridere e entrò nell’appartamento della ragazza girando la chiave nella serratura. 
Non c’era nessuno. Chiuse la porta dietro di sé e vagò per la casa dell’amica in cerca di qualche in indizio che gli potesse far intuire dove fosse June. Ma, in fondo, anche se non lo voleva ammettere a se stesso, sapeva che lei era con qualcun altro,  molto probabilmente con Andy. Era sabato sera. Chiunque ha un ragazzo il sabato sera esce con lui. 
La chiamò di nuovo al cellulare. Si era dimenticata di lui? Oppure se ne era ricordata e non si era sprecata neanche a fare una telefonata? 
Niente, nessuna risposta al cellulare. 
Sapeva di non essere il suo ragazzo, e che probabilmente lui non avrebbe dovuto neanche chiederglielo di uscire insieme per andare al cinema, soprattutto di sabato sera. Ma non se ne era preoccupato molto visto che lei aveva risposto subito di sì. A lui bastava un messaggio del tipo “Stasera non posso, ci vediamo domani”. 
Dopodiché Joseph si sarebbe potuto andare liberamente ad ubriacare in discoteca, perché d’altronde era quello che faceva sempre; soprattutto quando qualcosa in affari di cuore non andava per il verso giusto. 
Era parecchio infastidito, arrabbiato, e anche dispiaciuto da quella situazione. Odiava il fatto che qualcuno, soprattutto Lei, si potesse dimenticare di lui. 
Non voleva tornare a casa, non voleva, andare in nessun locale, né andare in giro con il suo fuoristrada per le via affollate di Los Angeles senza menta, quindi accese la televisione nell’appartamento dell’amica e si sedette sul divano. 
Prese il cellulare e svogliatamente orinò una pizza. 
-Una pizza al piatto, metteteci tutto quello che avete. 
In quel caso, visto che nella casa della ragazza non c’era una qualunque cosa che potesse assomigliare a dell’alcool; l’unica cosa con cui poteva consolarsi era il cibo, a cominciare dalla pizza e a finire con vaschetta di gelato al cioccolato che June nascondeva in frigorifero per i suoi momenti di depressione.












Buonasera! :D
bene, sono davvero felice per le recensioni e per tutte le persone che hanno inserito la storia nelle preferite e nelle seguite! davvero  siete fantastiche! *_*
e ricordate che è ben accetto qualunque tipo di commento positivo e negativo! :)
e per un'ultima cosa, credo di non avervelo mai detto, per qualunque cosa potete scrivermi su twitter, mi chiamo @MartaJonas96
u
nbacione! :)

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Capitolo 22
*** Chapter 21: Why are you here? ***


 
Chapter 21
 
Why are you here?
 

 
 
-È stata una serata fantastica Andy – disse June che si trovava all’interno dell’auto del ragazzo, proprio sotto casa di lei. 
-Grazie a te June! Sono stato benissimo anche io, e poi i Lakers hanno vinto! – disse il castano con un sorriso. 
-Per questo è stata una bella serata! – disse sorridendo – no davvero, sono stata bene con te! 
-Mi fa piacere, dai ti accompagno – la incoraggiò lui camminando affianco a lei fino alla porta del palazzo. 
Andy poggiò le labbra su quelle della ragazza per augurarle la buonanotte. Quel bacio che all’inizio era soltanto a fior di labbra si stava trasformando sempre di più in qualcosa di pi spinto. 
Il ragazzo premeva sulle labbra di lei con le sue e la fece indietreggiare fino a farla finire con le spalle al muro. Un bacio sempre più bramoso, focoso, e passionale che stava cominciando a far ansimare i due. 
D’altronde Andrew era un uomo, e non si sarebbe accontentato all’infinito di semplici baci. Voleva andare infondo a tutta la faccenda. 
E si sa come sarebbe andata a finire se June non si fosse allontanata. 
-Ehi … ehi … aspetta – disse afferrandolo per i polsi. – non credi che stiamo correndo un po’ troppo?
-No, non credo – affermò e cominciò a baciarla sul collo. 
-Fermo. Andrew fermo. – disse. 
-Che c’è? – chiese ancora. 
-Non è il momento Andy – affermò convinta. 
-Perché? – domandò di nuovo. 
-Perché no, è troppo presto. – disse
-Ma ci conosciamo da maggio! –contestò.
-Lo so, ma non è ancora il momento di fare il passo successivo – disse seria. 
-E quando lo sarà? Me lo spieghi? No, perché, sai, tra rose e regali mi se ne va via il patrimonio. – affermò acido, facendo rimanere esterrefatta lei. 
-Cosa scusa? Mi staresti comprando? – June alzò le sopracciglia. – Non sono un articolo da vetrina, né un p*ttana, Andy. Se il nostro rapporto si basa solo su questo, e ha quest’unico obbiettivo credo sia meglio finirla qui. – sentenziò June completamente sconvolta dalle parole del ragazzo. 
-Allora buonanotte – disse. 
-Buonanotte – affermò lei aprendo la serratura e entrando nella palazzina. 
Era ancora incredula. Se voleva una signorina dai facili costumi, in autostrada se ne trovano a centinaia. Che st*onzo. Vedi, lei non ce lo avrebbe mai fatto, e invece non si finisce mai di imparare. Salì fino al settimo piano e notò che la porta era aperta. Gli si fermò il cuore per un attimo. Tremante, temendo che Joseph avesse davvero ragione sui ladri e sulla questione della chiave di scorta, aprì la porta, subito dopo aver preso al sua bomboletta al peperoncino in mano pronta ad usarla. 
Fece silenzio più che poté e quando vide Joseph apparirle davanti di ritorno dalla cucina con il secondo barattolo di gelato, alla crema questa volta,  lanciò un urlo e si trattenne dal non spruzzare metà della sua “arma” sugli occhi dell’amico. 
-Oh. Mio. Dio. Devi smettertela di farmi perdere anni di vita in questo modo. – lo rimproverò con il cuore che le andava a duemila. Si sedette sul divano con il fiatone e con una mano al cuore. 
Joe si sedette affianco a lei e aprì la sua vaschetta di gelato, e con un cucchiaio cominciò a mangiare senza dire una parola. 
-In ogni modo, che ci fai qui? – chiese June girandosi verso il ragazzo che si era appena messo in bocca un cucchiaio abnorme di gelato. Lui agitò in aria la posata di plastica, ripulita da lui stesso,  in segno ad aspettare che lui mandasse giù il suo boccone fin troppo grande. 
-Beh ti sei dimenticata di me – disse serio evitando di guardarla negli occhi. 
-In che senso? – chiese non capendo a cosa si stesse riferendo. Joe scosse la testa. 
-E non te ne sei ancora ricordata, complimenti. Oggi è sabato. – disse infastidito, mettendosi poi un bocca un altro cucchiaio di gelato. 
-Oggi è … il 23. Sì. Oggi è il 23 ed è … sabato. C*zzo. – rifletté ad alta voce sussurrando soltanto la sua ultima parola. – ero rimasta a venerdì – tentò di giustificarsi. 
June aveva davvero confuso i giorni, era convinta che il 23 fosse venerdì, e non sabato perché poi sabato sarebbe dovuta uscire con Joe. In ogni modo, non ci sarebbero stati più problemi visto che da quel momento in poi non sarebbe più uscita con Andy. Ora, però, doveva dirglielo. 
-Avanti, June. Non dire c*zzate. Come avresti fatto a confondere i giorni? Tu programmi ogni santo giorno, da parte tua è impossibile. – alzò la voce, e si alzò in piedi posando la vaschetta di gelato sul tavolino poco distante. 
-Ma è vero Joe. Può capitare anche a me di sbagliare cretinate del genere. In ogni modo, mi dispiace. – sentenziò lei seguendolo. – e, tra le altre cose, quello era il mio gelato emergenza depressione. 
-E l’ho mangiato io, visto che qui non c’eri, al telefono non rispondevi, e non hai lasciato un minimo indizio per farmi capire dov’eri. – rispose – ma dovevo aspettarmelo, no? Ora c’è Andy, non c’è spazio per gli amici. 
Joseph era innervosito perché aveva trascorso la serata da solo a pensare a June che se la stava spassando con il suo ragazzo. 
-Ma come diavolo ti viene in mente una cosa del genere? – chiese sul punto di mettersi a ridere per la stupidità della cosa. Mai nessun ragazzo avrebbe preso il posto che occupava Joe nella sua vita; mai nessuno. Joseph era importante, vitale per June; infatti l’anno trascorso senza lui era stato qualcosa di tremendo. Era il suo migliore amico, e si sa gli amici, se sono veri, restano sempre.
-Forse perché sono rimasto tutta la sera qui ad aspettarti senza ricevere nessuna risposta alla mia cinquantina di chiamate e di messaggi che ti ho inviato? – disse – In ogni modo, ho sonno, vado via. 
Così dicendo prese il suo giubbino e se lo infilò, dirigendosi verso la porta. 
-Joe, aspetta ti prego. Io non … - cominciò ma non riuscì a terminare la frase perché fu interrotta da lui. 
-Ci vediamo domani, ora non mi va di parlare. – così dicendo se ne andò, scomparendo in fondo alle scale. 
Ecco, ora June si sentiva estremamente in colpa. 
Joseph non poteva pensare che lei lo aveva dimenticato, lei si era soltanto confusa. Ed era anche comprensibile, in quel giorni non pensava ad altro che alle cellule e agli atomi visto che a giorni avrebbe dovuto dare il suo esame di biologia che la tormentava ormai da settimane.
Ma era colpa sua, soltanto colpa sua. 
Si riproverò di aver scelto il ragazzo sbagliato, e del fatto che lei avrebbe dovuto dar ascolto al suo amico. Andy non aveva buone intenzioni, fin dall'inizio. 
E quel suo cavolo di telefono che non sentiva mai se messo in silenzioso e disperso tra la “giungla” della sua borsa. Sbuffò e si sedette sul divano, togliendosi subito quelle scarpe con i tacchi che aveva maledetto per tutta la serata. Non le avrebbe più messe. 
Prese il suo iPhone e lesse quei 32 messaggi e vide quelle 53 telefonate tutte da parte di Joe. 
Scosse la testa e si dette della deficiente. 
Quella non era stata sicuramente una bella giornata, anzi, aveva fatto parecchio schifo. 
Prese la vaschetta semipiena di gelato alla crema che Joe aveva lasciato sul tavolo, con tanto di cucchiaio. La crema non era il suo gusto preferito, ma il cioccolato lo aveva già finito tutto Joseph, quindi, senza neanche premurarsi di andare a prendere un altro cucchiaio o di metterlo in un altro contenitore, ne prese una manciata e cominciò a mangiarlo. In fondo, era il suo gelato emergenza depressione, e serviva proprio in quelle occasioni. 
Dopo aver finito la sua vaschetta davanti a una vecchissima puntata di Criminal Minds, inviò un messaggio a Joe con su scritto“Sorry...”, poi si buttò a peso morto sul suo letto con l'intenzione di risvegliarsi il giorno dopo mezzogiorno. Ma nonostante cambiasse posizione nel tentativo di dormire per almeno un ora non riuscì nel suo intento. 
Così accese la luce del comodino si guardò intorno in cerca di qualcosa da fare nell'attesa che il sonno arrivasse, nonostante fosse già l'una di notte. 
Scorse un album di fotografie sulla mensola proprio davanti a lei e si trascinò fuori dal letto per afferralo per poi tornare al suo posto, e  mettersi a gambe incrociate. 
Cominciò sfogliare quel libro impolverato e si ritrovò davanti una foto di lei che aveva circa sette, otto anni in braccio alla madre. Gli occhi azzurri della donna erano uguali a quelli della figlia, sorridevano entrambe. June indossava uno di quel vestitini che lei odiava ma mamma adorava, proprio quello blu con il fiocco rosso, quello di cui non troppo tempo prima Joe aveva parlato. 
June si lasciò andare una lacrime ripensando alla sua mamma. Cercava di non pensarci, di non affrontare il problema riempiendo tutto il suo tempo con lo studio; altrimenti ne sarebbe uscita pazza. Ma ogni volta che ripensava a lei, e a quanto le mancasse ricominciava a piangere e non la smetteva per un bel po'. 
Nella pagina successiva c'erano lei e Joseph nella casa sull'albero di casa Jonas. Quella era una delle pochissime volte in cui avevano permesso a Denise di salire fin lassù. In quel luogo potevano accedere soltanto i fratelli Jonas e June, nessun altro. 
I due bambini si abbracciavano e sfoggiavano uno dei loro migliori sorrisi alla donna premurosa.
 
July 1997
-Tu che ci fai qui? - la interrogò subito il bambino dai capelli neri indicando la madre.-non puoi venirci qui sopra!
-Volevo solo farvi una foto! Papà ha appena portato a casa la nuova macchina fotografica! - spiegò la donna con un sorriso. 
-Ma tu non potevi venire qui! - disse ancora. 
-Dai Joe, per la nuova macchina fotografica possiamo fare un'eccezione! - intervenne June sorridente alle spalle  dell'amico – dai facciamo questa foto!
-Pronti? - chiese Denise. - tre, due, uno … fatta! 
-Ora … - cominciò Joe.
-Me ne vado, me ne vado non preoccuparti! - disse sospirando con un sorriso sornione la madre. Probabilmente lei sapeva tutto della cotta di Joe. 
 
 
June sorrise, e pensò a quanto Joseph fosse stato parte della sua vita, e lo fosse ancora. Tolto quell'ultimo anno, lui c'era sempre stato. June si chiese come sarebbe stata la sua vita senza di lui. Di sicuro, più triste. L'aveva visto crescere e era cresciuta con lui. 
Aveva riso, si era divertita, aveva giocato, ballato, cantato con lui; ma aveva anche pianto, litigato e  discusso con lui, ma nulla, li aveva mai separati davvero.   
Si ricordò di qualche giorno prima, quando a New York stavano ricordando insieme quell'episodio dell'altalena, e lui aveva cominciato a parlare dei suoi vestitini. Si stupì ancora del fatto che non si fosse  mai accorta che in quegli anni Joseph aveva una cotta per lei. 
Un pensiero le attraversò la mente e sorrise, e per un attimo sentì che tutto riportasse e che tutto era accaduto per un motivo; ma scosse subito dopo la testa. Non poteva essere. Era quantomeno impossibile. 
Sveglia June, non pensare cose impossibili. 
Poco dopo si addormentò con ancora l'album fotografico sulle gambe e la luce del comodino accesa, con la strana sensazione di dover ancora finire il discorso che aveva iniziato tempo prima con Joe, non lo avevano mai terminato. 











Bene ragazze,
ecco per voi un altro capitolo, 
che appena finito di scrivere credevo di aver perso completamente, 
perchè il mio computer era morto. Si accendeva, ma lo schermo rimaneva tutto nero!
è stato tipo in coma per 2-3 ore e poi magicamente si è ripreso ... non chiedetemi come o perchè D:
In ogni modo, spero davvero che vi piaccia, 
un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 23
*** Chapter 22: Brotherly Love ***


Chapter 22
 
Brotherly Love
 
 
La ragazza aveva appena terminato di fare colazione, quando sentì il suo cellulare squillare. 
-June! - disse Kevin dall'altra parte del cellulare. 
-Kevin, proprio te volevo chiamare; comunque dimmi. - iniziò 
-Il 19 io e Dani facciamo 3 anni di matrimonio, e abbiamo organizzato una cerimonia in chiesa e poi andiamo a casa, siamo soltanto noi della famiglia, e mi farebbe davvero piacere se venissi anche tu – disse il ragazzo, quello stesso ragazzo che era diventato un uomo adulto e responsabile, e allo stesso tempo fantastico. 
-Dici davvero? Ne sarei felicissima Kevin. - rispose lei sorridente e stupefatta. 
-Assolutamente, ci tengo che tu venga. La verità è che ci sei mancata a tutti June, e tutti qui hanno bisogno di te. - confessò lui. 
-Qui l'unica che ha bisogno di voi, sono io, Kev. - replicò lei con tono dolce. 
-Quindi, posso contare sulla tua partecipazione?- chiese di nuovo. 
-Assolutamente sì, Kevin, grazie mille. -disse. 
-Perfetto, allora – esclamò. 
-Ascolta una cosa, ci saranno anche Joe e Nick, vero? - chiese lei. 
-Sì, anche se ancora non si parlano. - osservò il maggiore. 
-E Joe ha di nuovo litigato con me proprio ieri sera, soltanto per un malinteso, e questa volta è colpa mia. - disse lei. 
-Perché? Cosa è successo? - la interrogò il ragazzo. 
-Lascia perdere, poi ti spiego. Ma prima devo dirti l’idea che mi è venuta in mente. - disse
-Quale? - chiese di nuovo. 
-Devo dire che tu mi hai fornito l'occasione giusta per realizzarla …
 
***
 
June ebbe un istinto omicida nei confronti di Kevin quando si vide costretta dal ragazzo a sedersi tra i due “litiganti” - Joe e Nick – al tavolo. Il maggiore rispose all'occhiataccia alzando le spalle, sorridendo e mimando un “ti voglio bene” con le labbra. Lei scosse la testa  ridendo. Kevin non era cambiato di una virgola, e lo adorava così com'era. 
Quel giorno il maggiore dei Jonas Brothers era particolarmente bello e felice. Aveva rinnovato la promessa di matrimonio con sua moglie, che amava ogni giorno di più; aveva pianto; riso e sapeva che quel giorno non sarebbe di certo terminato così. 
Danielle era la persona più dolce e disponibile che June avesse mai incontrato, e non passava giorno in cui lei non si convincesse sempre di più di questo. 
June pensò che a tutti gli scettici che non credevano nell'amore sarebbe bastato far vedere quella coppia così perfetta per farli ricredere tutti, dal primo all'ultimo. Erano bellissimi insieme. 
L'attenzione della ragazza si spostò su di Joseph che continuava a parlare con Mikey. Non aveva scambiato neanche mezza parola con Nicholas, ma lo aveva sorpreso a fissarlo più volte. In chiesa June lo aveva visto piangere mentre Kevin e Dani si scambiavano di nuovo le fedi, come segno di conferma delle loro scelte, e, poiché continuava a fissare Nicholas, la ragazza ebbe come l'impressione che non piangesse soltanto perché commosso da quella scena.
Il minore dei tre, invece, era evidente che stesse attraversando un periodo orribile, era triste, davvero triste; e probabilmente quel giorno neanche il suo diabete sembrava dargli pace. Era andato più volte in bagno a controllare la concentrazione degli zuccheri nel sangue, e aveva davvero una brutta cera quel giorno. 
June vide le sue mani tremare, e non si trattenne dal parlargli. 
-Nick, tutto bene? - gli chiese poggiando la  sua mano destra su quella del ragazzo. 
-Non proprio – sospirò – oggi è proprio una giornata “no” per me, e il diabete non aiuta per niente. 
-Mi dispiace – disse piano. 
-Anche a me – annuì. - credo che me ne tornerò a casa, ho bisogno di riposarmi. 
June si guardò intorno. Si erano tutti alzati dal proprio tavolo, camminavano e chiacchieravano tra loro; ma c'era ancora troppa gente, Nicholas non poteva andarsene, o almeno non ora. 
Il castano si alzò e June lo imitò, cercando con lo sguardo Kevin. 
-Sicuro di non voler rimanere un altro po'? - gli chiese. 
-No, davvero June, non ce la faccio più – disse. - vado a salutare Kev e Dani. Ci vediamo, ok June?- così dicendo sforzò un sorriso e diede un bacio sulla guancia alla ragazza. 
-Ok – rispose piano lei sorridendogli. 
June seguì il cantante fin quando non si fermò a parlare con il fratello maggiore. Kevin scambiò un'occhiata con June, che spalancò gli occhi e scosse la testa. Il maggiore le fece un segno come per dire di non preoccuparsi, e quando June sentì il musicista dire al fratello qualcosa del tipo “Aspetta un attimo, devo farti vedere una cosa”, ne ebbe la conferma. 
Prima di trascinarlo in un'altra stanza, Kevin fece in tempo a mimare un “Joe” alla ragazza che rispose annuendo. 
June si guardò in torno per l'ennesima volta in quel giorno cercando di intravedere il mezzano. 
Lo scorse seduto sul bracciolo del divano con un bicchiere di champagne in mano, un sorriso sulle labbra e uno smoking nero addosso. A dir la verità la giacca l'aveva tolta, ed era rimasto con quei suoi pantaloni neri, una camicetta bianca che fasciava perfettamente il suo corpo, e una cravatta sottile e nera leggermente allargata sul collo che gli dava quel tocco di classe in più. June non poté  negarlo: con quell'abbigliamento Joseph era sexy in un modo assurdo, più di chiunque altro avesse mai visto prima. Per un attimo rimase a guardarlo, a fissarlo come mai prima aveva fatto. Appena le labbra del ragazzo si aprirono di nuovo in un sorriso, un pensiero le attraversò la mente così velocemente e così bruscamente da farla prendere dal panico. 
Sospirò e decise che quello non era il momento di pensare, ma di agire. Era in ballo in futuro dei Jonas Brothers. 
La ragazza si avvicinò al cantante che stava parlando con dei suoi parenti, probabilmente; persone comunque che lei non conosceva. 
-Joe, puoi venire un attimo con me?  - sussurrò lei all'orecchio del ragazzo, che annuì. 
-Scusatemi un attimo, torno subito – disse sorridendo agli interlocutori. June sorrise a sua volta. 
-Che c'è? -chiese Joe guardando negli occhi June. 
-Vieni con me, ok? - disse lei sfiorando la mano del ragazzo e sorridendogli. 
Joseph non si fece scappare l'occasione per afferrarle la mano, e seguirla al piano superiore, verso le camere.
-Se posso … dove stiamo andando? - chiese quasi speranzoso. Sì, in quel momento Joe si stava facendo tanti bei film mentali su quello che sarebbe successo da lì a pochi minuti. 
-Non puoi. - disse lei, sorridendo come una cretina, come per convincerlo. Lui la guardò confuso alzando un sopracciglio. 
-Dai cammina, scemo. - disse lei accelerando il passo, non riuscendo a trattenere un contatto visivo per più di due secondi. 
June arrivata finalmente a destinazione, aprì la porta della stanza. 
-Ma questa è … - cominciò confuso lui. 
-Questa è la camera “cinema”, esatto. Entra. - disse lei, e lui eseguì. 
La stanza, in cui c'era il proiettore e un telo bianco su cui far passare le immagini, grandi sedie nere con schienale altissimo, sembrava vuota, ma non lo era. 
-Kev! - esclamò lei, e la testa del maggiore spuntò da sopra la prima sedia. 
-Ce l'hai fatta, finalmente, non sapevo più che inventarmi! -disse. Joseph corrugò la fronte, non capendo, fece lo stesso anche Nicholas che era seduto proprio vicino a Kevin, ma che il mezzano ancora non aveva visto. 
-è colpa sua, è lento – disse la ragazza e Joseph la guardò male ancora più confuso. Kevin si alzò. 
-Siediti lì – disse June a Joe indicando il posto su cui era seduto il maggiore fino a pochi secondi prima. 
Finalmente, dopo troppo tempo, gli sguardi dei due fratelli si incontrarono, e Joe senza esitare si sedette vicino al suo Nicholas. 
C'era silenzio in quella stanza, fin troppo. C'era tensione. Ma soltanto il fatto che entrambi i fratelli avessero trattenuto un sorriso, prospettava qualcosa di positivo. 
Kevin spense le luci d'improvviso, e June fece partire un filmato. 
Un filmato che non era altro che un insieme di più filmati. Video montati da una fan, che li aveva  caricati sul proprio canale youtube. Mentre le immagini scorrevano, la ragazza parlava in sottofondo, descrivendo chi erano davvero i Jonas Brothers, e di come loro avessero completamente stravolto la vita delle loro fans. June aveva trovato quei video sul web e si era ritrovata a piangere come una bambina, come soltanto una vera fan avrebbe fatto vedendo quelle immagini e rispecchiandosi in tutti quei sentimenti.
Così pensando che se solo Nick e Joe avessero visto a cosa avrebbero messo fine se si fossero sciolti completamente, decise di montarli insieme, con l'intenzione di farli vedere a loro. 
Kevin le aveva donato l'occasione giusta, in cui entrambi sarebbero venuti senza problemi. Così si erano messi d'accordo e avevano organizzato il tutto. 
June si trattene dal piangere, fino alla metà di tutto il filmato, e poi cedette in lacrime. Kevin, che non aveva mai visto quei video prima, fu inondato da lacrime che non tentò neanche di nascondere. 
Per quanto riguarda Joe, aveva la vista appannata per quante lacrime stava trattenendo. Con una mano tentava di coprirsi il viso, e non far trasparire nessuna emozione, quando dentro stava scoppiando. Gli era nata dentro una pazza voglia di abbracciare suo fratello e dirgli che non gliene fregava più di nulla, se non ci fosse stato più lui con cui poter condividere ogni cosa. 
Nicholas era rimasto in silenzio. Le lacrime scendevano silenziose lungo le sue guance bianche, quasi come se lui stesso non se ne accorgesse. Sarebbe voluto tornare indietro, e avrebbe voluto non commettere gli stesso errori. Avrebbe voluto essere più ragionevole e con la testa sulle spalle, avrebbe voluto chiedere scusa al fratello e dimenticarsi di tutto. 
Alla fine di quei video delle frasi, che aveva inserito June, comparvero sullo schermo:“Questi sono dei video montati insieme da una vostra fan che rappresenta tutte le vostre fans, che provano questi stessi sentimenti. Volete davvero deluderle? Loro sono rimaste, vi aspettano dal 2009, ed ora volete far questo a loro? Non se lo meritano.” “Avete vissuto tutto questo insieme, da amici, da compagni, da musicisti, e soprattutto da fratelli. Ed ora volete davvero che tutto questo termini per una stupida lite?”; “Siete fratelli, e qualunque cosa accada rimarrete fratelli per sempre. I fratelli perdonano; si scusano; e si aiutano; proprio come voi facevate fino a due mesi fa; ed è questo che proprio ora dovreste fare”; “Perché ...” 
Così partì un ultimo filmato. I tre ragazzi erano davanti a un pubblico enorme, e come in ogni concerto ripetevano la stessa frase, gli stessi nomi, che ogni volta si disperdevano in quell'atmosfera perfetta. 
“I'm Kevin” “I'm Joe” “I'm Nick” “And we are the Jonas Brothers.” 
Il video terminò, si spensero tutte le luci nella stanza fin troppo buia. Kevin mentre con una mano tentava di asciugarsi le lacrime che aveva agli occhi, con l'altra accese le luci della stanza. June e il maggiore dei Jonas si scambiarono un'occhiata, dopodiché uscirono dalla sala, per lasciare i due fratelli da soli. 
C'era silenzio tra i due ragazzi che non avevano ancora incrociato lo sguardo. 
Joe incurvò la schiena poggiando i suoi gomiti sulle ginocchia e unendo le mani, si morse il labbro inferiore nervoso cercando qualcosa da dire. 
Bastò che si girasse a guardare il fratello in lacrime che si bagnava le labbra con la lingua, ovviamente commosso, per far rompere il ghiaccio. Nicholas ricambiò lo sguardo, osservando che il fratello aveva gli occhi lucidi proprio come i suoi. 
A Joe scappò una piccola risata, e si rese conto di quanto tutta quella situazione così stupida avesse portato entrambi in quelle condizioni, a piangere come dei bambini. Proprio come quando loro due, una quindicina di anni prima, litigavamo per una macchina telecomandata, o un videogame. 
-Scusa – quella parola uscì naturale e spontanea, in contemporanea dalle bocche dei due fratelli. 
Anche Nicholas sorrise, proprio come il fratello. 
Un altro attimo, e i due fratelli si ritrovarono l'uno fra le braccia dell'altro. 
-Mi dispiace tanto, davvero Joe. Sono stato uno scemo, un … - cominciò Nicholas dispiaciuto
-Ehi, non importa, ok? Non me ne frega più nulla, non pensarci più. Si sei mancato – lo interruppe Joseph una volta sciolto quel tenero abbraccio fraterno. 
-Non sai quanto tu sia mancato a me. E poi, grazie … - si ricordò il più giovane. 
-Per cosa? - chiese il moro. 
-Per quel messaggio, quel giorno … - disse Nicholas evitando di propria volontà di ricordare Amber e il fatto che lei l'avesse tradito, proprio come aveva fatto con Joe. 
-Figurati, non mi è costato nulla, te l'ho inviato con WhatsApp! - minimizzò Joseph facendo ridere il fratello.
-No davvero, sono serio. - disse il minore. 
-Te lo dovevo Nicky. - rispose con un sorriso Joseph. 
Nick avrebbe voluto rispondere dicendo che no, lui non glielo doveva, ma lo aveva fatto comunque e gliene era grato, davvero grato.
-Sai che ti devo raccontare un sacco di cose e tu dovrai sopportarmi in silenzio?- lo avvisò Joseph. 
-Come tu hai sempre fatto con me d'altronde. No?- chiese lui. 
-Come è sempre stato – sorrise il moro, ricevendo indietro un altro sorriso.
Erano fratelli, e lo sarebbero rimasti a vita, e due fratelli si perdonano, si scusano, si aiutano, e soprattutto si vogliono un bene dell'anima. 








Buonasera! :D
Allora, per prima cosa, tengo tanto a questo capitolo, perchè fa vedere quanto sia forte quello stupendo rapporto che c'è tra quei due: "Joick" è un dato di fatto ormai (?)
Per seconda cosa per video di fan  intendo video tipo questo e tutti i filmati che carica questa ragazza. Sono stupendi, se non li avete ancora visti guardarteli, e non ve ne pentirete, davvero. 
E per finire questo è il terzultimo capitolo di questa fan fiction: quindi questo altri due e poi un epilogo e anche questa sarà terminata! 
Spero di non avervi annoiato,
un bacione, 
Marta <3


 

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Capitolo 24
*** Chapter 23: The Jonas Brothers are back ***


Chapter 23
 
The Jonas Brothers are back

 
 
 
-Tu credi che si chiariranno?- chiese Kevin a June, appena usciti dalla stanza in cui avevano lasciato da soli i due ragazzi. 
-Assolutamente sì. Joe stava soltanto aspettando il momento giusto per parlare con Nick e fare pace, e la stessa identica cosa stava facendo Nicholas, noi abbiamo soltanto fornito loro l'occasione giusta per farlo. - rispose prontamente June seguendo il ragazzo fino alle scale. 
-Hanno pianto come pazzi. - osservò il maggiore. 
-Esatto, non possono far altro che chiarirsi. Senti, Kev, io devo scappare. Per Natale torno in New Jersey dalla mia famiglia, quindi devo andare in aeroporto e tutto il resto. È meglio che vada, altrimenti non faccio in tempo a fare tutto. Oggi sono stata davvero benissimo, sai? Grazie infinite di tutto quanto, ok? Grazie davvero. - disse June abbracciando forte Kevin. 
Quell'abbraccio era stato un modo per rendere grazie a quel giovane uomo con tutto il cuore, non soltanto per quel giorno, ma per esserci stato sempre, sempre. Cosa che nessuno aveva mai fatto per lei. 
Kevin ricambiò l'abbraccio calorosamente, trattenendo una lacrima. Kev è sempre stato estremamente sensibile. 
-Grazie a te June, questo non sarebbe successo senza il tuo aiuto. Quei due non si sarebbero riappacificati tanto facilmente – disse. 
-Io non ho fatto nulla di che. - affermò lei sciogliendo l'abbraccio. - in ogni modo io devo davvero andare, saluto Dani, e i tuoi genitori sotto, e scappo. Tu salutami quei due che sono ancora rinchiusi lì dentro, ok? 
-Certo. Ciao June – disse lui
-Ciao Kevin – rispose lei con un sorriso scintillante, scendendo le scale. 
Il maggiore si domandò se dovesse entrare nella camera “cinema”, o aspettare che i due uscissero da lì. Guardò l'orologio, senza leggere davvero l'ora, si dondolò sui suoi piedi, si morse il labbro inferiore, e sospirò, dicendosi che quella questione riguardava anche lui, quindi, senza pensarci ancora su, entrò nella stanza. 
Arrivò a sedersi vicino ai due fratelli, che si girarono verso di lui. 
-Allora? - chiese Kevin che si era messo a braccia incrociate, e continuava a tormentarsi il labbro inferiore mordendoselo.
-Allora cosa? - domandò Joe trattenendo a stento un sorriso che l'avrebbe detta lunga. Nicholas si fece scappare un sorrisino.
-Allora, i Jonas Brothers sono tornati oppure no? - specificò il maggiore con uno sguardo speranzoso che nessuno si sarebbe mai potuto sognare di deludere. 
-Mi dispiace … - esordì Nicholas con voce seria tanto da catturare l'attenzione sia di Joe che di Nicholas. La pausa che stava facendo per terminare quella frase sembrò infinita. 
-Mi dispiace per tutti gli altri, ma …
-I Jonas Brothers sono tornati. - annunciò Joseph enfatizzando l'intera frase quasi come se fosse il titolo di un nuovo film. 
Kevin si aprì in un sorriso spontaneo e sincero, proprio come Joe e Nick. 
-Voi mi volete far morire. - disse il maggiore che si alzò. - voglio un abbraccio di gruppo. -così dicendo avvolse tra le due braccia i due fratelli minori che ridendo si abbracciarono, così, tutti insieme, proprio come non facevano da tanto tempo. 
Sciolto l'abbraccio, Joseph non poté trattenersi dal chiedere di lei. 
-Kev, dov'è June? - domandò il mezzano. 
-Vi saluta, è andata via, doveva andare all'aeroporto. - rispose semplicemente. 
-Cosa? Perché? - disse preoccupato, il battito del suo cuore accelerò. 
-Mi ha detto che per Natale sarebbe tornata dalla sua famiglia, in New Jersey. Probabilmente deve partire, non lo so. - disse Kevin. 
-Ti ha detto se andava qualcuno con lei? - chiese balzando in piedi, allarmato. 
June non poteva partire il giorno stesso con quell'Andy, presentarlo alla sua famiglia come il suo fidanzato, non poteva lasciarlo lì da solo a Natale. June non poteva andarsene senza di lui, anche se per pochi giorni, perché in pochi giorni può succedere di tutto, qualunque cosa. 
Joseph prese il suo iPhone cercando l'orario dei voli che partivano dal LAX diretti in New Jersey, camminando avanti e indietro per la stanza, suscitando la preoccupazione dei fratelli. 
-Joe, tutto bene? - chiese il minore dei tre. 
-No che non va bene.  - disse sedendosi bruscamente su una delle tante sedie. C'era un volo tra mezz'ora, che per lei sarebbe stato perfetto da prendere. - C*zzo. Sono un deficiente. 
-Cosa è successo? - chiese Kevin. 
-Ricordate che quando avevo tipo otto anni vi avevo confessato che avevo una cotta per una ragazza?-chiese lui. 
I due annuirono. 
-Ecco, la ragazza era June. - specificò. 
-Mi devi 5$! - disse Nicholas al maggiore. - ho vinto la scommessa. Gli piaceva June. 
Joe scosse la testa. 
-Il punto è – disse riprendendo il discorso. - che la cotta è diventata amore, che si è mantenuto fino ad oggi. Ed ora June è fidanzata con un ragazzo che ha tutte le carte in regola per … non so, anche sposarla. Inoltre, lei potrebbe anche portarlo con sé per Natale per presentargli la famiglia. 
-Ed ora, spiegami, perché ora tu non sei sulla tua macchina in direzione del LAX per cercare di fermarla. - disse con tutta calma Nicholas. 
-Perché non arriverò mai in tempo. - disse guardando l'ora sul cellulare. 
-Sì che ce la fai Joe, corri, vai! - esclamò Nick indicandogli la porta. 
-Vado? - disse ancora titubante. 
-Vai! - gridarono più forte entrambi i fratelli all'unisono. 
-Grazie … grazie. - disse cominciando a correre. 
L'orologio segnava le 7.32pm, e l'aereo sarebbe partito alle 8.00pm.
Doveva accelerare il passo, come mai aveva fatto prima, doveva correre, con i piedi, con l'auto, con il cuore, altrimenti non ce l'avrebbe mai fatta. 













Buonasera! :D
pronte per il prossimo e ultimo capitolo? più l'epilogo ovviamente!
Eh già, i Jonas Brothers sono tornati, sia qui che nella realtà ... o forse non se ne sono mai davvero andati. 
un bacione a tutte, davvero senza di voi non andrei da nessuna parte, siete stupende! *-*
vi voglio bene, 
Marta <3

 

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Capitolo 25
*** Chapter 24: I’m here for you. ***


*Saluta*
Buonasera a tutti,
mi intrometto per la prima volta qui all'inizio solo per dirvi che se mentre leggete ascoltate anche Lighthouse, non è una brutta idea, ed ora mi dileguo, ci sentiamo alla fine del capitolo ;)






Chapter 24
 
I’m here for you. 
 
 
Era scomparso, era uscito di casa senza che nessuno se ne accorgesse, maledicendosi mentalmente un secondo dopo essersi accorto di non aver preso neanche la giacca, e di non aver neanche tempo per tornare indietro a prenderla. 
Il cielo si stava oscurando sempre di più, e non riusciva a sentire nient'altro che il suo battito cardiaco accelerare. Mise in moto l'auto e sfrecciò sull'asfalto più veloce di quanto mai avesse fatto prima. Doveva essere veloce, e avere i riflessi pronti per arrivare in aeroporto incolume. Prego affinché questo accadesse, essendo cosciente delle proprie capacità, non proprio perfette, da guidatore. 
Vide gli edifici e quelle alte palme passare velocemente i vetri dei suoi finestrini. 
Era agitato, anche perché non aveva nessun discorso preparato che si sarebbe mai ricordato, nessuna lettera da poterle consegnare, e, sapeva di non essere mai stato troppo bravo con le parole. 
La chiamò con il cellulare, ma lei non rispose. Una, due, tre volte. Nulla, nessuna risposta. 
Passò dall'essere certo di potercela fare, al pensare di non avere nessuna speranza, sia perché le 8.00pm si stavano avvicinando sempre di più, sia perché le parole che da sempre avrebbe voluto dire, probabilmente non sarebbero uscite dalla sua bocca neanche quella volta. 
Più la strada per il LAX si faceva breve più poco tempo rimaneva, e più l'ansia cresceva. 
Non si era neanche scusato per essersi mangiato il suo gelato al cioccolato, o aver occupato casa sua per una sera. Non l'aveva ascoltata, e non le aveva creduto, ma in quel momento, pensandoci bene, lei era davvero sincera. Non l'avrebbe lasciato da solo in quel modo, se non fosse stato per aver confuso i giorni. 
Fece un altro respiro, e guardò di nuovo l'orologio. 7.54pm.Troppo poco tempo, troppo poco. 
Gli sembrò che quella corsa in macchina fosse durata un'eternità, quando mise piede in strada, nel parcheggio del LAX. Chiuse la sua auto, quando sentì qualche goccia di pioggia cadere dal cielo e andarsi a depositare proprio sulla sua camicia bianca che si bagnò. 
Senza preoccuparsi di star correndo sotto la pioggia sempre più fitta, Joseph accelerò la corsa verso l'interno dello stabilimento. Finalmente tutta quella palestra sarebbe servita a qualcosa, almeno correva velocemente. 
C'era tanta gente, troppa. Si guardò intorno, sperando in un miracolo, e poi guardò il tabellone dei voli, quello per il New Jersey sarebbe stato il prossimo. Corse, facendosi spazio tra la gente, sperando che nessuno lo riconoscesse, e pregando affinché quella ragazza bionda di spalle a una ventina di metri da lì fosse lei. Arrivò finalmente a quella ragazza e appoggiò la mano sopra la sua spalla, questa si girò. Non era lei. Un colpo al cuore. 
Sussurrò un “mi scusi” velocemente e tornò a guardarsi intorno. 
Vide un aereo sulla pista pronto a decollare. Si avvicinò alla vetrata che dava sulla pista, si morse il labbro inferiore, completamente demoralizzato. Sospirò, scosse la testa.
Non ce l'aveva fatta. Quell'aereo era diretto in New Jersey, e probabilmente June era proprio lì dentro. 
“Se la ami, devi lasciarla andare” qualcuno aveva detto, una volta. Probabilmente è vero, ma è incredibilmente triste, deludente, e demoralizzante. 
Joseph tirò un sospiro, e si diresse verso l'uscita. 
-Joe Jonas? - chiese una ragazza, una fan.
-Sì. - disse.
-Possiamo fare una foto? - chiese lei
-Certo – accennò un sorriso, e la ragazza scattò la fotografia.
-Ma, i Jonas Brothers si sono sciolti davvero? - chiese lei. 
Joseph si fece scappare un sorriso. 
-No, i Jonas sono tornati, e più forti di prima. - affermò 
-Davvero? - chiese ancora lei, incredula. 
-Davvero … e spargi la voce, i Jonas Brothers non si sciolgono, nonostante quello che ho detto, ero soltanto arrabbiato. - annuì il ragazzo. 
-Lo farò. Grazie di tutto, davvero. - disse la ragazza allontanandosi e prendendo il cellulare in mano. 
Joe riprese a camminare tra tutta quella gente, che frettolosamente cercava di prendere il proprio volo, proprio come lui stesso aveva fatto milioni di volte. 
Uscì dallo stabilimento, e si appoggiò a una delle colonne che sorreggeva lo spazio coperto  davanti all'entrata. Si lasciò scivolare sulla colonna e si sedette a terra, fregandosene del fatto che qualcuno l'avrebbe potuto riconoscere e fotografare. Stropicciandosi gli occhi cercò di trovare un lato positivo a tutto quello che era accaduto, ma non lo trovò. 
Chiuse gli occhi, e si perse nel buio; quando li riaprì, credé di sognare. Trenta metri più avanti, June stava salendo su un taxi, con dei biglietti aerei in mano: non aveva preso quell'aereo, era passata all'aeroporto soltanto per comprare i biglietti del volo.
Joe si alzò di scatto, e corse verso quel taxi già in moto, ma era partito troppo velocemente per poterlo raggiungere a piedi. 
Mentre Joseph correva di nuovo verso la sua auto, sotto la pioggia, sempre più fitta, stava rivalutando i lati positivi: era ancora in città, e non era con Andy. 
Molto meglio. 
Quando salì sulla sua macchina, il taxi giallo di June si era già confuso tra tutte le macchine. Si guardò intorno sperando di scorgerla attraverso uno di quei finestrini. Troppe persone, troppe macchine, troppo traffico. Il cuore andava troppo forte per concentrarsi davvero. 
Si mise a pensare. Sentiva che non sarebbe andata nel suo appartamento, era soltanto una sensazione, o soltanto l'unica spiegazione del perché lei tenesse il cellulare spento: voleva restare da sola. 
Se voleva restare da sola, probabilmente, sarebbe andata in quel luogo. Forse, quasi certamente. 
Guardò il cielo. Pioveva a dirotto. E se non fosse andata dove credeva lui?
Doveva provarci, o, al massimo, l'avrebbe richiamata. 
Sull'asfalto bagnato le gocce d'acqua cadevano sempre più fitte, proprio come quando si erano rincontrati. La pioggia l'aveva costretta a restare a parlare con lui, e avevano fatto pace. La pioggia era sempre stata qualcosa di positivo per loro, doveva pur significare qualcosa.  
Il cielo grigio copriva quella città quasi sempre baciata dai raggi del sole, e quella pioggia si stava sempre di più trasformando in una forte grandine. 
Quei venti minuti trascorsi il macchina gli sembrarono un'eternità, quando spense la vettura e uscì sotto quella tempesta sbattendo forte lo sportello della macchina, si chiese se fossero passati soltanto dei minuti o degli anni. 
Si guardò intorno non riuscendo più a distinguere il rumore della pioggia da quello del moto delle onde del mare che si infrangevano sulla scogliera con sempre più impeto. 
Un fulmine squarciò il cielo quando Joe cominciò a correre. Quelle gocce d'acqua che scendevano dal cielo sembrarono cadere sempre più potenti sul corpo del ragazzo che correva come mai aveva fatto prima. Credette di sognare quando alzò lo sguardo, e  la vide appena affacciata a quel faro, con quel suo vestito azzurro che le scendeva lungo il corpo con un'eleganza e impeccabilità che mai aveva visto prima.
Il cuore gli stava per scoppiare in petto, a causa della velocità delle sue gambe, ma non gli importava. Doveva essere veloce. Non poteva più aspettare. 
Arrivò davanti a quella porta scricchiolante e la spalancò salendo su per le scale a chiocciola. Quando giunse alla fine, una folata di aria congelata lo accolse.
Tra un respiro affannato e l'altro, guardandosi intorno, la chiamò. 
-June … June! 
Si sentirono dei passi e la ragazza comparì davanti all'amico con un'espressione abbastanza sconvolta. 
-Joe, che ci fai qui? - chiese lei andandogli vicino e posando la sua borsa a terra. 
-Sei tutto zuppo Joe, qui ti viene una polmonite! - gli disse. - Aspetta. 
Così prese un pacchetto di fazzoletti dalla borsa che aveva appena buttato a terra. 
Ne prese uno e cominciò a asciugargli il viso. 
Aveva la camicia bianca tutta bagnata che gli aderiva perfettamente al corpo, quel corpo che non era più di un ragazzino, ma di un uomo, un giovane uomo. 
June non poté evitare di ammettere a se stessa che quel ragazzo fosse assolutamente sexy tutto bagnato. 
-Ma hai corso? Perché? - gli chiese mentre lui si era completamente fissato a guardare nei suoi occhi. Lei abbassò lo sguardo arrossendo leggermente, senza farsi notare da lui, per prendere un altro fazzoletto.
Lei tornò ad asciugarlo, sul collo questa volta. Lo sguardo di lui si faceva sempre più intenso e sempre più vicino. 
-Joe, perché sei qui? -  chiese di nuovo lei, a disagio, con un cuore che le accelerava sempre di più
-Sono qui per te – rispose con un filo di voce. 
 
 
May 2008
Quella sedia su cui June era da più di un'ora era scomodissima, proprio come tutte le altre sedie di quella scuola d'altronde. Le ore di matematica di solito erano quelle che seguiva di più ma in quei giorni non aveva proprio voglia di fare più nulla, anche perché tutte le verifiche e i compiti erano terminati e sarebbe stato da pazzi continuare a studiare senza motivo. 
Mentre dall'ultimo banco della classe fantasticava ad occhi aperti, senza seguire mezza parola di quel che diceva il professore, vide qualcosa fuori dalla finestra. Mise a fuoco la vista e notò che non era un qualcosa ma un qualcuno, più esattamente un ragazzo, di spalle. 
Aveva capelli neri corvini, piastrati, proprio come quelli del suo migliore amico. Sorrise al ricordo di Joe, le mancava tanto. Beh Joseph era ancora in tour in giro per l'America, non sarebbe mai potuto essere lui. Proprio quando stava per girare la testa verso qualche altra direzione nella stanza, il ragazzo si girò. Era Joseph che come un cretino la salutava dalla finestra. Lei si aprì in un sorriso che poi soppresse. Gli lanciò un'occhiata, e un segno per comunicargli di stare giù, non voleva che tutti in quella classe sapessero che June, la ragazza a cui piace il baseball, il maschiaccio della scuola, fosse la migliore amica del cantante di moda del momento. 
Alzò la mano, interrompendo il professore, chiedendo di uscire. 
Il professore sconfortato perché stava aspettando una risposta da un alunno a quel problema da mezz'ora ormai, acconsentì chiedendosi perché avesse scelto di insegnare invece di fare l'ingegnere. 
June si alzò e con un sorriso enorme si diresse fuori dalla scuola. 
-Joe! Joe! - lo chiamò guardandosi intorno. - dove sei?
-Eccomi Signorina Robinson! - disse lui spuntando dall'angolo più vicino. 
-Joe! - disse sorridendo con gli occhi oltre che con le labbra e correndo verso di lui per poi saltargli letteralmente addosso. - Joe! - ripeté di nuovo più piano questa volta, mentre Joseph la teneva sollevata da terra e lei gli teneva le mani intorno al collo. Sembrava una bambina che salta in braccio al padre. Quando si decise di tornare con i piedi per terra non ne volle comunque sapere di sciogliere l'abbraccio. 
-June – disse lui sorridendo.
-Ascolta, è da troppo tempo che non ci vediamo quindi stai in silenzio e continua ad abbracciami Jonas! - gli ordinò, e lui fece quel che gli era stato detto.
-Perché sei qui? - chiese lei sorridendogli una volta aver sciolto l'abbraccio. 
-Sono qui per te – confessò lui. 
-Cosa? - chiese conferma alzando le sue sopracciglia così bionde, quasi bianche, da non vedersi. 
-Cioè i Jonas hanno un'intervista domani sera da David Letterman, e sono venuto qui per salutarti, visto che è da troppo che non ci vediamo. -rettificò. 
-Sei stato dolce, lo sai? - disse lei. - dovrei sentirmi lusingata! chissà quante “Jonatics” pagherebbero oro per qualcosa del genere da parte del JoBros con il ciuffo! - così dicendo scompigliò i capelli del cantante. 
-Che scema che sei! - sorrise lui  - io non sono il JoBros con il ciuffo, io sono Shane Gray! 
-Ancora meglio allora, la rock star in crisi con se stessa! - rise lei. -No davvero stasera vieni a casa mia e ci mangiamo una pizza che mi devi raccontare tantissime cose, e io te ne devo raccontare almeno il doppio! 
-Ci sto. -sorrise lui. 
 
 
-Per me? - chiese lei. Lui annuì. 
-Dovevo farti alcune domande, e non potevo più rimandare. - affermò lui con voce tremante, non sapeva neanche lui se a causa del freddo o della paura. 
-Beh, dimmi. - lo incoraggiò
Joseph chiuse gli occhi e si maledì per non essersi imparato a memoria un discorso da farle, discorso che si sarebbe di sicuro dimenticato. 
-Hai mai evitato di dire qualcosa a una persona? Nel senso, che c'era qualcosa che dovevi dire in un momento, o anche in più momenti, ma non gliel'hai mai detto. - disse, cercando di trovare le parole giuste. Lei annuì, spingendolo ad andare avanti. 
-Sì, ma … - lo interruppe lei. 
-Ascolta … non … non interrompermi, ok? Annuisci soltanto. Altrimenti neanche questa sarà la volta giusta. -la pregò lui. 
-Ok – acconsentì June. 
Joe afferrò la mano della ragazza intrecciandola con la sua, e continuò a parlare. 
-Conosci quella sensazione che hai quando per non mettere a repentaglio tutto quello che hai ti limiti ad adattarti? - chiese di nuovo e fece un sospiro – Però sai che in tutto quello che fai c'è qualcosa che manca, che ci dovrebbe essere, ma che non c'è. - June annuì di nuovo.
-Allora provi a eliminarla completamente, sperando in quel modo di stare meglio, ma quello che fai non fa altro che peggiorare le cose, ed è quello il momento in cui ti accorgi di dipendere da qualcun altro, senza il quale la propria vita non è completa. Quella persona per cui vale la pena alzarsi la mattina, e arrivare fino alla sera; quella persona per lui vale la pena vivere la propria vita. La stessa persona con cui ti ci diverti, ci scherzi, e giochi proprio come un bambino … - Joe si fece scappare un sorriso - e sopratutto puoi essere te stesso. Nessun Joe Jonas dei Jonas Brothers, nessuna immagine falsa, nessuna relazione inventata, nessun bacio finto. Basta soltanto essere Joe. - Joseph continuava a guardare June che si stava mordendo il labbro inferiore nervosamente, agitata, con il cuore a mille e sull'orlo di piangere. -E quella gelosia di chiunque si avvicini a lei, quella stessa gelosia che non avrebbe motivo di esserci eppure c'è sempre e comunque. Perché il vero amore potrebbe essere dietro l'angolo, e basta un attimo per essere anticipato da qualcun altro. Dopodiché non ci sarebbe più nulla da fare, e quella parte mancante della propria vita non la si potrà avere mai. E in qualunque modo si cerchi di sostituirla non sarà mai come quella originale. Per questo non ho potuto aspettare, June. Per questo sono qui. Voglio la mia vita completa. E l'unico modo per averla completa e stupenda, sei tu June. Sei solo e soltanto tu, nessun'altra. Perché io ti amo … da sempre, dalla prima elementare.  Tu, June, vuoi rendere la mia vita completa? - le chiese il ragazzo, guardandola negli occhi mentre con la mano libera le accarezzava dolcemente la guancia. 
June fece in tempo a sentire un ultimo respiro del cantante sulla sua pelle prima di sentire le labbra del ragazzo sulle sue. Un bacio tanto desiderato, per anni sognato, temuto e ora ottenuto. Un bacio dolce e sempre più passionale. Le braccia bagnate e fredde di lui che cingono lei. Quella dolcezza e quell'amore, quell'attesa finalmente ripagata per lui, quella sorpresa così inaspettata per lei.
Non importava se lui stava bagnando lei, non importava se si stavano spingendo sotto la pioggia, non importava se un giorno avrebbero potuto rovinare tutto con un litigio, non importava nulla in quel momento in cui finalmente tutto quell'amore era venuto fuori. 
Quando si staccarono, si guardarono per un momento, e lei si decise a parlare. 
-Sì, sì che lo voglio. - affermò con un sorriso. 
-Davvero? - chiese lui con un sorriso. 
-Davvero. - rispose lei e lui tornò a baciarla, più calorosamente di prima. 
La pioggia aveva ormai bagnato entrambi, ma allora non importava, perché a loro piaceva stare lì, proprio in quel luogo sotto la pioggia fredda e il loro caldo amore, nessuno dei due sarebbe voluto essere da un’altra parte in quel momento. Era tutto estremamente perfetto così com’era. 
Due ragazzi, due migliori amici, due innamorati che si baciano sotto le lacrime del cielo. Tutte quelle frasi non dette, quelle azione non compiute, quelle domande senza risposta, in quel momento avevano finalmente un senso. Mente l’uno si inebriava del profumo dell’altra, e i loro occhi si facevano sempre più lucidi, quell’amicizia si trasformava in amore, in un amore che sarebbe stato fedele e soprattutto eterno.
-Perché non me lo hai mai detto? – chiese June tra un bacio e l’altro
-Avevo paura di perderti. – confessò lui sistemandole quei suoi capelli bagnati dietro l’orecchio. – e tu vali troppo per essere persa. 
-Ti amo Joseph Adam Jonas. – le sussurrò lei all’orecchio. 
-Ti amo anche io .. – rispose lui stringendola a lui. – quando lo dirai a Andy?
June lo guardò interdetta. 
-Non sto più con Andy, da quando mi ha portato alla partita dei Lakers, ma tu quella sera eri troppo arrabbiato, ma soprattutto geloso per parlare.- lo informò June con un sorriso che la diceva lunga. 
-Non stai più con lui? – chiese di nuovo Joe. 
-No, non più, era uno stronzo, voleva soltanto portarmi a letto – sentenziò lei. 
-Lo dicevo io. Fammelo incontrare che lo ammazzo di botte. – disse lui. 
-Ehm no. Ce le prenderesti tu, quindi meglio di no. – lo sminuì June.
-Guarda questa che mi sottovaluta!! – disse alzandola da terra a mo’ sacco di patate. 
-Joe! Mettimi giù! Ora! – gridò lei – mi rimangio quello che ho detto su di te, ti prego!
Lui si decise a farla tornare con i piedi per terra.
-Finalmente! – disse sistemandosi i vestiti. – sai che devo partire per Natale vero? Devo andare a New York. 
-Per forza?- chiese Joe, di nuoto rattristato. 
-Sì. Devo tornare da papà e Ben – disse lei, mentre lui continuava a fissare quegli occhi color  oceano, che tanto gli piacevano. Non si sarebbe mai stancato di guardarli. 
Le onde del mare agitato si infransero per l’ennesima volta su quella alta scogliera, spruzzi d’acqua  si alzarono in aria verso quel cielo plumbeo. 
La nebbia  rendeva quasi impossibile vedere quel faro abbandonato ma ancora in funzione sulla cima del precipizio. Aveva appena smesso di piovere e le nuvole che oscuravano quel cielo sempre più scuro prospettavano la venuta di un’altra intensa pioggia. 
Due sagome scure si appoggiavano alla ringhiera di quel faro, parlavano, si baciavano. 
-Ti prego non te ne andare, resta con me - la supplicò lui sussurrandole quelle parole, implorandola di non lasciarlo.
-Non posso tesoro, lo sai-rispose lei dolcemente accarezzando il viso del giovane ispido a causa della barba.
-Ma io non riesco a stare senza te.
-Starò via soltanto per un po’, poi tornerò.
-Promesso?
-Promesso.
-Non posso venire con te, vero? – chiese lui con uno sguardo che avrebbe sciolto il più duro dei cuori. 
-In verità potresti, ma non so ci sono ancora biglietti per il volo di domani. – rispose lei. 
-Mmmmh – si mise a pensare – per il tour americano dei Jonas Brothers abbiamo affittato un aereo privato, quindi credo che posso anche usare quello. – affermò aprendosi in un sorriso. 
-Quindi vieni? – chiese lei. 
-Certo che vengo. – rispose lui, e lei gli saltò al collo.
Nello stesso modo in cui si erano rincontrati; si erano dichiarati amore, in quello strano luogo in cima ad un precipizio, su un faro. Forse era stata soltanto una coincidenza, ma quel posto aveva rappresentato qualcosa di davvero speciale e unico per entrambi. 
Probabilmente se avessero continuato la loro vita senza mai più rincontrarsi, avrebbero trovato un’altra persona importate con cui trascorrere la vita, eppure non sarebbe stata come l’anima gemella. Perché quello erano, June e Joe erano anime gemelle. Si completavano così perfettamente da far pensare che non sarebbero mai stati bene con qualcun altro. 
Erano cresciuti insieme, e si erano sempre voluti bene, fin dalla prima elementare. Non tutti sono fortunati come loro, non tutti riescono a trovare l’altra metà della mela in prima elementare. 
Se in quel giorno d’autunno non si fossero rincontrati, lei sarebbe affogata nelle lacrime mentre rimpiangeva il passato, mentre lui sarebbe affogato nelle sue lacrime causate dalla fine dei Jonas Brothers, le mille pressioni che la sua carriera gli riservava, e tutti i sensi di colpa che si sarebbe sentito addosso. 
Senza amore, sarebbero affogati nelle lacrime. Lui aveva salvato lei, e lei aveva salvato lui, con la sola forza dell’amore. 
 
 
This cliff I’m on is too steep to climb down
I need you to save me from drowning.

 







Bene ragazze, 
Anche "Lighthouse" è finita; beh quasi, manca ancora l'epilogo!
Vi rangrazio tutte, dalla prima all'ultima, chiunque abbia recensito, messo la storia nelle preferite, seguite o ricordate, e anche chi legge soltanto! Cioè c'è chi mi ha messo tra i propri scrittori preferiti! *-* io vi adoro!
Per non parlare dello scorso capitolo che ha ricevuto sei recensioni! davvero, siete state fantastiche! 
Ora, fatemi sapere che ne pensare di quest'ultimo capitolo, 
io ci tengo molto, come ad ogni ultimo capito di una fan fiction d'altronde. 
Un bacione enorme a tutte, 
vi voglio bene, davvero.
-Marta. 

ps: se volete contattarmi per qualunque cosa, ricordate che sono sempre disponibilissima sia qui su efp che qui su twitter

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Capitolo 26
*** Epilogue ***


Epilogue 
 
 
June fissava già da un po’ quei tre ragazzi dietro quel vetro così sottile. Vide Kevin sorridere, Nicholas rivolgersi a Ryan Seacrest, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro e Joseph girarsi verso di lei per farle un occhiolino. Arrossì leggermente rispondendo a quel gesto allo stesso modo. La ragazza si affacciò dalla finestra della radio e vide come l’intero stabilimento fosse letteralmente assediata dalle fan di Jonas Brothers. Sorrise e si disse che in quel momento nulla potesse andare meglio di così. 
-Il Madison Square Garden, ragazzi, stasera vi aspetta, avete battuto qualunque record di vendita finendo tutti i biglietti a disposizione in meno di 5 minuti. Siete emozionati a tornare a cantare qui a New York con così tanto successo? – chiese il presentatore radiofonico, e i tre si aprirono nell’ennesimo sorriso raggiante dell’intervista. 
-Siamo emozionatissimi. La cosa che più ci sorprende è che nonostante il fatto che è dal 2009 che non pubblichiamo più un album, e il nuovo non sia ancora uscito, la maggior parte delle nostre fan siano rimaste,e a queste se ne sono aggiunte altre. – rispose il minore dei tre 
-Loro non se ne sono mai andate,sono rimaste con noi, nel bene e nel male. Ci hanno sostenuto durante i nostri progetti da solisti, durante il reality show di Kevin, e anche quando io e Nick avevamo litigato, loro hanno creduto in noi più di quanto noi stessi abbiamo fatto. – aggiunse Joseph con gli occhi che gli brillavano. 
-Ed è proprio grazie ad una fan che il gruppo si è riunito. Senza di lei dubito che i Jonas Brothers sarebbero qui. – concluse Kevin suscitando l’attenzione di June, alla quale si fermo il cuore per un attimo, sperando che Ryan non continuasse a fare domande a proposito. 
-Ora ci hai fatto incuriosire Kevin, chi è questa ragazza? – chiese il conduttore. June considerò l’idea di scappare dalla finestra, ma vedendo che erano al ventesimo piano ci ripensò. 
-Lei è una nostra amica, da sempre; una delle nostre prime fan, e che sono sicuro non ci abbandonerà mai. – aggiunse Nicholas girandosi verso di June che scosse la testa. 
- Si chiama June, ed è proprio qui fuori. E credo proprio che per averlo detto, ora mi ucciderà. – concluse il mezzano dei Jonas Brothers. 
June si mise una mano sugli occhi, architettando un piano per uccidere il suo ragazzo una volta tornata a casa.
-Chi è? la ragazza bionda?- chiese Ryan Seacrest 
I tre annuirono. 
-Forza facciamola entrare! – esclamò il conduttore e lei cominciò a scuotere la testa e barrare gli occhi indietreggiando. 
I fratelli le facevano segno di entrare e lei continuava a tenersi a distanza debita. 
-La vado a prendere. – disse il moro sorridendo. Lascò le cuffie, si alzò e uscì dalla stanza di vetro. 
-Non ci pensare per niente Joe, non ci provare! – disse. 
-Avanti è un programma radiofonico, neanche ti vedono!- cercò di convincerla 
-Ci sono le telecamere, che riprendono tutto. Non sono scema- disse piano. 
-La fanno vedere in streaming su internet, dai ti vedranno un centinaio di persone che vuoi che sia. Io non rientro se non vieni con me. – la minacciò. Lei lo guardò malissimo. 
-Quando torniamo a casa vi uccido a tutti e tre, tu sarai il primo. – lo minacciò accettando di entrare. 
Joe si sedette di nuovo e fece accomodare June sulle sue gambe. Lei avrebbe preferito scavarsi una fossa in quel momento. Si stava sprofondando. 
-Eccola! Ciao June, come stai? – disse Ryan Seacrest. 
-Ciao a tutti, sto benissimo grazie – rispose diventando rossa. 
-Allora cosa hai fatto per rimettere insieme i Jonas Brothers?  – chiese il radiofonico. 
-Non ho fatto nulla di speciale. Ho soltanto fatto capire loro che stavano facendo una stupidaggine, ma in verità hanno fatto tutto da soli.- parlò lei velocemente, tanto da quasi non far capire le sue parole. 
-Bene, siamo tutti contenti che i Jonas siano tornati. Ma ora a tutti nasce una domanda, anzi forse più di una. Kevin è sposato e felicissimo, mentre su vuoi due ragazzi è da un po’ che non si sente qualcosa a proposito della vostra vita sentimentale. – disse rivolgendosi a Joe e Nick. – Cosa mi dici a proposito di te, Nick? Tutti sanno che la tua storia con Amber è finita, ora sei di nuovo innamorato di qualcuno?- chiese il conduttore. 
-Innamorato? – chiese il giovane, più a se stesso che al conduttore. – Sì, sono innamorato. 
Sorrise al pensiero che il giorno dopo sarebbe partito per l’Australia, ma questo non doveva saperlo nessuno al di fuori della sua famiglia. 
-E tu Joe? Sempre single e playboy? – chiese al mezzano. 
-Sai cosa c’è Ryan? Quando si trascorre tanto tempo in discoteca per dimenticare, quando tutto sembra non avere più senso, arriva quel momento in cui tutto viene a galla e non puoi più farlo affondare. Quel tutto che hai sempre cerato di nascondere, ma che non puoi evitare di vedere. Anche se cerchi di affondarlo, riaffiorerà sempre in superficie. – June si girò a guardarlo, ma lui non ricambiò lo sguardo altrimenti il nodo alla gola si sarebbe fatto più stretto e gli avrebbe impedito di parlare. - Non ci si può fare niente. Se si è sempre stati innamorati di qualcuno non si può nasconderlo all’infinito e prima o poi dovrai dirglielo. E quel “prima o poi” per me è arrivato tre giorni fa, quando ho detto a June che l’ho sempre amata. – disse lui, e lei poté giurare di aver visto gli occhi del ragazzo brillare. 
-E tu cosa hai risposto June? – chiese Ryan Seacrest. 
-Che lo amo anche io, e continuerò ad amarlo ogni giorno sempre di più. – sussurrò incontrando lo sguardo del cantante che le posò un bacio sulla tempia. 
-Ed ora, in anteprima mondiale, solo per voi, il nuovo singolo dei Jonas Brothers! – disse Ryan Seacrest facendo partire la canzone. La stessa canzone che tutti aspettavano da anni, e che avrebbe fatto cantare, ballare ed emozionare migliaia di fans. 


 
 
Chiusero la porta dietro di loro;  June prese sottobraccio Joe, stringendosi nel suo capotto. Il freddo di quella sera del 24 dicembre era pungente. In New Jersey si congela sempre di quei periodi, e quelle nuvole scure in cielo prospettavano una nevicata, o almeno era quello che tutti speravano quella sera. Cosa c’era di migliore di trovare tutta la città di  Wyckoff  ricoperta dalla neve la mattina del 25 dicembre? 
Piccole nuvolette di vapore si innalzavano in aria non appena uno dei due respirava o accennava a qualche parola. Avevano cenato insieme quella sera: famiglia Jonas e famiglia Robinson insieme per la notte di Natale. 
-Anche questa volta metterete i pigiami al contrario per far nevicare stanotte? – chiese la ragazza a lui che rise. Era una abitudine che ormai i tre fratelli ripetevano da anni quando erano tutti insieme nella loro casa del New Jersey. La notte tra il 24 e il 25 dicembre mettevano il pigiama al contrario e il giorno dopo come una magia tutto era coperto da una coltre bianca. 
-Non lo so, è da qualche anno che non lo facciamo, ma sono un po’ di anni che non trascorriamo il Natale qui tutti insieme, quindi potremmo anche tornare alle vecchie abitudini. – disse Joseph. 
-Io domani voglio tirarvi un bel po’ di palle di neve, visto quello che avete fatto da Ryan Seacrest. Non mi sono mai vendicata davvero. Quindi vedete di far nevicare – lo avvertì lei. 
-Ai suoi ordini, comandante – le disse dolcemente stringendosi a lei. – hai freddo?
-Soltanto un po’, ma se mi abbracci, Mr. Jonas, non ne avrò poi così tanto. – disse, e il giovane non se lo fece ripetere una seconda volta, e la avvolse in un abbraccio. 
Si sedettero su una panchina, e si sorrisero. 
-È in occasioni come questa che mi manca da morire . – disse June riferendosi alla madre, ma senza che lo specificasse lui capì subito. 
-Ci credo June, era tua mamma, tesoro. – le disse accarezzandole il viso con una mano, calda. 
- E poi rimango a pensare che, se non fossi andata su quel faro, noi non ci saremmo rincontrati. – osservò incontrando per un attimo gli occhi di lui e distogliendo lo sguardo subito dopo – se non fossi salita su quel faro, quel giorno, ora tu non staresti con me. – continuò – mi piace pensare che sia stata lei, in un certo senso, a mandarmi da te e a dirmi che sei sempre stato tu quello giusto. 
-Altrimenti non si spiegherebbe una coincidenza del genere. – aggiunse lui – è stata lei, lei che continua a vegliare su di te dall’alto. – disse lui intrecciando le sue mani calde con quelle fredde di lei. 
-Ti amo, lo sai? – disse lei, avvicinandosi al viso del cantante. 
-Lo so – annuì Joseph, accostandosi a lei. La baciò sulle labbra, ancora ed ancora. Ogni volta che toccava le sue labbra, sembrava  come se fosse la prima volta. I sospiri caldi si mischiavano all’aria fredda, i cuori battevano all’unisono, e le labbra si cercavano dolcemente. 
Un fiocco di neve cadde sulla mano di Joseph che accarezzava la guancia di June, un altro sul cappotto di lei, un altro e un altro ancora. Stava nevicando, e c’era silenzio tutt’intorno a loro. Una quiete surreale, romantica e perfetta che nessuno avrebbe mai osato interrompere. 
-Ti amo anche io – le sussurrò guardandola negli occhi – da sempre, per sempre. 
Le sorrise come solo lui sapeva fare, e lei capì che non fingeva e non aveva mai finto: l’avrebbe davvero amata per sempre.
 
 
The End
 
















Buongiorno gente! 
Se ve lo stavate chiedendo, no, non sono morta! 
La scuola mi uccide, e  per di più ho deciso di cambiare completamente l'epilogo! 
Sapete quando rileggi e rileggi una cosa che hai scritto ma non ti convince mai a pieno?
Ecco è quello mi era successo con l'epilogo, quindi ho cancellato tutto e semplicemente ricominciato d'accapo, e questo è ciò che è venuto fuori. 
C'è chi ha proposto un continuo di questa FF, sinceramente ... non lo so, no ci ho pensato,
ma chissà se elaborerò qualcosa che mi convice, potrebbe anche succedere. 
E, ancora, non vi lascerò senza nulla da leggere per molto, non temete! La scuola sta per finire, meno di quattro settimane!
D'estate, si sa, è il periodo migliore per scrivere!
Si, mi sto rendendo conto che vi sto annoiando abbansta, quindi mi limito a ringraziare tutti quelli che hanno letto questa Fan Fiction, l'anno aggiunta nei preferiti, nei seguiti, e nelle storie da ricordare, e anche chi mi ha aggiunto come scrittrice preferita, davvero siete fantastiche, tutte, tutte fantastiche! 
In particolare un grazie speciale a _JosephinaJonas_, foolinlove, e theHeevsSky, che mi hanno seguito costantemente fin dall'inizio, grazie ragazze, davvero, senza di voi, questa storia non sarebbe andata da nessuna parte! ad anche LovatoLips_ , whoringtobehappy e _devvonesavedme che nonostante abbiano commentato soltanto negli ultimi capitoli, hanno lasciato recensioni stupende, davvero magnifiche, e non sapete quanto sono grata a tutte voi! 
Dopo il mio trattato durato giorni, vi saluto, un enorme grazie a tutti!
Quasi dimenticavo! un'ultima cosa: The Jonas Brothers are back! 
Un bacione a tutti, 
-Marta. 

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