Ritorno a Madrid

di fers94
(/viewuser.php?uid=163409)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi e verità ***
Capitolo 2: *** Bentornato a casa ***
Capitolo 3: *** Lei ***
Capitolo 4: *** Crederci ancora ***
Capitolo 5: *** Week-end d'azzardo ***
Capitolo 6: *** Profumo di nozze ***
Capitolo 7: *** Scomode realtà ***
Capitolo 8: *** In riva al mare ***
Capitolo 9: *** Quanto costa crescere ***
Capitolo 10: *** Al fianco di un angelo ***
Capitolo 11: *** Tuffi nel passato ***
Capitolo 12: *** Loro ***
Capitolo 13: *** Il peso del trascorso ***
Capitolo 14: *** Il sapore della saggezza ***
Capitolo 15: *** Grande intesa ***
Capitolo 16: *** Sulla tomba di un padre ***
Capitolo 17: *** L'amica di una volta ***
Capitolo 18: *** Folle piano romantico ***
Capitolo 19: *** Di nuovo in cinque ***
Capitolo 20: *** A tu per tu con il cielo ***
Capitolo 21: *** Ultimi preparativi ***
Capitolo 22: *** Oggi sposi ***
Capitolo 23: *** Da sogno ad incubo ***
Capitolo 24: *** Il prezzo della felicità ***
Capitolo 25: *** La bella addormentata ***
Capitolo 26: *** La zia di New York ***
Capitolo 27: *** Pensieri dai vecchi tempi ***
Capitolo 28: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 29: *** Perdonare ***
Capitolo 30: *** Colloquio con un vigliacco ***
Capitolo 31: *** Il buon vecchio maestro ***
Capitolo 32: *** Gli occhi di un figlio ***
Capitolo 33: *** Bianco ***
Capitolo 34: *** Scavalcare il confine ***
Capitolo 35: *** Quei cinquantadue giorni ***
Capitolo 36: *** La strada per tornare a vivere ***
Capitolo 37: *** Questa è la mia vita ***



Capitolo 1
*** Ricordi e verità ***


1. Ricordi e verità
 
 
Passarono tre anni da quando lasciai Madrid per andare a Malaga con Marta. Tre lunghi anni. E non andarono affatto bene. Fin dai primi tempi del nostro trasferimento, non abbiamo fatto altro che discutere. Non possiamo convivere assolutamente. Non è una cosa fattibile. In tre anni ci abbiamo provato con tutte le forze, ma nulla. Tre anni di sforzi per convincerci di potercela fare, che poi si sono rivelati un totale fallimento; non solo per quanto riguarda la nostra convivenza, ma anche per la nostra relazione. Già, tre anni per capire che è finita, anzi, che non è neppure mai incominciata. La verità è che ho cercato di amarla per buttarmi dietro la mia storia con Silvia. Lei sì che l'ho amata, moltissimo. E lei amava me. Fin quando non è rimasta incinta. Innanzitutto, non me lo disse. Non so se per paura di una mia reazione, per un suo freno interiore o perché non riusciva ad accettare quel bambino per lei. So solo che non me lo disse. Lo venni a sapere quando lo perse, quel mio figlio, durante una delle tante gare di ballo. Studiavamo insieme alla Carmen Arrànz di Madrid, dove studiava anche Marta, la più importante scuola di arti sceniche di tutta la Spagna. Io studiavo principalmente per recitare, ma seguivo regolarmente anche le lezioni di canto e ballo. Silvia è la nipote della codirettrice della scuola, Alicia Jauregui, ex prima ballerina di Budapest, e voleva seguire le orme della zia: diventare un'ottima ballerina. Giuro che ballava davvero in maniera favolosa. Insomma, ci siamo conosciuti lì. Fisicamente mi piacque da subito, ma mi innamorai di lei pian piano durante il corso del primo anno. Ed a fine anno, tirai fuori quello che avevo dentro. All'epoca lei era fidanzata con Pedro, che era il mio compagno di stanza. Io ero preoccupato per la mia dubbia promozione al secondo anno ed ero rannicchiato nella stanza costumi a piangermi addosso. In quel periodo, Silvia cercava sempre di darmi una mano con gli studi, perciò avevamo preso confidenza. Mentre piangevo, Silvia entrò nella stanza e chiuse la porta, quasi sapesse con certezza che mi trovavo lì a rimproverarmi. Mi guardò e mi vide in quello stato, così cercò di rassicurarmi, dicendomi che mi avrebbero promosso. E fu lì che, guardandola negli occhi dopo un abbraccio, mi resi conto che la volevo. La volevo come mia donna, non mi interessava di Pedro, volevo fosse mia, volevo poterla amare. Allora la baciai. Lei oppose resistenza per un paio di volte, dicendomi che non poteva e cercando di allontanarmi, ma io insistetti e alla fine lei si lasciò andare. Tutto il mondo era fuori da quella stanza costumi, dove stavamo facendo l'amore, isolati da tutto e tutti. Lei poi si ricompose frettolosamente e scappò via. Io venni promosso, naturalmente anche lei, ed il giorno dopo (che era anche l'ultimo del primo anno) ci ritrovammo nell'aula magna a festeggiare. C'eravamo io, lei, Pedro, Lola e Ingrid (le compagne di stanza di Silvia). Pedro non sapeva nulla, Silvia non aveva avuto il coraggio di dirgli quel che era successo. E io seppi lì che stavano insieme. Da un paio di giorni. Così, durante l'esame finale di recitazione, fui io a raccontargli tutto, davanti a Silvia e le altre. Lui le chiese se fosse vero, e lei non rispose, con le lacrime agli occhi. Non era mia intenzione farla star male, ma dovevamo andare incontro alla realtà, tutti. Era palese che io e lei ci volevamo e che lei non voleva Pedro. Non lo amava, io lo sapevo da troppo tempo. Io e Pedro ci prendemmo a cazzotti, mentre Silvia piangeva. Non avevo idea cosa sarebbe successo, allora. Pedro aveva saputo di essere cornuto dopo appena due giorni, Silvia verso di me sembrava incerta. Pedro l'avrebbe perdonata? Lei sarebbe tornata da lui o sarebbe venuta da me? Nonostante ciò, suonata quell'ultima campanella, li vidi andar via insieme. Non potevo crederci. Andai verso la mia moto e mi resi conto che la vacanza a Maiorca l'avrei fatta da solo. Mi misi il casco e stavo per salire in sella parecchio rammaricato, quando sentii la sua voce chiamarmi. Mi girai e vidi che era proprio lei. Mi abbracciò piangendo. Io mi tolsi il casco, la baciai e le dissi "Ti amo" e lei rispose lo stesso. Le chiesi se quindi sarebbe venuta con me e lei confermò. Fu così che cominciò tutto. Mi raccontò che Pedro, una volta saliti in macchina, le aveva detto che se voleva venire con me doveva farlo, se la rendeva felice. Dopo non aver sentito risposta, Pedro scese dalla macchina e Silvia mi corse incontro. Allora partimmo e trascorremmo l'estate a Maiorca. Fu l'estate più bella della mia vita. Stavamo insieme 24 ore su 24, sempre in spiaggia o in moto. Finita l'estate, tornammo insieme alla Carmen Arrànz per il secondo anno. I primi due mesi furono mesi felici, Pedro ci aveva anche perdonato, poi in quel periodo era conteso tra Lola e Marta. Già, proprio Marta... In ogni caso, dopo questi mesi di stabilità, Silvia iniziò ad essere tremendamente gelosa di me. Litigavamo spesso, poi ci ritrovavamo, ma era un periodo abbastanza delicato. E poi rimase incinta. Io non seppi nulla finché quel bambino non lo perse dopo aver ballato. Naturalmente, essendo incinta, avrebbe dovuto evitare ogni esibizione, ma la sua voglia di ballare sovrastò il bene del bambino. Dopo aver accusato il malore, portarono Silvia in ospedale e ovviamente la accompagnai anch'io. Lì mi dissero che era incinta ed aveva appena perso il bambino. Dopo la notizia piansi moltissimo, sia per quel figlio già perduto, sia perché Silvia me ne aveva tenuto all'oscuro. Perché non me ne aveva parlato? Ci amavamo, seppure fra alti e bassi. Quando Silvia fu dimessa, le chiesi un chiarimento. Purtroppo, quel maledetto chiarimento sfociò in una brutta discussione, che segnò per sempre il nostro amore. Mi disse che non voleva stare più con me. In quella discussione alzai la voce, ero molto sotto pressione, e tra le altre cose, ruppi con rabbia un vetro. Silvia mi disse che di uno come me poteva solo aver paura e mi lasciò. Per giorni e giorni non ci parlammo. Poi pian piano a lezione le vidi tornare il sorriso e mi resi conto che la sua felicità era l'unica cosa che contava. A me bastava vederla felice, con o senza di me, ed allora ero felice anch'io. Dopo esserci lasciati, dopo aver attutito il colpo ed aver sorpassato i difficili primi tempi, restammo però molto legati, trascorrendo parecchio tempo insieme malgrado il malomodo in cui avevamo rotto. Io le chiesi più volte una seconda opportunità dicendole che l'amavo, ma lei non me la concesse mai. Nel frattempo nella sua vita ricomparve un suo ex, Alvaro, con il quale Silvia tentò di riprendere una relazione. Lui però la mise solo in un gran casino, prestandole un'auto che, all'insaputa di Silvia, egli aveva rubato e che tra l'altro era stracolma di cocaina. Silvia venne fermata dalla polizia ed allora arrestata ed io, venuto a saperlo da sua zia, andai più volte a trovarla in carcere durante la sua breve detenzione. Già, la trattennero perché Alvaro era fuggito fregandosene, ed ogni colpa era ricaduta su di lei. Grazie alla schiera di avvocati amici di famiglia di Silvia, questa riuscì a venirne fuori e tornò in libertà, ripresentandosi a scuola. Alvaro si rifece allora vivo con lei, apparendo proprio a scuola. Io lo vidi parlare con lei in quell'occasione e tentai di bloccarlo per poi farlo arrestare, ma Silvia me lo impedì dicendomi che lui era l'uomo che amava. Inoltre, non fece il suo nome nella deposizione, come per proteggerlo, ma Alvaro venne comunque ricercato e considerato latitante. Il giorno dopo, Silvia decise di fuggire con lui a Parigi. Non le importava nulla della scuola, della danza e dei suoi progetti; voleva solo seguire quel criminale. Cercai di impedirle anche questa fuga, presentandomi nella sua stanza mentre si preparava la valigia. Le chiesi di rimanere a Madrid per me, perché l'amavo, ma lei mi disse che era troppo tardi, così le dissi che allora avrei chiamato la polizia; a quel punto Silvia sospirò, mi diede un bacio sulla bocca e se ne andò via. Io non ebbi il coraggio di chiamare la polizia, perché sapevo che, così facendo, l'avrei sbattuta di nuovo in galera, e siccome l'amavo, non potevo farlo. L'avevo persa. Fortunatamente però, prima che Silvia potesse raggiungere Alvaro, la polizia riuscì a fermarlo ed arrestarlo, e Silvia venne automaticamente fuori da tutto quel casino. Un paio di mesi dopo, quando iniziai a lavorare con una piccola parte come attore in una soap, fui ingiustamente accusato di stupro e molestie da parte di una collega. Non era assolutamente vero. Dopo un ciak, io e quella ragazza finimmo a letto, ma fu tutt'altro che stupro. Ovviamente lei era consenziente, ci mancherebbe. Ricevuta quest'accusa, fui subito espulso dalla scuola, in attesa del processo. Tutti persero la fiducia in me, mi sentivo sporco anche se non ero colpevole, tutti mi insultarono e mi derisero. Tranne due persone: Pedro e Silvia. No, non stavano insieme, ma dopotutto erano rimasti amici. Ricordo molto bene quella sera: avevo fatto il borsone e stavo lasciando la scuola, distrutto. Mi chiedevo perché quella ragazza mi avesse rivolto accuse così tanto infamanti senza alcun motivo ed ero davvero a pezzi. Uscito dalla camera, mi diressi verso la rampa per salire al piano superiore ed andare da mio padre, anche se alla fine mi toccò alloggiare in un albergo lì vicino, visto che lui non mi credette e mi cacciò. Ad ogni modo, lì vidi Pedro e Silvia che mi aspettavano a braccia conserte. Mi avvicinai e Silvia mi disse che anche se sapeva che purtroppo non contava molto, lei e Pedro non credevano all'accusa e stavano dalla mia parte. Mi venne vicino, mi baciò sulla bocca, poi mi abbracciò e dunque mi baciò di nuovo, un'ultima volta. Ci eravamo lasciati da tempo, e dopo che lei voleva fuggire con Alvaro avevamo perso parecchia della confidenza che avevamo a fatica costruito dopo la fine della nostra relazione, eppure mi salutò così come se fosse normale, la cosa più naturale del mondo. Quello fu forse il segno che nonostante tutto quel che poteva accadere, un filo c'avrebbe sempre tenuto legati l'uno all'altra. Dopo l'ultimo bacio, tenni il mio viso vicino al suo per qualche altro istante, e sulle mie guance scivolarono le sue lacrime. Poi abbracciai Pedro, e capii che era una persona splendida, che nonostante il pesante torto che avevo commesso nei suoi confronti, lui per me c'era. Accennai un sorriso amaro per ringraziarli, e poi me ne andai. Il processo alla fine neppure fu fatto, la ragazza si scusò con me dicendomi che voleva solo fruttare soldi da quell'accusa e ritirò la denuncia, avendo capito di aver sbagliato. In realtà Pedro era riuscito a tenderle un tranello ed era riuscito a strapparle una confessione; il merito era più che altro suo, l'aveva fatto per aiutarmi. Io tornai a scuola, ricevendo le scuse di quegli altri che non mi avevano creduto, e quando Silvia mi vide rientrare sorridente, ricambiò il mio sorriso. Dopo tutto ciò, escluse storielle da poco conto, lei si innamorò di Horacio, nuovo insegnante di teatro, ed io iniziai a frequentare Marta, che si era da poco lasciata con Pedro. Lui ora stava con Lola, che era da sempre innamorata di lui, fin dai tempi della relazione con Silvia. Marta mi intrigava: la conobbi durante un casting esterno alla scuola, e subito mi fece capire che le interessavo. Un giorno mi rinfacciò di non essermi comportato bene con Silvia, mi disse anche che grazie a quel comportamento avevo una pessima nominata lì a scuola. Forse proprio perché ebbe il coraggio di parlarmi della mia storia con Silvia con tale sfacciataggine, provai ad intrecciare una relazione con lei, perché sembrava sapermi tenere testa, ed è quello che a me piace in una donna. A dire il vero però, non l'ho mai presa troppo sul serio; in fin dei conti, io e Silvia stavamo spesso a contatto per via degli amici comuni, della band fondata con Pedro, Lola, Ingrid e un buon musicista come Jero, dello stesso anno di frequentazione (e quindi l'obbligo di seguire le stesse lezioni) ecc. ed inconsciamente non ho mai smesso di pensare a lei. A fine ultimo anno poi, si è sposata in gran segreto a Las Vegas con Horacio. Nel frattempo continuavo a stare con Marta, per provare a distrarmi, ma non ne ero innamorato (tra le altre cose mentre stavo con lei andai anche a letto con la sua migliore amica), mentre controllavo che Silvia fosse almeno un po' felice con Horacio, anche se quell'uomo a me non era mai piaciuto. Già, ma due giorni prima della fine di quell'ultimo anno, appena dopo aver programmato il trasferimento a Malaga con Marta, venni a sapere che Silvia e Horacio si erano lasciati. Lui cercava di truffarla, le rubava soldi dal contocorrente senza che lei sapesse nulla non so per quale scopo. Le rubò inoltre anche l'anello del padre, scomparso pochi mesi prima, che Silvia gli aveva donato il giorno del matrimonio. Beh, lui se l'era venduto senza alcun scrupolo. Silvia si rese conto della truffa proprio dopo l'episodio dell'anello, così mollò Horacio e chiese allo Stato del Nevada di annullarle il matrimonio. Lo venni a sapere da Lola il penultimo giorno. Avevo ragione sul conto di Horacio, non era un brav'uomo come voleva sembrare. Lì mi venne voglia di andare a parlare con Silvia, farla sfogare e cercare di darle un appoggio come potevo, così come lei aveva fatto con me durante l'episodio dell'accusa di stupro. Ma non lo feci. E non lo feci perché se l'avessi fatto avrei ceduto, mi sarei accorto di amarla ancora e lo sapevo. E se mi fossi accorto di amarla, forse saremmo tornati insieme e forse le avrei dato nuovamente altre sofferenze. Io non avevo la certezza che stesse a pezzi ed avevo paura che se fossi andato da lei e se avessimo ceduto entrambi all'attrazione, avrei potuto farla soffrire ancora, ed era l'ultima cosa al mondo che volevo. Dovevo provare a farmi una vita insieme a Marta, provare ad essere felice con lei. Sperando che Silvia avrebbe trovato a Madrid la sua di felicità. L'ultimo giorno, dopo la festa di fine anno però, mi sono sentito in dovere almeno di salutarla prima di partire. Non potevo andarmene senza abbracciarla un'ultima volta. Ero lì a ballare con Marta e vidi Silvia vicino alla rampa che salutava Lola. Chiesi a Marta un attimo, lei annuì e si mise a ballare con un'amica. Mi avvicinai a Silvia, non avendo assolutamente in mente cosa dirle. Appena lei e Lola mi videro, si guardarono; poi Lola mi diede due baci sulla guancia e mi disse che più tardi mi avrebbe salutato meglio, poi andò via. Se ne andò come se si sentisse in dovere di lasciarci soli, di concederci un momento d'intimità, l'ultimo nostro momento. Eravamo solo io e lei, in quel momento. Sospirai profondamente, poi l'abbracciai forte. Le baciai la fronte, e lei cominciò a piangere. Ci stringemmo, poi per l'ennesima volta le asciugai le lacrime. Le dissi che mi dispiaceva per quello che era successo con Horacio e le dissi anche che doveva provare a dimenticare e tranquillizarsi. Me lo promise, poi mi ringraziò. Ricordo ancora le sue parole: "Comunque grazie, per tutto. Per esserci stato, sempre. Sei una bellissima persona... Ti voglio davvero bene!". Sentite quelle parole, anch'io mi misi a piangere come un bambino. L'abbracciai ancora, tra i mille singhiozzi. Nella mia mente passarono tutte le immagini di quei quattro anni all'Arrànz con Silvia, poi mi ritrai dall'abbraccio, le presi il volto tra le mani e mi lasciai andare ad un fiume di parole, che mi vennero in testa al momento, impulsivamente. Per essere precisi, ecco quel che le dissi: "Tesoro, io parto. Vado a vivere a Malaga con Marta. Provo a farmi una vita nuova. Evidentemente doveva andare così, noi due divisi. È come se il destino ce lo avesse chiesto di separarci, per il bene nostro. Ma a me interessa che tu sappia una cosa. Devi sapere che sei stata la miglior persona conosciuta qui, e forse anche in tutta la mia vita. Mi piange il cuore pensando a quanto dolore ti ho ingiustamente dato, so bene che meriti di molto meglio. Per questo me ne vado, non voglio che tu soffra più. Voglio che tu sia felice, indipendentemente se con me accanto. Ho capito che è difficile stare con uno come me, fa solo soffrire. Perciò è meglio che io da te stia lontano. Credimi, è meglio così. Però sappi che io ti amo, l'ho sempre fatto e lo continuerò a fare per sempre. Non ho mai smesso. Nonostante in questi ultimi anni non abbiamo fatto altro che ignorarci e mostrarci indifferenza. Ora tu starai certamente pensando che faccio schifo nello stare con Marta non amandola se è vero quel che dico. Beh, quel che dico è vero. Per quanto riguarda Marta, io vorrei provare a vedere come va. Magari non amandola intensamente come amo te, riuscirò a renderla felice senza sofferenze. Ma se io stessi con te ti amerei tanto profondamente da non riuscire a rendermi conto se commetto qualcosa che ti fa soffrire. Lo so, è un discorso abbastanza strano, ma posso garantirti che è vero. Ti auguro tutto il bene del mondo, tutta la felicità possibile. È meglio dirsi addio definitivamente, d'accordo? È stato bello da morire, ma è giusto così. Ti amo, tesoro. Buona fortuna...". Detto ciò, un'altra lacrima mi scese sul volto. Lei me la asciugò con una carezza, poi non disse assolutamente nulla. Finimmo per fare fugacemente l'amore nel teatro della scuola, completamente deserto. Fu il nostro modo di dirci addio. Le ripetei che l'amavo, poi ci diedimo quell'ultimo sentitissimo bacio. Lei sorrise tristemente mentre mi guardava allontanarmi ed io mimavo con la bocca la parola "Perdonami", poi le mandai un bacio con la mano e mi voltai. Da allora, più nulla. Non mi sono voluto voltare indietro, sapevo che se l'avessi fatto, non avrei più avuto il coraggio di allontanarmi da lei. Tornai da Marta, ballammo un'altra oretta e poi andammo via. Dovevamo finire a fare i bagagli perchè la mattina dopo avevamo l'aereo per Malaga. E alla fine siamo partiti. Via da Madrid, via dall'Arrànz, via da Silvia. In questi tre anni ho provato a fare quel che avevo intenzione di fare, giuro di averci provato con ogni forza, ma ho fallito. Tre anni per capire che al cuor non si comanda, che non avrei dovuto andare contro i miei sentimenti. Anche quell'ultimo giorno ci amavamo, ma la mia paura di darle sofferenza mi ha costretto a rinunciare a lei. La rinuncia più sbagliata di tutta la mia vita. Sì, ho capito che lei per me è sempre stata indispensabile, e lo è ancor oggi come non lo è stata mai. Ho perso così tanto tempo credendo di poterla dimenticare, ma ho finalmente capito che non è possibile. L'amore vince tutto, hanno ragione questi vecchi proverbi. Quando non ce l'ho fatta più a reggere questa specie di farsa con Marta, le ho detto la verità. O meglio, le ho detto in faccia solo che era finita; mi ha cacciato di casa in lacrime, così ho preso una stanza nell'albergo a 250 metri da lì. Poi le ho scritto una lettera dove mi spiegavo meglio e gliel'ho spedita. Non so se se la sia sentita di leggerla, ma io ho provato a spiegarle la realtà dei fatti con quelle parole.
 
 
 
Cara Marta, ti prego di perdonarmi. Come ultima cosa, ti chiedo solo di leggere questa lettera prima di strapparla. Mi sei sempre piaciuta e ti ho sempre voluto un gran bene, ma il problema è che da parte mia, purtroppo, non c'è mai stato amore. Ho provato ad amarti, ma non ci sono riuscito. Ti starai forse chiedendo perché ho detto di amarti se non era vero, perché abbia deciso di vivere con te se non ti ho mai amata, perché ho trascorso questi anni con te. Voglio dirti davvero tutto, non meriti altre bugie. La ragione di tutto quel che è successo è Silvia. Amo lei, da sempre. E lo farò sempre, nonostante tutto e tutti. Volevo provare a credere che non fosse così, volevo dimenticarla perché in quella relazione ci fu troppa sofferenza. Tu mi piacevi, volevo provare a trovare un equilibrio con te. Ero convinto che ce l'avrei fatta. E invece no. Questi tre anni mi hanno fatto capire quel che sento veramente. La amo, ed io non posso farci nulla. Mi dispiace di aver fatto soffrire anche te. Mi vergogno di averti fatto credere cose non vere, convinto che di lì a poco vere lo sarebbero diventate, ma non è stato così. E' andato tutto come non doveva. Ci hai rimesso tu, non sai quanto io ne stia male, che tu ci creda o meno. Forse andrò a cercare Silvia a Madrid, o forse impazzirò. Non so cosa fare, ma continuare a ingannarti senza volerlo non mi sembra la cosa giusta. Spero che un giorno tu possa perdonarmi un errore tanto grande, ma ti capisco qualora non lo facessi. Sarebbe anche giusto. Ti auguro tanta fortuna e tutto il bene della terra, ed anche di trovare un uomo d'oro che ti ami davvero. Ora le nostre strade è giusto che si dividano. Ti chiedo ancora perdono. Ti voglio bene.    Rober
 
 
Questa fu la lettera. Non ebbi mai risposta, non ho mai saputo se l'abbia letta o meno. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bentornato a casa ***


2. Bentornato a casa
 
 
Aspettai altri due mesi e mezzo, prima di decidere quello che fare. Non sapevo se tentare casting di teatro magari in America, andare da papà e continuare l'azienda economica di famiglia ad Almeria, provare a farmi una vita solitaria chissà dove o tornare a Madrid. Già, tornare a Madrid per Silvia, ovviamente. Cercarla lì e dirle che nonostante i miei sforzi non sono riuscito a cancellarla. E magari vederla rispondere che anche per lei è così e che non aspettava altro che il mio ritorno. Magari. Tempo prima di mollare Marta, avevo parlato con Lola via Skype per sapere come stava. Lei vive a Los Angeles con Pedro, che è diventato un personaggio pubblico ben affermato e che continua ad amarla. Insomma, da lei era tutto a posto. Io le dissi che da me le cose non erano proprio ottime, ma che non potevo lamentarmi. Poi colsi l'occasione per chiederle di Silvia. Forse Lola aveva intuito i miei sentimenti o forse era stata proprio Silvia a parlargliene, in ogni caso abbozzò un sorrisetto alla mia domanda, poi rispose senza problemi. Mi disse che Silvia, finito l'ultimo anno, era rimasta all'Arrànz a lavorare come aiuto-insegnante nelle lezioni di danza ed inoltre conduceva studi di danza in una compagnia di balletto sempre lì a Madrid. Continuava a vivere nella camerata del piano inferiore dell'Arrànz, essendo dipendente all'interno della struttura, nonostante avesse una bellissima villa lì in città. Ma lei preferiva stare vicina al posto di lavoro. Non aveva bisogno di soldi, visto l'enorme patrimonio che aveva ereditato dopo la morte del padre, semplicemente lavorava con la danza per l'enorme passione che nutriva verso di essa. Carmen, la direttrice, aveva sempre creduto in lei e in lei aveva profonda stima, così a fine anno le aveva offerto quel posto di lavoro, che Silvia aveva accettato senza esitazioni. Bene, avrei quindi saputo anche dove trovarla, se avessi deciso di andare a cercarla. Ma io non avevo idea di che fare. È vero che Marta l'avevo lasciata, ma avevo il coraggio di ritornare pentito della fuga dalla ragazza che amo? E lei come l'avrebbe presa? Avrebbe potuto benissimo pensare che fossi poco uomo, dato il mio strano comportamento. Diamine, prima scappo dall'amare per paura di soffrire e far soffrire, scompaio per ben tre anni e poi magicamente riappaio dicendo che non posso fare a meno di lei. A parte il fatto che detta così sembra una soap, ma davvero avevo bisogno di buttare nel vuoto tre anni per capire che non dovevo lasciare Silvia sola a Madrid? Sbagliare è umano, ma fino a un certo punto. Silvia avrebbe potuto pensare che avrei utilizzato quei tre anni per spassarmela con Marta, poi una volta stufo fossi tornato da lei con la faccia da cane bastonato. Io però amandola, non riuscivo a ragionare. Mi feci un esame di coscienza, arrivando ad una sola certezza: i tre anni mi avevano detto una cosa soltanto, cioè che volevo stare con Silvia. Alle spiegazioni avrei pensato dopo, a giustificare ogni singola cazzata commessa. Per me contava lei, lei era la priorità, tutto il resto veniva dopo. Già se n'era andato troppo tempo, quindi decisi di partire per Madrid il prima possibile. Il pensiero di tornare all'Arrànz per la prima volta da ex allievo mi straniva; rivedere quelle mura, la mia stanza, il letto mio e quello di Pedro, le aule delle lezioni, la mensa, il bar, gli spogliatoi, il cortile e anche la famosa stanza costumi chissà che effetto mi avrebbe fatto. E quando pensavo che avrei rivisto Silvia cominciavo a non capire più nulla. Tra questi molteplici pensieri, presi su internet un biglietto del treno Malaga-Madrid, solo andata, in programma per il giorno seguente. Preparai la roba, tornai nella casa dovevo vivevo con Marta per prendere gli ultimi effetti personali una volta che mi ero assicurato che lei fosse stata assente in quel momento, poi andai a dormire in albergo. La mattina dopo era il giorno della partenza, il primo giorno di una vita nuova. Alle otto arrivai in stazione, mancavano 45 minuti alla partenza del mio treno. Non ero riuscito a dormire quella notte, avevo pensato per tutto il tempo a cosa dire a Silvia, quando l'avrei guardata negli occhi. Senza risposta. Anche stavolta, mi affidavo all'impulso del mio fiume di parole, che sarebbe dovuto arrivare tutt'un coro nell'esatto momento del nostro incontro. Proprio come successe l'ultimo giorno, quando le dichiarai che il mio amore c'era sempre stato e sarebbe continuato ad esserci in ogni caso. Mi accomodai su una delle panche in stazione. Vi starete forse chiedendo perché non l'ho mai cercata telefonicamente. Beh, la verità è che mi sono fatto forza e il primo giorno di permanenza a Malaga il suo numero l'ho cancellato. Sapevo che altrimenti l'avrei utilizzato. Guardavo il viavai di pendolari madrileni che scendevano dal treno che avrei dovuto poi prendere io. Era una sorta di navetta: caricava a Madrid e scaricava a Malaga; una volta a Malaga caricava lì e scaricava a Madrid, poi ripartiva di nuovo. Tra i volti dei madrileni cercavo quello di Silvia, che magari era venuta per cercare me. Ma no, lei non c'era. Dovevo essere io a tornare da lei, non viceversa, punto. Arrivò il momento della partenza, salii sul treno e immediatamente mi addormentai, stremato dalla mia notte insonne. Al risveglio, mancavano solo dieci minuti all'arrivo a Madrid. L'ansia saliva metro dopo metro che s'andava percorrendo, ed io guardavo edifici familiari dal vetro del finestrino. Si cominciavano a disegnare quei contorni paesaggistici che avevano tanto l'aria di casa, perché era proprio come se stessi tornando nella mia unica tanto amata città, dalla quale mi sono incoscientemente privato, pentendomene amaramente. Mi ero privato del mio vero amore e della mia cara città per troppo tempo, uno sbaglio che mi rinfaccerò per tutta la vita. All'ansia si mischiava la tranquillità del rientro "a casa", il calore del sole di Madrid era tutta un'altra storia rispetto a Malaga, me ne resi conto appena sceso. Ero arrivato, e quel sole, il mio sole, mi diceva "bentornato a casa". Infatti, appena arrivato, mi resi inequivocabilmente conto che il mio posto era a Madrid e da nessun altra parte, e il discorso combaciava per Silvia. La mia vita era lì. E quel giorno, decisi di ricominciare a vivere la vita alla quale mi ero scioccamente sottratto, la mia vita a Madrid con Silvia. Era come se fossi stato nello spazio per tre anni, per poi rimettere piede sulla terra e non avere alcuna intenzione di riallontanarmi. Andai subito in un albergo che conoscevo bene, dove alloggiai quando ero sotto accusa per il presunto stupro. Mi tolsi di dosso i bagagli, mi feci una doccia e mi vestii per bene: volevo raggiungere l'Arrànz all'istante, in quel momento c'era una voglia irrefrenabile di andare da Silvia, nonostante non sapessi come lei l'avrebbe presa. Erano le due di pomeriggio, in pieno orario di pausa rispetto alle lezioni che si tengono lì. Mi dissi "Ora o mai più" e sgattaiolai fuori dall'albergo. La scuola non era affatto distante, perciò decisi di raggiungerla a piedi, a passo svelto. Era la seconda metà di settembre e faceva molto caldo. L'asfalto mi bolliva sotto le scarpe, i battiti del cuore li sentivo spingere sul petto. Avevo i muscoli ritratti, come in una sorta di posizione difensiva, e mi lacrimavano gli occhi. Non stavo piangendo, lacrimavano e basta, forse per l'ansia, l'agitazione. Svoltai l'angolo dove c'era il campo di calcetto in erba sintetica dove andavo a giocare con Pedro. Mi venne il sorriso a ripensarci. Poi il ristorante dove portavo a cena Silvia, il locale di casting dove conobbi per bene Marta, la fermata del bus dove gli Upa (la band che avevo formato con Silvia, Pedro, Lola, Ingrid e Jero) si sono esibiti per la prima volta in pubblico e tutti quei luoghi si guadagnavano una fetta di spazio tra i miei ricordi man mano che li rivedevo. Ed ecco che, in fondo ad un rettilineo di strada circondata da viali alberati, sorge la Carmen Arrànz, la scuola che mi ha cambiato la vita. Non c'erano apparenti cambiamenti a livello estetico della struttura e neppure d'abitudini studentesche, visto che c'erano una decina di persone appoggiate alla muraglia antistante il portone principale a fumarsi una sigaretta, proprio come facevo io tre anni prima. Il dubbio di entrare o meno mi sfiorò ancora la mente, ma mi dissi che ormai c'ero, che quella era la mia strada e che era tardi per tirarsi indietro. Feci un bel respiro ed aprii il portone. Lì dentro c'era un caos clamoroso, ebbi vari flashback e dejà-vu. L'euforia del piacere di ballare, cantare e recitare mescolato allo stress degli esami, la voglia di fare e la paura di sbagliare. Era così che funzionava lì. Tutti gli studenti per i corridoi e le gradinate, qualcuno al bar, altri nella hall; dopotutto era orario di pausa. Rispetto a tre anni prima, ero cambiato parecchio; prima portavo i capelli lunghi e arruffati, in quel periodo avevo invece un aspetto più serio e più adulto, con due dita di gel che mi pronunciavano un bizzarro ciuffo sul davanti ed il resto dei capelli posati e tranquilli. Ero dimagrito un bel po', forse colpa dello stress di quel triennio da cancellare. Però ero ovviamente riconoscibile. Sbigottito e un po' emozionato, mi diressi dritto alla segreteria, dove c'era ancora Puri, matrigna di Lola, una donna alquanto particolare ma simpatica. Lei non mi riconobbe, e mi disse: 
- Mi dica giovanotto, è qui per gli esami d'ammissione?
- Nah, io ho già dato! Mia cara Puri, si sta facendo anziana se è arrivata al punto di non riconoscere un pezzo di ragazzo come me!
- Oh cielo, Rober! Quanto tempo! Perdonami, ma ti sei sciupato parecchio dall'ultima volta che ti ho visto qui! Devi mangiare di più, rimettiti in forma! Dai, fatti abbracciare!
Mi abbracciò, era felice di vedermi. Quindi continuò. 
- Come va? E Marta non è qui con te?
- Non è un buonissimo periodo, Puri... Marta ed io non stiamo più insieme. Non funzionava, dovevo capirlo molto tempo prima.
- Oh, scusami, io non immaginavo... Mi dispiace! Quindi sei qui per ricominciare tutto da capo, ho indovinato?
- In un certo senso sì. In realtà non devo ricominciare da capo, ma solo ripartire da dove ho lasciato... Sono rimaste troppe cose in sospeso qui, non dovevo andarmene... Sono tornato per provare a rimediare!
- D'accordo, te lo auguro. Posso esserti d'aiuto?
- Sì, avrei bisogno solo di un'informazione. Lola mi ha detto che tempo fa Silvia dava una mano qui con le lezioni di danza...
- Silvia Jauregui! Ma sì, certo. Da' una mano ancora adesso!
- Ora è qui? Dovrei vederla, è importante...
- Mi dispiace, non lo so. Stamattina l'ho vista, ora non saprei dirti se è ancora qui. Comunque, se la vedo posso dirle che sei passato...
- Meglio di no. Se la vedi, ti prego di non dirle nulla. In ogni caso, posso provare ad aspettare un po' nella hall? Hai visto mai che arriva... E poi qui mi sento a casa, spero non ti dispiaccia se mi accomodo per un po'!
Ci scambiammo sorrisi, poi mi acconsentì di aspettare Silvia nella hall. E proprio lì, c'era Tanya, una mia amica dei tempi dell'Arrànz, che avevo però conosciuto solo durante l'ultimo anno. Io ero al quarto (quindi l'ultimo) e lei era appena arrivata, era al primo anno. Ora faceva il quarto e ultimo anno e appena la vidi mi si riempì il cuore. Tanya l'ho conosciuta tardi, quando ero già con Marta. Lei è la nipote di Puri, ed è fantastica. Se non fossi stato con Marta, forse ci avrei provato. Ma ero già troppo nei casini per complicarmi ancora di più la situazione, d'altra parte sarei stato sempre e solo innamorato di Silvia. Lei non mi vide, era di spalle. Ma io sapevo che era lei, avrei riconosciuto i suoi capelli in qualsiasi situazione. Mi avvicinai e le misi le mani sugli occhi. Sorpresa, cominciò a sparare un nome dietro l'altro per provare ad indovinare chi mai fossi.
- Diego, so che sei tu. I soliti giochi idioti!
- No...
- Ok, se non sei Diego, sei indubbiamente Pablo... Siete prevedibili come un temporale quando arrivano i nuvoloni!
- Sciocca eri e sciocca sei rimasta... Ti distrai troppo facilmente, te l'ho sempre detto! Spero che da quando me ne sono andato te la sia saputa cavare comunque! Avanti, abbracciami!
Le tolsi via le mani dagli occhi, si girò, mi guardò incredula e mi abbracciò ridendo.
- Cucciolo! Diamine, quanto tempo che non ci vediamo! Bastardo, potevi farti vedere un po' prima! Mi sei mancato tantissimo... Sei tornato per restare o sei venuto a fare un saluto con Marta?
- Mi dispiace non essermi fatto vedere da queste parti, non immagini quanto... Comunque spero di restare, se le cose faranno il proprio corso! Io e Marta abbiamo rotto, è stato giusto così. Diciamo che anche tu mi sei mancata, dai. La mia stratosferica parrucchiera!
Detto questo, ci abbracciammo ancora, poi d'un tratto Tanya iniziò a piangere. Le chiesi cosa avesse, ma non rispose. Ci sedemmo su un divanetto, mi si accovacciò su una spalla e passò così a piangere dieci minuti circa. Quando vidi che si era calmata, le chiesi spiegazioni. Inizio così un lungo discorso.
- Vedi, Rober... Quando tu eri qui, era tutto diverso. Io stavo bene. Mi hai salutato con un abbraccio e un sorriso, e d'un tratto non t'ho visto più. Sparito da un giorno all'altro per tre anni. Ho provato a far finta che mi facesse semplicemente piacere che fossi tornato, ma come vedi sono subito crollata. Dicono che ti rendi conto dell'importanza di qualcuno o qualcosa nel momento in cui la perdi. Ecco, è tutto vero. Quando eri qui, ti volevo bene. Da quando sei sparito, ho capito che ti amo. Non sapevo come fare senza te. Ho vissuto giorni distruttivi e deprimenti, ho studiato canto in maniera totalmente ossessiva per non pensare a te, sono stata veramente male. E oggi, ricompari. Mi dici che sei qui per restare, ma solo se le cose faranno il loro corso. Non so quanto te ne importi in verità, ma per quanto riguarda me, questo è il corso delle cose...
Rimasi attonito. La mia Tanya, l'amica allegra e la compagna di mille risate mi amava. E ora mi toccava chiarire la mia posizione, dirle che stavo lì solo per Silvia. L'avrei rigettata di nuovo in un abisso, probabilmente stavolta ancora più profondo. Le volevo un bene dell'anima, non potevo farlo. Ma dovevo farlo. Sospirai, la guardai negli occhi e tentai di incontrare il mio solito fiume di parole.
- Ma che dici? No, Tanya. Tu non mi ami. Non può essere. Se mi avessi amato, quando ero qui e stavo con Marta, me l'avresti detto, con la faccia di bronzo che hai. Avanti, io e te siamo amici per la pelle. Ti stai confondendo. Ascolta, io sono tornato per ritrovare il mio unico grande amore che non avrei mai dovuto abbandonare per paura del destino. Sono qui per Silvia. E tu, conoscendomi così bene, avresti dovuto capirlo che c'è sempre stata lei per me. Ti prego, dimmi che non è vero quello che mi hai detto...
- Non posso dirtelo, mentirei. Però, vedrò di farmela passare se per te è un problema. Magari hai ragione, ma per ora non posso saperlo. Ok, perdonami lo sbotto, dai. Silvia era qui, poco fa, ora...
La interruppi.
- Lo so, lo so. Ma adesso mi interessa che tu stia bene. Vedrai che è stato solo un pensiero che ti è venuto rivedendomi. Tranquilla. Abbracciami, dai!
E mi abbracciò, senza lacrime. Le sorrisi, poi suonò la campanella. Tanya si scusò e mi disse che aveva lezione, quindi andò via. Era una situazione stranissima, non mi sarei mai aspettato che Tanya si sarebbe potuta innamorare di me. Nei miei quattro anni all'Arrànz, sono stato il bullo della situazione. Quello che faceva sempre il figo, che si sentiva un gradino sopra agli altri, che se la tirava a morte, che voleva sempre essere al centro dell'attenzione. Ma non ero più come prima. Se Tanya amava quel Rober, allora non l'avrebbe amato più perché non esisteva più. Il nuovo Rober era solo per Silvia, come lo era anche quello di prima, forse però ora meno impaurito dell'amore. Mentre riflettevo, Puri mi chiamò dalla segreteria, facendo segno di dovermi dire qualcosa, perciò andai subito da lei. 
- Cos'aveva Tanya? L'ho vista un po' giù o sbaglio?
- Niente Puri, sta' tranquilla. Si è un po' emozionata nel rivedermi dopo così tanto tempo, sai che eravamo parecchio legati, no?
- Ma sì, certo. Comunque non è per questo che ti ho chiamato. Vedi, ha telefonato Silvia. Ha staccato poco prima che arrivassi tu. In realtà non sarebbe dovuta tornare perché il turno l'ha teoricamente finito, ma ha chiamato qui appunto per chiedere se le sale rimangono aperte dopo le sette di sera... Ha detto che ha bisogno di provare questa sera, tornerà qui per quell'ora. Io non le ho detto nulla di te come mi avevi chiesto, perciò forse stasera puoi finalmente rincontrarla!
- Grazie mille, Puri! Sei stata gentilissima... La aspetterò qui. Sai dirmi che ore sono?
- Rober, sono appena le quattro. Sei sicuro di voler restare tre ore qui? Ora ci sono anche le lezioni, non puoi nemmeno intrattenerti con qualcuno. Fa' quel che vuoi, ragazzo mio, ma ti assicuro che non è il massimo del divertimento. Poi, conoscendo un po' che tipo sei, non credo tu sappia startene con le mani in mano in attesa di una vecchia compagna di scuola!
- Sbagli, Puri. A parte il fatto che sono drasticamente cambiato, Silvia non è una semplice vecchia compagna di scuola... Ascolta, non sono più il ragazzo di prima che ama sfrenarsi, far baldoria e che sa fare solo lo spaccone. Ho imparato ad essere uomo. Aspetterò con le mani in mano, certo che lo farò. Mi pare un comportamento maturo. E poi, per giunta, aspetterò la donna che amo. Ecco chi è Silvia per me, la donna che amo, che ho sempre amato e che non smetterò mai di amare... E sono qui per lei, per chiedere venia per tutte le cazzate che ho fatto e per tutto il tempo che ho perduto inutilmente. Ho voglia di stare con lei, ora. Davvero...
- Quindi tu la ami? Da sempre? Oh figliolo, e Marta cos'era allora per te? Che diavolo dici? Torni dopo tre anni, dici che la ami da una vita e che non c'è mai stata nessun altra per te. E dici di essere uomo ora? Parli di maturità... Quale maturità? Prendere per i fondelli una donna per tre anni, questa è maturità? Oh cielo, Rober...
- D'accordo Puri, ho sbagliato. Ma parlo di maturità perché ho smesso di prendere in giro Marta e anche me stesso. Mi sono sentito uomo solo quando sono tornato sui miei passi, quando ho accettato la realtà dei fatti e l'ho urlata al mondo. Anzi, la sto urlando al mondo. Questa è maturità. Quel che è venuto prima era tutto una merda, lo so bene. Stavo da schifo e tutto mi sembrava uno schifo. Ma ho voluto fare un passo avanti. E che il mondo possa perdonarmi...
- Va bene, va bene. Scusami se me la prendo così tanto, ma sai bene che voi allievi ed ex allievi per me siete tutti come figli. Scusa, davvero. Saranno anche affari tuoi. E comunque puoi rimanere, tranquillo.
- No, davvero Puri, capisco la tua reazione. Beh, è nettamente lecito prendere così il mio discorso. Hai ragione, ho sbagliato tutto in tre anni. Tutto. Ora sono qui per rimediare, per quanto possibile. Se non ti spiace, mi accomodo nella hall.
- Certo, Rober. Vai tranquillo, questa è sempre rimasta come casa tua...
E poi mi accomodai su quel divanetto, dove anni prima ero solito appollaiarmi quando in tv davano i Simpson. I discorsi di Tanya mi avevano messo un po' d'ansia addosso, ma cercavo di pensare solo a cosa dire a Silvia quando l'avrei vista. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Lei ***


3. Lei
 
 
Quelle ore d'attesa passarono abbastanza veloci. Quando fui in orario per il rientro di Silvia, preferii andare a sedermi sulla sedia al fianco di Puri, dove però chi si affacciava allo sportello della segreteria non aveva la minima possibilità di vedermi. Aspettavo lei, e quella volta sarebbe stata lì a momenti e non c'era la lunga attesa di ore. Dopo dieci minuti, Puri mi diede una gomitata, facendomi cenno di rientrare un po' col busto per non farmi vedere, perché Silvia stava entrando. E poi venne lì, a pochi centimetri da me, senza che lei se ne accorgesse. Era meravigliosamente bella. Bella come non mai, più di quanto lo era nei miei nitidi ricordi, più di quanto avrei potuto immaginare, più di qualsiasi cosa. Da quando l'avevo vista per l'ultima volta, si era schiarita i capelli, ed aveva un colorito di pelle più abbronzato. Il suo sorriso era quello di sempre, quello che i miei occhi avevano fotografato anni prima ed avevano gelosamente custodito in un angolo segreto della mia mente, quello che mi faceva vibrare l'anima e mi faceva cominciare bene una qualunque giornata. Anche il suo profumo non era cambiato; era uno Chanel, che spesso le regalavo quando finivano le sue boccette proprio perché l'adorava, e a quanto potevo constatare, l'adorava ancora in quel momento. Sorrise a Puri, poi le fece qualche domanda.
- Buonasera, Puri. Mi ha cercato qualcuno mentre sono stata via?
- Buonasera, cara... No, non ti ha cercato nessuno. Le chiavi per la sala 2 sono al quadro; puoi usare l'aula fino alle 22, poi io stacco quindi devo chiudere scuola...
- Va benissimo, il tempo mi basterà. Penso di finire anche un po' prima, comunque è perfetto, grazie...
- Di nulla, figurati. Buon lavoro!
- Grazie Puri, a dopo!
Andò dritta verso il quadro delle chiavi, staccò quella della sala 2, la più grande aula di danza della scuola, e si diresse verso la sala interessata. Allora mi girai verso Puri.
- Mio Dio, Puri, è uno splendore...
- Beh, non le si può dir nulla, giovanotto. Devo dire che è proprio un dono della natura... Detto da me che di ragazze ne vedo tante in questo viavai!
- Lei è sempre stata una favola... Dentro e fuori... Che il cielo possa concedermi un'altra occasione... Non la butterò via come l'altra...
Detto questo, Puri mi sorrise e poi riniziò a parlarmi.
- Cosa aspetti? Va' da lei, ora. Hai aspettato troppo ed adesso è qui. Capisco che non volevi uscire allo scoperto subito per paura della reazione a caldo, ma ora l'hai vista... C'è, è ad un passo e tu fremi dalla voglia di stringerla a te. Coraggio, va' e dille quanto l'ami... Se un poco poco tu possa meritarti un perdono, lei, da ragazza giusta qual'è, non esiterà a concedertelo, ne sono certa. Ma tu la conosci meglio di me, non farti dettare regole, giovane!
- Hai ragione tu... Allora... Vado...
Mi alzai e guardai il corridoio che mi separava dalla sala 2. Avevo in mente un programma preciso per il mio incontro con lei; dietro l'apparente enorme vetro della sala 2, in realtà c'era uno stanzino. Insomma, di quelli che dall'interno della sala viene visto solo uno specchio e quindi la propria immagine riflessa mentre da quello stanzino lo specchio diventava un semplice vetro e si poteva spiare l'interno della sala senza che chi sta dall'altra parte se ne potesse accorgere. Era stata proprio Silvia a farmi scoprire questo segreto. Ogni tanto andavamo a fare l'amore lì dentro, proprio perché nessuno poteva vederci e noi potevamo invece vedere i ragazzi degli altri corsi ballare lì dentro. A quei tempi, mi aveva raccomandato di non svelare questo particolare a nessuno. Lei l'aveva scoperto perché una mattina aveva visto aprire una porta sospetta da sua zia Alicia, che era appunto la codirettrice dell'Arrànz. E poi aveva scoperto lo stanzino, abbastanza spazioso per andarci in due e così mi ci aveva portato, in modo da poter stare nella scuola, ma tranquillamente e felicemente isolati. Tornando a noi, avevo quindi in mente di guardarla ballare dallo stanzino per qualche istante, per preparare il discorso giusto, anche se già immaginavo che alla fine mi avrebbe trascinato via il mio classico fiume di parole, impulsivamente. Così feci. Scambiai uno sguardo complice con Puri e mi diressi verso il retro della sala 2. La porta dello stanzino era molto piccola e si confondeva con la parete, ma ricordavo precisamente come individuarla e aprirla. Era rimasto tutto come tre anni addietro, dunque entrai in quello stanzino che tanto mi ricordava Silvia con estrema facilità. I miei occhi si soffermarono immediatamente su quella vetrata, dove riuscivo a vedere Silvia che si stava scaldando alla sbarra. Si osservava allo specchio, e questo faceva sembrare che cercasse il mio sguardo. La guardavo, e mi ripetevo quanto fosse bella. Mi scese qualche lacrima poiché mi passavano davanti mille ricordi di me con lei, ma il mio volto manteneva il sorriso perché mi bastava guardarla perché il mondo mi sembrasse meno difficile. Il mio cuore era in defibrillazione, e tra lacrime e sorrisi, l'unica emozione che riuscivo ad identificare in quel momento era l'amore verso di lei. Aveva iniziato già a ballare, la musica si sentiva anche oltre la vetrata. Ballò "Ain't no sunshine when she's gone", una canzone che ballavamo frequentemente quando eravamo allievi. Quella musica blues evidenziava molto la sua sensualità ma il suo movimento era così lineare che quella precisione contrastava la femminilità, perché trasmetteva solo pura poesia. Poesia della danza, di quell'arte che lei adorava sopra ogni cosa, forse l'unica che non l'aveva davvero mai tradita e abbandonata e dove Silvia si buttava in qualsiasi momento, sia che fosse bello che meno. Mi sembrava impossibile che fossi così vicino a lei, credevo ormai che non avrei avuto mai il coraggio di tornare a Madrid, anche se in realtà il mio inconscio l'ha sempre saputo. Cominciai poi a fissare la maniglia d'uscita. Mi chiedevo se fosse arrivato il momento di precipitarmi nella sala e aprire le braccia verso lei, mentre le lacrime mi scivolavano ormai sul collo. Sospirai, poi sentii partire una musica familiare. Era un pezzo di un prestigioso pianista di cui non ricordo il nome, ed era una musica talmente meravigliosa da far venire la pelle d'oca ad ogni ascolto. Ascoltandola per pochi istanti, mi riaffiorò improvvisamente un ricordo ben nitido in testa; ricordavo che Silvia, quando eravamo insieme e frequentavamo la scuola, adorava ballare quel pezzo ad occhi chiusi. Lo ballava sempre così perché diceva che chiudendo gli occhi, la musica e il corpo stabilivano un rapporto indescrivibile e si legavano con estrema naturalezza. Insomma, secondo lei ballarlo ad occhi chiusi migliorava la riuscita dell'esecuzione e portava il danzatore a fare un necessario e meraviglioso sforzo di livello emotivo. Ero sicuro che anche in quel momento, Silvia ballava ad occhi chiusi. Andandoci a fare caso, effettivamente era proprio come pensavo. Silvia sembrava dormisse, ma riusciva a danzare in maniera eccellente, senza pecche. Decisi che quello era il momento di andare da lei. Senza indugi, mi dissi "ora o mai più", e sgattaiolai via dallo stanzino. Raggiusi la sala dove ballava Silvia in silenzio. I miei passi erano lenti e felpati, questo perché volevo che Silvia non si accorgesse dell'arrivo di qualcuno, e così non aprisse gli occhi prima della fine della musica. Riuscii a fare quel che volevo, quindi mi posizionai alle spalle di Silvia. Avrebbe chiuso la coreografia di fronte allo specchio, in questo modo, una volta aperti gli occhi, mi avrebbe visto sullo sfondo, alle sue spalle, e si sarebbe girata per catturare il mio sguardo, quello vero, non il riflesso di un isignificante pezzo di vetro. Solo così avrebbe realizzato che ero lì, altrimenti, lo specchio non le sarebbe bastato a provarle la mia presenza, che secondo me, considerava più che improbabile. C'eravamo quasi. Quello era il momento del pezzo che in una canzone si chiama "refrain", ovvero il pre-ritornello finale. La musica era davvero bellissima, come lei, la mia dolce Silvia. Giro di piroette in chasseux, podeux-bras e poi quinta posizione. Ora tendeva il braccio sinistro verso l'alto e in quell'istante avrebbe aperto gli occhi. Avrebbe aperto gli occhi, ed io avevo paura, terrore. E fu così che la musica in quell'attimo finì. Silvia aveva ancora gli occhi chiusi, rivolti verso l'alto. E poi, una volta per tutte, chinò il capo verso lo specchio e aprì quei suoi occhi. Li aprì, poi ebbe come un brivido, ponendo il suo sguardo sulla mia immagine riflessa. Si voltò, si spostò i capelli che le coprivano gli occhi con una mano tremolante, e l'affanno del post-coreografia. Fece scivolare le sue braccia a peso morto, mi fissò in silenzio con la bocca socchiusa e i respiri sempre più pieni d'ansia. Io neppure tremavo, ero immobile e ammutolito per l'emozione. Provai a dirle qualcosa, allora.
- Ciao Silvia...; e seguì un sospiro angoscioso.
- R-Rober... Perché sei qui?
- Non mi chiedi nemmeno come sto?
E lei si voltò, mettendosi le mani sul volto. Forse dava via qualche lacrima, quindi venne il magone anche a me, così mi avvicinai a lei e l'abbracciai da dietro, ponendo la mia testa china sulla sua spalla destra. Le ricominciai a parlare, con un far dolce.
- Non sono tornato per vederti piangere...
- Ah no? Se non avessi voluto vedermi piangere, ora non saresti qui. Ma che diavolo vuoi ancora da me, eh? Non ti è bastato tutto quello che hai già fatto? La nostra storia è affondata tanto tempo fa... C'è andato di mezzo un figlio... Poi, nonostante io ho cercato di rifarmi una vita felice e sembrava che anche tu stessi tentando di fare lo stesso, mentre sei fidanzato con un'altra, dici di amarmi e il giorno dopo parti con lei... Ed ora? Ora torni qui dopo circa... Ehm... Tre anni. La mia domanda è solo: "Cosa vuoi?"
- Hai ragione. Sono solo un fottutissimo coglione. Un coglione che però è qui per te. Vuole rimediare, per quanto possibile, per quanto glielo potrai permettere.
- Ti ha lasciato, vero? Per questo ora sei qui, sbaglio?
- Sì, sbagli. L'ho lasciata io. Perché non ne potevo più di fingermi innamorato. Non potevo più andare avanti ingannando me e gli altri. L'ho lasciata per correre qui, qui dove c'è tutta la mia vita, quella che non avrei mai dovuto abbandonare. Ascoltami... Ho sbagliato tutto. Tutto. So che sembra assurdo, ma sono stato lontano da te per tre anni perché non volevo darti altre sofferenze. Ho provato a ricominciare da zero, ho provato a dimenticarti ma... Nonostante tutto questo tempo, non ce l'ho fatta. Ho capito che soffriamo di più a stare lontani. Ho capito che quella sofferenza che c'era prima, se vogliamo possiamo eliminarla. La vera sofferenza è non stare insieme. Ho resistito per tre anni con quelle mie stupide convinzioni, forse ho anche peccato di egoismo perché non sapevo cosa ne pensassi tu. Quell'ultimo giorno abbiamo fatto l'amore, ma tu non mi hai detto nulla su quel che sentivi per me. Ho rischiato di impazzire. Ma ora basta. Sono tornato per riprendere in mano la mia vita. E voglio farlo con te...
- Chi ti dice che io non sia andata avanti dopo che tu sei scappato a Malaga, eh? Chi ti dice che io non mi sia fatta una nuova vita con un nuovo uomo, una nuova libertà, nuovi ideali...? Chi?
- Lo so. Lo so e basta. Lo so perché noi ci apparteniamo. Lo so perché mi avresti continuato ad aspettare fino alla fine del mondo. Perché per te esisto io e basta... Non è egocentrismo, ma è verità. Per me è la stessa cosa. Ci sei tu e basta. E sento che per te è proprio così, anche se fatichi ad ammetterlo perché provi giustamente tanto rancore nei miei confronti. E lo so perché tu per me sei un libro aperto, mi basta guardarti negli occhi per capire che è così. Lo so semplicemente perché ti amo. Ed io so leggere l'anima di chi amo. Come la persona che amo sa leggere la mia, che io sia lontano o vicino...
- Vaffanculo, stronzo...
Detto questo, si lasciò andare tra le mie braccia, in un pianto silenzioso. Quel lasciarsi andare in quel modo fu come un segno di resa. Avevo detto esattamente quello che sentiva, così si era accorta che non c'era persona che la conoscesse meglio di me. Detestava questo fatto, ma era la realtà e si era arresa ad essa. E soprattutto, detestava di amarmi, ma era così. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Crederci ancora ***


4. Crederci ancora
 
 
Ci sedemmo sulla panca vicino allo specchio. Eravamo abbracciati. Il mio braccio destro la stringeva al mio petto; la sua testa era sulla mia spalla sinistra e il suo braccio era posato sul mio busto. Ce ne stavamo completamente muti, ma piangevamo tutti e due. La accarezzavo delicatamente e le davo baci sulla fronte. Tutto quello che desideravo era questo. Stare con lei, averla tra le mie braccia. Tutto il resto del mondo non esisteva. Questo durò per circa un'ora. Silenzio, lacrime, ma tanta dolcezza. E tanto amore, solo che avrei dovuto aspettare che Silvia avesse il coraggio di ammettere questo sentimento a sé stessa. Ma non era un problema. L'avrei aspettata fino alla fine dei miei giorni. E d'altra parte, lei aveva aspettato me per tre anni. Dopo appunto un'oretta, Puri entrò e ci vide accoccolati, commossi e in silenzio.
- Ehm, scusate... Signorina Jauregui, io devo chiudere. Se intende trascorrere la notte giù al residence, chiudo solamente le aule, altrimenti provvedo a chiudere anche il piano inferiore... Mi dica pure lei!
Silvia si rimise in posizione retta, poi rispose compostamente.
- Dormo giù, grazie. Sgombro quest'aula mentre chiudi le altre. Grazie mille, Puri...
- Di nulla!; e Puri andò via.
Presi le mani di Silvia e le parlai.
- Bene, allora buona serata. Se ti va, possiamo vederci anche domani stesso. Dimmi tu, io sono sempre disponibile per te...; e le diedi un bacio sulla guancia.
Sorrisi e mi diressi verso la porta, ma Silvia mi afferrò per un braccio.
- Aspetta... Sei qui per me, no? Allora vieni con me al residence per stasera... Ti va?
- Oh, certamente... Ovviamente ho voglia di stare con te, ma cercavo di essere meno invadente, tutto qui!
Lei sorrise, poi soggiunse:
- Però non fraintendermi... Voglio che tu dorma con me, questo sì. Ma non credere di portarmi a letto!
- Tranquilla... Ora non penso al sesso... E poi, io voglio andarci cauto, un passo per volta. Voglio rientrare nella tua vita a poco a poco, perché capisco che è difficile accettare questa situazione così all'improvviso. Ma sappi che ti amo e non so quanto riuscirò a reggere prima di saltarti addosso!
Ci facemmo una risata e ci incamminammo verso il residence del piano sottostante alle aule. Lei era serena, ma ancora molto insicura nel volersi concedere a me. Aprì la porta della stanza; era una singola, ma aveva uno di quei lettoni ad una piazza e mezzo dove c'entrano anche tre persone. E poi aveva il bagno in comune con la stanza successiva alla sua. Mi guardò, poi sorridendo mi disse:
- Mi sei mancato, davvero. Non volevo farmi trovare così flessibile a te, ma non ho potuto farci nulla... Volevo solo dirti che, ecco... Beh, ti amo anch'io... Non sono mai riuscita a rimuoverti completamente dalla mia testa... Ma devi darmi del tempo... Dai, non voglio farti dormire a terra... Puoi dormire nel letto con me, ma a patto che non non allungherai le mani...
Sorrisi, le misi una mano sulla guancia e le risposi:
- Al massimo saranno innocue carezze!
Poi le diedi un bacio in fronte e andai in bagno. Pensai a quel che mi aveva detto; che mi amava. Me l'aveva detto. Sapevo che lo pensasse, ma non credevo potesse sopprimere il suo immenso orgoglio e confessarmelo apertamente. Aveva detto che le ero mancato, l'aveva ammesso; non solo a me, ma anche a sé stessa. Per lei era difficile, le avevo dato dolore e delusione. Ma mi amava e non avrebbe potuto fare niente per negare quella realtà così spontanea. Al cuor non si comanda, si sottosta'. Una dura legge dell'amore, irreversibile. Uscii poi dal bagno, quindi Silvia mi chiese di andarle a prendere un cappuccino alla macchinetta dell'atrio, favore che ovviamente volli accontenare. In breve rientrai in stanza, porgendo a Silvia il suo cappuccino, bollente al punto giusto. Anche io ne avevo preso uno, così ci sedemmo sul letto e lo bevemmo insieme. Io lo finii per primo, percui rimasi a guardarla. Anche nel momento in cui beveva semplicemente latte e caffè da uno stupido bicchierino di plastica, era una meraviglia. Era uno splendore anche nei suoi semplicissimi gesti ed io non facevo altro che ripetermelo, e ripetermi anche che dovevo tenermela stretta. Anche lei poi finì il cappuccino, quindi posò il bicchiere sul comodino. Si voltò verso di me e notai che aveva un po' di schiuma del cappuccino su parte del labbro superiore. Così la avvertii.
- Ehi, hai della schiuma, proprio qui...; e le indicai la parte interessata ponendo me stesso come esempio.
Lei passò dapprima un dito, e poi la lingua sul suo labbro, ma non individuò il punto esatto e la schiuma restò lì. Poi ebbi il forte desiderio di baciarla. Usando la scusa della schiuma, dissi:
- No, ancora non ci siamo...
Quindi mi avvicinai a lei, a un centimetro dal suo naso. Le misi le mani sui fianchi, poi passai delicamente e lentamente la lingua sul suo labbro superiore, togliendole la schiuma del cappuccino. Silvia, dopo che io ebbi fatto questo gesto, si leccò a sua volta il labbro superiore, poi rise quindi mi disse:
- Solo innocue carezze, eh?
Ed io le risposi:
- Già...
Dunque la tirai verso di me, le presi il volto tra le mani e la baciai come se dovesse essere l'ultima cosa che stavo facendo prima della morte. La baciai con voga, appassionatamente, la baciai con tutto me stesso, come se quel bacio dovesse recuperare tutti quelli persi nel corso di quei maledetti tre anni. E Silvia non mi respinse; contraccambiò il bacio, mi mise le mani attorno al collo e mi baciò anche lei come non aveva mai fatto. Le nostre lingue si cercarono e si incontrarono; dunque si abbracciarono e si accarezzarono. Le nostre salive erano diventate una cosa sola. Durò a lungo, poi lei si distaccò e mi disse che per oggi poteva bastare così, anzi, forse era anche già troppo. Si abbassò nel letto distesa su un fianco ed io mi misi alle sue spalle, posai le mie braccia attorno al suo busto e lei, a sua volta, mise le sue mani sulle mie che le stringevano il ventre. Le nostre dita si incastrarono tra di loro, poi Silvia chiuse gli occhi, quindi li chiusi anch'io. Quando li riaprii, Silvia era ancora con me, guardai l'orologio che segnava le cinque del mattino. Poi notai che era sveglia, così avvicinai il mio volto al suo e cominciai a parlarle.
- Non dirmi che non riesci a dormire perché sto russando!
- Ehi... No, tra l'altro non stai neppure russando... Non l'hai mai fatto! Vedi, il fatto è che quando ho la testa colma di pensieri, il sonno lo trovo difficilmente...
- Mmm... Che genere di pensieri? Ci sono dentro io, immagino... Ascoltami, se il bacio ti ha messa a disagio mi dispiace, forse avrei dovuto aspettare...
- Sembra che io il bacio l'abbia gradito... O neanche te ne sei accorto? Sai che ti dico... Che in quel momento sarei voluta andare ben oltre, ma poi ho pensato che devo aspettare. Devo perché tu non sei una garanzia di ragazzo, ed io lo so meglio di chiunque altro sulla faccia di questa terra. Soltanto che davanti a te so reggere ben poco...
- Soltanto che mi ami... Tranquilla, ti aspetterò anche fino all'ultimo giorno della mia vita.
- Sei sempre stato in qualche modo il mio padrone. Non in senso negativo, ma voglio dire... Sono sempre stata tua... Anche se io per molto tempo non l'ho voluto. Ed anche dopo che ti avevo lasciato, sei sempre riuscito a tenermi legata a te. Sai, poco prima che tornassi, stavo rimettendo in ordine questa stanza, e mi è capitato un album di foto tra le mani. Era l'album della nostra estate a Maiorca...
 A questo punto Silvia si girò, mi guardò negli occhi, poi continuò.
- Beh, pensavo a quanto fossimo felici in quelle foto. C'eravamo appena messi insieme e tu... Tu per me eri tutto il mondo. Eri qualcosa di magico, anche se non sapevo cosa ti rendesse tanto speciale. Mi avevi tolto Pedro dalla testa in un battibaleno, mi avevi fatto dimenticare che la nostra storia fosse nata per un tradimento, eri riuscito a togliermi ogni senso di colpa verso di lui... Tutto questo perché ero felice, per davvero. Insomma, quando mi sono messa a vedere quelle foto, mi è scesa qualche lacrima, perché quella felicità nata quasi per caso, per un gesto inaspettato, non riuscivo a ritrovarla in un momento della mia vita in cui stavo pianificando a cura tutta la mia esistenza. Sai allora cosa ho capito? Che il destino non può essere pianificato. Il destino viene da sé. E se lo attendi con la dovuta pazienza e con la dovuta speranza, prima o poi bussa alla tua porta. E ti regala emozioni. Quelle che non avresti mai potuto programmare. A me questo signore chiamato destino, che un giorno ha bussato alla mia porta, ha regalato te. Lì ho capito che la vita va vissuta attimo dopo attimo e non va decisa l'oggi per il domani. Per questo mi sono detta che se il destino mi aveva fatto questo regalo in un momento della mia vita in cui non cercavo niente, avrei dovuto smettere di cercare stabilità, in modo che forse il destino sarebbe tornato da me. Magari per riportarmi te. E a quanto pare mi ha ascoltato...
Dopo che ebbe pronunciato quelle bellissime parole, le presi la mano e gliela baciai. Poi ripresi a parlarle, perché ogni sua parola era ormai diventata come una carezza per me.
- Dopo Horacio, hai avuto altri uomini? Lo so che non dovrebbe riguardarmi visto che io ero ben lontano, ma vorrei sapere come sei stata quando non c'ero...
- Dopo Horacio è andato tutto a rotoli. Una delle delusioni più grandi della mia vita. Lui è stato il secondo dopo di te. Prima ci fu Pavèl, che era un belloccio senza un briciolo di cervello. E poi a lui in realtà piaceva Lola... Alvaro non voglio neppure ricordarlo... Comunque, tornando ad Horacio; appunto perché Pavèl fu davvero poco importante per me, lui fu quello che mi tolse temporaneamente te dalla testa. Avevo imparato ad amarlo, con qualche sforzo, ma c'ero riuscita. Sì, lo amavo davvero. Pensavo fosse l'inizio di una nuova fase per me. Così l'ho sposato, convinta che mi avrebbe ridato la vita. E proprio quando mi fidavo alla cieca di lui, mi ha deluso. Penso che tu l'abbia poi saputo, comunque stava con me solo per sfilarmi denaro. Per questo ho fatto annullare il matrimonio, l'ho lasciato e sono riuscita anche ad avere indietro l'anello di papà che mi aveva rubato. Poi Horacio è partito, disse che sarebbe andato in Guatemala, dove aveva vissuto anni prima. Da allora non l'ho più visto né sentito, grazie al cielo. Dopo di lui più nulla. Mi sono presa questo lavoro qui, e ho sempre e solo ballato, per tutto il tempo. Così riuscivo a stare bene e a non pensare.
- Mi dispiace...
- Cosa?
- Beh, tutto. Il tempo perso, le decisioni sbagliate... Ho sbagliato in ogni cosa, è tutta colpa mia. Ringrazio il cielo che tu mi stia concedendo un'opportunità che probabilmente non merito, anzi, sicuramente. Non immagini quanto ti amo...
- Dovrai guadagnartela la mia fiducia. Non credere che perché io ti stia trattando bene e perché abbia ceduto ad un bacio, io ti abbia già perdonato e giurato amore. Che sono innamorata di te è vero, l'ho ammesso, ma questo non vuol dire che avrai automaticamente una nuova possibilità in una storia con me. Ti sto tenendo vicino per capire cosa provo quando sto con te e se queste emozioni bastino per resettare lo scomodo passato che ci riguarda. In poche parole, ti amo ma ho bisogno di certezze, convinzioni fondate. Altrimenti, continuerò a vivere come prima, come quando tu non eri qui con me. Se l'ho fatto già, vuol dire che potrei continuare, qualora lo volessi e mi accorgessi che tu non fai in alcun modo per me. Con questo discorso non voglio né demotivarti, né spronarti; voglio semplicemente avvertirti e metterti al corrente della situazione reale, tutto qui.
- Certo, il concetto è chiaro ed è lecitissimo. E per me non c'è alcun problema, ci mancherebbe, non sono in condizione di fare pretese, altroché. Aspetterò quanto vuoi ed accetterò qualsiasi tua scelta, che mi piaccia o no. Ed è una promessa!
- Bene..
A questo punto, Silvia si riaccucciò con le spalle rivolte verso di me, quindi prese le mie braccia e le appoggiò attorno alla sua vita, quindi richiuse gli occhi. Poi mi sorse un dubbio, quindi le sussurrai in un orecchio:
- Come farò a capire quando mi avrai perdonato del tutto?
- Beh, a quel punto sarò tua, sarò tua di nuovo... Lo capirai perché sarò tua in ogni senso, e tu riuscirai a percepirlo... Non ci sarà bisogno di parole o di precisi gesti...; rispose lei.
- D'accordo...
E dunque, ci riaddormentammo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Week-end d'azzardo ***


5. Week-end d'azzardo
 
 
Mi svegliai alle nove, leggendo l'ora della sveglia al mio fianco. Silvia non c'era più, probabilmente aveva lezione e già era andata di sopra. Ero in maglietta e boxer, avevo i capelli arruffati e mi sentivo un enorme cerchio alla testa, così andai in bagno per sciacquarmi la faccia. Il bagno era appunto annesso ad un'altra camerata, perciò bussai prima di entrare, ma non rispose nessuno, quindi entrai tranquillamente. Mi sciacquai la faccia, poi la porta annessa all'altra camera si aprì. Ironia della sorte, era Tanya. Già, Tanya occupava la stanza di fianco a quella di Silvia. Entrò, mi vide e poco sorpresa mi cominciò a parlare.
- Buondì... Notte focosa, deduco. Te la sei già scopata? I miei complimenti! Torni dopo tre anni, dopo essertela spassata con un'altra e la tua fidanzata storica, appena ti rivede te la da' all'istante? Sai cosa mi diceva spesso nonna? Dio li fa e poi li accoppia. È proprio vero. Pensavo fossi diverso, Rober. E invece non sei migliore degli altri... Neppure al loro pari... Sei peggio degli altri... Vergognati!
Credevo fosse ubriaca. Ma mi resi conto che era perfettamente sobria. Davvero mi amava? In ogni caso, le risposi in maniera molto composta.
- Mi dispiace deluderti, ma stanotte abbiamo solo parlato, che tu ci voglia credere o no. Ma perché ti comporti così? Mi dispiace che tu pensi tutto quel che hai detto su di me. Pensavo che tu mi capissi, che non pensassi che mi interessa solo una cosa in una donna, come pensavano tutti gli altri quando ero qui. Beh, tu non lo pensavi. Tu eri dalla mia parte. Lo sei sempre stata. Perché ora fai così? Io non ti riconosco più...
- Sì certo, solo parlato... Va bè, a parte questo, tu non mi riconosci più? Ma ti sei chiesto se in realtà quello che è cambiato sei tu?
- Sì, io sono cambiato. E sono certo di essere cambiato in meglio. Ma credimi, anche tu sei cambiata. Spari a zero su di me senza motivo, critichi ogni mio gesto... Anche se sono cambiato, questo non vuol dire che io mi sia dimenticato di te... Continuo a volerti bene, come ho sempre fatto... Sembra che invece tu sappia solo detestarmi da quando sono qui... Prima mi dici blasfemie del tipo di esserti innamorata di me... Ma come posso crederci? Se sei sempre la stessa persona che ho lasciato qui tre anni fa, il tutto mi sembra eccessivamente improbabile. E poi mi insulti vedendomi uscire in mutande dalla stanza della ragazza che amo e per la quale sono qui. Ora, a prescindere se io e Silvia stanotte abbiamo fatto l'amore o meno, ma ti posso assicurare che stanotte non è successo niente, perché mi insulti? Ti ho detto apertamente che la amo, che sono tornato per lei e che lei è certamente la donna della mia vita... Se avessimo fatto l'amore non ci sarebbe stato niente di male, anzi. Dato che tu non sei innamorata di me, ma sei sempre stata una persona a me molto vicina come amica, saresti dovuta solo essere contenta per me se fosse successo. Allora, si può sapere che ti prende oppure devo subire la tua ostilità senza capirne le ragioni?
- Io te l'ho già detto che mi prende, ma tu non vuoi credermi. Mi comporto così perché sono innamorata di te, e di conseguenza sono gelosa di Silvia. Ma tu non capisci. Non capirai mai. O forse, quando capirai sarà troppo tardi. Non vuoi credermi, d'accordo... Ti auguro una buona giornata, anzi, una romantica giornata!
E detto questo, andò via sbattendo la porta. Ovviamente ero sorpreso di come avesse reagito. Conoscevo Tanya come le mie tasche, e non era davvero possibile credere che mi amasse. Andiamo, siamo stati sul punto di lasciarci andare tante volte quando frequentavo l'Arrànz, eppure non era mai successo. E perché? Senza dubbio c'era una fortissima attrazione fisica, non lo negherei mai, poi io stavo con Marta, che non era proprio il grande amore della mia vita e perdipiù Tanya era perfettamente single. Ma non c'è mai stato niente, neppure un bacio di sfuggita, una parolina di troppo o cose del genere. Niente di tutto questo. Io non potevo essere frenato né da Silvia, perché ero nel periodo della grande rinuncia, né da Marta, perché lei era solo una convinzione forzata del fatto che Silvia non mi appartenesse più. Tanya non aveva alcun freno a riguardo, invece. Perché allora non mi era saltata addosso tre anni prima? È vero che era cambiata, gliel'avevo appena urlato in faccia, ma il rapporto che ci legava era più forte in passato. Su questo frangente, l'ipotesi della dichiarazione era più fondata prima. Io non le avrei mai potuto credere. Dunque mi vestii ed andai al bar della scuola, avrei aspettato lì Silvia. Incontrai Puri che mi chiese come fosse andata. Le spiegai il tutto e poi la ringraziai della copertura e dell'aiuto. Non le volli chiedere cos'avesse sua nipote, l'avrei presa sul personale dicendole che Tanya non mi sembrava più la stessa e dato che Puri era molto sensibile, me lo risparmiai. Presi uno dei tavolini per due e mi misi ad aspettare Silvia. Sarebbe dovuta arrivare nel giro di un quarto d'ora circa. Nel frattempo ordinai un caffè, visto che stavo morendo dal sonno. Notai che i prezzi di quel bar erano spiacevolmente aumentati da quando me n'ero andato, non voglio ripensare al prezzo di quella misera tazzina piena solo a metà di caffè di medio-bassa qualità. Pensai però che se Silvia l'avesse voluto, anche doppio, non avrei esitato neppure un istante a offrirglielo. Figuriamoci se i soldi avrebbero influito sulla persona più importante della mia vita. Avrei ovviamente fatto di tutto per lei. Bevvi questo dannato caffè e mentre stavo riponendo il cucchiaino nella tazzina, mi sentii due mani che presero il mio volto da dietro. Era Silvia. Mi stampò un bacio sulla guancia, poi si sedette sull'altra sedia. 
- Buongiorno!; feci io.
- Buongiorno!; mi rispose poi lei.
- Com'è andata la giornata?
- Piuttosto faticosa, ma tutto bene. Tu piuttosto, tutto bene al risveglio?
- Mah, diciamo che ci sono rimasto un po' male di essermi svegliato solo... Per un istante ho creduto che fosse stato tutto un sogno... Non realizzavo dove fossi, quindi ho anche pensato che il fatto che fossi partito per tornare qui fosse stato solo frutto di una mia immaginazione... Poi però ho capito che era la tua stanza, quindi mi sono decisamente sentito sollevato!
Lei si fece una risata, poi continuai.
- Allora, ti offro qualcosa?
Fortunatamente per me, disse che non voleva nulla. Poi avanzò una proposta che mi piacque parecchio.
- Senti Rober, oggi pomeriggio sono libera, le lezioni sono sospese per un problema elettrico. Nulla di grave, ma serve qualche ora per risolvere il guasto. Mi porti fuori?
- Oh cielo, che domande... Ma certo che ti porto fuori! Dove vorresti andare?
- No, ti prego. Non chiedermi dove vorrei andare. Devi essere tu a scegliere il posto giusto. Solo quando mi troverò lì, ti dirò se apprezzo la tua scelta o meno!
- Va bene, non ci sono problemi, vedrai che ti stupirò. Avvertimi quando possiamo andare!
- Beh, se vuoi anche subito...
- Perfetto! Quanto tempo abbiamo?
- Tutto il week-end! Sempre se ti va...
- Cazzo, Silvia... Ti amo... Se potessi starei con te 24 ore al giorno tutti i giorni! Come posso rinunciare ad un'occasione come questa? Mi va eccome! Dammi solo un po' di tempo per andare a prendermi due cose all'hotel, poi noleggio una moto e ti passo a prendere qui... So già dove portarti, principessa!
Balzai via dalla sedia, diedi un bacio in fronte a Silvia e uscii dalla scuola, diretto all'hotel dove avevo lasciato i miei bagagli di Malaga. Pensavo di portare Silvia a Maiorca, nella spiaggia dove avevamo trascorso insieme l'estate in cui ci eravamo fidanzati, insomma, un posto che poteva far riaffiorare solo bei ricordi. Il progetto mi sembrava bello, quindi mi diedi subito da fare. All'hotel presi solo un paio di magliette, un jeans e i pantaloncini del Real Madrid che usavo sempre per andare al mare. Misi tutto in un borsoncino, me lo attracollai e tornai in strada. Passai per un autonoleggio dove noleggiai una moto rossa targata Honda, e comprai anche due caschi. Chiesi al propietario se avesse un pennarello, lui annuì, poi me lo diede; quindi scrissi su uno dei caschi "Love You" con un cuore vicino, per essere un po' romantici anche in campo motociclistico. Ringraziato il proprietario, sgommai via diretto alla scuola, dove sarei dovuto andare a prendere Silvia. Lei era già pronta lì davanti con un piccolo bagaglio alla mano; ricordo ancora com'era vestita: camicia a righe rosse e blu, pantaloncini bianchi e degli stivali rossastri con un tacco vertiginoso, poi al collo aveva legato un foulard blu. Lasciava senza fiato per quanto fosse bella e il suo sorriso dava quel tocco in più al capolavoro quale già era. Mi avvicinai a lei, frenai, quindi abbassai il vetrino del mio casco e le dissi che era bellissima. Si limitò a sorridere con un po' d'imbarazzo, poi io le porsi il casco con su la scritta; appena si accorse della frase sorrise nuovamente, questa volta aggiungendo un "Quanto sei scemo" che ci stava tutto, perché era detto con quella piacevolissima punta di dolcezza e tremolio di commozione. Insomma, credo che quel gesto, nonostante banale e nonostante Silvia non avesse reagito troppo calorosamente, le avesse fatto piacere. Montò in sella alle mie spalle, si mise il casco e mi chiese dove l'avrei voluta portare; io mi feci una risatina e non le risposi. Naturalmente non lo feci perché volevo fosse una sorpresa, volevo proprio vedere se Maiorca come meta le piacesse, anche se ne ero già straconvinto. Silvia strinse i suoi pugni alla mia giacca, quindi partimmo. So che è da folli andare da Madrid a Maiorca in moto, ma io adoravo viaggiare su due ruote, specialmente con Silvia avvinghiata a me per così tanto tempo, e poi sapevo che anche lei sotto sotto amava le moto. E soprattutto credevo che anche a lei piacesse l'idea di starmi appiccicata per qualche ora. Arrivammo nella cittadina dove avremmo dovuto prendere il traghetto, quindi parcheggiai e scesimo. Silvia mi guardò un po' sballottolata dal viaggio, poi lesse i terminal e intuì dove la stavo portando, quindi iniziò a parlare, d'altra parte erano ore che era in silenzio.
- Tu sei pazzo! Vuoi davvero andare a Maiorca?
- Naturalmente! Credo sia il posto migliore dove portarti per stare un po' insieme... E poi so quanto l'adori!
- Continuo a pensare che sei un folle! Però hai maledettamente ragione... Se devo dire la verità, se avessi scelto io ti avrei chiesto di portarmi proprio lì... Ma volevo vedere se avresti avuto la mia stessa idea e infatti... Complimenti, non ne sbagli una!
- Ho sbagliato troppo, ora devo indovinare su tutto, no? Sembra che ci stia riuscendo, quindi continuerò così se ti rende felice...
A questo punto, passarono alcuni secondi in cui ci guardammo senza dirci nulla. Furono attimi intensi, poi io l'abbracciai. Non lo feci per il contesto, non lo feci per coprire l'imbarazzo, non lo feci per guadagnarmi qualche punto con lei; ma lo feci solo perché mi andava, semplicemente per questo. Era il tramonto, tirava una brezza leggera e tutto era fantastico. Io, Silvia e poi il mondo. Sentivo che in qualche modo era l'inizio di qualcosa di buono. Ad ogni modo, feci caricare la moto nella stiva del traghetto, poi mi imbarcai con Silvia. La cosa che più mi fece piacere, era il fatto che nel fare la fila per i biglietti e nello stesso imbarcamento, ci tenemmo la mano. Proprio così, avevamo spontaneamente avanzato mano nella mano. Non me ne ero quasi reso conto, quasi fosse una cosa normale. Ma in realtà non lo era, io e Silvia non stavamo insieme, almeno non ancora. Era una sorta di periodo di prova, me l'aveva già detto. Doveva tenermi accanto ben vicino a lei per capire come sta quando è con me. E lì decidere se quelle sensazioni sono così belle da regalarmi il perdono, e da regalare ad entrambi la felicità che avevamo perduto anni prima. Questa era la situazione. E a me stava più che bene, in primis perché potevo comunque starle accanto, e poi era anche troppo considerando gli errori che avevo commesso. Comunque, salimmo sul traghetto. Partivamo da Valencia per arrivare all'isola di Maiorca, quindi, dato che era il tramonto, saremmo giunti nella cittadina di Palma per la serata. Per questo motivo, decidemmo di prendere il biglietto a prezzo ridotto, visto che prendere una cabina per poche ore di viaggio era inutile. Ovviamente pagai io entrambi i biglietti, dovevo essere impeccabile al massimo, anche sui piccoli gesti di cortesia. Ci sedemmo su delle seggiole nella parte superiore e quindi esterna del traghetto e cominciammo a parlare per ammazzare il tempo. E cominciai proprio io a parlare perché la vedevo molto silenziosa.
- Ehi... Va tutto bene?
- Oh, sì, certo... Perché me lo chiedi?
- Ti vedo un po' spaesata... È da quando stavamo facendo la fila per i biglietti che non dici una parola... Guarda che se non ti va di andare a Palma, possiamo scendere prima che il traghetto parta!
- Ma no, figurati... Voglio andarci a Palma, altroché! Soltanto che ho paura...
- Paura? E di cosa?
- Vedi, per me è un attimo difficile... Voglio dire, cerca di capirmi, questa situazione è così strana... Ti ho chiesto io di trascorrere il fine settimana insieme, e giuro che lo voglio, solo che nella mia testa balenano dubbi su dubbi, in continuazione... Te lo dico molto francamente, sei la persona che io amo, ma è così difficile... Fino a poco fa ti tenevo la mano, ora sto pensando che forse non avrei dovuto farlo, perché non sei mio...
La interruppi. 
- Non sono tuo ma io vorrei esserlo, completamente. Ascoltami, non farti di queste paranoie... Questa situazione è difficile perché sei stata tu a deciderlo, giustamente... Ma puoi renderla facile quando vuoi; io aspetto solo quel momento, perciò non sentirti in colpa perché mi hai tenuto la mano per una mezz'ora... Non sono io a dover pesare i gesti, in questa circostanza la padrona sei solo e soltanto tu, quindi sta' tranquilla, ok?
- Forse hai ragione...
- Ehi, va tutto bene... Ricorda che decidi tutto tu, io non faccio assolutamente nulla se tu non lo vuoi!
- D'accordo... Adesso vorrei solo rilassarmi durante questo week-end, mi aiuterai?
- Se è quello che vuoi, non devi nemmeno chiedermelo!
E mi abbracciò. Le diedi mille baci sulla guancia. Sembrava apprezzare quello che le dicevo, e questo mi dava una particolare forza d'animo. Dopo poco, Silvia fece risbucare la sua testa che fino a poco tempo prima era sommersa dal mio abbraccio, e in un battibaleno me la presentò a pochi centimetri dal mio volto. Quando vidi la sua bocca così vicina alla mia, d'impulso cercai di unirle in un nuovo bacio; ma stavolta Silvia non acconsentì: prima che le mie labbra trovassero le sue, voltò di poco il suo viso e le mie labbra si posarono solo sulla sua guancia. Mi sentii in imbarazzo, poi vidi che lei se la rideva sotto i baffi, ma comunque cercai di chiedere scusa.
- Scusami, scusami, scusami...
- Di cosa? Dai, non è successo nulla... Stavolta!; e sorrise.
- Già... Il fatto è che a volte davanti a te mi viene quasi automatico... Insomma, so che è sbagliato per tutto quello che abbiamo detto prima, ma sei talmente bella e poi... E poi io ti amo...
Arrossì un po', poi si riprese.
- Dai, davvero, lascia stare. Va tutto bene!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Profumo di nozze ***


6. Profumo di nozze
 
 
Le sorrisi, ancora un po' vergognato. Mi misi poi composto sulla seggiola e guardai come partiva il traghetto. Il mare quella sera era una tavola e i riflessi del tramonto facevano di esso una vera meraviglia. Poi, del tutto inaspettatamente da parte mia, sentii la testa di Silvia appoggiarsi sulla mia spalla. Anche lei fissava il mare che rifletteva il tramonto. In quell'istante preferii rimanere in silenzio; il momento era bellissimo così com'era, e non volevo neppure rischiare di macchiarlo, nemmeno minimamente. Pochi secondi dopo, a Silvia squillò il cellulare, quindi si allontanò per rispondere. Al momento della risposta sembrò molto felice, quasi se quella che stesse ascoltando fosse una voce alla quale era molto affezionata. Mentre parlava sorrideva, ed ogni tanto mi lanciava uno sguardo; sembrava parlasse di me. Allora cominciai a ipotizzare chi fosse, ma poi rinunciavo perché la mia mente mi ripeteva che Silvia in realtà non stesse parlando certo di me. La telefonata durò un bel po' di tempo, poi Silvia si riaccomodò accanto a me e cominciò a parlarmi di quella chiamata.
- Ho una bellissima notizia, sicuramente ne sarai contento anche tu!
- Beh, puoi cominciare dicendomi chi era, per esempio...
- Era Lola. Sai, mi ha detto che avrebbe presto chiamato anche te, ma poi le ho detto che eri con me, quindi mi ha semplicemente chiesto di riferirti ciò che ha già detto a me...
- Lei e Pedro tornano a vivere a Madrid?
- Uhm... No, però è comunque qualcosa che li riguarda entrambi! Dai, spara! Voglio vedere se riesci ad indovinare!
- Mi hai detto che è una notizia bellissima... Dunque... Le opzioni sono due: o Lola aspetta un bambino, o si sposa con Pedro. Giusto?
- Non è incinta...; quando fece quest'affermazione, il suo viso s'imbrunì un poco. Ovviamente credo che questo avvenne perché a Silvia veniva in mente il fantasma del nostro figlio mai nato. Ma subito si riprese, quindi sorrise e riprese il discorso.
- Ma hai indovinato, Pedro e Lola presto diventeranno marito e moglie. Precisamente tra un mese e pochi giorni. Lola mi ha chiamato non solo per rendermi nota la notizia, ma ovviamente anche per invitarmi alla cerimonia. E naturalmente sei invitato anche tu!
- Cazzo, il bifolco si sposa... Incredibile! Mi sembra strano; insomma, li ho visti innamorarsi e cercarsi talmente da vicino che il coronamento del loro sogno d'amore mi sembra quasi irreale... Sono davvero felice...
- Ah, c'è un'altra cosa; Lola me l'ha detta, ma preferisco non riportartela io a voce. Se fossi in te, farei un colpo di telefono al bifolco, come lo chiami tu! Ha da dirti una cosa importante riguardo il matrimonio, la stessa che ha detto Lola a me... Insomma, non farmi parlare troppo e chiamalo, appena puoi!
- D'accordo, d'accordo... Ma così mi fai preoccupare!
- Tranquillo... Preoccuparsi per quello che ha da dirti Pedro è veramente l'ultima cosa che può capitare; al massimo ti emozionerai un po', forse...
- Basta, mi fai stare sulle spine! Ora lo chiamo...
Mi allontanai e velocemente feci il numero di Pedro sulla tastiera del mio cellulare. Ero agitato; Silvia mi aveva detto che era qualcosa d'importante ed io per le cose importanti tendo praticamente sempre ad agitarmi. Mentre riflettevo, sentii il "pronto" di Pedro e mi buttai nella telefonata.
- Auguri bifolco! Congratulazioni!
- Rober! Sarà almeno un mese che non ho tue notizie! Ah, comunque molte grazie!
- Beh, l'ultimo mese mi ha scombussolato la vita, perdonami se sono stato praticamente irreperibile, ma forse la tua promessa sposa è stata tenuta aggiornata sugli ultimi cambiamenti... E non sono stato io a farlo! Comunque... So che hai da dirmi altro riguardo il tuo matrimonio, vorrei sapere cosa c'è, insomma, sai che mi agito facilmente!
- Certo, so del tuo ultimo mese! In ogni caso... Quel che ho da dirti è una roba bella, non angosciarti, ok?
- Va bene però muoviti a dirmelo, bifolco!
- D'accordo... In realtà è una proposta... Ecco, la sposa già l'ho trovata quindi non voglio proporti di sposarmi; ma c'è un altro importante ruolo nel mio matrimonio e vorrei fossi tu a ricoprirlo... Rober, vorresti farmi da testimone di nozze?
- Oh, santo cielo! Sì, sì certo! Sono contento che tu abbia pensato a me, davvero! Accetto volentieri e ti ringrazio!
- Mi fa molto piacere! Ah, voglio dirti anche qualcos'altro! Dato il fatto che so quello che ti sta succedendo in questo periodo, quindi so di te e Silvia, di come siete messi, di quello che state provando a fare eccetera, voglio dirti qualcosa che può renderti ancora un pochino più felice...
- Sarebbe?
- Mah, diciamo che hai tutte le garanzie sul fatto che durante la cerimonia in chiesa starete seduti uno accanto all'altra!
- Non ti seguo Pedro; che vuoi dire?
- Non capisci mai i giri di parole, eh? Va bene, va bene, sarò esplicito e diretto! Lola ha chiesto a Silvia di farle da sua testimone; quindi questo vuol dire che tu e Silvia ve ne starete seduti vicini almeno in chiesa, e direi che durante un matrimonio, stare spalla a spalla con la persona amata è una bella sensazione, almeno credo!
- Ah, ora è tutto più chiaro! Certo, a me fa piacere starle vicino in qualsiasi situazione, figuriamoci in un giorno così bello per due persone a noi tanto care come voi! Grazie, Pedro... Ancora auguri!
- Figurati... Mi hai fatto cornuto tanto tempo fa, ma ad oggi posso forse azzardarmi a dire che quell'episodio è stato un bene per tutti, guardando come siamo messi attualmente!
Scoppiai a ridere, poi risposi.
- Già... Ha reso ad ognuno di noi più chiara la propria strada... Non c'è bisogno che io ti chieda scusa, a quanto pare doveva andare così, no?
- Eh sì... Beh, se non ti spiace ora ti lascio; devo farmi un giro di telefonate per il matrimonio...
- Tranquillo... Ehm, ma lascia che ti chieda un'ultima cosa...
- Certo, dimmi!
- Al matrimonio... Ci sarà anche Marta, vero?
- Beh, Rober, l'invito glielo devo! Sarà lei a scegliere se venire o meno; sicuramente immaginerà la tua presenza all'evento, ma comunque verrà scritto il tuo nome nell'elenco dei testimoni sugli inviti, quindi... Starà a lei decidere... Per te sarebbe un problema rivederla?
- No di certo, forse potrebbe esserlo per lei ma come hai detto tu potrà decidere di fare quel che crede più opportuno per sé stessa... Va bene, bifolco, ti lascio alle tue telefonate!
- Ed io ti lascio alla tua amata! Stammi bene! Ciao, a presto!
- Ciao, bifolco!
E riagganciai. Fantastico; Pedro e Lola si sarebbero sposati di lì a poco (e già questo era meraviglioso), io ero stato scelto da Pedro come suo testimone di nozze e Silvia da Lola, io e Silvia avremmo presto assistito insieme al matrimonio di due persone a cui eravamo parecchio legati, tutto era stupendo. Per quanto riguardava un possibile incontro con Marta, ero tranquillo. Se fosse venuta, sarebbe voluto dire che con me non aveva più problemi e sarebbe andato benissimo; se non si fosse presentata, avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo, e non avrei avuto nulla da dire, percui non ci sarebbero stati problemi in entrambi i casi. Mi riavvicinai a Silvia, quindi sorridendo l'abbracciai prima, poi le parlai.
- Beh, ma è fantastico! Quasi non ci credo... Non solo si sposano, ma io e te saremo i loro testimoni di nozze...
- Eh già... Hanno avuto il loro lieto fine e ci hanno chiesto di accompagnarli...
Poi ci furono momenti di silenzio, quindi presi un po' di coraggio e le dissi qualcosa di cuore.
- Spero di poter presto restituirgli il favore, sai?
- Che cosa stai cercando di dirmi?
- Lo sai, avanti! Ti amo da una vita, è normale che voglia sposarti! L'ho sempre voluto e credo anche tu... Spero davvero che le cose vadano così... Ma ora, penso solo a non sbagliare con te. Il matrimonio, se arriverà, arriverà quando sarà tutto perfetto. Ora come ora, sto provando a farlo diventare perfetto, con te. Mi auguro di riuscirci, col cuore...
Silvia rimase senza parole. Mi fissava, come paralizzata. Poi, d'improvviso, si voltò, andò ad appoggiarsi sulla ringhiera del traghetto e si mise a fissare il mare, muta. Io feci un largo sospiro, poi la affiancai restando in silenzio, aspettando che mi dicesse un qualcosa, ed infatti dopo poco lo fece.
- Anche anni fa credevo potessimo sposarci, io e te. Ma è andato tutto molto diversamente da come me l'immaginavo. Non sono mai riuscita a capirne il reale motivo, so solo che è andato tutto in frantumi nel giro di pochi giorni...
- Io invece credo di saperlo il perché. Eravamo troppo giovani. Da quando abbiamo perso il bambino, sono passati cinque anni. Avevamo tutti e due vent'anni, santo cielo. Ci siamo lasciati andare, facevamo l'amore spesso e senza precauzioni, perché non avevamo freni, eravamo in un uragano di passione incontrollabile. E quando fai l'amore senza preservativo, si sa, alla lunga può arrivare un bambino. Noi non ne consideravamo nemmeno l'ipotesi, eravamo spensierati, troppo spensierati. Alla fine però, questo bambino è arrivato. E tu eri talmente spaventata da questo fatto, che nemmeno me l'hai detto. Non volevi che questo bambino influenzasse la tua vita, la tua carriera, il tuo mondo; quindi hai continuato come nulla fosse, anche se dentro soffrivi da morire. Infine, l'affaticamento del ballare in continuazione, il bambino te l'ha portato via. Ed io l'ho saputo a somme già tirate. E da quel giorno, non abbiamo fatto altro che litigare, fino a rompere. Questo vuol dire che è stata tutta colpa dell'immaturità... Non sto parlando solo dell'ingenuità e della leggerezza con la quale abbiamo inconsciamente concepito il bambino; e non sto parlando nemmeno solo di te, del fatto che tu non mi abbia parlato della gravidanza; ma parlo anche di me, di me che non mi sono reso conto della valanga che ti stava travolgendo, che non ho mai cercato dialogo per capire cosa c'era che non andava, e soprattutto che non ho saputo condurre la discussione che ho fatto con te sul bambino appena ti hanno dimessa. Ti ho aggredita come un ragazzino capriccioso, non ti ho dato possibilità di spiegare, sono solo stato capace di esibire tutta la mia violenza. Per questo, credo sia stata colpa dell'immaturità. Ma io credo che a distanza di cinque anni, sia io che te siamo cresciuti, abbiamo capito come va la vita realmente. Oggi sono pronto per iniziare un percorso lungo tutta la vita con la persona che amo. Oggi è diverso; oggi posso sposarti, posso darti un figlio. Non rimuginiamo sul passato, sugli errori... Sono serviti, ci hanno fatto capire la strada sbagliata, ci hanno fatto crescere; ma ora è tempo di sfruttare quel che abbiamo capito da questa lezione per costruire il nostro futuro. Possiamo farlo, se vogliamo. Vorrei solo dirti che io lo voglio con tutto me stesso, e ti ripeto che ti aspetterò in eterno, se sarà necessario...
Detto questo, come mi sarei potuto benissimo aspettare ed infatti me l'aspettavo, Silvia scoppiò a piangere. Sapevo avrebbe pianto, ma prima o poi saremo dovuti tornare su quell'argomento, rimasto per troppo tempo in sospeso. Era meglio farlo subito, piuttosto che portarselo dietro avendo paura di toccare quel tasto. Quel tasto andava necessariamente toccato, altrimenti il futuro non c'avrebbe mai nemmeno guardato in faccia. Sono del parere che se non risolvi tutte le questioni rimaste appese a un filo con una persona, non puoi continuare il tuo cammino con questa, guardando serenamente alla vita. Per questo gliene avevo parlato pur sapendo che avrei riaperto in Silvia una cicatrice mai del tutto rimarginata. Piangeva con le mani sul volto, singhiozzando, col respiro affannoso. Si vedeva quanto le stesse a cuore quell'argomento. Non potei far altro che abbracciarla, quindi continuò a piangere mentre mi teneva stretto; piangeva sulla mia maglia, mentre io le accarezzavo i capelli. Poi continuai.
- Silvia, so che per te è alquanto doloroso, ma era ovvio che dovessimo tornare a parlarne... Comunque ora è acqua passata, se vuoi e se me ne darai l'opportunità, potremo riprendere da dove abbiamo bruscamente lasciato... Non devi preoccuparti, ti ripeto che in questa situazione l'unica a decidere sei tu; devi stare tranquilla, io sono qui solo per te, solo e soltanto se tu lo vuoi, quindi...
Sollevò quindi il capo dal mio petto, mi guardò negli occhi, si asciugò il trucco sbavato dalle lacrime e mi rispose.
- Tu hai ragione su tutto... Da quando sei tornato, sai con esattezza cosa dire e come dirlo, sai pesare ogni parola, ogni gesto, non ne sbagli una... Come fai a trovare tutte le parole e tutti i comportamenti giusti? Come fai a sapere quello di cui io ho bisogno? Come?
- Lo sai benissimo. Lo so perché ti conosco meglio di chiunque altro. Dai, comunque non volevo certo rattristarti. Ti va una birra e una chiacchierata su argomenti magari un po' più leggeri?
Mi diede un bacio sulla guancia e mi disse che le andava. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Scomode realtà ***


7. Scomode realtà
 
 
Andai al minibar del traghetto, presi due birre e tornai da Silvia, quindi, con il sorriso stampato sul volto, le porsi la sua bibita. Mi ringraziò, poi avviò lei i discorsi.
- A Madrid non ti è rimasto più nessun contatto?
- Oh, no... Da quando me ne sono andato, ho troncato i rapporti con tutti, perché mi ero autoconvinto che se davvero avessi voluto ricominciare una nuova vita da zero, avrei dovuto tagliare tutti gli stralci di passato, indipendentemente a chi fossero legati. E così, ho cancellato decine di numeri di telefono, pronto ad andare in una sorta di isolamento. Non ho più sentito nessuno, eccetto Pedro o Lola da Skype, che tra l'altro erano sempre loro a cercare me e non viceversa. Ad oggi, me ne vergogno. Insomma, non avrei dovuto escludere persone così importanti per me solo per le mie stupide convinzioni. Eppure l'ho fatto a suo tempo, un altro dei miei tanti errori...
- Quindi non hai sentito nessuno degli allievi della scuola? Non so, eri molto legato a Cesàr o a Tanya...
- Mmm... Cèsar no, da quando ha ricevuto un contratto quando io ero ancora allievo, è sparito... Tanya non l'ho più sentita, però l'ho incrociata un paio di volte nei giorni scorsi... Sembra così strana, così cambiata...
- Non sai di quello che le è successo, vero?
- Cosa le è successo, perché? Dovrei sapere qualcosa?
- Beh, ci credo che ti sembra cambiata... Vedi, Tanya, circa un anno dopo la tua partenza, ha ricevuto un contratto discografico, da una montagna di soldi e da buoni investitori. Era tutto perfetto per lei; sarebbe stata lanciata in una carriera stellare, avrebbe guadagnato un sacco e sarebbe diventata famosa. Purtroppo però, all'ultimo momento, gli investitori si sono tirati indietro ed hanno scelto un'altra cantante per quel progetto. Da allora Tanya è caduta in un'immensa depressione, sentendosi fallita nella sua più grande ambizione, ovvero il canto. L'arte che amava l'ha tradita, le ha sbattuto una porta in faccia. Da quel giorno, oltre alla depressione, di giorno in giorno è andato crescendo in lei un vero e proprio disturbo mentale, tanto è vero che da anni è seguita da psichiatri professionisti che la tengono sotto terapia, ma pare che la mente di Tanya sia ormai profondamente disturbata. Insomma Rober, per farla breve è diventata pazza, in seguito a una crisi isterica è andata incontro ad una vera e propria malattia. Per ora è questa la situazione, potrebbe anche darsi che presto sarà trasferita in una comunità o peggio in un manicomio. Mi dispiace, è andata così; ti prego solo di non dire a Puri che sono stata io a dirtelo, lei ha molto a cuore questa questione della nipote, non vorrei che si sentisse toccata sentimentalmente, sensibile com'è...
Da quel momento cominciai a non capire più nulla; Tanya era diventata pazza, pazza per davvero, a livello clinico. Per un po' rimasi in silenzio, poi tornai sulla terra trovando lo sguardo di Silvia che cercava il mio in attesa che dicessi qualcosa, quindi sospirai e provai a fargliela breve, sui miei due incontri con Tanya da quando ero tornato.
- Silvia, Tanya crede di amarmi...
- Cosa?
- Vedi, l'ho incrociata due volte dal mio ritorno, così ci siamo salutati e abbiamo scambiato due chiacchiere; lei mi ha detto solamente che è innamorata di me, con una convinzione allucinante che però a me è sempre risultata impossibile. Non ci ho mai creduto, ed adesso che mi hai detto come stanno le cose, si fa tutto più chiaro...
- E quando avevi intenzione di parlarmene? Aspettavi cosa per dirmelo? Cosa?
Silvia si scaldò; era evidentemente infastidita dal fatto che nonostante fossi al corrente dell'ipotetico sentimento che Tanya provava verso di me, non gliel'avessi fatto presente. Tra l'altro io non conoscevo neppure la situazione psichica di Tanya e dalla mia posizione le parole di Tanya potevano tranquillamente risultare fondate e veritiere, il che aggravava la mia situazione. Ma io sapevo di per certo che quel che mi aveva detto Tanya era falso, però ovviamente Silvia avrebbe avuto parecchie argomentazioni per non prendere del tutto in considerazione le mie convinzioni. Nonostante tutto, nonostante l'amarezza per Tanya e nonostante la rabbia che leggevo negli occhi di Silvia, provavo uno stimolante piacere del fatto che Silvia sembrasse gelosa di Tanya, quindi risposi.
- Ehi, io sapevo benissimo che non poteva essere vero... Sono sempre stato convinto che tra me e Tanya l'amore non sarebbe mai potuto nascere... So distinguere il bene e l'amore, e tra me e lei non può esserci altro che bene, tanto bene, come c'è sempre stato, ma nulla più di questo bene!
- Ah sì? Tu ne sei convinto, forse. Ma lei? Chi te lo dice quello che potrebbe provare lei per te, invece?
- Beh, la conosco. Andiamo, è impossibile che sia innamorata di me! La conosco troppo bene!
- Cazzo Rober, ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Se davvero la conoscessi come dici di conoscerla, avresti subito capito che c'era un problema ben più grave del cambiamento personale quando ti ha detto di quel che prova verso di te... Invece hai solo saputo dirti che non la riconoscevi più perché era cambiata... A me sarebbe bastato uno sguardo, uno solo, per capire se tu fossi diventato mentalmente instabile. Perché io ti conosco alla perfezione. Mi spiego meglio; le ipotesi possono essere due: o tu Tanya non la conosci così bene come sostieni di conoscerla, o volevi fare il furbo e tenerti la carta di riserva da giocare nel caso io ti avessi mandato a fanculo. Allora, quale delle due?
Sembrava strano, ma dentro di me ero compiaciuto di quella gelosia. Era un segnale che mi faceva capire che lei teneva davvero a me. Insomma, io lo sapevo, ma era bello vederne dimostrazione. L'amarezza per Tanya e il compiacimento per la gelosia di Silvia si mescolarono in me, in ogni caso era ora che dessi una risposta quantomeno sensata.
- Nessuna delle due. Io Tanya so di conoscerla bene, ma sinceramente diagnosticare un disturbo mentale in due chiacchierate mi sembra eccessivo, per quanto la nostra conoscenza sia elevata. E la seconda ipotesi che mi hai disposto, non mi sento neppure di commentarla. Ti voglio chiedere una cosa però; mentre mi rimproveravi di questo mio comportamento, ti sei lasciata sfuggire che ti sarebbe bastato uno scambio di sguardi con me per capire se c'era qualcosa dentro me che non andava, dopodiché hai giustificato il tutto dicendo che è perché mi conosci alla perfezione. La mia domanda allora è: se davvero sei convinta di questo, perché non mi guardi negli occhi e non mi dici davvero perché io non ti abbia parlato dei discorsi con Tanya? La verità è perché non le consideravo dichiarazioni attendibili, non le ho mai prese sul serio perché sapevo in un modo o nell'altro che fossero false. Ora guardami negli occhi e dimmi se ti sto mentendo!
Silvia scosse la testa, sorridendo, poi riprese il discorso.
- So che non menti. E mi aspettavo reagissi così. Ad ogni modo, per quanto riguarda Tanya, non darle comunque troppa corda; lo ammetto, sono gelosa, d'accordo. Come se già tu non lo sapessi.
- Ah, sei gelosa?
- Già... Sai, penso che se una persona è innamorata, in fondo sarà sempre gelosa. Soltanto che c'è chi lo ammette e chi no. Io almeno lo ammetto, tanto si vedrebbe anche se non lo dicessi.
- Sai una cosa? A me di Tanya come ragazza della mia vita non è mai importato. Non sono così lurido da prenderla in considerazione per compassione, o peggio per pietà. Tu invece, mi piaci ogni istante che passa di più. Sempre di più, inesorabilmente di più. Ti amo sempre di più, anche se ti incazzi per delle stronzate; il fatto è che alla fine finiamo sempre per trovarci sulla stessa strada, quindi non c'è nulla da fare, saremo sempre legati l'uno all'altra. Il signor destino mi ha riportato da te; un motivo dovrà pur esserci, l'hai detto tu!
- Perché mi dici questo, proprio ora?
- Mah, semplice... Perché tutto quello che mano a mano dici e fai, mi convince sempre di più che tu sei quello di cui ho bisogno. Niente in particolare, è proprio questo il bello. L'importanza di qualcosa sta nelle sue piccole cose, nei suoi piccoli frammenti e nelle sue piccole sfaccettature. Io questo concetto lo capisco perfettamente standoti accanto.
- Ora mi dirai anche che sta a me decidere; lo so.
- Esatto, ma finché siamo messi così, non c'è fretta. Dai, prendi le tue cose che siamo arrivati, io vado giù a prelevare la moto, d'accordo?
- D'accordo...
La baciai sulla fronte e calai alla stiva, col bigliettone blu che serviva per ritirare la moto in mano. Feci dieci minuti di fila per farmi ridare il veicolo, quindi mi rincontrai con Silvia direttamente su terraferma. Le sue cose le aveva già in spalla e stava guardando per aria in segno praticamente di attesa. Portai la moto a mano verso di lei, poi le chiesi se le andava di arrivare in albergo con la moto piuttosto che arrivarci con un puzzolente taxi costiero dai costi tra l'altro piuttosto salati, e lei mi fu d'accordo. In qualche modo, riuscimmo ad attraccare tutti i bagagli a ridosso della moto, quindi partii con una velocità abbastanza considerevole, tanto è che Silvia mi diede una pacca sulla schiena come se stesse chiedendomi di rallentare. Avevo in mente di farle rifare su per giù lo stesso itinerario di quell'estate passata insieme, anche se non ricordavo precisamente tutte le strade da percorrere per arrivare alle mete prestabilite. Non nascondo che mentre guidavo c'era anche quella parte di cervello che si analizzava la questione su Tanya, ma la cosa bella è che non sapeva come argomentare quel concetto, perché sembrava così assurdo da essere impossibile, eppure era l'unica verità, che tra l'altro chiariva tante cose. Sta di fatto che attraversai decine di rotonde con vista sul mare, che si affacciavano a ridosso di chilometri e chilometri di spiaggie dalle bianche sabbie, con quella brezza al sapore salato che si percepiva anche in moto con un casco integrale addosso. Alcuni dei tratti che percorsi mi furono familiari, nel senso che ricordai di averci già portato Silvia, altri probabilmente no, ma la cosa non era poi di vitale importanza; l'importante era che lei stava lì con me. Finalmente giunsi allo storico hotel di Palma, il Quetzal Rojo, dove io e Silvia avevamo alloggiato nell'estate del nostro fidanzamento. Parcheggiai con tranquillità, dopodiché porsi la mia mano verso Silvia con galanteria per aiutarla a scendere dalla moto. Una volta scesa si stava caricando addosso tutti i borsoni, ma con un'occhiata le feci capire che quello sarebbe stato compito mio. Le feci poi cenno di seguirmi all'ingresso dell'albergo, e di lì andammo insieme. Mentre facevamo la coda alla reception dell'albergo, mi resi conto che non avevamo stabilito un importante dettaglio, quindi lo feci presente a Silvia.
- Ehm... Per quanto riguarda le camere?
- Cosa?
- Ne prendiamo due, separate?
- Oh santo cielo, Rober! Ancora a parlare di questo stiamo? Il concetto è questo; ci siamo visti nudi e abbiamo fatto l'amore un numero indecifrabile di volte, ora cosa vuoi che me ne importi di dormire o meno nel tuo stesso letto per un week-end con o senza scopare?
- Beh, sai, per me invece conta questo. Sono tornato per riconquistare la tua fiducia e per ricominciare una storia con te, mi sembra il minimo chiederti se preferisci dormire da sola o insieme a me... Guarda che il mio obiettivo non è portarti a letto, ma tornare ad amarti e farmi amare. Mi dispiace che tu dica questo...
- Sì, hai ragione... Scusami, è che continuo a trovarmi in una posizione talmente ai limiti dell'assurdo con te, che ogni tanto me ne esplodo con queste cose senza senso... Comunque, io provvederei per un'unica camera, matrimoniale. Mi fa piacere dormire con la persona che amo, indipendentemente dalla situazione assurda o meno. Penso che anche stanotte siamo stati bene, anche senza sesso. Sbaglio?
- Non sbagli... Sono d'accordo per la matrimoniale!; dissi poi ridendo, mentre Silvia mi sorrise con una punta d'imbarazzo, evidentemente resasi conto della svista che aveva avuto facendomi quel discorso poco prima.
Ma io la capivo. Capivo che ogni tanto potesse sfogare l'assurdità della posizione nella quale si trovava in modi abbastanza spiccati, e non le si poteva dare torto. Per questo poi l'avevo buttata sul sorriso, l'unico modo che avevo per vedere sorridere anche lei e per questo ne potevo infine gioire. Perciò, alla fine provvedemmo per la doppia; ci capitò la 407 del quarto piano, della serie che ogni volta ci toccava prendere l'ascensore, perché quattro rampe di salita mi sembravano eccessive.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** In riva al mare ***


8. In riva al mare
 
 
Andammo a posare la roba di sopra, poi chiesi subito a Silvia di andarcene al mare. Fu contenta della proposta, quindi disse che si sarebbe messa il costume e mi avrebbe raggiunto nella hall, visto che io avevo già il costume sotto i pantaloncini. Per questo scesi alla hall con i Ray Ban sulla fronte, una canotta bianca, i pantaloncini del Real e delle Adidas senza calzini (era sempre così che mi conciavo prima di andare in spiaggia) e mi accomodai su una delle polroncine messe lì. Aspettai davvero poco, perché dopo neppure cinque minuti, vidi Silvia uscire dall'ascensore. Aveva addosso una vestaglia rossa ed anche lei portava un modello di Ray Ban. Ricordavo fosse veloce con i vestiti, ma non ricordavo fino a questo punto. Mi raggiunse e di lì poi uscimmo, con un paio di asciugamani alla mano, e montammo di nuovo sulla moto. Come già detto, era quasi tramontato il sole e nonostante questo ce ne stavamo andando al mare. In realtà non era una novità; anche nella nostra precedente vacanza a Palma, alla sera non andavamo per discoteche come è solito fare sull'isola di Maiorca, ma preferivamo la spiaggia deserta che teneva malinconicamente compagnia alla luna piena. Abbiamo sempre adorato la romanticità dell'udire lo sciabordare delle onde che si propagano e ritraggono sul bagnasciuga, senza che l'occhio possa riuscire a cogliere le sfumature dei colori del mare, come avvolto in un fascio di mistero. Era circa l'imbrunire quando arrivammo in quell'angolo di spiaggia. Il cielo era di un colore misto tra rosa, arancio e blu notte, e la temperatura era piacevolmente tiepida. Poggiammo gli asciugamani sulla sabbia e ci distesimo sopra di essi. Io ero disteso verticalmente, in modo normale, mentre Silvia si era messa per orizzontale ed appoggiava la sua testa a ridosso del mio torace. Poi cominciò a parlarmi, tirando fuori l'argomento di mio figlio. Già, io ho un bambino, che non c'entra nulla con Silvia, che ho avuto quando avevo sedici anni con la mia prima ragazzetta. Cosa volete che vi dica; il primo amore della mia vita, Bea, mia coetanea, con la quale giocavo insieme in un quartiere di Almeria. L'ho conosciuta durante un'estate, da allora è sempre stata una persona a me vicinissima. Eravamo innamoratissimi. Sia quando passeggiavamo in giardino, che quando abbiamo cominciato a fare l'amore, a sedici anni. Un po' di passione, euforia delle prime esperienze, e dopo una settimana in cui c'eravamo lasciati andare, c'è scappato Sergio. Lo so, non posso scopare come il cielo comanda che lascio figli in grembo a destra e a manca. Io ero un ragazzino, non capivo, non volevo tenere quel figlio perché non mi sentivo pronto e papà diceva che non doveva nascere. Alla fine Bea si trasferì lontano, ruppe con me e il bambino venne tenuto; nove mesi dopo venne quindi alla luce. Il mio piccolo Sergio, biondo come sua madre e dal carattere sbarazzino come me. Lo vidi la prima volta quando ero all'Arrànz, a tre anni e mezzo. Ora aveva quasi dieci anni, ma io non lo vedevo da molto tempo. Proprio questa fu la domanda di Silvia.
- E Sergio? Come sta? L'ultima volta che mi ricordo d'averlo visto, era l'ultimo anno di scuola; tu e Marta lo tenevate per mano mentre scorrazzava per scuola, perché Bea te l'aveva portato per una visita, e se non erro era anche il suo compleanno... Ho indovinato?
 - Già, complimenti per la memoria... Tutto esatto... Ma non lo vedo da molto tempo. Sai, Bea è andata a vivere in Brasile per motivi lavorativi, e lì si è anche rifatta una vita con un uomo. Oltre a Sergio, ha altri tre bambini, e vivono tutti insieme, compreso suo marito, nei pressi di Santos. Bea non è mai tornata da allora qui in Spagna, e come da contratto dell'affidamento di Sergio, sarei io tenuto a farle visita in Brasile per vedere mio figlio, visto che lei ha una situazione stabile e l'affidamento quasi totale del bambino. Il problema è che io non ho il denaro sufficiente per fare avanti e indietro tra Spagna e Brasile come fossero due posti l'uno dietro l'altro, e sinceramente sono troppo orgoglioso per chiedere la carità di mio padre per necessità quando ho perso ogni tipo di contatto con lui... Per questo, ho deciso che a Madrid voglio farmi una vita stabile, magari con te, per poi trovarmi un lavoro serio e pagare dignitosamente ogni viaggio che mi conduca a Sergio, come se venisse conquistato col sudore delle mie gronde e la fatica dovuta alla mia voglia di vederlo... Riesci a capirmi, vero?
- Ehi, certo che lo capisco... Non sapevo che Bea fosse andata via in Brasile... Da quanto tempo è lì? Non era a New York con suo marito Alberto?
- Mah, più o meno da quando io ho lasciato Madrid... O forse un po' prima... Con Alberto ha divorziato e con lui non ha avuto figli... Il suo nuovo marito è brasiliano, ma l'ha conosciuto prima di trasferirsi, poi lui le ha trovato anche un posto di lavoro a Santos, quindi si sono sposati e sono andati a vivere lì...
- Lui ti manca, non è vero?
- Tu puoi saperlo più di chiunque altro. Ho passato notti intere a piangere sulla tua spalla perché non riuscivo a vederlo spesso. E a pensare che a quei tempi almeno una volta ogni due mesi potevo incontrarlo... Non lo vedo da due anni, sto una merda. Rispetto a prima, sono solo riuscito ad evitare lacrime. Ma lo stato d'animo è peggiorato, come mi pare ovvio che sia. Ho promesso a me stesso che entro la fine di quest'anno ce la farò ad incontrarlo. La cosa che mi fa più male, è che lui possa pensare che io non faccia abbastanza per vederlo, perché non me ne importa così tanto. Santo cielo, non può esserci affermazione più falsa, ma mio figlio è piccolo, e questa teoria può essere fondata; spero davvero non pensi questo, ma non è difficile che lo faccia. Sono un pessimo padre, ecco cosa sono...
- Ehi, non mi piace sentirtelo dire. È vero, io e te ne abbiamo parlato parecchio di Sergio; appunto per questo, reputo di potermi esprimere... Ascolta, per quello che ho potuto constatare io negli anni scorsi, ho sempre visto un padre gioire al solo sentire la voce di suo figlio al telefono ed esplodere di felicità quando se lo trovava davanti... La cosa fondamentale che un padre deve avere, a mio parere, è l'amore per suo figlio. Tu eri distrutto quando Sergio era lontano, così come lo sei ora, e faresti qualsiasi cosa pur di vederlo, ma purtroppo ora come ora non puoi farci nulla. Un padre che ama suo figlio è un padre meraviglioso. Altrimenti, non sarebbe neppure degno di essere definito tale. Tu sei un padre meraviglioso perché tuo figlio l'adori, ed io lo so. Non hai niente da rimproverarti. Però se vuoi, posso darti io il denaro per andare in Brasile...
- Non posso accettarlo, mi dispiace. Ti ringrazio, ma devo conquistarmi la visita a Sergio da solo. Invece, il fatto che non ho nulla da rimproverarmi su di lui, lo dici solo per non farmi sprofondare o lo credi davvero?
- Credi che io possa mentirti su un argomento del genere, forse?
- No.
- Bene, ti sei risposto da solo!; e mi sorrise.
Le accarezzai la testa e la ringraziai, poi riprese a parlare.
- Hai anche detto che hai troncato in definitiva con tuo padre... Hai voglia di parlarne?
- Forse mi farebbe stare meglio...
- Allora fallo... Non hai niente da perderci.
- Beh, non so nemmeno da dove cominciare! D'accordo, proverò a parlare dall'inizio ed andare per gradi, anche se non so neppure io dove andare a parare... Allora, mio padre ho cominciato a perderlo da quando Bea è rimasta incinta di me. Come sai, papà dirige un'azienda immobiliare, che è di proprietà della mia famiglia da generazioni e generazioni, e naturalmente avrebbe voluto che anch'io continuassi la tradizione. Quando è venuto a sapere che suo figlio sarebbe diventato padre a sedici anni si è preoccupato solo di quello che avrebbero potuto scrivere i giornali sul conto dell'azienda collegandola alla mia situazione. Non gli interessava del bambino, ma solo del fango che i media avrebbero accostato al suo cognome. Lui è stato il primo a fare presente l'opzione dell'aborto alla famiglia di Bea, che ovviamente gli si è opposta, evitando un qualcosa ben più grave di un presunto scandalo. Mi vergogno ancora ad essermi accodato a lui in quell'occasione, ma credimi, ero troppo giovane e non ragionavo. In un modo o nell'altro, comunque, riuscì benissimo a nascondere la gravidanza e il parto di Bea ai giornalisti; io credo che abbia dovuto sborsare qualcosa, anche se non ne ho la certezza. Nonostante riuscì ad evitare le chiacchiere dei media a causa mia, restò comunque arrabbiato con me, dicendo che ero solo uno sciocco irresponsabile, e che non ero degno del cognome che porto. Ma mi disse anche che in ogni caso l'azienda mi spettava ed avrei dovuto portarla avanti. Quando poi a diciotto anni dovevo firmare il contratto per l'azienda e me ne rifiutai perché dissi chiaramente che volevo diventare un attore, papà mi divenne totalmente ostile. Mi cacciò di casa, quindi iniziai la mia vita da solitario. Cominciai a mantenermi facendo il barista, poi andavo a dormire in una delle tante ville di papà, tanto non se ne sarebbe neppure accorto. Con i soldi che racimolavo, iniziai i miei studi di recitazione, poi andai a Madrid per i provini all'Arrànz, e destino volle che mi presero.
- Ma scusa, tuo padre ti è venuto a trovare e ti pagava gli studi quando eri a scuola... Non avevate troncato già allora?
- Sì, è così. Ma mio padre è una persona schifosa. C'era un motivo sul fatto che mi venne a trovare all'Arrànz e percui mi pagasse le rette dei corsi.
- Ti va di dirmelo?
- Cadrebbe quel minimo di decenza che hai sul giudizio verso mio padre, ma io voglio che tu sappia, altroché... Dunque, gli studi me li pagava dicendomi che però dovevo essere il numero uno su tutti, ad ogni modo lo faceva perché era convinto che così avrei stipulato un senso di gratitudine verso di lui che mi avrebbe poi indotto a non rifiutare quel che mi avrebbe chiesto dopo. Voglio dire; era convinto che quando mi avrebbe chiesto di mollare la scuola e seguirlo con l'azienda, avrei accettato perché gli ero grato di avermi pagato gli studi fino a quel momento, ma non andò così. Una volta venne a trovarmi perché qualcuno dei suoi amici ricchi sfondati madrileni gli aveva detto che mi ero fidanzato con te, con una Jauregui, una delle famiglie più benestanti di Madrid, per l'appunto. A lui poteva far benissimo comodo intrecciare un rapporto professionale con gli Jauregui, ne avrebbe giovato la sua adorata azienda. Già vedeva il nostro matrimonio, già ti vedeva col cognome Arenales sulla carta d'identità, già nella sua mente stipulava accordi tra le nostre famiglie. Venne da me solo perché ero fidanzato con una ragazza ricca e da famiglia di buona nominata in tutta Spagna. In realtà noi c'eravamo già lasciati quando venne, ma lui non lo sapeva. Era più o meno poco prima che Alvaro tornasse a Madrid. Adesso capisci anche perché mio padre si mostrava così gentile verso di te e faceva il galantuomo con tua zia Alicia.
- Davvero è per questo?
- Già. Mio padre è solo un opportunista. Non gli interessa delle persone a cui teoricamente dovrebbe naturalmente voler bene; lui vede solo la sua azienda, nient'altro. E in quell'occasione mi chiese di mollare per andare a lavorare con lui, ma come ben sai io rifiutai. Così mi disse che se volevo continuare a studiare lì, avrei dovuto pagarmi le rette senza il suo aiuto.
- Se non sbaglio venne di nuovo... Perché?
- Venne per rimproverarmi, per l'ennesima volta. Fu quando mi accusarono di stupro. Mi aveva appena cacciato di casa dopo che io ero tornato di lui cercando un minimo di conforto, e lui mi aveva detto che non mi credeva innocente come sostenevo. Quindi, dopo un giorno, venne a scuola, come un ipocrita. Venne solo per smerdarmi e fornirmi un alibi per venirne fuori che ovviamente aveva fatto costruire dietro compenso economico. Sia chiaro che voleva tirarmi fuori solo perché porto il suo cognome, altrimenti mi avrebbe fatto tranquillamente incarcerare. Sono contento che almeno non ho avuto bisogno di accettare le sue schifose manovre per uscire pulito dall'accusa. Ero innocente e sono uscito da innocente. Non ti nascondo che anche se avessi per assurdo fatto qualcosa, non avrei accettato i luridi compromessi di mio padre per venirne fuori, soprattutto sapendo che lo fa solo per la sua maledettissima azienda e non per suo figlio. Meglio marcire in galera...
- Mi dispiace. Io credevo che tuo padre tenesse a te... Per questo non ho mai affrontato l'argomento. Voglio dire; se sapevo che per te era una situazione difficile, avrei provato a parlarne. Credimi, non l'ho fatto solo perché non potevo averne idea...
- Ehi, ma perché vuoi sempre rimproverarti qualcosa? Tu sei stata perfetta con me, non hai davvero nulla di cui preoccuparti. Casomai, sono stato io a non volermi aprire su papà, ma credimi, è la cosa più difficile del mondo. A malapena lo ammetto a me stesso, quindi spiegare il concetto agli altri è una catena difficile da sciogliere... Ad ogni modo, sei stata l'unica che mi è stata vicina quando venne papà per chiedermi di mollare e andare a lavorare con lui, nonostante ci fossimo già lasciati e lasciati in un modo tanto brusco. Te ne sarò sempre grato. Comunque, è per questo che non voglio l'aiuto di mio padre per rivedere Sergio. Sai cos'è l'unica cosa che invece mi auguro per il futuro? Di non essere per Sergio un padre così schifoso come lo è stato il mio con me. Sarebbe il rimorso più grande di tutta la mia vita, davvero.
- Non andrà così, ne sono certa. Vedrai che presto rivedrai Sergio e diventerà qualcosa di abituale. Ed io voglio augurartelo con tutto il cuore, perché so quanto ci tieni...
- Tu saresti una madre favolosa!
- Tu credi?
- Non lo credo, ma ne ho la convinzione. Insomma, quando stavamo insieme e Sergio mi veniva a trovare, ho notato che te la cavavi. Anche con lui mi sei stata vicina... In tre, stavamo bene. Ora, non voglio ritirare fuori la storia del nostro bambino mai nato, ma volevo solo dirti che con Sergio sei sempre stata fantastica... E non solo con lui, ovviamente...
- Beh, ti ringrazio dei complimenti.
- Figurati...
D'improvviso, Silvia si sollevò, poi alzò anche me tirandomi su per un braccio. Scoppiò a ridere e continuò a trascinarmi per un braccio, di corsa. Si dirigeva verso il mare; voleva fare un bagno alle otto di sera, a settembre, in un angolo deserto di una spiagga a Palma di Maiorca. Ed io, dal canto mio, volevo fare la stessa cosa. Silvia si tuffò per prima, scomparendo sotto le acque abbastanza limpide di quel mare, per poi tirare il capo fuori dall'acqua ed incitarmi a fare lo stesso. La accontentai subito, buttandomi poco più a destra di dove si trovava lei. Riemersi praticamente subito, poi mi misi di fronte a lei, passandomi una mano tra i capelli scompigliati dall'acqua. La guardai negli occhi e la trovai divertita, quindi avviai un discorso.
- Come mai?
- Cosa?
- Beh, il tuffo improvviso, quest'aria divertita... Ho qualche merito a riguardo, forse?
- Mi ci hai portata tu qui!
- Lo so... Appunto, voglio dire, ti stai divertendo?
- Siamo qui da nemmeno un paio d'ore e finora abbiamo solo chiacchierato... Mi sembra un po' presto per poter dire se mi sto divertendo o annoiando, non ti pare?
- Forse.
A questo punto mi avvicinai a Silvia ancora di più, poi le misi le mie braccia attorno ai suoi fianchi e la guardai negli occhi, ammutolito. Lei ricambiò questa sorta di abbraccio poggiando le sue braccia attorno al mio collo, poi mi guardò e mi disse qualcosa con una punta di sarcasmo.
- Adesso sono io a chiederti come mai...
- Ed adesso sono io a risponderti con un'altra domanda... Cosa?
- Come mai mi guardi così?
- Devo ancora stare a spiegartelo?
- Io direi di sì... Forse mi piace sentirmelo dire, quello che stai per dirmi!
- Ah davvero?
- No. Io ho detto "forse".
- Allora facciamo una prova... Ci stai?
- Ci sto. Allora, ti rifaccio la domanda. Come mai mi guardi così?
- Ti guardo così perché ti amo. Questo è lo sguardo che una persona innamorata rivolge alla persona della quale è innamorata. Uno sguardo che vale più di migliaia di parole. Con le parole si può mentire e lo si fa troppo spesso; ma con gli occhi non si mente mai. Specialmente se chi coglie il tuo sguardo è una persona che ti conosce a fondo, una persona che sa leggere qualsiasi tuo gesto e non sbaglia mai il resoconto. Un po' come me e te.
- Me e te voleva essere solo un esempio?
- No.
Silvia sorrise, poi avvicinò la sua testa alla mia e mi diede un bacio sulle labbra, poi si tirò indietro. Io allora sorrisi, quindi mi abbassai per stare completamente immerso in acqua eccetto la testa, poi presi la mano di Silvia e feci immergere anche lei. Dunque fummo di nuovo vicini e Silvia mi diede un altro bacio; questa volta non la feci allontanare ma con la lingua le aprii dolcemente le labbra ed abbandonammo le nostre bocche alla passione. Le mie braccia scivolavano su tutto il corpo di Silvia, lentamente, mentre nell'acqua lei si stava avvinghiando a me. Le sue mani se ne stavano sul mio volto, ed il mio bacio si propagava anche sul suo collo, per poi tornare a cercare la sua bocca con un accenno di affanno che quasi riusciva a dare un eccitamento in più. Avrei avuto una voglia matta di slacciarle il bikini, portarla sulla spiaggia e aspettare il sole sorgere facendo l'amore ad oltranza, ma decisi di moderarmi e di aspettare che fosse lei ad esplicitare la sua voglia di unire i nostri mondi, quando e qualora l'avesse voluto. Dopo dieci minuti, ci distaccammo ed uscimmo dall'acqua in silenzio. Tornammo a sederci sull'asciugamano, poi ci mettemmo uno di fronte all'altra ed io le presi le mani, sorridendo, e ruppi il silenzio.
- Ti amo.
- Vuoi sentirti dire la stessa cosa da parte mia?
- Non mi interessa tanto che tu me lo dica; a parte il fatto che io lo so anche se tu non lo dici ed in ogni caso l'hai già ammesso, ma a me più che altro interessa che tu me lo faccia capire a fatti. Dal canto mio, io provo a fartelo capire, a dimostrartelo ed ogni tanto voglio anche dirtelo. Voglio dirtelo perché voglio esternare quello che provo. E voglio dirtelo perché so bene che tu adori che ti venga detto. Quindi... Ti amo. Sia a parole che a fatti. Ti amo. Ti amo e basta.
- Vedo che hai le idee chiare!
- Abbastanza... Ascolta, ti sei asciugata?
- Sì, a parte i capelli sono a posto. Perché?
- Perché c'è una cosa che non abbiamo ancora fatto da quando sono tornato ed io penso che ti faccia piacere farla, come ai vecchi tempi. Non fraintendermi e fidati. Ti porto in un posto, ti va?
- D'accordo, provo a fidarmi. Andiamo...
Ci rivestimmo, poi andammo fino alla moto ed una volta allacciati i caschi, partimmo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Quanto costa crescere ***


9. Quanto costa crescere
 
 
Mancava qualche minuto alle nove della sera, e a quell'ora a Palma c'è poca gente in giro. La vita comincia tra le due e le tre di notte, quando le principali discoteche aprono le porte ai giovani che se la vogliono spassare e dimenticarsi ogni problema ballando e facendosi drink su drink. Già, a Palma ogni dieci metri trovi una discoteca. Sono sempre affollatissime, e sinceramente a me e Silvia sono sempre piaciute poco. Nell'estate trascorsa sull'isola, in tre mesi saremo andati in discoteca forse un paio di volte, il tempo di prendere un drink e sentirci un pezzo house e poi ne uscivamo. Questo perché né io né lei impazziamo per la confusione. E per l'house. Già, all'Arrànz abbiamo imparato ad amare la danza jazz, fra la tante cose. Proprio per questo, la stavo portando in una sala di danza, che un amico di mio padre aveva aperto a Palma pochi mesi prima. Lo sapevo perché mi aveva mandato decine di mail. Io in realtà neppure lo conoscevo, ma si sa che per farsi pubblicità si va oltre i limiti della conoscenza di ogni singola persona; poi figuriamoci, parliamo di un amico di mio padre, quindi metterà anche lui l'opportunismo davanti tutto. Aprire una sala di danza a Palma è come aprire un'enoteca all'Oktoberfest, per intenderci. Ma si sa che ci sono quelle persone che preferiranno sempre il vino alla birra, lo stesso vale per jazz e house. Il luogo era però insolito, quindi immaginavo fosse poco frequentata, ma la cosa non mi dispiaceva affatto. Era meglio non ci fosse troppa confusione, ho sempre adorato l'atmosfera pacata, specialmente quando sono con una donna. E lì sarei dovuto andarci con la mia, di donna. Svoltai a destra dinnanzi ad un bivio appena dopo una curva, proseguii per un centinaio di metri, e mi trovai davanti un'insegna luminosa rosa fluorescente, con su scritto "Bailamente - Palma de Mallorca". Sì, mi sembrava si chiamasse proprio così, Bailamente. Non avrei comunque potuto trovare conferma nel vedere il volto del proprietario, visto che non avevo idea di chi fosse e come fosse fatto nonostante mi avesse tartassato di mail. Però avrei potuto riconoscere la musica e l'ambiente un po' più elegante rispetto alle discoteche. Quindi spensi i motori, mi tolsi il casco e sorridendo feci cenno a Silvia di scendere.
- Eccoci. Capirai quando entreremo.; le dissi.
- Bailamente? Cos'avrà di diverso rispetto alle centinaia di altre discoteche di quest'isola?; fece poi lei.
- Te l'ho detto, capirai una volta che saremo entrati. Ti sembro uno che ti porta in discoteca a Palma? Mi fai così poco originale?
- No, ma la scritta non mi fa venire in mente niente di diverso.
- Già, hai detto bene; la scritta. Ma sono certo che una volta dentro, la tua faccia cambierà quest'espressione scettica che hai adesso...
- Spera che cambi in meglio, altrimenti mi avrai illusa!
- Non voglio illuderti. Non voglio farlo mai più.
Ci guardammo, la mia frase lasciava trasparire ogni rimorso del mio passato, anzi, del nostro passato. Abbassai lo sguardo un po' intimorito, poi sospirai, rialzai il capo ed accennando una sottospecie di sorriso le dissi: 
- Su, avanti, apri la porta...
Lei ricambiò quel sorriso un po' amarognolo, quindi spinse il maniglione rosso del locale, salì il gradino e fu dentro, poi io seguii a ruota e mi chiusi la porta alle spalle. L'ambiente non era affatto male; le pareti erano color crema, era pieno di applique decorate all'etnica che emettevano luci sull'arancione, c'erano anche tavolate da buffet dove vi erano vassoi di bigné, arancini di riso, crocchette, bruschette all'italiana e piccoli entrèe di questo genere. Ad un lato vi erano dei tipi col frak che dovevano essere accompagnatori di ballo professionisti, più in là c'erano ragazzi che muovevano qualche passo di danza seguendo uno dei tipi col frak che stava dinnanzi a loro; ad un altro lato c'era un tipo seduto ad un pianoforte che in quel momento non suonava ma parlava con dei tizi che sorseggiavano spumante. La musica era perfetta, proprio come l'avrei voluta, un misto tra jazz e be-pop, quella musica che a Palma non conoscono. Questo era forse l'unico luogo dell'isola che la conosceva. Silvia si voltò verso di me con un sorriso che gli si estendeva lungo tutto il viso, poi farfugliò qualcosa che non riuscii a capire, quindi mi prese per mano e ci avvicinammo vicino a uno dei tipi col frak. In quel momento c'era un pezzo di jazz leggero, dunque le misi un braccio dietro la schiena e con l'altro le presi la mano e la misi all'altezza delle spalle, poi avvicinai il mio viso al suo e cominciammo a ballare, infischiandocene di quella sorta di istruttore che francamente, secondo me, non stava azzeccando mezzo passo. Fu qualcosa di meraviglioso. Non ballavamo insieme da un sacco di tempo, più di quei tre anni che ci avevano diviso, per questo quel momento mi fece venire peggio delle farfalle nello stomaco. Quelli dovevano essere almeno aquilotti! L'avevo rivista, l'avevo riabbracciata, l'avevo baciata ancora, ma quando ballammo insieme fu come se fossimo andati su un altro pianeta, un'emozione diversa, unica. Forse perché c'eravamo conosciuti e innamorati così. Ballando. D'altronde, se non fosse stato per la danza, passione comune a entrambi, non ci saremmo neppure mai guardati negli occhi. Non saremmo entrati in quella scuola, non ci saremmo stretti la mano con un sorrisino stupido e il successivo "Piacere!" di routine. Ed ovviamente non ci saremmo innamorati e successivamente amati. Il signor destino però l'aveva voluto, grazie al cielo. Non ricordo neppure se mi accorsi quando la musica finì, ricordo solo che mi ritrovai Silvia tra le braccia in una specie di casqué. Eravamo circondati da un mucchio di gente, compresi i tipi del frak, e tutti applaudivano, quasi compiaciuti del fatto che avessimo ballato lì, in quel locale. E ricordo che Silvia rideva; era felice ed io lo ero ancora di più perché ero riuscito a renderla felice. Un uomo in camicia si avvicinò a Silvia e le chiese se eravamo tesserati al locale, quindi Silvia rispose una roba del tipo "Non abbiamo bisogno di una tessera" o qualcosa del genere, con quell'aria altezzosa che a me faceva impazzire (in positivo ovviamente). I tipi col frak non fecero altro che complimentarsi, dopodiché ballammo ancora un po', finché un tizio non chiese la mano di Silvia per una rumba. Da come la guardava, io avevo già dedotto che fosse un porco, ma Silvia volle accettare ed io non cercai di impedirglielo. Nel frattempo anch'io ballai con una signorina piuttosto piacevole, ma il mio sguardo rimaneva fisso dov'erano il tipo e Silvia. Stavo per esplodere di gelosia, e fingevo di essere divertito a stare tra le braccia di quella biondina, proprio come Silvia stava facendo con quel porco. Secondo me, mi voleva far ingelosire e ci stava riuscendo davvero bene. Gli sorrideva, gli parlava, sembrava aver piacere. Poi, ad un tratto, vidi la mano dell'uomo scivolare troppo in basso, a cercare il fondoschiena di Silvia. Lì non ho più retto. In un secondo mollai la biondina che se restavo altri due minuti ci provava pure lei e raggiunsi quell'uomo e Silvia (che già aveva cambiato espressione in volto). Sferrai un pugno talmente forte a quell'uomo che lo buttai a terra. Mi disse qualche brutta parola, ma poi scappò come un codardo. Silvia mi prese per mano ed uscimmo dal locale, dall'uscita sul retro per non incrociare il porco. Era incazzatissima, infatti cominciò il suo rimprovero, tremando dal nervoso.
- Rober ma che cazzo ti salta in mente?
- Che cazzo mi salta in mente? Quello stanotte ti avrebbe voluto scopare... Mi sale il sangue al cervello quando qualcuno prova solo a toccarti! Io non volevo neppure che ci ballassi con quello... Già avevo capito che tipo era!
- Io so solo che potevi trovare un modo meno violento per farglielo capire... La serata stava andando così bene... Perché sai solo rovinare tutto quello che di buono costruisci?
- Dai, non dire così... La serata può continuare ad andare bene... È vero, d'accordo, forse ho esagerato... Scusami... Devo imparare a controllarmi... Ma è come se quando vedo che qualcuno ci prova con te oppure tenta di farti qualcosa di male, io non sia più cosciente di quello che faccio... Perdo il controllo di me stesso... So che non è una buona cosa ma non è voluta... Te lo giuro... Ti prego, perdonami!
- Sei proprio un bambino... Quando crescerai prova a tornare... Anche se non so se mi troverai ad aspettarti!
- No, ti prego, aspetta...
Ma Silvia aveva già girato i tacchi. Sì, se n'era andata, chissà dove, chissà per quanto. Aveva anche iniziato a piovere, ed io nel frattempo cominciai a piangere come un bambino, anzi, più propriamente come un coglione. Le mie lacrime si confondevano con le gocce di pioggia, mentre Silvia scompariva nel buio. Ero riuscito un'altra volta a farla scappare da me, un'altra volta grazie alla mia violenza, al mio inesistente autocontrollo. Mi appoggiai al gradino di una casa, mettendomi le mani sul volto e gemendo come uno stupido. E se non fosse mai tornata? E se non avesse mai più voluto vedermi? Avevo perso la battaglia più importante della mia vita. E così, dopo aver perso Sergio, avevo perso anche la donna che ho sempre amato. Cosa mi restava? In un secondo mi ero giocato la vita. Ero solo. Non sapevo cosa fare. Mi vergognavo di me stesso. Già mi ballava in testa l'idea di chiamare Pedro e dirgli che al matrimonio non sarei potuto venire. Non ero degno di testimoniare un amore così grande, quando io l'amore so solo buttarlo al vento. Ormai ero completamente bagnato, cominciai anche a tossire, quindi decisi di andare in albergo. Mi sarei asciugato, cambiato i vestiti e fatto un boccone perché ancora non avevo mangiato nulla. Avevo progettato che sarei andato in un ristorante con Silvia, ma ormai... E lei? Dove sarebbe andata? D'altra parte, la chiave della camera d'albergo l'avevo solo io. Allora cambiai idea. L'avrei cercata, almeno per darle le chiavi e poi sarei anche sparito, non volevo certo assillarla con i miei capricci. Sì, ma dove? Ero talmente sbigottito che non ricordavo neppure da che parte fosse andata. Cazzo, stavo di merda. Poi, d'un tratto mi resi conto che Silvia non potevo perderla, non così, non per un gesto così futile, non dopo tutto quello che avevo fatto per ritrovarla. Non potevo perché senza di lei nulla mi sembrava più sensato. E già mi ero cominciato a rimproverare che avessi anche solo pensato all'ipotesi di averla perduta. No cazzo, non mi volli arrendere. Svoltai tra un vicolo e l'altro di quell'angolo di Maiorca, gridando il nome di Silvia e beccandomi qualche secchiata d'acqua perché quel quartiere era tristemente privo di movida e popolato solo da vecchie suocere rompicoglioni che alle nove di sera già marcivano tra le lenzuola. Tutto invano però. Non la ritrovai. Era un paio d'ore che vagavo tra le vie più cupe della città, sotto la pioggia. Non dico che mi arresi, anche perché non corrisponderebbe alla realtà, ma mi ero stancato fisicamente e quantomeno avevo una broncopolmonite in atto.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Al fianco di un angelo ***


10. Al fianco di un angelo
 
 
Decisi di tornare un momento al Quetzal, l'albergo, per darmi un'asciugata, prendere un ombrello e risgattaiolare a cercare Silvia. Così feci. Mi ero quasi perso, ma ritrovai l'hotel. Entrai bagnato come un pulcino, tanto che la signorina della reception ebbe quasi pena di me, chiedendomi se avessi bisogno di un controllo alla gola o altro, ma io le dissi che era tutto a posto, poi andai in camera. Doccia calda e rapida, giaccone ed ombrello ed ero pronto. Ma avevo lasciato la porta della stanza aperta. Successe l'incredibile. Silvia sbucò dalla porta, muta. Io balzai su dal letto, dove mi ero appoggiato, e subito le dissi:
- Oh, sparisco subito... Volevo tornare a cercarti almeno per darti le chiavi della stanza, ma ci sei arrivata da sola. Buonanotte, spero che domani ti vada di parlarne. Sai che non può andare a finire così.
- Ehi, frena, frena.; quindi si sedette sul letto e con una mano mi fece cenno di accomodarmi al suo fianco.
Lo feci, poi riprese. 
- Che hai sbagliato, questo è sicuro ma... Fanculo tutto, io ti amo lo stesso!
Io sorrisi con una faccia probabilmente da ebete, poi mi resi conto che era tutto così strano, quindi risposi.
- Cosa? Ma non avevi detto che dovevo tornare da te quando avrei cambiato i miei modi? Insomma, pensavo fossi incazzata nera, che non mi avresti voluto vedere più... Ed io penso anche che tu abbia ragione. Non ti merito. Ho sbagliato ancora, e non avrei dovuto permetterlo. Però ti amo. In ogni caso, scusami, davvero, credo che mi debba comunque far perdonare.
- Sì è vero, ero incazzata ma... Sai cosa credo io, invece? Che tu sia più importante di un cazzotto...
- No, io non merito una ragazza come te. Non sono più importante di un cazzotto, perché quel cazzotto è opera mia... Però sai cosa ti dico? Che il nostro amore è più importante di un cazzotto di gelosia di un coglione come me. Così forse rende meglio!
- Allora mettiamola così, come dici tu. E comunque, quel cazzotto, anche se terribilmente sbagliato, tu l'hai dato per me. Che non succeda più, però.
- Non deve succedere più che io dia cazzotti o che io faccia qualcosa per te?
- Scemo...
E poi le diedi un bacio sulla punta del naso. Lei mi abbracciò, sorridendo. Dunque ripresi.
- Sono ancora le dieci. Mi concede l'onore di una cenetta, visto che siamo ancora a digiuno, signorina?
- A patto che il posto dove mi porti sia abbastanza distante da quella sala di ballo!
- Ma sì, certo. Promesso!
- Ah, comunque... Non ho avuto tempo e modo di dirtelo, ma... Ballare di nuovo con te è stato meraviglioso. E ti ringrazio per averci pensato. A parte tutto, è stato davvero bello. Grazie, sai sempre di cosa ho bisogno e non ancora capisco come tu faccia a saperlo...
- Se mi fossi risparmiato il cazzotto sarebbe stato perfetto, non trovi? Va bè, ad ogni modo... È sempre lo stesso discorso, io capisco quello di cui hai bisogno perché sei un libro aperto per me. Quante volte dovrò dirtelo, eh?
Le diedi un bacio sulla guancia, poi mi disse:
- Dai, allora mi faccio una doccia e poi usciamo...
- D'accordo, ti aspetto giù!
- Mi raccomando, la signorina della reception, oltre ad essere piuttosto carina, ti ha sempre guardato da capo a piedi. Occhio a quello che fai!
Mi feci una risata e le riposi.
- Puoi sempre mollarle un pugno in faccia, no?
Lei rise, dunque si chiuse in bagno. Io cominciai a scendere alla hall, ed effettivamente notai che la signorina della quale parlava Silvia, (la stessa che prima mi aveva chiesto se avessi bisogno di un controllo medico) non faceva altro che guardarmi e sorridere. Passai dieci minuti di imbarazzo, a ricambiare quei sorrisi in maniera abbastanza distaccata e cercando di evitare il suo sguardo. Per l'amore del cielo, bella lo era, ma io ero tutto per Silvia, ci mancherebbe altro! Forse anni prima, con la testa che avevo, c'avrei anche provato, ma non di certo se stavo con Silvia. Dunque arrivò anche lei; sorrise antipaticamente alla signorina, poi si avvicinò a me e sottovoce mi disse:
- Baciami...
- Lo fai solo per quella?
- No. Lo faccio anche per quella, mi da' fastidio. Ma il motivo principale è che lo voglio, l'avrei voluto anche prima, in stanza, ma avevo paura di finire a letto con te.
- E perché, hai paura di fare l'amore con me?
- Non è paura, è insicurezza... Cerca di capire...
Sorrisi, poi mi ripetè di baciarla, ed io lo feci. E lo feci non perché mi faceva piacere dare una pugnalata alla signorina (sinceramente, di quella non me ne fregava proprio nulla), ma perché io Silvia l'amavo. Se mai mi avesse chiesto un bacio, dovunque ci fossimo trovati, in qualsiasi circostanza, io gliel'avrei sempre dato. Perché l'amavo. In realtà, i baci non vanno chiesti, ed io lo so, ma nella posizione in cui si trovava Silvia, a me avrebbe avuto il diritto di chiedere anche la luna. Ed ovviamente, io gliel'avrei data; non so come, ma l'avrei fatto. Qualche istante, poi Silvia si girò dalla parte della signorina con aria soddisfatta; dopodiché mi guardò, storse un po' il muso e mi disse:
- Quando diavolo deciderai di tagliarti questo dannato pizzetto? Quando ci baciamo mi pizzica dappertutto! Avrò mai il piacere di baciarti comodamente?; poi rise.
- Ehi, hai sempre detto che ti piaceva il prudere della mia peluria!; risi anch'io, poi le morsi il labbro.
- Mmm... Così non da' fastidio...
- Ma è meno romantico!; quindi le diedi un bacio lampo sulle labbra, - Avanti, andiamo che altrimenti si fanno le due di notte senza che tocchiamo nulla da mangiare!
- Mi hai dato troppi baci, lo sai? Ti ho dato una mano e ti sei preso tutto il braccio!
Nel frattempo uscimmo dall'albergo, e notai la signorina quasi offesa con lo sguardo basso. Poi risposi.
- Non mi sembra che tu non abbia gradito o abbia rifiutato!
- Invece quella della reception proprio non ha gradito!
Continuammo a parlare, mentre andavamo a piedi verso il ristorante. Faceva piuttosto fresco per andare in moto, nonostante avesse smesso di piovere. Sarà stata una coincidenza, ma aveva piovuto dal momento in cui io e Silvia avevamo litigato fino a quello in cui mi aveva raggiunto in albergo. Un temporale che rispecchiava il mio stato d'animo. Ed ora restava solo il pungente odore degli asfalti bagnati associato al mio cuore, ancora spaventato dall'episodio ma in quel momento tranquillo e sereno. Era proprio così. Arrivammo al ristorante che avevo scelto, un posto pacato, di quelli che sull'isola di Maiorca ne trovi pochi. Sia all'esterno che all'interno aveva le pareti rosse, ed era un ristorante italiano. Era abbastanza affollato, ma tutto sommato gradevole ed accogliente. Dentro c'era un chitarrista che passava per i tavoli cantando e suonando di tutto, su richiesta. Non avevo prenotato, ma fortuna volle che trovammo un tavolino per due, ad un angolo, a lume di candela. La perfezione. Tirai la sedia a Silvia, poi mi accomodai anch'io. Ordinai del vino, poi consigliai a Silvia di provare gli gnocchi italiani, perché io li avevo già provati una volta, a Malaga con Marta, ma questo preferii non dirglielo. Seguì il mio consiglio, quindi entrambi ordinammo gli gnocchi. Parlammo, parlammo di tutto, ridendo. Eravamo felici. Mangiammo bene, vino ottimo, gnocchi ottimi, tutto perfetto. Chiamai anche il chitarrista, gli feci suonare "Lately" di Stevie Wonder; la cantai però io, dedicandola a Silvia mentre le tenevo la mano. Poi uscimmo via; era ormai mezzanotte passata. Camminammo abbracciati l'uno all'altra per tutto il tempo, ma questa volta in silenzio; le parole le avevamo spese tutte al ristorante. Raggiungemmo l'albergo, ed ancora abbracciati passammo sotto lo scomodo sguardo di quella signorina della reception. Finalmente eravamo in stanza. Silvia andò dritta in bagno, mentre io mi levai i vestiti, buttandomi sul letto a torso nudo e boxer. Pensavo che stava andando tutto bene. Silvia uscì, in vestaglia, e venne accanto a me. Si mise il mio braccio attorno al suo corpo, poi si appoggiò al mio petto e cominciò a parlarmi.
- Sono stata benissimo... Volevo ringraziarti... E gli gnocchi erano fantastici!
- Non devi ringraziarmi... Lo faccio perché ti amo, non perché mi aspetto qualcosa in cambio!
- Un'ultima cosa... Domani sera conto di stare a Madrid, perché dopodomani ho le lezioni... Quindi nel pomeriggio di domani dovremmo ripartire... D'accordo?
- Certo, non preoccuparti.
- Grazie.
Poi disse "Buonanotte" e mi baciò sulle labbra. Si appoggiò sul mio petto e chiuse gli occhi. Io non dissi più nulla, mi limitai a tenermela stretta. Ero felice, non mi mancava nulla fra tutte le cose che volevo, perché lei era l'unica. Ovvio che volessi anche Sergio, ma per lui è un discorso a parte. Passai tutta la notte a guardare Silvia dormire. Fu una delle notti più belle della mia vita. La luce della luna illuminava fiocamente il suo volto, rilassato dal sonno, e l'eco delle lontane onde del mare sembravano stare a cullarla. Ed io passavo le mie dita lente e caute sulle sue braccia nude. La mattina arrivò presto; alle otto Silvia aprì gli occhi e mi parlò.
- Buongiorno... Da quanto sveglio?
- Da sempre. Ho passato la notte a guardarti dormire. Sembri un angelo quando dormi.
- E quando sono sveglia, invece?
- Quando sei sveglia, lo sei.
Silvia arrossì, poi mi accarezzò. Dunque riprese.
- Non credo di essere un angelo, sai?
- E perché? Non ti fidi di quel che dico?
- Semplicemente credo che gli angeli non avrebbero il coraggio di uccidere un figlio.
- Di nuovo con questa storia? Nostro figlio se l'è portato via un aborto spontaneo. Tu non c'entri nulla.
- Ah no? Io sapevo di essere incinta e sapevo benissimo anche che non dovevo fare sforzi. Eppure quel giorno ho fatto una gara di ballo. E sai perché? Perché volevo ballare e vincere. Perché quel bambino non volevo che condizionasse la mia vita e volevo continuare a fare le stesse cose che facevo prima di restare incinta. Di mio figlio non me n'è importato nulla. Ho messo me stessa davanti a tutto, davanti a lui, che sarebbe stato il regalo più bello che la vita mi avrebbe potuto fare. Il mio egoismo ha vinto. Il mio egoismo ha ucciso un bambino. Il mio bambino, il tuo bambino, il nostro bambino.
­- Ne abbiamo già parlato. Non era neanche il momento giusto per avere un figlio.
- E questo mi autorizzava ad ucciderlo?
- Non ho detto questo e comunque tu non hai ucciso nessuno. Ehi, guardami. È andata così, ora non prendertene le colpe. Non serve. Se non è stato un aborto voluto, tu non hai nulla da rimproverarti, chiaro? Devi smetterla di tormentarti. Ora pensa solo che siamo qui, insieme e felici. Isola tutto il resto e soprattutto non contare i rimpianti del passato. Se l'avessi fatto anch'io, forse ora non sarei neppure qui con te. Tranquilla!
Asciugai quel paio di lacrime che Silvia si era fatta scivolare sul volto e l'abbracciai. Quella storia la faceva soffrire troppo. Ogni volta che le dicevo belle parole, lei sentiva il dovere di scrollarsele di dosso perché secondo lei non le meritava per quello che era successo a nostro figlio. Riuscii a tranquillizzarla, poi decidemmo di andare un po' al mare; dopotutto, saremo dovuti ripartire nel pomeriggio, quindi volevamo usare il tempo che ci restava da trascorrere a Maiorca prendendo un po' di sole senza troppi pensieri. Ci adagiammo di nuovo su quella sabbia, sopra un solo asciugamano, abbracciati. Adoravo il fatto che mi abbracciasse, come se stesse a poco a poco sentendosi di nuovo un po' mia. Glielo feci presente.
- Mi fa piacere che mi abbracci spesso, ultimamente. Volevo solo fartelo sapere, non voglio fruttarne nulla, sia chiaro.
- Davvero ti fa piacere?
- Certo; ti amo, è anche normale...
Mi diede poi un bacio sulle labbra e riprese.
- Che tu ti metta però bene in testa che non vuol dire nulla; o meglio, sai che anch'io sono innamorata, ma non so se sono pronta a ricominciare con te. Sto semplicemente provando a lasciarmi andare e a fare quello che ho voglia di fare per adesso. Ora infatti, avevo voglia di baciarti e l'ho fatto.
- Lo so. Ed è giusto che ti lasci andare, tranquilla che non le prenderei comunque come illusioni, le vivo anch'io al momento, come vengono...
Silvia in costume è indescrivibile ed io sono un uomo. Le mie mani in automatico si sarebbero volute andare a posare ben oltre la sua schiena. Sarebbe stato un gesto spontaneo, dettato dal momento, che mi poteva venire naturale. Fino ad allora, dal mio ritorno, avevo fatto solo il bravo ragazzo (a parte il cazzotto); quello romantico, quello che dorme nel suo stesso letto senza eccitarsi o allungare le mani ma che piuttosto la guarda dormire ed aspetta che apra gli occhi per dirle frasi dolci, quello che aspetta le sue volontà prima di farci l'amore, quello che le scrive "Love You" sul casco, quello che la porta al ristorante dedicandole una canzone romantica, quello che la ama castamente. È vero che glielo dovevo perché ero stato io ad aver sbagliato nel passato, ma in quel momento (e non solo in quello) sarei voluto andare oltre con lei. Erano tre giorni che passavo con lei e la vedevo per tutte le 24 ore, una sorta di guardare ma non toccare; fragile. Sono umano; avevo voglia di farci l'amore; sempre perché l'amavo, certo, ma il fatto che sia drasticamente cambiato non vuol dire che sono un santo, ho voglia anche di passione focosa, non solo di romanticismo. L'amore è l'insieme di questi due mondi ed io volevo viverlo a pieno quell'amore, mentre fino a quel punto avevo vissuto solo uno dei due mondi. C'era però quella parte di me che vinceva sempre sulle altre che mi disse che ero in dovere di non fare così. Già, ero proprio innamorato perso. Infatti non feci nulla di tutto quel che mi era balenato in testa e restai tranquillo a prendere il sole al suo fianco. Dopo un'oretta, ci facemmo una nuotata, poi prendemmo un gelato e lasciammo la spiaggia. Dovevamo andare in albergo a riprendere le nostre cose e poi ripartire per Madrid, facendo scalo a Valencia, come all'andata. 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Tuffi nel passato ***


11. Tuffi nel passato
 
 
Una volta presi i bagagli, salimmo sul traghetto. C'era un gruppo di animazione che stava ballando Grease, così mi tornò alla mente un aneddoto di quando eravamo all'Arrànz e lo volli ricordare a Silvia.
- Ricordi quando al primo anno dell'Arrànz ti presero per fare Grease?
- Oh sì, certo... Peccato che poco dopo mi tolsero la parte! Però fu divertente...
- Sai, forse non te l'ho mai detto ma... Un giorno, mentre provavi per il corpo di ballo di quel musical, io e Pedro stavamo sistemando la roba del produttore sopra la platea; sai, il professore di recitazione ci aveva obbligato... Ed allora ci siamo messi a guardarti... Io dissi a Pedro che non eri davvero niente male, ed intendevo in tutti i sensi, e lui mi rispose che tu eri la migliore... Mi dava fastidio che lui avesse un rapporto più confidenziale con te rispetto a me... Poi aggiunsi che io ti avevo vista per primo e che per me saresti stata perfetta, dunque lui mi disse che non dovevo esserne poi così sicuro... Non immagini quanto mi diede ai nervi!
- Al primo tu te la facevi con Ingrid, cretino!
- Già, perché tu non mi vedevi neppure! Avevi occhi solo per il bifolco, ed io, siccome a quei tempi non potevo fare a meno di rimorchiare, mi sono buttato su qualcun'altra! Avanti, non ricordi come ho approcciato con te? Non avrei potuto fare di peggio!
- Sì che me lo ricordo... Negli spogliatoi, il secondo giorno forse... Ricordo bene quanto odiavo che spogliatoi maschili e femminili fossero in comune... Mi stavo spogliando, ero rimasta in mutande e reggiseno, e tu ti sei seduto sulla panca di fronte alla mia... Ti stavi chinando per slacciarti le scarpe e...
- ...E poi ti ho vista. Ed ho fatto la classica faccia del morto di figa! Ti avrò squadrata da testa a piedi! Così tu ti sei coperta un po' imbarazzata e mi hai detto: "Cosa vuoi, idiota?", allora io ti ho sorriso e tu hai continuato dicendomi: "Vuoi che mi metto in piedi così riesci a vedere meglio?!"
Silvia rise divertita, poi ripose:
- Già... Che cretini... Oppure, ricordi quando Rafa arrivò il suo primo giorno negli spogliatoi e dopo aver fissato noi ragazze ed essersi presentato andò via? Io mi girai verso Lola ed Ingrid e dissi loro che era carino...
- Certo che mi ricordo! Io dopo averti sentita mi voltai verso di te e con un tono quasi minaccioso ti dissi: "Cos'è, ti piacciono i ragazzini adesso?" e tu ti innervosisti e mi risposi male...
- Già, è vero... Ti dissi: "E a te cosa importa?!", quindi tu uscisti scazzato dagli spogliatoi mentre tutti ridevano... Mi fa strano ripensare a queste cose, sai? Quando ancora non eravamo in confidenza...
Sorrisi e dunque risposi.
- Beh, era solo il primo anno... Ma come puoi constatare, sono sempre stato geloso di te! Odiavo che per le prove a coppia di recitazione sceglievi sempre Pedro come compagno... Io e Lola rosicavamo! Per forza poi mi mettevo in coppia con Ingrid... Tu mi rifiutavi sempre! Ti sei fatta desiderare parecchio, eh?
- Semplicemente mi piaceva Pedro! Tu forse avrai avuto un colpo di fulmine con me, ma io no. A me piaceva lui perché era buono, e fu il primo a rivolgermi la parola e a cui feci le mie confidenze. Tu avevi un'altra testa, pensavi solo a guardare i culi delle ragazze ed a portarti a letto tutte quelle che poco poco riuscivi ad affascinare... Tipo Ingrid!
- Hai ragione, ero davvero un idiota! E comunque con Ingrid ci sono andato a letto solo una volta, e tra l'altro quando io e te eravamo già stati insieme e c'eravamo anche lasciati. E lo sai perché? Perché io stavo male per te e lei per Juan. Ci siamo semplicemente consolati a vicenda. Al primo ci siamo andati vicini, ma non abbiamo mai consumato. In ogni caso, alla fine, tu mi hai fatto cambiare testa!
- Sì, certo. Dimmi la verità, Rober. Quando abbiamo fatto l'amore per la prima volta, l'hai fatto perché mi volevi oppure perché segnava una specie di vittoria nella tua specie di guerra con Pedro? Non metto in dubbio che poi siamo stati insieme e siamo stati innamorati, ma voglio solo sapere se tra noi è nata per una tua mania di protagonismo o perché mi volevi...
- Non me l'avevi mai chiesto prima.
- Sì, è vero. Ma ho sempre voluto saperlo. Ho sempre creduto che se te l'avessi chiesto quando stavamo insieme, ti saresti solo incazzato. Per questo te lo chiedo ora. Se davvero sei cambiato come credo e spero, penso che tu mi possa dare una risposta seria e sincera...
- E va bene. Io l'ho fatto perché ti desideravo dal primo giorno che ti avevo vista. Pedro mi era antipatico dall'inizio, questo è vero, e quando poi ho scoperto che anche a lui piacevi tu, quell'antipatia è diventata odio, con relativa competizione. Quando ho saputo che stavate insieme, non c'ho visto più. Ma non c'ho visto più non perché mi dava fastidio che Pedro mi avesse fottuto, ma perché tu avevi preferito lui a me. Tu non sei mai stata una conseguenza, semmai la conseguenza è stata la "guerra" con Pedro...
- Non c'hai visto più, eh? Infatti l'hai preso a pugni...
- Oh, ha iniziato lui!
- Certo, perché gli avevi appena detto che era cornuto!
- Era la verità, mi pare di ricordare... E tu non ti eri decisa a dirgliela!
- Anche questo è vero...
- Senti, mi dispiace per il modo in cui ho reagito e questo te l'ho già detto molte volte. Voglio solo che ti sia chiaro che non ti ho portata a letto solo perché eri la donna di Pedro... Tra l'altro io l'ho saputo il giorno dopo...
- Lo so... È acqua passata!
- Già, però mi hai fatto patire! Volevi partire con lui... E quando io ti incontravo per i corridoi gli ultimi giorni chiedendoti di guardare in faccia la realtà, mi mandavi a quel paese! Non dimenticherò mai quando negli spogliatoi ti dissi che se mi avessi guardato negli occhi dicendomi che per me non sentivi niente, ti avrei lasciata stare... Tu non lo facesti... E il giorno dopo, alla fine, sei partita con me... Beh, è una bella storia da raccontare, no?; dissi sorridendo.
- Sì, lo è. Fino a quel punto, lo è.
- Allora non andiamo oltre col ricordare, d'accordo?
Sapevo che si stava riferendo all'episodio del suo aborto spontaneo, volevo raggirare di nuovo l'ostacolo, dunque ripresi.
- Beh, allora dimmi... Quando hai capito di sentire qualcosa per me? Se ti va di dirmelo... Ecco, vedi... Di queste cose non ne abbiamo mai parlato, perché io prima ero solo un idiota e non pensavo a quanto fosse bello soffermarsi a guardare la propria storia d'amore. Ora però, ho capito un po' meglio il tutto e così, mi farebbe piacere capire...
- Ma sì, voglio dirtelo. Beh, che ti ho notato subito, non lo nego. Perché eri un gran figo. Solo per quello però. Dopo ho capito che eri un tipo che sapeva solo fare il duro, lo spaccone e l'arrogante, quindi ho smesso di osservare te. Ed ho conosciuto Pedro. Con lui sembrava tutto facile. È stato il primo a capire che io non ero quel che sembravo. Sembravo perfettina, impeccabile, insensibile, distaccata ed incapace di ridere. Invece ero solo una ragazza che fino ad allora non aveva conosciuto la felicità. Non avevo mai avuto amici, facevo solo quello che mia zia voleva che facessi e non avevo mai avuto l'affetto da parte dei miei. Nella mia vita avevo ricevuto tanti regali, tanto denaro, ma poco affetto. Niente carezze, abbracci. Niente favole alla sera. Pedro aveva capito che non ero quel che sembravo, ma semplicemente ero una che non aveva mai imparato ad essere felice. Così, mi cominciò a stare accanto e fu capace di regalarmi qualche sorriso. Tu, nel frattempo eri sempre lo stesso. Quando poi abbiamo fatto insieme la prova di fiducia per il professore di recitazione, ti ho visto un po' più sciolto. Dovevamo solamente fare una presa, ma lì mi hai trasmesso sicurezza. E da lì, tu con me hai cambiato atteggiamento. Avevi un modo di provarci tutto tuo. C'erano dei momenti in cui t'avrei ammazzato perché ti facevi odiare, altri in cui volevo baciarti perché ti facevi amare. Mi intrigavi parecchio, ma non mi sembravi affidabile, quindi non mi sono spinta oltre. Pedro lo sentivo più per me. Sai quando ho cominciato a vederti con occhi diversi? Quando hai dovuto tenere Sergio a scuola per un po'. Ti ho visto preoccupato, attento, serio, premuroso e dolce. Non eri più il playboy sbruffone e cinico che sembravi. Già, perché lo sembravi solo. Quello che tu eri in realtà, era la persona che eri con tuo figlio. Tutto il resto era una specie di guscio che ti costruivi addosso, per nascondere la tua fragilità. Insomma, un po' come me, sembravi quello che non eri. Sergio fu la chiave che aprì il tuo cuore. Che fino a quel momento, si celava a tutti. E quando io ti ho visto col cuore aperto, mi sono innamorata di te. Pedro poi ci provò, io gli volevo bene ed ho voluto provare a credere che avessimo un futuro. Ma amavo te. Lo detestavo, ma era così. E appena ti sei fatto avanti, nonostante io provai ad evitare di tradire la buona fiducia di Pedro ed ulteriori casini, ho ceduto. E il resto lo sai da te.
- Dimmi una cosa; dopo esserci lasciati, mi hai rimosso subito?
- Magari. Vedi Rober, ero innamorata di te, ma eri un cretino, davvero. Sapevo benissimo che mi amassi e che tenessi molto a me, ma il fatto è che spesso ti comportavi come un immaturo ed egoista. Non te ne rendevi neppure conto, ma alle volte dicevi la parola più sbagliata che si potesse dire o facevi il gesto meno adatto che si potesse fare.
- Però io ti amavo.
- Questo lo so. Ed anch'io ti amavo. Il tuo problema è che quel guscio che ti eri costruito addosso, era diventato purtroppo parte di te. E neanch'io riuscivo più a romperlo.
- Già. Hai ragione. Però, in questi tre anni ci ho lavorato su. Ti garantisco che il Rober idiota, immaturo ed egoista non esiste più. Ho rotto il guscio. Anzi, l'hai rotto tu. Diciamo che ha impiegato un bel po' di tempo per sgretolarsi, ma alla fine sembra essersi rotto. È per questo che sono qui. L'amore per te non è mai cambiato, quello che è cambiato sono io. Ho capito i miei errori ed ho messo via il guscio. Ora vediamo se senza, tra me e te può finalmente andare.
Sorrise, poi mi rispose.
- D'accordo, questo è quello che vogliamo sapere entrambi. Comunque, non ti ho cancellato molto facilmente dopo aver rotto. È stata dura. Nei primi tempi dopo aver rotto, abbiamo comunque trascorso molto tempo insieme e questo non faceva altro che confondermi... Mi sei stato vicino quando successe tutto quel casino con Alvaro, e, mentre tu dicevi di amarmi, ti negavo ogni secondo tentativo per la nostra storia e dicevo di amare lui, nel momento in cui dovevo dirti addio, ti ho salutato come se fossi tu l'unico che amavo... Perché era così, anche se io non volevo che lo fosse. Volevo amare Alvaro perché, nonostante sapevo fosse un criminale, fuggendo insieme a lui, io non ti avrei mai più visto e forse ti avrei dimenticato... Ero convinta che anche se lui mi avesse offerto un vita da latitante, sarei stata bene e non avrei più pensato a te. Io volevo cancellarti, non so neppure io il perché... Destino volle che ad ogni modo con Alvaro finì come finì ed io e te ci rivedemmo un'ora dopo, quindi non fu affatto un addio... Quando poi sei stato accusato di stupro, ho subito capito che tu non potevi avere niente a che fare con tutta quella storia. Io sapevo perfettamente com'eri fatto. Guscio compreso. Non potevi mai aver fatto una roba simile, lo sapevo chiaramente. Dal giorno che ti hanno espulso da scuola, non ho fatto altro che tormentarmi. Pensavo a come stessi, se avessi bisogno di qualcosa e se io potessi aiutarti in qualche modo. Negli spogliatoi tutti ti deridevano, ed io ti ho difeso con le unghie e con i denti. Alla fine, la verità è venuta a galla, e mi si è come tolto un peso dall'anima. Lì ho capito che non potevo fare a meno di riservarti un posto dentro di me, ma che in ogni caso, non potevamo stare insieme. Per questo non abbiamo mantenuto neppure un rapporto di amicizia. Sarebbe stato falso. E per lo stesso motivo, non ci siamo odiati, perché in qualche modo sarebbe stato come amarci. E noi non potevamo. Da quando ritirarono la denuncia e tu tornasti a scuola, ci fu solo indifferenza totale, almeno era quella che veniva esternata. Dentro lo sapevamo benissimo tutti e due come correvano le cose. Immagino che questo discorso che riguarda quello che sentivo io, sia lo stesso per quello che sentivi tu, non è così?
- Incredibile. Esattamente quel che sentivo io. L'unica variazione è che, mentre tu ti sei allontanata perché una parte di me non meritava di essere amata, io ti stavo lontano perché non volevo farti soffrire, proprio per colpa di quella parte di me. Ed ho capito che se non fossi cambiato, sarebbe andato tutto al vento. Pensavo di non esserne capace, perciò ho tentato di costruirmi un'altra vita, ma ho fallito perché... Perché l'amore verso di te non poteva essere soffocato. E quell'amore, mi ha fatto cambiare, per far sì che potessi tornare da lui. Ed è quello che ho fatto.
- Beh, anch'io ci ho provato, a rifarmi una vita. E forse il mio fallimento è stato anche peggiore del tuo. Quell'amore represso, ho voluto trasformarlo in un nuovo amore, da dare a qualcun altro. Peccato che abbia sbagliato il qualcuno. Prima con Alvaro, poi Pavèl... Ma più di tutti Horacio. Credevo davvero in lui, non come avevo creduto in Alvaro, io in Horacio confidavo veramente tutta la mia felicità. Credevo che lui potesse finalmente e definitivamente togliermi il tuo pensiero dalla testa, credevo potesse farmi rinascere. E invece mi ha ucciso, un'altra volta. In ogni caso, credo non avrebbe funzionato nemmeno con nessun altra persona di questo mondo... E lo sai perché? Perché quell'amore sarebbe potuto tornare solo a te, che me l'avevi messo nell'anima. Ecco tutto.
- Non immagini quanto vorrei poter tornare indietro e cancellare tutti i miei errori... È stata colpa mia, tutto...
- Ne abbiamo già discusso. Abbiamo sbagliato enrambi, in un modo o nell'altro. E comunque adesso che senso ha ricordare il dolore? Perché invece non mi racconti tu come e quando ti sei innamorato di me? Io te l'ho detto, adesso tocca a te!
- Certo. Allora, vediamo... Quando sono arrivato all'Arrànz, volevo solo pensare a diplomarmi per un mio tanto sperato futuro da attore. E volevo farlo anche per Sergio, perché magari Bea avrebbe saputo che stavo mettendo la testa a posto e me l'avrebbe allora fatto conoscere. Grazie al cielo, andò così. Dunque, appena sono arrivato, ho capito che era un bel posto; c'era musica dappertutto, era pieno di ragazze e di giovani come me. Io ero consapevole che sarebbe stata dura essere ammesso, ma qualcosa mi diceva che avrei potuto farcela. Ed è andata così. Tra i venti nomi degli ammessi, c'era anche il mio. Sai, durante i test d'ammissione avevo già imparato ad odiare Pedro, ti lascio immaginare cosa mi prese quando me lo ritrovai come compagno di stanza... Poi, un giorno ti ho notata negli spogliatoi. Eri antipatica, ma meravigliosa. Esteticamente mi sei piaciuta subito; eri raffinata, avevi classe, stile ed eri bellissima. Però eri chiusa, permalosa e parlavi solo col bifolco. Per questo, ho pensato che non facessi al caso mio. Così nei primi tempi, ho fatto l'idiota con altre del corso, a partire da Ingrid. Finché, per recitazione, ci hanno accoppiati per una prova, quella di fiducia. O meglio; tu e Pedro avevate formato una delle tante coppie, ed io, visto che eravamo dispari, ero rimasto senza nessuno. Così, il professore mi ha detto di venire da voi, che l'avremmo fatta in tre quella prova. E poi... Ad un certo punto Pedro ci ha lasciati soli perché doveva sbrigare una commissione, ed io e te abbiamo parlato un po'. Sai cosa mi ha colpito? Una frase che mi hai detto. Era.. "Rober, tu fai tanto lo spaccone, ma secondo me, in fondo hai il cuore tenero.". Ecco, tu avevi capito tutto di me. Ed io ci rimasi di sasso, non mi spiegavo come avessi fatto a capirmi. Nessuno mi capiva. Da quel giorno, hai cominciato a girovagare nella mia mente. Ma credo di essermi innamorato la prima volta che abbiamo ballato insieme. All'insegnante di danza serviva un allievo da proporre per ballare con quelli del terzo, ed io volevo prepararmi per bene, così ti ho chiesto di aiutarmi, giustificando la proposta col fatto che tu eri la migliore ma... In realtà era per stare più tempo con te. Tu eri un po' scocciata, ma accettasti. Ero una frana, così mi dicesti che per migliorare la coordinazione, avrei dovuto provare a ballare con te. Fu bellissimo. Ecco, è da quel momento che ti ho amata. Poi, mi sei stata accanto quando mi venne a trovare Sergio, e per me fu importante quel gesto. E ancora poi, abbiamo fatto l'amore. Il resto lo sappiamo, no?
- Già. Malgrado tutto quanto, fa un certo effetto tornare con la mente a quei giorni...
- Beh, sì certo.
E mi calò qualche lacrima. Silvia se ne accorse, quindi tentò di rassicurarmi.
- Ehi, che ti prende?
- Nulla. I tuffi nel passato mi fanno sempre un certo effetto...
- Dai, allora può bastare, no? Non mi ti far vedere così che mi impressiono! Non sono poi così abituata a vederti piangere!
- Già, ti chiedo scusa. Allora, come ti trovi a lavorare a scuola?
- Bene, bene davvero. Quella scuola è ormai diventata casa mia... Ci dormo anche! Sai, tra due anni scade il contratto di quasi tutti gli insegnanti dei corsi; sai com'è, con tutti questi tagli ai fondi culturali... Insomma, Carmen mi ha detto che se continuo a lavorare bene come assistente alla professoressa di classico, alla scadenza dei contratti potrei prendere il suo posto che altrimenti resterà vacante. Sarebbe favoloso...
- Ehi, complimenti! Mi fa piacere per te...Ma continuerai a seguire gli studi in quella compagnia a Madrid?
- Non saprei. Forse se Carmen mi assumesse, potrei anche chiuderla lì. Ho studiato molto in questi anni, forse può anche bastare. Insomma, tre anni al National Ballet di New York, quattro anni all'Arrànz di Madrid ed altri tre in una compagnia. Magari è ora che io dia quel che mi hanno insegnato agli altri. Forse è la volta che sia io ad insegnare.
- E devi contare che ti sei risparmiata di elencare gli studi che tua zia ti ha fatto seguire da bambina. Io sono d'accordo. È ora che tu faccia della danza la tua vita, smettendola di studiarla. Devi praticarla e basta ora, eh? E poi magari, nel frattempo ti esibirai nei più importanti teatri d'Europa... Sai che insegnare all'Arrànz da' una grossa spinta popolare, no? Sarebbe perfetto!
- Già, ma non è neppure sicuro che sia io a ricoprire quel ruolo, eh... Forse sto correndo troppo con la fantasia!
- Andiamo, Silvia. Carmen ti ha sempre adorato. Sono sicuro che ti darà quest'opportunità, vedrai.
- Lo spero!
Ancora qualche chiacchierata, poi arrivammo a Valencia. Feci scaricare la moto dalla stiva del traghetto e in men che non si dica, ripartimmo per Madrid. In quel frangente, ho odiato la moto. L'ho odiata perché non potevo guardare Silvia negli occhi e non potevo neppure parlarle. Potevo però almeno sentire le sue braccia attorcigliate al mio busto, il che non era affatto spiacevole. Verso le sei e mezza del pomeriggio eravamo davanti all'Arrànz. Dissi a Silvia che l'avrei raggiunta più tardi, perché sarei andato a restituire la moto all'autonoleggio, quindi lei scese ed io andai. Ci misi poco lì, perché non vedevo l'ora di rientrare a scuola e restare ancora un po' con Silvia. Non c'era nient'altro che volevo, quindi fui lì in dieci minuti. Entrai disinvolto, i ragazzi erano sparpagliati per le sale perché stavano cominciando i rientri dopo l'episodio del guasto elettrico ed io e Silvia eravamo rimasti d'accordo che ci saremmo visti nella sua stanza. Nel tragitto però, incrociai Tanya, che mi balzò davanti. Era la prima volta che parlavo con lei consapevole della sua situazione mentale.
- Ciao, Rober.
- Ciao, Tanya.
- Dove sei stato in questi giorni?
- A Palma, al mare...
- Immagino con Silvia, no?
- Già...
- Sei stato bene?
- Molto bene, grazie. A te come va?
- Come sempre. Questo week-end, col guasto qui a scuola, l'ho passato a casa a divorarmi dvd... Una noia mortale, ma almeno mi sono distratta un po'!
- Da cosa avevi bisogno di distrarti?
- Dal mio schifo di vita.
- Ehi, avanti, non dire così. Una sera di queste ci prendiamo una birra insieme come ai vecchi tempi, ti va?
- E Silvia? Non sei qui per lei?
- Ma sì, certo. Però a te voglio molto bene e mi va di passare un po' di tempo anche con te. Non c'è nulla di male, non vedo quale torto potrei fare a Silvia!
- È ovvio che per me va bene... Ma tu e Silvia vi siete rimessi insieme?
- Oh, no. Abbiamo solo ripreso in mano un'importante questione lasciata in sospeso e per farlo ci stiamo rifrequentando. Beh, naturalmente io spero che vada a finire in bene.
- Già, sei qui per questo. Volevo scusarmi per il mio comportamento dei giorni scorsi... Non ne avevo il diritto, perdonami... Buona giornata!
Non mi diede neppure il tempo di rispondere alle sue scuse che fu via in un attimo. Effettivamente aveva degli atteggiamenti molto strani. A stento mi guardava negli occhi, due giorni prima me ne aveva dette di cotte e di crude ed ora si stava scusando. Io però le volevo bene e non mi piaceva vederla così male, per questo avevo voglia di prendermi una birra con lei per parlare un po'. Non mi interessava che non ci stesse con la testa. Avevo capito che ormai non aveva neppure più amici e non mi sentivo di abbandonarla anch'io. Forse a Silvia non sarebbe piaciuta l'idea, ma io non avrei fatto nulla di male, neppure col pensiero e non me ne volevo fare nessuna colpa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Loro ***


12. Loro
 
 
Ripresi ad avanzare e bussai alla porta della stanza di Silvia. Mi aprì frettolosamente. Mi sembrava alquanto agitata.
- Rober, accompagnami alla piazza a due isolati da qui! È venuto un allievo del secondo anno e mi ha detto che ci sono due ragazzi che mi cercano urgentemente... Non mi ha saputo dire chi siano, ma ha detto che non si potevano muovere da lì e poi ha aggiunto che cercano anche un tipo col pizzetto che sarebbe dovuto essere con me... Sì, ecco, credo che sia tu! Insomma, ci vogliono vedere con urgenza... Non ho idea di chi possano essere, ma sono parecchio agitata!
- Ehi, ehi, sta' calma... Tanto per cominciare, chi è quest'allievo e che ci faceva in piazza?
- Vedi, tutti gli allievi del secondo stavano facendo lezione di recitazione in strada... Lui non so neppure come si chiami, mi ha detto solo che i due ragazzi l'hanno fermato e gli hanno chiesto di me e di questo tipo col pizzetto!
- Beh, non agitarti. Qui a Madrid conosci moltissima gente, qualcuno che vuole vederti ha capito che i ragazzi erano di questa scuola e, sapendoti reperibile qui, ha chiesto di riferirtelo, tutto qua.
- Ed in tutto questo tu che cosa c'entri?
- Questo non lo so... Comunque sta' tranquilla, ora andiamo e vediamo di chi si tratta, ok?
Silvia annuì, quindi di corsa ci dirigemmo in piazza. Io non ero agitato quanto lei, però mi sembrava tutto così strano. Finché avessero cercato solo Silvia, sarebbe stato abbastanza normale, ma il fatto che chiedessero anche di me mi confondeva parecchio. Insomma, io ero tornato a Madrid senza rendere conto a nessuno, non capivo chi potesse sapere che ero lì e che mi avrebbe trovato insieme a Silvia. Avevo un po' paura di trovarmi davanti Marta. Magari si era portata un ragazzo o un parente per farmela pagare e metterci dentro pure Silvia. Marta non mi sembrava il tipo, ma magari l'avevo ferita a tal punto. In fondo lei sapeva che poteva trovarmi lì e che poteva rintracciarmi tramite Silvia. Era l'unica ipotesi che mi balenava in testa, ma mi auguravo di sbagliarmi. Giunti in piazza però, non trovammo nessuno ad aspettarci. La piazza era semivuota, c'erano solo dei bambini che stavano giocando a calcio e qualche anziano che passeggiava a braccia conserte. Mi guardai intorno, poi guardai Silvia e dissi:
- È uno scherzo?
- Giuro di saperne quanto te! Io ti ho detto quel che mi ha riferito il ragazzo del secondo, non so se sia lui l'ideatore di questa pagliacciata!
- O forse chi ci stava aspettando si è stufato di farlo ed è andato via. Magari non era importante...
- Ma no, ci siamo precipitati qui in un tempo record...
- Allora avevano voglia di divertirsi! Magari ci hanno dato buca, oppure quel ragazzo del secondo è un idiota... Anche a me piaceva fare il buffone ai miei primi tempi dell'Arrànz... Sarà l'euforia!
Silvia alzò le spalle, quindi girammo i tacchi per tornare a scuola. Proprio in quel momento però, si sentì una voce familiare.
- Un momento, per favore!
Ci voltammo allora indietro; da dietro un muro basso, sbucarono fuori le ultime due persone che mi sarei aspettato di vedere lì, a Madrid, quella sera. Non potevo credere ai miei occhi: erano Pedro e Lola. La voce era quella di Pedro. Istintivamente corsi da lui, e lo stesso fece Silvia con Lola; capii subito che Silvia non era in alcun modo d'accordo con loro perché era visibilmente emozionata. Erano tre anni che non li vedevo. E Silvia non li vedeva da sei mesi, dall'ultima volta che loro due si erano fatti un giro a Madrid. Dopo i convenevoli e i saluti, ce ne andammo alla hall di scuola, per fare quattro chiacchiere insieme, come negli anni d'oro da allievi. Io ero commosso. Rivedere anche loro, mi faceva sentire sempre più a mio agio, sempre più come se fossi a casa mia. Non so come descrivere il modo in cui mi sentivo: c'erano loro tre, che erano tutto il mio passato, tutta la vita che avevo lasciato, ma che grazie al cielo, mi stavo riprendendo. E come un idiota, mi misi a piangere. Cosa volete che vi dica; le emozioni le avevo schivate per troppo tempo, ora riuscivano a trascinarmi con estrema facilità. Lola se ne accorse subito e intervenì.
- Scemo! Che diavolo piangi?
- Piango perché sono felice! E poi mi avete colto di sorpresa! Insomma, tra un mese vi sposate a Los Angeles e avrete sicuramente un mucchio di faccende da sbrigare... Non capisco come abbiate fatto a ritagliare del tempo per venire fino a Madrid...; risposi io.
- Per rivedere un amico che non vediamo da anni lo facciamo volentieri!; fece Pedro.
- Ehi, e a me non pensa nessuno?; disse Silvia.
- A te pensa Rober, sta' tranquilla!; soggiunse allora Lola.
- Già; aggiunsi io sorridendo a Silvia, poi ripresi, -Avanti Lola, Pedro come ti ha chiesto di sposarlo? Spero non sia stato troppo rozzo!
- Ma che simpatico!; fece Pedro, dandomi una pacca sulla testa.
- Allora; fece Lola, - Diciamo che io aspettavo la proposta da un sacco di tempo, ma lui sembrava proprio non decidersi. E proprio quando ho smesso di sperarci... Beh, un giorno è tornato da lavoro e mi ha detto che voleva portarmi a cena fuori. Io non c'ho visto nulla di strano, non sarebbe stata la prima volta. Mi ha portato però nel ristorante dove mi aveva portata la prima sera che mi sono trasferita da lui a Los Angeles. Non eravamo più tornati in quel posto. È un luogo bellissimo che si affaccia sul mare ed è perfetto per vederci le eclissi o semplicemente le costellazioni. Dopo aver mangiato mi ha portato sulla terrazza del ristorante e mi ha detto di guardare proprio le stelle. Poi mi ha cantato la canzone del Titanic abbracciandomi da dietro ed appena ha finito, mi ha messo davanti un anello meraviglioso... E mi ha detto: "Lola, tu sai che ti amo ed io so che tu ami me. Sono anni che ci conosciamo ed anche se ce ne abbiamo messo di tempo, ci siamo trovati dopo una marea di errori, nonostante tutto. Ecco, sono quattro anni che siamo fidanzati. Voglio solo dirti che sono certo di aver trovato la donna della mia vita, quella con la quale voglio invecchiare. Ed è per questo che avrei l'immenso desiderio di sposarti, diventare tuo marito e magari anche il padre dei tuoi figli. Amore, tu vuoi sposarmi?"
- Cavolo, ricordi memoria il discorso?; feci io.
Silvia mi diede una botta in testa in maniera scherzosa, aggiungendo:
- Certe cose ti restano nella mente e nel cuore per sempre! Vai avanti Lola; tu cos'hai detto allora?
Lola riprese, sorridente.
- Beh, io restai di sasso! 
Pedro prese allora il discorso.
- Meglio che vada avanti io, lei non c'era più con la testa a partire da quel momento! Lola ha cominciato a tremare, piangendo. Cercava di dire qualcosa, ma balbettava e singhiozzava; non si capiva nulla. Allora ci siamo abbracciati, poi lei si è calmata. Mi ha sorriso e mi ha detto: "Ma certo che voglio sposarti!", poi ci siamo baciati, ci siamo detti "Ti amo" ed io le ho messo l'anello al dito. È andata così.
- Mamma mia quanto miele! Sto per svenire dal diabete!; dissi io ridendo.
- Smettila, idiota!; intervenne Pedro, ridendo anche lui, - Fino a prova contraria qui chi fa follie d'amore sei tu, o sbaglio? Perché non dici a me e Lola come stanno le cose, eh?
Sospirai e guardai Silvia. Sorrideva con un po' d'imbarazzo e lo sguardo basso. Poi alzò la testa, cercò i miei occhi ed annuì, come se stesse anche lei aspettando che dicessi qualcosa, anche se già sapeva i dettagli della situazione. Quindi iniziai il mio discorso.
- D'accordo. So che già sapete come stanno le cose qui, ma so anche che volete sentirlo dal diretto interessato quindi... Va bene, ve ne parlo io. Voglio iniziare dal principio, però. Ecco, quando frequentavo questa scuola ero molto diverso. Ero immaturo, acerbo... Un ragazzino, insomma. Finché non mi sono innamorato. Mi sono innamorato di Silvia. E non me ne sono innamorato per fare un torto a te, Pedro. Beh, ad ogni modo, io e lei ci siamo messi insieme in un modo strano, che non sto qui a ricordarvi perché lo sapete benissimo. Nello stesso periodo in cui io e Silvia ci siamo fidanzati, ho conosciuto mio figlio Sergio. Diciamo che quel periodo mi ha fatto scattare qualcosa dentro; questo perché ho conosciuto le persone che sono diventate e sono restate da allora le più importanti della mia vita... Con loro ho conosciuto i valori, che la mia famiglia non ha mai saputo insegnarmi. Peccato che, malgrado tutto questo, non sono riuscito a maturare in tempo per vivere a pieno le emozioni come dovrebbero andare vissute. Proprio per quella parte di me che non è riuscita a crescere, ho perso Silvia. Mi sono sforzato al massimo per tornare con lei, ma purtroppo lei non voleva ed aveva tutte le ragioni del mondo. Abbiamo sofferto molto. Perciò, ho provato a credere che il futuro potesse sorridermi anche senza di lei e mi sono tuffato in un'altra relazione, quella con Marta. Stavo con lei anche se non l'amavo, ma ero convinto che un giorno mi sarei svegliato e sarei riuscito ad innamorarmene. Non andò così. Quando terminai i miei studi qui, io e Marta decidemmo di trasferirci a Malaga per vivere insieme. Lei per questo riuscì a diplomarsi un anno in anticipo... E lo fece per me. Peccato che io però, non avevo mai cancellato Silvia. L'ultimo giorno le ho parlato, le ho ripetuto che l'amavo, l'ho baciata... Ma sono partito con Marta, perché pensavo fosse giusto così. Io non meritavo Silvia, le avevo dato solo sofferenza. Per tre anni sono rimasto a Malaga convinto che avrei presto imparato ad amare Marta, ma anche lì, non funzionò. Pensavo che non vedendo più Silvia, finalmente ce l'avrei fatta a levarmela dalla testa. Ero convinto che la vita di Silvia sarebbe stata più serena senza di me... Ma forse senza di me non sarebbe stata la sua vita. Mi sono accorto di aver sbagliato tutto, mano a mano che sono andato avanti coi giorni. Ed arrivò anche il giorno in cui sono crollato, ho mollato Marta ed ho fatto ritorno qui. Io ero fuggito dalla mia vita e non mi rendevo conto che non ci potesse essere cosa più sbagliata. Ce ne ho messo di tempo, ma mi sono deciso a riprendere in mano la mia vera vita. Questi tre anni strazianti, fondati sulla stupida e sbagliatissima convinzione che stando lontani io e Silvia saremo stati meglio, mi hanno fatto cambiare. Sono serviti a farmi crescere. Non sono più immaturo come lo ero ai tempi in cui frequentavo questa scuola. L'amore mi ha cambiato. Mi sono allontanato da Silvia per non farla soffrire, ma ho capito che la lontananza tra due persone che si amano è la sofferenza maggiore. Io sapevo che anche lei, nonostante tutto e tutti, era nella mia stessa situazione; ovvero che stesse provando a cancellarmi, ma senza successo. Non lo so come facessi, ma ne ero certo. Ed infatti non mi sbagliavo. Quando ci siamo rivisti, dopo tre anni, è stata forse l'emozione più forte della mia vita. Beh, lei cercava di essere arrabbiata, ma la verità è che dentro non vedeva l'ora di stringermi. Abbiamo retto per poco il clima freddo e sorpreso degli ex che non si vedono da anni. Già, perché noi non siamo solo ex. Siamo due persone che non hanno mai smesso di amarsi. Lei mi ha sempre amato ma non le andava giù di amare un coglione come me, io l'ho sempre amata ma sono scappato perché non volevo farla soffrire. Però in quel momento tutto questo è scomparso. Ci siamo stretti, abbiamo pianto e poi abbiamo dormito abbracciati. Abbiamo trascorso il week-end a Palma di Maiorca, ed adesso incontriamo voi, che giorni fa ci avete detto che vi sposate. Ecco, la situazione che c'è tra me e Silvia sta più o meno così: lei vuole che io le resti accanto per un po' per capire se ora può riprovare a stare con me, se sono cambiato come dico e se finalmente sia capace di amarla come si deve. Ed io accetto ogni sua condizione nell'attesa che decida se merito la famosa seconda opportunità che non ci siamo mai davvero concessi. Ecco tutto. 
- Silvia, provi quello che dice lui?; fece Lola, poi Silvia prese un bel respiro e rispose.
- Già. È tutto vero. Vedi Lola, ai tempi in cui frequentavamo questa scuola, come ha detto Rober, era tutto diverso.; si accese una sigaretta e riprese, - Io lo amavo, sì, ma c'erano tanti suoi aspetti che non sopportavo. E l'episodio della gravidanza fu la goccia che fece traboccare il vaso... Lo lasciai. Ma continuavo a provare qualcosa per lui. Non volevo capire cosa esattamente, perché avevo paura di capire che fosse nient'altro che amore ed io non volevo amarlo. Già, io non volevo amarlo, ma lo facevo.
Intervenne Pedro.
- Perché non accettavi il fatto che lo amassi?
- Perché non avevo mai sofferto tanto in vita mia come quando stavo con lui...; rispose Silvia tirando dalla sigaretta.
Lola mi lanciò un'occhiata come per vedere se reagissi male, ma io non battei ciglio, perché sapevo già quello che Silvia diceva in quel momento. Dopo avermi visto impassibile, Lola riprese.
- Beh, è per il bambino, non è vero?
- Anche...; rispose Silvia, - Però non fu solo la gravidanza a buttarmi a terra. Rober si è comportato da idiota troppo spesso a quei tempi. E sono rimasta incinta nel momento meno opportuno... Dopo l'aborto allora l'ho mollato. Ma avercelo vicino tutti i giorni, non mi ha aiutato affatto. Ho capito che nonostante la sua idiozia, la sua arroganza e i suoi mille altri difetti, io ne ero ancora innamorata. E non sopportavo questo fatto, non lo accettavo. È per questo che quando lui ci ha riprovato mi sono opposta. Ma nei momenti in cui ho creduto di non rivederlo più, oppure nei momenti più difficili, beh... Lì sono crollata ed ho mostrato di amarlo. La verità è che starne alla larga per tre anni mi ha massacrata. Per questo ho accettato di amarlo. Perché è la verità ed è inutile che il mio orgoglio tenti di soffocarla, perché alla lunga non è possibile nasconderla. Ora ho solo voglia di capire se questi tre anni gli hanno davvero messo in chiaro quello che gli balena nella testa. Ho voglia di capire se abbiamo futuro, se vale la pena riprovarci, dopo tutto questo dolore, tutta questa sofferenza. E dopo tutto questo tempo. Per questo ci stiamo frequentando di nuovo.; e tirò di nuovo dalla sigaretta.
Io le sorrisi. Condividevo tutto quel che aveva detto ed avevo piacere che avesse ammesso di amarmi anche a Pedro e Lola. Ora avevo ancora più chiara la situazione; sentirla parlare di me agli altri, mi aiutava a vedere tutta questa storia da un altro punto di vista, più realista, più oggettivo. In quel momento tentai di non ascoltare come Rober, ma come un passante che per sbaglio origlia i discorsi di quattro giovani al bar. E tutto ciò, non faceva altro che motivarmi e determinarmi a conquistare quella seconda opportunità. Silvia ricambiò il mio sorriso, poi Pedro riprese a parlare.
- Mah, io tutto quel che posso dirvi è che a me farebbe tanto piacere rivedervi insieme. Innanzitutto perché le mie corna sarebbero servite; disse in mezzo ad una risata collettiva, - e poi perché io ho osservato Rober dopo che l'avevi lasciato, Silvia. Vedi, io e lui eravamo sempre in competizione, ma in quel periodo notai quanto fosse spento, privo di vitalità, e questo, conoscendolo, mi parve molto strano. Capii che stava così per te. La storia di Alvaro lo turbò molto. Impazziva solo all'idea che potessi partire. E poi, beh tutto il resto. Insomma, sono convinto che ti abbia sempre amato molto, in mezzo a tutti i suoi disastrosi errori. Nonostante ai tempi dell'Arrànz non eravamo proprio ottimi amici, questo l'ho capito ben presto. Come vedi, anch'io ci ho messo un bel po' a capire che in fondo è una brava persona!
A questo punto, parlai io.
- Già, bifolco! A scuola non abbiamo fatto altro che procurarci guai ed ostacolarci a vicenda ma... Sotto sotto ci siamo voluti un gran bene. Guardaci ora; io ti faccio da testimone di nozze e tu torni dall'America soltanto per salutarmi! Ah, comunque tranquillo; non c'è bisogno che parli di me a Silvia... L'unica cosa che non ha mai davvero sopportato, è che qualcuno le dica cosa fare.
- Sì, certo. Le ricorda sua zia, no? Comunque il mio era solo un ricordo che poteva essere interpretato come consiglio, nulla di più.
- Avanti; fece Silvia, - Non parliamo di mia zia ora... Se n'è tornata a New York, finalmente. Piuttosto tu, Lola... Sai che fine ha fatto Ingrid? Non ricordo più quand'è stata l'ultima volta che l'ho sentita!
- Ingrid?; rispose Lola, - Beh, Ingrid è qui a Madrid. Ma lavora come estetista in periferia... Insomma, ha mollato il suo amore per canto e danza e si è ritirata in periferia. E non si fa sentire più perché... Beh, un anno fa sua madre si è suicidata; dunque lei ha avuto voglia di starsene un po' sola, sapete com'è fatta...
- Oh diamine... Giuro che non ne sapevo niente!; fece Silvia sbalordita, - Se solo l'avessi saputo, le avrei almeno fatto un colpo di telefono... Il fatto è che è sparita da un momento all'altro, ed io... Oh cielo, quanto me ne vergogno!
- Tranquilla; disse Lola, - Non lo sapeva nessuno... Ingrid mi ha telefonato appena dopo che era successo ed era sconvolta. Disse che ero l'unica persona con la quale aveva voglia di parlare, per questo io non ho messo voci a riguardo in giro, e ve ne chiedo scusa. Ma Ingrid è così, pensavo fosse il giusto modo di starle accanto e spero di non aver sbagliato. Insomma, a voi forse avrei anche potuto dirlo ma... Un suicidio non è poi un bell'argomento, no? Io non ne ho parlato solo perché me l'aveva chiesto lei. Ora è passato un anno, quindi penso che a questo punto non ci sia più motivo di celare la realtà. Comunque, dopo quella telefonata, l'avrò risentita forse un paio di volte e mi ha sempre detto che voleva stare sola, perciò non l'ho più disturbata. La capisco, d'altra parte anche io ero a pezzi quando ho perso mia madre... Per questo l'ho lasciata in pace. Ora però, io e Pedro siamo qui anche per annunciarle il lieto evento ed invitarla... Sono sicura che ne sarà felice! Ho conservato il suo indirizzo, me lo ha dato un giorno per telefono, quindi ho deciso che, visto che ormai siamo a Madrid, non le telefoneremo ma passeremo direttamente da casa sua. E se volete... Rober, Silvia; venite anche voi! Le farà piacere rivedervi dopo tutto questo tempo! Insomma, di nuovo noi cinque insieme, come una volta... 
- Certo; feci io, - Anche a me farebbe piacere...; Silvia annuì e sorrise, quindi capii che era d'accordo con la proposta, - E comunque Lola, sta' tranquilla. Hai fatto la scelta giusta per quanto riguarda la situazione di Ingrid. Adesso vedrai che col matrimonio e col rivederci tutti insieme si tirerà un po' su. Beh, ma che ci facciamo ancora qui? Io direi di andarcene al pub; birretta, sigaretta, musica e due chiacchiere. Poi tutti a nanna che Silvia domani ha da fare, no?
- Già; disse Silvia, - Per me va bene se mi riportate qui prima della chiusura degli alloggi!
- Perfetto!; fece Pedro, - Non ci saranno problemi... Io e Lola salutiamo un momento Puri, tu e Rober cominciate ad andare, vi raggiungiamo in un battibaleno!; poi si girò verso di me e mi strizzò l'occhio.
Silvia mi sorrise, poi io le aprii il portone e cominciammo ad avviarci verso il pub. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il peso del trascorso ***


13. Il peso del trascorso 
 
 
Andammo a piedi, per questo decisi che era meglio colorare il clima parlando.
- Fa un po' strano sentirti parlare di me a qualcun altro, sai?
- Spero tu non abbia scoperto cose che non sapevi già.
- No, affatto. Era tutto come pensavo. E a te, è piaciuto il mio di "resoconto" su di te?
- Ah, beh... Tutto quello che posso dirti è che erano parole molto belle. Mi hanno toccata, sai? Spero non sia solo apparenza.
- Vuoi dire che hai paura che non siano state dette col cuore?
- Andiamo, Rober. Sai come stanno le cose, no? Io ho tanti freni su di te. Un mucchio di incertezze e dubbi. Sono insicura, mi devi dare tempo. Tu non devi preoccuparti di nulla, pensa solo ad essere te stesso. È l'unico modo per capire se davvero possiamo riprovarci. 
- Però a me sembrava che le cose stessero andando bene, finora.
- Già, ed hai ragione. Ma non vuol dire niente. Ti ho da subito precisato che mi sarei lasciata andare, impulsivamente, quindi non affidarti solo a quello che è successo. Ti ricordo che la nostra relazione è finita cinque anni fa. Io e te non stiamo più insieme da allora. Ti è chiaro o no?
- Ben detto. Ma per spiegare per bene come realmente stanno le cose, avrei qualcosa da appuntare a riguardo. Il nostro fidanzamento è iniziato quasi sei anni fa, durato cinque mesi e finito cinque anni fa. Il nostro amore, invece, è iniziato sei anni fa, dura tutt'ora e non finirà. Mai. Anche se lo volessimo. Abbiamo già provato a farla finita ed a scappare l'uno dall'altra ma, a quanto pare, è del tutto inutile. Silvia, guardami. Voglio dirti una cosa. Se dovessi fare un riassunto del mio trascorso alla scuola di arti sceniche di Carmen Arrànz, sarebbe più o meno così: al primo anno mi sono innamorato di te, al secondo tra noi è finita, al terzo ho provato a cancellarti, al quarto mi sono reso conto che non era possibile.
- Tanto è vero quel che hai detto, che a fine quarto anno sei scappato e pure per tre anni... E menomale che non era possibile cancellarmi!
- Oh mio Dio... Pensavo fosse un discorso già affrontato e chiarito. Ho sbagliato, d'accordo? E non mi pare sia la prima volta che te lo dico. Te ne chiedo ancora una volta perdono. Aspetterò fino a quando riterrai opportuno per sapere se vuoi dare una speranza ad un rapporto mai finito. Ma quello che ti ho detto da quando sono tornato qui, tutto quello che ti ho detto, non è nient'altro che la verità.
- D'accordo Rober. È inutile che ti faccia presente i miei dubbi, tanto le tue risposte sono sempre le stesse. Ti chiedo semplicemente di provare a metterti nei miei panni.; ci sedemmo allora su una panchina presso il pub, poi Silvia riprese, - Mi iscrivo ad una scuola di arti sceniche a Madrid, per conquistarmi un'autonomia che fino a quel momento non avevo mai avuto. Durante il primo anno mi metto con Pedro, perché è carino e gentile con me; ma in realtà mi piaci tu, solo che non mi sembri uno stinco di santo, quindi preferisco accantonarti. Un giorno dopo essermi messa con Pedro, vengo a letto con te perché tu ci provi con me, e visto che mi piaci, non riesco a respingerti. Tu lo dici a Pedro, io e lui ci lasciamo ed io vengo in vacanza con te; quindi ci mettiamo insieme. Sì, ammetto che insieme stiamo bene e mi innamoro di te perché capisco degli aspetti di te nascosti da una persona che in realtà è solo un'immagine ben costruita. Al secondo anno, quell'immagine però diventa parte di te, io resto incinta di una persona che comincia a non piacermi più; dopodiché perdo il bambino e ti lascio. Dopo esserci lasciati, tu non demordi e continui a starmi accanto. Io capisco che di difetti ne hai a migliaia, d'altra parte ti ho lasciato per quello, però continuo ad amarti. Non lo accetto, tento di non cedere di nuovo per paura di farmi male una seconda volta. Ci riesco solo in parte, perché nelle situazioni peggiori che si presentano durante tutto il resto del secondo anno sia a me che a te, ci sosteniamo a vicenda e ci si palesa che ci amiamo ancora. Al terzo anno io mi metto con un altro e tu ti metti con un'altra; comincia il nostro patetico ignorarci, che termina l'ultimo giorno dell'ultimo anno. Io mi sono appena lasciata perché l'ho presa di nuovo in quel posto anche con un altro uomo, tu invece sei ancora con la tua ragazza; mi vieni vicino per salutarmi, mi dici che mi ami ma che andrai a vivere con quella ragazza; mi baci, io per l'ennesima volta non so respingerti e poi sparisci. Per tre anni. Io sono stata uno schifo. Andavo a dormire sapendoti nel letto con un'altra donna e, al contrario di quanto avevo provato a fare in precedenza, non riesco a reagire. Un bel giorno ritorni, dici che non riesci a togliermi dalla tua testa, per l'ennesima volta affermi di amarmi e... Ancora una volta, io non so respingerti. Ti posso assicurare che quello che soffre di meno in questa faccenda sei tu. Scusa se, adesso, a freddo, ogni tanto mi fermo a pensare: "Ma che sto facendo?", "Dovevo reagire così?" o cose del genere, sai...; aggiunse infine con un pungente sarcasmo.
- Beh, non c'era bisogno che mi facessi risentire tutta la storia, sai la conoscevo molto bene... Comunque so che per te non è una passeggiata. Voglio anche chiarirti che non devi scusarti se alle volte hai questi atteggiamenti... Io lo capisco. So bene quanto tu sia stata male a causa mia, dal giorno in cui ci siamo conosciuti fino ad ora. Però ti giuro che anche io a Malaga ho sofferto come un cane. Hai anche tutto il diritto di non crederci, ma... Va bè, io te lo dico. Vedi, io... Mi vergogno di come mi sono comportato per tutto questo tempo. Me ne vergogno. Ma se c'è però una piccola, insignificante possibilità di rimediare per quanto possa essere possibile, io voglio cercare di sfruttarla. Perché devo... Ecco, io devo... Devo risarcirti del dolore che ti ho dato. Sai, so di averti fatta soffrire tanto, ma credo che però se non fossi tornato, tu avresti continuato a patire. Io sono tornato per rendere felice te, non me. Perché io non merito di essere felice, dopo tutto quello che ho combinato. Tu sì, però. Se puoi, prendendoti ovviamente tutto il tempo che ti serve, ma questo già lo sai, dacci un'altra opportunità. Ma fallo per te, non per me. Naturalmente, se andrà bene ne sarò felice anch'io ma... Solo tu hai il diritto di decidere per la tua vita. Decidi per te, fa' quello che vuoi tu. Non in funzione di qualcun altro. Tantomeno di me.
- Apri bene le orecchie, Rober. Io sono ancora fottutamente innamorata di te. Ma non venire qui a farmi discorsi da vittima del tipo "Io non merito di essere felice, sono tornato solo per rendere felice te e non me" e bla bla... In amore, se una persona è felice, lo è anche l'altra. Punto. 
- Già, su questo hai ragione. Sai che non sono mai stato più di tanto bravo con le parole, no?; Silvia accennò un sorriso, poi continuai, - Si vede che di cazzate ne dico e ne faccio... Ma se è possibile, vorrei smetterla di ricordarci a vicenda come stanno le cose... Finiamo sempre per litigare! Io vorrei solo provare a guardare avanti. Non pretendo di cancellare il passato, perché il passato è il motivo di cosa siamo ora e quindi... Quindi è importante. Però, vorrei ricordare di meno e dimostrare di più....
- Capisci bene che è un po' difficile mettere da parte il passato in questa situazione... È tutto quello che abbiamo, per ora. E poi non coglierne solo il negativo. Abbiamo anche dei bei ricordi...
- Sì, è così. Ma io vorrei costruire anche un presente ed un futuro.
- Vorresti. Proprio così. Vorresti. Ti prego, lascia che decida io, eh? Tu hai ben chiaro che vuoi tornare con me, ma io no. Non ti sto rimproverando, eh. Ti chiedo solo di avere pazienza, se davvero ci tieni a questa storia. 
- Ti aspetterò anche tutta la vita, questo è poco ma sicuro. Ma dimmi che è tutto a posto e non sei arrabbiata, ok? Non vorrei aver rovinato quel poco che ho messo su questi tre giorni...
- Tutto a posto, Rober. 
- Scusami.
- Dai, vieni qui, cretino!
E detto questo, mi abbracciò. Dopo esserci stretti, la accarezzai, poi mi alzai in piedi e mi fumai una sigaretta mentre aspettavo che Pedro e Lola arrivassero. Furono lì in breve, e Pedro aveva uno scatolone in mano. Entrammo insieme al pub, poi fu lui che prese la parola.
- Scusate se abbiamo tardato un po' ma siamo passati a prendere una cosa che avevamo lasciato in albergo... Tieni Silvia, apri.
- Cos'è?; fece allora lei.
- Mah, potremmo chiamarla... "Valigia del passato"! Su, aprila.
- Ecco, appunto... Il passato...; disse lei lanciandomi un'occhiata, dunque aprì la scatola.
La scatola conteneva decine e decine di fotografie dei nostri anni passati all'Arrànz. Erano tutte foto di me, Silvia, Pedro, Lola ed Ingrid, con qualche nostro compagno o professore. Silvia le guardò rapidamente divertita, e appena ne vedeva una, la passava a me, che a mia volta la osservavo e l'andavo a riporre nello scatolone. Capitò anche qualche foto con Pavèl, Marta, Horacio ed altre vecchie scomode conoscenze, ma Silvia guardava tutto col sorriso. Ed anche io. Finché non arrivò una fotografia che ritraeva me e Silvia, abbracciati e felici. 
- Pedro, posso tenere questa?; fece lei.
- Certamente!; gli rispose lui, sorridente.
Dunque Silvia mi guardò e riprese.
- Qui stavamo insieme, ricordi?
- Come posso scordarlo...
- Tu ne hai di foto con me?
- Sì, ho l'album di Maiorca. E qualche scatto del vecchio telefonino che ho trasferito sul mio portatile. 
- L'album di Maiorca ce l'ho anch'io, è nello scaffale del mio appartamento a scuola. Ad ogni modo, ti spiace se la tengo io questa? È molto bella e poi ricordo quando l'abbiamo scattata. Lo ricordo bene.
- Già, lo ricordo anch'io. Ce l'ha fatta Lola, eravamo in corridoio. Avevamo appena finito la lezione di recitazione. Tu avevi fretta perché c'era l'ora libera e volevi farti lo shampoo, ma io ho insistito perché ci facessimo fotografare e così, ecco la foto. Ovvio che puoi tenerla.
- Poi però, per colpa tua, niente shampoo. 
- Beh... Abbiamo fatto l'amore, non è stato meglio?
- Credo sia stato allora che ho concepito il bambino.
Al bancone di quel pub calò il gelo. Io fissai Silvia, senza dire nulla. Pedro e Lola si guardarono, mentre lei per l'imbarazzo riordinava le altre foto nella scatola. Silvia però poi sorrise e riprese.
- Dai, adesso che importa. Guarda che la tengo perché mi ricorda un momento felice, non quello che ne è conseguito. Quello è successo, e se non sarebbe successo quel giorno, sarebbe successo l'indomani o il giorno dopo ancora. Non ha più importanza ora.
- Certo. Promettimi però che ogni volta che la guarderai da oggi in poi, penserai solo a quanto stessimo bene, d'accordo?
- Promesso.
E continuammo a vedere le foto. Ce n'erano di tutti i colori; qualcuna con Pedro e Silvia ai tempi della loro brevissima relazione, qualcuna con Lola e Jero ai tempi in cui stavano insieme, e lo stesso conseguiva con Pedro e Marta, me e Marta, Pavèl e Silvia, e così via. C'era anche qualche mia foto con Tanya. Ripresi il discorso.
- Bifolco, ma quante diavolo di foto hai? Non ricordo neppure di averne fatte così tante, pensa che non ricordo neppure che capelli orribili che portavo al terzo! Insomma, non erano né corti né lunghi, erano solo una cesta di peluria senza direzione e verso! Che oscenità!
Pedro rise e mi rispose.
- Mah, le foto sono tutte opera di Lola. E quelle in cui lei è presente, o sono fatte con l'autoscatto o sono fatte da Antonio, il bidello, che gentilmente acconsentiva alle sue assillanti pressioni... Ah, per quanto riguarda i tuoi capelli, ti do ragione... Erano pessimi!
- Taci tu, che rasato eri proprio orribile!  
- Dai, finitela che tanto le foto le abbiamo viste tutte...; fece Silvia, - Avanti, Lola, andiamo a ballare!
E detto ciò, le due si allontanarono ed andarono sulla pista da ballo a ballare una canzone, se non sbaglio di Michael Jackson. Io e Pedro restammo soli al bancone, così ci facemmo una delle nostre chiacchierate che non facevamo da un sacco di tempo. Cominciò lui.
- Allora amico, come va con lei?
- Come vuoi che vada... Non posso lamentarmi, è già troppo che non mi abbia picchiato appena mi ha visto... Vedi Pedro, non sono nella posizione di pretendere nulla ma ti confesso che tutto questo è molto difficile.
- Beh, cosa credevi, che Silvia ti avrebbe sposato non appena ti avrebbe visto arrivare? Immagino che prima di fare ritorno qui, te lo immaginavi già che non sarebbe stato affatto semplice, no?
- Già, ma non pensavo così tanto... Ecco, è che... Non so, mi trovo a dover stare attento a fare tutto quel che faccio. Mi sento legato. Ho paura di sbagliare, perché so che è l'ultima cosa che devo fare. Ho paura di farla soffrire ancora. Ammesso che non lo stia già facendo. 
- Rober, rilassati. Credo che tu ci abbia pensato parecchio prima di tornare, e credo che ti sia convinto che fosse la cosa giusta da fare. Giusto?
- Puoi dirlo forte, tre anni di riflessione!
- Bene, allora lascia che ti dia un consiglio. Tu sei qui perché hai capito che solo qui, con Silvia, la tua vita avrebbe un senso. Devi fare solo quel che senti. Sii te stesso. Lei ama te, Rober, non quello che vuoi sembrare di essere. Per questo tu non devi fare altro che quello per cui sei tornato a Madrid: amala a tua volta. Amala senza freni, senza pensare al come o al perché. Stalle accanto, è l'unica cosa che devi fare. E devi farlo sia per te stesso che per lei. Perché meritate di vivere qualcosa che non è mai riuscita a morire. Prova a salvarlo questo qualcosa. Ma fallo essendo te stesso.
- Grazie Pedro. Credo che tu abbia ragione. Devo rischiare per salvare questo rapporto.
- Esatto. Almeno non avrai il rimpianto di non aver tentato il tutto per tutto.
- Beh, anche perché di rimpianti ne ho già in abbondanza...
- E dimmi, non hai mai pensato che potesse essere lei a cercare te?
- Oh no, questo mai. Punto primo perché non ne era in dovere, e punto secondo perché il suo orgoglio è troppo forte per essere piegato da un amore verso il quale lei stessa nutriva un rifiuto. Con questo non ti sto dicendo che non mi ama abbastanza, ma sai com'è fatta: in un rapporto come il nostro, l'orgoglio non può far altro che crescere. Ha diverse argomentazioni a favore, specialmente dal canto di Silvia.; e bevvi tutto d'un fiato il mio bicchiere di birra.
- Beh, sì in effetti... Hai sbagliato molto in questi anni.
- Già, forse troppo.
- Non credo, sai? In tutta questa storia una sola cosa è certa: che voi due vi amate. Nonostante tutto è così. E alla fine, vedrai che questo basterà a vincere gli errori del passato.
- Me lo auguro, davvero. Grazie, bifolco. E perdonami se per tre anni ci siamo sentiti così poco. Forse se avessimo parlato di più ed io mi fossi aperto, sarei tornato qui molto prima.
- Sta' tranquillo! Meglio tardi che mai, infondo!; e bevve anche lui la sua birra, - Posso chiederti qualche dettaglio?
- Che intendi vecchio mio?
- Beh; dunque guardò Lola e Silvia e sorrise loro, - Avete fatto l'amore?
Sorrisi e risposi.
- Molte volte, sai? E la prima volta che l'abbiamo fatto, lei era ancora la tua donna!
- Idiota! Dai, seriamente... È successo da quando sei tornato?
- No.; mi accesi una sigaretta e ripresi; - Io muoio dalla voglia, ma desidero andarci cauto. Ci siamo baciati, questo sì, ed anche svariate volte. Abbiamo dormito abbracciati, ci siamo coccolati... Ma per ora, non abbiamo fatto l'amore. Prima di farmi avanti, vorrei aspettare di sentirla più vicina a me, più fiduciosa. Non voglio che pensi che di lei mi manchi solo quell'aspetto. Non è affatto così.
- È molto bello quello che dici.
- Me l'ha detto anche lei, bifolco. Ha aggiunto che però vorrebbe che le dimostrassi che non sono solo parole.; e tirai dalla sigaretta.
- Lo farai.
- Certo che lo farò. Magari con modi più pacati...
- Che intendi?
- Sai, a parte qualche discussione dettata dallo stress o dal rancore sul passato, ci siamo già fatti una litigata.
- Quando?
- Ieri, a Palma. Siamo andati a ballare in un locale discreto, con della buona musica. Ad un certo punto, un uomo ha voluto ballare con Silvia e lei ha accettato, dunque anch'io ho ballato con una ragazza che era lì. Finché non ho visto che le mani di quell'uomo si stavano prendendo troppo spazio su Silvia e... E allora gli ho mollato un cazzotto. Silvia mi ha portato fuori dal locale, mi ha detto che sono un idiota e che risolvo sempre tutto nella maniera sbagliata. Io le ho chiesto scusa, ma lei mi ha detto che dovevo tornare da lei solo quando sarei stato sicuro di essere cresciuto. E se n'è andata.
- Oh, fantastico. E poi?
- Poi grazie al cielo è tornata. Mi ha detto che mi ama malgrado tutto e che pensa che io sia più importante di un cazzotto in un momento di rabbia, anche perché quel cazzotto, seppur sbagliato, era per lei.
- Beh, ma allora si è sistemato tutto!
- Per questa volta sì. Ma a lei non piace che io mi comporti così ed ha ragione. Per stavolta sono passato, però la prossima non è detto che mi vada ancora bene.
- Fa' in modo che non ci sia una prossima volta.
- Volevo evitare episodi di questo genere anche appena tornato, eppure è successo lo stesso. Siamo sempre al solito discorso; come vedi, non riesco a controllarmi, perciò ho paura di sbagliare. È ovvio che non intendo usare la violenza, ma a volte non riesco ad evitarlo.
- Ce la farai. Hai rinunciato a tutto per lei; la carriera, il denaro, gli amici... Rinuncerai anche a questo tuo difetto.
- Io ho rinunciato ad una vita che non era la mia, niente di più.
- Sei proprio cambiato. Il Rober di tre, quattro, cinque o sei anni fa avrebbe fatto di tutto per essere scelto durante un casting qualsiasi. Ora invece ha mollato il teatro. Quel Rober ambiva alla popolarità assoluta. Ora ha solo due o tre amici. Quel Rober non poteva stare senza ragazze e senza sesso per più di un giorno. Ora ama una sola donna ed intende aspettarla quanto vuole lei.
- Rober è cresciuto. Ha capito che è innamorato e che vuole stare accanto alla sua donna come si deve. Fanculo il resto. E poi, è anche un padre e vuole assumersi le sue responsabilità.
- Già, Sergio. Come sta?
- Non lo vedo da molto tempo. È in Brasile, ed io ho bisogno di soldi per andarlo a trovare. Mi cercherò un lavoro qui a Madrid, così guadagnerò e potrò stare accanto a Silvia. 
- Torni a recitare?
- Macché, bifolco. Le paghe degli attori sono misere di questi tempi. E poi ci sono da fare troppi provini. Voglio un lavoro sicuro e che posso cominciare subito. Ho pensato di chiedere lavoro ad un autonoleggio. Ci ho noleggiato una moto giorni fa. Chiederò se hanno bisogno di una mano, altrimenti mi arrangerò come cassiere, scaricatore, idraulico o qualsiasi altra cosa. L'importante è che mi diano soldi sicuri e da subito.
- Tu hai talento, dovresti ricominciare col teatro... E poi è la tua passione!
- Un giorno forse ricomincerò. Ora ho altre priorità, lo sai.
- Come credi.
Finii di fumare, dopodiché Pedro ed io raggiungemmo Lola e Silvia sulla pista da ballo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il sapore della saggezza ***


14. Il sapore della saggezza
 
 
Ballammo parecchio, quella sera. Eravamo tutti felici, come ai vecchi tempi. Sono stato davvero benissimo. Arrivarono anche le due e Silvia fu costretta a tornare alla scuola, visto che a quell'ora chiudevano gli alloggi. Io, se devo dirla tutta, speravo avessero già chiuso i cancelli, in modo che sarebbe dovuta andare a dormire altrove, nella mia stanza d'albergo ad esempio. Ma i cancelli erano ancora aperti; avevamo fatto in tempo. Pedro e Lola dissero che dovevano scappare, salutarono e si avviarono verso il loro hotel mano nella mano. Io chiesi a Silvia se avesse avuto piacere nel caso in cui mi fossi offerto di accompagnarla fino al suo alloggio e fu d'accordo. La accompagnai alla porta e la volli salutare.
- Allora buonanotte.
- Buonanotte anche a te. Sai che se Carmen scopre che tu dormi qui, si arrabbierà molto... Per questo non ti chiedo di restare, è già successo una volta, non mi va di rischiare. E ad ogni modo, forse è il caso che proviamo a dormire separati... Ci vediamo domani, d'accordo?
- Certo, sta' tranquilla. Ah, Silvia... Un'ultima cosa.
- Dimmi.
- Carmen a quest'ora non è più nel suo ufficio, vero?
- Beh, Carmen è rimasta quella di sempre. Se ne sarà sicuramente già andata a casa. Tornerà puntuale alle otto di domattina. Perché, ti serve qualcosa?
- No, nulla. Volevo passare a salutarla. Ecco, credo si ricordi di me. Vorrei sapere come se la passa. Dopotutto, è stata come una sorta di mamma per tutti noi quando eravamo allievi. Gliela devo una visita. Il fatto è che finora ho avuto altro da fare, tutto qui... Ora mi è venuto in mente.
- Sai, è carino da parte tua. Comunque, tranquillo, ti accompagno io da lei, domani. Sempre se ti va. 
- Magari. Grazie, Silvia. E buonanotte.
- Buonanotte, Rober.
Le presi il volto tra le mani e la baciai in fronte. Lei mi sorrise, mi accarezzò e dunque si ritirò nell'alloggio. Io mi feci a passi lenti tutto il corridoio, finché una porta non mi si aprì alle spalle. Era Tanya, dalla sua stanza. Mi venne incontro e mi parlò.
- Ehi Rober!
- Tanya, ancora in piedi... Sai che tra quattro ore vi sveglieranno per le lezioni a suon di Bach o sono cambiati i metodi da quando ho lasciato questa scuola?
- No, è tutto come l'hai lasciato. Comunque lo so, è che non ho sonno. Volevo solo chiederti se domani pomeriggio sei libero per quella birra che avevamo concordato... Ti va?
- Non saprei. Non conosco gli orari dei corsi di Silvia e poi sono tornati Pedro e Lola, magari vogliono che stia un po' con loro. In ogni caso, te lo faccio sapere. Può anche darsi che riesca a trovarmi una mezz'ora per la nostra birra. Te l'ho promesso e ce la berremo. C'è solo da definire il quando. Si vedrà, ok?; aggiunsi infine, alzando le spalle.
- Certo, va bene. Ah, Rober... Tu ci sarai al matrimonio di Lola, no?
- Ovviamente. Presumo anche tu.
- Già. Spero di riuscire a farmi un ballo con te, almeno quel giorno.
- Ti prometto anche questo. Ora se non ti spiace vado, altrimenti finisce che mi chiudono dentro... E tu fila a dormire che è tardi!
- Certo, certo. Allora me lo segno... Mi devi una birra e un ballo! Adesso vai, tranquillo... E buonanotte!
- Buonanotte.
Mi diede un bacio sulla guancia e sgattaiolò nel suo alloggio, proprio quello di fianco a quello di Silvia. Era chiaro che non intendevo lasciare sola Tanya, ma solo come amica, quale mi è sempre stata. Lasciai l'Arrànz e mi ritirai in albergo, con un mare di pensieri nella testa. Per esempio, pensavo che al mattino Silvia mi aveva baciato, e alla sera mi diceva di aver bisogno che trasformassi le mie belle parole in qualcosa di più. Ah, che confusione. Comunque, ce la feci ad addormentarmi. Non a caso, la notte prima l'avevo passata in bianco a guardare Silvia dormire e chiedendomi se mi stesse sognando. Quella notte, dovevo recuperare parecchio sonno. Ed andò così. Mi svegliai molto tardi; erano le dieci. Silvia doveva essere già alla sua seconda ora di lezione, ed io l'avevo lasciata fare colazione sola. Va bè, non avevamo preso accordi sull'orario, magari avrebbe mangiato un boccone con me al pomeriggio. Appena svegliato, chiamai Pedro. Mi disse che era a passeggio con Lola e che sarebbero andati da Silvia alle quattro del pomeriggio. Io gli dissi che ci sarei andato subito. E lo feci. Attaccato il telefono, andai all'Arrànz. I corridoi erano pressappoco deserti; tutti gli allievi erano a lezione. Mi affacciai dalle vetrate di alcune sale per vedere se c'avrei trovato Silvia, ma non riuscii a vederla. Non sapendo cosa fare, decisi di togliermi un piccolo sfizio: volevo rivedere la stanza costumi, dove tra me e Silvia è iniziato tutto. Entrai e mi chiusi la porta alle spalle. Sembrava non esserci nessuno. Era la sala di sempre; cambiavano i costumi, ma le pareti erano sempre dello stesso colore e le mattonelle erano rimaste quelle; un po' rovinate e favorevoli ad una caduta, ma pur sempre col loro stile. Vagai per la sala, e nel frattempo credo ridessi; mi faceva strano dopo tutto quel tempo, essere di nuovo lì. Volli tornare al gradino sul quale io e Silvia avevamo fatto l'amore per la prima volta. Scomodo forse, ma in quel momento era stato la perfezione. Il passaggio per arrivarci era bloccato da montagne di scatoloni pieni di stracci e vari appendiabiti. Spostati tutto. E arrivai al gradino. C'era Silvia lì seduta. Mi sorrise e mi parlò.
- C'avrei giurato che venissi qui!
- Eh... Volevo rivedere questo posto... Per me è speciale e non tornavo qui da anni. Comunque buongiorno.
- Buongiorno a te.
- Ma... Tu mi stavi aspettando?
- Più o meno.
- Cioè?
- Sono tre anni che vengo qui, tutte le mattine, durante la mia ora buca. Sai, venivo qui e piangevo. Piangevo perché ti aspettavo, ma tu non arrivavi mai. L'ho fatto ogni singolo giorno. Ti ho atteso qui ogni singolo giorno. Ma tu non mi hai mai raggiunta.
- Davvero è andata così per tutti questi anni?
- Sì, te lo assicuro.
Mi accomodai vicino a Silvia e lei si accovacciò su di me, appoggiando la sua testa sulle mie ginocchia. Le accarezzai i capelli e le parlai.
- Ogni minuto che passa e che stiamo insieme, mi pento sempre più di essere scappato. Inutile che ti dica che mi dispiace, l'ho già detto abbastanza volte e poi... Poi diventerei monotono. Voglio però raccontarti delle manie che invece avevo io, quando stavo a Malaga. I primi tempi, non andava poi così male. Pensavo potessi farcela. Marta è una brava persona, io ero affezionato a lei e credevo che standoci a contatto così tanto, mi sarei abituato, in positivo intendo. Beh, per i primi tempi, come ti ho detto, di problemi non ce ne furono. Dopo due-tre mesi però, cominciai a sentirmi un po' soffocato. Stavo cominciando a realizzare che non era quello che volevo. Ho iniziato a chiudermi in me stesso, a non mostrarmi più felice con Marta. Ho smesso di fare provini per le compagnie di teatro, giustificandomi con lei dicendole che non mi andava più, che il teatro tutt'un tratto non sembrava essere più la mia strada. Lei aveva un ruolo in un musical, quindi spesso era via da casa e girava per le città. Io passavo le mie giornate chiuso in casa e, per ammazzare il tempo e cercare di non fare indigestione coi pensieri, ho imparato a suonare il pianoforte. Marta ne aveva comprato uno per ammobiliare, anche se non sapeva suonarlo. Così, i miei pomeriggi andavano avanti così, io da solo col pianoforte, da autodidatta. Ho imparato, sai? Quando Marta rientrava e mi chiedeva come stessi, le dicevo che mi era mancata e che avevo passato i miei pomeriggi in giro per la città, ma non era vero, io me ne stavo in casa cercando di non pensare a te, Silvia. Per questo ho imparato a suonare il pianoforte. Per distrarmi. E poi, quando Marta rientrava dalle sue date, voleva stare con me, fare l'amore. Ed io trovavo ogni sera una scusa diversa. Lei diceva che poteva capirmi, che era normale perché lei mancava spesso da casa e che quindi io avevo tutte le ragioni per non volerle stare accanto quando tornava. A lungo andare però, discutevamo perché a lei non sembrava che io avessi voglia di stare con lei. Era così. Ma lei non avrebbe mai pensato che io avessi in testa un'altra persona. Poi ricominciava il ciclo: Marta se ne riandava, io col pianoforte. Ad un certo punto mi sono stancato, ed allora ho comprato una chitarra ed ho imparato a suonare anche quella. Dopo la chitarra, è venuto il tempo dei poemi di Shakespeare. Io il teatro l'ho sempre adorato, solo che a Malaga mi era passata la voglia di tutto. Per questo non facevo più provini. Ma in realtà era sempre rimasta la mia passione. Però finii anche con quelli. Allora ho ceduto ai pensieri che bussavano alla mia mente senza che lei gli aprisse mai la porta. Beh, un giorno, stremata, gli ha aperto. E sono entrati. Soltanto che le mie convinzioni gli opponevano ancora resistenza. Mi dicevo "È giusto che tu rimanga qui, idiota.". E ci rimasi ancora. Però cominciai a scrivere. Scrivevo a te. Tutte le notti, prima di andare a dormire. Una lettera per ogni giorno che passava. Non ricordo quante ne sono esattamente. Credo almeno duecento. L'ultima lettera che ti ho scritto risale alla sera in cui ho mollato Marta. Infatti è incompleta. Le ho messe tutte in un pacco, non ho mai avuto il coraggio di spedirtene neppure una. Non vorrei che le leggessi, sembrano il diario di un nomade depresso. Ed in fin dei conti dico sempre le stesse cose, che voglio tornare ma che non è giusto che io lo faccia. Non è nulla d'importante, ma forse mi ha aiutato a capire quello che sentivo. E poche ore dopo aver scritto a metà l'ultima lettera, ero su un treno per Madrid. Ecco com'è andata a Malaga.
- Sei stato male davvero?
- Te lo giuro. 
- Vorrei che mi suonassi qualcosa al pianoforte.
- Me lo chiedi solo per vedere se è vero quel che ti ho raccontato?
- Assolutamente no. Ti credo. Mentre parlavi, ti tremava la voce e avevi le lacrime agli occhi. So capire quando sei sincero. Io ti conosco, lo sai. Semplicemente voglio ascoltarti suonare.
- Ma certo. Con piacere. L'aula di musica è occupata?
- No, possiamo andare. Poi ti porto in ufficio da Carmen, d'accordo?
- È perfetto.
Silvia si alzò e mi abbracciò forte. Mi diede poi un bacio sulla guancia, quindi mi prese per mano e ci recammo nell'aula di musica. Come aveva detto lei, l'aula era vuota, probabilmente non c'erano corsi di musica a quell'ora. Il pianoforte era nello stesso posto di quando ero allievo, all'entrata, in fondo a sinistra. Mi sedetti davanti ad esso e chiesi a Silvia cosa voleva ascoltare. Si limitò a sorridere ed alzare le spalle, dunque le dissi che le avrei fatto ascoltare un mio brano. Ogni tanto a Malaga buttavo giù qualcosa, componevo. Solo musica però. Le parole a volte non servono. Silvia approvò la mia proposta, quindi cominciai. Beh, era un pezzo che esprimeva rabbia, dolore, tristezza e paura. Un riassunto del Rober di Malaga, insomma. Il brano non era molto lungo, ma a me faceva venire sempre i brividi. Mi riportava a quei momenti, che non ricordo come i migliori della mia vita, ecco. Terminai e mi voltai verso Silvia, che se n'era rimasta in piedi a due passi da me e il pianoforte. Stava piangendo. Io le sorrisi e l'abbracciai. Dopodiché le chiesi se il mio brano le era piaciuto. Lei si asciugò le lacrime e mi fissò negli occhi senza dire nulla. Abbozzò un sorriso ed io le diedi un bacio sulla punta del naso, non insistendo con la mia domanda. Avevo capito bene perché non mi aveva risposto. O meglio, non aveva voluto rispondermi a parole; conoscendola, credo che abbia fatto questo perché io le avevo parlato con la musica, non a parole, ed anche lei aveva voluto rispondermi senza parlare. Però credo che le fosse piaciuto il brano, si era commossa e mi aveva sorriso. Non mi serviva nient'altro in quel momento. Proprio allora qualcuno cominciò a battere le mani. Mi voltai e sulla porta c'era Juan Taberner, il mio professore di musica ai tempi della mia permanenza all'Arrànz, nonché anche ex fidanzato storico di Ingrid. Probabilmente insegnava lì ancora allora. Battè le mani ed io volli corrergli incontro per salutarlo. Ci demmo due pacche sulla spalla e lui si volle complimentare con me.
- Arenales! Ma perché quando eri allievo non combinavi nulla ed ora sembri un giovane Mozart? Avrei scommesso sul futuro di chiunque meno che il tuo! Allora come mai qui? Da quanto tempo!
- Ciao Juan! In realtà la musica mi è sempre piaciuta ma un tempo non avevo la testa per cose molto più importanti, figuriamoci per la musica! Diciamo che sono cresciuto anche dentro... Sono via da tre anni e... Sono tornato perché ho voglia di restare.
- Bene ragazzo, sono felice. Ma è tutto a posto? Ti trovo molto dimagrito...
- Sì Juan, è tutto a posto. Non c'è nessun altro posto al mondo dove dovrei stare. Piuttosto tu, come stai?
- Io sto benissimo... Felicemente scapolo, insegno musica in una scuola d'arte e mangio pizza e birra ogni sera. Meglio di così. Ah, non avrò mica interrotto qualcosa tra te e Silvia, ragazzo?
- Nulla che non si possa riprendere!
- Beh, ad ogni modo io devo andare. Mi ha fatto molto piacere rivederti, giovane. Allora, ci si vede. Stammi bene, Rober! E tratta bene la principessa che è una ragazza d'oro, d'accordo? Ciao! Arrivederci, Silvia!
- Certo, tranquillo. Ciao Juan!
- Ciao Juan!; aggiunse Silvia, mentre Juan lasciò l'aula.
- Allora insegna ancora qui?; ripresi io.
- Già... Non ha mai lasciato questa scuola.
- È un uomo fantastico! E poi è l'unico che mi ha sempre dato 8 senza alcun merito!
- Fin troppo buono. Solo ora meriteresti un voto simile!
- Beh, si vede che lui c'ha visto lungo ed ha previsto tutto!
- Sì, certo.; disse lei ridacchiando, - Forse è il caso che ora io ti accompagni in ufficio da Carmen, visto che tra dieci minuti devo dare una mano a lezione. Ammesso che tu non abbia cambiato idea in merito.
- Oh, no. Certo che voglio passare da Carmen.
- Allora, andiamo?
- Certo. Anzi, aspetta un momento, Silvia.
- Che c'è?
- Mi chiederà sicuramente perché sono tornato qui.
- E allora?
- Lei tiene molto a te, ho paura che non gioirà troppo nel rivedere qui un ragazzo che ti ha fatto soffrire tanto come me.
- Carmen mi vuole molto bene, è vero. E proprio per questo le mie faccende sa lasciarle a me. Tu non devi preoccuparti, d'accordo? E comunque, ha sempre voluto un gran bene anche a te, posso garantirtelo. Sta' tranquillo.
- Va bene. Andiamo pure.
Volevo salutare Carmen, col cuore. Aveva saputo mettermi in riga, per quanto fosse stato possibile col cervello che mi ritrovavo, quando frequentavo la sua scuola. Già, perché per lei quella scuola era tutto. Nella fattispecie, il progetto dell'accademia di arti sceniche era il sogno dell'uomo che Carmen amava. Egli poi venne a mancare e lei fece di tutto per realizzare quel sogno che il suo uomo non aveva fatto in tempo a compiere. E ce la fece. Solo questo dimostrava quanto Carmen avesse un gran cuore. Era rigida, severa, fermamente convinta sulla disciplina ed attenta alla reputazione della sua scuola, ma era una donna straordinaria. Di rimproveri da lei ne avevo presi a decine, ma posso garantire che sono stati tutti costruttivi e giusti, in ogni caso. È sempre stata la seconda mamma di tutti i suoi allievi. Anche la mia. In quel momento avevo solo paura che non le facesse piacere rivedermi. Carmen ha sempre adorato Silvia. La conosce da quando è venuta al mondo, per via della sua conoscenza con Alicia, la zia di Silvia. Con lei ha sempre avuto un rapporto più confidenziale, che però non ha mai influito sulla permanenza scolastica di Silvia, né tantomeno Silvia ne ha mai giovato o provato disagio. Per questo avevo paura che non apprezzasse il fatto che fossi tornato per riguadagnarmi spazio nel cuore di Silvia. Quando io e lei ci siamo lasciati, Carmen le è rimasta accanto durante tutto quel periodo nero e le ha dato una mano a tornare a sorridere. Per Silvia, è stata fondamentale. Tra l'altro, Carmen conosceva molto bene e da molti anni ed era parecchio affezionata anche a Marta, il che non poteva far altro che rendere peggiore il pensiero che avesse sul mio conto. Marta è la sorella di una delle tante insegnanti di danza che è passata all'Arrànz, Adela, che mi ebbe anche come allievo, che Carmen considerava come una figlia. Un altro punto a mio sfavore. Ma io dovevo passare da lei. Ero veramente cambiato. Avevo messo da parte buona parte del mio orgoglio ed avevo imparato il valore dell'onore e della dignità. Non volevo più scappare dalle mie responsabilità, intendevo affrontarle senza indugiare o tentare di evitarle. E poi, Carmen era una gran donna. Non si sarebbe fermata alle apparenze. Forse mi conosceva meglio di quanto potessi pensare, forse mi avrebbe dato fiducia, forse mi avrebbe capito. Già, forse. Dovevo e volevo parlarle. Dunque Silvia mi prese per mano e mi portò davanti all'entrata dell'ufficio di Carmen. Mi disse di aspettare sulla porta, che sarebbe prima entrata lei e che quando mi avrebbe fatto segno, sarei dovuto entrare io. Non avevo capito cosa avesse in mente, ma mi fidavo alla cieca e decisi di fare come diceva lei. Silvia bussò, e la voce di Carmen le diede il permesso di entrare. Lasciò la porta socchiusa e cominciò a parlare con lei.
- Buongiorno Carmen, disturbo?
- No, Silvia. Accomodati pure.
- In realtà io non ho nulla da dirle.
- Beh, non capisco. Ed allora a cosa devo la tua visita?
- Io sono semplicemente venuta ad accompagnare qualcuno che intende farle visita.
- Ah, sì certo. Parli di Pedro e Lola! Beh, ma loro sono già stati qui per salutarmi ed invitarmi al loro matrimonio. Che piacere che si sposino, non è vero?
- Certo, è un immenso piacere ma... Non sono loro ad essere qui per vederla, ora.
- Silvia, non ti seguo. Chi è venuto allora?
A questo punto, Silvia aprì di poco la porta e mi fece cenno di entrare. Io avanzai lentamente, quasi con timidezza e insicurezza. Fui dentro in due passi. Ero agitato. Alzai la testa e guardai Carmen dritto negli occhi. Sospirai e dissi solo un timido "buongiorno", dopodiché si sentì suonare la campanella. Silvia sorrise e si congedò.
- Perdonatemi, ma io devo andare a dare una mano a lezione. Buon proseguimento, a dopo.
Uscendo, mi accarezzò un braccio come per darmi coraggio, poi si chiuse la porta alle spalle. Carmen si alzò dalla sedia e si tolse gli occhiali, come se non credesse ai suoi occhi. Sorrise e cominciò il discorso.
- Roberto Arenales, sei proprio tu. 
- Già. Sono cambiato un po', ma dovrebbe riconoscermi.
- Cielo, certo che ti riconosco. 
- Mi ascolti, Carmen. Prima che me lo chieda lei, con Marta...
- È finita, lo so già. L'ho sentita qualche giorno fa, non se la stava passando molto bene da quanto ho sentito per telefono. 
- Mi dispiace, mi creda Carmen. Marta le ha spiegato tutto?
- Sì, Rober. Mi ha letto la tua lettera per telefono, mentre piangeva.
- Quindi sa perché sono qui, no?
- Sì, lo so. Ma non avrei mai creduto che avessi il coraggio di tornare.
- Perché non lo credeva?
- Non pensavo che riuscissi a vincere la paura di rivedere Silvia. Credevo fossi troppo spaventato da quella che poteva essere la sua reazione, ecco.
- Mi creda, l'unica paura che ha tentato di fermarmi a decisione già presa è stata quella di procurare altro dolore a Silvia. Carmen, so bene che per lei non è facile starsene qui a parlare con me, che sono il ragazzo che ha distrutto due ragazze alle quali lei è molto legata. Però, vede, ora ho capito quello che voglio e desidero smetterla di fare errori e dare sofferenza. Mi dispiace aver usato Marta in un modo così vergognoso ma le giuro che non era mia intenzione. Io credevo di potermi innamorare di lei e così dimenticare Silvia, in modo che lei potesse essere serena senza che io potessi darle alcun problema. Ma era una convinzione del tutto infondata e si è rivelata il peggior errore della mia vita. Sono stato tre anni con una ragazza senza amarla, lasciando quella che amavo sola in un'altra città. E la cosa peggiore, è che così facendo ho fatto del male ad entrambe, perché entrambe erano innamorate di me. Ad una ho dato amore falso, all'altra ho negato amore vero. Vede, io ho sempre e solo amato Silvia ma sono scappato da lei perché avevo paura di tornarci insieme. E ne avevo paura perché ero consapevole che era possibile farla soffrire ancora. Se mi chiedesse cos'è che non rifarei mai e poi mai nella mia vita è fare soffrire la persona che amo. I giorni in cui Silvia è stata molto male, parlo del post-gravidanza, sono stati un vero inferno anche per me. Perché la vedevo star male, e ne soffrivo anch'io di conseguenza. La cosa peggiore è che io ne avevo colpa. Ecco perché ho cercato di farmi una vita con Marta. Le volevo bene, pensavo avesse potuto funzionare. Invece no. Ho capito che stavo vivendo una vita finta e infelice, e che non era la cosa giusta per la vita di altre due persone oltre che per la mia. Ho lasciato da parte l'orgoglio e l'immaturità e mi sono affidato al cuore, per una volta nella mia vita. Spero di aver fatto la scelta giusta. Spero anche che a Marta possa passare al più presto. Le prometto che da oggi in poi, Silvia non soffrirà mai più a causa mia. 
- Rober, tu non sei tenuto a promettere nulla a me. Tu devi prometterlo solo e soltanto a te stesso. Io ti voglio credere. Voglio credere che tu abbia imparato qualcosa dai tuoi tanti errori ed abbia voluto provare a porvi rimedio seguendo i tuoi veri sentimenti. Sì, ti credo. E spero che tu voglia davvero mettere le fondamenta alla tua nuova vita con Silvia. Te lo auguro e mi auguro che vada tutto bene e che possiate essere felici. Io credo anche al fatto che tu sia cambiato, che tu sia cresciuto. Silvia ha sempre avuto bisogno di te, nonostante tutto. Forse il Rober che è tornato da Malaga può davvero e finalmente renderla felice.
- Anch'io ho sempre avuto bisogno di lei. Questo è poco ma sicuro. E mi creda, farò di tutto per onorare la mia promessa. La mia promessa a me stesso. Carmen, vorrei ringraziarla. Vorrei ringraziarla perché mi ha dato la possibilità di spiegare e non mi ha giudicato solo in base a quel che sapeva. Vorrei ringraziarla perché ha cercato di capirmi. Vorrei ringraziarla perché nei quattro anni che ho trascorso in questa scuola, mi ha sempre detto la cosa giusta al momento giusto. Lei è una gran donna ed è stata come una seconda mamma per me. E volevo infine ringraziarla perché grazie a questa scuola, alla sua scuola, ho imparato a vivere. Ho conosciuto i valori di questa vita. Con Silvia, ho conosciuto l'amore. Qui ho visto mio figlio per la prima volta, e con lui ho conosciuto il valore della famiglia. Con i miei compagni, ho conosciuto l'amicizia. Con gli insegnanti, ho conosciuto la vera arte, la passione. E con lei, Carmen, ho conosciuto la disciplina. Come allievo ero forse un disastro, ma in realtà ho impiegato poi altri tre anni per rimettere in ordine tutte queste idee, finché non ce l'ho fatta. Se sono maturato un po', è stato solo grazie al tempo passato qui, mi creda. Grazie infinite, per tutto.
- Oh, figliolo. Sono felice di quello che dici. Mi fa davvero piacere che tu con questa scuola sia cresciuto umanamente, oltre che artisticamente. E comunque, ricordati che io non potrei mai giudicare qualcuno senza sapere la realtà dei fatti. Ascoltami, io sapevo che tu hai sempre amato Silvia. Solo Silvia. Forse non lo davo a vedere, ma ti avevo molto a cuore e riuscivo a capirti molto bene. Ti vedevo un po' come me ai tempi dell'adolescenza. Un ragazzo fragile che si finge duro.
Ero stupito dalle sue parole, ma proseguii col discorso.
- Lei intende... Come se avessi un guscio addosso, no?
- Esattamente. Il tuo esibizionismo, il tuo egocentrismo, il tuo egoismo, la tua prepotenza, la tua superbia e il tuo fare da bullo erano solo una montatura. Tu non eri così in realtà. Ci voleva qualcuno che smontasse questa tua montatura, questo tuo guscio. E questo qualcuno è stato Silvia. Dopo la fine della vostra storia, ho visto che volevi allontanarti da lei, seppur non era quel che desideravi davvero. Ho da subito capito che con Marta non sarebbe mai potuto succedere nulla. Ma io non sono nessuno per decidere della vita degli altri. Per questo, ho lasciato fare alle cose il loro corso. Però, a quanto vedo oggi, non mi sbagliavo. Non pensavo tornassi, ma sul resto, ero sicura sarebbe andata a finire in questo modo, ed infatti... Rober, io ti ho capito da subito, così come ho capito Silvia. Sono abituata a guardare i giovani da molti anni ed ormai per me non hanno più segreti. Semplicemente, tengo le mie ipotesi per me, ecco tutto.
- Lei ha davvero capito tutto. Io... Io non posso crederci.
- Figliolo, cerca di non sbagliare più da oggi, d'accordo?
- Posso garantirglielo, Carmen.
- Ah, un'ultima cosa. Hai detto che come allievo eri un disastro. Vorrei chiarirti un paio di cose. Primo: qui nessuno riesce a diplomarsi portando a termine tutti e quattro gli anni se è un buono a nulla o un disastro di allievo. Tu ce l'hai fatta, percui... Secondo: magari non te l'ha mai detto, ma Cristobal; Cristobal era il mio insegnante di recitazione dell'Arrànz, - ti considerava il migliore attore che abbia mai avuto in tanti anni d'insegnamento. Sai, ti considerava un ragazzo immaturo, sciocco, che si dava fin troppe arie, ma artisticamente ti portava molto in alto. Soltanto che non te l'ha mai voluto dire, perché ha sempre pensato che così facendo ti saresti solo finito di montare la testa, perché già eri troppo convinto delle tue capacità. In recitazione sei stato il migliore che sia mai passato per questa scuola, Rober. Vorrei che tu riprendessi in mano la tua carriera, perciò pensaci. So che hai mollato, non importa come, ma lo so. Cristobal abita dove abitava anni fa. Se hai tempo e voglia, vallo a trovare. Gli farà molto piacere e a te farebbe bene parlare con lui dopo tutto questo tempo. Bene, ora puoi andare.
- Va bene, ci penserò. È stato un grande piacere rivederla, Carmen. La ringrazio di nuovo e... Buona giornata, a presto.
- A presto, Rober.
- Ah, mi scusi. Sa che per molte cose la pensa come Silvia? Sul mio conto, intendo. Parlo del guscio. Entrambe me l'avete fatto presente.
- Forse perché è davvero così.
- Già. Di nuovo arrivederci.
E chiusi la porta. Ero davvero molto felice di come fosse andata la nostra chiacchierata. Come speravo, Carmen aveva saputo ascoltarmi, nonostante sapesse quanto fossero pesanti i miei errori. Silvia aveva proprio ragione: Carmen mi voleva bene. Pensavo a quello che mi aveva detto. Uscendo dal suo ufficio ripercorrevo ogni sua parola. E pensavo anche alla questione della mia perduta carriera d'attore, di una possibile chiacchierata con Cristobal. Solamente che per il momento veniva prima Silvia, tutto qua. Una volta messa a posto la cosa che per me è la più importante della mia vita, avrei pensato alla carriera. Le uniche priorità erano Silvia e Sergio, tutto il resto era secondario. 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Grande intesa ***


15. Grande intesa 
 
 
Uscito dall'ufficio di Carmen, mi feci un giro per scuola. Silvia era andata a fare l'assistente alle lezioni di classico e mi capitò di passare nella bacheca dove sono esposti gli orari dei corsi e dei professori. Vidi che in quel momento il corso che aveva lezione di classico era il quarto, quindi era il corso di Tanya. Stava facendo lezione con Silvia. In un attimo mi vennero in mente decine di brutte ipotesi nella testa. Tanya credeva di amarmi, sapeva che però io ero innamorato Silvia e di questo ne era perdutamente gelosa. Perdipiù, Tanya era una squilibrata. E se avesse avuto una crisi nervosa e avesse detto o peggio fatto a Silvia qualcosa di male? Me ne sarei sentito colpevole. Tra l'altro, Silvia e Tanya avevano le camerate annesse. A questo non avevo mai pensato. Forse Silvia non era tanto al sicuro? In un momento, ebbi paura. Ebbi paura che potesse succedere qualcosa di brutto. Corsi all'aula segnata sulla bacheca nella stessa riga della lezione di classico e mi misi di fronte alla vetrata. Beh, era tutto a posto. Silvia e la professoressa osservavano i ragazzi ballare. C'era anche Tanya, che mi sembrava tranquilla ed anche molto brava nei passi. Forse ero paranoico. Tanya sarebbe anche potuta essere matta, però non avrei mai dovuto pensare che potesse essere violenta. Era sempre Tanya, quella ragazza che avevo conosciuto tre anni prima. Quella che sorrideva sempre e che faceva sorridere anche me, quella che aveva sempre la parola giusta al momento giusto. Quella che mi voleva bene davvero nonostante i miei difetti. Rispetto al passato, aveva solo un problema in più. Ma era sempre Tanya. Non dovevo pensare che potesse far del male ad una persona che sapeva perfettamente quanto io amassi. Restai fermo davanti alla vetrata e mi misi a guardare Silvia che mostrava i movimenti ai ragazzi. Sembrava a suo agio. Si vedeva molto bene quanto amasse quel che stava facendo. La danza era tutto per lei ed io la vedevo molto bene ad insegnare l'arte che amava agli altri. Ad un certo punto, la professoressa si accorse di me e mi fece cenno ad entrare, sorridente. Io non capivo, forse pensava fossi un nuovo allievo che non sapeva dove andare e mi voleva indirizzare in qualche aula, quindi ricambiai il sorriso e scossi la testa. La donna si girò allora verso Silvia, mi indicò e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Dunque Silvia mi sorrise e mi fece anche lei cenno di entrare. Allora entrai nell'aula, la stessa dove grondavo sudore anni prima. 
- Buongiorno a tutti.; feci io.
I ragazzi mi risposero in coro, compresa Tanya.
- Salve, io sono Gabriela, l'attuale professoressa di danza classica di questa scuola. Tu devi essere Rober, se non vado errando.; fece la professoressa, tendendomi la mano.
- Sì, esatto. Molto lieto.; dissi io allora.
- Gabriela ha bisogno di un ballerino uomo per questa lezione. Visto che non c'è, le ho detto che se avesse visto un tipo col pizzetto bazzicare per i corridoi, avrebbe dovuto chiamarlo. Ecco, le ho spiegato che hai studiato qui con me per quattro anni e le ho detto che faresti al caso nostro. Ti va di mostrare un paio di movimenti della morte del cigno, nella versione di coppia?; mi spiegò allora Silvia.
- Oh, beh... È da molto tempo che non rivedo un movimento di classico, non so se posso davvero esservi utile, però se ne avete proprio bisogno...
- Ne abbiamo bisogno. E poi si tratta solo di un paio di movimenti. Non farti pregare! È difficile impersonificarmi nella parte maschile per spiegarlo ai ragazzi. Io e Gabriela riusciamo a spiegare per bene solo la parte femminile, per gli uomini ci servirebbe un qualcuno come esempio. Avanti, so che fai molto bene questa coreografia.
- D'accordo, ma lascia che mi metta una calzamaglia, altrimenti...
- No, andrà benissimo così.; intervenne Gabriela, - Non abbiamo molto tempo, sarebbe meglio farlo subito, così come sei vestito. Se non ti spiace, dovresti solo toglierti la maglietta, se non è un problema. 
- Ok, come volete.
Mi tolsi la maglietta, strizzai l'occhio a Tanya che ricambiò tranquilla e presi Silvia tra le braccia. Mi sorrise e mi sussurrò in un orecchio "Come ai vecchi tempi!" e ballammo un pezzo della morte del cigno, una versione di coppia abbastanza recente. Gabriela aveva una stecca in mano e di tanto in tanto ci chiedeva di fermarci per indicare con questa la posizione delle gambe o delle braccia. Era bello essere un modello sul quale gli altri devono studiare. Ma era ancora più bello esserlo con la persona che ami. I ragazzi guardavano le linee, la posizione degli arti, l'estensione dei passi e cose di questo tipo, io invece non stavo curando tutto questo. Curavo solo la complicità con Silvia e lasciavo che per quanto riguardava la danza, mi guidasse lei. E così facendo, andavo alla grande. Anche lei ovviamente, ma non c'è neanche bisogno che io lo dica. Andavamo alla grande. La campanella suonò, dunque Gabriela e i ragazzi applaudirono me e Silvia e se ne andarono. Tanya mi salutò con un braccio ed io ricambiai. Gabriela si volle poi complimentare.
- Molto bene, ragazzi. Tecnica eccellente ed intesa letale. Silvia, di te sulla tecnica l'ho sempre saputo. Ma la complicità di coppia con questo ragazzo è geniale. Si vede che sono molti anni che vi conoscete. Roberto, tanti complimenti anche a te per la tecnica e l'intesa di coppia. Insieme ballate divinamente, nulla da aggiungere. 
- Molte grazie.; feci io.
- Te l'avevo detto che Rober non ti avrebbe deluso.; disse Silvia.
- Già. Beh, Rober, è stato un piacere. Alla prossima, eh! E con te, Silvia, ci vediamo questo pomeriggio con le lezioni del secondo. Ciao!; così si congedò Gabriela.
- Arrivederci!; aggiunsi io.
- A dopo!; concluse Silvia.
Silvia mi porse la maglietta ed io me la rimisi addosso. Dunque la presi per mano e ci avviammo per il corridoio, tra le mie parole.
- Come mai hai pensato a me per la morte del cigno?
- Perché serviva un uomo che conoscesse per bene la coreografia e tu saresti stato lì a momenti.
- E poi perché ami ballare con me, no?
- Forse.; e sorrise.
- Anch'io amo ballare con te. Perché io amo te.; e le rubai un bacio veloce.
- Piuttosto dimmi com'è andata da Carmen...
- Meglio di quanto avrei potuto immaginare. Non era arrabbiata con me, per nulla. Mi ha ascoltato e mi ha solo detto che sarebbe meglio non commettere più sbagli come quelli che ho fatto in precedenza. Sai anche cosa mi ha detto? Che mi ha sempre tenuto a cuore. Che le ricordavo i tempi della sua adolescenza. Mi ha detto che il mio esibizionismo, la mia superbia e tutte quelle altre mille cose che davo a vedere non erano in realtà parte di me. Anche lei ha visto in me un guscio, ed ha aggiunto che sei stata tu a togliermelo di dosso. Mi ha anche sorpreso, perché dice di aver sempre saputo del nostro rapporto. Sapeva che volevamo soffocarlo, chi per un motivo chi per un altro, ma non ce l'abbiamo fatta. Sapeva tutto. Sapeva che ho usato Marta, ma non è voluta mai intervenire perché è convinta che le cose devono accadere da sole. Mi ha poi chiesto di tornare a recitare perché sono sempre stato molto bravo. Avevi ragione. Vuole molto bene anche a me.
- Lo sapevo... Ma davvero ha sempre capito come stavano le cose tra me e te?
- Credo proprio di sì. Tu però non gliene hai mai parlato, no?
- No, infatti. Che donna fantastica.
- Oh sì, davvero...
- Le darai ascolto per quanto riguarda il tuo futuro professionale?
- Ora non mi pare il momento per pensare alla mia carriera. Un giorno probabilmente riprenderò in mano la mia passione per il teatro, ma per ora non mi sento di rincorrere questo sogno.
- E per quale diavolo di motivo? Tu hai mollato il teatro perché non avevi più voglia di vivere, non perché non l'ami più. Adesso però sostieni di essere tornato alla tua vera vita... Riprendi in mano la tua passione prima che sia troppo tardi, Rober.
- Voglio prima pensare a mettere le cose a posto con te e con Sergio. Solo allora potrò pensare al resto. Altrimenti, non sarò abbastanza sereno per guardare avanti.
- Mi dispiace ma a me questo discorso non piace per niente. Ascoltami bene: se io non dovessi accettare di ricominciare con te, non vorrei comunque che tu rinunciassi alla tua più grande passione perché hai perso me. Io tengo da morire a te e questo non cambierà qualunque cosa io decida di fare con il nostro rapporto. È per questo che non voglio assolutamente condizionare la tua carriera che potrebbe essere favolosa e piena di occasioni brillanti visto il tuo talento. Non buttare all'aria i tuoi sogni perché hai fallito con l'amore. Non lasciare svuotarti a poco a poco dal dolore. Non serve a niente. E tieni bene a mente che è stato grazie al tuo amore per il teatro che hai frequentato questa scuola e di conseguenza hai conosciuto me. Devi tutto al teatro, Rober. Non scappare anche da esso. Te ne pentiresti anche in quest'occasione. Guarda me. Io ho continuato a ballare anche dopo essermi convinta di averti perso per sempre. Cosa credi, che io non stavo male? Io stavo malissimo. E proprio la danza mi ha ridato la forza di proseguire la mia vita. È stata la mia unica forza. Ti prego, da' retta a Carmen. Riprovaci.
- Beh, io vorrei prima aspettare che tu decida cosa fare. Non vorrei trascurarti per inseguire il teatro. È un periodo delicato, ed io non voglio distrarmi da te. Allora, facciamo così. Ti prometto che qualunque sia la tua decisione sul nostro rapporto, io tornerò a recitare. In ogni caso. Hai la mia parola. Non farti paranoie e prendi la tua decisione senza pensare al mio futuro. Io tornerò a recitare comunque. Voglio solo dedicarmi interamente a te finché non avrai deciso se riprendere la nostra storia o meno, dopodiché mi darò al teatro. Riprenderò la mia passione semplicemente dopo che tu avrai deciso il da farsi. D'accordo?
- E va bene. Mi hai fatto una promessa, mi raccomando.
- E non la disonorerò, caschi il mondo. E poi, per ora ho la musica, no?
- Già, certo. Mi accompagni a mangiare un boccone?
- Ovviamente. Mangi qui, alla mensa della scuola, o vuoi che ti porti fuori?
- No, restiamo qui. Riprendo le lezioni alle tre, ma dobbiamo mangiare in fretta perché prima di quell'ora devo anche andare in un posto.
- Posso sapere dove?
- Vieni, sediamoci che ti spiego meglio.
Ci sedemmo dopo aver riempito i vassoi di quel che offriva la mensa, ma vidi che Silvia non riprendeva il discorso lasciato a metà poco prima. Non volendola mettere a disagio, cominciai a parlare io, di tutt'altro.
- Sai che prima, quando ho visto che avevi lezione col quarto, ho avuto un po' paura?
- Paura? E di cosa?
- Beh... Ecco, avevo paura che Tanya potesse dirti o farti qualcosa di male. Non lo so, io non riesco ad abituarmi all'idea del suo squilibrio mentale ed ho pensato di tutto. Mi sono provato a mettere nei suoi panni, ho pensato che di lì a poco si sarebbe trovata davanti la donna che l'uomo di cui lei crede essere innamorata ama follemente che le spiegava esercizi di danza classica... Ho pensato non fosse il massimo. Poi però, io e te abbiamo anche ballato insieme e non sembra che sia successo nulla, quindi magari mi sono fatto solo inutili pensieri sbagliati.
- È strano, sai? Prima la difendi a spada tratta, poi ti preoccupi del fatto che non potrei starle molto simpatica... Ad ogni modo, rilassati perché se il suo squilibrio avesse la possibilità di diventare pericoloso, sta' certo che già non starebbe più in questa scuola. Vedi, gli psichiatri la lasciano rimanere qui a finire i corsi perché credono che se Tanya non venga esplicitamente provocata, non possa fare male ad una mosca. Sta' tranquillo, va bene? Non devi preoccuparti per me, non sei il mio fidanzato!; rispose lei sorridendo con aria piuttosto compiaciuta.
Io allora appoggiai la mia mano sulla sua, la guardai negli occhi e le risposi.
- Già. Non sono il tuo fidanzato. Ma lo sono stato e se vogliamo dirla tutta, potrei anche tornare ad esserlo. Però non è questo il punto. Vedi, il fatto è che ti amo e mi viene normale preoccuparmi per te. Anche per le situazioni più sciocche a cui nemmeno io credo. Anche quando non ero accanto a te, sono sempre stato preoccupato per te. Non sarò il tuo fidanzato, ma sono una persona che ti ama da tanti anni. Che importa una fedina al dito o il fatto di chiamarsi "amore" quando il sentimento è così grande ed è lo stesso in entrambi i casi? Da questo punto di vista, non conta nulla. Non fraintendermi; io voglio tornare con te, assolutamente. Sto semplicemente dicendo che mi sono preoccupato, mi preoccupo e mi preoccuperò sempre per te, sia se sono stato, sono e sarò il tuo fidanzato che meno. Perché l'amore c'è stato, c'è e ci sarà sempre, in ogni caso. Questo non può cambiarlo niente e nessuno. Tutto qua.; e sorrisi.
Silvia rimase senza parole. Bevve un sorso di Coca-Cola, poi riprese a fissarmi negli occhi senza dire nulla. Allora ripresi io.
- Non c'è bisogno che tu dica nulla. Le parole sono importanti se dette col cuore e se vengono poi opportunamente dimostrate. A me però bastano anche solo i gesti. E comunque, quel che ti ho detto, è detto col cuore e ti dimostrerò che è così. 
- Mi lasci davvero senza parole, non c'è molto da dire.; e mi accarezzò la mano.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sulla tomba di un padre ***


16. Sulla tomba di un padre
 
 
Volli poi spezzare il tutto riprendendo il discorso rimasto in sospeso.
- Comunque, prima hai detto che devi andare in un posto appena avrai finito di mangiare. Posso saperlo o preferisci che mi faccia da parte? Non farti problemi, mi raccomando.
- Sì, certo... Vedi, oggi sarebbe stato il compleanno di mio padre. Vorrei andare a trovarlo al cimitero. E se a te non dispiace, vorrei che mi accompagnassi. Tu mi hai parlato molto di tuo padre, io ti ho detto ben poco e te ne ho parlato solo quando eravamo allievi qui. Da quando è morto, ho capito tante cose. Vorrei parlarne con te, ne avrei bisogno...
- Ma certo che ti accompagno. Se è quello che vuoi, verrò con te.
- Ho bisogno che tu stia al mio fianco.
- Lo farò.
Finito il pranzo, andammo con la macchina di Silvia fino al cimitero dove era sepolto suo padre. Era un uomo molto ricco, ma molto poco presente nella vita di sua figlia. Sempre preso dai suoi affari in giro per il mondo. Era il fratello di Alicia. A lei era molto legato; erano fratelli gemelli e se non fosse stato per Alicia, Silvia sarebbe cresciuta sballottata da una balia all'altra. La madre di Silvia, anche lei ballerina, morì appena dopo il parto. Dato che suo padre era sempre preso dagli affari, Alicia fece da madre a Silvia. Peccato che però, Alicia era una donna che amava dare ordini e pilotare la vita degli altri. A Silvia ha sempre detto lei cosa fare, ha sempre deciso per lei. Il padre non c'era, la madre era morta e lei si era presa la vita di sua nipote dirigendola a suo piacimento. Portò con sé Silvia ovunque. Le fece girare i teatri di danza di mezza Europa ed inevitabilmente, Silvia si innamorò di quell'arte. Alicia non voleva che Silvia facesse della danza la sua vita, ma alla fine cedette. Le mise però in chiaro che sarebbe dovuta essere la migliore, sempre la migliore fra tutti. Proprio come mio padre aveva detto a me quando gli avevo fatto sapere che avrei voluto fare l'attore. Così fin da piccola la iscrisse nelle migliori accademie, finché non la stabilì a New York, al National Ballet. Silvia continuava a vedere molto poco suo padre ed ad obbedire senza reagire agli ordini della zia. Non aveva amici e non conosceva l'amore. Si fidanzava solo con qualche figlio di qualche socio d'affari di suo padre, come Alvaro, senza capire i suoi sentimenti. Frequentava solo gente d'alto rango e di un certo ceto sociale. Era chiusa in una realtà opprimente. Aveva solo la danza, l'unica cosa che sua zia le aveva a fatica concesso. Un giorno sua zia decise di andare per qualche mese a Nizza, per vedere come andava parte degli affari di famiglia. Lasciò Silvia al National Ballet di New York. Quando seppe che sua zia non la stava più controllando, Silvia mollò la scuola lì in America e se ne tornò in Spagna. Voleva tentare all'Arrànz. Non perché fosse migliore. Non perché conoscesse Carmen. Non perché in quella scuola aveva lavorato sua zia e voleva farle un torto. Semplicemente perché voleva scegliere una volta per sé stessa autonomamente. Voleva tornare nella sua terra dalla quale la zia l'aveva allontanata per far sì che diventasse la numero uno e la miglior scuola del paese era indubbiamente la Carmen Arrànz di Madrid, per questo andò lì. Alicia lo seppe quando Silvia era già stata ammessa. Si arrabbiò, ma ormai non poteva fare più nulla. Carmen aveva perfettamente capito la situazione di Silvia e le offrì tutto il suo appoggio. In questo modo, Silvia riuscì faticosamente a conquistare la sua indipendenza dalla zia ed a continuare a ballare liberamente, senza rendere conto a nessuno o sentirsi in dovere di essere la migliore. Suo padre, però, non cambiò minimamente atteggiamento. Le faceva regali costosi, ma glieli mandava via posta o per mezzo di qualcun altro. Non le telefonava mai, non c'era mai. Le dava solo soldi e regali, senza affetto, senza premura. Finché al suo ultimo anno dell'Arrànz, Silvia subì la morte di suo padre. Ed io, non fui presente per le mie stupide convinzioni. Ma ora Silvia voleva parlarmene, ed io in quel momento dovevo e volevo esserci. Da quel momento, giurai a me stesso che ci sarei stato per sempre per lei. Per sempre. Arrivammo alla tomba, Silvia posò qualche giglio sulla lapide e cominciò a parlarmi.
- Eccoci. Sembra strano, però mi manca. Anche se per me non c'era praticamente mai. Tu sai cosa vuol dire essere figli di un uomo d'affari, no? Tu puoi capirmi, perciò voglio sfogarmi con te. 
- Certo. Sta' tranquilla. Piangi se vuoi, sfogati. Ma tira fuori tutto quello che hai dentro e che ti appesantisce il cuore. Starai meglio. Avanti, sono qui. Ti ascolto.
- Potrei forse dire che mi ha rovinato la vita dal momento in cui sono nata. Lui se n'è infischiato di me e mi ha mollato a mia zia. A volte mi chiedo come sarebbe andata se mia madre non fosse morta dopo avermi messa al mondo. Forse mio padre sarebbe stato diverso. Forse non sarebbe scappato dalla sua unica figlia. Forse sarebbe rimasto accanto alla sua famiglia, lasciando perdere gli affari. Io credo che la morte di mia madre l'abbia spaventato, per questo credo si sia gettato a capofitto nei suoi affari del cazzo. Aveva paura di una figlia da crescere senza madre. Zia Alicia è più forte. Io penso che papà fosse un debole. Credo che in quel momento difficile, zia Alicia gli abbia detto "A lei penso io, tu pensa solo a portare il denaro a casa." e mio padre non abbia capito più nulla e le abbia dato retta. In tutti questi anni, me lo sono sempre chiesta e mi sono sempre risposta così. Sono convinta che sia andata così. Papà l'ho visto molto poco nella mia vita. Diceva di volermi bene, ma era freddo e distaccato. Mi faceva tanti regali, mi dava tanto denaro, mi presentava uomini ricchi sperando mi sposassi e fossi felice, ma non capiva che a me sarebbe bastato averlo più vicino per sorridere almeno un po' di più.; Silvia cominciò a piangere ed io la avvicinai al mio petto, poi riprese, - E poi, tutt'un tratto, se n'è andato via. Non lo vedevo da quasi un anno. Sai perché mi fa così male che non ci sia più? Perché io nonostante tutto, gli volevo bene. Io amavo mio padre. Non c'è stato mai per me, ma era mio padre. Penso che si sia giocato una vita insieme a me per la paura. La paura di non farcela a crescermi. Mi ha dato a mia zia ed è scappato dalle sue responsabilità. Ha pensato solo a far sì che non mi mancasse nulla a livello economico. Peccato che io volevo l'affetto di un padre, non il denaro. Mi dispiace che io e lui non ci siamo potuti vivere. Io credo che lui l'avrebbe voluto. Perciò mi piange il cuore. Lui avrebbe voluto, ma in lui ha vinto la paura, la debolezza di un uomo che perde la propria moglie nel momento in cui lei mette al mondo la loro bambina. Mia zia lo ha visto in quella situazione ed ha cercato di aiutarlo, ma secondo me così facendo, ha negato una delle cose più belle della vita sia a mio padre che a me. Zia Alicia mi ha strappato da mio padre, che ha acconsentito solo per debolezza, e non ha fatto altro che decidere per la mia vita, anche dopo che sono diventata maggiorenne. Nella mia vita prima dell'Arrànz, ero sua succube e non riuscivo a ribellarmi perché pensavo lo facesse solo per il mio bene, solo per poter dire a suo fratello per telefono che io studiavo nelle migliori scuole e frequentavo i posti di più alto livello nelle migliori città. Poi ho capito che invece le piaceva semplicemente programmare al meglio la mia vita perché portavo quel cognome così pesante per il mondo degli affari e della danza. Ma io sono prima di tutto Silvia, una ragazza come tutte. Poi sono Silvia Jauregui, figlia di un importante uomo d'affari e nipote dell'ex prima ballerina di Budapest. Lei non lo capiva. Per questo l'ho anche tanto odiata. Le voglio bene perché vada come vada è stata lei a crescermi, ma la odio perché mi ha cresciuto in funzione di un'idea precisa dipesa da reputazione, responsabilità e business. E, forse anche senza volerlo, mi ha negato l'amore di mio padre. Andare a studiare alla Carmen Arrànz di Madrid fu la mia rivincita personale, una scelta che ho fatto da sola e perché lo volevo davvero. Oggi papà avrebbe compiuto cinquant'anni. Ovviamente è anche il compleanno di mia zia, visto che sono gemelli. Ma a me interessa poco, sinceramente. Lei è a New York ed ha la sua vita, così come io ho la mia qui a Madrid. Di papà mi restano solo i soldi e qualche villetta, insomma la sua eredità... Niente ricordi affettuosi. Beh, ha fatto tanti errori verso di me, ma sono sicura che avrebbe voluto solo una cosa: vedermi felice. Ed io qui a Madrid sto bene. Buon compleanno, papà. Ti porterò sempre con me.
A questo punto Silvia si lasciò andare ad un pianto liberatorio, gettandosi tra le mie braccia. Respirava molto affannosamente, singhiozzando e dando via lacrime su lacrime. Quelle lacrime erano tutto il dolore e la solitudine che aveva accumulato nella difficile crescita con sua zia. Soltanto che non era mai riuscita ad aprirsi o sfogarsi liberamente con nessuno. Ora lo stava facendo con me. Aveva retto troppo tempo. Io la stringevo forte senza dire niente. Ascoltavo ogni suo singhiozzo e sentivo ogni suo brivido, accarezzavo ogni sua lacrima e rapivo ogni suo respiro. Silvia si stava liberando del peso più grande della sua vita, che le faceva male al cuore. Si mostrava forte, seria, dura; ma era in realtà fragile, sensibile e da un passato più grande di quello che era lei stessa. Era uguale a me: si mostrava per quello che non era, però in realtà aveva un'anima molto, molto delicata. Forse è per questo che un filo ci aveva sempre tenuto legati senza mai spezzarsi nonostante le molteplici tempeste che erano cadute su di esso. Eravamo così diversi per certi versi, ma così tanto simili per altri. Silvia pianse a lungo, poi mi prese per mano e risalimmo nella sua auto. Ci sedemmo poi lei si girò verso di me e mi parlò.
- Grazie.
- E di cosa?
- Con te sento di poter essere quella che sono veramente, senza bisogno di mettere su una maschera che andrebbe a nascondere le mie debolezze. Odio le mie debolezze.
- Silvia, io e te siamo molto simili. Forse è per questo che puoi essere te stessa con me. Succede così anche a me. E comunque, le debolezze non devi odiarle. Primo perché vengono dal cuore e tutto quel che viene dal cuore è un sentimento. I sentimenti sono quelle cose che ci rendono quello che siamo, quindi non dobbiamo opprimerli, altrimenti andremmo contro noi stessi. E secondo perché le debolezze fanno forza alle persone. Se non avessimo alcuna debolezza, non sapremmo cosa sia la forza. Sarebbe come rifiutare la tristezza. Ma infondo è grazie alla tristezza, che ogni giorno apprezziamo la felicità e riusciamo a sorridere. Per questo, non nascondere le tue debolezze. Esse non sono altro che il sentimento che riesce a fare forza alla tua anima.
Silvia mi sorrise, poi rimise in moto l'auto e tornammo a scuola, perché doveva riprendere le lezioni. L'accompagnai fino all'aula di danza e la salutai.
- A che ora ti liberi?
- Per le sei.
- Va bene, io mi farò un giro con Pedro e Lola. Quando avrai finito, ti passiamo a prendere e ci facciamo una passeggiata insieme, ti va?
- Certamente. A dopo, Rober. E grazie ancora.
- Non devi ringraziarmi. Ciao, tesoro.
Mi prese la testa tra le mani e mi diede un bacio sulle labbra. Dopodiché mi sorrise ed entrò nell'aula. Da dentro, Gabriela mi salutò con un braccio. 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** L'amica di una volta ***


17. L'amica di una volta
 
 
Suonò la campanella ed i ragazzi cominciarono ad arrivare davanti all'aula. Prima di essere sommerso, mi misi su uno dei gradini della scalinata principale e guardai nostalgicamente l'entusiasmo degli allievi. Passò Tanya e si mise accanto a me, parlandomi tranquillamente.
- Ciao, come va?
- Tanya... Tutto bene. 
- Mi sei piaciuto molto oggi, a lezione di classico. Non ricordavo te la cavassi così bene anche nella danza.
- Mah, mi ha salvato il fatto che ballassi con Silvia, altrimenti da solo si sarebbe vista ogni singola pecca, fidati.
- Già. Allora, è arrivata l'ora della nostra birra o no?
- Ma scusa, tu non hai lezione adesso?
- No. Quei tizi che mi visitano una volta al mese mi hanno ordinato di star fuori dalle lezioni di canto per un po'.
- Capisco. Vedrai che si sistemerà tutto e tornerà come prima. Tu tornerai a cantare e ad essere la stessa Tanya di sempre.
- Non voglio essere compatita. Smettila, per favore. Tu la pensi come tutti. Tu mi hai abbandonato come mi ha abbandonato il canto. Non so se voglio ancora la nostra birra. No, non la voglio più. Vaffanculo!
- Tanya, aspetta. Scusami. Io... Io non volevo. Mi dispiace, scusa. Avanti, prendiamoci questa birra, eh? 
- E va bene. Ma giura che lascerai perdere Silvia da adesso in poi, d'accordo?
- Eh? Ma cosa stai dicendo? Che significa?
- Ti sto chiedendo un favore, nulla di più. Allora, smetterai di provarci con lei?
- No, Tanya.
Rimase zitta ed immobile. Capivo ogni giorno che passava che il suo squilibrio mentale era tanto grave quanto evidente. I primi giorni si era scagliata contro di me con totale ostilità verso le mie intenzioni con Silvia, successivamente mi aveva chiesto scusa dicendomi che non si sarebbe mai dovuta permettere di dire cose simili ed ora mi stava chiedendo di smetterla di tentare il tutto per tutto con Silvia e me lo stava chiedendo come un favore. Stava male ed io ne soffrivo perché le volevo bene. Le presi allora il volto tra le mani, la guardai negli occhi e ripresi.
- Ascoltami... Io ci tengo a te. E so quanto tu tieni a me. Proprio perché so che ti sto molto a cuore, ti prego di non chiedermi questa rinuncia. Non mi piace dirti di no perché ti voglio bene, ma questo è l'unico favore che non puoi chiedermi. Chiedimi quello che vuoi, qualsiasi cosa, ed io sarò lì, felice di accontentarti perché desidero farti felice, specialmente in questo momento in cui ti stanno abbandonando tutti. Io non ti abbandonerò, Tanya. Ma l'unica cosa che sono io a chiederti è di non farmi rinunciare a Silvia. L'unica cosa che mi permetto di chiederti, perché starle accanto è una delle poche cose sensate che devo fare nella mia vita e che avrei dovuto fare molto prima di adesso. Se ci tieni a me, lascia che io le resti vicino. Per favore, non voglio che tu mi chieda questo, io non potrei accontentarti. Ti prego, lascia che la ami.
Dopo una lunga pausa, sospirò e mi rispose.
- D'accordo. Se è quello che vuoi. Lo faccio solo perché me l'hai chiesto tu. Io non ti direi mai di no.
- Grazie, tesoro. Grazie davvero. Sarà l'ultimo favore che ti chiedo. E adesso andiamo al bar, che è l'ora della birra.
- Certo, prendamoci questa tanto attesa birra.
Sapevo non mi avrebbe detto di no. La Tanya che avevo conosciuto anni prima non l'avrebbe mai fatto, e grazie al cielo questo dettaglio ancora sopravviveva nella mente turbata della nuova Tanya. Teneva ancora a me. Forse in un modo malato, ma il sentimento di base c'era e nulla poteva strapparglielo via così drasticamente. Passai una buona mezz'ora seduto ad un tavolino con due birre insieme a Tanya. In quei momenti, i suoi problemi mentali mi sembrarono inesistenti. Parlammo del più e del meno. Niente a riguardo di Silvia, niente riguardo alla sua situazione. Parlammo della scuola, dei vecchi ricordi, del matrimonio di Pedro e Lola, di Puri e di tanto altro. Passai felicemente quei minuti con lei. Come una volta, sempre da amici. Mi piaceva l'idea di farla stare bene per un po'. Odiavo che avesse quei maledetti problemi. Non se lo meritava che tutti la guardassero male o la considerassero pazza per via di una stupida delusione professionale. Mi dispiaceva perché le avevo sempre voluto bene. E volevo poterle regalare qualche sorriso, quando immaginavo bene che non stesse vivendo un buon periodo.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Folle piano romantico ***


18. Folle piano romantico
 
 
La mezz'ora fu piacevole e passò veloce. Tanya andò poi via perché doveva prepararsi per la lezione di moderno. Era via da poco, quando mi trovai Pedro davanti, che mi si avvicinò sorridente.
- Ehilà Rober! E Silvia dov'è?
- Ciao, bifolco! Silvia si libera alle sei, ne ha ancora per due ore... E Lola invece? Ci ha ripensato, ti ha mollato, è fuggita chissà dove e non vi sposate più?
- Idiota, è passata da casa di suo padre, doveva mettere a posto due cose. Sai, abbiamo deciso che ci sposeremo qui a Madrid. Dopotutto è qui che ci siamo conosciuti, innamorati, rincorsi e fidanzati. Los Angeles è saltata fuori per motivi lavorativi, ma è Madrid che ci sta a cuore. Questa città ci ha regalato l'uno all'altra, il nostro matrimonio è giusto che appartenga ad essa.
- Sono pienamente d'accordo. Questa città ci ha stravolto la vita, bifolco. Mi fa felice che il matrimonio avverrà qui.
- Beh, non ti dispiacerebbe accompagnarmi in ufficio da Carmen per dirle che io e Lola ci sposiamo qui? Vedi, già si stava ponendo il problema su come giungere in America!
- Certo, nessun problema. Con Carmen ho parlato questa mattina, è riuscita a capirmi e direi che le cose sono perfettamente a posto.
- Sono contento, Rober. I tasselli della tua vita stanno tornando tutti al loro posto. Vedrai che presto tornerà al suo posto anche quello più importante!
- Che sarebbe?
- Come "Che sarebbe?"... Silvia, no?
- Silvia non è un tassello della mia vita. Silvia è la mia vita, insieme a Sergio.
Pedro mi sorrise, dopodiché ci avviammo verso l'ufficio di Carmen. Ci ricevette senza problemi, fu felice della notizia del cambiamento di programma nel matrimonio e per finire ci disse che la sera stessa ci sarebbe stata una festa dei ragazzi del primo anno, così ci chiese se avessimo avuto il piacere di venire. Ovviamente accettammo, poi a me venne una strana idea in testa. Così buttai lì una domanda per Carmen.
- Carmen, vorrei chiederle una cosa.
- Dimmi pure.
- Ecco... Lo so che è una richiesta che può sembrarle strana, ma... Vede, io... Io vorrei chiudere lo spettacolo di questi ragazzi con un'esibizione finale, per dare la buonanotte, diciamo. Anzi, volevo dire... Io e Pedro vorremmo chiudere lo spettacolo con una nostra esibizione finale. Insomma, abbiamo un po' di nostalgia e ci farebbe piacere cantare una canzone ancora una volta in questa scuola, come ai vecchi tempi. Ovviamente, se tutto questo lo reputa possibile e non d'intralcio ai fini della messa in mostra dei suoi allievi, sia ben chiaro. La mia, cioè la nostra, è solo una proposta. Vorremmo solo cantare una canzone. Non deve aver problemi a dire di no se non è possibile, certo.
Ovviamente Pedro non ne sapeva nulla. Mentre parlavo mi guardava attonito, ma mi conosceva talmente bene che doveva aver capito che era una delle mie mosse azzardate e lui, seppur inizialmente sempre scettico, alla fine le apprezzava, quindi volle reggermi il gioco. L'idea mi era venuta in mente in un attimo; la mia intenzione era quella di cantare una delle canzoni d'amore più belle che ascoltavamo tutti insieme di rito ai tempi della nostra frequentazione in quella scuola, ovvero "More than words" degli Extreme (e già il titolo, che vuol dire "Più di parole", si addiceva alla mia situazione con Silvia). Nei miei tre anni a Malaga, avevo imparato a farla con la chitarra e mi piaceva molto come veniva su. Mi ero promesso che semmai un giorno avessi trovato il coraggio di ripresentarmi da Silvia, gliel'avrei fatta ascoltare, gliel'avrei dedicata. Finora avevo avuto occasione solo di farle ascoltare qualcosa al pianoforte, ma con la chitarra non ancora avevo avuto modo di farle ascoltare nulla. Era per questo, che volevo farle una sorpresa. Pedro mi avrebbe fatto comodo perché la canzone è a doppia voce, quindi mi avrebbe potuto dare una mano lui. La mia voleva essere una totale sorpresa; Pedro avrebbe cantato per Lola, io ovviamente per Silvia, ma entrambe non avrebbero dovuto saper nulla fino al momento in cui non ci avrebbero visto a fine spettacolo sul palco. Avremmo partecipato seduti sotto il palco con Silvia e Lola per tutto il tempo dello spettacolo, poi ci saremmo allontanati da loro con una scusa e saremmo riapparsi poco dopo sul palco, per loro, in modo imprevedibile. L'idea era bella, dettata dal momento. Dovevo ancora spiegare tutto a Pedro, intanto aspettai che Carmen mi desse risposta e lo fece così.
- Ehm... Beh, adesso su due piedi... E va bene, dai. Però sarà l'ultima, proprio per chiudere la serata, d'accordo? E sia chiaro che non ve ne viene in tasca un euro. 
- Perfetto, mille grazie!; feci io, - Tutto quello di cui abbiamo bisogno sono due sgabelli, due microfoni ed una chitarra acustica. Nessuna base e luci normali. Al resto pensiamo io e Pedro. Grazie, Carmen.
- Di niente, giovanotto. Lo faccio solo perché so che canterai per Silvia. Altro che nostalgia di scuola!; mi rispose Carmen, spiazzandomi.
- Un po' c'è anche la nostalgia, dai. Grazie, Carmen. Arrivederci.; disse poi Pedro.
Ci congedammo da Carmen ed appena fuori dall'ufficio spiegai tutto a Pedro, che come pensavo mi aveva voluto reggere il gioco perché sapeva che era una di quelle mie idee. Mi prese per pazzo perché non avremmo potuto fare neppure una fottuta prova prima di salire sul palco, ma io tentai di rassicurarlo e gli dissi che forse così era anche meglio. Gli dissi che lui avrebbe dovuto solo pensare a cantare per Lola e sarebbe andato tutto liscio. Alla fine volle fidarsi e stabilimmo ogni minimo dettaglio per far sì che la sorpresa riuscisse tranquillamente. Appena finito di organizzare il mio folle piano romantico, Lola ci raggiunse a scuola. Mancava mezz'ora ed anche Silvia sarebbe venuta da noi. Lola disse che l'indomani pomeriggio le sarebbe piaciuto passare da Ingrid. Aveva molta voglia di rivederla. La loro amicizia ai tempi dell'Arrànz era strettissima, ma poi avevano perso i contatti per via della lontananza di Lola e i problemi personali di Ingrid. Loro due con Silvia erano un trio che ne combinavano di ogni colore quando eravamo allievi. Mancava solo Ingrid e ci saremmo ritrovati tutti. Io e Pedro fummo felici della notizia, dopodiché ci raggiunse anche Silvia. Accettammo di andare l'indomani tutti e quattro insieme, pronti a ripescare l'ultimo tassello di un vecchio puzzle ormai tornato fuori, ma che era sempre rimasto un puzzle meraviglioso. Eravamo noi. Dopo aver discusso su Ingrid, io e Pedro facemmo presente alle ragazze dell'invito di Carmen alla festa degli allievi del primo per la sera stessa. Silvia e Lola accettarono, ed io e Pedro ci scambiammo uno sguardo complice. Era strano; ci saremmo esibiti senza provare neppure un giro di accordi, nulla. Alla cieca, ma questo rischio rendeva tutto così entusiasmante, eccitante. Facemmo una passeggiata per i viali antistanti alla scuola, chiacchierando allegramente, dopodiché mangiammo una pizza a casa di Lola, con suo padre Romàn e suo fratello Jorge, quindi andammo con loro fino a scuola, per assistere allo spettacolo. L'aula del teatro era molto affollata. Trovammo quattro posti affilati per pura fortuna, e dietro di noi altri due per il padre ed il fratello di Lola. A fine spettacolo io e Pedro c'eravamo messi d'accordo affinché ci allontanassimo con una banale scusa e raggiungessimo il palco mettendoci una giacca elegante durante il tragitto. Un folle piano romantico. Nulla da dire, i ragazzi si esibirono molto bene. Non ricordavo se al primo ero già così bravo come loro. Quando poi uno di loro annunciò l'ultima esibizione della serata, improvvisamente io e Pedro ci offrimmo di andare a prendere qualcosa da bere alle ragazze. Inizialmente ci chiesero di aspettare la fine dello spettacolo, visto che c'eravamo, ma con un po' d'insistenza, alla fine io e Pedro riuscimmo ad averla vinta. Dissi a Pedro di iniziare a scaldare la voce; io corsi via da lì. Presi un bigliettino dalla segreteria, ci scrissi su "Ti amo", ed alla velocità della luce lo andai a depositare nella stanza costumi, dove ero convinto che Silvia mi sarebbe andata a cercare appena dopo che sarei sparito a fine esibizione. Già, volevo sparire dopo averle cantato la canzone. Lei sicuramente mi sarebbe venuta a cercare lì. Avrebbe lì trovato quel misero bigliettino e si sarebbe poi ritirata in stanza forse un po' amareggiata. Io invece, dopo l'esibizione, l'avrei aspettata nella sua stanza. Avevo voglia di lei, ero stanco di aspettare. Quando io e Silvia stavamo insieme agli anni dell'Arrànz, il nostro rapporto era molto carnale, passionale. Molto contatto fisico, parecchie pomiciate. Ed ovviamente, anche tanto sesso. Il sesso c'era, e ce n'era parecchio. Insomma, considerato il fatto che l'attrazione fisica tra di noi era stata letale, il sesso era inevitabile che giungesse spesso. E il fatto che all'epoca avessimo vent'anni, rendeva giustizia alle nostre voglie. L'ho sempre amata e l'amavo ancora, era normale che dopo anni volessi rifare l'amore con lei. Corsi come un matto, rientrai cauto in teatro e notai che era il nostro momento. Un ragazzo mi sorrise e mi porse la giacca. Intravidi Pedro che saliva sul palco con la stessa giacca. Feci un balzo e comparvi anch'io, puntuale. Prima che io e il bifolco riuscissimo ad avvicinarci ai microfoni per annunciarci, si udì il vocione di Carmen che ci presentava.
- Le esibizioni dei nostri allievi sono terminate. Speriamo abbiate trascorso una buona serata. Per salutarvi ed augurarvi la buonanotte, abbiamo scelto di dar spazio a due giovani ex allievi, che hanno terminato gli studi qui tre anni fa, e che avrebbero il piacere di tornare ad esibirsi su questo palco, come una volta. Noi del corpo docenti siamo molto affezionati a loro e crediamo abbiano molto talento. Non potevamo negargli l'occasione di cantare di nuovo qualcosa qui, che è stata casa loro per quattro anni. Signore e signori, sono lieta di salutarvi con l'esibizione di Roberto Arenales e Pedro Salvador! Buonanotte a tutti dalla direttrice Carmen Arrànz e da parte di tutto il corpo docenti, corpo direttivo, personale e naturalmente tutti gli allievi. A presto!   
Le luci si posarono sulle nostre facce un po' emozionate. Ci sedemmo sugli sgabelli ed io impugnai la chitarra. Girai il mio sguardo verso Silvia, che guardava sorpresa, mentre Lola al suo fianco già si era commossa. Quando incrociai lo sguardo di Silvia, sentii di dover dire qualcosa prima di esibirmi.
- Buonasera. Che Carmen mi perdoni anche il discorso pre-esibizione. Ecco, volevo solo dire che questa scuola mi ha dato tantissimo. Auguro a tutti gli attuali allievi di ricevere almeno la metà di quello che ha insegnato a me questa scuola. Non solo artisticamente, ma anche umanamente. La verità è che qui sono cresciuto. Da ogni punto di vista. Lo auguro a tutti, un percorso costruttivo come il mio. Beh, ho voluto ringraziare questa scuola prima di cantare perché in realtà la canzone di stasera non la vorrei dedicare alla scuola. Più propriamente la vorrei dedicare ad uno dei tanti regali che questa scuola mi ha fatto. D'accordo, non voglio rubare altro tempo con le mie sviolinate personali, quindi concludo dicendo che questo va a due persone speciali per me e Pedro. E spero che a voialtri piaccia. Buonanotte. 
Partì un applauso che fortunatamente non sembrava annoiato dalle mie parole. Pedro mi strizzò l'occhio annuendo, come per approvare tutto quel che avevo detto. Insieme poi guardammo Silvia e Lola, che si tenevano la mano scuotendo la testa come per dire "Sono due pazzi" o roba simile. Infine, Pedro mi sussurrò il fatidico "Quando vuoi!", quindi cominciai a suonare l'intro del pezzo. Andò divinamente, seppure non la cantassimo insieme da anni e non l'avessimo neppure mai più provata da allora. La doppia voce non fece una pecca, la chitarra andava quasi da sola. Non ci fu niente che non fosse perfetto. La canzone era romantica al punto giusto, il suono della chitarra delicato quanto bastava e la combinazioni delle voci fu uno spettacolo. Durante tutta la durata della canzone, ci fu un susseguirsi di rincorrersi con lo sguardo, almeno tra me e Silvia. Presumo anche tra Pedro e Lola, ma in quel momento ero troppo rapito per accorgermene. E le lacrime finali sia di Silvia che di Lola, seppure muti, furono gli applausi più forti e più gratificanti di tutta la sala. Abbracciai Pedro e, come deciso, io scomparvi. Corsi velocissimo, per evitare che Silvia vedesse dove me ne andavo o incontrassi Carmen che voleva complimentarsi o rimproverarmi per il discorso fatto prima di cantare. Corsi, vidi mille volti sorridermi, ma io non mi fermai mai perché ero in viaggio. La mia destinazione era il mio amore. Arrivai alla stanza di Silvia, e col fiatone e l'affanno mi chiusi in fretta la porta alle spalle. Mi piegai sulle ginocchia in debito d'ossigeno. Sentivo il cuore pulsare forte in petto e non rallentava neppure stando fermo: quella sera il mio cuore era impazzito ed era felice di esserlo. Per questo non smetteva di ballare. Mi rialzai e mi appoggiai al muro, appena dietro la porta. Respiravo affaticato, con lo sguardo alzato al cielo. Non avevo acceso la luce, ero al buio con l'unica compagnia dei miei pensieri e l'unica melodia dei battiti del mio cuore e l'affanno dei miei respiri. Respiravo e battevo ciglio, nient'altro. Avevo perso la cognizione del tempo; non sapevo più da quant'era che mi ero chiuso la porta alle spalle e mi ero messo lì in attesa che arrivasse Silvia. Non capivo più nulla. E proprio nel momento in cui mi sentivo maggiormente tra le nuvole, la porta si aprì. Silvia entrò. Accese la luce che si trovava dal lato opposto al mio, quindi avanzò col bigliettino in mano. Sospirò, poi posò il biglietto sul comodino. Si rimise retta, e passandosi una mano tra i capelli, sbuffando, sussurrò:
- Anche io...
Appena sentii quella frase, avanzai senza far rumore e mi trovai alle sue spalle. Lei non si era accorta di me e continuava ad arruffarsi confusa i capelli. A quel punto, la abbracciai da dietro e lei fece d'impulso un istintivo sobbalzo; poi si rilassò, avendo capito che si trattava di me, e col braccio mi accarezzò la testa. La girai verso di me in modo da poterla guardare negli occhi, poi senza dire nulla cominciai a baciarla. La baciai non so per quanto, non so in che modo. So solo che lei ricambiava. E so solo che dopo poco non c'era più niente da capire: io la spogliavo, lei mi spogliava. E quando restammo nudi, l'uno davanti all'altra, ci abbandonammo ad una passione taciuta per troppo tempo, ma mai morta. Erano tre anni che aspettavo quel momento. L'ultima volta prima di quella drammatica ultima d'addio, era stata invece cinque anni prima, a scuola, una notte, dopo aver ballato soli nella sala 2. Dopo di allora, era cominciato il degrado della cosa più bella che mi era capitata nella vita. Dopo di allora, avevo iniziato a perderla giorno dopo giorno. Fortunatamente però, mai del tutto. Quella notte fu indimenticabile. Non ci fu bisogno di una parola, di una spiegazione. Andò tutto d'istinto. Come fosse naturale. Conoscevamo a memoria i nostri corpi, che quella notte si riconciliarono dopo anni passati ad aspettarsi. Oltre al mio battito, allora percepivo anche quello di Silvia, agitato forse il doppio del mio. Entrai dentro di lei delicatamente. Fu una sensazione dolce e terribilmente eccitante allo stesso tempo. Ascoltavo i suoi sospiri di piacere e mi ci perdevo dentro. Quella notte, avrei dato tutto affinché Silvia non la potesse dimenticare mai. E credo di esserci riuscito. Quella notte, abbiamo fatto l'amore come mai l'avessimo fatto prima. E poi ci ritrovammo a guardarci, entrambi girati su un fianco ed allungati sullo stesso letto. Le lenzuola sgualcite ci coprivano fino a metà busto. Non volevo dire nulla perché avevo paura di rovinare tutto. Mi limitai a sorriderle ed a metterle le braccia sui fianchi. Anche lei scelse di non dire nulla e si avvicinò al mio petto. Ci demmo un bacio, poi lei chiuse gli occhi. Dormimmo con i volti che distavano tra loro mezzo centimetro; condividevamo anche il respiro. Sentii un soffio d'aria accarezzarmi la schiena. Mi svegliò, perché mi ero piacevolmente addormentato. Aprii gli occhi e realizzai che non avevo sognato nulla. Silvia era lì, di fronte a me. Era sveglia. Ora volli parlarle.
- Ma che ore sono?
- Non lo so. Mancherà poco alle sei e mezzo, visto che fuori si sta facendo chiaro ma nessuno ha ancora fatto partire la musica per svegliare gli occupanti delle camerate...
- Ti sei pentita di quello che è successo?
- Neanche per scherzo. Non ricordo da quanto non stavo così bene.
- Già, vale lo stesso anche per me. Non so, è stato perfetto. Meravigliosamente perfetto. Ed io non riposavo così bene e in pace con me stesso da secoli.
- Mi hai fatta sentire speciale. Sia quando hai cantato, che per tutta questa notte. Mi hai fatta felice, complimenti.
- Sono contento che tu dica questo. Credimi, è l'unica cosa che conta per me. Farti felice.
- Perdonami, ma ho bisogno di altro tempo...
- Tranquilla. Io non ho nessuna fretta. Quello che desidero è che tu decida impiegando il tempo che necessiti e decidendo quello che vuoi davvero. Nient'altro. Comunque, ti ringrazio per stanotte. Anche io sono stato divinamente. Ti amo.
- Devo dirti una cosa.
- Ti ascolto.
- Ecco, beh... È un po' difficile parlartene...
- Avanti, dimmi.
- Rober, se un domani dovessimo tornare insieme... Credi potremo essere felici anche senza avere figli?
- Beh, io credo di sì, anche se desidererei molto un bambino da te. Ma... Perché? Io ero convinto che avessi passato il trauma e volessi con tutta te stessa un figlio... Mi sbaglio? Non vuoi un figlio perché ti legherebbe per sempre a me e ne avresti paura? È per questo?
- No, non è questo. E non sbagli dicendo che lo voglio con tutta me stessa. Ascolta, io... Ecco... Quando ho avuto l'aborto cinque anni fa, i medici mi hanno detto che... Beh, che da quel momento sarebbe stato molto difficile che io potessi tornare ad una normale fertilità. In parole povere, è quasi impossibile che io possa concepire un bambino. Capisci perché mi fa così male tornare a quei giorni? Capisci perché me ne colpevolizzo così duramente? È stata colpa mia se ho perso quel figlio, ed è colpa mia se da quel giorno mi sono condannata a non poter diventare madre. Mi dispiace.
Rimasi scioccato. Silvia iniziò a piangere in silenzio. Mi guardava come se l'avesse travolta un uragano. D'altra parte, non avendo avuto una figura materna (e se è per questo neppure paterna) nella sua vita, desiderava con tutta sé stessa diventare madre ed amare senza confini il proprio figlio. Voleva dare un amore che lei non aveva mai assaporato alla figura di un figlio, sangue del suo sangue, cuore del suo cuore. Ma non poteva. La vita era davvero crudele con lei. Io la strinsi a me e ripresi.
- Perché non me ne hai parlato prima?
- Beh, quando sono stata dimessa dall'ospedale cinque anni fa, non pensavo fosse importante che tu venissi a saperlo. Avevo già deciso di lasciarti, ti reputavo troppo immaturo per capirmi, mi dispiace. Ho provato a riprendermi e ce l'avevo quasi fatta, ma quando è naufragata anche la mia relazione con Horacio, mi sono sentita di nuovo così sola. Poi tu te ne sei andato per tre anni e... Beh, da quando sei tornato non ho trovato il momento giusto per dirtelo. Ora ci siamo riavvicinati un po' di più, ed ho pensato che fosse giusto che tu lo sapessi. Ecco perché non te ne ho parlato prima, perdonami.
- Ma quale perdono... Tu non hai niente da farti perdonare. Comunque mi dispiace tanto. So quanto ci tenessi a diventare mamma. E so anche quanto l'avresti fatta bene. Mi dispiace da morire, te lo giuro. Però questo non influirà minimamente su quello che sento per te. Io non smetterò di starti accanto o di amarti solo perché non potremo avere figli. Ad ogni modo, sono ancora in prova, no? 
- È vero. Ma è vero anche che tu sei fermamente convinto di voler tornare con me ed è pur vero che anche se non dovrei dirtelo, sei sulla buona strada.
- Ehi, ascoltami. I medici non ti hanno dato alcuna speranza? Non so, neppure con l'inseminazione artificiale, la fecondazione assistita o una di queste robe che vanno in giro adesso? Proprio nulla?
- Le possibilità sarebbero sempre le stesse, ovvero praticamente nulle. Vedi, il problema è che quando ho perso il bambino mi si è lesa parte di un'ovaia. Questo è un problema di concepimento che non si risolve con l'assistenza medica durante il rapporto sessuale. Il problema è nel mio apparato e non si può fare niente per risolverlo. I medici mi hanno spiegato tutto per filo e per segno, e non hanno voluto darmi false speranze. Hanno preferito dirmi come stavano relamente le cose, ed è giusto che l'abbiano fatto. Mi dispiace Rober, ma non c'è niente da fare.
- Beh, se è come dici tu allora... Niente. Ma io continuerò ad amarti, non importa. Dai, adesso non ci pensiamo. Vieni qui, su.
La abbracciai forte e la vidi riaddormentarsi dolcemente e lentamente tra le mie braccia. Le lacrime ormai non le scendevano più. A me dispiaceva molto perché non avrei mai avuto un figlio da lei, ma la cosa che più mi metteva a disagio era il fatto che lei ne soffrisse parecchio. Come già detto, sapevo che per lei avere un figlio era il desiderio della vita. Ma non avrebbe mai potuto realizzarlo. E non era colpa di nessuno. Ad ogni modo, per me quella notizia non contò nulla per quanto riguardava i miei sentimenti verso di lei e la mia voglia di ridare un'opportunità alla nostra storia. Non c'era niente al mondo che avrebbe potuto farmi cambiare opinione su questo. Niente. La osservai dormire per un quarto d'ora forse, perché poi partì la musica classica che all'Arrànz utilizzavano per svegliare gli allievi ogni mattino. Silvia riaprì gli occhi e sbuffò. Io la guardai e scoppiai a ridere, poi lei fece lo stesso. Ridemmo come due idioti, senza motivo, ma al di là di tutto, eravamo felici. Le cominciai a fare il solletico, mentre lei mi prendeva a cuscinate. Potrà forse sembrare una stronzata di comportamento, però io so solo che fu bellissimo. Dopo aver fatto una sorta di lotta in quel letto ormai distrutto, mi ritrovai su di lei, con i nostri nasi che si toccavano, ridendo. Ci fu un momento d'imbarazzo, entrambi la facemmo finita di ridere. E poi lei disse qualcosa che io non mi sarei aspettato di sentire.
- A volte non capisco come potevo non voler amarti.
- Beh, di ragioni ne avevi a milioni. E comunque, anche non volendolo, non hai mai smesso.
- Infatti. Ti amo, Rober.
- Anch'io ti amo. Da morire. 
Riprendemmo a baciarci, l'uno nelle braccia dell'altra. Silvia aveva la seconda ora, quindi potevamo coccolarci ancora un po'. Ero così felice da non ricordare più che io e lei non stavamo insieme a tutti gli effetti. Il momento di lasciarla andare a lezione però arrivò. Si alzò dal letto, si vestì e fu pronta dopo poco. Io me ne restai tra le lenzuola messe sottosopra a guardarla. Aprì la porta, si voltò e mi volle salutare.
- Allora a dopo.
- Certo, a dopo. 
- Ah, Rober...
- Sì?
- Sparisci di qui entro un'ora. Non vorrei che la donna delle pulizie ti trovi qui e magari faccia la spia con Carmen. So che comunque lei ce la farebbe passare liscia, ma non vorrei pensasse che ce ne stessimo approfittando.
- Certo, tranquilla.
- Ciao!
- Un momento, Silvia.
- Dimmi.
- Ti amo.
- A dopo, Rober.; e se ne andò col sorriso sulla faccia.
Amavo il fatto che un minuto prima cedeva ed ammetteva di amarmi e un momento dopo si tratteneva dal rispondermi quell' "anch'io" che le pesava ancora un po', anche dopo una notte d'amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Di nuovo in cinque ***


19. Di nuovo in cinque
 
 
Ad ogni modo, mantenni i miei impegni e lasciai la stanza di Silvia nel giro di un'oretta. Per i corridoi incontrai Carmen, che mi fermò e mi fece i complimenti. Mi disse che io e Pedro avevamo cantato molto bene e che la dedica iniziale non le era sembrata niente male. Mi disse infine che era bello vedermi tanto sentimentalista, quindi io la ringraziai e lei andò via. Dovevo aspettare parecchie ore quella mattina, così mi feci un giro per Madrid, solo con me stesso. Rivisitai tutti i posti a cui ero affezionato e giunsi al parco dove portavo Sergio quando Bea me lo affidava. Ebbi un momento di cedimento, ma mi ripresi subito. Io desideravo molto rivederlo e per rendere questo possibile, avevo bisogno di soldi e quindi di un lavoro. Mi precipitai all'autonoleggio dove avevo preso la moto giorni prima e chiesi al proprietario se potesse servire una mano. Lui mi rispose così.
- No ragazzo, mi dispiace ma siamo a posto e poi non abbiamo soldi per pagare ulteriori impieghi. Cerchi un lavoro?
- Sì, ne avrei proprio bisogno. Comunque la ringrazio lo stesso, buona giornata.
- Aspetta! 
- Mi dica.
- Beh, siccome mi sembri un tipo a posto e mi fai simpatia, voglio provare ad aiutarti. Che studi hai fatto, se posso permettermi di chiedertelo?
- Oh, certo che può. Beh, io in realtà ho fatto l'istituto per ragionieri, però poi ho mollato quel campo ed ho frequentato la scuola di arti sceniche qui a Madrid. Sa, l'Arrànz.
- Hai davvero studiato lì?
- Già. Poi non sono andato lontano, ma ho il diploma e ne vado molto fiero.
- Credo di avere qualcosa che fa al caso tuo. Prendi, questo è il biglietto di visita di un villaggio turistico qui vicino. Lo gestisce mio fratello e proprio in questo periodo sta cercando personale per l'animazione. Beh, insomma, se hai frequentato la Carmen Arrànz te la dovresti cavare con i canti, i balli e cose del genere. So che non è il massimo, però la paga è decente e magari potresti anche divertirti, chissà. Mah, spero di esserti stato utile, giovanotto.
Mi porse il biglietto ed io ne fui felicissimo. Fare l'animatore mi attirava, magari come diceva quell'uomo mi sarei anche potuto divertire. Lo ringraziai molto e giunsi a piedi fino all'indirizzo indicato sul biglietto. Era un bel posto, tra l'altro stracolmo di bambini. Aveva un grosso giardino centrale, circondato da decine di bungalow. Entrai e subito un uomo mi ricevette e mi accompagnò in ufficio dal direttore del villaggio. In breve, parlai con lui, che fu lieto di assumermi, a tempo indeterminato. Mi avrebbe rinnovato il contratto settimana dopo settimana. Prendevo 230€ a settimana. Non era poi così male, considerato anche il fatto che lavoravo facendo quello che mi piace fare. Il mio orario era dalle undici del mattino alle sette del pomeriggio, con pausa pranzo dall'una alle tre, proprio come all'Arrànz. Questo significava che sarei potuto stare con Silvia al mattino fino alle undici, poi avrei potuto pranzare con lei, dopodiché l'avrei rivista a fine turno finché non sarei tornato la mattina seguente. Ovviamente domenica libera, come lei. Avrei iniziato l'indomani. Ero molto felice. Stavo accanto a Silvia racimolando soldi per Sergio. Sentivo la mia vita sempre più nelle mie mani. Il pomeriggio, come deciso, mi incontrai con Pedro e Lola, ovviamente anche con Silvia, per andare da Ingrid. Lola era quella più in ansia, d'altra parte era quella che era sempre stata la più legata a lei. Io annunciai che mi ero trovato un posto di lavoro, ed i ragazzi furono molto contenti per me, specialmente Silvia. Poi andammo al fatidico indirizzo che Lola aveva ottenuto per telefono da Ingrid. Ci trovammo davanti alla porta, quindi Pedro si prese la briga di bussare. Ci aprì un uomo calvo, alto ma all'apparenza gentile.
- Sì?
Lola si fece avanti.
- Buonasera, cercavamo Ingrid Muñoz. Abita qui, no?
- Ingrid, certo. Accomodatevi pure dentro, sarà qui a momenti. È uscita un attimo. Posso sapere chi siete, se non sono scortese?
- Certo... Beh, ecco... Siamo vecchi compagni di scuola. Eravamo molto legati a lei ed è passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti.
- Capisco. Prego, entrate.
Ci sedemmo sul divano. Era una casa modesta, ben arredata. Forse un po' piccolina, ma accogliente. L'uomo riprese a parlare.
- Immagino abbiate frequentato la Carmen Arrànz con lei, sbaglio?
Rispose ancora Lola.
- Sì, esatto.
- Mi racconta spesso di quei tempi. Dice che stava molto bene in quella scuola.
Intervenne Pedro.
- Mi perdoni, lei è il suo compagno? Se posso permettermi...
- Io? Oh no, nient'affatto. Piacere, io sono Esteban. Cugino di Ingrid. Sua madre era la sorella della mia. Da quando zia ci ha lasciati, ho deciso di stare accanto ad Ingrid. È stato un colpo durissimo per lei. Da allora, non si sente più neppure con un amico o una persona fidata. Si è chiusa in sé. Per questo, mi fa molto piacere che siate venuti qui da lei. Magari le farà bene.
Ci presentammo anche noi, e Lola spiegò ad Esteban come aveva ottenuto l'indirizzo e quali erano stati i nostri rapporti con sua cugina. Mentre stavamo prendendo un té, si sentì la porta aprirsi. Ed una voce, quella voce, si annunciò inconsapevole del fatto che non ci fosse solo Esteban ad aspettarla.
- Eccomi... Ho comprato la carne per questa sera! Ci sei?
Ingrid svoltò l'angolo e si trovò davanti tutti noi a bere del té con suo cugino. La busta che portava tra le mani le cadde a terra, per lo stupore, almeno credo. Diede un'occhiata a ciascuno di noi. Eravamo tutti zitti e immobili, volevamo reagisse da sé. Lo fece dopo attimi incolmabili di quiete, gettandosi in lacrime tra le braccia di Lola. Era felice. Si calmò, poi ci salutò uno ad uno, sorridente. Infine, si accomodò vicino ad Esteban e volle spiegare il perché fosse scomparsa.
- Ragazzi, io non so cosa dire... Mi siete mancati da impazzire! Perdonatemi se sono sparita così all'improvviso, ma è come se mi avessero portato via un pezzo di cuore... Da quando mamma se n'è andata, mi sono chiusa a tal punto da perdere anche me stessa e non rendermi conto che stavo perdendo la voglia di vivere che ho sempre avuto. Il dolore mi ha svuotato l'anima. Sì, ora sono uscita dal tunnel, anzi, è già un po' di tempo che ne sono venuta fuori però... Mi vergognavo di cercarvi dopo non essermi più fatta viva per così tanto tempo. Mi vergognavo. Non avevo voglia di dare spiegazioni a nessuno e sono rimasta sola. Fortunatamente Esteban mi è stato vicino. Senza di lui, non so dove sarei andata a sbattere la testa. La verità è che speravo che veniste voi da me, speravo che un giorno avreste avuto voglia di vedermi e vi foste chiesti che fine avessi fatto. Sono felicissima, davvero. 
- Da oggi devi ricominciare a vivere.; disse Silvia.
- Già.; soggiunse Lola, - E poi devi sapere un mucchio di cose... Diciamo che è un periodo speciale per tutti noi quattro.
Da quel momento, le spiegammo le situazioni che legavano me e Silvia, e Pedro e Lola. Ridemmo moltissimo, come una volta. Ingrid impazzì di gioia per il matrimonio ed augurò a me e Silvia che si andasse ad aggiustare ogni coccio della nostra storia. Eccoci. Eravamo tornati, noi cinque. Dopo tre anni, di nuovo insieme. Ci congedammo da Esteban e quella sera uscimmo insieme. Passammo delle ore favolose. 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** A tu per tu con il cielo ***


20. A tu per tu con il cielo
 
 
Ingrid si ritirò per prima, dicendo che quella mattina si era alzata molto presto ed aveva bisogno di recuperare parecchie ore di sonno. Seguirono Pedro e Lola, che tornarono nel loro albergo felici, contenti e mano nella mano. Restammo io e Silvia. La accompagnai a scuola, ma prima di portarla nel suo alloggio, la volli portare sulla terrazza dell'Arrànz. Come posto è favoloso. Si vedono almeno i tre quarti di Madrid, se non di più. Io e Silvia ci appoggiammo sul muretto ed io cominciai un discorso.
- Alla fine ci siamo ritrovati tutti, no?
- Pare di sì.
- Però manca da stabilire il modo in cui ci siamo ritrovati io e te.
- Io e te, eh? Sbagli nel dire questo, sai?
- Scusami ma non capisco.
- Io e te non ci siamo ritrovati affatto.
- Beh, forse non ancora!
- Anche questo è sbagliato. Pensa meglio a quel che hai detto.
- Ok, ci sono arrivato.
- Sentiamo se è quello a cui ho pensato io, avanti.
- Io e te non ci siamo ritrovati e non ci ritroveremo mai. Semplicemente perché non ci siamo mai realmente persi.
- Bene, hai guadagnato un punto.
- Premesso che continuerò ad aspettarti... Vuoi farmi patire ancora a lungo? Non mi dai neppure un giorno di scadenza o cose del genere?
- Senti caro... Io ho patito tre anni. Senza avere idea sul quando ti fossi deciso a tornare. 
- Già, hai ragione. Però sapevi che sarei tornato?
- Sì, credo di sì. 
- Io però non so quello che deciderai.
- Lo sai, invece. 
- Uhm... Beh, forse hai ragione anche stavolta.
- Certo che ho ragione. Ma vuoi dirmi perché mi hai portata fin quassù?
- D'accordo. Allora, siccome sono una frana con i discorsi... Volevo farti un regalo. Insomma, era da molto che volevo farlo, però non mi sono mai deciso sul cosa. So che detesti i fiori, so che sarei un po' troppo frettoloso per regalarti un diamante o un collier, so che se ti cantassi o ti suonassi ancora qualcosa, diverrei monotono. Allora ho pensato che un regalo è bello se è fatto col cuore, non importa che tu lo possa toccare o portarlo addosso. Beh, ho pensato che sarebbe stato carino se oltre ad offrirti tutto me stesso, ti avessi offerto un momento speciale. Non mi sarà costato soldi, ma ho pensato il tutto con il mio cuore, che credo sia la cosa più importante. Guarda quant'è bella Madrid di notte. Questa città è stata il teatro del nostro amore, no? Per me è qualcosa di magico guardarla. 
- Fammi capire, Rober... Tu stanotte mi staresti regalando Madrid?
- Oh, mi piacerebbe. Ma posso regalarti solo il panorama di questa città, purtroppo. 
- Beh, per me è già tanto.
- Ok, prenditi anche quello, allora. Ad ogni modo, volevo concludere dicendo che secondo me, Madrid di notte sarebbe più bella a luci spente, illuminata solo dai raggi di luna e dalla luce delle stelle. Più che altro, stanotte voglio regalarti il cielo di Madrid. Guardalo. 
Silvia alzò la testa, poi io la tenni stretta a me da dietro e ripresi.
- Ora scegli una stella.
- Una stella?
- Sì, una stella.
- Beh, a me piace quella che brilla di più, quella accanto alla luna... Capisci di quale sto parlando?; e mi indicò una stella.
- Sì, ho capito. Beh, da stanotte quella stella è tua. Te la regalo io.
- Che significa?
- Significa che tutte le volte che guarderai quella stella, dovrai pensare a me. Sai, ho pensato che le stelle restano nel cielo per sempre. Almeno credo, anche se di queste cose ne capisco ben poco. Allora mi sono detto... Se Silvia mi dovesse respingere, le resterebbe solo un ricordo di me. Penso che comunque non mi dimenticherebbe, però io voglio andare sul sicuro. Voglio che le resti qualcosa di me che duri per sempre. Qualcosa di bello, meraviglioso. Io credo che le stelle siano una delle cose più belle del mondo. Insomma, se ne stanno lì, ferme, e fanno compagnia alla luna senza chiedere nulla in cambio. A me piacciono molto. Voglio che tu possa pensare a me ogni volta che guarderai nel cielo, ogni volta che guarderai quella stella e ti ricorderai di quello che ho detto questa notte, indipendentemente da cosa deciderai per noi due.
- Ma... Le stelle non staranno per sempre nel cielo. Rober, prima o poi si spegneranno tutte.
- D'accordo. Allora vorrà dire che quando il cielo se ne priverà, sarà perché si sarà reso conto che tu ne hai più bisogno di lui, che ne ha avute accanto così tante per così tanto tempo. Quando quella stella si spegnerà nel cielo, si accenderà nel tuo cuore. Ti piace l'idea? Quella stella è nostra, che al cielo piaccia o no.
Poi nient'altro. Ci baciammo ancora, come se non potessimo farne a meno. Faceva abbastanza freddo, eravamo all'aperto. Ma di nuovo, come la sera precedente, andò tutto in maniera totalmente naturale. Anche quella notte, facemmo l'amore, ma stavolta sotto le stelle, coprendoci solo con il mio giaccone di pelle, in un angolo della terrazza.  Restammo poi abbracciati col giaccone sulle spalle. Ripresi a parlare.
- Promettimi che quando guarderai quella stella farai quel che ti ho detto.
- Va bene, promesso. Sai che però non puoi restare qui stanotte, no?
- Sì, lo so. Ora me ne vado, altrimenti mi chiudono dentro. Domani è anche il mio primo giorno di lavoro.
- Già, è vero. Io però domani comincio dalla prima ora, quindi ci vedremo direttamente a pranzo. Perché tu verrai a pranzo qui, non è così?
- Se ti fa piacere, sì. Per quanto riguarda me, vorrei pranzare con te per il resto della mia vita, quindi...
- E va bene, se proprio vuoi sentirtelo dire, te lo dico. Sì, mi farebbe molto piacere vederti domani. Ed anche il giorno dopo, quello dopo ancora e così via. Lo sai perché?
- Sì, lo so perché. Uhm... Va bene, Silvia. A domani, allora. Non vedo l'ora che ti decida a buttarti. Buonanotte. Ah, dimenticavo... Ti amo anch'io.
Lei mi sorrise ed io me ne andai.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Ultimi preparativi ***


21. Ultimi preparativi
 
 
Da quel giorno, fino al matrimonio di Pedro e Lola, andò tutto abbastanza bene. Il lavoro mi piaceva da matti. Non facevo altro che cantare, ballare e regalare sorrisi. Insegnavo ai bambini a disegnare e giocavo a calcio con loro. Facevo da intermediario fra coppie di innamorati dedicando canzoni romantiche a destra e a manca. Anche nel lavoro, capivo quanto fosse bello essere padre di mio figlio ed essere follemente innamorato di Silvia. Perché coglievo gli stessi sentimenti che provavo io, negli occhi felici dei genitori che gioivano nel vedere sorridere il proprio figlio e in quelli commossi degli innamorati che ascoltavano col cuore a mille le dediche della loro dolce metà. Lavorando, guardavo i sentimenti che ormai occupavano il mio cuore, nei gesti delle altre persone. E mi rendevo sempre più conto che quei sentimenti fossero il motore della vita di ognuno di noi. L'amore (paterno, fraterno, di coppia), quello vero, è quello che ti fa brillare gli occhi e ridere tutti giorni. Quello che ti riempie il cuore e l'anima fino ad avere i brividi e i dolori allo stomaco. Quello che ogni mattino, appena svegli, ti da' la carica per vivere a pieno la tua giornata. Quello a cui io avevo rinunciato come un idiota per tre anni, ma che ora non intendevo mollare neppure se fosse crollato il cielo. Io, Silvia, Pedro, Lola ed Ingrid uscimmo insieme e felici ogni sera. Con Silvia riuscivo a pranzare tutti i giorni e stavo con lei praticamente sempre, quando non dovevo lavorare. Dalla sera sotto le stelle, non avevamo più fatto l'amore, ma non fu poi così indispensabile. Ci amavamo, lo sapevamo e questo ci bastava. Lei non ancora aveva deciso, ma io sentivo quel momento sempre più vicino e non ero più in ansia come all'inizio. Forse perché sapevo che mi avrebbe concesso l'opportunità. Forse perché avevo capito che era solo questione di tempo. E forse perché in ogni caso le stavo accanto e il fidanzamento ormai contava solo come un'ufficialità. Stavamo bene, punto. Di tanto in tanto, continuavo a vedermi con Tanya, a farmi una birra e quattro chiacchiere con lei. Ero riuscito a mantenere la promessa di non abbandonarla. In quei giorni, io e Pedro andammo insieme a scegliere i rispettivi abiti per il matrimonio, consigliandoci a vicenda. Lo stesso fecero Silvia, Lola ed Ingrid. Si sa che fra gli sposi vedere gli abiti dell'altro prima del matrimonio porta male, e lo stesso volli fare anch'io con Silvia e se è per questo, anche con Lola ed Ingrid. Anche le ragazze non sbirciarono né su me né su Pedro. Una sorta di scaramanzia di gruppo. Quel giorno era così importante che nessuno di noi avrebbe voluto andasse storto qualcosa. E sempre in quei giorni, partecipai all'addio al celibato di Pedro. Mi divertii molto, ma la mia testa si domandava cosa stesse succedendo nello stesso momento all'addio al nubilato di Lola, sapendoci Silvia. Ma naturalmente, fu tutto casto e genuinamente divertente da ambo i lati. Insomma, ben presto arrivò il giorno prima del matrimonio. O meglio, nella fattispecie, la notte prima del matrimonio. Pedro dormì con me nella mia stanza d'albergo, mentre la stanza che aveva preso con Lola era nello stesso momento occupata da lei e metterei la mano sul fuoco che ci fossero anche Silvia ed Ingrid. Beh, noi due non chiudemmo occhio. Pedro era come in tempesta, non riusciva a stare fermo né zitto. Per tutta la notte, mi raccontò di lui e Lola, degli errori fatti e roba varia. Però anche quella, la ricordo come una delle notti più belle che abbia mai vissuto, perché l'avevo passata con un amico vero, ad un passo dal giorno più bello della sua vita. E lo stava interamente condividendo con me. Se penso a come ho cominciato i miei rapporti con Pedro, mi viene da ridere. Ci detestavamo, non facevamo altro che litigare, fare a cazzotti e contenderci tutto quello che ci si presentava davanti. Ci ostacolavamo l'un l'altro, ci auguravamo il peggio a vicenda. Eppure, odiandolo ho imparato a volergli bene. Giorno dopo giorno, l'astio è diventato fratellanza. Ed ora, fratelli lo eravamo davvero. Passammo tutta la notte a parlare, ridere, commuoverci e ripassare ogni preparativo per l'indomani. Lui era un vulcano e gli si leggeva negli occhi quanto tenesse al fatto che dovesse andare tutto bene. Voleva fosse tutto perfetto, tutto al suo posto. Era innamorato matto anche lui. Io ero così felice. Avevo ripescato da un fosso tutte quelle cose che avevo lasciato che vi cadessero dentro, senza capirne l'importanza. Come Silvia, come Pedro. Insomma, la mia vera vita di Madrid. Già, io ero così felice che non capivo quanto lo sarei diventato nel momento in cui Silvia mi avrebbe riammesso a pieno nella sua vita ed avrei rivisto Sergio. Mi sembrava impossibile essere più felice di allora, eppure era molto probabile che lo sarei diventato. Mi si riempiva il cuore a quel pensiero. Mentre naufragavo tra i miei pensieri e le chiacchiere di Pedro, il sole si alzò su Madrid. Era finalmente arrivato il gran giorno. Mi misi il vestito e notai spiacevolmente che mi andasse un po' stretto, ma non me ne importava. Era un vestito blu scuro, con camicia bianca e cravatta grigia. Anche le scarpe erano grigie. Per il matrimonio, avevo lasciato che mi crescessero i capelli. Sempre a spazzola, non ricci trasandati come gli ultimi tempi dell'Arrànz, anche perché ho sempre saputo che Silvia li preferiva corti e bagnati dal gel. Comunque, per quel giorno avevo scelto un look diverso, in modo che quando anni dopo avrei rivisto le foto, mi ci sarei fatto una risata. Avevo anche fatto in modo di avere un pizzetto maggiormente ordinato, che quella mattina perfezionai a dovere sotto consiglio dello sposo. Fu poi lo sposo che mi fece il nodo alla cravatta, perché io non ne ero in grado. Non ero abitutato alle cravatte, nonostante la mia famiglia fosse maestra nell'eleganza, per via degli affari. Quando ero bambino, mia madre mi aveva insegnato ad annodare la cravatta, ma io l'avevo dimenticato. Tra l'altro anche mia madre se l'era data a gambe levate da quegli ambienti, col divorzio da papà, che risale al mio ultimo anno dell'Arrànz. Ad ogni modo, non nascondo che quel mattino mi sentivo bello. Mi specchiavo ed ero compiaciuto di come apparivo. Mi improfumai a dovere e mi sentivo perfetto. Anche Pedro faceva la sua bella figura infondo. Ed insieme, morivamo dalla voglia di vedere le ragazze. In breve, il padre e la madre di Pedro raggiunsero la nostra stanza d'albergo. Imbottirono il proprio figlio di complimenti e non fecero altro che piangere dalla felicità. Fecero anche a me degli apprezzamenti. Mi volevano bene. Mi conoscevano già; avevo trascorso a Lastres, il paese del bifolco, le mie vacanze di Natale del secondo, perché a Pedro e la sua famiglia servivano braccianti al porto ed io avevo bisogno di soldi, visto che mio padre si era rifiutato di pagarmi le rette di scuola. Così, io e il bifolco abbiamo lavorato nello stesso posto per un mese, ed abbiamo convissuto dai suoi. Infondo fu divertente. In ogni caso, dopo poco tempo, la stanza d'albergo si affollò di nonni, zii, cugini ed amici di famiglia di Pedro, dunque io, sentendomi di troppo, dissi che mi sarei diretto in chiesa. Volli andare solo, a piedi, col sole che mi baciava la fronte. Pedro l'avrei rivisto direttamente sull'altare. Era ancora abbastanza presto, quindi me la presi con calma. Sul tragitto, mi chiedevo se Marta avesse avuto il coraggio di venire. Forse quel giorno l'avrei rivista. A Pedro e Lola non aveva fatto sapere nulla, quindi era un incognita. A me però non interessava molto. Io con lei non avevo più alcun problema, anzi, a dire il vero non ne avevo mai avuti. Se fosse venuta, bene. Altrimenti, l'avrei capita. E poi, quel giorno volevo solo pensare ad essere felice. Arrivai in chiesa; c'era solo Puri che dava una sistemata ai fiori. Mi avvicinai per salutarla.
- Buongiorno, Puri! Già qui, eh?
- Oh, Rober... Beh, dev'essere tutto perfetto per Lola! Non abbiamo mai guadagnato un rapporto totalmente buono, però... Tengo molto a lei. Sapevo che sposando suo padre, non avrei mai potuto sostituire il posto di sua madre, però io ho fatto il possibile perché mi accettasse nella famiglia... Forse non ci sono riuscita del tutto, però so che dopotutto anche lei mi vuole bene. Ed oggi intendo fare il possibile per farla stare a suo agio!
- Certo, certo. Beh, quelle calle sono bellissime messe in quel modo. Anche tu hai l'animo artistico sotto sotto.
- Ti ringrazio. Ma tu cosa ci fai già qui? Mancherà più di un'ora, no?
- Sì, è ancora presto. Ma non avevo nient'altro da fare. Insomma, sono il testimone di nozze. Questo mi mette un po' in ansia. Per questo sono voluto correre qui. Sai Puri, gli attori prima di andare in scena, scaricano la tensione vedendo prima il teatro vuoto, sapendo che poco dopo si colmerà di gente che avrà pagato per vederli. Beh, è un po' quello che sto facendo io oggi. 
- Rilassati, ragazzo mio. Oggi sarà tutto perfetto, perché quei due si amano tantissimo. E perché vogliono un bene profondo ai loro testimoni. Andrà tutto bene, sta' tranquillo.
- Forse hai ragione tu. E dimmi, Tanya dov'è?
- Tanya? Oh, Tanya è passata dall'albergo dov'è Lola. Vuole farle l'acconciatura.
- È felice per Lola?
- Certo. Scusa Rober, ma ora devo passare da Romàn. Devo dargli una mano a preparare Jorge, e poi forse è ora che mi vesta anch'io. Ci vediamo dopo, d'accordo?
- Va' pure. A dopo.
Mi appoggiai sulla sedia del testimone al lato dell'altarino degli sposi. Era tutto addobbato così bene. Mi misi a guardare la sedia vuota al mio fianco. Quello sarebbe stato il posto di Silvia. Pensavo a quanto sarebbe potuta essere bella. Mi misi la testa tra le mani, chiusi gli occhi ed aspettai che cominciasse ad arrivare la gente. 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Oggi sposi ***


22. Oggi sposi
 
 
Passò poco tempo, e la chiesa cominciò a riempirsi. Di coloro che vidi, non conoscevo nessuno. Forse erano tutti parenti alla lontana di uno dei due sposi, e mi squadravano tutti dalla testa ai piedi. Ricordo solo che poi arrivò Pedro. Era raggiante e corse ad abbracciarmi, poi mi parlò.
- Amico mio, stanno arrivando Silvia ed Ingrid. Non voglio aggiungere nient'altro.
- Auguri, bifolco. Oggi è il giorno più bello della tua vita. Goditelo.
Io sorrisi, diedi una pacca sulla spalla di Pedro e mi voltai verso l'entrata della chiesa. Dapprima entrò Tanya, che era davvero splendida. Le strizzai l'occhiolino, ma lei abbassò lo sguardo. Forse non mi aveva visto. Ad ogni modo, dietro di lei entrò Ingrid.  Bella anche lei, con dei capelli diversi dal solito. Mi venne immediatamente da pensare che anche lì ci fosse lo zampino di Tanya. Ma poi... Poi entrò Silvia. Io restai di stucco. Aveva un vestito sul lilla, di media lunghezza, un tacco vertiginoso. Le spalle scoperte, un grosso collier d'oro bianco, degli orecchini di perla. Portava i capelli rilegati in una coda che le scendeva su un lato. E quei capelli, che solitamente erano alquanto boccoluti, erano lisci come spaghetti. Era truccata come una venere. Non ho parole per descrivere quanto fosse bella. Credo che in quel momento avessi proprio una faccia da coglione. Probabilmente la stessa che avevo il secondo giorno di scuola all'Arrànz quando l'ho notata negli spogliatoi. Probabilmente mi sembrava irreale per quanto fosse meravigliosa. La guardai durante tutta la sua defilata per la navata centrale della chiesa, finché non giunse all'altare. Diede un bacio affettuoso a Pedro, dunque lo abbracciò e poi venne al mio fianco. Mi abbracciò. Io le sussurrai i miei pensieri all'orecchio.
- Non ho mai visto niente di più bello in vita mia... Sei stupenda, tesoro! Davvero...
Lei mi sorrise, poi si ritirò dall'abbraccio e tenendomi le mani mi rispose.
- Grazie, però devo ammettere che neanche tu sei niente male! La cravatta ti dona!
- Beh, grazie anche a te. E Lola? Arriva?
- Sarà qui a momenti. Ti garantisco che oggi la più bella è lei.
- Può darsi. Ma per me, tu sarai sempre la più bella fra tutte.
Lei mi sorrise. Mi persi nel guardarla, finché non sentii partire la marcia nuziale. Mi ripresi e posai il mio sguardo ancora verso l'ingresso della chiesa. Lì c'era Romàn che, fiero ed emozionato, portava sottobraccio la sua piccola grande Lola. In effetti, anche lei era davvero meravigliosa. L'abito da sposa era un abito meravigliosamente semplice, bianco panna e con un lunghissimo velo. Non c'è altro da aggiungere. A Pedro quasi già scendevano le lacrime. Lola giunse all'altare, salutò Pedro e sorrise a me e Silvia. Si girò verso i primi banchi, concedendo un sorriso anche al suo fratellino Jorge, Puri, Tanya ed Ingrid, che erano seduti tutti vicini, insieme a Romàn, che allora si andava a sedere. E la cerimonia cominciò. Mi ero guardato attorno, ma Marta non l'avevo vista. Vedevo Carmen, splendida settantenne. Vedevo Juan per la prima volta in vita mia in giacca e cravatta. Vedevo vecchi compagni dell'Arrànz che non sapevo invitati al matrimonio. Ma Marta non c'era. Mi abbandonai allora a seguire la cerimonia dei miei migliori amici accanto alla donna che amavo. Ebbero entrambi momenti di commozione nel bel mezzo dei giuramenti. Vi furono lacrime a destra e a manca. Piansero gli sposi, piansero i parenti, pianse Carmen, pianse Puri, pianse Ingrid. Pianse anche Silvia. E credo anch'io. Solo che in quel momento non ci facevo caso, troppo ero preso dal matrimonio. Jorge portò le fedi, e loro se le scambiarono. Era tutto perfetto. A fine cerimonia, io e Silvia firmammo con gli sposi le carte burocratiche che attestavano il nuovo stato civile di Pedro e Lola. Poi saremmo andati a mangiare. Per raggiungere il ristorante dove era stato organizzato il ricevimento, scelsi di noleggiare al mio autonoleggio ormai di fiducia, un'auto. Sì, questa volta avevo optato per un'automobile, perché avevo pensato fosse più elegante e per un'occasione simile, valeva la pena essere impeccabili. Mentre Pedro e Lola si facevano fotografare, io uscii dalla chiesa con Silvia ed Ingrid. Preparammo i sacchetti di riso ed aspettammo i neo-sposi in un punto tattico da dove lanciare quel riso. Era tutto così bello, pieno di gioia, di felicità. C'era solo serenità, voglia di vivere. Quella mattina, il mondo sembrava più bello del solito, perlomeno ai miei occhi. Il sole sembrava essere più caldo e più luminoso, il cielo più azzurro e più libero dai suoi nulli confini. La gente era più bella del solito. Perché c'era aria di festa, credo. Andai in un battibaleno a legare il fiocco nuziale all'antenna della mia auto, poi tornai dalle ragazze, e tornai appena in tempo perché allora stavano uscendo gli sposi e fu allora che tutti lanciarono loro il riso. Si baciarono romanticamente ed io vidi quanto fossero felici. Il loro amore aveva vinto. E la cosa più bella, è che aveva vinto senza nessuna battaglia. Aveva vinto perché non era mai andato in guerra, più o meno. Il loro amore era semplice, calmo, felice. Non come il mio con Silvia, che era un amore difficile, che scappa di mano, straziante. Il mio amore di guerre ne aveva fatte a migliaia. Guerre con sé stesso, guerre con la paura, guerre con la distanza. Però, aveva vinto anche lui. Solo che aveva più lividi di quello di Pedro e Lola, tutto qua. Ma anche quello, ci si può giurare, era amore. Eccome se lo era. Caricai in macchina Silvia ed Ingrid, ci accodammo all'auto degli sposi e li seguimmo fino al ristorante. In macchina misi il cd degli Upa Dance, il nostro vecchio gruppo. Avevamo inciso un cd ed era andato anche discretamente. Comunque, lo misi in macchina durante il tragitto, ed insieme a Silvia ed Ingrid non feci altro che cantare. Ci divertivamo come matti. La presenza di Ingrid non fu di troppo, perché mi comportai nello stesso modo in cui mi sarei comportato qualora fossi stato solo con Silvia. Ormai, per me era diventata una cosa piacevolmente normale ed abituale avere atteggiamenti così felicemente affettuosi con lei, non importava se fossimo soli o in mezzo a decine di persone. Arrivati al ristorante, andammo a leggere le tavolate sulla bacheca posta all'ingresso. Era solo di prassi, visto che sapevo bene che io e Silvia avevamo un tavolo a parte solo per noi due, quali testimoni di nozze. Sedevamo infatti al lato destro del tavolo degli sposi, molto vicini a loro. Alla loro sinistra, c'era la tavolata dei genitori di lei con quelli di lui, con l'aggiunta di Puri, Tanya e Jorge. Ingrid sedeva alla tavolata degli ex compagni di corso dell'Arrànz, in modo che avesse la possibilità di rivedere anche diversi vecchi volti dopo il suo periodo nero. Carmen e Juan sedevano al tavolo di fianco a quello degli ex allievi, con due posti vuoti vicino loro. Erano i posti di Adela e Marta, che non erano presenti. Credo che Adela non fosse venuta per rispettare la scelta della sorella, non perché avesse propriamente lei una motivazione. Ad ogni modo, ci accomodammo tutti meno che Pedro e Lola, ancora impegnati a fare foto. C'era una sorta di dj, il quale annunciò che nell'attesa del ritorno degli sposi, avrebbe per un po' aperto le danze. Partì un energico raggaeton, e subito la pista da ballo del ristorante si gremì di gente. D'altra parte, almeno un sessanta per cento degli invitati amava ballare: comunque, dovunque e con chiunque. Ovviamente io mi lanciai nel ballo, trascinandomi Silvia per un braccio. Ballammo quel raggaeton, la salsa che seguì ad esso, successivamente una rumba, ancora dopo una ballata pop, poi un tango, dopodiché il dj si fermò. Tanya era rimasta per tutto il tempo in piedi vicino alla pista, senza muovere un passo, allora ricordai che le avevo promesso un ballo per quella giornata, tempo addietro. Forse si era offesa che non l'avessi invitata a ballare con me e che avessi preferito scatenarmi con Silvia. Per questo motivo, chiesi un attimo a Silvia e mi avvicinai a Tanya.
- Sei prenotata per il prossimo ballo, preparati.
- Io non sono la seconda scelta di nessuno, nemmeno del ragazzo che amo.
- Oh cielo, Tanya. Di nuovo con questa storia? Pensavo che negli ultimi tempi avessimo chiarito tutto... Quando t'innamorerai davvero capirai cosa vuol dire. Ora rilassati e pensa a trascorrere una bella giornata, d'accordo? E mi raccomando, ti aspetto per il prossimo ballo! Non inventarti scuse!
- Stamattina io e Silvia abbiamo discusso.    
- Che cosa?
- Sì, quando sono andata a fare i capelli a Lola, in albergo. C'era anche lei, con Ingrid. 
- E perché avete discusso?
- Parlane con lei, no? Sono stufa di dare spiegazioni a tutti coloro che mi circondano. Sono stufa, Rober, di essere considerata diversa. Io ti amo, è così. Spero che te ne renderai conto in tempo. Non lasciare che sia troppo tardi. Ora va' da lei e chiedile quello che vuoi. Ma a me non fare più domande, per favore.
- Io non so cosa dirti. Pensavo che quest'ultimo mese l'avessimo passato bene, da buoni amici come lo siamo sempre stati. Ascolta, a me non interessa cosa dicono degli stupidi medici su di te. Io ti voglio bene, ci tengo a te. Questo non cambierà a causa di cartelle cliniche o referti medici. Però non voglio che ti comporti in questo modo e che continui a dire che mi ami. Dopo verrai a ballare con me, ti divertirai ed andrà meglio. A dopo, Tanya.
E detto questo, mi allontanai da lei, un po' amareggiato sul fatto che dopo tanto, avesse di nuovo tirato fuori la storia del suo innamoramento nei miei confronti. D'accordo, avevo accettato il fatto che non fosse pienamente in possesso delle sue facoltà, ma speravo che pian piano si stesse tirando via almeno parzialmente dal burrone, con la mia vicinanza. Invece, in quel momento non sapevo se fosse più giusto continuare a starle vicino. Forse allontanandomi, Tanya avrebbe accettato che non ero il ragazzo che volesse lei e si sarebbe messa l'anima in pace almeno un po'. Però avevo paura che così facendo si sarebbe sentita tradita ed abbandonata perché ritenuta pazza, ed io non volevo questo. La verità è che io Tanya non la conoscevo. Non la conoscevo più, purtroppo. Era così, i suoi problemi si stavano portando via la persona che io avevo tanto adorato tempo prima. In quella situazione, finalmente lo capii. Tornai da Silvia, mentre vidi Pedro e Lola che finalmente prendevano posto. Mi accomodai al tavolo con Silvia, per l'appunto, e fu lei che per prima disse qualcosa.
- Perché sei andato da lei?
- Semplicemente per dirle che alla prossima ballo con lei, visto che gliel'avevo promesso.
- Io ti avevo chiesto di non darle corda, Rober. Tanya non sta bene. Per niente.
- Già, ma se l'avessi abbandonata alla solitudine anch'io, sarebbe stata peggio, ed io non voglio che sprofondi nel baratro. Ascolta, io non ho fatto niente di male nello starle accanto. Io le voglio bene. Non devi essere gelosa di lei, ti prego.
- Non è tanto il fatto di essere gelosa, sai? Il fatto è che io non tollero mancanze di rispetto, neppure se la persona in questione ha problemi psichici, per questo mi da' fastidio che giri intorno ad una come lei.
- Ti ha mancato di rispetto? Parli di stamattina, non è vero?
- Vedo che ha già sputtanato il tutto, bene.
- No, non è andata così. Quando le ho chiesto di parlarmene, lei mi ha risposto di chiedere a te come sono andate le cose. Posso saperlo, Silvia?
- Come vuoi. Stamattina è passata dall'albergo di Lola, e c'eravamo anche io ed Ingrid, che abbiamo trascorso la notte con lei. Appena ha visto che c'ero anch'io, tanto per cominciare non ha risposto al mio buongiorno, ma questo posso tollerarlo. Dopodiché ha fatto le acconciature a Lola ed Ingrid, quindi le ho chiesto anch'io una mano. L'ho fatto perché sino a quel momento di screzi né problemi fra noi non c'erano mai stati, perciò pensavo non ci fosse nulla di male. Sai cosa mi ha risposto? "Non sono una parrucchiera per puttane", ecco cosa mi ha risposto. Io allora, in maniera totalmente pacata, le ho chiesto a cosa dovessi un giudizio tanto negativo da parte sua e lei mi ha detto che pensa quelle cose su di me perché mi scopo l'uomo che lei ama. Ha cominciato poi ad alzare la voce e riempirmi di ulteriori insulti. Ripeteva di amarti e che io ero tenuta a lasciarti stare, perché altrimenti me l'avrebbe fatta pagare e quando mi sarei accorta che fa sul serio, sarebbe stato troppo tardi. Rober, non ce l'ho con lei perché sono cosciente dei suoi problemi, ma... Credo che non sia una buona cosa legarsi così ravvicinatamente a lei in un momento tanto delicato della sua vita. Ha bisogno di cure, le verrano date, tornerà quella di prima ed io non avrò mai nulla in contrario se vorrai recuperare la vostra amicizia. Ma ora è meglio aspettare. Attualmente, non riesce a dare valore a quello che fa o che dice. Io neppure avrei voluto raccontarti di questa mattina, ma tu l'avevi già saputo ed ho pensato che sarebbe stato inutile tenertelo nascosto. Rober, cerca di capirmi.
Quello che mi raccontò Silvia mi destabilizzò completamente. Forse era il caso di aspettare per recuperare quella vecchia amicizia, forse aveva ragione lei. Tanya aveva seri problemi e ormai era palese. Era meglio che lasciassi la questione con lei in sospeso, perché non avevo voglia che trattasse male Silvia. Per questo le diedi ragione.
- Beh, se le cose stanno così allora hai ragione tu. Mi dispiace che ti abbia detto quelle cose, è stata solo colpa mia. Dovevo darti retta da prima, avrei dovuto mantenere con lei un rapporto meno stretto di quello che invece ho provato a costruire. Però adesso non mi va di farci rovinare la giornata da questo, d'accordo?
- Sì, sono d'accordo. 
Detto ciò, io e Silvia andammo a farci le foto con gli sposi. Pedro e Lola erano davvero felici con la fede al dito. Li ho un po' invidiati quella mattina, immaginavo me e Silvia al loro posto e poi ripensavo che in realtà io e lei neppure stavamo insieme. Ma come detto prima, non era poi così rilevante. Noi ci amavamo, trascorrevamo molto tempo insieme ed eravamo felici. A me bastava. Quando poi lei avrebbe voluto riaccogliermi a pieno nella sua vita, io ero pronto e non avrei esitato. Ma non sentivo l'urgenza di essere il suo fidanzato. La cosa più bella era potersi amare, il resto veniva dopo. Speravo arrivasse anche quello, naturalmente. La giornata proseguì molto bene. Tanya non la vidi più al ristorante, ma non volli chiedere a Puri dove fosse. Io me la passai molto bene; mangiai e ballai per tutto il tempo, sempre con Silvia al mio fianco, e tra l'altro ero circondato da vecchi compagni dell'Arrànz ed i miei migliori amici appena sposati. Quando il dj chiamò a fare un lento tutte le coppie di innamorati, riuscii a convincere Silvia a venire con me in pista, e fu molto tenero ballare quel lento. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Da sogno ad incubo ***


23. Da sogno ad incubo
 
 
Fu una giornata meravigliosa, finché Silvia, dopo aver finito di mangiare la torta nuziale, non mi chiese un attimo, quindi mi condusse con lei nel parco che circondava il ristorante. Era ormai sera, saranno state le dieci o le undici. C'era la luna piena e si vedevano tutte le stelle. Ci appoggiammo su una poltroncina ad altalena nel bel mezzo di quello spazio verde, e lei mi disse che aveva bisogno di parlarmi. Io le dissi che non c'era problema, quindi lei cominciò il suo discorso, apparentemente molto agitata. Per questo, la tenni per mano.
- Beh, eccoci qua. Non so da dove partire, ma ho bisogno di parlarti. Quindi lo farò, non so come, ma lo farò. Rober, quando tu sei tornato qui un mese fa io non sapevo cosa fare. La mia testa avrebbe voluto insultarti e mandarti via, il mio cuore avrebbe voluto che restassi per sempre. Credevo che il mio orgoglio fosse più forte di quello che provavo per te e pensavo che il giorno che saresti tornato non avrei esitato a farti tornare da dov'eri venuto. Invece, l'amore ha stroncato il mio orgoglio, ed io non ho saputo farti un minimo di resistenza. L'unica cosa che ho saputo fare è stato prendere tempo. E ne ho preso per vedere se tu saresti saputo restare senza pretendere niente. Ecco, è passato un mese e sei ancora qui. Mi stai vicino, non mi fai mancare nulla e la verità è che io sto davvero molto bene. Ti amo. E so bene che tu ami me. Mi fai sentire speciale, mi fai stare bene. Vedi, stando ai fatti, io mi chiedo cosa stia ancora aspettando. Se ci amiamo, stiamo bene ed io ho avuto tutte le risposte che cercavo, non c'è più alcun motivo per restare in questa situazione. Quello che sto cercando di dirti è che... Non mi interessa degli errori e del dolore del passato. Insomma, non si possono cancellare, però si possono superare ed è quello che è successo a me. Abbiamo già perso tanto tempo, per troppo siamo stati lontani. Beh, quello che voglio è darti la famosa seconda opportunità che tu rincorri da anni. Ti do il bentornato nella mia vita. Questa volta però, a pieno. Sei ufficialmente e completamente perdonato... Sono pronta a tornare con te, se è ancora quello che desideri. Bene, ce l'ho fatta. Te l'ho detto.
Quando udii quelle parole, mi vennero i brividi. Finalmente, potevamo tornare a stare insieme a tutti gli effetti. Era la ciliegina sulla torta. Mi sembrava troppo bello per essere vero. Istintivamente, tolsi la mano da quella di Silvia per mettermela in faccia. Cominciai a piangere. Piangevo dalla gioia. Silvia era un angelo. Silvia aveva saputo perdonarmi degli errori imperdonabili, e l'aveva fatto perché mi amava. Silvia voleva stare con me. Ed era quello che volevo anch'io, perché anch'io l'amavo, con tutto me stesso. Come detto, a me bastava starle accanto anche non essendo propriamente il suo fidanzato, ma il fatto che lei volesse che io tornassi ad esserlo, mi riempì il cuore e mi fece capire che ora avevo guadagnato l'amore di Silvia con tutta la relativa fiducia, ed avrei dato qualsiasi cosa per non deluderla mai più. Capii che ora per me era tutto perfetto: i soldi per andare da Sergio crescevano di giorno in giorno, ed avevo ritrovato Silvia, ma l'avevo ritrovata per davvero. Mi tolsi le mani dal volto e le diedi a Silvia, e mentre le lacrime continuavano a scivolarmi in faccia, provai a dirle anch'io qualcosa.
- Adesso posso finalmente tornarti a chiamare "amore", no?
- Certo; rispose sorridendo, mentre cominciava a dare via qualche lacrima anche lei.
- Amore... Sì, è quello che desidero. Io... Io non so cosa dirti, ti ringrazio perché mi hai concesso l'opportunità di restarti accanto. Mi hai ascoltato ed hai cercato di capirmi anche se non lo meritavo. Ti prometto che da oggi non ti farò mancare nulla, non ti farò stare male e non sbaglierò più. Non ho la minima intenzione di deluderti o di farti soffrire a causa mia. Io... Io ti amo da morire... Ti sposerò e ti renderò felice ogni giorno della mia vita. Mi sveglierò tutte le mattine al tuo fianco e ti guarderò aprire gli occhi. Cercherò di darti tutto ciò che desideri ed invecchierò con te. Non ti lascerò mai, finché non morirò con la fede che porta il tuo nome ancora al dito. Quel nome che è scritto nel mio cuore da anni e che niente ha mai potuto cancellare. Voglio vivere per questo. Ti amo. Ti amo davvero, amore mio. Grazie, grazie di tutto.
Lei si alzò, e con un braccio alzò anche me. Piangendo, si gettò nelle mie braccia, ed io non potei far altro che stringerla forte. Piansi anch'io, altroché se piansi. Fu un pianto di gioia che ricorderò per tutta la vita. Poi ci guardammo e ci sorridemmo. Eravamo così felici da non ricordare più dove eravamo e cosa ci facevamo lì. Sapevamo solo di essere l'uno accanto all'altra e che ci amavamo da folli. Silvia alzò la testa e mi disse che quella stella, la stella che le avevo "regalato", l'aveva guardata tutte le notti prima di dormire, dalla notte in cui ne avevamo parlato. E poi, col vento che ci accarezzava i capelli, ci baciammo a lungo. Nel bacio, la sentivo sorridere. Percepivo quanto fosse felice, e lo era come me. Dunque la presi per mano. Stavamo per tornare dentro, avevamo voglia di condividere il tutto con Pedro e Lola. Ridevamo. Eravamo felici come forse mai nella nostra vita. Sembrava un sogno. Peccato che però, nel giro di un secondo, divenne un incubo. Bastò un attimo, il tempo di un sorriso, un battito di palpebra. Il tempo di sentire un rumore che echeggiò nell'aria come un tuono. Già, un rumore e poi le mie urla. Quel rumore era il rumore di uno sparo. Uno sparo, poi Silvia si accasciò a terra. Perdeva sangue dal basso torace. Mi sentii togliere il cuore dal petto. Le mie lacrime di gioia non si erano ancora asciugate, eppure già erano sovrastate da altre di dolore. La presi tra le braccia, urlai il suo nome con tutto il fiato che avevo nei polmoni. E mi voltai. Non volevo credere a quello che vidi. A qualche metro di distanza, affacciata da una siepe, c'era Tanya. Aveva una pistola in mano, e la teneva ancora impugnata e dritta verso me e Silvia. La guardai, tremando. Ma non riuscii a dirle né farle nulla. Riuscivo solo a piangere ed urlare il nome di Silvia. In breve, il giardino si gremì degli invitati. Tanya rimase ancora lì, immobile ed impassibile. Fu raggiunta da Puri, che le strappò la pistola da le mani e le urlò in faccia "Tanya, ma cos'hai fatto? Cos'hai fatto?", mentre io guardavo gli occhi terrorizzati di Silvia. Non capivo più nulla. Vedevo gente scandalizzata accerchiarsi attorno a me, poi vidi Pedro agitarsi al mio fianco. Silvia perdeva sangue, io la accarezzavo e la stringevo, poi notai Lola in lacrime al telefono, che chiamava un'ambulanza. Tanya passò al mio fianco, tenuta per un braccio da Puri. Volle fermarsi, mi guardò e mi disse con una freddezza assurda:
- Vi avevo avvertiti che quando avreste capito che facevo sul serio, sarebbe stato troppo tardi. Ciao, tesoro.
Puri la trascinò via, in lacrime. Non le dissi nulla, non avevo la lucidità per dire nulla a nessuno. Avevo solo bisogno di Silvia. Pedro mi batteva colpi sulla spalla dicendomi di stare tranquillo, alzai lo sguardo e vidi Lola ed Ingrid piangere abbracciate, poi Romàn che portava Jorge lontano e Carmen disperata mentre Juan tentava di calmarla. Non mi ero mai sentito così in vita mia. È come se volessi fare a pugni col mondo ma non riuscissi a muoverti, è come se avessi freddo ma non avessi le forze per rimboccarti le coperte. È la sensazione peggiore del mondo, quella che ti fa sembrare che qualcuno ti abbia rubato l'anima nel momento in cui l'avevi dopo tanto ritrovata. Non so dopo quanto, perché furono secondi interminabili, ma so che l'ambulanza arrivò. Non fecero salire nessuno, quindi ricordo che riuscii a trovare la lucidità per guidare la macchina accodandomi all'ambulanza. Partì anche Pedro con la macchina degli sposi, con lui vennero Lola ed Ingrid. Non so chi altro seguì, ma so che dietro di me c'erano diverse vetture. Arrivati in ospedale, corsi dietro la barella di Silvia finché mi dissero che non potevo entrare nella sala dove la stavano portando. Mi accomodai su una di quelle seggiole di plastica tipiche dei corridoi ospedalieri, con la puzza di minestrina marcia mista ad alcool sotto il naso. Mi misi la testa tra le braccia e cominciai a piangere di nuovo. Non riuscivo a pensare a nulla, la paura mi bloccava completamente. In breve mi raggiunsero Pedro, Lola ed Ingrid, seguiti da una Carmen totalmente terrorizzata. Pedro si accomodò accanto a me ed io mi sfogai con lui.
- È tutta colpa mia... Silvia mi aveva detto di non legarmi troppo a Tanya, ma io non le ho datto retta e ci ha rimesso lei... Sai, me l'aveva detto che se Tanya non veniva provocata non faceva male ad una mosca... Ed io cosa ho fatto? L'ho provocata nel peggiore dei modi senza rendermene conto e sono andato incontro a conseguenze disastrose... È come se le avessi sparato io, capisci? Tanya non ha colpe, ha solo bisogno di essere curata... Finora non aveva fatto male a nessuno perché nessuno è stato tanto idiota come il sottoscritto... Ma perché non l'ho presa io la pallottola? Perché? Silvia non deve pagare per le mie colpe... Io le ho promesso che non l'avrei più fatta soffrire per niente al mondo e guarda cos'ho combinato? Non è giusto, Pedro... Forse non sarei dovuto tornare in questa città, così Silvia sarebbe stata meglio... E sono riuscito anche a rovinarti il giorno più bello della tua vita... Sono un essere mostruoso, mi dispiace...
- Sta' zitto, Rober... Non è assolutamente vero che è colpa tua... Magari noi non avremmo dovuto invitare Tanya al matrimonio sapendo le circostanze...
- Ma che dici? Sono io l'unico responsabile di tutto questo... Solo io... Riesco a distruggere la vita di chi amo con una leggerezza clamorosa... Sai cosa mi aveva appena detto Silvia? Che mi amava e che voleva finalmente tornare con me. Mi aveva detto che con me sta molto bene e che questo le ha fatto superare il dolore del passato. Voleva ricominciare con me, capisci? Era così felice... Le brillavano gli occhi... Ci siamo abbracciati e baciati e stavamo entrando per dirvi che volevamo riprovarci... Non ero tanto contento da non ricordo quanto tempo... E poi non ho capito più niente, Pedro... Semmai le succedesse qualcosa io non me lo perdonerei mai... Mai...
- Smettila di caricarti di colpe, ti prego. Silvia è forte, ce la farà e tu non devi dire una cosa del genere neppure per scherzo. Tra qualche ora saremo tutti fuori da questo incubo e comincerà la vostra nuova vita, sta' tranquillo...

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Il prezzo della felicità ***


24. Il prezzo della felicità
 
 
Il tempo di asciugarmi un paio di lacrime, che un medico uscì dalla sala dove avevano portato Silvia poco tempo prima. Gli corsi incontro e lui mi parlò.
- Lei è un parente della signorina?
- No dottore, io sono il suo compagno. Roberto Arenales, piacere.
- Dottor Fernando Ruiz, piacere mio. Dunque, la signorina ha perso molto sangue, ma ora sta bene. È attualmente cosciente e non sembrano esserci complicazioni per quanto riguarda la ferita.
- Oh mio Dio, ti ringrazio... Quindi è tutto a posto? Posso vederla?
- Beh, non è esattamente tutto a posto. Vede, capisce bene che dobbiamo operarla per rimuovere la pallottola.
- E allora?
- Dato lo stato gravido della ragazza, l'operazione...
Mi si fermò il cuore per qualche istante, credo. Interruppi il dottore.
- Un momento... Lei mi sta dicendo che Silvia aspetta un bambino? È incinta?
- Oh, sì. Di cinque settimane, per l'esattezza.
- Mio Dio, ma non è possibile... Vede dottore, il fatto è che anni fa Silvia è rimasta incinta ma poi ha avuto un aborto spontaneo, che le ha comportato la lesione di un'ovaia e quindi la quasi totale infertilità. Non potrebbe avere bambini...
- Sì, lo so. Dalle lastre che le abbiamo fatto, si nota la lesione. Effettivamente non è uno scherzo e come ha detto lei comporterebbe l'infertilità. Le possibilità di concepire nello stato della signorina corrispondono a circa un 8%. Ma cosa vuole che le dica, quell'8% esiste. Le posso assicurare che la sua compagna aspetta un bambino da cinque settimane orsono.
In quel momento il mio viso riprese il colore che aveva perso e si illuminò di un sorriso raggiante. Avrei avuto un figlio da Silvia. Finalmente. Effettivamente, cinque settimane prima avevamo fatto l'amore, due giorni di fila. Corrispondeva tutto. Pedro mi abbracciò, io ricambiai e poi ripresi a parlare col dottore.
- Mi scusi, è che non me l'aspettavo. È meraviglioso. 
- Mi perdoni, signor Arenales. Mi dispiace rovinare la sua felicità, ma come le dicevo prima, dobbiamo operare la signorina. Vede, la posizione del proiettile non ha leso il feto per miracolo, ma con l'operazione che andremo ad effettuare per la rimozione, ci sono scarsissime possibilità che esso sopravviva. 
- Questo vuol dire che il bambino non ce la farà?
- Beh, in questo caso mi dispiace ma credo che non abbia alcuna possibilità. Però ora deve starmi a sentire per bene. Ecco, in realtà esiste un altro tipo di operazione per rimuovere il proiettile, che non interesserebbe la zona del feto. Quest'operazione però, è di gran lunga più complicata. Proteggerebbe il feto, ma solo in caso di riuscita. E le probabilità che l'intervento non comporti complicazioni sono basse, molto basse. Quello che voglio dirle è che andando ad intervenire con quest'operazione alternativa, viene messa a rischio la vita della signorina stessa. Se l'intervento dovesse fallire, la signorina potrebbe perdere la vita e di conseguenza anche il bambino. Al contrario, se l'intervento dovesse riuscire, riusciremmo a salvare sia la signorina che il bambino. Come medico, sono in dovere di dirle che l'operazione alternativa è davvero molto rischiosa e noi non possiamo garantire nulla, mentre l'altra operazione è sicura. Sono anche in dovere di consigliarle l'intervento tradizionale. Ma era giusto farle sapere come stanno le cose. Vede, signor Arenales, noi non abbiamo ancora detto nulla alla signorina. Credo che non sappia neppure di essere incinta. Vorremmo che le parlasse lei, in qualità di suo compagno e padre del bambino, e che insieme decideste cosa fare. Spero che le sia tutto chiaro. E se non le spiace, dovrei anche chiederle di decidere in fretta, perché aspettare troppo per operare, non giova alla paziente.
Rimasi a bocca aperta. Avevo colto perfettamente il discorso del dottore. Naturamente avrei accettato senza esitazione a parlarne io con Silvia. Ma sapevo quanto sarebbe stato doloroso per lei sapere in quale situazione si trovava. Desiderava con tutta l'anima diventare madre ma ormai si era tristemente rassegnata al fatto che questo desiderio non potesse diventare realtà. Io avrei dovuto dirle che aspettava un figlio, tra l'altro mio, e lei sarebbe esplosa in una gioia sconfinata. Quando aveva ormai smesso di crederci, tutt'un tratto si vedeva aprire uno spiraglio per il desiderio di una vita a cui ormai aveva rinunciato. Avrei però dovuto anche dirle che quel figlio non sarebbe potuto nascere, perché altrimenti ci si sarebbe giocata la vita. Io ero straziato. Se Silvia non si fosse presa quella pallottola, sarebbe diventata madre, che era la cosa che più desiderava al mondo. Ed io sarei stato il padre di suo figlio. Finalmente avrei potuto vederla realmente e completamente felice di vivere. Invece no. I miei errori costavano troppo. Dovevamo rinunciare a quel bambino, già perduto una volta. Dissi al dottore che con Silvia avrei parlato io, poi scambiai uno sguardo con Pedro, Lola, Ingrid e Carmen ed entrai nella sala. Lì, in un letto, con mille cavi attaccati addosso, c'era Silvia. Sembrava assonnata, ma aveva gli occhi aperti e mi riconobbe subito. Fu la prima a rompere il silenzio.
- Amore...
- Ciao amore...; dunque mi appoggiai al suo letto, tenendole la mano, - Come ti senti?
- Non lo so... Sto bene ma sono molto stanca... Ho dei dolori nella zona addominale... Cos'è successo esattamente?
- Tanya ci ha visti insieme e ti ha sparato. Ho avuto tanta paura... Vedevo solo sangue... Io... Io non ho capito più nulla... Mi dispiace, è tutta colpa mia. Mi avevi detto di starle lontano ma io ho fatto di testa mia e come sempre ho sbagliato. Perdonami, amore. Dovevo prenderla io quella pallottola...
- Non dire sciocchezze, non è colpa tua. Ora va tutto bene, no? È tutto finito.
- C'è qualcosa che devi sapere.
- Cosa?
- Beh, devi ancora operarti per estrarre il proiettile.
- E cosa stanno aspettando?
- Proprio questo è il punto. Stanno aspettando che decidiamo quale intervento fare.
- E come mai? Perché, abbiamo la possibilità di scegliere?
- Amore... Sei incinta di cinque settimane. 
- Ma che dici? È impossibile, lo sai anche tu!
- Ti assicuro che è così. Era una possibilità molto remota, ma tuttavia esistente. Il dottore mi ha detto che nel tuo stato, le possibilità di concepire corrispondono ad una percentuale che si aggira attorno all'8%. Però, è pur sempre una percentuale. 
- Oh mio Dio... Amore, ma... Aspettiamo un figlio... Un figlio nostro... E questa volta nascerà davvero... Cascasse il mondo... È un regalo del cielo, un miracolo... Non ci posso credere è meraviglioso! 
- Non è così semplice.
- Rober, non vuoi questo bambino? Vuoi dire questo? Ma perché? È la cosa più bella che ci potesse succedere... Perché non lo vuoi? Tu mi ami, perché non lo vuoi? Sai che è la cosa che più desidero al mondo, no? E poi è anche il tuo bambino... Perché non sarebbe così semplice, eh?
- Per l'amore del cielo, Silvia... Sarebbe la cosa più bella del mondo avere un figlio con te... Lo vorrei anch'io con tutto il cuore, credimi... Il problema è un altro!
- Parla chiaro, per favore.
- Ecco, il fatto è che dovendoti operare... Beh, con l'intervento che intendono farti... Il bambino non sopravviverebbe. Mi dispiace.
- Stai scherzando?
- Vorrei che non fosse vero. Ma purtroppo non sto scherzando.
- No... Dev'esserci per forza un altro modo... Se qui intendono operarmi facendomi perdere il bambino, vorrà dire che mi farò trasferire in un'altra clinica... Magari in America, o in qualsiasi altra parte del mondo... Amore, aiutami... Andiamo via da qui... Io... Io non permetterò che questo bambino se ne vada un'altra volta... Non lo permetterò...
- Ehi amore, calmati. In qualsiasi altra parte del mondo, la situazione resterebbe questa. Beh, in realtà c'è un'alternativa. Il dottor Ruiz mi ha parlato di un intervento che rimuove la pallottola senza operare sulla zona fetale. In questo modo, non perderesti il bambino. Il problema è che quest'operazione è rischiosissima ed ha un tasso di riuscita molto basso. Rischieresti la tua stessa vita. Capisci bene che non possiamo prendere in considerazione quest'opzione...
- Tu hai detto che i medici lasciano a noi la possibilità di scegliere, no?
- Com'è ovvio che sia. Non starai mica pensando all'operazione alternativa, vero?
- Amore, ascoltami. Questo bambino è un dono di Dio. Sai bene che io avevo possibilità quasi nulle di restare incinta. Se è successo, dev'esserci un motivo. Non posso lasciare che muoia senza aver provato il tutto per tutto per salvarlo. Ti prego Rober, lascia che mi operino tentando di salvare questo figlio. Ti prego.
- Sei impazzita? Tu... Tu potresti morire... E con te anche il bambino... Per favore, Silvia... Ragiona... Non puoi farlo, è troppo rischioso... Il dottor Ruiz mi ha parlato chiaro... Non ci daranno garanzie di riuscita... Mi hanno vivamente sconsigliato quell'operazione... Amore, non posso lasciartelo fare. Io non posso rischiare di perderti... Proprio ora che ci siamo ritrovati... Non me lo perdonerei mai... E non riuscirei a vivere senza di te... Lo capisci questo, vero? Mi capisci?
- Amore... Se mi ami, concedimi questa decisione. Sai bene che ho passato tanti anni della mia vita ad ascoltare da qualcun altro cosa dovessi o non dovessi fare. È qualcosa che non ho mai sopportato. So che tu non vuoi farmi soffrire perché mi ami, quindi so che non ti permetteresti mai di dirmi cosa fare o non fare. So che non vorresti che rischiassi la mia vita, sempre perché mi ami, ma ti prego di lasciare che io lo faccia per salvare questo figlio. L'ho già ucciso una volta e sai quanto ne sono stata male. Lascia che stavolta io dia il tutto per tutto per metterlo al mondo. Se mi ami, lascia che tenti di salvarlo. Sarebbe il nostro bambino... Nostro figlio, il frutto del nostro amore... Ti prego, concedimi di tentare. Fallo, se mi ami. Per favore.
Cominciai a piangere a dirotto, le strinsi ancora la mano e ripresi.
- Non puoi chiedermi questo...
- Amore mio, guardami. Non pensare neanche per un istante che se sono in questo letto d'ospedale, è per colpa tua. Adesso va' dal dottore e comunicagli quello che abbiamo deciso. So che è difficile, ma lascia che io ci provi. Non voglio perdere questo bambino per niente al mondo, neppure la mia vita. Non riuscirei a vivere sapendo che non ho fatto il massimo per salvarlo. Tu sei l'unico che possa capire. Per questo, ti sto chiedendo una cosa simile. Non piangere. Ricorda che comunque vada, ti ho amato, ti amo e ti amerò sempre. E restami accanto qualsiasi cosa accada dopo l'operazione. Non ci ha mai divisi niente e non potrà farlo neppure un'eventuale morte.
- Non parlare così, per favore... Ma sei sicura di quello che vuoi fare?
- Sì. Dillo al dottor Ruiz, avanti.
- Amore... Va bene, come vuoi tu. Mi costa tantissimo lasciartelo fare, sai? Ho tanta paura. Sappi che lo faccio solo perché so quanto sia importante per te. So che è la cosa che finalmente potrà renderti la vita serena. Ed io non sono nessuno per impedirti di lottare per questo. Lo faccio perché ti amo da morire. Ma per favore, non lasciarmi. Anzi, non lasciatemi. Non potrei vivere senza di voi. Silvia, ti amo. Dio, se ti amo.
- Sapevo che avresti capito. Grazie, amore mio. È la più bella cosa che potessi mai fare per me. Forse gli altri non capiranno, ma a te deve bastare che lo capisca io. Ti amo tanto anch'io. E questa è stata l'ultima dimostrazione che mi consente di avere la certezza che sei l'uomo della mia vita. Vieni qui.
Mi abbandonai piangendo disperato tra le sue braccia. Mi prese poi il volto tra le mani e riprese.
- Non devi piangere. Io sono felice di lottare per questo. È un miracolo, dobbiamo esserne contenti. Devi stare tranquillo. Voglio solo che tu mi prometta che mi starai vicino qualsiasi cosa accada... D'accordo, amore?
- Ma certo. Non devi dubitarne minimamente. Però ho troppa paura, troppa...
- Andrà tutto bene, fidati di me. E tra nove mesi avremo un figlio. Devi essere felice. Ora è arrivato il momento. Credo che non sia una buona cosa aspettare troppo tempo. Va' dal dottore, per favore.
- E va bene. Amore, un'ultima cosa.
- Dimmi.
- Ti amo da morire.
- Lo so, amore. Ti amo da morire anch'io.
- Perdonami per tutto.
- L'ho già fatto.
- E grazie di tutto, di ogni cosa, davvero.
- Grazie a te. Ora vai.
- D'accordo. Ci vediamo dopo, allora. Ti amo.
- A dopo. Ti amo anch'io.
Ci baciammo appassionatamente per qualche istante. Poi le baciai la fronte, mentre lei mi sorrideva e mi asciugava le lacrime. Successivamente le diedi nuovamente un bacio sulla bocca, poi mi alzai dal letto e raggiunsi la porta. Prima di girare la maniglia, mi voltai un'ultima volta. Silvia mi sorrise. Io ricambiai con un sorriso piuttosto amaro, accompagnato da una lacrima che non riuscii a trattenere. So solo che poi spinsi quella maledetta maniglia e mi chiusi la porta alle spalle. Ed una volta chiusa, mi lasciai andare ad un pianto liberatorio. Avevo pianto molto anche mentre avevo parlato con Silvia, ma lì avevo cercato di trattenermi perché sapevo che a lei non sarebbe piaciuto vedermi a pezzi. Ora invece piangevo in maniera totalmente disperata e terrorizzata, con le mani sul volto. Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia. Quando misi via le mani, mi trovai accerchiato da Pedro, Lola, Ingrid e Carmen. Mi guardarono, ma non ebbero il coraggio di dirmi nulla. Io presi un bel respiro e mi diressi verso il dottor Ruiz, che si trovava poco più avanti a braccia conserte. 
- Dottore, abbiamo deciso.
- Dunque, mi dica.
- Vogliamo fare l'operazione alternativa, quella che potrebbe salvare il bambino.
- Lei ne è convinto? Le ripeto che è molto rischiosa e noi non possiamo garantire nulla.
- Guardi, è stata la decisione più difficile della mia vita. Ne ho parlato con la mia compagna e lei è sicura di voler tentare il tutto per tutto per il bambino. Io le ho spiegato per bene come stanno le cose, ma lei non ha avuto dubbi. È pronta a rischiare la vita per diventare madre. E se è quello che desidera di più al mondo, è giusto che io mi faccia da parte. Dottore, non me lo chieda un'altra volta. La decisione è stata presa, potete trovare conferma in Silvia. La prego però, faccia del suo meglio.
- Questo posso garantirglielo. Ad ogni modo, voglio complimentarmi per il vostro coraggio. Rischiare così tanto per salvare la vita di un figlio è da pochi. Le assicuro che è qualcosa di davvero ammirevole. Io e la mia equipe faremo del nostro meglio, anche se le ripeto che è un'operazione molto difficile da scarse probabilità di riuscita. Bene, prima operiamo, meglio è. Ci vedremo a fine intervento. Le farò sapere come sarà andato. Può attendere qui, ma ci vorranno delle ore. Con permesso.
Ruiz andò dritto nella stanza di Silvia e si chiuse la porta alle spalle senza dare modo a nessuno di cogliere il suo sguardo. Le vie per la sala operatoria si trovavano dall'altro lato della stanza, quindi Silvia non sarebbe ripassata davanti a noi prima dell'operazione. Mi accasciai stremato su una delle seggiole, quindi i ragazzi e Carmen mi vennero vicino. Io cominciai a parlare per tentare di spiegare il perché della decisione.
- Non chiedetemi nulla. Non so se lo sapevate, ad ogni modo Silvia aveva possibilità praticamente nulle di concepire un bambino a causa di un problema alle ovaie conseguito al suo aborto spontaneo di anni fa. In questo mese abbiamo avuto un rapporto sessuale solo due volte, e non so come, Silvia è rimasta incinta. Quando cinque anni fa aveva ballato nonostante sapesse di essere incinta e di conseguenza aveva perso il bambino e si era lesa un'ovaia, ha passato dei giorni davvero difficili. Si è rialzata a fatica. Ma mai del tutto. Una volta venuta a conoscenza che quel problema alle ovaie non le avrebbe mai più concesso di diventare madre, si è da sempre colpevolizzata di aver ballato quel giorno. Quella ferita le è sempre rimasta aperta. Ed oggi, non so grazie a quale miracolo, si è ritrovata un figlio in grembo. Di nuovo un nostro bambino. Il sogno della sua vita che sembrava svanito per sempre. Io le ho detto che non sarebbe stato affatto il caso di rischiare, visto le basse probabliltà di riuscita dell'operazione, ma lei ha insistito. Dice che questo figlio è un dono del cielo e che se è venuto, ci sarà un motivo. Ha giurato a sé stessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tentare di salvarlo, anche rischiare la sua stessa vita. Crede che altrimenti non riuscirebbe a vivere col rimpianto di non aver tentato il tutto per tutto per lui. Pensa che quel bambino l'ha già ucciso una volta e non vuole più fare lo stesso errore. Se ne attribuisce tutte le responsabilità in maniera molto dura. Mi ha guardato negli occhi e mi ha supplicato di lasciare che si operasse anche per il nostro bambino. Già, è nostro figlio. Ha detto che se davvero la amo, devo lasciarglielo fare. E credetemi, nella mia vita, sono sicuro di una sola cosa: che la amo. Non so se riuscirete a capirmi, ma io voglio provare a spiegarvi quello che ho pensato quando mi ha detto quelle parole. Io credo che se gliel'avessi impedito, prima di tutto le avrei fatto un torto perché si sarebbe sentita di nuovo non libera di fare le scelte della sua vita ed è l'unica cosa che Silvia non tollera in nessuno. Inoltre, le avrei così impedito anche di lottare per il sogno della sua vita. Io non sono nessuno per proibirglielo. Dopodiché, non le avrei dato l'opportunità di vivere una vita serena senza il rimpianto di un figlio perduto per la seconda volta e tra l'altro non me l'avrebbe mai perdonato. Infine, quello è il nostro bambino. Il frutto del nostro amore. E non c'è cosa più bella che io abbia mai provato in tutta la mia vita. Se Silvia vuole lottare per lui, io sono con lei. Se c'è anche solo una minima possibilità di riuscita, un minimo spiraglio di luce, è giusto che si provi a raggiungerlo. Io credo che se non le avessi permesso di operarsi con l'intervento alternativo, sarebbe stata una questione di puro egoismo. Avrei solo pensato al fatto che sicuramente non avrebbe perso la vita e quindi sarebbe rimasta accanto a me. È un discorso un po' da egoisti, no? Beh, io ho voluto provare a pensare a lei. A cosa l'avrebbe resa felice. Credo che questo sia il senso dell'amore. E c'era un modo soltanto per provare a farla felice. È il più rischioso, ma se riuscisse finalmente Silvia avrebbe la vita serena e senza rimpianti. Lei è pronta a rischiare, ed io voglio appoggiarla. Ho una paura assurda, credetemi. Ma la felicità di Silvia, vale più delle percentuali scientifiche di un intervento chirurgico. Dopotutto, le percentuali davano per impossibile anche che potessimo avere un bambino. E invece, è arrivato. Le ho concesso di fare quest'intervento semplicemente perché la amo da morire e farei qualsiasi cosa per vederla felice. Tutto qua. 
- Io ti capisco.; fece Pedro, - Ti assicuro che è la più grande prova d'amore a cui io abbia mai assistito, amico mio. Io sono con voi.
- Beh...; soggiunse Lola, - Francamente io non saprei cosa avrei fatto al posto tuo. È un po' difficile. Metti davanti a tutto la sua serenità, e questo è splendido, però non credi che venga prima la sua vita della sua serenità? Rober, io ho molta paura...
- Lola...; risposi allora, - L'avrei condannata ad una vita infelice. Questa è una certezza. Le ho già dato tanto dolore, e non voglio farlo mai più. Vederla star male mi uccide. Sapere che soffre è un peso immenso da sorreggere. E sapere che soffre per colpa mia, è troppo. Io non voglio che stia male. Voglio che sia felice. Cosa credi, anch'io sto morendo di paura come mai in vita mia. Ma se c'è una possibilità di farla felice per sempre, e se è quello che vuole anche lei, penso sia giusto così. Silvia sapeva che sarebbe stato difficile da capire agli occhi degli altri. E ne sono consapevole anch'io. All'inizio non volevo che facesse quest'intervento, però ora, pensandoci bene, io credo che abbiamo fatto la scelta giusta. Spero solo vada tutto per il verso giusto, perché Silvia se lo merita. Sappiate che semmai qualcosa dovesse andare storto, non mi rimprovererò mai di averle concesso quest'intervento. Mai. Il perché ve l'ho già detto. Quello che non smetterò mai di rimproverarmi, è invece che quel proiettile non sarebbe mai partito se non fosse stato per me. Silvia mi ha pregato di non colpevolizzarmi, ma è più forte di me. È colpa mia e basta. Se l'intervento non dovesse andare bene, mi ucciderei di questo rimorso. Ero tornato per non farla soffrire, e invece è in un letto d'ospedale a causa mia.
- Non dire così...; mi fece Pedro.
Continuavo a piangere, e con me piangeva Lola. Ingrid se ne stava muta in un angolo, Pedro mi restava accanto con una faccia distrutta dallo stress e Carmen non diceva una parola, camminando nervosamente per il corridoio. Le ore passarono in questo modo. Avevo paura di veder arrivare Ruiz che avrebbe scosso la testa. Appoggiai la mia testa sulle gambe di Lola, che aveva fatto in tempo a sfilarsi l'abito da sposa per dei pantaloni di seta poco prima di venire all'ospedale. Furono ore interminabili. Mi tolsi la cravatta che mi stava soffocando, e allo stesso modo la giacca. Pedro era ancora impeccabilmente vestito da sposo. Cominciavo a sudare freddo. Mi alzai e mi affacciai dalla finestra. Era l'alba. Carmen mi affiancò e crollò. Cominciò a piangere anche lei. Le volli dire qualcosa.
- Mi perdoni, Carmen. Non avrei mai voluto che succedesse una cosa simile proprio a Silvia. Mi perdoni, è colpa mia.
- Non è colpa di nessuno, Rober. Solo di un destino crudele. Ma vedrai che Silvia ce la farà. Ne ha passate tante, forse troppe, ma ce l'ha sempre fatta. Andrà così anche stavolta. Sarà l'ultimo ostacolo prima della sua felicità. D'altra parte, per avere l'arcobaleno bisogna prima sopportare la tempesta.
Piangendo, la abbracciai. Poi ripresi a fare sopra e sotto per quel maledetto corridoio. Stavo scoppiando, non ce la facevo più. Ero troppo agitato per poter aspettare ancora. Colsi con gli occhi un bacio triste e nervoso fra Pedro e Lola. Ero molto rammaricato di come fosse andata a finire la giornata più bella ed importante della loro vita. Silvia doveva farcela, altrimenti nulla avrebbe più avuto senso. Nulla. 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** La bella addormentata ***


25. La bella addormentata
 
 
Saranno state le nove del mattino, quando Ruiz finalmente uscì da quella stanza. Aveva lo sguardo basso e mi si avvicinò in maniera pacata. Non era entusiasta e questo mi preoccupava. Alzò lo sguardo e abbozzò un amaro sorriso prima di cominciare a parlare.
- Le avevo detto che non sarebbe stato facile, Arenales.
- La prego dottore, mi dica com'è andata. Come sta Silvia? L'intervento è riuscito?
- Si segga, per favore.
- Preferisco di no, davvero... Avanti, parli... Per favore!
- Come vuole. Beh, l'intervento è riuscito. La signorina è in vita e con lei anche il bambino. Però mi rincresce comunicarle che la signorina è entrata in stato di coma. Mi dispiace, le garantisco di aver fatto l'impossibile. 
- Coma? E questo cosa vuol dire?
- Avanti, lo sa bene. Il coma può durare un'ora come un decennio. Non posso dirle in quanto tempo la signorina ne uscirà. Sappiamo bene che si può uscire solo in due modi da esso: il risveglio o la morte. Se la paziente si sveglierà, anche per il bambino sarà tutto a posto. Altrimenti, può immaginarlo da sé. Se vuole, da ora può vederla e starle accanto quanto vuole finché l'infermiera non passa per il cambio delle flebo. Per favore, massimo quattro persone alla volta. Arenales, giuro che abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e potevamo. Il nostro compito termina qui. Non ci resta che aspettare. Con permesso.
Il dottore si allontanò svelto e serio. Io mi accasciai a terra. Piangevo straziato, come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal petto. Avrei dovuto sopportare l'immagine di Silvia in un letto d'ospedale, tra l'altro non cosciente, chissà per quanto altro tempo. Ma come detto prima, non mi rimproveravo di averle lasciato fare quell'intervento. Mi rimproveravo di non averle dato retta per quanto riguardava Tanya e mi incolpavo per il proiettile che si era presa. E poi cominciarono a scorrermi in mente tutte le immagini dei momenti trascorsi con lei, sia quelli felici che quelli pieni di dolore e incomprensione. Ripercorsi la nostra storia in un secondo, poi Pedro mi tirò su e mi abbracciò. Anche lui piangeva, in modo più cauto ma piangeva. Pochi secondi e tornai abbastanza cosciente da ricordare che il dottor Ruiz aveva detto che da quel momento si poteva stare accanto a Silvia. Aveva detto massimo quattro persone, ma io ebbi una richiesta da fare ai ragazzi e Carmen.
- Perdonatemi, finora ho condannato i discorsi egoistici... Ma devo chiedervi un po' di tempo da solo accanto a Silvia. Concedetemi solo qualche minuto, poi sarete ovviamente liberi di vederla anche voi. Per favore, se potete...
- Ci mancherebbe.; fece Pedro, - Va' pure.
Gli altri dietro di lui annuirono, quindi ringraziai ed entrai da Silvia. Chiusi la porta e mi appoggiai su uno sgabello appena a lato del suo letto. Era coperta fino al seno, portava un orrendo camice bianco ed aveva un espressione rilassata. I mille cavi le erano ancora tutti attaccati addosso. Su un monitor era mostrato il suo battito cardiaco, e sotto al suo ce n'era un altro. Credo fosse quello del nostro bambino. Guardai il volto di Silvia e cominciai a dirle tutto quello che mi frullava in testa, tenendola per mano.
- Ciao amore mio. Ti avevo promesso che ti sarei stato accanto qualsiasi cosa fosse successa durante l'intervento, quindi eccomi qua. Certo, non è quello che speravo, ma sono cosciente che sarebbe potuta andare anche peggio. Devi tornare presto, mi raccomando. Altrimenti io come faccio? Non so se riesci ad ascoltarmi, però lo spero, perché dicono che durante il coma, al paziente faccia bene sentire la presenza di qualcuno a sé caro lì vicino. Io spero che tu riesca a sentirmi. Beh, tempo fa mi avevi chiesto di non starmene solo a dire belle parole, ma di dimostrarle a fatti. Mi auguro di esserci riuscito fino ad ora, perché a partire da oggi dovrai sentirmi parlare parecchio. Anzi, dovrete. Già mi manca vederti sorridere, sai? Ed anche guardarti negli occhi e venire rapito da essi. Avevi ragione tu. Avevi ragione quando mi hai risposto male dopo che io ti avevo chiesto di ricominciare solo per la tua felicità. Mi hai detto che era inutile tagliarmene fuori, che era inevitabile che un po' lo volessi anche per la mia di felicità. Eh sì, avevi ragione. Se non apri quei meravigliosi occhi e non mi regali un tuo sorriso, starò male. Sono felice se sono con te, ma non in questa circostanza. Svegliati, prima che puoi. Saremo felici tutti e due. Anzi, tutti e tre. Devo ancora abituarmi a dirlo! Sai amore, un'unica cosa non riesco a fare per te. Tu mi hai chiesto di non sentirmi in colpa per tutto questo, ma è più forte di me. Non mi pento di averti concesso quest'intervento, perché credo sia giusto tentare il tutto per tutto per nostro figlio, se è quello che vuoi con tutto il cuore ed io so che è così. Mi pento però di non averti ascoltato quando mi hai consigliato di non legarmi a Tanya, perché è stato da questo mio atteggiamento che è scaturito tutto questo disastro, è inutile negarlo. Io pensavo che non saremmo mai arrivati a questo punto. E invece... Mi fa rabbia vedere te in questo letto. Ci dovrei essere io a lottare tra vita e morte, non tu. Perdonami. Ero tornato per ricostruire una cosa difficile, ma terribilmente meravigliosa per rinunciarci. Io volevo solo che tu fossi felice, credimi. Ci stavo riuscendo. Ma guarda cos'ho combinato. Mi sono detto che forse era meglio rimanere a Malaga. Almeno ora tu staresti bene. Però poi ho pensato che se tu avessi sentito una cosa del genere dalla mia bocca, me ne avresti dette di tutti i colori. Non è vero? Secondo me mi diresti "Mi sarei persa dei giorni speciali, sarei rimasta triste per tutta la vita e così anche tu. E poi, non aspetterei un figlio dall'uomo che amo. Sono ad un passo dal mio sogno, non potrei chiedere di più. E poi tu sei qui con me.". Sono sicuro che risponderesti una cosa del genere. Ti conosco, sai? Ti amo. Aspetterò il tuo risveglio ogni giorno. Non ti lascerò mai. Adesso faccio entrare anche gli altri, stanno aspettando che io finisca il mio monologo.
Aprii la porta e chiesi al massimo tre persone, visto che la quarta ero io ed intendevo rimanere. Ingrid e Carmen lasciarono passare Pedro e Lola, che entrarono lentamente. Io ormai continuavo a piangere senza rendermene conto, le lacrime scendevano da sole. Si accomodarono e fissarono Silvia con aria afflitta. Lola si mise a piangere a testa bassa, mentre Pedro faceva un po' come me, tante lacrime con il massimo contegno. Misi una mano sulla sua spalla e dissi:
- Non se ne andrà, vero?
- Certo che no. Silvia è forte. E poi, non può andarsene. Ti lascerebbe solo, e sa che tu senza di lei fai solo stronzate. Come puoi pensare che ti lasci?
- Già. Non so cosa darei per starci io in quel letto...
- Sbagli a pensarlo. Silvia non avrebbe mai potuto sopportare l'immagine logorante di te in un letto d'ospedale. Avrebbe sofferto ancor più di quanto sta soffrendo ora. Anzi, secondo me neppure sta soffrendo. Infondo, sta semplicemente dormendo un po' più del dovuto cullando il suo bambino. Inoltre, può ascoltarci. Io credo che se ci fossi stato tu lì, non avrebbe retto un simile dolore. Credimi.
- Forse. Effettivamente vederla lì, incapace di sorridere, di guardare negli occhi e di parlare, non è una bella sensazione. Se questo è il prezzo per tutti i miei sbagli, devi riconoscere che è troppo alto.
- Io non so se è il prezzo da pagare per tutti i tuoi errori, so solo che dobbiamo essere tutti forti. Vedrai che passerà. 
- Voglio crederlo. Fa strano vedere tutta la propria vita in un letto con mille cavi attaccati addosso.
- Sei felice del bambino?
- Da impazzire, perché non avrei mai immaginato che sarebbe potuto accadere. Credimi, è la cosa più bella che potesse succedere. Almeno ho fatto qualcosa di buono da quando sono tornato, no?
- Puoi dirlo forte. Speriamo somigli più a lei però!
- Cretino di un bifolco! Sai quale sarà una delle prime cose che insegnerò a questo figlio?
- Quale?
- Che in amor non vince chi fugge. Questa è solo una presa per il culo. In amor vince chi sa restare.
- O perlomeno, chi ha il coraggio di tornare!
- Già, ma non credo valga sempre. Io sono stato fortunato perché Silvia è un angelo ed ha saputo aspettarmi nonostante tutto, dandomi anche la possibilità di riprendere da dove avevo lasciato. Però ho sbagliato e voglio far capire a mio figlio quello che ho imparato dall'errore più grande della mia vita, che poi ho avuto la fortuna di riparare.
- Sì, hai ragione. 
- Forse ho capito perché il destino ha fatto prendere a Silvia quella pallottola.
- Perché?
- Perché gli angeli del cielo invidiano che la terra abbia un angelo così bello, più di loro. Li capisco, se stanno tentando di prendersela. Ma non ci riusciranno, perché di lei ho più bisogno io che il cielo. Perderei la bussola della mia vita, altrimenti.
- Ehi, sta' tranquillo. Se finora non è riuscito a separarvi nulla, non ci riuscirà nemmeno il cielo. Non esiste niente più del cielo, e non esiste nemmeno niente che vi separerà. Forse è l'ennesima prova del destino per vedere se stavolta le resterai accanto. E tu lo farai.
- Puoi metterci la mano sul fuoco, amico mio. Sai qual'è un'altra cosa che mi fa male di tutto questo? Vedi, nei momenti di difficoltà, io sapevo che Silvia avrebbe saputo confortarmi, starmi vicino. Sapevo che c'era lei, che avrebbe saputo fare qualcosa per aiutarmi. Mi bastava una sua parola, un suo abbraccio, un suo bacio, un qualsiasi suo gesto e stavo meglio. Beh, questo è uno dei momenti peggiori della mia vita e lei non può confortarmi perché... Perché non può fare alcun gesto per me. Io non ce la faccio senza di lei. Ma resterò qui tutto il tempo che servirà. Perché voglio essere il primo a rivedere i suoi occhi e allora sì che starò meglio. 
- Perdonatemi...; intervenne Lola, - Ma io non riesco a stare qui a guardarla senza poter fare niente per aiutarla. Mi fa troppo male, mi dispiace. Cedo il posto a Ingrid o Carmen, magari sono più forti di me. Scusatemi. 
E detto ciò sgattaiolò via dalla stanza, continuando a piangere. Lola era molto fragile. Ed era dovuta crescere troppo in fretta, quando sua madre morì lei aveva solo dodici anni. Ha badato sempre lei alle faccende di casa e a suo fratellino Jorge, mentre suo padre Romàn lavorava duramente per portare i soldi a casa. Pedro alzò le spalle e sospirò, poi mi chiese se non mi fosse dispiaciuto se fosse andato con lei. Io ovviamente non lo trattenni e nello stesso momento in cui uscì, entrarono Ingrid e Carmen. Ingrid chiuse la porta e restò appoggiata su di essa, muta. Carmen si avvicinò a Silvia e le accarezzò il volto. Mi asciugai le lacrime e comiciai a parlarle.
- Perdonami se puoi, Carmen. Mi avevi chiesto solo una cosa: di non sbagliare più con lei. E per l'ennesima volta, non ce l'ho fatta. Mi dispiace.
- Smettila, Rober. Silvia non vorrebbe sentirti parlare così.
- Lo so, ma non riesco a non sentirmi responsabile di tutto questo.
- Mi ha telefonato Alicia da New York qualche ora fa.
- Già, Alicia. Ha saputo?
- Sì. I telegiornali spagnoli ne hanno parlato, forse qualche conoscente di qui deve averla avvertita. Io non me la sono sentita.
- Non importa. Cosa ti ha detto?
- Verrà col primo volo.
- D'accordo. Sa del bambino e dell'esito dell'operazione?
- Questo ho dovuto dirglielo io. 
- Certo. Come ha reagito?
- Non bene. Credo che non sia molto felice che tu sia rientrato nella vita di sua nipote.
- Ai tempi in cui io e Silvia eravamo fidanzati, le piacevo abbastanza. Forse per lo stesso motivo per cui a mio padre piaceva Silvia. Per il cognome, Carmen. Eravamo soli allo stesso modo io e lei. Legati alla famiglia solo da valori biologici, denaro e carriera programmata. Io nascondevo la mia solitudine e la mia fragilità standomene sempre tra la gente e facendo il duro e il pagliaccio. Lei invece è sempre stata più tenera, più delicata. Nascondeva tutto questo nel silenzio e nella professionalità del ballare. Però siamo sempre stati simili, sotto sotto. Beh, tornando ad Alicia, si vede che ora che sua nipote si è resa totalmente indipendente da lei ed io ho definitivamente spezzato a mio padre il suo sogno di vedermi imprenditore, ha forse capito che il nostro amore a lei non frutta nulla. Adesso verrà qui e mi rimprovererà di non averle impedito di lottare per nostro figlio. Tanto lei cosa ne sa? A Silvia non ha mai fatto decidere nulla. Figuriamoci se le avrebbe concesso di decidere per la cosa più importante di tutta la sua vita. Non sto dicendo che non le vuole bene. Sto solo dicendo che non si è mai sforzata di regalarle un sorriso. Forse non l'ha mai capita. Io non lo so. Ma è giusto che venga qui per stare vicino a Silvia. In ogni caso, l'ha cresciuta lei. Me l'ha raccontato Silvia qualche giorno fa, del loro rapporto. Per questo mi permetto di dirlo.
- Ma smettila di piangere, ti prego.
- Impossibile. Il dolore dell'anima è più forte di quello fisico. Non si può smettere finché all'anima non viene restituito quel che le è stato rubato. E alla mia è stata rubata Silvia. Smetterò quando Silvia tornerà. Credo sia così.
- Abbi coraggio, Rober. Tornerà da noi presto, perché ha finalmente messo in ordine la sua vita. Tornerà per viverla.
- Carmen, le avresti dato il posto di lavoro, vero?
- Ma certo che gliel'avrei dato. Era da tanto tempo che mi sarebbe piaciuto vederla insegnare nella mia scuola. 
- Era così felice quando me ne ha parlato. Mi ha detto che era forse ora di dare agli altri quello che in tanti anni avevano dato a lei.
- Non preoccuparti, perché dopo la maternità, se sarà ancora quello che vuole, insegnerà nella mia scuola.
- Sarà ancora quello che vuole, può giurarci, Carmen.
- Rober!; intervenne Ingrid, - Alicia è qui.
- Di già?
- Sì. La vedo, sta parlando con Pedro.
- Meglio che vada a parlarle io. Restate vicino a Silvia, non voglio mettermi a discutere con sua zia davanti a lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** La zia di New York ***


26. La zia di New York
 
 
Uscii dalla stanza dove restarono Ingrid e Carmen e mi trovai Alicia senza lacrime a braccia conserte, che appena mi vide prese subito parola.
- Eccoti. Pedro mi stava spiegando quello che è successo. Rober, mi devi spiegare come ti è saltato in mente di lasciarle fare l'intervento... Si può sapere che ti frulla in quella testa, eh? Sei impazzito o cosa?
- Ciao Alicia, da quanto tempo. Bene, andiamo per ordine. Prima di tutto, non sono impazzito; anzi, a dire il vero non sono mai stato tanto cosciente in vita mia come quando ho parlato dell'intervento con Silvia. Alicia, guardami negli occhi. Ma non lo capisci? Sto soffrendo da morire. Tu non sai quanto mi sia costato lasciarla operare anche per il bambino. Ma vuoi sapere perché l'ho fatto, no? Molto bene, provo a spiegartelo, anche se non so se riuscirai a capire. Silvia non poteva avere figli da quando cinque anni fa ha avuto l'aborto spontaneo. Le è crollato il mondo addosso. Non ha mai avuto una madre, a stento ha avuto un padre. Forse è per questo che desiderava tanto avere un bambino. Per dargli tutto l'amore che lei non ha mai avuto. Io me ne sono andato da lei, ho fatto l'errore peggiore della mia vita. Però sono tornato perché ho capito che non c'era altro posto dove dovessi stare, ovvero qui con lei. Non mi ha accolto a braccia aperte, giustamente. Mi ha fatto rientrare nella sua vita a piccoli passi. Abbiamo concepito un figlio non so grazie a quale miracolo. Ora lei mi ama ed io amo lei. E proprio perché la amo, non ho voluto impedirle di tentare di salvare il sogno della sua vita. Tu sei abituata a darle ordini, a dirle quello che deve fare. Per questo, non puoi capire. Silvia aveva diritto di decidere, questa volta come non mai. E dato che io la amo da morire e voglio la sua felicità ad ogni costo, l'ho lasciata libera di fare quello che sentiva fosse più giusto per la sua vita. Se non avesse dato tutto per provare a salvare questo bambino, non si sarebbe mai più ritirata su. E non ci sarebbe stata cosa peggiore.
- Rober, a parte tutte le insinuazioni sul mio conto che non ho voglia di commentare... Mi stai dicendo che è meglio che muoia felice piuttosto che continui a vivere abbattuta?
- Io sto solo dicendo che merita di essere felice dopo tutto quello che ha dovuto passare.
- Anche a costo della sua stessa vita?
- No. Perché Silvia non morirà. 
- Metà delle sue sofferenze portano il tuo nome. Lo sai questo?
- Sì, lo so. Ma io sono tornato sui miei passi e ho cercato di mettere una pietra sopra a quelle sofferenze. Non ho potuto cancellarle, perché non sarebbe stato giusto, perché fanno parte della mia storia con Silvia. Ma una pietra sopra ce l'abbiamo messa, e ce l'abbiamo messa insieme, Alicia. E tu sai che l'altra metà delle sue sofferenze portano il tuo di nome? L'unica differenza è che io ho lottato per ripararle, per riprendere in mano il rapporto più bello della mia vita e ci sono riuscito. Tu invece non hai fatto nulla per ripararle. Solo perché Silvia ha voluto conquistare la sua legittima indipendenza. Non hai mai potuto sopportarlo e non hai cercato di recuperare con lei. A me non importa, so solo che ti stai perdendo qualcosa di meraviglioso. Ed ora, se non ti dispiace, io andrei dalla donna che amo. Credo sia più importante di stare a discutere con te. Puoi venire anche tu se vuoi, ma evita di dire blasfemie o continuare a puntare il dito senza alcun diritto. 
Lei rimase zitta, mentre io camminavo deciso verso la stanza di Silvia. Le lacrime continuavano a scendermi giù per la faccia. Aprii poi la porta e mi voltai per vedere se Alicia stava venendomi dietro. E lo stava facendo. Ingrid e Carmen allora uscirono, lasciando passare me e Alicia. Io ripresi la mano di Silvia e feci accomodare Alicia sulla sedia al mio fianco. Riprese a parlarmi.
- La ami sul serio?
- Più di quanto si possa amare una persona.
- So che non mi riguarda, ma mi sono sempre chiesta perché vi foste lasciati. Silvia non me ne ha mai voluto parlare.
- D'accordo, voglio dirtelo. Ci siamo lasciati non solo per il dolore della perdita del bambino, ma per tutto quello che c'era dietro. Vedi Alicia, credo tu possa ricordare quanto fossi immaturo all'Arrànz. A quei tempi prendevo l'amore come una cosa per me, non per me e lei. Non mi accorgevo che non facevo abbastanza per renderla felice. Così l'aborto è stata la chiusura di qualcosa che ormai stava degradando giorno per giorno. Però il sentimento c'era, assolutamente. Perciò, nei momenti di debolezza, ci cercavamo a vicenda, sapendo che l'altro ci avrebbe accolto a braccia aperte, nonostante tutto. Forse eravamo troppo immaturi per un amore così grande. Col tempo poi è cambiato tutto. I nostri tentativi di farci una vita con qualcun altro non hanno avuto successo. Abbiamo capito che il nostro posto sarebbe sempre stato l'uno accanto all'altra. Io ho lasciato la città con Marta perché non volevo più far soffrire Silvia. Ma ho capito che avrebbe sofferto di più se io non ci fossi stato. Sono tornato in tempo per ricominciare. Lei mi avrebbe aspettato per sempre, per lo stesso motivo. Adesso so che l'amore è mettere al primo posto l'altra persona, e poi sé stessi. Ora siamo abbastanza maturi per un amore così grande. E per riavere quel bambino che abbiamo perso. Ci siamo sempre amati, in tanti diversi modi, ma è sempre stato così. Questo dev'essere l'inizio della nostra felicità, non la tragica fine di un amore difficile. Per questo Silvia non morirà.
- E così, mia nipote diverrà madre prima di me.
- Già.
- Rober, io con lei ho sbagliato tutto. Ogni cosa. Vederla così mi fa capire quanto sia stata ingiusta con lei. Tu credi davvero che mi darebbe un'altra opportunità?
- Beh, voglio dirti una cosa. Anch'io con lei ho sbagliato moltissimo, questo lo sappiamo. Insomma, un po' come te. Però aldilà di tutto, del dolore, della sofferenza, degli sbagli... Se il sentimento di fondo c'è, è forte e persiste a tutto questo... Silvia è abbastanza intelligente da capire che in quel caso non è un errore provare a ricominciare. Con me l'ha fatto. 
- Perché ti ama.
- Sì, è vero. Ma credimi, a te vuole bene. E credo che se tu hai voglia di impegnarti, l'occasione per rientrare nella sua vita la darà anche a te. Sai, è una persona speciale e sa capire chi merita uno spazio nel suo cuore. Alicia, io ci proverei se fossi in te. Non scappare ancora per paura di sbagliare. Io ho smesso da un mese ed ho rimpianto tutti questi anni di fuga. Prova a ripartire da zero. Prova ad essere un'amica per lei, oltre che zia. Prova a capirla ed accettala per quel che è. Ti assicuro che è uno splendore anche dentro.
- Credo tu abbia ragione. Sai, non sapevo fossi così profondo.
- Non lo sapevo neppure io, in realtà. Il tempo cambia le persone. Per l'esattezza, non le cambia, ma le cresce. Io credo di essere solo cresciuto.
- Ti prego, abbi cura di lei. Per sempre.
- Credimi, è tutto quello che voglio. 
Vidi Alicia piangere. Fu la prima volta in tutta la mia vita. Le chiesi se fosse tutto a posto, e lei mi abbracciò. Sapevo che volesse bene a Silvia, soltanto che non aveva mai saputo capirla. Pensai che forse avrebbe meritato anche lei un'altra opportunità dalla donna della mia vita. Riprese poi a parlarmi.
- Scusami. Ma come vedi, ho un cuore anch'io.
- Non ne dubitavo. 
- E tu? Da quando sono qui non hai smesso di piangere neppure per un istante.
- Mi hanno strappato un pezzo d'anima. Fa più male questo che rompersi un braccio. Una volta me lo sono rotto in un incidente con la moto. Ero perfettamente cosciente, ed ho avvertito il dolore perfettamente. Credevo non avrei mai più sentito nulla di più doloroso in vita mia. Se ora ci penso, ricordo quel dolore come una carezza. Non era nulla, solo un istante e poi un mese di ingessatura. Passò tutto e non mi rimase neppure un segno, una cicatrice. Nulla. Solo il ricordo di un ragazzo troppo spericolato. Ed ora, invece... Non so neppure descrivere quanto faccia male. Sono sicuro che questa volta una cicatrice rimarrà per sempre nella mia anima. Ed anche bella grossa. Adesso però è una ferita che sanguina, e brucia da morire. Per questo le lacrime non riescono a fermarsi. Ma quando rivedrò Silvia aprire gli occhi e fare un sorriso, diventerà solo una fottuta cicatrice. E finalmente potremo vivere la nostra vita insieme.
Io ed Alicia restammo accanto a Silvia tutto il pomeriggio. Di tanto in tanto entrava qualcuno. Oltre ai ragazzi e Carmen, vennero anche Gabriela, Juan, vecchi amici dell'Arrànz e qualcuno che io neppure conoscevo. Tutti mi dissero di smetterla di piangere, che Silvia non avrebbe voluto vedermi così. Ma non potevo controllare quelle lacrime che mi sfioravano il viso, quasi fossero le carezze che Silvia non poteva darmi per rassicurarmi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Pensieri dai vecchi tempi ***


27. Pensieri dai vecchi tempi
 
 
Ero ancora con la camicia del matrimonio, così chiesi ad Ingrid il favore di raggiungere il mio hotel e prendermi qualche vestito. Le chiesi anche di passare nell'appartamento dell'Arrànz dove alloggiava Silvia. Avrebbe dovuto prendere la foto che la ritraeva con me. Quella che Silvia aveva preso un mese prima dalla scatola che aveva portato Pedro. Quella che le piaceva tanto perché le ricordava quanto fossimo felici. Quella. Volevo metterla sul suo comodino, che era così tristemente vuoto. Ed Ingrid portò tutto quel che le avevo chiesto. Mi cambiai i vestiti e misi la foto sul comodino di Silvia. Era ormai sera e pregai i ragazzi di tornare a casa per dormire, ma riuscii a convincere solo Ingrid e Carmen, che a sua volta convinse Alicia a venire da lei per pernottare. Pedro e Lola rimasero con me, ma visto il blocco di Lola, se ne starono in corridoio. Pedro mi pregò di chiamarlo per qualsiasi cosa avessi bisogno. Quella notte pioveva e non si vedevano le stelle. I miei occhi erano stanchi e stremati, dal sonno e le lacrime, ma imperterriti restarono aperti per vigilare su Silvia. La mia mano teneva la sua, mentre ascoltavo l'elettrocardiogramma registrare i battiti suoi e di nostro figlio. Parlai, parlai molto anche quella notte. Le dissi che le avevo portato la foto, che Pedro e Lola non volevano riposare preferendo restare accanto a lei, le dissi di amarla anche quella notte. Finché la porta alle mie spalle non si aprì. Credevo fosse l'infermiera per il cambio della flebo, invece no. Ne entrò Lola, silenziosamente. Si mise al mio fianco ed io fui stupito di vederla dopo come aveva reagito quella stessa mattina.
- Lola... Guarda che non sei obbligata a stare qui se ti fa male. Silvia capirebbe, tranquilla.
- Pedro si è addormentato in corridoio.
- E tu non riesci a riposare?
- Stamattina ho detto di non riuscire a stare qui perché non posso fare nulla per lei. Ma credo di aver capito che in realtà c'è qualcosa che posso fare per lei ed è farle sentire che ci sono. Credo che a lei faccia bene sentirci vicini, quindi se a lei fa bene a me non può far male. Ti dispiace se resto un po' qui anch'io?
- Ma certo, piccola. Quello che hai appena detto è meraviglioso. 
- Non è bellissima anche così?
- Lei lo è sempre. Però mi mancano tanto il suo sguardo e il suo sorriso.
- Già. Anche a lei mancherebbero i tuoi occhi.
- Tu credi?
- Oh, sì. Vedi Rober, ai tempi in cui stavate insieme parlava spesso di te con me ed Ingrid, quando capitava. 
- Cosa diceva?
- Diceva che sì, eri un idiota, ma che quando ti guardava negli occhi vedeva tanta dolcezza. Che eri una persona speciale, anche se all'apparenza potevi non sembrarlo. Secondo lei eri una persona nascosta dietro un muro. Ma lei era riuscita a scavalcare il muro e diceva che da lì c'era un panorama fantastico.
- Ti va di dirmi altro?
- Potrei parlare per ore... Sai, quando a fine primo anno tutti noi abbiamo saputo che aveva tradito Pedro con te, ne ho sentite delle belle. Vedi, io la odiavo al primo anno, perché credevo fosse una raccomandata e perché mi aveva portato via il primo ragazzo del quale mi ero mai innamorata in vita mia. L'ho detestata per tanti mesi. Quando ho sentito che era venuta a letto con te mentre stava con Pedro le ho dato della poco di buono e le ho detto che Pedro non si meritava tutto quello che gli aveva fatto. La cosa che più mi faceva impazzire di gelosia era il fatto che Pedro l'avesse perdonata. Ma io sapevo che Silvia non lo amava. Non lo guardava come guardava te, Rober. Io credo che volesse stare con Pedro perché lo vedeva un uomo buono, gentile, affidabile. Ma che in realtà amava te, solo che non voleva gettarsi in un amore senza garanzie. Poi ha capito che non poteva farci niente, che voleva stare con te e non con un amico come Pedro. Per questo, quella mattina ha raggiunto te e non è partita con Pedro. Ha fatto felice anche me, sai? Quando al secondo anno è venuta a stare in camera con me ed Ingrid, abbiamo riparato al pessimo rapporto che avevamo messo su l'anno prima. Ed è diventata una persona davvero speciale per me. Sai, ci ha raccontato come aveva passato l'estate con te ed era raggiante. Era innamorata, davvero. Tu forse non lo sai, ma io ed Ingrid sappiamo alla perfezione ogni sviluppo della vostra storia. Sapevamo subito se litigavate, se facevate pace, se quel giorno le avevi detto "ti amo", se quella notte avevate fatto l'amore... Sapevamo sempre tutto, ogni cosa. Era felice di raccontarla. E poi, per tante notti ti abbiamo visto dormire abbracciato a lei nella nostra stanza. Forse non eravate i classici fidanzatini sdolcinati e romanticissimi, ma io sapevo bene che vi amavate. E vi amavate sul serio.
- Già. Quando è rimasta incinta, te l'ha detto?
- Oh... Beh, più o meno. Era una sera, Ingrid era andata a dormire fuori e non c'era. Silvia era strana, si era messa a letto molto presto senza dire una parola. Non era neppure passata dalla tua stanza per salutarti, come faceva di solito. Io pensai che fosse stanca e non volli chiederle nulla per paura di infastidirla. Dopo un po', decisi di andare a letto anch'io, quindi andai prima un momento in bagno. Nel cestino notai la scatola di un test di gravidanza e mi chinai per vedere se mi fossi sbagliata. Ma non mi ero sbagliata. Il test era ancora nella scatola, così lo presi e vidi che il risultato era positivo. Io non pensai neppure per un istante che fosse di Silvia. Ero convinta fosse di Ingrid, che a quei tempi era fidanzatissima con Juan. Non ebbi dubbi, il mio cervello ricollegò automaticamente tutto ad Ingrid. Non so perché, ma il pensiero che fosse Silvia quella incinta non mi sfiorò neppure la mente. Proprio per questo mi precipitai da lei per dirle che Ingrid era incinta. Le dissi che era un gran bel problema, che Ingrid avrebbe dovuto smettere di ballare, che con Juan stava bruciando le tappe... Ma mi accorsi che Silvia non reagiva. Era lì nel suo letto, girata su un fianco, coperta fino al mento, immobile. La sentii poi singhiozzare e vidi che stava piangendo. Allora capii. Si tirò su e mi abbracciò forte. Io le chiesi se fosse tutto a posto, e lei disse solo che non sapeva cosa fare. Le chiesi allora se tu ne eri al corrente e lei mi rispose di no. La pregai di parlartene, perché tu avresti dovuto sapere e lei mi promise che l'avrebbe fatto appena avrebbe trovato il momento adatto. Ed infine mi chiese di non dire nulla a nessuno, perché ero l'unica a saperlo. Quella notte abbiamo dormito insieme, nello stesso letto. Silvia aveva bisogno di me. Da allora, quando parlava di te, diceva che andava sempre peggio e che non riusciva a trovare il momento per parlarti del bambino. Diceva che era troppo importante e voleva trovare il momento giusto per dirtelo. Diceva che non eri più quello di prima. Che stavi diventando troppo egocentrico e non riuscivi a mettere lei davanti al resto. Diceva che la vostra storia stava andando male e che il fatto di essere incinta di te la spaventava a morte. Il momento per parlarti del bambino, non ha fatto in tempo a trovarlo. Lo ha perso prima che poteste sistemare il vostro rapporto. Ed inevitabilmente, dopo l'aborto, non c'è stato modo di recuperare. Il giorno dopo essere stata dimessa, ti ha lasciato. Ma credimi, le è costato molto. Ti aveva amato tanto. La notte stessa che ti lasciò, non chiuse occhio. Passò tutta la notte in bagno a piangere. L'ho trovata così, il mattino dopo. Seduta accanto al water, con decine di rotoli di carta igienica sparpagliati sul pavimento con cui aveva tentato di asciugarsi le lacrime di una notte intera. Era a pezzi. Forse perché ti amava ancora, ma non voleva stare più con te. Sai, amare non vuol dire fare la cosa più giusta per sé stessi. Lei voleva provare a fare la cosa più giusta per sé stessa, invece. Ha provato a rinunciare a te. Ma l'amore è più forte. Lei questo l'ha capito dopo averti lasciato. Ha capito che l'amore forse non è la cosa più giusta, ma è quello che alla fine una persona sceglie. Perché vince sempre, è più potente della ragione.
- Capisco... Avrei pianto quando me l'hai detto se non lo stessi già facendo... Le ho spezzato il cuore nel momento meno adatto. Lola, ti giuro che non me ne sono reso conto di quanto le stessi facendo male. Il tutto era anche poi amplificato dal fatto che lei fosse incinta, ma io questo non potevo saperlo. Mi dispiace così tanto di tutto il male che le ho fatto a quei tempi... E dimmi, dopo aver sorpassato il dolore, ha continuato a dirti qualcosa su di me?
- Certo che lo ha fatto. Beh, in realtà sono stata io a chiederle di te, perché avevo notato che passavate parecchio tempo insieme nonostante vi foste lasciati. Ricordo cosa mi disse. Mi disse che tu eri una persona splendida. Forse amarti sarebbe stato troppo difficile, ma voleva starti accanto. Voleva che tu sapessi che lei ci sarebbe sempre stata. Sapeva com'eri fatto e sapeva che con quel caratteraccio ti avrebbero capito in pochi. Lei però sapeva capirti e non voleva abbandonarti solo perché non eravate più fidanzati. Diceva che eri rimasto comunque una persona speciale per lei, e che le faceva piacere stare del tempo con te. Eri qualcosa a cui lei si sentiva terribilmente legata. Quando voleva andare a Parigi con Alvaro, Ingrid si azzardò a chiederle chi preferisse tra lui e te e le chiese di essere sincera. Silvia rispose che tu eri impulsivo e che quando stava con te, non sapeva mai come potesse andare a finire, mentre Alvaro era più dolce. Disse che quella notte avrebbe voluto fare l'amore con lui, ma...
- Quel giorno vi ho sentite.
- Cosa?
- Sì, ero dietro la porta del bagno e stavo origliando perché avevo sentito che Silvia stava parlando di me. Pedro era con me. Quando poi sentii che quella notte avrebbe fatto restare Alvaro, cambiai completamente faccia e Pedro mi fece coraggio. Si vede che ero davvero abbattuto.
- Beh, però Silvia non ha risposto alla domanda di Ingrid. Non ha mai detto che Alvaro fosse meglio di te.
- Già. Mi amava. Ma non voleva ammetterlo, sai? La mattina seguente, ci trovammo soli nell'ascensore. Dopo aver premuto il pulsante di stop, la pregai di non andarsene a Parigi con Alvaro. La guardai negli occhi e le dissi che per me le uniche persone che contavano qualcosa erano lei e Sergio. Le dissi che l'amavo. Sai allora cos'ha fatto? Ricordo le parole precise che mi disse... "Già, ma io no.". Lola, ci restai di merda. Mi chiese di riattivare l'ascensore ed io lo feci, a testa bassa. Mi era passato un camion addosso. Se ne andò, ed io non la fermai. Io credevo che mi amasse ancora, ma la freddezza con cui me lo negò fu talmente brutale da rendermi impotente. E poi la arrestarono per la droga nell'auto di Alvaro. Alicia mi chiamò e mi chiese di andare in carcere e parlare con Silvia, perché era convinta che con me potesse ragionare, cosa che con lei forse Silvia non avrebbe voluto fare. Io mi precipitai e la vidi lì, dietro le sbarre, con due tossiche nella sua stessa cella. Riuscimmo a far passare le nostre braccia tra le sbarre e ci prendemmo i volti tra le mani. Tutto quello che pensai è che fosse di una bellezza disarmante, sai? Lei mi disse che non c'entrava niente, io provai a baciarla sulla fronte, ma il vigilante si raccomandò affinché non ci fossero contatti. Fui costretto poi ad andarmene, mentre Silvia mi chiedeva di restare lì con lei. Quando tornai a scuola e sentii qualche vipera del nostro corso prendere per il culo Silvia e la situazione di merda in cui si trovava, mi venne voglia di spaccare la faccia a chiunque osasse dire qualcosa in proposito. Se non ci foste stati voi ad impedirmelo, penso che sarebbe andata a finire male. Grazie al cielo Silvia ne uscì. La riaccompagnai io a scuola, sai? La andai a prendere davanti al carcere. Appena uscì, mi venne incontro e ci abbracciammo forte. Ma in macchina non disse nulla. E non dissi nulla neanch'io. Ma sentivo che non era possibile che non mi amasse. Io sapevo che era così e lo sarebbe sempre stato. Poi però un giorno Alvaro venne a scuola ed io lo beccai a parlare con Silvia in lavanderia. Cercai di prenderlo, quel maledetto che aveva mandato Silvia in galera. Ma fu proprio lei ad impedirmelo. Mi prese da dietro e mi impedì di corrergli dietro. Non capivo perché facesse così, perché volesse proteggerlo. Forse perché vedeva in Alvaro un modo per evadere dal legame che aveva con me. Ad ogni modo, qualche giorno dopo decise di scappare con lui, ma questa volta per una vita da latitante. Una follia. Io non volevo permetterle una pazzia simile, così mi precipitai nella sua stanza mentre preparava le valigie. Le chiesi perché stesse facendo tutto quel casino. Mi disse solo che quella vita le stava stretta, che voleva sentirsi libera e che a Madrid non la teneva legata nulla. Era una bugia, naturalmente. Sapevo che mi amava, lo sapevo. Così le chiesi di restare a Madrid per me. Ed ancora una volta, le dissi che l'amavo. Questa volta però, Silvia non disse "Io no.". Questa volta disse che era troppo tardi. Prese il bagaglio ed aprì la porta. Ma io gliela chiusi prima che potesse uscire, e le dissi che avrei chiamato la polizia. Naturalmente non l'avrei mai fatto, perché non volevo metterla nei casini più di quanto non ci si stesse già mettendo da sola. A quel punto, Silvia non disse più nulla. Semplicemente, mi baciò. Come fosse un addio. Pensava che non mi avrebbe mai più rivisto, e voleva lasciarmi come le diceva il cuore. Perché amava me, non Alvaro. Dopodiché, non fui più capace di impedirle di andarsene. Aprì la porta e se ne andò. Mi misi a piangere sul suo letto, cercando il suo odore tra le lenzuola. Credevo di averla persa per sempre, e quello che mi faceva più male era il fatto che ci stavamo perdendo nonostante ci amassimo ancora. Grazie a Dio però, tornò.
- È meraviglioso.
- Cosa?
- Il fatto che vi amaste in ogni modo, in ogni situazione. Questa storia la conoscevo, però l'avevo sentita dalla bocca di Silvia. Sai, lei non ammetteva di amarti, ma le si leggeva in faccia. A me ed Ingrid diceva solo che eri importante, che eri speciale. Ma non voleva sbilanciarsi.
- Non lo faceva perché non ammetteva neppure a sé stessa che mi amava ancora, nonostante tutto. Non riusciva ad accettarlo, ma era così.  
- Quando tu sei stato accusato di stupro, Silvia non ha mai avuto dubbi sul fatto che fossi innocente.
- Lo so. Mi stette accanto e mi diede tanta forza. Senza lei e Pedro non so dove sarei finito.
- Jero stava organizzando un tour per gli Upa Dance, in quei giorni. Sai, di primo acchitto tutti ci mostrammo disponibili ed entusiasti, tranne Silvia. Disse che dovevamo pensare che tu probabilmente non saresti potuto venire. Che forse a noi non importava nulla di quello che stavi passando. Ma a lei importava, Rober. La notte che te ne andasti da scuola, dopo averti salutato, venne in camera piangendo. Ingrid le chiese che le fosse preso, e lei glielo urlò in faccia in modo nervoso. Era arrabbiata per il fatto che ti stessero infangando senza motivo. Poco dopo si calmò, ce ne parlò e ci raccontò anche del modo in cui ti aveva salutato. Quella notte, ammise che non voleva perderti. E la passò a piangere nel letto, tentando di farlo di nascosto. Ma io me ne accorsi. Il giorno dopo, negli spogliatoi, Luisa si lasciò sfuggire qualche parola di troppo sulla tua situazione e Silvia la sentì. Tentò di picchiarla, sai? L'abbiamo fermata in tempo. Ha fatto la stessa cosa che tu avevi fatto qualche mese prima quando era lei ad essere infangata. Io che avevo visto entrambi gli episodi, mi resi conto che eravate davvero legati. Più di quanto lo stavate ammettendo a voi stessi. Poi tu riuscisti a venirne fuori grazie a Pedro, ed andò a finire tutto bene.
- Già. Da allora abbiamo cominciato a scappare l'uno dall'altra.
- Dal terzo anno infatti, Silvia non parlò più di te con me ed Ingrid.
- Perché avevamo paura. Lei di soffrire, io di farla soffrire. È andata così, è stata una grande cazzata. 
- Ma avete trascorso l'estate insieme, con noi del gruppo... Possibile che non sia successo nulla tra voi durante tutta l'estate, nonostante passaste insieme tutto quel tempo e condivideste lo stesso albergo?
- Cosa vuoi che ti dica... Io ho pensato che non fosse il caso di andare in camera sua, mai. Sapevo che ero troppo immaturo per amarla con serietà come avrebbe meritato. Ho provato a rinunciare a lei. E lei non mi ha mai cercato, per la comprensibile e giustificabile paura di farsi ancora del male. Da quell'estate, abbiamo passato due anni a fare gli indifferenti nonostante pensassimo entrambi la stessa cosa. A provare ad amare altre persone, a dimenticare un amore troppo complicato. Che idiozia. Poi lo sai, a fine ultimo anno le ho ripetuto per l'ennesima volta di amarla, l'ho baciata e l'indomani sono andato via. Perché non l'avrei mai più rivista, ecco perché. Ma in tre anni, ho capito che dimenticare quell'amore troppo complicato non era possibile. Semplicemente perché è più forte di quanto possa essere complicato. Ma ora, guarda come siamo. Ci amiamo da morire, ma siamo separati da un confine che si chiama coma. Perché non ce ne va giusta una, eh Lola? Perché?
Mi gettai tra le braccia di Lola e continuai a piangere, anche se non ce la facevo più a dare via lacrime su lacrime. Poi mi rispose.
- Andrà tutto bene. Tra poco sarete una famiglia meravigliosa e felice. Ve lo meritate.
- Sarebbe stupendo. Sai, prima di incontrare lei, pensavo che l'amore non esistesse. Pensavo fosse una convinzione che l'uomo si inventasse di sana pianta per essere più felice e per vedere meno brutto il mondo. Pensavo fosse immaginario, non reale. Quando ho conosciuto Bea, mi piaceva. Le volevo bene ed avevo piacere nello stare con lei. Non so se era vero amore, non l'ho mai capito. So solo che poi è rimasta incinta e non l'ho vista più per tanto tempo. Il mio cuore ha pianto per il bambino, ma non ha mai pianto per lei. Ed ho smesso di pensare all'amore. Ma poi è arrivata Silvia. E ho sentito come qualcosa dentro che mi premeva verso l'esterno. Qualcosa che voleva uscire. Ho incrociato i suoi occhi ed ho avuto un brivido. Mi sono detto "Rober, l'amore non esiste.". Ma giorno dopo giorno, ho capito che era tutto quello di cui avevo bisogno. Lei mi capiva, e nessuno aveva mai capito uno come me. Mi innamorai di lei. L'amore esisteva. Mi ha preso il cuore e se l'è tenuto bello stretto. Quando ci siamo lasciati, o quando sono stato via a Malaga, il mio cuore ha pianto tanto per lei, invece. Forse con Bea non era amore. Ma questo lo è. E se con Bea era amore, beh, allora questo è qualcosa di più. Qualcosa che non ha nome, non ha proporzioni. Qualcosa di troppo speciale per essere classificato. Tutto quello che ti posso dire è che io ho bisogno di lei ed ho una voglia indescrivibile di farla la donna più felice del mondo. Voglio solo farla stare bene. Insieme a me.
- Non avrei mai pensato di poterti mai sentire parlare così.
- Già.
Lola ed io passammo la notte accanto a Silvia. All'alba, smise di piovere. Lola si addormentò sulla sedia poco dopo il sorgere del sole. E qualche ora dopo, entrò Pedro.
- Rober, come va?
- Ehi bifolco... Come vuoi che vada. Tua moglie questa notte ci ha fatto compagnia. Però ha ceduto al sonno. Pedro, sinceramente, non preoccupatevi troppo per me. Entrambi avete bisogno di riposare, resto io con Silvia. Davvero, non fatevi problemi. Siamo amici o no? Avete mancato la vostra prima notte di nozze, avete rimandato la luna di miele, non avete vissuto i felici momenti dei neo-sposi. Per favore, Silvia non avrebbe voluto questo. E poi tra poco tornerà Carmen, verrà anche qualcun altro. Non vi sto cacciando, voglio solo il vostro bene. Poi, tornerete dopo aver riposato un po' la testa. Credimi, sarebbe meglio.
- Io dico che dovresti riposare anche tu, che davvero non hai chiuso occhio né toccato un boccone. Sei chiuso qui da un giorno intero e non ti sei mosso per niente, tranne per dire due parole ad Alicia. 
- No, io no. Ti spiego: anche se per assurdo accettassi di lasciare Silvia qui per qualche ora, ma già ti dico che non lo farò, in ogni caso non riuscirei a riposare. E allora che senso ha andarmene di qui? Non è quello che voglio e non servirebbe a nulla. Lascia che io rimanga qui, sono esattamente dove devo e voglio essere.
- D'accordo. Io e Lola staremo via solo per qualche ora però. Non di più. Ma lascia che ti dica che non ti fa bene restare qui e non prenderti cura di te stesso. Silvia non vorrebbe neanche questo. Anzi, forse è l'ultima cosa che vorrebbe, perché ti ama ed anche lei vuole il tuo bene.
- Silvia mi ha chiesto solo una cosa prima di operarsi, ovvero di starle accanto qualsiasi cosa fosse accaduta dopo. Io sto solo onorando la mia parola. E poi, io sto bene. Mi basta starle vicino, non ho bisogno di nient'altro. Davvero. Non ho né fame né sonno, non riesco a percepirli. Sono a pezzi per altri motivi, non certo per mancanza di cibo o ore di sonno. Grazie per esserti preoccupato per me, Pedro, ma non ce n'è bisogno. Il mio posto è qui. Adesso andate.
- Promettimi però che mi chiamerai se ti serve qualcosa o se c'è la minima novità. Io ci sono, adesso più che mai. Ti voglio bene, Rober.
- Te lo prometto. Anch'io ti voglio bene. 
Ci abbracciammo, poi lui svegliò Lola e se ne andarono a riposare per un po'. Erano distrutti ed io non potevo vederli così. Restai solo con Silvia e le parlai di quando un giorno, al quarto anno, avevo avuto la tentazione di baciarla. Eravamo a Barcellona, per rappresentare "Jesus Christ Superstar". A dire il vero, stavamo riprendendo l'autobus per rientrare a Madrid. Io e lei eravamo stati, per casualità, le ultime due persone a salire sulla vettura. Erano mesi che ormai non ci rivolgevamo più parola, eppure lei mi chiese come me la stessi passando. In quel momento, avevo avuto una voglia matta di non dare nessuna risposta. O meglio, di rispondere baciandola. Ma non lo feci e non le dissi nulla di rilevante, per via delle mie stupide tarature mentali. Non gliel'avevo mai detto, così quella mattina le raccontai di quell'episodio.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Una visita inaspettata ***


28. Una visita inaspettata
 
 
Passò Carmen, passò Gabriela, passò Ingrid con suo cugino, passò Juan, passò Alicia, passarono tante altre persone. Tutti mi dicevano che ce l'avrebbe fatta. Poi con aria sbarazzina, aggiungevano che era una ragazza d'oro e che io ero fortunato. Ma dai, come se già non lo sapessi. Mi dicevano anche di smetterla di piangere, e questo mi innervosiva. Loro non potevano capire quanto potesse farmi male quella situzione. Loro non potevano saperlo. Per loro era forse facile trattenere le lacrime alla vista di una ragazza nemmeno trentenne, in coma ed incinta. Per me invece era impossibile, perché era tutto quello che faceva parte della mia vita. E rischiavo di perderlo, da un momento all'altro. Per colpa mia, per aver fatto di nuovo di testa mia, per aver sbagliato per l'ennesima volta. Per me era diverso. Ed ecco che mi prese una voglia assurda di ballare con Silvia. E il mio cervello che mi ripeteva che non era possibile, mi straziava. Volevo uscire da quell'incubo. Volevo vivermi Silvia e nostro figlio. Quanto avrei dovuto aspettare? Non so che ora fosse, ma in quel momento ero in silenzio a sentire il respiro di Silvia. Mi ero alzato in piedi e le stavo accarezzando la testa. La guardavo e la vedevo appannata, a causa delle lacrime ormai irrefrenabili. Sentii la porta aprirsi, ma non mi voltai. Ero certo fossero Pedro e Lola, e poi non avevo voglia di distogliere il mio sguardo dalla cosa più bella che esso avesse mai incontrato in tutta la sua vita. La sentii anche chiudersi, ma io non feci una piega. Ma poi, sentii pronunciare il mio nome da una voce che pensavo non avrei mai più sentito in vita mia. Una voce che avevo imparato ad apprezzare, nonostante fosse un po' stridula. Una voce da bambina, o che almeno lo sembrava. Una voce che in passato diceva di amarmi. Una voce a cui io rispondevo lo stesso, anche senza pensarlo realmente. Una voce che avevo lasciato al suo destino. Quella voce era di Marta. Sapevo che era la sua, ma non riuscivo a credere che fosse lì. Mi voltai, tenendo la mia mano tra i capelli di Silvia. Già, era proprio lei. La guardai, con gli occhi pieni di lacrime, senza sapere cosa dirle. Allora mi si avvicinò, lentamente. Non leggevo però rancore nel suo sguardo. Io stavo zitto e immobile, non avendo la testa per pensare a cosa fosse giusto dirle, se qualcosa dovessi dirle. Allora mi guardò e fu lei a parlare.
- Non c'è bisogno che tu dica nulla, sta' tranquillo. Sono venuta qui perché mi dispiace per quello che è successo a Silvia. Lo dico davvero. Ascoltami, voglio che tu sappia che non ce l'ho più con te. Mi è passata. Io credevo che Silvia fosse una scusa per scappare da me, perché non ti piacevo più. Invece, tu la ami davvero. Che stupida che sono, io non ho mai capito chi fossi. Io non ti conosco davvero. L'unica che ti conosce da cima a fondo, è lei. Mi hanno raccontato che stavi costruendo a fatica il rapporto che avevi perso con lei. Mi hanno detto tutto, Rober. So come stanno le cose, e mi dispiace che sia capitata una cosa del genere sul tuo cammino. Credimi, il rancore non fa parte di me. Mi hai fatto male, ma ti ringrazio di avermi detto la verità. Adesso ho la certezza che il tuo posto è davvero al fianco di Silvia, perché vi amate e sarete presto una famiglia. Io non devo avercela con nessuno, perché è giusto così, perché l'amore è meraviglioso quando è vero. E il vostro lo è. Io e te non eravamo fatti l'uno per l'altra, perché tu sei sempre appartenuto a lei. Ed io non avrei mai potuto farci nulla, quindi è inutile stare male. Va bene così. Sai, pensavo davvero che Silvia fosse una scusa, per questo non sono venuta al matrimonio. Non volevo vederti. Invece, ora so che non mentivi. Ora so che stavi cercando di rimettere ordine nella vita non solo tua, ma anche di Silvia, ed anche la mia. Per questo sono qui. Evidentemente non ci ho mai capito nulla di te, ma non ha importanza. Non mi piace vedere le persone che si amano stare male. Nemmeno se una di loro mi ha fatto soffrire. Ti ripeto, adesso va tutto bene. Ed io ti auguro col cuore che questa storia finisca in bene. Davvero, sono sincera. Non ho mai augurato del male né a te, né tantomeno a Silvia. Rober, mi dispiace davvero. 
- Perdonami. Ma giuro che amo lei, e la amo da morire. Mi dispiace se ti ho fatto del male, credimi. Sono un disastro di uomo. Ma se il cielo si prendesse Silvia, io non saprei più come vivere. Forse non dovrei parlarne con te, forse non è bello quello che sto facendo, scusa.
- Ehi, sta' calmo. Non devi essere in imbarazzo con me. Rober, io ti voglio bene. Nonostante tutto. E mi fa male vederti in questo stato, così come mi fa male vedere lei così. Perché ho capito che è l'unica che può darti vita. Puoi sfogarti se vuoi, non fartene un problema per quello che è successo tra di noi, d'accordo? E non devi scusarti, ti ho già detto che va tutto bene. 
- Non so come tu riesca a non odiarmi. Ti ho ingannata per tre anni senza che tu ne avessi la minima colpa.
- Sì, è vero. Ma io ti credo quando dici che non avresti voluto farmi del male e sperassi di innamorarti di me da un giorno all'altro. Sento che sei sincero. Non mi va di tenerti il muso e non parlarti per sempre. Non servirebbe a niente. Mi hai fatto del male, ma l'hai fatto volendomi bene. Tu ami lei ed io non devo né posso fartene una colpa. Sono stati anni buttati nel cesso, forse. Ma che senso ha odiarti? Io non ci guadagno nulla. Nessuno ci guadagnerebbe nulla. Rober, voglio solo che tu sappia che io sono vicina a te e Silvia. L'importante adesso è che tutti ci rifacciamo una vita. Io ci sto riuscendo, ma voglio che ci riusciate anche voi due. Non vi meritate una cosa simile. Dico sul serio.
La abbracciai. Poi ripresi a parlare.
- Beh, io ti ringrazio. Mi vergogno di come mi sono comportato con te e sono certo di non meritare la comprensione che mi stai dando. Però grazie davvero, di cuore.
- Allora aspettate un figlio?
- Sì. E questa volta Silvia ha fatto di tutto per non perderlo una seconda volta. Spero solo che vada tutto bene, altrimenti non me lo perdonerei mai.
- Secondo me, invece, hai fatto bene a lasciarle fare l'intervento.
- Non parlo dell'intervento. Quella è stata una scelta molto sofferta, ma credo che alla fine sia stata la più fondata. Io mi incolpo del fatto che Tanya le abbia sparato. È tutta colpa mia, è così.
- Senti, mi hanno spiegato anche questo. Tu volevi solo stare vicino a lei in un momento delicato. Eri in buona fede, non avresti mai potuto immaginare che sarebbe andata a finire così.
- Ma Silvia mi aveva chiesto di non darle corda... Io invece ho voluto fare di testa mia. Sono un emerito idiota. La verità è che lei sa sempre qual'è la cosa più giusta. Mentre io, so sbagliare come nessun altro sa fare. Mi chiedo cosa ci faccia con uno come me, che non ha fatto altro che distruggerle la vita. Non la merito. Mi ero promesso che dal mio ritorno non avrebbe mai più sofferto a causa mia, e invece guarda qui. Ma perché Tanya non ha sparato a me? Sarebbe stato più sensato e Silvia e il bambino starebbero bene. La vita è ingiusta con me. Mi colpisce sempre sul mio punto debole, ovvero lei. Non è giusto.
- Sì, la vita è ingiusta. Ma nemmeno tu meritavi quel proiettile. Quel proiettile non doveva prenderselo proprio nessuno. Ora, è andata così ma vedrai che si sistemerà tutto. E comunque, lei sta con te perché ti ama. Lei è l'unica che sa capirti, Rober. E tu sei l'unico che può renderla felice, nonostante tutto il dolore che le hai dato. Vi amate, e due persone che si amano sono felici se sono insieme. Non c'è bisogno di aggiungere altro.
- Sì, forse è come dici tu. Mi fa strano sentirlo dalla tua bocca, però. 
- Avrei dovuto capire subito che mi consideravi una sorella minore, anziché parte del tuo cuore. Rober, scusami ma ora devo tornare a Malaga. Ho da fare. Non so se ci rivedremo. Sono venuta qui per vedere come stava Silvia e dirti che devi rifarti la tua vita senza troppi sensi di colpa. Quello che dovevo fare l'ho fatto. Quando sarà sveglia, dille che ho sempre invidiato il suo modo di ballare. Non ho mai avuto modo di dirglielo. Sii felice, mi raccomando. E fai il bravo papà. Ciao.
- D'accordo. Ti ringrazio per essere venuta. Se Silvia tornerà qui, posso garantirti che sarò l'uomo più felice della terra. Sii felice anche tu. Addio Marta, buona fortuna.
Sorrise ed andò via. Era giusto non vederci più. Ora che avevamo chiarito, non avevamo più motivo di doverci vedere ancora. Poteva esserci un po' d'affetto, ma il nostro rapporto era stato un totale errore, quindi fu meglio chiuderla così e dimenticarci. Non avevamo motivo di essere amici o nient'altro. Andava bene così, per tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Perdonare ***


29. Perdonare
 
 
Marta chiuse la porta e passò un'altra oretta, nella quale c'eravamo solo io e Silvia. Mentre l'accarezzavo, fissavo la foto sul comodino. Lei era bellissima. Portava una camicia bianca, mentre io ero vestito di scuro. Si vedeva che fossi più giovane. Quella foto aveva cinque anni di età. Avevo la faccia da ragazzino, ed ahimé non solo la faccia. Lei invece era così perfetta. Non trovavo una pecca neppure nella foto. Si sa, ognuno di noi nelle foto trova qualcosa di impreciso, da ritoccare. Che sia anche un capello fuori posto, un occhio meno aperto dell'altro, un sorriso innaturale, qualsiasi piccolezza. Beh, invece in quella foto non c'era la minima imperfezione. Era stupenda. La guardavo e mi dava forza. Speravo la desse anche a Silvia. Sentii bussare alla porta. Nessuno aveva mai bussato prima di entrare, neppure l'infermiera. Io accordai a voce il permesso di entrare, e davanti mi si presentò Puri, che piangeva disperata.
- Posso entrare, Rober?; mi fece.
- Prego, vieni pure.
Chiuse la porta e si mise su una delle seggiole accanto al letto di Silvia, poi riprese a parlare.
- Figliolo, so che è difficile per te, ma ti prego di non avercela con Tanya. Lei non capiva quello che stesse facendo. Ti prego, perdonala se puoi. Mia nipote non avrebbe mai fatto nulla del genere, se la situazione non fosse così grave. Mi dispiace, la signorina Jauregui non meritava tutto questo. Ma Tanya non sta bene, non capisce più nulla ed io... Io non so come aiutarla... Mi sembra impossibile che sia diventata una persona che non conosco neppure io... Rober, perdonala. Io... Io te lo chiedo per favore, ragazzo mio...
Le afferrai la mano, e con la voce rotta dal magone delle lacrime, le risposi.
- Puri, sta' tranquilla. Io non ce l'ho con Tanya e nemmeno Silvia ce l'ha con lei. So che non sarebbe stata mai e poi mai capace di una cosa simile, io so che non era lucida quando è successo. Da quando sono tornato qui, l'ho vista alternare momenti di lucidità a momenti di totale non lucidità ed ho capito che non era qualcosa che potesse impedire a sé stessa. Tanya non sta bene, ma guarirà. La colpa è stata solo mia, Puri. Sono stato io a crearle idee equivoche in testa, l'ho fatto involontariamente, ma l'ho fatto. E sono stato io a provocarla il giorno del matrimonio, facendo partire quel fottutissimo proiettile. Sono io il responsabile del male che sta travolgendo la donna che amo e che di conseguenza sta travolgendo me stesso. Non c'è nessun altro responsabile, sono soltanto io la causa di tutto questo male.
- Rober, ti prego... Non dirlo nemmeno per scherzo, non è colpa tua...
- Invece è così. Sono un idiota, come lo sono sempre stato. Ed ho fatto l'ennesimo errore della mia vita, che come sempre va a ritorcersi sulla cosa più bella che ho. Va a ritorcersi su Silvia, e non è giusto. Non è giusto che paghi lei per i miei errori. Non è giusto niente, cazzo. Io... Io vorrei solo stare con lei e nostro figlio tutta la vita, senza sbagliare più, senza soffrire più. Sto piangendo più di quanto io abbia mai pianto in tutta la mia vita e vorrei che queste fossero le mie ultime lacrime di dolore. Non per me stesso, ma perché se fossero le ultime, vorrebbe dire che in futuro vivrei con lei al mio fianco e con la nostra nuova famiglia. Sarebbe tutto quello che chiederei alla mia vita. Per questo, mi piacerebbe che fossero le mie ultime lacrime di dolore. D'ora in poi, vorrei poter sorridere, vedendola sorridere. E magari commuovermi, ma piangendo di gioia, non di dolore. Chiedo troppo?
- No figliolo, certo che no. Tu e Silvia meritate quello che cercate da anni. La felicità. Io mi auguro con tutto il cuore che la avrete. Rober, quando ti ho visto tornare qui a Madrid, pensavo fossi venuto a cercare contatti per lavoro, o per venire a farti un giro per passatempo. Io non avrei mai pensato che avessi deciso di vivere d'amore. Pensavo fossi meno fragile, meno sentimentalista. Sai, mi sbagliavo di grosso.
- Beh, io sono cambiato. Sono cresciuto. Però, in realtà la fragilità e i sentimenti sono sempre stati una parte di me. Erano una parte ben nascosta, molto ben nascosta. Talmente nascosta che io neppure mi ricordavo di averla. Poi, quando è arrivata Silvia, questa parte di me è venuta fuori. Me l'ha tirata fuori lei. Non so come, so solo che io e lei abbiamo sempre avuto una sintonia pazzesca, dal primo momento che ci siamo visti. Bastava un piccolo gesto per capirci. Purtroppo poi, quella parte di me ha avuto paura di uscire ed ha ricominciato a nascondersi. Ho perso Silvia. Ma quando l'ho persa, ho capito di aver sbagliato a non amarla come avrei dovuto amarla. Ho cercato di riprendermela, ma lei era troppo ferita per ributtarsi in un simile salto nel buio. Però, non siamo mai riusciti a separarci. Né dopo aver perso un bambino, né dopo esserci lasciati, né dopo aver provato ad ignorarci, né dopo esserci buttati in altre relazioni, né dopo aver vissuto separati per tre anni, né niente. Non sarà questo incidente a riuscirci. Anzi, usciremo da questo incubo più uniti di prima, e con un figlio da vivere. Silvia è forte, ce la farà. Non potrebbe mai abbandonarmi, proprio ora che è tutto perfetto. Non lo farà, perché lei sa sempre cos'è giusto fare. Il suo posto è qui con me, perché io di lei ho bisogno. E credo che anche lei ne abbia di me. Noi due ci amiamo così tanto...
- Vieni qui, ragazzaccio.
Puri mi abbracciò e restammo così a piangere per non so quanto tempo. Dopodiché tornarono Pedro e Lola, ed insieme continuammo a stare con Silvia. Da quel giorno, cominciò una straziante routine.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Colloquio con un vigliacco ***


30. Colloquio con un vigliacco
 
 
Il coma cominciò a fine ottobre, ed a metà dicembre era ancora tutto uguale, senza il minimo cambiamento. Uno dei momenti più toccanti fu quando venne una dottoressa in stanza, per fare un'ecografia di controllo a Silvia. Mi chiese se volessi rimanere. Io dissi di sì perché dovevo starle accanto a maggior ragione in un momento così importante. La dottoressa mi vide abbattuto, e mi fece forza, dicendomi che comprendeva che fosse tutto alquanto difficile. Io dissi solo che mi immaginavo quel momento un po' diverso, ma che fosse giusto guardare il nostro bambino con un sorriso. Si intravide la testa, si fece sentire il battito forte e chiaro, si vedeva una figura muoversi dolcemente. Era figlio mio e di Silvia. Piansi, naturalmente. La dottoressa mi chiese se avessi voglia di sapere il sesso del bambino, ma io rifiutai. Volevo saperlo quando Silvia sarebbe stata cosciente. Almeno quello, volevo saperlo guardando i suoi occhi. In quel mese e mezzo, vennero sempre le stesse persone a trovarla in ospedale. Riuscii però, a fare qualcosa di molto importante: feci richiesta alla direzione della struttura di tenere Silvia ricoverata in una stanza attrezzata per la musicoterapia. Me la accettarono. In breve, la musicoterapia è una terapia che si pone ai pazienti in stato di coma. Nella stanza apposita per la terapia, ci sono diversi strumenti musicali. La musica è un linguaggio molto forte e incisivo, che arriva al cuore. I medici pensano che una terapia del genere aiuti gli individui in coma, perché comunica con essi in modo più delicato della secchezza delle semplici parole. In quei giorni le avevo parlato moltissimo, da non saper più cosa dirle. Pensavo però che stando zitto, non avrei fatto molto presente la mia vicinanza a Silvia, ed allora avevo pensato alla musica, che mi aveva consolato già tante volte. Magari Silvia in quel suo pianetino, l'avrebbe sentita e le sarebbe piaciuta molto. Magari avrebbe ballato, finalmente avrebbe ballato. Sì, ne ero certo. La musicoterapia sarebbe stata una bella cosa da fare per lei. Specificai ai medici di non aver bisogno né di musicisti, né di cantanti. Avremmo pensato a tutto io, Lola, Pedro ed Ingrid, visto il nostro passato artistico. La prima cosa che la cantai, accompagnandomi con la chitarra, ovviamente fu "More than words" insieme a Pedro. Poi chiamai anche Lola, e la feci duettare con Pedro, mentre io suonavo il pianoforte, su una canzone di Bosé che a Silvia era sempre piaciuta, ovvero "Si tú no vuelves". Poi le cantai tante altre canzoni, una dietro l'altra, che fecero compagnia alle mie notte insonni. Pensai fosse una buona idea. Era esattamente il cinquantesimo giorno di coma di Silvia, anzi, era notte. Era la notte del 14 dicembre. Io stavo suonando una roba inventata al momento col pianoforte, perché avevo appena finito di far ascoltare a Silvia un lettore mp3 con dentro tutte le canzoni degli Upa, affinché la riportassero a quei tempi. E allora, appena mi accorsi che le canzoni le erano già passate tutte per le cuffiette, avevo spento l'apparecchio, avevo sfilato le cuffiette a Silvia e mi ero messo a farle ascoltare qualcosa di rilassante al pianoforte. Pedro, Lola ed Ingrid erano stati lì per tutta la mattinata, Alicia e Carmen erano restate il pomeriggio, poi si era susseguito un viavai di ex compagni di corso, ed era passata anche Gabriela. Avevo dovuto raccontarle la mia storia con Silvia. Nell'ultimo periodo l'avevo raccontata centinaia di volte a centinaia di persone. Nel frattempo avevo lasciato il lavoro di animatore perché non volevo presentarmi lì e mancare per delle ore al fianco di Silvia. Non mi ero mai allontanato da lì. Ingrid ormai, mi sceglieva e portava i vestiti, mentre Pedro e Lola mi obbligavano a mangiare almeno un panino al giorno. Funzionava così da cinquanta giorni. Ma non era passato un solo giorno, senza che avessi detto a Silvia "ti amo". Per me era fondamentale. Le tenevo stretta la mano tutti i giorni, controllavo se la flebo andasse regolarmente, ascoltavo il battito cardiaco mescolandolo alla musica, restavo alle ecografie di controllo del bambino, guardando la pancia di Silvia crescere sempre più. Erano cinquanta giorni passati così, accanto a lei. Non mi rendevo neppure più conto se stessi piangendo ancora o meno. Insomma, quella notte di dicembre, erano le tre ed ero solo lì con lei. Il mese si faceva sentire con tutto il suo freddo. Ad un certo punto, smisi di suonare perché le mani stavano gelando. Fortunatamente avevo un bel felpone addosso, con le maniche leggermente lunghe, che mi permettevano di rimboccarci le mani per far sì che si scaldassero almeno un po'. Avevo paura che Silvia sentisse freddo, allora misi la seggiola più vicina al letto, un po' di sbiego, e riuscii a metterle le mie braccia attorno al collo, da dietro, come una sorta di mantello. Non dormivo da cinquanta giorni, ma non percepivo il sonno. Ogni mattina dicevo a Pedro e gli altri che si preoccupavano per me, che la notte stessa ero riuscito a dormire qualche ora, ma non era vero. Lo facevo per non farli stare in ansia anche per me. Neppure quella notte dormii. Però con le braccia attorno a Silvia, riuscivo a stare più rilassato. Appoggiai la testa accanto alla sua e mi resi conto di stare meglio. Sì, stavo meglio. Finché non si aprì la porta. Erano le tre, chi diavolo sarebbe mai venuto a quell'ora? Quasi irriconoscibile, davanti a me si presentò Horacio. Aveva i capelli ancor più lunghi dell'ultima volta in cui l'avevo visto, ma una barba curatissima. Gli occhi erano sempre quelli del furfante, ma era vestito abbastanza bene. Io mi limitai a fulminarlo con lo sguardo, con il disprezzo padrone su di esso. Egli aveva dei fiori in mano, e senza dire una parola, li appoggiò sul comodino, dunque si sedette su un'altra seggiola e mi guardò negli occhi. Fui io a prendere per primo il discorso.
- Cosa diavolo sei venuto a fare, eh?
- Arenales, Arenales... E Marta Ramos dove l'hai lasciata?
- Piantala. Perché sei qui?
- Volevo vedere Silvia. Dimmi, state di nuovo insieme?
- Questo non è affar tuo. Horacio, ma con che faccia ti presenti qui e dici di volerla vedere dopo averla tradita in un modo così ripugnante?
- Beh, non mi sembra che tu sia sempre stato un angelo con lei, eppure sei qui vicino a lei anche tu.
- Stammi a sentire, tu non sai nulla di quello che c'è stato e c'è tra me e Silvia. Tu non sai nulla di lei. Per esempio, a Silvia non piacciono i fiori eppure tu gliene hai portato un mazzo enorme. Come si nota che non la conosci per niente...
- Io l'ho amata, anche se le ho fatto del male, pivello. Nemmeno tu sai quello che c'è stato tra noi.
- Horacio, non sei più il mio insegnante. E non sei più neppure il compagno di Silvia. Non ti permetto di parlare così. Non credere che dato che hai quindici anni più di me, tu possa essere in tutto un gradino sopra di me. Sei solo un truffatore di merda. Silvia non avrebbe certo sperato una tua visita.
- Sei maleducato e superbo proprio come quando eri mio allievo, sai? Avrai almeno un minimo di maturità per dirmi cosa ci fai al suo capezzale quando io pensavo avessi lasciato Madrid con un'altra ragazza da anni?
- Questo te lo spiego volentieri. Ho sbagliato ad andare via con Marta. Perché ho sempre e solo amato Silvia. Così come lei ha sempre e solo amato me. Sono tornato qui per lei. E ci stiamo rifacendo una vita. Aspettiamo un bambino. 
- Che storia assurda, Arenales. Sai, quando io e Silvia andavamo a letto, tutto mi sembrava tranne che pensasse ad un altro uomo, tantomeno te poi. Credi ancora a queste balle dell'amore eterno e indistruttibile? Lei se l'è spassata senza di te, posso garantirtelo. Magari adesso che era sola e tu sei tornato, ne ha approfittato per divertirsi un po'. A volte, può essere eccitante scopare di nuovo con un ex. Non credi? Ah e poi dimmi un'altra cosa... Sei sicuro che quel figlio sia tuo? Io non ne sarei così certo conoscendo Silvia... 
- Mi fai solo schifo. Ascoltami, farabutto: non sono nessuno per impedirti di restare qui, ma se davvero intendi restare per un po', fammi il piacere di tapparti quella fogna di bocca. Altrimenti, riprenditi i tuoi fiori di merda e vaffanculo. Non te ne fotte nulla di lei, quindi esci per sempre dalla sua vita. Abbi rispetto per una volta e lasciaci in pace.
- E va bene, me ne vado. Ma sappi che io ho tenuto davvero molto a lei. Spero che tu le dica che sono passato, quando sarà sveglia. Ah, Rober... Fatti la barba che sembri Robinson Crusoe. E... Se ti capita, saluta Alicia Jauregui e Carmen Arrànz. D'accordo, allora vado. Comunque non eri poi così male come attore. Tanti auguri per il nascituro. Addio.
Lasciò i fiori sul comodino e fece un sorrisetto da coglione alla vista della fotografia appoggiata lì sopra, dunque aprì la porta, guardò Silvia un'ultima volta e poi andò via. Non gli avevo messo le mani addosso solo per rispetto di Silvia. Perché non mi sembrava il caso di picchiarlo mentre lei era a due metri in stato di coma. E poi, odiava quando diventavo violento. Solo per questi motivi avevo risparmiato la faccia di Horacio. Altrimenti, l'avrei picchiato per tutta la notte. Era un lurido pezzo di merda. Mi alzai dalla sedia, presi i fiori che aveva portato a Silvia e li buttai con violenza nel cestino. La vista di quell'idiota mi aveva messo addosso un nervosismo sconfinato. Passai la notte a camminare sopra e sotto per quella stanza, senza dire nulla. Arrivata la mattina, vennero Pedro e Lola e raccontai loro quello che era successo. Pedro mi rispose seccamente.
- Lascialo perdere, non ne vale la pena. Ha ragione soltanto su una cosa, devi farti la barba. Non pensarci più, pensa solo a stare accanto a Silvia come hai sempre fatto, d'accordo?
- Ma sì, certo.
- Rober...; intervenne Lola, - So che non è il momento ma... Ecco, la polizia desidera interrogarti sull'episodio del proiettile per valutare la posizione di Tanya. Sei stato convocato in commissariato per questo pomeriggio, visto che sei l'unico testimone.
- Non mi allontanerò di qui, mi dispiace. Verranno loro da me, non viceversa. Io resto qui, non mi importa nulla di quello che vuole la polizia. Se è davvero così importante, vorrà dire che mi farò interrogare qui, altrimenti non se ne fa nulla, spiacente.
- Ma Rober, è tuo dovere.; proseguì lei, - Fallo per Silvia. E se puoi, anche per Tanya.
- Tanya ha evidenti problemi mentali ed io credo che la perizia psichiatrica fara sì che non la detengano per tentato omicidio. Non serve che io parli con tutta quest'urgenza. Io devo restare con Silvia, non devo fare nient'altro, Lola.
- Scusami, Rober...; fece allora Pedro, - Però non c'è stata affatto urgenza da parte della polizia. Insomma, è passato un mese e mezzo ed hanno rispettato tutti i tempi per fare in modo che fossi lucido per testimoniare. So che è difficile, ma sono d'accordo con Lola, è tuo dovere. Non ci vorranno delle ore, sarà breve e tornerai da Silvia subito. Non le farai nessun torto, se testimonierai. 
- Scusate ragazzi, ma io non ci riesco. Non voglio allontanarmi da lei. Non pensate che stia impazzendo anche io per tutto questo, perché non è così. Semplicemente, voglio essere sempre con lei ad aspettare che apra gli occhi. Voglio esserci quando li aprirà. Lasciate almeno che possa fare l'unica cosa che Silvia mi ha chiesto: starle accanto. Per favore, voi potete capirmi.
Pedro mi abbracciò, sospirando. Lo fece poi anche Lola, dicendomi che avrebbe tentato di parlare con la polizia per trovare un punto d'incontro. Loro due, per me c'erano. Lo sapevo.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Il buon vecchio maestro ***


31. Il buon vecchio maestro 
 
 
Era il 15 dicembre, compleanno di Sergio. Quattro anni senza vederlo. Ne parlai a Silvia.
- Sai amore, oggi Sergio compie dieci anni. Beh, è un traguardo importante, no? Peccato che mancherò anche stavolta. Mi chiedo se lui fa mai domande sul suo papà. E mi chiedo anche cosa gli venga risposto. Chissà come si trova a scuola, chissà se in Brasile ha degli amici. Chissà se gli piace ballare come il suo papà. Io non so più nulla di lui. Ho una vita strana, sai? Mio padre l'ho perso perché non abbiamo mai saputo prenderci l'un l'altro, mia madre non so neppure dove diavolo sia finita dopo il divorzio, mio fratello Enrique lavora felicemente come avvocato ad Almeria e non abbiamo mantenuto i rapporti da quando io ho deciso di non lavorare né con lui né con papà. E mio figlio è lontano chilometri e chilometri da me. Ma con lui è diverso, perché i nostri rapporti sono stati troncati non volendolo. Io ho voglia di vederlo, di stare con lui. Voglio fargli da padre. Non voglio che gli manchi quest'appoggio come è mancato a me. Tu puoi capirmi, perché è mancato anche a te. Chissà come si è fatto grande. Magari adesso mi somiglia un po' di più, rispetto a quattro anni fa. Beh, è la fotocopia di Bea, questo è sicuro. Quando ti sveglierai, io ricomincerò a lavorare e otterrò tutti i soldi necessari per andare in Brasile. E tu mi accompagnerai, fiera del tuo pancione. D'accordo? 
La guardavo e mi arrabbiavo del fatto che non potesse rispondermi. Stringevo i pugni e mi mordevo il labbro. Continuavo imperterrito a chiedermi perché una cosa simile fosse dovuta capitare proprio a lei. Mi misi a suonarle qualcosa, cantando tristemente con un filo di voce. Poi tornai accanto a Silvia, tenendola per mano, mentre con l'altra mano le accarezzavo la pancia. Pedro passò a darmi un panino ed Ingrid mi portò i vestiti, come ogni giorno. Il pomeriggio, poi, dopo che Carmen era rimasta un po' con me e se n'era andata da una mezz'ora, venne a trovare Silvia una persona che ebbi molto piacere di rivedere. La porta si aprì piano, ed io mi voltai. Ne sbucò la testa di Cristobal, il mio ex insegnante di recitazione dell'Arrànz, che aveva preceduto Horacio.
- Si può?
- Santo cielo, Cristobal! Venga, venga pure...
Si avvicinò a me e Silvia e riprese.
- Sarei voluto venire prima ma ho avuto impegni lavorativi. 
- Sa Cristobal, l'avrei cercata se non fosse successa questa disgrazia. Carmen mi aveva detto che a me avrebbe fatto bene parlare con lei e che a lei avrebbe fatto piacere rivedermi. Mi dispiace rivederci in una situazione simile.
- Rober, è la prima volta che ti vedo piangere.
- Per lei ho sempre pianto molto, semplicemente mi hanno visto in pochi. Ora però sto dando il massimo e mi stanno vedendo tutti. Anch'io mi sono innamorato sul serio, ed è stato cinque anni fa. Da allora sono successe milioni di cose, ma l'amore è sempre rimasto. Io credo di essere pronto per starle accanto come merita, ora. Solo che il destino mi rema contro. Sa, vogliamo ricominciare tutti e due ed aspettiamo un figlio da quasi tre mesi.
- Sì, certo. Carmen mi ha raccontato tutto. Beh, è bello. Rober, sappi una cosa: l'amore non rende un uomo debole, ma al contrario, lo rende forte e con la voglia di vivere. Guardando come guardi Silvia, penso che sia quello che stia succedendoti. Hai voglia di viverla, di amarla. Ti si legge in faccia. Fidati, è qualcosa di meraviglioso.
- Cristobal, lei è innamorato?
- Oh sì. Forse non ve l'hanno mai detto a scuola, o almeno non lo so, ma io e Diana, la vostra insegnante di moderno, abbiamo lasciato insieme la scuola in ogni senso. Siamo fidanzati, sai? E la amo, sì che la amo.
- Oh mio Dio non ne sapevo nulla! Beh, è strano... Io credevo che il suo debole per Adela non l'avrebbe mai lasciato e che allo stesso modo Diana avrebbe sempre tenuto il suo debole per Juan... Insomma, voi professori creavate intrecci amorosi peggio di noi allievi, sbaglio?
- Oh no, voi avete sempre fatto di peggio. Comunque, Carmen mi ha detto che hai mollato il teatro... Non è una bella cosa, Rober. Tu hai un talento immane, anche se non ho mai voluto dirtelo per far sì che non ti sentissi una stella più di quanto non ti ci sentissi già di tuo. Però è così e devi continuare per quella strada. Credimi, è la tua.
- Forse. Però ora non è proprio il momento per pensare a questo. Sa, l'avevo promesso anche a Silvia. Le avevo detto che una volta sistemate le mie cose con lei, sarei tornato a pensare anche al teatro. Ma ora francamente non è un pensiero che mi sfiora la mente.
- Beh, non ne dubitavo. Ma dimmi una cosa... Perché hai mollato quella strada?
- L'ho mollata quando stavo vivendo una vita non mia, con una donna che non amavo, una città che mi opprimeva e nessun amico da abbracciare. Ho rinunciato a tutto quello che mi faceva me stesso, perché sono un grandissimo idiota. E tra queste cose, c'era anche la mia passione sfrenata per il teatro. L'ho lasciato, come ho lasciato Silvia. So di aver sbagliato, mi creda Cristobal. Prometto anche a lei che riproverò, quando sarà tutto a posto. Ma adesso mi lasci stare accanto alla donna che amo, perché ha bisogno di me e questa volta non la lascerò neppure se mi cadesse addosso il cielo.
- D'accordo. E dimmi, sai se sarà un bambino o una bambina?
- No, non lo so. In realtà mi hanno chiesto se avessi voluto saperlo, perché sarebbe stato possibile, ma io ho rifiutato. Per una cosa come questa, vorrei aspettare che Silvia si svegli.
- Hai una preferenza?
- Beh, no. Però sa, sono convinto che a Silvia piacerebbe fosse una femminuccia. E se lo fosse davvero, sono certo che diventerebbe una ballerina come lei.
- Già. Rober, sbaglio o tu hai già un figlio?
- Esatto. Compie dieci anni oggi, sa? Lo avrà visto ai tempi della scuola, ogni tanto veniva a trovarmi. Si chiama Sergio, ed è figlio di una ragazza di Almeria di cui mi sono innamorato a sedici anni, durante un'estate. Sa, è stata una passione fugace. Forse però, anche il mio primo amore. Io non lo so. So solo che amo Sergio in una maniera sconfinata. Il problema è che sono quattro anni che non lo vedo.
- Come mai?
- Tra me e Bea le cose non sono durate per niente. Sta di fatto che mi ha concesso di vedere mio figlio per la prima volta quando aveva tre anni e mezzo. Io ero all'Arrànz. Me lo portò lì, una mattina. Fu meraviglioso. Le cose sono cambiate quando si è sposata con un uomo e si è trasferita a New York portando Sergio con sé. Ho cominciato a vederlo molto meno spesso, rispetto a quando viveva in Spagna. Però sa, Bea ogni tanto tornava perché doveva sbrigare alcune faccende, quindi riuscivo a vedere mio figlio almeno un paio di volte al mese. Ma infine, Bea ha divorziato dal suo primo marito e si è risposata con un brasiliano. Adesso vive lì in Brasile con altri figli. Si è fatta una vita stabile e non torna mai qui. Sergio è liggiù ed io non posso vederlo perché non ho soldi per pagarmi il viaggio. Bea ha l'affidamento, quindi sono io quello tenuto ad andare da mio figlio se ne ho voglia. Lei non è tenuta a portarlo qui. Io ne ho voglia, mi creda, ma non ho soldi. Prima che succedesse questo incidente a Silvia, avevo cominciato a fare l'animatore qui vicino e stavo racimolando per poter andare in Brasile. Ma adesso non posso né voglio continuare a lavorare. Devo stare qui con Silvia.
- Perdonami Rober, ma... Silvia ha un patrimonio ereditario immenso. Perché non te lo paga lei il viaggio? Se ti ama, cosa le costa?
- No, Cristobal. Voglio essere io a guadagnarmi l'abbraccio di mio figlio. Non voglio più che mi si regali tutto. Devo cavarmela da solo adesso, d'accordo? Io non amo il denaro di Silvia. Io amo lei. Ed è ben diverso. Sergio è mio figlio. Io non ho saputo fare niente per tentare di riabbracciarlo fino ad ora. Sempre per lo stesso motivo, per essermi negato alla mia vita ed a tutto quello che ne faceva parte. Ora è tempo che io ripari a tutti i colossali errori che ho fatto in tre anni. Ma devo farlo da solo, altrimenti non imparerò mai cosa vuol dire essere un uomo. Non è esattamente questione di orgoglio, ma è più questione di assunzione di responsabilità. Io ho sbagliato, io devo rimediare. Ho sbagliato da solo e tenterò di rimediare da solo. Se ce la farò, finalmente tornerò a vivere. Altrimenti, non me lo perdonerò mai. Silvia, Sergio e questo bambino sono tutto quello che contano per me. Sono tutta la mia vita. Io non voglio scapparne mai più. Io voglio viverla.
- Mi fa davvero piacere vedere che finalmente sei cresciuto, ragazzo.
- È tutto merito suo.; feci io indicando Silvia con la testa.
- Vorrei restare, ma credimi, ho da fare. Devo scappare. Tornerò domani o tra qualche giorno. Cerca di riposare, che hai un aspetto distrutto. E cerca anche di smetterla di piangere, hai due occhi così stanchi. Mi ha fatto piacere rivederti, Rober. Sapevo che in fondo eri un bravo ragazzo. Vedrai che si rimetterà tutto a posto... Ciao.
- Anche a me. A presto, Cristobal. Mi troverà sempre qui.
Cristobal se ne andò, dandomi un'ultima pacca sulla spalla. Chiuse la porta e restai nuovamente solo con Silvia. Come sempre le ripresi la mano e le restai accanto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Gli occhi di un figlio ***


32. Gli occhi di un figlio
 
 
Credo che passarono un paio d'ore così. Poi arrivarono Carmen ed Alicia, ed io raccontai loro che quella notte era passato Horacio e che mandava loro i suoi saluti. Entrambe avevano avuto a che fare con quell'uomo in modo alquanto negativo. Carmen l'aveva assunto nella sua scuola perché Horacio si era fatto passare per un altro, con un curriculum di tutto rispetto. Inoltre, si era finto un suo figliastro che non vedeva da molti anni. Aveva così ottenuto il posto con molta facilità, grazie alla sua bravura con le truffe. Ma Carmen l'aveva toccata non solo nella sua professionalità, ma anche sul personale. Alicia, invece, aveva avuto una storia con lui, prima che si mettesse con Silvia. Si erano quasi sposati. Alicia era molto innamorata, ma lui no. La ferì molto e quando Alicia lo vide con sua nipote, non capì più nulla. Si arrabbiò pesantemente con Silvia, rifiutando di pagarle gli alimenti e tentò di tutto per cacciare Horacio dalla scuola. Odiava quell'uomo nel profondo del cuore. Difatti, appena riferii a lei e Carmen le sue parole, ebbero entrambe una strana reazione. Alicia si ammutolì ed uscì dalla stanza, mentre Carmen si limitò a tenere lo sguardo basso accompagnato da un sospiro d'angoscia. Alicia rientrò in breve e mi chiese se davvero gli avessi fatto capire che non sarebbe mai più dovuto tornare ed io lo confermai. Rimasero un po' con me, senza che toccassimo il tasto Horacio, dopodiché se ne andarono. Ma poco dopo, Alicia tornò indietro e mi disse che c'era una donna che voleva vedermi. Io le chiesi chi fosse, ma lei mi rispose che non ne aveva idea e che la donna le aveva semplicemente detto che non era il caso che entrasse, ma doveva farmi chiamare. Non avrei voluto lasciare Silvia neppure per un minuto, ma qualcosa mi diceva che era importante che io andassi a vedere chi fosse quella donna. Non ne avevo idea, davvero. Baciai Silvia sulla fronte ed aprii la porta, chiudendola alle mie spalle. Di fronte non c'era nessuno, così mi affacciai nell'altra sala d'attesa. Non era possibile. Pensavo fosse una roba disegnata dalla mia immaginazione, non quello che realmente avevo davanti agli occhi. Mi tremarono le gambe. Le mie lacrime cominciarono a venire giù più corposamente. Davanti a me c'era Bea, che teneva per mano Sergio. Mi accasciai con le ginocchia a terra e mi misi le mani sul volto. Poi sentii l'abbraccio di mio figlio e per un attimo pensai che qualcosa di bello al mondo esisteva ancora. Lo guardai poi negli occhi felici di un normale bambino di dieci anni. I suoi occhi azzurri e spensierati, i ciuffi biondi ed un sorriso meraviglioso. Lo riabbracciai e gli sussurrai gli auguri all'orecchio, lui mi sorrise ancora, poi rispose "Grazie papà". Era così felicemente spensierato. Era cresciuto molto, ed era bellissimo. Ci tenemmo stretti per qualche minuto, poi arrivarono Pedro e Lola, così Bea lasciò che Sergio andasse con loro nel giardino antistante l'ospedale, mentre lei venne con me nella stanza di Silvia. La abbracciai forte, piangendo senza sosta. Ci sedemmo ed io aprii il discorso.
- Come mai sei venuta fin qui con Sergio?
- Lui voleva vederti. Sai, io non sapevo nulla di tutto questo. Insomma, Sergio aveva voglia di vederti, è il suo compleanno ed io ho pensato che a te avrebbe fatto molto piacere. A dire il vero ero titubante perché pensavo non stessi facendo nulla per vederlo. Ma alla fine mi sono convinta, così sono partita da Santos e sono andata a Malaga perché pensavo di trovarti lì, con quella ragazza. Sono andata nella casa dove risultava abitassi ed ho trovato la tua ex compagna che mi ha spiegato che non stavate più insieme perché tu ami Silvia. E di conseguenza, mi ha spiegato anche cosa è successo un mese e mezzo fa. Mi dispiace davvero molto, Rober. Tra l'altro ho saputo che stavi mettendo soldi da parte con un lavoretto qui in città per venire da noi in Brasile e... Mi è dispiaciuto il fatto che io abbia dubitato sul tuo desiderio di vedere Sergio. Perdonami se finora non te l'ho mai portato in Spagna... Perdonami...
- Per tre anni non ho fatto nulla per vederlo. Tu non dovevi portarmelo, non ne eri in dovere. Ero io a dover venire e sono io che non mi sono preso la briga di venire per tre anni. Solo ora stavo riprendendo in mano la mia vita ed è per questo che sono tornato dall'unica donna che io abbia mai amato ed ho cominciato a lavorare per vedere Sergio. Tu non hai colpe, davvero. Sono stato un irresponsabile in fuga dalla sua vita per ben tre anni, quindi sta' davvero tranquilla. Però sappi che ora sono cosciente di aver sbagliato e sto cercando di rimettere in piedi tutto quello da cui sono fuggito. Stava andando tutto bene, sai? I soldi per Sergio pian piano stavano crescendo e il mio rapporto con Silvia migliorava di pari passo. Al matrimonio di Pedro e Lola, finalmente mi aveva detto che meritavo la seconda opportunità che non avevo mai avuto. Volevamo ricominciare da capo, col sorriso sulle labbra. Ci siamo sempre amati, da quando ci siamo conosciuti fino ad ora. Non è mai cambiato niente fra noi in tanti anni.
- So cosa è successo dopo, non c'è bisogno che tu lo ripercorra, ti farebbe solo male.
- Io già sto male. Non è facile vedere la donna che ami che lotta tra la vita e la morte per colpa tua, con il vostro bambino in grembo. Che nonostante tutto ti ama e sacrifica tutto quello che ha per tentare di salvare il frutto del vostro amore. E tu non puoi fare altro che starle accanto e sperare che apra gli occhi. Perché altrimenti, nulla intorno a te avrebbe più senso. Non è facile per niente, cazzo.
- Posso immaginarlo...
- No, non puoi.
- Già, forse non posso ma... So quanto la ami. Lo so, te lo si legge negli occhi, nel modo in cui le tieni stretta la mano, nel modo in cui ne parli. E sapendo quello che è successo, so che anche lei ti ama molto. Credo sia molto felice di te, perché hai lasciato farle fare quello che più desiderava al mondo, nonostante rischiasse molto. Credo che ti ami quanto tu ami lei. E se ti ama, non devi tormentarti nel pensare che sia tutta colpa tua. Io non so se sia davvero come dici tu, che tu abbia delle responsabilità, ma... A lei questo non interessa. Lei sa solo che tu la ami in una maniera sconfinata e che daresti la tua vita per lei. Io credo che non le interessi il fatto che tu abbia o meno delle colpe. Lei ti vede soltanto come l'uomo della sua vita e il padre del suo bambino. E non c'è cosa più bella per una donna, credimi.
- Forse, ma... Non ho fatto altro che farla soffrire, Bea. Questa volta ho esagerato e semmai non dovesse risolversi tutto per il meglio, io... Io non riuscirei più a guardarmi allo specchio. Sentirei di non meritare di poter aprire gli occhi ogni giorno, di non meritare la vita, capisci? Lei... Lei è la persona migliore che io abbia mai conosciuto e non avrei mai voluto che le succedesse niente di male, niente... E invece, da quando ha conosciuto me, la sua vita è diventata così difficile, piena di sofferenze, di dolore... Però io la amo e non avrei voluto tutto questo, tantomeno per causa mia... Sono un disastro...
- No, non sei un disastro. Sei una persona meravigliosa, difficile, ma meravigliosa. Sono sicura che anche lei pensa lo stesso. Non credi che oltre alle sofferenze, le hai regalato anche tante altre belle cose? Avrete anche un figlio, Rober. E tu, anche stavolta, sarai un padre bravissimo, come lo sei con Sergio. Non importa che tu non l'abbia visto sempre in questi anni, ma l'importante è che lui ti adori e non c'è nient'altro che possa essere più importante di questo. Lo dico davvero.
- Grazie, Bea. Rivedere Sergio in un momento come questo, è riuscito a tirarmi un po' su e ti ringrazio di avermi concesso di vederlo.
- Beh, stavo pensando che potreste stare insieme di più, se ti fa piacere.
- Cosa?
- Ho capito che avete bisogno l'uno dell'altro, Rober. Dato che Sergio frequenta la scuola in Brasile, non posso portarlo qui durante il periodo scolastico. Così ho pensato che oltre a venirlo a trovare quando vuoi, l'estate lo possa tenere tu qui a Madrid insieme a Silvia e il vostro bambino, sempre se ti fa piacere. Ovviamente, dovresti concedere anche a me di venire qui durante l'estate. Se ne hai voglia, credo sia meglio così per Sergio. In questo modo non gli mancheranno né il suo papà né la sua mamma. E nemmeno tutti i fratellini. Che ne dici, ti va?
- Parli sul serio?
- Ma certo. Io ti voglio bene e mi fido di te, soprattutto adesso che ho saputo quanto tu abbia messo la testa a posto. E poi tu sei suo padre, lo ami e lui ama te, quindi credo che non serva il tribunale per stabilire certi diritti. 
- Sarebbe meraviglioso... Bea, non so che dire, davvero... Sei una persona stupenda... Grazie, grazie mille!
E la abbracciai di nuovo. Finalmente una buona notizia in un periodo così nero. Bea restò con me tutto il giorno, mentre Sergio giocava fuori con Lola e Jorge, che l'aveva appena raggiunta. Pedro venne un po' in stanza da Silvia. Raccontai per bene a Bea quello che mi era successo per tre anni, tentando di farle capire quello che avevo passato e sono certo che mi abbia capito. Mi fece bene parlare con lei. La sera poi, dovette andarsene ed io andai a salutare mio figlio. Mi fece promettere che ci saremmo rivisti ben presto ed io questa volta gli feci capire che sarebbe stato davvero così. Gli regalai un mio bracciale per il compleanno, dicendogli che doveva ricordargli la mia promessa. Lo strinsi forte e gli diedi un bacio, tentando di trattenere le lacrime. Poi salutai affettuosamente Bea, ringraziandola di quello che intendeva fare per me. Se ne andarono sorridenti. Ma la loro visita mi mise un po' di fiducia in più nelle vene. Una fiducia che voleva dirmi che sarebbe andato tutto bene. Che Silvia si sarebbe svegliata. Che avremmo avuto un figlio che avrebbe giocato con Sergio per tutte le estati. Tornai da Silvia frettolosamente e lo dissi anche a lei. Appoggiai la testa sul suo stesso cuscino e la guardai per tutta la notte. Riuscii a non piangere, ma volli sorridere. Avevo più forza, più speranza. Stavo meglio.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Bianco ***


33. Bianco
 
 
La mattina seguente, nevicò. Strano, a Madrid non nevica mai. Eppure, quel giorno vennero giù decine e decine di fiocchi. Fuori era tutto bianco e c'era molta quiete. Faceva un freddo micidiale e al terreno mancava il sole. Il dottor Ruiz passò a vedere come stava Silvia. Mi disse che aveva parlato con il ginecologo che l'aveva visitata l'ultima volta, e che gli aveva detto che la gravidanza procedeva regolarmente. Ormai era il terzo mese. Mi disse di avere pazienza. Aggiunse anche che se Silvia non si fosse svegliata per tempo per la nascita del bambino, avrebbe comunque fatto in modo di farlo nascere. Mi disse che i parti in coma erano qualcosa che avveniva regolarmente negli ospedali di tutto il mondo e che non sarebbe stato difficile. Però io volevo che Silvia fosse cosciente durante il parto, perché sarebbe stato il momento più bello della sua vita ed io non volevo che se lo perdesse. Ad ogni modo, lo ringraziai e poco dopo passarono Pedro e Lola col panino ed Ingrid con i miei vestiti. Era diventata una specie di catena di montaggio. Senza di loro sarei morto in quell'agonizzante situazione. In quel mese e mezzo avrò perso almeno cinque chili, e considerato il fatto che ero già piuttosto magro prima, ora ero diventato uno scheletro che si muoveva. Ma fisicamente non stavo male e non sentivo la necessità di mangiare. Insomma, sopravvivevo tranquillamente. Quel giorno però, non so perché, passò molto lentamente. Mi sentivo strano mentre guardavo gli occhi chiusi di Silvia. Mi sentivo come se stesse per aprirli. Ma non li apriva, ed allora mi sentivo stupido e ricominciavo ad autoinsultarmi mentalmente per la mia convinta colpevolezza. Pregavo il cielo affinché trovasse un modo meno spregevole per farmi pagare i miei errori, lo pregavo affinché tenesse Silvia fuori dalla punizione che probabilmente mi stava così infliggendo. Mi mancava la sua voce, il suo sorriso, i suoi occhi. Mi mancava baciarla, toccarla, odorarla, farci l'amore. Mi mancava lei. Era lancinante il mio dolore, ogni giorno che passava. Giorni fatti da ore, ore fatte da minuti, minuti fatti di secondi. Ogni attimo mi stremava sempre più, anche se il giorno prima avevo trovato un po' di coraggio grazie agli occhi di Sergio. Ma la situazione restava così terribilmente ferma, senza sviluppi. Tutta quella quiete mi spaventava. Ed ora ci si era messa anche la neve, a rendere tutto troppo pacifico, tranquillo. Privo di vita. Non c'era neppure il sole per consolarsi. Neppure l'azzurro del cielo. Anche quello era diventato color della neve. Bianco, un colore che secondo me non è un colore. Non trasmette altro che silenzio e quiete, in pratica il vuoto, il niente. Per me è così triste. Riesco a trovarci positività solo nel vestito di una sposa, perché lì da' l'immagine della purezza della donna che va a giurare di amare un solo uomo nella propria vita e che questo le basta per essere così meravigliosamente felice. Allora mi piace. Mi piace solo in questo verso. Solo le donne riescono a dare senso a questo colore. Solo loro. Ma soltanto se hanno il cuore pieno d'amore. E diciamo che il bianco lo amo anche sulle divise del Real Madrid, questo c'è da ammetterlo. Tutto era bianco, quel 16 dicembre, cinquantaduesimo giorno di coma di Silvia. Il suo camice, le lenzuola, le pareti della sua stanza, il cielo, le strade, Madrid. Tutto inesorabilmente bianco. Fortunatamente Ingrid mi aveva portato una felpa rossa e dei jeans. Io non ero bianco. Non che non lo vestissi, perché ho diversi capi bianchi che mi piace indossare, ma quel giorno non mi andava di essere bianco anche io. Sì, insomma, la mattina e il pomeriggio passarono lenti e strani. Non mi sentivo tranquillo come quel bianco voleva farmi sentire e lo dissi anche ai ragazzi, a Carmen, ad Alicia e tutti coloro che passarono quel giorno. Sudavo anche se faceva molto freddo, e Lola cominciò a dirmi che dovevo mangiare e riposare, perché probabilmente era una conseguenza del mio pessimo stile di vita degli ultimi mesi, ma io sapevo che non era così. Era tutta una roba psicologica, mentale. Fame e sonno, ancora una volta, erano totalmente innocenti. Pedro non fu tranquillo del mio stato, così, nonostante cercai di fargli capire che non ce ne fosse bisogno e che fosse giusto che lui tornasse in albergo con Lola, restò a pernottare con me nella stanza di Silvia. Arrivata la notte, la neve cessò di cadere e il cielo tornò sereno. Si vedevano tutte le stelle, anche quella che a Silvia piaceva tanto. Io e Pedro cantammo un paio di canzoni e poi chiacchierammo un po'. Mi raccontò di quando lasciò l'auto che lo stava portando in vacanza insieme a Silvia, perché si era accorto che non lo amava.
- Io l'avevo perdonata perché ne ero innamorato. Sai, mi aveva detto che le interessava solo di quello che c'era tra noi due e basta. Mi aveva detto di aver sbagliato. Poi però, quando stavo guidando la sua auto per andarcene in un campeggio vicino Lastres per trascorrere insieme l'estate, mi vennero mille dubbi. Io mi ero accorto di come ti guardava da circa un mese e non mi spiegavo come potesse guardarti così se le importava solo di me. E poi, io le avevo detto che l'amavo, ma lei non aveva mai risposto. Non me l'ha mai detto. Così ho accostato dopo un minuto dalla partenza e mi sono fermato. Lei mi chiese cosa mi prendesse ed io la guardai negli occhi, quindi le chiesi se con te era stato solo sesso. Tenne lo sguardo basso e non fu capace di dire di sì. Le dissi allora che forse era il caso che partisse con te ed uscii dall'auto incazzato nero. E non mi chiese di fermarmi o di tornare indietro. Mi lasciò andare. Quanto ti ho odiato, Rober, lo sa solo Dio. Lei amava te. Le dispiaceva per me, quello sicuramente, ma amava te. E non ha mai smesso di farlo.
- Il giorno prima ci siamo picchiati per lei, te lo ricordi bifolco?
- Cazzo se me lo ricordo! La mia faccia era una maschera di sangue, razza di idiota.
- Anche tu ci sei andato pesante, credimi. Ad ogni modo scusami, forse potevamo risolvere la faccenda più pacatamente...
- Già, forse. Ma è roba di sei anni fa e sono ragazzate che capitano, specialmente per le donne. Lola ha il video, sai?
- Cosa?
- Sì, il video di noi due che facciamo a cazzotti. Me l'ha fatto rivedere qualche tempo fa. Era lì, a rovistare tra le vecchie cose dell'Arrànz ed a un certo punto ha tirato fuori questo vhs. Anche lei era ignara di cosa fosse, così l'abbiamo visto. Che orrore! Però sai, mi ci sono fatto due risate. Ricordati che dovevamo recitare una scena matrimoniale per l'esame di recitazione in quell'occasione, per questo ne esistono registrazioni su vhs. 
- Anch'io vorrei rivederlo, in fin dei conti. L'unica cosa che detesto davvero di quell'episodio però, sono le lacrime di Silvia.
- Già, quello non fu bello per niente.      
- Quando siamo rientrati al secondo anno, tu l'amavi ancora, vero?
- Ai primi tempi assolutamente sì. Ti detestavo così tanto. Poi però, mi è passata. Vedevo che con te stava bene e ti amava. Così, pian piano ho capito che potevo essere felice anche senza di lei. Non mi ha mai amato, non poteva mancarmi una persona che non mi aveva mai amato. Sai, vedevo che comunque a me voleva bene e questo mi bastava. Noi eravamo solo amici. Ci ho messo tempo per capirlo, ma l'ho capito. Ed è un'amica meravigliosa. E poi lo sai, mi sono innamorato di Marta, poi di Adela e poi, finalmente, di Lola. La donna della mia vita. Quella che sarebbe diventata mia moglie. Con lei è stato magico. Lei mi ha amato dal primo sguardo del primo anno, mentre io l'ho fatta patire per così tanto alla ricerca della persona giusta... Invece non mi accorgevo di avercela sempre accanto. Io la vedevo come l'amica del cuore, ma... Era molto di più. Mi sono innamorato perché lei c'era sempre e sapeva quello di cui avevo bisogno. Sapeva se stavo male anche se non lo dicevo. Mi dava amore ed io alla fine ho capito che meritava lo stesso anche lei e poi... Poi c'è stato quel momento che ho desiderato solo di stare con lei. Te lo ricordi, no? Tu stavi male per Silvia e la faccenda di Alvaro ed io... Io stavo male perché Lola aveva temporaneamente smesso di starmi dietro perché si era giustamente stufata che io non la volessi, e stava con Jero. Lì, Rober, ci siamo dati una mano l'un l'altro.
- Già, e chi se lo dimentica.
- Se devo dirtela tutta, c'è stato anche un momento in cui Silvia, dopo aver rotto in definitiva con te, è venuta a parlarmi dicendo che negli ultimi tempi non aveva fatto altro che sbagliare e che...
- Sì, certo. Che non sarebbe dovuta partire con me e che non avrebbe dovuto permetterti di scendere da quell'auto. Giusto?
- Sì, è così.
- Già. Lo so, lo so bifolco. 
- Sai anche che non era sincera?
- Certo. Detestava quello che aveva scelto in precedenza riguardo me e te. Perché aveva scelto con il cuore. Si era fatta trasportare dalle emozioni. Invece lei era una di quelle che controllava tutto quello che faceva con minuziosità. Sceglieva con la testa. Sceglieva quello che le sembrava più giusto, meno complicato. Invece, tra me e te ha scelto col cuore. E il suo cuore ha imboccato la strada più difficile. Ma era quella che voleva davvero. Ero io. A freddo, ha cercato di ridurre il tutto al fatto di aver commesso uno stupido errore, ma non era così. Non era un errore, era una scelta di cuore. Una scelta che rappresentava la sua vera volontà, quella col senitmento. Non la volontà matematica, ragionata, pianificata. La vita non si vive così. Poi lo ha capito che non era uno stupido errore. Si chiamava solo amore. Ed ha anche capito che la vita si vive al momento e si vive col cuore. Beh, quella scelta di sei anni fa, resiste ancora nel suo cuore. Come vedi, non è stato un errore. Ed è stato anche il regalo più bello della mia vita. Ma tu come hai capito che non era sincera?
- La conoscevo abbastanza per capirlo. Sapevo che ti aveva amato, sapevo che per te era stata male. E dato tutto questo, non poteva trattarsi di uno sbaglio. E poi, andiamo, mentre parlava non mi guardava come era solita guardare te. Quella luce ce l'ha solo quando guarda te e ce l'ha ancora oggi. Era innamorata di te anche nel momento in cui mi diceva che non avrebbe dovuto lasciarmi scendere dall'auto. Stava solo cercando di ingannare sé stessa. Ma poi, come hai detto tu, l'ha capita da sola la verità. Anche se le pesava, era così. Amava solo te.
- Ed io amavo lei. Sempre amata e sempre l'amerò. La prima volta che abbiamo fatto l'amore, bifolco, mi sembra ieri. 
- Puoi parlarne, guarda che non fa più male. Anzi, a dire il vero ha fatto male solo per qualche mese, poi ho capito che è stato l'inizio di qualcosa di bello e che sarei dovuto esserne solo contento per voi. Avanti, parlane. Magari a Silvia farà bene tornare ad allora. Io amo Lola, razza di idiota. E so quanto voi due vi amate. Siete i miei testimoni di nozze e vi voglio un mondo di bene. Che mi importa di come è cominciata fra voi? So solo che adesso è tutto chiaro e che è stato tutto giusto così.
- Già, scusami, è che non mi rendo conto che i sentimenti di sei anni fa non sono gli stessi per te, solo perché per me è così. Beh, ero nella stanza costumi, avevo paura di essere bocciato e... Ed è arrivata lei. Mi ha visto così e mi ha rassicurato. "Andrà tutto bene", mi disse. Alla fine, la baciai. Avevo già resistito per troppo tempo. Lei mi respinse, ma io continuai ad insistere. Sai, in realtà non sapevo neppure che voi due vi foste messi insieme, come d'altronde non lo sapeva nessuno. Continuava a chiedermi cosa stessi facendo, ed io le dissi che stavo facendo quello che avrei dovuto fare da un pezzo. Lei si oppose ancora, ma alla fine si lasciò andare. Mi baciò anche lei, arresa al suo cuore. Sentivo che mi voleva. Mi tirò via la maglietta. E poi una cosa venne dopo l'altra. Io le strappai i bottoni della camicia con un'unica manata e poi... Poi ci siamo appoggiati su un gradino scomodissimo ma... Ma fu stupendo. Fu bellissimo. Non so dirti altro perché... Le parole non basterebbero.
- E quando avete rifatto l'amore tre mesi fa, com'è stato?
- Non so come risponderti, bifolco. Beh, è stato come aver vissuto nel paradiso, poi esserne fuggito, e alla fine averne fatto ritorno dopo tanto tempo. Forse più o meno lo si può spiegare così... Però anche qui, le parole non bastano. Per parlare di quello che provo per lei, le parole non bastano mai.
- Già. Beh, vado a prendere un caffè alla macchinetta. Lo prendo anche per te?
- No, grazie. Sono a posto. Va' pure.
Pedro andò via un istante per il suo caffè. Io restai fermo a guardare Silvia. La mia strana sensazione era rimasta sempre lì, la sentivo ancora. Guardavo Silvia e le dicevo di non farmi scherzi. Cominciò a girarmi la testa, cominciai ad avere nausea. Cominciò a venirmi il fiatone, mi si irrigidirono i muscoli, mi tremarono le gambe. Non so cosa diavolo mi stesse succedendo. Cominciai a sussurrare il nome di Silvia, riuscivo a dire solo quello. E poi, ad un tratto, così, d'improvviso, vidi l'elettrocardiogramma di Silvia in linea retta, accompagnato da un suono non più alterno, ma fisso, continuo. Mi resi conto che fosse in arresto cardiaco. Il suo cuore aveva cessato di battere. Non riuscii a fare nulla, soltanto tirare la cordicella dell'interruttore per chiamare l'infermiera, poi credo di essere svenuto. Insomma, tirai la cordicella e non riuscii a tenermi in piedi. Mi si annebbiò la vista e mi accasciai a terra, con quel suono straziante nelle orecchie. Vidi però arrivare Pedro, seguito dai medici. Questi si accorsero che la situazione era grave e credo abbiano chiesto a Pedro di lasciare la stanza. Sentivo urlare dappertutto, poi ricordo che lo stesso Pedro mi prese in braccio e mi portò fuori, nel corridoio. Forse in quel momento anche la mia faccia era inesorabilmente bianca, oltre che stremata e sudata. Pedro piangeva, era agitato. Mi mise a terra, mi alzò le gambe e credo che chiamò qualcuno del reparto. Io non ero in me, ma riuscii a chiedere a Pedro un'ultima cosa prima di perdere totalmente i sensi: gli chiesi di spalancare la finestra dinnanzi a me. Non so perché ebbi quel desiderio così forte, so solo che lo volli con tutto me stesso. Pedro non capì, ma lo fece. E prima di chiudere i miei occhi, riuscii a vedere una stella cadente.  Mi venne istintivo guardarla e ricordo che vidi portarsi via una scia luminosa nel cielo. Mentre svenni, credo aver espresso l'unico desiderio che potessi esprimere. Ho chiesto al cielo di lasciare Silvia da me. Perché ne avevo il più disperato bisogno e perché il cielo di angeli ne aveva già. Poi non ricordo nulla. Ricordo il vuoto. Quella maledetta giornata bianca, era riuscita a travolgermi nel suo vuoto. E ci aveva portato anche Silvia. Mi svegliai in uno stupido letto anch'io, con degli stupidi cavi e uno stupido elettrocardiogramma in funzione. Pensai subito a Silvia. Io stavo bene, stavo perfettamente. Volevo sapere di Silvia e basta. Mi tolsi tutta la roba che avevo attaccata a me di dosso, mi alzai nervoso e notai con spiacevolezza di avere un pigiama schifosamente bianco. Corsi fuori nel corridoio e notai tutti lì fuori, seduti, con la testa bassa. C'erano Pedro, Lola, Ingrid, Carmen, Alicia, Gabriela, Cristobal, Juan e non ricordo chi altro ancora. Alicia mi notò per prima e mi chiese cosa mi stesse dicendo la testa. Disse che ero svenuto, che dovevo tornare a letto perché ero sotto osservazione e altre robe del genere. Io chiesi di Silvia.
- Silvia! Ditemi come sta Silvia! 
- Rober, torna a letto, ti prego...; fece Alicia.
- Fanculo il letto, voglio sapere come cazzo sta Silvia!
- Ehi, sta' calmo...; mi fece Pedro dandomi due schiaffetti sulla guancia, - Sono passate circa due ore da quando Silvia è andata in arresto cardiaco e tu sei svenuto... E finora non abbiamo saputo niente. Niente, Rober. Non sappiamo cosa fare, cosa pensare. Ma tu devi stare sotto osservazione, perché potresti avere nuovamente un collasso e non è il caso che ricoverino anche te, no? Devi solo stare qualche ora monitorato e poi verrai qui. Tanto credo che ne abbiano per molto prima di farci sapere qualcosa. E naturalmente sarai prontamente avvertito di qualsiasi possibile sviluppo.
- Pedro, io sto bene, te lo giuro. Lascia che rimanga qui ad aspettare notizie di Silvia, per favore... Stare chiuso in un'altra stanza non farà altro che darmi ancora più ansia... Per favore... 
- Guarda che io lo dico per te. Non voglio che stia male anche tu. Se proprio non ce la fai parla con un dottore, fatti fare un controllo e chiedigli se puoi rimetterti in piedi, ma... Lascia prima che ti visitino.
- Già, Rober.; aggiunse Lola accarezzandomi, - Credimi, Silvia vorrebbe che almeno tu riuscissi a stare bene, perlomeno fisicamente. Fatti visitare e corri qui da lei, avanti.
Scambiai un'occhiata con tutti gli altri che erano lì, poi tornai indietro e chiamai un infermiere. 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Scavalcare il confine ***


34. Scavalcare il confine
 
 
L'infermiere mi rimproverò di essermi tolto le apparecchiature di monitoraggio di dosso e di essermi alzato dal letto senza rendere conto a nessuno, poi mi riportò in stanza e mi costrinse a rimettermi a letto. Ma io non ci stavo e gli spiegai che ero lì per la mia fidanzata incinta che era entrata in arresto cardiaco due ore prima mentre era in stato di coma e che io ero svenuto nello stesso momento. Gli dissi che non avevo sue notizie ed intendevo averle al più presto, perciò non volevo stare costretto nel letto perché secondo me non era del tutto necessario. Lo convinsi a farmi visitare al momento e gli chiesi se era possibile rimettermi in piedi qualora fosse stato tutto in regola. Lui mi rispose che se davvero fosse stato tutto in regola, probabilmente sarei potuto andare ad attendere notizie di Silvia in sala d'attesa. Credo di avergli fatto un po' pena. Comunque, non riscontrò problemi, quindi mi restituì i vestiti e mi lasciò correre in corridoio. Arrivato, mi resi conto da solo che era tutto come prima, che non ancora si sapeva nulla. Lola mi abbracciò, io la strinsi più forte che potevo. Tremavo dalla paura, non ce la facevo più. Mi misi poi a camminare nervosamente per tutto il corridoio, senza fermarmi un momento. Leggevo ansia ed agitazione negli occhi di tutti. Credo che i miei fossero i peggiori. Mi misi infine in piedi ed immobile di fronte alla maledetta porta di quella dannata stanza, con le braccia conserte e lo sguardo dritto e impassibile. Passò mezz'ora così, tra la tensione generale e la mia totale impotenza. La porta si aprì dopo più di tre ore da quando era stata chiusa, e ne uscì Fernando Ruiz. Erano quasi le due di notte e il freddo regnava fiero. Il dottore mi appoggiò una mano sulla spalla e mi parlò, senza che ci fosse bisogno che gli chiedessi qualcosa.
- Ragazzo, la sua fidanzata è viva. Anche il bambino.
- Dottore, dice sul serio?
- Guardi, l'arresto cardiaco fa sempre temere il peggio, ma... Qualcuno ce la fa. Beh, l'abbiamo recuperata dopo un quarto d'ora di assenza di battito, però vi abbiamo fatto aspettare tutto questo tempo perché... Beh, sembra strano, ma l'arresto cardiaco qui è stato vantaggioso. Vede, quando Silvia ha riacquistato il battito, si è mossa. Già, ha mosso gli arti superiori e non è stata una semplice reazione di conseguenza alle scariche elettriche. Arenales, la sua fidanzata è uscita dal coma. Quello che abbiamo fatto in queste ore è constatare l'effettiva uscita dallo stato di coma della paziente ed è proprio così. Abbiamo però dovuto sedarla, perché era troppo stordita dalle scosse elettriche del defibrillatore per riprendere conoscenza in modo così diretto. Non ancora ha aperto gli occhi, ma sta per farlo. Sappiamo quanto lei tenga a vederle aprire gli occhi, quindi... Vada pure. Accadrà da un momento all'altro. Congratulazioni per il coraggio della scelta dell'intervento ed al grande amore per la sua donna che ha dimostrato finora. Mi commuove sapere che ci sono ancora persone così. Avanti, corra da lei e da suo figlio. Meritate tanta felicità.
In quel momento, il mio cuore cominciò a battere più forte che mai. Mi sentivo vivo come non mi ero mai sentito prima ed avevo voglia di gridare, correre, saltare. Non sapevo cosa fare, ma sapevo cosa volevo. Volevo la donna che amavo. Abbracciai Ruiz in mille lacrime di gioia, ma fu un abbraccio breve per la fretta che avevo di andare da Silvia. Difatti, mi voltai solo un istante per guardare gli sguardi commossi di Pedro, Lola, Ingrid, Carmen e tutti gli altri, strizzando loro un occhio pieno di lacrime e regalando il primo vero sorriso dopo cinquantadue giorni di straziante dolore. Poi scappai da Silvia. L'immagine che ebbi non fu poi tanto diversa dal solito, visto che era sempre lì nel letto ad occhi chiusi. Ma questa volta stava semplicemente dormendo, nulla di più. Mi appoggiai sul letto accanto a lei e le strinsi la mano. Mi sembrava più bella. Le toccai la pancia e mi vennero ad accarezzare alcune lacrime di gioia, poi sorrisi gettando uno sguardo alla foto sul comodino. E guardai il cielo dalla finestra. Non trovai più la stella di Silvia e ricordai quello che le dissi mesi prima a riguardo: "Quando il cielo se ne priverà, sarà perché si sarà reso conto che tu ne hai più bisogno di lui, che ne ha avute accanto così tante per così tanto tempo. Quando quella stella si spegnerà nel cielo, si accenderà nel tuo cuore.". Forse avevo ragione, forse quella stella le aveva dato una mano. Il desiderio che avevo espresso mentre avevo visto disegnarle una scia luminosa nel cielo, si era avverato. Il cielo aveva capito che io senza Silvia non ero nulla, che di lei avevo bisogno e che era il caso che restasse con me e non se ne andasse da lui. I miei respiri erano più leggeri rispetto a quelli di quei cinquantadue agonizzanti giorni, cominciavo a riassaporare la vita vera. La mia nuova vita. Ma la riassaporai del tutto quando finalmente Silvia aprì gli occhi. Quanto mi erano mancati. Le diedi il mio sguardo, sorridendo. Non dissi nulla, perché aspettavo che fosse lucida. Girava gli occhi in maniera confusa, poi cominciò a muovere lentamente le mani e la testa. Si girò poi verso di me, mi prese per mano e mi regalò un sorriso. In certi casi, le parole non servono. Restammo credo almeno un'ora zitti a fissarci ed a sorriderci, poi lei disse la sua prima frase dopo giorni di silenzio.
- Grazie, amore. 
- Ma grazie di cosa?
- Io... Io non so quanto tempo è passato ma mi sembra di ricordare che tu abbia fatto l'impossibile per me. Sai, so di avere un bambino in grembo. So che è merito tuo se è ancora qui. Io... Io ricordo tutto quello che è successo. E ricordo che ti amo. Ma anche se non lo ricordassi, mi basterebbe guardarti negli occhi per innamorarmi nuovamente di te. Grazie di tutto.
- Silvia, hai passato cinquantadue giorni in coma e sei già così lucida?
- A me sembra solo di essermi addormentata. Non sapevo fosse passato tutto questo tempo.
- Già. Mi hai fatto morire di paura, lo sai?
- Beh, mi dispiace. Io però sono stata bene in fin dei conti. Forse perché c'eri tu con me... Perché c'eri, vero?
- Hai forse dei dubbi?
- No. 
- Fai bene.
- Amore, devi farti la barba. Così sembri più vecchio!
- Tu invece sei sempre bellissima.
- Non dire sciocchezze, in questo momento sembrerò uno zombie.
- Pensala come ti pare. Potrai anche sembrare la più brutta del mondo, ma per me sarai sempre la più bella. Però ti assicuro che sei meravigliosa. Ed io ti amo.
- Anche io.
E dopo tanto, ci baciammo. Fu uno dei momenti più belli della mia vita. Appoggiai la mia testa alla sua e la guardai sorridere. Posammo le nostre mani intrecciate sopra la sua pancia e cominciammo ad immaginare la nostra vita insieme. Dopo qualche istante, chiesero di entrare Lola e Pedro ed io ovviamente non feci una piega. Lola sembrava il sole in persona per quanto fosse felice. Abbracciò Silvia e le pianse di gioia addosso. Pedro la baciò in fronte e poi le restammo tutti insieme accanto. Pedro cominciò a parlare a Silvia.
- Rober stava impazzendo. Credimi, Silvia, è rimasto qui a tenerti la mano ogni singolo giorno. Si muoveva di qui solo per andare al bagno. Ha pianto litri di lacrime e non ha mai dormito. Mi diceva che dormiva, sai. Ma si leggeva negli occhi che fosse una frottola. E mangiava solo sotto stretta costrizione. Un panino al giorno, niente di più. Stava di merda, te lo assicuro. Non si è mai pentito, però, di averti concesso quell'intervento. Ma si è addossato tutte le colpe su quella dannata pallottola. Beh, te l'ho detto io perché lui per orgoglio non avrebbe mai ammesso queste cose. Credo che sia molto innamorato. Credo proprio di sì.
Silvia mi guardò e riprese.
- Amore, io ti ho chiesto di starmi accanto ma non volevo che ti riducessi a non vivere più... 
- Tranquilla, io non sono morto né di fame né di sonno. E ti sono stato accanto non solo perché tu me l'abbia chiesto, ma anche perché era quello che desideravo. Va tutto bene, adesso. Non c'era bisogno che tu lo sapessi.
- E invece ce n'era bisogno. Pensavo avessi capito che non è stata colpa tua per quella pallottola, ma vedo che sei cocciuto.
- Mi conosci.
- Già, ti conosco. 
- Ragazzi...; soggiunse Lola, - Adesso perché non vi fate dire il sesso del nascituro?
- Non te l'hanno ancora detto?; fece Silvia, guardando me.
- No amore, volevo aspettare che ti svegliassi.; risposi allora.
- Beh, ti ringrazio.; rispose lei, afferrandomi la mano.
Pedro chiamò la ginecologa che arrivò immediatamente da noi. Restò in piedi e non visitò Silvia, poiché si ricordava già il responso, avendole già fatto varie ecografie in precedenza.
- Mi fa piacere che sia andato tutto bene, signorina.
- La ringrazio.; rispose Silvia.
- Dunque, adesso volete sapere di che sesso è il bambino, giusto?
- Sì, è esatto dottoressa.; feci io.
- Bene, allora vi annuncio che sarà una piccola principessa. È una bambina.
Silvia fu felice e mi abbracciò. Per me era lo stesso, ma forse a lei piaceva l'idea della femminuccia. E poi io un ometto ce l'avevo già, il mio Sergio. Questa volta era la volta di una principessa e non di un campione. 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Quei cinquantadue giorni ***


35. Quei cinquantadue giorni
 
 
Poco dopo entrò Carmen e salutò Silvia. Parlammo ancora un po' tutti insieme, finché non entrò Alicia. Lì ci sentimmo tutti in dovere di lasciarla sola con sua nipote, compreso io. Restai fuori con tutti gli altri e tutti si congratularono con me. Passò il dottor Ruiz e lo ringraziai per tutto quello che era riuscito a fare per Silvia. Mi disse che se fosse stato tutto a posto, Slivia sarebbe uscita nel giro di quattro giorni, nei quali sarebbe stata semplicemente in osservazione. Cominciava la mia nuova vita. A Slivia dovevo ancora raccontare che era venuta Bea con Sergio e di quello che Bea mi aveva proposto. Dovevo raccontarle anche di Marta ed Horacio. In quell'oretta in cui lasciai Silvia sola con Alicia, mi andai a fare la barba, finalmente. E mi feci anche una sigaretta, dopo un mese e mezzo. Mi sentivo l'anima liberata da un enorme peso. Rivedevo il sole dopo il buio. Forse, avevo di nuovo in mano la vita che avevo abbandonato per tre anni. Forse ce l'avevo fatta. Quando rientrai dalla mia pausa sigaretta, trovai Alicia già fuori, seduta. Mi accomodai al suo fianco e le chiesi come fosse andata.
- Allora Alicia... Com'è andata?
- Beh, è difficile. Ho sbagliato praticamente tutto con lei e sono tornata qui solo quando è stata a tu per tu con la morte. Non è una bella cosa.
- Ma cosa ti ha detto?
- Che non sa cosa pensare con me. Beh, è comprensibile. Ma tu avevi ragione, Rober. Vale la pena di tentare di riconciliarmi con lei ed è quello che farò. Ci vorrà del tempo, ma voglio provarci.
- Non te ne pentirai, è la cosa giusta. E vedrai che Silvia te lo concederà se davvero è quello che desideri.
- Lo spero. Ora va' tu da lei, ha bisogno di te.
- Certo.
Svoltai quindi l'angolo ed aprii la porta. C'era solo Ingrid con Silvia. Credo che le stesse parlando del suo periodo di fidanzamento con Juan e di quanto le fosse sembrato strano rivederlo dopo tanto tempo. Ad ogni modo, appena mi vide entrare, sentì il bisogno di lasciarmi solo con Silvia e andò via, nonostante io non avessi detto assolutamente nulla. Mi appoggiai sul letto e le diedi un bacio, poi le parlai.
- Com'è andata con Alicia?
- Oh, beh... Cosa vuoi che ti dica, non è molto facile tra di noi. Però so che in fondo mi ha sempre voluto bene. A suo modo, ma l'ha sempre fatto.
- Lo credo anch'io. Quando è venuta qui per la prima volta mi ha rimproverato di averti lasciato operare con l'intervento più rischioso, ma poi quando ti ha visto... Ha invece cominciato a rimproverare sé stessa di come si è comportata con te. Amore, l'ho guardata negli occhi e ti assicuro che erano gli occhi di una persona sincera. Le stai a cuore e le dispiace degli errori che ha commesso. Credimi, è la verità.
- Un po' come te quando sei tornato qui a Madrid, no?
- Beh... Sì, più o meno.
- Sai, mi sono sempre chiesta se mi avesse raggiunto almeno qualora fossi stata in punto di morte ma non riuscivo a darmi risposta. Pare che però l'abbia fatto.
- Già, l'ha fatto. Ma credimi che qui di visite inaspettate ne hai ricevute.
- Peccato che non riesca a ricordarmi nulla. Ho solo in testa una valanga di canzoni e credo sia colpa tua, vedendo che mi trovo in una stanza adibita per la musicoterapia.
- Sì, è così. Ma hanno cantato anche Pedro, Lola ed Ingrid, non soltanto io. Beh, almeno la musica ti è arrivata.
- Guarda che in qualche modo ho sentito che tu ci sei sempre stato qui con me. Non perché me l'abbia detto Pedro, ma ne ero già consapevole, credimi. E comunque non ne avevo il minimo dubbio. Comunque, dimmi chi è passato durante il coma, avanti.
- Come vuoi. Parto dai tasti dolenti, se non ti dispiace.
- Tasti dolenti?
- Diciamo che c'è stata una persona in particolare che a me ha fatto ribrezzo rivedere e credo che nemmeno a te avrebbe fatto nient'altro che ribrezzo.
- Vale a dire?
- Horacio.
- Horacio è stato qui?
- Sì, e non molto tempo fa. Non l'ho picchiato soltanto perché ho rispetto di te e non mi sembrava il caso. Ha detto un mucchio di stronzate e si è permesso di metter bocca sul nostro rapporto. Non mi va di ripetere quello che quel vigliacco ha detto, non ne vale la pena. Sai, si è presentato con un mazzo di fiori, e credo che questo basti a farti capire che non ti ha mai realmente conosciuta, figuriamoci se ha mai potuto amarti. Mi ha chiesto di farti sapere che era passato ed io ho mantenuto la mia parola. Ma non ti nascondo che non mi è piaciuto vederlo qui a giudicare quello che c'è tra me e te. Ho provato disgusto, ma... Era giusto che tu sapessi che è stato qui, quindi io te l'ho detto.
- Ti ringrazio di avermelo detto ma non me ne importa nulla. Lui è fuori dalla mia vita da un pezzo e nonostante mi abbia fatto del male, la sua ferita ha smesso di bruciare già da tempo. Non mi interessa neppure quello che è venuto a dire, perché so quanto sia un uomo di basso livello, percui va bene così. 
- Già. Comunque non credo che si azzarderà a tornare mai più qui, ho tenuto a fargli chiarezza su questo punto.
- Me lo auguro perché non ho per niente voglia di rivederlo. Fortuna che dormivo profondamente. Dai, continua. Chi altro è passato?
- Beh, ecco... Tempo fa è passata anche Marta.
- Marta?
- Sì. Ricordi che al matrimonio non c'era? Beh, non venne perché non voleva rivedere me. Credeva che tu fossi una scusa per piantarla e che io non fossi davvero pazzo di te. Poi, quando ha saputo tutto quello che era successo al matrimonio, che tu eri incinta di me e che stavi rischiando la vita per proteggere il nostro bambino, ha capito che si sbagliava ed è venuta qui. Mi ha detto che le dispiaceva molto per te, che si è accorta di non avermi mai capito visto che io davvero ero innamorato da sempre di te e che non si è mai permessa di augurare nulla di male né a me né a te. Poi ha aggiunto che non porta più rancore, visto che il rapporto tra me e lei non è finito ma in realtà non ha mai avuto inizio. Mi ha chiesto di non vivere più di rimpianti e che per lei è tutto passato. Credo che non ci rivedremo mai più. Per te ha lasciato detto che ha sempre invidiato il tuo modo di ballare, ma non ha mai avuto modo di dirtelo. E ti ha dato i migliori auguri per tutto. È andata così.
- Beh, mi fa piacere. Insomma, io e lei non abbiamo mai avuto un buon rapporto. Sai, con Pedro si era lasciata perché era convinta che lui stesse ancora sotto per me e con te non ha avuto futuro sempre a causa mia. Sarebbe normalissimo se non le stessi simpatica. Però trovo molto maturo il discorso che ha fatto e mi fa piacere che si sia resa conto che non c'è motivo di avercela con te. E mi fa piacere anche che le piaccia come ballo.
- Già, per fortuna ha capito che ti amo davvero. E poi amore, è passata un'altra persona di recente, che ha fatto qualcosa di molto importante per me.
- Per te?
- Beh, ecco... Ieri è passata Bea e con sé ha portato Sergio.
- Amore, hai rivisto tuo figlio dopo quattro anni?
- Sì, amore... Ed è stato meraviglioso. Sai, è cresciuto tanto ed è bellissimo. Era il giorno del suo compleanno, così io gli ho lasciato un mio bracciale come regalo. Era felice. Quel giorno sono riuscito a tirarmi un po' su di morale grazie ai suoi occhi.
- Come mai Bea ha deciso di fartelo vedere?
- Beh, ecco... Sergio chiedeva spesso di me ma lei non aveva mai voluto portarmelo perché credeva che non stessi facendo abbastanza per venire io da lui. In qualche modo aveva ragione. Per tre anni su per giù è andata così, purtroppo. Solo adesso avevo cominciato a racimolare per lui. In ogni caso, alla fine Bea aveva deciso di portare Sergio qui perché lui insisteva parecchio e perché era il suo compleanno e voleva fargli un regalo diverso dal solito. È andata fino a Malaga, nella casa in cui risultava abitassi con Marta, pensando di trovarmi lì. Ha parlato con lei, che le ha detto tutto quello che era successo e così ha raggiunto l'ospedale qui a Madrid. Davvero, è stato meraviglioso poter riabbracciare Sergio. E poi, parlando, io e Bea abbiamo accordato qualcosa di speciale per lui.
- Cioè?
- Bea ha saputo che adesso stavo facendo il possibile per andare in Brasile e quindi ha capito che ho realmente voglia di stare con mio figlio. Ha pensato che, considerato il fatto che anche lui abbia voglia e piacere di stare con me, fosse giusto trovare un punto d'incontro e... Beh ecco, mi ha detto che oltre a poterlo ovviamente andare a trovare a Santos quando voglio, posso tenerlo io a Madrid durante le estati. Naturalmente ho accettato. Per te va bene? Insomma, visto il fatto che vivremo insieme, voglio dire... Non c'è alcun problema?
- Amore, ma che domande... È meraviglioso! A me fa piacere e poi so quanto tu tenga a lui e non credo ci possa essere cosa migliore per un papà... E comunque, quello che rende felice te, rende inevitabilmente felice anche me.
- Quindi vivremo davvero insieme tutti e tre con Sergio durante l'estate? Sarà davvero così?
- Ma certo che sarà così...
- Saremo una famiglia, allora.
- Sì, amore.
- Ti amo, sai?
- Anch'io.
Ci baciammo. Era tutto quello che volevo e lo voleva anche lei. La mia vita nuova da cominciare con la donna che amo ed i miei figli nella città in cui ho conosciuto me stesso. Non potevo desiderare niente di meglio, mi sembrava tutto così bello. E pensare che non molte ore prima mi sentivo uno straccio. Silvia mi tenne la testa tra le mani e riprese a parlare.
- Mi dispiace che tu sia stato male durante tutto questo tempo...
- Beh, non pensarci. Adesso è passata grazie al cielo.
- Invece ci penso, perché mi immagino che ti sia assunto tutte le responsabilità e che sia stato male il doppio. Ti avevo detto di non prendertene le colpe, mannaggia a te.
Credo ci fosse poco più di un centimetro tra le nostre labbra, dunque io non risposi ma gliele accarezzai con le mie, in maniera timidamente tenera, poi le sorrisi, dunque lei, dopo aver ricambiato al mio sorriso, riprese.
- Guarda che tu non sei l'unico ad aver fatto degli errori nel nostro rapporto. Non è giusto che ti consideri sempre l'origine di tutto il male e di tutti i problemi.
- Io ti ho lasciata sola per tre anni e una volta tornato non ti ho dato ascolto e per questa leggerezza ho rischiato di negarti la vita e la maternità. Penso che sia abbastanza per definirmi un disastro, senza contare che non ti ho elencato quanto abbia sbagliato ai tempi dell'Arrànz...
- Amore, è vero, mi hai lasciata per tre anni. Ma io non ti ho mai chiesto di rimanere. Il mio orgoglio ha lasciato che partissi, anche se il mio cuore avrebbe voluto che restassi. Ed ai tempi dell'Arrànz sono stata io a mollarti senza concederti più nulla. Ho pensato solo al fatto che avresti potuto farmi ancora del male. Tutto quello che di buono c'era stato, l'ho messo da parte. Invece, avrei dovuto fare il contrario, però ero ferita e non ho capito nulla. Come vedi, ho sbagliato grossolanamente anche io. Non sono un angelo come credi tu, sai?
- Beh, allora non pensiamo più a quanto abbiamo sbagliato. Adesso siamo qui, siamo innamorati ed aspettiamo una bambina. Viviamoci questo presente, d'accordo?
- D'accordo.
Riavvicinammo nuovamente le nostre labbra e ci scambiammo ancora un bacio, questa volta più lungo, più spensierato, più felice. E poi passammo un'ora a sorriderci e chiacchierare. Le raccontai che ero svenuto nel momento in cui lei aveva avuto l'arresto cardiaco, le raccontai che l'ultima cosa che avevo visto prima di perdere totalmente i sensi era stata una stella cadente, le raccontai del momento in cui il dottor Ruiz mi aveva annunciato che il coma era terminato in fin di bene e di tanti altri aneddoti appartenenti al suo periodo di coma. 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** La strada per tornare a vivere ***


36. La strada per tornare a vivere
 
 
Quattro giorni dopo, il 21 dicembre, Silvia fu dimessa perché non c'erano complicazioni. Ingrid e Juan si riscoprirono innamorati e si trasferirono a Barcellona, dove avevano intenzione di cominciare la loro vita insieme. Io e Silvia andammo a trascorrere il Natale a Lastres dalla famiglia di Pedro, insieme a lui e Lola. Per Natale, regalai a Silvia le fedine di fidanzamento. La cosa più bella è che io non avevo mai tolto neppure la fedina di cinque anni prima, che portavo al mignolo destro, e scoprii che lo stesso aveva fatto Silvia, che però l'aveva riadattata come orecchino, perché diceva che vederla al dito le faceva ricordare gli innumerevoli sbagli commessi; ma dato che aveva voglia di tenere un mio ricordo con sé, l'aveva messa in un luogo in cui non aveva la possibilità di guardarla e mettersi a rimpiangere il passato. Io invece l'avevo spostata al mignolo destro perché volevo vederla e ricordare, ma capire che avevo sbagliato e che non era più la mia donna per colpa di quanto fossi idiota ed immaturo (altrimenti sarebbe rimasta all'indice sinistro). Lo scoprii solo a Natale, ma fu bello in ogni caso. Le nuove fedine le mettemmo all'indice sinistro dove andavano solitamente, e tenemmo quelle vecchie dove le avevamo. Dopo il Natale, sempre insieme a Pedro e Lola, andammo a festeggiare il capodanno a Los Angeles, dove ci scatenammo a ritmo di musica (Silvia lo fece nei limiti visto lo stato gravido e i drammatici precedenti a riguardo). Per finire, Pedro e Lola lasciarono definitivamente l'America per fare anche loro ritorno a Madrid. Non avrebbero avuto problemi nel trovare un lavoro anche lì, visto che l'agenzia cinematografica da cui dipendevano aveva numerose sedi anche in tutta Europa, compresa la Spagna. "Madrid è casa nostra, Los Angeles è troppo movimentata per due neo-sposi e poi dista troppo da voi due, anzi, voi tre. Vogliamo tornare qui e restarvi vicino, perché è qui che i nostri cuori vivono davvero. E vogliamo che vivano, e che lo facciano di pari passo con i vostri, perché di grandi amici non ne abbiamo mai avuti né io, né Lola, e credo neanche voi. Beh, ora che ci siamo trovati sul serio, perché lasciare che le nostre strade si separino? Credo vada bene a tutti, quindi staremo qui anche noi."; questo fu un sms che mi inviò Pedro poco prima di atterrare a Madrid. E si presentò con Lola davanti a me e Silvia non molte ore dopo esserci salutati in aeroporto a Los Angeles. Io e Silvia eravamo tornati a vivere nella sua enorme villa di Madrid dove aveva abitato anche ai tempi dell'Arrànz, sempre da sola. Adesso c'ero io con lei. Pedro e Lola comprarono una casa abbastanza vicina alla nostra. Io ripresi a fare casting di teatro e ottenni qualche particina che mi fece riassaporare il grande amore verso quella mia sfrenata passione chiamata recitazione. Silvia lasciò temporaneamente il suo lavoro all'Arrànz per la gravidanza. Pedro e Lola accordarono con facilità un impiego con la loro agenzia. Ogni giorno uscivamo insieme ed ogni tanto andavamo a trovare Ingrid a Barcellona, che ricambiava venendo a Madrid abbastanza spesso, anche per andare a trovare Esteban. Funzionava così ed eravamo felici. In quei giorni, capii che io non ero cambiato rispetto a cinque anni prima; in realtà ero indubbiamente cresciuto, ma più propriamente avevo semplicemente imparato a non vergognarmi delle mie fragilità ed a farle uscire liberamente, mettendo da parte il mio fare da gradasso e consegnando me stesso alle mie emozioni, alle quali prima avevo paura a darmi. L'amore non fa un uomo debole, anzi, lo fa più forte. Un uomo che cede alle emozioni non è un debole, ma è una persona forte. Cristobal mi aveva reso bene il concetto ed io capii che era proprio così, mentre cinque-sei anni prima pensavo l'esatto contrario. Silvia aveva spiegato tutto al mio cuore. Quelle giornate furono bellissime: Silvia col pancione ed io che ci tenevamo per mano per le strade di Madrid, con Pedro e Lola allo stesso modo al nostro fianco. Già, è qualcosa di semplice ma meraviglioso. Il parto di Silvia era previsto per gli inizi di agosto. A metà giugno, Carmen invitò tutti e quattro alla festa di fine anno scolastico nella sua scuola, dove ci siamo divertiti un mondo e tutti i ragazzi ed i docenti ci hanno fatto sentire a nostro agio. A fine mese poi, arrivò Sergio da Santos, e con lui in casa fu tutto ancora più bello. Lui e Silvia andavano perfettamente d'accordo e lui sembrava ricordarsi di lei, nonostante avesse solo intorno ai quattro anni quando passò del tempo con lei. Con Sergio, facemmo le prove della coppia di genitori, e sembravamo andare bene. Anche Pedro e Lola spesso vennero da noi e fecero questo genere di prove, e nemmeno loro sembravano tanto male. Fu un periodo meraviglioso. Agli inizi di luglio, io e Silvia andammo a trovare Tanya nella comunità di recupero psichiatrico dove era stata ricoverata dal giorno in cui aveva sparato a Silvia. Io ero andato a testimoniare alla polizia sull'accaduto una volta che Silvia era uscita dal coma e le forze dell'ordine avevano deciso che non era il caso di arrestarla, ma lasciare che guarisse in comunità tutto il tempo occorrente. Quel giorno, avevamo lasciato Sergio da Pedro e Lola ed eravamo andati a trovarla con l'appoggio di Puri. Ricordo che arrivò nella sala incontri a testa bassa, quasi vergognata. Si accomodò e Puri le diede una pacca sulla spalla, invitandola a salutarci. Dunque alzò lo sguardo e, con un malinconico sorriso, disse "ciao". Fu Silvia che le parlò, sicura di sé.
- Ciao Tanya. Come stai?
- Meglio. Io... Io credo che questi mesi qui mi stiano servendo. Io... Io credo di stare meglio.
- Sono molto felice.
- Silvia, mi dispiace di averti fatto del male. Volevo ucciderti e me ne vergogno così tanto. Eppure tu non mi hai fatto niente. Scusami. Non so come tu faccia a guardarmi negli occhi. Non merito la tua visita, per la mia cattiveria. E poi tu sei incinta, io non so come ho potuto fare una cosa del genere... E poi, tutti quegli insulti... Non so come scusarmi...
- Tranquilla, tu non stavi bene, non eri in te ed è inutile negarlo perché sappiamo benissimo che è la verità. Quindi... Non fa nulla. Ora stiamo bene sia io che la bambina. Manchi solo tu e devi pensare a te stessa, a guarire presto. Fidati, per me è tutto passato.
- Grazie davvero. Rober, scusami anche tu. Non so cosa mi sia preso quel dannato giorno, ma so che sto cercando di eliminarlo da me. Spero di riuscirci.
A quel punto la guardai negli occhi, perché fino a quel momento non ne avevo avuto il coraggio. Non so perché, ma per me non era facile rivederla dopo otto mesi e dopo tutto quello che era successo. La guardai ed ebbi la forza di risponderle.
- Non importa, pensa solo a stare bene.
Riuscii a dire solo quello, intimidito dal fatto che potessi influire sui pensieri di Tanya, e pensai che fosse meglio mantenere distacco proprio ora che stava uscendo dal tunnel. Però la trovai decisamente meglio rispetto a prima. Silvia aveva insistito per andare lì a dire a Tanya che non ce l'aveva con lei, ed io volevo appoggiarla. Tutto sommato andò bene, nonostante io non dissi praticamente nulla. Mi dispiaceva molto per Tanya, ma allo stesso tempo mi faceva piacere che stesse un po' meglio. Il mese di luglio passò velocemente. In realtà, in quel periodo saremmo voluti andare tutti insieme in crociera sul Mediterraneo, ma le donne dal quinto mese di gravidanza in su non possono essere imbarcate, quindi rimandammo il tutto all'anno successivo, così ci sarebbe stata anche la piccola. D'altra parte Silvia era tra l'ottavo e l'ultimo mese e non sarebbe stato proprio il caso. A fine luglio, Silvia venne ricoverata all'ospedale di Madrid per via della fine del tempo di gravidanza, dove aveva passato anche il suo infelice periodo di coma. Rincontrammo il dottor Ruiz per i corridoi, che ci riconobbe e fu felice di vedere che stavamo bene così come la nostra bambina, ed io e Silvia cogliemmo l'occasione per ringraziarlo della sua magistrale operazione di rimozione della pallottola, che nonostante i rischi e il coma, alla fine era riuscita. Quei giorni, l'ospedale mi sembrava molto più bello e sereno di come i miei occhi l'avevano dipinto nei giorni del coma di Silvia. Era sempre lo stesso, ma questa volta i miei respiri non pesavano e le mie lacrime se ne stavano tranquille ad abbracciare il mio sguardo, senza sentire la necessità di buttarsi a capofitto lungo il mio viso. Silvia mi aveva chiesto se volessi assistere al parto ed io non ebbi dubbi nell'accettare. Lei aveva l'enorme paura che qualcosa andasse storto e che potesse andare a finire come sua madre, ma io cercai di toglierle questi brutti pensieri dalla testa. Le dissi che era il momento migliore della sua vita e che io le sarei stato accanto. Nulla sarebbe potuto andare per il verso sbagliato, almeno quel giorno. Avevamo già pagato abbastanza per i nostri errori ed avevo fede che questa volta il cielo avrebbe voluto regalarci solo sorrisi. Il grande giorno fu il 4 agosto. Ero con Sergio a tenere compagnia a Silvia, a letto da sei giorni in attesa che le si rompessero le acque. Fuori c'erano Pedro e Lola, avendo saputo che da un momento all'altro sarebbe nata la bambina. C'era anche Alicia, che nonostante non avesse ancora recuperato i rapporti con Silvia, aveva intenzione di essere presente in quell'importante avvenimento nella vita della nipote. Io ero accanto al letto di Silvia e avevamo parlato un po' delle solite cose. Ci stavamo dando un bacio mentre Sergio stava giocando con un Nintendo, quando improvvisamente Silvia si tirò via da me di scatto. Io non avevo immaginato che stesse succedendo quello che stava succedendo, quindi le chiesi spiegazioni.
- Amore, che ti prende?
- Chiama qualcuno... Mi si sono rotte le acque...; mi rispose lei con un filo di voce.
- Oh mio Dio... Sì, certo... Arrivo subito, eh? Arrivo!
Presi Sergio in braccio e scappai fuori per il corridoio chiamando un dottore a tutta voce. Pedro e Lola erano lì in sala d'attesa e appena mi videro urlare, mi corsero incontro. Lola subito chiese che cosa mi prendesse.
- Rober, che succede?
- Sta per nascere! È arrivato il momento! Meglio che vada perché voglio assistere al parto... Potreste tenere Sergio per favore?
- Ma sì, certo. Lascialo qui. Però chiamaci appena sarà nata, d'accordo?
- Naturalmente...; mi girai verso Sergio, lo accarezzai e guardandolo ripresi, - Resta solo un momento qui con Pedro e Lola, che adesso papà va da Silvia perché sta per nascere la tua sorellina! Ci vediamo dopo, campione!
- Va bene papà, però poi la potrò vedere anch'io?; disse Sergio.
- Ma certo tesoro, ti porterò io da lei non appena sarà nata...; risposi.
- Va' pure, Rober. Aspettiamo tue notizie, eh!; fece Pedro.
- Certo. Avvertite anche Alicia, per favore. Adesso devo scappare. Grazie ragazzi!; dissi infine io, scappando dietro l'equipe di medici diretti in sala parto.
Entrai accodandomi ai medici, poi uno di loro tornò indietro per chiudere la porta. Silvia mi chiamava in maniera lamentosa, così io mi precipitai accanto a lei. La baciai e le strinsi la mano più forte che potessi, poi le sussurrai che ero lì con lei e che sarebbe andato tutto bene, bastava ascoltare quello che i medici le avrebbero detto di fare. Io non avevo mai assistito ad un parto in vita mia e non sapevo se fosse normale che Silvia stesse urlando così tanto. Non ho idea di quanto durò il tutto. Quasi svenni dall'emozione, però, quando sentii il gemito di un neonato. Era mia figlia. Era fra le braccia dell'ostetrica. La portò un attimo più in là per metterle una coperta addosso, ed io piansi di gioia. Silvia era stremata ma con gli occhi pieni di immensa felicità e mi lasciò la mano per asciugarmi le lacrime. Con il sorriso più bello che ha mai fatto in vita sua, mi disse quel "ti amo" che porterò sempre inciso nel cuore, perché quella sarà sempre una delle immagini più belle di tutta la mia esistenza. Io la baciai, dunque arrivò l'ostetrica che porse a Silvia la piccola. Credo che fino a quel momento non avessi mai visto una creatura così piccola. Quasi si teneva nel palmo della mano. Piangeva dolcemente. Aveva pochi capelli in testa e il faccino schiacciato. Era meravigliosa. Silvia aveva in faccia un sorriso stupendo e stringeva delicatamente la bambina a sé. A mia volta io stringevo Silvia e guardavo la nostra bambina con lo sguardo totalmente incantato. Era mia figlia. Era nata grazie a non so quale miracolo ed era sopravvissuta ad un coma di cinquantadue giorni. Era la figlia della donna che ho sempre amato e non c'era regalo più bello che la vita mi potesse riservare. Avevo solo ventisei anni, ma la mia vita in quel momento mi sembrò la migliore che si potesse desiderare. L'ostetrica venne poi a riprenderla per metterla nel nido, così le mise un bracciale e chiese come volessimo chiamarla. Silvia mi guardò e disse:
- Amore, possiamo darle il nome di mia madre?
- Non devi neppure chiedermelo... Certo, andrà benissimo.; e la baciai sulla fronte.
- Bene, allora dottoressa... La bambina si chiama Leyda!
- Cognomi?; chiese allora l'ostetrica.
- Arenales, Jauregui.; rispondemmo in coro io e Silvia.
L'ostetrica sorrise e portò la bambina alle culle, dicendo che l'avrebbe riportata da Silvia all'ora della prima poppata. Io dissi a Silvia che sarei tornato subito, il tempo di dire a Pedro, Lola ed Alicia che era andato tutto per il meglio e di far vedere a loro e Sergio la bambina dalla vetrata. Corsi nel corridoio sorridendo e gridando "È nata, è nata", dunque vidi Pedro corrermi incontro e mi gettai fra le sue braccia. Poi abbracciai anche Lola ed Alicia, e dissi che la bambina si chiamava Leyda come la madre di Silvia, dunque presi in braccio Sergio ed accompagnai tutti alla vetrata per far vedere loro la piccola. 
- Eccola, è nella culla numero 26!; e la indicai.
- Che meraviglia!; fece Lola, commossa.
- Già, è bellissima... Beh, allora tanti auguri idiota!; disse Pedro, dandomi una pacca sulla spalla.
- Però tu resterai sempre anche il mio di papà, anche adesso, vero?; fece Sergio guardandomi negli occhi.
- Ma certo tesoro! Non devi preoccuparti!; e lo baciai.
- Davvero tanti auguri, Rober. Sono felice che tu sia riuscito a rendere felice Silvia e non c'è regalo più bello di un figlio che poteste fare insieme al mondo.; disse Alicia.
Le sorrisi, poi si allontanò per telefonare a Carmen ed annunciarle il lieto evento, mentre io, Pedro, Lola e Sergio, andammo nella stanza di Silvia. Lola fu quella che si precipitò più frettolosamente fra le braccia di Silvia.
- Tesoro, la piccola è meravigliosa! Auguri, mamma!; le disse abbracciandola.
- Complimenti, Silvia. Tanti auguri!; fece Pedro.
- Grazie, ragazzi. Grazie davvero.; rispose lei sorridente.
- Sapevo che ce l'avreste fatta ad avere questa bambina... L'ho sempre saputo!; disse Lola.
Sergio non disse nulla, ma abbracciò Silvia. Dopodiché, Pedro lo prese in braccio e se ne andò via, così come Lola, come per lasciarmi solo con Silvia. Lei si tirò su e mi abbracciò forte. Era davvero felice. La baciai e la tenni per mano, quindi accarezzandola cominciai a parlare.
- Hai visto che è andato tutto bene?
- Sì, avevi ragione tu. Grazie per essere rimasto qui durante il parto, immagino che io fossi in condizioni pietose, no?
- Ma che dici, amore! È stato tutto così bello... Sai, i dottori hanno detto che tra un paio di giorni possiamo andare a casa con la bambina se è tutto a posto.
- Spero non ci siano problemi...
- Non credo. Almeno stavolta, no. Oggi è il primo giorno della mia nuova vita. Mi sento l'uomo più fortunato del mondo. Perché ho te, ho un lavoro, ho degli amici ed ho due bambini. Non c'è altro che si possa desiderare. E comunque, dato che non ricordo se te l'ho già detto, beh, io ti amo.
- Sai, anche io mi sento la donna più felice del mondo. Ti amo anch'io, scemo.
Ci scambiammo tenerezze per un'ora circa, poi entrò Alicia. Io feci per uscire e lasciarle sole, ma Alicia insistette affinché rimanessi lì dov'ero, allora così feci. Poi fu lei a parlare per prima.
- Beh, Silvia... A breve verrà Carmen a farti visita. Ad ogni modo, io ti faccio i miei migliori auguri. Sono contenta che tu abbia realizzato il tuo sogno di diventare madre e che lo abbia fatto con un ragazzo che ti vuole davvero bene per quello che sei come Rober. All'inizio pensavo fosse solo un arrogante arrivista, ma poi ho capito che non è così e soprattutto ho capito che ti ama. E so che lo ami anche tu, quindi credo che siate perfettamente pronti per questa bambina. Beh, io di amore ci ho sempre capito ben poco, però un cuore ce l'ho e le emozioni so riconoscerle. Io volevo solo augurare a te, lui e questa bambina di essere più felici possibile, e di non avere più problemi. Silvia, come ultima cosa vorrei dirti che io sono qui e ci sarò sempre per te, semmai vorrai farmi partecipe della tua vita. So di non aver diritto di esserne, però so anche che mi dispiace per tutti i contrasti che abbiamo avuto in passato e so che ti voglio bene. Davvero.
- D'accordo, zia. Ti ringrazio. Credimi, farò quello che sento di dover fare e se un giorno sentirò di aver bisogno di te, ti chiamerò. Giuro che lo farò. Ormai l'orgoglio ho imparato a soffocarlo. E comunque, anche io ti voglio bene.
- Bene, allora io vado. Devo tornare a New York. Spero di rivederci presto. Buona fortuna.
- Anche a te, zia.
Alicia si avvicinò e strinse Silvia, lasciandosi scappare qualche lacrima. Silvia ricambiò l'abbraccio ad occhi lucidi e sguardo basso, poi le diede un timido bacio sulla guancia. Dunque Alicia abbracciò anche me e mi sussurrò in un orecchio di prendermi cura di sua nipote e della bambina. Infine, uscì da quella stanza senza voltarsi. Silvia quindi abbracciò me, ed io la strinsi in silenzio al mio petto. Poco dopo arrivò Carmen, seguita a ruota da Gabriela e svariati allievi affezionati a Silvia, che vennero nell'arco di quei due giorni a farle visita. Silvia fu finalmente dimessa e portammo a casa anche Leyda. Era una meraviglia. Un mese dopo, con la riapertura dell'Arrànz, Carmen organizzò una festa per la nascita della piccola, invitandoci come una sorta di ospiti d'eccezione. Io e Silvia eravamo innamoratissimi, e tutti ci fecero i complimenti per Leyda. Quando raccontavamo tutta la nostra strana storia d'amore, le persone stentavano a crederci oppure si perdevano dopo poco. Però era sempre bello raccontare il tutto. È per questo che lo faccio ancora adesso. 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Questa è la mia vita ***


37. Questa è la mia vita
 
 
Da quella festa, è passato esattamente un anno. La mia vita è ulteriormente cambiata. Il teatro lo continuai a seguire, recitando e facendo quello che mi piaceva fare. Non per soldi, anche perché la massiccia eredità di Silvia avrebbe potuto concedere ad entrambi la possibilità di vivere di rendita, ma per passione. Sergio continuo a vederlo durante tutta l'estate, e quando posso faccio un salto in Brasile da lui perché finalmente posso permettermelo. Vivo con Silvia e nostra figlia Leyda, che ha un anno, nella stessa villa di Madrid, e a pochi metri da noi c'è la casa di Pedro e Lola. Ingrid è ancora a Barcellona con Juan, e qualche volta ci vediamo. Tanya è quasi completamente guarita, è agli ultimi mesi di terapia ed una volta uscita ricomincerà una vita normale e proverà nuovamente a fare la cantante, perché quel sogno ha ali troppo forti da spezzare. Di Horacio non si è saputo più nulla, grazie a Dio. Marta invece, convive a Malaga ed aspetta un figlio con Cesàr, un vecchio compagno dell'Arrànz che allora era gay. L'ho saputo da lui con una telefonata. Io ne sono stato più che felice, perché dopo tutta la bufera ognuno ha ripreso in mano la sua vita ed era quello che volevo. Alicia e Silvia non ancora recuperano i loro rapporti, ma credo siano sulla buona strada. La cosa che è cambiata di me dall'anno passato, è il lavoro. Non ho mollato il teatro, avrei sbagliato di nuovo. Semplicemente, lo faccio in un modo diverso. Salve ragazzi, siete del primo anno, no? Sono Roberto Arenales, vostro insegnante di recitazione qui alla Carmen Arrànz di Madrid, la scuola che mi ha cambiato la vita. Ma chiamatemi semplicemente Rober. Ho solo ventisette anni, quando vi ricapita un insegnante tanto giovane, eh? Oggi è il mio primo giorno di lavoro e sono molto emozionato, ma felicissimo di aver accettato. È stata Carmen ad offrirmi questo posto, sempre per la questione della scadenza dei contratti di tutti i professori. Questa è la mia storia, e ci tenevo a farvela sapere perché sappiate da dove arriva la mia persona. Beh, non so come sarò come insegnante, ma spero di essere bravo almeno la metà del mio buon vecchio Cristobal. La vostra insegnante di danza classica è Silvia Jauregui, la mia Silvia, quella Silvia. È la donna che amo ed amerò sempre. Lei sarà perfetta come insegnante, d'altra parte si è già esercitata come assistente. Non chiedetemi perché non ancora l'ho sposata, ve lo dico subito. Ci amiamo da tanti anni, fra alti e bassi, conviviamo ed abbiamo una bambina bellissima, che è quella che vedete scorrazzare spesso per i corridoi di questa scuola. Non ci manca nulla, viviamo d'amore. Non ho fretta di giurare davanti a Dio che l'amerò per sempre, perché so già che è così e non ne avverto l'urgenza. La sposerò, questo è sicuro. Sapete, sarà un giorno talmente speciale che non voglio viverlo subito, perché poi sarà già finito. Voglio rincorrerlo ancora, voglio svegliarmi accanto a Silvia, guardarla e pensare: "Un giorno la sposerò e sarà meraviglioso.". Semplicemente, vorrei aspettare che Leyda si faccia grande, così da poterci portare le fedi all'altare. E poi, l'ultimo matrimonio a cui ho assistito mi ha lasciato un amaro ricordo e... Vorrei aspettare un altro po'. Ma lei è la donna della mia vita e credo di avervelo fatto capire dopo avervi raccontato tutta questa storia. Ed io sono l'uomo della sua vita. Ci amiamo davvero. Il vostro insegnante di danza moderna è Pedro Salvador, il mio migliore amico, quel Pedro. Si è stufato di fare l'attore e si vuole ributtare nella danza provando a ripartire da dove è partito lui: questa scuola. Sarà buono con voi, tranquilli. Ma sia chiaro, non vi concedo di chiamarlo "bifolco", perché quello è un appellativo riservato solo ed esclusivamente al sottoscritto. La vostra insegnante di canto è Dolores Fernandez, detta Lola, la mia migliore amica, quella Lola. Continua ad incidere dischi con la sua agenzia, che collabora con la sua casa discografica, ma ha voglia di mettersi ad insegnare qui anche lei. Ecco, lei vi insegnerà tanto perché la sua voce è una delle voci più belle che io abbia mai sentito, e non lo dico solo perché le voglio bene. Sapete, mi chiedo cosa stiano aspettando a fare un figlio anche loro due. Eppure è la cosa più bella del mondo. Strano, no? Io e Silvia fidanzatissimi con una figlia, Pedro e Lola sposati senza prole. Però ci vogliamo bene davvero. Carmen ha offerto il posto di lavoro a tutti noi, e come quando eravamo allievi anni fa, continua a dirigere la sua scuola. Beh ragazzi, questa è la mia vita ed io ora sono felicissimo. Amo Silvia follemente ed adoro Leyda in maniera sconfinata. Silvia è una mamma bravissima. Ed anche con Sergio, siamo una famigliola bellissima. Voglio solo dirvi che l'amore conta nella vita, quindi portatelo sempre con voi. Allora, visto che la campanella è suonata, spero di avervi trasmesso qualcosa parlando di me. Mi raccomando giovani, usate sempre il cuore e non fate troppe cazzate come ho fatto io. Questa scuola vi darà tanto. Adesso andate che avete lezione con Pedro se non sbaglio. Io ho un'ora buca, ed anche Silvia, quindi porterò la mia donna e mia figlia al parco. Può sembrarvi una cosa semplice e banale, ma è una delle cose più belle della vita, proprio perché è semplice. A me mancano mio padre, mia madre e mio fratello, non ho ripreso più i rapporti con loro. Però voglio fare della mia famiglia, la famiglia perfetta. A loro non mancherà nulla di quello che è mancato a me. Bene ragazzi, alla prossima. E spero di avervi fatto una buona impressione. Buona giornata.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=910720