Vivere d'emozioni

di IamShe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incubo di prima estate ***
Capitolo 2: *** Gente di Tokyo ***
Capitolo 3: *** A volte ritornano ***
Capitolo 4: *** Caffè? (Prima parte) ***
Capitolo 5: *** Caffè? (Seconda parte) ***
Capitolo 6: *** Rincontrarsi ***
Capitolo 7: *** Decimi di gelosia ***
Capitolo 8: *** Scariche di tensione, scariche d'adrenalina ***
Capitolo 9: *** Un insolito pomeriggio ***
Capitolo 10: *** Frena, Kudo! ***
Capitolo 11: *** Crepe e luci ***
Capitolo 12: *** Quelli di un tempo ***
Capitolo 13: *** Imprevedibilmente, lontani ***
Capitolo 14: *** Do you know Conan? ***
Capitolo 15: *** Tentazioni: Nutella e Cioccolato bianco ***
Capitolo 16: *** Rivelazioni ***
Capitolo 17: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 18: *** Alcool ***
Capitolo 19: *** Sviluppi (in)desiderati ***
Capitolo 20: *** Partenze ***
Capitolo 21: *** Lacrime d'orgoglio ***
Capitolo 22: *** Un passato da dimenticare ***
Capitolo 23: *** Amore incontenibile ***
Capitolo 24: *** Momenti di quiete ***
Capitolo 25: *** Nuove complicazioni ***
Capitolo 26: *** Influenza d'amore ***
Capitolo 27: *** Toichi Kemerl ***
Capitolo 28: *** Rache, Kirai, End ***
Capitolo 29: *** Vivere d'emozioni ***
Capitolo 30: *** Shinichi e Ran ***



Capitolo 1
*** Incubo di prima estate ***


Capitolo 1:  Incubo di prima estate
 
Non fare quella faccia. Se è andata così era destino. Non siamo fatti per stare insieme.
Non siamo fatti per stare insieme.
Non siamo fatti per stare insieme.
 
“No!”
Si spalancarono improvvisamente in una notte buia e fresca due occhi color cristallino. Gocce di sudore gli cavalcavano il viso, mentre le mani si stringevano nervosamente in pugni. Strabuzzò più volte gli occhi per rendersi conto che stava solo sognando, o meglio, avendo un incubo. Sospirò, e alzando leggermente il torace nudo, cercò di capire dove si trovasse. La stanza era indubbiamente molto grande, rettangolare e ben arredata - constatò - grazie alla fievole luce che, provenendo da un ambiente esterno, probabilmente un corridoio, andava ad illuminare la parete alla sua destra e parte del letto matrimoniale su cui era sdraiato. Girò di scatto il viso, per scorgere una figura femminile al suo fianco, che con un respiro regolare sembrava immersa nel più bello dei sogni. Certo, ora ricordava. Sorrise lievemente e pregò Dio di non averla svegliata con l’acuto lanciato pochi minuti prima. Si voltò alla sua sinistra, in direzione di una piccola sveglia luminosa a forma di cubo. Erano le 6 e 18 minuti. Perfetto!, pensò, avrò un timer incorporato per svegliarmi sempre all’orario giusto! Spostò dolcemente le lenzuola di seta che lo avevano protetto, durante la nottata, dal fresco mattutino e si mise in piedi. Resosi conto di indossare solo i boxer, iniziò una rapida ricerca dei suoi indumenti. Fece due passi in avanti, quando sentì  sotto i suoi piedi qualcosa di ruvido, probabilmente la sua maglietta. La prese e, esultando mentalmente, scoprì che anche il resto del suo vestiario era a pochi centimetri da lui. Si vestì velocemente, cercando di non fare rumore, nell’intento di non svegliare la dolce fanciulla. La guardò con la coda dell’occhio: era coperta dalle sole lenzuola che le si fermavano all’altezza del bacino. I lunghi capelli biondi, leggermente ondulati, andavano a sfiorarle i seni, nascondendoli, mentre il viso era completamente oscurato dal buio della stanza. Ma come si chiama? Bah! Non me lo ricordo neanc… spalancò gli occhi, mentre le sue mani ricercavano qualcosa di cui non poteva fare a meno. Le chiavi. Ma porca di quella…dove le ho messe?! Cercò nei jeans: niente. Nel taschino della maglia: niente. Deglutì e si rese improvvisamente conto di non poter andare via.
“Stai cercando queste?” gli chiese una voce leggermente assonnata. Alzò lo sguardo verso di lei: la ragazza era seduta sul materasso, e mentre faceva oscillare con le dita le chiavi, un sorriso le dominava la faccia. Lui, visibilmente impacciato, avendola svegliata, forse con l’urlo, forse con il trambusto causato nel vestirsi, lasciò andare le mani lungo i fianchi.
“Si grazie. Pensavo di averle nei jeans.” Borbottò lui, mentre si avvicinava a lei nel tentativo di prendersi ciò che era suo.
“Vai già via? Resta ancora un po’! Non ti mangio mica!” Lo stuzzicò lei con fare sensuale. Il ragazzo sembrò non rispondere alla provocazione, prese le chiavi e le diede le spalle.
“Penso di averti soddisfatto abbastanza stanotte. Ciao bellezza.” Le sorrise mentre attraversando la porta, il Sole, da poco sorto, con i suoi infiniti raggi andava ad illuminare, evidenziando e smascherando, i suoi connotati.  Alto più o meno  1 metro e 75 centimetri. Corpo slanciato, muscoloso si, ma al punto giusto. Capelli ribelli, mori, mai al proprio posto. Naso all’insù, che si andava perfettamente a conciliare con le sue labbra, lievemente carnose, incredibilmente morbide. Occhi: dannatamente azzurri. Fuori dall’appartamento sentì sul corpo una lieve sensazione di calore. Era ormai Giugno, e il Sole incominciava a prendersi il ruolo di assoluto protagonista nel cielo terrestre. Salì in sella alla sua moto e sfrecciò a tutta velocità per le strade di Tokyo. Ma bravo! L’hai sognata di nuovo! Che imbecille! Si maledisse mentalmente, mentre il vento gli scuoteva velocemente la t-shirt. Ma quando la smetterò… maledisse - allo stesso tempo - anche il suo subconscio, che gli stava giocando decisamente un brutto scherzo. Arrivato a destinazione, scese dalla moto e aprì la porta di casa. Diede una rapida occhiata in giro, non scorse nessuno.
“Come sempre sta dormendo” Disse, ridacchiando, a bassa voce, mentre si accingeva a posare le chiavi sul mobiletto d’entrata. Gli venne quasi un colpo quando, giratosi di scatto, si ritrovò il diretto interessato di fronte.
“Mettiamo in chiaro che io non dormo sempre!” Sbottò l’amico, visibilmente assonnato e irritato dalla sua affermazione.
“Heiji!”* Lo guardò fisso, “ma se normalmente ti ci vogliono le cannonate per farti svegliare! Come mai già in piedi?” Domandò, mentre si avviò con l’amico in cucina nel tentativo di trovare qualcosa da mettere sotto i denti per far partire la giornata col piede giusto.
“Mi ha chiamato la centrale. C’è stato un omicidio.” Disse, mentre prendeva con le mani una bottiglia di latte e versava il contenuto in un bicchiere. **
“Ah, incominciamo bene la giornata!” Ridacchiò il giovane, che avvicinandosi a lui gli rubò il bicchiere di mano. L’altro assottigliando gli occhi, con un gesto repentino si riprese la sua colazione.
“Mettitelo tu il latte! Piuttosto, a te è cominciata benissimo! Nottata focosa, eh?” gli chiese, mentre ingoiava tutto d’un botto la sua misera colazione.
 “Lo sai…le donne impazziscono con Shinichi Kudo!” disse, si girò verso di lui e rise di gusto, mentre con le mani prese una fetta di pane e spalmò sopra la nutella.
“Saranno impazzite per venire a letto con te! Malate di mente” La voce incredibilmente divertita, e familiare ai due ragazzi, proveniva da pochi metri distante. La ragazza, appoggiata con la spalla sinistra alla porta, se ne stava in silenzio ad ascoltare la conversazione dei suoi due migliori amici.
“Ma come siamo spiritose! Buongiorno Shiho” Ridacchiò il moretto, mentre le si avvicinava con la fetta di pane in bocca.
“Come sei entrata?” Le domandò inarcando un sopracciglio.
“Dalla porta”
“Ma dai! Pensavo dalla finestra!” mentre un sorriso gli dominava il viso, quello che - lui non capiva perché - faceva impazzire le donne, fissandola capì che come comico non avrebbe avuto molto strada. La biondina di fronte a lui, infatti, non rise. Anzi, assottigliò gli occhi con atteggiamento annoiato.
“Se tu chiudessi la porta quando ritorni dalle tue avventure notturne, non mi ritroveresti qui.”
Heiji rise all’incredibile caratterino che aveva la sua amica.
“Magari non la chiudo proprio per farti entrare!” Le disse Shinichi, sorridendo. Lei, alla vista del suo migliore amico, colui che le aveva cambiato e salvato la vita, colui che forse era riuscito a donargliene una nuova, non poté fare altro che ridere.
Tra di loro vi era davvero un rapporto davvero speciale. Forse più unico, che raro. Un rapporto di fratellanza, di amicizia, di risate, di provocazioni e di conforto a cui nessuno dei tre avrebbe rinunciato. Né Heiji, né Shinichi, né Shiho.
Il moretto diede le spalle ai suoi amici e si diresse verso il suo ufficio. Pochi metri distante. Si era fatto costruire una piccola dependance fuori villa Kudo dove esercitava il suo lavoro, dove era a tutti gli effetti un detective privato. Uno dei migliori al mondo. Secondo i suoi amici, il migliore, anche a causa della sua giovane età. Solo 23 anni.
“Ciao ragazzi. Salutate il grande Shinichi Kudo!” disse il giovane ridendo e sventolando una mano.
I due dietro, risero di gusto. Lui, era pronto per una nuova giornata.

 

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Capitolo 2
*** Gente di Tokyo ***


Capitolo 2: Gente di Tokyo
 
Shinichi aprì la porta della dependance ed entrò nel suo ufficio. Diede un’occhiata fugace a destra e a sinistra, per poi fissare la scrivania, piena di scartoffie. Si mise così a sedere sulla grande poltrona in pelle nera, sbuffando. Effettivamente, erano ancora le 7 del mattino e nessun cliente lo avrebbe disturbato a quell’ora, ma l’incredibile montagna di fogli bianchi davanti a lui gli ricordava la grande quantità di lavoro da fare. Prese un piccola pila di fogli, leggendone il contenuto.
“Fotografare la moglie del signor Hiromi” disse pensando ad alta voce, mentre oscillava lentamente la testa nelle varie direzioni “…fotografare il fidanzato della signorina Kobima, fotografare il padre, la madre, l’amante”  lesse sgranando gli occhi, esterrefatto, mentre pensava che le persone non avevano ben compreso il ruolo del detective privato. O forse, era lui che aveva cercato di ignorarlo fino ad allora.
“Fotografare, fotografare, fotografare! Ti hanno scambiato per un paparazzo?” La voce divertita dell’amica gli fece alzare il capo.
“Purtroppo un detective deve fare anche questo” disse sbuffando lui, “vuoi anche tu una consulenza? Amanti, fidanzati, amici da immortalare?” ridacchiò, mentre lei divertita si sedette sulla sua scrivania.
“No, tesoro” stuzzicò lei “lo sai cosa voglio…”
Lui la guardò assottigliando gli occhi, e recependo il doppio senso della frase, sorrise.
“Che sfizio hai nel provocarmi?” le domandò incuriosito lui, fissandola attentamente.
“Non ti sto provocando. Ti ho chiesto solo un passaggio al laboratorio, malizioso!”
“Scienzatina, lei dovrebbe incominciare ad usufruire di mezzi propri” disse Shinichi, mettendo da parte i fogli e alzandosi velocemente.
“Ma finché ci siete tu ed Heiji non conviene!” mentre sorrise, Shiho lo guardò avvicinarsi a lei, e si perse nei suoi occhi profondamente azzurri. Non lo avrebbe mai ammesso, ma Kudo per lei restava uno dei ragazzi più interessanti che avrebbe mai potuto conoscere. Forse, il più interessante.
“Naturalmente” le disse annoiato ma al tempo stesso divertito, e si incamminarono verso la moto. Durante il tragitto, mentre il rumore del motore sovrastava quello del vento, Shiho si appoggiò alla schiena dell’amico, la posizione era indubbiamente comoda. Socchiuse così gli occhi, stringendo in un abbraccio l’amico. Improvvisamente Shinichi rallentò per poi accelerare nuovamente. Shiho alzò lo sguardo e capì: un semaforo. Il detective stava sfidando il giallo, ma perse. Passò col rosso. Avvertì così il senso di sconfitta dell’amico, e rise di gusto.
“Speriamo non mi arrivi nessuna multa!” disse ridendo lui, mentre lei si riappoggiava alla sua schiena.
 
“Ora passa anche con il rosso? Si crede più figo?” Borbottò una ragazza dai capelli castani a caschetto, che era alla guida di un’auto poco distante dalla moto. Lei, alla vista del semaforo si era fermata, e aveva assistito all’infrazione di quel ragazzo, che conosceva benissimo.
La fanciulla alla sua sinistra rise di gusto, aveva lunghi capelli mori e dei bellissimi occhi verde smeraldo. “Piuttosto, è sempre in dolce compagnia Shinichi eh!” constatò, avendolo visto con una ragazza. Anche lei lo conosceva benissimo, anche se, in un certo senso, non avrebbe voluto. Conosceva Shinichi a causa di Heiji e questo non le andava giù. Il tempo era passato, ed anche molto, ma il ricordo di quel ragazzo non si era sbiadito.
“Bah! Io non riesco a capire cosa ci trovino tutte queste ragazze in lui” Borbottò Sonoko, con atteggiamento visibilmente irritato.
Kazuha, che quasi non fece caso alle parole dell’amica, era intenta a guardare alla sua sinistra, immergendo lo sguardo nella Tokyo mattutina, già particolarmente affollata nonostante l’orario.
“Beh… è bello, ricco ed intelligente” rispose, rigirandosi verso l’amica “perché non dovrebbe piacere?”
le domandò, mentre sul suo viso nasceva una sensazione di sconforto e tristezza. Abbassò così, quasi di scatto, il capo. Anche in questo, Shinichi le ricordava decisamente Heiji.
“Ha un pessimo carattere. E’ solo un montato di testa” l’ereditiera si accingeva con la mano sinistra ad ingranare la prima marcia per far partire l’auto “comunque, a che ora ha detto arrivava?” poggiò poi la mano sul volante, mentre sorreggeva il volto con la destra.
“Alle 7 e mezza” Kazuha scrutò l’orologio al polso e capì che erano terribilmente in ritardo “dobbiamo muoverci!”.
Le due ragazze percorsero velocemente il rettifilo, per poi arrivare nel giro di 10 minuti all’aeroporto. Erano decisamente emozionate. Avevano aspettato con ansia questo giorno dal momento in cui, pochi giorni prima, una chiamata, proveniente dagli Stati Uniti d’America, le fece piangere di gioia. Rivedere la loro migliore amica dopo così tanto tempo riempiva il cuore di felicità. Tutti i pensieri tristi che potevano abitare la mente fino a quel momento vennero cacciati via da un desiderio irrefrenabile di stringerla e di abbracciarla. Si ritrovavano a pensare che tutto doveva e poteva, ora, tornare come prima e che niente avrebbe dovuto e potuto dividerle.
 
“Dai ragazze non fate così” le abbracciò, intuendo la loro tristezza. A Kazuha e Sonoko scappavano lacrime dagli occhi ma cercavano in tutti i modi di trattenersi per non far sentire in colpa l’amica. La loro amicizia avrebbe durato? O la lontananza avrebbe distrutto tutto? Cosa ne sarebbe stata della loro amica? Mille e altre domande affollavano la loro mente. Avrebbero voluto sapere tutto e subito. Forse è proprio questo il brutto degli addii: mentre il cervello è popolato da innumerevoli quesiti, il cuore è distrutto dalla paura, forse consapevolezza, di non trovargli mai risposta.
“Vi prometto che vi chiamerò! Vi voglio bene!” sorrise tristemente, mentre una lacrima le solcò il viso.
 
“Kazuha fermati! Dovrebbe arrivare da lì!” Al suono delle parole dell’amica la ragazza arrestò improvvisamente la corsa, mentre cercava di riprendere un po’ di fiato piegandosi su se stessa. Alzò lo sguardo per controllare se, in quella massa di passeggeri, la scorgesse. Cavolo! Quante persone viaggiano di giorno in giorno! Pensò, mentre girava il capo a destra e a sinistra; vedeva mogli abbracciare mariti, bambine correre dai padri, un’intera famiglia ridere, scherzare. Un senso di gioia le dominò l’animo. Spalancò improvvisamente gli occhi, e in quel momento la felicità fu immensa. Strattonò la maglia dell’amica nel tentativo di farla girare nella sua stessa direzione. Una ragazza dai lunghi capelli castani, con lo sguardo intento a cercare chissà cosa, probabilmente loro, era a pochi metri di distanza. Le due sussultarono e, mentre in un millesimo di secondo le lacrime incominciarono a scendere velocemente, con tutto il fiato che avevano nei polmoni gridarono il suo nome. Ran, era finalmente tornata.
 

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Capitolo 3
*** A volte ritornano ***


Capitolo 3: A volte ritornano
 
Una Mercedes coupé percorreva la nazionale di Tokyo, la strada più importante della metropoli nipponica, quella che era, di consueto, affollata da macchine; ma in quel periodo, a causa delle belle giornate, anche da persone. Quel giorno d’estate le tre concubine dell’auto non ci fecero caso, anzi, erano insolitamente felici, e non sembravano per niente innervosite dai continui rallentamenti delle auto. Il traffico permetteva loro di guardarsi negli occhi e parlare, ridere, chiedere.
“Ragazze siete bellissime!”
 “Anche tu Ran! Certo che io ti ricordavo bella, ma ora! Sei uno splendore!” le disse Sonoko, scrutandola da capo a piedi. L’americana indossava una maglia lunga bianca che le andava a risaltare le forme, mentre le gambe, più lunghe e magre che mai erano coperte da leggings neri; ai piedi portava dei semplici sandali bassi bianchi, mentre le braccia erano ornate da braccialetti scintillanti.
“Grazie” rispose lei, arrossendo e sorridendo leggermente.
“Faresti cadere ai tuoi piedi qualsiasi uomo!” intervenne Kazuha, ridacchiando, che però si bloccò improvvisamente alla risposta dell’amica, decisamente inaspettata.
“Non ce n’è bisogno.. sono già impegnata!” rispose Ran facendole l’occhiolino, mentre le sue amiche la guardavano con occhi e bocca spalancati.
“Cosa?!!? potevi avvertirci no?!”
Ran ridacchiò a quella risposta, se l’aspettava proprio una reazione del genere. Non era certo strano che le ragazze fossero sorprese conoscendo i precedenti di Ran, ma la giovane non ci fece caso, e le guardò con occhi furbi.
“Vi ho avvertite adesso!” disse mentre mostrava un sorriso a trentadue denti.
“E…chi è il fortunato?” chiesero incuriosite le due.
“Si chiama Richard! Non vi preoccupate, lo conoscerete tra qualche giorno!”
“E da quanto sei fidanzata?” la curiosità aveva superato ogni limite! Ran stava parlando di un ragazzo, del suo fidanzato. E non era Shinichi Kudo.
“2 mesi” aggiunse “da poco, ma sto bene con lui.”
Le ragazze ripresero un’espressione normale, ma l’interrogatorio che sembrava molto un terzo grado della polizia non poteva finire lì. Eh no. Ran aveva davvero tralasciato troppe cose e ora dovevano sapere tutto in quell’attimo. L’avevano vista piangere, soffrire, gioire, emozionarsi, arrabbiarsi; ed al 99% dei casi la causa era sempre la stessa: quel detective. Ora, non la credevano eternamente innamorata di Kudo, ma sentirla parlare sorridente di un altro ragazzo era strano. Molto strano. Improvvisamente, però, le due ragazze si guardarono e insieme risero. Dovevano essere felici che la loro amica aveva finalmente trovato una persona con cui stare, una persona che probabilmente le donava tutto l’amore del mondo. Così, grazie al traffico, che aveva fatto ripetutamente arrestare la marcia della macchina, poterono abbracciarla.
“Ehi! Mi state strangolando!” Ran rise divertita e mentre con le braccia cercava di allontanarle per riprendere a respirare pensò di aver fatto la scelta giusta. New York le aveva donato molto, l’aveva fatta crescere, rafforzare e diventare donna. Lì aveva incontrato tantissime persone, molte delle quali non ricordava il nome, alcune delle quali neanche il volto. Lì aveva trovato un lavoro che le piaceva sul serio e che le dava grandi soddisfazioni. Eppure, le mancava qualcosa. Aveva passato le ore a tormentarsi cercando una spiegazione alle sue sensazioni; probabilmente l’amore? le mancava forse qualcuno con cui condividere le sue gioie, qualcuno con cui costruire qualcosa di serio e duraturo? Pensò e se ne convinse, ma si dovette ricredere quando conobbe e incominciò a frequentare Richard. La sua insoddisfazione era sempre lì, non si era attenuata, anzi forse era cresciuta. Poi, quella lettera di trasferimento: la sorpresa, l’emozione, la gioia, la decisione. Era l’ora di tornare a casa, per sempre. Ed ora, in quell’auto, ne aveva avuto la conferma:  gli anni trascorsi nella capitale giapponese, in quel piccolo quartiere di Beika, erano indimenticabili. E non dovevano essere dimenticati. Guardò ancora una volta le sue amiche, sorridendo dolcemente.
Era decisamente una giornata perfetta. O forse no?
Nello staccarsi dal loro abbraccio la ragazza scorse un graffito sul muro del parco di Beika. La scritta era possente, maestosa ma davvero ben delineata. I colori erano vivaci e splendenti, sui toni rossastri. Capì subito che era opera di un grande artista, e non del ragazzino di turno che voleva imbrattare il muro. Ma ciò che le catturò l’attenzione erano le parole. Riconobbe subito il destinatario e le sembrò che il mondo attorno a lei si fermasse per un tempo indefinito. Non riusciva a staccare le sue iridi azzurre da quel muro nonostante l’auto continuasse a viaggiare, ad avanzare, ad allontanarsi. Un tremore le colpì le mani, ma prima che potesse pensare a qualsiasi cosa, la voce della sua migliore amica la riportò alla realtà.
“Se ti stai chiedendo se quella scritta è per lui, la risposta è si” dichiarò Kazuha “gliel’hanno fatta i suoi amichetti come regalo per i 23 anni” a quell’affermazione Ran si girò verso di lei, cercando di non mostrare il suo - insensato - stato d’animo e sorrise falsamente.
“Mmm..non me lo sono chiesta” mentì spudoratamente “e poi, non me ne potrebbe fregar di meno” le disse cercando di assumere un’espressione convincente. Kazuha sorrise, probabilmente era riuscita a convincerla. Ran, invece, si stava maledicendo mentalmente. Sapeva benissimo che tornando a Tokyo l’avrebbe rivisto e finché era in America il pensiero d’incontrarlo non la preoccupava affatto. L’aveva dimenticato, no? Era riuscita a superare tutto: le bugie, i pianti, i litigi e la fine della storia. Conoscere e frequentarsi con Richard era stata un’ulteriore conferma. Il pensiero di Kudo la sfiorava a malapena! Ma allora perché aveva avuto quella strana reazione alla vista di quel murales? Perché le cominciavano a tremare le mani? Perché non riusciva a staccare gli occhi da quella scritta? Ma cosa mi sta succedendo? Ran si abbandonò a quei pensieri, stringendo nervosamente i pugni sulle cosce e divenne improvvisamente più silenziosa che mai.
Sonoko, nonostante fosse accanto a lei in quel momento non ebbe modo di accorgersene, poiché la sua attenzione era attratta dalla moto che da circa qualche secondo si era fermata accanto a lei al semaforo. Rimase incantata dalla bellezza del fisico del ragazzo, mentre non poteva scorgerne il viso nascosto da un casco integrale. Deglutì, maledicendosi per i suoi pensieri, rendendosi improvvisamente conto chi fosse, era inconfondibile! Kudo. Allora si ferma al rosso! Pensò, mentre lui, per sua fortuna, non si accorse minimamente della sua presenza. Sonoko girò di scatto il viso verso Ran e la vide con il capo chinato, indubbiamente pensierosa. Le parole le uscirono in un soffio dalla bocca, ma si pentì subito di averle pronunciate.
“Ran!” La ragazza si girò verso di lei inarcando un sopracciglio. Bene, la frittata era fatta.
“Dimmi”
“Ehm no, niente, mi chiedevo così.. sai per curiosità.. ma se tu.. tu vedessi ora Shinichi che reazione avresti?” Le domandò in attesa di una risposta. Ran, colta di sorpresa, cercò di non far trasparire nessun’emozione o pensiero che le avevano dominato la mente fino a quel momento e rispose molto freddamente.
“Assolutamente niente. Perché?” La biondina, quasi sollevata da quell’affermazione, oscillando l’indice verso l’esterno, indicò in direzione di un punto non preciso, con un sorriso stampato in faccia. Ran la guardò con aria curiosa.
“Cosa dovrei guardare?” Le chiese mentre aveva abbassato un po’ il capo per direzionare lo sguardo nel punto indicatole da Sonoko.
La ragazza si girò improvvisamente verso la moto, ma si rese conto che non c’era più. E mentre un’espressione da ebete, come spesso le ricordava lui, le dominava la faccia, sentì il clacson violento delle auto dietro di lei. Alzò lo sguardo e si accorse che era, da non poco, scattato il verde.
“Si ho capito ora parto! Vanno tutti di fretta in questa città!” gridò agli automobilisti inferociti e spazientiti dietro.
Le sue due amiche risero all’unisono, mentre Sonoko guardava in lontananza la moto di Shinichi allontanarsi sempre di più.



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Spazio autrice:
Eccomi qui, con il terzo capitolo! Lo so, ancora non si capisce granchè, ma prometto che con il quarto verrano svelati alcuni "misteri", chiamiamoli così.
Grazie mille a chi ha commentato la volta scorsa, ma anche a chi ha solo letto.
Un abbraccio forte, alla prossima!

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Capitolo 4
*** Caffè? (Prima parte) ***


Capitolo 4: Caffè? 
Prima parte
 
“Non se ne parla proprio! E’ troppo appariscente”
“Ma questa non ci entra!”
“Il colore è da vecchi, voglio qualcosa di più giovanile!”
“Ma tesoro, a te non piace niente!” Sbuffò seccata e annoiata, Eri Kisaki.
La donna aveva acconsentito di accompagnare la figlia a scegliere l’arredamento per la sua nuova casa, poco distante dall’ufficio investigazioni del padre. L’appartamento era quello dove aveva vissuto l’avvocato negli anni di separazione dal marito, ma dal momento in cui è tornata a vivere col detective aveva abbandonato l’abitazione. Ran era tornata, ma aveva deciso di andare a vivere con Richard nel piccolo nido della mamma, stravolgendone il mobilio. La giovane, così, si era svegliata di buon mattino con l’intento di risolvere la questione, ma tutto ciò sembrava più difficile che mai. Si aggirava tra i corridoi del megastore, con gli occhi attenti, girando lo sguardo a destra e a sinistra, con la speranza di trovare qualcosa di carino, o meglio che le piacesse.
“Mi sa che abbiamo sbagliato a venire qui, non c’è niente di bello” Ran incrociò le mani sul petto, mentre con l’indice si toccava la punta del mento con fare pensoso. Improvvisamente accelerò il passo, prese per mano il polso della mamma trascinandola verso l’uscita. Eri la guardava con occhi spalancati mentre si chiedeva se veramente i suoi gusti fossero così brutti da dover stravolgere un intero appartamento. Uscirono di fretta dal negozio, poi rallentarono la marcia per godersi la camminata. Durante il tragitto Eri chiese a Ran informazioni su Richard, e cercando di non sembrare invadente, le domandò se aveva pensato bene sul convivere con lui, se era un bravo ragazzo, che lavoro faceva e come l’aveva conosciuto. Ran, rispose quasi sempre molto convinta, arrossendo, ad alcune richieste delle madre, ma pensò che fosse normale che Eri era preoccupata per lei.
“Ma non è troppo presto?” ribadì per l’ennesima volta.
“Mamma sono fidanzata da due mesi ma lo frequento da un anno.. e poi lui venendo qui non saprebbe dove andare, quindi..”
“E quando arriva a Tokyo?” le chiese ancora la donna, girando il viso verso di lei.
“Domani pomeriggio. Vado a prend..” non riuscì, però, a completare la frase poiché il suo corpo andò a sbattere contro qualcosa, probabilmente, una persona. Stava per cadere, con il fisico verso l’indietro, quando una mano la sorresse. Alzò lo sguardo per incontrare quello del ragazzo che le aveva risparmiato un livido al fondoschiena. Spalancò forte gli occhi, e sorrise violentemente.
“Ran?!?”
“Heiji!!”
La ragazza si rimise in posizione eretta, ma non appena riprese l’equilibrio si sbilanciò verso il giovane, cingendogli il collo con le braccia, abbracciandolo. Dopo un attimo, si distanziò da lui per guardarlo negli occhi. Certo che, tra tutte le persone che pensava di incontrare tornando a Tokyo, Heiji era proprio l’ultima.
“Ma che ci fai qui?!” chiesero i due, all’unisono. Non poterono fare a meno di ridere, rendendosi conto che i loro schiamazzi avevano attirato l’interesse dei passanti. Ran così si allontanò definitivamente da lui, mentre arrossì lievemente per l’attenzione che avevano attirato.
“Ma non eri a New York?” le chiese l’amico, non badando minimamente ai passanti. Ran si voltò verso di lui, sorridendo.
“Sono tornata” Heiji la guardò incuriosito, poi curvando il capo verso destra notò che si erano fermati proprio dinanzi ad un bar. Col pollice della mano sinistra lo indicò facendolo scorgere anche a Ran.
“Caffè?” le chiese e lei annuì. Ran diresse lo sguardo alla mamma, che oscillando la mano le disse di non preoccuparsi.
“Torno a casa da sola. Ci vediamo dopo Ran” e mentre lo diceva superò Heiji scomparendo in pochi minuti all’orizzonte. I ragazzi entrarono nel bar, ed ordinarono subito due caffè macchiati.
“Heiji non pensavo fossi a Tokyo! Kazuha non mi ha detto niente!” esordì la ragazza spostando la sedia per mettersi a sedere. Notò subito nel viso del ragazzo un’espressione indecifrabile; forse tristezza, forse frustrazione. Si apprestò a chiedere se avesse detto qualcosa di male, ma il giovane l’anticipò.
“Io e Kazuha non stiamo più insieme” le rispose alzando lo sguardo per poi poggiarlo su di lei “è normale non ti abbia detto niente” le sorrise facendole l’occhiolino, mentre Ran posò una mano sulle labbra spalancando gli occhi.
“Mi dispiace Heiji, scusa!” disse poggiando anche l’altra mano al viso, sistemandole a mo di preghiera.
“Ma che scusa! Che ne potevi sapere tu?” le sorrise ancora, ma era indubbiamente un sorriso falso, pieno di angoscia.
“Ma cosa è successo?” gli chiese la ragazza, mentre si apprestò a prendere il caffè portatole dal cameriere.
“E’ una storia lunga, non so se vuoi ascoltarla”
“Se tu vuoi parlarmene, sono tutt’orecchi”
Il giovane cambiò posizione, decise di mettersi comodo. Prese il caffè con le dita e ne bevette un sorso; per qualche secondo il suo sguardo era perso nel vuoto, deciso sul da farsi. Dopodiché lo mandò giù tutto d’un fiato e guardò Ran.
“Tutto iniziò pochi mesi dopo che tu e Shinichi vi lasciaste” Heiji sospirò lentamente, riprendere quell’argomento non gli faceva proprio piacere eppure non capiva perché, o forse non voleva capirlo. Ran, invece, al suono del nome di Shinichi e al ricordo di quell’evento fu percorsa da un brivido di fastidio, e fu costretta a cambiare posizione, accavallando le gambe.
“Non so se ti ricordi, ma ero ispettore alla polizia di Osaka. La mia fama stava crescendo sempre di più, ed io ne ero felicissimo. Quello era indubbiamente il mio periodo migliore: avevo un lavoro che mi soddisfava, una reputazione eccellente e una ragazza favolosa. Purtroppo, come tutte le cose belle niente dura: mi capitò per le mani un caso difficile ed intricato.”
La ragazza lo guardava riprendere di tanto in tanto fiato, e con gli occhi attenti su di lui, sorseggiava il caffè. Non bisognava essere uno psicoanalista per intuire lo stato d’animo di Heiji; era inquieto e parlare di tutto ciò gli faceva male, non la guardava mai negli occhi, poiché il suo volto era leggermente chinato verso il basso, dirigendo lo sguardo verso il pavimento. Pensò che forse era meglio fermarlo, ma la curiosità era troppo grande e così lo lasciò continuare.
“Non riuscivo a venirne a capo: poteva essere un omicidio per alcune ragioni, un suicidio per altre, una semplice rapina per altre ancora. Ero talmente stressato in quel periodo che non mi preoccupavo neanche di chiamare Kazuha, che probabilmente era in pensiero per me. Impiegai settimane a cercare prove, indizi, spiegazioni. Dopo un po’ ci riuscì, e colmo di gioia andai ad esporre la mia teoria” Heiji abbozzò un sorriso di scherno verso se stesso; si rendeva conto, per l’ennesima volta, di quanto era stato stupido.
“Ero convinto fosse un omicidio! Purtroppo però la mia tesi faceva acqua da tutte le parti, e mentre la esponevo me ne rendevo conto io stesso. La prova indiscussa che tutto ciò era sbagliato venne dall’ospedale: il tizio era stato avvertito due giorni prima di avere un carcinoma al polmone, in fase avanzata, impossibile da operare: gli restavano poco meno di due mesi.”
Ran spalancò gli occhi; parlare di tumori le creava sempre un senso di angoscia nell’animo.
“Che brutta cosa..”
“Questo è niente, il peggio venne dopo: il fratello della vittima mi accusò pubblicamente di essere un incapace, un dilettante, un montato di testa. Ne parlarono tutti i giornali, il mio nome era ovunque. Purtroppo io, preso dall’orgoglio, non riuscì a gestire la situazione: non mangiavo, non dormivo, tornavo a lavoro distrutto. A tutto questo si aggiunse mio padre. Mi disse che come sempre i miei metodi erano mediocri, non adatti alle investigazioni, erano come li definiva lui “fantasie”. Ci litigai violentemente, e cercando conforto chiamai Kazuha: beh, ti lascio immaginare che dopo 2 settimane che non mi ero proprio fatto sentire, lei era incazzata nera. Non mi lasciò neanche parlare o spiegare. Mi urlò contro e non potevo sopportarlo, avrei voluto un aiuto, un appoggio! Così, prima di staccare la conversazione, in preda ad una crisi di nervi, le dissi che era finita..” Il giovane sbuffò rumorosamente, mentre Ran che lo stava ascoltando incredula, non sapendo cosa rispondere non fiatò. Lo fissò ancora un volta e riuscì a scorgere nei suoi occhi velati di lacrime, che spingevano per uscire, l’amore - mai svanito - per Kazuha.
Il ragazzo continuò il racconto, ma questa volta spostò lo sguardo su di lei.
“Non sapevo cosa fare.. avevo perso tutto! D’istinto così la prima persona che mi venne in mente era il mio migliore amico. Presi il primo volo per Tokyo e mi presentai a casa di Shinichi con due valigie in mano..”
Abbozzò così un sorriso, ricordando gli eventi accaduti quel giorno.
 
“Ciao Kudo”
Shinichi si voltò di scatto verso il suo interlocutore; lo guardò attentamente con espressione meravigliata e con occhi spalancati.
Lasciò andare la chiave nella serratura, mentre con il corpo si avvicinò lentamente a lui.
“Hattori! Che è successo?” gli domandò incredulo, vedendolo con due grandi borsoni in mano.
“Posso stare un po’ da te? Non so dove andare..” Lo sguardo di Heiji era sempre rivolto verso il basso, non aveva il coraggio di chiedergli una cosa del genere guardandolo negli occhi. Shinichi cercò di capire o almeno immaginarsi cosa era potuto succedere; decise poi, in quel momento di non chiedergli nulla. Se avesse voluto parlare lui ci sarebbe stato, ma in quel momento il migliore dei modi per dargli conforto era il silenzio.
“Sei il benvenuto qui. Resta pure quanto vuoi” disse facendogli l’occhiolino, mentre si apprestava a prendere una valigia per aiutarlo ad entrare.
Heiji alzò il capo; non c’erano parole per esprimere la sua gratitudine, così si limitò semplicemente a guardarlo. Lo ringraziò con gli occhi, niente poteva essere più sincero di quelli.
 
“Se non fosse stato per lui probabilmente non mi sarei mai ripreso sul serio” le disse “grazie a Shinichi, ho sorriso di nuovo, ma soprattutto sono tornato ad investigare. Così dopo un po’ chiesi il trasferimento per il dipartimento di Tokyo, e da allora vivo qui.”
Heiji sentì improvvisamente vibrare il cellulare; si distese leggermente, facendo forza sulle gambe per prenderlo dalla tasca. Parlando del diavolo… Scrutò il display, era un sms di Shinichi:
Vieni a casa.. ho nuovi indizi su quel caso. Ah, e prendi qualcosa da mangiare per stasera.
Sorrise lievemente mentre si accingeva a posare il cellulare in tasca; si rivolse ancora una volta a Ran che lo stava guardando pazientemente.
“Questo è tutto.”

 

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Miei lettori! Allora? Si incomincia a capire qualcosa in più? Forse questo capitolo è stato un pò noioso perchè è quasi totalmente descrittivo ma avevo bisogno di chiarire queste faccende... Fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie a tutti quelli che leggono, ma un ringraziamente speciale a coloro che commentano. :) Un bacio.

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Capitolo 5
*** Caffè? (Seconda parte) ***


Capitolo 5: Caffè?
Seconda parte
 
 
"E non l'hai più sentita?" gli chiese Ran, interessata quanto curiosa alla vicenda. L'aveva vista pochi giorni prima, eppure Kazuha, non le aveva accennato niente di tutto ciò. Forse ero distratta io...
"La provai a chiamare una settimana dopo per scusarmi ma..." Heiji lasciò andare le braccia lungo i poggioli della sedia, cercando una posizione diversa nel tentativo di svegliare i muscoli delle gambe che si erano addormentati a lungo andare.
"Ma lei, forse presa dall'orgoglio...chissà, staccò il cellulare e non rispose a nessuna mia chiamata."
Ran restò a guardarlo per momenti di incerta lunghezza. Respirò profondamente cacciando l’aria dalla bocca, e mentre tamburellava le dita sul tavolo imprecò per aver introdotto quell’argomento tanto fastidioso e nostalgico. Nostalgia; ecco cosa aveva notato nel viso di Kazuha. Ripescò nella sua mente i ricordi di quel giorno addensandosi sulla giovane, cercando di mettere a fuoco gli attimi in cui fosse distratta, o magari pensierosa. Si concentrò su quei pensieri, maledicendosi per non averlo intuito prima, rendendosi conto che a New York aveva davvero trascurato le sue due amiche; le telefonate erano spesso rare e veloci, e non bastavano per raccontarsi ciò che accadeva. La voce di Heiji la ricondusse alla realtà, facendole scuotere leggermente il capo, smuovendo le ciocche di capelli in tutte le direzioni.
“E tu? Come mai sei tornata?”
Ran, sorpresa dalla domanda, rimase immobile; poi sorrise distrattamente.
“E’ qui il mio posto” rispose con tono deciso, tipico di chi era sicuro della propria scelta, “New York ha significato molto per me, ma io.. io appartengo a questa città.”
“Mi fa piacere che tu sia tornata” sporse le mani verso di lei cercando di attirarla a se, per stringerla in un abbraccio; Ran gli si avvicinò sorridendo circondandogli con le braccia la schiena. La ragazza aveva sempre considerato Heiji un fratello acquisito, ma in quel momento vederlo le dava solo un’immensa sensazione di fastidio; cercava di ignorare il perché di quel suo malessere, ma i continui brividi che le percorrevano il corpo prendevano forma di tanti piccoli aghi che le penetravano la pelle, rinfrescandole la mente, riportando a galla ricordi depositati nell’abisso, che di tanto in tanto le facevano compagnia. Ricordare era vietato, ma dimenticare era impossibile. Shinichi.. scosse di nuovo il capo nel tentativo di scacciare quel ‘brutto’ nome, quella ‘brutta’ persona, quei ‘brutti’ ricordi che, ogni qualvolta si presentavano, le annebbiavano la mente mandando in tilt le difese che si era costruita con tanta cura in quegl’anni di lontananza da lui.
Fu ancora una volta il suono della voce del ragazzo a ricondurla al concreto, ma questa volta, la giovane lo ringraziò mentalmente.
“Che ne dici di fare una rimpatriata?” Ran strabuzzò gli occhi per focalizzare meglio l’ultima parola della frase pronunciata da Heiji. Rimpatriata. Ciò significava rincontrarsi. Rincontrarsi?
Alzò la testa verso Heiji con espressione preoccupata, la bocca era leggermente aperta e ciò permetteva di scorgerle i denti; incominciava a sentire le orecchie ribollire, la temperatura del suo corpo aumentare. E’ mai possibile che al solo pensiero di incontrarlo il suo corpo andava in corto circuito? Cosa diavolo mi sta succedendo? Calmati Ran! Calmati! Si sforzò di sorridere, ma non avendo fatto un corso di recitazione le riuscì in modo molto buffo; incominciò a grattarsi la testa nervosamente, mentre con l’altra mano impugnava la coscia, tirando su convulsamente un po’ di pelle causandosi un fievole dolore.
“Ti senti bene Ran?” la guardò allarmato versandole un po’ d’acqua “ho detto qualcosa di sbagliato?”
Ran cercò di riprendere il controllo del suo corpo, e avvicinò la mano al ragazzo prendendo il bicchiere per berne il contenuto. Deglutì tutto molto velocemente e si apprestò a rispondere; in quegli istanti di subbuglio aveva riattivato il cervello per inventarsi una scusa dignitosa.
“No no, è che ultimamente ho attacchi d’ansia” posò il bicchiere sul tavolo del bar espirando profondamente “il medico ha detto che è colpa dello stress.”
Gli sorrise subdolamente, mentre un Heiji più rasserenato girò il corpo verso un cameriere che era a pochi metri da loro, e agitando le dita per farsi notare, chiese con un gesto il conto.
“Allora? Che ne pensi della rimpatriata?” Ran lo guardò sorpresa, accorgendosi che la scusa degli attacchi d’ansia non era abbastanza grave per deviare il discorso.
“Non saprei..” girò lo sguardo in direzione opposta per non incrociare quello interrogativo di Heiji;
“e quando la faremmo?” aggiunse con voce tremante.
Heiji poggiò l’indice sul mento e alzò lo sguardo al cielo con fare pensoso; non sembrava accorgersi del fiume di emozioni che scorreva nell’animo della ragazza e lei lo benedì per questo.
“Non so, dimmi tu quando puoi..”
Ran si apprestò a rispondere, pensando ai giorni in cui non avrebbe potuto esserci per vari motivi: Richard, lavoro, mobili della casa…
“Domani e dopodomani io non posso: arriva il mio ragazzo e devo fare una specie di colloquio a lavoro.. però..” non poté completare la frase poiché si ritrovò il palmo della mano di Heiji davanti agli occhi, inducendola a fermarsi e ad ascoltare ciò che aveva da dirle.
“Sei fidanzata?” le chiese inarcando un sopracciglio, con atteggiamento stupito. Ran sbuffò a quella domanda, a quante altre persone ancora avrebbe dovuto spiegarlo? La ragazza si limitò ad annuire, sperando che ad Heiji bastasse quello.
“E con chi?!” Assottigliò gli occhi, sorridendo, era tipico dei detective essere curiosi, e lei lo sapeva bene. Incrociò le mani sotto il seno e accavallò le gambe mettendosi a proprio agio, cercando di recuperare quella comodità che i continui fremiti avevano interrotto.
“Richard” aggiunse con tono deciso e netto, quasi per cercare di proteggersi da ciò che aveva inavvertitamente sentito sul suo corpo poco prima; “l’ho conosciuto a New York un annetto fa e abbiamo cominciato a frequentarci, stiamo insieme da qualche mese” rivelò in un soffio, velocemente, quasi a volersene liberare. Heiji non rispose subito, dapprima a causa del cameriere che aveva portato il conto, poi perché gli serviva del tempo per immagazzinare ciò che aveva davvero sentito. Si alzò dalla sedia con Ran ed insieme si avviarono all’uscita: Tokyo era illuminata dalla luce del crepuscolo serale, il cielo era variopinto di mille tonalità diverse, uno spettacolo di colori si mostrava ai loro occhi. Ran ne rimase colpita, in quegl’anni aveva rimosso anche l’infinita bellezza della sua città.
“Ed io che pensavo ti rimettessi con Shinichi!”
La ragazza si girò di scatto verso di lui, con occhi visibilmente dilatati, bocca semischiusa e sopracciglia aggrottate. Il cuore le ricominciò a battere più forte, la pressione sanguigna ad aumentare velocemente, le mani a sudare nervosamente. Di nuovo quel nome. Di nuovo quella persona. Di nuovo quei ricordi.
“Che cosa avevi pensato con chi?!” Sbraitò innalzando il tono di voce, e mentre la sua faccia si colorava di rosso, era possibile scorgere in lei ogni piccolezza, persino la vena che pulsava sul suo collo.
“Ehi calma calma! Stavo scherzando!” aggiunse quasi per scusarsi, mentre con le mani cercava di distanziarla. Ran arrabbiata era da evitare, era pur sempre una karateka. Le sorrise per addolcirla, e sembrò funzionare: la giovane per la millesima volta in quella giornata espirò profondamente lasciandosi andare anche con il corpo, quasi a disfarsi di quella sensazione di nervosismo. Rise anche lei, forse per nervosismo, o forse perché si sentiva ridicola. Erano anni ormai che non si emozionava davvero per ciò che le succedeva; anche con Richard spesso si richiudeva in se stessa, mostrandosi ricoperta da un’armatura di cristallo, fragile ma allo stesso tempo affascinante; si era convinta che invecchiando e maturando non poteva sempre mostrarsi come la ‘debole’ Ran: era una donna ormai, e quello scudo vitreo l’aiutava a sentirsi più forte, meno discutibile, più convinta. Ed ora? Bastava il suono di un semplice nome di 8 lettere a demolire quella corazza, ad abbattere tutte le sue sicurezze e convinzioni. Che stupida che sono.. si maledì con il pensiero, era tremendamente sgradevole non riuscire ad avere il controllo delle proprie emozioni; cercò di non pensare, era l’unico metodo che aveva per misconoscere tutto ciò. Si accinse a salire in macchina di Heiji che le aveva offerto un passaggio a casa. Il tragitto fu breve e rapido: l’agenzia Mouri distava pochi chilometri dal bar dove si erano fermati. Ran scese dall’auto e salutò Heiji con la mano, ringraziandolo del passaggio. Mentre si apprestava a salire il primo gradino delle scale la voce del ragazzo la richiamò nuovamente, facendola girare di colpo.
“Per la rimpatriata?” le chiese accostando l’auto in seconda fila, immise le quattro frecce per farsi superare dalle altro auto e abbassò il finestrino per parlarle.
La rimpatriata! Se ne era proprio dimenticata. La ragazza lo guardò benevolo, a quel punto era stata messa allo stretto; non poté fare a meno di abbozzare un sorriso e gli rispose velocemente per non intrattenerlo ancora ad ostruire il traffico.
“Per me va bene venerdì”
“Vada per venerdì” Heiji sorrise e mentre faceva salire il finestrino dell’auto la guardò per l’ultima volta in quella serata “..e porta anche Kazuha!” aggiunse, facendole l’occhiolino, allontanandosi da Ran rimasta a guardarlo. La ragazza salì le scale nervosamente, ma non poté lasciarsi sfuggire l’ennesimo sbuffo.
“La vedo nera” Aprì così la porta ed entrò in casa raggiante, cercando di dimenticare tutto.
 
Heiji scivolò in casa freneticamente, girò il capo a destra e a sinistra nel tentativo di scorgere Shinichi. Entrò in cucina, e lo vide davanti al frigorifero cercando qualcosa da mettere sotto ai denti, grattandosi la pancia. Cavolo, la cena.. Il moretto lo guardò con aria indagatore, e dopo aver chiuso il frigo si avvicinò a lui con le mani incrociate al petto.
“Ti avevo detto di prendere da mangiare” sbottò Shinichi superandolo, avvicinandosi all’immenso salone di villa Kudo, prendendo il telecomando per accendere il televisore.
“Lo so, l’ho dimenticato” sorrise ghignando all’amico, Shinichi lo guardò scuotendo la testa, interessato più alle notizie sportive che a ciò che borbottava Heiji.
“Ho una notizia buona ed una cattiva, quale vuoi per prima?” il ragazzo si girò verso di lui, prestandogli finalmente attenzione, mentre lasciò andare il telecomando sul divano ad elle che dominava l’ambiente.
“La seconda”
Heiji prese un minimo di fiato, mentre pensò che in quel momento ci sarebbe voluta una videocamera per immortalare l’espressione che di li a poco sarebbe nata sul suo volto.
“E’ fidanzata.” Shinichi lo guardò incuriosito, inarcando un sopracciglio. Prese il cellulare dalla tasca quasi a dimostrare di non interessarsi a quell’argomento, nonostante non sapesse di chi si stesse parlando.
“Devo dedurre che la protagonista di ciò è la buona notizia?”
Intanto faceva scorrere il dito sul display, leggendo le chiamate perse e gli ultimi messaggi ricevuti.
Heiji annuì semplicemente.
“Non sono geloso” un sorriso di ghigno gli apparve sul viso, ed alzando il capo verso l’amico aggiunse:
“e chi sarebbe?”
Heiji lo guardò per alcuni momenti, poi si decise a dirgli la verità. Non voleva tenerlo all’oscuro di niente, tra loro non vi erano segreti; per questo si avvicinò lentamente a lui, gli prese il cellulare da mano e glielo infilò in tasca. Gli poggiò poi le mani sulle sue spalle, quasi per accarezzarlo. Tra loro però non vi erano carezze, solo amichevoli schiaffi di conforto, come la chiamavano loro: ‘roba da uomini’.
“E’ Ran.”
Shinichi alzò lo sguardo verso di lui, sbiancando quasi. Gli sembrò che il sangue nelle sue vene si fermasse d’un tratto, e che le forze lo stessero per abbandonare facendogli perdere l’equilibrio. Le sue sensazioni, tenute nascoste per troppo tempo, risalivano in superficie al suono di quel nome. Da quanto tempo non lo sentiva? Sembrava quasi bello ascoltarlo, e nonostante il dolore che gli procurava il ricordo di quella ragazza  avrebbe chiesto ad Heiji di ripeterlo altre cento volte, ma si ammutolì credendosi ridicolo. Si staccò dalla presa del suo migliore amico dirigendosi verso le scale. Lentamente del suo corpo rimase solo l’ombra, che poi in un attimo scomparve. Heiji rimase lì, immobile, indeciso sul da farsi. Lo guardò allontanarsi mentre con gli occhi cercava un punto indistinto. Pensavo peggio! Si diresse verso il salotto, sedendosi comodamente, sprofondando la testa sul morbido cuscino di velluto, e le gambe lungo il divano. Chi glielo dice che la deve incontrare?

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Eccomi qui ^_^ questa sessione è definitivamente chiusa, e vi anticipo che con il prossimo capitolo si entra nel cuore della storia! Come vi sembra il comportamento di Ran? ed Heiji è perdonabile per ciò che ha fatto? Ma soprattutto chi glielo dice ora a Shinichi che la deve incontrare? :D Io no ù.ù non mi assumo tali responsabilità :D
Rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti a chi ha recensito lo scorso capitolo: Dony_chan e myellin. Grazie anche a chi ha solo letto. Un bacione.
         

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Capitolo 6
*** Rincontrarsi ***


Capitolo 6: Rincontrarsi
 
Suonò la sveglia ripetutamente e per vari minuti, quando un colpo carico di forza interruppe la melodia del piccolo oggetto poggiato sul comodino ai lati del letto. Shinichi si portò le mani al viso, stropicciando gli occhi. Sbadigliò rumorosamente, e allargò talmente la bocca che sembrò farsi male con i suoi stessi muscoli. Si portò in posizione supina, distendendo le gambe per riprendere il controllo motorio del suo corpo, che aveva abbandonato rilassandosi sul letto matrimoniale. Aprì stancamente le palpebre e rimase fermo a fissare il soffitto per alcuni istanti. Nella sua mente riecheggiavano le parole di Heiji, nitide e marcate, quasi come se le avesse sentite qualche secondo prima. Erano passati tre giorni da quando il ragazzo del Kansai lo aveva avvertito del ritorno di Ran e della rimpatriata. Rincontrarsi. In quelle tre giornate non aveva fatto altro che pensare a lei, ardendo dalla voglia di rivederla, di sfiorarla, ma anche semplicemente di ascoltare la sua soave voce, che lui credeva terribilmente sexy. Il timbro vocale della giovane gli era rimasto ben impresso nella mente, tanto quanto le sue ultime parole; quelle gli sembravano incise col fuoco ardente nel suo cuore, che si alimentava e brillava sempre di più ogni qualvolta ricordava quel maledettissimo giorno di 4 anni prima.
“Non siamo fatti per stare insieme”
Si girò su un fianco, quasi per alleviare la stretta al petto che gli accartocciava il cuore, rendendo impossibile ogni battito. Le emozioni che stava provando al solo pensiero di vederla, vennero oscurate da un profondo senso di angoscia.E’ pure fidanzata.. Sbuffò, sentendosi sconfitto, come se avesse sbagliato un rigore decisivo alla finale dei mondiali. Ran aveva preferito qualcun altro a lui, lo aveva dimenticato, ma soprattutto aveva condonato tutto ciò che era successo tra loro. Aveva forse trovato qualcuno con cui era fatta per starci insieme? Schernì se stesso, maledicendosi per i suoi difetti, che lo avevano portato alla solitudine più disperata, quella più brutta: era circondato da tantissime persone che gli volevano bene, innumerevoli lo stimavano, altre ancora avrebbero fatto di tutto per essere al suo posto; eppure si sentiva sperduto, dimenticato. Si sentiva alienato da se stesso, incompleto. Si alzò velocemente dal letto dirigendosi verso l’armadio a quattro ante presente nella camera, quella matrimoniale dei suoi genitori. Aveva deciso di abbandonare la sua stanzetta anni prima; cercava di evitare di tuffarsi, ogni qualvolta ci sarebbe dovuto entrare, in quel mare di ricordi che gli linciavano l’anima. Prese distrattamente i jeans ed una maglia, avviandosi verso il bagno. Poggiò le mani sul lavabo abbassando il capo, tenendo fisso lo sguardo su se stesso riflesso allo specchio. Quel giorno era arrivato, e nonostante l’avesse atteso per tantissimo tempo, sorse in lui un profondo senso di paura: l’avrebbe rivista, ma nelle braccia di un altro, sorridente affianco ad un altro, le sue labbra su quelle di un altro. Scosse forte la testa cercando di esiliare quei pensieri, che lo avrebbero tormentato per tutta la giornata, fino alla sera. Fece scorrere l’acqua, incominciando a strofinarsi i denti con lo spazzolino; imbambolatosi in quella posizione, ritornò a pensarla, socchiudendo gli occhi. Ran...
Durante la giornata, che passò molto lentamente, Shinichi controllò almeno un centinaio di volte l’orologio da polso, facendo il conto alla rovescia dei minuti che lo separavano dalla ragazza. Cercò invano di distrarsi attraverso il lavoro, ma il suo intuito era messo a dura prova dalle continue distrazioni a cui non riusciva a resistere; gli risultava più interessante perfino la facciata di una libreria. La sua straziante quiete venne interrotta dal brusco aprirsi della porta della dependance, annunciando un Heiji che, con passo felino, si avvicinò ansiosamente a lui.
“Hey” il ragazzo poggiò violentemente i palmi delle mani sulla scrivania facendo svolazzare qualche foglio, che cadde miseramente a terra “secondo te, come mi devo comportare stasera con Kazuha?”
Shinichi lo guardò dapprima assottigliando gli occhi, poi abbassò lo sguardo sulle scartoffie, fingendosi impegnato.
“Normalmente” rispose, con tono molto pacato.
“Ma se lo faccio non risolverò niente” Heiji avvicinò il suo viso a quello di Shinichi, costringendolo a farsi guardare. Di scatto però, si riportò in posizione eretta, incominciando a gironzolare per la stanza.
“Devo stupirla” aggiunse, gesticolando con le mani “devo fare qualcosa di speciale!”
Shinichi lo guardò sospirando, ed alzandosi, si appoggiò alla scrivania incrociando le braccia.
“Corri nudo per strada” gli rispose, mettendosi a ridere di gusto.
Heiji, con espressione indecifrabile stampata in faccia, si avvicinò a lui fissandolo negli occhi ed inarcando un sopracciglio.
“Fai poco lo spiritoso” aggiunse sorridendo e istigandolo con il gomito “cosa farai tu con Ran?”
Shinichi ebbe un tuffo al cuore, il suo amico aveva toccato un tasto dolente e complicato. La ragazza non gli apparteneva, e visto che si sarebbe presentata in dolce compagnia, non avrebbe potuto fare niente per rimediare a tutto ciò. O forse si?
“Nulla.” Replicò, con quella tipica fredda razionalità che lo contraddistingueva da sempre. Lasciò andare le mani lungo i fianchi avviandosi verso l’uscita della dependance, e guardando l’amico di sottecchi, ribadì sogghignando: “farà tutto lei.”
 
“Ran come sto?!” Kazuha si guardò allo specchio scrutando ogni piccolo particolare del suo fisico. Aveva scelto per la rimpatriata una minigonna che le copriva a malapena l’inguine, coordinandola con un top a fasce che le andava a risaltare le forme. I capelli erano sciolti, e piastrati, mentre ai piedi portava dei stivali scamosciati. Voleva essere perfetta per il grande incontro, poiché aveva nella mente un solo obiettivo: riconquistare Heiji. Ran, seduta sul letto della sua vecchia stanza, la guardava con aria impaurita e tesa; non provava entusiasmo, ne tantomeno gioia. Sentiva soltanto un immenso senso di paura e di inquietudine, e torturandosi le unghia delle mani, sperava vivamente che Shinichi non si presentasse all’incontro. Magari gli viene la bronchite.. Si lasciò andare sul letto, distendendo le braccia, sospirando rumorosamente. Erano stati i tre giorni più stressanti della sua vita: aveva dovuto presentare ai suoi genitori Richard, che appena arrivato, già le aveva fatto notare che era “strana”; era andata al colloquio di lavoro, dove i dirigenti dell’azienda le avevano provate tutte per metterla in difficoltà e testare le sue qualità; in mattinata era stata nella sua nuova casa, aspettando per ore i mobili che tardavano ad arrivare, saltando così il pranzo.
Ed ora, al pensiero di rivederlo, le tremavano le gambe, rendendo quasi impossibile l’equilibrio; per questo aveva deciso di aspettare Kazuha seduta, abbandonandosi al letto.
“Ran ci sei?!” La voce della ragazza la richiamò una seconda volta, facendole stizzire i nervi. Era talmente in agitazione che avrebbe preferito non vedere e non sentire, nessuno.
“Si” aggiunse, con tono stanco “stai benissimo.”
Kazuha le si avvicinò lentamente accarezzandole una spalla, guardandola preoccupata.
“Ran ma che..”
“Ragazze andiamo?” Un ragazzo dai capelli biondi, occhi chiari, fisico longilineo e con un accento tipicamente americano, era sulla soglia della porta. Le due si voltarono a guardarlo, bloccando lo scorrere delle parole della giovane, mentre una Ran sbuffante fece forza sulle braccia per alzarsi e incamminarsi verso il suo compagno.
“Si Richard, abbiamo fatto.” girò lo sguardo verso l’amica, che sembrava aver capito qualcosa di troppo, e con un cenno della mano le indicò di alzarsi. I tre ragazzi salirono velocemente in auto che li avrebbe condotti a casa del dottor Agasa, sede della rimpatriata. Durante il breve tragitto Ran sprofondò lo sguardo alla sua destra, osservando il rapido scorrere della vita, abbandonandosi ai pensieri più angoscianti e imponendosi l’autocontrollo attraverso l’autoconvinzione. Sicuramente mi sto facendo tanti film mentali io.. rivederlo non mi farà niente, ne sono sicura..io adesso sto con Richard, e di quel detective non me ne può fregar di meno! I minuti passarono, segnati da un soffocante silenzio della ragazza e dai discorsi dei due coinquilini dell’auto, che cercavano, in un modo o nell’altro, di conoscersi meglio. L’auto arrivò a destinazione e arrestò la corsa, proprio dinanzi alla casa del professor Agasa. Vicino, forse troppo, alla casa di Kudo. Ran non poté fare a meno di voltarsi per guardarla, sentendosi inerme nei confronti dei ricordi che richiamava, e violentemente scagliava, come una pioggia di meteoriti, contro di lei. Tutto le tornò in mente nel giro di pochi attimi, rendendola vulnerabile a qualsiasi attacco esterno. Incominciamo bene.. Scosse la testa e si diresse verso il cancello, quando una mano sulla sua spalla le fece bloccare i passi.
“Ran non starai così per Shinichi, vero?” le chiese con tono basso, quasi bisbigliando, una Kazuha preoccupata, che in macchina non aveva fatto altro che osservarla, e vedendola inquieta, aveva aspettato il momento giusto per chiederle spiegazioni, mentre Richard era abbastanza lontano da non poter sentire. La ragazza la guardò intimorita, ma ancora una volta cercò di non far trasparire le sue emozioni, e le sorrise rassicurante.
“Ma che dici, è che sono felice di rivedervi tutti”
Avanzò lentamente verso il campanello, suonandolo. La voce femminile che rispose, da cui Ran riconobbe la scienziata Shiho Miyano, aprì il cancello permettendo ai tre di avvinarsi alla porta d’entrata, che era socchiusa. Ran afferrò il manico, spalancandola di scatto ritrovandosi di fronte ad un’immensa sala illuminata. Forse gli è venuta davvero la bronchite! Constatò, quasi gioiosa, nell’osservare Heiji, Shiho, Sonoko e Makoto. Ma non Shinichi. Lui non c’era e probabilmente non sarebbe venuto, sennò - pensò - già si sarebbe presentato. Tirò un sospiro di sollievo ed avanzò velocemente verso i suoi amici, seguita da una Kazuha arrossita ed emozionata alla vista del suo ex fidanzato, ed un Richard visibilmente impacciato. Oltrepassò Heiji, che si era imbambolato ad osservare Kazuha che gli si avvicinava timorosa, e raggiunse Shiho per salutarla. La giovane si mostrò gentile nei suoi confronti, animata, però, dalla solita freddezza e da quel cinismo che Ran ricordava bene, e che spesso aveva letto nei suoi occhi.
“Ciao americana, bentornata.” la guardò per un istante, per poi sorriderle graziosamente. La giovane rispose alle risa, stringendola in un abbraccio. Si staccò velocemente da lei per poi dirigersi verso Makoto che l’aspettava a braccia aperte con sorriso trionfante.
 “Buonasera a tutti, scusate il ritardo.”
Ran si bloccò all’istante, al suono della voce che più aveva odiato ed amato al mondo. Il suo fisico sembrò non rispondere più ai suoi comandi, arrestando il funzionamento delle cellule nervose, mentre il suo cuore prese ad accelerare, così furiosamente, che le sembrò che potesse fuoriuscire dallo sterno. Le gambe incominciarono a tremare, le mani a sudare. Anche il suo stomaco era in subbuglio, provocandole una forte fitta all’addome, talmente grande che si sarebbe piegata su se stessa se fosse riuscita a farlo. Si voltò lentamente verso Shinichi, che pericolosamente si avvicinava a lei, con quel suo solito e adorabile sorrisino stampato sulla faccia. Ran rimase fissa a guardarlo, mentre il ciuffo ribelle le copriva un occhio, le sembrò quasi di proteggersi dalle sue stesse emozioni, aldilà di quei capelli. E’…è…è…. Avrebbe voluto allontanare quella visione dalla sua mente;  esiliare l’immagine del suo viso, del suo corpo, del suo sorriso, delle sue labbra… ma tutto ciò era realmente, e non più nella sua mente, ad infima distanza e non poté fare a meno di restare a contemplarlo, osservando i suoi passi avanzare, in un modo così violentemente tranquillo che le permetteva il tempo giusto per torturarsi. E’…è…b-bellissimo…
Shinichi arrestò la sua marcia a pochi centimetri da Ran, osservandola compiaciuto e con occhi sognatori. Non c’erano espressioni per descrivere il suo stato d’animo in quel momento, avrebbe voluto dirle mille e più cose ma raggelò, mantenendo viva ed alta la sua spacconeria.
“Chi non muore si rivede” le sorrise ghignando, dimenticandosi per un attimo dove si trovavano e con chi erano, concentrandosi su di lei, scrutando ogni sua piccolezza.
“Ciao Ran.”
La ragazza cercò di proferire parola, ma la tempesta d’emozioni che l’aveva percossa le aveva mandato in tilt anche il funzionamento della bocca e rispettive corde vocali.
Così, ansimando, e con occhi bassi e lucidi, riuscì ad articolare la voce in un suono di quattro semplici lettere che preannunciarono la fine o l’inizio di tutto.
“Ciao.”

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Allora, come vi è sembrato questo sesto capitolo? Shinichi Ran Richard, mmm chi la spunterà!? :D
Grazie a chi ha recensito lo scorso: Dony_chan e myellin, vi assicuro che senza i vostri commenti questa storia non andrebbe avanti! Quindi grazie ancora!
Grazie comunque anche a chi ha solo letto, un bacione.

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Capitolo 7
*** Decimi di gelosia ***


Capitolo 7: Decimi di gelosia
 
Avvertì sulle sue spalle il getto gelido d’aria fredda proveniente dal condizionatore acceso nella grande sala di casa Agasa. La sua pelle vibrò, ma non a causa del repentino cambiamento climatico dell’ambiente circostante, bensì dovuto all’irritante visione che le si parava davanti, che inspiegabilmente, trovava nauseante e misteriosamente insopportabile. Ran si bloccò a fissarli, contorcendo le labbra in una smorfia, quando i due ragazzi sembravano divertirsi a pochi metri da lei, ignorando la sua presenza ed il suo ritorno. Ma guardateli... Timbrò con i suoi denti le labbra creandosi un solco, facendo fuoriuscire un po’ di sangue che prontamente asciugò col fazzoletto. Era certamente una reazione strana la sua, e ne era pienamente consapevole. Il nervosismo che lentamente saliva era alimentato dal desiderio d’attenzioni che quei due, o meglio, che lui proprio non le mostrava. Scosse la testa nel tentativo di allontanarli dalla sua prospettiva, cercando di concentrarsi sui discorsi che rimbombavano nella sala, o magari sul labiale delle amiche che le sedavano vicino, ma tutto le sembrò muto e atono quando l’unico suono che percepiva era la fragorosa risata di quel ragazzo dagli occhi blu come l’oceano. Lo guardò e pensò che Shinichi era diventato ancora più carino di quanto ricordasse; lo vedeva appoggiarsi al ripiano della cucina con il gomito, indossando un paio di jeans chiari ed una t-shirt abbastanza stretta che rievocava nella sua mente momenti passati, immagini bellissime deturpate dal passare del tempo, che le provocavano una fitta al cuore ed un grande senso di malinconia. Il festival dei rimorsi venne interrotto dalla voce del suo ragazzo che, con aria scocciata, le aveva dolcemente strattonato la maglia facendola voltare nella sua direzione.
“Non pensavo lo conoscessi.” Richard aveva le braccia incrociate al petto ed era comodamente seduto sulla sedia, aspettando pazientemente la cena; Ran lo guardò spaesata, un po’ a causa del tentativo di esiliare l’immagine di Shinichi dalla sua mente, un po’ per rimettere in moto il cervello.
“Chi?”
“Quello che stai fissando da un’ora” replicò il giovane americano, ed avvicinandosi lentamente a lei, aggiunse sbuffando: “ti sei imbambolata a guardarlo appena è arrivato.”
Immediatamente capì a chi si stava riferendo, e si colorò di rosso fuoco spalancando gli occhi. Cercò di assumere un’espressione che non la fregasse, e che cercasse di nascondere il suo ‘peccato’; purtroppo Richard aveva ragione, e questo non poteva nasconderlo. Com’era possibile che vedere Shinichi accanto a Shiho ridere e scherzare vivamente le provocasse un tale fastidio?
“Ma che dici!” Replicò di botta senza pensarci, portandogli velocemente la mano sulla coscia nel tentativo di rassicurarlo. Richard la guardò malamente mettendo il broncio. A Ran scappò una risata, e beffeggiandolo, gli tirò un dolce ceffo in faccia.
“Non sarai mica geloso?” Gli domandò incuriosita. In realtà le intenzioni di Ran non erano quelle di sedare il grado di gelosia del suo fidanzato; sapeva che Richard non era un tipo particolarmente possessivo, le lasciava tutti gli spazi necessari facendole vivere la sua vita, non soffocandole l’esistenza. Le sembrava strano che lui reagisse così, ma in quel momento la sua unica preoccupazione era deviare quel discorso intrapreso dal ragazzo pochi minuti prima, che non aveva la minima intenzione di continuare.
“No.” rispose convinto l’americano, che non diede neanche il tempo di replicare alla sua compagna, aggiungendo: “non vorrei che tu fossi gelosa di lui però!”.
Gli indicò con la testa Shinichi, che intanto si era seduto a tavola, accanto a Shiho. Ran deglutì, e nervosamente scoppiò in un’assordante risata che attirò l’attenzione dei presenti, compresi i due ragazzi. Le sembrò convincente la sua mossa, poiché così facendo, avrebbe dato l’impressione che del detective non poteva fregarsene di meno, e che era ridicolo pensare che lei, Ran Mouri, fosse gelosa di Shinichi Kudo. Tirò di sbieco un sospiro di sollievo quando notò che il suo partner sembrava persuaso dalla sua reazione, ma arrossì ritrovandosi gli sguardi dei suoi amici addosso.
“Facci ridere anche a noi Ran!” intervenne Kazuha, che timidamente e visibilmente allegra era seduta accanto ad Heiji. La giovane la guardò sorridente, mentre cresceva in lei un senso di astio, che la faceva sentire la persona più spregevole al mondo: la ragazza del Kansai stava tentando per l’ennesima volta di riprendere in mano la sua relazione con Heiji, che d’altra parte, sembrava corrispondere questa volontà. Ran li aveva visti guardarsi negli occhi dolcemente, parlare di ciò che avevano fatto negl’ultimi giorni, sorridere alle battute dell’altro, scambiarsi occhiate maliziose. Era felice per i suoi due amici; per lei erano nati per stare insieme, segnati fin dalla culla ad un destino condiviso; un po’ come lei con...si un po’ come lei e Shinichi. La malinconia crebbe velocemente in lei e culminò nel momento in cui spostò lo sguardo su Kudo; il moretto aveva un braccio legato alla schiena della biondina, e cercava di farle il solletico punzecchiandole il bacino. Ran la guardò spostare gli occhi su di lui e sorridere, quasi come se tutto fosse normale, proprio come se lei non fosse mai esistita nella sua vita, proprio come se lui avesse dimenticato tutto, sul serio. Abbassò il viso, e con occhi tristi posò lo sguardo sulle posate appoggiate al tavolo. Si diede della stupida, dell’idiota. Cosa s’aspettava? Che dopo quattro lunghissimi anni, tutto tornasse come prima? Si ripeté mentalmente che lei era fidanzata con Richard e che non poteva assolutamente rovinarsi la vita appresso a quel detective. Non poteva e non voleva. Non poteva ma voleva. L’anarchia regnava nel suo cervello, dominato dal caos e da pensieri disordinati che prendevano forma di sentimenti. I suoi ragionamenti, di cui non era tanto più convinta neanche lei, le facevano salire la temperatura del corpo causandole un forte mal di testa. Ma perché poi non doveva essere normale che Shinichi e Shiho stessero insieme? Ricordava bene che la scienziata già anni prima aveva un rapporto speciale con il suo detective, di cui lei non se ne era poi preoccupata così tanto, poiché Shinichi non mostrava alcun cenno d’interesse. In quel frangente le cose però erano ben diverse; anzi, erano capovolte. Probabilmente adesso era Shiho a godere, e lei a soffrire. E come se non bastasse, la giovane le pareva più bella del solito, e guardandola intensamente la maledì nel non trovarle nessun difetto. Aveva tutto al posto giusto: seno, gambe, fondoschiena, occhi, capelli, labbra. La ‘rivale’, le sembrava Afrodite. Cosa avrà poi di così speciale? Si, perché poi Venere era bellissima ma caratterialmente? No, Shiho non era la ragazza giusta per Shinichi. Lei era troppo fredda e distaccata per lui, che in quanto a razionalità ne aveva già troppa. Passarono minuti, momenti interminabili e angoscianti che i presenti occupavano nella consumazione della cena. Shinichi le sembrava bello perfino quando mangiava, e nonostante l’avesse già visto più volte, non riuscì a staccare gli occhi dal suo corpo, e da quelle labbra che colpevolmente bramava. Scosse la testa per allontanare nuovamente quei pensieri e si concentrò sul suo piatto di pasta. Si sentiva terribilmente in colpa con Richard per ciò che stava provando, così si promise e si convinse che in quella serata non avrebbe più guardato Shinichi. Almeno, ci avrebbe provato. La sua attenzione venne presa dall’alzarsi violento dalla sedia di Sonoko, che gloriosamente portò le mani in avanti.
“Ran ti ricordi quando facemmo atterrare l’aereo?!”* I presenti si girarono verso la diretta interessata, che imbarazzata sorrise all’amica. Notò con tristezza che Shinichi era stato l’unico a non alzare lo sguardo dal piatto, disinteressandosi completamente dell’argomento, quando poi lui ne era coinvolto quanto lei.
Ran annuì soddisfatta mentre Richard, sorpreso, le chiese se davvero fosse successo. La ragazza stava per rispondergli quando la voce di Sonoko sovrastò la sua.
“Si è vero! E facemmo tutto da sole!”
“Veramente se non fossi intervenuto io saremmo precipitati.”
Quella bellissima voce arrivò alle orecchie di Ran come una sinfonia di Beethoven, e si perse ad ascoltare l’eco che le provocava nel cervello, che non bramava a scemare.
“Il solito spaccone” fu la laconica risposta di Sonoko, che prese a sedere sbuffando.
Ran sorrise all’affermazione, e nel girarsi istintivamente verso Shinichi notò che lui la stava guardando. La fissava instancabilmente, tanto che la ragazza si perse nell’azzurro di quegl’occhi che tanto le ricordavano il mare e che tanto le piacevano. Non poté fare a meno di arrossire quando le labbra del ragazzo s’incurvarono in un bellissimo sorriso, che gli illuminava il volto, e che risplendeva in quella sala privando le lampade della loro luminosità. Come ci riesce... Ran sperò che il tempo potesse fermarsi in quel preciso istante, sperò che tutti i suoi amici potessero scomparire come d’incanto, che tutti i problemi potessero essere cancellati. Le sue speranze morirono qualche secondo dopo quando quello scambio di sguardi venne interrotto da Shiho che, strattonando la maglia all’amico, gli bisbigliò qualcosa nell’orecchio. Ran vide Shinichi sorridere alla scienziata, in modo così naturale che, irritata, girò di scatto il viso verso Richard.
Sono una stupida!
“Ran ti ricordi la recita scolastica?”**
Quelle parole le arrivarono così velocemente che non ebbe neanche il tempo di strabuzzare gli occhi. Alzò lo sguardo verso il ragazzo e lo ritrovò a sorridere divertito, accanto ad una Shiho soddisfatta. Ed ora? Che vuole...? Ricordare eventi passati non era certo conveniente per la povera Ran, che qualsiasi cosa fosse stata accennata l’avrebbe ricondotta a Shinichi. Nonostante questo non le dispiacesse, la sua preoccupazione era perlopiù Richard che non sapeva assolutamente niente della sua vita passata, e che, come spesso si ripeteva, non doveva scoprire niente.
“Ehm... s-si” La voce le uscì balbettante, e si sforzò anche di sorridere all’ex fidanzato che con gli occhi la incoraggiò a continuare. Continuare?
Ma che diavolo...?
“Bel spettacolo. Ma la cosa più bella fu Heiji travestito da me” Shinichi lanciò un’occhiata verso il migliore amico, che notò anche Ran. La ragazza non riuscì a capire cosa stesse succedendo ma vide Heiji, imbarazzato, apprestarsi a rispondere.
“Cambiai anche taglio di capelli!” Replicò il ragazzo del Kansai, grattandosi la testa sorridente.
“Nah! La cosa più bella furono i due protagonisti!”
Calò il silenzio nell’ambiente. Ran, colorata di rosso fuoco, tremava vistosamente. Shinichi, dapprima preso di sorpresa, spalancò gli occhi, per poi sorridere. Heiji e Kazuha si scambiarono un’occhiata mascherando un risolino. Sonoko! La giovane la maledì con la mente, ma avrebbe voluto davvero urlarle contro, se solo avesse potuto farlo. Ma come le veniva in mente di rievocare quell’argomento, con Richard presente poi? L’ereditiera alzò lo sguardo verso i presenti, perdendo qualche istante nel decifrare la loro espressione. Aveva ignorato la presenza dell’americano, attuale fidanzato della sua migliore amica, e le parole le erano uscite velocemente, quasi per abitudine.
“Perché?” La voce di Richard echeggiò nella sala, completamente atona, attraversando l’ambiente intriso d’imbarazzo. Ran cercò in tutti i modi di non guardarlo negli occhi, pregando che qualcuno parlasse per salvare la situazione. Sua madre glielo diceva sempre che ‘le bugie hanno le gambe corte’, così istintivamente le venne da guardarsi le gambe.
“Perché la scenografia la scrisse lei, e da allora ne va fiera.” Il tono sbuffante del giovane detective fece tirare un sospiro di sollievo ai presenti, compresa Sonoko che, resosi conto del guaio combinato, si guardava intorno per cercare modo di rimediare. Ran invece era percossa da un misto di emozioni che non sapeva e non voleva decifrare. Doveva essere felice che l’equivoco fosse stato risolto, ma la rattristava il pensiero che fosse stato Shinichi a farlo. Ciò era la prova inequivocabile che per il suo ex fidanzato tutto ciò non aveva la minima importanza, anzi, si era preoccupato addirittura di aiutarla. Alzò lo sguardo verso il ragazzo che la stava fissando inaridito. Che situazione... Abbassò nuovamente gli occhi, sbuffando.
“Comunque Heiji in versione Kudo non potrò mai dimenticarlo!” Kazuha cercò di rompere la tensione riprendendo il discorso introdotto da Shinichi, sorridendo divertita. Guardò il ragazzo che le sedeva affianco, che rispose con un’occhiata maliziosa. Improvvisamente tutti si ritrovarono a ridere, mentre Ran, ancora visibilmente impacciata, non accennava ad alzare il capo per partecipare alla conversazione.
“Mi dispiace amico, ma non potrai mai essere come me” Shinichi tirò una pacca sulla spalla al ragazzo, con tono divertito e vanitoso che fece sorridere ancor di più i presenti.
“Ognuno ha i suoi gusti, a me Heiji piace così” aggiunse una Kazuha tinta di pennellate rossastre sul viso. Heiji la guardò sorridente, la tirò a se e le regalò un bacio sulla guancia che ebbe come conseguenza l’applauso immediato dei loro amici, che a coro li incitavano a darsene un altro. L’atmosfera festosa di quell’istante non era avvertita da Ran che, in un angolo del tavolo, rimaneva fissa con gli occhi al pavimento, stringendo nervosamente le mani in pugni. Si sentiva allontanata, derisa, ignorata. Avrebbe voluto alzarsi e abbandonare quella sala, mentre si imponeva il controllo attraverso lunghi sospiri. Ciò che le faceva più male era l’impossibilità di controllo sulle sue emozioni e sui suoi pensieri che, lentamente risalivano in superficie di ferite mal curate, circondate da garze troppo strette e forzate che, a distanza di anni, non permettevano la giusta cicatrizzazione e la giusta guarigione. Si alzò si scatto dalla sedia, dirigendosi verso il bagno, lasciando gli sguardi sorpresi dei suoi amici e del suo fidanzato. Aprì la porta, e bagnandosi leggermente le mani le portò al viso quasi per congelarsi le idee. Sussultò, quando dallo specchio intravide la figura di Shiho che lentamente avanzava verso di lei. Poggiò una mano sull’arco della porta e la guardò fissa negli occhi. Pronunciò poche semplici parole, che arrivarono al cuore di Ran come un pugno in pieno stomaco, come uno schiaffo in pieno viso.
“Se ti fa male, ti interessa ancora”
Si allontanò velocemente fino a che di lei rimase solo l’ombra; di Ran, denudata dalle sue barriere infrante in un soffio da quegl’occhi di ghiaccio, rimase solo l’indifesa anima.
 
*Ottavo film “Il mago del cielo d’argento”
**Episodi 205-206 dell’anime. 


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Chiedo umilmente perdono per il ritardo! Sono stata troppo impegnata in questi giorni e non ho avuto un po' di tempo per aggiornare! Poi aggiorno e scrivo questa cacchetta xD Non mi piace per niente questo capitolo, nonostante l'abbia riletto trecentomila volte! Non so non mi convince :( Comunque "ai posteri l'ardua sentenza" quindi fatemi sapere che ve ne pare! Un bacio enorme, ed un ringraziamento speciale a chi ha recensito il sesto capitolo: Dony_chan, myellin e ciccia98. Grazie anche a chi ha solo letto. Alla prossima!!!

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Capitolo 8
*** Scariche di tensione, scariche d'adrenalina ***


Capitolo 8: Scariche di tensione, scariche d'adrenalina
 
Rimase immobile, concedendo al suo corpo il solo lusso di respirare. I palmi delle mani, appoggiati al lavandino, tremavano vistosamente ricercando un appoggio sicuro che non le permettesse di cadere, o che magari le regalasse quell’equilibrio che aveva lasciato al suono di quella voce, convinta e spietata.
“Se ti fa male, ti interessa ancora”
Deglutì più volte, cercando di allontanare attraverso il rumore della saliva quelle idee che silenziosamente tartassavano il cervello a suon di martellate. Si guardò attorno, scrutando i singoli angoli del grande bagno del professore. Incominciò a pentirsi di aver accettato l’idea della rimpatriata, tanto quanto il suo ritorno in Giappone, che aveva pazientemente atteso. La figura di Shinichi si faceva spazio nella sua mente, mentre echeggiavano le parole di Shiho, sempre più penetranti e fastidiose.
 Dannazione!
 
 “E’ successo qualcosa?” Il volto di Shiho si girò in direzione di Shinichi, che si stava dondolando lentamente sulla sedia. Lo guardò fisso, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Un detective che regalava emozioni e turbamenti senza esserne a conoscenza, non era in grado di dedurre i pensieri di coloro che lo circondavano e che da lui ossessivamente dipendevano. Era un genio quando si trattava di omicidi e cadaveri, ma in quanto a psicologia umana era davvero un impiastro. Shiho alzò le spalle in segno di negazione, quando si perse a guardarlo. Non poteva biasimare la giovane Mouri che, in quella serata, più volte aveva osservato mangiucchiarsi il labbro fissando il suo amico. Forse per maggiore attenzione ai suoi comportamenti, o più semplicemente, grazie al solo ‘intuito femminile’ era riuscita a decifrarne i pensieri che incessantemente l’asfissiavano e che visibilmente la turbavano. Shinichi, invece, non sembrava tanto attento a Ran quanto lo fosse per quel biondino che se ne stava adagiato alla sua poltrona, incosciente di ciò che stesse davvero succedendo. Tra i due vi erano stati più volte scambi intensi di occhiate, carichi di astio gratuito, privi di tolleranza, pronti a sfociare in un duello all’ultima battuta. Il giovane detective non riusciva a togliere gli occhi da Richard che, dal canto suo, rispondeva agli sguardi con lo stesso tono deciso e autoritario. Incominci già a starmi sulle palle... Si guardò intorno e vide che Ran non era ancora tornata dal bagno; inconsciamente gli venne da preoccuparsi per lei quando notò Richard intrattenersi allegramente con Makoto e Sonoko, ignorando l’assenza della sua compagna. Provò disgusto nel constatare che quel tipo doveva prendere il suo posto, sostituirsi a lui come fidanzato e quindi esserle sempre vicino, fedele, gentile; quel tipo aveva il permesso di toccarla e baciarla, e lui no. Incrociò le mani al petto quando il suono delle voci dei tre ragazzi si fece sempre più assordante, tanto da spingerlo ad origliare cosa si stessero dicendo.
“Ma non ti ho più visto alle gare” aggiunse deciso Makoto, accompagnato dallo sguardo accondiscendente di Sonoko.
“Si, è che ho avuto da fare con il lavoro” rispose Richard con tono infastidito, lanciando un’occhiata a Shinichi che, poco più distante, decise di intromettersi nella conversazione. Il detective s’interessò a causa della frase del karateka, che gli faceva dedurre che i due si conoscessero e che magari era stata proprio Sonoko a presentare Richard all’amica.
“Che lavoro faresti?” Al suono delle parole del giovane si voltarono tutti verso l’americano; si ritrovarono a pensare che Ran in quel momento non era presente e poteva succedere di tutto, se la situazione fosse sfuggita di mano.
“Sono un fotografo” rispose, e velocemente aggiunse: “mi occupo di gare sportive, eventi celebrativi e altro”
Shinichi sentì un brivido di fastidio percorrergli la schiena, cosicché poggiò le braccia sul tavolo sbuffando leggermente.
“Altro?” gli chiese, incuriosito.
Richard avvertì la puzza di nervosismo che lentamente si alimentava di quello scambio di battute, ma non si tirò indietro e colmo di presunzione tenne lo sguardo a quell’inconsapevole ‘rivale’, che vanitosamente lo fissava.
“Si, mi piace fotografare gli sbruffoni come te” aggiunse, lasciando a bocca aperta i presenti che si lanciavano occhiate miste di paura e tensione, portando lo sguardo alla sedia di Ran, ancora vuota.
Shinichi, invece, tenne il gioco magistralmente sorridendo leggermente, facendo comparire un ghigno sul suo volto privo d’imperfezioni.
“Si vede che la nostra vita è più interessante della tua.”
La risposta suscitò il cambio di direzione delle teste dei presenti che si voltarono all’unisono verso Richard; l’americano sussultò, ma rapidamente si fece strada, mettendosi a ridere.
“Ma dai, stavo scherzando” intavolò, alzando le spalle, quasi in segno di resa. Shinichi ghignò, pieno di gloria, sapiente della vittoria appena ottenuta su quel sbruffoncello che tanto incominciava a dargli sui nervi. I loro amici invece tirarono un sospiro di sollievo, e cercando di stemperare la tensione sorrisero anche loro. Sullo sfondo apparve una Ran che lentamente avanzava verso il gruppo, facendosi spazio tra i mobili che le ostacolavano il passaggio. Shinichi la guardò sedersi al tavolo, notando che le percorrevano il viso goccioline d’acqua, mentre le mani arrossate erano leggermente umide; dedusse che la ragazza si era data una rapida sciacquata per rinfrescarsi un po’ le idee, ma non riuscì a capirne il motivo. La giovane intanto si guardava intorno avvertendo un’atmosfera strana, incominciando a preoccuparsi del peggio; sorrise lievemente, per mascherare il nervosismo.
“Che avete ragazzi?” domandò repentinamente, guardando di sottecchi Richard.
Shinichi sbuffò lievemente, ma quel sospiro venne avvertito da Ran che alzò lo sguardo per incrociare quello del detective. Si accorse solo in quel momento che il ragazzo non era seduto al suo posto, ma si trovava di fronte a lei, vicino Makoto. Erano così maledettamente vicini che le loro ginocchia avrebbero potuto toccarsi se solo avesse disteso un po’ le gambe. Il pensiero di un contatto con quel corpo che tanto le piaceva, le mandò in tilt il cervello percorso da un brivido di eccitazione; arrossì violentemente, ritirando le gambe alla sedia, rannicchiandosi su se stessa. Per ingannare quelle sensazioni girò lo sguardo verso i suoi amici che alla sua domanda rispondevano con facce strane, cercando di rassicurarla con gesti continui delle mani.
Non si accorse che Shinichi, poco distante, desiderava quel contatto tra i loro corpi che lei aveva velocemente evitato; si distese leggermente, e allungò le gambe ricercando quelle snelle e calde di lei. Quel lento movimento si bloccò improvvisamente, quando vide Richard prendere per mano il mento di Ran e stamparle un dolcissimo bacio sulle labbra, sussurrandole ‘sei bellissima’. Storse le labbra in una smorfia di disgusto, stringendo nervosamente le mani in pugni, imponendosi l’autocontrollo. Non riuscì a staccare gli occhi dalla visione che più gli faceva male in assoluto, quando più secondi passavano più gli sembrava che il suo cuore venisse pugnalato da spade affilate che tagliavano dove ferite ancora troppo fresche bruciavano, e lentamente si alimentavano di quello che i suoi occhi vedevano. Ne conseguì un ritiro immediato del proprio corpo verso l’alto, e un socchiudersi deciso delle palpebre che lasciarono posto al buio, mentre l’immagine dei due amanti lentamente si sfocava nella sua mente. Non riuscì neanche a vedere la reazione di Ran a quel gesto così sicuro del suo compagno. La giovane, infatti, si era ritratta dalla morsa di Richard poco dopo il bacio ed era arrossita brutalmente, svincolandosi con le braccia per allontanarsi. Lo guardò stupida e imbarazzata, spalancando gli occhi.
“Richard non siamo soli!” gli bisbigliò diretta, con tono deciso e alterato.
“Nessuno ci ha visti” replicò il giovane, facendole l’occhiolino, indicandole con la testa i suoi amici che erano impegnati a conversare tra loro, ed aggiungendo stizzito: “e poi, di che ti preoccupi? Siamo fidanzati no?”. Ran non poté fare a meno di voltarsi verso Shinichi, ristretto in un angolino del tavolo, stranamente silenzioso. Era avvolto da un alone di mistero e di provocante lussuria che fungeva da calamita per i suoi occhi, insaziabili di quel corpo e di quel viso, così bello da far male.
 Si è vero...siamo fidanzati...ed io non posso...non devo rovinare tutto!
“N-no è che siamo in pubblico, mi da fastidio... lo sai” gli rispose voltandosi verso di lui con un lieve sorriso, stringendo la mano alla sua.
“Ragazzi vogliamo andare? Si è fatto tardi” Sonoko si alzò scrutando l’orologio da polso, era mezzanotte passata. Incitò i suoi amici ad alzarsi, sotto gli occhi di una discordante Kazuha, che tutto avrebbe voluto anziché allontanarsi da Heiji, che sbuffò irritato; Ran prese ad alzarsi velocemente, concorde con l’idea di Sonoko di levare le tende. La giovane passò a salutare prima Heiji e poi Shiho, ringraziandoli per la cena; anche Richard e Sonoko scambiarono saluti incominciando a borbottare tra di loro.
In quella frazione di secondo Ran osservò Shinichi avvicinarsi pericolosamente a lei, con passi sicuri e calmi. Avrebbe voluto voltarsi e dirigersi verso l’auto per scappare, ma uno ‘ciao’ doveva regalarglielo, anche solo per educazione. Stava per sillabarlo, quando il suo corpo cominciò a tremare. Shinichi la strinse in un abbraccio tanto dolce da oscurare tutto d’un tratto il mondo che la circondava, che perdeva ogni singolo valore a confronto con quel corpo muscoloso che avvertì sulla sua pelle, e che deliziosamente la stringeva con le sue braccia nude, accarezzandole la schiena. Istintivamente rispose alla presa, circondandogli le spalle possenti con le mani, ricordandone i lineamenti marcati. Tutto il suo corpo tremava violentemente scosso da una carica di adrenalina, cosicché mentre il suo cuore prese a battere più veloce che mai imbattendosi sulle costole, sperò che Shinichi potesse non avvertire la tempesta di emozioni che la stava percorrendo e che dolcemente la violentava. Sospirò e abbassò le mani fino a toccargli il dorso caldo, coperto solo da quella t-shirt attillata che tanto spazio dava all’immaginazione. Le sembrò di tornare indietro di 5 anni quando, dopo il suo ritorno, poterono finalmente vivere il loro amore senza alcun tipo di ostacolo o bugie. Le emozioni che aveva provato le prime volte che i loro corpi si avvicinavano e dolcemente si univano in baci e abbracci, erano uguali a quelle che stava provando in quel momento e, forse a causa della nostalgia, anche più forti.
Durò un attimo, ma le sembrò un’eternità; solo quando i loro corpi si staccarono tutto intorno a lei riprese vita, portando alla luce i volti dei suoi amici e quello di Richard. Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato in quel preciso istante, e che solo più tardi fosse ripartito a scorrere. Inebriata dalla sensazione dei muscoli duri di Shinichi sopra la sua pelle, si imbambolò a guardarlo avvicinarsi a lei con il capo.
“Fatti vedere più spesso Mouri” le disse divertito, quando un bellissimo sorriso si fece spazio sul suo viso.
Ran annuì arrossendo, abbassando lo sguardo impietrita ed eccitata. Una bellissima sensazione le dominava l’intero fisico e non volle spostarsi di un millimetro per non perderla. Vide di sottecchi gli ultimi saluti da parte di Richard e Kazuha, per poi rialzare nuovamente lo sguardo verso quel ragazzo così magico da stregarle l’intero corpo, se non il cuore.




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Ciao a tutti/e! Per farmi perdonare del ritardo della volta scorsa ho aggiornato velocemente l'ottavo capitolo! 
Fatemi sapere cosa ne pensate, è molto importante per me conoscere i vostri giudizi e riparare la dove sbaglio. ^_^
Un grazie a chi ha recensito il capitolo scorso: Il Cavaliere Nero e ciccia98.
Anche a chi legge solamente, sono felice che la storia stia prendendo.
Un bacio, alla prosima, 
Tonia.

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Capitolo 9
*** Un insolito pomeriggio ***


Capitolo 9: Un insolito pomeriggio
 
Filtrava lievemente, attraverso le tende rosse appena comperate, il cocente Sole di inizio luglio. Riscaldando l’ambiente attraverso i suoi innumerevoli raggi, ed illuminando il mobilio della nuova casa di Ran, portò alla luce il volto stanco e assonnato della ragazza, intenta a prendersi un caffè freddo per risvegliare la mente dalle torture degli ultimi giorni. La giovane aveva ultimato il trasloco qualche giorno dopo la rimpatriata, la causa principale delle paranoie che le abitano il cervello, e che dolcemente la turbavano. Ricordava nitidamente quel viso e quel sorriso; riusciva a percepire discretamente sulla sua pelle le calde mani di lui che, una settimana prima, le accarezzavano la schiena percossa dai violenti brividi generati dal contatto dei loro corpi. Sospirò, quasi nel tentativo di buttare fuori quei pensieri tanto belli quanto angoscianti, e velocemente posò la tazzina per adagiarla nel lavandino.
“Tesoro?” Percepì la voce di Richard alle sue spalle, e avvertì i loro corpi toccarsi, quando il giovane la strinse in un abbraccio, incrociandole le mani sotto il seno. Ran si spostò lievemente, quasi per svincolarsi da quella presa così intima. Strano era che da quando aveva avuto tra le sue braccia il detective, qualsiasi altro contatto le sembrava inopportuno e superfluo.
“Non mi scappare piccola” le sorrise ghignando, riprendendola tra le braccia e baciandole la guancia. Ran si lasciò andare, eliminando dalla sua mente il ricordo delle stretta di Shinichi per oscurarla con quella dell’americano. Non faceva altro che ripetersi che non poteva rovinare tutto, che doveva smettere di dipendere dai semplici movimenti o sorrisi di quel ragazzo, sennò sarebbe finita dritta dritta al manicomio. Inoltre, e non doveva dimenticarlo, Richard era un fidanzato perfetto: gentile, romantico e presente. Pensandoci bene, aveva la maggior parte delle qualità dove quello sbruffone ed esaltato di Shinichi peccava, con cui il massimo del romanticismo era ricevere per San Valentino un libro di Doyle. Lei e Kudo non erano fatti per stare insieme; se lo ripeteva più volte di quanto respirava, forse più volte di quanto doveva. Basta... Scosse la testa liberando al vento i ciuffi ribelli, rispondendo all’abbraccio del compagno donandogli un bacio.
“Vogliamo andare al centro commerciale oggi?” gli chiese, speranzosa.
Richard la guardò facendo una smorfia, sapeva che ‘andare al centro commerciale’ consisteva nel fare da portaborse personale, e la cosa non gli gradiva affatto. Fortunatamente quel pomeriggio non avrebbe potuto; era impegnato col lavoro, perciò poteva solo rifiutare.
“Tesoro lo sai che devo andare a quel convegno” rispose, lasciando la presa e dirigendosi verso l’entrata, aggiunse: “farò tardi... non aspettarmi sveglia.” Ran abbandonò le braccia ai fianchi, sbuffando.
Ecco, appunto, presente. Ma cos’era una caratteristica degli uomini declinare ogni genere d’invito che non fosse partita di calcio o birra con gli amici?
“Vabbè, vorrà dire ci andrò da sola.”
Lasciò andare la porta e si apprestò a scendere le scale, immergendo lo sguardo su quei gradini che inconsapevolmente la portavano verso una lunga ed insolita giornata.
 
La centrale della polizia di Tokyo era alquanto noiosa e insolitamente tranquilla quel pomeriggio d’estate. Erano frequenti i passaggi di alcuni agenti intenti a svolgere il loro lavoro con maestria, percorrendo velocemente i corridoi della questura. Shinichi li osservava da lontano, seduto sulla sedia della scrivania dell’amico, con i piedi appoggiati al tavolo. Aveva le braccia incrociate al petto e gli occhi puntati verso la finestra dell’ufficio, che risplendeva di luce soffusa dai toni caldi, illuminando l’ambiente. Sbuffava ad intervalli regolari, cercando di smuovere il silenzio dell’ambiente attraverso movimenti circolari del capo, che gli donavano una curiosa sensazione di relax.
“La smetti di sbuffare? Starei cercando di lavorare, io” Lo ammonì oralmente una voce poco lontana dal suo corpo, proveniente da un angolo della stanza dove Heiji, appoggiato ad un mobiletto in grigio metallizzato, rovistava tra i fascicoli.
“Non ho niente da fare” rispose Shinichi, brontolando.
“Vai a donne, allora.” lo guardò, ridendo. “C’è quella poliziotta che ti sta mangiando con gli occhi”
aggiunse, indicandogli con lo sguardo la giovane agente. Vide nascere sul viso di Shinichi un’espressione sconcertante, che esternò assottigliando gli occhi. Il moretto stranamente non sembrava entusiasta di quella proposta che, probabilmente, qualche settimana prima avrebbe colto al volo. Heiji gli si avvicinò velocemente, saltellando ed ammiccando.
“Oh oh” proseguì infastidendolo con il gomito, ed irritandolo con un sorriso smagliante
“è impressione mia... o qualcuno qui sta pensando a qualche dolce fanciulla?”
“Non so di cosa parli” borbottò Shinichi, senza rivolgergli lo sguardo.
“Magari una ragazza che è stata lontana per molto tempo...” continuò Heiji, lanciando occhiate allusive all’amico “magari il suo nome inizia con la R... e finisce con An”
Shinichi lo guardò malevolo, maledicendolo mentalmente per le sue continue prese in giro.
“Non è come credi idiota” sbottò il giovane detective, arrossendo lievemente mentre Heiji continuò a ridere non curante. Forse era meglio se mi stavo a casa...
Il moretto si alzò di scatto dalla sedia, incamminandosi verso l’uscita. Venne bloccato dall’improvviso suonare del telefono della centrale, al quale l’amico prontamente rispose, ricomponendo una voce più o meno seria.
“Centrale di Tokyo, qui Hattori.”
Shinichi si riavvicinò ad Heiji, origliando la conversazione agganciando l’orecchio alla cornetta. Dedusse che si trattava di un poliziotto implicato in qualche caso, sperduto in chissà quale parte di Tokyo; inoltre, dall’agitazione che trapelava da quelle parole intuì che dovesse essere un principiante. Un senso di insolita gioia gli attraversò l’animo, felice che finalmente la giornata si smuovesse un po’, desideroso di poter finalmente indagare. La sua astinenza da casi era durata una mattinata, quando angosciante aspettò invano clienti alla dependance, si era diretto verso la centrale nella speranza di imbattersi in qualche indagine intricante. Quei pensieri gli avevano oscurato il continuo della telefonata tra l’agente e il suo amico, e spostatosi troppo lontano per ascoltare, si limitò ad osservare Heiji.
 “Una ragazza chiede di me?” Shinichi aggrottò le sopracciglia, rimanendo in silenzio.
“Provvedo subito.” Staccò la chiamata, e rivolse un altro sguardo malizioso e sorridente a Kudo che intanto, impaziente, aspettava all’in piedi. Velocemente Heiji si diresse verso il ragazzo e spingendolo verso l’uscita, gli diede una serie di pacche sulla spalla.
“Vai amico... e fai il tuo dovere” gli disse, sorridendo. Aveva marcato troppo il tono su quell’ultima parola, tanto gli sembrava doppio il senso della frase. Strano... pensò, e velocemente percorse il corridoio, lasciando dietro di sé un Heiji con espressione, insolitamente, soddisfatta.
Shinichi cavalcò la moto, dirigendosi verso il luogo dell’omicidio. Durante il tragitto si impose di non pensare a nulla, poiché - come diceva quel gran maestro di Holmes - teorizzare prima di conoscere i fatti determinava solo un annebbiamento del cervello, che influenzato dai pensieri, non sarebbe stato in grado di ragionare lucidamente. Arrivato a destinazione, scese dalla moto e filò dritto all’interno di quella spaziosa struttura, pullulante di negozi e vetrine, che rispondeva al nome di ‘centro commerciale’. Camminò velocemente, ricercando la polizia e girando continuamente il viso in tutte le direzioni, potendo così osservare lo scorrere della vita sui volti delle persone, gioiose e impegnate nel loro amato shopping. Sussultò, improvvisamente, quando vide avvicinarsi una ragazza dai lunghi capelli castani, dagli occhi verdi e da un fisico mozzafiato, terribilmente somigliante a Ran. Riaffiorarono i ricordi dell’ultima volta che l’aveva vista, alla rimpatriata, bella e gentile accanto a quello sbruffone montato che aveva avuto l’insolenza di baciarla proprio davanti ai suoi occhi, forse per prendersi una sorta di rivincita su lui. Ma poi perché prendersi una rivincita? Richard, da quello che aveva capito, non era a conoscenza di lui e di Ran. Perché mai avrebbe dovuto provare tutto quell’astio nei suoi confronti? Perché l’ha baciata? Scosse la testa, arrivando alla conclusione che fosse normale per un uomo desiderare le labbra della propria partner. Proprio come lui, che a distanza di 4 anni, desiderava ancora quelle della sua Ran. Un possessivo che non gli apparteneva più, una proprietà che non poteva più esercitare. Come in un dipinto, nacque sul suo volto un sorriso tanto amaro quanto il dolore che imprigionava e che scioccamente reprimeva. Nell’alzare lo sguardo notò la zona delimitata dai poliziotti, con striscioni di plastica che impedivano il passaggio ai curiosi. Velocemente il pensiero di Ran svanì, e rimboccandosi le maniche della camicia, si piegò e oltrepassò il varco, pronto per entrare in azione.
 
Quanto ci mette Heiji... Sbuffò rumorosamente, guardandosi intorno con aria seccata. Quel martellante silenzio era diventato insopportabile, tanto quanto era esilarante la sua presenza in quel momento.
“Che onore!” esclamò entusiasta il poliziotto alle sue spalle, incamminandosi verso il nuovo arrivato che sorridente strinse la mano all’uomo in divisa.
Shinichi! Ran perse un battito del cuore nel vederlo arrivare, così bello da fare invidia a chiunque. Crebbe in lei il desiderio di avvicinarsi a lui, di stringerlo ed abbracciarlo, proprio come aveva fatto una settimana prima. Ardeva in lei così la voglia di baciarlo, ignorando tutte le complicazioni e i problemi, fantasticando solo su di lui. Si immobilizzò, incapace di effettuare alcun movimento che non fosse goffo o maldestro. Ran sentì gli occhi di Shinichi addosso, e il suo passo lentamente avvicinarsi a lei. Deglutì, ed alzò lo sguardo verso il giovane che la guardava con aria stupida. Ma come è possibile che sia così bello...
“Che ci fai qui?” Ran sussultò nell’avvertire il fiato dell’amico sulla sua pelle, e quel corpo così maledettamente vicino da farle paura. Una dolce paura che mai avrebbe voluto superare.
“E-ehm... c’è stato u-un equivoco” balbettò imbarazzata, abbassando lo sguardo per non far scorgere al giovane il suo istantaneo arrossire. Shinichi le sorrise, e spostò il capo verso l’agente di polizia.
“Che è successo?” Gli disse, guardando di sottecchi Ran.
Il poliziotto si avvicinò, intimorito quasi dalla presenza di quel detective di cui era fan accanito e orgoglioso.
“Il signor Kosumi Mitori è morto assassinato da un corpo contundente, probabilmente quel vaso di vetro.” Prese fiato per poi continuare, con più sicurezza: “la moglie ha ritrovato il corpo in questo stanzino del centro, ed inoltre ha affermato che la colpa è tutta di questa ragazza.” Si bloccò indicando Ran che, aggrottando le sopracciglia, gli rispose girando lo sguardo inaridita.
“Ran?!” Sbottò Shinichi, incredulo, mettendosi a ridere.
“Io non c’entro niente con questa storia!” rispose sgranando gli occhi la Mouri.
Shinichi guardò sbigottito l’agente, che mostrava un atteggiamento abbastanza serio nei confronti della vicenda, a differenza di lui. Credere che Ran potesse commettere un omicidio era davvero ridicolo. Lei non avrebbe fatto mai del male a nessuno! O forse si...
“Ok, ci penso io” rispose con tono di superiorità il detective, scacciando i malinconici pensieri che gli abitano la mente, trasformandola in una macchina di ultima generazione a prova d’intuito. Prese i guanti monouso e li infilò nelle mani; avrebbe voluto iniziare ad indagare ma la presenza della ragazza lo distraeva dal suo lavoro, poiché non era capace di starsene in quella stanza senza guardarla o rivolgerle la parola.
Così, seguendo l’istinto, le si avvicinò dolcemente, e con sicurezza adagiò le labbra al suo orecchio, facendola rabbrividire. Il cuore di Ran prese a battere più veloce, mentre il suo respiro silenziosamente sospirante fece sorridere di scatto Shinichi.
“Ehi” le sussurrò deliziosamente “quando ho detto ‘fatti vedere più spesso’ non intendevo uccidi le persone per farmi chiamare.” Malizioso, le fece l’occhiolino e repentinamente si allontanò da lei, immergendosi nell’indagine.
Ran era succube di brividi d’emozione, e da un indomabile sorriso che largamente si faceva spazio sul suo viso esibendo al mondo intero i suoi pensieri. Nonostante le circostanze fossero alquanto bizzarre, era spietatamente incantevole e ammaliante vederlo di nuovo all’opera.

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People :D Sono tornata! Nono capitolo, Shinichi e Ran da soli, insieme...! :D Interessante no? 
Vabbè, ora che avete letto fatemi sapere cosa ne pensate e cosa pensate che succederà... O:)
Ehm, voglio fare un ringraziamento speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo: Il Cavaliere Nero, Dony_chan, myellin, totta1412, paV e ciccia98. Grazie mille le vostre opinioni sono fondamentali per il proseguimento della storia!
Voglio anche ringraziare chi ha messo la storia tra le preferite o tra le seguite. Troppo gentili!
Ok io ora vado! Alla prossima, un bacione,
Tonya :)

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Capitolo 10
*** Frena, Kudo! ***


Capitolo 10: Frena, Kudo!
 
“Allora, signora Mitori...” incominciò il giovane detective, pieno di sé con voce sicura e decisa. Tentò di non far trasparire attraverso le parole che la sua bocca pronunciava le preoccupazioni e i timori che lo rendevano, stranamente, insicuro dinanzi ad un delitto. Il suo obiettivo non era solo risolvere l’enigma annoverandolo tra le migliaia di casi risolti fino a quel momento, accrescendo così ulteriormente la sua popolarità come detective; desiderava mostrarsi grande e vincente agli occhi di Ran, cercando di fare breccia nel cuore che una volta gli apparteneva, e che presto avrebbe rivoluto con sé. Inoltre, fortunatamente, quell’americano fastidioso non c’era. Così poteva agire libero, alienando inibizioni o paure; o ci avrebbe riprovato, o avrebbe passato il resto delle sue giornate a rimuginare sui rimpianti.
“Mi dica, perché crede” in un istante si voltò verso Ran, sorridendole. La ragazza era seduta sul pizzo della sedia, mantenendosi il mento con il palmo della mano, seccata dalla situazione. Shinichi continuò, riportando lo sguardo sulla vedova: “..che questa signorina sia colpevole?”
La coniuge sussultò inaridita, per poi prestarsi a rispondere con convinzione.
“Vede detective, ho visto la ragazza in atteggiamenti molto intimi con mio marito” proseguì poi, alimentando la sua discussione con toni e sguardi di disprezzo verso la giovane, che la fissò attonita e con bocca spalancata.
“Ran con suo marito?!” sbottò Shinichi, incredulo. Si voltò di scatto verso di lei, che alzò le spalle per avvertirlo dell’estraneità a quella vicenda.
Già ho di mio parecchi casini... figurati se vado con gli uomini sposati!
“Sì. Loro non mi hanno visto, ma per amor del cielo, non mi faccia ripetere ciò che i miei occhi hanno dovuto subire! Uno spettacolo raccapricciante!” Continuò la signora Mitori, certa della propria posizione e di ciò che inconsciamente accusava.
“E mi faccia capire, perché pensa che sia l’assassina?” aggiunse Shinichi, ricomponendo la serietà.
“Perché ho visto la ragazza fuggire via di tutta corsa! E quando sono riscesa dal piano superiore, mio marito era già morto.” Sentenziò, inaridita.
Shinichi si ammutolì nel vedere entrare nella stanza una donna sulla cinquantina, straordinariamente somigliante alla vedova, portata in avanti da un agente della polizia.
“Sono la sorella della signora Mitori... anzi sua gemella.” Pronunciò, spietatamente.
 “Scusi, come l’ha vista fuggire via se era al piano superiore?” domandò diretto il detective, incrociando le braccia al petto, non badando all’ingresso della nuova arrivata.
“L’ho vista fuggire io” dichiarò la gemella, introducendosi nella discussione, proseguendo con tono deciso: “se non ci crede che eravamo di sopra, può chiedere ai proprietari dei negozi, ci avranno viste.”
“E perché vi avrebbero dovuto vedere? Ci sono molte persone in un centro commerciale, sa..” rispose a tono, facendo sorridere Ran. Non è cambiato di una virgola...
“Beh, perché... siamo due persone praticamente uguali, è difficile non notarci!” replicò la donna, quasi con sarcasmo. Il giovane detective si avvicinò alla ragazza, chiedendole di alzarsi. La aiutò prendendole la mano, disintegrando le sue volontà di tenersi a debita distanza dal ragazzo. Il contatto con la pelle di Shinichi la inondò di una strana sensazione di protezione e di sicurezza che mai, e poi mai, avrebbe voluto abbandonare.
“Signorina” cominciò lui, sorridendo e rivolgendole lo sguardo “dov’era al ritrovamento del corpo?”
Ran arrossì a quello strano atteggiamento del detective, costatando che aveva perso ogni sorta di timidezza o insicurezza nei suoi confronti, o magari anche in quelli delle altre donne. Ai suoi occhi le sembrava un vero uomo, lontano dal ragazzo che aveva lasciato quattro anni prima. Sembrava maturo e sicuro, vissuto, indomabile. Sì, forse, un pochino era cambiato, ma la cosa non la infastidiva affatto.
“Ero al terzo piano, in un negozio di abbigliamento” replicò, direttamente alle due gemelle e non più a Shinichi. Quasi come se volesse sbattergli in faccia quella verità che tentavano invano di oscurare e di allontanare. Invano perché c’era Shinichi Kudo, e contro di lui nessuno poteva vincere. Nemmeno lei.
“Bene” spezzò poi, il fluire dei pensieri di Ran, lasciandole la mano e facendo un segno ad un poliziotto di avvicinarsi.
“Sei entrata in qualche negozio?” Le domandò, speranzoso.
“Sì, Fendi.” Replicò indubbia la giovane, incrociando le braccia al petto; un vano tentativo di trascinare il dolce tocco della mano di Shinichi all’intero corpo, drogandosi del ricordo di quella pelle.
“Comprato qualcosa?” Non sembrò accorgersi, come era solito, delle sensazioni della ragazza, coinvolto com’era nel caso. Si era accorto di averla presa per mano, sì, ma non dedicò la minima attenzione a certi pensieri che potevano solo indebolirlo e confonderlo.
“No.”
“Fa niente, è un marchio di lusso, avranno sicuramente telecamere.” Si girò verso l’agente, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, comprendo con una mano il loro labiale. Ran vide il poliziotto affrettarsi per lasciare il loco, e scomparire nel giro di qualche secondo nell’oscurità del corridoio.
Intanto passarono parecchi minuti, impiegati dalla ragazza nell’osservare Shinichi, immerso nei suoi complicati pensieri. Ne scrutò la fisionomia, e l’intero fisico: era davvero bello. Portava dei jeans molto chiari con sfumature bluastre, abbinati ad una camicia bianca e stretta con le maniche arrotolate, aperta sul torace lasciando spazio ad una t-shirt con scritte azzurrine. Con la mano sorreggeva il mento, strofinandolo; gli occhi blu, tanto belli quanto seducenti, erano fissi nel vuoto dinanzi a lui. Non c’era nulla da fare, quel ragazzo aveva la straordinaria capacità di attirare la sua attenzione e i suoi pensieri, imprigionandoli in una morsa letale senza via d’uscita. Erano calamita e ferro, ferro e calamita: più erano vicini più tendevano ad avvicinarsi.
Starà con Shiho poi... d’un colpo le tornarono in mente tutte le scenette che le si erano poste davanti agli occhi alla rimpatriata, focalizzando le immagini sui sorrisi che Shinichi mandava a Shiho e viceversa. Eppure, l’atteggiamento del ragazzo le era sembrato curioso ed anomalo, quasi come se fosse forzato, finto... organizzato.
Lo sguardo di Ran venne attirato dall’entrata improvvisa dell’agente che poco prima il detective aveva mandato ad investigare, probabilmente per i negozi del centro commerciale; il poliziotto si diresse velocemente verso Shinichi, facendogli abbassare leggermente il capo, permettendo di sussurrargli i risultati delle indagini all’orecchio. Le due gemelle, Ran e la scientifica videro nascere sul volto di Kudo un ghigno di soddisfazione che preannunciava la fine del caso, e la salvezza di Ran da prigione immediata. Non per niente la giovane si sentì sollevata e tirò un sospiro di sollievo, appena il suo amico incominciò ad esporre la propria tesi.
“Okay, signore. Ora se permettete, parlo io.”
Tiratela di meno Shin! pensò Ran sorridendo divertita.
Il suono della voce del detective echeggiava nella stanza illuminata, generando nelle orecchie di Ran la più soave delle melodie, allietando l’udito di dolci suoni intonati fra loro. La giovane non poté fare a meno di perdersi nell’ascoltarlo e nel guardarlo; ciò che sillabavano quelle labbra era di infima importanza, quando l’unica cosa ad avere rilievo era Shinichi, con lei, in quell’istante. Avrebbe anche potuto dire solo ‘ciao’, avrebbe anche potuto intaccare in suoni strozzati, avrebbe anche potuto rimanere muto. Ogni cosa perdeva nel mondo la sua importanza quando era presente Kudo. Non esistevano priorità o necessità; non esistevano urgenze o volontà; esisteva solo lui, esistevano Shinichi e Ran.
 
“Mi è sembrato strano” balbettò, presa dalla timidezza, la giovane Mouri.
Alla risoluzione del caso, che aveva portato all’arresto immediato delle due gemelle con la scoperta che la giovane donna vista in atteggiamenti intimi con il marito della colpevole fosse la ragazza che Shinichi aveva incontrato poco prima nei corridoi, i due si erano avviati verso l’esterno dell’edificio, in corrispondenza della moto. Kudo le aveva offerto un passaggio a casa, ma usciti dal luogo del delitto, non era riuscito più a rivolgerle parola. Temeva di sbagliare, di dire qualcosa di troppo o di offensivo; temeva di sprecarla, quell’occasione così preziosa. La paura lo aveva preso e ingabbiato; si malediceva per le sue inutili paranoie quando, nei confronti di Ran, lui non era più il detective sbruffone che tutti conoscevano e ammiravano. Era un semplice ragazzo in balia dei desideri della giovane, delle sue volontà. Era un banale innamorato perso della sua amica d’infanzia, della sua ex, e dell’unica vera donna della sua vita.
La voce della ragazza lo fece sussultare, facendogli girare il capo.
“Cosa?” rispose, mettendo le mani in tasca.
“Che non sia stato tu ad indagare” replicò la giovane, avvicinandosi lentamente a lui. Shinichi avvertì il corpo di Ran prossimo ai suoi fianchi, e sorrise. Sì, forse qualche speranza ce l’aveva ancora.
“Di solito andavi tu in ricerca d’indizi” continuò Ran, limitando ancora di più le distanze tra lei e il fisico del ragazzo. Era un movimento involontario quello; certo, se per involontario s’intende tutto ciò che comanda il cuore e non il cervello.
“Non posso andare io. Mi riconoscono e racconterebbero frottole per avvinarsi a me” sottolineò il giovane detective, guardando malizioso Ran che scoppiò a ridere.
 “Non solo le dolci donzelle. Ora anche i galantuomini dipendono da te?” lo sfotté, poggiando una mano sul sedile della moto. Shinichi salì in sella, mettendosi il casco e donandone uno alla ragazza.
“Ho un certo fascino” rispose sogghignando, abbassando la visiera, e dando gas.
I due ragazzi percorsero molto velocemente le strade di Tokyo, evitando gli ingorghi attraverso l’abilità di Shinichi nel guidare. Istintivamente Ran strinse forte le sue braccia attorno all’addome del ragazzo, poggiando il suo petto in corrispondenza del suo dorso. Quella posizione era così comoda e bella che mai avrebbe voluto scendere da quella moto. Avrebbe fatto il giro del mondo se possibile, solo per restare stretta a lui ancora un po’, senza limiti, per l’eternità. Chiuse gli occhi, dando così pieno potere agli altri sensi di godersi quel delizioso momento. Persa in quella posizione, non si accorse nemmeno che la corsa era finita, quando Shinichi giunse a destinazione e rallentò progressivamente. Si fermò sotto al cancello di casa sua, quella dove lei conviveva con Richard. Un fitta al cuore gli perforò il torace, al solo pensiero di immaginarla stretta a quell’americano per tutta la giornata. Eppure, non sarebbe dovuta andar così…
Si girò a guardarla, notando la sua espressione compiaciuta nello stare adagiata alla sua schiena.
“Se vuoi puoi addormentarti lì” le sorrise ghignando, facendola arrossire violentemente. Ran spalancò gli occhi, rendendosi conto di essere arrivata a casa; ritirò immediatamente le braccia dal corpo di Shinichi, portandosi all’indietro.
“E’ c-che tu.. guidi malissimo!” balbettò, rossa come le rose che si regalano a San Valentino. Scese dalla moto velocemente, con un movimento brusco e un piccolo saltello all’indietro. Aveva ripreso coscienza della sua razionalità, e soprattutto della situazione. Così, mentre cercava di allontanarsi da Shinichi per salutarlo a debita distanza, come avrebbe dovuto essere, il giovane le bloccò il polso con la mano, portandola verso di sé.
“E tu..” intavolò, seducente “pensi che io abbia fascino?”
“Eh?”
Fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare, avvertendo che la situazione stava diventando pericolosa; sì, pericolosa ed intrigante. Sentiva nitidamente la presa decisa di Shinichi sul suo polso, e i suoi occhi color cristallo fissarla violentemente, bloccandole il respiro. Quasi le sembrò di affogarsi con il suo stesso fiato quando, sceso dalla moto, dimezzò la distanza tra i loro corpi, mandandole in subbuglio il cuore, che prese ad accelerare furiosamente. Le sembrava di avere un martello pneumatico all’interno della gabbia toracica, non più un semplice organo di muscolo striato ed involontario. Sì, il suo era proprio indomabile; anzi, forse era proprio Shinichi ad averne il controllo, magari orchestrandolo con un telecomando o con una bacchetta, o con dei fili come le marionette.
“Non ti sono mancato un po’?” Le domandò, mandando in tilt l’intero corpo, percosso da veloci brividi di freddo misto ad emozione. Ran non riuscì a proferir parola, quando le lettere le morivano in gola coagulandosi in respiri affannati, in suoni smorzati che non avevano la facoltà di nascere, ma solo morire. Deglutì più volte, quando sentì il fiato di Shinichi sulle sue labbra, e la sua bocca lentamente avvicinarsi alla sua. Lo vide inclinare la testa, e quasi le sembrò che il tutto le fosse mostrato al rallentatore, donandole la possibilità di scegliere. Gli occhi del detective si chiusero insieme a quelli di Ran, che si lasciò andare ad un sospiro girando repentinamente la testa verso il cancello. Le labbra di Shinichi si scontrarono con le sue gote arrossite, regalandole un tenero bacio a suon di scrocco.
“Ti ho salvato da vent’anni di galera... sicuri!” marcò il suono sull’ultima parola, volendo rafforzare il concetto “...e non mi dai neanche un bacio?” proseguì sorridendo, prendendole il viso tra le mani delicatamente. Ran scoppiò a ridere, volendo spezzare l’intesa e l’atmosfera che si era creata, rispondendo a tono divertita.
“Ma certo!” si staccò dalla sua presa, avvicinandosi alle sue guance calde, scontrando le sue labbra con quella pelle perfetta che tanto avrebbe voluto prendere a morsi e non lasciare mai.
Per il momento però, aveva vinto la ragione, avevano vinto le ostinazioni e le convinzioni. Avevano vinto le paranoie, le paure e le inibizioni.
Si lasciarono andare così, occhi negli occhi, mani nelle mani, come perfetti fidanzati; come se tutto quel tempo mai fosse trascorso, come se tutto il male ed il dolore non si fosse mai presentato.
E in quel momento non esistevano inibizioni, paure, paranoie, convinzioni, ostinazioni o ragione che potesse reggere; non esisteva più persona che potesse opporsi, e non esisteva neanche un Richard che potesse intromettersi. 



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Cari lettori, lettrici. Mi dispiace di non aver aggiornato subito, però purtroppo è un periodo un po' complicato per me e per la mia famiglia. Così, non ho avuto tempo da dedicare alla scrittura. Spero, comunque, che attraverso questo capitolo vi abbia allietato. 
Sì, Shinichi stava per baciare Ran ma quella tonna (sì, ora lo è lei xD) ha girato la testa! Cose da pazzi! XD (Io non avrei mai rifiutato :Q_____)
Fatemi sapere cosa ne pensate, naturalmente attraverso i commenti che sono sempre ben accetti!
Grazie a chi ha commentato la volta scorsa: Dony_chan, Il Cavaliere Nero e ciccia98. Grazie anche a chi ha recentemente inserito la storia tra seguite o preferite (non vi elenco tutti però sappiate che mi fate gioire lo stesso ^_^)
Un bacio, alla prossima!
Tonya

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Capitolo 11
*** Crepe e luci ***


Capitolo Undici
Crepe e luci

 
 
Percorse per la seconda volta nella giornata quelle scale di marmo bianco che l’avrebbero ricondotta verso  casa. Salì velocemente, aiutandosi con le braccia facendole scivolare sul corrimano, volendo scappare da quella serata, e da quegl’occhi, limpidi come oasi nel deserto. Shinichi... mi stava per baciare... portò la mano sulla bocca, avvertendo ancora il forte profumo che impregnava il corpo del ragazzo, e che lentamente saliva su dalle narici fino a giungere al suo cervello, ghiacciandolo. Ignorava la provenienza della forza di volontà che in quel preciso istante le aveva permesso di scostare le labbra da quelle del detective, declinando il bacio. Eppure, sentiva ancora in lei il cuore pulsare violentemente, e le mani tremare, così come le gambe. Le aveva talmente desiderate da rifiutarle, temendo il peggio. Temendo l’irreparabile.
Sul pianerottolo di casa sua, meditò per qualche istante prima di entrare, sospirando vivamente.
“Ma dove eri finita?” La giovane serrò le palpebre, ritrovandosi di fronte un Richard con braccia incrociate ed atteggiamento severo. Probabilmente, era stato in ansia per lei per tutto il pomeriggio; d’altronde lei non si era fatta sentire e non lo aveva avvisato, dopo la vicenda dell’omicidio, però... Richard non avrebbe dovuto fare tardi?
“Come facevi a sapere che ero qui fuori?” domandò d’un colpo Ran, incamminandosi in casa.
“Non rispondere alle domande con altrettante domande” sbottò Richard, seccato.
Oh cavolo... non è che mi ha visto con Shinichi? Pensò, indietreggiando. La paura le salì fino alla punta dei capelli, rizzandoli. Il suo viso sbiancò, mentre con i denti si mordicchiava il labbro, deglutendo più aria che saliva. Guardò l’americano ricercando una risposta nei suoi occhi, ma percepì il vuoto totale. Erano così vitrei, impenetrabili. Sembravano iceberg di smeraldo, pronti a perforare il più duro dei metalli. E poi, erano così diversi da quelli di Shinichi. Lo sguardo magnetico del detective, intriso di toni blu elettrico, era capace di immergerla nell’oceano più vasto che potesse mai conoscere, privo di uragani, tuoni o tempeste. Un mare calmo e caldo, proprio come lo erano le labbra al tocco con la sua guancia, capaci di sciogliere il suo cuore, il suo fisico e presunti... iceberg.
“Ehm... sono stata al centro commerciale...” balbettò, dirigendosi in camera da letto, evitando il contatto con i suoi occhi “c’è stato un imprevisto” borbottò, togliendosi le scarpe.
“Sì lo so, l’omicidio” sparò secco Richard, attirando l’attenzione di Ran.
“Come lo sai?” gli domandò, incuriosita.
“Io so sempre tutto tesoro.” Le si avvicinò lentamente, sedendosi ai suoi lati sul letto. Ran si allontanò con gesto repentino, avvertendo puzza di guai. Un brutto presentimento le infastidiva i nervi, sorto dal momento in cui Richard era giunto a Tokyo; lo aveva sentito strano e non sapeva spiegarsi il perché. Si era convinta che fosse solo sua impressione, ma nonostante tutto c’era qualcosa che non le tornava. Qualcosa di cui ignorava l’aspetto e l’essenza.
“Hai fatto la brava?” Richard la guardò con occhi profondi, quasi come se sapesse qualcosa di troppo.
Ran avvertì una strana sensazione, la domanda le sembrava... doppia. Possibile che lui...?
“Certo che sì” replicò di botto, sbuffando “mi credi forse una criminale?”
“No sciocca” ambì alle sue braccia, portandola a sé. Ran fu costretta ad appoggiarsi sulle sue gambe, mentre lui con un braccio le circondò il bacino. Non avvertiva più niente. Né fremiti, né rossore, né alcun tipo di emozione. Il tocco della mano di Richard le sembrava tanto lieve da essere impercettibile. Cercò di ignorare l’impronta della pelle di Shinichi sulle sue guance, che sembrava non voler scemare dalla sua mente, accompagnata dalla musica di sottofondo delle parole del detective... così ammalianti e seducenti, da provocarle violenti brividi d’eccitazione.
“ ...e non mi dai neanche un bacio?”
“Lo sai che sei solo mia, vero?” pronunciò Richard, distogliendo la giovane Mouri dai pensieri adulteri che le abitavano il cervello. Ran deglutì, avvertendo la testa dell’americano poggiarsi sulla sua spalla dolcemente. Che diavolo sto combinando... gli regalò un bacio sulla fronte, socchiudendo gli occhi. Decise, almeno per quel momento, di alienare l’immagine di Shinichi, e chiuderla in un cassetto; sì, almeno fino al giorno seguente, se solo ci fosse riuscita.
 
 
DLIN DLON
Suonò il campanello dell’appartamento, risvegliando Ran dall’inquieto sonno che le aveva caratterizzato la nottata. Lo aveva sognato, aveva visto Shinichi in quella notte afosa, ferma nel suo letto, accanto a Richard. Inizialmente, avrebbe voluto ringraziare il suo subconscio per il volto perfetto del detective, descritto nei minimi particolari, emergente da un ambiente scuro, privo di illuminazioni. Poi, crepe. Tante, troppe, infinite crepe che nascevano dal viso del ragazzo, espandendosi all’intera scena, perforandole gli occhi. Quei tagli distorti non le permettevano di vedere oltre, di guardare attraverso l’immagine sfigurata che la sua mente le mostrava. In lontananza poi, appariva di nuovo Kudo. Egli brillava di luce bianca e neutra, limpida come una stella nel buio del cielo serale, come un diamante sull’anulare di una donna. Era troppo lontano però per avvicinarsi a lei, troppo lontano per permetterle di oltrepassare quelle crepe.
Si alzò di scatto dal letto, lanciando uno sguardo su Richard disteso comodamente a pancia in giù. Russava lievemente, immerso nel sonno più profondo. Menomale.. non si è accorto di niente..
DLIN DLON
“Arrivo!” corse verso l’entrata, fermandosi solo dinanzi ad uno specchio per riflettere la sua immagine. Fece una smorfia di disgusto, notando le occhiaie violacee che le erano comparite sul viso insolitamente pallido.
Aprì la porta levando le serrature, ritrovandosi davanti tre sorridenti ragazzini, cresciuti fin troppo dall’ultima volta che li aveva visti.
“Ayumi! Mistuhiko!! Genta!!!” urlò, sorpresa dalla loro presenza, stringendoli in un affettuoso abbraccio. I due giovanotti arrossirono, mentre la piccola Yoshida rispose all’abbraccio, sorridendole.
“Appena abbiamo saputo che eri tornata siamo venuti a trovarti!” disse Ayumi, staccandosi dall’abbraccio, guardando di sottecchi i suoi due amichetti. Genta e Mistuhiko annuirono, porgendole un bouquet, molto intimiditi.
“Oh, non dovevate!” rispose, prendendo e sorridendo felice. Rimane incredibile come un cuore si possa sciogliere di fronte alla bellezza dei fiori.
“Ragazzi entrate!” li invitò la giovane, incitandoli con la mano.
“No Ran dobbiamo scappare...” intervenne Mistuhiko, sorpassato dal vocione di Genta sempre più mascolino “...però ti volevamo chiedere se volevi venire al campus estivo con noi, ci divertiremo un sacco!”
“Campus estivo?” domandò sorpresa.
“Sì dai, sono solo due giorni! Ci saranno anche gli altri!” continuò poi la più piccola.
“Gli altri?” chiese diretta Ran, portando il suo pensiero a Shinichi; pensare di rivederlo le causava sia gioia che dolore. Infondo, però, non erano soli e quindi non ci sarebbero dovuti essere pericoli.
“Sì! Abbiamo già avvisato Heiji, Kazuha e Sonoko!” intervenne Ayumi “Vieni pure tu!” la supplicò con occhi dolcissimi, accompagnata dagli sguardi dei suoi due amici. Ran li guardò intenerita, poi sorrise. Due giorni di svago non le avrebbero fatto male. Inoltre, lei amava stare con i bambini e giocarci insieme le riempiva il cuore di felicità.
“Ok, allora ci sarò” rispose convinta, regalando un ultimo abbraccio ai ragazzi che velocemente vide sgattaiolare giù per le scale. Chiuse poi la porta d’entrata e si diresse in camera da letto, per svegliare Richard.
 
§§§
 
L’ambiente silenzioso della dependance era tormentato dai rumorosi pensieri che abitavano la mente di Shinichi Kudo. Non riusciva a smettere di pensare alla sera prima, quando la giovane si era appoggiata al suo dorso o, ancora peggio, quando erano stati tanto vicini da potersi baciare. Ci aveva provato ed aveva fallito. Stranamente però, non si sentiva un perdente ma un vincitore. Aveva avvertito in Ran la voglia di stare con lui, quanto la paura di farlo. Probabilmente, era solo intimorita dalle conseguenze di qualsiasi azione da lei compiuta, ma si era convinto che per la ragazza non era tutto dimenticato; nonostante stesse con un altro, nonostante fosse passato molto, troppo tempo, loro due avrebbero continuato a cercarsi, per l’eternità. Riuscì a distogliere il pensiero da Ran, solo attraverso il caso che gli era stato proposto quella mattina stessa, nel quale ritrovava elementi interessanti ma allo stesso tempo... familiari.
 
“Salve signor Kudo” incominciò la donna, appena entrata nella dependance, con tono sicuro. Era giovane e bella, ma Shinichi notò subito la fede che portava all’anulare sinistro, indicando il patto matrimoniale.
“Vorrei che lei facesse delle indagini su mio marito” continuò, perplessa e rattristita. Evidentemente, non le faceva piacere parlare di quell’argomento, tant’è che Shinichi restò zitto lasciando solo alle orecchie il privilegio di ascoltare.
“Vede, è scomparso più di due anni fa... mi hanno detto che ha avuto un incidente ma io... beh, poco ci credo.”
“Come mai?” le domandò Shinichi, raggiungendo con le mani un taccuino alla sua destra, dove spesso era solito annotare i punti principali del caso.
“Perché non mi hanno permesso di vedere il corpo... e mi è sembrato molto strano” proseguì la donna, stringendo forte le mani in pugni.
“Inoltre sono andata sul luogo dell’incidente, ma non ho visto alcun tipo di segno di collisione tra auto... per esempio, muri rotti o segni di sgommate per strada... nulla di tutto ciò.”
“Capisco... mi potrebbe dare maggiori informazioni su suo marito?” le domandò il detective.
“Si chiamava Toichi Kemerl, aveva 27 anni e vivevamo insieme a Tottori” pronunciò la vedova, per poi girarsi e prendere la borsa alle sue spalle. Ne estrasse una fotografia un po’ ingiallita dal tempo ma comunque ben curata, che timidamente porse a Shinichi. Raffigurava un giovane abbastanza alto e magro, di carnagione chiara. I tratti erano tipici di quelli di un tedesco, marcati e angolosi; mostrava comunque alcune caratteristiche dei nipponici, come i capelli scuri e il fisico longilineo.
“Non era giapponese?” domandò, continuando ad osservarla.
“Di madre giapponese” sentenziò la giovane “...e di padre tedesco.”
Come immaginavo...pensò Kudo, portando lo sguardo alla donna.
“Che lavoro faceva?” chiese ancora il detective.
“Era un giornalista, molto amato ed ammirato” disse la donna, portando gli occhi al pavimento. Quasi le venne da piangere, cosicché Shinichi le passò un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. La perdita di un marito è insopportabile da accettare, ancor peggio se sono misteriose le circostanze in cui è successo.
“Aveva nemici, o persone particolarmente ostili che lei sappia?”
“No, non mi sembra.”
“Particolari?” indagò Shinichi, appuntando tutto sul taccuino.
La donna sembrò rifletterci per un po’, portandosi le mani sotto il mento. Kudo la sentì pronunciare con debolezza ‘particolari’ come se cercasse nella sua mente, attraverso quella parolina magica, ricordi sbiaditi col tempo e che anni prima potevano sembrare futili o insignificanti. Si bloccò d’un tratto, portando lo sguardo su Shinichi.
“Non so se può essere d’aiuto ma...” continuò, poggiando le mani sulle gambe “...odiava l’argento.”
 
Odiava l’argento... bah, non mi dice niente... Immerso nei suoi ragionamenti più profondi, il giovane detective non vide arrivare neanche Heiji, sistematosi comodo sui bordi della scrivania. Lo guardava e rideva ghignando, pensando a quanto un caso lo potesse occupare mentalmente, dimenticandosi dell’intero mondo che lo circondava.
“Terra chiama Kudo. Hattori chiama Kudo.” Pronunciò con voce metallica, sorridendo.
Shinichi alzò lo sguardo verso Heiji, assottigliando gli occhi.
“Ecco il solito idiota” replicò il moro, sarcasticamente.
“Hai il dovere di raccontarmi cosa è successo” si alzò dalla scrivania, avvicinandosi all’amico “anche perché, non so se lo sai, ma è grazie a me che l’hai incontrata!” gli disse, annuendo.
“Quanto sei gentile, mi fai emozionare” replicò Shinichi, mantenendo vivo il gioco.
“Allora?!” domandò, alzando il tono Heiji.
“Allora niente.”
“Siete stati insieme?”
“Insieme?”
“Sì, hai capito bene.”
“No, ti pare che la prima volta già andavamo a letto insieme!?”
“Allora l’hai baciata!”
“No.”
“L’hai almeno toccata?”
“Heiji!”
“Abbracciata?” domandò ancora, con voce quasi speranzosa, intrisa di toni sarcastici.
Shinichi lo guardò ringhiando e assottigliando gli occhi.
“Kudo non servi a niente” Sentenziò l’amico, portando le braccia al petto.
“I fatti tuoi mai eh?” gli chiese, infastidito ma la tempo stesso divertito. Tra lui e il migliore amico vi era una confidenza senza pari. Passavano le giornate a prendersi in giro, punzecchiarsi e risolvere casi. Erano tanto simili da essere diversi. Si completavano l’un l’altro con i loro caratteri ma portavano avanti le stesse idee e gli stessi principi. Solo che, a volte, sopportare Heiji Hattori era difficile, molto difficile.
“Ma tu hai milioni di donne che ti sbavano dietro e non riesci a combinare niente con l’unica che ami?”
Shinichi spalancò gli occhi, arrossendo.
“Ma chi te l’ha detto che la amo?!” sbottò, con voce energica.
“Non negare l’evidenza” replicò, sogghignando il ragazzo del Kansai.
“Convinto tu” borbottò l’amico, abbassando lo sguardo sul petto.
“Comunque i marmocchi ti hanno avvisato del campus?” gli domandò, riattivando la sua attenzione.
“No.” Gli rispose Shinichi, interessandosi ben poco all’argomento.
“Bene, l’ho fatto io” continuò “si parte per due giorni. Non abbiamo niente da fare quindi ci andiamo a  divertire e riposare. Oh, ci sarà anche Kazuha! Ci farà bene un po’ di..”
“Frena Hattori, chi ti ha detto vengo?” lo frenò l’amico.
“Shinichi, sei noioso.” Sbuffò Heiji.
“Che mi interessa a me di quel branco di ragazzini che ho già visto troppe volte in passato?!” replicò Shinichi, riportando a galla eventi trascorsi e lasciati nella memoria più profonda. Il suo periodo da Conan Edogawa, l’organizzazione e i piani per sgominarla. Nulla poteva esser dimenticato. Tutto era andato per il meglio ma, quella lezione gli era servita a molto, ed ora nessuno sarebbe stato più capace di ingannarlo o trarlo in trappola.
“Kudo non puoi mancare.”
“Dammi una buona ragione per venire.”
Heiji si fermò un attimo, alzando gli occhi al cielo per pensare. Poi, li abbassò verso di lui, sogghignando.
“Ci sarà anche Ran”
Ran...desiderava davvero di vederla dopo il mancato bacio. Gli sarebbe piaciuto capire qualcosa in più riguardo ai suoi sentimenti, gli sarebbe piaciuto toccarla ed abbracciarla di nuovo. Unire i loro respiri, parlarsi occhi negli occhi. Quel nome era come una password, apriva il suo cuore e metteva fuori uso il cervello. Non poteva permettersi di non vederla dopo aver trascorso quattro anni a torturarsi per la fine della loro storia.
Guardò Heiji, sorridendo. Si alzò di scatto dalla sedia e gli si avvicinò velocemente.
“Bene amico. Quando iniziamo?”
 

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Carissime miei lettrici, oh, già siamo arrivati all’undicesimo! Cavoli, sembra ieri che ho deciso di scrivere la fanfiction! Sappiate che senza il vostro supporto ora non sarei qui, perché è proprio grazie ai vostri commenti che la storia riesce ad andare avanti :D Non smetterò mai e poi mai di ringraziarvi. =’) Ah, come avrete notato ho cambiato un po’ la grafica del capitolo... quella precedente mi sembrava un po’ troppo scarna e quindi voilà! Spero sia più piacevole!
Okay, basta con le stupidaggini ed ora pensiamo al capitolo. So che forse può sembrare un po’ noioso ma sappiate che è importante, poi capirete il perché...
Domanda: ma quanto è insopportabile Heiji? O quanto è adorabile? :D
Io lo amo, anzi li amo insieme. Sono fantastici!
E quanto vi mancavano i Detective Boys? XD Oh, sono rientrati in gioco loro, ma molto più grandicelli di prima.
 
Oh, come sempre devo ringraziare i recensori del decimo capitolo: Dony_chan, myellin, frangilois e ciccia98. Ringrazio anche chi ha solo letto o chi ha inserito la storia tra seguite/preferite.
 
Va bene vi lascio commentare (:D) e per il momento, vi abbandono. Ci vediamo alla prossima.
Tonia =*

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Capitolo 12
*** Quelli di un tempo ***


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Capitolo Dodici
Quelli di un tempo

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Finì di sistemare gli ultimi bagagli rimasti, allineando quasi geometricamente ogni singola maglietta o pantalone che le capitasse sotto agli occhi, frugando nel grande armadio della stanza da letto. Odiava ammetterlo, ma era tremendamente ordinata, e ciò non le causava altro che ossessività nei confronti della sporcizia, con una maniacale cura per ogni singolo oggetto che fosse presente nella casa. Per sua fortuna però, Richard era fin troppo sistemato, privo di vizi fastidiosi o insoliti abitudini. Le scappò un sorriso ripensando a Shinichi; lui sì che era un vero e proprio disordinato. Spesso lasciava vestiti sulle sedie, o peggio ancora resti di cibo per la casa. Era usuale andare alla villa per ordinargliela e pulirgliela, mentre lui sembrava ignorare completamente la montagna di acari, polvere e rifiuti nel quale viveva. Incredibile come nel giro di pochi giorni potesse sporcare una casa così immensa, non badando minimamente all’igiene. Le venne da pensare che spesso avevano litigato proprio per questo, riappacificandosi poi con un bacio o con le sue solite battutine dominate da un ghigno sulla faccia. Le erano mancati per troppo tempo quei momenti con lui, quelle risate e quelle lotte a suon di cuscini; le era mancato guardare un film a casa sua e poi finire sotto le coperte nudi ed abbracciati, le era mancato uscirci insieme la sera, la mattina, il pomeriggio o qualsiasi altra ora che fosse stato libero. Le erano mancati i suoi abbracci, le sue coccole e carezze, le sue risate. Le erano mancati i suoi baci, le sue labbra e i suoi occhi.
“E non saprai mai se un ricordo è ciò che hai, o ciò che hai perso per sempre.” Ripeté a bassa voce, riportando alla mente una frase letta tempo prima su un diario di scuola.
Si perché poi finì tutto, e partì per New York; una grande metropoli piena di opportunità e persone, città che pullulava di avventure ed emozioni che lei non sembrava percepire, grazie allo scudo che si era creata e con il quale si difendeva. Aveva evitato volontariamente per troppo tempo i ragazzi, ignorandoli quasi. Poi aveva incontrato Richard che l’aveva risvegliata, e portata a riva. Stava affogando in un mare di solitudine e nostalgia, ancorata a rimorsi e ricordi. Poi quel ragazzo le aveva dato la scossa necessaria per accantonare l’immagine di Shinichi con qualcun altro, per sostituirlo. Si maledì per i suoi pensieri, cercando di ignorare quanto avesse sfruttato Richard come un chiodo per abbattere e scacciare l’altro. Allo stesso tempo però, non riusciva a capacitarsi del suo comportamento nei confronti del detective, e non riusciva a capire perché dopo tanto tempo lui la facesse sentire ancora viva, emozionata, estasiata. Vederlo le provocava un vuoto nello stomaco, un tremolio generale e un batticuore involontario. Era divisa tra la coscienza, che le chiedeva di non fare azioni illecite, e il cuore, che al solo pensiero di Shinichi si sforzava di non uscire dal petto a suon di pulsazioni.
Ed ecco il motivo per cui, quel giorno era giustamente agitata; sperando che il detective non venisse, imprecando che lo vedesse, scivolò di fretta in cucina, verso Richard.
“Io ho finito” gli disse, poggiando bruscamente il borsone sul divano e sedendosi a sua volta, rimanendo a guardarlo prendersi il caffè.
“Come mai hai preparato una borsa così grande?” gli chiese ancora, indicandogli la valigia. Era un po’ troppo capiente per un gita di due giorni con dei ragazzini.
“Non te l’ho detto? Dopo il campus devo partire per l’America per qualche giorno. Il solito lavoro.” Rispose, avvicinandosi a lei e donandole un bacio sulla fronte.
Ran si ritirò adirata, guardandolo con occhi serrati.
“Richard ma non ci sei mai ultimamente! Può mai un fotografo essere così impegnato?!” sbottò seccata. Si pentì in un secondo delle parole pronunciate, quando una vocina all’interno della testa le ricordò che era lei quella in difetto. Era lei quella che di testa non c’era, ultimamente.
“Amore ma io sono il migliore” replicò ancora, sogghignando. Prese la ragazza per mano e si avviarono insieme verso l’uscita, con tanto di valigie in mano.
“Certo...” continuò Ran con tono sarcastico.
“Almeno non vado in giro a farmi gli affari degli altri...” disse con un tono di voce bassissimo, quasi inudibile. Ran notò per la prima volta, da quando lo conosceva, un’espressione di odio. La spaventò non poco, tanto che si allontanò da lui.
“Che hai detto?” domandò, non essendo riuscita a decifrare le parole del compagno.
“Niente” rispose, non curante.
“Penso solo che qualcuno debba scomparire, al più presto”continuò, sempre silenziosamente.
Ancora una volta la ragazza non riuscì a captare ciò che aveva detto, ma decise di sorvolare e lasciare perdere.
 
§§§
 
“Idiota!”
“Idiota ci sarai te! Non vedi che ci siamo persi?!”
“Ma se hai fatto di testa tua!”
“Ragazzi...” s’intromise, una voce fredda.
“Guarda che tu mi hai detto di venire qui!”
“Io?!”
“Ragazzi...” continuò, ancora più spazientita e seccata.
“Sì, tu ti atteggi a navigatore satellitare!”
“RAGAZZI!” urlò, questa volta, interrompendo il battibecco tra Shinichi ed Heiji.
“Siamo arrivati.” Shiho li prese per il capo, e con la mano li fece voltare verso un cancello, che impetuoso, si erigeva a pochi metri dall’auto. Vi era attaccato sopra uno striscione bianco, dei palloncini e dei festoni intorno al quale gironzolavano allegri tanti ragazzini delle età più svariate.
“Ah” recitarono all’unisono, rendendosi conto del trambusto che avevano provocato, inutilmente.
Alle loro spalle, seduta accanto a Shiho, vi era Kazuha, che scoppiò a ridere, cercando comunque di trattenersi portando una mano alla bocca. Avevano deciso di partire un po’ prima proprio per evitare traffico e ingorghi vari. Era quasi una scusa, quando Shinichi moriva dalla voglia di vedere Ran; mentre Heiji e Kazuha desideravano stare un po’ insieme, anche perché ultimamente non si erano visti: lei per via dell’università era stata costretta a studiare di forza per due settimane, cercando di recuperare il tempo perduto; lui, per via del lavoro, aveva dovuto risolvere parecchi casi e poté dedicare pochissimo tempo allo svago.
Shinichi parcheggiò l’auto nel viale alberato che si apriva al portone, suonando il clacson un paio di volte per far spostare i bambini che fungevano da ostacoli e che avrebbe comunque voluto evitare.
No, non so se ce la faccio a sopportare tutti questi ragazzini...
Quando scese dall’auto, vide arrivare una Porsche nera dallo stesso cancello dal quale lui era entrato. Alla guida vi era l’americano, Richard, con atteggiamento annoiato e seccato. Vicino era seduta Ran, con capo chino e sguardo abbandonato nel nulla.
Ran...
La chiamò mentalmente, vedendola sempre più vicina. La giovane scese dall’auto, aggiustandosi gonna e top, che per il lungo viaggio si erano stropicciati. Shinichi si perse a guardarla, attendendo con ansia il momento che lei si accorgesse di lui. Ignorò completamente la presenza di Richard, che intanto lo fissava con occhi cinici ed aridi. Quando Ran alzò lo sguardo si ritrovò di fronte lo sguardo che più amava in assoluto, e non poté fare a meno di sorridere. Arrossì anche, ricordando l’atteggiamento provocatorio del detective poche sere prima, e sperò vivamente che non lo riproponesse, anche perché non poteva immaginare la sua reazione. Per quanto si sforzasse di rimanere lucida e ragionare, a contatto con Shinichi si perdeva tutto, lasciando spazio al solo istinto.
“Andiamo Ran. Ci staranno aspettando” la richiamò il fidanzato, distogliendola dagli occhi di Kudo. La prese per mano e la spinse un po’ in avanti, quando sulle labbra di Shinichi comparve una smorfia di disgusto.
Non ti sopporto... non ti sopporto...
Si ripeté mentalmente, per poi incamminarsi e raggiungere i suoi amici, sempre più vicini a luogo dove avrebbero vissuto per due giorni, circondati da fanciulli e musichette fastidiose.
 Il campus era formato da un serie di appartamenti, dove soggiornavano i ragazzini, controllati da persone più adulte, che si assumevano tutte le responsabilità riguardo a guai causati o meno dai bambini. Il gruppo si diresse verso il posto disegnato dai Detective Boys, distante più o meno cento metri. Entrarono tutti molto velocemente, con Ran e Shinichi al comando. Vicino vi era Richard con Kazuha ed Heiji dietro, mano nella mano. Shiho era accanto Sonoko, che sentiva l’assenza di Makoto, fuori causa gare. Fu un secondo, e Shinichi e Ran si ritrovarono più stretti che mai in un abbraccio, regalategli da un giovane che in un lasso di tempo brevissimo era apparso sulla scena, sorprendendo tutti.
“Oh che bello rivedervi ragazzi!” urlò, strattonandoli tra le sue braccia, impedendo quasi il regolare respiro. Shinichi cercò di svincolarsi da quella presa portando le mani sul suo corpo, allontanandolo da sé. Serrò gli occhi, appena vide di chi si trattava. Un ragazzo molto magro con giganteschi occhi azzurri e lineamenti molto fini, sorrideva trionfante a poco meno di un metro da loro.
No... non ci credo!
“Eisuke!” urlarono all’unisono i due, ridendo a loro volta. Il fratello di Rena Mizunashi, alias Kir nell’organizzazione degli uomini in nero sgominata anni prima da Kudo, era tornato, con tanto di barba a renderlo più uomo. Velocemente tutti gli altri si avvicinarono al ragazzo, stringendolo in un mare di abbracci e di affetto. L’unico che restò in disparte, ovviamente, fu Richard. Shinichi osservò l’americano lanciare occhiate d’odio verso il nuovo arrivato, come se lo conoscesse da molto tempo, come se avessero un conto in sospeso. Riconobbe nei suoi occhi lo stesso astio che provava nei suoi confronti, quando alla rimpatriata, lo aveva infastidito con qualche battuta di troppo. Quel ragazzo si comportava in modo sempre più strano; dimostrava di odiarlo, a pelle, per nessun motivo e adesso alla vista di Hondo esponeva lo stesso tipo di atteggiamento.
Girò lo sguardo verso Ran e pensò che probabilmente in realtà che lei avesse raccontato tutto, sia della loro storia che della mezza cotta di Eisuke, anni prima. Forse era questo il motivo reale della sua ostilità.
O forse no...
Il detective vide passare Eisuke davanti a lui, dirigendosi in direzione di Richard.
“Piacere, Eisuke Hondo. Non ci conosciamo, mi pare...” disse gentilmente il ragazzo, porgendogli la mano con fare amichevole.
Richard lo guardò per qualche istante, poi sorrise.
“No infatti. Io sono Richard Nekaie, fidanzato di Ran” sottolineò, con voce sicura, portando poi lo sguardo alla sua metà, che trattene il respiro. Ran sperò che Eisuke non si facesse sfuggire niente che potesse comprometterla, o potesse peggiorare la situazione.
Il giovane Hondo si voltò istintivamente verso l’amica, serrando le palpebre.
“F-fidanzato di R-Ran?” chiese, balbettando. Guardò poi Shinichi, avvertendo in lui un velo di malinconia. Non riusciva a capacitarsi di come quei due si fossero potuti lasciare, sembravano indivisibili. Doveva assolutamente scoprire cosa era successo e se possibile, rimettere le cose al posto giusto. Per quanto lui si fosse invaghito dell’amica da ragazzino, vedeva in Kudo il ragazzo ideale per lei... ed ora, immaginarla con Richard, era assurdo. No, probabilmente, era uno scherzo.
“Sì, perché... problemi?” chiese l’americano, irritato.
Il fratellino di Kir si voltò nuovamente verso di lui, avvertendo un senso di tensione misto a sorpresa.
“Sì, perché... problemi?”Quelle parole gli risuonavano nella mente, rievocando eventi passati. Quel timbro di voce gli era familiare, ne era più che sicuro. Non riusciva a capire a chi appartenesse e quando l’avesse sentita quella frase, ma era ben incisa nella sua mente, quanto la crudeltà con cui era stata pronunciata.
“No no, niente” dichiarò, sperando di aver fatto la mossa giusta. Guardò Ran per averne conferma, ottenendola, grazie all’occhiolino che gli fece.
“Oh ci siete tutti!” spezzò il trambusto la vocina docile di Ayumi “Venite vi accompagno alle camere!”
I giovani seguirono la piccola nei corridoi dell’appartamento, con passo lento e con un lieve vociare in sottofondo. E’ incredibile come il destino si diverta a creare giochi infiniti e situazioni sempre nuove, mescolando le carte a piacer proprio. Forse per il destino sì, ma anche per caso... resta il fatto che capitarono nella stessa stanza Shinichi, Ran, Shiho e Richard.
Lo devo vedere anche dormire... con quella!
La gelosia pervase Ran, invadendole i nervi e l’intero sistema nervoso. Inconsapevolmente, i suoi sentimenti non erano molto diversi da quelli di Shinichi, che proprio avrebbe evitato di guardare Ran stretta alle braccia di Richard la notte.
Il detective incominciò a disfare il borsone, raggiunto da Shiho che lo osservò, ammiccando.
“Hai avuto quello che volevi” disse la biondina, aprendo con le dita la cerniera della valigia.
“Prego?”
“Stare più tempo con Ran, siete capitati in stanza insieme” continuò, guardandolo maliziosamente.
“Sì, con te e quel montato tra i piedi” le rispose irritato, abbassando il capo sul borsone. Riuscì a portare tutti i vestiti fuori ed incominciò, invano, a cercare di piegarli.
“Come siamo gentili!” replicò, staccandogli le mani dai suoi vestiti, e prendendole nelle sue.
“Puoi sfruttarlo a tuo favore, lo sai.”
“Non credo.” Sbuffò Shinichi, ritirando la presa.
“Ran è gelosa di me, ne sei consapevole” continuò, prendendo il mento del detective ed avvicinandolo al suo.
“Magari, per aiutarti...possiamo ritornare quelli di un tempo” gli sorrise, maliziosamente.
“Ma non farti strane illusioni, qui non c’è più niente per te.”
Shinichi scoppiò a ridere, per poi voltarsi a guardare Ran sistemare le sue cose dall’altra parte della stanza. L’idea di Shiho non era affatto male, ma doveva orchestrare bene la cosa: un passo falso o esagerato avrebbe guastato, lo avrebbe allontanato da lei. Desiderava più di ogni altra cosa avvicinare Ran ed innescare in lei delle reazioni indomabili ed involontarie. Non poteva essere sicuro di ciò che provava, essendo lei ad averlo lasciato ed essendo stata sempre lei a mettersi con un altro.
E’ vero che lui si era divertito abbastanza in quegl’anni, ma Ran era rimasto il suo pensiero fisso, il suo pallino, il suo chiodo, il suo punto debole. E quindi, se il fine giustifica i mezzi...
“Sei sicura?...” continuò, intenerito. Shiho sembrò toccata dalle parole del detective, tanto che le venne da ridere.
“Non te lo avrei chiesto, no?” gli rispose, divertita “Che il gioco abbia inizio.”
 
§§§
 
Era rimasta imbambolata, ferma e stupita a guardare Shiho e Shinichi lanciarsi occhiate maliziose e complici, accompagnate da sorrisetti sarcastici. Avrebbe voluto avvinarsi al detective per chiedergli spiegazioni e motivazioni, ma raggelò nel vederlo fisso accanto alla biondina. Probabilmente - si convinse – stavano insieme sul serio, ma non riusciva a capire il motivo per cui lo tenessero segreto. Decise di lasciare la stanza, dirigendosi verso il bagno per darsi una sciacquata. Durante il tragitto, percorse molto velocemente il corridoio, illuminato dalla luce che proveniva dalle finestre. Esse aprivano ad un panorama spettacolare, oscillante tra monti e distese di fiori, sfregate da un leggero venticello che donava all’ambiente una frescura esauriente.
“Se ti fa male, ti interessa ancora” ripeté a bassa voce, imitando le parole pronunciate da Shiho qualche settimana prima alla rimpatriata. Poggiò il capo sul vetro della finestra, socchiudendo gli occhi, abbandonandosi ai suoi pensieri.
“Ran, tutto bene?” gli chiese una voce familiare, che la fece sobbalzare. Si girò di scatto verso il suo interlocutore, con espressione spaesata.
“Eisuke!” urlò, ricomponendo la calma “sì, sì... tutto bene” annuì, mentendo.
“Certo che è cambiato tutto qui!” esclamò il giovane, guardandola negli occhi.
“Che intendi?”
“Insomma, tu e Shinichi... che diavolo è successo?” chiese, con curiosità.
Tasto dolente, Eisuke. Non avrebbe potuto fare domanda più inappropriata o fastidiosa, per quanto dolore le provocasse. Si girò verso di lui, con occhi velati di lacrime, che tentavano inutilmente di nascondere i sentimenti che provava e che la linciavano, che le penetravano nella pelle come aghi nei tessuti di stoffa.
Eisuke sembrò accorgersi dello stato d’animo della giovane, tant’è che prese per andarsene, sorridendole.
“Ehi, non raccontarmelo, non fa niente.”
“No” lo bloccò con un braccio Ran, abbassando il capo.
Se avesse avuto il coraggio di raccontare e ripercorrere l’intera storia, probabilmente sarebbe riuscita a chiedere anche al ragazzo dei consigli e delle opinioni.
Inoltre, se avesse raccontato la verità a lui, forse ci sarebbe riuscita anche con se stessa.

 

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Lettrici mie adorate!
Ho aggiornato prima possibile il dodicesimo capitolo, in modo tale da anticiparmi il lavoro.
Purtroppo in questo periodo, a causa della scuola, non avrò tempo da dedicare alla scrittura, per cui ho deciso di regalarvi questo chap! Siamo già a dodici!
O____O Vabbè, se avrete voglia di sopportarmi, lo dovrete fare ancora per molto tempo, fidatevi... :P
Okay... allora impressioni, giudizi, opinioni e critiche su questo capitolo... voglio tutto!!! :D
Spero che comunque sia stato di vostro gradimento, soprattutto il piano di Shiho-Shin... che ne dite? :D
(Ah, giusto voi non sapete come furono un tempo... *trollface* ma lo capirete!)
Inoltre, vi anticipo, che nel prossimo verrà svelato il mistero della rottura tra Shinichi e Ran! =)
Siete ansiose di saperlo, eh eh? :D :D
[Che bello sapere tutto in anticipo! :D]
Prima di lasciarvi, devo assolutamente ringraziare gli scorsi recensori:
Dony_chan (non abbiamo aggiornato insieme ora xD almneo penso ò.ò), myellin, Martins, frangilois, ciccia98 e PaV <3
Voi siete sempre troppo gentili con me! ç___ç
 
Va bene, alla prossima.
Un bacione,
Tonia!
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Capitolo 13
*** Imprevedibilmente, lontani ***


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Capitolo Tredici
Imprevedibilmente, lontani
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Ringrazio infinitamente PaV per il piccolo aiuto datomi. <3
 
AVVERTENZA: Per chi non lo sapesse (ma immagino lo abbiate capito), le parti in grassetto corsivosono i flashback. Essendo semplicemente ricordi, di conseguenza non siamo nel tempo reale. Inoltre (in questo capitolo), essi non rispecchiano il punto di vista di Ran, ma sono raccontati come sempre in terza persona.

 
Ran prese Eisuke per il braccio, e lo trascinò via. Camminarono a lungo, oltrepassando corridoi, stanze, porte, cortili e mandrie di ragazzini con palloncini e giocattoli vari in mano. Ricercando un posto tranquillo e silenzioso, abbastanza lontano da tenere distante Richard e gli altri, scorse una distesa di fiori dalle tonalità più svariate, che tanto profumavano di serenità. Non si era allontanata poi così tanto dal campus, anche perché riusciva ancora a vedere l’appartamento dove alloggiavano, e le macchine di Shinichi e Richard parcheggiate in lontananza. In quel momento sentì solo il bisogno di estraniarsi da mondo per tuffarsi nei suoi ricordi e lasciarli andare, donandogli quella libertà già troppe volte negata in quei quattro anni. Non aveva fatto altro che evitare di raccontare, di pensare e di rammentare quella storia che le aveva distrutto la vita, costringendola a crearsene un’altra, senza di lui. Era un’effimera illusione quella; sapeva bene che tutto ciò che avrebbe vissuto dopo, sarebbe innegabilmente conseguito a quell’amore mai svanito.
“E’ bello qui” le disse Eisuke, lasciandosi andare al prato, illuminato dalle luci del tramonto.
“Sì, lo è davvero” gli rispose, distendendosi anche lei, allungando le braccia in modo da toccare con le proprie mani quei boccioli colorati di toni rossastri. Allungò lo sguardo su Eisuke, sostituendo alla sua immagine quella di Shinichi con un fiorellino in bocca ed un cappello sul viso, che impediva di osservare e godere di quei lineamenti così perfetti, così dolci e marcati allo stesso tempo.
“Anche lui lo faceva” pronunciò delicatamente con un sorriso, attirando l’attenzione di Hondo.
“Chi?”
“Shinichi...” gli rispose, soffermandosi per un momento sul quel nome, lasciando un sospiro ibrido di eccitazione e tristezza.
“Spesso andavamo in parchi o cortili a distenderci sui prati, ricercando l’ombra...” gli disse, abbozzando un nuovo sorriso “lui si abbandonava sempre a quell’atmosfera di quiete, ed io rimanevo fissa a guardarlo... come se fosse la più bella delle opere d’arti.”
“Ne eri innamorata, è normale” le disse guardandola, interrompendola d’un tratto.
Già, ne eri innamorata Ran, pensò, abbassando lo sguardo, ne eri follemente innamorata.
“Era tutto perfetto Eisuke, tutto.”
Si lasciò andare di nuovo al prato, socchiudendo gli occhi. Le immagini scorrevano lente nella sua mente mentre la sua voce le descriveva minuziosamente, abbandonandole all’aria tranquilla di quel pomeriggio d’estate, rivelandole a se stessa e al mondo che la circondava, che la cullava in un fascio di vento intriso di memorie.
 
“La vuoi piantare?” lo strattonò per la maglia, allontanandolo. Shinichi scoppiò a ridere, riprendendo la presa posandola sulle sue gambe, dimezzando la distanza tra loro. Ran infastidita e divertita, si lasciò andare alle sue braccia, prendendolo a piccoli pugni sul petto.
“Sei più bella quando ti arrabbi” le disse, facendola arrossire d’un colpo. Le circondò la nuca con le mani, avvicinando le loro labbra, e in seguito le loro lingue. La giovane si lasciò andare a quella dolce danza, accarezzandogli il capo, e giocando con i suoi capelli, belli e ribelli.
Era trascorso un anno da quando Conan Edogawa era tornato ad essere Shinichi Kudo, sconfiggendo la tanto odiata organizzazione dei corvi neri, e assumendo il tanto sospirato antidoto. Tutto ciò lo aveva portato a raccontare menzogne su menzogne, mentendo alle persone più care, tra cui la sua amica di sempre, Ran. Immensa fu la gioia quando quella tortura finì; quando poté riacquistare il suo corpo, quando poté frequentare di nuovo il liceo, quando poté rivestirsi come un diciassettenne, quando poté tenersi stretto a Lei con le braccia di un adulto, e quando poté baciarla con le labbra di un uomo. Da quando aveva cominciato, non riusciva più a smettere. Era droga per lui, quanto lo era per lei. Passavano i minuti, le ore, i giorni ed i mesi: niente avrebbe mai più potuto scalfire quell’amore che profumava d’eternità.
 
“Ehi, ehi” si sollevò Eisuke, tirandola per le braccia. Le passò le dita sotto gli occhi, avvertendo una leggera sensazione d’umidità: stava piangendo. Cercò di rasserenarla, stringendola in un abbraccio, forte e sicuro. Sentì la ragazza singhiozzare nel tentativo di pronunciare qualche parola, ma le uscirono solo suoni smorzati da lacrime che prepotenti si affrettavano a voler scendere.
“O-ok, ce la f-faccio” disse, asciugandosi con il gomito gli occhi, intrisi di rossore ed amarezza.
“S-scusa, sono la solita bambina.”
“Tu sei la solita sciocca” replicò Eisuke, cercando di essere più dolce possibile, sorridendole.
“Sai che piangere fa bene? Ti sfoghi.”
“E’ che sei appena arrivato.. e, e devi subirti i miei tormenti” gli disse, abbassando lo sguardo, quasi dispiaciuta. Eisuke le sollevò il viso, guardandola intenerito e accarezzandola la guancia.
“Sono tuo amico, Ran” continuò, con tono sereno “e a cosa servono gli amici sennò?
Qualsiasi cosa io possa fare, la farò.”
“Grazie Eisuke, di cuore” riuscì a sorridere, conscia del grande tesoro quale è l’amicizia.
E' incredibile come nel momento in cui il mondo sembra frantumarsi in tante piccole schegge taglienti e pungenti, ti sono vicine persone che hanno la giusta colla per riattaccare o risanare il tutto. Forse il tuo mondo, forse il tuo cuore...(*)
Che illusione- pensò - ; non c’era niente che potesse aiutarla in quel momento, come niente l’avrebbe potuta aiutare in passato. Il suo dolore dipendeva da un’unica persona, a solo da quella persona sarebbe riuscita ad espiarlo.
“E poi, è arrivata Miori Yoshizumi” continuò portando il viso al cielo, socchiudendo gli occhi.
“Dovrei sapere chi è?” le domandò, quasi sarcastico.
“Forse sì... è un idol* giapponese” gli rispose, pacata, serrando le palpebre.
“...Ma per me, non è nient’altro che l’inizio di tutti i problemi.”
 
“Shinichi, sei qui?”si avvicinò lentamente alla porta Ran, aprendola. Nella dependance vide il suo fidanzato in compagnia di una splendida ragazza, sulla ventina d’anni.
Tutta curve e poco cervello - pensò in un attimo, scrutandola. La giovane portava una minigonna inguinale rossa, che poco lasciava all’immaginazione. Vestiva la parte superiore con un top bianco, quasi trasparente, dal quale reggiseno era facile intuire la taglia del seno, abbastanza prosperoso.
Ran sentì il sangue ribollire dalla gelosia e dal fastidio, e portò lo sguardo su Shinichi, che sembrava apparentemente tranquillo.
Chi diavolo è questa sgualdrina?!?
“Ran...”si alzò Kudo, avvicinandosi a lei “ti presento la signorina Yoshizumi.
 Lavorerò per un po’ di tempo per lei.”
“Che bella notizia, amoooooore” marcò il tono sull’ultima parola, lanciando uno sguardo infuocato e carico di odio alla ragazza, volendo sancire e sottolineare ciò che era suo.
“Piacere Ran, sono la fidanzata di Shinichi” continuò, sulla stessa riga, stringendole con forza la mano ed ostentando un sorriso forzato “come mai, ho l’onore di averti qui?”
Fra le scatole...aggiunse, mentalmente.
La Yoshizumi sorrise, assumendo un’espressione da ebete che per poco Ran non disintegrò con un pugno.
“Ho assunto Shinichi come bodyguard personale, ho bisogno di protezione” le rispose, portando lo sguardo sul ragazzo.
Te la do io la protezione...la maledì, mentalmente.
E poi andiamoci piano con la confidenza, chiamalo per cognome cretina.
“Io ora vado, allora ci vediamo domani?” domandò al detective, sorridendogli.
“Sì a domani.”rispose Kudo, non prestando attenzione.
Ran attese che la porta si chiudesse, per avvicinarsi al suo fidanzato e guardarlo minaccioso.
“E così, Miss curve ha bisogno di protezione?”gli chiese, tra fastidio e ironia.
“Ti avevo lasciato detective, da quando fai il bodyguard?”
“E’ perseguitata da fan fin troppo accaniti” le rispose, sereno “devo capire chi è lo stalker, ed arrestarlo.”
“Che commovente”continuò Ran, con tono alterato “e così domani la vedi di nuovo?”
“Sì, la devo accompagnare almeno alle prove dei concerti.”
“Perfetto!” Sbottò Ran, incrociando le braccia. Shinichi le si avvicinò ed abbracciandola, portò la piccola testa di lei sul suo petto, abbassando il viso.
“Qualcuna qui è geloso, o è mia impressione?” le chiese, ghignando.
“Non sono gelosa, mi da solo fastidio!” replicò lei, mettendo il muso “Mi tradirai con lei, me lo sento.”
“Scema lo sai che voglio solo te, no?”asserì lui, baciandole la fronte, sorridendo poi.
“Al massimo, potrei farmi fare qualc-”non riuscì a completare la frase, a causa della gomitata ricevuta a guadagnata, che la fidanzata aveva lanciato con tutta la forza che aveva in corpo.
“Permettiti e ti disintegro!” lo sfidò con voce sicura “Anzi disintegro prima lei, e poi te!”
Non le permise di dire altro, poiché si unì di nuovo a lei in un bacio, che con i secondi che passavano lenti, si fece sempre più appassionato e caldo.
 
“E’ lei la causa di tutto?” le domandò Eisuke, incuriosito.
“Forse sì, forse no. Resta il fatto che ha rivestito un ruolo importante” gli rispose la giovane Mouri, completamente immersa nei ricordi.
“Shinichi ha continuato ad assisterla?” le chiese ancora, con voce quasi insicura.
Ran alzò lo sguardo al cielo e portò le mani al petto, sentiva freddo.
“Sì, per ben tre mesi” continuò, incominciando a tremare “gli ultimi.”
 
“Ma come non puoi?! Me lo avevi promesso!” Sbottò Ran, irritata.
“Sì lo so, ma devo stare vicino a Miori, il tour è quasi finito” le rispose Shinichi, sulla difensiva.
“Ah, così siamo passati anche a chiamarla per nome eh?!”
“Ran lavoriamo insieme da mesi ormai!”
“No secondo me fate ben altro!”urlò, indemoniata.
“Stai diventando paranoica, ti devi fidare di me!” alzò la voce anche lui, stizzito.
Andava tutto sempre peggio.
Quella mattina si era alzata con la consapevolezza di affrontare un esame importante. Ci avrebbe provato, almeno. L’università di Harvard, in America, le avrebbe aperto le porte ad una nuova vita con Shinichi, lontano dal Giappone. Entrarci era un’utopia, ma rimaneva il suo sogno. Era quasi sicura di non poter accedervi, anche dopo aver fatto quel maledetto test, troppo difficile per lei. Però se solo ci fosse riuscita, lei e Kudo sarebbero andati a vivere insieme, e probabilmente presto si sarebbero sposati.
Un sogno, e poi il risveglio.
Il suo fidanzato era sempre più occupato con quella tizia, dedicando meno tempo a lei e al loro rapporto, anche involontariamente.
Stavano attraversando una crisi, era inutile negarlo, e ciò faceva male. A poco più di un anno da tutte le sofferenze che il suo rimpicciolimento aveva portato, dovettero affrontare di nuovo un periodo buio, dove luce non si vedeva.
Si zittirono per qualche minuto, quando poi Shinichi le si avvicinò, stringendola in un abbraccio.
“Com’è andato l’esame?” le domandò, cercando di addolcirla.
“Uno schifo... ma tanto a te che importa, stai qui con Miori” sottolineò l’ultima parola, con sarcasmo e cinismo.
Il detective sbuffò, per poi continuare a stringerla.
“Non importa se non entri... ce la faremo qui la nostra vita, insieme” le disse sorridendole, alzandole il capo per incrociare i suoi occhi azzurrini.
“E non fare la gelosa, sono un angioletto io” con l’indice si disegnò un cerchio attorno al capo, nel disegnare un’aureola.
“Lo spero, per te” rispose, ancora infastidita, ma scoppiando comunque a ridere.
 
“Com’è degenerata?” domandò ancora Eisuke, sempre più appassionato alla vicenda.
Ran sospirò, cercando la forza di trattenere nuove lacrime. Doveva essere forte; mai più piangere, mai più. Rivivere tutto era più difficile di quanto si pensasse, una vera tortura.
“Shinichi continuò a proteggerla e dulcis in fundo, dovette partire con lei per Pechino” sentenziò, rivivendo quegli istanti, come se fossero accaduti il giorno prima.
Il sole stava per tramontare, e la sera per calare.
L’aria attorno si era raffreddata, e non solo quella del campus.
“Pechino?” chiese sorpreso.
“Sì. Miori aveva l’ultima tappa del tour lì. Dovevano restarci per tre settimane” spiegò.
“Immagina me, come stavo nel sapere che il mio ragazzo era da solo e lontano, con una che ci provava esplicitamente con lui?!” sbottò, infastidita al solo ricordo.
Cavoli, se solo quella ragazza non fosse mai arrivata.
“Aspetta, fammi capire... Shinichi ti ha tradito?” domandò, con stizza quasi.
“No.. no..” rispose sicura lei, calmandolo. “Penso di no” ammise.
“Quando è partito... che si è scatenato l’imprevedibile.”
 
“No!!! Non ci posso credere!” Ran girò più volte per la stanza con un foglio bianco tra le mani, serrando e sbattendo più volte le palpebre. “Ammessa! Ammessa!” lo ripeté più volte, cercando di convincersene.
Non ci credeva più, non se lo aspettava più. Ma soprattutto, non ci sperava più.
Finalmente, il suo sogno sarebbe potuto divenire realtà.
Studiare ad Harvard e vivere insieme al ragazzo della sua vita.
La felicità inondò il suo corpo, facendole scappare lacrime di gioia.
“Shinichi! Lo devo avvisare!” si affrettò a raggiungere il telefono di casa, componendo il numero dell’hotel dove il ragazzo alloggiava. Sbuffò nell’ascoltare la segreteria telefonica, quasi le sembrava di ritornare ai vecchi tempi quando della sua voce ricordava solo il suono metallico della cornetta. Lasciò il messaggio, sperando che il suo fidanzato lo leggesse il più presto possibile.
Ciò non avvenne.
La telefonata venne ascoltata da Miori, che si trovava nella stanza del detective per puro caso.
Assente in quel momento, lei ne approfittò per cancellare dalla segreteria tutti i messaggi, compresi quelli di Ran.

Invidia, pura invidia, nei confronti di quella ragazza.
Sentì la porta aprirsi, dal quale apparve il detective con un uomo elegante e composto, in giacca e cravatta. Si salutarono con una stretta di mano, mentre con l’altra il giovane sorreggeva dei fogli, sembrava un contratto.
“Detective, non se ne pentirà.” Sentenziò l’uomo, scomparendo nell’atrio, in poco tempo.
Shinichi gli sorrise per poi entrare nella stanza, ritrovandosi di fronte la Yoshizumi.
“Ancora tu?” le domandò, scorbutico, più che infastidito dalla sua presenza.
“Ti ho portato i tuoi soldi, e i miei complimenti” gli disse.
“Complimenti?”
“Le sei rimasto fedele, non mi hai toccata neanche con un dito, bravo.”gli rivelò, irritata.
Shinichi le si avvicinò un po’, guardandola con aria di sufficienza.
“Lascia stare che una donna come te poco mi possa interessare... ma sono innamorato di Ran, non la tradirò mai.”
Rispose convinto, dandole le spalle. Percorse velocemente la stanza, dirigendosi verso il comodino affianco al letto.

Si affrettò a prendere il cellulare, componendo il numero della fidanzata per mandarle un messaggio.
-Sto tornando, ho una grande notizia!-
Tutto, era stato definitivamente deciso.
 
“Qual’era?” chiese Eisuke, inarcando un sopracciglio.
Ran sbuffò, mentre le lacrime cominciarono a solcarle il viso, violentemente. Ancora non poteva crederci, a distanza di anni, che tutto fosse andato così.
“Aveva accettato un lavoro a Pechino per sei mesi, che ci avrebbe fruttato molto denaro per la nostra vita insieme...” continuò singhiozzando.
“Io dovevo partire per gli Stati Uniti, e lui per la Cina! Non ci saremmo più visti, mai più!” disse, scoppiando in un pianto disperato, che non prese a scemare. Eisuke la strinse forte in un abbraccio, baciandole il capo.
“Tutto s-si è messo c-contro di noi, tutto!” esclamò, tra singhiozzi e lacrime.
Quelle gocce amare, come lo era la sua memoria, le bagnarono le labbra e poi il collo fino a scendere giù nell’anima. Il dolore si fece lancinante, insopportabile. C’era Eisuke lì con lei, le donava sicurezza e protezione, consolazione. Non bastava. Non sarebbe mai bastato.
Hai distrutto la mia vita, Shinichi Kudo.
“Piangi, Ran, piangi.”
La continuerai a distruggere e ricostruire, per sempre.
 
“Ma ti rendi conto di quello che dici?! Perché non me lo hai detto prima??” le chiese, infuriato.
“Ti ho lasciato un messaggio in segreteria! Io ti avevo avvisato...” lo avvertì Ran, che non aveva neanche la forza di arrabbiarsi. La consapevolezza della fine si era fatta strada in lei, lasciandola senza forze o volontà.
Non ci sarebbe stato più futuro, per loro.
“Non è possibile, non doveva andare così..”disse Shinichi, abbassando il capo, quasi lacrimante.
Ran osservò quel viso perfetto deformarsi a causa della tristezza e del dolore. Le sembrò come se dei teppisti rovinassero con le loro bombolette a spray un Michelangelo o un Raffaello. Una Gioconda, o una Pietà. I lineamenti del ragazzo erano rovinati, ed era uno scempio.
La sua opera d’arte era ultimata, e mai più avrebbe potuto compiacersi nel guardarla. Lo guardò intensamente, e quando le lacrime scesero dal suo viso ininterrottamente, pronunciò poche parole che sarebbero rimaste impresse col fuoco nelle loro anime, nelle loro menti, e nei loro cuori.
“Non fare quella faccia. Se è andata così era destino. Non siamo fatti per stare insieme.”

 
(*) Ti voglio bene <3
* Idol=  teenager giapponese molto popolare nel mondo dello spettacolo. Possono essere cantanti, attrici e modelle.

 
 

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Che fatica!!!!
Cavoli, ce l’ho messa tutta per rendere il momento tragico ed interessante
allo stesso tempo e spero di esserci riuscita. Boh, chissà. Mi direte voi ^____^
Allora, ho aggiornato prima perché a scuola mi hanno rinviato delle cose e quindi ho avuto tempo di scrivere la fanfiction, che fortuna!
Beh, allora come vi sembra il TREDICESIMO capitolo?
Fatemelo sapere che sono curiosissima!!!!
Ringrazio come sempre i miei recensori:
MartinsDony_chanfrangiloisciccia98 e Yume98.
Lo ripeto, solo grazie a voi la storia va avanti.
Alla prossima,
Tonia! :D
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Capitolo 14
*** Do you know Conan? ***


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Quattordicesimo Capitolo
Do you know Conan?
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Con gli occhi rossi di lacrime, l’umore a pezzi e lo sguardo fisso nel vuoto circostante, Ran si diresse verso l’appartamento, in compagnia di Eisuke e delle sue acquisite certezze, che si divertivano a travestirsi da dubbi.
Confidarsi e sfogarsi con il giovane non aveva portato agli esiti sperati, o perlomeno a quelli voluti.
Non serviva un indovino per cercare di capire gli atteggiamenti e le emozioni che l’animavano, aldilà della sua volontà o dei suoi doveri. Per quanto cercasse di ignorarlo, quel problema le si presentava sempre avanti, e non esisteva modo per raggirarlo. La confusione aveva preso potere nel suo cervello, impedendole di comprendere, e di scegliere chiaramente.
“E non è finita qui, giusto?” le domandò Eisuke, interrompendo il suo viaggio mentale. Voltandosi verso di lui, Ran capì che probabilmente il ragazzo aveva intuito qualcosa, e che era riuscito a leggere nei suoi occhi lacrimanti, il dolore che scioccamente cercava di reprimere.
“Beh, dopo non ci siamo più visti. Sono partita per l’America e sono tornata solo due settimane fa” dichiarò, nel tentativo di deviare la domanda.
“Non intendevo questo” replicò Hondo, avvicinandosi a lei, rimasta leggermente dietro durante la passeggiata.
“Credimi non voglio giudicarti... vorrei solo esserti d’aiuto” continuò, poggiando le mani al petto, a mo’ di preghiera.
“Però mi sembra che tu stia un po’ troppo male per una cosa accaduta quattro anni fa.”
Ran si bloccò di scatto, abbassando il capo e stringendo le mani in pugni. Il suo corpo attutì la domanda come un prato che cerca di frenare una tempesta. Stupido era quello che lei provava, voleva e reprimeva. Quello che soffocava, e che inutilmente rinchiudeva.
Ma come può un uragano in piena tempesta essere trattenuto in una rete di costrizioni?
“Che staresti insinuando Eisuke?” cominciò, con sguardo malevolo.
“Ehi, no Ran, non arrabbiarti” le sorrise dolcemente lui, poggiandole una mano sul braccio.
“Solo che penso, anzi sono convinto, che un’emozione non può essere contenuta, e non vi sono modi per trattenerla” continuò ancora, nel tentativo di calmarla.
“Non devi preoccuparti per quello che s-”
“NON SO NEANCHE IO COSA Mi SUCCEDE, OK?!” sbraitò, lacrimante. Aveva gli occhi spalancati e impauriti, pieni di incertezze e dello stress accumulato in quei giorni.
Doveva ricordarsi di metterlo come post-it sul frigorifero, bello grande e giallo come il Sole, lucente ed impossibile da dimenticare. Cose da evitare per rilassarsi: Shinichi.
“Io... io... sto con Richard, però...” deglutì forzatamente, sospirando, nell’attesa di prendere il coraggio di ammettere l’unica cosa certa fino a quel momento, l’unica cosa che aveva capito.
“Però... non so perché, ma stare vicino Shinichi... non mi è indifferente, ecco.”
Ci era riuscita finalmente, e adesso si sentiva addirittura meno pesante. Più leggera, e meno pesante.
Non mi è indifferente, non lo è mai stato, non lo sarà mai.
“RAN!” urlò una voce bianca in lontananza, dalla quale riconobbe la piccola Ayumi che frettolosamente si avvicinava a lei.
“Finalmente ti abbiamo trovata” continuò, quando alle sue spalle comparvero Richard, Sonoko e Shinichi. E Shinichi con Shiho. Stava sognando o era un incubo, allucinazione o realtà quei due camminavano abbracciati, stretti, avvinghiati l’uno all’altro. Il detective poggiava il suo braccio sulle spalle della giovane che, a sua volta, lo teneva stretto a sé circondandogli la schiena. Non riuscendo a trattenere una smorfia di disgusto, mista ad un pizzico di gelosia, girò lo sguardo verso il suo fidanzato, che si mostrava infastidito dall’intera situazione.
“Ero andata a fare un giro per il campus...ci sono dei bei prati” mormorò, cercando di essere convincente, ostentando un sorriso.
“Ma voi che ci fate con quegli zaini?” chiese ai presenti, quando vide le borse che portavano con loro, straripanti di oggettini e accessori.
“Andiamo in campeggio notturno!” esclamò felice la piccola, svolazzando con le mani.
“Ho già preparato la tua borsa Ran, possiamo già partire” le disse il compagno, tendendole con il braccio lo zaino giallo che tanto adorava, regalatole da Shinichi anni prima.
“Ed Heiji e Kazuha? Non vengono?” domandò in seguito, incuriosita dalla loro assenza.
“No, Kazuha si sentiva male ed Heiji è voluto rimanere con lei” s’intromise nel discorso Shinichi, con un insopportabile sorriso stampato sulla faccia ed una fastidiosa, quanto intollerabile, espressione di superiorità. In Ran crebbe la voglia di prenderlo a calci, o magari a pugni, lottando ed annientandolo come solo una vera karateka sa fare. Non riusciva a spiegarsi il suo comportamento, tanto che riuscì solo a maledirlo, dandogli del meschino e del doppiogiochista: prima Shiho, poi lei, poi nuovamente Shiho. Ma che aveva nel cervello, oltre a cadaveri e deduzioni? Gli avrebbe voluto far capire che di mezzo vi erano i sentimenti e la sensibilità di una persona, ma si fermò, bloccata da un atroce senso di colpa. Volente o nolente, lei, stava giocando proprio al suo stesso gioco.
“Ah ok, allora andiamo” sentenziò la giovane, prendendo a braccetto Richard, e stampandogli un bacio sulle labbra, così, come per ripicca.
Tanto lungo fu il tragitto quanto le maledizioni che Ran indirizzava al detective. Durante la camminata, diretti su in montagna, nel luogo stabilito per il campeggio, la giovane non riusciva a staccare gli occhi da quei due, che vedeva indietreggiare sempre di più cercando di isolarsi dal gruppo. Non poté fare altro che stringere forti le mani in pugni quando il detective avvicinava il viso di Shiho per stamparle un bacio sulla guancia, quando le camminava dietro avvinghiandosi a lei con le braccia, o quando la torturava dolcemente con piccoli spintoni alle spalle facendola saltellare di qualche metro. Avrebbe potuto fare lei lo stesso con Richard, sfruttarlo per fini personali ed emozionali ma gli risparmiò quest’ennesimo torto, dando ascolto alla sua coscienza.  
“Dovremmo esserci, è lì!” disse la piccola Ayumi, salutando con frenetico gesto della mano i suoi amici già sul posto, Mistuhiko e Genta. Gli altri si affrettarono a scendere, arrampicandosi tra le rocce che sporgevano e rendevano difficoltoso il passaggio. Ran si voltò verso Shinichi, osservandolo prendere in braccio Shiho ed aiutarla a saltare giù per quegli enormi sassi, sorridendole dolcemente.
Ma non sa scendere da sola...
“Conan?” esordì Genta, con voce ingenua “hai portato quello che ti avevo detto?” domandò a Kudo, avvicinandosi a lui, curioso. A Ran scappò un sorriso, mentre nella sua mente si facevano spazio immagini di tempo prima, donandole per assurdo un grande senso di nostalgia.
“Non mi chiamo mica Genta!” disse Shinichi, poggiandogli una mano sulla testa, dondolandogli il capo.
“Conan puoi venire un attimo qui?” chiese in lontananza Mistuhiko, intento a montare le ultime tende rimaste. Shinichi si staccò da Shiho per avvicinarsi al piccolo amico, chinandosi verso di lui con la schiena, annullando le loro disparità d’altezza, proprio come erano un tempo.
“Perché lo chiamate Conan? E’ un nomignolo?” chiese a voce alta Richard, attirando l’attenzione dei presenti, nonché di Shinichi. Il gruppo si stava chiedendo se svelare il mistero o no, essendo una questione abbastanza privata e quantomeno segreta; ma ci pensò Kudo a risolvere l’enigma, con grande abilità.
“Sì, adoro Arthur Conan Doyle. Conosci?” gli chiese quasi sarcastico, mettendo alla prova le sue conoscenze letterarie.
“Strano, solo questi ragazzini ti chiamano così” dichiarò l’americano, sostenendo lo sguardo del detective che, nel frattempo, sistemata la tenda, si era riavvicinato al gruppo.
“E perché è come se per loro fossi stato una sorta di Holmes, sono dei piccoli detective” replicò ancora, con tono sicuro, deciso a sostenere ancora una volta quelle sfide verbali che l’americano si divertiva a lanciargli.
 “Ed io che pensavo vi riferisse a Conan Edogawa” sentenziò Richard, sogghignando.
“Conoscete?” continuò imitando il tono di voce di Kudo pochi istanti prima.
Calò il silenzio in quell’aria fresca di montagna, tanto che gli unici suoni che si udivano furono il frusciare delle foglie e il cinguettio degli uccellini che svolazzavano di albero in albero. I presenti mandarono lo sguardo a Shinichi, nella speranza di sapere cosa rispondere all’americano. I tre ragazzini sapevano bene che quella storia doveva rimanere celata, e che nessuno sarebbe dovuto venirne a conoscenza. Ran e Shiho si ammutolirono, chiedendosi come era possibile che l’americano conoscesse la versione rimpicciolita di Shinichi, che intanto, lasciando andare sul prato il martello che aveva tra le mani, si avvicinò a Richard, con sguardo indagatore.
“Tu come lo conosci?” gli chiese, con stizza.
“Tempo fa era molto famoso per le sue imprese con Kid, è impossibile non conoscerlo.”
“Lo è per un americano.” Sentenziò il detective, incrociando le mani al petto.
“Mi sono sempre chiesto come tu possa conoscere così bene il giapponese, Richard...”
“Sono venuto parecchie volte in Giappone e poi...” guardò Ran, quasi per ottenere conferma, sollecitandola ad intervenire nella discussione “mia madre è giapponese.”
“Tua madre?” chiese ancora Shinichi, cominciando a perdere la pazienza e il freddo razionalismo che lo distingueva.
“Sei sicuro? Il tuo cognome non mi sembra americano” gli rivelò di scatto, riportando a galla quella sensazione di stranezza avvertita al suono di quel nome. Richard Nekaie. Gli suonava fin troppo bene, quel nome. Richard si mostrò innervosito, ma seppe mantenere il controllo.
“Ho preso il cognome di mia madre e poi...” si avvicinò a Shinichi, distanziando i loro visi da una manciata di centimetri, carichi di scosse che si facevano padroni nell’aria come navi nell’oceano.
“E poi questo non è un interrogatorio, posso confermare” s’intromise Ran, spazientita da quel dibattito.
Shinichi fece una smorfia di stupore, per poi dare le spalle a Richard, allontanandosi dai presenti. Il pomeriggio passò tranquillo e silenzioso, e mentre Kudo e Nekaie evitavano di proposito di scontrarsi, per non dare vita ad ulteriori lamentele, Ran continuava a lanciare occhiate nei confronti di Shinichi e Shiho, vedendoli ridere e punzecchiarsi nel montare la loro tenda, fin troppo piccola per due persone. Per dormire avrebbero dovuto stringersi l’uno all’altro, e ciò non le andava per niente a genio, sebbene nella sua mente era convinta della loro relazione. Le tornò in mente il viso di Shinichi che lentamente si avvicinava al suo, in quell’insolita sera dopo il caso, quando il detective si era mostrato sfacciato e superbo nei suoi confronti, provando a baciarla.
“E non mi dai neanche un bacio?” Ancora quelle parole, ancora quelle labbra e quel profumo. Come poteva quel ragazzo attrarla in tal modo, rimaneva un mistero al quale mai avrebbe potuto trovare spiegazione. Era bello, bello da far male a chi gli stava intorno, ma non bastava. Era intelligente, un genio delle deduzioni e un’enciclopedia portatile, consultabile in qualsiasi momento. Era coraggioso, non conosceva il prezzo del pericolo e non si tirava mai indietro di fronte a date situazioni. Ma forse, ciò non bastava per spiegare. Forse non esistevano spiegazioni a quell’eterna attrazione provocatole dal quel ragazzo. Da quel Shinichi. Abbozzò un sorriso, mentre il vento le scompigliava i capelli, fermandosi a fissarlo per istanti interminabili.
Era Shinichi, era lui con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, a stregarle gli occhi e l’intera anima.
Calò così la sera, accompagnata da un fresco venticello che si posava sulla pelle, raggelandola. Ran e Genta accesero il fuoco, aiutandosi con piccoli pezzi di legno che avevano recuperato nel bosco poco distante, aiutati da Shinichi che sistemò grandi tronchi d’albero a mo’ di panchina intorno al falò.
“Non sapevo che il tuo ragazzo mi conoscesse rimpicciolito” le sussurrò Kudo, ormai vicinissimo a lei. Ran sussultò, non accortosi della presenza del giovane alle sue spalle e portò lo sguardo a Richard, ricercandolo. Non vedendolo, riuscì a rilassare i muscoli, inebriandosi del profumo del detective, così dolce e forte allo stesso tempo.
“Neanche io, ma non mi sembra il caso di litigare” gli disse, portando gli occhi nei suoi.
“Non stavamo litigando, vorrei solo sapere qualcosa in più su di lui, tutto qui.”
“E perché ti interesserebbe?” gli domandò Ran, inarcando un sopracciglio.
“Mi sembra ovvio. E’ il mio successore” disse sorridendo “sarà all’altezza?”
Ran arrossì leggermente, mentre il detective le regalò un occhiolino. Decise di sostenere il gioco, mettendosi a ridere.
“Oh, Kudo, sono tutti alla tua altezza.”
“Mi stai sottovalutando piccola” continuò a lui, ghignando.
Piccola... pensò Ran, arrossendo mi ha chiamato piccola...
“Shinichi puoi venire un attimo qui!?” si girarono entrambi, portando lo sguardo verso Eisuke, che impacciato, stava litigando lui ed il legname, tentando invano di domare il fuoco. Shinichi sorrise, staccandosi da Ran, rimasta immobile al suono della parola ‘piccola’.
Suonava così bene, così dolce, così maliziosamente. Piccola...
“Aspetta, aspetta!” disse Kudo, frenando Eisuke “Stai mettendo troppo legno, la fiamma è già alta.”
“Non sei cambiato di una virgola eh?” gli disse Shinichi, alludendo alla sua eterna natura impedita nel compiere qualsiasi cosa.
“Nella CIA mi hanno istruito abbastanza, ma non ci sono riusciti a rendermi più spigliato” ammise sorridendo, portandosi la mano nei capelli. Il detective ancora non riusciva a spiegarsi come la CIA aveva potuto prendere Eisuke Hondo come loro agente. Gli voleva bene sì, ma non ce lo vedeva proprio con una pistola in mano.
“A proposito, ancora non mi hai detto perché sei tornato” continuò il detective, prestando massima attenzione al falò. Hondo si avvicinò a lui, in modo tale che la conversazione non fosse ascoltata da nessuno tranne che da Kudo, che aprì bene le orecchie, dedicandosi alle parole dell’amico.
“Sono qui per un’indagine” gli rivelò, con sguardo preoccupato.
“Indagine?”
“Abbiamo rilevato in America ingenti spostamenti di denaro, e siamo abbastanza preoccupati che si possa trattare di traffici illeciti” continuò ancora, facendo incuriosire il moretto.
“Avete nomi?”
“Sì” si fermò un attimo, sospirando un attimo “Toichi Kemerl.”
Shinichi serrò le palpebre e spalancò la bocca, incredulo. “Cosa!?!”
Toichi Kemerl?! *

 
*Per chi non lo ricordasse... Capitolo 11: Crepe e luci
 
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Ho aggiornato! Ce l’ho fatta!!!!! :DDDD
Non potete immaginare che fatica in questi giorni! Compiti, interrogazioni, simulazione terza prova! Ahhhhh, si salvi chi può!!! :S Cooomunque, alla fine tra ieri ed oggi ho avuto un po’ di tempo libero e mi sono dedicata alla mia adorata fanfiction! Siamo al quattordicesimo capitolo e... immagino... non capiate niente più! XDDD No dai, effettivamente questo capitolo lascia un po’ così: O___O però dai, sopportatemi! xD
Ma cosa ne pensate del fatto che i Detective Boys chiamino ancora Shin Conan? A me sembrava dolce come cosa, quasi come se mai volessero dimenticare quel loro amico occhialuto! :)
Ok, ditemi le vostre impressioni e commentate, recensite, quello che volete!!!
 
Naturalmente devo ringraziare i recensori dello scorso capitolo:
Il Cavaliere Nero, Dony_chan, M e l y C h a n, frangilois, Martins, ciccia98 e Yume98!!!
Ma quanto vi amo? ♥
Ringrazio anche chi l'ha aggiunta tra le preferite/seguite.  
Va bene, ora vi lascio.
Alla prossima!
Tonia =DDDDD
 
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Capitolo 15
*** Tentazioni: Nutella e Cioccolato bianco ***


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Tentazioni:
Nutella e Cioccolato bianco

Quindicesimo capitolo
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Crepe.
Shinichi.
Luce.
Crepe.
E ancora Luce.
Si alzò di scatto, prendendo a respirare rumorosamente, alternando lunghi sospiri a rapidi tremolii che le percorrevano il corpo.
Ancora quell’incubo. Ancora quel sogno, quel viso e quella fioca luce che lentamente tentava di espandersi.
Portò lo sguardo alla sua destra, benedicendo il Signore per non aver svegliato Richard che, preso nelle braccia di Morfeo, non sembrava essersi accorto dei suoi continui spasmi lungo il sonno.
Si voltò verso la piccola apertura della tenda, socchiudendo gli occhi per l’accecante luce che ne derivava. Comprese che era mattina, e che presto si sarebbero alzati tutti gli altri. Si sollevò lentamente, evitando di  fare bruschi rumori, e uscì dalla tenda, imbattendosi nella fresca aria mattutina di montagna, rilassante ed energizzante. S’incamminò verso il piccolo tavolo che avevano lasciato scoperto la notte prima, sul quale avevano poggiato la carne arrostita e le bibite, durante il falò.
Sì, proprio quel falò. Attorno a quell’ammasso di fiamme aveva rotto la bellezza di cinque unghie, per poi spezzarne delle altre. Il nervosismo le aveva pervaso il corpo, mentre una fitta continua al petto le perforava lo sterno. Se c’era qualcuno capace di innervosirla a tal punto, poteva essere solo Shinichi Kudo e i suoi piani diabolici, di cui lei non era minimamente a conoscenza. Non poteva immaginarsi che il suo ex fidanzato e amico di sempre tentava appositamente di istigare la sua gelosia in modo da indurla a reazioni involontarie e irrazionali, che invano la giovane cercava di sopprimere.
Maledizione a te Shinichi!
Le tornò in mente il detective, il suo comportamento ambiguo e provocatorio coronato da quella parola, così dolce e stupida al tempo stesso, ma capace di assumere mille e più significati se a pronunciarla fosse proprio lui.
“Mi stai sottovalutando, piccola.”
“Piccola” Ripeté a voce alta. Quel sorriso, quegl’occhi, quelle labbra.
Il mondo si fermava quando i suoi occhi incrociavano l’oceano che racchiudeva quello sguardo.
Diamine, era perfetto.
Sono ufficialmente uscita fuori di testa...
Sospirò profondamente, nel tentativo di imporsi raziocinio e lucidità. Ma per quanto si sforzasse, non era capace di cacciarlo via dai suoi pensieri, non riusciva a non desiderarlo, a bramarlo nonostante il male che avesse patito.
Si dice che l’unico modo per sfuggire alle tentazioni, è cedervi. Lei però ce l’avrebbe fatta. Avrebbe resistito, si sarebbe comportata da adulta, da donna, da Ran. Non poteva quel detective essere così importante e così incisivo nei suoi confronti. Non poteva. Non doveva...
“Buongiorno.”
 Si girò di scatto, presa com’era nelle sue elucubrazioni, ritrovandosi di fronte Shinichi, con un sorriso smagliante e con le mani nelle sacche del bermuda che indossava. Sembrava assonnato; aveva gli occhi un po’ gonfi e i capelli ribelli svolazzanti da tutte le parti, eppure nonostante gli effetti della dormita, per Ran sembrava la più bella delle opere d’arti.
Come se fosse facile resistergli...
“Ciao” rispose timidamente, abbassando lo sguardo per evitare di guardarlo e perdersi a fissarlo, come di consueto faceva. Sentì il giovane avvicinarsi, e poggiarsi al piccolo tavolo sul quale la ragazza stava preparando la colazione, addobbandola di cibi e bevande varie, dal retrogusto dolciastro.
“Come mai già sveglia?” le chiese dolcemente, per poi sbadigliare, portandosi una mano sulla bocca.
“Ehm... è mia abitudine preparare la colazione, mi piace.” Rispose, non molto convinta, portando la mente a quell’incubo che le abitava le notti. I sogni son desideri, diceva Freud; in quel momento le avrebbe fatto davvero comodo uno psicoanalista, per tentare di esplorare quell’incasinato cervello che possedeva.
“Sì, lo so, la facevi spesso anche a me” le ricordò Kudo, sorridendole. Dio, quanto era bello quel sorriso capace di spegnere i tormenti. No, probabilmente, non poteva resistergli.
“Sì,...amavi le brioche con la nutella ed il cioccolato bianco” continuò lei, sfociando in un sorriso spontaneo, che tanto sapeva di amarezza e nostalgia. La nutella, dal gusto inimitabile ed intramontabile, praticamente irresistibile. Il cioccolato bianco, dolce e saporito, da non volerne mai smettere. Non era un caso che lui e lei, Shinichi e Ran, fossero totalmente in simbiosi tra loro.
“Amo!” la riprese, guardandola intensamente.“Certe cose non si smettono mai di amare.”
Ran perse un battito del cuore al suono di quella frase, demolendo ogni sorta di barriera o guscio che aveva eretto precedentemente, cercando di proteggersi da eventuali sofferenze future, che proprio non voleva sopportare. Deglutì dall’imbarazzo, lanciando lo sguardo sul tavolo, fingendosi impegnata nel farcire i cornetti. Del resto, una parte di lei le diceva di saltargli addosso e mangiarlo di baci, tanti da saziare la fame che sentiva; l’altra le ordinava di scappare via più lontano possibile, fuggire da quegl’occhi, che altro non erano che fonte di problemi e dolore.
“Ehm, s-sì...” balbettò, bleffando. Shinichi le si avvicinò lentamente, tentando con la mano di toccare le sue dita, così sottili e slanciate. Il cuore di Ran incominciò una frenetica corsa, alimentando il nervosismo e il disagio avvertiti in quel momento, che non desideravano nient’altro che sciogliersi tra le braccia del ragazzo, come neve al Sole.
“Ora però hai la tua ragazza... a farti preparare la colazione” gli disse con una punta di gelosia, facile da captare per chiunque, figuriamoci per un detective come quello che aveva di fronte.
“La mia ragazza?” domandò sorridente, mentre la gioia sprizzava da tutti i pori della sua pelle. Era gelosa, e questa ne era la conferma. Sostenne il gioco divertito, mantenendo sempre la mano nella sua. Quel tocco era così delizioso che mai avrebbe lasciato la presa.
“S-sì.”
“Ah, allora quando la incontri, presentamela!” le sorrise il detective, mentre Ran lo guardò sconcertata e sorpresa. Ma allora, lui e Shiho non erano fidanzati?
“Shiho... n-non state insieme?” domandò diretta ed incuriosita.
Shinichi scoppiò a ridere, lasciando andare tutto il nervosismo che aveva accumulato in quelle ore. Richard con Ram, le frecciatine che era solito mandargli il ragazzo, il piano di Shiho... tutto nel giro di un giorno. La situazione era diventata alquanto insostenibile. Quello, era il momento giusto per risolverla...
“No... perché lo pensi?” le domandò, mentre il sorriso sul suo volto non tendeva a scemare. 
“E-ehm no... vi ho visti in atteggiamenti molto... intimi, ecco..” rivelò all’amico, imbarazzata.
Il ragazzo le si avvicinò sempre di più, facendole alzare lo sguardo indirizzandolo verso quegl’occhi blu oceano. Ran sussultò, sentendolo estremamente vicino.
“Non fare la gelosa...” le sussurrò all’orecchio, mentre una scia di brividi le percorreva il corpo, immobile e gelido.
“N-non sono g-gelo-” cercò di rispondere alla provocazione, invano.
Shinichi le si parò dietro, stringendola in un abbraccio dolce e deciso, al quale Ran si abbandonò completamente, socchiudendo gli occhi. Poté sentire sulla sua schiena il tocco dei muscoli del ragazzo, quando tutto il suo corpo, pervaso da eccitazione e piacere, veniva a contatto con quello di Kudo. Il detective si avvicinò con le labbra alle sue spalle, sfiorandole la pelle e poi la clavicola scoperta, per poi risalire lungo il collo, molto lentamente. Le baciò dolcemente la mandibola, esortato dalla ragazza, che seppur immobile, sembrava non opporre resistenza. Le sfiorò la guancia arrossata e raffreddata dal venticello che si posava sulla pelle, viziandola in una scia di brividi che violentemente le elettrizzavano il corpo. Totalmente succube e vittima di quei baci, Ran pregò Dio che il ragazzo non potesse sentire il suo cuore, che batteva violentemente all’interno del suo corpo, provocandole un tremolio generale ed un instabile equilibrio motorio. Persa in quell’abbraccio, abbandonò completamente il senso della ragione, lasciandosi andare ai suoi istinti e ai suoi desideri. Dando ascolto solo alle emozioni, che altro non facevano che premerla verso il corpo di Shinichi, si voltò verso di lui poggiando il seno sul petto del ragazzo, e portando le braccia sul suo dorso, accarezzandolo con forza. Il giovane, sorpreso ed eccitato da quell’acquisita posizione, continuò a baciarle il collo, per poi fermarsi sull’orecchio. Le sue labbra si muovevano con maestria e delicatezza, mentre la voglia di lui per Ran saliva alle stelle, sbaragliando confini e tempo. Quattro anni sprecati in lontananza e dolore, in incomprensioni e desideri smorzati. A distanza di tutto quel tempo si ritrovavano da soli, in cima ad una montagna, avvinghiati l’uno all’altro, con la voglia di non perdersi più. Sembravano attratti da qualche calamita, che dolcemente li scagliava l’uno contro l’altro.
Le loro labbra si sfiorarono un paio di volte, accrescendo quel desiderio di possesso che entrambi provavano. Completamente in balia di Shinichi, Ran tremò nell’avvertire le loro labbra toccarsi.
“Ah! Che bella dorm-” spezzò l’atmosfera con voce assonnata, Eisuke, che alzatosi da qualche secondo restò fermo e stupito per ciò che i suoi occhi sembravano vedere.
“C-continuate pure!” disse, serrando le palpebre “I-io me ne v-vado.”
I due, accortosi della presenza del ragazzo, si allontanarono con forza, dimenandosi con le braccia.
“N-non stavamo f-facendo n-niente!” lo fermò e cercò di precisare con voce alta Ran, arrossendo violentemente.
“Ehm” balbettò il giovane, arrossito a sua volta, portando lo sguardo a Shinichi, immobilizzato dall’imbarazzo. Poi si schiarì la voce e scoppiò a ridere, in modo da stemperare la tensione.
“Non preoccupatevi per me, non c’è bisogno di spiegare niente” chiarì, con un grande sorriso sulle labbra.
“Non c’è da spiegare perché non è successo niente!” ribatté ancora la ragazza, colorata di toni rossastri.
Oddio... Deglutì, cercando il controllo. Oddio! Stavo per baciare Shinichi...
Sospirò ancora, evitando appositamente di guardare il giovane che le era accanto. Che diavolo mi è preso?!
“Oh, buongiorno! Cos’è questo baccano?”
Ran spalancò gli occhi, portando lo sguardo alle spalle di Eisuke. Quella voce era di Richard, dietro al quale vi erano Shiho e i ragazzini. Sentì il suo corpo tremare dalla paura, immobilizzandosi dal terrore. E se Richard avesse visto ciò che stava per fare? Si maledì mentalmente, sforzandosi di sorridere per evitare di far almeno intuire al partner ciò che realmente stava succedendo.
“Amore ciao, ho preparato la colazione” disse, con voce falsa, facendo storcere il naso a Shinichi, infastidito. Il detective era colmo di felicità al suo interno, ma non poteva esternarla, doveva sopportare e continuare a sopprimerla. Il fugace tocco con le labbra di Ran gli aveva fatto toccare il Paradiso, gli aveva fatto capire quanto fosse diversa lei dalle altre, quanto fosse ancora importante. Era l’unica che lo faceva sentire così, l’unica capace di fargli battere forte il cuore dall’emozione per un semplice bacio. Non poteva sapere, né immaginare, quanto le sue stesse sensazioni le provasse anche la ragazza, che finalmente si era lasciata andare. Purtroppo però, sembrava non essersi risolto nulla. Quello sbruffone di Richard era ancora lì, vicino a Ran. Lui aveva il permesso e l’opportunità di poterla baciare in pubblico, senza alcuna esitazione. Lui era il suo fidanzato, quello ufficiale. Sarebbe rimasto Shinichi Kudo una semplice riserva? Amava giocare da titolare, poiché la panchina non gli apparteneva di certo. Ma con Ran? Lei, che provava? La osservò in piedi, trovandola meravigliosamente bella. Se solo non fosse arrivato Eisuke... loro, loro si sarebbero baciati. E nulla più li avrebbe disturbati. Dall’altra parte del tavolo, poggiata ad una sedia, Ran osservò i presenti mangiucchiare i cornetti da lei preparati poco tempo prima. Prima che Shinichi le si piombasse addosso, e prima che lei perdesse ogni sorta di razionalità o lucidità. Ancora non riusciva a spiegarsi perché non era riuscita a respingerlo, e come mai si sentiva così bene appoggiata al suo corpo caldo, ai suoi muscoli, alla sua schiena. Portò le dita al labbro, sul quale ancora avvertiva il leggero tocco delle labbra del detective, che presto avrebbero invaso la sua bocca se solo non fosse arrivato Eisuke.
L’unico modo per sfuggire ad una tentazione, è cedervi? Beh, lei si era ceduta, ma non ne era sfuggita. Ne avrebbe voluto sempre di più, nonostante non lo avrebbe mai ammesso. E poi, si sentiva un diavolo nei confronti di Richard, un’arpia, un verme. Il suo comportamento era meschino e subdolo, scorretto nei confronti dell’americano. Si voltò verso Shinichi, arrossendo nel costatare che anche lui la stava fissando. Lo vide abbozzare un sorriso, per poi allontanarsi, in direzione della sua tenda.
“Mmmm...” mugugnò Shiho, raggiungendo Kudo, e separandosi dagli altri.
“Cos’è quel sorrisetto?” gli chiese, indagatrice ed incuriosita. “Il piano ha funzionato?”
Shinichi ghignò di nascosto, evitando di incrociare il suo sguardo. In cuor suo aveva la consapevolezza che il piano aveva funzionato, e ciò lo faceva sentire al settimo cielo. Inoltre, lo rendeva più felice la certezza che la sua Ran stava per tradire quell’americano, con lui. Preferiva lui, a prescindere da tutto.
“Mmm.. forse.”
“Bene, allora avevo ragione io.”
“In che senso?” le domandò Kudo, inarcando un sopracciglio.
“E’ gelosa di me” replicò lei, abbassando lo sguardo “nonostante non sappia quello che è successo tra noi.”
 
•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•
 
“Ran, siete tornati!” esclamò Kazuha, andando incontro ai suoi amici.
La giovane annuì sconcertata, cercando di non far trapelare attraverso parole di troppo o espressioni ambigue ciò che le era successo quella stessa mattina. Quel quasi bacio, quell’impercettibile tocco di quelle labbra, non riusciva proprio a toglierselo dalla testa; era congelato, immortalato come una foto d’altri tempi.
“Ti è passata la febbre?” le chiese bonariamente, passandole la mano sulla fronte.
“Ehm, sì..” rispose la giovane di Osaka, arrossendo. Abbassò poi lo sguardo, afferrando e strattonando con forza il braccio di Ran, trascinandola altrove, lontana dagli altri. “Ti devo parlare!”
Le ragazze percorsero il corridoio di fretta, entrando nel primo bagno disponibile. Non c’è posto al mondo migliore di una toilette per raccontare di noi. E come se ci sentissimo protetti, perché quel luogo è inviolabile. Intimo. Kazuha chiuse la porta a chiave, sbattendola con decisione, tanto da far preoccupare Ran, che la guardò basita.
“Kazuha, ti senti bene?”
“Ran...” cominciò la ragazza, con le punte degli indici in contatto.
“Sì?”
Kazuha alzò lo sguardo verso l’amica. La giovane intravide nei suoi occhi una luce nuova, un senso di felicità e di serenità che da parecchio tempo aveva perso, e mai più sembrava ritornare. Poi, di nuovo Heiji; poi, di nuovo Kazuha.
“Ho fatto l’amore con Heiji!” disse, di scatto, dopo aver preso abbastanza fiato.
“Cosa?!” Ran spalancò gli occhi, portando le braccia in avanti.
“Sono troppo, troppo felice per te!” continuò la giovane Mouri, stringendola in un abbraccio infinito, in uno di quelli che ti tolgono il fiato.
“Stiamo insieme... stiamo di nuovo insieme!” esclamò quasi lacrimante Kazuha, forgiando un bellissimo sorriso, carico di felicità.
“Ehi aspetta...” la guardò Ran, con aria maliziosa. “Non è che hai fatto finta di sentirti male!?”
“Ehm..”  cercò di replicare la giovane, guardandola con aria sospetta. “Diciamo che..ecco, vedi...”
L’amica scoppiò a ridere, dandole uno spintone, facendola salterellare di qualche passo.
“Ragazze tutto bene lì dentro?!” chiese da fuori la porta Heiji, bussando continuamente.
“Sì, sì! Benissimo direi” rispose, ancora ridente, Ran. “Usciamo che sennò si preoccupano!”
“Che diamine neanche in bagno si può stare tranquilli” esclamò Kazuha, ghignando.
Le due ragazze si ritrovarono fuori nel giro di pochi secondi, di fronte un Heiji stranito con aria incuriosita.
“Che facevate lì dentro voi due?”
“Niente. Piuttosto te, testa di rapa, perché non ci lasci in pace?” ribeccò scherzosa, la fidanzata.
“Non vorrei sai... che questa scema si perdesse!” disse, battendo la mano sul capo di Kazuha.
La ragazza arrossì, ma come era abituata a fare, continuò il suo battibecco con Heiji, punzecchiandosi come facevano un tempo, e come avrebbero fatto sempre da quel giorno in poi. Per loro, tutto era tornato come prima; non era passato un singolo giorno, né una sola ora, né un solo minuto. Avevano ripreso tutto nel modo in cui l’avevano lasciato.
“Vedi? Certe cose non si smettono mai di amare.”
Quella voce fece voltare Ran, che sussultò. Shinichi. Incrociò i suoi occhi cristallini e le sue labbra. Quelle labbra. Il solo pensiero del loro quasi bacio le mandava in tilt il cervello e l’intero corpo. Quanto avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, e non lasciarlo più. E non soffrire più.
“Come la Nutella.” Continuò lei, sorridendogli.
“...E come il Cioccolato bianco.”

 
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Mie carissime lettrici adorate! Penso che questo capitolo vi sia piaciuto abbastanza! XD Ah, credo si sia capito ma.. allegoricamente, la Nutella ed il Cioccolato bianco sono Shinichi e Ran. Sì, solo io potevo fare un paragone del genere! XDXDXD Sopportatemi!
Coooomunque, quanto odiate Eisuke adesso?! XD Ma no, povero puccio, lui non c’entra niente, anzi forse ha salvato la situazione dall’arrivo imminente di Richard!!! =D E poi, ve l’aspettavate, Heiji e Kazuha? Eh? Credo di no! XD
Va bene, ho già parlato troppo! Vi lascio commentare.
P.s. quanta fame vi ha messo il titolo?!! :DDD
 
Grazie ovviamente a chi ha recensito lo scorso! Ovvero: Dony_chan, frangilois, Martins e ciccia98! Bacioni!
 
Alla prossima readers! Ed auguri a tutte le donneeee!!!
Tonia! =)

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Capitolo 16
*** Rivelazioni ***


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Rivelazioni
Sedicesimo capitolo

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“Hai il dovere di raccontarci tutto, per filo e per segno!”
La voce acuta di Sonoko rimbombò nella stanza, arrivando alle orecchie delle due giovani presenti, sdraiate sul lettone matrimoniale. Avendo obbligato i maschietti in missione ‘spesa’, con tanto di lista chilometrica delle cose da comprare, le tre amiche avevano deciso di rinchiudersi in casa, dedicandosi al relax.
Ciò risultava impossibile per la Mouri che, a differenza dell’ereditiera, sembrava poco interessata ai particolari della vicenda; nonostante le sarebbe piaciuto sapere il modo e la dinamica con cui l’amica era riuscita a far di nuovo breccia nel cuore del detective, i pensieri sembravano tutti inglobarsi in un punto fisso, che rispondeva al nome di Shinichi Kudo.
“Siamo mancate per qualche ora, e subito sei andata al sodo eh!?” insistette ancora, maliziosa e sorridente.
“I-io n-non ho fatto niente!” s’intromise nel discorso Ran, inconsapevolmente non diretto a lei. Era talmente distratta nei suoi ricordi della stessa mattina, da staccarsi momentaneamente dal mondo che la circondava, udendo le voci come semplici rumori tonali, e le immagini come sfondi d’astrazione.
Sonoko e Kazuha, dopo essere arrossita per le richieste dell’amica, si voltarono nella direzione di Ran, con sguardi sconcertati. La guardarono per un po’, sbattendo le palpebre continuamente.
“Non mi riferivo a te, Ran.”
“C-certo” cercò di replicare la giovane, bloccandosi in balbettii “e-ero s-sovrappensiero.”
Si grattò la nuca con la mano, fingendo un sorriso, sperando che le amiche non avessero dato troppa importanza a quell’improvvisa esclamazione. Nessuno avrebbe dovuto sapere quello che lei era stata per fare, quello di cui probabilmente si sarebbe pentita per tutta la vita. Ammetterlo alle ragazze era come ammetterlo a se stessa, era dichiarare apertamente che quell’investigatore tutto le era, tranne che indifferente. Avrebbe fatto di tutto per soffocare quegli istinti, che ogniqualvolta lo vedevano, la spingevano con voglia crescente e indomabile verso il corpo e le labbra di Shinichi, cibandosi del suono della sua voce, dei suoi respiri regolari e sensuali. Rivedere il detective aveva contribuito a mettere in disordine quel disordine che abitava la sua mente, ai tempi di New York. E adesso tutto prendeva senso, tutto seguiva una logica razionale, per quanto incomprensibile.
“Ran!” chiamarono Sonoko e Kazuha. “Ehi Ran...Ran!”
L’interpellata si girò verso di loro, balzando dalle nuvole. Pensare a Shinichi equivaleva a disconnettersi con il mondo, a viaggiare tra pensieri e tra ricordi, abbozzando sorrisi di compiacimento, sorrisi d’emozione.
“Non è che ci devi dire qualcosa?!” continuò Sonoko, ridacchiando.
“Eh?” inarcò un sopracciglio l’interessata, fingendo.
“Non nascondere...” ribadì l’amica, mentre Kazuha le punzecchiava i fianchi con il gomito, ghignando.
“Non nascondo niente” sbottò.
“E dai!” la esortò ancora Sonoko, tentando in tutti i modi di strappare qualche confessione a Ran, che nell’ultimo periodo, sembrava frequentemente in tensione, in ansia, come se qualcosa la turbasse.
“Cosa dovrei dirvi? Sentiamo.”
“Non so, non ci dici mai niente su te e Richard.”
Cara Kazuha, pensò rattristita Ran, Richard è l’ultimo dei miei pensieri adesso.
“Non saprei cosa dire...” ribatté, pensando ad un piano di fuga da quella situazione. Le adorava, ma a volte erano davvero impiccione.
“Come vi siete conosciuti?” chiese l’ereditiera, mettendosi a sedere con gambe incrociate.
“Lo conobbi ad Harvard. Affittammo io ed una mia amica un appartamento nel college, solo che, per necessità di denaro, dovemmo invitare altre persone, tra cui Richard.”
Alla rivelazione di Ran, anche Kazuha balzò sul letto, sedendosi.
“Quindi vivete insieme da allora?” le chiese, sporgendo il capo verso di lei.
“Sì. E’ come se non fosse cambiato niente, anche ora che viviamo da soli” continuò, rimanendo supina. Stiracchiò leggermente le gambe per risvegliare i muscoli, ed incrociò le braccia al petto, un po’ scocciata.
“Proprio niente... penso di no” le disse Sonoko, ghignando.
Ran si voltò verso di lei, assumendo un’espressione stranita. L’amica la guardò basita, e si schiarì la voce, sottolineando meglio il concetto.
“Dai Ran, mi riferisco a quello. Vivendo da soli... beh, avete tutta la privacy disponibile.”
La ragazza arrossì, alzandosi anche lei dal letto, con la delicatezza di un elefante.
“Io e Richard...beh, non... non facciamo niente” ammise, sincera.
Le due la guardarono stupite, con gli occhi fuori dalle orbite. E’ strano, anzi incredibile, pensare che due fidanzati che vivano insieme, non hanno quel genere di rapporti.
“Aspetta, e perché?” chiese Sonoko, incuriosita.
“Beh vedi... per me è troppo presto, ecco. Io non mi sento pronta al momento.”
Mordicchiò il labbro con i denti, in evidente imbarazzo. Le sue due amiche erano le uniche persone con cui riusciva a toccare certi argomenti, fin troppo intimi. In quel momento però, sentiva una strana sensazione di disagio, che presto avrebbe voluto mandare via.
“Santo ragazzo. Ti vuole bene davvero per aspettarti.”
Ran sussultò all’affermazione di Kazuha. Ti vuole bene davvero, pensò colpevole, inghiottita dai sensi di colpa.Scusami Richard...
“Ok, tesoro. E da quand’è?” la distolse Sonoko, con labbra incurvate.
“Cosa?” chiese, con voce quasi infantile.
“Che non fai l’amore!” esclamò, con voce ridente.
“Ma...ma...a te...che ti frega!” sbottò, paonazza. Girò lo sguardo per non incontrare i loro occhi indagatori ed insolenti, pullulanti di curiosità. Pregò Dio che non insistessero, e ricercò nei labirinti mentali un argomento per deviare il discorso. Fatica inutile, anche perché aveva di fronte la Suzuki, che in quanto a deduzioni amorose era molto più abile di un detective di sua conoscenza, momentaneamente assente.
“No, Ran, non dirmi che l’ultimo è stato Kudo...” disse, assumendo un atteggiamento speranzoso.
La giovane si colorò di mille tonalità di rosso, tendenti al viola. Non riuscì a proferir parola, in modo da tentare di rinnegare quella supposizione, tanto cruda quanto vera. Shinichi era stato il suo primo, ed il suo ultimo. Il suo corpo si rifiutava categoricamente di sostituire l’immagine dell’investigatore con qualcun altro, e conservava gelosamente quei momenti così intimi, così belli e dolorosi allo stesso tempo. E ciò era quello che le faceva più male. Andare a letto con Richard significava rimpiazzare Kudo da quel punto di vista, significava far subentrare nuove emozioni che, indipendentemente dalla persona, le avrebbero dato la possibilità di dimenticarlo, di condonare esperienze indelebili e indimenticabili. Perciò restò zitta, annuendo.
“Davvero Ran?” chiese Kazuha, mentre Sonoko si dimenava con le mani al cielo per tentare una grazia divina. Ancora una volta la ragazza confermò, tenendo sempre lo sguardo basso.
“Non sarai ancora innamorata di lui, vero!?”
L’interessata alzò lo sguardo, verso l’ereditiera. Gli occhi erano lucidi e sulle gote erano ancora intravedibile il rossore di qualche momento prima. Nuovamente, la giovane Mouri non riuscì a negare. Era così maledettamente difficile, così tremendo e complicato.
“Ran, ma...” cercò di continuare, interrotta.
“NON sono ... non lo so neanche io, ok!?” rivelò, ansimando.
“S-stamattina... addirittura, ero sul punto di baciarlo!”
“Che?!” esclamarono all’unisono le amiche, serrando le palpebre.
“S-sì” proseguì, annuendo. “N-non so cosa mi sia preso, m-ma non riesco a...”
“...a?” domandarono ancora insieme, in coro.
“A...a...” prese un sospiro, e mentre una lacrima le solcò il viso, aggiunse: “a resistergli.”
“Come siete serie. Di cosa parlate?”
Le tre si girarono verso la ragazza, ferma sulla porta della stanza. Shiho. Nel vederla, Ran ripensò a tutti gli atteggiamenti ambigui dell’investigatore nei suoi confronti, e nonostante le avesse assicurato che non stessero insieme, non riusciva a credere che quei due fossero soltanto semplici amici.
“D-di...s-sesso!” esclamò Sonoko, portando la mente all’ultima argomento trattato, prima della rivelazione dell’amica. La biondina si avvicinò a loro, mettendosi a sedere sul letto, stranamente interessata.
“Capisco” concluse, abbassando lo sguardo. “Sentiamo chi è la più attiva fra noi?” domandò, ridacchiando.
Sonoko portò lo sguardo a Ran, guardandola malevola. I suoi occhi sembravano dire ‘Lei, sicuramente no’ ma si trattenne dall’esplicitarlo.
“Che intendi?” le chiese Kazuha, bonariamente.
“Chi ha avuto più ragazzi...chi lo fa di più?” domandò, diretta. Ran rimase basita dalla naturalezza con cui la ragazza trattava l’argomento. Aveva sempre pensato che fosse strana, ma non fino a quel punto.
“Beh, io...” incominciò Sonoko, conteggiando le dita “Vediamo.. si, più o meno quattro, cinque.”
“Ah, abbiamo un’esperta! Ma con quanti sei stata?” le domandò l’amica, ridacchiando.
“Tesoro, le cose belle si fanno. Prima o poi moriremo, ed in Paradiso non c’è sesso!” esclamò, sfoggiando un riso che influenzò tutte le presenti.
“Ehm io, invece...” toccò a Kazuha, che impiegò meno di un secondo a rispondere. “Tre.”
“Oh!” esclamarono all’unisono le giovani, continuano a ridere.
“E poi, io passo per la poco di buono!” sbottò scherzosamente Sonoko, leggermente infastidita.
“Dai...vediamo se Shiho batte il tuo record!”
Le tre si girarono verso la bionda che, intanto, si bloccò. Spalancò gli occhi e poi si guardò intorno, deglutendo.
“Ehm, no.. non lo batto” ammise, abbassando lo sguardo. “Solo...due.”
“E chi sono?”
“Sonoko!” esclamò Ran, ridendo.
“Dai Shiho, noi non sappiamo niente di te” replicò, insistendo.
“Sonoko...ma se non vuole...”
“Per me non ci sono problemi” affermò, decisa. “L’importante è che sia lo stesso per voi.”
“Forza, dici.” Sogghignò l’ereditiera, straripante di curiosità.
“Il primo è stato Gin, anche se mi ha quasi...ehm, violentato.”
Calò il silenzio nell’ambiente quando le ragazze, alla notizia, si ammutolirono. Spesso dimenticavano che lei, precedentemente, era stata una donna in nero, complice anche se involontariamente di quell’organizzazione criminale sgominata da Shinichi. Condonavano soprattutto che ne aveva passate di cotte e di crude, e che mai sarebbero volute essere al suo posto. Palesemente rattristite portarono gli sguardi verso il basso.
“Cavoli. Ci dispiace.”
“O quello o la morte. Sinceramente, ho preferito vivere.”
“Spero che il secondo sia stato più... gentile!” le disse l’ereditiera, sdrammatizzando.
“Sì, decisamente di più.”
“L’importante è che sia lo stesso per voi.”Quelle parole echeggiavano nella mente di Ran che, silenziosamente, cercava di decifrarle. “Per me non ci sono problemi.”Problemi...l’importante è che non abbiamo problemi... si bloccò di scatto, spalancando gli occhi. Oh, no!
“E allora chi è? Lo conosciamo?!”
“Ehm...” si fermò per un istante, portando lo sguardo a Ran. Era pallida in viso ed il corpo era tremante, quella risposta non le sarebbe di certo piaciuta. Probabilmente aveva già intuito tutto, ma non si bloccò nel rivelarlo, ed aggiunse soddisfatta: “Shinichi.”
 
•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•~•
 
A telefono, con atteggiamento straordinariamente serio e glaciale, un uomo sulla trentina intratteneva una conversazione, particolarmente importante. Doveva mantenere la calma. Doveva aspettare.
“Tra quanto sarete pronti?” domandò, dalla voce fredda.
“Capo, il tempo di organizzarci. Qui in America c’è qualche problemino.”
“Ancora?!” sbottò, indiavolato.
“Sì, capo. Non possiamo fallire, lo sa benissimo anche lei.”
“Fallire?!” continuò con tono alto e deciso.
L’incredibile potere che esercitava su quegl’uomini lo faceva sentire figlio di un Dio, a cui nulla poteva essere contrariato. Spettava a lui lo scopo più arduo della sua vita, ma non ne era intimorito. Sapeva di potercela fare, sapeva che tutto sarebbe andato seguendo i piani. Il lavoro di tanti anni come la crescente voglia di vendetta, lo spingeva sempre più verso l’epilogo di quella storia. Mancavano poche settimane, ormai.
“S-sì, capo. Il n-nemico è temibile.”
“Temibile!? Fallire!?” continuò, mentre il suo interlocutore deglutiva dalla paura.
“Ma che razza di incompetenti ho preso?!” sbottò, irritato.
“Io non conosco la parola fallire! Ricordatevi che state parlando con Toichi Kemerl!”
 
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“SHINICHI?!?” urlarono insieme Kazuha e Sonoko, con occhi spalancati.
Ran invece restò zitta, con capo chinato e mani chiuse in pugni tremanti. Si sentì profondamente offesa... delusa, stupida ed offesa.
Lo sapevo... lo sapevo! Quel bastardo!
“Sì” affermò la biondina, inconcepibilmente tranquilla.
“Ma...ma...quando?!” domandarono ancora.
“Beh, non c’è da stupirsi visto che stanno insieme” inveì Ran, irritata.
Shiho la guardò stranita incurvando un sopracciglio. Kazuha e Sonoko la fissarono, serrando le palpebre.
“INSIEME?!?” continuarono, urlando.
“Sinceramente non so chi te l’abbia detto, ma non è assolutamente vero.”
Il tono calmo della Miyano fece alzare il capo a Ran, che rimase sconcertata. Incominciava a non capirci più niente di quella faccenda.
“E’ successo un anno fa, se ci tieni a saperlo.”
La ragazza restò senza parole, e nonostante le cercasse non le venivano. Non sapeva se esserne felice, o arrabbiata. Non sapeva se provare gelosia, o indifferenza. Non sapeva se invidiarla, inutilmente, o acclamarla. La sua anima era un groviglio di emozioni a cui mai avrebbe saputo dar nome.
“Ragazze?!” distolse l’atmosfera la voce di Eisuke, proveniente dall’altra parte della casa. Shiho, Sonoko e Kazuha si voltarono verso la porta vedendolo arrivare, con tanti sacchetti in mano. Capirono che erano appena tornati da fare la spesa, ed era il momento di mettersi ai fornelli per preparare la cena.
“Oh, siete qui! Presto, venite... abbiamo preso tantissime cose!”
Le tre si alzarono dal letto velocemente, mentre la giovane Mouri restò supina adagiata al materasso. Pensare che Shinichi si fosse dato ad un’altra le dava un infinito senso di fastidio, che non riusciva a sopprimere. Lui, lui...era stato tra le braccia di un’altra. Lui si era spinto oltre, con un’altra.
“Ran, non credere che Shinichi sia rimasto a secco senza di te, tutt’altro.”
BOOM! Un altro colpo in pieno petto. La voce fredda di Shiho le perforava lo sterno, mentre i suoi occhi stupidamente incominciavano a pizzicare, quando le lacrime cercavano di scendere. Era difficile, troppo, far finta che di lui non le importasse niente.
“Come pensavo, ne sei ancora innamorata.”
Ancora un colpo. Le sue parole facevano più male delle spine. Erano più taglienti delle lame.
“No! Non mi può interessare minimamente.”
Si sforzò di dire, sospirando. Innamorata? Che parolone. Dai, era ridicolo.
“Voi due? Avete intenzione di non mangiare?”
La sua voce.
Ran e Shiho si voltarono verso Shinichi che lentamente si avvicinava a loro. La biondina fece un segno con la mano, che l’altra non fece però in tempo a decifrare. In un istante la vide sgattaiolare via per il corridoio, lasciandoli soli. Soli per modo di dire, visto che erano circondati da una decina di persone, tra ragazzini e adulti.
“Vuoi restare lì ancora per molto?” le domandò, sorridendo.
“Ti interessa?” sbottò, ancora un po’ infastidita.
“Come siamo scorbutiche” continuò, incamminandosi verso di lei. “Ti ho fatto qualcosa?”
“No, niente” sbuffò, fingendosi annoiata. In realtà, era in tensione al solo pensiero di parlargli, dopo quello che era successo. Dopo quell’effimero tocco di labbra.
Shinichi dimezzò la distanza tra i loro corpi, stendendo un braccio verso di lei. Le prese la mano, aiutandola ad alzarsi lentamente dal letto.
“Eppure...stamattina non mi sembravi così scorbutica nei miei confronti” le sorrise, malizioso.
Ran arrossì, ma cercò di mantenere alto il gioco. Non gli avrebbe permesso di vincere quel match, mai.
“A volte posso essere molto... affettuosa” gli disse, con tono deciso.
 Il detective si avvicinò al suo orecchio, facendole il solletico. Quel respiro aveva la capacità di farla rabbrividire, ogni qualvolta si poggiava sulla sua pelle, ogniqualvolta le sussurrava qualcosa che rimaneva impresso nella sua mente, proprio come inchiostro sulla carta, era indelebile.
“Non sai quanto mi piaci quando sei così... affettuosa” bisbigliò, con dolcezza.
La ragazza deglutì, e avvampando distolse gli occhi da lui.
Sapeva bene che se l’avesse guardato, non ci avrebbe messo molto a saltargli addosso ed a continuare ciò che quella mattina avevano incominciato. Non poteva, doveva controllarsi, doveva riuscirci.
“E’ stato un caso raro, non succederà più... playboy” dichiarò, cercando di convincersene lei stessa. Il detective si distanziò da lei, sorridendo. Le bugie proprio non le sapeva raccontare, quella Mouri. Dopotutto, era cresciuta con lui, e con lui aveva imparato il culto della verità. Quella avrebbe vinto su qualsiasi cosa inevitabilmente, avrebbe sbaragliato confini e tempo, illusioni e doveri, tensioni e pensieri. Una forza indomabile, proprio come l’amore.
“Io sono convinto del contrario, piccola.”
“Come pensavo, ne sei ancora innamorata.”
Innamorata? Che parolone.
Stargli vicino la faceva arrossire, sì. La faceva tremare ed emozionare, sì. La faceva rabbrividire, bloccare. Le mandava il corpo in subbuglio, ed il cuore in tachicardia, sì.
Ed anche se non voleva, ed anche se non era giusto, ed anche se non era lecito.
Lei non ne era innamorata. Lei, ne era completamente persa.

 
 
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Sto aggiornando alla velocità della luce! Macché XD No, a parte gli scherzi, ho scritto questo capitoletto abbastanza velocemente... cosicché avrò tempo per dedicarmi al diciassettesimo! *___* No, non anticipo niente. :DDDD Lo so che vorreste tutti capitoli incentrati su Shin e Ran, ma abbiate pazienza, la storia deve andare avanti ù____ù Fatemi sapere che cosa ne pensare di codesto chap.. e dell’entrata in scena di Toichi Kemerl :D
 
Passo ai ringraziamenti...
Allora vorrei ringraziare coloro che mettono la fan fiction tra le seguite o preferite, anche se dimentico i nomi. =)

E poi, ovviamente, ringrazio i recensori del capitolo precedente:
frangilois, M e l y C h a n, ciccia98, Martins, totta1412.

 
Tesori miei, per il momento vi lascio. Ci vediamo al 17esimo chap, vi preannuncio, che vi piacerà... :D
Un abbraccio e a presto,
Tonia.
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Capitolo 17
*** Punto di non ritorno ***


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Punto di non ritorno
Diciassettesimo capitolo

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Il nervosismo sazia la fame, si sa. La nutre, lasciando a digiuno il vano tentativo di distogliere la testa dall’enorme rete di pensieri che tartassa il cervello. Ne era pienamente consapevole Ran che, seduta a tavola con Richard e gli altri, non aveva toccato cibo, né posate. I suoi sentimenti, per quanto involontari potessero essere, le avevano aperto avanti un tunnel dal quale non riusciva ad intravedere luce. E quella luce non poteva essere né Richard né Shinichi, ma l’acquisita consapevolezza di ciò che provava. In quel momento avrebbe voluto soltanto scavare nella sua anima, andare fino in fondo, portando in superficie la sua paura più grande, ciò che più temeva al mondo. Spostò il capo verso Richard, osservandolo; così, si rese conto di non essersi mai fermata a guardarlo sul serio. Notò nei suoi occhi, verdi come lo smeraldo, un senso di infinita frustrazione e odio, pronto a scoppiare in qualsivoglia momento. Era intento a mangiare bocconi di riso, con assoluta calma e lentezza, come se ne volesse gustare ogni minimo sapore. Richard non aveva difetti: era un fidanzato premuroso, attento, dolce, sensibile e fedele, non avevano mai litigato e sembravano fatti l’uno per l’altra. Amavano entrambi il giornalismo, passeggiate romantiche in riva al mare, e le cene a lume di candela. Probabilmente lui rappresentava ciò che tutte le donne aspirano nella loro vita, e mai riescono a trovare. Presa nei suoi ragionamenti, seguì la direzione dello sguardo del partner, ritrovandosi sulla figura di Shinichi, impegnato nel borbottare con Eisuke. Soffermandosi sul detective, fu pervasa da una sensazione indecifrabile, a cui mai sarebbe riuscita a dare nome o definizione. Non riusciva a fissarlo e non pensare quanto le piacesse, anche nei semplici atteggiamenti quotidiani. Shinichi indossava una t-shirt a giromanica, abbinata ad un jeans con alcuni strappi sulle ginocchia. Quei capelli scuri, scalati e ribelli, si posavano sugli occhi, accentuando l’immane contrasto tra l’azzurro cristallo di quello sguardo e la folta capigliatura mora. Il suo viso era praticamente perfetto, scevro di imperfezioni. La sua pelle era lucida ed uniforme, mirando ad esaltare le forme dei muscoli che scorgevano dalle braccia possenti. Nel guardarlo, cercò di sforzarsi nel cercare di capire il motivo per cui si era innamorata di lui quando era una ragazzina, e la causa di tutti i suoi tormenti. Shinichi era sempre stato forte e coraggioso, spericolato e razionale al tempo stesso. Su di lui potevi contarci, sempre. Stargli vicino ti riempiva di sicurezza, ed anche le paure più temibili andavano scemando. Lui riusciva a trovare una soluzione a tutto, per quanto il problema che si presentasse fosse difficile, per quanto non ci fosse più via di scampo. Ma probabilmente, aldilà di ogni altra cosa, lei era innamorata di come fosse quando si trovava con lui. Con Shinichi non aveva bisogno di maschere o di comportamenti forzati, non aveva bisogno di fingersi forte e donna; con lui, era libera di essere se stessa, e di questo ne gioiva. Lui la conosceva, sapeva cosa le passava per la mente, e certamente si era anche accorto dell’irrefrenabile attrazione che provava nei suoi confronti. Incominciò a domandarsi se fosse giusto lasciar perdere tutto solo per paura che il passato ritornasse, la sua paura più grande.
“Vado di là, non ho fame” disse a Richard, distogliendo lo sguardo dal detective. Si alzò lentamente dalla sedia, portando con sé il copri spalle in nero che aveva poggiato sulle gambe. Si diresse in corridoio, salutando i suoi amici con un cenno della mano.
“Vengo anch’io” le rispose lui, seguendola in camera.
I ragazzi presenti al tavolo continuarono a mangiare, gustandosi il dolce preparato da Ran, in occasione della cena. Tutti concordarono che la giovane Mouri era una vera maga in cucina, e che quei deliziosi manicaretti erano degni dei più grandi chef.
Anche Shinichi gustò con piacere la fettina di torta che aveva nel piatto, ascoltando il giovane Eisuke che, alla sua destra, gli parlava liberamente dei problemi inerenti al suo lavoro e dell’ultimo caso trattato, quello di Toichi Kemerl.
“E quindi sua moglie sarebbe venuta da te per cercarlo?” chiese il giovane Hondo, inforcando il pan di spagna.
“Sì, un paio di giorni fa. Domani incomincerò ad indagare su di lui, partendo dall’ufficio dove lavorava.”
“Ti ha dato qualche informazione particolare la moglie?”
“No, mi ha detto che presumibilmente è morto in un incidente stradale e che... odiava l’argento” gli disse Shinichi, con atteggiamento serio.
“Odiava l’argento? Che significa?” sbottò Eisuke, incuriosito.
“Non so, non ne ho idea” continuò, girando il capo a destra e a sinistra, facendogli intuire di brancolare nel buio.
“Noi abbiamo scoperto che traffica armi illecite, ma non riusciamo a trovarlo! Sembra... scomparire.”
“Come fate ad avere il nome?”
“Riuscimmo a seguire una traccia anni fa, che ci portò dritto dritto da lui” bisbigliò sottovoce il giovane e aggiunse, proseguendo: “Fu l’unica volta che lo vidi e che ci parlai, più o meno... tre anni fa.”
“Cosa vi siete detti?” domandò Kudo, interessato.
“Io ero a terra dopo che lui mi aveva colpito con la pistola. Così provai a chiedergli qual’era il suo scopo e lui m-...” si fermò, senza continuare, fissando il vuoto. Sembrava ripensare a quel momento in cui si era ritrovato faccia a faccia con il criminale, cercando di ricordare le parole che proferì in quell’occasione. Era un compito abbastanza difficile, contando che in quel frangente aveva una pallottola conficcata nel fianco.
“Ricordo che mi rivelò che per seguire il suo scopo avrebbe rinunciato alla sua stessa vita, perché il desiderio di vendetta era troppo grande” disse, guardando Shinichi.
“Vendetta?”
“Sì... odiava a morte qualcuno, che lui stesso definì come ‘argento arrugginito’...”
“Ma...l’argento non arrugginisce!” constatò Shinichi, sbottando.
“Che ne so io, lui gli ha dato quel nome!” continuò Eisuke. “Comunque, mi rivelò che presto nessuno avrebbe avuto più notizie da lui, ed infatti... sono tre anni che sembra scomparso.”
“Non è che sia morto sul serio?” s’intromise nel discorso Shiho, che da un po’ di tempo si era dedicata all’ascolto della conversazione. Eisuke dapprima la guardò sorpreso poi, avvicinandosi a lei, le sussurrò sottovoce:
“L’avevamo pensato, ma poi... qualche mese fa intercettammo una telefonata fatta da lui stesso, nel quale diceva: sono sempre più vicino a quell’argento arrugginito.”
“Ciò significava che gli era successo qualcosa che lo aveva portato sulla pista giusta” dedusse Shinichi. “Mi sembra un uomo enigmatico, che nasconde la sua vera identità sotto una maschera. La moglie ha asserito che nel suo lavoro non ha mai avuto problemi, e che addirittura molti lo temevano... ma c’è qualcosa che non mi convince...”
“Ehi, Kudo?” lo chiamò Sonoko, ridacchiando. Il detective si voltò verso di lei, e con un sopracciglio incurvato la invitò a proseguire. Conoscendola, Shinichi pensò che ne avrebbe detta una delle sue, con il solo gusto di divertirsi a punzecchiarlo.
“Quando ti dai una mossa?” gli chiese, mentre gli altri si girarono tutti in direzione dell’investigatore.
“Prego?” le domandò, non curante.
“Non fare il finto tonto, sai benissimo a cosa mi riferisco” continuò, mentre Kazuha trattenne un risolino, seguita da Heiji.
“Illuminami.”
“Dai Richard non c’è adesso, possiamo parlarne liberamente” gli sorrise, quando il giovane capì a cosa si stesse riferendo l’ereditiera. Effettivamente sì, la ragazza ne aveva detta un’altra delle sue.
“Anche se ci fosse non vedo il problema” replicò, mantenendosi indifferente.
“E proprio perché non ci sono problemi che vi mandate occhiatacce ogni due minuti?” gli domandò, sogghignando.
“E’ lui che mi fissa continuamente, cosa posso farci io? Sembra che ce l’abbia con me” rivelò il ragazzo, lasciando i presenti interdetti. Tutti ripensarono all’americano, constatando che ciò che il detective aveva detto era la pura e semplice verità.
“Ora che ci penso, sapete.. anche me fissa spesso” disse Eisuke, facendosi notare nel gruppo.
“Sì, ci ho fatto caso” ammise Shinichi, annuendo.
“Vi troverà carini!” continuò Sonoko, ridendo. Tutti gli altri furono contagiati dalle sue risate, mentre lei, successivamente, portò lo sguardo esclusivamente sull’ex compagno di classe, puntandogli l’indice contro.
“Quindi tu! Muoviti a combinare qualcosa con Ran!” bisbigliò quasi l’ultima parola, portando lo sguardo alla porta, sperando che né la ragazza né Richard apparissero in quel momento. Shinichi arrossì lievemente quando Heiji, con il gomito, continuava a punzecchiarlo malizioso.
“Scusa?” le chiese, fingendo di non aver capito.
“Kudo, ci hai preso per deficienti? Appena Richard scompare tu e Ran vi ritrovate vicini, così, per magia?” continuò, mentre i presenti continuare a ridacchiare.
“Non mi sembra.”
“Ma va’ va’!” recitarono all’unisono i suoi amici, con Heiji che diede uno spintone all’amico, mentre la cucina si riempiva delle risate rumorose del ragazzi.
“A quanto pare siete restati soli anche durante un caso, e Richard ovviamente ne è ignaro” continuò a punzecchiarlo Sonoko, appoggiata ancora dal ragazzo di Osaka.
“Non è successo niente, se è questo che vuoi sapere” borbottò Shinichi, infastidito dal fatto che sparlassero di cose talmente private in pubblico.
“Peccato.”
Shinichi la guardò malevolo, per poi mettersi a ridere. Decise di concludere lì quella conversazione, prolungatasi già troppo. Si alzò dalla sedia, e con la mano salutò i suoi amici, allontanandosi dalla cucina. Era intenzionato ad addormentarsi un po’, cercando di riposare la mente in quel miscuglio di tensioni e noia. Si diresse verso la sua stanza, quella che da due giorni condivideva con Shiho e con Ran. Camminando si abbandonò ai suoi pensieri, ripensando al loro quasi bacio di quella stessa mattina, quando tutto sembrava magico e perfetto; quando quel panorama che avevano davanti sembrava perdere ogni sorta di bellezza se ad essere vicini fossero proprio loro. Se ad importare fossero solo Shinichi e Ran.
“Lasciami stare” udì improvvisamente, nell’avvicinarsi alla camera. Riconobbe la voce di Ran, proveniente dall’interno, infastidita e scocciata. Accelerò il passo, scosso dalla voglia di sapere cosa stesse succedendo.
“No, togliti!”
“Dai Ran”
“Non voglio, spostati”
“Non fare la c-”
“Ma se ti ha detto che non vuole, piantala no?!” s’impicciò Shinichi, stizzito dal comportamento dell’americano. Fermo sulla soglia della porta, aveva visto il ragazzo allungare le mani sul corpo di Ran che, invano, gli chiedeva di smetterla. Strinse forte le mani in pugni, cercando l’autocontrollo. Non c’era niente che poteva dargli più fastidio che vedere quello sbruffone avvinghiato alla sua Ran, in atteggiamenti non troppo nobili per un uomo, che mai dovrebbe permettersi di imporre qualcosa contro la volontà della sua donna. Attirò su di sé l’attenzione di Richard che, in preda ad una crisi di nervi, lasciò andare la ragazza con un scossone e si avvicinò velocemente al rivale, con aria minacciosa.
“Mi hai rotto le palle!” urlò, indemoniato, mentre la partner cercava inutilmente di bloccarlo.
“Quando imparerai a farti gli affaracci tuoi, eh?!”
Shinichi non si mosse di un millimetro, anche perché la presenza incombente di quell’americano non gli faceva per niente paura e pensò che, se avesse dovuto dargli una bella lezione, forse quello era il momento giusto. Richard lo prese per il colletto della maglia, innalzandolo un po’, facendo preoccupare Ran, indecisa sul da farsi. I due si lanciarono occhiate di odio e disprezzo, mentre la rabbia di Nekaie arrivava alle stelle quando vide nascere sul viso di Kudo un sorriso beffardo.
“Non mi fai paura, imbecille.”
“Smettetela subito!” urlò Ran, cercando di bloccarli, a vuoto. I due infatti non le diedero ascolto e continuarono a trattenersi, pronti a sfociare in violenze che, fin da troppo tempo, desideravano. Richard avrebbe voluto spegnere quel ghigno perenne che era presente sulla faccia del detective, che troppo spesso vedeva intromettersi tra lui e la sua Ran. Shinichi avrebbe voluto ridimensionarlo, facendogli capire chi valeva, e che doveva tenersi lontano dalla sua Ran.
Era evidente che, l’astio che provavano, proveniva da una sola ragione: quella ragazza.
“Ti farò passare la voglia di sorridere” lo minacciò l’americano, furioso. Cercò di concentrare tutte le forze in un solo punto del suo corpo, la mano, e con tutta l’energia che possedeva tirò un pugno diretto nello stomaco di Kudo che però, prontamente e con riflessi pronti, riuscì a schivarlo, e con le braccia lo spinse lontano da lui.
“Cos’è non ci vedi? Io sono qui” lo provocò Shinichi, ghignando. “Ritenta, sarai più fortunato!”
Richard appariva come un cane rabbioso al quale era stato sottratto l’osso. Il suo sguardo emanava odio puro, fuso a scariche elettriche che si dimenavano nell’ambiente. Si avvicinò velocemente a Kudo, tentando di colpirlo in pieno viso.
“Fermo!” gli urlò Ran, paratosi davanti a Shinichi, proteggendolo con le mani spiegate. Il ragazzo si bloccò all’istante, e serrando gli occhi, vide la sua ragazza difendere l’amico, senza esitazioni.
“Ma che diavolo fai?! Lo proteggi?!” sbottò il fidanzato, rosso dalla rabbia. I suoi capillari sembravano essere scoppiati per l’elevata circolazione del sangue, mentre invano cercava di calmarsi con dei lunghi sospiri. Non avrebbe mai voluto far del male a Ran ma era troppo grande l’affronto che gli stava facendo.
“Siete degli stupidi!” gridò, rivolgendosi anche a Shinichi. “Sembrate dei bambini!”
La ragazza si allontanò dai due, chiaramente infastidita e turbata. Richard borbottò qualcosa di strano, che il detective però non riuscì a comprendere. Rimase per alcuni secondi in stanza con l’americano, guardandolo con occhi di sfida, pieni di soddisfazione. Ran gli aveva dato dello stupido ma lo aveva difeso, ed anche se non ne avrebbe avuto bisogno, gli faceva più che piacere.
“Ho bisogno di una bella dormita” sbadigliò rumorosa Shiho, entrata in pochi secondi nella camera. Nel vederla arrivare, Shinichi scrutò l’orologio, capendo che si era fatto abbastanza tardi, ed era ora di andare a letto, anche perché il giorno seguente li avrebbe aspettati un lungo viaggio per il ritorno a casa. Improvvisamente sembrò che quella tensione creatosi tra lui ed il fidanzato della sua ex era scemata, alleviata dal calare della notte. Nel giro di pochi minuti vide tutti i suoi amici rintanarsi nei letti per addormentarsi, compreso Richard che non badò minimamente a Ran, ancora non rientrata dopo lo sfogo. Si girò più volte sul materasso, portando lo sguardo al letto di fianco al suo, cercando la ragazza con gli occhi. Non vedendola, decise di alzarsi nel buio più totale della stanza, e si incamminò lentamente verso la porta, dal quale proveniva una luce soffusa. Attraversò il corridoio dell’appartamento, aprendo con delicatezza il portone d’entrata, evitando rumori sconvenienti.
Si ritrovò davanti il campus, in pieno silenzio notturno, attraversato da un lieve venticello che scuoteva le foglie degli alberi più alti. Percepì un brivido di freddo, tant’è che portò istintivamente le mani sulle braccia, nel tentativo di coprirsi. Diede delle lunghe occhiate nei dintorni, cercando Ran, pronto a chiederle scusa per il suo atteggiamento infantile. Nonostante l’avesse fatto per lei, probabilmente non le faceva piacere ricevere da lui certi tipi di attenzioni, anche perché era fidanzata e non sembrava avere intenzioni strane riguardo loro. Tranne per quel quasi bacio, che ancora non riusciva a togliersi dalla testa. Portò lo sguardo in alto, accecato dal bagliore della luna piena, che si ergeva nel cielo mostrando tutta la sua bellezza. Ricordò con piacere, misto a nostalgia, che quello spettacolo celeste era il loro preferito. Amavano osservare il plenilunio, cullandosi nell’atmosfera che dolcemente si creava in quell’istante. Nel camminare, scorse poco più distante una figura familiare, accovacciata ai piedi di un albero.
Eccola...pensò, e vedendola s’incamminò verso di lei. La ragazza lo vide arrivare dall’oscurità dell’ambiente, illuminato dai raggi lunari, che altro non facevano che mettere in risalto quei suoi bellissimi lineamenti resi argentei dal potere della luna.
“Vuoi trascorrere la notte qui?” le chiese, cercando di non trasmettere la sua preoccupazione. Credé che la ragazza si sarebbe comportata bruscamente, infastidita dalla sua presenza dopo la lite con il suo fidanzato, ma ciò non avvenne. Non avendo risposto alla domanda, Ran lo guardò fisso per poi scostare gli occhi. Cercò di fingersi indifferente alla sua presenza, tentando di mantenere le distanze dal suo corpo ma soprattutto, dal suo viso.
Shinichi stupito, si accasciò insieme a lei all’albero, distendendo le gambe adagiandosi al terreno. Rimase a guardarla, e non poté fare a meno di pensare che fosse bellissima, e che lasciarsela scappare anni prima era stato il suo sbaglio più grande.
“E’ bella” esordì la ragazza, evitando il suo sguardo, ben consapevole di essere fissata.
“Cosa?” le chiese dolcemente lui, non staccando gli occhi dalla sua figura.
“La luna, è spettacolare” le rivelò lei. Shinichi sorrise, ripensando a ciò che aveva meditato poco prima, e a come loro sembrassero in simbiosi, sempre. Le annuì, portando lo sguardo in alto, godendosi quel panorama da mozzare il fiato. La regina della notte era circondata da migliaia di stelle che nel manto blu del cielo sembravano tanti piccoli diamanti, valorizzando ancor di più quel momento incantato.  
“Scusalo Richard per prima, a volte è un po’ impulsivo” gli disse, portando lo sguardo su di lui.
“Non preoccuparti” rispose Shinichi, sorridendo. Aveva la certezza che la ragazza non fosse arrabbiata con lui e questo lo rendeva felice, sereno, appagato. Ritrovandosi soli nelle tenebre di quel parco, entrambi sperarono che quella notte non finisse più. La luna assisteva gioiosa alla loro riconciliazione, quando i ragazzi si avvicinarono l’uno all’altro per tentare di proteggersi dal freddo. Sapevano bene che quella era solo un’inutile scusa.
“Mi da fastidio” continuò lui, portando un braccio dietro alle sue spalle. Quel veloce movimento fece sobbalzare Ran che, priva di qualsiasi inibizione, si appoggiò al suo petto, socchiudendo gli occhi.
“Cosa?”
“Che provi a fare qualcosa che tu non vuoi” rivelò lui, cercando di rimanere atono.
“Perché non volevi giusto?” le chiese, innalzandole il viso. Ran sentì il suo cuore battere sempre più forte, e le sue labbra tremare per la voglia di baciarlo. I loro occhi erano sempre più vicini, ma la giovane non badò a tenerli lontani, e presa da una forza di cui ignorava la provenienza, si spostò con il corpo sedendosi a cavalcioni su di lui. Non tentò di spiegarsi o cercare di deviare il suo atteggiamento, ma portò fino in fondo la sua azione, circondandogli il collo con le braccia.
“No, non volevo” gli disse, ringraziando il cielo che il giovane non potesse vedere il suo rossore, scoppiatole sul viso. Shinichi, rimasto dapprima sorpreso dalla mossa fatta da Ran, le circondò il bacino, attirandola a sé.
“Non faccio mai cose che non voglio” continuò ancora lei, con voce bassa dall’imbarazzo.
Non so che diavolo sto facendo...pensò, guardandolo fisso. Ma mi piace da morire...
“Cosa vorresti fare allora?” le chiese lui malizioso. Ran cercò di mantenere alti gli occhi, fissi nei suoi, mentre sentiva tutto il suo corpo tremare. Una piacevole sensazione le attraversò il fisico, spingendola verso Shinichi, che altro non faceva che attirarla lentamente a sé. I loro nasi si sfiorarono, così come le fronti che si toccarono, annullando la distanza tra di loro.
“Lo vuoi proprio sapere?” gli chiese Ran, sostenendo il gioco. Vide Shinichi sogghignare, in uno di quei sorrisi a cui non riusciva a resistere, neanche se l’avessero tirata lontana un carro di buoi. Perdendo l’ultima briciola di ragione che aveva risparmiato nella mente, si allungò verso di lui, e sfiorò con le labbra il suo mento, facendolo sorridere ancora di più. Gli toccò il collo, per poi risalire lungo la guancia. Sembrava estasiato da quell’atteggiamento, tant’è che con forza le prese le gote tra le mani, avvicinandole alle sue.
“Non giocare con me, piccola” le disse, mentre fremeva dalla voglia di averla. La torturava con baci che si avvicinavano alle sue labbra, per poi risalire o scendere lungo il suo viso. Ran si abbandonò completamente a quel momento, desiderando di morire in quell’ abbraccio. Un dolce martirio a cui mai avrebbe posto fine, neanche se la luna fosse tramontata per fare posto al Sole. Appagato dalla sua reazione, Shinichi prese il capo di Ran nelle sue mani e l’attirò a sé, baciandola. Dapprima le schiuse le labbra con il tocco delizioso e morbido delle sue, per poi dare inizio ad una lussuria senza fine. Le loro lingue iniziarono una danza orientale, muovendosi dolcemente nelle loro bocche. Continuarono nel loro focoso bacio, dimenandosi con le mani per tenersi sempre più stretti e non lasciarsi andare, mai più. Ran sentì il cuore arrivarle in gola e l’adrenalina salire alle stelle, mentre il ragazzo con le braccia le circondava la schiena, alzandole lentamente la camicetta con la mano, accarezzandole il dorso. Quel tocco caldo diede alla ragazza la voglia di volerne ancora di più, sbaragliando paure e costrizioni. Si baciarono ancora, mentre il palmo di Shinichi sollevò completamente quella stoffa che vestiva la schiena della ragazza, per poi spostarsi con la presa sui suoi fianchi attirandoli al suo ventre. Ran sperò che il Sole non sorgesse, e che il mondo si bloccasse, così come il tempo si fermasse.
Crederono che quattro anni non fossero mai trascorsi, e che il dolore non ci fosse mai stato.
Crederono di poter rimanere lì per sempre, per tentare di recuperare il tempo perduto per colpa del fato. Quello stesso destino che, in quel momento, era benevolo e donava loro la più bella delle atmosfere.
Quella notte d’estate, fin troppo corta e breve per loro che restarono fino all’alba ai piedi di quell’albero con le labbra e le lingue in continuo fremito, sancì la fine dei tormenti e l’inizio delle certezze.

 
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Ok! Basta con gli applausi, basta! xDxD Aspettate, esulto anche io... SI SONO BACIATIIIIII *____* e per tutta la nottata! <3 Teneri che sono <3
Presumo che questo diciassettesimo capitolo via sia piaciuto abbastanza, no?! XD
Qua il momento è serio, e siamo ad un punto cruciale nella storia. Ran si è lasciata andare, finalmente!
Quanto sono felice *___* Nonostante già sappia come evolverà la storia sono emozionata anch’io hahahah! XD
Naturalmente, mi fareste ancora più felice se commentasse il chap, voglio sapere cosa ne pensate!!! =)
Un ringraziamento a chi ha recensito lo scorso: ciccia98, frangilois, Martins, totta1412 ed arianna20331!
Grazie, grazie, grazie!!!!!

Un grazie anche a chi ha solo letto, e a chi ha inserito la storia tra le ricordate. ;)
Allora alla prossima ^____^
Un abbraccio e a presto,
la vostra Tonia.
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Capitolo 18
*** Alcool ***


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Alcool
Diciottesimo capitolo

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Era sbagliato. Era tutto sbagliato, decisamente. Era sbagliato perché sentiva di aver sbagliato.
Ma cosa aveva nel cervello? I suoi neuroni e relativi processi mentali avevano smesso di funzionare improvvisamente? Non l’avevano avvisata, no. Avevano deciso di andare in ferie proprio quel giorno, proprio quell’ora, proprio in quei minuti che poi sono diventate ore, e da quelle ore è sorto il Sole. Solo la luce accecante della stella li aveva fermati, sennò avrebbero continuato, e per l’eternità. Si erano baciati. E non era stato un errore, non era stato un incidente o un equivoco. Lei l’aveva baciato. Lei l’aveva voluto. L’aveva desiderato proprio come un bambino richiede un lecca-lecca dopo aver fatto la visita dal dottore, proprio come un cane pretende l’osso dopo aver riportato il legnetto.
E lei non aveva combinato nulla di buono prima, nulla. L’aveva difeso, a quello lì. Era scappata dal suo fidanzato per ritrovarsi nella serenità notturna di un viale alberato che adesso profumava del suo peccato. E che peccato.
Era in piedi adesso. Davanti ad una tazzina di caffè dal gusto insipido, ma interminabile.
Non riusciva proprio a berlo, era nauseante. Tutto, sembrava insignificante. Tutto, sembrava sciapo.
L’unico sapore che avvertiva sulle sue labbra era quello forte e mascolino di Shinichi, impregnato nella sua mente, e il gusto dolce di quella lingua che per tutta la notte non aveva fatto altro che giocare con la sua. E poi, riusciva a percepire il sapore del suo sorriso. Quello splendido sorriso che gli illuminava il volto, nonostante si trovassero al buio. Sapeva di vittoria, sapeva di superiorità.
Lui sapeva di essere l’unico per lei, sapeva di essere il primo e l’ultimo. Sapeva che mai nessuno avrebbe potuto sostituirlo, perché mai nessuno ce l’avrebbe fatta.
Perché mi complico la vita, perché?!
Sferrò un pugno sul tavolo della cucina a lei vicino, facendo vibrare il vassoio di frutta appoggiato al centro, dal quale cadde una mela, rossa, lucente. Il frutto del peccato per antonomasia.
Sembrava caduta quasi per ricordarle che lei l’aveva fatto. Aveva tradito Richard. L’aveva tradito con Shinichi, con quel stacanovista che atro non faceva che mettergli in subbuglio la vita, di continuo.
Dannazione!Pensò, stringendo ancora forte le mani in pugni. C’è qualcuno che mi vuole male lassù!
Si accovacciò, afferrando la mela caduta rovinosamente a terra dopo quel piccolo sfogo d’ira.
La poggiò nel vassoio, bloccandosi a pensare. Prima che la sua salute mentale andasse a farsi benedire, prima che ricompiesse atti proibiti, ma desiderati, e prima che decidesse di cosa fare della sua vita, doveva parlargli, doveva rivederlo. Richard non c’era, e lei poteva benissimo chiamarlo e dirgli di venire a casa sua per chiarire. Scosse la testa, scompigliandosi i capelli.
“No, forse casa mia no... saremmo soli, e...e... meglio di no” pensò, ad alta voce, consapevole di non essere ascoltata.
Magari in un bar, ma casomai fossero passate per caso le sue amiche sarebbero venute a conoscenza di tutto, e non doveva accadere. Neanche la sua dependance era il posto più adatto.
Poi ripensò al suo viso, e le venne da sferrare un altro pugno al tavolo.
“E’ mai possibile che a lui non freghi niente?!” continuò ancora, sbottando. Stava decisamente impazzendo. Ormai parlava anche da sola, davanti ad una mela, davanti a della misera frutta.
Poi un brivido le percosse il cervello. Serrò gli occhi, mettendosi a sedere.
E se l’avesse fatto solo per sfizio personale?Pensò, mentre un senso di malinconia si faceva spazio nel suo cervello. Devo assolutamente parlargli... voglio rivederlo...
Suonò il suo cellulare, mettendosi a vibrare sul tavolo al quale era poggiata. Scrutò il display, sul quale era segnalato il nome del mittente. Non era lui. E rimase delusa, perché non c’era niente di più rassicurante al mondo che ascoltare la sua voce, del quale già sentiva una terribile mancanza.
“Ehi Kazuha” rispose alla chiamata Ran, cercando di mantenere la voce atona. Il tono della ragazza dall’altra parte della cornetta era gioioso e ridente, tanto che il suono metallico della telefonata era addirittura impercettibile.
“Ciao Ran! Che bello risentirti, non sai quanto sono stata bene questi due giorni!”
Vedessi io...schernì se stessa, abbozzando un sorriso.
“Sì è vero, sono stati... belli” tentò di trovarne un sinonimo, ma ci rinunciò. Le venivano in mente solo aggettivi quali ‘eccitanti’, ‘interessanti’, ‘indimenticabili’, ‘incontrollabili’, ma si trattenne dall’esplicitarli.
“Che ne dici se stasera ci vediamo?” chiese Kazuha.
“C-chi?!” sbottò Ran, quasi impaurita.
“I-io e t-te... chi sennò?” le rispose, in modo titubante, secondo la Mouri.
“Ah, ok... per me va bene, allora.”
“Perfect*!” esclamò gioiosa “Ci vediamo alle nove al pub in centro, see you later**!”
Staccò la chiamata, lasciando Ran interdetta, appoggiata al display del cellulare ancora lucente.
Beata lei che è così felice...Pensò la ragazza, poggiando la tazzina di caffè non bevuta nel lavandino.
Comunque, mi farà bene un po’ di svago...
 
 
“Come siamo pensierosi oggi.”
La voce di Heiji fece sobbalzare Shinichi dai tormenti che gli tartassavano il cervello, riportandolo al concreto. Il moro lo guardò scocciato, e sbuffando, lasciò andare sulla scrivania i fogli A4 che aveva tra le mani. Il ragazzo di Osaka li scrutò per benino, leggendoli attentamente. Sembrava un caso abbastanza impegnativo e difficile, dal quale l’amico non riusciva a venirne a capo. Un’unica cosa certa vi era, quel nome: Toichi Kemerl.
“E’ perché ho un sacco di pensieri, oggi... come sempre.”
“E’ per via di questo?” chiese Heiji, mostrandogli le scartoffie da lui gettate.
“Sì... questo tizio sembra un camaleonte!” ammise, sconfortato.
“Oggi sono andato alla redazione dove lavorava... Oltre a leggere una sorta di timore negli occhi dei suoi colleghi, non mi hanno dato nessun informazione interessante. So solo che era un tipo gentile e disponibile, bah!”
“Uno che ha quasi ucciso Eisuke, gentile e disponibile?” gli domandò ancora, un po’ in dubbio.
“Infatti i conti non tornano. E poi, quel soprannome... ‘argento arrugginito’, non so... mi suona strano.”
“Cioè?”
“Mi sembra che mi dovrebbe dire di più di quello che mi dice. Il problema è che non mi dice un bel niente.”
Heiji divenne pensoso, assumendo, insieme a Shinichi, la solita espressione del detective in azione. Corrugarono la fronte e strofinarono con le dita il mento, fissando il vuoto. Sembravano proprio fratelli, in quella posizione. Sembravano nati dalla stessa mente geniale che li aveva partoriti con lo scopo di fare un regalo alla giustizia del mondo. Invidiavano loro stessi per ciò che erano insieme, per ciò che riuscivano a progettare. Divisi erano bravi, ma insieme erano formidabili.
“Vabbè, non pensarci adesso” gli disse Heiji, mettendogli una pacca sulla spalla.
Shinichi inarcò un sopracciglio, mentre vide nascere sul viso dell’amico un ghigno di soddisfazione. Aveva progettato qualcosa, sicuro quanto la morte.
“Perché?”
“Beh perché il tuo fratellone ti vuole taaaanto bene, e fa di tutto per renderti felice” recitò con voce incredibilmente dolce, che fece rabbrividire l’amico.
“Mi fai paura quando fai così. Che hai combinato?” gli chiese, quasi speranzoso, ma intuì in un istante dove volesse andare a parare. Dopotutto avevano la stessa mente, quindi le azioni di Hattori erano alquanto prevedibili, purtroppo.
“Visto che tu non riesci a combinare niente con Ran, fai fare all’esperto qui.”
Ecco, appunto, Ran. Non l’aveva più sentita né vista dopo quel bacio. Dopo quei baci. Al solo pensiero gli batteva forte il cuore. Non aveva dormito neanche per un minuto quella notte, ma non si sarebbe mai fermato se avesse potuto. Non si sentiva stanco, ma emozionato. Non si sentiva forte, ma infinitamente eccitato. Riusciva a percepire nitidamente ancora le gambe della ragazza appoggiate alle sue, quel corpo perfetto, in forme e curve, aderire al suo. Si credeva uno stupido, un imbranato, ed un ragazzino. Eppure non era mai successo fino ad allora che al solo tocco con la schiena fredda di una ragazza percepisse il suo corpo andare in tilt, drogandosi del fugace e passionale tocco delle labbra della giovane con le sue. Dannazione, come era stato bene quella notte. Avrebbe dato di tutto per ripeterla, avrebbe fatto di tutto per riaverla.
“Punto primo...” si schiarì la voce Kudo tossendo “chi ti ha detto che non riesco a combinare niente?”
“Punto secondo... tu saresti l’esperto?” asserì, ridacchiando.
Heiji sgranò gli occhi, portando le mani al viso, sorpreso. Poi gli afferrò le spalle e lo scosse violentemente.
“No, aspetta, fammi capire! Mi sono perso qualcosa?”
“Sì, ma toglimi le mani di dosso!” sbottò, scrollandolo da sé.
“Comunque, non sono affari che ti riguardano, questi” asserì, cercando di rimanere serio.
“Non fare lo scontroso...” lo punzecchiò l’amico, sogghignando.
“Piuttosto, perché hai detto che volevi aiutarmi?” gli chiese incuriosito Shinichi.
“Non te lo dico se non mi dici cosa è successo” ribatté Heiji, forte della sua posizione. Socchiuse gli occhi, quasi in attesa che il giovane detective gli rivelasse per filo e per segno ciò che era successo. Poi li riaprì, osservandolo assottigliare gli occhi.
“Neanche tu mi hai detto cosa è successo con Kazuha” replicò, partendo in offensiva.
“Ma io non ho bisogno di nessun aiuto con lei... sai, stiamo di nuovo insieme” continuò, ridendo. Sentiva di averlo in pugno e questo lo rendeva onnipotente. Per lui Shinichi Kudo rappresentava il detective per eccellenza, il suo mito d’adulto, la sua fonte d’ispirazione. Nonostante avessero la stessa età, Heiji ammetteva a se stesso la superiorità dell’amico riguardo l’investigazione e da lui continuamente cerca di prendere esempio. Però, quando si trattava della giovane Mouri, quello sbruffoncello perdeva tutta la sua lucidità e razionalità, agiva d’istinto e di pulsioni. Era forse quello il suo punto debole, o probabilmente la sua unica forza.
“Bastardo.”
Shinichi chiuse gli occhi, sospirando.
“Ci siamo baciati, contento?” pronunciò, quando un sorriso spontaneo gli nacque sul viso.
Heiji sorrise a sua volta, ma non gli rispose subito. Gustò l’ansia dell’amico che cresceva nel sapere il suo piano, che indubbiamente l’avrebbe ricondotto a Ran, se i conti erano giusti.
E quei conti tornavano, anche perché se sull’Olimpo Cupido schiocca frecce, a Tokyo, Heiji e Kazuha creano occasioni. E di questo ne era certo Shinichi, che al sorriso rassicurante dell’amico, già s’immaginava insieme alla sua Ran.
“Sai che ti dico? Prepara la tua lingua ed i tuoi ormoni, stasera la rivedi.”
 
 
Le luci dei lampioni stradali illuminavano la città dall’oscurità della notte, creavano atmosfere magiche e surreali, nel quale era più che semplice perdersi. Seduta al tavolo di un pub, con lo sguardo immerso nella finestra di fronte al suo volto, Ran osservava lo scorrere della vita, tra passeggiate in centro e chiacchierate prolungate da risa che scoppiavano sul volto dei passanti. Appariva così serena la gente vista da lì. Gli occhi erano persi nel vuoto, ma sembravano cercare un qualcosa di indefinito, che sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro, apparire da uno svincolo o magari camminare beato sul rettilineo che aveva davanti. Moriva dalla voglia di rivederlo, ma ansimava dalla paura di incrociare di nuovo quegli occhi, dopo quel bacio. Non poteva immaginare che Shinichi era più vicino di quanto pensasse.
“Signorine, volete ordinare?” domandò gentile un cameriere accostatosi al tavolo delle ragazze. Ran si voltò verso di lui, accingendosi ad annuire e ad indicargli le pietanze che avevano scelto, ma la voce repentina di Kazuha la bloccò.
“No, no... stiamo aspettando due nostri amici” disse, mentre l’amica serrava le palpebre dalla sorpresa.
“Ok, allora ripasso dopo.”
Kazuha sorrise al cameriere per poi voltarsi verso Ran, che la guardava stupita.
“A-amici?” chiese la Mouri, inceppando le nelle parole. Sperò vivamente che non stesse per accadere ciò che pensava, anche perché Kazuha sarebbe finita presto all’altro mondo, se fosse vero. No, non poteva rivederlo adesso. Non si era preparata, non avrebbe saputo cosa dirgli.
“E-ehm..” cercò di rispondere Kazuha, sulla difensiva “Sai Ran, ho detto ad Heiji se voleva venire con noi stasera! Ti dispiace?”
“Non mi interessa di Heiji!” sbottò, allarmata. “Spero vivamente per il tuo bene che l’altro non sia...”
Non riuscì a completare la frase, nel tentativo di non pronunciare quel nome.
“S-sì, c’è anche S-Shinichi” le rivelò, cercando di distanziarsi da lei, intimorita.
“COSA?!?” urlò, in preda al panico.
Cominciò a tremare, immaginandosi lei dinanzi a lui. Dove avrebbe trovato il coraggio di guardarlo negli occhi dopo averlo baciato, e per tutta la notte per giunta? Dannati amici, dannato destino. Giunse alla conclusione che quel fato non andava contro loro due, ma proprio contro lei. Gli stava antipatica, probabilmente.
“N-no... e ora?” cominciò a delirare, staccandosi dall’amica. Kazuha la guardò stranita, chiedendosi perché la presenza del detective le causasse tutto questo torpore. Cercò di sollevarle il viso per rassicurarla, ma le si distanziò.
“Ran, ma che succede? Perché non vuoi vederlo?” le domandò, mentre la vide alzarsi di scatto.
“Non importa io vado adesso, inventati una scusa con loro.”
Prese la borsa che precedentemente aveva poggiato sullo schienale della sedia, e s’infilò il copri spalle, pronta ad andarsene via. Incominciò ad allontanarsi, mentre Kazuha l’afferrò per un polso.
“Ran dove vai? Mi dici che hai?!”
L’amica cercò di svincolarsi dalla presa, ma portando lo sguardo alla porta d’entrata del pub, vide arrivare sornione e con passo lento Heiji. Capì che erano arrivati, quando rimase fissa a guardare l’entrata di Shinichi, apparso dalla soglia della porta dietro l’amico.
Ed ora?
Si girò verso l’amica, afferrandola per il braccio e trascinandola via verso il bagno. Camminò velocemente, giusto il tempo di non permettere ai due di farsi vedere. Arrivarono nella toilette in una manciata di secondi, e si chiusero dentro, bloccando la serratura.
“Ran, incominci a farmi paura.”
“Ok, stammi a sentire” cominciò irritata “qualsiasi cosa c’entri con Shinichi Kudo tu mi devi avvisare, ok?!”
Il suo tono straripava di paura ed ansia. Kazuha la fissò, cercando di capire il perché si comportasse in quel modo. Poi la vide allontanarsi, mentre con il capo alzato cercava qualcosa di indeterminato.
“Mi spieghi perché?”
“Per dove posso fuggire?!”
“Eh?!?”
“Secondo te ci passo per di lì?” asserì, mentre Kazuha portò lo sguardo alla piccola finestra che si trovava in alto, sopra lo scarico. Ignorando il fatto che fosse relativamente minuscola per far passare un corpo d’adulta, agguantò l’amica con le mani e la sbatté contro il muro.
“Ok, adesso calmati. Ritorna in te!” cercò di confortarla, trattenendola dolcemente. “Parla, cosa è successo?”
Ran rimase zitta, abbassando il capo. Sembrava restia a parlare, e ciò fece spazientire l’amica, che tentò di essere ancora più rassicurante.
“Ehi, sono tua amica. Puoi fidarti di me.”
“Ci siamo baciati” le rivelò, portando lo sguardo nel suo. “Al campus, e per tutta la notte.”
“Ah.”
Kazuha staccò la presa, un po’ sorpresa dalla notizia. Poco le importava se la ragazza avesse tradito Richard, però ancora non riusciva a capire perché aveva così tanta paura di rivederlo, nonostante il bacio.  
“Ok, e allora?” le chiese, cercando di sdrammatizzare.
“Come ‘e allora’?! Ho tradito Richard, capisci!?” sbottò, con occhi lucidi.
“E poi... non avrei il coraggio di guardarlo dopo quello che è successo... sai...”
“Perché? Ti sei lasciata andare, non è successo niente, dai.”
“Invece sì, è successo” continuò Ran,  imbarazzata ed arrossita. “Io non riesco a stare vicino a Shinichi senza provare certi tipi di emozioni, quindi sarebbe meglio tenermi a distanza.”
Kazuha continuò a guardarla sconcertata. Quel discorso non aveva né capo, né piedi. Come poteva tenersi lontano da lui solo perché non ci riusciva?
“Ran penso che tu debba parlargli, e chiarire la questione. Non puoi avere paura di avvicinarlo, anche perché prenderesti in giro te, lui e quel povero del tuo fidanzato. Devi capire cosa vuoi realmente, e poi agire.”
L’amica sembrò toccata dalle parole serie di Kazuha, che tentava in qualunque modo di offrirle dei consigli utili. Poi si fermò, pensante. E’ vero, si stava comportando da vigliacca. Si stava comportando da bambina. Eppure l’aveva pensato la mattina stessa di doverlo rincontrare per chiarire, ma si sa che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Però, in quel momento, non poteva proprio tirarsi indietro. Doveva affrontarla quella questione, e smetterla una volta per tutte. Finirla con questi inutili piagnistei mentali, che altro non facevano che rovinarle la salute.
Tirò un lungo sospiro, riuscendo ad abbozzare un sorriso.
“Hai ragione” le disse, ed insieme uscirono dal bagno. Cominciarono a percorrere il corridoio, da quale s’intravedevano Shinichi ed Heiji seduti al tavolo dal quale lei, precedentemente, aveva cercato di fuggire. Spostò tutta la sua attenzione sull’investigatore, trovandolo davvero bellissimo. Definì con lo sguardo i suoi lineamenti, partendo da quelle labbra che la notte precedente l’avevano fatta impazzire.
Portava un jeans stretto dalle tonalità scure, tendenti al blu, abbinato ad una camicia bianca, attillata e a mezze maniche, che metteva in risalto i suoi muscoli. Si fermò per un attimo, bloccando l’amica per il polso.
“Come sto?” le chiese, portandosi una mano nei capelli, pettinandoli.
Kazuha sorrise, e ricominciò a camminare. “Stai benissimo.”
“Ma che fine avevate fatto?” chiese Heiji, ridendo.
“Siamo andate un attimo in bagno” gli rispose la fidanzata, posizionandosi vicino a lui, lasciando Ran sola, obbligata a sedersi vicino a Kudo.
Il ragazzo le sorrise, mentre lei non accennava ad alzare il capo dall’imbarazzo. Non riusciva proprio a guardarlo negli occhi, anche perché il suo sguardo andava diretto verso le sue labbra, che ancora bramava di possedere. Si sentì in colpa per quei pensieri, ma non poté fare a meno di assecondarli. Desiderava davvero baciarlo di nuovo, anche davanti a tutti. Si sentiva così donna nei suoi confronti. Si sentiva così dannatamente eccitata nell’averlo accanto. Non ci avrebbe messo molto a spogliarlo se avesse potuto, ma doveva mantenere alta la sua dignità, e il suo contegno.
Ran, resisti. Cerca almeno di resistere!
“Che prendi?” le domandò dolcemente lui, indicandogli il menù. Ran tentò di non guardarlo e istintivamente poggiò il dito a caso, scegliendo inconsapevolmente la sua pietanza.
“Da quanto bevi alcolici?” le chiese, sorpreso per la scelta della ragazza. La giovane rimase interdetta, ma poi osservandolo il menù capì cosa aveva ordinato, un Sex on the beach***. Arrossì violentemente, soprattutto per quel nome. Sembrava quasi che il destino la volesse prendere in giro per i pensieri che qualche istante prima le avevano attraversato il cervello.
 “E-ehm, n-no ver-” cercò di negare, ma venne interrotta bruscamente.
“E’ vero, ha ragione Ran. Prendiamo quattro cocktail” dichiarò Heiji, rivolgendosi al cameriere.
“No, no.. io n-” cercò di fermarlo la ragazza, inutilmente. Kazuha aveva già acconsentito, mentre il fidanzato si apprestava a scegliere l’alcolico da consumare.
Come sono sfortunata...
“E lei signorina?” chiese gentile.
“Io e la ragazza prendiamo due Sex on the beach” intervenne Shinichi, sorridente. Ran non poté fare a meno di annuire, porgendo i menù al cameriere, che si affrettò a registrare l’ordinazione.
“Bella scelta, ma cosa ti piace il cocktail o il nome?” le sorrise, ammiccante.
Ran si ritrovò il viso colorato di rosso fuoco, mentre l’imbarazzo le bloccava l’intero corpo. Tra tanti alcolici, proprio quello con quel nome doveva scegliere? Non bastava già averlo vicino e doversi trattenere da eventuali pulsioni, ma doveva sopportare anche le sue frecciatine che altro non facevano che puntare verso un solo punto. La situazione diventata sempre più difficile da sostenere.
“Il c-cocktail” cercò di dire, evitando il suo sguardo.
“Non è male neanche il nome, non pensi?”
“E-e-hm, n-non mi interessa come si c-chiama!” replicò, in balbettii, cercando di deviare quel discorso.
Shinichi sorrise, percependo l’imbarazzo che provava la ragazza. Non riusciva a spiegarsi perché si comportasse in modo così timido dopo essersi baciati così passionalmente la notte precedente, ma restò a guardarla, cercando di rompere quel ghiaccio che stupidamente si andava interponendo tra loro.
“Che fine ha fatto il tuo fidanzato?” le chiese, con una punta di fastidio.
Ran lo guardò stupita, evidentemente sorpresa dalla domanda.
“Mi chiedi dov’è Richard?”
“Ehm, sì? E’ un segreto?” le domandò lui, mettendosi a giocare con il porta fazzoletti, appoggiato al bancone.
“No, è in America, per lavoro” gli rispose lei, lanciando lo sguardo altrove.
“Che uomo” replicò ironicamente Shinichi, mettendosi a ridere.
“Perché lo odi così tanto? Non ti ha fatto niente.”
“Chiedile a lui queste cose” replicò Shinichi. “A me sembra che sappia un po’ troppo su noi due.”
Ran incominciò a lasciarsi andare, e con il corpo si voltò verso quello dell’investigatore. Diede uno sguardo ad Heiji e Kazuha, impegnati nella loro conversazione, assicurandosi di non essere ascoltata.
“Non sa niente di noi due” replicò convinta. “Neanche del bacio.”
“Ma va’?” la schernì Shinichi, sorridendo, e poi maliziosamente aggiunse: “E poi non sa dei baci... perché non me ne hai dato solo uno, ti vorrei ricordare.”
Che faccia tosta! Pensò Ran, arrossendo.
“Ecco a voi.”
I quattro si voltarono verso il cameriere, che si accingeva a poggiare i cocktail sul tavolo, distribuendoli uno ad uno. I ragazzi pagarono il conto, mentre Ran e Kazuha assaggiavano l’alcolico da loro ordinato. La ragazza di Osaka bevve un sorso, per poi lasciare andare il bicchiere sul tavolo, prendendo fiato.
“E’ fortissimo!” asserì, mentre il fidanzato ridacchiava.
“Attenta che il nostro è ancora più forte” l’avvisò Shinichi, sorridendo. Ran lo guardò con occhi di sfida per poi prendere il bicchiere e berne metà in un solo sorso. Lasciò i presenti stupiti, con occhi spalancati. Non era certo una bambina che non sapeva reggere un simile cocktail.
“Sono abbastanza grande da reggere l’alcool” disse, mentre incominciava a sentire già la sua testa sbattere. Non aveva mai bevuto alcolici fino a quel momento, e se non fosse stato per quell’occasione, avrebbe senza dubbio rinunciato. Però in quel momento un po’ di alcool le serviva, anche per sciogliere quella tensione che sentiva nell’avvicinarsi a Shinichi. Doveva parlargli, e al più presto.
“Piano con questo, ti può girare la testa” cercò di avvertirla Shinichi, ignorando che la giovane già sentiva il capo fin troppo pesante.
“Già mi gira...” gli rispose, ridendo di se stessa. Ma non volle fermarsi, prese nuovamente il bicchiere, e ne bevve l’altra metà, in un soffio. Il suo cocktail era finito, prima di qualunque altro.
“Hai visto come sono brava?” lo schernì, ridacchiando.
“Sì, ma forse è meglio se esci fuori, adesso.”
“Sì, effettivamente mi serve un po’ d’aria.”
Si alzarono dal tavolo, lasciando Heiji e Kazuha alle loro smancerie amorose, allontanandosi velocemente. Shinichi prese per mano l’amica, conducendola verso l’esterno del pub. La ragazza si lasciò trascinare, deliziandosi del tocco della mano del ragazzo, sublime e incantevole.
Gli strinse forte il palmo, mentre sentiva man mano la temperatura del suo corpo alzarsi per via dell’alcool. Essendo da soli, avrebbero finalmente potuto parlare di quella questione e chiarire quell’incidente. Quel meraviglioso ‘incidente’.
Usciti dal pub, si incamminarono verso la moto di Shinichi che sostava nel parcheggio del locale. Il ragazzo la fece adagiare sul sedile, mantenendola per le gambe.
“Va meglio così?” le chiese, dolcemente.
“Sì, molto.”
Non sentiva più quel profondo imbarazzo nei suoi confronti, ma solo una voglia fortissima di avvicinarlo a lei e baciarlo, proprio come aveva fatto qualche ora prima. Moriva nell’immaginarsi nuovamente tra le sue mani calde e morbide, avvinghiata al suo corpo perfetto. In quel momento, Richard era un pensiero che non le sfiorava neanche di striscio il cervello. In quel momento, c’erano solo lei e Shinichi.
“Comunque i baci te li sei fatti dare, tu” riprese il discorso dapprima interrotto dall’arrivo del cameriere, lei. Shinichi sogghignò, per poi circondarle la schiena con le braccia.
“Perché avrei dovuto rifiutare?” le rispose sorridente, sorpreso dall’incredibile cambiamento di atteggiamento della giovane. Prima sembrava intimidita e silenziosa, adesso lo provocava e si divertiva.
“Non lo so” gli rispose, per poi scendere dalla moto con un salto.
“Qui non si può parlare liberamente...” constatò lui, nel girarsi attorno, ritrovandosi in un corridoio di persone che entravano ed uscivano dal pub. Ran assecondò lo sguardo di lui, ed essendo in accordo con ciò che aveva detto ebbe un’idea. Forse era l’alcool, forse era solo il suo istinto. Forse era perché poco riusciva a ragionare, forse era perché non voleva ragionare. L’idea che le balenò la mente la fece arrossire, ma allo stesso tempo la stuzzicò talmente tanto che non riuscì a trattenersi dal riferirgliela.
“Perché non mi accompagni a casa?”
Era il momento di andare fino in fondo alla questione.

 
 
*Perfetto!
**Ci vediamo dopo!
***E’ un cocktail che penso più o meno tutte conosciamo. Comunque per maggiori informazioni andate qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Sex_on_the_Beach
 

 
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Questa fan fiction preme per essere seguita! Ed io, che di voglia di studiare ne ho pochissima, non faccio altro che accontentarla. Dire che mi sta dando soddisfazioni è poco, ma non è propriamente lei, ma voi.. che continuate a recensirmi, e ciò mi rende orgogliosa! ^_^
Bene, bene... qui le cose si fanno serie... Ran ha chiesto a Shinichi di accompagnarla a casa... per parlare... sì... :D Che dite, gli farà vedere il suo nuovo mobilio? Secondo me sì XD
Ditemi cosa ne pensate di questo diciottesimo ed attente al diciannovesimo! ;)
Ah, ci terrei a precisare che io non sono un’ubriacona, non ho mai bevuto alcolici! XD Solo che il nome di quel cocktail mi ispira parecchio xD Inoltre, vi rivelo un’altra cosa... la fan fiction è leggermente basata sulle mie esperienze personali, come ad esempio il siparietto dei ragazzi con il cameriere.
Ricordo che una volta andammo io, il mio ragazzo e due amici ad un bar e loro mi convinsero ad ordinare cocktail. Quando lo dissero al cameriere, si rivolsero a lui con queste parole: “ci faccia quattro cocktail, ma devono essere colorati, molto colorati!”
Il cameriere ci guardava stupito e poi disse: “Siete sicuri di non aver bevuto prima di venire da noi?” XD
Ok, basta, a nessuno interessano le mie vicende personali O_____O XDDD
Beh, come al solito devo ringraziare i recensori del 17esimo chapter:
Yume98, Martins, ciccia98, frangilois, totta1412 e PaV! *___*

Bene, ci vediamo al prossimo!!! Un bacione a tutte ^__^

Tonia =)
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Capitolo 19
*** Sviluppi (in)desiderati ***


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Sviluppi (in)desiderati
Diciannovesimo capitolo
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×
ALT
Ho un piccolo avvertimento da fare:
il capitolo che leggerete sarà sostanzialmente,
da un certo punto in poi, ricco di descrizioni
di un dato “genere”. Il rating è già impostato su
arancione, ma ho ritenuto più corretto avvisarvi.
(Spero di non scandalizzarvi :D)
Buona lettura.
×

 
Il sottile vento che si posava sulla pelle della giovane Ran Mouri andava a drizzare, facendo rabbrividire, l’inconsistente peluria bionda che le percorreva le braccia. La sua pelle, raffreddata dalle temperature serali, si era trasformata in un terreno di innumerevoli fiori incolti, che ricercavano calore e protezione nel petto dell’investigatore che le sedeva davanti, su quella moto che velocemente sfrecciava verso casa. La sua mente era priva di tormenti, mentre il cuore le batteva regolarmente nello sterno; il suo corpo, abbandonato e libero di tensioni, era stretto a quello perfetto di Shinichi, inclinato leggermente verso l’avanti per agevolarsi la guida del mezzo. La temperatura del suo viso aumentava vertiginosamente; l’alcool incominciava a marciare nelle sue vene, donandole un’indescrivibile sensazione di  serenità, a cui mai avrebbe rinunciato in quel momento. Per troppo tempo l’ansia e l’angoscia erano diventate protagoniste delle sue giornate, come delle sue notti, cibandosi delle paure e continue tentazioni a cui cercava inutilmente di porre freno. Aveva capito di essere succube delle sue stesse sensazioni dal momento in cui l’aveva rivisto, dal momento in cui aveva riascoltato la sua voce, dal momento in cui quegl’occhi azzurri le avevano perforato i suoi, insediandosi nel cervello, senza mai uscirne. E dopo quella notte, dopo quei baci, intrisi di passione e nostalgia, aveva abbandonato inutili frustrazioni mentali per rendersi conto della sua effettiva posizione, quello di donna irrecuperabile, e pericolosa. Le donne sono pericolose perché sono innamorate, perché mettono tutta la loro forza in quello che fanno, e in quello che rimediano; sono pericolose perché credono in qualcosa di fantastico e meraviglioso, che a volte può portarle al più alto gradino del cielo, altre a più basso vortice della Terra. Sono pericolose perché sanno far male e farsi male, inconsciamente. Sono pericolose perché si distruggono, e poi si ricompongono, tornando più forti ma lacerate da ferite che neanche il tempo riuscirà mai a cicatrizzare. E la ferita più grande sull’anima di Ran era proprio quella di Shinichi, quella della loro consueta ma intramontabile ed infinita storia, che mai sarebbe riuscita a considerare come una vecchia pagina di un vecchio libro gettato nello scantinato di una villa abbandonata. Il loro amore era come uno di quei libri che hai sulla scrivania sempre accanto alla tua mano, e che di tanto in tanto riprendi, sfogliando le pagine come vita quotidiana, bloccandoti a leggere quelle righe che più ti hanno fatto emozionare, e che mai probabilmente riuscirai a dimenticare.
Strinse più forte le sue mani sui fianchi del ragazzo, circondandogli il ventre con le braccia sottili, e adagiando il suo capo sulla schiena, osservando il fluire dinamico delle immagini dei palazzi dinanzi ai suoi occhi, aperti per riuscire a credere meglio in quello che stava facendo. Sebbene l’alcool le inondasse il corpo, privandola di inibizioni e forzature, la sua mente era ben lucida e sveglia, quanto le sue volontà, che sapevano perfettamente cosa desiderare. Si sollevò leggermente dal fisico dell’investigatore, permettendogli di entrare nel piazzale del suo condominio, aprendogli il cancello elettronico a comando di un piccolo aggeggio. Shinichi rallentò la sua corsa, fino a fermarsi definitivamente con la moto in uno dei parcheggi appositi del parco. Era la prima volta che ci entrava, poiché qualche settimana prima, nell’invano tentativo di baciare Ran, erano rimasti sul bordo della strada adiacente all’entrata. Ran vide il giovane guardarsi intorno, spostando la testa a destra e a sinistra, per poi scendere dalla moto, insieme a lei.
Il parco era praticamente desolato, e regnava un silenzio assoluto, che mai la ragazza aveva avvertito fino a quel momento. Ma forse non era il posto ad essere quieto, ma la presenza di Shinichi tremendamente rumorosa, da annullare nella sua mente qualsiasi suono che non fosse quello dei suoi movimenti.
“Qui si sta un po’ meglio” le disse tranquillamente, bisbigliando quasi. La giovane si girò attorno, portando lo sguardo in tutte le direzioni, dal quale emersero ragazzini giocanti accompagnati dai genitori nel sostanziale buio dell’ambiente. Era presente anche qualche cagnolino, che festosamente si godeva la sua passeggiata quotidiana, al guinzaglio di padroni che allegramente chiacchieravano.
“Non direi” continuò lei, simulando una smorfia.
“Perché non saliamo?” gli domandò, prendendo dalla borsa le chiavi di casa e facendole dondolare tra le dita delle mani. Shinichi le sorrise, e si incamminò con lei verso l’abitazione. Sebbene quella stessa mattina si era ripromessa di non restare da sola in casa con l’investigatore, in quel momento si ritrovava a salire le scale insieme a lui, senza alcuna esitazione. Eppure sapeva bene quello che faceva, e ciò a cui stava per andare incontro. Lo sapeva con certezza, ma non voleva tirarsi indietro.
Non importa cosa succederà, voglio solo risolvere questa situazione... una volta per tutte.
L’ascesa sembrava infinita; lo era almeno per Ran che altro non faceva che lanciare lunghe occhiate a Shinichi che, vicino a lei, camminava in avanti con lo sguardo fisso nel vuoto. Sembrava pensieroso.
“Che hai?” gli chiese, tentando di non far trasparire la sua preoccupazione in un’eventuale rinuncia del detective, e sperando di non aver dato un’impressione sbagliata dei suoi fini di quella serata.
“Niente” le rispose dolcemente, incurvando le labbra. “Muoio dalla voglia di vedere casa tua.”
Ran scoppiò a ridere, abbassando il capo per trattenersi meglio nelle sue emozioni. Decisamente l’alcool incominciava a farsi sentire sempre più dominante nel suo corpo, ma la giovane non avvertì debolezza o instabilità, solo un profondo senso di libertà e di decisione nelle cose che si apprestava a fare.
“Non ti aspettare chissà cosa” gli disse, inserendo le chiavi nelle serratura e facendo scattare il congegno di apertura.
Alla vista di Shinichi si aprì un breve corridoio, illuminato dalla fioca luce della luna che proveniva dalle finestre. Ran si accostò al muro, ricercando con la mano l’interruttore e, trovandolo, portò allo scoperto la fisionomia dell’appartamento, tra cui mobili, quadri e accessori vari.
Avanzarono un po’, trovandosi di fronte al salone d’entrata, arredato modernamente con un mobilio semplice ma deciso, dai toni forti ed accesi, sull’arancione e rosso.
“Vuoi vedere il resto della casa, o ci mettiamo sul divano?” gli domandò Ran, con tono ingenuo. Shinichi captò il senso della frase diversamente e non poté fare a meno di ghignare, ritrovandosi anche lui un po’ in imbarazzo. Si avvicinò a lei, e prendendola per il polso, l’adagiò sui cuscini, mettendosi a sedere anche lui.
“Il divano andrà benissimo” le disse con malizia, facendola arrossire leggermente.
“Vuoi bere qualcosa? Un caffè, un bicchiere d’acqua?”
Cercò di incominciare il discorso Ran, introducendo argomenti che sarebbero serviti come slancio per la questione vera e propria, quella che premeva di essere chiarita.
“Mmm” assunse un atteggiamento pensoso il detective, per poi guardarla maliziosamente.
“Ce l’hai un Sex on the sofà?” le disse per poi scoppiare a ridere.
Ran, rimasta basita dalla tentata battuta del ragazzo, un po’ per imbarazzo un po’ per rammarico gli girò la faccia, mettendosi a fissare il televisore dinanzi a lei. Incominciò a credere che a Shinichi avesse solo un fine in quella serata, e questo non poteva che turbarla. L’investigatore, accortosi del guaio combinato, cercò di rimediare, abbracciandola e portandola a sé, circondandole le spalle con le sue mani.
“Dai, stavo scherzando!” la scrollò, facendola divertire “Non te la sarai mica presa?”
“Era pessima” gli rivelò lei, mettendosi a ridere.
Spezzati così gli eufemismi iniziali, Ran si lasciò coccolare nell’abbraccio di Shinichi, stringendosi forte al suo petto, e abbandonandosi alle sue mani. Averlo così vicino implicava inebriarsi del suo profumo incantevole, che non apparteneva a nessuna fragranza particolare, se non all’odore della sua pelle che le faceva girare la testa, peggio dell’alcool.
“Cosa volevi dirmi?” le chiese lui, riportandola alla realtà. Ran arrossì lievemente, al pensiero del discorso che stava per fare, poi si staccò da lui, cercando un po’ di serietà in quel frangente.
“E-ehm... vedi, il...” cominciò, fissandolo. Quasi non riusciva a parlare perdendosi nei suoi occhi e nel tratto perfetto delle sue labbra, che in quel momento, bramava fortemente di poter sfiorare, per poi baciare. Sentì una voglia crescente nel suo corpo che la spingeva sempre più verso l’investigatore che, intanto, rimaneva fermo nella sua posizione, ad osservarla. Velocemente Ran sentì un brivido percorrerle la schiena, e la testa perdersi sotto l’effetto dell’alcool, liberandola di improvvise barriere che il suo corpo sembrava ergere.
“Mi dici perché ci siamo baciati?” gli chiese, continuando a fissargli le labbra, instancabilmente. Vide così  Shinichi sorridere, e divenire ancora più bello di quanto già potesse essere. Doveva stare attenta a quei sorrisi, la fregavano.
E’ bellissimo...
“Non vorrei sbagliarmi ma...” le rispose lui, arrossendo lievemente “E’ perché credo ci vogliamo ancora.”
Mi vuole ancora...cominciò a pensare Ran, continuando ad osservarlo fisso. La razionalità perse ogni importanza in quel momento, quando la ragazza, spinta da una voglia crescente ed indomabile, ruppe ogni indugio e si avvicinò a lui. Alzatasi dal divano, si fece spazio nell’aria, e con le mani mantenne l’equilibrio sulla spalliera, avanzando lentamente. Si sedé a cavalcioni sulle sue gambe, proprio come aveva fatto la notte prima, in quell’oscurità del campus dove si erano baciati appassionatamente fino all’alba. Al pensiero di dover ripetere quella magnifica esperienza, la ragazza fu pervasa da scosse di adrenalina che le permisero di continuare quella conversazione, che man mano si stava accendendo sempre di più, prendendo una piega più spinta di quanto potesse immaginare. L’assalì il desiderio di spogliarlo e abbandonarsi completamente alle sue voglie, ma rimase ferma, gustandosi quel momento di infinite emozioni che le torturavano dolcemente il corpo. Lo voglio ancora...
“Non sbagli” gli sussurrò all’orecchio, completamente in balia di quegl’impulsi che, combinandosi con l’alcool, le ubriacavano la mente, offuscando la ragione.
Shinichi la guardò per un attimo, leggermente stupito dalla confessione della ragazza. Le sue labbra si dischiusero, mentre con le mani prese possesso delle linee sinuose di Ran, massaggiandole la schiena. I loro volti si avvicinarono fino a che le punte del naso non si toccarono, per poi spostarsi lateralmente per agevolarsi il contatto. La tensione e la voglia di riappropriarsi l’uno dell’altro dopo anni di sofferenza fecero crescere un irrefrenabile desiderio di lussuria, coronato dal morbido e debole tocco delle loro labbra, che man mano si fece sempre più profondo. Cominciarono a sfiorarsi con le loro bocche, godendosi appieno quel momento di estasi nel silenzio oscuro dell’appartamento. Anche le loro lingue entrarono a far parte di quel divertimento senza freni, muovendosi con veemenza nelle cavità orali. Quel bacio, così passionale e desiderato, trascinò Shinichi fuori dai suoi schemi mentali, portandolo ad alzarsi e sdraiare la ragazza lungo il divano. Ran non oppose resistenza anzi, dimenando le mani sulla sua camicia, lo avvicinò con forza a sé, facendolo distendere sul suo corpo. Ogni singola parte del suo fisico era in contatto stretto con quello del ragazzo; cosicché da capo a piedi, le loro figure si muovevano dolcemente e con apparente lentezza l’una contro l’altra. Continuarono a baciarsi con ardore, mentre le mani di Ran andarono a sbottonare la camicia bianca di Shinichi, scoprendo man mano il suo fisico muscoloso. Nel volersi gustare quella pelle scolpita e priva di qualsiasi imperfezione, portò le mani lungo il petto, accarezzandogli i pettorali per poi scendere lungo gli addominali, soffermandosi su di essi. Il detective, estasiato da quel tocco, si liberò dell’ingombro del tessuto gettandolo a terra, per poi afferrare il top della ragazza e sfilarglielo con forza. Sbarazzatosi di quel blocco, cominciò ad adulare la pelle chiara delle ragazza, fino a salire lungo i suoi seni, massaggiandoli delicatamente. Nell’avvertire quel tocco così tenero e marcato al tempo stesso, Ran emise un gemito strozzato, che fece salire vertiginosamente l’euforia dell’investigatore. La sua curiosità non si fermò, e nell’aumentare, portò la ragazza a sé, e trattenendola per la schiena sbottonò il suo reggiseno, portando allo scoperto il seno. Dominata dalle sue stesse emozioni, Ran fu attraversata da un flusso di calore che si espanse per tutto il suo corpo, per metà nudo al cospetto di Shinichi. Il suo cuore batteva all’impazzata, e la sua voglia di continuare quell’immensa pazzia era alle stelle, tant’è che con un gesto deciso afferrò l’orlo dei suoi pantaloni, sbottonandoli.
Quell’atto non ebbe lieto fine però, poiché l’attenzione della ragazza venne presa dal suonare del cellulare che aveva nella borsa, che con la sua melodia stonata andava a rompere il silenzio dei loro sospiri. Si bloccò d’un tratto, fermando di conseguenza anche le labbra di Shinichi che ingorde si erano posate sui suoi seni, baciandoli deliziosamente. Il cellulare continuò a squillare rumorosamente, mentre i ragazzi si bloccarono a guardarsi negli occhi. Lo sguardo di Ran era indecifrabile; emanava paura, desiderio, disprezzo, confusione e dolore in un solo istante, trasmettendo tali sentimenti a Shinichi. Il ragazzo decise di alzarsi e nel sedersi, vide Ran sollevarsi per recuperare il cellulare che insistente continuava a suonare. Nel prenderlo, la chiamata si staccò, non permettendole di rispondere. Nonostante non avesse sentito la voce, Ran capì dal nome sul display che a chiamarla fosse proprio Richard. I sensi di colpa cominciarono ad affiorare violentemente nella sua coscienza, costringendola a coprirsi dalla smaniosa vista di Shinichi, che inconsciamente continuava a fissarla. Il suo corpo cominciò a tremare, liberando tutto il calore accumulato negli ultimi minuti e lasciandola raffreddata, spegnendo definitivamente le spinte lussuose che l’avevano dominata qualche istante prima. Portò gli occhi sul detective che la osservava senza proferire parola e si avvicinò a lui, cercando di recuperare quel che restava dei suoi vestiti.
“Puoi andare” gli disse con tono tagliente, evitando il suo sguardo ed accovacciandosi al pavimento per afferrare il suo top. Quel brusco cambiamento di umore fece stizzire Shinichi che, impulsivamente, decise di rimanere seduto ad osservarla rivestirsi.
“Ma che ti prende?” cercò di chiederle, in cerca di spiegazioni. La sua domanda fece voltare Ran, che storse le labbra in una smorfia di disgusto, mentre il peso della sua coscienza si fece sempre più grande, facendole perdere la ragione, e questa volta, non per volontà sua.
“Ti ho detto di andartene, non ci senti?!” sbottò indemoniata, lasciando Shinichi basito al capezzale del divano. Il ragazzo decise così di alzarsi e tentare di abbracciarla per rassicurarla, facendole sentire la sua presenza. Si avvicinò con il suo petto nudo a quello della giovane che, nel ritrovarsi nuovamente tra le sue braccia, ripensò alla chiamata di Richard e si scostò violentemente, allontanandolo da sé.
“Mi dispiace che non hai ottenuto quello che volevi Kudo, ma ora è meglio che vai via.”
Shinichi, praticamente senza parole per l’atteggiamento della giovane, rimase fermo a rimuginare, finché non sentì la rabbia salire lungo il suo corpo, pronta a scoppiare da un momento all’altro.
“Quello che volevo?” le chiese infastidito, azzardando un sorrisetto.
“Sì, il ‘Sex on the sofà’, l’hai detto anche tu” asserì lei, imitando l’ironia precedentemente usata dal ragazzo.
“Ran io stavo scherzando!” sbottò, allargando le mani. “Ma per chi mi hai preso?!”
“Per quello che sei” continuò lei, ormai in completa balia di quei sensi di colpa che avevano preso possesso della sua mente, cacciando via con violenza i suoi naturali desideri e le sue sensazioni. La consapevolezza di stare facendo qualcosa di tremendamente sbagliato l’aveva portata a rinunciare a tutto ciò a cui aveva più aspirato in quegl’anni di continuo dolore in assenza di lui. Ed ora, era completamente sotto il potere energico dell’alcool, ormai insidiatosi nelle sue vene.
“E cosa sarei io? Un approfittatore?!” sbottò stizzito Shinichi, offeso dalle sue pesanti accuse. Mai avrebbe pensato che l’unica ragazza che lo conosceva sul serio gli avrebbe mosso una critica così grave e sfrontata.
Inoltre, in quel frangente, non era stato lui a fare la prima mossa, a differenza di lei, che gli era piombata addosso, istigandolo a quell’azione.
“Penso sia facile scoparsi una ragazza ubriaca, non credi?” gli domandò lei, quasi ironica. Poi si abbassò al pavimento, recuperando la sua camicia, e gettandogliela contro con stizza.
“Diamine Ran! Mi conosci da una vita e pensi che io sia uno sporco approfittatore?!” imprecò lui, afferrandola con le mani. La ragazza non osò proferir parola, e abbassò lo sguardo, evitando i suoi occhi. Non sapeva che emozioni provare e quali evitare, si sentiva terribilmente confusa e disorientata. Non voleva ferirlo in quel modo, ma non voleva nemmeno fare un torto a Richard, che non aveva fatto altro che trattarla sempre bene, in qualsiasi situazione.
“Ah è così? Tu credi che io sia questo” continuò, visibilmente offeso il detective. Ran lo vide rivestirsi, riabbottonarsi la camicia velocemente, e recuperare il cellulare poggiato sul divano. Non riusciva a parlare, anche perché non sapeva cosa dirgli. Non sarebbe dovuta finire così, non un’altra volta.
“Credo che con questo ci siamo detti tutto” le annunciò il ragazzo, ferito nell’orgoglio.
Un fitta al cuore attraversò lo sterno della ragazza, che spalancò gli occhi e cominciò a tremare, nel vederlo allontanarsi da lei. Repentinamente Shinichi aprì la porta d’ingresso, lanciando un’ultima occhiata alla giovane, che sapeva d’addio. Ran si sentì sprofondare, e sussultò nel sentire la porta sbattere violentemente. Rimase bloccata nella stessa posizione per un paio di minuti, concedendo al suo corpo il solo lusso di respirare. Si sentiva una stupida ed un incosciente, continuamente indecisa sulle sue scelte. Col passare dei minuti le lacrime solcarono il suo volto, fino a divenire un vero e proprio fiume in piena, alternato da singhiozzi che non le permettevano il regolare respiro. Si accasciò alle fredde mattonelle di quella stanza, dove nuovamente regnava il silenzio assoluto, che risultava assordante e fastidioso alle sue orecchie. La sola cosa che si udiva erano il suono smorzato dei suoi gemiti, uniti ad un pianto disperato che non tendeva a scemare. Si accovacciò su se stessa, ricercando con il suo stesso corpo il tocco delle mani e delle labbra di Shinichi, abbracciandosi nel tentare di proteggersi dai suoi sensi di colpa, che subdolamente l’avevano ingannata, trascinandola in un vortice di amarezza senza uscita. E in quell’istante non le importava più della sua coscienza, non le importava più delle sue azioni e tantomeno le importava di Richard. Avrebbe solo voluto rincorrere l’investigatore e tenerlo stretto a sé, cancellando dalla sua mente il litigio e le stupide frasi lanciatogli senza alcun senso. Non voleva perderlo, non un’altra volta. Fu lì dunque, in quell’appartamento buio e desolato, nel quale si espandevano come onde sonore che viaggiavano nell’aria il suono delle offese, del pianto e dei singhiozzi, che Ran capì di essere innamorata perdutamente di Shinichi Kudo.



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No! Non mi potete uccidere! *Schiva i pomodori che le arrivano*
Non lo potete fare perché non potrei portare a compimento la fan fiction, quindi se volete un finale, dovrete sopportarmi ancora!!! :D
AAAAAAllora! Qui il momento è serissimo!!! Ran e Shinichi hanno litigato, per colpa di Richard, ovviamente >.> Ma non poteva chiamare dopo?!
Ran ha mosso gravi offese nei confronti del mio povero Shin, dopo che si è avvinghiata a lui in preda all’alcool... tonna tonnissima!
Però, ha finalmente capito chi ama e chi no. Sia ringraziato Gesù. XD
Basta con i pomodori, ragazze!!! XD
Per sapere come andrà a finire dovrete seguirmi e commentare e recensire e leggere e.. insomma.. sopportarmi! =D
Voglio ringraziare i recensori dello scorso: frangilois, ciccia98, totta1412, PaV, Martins e Yume98. =)
Allora alla prossima!! *fugge dai pomodori*
Un bacione pomodoroso,
Tonia =DDD
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Capitolo 20
*** Partenze ***


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Partenze
Ventesimo capitolo

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Sventolò con le mani i capelli, e li annodò tra le dita attorcigliandoli, cercando un po’ di refrigero per il suo collo. Era decisamente la giornata più calda di tutta l’estate, quel tre di agosto. Il Sole picchiettava alto nel cielo, mentre i suoi raggi cocenti riscaldavano il terreno, innalzando la temperatura. L’afa s’insediava nei pori della cute, rendendola appiccicosa. Ran sbuffò, e con le mani pizzicò la maglia, staccandola dalla pelle sudata. Erano sette giorni che non aveva notizie di Shinichi, sette giorni che non lo sentiva, sette giorni che non lo vedeva. Giusto una settimana di malinconica sofferenza, portata all’estremo dal ritorno di Richard in Giappone. Avrebbe dovuto parlargli prima o poi, mettere in chiaro quella situazione di cui il ragazzo non era minimamente a conoscenza. Avrebbe dovuto spiegargli il motivo del suo silenzio e dei suoi pianti notturni, la ragione di quella depressione che man mano stava prendendo possesso della sua mente, lanciandola in un tunnel senza uscita, e senza luce. Eppure, per quanto si sforzasse, era Shinichi il suo primo ed ultimo pensiero. Si sentiva male, così tanto da farsi venire la nausea, al pensiero di averlo perso per sempre. Ciò che le rimaneva di lui era il ricordo di quegl’occhi impressi nella mente, che poco prima di fuggire via, sembravano averle detto addio, e per sempre. Lo aveva offeso, ma non a causa delle parole stesse, che da sole non avrebbero assunto alcun significato; ma poiché fosse stata proprio lei a dirgliele. Lei che ci era cresciuta con lui, lei che lo conosceva così bene, più di qualunque altra persona sulla Terra.
Non avrebbe dovuto, se lo ripeteva continuamente. Aveva pianto per lui in quei sette giorni; aveva buttato fiumi di lacrime in segreto, in quella settimana. Si svegliava la notte, rinchiudendosi in bagno; affondava la testa nel cuscino,lasciandolo impregnato dei suoi lamenti e dei suoi gemiti; ricercava la solitudine più disperata per perdersi nella tristezza più disperata. Eppure, Richard l’aveva vista piangere. L’aveva scossa nel letto, facendola sobbalzare. Lei si era scusata con un banale “scusami, ho fatto un incubo” ma non era sicura di averlo convinto sul serio.
Sì, gli avrebbe parlato prima o poi, con assoluta sincerità.
“Sono Ran.”
Il cancello in metallo di una lussuosa villa stile orientale le si aprì di fronte, permettendole di entrare nell’abitazione. Si guardò un po’ intorno, e sorrise nel ricordare la parte di giardino dove giocavano da piccole, e l’angolo dove si nascondevano. Avrebbe voluto ritornare ai quei tempi, dove il loro unico pensiero era scegliere a che gioco giocare.
“Tesoro!! Lo sai? Ti stavo per chiamare!”
La ragazza sorrise, portandosi in avanti. Poi strinse l’amica in un abbraccio, e si lasciò coccolare in quella stretta, socchiudendo gli occhi.
“Sonoko devo parlarti” le disse diretta ed afflitta, con gli occhi bassi. “Ho bisogno di un’amica.”
L’ereditiera rimase un po’ stupita, divaricando leggermente gli occhi. Poi si distanziò da lei, permettendole di entrare in casa.
“Andiamo in camera? Staremo più tranquille”  le domandò Sonoko, indicandole con il dito la mamma presente in cucina, trascinandola per le scale. Ran si lasciò trasportare nella stanza, rincuorandosi del fatto che se avesse dovuto piangere per l’ennesima volta, l’avrebbe vista solo l’amica. Sonoko incrociò le gambe e si sedette sul letto, in attesa di Ran. Imitandola, la Mouri si adagiò al materasso, e mantenne il mento con le dita. Decise di raccontarle tutto e subito, ricercando una valvola di sfogo in quelle parole. Le disse della serata organizzata da Kazuha ed Heiji, dell’alcool di troppo, della decisione di andare a casa, e di quello che conseguì dopo. Sonoko ascoltò tutto senza fiatare, lasciandola parlare proprio come fa uno psicoanalista con un suo paziente, la rilassò.
“Va bene. Quindi vi siete baciati e stavate per... ci siamo capiti” ricapitolò l’ereditiera “poi Richard ha chiamato, a te sono venuti i sensi di colpa, l’hai offeso e lui se n’è andato?”
Ran annuì, tenendo lo sguardo basso. “Secondo te cosa devo fare adesso?” le domandò.
“Prima di tutto, dovresti capire chi vorresti” le disse Sonoko, ovviandola.
“Ma... ma io lo so” le rivelò Ran, un po’ arrossita. Nonostante fosse imbarazzata dalla circostanza, la tristezza che aveva negli occhi non tendeva a scemare, anzi sembrava espandersi al ricordo di quell’esperienza.
“Ed immagino sia Shinichi” continuò Sonoko, bloccandola.
“Tu... tu come lo sai?” le domandò Ran, alzando lo sguardo.
“Beh, a dirti la verità ti ho osservata spesso da quando sei tornata. Sai non mi capacitavo che avessi dimenticato del tutto quel detective, non riuscivo a crederci. E nel guardarti, ho notato che ti fermavi a guardarlo, completamente presa da lui. I tuoi occhi luccicavano, sembravano due cuoricini” si fermò un attimo, ridacchiando. “Non eri cambiata di una virgola, perché ti comportavi esattamente come facevi prima di lasciarvi. E poi, quando capitava l’occasione rimanevi sempre da sola con lui e sembravi estraniarti dal mondo intero.”
“E’.. così evidente?!” le domandò, in seguito a quella confessione. Al pensiero che Sonoko l’avesse osservato per tutto quel tempo arrossì sempre più, fino a divenire paonazza. Pensò che avrebbe dovuto controllare di più quelle emozioni, ma poi meditò che l’avrebbe fatto, se solo ci fosse riuscita.
“Sì tesoro, lo è. Ed infatti non capisco come Richard non se ne sia accorto.”
“Non so, forse avrà intuito ma... non credo, anche perché non ho più sentito Shin da allora.”
“Non l’hai provato a chiamare?” le chiese Sonoko.
“Sì, tre giorni fa. Volevo assolutamente sentire la sua voce, ma non mi ha risposto” le rivelò Ran, angosciata.
“Pensi l’abbia fatto apposta?”
“Probabile. Ed è giusto che non mi voglia sentire più dopo quello che gli ho detto...” continuò ancora con occhi bassi la giovane. Le sue parole erano intrise di costernazione e malinconia, di pianti e di singhiozzi. Le sue lacrime trasparivano dal tono di voce, pronte a scendere lungo il suo viso. I suoi occhi erano gonfi e arrossati, accompagnati da occhiaie ben visibili. Sonoko ne dedusse che era tempo che non dormiva o che almeno non si rilassava. Si avvicinò a lei e l’abbracciò, cercando di confortarla.
“Risolveremo. Si può fare sempre qualcosa, fidati” la rincuorò, e le accarezzò la guancia passando per il capo. Ran si abbandonò al suo abbraccio, mentre sentiva gli occhi pizzicare, e le lacrime scendere. C’era davvero la possibilità di fare qualcosa? Eppure era convinta che non fosse più possibile riparare. Le tornava in mente lo sguardo di ghiaccio del detective, e ne rabbrividiva al solo pensiero.
Lacrimava, perché sentiva di averlo perduto. Il dono più grande della sua vita.
“La verità è che sono... innamorata, e non c’è nessuno che possa fare qualcosa.”
 
 
“Nuovi indizi?”
“Sì... a quanto pare Kemerl in America non ha avuto contatti con nessuno. Ho indagato a fondo a suo nome a New York e dintorni, e non sembrano conoscerlo.”
Shinichi abbassò lo sguardo, corrugando la fronte. Portò le dita al mento, strofinandolo. Per quanto l’informazione potesse essere utile, in quella faccenda ci vedeva sempre meno chiaramente, ed ogni elemento sembrava campato in aria. Nulla combaciava con le teorie da lui formulate precedentemente, che si erano violentemente disintegrate con i nuovi indizi di Eisuke. Sbuffò, portandosi le mani al viso, sfregandole contro la mente e poi passandole per i capelli, scompigliandoli.
“Che diamine, sembra che ogni strada sia quella sbagliata!” sbottò seccato. “La CIA gli sta dando la caccia per traffici illeciti di armi. La moglie lo crede morto ed è venuta da me per smentirlo... a proposito, dovrei avvisarla che è vivo e vegeto.”
“E che non è il marito dolce che crede che sia” asserì Eisuke, ridacchiando.
“Appunto, aveva già una doppia identità o l’ha creata in seguito a qualcosa? Hai detto che voleva vendicarsi di qualcuno...” continuò nei suoi pensieri il detective, parlando ad alta voce.
“Probabilmente gli avrà fatto un torto.”
Shinichi gli fece segno con il capo.
“Non credo. Se vuole vendicarsi di qualcuno a tal punto, deve aver toccato qualcosa a lui caro... non so, la famiglia ad esempio.”
“Credi?” gli chiese Eisuke, ascoltandolo.
“Penso di sì” gli rispose convinto Kudo, e continuando aggiunse: “mi hai detto che lui stesso asserì che avrebbe rinunciato alla sua stessa vita... non avrebbe senso annullarti per vendicare te stesso.”
“La moglie allora?” gli domandò ancora Hondo, preso dalla conversazione.
“Non penso. Perché non dirle la verità? Non riguardo al piano, ma proprio su di lui.”
Eisuke sembrò sorpreso da quella riflessione, e restò per un po’ a guardarlo meditare. L’aveva lasciato che era un ragazzo trasformatosi in bambino per via dell’Organizzazione, tenace ed intuitivo. Ricordava di avergli detto dei suoi sentimenti riguardo Ran anni addietro e gli aveva raccomandato di trattarla bene e proteggerla, qualsiasi cosa fosse successa. Eppure, riusciva ad intravedere nel suo sguardo lo stesso temperamento di un tempo, come se nulla fosse cambiato. Sembrava turbato, e non era sicuro che quell’angoscia derivasse unicamente da quel caso, così complicato.
“Che vuoi dire?” gli domandò poi.
“Non puoi mentire alla persona che ami... la feriresti.”
Il suo tono di voce mutò musica, e divenne improvvisamente triste e malinconico. Eisuke tornò a guardarlo e cominciò a credere che fosse successo qualcosa di grave, solo perché al suono di quella frase gli sembrava che fosse così... soggettiva. Probabilmente era così deciso perché aveva provato lui stesso quella sensazione di delusione in seguito ad un’illusione. Quella ferita che tendeva ogni frangente a ritornare.
“Tutto bene?” gli domandò, cercando di non essere invadente.
“Sì, una meraviglia” rispose un po’ ironico Shinichi, azzardando un sorrisetto.
“Sicuro?” insistette Eisuke, provocando la stabilità del detective. “Ti sento un po’... rattristato.”
“Mmm no, davvero sto bene” gli disse fingendo, cercando di mantenere la voce atona.
“E’ il caso che mi sta sciupando” continuò, sventolandogli i fogli degli indizi tra le mani.
“O saranno le donne?” provò Eisuke, sorridendo.
“Loro lo fanno di continuo” si lasciò sfuggire Shinichi, quando un sorriso amaro si dipinse sul suo viso.
“Problemi con qualcuna di loro?” azzardò Hondo, cercando di rimanere sul generico. Cominciava a sospettare che la causa di tanta amarezza fosse proprio l’amica, Ran, ma non poteva esserne sicuro. Dopotutto aveva lasciato la Mouri in crisi esistenziale e sentimentale, incapace di controllare le proprie emozioni, ed ora si ritrovava davanti un Kudo per niente sereno, ma sostanzialmente nervoso ed inquieto.
Shinichi si zittì per qualche istante, giusto il tempo di preparare la sua voce all’atonalità assoluta.
“I problemi li ho con questo caso...penso che mi andrò a fare un giretto in America.”
 
 
“Ragazzi!”
La voce squillante di Kazuha attirò l’attenzione di Heiji, sdraiato sul divano di casa Kudo, e Shiho, seduta sulla poltrona in pelle impegnata nello zapping pomeridiano. Una domenica come tante quella, dove la noia prendeva l’avvento sulle loro giornate, obliterandole.
“Che succede?” le chiese il fidanzato con voce assonnata, sbadigliando.
“Succede che dobbiamo fare qualcosa” continuò Kazuha, mentre i due giovani continuavano ad essere ignari del fine del suo discorso, come dell’argomento.
“Per cosa?” continuò a chiederle Heiji, mentre Shiho non badò minimamente ai richiami della ragazza.
“Per Shinichi e Ran, per chi sennò?”
Al suono di quella frase la scienziata si interessò improvvisamente alla conversazione, e spense la tv, poggiando il telecomando sul comò. Ripensò poi all’investigatore, e cercò di intravedere negli atteggiamenti degli ultimi giorni qualche indizio che potesse farle dedurre eventuali disguidi che fossero capitati.
“Perché?” domandò inconsapevole il ragazzo, incurvando un sopracciglio.
“Mi ha chiama Sonoko poco fa. Mi ha detto che Ran è andata a casa sua e stava malissimo per Shinichi...a quanto ho capito hanno litigato di brutto.”
“E perché avrebbero litigato?” chiese Shiho, incuriosita. Come al solito, il detective era solito tenersi tutto per sé riguardo le sue faccende personali, evitando di parlarne. Come al solito, i suoi amici erano pronti ad intromettersi in quelle faccende, cercando loro a delle soluzioni.
“Non lo so con certezza... però mi sembra che Ran abbia offeso Shinichi” le rivelò la ragazza, alzando le mani e scuotendo il capo.
“Beh allora perché non viene a scusarsi lei, noi cosa dovremmo fare?” continuò tagliente la scienziata.
“Mi pare ci abbia provato ma... Shinichi sembra evitarla.”
“Immagino. E allora perché dobbiamo intrometterci se Shinichi non vuole?” domandò ancora Shiho, stranamente infastidita. “Decide lui se fare pace o no con una persona, non noi.”
“Ma...” tentò di replicare Kazuha, cercando di difendere l’amica. Le sembrava troppo strano l’atteggiamento dell’ex donna in nero; era un miscuglio tra gelosia e fastidio repressi in una gabbia di ferro.
“Se lui non la vuole, fatti suoi” continuò, con un tono sempre più scocciato.
Shiho portò lo sguardo in direzione di Heiji, che la osservava fissa. Sembrava dirle qualcosa con i soli occhi, come ad ammonirla per le frasi lasciatasi scappare, o per come effettivamente si stava comportando. La ragazza abbassò il capo e divenne silenziosa, fingendosi disinteressata.
“Cosa vorresti fare?” domandò alla fidanzata il giovane di Osaka, distogliendo lo sguardo dalla scienziata. Kazuha sussultò, per poi sedersi vicino ad Heiji sul divano. Incrociando le gambe, prese un foglio ed una penna dal ripiano del camino.
“Abbiamo un piano!”
 
 
“Arrivo!”
Ran corse a passo spedito verso la porta d’entrata, affannandosi un po’. In cuor suo sperava che ogni qualvolta che ricevesse una chiamata, una visita, o un semplice messaggio, a cercarla fosse proprio Shinichi. Non le importava dove, come, quando... ma solo che fosse lui, che accompagnato dal suo splendido sorriso e dai suoi occhi magnetici, le avrebbe in qualche modo donato il perdono.
“Ka-Kazuha ciao!” un po’ delusa, la strinse in un abbraccio, lasciandosi andare al corpo della ragazza di Osaka. L’amica ricambiò la stretta, e distanziandola un po’ le sorrise dolcemente. “Che ci fai qui?”
Dopodiché  la invitò ad entrare in casa, facendole spazio con le mani.
“Sono venuta a dirti una cosa...”
Le due camminarono fino a ritrovarsi nel salone dell’appartamento, nel quale Kazuha intravide Richard che, vestito elegantemente, trascinava in avanti alcuni bagagli.
“Ciao Richard.”
Il fotografo le rispose un debole ‘ciao’ per poi avvicinarsi alla compagna, e sussurrarle qualcosa all’orecchio.
“Fammi sapere poi...” mormorò donandole un bacio sulla guancia, a cui Ran non diede alcuna risposta. Rimase immobile, con gli occhi abbassati, evitando di guardarlo uscire. Ogni dannato secondo si malediceva per la sua vigliaccheria nei confronti del partner, ma nonostante avesse avuto le occasioni per confessargli tutto, non riusciva a proferir parola e continuava a chiudersi in se stessa. Richard si allontanò dalla scena e nell’avvicinarsi alla soglia dell’entrata si rivolse alla nuova arrivata, allegramente:  “Ci vediamo Kazuha, io sto partendo per l’Hokkaido! Ho una conferenza da fare. A presto.”
“Sì...allora buona fortuna” si sforzò di dirgli la ragazza, mentre al suo interno straripava di una gioia immensa. Un problema, Richard, era stato involontariamente risolto. Quello era destino, se lo sentiva.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e scomparve nel giro di pochi istanti.
Appena Richard fu oscurato dalla sua vista, Kazuha si avvicinò a Ran, e la scosse, afferrandola per le braccia.
“Ehi! Come siamo silenziose!” esclamò, cercando di farla sorridere. L’amica alzò lo sguardo verso di lei, ma di sorrisi sul suo volto non c’era neanche l’ombra. Nei suoi occhi era possibile scorgere un senso di infinita tristezza, che sembrava nascere dalle sue iridi azzurrine per poi sprofondare nell’oscurità più assoluta. Era possibile capire che stesse male nel guardarle la mano, oppure il polso, o anche le gambe. Queste parti del suo corpo non smettevano di tremare e stentavano a mantenere le proprie funzioni. Ed era sorprendente che lei, potesse cadere in quell’angoscia più profonda, unicamente per Shinichi Kudo.
La forza che li univa era la stessa che distrattamente li respingeva.
“Non è uno dei miei periodi migliori...” bisbigliò rattristita, scostandosi dalla giovane.
“Vediamo se riesco a tirarti su di morale!” le disse Kazuha, riavvicinandosi a lei.
“Ce ne andiamo a Niigata per tre giorni... e le uniche cose che avrai da pensare saranno il Sole, il mare e le spiagge.”
“Il mare...” sussurrò Ran, completamente in estasi. Kazuha la guardò stranita, inarcando un sopracciglio.
“Sì! Il mare! Non vedi l’ora di stare sdraiata sulla spiaggia a prendere la tintarella?!” esclamò gioiosa, portando le mani in alto.
“Il mare...” continuò Ran, con gli occhi nel vuoto. “Ha lo stesso colore degli occhi di Shinichi...”
“E-ehm s-sì... credo di sì” le rispose Kazuha, in difficoltà. La ragazza si avvicinò a Ran e le prese il viso tra le mani, alzandole lo sguardo. I suoi occhi erano lucidi, e la sua bocca increspata.
“Ran... forza su su... pensa al Sole! Vedrai come ti farai bella” cercò di rincuorarla, sorridendole.
“Il Sole...” mormorò nuovamente Ran, con un filo di voce. “Shinichi è bello come il Sole...”
A quella frase Kazuha pensò che l’amica fosse un caso completamente irrecuperabile. Portò una mano al viso, scompigliandosi i capelli.
“Ehm sì, è un bel ragazzo, non c’è che dire... però!” provò ancora, puntandole l’indice contro.
“Adesso pensa al caldo della spiaggia, che ti avvolge il corpo, come se ti ritrovassi sotto una coperta...” le disse melodrammatica, portandosi le mani alle braccia, stringendo se stessa come avvolgendosi.
“Il caldo...” sussurrò Ran, mentre una lacrima le solcò il viso. “Il corpo di Shinichi è caldo...”
Kazuha rimase basita, con occhi serrati e la bocca spalancata. Restare a parlarle era inutile, doveva agire. Decise di passarle un dito sotto gli occhi, asciugandole il viso, dopo che la scia della lacrima l’aveva inumidito. La trascinò in stanza e prese la valigia che Ran aveva sotto il letto. Le aprì l’armadio, e la posizionò di fronte ad esso, indicandoglielo.
“Ora, ti scegli i vestiti e partiamo!” le ordinò scuotendola, mentre mentalmente sperò di aver evitato nella frase appena pronunciata, qualsiasi parola che le ricordasse Shinichi.
 
 
Il giovane investigatore lasciò andare la porta della dependance, chiudendosi alle spalle tutti i problemi relativi al caso Kemerl. Un uomo che aveva rinunciato a se stesso per vendetta, era un pazzo o non poteva essere biasimato? E poi chi era quell’ “argento arrugginito” che odiava così tanto? Molti indizi e poche certezze, nessuna prova. Più passavano i giorni, più il caso sembrava aggrovigliarsi in una rete di informazioni incomprensibili che non trovavano filo logico. Sbuffando, si diresse verso il portone di casa Kudo, intento a dedicarsi ad una serata di solo relax. In quegl’ultimi giorni lo stress aveva popolato la sua vita, unendosi alla malinconia e alla delusione. Le parole di Ran gli erano arrivate come una pugnalata al cuore, e squarciandolo, lo avevano ferito come nessun’arma avrebbe potuto mai fare. Il suo tono di voce era sicuro, ostentando un’improvvisa e decisiva freddezza nei suoi riguardi. Eppure, pochi minuti prima si era sentito in Paradiso, circondato da un’atmosfera idilliaca, insieme alla donna che più era importante per lui, da sempre. Ed ora non gli importava cosa lei pensasse seriamente di lui, o cosa avesse davvero intenzione di fare. Era il momento di mettere la parola fine a quella storia, concludendola. E questo, nonostante fossero passati quattro anni, sembrava ancora impossibile da fare.
“Ciao ragazzi.”
Shinichi entrò distrutto e con aria stanza in casa, incamminandosi verso il divano. Si trovò di fronte Heiji, accompagnato da Shiho. Il detective non badò minimamente ai suoi amici e si accasciò alla poltrona, mettendosi comodo.
“Shinichi, finalmente!” esclamò Heiji, gioioso. “Che ne dici se domani partiamo per Niigata?”
L’amico socchiuse gli occhi, ricercando un po’ di tranquillità sul salotto di casa sua. Distese le gambe adagiandole ai cuscini, e sprofondò la testa nel guanciale, sbuffando.
“Mft” mugugnò un verso strano, che i due sembravano non aver decifrato. Il giovane di Osaka si girò verso la scienziata, che si allontanò dalla stanza, dimostrando tutta la sua contrarietà a questa pazzia.
Heiji ritornò a guardare Shinichi e si avvicinò a lui, sedendosi sull’orlo del divano.
“Ci andiamo a rilassare! Ti farà bene un po’ di relax no?!” insistette, cercando di convincerlo.
“Fate quello che volete ma...” riuscì a dire, sbadigliando. “Lasciatemi dormire!”
“Quindi vieni?!” gli domandò ancora l’amico, trattenendo un risolino. Shinichi non rispose alla domanda, mantenendosi fermo ed adagiato al materasso del divano.
Heiji lo scrollò con le mani, e facendolo sussultare gli fece aprire gli occhi. Kudo li ridusse a fessure, per poi sbuffare rumorosamente.
“Hai rotto!”
“Dai vieni, così ti passa anche questo morbo che hai...” gli suggerì, ammiccando.
“Io non ho nessun morbo, sia chiaro!” sbottò, richiudendo nuovamente gli occhi.
“Se tu stai bene, io non sono giapponese” continuò a punzecchiarlo Heiji.
“Effettivamente non lo sembri” rispose Shinichi, ridacchiando.
“E tu non sembri stare bene...” continuò l’amico, mantenendo vivo il gioco.
“Ok basta, vengo... però fammi dormire” lo supplicò ancora.
Heiji si alzò dal salotto, e ed incamminandosi verso l’interruttore della luce, la spense. Prima di andarsene, lanciò un ultimo sguardo a Shinichi, e sorridendogli gli disse un’ultima cosa, che il detective però non riuscì a sentire, essendo già tra le braccia di Morfeo.
“E poi ho l’impressione che la tua malattia la possa curare una sola persona... ed io so anche quale.”

 
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Ooooooh! Bene! Allora in questo capitoletto abbiamo i nostri eroi che partono per la lontana Niigata, alla ricerca di Sole, caldo, mare e un po’ d’amore se possibile!
Ran sta sempre più male per Shin-chan che, d’altro canto, è molto offeso per quelle parole... beh, chissà cosa succederà adesso!
Per scoprilo, dovrete continuare a seguirmi! :D
Vado un po’ di fretta ma vorrei ringraziare coloro che hanno recensito il capitolo scorso:
ciccia98, frangilois, salieri, Yume98, PaV, totta1412 e Martins! Grazie mille come sempre!!!!

Ci vediamo, alla prossima!!!
Un bacione,
Tonia.
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Capitolo 21
*** Lacrime d'orgoglio ***


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Lacrime d’orgoglio
Ventunesimo capitolo
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Niigata era bagnata da un mare limpido e calmo, un tappeto d’acqua che luccicava al riflesso dei raggi solari. Nonostante non fossero giunti ancora a destinazione, Shinichi riusciva ad intravederlo attraverso il finestrino della macchina che stava guidando, che scorazzava libera tra le curve della superstrada. Il Sole regnava incontrastato nel cielo privo di nubi, riscaldando con la sua radiosa luminosità l’ambiente che lo circondava. Quella giornata avrebbe messo il buonumore a chiunque, escluso Shinichi.
“Penso sia facile scoparsi una ragazza ubriaca, non credi?” gli domandò lei, quasi ironica. Poi si abbassò al pavimento, recuperando la sua camicia, e gettandogliela contro con stizza.
“Diamine Ran! Mi conosci da una vita e pensi che io sia uno sporco approfittatore?!” imprecò lui, afferrandola con le mani.
E per quanta luminosità e calore ci fossero fuori, la sua anima era sprofondata nell’oscurità e nella freddezza più assoluta. Le parole di Ran rimbombavano nella sua mente proprio come un’eco si espande tra i monti di un bellissimo panorama. Storse la bocca, stringendo sempre più le mani sul volante. Non aveva mai visto una Ran così cinica. Non aveva mai visto una Ran così fredda, così distante con lui, così diretta.
Non sembrava la sua Ran. O forse, non era più la sua Ran.
Probabilmente era cambiata, era diversa, era mutata a causa delle persone che le avevano seduto accanto negli ultimi anni. E a dispetto di ciò di cui era convinto, forse lei non era più innamorata di lui. Forse lui non era più la sua priorità, la sua necessità, la sua essenza. Lui non era più il suo zero, non era più il suo inizio, e nemmeno la sua fine.* Per questo si era ripromesso a se stesso di gettare ed in cestinare quella storia, di smettere di ingarbugliarsi la vita per il ricordo di un amore che non potrà mai più tornare. E se quello non potrà mai più esserci, non ci sarà più niente dopo, perché niente avrebbe mai potuto eguagliare l’importanza di Ran nel suo cuore.
“Certo che fa caldo qui” sbuffò, sventolandosi con le mani, una Shiho scocciata ed inaridita. Shinichi tenne dritto lo sguardo sulla strada, accennando solo un lieve movimento con il capo, facendole capire la sua concordanza. Heiji mantenne la testa con una mano, appoggiandosi al finestrino della portiera, nel tentativo di rinfrescarsi il viso. Sperava con tutto se stesso che il piano organizzato da Kazuha e Sonoko andasse per il verso giusto, anche perché vedere Shinichi in quelle condizioni era opprimente. Il detective dell’Est non esternava mai i suoi sentimenti, e nel vano tentativo di raggelarli e mascherarli, li rinchiudeva in un alone di mistero che lo circondava perennemente. Poteva apparire come un egocentrico ed un menefreghista, uno sbruffone che pensava solo a se stesso e diffondeva insensibilità e superiorità ergendosi al di sopra di tutti; ma per chi lo conosceva bene, come Heiji e Shiho, era pienamente consapevole della sua segreta debolezza che buffamente ostentava a nascondere. E sapevano bene entrambi, che quella debolezza rispondeva al nome di Ran Mouri.
Nel distogliere lo sguardo dall’amico, il detective di Osaka avvertì il suo cellulare vibrare ed illuminarsi, all’arrivo di un nuovo messaggio. Scrutò il display e sorrise, era Kazuha.
 
Siamo all’albergo, e fortunatamente Ran non sospetta niente! Sbrigatevi ad arrivare!
P.s. Ti amo

 
Un rossore gli invase le guance nel leggere le ultime cinque lettere di quel breve ma carico messaggio. Non era la prima volta che Kazuha gli diceva di amarlo dopo essersi rimessi insieme, però nel sentirlo, anche solo attraverso un freddo testo, provava sempre un’emozione indomabile che lo portava ad incurvare le labbra e sorridere. Un sorriso spontaneo, di quelli che non puoi fermare. Di quelli che ti rendono più bello alla luce del Sole. Spinto da un’irrefrenabile voglia di rivederla e di riabbracciarla, lanciò uno sguardo verso Shinichi e gli poggiò una pacca sulla spalla.
“Ehi amico, forza, spingi quell’acceleratore! Guarda che mare ci aspetta!”
 
“Buongiorno signori, avete prenotato?”
“Sì, Kudo” rispose Heiji, permettendo all’uomo di ricercare il cognome all’interno della lista. Dopo un’estenuante viaggio di due ore, i tre erano appena arrivati all’hotel che maestosamente si edificava proprio di fronte alla spiaggia, lasciando interdetto anche Shinichi, che al lusso ci era più che abituato. Un albergo circondato da una rete di vetri che, grazie alla loro trasparenza, permettevano in ogni momento di ammirare il mare ed il paesaggio circostante. Il detective rimase a bocca aperta nel guardarsi intorno, e nel perdersi nella bellezza di quella struttura, non si accorse nemmeno dell’amico, che segretamente confabulava con l’addetto alla reception.
“Senta, buon’uomo... in quest’hotel avrebbero dovuto prenotare anche tre ragazze, molto carine...” cominciò Heiji, sporgendosi verso l’uomo, e coprendosi la bocca con la mano, aggiunse: “le dispiace darci la camera vicino a quella di queste ragazze? Ci farebbe un grandissimo favore.”
“Cognome?”
“Ehm... cerchi Suzuki, Mouri o Toyama... boh, non so quale delle tre abbia prenotato” rispose l’investigatore, grattandosi il capo per l’imbarazzo. Dimenticava sempre di chiedere a Kazuha le cose più importanti, nonostante lei avrebbe potuto anticipare alla reception che stavano arrivando, evitando inutili gaffe.
“Sì... poco prima di voi sono arrivate tre ragazze ed hanno prenotato, a nome di Suzuki Sonoko, la stanza 621” asserì l’uomo leggendo lo schema delle camere sul display.
“Se per lei va bene la stanza successiva è libera.”
“E vai!” esultò Heiji, portando un pugno in alto. Il suo movimento attirò l’attenzione di Shinichi che, incuriosito da quell’improvviso clamore, si avvicinò a lui.
“Che è successo, perché esulti?”
“Eh?” si riprese l’amico, serrando gli occhi. “N-no no... e che abbiamo preso una stanza con vista mare, bello no?!” gli domandò, un po’ titubante.
“No signore in realtà qui i-” cercò di replicare l’uomo, ma venne fermato dall’intervento repentino di Shiho che prese Shinichi sotto un braccio, trascinandolo via.
“Forza andiamo Heiji! Vuoi perdere altro tempo?” gli chiese diretta, mentre il vero significato della frase arrivò solo al nominato.
“Stanza 622, ecco a voi le chiavi.”
 
“Non mi state nascondendo niente, vero?” chiese Shinichi, mentre si apprestava a salire le scale dell’albergo. Shiho ed Heiji si girarono verso di lui, con gli occhi ridotti a puntini, fingendosi impegnati nel trasporto dei bagagli. Non risposero alla domanda pertinente dell’amico che, prima o poi, avrebbe scoperto l’intero arcano e si sarebbe ritrovato occhi negli occhi con il suo problema più grande. Ran.
“Ragazzi... che c’è sotto?” continuò a chiedere l’investigatore, mentre l’amico si apprestava ad aprire la porta della seicento ventiduesima stanza, permettendo agli altri di entrare. L’atteggiamento di Heiji e Shiho per Shinichi era stato troppo ambiguo. Avevano scelto di partire senza alcun preavviso ed immediatamente, verso la lontana Niigata che, nonostante rispendesse di Sole e spiagge, non aveva alcun motivo particolare per essere visitata. Nessuno se nessuno si fosse intromesso. Shinichi sospirò, lasciando andare di un po’ il suo corpo verso il basso, e le braccia lungo il fisico.
“No, non ditemi che è quello che penso.”
“Perché... cosa pensi?” gli chiese in difficoltà Heiji, che di lì a pochi minuti si aspettava le più grandi ed atroci sofferenze da Shinichi, che incominciava a guardarlo con occhi indiavolati.
“Heiji dimmi che non c’è.”
“Ehm...”
“Ehilà ragazzi, anche voi qui?”
La voce di Sonoko fece voltare Shiho, Heiji ed infine Shinichi che, nel sentirla, socchiuse gli occhi. Sbuffò rumorosamente, intuendo d’un botto il piano organizzato dai suoi amici nel vano tentativo di farlo riappacificare con Ran. Si girò anche lui, e si ritrovò sulla soglia della stanza una Sonoko raggiante, in tenuta mare, con accanto Kazuha in costume, pronte per scendere in spiaggia.
“No, non ci credo, anche voi!” esclamò Hattori, con una voce che più finta non avrebbe potuto renderla. Sonoko smorzò una risata, mentre Kazuha si nascose dietro l’amica ridacchiando. Shinichi fece una smorfia, e si voltò di nuovo, poggiando la valigia sul letto.
“E’ ridicolo” bisbigliò, rendendosi conto di non essere ascoltato da nessuno.
“Ma guarda com’è piccolo il mondo!” continuò la farsa Heiji, ed evitando di guardare l’amico, aggiunse: “Perché non andiamo tutti insieme in spiaggia?”
“Per me va bene” annuirono Shiho e Sonoko, mentre Kazuha si limitò a rispondergli con un bellissimo sorriso.
“Shinichi tu?” chiese, quasi intimorito, nella speranza di non averlo fatto troppo arrabbiare. Sapeva che non doveva intromettersi nei suoi affari, ma vederlo così triste e giù di morale faceva stare male anche lui, che lo vedeva non solo come un semplice amico, ma come un vero fratello. Per lui, Shinichi Kudo era il faro da seguire, il mito da cui imparare, il maestro da imitare. Niente e nessuno poteva scalfire quell’immagine di Kudo, a cui pian piano aveva imparato a voler un bene assoluto, che andava oltre la loro passione per l’investigazione. Ed erano in momenti come questi che quel maestro aveva necessario bisogno di lui, anche se, per via dell’orgoglio, non l’avrebbe mai ammesso.
“No, io resto qui. Il tempo di riposarmi, tra un paio di giorni parto per New York” disse, lasciando i presenti stupiti, con bocche spalancate. Sonoko guardò Kazuha, che guardò Heiji, che guardò Shiho, che si limitò ad alzare le mani, in segno di resa. In realtà, quel gesto sembrava dire proprio ‘io ve lo avevo detto’, riportando alla realtà le illusioni degli amici che avevano sperato invano in una riconciliazione divina.
“New York? Perché non resti? C’è anche...” provò Kazuha, ma venne interrotta.
“Devo lavorare, non posso fermarmi” continuò lui, con tono glaciale.
“Sicuro?”
“Sì, andate pure.”
I ragazzi ripresero a lanciarsi occhiate tra di loro, insicuri sul cosa fare. Shinichi sembrava proprio non avere intenzione di perdonare la ragazza che, d’altronde, in quel momento non era neppure presente. Heiji guardò Kazuha, cercando di chiederle con gli occhi dove si trovasse l’amica, ma non riuscì ad ottenere risposta e si limitò a sospirare, portando una mano sulle spalle della fidanzata.
“Andiamo dai” incitò le altre, conscio della situazione. Sapeva bene che insistere non sarebbe servito a niente con il detective, quindi tanto valeva lasciar perdere. Dopotutto loro ci avevano provato, ed era questo l’importante. Le giovani decisero di non opporre resistenza, e si allontanarono con l’investigatore verso l’ascensore, lasciando Shinichi da solo nella stanza. L’ultima cosa che vide Heiji era il viso deluso dell’amico, che scuoteva il capo in segno di seccatura.
 
Il giovane Kudo si avvicinò alla porta della stanza, accingendosi a chiuderla, nel tentativo di evitare nuove seccature. La sua testa era divisa tra il pensiero incessante di Ran e la voglia opprimente di scacciarla via dalla sua testa, il prima possibile. Partire per New York sarebbe stata l’occasione giusta per lasciarsi tutto alle spalle, e dedicarsi completamente alla sua vita da detective. Fece una smorfia nel vedersi così ridotto male, così ferito e malinconico. Proprio lui che aveva giurato a se stesso di non soffrire più per lei, adesso si guardava ridendo per come era messo. Era un debole in amore, e lo sarebbe sempre stato quando si trattava di Ran. Afferrò la maniglia della porta, ma prima che potesse chiuderla, si ritrovò davanti l’unica persona che non avrebbe voluto vedere in quel momento. La ragazza sussultò e serrò le palpebre nel ritrovarselo di fronte, lanciando uno sguardo alla sua sinistra, capendo che, presa nelle sue elucubrazioni, stava addirittura per sbagliare stanza.
“S-Shinichi!” urlò, avvicinandosi a lui. “M-ma che ci fai qui?”
Il ragazzo la osservò per qualche istante, ferito da quella stessa voce che qualche giorno prima lo aveva accusato di essere uno sporco approfittatore, pugnalato al cuore da quello stesso volto che continuava ad amare, nonostante il male che gli provocasse. Annegando nell’orgoglio, storse le labbra in una smorfia, e le diede le spalle, dirigendosi verso il letto. Né una sola parola, né una sola lettera. Né una singola emozione traspariva da quello sguardo meraviglioso di cui la ragazza era profondamente innamorata. La giovane sentì il suo corpo tremare, mentre il suo cuore, mosso da una fitta lancinante, cominciò a battere velocemente. Le miliardi di sensazioni che avvertiva nel rivederlo, dopo quel brutto litigio, erano indescrivibili, ma inconfondibili. Pervasa da un senso di infinita gioia e felicità nel poter riosservare quel corpo e quei lineamenti perfetti, dovette bloccarsi nel constatare che il ragazzo non aveva la benché minima voglia di starle accanto. Così provò ad avvicinarsi a lui, e timidamente cercò di aprirsi una strada. Se ci fosse riuscita, avrebbe ottenuto il suo perdono, avrebbe riassaporato il sapore di quella pelle e di quelle labbra. Aveva voglia di lui, e non avrebbe mai potuto farci niente.
“A-Anche tu a Niigata?” domandò, intimorita. Dopotutto, se Shinichi non era a conoscenza del piano diabolico degli amici, Ran ancora l’aveva scoperto e quindi non poteva immaginare che il detective ci fosse stato portato di forza. Purtroppo, le parole innocenti e sincere della ragazza, risuonavano a Shinichi come meschine, poiché credeva che fosse stata proprio lei ad organizzare tutta quella messa in scena. Ancora una volta l’investigatore non sibilò alcuna parola, lasciando Ran nel silenzio più totale di quella giornata.
“Io sono con Sonoko e K-”
“Cosa vuoi?” la interruppe gelido Kudo, facendola deglutire. Ran si bloccò a guardarlo, non osando proferire parola. Era evidente che fosse deluso e stizzito dalla loro discussione, ma quel suo tono indifferente feriva più di qualunque arma al mondo.
“Niente” ripose a bassa voce, chinando il capo verso il pavimento. Non ci sarebbe riuscita a guardarlo e trattenersi dal piangere contemporaneamente. Cercò di farsi forza, stringendo le mani in pugni, ma non ottenne molto.
“Bene, allora vattene, devo dormire” continuò lui, cercando di mantenere la voce atona. E ciò era difficile, probabilmente impossibile. Non solo era emozionato dall’averla a pochi centimetri di distanza in quella stanza di quell’albergo, ma era anche deluso e ferito da lei, e ciò non gli permetteva di dare libero sfogo alla sua spontaneità e alle sue vere sensazioni.
“Se lo fai per l’altro giorno... i-io volevo...”
“Faccio cosa?” domandò lui, un po’ ironico.
“Ci sarai rimasto male, io non volevo dirti quelle...” provò, ma venne nuovamente interrotta da Shinichi.
“Rimasto male?” replicò lui, azzardando un sorriso di ghigno, come a dimostrarle che quell’eventualità era assolutamente improponibile.
“Per una scopata mancata?” continuò, ferendola a morte. Nonostante il suo corpo fosse illeso, Ran sentiva il suo cuore frammentarsi in tanti piccoli pezzi, che pian piano prendevano la forma di innumerevoli lacrime. Una goccia amara le bagnò il viso, mentre portò i suoi occhi in quelli dell’investigatore.
“S-scopata?” domandò, balbettando. Una nuova lacrima le solcò la pelle, provocandole un ingente fastidio. Cominciò a sentire il vuoto sotto i suoi piedi, e le gambe perdere l’equilibrio. No, non poteva credere a ciò che stava sentendo.
“Scusa ma cosa credevi?” le domandò, ridendo. “Che ci saremmo rimessi insieme? Ma per favore dai.”
Ran sentì il mondo caderle addosso, disintegrando e distruggendo ogni piccola speranza di felicità a cui avrebbe potuto aspirare fino a quel momento. Le parole di Shinichi erano spietate, taglienti come lame e pungenti come spine. Cominciò a singhiozzare ed abbassò il capo, nel tentativo di evitare il suo sguardo. Spalancò gli occhi, rendendosi conto di essersi costruita un castello di convinzioni, che in quel preciso istante venne abbattuto dalla forza annientante della voce del detective.
“No...non scherzare Shinichi, n-non è divertente..” lo imprecò lei, tentando di convincersi che quello fosse solo un gioco, un semplice scherzo, architettato dalla mente del ragazzo.
“Non sto scherzando” ribatté convincente lui, simulando una smorfia di disgusto.
“Shinichi se è per R-Richard io s-sono pronta a lasc-”
“Non mi interessa niente di quello lì!” urlò, facendola zittire.
“Non mi interessa niente... di te” esitò nel pronunciarlo, ed abbassò il capo, essendo impossibile per lui dirle tale menzogna guardandola negli occhi. Non aspettò la reazione della ragazza, che sembrava essersi bloccata su quei pochi centimetri di pavimento al suono di quelle parole. Se non fosse per i suoi singhiozzi, avrebbe pensato di star morendo, di stare precipitando in un’agonia senza fine. Precipitava ma non verso il basso, non verso destra, non verso sinistra. Cadeva senza direzione, e trascinava con lei la voglia di risalire. Da quell’oscurità vide la figura di Shinichi allontanarsi, e nell’attraversare la stanza, abbandonarla in preda al rimbombo di quella frase, ardente più del fuoco.  
“Non...non gli interessa niente di me” mormorò a bassa voce, accasciandosi al pavimento. Il sapore amaro delle lacrime accarezzò i suoi occhi arrossati, per poi scendere lungo le guance e le labbra secche, sul quale si fermavano o franavano irrimediabilmente verso il basso, schiantandosi contro il pavimento. Il suo corpo era debole, fragile, indifeso. La sua anima era sconfitta, distrutta, disintegrata. Il suo cuore spezzato e frantumato in innumerevoli pezzi, che mai più avrebbero combaciato nel puzzle della sua vita. L’unica certezza su cui poteva contare era caduta miserabilmente. La sua mente fu attraversata da innumerevoli immagini e ricordi che la ritraevano con Shinichi. Il loro primo bacio, la loro prima volta, i loro litigi ma anche le loro risate. Tutto, in quel momento, sembrava finito per sempre. Forse perché negli Stati Uniti non aveva mai creduto davvero in una loro definitiva separazione; lei sapeva che sarebbe tornata da lui, come lui da lei. Invece adesso era tutto irrimediabilmente svanito, scomparso nel giro di pochi istanti, nel giro di poche parole. Non aveva né la forza di rialzarsi, né la volontà di farlo. Avrebbe voluto rimanere seduta su quel pavimento per la vita, alimentandosi del solo dolore di quella voce, saziando la sete solo attraverso le lacrime.
“Ran che è successo?”
Fu costretta ad alzare il capo, imbevuto di stille, nel ritrovarsi di fronte il viso della donna che la sua mente continuava ad apostrofare come rivale. Vide però in quegl’occhi una luce di compassione e di amicizia, che mai aveva avvertito nei confronti della biondina.
Nei confronti di Shiho.

 
*Shinichi nel 72esimo volume dice che zero è dove tutto ha inizio. Lo zero è sostanzialmente paragonato all’amore.
 
 
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Carissime!!!! Sono tornata con il ventunesimo capitolo ^____^
Ma quanto è stato bastardo Shin?!? Questa volta è toccato a lui offendere l’amata, in preda all’orgoglio e alla stizza. Bene ora stanno 1 a 1 XD Vedremo cosa succederà con... Shiho! Lei nel prossimo capitolo avrà un ruolo fondamentale, poi scoprirete ^___^
Ah, ci tenevo a dirvi che la scelta del numero della stanza 621 è un omaggio alla puntata in cui Shin si dichiara a Ran! XD Sono pazza, lo so XDXD
Cooomunque, ora passo ai miei soliti ringraziamenti :D
Marty Kudo, ciccia98, Martins, frangilois, Yume98, PaV e salieri, grazie per aver commentato il precedente capitolo! Come sempre siete troppo gentili *___*
Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite, seguite o ricordate. Un giorno vi menzionerò tutte :D
Va bene... alla prossima allora!
Un bacione, Tonya.
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Capitolo 22
*** Un passato da dimenticare ***


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Un passato da dimenticare
Ventiduesimo capitolo
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I suoi occhi straripanti di lacrime sciolsero il cuore della fredda scienziata che, nel ritornare nella stanza, si ritrovò di fronte una Ran inerme accasciata al pavimento. Sembrava un gattino intimorito, raggrinzito su se stesso, indifeso ed attaccabile. Non c’era bisogno di un detective o di un genio, e nemmeno di una laurea, per capire che la ragione di tale pianto disperato fosse proprio l’amico Shinichi, con il quale probabilmente si era scontrata ed aveva, nuovamente, litigato. Si accovacciò, portandosi alla sua stessa altezza, rimanendo in silenzio per qualche istante.
“Scusami... v-vado via” le disse singhiozzante Ran, tentando di alzarsi da terra, mentre strofinava il gomito lungo le guance per levar via le lacrime. Non servì però a molto, essendo il suo volto zuppo ed inumidito da quelle gocce amare che le avevano bagnato il viso, arrossito gli occhi e seccate le labbra. Il suo corpo tremava a vista d’occhio, le sue gambe erano fragili e tremolanti, stentavano a reggersi in piedi.
Tuttavia la giovane riuscì a portarsi su con fatica, ritrovandosi la biondina a pochi centimetri, restia a lasciarla andare.
“Tieni” le disse dolcemente, con un sorriso di compassione, porgendole un fazzoletto. “Con questo andranno via meglio.”
“G-grazie” riuscì a risponderle, tenendo il capo chinato verso il basso. Avrebbe voluto abbandonare quella stanza il prima possibile, e rinchiudere in essa le parole del detective, proprio come se fossero state il frutto di un incubo, di uno scherzo, o di una bugia. Eppure tutto sembrava così vero, tutto sembrava così reale. Lo sguardo di Shinichi ed i suoi occhi freddi ed impenetrabili la fissavano ancora, come se lui fosse ancora lì, in quella camera. Dovette però scontrarsi con la realtà, e ritrovarsi di fronte gli occhi azzurri di Shiho, pieni di tenerezza. Una tenerezza che mai aveva avvertito in quella ragazza, e che stranamente, in quel frangente, sembrava emanare.
“E’ per lui?” le domandò in seguito, bisbigliando quasi. Ran si limitò ad annuire, lasciando che l’ennesima lacrima le solcasse il volto e cadesse miserabilmente a terra.
“S-sono u-una stupida” balbettò singhiozzando la Mouri, stringendo forte le mani in pugni. Shiho la guardò per qualche istante, lasciandole il tempo di sbollire la rabbia. Delusa, amareggiata, distrutta e indebolita da quella cinica e violenta, non nei modi ma nelle parole, conversazione, si lasciò andare sul materasso del letto, facendolo traballare.
“Ti va di parlarne?” le chiese di getto la scienziata, lasciandola un po’ spiazzata. Ran vedeva dinanzi a lei una Shiho nuova, diversa, più comprensiva e dolce. Non sembrava per nulla turbata o seccata dalle sue lacrime, né tantomeno raggelata dal suo comportamento. Per la prima volta, Shiho Miyano le mostrava preoccupazione.
“A te va di sentire?” le chiese, abbozzando un lieve sorriso sarcastico. “Non vorrei annoiarti.”
“Potrei darti qualche consiglio” le rispose pacata la ragazza, mentre si metteva a sedere sul letto, accanto a Ran. La karateka deglutì più volte per poi lasciarsi andare a sospiri di sollievo, che in qualche modo sembravano tranquillizzarle il gracile corpo; niente potevano con il suo cuore, del quale i piccoli pezzi avrebbe potuto racimolare a terra.
“Avrei voluto chiedergli scusa dopo le brutte parole che gli ho rivolto una settimana fa, ma non mi ha voluto neanche ascoltare” cominciò il discorso con voce abbattuta la ragazza, ripensando agli avvenimenti che sette giorni prima le avevano scosso l’esistenza, facendole capire che Shinichi Kudo sarebbe rimasto per sempre nel suo cuore e nella sua mente, a dispetto di tutte le convinzioni che avrebbe voluto imporsi.
“Inoltre... a quanto pare per lui sono un passatempo, uno squallido passatempo” completò Ran, storcendo il naso e le labbra in segno di rabbia. Ma benché si sforzasse, quelle parole le echeggiavano nel cervello, causandole un forte mal di testa.
“Tu saresti un passatempo?” le chiese sorridendo la bionda, con ironia. “Allora non lo conosci proprio.”
“Tu credi di... no?” le chiese la ragazza, facendo trasparire la speranza che risiedeva nella risposta della scienziata. Eppure non avrebbe mai pensato che le sarebbe servito un suo parere per fare chiarezza riguardo Shinichi. Insomma, Ran era colei che lo conosceva più di tutti a questo mondo. Shiho invece sembrava essere colei che l’aveva visto in tutte le sfaccettature. Ran lo conosceva come fidanzato, Shiho lo conosceva come uomo.
“Io credo?” continuò sarcastica. “Io ne sono convinta. E non per mio parere personale, sia chiaro.”
“Non ti seguo” le confidò la karateka.
La ragazza ridacchiò, e nel farlo si sistemò più comoda sul letto. Portò una gamba sotto l’altra, e appoggiò le braccia su di questa. Infine, tolse le scarpette che indossava, per liberare i piedi dal calore del chiuso.
“Ran, io...” cominciò, abbassando lo sguardo, e azzardando un sorriso di scherno. “Io ero innamorata persa di Shinichi... un po’ di tempo fa.”
“I-innamorata?!” sbottò l’altra, serrando le palpebre e in seguito la bocca. Pensò che tutti i suoi dubbi riguardo il rapporto tra Shiho e il detective stessero per diventare certezze. Lo aveva immaginato che nascondevano qualcosa, del quale non avrebbero mai voluto far testo. Invece, in quel momento, quella ragazza così chiusa ed introversa, le stava aprendo per la prima volta il cuore.
“Sì” affermò ancora. “Da quando l’ho conosciuto non ho fatto altro che pensare che fosse un ragazzo troppo interessante e speciale da poter essere paragonato agli altri. Non solo per le sue capacità deduttive, o per il suo aspetto fisico... ma per il suo carattere, il suo modo di fare, il suo modo di essere.”
“Ma...” provò ad interromperla Ran, ma senza successo. Vide la scienziata alzarsi per dirigersi verso la porta e chiuderla con un colpo secco. Ritornò di fretta dall’amica, e si adagiò nuovamente al letto.
“Così nessuno ci disturberà” le disse, portando di nuovo lo sguardo alla porta.
“Quindi non ti nascondo che mi sono sempre sentita attratta da lui, ma... almeno fino a quando c’eri tu, lui non mi ha mai dato speranze.”
“Mi odi?” le chiese ironica la ragazza, sorridendo lievemente.
“No” scosse la testa, rassicurante. “Non era colpa tua se lui era innamorato di te... io sono arrivata dopo, e non ho fatto altro che incasinargli la vita. L’apotoxina, l’organizzazione, le bugie... beh è tutto un po’ colpa mia.”
“Ma tu sei stata costretta ad inventare quella sostanza. E poi, sei riuscita anche a crearne l’antidoto, quindi...” le sorrise ancora Ran, incominciando a sbollire la tensione. Si sentiva come se stesse parlando con una sua vecchia amica, al quale era stata molto affezionata ma che aveva perso di vista. Si sentiva come se stesse parlando con la sorella maggiore che aveva sempre desiderato e mai avuto.
“Sì, ci sono riuscita fortunatamente, più per lui che per me. Ma forse, è proprio questo legame strano che ha fatto crescere in me la speranza. Poi tu sei partita, vi siete lasciati...e lui intanto, credimi... è stato malissimo.”
“Davvero?” le domandò Ran, come se l’eventualità le facesse piacere. Non avrebbe mai voluto il suo male, ma pensare che anche lui abbia sofferto per la fine della storia la soddisfava. Stranamente, ne gioiva.
“Era ben visibile quanto stesse male, nonostante lui volesse nasconderlo. Dedicava le sue giornate al lavoro, vederlo sorridere era un evento più unico che raro” le confidò ancora, continuando ad elencare i suoi ricordi.
“Poi, d’un tratto si è rialzato, ferito ma non sconfitto. E, forse per vendetta, chissà...ha cominciato a fare stragi di cuori” asserì ridacchiando al pensiero Shiho.
“Perché con chi è stato?” domandò incominciando ad incuriosirsi Ran, sempre più interessata al discorso. Avrebbe voluto sapere lo scopo di tale conversazione al più presto ma frenò la sua indiscrezione.
“Con chi è stato!?” sbottò ironica l’altra. “Non è difficile per lui trovarsi una ragazza da portarsi a letto, credimi. Gli sbavano dietro!”
“Non posso biasimarle” asserì sorridendo Ran, facendo ridire anche Shiho.
“Ed infatti incominciavo a farlo anche io. Se me l’avessero detto non c’avrei mai creduto... io, Shiho Miyano, stavo perdendo la testa per un ragazzo... anche più piccolo di me!”
“S-siete stati insieme?” domandò un po’ curiosa ma allo stesso tempo imbarazzata. Eppure, nonostante si stesse parlando di Shinichi, quel discorso non la ingelosiva, neanche un po’.
“Beh, ci siamo avvicinati sempre più poi. Veniva spesso da me, scherzavamo insieme, ci divertivamo davvero... tra bacetti innocenti e coccole, finché...” si bloccò d’un tratto, spostando lo sguardo altrove.
“Finché?!”
“Finché non siamo finiti a letto insieme... te l’avevo detto, lui è stato il secondo.”
“E...e poi?” domandò sempre più curiosa Ran, non volendo interrompere la conversazione sul più bello.
“Inizialmente non cercai spiegazioni, né tantomeno sicurezze. Avrei voluto solo lui accanto, mi sarebbe bastato. Per le prime settimane eravamo praticamente amanti. Sai quelli che si vedono la notte di nascosto? Quelli che sarebbero capaci di farlo ovunque? Beh, eravamo noi. Ed io, mi ero illusa che fosse amore.”
Ran inarcò un sopracciglio, invitandola a proseguire.
“Shinichi incominciò a farsi sentire sempre meno, ad essere più distante e freddo nei miei confronti. A quel punto mi scocciai e andai da lui per chiedergli che cosa avesse intenzione di fare, e mi rispose semplicemente che era meglio smetterla lì, e non complicare di più le cose. Mi disse che ci teneva a me come amica, e che non avrebbe voluto perdermi. Io... di tutta risposta, gli tirai uno schiaffo.”
Ran scoppiò a ridere, quasi divertita da quel racconto, reso comico dalle facce di Shiho. Nei suoi occhi traspirava comunque una certa malinconia e tristezza che prendeva vita da quei ricordi e riaffiorava da quelle parole. La scienziata la guardò stranita, imbronciando la fronte.
“Scusami...” le rispose Ran, ridacchiando. “Ma hai fatto bene!”
“Beh, avrei voluto dargliene molti di più, ma non mi fu possibile...” sorrise a sua volta, ironizzando.
“Che è successo poi?” domandò Ran, mentre la mente di Shiho si abbandonò ai pensieri di un anno prima.
“Perché lo hai fatto?!” sbottò lui, accarezzandosi con la mano la guancia arrossata dallo schiaffo appena ricevuto. Shiho lo fissava, con occhi delusi e colmi di rabbia, che per la prima volta sentivano il bisogno di lacrimare. Non si era mai sentita così per un ragazzo, non si era mai sentita così ignorata come donna.
“Me lo chiedi pure!? Ti sei divertito abbastanza, ed ora molli tutto... bravo detective dei miei stivali!”
“Io non mi sono divertito abbastanza...” precisò Shinichi “non voglio continuare a farlo, ci faremo del male entrambi.”
“Male entrambi?!” imprecò ancora la ragazza, mentre i suoi occhi si gonfiavano di lacrime. “Perché lo fai? Prima mi fai toccare il Paradiso e poi mi fai precipitare all’Inferno!”
Shinichi restò zitto, ed abbassò il capo, evitando il suo sguardo. Avrebbe voluto resettarsi, per partire daccapo, per cominciare una nuova storia. Sembrava impossibile affezionarsi di nuovo ad un’altra, ad un’altra che non fosse lei. Ad un’altra che non fosse Ran Mouri.
“E’ per lei...” bisbigliò Shiho, continuando a guardarlo. “E’ per Ran, vero?”
Ancora una volta il detective zittì, incapace di replicare. Si lasciò andare ad un sospiro rumoroso, che tanto sapeva di conferma e di dolore.
“Tu nei sei ancora innamorato” mormorò ancora, a voce bassa, quasi per non farlo sentire alle sue stesse orecchie. “Cazzo Shinichi! Perché non me lo hai detto?”
“Scusa”rispose deglutendo il detective, riuscendo ad innalzare lo sguardo. “Non...non riesco a dimenticarla.”
“Ran! Ehi Ran!” sventolò le sue mani contro il viso della ragazza, cercando di risvegliare da uno stato di ipnosi. Aveva gli occhi sbarrati ed increduli, il viso pallido.
“Era ancora innamorato di me?!” sbottò, quasi urlando la karateka. “Non riusciva a dimenticarmi?!?”
“Esattamente” le rispose Shiho, con un po’ di amarezza.
“Aspetta... e questo quando è successo?” domandò, ancora con gli occhi sbarrati.
“Più o meno un anno fa.”
“Beh, forse quindi... è cambiato qualcosa. Non so, alla fine ce l’ha fatta a dimenticarmi.”
La scienziata dissentì, scuotendo la testa. Ma, ma allora...
“Inizialmente ci sono stata malissimo, poi ho dovuto rassegnarmi. Ho deciso di rimanergli amica, perché nonostante tutto, lui per me resterà sempre un eroe. Colui che mi ha salvato dalle grinfie dell’organizzazione, colui che mi ha donato una vita nuova, più bella. Inoltre in quel periodo mi ha aiutata Heiji. Mi è stato accanto, dove Shinichi non poteva, ovviamente, essendo la causa del mio male. Gliene sono veramente grata, mi sono affezionata molto a lui.”
“Ne-ne sei ancora innamorata?” domandò un po’ titubante Ran, riportando l’attenzione a Shinichi, sperando in una risposta negativa. Dopotutto le dispiaceva che anche Shiho avesse patito la separazione tra loro, e ne fosse rimasta coinvolta involontariamente. Avrebbe meritato più amore e gioia nella sua vita, ma di sicuro non poteva essere il detective a donargliene.
“Innamorata no. Però ti confesso che un briciolo di speranza mi è sempre rimasto... Sapevo che lui, nonostante lo nascondesse, ardesse dalla voglia di rivederti, però... in cuor mio speravo che un giorno o l’altro potesse cambiare idea.”
Ran si bloccò improvvisamente, deglutendo più volte. La situazione stava diventando strana ed irrisolvibile, cosa sarebbe successo ancora?
“No, non preoccuparti. Non voglio mettermi fra di voi” le spiegò, cercando di rassicurarla. “Se ti ho detto queste cose è proprio per farti capire quanto lui ami solo te... dopo che oggi l’ho capito anche io.”
“Oggi?” chiese incuriosita la karateka.
“Sì. Devo confidarti che ero restia ad organizzare questa messa in scena per farvi incontrare. Improvvisamente ero diventata gelosa e quel frammento di speranza si era riacceso nel mio cuore. Poi... poche ore fa sono andata ad avvisarlo di partire, e l’ho trovato in camera sua, con una tua foto in mano. La stringeva forte come a non volerla mai far scappare via. Lì ho compreso che sarebbe stato inutile sperare ancora, e tanto valeva aiutarvi a non soffrire più.”
“U-una mia foto?” domandò ancora Ran. La luce di speranza che si era spenta in Shiho, si era riaccesa nella karateka, donandole una grande sensazione di gioia. Forse non era tutto perso...
“Ma lui mi ha detto quelle cose...”
“Non badargli, lo ha fatto per orgoglio” le disse, per poi avvicinarsi a lei, e poggiarle le mani sulle spalle.
“Stammi a sentire Ran: Shinichi ama solo te, quindi ora alzati, vai a cercarlo e ricordagli cosa vi lega! Vedrai che andrà bene, fidati.”
La ragazza si fermò sul letto in attesa del coraggio per compiere quell’azione. Tentare il tutto per tutto per salvare quella storia, così bella ed emozionante al tempo stesso. La storia della sua vita, l’amore della sua esistenza. Shinichi. Un solo nome, otto semplici lettere, una sola persona. Eppure il suono di quella parola le donava un’emozione incredibile, un miscuglio di sensazioni che prendevano vita nella sua anima ogniqualvolta lo vedeva. Un fiume di ricordi che si abbatteva nella sua mente alla vista dei suoi occhi e delle sue labbra. Quello però non era il momento di vivere di passato, ma di presente. E nel presente, loro due erano i protagonisti.
Ran si alzò da letto, aggiustandosi i capelli. Guardò fuori dalle finestre di quell’immenso hotel e capì che era calata la notte. Incredibile, nel parlare con Shiho, non si era neanche accorta della luce del Sole che scemava e quella pallida della luna che subentrava. Il buio non la intimorì, anzi la convinse sempre più a portare avanti quella determinazione. Se non ci avesse provato d’altronde, se ne sarebbe pentita per tutta la vita.
“Shiho... grazie” le disse, prima di lasciare la stanza. “Sei una ragazza speciale. Spero che riuscirai a trovare l’amore, quello vero.”
La scienziata sorrise alle parole sincere della ragazza.
Non farti scappare quello che non ho potuto avere io... le parò mentalmente, sprofondando nella tristezza.
Dopodiché, della karateka non rimase nulla più in quella stanza, se non le macchie delle sue lacrime intrise in ogni angolo dell’ambiente.
 
Il ragazzo dai capelli biondi ramati scrutò l’orologio da polso, sbuffando lievemente. Erano le dieci passate di notte e si ritrovava in una città sconosciuta, quella Niigata, da solo. Aveva pensato di fare una sorpresa alla fidanzata nel ritornare prima da quel convegno, e andarla a trovare nell’hotel dove risiedeva, il giorno del loro mesiversario. Tre mesi insieme. Tre mesi con Ran. Per lui era la donna più bella, dolce, gentile e determinata che avesse mai incontrato. Se ne era innamorato fin da subito, colpito dai suoi modi di fare, dai suoi modi di essere. Le aveva comprato anche un mazzo di rose rosse, per festeggiare a pieno quell’avvenimento, che per altri avrebbe potuto essere insignificante, ma non per lui. Inoltre, avrebbe voluto riconciliare e riprendere quel rapporto idilliaco che avevano qualche tempo prima. Ultimamente Ran sembrava distante, fredda, pensierosa, se ne stava sempre sulle sue. Però sapeva che tutto sarebbe passato, perché tutto in amore si supera. Perché l’amore vince.
Con grande gioia riconobbe da lontano l’albergo nel quale alloggiava la sua Ran, e fermando l’auto nei parcheggi appositi, scese dall’abitacolo, recuperando i fiori. Li guardò per un attimo, compiaciuto della sua stessa scelta. Ran ne sarebbe rimasta contenta, lei amava il romanticismo.
Entrò di fretta nell’hotel, superando le porte automatiche, e raggiungendo la reception.
“Salve” incominciò con gentilezza, rivolgendosi all’operatore. “Dovrebbe alloggiare in quest’albergo la mia fidanzata, Mouri Ran, a nome dell’amica Suzuki... potrebbe chiamarla e farla scendere?”
L’uomo rimase un po’ interdetto nel sentire di nuovo i nomi di quelle ragazze. Ricordava bene che qualche ora prima era stato un altro ragazzo a chiedere informazioni a riguardo.
“Ehm sì, vedo subito.”
L’uomo non impiegò molto a ricercare il numero della stanza dove alloggiavano le ragazze, la 621.
Compose il codice e passò la chiamata al telefono, facendolo squillare. Uno squillo, due squilli, tre squilli, quattro, cinque... nulla. Non rispondeva nessuno.
“Mi spiace signore, sembra non ci sia nessuno in camera.”
“Diamine” si lasciò sfuggire, allontanandosi dall’uomo. Ma perché non mi avvisa di niente?
Stava per uscire dalla struttura quando, da lontano, intravide due persone che, a prima vista, gli sembravano molto familiari. Assottigliò un po’ gli occhi, per meglio mettere a fuoco le figure. Erano Heiji e Kazuha. Che diavolo ci fa quel detective qui? pensò poi, nell’avvicinarsi ai ragazzi. Sperò vivamente con tutte le sue forze che, appresso a quell’investigatore, non ci fosse anche l’altro...
Non sapeva perché, ma da quando quello Shinichi Kudo era ricomparso, tutto sembrava andare male.
“R-Richard!” sbottò Kazuha nel vederlo arrivare, riconducendo subito il pensiero a Ran che non aveva più visto dal primo pomeriggio. “Come mai qui?”
“Sapete dov’è Ran?” domandò secco lui, intento a non perdere tempo. “L’ho cercata in albergo, non c’è.”
I due ragazzi si guardarono, strabuzzando gli occhi.
“E-ehm” tentò di rimediare Heiji, improvvisamente sormontato da Kazuha “Ran è con Shiho e Sonoko! Sì! Non so dove però...”
“Puoi chiamare la tua amica? Ran non risponde al cellulare” le disse, un po’ preoccupato. Ovvio che non rispondeva, il telefono avrebbe continuato a squillare a vuoto nella stanza 621. Ran non l’aveva con sé, non l’aveva portato appositamente. Quel cellulare le aveva fatto perdere la ragione pochi giorni prima, ed in quel momento così importante, non sarebbero stati i sensi di colpa a fermarla.
“Ehm sì... subito” gli rispose Kazuha, prendendo il telefonino e componendo il numero di Sonoko. Attese per due squilli, quando a rispondere fu la voce di Shiho. Si trovavano in qualche locale, dove probabilmente c’era tanta musica, essendo quello che diceva la scienziata era praticamente incomprensibile. Kazuha riuscì a captare un “Sonoko è ubriaca”, “Siamo sul lungomare”, ma niente più.
“Ah va bene” staccò la chiamata la ragazza del Kansai, riponendo il cellulare in borsa.
“Sono a due km da qui... in un locale di karaoke se non sbaglio” lo avvisò, giocando con i suoi capelli. Ma da quando aveva imparato a dire bugie?
“Bene, allora ciao.”
Richard si allontanò velocemente, dirigendosi verso l’auto. Nel giro di pochi secondi scomparve dalla vista dei due ragazzi, lasciandoli stupiti per la sua visita.
“Almeno l’abbiamo trovata” sospirò rassicurato Heiji. Avrebbe volentieri evitato nuovi problemi dopo il pomeriggio burrascoso con Shinichi.
“C’è un problema” ammise Kazuha, sospirando a sua volta, e spalancando le palpebre. “Ran non era con loro.”
 
Aveva corso per un’ora per tutto il lungomare che costeggiava Niigata. Aveva dato un’occhiata nei negozi, nei pub, nei locali ma niente. Era stremata, e boccheggiante, ma non si sarebbe arresa. Anche se avesse impiegato tutta la nottata, sarebbe riuscita a trovarlo. Costeggiò la ringhiera, sporgendosi verso il mare. L’ultimo posto dove poteva essere erano proprio le spiagge. A quell’ora erano praticamente deserte, immerse nel buio più totale. Decise quindi di scendere sulla sabbia, correndo lungo tutta la riva, scuotendo il capo a destra e a sinistra. Shinichi... dove sei...
Lo chiamò mentalmente, sperando di intravederlo in quell’infinita spiaggia che le si parava davanti. La sabbia fredda le accarezzò le gambe, infiltrandosi nelle scarpette, donandole un leggero fastidio. Non ci badò minimante e continuò la sua corsa, lasciandosi alle spalle le luci della città. Si stava allontanando sempre più dal centro, dai negozi, dal vociare delle persone, ma di Shinichi non c’era nemmeno l’ombra.
Arrivò fino ad un enorme scoglio che le bloccava il passaggio, imponendosi maestoso di fronte a lei. Si guardò un po’ intorno ricercando un appiglio al quale aggrapparsi per scavalcarlo, e nel farlo, notò che aldilà del masso, vi era un precipizio. Non era molto alto, poiché era possibile vedere ciò che c’era sotto. I suoi occhi si illuminarono e riuscì a malapena a smorzare un urlo nel vedere Shinichi, seduto sulla sabbia, oltre quello scoglio. Decise di raggiungerlo attraverso le scale che, appositamente, erano state poste lì per scendere lungo quel burrone. Una leggera paura le prese le gambe, sentendosi fluttuare nel vuoto, appigliata a semplici gradini messi lì, senza alcuna sicurezza. Riuscì a superare anche quel timore e finalmente raggiunse la spiaggia dove Shinichi, accortosi della sua presenza a causa dei rumori, si era girato nella sua direzione. Il buio del posto non gli permise subito di identificare chi fosse ma, successivamente, con la lieve luce lunare poté distinguere il volto di Ran. Balzò dalla sabbia, alzandosi.
La ragazza gli si avvicinò lentamente, ancora con il fiatone.
“Shinichi!” riuscì a bisbigliare, con la voce in preda all’emozione.
Continuò a fissarlo, ripetendosi quanto fosse bello in quell’atmosfera così surreale. Camminò più lentamente, fino a bloccarsi poco distante da lui. Erano completamente soli, nel silenzio più profondo di una spiaggia sconosciuta. Quello era il momento giusto.

 
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Volevate sapere cos’era successo tra Shinichi e Shiho, giusto? Eccovi accontentate :D Sembra incredibile con che velocità aggiorno i capitoli, ma è solo grazie ai vostri commenti che mi sale la voglia di mettermi dinanzi al pc a partorire parole! =D
Allora... ventiduesimo capitolo (cavolo, siamo già a 22? Mi sa che devo rallentare gli aggiornamenti XD) e Shiho spiega a Ran cosa Shinichi provi davvero, aldilà dell’orgoglio! Spero di non aver deluso nessuno con la loro storia... insomma il detective si è comportato un po’ da s****... però è Shin, possiamo perdonargliela no? =) Bene, ed ora? Ran ha trovato Shinichi ed anche il coraggio di parlargli sul serio... vedremo se il ragazzo avrà voglia di parlare... Io non ci scommetterei XD
E Richard che cerca Ran, povero, mi fa un po’ pena!! :D E’ anche il loro mesiversario... secondo voi riuscirà a trovarla? Beh, per scoprirlo, ci rivediamo al ventitreesimo capitolo, non mancate!!!
 
Grazie a chi ha recensito il 21esimo capitolo *_______* <3 :
Marty Kudo, frangilois, Il Cavaliere Nero, Martins, salieri, ciccia98 e Yume98.
 
Grazie anche a chi legge soltanto! ^^
Alla prossima,
Tonia.
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Capitolo 23
*** Amore incontenibile ***


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Amore incontenibile
Ventitreesimo capitolo

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Shinichi perse un battito nel ritrovarsi la ragazza a così infima distanza, nel cuore di quella spiaggia isolata a deserta, lontana da tutti e da tutto. L’aveva cercata appositamente desolata e oscurata dalle luci di Niigata, nel tentativo di abbandonarsi alla solitudine di un luogo che nel suo silenzio mette in moto il cervello, caricandolo di razionalità. Camminando sulla sabbia, che poco a poco sarebbe divenuta fredda al calar del Sole, aveva ripensato al viso e alle lacrime di Ran, alle parole infertole, all’orgoglio scioccamente ostentato. Tutto ciò che era avvenuto in quella stanza d’albergo aveva agito come un’arma a doppio taglio, capace di ferire lei, fragile e confusa, e lui, debole ed ostinato. Così, nel vagare senza una meta, si era ritrovato di fronte quello scoglio, dietro il quale affacciava una piccola spiaggia. Era priva di ombrelloni e di luci, priva di persone e parole, priva di rumori. Gli sembrò come un Paradiso in pieno Inferno, un’oasi nel deserto che rigenera e rinfresca, e che miracolosamente dona nuove speranze. Si era sdraiato sulla sabbia, e immerso lo sguardo nel cielo, che con i minuti che passavano, si tingeva di colori sempre più freddi, fino a divenire completamente nero. Vide lentamente la luna imbellire il manto oscuro con la sua luminosità, accompagnata da innumerevoli stelle che con la scemata luce solare, poterono farsi ammirare dall’universo intero. Il cuore di Shinichi straripava di emozioni controversie, mescolando insieme rabbia, amore, delusione, illusione, desiderio e rassegnazione, cominciava ad accartocciarsi fino a divenire minuscolo, così piccolo da fare male. Ed in quel momento, nell’avere Ran così vicina, sentì il suo corpo pervaso da una crescente emozione e gioia, che duramente cercò di controllare. Nonostante le offese della sua compagna di vita potessero ancora annebbiargli il raziocinio, esse sembravano improvvisamente lontane e superficiali, mentre trascinavano a fatica l’orgoglio del detective.
“Che ci fai qui?” le domandò, cercando di mantenere la voce atona, evitando di far trasparire la contentezza che provava nell’averla lì. Un senso di felicità stava invadendo il suo corpo, trasferendosi nei tessuti nervosi e nel cervello, dove avrebbe compiuto il compito più difficile della giornata. Fare abbandonare alle proprie sensazioni ed istinti, un ragazzo così razionale, risultava difficile.
 “Devo parlarti” gli rispose, ancora con il fiatone. La corsa che aveva fatto nell’affrettarsi a raggiungerlo, aveva dimezzato la scorta di ossigeno che accuratamente aveva conservato nei polmoni, per i casi di necessità, proprio come questo.
“Io non ho niente da dirti” ribatté Shinichi, quando le sue stesse parole gli inflissero una profonda fitta al petto, che gli impediva di respirare liberamente. Quanto era difficile parlarle in quel modo? Troppo per lui, troppo per quel detective sbruffone che risiedeva in lui, troppo per quell’uomo che continuamente vantava di essere.
“Infatti ho io qualcosa da dirti” continuò Ran, decisa e determinata. Si era ripromessa di non cadere e farsi danneggiare da nessuna delle parole che fosse uscita dalla bocca dell’investigatore, doveva tentare di mantenere la calma, e convincersi che ce l’avrebbe potuta fare.
“Ed io non voglio ascoltarti” mentì spudoratamente ancora, mentre in cuor suo non aspettava altro che sapere cosa la ragazza avesse da dirgli. In quel momento però doveva mostrarsi uomo, forte, sicuro di sé, indomabile e superiore. Non si sarebbe fatto piegare dal viso angelico di quella ragazza, e dalla sua voce, così sexy e soave al tempo stesso.
“Non hai alternative” lo informò ridacchiando, la moretta. “Siamo da soli qui, come credi di evitare la mia voce?”
Shinichi tornò a guardarla, perdendosi nelle sue forme oscurate dal buio della notte. Il riflesso della luna nel mare si imbatteva nel dolce viso della ragazza, intonandolo di un lieve chiarore.
A quel punto avrebbe potuto andarsene, ma non era ciò che voleva. Lui voleva ascoltarla, voleva sentire cosa aveva da dirgli di così importante. E poi, in realtà, avrebbe voluto dirle anche lui qualcosa. Alzò il capo, ritrovandosi negli occhi della giovane, che non smettevano un momento di fissarlo, profondi e sognanti. Si mise in piedi, aiutandosi con le braccia, smuovendo la sabbia sotto di lui. Con lentezza si avvicinò a lei, fermandosi a pochi passi dal suo corpo.
“Sentiamo, ti serve qualche consulenza investigativa?” intavolò lui, alleggerendo la tensione con l’umorismo. Perché faccio sempre battute pessime? Pensò, nel riascoltare la sua voce.
“Come siamo spiritosi” ribeccò lei, sorridendogli e muovendosi di qualche centimetro verso di lui. “Noto che l’arrabbiatura ti è passata.”
“Non ero arrabbiato” rispose, un po’ in difficoltà. “Non ho tempo da perdere ad arrabbiarmi per te.”
 “Allora ascoltami... idiota” continuò lei, con voce scherzosa, ghignando. Il tono per niente offensivo, fece arricciare le labbra dell’investigatore, che difficilmente riusciva a trattenersi dalla voglia di interrompere quella conversazione e baciarla. Non c’era più ferita nella sua anima che non potesse cicatrizzarsi.
“Io noto invece che ultimamente ti diverti ad offendermi” ribeccò lui, smorzando a stento un sorrisetto che tentava di spuntargli sul viso. In effetti, avrebbe dovuto essere offeso, e non lo era. Avrebbe dovuto essere arrabbiato, e non lo era. Avrebbe dovuto essere freddo, e non lo era. Si diede dello sciocco e del debole, eppure, era solo felice.
“Scusa...” azzardò improvvisamente lei, con voce poco sicura e bassa.
“Scusa Shinichi” ripeté, stavolta con un tono più alto e deciso, che arrivò dritto alle orecchie del detective.
Il detective non riuscì a racimolare la voce per risponderle, e continuò a starsene alzato, con le mani in tasca, in trepidante attesa che Ran continuasse a parlare. Per sua fortuna, la ragazza non aspettò la sua risposta, e continuò ad avvicinarsi a passi lenti verso di lui, dimezzando la distanza tra i loro corpi.
“Non avevo la minima intenzione di dirti quelle cose, e soprattutto non le penso assolutamente” chiarì lei, infossando i piedi nella sabbia. Cominciò a sentire i granuli ammontarsi nelle scarpette, causandole un lieve fastidio. Si finse disinvolta e spedita, quando in realtà tremava al solo pensiero di dovergli continuare a parlare. Forse perché erano soli, abbandonati al loro destino, o forse perché sapeva che avrebbe potuto cambiarlo quel destino infame, se solo ci avessero creduto sul serio. E lei ci credeva, e sperava che anche lui lo facesse.
“Non mi importa di ciò che pensi” cercò di rimanere atono lui, schiarendosi la voce. “Non stiamo insieme.”
Un colpo al cuore interruppe la circolazione sanguigna nel corpo di Ran, che si rimise in moto grazie all’intervento delle parole di Shiho, che risuonavano chiare nella sua mente. Lui la amava, lei lo sentiva. Lo recepiva nel suo comportamento, schivo e distaccato, con gli occhi puntati verso il basso, lontani. Nemmeno il detective sapeva spiegarsi perché ostentasse a trattenersi sulle sue. Sembrava mosso dall’orgoglio, ma in realtà era solo il desiderio incolmabile di spingerla sempre più avanti. Facendole perdere il controllo. Desiderava che lei gli parlasse sinceramente e con foga, senza alcun timore.
“Lo so... e... non sai quanto possa farmi male tutto questo.”
Shinichi non fiatò e continuò ad osservarla, sciogliendo il ghiaccio che si era formato nella sua anima, man mano che la giovane avanzava di qualche passo, avvicinandosi a lui. Le sue parole erano droga per lui, del quale non si sarebbe mai saziato, anche a costo di pagarla oro. Anche a costo di infrangere tutte le regole di buona condotta e rispetto che i genitori con tanta cura avevano cercato di insegnargli. Adesso, voleva di più da quel discorso, voleva di più da quel momento, voleva di più dalla vita. Voleva lei, e avrebbe abbandonato d’un colpo tutto ciò che gli apparteneva fino a quel momento per averla. Non si mosse dalla sua posizione, nemmeno di un millimetro, ed aspettò ancora che la ragazza finisse di parlare.
“La vuoi sapere una cosa? In America avevo tutto. Ho trovato un lavoro, un appartamento soleggiato in centro città, delle amiche spiritose e divertenti, un ragazzo ed... un cane” disse, soffermandosi a ridacchiare sull’ultimo pensiero. Poi continuò, ritornando seria.
“Avevo tutto, ma odiavo qualsiasi cosa. Odiavi svegliarmi la mattina e non trovare i tuoi messaggi, odiavo non doverti telefonare, odiavo incontrare per strade persone che sorridevano tra loro in sorrisi che non erano i tuoi. Odiavo incontrare occhi azzurri che non fossero i tuoi, odiavo toccare mani che non fossero le tue. Odiavo ascoltare voci che non fossero la tua.”
Ran deglutì, riprendendo fiato per proseguire. Ringraziò mentalmente il buio notturno per coprirle il volto paonazzo, che l’avrebbe fatta somigliare ad un fiammifero, se solo ci fosse stata la luce. Aveva le mani sudate, ed il cuore in tachicardia. Shinichi intanto era dinanzi a lei, con occhi leggermente serrati e luccicanti. Pian piano sentì il calore salirgli lungo le guance, facendole arrossire. Ran gli stava aprendo il suo cuore.
“Semplicemente odiavo non averti accanto, odiavo averti perso. Perché ti amavo Shinichi e...” sospirò, stringendo i denti dall’emozione. Poi si morse un labbro, e guardandolo fisso in quegli occhi marini, in un lieve sussurro di voce riuscì a cancellare gli ultimi quattro anni di malinconia e pianti.
“Perché ti amo ancora.”
Ce l’aveva fatta. Ispirò profondamente dopo averlo pronunciato, stentando a mantenere lo sguardo fisso su di lui. Si sentiva dannatamente bene adesso. Si sentiva felice, ed avrebbe voluto correre ed esultare, come se avesse vinto un campionato mondiale di karate. Si sentiva libera, ed avrebbe voluto volare, se l’avesse potuto fare. Così, non aspettò la risposta del ragazzo, imbambolatosi nella medesima posizione, e lo sorpassò, dirigendosi verso il mare. Esso era calmo e tiepido, a causa della continua azione dei raggi solari che durante la giornata ne avevano innalzato la temperatura. Shinichi si bloccò a guardarla, e nonostante avesse voluto dirle qualcosa, le parole gli morirono in bocca dall’emozione, rilasciando solo deboli respiri. Incominciò a muovere i primi passi verso la ragazza, ma nell’avvicinarsi a lei, si bloccò d’un colpo nell’assistere a ciò che stava facendo.
Ran lasciò andare via dai suoi piedi le scarpette di cotone, gettandole sulla riva. Passò alla camicetta, e sbottonandola pian piano, decise di sfilarsela completamente, abbandonandola sulla sabbia. Continuò col pantaloncino, che irrimediabilmente, fece la medesima fine. Shinichi la osservò in slip e reggiseno, avvicinarsi alla riva della spiaggia, assaporando ogni minima curva di quel corpo perfetto. Era bella più di tutto ciò che aveva visto sino a quel momento. Era più bella di quanto potesse ricordare. Restò ancora fermo sui suoi pochi centimetri quadrati di sabbia, incapace di coordinare i movimenti del suo corpo irrigidito, poiché a muoversi erano solo gli occhi. Ran sembrava orchestrare tutta la natura, fino a diventarne la regina. Si bloccò poco prima che le onde marine le toccassero la caviglia e si voltò verso Shinichi, sorridendogli. Con un gesto deciso lasciò andare via anche gli ultimi indumenti rimasti, mostrandosi completamente nuda al chiarore della luna. Continuò a camminare verso il mare, sentendo le onde sbattere sul suo corpo, e man mano affievolirsi nell’allontanarsi dalla riva. I suoi passi erano lenti e sensuali, permettendo al ragazzo di godere e tormentarsi per ogni singolo minuto di quello spettacolo che gli si mostrava davanti. Preso dallo stesso folgore, si avvicinò anch’egli verso la riva, e velocemente entrò in mare, liberandosi dei suoi vestiti, rimanendo solo in boxer. Avanzò tra le onde con dolcezza, spostando l’acqua con le mani e raggiungendo, in pochi istanti, il corpo della ragazza. Lei, dandogli le spalle, si fingeva interessata nel contemplare il cielo notturno, che assisteva gioioso alla loro riconciliazione. Ma non riuscì a trattenere un sorriso, che sentì nascere sul suo volto, al tocco delizioso delle mani del detective. Shinichi gli scostò i capelli, lasciandoli andare lungo la schiena, liberandole la spalla da quell’ingorgo. Cominciò a baciarle dolcemente e lentamente la clavicola, quando con le braccia, fece presa sul suo addome, trascinandola a sé. E mentre con le labbra le percorreva il collo, facendola entrare in un vortice di brividi che iniziarono ma non finirono, tornò ad accarezzarle il corpo con le mani, scendendo lungo i fianchi per poi risalire lungo i lineamenti esili.
“Sei bellissima” le mormorò ad un orecchio, mentre la voce del ragazzo si espandeva nel suo corpo fino a giungere al cervello. Chiuse gli occhi, in modo da assaporare con i sensi del tocco e dell’udito quel momento così magico.
Le mani di Shinichi si fecero sempre più vogliose, e nel staccarsi dalla sua spalla, le attirò il viso verso il suo, baciandola. Dapprima un bacio innocente, che scaricò tutte le tensioni accumulate fino a quel momento, poi cominciarono un gioco passionale e focoso, condotto con maestria dalle loro lingue. Istintivamente Ran fu portata a voltarsi verso il ragazzo, scontrandosi con i suoi muscoli, e abbandonando lo sguardo nei suoi occhi. Vide sul volto di Kudo la nascita di un sorriso, che morì pochi istanti dopo, quando le loro labbra si riunirono in un nuovo profondo tocco. I suoi seni freddi erano poggiati contro il torace scoperto e scolpito di Shinichi, caldo ed eccitante. Una scarica di sensazioni indomabili attraversò i corpi dei due amanti, mentre l’acqua tiepida del mare accompagnava con il suo rumore gli ansimi smorzati della ragazza. Percorso da un brivido di adrenalina, che si unì all’eccitazione del momento, Shinichi sollevò Ran attirandola a sé e trascinandola via verso la riva. Si fermò sulla sabbia umida del bagnasciuga, facendola stendere lungo il tappeto scintillante di granuli, adagiandosi su di lei. Riprese a baciarla con passione, mentre con le mani le adulava i seni perfetti e rotondi, raggrinziti leggermente al continuo violento passare di brividi di passione. Le mani della ragazza si soffermarono sui capelli di lui e scombinandoli, lo attirò sempre più al suo corpo, bloccandogli la schiena con le mani. Il suo cuore batteva violento ed agitato nel suo petto, ma non poté fare a meno di sorridere, nel sentire sul suo petto quello del ragazzo. Aprì gli occhi, solo per convincersi che ciò che sentiva stesse accadendo sul serio. E lui era proprio lì, bello e irresistibile, proprio su di lei.
 
Aumentò il passo velocemente, ritrovandosi nel locale indicatogli da Kazuha, nel quale probabilmente c’era Ran. In mano sorreggeva ancora il mazzo di rose rosse, con attaccato un biglietto d’auguri dalla carta bianca. Intravide, poco distante dalla cucina del pub, il viso sorridente e paonazzo di Sonoko, che allegramente si destreggiava con i camerieri. Nel raggiungerla, scorse anche Shiho, seduta vicino all’amica, con un boccale di birra in mano.
“Dov’è Ran?” chiese improvvisamente, attirando l’attenzione della scienziata che, nel vederlo, strabuzzò e sbatté più volte le palpebre. Anche l’ereditiera si accorse della presenza del fidanzato dell’amica ma, presa nell’alcool e nell’euforia, non badò a ragionare lucidamente, e lo salutò solo con un segno della mano.
“Ho chiesto dov’è Ran! Sei sorda?” urlò, nel rivolgersi alla biondina, che repentinamente si alzò dalla sedia sbattendo i palmi contro il tavolo.
“Senti carino, abbassa i toni con me” gli ordinò, con voce sicura. Poi sparò lì la prima scusa che gli passò per la testa, quella che non avrebbe mai dovuto dire. “Sarà con Heiji e Kazuha.”
Richard spalancò per un po’ gli occhi, per poi stringere forte le mani in pugni, e avvicinarsi pericolosamente alla ragazza. Quei mocciosi si stavano prendendo fin troppo gioco di lui.
“Loro mi hanno detto che era con voi! Dov’è?” sbraitò verso la scienziata, mentre Sonoko, completamente ubriaca si avvicinò a lui a dondoloni.
“R-Richard... sarà con con Kudo... con chi vuoi che stia?” affermò, per poi mettersi a ridere, e cadere giù sulla sedia, perdendo l’equilibrio. Richard sentì il sangue ribollirgli nelle vene, e la pressione aumentare vertiginosamente.
“Kudo?!” urlò indiavolato, stringendo i denti.
“Ehm, Richard Sonoko è ubriaca... dice cose senza senso” cercò di riparare il guaio combinato l’altra, mostrando tranquillità.
Il ragazzo non badò nemmeno un po’ alle sue ultime parole e scivolò via fuori dal bar, stringendo il bouquet in pugno, così forte da spezzare alcuni steli. No... Ran non può stare con lui... lei ha me, vuole stare con me... non può volere quell’imbecille... no... cercò di convincersi, abbassando il capo. Nel farlo, notò aldilà del lungomare alcune spiagge, private e non, estendersi lungo tutta la costa di Niigata. Decise di scendere sulla sabbia, incamminandosi verso la riva del mare. C’era un’atmosfera serena e pacifica lì, dove il rumore delle onde si insinuava nelle orecchie, donandogli una crescente sensazione di sollievo. Forse Ran è su una di queste spiagge...
Avanzò lentamente, scuotendo il capo in tutte le direzioni nel tentativo di scorgere la sua fidanzata. Non intravide niente e nessuno, tranne che un grosso scoglio che impetuosamente si ergeva dinanzi a lui, bloccandogli il passaggio. Era lo stesso scoglio dal quale Ran aveva visto Shinichi, giù sulla spiaggia.
Forse se salgo qui sopra potrò vederla meglio... constatò, per arrampicarsi su per l’ammasso di rocce, portando con sé il bouquet. Mantenne l’equilibrio facilmente e con uno scatto sulle gambe si mise in piedi, osservando l’immenso panorama che gli si mostrava di fronte. Era un vero spettacolo, ma della partner non c’era traccia. Stava per scendere quando, nel voltarsi di striscio alla sua destra, notò una spiaggia isolata e buia, collocata un di un piccolo strapiombo. Sussultò nel vedere, seppure in lontananza, due ragazzi avvinghiati l’uno all’altro, sdraiati in riva al mare.
“Che... c-os-”
Nel focalizzare meglio l’immagine degli amanti, riuscì a riconoscere, seppur con immensa fatica, il volto di Ran. E fu come prendere una pallottola in pieno petto, e sentire il sangue espandersi in tutto il corpo, ricoprendo i polmoni e gli altri organi, in una morsa di dolore lancinante. Lasciò andare i fiori sullo scoglio, bloccatosi a guardare quella scena, e annegando nell’odio e nell’invidia, nel disprezzo e nella rabbia.
“Non è possibile... Ran...” la chiamò, quasi lacrimante. Non poteva sopportare quella visione, non poteva vedere quel detective sdraiato sulla sua ragazza, intento a baciarla con foga ed eccitazione. E lei perché non lo respingeva? Ovvio, lo desiderava. Ed in quel momento avrebbe voluto scendere, spaccargli la faccia, e le ossa, e il cranio e successivamente le gambe a quell’investigatore montato. Ma non fece nulla di tutto ciò. Deglutendo a fatica, e mantenendo una calma pressoché invidiabile, scese dallo scoglio, per poi allontanarsi velocemente da quella spiaggia, da Niigata, e dal cuore di Ran.
 
I giovani amanti continuarono a baciarsi, a toccarsi e a stringersi. Le loro labbra si muovevano ingorde e insaziabili, giocando col profilo delle loro bocche. Le loro lingue sembravano attratte come due poli opposti di una calamita, quando con movimenti decisi ed eccitanti si muovevano sul loro viso, facendo accrescere un desiderio di unione represso per fin troppo tempo. Finalmente poterono amarsi e completarsi l’uno con l’altro, congiungendosi in un unico corpo, scambiandosi i loro fluidi vitali in un ritmo crescente di gemiti e piacere. Un sogno che diventava realtà, un amore che oltrepassava confini e distanze, tempo e dolore, lacrime e pianti in una notte d’amore che mai avrebbe dovuto finire. Il mondo che li circondava perse importanza, la sabbia e il mare che sbatteva contro le loro gambe abbandonarono la loro consistenza, mentre la luna sembrava sempre meno luminosa, rispetto alla luce che si propagava dalle loro anime. E mentre sotto il suo corpo, Ran raggiunse l’apice del piacere, Shinichi dischiuse le labbra in un dolce sussurro, che poté udire il mondo intero.
“Ti amo.”


 
 
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Ora, potetemi ergermi una statua d’oro! Niente più pomodori, adesso voglio applausi!!! XD Sono straripante di cuori!! 

Io non so se qualcuno se l’aspettava ma... a prescindere da tutto... immagino che questo capitolo sia piaciuto,... a tutte! :D Con Shin e Ran mi sono emozionata anch’io nel scriverlo, credetemi, è stata una vera delizia... mi sono divertita un sacco! XD Mi fa un po’ pena Richard che poveretto ha assistito al tradimento della fidanzata.. in diretta XD Le aveva portato anche i fiori ma ahimè, Ran aveva tutt’altro per la testa! XD
E... si sono detti “Ti amo” *____________* A proposito, vi è piaciuta la pseudo dichiarazione di Ran? Ho tanta paura di non aver reso questo momento magico nel migliore dei modi... speriamo bene!!! Come sempre voi siete buonissime, quindi spero che lo siate anche oggi! :D
Bene... adesso passo ai ringraziamenti per coloro che hanno commentato lo scorso capitolo:
frangilois, Martins, salieri, totta1412, zapotec, Yume98 e ciccia98!!!!

(Tutte preoccupate che rallentavo gli aggiornamenti.. ci siete cascate ;P)
Ripeto che senza i vostri commenti a questo punto della storia non ci saremmo arrivati... quindi GRAZIE DAVVERO.

 
Grazie anche a chi legge soltanto, un bacione.
Tonia
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Capitolo 24
*** Momenti di quiete ***


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Momenti di quiete
Ventiquattresimo capitolo

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“Ehi” le scostò dolcemente i capelli Shinichi, accarezzandole le guance. “Buongiorno.”
La voce più bella e melodica che le sue orecchie potessero udire, si propagò nel cuore di Ran, fin quando un sorriso spontaneo colmo di felicità, nacque di getto sul suo viso. Si voltò alla sua destra, e nell’incontrare lo sguardo magnetico ed azzurrino di Shinichi, arrossì lievemente, al ricordo della notte appena trascorsa. Le immagini emergenti da quel buio impenetrabile brillavano come diamanti al Sole, e portavano alla luce i loro profili, e i loro corpi, così presi dall’amarsi e dall’adularsi, da non accorgersi della nascente alba, che pian piano si ergeva sull’orizzonte marino. La nascita di un nuovo giorno che interrompeva la loro pazzia, ma che donava loro nuovi attimi da trascorrere insieme, in una vita che non sembrava più così brutta.
“Buongiorno” riuscì a rispondergli lei sorridente, ancora un po’ imbarazzata ed intimidita. Il coraggio che l’aveva mossa qualche ora prima sembrava svanito ed intrappolato, scemato nel ritrovarsi il giovane accanto, in piena luce diurna. Eppure si sentiva la donna più felice al mondo, capace di toccare il cielo con un dito. Non desiderava nient’altro che restare con lui per tutta la sua vita, per ogni singolo istante della sua misera esistenza. Chiedeva forse troppo?
“Che dici, ritorniamo in albergo?” le chiese lui, sfociando in un grande sorriso. Pensò che appena arrivati nell’hotel, sarebbero stati tartassati dalle mille e più curiosità dei loro amici, pronti ad accoglierli con grande entusiasmo e foga di sapere. Sbuffò lievemente a quell’immagine che gli si era creata nella mente, tentando di trovare una scusa che potesse giustificarli dinanzi a quegli impiccioni. Sbuffò ancora, nel constatare che scuse non esistevano.
“Perché? Si staranno preoccupando?” gli domandò Ran, con voce ingenua. Avrebbe pagato oro per far calare la notte in quel momento, ed abbandonarsi nuovamente alle braccia del detective. Proprio non ci teneva a ritornare alla realtà, e dover affrontare tutti i problemi causatole da quel folle, ma indimenticabile, gesto. Non era per niente pentita di ciò che aveva fatto, forse perché è difficile pentirsi delle cose che si fanno quando si è felici. Si guarda il mondo con occhi diversi, pieni di speranza e di illusioni, che rendono tutto bello ciò che ci circonda.
“Vuoi restare ancora qui?” le domandò Shinichi, con fare malizioso e divertito. L’idea era buona, ma inattuabile. Per quanto la spiaggia fosse nascosta dalla visuale del lungomare, presto sarebbero arrivate le prime famiglie, accompagnate dai propri bambini, per montare ombrelloni e sdraio. Sfortunatamente, dovevano andarsene.
“Non mi dispiacerebbe” ammise Ran, arrossendo alle sue stesse parole.
“E poi, hai voglia di scontrarti con loro?” continuò mettendosi a ridere, alludendo all’incredibile tenacità che avevano gli amici nell’immischiarsi negli affari degli altri.
“Prima o poi dovremo farlo, no?” le rispose lui, sorridendole.
“Oppure hai voglia di nasconderti con me da qualche parte, per sempre?”
Per sempre...Le ultime due parole di quella stupida, ma dolce frase, rimbombavano nella mente di Ran accelerando la circolazione sanguigna. Restare per sempre con lui, aldilà del posto, era un sogno. Poteva divenire realtà? Se glielo si fosse domandato qualche giorno prima avrebbe risposto di no, impossibile. Eppure ora sembrava tutto possibile, tutto realizzabile. Forse loro erano davvero fatti per stare insieme.
“Il per sempre mi stuzzica” gli rivelò la ragazza, sorridendogli.
Il suo riso contagiò Shinichi, che incurvò le labbra in un ghigno provocatorio.
“Dovrei sopportarti per tutta la vita?”
“Ma se sono io quella che ti sopporta” gli rispose lei, sostenendo il gioco. Era così bello scherzare con lui. Le era mancato. Le erano mancate le sue battutine, i suoi sorrisi, il suo modo di ridere. Come aveva fatto a rinunciare a tutto questo per quattro anni, adesso appariva come un mistero.
“Io sono un angioletto” continuò Shinichi, guardandola di sottecchi e smorzando un sorrisetto.
Ran rimase a guardarlo, perdendosi nell’immensità della sua bellezza. Anche di prima mattina, assonnato e stanco per una notte di fuoco, con i capelli del tutto scompigliati, era un dio. Gli si avvicinò cauta, per poi prendergli il viso e donargli un tenero bacio.
“Sì...” gli disse, poggiandosi sul suo petto. “Forse sei un angelo, il mio angelo.”
Il ragazzo dapprima arrossì, alzando lo sguardo al cielo per imbarazzo. Era davvero il suo angelo, e l’avrebbe protetta sempre, in qualsiasi situazione. Lanciò un’occhiata verso la giovane, per poi sogghignare.
“Sì... me lo dicono tutte” la stuzzicò divertito, pronto ad un’eventuale reazione violenta da parte di Ran. La ragazza lo guardò assottigliando gli e storcendo le labbra. Aggrottò anche le sopracciglia, puntandolo con un sguardo di sfida.
“Idiota... sei un idiota, altro che angelo” continuò lei, pizzicandogli il braccio, facendolo urlare per il dolore.
“Dai piccola...” la intenerì con quel tono di voce, per poi continuare a sorridere. “Dovresti essere felice di essere stata l’unica a cui ho detto ti amo.”
“Che onore” ribeccò lei, quasi per alleviare il rossore che le si era propagato sul viso al ricordo del ti amo di qualche ora prima. Da quanto non sentiva un suo “ti amo”? Anche perché sentirlo da qualcun altro non avrebbe sortito lo stesso effetto. Insomma, era Shinichi a dirle di amarla, non un ragazzo qualunque. Era l’amore della sua vita, l’unico del quale le importasse davvero, l’unico per cui il cuore sembrava avere un motivo per cui battere.
“L’unica di Tokyo, intendevo...” azzardò lui, alzandosi di fretta per schivare lo schiaffo che stava per arrivargli sul viso. Vide Ran scattare all’in piedi, ed inseguirlo, smuovendo la sabbia sotto i suoi piedi.
“Vieni qui!” gli gridò divertita, cercando di afferrarlo con le braccia, per poi cadere miseramente sulla spiaggia, perdendo l’equilibrio. Shinichi le si avvicinò e l’aiutò ad alzarsi, tesandole una mano, ed abbracciarla stretto al suo corpo, bloccandole possibili movimenti.
“Nah, sei l’unica al mondo” le disse serio, per poi baciarla. “Ti amo.”
Ran desiderò ardentemente che il tempo si fermasse in quel preciso istante, e che non ripartisse più. Aveva trovato la felicità in quell’abbraccio, in quel bacio, ed in quelle parole sussurrate da quella voce. Aveva trovato la felicità in lui. E con lui non esistevano limiti di tempo, tanto valeva bloccarlo. Sentì le braccia del detective abbandonare la presa e le labbra staccarsi dalle sue, lasciandola persa in quell’attimo eterno.
“Andiamo” le ricordò, afferrandola per mano, incamminandosi verso lo scoglio. Quello scoglio in cui la notte prima Richard aveva visto la fidanzata intrattenersi con l’investigatore, e tradirlo. Di tutto ciò loro erano ignari, ed ignoravano anche una sua eventuale reazione.
“Sì, ho bisogno di dormire” ammise sorridendo Ran, abbandonando la spiaggia del loro sogno. Niigata appariva come la città più bella del mondo, intrisa di ricordi ed emozioni, sarebbe rimasta nel loro cuore per sempre, un po’ come accade per quei tanto sospirati viaggi che non si dimenticano mai. Scavalcarono insieme lo scoglio, fino a ritrovarsi sul punto più alto dell’ammasso di rocce. Nel camminarci sopra, Shinichi avvertì qualcosa sotto ai suoi piedi, spiaccicato a terra. Nel chinare lo sguardo vide un mazzo di rose rosse, maltrattate dal vento e dal suo passaggio, al quale era attaccato un biglietto. La sua curiosità lo spinse a chinarsi e prendere il foglietto, per poi aprirlo tra le sue mani.
 
Auguri amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici.
 
Cosa ci fa questo bouquet qui?Pensò, trattenendo tra le mani il biglietto e girandolo su più parti, per cercare di capirne la provenienza. Sulla carta era intestato l’indirizzo di un fioraio di Niigata, poco distante dal loro albergo. Incurvò un sopracciglio nell’intrattenersi sullo scoglio, lasciando Ran proseguire.
“Shin dai vieni” lo chiamò la ragazza, appoggiando i piedi sulla spiaggia oltre la roccia. L’investigatore alzò lo sguardo verso la giovane, deciso a raggiungerla. Nello scendere da quello scoglio, mantenne il biglietto, per poi metterselo nella tasca dei bermuda che portava. C’è qualcosa di strano in queste parole...
 
 
“Staranno ancora dormendo?” domandò sogghignando Kazuha, rivolgendosi agli amici seduti ai tavoli dell’albergo. Era ormai ora di pranzo e non avevano notizie degli amici da una ventina di ore. Sapevano bene che probabilmente erano stati insieme, essendo rientrati in albergo come due ladri alle sei del mattino. Stavano giusto aspettando che si alzassero.
“Penso di sì” le replicò Heiji sorridendo. “Avranno fatto le ore piccole.”
“Finalmente hanno fatto pace...era ora” continuò la conversazione Sonoko, massaggiandosi il capo per il violento mal di testa causatole dalla sbornia della notte precedente. Non ricordava niente delle ore precedenti all’alba, neppure di aver incontrato Richard, e di averlo inconsciamente guidato sulla pista giusta.
“A proposito...” disse Kazuha ai presenti, riportando l’attenzione su di lei. “Non avvisiamoli che Richard è venuto qui ieri. Ran potrebbe sentirsi in colpa e rovinare la situazione. E’ meglio non svegliare il can che dorme.”
“Richard era qui ieri?” domandò ingenuamente Sonoko, strabuzzando gli occhi per la notizia. Shiho la guardò assottigliando le palpebre, imitando una smorfia.
“In realtà gli hai anche detto che Ran era con Shinichi” le rivelò di getto la scienziata, causando un riso generale.
“Cosa ho fatto?” chiese ancora, apparentemente sconvolta per ciò che Shiho le aveva riferito. “Davvero gli ho detto che era con lui?”
L’amica annuì sorridendo, per poi reggersi il capo con il palmo della mano.
“Oh, eccoli!” li avvisò Heiji, in vista di Ran e Shinichi che lentamente si apprestavano a scendere le scale dell’albergo per raggiungerli. “Facciamo finta di niente.”
D’improvviso tutti si finsero interessati alla tovaglia del tavolo, intrattenendo il tempo tamburellando le nocche delle dita sul ripiano, stentando a trattenere sorrisetti che nascevano spontanei sui loro volti.
“Ciao ragazzi” li salutò ancora assonnato Shinichi, spostando la sedia alla destra di Heiji per sedersi. Ran si sedette tra Kazuha e Shiho, mostrando a tutti la sua espressione sorridente e gioiosa. I ragazzi alzarono i loro sguardi per fissare i due amanti, che d’un tratto si sentirono osservati e richiesti. Ecco che incominciano... pensò Kudo, portandosi una mano sopra gli occhi.
“Shinichi ma che fine hai fatto ieri? Non ti ho visto rientrare” cominciò Heiji, lanciando un’occhiata divertita e maliziosa al migliore amico. Ma quanto era fastidioso quando faceva così? Sì perché poi non lo faceva per conoscere, ma con l’unico scopo di prenderlo in giro. Era indubbiamente consapevole che la notte prima l’amico fosse stato con Ran, ma voleva a tutti i costi tirarglielo fuori dalla sua bocca. Farglielo ammettere, insomma.
“Ho fatto un giro” rispose prontamente il detective, smorzando una smorfia.
“Ran” s’intromise Sonoko, sorridendo all’amica. “Non ho visto rientrare neanche te.”
La karateka arrossì lievemente e guardò Shinichi per cercare di capire ciò che dovesse dire loro. La verità, o una scusa? Cosa sarebbe stato meglio?
“Ehm, ho fatto un giro anche io” ammise poi, in completa difficoltà sul come risponderle.
“Vi siete incontrati quindi” dedusse l’ereditiera, inarcando le sopracciglia e sorridendole beffarda.
“Ehm” cercò di risponderle Ran, inceppando nelle parole. Guardò ancora una volta il ragazzo, azzardandosi nel chiedere cosa dovesse fare. Il detective alzò le spalle, facendole capire che avrebbe anche potuto dire tutto. Anzi, forse proprio tutto no. “Sì.”
Tutti i presenti trattennero un risolino, coprendo la bocca con una mano.
“I fatti vostri mai eh?” disse infastidito Shinichi, rivolgendosi ai propri amici.
“Ma tu non mi racconti mai niente” lo riprese Heiji, istigandolo con il gomito.
“E non saprai mai niente!”
“Guardate che non è successo niente” cercò di interromperli Ran, con voce innocente.
La sua frase attirò l’attenzione di Heiji, Kazuha, Shiho, Sonoko ed infine Shinichi, che cominciarono a fissarla impietriti. Poi si sentirono delle risate, e delle voci proroganti di sghignazzi. Quanto poteva cercare di essere veritiera un frase del genere? Zero. Aveva zero chance.
“Sì... niente.”
“Ci stiamo credendo, sì.”
“Noi siamo nati ieri, infatti.”
Il suono melodico del cellulare di Shinichi interruppe improvvisamente la serie di attacchi sarcastici rivolti a Ran. Il detective scrutò il display, per poi alzarsi dal tavolo ed allontanarsi repentinamente. Ran rimase basita, e forse un po’ delusa per quell’atteggiamento. Aveva forse qualche motivo particolare per non far ascoltare la conversazione ai suoi amici, e soprattutto a lei? Cominciò a scrivere pian piano un copione degno delle più grandi pellicole hollywoodiane. La sua testa era un ammasso di pensieri ed idee che la torturavano ogni secondo che passava. Forse ha un’altra... pensò, stringendo i pugni. O forse altre... forse è fidanzato e non me lo vuole dire...
“Il tuo fidanzatino già ti tradisce?” la stuzzicò Sonoko, maliziosamente.
“Lui non è il mio fidanzatino!” sbottò Ran, paonazza. Lanciò gli occhi in direzione del ragazzo, appoggiato ad una colonna del ristorante dell’albergo con la schiena, con in mano il cellulare. Aveva cambiato i vestiti rispetto alla notte precedente, ma il suo fascino non era calato. Quanto era bello? Forse troppo. E forse, anzi probabilmente, non lo era solo per lei, ma per altre mille giovani pretendenti. Nel guardarlo si ritrovò ad essere gelosa di un ragazzo che non era nemmeno il suo partner. Almeno non l’ufficiale. Appunto, e l’ufficiale? Di Richard non aveva più avuto notizie dalla mattina precedente. Pensò che forse era meglio così, era meglio evitare al momento. Doveva parlargli e trovare le parole giuste per spiegargli la situazione, lui avrebbe capito.
“Pronto?” rispose al cellulare Shinichi, assumendo un tono estremamente serio.
“Detective, sono la moglie di Kemerl, mi scusi se la disturbo, ma ci sono novità?” chiese speranzosa la signora dall’altra parte della cornetta, giocando col filo del telefono casalingo.
“No, le ho rivelato tutto con quella telefonata l’altro ieri. Suo marito è vivo, e sembra proprio avere una doppia identità. Inoltre riesce a scomparire da un momento all’altro, manco fosse un fantasma. Che lei sappia, nutriva sentimenti di particolare odio verso qualcuno che lei conosce?” domandò Kudo, in attesa di una risposta soddisfacente. E questa, stranamente, arrivò.
“Ehm, in realtà sì.”
“Davvero?” chiese impaziente il ragazzo, spalancando gli occhi.
“Sì... ma non lo odiava lui direttamente... cioè, io scoprii che c’era qualcuno che suo padre temeva.”
“Suo padre?”
“Sì. Ma dopo la sua morte, questo sentimento sembrava essersi tramortito in Toichi.”
“Quanto tempo fa è morto il padre di suo marito?” domandò Shinichi, prendendo dalla tasca il taccuino che fedelmente lo accompagnava in ogni ora della giornata. Un buon detective doveva sempre averlo con sé, lo ripeteva sempre.
“Cinque anni fa.”
“Scusi ma lei come fa a sapere che suo suocero temeva qualcuno?”
“Un giorno andai nella loro villa per una festività. Per caso mi ritrovai nello studio di mio suocero da sola. C’era molta confusione, nonostante fossero dei benestanti ed avrebbero potuto avere delle cameriere. Vede, io ho la mania di mettere in ordine qualunque cosa, così mi affrettai a sistemare le scartoffie. Ne cadde una dal mucchio, che trascinò con sé la foto di un bambino, probabilmente un loro parente, non so. Comunque, sopra al foglio vi era scritto:
Tottori: Una gigante tra milioni di nane bianche.
Ma forse, c’è qualche piccola stella che può oscurare la mia luce.
Qualche stella argentea. Non posso accettarlo, non voglio.
Confido in te, ricordalo. Porta al massimo splendore i Kemerl, siamo il Sole del Giappone.

“E quando l’avrebbe visto questo foglietto?”
“Pochi giorni prima che lui morisse... insomma, in quel frangente non gli ho dato importanza, ecco perché non le avevo rivelato niente. Può essere di rilievo?”
“Direi di sì” decretò Shinichi, socchiudendo gli occhi e lasciandosi ad un sospiro. “Mi potrebbe dire dove abitava suo suocero?”
“Perché?”
“Avrei intenzione di fare una visita alla sua bella villa.”
 
“Kudo finalmente! Guarda che qui Ran si ingelosisce!” li punzecchiò con voce squillante Sonoko, facendoli arrossire all’unisono.
“Sonoko!” le urlò contro Ran, tirandole uno scossone. “Non dire sciocchezze.”
“Non stavo facendo niente di male, era una telefonata di lavoro” le rivelò Shinichi, sogghignando. Non poteva che fargli piacere che la ragazza fosse gelosa di lui, e non riusciva a non esternarlo. La karateka incrociò le braccia al petto, girando lo sguardo dalla parte opposta, simulando una smorfia.
“Non che a me interessi” cercò di fingere Ran, mantenendosi sulle sue. In realtà le interessava eccome, e moriva dalla voglia di sapere con chi stesse parlando, ma a sentire che si trattava unicamente di lavoro tirò un sospiro di sollievo. Shinichi sorrise, voltandosi verso Heiji e Kazuha. Incurvò un sopracciglio nel non vederli e nel girarsi verso Sonoko, notò che non era presente neanche Shiho. L’ereditiera nel captare la sua curiosità, prontamente colmò i suoi quesiti.
“Sono al buffet, stanno scegliendo da mangiare. Anzi ora vado anche io, così lascio da soli i piccioncini” continuò a divertirsi con le sue stesse frasi Sonoko, guadagnandosi gli sguardi obliqui dei due ragazzi. Si alzò dalla sedia, scostandola dal tavolo. Nel vederla allontanare, Shinichi si avvicinò a Ran, sedendosi al suo fianco.
“Davvero non ti interessa?” le chiese malizioso e sorridente.
“Cosa?” continuò lei, fingendosi sostenuta.
“Chi mi chiama...” azzardò lui, mostrandole una linguaccia. “Sarebbe potuta essere una signorina tutta curve...”
“... e niente cervello?” si lasciò sfuggire la ragazza, facendo trapelare un po’ di gelosia.
“Ma in quel caso a me non ti interessa come ragiona, ma come si muove.”
Ran spalancò gli occhi, per poi mandargli un’occhiata di sfida, piena di rabbia.
“Fai schifo Kudo, e poi vattene con lei se ci tieni.”
Shinichi scoppiò a ridere all’affermazione della ragazza, che tentava in tutti i modi di mostrarsi forte. In realtà invece era un’inguaribile gelosa. Eppure l’adorava quand’era così. Si avvicinò ancora di più a lei, per poi prenderle il viso e stamparle un dolcissimo bacio sulle labbra, che poterono vedere tutti. Il tocco delizioso della bocca del detective fece dimenticare ogni piccolo astio che avrebbe potuto sentire in quel momento. Non valeva così però, era troppo facile.
“Non sai quanto mi piaci quando fai la gelosa...” le rivelò, facendola arrossire.
“Non scappare più via Mouri” continuò a dirle, stringendola in un abbraccio nel quale Ran vedeva il mondo intero. Le sue orecchie percepivano solo il suono delle sue parole, che viaggiavano nel suo corpo superando ogni possibile contrasto. Quanto era bello stare fra le sue braccia? Sembrava essere in Paradiso. Quello sembrava il Paradiso. Era sicura di esserci stata prima di tutti a quel punto, ed avrebbe potuto descriverlo se glielo avessero chiesto. E’ caldo ed accogliente avrebbe risposto, è tra le braccia del ragazzo che amo.
Sorrise.
“Non mi muovo da qui, starne certo.”

 
 
 
 
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Ma quanto sono dolcissimi questi ragazzi?! Non sono bellissimi?! *_________* Stanno vivendo dei momenti di serenità, e se li meritano cavoli, dopo tutto quello che hanno passato! XD Insomma, come vi è sembrato il capitoletto? Si percepisce l’aria a cuoricini che attornia in bel detective e la dolce karateka? Spero di sì XD
VENTIQUATTRO, oh, il mio numero preferito! 24 24 24 24 24 24 24
Ok basta, non mi sopportate più! XD
Alloraaaa... in questo capitolo riprendiamo anche la vicenda Kemerl, che tanto vi sta facendo scervellare! Come avete letto la moglie del criminale torna a chiedere novità a Shinichi, quando poi le apprende lui nuove informazioni. Meglio no? ;) E cosa vorrà andare a fare a casa di Kemerl?
Vi lascio con questi quesiti che mai più in là scoprirete :DDDD
Grazie come sempre a chi ha recensito lo scorso capitolo (è piaciuto a molti, come immaginavo. Chissà perché...)
Yume98, ciccia98, arianna20331, Il Cavaliere Nero, Marty Kudo, deamatta, Pav e Martins.
Gracias Mucho. (Si dice così? Boh, sono ignorante in spagnolo XD)
Ah, augurissimi per Pasqua! Non vi ingozzate di uova però, sennò diverrete grasse grasse... come il dottor Agasa! XD
Un bacione,
Tonia.
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Capitolo 25
*** Nuove complicazioni ***


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Nuove complicazioni
Venticinquesimo capitolo
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“Richard io non voglio più stare con te.”
L’eco delle sue parole si propagò velocemente nella stanza da letto del suo appartamento, addensandosi sulle pareti scure, addobbate da quadri e mensole d’appoggio. Si sedette sul materasso matrimoniale, sorreggendo il corpo con le braccia, facendo dondolare le gambe. Scosse la testa, per poi rialzarsi e riposizionarsi di fronte allo specchio. No, così non va bene!
Sbuffò, per poi irrigidirsi d’un tratto, stringendo le mani in pugni per darsi la forza necessaria.
“Richard ti lascio, mi dispiace.”
Ed invece, lasciò andare solo un sospiro di disperazione, seguito ad uno di frustrazione. Quanto poteva essere difficile lasciare una persona? Lo sembrava ancora di più se con quella persona condivideva casa, letto, bagno, salotto, spazzolino, televisione e vita. Una vita che non le apparteneva, e che voleva a tutti i costi abbandonare. Non ci sarebbe voluto molto a prendere tutti i vestiti ed accessori vari, e traslocare da Shinichi, oppure da Kogoro ed Eri. Avrebbero capito. Attorcigliò le labbra in una smorfia. Forse sua madre avrebbe capito, forse lei sì. Al detective dormiente non era mai andato a genio quel ragazzino saputello che nonostante avesse vent’anni in meno fosse più bravo, più famoso e più ricco di lui. E non gli era mai andato a genio che proprio quel detective fosse il grande amore di sua figlia. Scosse nuovamente il capo, scompigliando tutte le ciocche ribelli della folta capigliatura. Era inutile crearsi ulteriori problemi, adesso doveva solo dire a Richard come stavano realmente le cose.
Lo scricchiolio della porta d’entrata annunciò la venuta del ragazzo da lavoro, con aria sorridente e beffarda. Poggiò la borsa sul divano, andando incontro a Ran, che gli si avvicinava timidamente. Aveva le mani incrociate al petto, e lo sguardo intenerito dalla sua figura. Richard aveva un ampio sorriso che gli illuminava il volto, accompagnato da un incredibile buonumore. Ran si rattristò improvvisamente, ed abbassò il capo colpita dai sensi di colpa. Ciò che gli stava per dire era terribile, lo avrebbe ucciso. Ma lui doveva sapere, non avrebbe potuto continuare a vivere con lui, con la speranza di vedere Shinichi al più presto. No, non era così meschina.
“Tesoro, allora com’era Niigata?” le chiese gentilmente Richard, dandole le spalle. Una domanda più diretta non avrebbe potuto farla, era l’occasione giusta per cominciare il discorso. Ran, forza, fatti coraggio!
“B-bella..” cominciò balbettando lei, strofinandosi le mani come per sciogliere la tensione. “Vedi io volevo...”
“Sai che sono venuto?” azzardò lui interrompendola, con tono apparentemente tranquillo. Lasciò andare le scartoffie che aveva in mano, e si avvicinò alla ragazza, che rimase basita da quella notizia.
“S-sei venuto?” gli chiese, inceppando nelle parole, indietreggiando un po’. Deglutì al pensiero del fidanzato a Niigata. E se l’avesse vista con Shinichi? Lei sapeva che tra i due non scorreva buon sangue, e che preferissero tenersi a distanza debita per non innescare litigi di troppo. Sapeva anche che raccontargli tutta la verità l’avrebbe fatto morire di collera, essendo proprio Kudo la ragione della loro rottura. Un brivido di paura le percosse il corpo, smossa da un terribile presentimento.
“Sì, ho incontrato anche i tuoi amici... però me ne sono andato perché non ti ho trovata. Non volevo disturbarti amore mio” recitò con maestria l’americano, aggrappandosi al corpo della karateka. Per quanto volesse tenersi lontana, il ragazzo continuava a cercarla e a trattarla bene, come se nulla fosse successo.
“Ah, m-mi dispiace” riuscì a rispondergli Ran, lasciando che il partner l’abbracciasse, proprio come avrebbe fatto Shinichi. Ma quello non era il corpo del suo investigatore, e non era il suo profumo. Presa da un senso di disgusto tentò di liberarsi dalla presa, svincolandosi lievemente con le mani. Richard la strinse sempre più a sé, imprigionandola tra le sue braccia.
“Mi sei mancata tesoro mio” le sussurrò all’orecchio, facendole strabuzzare gli occhi. Adesso si sentiva un vero e proprio verme. Un lurido e viscoso verme. Richard era davvero dolce a volte, non poteva negarlo. E quella dolcezza la invadeva, facendole abbandonare ogni buono proposito che si era infissa qualche minuto prima. Come poteva lasciarlo se lui si comportava in quel modo? Forse quello non era il momento giusto, forse avrebbe dovuto aspettare. Socchiuse gli occhi sulla spalla del ragazzo, dandosi mentalmente della stupida.
“Ed io ti sono mancato?” azzardò lui, mostrandole due occhi colmi di tenerezza, ed un dolce sorriso sulle labbra. Le sue mani la mantenevano ancora per le spalle, ma l’aveva distanziata abbastanza da permetterle di guardarlo .
“S-s-ì..” cercò di fingere la ragazza, tenendo lo sguardo basso per non incontrare il suo. Dove l’avrebbe trovato il coraggio per lasciarlo? Come si fa in questi casi, come si fa ad avere il cuore duro? Lei non ce l’aveva, e probabilmente non l’avrebbe mai avuto. Lei era tenera, gentile, pronta ad aiutare il prossimo. Non avrebbe mai pensato di poter tradire il suo partner, prima di rincontrare Shinichi, prima di venire a contatto con la sua pelle e con le sue labbra. Quel folle gesto non era frutto della sua mente, ma del suo cuore. Non si riconosceva, sembrava diversa, ma era quello ciò che voleva la vera Ran. Era Shinichi. Non poteva e non voleva tornare indietro, non dopo aver visto il Paradiso. Il corpo dell’investigatore era droga per lei, sostanza del quale era totalmente dipendente. Ed ora, a contatto con quello dell’americano, poteva sentirne la differenza. Doveva dirglielo, doveva farlo, doveva riuscirci.
“Vedi Richard io volevo dirti una cosa” cominciò lei, alzando gli occhi in quelli del ragazzo. Aspettò una sua reazione, una sua risposta, un suo sussurro, che velocemente ottenne, ma non come sperava.
“Anche io” disse lui, mantenendo un tono serio.
“C’è una cosa che vorrei dirti da tempo, ma che non ho avuto mai il coraggio di dirti” sostenne ancora il giovane, mormorando le stesse parole che avrebbe voluto dirgli lei, ma con intenzioni diverse. Ran trattenne un sorriso di scherno verso se stessa, e verso quella situazione. Era proprio vero che il destino le mirava contro. Restò zitta, aspettando che fosse lui a continuare. Doveva concedergliela almeno la libertà di parola, e il diritto di esprimere le proprie opinioni, la volontà di parlarle. Si era comportata male nei suoi confronti , doveva farsi perdonare, in un modo o nell’altro. Poi, se Richard avesse accettato di rimanere amici le avrebbe fatto piacere. Infondo gli voleva un gran bene, e le sarebbe dispiaciuto perderlo per sempre.
“Vedi io...” cominciò arrossendo il ragazzo, abbozzando un sorriso. “Io ti amo.”
Non poté fare a meno di serrare le palpebre, e spalancare la bocca, permettendo all’aria nei polmoni di fuoriuscire e ricominciare il suo ciclo. Abbassò gli occhi, puntando lo sguardo sul pavimento. Non c’era niente di più di quelle parole che potesse demolire il suo tentativo di rivelargli la verità. Come avrebbe potuto lasciarlo dopo aver ascoltato il sussurro del suo ‘ti amo’? Cosa avrebbe dovuto fare in quel momento, cosa avrebbe potuto fare? In realtà, avrebbe solo voluto fuggire, e raggiungere Shinichi, ovunque lui fosse. Riuscì ad intravedere di sottecchi il corpo di Richard riavvicinarsi a lei, e trattenerle le braccia.
“Beh, non dici niente?” le chiese lui, fingendo un tono rattristato.
“E-ehm...” balbettò la giovane, distogliendosi dalla sua presa. “G-grazie.”
Richard inarcò un sopracciglio, per poi incrociare le braccia al petto.
“Grazie?”
“Ehm... sì.”
“Oh beh, prego” si finse amareggiato lui, lasciando andare le mani ai fianchi. “Tu cosa volevi dirmi?”
“Eh?” spalancò gli occhi lei, evitando un silenzio imbarazzante.
“Dovevi dirmi qualcosa” le ricordò lui, recitando come uno dei più grandi attori del cinema.
“Ehm...” balbettò lei, grattandosi il capo. “Cosa vuoi per pranzo?”
 
 
Appoggiato ad un pilastro della libreria, il giovane detective rotolava tra le sue mani il biglietto d’auguri trovato il giorno prima sullo scoglio di Niigata. Storse il labbro, mentre con le dita aprì il foglietto, rileggendone il contenuto.
Non capisco...blaterò nella mente, aguzzando gli occhi sulle parole.
[Auguri amore mio, questi tre mesi insieme sono stati fantastici.]
 Questa scrittura... continuò nelle sue supposizioni, grattandosi una tempia.
[questi tre mesi]
Mi sembra di conoscerla...asserì poi, scompigliandosi i capelli passandoci una mano.
“Shinichi ciao” lo chiamò dalla porta spalancata Eisuke, avvicinandosi a lui. “Ti ho cercato in dependance, ma visto che non c’eri sono venuto qui.”
“Ehi” lo salutò con una stretta di mano il detective, per poi nascondere il biglietto in una sacca dei jeans. “Novità col caso?”
Il fratello di Kir scosse il capo, in segno di negazione. “Purtroppo niente.”
“Io ho scoperto che i Kemerl erano dei fanatici di astronomia” ridacchiò nel riferirglielo, poggiandosi sulla scrivania della libreria, che un tempo apparteneva a suo padre. Si era rifugiato appositamente in quel luogo così silenzioso e sereno, circondato da libri di ogni genere, fonte delle sue più grandi ispirazioni. Ripeteva spesso che tra quelle copertine riusciva a trovare la chiave di ogni mistero, quasi come se fosse quell’immensa cultura a suggerirgliela. Con lo stesso scopo si era lasciato andare sulla poltrona in pelle, congiungendo le dita, ed abbandonando lo sguardo nel vuoto. Imitava la posa di Sherlock Holmes per trarre da lui la luce giusta per illuminare i casi. Aveva funzionato fino a quel momento, fino a che non gli si presentasse un caso come quello.
“Astronomia?” chiese stranito il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
“Sì” continuò ridendo, per poi divenire serio e guardarlo negli occhi. “Kemerl odia qualcuno perché lo odiava il padre, il quale si definiva il Sole del Giappone che una nana argentea aveva oscurato.”
“Il Sole del Giappone?” domandò Eisuke, come per farsi confermare ciò che aveva sentito.
“Sì, è quello che c’era scritto su un foglio secondo la moglie di Kemerl, caduto a terra insieme alla foto di un bambino.”
“Poetico” asserì sarcastico Eisuke, sorridendo.  “Sai mi ricorda mia sorella questa faccenda. Quand’ero piccolo lei mi diceva spesso che esistevano due Sole in Giappone: quello del Sistema solare, e quello che...” si bloccò d’un tratto, deglutendo.
“Regnava nell’oscurità” completò la frase il detective strabuzzando gli occhi dalla notizia.
Seguirono degli stanti infiniti, nei quali le parole tralasciate prendevano corpo in un susseguirsi di immagini, che adesso cominciavano a prendere senso e forma. Che adesso cominciavano a far preoccupare, sul serio.
“Come abbiamo fatto a non pensarci?!” sbottò ancora Kudo, mentre Eisuke spalancò le palpebre, portandosi le mani alla testa, come per disperazione.
“No.. non lo so.”
“Dannazione!” sbottò Kudo, stringendo forti le mani in pugni, fino a far diventare bianche le nocche.
“Quindi, la nana argentea è...” continuò la deduzione il piccolo Hondo, bloccandosi a deglutire dalla paura.
Nell’alzare gli occhi verso il detective, poté vedere il suo capo annuire, e confermargli quella terribile verità.
 
 
Poté sentire sulla sua pelle lo struscio dei filamenti di erba, inumiditi dalla pioggia che aveva bagnato Tokyo per tutta la mattinata. Li toccò, strofinandoli tra le mani, sorridendo al giovane che aveva affianco. Sdraiato su un manto d’erba, Shinichi aveva lo sguardo fisso verso l’alto, sorreggendo il capo con le mani congiunte dietro la testa. All’orizzonte, il Sole stava per tramontare, mentre un debole venticello cominciava ad alzarsi, rabbrividendo la pelle. Una giornata di fine agosto assieme al ragazzo che amava di più, sembrava così silenziosa e malinconia.
“Ehi” si avvicinò a lui, poggiando la testa sul suo petto. “Ma che hai?”
Gli domandò dolcemente Ran, passando una mano tra i suoi capelli, scompigliandoli. La voce dell’amata non sortì nessun effetto nel ragazzo, preso nei colori rossastri del cielo, anneriti dalla crescente presenza di nubi. Avrebbe piovuto. Erano giorni che la pioggia visitava Tokyo, attraversata da correnti gelide provenienti dall’Australia, dove regnava incontrastato l’inverno.
“Niente” le riuscì a rispondere poi, quando l’eco di quelle parole si fece sempre più tartassante. Aveva scoperto il piano di Toichi Kemerl, aveva capito il suo scopo e la causa di tale avversione nei confronti della più lucente nana argentea. Sì, forse perché era proprio piccola, per definizione.
Ma in cuor suo sentiva crescere un brutto presentimento, alimentato forse da quelle giornate, così cupe e piovose. La pioggia non gli era mai piaciuta, lo metteva di cattivo umore. Avrebbe potuto alzarsi ed andarsene, ma la persona che gli sedeva affianco era la più importante della sua vita, e non avrebbe mai potuto lasciare da sola in quel parco di periferia della vicina Beika. Tentò di rassicurarla, mascherandole le sue reali preoccupazioni, evitando di sprecare tempo, avendone buttato già tanto.
“Sei silenzioso” asserì Ran, preoccupandosi per lui, intenerendolo. Lo guardava con occhi così innamorati e profondi, colmi di speranze e sogni, che Shinichi non poté fare a meno di sorridere, e dimenticarsi del mondo.
“Macché” mentì  lui, socchiudendo gli occhi al vento. “Pensavo che tra poco pioverà.”
 “C’è bisogno di pensarlo?” ridacchiò lei, avvicinandosi con il viso a quello del ragazzo.
“Oh beh, se avessi qualche informazione in più potrei dirti che velocità ha il vento, a che temperatura siamo ed altre stupidaggini. Ma a te non interesserebbero, e neanche a me” le rispose sorridendo, strofinando la punta del naso contro il suo.
“E secondo lei, signor detective, tra quanto comincerà a piovere?” gli chiese, coprendo un risolino malizioso.
“Mmmh,” aggrottò le sopracciglia, grattandosi una tempia con l’indice. “Credo, credo mezz’ora.”
“Allora c’è tempo” lo baciò sulle labbra, attirandolo a sé, cingendogli le braccia al collo. Poi inspirò, inglobando aria nei polmoni, per poi lasciarla andare in lungo sospiro che le avrebbe donato la forza necessaria.
“Perché non lo facciamo qui?” gli chiese, arrossendo alle sue stesse parole.
Shinichi arrossì all’istante, strabuzzando gli occhi, cercando però al tempo stesso di trattenere una risata. “Qui?!”
La ragazza si mostrò la linguaccia, in un sorriso beffardo.
“Siamo nel bel mezzo della natura, è l’ambientazione adeguata per noi” gli riferì con tono malizioso e sarcastico, scoppiando a ridere. Il ricordo della notte da poco passata sulla spiaggia di Niigata si fece limpido nelle menti dei ragazzi, donando loro una infinita sensazione di felicità. Da quella sera si erano sentiti ogni giorno, e visti il più possibile, lontani da occhi indiscreti e fin troppo curiosi. Con lui, Ran sembrava dimenticarsi completamente della presenza costante di Richard a casa sua, e dei problemi derivanti da quell’unione sempre più profonda e necessaria. Nel rivedere il suo sorriso ed i suoi occhi si sentiva in Paradiso, come se la sua presenza gli regalasse un biglietto omaggio verso la più grande oasi al mondo. Non voleva avere altro che lui, non voleva essere nient’altro che lei.
“Non resisti proprio al mio fascino tu eh?” le rispose, sostenendo con maestria quel gioco di piccanti provocazioni, facendola arrossire d’un colpo. “Lo so, sono irresistibile.”
La giovane continuò a tenerlo stretto a sé, donandogli baci dal sapore di risa.
“La natura m’ispira” gli mormorò all’orecchio, per poi baciarlo. “O forse m’ispiri tu.”
Scariche di eccitazione si propagarono nel suo corpo, inducendola a sedersi sui fianchi del ragazzo, che disteso sull’erba, si aggrappò a lei, bloccandole i movimenti.
“No, Ran, qui no” le riferì con tono deciso, ferendola nel pudore. La karateka si staccò da lui e tornò a sedersi alla sua destra, immergendo lo sguardo nella cittadina. Nonostante fossero in una parte del parco completamente isolata dal resto, nonostante stesse per piovere e non c’era anima viva per strada, nonostante l’avesse provocato, lui aveva resistito. E adesso si sentiva come una ninfomane in cerca di costante sesso. Forse lui la immaginava così. Scosse un po’ il capo, evitando di guardarlo per l’imbarazzo. Era inutile, ed era vero, non riusciva a resistergli. Ed il suo corpo caldo le mandava in tilt il cervello, spingendola a compiere azioni che tempo prima non avrebbe mai pensato di fare.
“Ran dai, ma renditi conto dove siamo” si sedette anche lui, accarezzandole la schiena. “Potrebbero vederci.”
“Chi? Siamo praticamente coperti da quelle piante,” gli riferì, indicandogli il folto cespuglio a pochi metri da loro. “E poi chi vuoi che passi per qui?”
“Ran potrebbe passare chiunque, immagina che passi Richard...cosa dovrei fare prima? vestirmi o schivare i suoi pugni?”cercò di convincerla, azzardando un tono sarcastico. La ragazza fece una smorfia, incrociando le braccia al petto.
“Uno di questi giorni lo lascio,” s’intenerì improvvisamente lei, adagiando la testa sulla sua spalla. “E non dovremo più nasconderci.”
“No, non lo lasciare” gli disse lui, abbassando il capo, con voce sicura. “E per il momento è meglio nasconderci.”
La karateka spalancò gli occhi, sorpresa dalle parole uscite dalla bocca dell’amato. Non vuole che lo lasci? Ripensò poi, afferrando la sua mano, ed avvicinando il viso al suo, guardandolo fisso.
“Che..che vuoi dire?” buttò lì la giovane. “Tu non vuoi stare con me?”
Vide Shinichi scuotere il capo, per poi sorriderle. “No, non è questo. Ma credo che tu debba stargli vicino, non puoi lasciarlo improvvisamente.”
“Ma cosa stai dicendo? A te cosa importa di lui?!” sbottò Ran, sentendo le lacrime pizzicare nei suoi occhi, arrossandoli.
“Niente, ma io domani parto per gli Stati Uniti... non rimanere da sola in questi giorni” la informò lui, stringendo le dita in quelle della sua mano.
“Parti per l’America? E quando avevi intenzione di dirmelo?” gli domandò la ragazza, delusa e amareggiata da quel suo comportamento. Pensò che il detective incominciasse ad avere delle titubanze su quel rapporto complesso e furtivo che completava la loro vita. Una fitta le percorse il cuore al pensiero di perderlo, e di rinunciare a tutto quello che lui fosse capace di donarle con un solo respiro.
Ran ti prego perdonami... la implorò mentalmente. Ma se resti con Richard, sarai al sicuro...
“Ok” cercò di calmarsi lei, lasciando andare lunghi sospiri. “Per quanto tempo devi rimanerci?”
“Non so, vado lì per risolvere un caso molto complicato,” l’avvertì il ragazzo, tornando a guardarla.
“Di nuovo?” sorrise sarcastica e malinconica la giovane, staccandosi dalla sua presa. “Questa scusa mi è familiare.”
“Non preoccuparti non mi rimpiccioliranno stavolta...” la rassicurò, prendendole il viso con le dita. “Almeno credo.”
Ran si fece improvvisamente cupa e pensierosa, presa nel guardare l’erba che lentamente cominciava a bagnarsi, a causa delle gocce d’acqua che cadevano dal cielo. Sentiva che sarebbe successo qualcosa da un giorno all’altro, sentiva di poterlo perdere. La stessa sensazione che sentì lì, in quel parco di divertimenti conosciuto come Tropical Land, dove una sera di anni prima Shinichi scomparve nel buio più profondo delle giostre, per cacciarsi in un guaio irrimediabile. In quel caso era riuscito a cavarsela, ma per quanto ancora la fortuna l’avrebbe assistito?
“Ti prego,” bisbigliò con voce roca, accompagnata dal rumore della pioggia incessante. “Non abbandonarmi, torna.”
Il ragazzo sorrise. Non l’avrebbe abbandonata, non dopo averla ritrovata. Si avvicinò a lei, e nel socchiudere gli occhi, gli donò un dolce bacio sulle labbra.
“Non ti abbandono” le disse, prendendole il capo tra le mani. “Fidati di me, tornerò.”
“Mi fido sciocco,” gli rispose lei, abbozzando un sorriso di serenità. “Mi fido.”
Si aggrappò alla sua maglia, stringendosi al suo corpo, facendosi abbracciare. Il ragazzo poggiò il mento sulla sua fronte umida e fredda, attirandola a sé con le braccia. In quel momento, il Sole si sarebbe anche potuto spegnere, ma loro non si sarebbero staccati. Il loro amore avrebbe affrontato tempeste e fuoco pur di non morire.
Shinichi alzò lo sguardo verso il parco, osservando lo scendere incontrastato della pioggia sulla vegetazione fitta. L’aria fresca cominciava a insediarsi nei pori, facendoli raggrinzire, fino a donare alla cute la denominazione di ‘pelle d’oca’. Sentì nelle sue mani la ragazza rabbrividire dal freddo, a causa dell’abbigliamento poco adatto per quel pomeriggio. Si alzò velocemente, trascinando con sé la giovane.
“Vieni, torniamocene... fa freddo qui.”
La karateka seguì il ragazzo lungo tutto il percorso, mantenendo salda la presa della mano nella sua. Cominciarono a correre, fino a raggiungere in pochi minuti la moto, parcheggiata all’ingresso del parco. La sella era bagnata da alcune goccioline d’acqua, come il resto della carrozzeria, esposta e non protetta dalla pioggia incessante. Shinichi sfrecciò lungo le strade di Tokyo, dirigendosi nel luogo chiuso più vicino che conosceva: casa Kudo. Arrivarono poco tempo dopo, e sostando la moto fuori la dependance, si affrettarono nell’entrare all’interno. I loro vestiti erano bagnati fradici, così come i loro capelli e le loro scarpe. Improvvisamente il cielo si era annerito e riempito di fulmini, la pioggia si era tramortita in un temporale, uno di quelli che ad agosto finiscono col spaventare, a causa della violenza inaudita con cui si abbattano al suolo. Chiusero la porta alle loro spalle, ritrovandosi nel silenzio assoluto dell’ambiente.
“Dannazione,” esclamò Ran, nel guardare i suoi vestiti scuriti dall’acqua. “Come faccio adesso?”
Shinichi le si avvicinò lentamente, perdendosi ad osservarla malizioso. Quel poco che i tessuti riuscivano ancora a coprire, era messo in evidenza dall’enorme quantità di acqua immagazzinata durante il tragitto. Il suo sguardo era attratto dal fisico della ragazza, percorso da gocce d’acqua, e dalle sue labbra, sempre più rosse a causa del vento e della temperatura, calata improvvisamente.
“Mmmh,” la trattenne per i fianchi, attirandola a sé. “Io direi di toglierli proprio.”
“Sì, vado in bagno” recitò lei sorridente, fingendo di poter evitare la sua provocazione.
“Dove vai?!” le urlò, aggrappandosi a lei, per poi sollevarla e prenderla in braccio. Ran scoppiò a ridere, cercando di svincolarsi con le mani, in modo da prolungare quel gioco eccitante e divertente allo stesso tempo. Approfittando di un momento di distrazione, riuscì a staccarsi dalla sua presa, cominciando a correre lungo il corridoio della casa. Shinichi la seguì, fino a ritrovarsi in camera sua, dove la giovane si ritrovò in trappola, senza vie di fuga.
“Non puoi scappare... sei nella mia tana adesso.”
Avvicinatosi a lei, Shinichi le sfiorò le labbra con le sue, aderendo sempre più al suo corpo bagnato. Fece scivolare le mani lungo la sua schiena, accarezzandola dolcemente, tanto da farle chiudere gli occhi per l’immenso piacere. In pochi istanti le loro lingue s’incontrarono nuovamente, in un ritmo crescente di movimenti dominati dall’eccitazione e dall’impazienza. Avvertì il caldo respiro del ragazzo sul suo collo, tormentato dai suoi baci delicati e fuggevoli, che le fecero perdere ogni sorta di razionalità o lucidità che la sua mente potesse a stento conservare. Lentamente si dondolarono verso il letto della stanza, sul quale Ran cadde e trascinò con sé il detective, aggrappandosi alle sue braccia. Le loro bocche continuarono a cercarsi con ardore, mentre le loro mani, sebbene avessero gli occhi chiusi, sapevano bene dove muoversi. Le dita sottili della giovane andarono a poggiarsi sul petto umido del ragazzo, riscaldandolo. I loro vestiti bagnati caddero a terra, volando negli angoli più nascosti della camera. Le loro mani continuarono ad adulare i loro corpi, esplorandoli e drogandoli di desiderio. Si amarono senza freni, in un pomeriggio gelido e fradicio, riscaldato dal calore della loro pelle e dall’intensità dei loro movimenti. La karateka, impregnata del profumo di Shinichi, avvertì un piacere indomabile crescere dentro di lei, sfociando in gemiti e lunghi sospiri. Abbandonandosi completamente alla passione, all’amore, e al desiderio che li univa, Shinichi e Ran desiderarono di perdersi in quel momento magico, inebriandosi l’uno dell’altro. Un sorriso nacque sul viso di lei, illuminandone il volto arrossato. Capì finalmente di essersi sbagliata, e di doversi ricredere. Loro erano proprio fatti per stare insieme.
 

 
 
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Faticaccia assoluta per scrivere questo capitolo!!! >.< Saranno state le vacanze pasquali, ma è stata un’impresa!
A proposito, vi siete ingozzate abbastanza tra Pasqua e Pasquetta? =D Io sì, le uova di casa sono sparite a causa mia :P
Passiamo a cose serie ù.ù
Nuoooovo capitolo, nuooove complicazioni. Cosa speravate? Che i due vivessero per sempre felici e contenti come se nulla fosse? No, non è possibile ù___ù
Mi dovete dire tutte le vostre impressioni su: atteggiamento di Richard ed il suo ‘ti amo’, atteggiamento di Shinichi e preoccupazioni di Ran, e poi dulcis in fundo,
la scoperta dell’identità della nana argentea! Chi sarà mai? :DDD
Ah, i nostri piccioncini si sono lasciati trascinare di nuovo dalla passione, ah l’amour!!! <3
Bene.. leggete, commentate, recensite ed ancora commentate! (già l’ho detto, vabbè! XD)

Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo:
mangakagirl, Martins, Yume98, deamatta, PaV, Il Cavaliere Nero e ciccia98 =DDD

Vi adoro ogni giorno sempre più ! <3
Adesso vi lascio, alla prossima!!
Tonia.

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Capitolo 26
*** Influenza d'amore ***


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Influenza d’amore
Ventiseiesimo capitolo

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Dodici giorni. Erano dodici giorni che non aveva notizie di Shinichi. Era partito per l’America e l’aveva lasciata lì, in preda alla nostalgia e al dolore, senza degnarsi di telefonarle. Né un misero squillo, né un insulso messaggio. Niente. Quasi due settimane che non sentiva la sua voce, quasi due settimane che non assaporava le sue labbra. Ed ora, davanti ad uno specchio di casa sua, scrutava le sue, di labbra. Erano secche e violacee. I suoi occhi stanchi ed impigriti, si ergevano su due occhiaie spaventose, messe in evidenza dal colorito pallido del suo volto. Si sentiva come se un carro di buoi le avesse camminato addosso, disintegrando le sue ossa ed i suoi muscoli. Sbuffò alla sua immagine riflessa nello specchio, intenta a pettinarsi i capelli, sciogliendo i nodi che con la nottata si erano formati. Una nottata in cui non aveva chiuso occhio, in cui il materasso era diventato il pavimento del bagno, e il cuscino la tavoletta del gabinetto. Aveva vomitato anche l’anima in quella nottata, e adesso si sentiva distrutta, e priva di forze. Tornò in camera sua, scompigliando le lenzuola del letto dove ore prima aveva dormito con Richard. Come richiesto da Shinichi, Ran non si era azzardata a lasciarlo in quei giorni, anche se ancora non concepiva il perché. Semplicemente si fidava di lui, e questo le bastava per andare avanti. Se poi lui si fosse fatto sentire, o almeno avvertire di essere ancora vivo, beh, non le sarebbe dispiaciuto.
Rabbrividì, portandosi le lenzuola all’altezza del naso, proteggendosi dal fresco di quella mattina. Che poi così freddo non faceva, ma lei lo sentiva, e non poteva fare altro che coprirsi per rimediare. Si rigirò nel materasso, rannicchiandosi su se stessa.
Influenza a metà agosto,pensò, socchiudendo gli occhi nel tentativo di riposarsi. Perfetto!
Lo squillo del telefono di casa distrusse le sue ultime speranze di cadere tra le braccia di Morfeo, ed immergersi magari in un dolce sogno, con la speranza di vederlo. Allungò le mani sul comodino, afferrando la cornetta, ed avvicinandola al suo orecchio. Neanche ci sperava più che fosse Shinichi a cercarla ormai. Infondo, se fosse stato lui non avrebbe chiamato sul telefono di casa.
Rispose, ma con tono basso e voce impastata, debole e assonnata.
“Pronto?”
“Raaan!” la chiamò allegra la giovane dall’altra parte del telefono, “Si può sapere che fine hai fatto? Non ti fai sentire più da quando amoreggi con Kudo, eh?”
La karateka riconobbe l’amica ereditiera, semplicemente dal tono con cui aveva pronunciato il cognome del ragazzo. Una smorfia si dipinse sul suo volto, raggrizzendole i muscoli.
“Io non amoreggio con nessuno” cercò di precisarle, mettendosi a sedere sul materasso. “E poi sono giorni che mi sento uno straccio, mi sa che mi sono beccata l’influenza.”
“Sul serio?” s’intenerì Sonoko, addolcendo la voce. “Uffa, ed io che volevo invitarti alla festa di Makoto stasera.”
“Festa?” chiese incuriosita Ran, portandosi una mano sulla fronte, scompigliando il ciuffo della frangetta.
“Sì... gli ho organizzato una festicciola a casa mia, per i suoi 25 anni*” le riferì l’amica, con aria soddisfatta. “Ho già chiamato Heiji e Kazuha, mi hanno detto che verranno.”
“Ah” sospirò scocciata la ragazza, sbuffando. “Mica sai se viene anche Shinichi?”
“No, ma questo dovresti dirmelo tu. Non vi state sentendo voi?”
Avrebbe dovuto sentirlo, ma lui aveva scelto di visitare l’America e di scomparire dalla circolazione, ora come anni prima. Con la stessa mano scese agli occhi, strofinandoli, in modo da svegliarli dal -mancato- sonno notturno. Sbuffò ancora, sedendosi sul bordo del materasso e poggiando i piedi sul pavimento freddo.
“Lasciamo stare che è meglio. A che ora è la festa?”
“Allora verrai!?” esclamò entusiasta l’amica, abbozzando un sorriso che la giovane non poté vedere.
“Certo. Mi farà bene svagarmi un po’. Che dici, porto anche Richard?” le domandò poi, titubante sulla presenza dell’americano. Dal giorno in cui le aveva detto di amarla, il ragazzo si era comportato sempre con tenerezza e accortezza. Addirittura aveva cominciato a prepararle la colazione ogni mattina, e portargliela a letto. Spesso tornava da lavoro con cioccolatini e dolcetti vari, donandole interi pacchetti di golosità, pronte a sciogliere il cuore di chi le assaggi. In realtà, Ran non comprendeva perfettamente quel suo atteggiamento. Era come se averlo tradito avesse sortito l’effetto contrario, come se l’avesse ferito, ma in meglio. Non aveva proferito parola con lui di Shinichi, ma cominciava a credere che fosse impossibile che non si fosse accorto di un suo cambiamento, e di una crisi nel loro rapporto. Era inammissibile non accorgersene quando le uniche frasi che gli regalava nell’arco della giornata erano uno striminzito ‘buongiorno’ ed un cupo ‘cosa vuoi per pranzo’. Quel suo atteggiamento non faceva altro che rinchiuderla in un vortice di sensi di colpa, che in un modo o nell’altro avrebbe dovuto espiare.
Forse, passare con lui una serata tra amici sarebbe potuta essere una buona idea. Forse.
“Beh, dimmelo tu. Per me non c’è problema.”
“Nemmeno per me. Ci vediamo stasera?”
“A stasera, alle 9 a casa mia” le riferì l’ereditiera, per poi intenerirsi. “E cerca di stare bene.”
“Ci proverò” mormorò, consapevole di non essere ascoltata, avendo già staccato la chiamata. Si alzò a fatica dal materasso, dondolando dal mal di testa. Allucinogeno l’avrebbe definito se glielo si fosse chiesto,  martellante ed insopportabile. Un susseguirsi di eventi che le stavano frantumando la pazienza e il buonumore, scaraventandola in un tunnel dalla cui oscurità era possibile uscire solo attraverso la presenza di Shinichi. Era inutile negarlo, le mancava da morire. Ed era assurdo pensare di essere stati così tanto tempo lontani e non riuscir ancora a sopportare la sua assenza. Non avrebbe retto un altro giorno senza avere sue notizie, né un minuto in più senza la certezza di averlo affianco, vicino o lontano che sia.
Si portò avanti nella camera, meditando i vari oggetti poggiati sui mobili, architetti della casa. Poteva essere interessante poi una sveglia, una cornice, un quadro o un calendario? Un calendario forse sì. Si avvicinò sempre più ad esso, con occhi strabuzzanti e bocca serrata. Quella catena di eventi le aveva fatto perdere il senso del tempo che passava, e dei giorni che aumentavano.
Oh cazzo!
 
 
 
Festoni e palloncini addobbarono un intero salone di casa Suzuki, un’ampia sala luminosa e splendente, dove Sonoko aveva esplicitamente chiesto ai genitori di andare via, in modo da lasciarli soli a festeggiare il compleanno dell’adorato Makoto. Ran avanzò lentamente verso l’amica accompagnata da Richard, con in mano un pacchettino colorato a cui era attaccato un fiocco dorato, probabile regalo per Makoto. Aveva optato per un braccialetto in acciaio, inciso di una piccola tigre, simbolo del karate giapponese. Primi ad arrivare, Ran notò la mancanza di Heiji e Kazuha, ed ovviamente di Shinichi. Lo stesso pomeriggio aveva provato a chiamarlo, con la speranza di risentire il suono della sua voce. Purtroppo di suo udì unicamente la segreteria telefonica, che il ragazzo non aveva più tolto da quando era partito per gli Stati Uniti, e il suono metallico del bip che la incitava a parlare.
Strinse forte l’amica in un abbraccio, riscaldandosi del calore che emanava il suo corpo. Il freddo continuava a perseguitarla, la stanchezza ad indebolirla.
“Ran” l’accolse gioiosa l’ereditiera, avvicinandosi a lei. “Richard”
“Grazie d’essere venuti. Makoto è di là, quando viene gli dai questo, ok?” le disse, indicando il pacchetto. La ragazza annuì e si sedette su una delle sedie che accerchiavano l’immenso tavolo posto a centro sala, coperto da una tovaglia bicolore, verde e blu, sulla quale erano poggiate ciotole di patatine e stuzzichini vari. Accanto a lei prese posto Richard, apparentemente sereno e felice. Poggiava i gomiti sul tavolo, mentre con le dita si impegnava a costruire origami, piegando nei vari modi i tovaglioli di carta presenti in ogni posto. Ran si fermò ad osservarlo, alleviando il dolore che l’affliggeva, sorreggendo il capo con la mano. Si sentiva scocciata, debole, assonnata e nauseata. Sperò in una sola cosa: che quella festa finisse il più presto possibile.
“Ci sono i tuoi amichetti” blaterò Richard con tono seccato, rimanendo fisso lo sguardo sulle sue dita.
“Eh?”
“I tuoi a-m-i-c-h-etti” scandì meglio le parole, visibilmente irritato. Poi continuò con tono sarcastico, azzardando un sorrisetto: “Peccato, ci manca qualcuno.”
Nel voltarsi verso il corridoio che poco prima aveva attraversato, Ran vide arrivare Heiji, seguito a pochi metri da Shiho e Kazuha. Sbuffò nel rendersi conto che, come previsto, Shinichi non c’era, e che la frase humour indirizzatole dal partner si riferisse proprio all’amato. Le aveva parlato come se avesse saputo che la sua assenza l’avrebbe turbata e amareggiata. Come se sapesse tutto e tentasse di nasconderlo.
I tre entrarono nel salone, accolti da Sonoko, che disse loro le stesse cose riferite all’amica precedentemente. Prese i regali per il fidanzato e sgattaiolò via dalla sala, ricercando i camerieri per far preparare il buffet. Ben poco preoccupata per il venticinquesimo anniversario del collega karateka, la giovane Mouri si alzò dal tavolo, avvicinandosi ai suoi amici, lasciando Richard da solo, a contemplare le sue creazioni artistiche di origami. Non poté notare però che, nel vederla correre verso il detective di Osaka, lo pseudo - fidanzato la fissava imperturbabile, con l’intenzione di monitorare le sue mosse, e captarne gli scopi.
“Heiji!” lo fermò improvvisamente la giovane, bloccandogli le mani sul petto.
“Dov’è Shinichi?! Hai avuto notizie di lui?!” bisbigliò a bassa voce, in modo da non farsi sentire da Richard.
Il ragazzo bruno allargò un po’ le palpebre, trovandosi disorientato. Staccò le mani della giovane dai suoi muscoli, ed indietreggiò di qualche centimetro, assicurandosi una certa distanza. Ran lo osservò interdetta, indecisa sul da farsi. E adesso, cosa gli prendeva? Heiji sembrava impaurito.
“N-no Ran...” le rispose freddamente, evitando il suo sguardo. Senza degnarla di saluti si allontanò da lei, avanzando verso il tavolo di cibarie. Ran restò ferma in mezzo alla sala, e sebbene fosse circondata da innumerevoli persone, si sentì terribilmente sola. Si sentì abbandonata e ignorata, forse derisa. Per qualche istante perse il senso del luogo, precipitando in un vortice di pensieri e di paure, in un mare di delusioni. La sua mente viaggiò velocemente e distrattamente, sottraendosi ad ogni sorta di ragionamento logico e coerente. E, nel ripensare all’intero contesto, dedusse che: Shinichi era partito per l’America perché lì aveva una fidanzata, che vedeva poche volte all’anno a cui nascondeva completamente la sua vita a Tokyo e le sue amicizie; evidente era quindi che il detective le aveva detto di restare con Richard perché, preso dai sensi di colpa, in quel briciolo di coscienza che gli rimaneva voleva assicurarsi che lei fosse felice, in un modo o nell’altro; ovvio inoltre che non le rispondeva a cellulare per non far insospettire l’altra mal capitata, che avrebbe incominciato a fargli innumerevoli domande; Heiji, l’unico a conoscenza di questa doppia vita, aveva cercato di evitarla, incerto sul cosa risponderle.
Possibilità di diventare un investigatore: zero. Possibilità di entrare in un manicomio: innumerevoli.
Che poi, ad aggiungersi a tutto ciò, rimaneva quell’enorme mal di testa e quella paura crescente dei giorni che passavano. Si riprese dal suo stato di incoscienza, alzando gli occhi verso l’amico Hattori.
Resasi conto delle sue bislacche intuizioni, degne della figlia del detective Mouri, si avvicinò al tavolo, rimettendosi a sedere accanto a Richard. Continuò ad osservare Heiji, che intanto la guardava di sottecchi, accorto sul non farsi vedere dall’americano. C’era qualcosa che non quadrava, e che il detective nascondeva, ma cosa?
“Amici” cominciò, azzardando un tono sarcastico Richard.
“Tra tre giorni c’è una mostra di foto, fatte da me personalmente, con tema omicidi e investigazione. Mi farebbe piacere veniste. E poi, penso possa interessarti” disse, riferendosi ad Heiji,  rimasto un po’ sorpreso dalla proposta dell’americano.
“Ehm sì... potrebbe” rispose il detective, rimanendo sul vago.
“Magari fai venire anche Kudo” si soffermò sul cognome, mostrando una vena di disprezzo. Ran lo osservò, basita per l’atteggiamento del partner. Richard invitava Shinichi ad una sua mostra? Probabilmente erano usciti tutti di senno in quella serata.
“Il giudizio di un esperto come lui è molto gradito.”
“Ecco a voi ragazzi” interruppe il flusso di pensieri e sguardi Sonoko, avanzando nella sala seguita dai camerieri. Essi portarono quattro teglie di pizze varie, bollenti e succulenti. Il profumo attraente di esse s’insediava nelle narici, facendo venire l’acquolina alla bocca ai presenti, pronti al tavolo per raccapezzare più pezzi possibili. Tutti cominciarono a prendere la propria porzione, litigando e discutendo su chi dovesse prendere la margherita e chi la capricciosa, chi la viennese. Tutti tranne Ran. Solo nel vedere quell’immensa bontà dinanzi ai suoi occhi, la ragazza sentì il suo stomaco brontolare, e il capo girare. Si alzò d’un tratto dal tavolo, lasciando i presenti basiti. Corse veloce verso il bagno di casa Suzuki, facendosi spazio tra gli invitati alla festa che le camminavano contro. Chiuse la porta sbattendola, avendo appena il tempo di avvicinarsi al lavandino e buttare fuori tutto ciò che aveva potuto mangiarsi in quella giornata: una mela e due spicchi di pera. Vomitò anche succhi gastrici e residui vari, liberando lo stomaco di qualsiasi materiale che potesse essere chiamato cibo o bevanda. Si accasciò a terra, con viso pallido e gambe tremolanti. S’era sentita di svenire e le forze venir meno, in una giornata che non sembrava proprio voler passare. Portò le mani al viso, cominciando a singhiozzare, mentre le lacrime impavide spingevano nel voler scendere.
Shinichi... dove sei?
Il suono della porta le avvisò della presenza di qualcuno dietro di essa. Si apprestò ad urlare, con tutta la voce che le era rimasta in corpo, racimolando le ultime energie.
“Occupato!”
“Ran sei qui?” domandò Kazuha, preoccupatasi per l’amica, svanita nel giro di pochi istanti dal salone. Vedendola correre verso una direzione ben precisa, con la mano che le copriva la bocca, non ci sarebbe voluto molto a capire che fosse proprio il bagno la sua meta. Così si era alzata anche lei, raggiungendola per accertarsi che stesse bene. “Ran, che succede!?”
Si accovacciò vicino alla ragazza, accarezzandole le spalle. Riuscì a scostarle le mani dal viso, intravedendo le lacrime solcare su una pelle pallida, che pian piano però stava riprendendo colore. Inoltre, lentamente le forze cominciarono a tornare, fino a donarle nuovamente l’equilibrio motorio.
“K-Kazuha,” singhiozzò ancora, strofinandosi il viso, per levar via l’umido delle lacrime. “S-scusa, mi sono sentita male.”
“Non preoccuparti...” la rassicurò, aiutandola ad alzarsi dal pavimento. Ran si rimise in piedi, ed aprì il rubinetto del lavandino, facendo scorrere via i residui della sua indigestione. Se d’indigestione si trattava, poi.
“Ma hai mangiato troppo forse?”
La karateka fece una smorfia, schernendo se stessa, tenendo gli occhi fissi sull’acqua corrente.
“Sì, una mela” blaterò sarcasticamente. “Una mela ed un po’ di pera, in tutta la giornata.”
“Ma.. ma sei impazzita?!” la rimproverò bonariamente l’amica, afferrandole un polso. “Perché non hai mangiato?”
“Perché mi sa che ho l’influenza da un paio di giorni.. mi sento debole, a volte affamata, poi vomito... boh non capisco” confessò sinceramente la ragazza, sedendosi sul bordo della vasca da bagno. Le forze continuavano ad essere poche, nonostante ne avesse recuperate la maggior parte. Sbuffò, abbassando il capo verso il pavimento. Vide Kazuha avvicinarsi e passarle una mano tra i capelli, fermandosi sulla fronte. Rimase qualche secondo in quella posizione, per poi ritirare le sue dita.
“Febbre non ne hai” decretò con tono sicuro. Si abbassò un poco, aprendole la bocca, e scrutandone il contenuto. Dopo pochi istanti risalì, sospirando, con aria quasi soddisfatta. Da quanto Kazuha aveva preso lezioni di medicina? Che avesse deciso di fare il medico e lei non lo sapeva? Probabile, sì.
“Signorina, non ha né arrossamenti di gola, né tracce di febbre. Il suo respiro è regolare, ciò indica la mancanza di muchi nei suoi polmoni” si fermò un attimo, osservando l’amica che la guardava ridacchiando. “Diagnosi temporanea: sei sana come un pesce.”
“Non sapevo di avere un medico come amica” asserì l’altra, continuando a sorridere.
“Ho preso parecchie volte la febbre, ti ho semplicemente detto il contrario di quello che mi riferiva il dottore a me” le rivelò, mettendosi a ridere. “Però tu davvero stai bene fisicamente Ran.”
“Sì, credo sia stato un abbassamento di zuccheri. E’ un periodo un po’ particolare” continuò la karateka, con tono amaro. Abbassò nuovamente lo sguardo rattristandosi, ripensando agli ultimi momenti vissuti insieme a Shinichi. L’aveva sentito che stava per succedere qualcosa, ma in quell’istante non aveva voluto darci peso. Che poi la catastrofe che incombeva era anche peggio di quella che si aspettava sono solo dettagli, inutili dettagli. Presa nelle sue elucubrazioni, Ran vide Kazuha allontanarsi verso la porta, afferrare la maniglia, e chiuderla a chiave. Ritornò dall’amica, abbassandosi e mantenendosi sulle punte dei piedi. Prese le mani nelle sue, portandola a farsi guardare negli occhi.
“Ran ora sii sincera. Devi dirmi qualcosa?”
“Eh?” rispose sorpresa la ragazza, sbattendo più volte le palpebre.
“Sai a cosa mi riferisco, vero?”
La giovane Mouri abbassò nuovamente lo sguardo, incupendosi. Certo che sapeva a cosa si stava riferendo, l’aveva capito quello stesso pomeriggio, nel trovarsi a guardare quel calendario, anche un po’ distrattamente. Deglutì un paio di volte, evitando lo sguardo interrogativo dell’amica.
“S-sì” rispose soltanto, inceppando nelle parole.
“Ho un ritardo di dieci giorni.”
Kazuha sospirò nuovamente, per poi avvicinarsi ancora di più al corpo dell’amica e stringerla più forte che poteva.  Ran si lasciò trascinare in quell’abbraccio, appoggiando la testa sulla spalla calda dell’amica.
“Ho comprato il test di gravidanza oggi pomeriggio. Con la scusa di andare in farmacia per medicinali vari mi sono fatta accompagnare da Richard...devo farlo?” le domandò, dalla voce ansimante e tremolante. L’amica si staccò dalla presa, mettendosi a sedere accanto a lei, sul bordo della vasca.
Continuò a reggerle le mani, come per farle sentire la sua presenza. Lei c’era, non l’avrebbe abbandonata o giudicata. Lei ci sarebbe stata sempre.
“Dimmi una cosa,” cominciò con voce seria, cercando comunque non metterla a disagio. L’imbarazzo in momenti come quelli regnava sovrano, ed era giusto ed opportuno parlare con cautela. “Hai avuto rapporti ultimamente?”
Ran arrossì lievemente. “Beh, sì.. prima che Shinichi partisse.. una quindicina di giorni fa.”
“L’hai fatto solo con lui?” cercò di appurare Kazuha, parlandole sempre con tono basso e gentile.
“Ovvio” rispose convinta la ragazza, sospirando.
“Bene, almeno abbiamo la certezza chi sia il padre” le disse l’amica, facendola sorridere. “Sempre se c’è un bambino.”
“E... scusami se m’impiccio ma... è stata l’unica volta?”
“No, c’è anche quella a Niigata” le rispose, ricordandole la vacanza da poco vissuta. “Beh, noi.. vedi.. ecco.. facemmo pace sulla spiaggia, e..”
“Stop! Stop! Non voglio sapere i particolari” la fermò ridacchiando la giovane d’Osaka, mentre Ran riduceva i due occhi a piccoli puntini neri, imporporando il viso di rosso fuoco.
“Sono passate tre settimane da allora, il test dovrebbe essere efficace.”
“Ok, amica mia” si alzò improvvisamente, incrociando le braccia. “Io adesso vado fuori, ti aspetto sulla porta. Tu prendi il test, fallo con massima serenità e poi... vedremo che fare, ok?”
Ran non rispose alla ragazza, e restò ferma sulla vasca, senza muoversi di un millimetro. Kazuha le si avvicinò nuovamente, accarezzandole il viso. Per fortuna aveva ripreso il suo colorito naturale, e sembrava sentirsi anche meglio dopo l’indigestione. Restarle accanto era l’unica cosa da fare al momento, l’unica che potesse aiutarla.
“Se c’è... io voglio tenerlo” le confidò diretta, con occhi lucidi. “Io non ci penso all’aborto, è il frutto dell’amore che provo per Shinichi. Ucciderlo sarebbe uccidere noi.”
Kazuha sorrise, quasi fiera delle parole dell’amica. Infondo chi erano loro per decidere se una persona deve vivere o no? La vita è un dono di tutti, ed è sacra, ed è inviolabile. Sì, concordava con quello che Ran aveva appena detto. Anche lei avrebbe agito così, anche lei la pensava così. E poi, non si sarebbe mai potuto chiamare un errore. Gli errori sono quelli che si fanno con le macchine industriali, fredde e calcolatrici, prive di anima e corpo. Non puoi chiamare errore l’amore che ti spinge a stare con una persona. Si accovacciò ancora di fronte a lei, guardandola teneramente.
“Ran adesso fai il test. Non preoccuparti, andrà tutto bene.”
La ragazza annuì, ed in pochi istanti restò da sola nel lussuoso bagno di casa Suzuki.
C’erano solo lei e il test. Lei e la probabile vita di un bambino.
 
 
 
Dannazione, dannazione!
Il giovane Shinichi Kudo corse svelto tra i passeggeri dell’aeroporto di New York, affollato di taxi e persone. E non si affrettava per l’aereo, ma per la convinzione di arrivare prima a Tokyo, se lui fosse arrivato prima sul veicolo. Sbatté più volte il borsone contro le pareti, contro valigie, contro persone, senza degnarsi di scusarsi. Aveva il volto impaurito e scioccato, il viso bianco. Come poche volte in vita sua, avvertiva la paura. Quella che ti impedisce di fare qualsiasi movimento, quella che ti blocca volontà sul nascere. Ma, per quanto timore potesse provare, doveva sbrigarsi, e se avesse potuto, avrebbe detto anche al pilota di muoversi a partire. Si fece spazio tra i corridoio dell’aereo, ricercando il suo posto. Vedendolo, si mise a sedere bruscamente, passandosi le mani tra i capelli e sul viso.
Sono un imbecille, sono un completo imbecille...
Shinichi Kudo era stato battuto, Shinichi Kudo era stato imbrogliato, Shinichi Kudo aveva sbagliato.
Sprofondò lo sguardo fuori dal vetro, mostrando occhiaie e occhi stanchi, viso tirato, labbra secche.
Sospirò rumorosamente, socchiudendo le palpebre.
Ran... aspettami, arrivo!
 
 
 
Passarono quindici minuti. Ran era rinchiusa nel bagno da quindici minuti, e per Kazuha sembrarono un’eternità. Camminava avanti e indietro, nel corridoio della villa, udendo le urla e le grida che provenivano dal salone, dove ingordi, gli invitati continuavano a mangiare. Per fortuna Heiji non sembrava essersi accorto della sua assenza. Non avrebbe saputo poi come spiegargli la sua presenza costante di fronte al bagno, non ora almeno. Aveva promesso a Ran che nessuno l’avrebbe saputo.
Passarono ancora alcuni secondi, poi vide la porta aprirsi, e presentarle avanti l’amica, che con passo lento si lasciava alle spalle quel luogo, ora intriso di segreti. Sollevò lo sguardo verso di lei, ma da quegl’occhi non fu possibile scorgere niente. Erano profondi, ma sembravano immeggerla nel vuoto.
Kazuha si fece avanti, afferrandole le mani.
“Allora?” chiese, rimanendo per alcuni istanti in quella posizione.
Ran non si mosse, ma si staccò dalla sua presa e portò le mani in tasca. Poi, stranamente, sorrise.
Non era un sorriso sereno, né gioioso, né felice, né rassicurante. Ma era un sorriso, e ciò bastava.
Una nuova vita le si apriva davanti. Non poteva non sorridere.
“E’ positivo.”

 
 
 
*25 anni: Sinceramente non so Makoto quanti anni abbia in DC. A me sembra un po’ più grande dei protagonisti,
così ho fatto si che festeggiasse il suo 25esimo compleanno, mentre gli altri il 23esimo.
 

 
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COLPISSIMO di scena! O no? Ditemi, sinceramente, qualcuno se l’aspettava che Ran rimanesse incinta? Io credo proprio di no :P
Ebbene sì, lei e Shinichi diventeranno presto (si fa per dire, 9 mesi) genitori! =)
A parte ciò... cosa ne pensate dell’atteggiamento di Heiji? E di quello di Shinichi (apparso per pochissimo, ma apparso)?
Il bel detective non si è fatto sentire proprio durante quei giorni, e adesso sta ritornando. Avrà novità sul caso Kemerl? Chissà, chi leggerà, vedrà :P:P
Comunque infondo, sebbene siano giovani, Ran e Shinichi sono abbastanza maturi da poter avere un bambino.
Hanno 23 anni, quindi non è niente di eclatante, no? =D Spero che la “sorpresa” vi sia piaciuta!! :D
Ah, ditemi, quanto è insopportabile Richard?
E quanto è adorabile Kazuha che fa la dottoressa? :P
Ora tocca a voi darmi il vostro giudizio sul capitolo!
La storia è molto vicina alla fine, devo chiarire alcuni punti, ma lo è...
Va beh, allora vi lascio recensire :P
Un bacione ed un GRAZIE enormissimo a chi ha commentato lo scorso capitoletto:
ciccia98, Martins, Yume98, PaV e deamatta! <3 Grazie ragazze :3

Allora alla prossima,  
Tonia!

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Capitolo 27
*** Toichi Kemerl ***


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Toichi Kemerl
Ventisettesimo capitolo

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Shinichi. La luce gli illuminava il volto, l’oscurità gli attorniava il corpo, le crepe gli avvolgevano la pelle. E quelle crepe, stavolta, erano particolari. Stavolta, da quelle crepe, emergeva nitido il profilo di Richard, il suo viso, i suoi occhi, la linea delle sue labbra. Era come se Richard non le permettesse di arrivare a Shinichi, e lo copriva, attraverso squarci e saette, con il suo volto. Quel sogno ricorrente cominciava a farle capire che qualcosa non andava, che esisteva una verità celata pronta per essere svelata, e che dietro tutto ciò ci fosse proprio Richard. Stupido era dar retta al proprio inconscio, ancor più stupido pensare che quell’incubo potesse, o stesse cercando di dirle qualcosa. Ma quelle immagini erano così marcate che proprio non riusciva a dimenticarle. E la risata fragorosa di Richard risuonava nella sua mente, scuotendo i pensieri e i dubbi che fino ad allora sembravano averla tartassata.
Girò lo sguardo su di lui, intento a prendersi una tazza di latte sul tavolo di casa sua. Era mai possibile fosse così calmo? Così sicuro? Era mai possibile che non avesse avvertito il suo cambiamento di umore e di atteggiamento? Erano giorni, forse settimane, che i loro corpi non si sfioravano, che le loro labbra non si toccavano, che le loro mani non si intrecciavano. E tutto questo a lei non mancava di certo, ma a lui? Lui che sembrava così assorto, così profondo, così deciso, così... triste. A guardarlo meglio, sembrava proprio triste. E deluso, sembrava deluso. Che avesse scoperto tutto e stesse mentendo?
Ran abbassò gli occhi, serrando leggermente le palpebre.
Lei aspettava un bambino da un ragazzo che non era il suo fidanzato, ma che nonostante tutto amava più di se stessa. Aspettava un bambino da un ragazzo che, a distanza di quindici giorni, non si era degnato nemmeno di telefonarle. Cominciò a pensare che gli fosse successo qualcosa, che stesse male, che non potesse chiamarla. Al solo pensiero di Shinichi in pericolo sentiva l’ansia e il panico crescere vertiginosamente, la paura insediarsi nei pori della sua pelle, raggrinzendola. Scosse il capo, scompigliando i capelli. Shinichi stava bene, ne era sicura. Ma allora perché sentiva il suo corpo tremare?
“Che c’è?” la riportò al concreto la voce tagliente, e per nulla preoccupata, del suo pseudo fidanzato. Alzò gli occhi verso di lui, accavallando le gambe, fingendosi tranquilla.
“Oh niente, sto bene” recitò, guardandolo di traverso, in attesa di una sua improvvisa reazione. Effettivamente, Richard la convinceva sempre meno.
“Stanotte hai vomitato di nuovo” continuò l’americano, senza distogliere lo sguardo dal quotidiano che sorreggeva con la mano sinistra, mentre con l’altra portava la tazza alla bocca.
“Sì” annuì la ragazza, impossibilitata nel negare. “Penso di essermi presa una bella influenza.”
“E non ci sono cure per questa malattia?” le chiese convinto, lasciando trasparire una vena di sarcasmo. La ragazza la notò, e s’incupì improvvisamente, intimorita dalle sue frasi. E se avesse saputo della sua gravidanza? Infondo lei era stata ad un passo da rivelargli la verità, ma sapeva che Shinichi non avrebbe voluto.
“No, non lo lasciare” gli disse lui, abbassando il capo, con voce sicura.
Perché le aveva detto di non lasciarlo? Perché era partito per l’America senza più farsi sentire? Perché tutto sembrava così irrecuperabile? Ancora quella sensazione, ancora quella paura. Di lì a poco sarebbe successo qualcosa, ormai ne era sicura.
“Richard...” lo chiamò, ignorando la domanda ironica fattole dal ragazzo precedentemente. “A te va tutto bene?”
Improvvisamente il ragazzo alzò il capo, degnandole di guardarla negli occhi. Lo sguardo fisso e violento su di lei le provocò una serie di brividi, che le corrugarono la pelle.
“Oh, tutto a meraviglia. Direi che oggi sarà la giornata più bella della mia vita” le rivelò d’un soffio l’americano, azzardando un sorriso ampio e soddisfatto, quasi maligno l’avrebbe definito. Che aveva da essere così felice? E’ vero che quello stesso pomeriggio vi era quella sua mostra fotografica, in cui tanto si era impegnato per invitare chiunque conoscesse, compreso Shinichi, ma non le sembrava niente di poi così eclatante. Insomma, invitare dei detective ad osservare foto di omicidi le sembrava un po’ una presa in giro. E poi, prima d’ora, non avrebbe mai creduto che fosse quel tipo di fotografo Richard. Se lo immaginava perlopiù agghindato a festa, vestito elegantemente, sorridente e gentile, a servizio di una coppia di sposi. Si rese conto di non conoscerlo affatto, di ignorarlo. Avevano vissuto insieme per un anno circa, e lei di lui non sapeva niente. Serrò gli occhi a quel pensiero. Ma chi era Richard Nekaie?
“Quella tanto attesa..” aggiunse lui in seguito, distraendola da quegl’enigmi mentali.
“Sei così entusiasta per una mostra fotografica?” azzardò a domandare lei, portandosi le ginocchia al petto. Trattenne la gamba con le mani, ricercando una posizione più confortevole della precedente.
Richard sfociò in un risolino, apparso sul suo volto come un ghigno.
“Sì... più o meno.”
 
 
 
Non aveva mai visto così tante fotografie in vita sua. Erano esposte, in una galleria dalla lunghezza incredibile, una di seguito ad un’altra. Erano incorniciate in quadri neri, a volte bianchi, affiancate da targhette descrittive che ne spiegavano il significato. E ce n’era davvero bisogno, essendo incomprensibili. Quale potesse essere il senso di una persona morta in mezzo alla folla che incurante passava, Richard doveva proprio spiegarglielo. Nel camminare tra le foto, Ran capì che non erano tutte frutto del suo ragazzo. Molte avevano una firma diversa da quella di Nekaie, e sebbene fosse lo stesso stile, comprese che potessero essere i suoi colleghi fotografi. La galleria pullulava di persone dalle età più svariate, prese ed interessate nel guardare quelle immagini così macabre. Solo, vicino ad un quadro che ritraeva una pistola col del sangue sopra, c’era Richard, con in mano il suo cellulare. La ragazza gli si avvicinò, in attesa che arrivassero anche Heiji e Kazuha. E magari Shinichi.
Si sedette sulla sedia accanto al ragazzo, in modo da fregare la stanchezza che le attanagliava le gambe. Probabilmente era colpa della gravidanza se si sentiva così debole, e avesse il continuo bisogno di poggiarsi da qualche parte, per alleviare la pesantezza delle sue cosce.
“Beh, c’è molta gente..” constatò, rivolgendosi al ragazzo dinanzi a lei, congratulandosi indirettamente per il successo che la mostra sembrava aver avuto. L’americano non si preoccupò di risponderle, preso com’era nell’osservare quella foto, priva di qualsivoglia sentimento che un uomo possa provare.
“N-non credi?” continuò lei, nel tentativo di allacciare una discussione che potesse ammazzare i minuti che passavano come fossero giorni. Richard si voltò verso di lei, prendendo ad osservarla. Poi sorrise lievemente, poggiandole una mano sulla spalla. Ran sussultò a quel tocco, e si scostò lievemente, in modo da liberarsi dalla sua presa.
“Sì...” le rispose lui, riprendendo il tocco con la sua pelle. “Non è fantastico?”
Al suono di quella frase la karateka inarcò un sopracciglio, simulando una smorfia con le labbra. Quelle parole avevano qualcosa di strano, quasi non sembravano dette da lui. Lo guardò ancora stranita, mentre nelle sua mente l’eco della voce dell’americano si espandeva sempre più, incuriosendola non poco. D’un tratto le si accese una lampadina nel cervello.
“Richard,” lo chiamò, sorpresa dal suo stesso ragionamento. “Il tuo accento... si sente di più il tuo accento americano.”
Il ragazzo serrò gli occhi, distanziandosi di qualche centimetro. Continuò a fissarla instancabile, mentre manteneva con la mano destra il telefono cellulare. Sembrava dover aspettare una chiamata, sembrava doverla fare.
“Ma che dici...” provò a convincerla il giovane, sorridendole. “Ho sempre parlato così io.”
Ran sorrise a sua volta, grattandosi il capo con una mano.
“Sì, sarà mia impressione.”
Il fotografo venne chiamato più volte dagli ospiti della galleria, in merito a delucidazioni riguardo i quadri. Si allontanò più volte da Ran, lasciandola sola a contemplare l’ambiente, in trepidante attesa che arrivasse almeno Kazuha. Gli amici di Osaka erano in ritardo di mezz’ora, nonostante la mattina stessa fosse stata propria l’amica a ricordarle di vedersi in orario. Portò la borsetta sulle ginocchia, cercando in essa il cellulare. Lo accese e filò dritta nella rubrica, alla ricerca del numero della giovane del Kansai. Trovato, digitò il tasto verde nel tentativo di chiamarla, ma le fu impossibile a causa della scarsa linea. Decise di alzarsi, dirigendosi verso l’esterno della mostra. Alzò gli occhi verso la porta d’entrata e perse due o tre battiti del suo cuore. Shinichi. Una scintilla di gelosia folgorò Ran nel vederlo accanto a Shiho, apparsa pochi istanti dopo il detective. Si affrettò ad avvicinarsi a lui, ignorando sia la presenza del fidanzato alla galleria, sia quella di Shiho poco distante il ragazzo, in seguito all’emozione di rivederlo.
“Shinichi!” lo chiamò ansimante, correndogli contro. Sbatté contro il suo petto, abbracciandolo con forza, impedendogli ogni tipo di movimento. Sentiva le lacrime spingere per scendere dalla gioia di riaverlo affianco, dopo quindici giorni di completa solitudine. Sembrava ancora più bello adesso che l’aveva rivisto. Si distanziò un po’ dal suo corpo, cosicché potesse guardarlo negli occhi, e perdersi nella profondità dei suoi pensieri. Quanto le era mancato quello sguardo, quelle mani e quel viso.
Shinichi...
“Ma che diavolo di fine avevi fatto?!” urlò, attirando l’attenzione di alcuni passanti. Il ragazzo si portò un indice sulle labbra, intimandole di zittirsi. Le prese i polsi, trascinandola lontana da occhi indiscreti, in corrispondenza di un corridoio privo di fotografie, essenzialmente buio e desolato.
“Dov’eri finito?! Perché non mi hai chiamato?!” continuò a sbottargli contro la ragazza, strattonandogli la maglia. Una lacrima intrisa di preoccupazione e gioia le rigò il volto, poggiandosi sul colletto della sua camicia.
“Ehi, ehi calmati” cercò di rasserenarla lui, prendendole il viso tra le mani. Passò un dito sotto il suo occhio, bloccando sul nascere la discesa di nuove gocce amare.
“Calmarmi?!” replicò lei, serrando le palpebre per la rabbia. In quel momento il suo corpo era invaso da un miscuglio di emozioni, che sebbene fossero completamente in antitesi tra loro, le scuotevano la mente, rendendola felice, triste, arrabbiata, delusa, illusa, serena e gioiosa al tempo stesso. Quanto poteva essere difficile avere a che a fare con quel patito di deduzioni solo lei poteva saperlo.
“Sparisci per due settimane, non ti fai né sentire né vedere! Ritorni, ti presenti con Shiho come se nulla fosse, e dovrei calmarmi?!”
Shinichi non le rispose, almeno non subito. Avvicinò il suo capo a quello della ragazza e la baciò. E per quanta resistenza avesse voluto opporre, Ran si sciolse nel calore di quelle labbra, assaporandone il gusto. Erano ancora più morbide di quanto potesse ricordare, e il profumo della sua pelle era più inebriante del solito. Con un solo bacio riuscì a rasserenarla, come a sussurrarle ‘sono qui’.
“Va meglio adesso?” le domandò, mentre un sorriso malizioso gli compariva sul volto.
“Non pensare di risolvere tutto così...” gli informò la giovane, nonostante non riuscisse a bloccare l’emozione di riaverlo baciato. “Mi sei mancato, ti avrei voluto accanto in questi giorni..”
Lo avrebbe voluto vicino nel momento in cui aveva scoperto di aspettare un figlio da lui, nel momento in cui Richard sembrava comportarsi sempre meglio, nel momento in cui si sentiva così male da voler morire. Sapeva di doverlo avvertire di tutto ciò, ma comprese che quello non fosse il momento adatto.
“Mi dispiace,” le disse il detective, distanziandola dal suo corpo. “Ti spiegherò tutto dopo, intesi?”
“Oh, Kudo... bentornato.”
Shinichi e Ran si voltarono verso il loro interlocutore, in piedi al corridoio con mani conserte e sguardo deciso. Il tono con cui aveva salutato l’investigatore era quasi sarcastico, colmo di ironia. Un profondo ghigno nacque sulle sue labbra a dimostrazione del suo atteggiamento spavaldo.
“Ciao...Richard” lo salutò il ragazzo, titubando con la voce sul nome del ragazzo. Shinichi tentò di rimanere sereno, mentre Ran sperò che il ragazzo non l’avesse vista baciarlo poco prima. Si voltò verso l’investigatore, fermandosi ad osservare il suo sguardo diretto e colmo di sfida nei confronti dell’americano.
“Hai avuto modo di vedere le mie foto?” gli domandò, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Shinichi sorrise, socchiudendo gli occhi. Evidentemente, non sapevano con chi avevano a che fare. Superò il fotografo, seguito da Ran, che avanzò verso il fidanzato.
“Direi che sono orrende” replicò il detective, istigandolo. “Solo una mente malata potrebbe fare cose del genere, solo uno stupido come te. O stupidi come voi.”
Richard scoppiò a ridere, in un riso fragoroso e maligno che riempì il silenzio di quel corridoio, rimbombando sulle pareti vuote dell’ambiente.
“Sei ridicolo Kudo” gli disse con voce ancora ridente il rivale, superandolo a sua volta ed avanzando nella folla della galleria. Si fermò in corrispondenza della prima foto esposta, ricevendo le congratulazioni degli invitati alla mostra. Shinichi poté continuare a fissarlo, essendo il ragazzo a pochi metri di distanza.
“Richard è impazzito” decretò con espressione sconcertata Ran, avvicinatasi all’amato. Strano era che l’americano non avesse detto nulla riguardo la sua presenza con il detective, in un corridoio buio ed isolato dal resto del mondo. L’aveva completamente ignorata in quel momento.
“No, lui non è impazzito” la avvertì Shinichi, continuando ad osservarlo.
Eh? fece una smorfia la giovane, intenta a chiedere spiegazioni all’investigatore. I suoi propositi vennero fermati dal suono del cellulare di Kudo, che nel prenderlo, scrutò il display lampeggiante.
Numero privato
Lesse sullo schermo che illuminò il corridoio circostante. Sospirò, rivolgendo uno sguardo a Richard, ancora presente vicino al quadro, sorridente e gentile, disponibile nei confronti delle persone che gli chiedevano spiegazioni.
“Pronto?” rispose alla telefona Shinichi, ostentando un tono sicuro. Sapeva bene chi fosse a chiamarlo.
-Ciao argento arrugginito- parlò ghignando la voce dall’altro capo del telefono. -Perché non vieni a fare due chiacchiere con me? Ti sto aspettando da parecchio, sai-
“Sei tu che hai agito troppo tardi, ne hai avute fin troppe di occasioni per parlarmi” replicò sorridendo Shinichi, indietreggiando nel corridoio, sotto gli occhi di una Ran sorpresa ed ignara di ciò che stesse accadendo.
-Volevo donarti i tuoi ultimi istanti di serenità, sai a cosa mi riferisco vero?-
“Certo che lo so. Azzardati a farle del male e ti pentirai di essere nato imbecille.”
-Sto tremando dalla paura...- lo schernì la voce ironica dell’interlocutore. -Vieni qui a fare lo sbruffone, che dici?-
“Sei tu quello che vuole me, perché non vieni a prendermi?” rispose a tono l’investigatore, sorridendo a sua volta. Accanto a lui Ran ascoltava le parole di Shinichi impaurita e preoccupata, sperando che quello che stesse avendo fosse solo uno scherzo telefonico. Magari con Heiji, che ancora non era venuto.
“Shinichi che succede?” domandò ansiosa la ragazza, avvicinandosi a lui.
-Io non credo tu voglia che io venga lì..- continuò convinta la voce, mettendosi a ridere. -A meno che non debbano essere coinvolte persone innocenti, la pensi come me, giusto?-
Coinvolte persone innocenti...pensò Shinichi, guardandosi intorno. Portò lo sguardo su Richard, preso nel parlare delle sue foto ad una coppia di anziani, e su Shiho, poco distante dal fotografo, intenta ad osservarlo.
“Non dirmi che..”
-Esatto, sei perspicace in effetti- gli disse l’uomo, socchiudendo gli occhi e staccando la chiamata. Dopo pochi secondi Shinichi ricevette un messaggio, che gli riferiva il luogo dove quell’individuo si trovava. Storse il labbro, arricciandolo in una smorfia.
“Shinichi mi dici che sta succedendo?” domandò con voce sempre più preoccupata l’ignara Ran, aggrappandosi alle sue braccia. Il ragazzo si voltò verso di lei, per poi stringerla in un abbraccio.
Le diede un bacio sulla guancia, stringendola forte a sé.
“Ran devo andare adesso” l’avvertì, staccandosi dalla presa.
“Come? Cosa? Ma se sei appena tornato!”
“Non preoccuparti, non sto scappando” la rassicurò il giovane, prendendole la mano. “Devo risolvere una questione e torno.”
La ragazza abbassò lo sguardo, stringendo forte le mani in pugni.
“Ti prego, ho bisogno di te. Non lasciarmi.”
“Non ti lascio.. sono con te. Ci sarò sempre.”
Quelle parole riscaldarono il cuore di Ran, che d’un tratto capì di doverlo lasciare andare senza chiedere ulteriori spiegazioni. Shinichi cominciò ad avviarsi verso la galleria, per uscire da essa e raggiungere l’uomo nel posto stabilito. Ran lo seguì, e lo vide avvicinarsi a Shiho. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio che la giovane non poté sentire né interpretare.
“Mettiti questo.”
L’investigatore prese tra le mani l’oggetto che la giovane gli donò, sbattendo più volte le palpebre per la sorpresa.
“Un distintivo?”
“Passerai più velocemente, c’è un incidente sulla nazionale. Heiji è rimasto bloccato, perciò non è qui.”
“Come fai ad averlo tu?” le chiese stranito Shinichi, appendendo al collo il distintivo di poliziotto che gli cadde all’altezza del cuore.
“Me lo sentivo” gli sussurrò semplicemente la ragazza, sorridendogli. “Stai attento.”
“Anche tu,” le disse, per poi rivolgere uno sguardo a Ran. “Per favore, state attente.”
Shiho annuì e sorrise, per poi donargli una pacca sul braccio. La scena venne osservata e contemplata interamente da Richard che, appoggiato ad un muro della galleria, lanciava occhiate profonde e cariche d’odio nei confronti del ragazzo. Cominciò ad avviarsi verso l’uscita, ma la voce di Ran gli bloccò i passi, facendolo voltare.
“Shinichi?” lo chiamò un’ultima volta la karateka, avvicinandosi a lui.
“Sì?”
“Ti amo.”
 
 
 
Shinichi Kudo sfrecciò ad alta velocità sulle strade di Tokyo, raggiungendo i centoventi chilometri orari, grazie ai cavalli dotati della sua moto. Riuscì a passare l’ingorgo del traffico facilmente, esibendo, proprio come gli aveva suggerito Shiho, il distintivo di poliziotto.
Ti pentirai di avermi sfidato...pensò, accelerando ancora di più, in modo da raggiungere il prima possibile il luogo d’incontro. Le strade sembravano quasi vuote e deserte, e non c’era presenza di pedoni in giro.
Arrivò dopo una quindicina di minuti, fermando la moto in corrispondenza di un muro, che recintava l’entrata ad un magazzino. Sembrava abbandonato, e desolato era il luogo in cui si trovava. Premette un bottone all’altezza del serbatoio della moto, che incominciò a lampeggiare di luce rossa. Si guardò attorno, scrutando il viale che gli si parava davanti, e le poche macchine sostate lungo il marciapiede. Spalancò il cancello del magazzino, lasciato appositamente aperto in attesa del suo arrivo. Avanzò cauto verso l’entrata, lanciando lo sguardo a destra e sinistra. Regnava il silenzio totale. Gli unici suoni che si sentivano erano quelli degli uccelli che squittivano, e del vento che debolmente fischiava.
Entrò all’interno, trovandosi di fronte un immenso spazio, delimitato da poche mura e da finestre rotte. Si avvicinò al centro del magazzino, fermandosi improvvisamente.
“Sono qui,” lo chiamò con tono sicuro il detective, attirando l’attenzione del rivale. “Forza, esci fuori, non ho tempo da perdere.”
Improvvisamente sentì una risata propagarsi all’interno dell’ambiente, sottoforma di un’eco lungo ed irritante. I passi dell’uomo si fecero sempre più forti, sino a bloccarsi improvvisamente, di fronte a Shinichi. Il detective sorrise. Sapeva che avrebbe trovato lui lì, nella sua vera forma.
E non era affatto stupito se quella forma gli fosse familiare. Aveva smascherato la sua identità in America, collaborando con la CIA di Eisuke. Se quell’uomo avesse voluto coglierlo di sorpresa non ci era riuscito, nemmeno con quel trucco utilizzato poco prima alla mostra.
“Finalmente faccia a faccia Kudo” gli parlò il ragazzo, sorridendo maligno. “Lo devo riconoscere. Sei stato bravo. Vermouth aveva ragione a chiamarti Silver Bullet... ma per me resti un argento arrugginito e null’altro.”
“Oh, anche tu sei stato molto bravo. Ammetto che sei riuscito ad ingannarmi, su tutto” gli rivelò Shinichi, sorridendo a sua volta, quasi a sfidarlo. Poi lo fissò negli occhi, con decisione.
“Ma hai sbagliato un paio di cose Toichi Kemerl... o dovrei chiamarti con quello stupido pseudonimo che ti sei dato?”

 
 
 
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Ta dan! Ed ecco che Toichi Kemerl fa la sua comparsa! Adesso ditemi, chi sarà mai? Shin sembra conoscerlo... e Shin, sì avevate capito bene, è l'argento arrugginito! E poi questo tizio conosce Vermouth! C'entrerò con l'organizzazione???
Gli altri sono alla mostra, mentre Heiji è bloccato nel traffico! Cosa succederà??
Se volete scoprirlo dovrete leggere il prossimo capitoletto!!!!
Scusatemi, ma vado di fretta!
Ringrazio comunque chi ha recensito lo scorso capitolo:
Yume98, Marty Kudo, Il Cavaliere Nero, mangakagirl, deamatta, Martins, zapotec, frangilois e ciccia98!
Alla prossima puntata, nella quale scopriremo l’identità di Kemerl!
Un bacione,
Tonia
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Capitolo 28
*** Rache, Kirai, End ***


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Rache, Kirai, End
Ventottesimo capitolo

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“Ma hai sbagliato un paio di cose Toichi Kemerl... o dovrei chiamarti con quello stupido pseudonimo che ti sei dato?”
La sua voce era insolente e penetrante, sicura e determinata. Sapeva cosa dire, perché sapeva cosa diceva. E non importava che adesso fosse lì, in piedi, dinanzi a lui. Anche perché, nonostante si fosse mostrato, quello non era il suo vero volto, né la sua vera identità. Se n’era creata una fittizia con l’unico scopo di vendetta, di odio e di fine. Aveva negato la sua per soddisfare un capriccio personale, un obiettivo irraggiungibile che sembrava sempre più vicino, più reale. E Kemerl sentì la gioia inondargli il corpo, e la forza risalire lungo i muscoli, curvandoli. Così sfociò in un sorriso, che ben presto divenne una risata; un riso fragoroso e malevolo si apriva sul suo viso, accompagnato da due occhi fissi e gelidi, puntati sul suo avversario.
“Che c’è non ti piace il mio nome? E’ creativo sai...”
“Rache, Kirai, End*” bloccò la sua voce il tono deciso del detective, sorreggendo il suo sguardo. “Vendetta, odio e fine.”
“Bravo, Kudo” lo derise Kemerl, battendo le mani un paio di volte. “Non è creativo?”
“No” replicò Shinichi, azzardando un sorriso sarcastico. “Nekaie è un pessimo cognome, Richard. Potevi sceglierne uno più carino.”
“E’ l’unico che mi completava l’anagramma delle parole che più ti si addicono” continuò il biondino, facendo spallucce. “Dovresti essere onorato di morire per mano di un uomo così fantasioso.”
L’investigatore rise, lasciando andare le braccia lungo il corpo. Socchiuse gli occhi per un istante, per poi aprirli di scatto verso il rivale. Lo scrutò per bene per alcuni secondi, analizzando il suo corpo. Sembrava gonfio ai fianchi, probabilmente nascondeva qualche oggetto.
“Non mi è mai piaciuta la fantasia Richard, preferisco la realtà” rispose sereno il detective, rimanendo immobile insieme al rivale nel capannone abbandonato della periferia di Tokyo. “E non potrei essere onorato di essere ucciso da te... da un uomo che ha rinunciato alla sua stessa identità per vendicare suo padre, boss di una fottuta organizzazione, che mi ha rovinato la vita. Provi un odio immotivato nei miei confronti, non sono stato io ad ucciderlo... sai che si è suicidato, lo sai!”
“E’ colpa tua e della tua insolenza. Un ragazzino qualunque che, per eventi fortunati e fortuiti diventa l’eroe nazionale di un paese che non fa altro che credere alle stupidaggini che raccontano i giornalisti... Mio padre si è ucciso perché non avrebbe mai potuto sopportare quest’affronto! Mai!” sbottò il giovane, avvampando dalla rabbia. I muscoli del suo viso si erano irrigiditi al punto tale da formargli alcune rughe attorno agli occhi e alle guance. Continuò a fissare il detective, senza staccare mai gli occhi dalla sua figura. Vide Shinichi assumere un’espressione esasperata e sconcertata al suono delle sue parole. Gli sembravano ridicolo.
“Tuo padre era un criminale! Ha ucciso molte, troppe persone innocenti per inseguire il suo fine di gloria e potere! A causa sua sono morte ragazze che avrebbero potuto avere una vita normale, capisci... normale?!” continuò la discussione con apparente calma l’investigatore, tenendo sempre alta la concentrazione nei confronti dell’avversario. Nel sillabare l’ultima frase, un brivido gli percorse la schiena, spingendolo a ricordare. Il tenero viso di Akemi Miyano si fece spazio nella sua mente, stringendolo in una morsa di dolore soffocante che gli attanagliava l’anima. Riuscì a rivedere nitidamente il corpo esanime della ragazza che, anni prima, lo aveva implorato di cambiare le sorti di un mondo crudele e intollerante. Così, dopo innumerevoli mesi sotto le mentite spoglie di Conan Edogawa, era riuscito a scovare la loro tana, ad annientare un’organizzazione di criminali che poteva far paura al mondo intero. Era stata una bella soddisfazione. La notizia dilagò sui giornali, accrescendo smisuratamente la sua fama, mentre il suo nome veniva citato dai personaggi più illustri e di spicco, con ostentato orgoglio. Nonostante la vincita, aveva sbagliato qualcosa. Aveva ritenuto superfluo scavare a fondo nella biografia di un boss tedesco, il cui onore era già stato infranto. Aveva ritenuto superfluo sapere di più, sapere di Toichi.
“L’organizzazione era il Sole del Giappone. La polizia, e chissà quale altra forza, non avrebbe mai potuto rendere giustizia quanto i sicari e i cecchini di mio padre! Nel nostro progetto non sarebbero esistite ingiustizie, solo un mondo migliore! I deboli sarebbero stati scartati, i forti sarebbero sopravvissuti. E’ la selezione naturale mio caro, lo diceva Darwin, mica noi.”
Shinichi strabuzzò un po’ gli occhi, evidentemente colpito e sorpreso. Si rivolse a Richard con tono sarcastico, ed un sorriso che, arrogantemente, irrigidì ancor di più i nervi del giovane dinanzi a lui.
“Per caso ti sei rifatto anche il cervello insieme alla faccia?” domandò, continuando con un tono sempre più insolente: “anche se, sinceramente, non eri un granché nemmeno prima della tua chirurgia.”
 “E tu che diavolo ne sai io com’ero?” chiese Richard, portando una mano sempre più vicino alla tasca posteriore dei pantaloni che indossava. Shinichi si lasciò scappare un nuovo sorrisetto, intriso di scherno. Infilò le dita nella sacca dei jeans, estraendone una foto. Con forza la lanciò verso il destinatario, facendola volare e vedendola oscillare pian piano, fino a toccare il pavimento vicino ai piedi dello pseudo americano. I suoi occhi si fecero enormi nel momento in cui concretizzò che quello scatto ritraeva lui, il vero Toichi Kemerl, prima di qualsivoglia deformazione e inclinazione che avesse potuto sconvolgere la sua vita.  
“Come fai...” bisbigliò, incredulo. “Come fai ad averla tu?”
“Uno scherzo del destino Richard, una vera e propria beffa direi.”
Il ragazzo incominciò ad innervosirsi, e cercò di trattenersi, nel tentativo di non rovinare tutto con azioni avventate. Strinse i denti, puntando fisso l’investigatore.
“Non ti capisco, che stai farneticando?!”
“Non ci arrivi? Eppure ti credevo più astuto” lo stuzzicò Shinichi, mantenendo il controllo del discorso.
“Parla!”
Kudo sorrise, e socchiuse gli occhi.
“Tua moglie è venuta da me un po’ di tempo fa, con la richiesta di ritrovarti, ovunque tu fossi.”
“M-mia moglie?!” spalancò le palpebre il ragazzo, esterrefatto dalla notizia.
“Era convinta che l’incidente in cui eri presumibilmente morto fosse una scusa. E aveva ragione infatti. In realtà tu eri vivo e vegeto e ti nascondevi chissà dove pronto a colpire... l’argento arrugginito.”
“Tu... tu lo sapevi fin dall’inizio?!”
Shinichi scosse il capo, scompigliando la chioma corvina.
“Purtroppo no. E per questo dico che mi hai ingannato alla grande. Probabilmente ero troppo distratto da altri pensieri per accorgermi che tu stavi bramando qualcosa di oscuro alle mie spalle. Sono stato uno sciocco, ho abbassato la guardia” replicò sincero il detective, portando il pensiero a Ran e alla loro relazione, che tanto lo aveva turbato negli ultimi tempi, offuscandogli la ragione. Non aveva fatto altro che pensare a lei in quei mesi passati così velocemente, tra gelosia e dolore, gioia e ricongiungimento. Aveva però tralasciato particolari importanti, che un buon detective dovrebbe saper captare, in qualsiasi situazione.
“E quindi l’hai avvisata che sono vivo?” domandò minaccioso, ma con evidente interesse.
“Sì, ma non le ho detto che stai giocando al piccolo trasformista, anche perché ancora non lo sapevo” rispose con una vena di ironia l’investigatore, attirando la curiosità del ragazzo.
“Ancora... non lo sapevi?” recitò le stesse parole che Shinichi gli aveva rivolto poco prima, convertendole in un quesito.
“No” rispose secco Kudo, incrociando le braccia al petto. “Te lo ripeto, ne ero all’oscuro.”
Richard sfociò in una risata incontenibile e fastidiosa, sfregando con un dito la parte inferiore dei suoi occhi, portando via le lacrime di riso che tentavano di scendere. Riuscire ad ingannare su tutto quel detective montato era già una soddisfazione, ucciderlo era l’obiettivo di una vita. Decise di accrescere ancora di più questo suo desiderio, rimandando di alcuni minuti l’esecuzione. Aveva voglia di ascoltarlo, e sapere dove e se aveva effettivamente sbagliato.
“E come l’hai scoperto, sentiamo?”
“Credo di averlo sempre saputo.”
Richard sospirò, dimostrando di incominciare a perdere la pazienza. Con un gesto repentino afferrò la pistola che aveva riposto dietro alla sacca dei pantaloni, puntandola contro Shinichi. L’investigatore aguzzò gli occhi, cercando di mantenere la calma. Sapeva che nascondeva qualcosa dietro di lui, ed ora ne aveva avuto conferma. Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, concentrando l’attenzione sull’arma.
“Smettila con queste frasi melodrammatiche e parla. Ti restano pochi minuti, sfruttali no?”
“E se io non volessi farlo?” domandò cauto Shinichi.
“Beh, temo che dovrò intervenire io” lo avvisò Richard, mostrandogli un sorriso beffardo. Alle spalle del detective e ai suoi fianchi apparvero una decina di uomini vestiti di nero, che pericolosamente si avvicinavano al giovane, sfregando le mani. Si fermarono ad un metro da Shinichi, sorridendo ed imitando il loro capo, compiaciuti. L’investigatore si guardò attorno, lasciando andare un sospiro.
“Banale.. sei banale.”
Il rivale fece un cenno con il capo ai suoi scagnozzi, inclinandolo verso Kudo. Tre di loro sopraggiunsero il ragazzo, bloccandogli i movimenti con calci nello stomaco e pugni in pieno viso. Shinichi cadde con le ginocchia a terra, poggiando il peso sui palmi delle mani. Richard vide gocciolare il sangue che cadeva dal labbro deturpato dai colpi infertogli, e scoppiò in un riso soddisfatto e maligno.
“Che spettacolo!” esclamò gioioso. “Allora? Ti è venuta voglia di parlare?”
“Se è questo che vuoi” rispose Kudo, leggermente affannato. Gli uomini a servizio di Richard si allontanarono di qualche centimetro, permettendogli di alzarsi in piedi. Con il polso portò via le goccioline rosse che gli solcavano la bocca, ripulendosi superficialmente la zona interessata dai colpi.
“Partiamo dicendo che non mi sei mai stato molto simpatico,” azzardò Shinichi, fingendo un sorriso. “Anzi, direi che la tua presenza mi irritava, e non poco.”
Richard sorrise, per poi ridere nuovamente. Quel discorso sembrava più divertente di quanto avesse mai immaginato. E pensare che di lì a poco, Shinichi Kudo sarebbe scomparso dalla circolazione, lo inondava di piacere. Bloccò i suoi uomini con la mano, mentre abbassò l’altra nella quale manteneva la pistola. Si rivolse al detective con un tono tagliente, e con occhi di ghiaccio:
“Il sentimento è reciproco.”
 

§§§§§§

 
Si sedette sulla punta di una sedia della galleria, mangiucchiandosi le unghie della mano per il nervosismo che cresceva vertiginosamente. Vedeva le persone passare e ripassare dinanzi a lei, quasi come se si trovasse al centro di una delle strade più affollate di Tokyo. Shiho era a pochi centimetri di distanza, ferma e all’in piedi, poggiata ad un muro della mostra. Il suo sguardo era attento e fisso sull’entrata del complesso, cercando con gli occhi l’arrivo o la presenza di qualcuno. Sebbene non lo desse a vedere, anche lei era decisamente ansiosa. Ticchettava più volte la gamba al pavimento, in un movimento nervoso ed involontario che si univa alla stretta delle sue braccia al busto. A fianco della ragazza, intento a parlare con persone sconosciute c’era Richard. Non era lui, ma c’era. Ran lo vedeva, Shiho lo vedeva, chiunque della mostra lo vedeva. Non poteva immaginare cosa stesse succedendo a chilometri di distanza, in un capannone abbandonato della periferia della capitale giapponese, ma si sentiva comunque preoccupata, e non sapeva spiegarsi il perché. Si voltò verso Shiho, osservandola con mani incrociate a mo’ di preghiera sulle sue gambe, ed occhi grandi e luccicanti.
“Tu sai qualcosa vero? Dimmi dov’è andato!”
“No, non so dove sia andato. So solo che dobbiamo aspettare H...” si bloccò d’un tratto, lasciando in sospeso la frase, nel vedere un ragazzo dalla carnagione olivastra avvicinarsi a lei dall’entrata, con aria sbuffante e seccata.
“...Heiji!” esclamò la biondina correndogli contro, seguita ed imitata da Ran.
“Dov’è Shinichi?” chiese immediatamente il giovane, facendo trasparire una vena di timore.
“E’.. è andato via.”
“Mi ha detto di dirti di metterti il casco appena saresti salito sulla moto, non so cosa significhi” rispose Shiho, sovrastando la voce di Ran.
“Va bene” replicò l’investigatore, prendendo le chiavi della moto in mano. Si girò verso Kazuha, e con dolcezza le disse: “vado e torno, ci vediamo dopo.”
Cominciò ad avviarsi fuori dall’edificio, lasciando le tre giovani imbambolate e sorprese per il suo atteggiamento. La karateka, presa da un impeto di rabbia, nel vederlo allontanarsi e scomparire dalla galleria, lo rincorse. Scese le scale rapidamente, fino a raggiungerlo nel momento in cui stava per salire in sella. Gli strattonò la maglia, attirando la sua attenzione.
“Ran che c’è?” domandò il giovane, infilandosi il casco di protezione.
“Ora! Tu mi porti da lui!” gli urlò contro, mettendosi a sedere dietro l’investigatore. Con le mani si aiutò per rimanere salda sulla sella, agganciando i bordi della moto.
“No, Ran, scendi!”
“Io non mi muovo da qui, e da quanto ho capito per andare da lui hai bisogno del casco. Bene, porterai anche me... mi sono scocciata di questa situazione! Deve dirmi cosa sta succedendo!” imprecò la ragazza, con occhi lucidi. Le lacrime cominciarono a scendere, e la voce divenne singhiozzante.
“E poi... io, io devo p-parlargli di una c-cosa importante..” avvisò l’amico, ripensando alla gravidanza e a Shinichi, inconsapevole padre di un futuro bambino.
“Ran.. non pos-” cominciò la frase Heiji, senza portarla a termine. Ran continuava a piangere, appoggiata sulla sua spalla, mentre con un filo di voce tentava di sussurrargli “ti prego”.
“E va bene...” disse, sistemandosi il casco e pigiando un bottone ai lati del copricapo. Il detective abbassò la visiera, e diede gas alla moto, accendendola.
“Heiji?” lo chiamò Ran, toccandogli i fianchi.
“Sì?”
“Perché hai bisogno del casco?” gli domandò, mostrando una certa curiosità. Heiji sorrise, alzandolo un po’ in modo da parlarle meglio.
“La moto di Shinichi, come la mia, ha un dispositivo gps incorporato. Il dottor Agasa, poco prima di partire per Los Angeles, progettò dei caschi che potessero rivelare quel dispositivo. Basta che Shinichi pigi il comando di rivelazione, un semplice bottone che si trova sulla sua moto, all’altezza del serbatoio, che comincia a lampeggiare e a mandare segnali al dispositivo contenuto nel mio casco. Sulla visiera comparirà una mappa che mi porterà dritto da lui! Figo, no?” le spiegò serenamente, cercando di essere più persuasivo possibile.
“Sì...” rispose un po’ perplessa Ran. “Ma se l’ha fatto... vuol dire che ha bisogno d’aiuto, Heiji?”
Il ragazzo non rispose, e risistemò meglio il casco al capo, facendolo aderire per bene. Accese la moto e rigò dritto fuori dal complesso, abbandonandolo.
“Resisti Shinichi.”
 

§§§§§§

 
“E mi sembrava abbastanza strano, infatti.”
“Perché? Ti credi così simpatico?” gli chiese sarcastico Richard, schernendolo.
“Non credo” ammise Shinichi, ridacchiando. “Ma lo divento ancora di meno se mi ritrovo davanti il fidanzato della mia ex, che ha l’unico fine di uccidermi.”
Il giovane dinanzi a lui storse le labbra in una smorfia, al pensiero del rivale steso sul corpo della fidanzata in quella lontana, ma così nitida, notte di Niigata. Le immagini di quel giorno gli tornavano in mente come fotogrammi di un film visto e rivisto, del quale conosceva a memoria le battute e le sequenze. Ran aveva preferito quel detective a lui, nonostante l’avesse trattata sempre come una principessa. Non l’avrebbe passata liscia, non l’avrebbe dimenticato.
“Frequentandoti di più, scoprii che spesso lasciavi Ran sola a casa, con la solita scusa del ‘lavoro’. Lì per lì non ci badavo molto, nonostante mi sembrasse molto strano che un fotografo fosse così occupato da dover viaggiare tanto al mese... Passarono ancora giorni, e ci ritrovammo tutti al campus estivo. Per nostra sorpresa comparve improvvisamente Eisuke che, dopo aver salutato tutti, cercò di stringere amicizia con te. In quel caso, mostravi un odio immotivato anche nei suoi confronti, ed Eisuke pareva conoscere la tua voce. Ancora una volta trapassai questi particolari, godendomi le serate e la spensieratezza.”
“Ah, Hondo” lo fermò Richard, nominando il giovane. “Si è messo fin troppo fra le scatole quel ragazzino. Gli sparai ad un fianco la prima volta che lo incontrai, anni fa. Mi intimava di consegnarmi alla giustizia perché trafficavo armi illecite..” si bloccò d’un tratto, sfociando in una risata. “E’ un idiota.”
“E’ un agente della CIA” lo corresse fiero Shinichi, prendendo le difese dell’amico.
“CIA?!” sbottò allarmato Richard, inconsapevole della presenza costante dell’agenzia americana sulle sue tracce. “Sono così importante da essere ricercato anche dalla CIA?” disse poi, ridendo.
“Non sei proprio nessuno. La CIA è stata sulle tue tracce perché ha collaborato alla distruzione dell’organizzazione, e di conseguenza aveva registrati i nominativi  di alcuni membri, arrestati o ricercati dopo la loro scomparsa. Caso ha voluto che certi di questi, erano i tuoi scagnozzi” lo avvisò Kudo, inclinando il capo verso gli uomini vestiti di nero ai suoi fianchi.
“E dimmi, cosa ha scoperto la CIA su di me?”
“Eisuke mi avvisò di stare lavorando al mio stesso caso, e alla ricerca di un uomo di nome Toichi Kemerl. Mi rivelò che l’aveva incontrato pochi anni prima, scontro nel quale era anche rimasto ferito. Ovviamente, in quel caso ti eri mostrato con la tua vera faccia, prima della chirurgia. Eisuke mi disse ancora che questo Kemerl odiava qualcuno a tal punto da volerlo uccidere, solo per vendetta. Chiamava costui ‘argento arrugginito’, mentre lui sembrava scomparire dalla circolazione. Non sembrava avere nemmeno contatti con nessuno in America, ovvero a New York.”
Richard sorrise malignamente, socchiudendo gli occhi.
“E poi,” continuò con fare soddisfatto l’investigatore nipponico. “I pezzi del puzzle hanno cominciato a combaciare. Hai commesso degli errori, caro mio Toichi Kemerl.”
“Quali?” domandò Richard, infastidito.
Shinichi portò la mano all’altezza del viso, alzando l’indice mostrandoglielo.
“Primo: in una telefonata intercettata dalla CIA hai detto di essere ‘sempre più vicino a quell’argento arrugginito’, ignorando completamente di essere ascoltato. Secondo: hai ammesso di fronte a tutti di conoscere Conan Edogawa, sebbene non avresti potuto averne la sostanziale possibilità.”
“Ed infatti io lo conosco,” asserì sorridendo ancora l’altro. “Era per prenderti un po’ in giro, mi diverto.”
“E ti sei divertito anche a Niigata, Richard?” gli chiese malizioso ma allo stesso tempo schietto e cinico il detective, incrociando le braccia al petto.
“Come fai a sapere che sono stato lì?”
“Il biglietto. Il biglietto dei fiori.”
Toichi Kemerl si ritrovò a spalancare le palpebre, per poi stringere i denti in una morsa di nervosismo e disprezzo travolgente. Quella sera era andato a Niigata con la volontà di regalare dei fiori alla donna amata, per poi ritrovarla su una spiaggia buia tra le braccia di un altro. Ed aveva abbandonato il bouquet lì, su quelle rocce, preso da un raptus di ira. Come poteva essere stato quello un errore?
“Spiegati.”
Shinichi chinò il capo, infilando le dita in tasca. Ne estrasse un biglietto d’auguri, lo stesso che Richard aveva attaccato ai fiori di Ran. Lo aprì con delicatezza, leggendone il contenuto.
“Auguri amore mio, sono stati tre mesi fantastici” lo schernì Shinichi, azzardando una voce ironica. “Spero non ti sia dispiaciuto che Ran abbia passato momenti fantastici con me, sai.”
Richard strinse forte i pugni, per poi girarsi di scatto verso uno dei suoi scagnozzi. Lo chiamò, e con un gesto del capo gli ordinò di scaricare una serie di pugni al detective. Su di lui si fiondarono tre uomini, che, seguendo gli ordini del loro superiore, massacrano l’investigatore sbattendolo a terra. Forse quel dolore gli avrebbe fatto capire come si era sentito lui in quel momento. Come si era sentito a vederli insieme, l’uno nell’altro.
“Ne vuoi ancora o c’è bisogno che continui? Perché hai quel biglietto? Parla!” gli ordinò, avvicinandosi a lui di qualche passo. L’investigatore riuscì ad alzarsi da terra, facendo forza sulle gambe, mostrando a Richard il volto arrossato e graffiato dai vari pugni.
“L’ho preso il mattino seguente. La cosa che più mi ha colpito era la scrittura, mi sembrava conoscerla. Ed infatti...” si fermò, indicandogli la foto che lo ritraeva da più giovane giacente ai suoi piedi. “Hai scritto una cosa simile sul retro di quella fotografia, guarda un po’.”
Richard indietreggiò fino a raggiungere con i passi il pezzo di pavimento sul quale sedeva la foto. Si accovacciò ad essa, prendendola tra le mani. La girò, per poi leggerne il contenuto.
-Amore, tre mesi bellissimi con te a Parigi!-
Era quello che vi era impresso. L’aveva scritto lui, con le sue mani, con una delle sue penne, in quel periodo che sembrava tutto andare bene. La foto era stata scattata in Francia, nel quale lui e la moglie avevano risieduto per qualche tempo. Poteva mai un ricordo così bello incastrarlo? Che destino crudele il suo. Infondo, il suo obiettivo era quello di vendicare il padre, era uno scopo nobile. Aveva rinunciato alla sua vita per annientare quella dell’investigatore, e questa gli si ritorceva contro.
“E così hai scoperto chi ero?” domandò, tenendo tra le mani la fotografia.
“Ho incominciato ad avere i miei sospetti. Sono andata a casa di tuo padre, ormai disabitata, su indirizzo di tua moglie. Nel suo studio, affianco al foglio bianco nel quale ti ordinava esplicitamente di vendicarlo, era collocata la foto di un bambino. Quel bambino, era Conan Edogawa. E allora ho unito i pezzi. Vivevi a Tottori insieme a tuo moglie, città del capo dell’organizzazione, dove trascorrevi una doppia vita tra giornalismo e crimini. I tuoi colleghi d’ufficio erano impauriti da te, essendo anch’essi delle povere pedine dell’organizzazione. Incapace di progettare il tuo piano in Giappone, hai deciso di trasferirti i America, fingendo la morte con tua moglie. Lì hai avuto il primo contatto con Eisuke, agente della CIA che, dopo aver ascoltato le tue intercettazioni, aveva deciso di agire e di arrestarti. A quel punto hai capito di dover cambiare identità, essendo pericoloso per te vivere a nome di Kemerl. Hai fatto la plastica facciale, cambiandoti completamente i connotati, assumendo la falsa identità di Richard Nekaie. Il tuo fine ero io, e così hai fatto ricerche sul mio conto. Hai scoperto che ero fidanzato con Ran e nel tentativo di avvicinare me, lo hai fatto con lei, iscrivendoti ad Harvard. Questo era il periodo in cui hai asserito di essere ‘sempre più vicino a quell’argento arrugginito’, avendo tra le mani la mia ex ragazza avresti potuto più facilmente avere contatti con me. Così hai finto una proposta di trasferimento per fotografi derivante direttamente da Tokyo, mandata da te stesso in modo da convincere Ran a tornare. Stabilizzato, avresti avuto tutto il tempo necessario per studiarmi e studiare i miei amici. Così, hai aspettato il momento propizio, approfittando della mia assenza hai organizzato la mostra di foto. Ovviamente, i funzionari che vi sono, insieme al finto Richard, sono tutti tuoi complici.”
Shinichi sentì le mani sbattere in un forte applauso, che risuonò nel magazzino producendo un’eco assordante.
“Ma che bravo!” esclamò, quasi fiero del suo rivale. “Hai scoperto tutto.”
“In America sono riuscito ad averne la conferma. Sono andato ad Harvard, richiedendo tue informazioni. Mi hanno detto di non conoscerti né averti mai segnato sul loro registro. In compenso, vi era il nome di Toichi Kemerl registrato con la foto di Richard Nekaie. Che errore balordo. E poi, se proprio dovevi avere un sosia, almeno uno che parlasse correttamente il giapponese no?”
Ancora una volta Richard scoppiò a ridere. Impugnò nuovamente la pistola, direzionandola verso l’investigatore che, nel tentativo di proteggersi, indietreggiò, ma batté contro uno degli uomini.
“Il tuo omicidio sarà avvolto nel mistero! Tutti hanno la prova che Richard Nekaie è fisicamente presente alla mostra, nessuno potrebbe smentirlo!” asserì gioioso, trattenendo con fredda calma la pistola.
“Ah, se ci tieni a saperlo, ti avverto che Ran resterà insieme a me, il tempo di calmare le acque. Mi comporterò talmente dolce nei suoi confronti dopo la tua morte che non potrà fare a meno di me, mi amerà alla follia, anche se prima dovrò fare qualcosa per quel suo problemino, ma la farò mia, magari su qualche spiaggia di Niigata...” lo derise fiero, immaginandosi la scena.
“Non azzardarti a toccarla!” gli gridò contro Shinichi, infuriato. “E poi che problemino?!”
Gli uomini vestiti di nero trattennero il detective per le braccia, inchiodandolo a terra. L’investigatore non poteva né muoversi né scappare. Aveva di fronte a sé una pistola, e non aveva nemmeno vie di scampo. Sembrava davvero la fine.
“Bye.”
Sentenziò, per poi sparargli.
“SHINICHI!!”
La voce allarmata di Ran si propagò nell’ambiente, insieme al suono secco dello sparo. Avvicinandosi agli altri, seguita velocemente da Heiji, la giovane karateka vide dinanzi a sé Richard, circondato da alcuni uomini che, alla loro vista, gli puntarono contro le varie pistole. Preoccupata, spostò lo sguardo a terra, soffermandosi sulla figura sdraiata. Perse un battito del suo cuore, sentendo la respirazione bloccarsi e le gambe arrendersi per la paura. No, non poteva crederci. Collegò velocemente gli elementi racimolando tutta la razionalità nel giro di un secondo. Adesso, tutto sembrava ancora più assurdo.
Shinichi giaceva al pavimento, mentre alcune gocce di sangue si espandevano dal suo petto.
Shinichi giaceva al pavimento, completamente esamine.

 
 
 
*Rache: vendetta in tedesco / Kirai: odio in giapponese/ End: fine o morte in inglese. "Richard Nekaie" è l'anagramma di queste tre parole.
 
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Sono in un ritardo pazzesco!!!!! Vi prego, perdonatemi! Purtroppo però, in questo periodo, non ho avuto proprio tempo per scrivere!
Penso di aver sforato la settimana, ma spero che con questo capitolo l’attesa sia stata ripagata!
Ebbene sì, come tutti (o quasi) avevano capito, Richard è proprio Toichi Kemerl!
E quello alla mostra è un falso, preso da Richard per depistare le indagini!
Adesso avete capito più o meno tutti gli indizi sparsi nei vari capitoli e la vicenda? E perché Shin nello scorso capitolo
aveva pigiato il tasto vicino al servatoio, accendendo la lucetta? ^^
Richard è il figlio del capo dell’organizzazione che si definiva la gigante rossa di Tottori.
Adesso però, cosa sarà successo?
Shinichi è stato sparato, ed è esanime al pavimento!
Ran ed Heiji lo hanno raggiunto, beccando Richard in flagranza di reato!!!
Ditemi cosa ne pensate.. e scusatemi ancora per l’immenso ritardo!
Ah, volevo ringraziare i recensori dello scorso capitolo:
Yume98, ciccia98, frangilois, Martins, mangakagirl, deamatta, missfunix, zamieluna e Marty Kudo!

Arigatou <3
Un bacione, ci si vede alla prossima!
Tonia
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Capitolo 29
*** Vivere d'emozioni ***


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Vivere d’emozioni
Ventinovesimo capitolo

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La scena che le si presentava avanti era pressoché... inaccettabile.
Non solo perché in un istante si era trovata contro una decina di pistole, dietro alle quali si proteggevano un gruppo di uomini dallo sguardo glaciale e malefico. O perché in quel momento ci fosse Richard, e la sua presenza lì fosse inspiegabile, avendo appurato che stesse chiacchierando serenamente alla mostra. Ma perché, in tutto ciò, sdraiato a terra, apparentemente esanime, vi era Shinichi. E dal suo petto, coperto da una t-shirt bianca, incominciavano a fuoriuscire gocce di sangue, che man mano si espandevano sempre più. I pensieri che le trapassarono il cervello in quel fugace istante di tempo erano innumerevoli. Ripensò in un attimo alla telefonata della galleria, all’atteggiamento strano di Shiho, di Heiji e di Shinichi. Cercò di riunire il tutto in un discorso coerente e razionale, ma l’unico pensiero che le affliggeva la mente era il corpo del ragazzo al pavimento, privo di sensi.
“S-Shinichi...” lo chiamò con voce fievole, avvicinandosi a tentoni verso di lui.
“Ferma dove sei!” le ordinarono gli uomini, posizionandosi meglio, mandando occhiate al loro capo. Richard restò fermo vicino al corpo del detective, osservando fisso la giovane. Abbassò lo sguardo sull’investigatore, per poi tornare a guardarla. I suoi subordinati non aspettavano altro che sue direttive, indecisi sul da farsi. Si venne a creare un gioco di sguardi, furtive da un lato e stupefatte dall’altro, tutte inglobate sullo pseudo americano.
“R-Richard,” continuò Ran, avanzando ancora con le mani protese in avanti. “C-che s-significa?”
Il fidanzato prese ad osservarla assiduamente, finché non lasciò andare un sospiro, socchiudendo gli occhi.
“Capo, cosa facciamo?”
“Occupatevi dell’investigatore, alla ragazza ci penso io” ordinò agli uomini, cominciando a sfregarsi le mani. Gli scagnozzi si avvicinarono cautamente ad Heiji, puntandogli contro le pistole. Richard avanzò verso Ran, osservandola deluso. Quella parte della giornata non l’aveva prevista, non era nei suoi piani. Ran avrebbe dovuto vivere insieme a lui, all’oscuro di tutto, dopo che Kudo fosse stato ucciso e la sua vendetta realizzata. Per sua sfortuna la karateka era giunta al magazzino, accompagnata dall’amico, e di lì a poco avrebbe scoperto tutto l’inganno, e per di spazio per i suoi sogni romantici non ce ne sarebbe stato. Sebbene Shinichi Kudo fosse già fuori dai giochi, era dunque necessario provvedere a lei. Con uno scatto felino, Heiji impugnò la pistola, puntandola a sua volta contro quegl’uomini. Essi vennero fermati dal suo gesto e furono costretti ad arrestare il cammino, bloccandosi di scatto.
“Fermi tutti o faccio una strage!” urlò, facendo trapelare una vena di agitazione. “Ran, vieni vicino a me!”
“Ran?” la chiamò ancora, per poi girarsi verso la giovane.
La karateka era imprigionata tra le braccia di Richard, ed aveva la bocca otturata dalla sua mano, impedendole di parlare. Sulla sua tempia era poggiata una pistola, mentre il dito del ragazzo era fermo sul grilletto. Heiji strabuzzò gli occhi, abbassando la guardia.
“Perché non abbassi quell’arma? Sai, potremmo farci male” gli disse Richard, stringendo sempre più il corpo della giovane al suo. Un ghigno si aprì sul suo volto, disperdendo soddisfazione e sicurezza.
“Oppure vuoi che faccia saltare in aria il cervello di questa puttana?”
Messo alle strette, il detective dell’ovest lasciò andare la pistola, facendola sbattere al pavimento. Fece aderire le braccia al corpo, completamente disarmato, continuò a guardare preoccupato Richard, che lentamente stava indietreggiando insieme a Ran, verso il corpo di Shinichi.
“Capo?” lo chiamò improvvisamente uno dei suoi scagnozzi, attirando la sua attenzione. “Possiamo divertirci un po’? Kudo è morto subito.”
Al suono di quella notizia, Ran ed Heiji strabuzzarono gli occhi, colti di sorpresa. Per la karateka, era praticamente impossibile parlare, avendo una mano a coprirle la bocca. Il ragazzo di Osaka, circondato dagli uomini in nero, strinse le mani e i denti.
“Cosa hai fatto a Shinichi?!”
Richard ghignò, e riavvicinò il suo viso a quello della giovane, provocandole brividi di paura.
“Quello che faremo a te” lo avvisò, per poi strofinare le sue labbra sul volto di Ran. “A te invece ci penso io.”
“Capo allora?” domandarono ancora gli uomini, a pochi centimetri dal ragazzo.
“Massacratelo, e poi uccidetelo.”
“Agli ordini.”
Ran, bloccata tra le braccia di Richard, cercò di dimenarsi con le mani, nel tentativo di liberare il suo corpo dalla stretta dell’uomo che aveva accanto a lei. Era impossibile riuscire a spiegarsi quell’atteggiamento, essendo completamente all’oscuro di ogni cosa. Era impossibile raccogliere le forze ed opporre un’inutile resistenza, quando il corpo di Richard era avvinghiato al suo, ed i suoi arti erano bloccati da quelli del ragazzo. Era impossibile restare calmi in quel momento, dove Heiji era in balia di una decina di uomini, e Shinichi era ancora esamine al pavimento. Era mai possibile che fosse davvero morto? Il suo Shinichi, il suo detective? No, non avrebbe voluto crederci, ma più i minuti passavano più quell’incubo sembrava divenire la realtà. Più la sostanziale gravità della situazione sembrava venire a galla. Poté vedere un’ultima volta Heiji, mettersi in posizione difensiva, nel tentativo di scansare i colpi degli uomini, prima di essere sbattuta ad un pilastro del magazzino, a pochi metri dal corpo dell’investigatore. Lui era lì, vicino a lei. Ma non mostrava alcun segno di vita, alcun segno di lui. Sentì le lacrime arrossarle gli occhi e gonfiarli d’acqua amara, mentre vide il suo pseudo fidanzato appoggiarle le mani sulle spalle, bloccandola al muro.
“Dimmi perché!” le urlò contro facendola sussultare.
“C-cosa..” bisbigliò lei, leggermente balbettante. Ma chi era l’uomo che aveva di fronte?
“Perché mi hai tradito con lui!? Perché proprio con lui!? Dimmelo!” continuò a sbraitare, strattonandole il corpo. Ran si immobilizzò, sia per l’impossibilità di muoversi, sia per il timore che radicalmente cresceva dentro di lei. Richard sapeva che lei lo aveva tradito. Sapeva tutto, eppure si era astenuto dal dirglielo. Perché si comportava così? Come faceva ad essere in quel magazzino se l’aveva visto alla mostra poco prima? Poi un lampo, e i ricordi si addensarono.
“Penso solo che qualcuno debba scomparire, al più presto” continuò, sempre silenziosamente.
Adesso ricordava, ricordava il suo sguardo maligno, e le sue parole subdole.
 “Ed io che pensavo vi riferisse a Conan Edogawa” sentenziò Richard, sogghignando.
Richard conosceva Conan, eppure non era mai stato in Giappone. Richard sapeva più del dovuto, più di quello che avrebbe dovuto sapere. Eppure, fino a quel momento, non ci aveva mai trovato niente di strano.
“Vedi io...” cominciò arrossendo il ragazzo, abbozzando un sorriso. “Io ti amo.”
Quel “ti amo”. Quello che le era sembrato così falso e così programmato. Però aveva creduto che fosse solo a causa di averlo sentito pronunciato dalle labbra di Shinichi. Aveva creduto che, il rimbombo della voce del detective le offuscasse la razionalità, portandola ad immaginare cose insensate.
“Oh, tutto a meraviglia. Direi che oggi sarà la giornata più bella della mia vita” le rivelò d’un soffio l’americano, azzardando un sorriso ampio e soddisfatto, quasi maligno l’avrebbe definito. 
A ripensarci, come poteva essere la mostra il motivo per cotanta felicità? E’ vero, era un fotografo, ma dal definirlo il giorno più bello della sua vita ce ne voleva.
“Richard,” lo chiamò, sorpresa dal suo stesso ragionamento. “Il tuo accento... si sente di più il tuo accento americano.”
Sbatté più volte le palpebre, nel tentativo di focalizzare meglio quelle serie di informazioni. Poi capì. Quel ragazzo alla mostra non era Richard. Adesso, ne era sicura. Osservò il giovane di fronte a lei, imperterrita. Quello non era Richard, almeno non quello che conosceva lei.
“M-ma tu chi sei?” domandò con timore, mordendosi il labbro inferiore.
L’uomo abbassò le palpebre, sfociando in un sorrisetto. La sua stretta sulle spalle della ragazza era ancora ben salda, mentre la sua forza era tutta concentrata sulle sue mani.
“Mi chiamo Toichi,” le rivelò di getto, guardandola negli occhi. “Toichi Kemerl.”
“T-Toichi Kemerl?” ripeté incredula Ran, con occhi serrati. “N-Non sei Richard?”
“No, Richard Nekaie è il mio alterego buono. Io sono un po’ più cattivo di lui” le rispose sogghignando, mostrandosi insolitamente soddisfatto per ciò che aveva appena rivelato.
“A-aspetta,” cercò di calmarsi la karateka, in una situazione dove l’ansia regnava sovrana. “Tu mi hai avvicinata per un tuo scopo? Cos’era, Shinichi?! Cosa vuoi da lui?!”
Colui che ancora poteva essere definito il suo ragazzo, decise di farla zittire, poggiandole un dito sulle labbra.
“Se conoscessi le mie ragioni lasceresti perdere quel fallito, per stare con me. Io posso regalarti un futuro da regina incontrastata in questa società, avresti tutto quello di cui hai bisogno!” le disse gioioso e sicuro di sé, stringendola sempre più al pilastro.
Ran lo guardò sconcertata, sbattendo più velocemente le palpebre. Poi abbassò il capo, interessandosi al pavimento vicino ai suoi piedi e a quelli di Richard.
“Mi dispiace Richard, o Toichi, o come preferisci essere chiamato,” gli disse la ragazza, con voce rotta. “Ma tutto quello di cui ho bisogno è Shinichi, e nient’altro.”
L’assassino che aveva di fronte strinse le mani alle sue spalle, provocandole un dolore fitto. Arricciò i muscoli del viso in un’espressione adirata, per poi aprire sempre più gli occhi. Sembravano uscirgli dalle orbite da un momento all’altro.
“Perché lui?! Dannazione, non lo vedi che è uno sbruffone esaltato?! Io.. io.. penso di amarti sul serio Ran, fin dal momento in cui ti ho incontrata. E’ vero che il mio obiettivo era Kudo, ma conoscendoti meglio non sono mai riuscito a staccarmi sul serio! Il tuo viso, le tue labbra, il tuo corpo, i tuoi modi di fare.. erano indispensabili per me! Sai cosa ha significato per me vederti scopare con quel detective sulla spiaggia?! Lo sai?!” imprecò contro di lei, imporporandosi il viso di rosso dalla rabbia. “Perché lui?! Rispondimi!!!”
Ran rimase sorpresa da quelle parole. Infondo, alla fin fine, anche gli assassini più crudeli hanno un cuore. E lui gliel’aveva aperto lì, in quelle parole, mentre i suoi uomini massacravano con violenza il corpo di Heiji. I gemiti che emanavano il ragazzo gli sembravano quasi lontani, impercettibili. Se davvero Richard Nekaie, o Toichi Kemerl, provava qualcosa per lei, era giusto mettere le cose in chiaro, e magari finire i suoi giorni lì, in un magazzino abbandonato della periferia di Tokyo. Abbassò nuovamente la testa, azzardando quasi un sorrisetto.
"Non ci sono spiegazioni, non ci sono domande e non ci sono risposte. Semplicemente, tutto ciò è assolutamente lecito per quanto riguarda il cuore. Il mio cuore. Esso si alimenta di sangue che pulsa, di aria che passa attraverso i polmoni. Vive solo attraverso le sensazioni, attraverso l'istintività e la sensibilità. Traccia un percorso e il corpo lo segue, tutto qui. Vira alla ricerca di qualcosa che possa scuoterlo, sorprenderlo. Sai... se non ci fosse Shinichi, quel mio piccolo muscoletto non saprebbe cosa significhi fitta, tachicardia, infarto. Penso che abbia smesso di cercare oltre dal momento in cui i miei occhi si sono persi in quelli di Shinichi, anni fa. Dal momento in cui il solo vederlo mi mandava in tilt l'intero corpo, e le gambe mi tremavano fino a diventare budini. Posso solo chiederti scusa per averti tradito, per non avertelo detto subito. Non sapevo neanche io cosa mi stesse succedendo. Non sai quante volte ho cercato di capire il perché di questo mio accanimento verso Shinichi, ma non ci sono riuscita. L'unica risposta a tutto questo è che quello sbruffone esaltato, come lo definisci tu, mi fa vivere... mi fa vivere d'emozioni. Ed io, ed il mio cuore, non vogliamo rinunciarci."
“R-Ran...” la chiamò Richard, distanziandosi leggermente da lei.
“Capo?” lo interruppe uno degli uomini, strattonando il colletto della maglia del detective, accasciato a terra per il dolore. “Possiamo finirlo?”
Toichi Kemerl si staccò dalla ragazza, indietreggiando di qualche passo. Restò per qualche minuto in silenzio, apparentemente scosso. Sembrava rimuginare sulle parole dettogli da Ran, così sincere e vere, così dirette. Poi si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa, o qualcuno. Infondo lui aveva mai provato emozioni? C’era mai stato qualcuno in grado di fargliele sentire? Lui aveva sempre vissuto così, freddo e solo, con un unico fine negli occhi. Non aveva mai sentito l’importanza di una persona al suo fianco, nemmeno con la moglie. L’unica importante per la sua vita era il padre, la sua guida, il suo faro. E gli era stato tolto da Shinichi Kudo, distruggendone anche il sogno di governare il Giappone, proprio come una gigante rossa in un mare di nane bianche. L’unica persona di cui aveva bisogno era morta. Non c’era più. Non poteva perdonarglielo. Non voleva e non doveva. Guardò nuovamente i suoi subordinati, lanciandogli occhiate pullulanti di determinazione. Fermò il suo corpo, irrigidendone i muscoli.
“Sbattetelo vicino a lei” ordinò loro, indicando col capo la ragazza.
I seguaci presero Heiji per le braccia, per poi scaraventarlo vicino a Ran. La karateka si accasciò al giovane, guardandolo con aria preoccupata. Era tutto indolenzito e sanguinante, privo d’energie  e di fiato. Portò lo sguardo su Richard, pregandolo con gli occhi, nel tentativo di fargli compassione. L’assassino si avvicinò a lei, costringendola ad alzarsi, mentre Heiji cercava di racimolare le restanti forze per affrontarlo. Ma fu un secondo, che non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene. Richard scagliò un pugno violento e carico di rabbia, frustrazione, odio e rancore verso il ventre piatto della ragazza. La fece accasciare al pavimento, strappandole un gemito di dolore. Aveva serrato gli occhi, e portato le mani alla pancia. In quella pancia dove cresceva il figlio del ragazzo che amava.
“Non c’è posto per nessun Kudo su questa Terra,” le rivelò il ragazzo, con atteggiamento glaciale. “Non preoccuparti, presto arriverai dal tuo amore, insieme al tuo bambino, all’altro mondo.”
Richard portò la pistola sulla testa di Ran, sorretta da terra con le mani.
Heiji serrò le palpebre al suono della parola ‘bambino’ e tentò con le mani di avvicinarsi al nemico, in modo da proteggere l’amica. Ran è incinta? Pensò affaticato, portandosi col corpo verso Richard.
Sembrò tutto inutile, quando l’assassino poggiò il dito sul grilletto e si preparò a sparare.
“Fermo!” gli urlò una voce lontana, che si propagò nell’ambiente spoglio. “Non azzardarti a fare un passo, hai venti pistole puntate in testa, non ti conviene!”
“Chi diavolo...” sbottò, girando il capo alle sue spalle.
“Toichi?” lo chiamò con voce fievole una donna, affiancata da un gruppo di agenti, armati di mitra e pistole varie. Guardò al centro, spalancando gli occhi.
“Cikage?*” pronunciò lui, imperterrito. Colei che aveva d’avanti era sua moglie, colei che aveva lasciato anni prima, colei che in un modo o nell’altro lo stava portando al fallimento del piano. Perché sua moglie era lì? Come faceva a conoscere la sua falsa identità? Ma soprattutto, cosa ci faceva affiancata da tutti quegl’uomini? Eppure in quella giornata tutto sarebbe dovuto andare liscio come l’olio...
“Chi diavolo siete?!” urlò verso di loro, dando l’ordine ai suoi uomini di prepararsi allo scontro. Guardò più attentamente verso uno di loro, e ne riconobbe perfettamente l’identità. Eisuke Hondo.
“CIA” rispose prontamente il fratello di Kir, puntandogli contro il mitra. “Sei in arresto Kemerl, lascia andare l’arma!”
“T-Toichi? S-Sei tu?” lo chiamò ancora la moglie, avvicinandosi al marito. Le pistole degli uomini seguirono i suoi passi, accompagnandola. Aveva le mani strette una nell’altra, ed avanzava intimorita verso l’uomo, con occhi serrati.
“T-Toichi!”
“Signora, si fermi!” le urlò Eisuke, nel tentativo di deviare le sue intenzioni. La donna avanzò sempre più velocemente verso Kemerl, aumentando il passo. “Signora, è pericoloso!”
Gli scagnozzi dell’assassino prepararono il dito sul grilletto, simulando le gesta degli agenti della CIA, che si misero in offensiva. Ran osservò la scena impietrita, vicino ad un Heiji che perse il suo sguardo in quel momento. Poteva succedere tutto, e non c’era niente per prevenirlo.
“Toichi? Perché... s-sei andato via di c-casa? Perché?!” sbraitò la moglie, mentre le lacrime cominciarono a scendere lungo il suo volto stanco e deluso.
“C-ikage..” la chiamò lui, con voce rotta. “Cosa ci fai qui?”
“Cosa ci faccio io qui?!” gli urlò contro, correndo verso di lui.
“No, signora!” la avvisò un’ultima volta Eisuke, per poi dare l’ordine ai suoi uomini di puntare contro i subordinati di Richard, presi nell’osservare la scena si mostrava davanti.
“Capo?!”
“Fermi, non sparate!”
“Toichi...”
“Capo?!”
“Cikage...” la chiamò lui, abbassando la pistola all’altezza dei fianchi. Guardò verso la donna, a pochi centimetri di distanza da lui. Sembrava immobile, fisso e inchiodato al pavimento. Istintivamente portò gli occhi a terra, serrandoli. E adesso, cosa poteva fare? Nell’alzarli verso di lei, si fermò a mezz’aria, concependo l’inverosimile.
“Dov’è Kudo?!” sbraitò improvvisamente, girando il capo verso i suoi subordinati. Essi lo guardarono, per poi fissare il pavimento dove poco prima era accasciato Shinichi. Non c’era. Kemerl diresse lo sguardo verso gli agenti della CIA, verso Eisuke e verso la donna. Non c’era. Si affrettò a guardare alla sua destra, ma non vide niente. Si voltò così alle sue spalle, ma non ebbe il tempo materiale di farlo. Poté vedere solo Heiji e Ran sfociare in un sorriso, e delle braccia attorcigliarli il corpo, stringendolo in una catena umana dall’incredibile forza. Un sussurro gli offuscò la ragione, mentre pian piano la consapevolezza di aver fallito si fece spazio nella sua mente.  
“Sono qui.”

 
*Non l’ho mai specificato, ma la moglie di Richard/Toichi si chiama così.
 
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Sono qui! Ho postato il ventinovesimo capitolo, presto presto! Sapevo che molte di voi lo stavano aspettando ed eccolo qui, bello bello da leggere! Capitolo pieno di tensione eh? XD
Bene.. le cose si sono evolute da un momento all’altro.. è tornato Eisuke, ed anche la moglie di Richard!
Sembrava la fine per Ran, Heiji e il bambino.. quando con un intervento tempestivo rientra in gioco anche Shinichi!
Cosa pensavate? Non potevo farlo morire, lo adoro <3 <3
Ditemi cosa ne pensate.. di tutto! Anche perché, questo è il PENULTIMO capitolo, il prossimo sancirà la fine della storia! Mi viene l’angoscia a pensarci =(
Ovviamente se siamo arrivati fin qui è solo grazie a voi, grazie anche a chi ha commentato i capitoli e mi ha supportata sempre!!!
Un grazie speciale alle ragazze che hanno recensito lo scorso: Yume98, ciccia98, Martins, frangilois, Noemina91 e zamieluna!!!!
Alla prossima ed ultima puntata… =(
Tonia
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Capitolo 30
*** Shinichi e Ran ***


Dopo tempi immemori torno ad aggiornare, ma non prendetevela con me, piuttosto con la scuola e con l’esame, visto che ci siete!!! Questa volta avevo intenzione di iniziare il capitolo in maniera completamente diversa. Spero di non rubarvi parecchi minuti, e se lo faccio, lasciate perdere e passate avanti. Il capitolo è qui sotto e dopotutto è l’ultimo, e pensare che io possa esserci arrivata mi riempie il cuore di gioia. Dovete sapere che ho pensato alla storia della fan fiction per parecchi mesi, stravolgendone e ridisegnandone la trama. Ricordo ancora che inizialmente Ran non doveva nemmeno essere fidanzata, e che gli anni passati in America non dovevano essere così tanti. Poi, pian piano, cominciai a pensare ad un possibile ragazzo, rivale di Shinichi, che avrebbe potuto dare filo da torcere al detective. Inizialmente, Richard doveva essere esclusivamente un fotografo o paparazzo accanito delle star più in voga del momento, poi, in un secondo momento, rimuginai sulla doppia identità. L’idea mi è venuta pochi capitoli prima dell’undicesimo, quello dove Cikage (a proposito, è pura coincidenza, non sapevo neppure che la moglie di Toichi Kuroba si chiamasse così) va da Shinichi per chiedergli una consulenza. Insomma, tutto è nato improvvisamente, e sinceramente, sono orgogliosa di come le cose si siano sviluppate! Però, non è stato tutto rose e fiori purtroppo! I primi intoppi si sono visti già dal primo capitolo. Non era com’è adesso, e questo solo a causa del mio maledetto computer, che, dopo aver scritto l’intero capitolo non mi permise più di aprirlo! Potete solo immaginare io come ci rimasi... Quasi mi dico “cavoli, è destino che non la devo scrivere”, ma poi, pervasa di una forza di volontà della quale ancora ignoro la provenienza, riscrivo il capitolo daccapo, e lo salvo sul pc, con la speranza che non faccia ulteriori scherzi! XD Scrivo anche il secondo, e successivamente pubblico la storia su di un forum. Ebbene, la storia non venne apprezzata da nessuno! XD O meglio, nessuno la commentò, nonostante fossero passati parecchi giorni. Rimango nuovamente come una stupida e mi convinco di lasciar perdere il tutto. Qualche giorno dopo, venuta a conoscenza di questo sito, decido di fare un ultimo tentativo. Pubblico la storia, ma ormai, delusa, sono convinta di non ricevere alcun commento. Era il 2 gennaio di quest’anno. Ebbene, con mia grande sorpresa, quattro giorni dopo la commentò una ragazza che io stimo e ammiro, dalla grandi potenzialità, e con un’immensa fantasia: Dony_chan. Ricevere un commento da lei mi portò al settimo cielo, così tentai di pubblicare il secondo capitolo, ottenendo man mano i primi recensori: Il Cavaliere Nero (a cui faccio i miei più sentiti complimenti per le sue storie), WinryRockbell, myellin, arianna20331 ed altri utenti. Probabilmente -pensai- non è poi così orrenda, e decisi di scrivere il terzo. Da quel momento ho conosciuto ragazze fantastiche, che, stranamente, cominciavano ad interessarsi alla mia fan fiction... ciccia98, totta1412, PaV, frangilois, Martins, M e l y C h a n, deamatta, Marty Kudo, zapotec, SimpSiro, izumi_, noisemaker89, mangakagirl, Noemina91, Delia23 e zamieluna! Infine, per ultima, ma non per importanza, vorrei fare un ringraziamento speciale a Yume98, alla sua infinita tenerezza e dolcezza, nonché bravura nel scrivere nonostante la giovane età!
Ci tenevo a citarvi tutte perché è solo grazie a voi che la storia è arrivata fin qui. Davvero.
 
Inoltre,
GRAZIE per aver inserito la storia tra le seguite:
Areis, BlackFeath, Cassandra Turner, ChibiRoby, ciachan, ciccia98, deamatta, danyelina, Dony_chan, emy89, Haley James Scott, ikutoneko, izumi_, konan95, Kuroshiro, La_SoSo, Lely96, ShellingFord, BlancheAnge, M e l y C h a n, MocciosaMalfoy, myellin, PaV, ranshin22, Scorpyon, Shike, VSRB e withoutrules!
GRAZIE per aver inserito la storia tra le ricordate:
MakaxSoul, PaV, shaula, Sonecka e witch4ever!
GRAZIE per aver inserito la storia tra le preferite:
amorina, arianna20331, ciccia98, cicciofino, Delia23, _Crizia_, __MyOwnForgettenWorld__,Il Cavaliere Nero, M e l y C h a n, mangaka17, giglio65, ShellingFord, Martins, Marty Kudo, noisemaker89, PaV, SimpSiro, totta1412, Yume98, Zamieluna, _Lola_Kudo_ e _Rob_!
 
Forse un’autrice dovrebbe scrivere solo per se stessa, forse sì. Ma credetemi che avere qualcuno che ti rincuora e che ti sprona ad andare avanti è meraviglioso, e ti fa sentire orgogliosa.
 
Va bene, chi è arrivato a leggere fin qui è il mio idolo!
Visto che mi starete maledicendo vi lascio leggere il finale di “Vivere d’emozioni”, con la speranza che anche voi viviate sempre la vostra vita a pieno, con determinazione e gioia, affrontando dolori e problemi, con la consapevolezza di farcela.
 
Penso proprio di non tornare su EFP per qualche mese, a causa della maturità e impegni vari.
 
Ancora GRAZIE
e alla prossima,
la vostra Tonia.

 

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Shinichi e Ran
Trentesimo capitolo

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Si sentiva come un leone attanagliato in una gabbia strettissima, dove nessun movimento poteva. Si sentiva intrappolato negli errori della sua presunzione e convinzione, delle sue smanie di protagonismo e superiorità. Si sentiva stretto dall’interno, come se una catena gli si attorcigliasse attorno all’anima. E se il senso del tatto era fuori uso, quello della vista e dell’udito funzionavano perfettamente. Così poteva girarsi attorno; osservare i volti impauriti e spaesati dei suoi subordinati, quelli attenti e cauti degli agenti della CIA, quelli rasserenati e intrepidi di Ran ed Heiji, quello scioccato della moglie Cikage, e quello trionfante di Shinichi Kudo. Quel detective che lo teneva stretto a sé, che era riuscito a salvarsi, che ancora una volta aveva battuto e sgominato piani criminali di mondiale importanza. Che la fortuna lo assisteva era fin troppo ovvio, ma Toichi Kemerl dovette ammettere a se stesso che infondo quel ragazzino ne aveva di stoffa, per distruggere un’organizzazione come quella di suo padre, per distruggere completamente lui. E poi sentiva il richiamo dei suoi uomini, che ansimati gli lanciavano grida disperate. Queste gli arrivavano come echi lontani che si disperdono in una valle infinita di frustrazione e dolore. Crebbe in lui la consapevolezza di aver perso, e la rinuncia a qualsiasi tentativo di rimonta. Perché crebbe in lui la convinzione che qualsiasi cosa avesse costruito, Shinichi Kudo l’avrebbe distrutta. E così era con l’0rganizzazione, e così con il suo piano, e così con Ran. Era inutile provarci, lui ci sarebbe riuscito sempre, nei modi più insoliti e stravaganti forse, ma sempre.
Le braccia allentarono la forza, mentre il corpo mostrava non opporre più resistenza alla stretta del detective, che deciso gli impediva di muoversi. Abbassò il capo, segnando la sua sconfitta, ed aspettò che fosse proprio Shinichi a parlare, quasi come se volesse obbedire ai suoi ordini.
“Avete intenzione di sparare? Forza, sparate al vostro amato capo se ne avete il coraggio” li istigò sarcastico l’investigatore, posizionandosi dietro al corpo di Richard. Alle spalle si erano rifugiati Heiji e Ran, in modo da proteggersi dai colpi degli uomini che incessanti avrebbero loro diretti.
“Abbassate le pistole” continuò a conquistare terreno Eisuke, avvicinandosi sempre più alla consorte di Kemerl, imbambolatosi davanti al marito, incapace di muoversi. Gli uomini della CIA avanzarono verso la donna afferrandola per un braccio, portandola al sicuro dietro i mitra degli agenti segreti, che inginocchiati e all’in piedi puntavano fisso contro il nemico e contro i suoi subordinati.
“Ripeto, abbassate le pistole.”
La voce più sicura e profonda di Hondo arrivò alle loro orecchie, mentre con gli occhi ricercavano lo sguardo del loro capo. Aveva ancora la testa chinato, e il corpo imprigionato nell’abbraccio deciso e per niente affettuoso del detective. Adesso si trovavano di fronte ad un bivio, a due strade tortuose e di fine incerta. Potevano attaccare gli agenti o ammettere la resa. Si guardarono per un po’ tra loro, indecisi sul da farsi. Con gli occhi ne contarono il numero, e capirono che erano molti più di loro; ma infondo, volendo, avrebbero potuto farcela. Arrendersi significare perdere libertà, dignità e onore. Così, con un gesto repentino, decisero di schierarsi contro la CIA, dando fuoco alle loro pistole. Da un istante all’altro sarebbe potuto generarsi il caos totale, se non fossero intervenuti gli agenti della polizia nipponica.
“Fermi! Buttate via le pistole e mani in alto! Questo è un ordine!”
“Dannazione...”
“Mani in alto!”
Si guardarono tra di loro, e in un sospiro annunciarono la loro decisione. Si ritrovarono a deglutire e ad abbassare le armi. I poliziotti avanzarono cautamente, protetti da scudi e giubbotti antiproiettili. Gli uomini furono raggiunti così nel giro di pochi secondi, quando dovettero arrendersi definitivamente alle forze dell’ordine. Allo stesso tempo lo schieramento di agenti segreti contribuì all’arresto della decina di subordinati di Toichi Kemerl. Shinichi rilasciò il rivale per consegnarlo alla polizia, che cominciò a strattonarlo per le spalle, conducendolo verso l’uscita. L’assassino si fermò d’un tratto, puntando i piedi a terra. Si guardò indietro, rivolgendo il suo sguardo ad Heiji, ad Eisuke, a Ran ed infine, a Shinichi.
Punto gli occhi proprio sul detective suo rivale, e gli sorrise, quasi ironicamente.
“Kudo, non è finita qui. Ti giuro che non è finita qui.”
Probabilmente era sotto shock per il fallimento della sua vendetta, e la distruzione totale dell’organizzazione. Ma quelle parole erano sicure, erano dirette, erano penetranti. Ed assomigliavano ad un avviso, o forse una promessa. Gli aveva giurato che un giorno si sarebbero rivisti. E quasi ne sembrò colpito anche l’investigatore, che sapeva che sarebbe successo. Ma non era il momento di pensare al futuro, né al passato. Adesso aveva il presente dinanzi a sé, e doveva affrontarlo. E quel presente comprendeva la sua Ran, Heiji, i suoi amici ed una nuova vita. Per Kemerl non c’era spazio, non ce ne sarebbe mai stato. Non rispose da subito alla provocazione dell’avversario, ma si avvicinò a lui, portandosi all’uscita del magazzino. Oltrepassandolo, gli sussurrò velocemente poche parole, che zittirono per sempre il suono arrogante della voce dello pseudo americano.
“Sì, magari ti mando la partecipazione, dai” asserì, sarcastico. “Buona vita Richard. Buona cella Toichi Kemerl.”
 

************

 
“...E quindi era uno spietato assassino che mi si era avvicinato solo con il pretesto di ucciderti? Ed era pure sposato...che storia.”
“Ahi” mugugnò dolorante Shinichi, infastidito dal tocco del disinfettante sulla sua ferita al petto. Seduto accanto a lui vi era Ran, attorcigliata in una coperta ed intenta a bere una camomilla, offertole da un’ambulanza accorsa per la situazione. I due ragazzi si ritrovavano seduti dietro al veicolo, mentre il detective si faceva medicare le parti del corpo lesionate dallo scontro con Richard. Poco più distante, in piedi, c’era Heiji, completamente fasciato da bende bianche che gli coprivano buona parte del corpo. Eisuke, accanto a lui, discuteva degli ultimi dettagli del caso, affiancato da due agenti della CIA.
La karateka, visibilmente shockata ed incredula di tutta la faccenda, tentava di riscaldarsi con il bicchiere caldo della bevanda, mandando di tanto in tanto occhiate al giovane accanto a lei.
Chissà...
Cominciò a pensare, osservandolo profondamente. Shinichi era a petto nudo, fasciato in bende che gli percorrevano lo sterno e le spalle. Aveva lo sguardo dritto al suolo, e intratteneva le dita attorcigliandole tra loro.
Chissà se ha sentito del bambino...
“Shinichi?” lo chiamò Ran, attirando la sua attenzione. Il ragazzo si girò verso di lei, invitandola a proseguire.
“Come hai fatto a salvarti?” gli domandò direttamente.
Il detective le sorrise, riportando lo sguardo in basso.
“Il proiettile ha colpito il distintivo che mi aveva dato Shiho. Per questo la ferita è stata marginale, sennò adesso sarei all’altro mondo.”
“E-e... quindi hai fatto finta di cadere a terra?” chiese ancora la giovane, questa volta accentuando una vena di timore. Aveva immaginato di rivelarglielo in maniera diversa della gravidanza, del bambino, della sua scelta, e della sua volontà. Ma osservandolo meglio, Shinichi non sembrava sorpreso. Né tantomeno spaventato o agitato.
“No... veramente...”
“Insomma, ti sembra giusto?” interruppe Shinichi la voce dell’amico Heiji, avvicinatosi silenziosamente ai ragazzi in pochi secondi.
“Cosa?” chiese Kudo, osservando i due. Ran imitò l’amato, mentre si lasciò andare ad un sospiro.
“Tu sei quello che vogliono ammazzare, e a me riempiono di calci e pugni. Guarda, guarda che amico che hai. Mi sono fatto scannare al posto tuo.”
Il detective e la karateka nascosero un risolino che spontaneo nacque sui loro volti, e coprirono le labbra con una mano.
“Piuttosto,” continuò il ragazzo, puntando il dito in lontananza verso Hondo. “Ma cosa stava aspettando per intervenire?!”
“Mi ha detto di aver avuto dei seri problemi con la moglie di Kemerl. Non sono riusciti a fermarla, sembrava continuasse a ripetere ‘voglio vederlo con gli occhi, voglio vedere se lui è davvero mio marito’ e così è entrata, e loro l’hanno seguita” gli rivelò l’amico, lasciandosi andare un fievole sospiro.
“Ma qualcuno sa alla mostra cosa sta succedendo?” chiese Ran con evidente preoccupazione.
“Assieme ai fidati di Richard c’erano anche poliziotti in borghese... ho avvisato la polizia appena uscito” gli disse Shinichi, portando lo sguardo su Heiji. “Non preoccuparti, è tutto apposto. Shiho mi ha già mandato un messaggio per confermarlo.”
 “Sono stati arrestati tutti nel giro di pochi minuti, dopo aver evacuato l’edificio con la massima cautela. Ah, sono state ritrovate anche delle bombe al plastico, ma nessuna di queste è stata attivata. Dopotutto c’erano solo altri due complici insieme al suo sosia alla galleria, probabilmente avrà pensato di avere la vittoria in tasca” continuò il detective del Kansai, portandosi una mano sotto al mento.
“Non aveva contato il fatto che io ed Eisuke stavamo indagando su di lui.. ed io ho impiegato fin troppo tempo, dannazione” sbottò il detective, stringendo la mano destra in pugno, evidenziando le nocche biancastre.
“Io direi che hai impiegato fin troppo tempo sdraiato. Mentre mi distruggevano, tu te ne stavi bello al pavimento come se nulla fosse” lo punzecchiò  l’amico, guardandolo di sottecchi.
“Idiota io ero svenuto sul serio, non mi stavo riposando.”
“S-sei svenuto davvero?” urlarono all’unisono Ran ed Heiji. La giovane ripensò alle parole di Richard in quel magazzino, alle allusioni alla sua gravidanza, al pugno conficcato nel suo ventre. Era ormai convinta che Shinichi si fosse scoperto presto padre nel peggiore dei modi, dalla bocca di un lurido assassino privo di coscienza, dalle parole spietate di un uomo colmo di vendetta. E le era dispiaciuto, e tanto. Avrebbe voluto dirglielo in una situazione diversa, più calma, più serena, più dolce. Poco importava se lui fosse svenuto subito dopo. Sarebbe risultato comico, ma mai cruento. Così strabuzzò gli occhi, ed insieme ad Heiji, fissò l’investigatore, che li guardò increduli.
“Che avete da osservarmi così?! Il colpo è stato attutito dal distintivo ma ha comunque perforato la pelle! Mi avevano riempito di calci e pugni e cadendo a terra ho sbattuto la testa, perdendo i sensi. Ho ripreso coscienza ritrovandomi la moglie di Richard di fronte, la CIA in fondo, Heiji tutto insanguinato e Ran a terra esausta. Ho approfittato della situazione per alzarmi senza farmi notare, spostandomi a poco a poco, strisciando a terra.”
“Ah” recitarono gli amici, continuando a fissarlo con aria interdetta. Heiji cominciò a sghignazzare, Ran puntò gli occhi al pavimento, divenendo paonazza.
“Si può sapere che succede?” domandò, girando la testa verso gli amici. “Ma che avete?”
“Quindi tu... non hai sentito niente?” gli chiese ghignando l’amico, osservando di sottecchi la karateka, che evitò volontariamente di guardarlo negli occhi.
“Cosa avrei dovuto sentire?” rigirò la domanda Shinichi, sbattendo le palpebre, stranito da quell’atteggiamento.
“Ran! Volevo dirti che alla festa di Makoto mi sono comportato in quel modo perché il signorino qui presente..” cambiò frettolosamente discorso il detective, per poi indicare Shinichi. “Mi aveva mandato un messaggio dall’America dicendomi di stare attento a Richard, di non espormi troppo con te.”
“Ah, ecco svelato il mistero!” replicò sorridente la giovane, cacciando la lingua fuori.
“Quando ci vedemmo prima di partire, credevo che Richard non c’entrasse niente con questa storia.. perciò ti dissi di restare ancora con lui. Pensavo che se non ti avessero visto con me non avresti corso alcun pericolo, ma mi sbagliavo. In America scoprii la sua vera identità e mandai di fretta un messaggio ad Heiji, affinché lo tenesse d’occhio” le confidò Shinichi, assumendo un tono serio.
“Avresti potuto avvisare anche me però” gli ricordò la ragazza, rivolgendogli lo sguardo.
“Avevo paura che Richard ti spiasse... non potevo permettermi di metterti in ulteriori peric-”
“E bravo a Shinichi! Presto sarete in tre!”
 Fu nuovamente bloccato il detective, ma da una voce quasi infantile, gioiosa e divertita, che piombò alle spalle del giovane di Osaka, costringendolo a dimenarsi. Eisuke si poggiò sulle spalle dell’amico, per poi avvicinarsi a Shinichi e stringerlo in un abbraccio. Vide l’investigatore strabuzzare gli occhi, per poi sbattere continuamente le palpebre.
“Eisuke!” sbraitò la karateka, dallo sguardo infuocato.
“In tre?” domandò diretto Kudo, guardandolo interdetto. “Che vuoi dire?”
Eisuke indietreggiò, spalancando le palpebre. Vide Ran, alle spalle del ragazzo, svincolare le mani in tutte le direzioni, tentando di non farsi notare. Scuoteva il capo a destra e a sinistra, ma appena Shinichi le rivolgeva lo sguardo, si bloccava all’istante. Affianco a lui, Heiji tentava di mascherare una risata con una mano poggiata sugli occhi, che gli copriva buona parte del viso.
“N-no.. e-ecco e che.. i-intendevo..” balbettò, visibilmente impacciato. Poi scoppiò a ridere, rimuginando sulla situazione. Occorreva una scusa immediata, semplice ed efficace. Eppure era convinto che il ragazzo avesse ascoltato le parole di Kemerl. Lo avevano fatto loro, agenti della CIA, nascosti e distanti molti metri, come poteva non averlo fatto lui risultava strano. Molto strano.
“No dicevo... presto saremo in tre!” azzardò d’un tratto, strofinandosi il capo.
“Ma chi?” chiese Shinichi, stentando a seguirlo.
“Io, tu ed Heiji!”
“Io, tu ed Heiji?” domandò stranito il ragazzo, inarcando un sopracciglio.
“Sì! Formiamo una squadra formidabile, no!?” esclamò, sembrando di essere convincente, voltandosi verso il detective dell’ovest, che aveva ridotto i suoi occhi a piccole fessure.
“Sì, formidabile. Un detective, un poliziotto ed un agente segreto. Uno quasi morto, uno massacrato e l’altro in eterno ritardo. Formidabili, direi” lo schernì Kudo, assottigliando anch’egli le palpebre.
Eisuke gli si avvicinò sorridente, donandogli alcune pacche sulla spalla.
“Ma ce l’abbiamo fatta lo stesso! Adesso si deve festeggiare! Siete d’accordo?” chiese d’un tratto, cogliendo alla sprovvista gli interessati. Ran abbozzò un sorriso e si voltò a guardare Shinichi, che sembrò imitarla.
“Va bene,” gli riferì il ragazzo, sotto lo sguardo consenziente dell’amico Hattori. “In effetti si dovrebbe festeggiare...” continuò poi, con voce più dolce, osservando la giovane accanto a lui, che di colpo arrossì.
“Capito... chiamo Kazuha,” riferì loro Heiji, per poi incamminarsi verso il cancello d’entrata del magazzino. Eisuke decise di allontanarsi dai due, fingendosi impegnato con i suoi agenti per gli ultimi dettagli del caso.
“Shinichi...” lo chiamò con voce fievole Ran, assicurandosi di non essere ascoltata. Il giovane si voltò verso di lei, prendendole la mano, e cominciando a giocherellare con le sue dita.
“Devo parlarti...di una cosa importante.”
Il detective le sorrise, e si avvicinò a lei, donandole un bacio sulle labbra. Era come se fosse contento di ciò che stava per dirgli, nonostante ne ignorasse il contenuto. Continuò ad accarezzarle la bocca con la sua, mentre la ragazza si abbandonò al tocco morbido della sua pelle, e si strinse fra le sua braccia, socchiudendo gli occhi.
“Anche io.”
Le riferì con dolcezza, sorridendo. Si sentì morire in quell’abbraccio, si sentì rinascere, si sentì rivivere. Le sembrò che tutta la sua vita fosse nelle mani di Shinichi, che tutto ciò di cui avesse bisogno potesse trovarlo solo lì, fra quel calore e quel profumo. Un profumo che le possedeva il cervello, che si infilava in un pensiero, e non lo mollava mai.
 

************
 

“Vedi, Shinichi, io aspetto un bambino” dichiarò ad alta voce la Mouri, socchiudendo gli occhi e tirando su il diaframma. Si lasciò così andare ad un sospiro, per poi riaprire le palpebre. Le si parò davanti Kazuha che, con il dito indice in mostra, le fece segno di disapprovazione.
“No Ran è troppo diretto. Poverino, gli prenderà un colpo!” le suggerì l’amica, che storse il labbro, impuntando i pugni sui fianchi. “Cerca di essere almeno meno... impulsiva.”
“E come? C’è qualcuno dentro di me?” continuò Ran, simulando una smorfia di angoscia, di stress e d’ansia.
La karateka sbuffò e rivolse nuovamente il suo sguardo verso lo specchio della sua camera da letto, popolata da qualche ora dalla giovane del Kansai, e dall’ereditiera, che si affrettò a tornare nella stanza dopo aver fatto un piccolo spuntino in cucina.
“Posso riprendere la scena?” domandò ridacchiando, sorreggendosi allo stipite della porta.
“Sonoko? E’ una faccenda seria!” le ricordò la ragazza, lanciandole occhiate cupe e grottesche.
“Cosa c’è di più serio che riprendere Kudo che sviene?” continuò ancora la Suzuki, che si lasciò andare ad una risata fragorosa. “Già me lo immagino.”
Il suo riso contagiò Kazuha, che tentò di stringere le labbra per trattenersi dal solo pensiero della scena.
“Effettivamente sarebbe comico” ammise poi, rivolgendosi a Sonoko, che avanzò verso le amiche con un tramezzino tra le mani.
“Posso preparare la telecamera?” ribadì il concetto la ragazza, sghignazzando e avvicinandosi a Ran, che abbassò lo sguardo, incupendosi d’un tratto. Le due giovani lo notarono, e mentre si lanciavano occhiate titubanti, decisero di prenderle una mano, e sollevarle il volto.
“Ran scherzavo, lo sai vero?” cercò di rassicurarla l’amica, accarezzandole la spalla.
“Stiamo cercando di sdrammatizzare, ti vediamo troppo tesa” continuò poi Kazuha, raggiungendo la compagna, rivolgendosi agli occhi lucidi della karateka. “Non preoccuparti, vedrai che le parole ti verranno spontanee in quel momento.”
“Io... io ho paura... che lui non lo accetti” rivelò alle amiche, staccandosi dalla loro presa, e incamminandosi verso il letto, per poi sedersi su di esso. “Ho paura che dica che non è pronto, che non è il momento, che non riesce a sentirsi padre. Dopotutto è una cosa che ti sconvolge la vita, probabilmente lo capirei ma... ma io non so se sono capace di crescere un bambino da sola, e poi senza di lui che rappresenta l’aria che respiro? Ho paura di dirglielo perché ho paura di distruggere questa felicità che mi anima, il sogno di poter essere di nuovo la sua fidanzata, dopo tutto quel tempo passato lontani, dopo tutte quelle sofferenze.”
Sonoko e Kazuha la raggiunsero, adagiandosi anche loro sul materasso.
“Secondo me sono paure inutili Ran” le confidò l’ereditiera, rassicurante.
“E mi sorprende che tu abbia questi timori, non dovresti.”
“Perché lo pensi?” chiese l’amica, alzando lo sguardo verso quello della Suzuki, che abbozzò un sorriso.
“Perché...” cominciò la ragazza, per poi venire interrotta dall’amica di Osaka, che completò la sua frase, attirando l’interesse di Ran.
“Perché i suoi occhi diventano molto più profondi, quando ti guarda. Lo fa come se tu fossi l’unica donna al mondo, come se non desiderasse altro che tenerti vicino a lui. Lui non lo sa, ma il suo sguardo riesce a trasmettere tutte le sue emozioni, i suoi pensieri ed i suoi sentimenti. L’ho osservato parecchio, ed ho notato che gli succede solo nel fissare te. E credimi che lo ha fatto spessissimo.”
“Sembra estraniarsi dal mondo, sembra imbambolarsi come un bambino, sembra addirittura arrossire. Sotto sotto, Kudo è più tenero di quanto voglia far credere” continuò l’ereditiera sorridendo, riprendendo le redini del discorso.
“Credevo di averlo notato soltanto io, ma a quanto pare è più evidente di quanto pensassi.”
“Davvero dite?” chiese quasi stupita l’amica karateka, che guardava loro con occhi increduli.
Le due amiche annuirono, lasciandosi stringere in una stretta talmente bella e sincera, che bisbigliò loro tutto il bene che nutrivano l’una per l’altra. Il mondo sembrava meraviglioso.
 

************

 
Le goccioline d’acqua gli bagnavano la pelle ancora umida e fresca, il volto appariva rigenerato sebbene presentasse ancora qualche piccola contusione, gli occhi sembravano stanchi, ma pronti ad affrontare una serata di festa. Aveva il petto fasciato, e il viso coperto da qualche benda, così come i polsi e le dita. Sorreggeva un piccolo cofanetto cremisi, ed aveva lo sguardo perso nel piccolo e prezioso oggetto contenuto in esso, simbolo d’amore e d’eternità. Respirò profondamente, socchiudendo gli occhi.
“Hai intenzione di rimanere lì per tutta la serata?”
Lo ricondusse al concreto la voce sarcastica di Shiho, che continuava a fissarlo da un’infinità di minuti. Shinichi si girò di scatto, sorpreso e preso alla sprovvista, nascoste il pacchetto nella tasca dei jeans, mascherandosi con un risolino fin troppo finto.
“Pensavo” le rispose lui, cercando di rimanere vago e impassibile, nonostante fosse evidente il rossore sul suo viso.
“A come chiederglielo?” domandò diretta lei, riprendendo a fissarlo negli occhi.
Il detective abbassò il capo e sorrise imbarazzato, per poi rialzarlo e ricambiare il suo sguardo.
“Ma da quanto tempo mi stavi osservando?” le chiese, con una lieve sfumatura rossastra sul viso.
“Abbastanza da capire,” continuò lei, staccandosi dall’entrata e avvicinandosi a lui. “Ti sei deciso.”
L’investigatore si limitò ad annuire, evitando di guardarla. Quell’atmosfera intrisa di strane sensazioni, quanto spontanei sentimenti, cominciava a pesare più di un macigno, mentre il silenzio calava profondo nell’ambiente. Shinichi tornò ad osservarla, in piedi, nella sua camera, e finì col perdersi in quell’attimo. Fece per prendere fiato, ma la ragazza lo anticipò, bloccandolo in principio.
“Sono... felice... Sono felice per te” gli bisbigliò, con voce roca ma diretta, con cuore infranto ma funzionante.
“G...Grazie.”
“Oh ragazzi, ma che avete?” chiese d’un tratto la voce squillante di Heiji, rompendo l’aria malinconica che si era venuta a creare. “Guardate che stasera c’è una festa non un funerale!”
Shiho lo guardò maligna, guadagnandosi poi la stessa occhiata da parte dell’amico detective, che si avvicinò all’armadio della stanza per prendere una maglia da indossare.
“Ehi che ho detto?”
“Niente,”
“Ho interrotto qualcosa?” domandò sarcastico, guardando i due con aria furbetta.
“No, ma vedi di non interromperla stasera” gli rispose Shiho, osservando di striscio Shinichi, che gli ricambiò l’occhiolino. Heiji si fermò ad osservarli, riducendo poi gli occhi a fessure.
“Mmmm” mugugnò, riprendendo il tono scherzoso di prima. “Cosa sono questi sguardi complici? Eh?”
“Stiamo progettando un assassinio alle tue spalle” cercò di spegnergli l’entusiasmo Kudo, buttandosi sul ridere.
“Non è che ci hai ripensato?” domandò, rivolgendosi a Shinichi.  
“Sai com’è, non è mai troppo tardi nella vita” continuò a schernirli il ragazzo, guadagnandosi lo sguardo assassino della scienziata e seccato del migliore amico che, si fermarono ad osservarlo per qualche secondo, per poi fissarlo indemoniati.
“Hattori?”
“Sì?”
“Piantala.”
 
“SHINICHI? HEIJI?” li chiamò urlando una voce lontana, che si diffuse nelle stanze della villa dei Kudo, fino ad arrivare ai loro orecchi. Shinichi indossò velocemente una maglietta mentre Shiho ed Heiji si apprestarono ad accogliere i nuovi arrivati che sostavano nel salone di casa, in trepidante attesa della loro venuta.
“Stavamo un attimo sopra, potevate anche salire” li richiamò Hattori, per poi avvicinarsi alla sua Kazuha e stamparle un bacio sulle labbra che scatenò il sorriso dei presenti. Shiho finse un piccolo malore allo stomaco e si scusò con gli amici se fosse mancata alla serata, salutò i ragazzi e avanzò verso Ran, tesandole la mano. Le sue dita toccarono il ventre ancora piatto della ragazza che, al tocco delicato del palmo della mano, sussultò, e si ritrovò a scontrarsi con gli occhi azzurro ghiaccio della scienziata, che continuavano a fissare la sua pancia.
“Auguri per il piccolo” le disse dolcemente, sorridendo tristemente. “Congratulazioni.”
“G..grazie” rispose insicura, con voce titubante. “Ma tu come fai a saperlo?”
“Lo sanno tutti Ran...” continuò ancora, sorprendendola. “Tranne il padre. E Kogoro, immagino.”
“Eh,” riuscì a risponderle la karateka, leggermente in imbarazzo.
“Qua c’è chi si è portato la telecamera per riprendere la scena, chi la vuole mettere su internet. Io credo che ci serva un’ambulanza piuttosto,” continuò a rivelarle Ran, mettendosi a ridere. “Soprattutto per mio padre.”
“Nah,” si oppose Shiho, facendole l’occhiolino, e bisbigliandole: “la prenderà bene.”
Si soffermò un attimo, e la guardò ridendo. “Shinichi intendo. Tuo padre credo un po’ meno.”
Così si dileguò dall’ambiente, lasciando la ragazza sorridente e felice, e il resto della compagnia in festa. La karateka fece per salire le scale e raggiungere il detective, ma Heiji la bloccò, afferrandole un braccio.
“Ran come va? Tutto bene?” le chiese apprensivo e leggermente preoccupato.
“Sì, abbastanza. Perché me lo chiedi?”
“Il pugno di Richard... mica avrà fatto del male al bambino?” si sincerò ancora, causando l’interessamento della giovane.
“No, non penso, cioè... sono al primo mese, non dovrebbe aver fatto nessun danno in effetti. Almeno spero.”
Heiji la guardò per un po’, per poi lasciarla andare. Sorrise distrattamente, dandosi dello sciocco.
“E’ vero, hai ragione... e poi è un Kudo, è forte” le disse sereno, dandole uno spintone verso l’alto.
“Su su, vai dal tuo amore. Ti sta aspettando!” la schernì poi, mettendosi a ridere.
 
Ran sentì l’ansia salirle, il tremolio prenderle le gambe, il sudore farsi partecipe della pelle delle sue mani. Cominciava a risentire la paura attanagliarle il corpo, impedendole di muoversi e di parlare, così come se non potesse più farlo. Respirò profondamente, cercando di incoraggiarsi e di rasserenarsi, per quanto la cosa potesse risultare difficile e complicata. Avanzò ancora qualche passò e si ritrovò di fronte Shinichi, che si stava apprestando a raggiungere gli amici. Nonostante le fasce e le contusioni le appariva come il ragazzo più bello che potesse esserci sulla Terra, l’unico dal quale il suo cuore sembrava importarsene, il solo con cui desiderava nella sua vita. Si avvicinò a lui, e si perse nel suo splendente sorriso che si accese appena la vide arrivare dal fondo delle scale, dal rumore dei suoi amici. In quel momento sembrava tutto più silenzioso, tutto più intimo.
“Ciao piccola.”
“Ciao amore.”
I loro corpi si toccarono, le loro mani si intrecciarono, così come le loro bocche che finirono col scontrarsi e con l’adularsi, e le loro lingue che mostrarono d’avere fame dei loro respiri. Shinichi la staccò leggermente, per permettersi di guardarla appieno e godere della sua bellezza.
“Sai che ti vedo ogni giorno sempre più bella?”
La ragazza arrossì, ma tentò di mascherarlo, affondando il suo viso nell’incavo della sua spiaggia.
“Questo vuol dire che quando mi hai conosciuta ero un mostro?”
“No,... un mostriciattolo. Un bellissimo mostriciattolo.”
“A proposito di mostriciattoli,” tentò di inquadrare il discorso la ragazza, impacciata e tremante.
“Dovrei dirti una cosa.”
Il detective si distanziò, sorridendole e intimandole di zittirsi, facendo sbattere più volte il suo dito indice contro le labbra.
“Dopo di me, la mia è più importante.”
Le prese la mano e la trascinò verso il balcone della casa, che apriva la visione ad una bellissima Tokyo illuminata dalle luci delle strade, dei negozi, dei grattacieli. Ran rimase estasiata da quell’immagine così ammaliante, ma allo stesso tempo quotidiana. Quella era la sua Tokyo, la sua città, e lì aveva il suo fidanzato, nella sua casa. E il mondo non sembrava più meraviglioso, ma lo era davvero.
Sentì Shinichi fermarsi improvvisamente, e abbassare il capo, quasi per insicurezza. Sembrava strano, agitato, quasi tremante. Cominciò a preoccuparsi di aver potuto fare qualcosa che avesse potuto disturbarlo, ma fu bloccata dalla voce timida del giovane, che le suggerì di stare ad ascoltare.
“Senti Ran, io... io non sono bravo in questo genere di cose” cominciò lui, tentando di invano di evitare il contatto con i suoi occhi e di nascondere il rossore che invadente scoppiava sul suo viso. La giovane deglutì sorpresa, e un lampo di gioia le attraversò la mente. Per un po’ tornò razionale, dandosi dell’idiota e della sognatrice. No, non era possibile.
“Non sono per niente bravo, in realtà. Non saprei da dove cominciare né come continuare, sento le parole morirmi in bocca appena provo a dirle. So solo di aver pensato ad un probabile discorso da una quindicina di giorni ad oggi, e non ho trovato niente che potesse soddisfarmi” continuò ancora, mantenendole la mano, e accarezzandole la pelle.
 “Così mi sono detto che avrei trovato le parole in quel momento, che mi sarebbe venuto come la cosa più spontanea a questo mondo. Beh... non è propriamente così, ma intendo solo farti capire che non voglio vivere più neppure un solo giorno della mia vita lontano da te, e voglio svegliarmi con te accanto tutte le mattine che verranno, e addormentarmi col tuo respiro sulla spalla tutte le notti di questo mondo. Sai, tutti hanno una debolezza, ma io ne ho due: tutto quello che dici e tutto quello che fai... ma solo con te posso completare me stesso. Vuoi...”
“Shi...Shinichi...”
L’investigatore si abbassò, mettendosi in ginocchio. Portò le mani nel taschino, estraendone da esso un piccolo contenitore rosso, che aprì in un istante. Gli occhi di Ran si fermarono e luccicarono nel vedere il contenuto di questo, che brillava più di una stella in quella sera di fine estate. Shinichi aveva la mano tremolante, ma cercò di mantenere saldo l’anello, e tentò di racimolare tutta la voce che aveva per parlarle, e raccontarle in poche semplici parole tutto l’amore che provava.
“Vuoi sposarmi?”
La karateka sentì il cuore battergli all’impazzata, e il respiro divenire affannoso per l’emozione. Non riuscì a proferir parola per qualche secondo, causando la preoccupazione dell’investigatore, che si alzò all’in piedi, sbiancando quasi.
“Ran?” la chiamò, sentendo l’ansia crescere. “Dovresti rispondere.”
La karateka alzò il suo sguardo verso il suo, sentendo una lacrima splendente scendere lungo il suo viso e sbattere sulle sue labbra, che si incurvarono in un sorriso singhiozzante che presto si tramortì in un pianto di gioia.
“Sì! Sì... sì...” cominciò a ripetere in sequenza, emozionata. “Sì da tutti e due!”
Il giovane la strinse in un abbraccio e la baciò ripetutamente, senza fermarsi. Asciugò il viso bagnato con le sue labbra calde, finché arrestò la sua carica, distanziandosi di qualche centimetro, permettendosi di guardarla.
“...Da tutti e due?” chiese stupito, inarcando un sopracciglio.
“Sì!” rispose convinta la giovane, con un sorriso gioioso e sereno stampato sul viso.
“Tu..e...” non completò la frase, ma abbassò lo sguardo verso il ventre della ragazza, che gli prese una mano e la poggiò sopra, con sicurezza.
“...E lui” continuò la giovane, muovendo la sua mano sulla sua pancia.
Shinichi la guardò con occhi spalancati, per poi sorridere, e sentirsi l’uomo più felice sulla Terra, l’essere più fortunato dell’universo.
“Ti amo, ti amo, ti amo” le ripeté lui, abbracciandola e baciandole il capo.
“Ti amo, ti amo, ti amo” bisbigliò lei, lasciandosi stringere e accarezzandogli il viso.
Si resero conto che non importa quanto tempo sia passato, quanto siano cresciuti.
Quanto il mondo sia cambiato intorno a loro. Non importa se avevano passato troppi giorni della loro vita a farsi del male, troppi secondi dei loro giorni distanzi e divisi.
Capirono che ci sono persone, che quando le rivedi, tutto riprende dal momento esatto in cui si erano interrotte. E Shinichi e Ran erano quelle persone. E non si sarebbero mai più persi, mai più.

 
 
 

The End

 

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