Amori proibiti

di LadyBradamante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Marzia ***
Capitolo 2: *** Asia ***
Capitolo 3: *** Enea Decimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Marzia ***


Marzia si stava guardando allo specchio. Non le piaceva per niente ciò che vedeva. Era bassa e troppo magra, senza forme. Il suo viso aveva dei lineamenti marcati che venivano accentuati da un taglio di capelli assolutamente inadatto per il suo volto.  Amava vestirsi di nero, diceva che quel colore le stava benissimo poiché aveva occhi e capelli corvini.
Mentre si stava guardando e criticando le arrivò un sms: “Ti aspetto fra mezz’ora amore. Ale”. Si era completamente dimenticata che sarebbe dovuta andare da lui; tuttavia non si scompose per nulla, lei era già pronta, pertanto decise che non avrebbe utilizzato i mezzi per raggiungerlo, ma che avrebbe fatto una passeggiata. Gli rispose in modo freddo, com’era solita fare, con un semplice “ok”.
Amava pensare mentre camminava. I suoi pensieri  si rincorrevano come piccole farfalle bianche in un soleggiato giorno di primavera. Arrivò davanti a casa del suo ragazzo, suonò il campanello.
“Chi è?”
“Sono Marzia”
“Entra amore!”
Lei non lo chiamava quasi mai amore, forse perché non ne era innamorata. Percorse il vialetto alberato, salì i due gradini, si pulì i piedi su quell’orribile zerbino, alzò gli occhi e vide lui che la guardava sorridendo.
“Ma come sei bella oggi!”
“Grazie, tu hai una bella maglietta”
Lui sorrideva. La prese per mano, la tirò a sé e la baciò appassionatamente. Troppo appassionatamente. Marzia era profondamente irritata dal contatto fisico con Alessandro. Staccatasi da quella presa si lasciò andare sul divano bianco e lui si sedette accanto a lei. Gli occhi scuri di Marzia esaminavano il ragazzo di fronte a lei: era alto, biondo  con gli occhi castani. Niente di speciale, come nessun uomo del resto, ma almeno lui era gentile e sopportava il suo insufficiente coinvolgimento erotico. Era un ragazzo molto simpatico, la faceva ridere ed insieme scherzavano. Lei gli voleva molto bene, ma non credeva che fosse molto diverso dagli altri amici.
“Sa, dato che domani partiamo …”
“Eh?”  disse Marzia riemergendo dai suoi pensieri.
“Io e Simone partiamo, andiamo una settimana a Praga … Non ti ricordi?”
“Simone?”
“Ma Marzia! Simone è il ragazzo di tua sorella!”
“Ah, scusa … Sì, ora ricordo.”
“Ma stai bene?”
“Sì, sono solo un po’ stanca, tutto qui”
In quel momento sentirono la porta aprirsi. Marzia era già rivolta verso la porta, Alessandro invece si girò di scatto. Dalla porta entrò una ragazza bellissima. Era Morgana, la sorella di Alessandro. Morgana era statuaria ed aveva lunghissimi capelli ricci neri che accompagnavano ogni suo sinuosissimo movimento. Gli occhi verdi e grandi di Morgana si posarono su Marzia.
“Cognatina! Come stai?”
“Bene, tu?” Morgana baciò Marzia, che diventò rossa, sulle guance.
“Bene- disse sorridendo- ora vado in camera mia e così non vi disturbo.”
Detto ciò salì la scala che divideva la zona giorno dalla zona notte. Marzia la seguì con lo sguardo e respirò il profumo che il passaggio di Morgana  aveva lasciato.
“Beh, dicevo- proseguì Alessandro – visto che domani partiamo volevo salutarti.”
Marzia si protese in avanti e gli diede un bacio stampo e le scivolò il cellulare di tasca.
Dopo aver parlato un po’ ed essersi salutati Marzia uscì di casa e fece il percorso a ritroso. Arrivata a casa si accorse di non avere il cellulare e così, dato che non ricordava a memoria il numero di casa del suo fidanzato, cercò quello di casa sulla guida telefonica, digitò il numero sul telefono fisso ed attese.
“Pronto?” La voce era di donne ed era cristallina. Marzia la riconobbe, era Morgana.
“S-sono Marzia” disse spiazzata ed imbarazzata la ragazza.
“Oh, ciao tesoro, dimmi. ”
“Ehm … Credo di aver dimenticato da qualche parte il mio cellulare.”
“Aspetta che controllo”
Passarono alcuni secondi.
“Eccomi, sì, era dietro al cuscino del divano”
“Ah, grazie!”
“Vuoi che te lo porti Ale ?”
“No, no…  Se c’è qualcuno vengo a prenderlo io domani.”
“A che ora?”
“Nel pomeriggio”
“Io sono a casa.” Marzia trattenne un secondo il respiro e si chiese perché doveva essere così imbarazzata di parlare con Morgana.
“Allora passo intorno alle 15.30”
“Va benissimo a domani, ciao!”
“Ciao!”
Marzia riattaccò la cornetta e si rese conto che aveva le mani fredde, cose che succedeva solo quando era agitata, ma non ci volle prestare troppa attenzione. Attraverso il vetro della camera d letto vide che sua sorella Asia era in casa, ma decise di non disturbarla. Ultimamente era molto stressata.  

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Capitolo 2
*** Asia ***


Asia si mordeva  le dita e fissando lo schermo del computer. Il vuoto.  Scrivere poesie l’aveva sempre aiutata  ad incanalare le sue emozioni,  che, essendo fondamentalmente timida, si vergognava di confidarle a qualcuno, anche con la sua migliore amica Elisa. Nell’ultimo periodo, però, aveva proprio perso l’ispirazione e ciò la faceva stare male. Sentiva un peso immane dentro al suo stomaco e non riusciva a liberarsene.
Fin da quando era piccola soffriva di forme d’ansia: fino all’età di otto anni aveva dormito poco di notte e fino all’età di quattordici anni si era mangiata le unghie. Poi, la svolta. Scoprì la poesia. Questa passione era mille milioni di volte più efficace di qualsiasi smalto amaro. Tutte le volte che si sentiva male scriveva e il peso che la opprimeva si alleviava sempre di più. Ultimamente, però, aveva un blocco: non riusciva più a scrivere, non riusciva più ad esprimere le sue emozioni perché non sapeva classificarle. Aveva ripreso a tormentarsi le mani,  non mangiandosi le unghie, ma mordendosi la pellicina intorno a queste.
Dopo vari vani tentativi  decise di lasciar perdere. Era tutto inutile. Non riusciva a scrivere nulla che le sembrasse vagamente accettabile.  Le parole le apparivano fredde, non veritiere, inutili, banali.
Mentre si stava tormentando le mani sentì la chiave girare nella toppa, guardò l’ora e capì che non poteva essere che sua sorella: i suoi genitori sarebbero rientrati più tardi.
Vide che Marzia accese la luce in corridoio e sperò vivamente che non entrasse a salutarla. Voleva stare sola. La sentì prima cercare la guida telefonica, poi parlare al telefono ed infine riattaccare. Attraverso il vetro la vide indugiare per qualche istante davanti alla sua porta e, ancora una volta, sperò che non entrasse. Si sentì molto sollevata quando la vide passare oltre. Probabilmente era entrata in camera sua.
 
***
 
Marzia entrò nella sua camera da letto e si distese sul letto supina con l’immagine di Morgana negli occhi. Non riusciva a pensare a null’altro se non alla grazia ed alla sinuosità dei movimenti della ragazza, a quei capelli neri, ricci e meravigliosi che, insieme ai voulants della blusa accompagnavano la sua camminata, alla scia di profumo che permaneva al suo passaggio ed a come sarebbe stato sfiorare con i suoi polpastrelli quelle labbra disegnate. Si era molte volte interrogata chiedendosi se le piacessero le donne, ma non aveva mai trovato una risposta. Sfinita da quei pensieri, ad un certo punto, non si ricordò bene come,  chiuse gli occhi e si addormentò.
 
***
 
Ad Asia squillò il cellulare. Era Simone, il suo ragazzo.
“Ciao amore! Come va?”
“Ciao piccola, io sto bene … E tu?”
“Mah, i soliti problemi … Sai che ultimamente non riesco a scrivere …”
“Ah, sì, me l’hai detto. Vedrai che tra poco si risolverà … Comunque, parlando di cose serie …”
Ecco. Secondo Simone non era una cosa seria il fatto che lei non riuscisse a scrivere.
“Ma per me è una cosa seria.”
“Massì, Asi, ci sono cose peggiori nella vita. Non preoccuparti … Comunque …”
Lui liquidava sempre così i suoi problemi, ormai ci aveva fatto l’abitudine.
“Domani- riprese- io e Ale partiamo”
“Sì, lo so! Ci siamo anche già salutati ieri”
“Sì, volevo solo chiederti se vuoi che torni questa sera.”
“No, non c’è bisogno tesoro.”
Asia, ogni volta che gli parlava aveva la riconferma di cosa lui provasse per lei: lui ci provava davvero ad essere un fidanzato attento ai suoi bisogni, ma il problema era che lui prestava attenzione solamente ai problemi che credeva che Asia avesse, non a quelli che, in realtà, la tormentavano.
“Sicura?”
“Sì.” Rispose sorridendo.
“Allora ciao amore, ti chiamo domani.”
“Va bene tesoro mio. Buon viaggio.”
Non era una coppia che amava le smancerie, ne’ in pubblico ne’ in privato: si volevano molto bene ed erano molto affezionati, ma entrambi odiavano fare “i piccioncini”.
Asia era molto contenta per il fatto che lui ed il ragazzo di sua sorella fossero amici, non sapeva perché ma questa cosa la faceva sentire tranquilla.
Guardò l’ora e vide che erano le 19.00, i suoi genitori sarebbero rientrati di lì a poco, così decise di andare in cucina e preparare qualcosa per cena. Preparò  la tavola e mise la piastra per cuocere le bistecche a scaldare e andò a chiamare sua sorella. Bussò alla porta, ma non ricevette risposta. Bussò un’altra volta e sentì la voce impastata della sorella.
“Che c’è?”
“Puoi venire ad aiutarmi?”
“A fare cosa?”
“Cena.”
“Cena?! Ma che ore sono?”
“Sono quasi le 19, 30”
“Arrivo subito.”
Marzia uscì dalla porta, era molto spettinata.
“Hai dormito dove c’è il vento?”
“Eh?”
“Ho chiesto se hai dormito dove c’è il vento che ti ha spettinata.”
“Spiritosa! Tu, piuttosto, smettila di mangiarti le unghie!”
“Non mi mangio le unghie- replicò indispettita Asia – io …”
“… Mi mangio le pellicine” concluse sarcastica Marzia.
Asia le lanciò un’occhiata indispettita e la sorella che, per tutta risposta, le sorrise.
“Guarda che lo dico per te, ti verrà un’infezione. Dai, ora andiamo in cucina.”
Ad Asia non piaceva per niente che qualcuno le dicesse qualcosa contro le sue manie perché era molto permalosa, ma adorava sentirsi amata. Era una ragazza piena di contraddizioni, la classica persona che vorrebbe qualcosa,ma che, autonomamente, si convince di non poter averla e così soffre.
Marzia, mentre Asia si occupava delle bistecche,  mise gli spinaci in padella con un goccio d’olio e raccontò ad Asia di aver lasciato il cellulare a casa di Alessandro.
“La solita stordita” disse Asia sorridendo.
Arrivarono a casa i genitori. Il padre baciò le figlie sulla fronte e la madre sulle guance. Si sedettero a tavola ed il padre, come d’abitudine, accese la televisione per sentire il telegiornale.
“Ragazzo omosessuale picchiato e deriso in una scuola a Brescia …” diceva la giornalista.
La madre stava portando a tavola i piatti che le sorelle avevano preparato.
“Hanno fatto bene, ma dovevano picchiarlo più forte!” esordì il padre.
“Ma dai, smettila, sono persone malate” disse la madre.
Erano cresciute in una famiglia omofoba, con una fortissima fede Cattolica. Asia mostrava indifferenza riguardo questo tema, ma dentro di sé sapeva che i suoi genitori sbagliavano, solo che non voleva esternare il suo pensiero per paura di generare una discussione interminabile.  Guardò la sorella. Una volta ne avevano parlato e Marzia le aveva confidato che vedeva l’atto omosessuale come un amore proibito.
Tutte stupidaggini che le hanno messo in testa mamma e papà, aveva pensato Asia senza dire nulla.
Suonò il cellulare, rispose.
“Pronto Asi, sono Eli con il telefono di mia mamma.”
“Il numero di tua madre ce l’ho registrato: sono più le volte che mi chiami con il suo che con il tuo!”
“Ahahah. Senti, domani entro alla terza ora. Devo andare a fare il prelievo del sangue e poi ho il controllo dalla dermatologa.”
“Va bene, non preoccuparti, lo dico io ai professori. Bacini, a domani.”
“A domani.”
“Chi era? Lo sai che non voglio che tu risponda al telefono mentre mangiamo.”
“Lo so. Scusa. Era Elisa.”
“Ah, quell’Elisa – disse il padre con tono di disprezzo - Non è che è un po’ ‘strana’?”
“Strana?”
“Lesbica.”
“No, difendere i diritti degli omosessuali non vuol dire esserlo.”
“Sarà, comunque non mi piace tanto che tu la frequenti …”
Asia lo guardò con un’ espressione vacua e non gli rispose. La cena finì intorno alle 20.40 e le due sorelle andarono nelle rispettive camere.
Asia riprese il computer e provò a scrivere qualcosa, ma non ci riusciva.
“Domani  gliene parlerò”  sentenziò. 
Era molto tempo che voleva esternare quel problema con qualcuno, ci aveva provato con i suoi genitori e con il suo fidanzato, ma  non avevano  preso in considerazione il suo problema perché per loro non era affatto un problema.
 L’unico in cui confidava era il suo professore di letteratura italiana, un uomo duro a primo impatto, ma gentile e sensibile se lo si conosceva.  Non sapeva perché, ma quell’uomo le ispirava fiducia. Erano davvero in pochi a sapere che Asia scrivesse poesie, persone che la conoscevano da anni ignoravano ciò, però a lui l’aveva detto quasi subito e lui si era dimostrato estremamente interessato.  Lui l’avrebbe ascoltata sicuramente e sapeva che l’avrebbe aiutata; Asia, tuttavia, si vergognava moltissimo. 
Enea Decimo, il suo professore,  pur essendo un uomo estremamente umile. era dotato di un formidabile orizzonte culturale. Asia ne era affascinata e spesso restava senza parole dinnanzi alla sua intelligenza; sebbene fosse dotata di un’ottima parlantina, tutte le volte che doveva rivolgergli la parola si imbarazzava incredibilmente e faceva terribili errori di sintassi inserendo improbabili anacoluti nel discorso.
Si stava agitando. Quando si agitava le sudavano le mani, caratteristica comune con sua sorella.
Prese la passiflora ed iniziò a fare respiri profondi. Erano le 22.00 e poco dopo decise di andare a dormire.
 
***
Marzia era entrata in camera ed aveva riflettuto sul disprezzo con il quale il padre aveva detto la parola “lesbica.”. No, lei non era lesbica. Una lesbica è malata e lei stava benissimo. Era in ottima salute e non era sicuramente pazza, quindi non poteva essere lesbica. Ma una lesbica è malata? Boh. I suoi genitori e gran parte delle persone dicevano di sì. Però altri, come sua sorella, non si erano mai espressi a riguardo- pensava Marzia – ed altri ancora dicono che l’omosessualità sia una cosa normale. Lei non lo sapeva proprio. Sapeva solo di non essere malata.
 
***
 
 
Il giorno seguente Asia si svegliò determinata, si vestì e prese il pullman per andare a scuola insieme a sua sorella. Durante il viaggio pensava al professor Decimo. Che cosa le avrebbe detto? L’avrebbe presa per una stupida? Ma no, lui è una persona così gentile-pensava subito dopo-  e quindi anche se gli sembrerò stupida non me lo farà notare … Ma io non voglio sembrargli stupida!
“Smettila subito di tormentarti le mani.” Disse sua sorella con tono di voce secco.
Asia mise giù le mani, nessuna disse più nulla per tutto il resto del tragitto.
 
Arrivata a scuola salutò i compagni e si sedette. Era tesa e taciturna. Aspettò in silenzio che entrasse la professoressa Franchi.  La prima ora c’era latino e lei non fece altro che mordersi le dita per non mangiarsi le unghie. Ascoltava con gran fatica sentir deturpare un poeta straordinario come Lucrezio da una donna che non trasmetteva nemmeno un briciolo di passione.
La seconda ora entrò il professor Decimo. Lui la vide preoccupata e le lanciò uno sguardo interrogativo, lei fece un impercettibile cenno con il capo come se volesse rassicurarlo. La lezione era particolarmente interessante, Decimo spiegava Ariosto, un poeta che Asia apprezzava moltissimo.  Asia seguiva ogni sua minima parola ed ogni sua più impercettibile mossa: era ipnotizzata dalla cultura che quell’uomo trasudava, dalla passione con la quale spiegava e dall’intelligenza superiore che incarnava. Asia adorava osservarlo mentre gesticolava, si infilava e sfilava quegli occhiali spessissimi dalla montatura a lente libera. Più lui parlava, più lei si convinceva che non avrebbe potuto scegliere una persona migliore a cui esporre il suo problema.
Finita la lezione Asia sgusciò tra i banchi e lo raggiunse mentre se ne stava andando:
“Professore! Mi scusi …”
“Mi dica signorina” quell’abitudine di dare del “lei” che lui considerava un segno di rispetto metteva Asia estremamente a disagio.
“Mi scusi se la disturbo, se ha tempo volevo chiederle una cosa …”
“Certo che ho tempo e  la ascolto molto volentieri”
Asia vide arrivare Elisa che la guardava con un’espressione stupita e sorridente al contempo. Il professore si girò e la salutò, Elisa ricambiò il saluto ed entrò in classe.
“Scusi l’interruzione- disse Decimo scusandosi come se fosse colpa sua- prego, mi dica …”
Asia sentiva una morsa allo stomaco, ma prese il coraggio a due mani e tutto d’un fiato gli disse: “Io, ultimamente, non riesco più a scrivere poesie, è come se …” Ecco che non riusciva ad esprimersi, si stava sentendo inferiore e stupida e ciò la rendeva incapace di formulare un discorso sviluppando un pensiero complesso.
Gli occhi scuri e profondi del professore la guardavano attraverso occhiali. Asia, quando lui la guardava così, si sentiva nuda, credeva che lui le potesse vedere dentro. Probabilmente lui si accorse del disagio che la ragazza stava provando e così le disse: “ Lei lo sa, scrivo anche io ed ultimamente ho delle difficoltà a comporre poesie …”  Lui si interruppe un secondo e così Asia lo incalzò: “Sì, ma …” Lui la guardò teneramente e le chiese: “Lei è mai stata a pescare?”
“No”
“Sa, i pescatori  dicono che quando il filo da pesca si annoda irrimediabilmente sia impossibile slegarlo con le mani e che bisogna lasciarlo in acqua. Le onde del mare, dicono, accarezzandolo, a poco a poco lo scioglieranno.”
 Dette queste parole, che ad Asia sembrarono estremamente poetiche e delicate, sorrise e si congedò.
 

 
  

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Capitolo 3
*** Enea Decimo ***


Il professore guardò Asia entrare in classe e sul volto gli comparve un sorriso. Considerò il fatto che sorrideva poco e fu ancor più pieno di gratitudine. Gratitudine. Pensava spesso al senso di gratitudine, nello specifico al peso che questo aveva nel rapporto tra lui e la sua alunna: lei provava senso di gratitudine nei suoi confronti perché aveva qualcuno con cui confidarsi e lui nei confronti di Asia perché lei gli apriva il suo cuore. Nessuno gli apriva il cuore, nemmeno sua moglie. Enea sapeva di poter apparire duro a primo impatto, ma si stupiva del fatto che sua moglie, dopo cinque anni di matrimonio, non fosse davvero se stessa con lui.
Mentre pensava a queste cose percorreva il corridoio della scuola per  raggiungere le scale.
 
“Enea!” lo salutò una voce maschile cordiale.
“Eugenio, come stai?”
“Bene, grazie. Hai già corretto i compiti di latino in parallelo?”
Enea fu preso dal panico per un istante. Per correggere le verifiche impiegava un’eternità di tempo e, in quel momento, si sentì a disagio, inadeguato.
“No- riprese rivolto al suo collega- mi dispiace.”
“Non preoccuparti- disse l’altro professore comprendendo il suo imbarazzo- le confronteremo la prossima settimana.” Conclusa questa frase Eugenio Verale sorrise amabilmente.
“Grazie per la comprensione. Tutto bene?”
“Sì, grazie. Tu? Ultimamente ti ho visto pensieroso …”
“Ho un po’ di problemi.”
“Di che genere?” Chiese preoccupato l’altro professore.
“Personali- rispose Enea tagliando corto- anzi, se non ti spiace devo andare, mia moglie mi aspetta.”
“Va bene, ci vediamo domani.”
“Sì, certo. A domani!”
 
Enea si sentiva davvero a disagio quando gli venivano poste delle domande personali, preferiva mantenere un rapporto distaccato con le persone. Non voleva che gli entrassero nel cuore e non voleva che nessuno gli entrasse nel cuore anche se qualcuno ci era riuscito.
Aprì la porta a fatica e scese le scale con il suo solito passo lento e stanco.
C’era una sorta di malinconia in lui: nel suo modo di parlare, nel suo modo di muoversi, ma soprattutto nel suo sguardo.  Aveva molto sofferto nella sua vita e stava continuando a soffrire.
Arrivò nel cortile della scuola. Tutto era deserto. Uscì dal portone d’ingresso e vide sua moglie con sua figlia.
 
“Papà, papà!” disse la bambina correndogli incontro.
“Amore mio!” Enea la prese in braccio e l’abbracciò stretta dandole una bacio.
Fece scendere la bambina e la prese per mano. Attraversò la strada e andò verso la moglie.
“Marta” Lui si protese per darle un  bacio sulle labbra, lei gli porse la guancia rispondendo al saluto.
Era un po’ di tempo che con sua moglie andava male, ma lui non sapeva darsi una spiegazione.
Forse era un momento, forse era per via della bambina, forse non si amavano più.
 

 
 
  

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