Raccolta di favole per riflettere

di SoloDolo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cane del signor Nelson ***
Capitolo 2: *** Davide ***



Capitolo 1
*** Il cane del signor Nelson ***


Un giorno, il cane del signor Nelson esplose.
Harry, un beagle di dieci anni che il signor Nelson aveva adottato dal canile comunale di una piccola cittadina scozzese, scoppiò nel salotto mentre abbaiava al padrone per segnalargli che aveva fame.
Il signor Nelson, che leggeva il giornale, sobbalzò sulla poltrona.
Il sangue di Harry schizzò su tutte le pareti, sul’intonaco ocra, sui mobili pregiati d’ebano, i suoi organi si riversarono per tutto il pavimento, sul tappeto indiano, sul parquet. Le sue zampe schizzarono agli angoli della stanza, la sua testa volteggiò per qualche secondo in aria per poi fracassarsi contro il lampadario e piombare fragorosamente a terra. L’espressione del suo muso era ancora quello dell’Harry affamato di pochi secondi prima, tanto da non fare impressione, ma simpatia.
Il signor Nelson decise di non muoversi dalla poltrona per un minuto, e così fece: le mani sui braccioli, aveva teso le orecchie in modo da sentire qualsiasi altro rumore proveniente dalla sala, ma non ne seguirono. Respirava pesantemente, cercando di frenare qualsiasi sussulto. Poi, lentamente, tremando -già aveva il Parkinson, ma non era questo il caso- si fece forza e si prostrò alla destra dello schienale per poter vedere quello che era successo.
A prima vista, tutto ciò che riuscì a distinguere furono le chiazze di sangue sulla parete, e allora non gli venne in mente del cane. Provò un forte senso di paura. Pensò che qualcuno fosse stato ucciso in casa sua. Deglutì, prese due secondi per prepararsi e per sentire se c’era qualcuno in sala, poi scattò, corse fino alla porta, la aprì e si recò correndo come un folle dai vicini, chiedendogli di chiamare la polizia.
La polizia venne a comunicargli cos’era successo mentre era ancora rintanato nella cucina dei vicini. Avevano già raccolto tutti i pezzi di Harry e li avevano chiusi in dei sacchetti.
Quando il signor Nelson venne a sapere l’accaduto, si rammaricò in cuor suo. Il primo pensiero era “meglio un cane che un uomo”, ma preferiva scacciarlo, gli dava fastidio pensarci. Così si rattristò della morte del cane come della perdita di un vecchio amico, e niente più. Non si chiuse nel suo dolore, né visse passivamente il lutto di Harry. Insomma, la reazione che desiderava.
Le prime ipotesi furono di tentato omicidio. L’ipotesi più banale era che qualcuno avesse in qualche modo fatto ingoiare una bomba al cane per far saltare in aria anche il padrone. Questa prospettiva fece riflettere il signor Nelson a lungo. Si interrogò, se avesse dei nemici, o se ne fosse creati durante il lavoro come giornalista. Pensò a quei politici sui quali aveva scritto con spirito critico e con severità, ma arrivò alla conclusione che nessuno dei suoi articoli aveva fatto abbastanza scalpore da farli indignare a tal punto da volerlo morto. Povero Harry, strumentalizzato da un assassino.
Dopo qualche mese il caso fu ripreso in analisi; alcuni investigatori dimostrarono l’inconsistenza dell’ipotesi basandosi su delle prove molto schiette: l’esplosione era stata talmente contenuta che non sarebbe riuscita ad uccidere anche il padrone. Assassini inesperti? Difficile che avessero usato questo mezzo. Si pensò quindi a Harry come la vittima designata. Anche pensandoci e ripensandoci, il signor Nelson non si riuscì a spiegare chi avrebbe potuto voler assassinare il suo cane. Dopotutto, era educato; un po’ chiassoso forse, ma educato. Non dava fastidio ai vicini, non aveva mai fatto i propri bisogni senza che il padrone non li avesse raccolti, e non andava in giro a minacciare gatti o a sedurre piccole cagnette. Povero Harry, vittima innocente di un assassino.
Il caso fu riaperto un’ultima volta quattro anni dopo: non era stata presa in considerazione la prova più banale, ossia che non c’era traccia dell’esplosione di un ordigno. Il cane non era esploso per colpa di una bomba.
Il signor Nelson era morto da un anno, quando fu analizzata quest’ultima situazione, così l’indagine andò affievolendosi fino a spegnersi. Gli investigatori archiviarono definitivamente il caso giudicandolo irrisolvibile. La cartella fu sepolta in una gigantesca libreria di ferro stipata in questura.
La verità, cari lettori, è che il cane non era stato fatto esplodere, ma era esploso da sé. Povero Harry, suicida animale! Ma perché l’aveva fatto? Probabilmente per divertirsi un po’ alle spalle della gente, per sghignazzare in segreto della stupidità umana. Ma non possiamo essere completamente sicuri del perché; dopotutto, era solo un cane. 

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Capitolo 2
*** Davide ***


Davide abbassa la sigaretta e sputa fuori il fumo velocemente, prima di dimenticare ciò che vuole dirmi.
-E poi, guarda là- e mi indica un gruppo di ragazzi di dodici, tredici anni -ti sembra che dei ragazzi di quell’età si mettano lì a fumare? Dico, cazzo! Io a quell’età a quest’ora ero a casa a prendere scapaccioni da mio padre. Ci pensi come cresceranno? Eh?
Uno dei ragazzini inizia a tossire dopo una fumata -Guarda che schifo. Ridicolo. Penoso- e dicendo questo, inspira un altro po’ di tabacco, gustandoselo ad occhi chiusi.
-Lo sai di cosa è colpa? Di questa società del cazzo. Qual è diventato l’obiettivo dei giovani, quelli che vedi lì, ma anche della nostra età? Anzi, soprattutto della nostra età? E’ diventato, in ordine: fumare, scopare, ballare. Che schifo. Tutti i sabati sera fuori, con le amichette troiette, e giù a strusciarsi tra di loro come dei cazzo di cani quando si annusano il culo.
Lo guardo, e non posso fare altro che annuire silenziosamente, contemplando il getto di fumo che lento si espande nell’aria.
-La moda. Questa è la moda. Bella merda. Tutti ad ascoltare le stesse canzoni, quei cazzo di rapper, tutti a vestirsi allo stesso modo.
Quest’ultima frase mi distrae. Lo osservo per un attimo: è davvero vestito malissimo, come a suo solito. Come fa ad essere uno dei ragazzi più gettonati, ancora non lo so. Evidentemente se ne accorge, perché si sistema infastidito.
-Hai visto? Hai visto la mia maglietta? Come ti sembra?
-Brutta.
-Bruttissima! E ne vado fiero! Spero soltanto che la gente si risvegli, che guardi in faccia, oltre che ai vestiti.
Dicendo questo, dà l’ultimo tiro e sfrega la sigaretta contro il marmo delle scale sulle quali siamo seduti. Guardo per qualche istante le scintille sfavillare nell’aria. Quando mi volto, lui ne ha già tirato fuori un’altra.
-Vedi, il mondo sta andando a puttane. Si pensa che tutto stia nell’avere stile, nell’avere reputazione, nessuno promuove più l’arte, o il sapere… Per non parlare di quella troiata di facebook. E’ diventato un letamaio. Gente che scrive stati solo per farsi vedere, mi piace che fioccano come seghe agli happy hour! Invece le fighe non scrivono mai niente, perché sono le amiche o gli amici  che ci devono scrivere sopra roba tipo “sei bellissima” oppure “carica di brutto per domani!”. Si credono semidee, non so. So solo che è davvero triste.
I nostri occhi si incrociano per un secondo. Lo fisso due secondi, prima di aprire la bocca.
-Vedi Davide, non credo ad una singola parola di quello che hai detto.
Lui rimane pietrificato.
-Mi spiego: hai detto così tante cazzate ipocrite che non sono riuscito a starti dietro. Non ti accorgi che anche te, criticano il sistema, fai parte del sistema. Solo che è questo, il nuovo genere di “figo” che sta nascendo. Quello alternativo, quello misterioso, che va contro tutti e tutte. Ma chi ti credi di essere? Tu non hai più diritto di quei ragazzi di fumarti una sigaretta, e, in tutta franchezza, della bruttissima maglia che indossi non me ne frega un cazzo, perché la indossi con una tale ipocrisia da rendermela insopportabile. E ti consiglio di smetterla di dire cazzate su chi condivide roba su facebook, dal momento che anche te sei su facebook. In una parola, sei un cretino.
Mi alzo in piedi, lui ancora mi fissa sbalordito.
Gli strappo di mano la sigaretta e butto dentro tutto quello che posso, poi la getto sotto le scarpe, calpestandola.
-Ci vediamo domani.

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