Superbia e presunzione di Camelia Jay (/viewuser.php?uid=78849)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***
Capitolo 5: *** Classifica ***
Capitolo 6: *** Quattro ***
Capitolo 7: *** Cinque ***
Capitolo 8: *** Quel che volete ***
Capitolo 9: *** Sei ***
Capitolo 10: *** Sette ***
Capitolo 11: *** Otto ***
Capitolo 12: *** Odi et amo ***
Capitolo 13: *** Nove ***
Capitolo 14: *** Dieci ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Si ringrazia ThePoisonofPrimula per avermi suggerito l'immagine
e per i vari consigli :D
Prologo
Caro diario…
Bah, è inutile parlare con te; Oscar Wilde diceva di preferir parlare con i muri alle persone perché almeno loro non lo contraddicevano mai, ma io sento ora, per la prima volta nella mia vita, di aver proprio bisogno di qualcuno che lo faccia. Diario, voglio essere contraddetta, d’ora in poi. Ma tu ovviamente non puoi capire. Sei solo un quaderno, non possiedi nemmeno un neurone, cosa pretendevo?
Non avrò, per molto tempo, più occasione di scriverti, diario, perciò preparati alla polvere.
Vedi, caro diario, è da sedici anni che il mio cuore batte, ma oggi ho sentito quel "bum bum" che mi ha fatto pensare che fosse la prima volta.
Quest’estate sono molto impegnata.
Nicole
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Tre mesi prima.
L’orologio appeso al muro della sua stanza scoccò l’una di notte.
Nicole non si accorse nemmeno che era così tardi, nonostante già da più di un’ora sentisse le palpebre cadenti, la concentrazione scemare, il sonno impossessarsi di lei…
Tornò in sé. No, no, devo finire di studiare.
Alle nove si era infilata nel suo pigiama rosa, si era chiusa in camera e fino alle undici aveva studiato in pace, alla scrivania. Poi sua madre l’aveva rimproverata perché era troppo tardi, allora si era ingegnata: aveva spento la luce, si era infilata sotto le coperte e, rannicchiata e con una torcia accesa in mano, aveva continuato, segretamente.
Avendo già studiato per tutto il pomeriggio e i giorni precedenti, era chiaro che ormai la lezione la sapesse a memoria. Forse meglio del professore. Ma non importava, perché il giorno dopo l’aspettava il compito di storia. Era suo dovere studiare a fondo, soprattutto per se stessa, ma anche per i suoi poveri compagni. Li avrebbe aiutati, con informazioni, bigliettini e scopiazzature – il professore si fidava troppo di lei per sospettarla, e un anno da leccapiedi le era servito a qualcosa.
Che idiota, disse mentalmente Nicole.
Già si immaginava gli innumerevoli “Grazie” e “Non so come avrei fatto senza di te” dei compagni.
Una piccola dimostrazione della sua grandezza.
Era Nicole.
Era la più intelligente, la più falsa, una gatta sinuosa che faceva le fusa con tutti, mostrava le unghie a pochi, non faceva scorgere la lucentezza dei suoi occhi a nessuno.
Nicole era la ragazza che studiava, che faceva dell’egoistico bene, era la ragazza che all’una di notte si addormentava sul libro di storia dopo una stancante giornata di stress.
Nicole poteva tutto, se voleva. Con tutti.
Quasi.
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Jade's place:
capitolo breve, ma è solo il prologo. Se volete capitoli più lunghi dei prossimi che posterò, basterà dirlo =) la pagina di diario messa sopra in realtà c'entra poco con la storia, perché è solo l'EPILOGO. Quindi, avrete chiarimenti su quello schizzo lassù in alto alla fine ^^' =)
Spero vi sia piaciuto, e per finire... va be', le recensioni sono gradite, ovviamente - soprattutto critiche, perché ne ho un gran bisogno. Mi sento ancora una principiante =)
Fate un salto qui, inoltre, sei vi va: Rebirthing Now - è sempre una mia storia ;D un po' meno commedia di questa, ma c'è sempre il mio marchio sopra :)
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Capitolo 2 *** Uno ***
Uno
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"Dolce è la vendetta,
Specialmente per le donne."
George Gordon Byron
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Nicole, di animo sereno benché leggermente delusa, stava rimettendo a posto dei libri nell’armadietto.
Sbadigliò.
Al compito di storia di pochi giorni prima aveva preso una misera A-. Insomma, in storia non aveva mai preso meno di A! Quel piccolo trattino stonava con tutti gli altri bei voti di storia della sua carriera scolastica. Per un certo verso, era infuriata. Ma per l’altro, era sicura che stavolta fosse riuscita ad aiutare i suoi compagni molto di più che nei precedenti compiti.
Sussultò per lo spavento quando qualcuno, da dietro, le buttò le braccia al collo.
«Oh, scusami Nicole, ti ho spaventata?» disse una voce familiare, squillante, acuta.
Nicole si voltò, incurvando le labbra in un sorriso. «Ciao Jane! No, solo un pochino, non ti preoccupare.»
Jane era sempre stata una ragazza che non spiccava in intelligenza. In particolare, aveva la memoria di un pesce rosso. Ciò non le permetteva di studiare storia e avere dei gran risultati, mai. Sembrava particolarmente entusiasta quella mattina. Non stava ferma, saltellava sulle gambe mingherline come una molla. «Nicole, devo ringraziarti davvero di cuore. Oggi, quando il professore ci ha consegnato i compiti di storia, credo di essermi commossa. Sai quant’ho preso, grazie al tuo aiuto? B+! Non posso davvero crederci.»
Nicole scoprì i denti smaglianti in un sorriso ancor più largo. «Ma figurati. Per me è stato un vero piacere. Avevo studiato, e aiutare anche gli altri oltre che me stessa mi pareva il minimo.»
Jane era già di per sé di natura abbastanza amichevole, e quindi si prendeva sempre molta confidenza con Nicole. Considerando poi che le dava sempre una mano, non poteva far altro che pensare di starle simpatica! Era alta, i capelli castano chiaro quasi sempre disordinati - anche quando andava dalla parrucchiera, aveva sempre i capelli ribelli - e li metteva a posto alla meno peggio con un cerchietto. Al primo sguardo, Nicole aveva subito inquadrato il suo sguardo spesso assente e il suo scarso quoziente intellettivo.
L’amica abbracciò Nicole con affetto. «Sei la persona più buona che io conosca. Sul serio, hai suggerito a mezza classe, e non solo in questo compito, ma per tutto l’anno! Sei riuscita ad aiutare anche i più bravi. E non hai mai chiesto nulla in cambio. Sei formidabile.»
«Figurati, per me la vostra felicità, come quella che mi mostri tu adesso, è già un premio sufficiente.» Diede un’occhiata all’orologio da polso. «Oh, è quasi l’ora di trigonometria, per me. Io vado, a dopo.»
Si era allontanata di appena qualche passo, con la sua andatura tranquilla e decisa, quando per sbaglio sbatté contro a una ragazza. «Scusami, mi dispiace» le disse timidamente.
La ragazza, bionda, dieci centimetri più alta di lei, due seni molto più grossi, un fisico invidiabile e l’aria da smorfiosa, le scoccò un’occhiata di rimprovero. «Attenta dove vai, eh?» disse con tono acido e pomposo.
«Aha» Nicole annuì debolmente, il viso affranto. Riprese a camminare per il corridoio, facendosi strada in mezzo alle decine di studenti.
«Oh, bei pantaloni. Li hai presi nel cassonetto dietro casa tua?» Lei e tutti i suoi amici intorno si misero a ridere fragorosamente.
Nicole continuava a camminare dritto, senza darle ascolto. Ma, segretamente, dentro di lei, si era accesa la fiamma del risentimento. Sorrideva ancora, come se le parole della ragazza-stereotipo bionda non l’avessero neanche sfiorata.
Per puro caso, incrociò Amelia Cross, ancora distante dall’aula di trigonometria. «Ciao Amy» la salutò con la mano. «Allora, com’è andato il compito?»
«Bene, grazie a te» le rispose questa. «Ho preso B-. Sono davvero contenta. Stai andando in aula, vero?»
«Sì. Volevo chiederti… chi è quella ragazza laggiù?» le domandò, indicando la Barbie bionda che rideva ancora della battuta fatta su di lei.
«Quella lì, dici? Si chiama Samantha Richardson, perché me lo chiedi?»
«Così. Curiosità» si giustificò lei, scrollando le spalle. Samantha Richardson. Piacere di fare la tua conoscenza, Samantha; credo che il tuo nome non me lo toglierò dalla testa per un bel po’.
Improvvisamente, Nicole e Amelia videro Samantha, la Barbie bionda, venir loro incontro. Aveva un passo quasi da modella, e si destreggiava nei movimenti come se avesse tutte le intenzioni di mettersi in mostra.
Amelia fece istintivamente un passo indietro, timorosa della spietata ragazza-stereotipo. «Sta… venendo da noi?»
Su, Samantha, vieni qui…
No, non le stava guardando. Aveva intenzione di sorpassarle e raggiungere qualcuno oltre di loro.
Stai a vedere, Samantha.
Nicole allungò il piede leggermente di lato, appena in tempo perché Samantha Richardson vi inciampasse sopra. Lei, inevitabilmente, perse l’equilibrio, cercò di aggrapparsi a qualcosa, ma c’era solo aria e le sue mani cercavano disperatamente e a vuoto; cadde rovinosamente a terra, a pancia in giù.
Sul viso di Nicole si disegnò per un nanosecondo un ghigno di soddisfazione, ma si affrettò a nasconderlo subito.
Mentre tutto il corridoio scoppiava in una risata mai udita prima così forte, e mentre Samantha avvampava per la vergogna, Nicole si abbassò verso di lei e le tese una mano per aiutarla a tirarsi su. «Va tutto bene?» le chiese cordialmente.
La Barbie respinse la mano violentemente, mettendosi in piedi da sola. Guardò Nicole, furibonda. Non era più la bella e spocchiosa bambola di pochi istanti prima. Tutti stavano ridendo di lei. «Tu! Piccola sciacquetta, mi hai fatto lo sgambetto! Disgraziata! Te la faccio pagare!»
Nicole, pervasa da una gelida calma, finse la più mera sorpresa. «Cosa? Io? Io… io non ho fatto niente…» disse, con tono innocente.
Samantha si stava visibilmente per scagliare contro di lei.
Un ragazzo dell’ultimo anno la trattenne per le braccia, mentre metà del corridoio circondava Nicole e la faceva indietreggiare, come per tenerla sotto la loro ala protettiva.
Nessuno poteva mettere le mani addosso alla dolce e amorevole Nicole Hicks.
«Samantha, calmati, c’è sicuramente un malinteso» disse il ragazzo che stava trattenendo la ragazza-stereotipo. «Quella è Nicole Hicks» le sussurrò ad un orecchio. «Hai presente? Nicole Hicks… la più intelligente dell’istituto… è la persona più buona che esiste, e ciò l’ha resa sicuramente più popolare di te.»
Samantha ricordò. Nicole Hicks era la mente più brillante della scuola, era socievole e amica di tutti, e aiutava chiunque nello studio. Ciò le aveva dato la fama della ragazza più buona del mondo, e tutti la stimavano. Strano, pensava Samantha a volte, ma vero.
Si tranquillizzò. Si fece lasciare dal ragazzo e avanzò verso la povera, innocente vittima Nicole. «Scusa. Devo… aver visto male.»
«Figurati.» Nicole si strinse nelle spalle. «È stato solo un equivoco. Succede» sdrammatizzò, sorridendo. Così dicendo, le allungò la mano nuovamente.
Samantha, ancora con qualche sospetto che le ronzava in testa, e controvoglia, strinse la mano a Nicole. Lo faceva solo perché se non l’avesse fatto sarebbe passata per la stronza di turno. Dopo di che, se ne andò, cercando ancora la persona verso la quale si stava dirigendo prima.
«Che stupida, quella ragazza» disse Amelia a Nicole. «Dare a te la colpa perché è inciampata! È solamente un’imbranata.»
«Non dire così. A tutti può capitare di sbagliarsi.» E anche stavolta, la vittoria va a Nicole Hicks, pensò la ragazza, crogiolandosi nel trionfo.
«Già, tu non hai brutte opinioni su nessuno. Sei troppo brava, Nicole.»
«Non è vero, dai…» stava finendo di dirlo, quando vide per caso Samantha accostarsi a un ragazzo alto, di bell’aspetto, che la salutava.
Era un ragazzo che sicuramente non passava inosservato: la maggior parte delle ragazze, soprattutto quelle ingenue e romantiche del primo anno, avevano costantemente gli occhi indirizzati su di lui.
«Ho un gran bisogno di te» sentiva che gli diceva Samantha. «Hai presente l’ultima lezione di matematica? Mi daresti i tuoi appunti, così ci capisco qualcosa? Sono sempre così perfetti!»
La mente di Nicole fu attraversata da un moto d’indignazione.
Chi era quel tizio cui Samantha chiedeva gli appunti? Certamente erano i suoi ad essere i più perfetti della scuola. Non capiva perché la gente dovesse andarli a chiedere a qualcun altro, quando c’erano i suoi! «Amy, e quel tipo con cui parla Samantha? Sai chi è?»
«Come?» chiese Amelia, divertita. «Non lo sai? È Luke Kendrew! Così carino che metà delle ragazze qui gli fanno il filo.» E le lodi non erano ancora terminate. «È nella squadra di nuoto e ha la reputazione di avere ottimi voti a scuola.»
«Pff!» fece Nicole. «In primis, è solo un tipetto belloccio con dei discreti lineamenti e un fisico lievemente atletico, ma non mi pare proprio così attraente. E poi, intelligente? Insomma, basta guardarlo per capire che è tutto fumo e niente arrosto! Una tale popolarità e il suo aspetto fisico sono lì sicuramente per compensare una mancata intelligenza, è improbabile che questo Luke Kendrew abbia una media alta.»
«Come?» esclamò Amelia, sbalordita. «Questa è la prima volta che fai una critica a qualcuno!»
Nicole, traditasi da sola, arrossì violentemente e si corresse. «Cioè, ehm… volevo dire… be’, se lo dici tu, sarà vero. Amelia, sei sempre così bene informata sulle persone!» rise, imbarazzata. E, dopo averla salutata, si avviò verso l’aula. Ormai la campanella avrebbe suonato; non poteva permettersi di arrivare in ritardo. Mancavano meno di tre mesi alla fine della scuola – ahimè – e non poteva fare brutte figure adesso. Proprio no.
Passò accanto a Samantha Richardson e a Luke Kendrew; la prima la guardò quasi con timore, il che riempì di soddisfazione Nicole. Ora sa chi è che comanda qui dentro. Il secondo, sorridente, aveva visto che lei li stava guardando, e le rivolse un cenno di saluto.
Nicole sgranò gli occhi. Sta salutando me?! Lei gli rispose con un sorriso. Naa, è impossibile che sia bravo anche solo la metà di me. Nessuno lo è. Sghignazzò tra sé e sé. Nicole sapeva soggiogare molte più persone di quanto chiunque potesse immaginare.
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«Hai avuto un disguido con Nicole Hicks?» domandò Luke a Samantha.
«Sì» disse la Barbie, ancora vergognandosi per la figuraccia di prima. «A quanto pare mi sono sbagliata. Ma la sua bontà mi disgusta, ha tutte le carte in regola per essere una sfigata, eppure tutti sembrano idolatrarla!»
Luke alzò le spalle. «Non so, non ho ancora avuto il piacere di conoscerla. Non me la sento di giudicarla.»
«Tu sei davvero strano, Luke.»
«Solo perché non ho dei pregiudizi?»
Luke squadrò Nicole Hicks, una ragazzina minuta, dai lunghi capelli corvini e la pelle… oh, cavolo, era una pelle talmente chiara da sembrare quasi vampiresca. Aveva l’aria di una che non si era mai abbronzata in tutta la vita.
A migliorare la sua figura di certo non ci si mettevano le occhiaie, solchi profondi che le segnavano il viso. Luke, vedendo tutto quell’insieme, capì che probabilmente era un topo da biblioteca proprio come la descrivevano. Aveva un aspetto debole, quasi malaticcio, come una bellissima pianta che non viene mai esposta al sole. E Nicole, dai dolci lineamenti fini quasi come quelli di una bambina, e dall’atteggiamento così posato e timido contemporaneamente, gli sembrava esattamente come una bellissima orchidea appassita al buio.
E così, Nicole Hicks entrò in aula senza nemmeno immaginare che lo sconosciuto Luke Kendrew stesse avendo tutti quei pensieri su di lei.
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Jade's place:
Salve! Eccomi col capitolo 1. Spero che, chiunque l'abbia letto, l'abbia gradito =) ho iniziato a scrivere questa storia perché mi annoiavo, avevo in mente questa Nicole - che all'inizio doveva chiamarsi Kate - e dicevo "va be', scriviamo..." e dovevo inserire tutta la sua storia in una one-shot di 10 pagine, invece, alla quarta pagina, mi sono innamorata di lei, del suo carattere, e anche di Luke, che - chiaramente! - avrà un ruolo fondamentale in tutto questo. Ma in particolare amo la mia Nicole <3 xD che scema che sono! E se non avete ancora inquadrato bene il suo carattere, non c'è problema, un po' questo è il mio scopo ^^
PS: scusate, ho douto ripubblicare il capitolo avendo, non appena pubblicato la prima volta, bisogno di modificare il testo per delle parti che non avevo messo! =)
Recensioni sempre gradite =) al prossimo capitolo!
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Capitolo 3 *** Due ***
Due
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"Abbi il benvenuto nel cuore, nella mano,
Nella lingua, appari come il fiore innocente
Ma sii la serpe che vi si cela sotto."
Shakespeare - Macbeth
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Tempo dopo
Alle sette in punto la sveglia suonò, emettendo quel piacevole squillo che comunicava a Nicole che era un altro giorno di scuola.
Quel giorno, però, era l’ultimo. Si dice che il buon giorno si veda dal mattino: quello di Nicole non era certamente buono. L’ultimo giorno di scuola era orribile.
Si alzò dal letto, solitamente scattante, ma quella mattina controvoglia e quasi con fiacca e pigrizia, perché presto sarebbe finito tutto.
Addio momenti di gloria.
La prima cosa che fece fu andare in bagno per sciacquarsi il viso. Fece colazione con la solita tazza di muesli mescolato bene nel latte. Sua madre le diceva sempre «Ma come fai a mangiare quella roba?», invece era l’unica cosa che Nicole voleva mangiare, al mattino, essendo molto salutare. Finì poi di lavarsi e si vestì, infilandosi i primi vestiti che aveva tirato fuori dall’armadio, pronta per affrontare il miserabile ultimo giorno.
Addio gente che mi tratta come una vip.
Con lo zaino in spalla, non rivolse nemmeno un salutino ai suoi genitori – ormai consapevoli che tutti gli anni era così – e uscì sbattendo la porta.
Addio lodi, addio bellissimi voti, addio onnipotenza… addio a tutto.
Quella giornata era anche più soleggiata delle altre. Possa venire a nevicare all’istante! Ma, come Nicole ben sapeva sarebbe successo, non accadde nulla. Si limitò così a percorrere la strada che conduceva a scuola evitando il sole come una malattia tropicale, portandosi sotto le lunghe ombre degli alberi imponenti dei giardini del vicinato.
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Era tremendamente in ritardo.
Luke Kendrew non abitava esattamente a due passi dalla scuola. Gli ci volevano dieci minuti buoni in auto, per arrivarci. Mancava un quarto d’ora al suono della prima campanella, e ancora non era uscito di casa.
Correva per fare in fretta, chiedendosi come mai la sua sveglia non avesse suonato – l’ultimo giorno di scuola, ironia della sorte – e finalmente, a dodici minuti alla campanella, benché ansimante, c’era; era in auto.
Poté partire, concedendosi una velocità moderata malgrado ormai fosse abituato ad arrivare a scuola sempre con ampio anticipo, non appena aprivano le porte. Ora sarebbe semplicemente arrivato appena in tempo per la lezione – quella straziante di biologia, ma almeno era l’ultima.
Per i primi cinque minuti fu tutto normale. Le stesse svolte, le stesse curve e le stesse visuali di tutti i giorni; non una virgola era fuori posto. Non è che quella città avesse da offrire granché. Ma ora arriva l’estate, finalmente, pensò, quindi ci saranno molte più cose da fare.
Improvvisamente, a lato della strada, scorse la figura solitaria di Nicole Hicks, che si stava dirigendo a scuola. Era la prima volta che la vedeva per strada, probabilmente perché di solito partivano a orari differenti.
Nicole, che indossava jeans e una maglietta semplice a maniche corte, se ne stava con i capelli raccolti in una coda disordinata a camminare mantenendosi il più possibile sotto l’ombra.
Deve avere qualche problema con il sole, dedusse, anche dalla sua pelle bianco latte.
Non sapeva cosa lo stesse inducendo a farlo – forse la sua innata solidarietà – ma abbassò il finestrino e si sporse.
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Lo sapevo, si disse Nicole. Era così demoralizzata dal fatto che fosse l’ultimo giorno di scuola che aveva rallentato il passo e, di conseguenza, controllando l’orologio da polso, si accorse che stava facendo tardi. Il mio fisico mingherlino non può accettare una corsa a perdifiato!
«Nicole Hicks?» sentì una voce poco distante che la chiamava, accompagnata dal rumore di un motore.
Chi è adesso?
«Sì?» disse seccamente. Si girò verso la strada, e vide – lo riconobbe istantaneamente – Luke Kendrew, quel belloccio antipatico, della squadra di nuoto, come le aveva detto Amelia, che si rivolgeva a lei sporgendosi dal finestrino della sua auto.
Lui scrollò le spalle. «Siamo entrambi in ritardo. Vuoi un passaggio?»
Nicole stava per rifiutare bruscamente. Poi ricordò.
Uno, doveva sempre sorridere, in qualsiasi circostanza, e rimediò subito.
Due, la sua regola era “Non si accettano aiuti da chicchessia”, ma in quella circostanza doveva fare un’eccezione, poiché era in ritardo, e lei non aveva mai fatto assenze né ricordava una volta che fosse arrivata in ritardo.
Tre… okay, Luke Kendrew le stava chiaramente sui nervi, ma anche con lui doveva sforzarsi di essere gentile.
E poi, doveva esserci anche qualcos’altro, ma non le venne in mente nulla.
«Grazie» disse timidamente. Saltellò fino alla portiera, l’aprì e si accomodò al sedile anteriore, allacciandosi la cintura. «Che fortuna!» fece un sorriso smagliante, di uno splendore tale che Luke ne rimase abbagliato. «Grazie ancora, se non fossi arrivato tu, sarei sicuramente arrivata in ritardo.»
Lui sorrise, ma non distolse gli occhi dalla strada. «Figurati. Nicole» le disse poi, dopo un po’ di indecisione «c’era anche un’altra cosa che volevo chiederti.»
«Certo, dimmi.»
«Per curiosità. Anche tu concorri per quei primi posti nella classifica annuale, eh?» per un istante la guardò con complicità, poi tornò sulla strada.
«Sì, sì, anch’io. Speravo di essere tra i primi dieci, così, per soddisfazione. Sarebbe davvero una bella cosa» rispose Nicole, esitando.
Si stavano riferendo a una classifica che ogni anno veniva eseguita dai professori, riuniti in un consiglio. Si calcolavano le medie matematiche di ciascun alunno, prendevano i cento migliori, e qualche giorno dopo la fine della scuola esponevano tale classifica in corridoio, incorniciata, e lì rimaneva fino alla fine delle vacanze estive.
Luke, talvolta e sperando che lei non lo vedesse, la guardava fugacemente. Un po’ per studiarla, perché era la prima volta che si parlavano. Un po’ perché Nicole sembrava una piccola bambola di porcellana: così candida, così timida nel rispondere, dai lineamenti così adorabili. Nonostante le occhiaie, era una bella ragazza. E poi, quel sorrisetto timido quando gli rivolgeva la parola, il suo fare esitante che le faceva abbassare lo sguardo… tutto insieme creava un’armonia che riusciva a suggestionarlo.
Parcheggiò alla meno peggio, per la fretta, vicino alla scuola. «Sono sicuro però che arriverai prima anche quest’anno. Sei dannatamente brava, non so come fai» si complimentò con lei. «Ma credo di avere anche io buone possibilità, stavolta, di arrivare ai primi posti.»
«Grazie del complimento che mi fai…»
«Sai che ti dico? In bocca al lupo, Nicole.» Le tese la mano.
Stava davvero per stringergliela, quando i due, in lontananza, udirono il suono inconfondibile della campanella, ovattato dalle mura scolastiche.
Se prima era solo un’intensa preoccupazione, adesso il ritardo era ufficiale.
«Crepi!» esclamò Nicole prima di catapultarsi fuori dalla vettura.
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Quella stessa sera, Nicole rimuginava sul suo piatto di spaghetti che aveva smesso di fumare da un pezzo. Muoveva circolarmente la forchetta con lo sguardo fisso sulla tovaglia quadrettata. Non mangiava perché quella pasta faceva schifo: i suoi genitori erano tornati dal lavoro solamente venti minuti prima, e avevano cucinato al volo.
«Perché non mangi, Nicole?» le domandò stancamente la madre. Suo padre aveva già finito e si era già accomodato sul divano a guardare la televisione.
«Perché questi spaghetti sono disgustosi, mamma. Li hai cotti troppo poco, non si masticano; si sgranocchiano.»
«Potevi mettere l’acqua a bollire, prima; sapevi a che ora saremmo arrivati.»
«Avevo da studiare.» Si alzò senza troppi preamboli da tavola e fece per andarsene in camera sua, digiuna.
«Da studiare l’ultimo giorno di scuola?»
«Esatto.»
«Nicole Kimberly Hicks!» sbottò ferocemente la madre, pretendendo la sua attenzione. «Non avrai intenzione di ripetere l’estate scorsa, vero?»
«Sì, se mi va. Ah, e a proposito, te lo dico così non avrai molte sorprese, oggi ho fatto ritardo.»
«Ritardo?!» suo padre, che aveva udito la frase dal divano, intervenne. «Ma come, l’ultimo giorno di scuola tu fai ritardo?»
«Già. Ma non mi hanno detto niente, l’hanno fatto praticamente tutti, oggi.» Poi, decise di cambiare argomento – anche per risollevare il morale dei genitori – e si risedette alla propria sedia, pur ripudiando il piatto di pasta. Si tirò indietro i capelli con un gesto. «Voglio comunque comunicarvi che domani ci sarà la consegna delle pagelle. E dopodomani, invece, il quadro della classifica annuale verrà esposto.»
La mamma prese il piatto pieno di Nicole, e andò a buttare via la pasta – troppo al dente, se ne rendeva conto anche lei. «Oh, finalmente una buona notizia!» esclamò, ora più entusiasta.
«Anche quest’anno la prima in classifica, Nicole?» si augurò vivamente il padre, nonostante sapesse già quale fosse la risposta.
«Assolutamente. Papà, io sono la prima indiscussa. Dalle elementari a questa parte sono sempre stata al primo posto, credi che quest’anno cambierà qualcosa?» sghignazzò, fiera della propria persona.
«Brava, piccola mia» la mamma le arruffò i capelli, dirigendosi poi a lavare i piatti. «Anche quest’anno hai dato il meglio di te. Ma rimane sempre quel problema: l’estate non dura in eterno, Nicole, hai tanto tempo per studiare durante il resto l’anno, perché non sfrutti questo periodo per svagar…»
«Zitta, mamma. Faccio quello che mi pare della mia dannata estate» la interruppe bruscamente con calma gelida e, dopo ciò, si avviò in camera sua, una stanza estremamente ordinata: tutte le volte che vi entrava veniva inebriata dal profumo di carta che emanavano, anche se fievolmente, tutti i suoi libri ammassati un po’ dappertutto, in una pila sulla scrivania, in una grossa libreria in ciliegio, su degli scaffali montati apposta perché ormai non c’era più spazio dove metterli.
Cominciò, appunto, a frugare in mezzo agli scaffali, scorrendo un titolo dopo l’altro.
Dopo la consegna delle pagelle, l’esposizione della classifica annuale era la più grande delle soddisfazioni per Nicole. Tutta la scuola avrebbe visto che era lei la migliore, lei era quella con la media più alta.
Lei doveva rimanere l’idolo tra gli studenti.
È vero, quell’evento avrebbe dato il via ufficialmente all’estate, quell’odiosa stagione insopportabile che rimbecilliva tutti quanti, ma almeno le avrebbe dato quel tanto di orgoglio che le avrebbe permesso di tirare avanti fino alla fine di agosto, quando la scuola fosse finalmente ricominciata.
Luke Kendrew era un illuso se sperava di poter comparire anche solo tra i primi cento. Le bastava guardarlo per capire che non aveva per niente l’aria di essere diligente a scuola. Pff! Sarà uno di quei rimbambiti che fa baldoria tutta l’estate, nel migliore dei casi.
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Perché Nicole Hicks odiava tanto l’estate?
La risposta è semplice: nessuno voleva parlare con lei di studio, compiti in classe o ragionamenti filosofici astrusi, durante le vacanze, come era giusto che fosse.
E lo studio era l’unico campo in cui Nicole riusciva realmente bene. Per lei, le più grandi soddisfazioni della vita erano 1) essere idolatrata dai compagni per i suoi discorsi intelligenti e per la sua “bontà”; 2) avere dei voti altissimi, studiando a più non posso, ed essere idolatrata ancora di più da coetanei e professori.
Questa era la sua vera vita. E, in ogni caso, a fine giugno terminava, con la classifica annuale.
Anche quest’estate sarà impiegata nello studio. Così, una volta tornata a scuola, non aspetterò un momento a fare la mia bella figura e partirò avvantaggiata.
Così ora aspettava con ansia il giorno della classifica.
In primis non vedeva l’ora di ricevere le congratulazioni – le solite – dai compagni e dagli insegnanti per essere arrivata prima. Infine voleva farsi una risata nel constatare che quel presuntuoso di Luke Kendrew non sarebbe stato tra quelli. Come si permetteva di credere di poter competere con lei, Nicole Hicks? Pensare solo che avesse una minima chance di arrivare al suo livello o – ancora peggio! – superarla?
Nicole scosse la testa a quel pensiero. Le giunse all’occhio I sonetti di Shakespeare, e decise di finire di imparare a memoria l’ultimo componimento che aveva letto, due giorni prima.
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"[…] Bear welcome in your eye
Your hand, your tongue; look like the innocent flower,
But be the serpent under’t […]."
Shakespeare - Macbeth
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Jade's place:
Eccomi ancora qui, con il terzo capitolo (ovvero il secondo)... la dolce e innocente Nicole si sta rivelando al lettore per quello che è :3 nessuno si aspetta che lei sia veramente... una specie di vipera xD! Ho preso un po' l'ispirazione del suo personaggio dalla commedia "La locandiera" di Goldoni, e in particolare mi riferisco a Mirandolina, tutta una persona con i clienti, una locandiera furba e scaltra in realtà, che soggioga conte, marchese e cavaliere facendoli innamorare di lei e loro nemmeno si rendono conto che lo sta facendo apposta xD. Tuttavia, Mirandolina non rivela mai la sua vera natura... chissà se Nicole riuscirà a fare altrettanto =)
Fatemi sapere ^^ bye bye!
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Capitolo 4 *** Tre ***
Tre
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“L’unico punto dove successo viene prima di sudore
è il dizionario”
Vidal Sassoon
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Alla fin fine, far parte della squadra di nuoto doveva pur servire a qualcosa, no?
Luke riuscì a raggiungere Nicole, che evidentemente stava cercando di arrivare a casa di corsa. Giunse quasi immediatamente da lei; un po’ perché era più veloce, essendo molto più allenato, e un po’ perché la debolezza di Nicole dopo lo svenimento l’aveva portata a fermarsi poco dopo, ansante.
La ragazza era appoggiata con la schiena ad un albero, il viso rivolto verso il cielo, e respirava affannosamente. La sua fronte era madida di sudore e i capelli lunghi non facevano che farle caldo, coprendola come un mantello. «Nicole…» Luke in realtà non sapeva bene cosa dovesse dire in quel momento. Non sapeva, tantomeno, se dovesse dire qualcosa di carino e confortevole per tranquillizzarla o se arrabbiarsi per il suo comportamento.
Ma è davvero lei? non faceva altro che domandarsi.
«Nicole, ora calmati e dimmi dove abiti.» Ecco, forse quella era una domanda giusta. Rimaneva in una posizione tutto sommato neutrale.
«Dieci minuti di… strada… a piedi… e sono a casa» rispose lei tra un respiro e un altro, ma non senza la sua arroganza. «Quindi… puoi anche… lasciarmi in pace.»
«Ascoltami, non credo che ti faccia bene tornare a casa a piedi in questo stato. La mia macchina è parcheggiata qui, se mi dici dove abiti ti do un passaggio io.» Aveva scelto di non fare una piega per quanto riguardava il suo atteggiamento.
«No, mi spiace, non accetto aiuti da chicchessia» dichiarò categorica, incrociando le braccia. «Specialmente da uno che si spaccia per più intelligente di me.»
Lui non trovò altra soluzione. Sollevandola di peso, la prese in braccio e, mentre lei si dimenava invano, la trasportò senza difficoltà fino al parcheggio, dalla sua auto.
«Fermati!» gridava l’altra, senza che nessuno la sentisse o facesse caso a lei. «Mettimi giù istantaneamente! Aiuto! Sequestro di persona!» Agitava le gambe disperatamente, ma il fisico ben allenato di Luke gli permetteva di non cedere. Dannazione, pensò con rabbia, avrei dovuto impiegare l’estate scorsa a fare più ginnastica, tanto questo tipo mi avrebbe superata comunque nella classifica annuale! Poi, ringhiò, in maniera più simile a un chihuaua iracondo che a una ragazza: «Quanto ti odio!»
«Anch’io spero che possiamo andare d’accordo, Nicole.» O la prendeva in questo modo, ironicamente, o si metteva a pensare che l’affermazione di Nicole fosse effettivamente giusta. Un’alternativa che era preferibile tralasciare.
Le aprì gentilmente la portiera, dopo averla rimessa a terra, e incitò la ragazza imbronciata a salire.
Luke salì a sua volta dalla parte del guidatore.
Non fece nemmeno in tempo a infilare la chiave prima di mettere in moto, che qualcosa interruppe tutte le sue azioni.
Un rumore. Un rumore simile a un singhiozzo.
Un momento… quello era un singhiozzo.
Si voltò alla propria destra. Nicole era rannicchiata sul sedile come un riccio in posizione di difesa, le mani che le coprivano il volto mentre il suo addome si contraeva ad ogni suo respiro, ad ogni suo singhiozzo convulso, mentre piangeva a dirotto.
Nicole non credeva di aver mai pianto così prima di allora. Un fiume di lacrime scivolava giù dai suoi occhi, bagnandole le gote e le mani che si appoggiavano su di esse. Fu pervasa da una voglia folle di gridare aiuto, per favore salvatemi da questo casino, ma a cosa sarebbe servito?
Non sentendo il rumore del motore che partiva né alcun altro suono che presagisse che Luke fosse impegnato a fare qualcosa, lei capì che lui la stava fissando. «Non mi guardare!» strillò allora.
«Nicole, cosa ti è successo?» e Luke non si riferiva solamente al fatto che stesse piangendo come un bebè senza il suo latte, ma anche da tutto il resto, a partire dal comportamento che aveva mostrato con lui. Per un attimo sperò che lei saltasse su dicendo che era tutto uno scherzo, e che lui ci era cascato in pieno, ma sapeva che non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò. Si limitò così a prenderla delicatamente per un polso scostandole la mano, in modo da poterla vedere meglio in faccia.
Alla ragazza sfuggì un altro singhiozzo, più forte, che conteneva tutta la sua disperazione. «Che cosa è successo?!» esclamò, come se la risposta fosse ovvia. «Era tutto quello che avevo! Tutto! E tu me l’hai portato via! Me l’hai portato via!» gridava. La sua voce era ovattata, coperta e fatta a malapena uscire dall’auto, quasi come se vi fossero solamente loro due all’interno di un altro mondo.
«Nicole! Cos’è che ti ho portato via, cosa?»
Avrebbe avuto da ridire sul fatto che la chiamasse continuamente per nome, come se fossero amici da una vita, ma in quel momento non poteva proprio pensarci. «La mia fama! Il mio orgoglio! I miei meriti! Tu mi hai portato via tutto!» Scoppiò in un’altra serie infinita di singhiozzi. «Come faccio a farmi rivedere a scuola adesso, a fine vacanze? Come la seconda classificata? Il loro idolo diventerai tu! Sono io che mi merito tutto questo, e tu te lo sei preso!»
Luke non trovava davvero motivo per cui sentirsi in colpa in quel momento, eppure non poteva fare a meno di provare quel sentimento. Il senso di colpa è veramente orribile. «Nicole… a tutti capita di arrivare secondi, qualche volta…»
«Non a me! Io non posso permettermelo, Kendrew!» La sua voce tremava, come non aveva mai tremato in tutta la sua vita, ma almeno aveva smesso di piangere. Si asciugò gli occhi con il braccio. «Questo è tutto ciò che ho. Se prendo dei bei voti la gente inizia a tessere le mie lodi. Se aiuto la gente grazie alle mie conoscenze, ancora di più. Se prendo bei voti, aiuto la gente e faccio la brava ragazza perfetta, invece, puoi ben immaginare.»
Quello fu un duro colpo da accusare. «Stai dicendo… che tutta la tua gentilezza e la tua timidezza sono sempre stati solo una maschera?»
«Per favore, Kendrew! Non far suonare la cosa come se nessuno a questo mondo fingesse! Tu stesso ti fingi tanto modesto e carino con tutti, quando so che dentro di te sei profondamente soddisfatto di avermi superata e godi della mia sofferenza, in questo momento.»
Luke si accigliò. «Credi davvero che io sia così? Che tutti noi a questo mondo siamo egoisti, pieni di noi, ambiziosi al punto da godere dell’infelicità altrui?»
«Luke Kendrew, io non credo niente. Io so e basta» rispose Nicole con amarezza.
«Ti sbagli di grosso, invece. La conosci la parola “umiltà”?»
«Il mio vocabolario è molto ricco, ma questo tipo di parole non le uso quasi mai. L’umiltà è una delle cose più finte che ci sia, esiste solo la falsa modestia. L’umiltà si indossa bene quanto una maschera, la si può mettere facilmente e togliere con altrettanta rapidità.»
«Questo si chiama pregiudizio.»
«Si chiama filosofia» concluse con un che di solenne.
Luke si stava rigirando la chiave in mano come un giocattolino, senza quasi accorgersene. «Ma allora tutti i tuoi amici che cosa dicono? In genere i superbi non piacciono. Come fanno a convivere con il tuo modo di fare?» Aveva appena finito di porre la domanda quando la risposta venne da sé.
Nicole alzò le spalle. «Ai miei amici non si è mai presentata l’occasione di rovinare i miei piani, di far barcollare la mia superiorità; sono troppo stupidi. Tu sei l’unico, finora, che non si è sottomesso alla mia gloria, che non ha fatto in modo che venisse nutrita! Anzi, sei riuscito, con qualche minuscola cifra di media più alta della mia, a far crollare tutto come un castello di carte! Kendrew, sei l’unico che mi abbia mai fatto perdere così la pazienza e la ragione.»
«Mi stai facendo capire che l’unico scopo che ha il tuo intenso studio è farti sentire superiore agli altri? Farti un’immagine bella di te stessa e che gli altri possano tessere le tue lodi?»
«Non dico che non sia così.» Nicole era più tranquilla, aveva ripreso la sua compostezza, sebbene dentro di sé bruciasse ancora la vergogna e la collera nei confronti di colui che le stava affianco. «Ascoltami bene: nessuno mi ha mai fatto un complimento perché sono bella. Nessuno si è mai complimentato con me per le mie abilità sportive. Nessuno si è mai congratulato per un mio talento particolare. Non so disegnare, non so arrampicarmi sulla corda, in cucina sono un disastro, l’unico strumento che riesco a impugnare è il violino, perché i miei genitori mi hanno mandata a lezione fin da piccola. Ma in qualcosa dovremmo pur eccellere, no? Io ho quello, lo studio. Anzi, ora non più, grazie a qualcuno» disse allusiva. «Ero sicura di poter essere la più brava in qualcosa. Invece no.»
Luke tacque. Non che vi fosse nulla di particolare da dire. Quell’auto si era trasformata in una specie di confessionale. Lui ascoltava, Nicole raccontava. Si creò una tensione tale da appesantire quasi l’aria.
«Pff, ma perché sto dicendo tutto questo a te?» continuò lei, con una smorfia di disprezzo. «Ti hanno messo un gradino più in alto di me, ma sono sicura che non riesci a concepire pensieri più profondi di una pozzanghera.»
«Anche tu non ci riesci, allora, se non capisci che esiste altro oltre allo studio, oltre alle nostre qualità. Hai mai pensato che per una volta potresti lasciarti andare e divertirti e basta? Non è faticoso mantenere sempre quella maschera, per te? Che cosa fai, per tutta l’estate, studi?»
«Ovviamente! Perché tu, cosa fai? Non ci credo che sei passato con una media più alta della mia senza studiare tutta l’estate.»
Luke non rispose per evitare un’altra crisi isterica di Nicole. L’estate, in fondo, era fatta per svagarsi.
Troppo sconcertato per fare qualsiasi cosa, si appoggiò completamente allo schienale, immobile. Fissava un punto davanti a sé, oltre il vetro. Aveva conosciuto una ragazza che non era la Nicole che credeva lui. «Quindi il tuo più grande divertimento è lo studio? Chimica, letteratura, algebra…»
«Assolutamente no!» rispose lei, con prontezza. «Ci sono ben altri divertimenti: per esempio adoro starmene in giardino, all’ombra, sulla panchina, e leggermi un romanzo di Jane Austen. Emma è il mio preferito. L’ho letto cinque volte» si vantò, fiera di sé.
Lui, ancora una volta, non rispose.
Poi Nicole perse del tutto la pazienza, e fece la sua richiesta: «Allora, Kendrew…»
«Puoi chiamarmi Luke e basta, per cortesia?»
«Come vuoi tu, Luke. Bene, Luke, potresti gentilmente degnarti di portarmi a casa, adesso?» disse con acidità.
«A una condizione: devi dire “okay”.» Incurvò leggermente il labbro in un ghigno.
«Sì, sì, okay, okay. E adesso?» Non aveva neanche pensato a cosa potesse esserci sotto a quella piccola, ma pericolosa parola.
«E adesso che hai detto “okay” hai appena accettato la mia proposta. Una scommessa un po’ “implicita”, diciamo.» Lei lo guardò stralunata. «Ora non ti accompagno più a casa, ma vieni con me.»
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Jade's place:
Eccomi qui! La citazione del giorno l'ho messa perché, leggendola, mi ha fatto sorridere =) e concordo pienamente.
Beh, penso che ormai Nicole sia stata inquadrata abbastanza. In caso contrario, avrete occasione di conoscerla meglio prossimamente ;D Ho una notizia, non so se chi legge la prenderà bene o male... ma è mia caratteristica, quando una storia mi appassiona molto, andare per le lunghe. Anche la mia precedente storia è arrivata a trentasei capitoli più una one-shot. Per cui potrebbe accadere che Nicole mi faccia (e spero faccia anche a voi) compagnia per un bel po' xD Una sera, mentre ero seduta alla scrivania, è arrivata da me chiedendomi di raccontare la sua storia e non ho saputo dirle di no ;) è stata un'idea davvero fulminea.
"Non accetto aiuti da chicchessia". Questa frase ormai l'ho classificata la frase simbolo di Nicole, e credo che quella parte e le frasi successive siano state la cosa che ho scritto che finora mi è piaciuta di più =)
Fatemi sapere cosa ne pensate; le recensioni sono sempre gradite e fanno felice una scrittrice in erba ;D E ora vi lascio ai ringraziamenti (che faccio oggi per la prima volta).
Ringrazio davvero tantissimo tutti coloro che mi hanno recensita e inoltre:
ThePoisonofPrimula per avere inserito la mia storia tra le preferite e perché mi ha suggerito quella fantastica immagine che vedete lassù che ho inserito oggi per la prima volta e che aggiungerò al più presto anche negli altri capitoli =)
8kami, Coglilarosa, OcchiKastani e monicamonicamonica per averla inserita tra le seguite =)
Nuke, CiaoArrivederci e The_Music_Is_You per avrela messa tra le preferite =)
E, ultima ma non ultima, mistress_chocolate, che si è iscritta recentemente spinta dalla curiosità e mi è venuta a fare un saluto ;D
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Capitolo 5 *** Classifica ***
Classifica
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“Niente ottiene successo come l'eccesso”
Oscar Wilde
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Finalmente, il giorno X era giunto.
Alle quattordici Nicole stava camminando avanti e indietro per la stanza, la porta chiusa a chiave – guai a chi l’avesse disturbata – e gesticolava con le mani come le veniva più spontaneo. «Grazie per i complimenti che… No, forse è meglio così: vi ringrazio dal profondo per il merito che mi è stato dato… No, no, non ci siamo… ecco, idea! Sono sorpresa di essermi ritrovata anche quest’anno al primo posto, sapendo della forte concorrenza che avevo, quindi mi congratulo anche con gli altri classificati e vi ringrazio tutti. Sì, così dovrebbe andare.»
Mancava un’ora all’esposizione della classifica e ancora non aveva terminato il discorso da tenere davanti a tutti non appena compagni e professori fossero venuti da lei a stringerle la mano e congratularsi. Nicole rammentò a se stessa che anche quel giorno, come tutti i giorni, doveva apparire timida e modesta, quindi non poteva esagerare troppo con il discorso.
Si schiarì la voce e ricominciò daccapo.
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Di buon’ora prese la borsa con dentro l’indispensabile, incluso un libro che avrebbe incominciato a leggere nel caso fosse successo qualcosa che l’avrebbe costretta all’attesa e alla nullafacenza – Nicole non amava perdere tempo, anzi era la cosa che cercava di evitare di più.
Uscì di casa e, rigorosamente mantenendosi sotto le ombre degli alberi, si diresse verso il suo liceo, dove le sue lodi la stavano aspettando con ansia.
Pur essendo arrivata in anticipo, qualche minuto più tardi, c’era già una notevole massa di persone raggruppata tra l’ingresso e il corridoio della scuola. Si udiva un fruscio di voci, una che sovrastava l’altra, e Nicole suppose che avessero anticipato l’evento.
Sono bassina e piccola di costituzione, come farò a passare in mezzo a tutta quella marmaglia?
La curiosità e la voglia di rendere realtà effettiva le sue sicurezze però erano troppo grandi, così, raccogliendo tutto il suo coraggio, iniziò a dare lievi spallate a chiunque intralciasse la sua strada, in modo da poter raggiungere la meta.
Man mano che avanzava, la sua euforia andava in crescendo.
Il suo cuore, dopo un po’, non poteva più sopportare di rimanere rinchiuso in quel petto, e martellava forte come deciso ad uscire.
Aveva pestato il piede a qualcuno e si era appena scusata, quando in lontananza udì una voce conosciuta distinguersi in mezzo a tutte le altre e sopraffarle. «Nicole! Nicole!»
Nicole si avviò verso la mano alzata in aria che si muoveva agitata tentando di catturare la sua attenzione. Riconobbe così Jane, accompagnata da Amelia e da Vincent, un altro suo “amico dello studio e dei compiti in classe”. Su di lui c'era tanto da dire quanto ce n'era sul fatto che due più due fa quattro. Il solito alto, mingherlino, con occhiali dalle lenti così spesse e pesanti da dare l'idea che prima o poi gli sarebbe crollato il naso, sotto quel peso. «Ciao, ragazzi» disse lei, con tono così debole che a malapena sentirono.
«Nicole! Oh, Nicole!» Jane, affettuosa come sempre, le si buttò addosso, in un forte abbraccio. «Anche quest’anno ce l’hai fatta, complimenti!»
E siamo solo all’inizio!
«Davvero? Ce l’ho fatta?» fece, malcelando tutto il suo entusiasmo.
«Eh sì, Nicole, ma ci saremmo sorpresi del contrario» Vincent andò da lei e le diede una pacca sulla spalla, delicata poiché Nicole appariva così fragile che, proprio come una bambola di porcellana, aveva paura si frantumasse.
Amelia, che era l’unica realmente troppo timida per andare in cerca di un contatto fisico con Nicole, si limitò ai complimenti parlati: «Sì, è vero, sei stata davvero grande, anche quest’anno! Il secondo posto su cento è davvero invidiabile!»
Nicole si congelò.
Diversi impulsi violenti le arrivarono al cervello, come cascate di grandine che si abbattevano sulla sua materia grigia.
Poi, scoppiò a ridere come mai prima di allora. «Od-oddio!» Non riusciva neanche a parlare dal ridere. «A-amy, giuro… ma-mamma, per un at-timo ci h-ho credu-to davvero!»
I suoi amici si scambiarono delle occhiate preoccupate.
Nicole, alla fine, si calmò. «Wow, bello scherzo, mi avete fatto, ragazzi. Per un attimo ci ho creduto sul serio. Ora scusate, devo andare a vedere il quadro.»
Jane andò dagli altri due, e disse loro: «Ma l’avete vista? Non ci crede, di essere arrivata al secondo posto! È così modesta che probabilmente pensava di non arrivare neanche tra i primi cento, figuriamoci così in alto!»
Vincent annuì. «Lei sì che è una brava ragazza.»
Io al secondo posto! Pff, figuriamoci! Amelia, questo scherzo non è stato affatto divertente. Non credere che non me ne ricorderò, a inizio anno scolastico. Te lo faccio vedere io, lo scherzo.
Giunse finalmente alla parete che aveva già visto decine di quadri appesi in passato. Quello era solo uno dei tanti, ma per Nicole tutte le volte riprovare quella gioia era come assaporare la torta di fragole con panna della nonna dopo anni di astinenza.
Fate largo, bisonti che non siete altro, gridava Nicole nella propria testa prima di riuscire ad avere una visuale completa del cartellone incorniciato.
Sulla carta bianca era scritta la tanto attesa classifica. Nicole se ne infischiava dei posti che andavano dal centesimo al terzo, ma tutte le volte si soffermava sempre prima a leggere il nome scritto accanto a “n. 2”.
Bene bene… vediamo chi ha avuto il privilegio di essere posizionato immediatamente sotto di me, quest’anno.
I suoi occhi nocciola scorsero rapidamente la scritta.
N. 2: Nicole Hicks.
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Aveva sicuramente letto male.
Rilesse una, due, tre, dieci volte, ma era del tutto inutile; il nome vicino a quel disprezzato “2” non voleva saperne di cambiare.
Il pallore s’impossessò repentinamente del suo viso, mentre il cuore le sobbalzava a ogni battito. No. No, c’è un errore. Un madornale errore.
Tuttavia, non c’erano mai errori, nella classifica. Mai. Lei stessa si vantava della cosa, ma solo perché fino ad allora non le era mai dispiaciuto.
Nicole Hicks. Secondo posto. Lei. La seconda. La perdente. Era lei, quella che doveva essere confortata per non essere riuscita a raggiungere la vetta. No. Non può essere così.
Qualcuno di fianco a lei rise, nel vedere il suo viso sbiancato e la sua espressione di malcelata meraviglia. Lei gli scoccò un’occhiata di fuoco. Guai a te se ridi di me. Guai a te.
Nicole diventò tutta un nervo. In preda al panico, con un martello pneumatico che le trapanava il cervello con violenza, ebbe il coraggio di pensare: Ma allora, se io sono seconda… Sollevò appena un po’ lo sguardo, arrivando al n. 1, il posto che doveva spettare a lei di diritto.
Il suo muscolo cardiaco mancò un battito.
N. 1: Luke Kendrew.
Osservò, incredula, il valore delle loro due medie. Sì, erano diverse, quella di Kendrew la superava. Di pochissimo, certo. Ma stava di fatto che la superava comunque. Questo è impossibile! No! Non è possibile! Non c'è alcuna logica!
La ragazza mingherlina indietreggiò, le gambe ora molto simili a fuscelli secchi fatti tremare dal vento autunnale.
Si sorprese da sola, accorgendosi di star ansimando come se fosse appena terminata la lezione di educazione fisica. Ogni respiro durava al massimo un secondo. Ciò non era buon segno.
Inoltre, sentiva improvvisamente caldo, ed era sicura che non fosse solo per colpa del dannato sole estivo. Si asciugò il sudore della fronte; la sua vista iniziò a farsi appannata.
Avvertì distintamente una mano posarsi sulla sua spalla. «Nicole?» domandò una voce maschile, dal timbro che Nicole aveva già udito in precedenza. Era una voce calda e soave, che per un istante le diede quasi sicurezza e tranquillità. Poi si voltò, e tutte le emozioni positive sparirono. Chi altri poteva essere se non Kendrew? «Ehi, Nicole. Hai visto?» sorrise lui, con ingenuità. «Siamo al primo e secondo posto! Chi l’avrebbe mai detto? E guarda: le nostre medie sono praticamente le stesse!»
Praticamente?!
Nicole stava per rispondergli per le rime. Lei non poteva essere seconda. E lui non poteva sbatterle in faccia così gratuitamente il fatto di avere una media più alta della sua. E poi, Luke Kendrew non poteva essere più bravo di lei. Assolutamente no. Non lui!
Dalle sue labbra, però, non uscì che un gemito. All’improvviso sentì il bisogno vitale di prendere aria, all’aperto, in santa pace.
Aria. Aria. Aria.
Spinse via così il primo classificato, correndo in mezzo alla massa e strattonando. Le voci intorno a lei si facevano man mano ed inesorabilmente più ovattate, mentre il suo campo visivo veniva circondato e chiazzato da macchie nere, come se un calamaro le avesse spruzzato l’inchiostro sulle orbite.
«Nicole?!» udì la voce di Luke Kendrew che la chiamava da lontano, ma lei la ignorò con decisione – anche perché ormai non sentiva neanche più la forza fisica per potersi girare e parlargli.
Ebbe un capogiro che la fece quasi capitombolare per terra, ma ebbe la forza di riprendersi. Corse ancora, finché non giunse a una porta dalle grandi dimensioni che dava al cortile sul retro, dove in quel momento non c’era nessuno e dove nessuno poteva pensare di andarla a cercare.
«Nicole!» poteva ancora sentire quella maledetta voce che la chiamava, ma era sempre più lontana a lei, e alle sue orecchie parve come un’eco indistinta. Non fu nemmeno sicura che fosse stato lui, a pronunciare il suo nome.
Usò le sue ultime forze per aprire la porta e uscire fuori, poi, una volta sul prato e sotto la fresca ombra di una quercia, capì di non riuscire più a vedere niente e di avere un’improvvisa mancanza di forze.
Così si lasciò cadere a pancia all’ingiù, abbandonandosi completamente al suo primo svenimento da shock.
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Luke si precipitò in cortile, verso il quale era sicuro aver visto dirigersi Nicole.
Era diventata pallida – eh sì, anche più del solito – ed era scappata così, senza dire niente. Aveva davvero l’aria di sentirsi male, e quindi lui l’aveva inseguita.
Poi la vide: eccola là, sdraiata sul prato, con i lunghi capelli sparsi a ciocche per l’erba, sotto l’ombra della grande quercia, e allora si prese paura sul serio. Continuava a chiamarla per nome, come se servisse a qualcosa. Arrivato da lei si mise in ginocchio, e girò il corpicino esile della ragazza. Ora era supina davanti a lui che, in preda allo spavento, non aveva idea di cosa fare. Nicole era lì, immobile, ora del tutto identica a una bambolina di porcellana. Se possibile, gli sembrava anche più delicata e fragile di sempre. La sua pelle candida era in totale contrasto con gli scuri capelli corvini che le circondavano il viso, e si allungavano, scivolando sulle sue spalle, poi giù per la sua schiena.
Stava per alzarsi e chiamare dei soccorsi, quando la manina dalle dita affusolate e sottili di Nicole gli afferrò saldamente la camicia. Fu impossessato all’istante dalla speranza che si fosse svegliata. Non seppe descrivere il sollievo che provò nel vedere le sue palpebre dalle lunghe ciglia nere, aprirsi lentamente.
Nicole spostò il viso in modo da poter inquadrare il ragazzo perfettamente. «Tu?» fu la prima parola che proferì, mugugnando.
«Nicole, va tutto bene?» Vide che stava provando a mettersi seduta sull’erba. Cercò così di aiutarla, ma lei finì col respingerlo, allontanandolo spingendo con la mano sul suo petto.
«Stammi lontano, ho bisogno di respirare» lei lo guardò arcigna. Quella sembrava più una scusa per allontanarselo che per prendere ossigeno.
Lui obbedì prontamente, e, benché con un po’ di indecisione dovuta al vederla così apparentemente di cattivo umore, le chiese: «Vado a chiamare qualcuno, Nicole? Non mi sembra che tu stia…»
«Sto benissimo, Kendrew, non ho bisogno di nessuno.» Con quel “nessuno” alludeva palesemente a lui. In seguito, Nicole si guardò le gambe. Sul suo viso apparve una smorfia di indignazione. «Insomma, ho appena avuta una sincope vasodepressiva, per la miseria! Non lo sai avresti dovuto alzarmi le gambe per favorire l’afflusso di sangue?»
Luke spalancò gli occhi. Chi era quella, e cosa ne aveva fatto della timida, riservata, dolce Nicole? Chi era quella ragazzina arrogante davanti a lui? Forse prima di svenire aveva battuto la testa da qualche parte ed era cambiata così… di punto in bianco? «Be’… scusa, io non sono pratico di pronto soccorso e quindi non sapevo proprio cos…»
«E guarda la mia cintura!» Lo interruppe lei, indicandosi la vita con un gesto delle mani. «Avresti dovuto slacciarla, non vedi quant’è stretta? Così rende ancora più difficile la circolazione! Tzè, e poi tu avresti la media più alta della mia? Ma fammi il favore…»
Luke rimase spiazzato. Oltre a essere del tutto impreparato al suo comportamento, aveva percepito nella limpida voce di Nicole un tale odio, disprezzo, una tale arroganza e cattiveria da rimanere estremamente incredulo e deluso, nonostante conoscesse quella ragazza solamente per una chiacchierata e alcune voci di corridoio. Finora l’aveva sempre creduta – e gli aveva fatto anche piacere crederlo – una ragazza così di buon cuore e buon carattere, dalla spassionata gentilezza e bella nella sua riservatezza, e sentirla parlare così lo sconfortava enormemente. «Nicole, ma cosa stai dicendo?»
«Quello che penso, porca miseria!» strillò, proprio come una ragazza che per anni si era sempre tenuta i suoi veri sentimenti dentro, e aveva scelto di non dire mai la sua. «Sono arcistufa di tutto questo! Vai! Vai pure da loro a dire che ti ho detto queste cose, nessuno ti crederà!» E usò la spalla di lui come appoggio per rialzarsi. Dopo di che, gli diede le spalle e fece per andarsene.
«Nicole, aspetta!» Luke la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi. Per un attimo lui credé di non poter sostenere uno sguardo così duro e dominante. «Nicole, ho detto qualcosa di sbagliato, prima? Qualcosa che ti ha offesa? Se è per quello, io non avevo alcuna intenzione di farti pesare il fatto di avere una media più alta della tua, e se l’ho fatto non me ne sono reso conto.»
«Lasciami subito andare!» Nicole si dimenò. «Tu! Tu ti sei portato via il mio titolo! Hai idea di che importanza avesse quel primo posto per me? Ero io a meritarmelo, di certo non tu!» gli sbottava contro, come un animaletto inferocito.
Ora non aveva più nemmeno la somiglianza con una bambolina.
«Ma Nicole…»
«Zitto! Sta’ zitto! Non ti voglio sentire parlare con me! Lasciami andare!»
«Nicole, sta’ calma, sei appena svenuta!»
«Lo so anch’io che sono svenuta, maledizione, e per questo devo ringraziare solamente te!» Strinse i denti dimenandosi ancora nel tentativo di allentare la presa che lui aveva su di lei. «Lo sapevo, io, che dovevo detestarti dal giorno in cui ti ho conosciuto! Doveva esserci un motivo!»
Gli diede poi uno strattone violento, anche troppo per una ragazzina mingherlina come lei, e scappò a gambe levate, facendo il giro dell’edificio, in direzione del marciapiede più vicino.
«Nicole!» Luke la chiamava invano. Lei non aveva certo intenzione di girarsi e dire “Sì?”.
Alla fine optò per l'inseguimento. E, con il caos più totale che governava nella sua testa, si domandò cos'avesse fatto per scatenare quella reazione nella ragazza.
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Jade's place:
Salve a tutti quanti! Bonsoir (o comeccacchio si dice perché di francese non ricordo una mazza...).
Che dire? Nicole è in piena crisi di nervi!! Io le starei alla larga... Luke l'ha presa un po' troppo male, lo so, perché in fondo conosce Nicole da pochissimo, ma comprendete: come reagireste voi se conosceste una personcina dolce e carina come Nicole che poi vi fa una parte così?? Io male xD.
Alzi la mano chi vuole dare un calmante a quella povera ragazza LOL. Se vi sembra fin troppo esagerata... le spiegazioni al capitolo tre, ovvero il prossimo :3 Riguardo allo svenimento... ho cercato di renderlo il più realistico possibile, avendo preso spunto dall'esperienza personale LOL.
Perché ho intitolato il capitolo "Classifica" anzi che "Tre"? Perché questo capitolo è un po' quello che fa accendere il meccanismo perché si sviluppi la storia, quindi ritengo importante specificarlo per bene. Credo che farò anche altre volte così.
Ringrazio veramente tanto tanto tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite e quelli che l'hanno recensita! Rendete felice una piccola apprendista scrittrice ç___ç Alla prossima!!
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Capitolo 6 *** Quattro ***
Quattro
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“Il divertimento è inesauribile;
la serietà no.”
Jean Paul Richter
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Nicole non fece neanche in tempo ad assimilare il contenuto della frase, che Luke aveva già messo in moto ed era partito, e oltretutto non stava andando a riaccompagnarla a casa, ma in tutt’altra direzione.
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A Nicole l’ignoto faceva paura – specie se doveva condividerlo con Luke Kendrew.
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«Ehi, dove stai andando? Kendr… ehm, cioè, Luke, dove stai andando, di grazia? Casa mia è dall’altra parte!»
«Ora non ti accompagno più a casa, ma vieni con me» ripensava ancora alla frase detta da lui poco prima.
«Aiuto! Oh mio Dio! Sequestro di persona!» gridava, sporgendo la testa fuori dal finestrino abbassato.
«Calmati, Nicole, per carità!» la esortò l’altro. «Non ti sto sequestrando. Tu hai appena accettato la mia scommessa.»
«La tua che?! Oh, porca miseria. No grazie, non voglio essere condotta sulla via del gioco d’azzardo. E poi non mi pare di aver accettato alcuna scommessa.»
«Sì invece, nel momento in cui hai detto “okay”.»
«No, mi spiace, ma solo gli stolti scommettono» sentenziò. «Chi altri, se non gli stolti, si metterebbe a giocare con la sorte? Può essere favorevole un giorno, ma per i successivi dieci cerca di scagliarti addosso le peggiori disgrazie.»
«Come siamo pessimisti!»
«Sono solamente realista.»
«Fa lo stesso» disse, prestando sempre attenzione alla strada. «Voglio dimostrarti che esiste un divertimento maggiore di un libro da leggere in giardino.»
Nicole scoppiò a ridere di gusto. «Ma stai scherzando? Luke, tu ti stai prendendo decisamente troppe confidenze con me. Fammi scendere subito, o chiamo la polizia, i miei genitori, o chiunque altro!»
«Dopo tutto quello che mi hai detto poco fa mi sembra di conoscerti da sempre, Nicole» rispose con ovvietà. «Prima di agitarti puoi stare a sentirmi?»
Nicole sbuffò. A quanto pareva, non c’era via di fuga – poteva scegliere di buttarsi giù dall’auto in corsa ma come idea non era molto brillante. «E va bene, stiamo a sentire il signorino primo classificato che molesta la più intelligente Nicole.»
Lui ignorò lo stupido soprannome, e proseguì. «Scommetto che in pochi giorni posso provarti che l’estate è una stagione fantastica, e che riuscirò a farti divertire più in questo poco tempo che precedentemente in tutta la tua vita. Se vinco, avrò il diritto a dare personalmente fuoco ai tuoi libri di Jane Austen.»
Nicole, inutile dirlo, sobbalzò trasalendo violentemente. «Tu sei completamente pazzo! Fammi scendere di qui! Cosa ti fa pensare che tenterei inutilmente di divertirmi rischiando la vita dei miei adorati libri? Non siamo più nel Medioevo! Non hai il diritto di metterli al rogo così crudelmente.»
Luke si fece sfuggire una risata. «Non è finita. Tu sei tanto convinta che non ci possa essere niente che possa svagarti che non sia istruttivo, non è così?»
«Esatto. Considero svago qualsiasi cosa sia in grado di accrescere la mia intelligenza e, di conseguenza, la mia superiorità. Voi tutti, vi dedicate a divertimenti così rozzi e grotteschi! Cosa c’è di divertente nell’indossare un costume e di buttarsi in una grossa vasca di acqua piena di acqua e cloro, quando fa caldo? Io preferisco di gran lunga un semplice bicchiere d’acqua fresca, o una doccia fredda! E vuoi parlarmi per caso delle feste, dove i pochi che non sono ubriachi e che non tentano un approccio col primo o la prima che incontrano ballano a ritmo di una musica che il ritmo proprio non ce l’ha?»
«Bene, allora facciamo così: se hai davvero ragione, e non riesco a darti un po’ di divertimento, allora potrai scegliere per me una penitenza a piacere.»
Nicole scattò sull’attenti, mentre la sua mente iniziava a lavorare febbrilmente. Una punizione a piacere? Mmm… la cosa iniziava vagamente a interessarla, stuzzicando la sua fantasia. Come per esempio… convincere i professori che c’è stato un equivoco nella classifica? «Be’… forse… okay, mi hai convinto. Tanto perderai, puoi starne certo.»
Ma Nicole! si rimproverò pochi secondi dopo, è proprio in questo modo che si comincia a giocare d’azzardo!
Ops.
«Okay, quindi è andata» le comunicò Luke. «Da adesso dovrai sottostare alle mie decisioni: non potrai tirarti indietro da nessuna delle cose che ti proporrò. Intesi?»
«Pff, che sarà mai? Mica mi costringerai a buttarmi giù da un aereo col paracadute!»
«Per quanto riguarda il paracadute, quello no, ma aspetterei a dire “Che sarà mai?”.»
«E che può esserci che io non farei, se non quello?»
Non fece quasi in tempo a dirlo che Luke svoltò con l’auto in un grande parcheggio, quasi tutto pieno. Nicole si domandò cosa vi fosse di così speciale nei dintorni da attirare così tanta folla. Vide chiaramente da una Ford parcheggiata poco più avanti un uomo e una donna sulla quarantina uscire, seguiti da un bambino allegro e pimpante che saltellava a destra e sinistra.
Un mormorio formato da tante voci e una musichetta lontana giunsero alle sue orecchie. Poi ebbe il coraggio di guardare fuori dal finestrino per capire cosa l’attendesse.
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Sbiancò.
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Sebbene non avesse mai visto quel genere di posto in vita sua, era abbastanza ragionevole da capire cosa indicassero, tutti insieme, la ruota panoramica, l’omino dei palloncini, la macchina dello zucchero filato, lo stupido tiro al bersaglio che ti faceva vincere degli altrettanto stupidi peluche e l’ottovolante. In quel momento si trovavano al parcheggio del Luna Park della città.
«Ehm, Luke? Non avrai mica intenzione di fermarti qui, spero. Suvvia, Luke! Il Luna Park è il posto perfetto per infanti, felici complessi familiari e individui di maggiore età rimasti mentalmente bambini, ma non certo per me!»
Luke trovò parcheggio. Prima di scendere dall’auto, le rispose: «Se ben ricordi, poco fa hai accettato le mie condizioni. Ma puoi ancora ritirarti, se vuoi, e vedere la tua preziosa Emma alimentare le fiamme nel caminetto di casa tua.»
Nicole si precipitò fuori dalla vettura senza farselo dire due volte. Ribolliva di rabbia per essere stata fregata. Va bene che il premio se avesse vinto la scommessa era a dir poco stimolante, ma ciò significava accettare e sottostare a tutte le regole che Luke Kendrew le avrebbe imposto. Il che non era un bene.
«Non ci posso credere!» si lamentò Nicole. «Mi sto facendo portare avanti e indietro da un tizio che nemmeno conosco!» Trascinava i piedi per terra, seguendolo fino all’entrata. E capì che stava davvero facendo sul serio.
«Fa’ finta che sia un appuntamento al buio, no?» Nel tentativo di migliorare la situazione, Luke non fece altro che farla avvampare dalla vergogna.
«Non dire stupidaggini!» lo zittì lei. Non capiva: che interesse poteva avere Luke Kendrew a farle fare una stupida scommessa con lo scopo di portarsela in giro come un cagnolino? Nicole era veramente una persona così bizzarra?
Raccogliendo tutto il suo coraggio e affiancato il suo nuovo “compagno d’avventure”, Nicole giunse alla cassa, che precedeva l’entrata. Dei biglietti si occupava una donna, sulla quarantina, che probabilmente teneva al suo aspetto, essendo ben truccata, nonostante la maggior parte della gente che veniva in quei posti avesse un’età inferiore ai sedici anni. Aveva i capelli di un color biondo finto raccolti in una crocchia, le unghie laccate di rosa e tutti i denti a vista da quanto era largo il sorriso che stava rivolgendo loro. «Benvenuti!» li salutò.
Luke tirò fuori dalla tasca il portafoglio. «Non preoccuparti, ci penso io ai biglietti.»
Nicole lo prese per il polsino della camicia e lo fermò. «Eh no, grazie, non mi va di essere in debito con chicchessia.»
Lui stava per rispondere, quando la donna, con tutto il suo brio, li interruppe: «Solo per questa settimana c’è uno sconto speciale riservato alle coppie! Pagate per uno, entrate entrambi.» Rivolse ai due un’occhiata complice. Sì, proprio una di quelle occhiate che stava palesemente a dire “Ma quanto siete carini insieme!”
Togliti quella faccia da ebete altrimenti la pagherai. Nicole non finì di pensarlo che sentì qualcosa di caldo afferrare improvvisamente la sua mano destra. Non dirmi che è… Sbarrò gli occhi ed avvampò – anche più di prima. La mano di Luke teneva stretta la sua.
Fu attraversata da un moto di odio, e meditò su come poteva vendicarsi di quel gesto. Poi Luke disse: «Hai sentito, tesoro?» Luke non era per niente bravo a mentire, ma forse sarebbe riuscito a convincere la signora dalle unghie smaltate di rosa. «Pago io ed entriamo tutt’e due. Hai capito, amore?»
Quando pronunciava quella parola, a Nicole venivano inevitabilmente i brividi. Non sapeva se fosse perché il pensiero di lei che faceva coppia con Kendrew le risultasse raccapricciante o per altro. Ma era orribile in ogni caso.
Luke riuscì miracolosamente a convincere la signora tinta di biondo, e i due entrarono senza problemi. Così, Nicole si ritrovò a camminare in mezzo a bambini con i palloncini in mano, con la musichetta delle giostre che le attraversava le orecchie, penetrando nel cervello e facendola rabbrividire quasi più di quando pensava a lei e Luke come due innamorati. Abbassò lo sguardo alla sua mano. Luke la teneva ancora stretta.
«Ti conviene lasciare all’istante la mia mano, se non è tua volontà beccarti un manrovescio in pieno viso» dichiarò, piccola ma minacciosa.
Prontamente, lui fece come lei diceva. «Ora vieni, però, e rimani vicino a me.»
Nicole non eccedeva di certo in fiducia. E capì di avere ragione, non appena si trovarono in fila per salire sull’ottovolante.
«Luke… Lu-luke…» la sua voce si fece fremente. «Io non voglio salire lassù! Non mi ci stai portando sul serio, vero?»
L’altro, com’era inevitabile, scoppiò a ridere. «Come, non eri tu quella che diceva “Che sarà mai, basta non buttarti giù da un aereo col paracadute”?»
«Sì, ma più o meno siamo lì… guarda! Quel carrello scende giù a forza di gravità! E poi le senti le urla di quelle persone? Mi rifiuto categoricamente di montare su quell’aggeggio.»
«Rinunci quindi alla scommessa?»
Nicole scattò e, dopo essersi resa conto di ciò che aveva detto, ritirò la propria affermazione, impallidendo sempre maggiormente in viso.
«I tuoi non ti hanno mai portato al Luna Park?» continuò lui.
Nicole scosse la testa. «Mai. Hanno preferito istruirmi a dovere insegnandomi a suonare il violino, facendomi imparare a memoria le prime poesie, e hanno fatto in modo che imparassi a leggere prima di andare a scuola. Ma ultimamente stanno diventando dei gran scocciatori. Dicono di avermi abituata talmente tanto allo studio che ora non riesco a godermi nemmeno le vacanze. Pff! Che cosa stupida.» A che servono le vacanze, se non a rimbambire quelli che se la godono con futili divertimenti perditempo? Sono l’invenzione peggiore di questo mondo!
«Bene. La prima volta è sempre la migliore. Preparati, la tua adrenalina andrà alle stelle.»
Nicole aveva avuto una vita così movimentata che conosceva solo il significato teorico della parola “adrenalina”, e non quello pratico. E in quel momento fu sicura che sarebbe stato meglio il contrario, almeno così sarebbe stata preparata. «Speravo di non dover arrivare a questo» disse infine, aprendo la borsa e rovistando dentro con una mano.
Ne uscì con un libro tra le mani, in edizione economica, dalla copertina consumata e le pagine lievemente ingiallite. Non profumava più di stampa come poco dopo l’acquisto. Nicole lo aprì alla pagina dove aveva infilato un segnalibro e iniziò a leggere silenziosamente, man mano che andavano avanti nella lunga fila.
«E quello che diamine è?!» esclamò Luke, stupefatto.
Lei lo squadrò come si squadra uno che non ha capito qualcosa di veramente scontato. «Leggo, no? Mi porto sempre dietro un libro per questo genere di inconvenienti. Fare la fila è una perdita di tempo, così mentre procediamo in avanti impiego il mio tempo con una lettura leggera e sfiziosa.»
Luke lesse il titolo in copertina. Gli sfuggì una smorfia. «E un saggio sulle religioni politeiste orientali ti sembra una lettura leggera e sfiziosa?!»
Nicole sollevò per un momento lo sguardo dal libro e corrugò la fronte. «Cosa volevi mi mettessi a leggere? Un dépliant sui viaggi alle Maldive? Certe volte mi stupisco. E in più hai anche la media più alta della mia.» Pronunciando l’ultima frase, Nicole strinse a sé il libro con forza, ribollendo di rabbia e rammentando l’odio che provava verso colui che in quell’istante la stava trascinando sull’ottovolante.
Luke parve non accorgersi di questo, e la lasciò perdere finché non arrivarono all’inizio della fila. Lì dovette convincere Nicole che era meglio se non si mettesse a leggere durante la corsa.
Nicole si preparò al peggio. Seguì Luke, sedendosi sul carrello di fianco a lui. Era un carrello abbastanza stretto, e la ragazza lo disprezzò ancora di più: così la distanza tra lei e Luke si accorciava e, anzi, dovevano stare quasi appiccicati.
«Nicole?» la chiamò lui.
«Che vuoi adesso?» rispose lei, acida, stringendo tra le dita in una morsa la grossa borsa a tracolla, in preda all’ansia.
«Ehm… non voglio allarmarti né aumentare il tuo già ardente odio per me ma… credo che durante la corsa ti servirà un sostegno… quindi, io sono qui.»
Nicole, che stava impallidendo tutta d’un colpo e aveva le mani avvinghiate alla borsa sudate, tentò di celare il proprio morboso timore: «Tzè! Che s-sarà mai? Eheh… è s-solo uno stupido ot-tovolante, hanno effet-tuato decine e decine di cont-trolli per la s-sicurezza.»
L’omone grosso e chiaramente annoiato che li aveva appena fatti salire fece loro una raccomandazione. «Non sporgetevi e non togliete la sbarra di sicurezza prima della fine del giro» disse, con voce monocorde. Evidentemente doveva ripetere quella stessa frase tutti i santi giorni a tutti quelli che salivano.
Un ultimo brivido scosse Nicole prima che il carrello partisse, facendosi strada lentamente sui binari. Una lentezza straziante.
A quel punto un nodo invisibile parve stringerla alla gola; le mani iniziarono a sudarle ancora di più e il battito cardiaco accelerava. Il tutto mentre Luke, di fianco a lei, se ne stava lì, bello tranquillo, guardandosi intorno come se stesse facendo una banalissima gita in campagna.
«Sei agitata?»
Nicole scosse la testa – non aveva la forza di spiccicare parola.
«Sei pallida come un fantasma!» ridacchiò lui. «Stai bene?»
Nicole annuì con decisione. Kendrew, più ti conosco e più mi convinco che sei un idiota.
Il carrello intanto aveva preso velocità. Poi rallentò, all’inizio di una lunga salita. Sì, la salita. E Nicole sapeva cosa l’aspettava, dopo. Sapeva che al punto della discesa si sarebbe sentita come se fosse caduta nel vuoto. E aveva una paura tremenda.
La sua voce finalmente si sbloccò: «Okay, Luke, è stata una pessima idea, voglio scendere, voglio scendere all’istante!» diceva agitandosi dentro il carrello, sotto la costrizione della sbarra di ferro che le impediva la maggior parte dei movimenti. «Ho paura, so quello che c’è, lassù, una volta raggiunto il picco della salita! Non sono un’imbecille! E ho il massimo dei voti in fisica!»
Luke rise, forse per rassicurarla, ma era tutto vano. Allora ripeté ciò che aveva detto in precedenza: «Te l’ho detto: puoi aggrapparti a me; di solito tranquillizza le ragazze.»
«Sì certo, e secondo te io mi aggrapperei a un cretino che mi ha miracolosamente superata e che mi ha fatto fare una stupida scommessa come t…» la voce le si mozzò in gola.
Erano arrivati in cima alla salita.
Il carrello parve fermarsi per qualche attimo.
Nicole lasciò la propria borsa stretta tra le ginocchia, mentre con le mani afferrò saldamente la camicia di Luke – cosa che lui si aspettava – e non importava se era Luke Kendrew, dalla media più alta dell’istituto. Poteva essere anche il gelataio che passava tutti i pomeriggi davanti a casa sua, ma non gliene importava un fico secco.
Nascose il viso appoggiando la testa al petto di lui.
«Ti detesto.»
Il carrello andò poco più avanti. Dopo di che, si fece guidare giù, sfrecciando sui binari, per mezzo della forza di gravità, accompagnato da un grido stridulo e acuto emesso dalla ragazza.
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Jade’s place:
Non so voi, ma io ho riso tanto scrivendo questo capitolo xD la mia Nicole… poverina, vive in tutt’altro mondo! Non credo di dover mettere alcuna spiegazione… anche perché il carattere della protagonista andrà scoprendosi meglio di capitolo in capitolo.
Ho postato troppo in ritardo? Perché tra un impegno e l'altro, pur avendo il capitolo già pronto, non l'avevo sistemato. Mi sto portando avanti per il futuro, comunque, don't worry =)
Posto molto rapidamente questa sera, perciò scusate ma non riesco proprio a mettere tutti i ringraziamenti adeguati. Comunque grazie tantissimo, in generale, a tutti quelli che leggono/inseriscono tra le preferite/seguite e le vostre recensioni mi fanno felice come una bambina davanti al regalo di Natale di dimensioni spropositate!!!!!! Vi saluto!
Post scriptum: Si accettano scommesse: chi vincerà la scommessa?! xD Via alle scommesse!!!!!!!
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Capitolo 7 *** Cinque ***
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Cinque
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“Gli errori fatali della vita non sono dovuti al fatto
che l’uomo è un essere logico: un momento di
irragionevolezza può essere il nostro momento più alto.
Sono dovuti al fatto che l’uomo è un essere logico."
Oscar Wilde
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Senz’alcuna ombra di dubbio era stata la sensazione più indescrivibile mai provata da Nicole. E dire che il suo vocabolario era davvero ricco di parole.
Dunque era quella, la famosa “scarica di adrenalina”. Certo, l’aveva già provata altre volte prima di sapere il risultato di un compito in classe, o nei giorni che precedevano un test, ma era sempre stato qualcosa di lieve. Ora era come se qualcosa dentro di lei avesse detonato improvvisamente.
I suoi capelli fluttuavano nell’aria, la quale era così forte in quel momento che pareva quasi volesse fenderle il volto.
Nicole usò tutta la forza che vi era nelle sue corde vocali: strillò come non mai; un urlo acuto e squillante, che conteneva un misto tra terrore e allo stesso tempo una strana e – ma non l’avrebbe mai ammesso – quasi gradevole sensazione di libertà.
Mentre il suo cuore accelerava e i battiti le rimbombavano nella testa, la sua presa sulla camicia del suo nemico giurato Luke si fece più stretta. Lui, ovviamente, sorrideva tranquillo ma doveva essere così abituato a quella discesa da non farsi prendere troppo da queste emozioni.
Il carrello dell’ottovolante terminò la sua inesorabile discesa e rallentò mano a mano, ritornando lentamente al punto di partenza. Poi ci fu la frenata, e la sbarra di ferro si alzò.
Nicole, che ora era tornata in sé, accorgendosi di quello che stava facendo, mollò la presa su Luke immediatamente, di scatto, avvampando. Oh mio Dio, l’ho tenuto stretto come se fossi la sua ragazza e mi sono anche appoggiata a lui! pensò con vergogna. Nicole, dannazione, sei una persona razionale! Non dovevi arrivare a tanto!
Dopo che furono scesi, Luke notò gli occhi spiritati di lei, che era ancora in quello stato anche a fine corsa. Non riuscì ad evitare di mettersi a ridere. «Nicole, te l’avevo detto, io!» La cinse amichevolmente con un braccio, ma lo sguardo furioso che le scoccò la ragazza gli fece capire subito che era meglio non avere contatti fisici con lei. «Com’è stato?»
«… Miserere di me» fu solo capace di sussurrare.
Lui sorrise. «Molto intenso. Concordi?» le domandò dopo qualche secondo, mentre stavano camminando verso una meta sconosciuta.
«Stai scherzando?!» sbottò lei, riprendendosi inaspettatamente, a quell’affermazione. «Tu sei pazzo! È stato orribile! Solamente un individuo affetto da infermità mentale salirebbe su quel coso! Come ti è potuto venire in mente, per la miseria?» Gesticolava nervosamente mentre lui la guardava divertito.
«Non hai provato una sensazione nuova? Diversa?»
«Ah sì, certo! La sensazione che la vita mi scorresse davanti agli occhi in un attimo!»
Lui, paziente e comprensivo, tentò di farla calmare. «E l’adrenalina? L’hai sentita?»
Nicole non credeva che un semplice ormone secreto da una ghiandola potesse farle un effetto così intenso. L’aveva sentito sì. Ma un momento, doveva dirlo a Luke? Assolutamente no! Non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura. Sarebbe stata un’umiliazione e un passo verso la propria sconfitta. «Anche se fosse, di certo non ne è valsa la pena!»
Luke, imperterrito e nonostante tutto, continuava a sorridere. «Vieni, andiamo.»
«Oh, e dove mi porti stavolta? Direttamente a fare bungee jumping?»
«No» disse lui, tra una risata e l’altra – quella ragazza era davvero buffa e fuori dal comune – «ma supponevo solo ti fosse venuta fame.»
«Ma che dici?» E in quel preciso istante – ironia della sorte – a Nicole brontolò lo stomaco. Ci mancava solo questa. «E va bene. Forse solo un po’.»
«Allora ho la soluzione giusta per te.»
Ma che intenzioni ha? Al massimo della diffidenza, Nicole lo seguì. Si guardava intorno come un marinaio naufragato su un’isola abitata da popoli sconosciuti.
«Nicole, voglio farti una domanda. Hai mai mangiato lo zucchero filato?» chiese Luke, sicuro di sapere già la risposta.
Lei corrugò la fronte, con aria di disgusto. «Cosa?! Quella roba a forma di nuvola? Ma hai idea di quanti danni provochi ai denti?»
Lui, scuotendo la testa, sempre con il suo immancabile sorriso, si diresse così insieme alla compagna che stava appena dietro di lui verso la macchinetta dello zucchero filato. «Ne prendo uno» disse all’omino in grembiule bianco che se ne occupava.
Poco dopo porse a Nicole un bastoncino di legno avvolto da una grossa palla di zucchero filato. Lei lo squadrò.
Grande, tondo e rosa. E anche molto appiccicoso. «Non ti aspetterai che lo mangi, vero?»
Ma ripensando alla povera Emma e a tutti i suoi sfortunati libri di Jane Austen che, se si fosse ritirata dalla scommessa, avrebbe perduto tra le fiamme, prese il bastoncino dalla mano di lui. Si fece coraggio, e sfilò con delicatezza un batuffolo roseo di zucchero, che le rimase tra il pollice e l’indice. Chissà quanto colorante… Implorò poi perdono ai suoi denti smaglianti, e, chiudendo gli occhi, si posò la pallina appiccicosa sulla lingua.
Quando chiuse le labbra, questa si era già sciolta. Fu come una piccola esplosione di dolcezza dentro la sua bocca. Il suo sapore le fece quasi fremere le papille gustative. Tentò invano di ricordare l’ultima volta che aveva mangiato un alimento a così alto contenuto zuccherino. «Tu che hai da guardare?» disse poi, minacciosa.
«Com’è?» Anche questa volta, lui già sapeva la risposta.
«Umpf! Capirai! Nulla di particolare. Dato quanto dovrò lavarmi i denti appena tornata a casa, direi che non ne vale proprio la pena.»
«Be’, allora se è così non importa che ti sforzi di mangiarlo» disse poi con un ghigno stampato sul volto.
«Scherzi?!» esclamò lei. «Volevo dire… ormai me l’hai pagato, e io non spreco mai soldi, specialmente quelli degli altri.»
Quindi, con la mano sempre più appiccicosa e la bocca sempre più in fermento, Nicole continuò a mangiare simulando il più totale disprezzo verso quella nuvola zuccherata, e Luke continuò a guardarla farlo, ignorando del tutto i suoi tentativi di finzione, sì convincenti, ma non per lui.
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Un’ora dopo, successivamente a un giro sulla ruota panoramica che aveva provocato le vertigini alla ragazza, Nicole scese dall’auto di Luke, che l’aveva portata a casa. «Sono le sei. Chissà cosa dirà mia madre» disse, appoggiandosi alla portiera ancora aperta.
Lui alzò le spalle. «Non mi preoccuperei di questo. Piuttosto penserei a quello che ti aspetterà domani.»
Nicole lo guardò arcigna, e strinse i pugni. «Insomma, Kendrew, mi vuoi lasciare in pace? Io non ti conosco! So a malapena come ti chiami e che mi hai soffiato il primo posto da sotto il naso!»
Luke le sorrise. La guardò con occhi speranzosi e belli come quelli di un bimbo. Nicole, arrossendo, capì per una volta il perché le ragazze di tutto l'istituto gli sbavassero dietro come cagnolini. «E alla scommessa non pensi?»
Ma come diamine faccio a dirgli di no se mi guarda così? Poi scosse la testa violentemente. Cosa ti viene in mente, Nicole?! «Non fare gli occhioni dolci con me! Se vado avanti con questa scemenza è solamente perché ho voglia di infliggerti una punizione a piacere.»
Lui sembrò soddisfatto della risposta. «Benissimo. Allora ti aspetto fuori da casa tua domani alle quattro in punto. Intesi?»
«Intesi» rispose lei, con voce atona. «Buona serata» lo salutò con una punta di sarcasmo.
«Anche a te. Sperando che non la passerai sui libri.»
«Io faccio quello che voglio!» e, detto ciò, sbatté lo sportello e girò i tacchi, tornandosene a casa.
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Caro diario…
Dannazione, stupido quaderno, proprio non mi va di condividere con te le mie atroci disgrazie. Forse domani ti racconterò tutto più nei dettagli, o prima o poi, quando la mia rabbia folle per essere arrivata seconda e il mio odio profondo verso Kendrew, che tra l’altro oggi mi ha liberamente sequestrata, si saranno placati anche in modo flebile…
Grr! Quell’idiota! Tu non ci crederai, ma è arrivato lui primo in classifica! Inutile descrivere il mio shock… guai a te se ti fai scappare quello che ti ho detto con qualcuno. Acqua in bocca.
Ancora non l’ho detto a mamma e papà. Mi faranno un sacco di storie perché, se almeno sprecare tutte le sante estati a studiare servisse a farmi arrivare prima… e invece no! Quel perfettino di Kendrew è arrivato a rubarmi la scena! Ma forse c’è qualcosa di peggio… essere indotta a scommettere con lui e passare una giornata intera insieme. Noi due da soli.
Terribile agonia.
Basta, non voglio più parlarne, e forse domani avrò anche tutte le intenzioni di strappare questa stupida pagina che – per la prima volta – non riporta alcuna lode nei miei confronti.
Kendrew mi ha riportata a casa solo adesso, con i suoi fare comodi, e ho passato dieci minuti a lavarmi i denti, a causa di quello stupidissimo zucchero filato.
Be’, almeno non aveva un sapore così orribile. Bah, ma che sto dicendo! È come se stessi dando ragione a Luke! E no, questo non va affatto bene.
Dopo essere svenuta nel cortile dietro alla scuola, non solo si è permesso di sfoggiarmi dinanzi la sua bella media più alta della mia di pochissimo, ma ha addirittura pensato che sequestrarmi e farmi fare una stupida scommessa potesse… ecco, farmi bene. La realtà è che non capisce come sono fatta io. E, idiota com’è, non lo capirà mai. Ti chiederai allora come ha fatto ad avere una media più alta della mia. Mi rimane solo da pensare che siano stolti anche tutti i miei professori, accidenti!
Devo spiegare a mamma e papà perché sono arrivata così tardi. Lo farò a cena. Insieme all’annuncio del mio secondo posto.
A dir poco disonorevole.
Ora vado a prendere una boccata d’aria.
Maledetto diario, non riesci neanche a dirmi un misero “In bocca al lupo”. In questo momento non so se odiare più te o Luke K.
Nicole
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Jade's place:
Eccomi qui, lettori! Jade è tornata con un nuovo capitolo. Capito qui come stanno le cose? La mia Nicole, poverina xD è stata sopraffatta da una stupida scommessa! Okay, lo sguardo speranzoso e convincente di Luke ha convinto, possiamo dire, Nicole ad andare avanti xD come procederà la nostra vicenda? Capitolo un po' cortino, lo so, il prossimo però mi è venuto esageratamente lungo quindi abbiate pietà ^^'
Si accettano altre scommesse: dove la porterà, domani?! Per scoprirlo leggete il prossimo capitolo =) vi aspetto numerosi, e le recensioni mi fanno solo piacere ;)
Oh, e ringrazio:
lisetta95 e xManu89x, nuove arrivate che hanno inserito la storia tra i preferiti =)
Ceres13, il phard di biancaneve, lety91, Marti_18, Reaver, Stay Strong, Sweetie SUICIDE, e sempre xManu89x che sono i nuovi che l'hanno messa tra le seguite =)
E naturalmente grazie allo stesso modo a tutti quelli che continuano a seguirmi e a recensire, grazie infinite davvero :D vi saluto, al prossimo capitolo!
PS: ho una piccola campagna pubblicitaria.
Avete bisogno di un banner? O di una cover, per le vostre storie? O volete semplicemente un'immagine da poter inserire come riferimento alle vostre storie di EFP? La sottoscritta Drama_Queen e la sua socia ThePoisonofPrimula si sono unite per soddisfare al meglio che possono le esigenze degli scrittori. Se avete bisogno di un banner, cover o immagine da inserire nelle vostre storie come la mia qui sopra, basta contattare o me o lei. Per maggiori informazioni, non esitate a chiedere ;D (lavoriamo gratis xD)
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Capitolo 8 *** Quel che volete ***
Quel
che volete
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“Se la
musica è il nutrimento dell’amore,
continua a suonare.”
Shakespeare
– La dodicesima notte… o
quel che volete
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Nicole.
Una sola parola bastava
per racchiudere infiniti altri pensieri e, a modo suo, riuscire a farlo
sorridere.
Erano quasi le quattro
del pomeriggio. Luke era in auto, puntuale come sempre, e si stava
dirigendo
verso la casa di Nicole – sperando di ricordare ancora dove
abitasse. Non v’era
alcun dubbio sul fatto che il giorno prima fosse stato uno dei
più strani di
tutta la sua vita.
La ragazza più brava
della scuola, Nicole, così minuta, candida, dal viso sempre
sereno e con i fluenti
capelli corvini che ondeggiavano giù per la sua schiena ad
ogni suo passo,
quella con la fama di essere la più buona, era una ragazza
arrogante e superba.
Era stato già abbastanza bravo da scovare questi dettagli
non poco rilevanti
della sua personalità, e in un primo momento era davvero
rimasto negativamente
sconcertato.
Il fatto è che sotto
c’era dell’altro. Scavando a fondo, durante tutto
il pomeriggio passato con
lei, era sicuro di una cosa, e anche se era poco, andava bene comunque:
per
qualche breve istante l’aveva fatta sorridere, forse non
apertamente – il suo
orgoglio glielo avrebbe impedito – ma dentro di sé
certamente. L’urlo che aveva
cacciato durante la discesa dell’ottovolante era
così forte che non poteva
contenere semplicemente terrore; chissà se non contenesse
anche un nuovo senso
di libertà o una certa allegria scatenata
dall’emozione?
Luke aveva capito che
alla base di tutta la sua presunzione e il suo senso di
superiorità stava
semplicemente una mancata conoscenza del mondo esterno.
Nicole, essendosi sempre
dedicata fin troppo alle letture e allo studio, aveva finito per
trascurare la
realtà che la circondava, molto più importante.
Per cui, lo studio rimaneva
l’unica cosa cui aggrapparsi. Vanità e il
conseguente odio verso chiunque la
superasse venivano dunque da sé. Pensava che la ragazza
scherzasse, dicendo che
non aveva altro oltre quello, poi aveva compreso che effettivamente
forse era
davvero così. Da lì la sua convinzione che
mandare avanti la scommessa fosse la
cosa giusta.
Per quali altri motivi
lo facesse, poi, era un vero mistero: forse gli piaceva vedere quanto
Nicole
fosse buffa davanti alle semplicità per lei così
assurde del mondo esterno,
oppure era curioso di scoprire il suo carattere a fondo. Ma anche i due
motivi
messi insieme non erano abbastanza validi per portarsela in giro a
farla
divertire. Insomma… chi gli aveva imposto di farlo? Nessuno!
I suoi pensieri furono
interrotti una volta arrivato a destinazione. Erano ormai le quattro in
punto,
quindi accostò da una parte in attesa di vederla uscire
dalla porta.
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Nicole aveva bisogno di
ammazzare l’ansia con qualcosa, un passatempo, qualcosa che
la distrasse
dall’attesa straziante che si facessero le quattro.
Alle tre e cinquanta era
ancora lì, immobile, a fissare l’orologio appeso
al muro della sua stanza, e
guardava la lancetta dei secondi andare inesorabilmente avanti. Non
poteva di
certo fermarla. Le quattro sarebbero arrivate, e con loro Luke che
l’avrebbe
portata chissà dove.
Ma non se ne parlava di
rinunciare adesso. No, aveva già sopportato una straziante
giornata al Luna
Park, e ora sarebbe andata fino in fondo, per la propria
dignità e per la
salvezza dei suoi romanzi austeniani.
Così, decise di tirare
fuori il suo bel violino, con il quale si esercitava un paio di volte a
settimana, e si dedicò per i minuti successivi –
senza far caso al tempo che
scorreva – all’esecuzione dell’ultimo
brano imparato.
_
_
E lui che pensava fosse
una persona puntuale! Nicole in ritardo. Non l’avrebbe mai
detto.
Le quattro e dieci! pensò Luke, poi
buttò
di nuovo l’occhio sull’orologio. Quattro
e undici, per la precisione.
Era già con
l’indice
pronto a premere sul campanello di casa Hicks, quando un suono acuto e
gradevole gli giunse all’orecchio, lontano e delicato.
Si susseguirono una
serie di suoni, dolci e lenti, uno dietro l’altro. Tutti
insieme componevano
una melodia piacevole con un che di malinconico. Non c’era
dubbio: era il suono
di un violino.
Rimase fermo, cercando
di capire da dove provenisse quella musica.
Fece il giro della casa,
fino ad arrivare poco sotto a una finestra. Una finestra aperta che
faceva
uscire quella scia di note inebrianti per l’udito, come una
voce suadente ed
emotiva che lo induceva a chiudere gli occhi e godersi appieno quelle
parole
fatte di musica che risuonavano in un silenzio inesistente.
Sì, perché quella
melodia era così piacevole da rendere silenzio qualsiasi
altra cosa ci fosse
intorno.
«L’unico
strumento che
riesco a impugnare è il violino, perché i miei
genitori mi hanno mandata a
lezione fin da piccola.» Nicole l’aveva detto.
Doveva essere la finestra della sua
stanza, quella appena sopra di lui.
Si appoggiò contro il
muro che li separava, in ascolto imperturbabile.
Figurò nella sua testa
l’immagine di Nicole che teneva il violino tra le mani e solo
attraverso i
movimenti della sua mano riusciva a produrre qualcosa di
così incantevole.
Poi la musica
s’arrestò
di colpo.
«Oh,
miseriaccia!» udì
un’esclamazione poco dopo.
Deve essersi accorta che
sono più delle quattro e un quarto, ormai… Rapido, tornò alla
propria automobile,
attendendo Nicole, che arrivò di lì a mezzo
minuto dopo, inconsapevole del
pubblico che si era appena beato nella sua esecuzione. Lui non le disse
niente
di tutto ciò, sebbene per la successiva mezz’ora
non vi fu altro suono che
governò nella sua mente, come un’eco che si
ripeteva all’infinito.
«Sì,
sì, lo so, sono in
tremendo ritardo e bla bla bla…» esordì
Nicole, con lo stesso comportamento del
giorno prima. «Non serve che mi fai la ramanzina, so bene
quanto sia importante
la puntualità» dopo di che montò nella
vettura, chiudendo lo sportello e
allacciandosi la cintura.
«Non importa, abbiamo
ancora una buona mezz’ora di tempo. Oh, e buongiorno,
Nicole.»
«Ciao, Kendrew»
ricambiò, atona.
«Luke, prego.»
«Quel che vuoi.»
Lui mise in moto e
partì. Nicole non sapeva se dovesse dare soddisfazione alla
propria curiosità
di sapere quale fosse la destinazione, o se fosse meglio stare zitta
per non
far scoprire a Luke che gliene importava qualcosa. Così fu
lui a dare il via
alla conversazione: «Non pensavo fossi un tipo
ritardatario.»
Nicole guardò
fugacemente l’orologio, come per avere una conferma del
proprio ritardo. «Non è
tipico di me, infatti. Mi stavo esercitando con il violino e sai, il
tempo è
volato.»
Lui non disse niente.
Dopo un po’, Nicole non
resisteva più: «Allora, mi dici dove stiamo
andando? Hai detto che “abbiamo
ancora una buona mezz’ora”, ma per che
cosa?»
«Ho una domanda per
te.»
«Ehi, non cercare di
sviare
la mia richiesta!»
«Ti piacciono i film,
no?»
Nicole corrugò la
fronte. «Film? Intendi… quelli girati con le
telecamere, con tanto di attori,
regista e sceneggiatore? Pff, penso che siano la cosa più
inutile che esista
sulla faccia della terra, naturalmente dopo le stupide feste per
rimorchiatori
e alcolizzati. Che senso ha un film fatto di continue scene e
inquadrature
inutili, con attori che provano la stessa battuta mille volte prima che
venga
bene, e poi riuscire a immedesimarsi? Non è meglio una di
quelle belle opere
teatrali, dove gli attori entrano in scena e hanno solo una
possibilità di fare
quello che fanno bene? Un film non è
molto più finto?»
«Un’opera
teatrale
riesce a darti tutti quegli effetti speciali, come esplosioni,
inondazioni, o
anche solamente un’inquadratura
dall’alto?»
«Se l’uomo si
sforzasse
di avere più immaginazione anzi che cercare di vedere le
cose con i propri
occhi anzi che con la mente, probabilmente sì.»
«Perfetto.»
Luke svoltò
a sinistra. «Ora posso comunicarti che ti sto portando al
cinema.»
Nicole fu assalita da un
tic nervoso all’occhio. Ma bene, dopo che gli aveva elencato
tutti i motivi per
cui odiava i film, lui la portava al cinema. Le sembrava giusto. In
fondo, a
chi non piace fare quello che si odia?
«Possiamo arrivare a un
compromesso, però» proseguì lui.
«Posso anche accontentarmi di vedere un
melenso film romantico di quelli che piacciono tanto alle ragazze, se
vuoi.»
Nicole ribatté subito a
quella frase poiché 1) se c’era una cosa che
sopportava peggio dei film erano i
film romantici; 2) l’idea di vederne uno con Kendrew poteva
creare non solo
parecchio imbarazzo, ma anche parecchi problemi ed equivoci nel caso
qualcuno
che li conosceva li avesse visti. «Oh no, grazie, ma detesto
i film romantici.
C’è troppa finzione, come in tutto il
romanticismo, del resto.»
«Come?» Luke
rimase
stupito. «Non credi nel romanticismo? E allora tutti quei
libri di Jane Austen
che leggi?»
«Oh, ma quelli sono
libri. Il romanticismo dei libri è molto più
veritiero e fantasioso. Fa sognare
per qualche pagina. Ma nei film c’è poco e niente
di realistico, a parer mio.
Nella realtà poi non ne parliamo.»
«Wow» Luke
proseguiva
per la strada – memorizzata da tempo – verso il
cinema. «Credo che tu sia la
prima ragazza che conosco che non crede nel romanticismo. Di solito
questa è
una cosa per uomini, o per donne che hanno avuto una delusione
d’amore, o per
bambine ancora non cresciute.»
«Mi meraviglio che
invece tu ci creda, Luke.»
«Non fa male credere in
qualcosa, a volte. L’uomo nei secoli ha creato migliaia di
cose in cui credere,
qualcuna dovrà pur essere vera.»
«Stai dicendo che
illudersi è un bene? No, non lo capisco, il tuo punto di
vista. Io non tendo a
credere a certe stupidaggini come l’amore. Credo che sia
solamente egoismo.»
«In che senso,
scusa?»
Nicole roteò gli occhi,
seccata. «Uff, se solo i professori potessero vederti,
adesso, con me, che ti
faccio da maestrina su qualsiasi cosa!» Poi
continuò con la spiegazione. «Vedi,
l’amore si basa sul desiderio passionale e carnale verso una
persona, la
volontà di possederla. Se amassimo
davvero, ci basterebbe poter amare
quella persona da lontano, e sperare nella sua felicità.
Questo è il vero
concetto di amore, e anche nella religione buddista
è così. Ma nel
momento in cui subentrano gelosia e possesso, l’amore diventa
un puro
sentimento egoistico. Diventa tutto incentrato su se stessi, e non
sull’altro.»
Luke metabolizzò il
contenuto della frase ma, pur essendo in totale disaccordo, non trovava
argomenti con cui ribattere. «Più ti conosco,
Nicole, e più penso che tu
provenga da un altro pianeta.»
«Sai, Luke, lo penso
anch’io. Un pianeta dove esiste un mondo migliore, molto
probabilmente. Prima o
poi scoprirò di essere stata adottata e di provenire in
realtà da un posto dove
regnano individui da un’intelligenza superiore. Ma,
ovviamente, io sono una
persona troppo razionale per credere davvero che sia
così.»
«Non l’avrei
mai detto»
rispose lui con ironia.
Nicole aspettò che
raggiungessero il cinema e parcheggiassero, prima di parlare di nuovo.
«Vorrei
tanto sapere quanto durerà ancora questa buffonata. Mi hai
già rubato due
giornate di studio, quante altre hai intenzione di
prendermene?»
«Quante ne basteranno
per farti venire la voglia perderne ancora di tua
volontà» rispose lui,
indicandole l’ingresso del grande cinema. «Hai
già deciso che film vuoi vedere?
Questo cinema è pieno di sale.»
«Se nei cinema non
spegnessero le luci, credo impiegherei il mio tempo nella lettura. Sto
dicendo,
in poche parole, no. Scegli tu, ti lascio
quest’onore.»
«Benissimo.»
Luke fece
finta di pensarci, e alla fine disse ciò che Nicole temeva
di più dopo i film
romantici e mielosi: «Una commedia.»
«Oh, perfetto! Un film
commedia!» si lamentò Nicole.
«L’arte d’intrattenimento più
bassa che esiste,
un film commedia!»
Luke si avviò verso la
fila per fare i biglietti, e Nicole fu costretta a stargli dietro. Lui
decideva, non si discuteva. «Ma scusa, e allora le
commedie come quelle di
Shakespeare o di Molière? Scommetto che non te ne sei persa
una, di quelle.»
«Sveglia!» lo
rimproverò
lei. «Qui stiamo parlando di te-a-tro! E
dell’epoca in cui gli uomini
avevano ancora abbastanza fantasia per riuscire a intrattenere il
pubblico
senza sfociare nel demenziale.»
«Come vuoi. Ma si guarda
la commedia. Così è deciso.»
Bene, tanto mi ero già
rassegnata. Osservò
la fila: fortunatamente non c’era molta gente. In pochi
minuti sarebbero
entrati e avrebbero preso posto.
Quando arrivò il loro
turno, Nicole si affrettò a tirar fuori i soldi per il
proprio biglietto: perché,
anche se era costretta a vedere quello stupido film, non le piaceva
affatto
essere in debito di denaro con chicchessia.
_
_
_
“If music be the
food of love, play on.”
Shakespeare – The twelfth
night… or what you will
_
_
_
_
_
Jade’s
place:
Salve a
tutti ed eccomi qua =)! Dunque… partendo dal titolo, ho
voluto fare un omaggio
al mio caro Shakespeare, che mi ha intrattenuto con le sue numerose
opere
d’arte. La sua opera che ho apprezzato di più
è sicuramente Amleto, ma
io sono letteralmente innamorata di quella citazione presa dalla
commedia La
dodicesima notte – o quel che volete. Con il titolo
“Quel che volete”,
infatti, rimando quindi proprio all’opera, e di conseguenza
alla citazione =)
Be’,
in
fondo qui ho involontariamente messo un sacco di collegamenti:
Shakespeare,
commedie, teatro… =) In fondo amo anche la recitazione ;D
Scusate
l'autrice, che si è dilungata troppo nei particolari per
poter rendere al
meglio i pensieri di Nicole e le sue opinioni riguardo all'amore, alle
commedie
eccetera eccetera... l'autrice promette che non si ripeterà,
è stato un peccato
di incontinenza u____u
Come
sempre, ringrazio tutti quelli che hanno recensito e che hanno aggiunto
la
storia tra i preferiti/seguiti/ricordati. Rimanderò i
ringraziamenti più dettagliati
alla prossima volta ;D
Intanto,
ne approfitto per un piccolo spazio pubblicitario: consiglio vivamente
ai
lettori, di qualsiasi tipo, una storia; si chiama The
Goldenfish's Destiny, scritta da ThePoisonofPrimula,
è originale - sezione romantico. Consiglio davvero di dare
un'occhiata, e se è
di vostro gradimento seguirla anche voi ;D
In
più, un
grande saluto anche a mistress_chocolate,
alla quale volevo augurare buona fortuna per la sua primissima storia e
pubblicizzare il suo esordio, The
Edge Of
Love.
|
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Capitolo 9 *** Sei ***
Sei
_
_
“È
incredibile quante cose bisogna sapere
prima di scoprire quanto poco si sa.”
Wiston
Churchill
_
_
_
_
«Popcorn?»
Nicole
si vide arrivare davanti agli occhi un contenitore di cartone
traboccante di fragranti
palline bianche, che le oscurava la vista dello schermo. Era sicura che
al
tatto fossero ancora caldi.
Così
invitanti.
Deglutì,
lo stomaco che brontolava. Fece appello a tutta la sua forza di
volontà. «Non
ci penso neanche; hai idea di quanto sale ci sia in quei cosi?
Ma lo sai che il sale ostruisce le arterie? E che può
provocare ipertensione?» rispose
seccamente,
in tono accusatorio.
La
sala era coperta da un tenue telo di oscurità, mentre lo
schermo era vivido dei
colori catturati dalla cinepresa e illuminava a scatti la pelle di
Nicole.
Nonostante la folla ordinatamente seduta sui sedili scarlatti,
governava un
silenzio tombale.
Luke
ritrasse la mano con il cartone dei popcorn. «Come vuoi. Ma
ancora non hai mangiato
nulla; sicura di non volerne?» le chiese, in un lieve
sussurro.
«Non
sono io che non mangio, sei tu che ti strafoghi di schifezze senza un
po’ di
pietà per la tua salute» rispose lei, lo stesso
tono di voce per non urtare il
resto degli spettatori.
In
quel preciso istante, un attore esordì all’interno
dello schermo, entrando in
scena con una battuta disarmante e che pareva del tutto spontanea. Il
resto degli spettatori esplose in una grassa risata che
riempì il resto della sala.
Il
fiato le si mozzò in gola. Afferrò di
scatto il cartone dei popcorn
dalle mani dell’altro, ne prese una manciata grossa quanto il
suo pugno e se la
ficcò tutta in una volta in bocca, premendo con la mano;
tutto ciò allo scopo
di non fargli vedere che stava trattenendo una fragorosa risata.
Dalla
bocca di Luke uscì una risata limpida, sincera. Nicole non
osò riflettere su
una domanda: rideva per la battuta del film o per la sua reazione
improvvisa?
Era un elemento così comico? Si strinse nelle spalle,
restituendo i popcorn e
affondando, umiliata, inghiottita dal sedile color cremisi. Poi scosse
la
testa, e si tirò su, la schiena dritta: c’era poco
da sentirsi umiliati. Se
c’era una cosa di cui era sicura, infatti, era che se Luke
aveva riso a causa
sua non era stato per prenderla in giro o per rinfacciarle qualcosa.
Non era di
certo la risata di qualcuno che ti vuole umiliare.
Allungò
di nuovo la mano e la sommerse nella massa di popcorn, impugnandone
un’altra abbondante
manciata.
«Così
non ti sembra di esagerare?» le domandò poi lui,
scherzosamente.
«Cosa?»
fece lei, sbigottita. «Io ti sto aiutando a diminuire il
grado di ostruzione
delle tue arterie e tu non mi dici neanche grazie? Anzi, mi accusi che
sto
esagerando? Bell’amico che sei.»
Passò
appena un istante prima che la ragazza si rendesse conto di
ciò che era appena uscito
dalle sue labbra, e si dimenticò per un attimo del film.
Sussultò.
Bell’amico che
sei.
Si
voltò verso Luke. Anche lui la stava guardando. Si fissarono
negli occhi per i
più lunghi secondi della sua vita. Poi si schiarì
la voce. «Ehm, dimenticati l’ultima
cosa che ho detto. Sono stata chiara?» cercò di
apparire minacciosa.
Lui, con un sorriso di
soddisfazione, le passò di nuovo il cartone di popcorn.
«Cristallina.»
_
_
Nicole
si ostinava a guardare fuori dal finestrino, durante il viaggio di
ritorno:
qualsiasi cosa pur di non far vedere a Luke la sua espressione che
malcelava
una nota di divertimento.
Durante
la visione del film, più pensava con amarezza che le scene
erano il picco della
demenzialità, e più faticava a non ridere.
In
certi momenti non era neanche riuscita a trattenersi, e temeva che il
suo
compagno se ne fosse accorto. Anzi, molto probabilmente
l’aveva non solo
notata, se l’era anche goduta. Ragion per cui era meglio
tacere e far finta di
essere intenta a osservare fuori, il bel paesaggio cittadino.
«Nicole»
la sua voce la fece sobbalzare.
«S-sì?»
«Ammettilo:
il film ti è piaciuto.»
Nicole
avvampò in viso e incominciò a gesticolare
nervosamente con le mani, lo sguardo
basso. «Come può essermi piaciuto? Sfoggiava una
demenzialità unica, nel vano
tentativo di dipingere una parodia della nostra società. E
poi alla fine, quei
due che si mettono insieme… giusto per aggiungere un tocco
di romanticismo, mi sembra
chiaro.»
Lui
sospirò. «Inutile: ti ho vista, mentre con la mano
ti coprivi la bocca piena di
popcorn per non farmi vedere che ridevi a crepapelle.»
Dannazione,
dannazione, dannazione. «Se
fossi stata l’unica di tutta la sala a non ridere, la gente
avrebbe pensato
male di me. E poi ho riso soltanto perché quel film mi
faceva pietà.»
«Come
no.»
«È
inutile che cerchi di convincermi del contrario con il tuo sarcasmo,
Luke. Le
uniche cose che guardo in televisione sono i documentari, che altro
potevi
aspettarti?» Ora non poteva fare a meno di guardarlo per
studiare la sua
espressione. Qualche secondo più tardi, si decise e
cambiò completamente
discorso: «Luke, domani dove mi porterai? Perché
sai, prima il Luna Park, poi
una stupida commedia al cinema, stiamo cadendo dalla padella alla
brace.»
Lui
parve pensarvi per un po’. Infine scrollò
bonariamente le spalle. «Boh, e chi
lo sa? Domani vedremo.»
«Come?»
Nicole aggrottò un sopracciglio. «Non hai la
minima idea di quel che vuoi farmi
fare domani? Come si fa a essere così
disorganizzati?»
Ancora
una scrollata di spalle. «L’estate è
così: imprevedibile. Ti lascia così tante
possibilità e così tanto tempo libero che hai
solamente l’imbarazzo della
scelta.»
Nicole
scosse la testa. «Sarà.»
Luke
diede un’occhiata all’orologio. «Ti ho
fatto fare tardi più del previsto. È
già
ora di cena per te?»
«No,
tranquillo, stasera i miei arrivano tardi dal lavoro. Lo fanno spesso.
Quindi
sono abituata a mangiare piuttosto tardi.» Niente arroganza o
cattiveria in
quella frase; solo un tono indifferente che lasciò Luke di
stucco. Finora era
la frase più “gentile” che gli avesse
rivolto.
Una
volta giunti a destinazione, Luke accostò per permetterle di
scendere. Volle
prenderla di sorpresa, così mentre lei apriva la portiera
lui ripeté una
battuta del film che avevano visto.
Nicole
si morse un labbro e strinse forte la maniglia, ma alla fine non
riuscì a
evitare di ridere sotto i baffi. Cercava di nascondersi, ma Luke poteva
vederla
comunque. Rimase a guardarla mentre rideva, capendo che sì,
ne valeva la pena –
nonostante le maledizioni che gli avrebbe lanciato Nicole per aver
“tentato
invano” di farla ridere.
Con
una finta rabbia, Nicole gli voltò le spalle e si diresse
verso casa.
Lui
non partì, ma la osservò giungere alla soglia;
rovistare nella borsetta; tirare
fuori un libro che le era d’impaccio; infilarselo tra le
gambe perché non
sapeva dove metterlo; estrarre finalmente dalla borsa la chiave;
infilarla
nella serratura; prendere il libro stretto tra le ginocchia; rimetterlo
nella
borsetta.
Nicole
girò la chiave e, dopo aver aperto la porta,
entrò in casa, così che Luke ora
non poté far altro che proseguire nella sua auto verso casa
propria.
_
_
«Che
ti prende, Nicole? Anche stasera non mangi?» Nella voce di
sua madre c’era più
irritazione che apprensione, e ultimamente le pareva che la figlia
fosse
diventata alquanto strana – anche più del solito!
Nicole
osservava i lunghi spaghetti conditi – e che diamine, doveva
mangiare sempre
quelli per cena? – con la più totale indifferenza.
Ma lei sembrò non udire
nemmeno la voce della madre; nella sua testa popolavano ben altri
pensieri.
Quant’era
che non si faceva una grassa risata felice e spensierata come quella di
quel
giorno? Okay che i libri sono un grande piacere, eppure mai nessun
libro le
aveva permesso di ridere così fragorosamente
nell’anima. E con Luke si era
anche dovuta trattenere, ma probabilmente se fosse stata sola avrebbe
dato
sfogo a tutta la sua allegria.
L’aveva
messa piuttosto di buonumore, anche se non voleva ammetterlo.
«Ehi,
Nicole Kimberly Hicks, sto parlando con te, signorina!»
Nicole
sollevò lo sguardo; ora era lei quella irritata.
«Mamma, la vuoi smettere di
interrompermi mentre sto pensando, o ti fa troppa fatica?» Si
accorse solo ora
di essere a tavola insieme ai suoi genitori. Bentornata
sulla Terra, Nicole.
«Nicole,
mangia quei benedetti spaghetti» le ordinò suo
padre, benché con pacatezza e
senza un minimo di polso.
Non
sopportava più né mamma né
papà.
Lei
perché prima le imponeva d’impegnarsi a scuola,
poi le diceva che esagerava e
poi si arrabbiava perché era arrivata seconda in classifica.
Lui
perché con la sua tranquillità e il suo
affrontare passivamente tutte le
situazioni, pareva quasi non provare il minimo interesse riguardo a
qualsiasi
cosa di cui Nicole parlasse.
Nicole
sospirò. Ficcò in bocca, finalmente, una
forchettata di spaghetti.
La
signora Hicks deglutì. Sapeva che prima o poi il momento di
porre quella
domanda sarebbe arrivato, e alla figlia non avrebbe fatto piacere.
«Nicole,
cosa sono tutti quei sospiri? E dove te ne sei andata a spasso, oggi? E
ieri?
Sei uscita con una tua amica? Mmm, non credo, perché in
questi giorni mi sembri
troppo turbata. Di’ la verità» e si
sporse sulla tavola, verso di lei, e
abbassò il tono di voce come se qualcun altro potesse udire
la loro conversazione.
«Ti sei innamorata, Nicole?»
Nicole
sbarrò gli occhi e gli spaghetti le andarono di traverso.
Iniziò a tossire
convulsamente, e non si riprese finché non
ingollò un grosso sorso d’acqua.
«Spero con tutta me stessa che tu stia scherzando, mamma! Tu
non capisci
minimamente.»
«E
allora facci capire, signorina» la esortò il
signor Hicks.
Nicole
socchiuse la bocca per far uscire qualcosa. Una frase, una parola, un
verso, un
mugolio. Andava bene anche un semplice gemito. Ma non uscì
niente, nemmeno il
suo fiato.
Come
poteva spiegare quel che le era successo? Loro non avrebbero capito.
S’immaginò
la scenetta:
«Mamma,
papà, dopo aver visto che sono
arrivata seconda in classifica sono uscita da scuola e sono svenuta; ho
perso
la pazienza quando Luke Kendrew è venuto a soccorrermi e lui
ha pensato bene di
sequestrarmi e condurmi sulla via del gioco d’azzardo.
Così abbiamo scommesso
che sarebbe riuscito a farmi divertire e mi ha trascinata a forza al
Luna Park
e poi oggi al cinema a vedere una stupida commedia, ma il bello di
tutto questo
è che io ero consenziente!»
No,
non suonava per niente bene. Così decise che, essendo brava
a fingere, doveva
farlo anche questa volta: «No, no, non è vero.
È che… sono uscita con Jane,
oggi. Jane Williamson, avete presente?» In realtà
loro la conoscevano appena,
solo un po’ i loro genitori. Ecco perché era
perfetta.
Loro
non notarono la figlia che muoveva nervosamente le mani sotto il
tavolo. «Ah.
Sì, ho incontrato sua madre, oggi, al supermarket, e mi ha
detto che Jane
sarebbe andata a una convention sui fumetti. E così sei
andata con lei?» chiese
sua madre, entusiasta.
Nicole
nascose un’espressione di disgusto. In tutti i posti dove
poteva andare Jane,
proprio a una convention sui fumetti, dei quali lei non sapeva
assolutamente
nulla? «Esatto.»
«Wow,
Nicole, non sapevo stessero iniziando a piacerti i fumetti!»
«Ecco…
in realtà ci sono andata solo perché le faceva
piacere.»
«E
com’è stato?» domandò suo
padre. «C’era qualcosa
d’interessante?»
Colpita
e affondata. Tramò nel giro di pochi istanti una nuova
strategia. La fuga. «È
stato molto… vignettoso.» Da
quando in
qua m’invento le parole?! «E ora
scusate, ma devo andare a fare una ricerca
su Internet… sui fumetti!»
Si
alzò e a passo svelto, quasi di corsa, salì le
scale per andarsene in camera
sua.
Chiuse
la porta dietro di sé con una gradevolissima sensazione di
sollievo. Si
appoggiò al legno di ciliegio e si lasciò in
balia dell’oscurità che governava
nella stanza.
In
quel momento non le importava se i suoi genitori avessero dei sospetti
o meno.
Quello era l’ultima delle sue preoccupazioni.
Ma
da quando era rientrata in casa non aveva potuto fare a meno di pensare
alla
conversazione avuta in macchina con Luke, prima di vedere il film. E si
riferiva a una parte in particolare.
Guardò
un punto fisso nella stanza al buio.
Adesso
non aveva più niente, tranne un’inquietante
consapevolezza che le stringeva il
cuore in una morsa.
Luke
Kendrew non aveva fatto solo vacillare la sua gloria, portandole via il
primo
posto che le spettava, a suo parere, di diritto.
_
_
Aveva
fatto ben altro.
_
_
Tutte
le sue sicurezze, una per una come i pezzi del domino, stavano
lentamente crollando.
Il primissimo dubbio che passare l’estate sui libri fosse una
cattiva cosa le
era venuto mentre era seduta sulla poltroncina rossa del cinema, ma
l’aveva
subito scacciata. La stessa cosa era successa con la sua opinione sulla
maschera che si portava sempre
dietro,
con le sue certezze su quanto gli altri in confronto a lei non
valessero una
cicca.
Tutto
aveva barcollato, per un istante.
Nicole
non aveva mai avuto dubbi sul proprio modo di pensare.
Nicole.
Lei
era una ragazza con i piedi per terra e che pensava solo avendo delle
certezze.
Certezze che, però, si stavano sfaldando.
Scosse
la testa violentemente, senza più ascoltarsi.
S’immerse poi nei ricordi,
ricordi in fondo ancora freschi e che non ne volevano sapere di
abbandonarla.
Nicole non amava ricordare, perché pensava che fosse
stupido. Perché i
ricordi sono solo una via di mezzo tra il sapere e il non sapere, come
diceva
Platone, e Nicole non apprezzava le vie di mezzo. E nemmeno i propri
ricordi,
ecco, quelli erano così vuoti che appunto rammentare non
aveva senso.
Eppure lo stava facendo.
Fece
qualche passo in avanti, staccandosi dalla porta. Accese una lampada,
che emanò
una luce soffusa che si propagò per tutta la stanza. Poi
posò lo sguardo su una
pila di libri, ordinata, sul pavimento. Sì,
perché negli scaffali non c’era più
spazio.
Si
mise in ginocchio e cominciò a frugare, controllando i dorsi
di ogni libro.
Prese
il primo. Cime tempestose, di Emily
Brontë. Se lo rigirò tra le mani. Romanzo
rosa, che parla d’amore, pensò.
Lo
mise in un angolino.
Poi
continuò a frugare. Tomo sull’antropologia: lo
scartò. La Repubblica di
Platone: lo scartò. Il Liber,
di Catullo. Mmm… era
un libricino contenente un centinaio di componimenti. Aprì
una pagina a caso e
lesse:
Vivamus,
mea Lesbia, atque amemus…*
Decisamente.
Lo mise in un angolino, insieme al romanzo della Brontë.
Poi
toccò a un romanzo moderno, di quelli melensi che
solitamente leggeva sua
madre. Come ci è finito qui? Va
be’.
Lo mise, anche quello, in un angolino.
_
_
Passò
in rassegna tutta la sua biblioteca personale.
_
_
_
_
*
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo; uno dei più celebri
componimenti di Catullo,
rivolto a Lesbia (pseudonimo probabilmente di una donna di nome Clodia).
_
Jade’s
place:
Mmm…
cos’avrà in mente Nicole? Perché sta
radunando tutti quei libri? Cosa succederà,
domani, con Luke? Dove la porterà il “primo
classificato”? Tutto questo lo
scoprirete nel prossimo capitolo, Sette.
Non
prendetemi per una pazza scatenata solo perché, come
c’è anche scritto sul mio
profilo, provo uno sconfinato amore per Catullo. È un amore
puramente platonico
e mi sono “innamorata” di lui esattamente come ci
si innamora di Edward Cullen (io
personalmente no!) o Mr Darcy o Cam (per chi avesse letto Fallen xP <3). Dunque, detto
ciò avrei un paio di cose da dirvi, cominciando con questa.
IMPORTANTE:
ci tenevo a fare un chiarimento. Ho
già ricevuto diverse segnalazioni, riguardo a questo: so
bene, me ne sono accorta, che
Nicole ha un'impressionante somiglianza con la protagonista dell'anime Le Situazioni di Lui e di Lei.
Entrambe è vero, hanno lo stesso carattere. Ma vorrei
specificare che io, sebbene sia appassionata di anime, questo non l'ho
mai visto, e
quindi non potevo saperlo. Inoltre, Nicole è
uscita dalla mia mente una sera, mentre riflettevo su un fatto autobiografico che
mi era successo. Quindi non mi stancherò mai di ripetere che
non ho intenzionalmente (e non oserei mai) "copiato" il suddetto anime.
Infine, assicuro che la trama della mia storia avrà uno
svolgimento ben diverso, e sto cercando in tutti i modi di far
sì che la somiglianza tra le due opere finisca qui. Detto
ciò ringrazio comunque le lettrici che mi hanno avvisato =)
TIME OF MY THANKS!
Ringrazio tantissimissimo tutti i
nuovi lettori!! Ringrazio tanto anche per le recensioni, che mi fanno
sempre tanto tanto piacere, e in più ringrazio:
fatina93,
Sissii_Smile,
SmileYou
e XXX_Ice_Princess_XXX
per avere inserito la mia storia tra le preferite! Grazie!
E anche Silàns,
lolle23,
Londoner,
lady_rose,
marauders_love,
SophieSHIVER,
_anda
e _Sklery_
per averla messa tra le
seguite!!
E anche grow
e sempre Londoner per la lista delle ricordare ;D Spero di non aver
dimenticato nessuno... in tal caso è stata solo una mia
dimenticanza! Scusate!
E grazie anche a tutti coloro che
recensiscono, ripeto, mi fa sempre un immenso piacere ^^
PUBLICITY:
ci tengo ancora una volta a pubblicizzare la nuova arrivata
mistress_chocolate,
che ha da poco esordito con The
edge of love, e ci
terrebbe ad avere qualche opinione o consiglio ;D e inoltre ne
approfitto anche per segnalare The
Goldenfish's Destiny, una storia
originale-romantica di ThePoisonofPrimula,
una tra le mie preferite ;)
Ops! Ho parlato davvero
tanto. Vi saluto, allora, dallo Jade's Place è tutto, bye
bye!
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Capitolo 10 *** Sette ***
_
Sette
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_
_
“Alcuni
libri devono essere gustati, altri inghiottiti,
altri divorati e digeriti.”
Francis
Bacon
_
_
L’orologio
annunciò le
nove del mattino.
Nicole
stava dormendo,
sebbene a quell’ora solitamente era già piegata
sui libri, i più pesanti visto
che al mattino si digeriscono meglio le informazioni.
Invece,
alle nove, lei
era ancora lì. Dormiva solo da tre ore, gli occhi ben
serrati e le occhiaie
pronunciate. Un braccio penzolava dal letto, e le dita sfioravano la
copertina
di un libro poggiato sul pavimento.
Drin drin. Drin drin. Drin drin.
Solo
al terzo squillo
Nicole si svegliò, di soprassalto, convinta che fosse appena
l’alba. Ma chi
è che chiama a quest’ora?!
Con
la vista ancora
offuscata e mezza rimbambita, Nicole andò a tastoni sul
comodino fino ad avere
in mano il cellulare. Lo teneva sempre con sé nel caso di
emergenza – almeno quello.
Vide che il numero era sconosciuto. Corrugò la fronte e,
esitando, rispose.
«Pronto?»
«Nicole!
Pronta per una
nuova giornata di divertimento?»
Come
poteva non
riconoscere quella voce? Lei gli rispose a denti stretti:
«Luke Kendrew, sei
matto per caso? Ti rendi conto che sono solo le…»
guardò l’orologio e sussultò.
Mio Dio, ma è tardissimo! Non mi sono mai svegliata
così tardi! «Va be’,
lasciamo stare. Aspetta un attimo: dove cappero l’hai preso
il mio numero?!»
Lavorò con la mente per cercare di ricordare ma era sicura
di non avergli mai
detto quale fosse.
«Be’
sai, essendo molto
conosciuta a scuola, mi è bastato chiedere al primo che mi
è venuto in mente il
tuo numero.»
Nicole
fu irritata al
pensiero del proprio nome in mostra nella rubrica di Kendrew.
Cercò di non
pensarci. «Che vuoi?» disse inframmezzando le
parole con uno sbadiglio.
«Volevo
solo comunicarti
che passo da te alle tre in punto.»
Manco
dovessimo andare
ad un appuntamento… «E
come mai…» un altro sbadiglio
«… così presto?»
«Ieri
sera ho pensato
parecchio e ho capito dove devo portarti oggi. Sorpresa.»
Nicole
ruotò gli occhi,
rassegnata. «Immagino di non avere scelta, giusto?»
«Esatto,
non ce l’hai.
Stavi ancora dormendo?» domandò, percependo dalla
sua voce la stanchezza.
«Perché pensavo che una come te a
quest’ora avesse già in mano il libro di
trigonometria.»
«Non
sbagli. Io sono
sveglissima.» Si sforzò di non emettere un
ennesimo sbadiglio. «E ora, se non
ti dispiace, tornerei al mio libro di
trigonometria.»
«Ricorda:
alle tre in
punto; non ammetto ritardi» disse, scherzoso.
«Come
vuole lei,
signore!» disse sarcastica, e riagganciò. Oggi
non sono proprio dell’umore
giusto per affrontare l’allegria di Kendrew. Non che in
precedenza l’avessi mai
tollerata…
Il
suo sguardo si spostò
su un angolo della stanza. Lì, la notte precedente, aveva
formato una nuova,
piccola pila di libri, composta da quel che aveva trovato in qua e in
là, tutto
riguardante il romanticismo. Romanzi, poesie, carmi, raccolte
epistolarie…
qualsiasi genere.
Si
alzò e il suo piede
finì sopra qualcosa. Un altro libro, che le era scivolato
lentamente dalle dita
alle sei del mattino mentre si stava addormentando, finalmente, dopo
una notte
insonne. Lo raccolse, e si avviò verso il bagno.
Non
appena si ritrovò il
proprio viso dinanzi allo specchio trasalì, passandosi una
mano sulla faccia.
Quella non era Nicole! Non era lei, la diligente studentessa, era una
che le
somigliava ma con tutto l’aspetto di una pensionata! Sembrava
che una sola
notte fosse bastata per deturparle il volto in modo da portarle via gli
anni
della giovinezza. Non aveva le zampe di gallina né le famose
rughe da sorriso,
ma aveva un aspetto talmente stanco e sciupato che chiunque
l’avesse vista le
avrebbe dato degli anni in più.
_
_
Luke
era già lì alle tre
meno dieci. Evidentemente ci teneva alla puntualità.
Cinque
minuti più tardi
udì l’inconfondibile rumore della portiera che
dava sul sedile anteriore
aprirsi, e Nicole entrò prima con una gamba, poi con
l’altra, con una lentezza
straziante. «Buongiorno, Nicole» la
salutò, sempre sorridente.
Lei
mugugnò qualcosa con
voce monocorde, sbadigliando.
Poi
Luke la vide in
viso, e quasi sobbalzò. Oltre alle solite occhiaie, quel
giorno più evidenti
del solito, aveva sotto le orbite due borse gonfie tipiche
dell’insonnia o del
pianto prolungato, e i suoi occhi erano arrossati. «Ma che
cos’hai fatto?! Mio
Dio, ma ti sei vista?»
«Parla
per te, Luke;
oggi non sono proprio dell’umore adatto.»
Lui
si accigliò. «Si può
sapere cos’hai fatto per ridurti così?»
Cercò di avvicinarsi per vederla
meglio. Finché furono a pochi centimetri di distanza.
Lei
lo allontanò con una
mano. «Devi starmi almeno a mezzo braccio di distanza, okay?
Detto ciò, non ho
fatto proprio un bel niente. Ho solo passato una notte insonne, nulla
di speciale.
Perché ti fai tanti problemi? Non ti conosco
nemmeno.»
«Invece
è proprio perché
io ti conosco che capisco che Nicole Hicks si sarebbe subito lamentata
per non
aver dormito, appena entrata in auto, se il motivo della sua insonnia
fosse
dato da qualcosa senza importanza. Se non hai fatto nemmeno un lamento
e non
hai detto niente è perché
c’è qualcosa sotto. Qual è il motivo
della tua notte
in bianco?»
Lei
strabuzzò gli occhi.
«Ma sei scemo? Parti, va’!» E mise su il
broncio per i minuti successivi.
_
_
Luke
guidava, ma intanto
si lambiccava il cervello per comprendere cosa avesse portato Nicole a
passare
qualcosa di simile. Fino a che, poche miglia più tardi, non
si stufò di
riflettere e frenò bruscamente in mezzo alla strada.
«Oh
Dio! Ma che fai?!» esclamò
Nicole, balzando in avanti, mentre gli autisti dietro la vettura
suonavano il
clacson a ripetizione e sorpassavano. «Tu sei fuori di testa!
Riparti, non vedi
che siamo in mezzo alla strada?»
Lui
staccò le mani dal
volante e se le mise dietro la nuca, comodamente. «Non
finché non mi dici la
verità.»
Nicole
si voltò a
guardare tutti gli automobilisti che si lamentavano strombazzando e
facendo
gestacci. «Luke, non è il momento! Riparti, porca
miseria! E poi non sono
affari tuoi.»
«Invece
mi interessa.»
«Ma
perché,
diamine?! Vuoi ripartire?»
«No.»
«Luke!»
Lo
afferrò per un braccio, ma lui non fece una piega.
«Se
riparto poi me lo
dici?» le chiese, con il massimo della
tranquillità.
«Sì!
Va bene, okay,
prometto solennemente! Vai, dannazione, vai!»
Lui
obbedì all’istante,
gli altri automobilisti, furiosi, che imprecavano visibilmente dopo
averlo
sorpassato. Ma a quanto pare al ragazzo non importava.
Nicole
intanto era
impallidita e quando l’auto ricominciò a muoversi
trasse un sospiro di
sollievo, e si accasciò sul sedile. «Sei
completamente pazzo» disse in un
sussurro.
«Mi
interesso solo del
tuo benessere.»
«Certo,
come se fossimo
amici da una vita.»
«…
Dunque?»
Nicole
si passò una mano
fra i capelli lasciati scendere sulle spalle. Si arrese e si vide
costretta a
raccontare la verità, anche perché se avesse
raccontato una balla, nonostante
la sua bravura, era certa al cento per cento che Luke
l’avrebbe capito. Aveva
quasi l’impressione che dopo soli due giorni che si
conoscevano lui l’avesse
già inquadrata perfettamente, captando ogni singolo pensiero
che il suo
cervello concepiva. «Ho pianto tutta la notte. E per colpa
tua, sei contento?»
Chissà
perché, ma lui lo
sospettava. E non rimase neanche sorpreso. Ultimamente Nicole scaricava
addosso
a lui tutte le colpe, per qualsiasi cosa. «E si
può sapere come mai?»
«Ho
pensato alla nostra
conversazione di ieri.» Non aspettò che lui la
incitasse a continuare. «Mi
riferisco alla parte che riguardava l’amore, il
romanticismo.» Fece una pausa.
«Ho pensato che… È un po’
difficile da spiegare…»
Luke
non disse niente.
Senza accorgersene, decelerò di qualche chilometro orario,
forse perché
l’attenzione verso ciò che diceva la compagna era
aumentata. «Non importa, va’
avanti.»
Nicole
trasse un
profondo respiro. «In realtà non è
nulla di particolare… ho speso un’oretta,
ieri sera, per comporre una pila di libri romantici di tutti i tipi, da
Orgoglio
e Pregiudizio fino alla raccolta di poesie
dell’età della cavalleria, e ho
ricominciato a leggere tutto a pezzi. Piangevo dalla commozione per
certi
versi, dalla disperazione per altri.»
Nicole
si maledisse.
Una
lacrima le aveva
rigato la guancia.
E
Luke l’aveva vista.
Proprio in quel breve istante in cui l’aveva guardata, appena
in tempo prima
che lei se l’asciugasse con il polso.
«Ho
attinto dalle mie
esperienze personali» confessò lei.
Esperienze
personali.
Non ne aveva mai parlato con nessuno, non era mai stata in confidenza a
tal
punto con alcun coetaneo o altri. Ma con Luke l’aveva fatto,
aveva confessato.
E lo conosceva da… quello era il terzo giorno,
più il giorno in cui si erano
appena parlati in macchina, prima di arrivare a scuola.
«Che…
esperienze
personali?» azzardò a chiedere lui.
«Preferirei
non
parlarne.» Non solo aveva usato il condizionale
nella sua frase, con
quel “preferirei”. Oltretutto aveva usato un tono gentile,
segno chiaro
e palese del fatto che non aveva voglia di perdere tempo in
un’inutile
arroganza, o piuttosto aveva capito che non sarebbe servito a niente. O
forse
non voleva perdere, pensò in fondo, l’unica
persona disponibile ad ascoltare i
suoi problemi.
«Va
bene.» Lui accettò
il fatto. Era già tanto se lei gli esponeva il problema. Non
pretendeva certo
che si mettesse a raccontare della sua vita sentimentale. Se le fosse
venuto
spontaneo, però, tanto meglio.
«E…
più vado avanti e
più mi convinco che non mi succederanno mai cose come quelle
dei romanzi. Mi
convinco che l’amore per me non esista, che non mi
innamorerò mai. È questo, il
pensiero che mi tormenta da tempo.» Si vergognò
terribilmente per averglielo
confessato. Non pensava che lui potesse capire, e temette che
l’avrebbe
schernita per quelle sciocchezze. «Sei soddisfatto,
adesso?» concluse, con voce
tremante.
A
Luke ci volle qualche
secondo per metabolizzare il contenuto del discorso. «Non
pensavo fossi una
ragazza così romantica, Nicole» disse. Non
c’era tono deridente né tantomeno di
rimprovero, nella sua voce.
Nicole
arrossì
fievolmente. «N-non è che sono
romantica…» cercò una giustificante, ma
non la
trovò. «Solo che anche io sono un’umana.
Come tutte le ragazze della mia età,
penso sia normale avere i sogni che hanno anche tutte le altre. Penso
che, da
come nei romanzi si parli sempre di amore, amore e
ancora amore,
sia normale avere la voglia di… insomma, qualcuno che
almeno, ecco, mi possa un
pochino piacere. Invece sembra quasi che a questo mondo non ci sia
nessuno
fatto apposta per me. Spesso mi innamoro dei protagonisti dei romanzi,
ma
quelli sono fatti di carta e inchiostro.»
Comprese
che quella
conversazione stava diventando decisamente pericolosa. Parlare con un
ragazzo
di certe cose non era mai buono, si rendeva conto Nicole. Di qualsiasi
tipo di
ragazzo si trattasse. E poi con Luke? Che conosceva da appena tre
giorni? Manco
per lei rappresentasse il tipico “miglior amico
maschio”, sebbene lei… no, di
amici maschi non ne aveva neanche uno. Così non
andò avanti, ma ammutolì.
«Wow.»
Lui era senza
parole. 1) che Nicole potesse provare sentimenti del genere? No, non se
lo
aspettava affatto; 2) che potesse confidarglielo apertamente
– anche se
effettivamente l’aveva costretta? Questo se lo aspettava
ancora meno.
«Perché
dici wow?
È qualcosa di così incomprensibile per il tuo
piccolo cervellino?» insinuò, il
suo tipico tono accusatorio.
«No,
è che… perché? Come
mai una come te, così concentrata nello studio, è
arrivata a formulare certe
conclusioni e a preoccuparsi del romanticismo?» Luke non
riusciva ad unire del
tutto i pezzi del puzzle.
Lei
giocherellava
nervosamente con una ciocca di capelli, stropicciandosi un occhio.
«Te l’ho
detto! Leggendo tutti quei romanzi ho iniziato a sognare di avere
qualcuno da
amare come le eroine tanto ben descritte, che finiscono sfoggiando un
maestoso
“E vissero per sempre felici e contenti” oppure un
amore eterno che dura anche
dopo la morte, o un matrimonio… va sempre a finire
lì, sull’amore che vince su
tutto. Ma quello che io desidero in diciassette anni non l’ho
ancora trovato. E
sono convinta che non lo troverò mai.»
«Tutti
lo trovano,
Nicole. Guarda tutta la gente che si sposa, o ha bambini, o entrambe le
cose.»
«In
primis, la maggior
parte delle coppie finisce male in questa realtà,
con un divorzio, una
separazione che termina con brutti rapporti tra i due interessati. In
secondo
luogo, potrà anche esserci per tutti, questo grande amore,
ma non per me. Sai
che io sono diversa.»
«Credo
che tu sia troppo
cinica. E poi, tutti a questo mondo dicono di sentirsi
diversi…» Luke sorpassò
un’auto che andava troppo lentamente.
«Io
lo sono veramente.
Almeno un po’ mi conoscerai, no?»
«Molto
più di quanto
pensi.»
«Ecco.»
Nicole non ebbe
il tempo di riflettere su ciò che Luke le aveva appena
detto, che,
successivamente una volta a casa propria, l’avrebbe irritata.
Continuò. «In
diciassette anni non c’è stato un ragazzo che mi
piacesse. Non uno solo.»
Involontariamente, le sfuggì un singhiozzo. Aveva resistito
senza mettersi a
piangere, ma adesso tutte le lacrime raccolte dentro di sé
chiesero vendetta e
uscirono in massa, stillando dai suoi occhi.
Nicole
si coprì il volto
con le mani, il torace che si alzava e abbassava ritmicamente, la sua
voce
spezzata dal pianto.
«Desidero
sentirmi come
l’eroina di un romanzo, coperta da un alone di
sentimentalismo, ma non c’è mai
stato qualcuno in grado di darmi questa sensazione. Mi sento una
cretina»
disse, con la voce intervallata e fremente.
Si
sentiva stupida
perché lui non stava dicendo niente, il che la imbarazzava,
e in più, piangere
per una simile sciocchezza le sembrava la cretinata del secolo.
«Nicole,
ci dovrebbero
essere dei fazzoletti nel cruscotto.» Udì lei che
rovistava con la mano in
cerca del pacchetto. Procedette, sorpreso. «Ti capisco,
Nicole. Pensavo di
averti inquadrata perfettamente. Ora invece capisco che
l’unica cosa che vuoi è
sentirti amata e normale come tutte le altre.»
«E
amare,
soprattutto» aggiunse lei. «A che mi serve
l’amore se non ho nessuno cui donare
il mio? Sarebbe inutile, da gettare via.»
Rimase
colpito.
«Finalmente ti sei aperta, Nicole.»
Lei
ridusse il
fazzoletto che aveva in mano a una piccola pallina di carta bagnata,
dentro il
proprio pugno. Strinse gli occhi a una fessura, le ciglia inumidite
dalle
lacrime. «Prova solo a farne parola con qualcuno, Luke.
Conosco il tuo numero
di targa, anche se non so il tuo indirizzo. Posso risalire a te
altrettanto
facilmente come si risale a un assassino che fa cadere il portafoglio
vicino
alla vittima.»
Le
sue minacce, dette
con voce inframmezzata dai singhiozzi, non erano poi così
terrificanti.
«Tranquilla.
Fidati di
me» disse, mostrandole un sorriso, come per tranquillizzarla.
«Sei un po’
troppo arrogante e piena di te Nicole, ma sei una brava ragazza. Anche
un po’
comica.»
«Come
sarebbe a dire comica?!»
strillò lei. «Qui l’unico comico della
situazione sei tu! Come ti permetti?!»
esclamò, balzando sul sedile.
«Stavo
dicendo, che
qualcuno lo troverai senza problemi. Che sia oggi, che sia domani,
qualcuno c’è
sempre» la sua voce era così calma e
così rassicurante, che Nicole – sì,
detestò profondamente ammetterlo – si
sentì confortata. Di solito era lei che
doveva consolarsi da sola. «Devi stare tranquilla»
continuò «e non pensarci.
Arriverà da solo.» Luke diede
un’occhiata all’orologio. Nicole ancora non gli
aveva chiesto la destinazione. «Vuoi parlarmene
ancora?»
«Assolutamente
no.»
«Va
bene, allora. Senti,
il viaggio durerà ancora una ventina di minuti,
all’incirca. Visto che hai
dormito poco… cerca di riposarti, okay?» le disse
lui con gentilezza.
Nicole
odiò
profondamente Luke. Lo odiò perché era il suo
eterno rivale, ma ciononostante
provava riconoscenza nei suoi confronti. Mostrò il primo
sorriso della giornata.
«Grazie.»
Lui
sgranò gli occhi.
Nicole che diceva “grazie”?! «E per che
cosa?» cercò di sembrare impassibile a
ciò che aveva detto.
«Perché
non ti scoccia
se mi addormento per venti minuti su questo sedile e… per
avermi ascoltato.
Grazie.» Lo disse con imbarazzo, come se fosse qualcosa di
cui doveva
vergognarsi. Lo disse con una vera timidezza.
«Figurati.»
Era una
sciocchezza, è vero, ma Nicole che lo ringraziava? Uno
strano senso
d’importanza e di soddisfazione
s’impadronì di lui. Rimase col sorriso stampato
in faccia per il resto del viaggio.
_
_
_
_
_
Jade’s place:
Chi
l’avrebbe mai detto? C’E’ UNA TERZA
NICOLE SOTTO LA SECONDA NICOLE!!! Capperi, che roba è stata
scrivere questo
capitolo… alquanto difficile.
Il
discorso sul romanticismo fatto con
Luke il giorno prima ha scatenato di nuovo in Nicole i brutti ricordi
dell’esperienza personale, e si convince sempre di
più che non esista per lei
un amore bello come quello dei romanzi. Vorrebbe, per una volta,
sentirsi come
le altre ragazze, amata e normale. Io spero di aver espresso questo
concetto al
meglio. Anche perché i sentimenti di Nicole sono molto
complicati, me ne rendo
conto. E spero anche di non avere esagerato (essendo una di quelle che
da
single si sente benissimo, non ho molta esperienza con questi
sentimenti).
Oooooops,
capitolo straaaaalungo xD
chiedo pardon… a volte non riesco a trattenermi ^^’
AVVERTENZA:
il 19 per me ricomincia la
scuola! Ciò significa che ora che sono impegnata a finire i
compiti delle
vacanze e nel primo periodo almeno, la pubblicazione per me
sarà molto difficile,
quindi se fino adesso ho pubblicato abbastanza di frequente, non
potrò fare
altrettanto da ora. Ma non vi preoccupate, ho intenzione di 1) finire
la
storia; 2) cercare di non farvi aspettare troppo.
3)
Ho l’ispirazione per una nuova storia,
se riuscirò a scrivere tre capitoli o più la
pubblicherò :D
Vi saluto! Jade vi aspetta
al prossimo
capitolo! =)
PS: non fatevi scrupoli a
farmi delle critiche... essendo io speranzosa di intraprendere in un
lontano futuro la carriera di scrittrice, desidererei che qualsiasi
critica fondata mi venga apertamente espressa, così che mi
possa migliorare. Grazie in anticipo =)
|
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Capitolo 11 *** Otto ***
*attenzione: capitolo
ripostato, cause forze maggiori!! (ho fatto un casino immenso con
l'html o__o)
Otto
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_
_
“Resta
dubbio, dopo tanto discorrere, se le donne
preferiscano
essere prese, comprese o sorprese.”
Gesualdo
Bufalino
_
_
_
_
_
Riuscì
miracolosamente a trovare parcheggio nonostante la massa di automobili
ferme negli
immediati dintorni.
Luke
rimase con le
chiavi della macchina in mano, e si abbandonò al sedile
della vettura,
guardando dritto davanti a sé. Ridacchiò
immaginando la faccia sconcertata di
lei non appena avesse scoperto dove l’aveva portata.
Nicole.
Era vicino a
lui, nell’altro sedile, e dormiva, con la testa appoggiata al
finestrino e il
petto che faceva lentamente su e giù ad ogni suo respiro.
Gli tornò in mente
una bambolina di porcellana.
Avrebbe
dovuto
svegliarla, ma qualcosa lo tratteneva. Allungò una mano
verso di lei, titubante.
Aveva quasi paura di sfiorarla, come se temesse di poterla sciupare.
Scostò con
delicatezza una ciocca nero corvino che le era andata davanti al viso,
e le
accarezzò i capelli, facendovi scorrere le dita,
contemplandola.
Ripensò
a prima: Nicole,
una ragazza romantica. E chi l’avrebbe mai immaginato?! Ci
era rimasto davvero
di stucco. Ma ciò gli servì per fargli capire che
sbagliava.
Aveva
sbagliato
fin’adesso, pensando di sapere tutto di lei.
Tante,
erano le cose che
doveva ancora scoprire sul suo conto. E sperò vivamente che
ne avrebbe avuto
modo.
Smise
di accarezzarla.
Se Nicole si fosse svegliata all’improvviso, sapeva che gli
avrebbe mollato un
ceffone. A volte si chiedeva come potesse lui stesso considerarla una
brava ragazza,
per certi suoi comportamenti, ma era così. Sentiva, che era
così. «Nicole…» la
chiamò.
Si
schiarì la voce.
«Nicole» di nuovo, non ottenne risposta, se non un
mugolio che stava
chiaramente a dire “Non mi rompere le scatole”.
Si
passò una mano fra i
capelli, indeciso. A mali estremi, estremi rimedi.
Prese
il cellulare dalla
tasca e glielo avvicinò all’orecchio.
Inserì la suoneria che riproduceva il
rumore di una sveglia.
Un
violento drin drin fece svegliare
Nicole di
soprassalto. «Oh Dio!» strillò,
sorridente. «Luke, è ricominciata la
scuola?»
domandò, convinta che quella che aveva appena suonato fosse
la sveglia delle
sette del mattino. Poi tornò in sé e
ricordò tutto. «Ah. Cavoli.» Si
massaggiò
le tempie con due dita. «Siamo ancora a giugno»
constatò, delusa e con voce
atona. Infine balzò sull’attenti. «Dove
diamine siamo finiti?»
«Chiudi
gli occhi» le
ordinò.
«E
va bene, e va bene!»
lei fece come lui diceva, non senza uno sbuffo.
«Perché devo chiudere gli
occhi, si può sapere?» chiedeva, scocciata. O
forse fingeva solo di esserlo, pensava
Luke.
«Tienili
ben serrati
finché non te lo dico io, okay?» si sforzava di
avere una voce seria. Ma era
evidente che era più forte di lui; inevitabilmente
ridacchiò, provocando
l’irritazione della ragazza. «Stai ferma
lì.» E, detto ciò, uscì
dall’automobile. Chiuse lo sportello e fece il giro, per
andare ad aprire la
portiera da dove doveva uscire Nicole.
Lei
udì distintamente il
rumore netto dello sportello che si apriva, e una lieve brezza
proveniente
dall’esterno le sfiorò il corpo. E
ora? Stava
per cedere alla tentazione di sollevare le palpebre, quando fu
attraversata da
una sensazione forte: qualcosa di caldo afferrò la sua mano,
e la guidò
lentamente fuori dalla vettura. Anche fuori e anche quando
udì lo stock dello
sportello che si richiudeva,
e quello della chiusura a distanza quando si preme il tasto sulla
chiave, ancora
la stava tenendo saldamente. Le dita di Nicole andarono in esplorazione
e
avvertirono al contatto senza alcun dubbio il dorso di
un’altra mano e delle
altre dita che le circondavano il polso.
Pensava
di essere stata
chiara: non voleva in alcun modo che lui le tenesse la mano.
Tuttavia
non obiettò.
«Cosa stai facendo?» insisté.
Non
ricevette una
risposta. La mano di Luke lasciò la sua, per andarsi a
posare sui suoi occhi.
Così, anche se avesse voluto aprirli, non avrebbe visto
niente. Percepì un
tenue calore corporeo alle sue spalle. Luke era dietro di lei, quasi
appoggiato
alla sua schiena, pochi millimetri che li distanziavano. Il suo braccio
libero
andò a cingerla per la vita, quasi come se avesse paura che
potesse liberarsi
dalla sua presa.
Nicole
deglutì.
Fortunatamente le dava le spalle, altrimenti avrebbe visto il rossore
che
tempestava prepotente le sue guance. «Allora? Mi dici che
cosa fai?» fece,
impaziente.
Lui
avvicinò le labbra
schiuse al suo orecchio, e le sussurrò: «Fidati,
fatti guidare da me.»
«Oh,
io con riluttanza
posso anche accettare di farmi guidare da
te. Solo che ho paura di dove potresti portarmi.»
«Suvvia,
hai già
sopportato il Luna Park e una “stupida” commedia al
cinema, che cosa vuoi che
ci sia di peggio?»
«Ci
sono molte cose che
potrebbero essere peggio, Luke! E poi ormai ti conosco anche io
abbastanza
bene, e so che la tua scorta di risorse è
illimitata.»
«Sì.
Sì, suppongo di sì»
si limitò a dirle lui, incominciando a camminare, e la
condusse avanti. Adesso
Nicole iniziava a dubitare persino che lui le avrebbe evitato di andare
a sbattere
contro qualcosa, o peggio, contro qualcuno.
Sai che figuraccia, andare a sbattere contro uno sconosciuto
perché lei doveva
“farsi guidare” dal suo
sequestratore/persecutore/coscienza/confessore?
Le
sensazioni che Nicole
in quel momento percepiva erano solamente i passi di quattro gambe che
andavano
ritmicamente sul terreno, il calore di Luke che con un braccio le
circondava la
vita, con il petto le stava appoggiato e con l’altra mano le
copriva gli occhi.
Cosa
avrebbe pensato chi li
avesse visti?!
Tal
pensiero la
tormentava. Ciononostante capì che se non se ne preoccupava
Luke, che era quasi
più popolare di lei e aveva una vastissima gamma di
conoscenze, allora non
aveva senso che se ne preoccupasse nemmeno lei.
Si
udì il rumore
elettronico delle porte automatiche di un edificio che si aprivano.
Mentre
percorreva i successivi metri di terreno sentì il forte
sbalzo di temperatura:
aria condizionata. E infine, sotto il brusio lieve delle voci di gente
che
camminava tutt’intorno, un fievole profumo le
penetrò in profondità nelle
narici.
Profumo
di carta, di
stampa, di rilegatura, di pagine.
Ogni
tanto si sentiva il
fruscio di un foglio che scorreva su un altro.
Il
battito cardiaco
della ragazza accelerò. Se era quello che pensava…
«Riesci
a capire dove
siamo, Nicole?» le mormorò Luke, quasi in un
sibilo, all’orecchio,
interrompendo così la sua analisi.
«Sì,
ci riesco, ma mi
sembra così impossibile che non ce la faccio a
crederci» rispose schiettamente,
scostando la mano di lui da davanti ai suoi occhi.
Udì
la sua risata
limpida, inconfondibile, memorizzata. «Okay, spara»
disse poi. «Se indovini, ti
scopro gli occhi, va bene?»
Nicole
rimase
concentrata per avere qualche certezza. Quasi istintivamente,
posò la mano sul
braccio di lui che le avvolgeva la vita. «Guarda
cos’ho trovato, mamma!» la
voce bianca di un bambino si distinse per un momento in mezzo a tutte
le altre.
Un altro fruscio di pagine che allettava le sue orecchie. In seguito,
un’altra
voce, più vicina stavolta, alla sua sinistra.
«Sono dodici e novanta, signora»
diceva una donna, probabilmente da dietro una cassa, perché
sentì il rumore
secco del cassettino che si apriva.
«Una
libreria» disse
poco dopo, speranzosa e allo stesso tempo incredula.
Le
dita di Luke si
allargarono davanti ai suoi occhi facendo filtrare la luce e la visione
dell’ambiente che aveva intorno: qualche persona dal passo
composto che
curiosava tra uno scaffale e un altro, scompartimenti divisi in
categorie pieni
di libri, libri e ancora libri, con copertine colorate e fantasiose,
che
macchiavano e spruzzavano tutto il circondario variopinto.
Il
profumo della carta
parve farsi più intenso. Il cuore le si colmò di
una gioia indescrivibile e
repentina. «Non ci credo!» sussurrò,
percependo la voce smorzata dall’emozione.
L’altro
le si parò
davanti, lasciando completamente la presa su di lei. Vide gli occhi
brillanti
di sorpresa di Nicole. «Ti piace?» le
domandò, aggrottando un sopracciglio.
Nicole
si prese il viso
tra le mani. «Mio Dio, tu mi
chiedi se mi piace?!»
Sembrava sul punto di
lanciare un gridolino acuto spezza-vetri.
Luke
avanzò di un passo.
Era così vicino a Nicole che poteva sentirne il respiro. La
sua emozione era
palpabile.
Gli
avevo detto chiaramente: «Almeno a mezzo braccio di
distanza»!
Il
cuore della ragazza
le balzò quasi in gola quando vide le sue labbra avvicinarsi
pericolosamente a
lei. Il sangue pulsava nelle orecchie e gli occhi, sbarrati, cercavano
invano
di captare le intenzioni di lui. Non riusciva nemmeno a pensare. Sta per… in pubblico, tra
l’altro?!
Stava
per scansarsi,
evitando il suo contatto, quando si rese felicemente conto che in
realtà Luke
non aveva avuto quell’intenzione.
Infatti, deviò la traiettoria e si ritrovò il suo
viso vicino all’orecchio per
sussurrarle: «Ho sentito che al piano di sotto
c’è un’intera sezione dedicata
ai romanzetti romantici che ti piacciono tanto.»
Nicole
smise di sudare
freddo, e il battito cardiaco ritornò regolarmente lento.
Trasse un sospiro di
sollievo.
E
pensare che poco prima
aveva giusto pensato che l’avrebbe voluto baciare, se solo
non fosse stato il
suo acerrimo nemico nonché sequestratore!
Ma…
aveva sentito bene?
Romanzetti romantici, al piano di sotto? «Ti ho detto che
detesto il
romanticismo.»
«No,
tu hai detto che
detesti i film romantici, questo me lo ricordo bene.»
Okay,
c’era da ammettere
che stavolta aveva vinto lui. Nicole arricciò le labbra,
tuttavia decise di non
ribattere – ormai aveva imparato bene che con Luke era
inutile. «Corro!» esclamò,
sorpassandolo e fiondandosi giù per le scale.
Finché, di colpo, non si fermò
con una brusca frenata. Scoccò a Luke un’occhiata
fulminante. «Luke?»
«Sì?»
disse lui,
osservandola a distanza.
«Ti
avverto: riguardo
alla conversazione di prima, ciò che è stato
detto in questa automobile, rimane
nell’automobile. D’accordo?»
ordinò, imponendosi con severità.
Lei
lo guardava negli
occhi con sguardo ardente. Quasi insostenibile. Luke annuì.
«Sta’ tranquilla,
so mantenere i segreti.»
«Bene.
Ah, e un’altra
cosa: a meno che non decida io il contrario, questo argomento
è chiuso. E non mi
importa se la tua
coscienza ti dice di fermarti in mezzo alla strada come un pirata se io
non voglio
parlartene. Siamo intesi?»
«Perfettamente,
Nicole»
concluse, guardandola mentre saltellava sui gradini per poi
precipitarsi a
tutta velocità verso i suoi amati libri.
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Jade’s
place:
Lo
so, capitolo mooolto
corto, ma comprendete! È appena ricominciata la scuola e
aggiornerò lentamente…
ma non preoccupatevi! Il prossimo capitolo è quasi pronto, e
in più sono ben
organizzata perché so già benissimo come voglio
far continuare e concludere la
storia. È tutto immagazzinato nel mio contorto cervellino =)
scusate se non ce
la faccio con i ringraziamenti stasera, tenterò la prossima
volta. Ho delle
odiose pagine di fisica da ripassare.
Quanto
alle citazioni, le
scelgo sempre con grande cura =) mi piacciono molto e permettono al
lettore di avere un'anticipazione un po' criptica del capitolo, ma in
questo caso spero che la mia citazione non vi abbia rivelato troppo! In
fondo cerco sempre di mettere un fattore sorpresa convincente, anche se
non voglio mai strafare. Non voglio che la mia storia sembri troppo
inverosimile xD va be' per stasera vi saluto!! Ciaoooo! E commenti di
qualsiasi tipo sono graditi!
PS:
grazie a mistress_chocolate che mi ha fatto notare il casino che ho
fatto in precedenza con l'html... senza il suo commento la storia
sarebbe rimasta così per giorni senza che me ne accorgessi!!
xD thank you <3
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Capitolo 12 *** Odi et amo ***
Odi et amo
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“Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio. Sed fieri sentio et excrucior”
Catullo – Odi et amo
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Caro diario…
Non sai che cos’ho fatto stano… Oggi Luke volevo dire Kendrew mi ha portata in libre… mi ha di nuovo sequestrata. Però ammetto che è stato abbastanza carino da parte su… ma che diamine sto scrivendo questa sera?! Devo essere impazzita. Per forza.
Inoltre, non so come mai, forse presa dalla stanchezza e dal nervosismo del momento, mi sono sfogata con lui. Sarai ben consapevole, diario, che dalla volta in cui accadde quell’episodio il mio modo di vedere le cose è cambiato molto. Ma te ne ho già parlato di questo. Comunque sia, penso che dopo tutto mi abbia fatto bene parlarne con lui no, non intendevo quello, volevo dire che mi ha fatto piacere che mi ascoltasse con pazienza e ho come l’impressione che nessun altro avrebbe saputo comprendermi altrettanto come lui ma che diavolo! Basta, sono arcistufa, vado a letto.
Nicole
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Nicole buttò per un attimo lo sguardo su una grande borsa di plastica che giaceva ai piedi del suo letto, stracolma. Piena di libri, aveva faticato a portarla da sola fuori dal negozio – mancava poco perché i suoi braccini sottili cedessero sotto quel peso – ma fortunatamente il suo “accompagnatore” si era offerto di trasportarla fino alla macchina.
Lei arrossì, dopo aver pensato a lui ancora una volta. Scosse la testa, aggredita da una lieve cefalea. No, cavolo, sono stanca a tal punto? Sì, perché deve essere per forza la stanchezza che mi fa fare certi pensieri. Ho bisogno di dormirci su. Almeno otto ore.
Nella penombra della sua stanza e nel silenzio dominante, si infilò sotto le coperte del letto che si era – per la prima volta – dimenticata di rifare quella mattina, in mezzo a un groviglio di lenzuola candide. Quasi subito le sue palpebre si abbassarono, pesanti e imploranti un po’ di riposo, ma l’ultimo pensiero logico che attraversò la mente di Nicole prima di essere accolta tra le braccia di Morfeo fu: ma perché sta facendo questo per me?
_
_
Bethany era in bagno, e le setole della sua spazzola stavano lentamente scorrendo tra i suoi lunghi capelli. Capelli tinti di rosa, per capriccio, forse, per la voglia di novità, o perché lei amava quel colore estremamente femminile. Fili ondeggianti color gelato alla fragola di cui Bethany andava estremamente fiera.
Il cellulare che aveva nella tasca emise uno squillo quasi fastidioso. Lei lo estrasse e, senza nemmeno guardare il numero, rispose. «Sì, pronto?»
Alle parole «Ciao, sono Luke, Luke Kendrew» inarcò le sopracciglia. Posò la spazzola e si mise in ascolto, le gambe che dondolavano a penzoloni dalla sedia.
«Oh, Luke, ciao! Quanto tempo!»
«Già.» Cercò poi di perdere il meno tempo possibile in scambi di battute del tipo “come stai?” o “tutto bene, allora?” e arrivò il prima possibile al sodo. «Senti, hai presente quella volta che ti passai mezzo compito in classe di biologia? È stato appena un paio di mesi fa» le chiese.
Bethany arricciò il naso, cercando di ricordare. Poi alzò un indice, in maniera spontanea. «Sì, sì che mi ricordo, è vero, e ti dissi che ero in debito con te. Ma ancora non mi hai detto come posso fare per ricambiare. E io ci tengo sempre a saldare i miei debiti, o non mi sento in pace con me stessa.»
Dall’altra parte Luke esitò un secondo, poi parlò: «Ecco, avrei bisogno che mi facessi un favore. Un favore molto grosso. E so che tu sei l’unica che conosco cui potrei chiedere una cosa del genere.»
Bethany si grattò il capo, confusa. Sgranò gli occhi in fervida attesa di sapere di che cosa si trattasse. «E… di che tipo di favore si tratta?»
«Ah be’, ecco» gli sfuggì una risata nervosa. «In realtà è una lunga storia, ma forse è meglio se ti spiego tutto sin dall’inizio, così magari non avrai sorprese dopo.»
«Sorprese? Che tipo di sorprese?!»
Bethany rimase in silenzioso ascolto per i minuti successivi. Con crescente stupore, ascoltò ogni singola parola. Qualche volta fece fatica a credere a ciò che Luke le raccontava, altre volte invece doveva trattenere una risata. Alla fine lui terminò il proprio monologo con un: «Per questo, vorrei che mi aiutassi.»
Lei inizialmente non seppe che cosa dire. «Ehm… be’, devo dire che il tuo racconto è molto particolare. Però scusami, ma ancora non ho ben capito che cosa mi stai chiedendo di fare…»
«Semplice» disse lui, prima di darle qualche breve indicazione.
«Uhm… sei davvero sicuro? Perché da quel che mi hai detto la famosa Nicole Hicks sarebbe diventata per te una specie di… “amica”… ma quello che mi stai chiedendo non mi sembra propriamente un comportamento da “amico”. Non è che potrebbe fraintendere?»
«Non c’è assolutamente nulla da fraintendere, Bethany. Nulla. Allora, sei in grado di farlo o no?»
«Ma scherzi? Per me sarà un gioco da ragazzi. E va bene, conta pure su di me.»
«Grazie mille. Adesso ti detto l’indirizzo a cui devi andare.»
_
_
Nicole avvertì quasi la sensazione delle braccia che la cingevano con arroganza, della puzza di alcool che arrivava dall’alito di quello sconosciuto, della voce odiosa e prepotente che le stava dicendo delle cose sconce, quando le sue palpebre si aprirono.
Si ritrovò a fissare il soffitto bianco. Era agitata, sì, ma non aveva avuto così tanta paura. In fondo, se l’aspettava che fosse solo un sogno. Tuttavia, ricordare certi momenti era ancora incredibilmente fastidioso per lei. Sospirò, rigirandosi nel letto, e richiuse gli occhi tentando di non pensare all’incubo che aveva appena fatto, ma per quanto si sforzasse, non riuscì ad evitare che ogni minimo particolare le scorresse di nuovo nella testa come una sequenza di fotografie, veloci ma intense.
Era accaduto all’incirca un anno prima. Aveva ricevuto una chiamata dalla sua amica Jane, per una festa, e lei era tutta intenzionata a rifiutare. Ciononostante, il caso vuole che Mrs Hicks avesse udito nei minimi particolari la telefonata, quindi aveva deciso senza discutere ulteriormente che la figlia vi sarebbe andata.
Rassegnata, Nicole era stata scortata fino a casa di Jane, e anche dall’esterno si poteva udire la musica ovattata che si propagava nei dintorni, assordante. Perciò all’interno era almeno tre volte più forte. Inizialmente Nicole si era dovuta mettere le mani sulle orecchie per non diventare sorda, poi però l’orecchio si era abituato e il battito cardiaco si stava lentamente sincronizzando con la musica, e quando era arrivata Jane tutto si era fatto più facile. Okay, aveva pensato, un paio di saluti e poi via, me ne torno a casa a piedi. Non aveva fatto in tempo a finire di pensarlo che era stata coinvolta già in una conversazione, tra altri studenti come lei, di cui la metà ubriachi.
Era davvero sorpresa di quanto alcool circolasse in quella casa, ma forse non doveva esserlo più di tanto. Ogni tanto veniva spintonata da qualche ragazzo non proprio lucido, mentre altri quando la incrociavano – mentre girovagava senza meta per la casa – la punzecchiavano con battutine ambigue, di cui lei solo in parte riusciva a cogliere il significato.
Fortunatamente la sfilza continua di ricordi che le stava trapassando la mente terminò lì, perché finalmente si riaddormentò.
_
_
Il giorno dopo Nicole si era sorpresa quando, alle quattro del pomeriggio, ancora Luke non si era fatto sentire. Non sapeva se pensare che fosse un bene o un male. In teoria doveva essere un bene, ma bisognava anche tenere in considerazione che conoscendolo si doveva presupporre che avesse in mente qualcosa.
E poi, uno strano formicolio nello stomaco di Nicole sembrava comunicarle la seria preoccupazione di non ricevere chiamate, quel giorno. Ma com’era possibile tutto ciò?
Non è che si era ridotta al punto di… desiderare la compagnia di Luke?
Oh no!
Scosse la testa. No, non è così, è la stanchezza, è solamente la stanchezza.
Allora perché in tutto il pomeriggio non era riuscita a concentrarsi nemmeno su una riga del libro di astronomia che stava consultando?
Proprio in quell’istante suonò il campanello.
Nicole lo ignorò volutamente.
Poi suonò di nuovo.
Mmm… potrebbe essere…?!
Sobbalzò sulla sedia, in un misto tra dubbio, stupore e speranza. SPERANZA?! E si fiondo giù per le scale, tuffandosi sulla porta e aprendo. Aveva già il sorriso sulle labbra, certa che fosse lui – Ma perché sto sorridendo come un’ebete? Io odio Luke Kendrew! – ma tutta la sua emozione si spense come un focolare annacquato dalla pioggia non appena scorse la figura minuta e fine di una ragazza.
«Nicole Hicks?» domandò questa, sorridendo e inclinando il collo.
Lei notò con ribrezzo i lunghi capelli color chewing-gum della ragazza. Oh mio Dio! La conosceva, era Bethany Babcock, la vedeva spesso a scuola. E con quei capelli non era difficile dare nell’occhio, soprattutto per una come lei che nelle persone notava ogni particolare “fuori posto”. «Sì. Ehm… Bethany Babcock?»
«Esatto, sono io! Scusa il disturbo, cara, ma mi hanno mandata qui per un motivo preciso.»
Nicole aggrottò un sopracciglio. «Chi è che ti manda?»
«Luke Kendrew, me l’ha chiesto lui personalmente.»
Trasalì solo a sentirne il nome – e si domandò anche il motivo, ma adesso non era il momento di pensarci. Che cos’ha in mente questa volta? «Ah, sul serio? E che cosa ti avrebbe chiesto?» Usò un tono il più gentile possibile. Tuttavia dentro di lei s’insinuò il timore che Luke avesse potuto raccontarle tutto quanto su di lei.
«Oh, ehm… di darti una mano. E sono sicura che ci riuscirò, Nicole.»
«Sai anche il mio nome?» Si rese conto della stupidità della domanda solamente dopo. Lei era Nicole Hicks, chi dentro la scuola non la conosceva?
«Ti conosco benissimo, io, sei la famosa Nicole Hicks, quella dalla media eccellente. Come si fa a non sapere chi sei?» Per l’appunto.
«Oh sì, anch’io ti conosco, come si fa a passare inosservati con quella parrucca rosa?»
Bethany, imbarazzata, si prese una ciocca di capelli color chewing-gum tra le mani. «Ecco, in realtà questi sono i miei veri capelli» ammise. «Li ho tinti.»
Nicole sgranò gli occhi. «Ah.» E sono io quella che ha bisogno di una mano, qui?!
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_
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Jade’s place:
Ehm… no, non so proprio come giustificarmi, ho ritardato di un mese!! Scusatemi, scusatemi tantissimo, ma non ho davvero avuto un secondo di libertà da quando la scuola è cominciata. Sono riuscita ad approfittare di questo weekend per terminare il capitolo che avevo incominciato, ma adesso credo di avere più tempo per dedicarmi a S&P e cercherò di non lasciarvi a bocca asciutta ^^ detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto… presto avremo ulteriori chiarimenti… vi saluto =)!!
PS: forse ho in serbo una nuova sorpresa =)
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Capitolo 13 *** Nove ***
Nove
“Ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i modi abituali di cercare la felicità”
Charles Baudelaire
Il problema principale di Nicole era che non giudicava il libro dalla copertina solamente in senso letterale. Quando si trattava di dare alla frase un senso metaforico, allora ne perdeva la capacità e nella sua mente partivano in un turbinio confusionario le sue prime impressioni.
Forse la vicinanza a Luke le aveva fatto perdere l’esercizio nel fingere, o forse l’arrivo della ragazza dai capelli color gomma da masticare l’aveva sorpresa troppo, ma contro ogni sua volontà mise in mostra la sua smorfia perplessa e contemporaneamente diffidente e disprezzante.
«E non fare quella faccia!» la esortò Bethany «Sono qui per darti una mano! Luke in persona me l’ha chiesto.
«Sì, me l’hai già detto» rispose, la voce monocorde. «Ma non ho bisogno di nessun aiuto. E poi come faccio a sapere che ti ha mandato veramente lui?»
Evidentemente Bethany si attendeva la domanda. Opera di Kendrew, pensò all’immediata Nicole. Infatti la ragazza quasi per lei sconosciuta le rispose a breve: «Ti sei arrabbiata parecchio quando hai visto che eri finita seconda in classifica, quest’anno, eh Nicole Hicks?» le disse, le sopracciglia inarcate, che però non avevano quasi nulla di malizioso o che comunque lasciava intendere cattivi pensieri.
In teoria poteva sbatterle la porta in faccia e girare i tacchi. Ma quella era la prova tangibile che Luke aveva spifferato tutto su di lei, quindi non poteva essere che per lui che Bethany era lì adesso, dinanzi a lei. Ergo, si sarebbe parecchio infastidito se l’avesse mandata via. «Che cosa ti ha chiesto di fare?» Nicole parlava faccia a faccia con lei, ma non la guardava negli occhi. Le sue pupille erano puntate come un mirino sulle sue lunghe ciocche rosa vivaci. I chewing-gum non le erano mai piaciuti e le dava la nausea solo vederli o sentirne l’odore – non che i suoi le avessero mai permesso di masticarne molti, fin da quando era piccola, siccome le volevano inculcare l’idea che quelli e tutto ciò che contenesse zucchero fossero da evitare come la peste nera.
Bethany sorrise, quasi in fibrillazione. «Questa sera Luke ha una sorpresa per te» sorrise a trentadue denti.
Nicole spostò il peso da un piede all’altro, preoccupata per quello che sarebbe avvenuto di lì a poco. «Be’, comunque ora che me l’hai detto non è più una sorpresa.» Oramai era chiaro che la sconosciuta fosse a conoscenza di tutto. Quindi perché tenerle celato il suo vero carattere? Uno sforzo in meno.
Bethany si guardò intorno, all’improvviso un po’ più imbarazzata per la freddezza assoluta di Nicole. «Che dici… mi dai una chance oppure no?»
Nicole indietreggiò di un passo, aprendo la porta ulteriormente. Si scostò lievemente per permettere alla ragazza di passare. «Prego» disse, non col calore che Bethany si era aspettata.
Non appena questa fu entrata e Nicole ebbe chiuso la porta, Bethany constatò che erano sole in casa. All’interno della dimora era certamente più caldo rispetto a fuori. «Bene, Nicky…»
«Preferisco di gran lunga Nicole» ribatté, incrociando le braccia leggermente scocciata.
«Ah.» L’altra si passò una mano tra i capelli. «Tu invece puoi chiamarmi Beth.»
Nicole roteò gli occhi. Non l’avrebbe fatto. Detestava i soprannomi, erano così stupidi! Ogni nome ha un suo significato, sosteneva, un onorevole significato che va rispettato; perché storpiarlo con un diminutivo?
«Dunque» fece Beth, improvvisamente «incominciamo da qui» e diede una pacca con la mano alla grande e spaziosa borsa a tracolla che portava. Solo adesso Nicole la notò. Sembrava stracolma, e non era sicura che ciò che vi era dentro le sarebbe piaciuto.
Indicò il suo contenuto con il dito. «Prima di tutto vorrei sapere che cosa c’è lì dentro.» La sua voce non celava né diffidenza né fastidio, ma per la sua ospite non parve essere un problema. Credo che Luke le abbia raccontato molto più del dovuto.
«Te lo faccio vedere in camera tua, Nicole!» esclamò l’altra con un largo sorriso, incurante del disprezzo che la ragazza stava mostrando nei confronti della situazione.
Non voleva arrivare fino a quel punto, tuttavia Nicole si vide costretta a mostrare all’ospite la strada su per le scale verso la sua stanza. Percorsero i gradini con i passi all’unisono e, non appena varcarono la soglia, Bethany rimase colpita dalla quantità di libri che invadevano la stanza. Ma c’era da aspettarselo, pensò. Si trattava pur sempre di Nicole Hicks. Malgrado ciò, non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta come tutti i visitatori prima di lei – non che Nicole ne avesse avuti molti. Giurò a se stessa che se non avesse immediatamente visto il letto, avrebbe scambiato quel luogo per uno studio, libreria personale o qualcosa di simile.
Nicole osservò Bethany avanzare con passo in certo fino a posare la grande borsa sul suo letto rifatto. Si scrutarono negli occhi per un istante, poi la sua ospite incominciò a tirare fuori ogni ben di dio, e la borsa che man mano si sgonfiava, come sollevata di tutto quel peso che se ne andava. Così, in un crescendo di orrore, Nicole vide comparire davanti ai propri occhi una trousse piena di trucchi – anzi, due! –, un set da manicure, una gonna, un paio di camicette e pochi altri capi di abbigliamento che avevano trovato spazio lì in mezzo. E, infine, ciliegina sulla torta… «Oh, santo cielo» mormorò, mettendosi le mani tra i capelli. «E… quelli?!»
Bethany gliele sventolò davanti. «Scarpe col tacco» le disse.
L’altra sprofondò a sedere sulla sua sedia da scrivania, fissando le scarpe con un tacco non esageratamente alto, ma per lei qualsivoglia tacco lo era.
«Ehi, non so quali sono i tuoi scopi» disse Nicole assumendo un tono quasi autoritario «ma io non mi faccio vestire e truccare da chicchessia!» La sua voce sfiorava lo sgomento. Si stava ribellando a qualcosa di ineluttabile: sapeva perfettamente che alla fine, per quanto avesse insistito, avrebbe fatto tutto ciò che Bethany diceva. Io non ho capito come mai tutte queste persone così, all’improvviso, entrano nella mia vita senza chiedermi il permesso.
Studiò ancora per qualche secondo il rosa shocking dei suoi capelli, prima di dirle che qualsiasi cosa avrebbe voluto fare, avrebbe dovuto utilizzare il bagno. E le mostrò come raggiungerlo.
«Così, esattamente! Piano… No, attenzione! Vieni, raggiungimi» la esortava.
«Per te è facile dirlo, sono io che sono su questi maledetti trampoli!» ringhiò Nicole, tentando di muovere un passo in direzione di Bethany.
«Su, cerca di mantenere un po’ di equilibrio. Non hai mai indossato dei tacchi?»
«Ehm… NO!» il suo piede destro si appoggiò male sul pavimento. Ed ecco che Nicole cadeva per terra per la terza volta da quando aveva cominciato a fare pratica insieme alla ragazza dai capelli rosa.
«Su… cerca di stare un po’ più attenta.» La ragazza afferrò la mano di Bethany per potersi rialzare. Era fredda e dalla presa solida. Si domandò perché stesse facendo tutto questo.
Poi si ricordò della scommessa. Oh. Quasi quasi rinunciava.
Ma poi come l’avrebbe presa Luke?
Ma che, scherziamo? Da quando in qua mi interessa di…
«Luke sarebbe fiero dei progressi che stai facendo, ragazza mia!» Quella che doveva essere una battuta di incoraggiamento fece balzare il cuore in gola alla sua interlocutrice. «Be’, che ti prende? Come mai così improvvisamente agitata solo perché ho pronunciato il suo nome?»
Nicole scosse la testa. Scalciando, fece in modo che le scarpe si sfilassero e rimase a piedi nudi sul pavimento freddo e duro. «Be’ perché… perché… io odio quel ragazzo. Sul serio. Lo detesto dal profondo dell’anima.»
Non era suo solito contraddirsi, ma in quel momento lo stava facendo: se lo odiava così tanto, allora avrebbe potuto tranquillamente rinunciare, come aveva pensato di fare poco prima, fregandosene della scommessa. Perché invece no, non era così?
Rifletté e pensò che forse, dopotutto, specialmente dopo quei giorni in cui erano stati praticamente sempre insieme, stava iniziando a provare… un certo affetto, nei suoi confronti. Ma faceva fatica anche ad ammetterlo con se stessa, figuriamoci a confessarlo a qualcuno. «Ascolta…» disse poi, introducendo un nuovo discorso. «Perché non passiamo direttamente alla parte in cui scegliamo il mio vestito? Con i tacchi me la saprò cavare.»
Alla fine, Bethany acconsentì. Ci misero un paio d’ore prima che tutto fosse allestito.
Con passo ancora un po’ incerto, Nicole accompagnò la ragazza nel soggiorno, dove questa poté ammirare meglio il capolavoro che aveva eseguito. «Sei perfetta, mia cara Nicole» disse, fiera di sé. «Sei davvero… bellissima.»
Nicole fece un giro su se stessa. Ammise che, a parte i tacchi, non era molto male. Appariva un po’ di più a tutte quelle belle ragazze stereotipate che si vedono nei telefilm e che piacciono tanto a tutti. Benché fosse sempre stata contraria a quel genere di bellezza, e sebbene quest’ultima non le fosse mai interessata molto, si sentiva bene. L’abito era grigio, dal tessuto fine, e nonostante il colore non fosse così allegro, le donava comunque una luce diversa: le ricadeva delicatamente lungo il corpo e le faceva assumere una grazia che nessuno avrebbe immaginato al di sotto della t-shirt larga e della pettinatura scomposta.
Il punto era che, appena qualche giorno prima, ovvero quando ancora non conosceva Luke, non si sarebbe mai sentita bene dentro quegli abiti. Pensava non le appartenesse quel genere di cose. Invece, consapevole che Luke l’avrebbe portata da qualche parte, quella sera, e che sarebbero dovuti stare insieme, quella volta si sentì quasi in dovere con se stessa di andarsene di casa vestita bene e truccata.
Nicole non era una ragazza stupida – e la sua media scolastica lo dimostrava. Tuttavia, nessuno è ferrato in qualcosa che ci è del tutto nuovo: per Nicole, la cosa nuova era quello che stava provando il suo cuore acerbo e indurito dagli anni.
Dieci minuti più tardi Nicole e Bethany erano in viaggio nell’automobile di quest’ultima: a velocità moderata, la prima fu condotta nel centro della città, e quando si fermarono davanti a un edificio con la grossa insegna che indicava palesemente un ristorante, Nicole comprese. Ciò, però, le fece anche venire un nodo alla gola: solitamente erano le coppiette che si davano appuntamenti al ristorante. Comunque sia non volle contestare, perché se non funzionava con Luke, figuriamoci con Bethany, che era stata solamente un tramite, tra i due.
«Il tuo cavaliere ti attende all’interno» proferì Bethany, interrompendo il freddo silenzio che si era innalzato tra le due appena alla partenza.
«Non è il mio cavaliere» precisò l’altra, con una punta d’arroganza.
«Come vuoi. Comunque Luke è dentro. Ti saluto, Nicole. È stato divertente introdurti all’arte del farsi belle» ridacchiò, salutandola mentre lei usciva e si allontanava.
Qualche secondo dopo, l’automobile guidata da quella ragazza con i capelli rosa shocking era svanita dietro il primo incrocio, portando con sé il minimo senso di sicurezza che Nicole era riuscita ad accumulare in precedenza.
Si volse a guardare l’entrata del ristorante. Appariva accogliente, ma non era del tutto sicura di volervi entrare per affrontare una serata insieme a Luke. Tutto, da quel posto, all’abito, alla cena, al trucco, fino a Bethany, portava tutto quanto a qualcosa di ambiguo.
Vide un viso noto.
La persona cui apparteneva uscì dal ristorante, con espressione irritata. Era alta, bionda, e con una faccia da Barbie. E Nicole riconobbe subito Samantha Richardson.
Anche ella riconobbe subito la ragazza. Tanto che non appena i loro sguardi s’incrociarono, Samantha parve farsi ancor più infastidita. Era sola, vestita bene quanto lei e con una borsetta costosa che dondolava lungo il suo fianco. «Nicole Hicks, guarda chi c’è!»
Nicole non era per nulla felice di vederla. Ma aveva la vaga consapevolezza che nemmeno la sua interlocutrice lo fosse particolarmente di vedere lei. Finse il sorriso, ricordando che per lei era ancora l’innocente e brava studentessa che non avrebbe fatto male ad una mosca. «Ciao, Samantha» salutò con finto calore.
«Dove vai, di bello?» le domandò, sapendo già perfettamente la risposta.
«Vado a cena» le rispose l’altra scimmiottandone il tono. Aveva intuito ormai che Samantha non fosse facile da prendere in giro.
«Con Luke Kendrew, non è vero?» incalzò, stringendo il pugno e affondando le unghie nel palmo.
Allora l’aveva visto. Ciò doveva averla irritata non poco, già.
«Mmm… esatto» rispose Nicole, cercando di moderare i toni: non voleva certo che si pensasse che…
«Nicole Hicks» le mormorò Samantha, con un tono austero. «Voglio che mettiamo in chiaro una cosa, se non ti dispiace. Vedi, non vorrei che avessi frainteso qualcosa ma… Luke è mio, siamo d’accordo?»
Nicole corrugò la fronte e alzò un sopracciglio, con sguardo derisorio. «Ah. Allora, se è così tuo, perché sono io che sto andando a cena con lui e non tu?» la canzonò leggermente.
L’altra strinse i denti, trattenendosi dallo saltare addosso a Nicole come aveva tentato di fare una volta a scuola. «Te lo dico io, perché. Preparati, perché ti sto per illuminare: Luke non ha alcun interesse vero e proprio per te, è solo che gli fai pena. Ovvio, lui è un bravo ragazzo, quindi vedendo una piccola sfigata come te che altro poteva fare se non venire in tuo aiuto? Cara, piccola Nicole, ti credevo più intelligente.»
Tuttavia, la ragazza parve rimanere del tutto impassibile alle sue parole. Ciò fece infuriare Samantha. «Con questo ragionamento, allora, anche tutte le volte che aiutava te passandoti gli appunti di matematica e spiegandoteli, era perché gli facevi pena.»
Spazientita, Samantha chiuse i pugni. «Senti, ragazzina, ti sei mai domandata perché tutte le volte che sei uscita con Luke eravate voi due, da soli?»
Nicole assunse un’espressione perplessa: dove voleva arrivare?
«Te lo dico io: voleva aiutarti senza farlo sapere a nessuno. Questo lo confermi anche tu, non è vero?»
Be’, sì, in effetti lei e Luke avevano agito un po’ in segretezza… ma cosa c’entrava?
«Pensa un po’, gli fai così pena che si vergogna di te. Tanto che ti porta in posti che non frequenta mai nessuno dei suoi amici, pur di non incontrarli insieme a te. Pensa un po’! Questa è la stima che lui ha realmente di te!»
Nicole stette zitta. Le sbadigliò in faccia, come per farle vedere il suo senso di noia. «Le tue parole non mi toccano affatto.»
«Be’… tu fa’ come vuoi, Nicole Hicks. Ma io sono una ragazza molto solidale, perciò ti dico che se mai dovessi capire un giorno che Luke non è il ragazzo che tu credi in realtà, io non ti rinfaccerò che avevo ragione. Anzi, se vuoi, proprio stasera al locale qua vicino do una festa. Sei sempre la benvenuta, lo sai.»
«Grazie, ma il tuo invito non mi interessa per nulla.»
«Come vuoi tu. Ma ricorda che si può cambiare idea nella vita.» E, detto ciò, le voltò le spalle e se ne andò, sparendo mano a mano dal campo visivo di Nicole.
Tsè. Pena, vergogna… Dio, quante baggianate tutte insieme! Sono proprio contenta che se ne sia andata, quella civetta.
Varcò la soglia del ristorante del tutto certa che Samantha avesse torto.
Quasi del tutto certa.
Jade’s place:
finalmente mi degno di venire ad aggiornare S&P! Mi dispiaaaaaace T___T questo capitolo ce l’avevo in progetto da parecchio… è stato un po’ difficile tuttavia per me scriverlo – ma penso si sia visto o.o
Spero che vi sia piaciuto lettrici!! Commentate please ;D un saluto!
JadeCam
PS: ci terrei a sapere che cosa ne pensate della mia raccolta di flashfic, che finora ha ricevuto più attenzioni di quante ne aspettassi ma comunque ci tengo davvero a sapere qualcosa da voi :D Riflessioni di un'adolescente romantica e meditativa.
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Capitolo 14 *** Dieci ***
Dieci
"Il dubbio affiorava nell'aula. La realtà si faceva largo, ma con fatica."
Giorgio Saviane
Quando la vide, Luke trasalì, in un sussulto di sorpresa mista tra quella di vedere una Nicole così diversa, truccata, vestita aggraziatamente, e bella, e tra quella di avvertire il cuore sobbalzare nel petto. Non si accorgeva di arrossire in un crescendo d’intensità mentre la ragazza avanzava verso di lui.
Di scatto, si alzò in piedi dal tavolo al quale era seduto. «N-nicole» la salutò con un tono quasi impercettibile. «Ciao» tentò con tutte le sue forze di mostrare quel sorriso affabile e spensierato che era riuscito a mantenere per tutto quel tempo.
Nicole, dal canto suo, si sentiva parecchio in imbarazzo. Il ristorante era provvisto di una vasta sala poco rumorosa, il loro tavolo era apparecchiato per due, e non appena si sedette si accorse del piccolo bicchiere con una rosa rossa infilata dentro che si frapponeva tra loro due. La scostò per poterlo guardare negli occhi. «Come ti è venuta in mente una cosa del genere?» mormorò digrignando i denti. «Perché hai fatto venire una perfetta sconosciuta in casa mia, con quei capelli tra l’altro, e le hai fatto mettere le zampe nel mio guardaroba?»
Lui, con tono calmo, le rispose: «Perché, così non ti piaci?»
Lei rimase zitta. Era così deprimente per la ragazza ammetterlo, ma mentre era insieme a Bethany non aveva potuto fare a meno di guardarsi per una decina di minuti allo specchio. Era talmente bella che non poteva crederci neanche lei, che aveva a che fare con il proprio corpo tutti i giorni. Si toccò il lobo in cerca di uno degli orecchini che aveva indossato. Iniziò a giocherellarci, a disagio per la domanda.
«Stai davvero benissimo, sai?» disse Luke poi improvvisamente.
Lo disse in una maniera così rapida che a stento Nicole riuscì a capire. Tuttavia, non appena il senso della frase le attraversò il cervello, avvampò e il cuore iniziò a tamburellarle freneticamente. «G-grazie» rispose piano. Poi s’infilò le dita tra i capelli, incredibilmente lisci. Questa piastra che mi ha fatto Bethany mi rovinerà i capelli, dannazione.
Seguì qualche istante di imbarazzante silenzio prima che un cameriere portasse loro i menù. Ci volle poco, prima che decidessero le ordinazioni.
«Che cosa prendi?» le domandò Luke.
Nicole alzò le sopracciglia. «Uhm…» sfogliò distrattamente il menù senza guardarlo quasi. «Credo che prenderò qualcosa di davvero molto semplice. Accompagnato da un’insalata, forse.»
L’altro rimase un po’ stupito. «Nicole, davvero, non preoccuparti.» Le sorrise. «Ordina pure quello che vuoi, senza farti scrupoli.»
«Oh no» lo rassicurò lei «non è mica per quello. Tutte le volte che vado a mangiare fuori cerco sempre di prendere gli stessi piatti; semplici, forse un po’ banali, ma mi vanno benissimo.»
Luke metabolizzò la frase e il suo senso. «Ma lo sai che sei davvero bizzarra?»
«Nel senso che stai lodando la mia originalità o vuole essere un insulto?»
«Non hai mai pensato che potresti tentare, rischiare e assaggiare qualcosa di completamente nuovo? Sul serio hai sempre preso gli stessi piatti?»
«Lo trovo perfettamente normale. Perché arrischiarmi e assaggiare qualcosa che potrebbe non piacermi, a cui potrei essere intollerante o peggio allergica, quando posso andare sul sicuro con qualcosa che so con certezza che è di mio gusto?»
Dopo un momento di riflessione, Luke le tolse il menù di mano. «Facciamo un gioco.»
Nicole, insospettita, divenne diffidente.
«Stasera non sarai tu a decidere cosa mangiare. Io decido per te e tu per me. Affidiamoci l’uno all’altra, molto semplicemente.»
Lei scosse la testa con decisione. «No, no e no. Potrebbe arrivarmi una pietanza che non conosco, magari mi dà la nausea solo l’odore e sono costretta a rimanere a digiuno.»
«Se non dovesse piacerti ti autorizzo a prendere in alternativa tutto quello che vuoi.»
Stava per replicare, ma si fermò. Invece disse: «Perché stai facendo tutto questo?» La domanda le venne spontanea, forse per ciò che le aveva appena detto Samantha – rendendo imperfetta quella giornata colma di imprevisti – o forse per qualche ragione a lei ignota.
«Come sarebbe?» Lui parve sorpreso. «Per la scommessa che abbiamo fatto, no?»
«No, qui la scommessa non c’entra. Perché ti sei intromesso nella mia vita, cercando tutti i modi possibili per sconvolgerla? Che cosa ne ricaverai, alla fine?»
Luke assunse l’espressione di qualcuno che davvero non si aspettava un’uscita del genere. Credeva che a Nicole fosse già tutto chiaro, ma evidentemente c’era qualcosa che ancora non tornava, un dubbio che non era ancora stato chiarito, una domanda che d’un tratto aveva incominciato a ronzarle per la testa. «In che senso, scusa? A cosa staresti cercando di arrivare?»
«Sto cercando di capire se stai facendo tutto questo solo perché sono incredibilmente buffa o perché, cosa molto più plausibile, ti faccio pena. Se dovesse essere la prima ipotesi, la prenderei come un insulto e come un affronto. Se fosse per la seconda, ancora di più.»
Luke era spiazzato, completamente. Incredulo dalle parole che erano appena uscite dalla bocca della ragazza, tentò di spiegarle come stavano realmente le cose: «Nicole, io volevo aiutarti solo perché mi stai simpatica, tutto qui. Che cosa mi abbia spinto a fare tutto questo al principio, non lo so, ma non credo assolutamente che sia una delle cose che hai affermato tu in questo momento. E di questo ne sono sicuro.»
«Non ne sono del tutto convinta.» Per il nervosismo, Nicole fece balzare in qua e in là lo sguardo, passando da un punto all’altro del locale. «E sentiamo, cosa avresti intenzione di farmi fare dopo questa cena? E nei prossimi giorni? Giusto, quanto ancora durerà questa cosa? Delle settimane, o dei mesi?»
«Calmati, Nicole…»
Più lei andava avanti con le accuse, e più le facevano eco nella mente le parole che le aveva rivolto Samantha. La stava solo usando, per divertirsi un po’ e perché gli faceva pena, e guarda caso erano sempre da soli, senza mai incontrare qualcuno che conoscevano. «Ti faccio così pena che ti vergogni di me, addirittura?»
«Che cosa?» sbottò lui, confuso e con pensieri caotici che gli affollavano la testa. «Ma sei impazzita, Nicole? Perché dovrei vergognarmi? E che cosa c’entra adesso?»
«C’entra… perché credo di aver finalmente aperto gli occhi…» Nicole si passò una mano tra i capelli, il respiro affannoso, il labbro inferiore dolorante e mordicchiato nervosamente dai denti. «Scusa, ma finché non mi avrai dimostrato che la tua non è una presa in giro, non posso più permettermi di perdere altro tempo.»
Perdere altro tempo. Potevo usare un’altra espressione, pensò Nicole, ma le venne in mente quella delicatezza solamente più tardi, quando il danno ormai era fatto. Si alzò dalla sedia, di scatto; girò i tacchi e se ne uscì dal ristorante.
Da sola.
Non avevano ancora ordinato niente, e si poteva già dire che la cena non fosse andata per nulla a buon fine.
Aveva imparato a non fidarsi di nessun ragazzo, nella sua breve vita da diciassettenne. I suoi genitori le avevano insegnato che non doveva mai svendersi, che doveva aspettare quello giusto che non le chiedesse solo una pomiciata, o magari qualcosa di più, e che poi la lasciasse perdere come un giocattolo vecchio.
Eppure, quella sera di un anno prima, era andata diversamente, secondo i suoi principi – nonché quelli dei suoi familiari.
Sua madre l’aveva quasi costretta ad andare alla festa di Jane. Lei si era opposta con tutte le sue forze, perché non sopportava quel genere di divertimento. Preferiva di gran lunga aprire un romanzo rosa con qualche sfumatura comica ed ironica ed immergervisi dentro facendosi qualche risata, ecco qual era, il suo concetto di divertimento.
Secondo la mamma e la sua parentela per intero, però, c’era qualcosa di sbagliato in tutto questo: va bene che fosse istruita, va bene che fosse la più intelligente, ma evidentemente c’era stata qualche sfumatura di esagerazione nell’educazione della bambina. Così era diventata una specie di mostro perennemente in contemplazione di qualche pagina da sfogliare.
Dunque alla fine era stata convinta a recarsi alla festa cui era stata invitata. Per la prima volta, Nicole non avrebbe declinato l’invito e si sarebbe presentata.
Era entrata ed era stata investita da un insieme confuso di luci e suoni indistinti. Poi era stato tutto molto veloce: alcool che le avevano rifilato le amiche per sentirsi un po’ più a suo agio, e lei che lo aveva accettato perché convinta di poterlo reggere – figuriamoci, Nicole era capace di qualunque cosa, figuriamoci se non poteva reggere un po’ di alcolici!
La sua mente poi si era fatta più sfuocata, e alcuni pensieri venivano concepiti non del tutto lucidamente. E allora, dopo gli spintoni e le battutine ironiche, era successo tutto piuttosto rapidamente, un ragazzo sconosciuto, che le aveva fatto un po’ di avances e subito era passato a ficcarle la lingua in mezzo alle labbra.
Nicole, stranamente, non si era opposta, attingendo ai romanzi che spesso leggeva e in cui si parlava di baci romantici e appassionati, dati col cuore, dati con tutti se stessi. Per qualche ragione, aveva associato quella pomiciata a qualcosa del genere. Per lei esistevano solamente quel tipo di baci, come in una favola idilliaca.
Forse era un po’ troppo sognatrice, un po’ troppo romantica. Be’, sì, ma d’altronde, che altro ci si poteva aspettare da una ragazza che come compagnia infantile aveva avuto quasi sempre le autrici romantiche dell’Ottocento, anzi che le ragazze cresciute troppo in fretta che ormai spopolavano, spuntando da ogni dove come funghi?
Jade’s place:
eccomi arrivata finalmente qui… scusatemi per la brevità del capitolo, ma era necessario, perché il prossimo, cioè l’ultimo, sarà lungo e avrà bisogno di molti spazi. Dovrò lavorarci su ;D in attesa del prossimo, allora, aspetto qualche vostro parere :3 bye bye! Vostra
Cam
PS: fate un salto qui se vi va Rebirthing Now :) c'è sempre il marchio di fabbrica Jade :D
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